Grice e Gaetani – L’implicatura di Catullo -- APVD
NEAPOLIM – filosofia italiana – Luigi Speranza (Martano). Filosofo. Grice: “I like Gaetani, for one,
he is a duke – and kept beautiful gardens at Martano – he philosophised on the
‘ottocento’, as any philosopher from the Novecento would!” Figlio di Carlo, conte
di Castelmola, e Giuseppina Chiriatti. La famiglia Gaetani annovera oltre al
ramo dei Castelmola, anche quello dei Laurenzana, di cui si ricorda il Barone
Di Laurenzana, esponente del movimento radicale. L'insegna araldica dei
Castelmola è costituita da uno scudo forgiato di due strisce blu ondeggianti
che lo attraversano in senso trasversale. I Gaetani, prima Caetani, vantarono
alcuni papi, tra cui Bonifacio VIII. Il
padre, Carlo, avvocato, fu ripetutamente eletto tra le file dei radicali nel Consiglio
comunale di Napoli. Da Napoli attiene, fino a tutta la Grande Guerra, alla cura
del patrimonio fondiario in Martano, acquisito dal matrimonio con Chiriatti.
Questa infatti si era trasferita a Napoli dopo l'uccisione del facoltosissimo
padre Paolo, nell'ambito di una torbida vicenda che vide infine coinvolta la
madre di lei, Maria Fortunato, quale mandante, assieme al prete Mariano, dato
che i due erano in tresca. Diviso il patrimonio tra le due figlie Giuseppina e
Paolina Chiriatti, e la madre stessa, vennero iniziati i lavori di costruzione
del palazzo Chiriatti-Gaetani. A Palazzo Chiriatti-Gaetani la famiglia venne a
dimorare mentre man mano la gestione delle fortune familiari passava in capo a
Gaetani, che si impegna in un'ardua opera di bonifica e di razionalizzazione colturale,
culminata con l'acquisto di diversi macchinari ad alta tecnologia. E però
proprio il malfunzionamento dell'attrezzatura finalizzata all'estrazione
dell'acqua dai pozzi, bene capitale nelle aride campagne della zona, a
determinare l'infiacchimento del capitale di famiglia e il progressivo
indebitamento verso il Banco di Napoli, che culmina con la fine del
fascismo. Frattanto Gaetani, che si fregiava del titolo di duca, a
seguito del matrimonio con la duchessa d'Ascoli, Leopoldina, si dedica alla filosofia,
mentre, del resto, ebbe a ricoprire la carica di Provveditore a Potenza. La sua
filosofia e ispirata dalla Francia, della che fu un grande amatore, nonostante
il fascismo e nonostante la sua adesione al regime, che ad un certo punto ne
impedì la circolazione in Italia. Crociano, segue lo schema tracciato dal
maestro, mentre l'ultimo ricordo della natia Martano fu un canto dedicato alle
tradizioni grike, di cui raccomandava appassionatamente la conservazione e il
culto. Nei giorni furenti che precedettero
il Referendum istituzionale appoggiò in pubblici comizi la Monarchia, e per
questo pagò dazio dovendosi allontanare all'indomani del voto e rifugiarsi in
Napoli, tutto teso negli studi letterari.
Altre saggi: Villon (Napoli); “Un carteggio inedito di F. Bozzelli (S.
Gaetani, F.B ozzelli), L'Aquila, Masseria, Martano (Lecce); “Un bilancio
letterario” (Roma); “Per onorare un maestro: il Torraca, Napoli); “Catullo”
(Roma); L'Ottocento” (Napoli); “La bancarotta del rosso: commedia in tre atti,
Lecce); “Per la venuta del Duce” (Lecce); “Bernardo Bellincioni, Galatina
(Lecce); “Il benedettino-cistercense d. Mauro cassoni nel Tempio, nella scuola,
negli studi: ), Lecce, “Ricordi di Benedetto Croce, Napoli); Vicende tipi e
figure del Casino dell'Unione, Napoli); Napoli ieri e oggi: passeggiate e
ricordi, Milano-Napoli); Apud Neapolim..., Napoli); Fonti storiche e letterarie
intorno ai martiri di Otranto, Napoli. "Catullo" rimanda qui.
Se stai cercando altri significati, vedi Catullo (disambigua). Sirmione,
busto di Catullo Gaio Valerio Catullo (in latino: Gaius Valerius Catullus,
pronuncia classica o restituta: [ˈɡaːɪʊs waˈlɛrɪʊs kaˈtʊllʊs]; Verona, 84 a.C.
– Roma, 54 a.C.) è stato un poeta romano. Il poeta è noto per l'intensità delle
passioni amorose espresse, per la prima volta nella letteratura latina, nel suo
Catulli Veronensis Liber, in cui l'amore ha una parte preponderante, sia nei
componimenti più leggeri che negli epilli ispirati alla poesia di Callimaco e
degli Alessandrini in generale. Indice 1 Biografia 1.1Origini
familiari 1.2Trasferimento a Roma, vita sociale e letteraria 2Opera 3Il mondo
poetico e concettuale di Catullo 4Note 5Bibliografia 5.1 Rassegne bibliografiche 5.2Traduzioni italiane
5.3Commenti 5.4 Studi 6Altri
progetti 7Collegamenti esterni Biografia Il busto di Catullo presso la
Protomoteca della Biblioteca civica di Verona. Origini familiari Catullo
da Lesbia, dipinto di Lawrence Alma-Tadema (1865). Gaio Valerio Catullo
proveniva da un'agiata famiglia latina che aveva contribuito a fondare la città
di Verona, nella Gallia Cisalpina; il padre avrebbe ospitato Q. Metello Celere
e Giulio Cesare in casa propria al tempo del loro proconsolato in Gallia[1].
Per quanto concerne gli estremi cronologici della sua biografia, San
Girolamo[2] pone l'87 a.C. e il 57 a.C. rispettivamente come data di nascita e
di morte e specifica che appunto egli morì alla giovane età di trent'anni.
Tuttavia, poiché nei suoi carmi accenna ad avvenimenti che riportano all'anno
55 a.C. (come l'elezione a console di Pompeo[3] e l'invasione della Britannia
da parte di Cesare[4]), si è maggiormente propensi a ritenere che egli sia nato
nell'84 e morto nel 54 a.C., dato per certo il fatto che sia morto a
trent'anni. Trasferimento a Roma, vita sociale e letteraria Trasferitosi
nella capitale, si suppone intorno al 61-60 a.C., cominciò a frequentare
ambienti politici, intellettuali e mondani, conoscendo personaggi influenti
dell'epoca, come Quinto Ortensio Ortalo, Gaio Memmio, Cornelio Nepote e Asinio
Pollione, oltre ad avere rapporti, non molto lusinghieri, con Cesare e
Cicerone; con una ristretta cerchia d'amici letterati, quali Licinio Calvo ed
Elvio Cinna fondò un circolo privato e solidale per stile di vita e tendenze
letterarie. Durante il suo soggiorno prolungato a Roma ebbe una relazione
travagliata con la sorella del tribuno Clodio, tale Clodia.[5]. Clodia viene
cantata nei carmi con lo pseudonimo letterario "Lesbia", in onore
della poetessa greca Saffo, molto cara a Catullo e proveniente dall'isola di
Lesbo. Lesbia, che aveva una decina d'anni più di Catullo, viene descritta dal
suo amante non solo graziosa, ma anche colta, intelligente e spregiudicata. La
loro relazione, comunque, alternava periodi di litigi e di riappacificazioni ed
è noto che l'ultimo carme che Catullo scrisse all'amata fu del 55 o 54 a.C.,
proprio perché in essa viene citata la spedizione di Cesare in Britannia. Da
alcuni suoi carmi emerge, inoltre, che il poeta ebbe anche un'altra relazione,
omosessuale, con un giovinetto romano di nome Giovenzio. Catullo si allontanò,
comunque, varie volte da Roma per trascorrere del tempo nella villa paterna a
Sirmione, sul lago di Garda, luogo da lui particolarmente apprezzato e
celebrato per il suo fascino ameno, situato nella sua terra di origine e che
per questo induceva al poeta distesi periodi di riposo. Nel 57-56 a.C.seguì
Gaio Memmio in Bitinia: in quella circostanza andò a rendere omaggio alla tomba
del fratello situata nella Troade. Quel viaggio non recò alcun beneficio al poeta,
che ritornò senza guadagni economici, come sperava al momento della partenza,
né la lontananza riuscì a fargli riacquistare la serenità perduta a causa
dell'incostanza e dell'indifferenza di Lesbia nei suoi confronti. Fu tuttavia
una nota positiva la visita alla lapide del fratello, in occasione della quale
scrisse il Carme 101 (a cui si ispirò in seguito anche Ugo Foscolo per la
poesia In morte del fratello Giovanni). Catullo non partecipò mai attivamente
alla vita politica, anzi voleva fare della sua poesia un lusus fra amici, una
poesia leggera e lontana dagli ideali politici tanto osannati dai letterati del
tempo[6]. Disprezzava infatti la politica di allora, dominata da politici
corrotti che servivano soltanto il proprio interesse: riteneva dunque che
favorire l'uno o l'altro non significasse niente di meno che aiutare l'uno o
l'altro a perseguire il suo vantaggio personale. Tuttavia, seguì la formazione
del primo triumvirato, i casi violenti della guerra condotta da Cesare in
Gallia e Britannia, i tumulti fomentati da Clodio, comandante dei populares,
fratello della sua celebre amante Lesbia e acerrimo nemico di Marco Tullio
Cicerone, che verrà da lui spedito in esilio nel 58 a.C. ma poi richiamato, i
patti di Lucca e il secondo consolato di Pompeo. Una nota da sottolineare è il
Carme 52 dove, per usare le parole di Alfonso Traina, "il disprezzo della
vita politica si fa disprezzo per la vita stessa": (LA) «Quid est,
Catulle? quid moraris emori? sella in curuli struma Nonius sedet, per
consulatum peierat Vatinius: quid est, Catulle? quid moraris emori?» (IT)
«Che c'è, Catullo? Che aspetti a morire? Sulla sedia curule siede Nonio lo
scrofoloso, per il consolato spergiura Vatinio: che c'è, Catullo? Che aspetti a
morire?» (Carme 52) Opera Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Storia della letteratura latina (78-31 a.C.).
Marco Antonio Mureto, Catullus et in eum commentarius, Venetiis, apud Paulum
Manutium, 1554. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Liber (Catullo). Il liber di Catullo non fu ordinato dal poeta stesso, che non
aveva concepito l'opera come un corpo unico, anche se un editore successivo
(forse lo stesso Cornelio Nepote a cui è stata dedicata la prima parte
dell'opera) ha diviso il liber catulliano in tre parti secondo un criterio di
tipo metrico: i carmi da 1 a 60, sotto il nome di "nugae"
(letteralmente "sciocchezze"), brevi carmi polimetri, per lo più
faleci e trimetri giambici; i carmi da 61 a 68, i cosiddetti "carmina
docta" d'impronta alessandrina e per lo più in esametri e distici
elegiaci; i carmi dal 69 al 116 sono gli epigrammi ("epigrammata"),
in distici elegiaci. Il mondo poetico e concettuale di Catullo Il
poeta Catullo legge uno dei suoi scritti agli amici, da un dipinto di Stefan
Bakałowicz. Catullo è per noi uno dei più noti rappresentanti della scuola dei
neòteroi, poetae novi, (cioè "poeti nuovi"), che facevano riferimento
ai canoni dell'estetica alessandrina e in particolare al poeta greco Callimaco,
creatore di un nuovo stile poetico che si distacca dalla poesia epica di
tradizione omerica divenuta a suo parere stancante, ripetitiva e dipendente
quasi unicamente dalla quantità (in riferimento all'abbondanza dei versi di
quest'ultima) piuttosto che dalla qualità. Sia Callimaco che Catullo, infatti,
non descrivono le gesta degli antichi eroi o degli dei[7], ma si concentrano su
episodi semplici e quotidiani. Per giunta, i neòteroi si dedicano all'otium
letterario piuttosto che alla politica per rendere liete le loro giornate,
coltivando il loro amore solo ed esclusivamente alla composizione di versi,
tanto che Catullo dichiara nel carme 51: «Otium, Catulle, tibi molestum
est:/otio exsultas nimiumque gestis» «L'ozio per te, Catullo, non è buono;/
nell'ozio smani e ti scalmani» (traduzione a cura di Nicola Gardini). Talvolta
il poeta ostenta il suo disinteresse per i grandi uomini che lo circondavano e
che stavano scrivendo la storia: «nihil nimium studeo, Caesar, tibi velle
placere» «non m'interessa, Cesare, di andarti a genio» (carme 93), scrive al
futuro conquistatore della Gallia. Da questa matrice callimachea proviene anche
il gusto per la poesia breve, erudita e mirante stilisticamente alla
perfezione. Si sviluppano, originari dell'alessandrinismo e nati da poeti greci
come Callimaco[8], Teocrito, Asclepiade, Fileta di Cos e Arato, generi quali
l'epillio, l'elegia erotico-mitologica e l'epigramma, che più sono apprezzati e
ricalcati dai poeti latini. Catullo stesso definì il suo libro expolitum
(cioè "levigato") a riprova del fatto che i suoi versi sono
particolarmente elaborati e curati, le poesie raffinate e curate. Una delle
caratteristiche peculiari della sua poetica è, infatti, la ricercatezza
formale, il labor limæ, con cui il poeta cura e rifinisce i suoi componimenti.
Inoltre, al contrario della poesia epica, l'opera catulliana intende evocare
sentimenti ed emozioni profonde nel lettore, anche attraverso la pratica del
vertere, rielaborando pezzi poetici di particolare rilevanza formale o
intensità emozionale e tematica, in particolare come nel carmen 51, una
emulazione del fr. 31 di Saffo, come anche i carmina 61 e 62, ispirati agli
epitalami saffici. Il carme 66, preceduto da una dedica ad Ortensio Ortalo, è
una traduzione della Chioma di Berenice di Callimaco, che viene ripreso per
mostrare l'adesione ad una raffinata elaborazione stilistica, una dottrina
mitologica, geografica, linguistica ed infine la brevitas dei componimenti, con
la convinzione che solo un carme di breve durata può essere un'opera raffinata
e preziosa. Note ^ Svetonio, Vita di Cesare, 73. ^ Chonicon, ad annum. ^
Carme 113, 2. ^ Carmi 11, 12; 29, 4; 45, 22. ^ Secondo un'indicazione di
Apuleio nell'Apologia, 10, la donna a cui si riferisce Catullo rimase vedova
nel 59 a.C. di Quinto Metello Celere, sicché si può pensare a Clodia. ^ Al
riguardo si veda il carme 93: «Nil nimium studeo, Caesar, tibi velle placere /
nec scire utrum sis albus an ater homo» - «Non mi interessa affatto piacerti,
Cesare, né sapere se tu sia bianco o nero». ^ Eccezion fatta, forse, per i
carmina 63 e 64. ^ Morelli Alfredo Mario, Il callimachismo del carme 4 di
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1996, ISBN 978-88-416-2188-2. (EL) N. Kaggelaris, Wedding Cry: Sappho (Fr. 109
LP, Fr. 104a LP)- Catullus (c. 62, 20-5)- modern Greek folk songs, in E.
Avdikos e B. Koziou-Kolofotia (a cura di), Modern Greek folk songs and history,
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frequenza, su intratext.com. Le grotte di Catullo, su smugmug.com. URL
consultato il 1º maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 9 luglio 2009).
Scansione metrica del Liber di Catullo, su rudy.negenborn.net. La Chioma di
Berenice: traduzione di Alessandro Natucci, su digilander.libero.it. Il carme
64: traduzione di Alessandro Natucci (PDF), su classiciscriptores.weebly.com.
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Croce, Catullo -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gaetani” – The Swimming-Pool
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Grice e Gagliardi – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Marino). Filosofo. Grice: “I like Gagliardi; I spent some time with medics at
Richmond, talking Greek! Anyhow, Gagliardi shows why the Angles prefer
physician – since ‘medicare’ is such a trick!” – Grice: “Philosophically
interesting bit is that Gagliardi applies ‘medico’ and qualifies it with
‘morale’!” –Nacque a Marino, feudo dei Colonna, nell'area dei Colli Albani,
come riferisce lMoroni nel suo Dizionario di erudizione, e come riferito dallo
stesso Gagliardi nel in "L'idea del vero medico fisico e morale formato
secondo li documenti ed operazioni di Ippocrate" (Roma). In effetti, il
cognome Gagliardi esiste all'epoca a Marino ed è tuttora tramandato. Fu
impegnato in ricerche morfologiche, microscopiche ed anatomo-patologiche a
proposito delle ossa, compiendo importanti scoperte in questo campo: in “Anatomia
delle ossa illustrata con le nuove scoperte", Roma) descrisse per primo la
struttura lamellare delle ossa. Inoltre effettua alcuni esami e ricerche
comparative tra le ossa umane e quelle del vitello. Descrisse probabilmente per
primo un caso di tubercolosi ossea. La sua opera fu piuttosto lodata, e l'
“Anatomia” fu ristampato. Fece importanti studi sul "mal di petto". Filosofa
sull'educazione morale. Diede anche ammonimenti contro i guaritori ciarlatani e
fornì alcuni suggerimenti deontologici.
Abitava nel rione Sant'Angelo, presso via delle Botteghe Oscure. In
questa strada un suo servo fu ucciso misteriosamente nottetempo. Durante le
villeggiature dei papi presso la Villa Pontificia di Castel Gandolfo Gagliardi
ha il privilegio di offrire la frutta al papa. Alessandro VIII gli conferì un
titolo nobiliare, ma non sappiamo quale. I suoi lavori, conservati nelle maggiori
biblioteche di Roma, rivestono un particolare interesse se anche duecento anni
dopo la loro scrittura, il vice-direttore dell'Ospedale San Martino di Genova, Arata,
diede alle stampe una lettera inedita del Gagliardi sull'itterizia. Si ha
svolto un proficuo lavoro di ricerca su Gagliardi, scoprendo anche una firma
del medico in margine ad un saggio discusso all'Università La Sapienza. Altre opere: “L'infermo istruito nelle
scuole” (Roma); “Consigli preventivi e curativi in tempo di contagio dati in
forma di dialogo” (Roma); “Relazione de' Mali di Petto che corrono
presentemente nell'Archiospedale di Santo Spirito in Sassia” (Roma);
“L'educazione morale” (Roma). “Come sopra l'influenza catarrale che
presentemente regna in Roma e Stato ecclesiastico” (Roma). Note: Si veda
l'annotazione di “Due baiocchi” in "Castelli Romani", Bossi,
Dell'Istoria d'Italia antica, Enciclopedia TreccaniGagliardi, Domenico, Luciano
Sterpellone, I protagonisti della medicina, Girolamo Tiraboschi, Storia della
letteratura italiana, Lucarelli,
Domenico Gagliardi, Giornale de'
letterati d'Italia, Guillermo Olagüe de Ros, La "Relazione de' Male di
Petto" en el ambiente anatomo-clínico romano, in Dynamis: Acta hispanica
ad medicinae scientiarumque historiam illustrandam, Gaetano Moroni, Dizionario
di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia, Tipografia Emiliani, Antonia
Lucarelli, Memorie marinesi, 1ª ed., Marino, Biblioteca di interesse locale
"Girolamo Torquati", Ordinamento universitario dello Stato Pontificio
Tubercolosi ossea Domenico Gagliardi, su
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. 1
te cose senza profondarvi in alcuna di efse, ed allora appunto diverrete più
capaci di fare maggiori progressi, e tanto più se vi servirete per regolatore
delle vostrej operazioni di quel saggio avvertimento feftina lente:
Esplorerò dunque con private conferenze l'animo di ciascun di voi
separatamente, per meglio accercarmi di ciò,che vi farà bisogno , non potendo
il Medico dare ajuto al suo Infermo s se prima non avrà ben conosciute le
cagioni del suo male, e spero in oggi; e domani di potere ricavare da voi ciò,
che sarà più necessario, ch'Io sappia, per meglio indirizzarvi. Ritiriamoci ora
à fare il privato esame, per potere Lunedì prossimo dar principio alle nostre
Giornate. [ocr errors][merged small] [merged small][merged small][ocr
errors][merged small] M Nella quale si moftra cofa fi ricerchi
d'eljena ziale per efere Medico je ciò, che
gli rechi ornamento . Avveddi jeri dal vostro parlare;
che non siete tutti voi di genio uniformi,perche conobbi
bene, che tal'uno di voi non restava persuaso, & altri più ; ò
meno, s’appagavano delle mie ragioni, e riflettendo, che ciò possa nascere
dalla diversità delle vostre menti più o meno sublimi, & animofe. Quindi è,
che prima d'inoltrarmi nel presente ragionamento, stimo necessario di premettere
una breve partizione delli vostri ingegni, à fine di regolare ciascuno di voi
secondo la propria capacità : Ecer tamente , conforme nell'esterno non vi
assomigliate trà voi, così ancora nell'interno sarete differenti, cioè, che non
avrà ciascuno di voi la medesima capacità, & apertura di mérite ; il
medesimo talento, ē spirito, la medesima memoria , e ritentiva , & il
medesimo giudizio, o perspicacia d'ingegno; onde, ciò suppofto, io non potrò
con la medesima misurd, e regola mostrare à tutti voi ciò, che vi converrà
d'essenziale, è d'ornamento per potere diventare veri Medici. Dunque mi
converrà necessariamente dividere left fenziale dall'ornamento, perche
l'effenziale dovrà competere egualmente à voi, che fiete di mente più sublimi,
che agli altri d'inferiore capacità : L'ornameiro poi, perche non potrà
competere egualinente , nè potrà essere in tutti voi uniforme, bisognerà
regolarlo fecondo la propria capacità, e genio di ciascuir di vois con
pensare al modo, che poffino l'ingegni inferiori uguagliare per altra via
ancora nell'ornamento li più subliini ; E ciò servirà primieramente per dare
un'ottima direzzione alle menti di maggior capaci. tà, in farli conoscere
ciò, che si debba di elli premettere d'essenziale , per poscia potersi avanzare
in quello di più, di cui saranno capaci. In secondo luogoperche non si
confondano, & avviliscano le menti meno sublimi, anzi per istruirle , &
ani. marle insieme à fupplire con l'Arte al di, fetto di Natura, Certo,
che ognuno di voi deve avere il medesimo fine, cioè di divenire Medico; Onde
dovrà unitamente con gl'altri incaminarsi per la medesima strada, e fino à
tanto, ch'abbia conseguico il suo in, tento ; Mà perche chi si trova in forze
maggiori trà voi è portato facilmente dal suo spirito ad uscire dalla careggiata,
quindi è, che bisognerà idearsi un caso, che dia un buon regolamento à tutti
unitamente, che sarà il seguente : Vi fia trà voi chi posseda in contanti
due, chi trè , e chi quattro talenti , e che voglia ciascuno per uso proprio
fabricarsi una casa compita, che abbiad d'avere il medesimno uso, e la
medefima fruto struttura, certo è, che li fondamenti converrà, che
li facciate uniformi, il sopra terra dovrà alzarsi eguale, le stanze doyranno
essere di numero, e capacità consimili, altrimenti non avrà la medesima
struttura. In idearsi queste case non potrà l'Architetto eccedere la spesa di
due talenti, altrimenti non potria senza indebitarsi compire la sua fabrica
,chi di voi hå che due foli talenti; Si dolerà facilmente con l'Architetto chi
ne hà d'avantaggio, perche non gl'abbia delineato fabrica più sontuosa , à cui
facilmente egli risponderà, è meglio, che litalenti vi avanzinoy che manchino,
perche li potrete impiegare in ornato, e così la vostra farà più bella comparsa
; Sentendo questo voi, che avete soli due talenti vi dolerete ancora
coll'Architetto, che non vi rimarrà cosa da spendere per ornarla , e perciò la
voftra fabrica non potrà comparire bella al pari delle altre, vi risponderà il
medesimo, abbiate pazienza , che vi darò il modo per far comparire vaga la
vostra ancora al pari delle altre : Mă se per vostradisgrazia spenderete li
vostri talenti senza le buone regole dell'Architettura, é voglia ognuno di voi
farsi una casa à suo genio . Vois che avete quattro talenti vorrete fare il doppio
degli altri, vi profonderete più del bisogno ne' fondamentis farece muri più
larghi; l'alzerete più dell' altri; con tutti li vostri quattro talenti
Atenterete à copritla ; con che denari poi la stabilirete? A che servirii la
magnifiċenza della vostra casa , non potendola in tutto compire per renderla
usuale? Tanto peggio seguirà in voi, che possedete meno, se nella vostra
fabrica spetdeste più di quello; che dovete je po tete; correreste pericolo di
non poterla ricoprire, onde vi rimarria affatto infruto tuosa, Altro
inconveniente ancora potrid fascere si nell'uno, come nell'altro caso, che
saria di risparmiare ne' fondamenti qualche porzione de’talenti per impiegarla
nell'ornáto, iii questo modo le vostre cafe fariano sempre in pericolo di rovina.
$e , con tutta la sua bella apparenzas fatta [ocr errors] ad imitazione
di quei Mercadanti, che ciò che hanno tengono in mostra , e questi sono quelli,
che ben spesso si veggono fallire. Questa fabrica , ch'ora vi hò ideato è
appunto la Medicina Pratica, la quale fi deve da tutti voi apprendere , e nella
medema conformità, affinche ne ricaviate un metodo di medicare uniforme, facile
, e sicuro , e se in apprenderla voi, che siete dotati d'ingegno più subliine
degl'altri, vorrete stendervi più in oltre delli vostri Compagni, vi
confonderete con facilità con tutto il vostro bel talento, perche fzcilmente il
vostro spirito grande vi farà divagare in quelle cose, che apprese in
altritempi , che resivi più capaci, meglio lo capirete, & adatterete al
vostro bisogno. Șia per esempio, se in questo tempo, che attendete alla pratica
, vi venisse fantasia di leggere, & imparare molti, e diversi liftemi, e li
varj metodi di medicare, che Lono nella Medicina , questo vi reccherà
confufione, contenendo tanta diversità di pensieri,d'ideese di modi con tutto
che la 7 verità delle cose sia una sola , onde con Fagione
riferisce Lacuna, (a) ch'esclamava à suoi tempi Galeno : Judicij veri
difficultatem liquidò oftendunt tot , tàmque variæ hærefes, quòt in Arte Medicâ
reper riuntur; E tanto maggiorinente, che quefti distogliendovi da quel
bell'ordine, che voi avevate preso in offervare l'andamenti de? mali con li
vostri propri occhi, vi faranno acquistare una pratica fimile alla vostra
ideata fabrica, che non farà côpita, & in conseguenza non ne potrete cavare
quel profitto,che ne riporteranno li voftri Compagni , li quali à cagione
della maggiore attenzione, che hanno in apprendere quella sola,non
divertendosi in altro, se ne approfitteranno bene, e la loro pratica sarà
compita , e potrà avere il suo uso, giacchè al parere di Cicerone : (6)
Affiduus ufus, uni rei deditus, die Ina genium ; & Artem fæpè vincit ;
Sicchè in questa parte eforto tutti voi à non applia care ad altro , allora che
prendete lame pra(a) Comment 1. Aphorism. 1. ex Lecuno in Epit, (6)
Cicero pro Cornel. Balb. 1 [ocr errors] pratica, che à
quell'esercizio, che fate, eccettuatone alcuni tempi destinati per Ja Notomia,
e per la Boštanica, Perfezionati, che farete in detta, pratica , & appreso,
che avrete un metodo facile, e più sicuro di medịcare, allora converrà di
ornarla di altre cose , che abbiano correlazione con la Medicina , secondo il
proprio genio , e capacità, con fermo proponimento però , che non vị abbiano da
distogliere dallo studio di er fa , nè da confondere ciò, che auete con li
propri occhi offeryato più volte, eţurto ciò, che avețe appreso per ornamento
non l'avrete da profeflare come negozio principale, altrimenti vi distoglierà
da quello , che avevate già acquistato dị buono nella - Medicina, ma sopra di
cio più diffusamente ne tratteremo in ap: presto Questą praticą, appunto
acquistatą, mediante le reiterate esperienze, e diligenti osservazioni fatte
intorno li Malati è quello , che fi ricerca d'essenziale nel Medico , &
oltre di questa ogn'altra cosa, che s’acquisterà di più gli servirà d'ornamento
maggiore : Che sia così,per consolazione di yoi, che siete d'ingegni meno
sublimi, yeniamo alle prove. La prima sarà con l'autorità d'Ippocrate
chiara , e testuale ; Dice dunque , egli:(a) Ars fane medica jām mihi tota
inventa ese videtur, quæ fic comparata eft, ut fingulas, da consuetudines ,
temporum occasiones doceat. Qui enim hoc pactó Artis Medicæ cognitionem habet ,
is minimum ex, fortuna pendet , fed & citrà fortunam, çum fortunâ rectè eam
adminiftrabit ; Firma enim eft Ars tota Medica , cjusque prçceptiones , ex
quibus conftat dr. Consistendo dunque tutta la Medicina in sapersi ciò,
che sia solito à farsi, e le congiunture de' tempi, nelle quali fi deve
operare, queste chi meglio di voi le potrà sapere, avendole con li yostri
propri occhi più volte osservate? e bastando ciò per bene medicare, secondo la
dottrina d'Ippocrate, sarete dunque , mediante la vostra buona pratica, allora
già divenuti Me(a) Hippocr. in lib. de loc. in bom.nesa Medici; E
fe poi desiderate sentire sopra ciò più chiaro parere d'Ippocrate , legge. xe
De decenti ornatu, dove così vi parla ; Sint cu in memoria tibi morborum
curatio. da harum modi, quo multipliciter, quomodò in fingulis fe habent;
bọc enim principium eft in Medicina , medium, & finis = che sono appunto
questi il costitutivo del. l'essenziale: Sia all'oppofto tal'uno ornato
di tut, te le scienze, nià che non abbia acquistato ancora in Medicina una
buona pratica , questi non si potrà dire con tutte le sue scienze Medico
pratico, perche non saprà ben mcdicare, e gl'accaderà per l'appunto, ciò, che
succederia ad un'insigne Geo. grafo se volesse viaggiare senza la guida ,
queiti nelli bivj, ò trivj sbaglierebbe la strada , per non averne la buona
pratica , e con tutto , che possedeffe la situazione di tutto il mondo, in un
piccolo tratto di paese si smarrirebbe; Mà tutto questo con Pesempj più chiari
ve lo farò costare, Tralasciando di riferirvi un lungo Catalogo de'
Medici , che hanno scritto in fola sola Medicina pratica, e che
fiorirno con gran lode, mentre vissero, senza effere ornaci d'altre scienze,
perche lo potre te, volendo, con li vostri proprj occhi rincontrare , leggendo
i loro libri ; Vi riferirò solamente alcuni casi accaduti à Medici, ch'avevano
appreffo di noi molta ftima', per essere versatiliminella buona pratica di
medicare, e si poteuano annoverare trà quelli, di cui parla, Ippocrate nel
libro De Arte : Viri hujus Aricis periti , re ipfi lubentiùs, quàm vero bis
demonftrant ; li quali vennero al cimento con Medici di maggior grido di loro
nelle altre scienze, e ciò , che ne seguì . Gio: Giacomo Baldini ne fù
uno di questi , il quale efsendo folamente un buon Pratico, e dotato
d'isperimentată prudenza , era per li fuoi pingui guadagni molto invidiato da
alcuni di quelli, che li riconoscevano in molte scienze superiori di gran lunga
à lui, s'abbattè egli una volta in un consulto con due Medici delli più celebri
nella facondia, 1 B с рiй e più versati in molte altre
scienze,e per tal cagione poco conto facevano di lui; Ora questi avevano già
premeditati li loro discorsi molto eruditi, à fine, che meglio comparisse à
tutta una nobile Udienza , che vi dovea intervenire, la poca sufficienza, &
infelice modo di di(correre del Baldini, furono sì lunghi li sudetti
eruditiffimi ragionamenti, e s'ina oltrarono tanto in cose fuori del propofito,
che in vece di dilettare annojarono tutta l'Udienza, & avvedutofi di ciò il
buon Pratico, in vece di gareggiare con loro nell'eloquenza , fece un breve di.
scorso, mà tutto indirizzato all'urgente bisogno, conobbe meglio degl'altri il
male, lo confermò con l'autorità puntuale d'Ippocrate, fece il suo pronostico
mortale, che si verificò in breve, venne alla cura , propose alcuni rimedj, e
terminò il consulto con applauso uniuersale di tutta quella nobile Udienza ,
diccndo : : mo, che ha discorso à proposito, e se ne partì tutto
contento, e consolato. Gio [ocr errors][merged small] 1
1 Giovanni Tiracorda già in questo Archiospedale degnissimo Decano, che
nella pratica Medica aveva quei bei lumi, che felicirano le cure ardue , si
abbattè in un consulto con un Medico catedratico eruditissimo nelle lingue , c
Greca in ispecie, nelle Matematiche, ed ancora nella Teologia ; L'Infermo era
Oltramontano y poco prima giunto in Roma , che li ainmalaffe, ed in tempo di
aria sospetta, il' di cui male fù creduto dal sudetto eruditiffimo Professore
eflere una febbre etica , e con tali, erante ragioni s'ingegnava di provarlo in
ispezie per il pollo basso che aveá, che fariano per certo bastate à formarne
liga gran ležzione in cattedra. In tanto il buon Pratico Tiracorda penaya in
fentire ciò, che conosceva non potersi in modo alcuno verificare, e dovendo
egli concludere , con breve discorso fece capire essere il male del povero
foratieri) una febbre maligna,e di pelimo costume, che se presto,e validamente
non era foc corso farebbe morto, disse ciò, che con veniva B2
[ocr errors] veniva farsi con sollecitudine, e l'esito funesto, in breve
seguito , ne fù il Giu- dice, chi di loro avesse meglio conosciu-
to il male, Riferirò per terzo ciò, che
seguì ad Antonio Piacenti mio Maestro, la di cui perizia nel ben medicare è
nota , per via vere ancora molti, che furono da effo ne’loro gravi mali bene
assistiti, onde per essere io interessato , non m'inoltrcrò di vantaggio in
lodarlo, e lascierò, che facciano altri quella giustizia , che le sue gloriose
ceneri meritano. Questi ebbe occasione più volte di trovarsi alsieme co'
Professori di molto grido, per le varie scienze, che possedevano, e vedevo, che
il suo configlio, ò era feguitato, ò volendosi fare diversamente per lo
più si sbagliava; Accadde una volta nella cura di un'Infermo, che pativa di un
male graue di testa, creduto da esso procedere da pienezza d'umori viziofi, che
nel basso ventre dimoravano, c per ciò gl’aveva proposto il dejettorio, che à
ciò si oppose chi era versato più di luiin altre scienze fuori della pratica
medicinale, con il motivo, che l'evacuazione glavria inolto pregiudicato.
Stette egli faldo nella proposta già fatta, quale fù esaminata da altri
Profeffori, e conclusa: ed eseguita che fù, l'efito moftrò d'onde procedeva il
male, e chi l'aveva meglio accertato, posciache mediante l'evacuazione ne
rimnase libero. Due gran motivi si poffono dedurre dalli riferiti casi,
uno di confolazione per voi, che non avete genio ; ò abilità all'acquisto di
altre scienze, vedendo, che nella vostra sfera pratica; abilitati che sarete ,
potrete ftare à fronte con quelli di più letteratura di voi, purche abbiate
prudenza , e giudizio in sapervi ben regolare; e l'altro servirà d'avvertimento
à voi d'ingegno più perspicaces che desiderate apprendere tutto lo scibile, à
non fidarvi folamente sù quello, ch'è ornamento Medico, dovendo ancor voi
poffedere Fondatamente, al pari degl'altri, quella buona pratica Medica, ch'è
la direttrice del ben curare, senza [merged small][ocr errors] la quale
sono inutili tutti gl'altri ornamenti: Consolatevi però ancor voi, che bramate
d'apprenderli : perche quando saranno uniti alla buona pratica, vi ferviranno
ancor'elli di scorta, e vi faranno divenire eccellenti Medici, & in prova
di ciò non vi mancano esempj di cafile, guiti, che fanno conoscere quanto
accrescano di chiarezza alle nostre menti le Filosofie sperimentali, la Ģeometria,
l'Aftronomia, & altre scienze, che porfono avere correlazione con la
Medici. na, mà per ora potrà bastarvi l'oracolo d'Ippocrate allora, che
scrivendo à Tel, Lalo gli notificò: Geometria mentem acuit, e longè
Splendidiorem reddit ; e nel libro de Aere, Aquis, & locis ; Ad Artem
Medicam Astronomiam ipfam non minimum, fed plurimum poteft conferre ; Ben'è
vero, che rari fono quelli, a'quali datum eft adire Corintum , perche tutte
queste cose averle , poffederle, e maneggiarle à quel segno, che conviene, cnon
più oltre non a ricerca minor prudenza di quella, che aveva il Re Mitridate iu
reggere un Coco [ocr errors] Cocchio tirato da bravi , e numerosi
de strieri, altrimenti andandosene tutte in pampani , e fiori, che non legano,
produrranno pochissimo frutto, quantuns que fosse vaghiflima la loro prima ap.
parenza. Sicché parmi d'avervi à bastanza mostrato , che l'essenziale del
Medico non consiste in altro, che nella buona, e soda pratica acquistata
mediante le re. iterate osservazioni di ciò, che fiegua nelli progrefli
de’mali, e quanto fiac. quisterà di più fia tutto ornamento. E da questo
si possono comprende reli gran vantaggi, che necessariamente nel ben medicare,
non solamente li Gio. uani Praticanti, & Aliftenti ne riportano dalle
continue offeruazioni , che fi fanno negli Spedali ove sono numerosi
gl'Infermi, mà ancora gli Profeffori primarj, che ivi esercitano, potendo
questi, mediante le reicerace osservazioni, che si fanno in lunga serie di
anni, acquistare molta perizia pratica , e franchezza ancora nel medicare,
conforme, che ogn'uno di esli ben se ne avvedeje lo confeffa. E
finalmente, acciocchè non resti quanto vi hò detto infructuofo,converrà, che
ora vi mostri come vi dovrete contenere nell'acquistare detta pratica tutti
assieme, e conformé, fi dovrà regolare ciascun di voi ; secondo la propria
capacità , in quello, ch'è ornamento, mà effendo questi più punti , che
meritano matura riflessione, bisognerà riportarli alla Giornata di domani,
venite però tutti, e voi precisamente, ch'avere più brio, e spici:o più vivace
deglalri preparati di sofferenza, perche sarà Giornata di attenzione, e
mortificazione infieme. [ocr errors][merged small] [blocks in formation]
Nella quale si fà vedere ciò, che dovre farsi da tutti unitamente per ben confeguire
una buona prática, e quello, che dovrà operare ciaschedino secondo la propria
capacità per uguagliarsi a' Comia pagni in quello , ch'è ornamento. Mi
: I dispiace nella Giornata di jeri accennato,
ch'oggi vi mortificherei , perche jacula prævisa minus feriunt ; Mi persuado ,
che di già farete venuti preparati per sentire da me rimproveri sopra li vostri
poco lodevoli portamenti, da me più volte osservati, mà abbiateci pazienza ò
perche ciò G fa per voftro bene. Ditemi di grazia à che fine venite in questo
luogo pieno di miserie ? Frana camente mi risponderete : A prendere la pratica
di Medicina; e questa in che modo la prendete yoi più disinvolti, & allegri
, che mostrate d'esfere più spiritofi degl'altri? Con paffeggiare per lo
Spe. daledale, confabulando trà di voi sopra le novelle di queito mondo?
Questo non è il modo da prendere pratica di Medicina, nella quale si richiede
una fomma applicazione, mà più tosto da divertirvi: Sappiate, che lo Spedale
non è luogo da perderci inutilmente il tempo in divertimenti, e svari, perche è
ripieno di aria infetta, chi non brama d'approfita tarsi non si curi dimorarvi
, mà se ne vada in aria migliore, e più amena di fta, che farà per lui più
utile, e sicura , e non mi faccia cestar bugiardo, poiche in cal guisa
continuando, non folamente daria à divedere che la Medicina sia Arte lunga , mà
ancora, che non si possa in conto alcuno acquistare, essendo questo tutto
l'opposto di ciò, che da principio vimostrai. 15 TMarcello disse, rimproverando
li suoi foldati, che non aveano fatto come e doveano, e poteano il loro
uffizio: Mula ta vidi Romanorum corpora, fed Romanum vidi neminem; e così
ancora io potrò direfin'ora di voi: Multa vidi discipulorum [ocr errors]
corpora , fed difcipulum vidi neminem ; Spero però, che conforme servirono di
stimolo a' suoi soldaţi le parole risentite di Marcello per fare, che
superassero nel giorno susseguente Annibale,cosi le mie moveranno ancora
gl'animi vostri in ay. venire ad operare con più attenzione, e fervore di prima
scusandovi del passa perche non sapevate ancora in che modo vi dovevate
contenere ; Qual mutazione, oltreche recherà à voi gran vantaggio , si perche
più prestamente vi sbrigherete, e con miglior ordine v’im. poffefferete della
buona pratica Medica, à cui devono indirizzarsi tutte le vostre operazioni ,
sarà ancora di mia somma consolazione. Prima però di porvi à questo
ftudio pratico farà di mestiere, che possediate , oltre il buon costume,
l'Istituzioni Me diche, con le quali diverrete già iniziati à questo nuovo
esercizio, essendo legge d'Ippocrate di non doversi praticare altrimenti,
ordinando egli (a) doppo aver detto: (a) I* Hippocratis lige :
detto: Institutionem à puero fit moribus generofis , venendo alla Medicina
pratica, Hæc verò cum facra fint , facris hominibus demonftrantur, prophanis
verò nefas priùsquàm foientiæ facris initiati fuerint ; e facendo voi
diversamente non potrete capire ciò, che vi si presenterà d'offer= väbile, e
s’aveste ancora appreso la cognizione de'mali , vi recheria quefta un sommo
vantaggio, insegnando Ippocrates ( b ) che Qui autem fignorum cognitio: nem
habuerit is: folus ritè ad curationem aggredietur, caso che nò procurerete ,
che sia questo il primo vostro studio, e lo farere ; con discrivere in un
libretto di memorie tutti li segni , che fanno venire in cognizione di quel tal
determinato male, con indicarvi quali sono li essenziali ; ex. gr. dell'Angina,
dell' Epátiride &c. é quelli, che sono distintivi; che fanno conoscere, se
sia Colico, Ò Nefritico il male, se fia vera , ò falfa gravidanza, e così
proseguendo in tutti quei casi confimili, che hanno bisogno di (b) la
lib.de Media [ocr errors] [ocr errors] di qualche segno proprio, che
meglio li faccia comprendere , e tutto ciò è necessario à farsi, perche attorno
l’Infermo dalli segni si rinviene il suo niale , e questi sono neceffarj
d'averli à memoria, perche all'ora non si può ricorrere à leggerli ne’libri,
quando sareçe interrogati, che male quello sia ; Dovrete ancora lasciare in
detto libretto di memorie molto spazio di casta bianca in ciasche, dun caso,
doppo avervi descritti gl’accennati segni per notarvi ciò, che biso, guerà in
appresso, Acquistata , ch'avrete la cognizione de' mali più frequenti, e
che vagano in quella stagione, e questo in breve tempo lo potrete fare ,
incomincierete ad osservare il modo, con il quale si curano , & in quel
medesimno libretto dove avrete descritti li segni , v.g. della Punfura ,
capitandovi d'osservare il detto male, verrete descrivendo la cura, e
mutazioni, che di giorno in giorno eslo anderà facendo, tanto in meglio, che in
peggio, con tutto ciò , che offerverece di riguardevole, mà succintamente
con qualche contrasegno indicativo,per non fare scrittura voluminosa. Di
dette cure da offervarsi contentatevi di prenderne poche da principio, e le più
facili , per poterle esattamente confiderare, e capire bene, quali in progresso
di tempo l'anderete moltiplicando, e scegliendo secondo vedrete meglio poterle
possedere , e comprendere; Avvertite però non caricarvenc troppo, nè di tralasciarle,
se non ne avete veduto l'evento felice, ò funesto , quale noterere per meglio
impoffeffarvi nelli pronoftici da farsi in casi consimili, nelle congiunture,
che vi si presenteranno . E tutto questo è coerente al consiglio d'Ippocrate
dato nella sua legge, ove dice : Ad bec longi temporis induftriam accedere
neceffe eft, quod disciplina veluti gravidata felicitèr , & benè
crescendo maturus fructus efferat. Lo studio, che dovrete fare in casa
sarà di leggere solamente dui, ò trèlibri pratici de’migliori , che
potreteavere si antichi, che moderni scelti dal Direttore vostro Macítro, &
in quelli procurerete rincontrare se ciò, ch'avete osservato si uniformi alli
loro sentimenti, e noterete, in che cosa consista il di- . yario, per
domandarne sopra ciò la cagione à chi sarà vostro Direttore nella pratica, ò
almeno alli Medici Affiftenti di detto Archiospedale, che sono già pratici, de'
quali ancora vi dovrete prevalere in molte occorrenze, potendoli avere più
pronti, e nel luogo istesso dove vi esercitate, Mà perche le conferenze
accrefcono fervore, e facilitano insieme li progressi, per cagione dell’utile
emulazione, e di sentire da? Compagni qualche cosa di più, che talvolta non fi
sapeva ; Quindi è, che almeno una volta la settimana vi dovrete congregare
tutti insieme per conferire ciò, che ogn'uno avrà acquistato di più nel suo
esercizio pratico, & à questa conferenza potria avere qualche
sopraintendenza il Medico Af fiftente di guardia, che deve necessaria.
mente [ocr errors] mente essere nello Spedale permanente ; E quando
sarete disposti à tal’utile esercizio non avrete da affaticarvi in cercare
luogo à propofito, conforme era neceffario prima, perche voi, che di presente
ftudiate avete avuta la sorte propizia, mediante l'animo generofo , e magnitico
di Monsig. Illuftriffimo Gio: Maria Lang cifi, cho con tanti suoi incominodi, c
con si considerabile spesa, à publico bene, hà stabilito sì grandiosa, e nobile
Libraria , ed in questo medesimo luogo, dove vi esercitate, potrete ivi
radunarvi, e fare con tutti li vostri commodi l'utilissime conferenze , con
quel di più, che ne potrete ricavare da'vn'abbon, dantislima scelta di libri ,
che vi si custodiscono d'ogni scienza, & in particolare, assai più numerofi
d'ogn'altra in Medicina. Qual commodo fe l'aveflimu avuto noi, che ora fiamo
avanzati negl'anni, in nostra gioventù, quanto mai ci faria stato grato; poiche
per fare conferenze allora, bisognava andare in luoghi privati à dare
incommodo, e pure si face vano vano con fervore conforme
seguì int cafa del Dottor Girolamo Brafavola, dove ogni Lunedì si teneva
congreffo publico, e si leggevano un difcorso con due problemi Medici, oltre le
conferenze, che si facevano fopra altre materie, concernenti la Medicina, è
detto.congreffo continuò con fervore per molti anni , e con profitto di chi lo
frequentava. Talmente che tutta vostra la colpa fària se voi ora che avețe
derta commodità la trascuraste', non potendosi ciò attribuire ad altro, e con
vostra somma vergogna, che al poco desiderio, che aveste di approfittarvi.
Vi riuscirà più commodo di fare alcune diligenze intorno alli Malati, che vi
fiere scelti da offervare , prima della visita del Medico Principale, che
consor feranno d'interrogarli, con descrivere ciò, che vi troverete di novità
per essere sbrigati , e pronti nel tempo della visita, nella quale sentirete
voi ancora il polso à tutti gl’Infermi del Quartiere per impoffeffarvi delle
differenze di esia C e ciò e ciò farete con qualche
attenzione particolare, per meglio comprendere ciò che nel giorno vi scorgerete
differente dalla mattina , e nelle visite susseguenti, ciò, che di divario
dalle antecedenti, ed in ispecie se più , ò meno celeri, se più, ò meno eguali
, se più , ò meno duri, se più alti , ò più basli , e molte altre differenze,
che avete gia letre nel trattato de' Polfi, ed occorrendovi sopra di ciò alcuna
difficoltà , non abbiare timore di spiegarvi, e di dirlo à chi vi sopraintende
, perche da tutti con somma cortesia vi sarà spianata; Starete attenti quando
s'interrogano li Malati nuovi per rinve- ; nirne l'idea del male, &
offerverete il modo , che si tiene con quelle persone idiote, che non sanno
rispondere à ciò, che si domanda loro , & apprenderete la gran pazienza,
che bisogna averci, per potervene servire ancora voi abbattendovi in Gimili
Infermi idioti. Vi porrete à mcmoria quell'idea, che dal Medico Principale farà
stabilita à quel male, e pet non dimenticarvene la noterere in un
libretto conforme vien praticato da. gl’Afiftenti, con notarvi insieme il no me
dell'Infermo, e numero del letto, invigilerete in sentire , e capir bene cutte
le ordinazioni, che si faranno, con rincontrarne ancora li suoi effetti, non
trascurerete di sentire ciò, che si dice del pronostico del male, e d'ogn'altra
cosa concernente tal'infermità, ed in ispecie in quelli, che vi siete scelti
per osservare, e facendo yoi ciò, che vi hò decco , vi assicuro , che
quell'Arte, che Ippocrate chiamò lunga, la farete divenire più breve di quello,
che vi credevate, potendo yoi in tal guisa con facilità non solamente
apprendere il modo più sicuro di medicare , mà ancora la franchezza del ben
pronosticare, conforme insegna Ippocrate : (0) Eventa igitur per experientiam
cognita prædicenda, id enim gloriam adfert , c cognitu ejt. facile.
*Terminata , che farà la detta visita seguirete il Medico , che vi conduce
inpratica per osservare le visite, che sono per la Città, nelle quali
procurerete di fare le vostre osservazioni nel miglior modo , che vi sarà
permesso. Con il sudetto vostro Direttore, e Maestro conferirete tutte le
difficoltà, che vi occorrono, con animo però decerminato d'apprenderne li loro
documenti, essendo questi li semi di quanto di buono in voi germoglierà à
suo tempoo conforme disse Ippocrate nella sua legge : Doctorum præcepta feminum
rationem habent, non già di contradire con pertinacia à quello, che verrà da
esso detto, e risoluto, ed imiterete in ciò le Api, che succhiano il mele da'
fiori, è non già le Vespi, che pungono con li loro aculei colui, à cui si
approssimano. Credetemi, che la modestia, e li buoni costumi, l'attenzione, e
la docilità ne? giovani formano la base stabile di tutti li loro avanzamenti,
dove, che il mal costume, la pertinacia , la garrulità , e la petulanza affatto
l'atterrano, elanniçhilano. Nelli [ocr errors] [ocr errors] Nelli
tempi poi, che saranno prof fimi alle offervazioni anatomiche comincierete ad
alleggerirvi dalle occupa. zioni Mediche, per attendere con più fervore alla
Notomia, e procurerete in quelle vicinanze di trovare un'Indice delle
oftenfioni, che fi faranno , per istudiare preventivamente ciò, che pu- .
blicamente si dimostrerà, ed in oltre vi troverete presenti à tutte le
preparazioni delle parti, che si faranno in privato, non solo per meglio capire
, & impofseffarvi di quello , ch'avete letto, mà ancora per mostrarvene già
pienamente istrutti quando le vedrete publicamente dimostrare i Non
trascurerete , essendovi occafioni d'aperture de cadaveri, di trovarvi presenti
à quelle, e tanto maggior mente se avrete osservato li mali di quei poveri defonti,
e se non l'avrete visitati, procurerete informarvi delle loro infermità ,
perche mediante tali ispezioni verrete meglio in cognizione del luogo affetto,
e di qualche cagione ancora di detto C 3 detto male, e
noterete in succinto nel vostro libretto ciò, che si farà rinvenuto in quelle
di considerabile , acciocchè vi resti memoria per prey aleryene à suo tempo. Ed
affinche meglio le possiate ritrovare , riporterete in un repertorio per ordine
alfabetico ciò , che offeryato avrete, tanto nelle cure de inali, esiti
de’madesimi, che aperture de' cadaveri, senza lasciare nè pure un giorno di non
notarvi qualche cosa offervata, e questo l'andrete bene spesso rileggendo, à
fine non vi scordiate di ciò, che una volta apprendeste. Quando si
faranno l'ostensioni bota taniche non occorrerà, che trascuriate l'altre vostre
applicazioni mediche,perche non richiedono queste quell'attenzione, ch'è
necessaria per la Notomia. E tanto più, che durano tutta una stagione, onde
basterà, che per tal'effetto Jeggiare qualche libro bottanico, e con
l'esercizio oculare ricontriate nell'Orto Medico le più usuali per meglio
conocerle , le quali per voi possono esse re [ocr errors] re
sufficienti con la notizia delle loro virtù.
Impiegato , ch'avrete il primo ane no, con fervore, in fare tutto ciò,
che fin'ora vi hò detto, ristrignerete poscia in una nota
tutti quei mali più essenziali à saperfi, che ancora non avevate
offer- vati, à fine , che capitandovi possiate in quelli continuare
li vostri studj, imitan. do quei Giardinieri, che vogliono
for mare un vago prato di fiori ; Questi colo tivano tutto quel
terreno, e con buona ordinanza vi dispongono li semi, à fine non vi
resti del sodo incolto, ove non nascono fiori , mà sol'erbe campestri,
e che li fiori, che nascono , non resting trà loro confusi.
Quando avrete già offervato ocularmente le cure de' mali più
riguardevoli, e frequenti, e quelle occorsevi di nuovo, l'avrete più volte
ancora rincontrate nelle cose essenziali, uniformi, e che possederete già la Notomia,
elsendo divenuti capaci di meglio discernere ciò, che fate, all'ora converrà ,
che [ocr errors] vi applichiate à rinvenire le cagioni de? mali , e non
prima, perche essendo tante , e così diverse tra loro le cagioni descritte
dagli Autori in un medeliino male per la diversità di sì numerosi
sistemi, novamente inventati, che se Galeno à fuo tempo giudicò al parere di
Lacuna che : Judicis veri difficultatem liquido ostendunt tot, tantæque variæ
hæreses, quot in Arte Medicâ reperiuntur ; Che giudizio accertato ne potreste
formare voi ora , che sono cotanto più cresciute, prima d'essere nella pratica
bene istrutti? Oggidi li giovani sono così perspicaci, per non dire arditi, che
li raziocinj, che già udirono da’loro Maestri, quali come buona femenza dovriano
conservare, & aspettare, che con il tempo crefceffero , conforme ordina
Ippocrate nella sua legge: Tempus omnia hæc ad plenam nutritionem confirmat, in
vece di çoltivarli ora non li seguitano più, & in vece di quelli se ne
scegliono delli più vaghi, onde quando ciò abbia da esfere è pur meglio, che
l'apprendiate quandofiete divenuti più suficienti à farlo, ed all'ora appunto,
che sarete à pieno informati dell’idee de'mali, delli loro sina tomi, del modo,
che s’abbiano à curare, e dell'esito , che possono avere, perche potrete allora
con più sperimentato giudizio sceglervi quel raziocinio intorno alle sudette
cagioni morbose più adattabile degl'altri al vostro bisogno: Sentite di grazia
come al proposito ve lo infinua Ippocrate : (d) Preclara enim res eft, quæ ex
opere , quod quis didicit proficifcitur oratio ; Écon maggior chiarezza in
altro lạogo , (e) dove così parla : Ncque priùs ad ratiocinationis perfuafionem
quàm ad ufum cum ratione conjunctum animum adhibere ; Ratiocinatio enim in
eorum, quæ fenfu comprehenduntur recordatione quadam confiftit ; ed in appreffo
: Nullum ex his , quæ folâ ratione concludun- , tur fructum percipere licet ,
verùm ex his , qua operis demonstrationem habent, fallax enim, & ad errorem
proclivis affeverario; Ed operandosi da voi in questo modo, effendo già
divenuti più abili, e capaci, da un principio più accertato ricaverete un
ražiocinio è certo , ò per lo meno probabile, dove che facendosi diversamente
con impoffeffarvi prima d'ogn'altra cosa delli raziocinj in aria, e di bella
comparsa, che possono con danno notabile preoccupare le vostre menti, e quefti
effendo Icelti da voi per mero genio , fenza saperne il perche, vi faranno
dedurre delle conseguenze, che vi pareranno certe , ed evidenti, le quali in
atto pratico le troverete diverse das quelle ve l'eravate figurate; onde per
acquistare pofcia la buona pratica vi converrå deporli, conforme è convenus to
farli da altrui, che se ne sono ayveduri , per non continuare ne' loro
pregiudizj, e sentite come à meraviglia fi ritrovano costoro delcritti da
Ippocrate: (f) Venuste enim cognitionis intelligentia apud iftos sparsa ejš .
Cum igitur hi ex neceffitate indocti exiftant eos ad utilem *xercitationem
cohortor . Mà veniamo all' esempio per caminare con più chiarezza. S'idei il
più bell'ingegno, che frà voi si trova, che il tal male proceda da un' acido
esaltato, è da un calore eccellivo, ne dedurrà subitamente con la sua
perspicacia , dunque và curato con gli alkalici, ò con gl’attemperanti. Volesse
Iddio, che ciò si verificaffe , non avreste per certo bisogno d'affaticarvi
tanto intorno l'Infermi per apprendere la vera pratica , perche in questo modo
diverreste presto Medici; Mà non è questo il modo da caminare con licurezza,
perche se quella cagione non è accertata farà neceffariamente incerta ancora la
conseguenza da quella dedotta , la quale potrà talvolta produrre all'innocenti
Infermi un nocabile danno, perche Gi tra{curerà di far quello, che s’è
osservato altre volte effer loro di giovamento per andare in traccia à ciò,ch'è
incerto, e so. lamente da noi ideato. Qual verità udite con che chiarezza si
ricava da Ippocrate:(8) Quidquid artėm artificiosè di&tum ef(d)
Hippide deciørd. (e) Id, in lib.de tracept 1 efem(f) In
lib.pracept: eft, (8) Hippocr.de decobabitki [ocr errors] eft , non
autèm factum, viam, rationem artis expertem arguit.. Opinabile fiquidem fine
actione infcitiæ , nullius artis indicium eft ; Opinatio enim cum præcipuè in
Arte Medicâ, eâ quidèm utentibus crimini vertitur; His verò qui eâ indigent
exitium afferty fi namque fuis verbis perfuafi exiftim mant se opus ex
scientia profectum novisse, quemadmodùm aurum adulterinum igni probatur,tales
se ipfi etiàm produnt ; e ciò lo conferma ancora nella sua legge, dicendo, che
la sola opiņione ignorationem parit . Il modo dunque praticabile più sicuro
sarà di dedurre la cagione demali dalla già accertata cura , osservata
più volte profittevole, con que’lumi, che vi darà di più la Notomia, e quando
anche per questa strada non se ne rinvenisse la più certa, non potrà nascerne
quel pregiudizio già accennato , perche la cura anderà a suo dovere, essendo
fatta secondo le buone osservazioni pratiche; oltre di che caminando voi con
quest'ordine non vi regolerete con l'incertezza dell'opinioni degl'uomini,ogni
giorno variabili, mà bensi con la certezza delli giudizi di Natura, sempre più
accertati , come divinamente considerò Cicerone allorche diffe : Hominum com.
menta delet dies, naturæ judicia confirwsat. Quindi è, che Pittagora non
fenza cagione faceva tacere li suoi scolari sinche aveffero compiti cinque anni
di studio , perche voleva , che cominciassero à parlare quando appunto capivano
ciò, ch'elli dicevano , e veramente chi presto parla non ha premeditato ciò,
che dice, e chi non hà premeditato ciò, che dice, parla à caso. Per
conferma di quanto vi hò detto, ed à fine non prevarichiate ora, che avere da
me sentito dire qual potesse esfere il inodo facile sì, mà non già sicuro, da
prestamente liberarvi dall'intraprese fatiche, v'addurrò altri sentimenti d'Ippocrate,da’quali
non potrete discostarvi se vorrete essere tenuti suoi veri seguaci, dice egli (
b :) parlando in termini difare progresso nella Medicina : At vero in Medicina
iampridem omnia fubfiftunt in eaque principium , via inventa eft, per quam
præclara multa longo temporis fpatio sunt inventa, bu reliqua deinceps
invenientur; Si quis probè comparatus fuerit, ut ex inventorum cognitione ad
ipforum investigationem feratur, Qui verò his omnibus rejectis , ac repudiatis
aliam inventionis viam ; aut modum aggrediatur, to aliquid Je invenise
jactitat, is cùm fallitur , tùm alios fallit, neque enim iftud ullo pacto fieri
poteft. Ippocrate dunque vuole, che dalle cose accertate si passi
all'investigazionc di esse,per meglio discernere ciò, che in quelle non fosse ancora
palese,mà non già, che dalle incerte si pasli à fare al. cuna investigazione ,
dicendo chiaramente, che chi farà diversamente ingannerà se stesso , e
gl'altri, e tutto ciò vie. ne più precisamente individuato redarguendo quelli,
che dalle cagioni incerte ne vogliono dedurre una certa cura, come si legge in
appresso: At verò nunc ad cos , qui novâ quadam ratione artem ex
přo." propofita materiâ investigant nostra revera tatur oratio
fiquidem eft calidum, aut fria gidum, aut ficcum, aut humidum , quod hominem
lædit , & eum, qui rectè mederi volet opporret calido per frigidum, frigido
per calidum , ficco per bumidum, & humido per ficcum opitulari . Exhibeatur
mihi aliquis naturâ non admodùm robuftâ , fed imbecilliore; qui triticum
crudum, & inelaboratum edat , quale ex areà fuftulit, carnes crudas , &
aquam bibat , ex qua victus ratione non dubium eft quin multa , gravia
fit perpeffurus. Nàm & doloria bus conflict abitur, & imbecillo erit
corpore, O ventriculus corrumpetur, nequè vitam diù tollerare poterit . Quodnàm
igitur ità affecto præfidium comparandum Calidum nè , aut frigidum, an
ficcum, an humidum? Siquidem horum quodque fimplex eft. Namque fi quod lædit ab
his ipfis eft diversum contrario disolvere convenit , velut ipfifatentur - Eft
enim certifima, & evidentiffima medela , sublatis quibus utebatur cibis ,
pro tritico panem exhibere , da pro crudis carnibus coctas, dj
insupèr vinum propi narly nare, neque fieri poteft , quin his
commu: tatis convalefcat ; e questa accertata cura come si è ritrovata , se non
dal vedere, che le sudette cose hanno altre volte conferito in simili
casi? Seguitate pure la strada calcata da' noftri maggiori, se non volere
errare, per la quale ebbe origine, e si è avanzata la vera Medicina, e questa è
quella dell'offervazioni, conforine chiaramente confessa Ippocrate.(i) dicendo
: Neque verò pigeat ex plebeis sciscitari fi quid ad curandi
opportunitatem conferre videatur , fic enim censeo artem univerfam coma
moftratam fuiffe , quod fingula ex fine abi fervata, ad eadem aggregata
fuerint. Animum igitur adhibere oportet fortuit,e occafioni , qu& plerumque
fe offert , quæque cum utilitate, & lenitudine conjuncta eft, quàm cum
sollicitatione, & forti defenfione; e ricavate pure li vostri raziocinj
dalle cagioni de' mali, dalle cure à voi note, ed in quella conformità, che più
vi appagano, che ottenuti in questa guisa, se non fi) Hipp.praceptiones
. [ocr errors][ocr errors] non dimostrativi , faranno almeno inno-
centi, non potendo recare pregiudizio alcuno, e state fermi in tale
proposito, per l'esempio di più d'uno , conforme, che diceffimo, à
cui è convenuto mutare li raziocinj delle cure dapoi, che hanno
osservato in pratica meglio gl'andamen- ti de' mali, e non prima
d'allora si sono accertati , che l'opinione era assai diver- sa
dalla verità, conforme nel suo sogno ci fà conoscere Ippocrate, ( a ) non
solo perche li comparvero assai differenti trà di loro, mà perche
la verità dimorava appresso Democrito, che non s'inganna- va, e
l'opinione trà l’Abderiti già pre- giudicati, per la falla loro credenza,
che Democrito delirasse. Appreso, che voi
avrete le cagioni ancora de'mali, all'ora sarete arrivati à qualche
perfezione maggiore , poten- do, rotto già il silenzio Pittagorico,
con fondamento parlare, e con franchezza ancora medicare, resterà
solo d'istruirvi in che modo si dovrà contenere ciasche- duno
(a) Hippo in epiß. Pbilope.2. [ocr errors][merged small] D [ocr
errors] duno di voi in ornare, secondo la propria capacità ciò, ch'avrete
acquistato tutti in commune. > Parlerò prima con voi di mente fu.
blime, e generofa, che vi pare un troppo angusto campo la sola Medicina , onde
per far conoscere a tutti la vostra maggiore abilità, volete stendervi più
oltre, ed all'acquisto d'altre scienze,conforme nelle private conferenze
apertamente diceste, ove tal’un di voi mostrò genio grande d'apprendere le
Mattematiche, altri l'Astrologia', e chi per ornamento le Lingue straniere,
& in ispecie la Grecaj e chi per divertimento ancora l'erudizioni Istoriche
i Mi dispiace d'aver sentito dire, che trà voi yi fia chi lo faccia per
genio grande, perche questo vorrei, che tutto lo ponefte alla fola Medicina's
qual dovrete profeffare, onde viva pur sempre caurelato , e circospetto chi di
voi hà fimit geniono che non gli faccia perdere -Hamore à cid, ch'avrà
dianzi acquistaso; perch'è solito, che chi apprende congenio grande una cosa
nuova, trascura necessariamente ciò, che prima se non per
genio , almeno per impegno lo ap- pagaya .
Io per me non posso, nè devo op- pormi à quanto deliderate,
si perche è onefto , sì ancora perch'essendo all'ora
voi già divenuti Maestri vorrete fare à vostro modo ; Vi dò solo
questo conse- glio, che facciate regolare la vostra in clinazione
fempre dalla prudenza , e dal giudizio, e che non la lasciare in
tutta sua libertà, e facendo voi in questo mo- do non potrete
errare, perché le sudette virtù mai non permetteranno, che fi din
ftacchi dalla Medicina già appresa , nè che nel fare li nuovi acquisti
gli rubi quel tempo, già destinato per lei, e final mente faranno
in modo , che non l'ap- prendiate à quel segno di poterle pro-
feffare , mà per solo ornamento, e per poterne ancora voi
discorrere in quella parte , che possa servire alla Medicina.
Mà vediamo d'ajurare , e consolare insieme voi altri, che restereste
altrimena 1 [merged small][ocr errors][merged small] [ocr
errors][ocr errors] timesti, non solamente per la separazione, che faranno da
voi li vostri compagni, inà eziandio per la cagione di essa . In primo luogo
parliamo chiaro intorno a'vostri difetti , per dare à ciascheduno di essi il
suo rimedio , s'è possibile. Dilli s'è poffibile,perche se sarete affatto
inetti, & incapaci mutate mestiere, conforme hò fatto fare à qualcheduno di
simile inabilità, perche altrimenti vi affaticherete in darno fino , che
viverete , mà re, ò la vostra memoria apprende con qualche difficoltà ,
tenétela continuamente esercitata , che migliorerà, volendo Cicerone, (b) che :
Affiduus usus uni rei deditus, & ingenium, a artem fepè vincit ; ò il
vostro giudizio non è pronto , ajutatelo con l'attenzione, e vigilanza, date
tempo, che si farà, perche molte piante fioriscono prima, & altre sono più
tardive; ò il vostro discorso è alquanto infelice, e non siete pronti,
esercitatevi nclli discorsi publici , bene imparati à memoria, discorretela
continuamente con li vostri (b) Cicero pro Cornelio Balbo. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] vostri compagni più franchi di voi, fae
tevi animo, & abbiate forma fiducia , che il vostro timore cesserà.
Aspettate ora da me di sapere il modo, che dovre- te tenere per
adornare ancor voi l'ope- ra già fatta , à fine di non iscomparire
trà gl'altri vostri compagni, e con ra- gione.
Già voi non vi curate d'uscire dal- la Medicina , in questa dunque
converrà trovare l'ornamento, che sia adattato al vostro bisogno, e
doppo fatta matura rifeflione, non trovo miglior conseglio di
quello, che fi ricava da Prospero Marziano Medico di grand’ingenuità
, all'ora , che ricercando la cagione, per- che li Medici antichi
erano tanto stima- ti, & onorati assai più di quelli, che
vivevano à suo tempo, egli fù di fenti- mento, che procedeffe ciò
per effer stati. glantichi versatillimi ne' pronostici, e non vi
sia discaro à sentire ciò, ch'egli diffe : () Cur prisci Medici tanti habiti
fint apud homines, ut non folùm primas in Ci. (c) Prosper Martian.
2.prediff. perf.23. e [ocr errors] D 3 Ciuitatibus, ac Regnis
tenerent , Regibus Principibusque imperarent , fed etiàm summus honos , Diisque
folis præstari folitus, Medicis tribueretur, admiranda enim circà agrotos ,
& præftitife, & prædixise eft. necessarium ; Sicut vice versâ mirum non
eft ifi nunc adeù vvilitèr tractentur, quando nèc in curando, nèc in prædicendo
quidquam spectabile pr&tent noftri, cum ea faciant tantummodò, a dicant ,
quæ ipfis idiotis sunt manifefia, & tamèn'artis pradantiam noftrorum
temporum continuò jaEtant imperiti , Medicinamque posteriores ditasse
profitentur , fed veniunt excufandi, eo quod antiqua thefauros adhùc non
percepere, quibus tota quidem Hippocratis do. Etrina plena eft; Verùm præfens
liber, [h.c. prædiétionum secundus ) adeò abundat, ur folus paupertatem, cu
miferiam artis noftrorum temporum indicare fufficiat, nam quis nostrum eft qui
centefimam partem eorum cognofcere poffit, qu& antiquiores Medicos
comunitèr prævidere confueviffe in hoc libro teftatur Hippocrates ; Sicchè voi
per fare spicco , & essere molto stimati nella [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] nella professione impoffeffatevi bene de!
pronostici d'Ippocrate , che uniti alla buona pratica acquistata , vedrete, che
vantaggi questi vi recheranno , & effendo stati ricavaci da molte
offervazioni uniformi, accadute in più secoli, non vi serviranno d'ornamento
inutile,mà bensi molto profittevolese necessario, e tanto maggiormente se
spoglierere ancora ciò, che v'è di migliore nell'Epidemj, ed in tutti gl'altri
divini libri d'Ippocrate , per mettervene à memoria più , che potrete , å
fine di serviryene secondo li i bisogni, che vi si presenteranno, e que
sto studio lo farete in quell'ore, nelle quali vi persuaderete, che li vostri
compagni le terranno impiegate all'acquisto d'altre scienzcacciocchè vi cresca
il fervore ad apprenderle con emulazione. Ornati, che sarete tutti nella
conformità, che s'è detto, ogn'uno di voi ne farà la bella comparsa ne
consulti, ed all'ora si conoscerà chi di voi avrà fatta i miglior
elezione del compagno, e si rina contrerà, che voi, ingegni, ch'eravatemeno apprezzati
degl'altri, per la voftra applicazione, e prudenza , certamente, che non
iscomparirete tra gl' altri di maggior talento di voi. Se il modo, che vi
hò proposto non farà buono, e profittevole trovatene altro migliore,&
acciocche lo possiate rinvenire più commodamente sia posto ogn' un di voi in
sua libertà di sceglierlo à fuo piacere. S'avete genio di studiare prima della
Medicina altre scienze, cosa ne feguirà facendosi, che non potendo sapere
ancora cosa vi possa bisognare vi converrà ftudiarle ex profeso, e se l'avrete
apprese con genio à quel fegno, che le pofliate profeffare, ciò, che studierete
in appreffo; con minor piacere , lo subordinerete alla prima, che di già
possedere. te, mà ne seguirà peggio ancora, che tutto farete meglio,
eccettuatone il Medico, conforme vi farò costare in appresso. Se il genio
vi porterà ad apprenderle insieme con la Medicina, che ne feguirà? Ciò appunto
, che accade à chi [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors] in
un medesimo tempo getta in un camро semi diversi, e mescolati , e che ne
raccoglierà? Un frutto confuso, e quem sto ancora à voi potrà succedere, poiche
la bella ordinanza è quella, che facilita, e felicita le grand'imprese , dove
che la confusione le preverte , e le annichila. Inoltre s'avrete studiate
le Mattematiche, con gran genio , e studio profondo, e vorrete poi fare il
Medico niuna cosa di Medicina vi appagherà, cercherere in essa le dimostrazioni
evidenti, e non trovandole, che ne seguirà, se non sarete nella pratica ancora
versatiffimi? Che per temenza d'errare vi formerete un metodo di medicare à
vostro modo , con pochi rimedj, creduti da voi sicuri à non poter nuocere , e
semplici, come fono Occhi di granci, Stibio diaforetico, Sperma ceti, un poco
di Caffia , qualche ottava di Tartaro di Bologna, qualche Clistiero, qualche
bevuta d'ac. qua di Nocera , Oglio d'Amandole dolci, Sangue ircino preparato ,
Corno di Cervo filosofico, Giacinto bianco , e cofe [ocr
errors][merged small] cole simili, tutte sicure à non poter nuocere, & in
questa conformità vi regolerete tanto ne' piccioli, ne' gravi, che ne'
gravissimi mali. Questo è un modo sicuro, mà nell'infermità benigne, e
leggiere, non già in tutti i casi gravissimi, ne' quali è chiamato il Medico
per dare un pronto riparo, non già per complimento, per espugnarlo, ò almeno
per retundere la sua veemenza , e questo pretenderete di farlo con cose
innocenti? ch'è il medesimo, che dire con cose attività ? Queste dunque
adoprerete ne' bisogni inaggiori , ne' quali : Melius eft anceps experiri remedium
quàm nullum. Rimedi sicuri vi persuaderetç, che siano quelli, che non possono
fugare il male ? Questa sarà una licurezza inutile, mentre non rileva il
pericolo, sarà sicurezza, per chi assicura, non già per chi deve essere
assicurato , perche se in quefta borasca si sommerge la Nave,non è tenuto chi
assicurò al rifacimento del perduto, mentre che và tutto à danno
dell'aficurato. Un tal modo di operare lo di poca [ocr
errors] lo potrebbe ancora esercitare , chi non sapesse altro di Medicina ,
perche già ch'è sicuro non ci vorrà grand'arte per praticarlo, mentre l'arte
consiste in la. per conoscere ciò, che in un caso potrebbe nuocere, e
nell'altro giovare, e per questo effetto si chiama il Medico, onde essendo
gl'accennati rimedi sicuri, e non potendo nuocere à ch'effetto vi sarà bisogno
del Medico per darli? Oltre di che, per parlarvi ingenuamente, questo modo di
medicare è assai confimile à ciò, che fanno coloro , ch’imparano la scherma,
che per non offendere, nè effere offesi adoprano certe smarre senza taglio, ed
in vece di punta acuta hanno ivi un bottone di ferro foderato di pelle, ò
cottone , qual sorte d'arme sicura in tempo di pace, di ch'efficacia sarà
all?ora, che l'inimico ci affalisce con armi pungentiffime, lo potremo
offendere , à almeno difenderci da effo? Credo di nò con questa sorta d'armi
sicure, ci converrà per certo adoprare almeno armi eguali, e se saranno
superiori riusci. ranno [ocr errors] ranno migliori ; il fimile
appunto succederia quando il male grave alfalisse, se questo lo voleste
espugnare con l'accennati rimedi sicuri, combattereste seco con quell'armi
appunto senza taglio, e fenza punta, poco atte à fare validas difesa. E
non basterà in questi casi Parme sola , mà converrà saperla ben maneg. giare,
per fare que' colpi sicuri riservati a' soli Maestri dell'arte, quali come li
fapreste fare se mai non aveste maneggiate simili armi, volendovene talvolta
prevalere? Sò, che questa voce di medicamento sicuro, che non può
nuocere'è molto plausibile appresso alcuni, che la considerano
superficialmente, mà capita bene, è molto nociva , poiche nel bisogno più
urgente non è tempo di passarlela con cose di poca attività, richiedendo quello
ajuti maggiori , ò equivalenti alIneno ad esso, e tutto ciò, ch'è sicuro.
à non nuocere non basta per rimuovere ciò,che nuoce, onde se non
ammazzano direttamente possono almeno indirettamente nuocere, per la
cagione, che non sono sufficienti à rimuovere ciò, che puol’ammazzare.
Ippocrate,che conobbe tal verità assomigliò il Medico al Governatore della
Nave: questi appunto trovandosi in una borasca di mare cofa dovrà fare ? Deve
in primo luogo alleggerire la Nave, con gettar via ciò , che più l'aggrava,
acciocchè tando più galleggiante non venga ricoperta dall'onde; Voi già mi
capircte, onde non occorrerà mi spieghi di vantaggio, potendo considerare da
voi medefimi , che alleggerimento rechino a'corpi, che si ritrovano nella
tempesta del inale, eripieni di viziosi umori, si piccoli , e poco efficaci
medicamenti. Io non pretendo già porvi in difcredito li dettirimedj,
perche in qualche caso possono essere profittevoli : Per esempio ne' veleni
corrosivil'oleofi, ed in qualche altro caso ancora grave sono utilissime le
copiose beure d'acqua, e cose simili, mà che siano sufficienti questi
per per curare tutti li mali, dicovi apertamente di nò , perche in molti
mali gravi convengono altri rimedi più efficaci, conforme ordinò Ippocrate :
(d) V alentibus verò morbis, valentin natura medicamenta exbibeantur ; &
altrove : Extre. mis morbis extrema remedia optima funt. Anzi, che se si
tralasceranno da voi li più efficaci in quei casi, che competono per
sostituirvi questi più leggieridico, che peccherete d'omissione gravemente,
potendone nascere pregiudizj gravi alli vostri Inferini in trascurar ciò, che
li compete,per dar loro ciò, che non può recare profitto equivalente al
bifogno. E quando il solo differire un rimedio possa recare del danno, come
bene avvertì il divino Ippocrate : (e). Cum enim ab omni ante aliena fit
procrastinatio, tùm verò maximè in Medicina , in qua di. latio vitæ periculum
affert ; quanto maggiore lo recherà l'omiffione , essendo difetto più
conliderabile della dilazione Ne (d) Hipp de loc. in hom. (e)ld.in
epift.ad Crat. Nè per cimore d'essere tacciati di omiffione dovrete fare
d'avantaggio di quello , che fiete tenuti di fare, perche all'ora incorrereste
in un'altro errore , non inferiore al primo, mà come vidovrete in ciò regolare
ve l'insegna Ippocrate nel primo Aforismo in tal guisa: Seipfum præftare
oportet opportuna, & quit decent facientem. Se divenuti Profeffori
d'Astrologia farete ancora il Medico , non vi capiterà Infermo, che non vorrete
alzargli las figura del decubito, non gli darete ri. medj se non che a' buoni
aspetti de' Pianeti, e fuggendo li cattivi,cosa ne seguirà? Che perdendosi
l'occasione pronta d'operare, l'Infermo se n'andrà all'altro mondo à
riconoscere più da vicino li suoi malefici Pianeri, stanteche Occasio præceps,
à quella bisogna , che indirizziate tutta la vostra attenzione, oltre di che vi
servirete d'una scienza più incerta della Medicina per accertare ciò, che in
essa crederete fallace. E se ornati di tutte l'erudizioni Istoriche vorrete
esercitare ancora las Medicina per far pompa in quello, che meglio saprete ,
& è di vostro genio, comincierete à discorrere con li vostri Infermi,ò con
altri, che ivi si troveranno presenti ab Urbe conditâ fino al tempo dell'Impero
Romano, e con vostro sommo piacere , il meno poi , che farete sarà di pensare
all'Infermo , che avete avanti gl’occhi, à cui dovete dare ajuto. Iddio
guardi, che tal’uno di voi , ch'avefse più spirito, che prudenza, s'annojasse
di far ciò, che ho detto intorno l'osservazioni Mediche, e si volesse
porre à fare il Medico senz'avere acquistato un buon metodo di medicare,
affidato solo in una gran scelta di belle, ed efficaci ricette, questi sarebbe
simile à colui, che custodisce delle bellissime armi, mà non le så maneggiare,
ed in conseguenza caderia in uno delli maggiori errori, che si possino mai
commettere nella Medicina , cioè di divenire un gran Ricettante, e de' più
validi, e pronti ri مرور rimedi si Chimici, che Galenici, che
avemo, e non sapendo il modo d'adopee rarli l'applicheria à casa, con tutto,
che fi fosse ideato d'imitare un Capitano, che per conseguire la vittoria fi
serve di valorosi soldati, e questo modo d'ope, rare quanto possa riuscire
dannoso, lo lascerò considerare à voi, per quando farete divenuti già provetti
; solo riflettete ora, che quel Capitano, che non sa comandare li suoi valorosi
soldati, in ve. ce di vittorie riceverà bene spesso delle sconfitte, e quel
troppo ardire indica ignoranza, come afferi Ippocrate: (a) Audacia verò, artis
ignorationem arguit : E in altro luogo :(b) At quod temerè fit nullo modo
fubfiftere videtur, sed nomen tantùm inane efle . Non riuscendo dunque
tanti altri modi ricercati da voi sarà neceilario,che seguitiate quello, che
v'è stato da me proposto, con il quale farete sicuri di abilitárvi à poter
divenire veri Medici E )quan(a) Hippocr. de lege. (b) Idem in lib.
de Arte,pro ftri fore inp Ver ner te, fo fe quantunque
fiatc trà voi d'abilità difu. guali, & in particolare per quel profittevole
uso, che potrete ricavare dalle diligenti, creiterate offervazioni fatte
intorno l'Infermi, non potendosi questo apprendere in altro modo , conforme
giudicò Ippocrate : (a) Usus namque, qui in fapientia , tùm in arte ei adjuncta
, doceri nequit ; e questo di quanta efficacia fia, sentitelada Cicerone: (b)
Aljungant ufum frequentem, qui umnium Magiftrorum precepta fuperaf. Mà
non vorrei, che tornaste ora à contriftaryi, voi, che fiete di natura
malinconici, parendovi forse troppo, quanto v’hò proposto per neceffario in
acquistare la buona pratica , perche se vorrete diyentare veri Medici, ed
eflere compresi nel minor numero di quelli, di cui parlò Ippocrate nella sua
legge così: Medici nomine quidèm multi, re ipfa perpauci , sarà necessario, che
facciate dal canto voftro ogni posibile, & à fine pro(c) Hipp.de
decenti ornatu . (d) Cicero 1.de Oratore . [ocr errors] proseguiare con
maggior fervore li vostri studj, vi mostrerò in domani quella fortuna propizia,
che vi potrà toccare in premio delle vostre virtuose fatiche. Venga pure chi di
voi la desidera ottenere, che gli farò conoscere quella forte, ch'è sempre
favorevole, non essendo soggetta à vicende, à fine, che di efla se ne
innamori. 1 [ocr errors][merged small][merged small] GIORNATA
III. Nella quale si mostra la fortuna , che deve defiderare, e procurare
il vero Medico , e la via più figura per ottenerla, A D
un gran cimento oggi m'espon in volervi mostrare la vostra buona fortuna,
posciache desiderandovela propizia, durevole, e senz'effere soggetta á vicende,
qual potrà essere mai questa fortuna sì prospera Quando nè le grandezze, nè gli
onori, nè le ricchezze, né le delizie, e piaceri,cose cotanto bramatç nel
mondo, la possono in cale stato costituire ? Appena è arrivato l'uomo alle
grandezze, od onori sommi, che questi cominciaio da bel principio à
contriftarlo, alle ricchezze, che l'infaftidiscono, alle delizie, e piaceri,
che questi ancora non gli rechino goja, e confiderabile danno: in somma si
scorge chiaraméte,che Nemo fua forte contentus. [ocr errors][ocr errors]
In conferma di ciò riferisce Ippon crare nella lettera scritta à Damageto , che
Multi fene&tutem exoptant, cumque cò pervenerint gemunt, nulloqae in fatu
firmâ mente perfiftunt . Principes, ac Reges privatum beatum prædicant ,
privatus Re. gium Imperium affe&tat , qui rem publicam regit, artificem
tamquàm periculi expertem laudat , artifex verò illum velut in omnia potentiam
exercentem. E pur questi quan to mai avranno desiderato fimili fortu. ne,
quanto vi ayranno faticato peč conseguirle, & ottenute , che l'ebbero,
punto ne rimasero contenti; Ela cagione di ciò fù, che questi andavano in
traccia della bell'apparenza della fortu. na fallace, non glà della di lei
sostanza ftabile , e quello, ch'è peggiore , la cer. cavano ancora fuor di
strada, conforme nella sudetta lettera fi legge: Rettam enim virtutis viam
puram , minimèque af peram, ac inoffenfam non cernunt ; Questa via dunque
bisognerà , che ancora vi mostri, acciocchè pofliate tutti ottenere il yoitro
intento, ed io uscire dal mio. E 3 cie [merged small][ocr
errors] [ocr errors] cimento con reputazione ; state attenti per non
isbagliarla, perche si tratta di fare acquisto di una fortuna stabile,eterna, e
non soggetta á vicende. Che il Medico debba essere foriu. nato non vi
cade ombra di difficoltà ; mentre , che se fosse diversamente, chi mai fi
vorria prevalere dell'opera di coPii, al quale la forte foffe contraria ,
Paveffe affatto abbandonato, e che non gli piovessero addosso da per tutto, che
infortunj, e miserie, da ogn’uno sarebbe certamente sehernito, e per necessità
gli converria mutar mestiere, sicchè è incontrovertibile, che Oportet Medicum
fe forfanatum Mà qual fia questa fortuna, che strada dobbiate tenere in
cercarla, e ciò, che dovrete fare per confeguirla , procurerò ora mostrarvi con
la buona fcorta d'Ippocrate, à fine non possiate sbagliare. Due sorti di
fortune fi ritrovano descritte da Ippocrate, (e) una delle quali (c) 110
lib.de loc:in hom. 1quali è quella, ch'è fuori di noi, & ope* ra
independentemente da noi, e l'altra, ch'è sempre con noi , & opera conforme
noi vogliaino . Quella, ch'è fuor di noi così apa punto egli la descrive
: Sui enim juris eft, Fortuna , nulli imperio paret , neque ad cujusquam votum
fequitur; qudla poi, ch'è sempre con noi l'accenna con dire : Mihi enim foli bi
fortunatè afequi , idemque infortunatè non assequi videntur , qui recte quid ei
malè facere fciunt , e dependendo il bene, ò male operare da noi, la for tuna
dunque, che da ciò resulta, da noi dependerà, e sarà questa per sempre
inseparabile da noi medesimi. La fortuna dunque, ch'è fuori di noi è
quella, ch'è affatto cieca , e non considera il merito di chi benefica, ma dà à
chi più le aggrada di vantaggio ancora di quello, che il beneficato da ella
sappia mai desiderare : Talvolta ad un Contadino avvezzo å zappare la terra, fà
discoprire un tesoro; capace à farlo divenire molto ricco, con tutto, che le
sue 1 E 4 fue brame fossero di pochi soldi; Ad un? altro
ancora più miserabile farà conseguire una grazia nel giuoco, che lo toglierà
per sempre dalle sue miserie, e tutto ciò proviene-, perche vuol fare à suo
modo, giacchè Sui juris eft, nulli imperio paret L'altra poi; che risiede
in noi, è quella, che secondo, che la trattiamo ella ci corrisponderà, se la
vorremo propizia , se variabile, fe peffima, propizia, variabile ; e pelima
ancora l'otterremo, conforme da ciò, che Ippocrate c'insegnò li puol dedurres
& ancora dall'esperienza di coloro , qui rectè quid, vel malè facere
fciunt, giornalmente vediamo. Certamente, che la prima fortuna non è
quella, che deve essere desideratiz, e procurata da voi, che non dovete zappare
la terra , nè tampoco dilettarvi del giuoco, ed anco maggiormente , ch'effendo
cieca, forda, e per non dispensare à dovere le sue grazie ingrata ancora ,
questa non deve effere defiderata da voi, che dovete conseguire il premio per
giu Aizia, stizia , ed à quel segno, che vi si deve ; Oltre
di che la sua sola istabilità bafte, rebbe per farvela odiare, dovendo
voi defideíare una forte stabile, e permanen- te; per non
provarne le di lei vicende, Esclusa dunque la prima forte,
neceffa- riamente dovrete contentarvi della se conda; e tanto
maggiormente, che la potrete regolare à vostro piacere.
In trè modi dunque potrete fabri- carvi
la vostra fortuna, ò buona , ò va- riabile , ò peffima , se la vorrete
buona , dovrete operar bene, conforme v'inse gnò Ippocrate
nel detto libro in tal gui- la : Fortunatè enim affequi eft rectè
facere, hoc enim, qui fciunt faciunt , ed allora cià
otterrete , quando scaccierete affatto da voi li vizj, e
farete in modo, ch'ella sem pre ammiri le vostre virtù, e si ponga
in soggezione, quando anche non voleffe, di operare
a'vostri vantaggi. Se poi la bramerete variabile, fatela
conversare con le vostre virtù, e con li vostri vizj,
che imparerà dal diverso modo d'opera re, che li pratica trà
esli ad effere variag bile [ocr errors] 2 1
; bile ancor essa. Qual modo l'indicd ancora con dire : (f) Ego verò fi
omnibus modis ditefcere voluiffem ; cioè se per via di virtù, e de vizj
avesse voluto fare fortuna , non ad vos decem talentorum gratid, fed ad magnum
Perfarum Regem proficiscerer ; con che fece conofcere ancora l'incostanza di
detta fortuna, rimirandosi ella ben {peffo istabile, sì in quei fervigj, che
dependendo dalla volontà di molti con la sola virtù non s'acquistano, come bene
speiso l'esperimentano i Medici condotti; che nelle Corti, ove trà molti altri
la provorno tale Seiano e Bellisario.Se poi vorrete farla divenite pellima,
consegnatela in potere de' vostri vizj, che apprenderà da questi i loro pessimi
costumi , e perima certamente diverrà, ed udite con quantas chiarezza ve lo
dice egli nel libro sopracitato : Qui enim non reftè quid facis, non
fortunate afēqui poterit? quum reliqua , que æquum eft facere non faciat.
Talmente, che la vostra buona fortuna, the voi do! (f) In
epif.Abderir. Hippo dovete procurare è quella che proviene dalle vostre
buone, e virtuose opere, c questa l'avrete propizia, e ftabile fino, che
vorrete , effcndo subordinata al vostro sapere, e volere, giacchè al parere
d'Ippocrate nel luogo sopracitato, effa fi può felicemente conseguire, da chi
sda e vuole: Et facile eft ipfam felicitèr alle. qui, fi quis fciens uti
velint, d'onde faa cilmente n'è nato quel detto: Virtute dua cey comite
fortuna. Non basterà però d'avervi ciò brem vemente accennato, per
potervi cons sicurezza determinare il modo , che dov vrete tenere in procurare
questa buona, e tanto desiderabile fortuna, perche ciò, che vi hò detto fin'ora
, non è sufficiente à farvi capire in che maniera vi dovrete contenere ,
allora, che sarete Eper porvi in viaggio per cercarla, e ciò, che dovrete
fare nel progresso di quello , 6 quanto di felice ne potrete riportare dalla
vostra lunga, ò breve navigazione, onde sarà necessario, che per meglio
esaminare li sopr’accennati punti, che cifiguriamo d'essere già presenti al
porta dell'imbarco , e che nel fare detto viaggio mi serva della seguente
ideata maniera per iinitare ancora in ciò Ippocrate, che dovendo andare a
trovare la sua fortuna in Abdera, conforme udirete in appreffo, ancor egli vi
si porcò per mare, ed in una nave non presa à caso, mà scelta da lui con molta
cautela,come si legge nella lettera prima scritta à Damageto, che comincia :
Cum apud te Rbodi ejem Damagete, navem illam vidi , cui Solis infcriptio inerat
, quæ mihi perpulbhra , puppi probè, idoneâ carinâ inAructa , muliaque transtra
habere vifa eft, tu verò eam comendabas c. cam ad nos mitrito @c. E tutto ciò,
non senza gran mistero, mentre circospetto, e con il buffolo da navigare avanti
gl’occhi deve viaggiare chi cerca la fortuna, e deve per tale effetto
scegliersi un bastimento sicuro. Questo Porto è appunto il luogo , da
dove s'intraprende, il camino verso il Tempio della felicità, ove dovrete
por. ancora tarvi 1 tarvi, per conseguire la buona
forte a. e queste trè navi sono già qui allestite per ogn’uno di voi, che
voglia fare il sudetto viaggio , converrà , che à vostro piacere ve ne
scegliate una di esse, mà prima , che facciate tal'elezione , nella quale
facilmente potreste ingannarvi, fentite da me un breve ragguaglio di tali
bastimenti, del loro modo di viaggiare, de pericoli, che s'incontrano, e dell'
esito, che si hà della navigazione in ciascheduno di efli. Mirate colà à
finiftra, quella si chiama la nave del Sole, ivi la Prudenza regge il timane,
la Giustizia invigila al buffolo , la Fortezza regola l'antenne ela Temperanza
sopr'intende al tutto: ivi non risiedono altro, che virtù,e tutte attente alli
loro assegnati ministerj. Per entrare in questa si ricercano due requiz fiti, e
sono i Attestato di abilità, e provę di buoni costumi , altrimenti chi n'è
privo, non vi fi può imbarcare. L'altro bastimento, che stà alla deftra ,
li chiama la nave di Giano, questa hà [ocr errors][ocr errors] hà
parimente buoni Piloti, che sono le accennate virtù, che regolano la nave del
Sole, mà vi è solamente di male, che vi si trovano alcuni vizj, e tra questi vi
è il proprio interesse, la Politica,la Menzogna, l'Adulazione, il Secondo fine,
vestiti tutti di Zelo, ela Malizia, che s'infinge tutta umile, in somma vi sono
con le virtù mescolati li vizj, che per dimorare insieme con esse conviene loro
di stare molto circospetti, e tramutati in altri sembianti, e per entrare in
detto bastimento, non si ricerca altro attestato, che dell'abilità. Il
terzo poi, situato nel mezzo, che fà sì bella comparsa, si chiama la nave
felice : ivi al timone presiede la Malizia, al bussolo sopr’intende l’Inganno ,
lw vele si maneggiano dall'Astuzia, la Maledicenza,e l'Impostura consultano
continuamente trà esse cose gravi, la Lussuria , la Gola, con tutti li vizj
consimili festeggiano , ciripudiano tra loro, ed allettano chiunque vedono- ivi
approfsimarsi ad entrare nella loro nave, dicen do [ocr errors][ocr
errors][merged small][ocr errors] do à tutti: Per entrare quì trà noi non si
ricercano tanti requisiti; qui non serye abilità, li buoni costumi non
s'apprezzano, basta, che abbiate genio à gustare de’noftri piaceri, che
subitamente vi ammetreremo, e condurremo in un trata to al porto della
felicità. Vado vedendo, che tal'uno di voi è portato dal proprio genio di
eleggerli questa nave, che ha il nome felice, con tutta l'apparenza di
prosperità, senza pensare più oltre, conforme:(8) Magna pars hominum eft, que
navigatura de teme peftate non cogitat. Mà riflettete bene à ciò, che fate,
poiche non bisogna tosto fidarsi di quel bel nome, e di quella prima vaga
comparsa, conviene ancora ri. flettere al fine, che può avere una simile
navigazione, che ora vi spiegherò. Si ftaccherà questa nave dal porto con
allegria, mà nel viaggio incontrerà molti pericoli , perche non è regolata dalla
Prudenza, e quantunque la Malizia , e l'Inganno facciano quanto pollo
[merged small][merged small][ocr errors] no, (g) Sexeca de
Traxq.Anims.sapoll. 1 no, acciocchè non si sommerga, nulladimeno
questa non potrà sfuggire il passo dell'Ignominia , che stà situato un buon
tratto di camino prima di giugne. re al porto della felicità, (dove bisogna
neceffariamente arrivare per ottenere la buona forte) si rimira ivi uno scoglia
grande, ove è la residenza maggiore di tutti li vizj, hà nella sua estremità,
ver, so il sudetto porto alzate due gran colonne, ove è scritto : Non plus
vltrà, affinche sappiano tutri li vizj, che fino colà possono giugnere , mà che
più oltre è vietato loro il passare. Approdata, che sarà detta naye al sudetto
scoglio, è su, bitamente visitata , e ciò, che di viziosa ivi si trova, con
tutti'li viziosi , e vizj loro viene arrestato, non potendo anda, re più oltre
simil pefte , cosa di buono vi potrà mai essere dove fono tanti vizj,
consideratelo voi? Onde farà necessario, che tutto ivi rimanghi in potere de'
vizj. Che faranno all'ora quei miserabili, che s'imbarcarono in fimile
navę, renduti schiavi de'proprj vizj ; qual fortunaspropizia avranno ritrovato,
quando, che la loro pessima ancora l'abbandonorà, per non restare ancor essa schiava
ed il tormento maggiore, che avranno, farà di rimirare con li propri occhi tra,
passare quelli, che navigano ne i bastimenti del Sole,e di Giano ancora,fe chi
viaggia in questa fi farà regolare dalle virtù ; oh che cattiva elezione
avreste fatto mai se aveste condesceso al vostro genio ! come vi trovereste,
che farele in fimili miserie , privi della libertà, e della forte? Plinio ciò
predisse faggiamente, dicendo, ( a ) che Habet has vices conditio mortalium ,
ut advere fa ex fecundis , ex adverfis secunda ne 2 cantur. Sicchè
fuggire, per quanto potete, i simili imbarchi , che vi conducono, non al
porto della felicità, mà bensì à quello ? dell'ignominia , e delle miserie ;
onde bisognerà, che vi scegliare è la nave del ? Sole, ò quella di Giano
per giugnere ti al desiato porto della felicità, per ri, F tro(a)
In Panegir. at Trajan. [ocr errors] 2 [ocr errors] trovare la
vostra buona fortuna Il proprio genio vi farà inclinare talvolta
d'entrare più costo in quella di Giano, con la quale crederete di poter
ritrovare una miglior fortuna, à questo non mi opporrò, perche dove vi è la
Prudenza , c la Giustizia, sc farete à lor modo , con tutto, che vi siano vizi
ancora, questi non potranno molto nuocervi; Mà prima di entrarvi, sarà bene,
che sappiate il viaggio, che fanno, si questa , à cui vi porta il vostro genio,
che quella del Sole, che voi poco gradite, e che tributo portano sì l’una, che
l'altra al Tempio dell'Eternità, affinche meglio fiate informati di tutto,
prima , che vi determiniate all'imbarco. S'incaminerà con prospero vento
la nave di Giano verso il porto della felicità , incontrerà nel camino varie
tempeste , mà la Prudenza, e la Giustizia, che la regolano, le opereranno senza
il disturbo de’vizj, le supereranno tutte con la loro buona condotta;
capiterannó molte, e varie occasioni assai vantag giose, [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] giose, se n'approfitterà più , ò meno chi farà
ivi imbarcato , secondo, che si consiglierà con li vizj, ò con le virtù, fe
darà orecchie a’yizj , & in ispecie al proprio interesse, gli dirà, che
tutto può fare, fe alla Giustizia , se non quello , che deve, ch'è convenevole,
e giusto, arriverà all'accennato passo dell'ignominia si fermerà per iscaricare
ivi tutti i vizj, con tutto quello, che di vizioso fi ritrovi nella ricerca
generale, che ti farà della nave, e se per disgrazia di chi ivi s'imbarcò,
Coffe ftato guadagnato da? vizj, e fossero questi in detto viaggio divenuti
arbitri della sua volontà, resterà ivi tutto l'acquisto fatto,come cosa
proveniente dalla loro viziosa industria, e quel, ch'è peggio, ne seguirà del
mifero passeggierofatto schiavo, ciò, che successe à chi navigò nel bastimento
felice, le povere virtù con l'infelice forte abbandoneranno chi le tradì, chi
le vilipese, e se n'andranno altrove à ritrovare chi meglio le tratti.
Succedendo poi diversamente, è cie l'in [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] F 2 [ocr errors][ocr errors] l'imbarcato abbia fatto
tutto quello che gli fu suggerito dalla virtù fattosi il sudetto espurgo, e
lasciati ivi tutti i vizj, proseguirà la nave il suo viaggio verso il porto
della felicità, dove appena giunta, che si scaricherà tutto ciò, che fi porta
al Tempio dell'Eternità, e lo presenterà la Gloria avanti il Tribunale della
Giustizia eterna, che ivi à tal'etfetto presiede, domanderà questa, se quel
tributo, che si offerisce sia stato in alcun tempo inescolato con robbe viziose
, & inferce , risponderà la Gloria , che quantunque fia venuto accompagnato
da' vizj, nulladimeno, che sia Rato già espurgato à bastanza nel pallo
dell'Ignominia, dove tutto ciò, chew d'inquinato vi era , fù lasciato assieme
con i vizj; non basta, risponderà la Giuftizia, è tributo, che ha avuto
comercio una volta con cose infette, non deve andare à dirittura al Tempio
dell'Eternità, fi consegni al Tempo , che gli faccia fare una lunga , e
rigorosa quarantena onde bisognerà aspettare la discrezio [merged
small][ocr errors] ne del Tempo, quando le vorrà eternare! Il viaggio
poi, che fà la nave del Sole , è bensì più adagiato , perche que fta non naviga
à tutti i venti, hà delle tempefte , mà le supera, perche la regge la Prudenza;
non fà grandi acquisti, mà fono sicuri, perche li regola la Giustizia, nel
passo dell'ignominia non si ferma punto, perche non hà seco li vizj, che la
facciano trattenere per il loro sbarco, giugne finalmente al porto della
fesicicà, non avendo quanto si porta per offerta avuto in alcun tempo comércio
con cose infette, e viziose , appena presentato dall'Umiltà senza pompa avanti
il Tribunale della Giustizia, che questa fubitamente ordinerà , che si
trasporti tutto al Tempio dell'Eternità , eflendo cose pure, e non sospecte
d'inquinamento alcuno, e che fi registri ancora trà gli Eroi il nome di colui,
che l'offerisce, ed ecco la sua fortuna divenuta già stabile, ed eterna, per
goder’ancor'effa i favori dell'Eternità. AveteAvere già sentito il tutto,
ora siete in istato di deliberarvi, e di prendere quel partito , che vorrete
per consiglio mio, imbarcatevi pure nella nave del Sole, se avete tutti li
requisici necessarj, che sono abilicà, e buoni costumi, e se ne siete privi,
procurareli pure à tutto costo, perche farerc più sicuri di portare
offerte , fe non molto considerabili, alimeno sincere, ed affai gradite
dall'Eter nità, se lo farete di controgenio : Durum eft confcendere navim
; sappiare però, che è un quieto vivere, dove l'ainbizione non perturba la
fantasia, l'ira non rode il cuore, l'invidia non consuma le mi. dolle, la
superbia non accieca , e dove finalmente tutti gl'altri vizj non possono punto
nuocere, ftantechè non vi dimorano, l'ingresso vi parer à duro, mà il rimanente
vi riuscirà felice, e quando non aveste altro motivo di sceglierla, vi doyria
animare å farlo , che Ippocrate per andare in Abdera à cercare la sua forte non
fi fervi della nave felice, nè di Giano, mà benisi di questa del Sole, e
la : CO- . [ocr errors][ocr errors] comendò non solo prima
d'averla provata, mà molto più dapoi, dicendo; (b) Cui cum Solis figno, etiam
fanitatem apponito cùm re verâ , prospero numine vee la fecerit . E certamente,
che prospero numine ancor in questa si navigherà per, essere regolata dalle
sole virtù. Se poi sarete risoluti di cercare la vostra forte sù la nave
di Giano, procurerete almeno di non navigare à curti li venti, e terrete
frenato il vostro inte. resse,acciocchè quando la Giustizia non potrà navigare
, esso non ordini il disancoramento, e che quando la Sincerità vorrà operare,
allora l'Adulazione non la turbi, e finalmente difautorerete tutti li vizj, che
ivi ritroverete, e li porrete in catena , come tanti schiavi, altrimenti sotto
specie, ed ombra di virtù v'inganneranno sempre: Fallit enim vitium fpecie
virtutis, umbra. Operando voi in questa maniera, acquisterete più gloria,
che se navigate nella (b) In 1.6 2.epift. ad Damagetum. F4
[ocr errors] nella nave del Sole, perche vi farete saputi ancora difendere
dagl'inimici domestici , e la vostra fortuna restando ammirata del vostro inodo
d’oprare , vi sarà molto propizia , e gli darete voi medesimi stimolo
d'invigilare à vostro favore, vedendo , che operate per eternarla; sappiate
però, che in tutto il tempo di detta navigazione, vi converrà stare
vigilantissimi , e non meno di quelli, che passeggiano sopra precipizj, mà à
far questo hoc opus : bic labor eft. Da queste trè figurate navigazioni,
comprenderete non solo ciò, che nel corso di vostra vita vi potrebbe accadere,
mà il modo ancora di schivarne ogni finiftro, che fosse valevole à ritardarvi
l'acquisto della buona fortuna , perche se voi da bel principio vorrete darvi
in preda a' viziosi piaceri , che progreffi mai potrete fare ? E che fortuna
prospera potrete conseguire? Ed incominciando una volta à gustare le viziose
delizie , non avrete più palato capace di assaporare il nettare delle vir
tù; [merged small][ocr errors] [ocr errors][ocr errors] tù ; la malizia,
l'inganno , e la frode vi sosterranno sino che gl'è à grado , mà alla tine
avendo conseguito ciò, che bramavano da voi , vi lasceranno cadere, anzi forse
ajuter anno, come fanno l'infidi compagni, nel precipizio maggiore delle miserie,
nel quale ritrovandovi, di chi vi dovrece lagnare? forse che della vostra mala
sorte innocente , quando, che voi medesimi ne licte stati glautori. La vostra
fortuna non ha mancato , ella troppo hà fatto per esservi propizia, ambiva di
favorirvi, mà voi all'ora la tenevate lontana, perche credevate, che il
trovarvi in delizie, in ispafli, e viziosi divertimenti, fosse il miglior
negozio, che potreste mai fare : E se talvolta v'infinuava la strada delle
virtù con qualche stimolo interno , voi la rigettavate con dispreggio , onde
meritamente esclama contro costoro Ippocrate : (c) Indoetus autèm qui eft ,
quomodò fortanatè affequi poffit? Si quid enim etiàm affequatur, non
Memorabilem fanè fucceffum babebit ; Qui enim (c) Hippode locis in bom.
3. A 3 [ocr errors] cnim non rectè quid facit , non fortunate
affequi poterit , quum reliqua , quæ æquum et facere, non faciat;cd altrove
:(d) Ego verò ut fortuna quidem quavis in re non nibil tribuo , ità certè
cenfeo malè à morbis curatis , ut plurimùm adverfam fortunam contingere ; e
nell'epistola à Damagero così dice, parlando di simili sfortunati viziosi:
Eorum res adversas derideo,eorum infortunia intento rifu excipio. Veritatis
enim instituta violant. Se poi vorrete seguitare la strada di mezzo, e mantenervi
amico delle virtù senza discostaryi affatto dalli vizj, e questa con tutto sia
meno pericolosa, non è molto sicura , perche quantunque in essa farete più
ricchezze, stante il fecolo corroto, il buon nome non l'acquisterete stabile, e
di lunga durara, edin conseguenza incostante farà la vostras fortuna ,
inercèche tutti quegl’artifici usati, quelli difettucci d'adulazione di qualche
bugiòla à tempo, e di quelle mormorazioncelle coperte, di quel zeloaf(d) De
Arteaffettato, e giustizia con il secondo fine, modi più tosto appresi da
Correggiani ozioli, che da buoni Maestri, scoperti , che saranno dagl’uomini di
stima , e di senno, questi vi perderanno quel concetto, che prima avevano di
voi. Oltre di ciò, che vita mai infelice sarebbe la vostra, dovendo servire à
due Padroni Deo, Mammona : Deo, ch'è il Protettore delle virtù, & Mammona
de' vizj: Nemo poteft duobus Dominis fervire , Deo, Mammond . Mà dato
ancora il caso, che vi riusciffe di farlo, che vantaggio ne ricavereste mai,
mentre le dolcezze dell' ingenuità ve le amareggierà l'adulazione, quelle della
giustizia ve le dissapo, rerà il proprio interesse, quelle del zelo
l'attolicherà il secondo fine, vivereftę continuamente inquieti , stando sempre
vigilanti, che non si scoprissero li vostri difetti, perche vorreste passare
per ingenui , e non sareste , per giusti, e prende reste ogni arbitrio contro
il dovere, con qualche cosa di vantaggio -; ficchè il partito più sicuro farà
di vivere lontani da, 1 da'vizj, e starsene con le fole virtù
; perche quantunque le ricchezze non vi pioveranno addosso da per tutto, nè
l'aura popolare vi porterà molto in alto, con tutto ciò quel buon nome, quel
buon concetto, che formeranno di voi gl’uomini sensati, non vi sarà mai tolto,
durando sempre stabile ; perche è fondato sù le vostre virtù, permanenti sù il
vostro onore immutabile, che est Splendor virtutis , come S. Ainbrogio negli
Officj asserisce. Onde voi operan+ do bene otterrete la sorte stabile, conforme
ve lo predice ancora Ippocrate, (e) dove così parla : Fortunatè enim affequi
eft re&tè facereshoc autem qui sciant faciunt , e d'avantaggio, viverete
con una somma tranquillità d'animo,perche goderete tutto quel gran dilettoyche
apportano le virtù a' loro seguaci, non potendosi ciò per altra via conseguire,
mentre: (f) Semita certè=Tranquilla per virtutem patet unica vitæ ; nè per
questo non istabilirete la vostra casa, anziche 1 le). Deloc.in hom. [f]
Juvenalis forira 10: me ز meglio degl'altri, e per due
ragioni, la prima, per avere fatto li voftri acquisti onoratamente con le fole
virtù; l'altra poi, perche il mondo non è così spopolato d'uomini, che amano, e
seguitano le virtù, quanto da alcuni si crede, effendovene di molti, onde voi,
che se guitare questa buona via ò sarete pochi, ò numerosi ; se pochi, viverete
bene, perche da molti Tarete stimati, fe poi į farete numerosi, converrà,
che li viziosi ancora , ch'avranno bisogno dell'opera vostra
s'accommodina alli vostri retti costumi. Caminando dunque voi per la via
delle fole virtù , potrete senza fallo conseguire la vostra buona sorte, e por
trete allora dire çon ragione : Nos te, Nos facimus fortuna
Deam, coloque locamus • Dove che caminando voi diversamente,
appena vi sarà permesso il poter dire : Nos facimus fortuna Deam ,
mundos que locamus, Stan [ocr errors] Nos te , Stanteche
appena sù l'aura popolare iftabile, in tal caso, la potrete appog. giare,
nella quale non si curò punto Ippocrate di fondare la sua fortuna, come da più
motivi si ricava, c primieramente, da ciò, che scrisse egli à Democrito,
manifestandogli, che dal volgo, disprezzatore delle buone opere, aveva ricayato
più tosto riprensione, che onore, con che fà credere, ch'egli non procurava có
compiacergli da cattivarselo, affinche aveffe detto bene di lui, e l'avesse
onorato, perche la sua politica solo consisteva, in operare, conforme si
doveva, ed in far ciò, che solamente era decente al vero Medico, conforme fi
spiegò nel primo de' suoi Aforismi in tal guisa : Se ipfum præftare oportet,
quæ decent facientem; e ciò in termini prù preciâ l'individua affai meglio in
altro luogo , (8) dove così dice : Neque verò gratiam, qua tibi homines
demerearis subtrabo , cum fit Medici præftantia digna , eorum autem, que per
Instrumenta adhibentur, & de mon (8) Hipp in lib de
præcepto monftrationis eorum, quæ fignificant , reliquarumque ejusmodi
memoriam adeffe oportet, quod fi vulgi tibi audientiam comparare voles, id non
valdè gloriosè insti. tuas , neque tamen cum ostentatione portia. câ fiat,
industrie enim impotentiam arguit, neque certè probo induftriam multo labore
partam in alium ufum transferri , quod per Se fola ut eligatur grata fit ;
Inanem enim fucı laborem cum ambitiofà oftentationes tibi impones. In
oltre tal verità si ricava ancora , dall'aver egli ricusato il servigio del potentiffimo
Rè Artaserse, mentre certa cosa'era, che se avesse desiderato d'acquistare
l'aura popolare , non doveva egli ricusarlo, poiche ritrovandosi in un tal
posto, senza dubbio alcuno tutta la Persia saria corsa ad onorarlo, niuno
averia potuto più dir male di lui per tema di non incorrere nell'indignazione
del Rè potentissimo Artaferse, onde con averlo ricusato dà à divedere, che egli
non fi curava punto di dett'aura popolare, nè delle ricchezze, e fortuna, che
dacssa provengono, conforme apertamente fi spiegò nella lettera scritta alli
Abe deritani, dicendo ivi: Ego verò fi omnibus modis ditefcere voluifem viri
Abderia tæ , nè decem quidè m talentorum gratiâ ad vos venirem, fed ad magnum
Perfarum Regem proficiscerer , ybi &c. E per far conoscere meglio à
tutti, ch'egli non caminava per la via dell'aura popolare, nè delle ricchezze,
mà bensì per quella della sola virtù volle portarsi in Abdera , folainente per
visitare, e trattare con Democrito, e questo perche lo faccffe lui medesimo lo
confesso, dicendo : (b) Eum autem gravibus , firmis moribus ele præditum
intelligo ; talmente, che stimò egli fortuna maggiore quella, che sperava
ottenere con trattare con un'uomo di questa sorta , per apprenderne da esso
qualche buon dor cumento, non solamente de i dieci talenti offertigli
dagl’Abderiti,inà ancora di tutte le ricchezze, e grandezze insie: me della
Persią, & udite con quantan chiz (h) in etir. Abderit. [ocr
errors] chiarezza lo dice : (a) Rex Perfarum nos ad fe vocavit nefcius mibi potiorem
of fapientiæ , quàm auri rationem . E finalmente , acciocchè meglio
comprendiate , che quanto v'hò detto intorno alle trè strade, che vi sono per
cercare la fortuna, o qual di queste dobbiate scegliere, s'uniformi sempre più
con i sentimenti del gran Maestro, confermiamolo ancora con l'accennate trè vie
di cercare la fortuna , contenute in detta lettera. Primieramente con il
quomodocumque ditefcero ci addita un bivio, cioè tanto la strada, che conduceva
in Persia , à fare acquisto di cesori, e grandezze considerabili, che quella di
Abdera , che allettava all'acquisto di dieci foli talenti ; La prima di queste
egli non la ftimò à proposito, perche conduceva in paesi barbari, inimici, e
dove vi era la peste ; La seconda nè tampoco , perche dubitava, che quel vizio
dell'inte, resse, que' dicci talenti, avessero possuto rendere servile, e
schiava la sua virtù, G cosa (a) Hippo in epiß. Denetr. cosa
fece egli per battere su'l sicuro, fi fabricò la terza via, espurgata da ogni
vizio, e prima d'incaminarti per essa la descriffe in tal guisa all’Abderiti:
Mihi verò ad vos venienti , non Natura , neque Deus argentum promiserit . At
nequè vos [viri Abderite] per vim obtrudite, fedlia berè artis liber â elle
finite operâ . Qui autem mercede operam fuam locant, hi fcien. sias, tamquàm ex
priore libertate manci. pio dantes , fervire cogunt . Oh Ippocrate, se
questi tuoi documenti fossero stati mai dati à rivedere à quel Quinto Petilio
Pretore Urbano, à cui pervennero in mano i libri del dia finganno composti da
Numa Pompilio , certamente che,ò l'averia fatti brugiare, conforme che fece
quelli, o pure ti averia fatto quel favore , che fecero gli Abderiti al suo
Democrito, che lo dichiarorno pazzo, e fi faria servito come Precote delle
seguenti cognecture per dichiararti cale, primieramente avrias dedotto contro
di te, che tu per portarti da Democrito, da cui non potevi sperare bene alcuno,
perche appena aveva un Platano, che lo difendeffe dal Sole, ed un sedile di
pietra, dove potesse sedere, mostrasti smoderato desiderio d'andarvi, conforme
costa nella prima lettera scritta à Damageto , dove così dicit Navem ad nos
mittito , fed fi fieri poteft, Hon remis , fed alarum remigio instruct amo res
enim, eu amicitia urget. In oltre, che per benc andare in Persia ,
dove, oltre offerte sì grandiose , eri tanto desiderato da un Rè potentissimo,
cu fosti prontissimo à rie cusar la chiamata , conforme costa nella lettera da
te scritta ad Hiftano, senza riflettere , che quel potentissimo Rè poo teva
distruggere la tua Patria per tua cagione. Chi dunque procura , ed effettua con
tanta sollecitudine, ed anfietà una cosa, che non gli può recare profitto
alcuno , e ricusa con altrettanta prontezza ciò, che gli può moltissimo
giovare, senza considerare ciò, che può sopravenire di male dal ricusarla ;
certamente, ch'egli si può condannare per pazzo. Saria stata però troppo
ingiusta que [ocr errors] quefta sentenza di Petilio , quando
l'avesse cosi pronunziata , poiche per condannare un'uomo savio per pazzo, prio
mierainente si ricercano più rilevanti prove di queste : in oltre bisognava
dargli le sue difefe', in cui deducesfe lc sue: ragioni prima di condannarlo,
nelles quali faria stato dedotto, primieramente, che non sussisteva in fatto,
che da Democrito non se ne poteva sperare bene alcuno, costando
dall'Ippocratica confeffione , quanto mai di bene egli ne ficavasse , ch'è
questo: (b) Tum ego Democrite præftantisime magna hofpitalitatis tud
munera mecum in Co reportabo, cùm multa me fapientia tua admonitione
compleveris. Prçco enim tuarum laudum rem vertor, quod natura humana veritatem
inveftigasti, a mente complexus es; Acceprâ autem à te mentis curatione discedo
; La grand'ansietà dunque di andare à fare simili acquisti, non era indizio di
pazzia, ma bensì di somma prudenza , di sommo giudizio. Che poi per noneffere
andato in Persia foffe censurato a torto è chiaro, mentre non avendo alcun
bisogno di quanto gli poteva da ciò risultare, conforme egli confesso: (c) Nos
vietu, veftitu, domo, omnique read vitam neceffariâ cumulatè frui ; Perfarum autem
opibus uti , nequè mihi æquum eft; non doveva esporsi di andare à fervire
popoli barbari , ed inimici, e quanto erano maggiori l'offerte, che gli faceva.
no , tanto più lo costituivano loro schia, vo. E quando vi fosse andąco, cosa
mai averia riportato? Oro, argento, onori sommi, e grandezze, e quetti potevano
paragonarli all'acquisto, che fece, con Democrito, di dottrina, e faviezza di
mente maggiore? Ed essendo egli andato per curare uno creduto pazzo, per
cagione di quel medesimo ei ritornò più savio, e più dotto di quello, che era
prima ; e da ciò fi può dedurre quanto mai bisogna stare cautelato à dichiarare
pazzi coloro che non sono potendo queIti tali talvolta illuminare ancora i
Savja L'or(c) In epif. Hylani. [ocr errors] L'ottima dunque di queste
trè ftrade fi scelse Ippocrate , per acquistare la sua fortuna, e Pottenne
profpera, stabi. le, ed eterna i poiche fino, che il mondo durerà, la fua
fortuna ancora sarà ri. fplendente; per questa voi dunque vi dovete indirizzare
le volere effere suoi veri seguaci, e questa ancor meglio la scorgerete, dapoi,
ch'avrere nella Giornata di domani udita la gran deformi. tà de' vizj, ed il
danno grande , che possono apportare questi al Medico, che caminasse per quella
via , giacchè conto traria juxtà fe pofira magis elucefcunt , GIOR
[blocks in formation] Nella quale si tratta delli vizj , mostrando quanti
pregiudizi poffona apportare al Medico , e le in lui alcuni di esli pana
fcufabili , almeno quelli, che sembrano Ermafroditi. [ocr errors][merged
small] Na dura , ed ardua Provincia og gi intraprendo per voi, dovendo
parlare contro la corrutela del tempi, ' lati, e contro uno stile già
invecerato , con tutto ciò bramando voi sapere da me il vero per non
ingannarvi, dirò con Seneca ; (f) Quaramus quid aprime fa&tum fit, non quid
ufitatissimum, & quod nos in poffeffione felicitatis eterna conftituat, non
quod vulgo veritatis peffimo interpreti probatum fit. Vorrei potcre
scusare ancor io li vizj, conforme fanno quelli, che li rimirano solamente
mascherati con gli abiti delle virtù à fine di consolarvi, sc cofa
G4 [merged small][ocr errors] [ocr errors] 104 Dell'Idea del vero Medico.
cosa difficile vi sembrasse mai il poteryene affatto spogliare. Per esempio
ricoprono la bugia con il manto della prudenza , e dicono, ch'è prudenza di
celare all'Infermi la verità, perche ciò fi fà per loro bene , acciocchè non si
contristino maggiormente del male, che foffrono. Gli adulano ancora talvolta se
defiderano qualche cosa , che non competa loro, con tutto, che possa molto
nuocere, sotto pretesto d'aver carità, ed à fine, che vietandola non
s'inquietino maggiormente, e così vanno ricoprendo molti altri vizi per
renderli familiari, e meno deformi . Mà perche hò promesso di parlarvi con
chiarezza, e fincerità, non potlo, nè devo adularvi. Li vizj li dovrete cenere
per vizj; e le virtù per virtù : Li vizj, e le virtù le dovete considerare ,
come due linee p2rallele, che non possono in alcuna delle loro
particombagiarli, come due contrarj diametralmente opposti, che non possono tra
loro convenire; Dovete con. fiderare li vizj come mostri spaventofi ,
che che avvelenano con l'alito chiunque ad effi fi avvicina , come dunque
ardin, Tete d'accostarvi ad essi per ricoprirli? Mà conceduto ancora ,
che si poteffero mai travestire, ditemi di grazia, viaggiorefte voi con una
comitiva di ladroni, benche fossero travestiti in abito di gatantuomini,
caminereste sicuri di non effere offesi da essi, con tutto, che fossero sì
civilmente adornati a Certamente mi risponderece di nò: Tali apa punto fono li
vizj, poniamoli addosso quelmanto, che volemo, e questo non facendoli mutare il
loro perverfo costume, sempre vizj saranno, sempre nuoceranno di molto ; E
siccome li Leoni, e le Tigri per quante carezze loro fi fac ciano mai
deporranno la fierezza, cosi ancora al parere di Seneca: Vitia nun, quàm bona
fide manfuefcuniş trasmutateli pure in che sembiante volete, anzi, che essendo
questi travestiti , faranno de danni peggiori, perche non potendosi conoscere
per vizj à prima vista, non li potranno subitamente scacciare da
chiKabborrisce, onde ancora trà questi ayeriano all'ora maggior campo libero da
machinare le loro infidie, ed acciocchè meglio putiare scoprire li loro
tradimenti, contentatevi, che ve ne descriva qualch’uno di quelli , che nel
Medico fono più decestabili, e nocivi, con pers mettermi che non servi
quell'ording solito à praticara da chi tratta di esli , perche essendo
fregolati non meritano di effere trattati con buon'ordine, ba. standomi solo di
farvi capire la loro deformità, c quanto erano mai da Ippo, crate odiari, e
creduti nocivi al vero Medico, mentre giudicò essere parte di buona Medicina il
saperfi:(8) Qua faciunt ad demonftrandam incontinentiam quæftuofam, &
fordidam Professionem ixexplebilem habendi fitim , cupiditatem, de traditionem,
impudentiam , fiquidem iftas Spectant ad eorum cognitionem dc.e non già à fine
di seguitare , må bensì di fug. gire fimili diferci. La bugia, inimica scoperta
del ge nerc (g) De decenti babita. nere umano, come tratta li suoi
fidi re. guaci & Li separa, scoperti che sono, dal publico, e privato
commercio de viventi, fà, che niuno presti loro più fede, gli costituisce
infami, e li pone il più delle volte in evidente pericolo di vita, facendoti
publicare ciò, che non fù mai verità, e questa come si potrà scusare nel Medico
in ispecie, in cui ella è reato più grave, che non è in altri Profeffori, sì di
Legge, come ancora di Teologgia, e che ciò sia, veniamone alle prove, Dica una
bugia il Procuratore al suo Cliento gli potrà pregiudicare nella robba, venendo
talvolta à perdere mediante quella la sua lite ; La dica un Teologo, che abbia
di già prevaricato, à chi è da lui diretto nello spirituale, gli farà perdere
l'anima ; La dica il Medico al suo Ammalato, gli farà perdere la robba, la vita,
e l'anima insieme , ed ecco l'esempio chiaro: Dica il Medico al suo Infermo, il
di cui male si avanza : Lei stia di buon'animo, che la sua infer. mità non è di
gran momento , li segni non [ocr errors] nonsono mortali , Ella
guarirà , fi fidi di me, viva pure sicuro, e riposato ; mediante questa bugia
l'Infermo non pensa a' casi suoi, non aggiusta le partite dell' anima, che
premono tanto, non fà téItamento, non dinunzia li suoi crediti, è ripostini
segreti, non accresce diligenze, acciò la sua cura sia allistita da Me. dici
più esperti, si avanza tanto in un tratto nel male, che si sopisce, o sų aliena
di mente, resta incapace à fare cosa alcuna di proposito, e se ne muore, ed
ec che ha perduto la vita , la robba, e l'anima ancora, se per ispeciale
grazia di Dio non fù illuminato à pentirsi de' suoi peccati prima , che
diveniffe incapace à poterlo fare, e questi sono trè reati nati da una sola
bugia, la quale benche dete ta à fine di sollevargli lo spirito, in vece di ciò
gli hà cagionato un'improvisas morte, per lui così svantaggiosa. Dis spongono
le leggi, che li delitti sono maggiori, e più qualificati, quando li
delinquenti ne hanno commessi numero maggiore, è della medesima fpeçie, ò
CO, equivalenti, ficchè calcolandosi mag. gior numero di tali reati nella
bugia del Medico, che in quella del Legista, e del Teologo, in conseguenza
viene , che è più grave delitto la bugia nel Medi. co , che negl'altri due
sopr'accennati Profeffori. In oltre se il Medico, per persuadere al suo
Infermo, acciò prendesse con maggior fiducia il rimedio da lui propostogli,
affermasse, che quel medesimo avesse giovato ad altrui, e ciò non fosfe vero ,
rincontrandosi poscia la verità, in che discredito rimarria ape preffo à cui
disse tal menzogna, certo è, che non lo terria in avvenire più nel numero de'
veri Medici, mà bensì di parabbolani,de' quali Ippocrate cosi disse: (h)
Virtutis apud ipfos modus eft , id quod deteriùs eft, mendacii enim ftudium
exercent ; e parlando de' Medici menzogneri così disse: (i) Quapropter veritate
nudati, omnem improbitatem, ac ignominiam ing duunt. L'adulazione è vizio, che
s'infinua dol(h) In epiß. Domag. (i) Dedec.bablik, dolcemente, e
con galanteria , è un veleno , che fi beve fraposto con un'apparente netrare, e
questa parimente nel Medico cresce in qualità di reato, posciacchè dica
qualsifia altro Adulatores à taluna, ch'è deforme, non meno di aspetto, che
povera di abilità.: Voi Giete una bellissima, una compitissima , egalantiffima
Giovane, fiete eccellente in molte cose; nelle quali non avete chi vi fuperi ;
le darà compiacimento bensi con formo suo diletto, ma non l'ucci derà ; Dica il
Medico ad una sua Infer. ma, che desidera gustare un grappolo di uva: V. S. ne
puol mangiare un poco , perche bisogna condescendere qualche volta al desiderio
dell'Inferma , quod face pit nutrit , lo faccia pure liberamentes Se la povera
adulata Inferma lo farà, non folamente vi averà compiacimento, e diletto per
allora , mà poscia potrà ancora morire per tal cagione, non è quem sto caso già
da me inventato, mentre si legge in Ippocrate seguito nella figlia di
Eurianatte, che per aver gustata l'uvale crebbe non solo notabilmente il male,
mà se ne morì, dice egligdoppo di avere narrato, che l'era sopragiunta la
refrigerazione delle parti estreme il delirio: (1) Ifta autèm ut ferebant ex
deguftata uva huic contigerat ; potrete dunque voi nel Medico scufare
l'adulazione omicida per conciliarvi la grazia dell'Infermo ? Risponderà
Ippocrate certamente di no, perche dice egli in termini precisi dell'adulazione
nella regola dal vivere: (m) Is velut res horrenda vitari debety a gratia
vitanda per quam unitas deperit. E non solamente è reato gravissimo nel
Medico l'adulazione in ciò, che riguarda la regola del vivere, mà ancora nel
prescrivere medicamenti . V'incontrerete in molte contingenze, nelle quali
gl'Infermi , ò glastanti proporranno riinedi, ed il più delle volte quegli, che
non saranno à proposito, in questi casi avvertirete bcnc à non adulare il genia
di chi li propose', mà doverete fare ciò, che il bisogno richiederà, e non
altri menti: (1) Epid.lib.3./46.2.egroting (in) Do pracipe. [ocr
errors][ocr errors] per adula menti: Conforme ancora, se venendo
proposto da altri Medici ciò, che non vi parerà essere profitcevole
all'Ammala- to, in tal caso non dovereste zione tacere, e lasciar
correre ciò, che fù proposto da altrui , mà bcnsi con tut- ta
civiltà addurre li vostri motivi, cra- gioni, che avete in
contrario, à fine venghino esaminati,essendo questo l'ob- bligo de
veri Medici, conforme Ippo- crate insegnò, dicendo: (n) Qui quid-
quid do&trinâ acceperunt in medium profen & facultate
dicendi utuntur , ad gratiam comparati, & pro gloria,qua indè provenit
decertare parati,doctrinam fuam ad veritatis lucem repurgantes.
Dell'Ateismo vizio esecrando non ve ne saria d'uopo parlarne , perche egli è
cosi repugnante, che chi hà uso di raa gione mi pare assai difficile vi poffa
in effo cadere, con tutto ciò, perche certe proposizioni, che sparse, e
feminate alle volte fi ritrovano in alcuni libri, che vengono da lontani paesi,
potriano alle menti (n) De decohabitu. runt , 1 0
[ocr errors][ocr errors][ocr errors] inenti di voi, che volete volare troppo i
alto,recare qualche disturbo, non istimo superAuo di dar loro sopra ciò
qualche luine, à fine stieno più circospette, e cautelare, e
particolarmente nel sentire certe proposizioni dirette à ridurre le
operazioni animaftiche alla sola machi26 na, e struttura del corpo fatta
dalla na tura, con sì mirabile artificio, guarda tevene pure da
queste , perche hanno de l'ateismo nascosto, e tenete fermo, che en vi voglia
sempre un primo Movente di . ftinto, e separato dalla struttura, perche
de quantunque la detta struttura fia necef. faria alli moti interni, ed
esterni , nulla- dimeno senza il primo Moyente, che è l'anima
rationale nell'uomo , cessa ogni li moto regolato, come si scorge chiara.
mente ne' cadaveri, ne' quali con tutto, che rimanga la mirabile
struttura , sepa- rata ch'è l'anima dal corpo iyi
ogni mo- le to regolato finisce. Nè
solamente nel leggere ciò , che viene scritto converrà stare cautelati, e
circospetti, mà ancora in quello fi sente [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] riferire intorno alle pazzie di coloro , che, per essere
reputati di singolar dottrina , tralasciorono di credere ciò, che dovevano,
perche non capacitava le loro meni materiali, se non ciò, che con li propri
occhịrimiravano, ò palpavano con le loro mani, contro de' quali Sant' Agostino
fortemente inveisce, chiamanı doli uomini di carne. Spero dunque, che per
quanto leggerete di male in questo genere , ò sentiFete dire, non diventerețe
così pazzi , che vi vogliate assomigliare alle bestie , Je quali, in ciò, che
riguarda il dare un minimo contrasegno interno d'eternità, punto non s'assomigliano
all'uomo,mentrechi mai di effe ha saputo ritrovare il modo di scolpire, ed
intagliare l'effigie brutale di alcuna della sua , ò d'altra fpecie, come seppe
inventare l'industria umana? ed ancora in durissime pietre , per conservarla
visibile, tale quale appunto ella fù vivente, per secoli innumcrabili? e ciò
donde è proceduto ? se non da quell'interno desiderio , che l'uo
) [ocr errors] Puomo hà in fe fteffo d'eternità. L'Ira è un vizio,
che deforma li suoi seguaci, li quali conforme diffe un sayio Letterato, molto
da me stimato, eriverito, fe questi li potessero rimirare nello specchio ,
allora, che sono nel suo furore, yedendosi divenuti così deformi, e
trasfigurati in mostri,odierebbono,non solamente cal vizio , anziche se
medesimi; Modo tenuto dalli Spartani,che per fare concepire orrore
all'ubriachezzas conduccyano li loro figliuolini in certo tempo dell'anno, nel
quale fi concedeva libertà d'ubriacarsi, in luogo publico , affinche questi
vedessero , che deformę spettacolo cagionava tal vizio, per concepirne in
avvenire di esso maggior spavento . Voi dunque per meglio apprendere à che
segno dobbiate tenere lontana da voi l'ira, non accaderà velo moftri con parole
, essendo di maggior efficacia , che rimiriate con li vostri propri occhi , in
chi si trova adirato, più al vivo una tale, c tanta deformità, giacchè: H
2Segnius irritant animos demiffa per aures [ocr errors] Quàm quæ
funt oculis subiecta fide "libus, E così comprenderete meglio ancora
, se tal vizio sia tollerabile nel Medico, che deve avere sempre l'animo
compofto , conforme comanda Ippocrate de Medico : Eum quoque spect are oportet,
ut animi temperantiam excolat, non taciturnitate folùm , verùm etiam reliquâ
totius vita moderatione , quod ad illi comparandam gloriam plurimum affert
adjumenti ; e più chiaramente, ancora lo comanda in altro luogo, (a) dove dice:
Ne quid perturbato animo facias ; Ed è la cagione appunto di ciò, perchè il
Medico, che deve invigilare con somma attenzione alle cure de' suoi Infermi,
non deve avere la mente turbata, per poter meglio discernere li partiti
megliori, e più profittevoli, che dovrà prendere à prò de fuoi Malati, ed à
tale effetto Ippocrate comanda, che sia incombenza del Medi co (a] Inlib
de decora. co il sedare litumulti, ordinandoli ef pressamente:(6)
Tumultus verbis caftiges, G ad omnia fubminiftrandi te prome ptum
adhibeas. [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] Converrà però prima in voi medesimi se mai foste dall'ira
predominati, che sediate li vostri interni cumuli, per poter muovere più
facilmente glaltri con il vostro buon'esempio ad imitarvi. Mà vi sono
alcuni Iracondi, che credono essere cosa nociva alla salute il ceprimere in un
subito li loro primi moti, onde per tal cagione lasciano termin nare il loro
corso : Mà quanto questi s'ingannino lo fà vedere Ippocrate con dire :(c) Ira
contrabit , cor, pulmonem in fe ipsa, din caput, & calida , bumidum; il
qual testo Vallesio così la spiega : Ira eft furor fanguinis circa cor c.
hinc fit ut fervente Sanguine,cor , pulmo , & caput calefcant , &
repleantur. Nimirùm fanguis fervore tumet, & venas, arteriasque tumefacit,
fed ob vebementem calorem, qui illis in locis eft, co contrabitur ubi[b]
Dodec.hab. [c] 6.Epid.fe5.4., [merged small][merged small][merged
small][ocr errors][merged small] [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] H
3 ubique fanguis. Undè fit, ut multis ob iram oculi, du vene frontis
intumefcant, & tota facies rubore suffundarur , eo tempora pulfent , &
caput doleat , quin do febris fuu perveniat . Si persuadono dunque questi, che
gl'accennari danni che cagiona l'Ira à parti sì principali, sia più vantaggio
di pazientarli, che di rimuoverli? Onde non dovrete in conto alcuno farvi
dominare dalla collera, e non solamente per quello che riguarda la buona
direzione della cura, mà ancora li vostri proprj avanzamenti, stanteche quel
povero Infermo pur troppo annojato dal suo male , avvedutofi, che ancor voi gli
accrefcere moleftia, adirandovi per ogni piccola cagionc,se ne disfarà
facilmente per non potervi più soffrire. La Superbia nella Medicina à che
segno sia deforme riflettetelo in Menecrate Medico, che insuperbito forfe per
effergli alcune piccole cure riuscite felici, ed ayer sentito dire, che
Esculapio, in quei tempi rozzi per tal cagione fù annoverato trà Dei, egli
volendolo su pe [ocr errors][ocr errors][merged small][merged
small][merged small] perare, scrivendo ad Agesilao Ř è de Spartani ; pose nella
soprascritta : Ager filao Regi Menecrates Juppitèr ; gli calzò bene però la risposta,
che gli fù data da quel saggio Rè in tal guisa : Menecrati Medico Agefilaus Rex
mentis fanitatem; nè fù ciò sufficiente per reprimnere la sua superbia , mentre
riferisce Leone Sansio, (d) che : Eo furoris in hoc genere delatus eft , ut
quofcumque liberaffet à morbo jurejurando anté sanitatem rcceptam adıētos ,
Jecum deindè benevalentes adduceretistatis temporibus tamquam fervos;
atquè jatellites, eâ tamen lege, ut alius quidèm Herculis insignibus indutus ;
alius Apollinis babitum gerens ; alius Mercurii perfonam fuftinens , alius
aliumi mutatus in Deum, Menecratem, utpote Jovem Optimum Maäimum Dii minorum
gentium sequerentur. Onde converrà, che la teniate lontana da voi , per non
essere stimati pazzi, e maggiormente quando vi troverete nell' auge delle
vostre prosperità , perche allora la superbia molto vi potria nuocere, fc
[d] In Florid.9.prafat. [merged small][merged small][merged small][merged
small][ocr errors][merged small][merged small][merged small] H 4 se foste
da efla dominati, allora vi sforzeria à distaccarvi dalli vostri più antichi, e
cari amici, solamente perche vi conobbero prima, che le vostre fortune
incomincialfero : E pafferia ancora più oltre allora il suo ardire, fe ella
potesse dominaryi à suo modo, meiltre vi faria prendere tal compiacimento di
tutte le vostre, sì grandi, che picciole opere, come se fossero singolari, e da
niun'altro fattibili à quella perfezzione, che voi fatte l'avrete, senza
permettervi punto d'indugiare å formarne concetto, con forine far fi deve delle
cose proprie , almeno fino a tanto, che dal tempo fiano tolte dalle mani
dell'Adulazione, e pofte in quelle della libera sincerità, à fines che doppo
averle ben confiderate dia loro il suo giusto valore, secondo il quale , e
forse meno deve stimare le cores proprie, chi si trova in prosperità di fortuna
, per goder egli il favore dell'adulazione. Onde in tutti gli stati , e
maggiormente in quello di prosperità, nel quale sarete più oiservati da tutti
doveteseguitare l'ottimo conseglio d'Ippocrate , (e) che dice : Medicum
urbanitater quamdam fibi adjunétam babere convenit, affinche possiate effere da
tutti tenuti cortesi, umani , e senza superbia. La defiftimazione, ed il
disprezzo del compagno è un vizio dependente dalla superbia, onde develi dal
vero Me dico abborrire, al parere d'Ippocrare: Ne superbus , do inhumanus
videatur ; E tanto più , che deve essere d'animo modesto, e cemperato , di
ottimi coitumi, umano, e giusto, conforme egli giudicò nel libro de Medico : E
se il Si. gnore diede à voi maggior talento degl' altri vostri compagni, perche
nel coufronto, che ne fate, in vece di ringraziarlo, mostrate più tolto di
biasimarlo, con dire, che difetraffe in non fare uguale à voi chi è d'inferiore
capacità di voi, potendo il disprezzato rispondervi : Ipfe fecit nos, & non
ipfi nos; Dunque, che colpa è la mia 2 E non avendo voi ragione da dotervene
meco, prendeteveland con Tel Dedec.org. [ocr errors] con chi mi hà
fatto ; sicchè fuggire pure fimil vizio, che può ancora paffare più
oltre,inentre da quel disprezzo,da quel- la disistimazione
nascendone il discredi- to del vostro compagno, chi sà, che
non vi facessero divenire pessimi Medici, fer- vendovi di
caloccasione per procurare qualche servigio di colui, che fù da voi
posto in discredito? Olère di che;chi fos- te mai di simile viziosa
natura disprez- zeria ancora bene spesso quelli piccoli mali, che
in breviffimo tempo possono divenire giganti con non piccolo disca-
pito della sua esistimazione. Qando mai potessero
fcufarsi, che non credo , in alcrui li vizj spettanti alla gola,
che sono la crapula, e l'ubriachez- za , nel Medico sempre faranno
molto condannati, perche dovendo egli gior- nalmente opporsi a'
defideri depravati de' suoi Infermi, con ordinar foro las dieta,
come mai potrà persuadergliela, se non gli darà egli buon'esempio?
Fa- cendo più profitto questo di qualunque ragione, al parere di
Seneca, che vuole, che [ocr errors] 1 [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] 20 che (f) Longum iter eft per præcepta,
bre ve, & efficax per exempla. E se poi de' la vostri disordini ne
fossero stati spettatori in li vostri Infermi, come mai potreste per
fuader loro il contrario, di ciò, che voi seco faceste? Se volete dunque essere
ub bediti fiate fobri, e tali certamente dooi vrete essere, se non
vorrete essere peg{ giori de' bruti stessi, perche conforme riferisce
Ippocrate:(g) Sitit quidem Aper, oli sed quantum aquæ appetit, Lupus vero
di. laniato quod Je se obtulit necesario alimento, quiescit; Mà quando
tutto ciò non vi bastasse vi doveria far abborrire que fti vizj la sola
rifellione, che questi poffono ó abbreviarvi la vita, ò per la meno
rendervela penosa, fino, che viverete. co Non essendovi cosa nel mondo
più nociva della Lussuria, chi potrà mai scue farla negl’uomini, quando, che la
vedianio sì moderata , e sì ben' regolata dal solo istinto di natura in quasi
tutte le bestie prive dell'uso di ragione , alla riserva folainente di alcune
poche , trà quali (f) Epift.6. [5] In cpif.Demag: [ocr errors][ocr
errors] ti [ocr errors] quali vi sono quelle , che più s'assomis gliano
all'uomo, che sono li Scimiotti, e Gatti mamoni, rare volte li bruti à
confusione de' sensuali fi veggono do. minati da detto vizio, se
non sono proffimi à quei tempi destinati dalla natura, per la moltiplicazione
della loro fpecie, solamente il Lussurioso è più brutale di effi , che non ha
in ciò hà in ciò tempo determinato, essendo in ogni tempo dominato dal
suo vizio, che lo consuma , & annichila, conforme riferisce Ippocrate : (b)
Ep annorum quidem temporum ordo terminus eft brutis ad choitum, at homo
perpetuò insano libidinis aftrostimulatur. Qual'estro infano di libidine
faria più , che in altri detestabile nel Medico, fe non lo sapeffe reprimere
con la sua continenza , posciacchè dovendo egli giornalmente conversare con
donne conforme avverti l'istesso Ippocrate:() Et omni horâ mulieribus ,
virginibus illi occurrunt; Sicchè Iddio guardi, ch'egli non corrispondesse con
tutta fedeltà à quella (h) In epift.Damage (i) De doc.ork
[ocr errors] per ca. quella somma confidenza , à cui gione della
sua profeflione; viene am- meslo, diverria ogni suo trascorso reato
gravillimo, sì proprio, che della pro- fellione isteffa , talınente, che
l'innocen- te Medicina ancora ne faria calunniaca. Onde voi, che
desiderate far molti pro- grelli in essa , dovrete vivere lontani,
e detestare simil vizio ; Altrimenti perde- reste ogni speranza di
fare un minimo progresso in effa ; Converrà dunque,che fedelmente
offerviate il seguente giura- mento d'Ippocrate : Juro &c.fed
castam, bu ab omni fcelere puram, tùm vitam , tùm ætatem meam
perpetuò præftabo. Ecercamente, che non dovrete fare diversamente,
sì per li vostri avanzamenti, che per profitto delli vostri Infermi, mentreche,
come mai potreste applicare con attenzione alli vostri vantaggi, alle cure de'
vostri Infermi, se le vostre menti in quel tempo divagassero altrove, e fossero
distratte in linili oba brobriosi pensieri ? Confido dunque,che con la vostra
prudenza, e temperanza [ocr errors][merged small] nonnon sarete per
cadere in simili reati , che sono detestati da putti, per essere mancamenti
commessi in mestiere di buona fede, conforme è la Medicina,
L'Ingratitudine è vizio ancor esso detestabile, per essere aborrito ancora dalle
fiere, essendosi osservata tal’una di esse aver usata gratitudine al suo
benefattore ; mà questa sarebbe ancora più detestabile, se nella Medicina
seguisse , che lo Scolare si mostrasse ingrato al suo Maestro, mostreria
certamente, è una natura molto perversa, ò di aver perduto l'uso di ragione,
mentre qual gratitudine mai potria egli sperare, che non l'usò à cui tanto era
tenuto, quali progrefli mai potria fare, allontanandosi da chi gli porge la
mano per sollevarlo, e promoverlo? Credo,che un simile yizio, Ò Giovani
generosi farà sempre lontano dalle vostre menti, conforme deve stare dalla
mente di chi spera divenire Maestro, per il motivo di non aver à ricevere il
fimile contracambio da' suoi Scolari, che stimolati dal suo mal'esempio
faria facile facile loro riuscissero essi ancora ingrati.
Quindi è, chę Ippocrate per esimere li suoi Şcolarida un fimile
obbrobriofo ar- tentato gli faceva obligare con poliza e promettere
con giuramento le seguenti cose: Juro , & ex fcripto Spondeo
planè obfervaturum, Præceptorem quidem , qui me hanc artem edocuit
, Parentum loco ha- biturum , eique cùm ad viftum, tùm etiàm
ad usum neceffaria , grato animo communi- çaturum, & fuppeditaturum,
ejusque poftea ros apud me eodem loco 9.quo germanos
fratres, eofque, libanc artem addifcere volent,absque mercede, fyngraphâ
edoctu [ocr errors][ocr errors][merged small] rum &c. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Da un'altra poco inferiore ingratie tudine
spero vi guarderete voi, che ambite avanzarvi per la via delle virtù , & è,
che se sarete da qualche vostro come pagno fatti chiamare à dar consiglio, ò in
loro assenza sostituiti à curare tal* uno de' suoi Malati , non tramerete
contro loro insidie , per subentrare in sua vece , stanteche tal’enorme ingratitudia
ne, non è usata, fe non da quelli, che sono ignoranti, e che diffidano per la
buona via delle virtù potersi avanzare ; e per tal cagione si servono di quella
del vizio ; Onde con ragione consigliava Ippocrate al Medico à non prevalersi
delli Softituti ignoranti , ftanteche de’loro errori ne resta debitore colui,
che li propone, in questo caso però non ne re, steria punto debitore, poiche
pagheria il mancamento commesso con la sua elpulfionc , & affinche non
abbiate da ri, cevere fimile ingratitudine v'iinpegnerete quanto meno potrete
di promovere ignoranti, e maliziosi , 34 0 fono e
€ L'Invidia, che per lo più proviene dalla mancanza di ciò, che fi
desidera, è da altri si vede possedere , come la po. trere seguitare senza condannare
voi stesi inabili à potere conseguire ciò, che bramate , avendolo potuto
ottenere un' altro vostro compagno, questa non vi avyedete, che vi fà
dichiarare da voi medesimi da poco, e codardi ? Onde impiegherete aflai meglio
tutto quel tenipo,e pensieri,che malamente li spregano [ocr errors][ocr
errors] in invidiare il bene altrui, con cercare di conseguire ciò, che
desiderate , per le sue yie proprie, & oneste, e credetemi, che questo
vizio non regna se non negli animi vili, e codardi , trà quali voi, che avete abilità,
e spirito vi dovete vergognare di esservi annoverati,e tanto maggiormente, che
questi viziofi furono da Democrito giudicati ancora stupidi, ed
ignoranti,allorche ad Ippocrate disse:(a) Et certè fufpicor pleraque in Arte
tuâ aut per invidiam, aut per ingratitudinem palàm contumeliâ affici ; & in
appresso dice , Cum fint ignorantes , quod melius eft dama nant , calculoruin
enim fuffragia stupidis attribuuntur, nequè ægrotantes fimùl ap probare
volent, neque ejusdem Artis focii bi teftimonio confirmare , cùm invidia
obfter Gr. Veritatis enim nulla eft cognitio, nei què teftimonii
confirmatio, Ed è certamente cosa assai difficile, i che li seguaci di
simil vizio poffino con tenersi nel semplice desiderio di ciò, che da
essi è invidiato, senza passar più oltre [ocr errors] ne (a) In
epift.Damaget. in procurarlo ancora , e con modi ignominiofi, anziche si
serviranno talvolta della calunnia, e dell'inganno, per confeguirlo, e vi pare,
che simili maniere fiano degne del vero Medico rationale ? Quando Ippocrate (b)
giurò, che : Medicum ratione utentem, alterum numquàm invidiosa calumniaturum?
Mà che siano modi praticati solamente da quelli, che Forensem quæftum fectantur
, trà quali non faria convenevole, che voi fofte annoverati. Mà acciocchè
possiate mantenervi lontani da simile obbrobrioso yizio, sarà necessario, che
vi dia alcuni utili avver. timenti, che sono: Vedendo yoi avanzare qualche
vostro compagno nellinegozj,è cosa nacurale,che fentiate dentro di voi un certo
stimolo, che incomincicrà da principio a farvi contriftare,e questo sarà
appunto il primo seme, che insinuerà dentro di yoi l'invidia per farvi divenire
suoi seguaci, di questo, affinche efla non trionfi di voi, è servitevene
disprone per avanzarvi ancor voi, con imitarlo, se il detto vostro
compagno opererà conforme si deve, ò di remora, fe vedrete ,
ch'egli si avanza per la via del vizio, ed in tal caso, con
riflettere solamente, che à voi non conviene d'in- vidiare ciò,
ch'è disdicevole al vostro onore, detto seme verrà in un tratto di-
Itrutto. In oltre sappiate, che non do- vete rimirare solamente
l'efteriore com- parla, che fà il vostro compagno, mà ancora
dovrete rillettere à quanti disag- gi, che talvolta soffrirà egli per
effajalle fatiche eccellive,all'inquietitudini grane di, alla
scarsezza del tempo, ch'egli hàg che gli toglierà ancora il riposo
necessa- rio, le quali cose se tutte le rifletterete , certamente
in vece d'invidiarlo , più tosto lo compatirete, e direte con Vir-
gilio : Non equidem invideo miror magis. A tempo di
Seneca vi era un certo vizio vagabondo, chiamato da lui Core curfatio, che
necessitava li suoi scguaci andar girando continuamente per las I 2
Città [ocr errors][ocr errors] Città allo sproposito cercando li negozi
senza aver prima determinato nella loro mente quali, mà solamente quei, che à
ventura si presentavano loro d'avanti, e questo tal vizio lo descrive
per un'inquieta dapocaggine, un perdimento di tempo, con non altro
profitto,che d'una certa stanchezza di corpo,acquittata per tanto girare ora in
quà , ora in là. Galeno, conforine egli riferisce nel principio del suo
merodo , fù da alcuni di quelli, che pareva, che l'anassero più degl'altri ,
stimolato fortemente à seguitare questo vizio, dicendogli, che se non
tralasciava d'essere tanto indagatore del vero, e non si accomodava allo stile
di quel tempo, d'andar girando tutta la mattina, à visitare per complimento li
Signori, e la sera d'andare à cenare seco, non saria stato amato, nè averia
contratto le loro amicizie, riferendolo appunto in tal guisa : Me verò ex iis ,
qui me unicè diligere funt visi, nonnulli fæpè increpant , quòd plus justo
veritatis studia Jim addiétus , quafi nec mibi ipfi ufui , niec
ipfis [ocr errors] [merged small][merged small][merged small][ocr
errors][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors]
ipfis in totâ vità fim futurus , nifi, & ab hoc tanto veritatis
indagande studio defi- ftam, da manè salutando circumeam ,
vefperi apud potentes cænem. His enim artibus tum amari , tùm
amicitias conci- liari, tùm verò pro artificibus haberi
&c. Ed in tanto non volle egli condescende- re à
farlo, perche la giudicò per cofa impropria di chi era seguace di
ottimo Maestro, soggiugnendo in appresso da- poi averne
commendato alcuni di que- fti : At horum nemo , nèc mane
potentium fores ipfos falutaturus , nè vefperi cænatu- rus
frequentabat , fed ficut Hefiodus cer, cinit : Namque
alium ditem cernens cui deeft, quod agatur : Ipfe
folum vertit tauris, & semina ponit. Onde
fuggirete ancora voi simile vizio, se desiderate d'essere veri seguaci
d'Ip- pocrate. La Pertinacia, e lo spirito di
con- tradizzione sono due difetti nel Medico di sommo rimarço, e
non si possono per con [ocr errors][ocr errors][merged
small][ocr errors][ocr errors][ocr errors] I 3 conto alcuno in lui
scusare ; se vi contaminasse mai il primo, vi costituirebbe ignoranti,
cogliendovi quella bella proprierà, che hanno li Dotti, ch'è : Sapientis eft
mutare confilium ; vi faria anche di peggio,che vi costituirebbe simili alle
bestie, perche farebbe divenire ancor voi incapaci di ragione , e perciò
venendo esclusi dal commercio degl'uomini savj cosa fareste infectaci di simile
vizio? Se poi, che Iddio je me liberi fofte invali da quel 'cattivo spirito di
contradizzione y guai alli vostri Infermi, perche venendo loro proposto da
altri ciò, che si deve, e voi non volendo, che fi eseguisse , mà più tosto in
vece di quello , altra cosa contraria, come anderebbe l'a cura facendosi à
vostro modo, se foste ancora pertinaci? Ippocrate insegnò à questo propofito
ciò che si debba Fare, e che ne risulti di male facendosi diversamentc , &
è:(0) Neque fanè indecorum fuerit fi Medicus in rei præfentis anguftiâ , circà
agrum verfaturz imperitiæ etiam tenebris circumfufus , alios quoque accerfiri
jubeat, quo communi confilio , que in rem agri sunt disquirantur, & illi ad
præfidiorum facultatem operas fuas confoTint; e cosa ne seguirà seregneranno
trà di essi questi vizj? De eo munimini ambitiosè contendere, se ipfos ludibrio
exponere, Sicchè voi , che sperate divenire veri Medici Ippocratici, vi
converrà tenere lontani da voi tali vizj, che tanto vi potriano
pregiudicare. etiam [C] Hipp.præcept. L'Avarizia fù talmente odiata
da Ippocrate, che se avesse potuto l'averia del tutto sbandita dal mondo,
poiche scrivendo à Crateva erbario famofiffimo de' suoi tempi, così appunto gli
manifeftò il suo desiderio : Quod si Crateurs amaram pecuniæ cupiditatis
radicem excindere poffis , ut nulla ejus reliquia extent, hoc probè teneto,
quod unâ cum hominum corporibus , etiàm malè affeétos purgaremus, fed hæc
quidem in votis habenda : Tanto scrisse Ippocrate, con tuttoche non gli fossero
ancora giunti à notizia li documenti di Demnocrito , cheportandosi poscia alla
sua cura in Abdera da lui medesimo sentì , trà quali vi fù questo contro
l'avarizia: (d) Quinàm enim Leo aurum defolium in terrum abdidit? Quinàm Taurus
, alienum ufurpandi cupiditate , ad prælium impetu quodam delarus eft &c. e
con ragione così esclamava Democrito scorgendo l'uomo caduto in tal vizio
peggiore de'bruti. Quanto mai cresca la deformità dell'ayarizia in chi è
avanzato negl'anni sentitelo da Cicerone:(6) Avaritia senilis vituperanda eft
maximè : Poteft enim quidquañ effe abfurdius , quàm quo minus via restat , eò
plus viatici quærere? Mà più d'ogn'altro la saria obbrobriosa nel Medico
, perche essendo stato da Ippocrate dichiarato fimil vizio per male più grave
della pazzia, cgli farà tenuto non solo di crederlo tale, mà ancora di
medicarlo, onde se in vece di far ciò lo procurasse, ecustodisse in femedesimo
con diletto , in qual trascorso egli incorreria? E certamente più grave,
e me [d] inefiß.Damag. [e] In Cat,Maior. [blocks in formation] e
meno scusabile faria, che in ogn'altro, per non aver egli apprezzato li
documenti d'un tanto Maestro, che sono li seguenti: (f) Miserabilis sanè eft
humana vita , quòd ad eam totam intolerabilis are genti cupiditas, velut
hybernus flatus pervaferit, ad quem morbum infania graviarem curandum , utinàm
Medici umnes potiùs concurrerent. E lo dimostra in termini precisi altrove , ()
dove così saggiamente consiglia : Neque verò exigenda mercedis cupiditate duci
oportet, nifi ut ad artem edifcendam tuos inftruas , fuadeoque nè in eo
inhumanitèr nimis te geras, fed & opum affluentiam, & facultates refo
picias, interdùm gratis cures , itaùt memoris gratitudinis potiorem,quàm
præfentis existimationis rationem habeas. Quòd fi thofpiti, vel egeno largiendi
occafio se te offerat his , vel maximè fuccurrendum eft. Qui enim erga homines
humanum fe exhibuerit, is artis amore teneri censetur. Cofa dirà l'Avaro ,
& altri viziosi leggendo, tanti ottimi consigli, dati loro da Ippo
crate? [f] In epif. Senar. Abderit. [5] Inlibede prai: [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] crate 2 Mi persuado; che quello appunto , che diffe Quinto
Pecilio Pretore Urbano, riferito da Livio, allorche ebbe terto li libri di Numa
Pompilio, che erano stati tanti secoli sepolti : Se fe eos in ignem coniecturum
, perche , dos legi, fervarique non oportere; e questo perched non per altro,
perche egli era Pretore, e non gli compliva, che altri sapessero , che molte
cofe, ch'egli faceva erano mal fatte , poiche que' libri altro non contenevano,
che di rimuovere ciò, che non era ben fatto, e ciò, ch'era sommamente
pregiudiziale al popolo, trattandosi in quelli De diffoluendis falfis
religionibus. Questo vizio certamente non farà scusato da chi è di mente
sana , nè da chi ben riflette à quanti disaggi mai soggiacino li miseri Avari
senza potersi sapere ad utile di chi lo faccino. In beneficio proprio
certamente che nò, poiche non altro, che travagli ne ricavano dal cumulare, che
fanno ; A prò degli Eredi 2 nè tampoco, perche se potessero immaginarsi , che
gli Eredi volessero go [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged
small][ocr errors][merged small] godere con ispendere liberamente, priveriano
fubitamente dell'eredità, fic. che di questi solamence Padrone ne rimarrà
l'avarizia , inentre per sodisfarla esi cumulano , c questa , che ne farà di
tanti avanzi ? facilmente non sapenda servirsene li consegnerà al lusso,
affinche disipandoli in un tratto ne impingui altri Avari. Ippocrate
odiava il lusso grandemente, à segno , che compose un libro contro di effo,
ch'è appunto quello De Decenti ornatu , nel quale non solamente incarica à
Medici di fuggirlo , mà dà ancora per cagione del lusso il modo di distinguere
li veri Medici da Parabolani, de quali ultimi parlando, così dice: Si enim
conventu facto ambitiofa, e quem fuofâ fuâ profeffione decipientes in urbium
circulis verfantur, Quos ex veftitu , cum cæteris ornamentis, quis cognofcere
poterit, quin etiam quò fumptuofiùs ornati fuerint , cà majori odio adversandi
, ab eis, qui eos confpexerint , fugiendi ; dove de veri, e buoni Medici cosi
ne parla : Quia bus [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr
errors] bus non ineft exquisitus, nequè cariofus ornatus, qui fe fe excultus
venuftate, cu frugalitate, non tam ad fuperfluam curiofitatem,quàm ad optimam
existimationem, prudentiam, e animi moderationem compararunt , ad inceflum verò
eo femper sunt habitu ; Sicchè dal Medico seguace d'Ippocrate devesi fuggire il
lusso per quanto gli preme la propria riputazione ; certe mode straniere, e
galanti non gli competono , come si legge (b): Peregrie nus cultus immodicus
calumniam tibi com. parabit . Tiberio s'ingannò, allorche propoftofi in
Senato di proibire il gran luffo di quei tempi, essendo egli di sentimento
contrario, persuadendoli, che in lasciarlo correre à briglia sciolta, da se
medefimo si faria stancato, e perciò disse : Nos pudor , divites satietas,
pauperes egestas in meliùs mutet; qual vergogna ne' suoi {moderati succeffori
punto non si mirò mentre in Nerone si vidde à che segno s'inoltrasse il lufto.
Mi persuado però,ch'egli si volesse ingannare per altro fine
politico, mentreche girandosi dal lusso continuamente la ruota
della fortuna , gli compliva più di vedere tante muta. zioni di
stato ne' suoi sudditi, che disau. torato chi li cagionava, e tanto
mag- giormente che avendo questo vizio un dominio tirannico
s'uniformava al suo governo . Tiraneggia per verità il luffo li
suoi seguaci , mentre l'impoverisce e vuole eliggere da tutti gradimento
di quanto male fà loro. Ordina , che dalla Persia , e dall'Indie
sia trasportato un drappo non più veduto , forza li suoi sem guaci
à prenderlo ad ogni maggior co- ito, e fà, che oltre il gran
dispendio ringrazjno quel Perfiano, quell'Indiano ancora, che lo
portò, perche appagò il loro desiderio , li quali ne resteranno fa-
cilmente ammirati, non meno di quello ne rimanesse Tacito , allorche li
Romani per abbassare gl’animi dell’Inglesi, li fe- cero assuefare à
molti costumi loro, e da essi non più praticati, e l'appresero
per foimo favore , mà ben se ne ayvide Ta- [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] cito del fine, che in ciò si aveva dicendo: (i) Que
humanitas cenfebatur, cùm efet Species fervitutis. L'Infedeltà, e
Fellonia sono vizi confederati, e detestabili in ogni qualità di Persone, mà
più d'ogn'altro nel Medico, posciache ogn'uno ciò, che ha di più prezioso, che
sono la vita, e l'onore glielo fida; Onde se csso mancaffe, à cui gli prestò
tanta fede, che gastigo mai li potrebbe trovare de' maggiori, che lo potesse
punire à bastanza , avendo commesso un reato di fimil forta, un mancamento di
buona fede ? Sicchè odiateli pure simili vizj esecrandi, conforme l'abborriya
Ippocrate, non volendo insegnare la Medicina à chi non aveva giurato prima sù
tutte le Deità ciò,che segue, cioè: (1) Nequè cujusquam precibus adducturus ,
alicui medicamentum letale propinabo , neque hujus rei author cro , nequè
simili ratione mulieri pellum subdititium ad fætum corrumpendum exhi
bebo, (i) In Vita Agricola. 11) In lurejuri Hippocr.
[ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] bebo, fed caftam, ab
omni fcelere puram, tùm vitam , tùm diatem meam perpetuò præftabo . Sicchè con
ragione, e con giusti motivi verrà escluso chi mai in fimili vizj cadesse
dall'effer vero Media co, e degno seguace d'Ippocrate, Non è piccolo
difetto nel Medico l'essere troppo curioso di quelle cose , che non fanno al
suo mestiere, conforme tra l'altre sono li fatti domestici de' suoi Infermi;
onde da tal vizio ye ne dovre. te aftenere,perche tal curiosità vi potria
tenere distratti da quel negozio, à cui dovete principalmente applicare, ch'è
il ben dirigere le cure de vostri Infermi, come y'astringe il giurainéro
d'Ippocrate,ch'è questo:In quafcumque domos ingrediar , ob utilitatem
Ægrotuntium intrabo. Mà di più di questa ancora può efa fere viziosa la
troppa curiosità delle cose moderne, e peregrine, e particolarmente ne' Medici
giovani, che non pofsedono ancora la Mcdicina à quellas perfezzione , che fi
richiede ; onde da questo vizio v'asterrete , sì perche vi fa [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] ria divagare inutilmente in cose,
che ancora dal tempo non sono state ben digerite , come ancora vi terria
lontani da ciò, che farà necessario di fare, cioè d'impossessarvi bene di
quanto è stato da molti secoli confermato, à segno, che diverreste periti nelle
novità incerte, rimanendo inesperti nell'accertate da lungo tempo , quali
poscia sentendole vi giugneranno nuove ,. sopra di che mi riporto à ciò, che
disli nella secondas Giornata , nella quale mostrai, come vi dovrete regolare
per divenire Medici. Solo ora vi foggiugno quello, che à questo proposito ne
dice Ippocrate, ed affinche meglio discerniate tutto il vizioso, per tenerlo
lontano da voi: (m) Multæ namque ad ambitiofam quamdam operam comparat&
videntur , ea videlicet , qua de nulla re utili quaftiones agitant ; E quali
siano le cose utili nella Medicina, lo spiega in appresso soggiugnendo :
Priusquàm verò ad Ægrum ingrediaris , fac cognitum habeas quid agendum fet
;. ple(m) De dec.org. che pleraque enim non ratiocinatione ,
fed au» dia xilio indigent : E se ciò non fosse chiaro ida à
sufficienza passiamo al libro De Fractua cioè ris, dove parlando de'
Medici , qui sao da pientiam fibi falsò arrogant , così chiaracha mente
dice : Verùm enimverò multa hoc stil modo hac in arte æftimari folent. Quod la
enim peregrinum eft , nèc dùm conftat an en utile fit, confueto, quod jam
norunt utile elle anteponunt , quodque ab ufu communi day abhorret ei,
quod eft probè cognitum ; e non evi vi sia discaro di sentire quanto mai à ci
proposito redarguisce Ippocrate coloro, ei che vanno cercando le belle idee :
(a) ei Hujufmodi igitur , ubi præellem non tàm de vi curandi ratione cum
illis conferrem, verùm, m ut auxilium ferrent audactèr peterem : Veo d. nuste
enim cognitionis intelligentia apud eito istos Sparfa eft , cum igitur , bi ex
necesitait; te indocti existant, eos ad utilem exercitaci- tionem cohortor, ubi
prçceptorum cognitione .: deftituuntur. L'Ozio padre di tutti li vizj, se
non t; lo terrete lontano da voi, vi potria farperdere tutto ciò, che di buono
aveste mai acquistato; Egli è capace di farvi nauseare le virtù , d'arrestarvi
nel mezo della vostra carriera, d'abbatęrvilo spișito , e finalmente di
trasfigurarvi in quella mostruosa figura, che più sarà di suo genio, e sențite
appunto, come ne parla Ippocrate di questo pessimo vizio: (b) Quod enim otiofum
eft , nilque agit ad improbitatem viam affectat, ad eamque rendit ; Talmente
che per divenire voi yeri Mcdici, dovrete fuggir l'ozio , deftruttore d'ogni
yostro bene; c per ciò farç, vi dovrete ancora astenere dalle frequenti
musiche, dalli ridotti de' Novellifti, e da altri consimili divertimenti, ne?
quali non si puol'acquistare altro, che dį pascere inutilmente la curiosità, ed
il proprio genio , e ciò con ragione fi puol giudicare tempo perduto, perche profitto
alcuno da essi non se ne ricava. Gran infortunio sarebbe della Me.
dicina, quando v'entraffe la Malizia à corteggiarla, avendo questa già
impa rato (h) Dedecenti babits, [ocr errors] rato adimitare
tutte le bạone virtù con finzioni soprafine , ed in che guisa, ne parleremo più
diffusamente in appresso; Solamente ora vi avvertirò, che se tal? uno di
yoi reftasse mai inferrato da fimi31 le vizio diyerrebbe subito uniforme à 1
quei Medici descritti da Ippocrace :(9) Qui quidem Perfonarum, quæ in
Tragediis producyntur maximè fimiles esse videntur ; mentrechę farebbe
tante comparse difi ferenti, quante gliene dettasse la sua madi lizia nelle
congiunture à lei opportune , ci mà come termineria la tragedia lo moAd stra
Ippocrate chiaramente doppo aver N avvertito, che Orium , ignavia mali
tiam quærunt, soggiugnendo: (d) Hi enim - Sunt, qui fora frequentant ,
ruditate, ac Ti infcitia sua imponentes, & circulis Civita tum
verfantes ; Talmente che per non cheffer yoi posti nel numero di
Parabolani necessariamente vi converrà fuggire , afe e detestare fimil
vizio . Il timore, e l'ardire , con tuttoche K 2 sem- (c) In
Hippocratis lege. (d) Hippoer.de dec. habitu. [ocr
errors][ocr errors] 2. [ocr errors] sembrino trà di loro contrarj,
nulladimeno vengono molto biasimati da Ippocrate nel Medico, dichiarandoli in
lui per segni viziosi d'ignoranza, dicendo egli : (e) At verò imperitia malus
eft thefaurus , malaque opes reconditæ iis, qui ram tùm opinione ipfi, tùm
revera possident fecuritaris animi, du lætitiæ expers, timiditatis, &
audaciæ nutrix; Ac timiditas quidem impotentiam , Audacia verò artis
ignorationem arguit. Perloche non di potrete nè segúitare, nè scusare, nè anco
sotto lpecie nel primo di circospezzione, e nel secondo di spirito, perche diversi
sono trà loro il timore, e la circofpezzione, l'ardire, e lo spirito . Il
timore vi farà perdere l'occasione pronta , che vi si presenterà di operare per
non faperla voi conoscere, ma non già la circospezzione, che nasce dal poffe
dere molto bene ogni danno , ed ogni profitto, che ne poffino risultare da ciò,
che voi farete, onde questa vi renderà folamente per breve tempo
irresoluti, e fino (e) Hipp Text. [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] e fino a tanto, che averete bilanciato il bene, & il male, e
conosciuto, ch'avrete quale delli due prevalga , sarete prontissimi esecutori
di quanto avrete deliberato. L'ardire poi per essere temerario vi porterà con
violenza ad operare , onde non vi farà diftinguere quando ve ne dobbiate
servire , dove, che lo spirito , che vi rende perspicaci, & accorti, Ve. lo
farà ben capire , quando fia tempo. opportuno di farlo, conforme egregiamente
avverti Ippocrate : (f) Temeraria namquè proclivitas, do promptitudo,quam. vis
valdè fit utilis, despectui eft , at confiderandum quando bis uti liceat.
L'Odio è un vizio, che trà li maggiori può divenire il primo, quando fi stenda
fino alli ultimi confini della sua iniquità, cioè alli benefizj ricevuti,
pafsando allora à quell'esecrando reato , che solamente trà gl'uomini regna,
esfendone le bestie più fiere esenti, conforme da tanti esempj registrari nello
Istorie si può comprendere, & in ispecie di (f) In lib.de
Medica [merged small][ocr errors][merged small] K 3 [ocr errors]
[ocr errors] di quel fiero Leone , che nell'Anfiteatro Romano il' véce di
divorare il suo Beriefattore condannato ivi ad bestias, lo difese dalla
violenza delle altfc, mà quellos che si rende più considerabile, si è, che alle
volte' , quanto č maggiore il benefizio, tanto più viene perseguitato dall'odio,
giacchè al parere di Tacito: (g) Beneficia coʻusquè leta sunt , dùm videntur
exfolvi poffe, ubi multum antevenere pro gratia odium redditur; Darebbe l'animo
à voi non dico di seguitare' vizio sì obbrobrioso, e ripugnante' ad ogni
in il pretesto del naturale di chi lo segue , inclinato a farlo, per non
potersi moderare. Senticenc però prima d'impegnarvi à ciò, cosa ne diffe ad
Ippocrate, quel grand’amatore della giustizia Democrito:(b) Plerique' verò quæ
natur& hoc adSéribentes Benefactorem odio' habent, co parům abeft ut
indignè ferant fi debitores effe puténtur , fed eu pleriquè artis ignorantiam
in se ipfis habeotes, a imperiti (g) Annal. lib.4. [h]. Epiß. ad
Damageexiftentes, id quod meliùs eft purgant intero stupidus enim
fiant suffragia. Talche il solo sospetto d'essere infetti da un
fimile vizio, vi renderia incapaci per sempre di quanto
voi bramate conseguire. Quanto mai sia difficile
d'esprimere tutte le trame dell'ingarinoz ed impostu- ra, sentitelo
riferire da Ippocrate in tal guisa : (i) Difficile eft multorum
malorum machinatricem folertiam verbis exprime- re, cum eorum fit
infinitas quædami din bis cum dolofis conimentis prava mente in-
ter le conversentur; apud eos autèm virtu- tis modus habetur , quod eft
deteriùs; men- dacia enim amant, do in bis fe exercent,
voluptatis ftudium extollunt; legibus mini- me parentes a
Certamente che meglio non fi poteva da Ippocrate esprimere l'inganno
vizio tanto diletto da' maližiofi Impostori, mentre da questi li modi più improprj,
che si praticano sono credati per loro virtù , nè fi seguita da efi altro
studio, che della menzogna, nè fi atten de (i) In epist.Domaget.
[merged small][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] K
4 1. avendo de ad altro, che à piaceri, e diversi-
menti, fenz'alcun timore di gastigo. Le tristizie di costoro non si
pofsono mai à bastanza esprimere, stanteche, fingen- dosi
questi Mcdicis con modi improprj. accreditano li loro medicamenti , non
punto di rossore ne di servirsi di testimoni corrotti, che con menzogna:
attestino il gran giovamento, che das quelli ne ricevettero con tuttoche non se
ne fossero mai prevaluti, nè di ripromettere ne' mali incurabili quella certa
salute, che non è in potere de' Medici, , quantunque espertislimi , il
farla conseguire ; In oltre giudicano graviffimi, e inortali tutti quei mali,
benche di sua natura leggieri , purche rechino aglo Infermi qualche
apprensione, affinche credano questi esfere stati mediante la. loro virtù
risanati , e d'avantaggio , per non essere riconvenuti d'aver errato ne?
pronostici, parlano con doppio linguag. gio , à tal’uno diranno, che quel tale
Ammalato deve necessariamente morife,& ad altri, che deve
infallantemente mie [ocr errors] rllanare, per avere pronto si
nell'ano, che nell'altro evento chi contesti la loro, fimulata perizia in
sapere ben prevedere gl’esiti de' mali; Milantano in oltre costoro i loro
grand’arcani, con i quali fi vantano d'avere refuscitato molti, già fatti
spediti da Medici. Solamente dico. no con verità, che in mano loro niuno.
muoja, perche ridotti che li hanno in: pessimo stato di salute, abandonano li
loro Infermi, non potendoli più lusingare con le solite false speranze di
salute, de' quali prima fi servivano per ifmugnere le loro borse. Per
inantenersi poi in creditozli pongono forto alte protezioni, e sfuggono
d'incontrarsi con Medici dotti, ed esperti, non porendo ftare à fronte con chi
ben sa discoprire la loro ignoranza . Al divino Ippocrate furono note alcune di
queste verità, mentre egli (1) così ne parla : Qui igitus in ignorantia
profundo fubmerfi funt , ij prædicta ( cioè l'operare con ingenuità) minimè
percipiunt , cum Medici nomine iz digni [] Intib.præcepat [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] 'digni re ipfà comprobent ; quàm
repente evetti fint , fortune tamén egentes per die vites quofdam
ex anguftiis emergunt viri- que es éventu nominis celebritatem
adepti &c. ed in appreffo : Qui certè ad curatio- nem non
accedunt ; ubi vident miserabilcm effe affectionem, c ejulatibus
plenam, alio- rum-Medicorum congreffum fugiunt; e in altro luogo:
(m) Qui igitur eos reprébena dunt qui viltis à morbo manus non
admo- vent , non minùs adhortantur ad ea fufci- pienda , quæ
attingere fas non eft ; quàm que fas eft , in eoque apud eos qui
nomine tenus Medici sunt admirationem fibi conci- liant , ab artis
verò peritis ridentur. Mà crescerebbe più oltre ancora l'iniquità
di costoro, quando ; che unisfcro alle loro male arci l'ippocrisiaj conforme
che più volte si è osservato' ins ral'uno di essi,che postosi adosso un'abito
di fimulata penitenza, e' čutto umile con li seguenti artificj procurava di
maggiormente accreditarli. Introdotto, ch'egli era clandestinamente in
qualche cura (m) in lib.de Arte, čura, doppo di aver fatte
molie insolite, ed affetrate offervazioni intorno all'Ammalato, cosi
incominciava à parlare : Io coinpatisco infinitamente li Signori Medici, che lo
curano s perche questo è un male'assai oscuro , e difficile à ben curarsi, non
essendo ciò da cutti, fin qui scorgo , che hanno fatto tutto quello , che
sapevano", nè io drdisco di biasimare ciò, che fino ad ora harino fatto,
perche quest'abito ; che porto in doffo non mi permette di dir male del mio
prosimo, nè di togliere la riputazione à Profeffori cotanto accreditatie tanto
maggiormente, che quando anche non foffe ftato fatto a fuo' dovere ciò, che si
è fatto sin’ora', non siamo più in tempo d'impedirlo, dico bene , che io
peccherei mortalmente, se non' dicelli libera.. mente ciò, che debbasi fatie in
avvenire, questo male à conto mio và curato in tal guisa : Primieramente gli si
devono dare i tali, e tali' rimedi , e dipoi develi fare in questo modo, e ac
fi opererà diversamente, io mi protesto che questo poveroInfermo se ne morirà
quanto prima ; e lo. vedrete con vostro cordoglio. É fe tal
uno degli astanti più prudente lo prega- va d'abboccarsi con li Medici
della cura, à fine di comunicar loro questi suoi sen- timenti, ei
ricusava tal congresso, con pretesto , ch'essendo odiato da tutti
li Medici per la sua ingenuità, e dottrina non fariano mai
condescesi à quanto di buono egli avesse proposto, onde , che
reputava non solamente superduo tale abboccamento , må ancora non
pratica- bile da un suo pari, che deve,per l'umil- tà, che profetava,
effere injinico delle difcordie; onde avessero pure fatto ciò, che
ad esli pareva , e piaceva , bastando- gli d'aver accennato il gran
pericolo, ed il modo insieme più sicuro da sfuggirlo per mera
carità di giovare à quel povero Infermo così aggravato , non già per
in- teresse alcuno, da cui egli n'era lonta- nisiino. Infinite
confusioni cagionarono simili parole pietose in più cure , stante-
che tal’uno de' più creduli, che vi si tro- vorno presenti, diffe :
Sentiste , con che [merged small][ocr errors] modestia parlava quel
sant'Uomo, se non fosse così scrupolofo, oh quanti errorici averia discoperti,
commesli da' noftri Medici ignoranti in questa cura ! Si vede però, ch'egli
intende, perche hà fatto certe osservazioni particolari intorno all'Ammalato,
che non le abbiamo vedute fare da' noftri Medici. Ed altri di più consigliavano
à licenziare tutti li Medici per farlo curare da esso folo, per-. fuadendofi,
ch'egli l'averia certamente guarito . Quali danni ne riportino li poveri Infermi
da costoro, che Medicorum congreffum fugiunt,gli espresse assai bene, e con
pochissime parole Ippocrate nel sopracitato libro , dicendo ivi; Ægroti verò
dolore conflictati in utrâque improbia tate natant ; cioè in quella
dell'ignoranza, e dell'inganno di simili viziosi Impostori. Quello però,
che reca non ordinaria meraviglia si è, che il popolo più volte caduto à dar
fede à fimili viziosi Impostori con danno notabile, & evidente della
propria falute ritorna di bel nuo nuovo a creder loro , & à
restarne insieme nuovamente deluso, conforme ancora che con tutto abbiano
questi nociuto à molti, niuno contro di essi dell'offesi ne fà risentimento , e
la cagione di ciò / non puol'essere altra, che godono questi quel vantaggio,
che hanno le donne di mala vita, da cui ne s'allontanano molti, che da esse
furono danneggiati, nè alcuno contro di esse ne fà rilentimento proporzionato
al male ricevuto', e ciò cre. do, che segua sì nell'uņo, che nell'altro
caso,per la vergogna,che ogn’uno di essi hà di manifestarsi con atto publico
per imprudéte, onde perciò pazienta,e ţaçe. E finalmente se per
disaventura un fimile yizio contaminafle mai il Media co dotto, ma politico, oh
quanti danni ancor peggiori di questi apporteria à molti, posciacchè
inestandosi al ben radicato sapere l'inganno , e l'impostura , che frutti
velenosi mai produrrią unas fimile pianta ? e nocenda questi senza effere
creduti nocivi, non solamente trà l'idioti , mà ancora trå li più
cautelati, e cir. ) ) e circospetti troveriano lo
smaltimento, c per non diffondermi più oltrc, dirò solamente che il Medico
dorco, e politico, quando che fosse divenuto Impostore, avendo egli perduto la
sua ingenuità diverrebbe allora non solamente tiranno de' suoi Infermi, facendo
loro arţificiosamente credere , che da esso depende lą loro falute, anziche la
vita isteffa , e che non poțriano nè pure un momento di più yiyere, quando si
allontanassero dal suo consiglio,& ajuto,mà ancora di tutti gli altri
Professori ingenui , potendoli conculcare à suo piacere per prevalersi egli
delle frodi somminiftrategli dall'inganno, alle quali non potendo contraporre
le proprieşper esserneprivi,conviene loro cedere , per non sapersene schermire,
giacchè Års luditur Arte. Fuggite dunque yoi, che ambite di mantenervi ingenui,
e divenire veți Medici fimil vizio, e voi, à cui specta d'invigilare alla
publica salute. Non tantum tollerate nefas hanc tole lite peftem.
Ded [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors] Del
miserabile vizio dell’Ignoranza poco sarà d'uopo parlarne, sì perche vi è già
nota la sua deformità, sì ancora perche vi vedo incaminati à gran passi per la
strada della sapienza,solamente vi riferirò per vostra consälazione, affinche
prestamente ne diveniate veri possessori di questa, ciò, che Ippocrace à questo
proposito insegnò, con una bella somi glianza , & è: (n) Non alitèr
enim ac Miniftri , & Miniftræ in domibus tumultuantes, ac ceriantes , fi
quando de repente eis hera adfuerit, attoniti conquiefcunt , fimilitèr etiàm
reliqua animi cupiditates malorum, hominibus funt administre, at ubi fapientia
in conspectum fe dederit, tanquàm mancipia reliqui affe&tus difcedunt.
Insegna parimente Ippocrate nell'iscoprire li seguaci di tal vizio il modo da
conoscere li Medici ignoranti, mà di ciò non devo parlarne, perche il mio fine
è diretto à detestare li vizj , fenza andar cercando li viziosi. Non però
tacere devo il gran danno, che questi apportanoalla povera Medicina riferito da
Ippocrate irel principio della sua legge in tal guisa : Omnium profectò artium
Medicina nobilisfima, verùm propter eorum , qui eam exercent ignorantiam c.
omnibus artibus iàm longè inferior habetur . Finalmente con la
Maledicenza terminerò io ancora di dir male de vizji questa è un vizio assai
incivile, perche opera sempre contro li buoni costumi, e contro la civiltà ,
questa certamente non si dovrà seguitare da voi, venendovi da Ippocrate tanto
proibita nel libro : De Medico, che in tal guisa incomincia: Hoc fcripto Medico
imperamus, eo dicimus, dove tra l'altre cose, che coinanda vi sono le seguenti:
Ut animi temperantiam excolat , non taciturnitate folùm, verùm etiàm reliquâ
totius vitæ moderatione , bom nis, ac honeftis fit moribus, & æquus in omni
vitæ confuetudine fe præftare debeat ; Le quali cose come le potrete osservare,
essendo maledici ? Ed affinchè meglio comprendiate quanto il ben moriggerato
Ippocrate odiasse questo vizio, passia L mo [ocr errors] mo à
rillettere ciò, ch'egli dice nel libro De Arte , il quale comincia così :
Non nulli turpitèr in sectandis artibus artifi. cium suum collocant
, neque id, quod facere Se credunt meo quidem judicio obrinent ,
sed Jue scientia oftentationem faciunt aci E poi soggiugne :
Qui verò ea, quæ ab aliis sunt inventä inhoneftorum verborum arti-
ficia contaminare contendit , nequè quida quàm corrigit, fed
à peritis inventa, apud imperitos traduçit . Is fanè prudentice exiftimationem
tueri velle non videtur , fed potiùs naturam fuam, aùt ignoratiam nem malitiosè
prodere : Solis enim artium ignaris, hoc opus competit, qui ambitiofiùs quidem
contendunt , neque tamen improbie tate suâ ullo modo præftare poffunt, ut
aliorum opera, vel recta calumnientur , vel non recta repræhendant : Eos igitur
, qui in alias artes hoc modo invadunt,coerceant, fi poffint , quibus hæc cura
eft, quorumque id intereft. Vedete voi à che segno odiava il divino Ippocrate
li maledici, che voleya , che fossero ristretti , essendo indegni di convivere
tra uomini di ono. re [ocr errors] [ocr errors] re. Crederei, che
quanto hà detto cosi chiaramente , & al propoliço Ippocrate vi pofsa
bastare per odiare un limil vizio, e tanto maggiormente se rifletterete, che
quanto voi direte di male degli altri, altri ancora ne potranno dire di voi ,
ficchè parlate bene degl'altri, Ò tacete Țacerò ancor Ia per non nausearvi
di vantaggio nel descrivervi la laidezza di tutti gl'altri vizj, sperando , che
ciò, che vì hò detto di questi pochi,pofsa baftare, per farvi prendere odio a
tutti gli altri, ed à quel segno , che li viziofi lo porteranno facilmente alle
virtù, qual? odio pero spererei, che in un subbito deponessero į viziosi , se
spogliati per pochi momenti d'ogni loro difetto, si aboccaflero insieme con
effe, allora cofa disebbono sentiamolo da Seneca; (a) Quidquid opravi
inimicorum execrationem puto ; Quidquid timui Dii boni quantò melius fuit ,
quàm quod concupivi cum multis inimicitias gefi, & in gratiam ex odio
res L 2 dii (a) De Vita beata cap.2. [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] dii buc. quid aliud quàm telis me opposui
dc. Avere inteso come parlerebbero bene li viziosi se avessero la forte
dili berarsi da? loro difetti solamente per breve tempo, approfittatevene
dunque voi, giacchè per sempre, se vorrete, potrete effere di mente capaci di
conoTcere la loro deformità, e fuggirla. Mà quando mai credeste per cosa molto
difficile di potervene affatto spogliare, fate almeno, che con le vostre virtù
vi si fra. meschi solamente tanto di vizioso, quanto communemente si tollera
nell'oro di lega bassa , c non più , che non arriva ad avvilirlo, nè à fargli
perdere il suo vago Splendore. Passerò ora alla seconda parte per
esaminare se li vizj ermafroditi si possino alıneno tollerare nel Medico.
Per vìzio ermafrodito intendo quello, che dalla malizia , e dall'inganno viene
talmente trasmutato in virtù, che difficilmente si potrà discernere, se prima
non si scoprono le sue parti vergognose, che و [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] che fino ad ora non hanno sapuco,
ne potuto ricoprire. Sia per esempio, se la malizia,e l'in-
ganno vogliono , sono capaci di trasfi- gurare così bene la
superbia in umiltà, l'iniquità in zelo di giustizia , che
diffi, cilmente senza l'ajuto del disinganno , che
scopre le loro vergogne , li potranno distinguere. Nel prino caso
si serviran- no facilmente de' seguenti artificj. Da-
rete à suo tempo voi un'opera alla luce, ò vi riuscirà felice
la cura di un male grave, è cosa facile, che ne abbiate del
compiacimento interno, e questo avvan- zandosi più del dovere, è facile
ancora, che palli à farvene qualche poco insu- perbire, di
quell'opera, di quella bella cura, cosa faranno la malizia, e
l'ingan- no per farvene affatto insuperbire ? Ri. copriranno la
piccola vostra superbian con il manto dell'umiltà , & in
congiun- tura, che sentirà lodarvi gl'insinueranno in tal guisa à
rispondere : Questo non so- no cose degne di lode, sono bagattelle,
non meritano d'essere lodare da un Vir: L3 tuofo suo pari, sono parsi di
un debbole ingegno ; Chi sentirà si limili risposte resterà sorpreso da üná
tanta umiltà, ed állora maggiormente s’infervorirà dilo darvi, entrerà nelli
meriti della causazed allora appunto avranno compito il loro negozio,in farvi
maggiormente insuperbire, che cosa converrà fare per iscoprire le vergogne alla
in ascherata superbia , per conoscere se quella umiltà sia stata vera ; ò
fimulata; bisognerà ricorrere al disinganno, che la scopra. Aspetterà questi
facilmente la congiuntura proposito, & in vece di lodaryi dirà tutto
quello, che la finta yostra umiltà aveva già detto di voi, con qualche par,
ticolarità di più, che sarà vera , sì perche il disinganno non mentisce; sì
ancora perche i chi è capace d'insuperbirli, non essendo di gran prudenzaś può
in qualche cosa trascorrere ; Allora sentendosi la superbia toccata sul vivo lacererà
in un tratto il bel manto dell? umiltà, e da se medesima mostrerà le fue
vergogne rispondendo : Come ! non fono [ocr errors] [ocr
errors][ocr errors] ز sono cose degne di lode? sono parti di un
debbole ingegno sono bagáttelle? sono tutte cose d'eterna memoria ;
voi non le capice, perche liete un'ignorantë. Che ne dite ? questa
è quell'umiltà, che una volta parlava così bene; è forse scu-
sabbile nel Medico avendo questa un naturale si fraudolento? Mi persuado
, che ora, che la conoscere ; non la scuse- rete, anzi la
biasimerete più costo. Nel secondo caso se venisse in pen-
siero à tal’uno, che Iddio non voglia, di promovere al
servigio d'un'Ipocondria- co da lui curato qualche suo amorevole,
mà dovendosi rimovere chi attualmente lo serve, e competencemente
bene, sen- za l'ajuto della malizia, e dell'inganno.». non si
poiria ciò effettuare. Questi cacci- vi vizi per servirlo, che cosa
faranno ? procureranno di vestire l'iniquità con abito
di zelo di giustizia, e che diča à quell'Ippocondriaco, ch'è vero,
che viene servito bene da quel suo Ministro, mà che
premendogli tanto la sua salute, il suo zelo, & il suo obligo
richiedono [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][merged small] gli procuri sempre li suoi vantaggi, ed in ispecie
trattandosi di propria salute, e di salute, che gli premetanto, per 12
conservazione della quale il Signor Tale foggetto nel suo mestiere unico, che
non hà pari, saria veramente à propofito , mà non per questo è dovere di far
perdere il pane à chi lo ferve, si dice solamente, che lo sappia , che vi è chi
lo servirebbe assai meglio, caso che capitasse mai congiuntura ; Fatti, che hà
l'iniquità questi projetti ad un'Ippocondriaco, che non brama altro, che
vivere, con tutto quel di più di male, che sentirà dire
per altre vie di quel povero galantuomo, che lo
serve,procurate da chi vuole lubentrare; Credete voi, che non si
effettuerà fimile tentativo dall'iniquità? Forse prima di otto
giorni farà espugnata la Piazza, perche tanto si batterà, che si farà
brec- cia, e vi si porrà dentro, e di sì bella impresa ne trionferà
la sola iniquicà. Voglio, che sia vero , che il Ato ne sia capace,
má vediamo un poco se il fine è stato retto, e se il zelo digiu-
stizia 1 che il propo [ocr errors] [ocr errors][merged
small] stizia ne fù egli il primo motore? Chi avrà procurato simile ingiustizia
, certainente, che non sarà molto eccellente nel suo mestiere, perche chi è
tale, è ancora giusto , e prudente, dunque ve ne saranno de' più esperti di
lui. Ciò supposto procuriamo, che il disinganno ne faccia le sue diligenze, e
questo facil. mente farà infinuare al sudetto Ippocondriaco, che giacchè hà
megliorato nella mutazione di quel suo Ministro, procuri ancora di mutare il Medico
, e ne trovi un'altro megliore di quello, che ha presentemente, e piacendogli
tal'insinuazione, cd effettuandola, cosa dirà colui, quando si vedrà fuori del
servigio? fi lamenterà forsi del torto, che gli ha fatto, avendolo tanto tempo
ben servito ? mà di chi si lamenterà? dovrà dolersi di se medesimo, perche gli
è stata fatta quell' ifteffa giustizia , ch'esso hà procurato foffe fatta
altrui; Dà dunque a conoscere chi operò in questo modo, che non ebbe per fine
il zelo di giustizia , perche questo non gli è piacciuto, mà forse ne
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] ebbe [ocr errors][ocr
errors] ebbe qualchedun'altro di quelli, che low no chiamati secondi fini, cosa
ne dite voi di questo vizio ermafrodito & vi pare di poterlo scusare nel Medico;
e se ve ne fofreche non credo ; tal’uno trá efi to scusereste forse ? Io per me
lo scuserei nella forma appunto , che diffe di fimili viziofi Democrito ad
Ippocrate: (b) Cum igitur tot indigenas; e miferas ánimas videamus quomodò
eorum vitam ejusmodi intemperantja deditam ludibrio. non bao beamus 2
Molte altre frodi,tramåte dalla malizia, e dall'inganno potrei orá riferirvij
fe non dubitäsli, palesate; che fosseros che tal’uno ( di voi non dico , che
siete di ottima inclinazione ) sentendole riferire se ne potesse abusare; onde
in ciò procurerò con Tacito più tosto Artem oblivionis , quàm memoria.
Avete già udito la gran deformità de' vizj, il danno, che apportano a'suoi
seguaci, ed il non doverfi seguitare ; nè fcufare in conto alcuno , che possonofervirvi
di motivi efficacissimi per tenerli lontani da vois purche non si siano di già
radicati ne' vostri cuori, nel qual caso faria necessaria la gran Medicina
proposta da Ippocrate per isvellere affatto li vizj, ch'è la seguente: (C)
Equidem omnes animi morbos vehemences(che sono appunto i vizj) insanias reputo
; cùm opiniones quasdam, da vifa rationi fufcitant, ex quibus fanéscit s qui
per virtutem repurgatur.Preparerò dunque per la Giornata di domani la sudetta
Mediciija,dalla quale se ne avrete bisogno rimàrrete certamente sanatis casos
che nò, preservati almeno da fimili infezioni, in avvenire . Venite tucci, che
vi aspetto con desiderio ; perche sarà Giornata di molto profitto quella , in
cui si parla delle virtù. [ocr errors][merged small] [blocks in
formation] Nella quale. fi discorre dell'acquisto delle virtà, e del bene
, che apportano al vero Medico , e se alcuna di effe fi poffa in lui
cenfurare non Vanto mai sia infelice, e miferabile la
condizione umana,lo dimostra. 110 non solamente li vizj,mà anca. ra le
virtù, posciacchè li primi,che tanto nuocono, spontaneamente in noi
germogliano, e le seconde, che sono così utili, senza reiterare fatiche,
& una lun. ga , & industriosa coltura si acquistano. Appena nasce
l'uomo, che in lui subitamente l'ignoranza si manifesta, e quel primo vagito ,
che dà n'è il primo contrafegno , mentre non ne sà ancora il perche egli lo
faccia : Cresce, ela malizia fi scopre, l'ira, e la gola si manifestano ;
S'inoltra nella gioventù , e la lussuria si risente, e di mano in mano , che
gl’anni fi avanzano, li vizj tutti un dop [ocr errors][ocr errors]
doppo l'altro fi veggono germogliare; Con ragione dunque disse Democrito
: (d) Totus homo ab ipfo ortu morbus eft ; e ne assegna la cagione
: Talis enim ex materno cruore Sanie permixto promicuit Infelice ,
e miserabile dunque condizio ne umana, che per fare acquisto di
ciò, che l'è nocivo, punto non hà d'affaticar- si, perche
spontaneamente li vizj li fan- no possessori di noi, essendo
concepiti, e nascendo con noi medesimi, e questa è la cagione,
perche erunt vitia donec homines, dove, che per ottenere ciò , ch'è
di nostro sommo bene dupplicate fatiche si ricercano; La prima delle
quali consiste nello svellere da noi le tanto im- poffeffate radici
de vizj, e l'altra d'an- dare à poco à poco introducendo in sua
vece li semi delle virtù, e ciò non basta, perche conviene ancora di
cuftodirli fino à tanto, che siano assicurate bene le loro radici,
per non essere dove sono se, mentari suolo nativo. E perche ò lante
virtù spontaneamente ancor voi, ccon quel(d) In
epi.2.Damaget. [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][merged
small][merged small] quella medesima
facilità non germoglia.. te in noi per renderci felici? Conosco, che voi fiere
un'attributo divino, ma non per questo, vi dovęte tanto sdegnare di unirvi con
noi, che siamo creati ad im. magine, e fimilitudine di Dio, conosco ancora, che
per ricevervi li richiede abitazione espurgara da ogni iminondezza, pura, e
proporzionata à voi, e se per questa cagione voi state lontane da noi, la colpa
non sarà la vostra, mà bensì di noi medesimi, che siamo quelli, che vi
impediamo l'ingresso, e che ritardiamo si gloriofe conquiste, che ci possono
rendere beati, con trascurare ciò, che voi richiedete Oggi sì, che voglio
far prova di voi per conoscere à che segno liano gli animi vostri generosi, e
se avere ancora acquistato l'uso di ragione , potendo, se vorrete, ciò che si
trova d'infelice in voi commutarlo in prosperità, e ciò, ch'è disgrazia in
fortuna: Accingetevi pure, se ne sarete sprovisti, all'acquisto delle belle
virtù, se ambite divenire Semidei, dicendo apertamente Ippocrate, (e)
ches Medicus Philofophus Deo &qualis habetur ; e cosa voglia intendere per
Medici Filosofi lo spiega divinamente in appresso, cioè quelli, che habent ,
quç faciunt ad demonstrandam incontinentiam, quatuoSam, ac sordidam
profefionem, inexplebilem habendi fitim , cupiditatem , detraa &tionem,
impudentiam ; che sono per l'appunto quelli, che seguirano le virtù , ed hanno
in abbominazione li vizj. Sbandito dunque , che avrete da voi ogni
vizioso inquinamento, e perciò renduti più capaci dell'acquisto delle eroiche
virtù, proporrò in primo luogo ciò, che concerne alla Religione, come quella,
ch'è la suprema di tutte le virtù, & ancora la loro base fondamentale, in
cui sono appoggiate tutte le altre. La Religione quanto debba essere
àc cuore al Medico, sentitelo da Ippocrate: (f) Hactenus igitur cum
sapientia, communionem , eorumque etiàm plurima habet Medicus, nam & Deorum
cognition [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] дет
(C, &f) Hippode $65.0TMnem ipfe potiffimùm animo complectitur , cumque
aliis in affe&tibus , & casibus Medicina multum Deos colere comperitur
duc. e tutto ciò lo afferisce dapoi di avere insegnato, che nella Medicina vi
era ancora: Superftitiofi metus aversatio preAantia Divina . E non solamente à
benefizio vostro ciò converrà , che facciate , mà ancora à prò de' vostri
Infermi, perche venendo ogni bene dal Cielo , nelle vostre più gravi, e
pericolose cure converrà , che non vi fidiate della vostra fola perizia, mà
ancora, che supplichiate Dio, che vi assista con la sua santa grazia à bene
indirizzarle; qual pio sentimento si ritrova ancora descritto in Ippocrate, e
dato à coloro, che disprezzando gli ajuti Divini , fi raffidavano solamente ne'
loro incantesimi, à cui cosi parlò risentitamente; (8) Quos contrafacerc
decuerat, facra facere nimirùm , & precari , ad Templa deducere, Diis
fupplicare ; e sotto dice: Maxima ergò, fceleratisima peccata Deus expiat ,
dapu rificat (g) De morbo facro.. rificat tuteláque noftrâ existit
; e non imitando voi la gran pietà di tanto Maestro come potrete essere
annoverati trà suoi seguaci ? A questa viene in seguela la Prudenza , la
quale è una virtù al parere di Democrito riferito da Ippocrate, che non
solamente fà conoscere, e bene distinguere il prasente, mà ancora fà prevedere
il futuro: (a) At folus hominis sensus recta intelligentia eminùs splendescens.
Quod præfens , & futurum eft prævidet; E questa è quella, che toglie ogni
confufione, e libera da qualunque pericolo chi la poisede : Qui enim hæc ipsa
prudenti cogitatione difponunt , ii & facilè liberantur , meum risum
fubleuant ; E questa non si può ottenere senza prima rimovere da noi tutti quei
vizj, che prevertono la nostra mente, trà quali li principali sono l'ira , la
superbia , l'avarizia , l'invidia, e l'inganno, li quali sono tutti capaci di
farla prevaricare, e renduta che sarà per la mancanza di M que(a)
Epist. ad Damag. [ocr errors] questi quieta, e tranquilla , la Prudenza
con maggior facilità si potrà acquistare. Senza questa bella virtù,
regolatrice di tutte le buone operazioni, non pensate di potere esercitare la
Medicina, perche come vi potrete regolare senza effa , allorche v'incontrerete
in Maláci indiscreti, e disobbedienti, in mali simulati, in controversie con
altri Profeffori, ed in tanti altri emergenti, che vi possono giornalmente
accadere, in quali laberinti vi trovereste? in quante confufioni, se non aveste
la scorta della Prudenza, quali inquietudini provereste se foste privi di sì
bella virtù ? (6) Non poteft effe vita jucunda, à qui abfit Prudentia , come
disle Cicerone; Cni possiede detta virtù hà quanto di buono poffa mai
desiderare, ftanteche (c) Nullum Numen abest fi fit Prudentia. Quindi è,
che Ippocrate fino, che visse non solamente fi fece regolare in tutte le fue
operazioni da questa virtù, come nelle sue memorie si scorge, mà consiglia li
suoi seguaci , e comanda loro insieme à non discostarsi punto dal suo
patrocinio, insegnando ancora il modo per acquistarla, conforme da moltislimi
suoi documenti potrete comprendere , de' quali ve ne riferirò quei soli, che
sono registrati nel libro De decenii habitu , dove doppo aver descritto il
vestire positivo del Medico accreditato, soggiugne : Qui se fe, ex cultus
venuftate , frugalitate, non tàm ad fuperfluam curiofitatem , quàm ad optimam
existimationem, prudentiam, e animi moderationem compararunt; e passando à ciò,
che deve provedersi di necessario con(b) 5.Tufculon. (c)
Juven.fat.10 per il suo mestiere , lo avvertisce, che sia prudente
in farlo, altrimenti : Horum penuria mentis inopiam, at detrimentum affert ;
Vuole anco in appreffo, che usi prudenza in prevedere ciò, che può avere di
bisogno j'Infermo, che non operi con animo turbato, che sedi le confusioni, e
li tumulti, che sgridi l'Infermi disobbedienti,l'intimorisca , mà insieme con
prudenza, che Blandè eos excipiendo, consoletur , confor [ocr errors][ocr
errors] [ocr errors][ocr errors] me ancora, che avverta di non li prevalere di
Sostituti imperiti, affinche de' loro mancamenti non resti esso debbitore, e
quelli , che opereranno in tal guisa cosa acquisteranno? Gloriam tùm apud
majores, tùm apud pofteros fibi comparabunt; e finalmente insegna il modo di
conseguire con facilità la sudetta virtù, soggiugnendo : Qui etfi non multarum
rerum cognitionem habent , earum tamen ufis afliduo prudentiam affequuntur
. Apprendercla dunque ora, che fapete il modo facile per conseguirla ,
caso,che non ne foste proveduti à sufficiene za , per imitarlo anco in
questa. La Giustizia, una delle altre virtù principali confifte, al
parere di Galeno , di dare à ciascheduno ciò, che gli compete: (d) Naturæ
iustitiam in eo confiftere, ut quod unicuique competit distribuat ; E. questa
non la potrete acquistare, se da voi non terrete lontana l'iniquità, con turti
li suoi vizj feguaci, che sono le passioni, l'adulazione, ed altri, che operano
tutto il contrario di ciò, che alla Giustizia piace. Il bene, che
apporta detta virtù è dupplicato, perche non fo- lamente benefica
chi la riceve , mà an- cora, chi l'esercita; chi la riceve ottiene
tutto quello , che deve desiderare, e conseguire, e chi l'esercita non
puoles- sere censurato à ragione, perche le sue operazioni saranno
sempre regolare con giustizia, e tutta quella giustizia, che si fà
, si riceve ancora da altrui, in ciò , che riguarda gli proprj
avanzamenti ftanteche (e ) Fundamentum perpetud coe mendationis,
famæ eft juftitia, fine qua nihil effe poteft laudabile.
Meritamente dunque compete al giusto di fiorire co- me la Palma :
Juftus ut palma florebit, perche conforme la Palma quanto è più
caricata di grave peso, tanto maggiore mente sormonta , così ancora il
giusto, quanto più fi procura deprimerlo, tanto maggiormente viene
inalzato. Questa eroica virtù non solamente
viene incaricata da Ippocrate al Medico [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][merged small] M 3 con (e) Cicero i.de
Offic. con precetti, dicendoli : (f) Æquum autem in omni vitæ
confuetudine se preo ftare debet ; e ne assegna la ragione, fog. giugnendo: Cum
omnibus in rebus multum fit in justitia præfidii; mà ancora fù da lui medesimo
seguitata, conforme in tutte le sue memorie si può rincontrare, trà quali per non
dilungarmi, riferirò solaméte ciò,che si legge in una lettera da lui scritta al
Senato di Abdera, nella quale dicc à tal proposito : Ego verò fi omnibus modis
ditefcere voluiflem viri Abderita , nè decem quidem talentorum gratiâ ad vos
venirem , fed ad Perfarum Regem proficifcerer , ubi Urbes tote opibus humanis
refertiffime occurrissent; e ne assegna la cagione, perche ei non lo fece
foggiugnendo: Regias autèm opes ignominia mihi futuras, opulentiam Patria
inimicam reportaffem, quibus circumaffuens Urbium Grecia deftructor exifterem ;
Antepofe dunque Ippocrate à sì confiderabiliffimi proprj vantaggi il publico
bene, fù dunqu'egli perciò disinteressarissimo,e come tale (t) De
Medico. [ocr errors] tale fece conolcere à che segno amava la giustizia,
non potendolo chi veramente l'ama con prove più demostrative far costare, che
con quelle dell'essere di. finteressato. Custodire dunque la Giustizia
co. me pupilla delli vostri occhi , perche questa è quella , che vi può rendere
feli. ci, non potendoyi mancare cosa alcuna, quando la vostra mente sia giusta,
come viene espresso in due versi esametri scol. piti sopra la Porta Romana di
Marino mia Patria, Feudo Nobile dell'Eccellentiffima Casa Colonna, che sono:
Hic tibi tuta quies, do que cupit odia virtus. Defisietquè nihil, fo mens
non deficit equa , Infeparabile dalla Giustizia deve effere la
Fortezza, pofciacchè non sempre li potrebbe eseguire ciò, che la prima dispone
senza l'autorità della seconda. Ippocrate diede la legge conforme fi avevano da
regolare gl'Infermi,mà ordinò ancora al Medico fuo Esecutore, che M
4 che in caso di trasgressione de' suoi Malati fi armasse di fortezza per
farla eseguire : (8) Eumque à fuis cupiditatibus deterreat, bu fimul quidèm cum
amaru- , lentiâ vehementèr increpet . E questas virtù come s’acquista ? con
togliere da noi ogni timore, ogni pufillanimità, con invigorire lo spirito, e
rendere l'animo pronto, & obbediente ad eseguire ciò, che li viene dalla
discrera Giustizia ordinato'. Doppio bene parimente ne nasce mediante la
sudetta virtù ; Il primo è , che sono sicuri gl'Infermi curati da chi è giusto
di non essere adulati, ponendosi da essi in esecuzione tutto ciò, che loro
compéte, e non di vantaggio, e l'altro è, che chi la possiede ne riceve stima ,
erispetto,ponendo in sogezzione coloro, con quali si tratta . Örnatevi
dunque voi ancora di quefra neceffaria virtù, dovendo nelle occorrcoze
resistere alli'defiderj dopravaci de voftriInfermi, male avvezziin sanità
ز [ocr errors] à cra (5) Hippode decenti ornatu , [merged
small][merged small][ocr errors] * crapulare giornaliente , e dovendo
opporvi à ciò, che fuor di proposito ver- rà motivato dagli aftanti, come
potreste resistere, se non foste armati di fortezza, e costanza ,
neceffariamente caderefte nell'adulazione con danno sì della loro
Calute', che della vostra riputazione ; oltre di che con pochi
contradittori vi abbatterete , perche conoscendovi di quell'animo
descritco da Orazio ; Juftum ; tenacem propofito virum. Non
Civium ardor prava jubentium, Nec vultus instantis T
yramni : Mente quatit. Per loro quiete più di
uno vi lascierà stare senza recarvi moleftia . La Temperanza
è quella virtù, che frena li noftri (moderati desiderj, e li restrigne dentro i
limiti dell'onesto , e ci rende finalmente padroni di comandare à noi stessi ;
Quindi è, che Democrito, fiinproverando coloro, che hanno defiderj smoderati ,
(h) disse : Et cùm multis dominare velint , fibi ipfos imperare ne queunt
: (3) Hipp. epif.Damag,queunt ; Senza questa bella virtù nelle maggiori
prosperità non si puol godere di quelle e Alessandro il Grandes appena ebbe
notizia, che vi erano più mondi, che subitamente si concristòs e perdette tutto
quel contento, che forli aveva ris cavato dalle coniquifte di più Regni , perche
gli crebbe subitamente il delide, rio ambizioso di fare maggiori
progrefli. Come s’acquisti questa virtù linsegno Seneca s ( b ) con dire
: Sani erimus , cu modica concupifcemur, fi unusquisque se numeret ,
metiatur fimul corpus , fciatquè hec multùm capere, nec diù pode ; Nihil tamen
æquè tibi profuerit ad temperantiam omnium rerum, quàm frequens cogitatio
brevis avi, a bujus incerti, quidquid facies refpice ad mortem ; Octima Media
cina, e degna veramente di quel gran Morale per moderare i nostri sfrenati
desiderj. E con ottimi sentimenti ancora si ritrova registraro in Ippocrate in
tal guisa: (i) Quod fi quis omnia , quæ facit pro viribus mente verfaret, vitam
ab omni cafu (h) Epif.94. (i) Inepif. Damago cafu immunem fervaret,
se ipfe probè non fcens, fuam ipfius concrétionem apertè intelligens,
cupiditatis ftudium in infini, tum non extenderet, fed naturam divitem, &
omnium alumnam per ea, quæ abundè suppetunt, sequeretur. Quemadmodùm autèm
optimus corporis habitus affectionum periculum denunciat s lic magnus rerum
fucceffüs lubricus eft. Elsendo dunque tanto utile questa virtù, quanto è
desiderabile la propria felicità, la dovreté bramare, e procurare insieme, e
non solamente per vostro proprio bene, ma ancora delli vostri Infermi; perche
se sarece immersi profondamente nelli vostri fmoderati desiderj, avrete la
mente sempre così distratta da quelli, che à tutt'altro penserete, che à ciò,
che possa essere di profitto agli Ammalati, e se pure lo farete, farà cog mence
stanca, per breve tempo, e di paffaggio, doveche avendo roli delide, rj onesti,
questi poco vi affaricheranno la mente , onde avrete campo di applicare con più
attenzione alle cure, e da [merged small][ocr errors] [ocr errors]
inferioris che eravate al negozio, divers sete superiori, alleggeriti che ne
farete, con notabile vantaggio di chi si prevalerà dell'opera vostra. E
tanto maggiormente, che l'offervanža di si bella virtù non fù solamente
incaricata da Ippocrate a' suoi seguaci, comandando loro:(2) Eum quoque
Ipe&t are oportet, ut animi temperantiam excolat, non taciturnitate folùm,
verùm etiàm reliquả totius vite moderatione Quòd ad illi comparandam gloriam
plurimum affert.adjumenti ; Ed altrove: (m) Bonum Medicum minimè impellit ut
fuam atilitatem quærat , verùm ut potiorem fuæ existimationis rationem habeat ;
Itaques longè satiùs eft à morbo fervatis exprobrare, quàm perniciosè
habentes emungere ; Mà di più per darci esempio la volle egli medesimo
religiosamente osservare, po. sciacchè chiamato dal Rè Artaserse, e con che promesse
!.(n) Auri igitur quana fum volet, reliquaquè quibus indiget effuse
ei (1") De Medico. (m) De precept. (n) Ix epift...
Hellefp.Præfee. 6110 ei exhibeto, di ad nos mittita, cum Perform
rum enim optimatibus eodem erit honore; Şicchè la promessa confilteva in
ricchezze, commodi , & onori à quel fegnio, che ne ayeise potuto
defiderare, cosa rifpo e il modeftiffimo ? (0) Quàm celerrime refcribe, nos
vietu, veftitu , domo, omniquè re ad vitam neceffaria cumulatè frui; Pere sarum
autèm opibus uri neque mibi fquum eft; E scrivendo à Demetrio
manifesto anche meglio la sua moderazione, di, cendoli: (P) Rex Persarum nos ad
fe vocavit nefcius mihi potiorem effe fapientiæ , quàm auri rationem; Chi altro
farebbe itato di animno sì moderato in fimili congiunture, che ad una chiamata
di un Rè potentissimo, alle offerte sì grandiofe si fosse potuto contenere con
quella moderazione Ippocratica di ricusarle? Ne crediate, che Ippocrate non
considerasse li vantaggi , che ne poteva riportare, perche in congiuntura, che
ricusando, per non rendere schiava - la scienza Medica delle venalità, li dieci
talenti offer [ocr errors] tigli (0) In epift.2. Hystania (p) In
epift.Demetr. . tigli dalli Abderitani per la cura di Democrito ,
così loro rispose :(9) Ego verò ja omnibus modis ditefcere voluiffem viri
Abderit , ne decem quidèm talentorum gratiâ ad vos venirem, sed ad magnum
Perfarum Regem proficifcerer, ubi Ürbes tot& opibus humanis refertiffimæ
occurriffent dc. divitiæ non funt pecuniæ undequaquè comparat&; Magna enim
sunt virtutis facra , quæ à juftitiâ non teguntur , Jedin apertum fe
proferuntur. Ex morbis quajtum non facio. Sono tutti questi esempi, che
provano un'eroica moderazione di animo, una somma temperanza, e se è vero ciò,
che riferisce Seneca, (r) che Platonc, ed Aristotele ricavassero più profitto
dalli costumi di Socrate, che dalle sue parole. Questi del nostro Ippocrate
sono tali, che possono bastare à togliervi dalIa mente ogni (moderato desiderio
per farvi divenire seguaci di sì eroica virtù , come è la Temperanza, ed allora
potrete con essa ridervi di quelle vagheapparenze di felicità da alcuni tanto
apa prezzate, consistendo tutte in fottilidima superficie, mentre dentro di se,
non altro contengono, che incommodi. Un legno dorato fà una vaga apparenza,mà dentro
di se, non altro nudrisce, che molte tarle , che lo divorano, nè vi G2 discaro
à sentire ciò, che ne dice Seneça: (S). Et cum auro teita profundimus quid
aliud , quàm mendacio gaudemus ? Scimus enim fub illo auro feda ligna lati.
tare buco omnium istorum, quos incedere altos vides bracteata felicitas eft ,
infpice , e disces fub iftâ tenui membrana dignitasis quantùm mali lateat .
Sicchè la vera felicità non consiste nell'esterna apparenza , non nella
superficie vaga, må bensì nel godere internamente una tranquilla calma, che
dalla bella apparenza esterna più costo viene turbata, che dotta. Hò
cercato, come si fuol dire , per mare, e per terra un ritratto al naturale
della verità pro per farvelo vedere, mà non
l'hd 17 Epiß.115. 1 1 l'hò potuto ritrovare à
proposito, perche, chi l'hà dipinta con il viso coperto, chi dentro un pozzo al
bujo, chi l'hà profondata anco più bassa, onde non sapevo come fare per farvela
vedere , non troyandola delineata in formas ostensibile . Mi venne in pensiero diricercare
in Ippocrate , fe in occasione, che fù per curare Democrito l'avessi à forte
potuto vedere nel suo emi abbattei per l'appunto nel sogno, che egli fece
prima di andare in Abdera , nel quale al vivo descrive la Verità , ed in quella
guisa appunto, che gli comparve in sogno, (t) ve la descriverò ancora io. Gli
parve di vedere, nel primo spuntare dell'Aurora una bella Dea alta, e
risplendente, ornata positivamente, e senza pompa , li suoi occhi risplendevano
come dui scintillanti stelle, ed avendolo preso per la mano lo conduceva per la
Città di Abdera à passo lento, e finalmente nel disparire, che fece ella gli
disse , ch'era la Verità , e che nel giorno pozzo, se(1) Is Epift.P
hilop. 3 [ocr errors][ocr errors] seguente lo aspettava da Democrito
do. ve dimorava. Meritano veramente molte circo. stanze di questo
misterioso logno d'efservi interpretare; La prima delle quali è la sua maestosa
bellezza, e questa denota, che la verità è degna di essere da tutti amata; La
seconda il suo ornamento positiuo, e senza pompa significa, che non hà bisogno
di francie, nè di altri abbellimenti superfui ; La terza, li suoi occhi
risplendenti mostrano , che ella abbia necessità di buona vista, dovendo vedere
, e ben discernere li vizj, che la perseguitano; La quarta, con il prendere per
la mano Ippocrate fà comprendere, che non vuole contraere amicizia con
gente di cattivo costume, perche bene li avvedeva, che appreffo ad Ippocrate
non si accostavano nè la bugia, nè l'adulazione ; La quinta il condurlo à palli
lenti inferisce, che chi vuole andare accompagnato con la verità non deve
caminare in fretta, mà adagio , come faceva Ippocrate. La festa il dire, che
lo N aYC [ocr errors] averebbe aspettato da Democrito, dove
ella dimorava, significa, che non ama le grandezze del mondo, ne vuole fare la
fua comparsa, se non in quei luoghi , dove alla è conosciuta , e rispettata con
fchiettezza, e sincerità. Obella Dea, se questi sono li voftri
fentimenti, date à divedere , che voi fiete troppo folitaria , modesta, e circospetta;
E perche non frequentate luoghi più magnifici, e non vi fate vagheggiare
publicamente ? Forse, che temete di faziare chi vi rimira con il vostro
afpetto, conforme fù detto di Poppea Sabbina bellissima Dama de' suoi tempi,
per non farsi vedere in publico , che col viso coperto ? E finalmente , perche
non conversate con persone di sfera inaggiore de poveri Filosofi, con quali
domesticamente voi trattate? Sapete come risponderà facilmente la Verità: lo
son contenta di ftarmene così solitaria, perche fono troppo odiata , sentendomi
dire da per tutto : Veritas odium parit ; ed io, che abborrisco di soggiacere à
quest' [ocr errors] odio, per vivere quiera , e tranquilla , son forzata
nel mondo à ftarmene folie faria ; Solamente nel Cielo godo ogni libertà , ivi
sono amata da tutii, ivi sono il Caduceo di eterna pace, e fapete per. che ?
Perche ivi l'Invidia non mi perseguita , l'Adulazione non mi tradisce,
l’Iniquità , è la Malizia non mi possono punto nuocere, come dunque posso io in
Terra liberamente conversare , senza pormi à rischio di perdere quanto ho di
buono, quanto ho di pregiabile, ch'è ciò, che dico. Se io comparisle da per
tutto, non potrei fare di meno di non incontrarmi bene spesso con miei iniqui,
e fraudolenti persecutori, e se questi, che fanno tante prede mi guadagnassero
con lodare la inia bellezza, e mi facesseroprevaricare , non farei più virtù,
onde per mantenermi tale, quale devo essere sono forzata vivere in folitudine
con il mio bene accostumato Democrito. Avrete da quanto vi hò descritto
sin'ora compreso non solamente la bele N 2 lezzalezza della Verità
, mà ancora li suoi divini costumi, onde fi accinga pure ogni uno di voi à
sposarla , perche cosa più bella , ed utile di questa non potrete ritrovare, e
tanto maggiormente, ch'è affai facile à potervi fortire una simile ventura,
bastandole , che finceramente l'amiate, che farà tutta vostrą. Vi avverto però,
ch'ella è gelofillima, ondę vi converrà per conviverci in pace odiare la
menzogna, l'adulazionc, l'iniquità, e l'inganno, altrimenti vi perderefte in
un'istante la sua grazia. Mi perfuado , che lo farete di cuore, perche
Ippocrate , ch'ebbe la sorte, come dilli , di rimirarla una sola volta , ccome
in sogno, ne restò così invaghito di ella, che fino, che visse l'amò fedelmente,
à segno di esporsi ad evidente pericolo di perdere tutto il suo acquistato
concetto; Posciacchè nella cura di colui, ch'era avvezzo di vivere à suo
capriccio, e perciò facilmente fù ferito in testa, confesso candidamente di
averlo curato male, dicendo , ivi : Hoc me latuit [ocr errors]
latuit sectione opus habere , deceperunt aux sèm me future.(a) Biasimerà
taluno di quelli che amano più la loro estimazione, che la Verità questa tua
confeffione publica ò Ippocrate, trattandosi di un'errore di questa forta , c
tanto maggiormente, che niuno ti forzava à palesarlo, e ti diranno : Dovevi
pure prevedere, che la maledicenza avrebbe fatto contro di tè quanto poteva per
iscreditarti, à cui egli rifponderia facilmente, se vivesse, non mi dà
faftidio, che si mormori di me, purche io non tradisca la Verità, hò voluto
lasciare quest'esempio,acciocchè li miei seguaci non cadano in simile errore, e
segua pure contro di me quel male ne så seguire ; Sapete, che danno ne hà
riportato Ippocrate da simile confessione ? Due elogij frà gl'altri, capaci à
renderlo glorioso per tutta l'eternità, che sono li Teguenti: Cornelio
Celso così ne parla di questo fatto : (b) A futuris fe deceptum effc (a)
L16.5.Epid <grot.-7. (b) Lib.8.cap.4. N 3 effe Hyppocrates
memoriæ prodidit , more fcilicèt magnorum virorum ; & fiducian magnarum
rerum habentium; Năm tevia ingenia ; quia nihil habent, nil fibi detrahunt;
magno ingenio, multaque nihilominùs babituro convenit etiàm fimplex veri errò:
ris confeffio; præcipuèque in eo ministerio , quod utilitatis causâ pofteris
traditur, ne qui decipiantur eâdem ratione ; qua quis antè deceptus eft.
Quintiliano ancora lo commenda in tal guisa: (c) Hyppocrates clarus in Arte
Medicâ videtur honeftifimè fecife , dùm proprios quofdam errores confeffus eft
, boc fine , nè posteri peccarent. Certamente, che non avrebbe riportáte
tante lodi Ippocrate, se avesse tenuta celata tal verità, e se non avesse
confessati li propri errori, non li darebbe tanta credenza à ciò, che
dice. Dunque animateyi voi ancora à ree guitare un sì glorioso Maestro, e
non remete dalla Verità , che sposerete , doverne riportare alcun svantaggio,
anzi te (c) Lib.z. cap.8. [ocr errors][ocr errors] tenete per
infallibile di poterne voi ana cora ricavare glorie immortali. Il difensore
maggiore, ch'abbia la Verità è il Disinganno, egli è quello, che discopre ciò,
che si fà contro di essa, che impiega ogni sua attenzione , & efficacia à
suo prò, non prendendosi alcuna soggezione de' vizj, anco maggiori, in
manifestare le loro iniquità; Hà finalmente tal possanza, che qualunque Verità
più occulta la rende palese à tutti Niuno senza il di lui ajuto sarebbe capace
d'avvertire alli proprj errori ; onde converrà se vorrete seguitare la Verità
paffare con esso lui ancora buona corriso pondenza , rispettarlo, e farvelo
vostro amico di confidenza ; Vi avverto però, che se vorrete veramente
confederaryi con il Dilinganno, non dovrere effere ostinati, nè pertinaci nella
vostra opinione, perche altrimenti nel meglio vi abbandonerà , onde converrà di
farvi regolare in tutto da lui , e vedrete come vi favorirà nelli maggiori
vostri bifogni. Se non si fosse fatto regolare Ippo: crate da questa
eroica virtù, come mai fi sarebbe potuto avvedere del sopr’accennato errore, e
d'altri, e proprj, e del Medici suoi coetanei , che egli riferisce ; Certo è,
che se fosse stato pertinace nella sua opinione il Disinganno non gli avrebbe
fatto conoscere la Vericà qual' era , & in ispecie nel caso di
quell'Ancella di anni dodici, nella quale ei confessò,:(d) Hoc cognitum eft
rectè fe&tione opus habere , fecta eft autèm non velut opportebat , fed
quantùm reli&tum eft , pus in ipso factum est ; Et in questo confeffa, che
non fù fatto il taglio à suo dovere . Nel male di Eupolemo, chi gli averia
manifeftato:(e) Hic videbatur biberari pofle, fa unicâ amplå feftione fectus
fuiffet ; E perche non si fece ? Mortuus eft. Conforme ancora nel caso di
quell' Uomo quafi leproso, (f) che andando al bagno di acqua solfurea guarì dal
male,che aveva, mà morì poscia Idoprico per la retrocesfione del primo; E di
Scamandro, (8) à cui gli accelerò la morte un potente folutivo, come avrebbe
possuto dire : Videbatur plus temporis fubstinere potuille. nisi ob vim
pharmaci; E nel figlio di Teoforbo :( 6 ) Huic exulcerats est alvus fortitèr à
magnâ pharmaci vehementia , moru tuus eft autèm tertiâ die poft potionem ;
Nella moglie di Antimaco , à cui : (i) Datum eft potu Elatherium vehementius ,
quàm opportebat, pou mortua eft circà mediam noctem; In quell'uomo Eubeo, (i)
il quale:Cùm bibiffèt pharmacum expurgans fres dies purgabatur, e mortuus eft ;
E nel caso di Artandro, (m) il quale : Sanus erat à catapotio extinctus eft ; E
finalmente in quello di Trinone , (n) lasciando di riferirne altri : Cùm ad
nervum fanè parum medicamentum erodens fuiset adhibitum, opistotono mortuus
eft. Dunque queste utili memorie, che noi leggiamo in Ippocrate tutte le
dovemo al Disinganno, che gliele fece cos nofcere. Ovirtù così sublime, perche
ancora non consigliaste tanti altri Profeffori eccellenti, che scriveffero
ancor esli con questa Ippocraticà ingenuità nello scoprire li propri errori à
pofteri; Quanto bene averia apportato à noi simile verità; Hanno scritto; è
vero, molo te mirabili osservazioni, mà hanno ancora con quelle più tosto
cantato li loro trionfi, che compianto le altrui sventure. Fate almeno, che li
secoli venturi godano di questo bene , & à voi toccherà di ereditäre ò
Giovani ingenui questa purità di scrivere Ippocratica ; se vi uniformcrete
conforme egli fece alli consigli del vostro disinganno: yemo (g)
Epid.lib.5.&gr.15. (h) Ep.lib.5.&gr.17. (1) Ep. lib.s. agr.18. (1)
Ep.lib.5.agro3s. (m) Lib.s. agr.42: (a) Lib.gi .gr.74 7 La
Vigilanza à che segno sia neceffaria nel Medico , ne dà non piccolo contrasegno
il sagrificio, che bramava Esculapio del Gallo, fiinbolo della vigilanza,
volendo facilmente quell'antico Nume della Medicina far capire a suoi seguaci
ciò medianto, che desiderava da essi, più d'ogn'altra cosa , la vi
[ocr errors] ) [ocr errors] vigilanza, e con ragione, stanteche nella
Medicina : 60 ) Occafio præceps; occafio in que tempus non multum ; E se à
prenderla quando si presenta , non li fà con atten zione è cosa facile di
perderla , con dia scapito di ciò, che si poteva ottenere in vantaggio
dell'Infermo ; Quindi è, che Ippocrate dà titolo di ottimo Medico à colui solo;
che prevede le cose future, dicendo :(p) Medicum prænotionem adhibere optimum
effe mihi videtur ; Prenoa scens enim , & prædicens apud ågrotos, da
prafentia, & præterita, & futura ; E questo non già per altra via ,
che per quella della vigilanza , si può ottenere. Per conferma di ciò fà
à proposito la somiglianza, che apporta Ippocrate (9) del Medico con il
Governatore della nave, che si ritrova in tempeita, à cui non conviene già
dormire per non sommergersi insieme con il suo baltimento trà l’onde; Ed in
verità yi converrà essere nelle vostre cure molto circospetti, e
vigilanti, non (0) Hipp.Præceptiox. (9) De veteri
Medio. (p) Di Prenot. non essendo sufficiente la fola vostra
pea tizia , mentre che al parere d'Ippocrate: (r ) Bonis autèm Medicis
fimilitudines pariunt errores , ac difficultates; E cresce maggiormente à tempi
noftri tal neceffità per cagione della separazione, che ha fatto la
Medicina dalla Cirugia , e Farmacia, perche fe allora baftava una parte di
vigilanza , dicendo il detto Ippocrate : Nec folùm feipfum præftare oportet
opportuna facientem, verùm, e agrum, affidentes de exteriora, a' quali dovendo
invigilare il Medico, acciò non trascurino di fare ciò, che da esli si deve,
ora maggior obligo gli corre di dupplicarla per questa nuova aggiunta. Nè
vi riferirò, per perfuadervi ad essere vigilanti, l'esempio, che ne diede in se
stesso Ippocrate, per non avervi à ripetere tutto ciò che abbiamo di esso,
mentreche non fi legge nelle sue opere cosa che non denoti una somma
avvedutezza, una grandissima vigilanza , & in ifpecie ne' suoi pronostici,
ne'quali fi puol (r) Epid. lib.6.dift, &: puol dire con
ragione, che ancora de Bercore collegit aurum , onde spero , che con rincontrarle
ocularınente à fuo tema po, sempre più vi crescerà lo stimolo di efsere
vigilanti, e tanto maggiormente ne sarete, quando in quelle leggerete, (che :
Vigilantia verò &c. ad vitæ boneftatem refert . Majorem enim apud alium
fibi gratiam conciliat, fi ad artem traducatur , eique decus, ob gloriam
comparat ; & in appresso: Bonus Medicus vigens ipfus artis opifex
nuncupatur. Della Vigilanza è compagna inseparabile, e fedele la fatica ,
la quale per essere opposta all'Ozio padre di tutti li vizj, li può chiamare
madre di tutte le virtù, e questa nella Medicina è cosi essenziale, che senza
essa è impoflibile di poterli acquistare, esercitare, ed ampliare , A voi
dunque, che desiderate essere veri Medici converrà accingervi à triplicara
facica. La prima vi servirà per fare acquisto della Medicina; La secon
dada per impiegarla nell’efercizio di effa , ela terza finalmente per lasciare
degną memoria di voi in ampliarla à quel fegno', che vi farà permesso dal
vostro ingegno. Già della prima ne fù discorso nella seconda Giornata,
nella quale fù moftrato ciò, che si debba fare per conseguire la buona pratica
; mi resta fola. mente ora da soggiugnervi, che quella sola non può bastare per
farvi vivere ripofati , e senz'altra briga , ftanteche quantunque, fia
sufficiente per potere esercitare la Medicina, nulladimeno per essere ancor voi
annoverati trà Proferfori più esperti, e capaci di dare più accertati consigli
vi converrà infino al fine di voftra vita faticare in fare sempre nuovi
acquisti, restandoyi tuttavia molto da apprendere, sì per incontrarvi alle
volte in mali non più osservari, conforine Celso avvertì , dicendo : Sæpè vero
etiàm nova incidere genera morborum , che per essere la Medicina scienza sì
va#a, che niuno fin'ora ha potuto scoprire li suoi ultimi confini, nè Ippocrate,
nd tampoco Esculapio, che ne furono l'Inventori , conforme egli confessa
ingenuamente :(t) Ego enim ad finem Medicinæ non perveni, etiamfi iàm fenex
fim, nequè enim ipfius Inventor Esculapius. Quale appunto debba essere la
seconda fatica nel professarla, così ve la descrive: (1) Crebro ægrum invife
diligentem considerationem adhibeas, ut iis, qui decepti sunt per mutationes
accurras; Facilior enim tibi cognitio fuppetet , fimula què te promptiùs
expedies • Instabilitèr enim moventur quæ in humidis confiftunt. Questo testo è
così chiaro , che non hà bisogno di dichiarazione maggiore, ris' chiedendo da
voi Ippocrate nell'esercizio pratico la fatica unita alla vigilanza, e facendo
voi in questo modo vi assicura, che minori brighe avrete, perche presto tirarete
à fine ciò, che facendo con trascuraggine vi apporterebbe maggiori incominodi,
La terza fatica è arbitraria, e viene fo(t) In Epif.Democt (0) De decenti
babiru. [ocr errors] folamente abbracciata da quelli fpiriti
investigatori, che hanno unita la vivacità dell'ingegno alla prudenza, e questi
per il desiderio , che hanno di eternare li loro nomi, riescono in tale
opera profittevoli, de' quali credo , che frà voi ve ne farà caluno abile, dal
quale spero non si ricuserà fatica sì gloriosa,abbracciata, e consigliata
insieme da Ippocrate, dicendo: (*) Nunc verò ea , quibus summo studio prudentes
incumbere debent, partim quidèm à majoribus excerpta, partim verò etiàm nunc
per nos inventa ad te fcripfimus. Nè delista taluno di voi, che sia abile
à sì gloriosa impresa d'effettuarla per vedere impallidito di volto, emaciato
di corpo, & invecchiato prima del tempo chi abbracciò fimile fatica;
posciacchè da quell'emaciazione di corpo, da quel pallore di volto, e dal
comparire più vecchio, ch'egli sia, gran benefici ne hà ritratti che
sono,maggior vivacità di mente , senno, e prudenza. Mà (x) In Epif ad
Reg.Demetr. [ocr errors] Mà quando ancora da tal gloriosa cagione ne
risultasse qualche fisico svantaggio, fi bilanci qualsia peggiore, se quefto, ò
pure quello, che ne proviene dall'ozio; e si vedrà senza fallo, che l'oziofi
non solamente sono soggetti ad infermità peggiori di quello fieno gli ftudiofi,
mà ancora , che terminano più presto la loro miserabile vita , onde non è
prudenza il temere ciò, che può recare minor danno per andare in traccia à ciò,
che ne può recare maggiore, e con lo svantaggio di più, che à prò
degl'affaticati Letterati stà sempre preparata un' eternità di gloria, dove,
che à danni de gl’oziofi una perpetua ignominia. Non mi stenderò di
vantaggio in esaminare le altre virtù , che restano perche vi si richiederia
più tempo di una sola giornata, e tanto più , che poffedendo voi le già
descritte vi si renderanno famigliari tutte le altre; Solamente del più bel
frutto , che producono le virtù , ch'è il buon costume, non sarà fuori di
proposito oggi parlarne , stante che che questo da Ippocrate viene
stretta. mente incaricato al Medico , per farvi conoscere insieme à che segno
egli lo profeffava . Il buon costume è un'abito essence ziale per la vita
civile, acquistato solamente da chi poliede un'aggregato di moltiffime virtù',
trà quali risplendong la Prudenza, la: Sincerità, la Gratitu, dine , l'Umiltà,
la Discretezza , la Bez nedicenza , l'Urbanità, e la Conyenienza, e questo
abito deve essere continuato, perche fe la Superbia , l'Ira , l'Ambizione,
& altri vizi di fimile perversa natura l'interrompono, il buon costume
passa fubitamente in cattivo, Chi hà la forte di poffederlo è ricchisiino,
mentre hà un tesoro, del quale quanto più ne fpende , tanto più resta in
capitale ; Per csempio, chi hà il buon costume di lo-, dare, non solamente non
riceve alcun discapito dalle lodi, che dispensa, mà n'è perciò egli ancora
lodato. Devesi nondiineno usare prudenza in non eccedere molto con affettazione
ne' buonicostumi, ftantęche alle volte, quando sono soverchiamente adoperati, e
con affettazione nauseano, & in vece di apportare del bene,fanno del male,
e tanto maggiormente, quando ciò viene regolato da qualche secondo fine, nel
qual caso la lode istessa può essere nociva, e perciò ebbe à dire Tacito ;
Peffimum inimicorum genus laudantium. A che segno sia necessario al Medi,
co il buon costume, mediante il quale viene colta ogni ambiziosa contesa, lo
dimostrò Ippocrațe doppo di aver fatto , conoscere la necessità , che vi sia di
consultare con altri Profeffori li mali oscuri, soggiugnendo : (a) De eo minimè
am. bitiosè contendere , fe ipfos ludibrio exponere; Pofciacchè fimil maniera
non è propria de' Medici racionali, mà solamente di quelli triviali, che :
Forenfem queftum fectantur , conforme egli dice in appreffo. Nè solamente
il mal costume pone in discredito chi lo esercita , mà passt O 2
per [a] De Præcept, و 'per causa sua ancora nell'innocente Medicina
la calunnia ; L'esempio è chiaro : Contrasteranno due Medici tra di loro
acerrimamente, se fi debba, ò no dare un'orzata in un male acuto, se debbali, ò
nò colare,fe prima debba darsi, ò doppoi il seccimo giorno, e se sia
praticabile ayanti, che il male sia terminato, le quali essendo questioni
inutili, e come fi fuol dire , di lana caprina , perche con l'esperienza fi può
rincontrare se ne posfa feguire quel gran danno, che si figura chi contradice,
onde finili contese non poffono à mio credere autenticare al che
l'imprudenza, e mal costume di chi le promove, e picciol male recheriano, se la
colpa di ciò restafse trà li foli Artefici altercanti, il peggio è, che ne
passa alla Medicina la calunnia; Quest'esempio non è stato inventato da me,
ritrovandofi descritto da Ippocrate così bene, che non vi recherà punto di noja
il sentirlo riferire : (b) Que igitur ignorantur bee funtó quanam de causâ in
morbis acutis, quidam Medici toto vita tempore in Ptifanî non colatâ exhibenda
perfeverents rectè fe curare existiment; Quinàm etiàm omni ratione contendunt',
ne ullo modo hordeum æger devoret , quoad indè magnum fecuturum detrimentum
exiftiments morbis (b) De ration. Tic.in morbiacut. tro,
verùm per linteum excolantes ejus fuccum porrigunt . Horum etiam nonnulli ,
nequè Ptisanam craffam , neque succum exhibent, ubi quidem dùm feptimum diem
eger attigerit , alii verò dùm in totum morbus judicatus fuerit ; E ciò, che da
simili altercazioni ne fiegua l'esprime in tal modo : At verò Ars tota magnam
quidèm apud vulgum calumniam fubftinet , ut nullam omninò Medicinam efe
exiftiment a kquidem in acutis morbis, in tantùm inter Te diffentiunt Artifices
, ut quæ alter exhi. bet, veluti optima reputans , etiàm mala alter
exiftimet. Due ingiurie vi farei nel medesimo tempo , se pretendesli
d'insegnarvi il buon costume: una saria di riputarvi male accostumati, che
per ļa Dio grazia non siete, e l'altra di credervi stolidi, ed
incapaci di ragione , per non esservi approfittati di ciò, che vi disli,
detestando quei vizj, che costituiscono il mal cos ftume. Continuare di
buon'animo á fuggire li vizj, e seguitare queste virtù, che vi hò mostrato, e
non dubitate , perche Hi vostri buoni costumi in breve diverranno ottimi, &
acciò possiate conseguire con più facilità fimil sorte vi rappresenterò alcuni
costumi eroici d'Ippocrate, li quali vi potranno fervire di norma in moltissime
vostre occorrenze , che vi si presenteranno facilmente à suo tempo. Egli
fù così esemplare nell'offervanza degli ottimi costumi, che non sò fe trà
Medici ( alla riserva di quelli dia chiarati già Santi) ve ne sia stato, ò ve
ne sia di presente , chi lo possa uguagliare La Pietra del paragone per
cono. fcere se il costume sia ottimo sono li onori, ftanteche honores mutant
mores , onde quando l'onorato non cambia li fuoi costumi in peggio per cagione
dell? onore ricevuto's tenete pure per certo, che ) che il
suo costume sia ottimo. E la ca. gione di ciò è, perche con gli ottimi regna
l'umiltà in grado eroico, e dove è questa , la fuperbia non s'accosta, fa.
pendo per esperienza, che inutilmente impiegheria ogni sua fatica, e la
superbia è quella, che perverte il buon co. stume , mà contro l'ottimo non fi
ci meriti, ) Che Ippocrate abbia ricevuti onori fommi non
trovo fi controverta da ale cuno, mentre fù chiamato dal Rè potentiffimo Serse,
con promesse di ciò, che egli avesse saputo desiderare, oltre di costituirlo
Magnato della Persia, fù cre duto ancora, che discendeffe dal Dio Esculapio,
che fosse in grazia del Rc Demetrio', e di molti altri Potentati, e finalmente,
che ricevesse dagli Ateniefi onori maffimi, non solo umani, mà ancora divini
effo vivente, come costa per Senatus Consulto, ch'è questo : Ut igitur conftet
Populum Athenienfem Græcis femper utilitèr confuluife , utquè dignam pro
meritis Hyppocrati gratiam referat, decrevit Poo 0 4Populus ut is
magnis mysteriis ; Hor fecùs at Hercules Jovis filius publicè initiaretur, O
coronâ aureâ mille aureorum coronaret tur. Coronam ipfam Quinquatribus magnis
in gymnico certamine pręcone proclamante, omnibus Coorum liberis liceat non
fecùs às Atheniensium Athenis pubertatem ageres quod coram Patria ejufmodi
virum proCreavit, Hyppocrates verò, ut Civitatis jis re, victu in Pritaneo toto
vita tempore donetur. E questi commi onori qual mücazione produsero ne'
suoi costumi? niuna appunto, mentre non furono capaci di farlo insuperbire,
come fi legge nella sua lettera , che scrisse già divenuto vece chio à
Democritó : Et ego fanè plus repræhenfionis , quàm honoris ex arte mihi
confecutus videor ; Vedete quanto stimava l'onori maslimi, e se s’infuperbivad
punto di quelli, credendoli inferiori ad una picciola riprensione , dico
picciola, perche delle grandi non n’era capace un’Ippocrate . Più gli premeva ,
per quanto li può congetturare dalla mede fima lettera, la cagione delli
ònori,mentre mostrava di dolersi, che eisendo diyenuto già vecchio non era
potuto ancora giugnere à tutta la perfezione dell' Arre; volendoci forsi con
questo far conofcere, che non sono tanto pregiabili gli onori, quanto è la
cagione, che li produce, ch'è la virtù , la quale dipende tutta da noi, doveche
gl'effetti di quella dipendono dall'altrui volontà; Avendo dunque Ippocrate
resistito à non fare alcuna mutazione nelli suoi buoni coftumi in tanti, e tali
onori ricevuti, è contrasegno evidente, che foffero arri. vati al grado
dell'ottimo , nel quale solamente, come fi è mostraro, sono im.mutabili li
costumi. Che vi sia stato à luo tempo, ò dapoi fino al presente chi
abbia.conseguito limili onori, non se ne ritrova memoria, per quanto fia stata
cercata, onde non hà alcun'altro Medico avuto occasione, doppo di lui di
mostrare ugual costanza del suo buon costume in fimili prosperità; Ricevendo
dunque voi onori, faprece [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] con
l'esempio di un tanto Éroe, confora me vi doyrete contenere affinche le
prosperità, che ne risultano da esli , non vi facciano, conforine appunto
fecero prevaricare li antichi Romani, che fusono ne' primi secoli della
Repúblicas esemplari in bontà, mà avanzandoli pom fcia nelle ricchezze andavano
declinando , e finalmente nell'auge delle loro felicità, e grandezze da buoni
divennes ro cattivi , onde con ragione esclamò Tacito : Felicitate corrumpimur.
Mi di{piacerebbe però sommamente,che simili sventure si verificassero in voi,
perche goderei vedervi tutti esemplari, e degni imitatori d'Ippocrate, non
solamente nella dottrina, mà ancora negli ottimi costumi Mi rimane per
totale conferma del mio intrapreso assunto di corroborare con altri esempi ciò,
che hò proväto con le ragioni ancora. Il primo de'quali sarà di farvi vedere,
con quanta civiltà egli scrise de gli antichi intorno à quelle cose che
effi 11011 [ocr errors][ocr errors][ocr errors] non sapevano, e che
furono dalla sua induftria inventate . Dice egli intorno la regola del vivere :
(c) Alii quidem aliud ättigerunt, totum verò nes unus quidem adhùc ex his , qui
antè extiterunt ; Neque tamen eorum quisquam reprehendendus , quòd invenire non
potuerint ; quin potiùs Jaudandi omnes'; quod quædam inveftigao tione aggreffi
fint ; Neque ergò que recta dieta non funt argüere decrevi , fed his , qué
abundè funt cognità affentiri in animo habeo ; quæ igitur ab iis , qui antè nos
fuerunt reétè di&ta funtzde bis fieri non poteft fi alitèr ferihatur, ut
reétè fcribam, quæ verò non rectè dixerunt fi ea quidem , quod ità non habeant
redarguero nihil profecero ; E cosa abbia fatto in questo caso lo dice in
appresso, cioè: Que non rette fuerint cognita aperiam; Quin etiàm qua corum
nultus , qui antè me fucrunt explicare aggreffus eft qualia fuerint demonftrabo
; Ed altrove con chę prudenza ne parla:(a) Sed nequè de victus ratione
quid quàm [c] Dx viftus ratione lib.i. [d] De ratione vitus
in grutis. [ocr errors] quàm effatu dignum veteres fcriptis
tradiderunt , eamque , quamvis magna res fit, omiserunt s Varia tamen morborum fingua
lorum genera , multiplicemque eorum divid fionem non ignorarunt quidàm. Avete
of servato con che creanza , con che giua stizia; e con che prudenza ne parla
un' Ippocrate de' suoi Antichi, scusandoli in ciò, che non seppero, e non
pregiudicandoli punto in seguitare, e confeffare ciò, che di buono efi dissero;
Si è praticato questo buon costume da alcuni de' noftri Moderni verso li
Antichi? Mi pare di leggere, per dire il vero, più tosto il contrario, anzichè
mi sono avveduto, che taluno di efli há palleggiato con tal fasto invidioso
dace sopra quelle gloriose ceneri, che ne sono rimasto molto scandalizato,
rifettendo, che Ippocrate con li suoi Antichi diversamente faceva, nė vi
riferirò da vantaggio per non farvi nauseare di ciò, che essi ancora hanno fatto
di bene .; Per fecondo vedremo, come egli fi portò in quelle cose, che lo
toccavanoal vivo. Gli pervennero à notizia alcune predizioni (e)
credute da Prospero Mar. ziano suo Espositore accurato, Astro-
loggiche, che appresso gli Egizj si prati- cavano in quei tempi, che
erano alli Greci ancora ignote, le quali non li pia- cevano,
mentre disse : Egnautèm hujuf- modi vates effe nolo ; e con
ragione, per- che gli pervertevano ciò, ch'egli con tanta
diligenza aveva ricavato dalle proprie offervazioni intorno alli
prono- stici de' mali, e che aveva appreso dagl' altri,
e pure con questa modestia si con- tonne : Prædictiones Medicorum
referun- tur permultæ tùm præclar& , tùm admira- tione
dignæ, quales neque equidèm prædixi, neque quemquàm, qui
prædiceret, audivi; e cosi destramente se ne liberò senza
contradirle . Questa maniera sì dolce non è stata già
praticata nel giugnere à notizia tante belle invenzioni
Anatomi- che ; contro la circolazione del sangue cosa non fù
detto mai? Senza possedere un'ottimo costume non fi può lodar
ciò, che (e) Lab.2.Prædi&ionum [ocr errors] che perverte
un'abito fatto da lungo tempo, e che si è praticato per lunga serie di
anni. Per terzo riferirò comę egli firegelaya quando era necessitato à
palesare qualche errore commesso. Questo lo faceya senza individuarne l'Autore,
ece cettuatone li proprj, li quali publicamente confessava , come già fentiste,
parlando del disinganno, e questo, da chi vien praticato Solainente d'Ippocrate
fi racconta fimile ingenuità, & in caso ancora, che abbią apportato laws
morte, Per quarto finalmente per far trionfare la sua gran bontà riferirò
il giuramento, ch'egli fece, che nella Medicina à suo tempo non vi era alcun
Medico razionale, (f) che non fosse di buoni costumi, e questo giuramento, chi
lo farebbe à tempi nostri ? Onde bisogna neç ffariamente confeffare, che unico
fia stato Ippocrate non solamente nella dottrina, mà ancora nell'ingenuità de'
co stumi; [f] In lib.de præcept, [ocr errors][ocr errors] ftumi ;
Sicchè con ogni giustizia li com. pere il principato nella Medicina, che egli
da tanti secoli pofliede. Dovrete yoi dunque per essere tee nuti degni, e
veri suoi seguaci non folaa mente abbracciare,& uniformarvià ciò, ch'egli
scrisfe in Medicina , mà ancora ftrettamente osservare quanto nella morale si
debba fare, ftimando forG il buon' Ippocrate più necessarj li buoni costumi al
vero Medico, delli suoi Fisici docu. menti, mentre questi li lasciò in libertà
di ciascheduno di seguitarli, mà li primi con giuramento forzava tutti ad
offer. varli esattamente, obligandoli a giurare di essere grati, di vita
incolpabili, onorati, casti, giusti, modefti, pudichi, fedeli , e di somma
segrerezza , e sentite sotto che pena l'obligava: Hoc igitur jusjurandum , fi
religiosè obfervavero, ac minimè irritum fecero , mihi liceat cum fummâ apud
omnes existimatione perpetuò vitam felicem degere's & artis uberrimum
fruEtum percipere , quod fi illud violavero, pejeravero , contraria mihi
contingant ; E quan [ocr errors] E quanto mai il buon costume nel
Medl att [ocr errors] mente si può comprendere da ciò,
dice nel libro Di lege : Quifquis enim Medicine scientiam
fibi vere comparare volet eum his ducibus voti fui compotem
fieri oportet natura, dottrina , moribus generofiss è chiunque di
questi ne farà privo, come uomo profano, diverrà im-
meritevole gli sia dimostrata una scien- za sì facra ,
conforme e la Medicina, soggiungendo ivi : Hæc verò cum sacra
fint , facris hominibus demonftrantur , pro- phanis verò nefas,
Sono dunque, secondo la mente d'Ippocrate , effcnziali nel Medico le
virtù morali , e nientemeno di quello fieno li documenti Fisici, ed in
conseguenza ancora come tali apporteranno necessaria- . mente un commo bene al
vero Medico , non potendo esser tale, se non ne farà ornato à sufficienza,
conforme in termi. ni precisi più diffusamente lo dimostra lo stesso Ippocrate
nelli libri De Medico, © De Decenti ornatu, e nel libro De Pre و (
9 ceptionibus , ove affinche non se ne possa dubitare l'attesta con prova
legale, cioè mediante il suo giuramento, ch'è questo : Hoc namque jurejurando
affirmare audeam , Medicum ratione utentem , alterum nunquàm invidiosè
calumniaturum, fic enim animi impotentiam prodit. Verùm id potiùs faciunt , qui
forensem quastum seEtantur . Sicchè per essere veri Medici razionali
dovrete essere ornati di virtù , e non contaminati da’ vizj , conforme sono
quelli, che per essere meri mercenarj non meritano il titolo di vero Media co ,
quantunque fossero nelli documenti Medici versati ; e perciò saggiamente egli
nel libro De Lege asserisce: Non folùm verbo , fed etiam opere Medici
existimationem tueri oportet; ch'è quanto dovevo mostrarvi nella prima
parte. Se poi alcune virtù fi poffino giuftamente censurare nel Medico,
che è la seconda parte del mio discorso, in qualche caso crederei di sì,
conforme con un'esempio riferito da Ippocrate brevemente vi farò vedere.
P TutteTutte le virtù hanno un fine retro, e se fi lasciano operare à
tutto loro potere s'inoltrano con tanto fervore, che da alcune di esse in vece
di ricavarné profitto , se ne riporterà del danno, La Giustizia, & il Zelo,
tra le altre , fe si cferciçano con sommo rigore, & à quel segno, che
arriva la loro autorità. Quefte sono capaci di porre cutto il mondo in
sconcerto, e perciò diffe Salomone:(+) Noli effe juftus multùm; onde è
necessario unirlo alla civiltà per renderle fruttuose.Simili fconcepci appunto
potrebboro giornalmente accadere nella Medicina, fe il Medico si voleffe
fervire della sola Giu. ftizia, del solo zelo con quell'Inferma male avvezzo in
fanità à fare à fuo modo , allorche trasgredendo alla regola di vivere,fosse da
esso con tutta giustizia riprefo, & afpramente sgridato di tal’erróre, cosa
se ne ricaverebbe di profitto da çal giuftiffima,mà indiscreta riprensione? Se
non che, ò l'Infermo facesse peggio in; (1) Ecclef.cap.79 1
[ocr errors] in avvenire, e che senza alcun profitto perdesse ogni çispetto à
chị lo riprese, ed in questo ca fo giustamente il Medico verria censurato, perche
non si servi in fare una simile riprensione del prudens ziale consiglio
d'Ippocrate, (a) che dice ciò, che deve fare, doppo di averlo afpramente
{gridaco,& è : Simulque cum commonefaciendo , & blandè excipiendo
consoletur ; & altro ve dice : Condonandum aliquid consuetudini ; Quel poco
di dolce, che gli porgerà doppo l'amaro della riprélonę opera tato di bene che
faràche la Giustizia usata divenga profittevole , Il ţimile pariinentě ne
seguirà se voi, con zelo poco discreto , vorrete riprendere taluno , che sia
ricaduto in mali venerci ; questo tale, quanto più lo [griderețe , tanto peggio
farà , bisogna dolcemente che gl'infinuate , e gli facciate capire il danno ,
& il pericolo, che gli può sopravenire da fimili ricidive, le miserie, la
morte penosa inevitabile saranno quelle , che, inlinuate con gius [ocr
errors] (a) In lib.præcept. [ocr errors] dizio, lo potranno più
facilmente perfuadere di fuggire simili errori, perche questi motivi restano
impressi per lungo tempo nella mente , mà le gridate, che passano presto in
oblivione , riescono infruttuose, perche sentendosi con animo irritato , non
s'apprendono quanto: fi dovriano . Molti altri esempi potrei apportarvi, mà
credo , che li riferiti pollino essere sufficienti per farvi capire tal verità
; Volete dunque, che le vostre virtù non fiano censurate , accompagnatele, e
non le fare operare fole, e fate appunto conforme si suol praticare con le
donzelle vistose à fine non si mormori di loro che accompagnate con altre donne
più provetre , e prudenti possono trattare in privato, e comparire in pliblico
senza taccia. Mi persuado che li documenti, le ragioni , e gl'esempj
d'Ippocrate, che vi (hò addotti fin'ora, saranno senza fällo sufficienti a
farvi incaminare per il retto fentiero delle virtù , il quale spianato in tal
guisa , fe à caluno di voi paresse tut tavia [ocr errors]
tavia disastroso, non occorrerà s'affati chi di vantaggio, perche per lui
non fa. ranno à proposito le virtù, e per tanto se ne viva pure à
suo bell'agio con li suoi vizj diletti, nè occorrerà, che in do-
mani quivi si presenti, perche voglio in avvenire parlare solamente a
quelli, che hanno generosamente determinato d'ab- bandonare affatto
li vizj, e seguitare le sole virtù. [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][merged
small][ocr errors] G. I Ô R N Å TA V I. Nella quale s'accenda il modo di
prévalerfi del consiglio delle virtù contra l'infidie. de
vizj, affinchè il vero Medico poffan godere una vita iranquilla , e lasciare
di se doppio morte una gloriufi memoria : [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] On mio contento non ordinario vi vedo
oggi, prima del solito , quì tutti preferiti; posciacchè averidoviderto nel
fine della Giortiada di jeri, che chi nơn s'era già determinato di seguitare le
fole viétừ, non occorreva ch'oggi forfè venuto; temevo che almeno quelli , che
gliscorgevo più pensoli degli altri, foffero mancati; Mà vedendo quì ancor voi,
e più ilari , e disinvolti del consue. to, è chiaro contrafegno, che le vostre
menti, che si ritrovavano nelle Giornate passate ambigue, non sapendo ancora à
che partito appigliarsi, abbiano già déterminato di seguitar le virtù, avendo
jeri gustato, e meditato in appressoquanto di benc da elle ne possa risultaa
re; Onde tutto il giubilo interno; che voi ora provares non nasce da altro, che
dall'essere divenuti padroni del vostró volere. Spero dunque, che tutti inGeme
äverere avuto la medesima forte d'allontanarvi affatto da' vizj, e di
confederarvi con le sole virtù, e queste fatele ora padrone dispotiche della
vostra voz lontà, e non temere de viżj , che fuor di voi fi ritrovano , che
possano essi punto nuocervi, con tutto che vi tramaffero continue insidie per
lo sdegno concepi . to contro di yoi's che ve ne siete da efti affatto
allontanati , perche farà curau delle virtù il difendervi: Vi säria gran timore
quando questi inimici teneilero tuttavia assediato il vostro cuore, e
fiorreffero liberamente d'intorno alla voftra volontà ; Allora sì che tion
potreste fidarvi delle loro insidie , ftanteche in tal caso le virtù non
potriano affiftervi. Vivete dunque cautelati á non tradire. voi stesli orche ne
fiece liberi; e questo seguiria facilmente quando apriste qual [ocr
errors] che segreta porta , per dove poteffero i'vizj dentro di voi tornare.
Per altro faccino pure fuori di voi quel più , che possono s che
punto non vi potranno danneggiare.L'esempio l'abbiamo chiaro ne i Romani, che
fino ch'ebbero Annibale nell'Italia stiedero con ragione molto mesti, ed affitti
per il timore delli gran danni , che poteva loro apportare, mà appena
partito, sollevorno lo spirito, con tutto che proseguisse à molestarli, e di
niuna cola elli ebbero più spavento, che della guerra intestina, la quale alla
fine fù cagione , che perdelfero la loro libertà. Parerà oggi discorso
superfluo il mio,mentre voi avêdo in abbominazione li vizj;ed essendovi
dichiarati seguaci delle virtù, potrete con la guida di esse consigliare più
tosto gl'altri, che aver bisogno di Direttore, con tutto ciò perche non avete à
bastanza ancora acquiftato Puso di prevalervi di effe , non vi farà infructuoso
il sentire da me in compendio quel bene , che à suo tempo, ed [ocr
errors] [ocr errors] in tutti i vostri maggiori bisogni , questo vi
apporteranno , potendo ciò ancoras fervire per confermarvi di vantaggio della
vostra lodevole risoluzione. E cominciando prima dalla Religione, che con
puro cuore profeffate , poiche Non fi comincia ben se non dal Cielo ;
Qucfta non solamente vi darà lume, e vi fervirà di scorta per quello che
riguarda l'eternità, mà vi configlierà di fare fempre uniti con le virtù,
facendovicon chiarezza vedere la deformità de' vizj, e li gran danni che
apportano; Quindi è, che neceffariamente la fapienza deve ftare unita con la
Religione, conforme diffe Lattanzio : Homines ideò falluntur , quòd aut
Religionem fufcipiunt omissá Sapientiâ , aut Sapientia foli student omissa
Religione , cum alterum fine altero non poffit effe verum ; Oltre di che vi
farà conofcere meglio di che forta d'amici avrete da fare elezione, perche fe
vi abbattete con taluno di coloro, che sono affatto increduli di ciò, che non
veggono, v'in [ocr errors] [ocr errors] finuerà, che questi non sono à
proposito per voi , che ci trattiace quanto porta il mero bisogno ; ma non più
oltre, perche questi sono tenuti da Sant'Agostino per tomini carnali , dicendo
; In homine carnali tota regula intelligendi est consuetudo cernendi quod
solent videre credunt ; quod non folentznon credunt; conforme ancora, che
fuggiare ogni altro vizioso , è che v'intrinfechiare solamente con chi è
seguace delle virtù, e finalmente vi terrå fempre circospetti in non prestare
fede à ciò,che leggerete, ò sentirete dire; che poffa in qualche parte
alienarvi dal suo vero sertimento Non ritrovandovi ora in istato di
potere profeffare la Medicina , per non essere totalmente esperti in essa , vi
converrà cercare ottimi Direttori, nella di cui elezione consigliandovi con la
Pradenza , v'insinuerà, che vi appoggiate -à quell'appunto, che descrive
Cicerone in tal guisa : Eft igitur adolescentis majores natú vereri, ex iisque
deligere optimos, e probatisimos , quorum confilio , atque au
auctoritate vitantur : Ineuntis enim ætatis, inscitia ferum conftituenda da
regenda prudentiâ eft. V’insinuerà d'avantaggio la giustižia come vi
dovrete contenere per acquistarvi il loro affetto , che sarà, oltre l'accennato
ossequio, di esser loro fede li, e schiecti z di moftrarvi sempre pune è
tutali, obbedienti, e diligenti in tutti li affari, che v'insporranno,
perche operando või in questa guisa, non solamento v'istruifanio con tutto
l'amore, må vi loderanno da per tutto, dalla quale preventiva commendazione
germoglieranno à suo tempo li principi delle vostre fortune', e troveretegià
spianata la ftria da de voftri progreni s állorché principierete à
medicáre. Intraprendendo con questi felici principj l'attual'esercizio
della Medicinás allorche' già farete divenuti esperti , non pafferă lungo
tempo, che molti di prevaleranno dell'opera vostras & allora appunto li
vizj vi comincieranno à muoa vere guerras e Vinvidia farà la prima ämoà
molestarvi. Questa già da bel principio vi aveva fissato adosso li suoi maligni
sguardi , mà non prima di vedervi avanzati si muoverà per suscitarvi contro li
suoi seguaci, e le comanderà, che spargano da per tutto, che fiere troppo
giovani , che non avete ancora pratica sufficiente, e che dicano con finto zelo
: Oh poveri Malati, che si pongono nelle voItre mani, se questi guariscono
seguirà per miracolo, non per la vostra perizia, e se vedrà, che ciò non basti
per arrestaryi ne' vostri progrelli, invigorirà allora li suoi comandi, e farà
disseminare dalli medesimi, che siete veramente infelici, mentre quanti Malati
vi capitano, tanti ne muojono, e che non sanno capire , come siano così pazzi coloro,
che vi chiamano. Sentendovi calunniare à torto in tal guisa, cosa dovrete fare?
Non altro, che consigliarvi con la Prudenza, e con la Giustizia, che vi
favoriranno assai bene : primieramente vi esorteranno a non prendervene alcun
fastidio, perche è affai migliore la vostra forte و sorte ,
per essere invidiati , che non è quella delli vostri calunniatori , che non
hanno chi l'invidj, mà appena tal’uno, che li compatisca. Vi consiglieranno
poscia à non prendervela con quei miseram bili , e vili esecutori dell’Invidia
, perche operano come suoi schiavi, non già come uomini liberi, e se foffero in
loro libertà opererebbero come voi, che aba borrite simili iniquicà. Vi
consiglieranno bensì à mortificare l'Invidia in questa forma, cioè, di
contraporle la vostra umiltà, quando d'Invidia vedrà, che voi non siete ricorsi
alla vendetta rarne il suo ajuto, mà in sua vece vi servite dell'Umiltà,
resterà talmente forpresa, e confusa, che si vergognerà in avvenire di
ciinentarsi più sola con voi, avyedendosi di non potervi abbattere ; mà cosa
farà per non cedere? Si unirà con il Dispreggio, e con lo Sdegno per
necessitarvi à ricorrere alla Vendetta. Questi vizj baldanzosi comanderanno à
qualchuno de' suoi petulanti seguaci, cine vi faccia una mala creanza, e vi mo
per implom desti senz'averne data occafione, in queIto caso ricorrete
subbitamente per consiglio alla Prudenza, che vi farà capire, che di
tal'ingiuria , non ne doyete chiedere fodisfazione dalli seguaci del Dispregio,
e dello Sdegno, perche quei, che seguitano questi yizj , come imprudeņti, sono
ancora pazzi, & į pazzinon essendo capaci di discernere ciò che fạnno, non
sono tenuti di renderne conto; Contro li principali dunque, & autori caderà
il vostro sdegno , e questi, come vi consiglierà che li mortifichiace ? Non già
con la vendetta, perche questo appunto desidereriaạo che faceste, cioè, che
ricorreste ad un'altro vizio, che vi tradise, e cogliessę nel mezo per forzarvi
å rendervi à loro discrezione, inà bensì con la sola sofferenza tanto da essi
temuta per il grandanno, che loro apporta, & affinche lo facciate con
aniino generoso vi riferirà li seguenti casi. A Diogene Filosofo Stoico,
mentre stava disputando particolarmente della collera , gli fù da un protervo
giovane fpu Sputato in faccia , sopportò egli il tutto
piacevolmente , e da savio, e solo disse: Io non vado veramente in collera , mà
non lasciò però di dubitare , fe in questa occasione doveffi farlo.
Catone mentre staya difendendo una causa ricevette da Lentulo giovane seditioso
ua folenne sputacchio nella fronte, egli si nettó, e rasciugò la fronte , &
armato di una gran sofferenza, solo diffe: lo affermarò à tutti, ò Lentulo, che
fi gabbano quelli, che negano, che tù abbi bocca. Rifettendo voi dunque
all'ingiuria maggiore della vostra fatta ad uomini di tanta stima, & al
modo, che si conțennero vi si renderà più facile l'esecuzione del confimile
ripiego propostovi dalla prudenza , mediante il quale avvedutosi il Dispregio,
e lo Sdegno, che in vece di quocervi vi hanno accresciuto ftima appresso tutti,
desisteranno ancora eff di più moleftärvi, vedendosi dalla vostra sofferenza
delusi, e vinti, Arriverete al fior degl'anni avan. [ocr errors] zati già
ne' commodi, & in conseguenza con più lautezza nudriti. Allora vorrà
facilmente la lussuria cimentarsi con voi, e per farvi qualche danno
considerabile, vitenderà molte insidie , vi farà trovare occasioni pronte;
procurera, che siate con vezzi, e lusinghe adescati; Allora cosa farere?ftate
faldi,perche sarà contro voi questa una gran guerra, mentre non avrete campo in
quel punto preso di consigliarvi con le virid, ftanteche : Vinum, &
Mulieres faciunt prevaricare Sam pientes., come ben diffe Salomone. State
faldi, che è pur troppo vero, che molti si sono arrenati per questa cagione nel
meglio de’loro avanzamenti : Vi converrà dunque procurare di prevenire
l'infidie della lussuria, e non aspettare di cssere prevenuti da effe , e
questo lo farere , quando sarete prossimi à quel tempo con chiamare à consiglio
generale turte le virtù per risolvere cosa sia efpediéte,che facciate,ò di
accasarvi,e con chi, ed in che tempo, ò di continuare lo Aato libero,e con che
cautele maggiori,La Prudenza, e la Giustizia vi con figlieranno facilmente à
prender mor glie, con il motivo gịultiflimo,che quel la vita, che da voltri
genitori riceveste con voi non si estingua, mà che per la conservazione della
propria specie law propaghiate ne posteri, ed à buon fine ancofa, che non
abbiate tanto da impazzirvi nella vostra vecchiają à cercare l'eredi, conforme
ad alcuni, che non mai fi cușorono del titolo di padre è accaduto; La sola
difficoltà si rifringerà allo sciegliere chi faccia per poi , perche la
Prudenza, e la Giustizia vi vorranng consigliare diversamente da quello si
pratica in alcuni luoghi, dove il folico di cercare chị abbią dotę groffa
, chi sia bella, e fpiritosa; la Prudenza non vorrà, che cerchiate questo, in
primo luogo, mà bensì, chi sia di buoni natali, di perfetta faļute, e di ottimi
costumi, ¢ ben’educata ; e con ragione, perche non deve essere affare di minore
impostanza l'accasarsi, di quello, che sia di fær compra di un cavallo; e se
per comprare un [merged small][merged small][merged small][ocr
errors] [merged small][ocr errors] un cavallo ( che non riuscendo buono fi può
subitamente dar yia) fi ricerca in primo luogo la buona razza, fe fia fano, e
se abbia vizio'alcuno, perche nel pro- : vedersi della compagnia inseparabile
non si hanno da fare fimili diligenze Sicchè trovato che ayrete chi abbia le
condizioni sudette stringete, senza più indugiare , il vostro matrimonio, con
quella dote, che avrà, senza ricercarne d'avantaggio, che farete un'ottimo
negozio, perche quattro faranno le doti, che prenderete, una sola apprezzata ,
e trè inestimabili , per non effervi prezzo, che le uguagli', e saranno, la
buona nascita,la salute, e gli ottiini costumi, con la buona educazione, &
avvertite à non fare diversamente , per non cadere nella sventura di Socrate,
che fi abbatte in una inquietisima Santippa. Circa il tempo in cui lo dovrete
fare viconsiglieranno, che non lo facciate nè troppo giovani , nè croppo
vecchi, mà bensì nell'età virile, ed allora appunto, che ayrete stabilito
un'assegnamento suffi ciente 1 [ocr errors] ciente per
il inantenimento della vostra fameglia, e non prima , pèrche si ricerca
fenno, e cominodica per effere, buon Pa- dre di fameglia. Non troppo
giovani, per non distogliervi da vostri studj, ed
avanzamenti, ne' quali non sarete anco- ra bene stabiliti , nè troppo
vecchi, per non lasciarli, se avrete figliuoli, troppo immacuri, e
senza avyiamento, e per non foccombere ancor yoi fotto il peso del
matrimonio prima di quello , che fareste vivendone disciolti ,
conforme à tanti è accaduto , Şe poi voi
adurrete alla Prudenza , e Giustizia li seguenti motivi, che avete
esimervida simile legame, che sono; ò che già vi è nella vostra fameglia,
chi sia atto à sostenere un simil peso, ò che dubitate , che la moglie, e
l'educazione de'figliuoli vi possano distogliere dalla voftra professione,
qualche altro inotivo à voi folamente noto non crediare, che yi forzeranno già
à farlo, vilascięrano in tutta yostra libertà, vi consogneranno bensì alla
Fortezza, e Tempe Q: per [ocr errors] ranza, }
ranza , acciocchè vi consiglino, e prestino ajuto in caso, che la Luffuria vi
fa. ceffe qualche violenza . Il consiglio, che quefte virtù vi daranno sarà
facilmente, che siate circospetti, ed appena , che vi sarete avveduti di
qualche laccio, che yi tenderà la Lussuria di troncarlo,e prima che vi poniate
il piede, che siate fempre cautelati nel parlare , ę fentendo qualche parola
equivoca, l'interpreciate sempre à favore dell'onestà, né la crediate detta per
voi, che ricevendo qualche cortesia insolita, la crediate fatta solamente per
isperimentare la vostra modestia, e non ad altro fine , onde la cancellerete
subitamente, acciò la rimembranza di quella non turbi la vostra fantasia ; Che
vi moftriate sempre sostenuti più tosto, che galanti in certe occasioni di
confidenze, dalle quali con bel modo procuriate di liberarvene , che da certi
luoghi sospetti,se ne potrete fare a meno, ne stiate lontani, & andandovi,
procuriate efservi in ore, che vi fieno altri, perche al parere di Seneca :
Magna pars peccatorum tollitur fe peccaturis teftis alibi Aat(a);
ed ivi non vitrattenjate più del bisogno necessarios e sempre con
discorsi serj, ed uniformandovi alli consigli della Fortezza,
e Temperanza non diffidate punto della loro allistenza nelli maggio
si vostri bisogni, che dureranno lino à tanto. che sarà in auge il
fervore della vostra gioventù . Il vizio
della gola vorrà aticor'egli fare tutti li suoi sforzi contro di voi
in decto tempo più profpero di vostra vita, per vedere se vi
potesse adescare; e cofa farà a comanderà facilmente à
qualche- dano de' suoi ricchi feguaci , che facen- do uno de'
fuoi sontuolillimi pranzi, o cena; conviti ancor voi; considero ,
che vi troverete in quel punto preso incri- garislimi,
perche rifletterete allora , che le ricuserete tale invito ,
sarete' tenuti per uomini incivili, che non gradite li
favori, e cortefie, che vi fi fanno; fed
l'accetterete,metterere ad un gran risico Ja vostra temperanza ,
onde vi converrà (*) Episi 11.di questo ancora chiederne preventivo
Consiglio s. per aver pronto il suo fano imedio per quando vi capitaffe il bio
fognb. si Consigliandovi preventivamente con la Prudenzás.per sapere in
che modo allora vi dovrete contentere, sarà facilesi chievi dica;;che se
viritroverete in luoo ghi dove sia solito, e che frequentemente li Medici fiano
convitati, & intervenghino in fimili bancheteis. non ricusate tali inviti s
perche quelle cose, che sono folite', nou recanto alcuna aimniirazione, non
facendosene caso,basterà solamente; che yi sappiate regolare con giadizio in
non pregiudicare di molto alla vostra consueta fobrietás perche
nuocerestu e è più li denti nel masticare , che la gola nell'inghiottire
si e diportandovi in tal guisa,la gola avrà poco guadagnato con voi; Sepois
dove voi dimorerete , non fosse in uso, mà solamente, che di rado li Medici
v'intervenissero con modo al fai civile, che lo ricusiate pure,non man..
candovi legittima scusa, mentre ò la vo(tra complessione non assuefatta à
fimili disordini, ò qualche cura riguardevole, che avrete in quel tempo, queste
vi potranno efiinere onestamente da qualunque taccia d'inciýiltà . 03.15
Sò che vi appagherete di tal distinzione saviazfatta dalla Prudenza, effendo.
voi capaci di riflettere , che dove i Mea dici ricevono spesso simili correfie
fono molto stimati, ed in conseguenza i loro difetti non sono con tanta
attenzione norati da tutti, come l'opposto segue dove di detta stima si
penuria. E certamente l'esperienza hà fatto vedere, che nel secondo caso,
quando li Medici si sono voluti azardare à fimili cimenti, se ne sono poscia
pentiti, ftante che, ò per non essere cosa solita , ò mediante la curiosità di
vedere in che modo si regolavano coloro, che tanto biafie mano la crapula,
hanno ritrovato iyi molti spettatori de' loro portamenti, che li hanno posti in
qualche suggezio. R 4 [ocr errors] ne, he', mediante la quale
; se hanno procutato di contenerli nella sobrietà, hanno. fentito
de'motteggiametitizñiehte da effi graditi, e se hanno disordinato, gli sono
giunti all'orecchie certi sussurri della's fervitů z che diceva : Il buon Medico
che biasima tanto li disordini , egli troppo fà peggio di noi, andiamo à
credere cið, ch'egli dice; Se poi taluno di elle fia restato gabbato dal vinos
non hà troVato già chi l'abbia seusato ; conforme fece Seneca a favore di
Catone; impuitato di fimile vizio, dicendo, che non poteva essere, che un
Catone fi ubriacasses mà quando che ciò fosse stato vero, in un Catone fimile
vizio faria passato in virtù . Mà non si sono già pentiti quelli ; the
civilmente ricufarono fimili inviti, mentre fattisi capaci coloro, che
desideravano di vederli crapolare; dalli giusti motivi apportaci per iscusa,
rimasero più tosto edificati, che disgustati da fiinili repulse, ed in segno di
ciò ne diedero in avvenire attestati di maggior ftima: Ne ро [ocr
errors] [ocr errors] potrei di questi efempj riferire alcuni a mà, per non
dilongarmi troppo , ftimo bene di tralasciarli . Sicche, per vincere la gola ,
il partito più sicuro sarà di fuga gire l'occasioni pronte di crapolare con
un'onesta ritirata , conforme la Prudene za configlia : Stabilito che
avrete il vostro itato à quel fegno che potrete ; non solo per decentemente
vivere , e mantenere con decoro la voftra casa j mà ancora con la vostra
economia accrescerla commodamente; allora l'ingordigia , e l'infariabia lità di
cumulare vi comincieranno & muover guerra, e quello, che farà più
formidabile con apparenze vantag: giofe v'infidieranno alla vita , mentre vi
Itimoleranno, e vi violenreranno infieme ad accettare tutto ciò che vi si pre
fenterà davanti , e fe quefto non bastera à renervi nottése giorno occupati, vi
ftimoleranno à procurarne de' nuovi fervigj, e certainente non per altro fing,
che per distruggere in breve il vostro inzia dividuo con una eccelliva fatica,
con una 1 250 Dell'Idea del vero Medico. una continua
inquietudine di animo,con una perpetua schiavitudine, credute tutse dal Mondo
pazzo per felicitàe per prosperità di fortuna Cosa dovrete dunque fare
per rimuovere da voi un sì evidente pericolo di vita, che vi sovrasta 2 Vi
converrà certameute prenderci rimedio prima, che questi nemici facciano breccia
nel vostro cuore., e parlamentino con il vo. ftro desiderio, perche altrimenti
con lo fplendore dell'oro li guadagneranno, ed il suo rimedio ficuro farà, che
quando ' non ifta concento di ciò che hà, e vorrà procurare cofe
maggiori, di consigliarvi tosto con la Prudenza, che questa facilmente lo
quieterà con dirvi : Cofa bramate d'avantaggio a non avete, più di quello vi
bisogna rimirate quanti altri, che hanno accor essi egual merito alvoftro, sono
più attempati di voi, e pure non sono così ben proveduti, come voi fiere:
Ditemi, che tempo avete , che vi avanza , quando appena ne resta tanto ,che
basti per lo studio necessario's e pery il bisognevole riposo ? E quale
di questi due tempi vorrete impiegare nelle cure di più, che deside rate
confeguire ? forse il primo ? La Giustizia se'ue sdegnerà per non esser vostro:
Forse il secondo, che è cutro vostro & come potrete vivere s fapendo voi,
che: Quod caret alterna requie durabile non eft. Riflettete attentamente, che
lo le pioggie curte cadessero sopra pochi campi, in vece di ravvivarli, e
rendera li più fécondi , opprimeciano più costo quanto di verde li ricopres e
che la gran Providenza ,che saggiamente opera, dispensa il publico bene à prở
di cucţi; facendo, che il Sole non per pochi, mà bensi per tutti risplenda', c
finalmente che le taluno vorrå soverchiainente cam ricare il suo stomaco, anco
di dolcissimo cibo , gli converrà ben spesso soffrire aspri dolori di ventre.
Risplende molto l'oro, må riflettere ancora , ch'è più' grave di qualunque
altro metallo , onde neceffariamene ammaffarne di molto non si può
G può senza restarvi affatto oppresli id Breve sotto il suo grave peso, o per
la meno perderci la propria libertà; Quindi è, che faggiamente Curio ricusò
da'. Sanniti tutta quella gran quantità di oro, che gl'avevano portato 5
dicendo foro, che esso credeva cosa più gloriosa il poter comandare à chi
molt'oro possedeva , di quello che fosse il possederne di molto ; volendo in
tal guisa farci ca. pire, che non si poteva cumulare oro in: gran copia, e
mantenere la sua libertà. Il mio configlio dunque è, che freniate il vostro
defiderio, acciò non bramjata nè pure una cura d'avantaggio di quel le, che
potrete commodamente reggere, e tanto maggiormente, che quefta voce Cura
appresso li Latini non significa altro, che Briga, è travaglio, ex eo quod cor
edat, dw excruciet, delle quali conviene ayerne folamente tante,quante baftino
à poterle fofferire, e non più , verificandosi in esse più, che in ogn'altra
cosa quel detto: Ne quid nimis . Sentitene però il parere della Giustizia per
res go: [ocr errors] golarvi fino dove vi potrete stendere;
per non incorrere nella caccia d'insa- ziabili. Voi sarete
facilmente rimasti per ora appagati di quanto vi avrà detto
la Prudenza, à segno, che non vi curerete sentire altro
conseglio, con tutto ciò per convenienza almeno sarete
tenuti,aven- dovi ciò la sudetta incaricato, di sentir-
ne il parere della Giustizia , intorno al vostro regolamento, e con
tale occasio- ne vi potrete consigliare ancora sopra un certo
ripiego, che facilmente il vo- ftro desiderio visuggerirà, cioè di
all.com gerirvi de’ servigi antichi per proveder- vi
de' nuovi di maggior vostro profitto, e minor briga, il quale non
lo dovrete porre in esecuzione senza l'approvazio- ne
della Giustizia. Esposto , che avrete a questa fanta virtù ciò, che
bramate sapere, ella cortesemente y'insegnerà ciò, che dovrete fare intorno al
vostro regolamento, che sarà di misurare in primo luogo le vostre forze , &
il tempo, che vi resta libero, [ocr errors] e poi l'impiego , che vi si
presenta, e se rincongrerete le misure proporzionate trà di loro , accettatelo
pure, senz'alcun timore della taccia d'insaziabili; Vi suggerirà però, che stiate
bene oculati in prenderne le dette misure à suo dovere, affinchè non reftiate
ingaonati, perche . altrimentiaffatto infructuofo riusciria il fuo configlio,ed
acciocchè non segua un tale errore, vi darà lei medefima dug meze canne, una
delle quali la troverete molto scarfa, e l'altra affai vantaggiosa; con la
prima yi ordinerà, che miluriate le voitre forze, & il tempo, che vi ayanza
; con la feconda l'impiego, che vi li presenta, e prendendo voi le misure in
questa guisa yi assicura la Giustizia , che non potrete errare. Doye che
facendoli da voi diversamente, tutte le altre meze canne , che adoprerete ve le
porgerà il yostro desiderio fatte à suo modo, e saranno tutte yantaggiose di
molto quelle, con le quali misurerete le vostre forze, & il tempo, e
scarsiffime quelle, delle quali yi servirete per misurare l'occasio
ni, [ocr errors][ocr errors] ni , e questa è la cagione de? sbagli, che
fi prendono contro il volere della Giuftizia , c per due capi, (primieramente,
perche chi misura in cal guisa erra per abbreviare la lunghezza di fuá vita ,
divenendo omicida di fe medesimo, sì ancora per il danno,chie nc poffono
riceveré alcunische ad ore affai incongrue, ed à mente stracca gli cocca per
fimilisbagli essere curati. In glçre vi dirà apertamente, che non dovrere
in conto alcuno disfarvi delli servigi antichi per prenderne de' nuovi in fua
veće, perche non avete alcuna giusta cagione di farlo , anziche facendolo,
mostrereite una somma ingratitudine in abbandonare chi in temро de'
vostri bisogni vi fù grato , e chi vi favori ne' vostri avanzamenti, non con
altro motivo, che de' yostri maggiori vantaggi ; se poielli, senza alcuna
vostra colpa, fi alienaffero da voi , in questo solo caso, perche volenti nan
fit injuria, lo potreste fare senz'alcuna taccia d'ingratitudine; e së
esercitaste la Me256 Dell?idea del vero Medica, Medicina in certi luoghi
lontani, dove alcuni li prevalgono di un Medico fino à tanto, che lo vedono
incominciare à far negozj, ed allora se ne disfanno per prenderne à proteggere
un altro : İyi basterebbe pazientare un poco, che vi li presenterebbe
l'occasione di poter: lo fare, mà dove ciò non li costuma vị convien’essere
grati, e costanti, fische sarete capaci di medicare, Con tutto che
resterere per qualche tempo appagati di quanto vi hanno consigliato la
Prudenza, e la Giustizia perche il vostro desiderio yerrà conținuamente
bersagliato daļli sudettį ab. bominevoli vizj, sarà necessario, chcimploriate
l'affiftenza della Fortezza , e Temperanza , acciò perseveriare sempre Itabili nell'offervanza
di detto consiglio, & il maggior bene, che dette virtù vi potranno
apportare, sarà d'infinuaryi diverse istorie di coloro, che per essere Itati
insaziabili, nel colmo delle loro credute prosperità sono mancati, eche
infelice memoria di esia ne fią rimasta trà noi [ocr errors] و
[ocr errors] noi, mentre chi ha lasciato la sua fameglia appena slattata ,
senza indirizzo, a senza guida, chi intricata la sua eredità , per non aver
avuto tempo in vita di ben'impiegare li suoi avanzi; chi, doppa fofferta una
lunghissina, e dispendiosa infermità, acquistata per li suoi grans Strapazzi ,
appena hà lasciato tanco, che bastasse al suo funerale; e finalmente cosa sia
stato detto di tutti doppo morti, cioè, che non'ınericavano d'essere compatiti,
perche erano morti per colpa loro, avendo voluto abbracciare troppo, e più di
quello, che potevano reggere, çon tutto quello, che la maledicenzą gradita, e
senza timore alcuno så inventare di peggio contro i poveri des fonti,
Impresli, che avrete sì spaventosi esempj nelle vostre menti, con la
riferfione, che il simile seguirebbe in voi, fc cadefte in tali errori,
non temeţe più , che il vostro disiderio possa essere superato da simili vizj ,
perche questi gļi serviranno di un gran freno , R Nelle Nelle
vostre maggiori prosperită l'Adulazione ancora vi farà doppia guerra la prima
confifterà in ispargere di voi più lodi di quelle , che meriterete, per
risvegliarvi contro l'Invidia , quando fi foile mai adormentata, mà trovandovi
già premuniti de' buoni avvertimenti dativi dalla Prudenza, non vi potrà punto
nuocere in questo primo asfalto, e se uniręcę alla fofferenza una profonda , e
fincera umiltà, supererete l'Adulazione, el'Invidia nel medesimo tempo,
Màvedendofi da voi la maliziosa Adulazione fchernita , adoprerà tutte le sue
frodi per violentarvi ad essere suoi seguaci , e per farvi divenire per forza
Adulatori, come farà mai ? Sentite bene; Pren. derà l'occasione di qualche cura
grave, nella quale intervengano molti parenti, & amici dell'Infermo, e vi
farà da queiti porre in angustie di diventare Adulatore per forza,
per li seguenti impulsi : Vi dirà taluna di esli , questo male si aggrava,
perche non gli fate applicare quattro vefficatorja se ne morirà senza
questo [ocr errors][ocr errors][merged small][merged small] questo
rimedio, e la colpa farà tutta yostra, che trascurate un rimedio sì efficace.
Un'altro vi dirà: perche non gli date una buona Medicina da tirare giù ? lo
volete lasciar morire senz'ajuto? ayver, cite, se muore , fentirere, che si dirà
di voi, à me basta di avervelo avvisato. Vi sarà ancora trà essi chị vi
ayyertirà, che se gli cavate sangue morirà certamente, perche non gli conviene;
e d'avantaggio vi dirà , che se lo cayerere lo amazerete, e derro male farà per
appunto un'infiammagione interna , nella quale non conviene ciò, che viene
proposto , e gli sarà necessario quanto viene ritardato. Vedete in chę angustie
, in che laberinţi vi troverefte, se non aveste la Prudenza configliera ?
Imitercste senza dubbio, ò quel Medico, à cui un tempo fà , fù suggerito da
un'amico dell'Infermo , in un caso simile , un certo riinędio, dicendo, che lo
proponeva , perche cra esso ancora mezo Medico ; A cui alquanto alterato gli
rispose: & io son tutto Medico , conviene dunque, che la mecà ce [ocr
errors][ocr errors][merged small] fi: 28 公 1 da al tutto; Io, che sono tutto, non voglio che si
dia , non si deve dunque dare; O pure quell'altro, che ritrovan. dosi in un
fimile intrigo», doppo aver dette le sue ragioni , senza profitto, rifpose :
Giacchè loro Signori ne fanno più di me, facciano loro la cura , e se ne
andiede via, mà ciò non lodandolo la Prudenza, sentirete dunque da lei , in che
forma vi dovrere regolare. Sentendo riferire da voi questo fatto la
Prudenza disapproverà molta, che chi non è Professore, ardisca così francamente
di proporre, ed escludere quelli rimedj, che in mali sì gravi danno molto da
pensare alli medesimi Professori provetti, e che pongano à cimento li onorati,
con modi si violenti, di diventare Adulatori, e facilmente in tal guisa vi
consiglierà: Dite le vostre ragioni à chi bisogna, con animo composto, e
questi, ò fi appagheranno di quelle , ò nò, se ne resteranno fodisfatti,
rimarrà già terminata la controversia , e potrete fare liberamente à voftro
modo, se poi persisterahtio ancora ostinati nella loro opis nione , allora
suggerite, che tratrandosi di un male sì grave con tante controverfie,
desiderate nella cura di avere altri Professori compagni per meglio risolve. re
ciò, che si debba fare ó e procurate, che con sollecitudine ciò segua y
acciòcchè la lunga dilazione non pregiudichi all'Ammalato, e che ne consulti
siano presenti coloro, che fuscitorno le controversie , affinche sentano con
quante circospezioni sono serviti gl'Infermi, ed ancora se avranno qualche cosa
di più la poffano dedurre à tutti. Facendo voi à modo della Prudens za,
non dovete avere più timore di prevaricare, perche la Fortezza vi assisterà, c
consolerà insieme , l'assistenza sarà di non farvi prendere in questi casi
certi : dannosi ripieghi, che sariano , in vece de' vefficanti d'applicare li
senapismis di un purgante , dare un leniente, ed in tanto d'andare differendo
la sanguigna , facendovi conoscere, che l'operare in questo modo non è da
Medico, mà bensi [ocr errors] 9 [ocr errors] da Adulatore, e che
quancunque questi tali nelli funesti eventi fieno dall’Adulazione tenuti
indocenti, e difefissorio però dalla Giustizia creduti rei di gran colpa s con
tutti quelli, che ne diedero l'occasione, e vi confolerå parimente la Fortezza
con dirvi: Si poffono chiamare tempi felici nella Medicina li presenti, non
vedendoli ora l'Adulazione premiata à quel segno, che era ne' tempi di Galeno,
nè la lincerità così vilipesa; Allora trionfavano li Medici Adulatori, erano
ricchi, e potenti gerano stimati , e riveriti, ogn’uno facęya à gara di
fayòrirli, eli onorati, sinceri, e docti se ne stavano abbandonati, derisi,
evilipeli, e se non fosse stata la mia grand'alistenza,che prestavo loro , nè
pure úgo ne sarebbe rimasto di efli, anzi Galeno isterlo, che non avesse
prevaricato per quanto venivano violentati dall'Adulazione :' So, che
presterete fede à quanto vi dico, mà volendovene accertar meglio di quanto
fuccedeva in quei cempi leggere ciò , che Galeno riferisce nel primo del
suo [ocr errors] me. [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][merged small][ocr errors][ocr errors] metodo, che appunto è questo:
Eoque jure fit cum ægrotare cçperint Medicos advocent , non quidem optimos į
utpotè quos per Sanitatem noscere nunquam ftuduerunt , fed eosy quos maxime
familiares habent ; quique ipfis maximè adulentur , qui du frigidam dabünt; si
banc popofcerint, lavabunt cùm juferint; a nivem; vinum= que porrigent poftremò
quidquid jubebitur mancipiorum ritu facient &c. itaque non qui meliùs arten
callet ; fed qui adulari aptiùs novit apud iftos magis in pretio eft , buic
omnia plana's perviaque funt , huic ædium fores patent ; hic brevi efficitur
dives, plurimùmque poteft &c. Quali violenze oggidì sono cessate , mercèche
hanno imparato molti à proprie spese à non commertere più la loro vita in mano
degl'infidi Adulatori, e perciò essendo mancati per loro l'impieghi, e li gran
guadagni, che in breve facevano,è mancato ancora quel grand'impulso, che vi era
à dover effere Adulatori per essere adoperati, e tutto questo mi costa
per essere io la Fortezza, che affifto à quei ز e. lig a fe ne be
he ni dy 112 to 5, 10 generofi spiriti,che abborriscono l'Adulazione ,
& abbandono quei vili, che se le danno in preda Se poi non bastasse
all'Adulazione d'avervi fatto violentare da parenti, ed amici, mà volesse
ancora farvi forzare dall'Infermo isteffo à divenire suoi fem; guaci , in
questo caso, fatte che avete le diligenze propostevi dalla Prudenza; e. che
mediante quelle egli non resti appagato, la Giustizia non vi violenterà già à
continuare il servigio, vi forzerà bensì à non divenire Adulatore , onde in
questo caso, con tutta civiltàs procurerete ( quando l'Infermo' non deliri) di
consegnare ad altri ciò, che non fà per la vostra riputazione ; ben’è vero, che
questi sono casi rarissimi avendo molte altre cose da penfare l'aggravato
Infermo, che di voler'essere adulato, con tut per farvivedere, che ve ne
sia stato qualcheduvo, che abbia desiderato di cllcre adulato fino alla morte,
viriferirò la presente istoria : Una persona di qualità cospicua, molti anni
sono, dovendosi pro to ciò [ocr errors] [ocr errors]
provedere di Medico; ne scelse uno tutto di suo genio, ed avendolo participato
al suo amico di confidenza ; questi in vece di rallegrarsene seco se ne
condolse, dicendogli apertamente, che poteva fare meglior'elezione ,
essendovene tanti più esperti del già eletto 3 replicò à questo: Lolo-sò
beniffimo, mà hò voluto pren derne uno, che faccia à mio modo ancora quando mi
trovo ammalato, perche io non poffo Coffrire quel Medico, che allora mi voglia
forzare à fare à suo modo, gli rispose saviamente l'amico : Signore, chi fà à
suo modo quando ft benes: conviene , che faccia à modo del Medico quando ftà
male, non poffo lodare la sua elezione, con tutto che sia di suo genio, perche
si tratta di Medico, à cui si consegna la propria vita, non già di un servidore
di mera comparsa ; che poco importa di che abilità egli sia, mà non paffarono
molti anni, che detto Signore cadde inferino di lunga , e fiftidiosa malacia,
che terminò finalmente, per essere vissuto à suo inodo in un'ascelfo interno,
espurgava della marcia per feceffo , la vidde l'isteffo Infermo, che diffe, non
farà marcii , må bensì il pangrattato, che hò preso questa mattina lo domandò
al suo Medico, che gli rispose per dargli gufto, quello appunto & Signore,
e con quel pangrattato se ne mori, adulato sempre fino al fine della fua
vita. L'Iniquità, e l'Inganno confederati , nôn porerido più Toffrire,
che voi godiare quella bella tranquillità interna per cagione delle vostre
virtù, vorranno ancora effi con le loro frodi adoperare ogni sforzo possibile
per turbarla ; ed in fare ciò vi toccheranno facilmente nel più vivo,
inolestandovi in qualche cosa di vostra somma premura , e doppo di aver
consultato trå fe più danni,risolve, ranno alla fine di farvi perdere il
servigio di quelli, che vi sono più á cuore, € tanto si adopereranno,e con
tanti mezi s'ingegneranno, che finalmente gli riufcirà ciò, che bramavano i
onde voi, senza faperne il perche , e senza averne data و
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] data alcuna occafione ,
essendosi con in? sidie segrete proceduto , all'improviso vi troverete esclusi
da quel servigio da voi tanto prediletto. E che farete allora? vi dolerete
forse con la Giustizia ; che siete stati licenziati à torto ? Avvertite , che
facendo in tal guisa imitereste Santippa, che si doleva della morte di suo
marito , perche si faceva morire å torto, à cui il sapience Socrate rispose : E
che desideravi forse, che io foli fatto morire à ragione ? questa appunto è la
mia gloria, che sono fatto inorire à torto. Sicchè alla Giustizia non vi
cooviene ricorrere, må berisi dapoi che fi sarà alquanto calmato quel senso,
che neceffariamente vi avrà apportato una nuova ingrata, ed improvisa, dovrete
ricorrere alla Pradenza per riceverne il suo configlio à fine di poter più
spedicamente restituire all'animo vostro quella bella calma, che dall’Iniquicà,
e dall'Inganno gli era stata rubata : La Prudenza senrendo da voi tal
novità vi consolerà certamente, ftate al [ocr errors][merged
small][ocr errors] allegri, dicendovi , che questa è una's grazia, che vi fà la
Divina Providenza, facendovi capire , che vi dovete alquana: to staccare da
ciò, che nel mondo vi è più caro , per confidare solamente in lei, che non mai
hà abbandonato chi fedelmente la serve. E di che vi dolete? forse perche
perduto avete un servigio à voi caro ve ne restano pure tanti altri? com- ..
partite tra questi il vostro affetto, che così non avrete fatta perdita alcuna
potendone del vostro amore ricevere da molti maggior ricompensa di prima, ò
pure (che sarà meglio ) questo vostro amore non gradito dagl'uomini
accrefcetelo à Dio, che vi recherà molto maggior profitto di quello , che vi
rendeva prima. E se veramente amate di cuore quella casa, che avete perduta g
non vi dovete contristare della perdita vostra , mà bensi della sua , avendo
lasciato voi, ch'eravate già istrutti da tanto tempo nelle complessioni, e mali
di chi ivi conviveva per prenderne uno affatto novizio , che prima , che ne qa
divenuto 1 capace à quel segno, che voi siete, vi vuole del tempo
affai, & in tanto come anderà? e poi se questo nuovo eletto fù complice
ancor'egli nelli segreti trattati dell’Iniquità, e dell'Inganno , che bell.
acquisto , che averà fatto, prendendo uno di simili costumi in vostra vece ,
che fiete uomini di onore, talche non voi, mà chi vi lasciò hà occasione
d'afAliggersi, perche danno à se stesso feçe, non à voi, che per essere esenti
da questa briga ne ricevere sollievo ; chi è pari. mente entrato in luogo
vostro , se pur? egli è complice, come disfi , ayrà molta occasione da
contristarsi per la finderesi, che gli resta di non avere operato come dovea, e
per il timore, che un giorno il fimile possa succedere à lui ancora.Quietatevi
dunque , giacchè rammarico alcuno non vi resta d'averli mal serviti, con questa
ferma fiducia, che in quel sito ( come tante volte è accaduto ) da dove la
malvagità, e l'inganno hanno tolto à viva forza un virgulto , la Giustizia vi
pianterà un vago, e glorioso lauro con [ocr errors] con questo
motţo ;Ųno avulo splendidior non deficit alter; molto di più vi potrei dire, se
non lo riputaffe superfluo, poiche gl’animi vostri ben moriggeräti con pochi
motivi si sodisfano, e li calma. no, allorche vengono da accidenti im. provisi
turbati, Udifte come vi consolo bene la Prudenza, e con che fortį motivi
, li quali fe li cerrețę impressi nelļe vostre menti, quantunque vi giungano
simili accidenti in avvenire, punto non vịcontristeranno, avendo questi forza
di disporre gl'animi vostri à foffrirli coftantemente, ed in conseguenza di
fare, che li sudetti vizj delle loro iniquità non trionfino. L'Ambizione
yorrà ancor'effa nell' auge delle vostre fortune tentare, fe potesse fare
con yoi quaļche acquisto; s'ingegnerà di porvi nella mente idee grandiofe ,
viftimolerà à molte imprese, con pretesto di rendervi a' pofteri gloriofi : Per
esempio , fe y'insinuerà di comporre qualche vago sistema di Medicina, qualche
nuoyo metodo di medicare , à qualche altra cosa non pensata , nè tencat fin'ora
da altri, e voi ricorrere subbita. mente alla Prudenza per consiglio, e vedrete
come v'indirizzerà bene ; intorno à nuovi sistemi, e metodi di medicare vi farà
questo dilemma: O ve ne sono trà gl’inventari de' veri,ò nò; Se ye ne sono, perche
non li seguitate? che cosa yolete cercare di megliore della. verità? Se poi non
vi è cosa ancora accertata in quelli, avendoyi per tanti secoli frayagliato una
infinità d'uomini dotti, cosa yi persuaderete di fare di vantaggio ? non vi
avvedete , che indarno faticherefte ancor voi, senza speranza alcuna di gloria,
e se pure la conseguiste saria per pochi momenti; Il sistema, ed il metodo
corrispondono al tutco, e quando questo non regge , e non suflifte, è se. gno
evidente, che le fuc parci costitutive fono difertose; Impiegate dunque ogni
voftra fatica in accertare , e rendere palese qualche parte di esli, che vi
avvedrere, che sia oscura, ò che manchi, la quale benchc minima , nulladimeno
una gran gloria vi apporterà, allorche l'averete accertata, e rinvenuta , e
lascierete tali imprese grandi a' pofteri , che fi renderanno più facili
a'medesimi, ale lorchè acquistate, saranno maggiori notizie delle loro parti
costitutive,di quel, le ve ne fieno al presente; E per non effere creduți
imprudenti scegliere di queste le necessarie , come avvertì Cicerone, (a)
dicendo : Alterum eft vitium, quòd quidàm nimis magnum gran )
ftudium , multamque operam in res abfcuras , atque diffaciles conferunt ,
eafdemquè non necesarias; e quelle ancora, che sieno proporzionate alle vostre
forze, come insegnò Orazio :(b) Sumite materiam vestrisqui firibitis
aquam. Viribus , & verfate diù quid ferrere
cufent Quid valeant humeri. E perciò vi consiglierà la
Prudenza d'impiegarvi in yostra gioventù intorno į a' ritrovamenti Anatomici ,
Chimici, of[a] Primo de Officiis. (b] De Arte Poetica.
osservazioni Mediche e d'altre cose utili, che richiedono
ayvedutezza di mente, buona vista , afsiduità , pazien- za, e
sanità, e questi accertati, che sono incontrovertibili, rimangono per
fem- pre, e vi dissuaderà in detta età di dare alla luce trattati
di nuovi modi di inedi. carc,essendo allora appunto come i frut-
ti fuori di stagione, che non hanno tutta la loro sostanza,
dovendosi ciò maturare nell'età avvanzata, e colma d'esperienze
pratiche , dal che si può dedurre la ca-- gione, perche talvolta
ne’libri,che trat- tano di pratica , alcune cose, che vi fi
ritrovano non si verificano punto, e ciò proviene , perche furono
descritte da Medici , che non avevano ancora tutta l'esperienza
necessaria per meglio accer- tarle. Vedendo questo vizio di
non avere { potuto nella vostra persona fare alcun guadagno, vorrà far
prova, se per l'amore, che portate à qualche vostro figliuolo vi potesse far
prevaricare, e vi anderà suggerendo à poco a poco, che avendo S
voi [ocr errors][ocr errors] voi de' buoni Protettori, gli procuriate,
mediante il loro ajuto, qualche titolo nobile , qualche carica onorifica
superiore alla vostra condizione per inalzarlo, e dargli insieme attestato del
vostro amore, e benche questo non cada nella persona vostra direttamente, con
tutto ciò, venendo procụrato da voi, tanto sarete tenuti consigliarvege con la
Prudenza, anzi con la Giustizią-ancora , e consigliandovi con queste virtù vi
diranno concordemente, che il maggior benc, che voi potrete fare a' vostri
figliuo, li sarà, il procurare con ogni maggiore judustria , che divengano
capaci , e meriteyoli di dette cariche, di detti titoli, che così, con poco
ajuto de' vostri Protettori, potranno à suo tempo conseguire ciò, che sapranno
desiderarc, e gloriosamente, venendo loro ciò conferito à cagione del proprio
mcrito, ed operando voi in tal guisa , l'Ambizione nonpotrà trionfare di voi;
trionferebbe bensì, quando che voi usaste violenze in procurar cose, delle
quali non ne fossero [ocr errors] me [ocr errors] meritevoli, nel
qual caso ancora quanto farete loro ottenere sarà per l'appunto consimile à
quel titolo nobile, e speciofo, che si legge nel frontispizio di qualche libro,
à'cui la materia rozzamente, senza dottrina in esso trattata non gli
corrisponde, che in vece ne formi concetto di esso chi lo legge, e considera,
lo muoye più tolto al risos e perciò resta in un cantone derelitto, senza che
alcuno più lo consideri, L'Avarizia con duplicato pretesto di zelo vi
assalirà ancor'effa, ftantechę se non avrete figliuoli, ò nipoti y’infinuerà,
che facciate degl'avanzi più che potrete, à fine di stabilire qualche degna, e
grandiosa memoria di voi à prò de' posteri; fe poi gli averete, li facciate
ancora per lasciarli più commodi, ed in questo frete bene circospecti,
poichè Fallit enim vitium fpecie virtutis , du umbra; Onde appena,
che in voi fentirete certi impulli, certi stimoli infolici di cumulaà tali
effetei, consigliatevi con 13 S2 PruePrudenza, e con la Giustizia, le
quali vi faranno capire ciò, che dovrete fare , c vi diranno facilmente intorno
alla memoria grandiosa, che meditate di lasciasciare, essere meglio, che la
lasciare ale quanto meno magnifica, e senza alcuno ajuto dell'Avarizia, che
grandiosa con viziosi avanzi, perche tutto quel di più, che mediante il vizio
l'accrescerete, in vece di apportarvi gloria , vi recherà ignominia , e che
rispetto al cumulare di vantaggio per li figliuoli, e nipoti non lo facciate,
perche quello lascierete loro di più,acquistato con Avarizia consumerà ciò, che
avrete onestamente acquiftato, in oltre che voi siete tenuri di lasciar loro
tanto, che li bafti à potersi avyanzare ancor'essi nelle virtù, stante
che : Haud facilè emergunt quorum vir tutibus obftat Res
angufta domi . : E v'infinueranno d'avantaggio, che Ippocrate v'insegnò'
chiaramente à tal proposito ciò, che dovete fare, dicen dovi [ocr
errors] [ocr errors][merged small] dovi: (a) Neque verò exigende mercedis
cupiditate duci oportet , nisi ut ad artem edifcendam tuos instruas; E
che quando gli averete duplicato, ò triplicato ciò, che fù lasciato
à voi, e vi bastò per di- venire virtuosi, sarete giudicari da
tutti per buoni Padri di fameglia, e che av- vertiate bene, che certe
ricchezze, che superano la propria condizione, e per altro non
bastano à mantenersi in altra sfera superiore , sono
pericolosissime, perche à cui fi lasciano , volendosi trat- tare
quefti d'avantaggio di quello, che compete loro, preftamente le dißiperan-
no, conforme l'esperienza quotidiana lo dimostra ben? fpeffo , per
non volere questi tali ad altro impiego applicare , che
à quello dello dispendioso diverti- mento, non servendo ftrertiffimi
Fide- commiffi , nè altri legami inventati per
impedirlo; ftanteche nella medesimais conformità, che
da'viventi si passeggia sopra li sepolcri de’defonti, cosi
ancora per l'appunto si passa sopra le loro vo- [ocr
errors][ocr errors] lon(a) De pracept. S 3. 278 Dell'Idea del vero
Medico. lontà, e che quello, à cui dovrete invia gilare più d'ogn'altra cosa
farà, di lasciarli virtuosi, ben’educati, e con buoni avviamenti, che allora ,
quantunque li lascierete con mediocri commodi, da se medesimi potranno divenire
ricchi, e con questo vantaggio maggiore , che quelle ricchezze, che da se
medesimi fi accumuleranno , non già le disliperan10 , conforme bene speffo in
quelle , che si ereditano succede. Ponderate bene questi consigli, e
servitevene, se volete in tutto abbattere l'Avarizia. Incominciando voi à
porre il piede nella vecchiaja , à cui conviene di cedere, ve ne avvedrete
facilmente, quando che non potrete con quella facilità di prima reggere le
voftre solite occupazioni , ed allora cosa farete? Non altro certamente che di
consigliarvi con tutte le virtù, che v'indirizzinó per qual via dovrete
caminare acciocchè voi , li quali sarete utili alla Republica per la lunga
esperienza, che avrere, possiate più lungamente giovarle. La [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] La Prudenza, come Maestra di tutte le altre
virtù vi dirà, che non è convenevole d'abbandonare tutti quei fervigj di
coloro, che da voi per lungo tempo ne hanno ricavato del profitto nella loro
salute , ed anco lo sperano in avvenire, per la fiducia , che hanno in voi, efsendo
in istato ancora di potere ben'oprare , nè tampoco parte di elli , perche faria
molto odiofa una tale vom ftra parziale risoluzione ; onde voi non potendo
disfarvene, per non sentire ilamenti dei vostri clienti, vi converrà perfare di
andare sostituendo qualcheduno, che vi poffa alleggerire almeno la fati
ed acciò abbiate facilità in eleggerlo, vi apporterà le trè malime sostituzioni
, che il mondo tutto rimirò nel primo secolo della commune falurcs cioè : La
prima, che fù fatta da Augusto in persona di Tiberio ; La seconda da Galba in
quella di Pilona ; e la terza da Cocceo Nerva in quella di Trajano; ed in tal
guisa facilmente v'istruirà , dicendovi : Nella prima Augusto ebbe una
$4 pelli [ocr errors] pessima intenzione,inentre scelse un soggetto
di reprobi costumi; un Tiberio ben noto per la sua iniquità, ed al sostituente
più di ogn'altro, stanteche: (6) Comparatione deterrimâ fibi gloriam quafavisse
. Nella seconda vi fù ottimo fine, perche fù eletto un meritevole, solamente si
mancò ne i mezi , e di questo ne fù cagione l'avarizia di Galba, giacchè:(c)
Confit at potuiffe conciliare animos, quantulacunque parci jenis liberalitate,
c perciò ebbe l'esito infelices Nella terza finalmente tutti li requisiti
furono ottimi, non vi fù punto di vizioso sì nel principio, che ne i mezi, e
fine , e perciò fù gloriofiflima. Queste , benche fie00 state sostituzioni
maflime, nulladime‘no possono servire di norina ancora nelle picciole, mentre
dalla prima ne ricaverete, che vi sarà che vi sarà poco bene accostumato;
chi farà vizioso non meriterà di essere da yoi eletto ; Dalla seconda ne
dedurrete, che chi elegge deve stare lontano dall'avarizia, e non esser
punto do[b) Tasit. Annal lib. 1. [] Tacit. Hia.Jib.1. redominato da
questo vizio, se brama, che tutto vada felicemente ; Sicché la terza, in cui
concorrono tutte le buone condizioni farà quella , che si dovrà imitare da voi
per fare una degna elezione,mentre non fù già eletto da Cocceo Nerva Trajano
per cagione di parentela , nè di {moderato amore, che gli portasse , mà bensì
per il suo merito, e per la bontà de' suoi costumi, e non ebbe già per fine
principale di gratificare l'eletto, mà solamente coloro , che doveano effergli.
fudditi, e perciò riuscì un'ottimo Imperatore, e felicissimi tempi furono
chiamati quelli del suo Impero. Non intendo già per questo di consigliarvi
d'abbandonare li parenti, gl'amici, e quelli, che più d'ogn'altro ainate,
perche ciò non saria ragionevole, anzi vi dico, che fiere tenuti à preferirgli
ad ogn'altro eguale, ed anco qualche poco superiore à loro, conforme vi
ordinerà la Giustizia isteffa , vi avverto solamente, che non vi serviate della
parentela, dell'amicizia, e dell'amore per inicroscopio, acciò ز
[ocr errors] vingrandischino di molto il soggetto, che prendete di mira per
sostituirlo, altrimenti v'ingannerete , e chi lo mirerà fenza questi microscopj
se ne avvederà molto benes conforine capirete anco voi istelli rimirandoli
fpassionatamente ins fimile forma : E' ud verso affai trito; mà però che cade
molto al proposito quello, che dice: Quifquis amat ranam, ranam
putat effe Dianam; E la cagione fiè, perche l'amore non solamente så
ingrandire il merito , mà ancora så ricoprire li difetti degl'oggetti amati. Se
farere dunque voi la vostra elezione con rimirare li soggetti calig quali
realmente sono 1109 alterati, per quali vi pofsono parere, non solamente sarà
questa gradita , e profitcevole, mi eziandio riuscirà per voi gloriosa ,
conforme seguì à Cocceo Nerva, à cui la maggior gloria , che gli fia rimasta
trà tante altre è quella ; di aver'egli saputo eleggere un Trajano per fuo
successore all'Impero , e solo da questi ogn'uno [ocr errors] ora
comprende à qual segno giugnesfero la sua prudenza , il suo giudizio, e la sua
integrità, ed essendo questi documenti della Prudenza per appunco coerenti à
ciò, che Ippocrate c'insegna, cioè :(d) At verò imperitis nunquam quidquàm
procurandum committes. Sin minùs ejus, quod malefactum eft vituperium in te
recidet &c. non potrete da esli punto discoItarvi. Palliamo ora all'incunbenza,
che dovrà avere questo vostro sostituto, il quale essendo da voi scelto di
buoni cos stumi, e dotto, caminerà in curto fecon: do la vostra direzione, onde
profitcevole in conseguenza sarà , à cui l'avrete proposto, perche ne riceverà
da esso un servigio alliduo, animato dal vostro prático configlio, e di questo
ve ne prevalerete da principio ne'casi più leggieri, per poi, fecondo che
v’andrete inoltrando negl'anni, avanzarlo ne'.gravi, con questo però, che
abbiate l'occhio arrento al servigio, con visitare ancor voi di quando in
quando gl'Infermi, per diriga gerli meglio con li vostri più accertati consigli
, e facendo voi in questo modo non solamente non avranno fcapitato punto li
voftri Infermi, anzi che più toito acquistato , restando loro tutto il voAro
consiglio come prima con l'afiftenza maggiore del giovine sustituito, che da
voi , mediante le vostre occupazioni, non lo potevano esiggere, e precisamente
nelle ore più fastidiose, e tutto questo benefizio sapete perche lo
riceveranno, ftanreche il sostituto fù scelto da voi, e da voi non preso à
caso, mà bensì capato trà li buoni per il migliore, dove che se fosse stato
preso per via di raccomandazioni, e senza la vostra dependenza , non
caminerebbero le cose così felicemente, poiche sdegneria tal da voi
independente sostituto caminare con le yostre direzioni, volendo far'egli à suo
modo, e non saria picciolo favore,quando ve lo facesse, in caso di qualche
controversia , di non ispargere da , che voi siete vecchi rimbambiti, e
che quan; [d] De dec.orn. non [ocr errors] non fiete più
capaci di medicáre, per iscreditarvi con fimili menzogne, e da ciò qual
vantaggio se ne riporteria à prò degl'Infermi, se non che una confusione, una
inquietudine continuata , ponendosi in dubbio talvolta à chi de* due fi dovesse
prestar maggior fede, se al giovane petulante, e scostumato,ò al vecchio,
benche ingiustamente vilipeso; Con ragione dunquc Ippocrate inveisce contro
costoro, che per vie indiretre si avanzano, dicendo: (e) Quàm repentè evecti
fint, fortunæ tamèn ægentes per divites quofdam ex anguftiis emergunt utrique
exi eventu nominis , celebritatem adepti, & in pejus ruentes luxu diffluunt
, quæ in arte nulli rationi reddende sunt obnoxia negligunt ac. In questo
proposito il Disinganno, che hà il cuore sincero vi scoprirà un'altro
pregiudizio delli massimi , che corrono trà alcuni , che non sono nella
professione versati, quali credono per cosa utile nelle cure le controversie,
edissenzioni trà Medici, e dicono, che essendo trà essi discordi, si scopra
allora meglio la verità, confondendoli da quefti tali ciò, ch'è disputa
virtuofa , utile anzichè neceffaria , dalla diffenzionc, e discordia superflua,
e viziosa, nata dal mal costume . Il Disinganno vi scoprirà il tutto, e vi
dirà: la disputa neceffaria è quella, che risulta da qualche indicazione
dubbiofa per meglio discernerla, e questa trà Professori esperti, e di buoni
costumi termina prestamente ; perche seguitandofi da elli solamente il
configlio megliore, in un subito si accertano, le quali ragioni , e quali motivi
prevalgono, se gl’affermativi, ò pure li contrarj, ed à megliori concordemente
si appigliano ; Dovechè la diffenzione, e difcordia , che proviene dal mal
costume, che per lo più viene fomentata da puntigli, e germoglia da picciole
occasioni, non solamente è molto dannofa , inà perche si yà al cattivo, non mai
viene affatto terminata,stanreche in simili contenzioni = Qui velit ingenio
cedere nullus eriti [ocr errors] erit ; ela cagione di ciò n'è,
perche tutto proviene dalle volontà discordi,che non amano di unirsi assieme,
nel qual caso lę ragioni più valide, li motivi più evidenti, ò non appagano, ò
non si vogliono capire, à segno , che alla fine annojarifi del troppo
altercare, in vece della decifione letteraria fi passa qualche volta all' obbrobriosi
improperj, senza ricavarne altro profiețo, che : Şeipfos ludibrio exponere ,
come insegnò Ippocrate , (f) € questo è per appunto quell'ideato bene', che à
prò degl'Infermi se ne riportą da fimili contese, sicchè non v'è altra strada,
che quella della concordia, à cus uniteci il consiglio già propostovi dalla
Prudenza, & approvato dalle altre virtù entrando voi nella vecchiaja, se
bramate con vantaggio,e profitto de' vostri Infermi alleggerirvi dalle fatiche,
nel qual caso trovădoyi aggravati dall'ostinata Discordia , la Giustizia non vi
obligherà à paziétare di vataggio,mà farete, che ogn’uno si serva pure à suo
piacere , (6) Lib. de Praçept. [ocr errors] Inoltrati, che poi
sarete nella vecchiaja , che ve ne avvedrere pur troppo, se non vi vorrete lusingare,
dalla notabile mutazione, che proverete in voi da quello , ch'eravate una
volta, poiche le forze del vostro corpo languiranno, il vostro perspicace
ingegno, la vostra. gran memoria, la vivacità del vostro fpirito, il discorso
così spedito non si scorgeranno più quelli, che già furono, rincontrandoli
ogn'uno molto mutati. In tale stato inevitabbile, cosa vi converrà fare? Non
altro certamente, che d'imitare quei celebri Pittori, che per non perdere quel
glorioso nome, che per lo passato aveano acquistato, allorche si avvedono, che
i loro pennelli non sono più à dovere regolati dalla tremolante mano li
sospendono per trofei delle loro opere già fatte, e terminano in questa guisa
gloriosamente il loro mestiere. Seneca assomigliò faggiamente la vecchiaja
alla nave, che comincia per la sua antichità à scomporsi, dicendo:
Quem 12 [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors]
Quemadmodùm in Have, que sentinam trabit uni rime , aut alteri obfiftitur
: Ubi plurimis locis laxari cæperit , q cedere, fuccurri'non poteft
navigio dehiscenti : Ità in fenili corpore aliquatenùs
imbecillitas fuftineri , c fulciri poteft, ubi tamquàm in
putri ædificio omnis junctura dilabitur , Odùm alia excipitur , alia
difcinditur cir- cumspiciendum eft quomodò exeas . E po- tendo
egualmente la detta nave, che il vecchio, pericolare nel suo
consueto viaggio, converrà dunque ad ambedue prendere il sicuro
porto per prolungare più, che sia poflibile il suo essere. Mà
questo distaccamento vi parerà il più duro, il più difficile di qualunque altra
cosa, che averete emendata in voi sino à quel tempo; sì perche quest'impotenza
insensibilmente se ne verrà ayanzando, onde in un subbito non ve ne potrete
avvedere, e forse non prima di allora , che voi sarete renduti affatto inabili
per la repugnanza grande , che hà Pumana natura à dichiararsi inabile, come
ancora, perche non godendo più T quel е quella bella
perspicacia di mente, quella pronta risolutezza di prima, non saprete così
bene, come una volta, scegliere, e prontamente eseguire li buoni consigli della
Prudenza, e se il buon'abito fatto non vi ajuterà allora à fare tal
risoluzione, infingardamente procrastinando di giorno in giorno ad effettuarla
, farete più tosto voi prevenuti dalla neceflità, di prevenirla ; Sicchè prima,
che voi abbandoniate li negozj; elli averanno lasciato voi's Quindi è, che per
non cadere in fimile obbrobriofa miseria converravvi, per ben consultarla, nè
d'afpettare allora , che la vostra mente farà notabilmente deteriorata, nè, per
eseguirla, quando sarete molto proflimni al non potere più operare, e quanto
queste risoluzioni più generosamente intraprese saranno , tanto più
gloriosamente, e facilmente vi riusciranno, nè crediate , che un simile
distaccamento, con tutto che la nostra natura vi repugni , lo sia impoflibile à
farsi, mentre lì è veduto praticare da più d'uno , e trà gli altri dalMedico
Romolo Spezioli , il quale nel colmo delle sue prosperità, doppo un lungo
servigio della Regina Cristina di Svezia , di gloriofiflima memoria, che
continuò finche ella visse; doppo essere ftato Medico Pontificio della santa
memoria di Alessandro Ottava, incaminatosi già per la via Ecclesiastica,
proseguì questa, e lasciò affatto nell’auge delle sue occupazioni, e della sua
età con generosa risoluzione, contento di ciò che aveva acquistato ,
l'esercizio della Medicina , nè alcuno de' suoi clienti si è potuto dolere con
ragione di lui, perche li abbandonò è vero, mà
per servire folo à Dio, che con quanta esemplarità egli lo
faccia , offenderei non solamente la fua modestia con riferirlo, mà temerei
ancora, con fargliene molti encomj, che non restaffe à bastanza appagato chi
con occhio fincero giornalmente rimira le fue degne operazioni. Nè devo
in questo proposito paffare sotto silenzio il ritiro , che fece Antonio
Piacenti di felice memoria, mio di T 2 let [ocr errors][ocr
errors] lettissimo Maestro, avendo voluto egli tra le altre fue virtù, per
compimento della sua gloria collocarvi questa ancora del bel distaccamento dal
mondo,e nell' istabilirlo mi disse, che lo faceva per prevenire la sua
inevitabbile impotenza, ftimando , che il prevenirla fosse cosa più vantaggiosa
, che d'effere da effas prevenuto per gl’esempj, che aveva offervati in alcuni
, che quantunque decrepiti, e finemorati, con tutto ciò non vollero lasciare di
fare il Medico' più per rendersi ridicoli appreffo li giovani, che punto non li
compativano, che di effere a' suoi Infermi profittevoli, e con ammirazione di
tutti ponevano à pericolo quel buon concetto , che avevano fino allora
acquistato, per un tenuiffimo, c miserabbile premio, del quale non nc avevano
alcun bisogno, per essere già divenuri molto ricchi. Sicchè per isfuggire
simili sventure vi converrà d'andar pensando in tempo opportuno, e quando
ancora sarete con fegtimenti vegeri, à questo buon ritiro, c fino
[ocr errors] la e fino da quel tempo appunto, che.co“ mincierete ad
alleggerirvi le fatiche, perche ciò, che la Prudenza allora vi consigliò fù
tutto preordinato à questo effetto, e la prima diligenza, che vi converrà fare
sarà di agiustare li yoftri affari domestici in quella forina appunto, che
fogliono praticare quei saggi viandanti, che devono sempre stare allestiti per
passare in remotislimi paesi, e che non possono indugiare punto, allorche sono
ayyifati per partenza. Questi tengono sempre pronto ciò, che fà di
bisogno per il loro viaggio, si aggiustano le loro puntuali rimelle , e poi
danno la sopraintendenza generale di ciò, che possedono à chi fedelmente lo
custodisca, ed à tal ministero eleggono un proprio figliuolo,se farà prudente
economo,e fenza vizj,altrimenti un'estranco di provata fedelcà, economia, e
prudenza . Dato un buon fefto , che voi averen te alli vostri affari
domestici in tanto, che anderete vedendo se caininerà tutto à vostro modo , per
poterlo emendare, [merged small][ocr errors] [ocr errors] fe in qualche
cosa difettasse, à fine di non avervi più da inquietare intorno ad csso ,
fupplicherete le virtù, che vi configlino , e preftino il loro ajuto, in questo
penultimo paffo, che dovrete fare, le quali avendovi sempre affiftito per lo
paflato, certamente che non vi abbandoneranno nel meglio, ed allora appun
che vi trameranno infidie la fastidiofaggine, l'impazienza, il sospetto,
l'incostanza, l'amore proprio, con il soverchio timore di ciò, ch'è
inevitabbile , vizj tutti, che aspettano il quando voi farete languenti non
meno di corpo,che di mente, per dominarvi à fuo modo ; nel qual compaflionevole
stato cosa fareste mai di buono, se non ayelte le virtù consigliere?
Queste divideranno facilmente il loro conGglio in sette parti; La prima farà il
quando lo dovrete farê; La feconda il come ; La terza dovë ;La quarta con chi ;
Quinta;con che preparamenti; Sesta, cosa dovrete allora fare; Ela settima, che
cosa fuggire. Primo, ز Primo ; circa al quando, vi dirà la
Prudenza, che allora appunto facciate il vostro distaccamento, quando che
proverete sensibile il peso degl'anni, che la memoria vi anderà notabilmente
mancando, e che fentirete la fatica, benche allegerita, molto molesta , ed
averete allora giusto motivo di pensare solamente à voi stessi , senza più
indugiare à farlo. Secondo, intorno al come lo doyrete fare, vi
consiglierà la Giustizia di usare ogni maggior civiltà possibile in licenziarvi
da tutti quelli, che si prevagliono di voi, con far loro conoscere, che fino à
tanto, che avere potuto, non avete risparmiato nè fatica, nè incommodi per
servirli bene, ma ora, che vi sono mancate le forze, il solo buon'animo, che vi
resta, non lo credere sufficiente per li loro bifogni, e che li confoliate
insieme, che avendoli già voi proveduti di soggetti non inferiori à voi ,
potranno essere da questi in avvenire affai bene affiftiti; Ne
seguirannofacilmente varj atti di reciproca tencrezza, mà fate, dirà la sudetta
virtù, che questi nè vi distolgano dalla risoluzione già fatta, nè vi pongano
in qualche forta d'impegno d'averla in qualche loro occorrenza, ò
imprudentemente da ritrata tare , ò mancar loro di parola. Terzo, nè vi
consiglieranno già , che vi scegliate qualche solitudine remota per fare il
vostro ritiro, mà bensì un'appartamento assolato della vostras casa, nel quale
vi sia minore strepito, anzichè vi dissuaderà la Prudenza, se aveste mai
qualche pensiero d'allontanarvi dal. la Città, d'effettuarlo, per li seguenti
motivi, perche ne' piccioli luoghi non potrete ritrovare tutti quei commodi, nè
godere di quei vantaggi, che nelle fole città vi sono, dove il governo risiede,
la civiltà, e la convenienza rcgnano, doveche al contrario questi mancano, ò
almeno scarseggiano, oltre il correre rischio di penuriare di molte cose,
s'incontrano facilmente de' disguki, à cagione della poca cognizione,
e civiltà, che ivi li suol praticare , & in ispecie con quelli,
che la dottrina, & il valore l’inalzò, essendo perciò molto
dall'inciviltà odiaci, e benche Scipione il Grande nel suo, non tutto
volontario ritiro in Linterno; (perche lo fece per accomodarsi alla
necelli:à di quei calun- niosi tempi) avesse la sorte di essere
stato venerato da molti uomini facinorofi,che ivi accorsero per
ainmirarlo, è stato egli quasi singolare in questo, mentre altri
furono assai diverLamente trattati, trà quali basterà riferirne uno
solo,mirabbi- le per l'accidente, che vi
s'incontro. Venne volontà nel secolo passato ad un' Officiale maggiore di
guerra,doppo molsi illustri fatti felicemente occorsili, di ritirarsi alla sua
picciola patria, già dia venvto vecchio, per godere ivi la sua quiete. Mà
appena giontovi , che incon minciò ad essere deriso, e beffeggiato da quei
rpstici abitatori; Ditali impropri trattamenti se ne rammaricava il valo, roso
vecchio, mà per non prenderla con tanti, andava disimulando. Si suscita.
[merged small][ocr errors][ocr errors] tono in questo mentre alcuni principj di
guerra, ed ecco all'improviso Inviati con sacchetti d'oro, che andavano
cercando quel merito così vilipeso da quella rustica progenie, allora quel
meritevole prendette spirito, e per mortificare li suoi persecutori fece
spandere quell' oro alla vista di tutti, che ammirati attoniti, e confusi ebbero
occasione di ravvederli del loro errore ; mà se quell' oro non compariva , il
merito ivi non già risplendeva. Mà perche avanzandovi nella vecchiaja non
potrete sapere à che segno la vostra salute si di corpo, che di mente vi
potranno reggere ; Quindi è, che per compire faggiamente il corso di
vostra vita, le virtù vi consiglieranno à sceglicre chi potrà essere à
proposito per voi, allorche vorrete vivere solamente à voi medefimi, tanto in
caso di felice, che di penosa vecchiaja , e facilmente yi diranno la Prudenza,
e la Giustizia : fceglietevi å tal'effetto un Direttore spiricuale de' più
dottia e discreti, che vi COR [ocr errors] conservi vivi li yoftri
abiti virtuofi. Una amico fido, e prudente, che vi suggerisca ciò, che dovrete
operare, caso che, ve ne dimenticaste , che sopraintenda.a’ vostri
interessi,acciocchè non fieno trafcurati,per negligenza di chi li maneggia. Un
parente amoroso, e disinteressato, per supplire all'amico, e dare anco
soggezione à chi vi serve, ed un servidore abile, che vi allista con carità ,
amore, e discretezza, e questi non basterà , che yeli siate scelti, mà dovrete
ancora mane tenerveli ben’affetti, altrimenti disguftandoli con voi , vi
troverete intrigati a, e sappiate la cagione del disgusto de' trè primi, quale
potria effere ; l’incommodo, senza loro utile, delle frequenti visite, e brighe
continue per voi, mediante le quali annojari , fi potriano facilmente alienare
da voi;mà per rimediare à quefto, non dovrete fare altro, che di fervirvi della
potentissima efficacia di qualche cortesia usata loro si che, se ve ne farà
d'uopo, cambierà in un tratto ogni più dura fatica in ispasso", ogni noja
in ز piacere, ed ogni più grave disaggio in dilettevole
divertimento ; caso poi, che non ve ne fosse molto bisoglio, diportandovi voi
con esli grati , essi ancora verso di voi saranno più diligenti, aslidui , ed
affezionati : Munera , crede, mihi placant, bomines que, Deosque ; E
renete pure per certo , che favolosi sono quei casi, che di alcuni Gentili fi
raccontano, che tutto elli facevano per puro amore, e che l'incommodo maggiore
degl’altri era da questi lo più ricercato; Mà però con il servidore abile, che
dovrà stare affiduo con voi, per tenerlo contento, vi converrà praticare due
modi, uno privativo, che consisterà in non maltractarlo nè con fatti, nè con
parole, dovendo voi, che avrete bisogno di lui, acquistarvi il suo amore, e
facendo voi diversamente, in vece di guadagnaryelo , più tosto lo perderefte,
quando che ve qe portasse : E vero, che difettando egli, lo dovrete correggere,
mà pero con maniera umana, con farglicapire'il suo fallo, non già con
ingiuriara To, e caricarlo di strapazzi, perche venendo trattato da voi in tal
guisa , cosa ne seguirà ? O che vi abbandonerà nel meglio, e voi come
rimarrefte? O continuerà a fare peggio di prima, e voi cam fa avreste
acquistato ? E l'altro positivo, che consisterà in fargli capire, che voilo
amate di cuore, e non per solo vostro vantaggio , mà come fosse un vostro
figliuolo, e che ciò sia, lo crederà allora appunto quando si vedrà trattato
bene da voi, comandato con discretezza, c meglio di ogn'altro glielo farà
capire , quando si vedrà regalato da voi con giudizio , e questo regalo non
consisteria in altro, che di usargli un'amorevolezza pecuniaria , à proporzione
del vostro potere, ogni anno nel vostro giorno natalizio,con promettergli
negl'anni venturi sempre di raddoppiarla, e questa, con tutto che sia una gran
cosa in apparenza, voi, che sarete avanzati negl’ anni, la potrete ufare con
più generosità de' padroni giovani,che sperano di cains pare lungo tempo, &
al servidore gli sarà grato à segno, che non lascerà cosa, che possa giovare à
farvi vivere più luagamente, che non la procuri. Avrà fempre timore , che non
vi disgustiare , che non patiate , & allora appunto lo avrete già
interessato nella vostra vita, e nericaverete un'ottimo servigio.
pare Quinto, oltre li preparamenti neceffarj già da voi fatti
per sostentamento, e sollievo del corpo, vi consiglieranno facilmente,
& in ispecie la Fortezza , à farne ancora degl'altri per l'animo, non meno
necessarj de primi, e questi saranno di proyedervi di molta sofferen ed
ilarità, che facilmente ve ne bifogncranno , acciò non venga turbata la vostra
bella tranquillità di animo, che goderere, santeche trà mali familiari dell'inoltrata
vecchiaja yi fi annovera quello ancora della fastidiosaggine, e questa non con
altro rimedio si puo curare che con l'abbituara sofferenza ; E perche
danneggiano ancora di molto pell’età avanzata la malinconia, & il
di za , [merged small][ocr errors] disgusto; Quindi è, che per
tenerli lone tani, vi è d'uopo dell'ilarità , mediante la quale solamente
diverrete ad essi superiori. Sesto , parerà forse cosa impropria à chi
udirà , che voi come Medici provetti possiate avere di bisogno allora del
parere altrui intorno à ciò, che dovfete, ò non dovrete operare, mà fe ben
rifletterà , che non mai fù nocivo ad alcuno il caminare con il consiglio della
Prudenza, e della Giustizia in ispecie, cambierà facilmente parere , e tanto
maggiormente, che niuno in caufa propria puol'essere competente Giudice e più
precisamente in quella età, in cui tutto ciò, che abbiamo di meglio, allora
languisce; Le virtù luderte vi diranno à tal proposito, che non crediate
già,che il vostro ritiro abbia à servire per totale riposo del vostro corpo, 8c
acciocchè se ne stia affatto ozioso, & infingardo, perche passereste in tal
caso, da un'estremo vizioso all'altro, senza profitco alcuno, essendo questo
egualmente nocivo dell' dell'anrecedente, perche, come ben sapete,
consistendo la vita nel continuo movimento de fluvidi , che dentro il nostro
corpo si aggirano , & ancora, che questo venga agevolato dalle pressioni
musculari , sicchè ogni qualvolta cefferete di muovervi, non avendo tanta forza
li muscoli, in istato di quiete , di propellere , neceffariamente seguirà , che
detti duvidi lentamente scorreranno, e più d'ogn'altro ne' vecchi, impoveriti
de' spiriti, onde in conseguenza ne verrà, che la vira iftelsa ne riceverà del
danno notabile, mancandole ciò, che se le deve , per il suo più necessario
prolongamento, oltre di che ne' vecchi cade un'altra necessità particolare di
doversi muovere, & è, perche tendendo eli alla ficcità, li loro tendini, e
legamenti, atti più dell'altre parti à contraerla , cessando di moverli si
possono irrigidire à segno, che impediscano loro affatto il poter più camminare
, conforme più chiaramente fi scorge in quei vecchi, che à cagione di qualche
loro [ocr errors] indisposizione per lungo tempo forzata-
mente giacciono in letro, li quali, ben- che abbiano superato quel male,
che li teneva al riposo, nel volere camminare si accorgono di
non poterlo più libera- mente fare come prima. Il sudetto ritiro
dovrà servire bensì per riposo, e calma della vostra mente, già stanca
per li so- verchi pensieri, la quale non dovrete', nè potrete
quietare con renderla affaito oziosa , mà bensì con contracambiare
quei di già nojosi con altri più ameni , ! quei cotanto laboriosi, con
altri, che non la stanchino di vantaggio, mà più tosto la ricreino,
conforme in appresso diremo. Mà ritornando al moco
, che vi competerà di fare , questo sarà appunto quello, (vi
dirà la Giustizia ) che altrui di età avanzata voi avrete
consigliato, cioè di farlo in tempi sereni, & aria ri. scaldata
dal Sole, non già irrigidita del- la notte, & allora appunto, che il
vostro stomaco ayerà digerito il cibo, con que- fta avvertenza di
più, che avvedendovi di non potere continuare l'esercizio, a quel segno di
prima, lo modererete, non tutto in un tratto, ma bensì à poco à poco, finche vi
poniare in una regola di poterlo continuare, senza voftro disaggio, & à
quel segno , che lo stimerete necessario , e ve lo permetteranno levostre
indisposizioni, che soffrirete, & acciocchè sia continuato per quando non potrete
uscire à cagione de' tempi fred. di ventofi, ò umidi,lo farete in casa.
Solevano à tal'effetto una volta li vecchi praticare l'esercizio chiamato
dell'attacco, che conGsteya in istringere con le mani un certo ferro foderato
di corame, che era conficcato in due lati prossimi ad un'angolo della stanza,
all'altezza di un'uomo, al quale attaccati , non solamente si distendevano , mà
con maggior agilità ancora movevano faltellando li piedi, modo appreso forse da
Eumene, che ritrovandosi assediato, per avere più agili li suoi cavalli, caso
che gli fosse convenuto fuggire, in un modo assaiconfimile a questo li
esercitaya, mà fù nel fea secolo passato già dismesso
tal'esercizio, con molti altri neceffarj alla salute,e non se ne sà
comprendere altra cagione, se non perche, non erano commodi, stan-
teche strapazzavano il corpo', il che fi congettura dal vedere , che da
allora in qua non si è aèreso ad altro, che à cerça- re questo
commodo, fe pure commodo si potrà chiamare ; (soggiugnerà la
Pru- denza) ciò, che incommoda la salute ; Commodo si potrà dire
una carozza,che posi shule Molle con cignioni lunghi, che non
isbarta punto, allorche le sue ruote urtano ne' faili, per chi foffre il
inale di pietra nella vellica, per chi parisce bru- ciori di orina
, per una giovane gravida, folita di abbortire, perche ò non posso-
no soffrire lo sbattimento, ò è loro no- civo; onde :
conviene , che facciano conformc è loro permesso; Mà per un giovane
sano, à cui lo sbattere gli conferisce alla salute, af- sodandogli
la sua buona complessione commodo non si deve chiamare,mà ben- si
incommodo, perche presto glicla in- [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] ز [ocr errors] 0 el [ocr errors] .com
commoderà. A questo proposito vi riferirò un caso terribile di un Cavaliere, il
quale à cagione di propria commodità non moveva nè pure un dito, se non gli era
accompagnato da chi lo serviva, fi faceva fino imboccare, quanto mai egli era
commodo ; onde lo conduffe la sua pazzia à diventare un tronco, mercechè volendo
una volta muovere un braccio, non lo poteva più fare,un piede nè tampoco , e
come un ciocco gli convenne vivere, se pure quello vivere li [ocr
errors][ocr errors] poteva dire, Dall'esercizio corporale ritorniamo à
quello della mente, la quale, conforme dicemmo, non la dovrete stancare di
vantaggio con cose laboriose ayendo voi à tal'effetto bramato, e procurato il
vostro ritiro, mà nè tampoco converrà di tenerla affatto oziosa, acciocchè non
ritorni à coltivare le specie antiche, non sapendo, che altro fi fare. Nel
principio del vostro distaccamento, come vi suggerirà la Prudenzala terrete
occupata in diverse cose, con il suo rin par [ocr errors][ocr
errors] partimento dell'ore più proprie ad esse. Ne darete alcune agl'esercizj
fpirituali à prò dell'anima vostra , secondo il configlio del vostro
Direttore,qualche altra servirà per l'esercizio corpcrale, e le rimanenti alla
quiete della mente faranno da voi destinate in due maniere , cioè, con leggere
, ò sentirlo , e con il riposo; Li libri da leggere, proprj per tal'effetto,
già ve li sarete scelti , allorche vi preparaste per il ritiro , e si può
supporre, che saranno inorali, prediche, vite più esemplari de' Santi, e cose
confimili, e se vi sarete serbato qualche libro Medico, questo facilmente non tratterà
di altro, che del regolamento della vecchiaja, e del modo conforme si possa più
agevolmente ella sopportare , & inoltrandovi finalmente nella penosa
vecchiaja, non troverete maggior refrigerio, e sollievo, che di uniformarvi in
tutto nella volontà di Dio, e se giornalmente farete qualche meditazione sopra
la morte, vi recherà questa del vantaggio , perche divenendo perciò
superiori [ocr errors] ad effa, non vi potrà punto contristare, allorche
da vicino la scorgerete venire, e tanto maggioripente se meditandola
rifletterere, che se ne viene per togliervi dalle miserie, e collocarvi in
un'eternità di bene, essendo voi vissuti con le buone direzioni delle virtù,
non già con le lufinghe fallaci de vizj. Settimo, finalinente, diranno le
vir. tù , se volessimo rammentarvi tutto ciò, che non è convenevole, che ora
facciate inolto averelimo da dirvi, solamente alcune cose vi avvertiremo, nelle
quali potreste facilmente cadere . La prima delle quali sarà , ( se vorrete
caminare con le buone direzioni della Prudenza ) che avendo voi una volta per
giusti motivi risoluto di lasciare la Professione, non mai più dovrete
pentirvenç, e ritornar di bel ouovo à profeffarla», se non in quel caso
impossibile, che voi cựngiovenifte, altrimenti facendolo acquisterefte ritolo,ò
d'instabili , imprudenti, ò per la meno di superbi, potendosi da ciò
.cognetturare, che allora non lo facesteper impotenza, mà bensì per
isdegno concepito per non vedervi stimati à quel segno, che
bramavate di essere. La seconda, se vi venisse mai
volon- tà di mutare, senza giusta, & urgentili- ma
occafione , il vostro già fatto tefta- mento, mà solamente per
motivo di me- gliorarlo, che non lo facciate, vi coman-
deranno la Prudenza, e la Giustizia in conto alcuno, mentre
questo saria uno delli maggiori infortunj , che vi poteffe
allora accadere, perche se quello , che avrete fatto in tempo
, ch'eravate con sentimenti più vegeti, ora non è di vo-
stra sodisfazione , come potrà fodisfarvi l'altro fatto da
voi , dapoiche vi siete ri- tirati, à cagione di debolezza , non
nie- 110 di corpo,che di mente la quale entre- rà
prestamente, per essere in quella età sospettosa nella casa della
dubietà, mà ritrovandofi ancora languida , e piena di
timore tosto le sembrerà un laberinto, non sapendone
rinvenire la strada das uscirne, e perciò la sera penserà ad
una cosa, e depofta quella, la mattina ad un'
altra, [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] V 4 altra, oggi farà di un genio, e domani facilmente di
un'altro, e durando per qualche tempo così incostante, non folamente si
confonderà, mà s'inquieterà ancora ; onde quel tempo, che avevate dato alla
calma del vostro animo , in questo modo glielo rubbereste per darlo alla vostra
inquietudine , fenza ricavarne un minimo profitto, perche se pure giugnefte à
fine di stabilire la vostra ultima disposizione, sarà questa assai peggiore
della prima, e se non arriverete à compirla , l'inquietudini riccute, che
giovamento viaveranno apportato ? E quanto dette virtù vi hanno ordinato,
l'esperienza pur troppo l'hà fatto vedere, mentre chi nel suo ritiro hà avuto
simile tentazione, non solamente è vissuto inquietissimo tutto quel tempo, che
aveva destinato alla sua quietc, mà hà fatto una nuova disposizione del suo
avere così intrigata, così confusa, che hà dato di fe molto da dire . In niun
tempo si deve andare in traccia dell'ottimo, essendo questa distruttivo del
bene, mà [ocr errors] 1 mà in questo stato meno d'ogni altro
nel quale è molto espediente di dare orecchie à ciò, che si legge in
Tacito, ed è : Confilium , cui impar erat fatu per- mifit ; E
certamente, che quando siete meno capaci di risolvere, è pur
meglio, che lasciate correre ciò, che faceste di vostro genio
quando eravate più atti, che di mutarlo divenuti meno sufficienti
ancora ad emendarlo. Vi pregiudicherà per terzo
ancora di molto la troppa curiosità, & in ispecie
de fatti domestici , come ben vi avverri tirà la Prudenza,
perche più d'una vol- ta sentirete cose tali, che vi turberanno
notabilmente la vostra quiete,& affinche dal non ricercarli fi
scanzi ogni pregiu- dizio, fate., che quel vostro amico, quel
vostro parente, de' quali da principio parlammo, gli diano il suo
rimedio, ci pensino essi, che meglio di voi lo faran- (no , e
senza inquietudine vostra. E caso poi, che la necessità portaffe di
farvenc consapevoli sfuggano per quanto si può di dirvelo di
sera , per non togliervi 0 [ocr errors] il riposo della
notte. La quarta intorno à ciò, che dovrete fuggire in caso di qualche
incommodo abituato, che da soverchi anni procedere , la Giustizia, e la
Temperanza vi diranno : Ricordatevi, che una volta in altri non l'avreste
curato, mà folamente mitigato; onde non facciate, che la molestia , che vi
recaffe vi stimoIalle ancora à divenire carnefici di voi medesimi , con
pretendere di farvelo curare, conforme à più di un Medico avanzato negl’anni è
accaduto , per esserfi voluto esporre al taglio della pietra , quantunque ad
altri così avanzati in età non l'averiano consigliato.Questa penfione , che
Iddio hà posto sù il gran benefizio della lunga età che vi ha conceduta ,
vuole, che da voi fi paghi, altrimenti il fudetto benefizio mancherà
prestamente 5 Limnolesti pruriti esterni , li bruciori d'orina , le vigilie
frequenti, che bene spesso ne' vecchi accadono , fapete pure, che non vanno
curati con rimedi eradicativi, mà mitigar ben fi de [ocr errors]
1 [ocr errors][ocr errors] devono con cose anodine, trå quali il
latte , amico de vecchi asciutti hà il primato , e per essere ancora egli
il pris mo querimento, che si prende, non è disdicevole , che non
venendo à cagionc del soverchio sonno ritardato, sia ancora
Pultimo, conforme praticò con profitto Fabio Mafsimo nella sua età
decrepiti. Per quinto avvertimento vi con-
verrà stare molto circospetti per non cadere in certi errori,
che li vecchi li stimano sussidi dell'età cadente, ftante-
che provando languidezza di forze fi, portano con desiderio
(moderato à pre- valerli de’yini più generosi, e di altri
più fpiritosi liquori , intorno a' quali vi ricorderà la
Temperanza, che sapete pure quanto di male apportino alla in-
languidita tefta , all’inaridite viscere, e quanto di solfo communicano
alli ni- trofi fluvidi, ed in conseguenza di che danno essi
siano , che voi ben lo sapete, onde in vece di questi vi servircte
più ļosto del perfetto cioccolato , de' buoni brodi,
de' vini gentili, e delicati, c di altri liquori consimili, presi con
moderazione, e con questa distinzione , che effendo taluno di voi grasso, &
avendo disposizione al soverchio sonno prenderà spesso il cioccolato la
mattina, nel doppo pranzo , ò di sera il caffè , ò il the, è la bollitura di
salvia , sc poi sarà dimagrito , e sottoposto à vigilie, las mattina
frequenterà più tosto un brodo con la fetta del pane ivi bollita, e del
cioccolato se ne servirà qualche volta doppo pranzo immediatamente, conforme
ancora in vece del thè, e del caffè ricorrerà all'uso della bollitura dell'orzo
abrustolato, resa grata con qualche odoroso liquore, all'emulsioni fatte in
brodo , con semi di meloni , in particolare fe farà molestato da pertinaci
vigilie. Per fefto , fuggite ogni sorta di be vanda gelata, vi diranno la
Fortezza, e la Temperanza , quantunque la moleIta fete, che alle volte suole
travagliare li vecchi vi rendesse ansiosi di effe, perche sapete pure quanto
danno vi po triano [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] triano recare, & in vece di queste servis teyi delle
bevande attualmente calde , che vi smorzeranno con più facilità la
sete per quella cagione à voi nota, che sciogliono li liquori caldi più
facilmente quei fali, che titillando le papille del gusto non
solamente le costringono, mà recano ancora aridità à tutta la mem-
brana interna del palato , & esofago in- crespandola à guisa di carta
pecora, e questi con il liquore caldo vengono più facilmente
sciolti, & ancora le parti ina- ridite con più prontezza fi distendono,
doveche dalle gelate ne segue l'opposto, e per questa cagione tali acque
sono consimili à quelle , che Quò plus sunt potæ , plus
fitiuntur aqud; E perciò non si sà capire per
qual cagio- ne in particolare ne' vecchi sia stato dif- messo il
bevere caldo tanto praticato dagli antichi Romani , e tanto
maggior- mente, che dall'abuso di dette acque gelate ogn'anno ne
seguono delli casi funesti, coine ben sapete ; Dal soverchio
bere, 7 bere, con tutto che non sia gelato, ve no asterrete
ancora, effendoyi noto quanto di male possa apportare alli stomachi
debilitati dagl’anni, potendo non sólamente inlanguidire li fermenti digestivi,
mà opprimere insieme preventivamente quel calore, che stà per finire.
L'esperienza dimostra chiaramente , che le piante annose inaffiate à suo dovere
si conservano, mà soverchiamente più preftamente mancano, Per settimo,
v'avvertiranno la Prudenza, e la Giustizia di non porvi in una regola rigorosa
di vivere, con il motivo della moderazione del vostro esercizio consueto ,
perche la natura già affuefatta da tanto tempo à quella quantità di nutrimento,
vedendolo tutto in un tratto notabilmente scemare ne riceveria incommodo
considerabile, costando pur troppo per esperienza , che alcuni vecchi,li quali
l'hãno voluta tanto ristrignere preltamente sono mancati. Quello, che dovrete
praticare sarà di guardarvi da certi cibi di dura cozzione, di cattiva
qua qualità atti à poter nuocere , per altro nella quátirà l'anderete
moderando con occasione, & avyedendovi di non poterla ben diggerire, allora
l'anderete scemando, mà però lentamente, accioca chè non riesca molto fenfibile
derta mutazione, perche è cosa evidente, che allora appunto, che i vecchi
allentano di mangiare , poco resta loro di vita. Peggiore di questo ancor
saria, se cadefte in quella opinione tanto dangosa , che per vivere fano sia
neceffario di prender cose, che non facciano escrementi, mà che con l'odore
delle vivande, con qualche brodo di sostanza, si possa meglio , e con più
salute campares di quello si faccia con tante altre cose piene di parti
escrementose, perche la Datara vuole fi camini per le sue strade ordinarie,
vuole da tutti egualmente efiggere ciò, che brama . Quell'incommodo, che vi
reca nel restituire le feccie ella sà per quali fini lo faccia , non è à caso.
Non n'elimè già Alessandro Magno dal suo fetore, conforme che li suoi Cor
teg teggiani adulandolo dicevano , perche ella non sà cosa sia signoria,
e grandezza fà che la morte (a) Æquo pulsat pede pauperum tabernas,
Regumque Turres. Per tre gran benefici la natura volle , che vi fossero
li tanto odiati escrementi: Primo, perche dentro di noi si facilitassero
mediante queste tante digeftioni, che vi si fanno , conforme l'esperienze
chimiche ad evidenza lo dimostrano, in tante digestioni fatte con il Fimo, e da
quì rifletcete quanto s'ingannino coloro, che procurano anziosamente à forza di
tanti reiterati purganci star-, ne senza; Per secondo, che nell'uscire che
fanno impari à conoscere ogn’uno se stesso, à che segno debbasi insuperbire chi
dentro di se conserva fimili fetidillime materie; E il terzo per convincere chi
non credesse il primo, con farlivedere quanta fecondità questi rechino alli
terreni sterili, che colsuo beneficio divengonono fertiliffimi , talche
erroneaè à priori quell'opinione di potersi nudrire con cose, che non abbiano
escrementi, conforme ancora tale à pofteriori si dimostra per essersi veduto
chi l'hà voluto praticare divenire un marafino, che in breve fini i suoi
giorni. Per ottavo , & ultimo finalmente, ch'è forse il più forte di
tutti, vi diranno le virtù : Guardatevi da quelli trè gran persecutori de'
vecchi, che sono, la caduta, il catarro, & il corpo soverchiamente lubrico
; La caduta , voi sapere molto bene, che per due gran motivi è nella vecchiaja
più dannosa, che in altre etadi, sì per essere li vecchi di mi. nor vigore, e
li più facili à terminare la lor vita , ritrovandosi arrivati allo scorto di
effa , sì ancora, perche cadendo come un tronco ciò, che viene loro percoffo
riceve colpo pieno, non venendo riparato dall'agilità delle mani, nè dallo
scanzo della vita , come segue ne' giovani di maggior agilità di loro, onde per
evitare una simile fventura dovrete andare sempre con il vostro bastone,
ne fa [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] farere come
alcuni, che l'abboriscono per mofrar braura , quando braura più tosto sembreria
l'ayere in mano il bastone di comando"; onde non senza mia stero fù
chiamato da’ Latini il bastonc della vecchiaja Scipio, & il prendere
Sufcipio. L’occasioni di prendere li catarri à che segno le dobbiate
fuggire, l'efperienza altrui ve ne fece maestri, (vi suggerirà la Temperanza)
mentre osservaIte, che chi li espose all'aria rigida, chi ftiede in luogo
soverchiamente caldo, chi disordinò in cibi grossi, come sono il formaggio,
legumi , & alrre cose consimili furono da essi moleftati, converrà dunque à
voi ancora fuggirli, se non avrete quell'erronea massima, che ebbe quel Medico,
che disordinava molto, sù la fiducia, che niuna cosa gli potesse nuocere,
dicendo, che li Legislatori non sono soggetti alle leggi, mà gli convenne
soffrire la morte immatura per questa sua falsa credenza; e finalmenre quanto
dobbiate stare cautelati, per non incor rere 1 rere nella
foverchia lubricità di ventre, non occorrerà vi sia suggerito, sapendo i
da voi medesimi, che l'abuso de' dolciu mi, cde'frutti producono fimile
indifposizione. L'irascibile ancora spesso in, citata con l'abuso de' cibi
caldi per accrescere pungoli alla bile , quanto la poffino rendere frequente
nell'età avanzata lo sapete assai bene, con tante altre cagioni, che farà
superfluo viliano ram, mentate. i Essendo voi dunque nel corso
della vostra vita camminati sempre con le dii rezioni delle virtù, avete da
sperare fer mamente di potere incontrare una gloriosa morte, perche esse
in quel vostro estremo bisogno, più che non fecero in é altri,vi
assisteranno; La Prudenza vi farà soffrire ciò, ch'è inevitabile, con
animo generoso ; La Giustizia sperare quel pre7 , mio, che sarà dovuto
alle vostre gloriose opere ; La Fortezza vi darà cuore da refiftere
intrepidi ad ogni patimento più duro ; e finalmente la Temperanza vi consolerà,
con farvi vedere, che trà X 2 quel [ocr errors][ocr errors] ز
quelli molti , che vissero, pochi ne giunsero all'età voftra ; onde voi, che
avrete sempre dato saggio di tanca moderazione, come potrete non contentarvi di
essere già vissuti à bastanza, potendo con intrepidezza dire : Vixi, quem
dederat curfum for tuna peregi; Sicchè felice sarà la vostra morte ,
& invidiabile da tutti , nè crediate che fiano per abbandonaryi queste
doppo morte , perche allora più che mai saranno inseparabili da voi,posciacchè
quando ancora eravate viventi si poteva dubitare, che potefte essere, ò nò,
prudenti, giusti, forti, e temperari, perche in realtà potevate dare occasione à
dette virtù d'alienarsi da voi, mà doppo morte, che tal cagione finì, non si
potrà più dire di voi, che prudenti, giusti , forti, e temperati non foste,
ficchè resteranno allora da voi eternamente inseparabili le vostre virtù. E chi
mai rimarrà doppo morte più glorioso di voi? forse il ricco? questo no, perche
le sue ricchezze già al [ocr errors] Ja morte, allora
passarono in altri, non sono più fue; Forse il potente ? nè anco,
perche la sua grandezza è rinchiusa allora den- tro la sua urna ,
& il suo potere è diven- tato un niente; Forse chi ottenne
fingo- lari prerogative di natura , come sono la somma bellezza,
salute , e robustezza di corpo? questi nè tampoco, perche quelle
già furono, e non sono più doppo
restando un nulla , giacchè : Quod fuit, non eft pro nihilo
reputatur . Solamente dunque chi vive seguace del- le virtù può
sperare di ritenere ancora per se doppo morte quanto gadè in vi-
ta, e fù suo proprio , con tutta quella gloria imınortale, che acquistò
chi visse virtuosamente, de' quali parlando Ip- pocrate (*) così
diffe : Quique hac viâ incedunt gloriam tùm apud
majores , tùm
apud pofteros fibi comparabunt, ch'è quan- to dovevo mostrarvi.
Ed eccoci giunti al fine della festa Giornata, e
convenevole sarà di ripo- sarci,farci, in venerazione di chi creò
l'Universo, giacchè egli ancora requievit die Septimo ab universo opere , quod
patrarat , do benedixit diei feptimo , & fanétificavit illum [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][merged small] X 3 (-) De decenti babita
, è à priori (2) Horat.Carnr. odc 4 fa. dicom (e)
Hipp.de Pracepticx. fo quan (1) De
pracept: fione [d] Epidem.lib.5. @grot.28. ex Valefio. [e] Epid.lib
5. ægrot.7. (f) Epidilib.5.>.g. ap(4) In epift. Abderit. (r)
Epift.6. rano (d) In Comment Hipfoer. de Fraft. fers (b) 18
epiß. Damogit, alla (a) In epif Philop. K per(a) In
lib.præcepto ch' Th. In lib.de pracept: fprone [b) De
preception. Set era (b) In 2.epiji. ad Domeg.
1 F 3 i [ocr errors] fare 1 (h) Hippocr. de
veteri Medico C2 pra(c) De decerti babits. In. Morale,
DE'FIGLIUOLI e Medica DEL DOTTOR DOMENICO GAGLIAR DI Divisa in due
Parti. PARTE PRIM A Sopra l'Educazione Morale. DEDICATA ALLA SANTITA'DI
N.S. INNOCENZO XIII, Neglectis urenda filix innascitur agris Hor.
Sat. 3. lib. I.
In ROMA, MDCC XXII. Nella Stamparia di Pietro Ferri alla Minerva.
Con licenza de'Superiori . [blocks in formation] [ocr errors] sien
L Titolo gloriofifsimo di Padre Universale , it quale viene fo lamente
attribuito all'Altissimo Merito di Voltra Santità , mi rende più a
3animoso à consagrarle la prcfentc Opera sopra l'educazione de'figliuoli
Morale, e Medica, con ferma speranza , che Ella comc zelantissimo amatore del
buon costume non solamente la riceverà sotto il potentissimo fuo patrocinio; ma
le farà di vantaggio godere gl'effetti della sua somma clemenza ; mercecche non
permetterà già qucsta, che rimanga infruttuoso ogni qualunque suo documento
profittevole allo stradamento de'figliuoli per farli divcnire amanti dellc
virtù, cd aperti nemici de' vizj, essendo tal desiderio appunto il maggiore che
possa avere un'ottimo Pan dre; mente dal principio del suo
Gloriofiflimo Pontificato ha fatto la S. V. colle operazioni più gloriofe
conoscere al mondo tutto; vedendosi tanto il suo Paterno Zelo, quanto la sua
somma beneficenza indiri, zati folamente al giusto, ed all' onesto, gastigando
i 'rei , c premiando i meritevoli: conforme appunto costumarono tanti
Santillimi Pontefici suoi Antca natì di gloriofiffima memoria. Talmente che
l'Eroiche Virtù in V. Beatitudine essendo ereditarie, si trovano profondamente
radicate,e queste di fimin le natura debbono neceffaria, men, a
4 zarsi, seppure l'ottimo potranno sormontare. i Nè lì veggono nell'
Antichissima , c Nobilissima Famiglia de Conti ereditarie l'eroiche virtù
dc'suoi Maggiori nei foli Sommi Pontefici ;. mentre risplendono questo ancora ,
in tutti gli altri, c. con applausi universali; cssendosi veduti do. po la
dcgnissima esaltazione di V.B. al Trono Pontificio, nc' più a Lei congiunti di
Sangue la medesima nioderazione di animo, ed affabilità princicra ; assegno
chc,non senza ammirazione,fan ben conoscere a tutti, che le presenti felicità
non han na a gli animi generosi, e forti, in cui regnano abituate
l'Eroiche Virtù. In tempi dunque felici, o fortunati,ne'quali la verità
svelata pud comparire avanti al Principe , godo la forte di presentarle
prostrato à Santissimi Piedi di V.B. e consagrarle inficmc qucfte mie fatiche, diret.
te non ad altro, che al publico bene; mostrando queste a Padri di faniglia,non
folamente l'obbligo loro, ma cziandio il modo più facile d'indirizare benc i
proprj figliuoli, affinche non divengano elli viziosi per. turbatori della
publica quie te. ritevole dell'efficace Patrocinio del Principe,
essendon'egli di essa vigilantissimo Custode: Contribuendo dunquc alla felicità
del Principato la buona cducazione de'figliuoli , como cagione della publica
quicte; affinchè là S. V. possa godere tutta quella lunga serie di anni felici
, che ardentemente le bramo con ogni maggiore offequio la supplico à volerlo
rendere degno del suo Supremo Patrocinio, potendo questo accrescere alle sue
prove, e ragioni momento di forza bastevole a renderle più convincenti nel
ripulire gli animi rozi,dano, e baciandole i Santillimi Piedi con profonda
venerazione mi umilio. Di Voftra Beatitudine Omilifs,e fedeliss.
Suddito Domenico Gagliardi. AL C On rilevanti motivi ho
intrapre so lo scrivere sopra l'Educazione de' figliuoli : primieramente,
perchè leggendola Sacra Scrittura ho con chiarezza conosciuto l'obbligo grande
col quale da essa viene aftretto ciascun Padre ad educar bene i propri
figliuoli; ordinando l'Ecclesiastico al 30. Curva cervicem ejus in juventute,
fu tunde latera ejus, dum infans eft, ne forte induret, Ego non credat tibi, Er
erit tibi dolor anime . Doce filium tuum , E'operare in illo , ne in
turpitudinem illius offendas; e trovandomi molti figliuoli era anch'io compreso
nel numero di questi . Incominciando dunque a cercare qual modo foffe il
migliore , per sodisfare a’mici doveri, benc mi avvidi alla prima, ch'era
d'uopo conosce per congetturare meglio ove le proprie inclinazioni li
aveffero portati . In feguela di questo considerai, che indarno si sarebbe
affaticato ogni qualunque ben’esperto educatore, se l'educando difetrasse nella
esatta regola del vivere, quantunque fosse dotato dalla natura di un'ottima
indole ; mercecche il nudrimento , eccedente in quantità, e qualità, potrebbe
cagionargli internamente tal moto inordinato negli spiriti, che fosse capace di
togliere alla sua mente quella limpidezza neceffaria a chi ha d'apprendere la
buona educazione . Si avanzò più oltre la mia mente coi suoi pensieri,
cominciando a meditare se co gli ajuti medici, allorchè già introdotto negli
educandi l'accennato interno sregolamento, si fosse potuto questo calmare; c
con molti lumi ricevuti da Ippocrate, ove tratta de Aere Aere ,
Aquis , EX Locis , arrivò a comprendere, che potevano queste giovaredi molto in
tale occasione. Accertatomi per le fudette rifleffioni, che l'educazione
de' figliuoli poteva trattarsi da un Medico provetto, appartenendo appunto ad
ello più che ad ogni altro il conoscere i temperamenti, donde nascono i
naturali, la regola del vivere, ed il modo di calmare gi’interni moti
inordinati de’fluidi, mi accinsi a tale impresa, non potendomisi addoffare da
critici, che io abbia contravenuto al documento, che insegna Orazio nella sua
Arte poetica a chi brama di scrivere con profitto, cioè: Sumite materiam
veftris qui fcri bitis æquam Viribus , & versate diu quid
fer re recufent, Quid valeant humeri. E per corrispondere con
attenzione, grandezza dell'argomento intrapreso, formai alla prima la
seguente partizione di effo. Divisi primieramente la presente Opera in
due parti, cioè in Morale, c Medica, affinche con facilità maggiore ti
riuscisse di apprendere quanto scris vo trovandolo non confuso. Nella
prima Decade troverai descritti molti avyertimenti, che dò, acciocche chi
voglia accasarsi; possa provederli di ottima moglie; nè ti paja ciò fuori del
nostro proposito ; perchè se non si abbatcerà in una moglie prudente, ed onesta
, duc gran mali riceverà l'educazione de' suoi figliuoli; il primo de'quali
sarà ereditario dicendol’ ArioIto: Di vacca nascer cerva non vede
sti, Ne mai colomba d'aquila, nè figliaonefti E l'altro poi come potrà queste
ajutarti ad educarli bene , fe non sapràche cosa sia la buona educazione, per
non averla mai in se medesima sperimentata? Laonde conviene conchiudere, che la
base fondamentale della buona educazione consista in iscegliersi una ottima
consorte; ed avendola trovata, fi danno parimente molti documenti utili per
mantenerla costante nel suo buon costume ; ed inoltre si mostra di quai modi si
doverd fervire avendo sbagliato alla prima nel provedersi di effa , affinche
molto minori divengano i suoi infortunj. Nella seconda Decade principia.
1'Educazione Morale de figliuoli; ed in questa scorgeranno i Padri di famiglia
quanto siano tenuti d'invigilarci, e quali inconvenienti nascono dalle
loro era, [ocr errors] zio la similitudine de campi, nc'quali fa
vedere di che pregiudizio sia questa, dis cendo: Neglectis urenda filix
innascitur agris E che le Madri non debbansi abu, fare dell'amore verso i
figliuoli, essendo questo trascorso molto nocivo allawi buona educazione, a
segno che, se molti non avessero avuto l'asilo materno per esimersi da
gastighi, averebbero depofti quei vizj,percui poscia divennero infelici .
Troverai parimente documenti facili, e profittevoli, de quali potrà ogniuno
feryirsi sccodo le diverse loro inclinazioni per educarli. E perch'è il
compimento della buona educazione l'istradarli a ciò, che doveranno applicarsi,
quindi è, che si tratta ancora del modo, col quale si doveranno provedere i
figliuoli secondo gl'impieghi, de que quali si conosceranno
meritevoli ; e dandosi il caso per lorosventura, che i genitori morissero,
trovandosi elli di tenera età, si propone ciò, che pare conveneyole a farsi in
simili calamitose cótingenze:e' per non lasciare poi in abbandono i poveri, che
non ponnoricevere tutti quegli ajuti da Macstri conforme possono avere i
figliuoli de'bene Itanti, fiè pensato anche ad essi per dare un ripulimento più
universale contro vizj,essendo tal semenza in tutte le condizioni degli uomini
perniciofiffima per la Republica. Quattro sono gli interlocutori ideali
della presente opera : Sempronio giovane molto accorto, il quale brama
d'istruirsi; Mecenate , e Publio prudenti direttori, ed il Medico provetto ,
per dilucidare alcune cose appartenenti alla Medicina. Mi fono servito di
Publio ammogliato per la sperienza grande, chc che si trova colui,
il quale per molti an ni è vivuto in tale stato: di Mecenate sciolto da tal
legame, periscoprire quel di più,chenon può eslere noto, a chi hà
moglie,rimirando le cose più sincere chi si trova in disparte, enon ha
abbagliato la vista dalle proprie passioni. Inoltre raccontando Publio
cioca chè costumavası fare in tempi meno rilassati, farà maggiormente conoscere
la differenza de'correnti, & additerà ancora il modo, che si potrebbe
tenere per emendarli,quando questi discordafsero molto da quelli . Nè potrà
dolersi alcuno di quanto io con tutta sincerità procuro di darti a notizia;
essendoche conforme il Medico non può trovare il rimedio opportuno al male se
non forma l'idea giusta, con esaminare esattamente la natura, cagione, e gli
effetti di esso, così ancora nel ritrovare isimedj ai vizj, che sono mali
dell'animo b 2 caca [ocr errors] è necessario sapere precisamente la
natura, le cagioni, e li cattivi effetti di esli ; oltre di che, non parlando
io in particolare di alcuno, ma solamente in generale diciò, che è
detestabile, non si potrà dolere di me se non chi da se medefimo conoscerà
d'essere macchiato di tali difetti,come a tale proposito disse S. Ambrogio
ne'suoi serm.pag.102. Ego non de omnibus loquor Etc. ego neminem nomino :
conscientia fua unumquemque conveniat. Averei potuto ancor darui la
feconda parte; ma per maturare meglio alcune cose contenute in essa ci è d'uopo
di maggior tempo, c per iftabilirle ancor con provo più convincenti; ti baa Iti
per ora un picciolo abbozzo di ella affinchè poffi da questo comprendere il
progresso da me tenuto per compire una educazione più generale . Quattro sono i
punti Medici prinche convenga nel tempo, che sono già cipali, che si
tratteranno nella Decali de terza, in ordine alla buona educazione; il
primo fiè quello , che deesi fare per vantaggio di essa, prima di concepire
figliuoli: Il secondo, cioc [ocr errors] in ito lif [merged
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[ocr errors] concetti, e dimorano nell'utero materno; il terzo che far si
debba, dati che sono alla luce, e finattanto, che dura la loro pucrizia: Il
quarto finalmente, ciocche convenga allorchè sono in età, nella quale dee in
effi manifestarsi l'uso di ragione , indugiando questo. Nel primo si farà
vedere assai difficile il potersi avere figliuoli di buona indole, e docili ,
se tra marito, e moglie regneranno continue discordie; se faranno l'uno, o
l'altra di essi dediti all'ubriachezza, ed alla crapula; con dimostrare loro
donde ne provengala cagione; oltre le sperienze dimostrative di ciò. b
3 Nc [blocks in formation] [ocr errors] Nel secondo, che non debba
una deviata madre tenere la medesima vita, che faceva , prima di concepire; con
mostrarle ancora gl' incomodi che può ricevere ella medesima, ed il feto, che
porta riell'utero, per tal cagione, e quanto possa venire danneggiata la buona
educazione da questo. Nel terzo si farà conoscere , dati alla luce, di
qual latte debbano nutrirsi, e qual regola in cffi debba tenersi, allorche
saranno slattati, per deprime. re quel principio , che si scorgesse avvanzato
in loro a danni della buona educazione; e qual cuftodia abbia d'aversi di esli
, affinche non divengano di cattiva complessione, la quale sarebbe molto
pregiudiziale alla buona educazione, E finalmente nel quarto , vedendosi
questi ne' buoni documenti morali non fare progressi, fi esamina sela
sero avere pofsanza tale da deprimere, o innalzare alcuni principj in esli, o
foverchiamente assottigliati, o più del dovere sopiti; mediante i quali ne
nascesse ostacolo alla mente nell'apprendere, e ritenere i documenti necessari,
e questo sedebba farli con ajuti più efficaci mostrandoci anche Orazio, che
Incultæ pacantur vomere sylve. Nella quarta Decade poi troverai dieci
ragionamenti sopra i vizj, e le virtù, con esaminarsi ancora ifrutti di ambidue
; e servendo questa come di una appendice all'opera, goderà il vantaggio di efsere
trattata con ragioni, e documenti filosofici, medici , morali, e naturali,
secondocheayerà d'voро di essi ; & intanto si sono queste materie
poste nel fine , per non dilungare troppo i ragionamenti, potendo ciò renderli
tediosi; ed essendo per altro neceffario il farc: ben comprendere a tutti
quanto di buond, o cattivo nasca dalla buona, o cattiva educazione; doveva
questo non trattarsi solamente di passaggio, conforme si era già fatto nelle
antecedenti conferenze; ma farfene bensì particolari ragionamenti a parte per
dimostrarlo con più di chiarezza, potendone da ciò risultare un infinito bene;
conciosiacosache fàconoscere chiaramente il nostro Ippocrate nella risposta,
che diede agli Adderiti, essere feliciquei Popolizi quali ben sapeano, che la
loro sicurezza non consisteva nelle alte torri,cd in altre materiali
fortificazioni;mà bensì nella bontà de Citradini,e ne'loro prudenti
consigli:spiegandosi ivi : Beati profectò funt populi , qui sciunt bonos viros
suaesse munimenta, nonturres,neque muros, fed fapientum. vi. rorum sapientia
confilia ; É venendo interrogato Socrate nel convivio de'sette fa
fapienti di Platone, qual fosse la più ben munita Città, egli rispose : Que
bonos viros habet . Quale la più felice : In qua præfe&ti focietate
conjunguntur: E finalmente qual fosse la migliore di tutte, egli disse: In qua
plurima virtuti premia proposita sunt . Nè può di ciò dubitarsene, insegnandoci
l'oracolo della Divina Sapienza al 6. Multitudo fapientum fanitas orbis.
Spero finalmente, che saranno ricevute queste mie fatiche con animo benigno da
quei, che sono amanti delle virtù, e se faranno vilipesc da chi ha già fatto
l'abito di āteporre i vizja queste,verranno da essi più costo a loro mal grado
onorate; riputandole di pregionó dissimile a quelle cose solite da essi a
pofporsi; mi basterà, che fiano grate a chi possiede il buon costume, ed utili
a chi brama di acquistarlo, perchè gid sono divenuto capace , che nel mondo
erunt vitia conec homines; con questa diferenza solamente del più, o del
meno,nè io pretendo di vantaggio. Vivi costante nel bene operare per continuare
ad essere felice, e far conoscere agl’infelici viziofi colla tua tranquillità
di animo meglio le loro mi serie. Si videbitur Reverendissimo Patri
Sacri Palacii Apoftolici Magiftro. N. Barcbarius Episc. Bojanen.
Vicefg: APPROVAZIONI. Etta, è considerata del si gnor Dottore
Domenico Gagliardi , intitolata l’Educazione de figliuoli morale ; o medica ;
per commissione dei Padre Reverendiffimo Gregorio Sel. Seri Maestro del Sagro
Palazzo Apoftolico; non ci hò trovarà cosa vervna , chic fia contraria alla
Fede, o clic offenda i buoni costumi . Con verità bensi poffo; c debbo
attestare; che una tale opera per mio sentimento è degna di uscire in luce,
perchè oltre l'effere or: nata di scelta crudizione, e di soda dottrina ; può
essere molto fruttuosa ; ed al publico, ed al privato, spiegandosi ia essa con
dotta; e giudiziola chiarcze [ocr errors] za la maniera di ben educare la
prole, affare di somma importanza , come è ben noto a chi non hà cicco
l'intendimento, ed offuscata la ragione. Cosi ne giudico ; c francamente mi
persuado, che altrimente non ne giudicherà chiunque col leggerla dalla forza
del vero G conoscerà obbligato ad approvare con giusta lode il zelo ben
commendabile, e con eso l'erudito , e saggio faperc del chiarissimo autore, che
per la publica utilità non hà ricusato di addosCarG acl colmo delle sue Mediche
applicazioni una cale fatica, che ben lo palesa non meno versato negli studi
più propri della sua professione, che negli altri, per cui sono degnamente
accreditati i più celebri per fama di erudizione. Io Fra Tomaffo Maria
Minorelli de'Pre dicatori Maestro di Sagra Teologia, « Bibliotecario
Cafanastense Per P Er commissione del P.RñoGregorio
Selleri Macstro del Sagro Palaze zo Apostolico avendo letra , e confiderata
l'opera dell'Eccellentiffimo Signor Doctor Domenico Gagliardi , intitolata
L'Educazione de figliuoli morale,e Medica, non avendo trovato nella medesima
mala fimc repugnanti alla nostra Santa Fede, ed alla bontà de costumi, nè
discordanti da i buoni fondamenti della nostra Professione di Medicina la
considero degna di publicarli con la Stampa questo dì 20. Gennaro 1722.
Michelangelo Paoli IMPRIMATUR. Fr. Gregorius Selleri Ordinis
Prædica corum Sac.Palat. Apoft. Magift. Delle Conferenze,
INTRODUZIONE ALL'OPERA, Pag, į DECADE PRIMĄ CONFERENZA I. Sopra
l'elezione della Moglie , e sue condizioni più essenziali. IS CONFERENZA
II. Sopra l’età più propria, epro. porzionata di accasarsi ; e quale sia
svantaggio maggiore, farlo prima del tempo convenevole, 9 nella vecchiezza
: 33 CONFERENZA III. Dove la mostra,in che cose faa esenziale
l'uguaglianza nei Matrimonj; e quali jvantaggi nascano dalle disuguaglianze in
queAte. 53 CONFERENZA IV. Sopra gli antichi costumi, pras ticati
appreffo alcuni Popoli per la generazione ; ę se sia più vantaggioso lo
scoprire scambievolmente i propri , corporali difetti , prima di
sposarsi, o l'occultarli. 77 CONFERENZA V. Nella quale si mostra , in che
modo si maritino le belle , le ricche , ę le deformi quantingue povere.
CONFERENZA VI. Nella quale si esaminano piut distintamente i pregiudizi,
che risultano dai matrimonj fatti senza l'intervento della Pruden74.CONFEREOZA
VII. Sopra i difetti , e le virtu delle donne. 253 CONFERENZA VIII. Come
si debba regolare l'uomo colla moglie scelta di ottime qualità. 188
CONFERENZA IX.Come si debbano regolare i saggi mariti con le mogli
imprudenti , e viziose . 213 CONFERENZA X. Sopra i ripiegbi prudenziali ,
che debbonsi prendere in diverse occorrenze dalle mogli saggie ,
incontrandosi in viziosi, ed indiscrefi mariti, 254 DECADE
SECONDA Sopra l'educazione Morale de'figliuoli, CONFERENZA I. Nella quale
si mokra, che co Ta sia edncazione , cui appartengo piid di ogni altro; e
sefia necessario luogo particolare, ove debba farsi . 301 CONFERENZA II.
Intorno a quello , che debbas farsi da Genitori per educar bene i
figliuoli . 323 CONFERENZA III. Intorno all'uffizio, e qualita dell’Ajo, e dei
Maestri . 350 CONFERENZA IV. Sopra l'educazione delle Pin gliuole,
377 CONFERENZA V. Sopra l'etd opportuna d' apa prendersi le scienze, ed
il modo più facile per accer tarsi delle particolari inclinazioni
de'figliuoli . 403 CONFERENZA VI. Sopra gl' impieghi , che do vranno
darsi da saggi Padri a figliuoli ben’educati, e dotti. 421 CON
CONFERENZA VII. Come debbano i Padri rego larsi nel provedere i figliuoli
ingnoranti , e viziosi. 447 CONFERENZA VIII. Sopra il modo di ben
collacare le figliuole. 473 CONFERENZA IX. Sopra l'educazione de
Pupil li : e come debba ciascuna portarsi verso i suoi Genitorį
defonti, 499 CONFERENZA X. Sopra l'educazione de'figliuoli poveri,
e donde venga questo danneggiata . 539 [ocr errors] IN TRODUZZIONE
ALL OPERA. Sempronio , ( Mecenate . V [ocr errors] Sem.
Engo talmente af frettato da mici cogiunti a prender moglie, che non mi
lasciano vivere, sti molandomi giornalmente di farlo; a segno che, per
non poterli più sentire, sono in necessità di compiacer loro : solamente due
core mi ritardano; e fono l'educazione de figliuoli, che possono nascere,e la
cura, la quale fi dec avere di esli, efsendo in ciò inesperto ; per altro mi
trovo già pronto a consolarli : istruitemi, Mecenate, in queste, potendo voi
fare due beneficj in un tempo;cioè, d'istruire me, econsolar' efli, che tanto
bramaDo le mie nozze. : А Mer. Mec. Mà questa moglie,ci è già
scelta approposito per voi ? Sem. Ci sono tante giovani oggidi belle ,
galanti , e ricche, che essendo anche io giovane,e commodo di beni di fortuna
la posso scegliere a mio genio, e fodisfazione in brevissiino tempo. Mec.
Però non sò se tutte queste belle , galanti, e ricche, faranno per cala
voftra,leggendo in Ateneo che: demens eft , qui oculis uxorem accipit : come
fece appunto Monimo il quale , avendo sposata una Giovane , senza
ricercare prima i suoi costumi, divenne infelicillimo marito; c dolendosi della
sua {ventura con Olimpia madre di Alessandro, lo riprese della sua
trascuragginc, usata nello sceglierla. Sem. E che ! la dovrò prendere
forse deforme , scoriese, e povera ? Mec. Neanco questa farebbe al caso
voftro. Sem. E chi dunquc doverò prendere? Mec. Una's clic lia
donna di propo, fito, Sem, [ocr errors][ocr errors]
Sem. E quelle, che sono belle , egalanti, sono donne ancora di propofito.
Mec. Mà non tutte buone per voi. Sem. Quali saranno quelle, che voi
Itimate buone per me? Mec. Quelle appunto, che sapranno softenere con
senno, e con prudenza la metà del peso della casa, e dell'educazione de
figliuoli; onde quando voi la tropaste di queste qualità avercre risparmiato la
metà del penfiere dell'educazione, e cura de figliuoli; e queste sono appunto
quelle Itimate appropolito da Plauto, in Stiche, ove dice: UI per orbem
cum ambulent Omnibus , os obturens , ne quis meritò maledicat fibi. Essendo
queste ornate di tutte quello desiderabili prerogative, descritte daw Seneca in
O&avia. Probitus , fidesque conjugis , mores, pue dor placeant
inarito. Sem. Io credea , foffe fufficiente, che ja moglie sapeffe far
figliuoli, c chou ogr’una di queste fosse a propofito.Mec. Per farli, lo credo
ancheio, ma non già per educarli bene, e per adempire quanto dee' una vera
madre di famiglia; essendo che per far questo liricerca, che sia dotata di
senno e di prudenza' : vi avvedete voi ora del vostro errore, e che come si
suol dire, ponevate il carro avanti i buovi, con istruirvi nell'educazione de'
figliuoli , senza sapere ciò, che ci vuole per iscegliersi una buona moglie: e
se v'incontrasto in una imprudente, garrula, e contenziosa, à che vi gioverebe
il sapere educar bene i figliuoli, se quanto di buono voi operaste, ella
sarebbe capace distruggere colla sua imprudenza, e garrulità ?, allor sì che
fareste caduto in quella fyentura descritta dal Poeta Saririco : Semper
habet lites, alternaque jure gia lectus In quo nupta jacet, minime
dormia tur in illo . O.pure vi abbatteste in una, che fosse di quella
natura superba, descritta dal me. desimo, la quale dicesfc; Нос [ocr
errors] voluntas ; Imperat ergo viro. In questi casi educate bene i figliuoli
se potere . Sem. La bramerei savia, e prudente, ma vorrei, che foffe
anche gentile, e galante ; perche le donne di fattezze grossolane non mi sono
mai andate a genio. Mec. Se questa sarà sana , e prudente non ci hò cosa
incontrario, ma se poi colla sua gentile, e delicata complesfione ci fosse
unira qualche indisposizione di animo, e di corpo, il che suole alle volte
accadere, non vi consiglierei a farlo. Sem. E perche ? Mec. Vi porreste
in tal caso a pericolo di fare una cattiva razza; eredicandog da figliuoli non
meno il bene , che il inale di effe ; ed hò sentito da Medici, che più dalle
Madri, che da i Padri questo si ritragga, per il nutrimento dato loro quei nove
mesi, che li portano nel ventre nè fi può fperare, che [ocr errors]
A 3 che dal seme velenoso del nappello nasca un giglio, o una rosa: non
sarebbe poco, quando meno velenosa germogliasse quella pianta , che dee ello
produrre : e poi voi, il quale vi dilettate de cavalli, dovreste sapere per
isperienza, che quelli nati da cattiva razza, riescono i meno generosi; e
perciò dovete anche riflettere, che il limile poffa seguire negli uomini, come
lo descrisse Orazio. Fortes creant ur fortibus , du bonis : Et in
juvencis, eft in equis patrum Virtus : nec imbellem feroces Progenerant
aquile columbam . Sem. In maggior confusione di prima ora mi trovo, sentendo da
voi , lian neceffario ancora di scegliere una donna savia, e prudente per
moglie; onde, per liberarmi da tanti guai, seguiterò le vostre orme, e viverò
libero da questo legame anche io, e dicano ciocche vogliono i miei
parenti. Mec. Non fatedi grazia, Sempronio, questo sproposito,
Sem. [ocr errors][ocr errors] Sem. E voi perche l'avere fatto ?
Mec. Non aveva allora la sperienzas d'adesso ; nè mi abbatiei in consigliere
sincero; e sappiate , che mi sono pentito più volte, e particolarmente
avanzaadomi negl’anni, di averlo fatto. Sem. E per quali motivi?
Mec. Perche non anderei tanto lambiccandomi il cervello in cerca del mio erede
(briga dolorosa dell'età avanzata) se avesli figliuoli. Sem. Essendo voi
tuttavia robusto, farefte anche in tempo di farli. Mec. E che vi dispiace
forse la mina robustezza, che me la vorreste far perdere? non sono più in
tempo di farli; hò procurato finora di non esser ridicolo, & ora più del passato
son tenuto di farlo, e voi mici varrefte far diventare per cantare di me forse
ciocchè disse il Taffo di Vincilao : Vincilao, che sì grave , e faggio
innante Canuto pargoleggia, e vecchio amants : Queste risoluzioni,
Sempronio , deona fare in gioventù , per poter vedere i suoi figliuoli
bencincaminaci prima di mori. re, essendo che a me potrebbe succedere ciò che
dice Plauto: Poft mediam ætatem, qui ducit uxorem, Si eam fenex
prægnantē fortuitò feceris , Quid dubita's quin fiet parasū
nomen puero . Poftumus? Sem. Dunque saranno ridicoli tani vecchi,
che si accasano,e con giovanette anche belle? Mec. Io non debbo entrare
nei freci altrui, debbo bensi pentire 2 cali miei, ora che ho il pieno uso di
raggione, acquistato cò gli anni; ma questi sono discorsi fuori del nostro
proposito, dovendo voi risolvervi a prender moglie , per non avervi a pentire
poi ancor voi di non averla pigliata ; e per ciò dovere farvi ora istruire in
quello, ch'è necessario per fare un ottima elezione. Sem. E da chi?
Mec. Da colui, che la seppe far ottima , e perciò gode vita felice , e
tranquilla.Sem. Ma io non vorrei, Mecenate mio, palesare alero , che à voi il
mio interno; perche sapete pure qual vento spiri oggidì, che si van cercando id
fecti alcrui per mantenere allegre le nostre notturne assemblee, laonde di
scoprendo le mic debolezze ad un'altro, sarebbe cosa facilissima si
divulgoffero fra molci. Mec. Viverenino in tempi infelicissim mi, re in
Citcà si vasta la secretezza re. gnasse in me solamente, Sem. Mà non potreste
voi solo istruire mi in cucto , essendo vomo di molta fperienza nelle cose del
mondo. Mec. In teorica potrei darvi molti avvertimenti, ma in cose
pratiche nors posso consigliarvi ; perche essendo io sciolto da limil legune,
no ho avuta occasione di approfittarmi in tal faccenda. Sem. Oh quanto
mira meglio colui, il quale stà in disparte, i difetti dongeschi di quello
facciano i mariti! e come giudice spassionato , quanto li distingue anche
meglio! Mec. Voi sapete quanto vi amo, u per: perciò non lascierei
cosa alcuna, che non facessi per consolarvi; mà conos . cendo io, che meglio
potreste essere iftruito in tutto coll'intervento di chi averà navigato
felicemente molti anni per questo gran mare , perche vi amo, dico questo ;
potendo egli molte cose aver conosciute in atto pratico,alle qualinon possono
giungere le mie teoriche. Sem. Se lo giudicare necessario bisognerà farlo
: ma chi sarà ral'consigliere? Mec.Ci sarebbero Publio Roscio,che per lo
spazio di quaranta tre anni, e vivuto in pace con sua moglie. Massimo
trentanove anni parimente, senza contendere,e Silvio Paterno trentadue;ora
sceglietovi, chi volere di questi. Sem. Oh bene avete trovati i parenti
più prossimi à Noè, che sono in questa Città ! quai consigli mi potranno dare
questi vecchi decrepiti, che non firicordano del seguito nel dì avanti; e poi a
tempi loro non usandofi le galanti maniere constumate oggidì, a che mi
fervirebbono i loro ancichi consigli , non pra. praticabili a tempi
nostri? Mec. Tutte queste eccezioni, che da. te loro sono in vantaggio
vostro; per, che, se non si ricorderanno quello , che udiranno da voi, niuno
risaprà i fatti voftri , e se, senza tante galanti maniere di oggidì, fi
feppero far amare dalle loro consorti, insegnando a voi i modi, da loro tenuti,
ci guadagnerere molto in saperli, e se non siete ancora informato della
capacità de’vecchi, apprenderes la da Ovidio, Jura fenes norint , dow
quid liceata que , nefasque, Falque fit inquirant, legumque exa.
mina servent. E da Cicerone , il quale, de Senectute, così parla del Vecchio:
Non facit en que juvenes, at verò multa majora, meliora facit ; non enim
viribus , aut ves locitate corporis res magne gerantur , fed confilio ,
authoritate , fententia , quia bus non modo non arbari , fed etiam auga. ri
senectus folet. Laonde faggiamento l'Ecclef. al 25. dico ;- Corona fenun muba
ta peritia : Sem Sem. Sceglietene dunque uno di quefti a vostro
genio, e quello, che conoscerete più approposito per il bisogno mio. Mec.
Publio sarebbe più al caso, per. che quantunque egli meno si ricordi delle cose
presenti, conforme sono tutti i più vecchi, ha felicissima memoria nel
ricordarsi delle passate:e poi avendo numerola famiglia, e così bene
accostuinata , saprà anche istruiryı nella educazione di essa. Sem.
Attenderò dunque con anfierà i consigli di Publio; ma faprà istruirini incio,
che riguarda la cura, che si dec avere per conservare la prole con buona
falute Mec. L'esperienza, avuta in molte cõgiunture ad esso accaduce lo
averà facilmente renduto capace, a darvi qualche buon consiglio in questo
ancora; ma non già con tanta esattezza cõforme farebbe chi foffe profeffore di
Medicina. Sem. Sarebbe dunque bene u’interveniffe uno di questi; c
difcegliere tra periti il migliore Merg. Mec. Il vostro Dottore è pratichiffimo,
avendo avuti molti figliuoli, è anche ingenuo , e sò che vi ama di cuore, onde
migliore di ello non saprei sccglierlo. Sem. Così è: or ditemi, come
doverò contenermi nelle nostre conferenze? Mec. Domanderete quando si
presenterà l'occasione tutto quello, bramate di sapere; e non vi vergognate di
fare anche quesiti di poco rilievo ; perche non facendoli, rimarrete con
perplessità in molte cose. Sem. Come si farà per informare Publio,che al
Dott. parlerò io modelimo' Mec. Sara inia cura d'informarlo di tutto, e
già che siamo di primavera potremo portarci al mio giardinetto, contiguo alle
mura della Citrà, ove come disse il Petrarca: Non palazzi , non teatro ,
e loggia , Ma in lor vece un abete , un faggio, un
pino, Fra l'erba verde , el bel monte vicino , Levan di terra
al ci el nostro intelletto , E faremo ivi due volte la settimana le nostre
conferenze. Sem. Mà non sarebbe meglio, per approfittarmi prestamente ,
il farle tre volte ? Mec. Vicompiacerò anche in questo, purche le occupazioni
degl’aleri lo permettano ; ma voi, Seinpronio, averete già dato luogo nel
vostro cuore a qualche oggetto, perche bramate sapere con sollecitudine se
quefto ci abbia da rimanere,viconsiglierei però quádo ciò fosse, a spogliarvene
prima, per applicare tutto il pensiero a quella, che converra à yoi, & alla
vostra casa , che vientri per meglio stabilircela , Sem. Non sono
determinato ancora, quantunque abbia posto l'occhio in più parti, onde posso
facilmente spogliarmene affatto, e starò con anfietà attendendo l'avviso del
giorno, in cui si darà principio alle nostre conferenze. DECADE
PRIMA CONFERENZA PRIMA Sopra l'elezione della Moglie, e fue
condizioni più ellenziali. Mecenate , Publio, Sempronio , e Medico.
Mec. O notificato à Publio ciocchè voi bramate da esso, il quale vi
copatisce a maggior segno; posciache egli ancora si trovò in un fimile
laberinto,allor che dovea prender Moglie, comc jeri appunto mi disse, e da lui
medesimo sentirere ora con vostra confolazione. Pub. Quantunque anch'io
venifli Atimolato da mici Genitori ad accasarmi andavo nulladimeno téporeggiado
d'effettuarlo;perche apprendeva fosse schia vitudine grande la vita
cognugale, ma la ritrovai, per verità, assai diversa das quello, che io mi avea
figurato ; & efsendo stato sempre mio costume, anche da giovane di
regolarmi col consiglio d'uomini favii , c provetti, mi portai da un di questi
mio amico, che non aveva alcun interesse in cal affare, per consigliarmi seco ,
fe dovessi risola vermi a prender moglie, il quale uditas ch'ebbe tale proposta,
cortesemente mi disse: figliuol mio è tempo ormai , che vi risolviate di farlo
; perche avendo voi già l’età di venticinque anni poiere esser capace
d'indrizare una donna per la buona strada , quantunque aveste sbagliato in
isceglierla nelle cose meno essenziali, e sappiate, che l'uomo savio bene
spesso fa divenire la moglie non dissimigliante da lui , siccome l'imprudente
donna precipita l'uomo poco avveduto : figuratevi alla prima di dover navigare
per un vasto oceano dover essere voi il nocchiere, che guida la nave :
sappiatevi ben regolare nelle [ocr errors] e di [merged
small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] nelle tempeste, per non sommergervi ; prendetela
sana, ben accostumata, e di buon parentado, non vi lasciate abbagliare dalla
bellezza, dote, e nobiltà; e risolvetevi ; perche quanto più differirete,
altrettanto inaggiore sarà il morivo di pentirvi della tardanza:
raccommandatevi al Signor Iddio, essendo che: A Domino autem propriè uxor bona
, come disie Salomone; procuratela giovane, nè tardate di vantaggio. Sem.
Quanto mi consolo , che vi siete ancor voi trovato in fimile laberinto; e son
sicuro, che perciò compatirete le mie debolezze. Pub. Vi comparisco a
maggior segno figliuol mio , fatevi però animo ; perche quantunque paja la vita
conjugale alla prima di un gravissimo peso, quando però questo viene portato
concordemento d'ambedue, riesce molto leggiero, an. zi foare'; e tal fortuna
l'hò sperimenta. --ta io medelimo. Sem. Vi abbatteste à caso in sì buona
compagnia, o pur faceste preventivos [merged small][ocr errors][ocr
errors] diligenze per isceglierla 2 Pub. Le feci certamente esatciflimus
per non operare da balordo ; perche se per provederci de' cavalli, cani, anzi
di vili giumenti si fanno efatte diligenze', acciocchè siano sani , edi buona
rizzi; quattro maggiormente sono neceffario queste nello provedersi di moglie,
come puntualmente si trova registrato in Tcognide, Canes quidem, a afinos
querimus , • Cyrne, dequos Generofos, cu hec quisque vult ex bona
progenie Sibi parare ; uxorem aurcm ducere malam Ex mala progenie non
curat 1. Vir bonus ; modo fibi pecunias multas 1offerat. * Sem. E qual
modo teneste in farle? - Pub. Avendo posto l'occhio ad una Gentildonga
modesta,non diriguale alla mia condizione, & in età nubile, miraccomunaadai
di cuorc al Medico , che fa. Noriva la mia casa , acciocchè avessesavesle ben
Dell'Elezione della Mog. 19 procurato di accertarsi della sua salute ,
avvertito à non ingannarsi, per non ave. re a fare ancor esso la penitenza del
suo fallo; posciache se fosse stata mal sana, dovendola curare, briga maggiore
gli averebbe apportata; senza speranza di premio straordinario ; per esserne
egli Itaro la cagione, che fosse entrata in inia casa; ciò però dilli per
ischerzo. m Sem. E detto Medico, come lo potcs va scoprire, se non
l'avesse avuta ini cura ? Pub. Penetrò tanto, che mi bastò , Sum.
Com'egli fece ; Pub. Avendo confidenza col suo Speziale, segretamente
cercò nel di lui libro maltro, se vi era descritto alcune medicamento, servito
per effe lei, e non trovandovi cosa di rilievo, mi disse : ftiamo bene di
salute, perche none, si è mai purgata . Sem. E leu fosse fervita di
qualches altro Speziale? Pub. Questo non si costumava di fare in quei
tempi tanto allo Speziale, quanto al Medico. Una volta, ch'essi erano ftati
ammessi, fino alla morte continuavano, ed'eravamo per ciò ben serviti;
imperciocchè con molto amore effi s'in. tereflavano ne i nostri
vantaggi,conforme comprenderete da quanto soggiungerò. Non si appagò già
l'affezzionato Medico di questa fola diligenza usata', mà volle far di
vantaggio, e fu d'abboccarsi col Dottore, che medicava in quella
casa,introducendo seco discorso sopra la poca salute, che godevano alcune
giovani, ch'egli curava, attribuendone la cagione di ciò al poco esercizio,
ch'esse facevano ; e di poi passò à domandargli, di quali rimedij egli si
prevaleva per conservare in salute quella , che doveva appunto essere la mia
futura fpofa, la quale in appareaza mokravas essere più sana dell'altre; cui
replicò, ch'avendo ella sortito un ottimo temperaméto, no aveva d'uopo
dell'opera lua, & in segno di ciò nel mal de vajuoli da ella sofferto
appena cgli vi fu chiamato nel oel fine', tanto la natura le fu
propizia , che senza alcuno ajuto medico fece il fuo corso felicemente; e con
questa seconda diligenza mi accertò della buona salure, ch'ella godeva.
Sem. Questo favore toccherà à voi, Dottore, di farmelo... Med. Non mi
ponete di grazia in Gmile intrigo ; perche non essendo io si avveduto, non
vorrei errare nello scoprire gli altrui difetti : e poi se îi desse il caso,
che io avelli curato quella giovane, l'onor mio n'anderebbe di mezo ,
discoprendovi la verità delle cose con, fidateini. Sem. Della vostra
avvedutezza punto non dubito: e poi porrò la mira a qualcuna, che non fia
medicata da voi; onde non mi contriftate col recufare di f.2vorirmi ; perche
altrimenti sarete voi cagione, che io non prenda moglie, noa potendomi fidare
meglio di alcun altro in questo, se non di voi. Med. Per servirvi la
vedrò, considererò il suo temperamento, e fisonomia; B 3 mà
mà tante altre diligenze, praticate per Publio, non vi prometto di firle;
perche ora non si costuinano più molte cose, che si facevano allora. Sem.
L'usanze buone non si debbono dismerrere mai, io mi dichiaro con voi, non per
ischerzo, come diffe Publio , mà con tutto il fenno: che se non sarà fana ,
toccherà à voi di curarla senza fperanza di ricompensa , succedendomi per colpa
vostra tale sventura'. Mega Vorrci, Sempronio, che mi mostraste qual
privilegio voi avere più del Dottore di dismettere l'usanze buone; essendo ch'è
pur usanza buona riconoscere col dovuto guiderdone il Medico, il che voi volete
disinertere', obbligandolo di più ad osservare quello, che fa per
voi. Sem. Lo dicevo per animarlo, 20ciocchè lo facesse con più fervore:
non già tutte le cose, che si dicono si fanno. Mec. Questo però non è già
premio , che animi, mà bensì minaccia , che avvilisce più costo ; olore di che
non è già ben ܪ ben fatto di proporre con tanta franchezza ciò, che non si
vuole praticare, Sem. Non parliaino più di ciò; palliamo al costume ;
questo in che dee cons Giftere, avendomi voi significato, non essere
necessario, che la moglie lia garbata, e galante? Mec. Cerra cofa è, che
il buon costume della donna, non dee coolisterer in questo, mà bensì in aver
cura delle casa, in saperla ben reggere, e gover: nare di cui parlando ne?
;suoi Proverbij Salomone diffe : Confickeravit. Jemitas domus fue , panem otiofa
non comedia Ed il Nazianzeno nei suoi documenti che da alle vergini, così dice
Neque domibus cxternis olideas , neque menfis. Ed altrove contro le donne
più del doc yere ornate, così parla . Mos eft mulieribus [res pretiofa]
domi manere [ocr errors] Plurimum, & divinis alloqui sermonibus
Telaque , fufoque ( hoc enim munus eft mulierum)Ancillis opera
distribuereservos vitare , Labiis vincula ferre,
oculis,atq;genis: Neq; pedē exirà vestibula Sepè babere; E Menandro
comico greco così dice , Intus manere mulierem oportet oportet :: Bonam,
egredientes autem foras nullius pretii sunt . Sem. Come scopriste, Publio
, che fosse di questo costume la vostra Conforte? Pub. Avevo in quel
tempo un servitore molto affezionato, & insieme accorto, diedi ad effo
segretamente l'incombenza, che lo aveffe scoperio ; e fi pora tò egli così
bene, che in brieve fui informHo ditutio. Sem.' E come fece? Pub.
Conduffe, ove questi sogliono ricrearsi, un certo fuo conoscente, il quale da
molto tempo serviva in quella casa, e dopo d'essersi insinuato avvedutamente
appresso di lui,introdusse discor. so, come è lor costume, sopra le stravaganze
de padroni, & interrogato, che l'ebbc de cractamenti, che riceveva
dal fuo suo, passò alla giovane, di cui ne diffe un infinito bene,
con individuargli alcune particolarità, le quali denotavano forfe savia, c
prudente . Sem. Questi come poteva essere apa pieno informato delle
qualità della gior vane, non trattando in quei tempi lei padrone con
servitori? Pub. I servitori in ogni cempo sono ftati curiofillimi di
scoprire i fatti de'padroni, & anco i più segreti', come ava vertì
Giovenalc. Scire volunt fecreta domis, atque inda timeri. E siccome
sempre vi è stata qualche affezionata corrispondenza tra essi, e le donne di
servigio, onde per questa via, ciocche effi nonodono, ne offervano, lo
penetrano : nè è stato mai possibile, che le donne di servigio ili fiano
astenute dal'non palesare i difetti del: le padrone , almeno a questi loro favo
riti, per mostrare con elli confidenza. Sem. Vi bastò quefta sola notizia
? Pub. Procurai in oltre rincontrarl24 da più parti prima di crederla ;
pofçiag che che udito efferii da quella casa partita disguitata una
donna , fecidiella prenderne inf rmazione, la quale contesto le medelime
cose,che dette aveva il servitore; ed essendo uniforine à questo notizie il
publico conceito, che di essa fi aveva nel vicinato, mi appagai del suo buon
costuine ie non feci altre dili. genze intorno à questo. ni Sem Manon
sarebbe stato ineglio vi foste informato da qualche Uomo das bene? Pub.
Non lo stimai neceffario , avendo rincontrato da più parti il medesimo: e poi
per dirvela giusta , chi è buonio non è curioso d'investigare gli altrui
difecii; ed anco sapendoli si guarda molto bene dal publicarli..." Sem.
Il vostro Ulisse, Mecenate, sa, rebbe approposito per iscoprire gli altrui
difetti in Mec.. Ma non in questo affare, perche egli cicala troppo: si
ricerca in tale affare chi sia destro, e serio , che compri, c non venda.
Sem. Sem. Palesatemi ora , Publio, qual modo usaste nell'informarvi della
prosapia della vostra Conforte ? Pub. Vi era in quel tempo un certo
sfaccendato investigatore de' fatti altrui, il quale andava curiosamente
cercando le memorie delle antiche famiglie negli Archivi ; cui feci parlare dau
un'amico, è che mostraffe desiderio, tanto delle notizie della mia famiglia,
quanto dell'alcra, con fargli promertere un convencvole riconoscimento per le
sue fatiche'; e per verità in brieve tempo d'ambidue pose in chiaro quanto
circa ad un secolo a poteva tro. vare, e seorgendo verificarsi ciocchés aveva
detto della mia, prestai fedes à quanto aveva ritrovato dellal, tra; e vedendo,
che fiftava quasi del pari tanto nel bene, quanto nel male's non ini curai fare
diligenze di vantag. gio'intorno a questo ancora potendomi bastare. Sem.
Dunque quantunque sapeste, che in quella viera qualche eccezione,
non [ocr errors] [merged small][ocr errors] non ne faceste caso?
Pub. Mà se vi era questa nella mias ancora, come potevo farne caso, do. vendoci
ne' Matrimonj servare uguaglianza. Mec. Credete forse, Sempronio, che
tutti noi descendiamo da Cerari, e che per non interrotta serie di molti secoli
le nostre famiglie siano state sempre illuftri? Se li potesse ora ritrovare la
de. scendenza vera degli Arsaci; e Tolomei, oh quanti di questi si troverebbero
esercitare arti vili, e forse core peggiori ancora . lo per tal motivo no mi
fon punto curato di far ricercare dell'albero della mia casa , se non l' ulcimo
secolo ; e tanto maggiormente, che un mio amico, il quale si mostrò più curioso
di me, bramandolo di due , dopo di avere speso di molto in ricercare i fatti
de'suoi antenati; vi trovò alcune cose, che forse nulla li piacquero, o fece
tralasciare l'opera:solamente queIto guadagno vi fece, che non milançava più la
sua nobiltà , come prima.Som. Di avere però l'albero della sua casa lo stimo
neceffario, affinche i posteri seguirino i loro illustri maggiori.
Mec. Lo credo anch'io , mà però non conviene farne publica mostra , se uon cui
averà trà suoi ascendenti chi abbia goduta la Sovranità, mediances la quale
degnamenre merita la preminenza sopra tutte le altre una sì illustre famiglia.
Potrei riferirvi à questo proposito ciò, che fece un saggio Prencipe, cui fu
presentato l'albero de'suoi antenati; lo rinirò egli ben bene , & essendoli
avveduto , che l'adulazione vi avca innestare alcune cose ideali, lo fè
piantare profundamente in una fund Villa, atfinche da quello germogliaffed
l'albero de'suoi descendenci più glorioso, essendoche lo fc piantare ivi ad
onta dell'adulazione. Med. Licredo anche utili detti albe. ri per prova
della salute goduta dagli asccadenti ; posciache se il Padre mori ottuagenario
, il nonno parimente in età decrepita , conforme anco l'atavo , ed il
tritayo, sarebbe questa una provas grande della perfetta falure in quella
famiglia; e tanto più se questa si proyaffe ancora per parto delle donne; dove
che se fossero morti giovani , e vi foffero regnati tra eli mali creditarj,
farebbe far un cattivo negozio, d'incftare a piante si cattive la
propria. Sem. Riuscirà ora cosa difficile à potersi sapere i difetti del
casato, col quale dov.erò apparentare, per non esserci più quegli avveduti
indagatori dei difetti altrui. Mec. Non dubitate, perche non ci è questa
penuria ; sono stati, e saranno sempre nel Mondo niolti, a quali premono più i
farti altrui , che i proprj, ricavandune da ciò notabile guadagno ; basterà
essere loro grati, perche di quc sto vivono , per altro ne troverete molti: e
poi ci sono ora tanti manoscritti, e libri anche stampati, i quali trattano
delle nostre famiglie, che vi si renderà più facile di quello, che credete, à
Caperlo giusto ; Sc però non averanno, tore scritto con passione,
clivare; il che si difeerne facilmente, non potendosi mai celare questi canto ,
che non si scuoprano. Sem. In questo supplicherò voia favoriemi, avendone
già pratica di molte ; Ini mette solamente pensiere il mor do di scoprire ciò,
che accennò il Dor concernente all'età , che fieno viyuti, & alla
loro falute, ed in questo ancora vi prego , Dottore , che mi ajutiate.
Med. Questa non è incombenza di Medico, dovendo egli cercare i vivi per
'risanarli , se sono infermi ; ma ai morti qual bene potrà apportare,
ricercandoli ? Sem. Apporterete à me il bene, le non lo farcte a defonti,
con trovarmi moglic , che descenda da famiglia sana, ed in conseguenza ancora a
miei descendenti. Mec. Il Dottore ha da fare, non gli date questa briga ;
vi voglio inícgnare io il modo per uscoprirlo; posciache, fc [ocr
errors][ocr errors] se la famiglia, colla quale voi volete app arentare, sarà
illustre, e di antica pro fapia, ci saranno tante lapidi sepotcrali,ove son
descritti i fatti degli ascendenti , ed ivi troverete anche gli anni, che
questi vissero ; se poi saranno famiglie moderne, l'invidia farà palese più di
quello, che bramerete sapere di cfle , ritrovandosi ricche. Sem. Passiamo
ora all'età più propria d'accasarsi. Mec. Voi,Sempronio, vorreste essere
in un sol congresso istruito di tutto; riferrete di grazia,che Publio è
vecchio, ed il Dottore ha le sue occupazioni ; non ci abuliamo della loro
sofferenza.; e poi non è già vostro vantaggio di far lunghe conferenze, perche
meno a apprendono li troppi documenti, di quello si faccia udendone pochi per
volta ; differiamolo dunque alla seguente Conferenza. CON,
CONFERENZ A 11. Sopra l’età più propria, e proporzionata di
accasarsı ; e quale fia svantaggio maggiore , farlo prima
del tem- po conyenevole, ò nella vec- chiezza.
[ocr errors][ocr errors] Sempronio , Publio , Mecenate, e Medico.
[ocr errors][ocr errors] Sem. 01, Publio , che avete avuto fortuna nel
vostro accasamento, ditemi di grazia: in qual'età cravate,quádo prédeste
moglie? Pub. Appena io avca terminato l'anno. vigelimo quinto. Sem.
E la vostra sposa qual’età avea? Pub. Era allora appunto entrata nel
vigefimo. Sem. Perche non la prendeste prima?Pub. Perche non mi pareva di avere
acquistato ancora turto quel conosciméto necessario per far passaggio a detto
stato. Oltre di che trovando scritto questo Sacramento per ultimo , ftimai bene
d'effectuarlo dopo l'età stabilita da conferirsi il Sacerdozio, per non
errare. Sem. Ma prendono pur tanti moglie prima di questa età ?
Pub. Da ciò forse deriva , che molti fi lagnano ancora di essersi accafati ; ed
è cola facile, che per non sapersi in quell'età iinmarura regolare con
giudizio, e prudenza , incontrino più disastri, che consolazioni, Sem.
Dunque avendo i vecchi più fperienza, senno, e prudenza de giovani converrebbe
aspettarsi a farlo fino all' età fenile. Pub. Per altri motivi però,
apportati da Euripide , non si dee aspettar tanto, dicendo egli: Et nunc
juvenes adhortor omnes, Ne in senecture nuptias celebrantes
[ocr errors] Vix liberos procreént;nec enim voluptas
eft, Sedres inimica mulieri fenex vir,
Ed altrove, Amarus juveni uxori fenex maritus .
Sem. Sono però accaduti à rempi noftri cafi felici ne’vecchi sposati con
le giovani, ed hanno avuto prole. 3 Pub. Questi matrimonj bisogna ,
che riuscissero assai infelici anticamente;podi sciacche di Omero
racconta Erodoto į nella di lui vita, che sdegnatoli egli con tro alcune
donne,che sacrificavano à Co. rcre in un trivio, imprecase loro questo o
gran male. Audi flavi Ceres precor, hoc mihi perfi ce votum:
Hanc numquam juveni matronam junge I marito, Sed tremulo fit nupta feni ,
cui vertice cani Fundantur crines, E non avendo saputo augurare loro
infortunio peggiore di questo;qual felicisà dunque potranno essi godere?
Potrà [ocr errors][ocr errors] effere tal volta, che le donne di oggidi
fieno divenute più savie di quello fossero allora; o pur,non trovando alcune di
esse mariti giovani fi contentino di quelli, che possono avere , senza
contristarsene punto; se pure non è qualche caso singolare questo da voi
riferito , il quale non è sufficiente à formare Aato. Sem. Bramerei in
primo luogo sapere da voi , se debba essere uguale l'età dell' uomo à quella
della donna, per servare in tutte le cose perfecta uguaglianza? Pub.
Appunto per cagione di proporzionata uguaglianza , non debbono essere ambidue
di consimile erà , perche deesi, come ben'avvertì Euripide regolar questa dalla
durazione della fccondità , non dagli anni , dicendo egli. Malum eft juvenem
uxorem adolescenti conjungere. Diuturnior autem eft marium vigor ,
Fæmineum verò corpus citiùs puberta. sc deftituitur . Sem. [ocr
errors][ocr errors] Sem. Quefta differenza di età in che doverà consistere , e
quanti anni doverà avere più l'uomo della donna? Pub. Sopra questo
particolare ini persuado , che non si possa dare certa, c determinata
regola;contutto ciò potrà dire il Dottore, quello ch'egli ne senta. Med.
Aristotele pone la fecondità dell'uomo fino all'età di 70. anni, e quella della
donna sino à 50.jma perche ora forse sono le complessioni deceriorate , e
perciò non si osserva, se non di rado giugnere à questo termine, voglio
in ciò regolarmi con quello , che piu } frequentemente suole accadere,il
quale appunto è; rispetto all'uomo incirca al 60.anno ; & alla donna
intorno al 40. talmente che nello spazio di 20. anni, confifterebbe detta
fecondità di più o nell'uomo che nella donna.Ciò ftabilito, ogni qual
volta nou trapali in detrá - proporzione il triplo l'età dell'uomo sempre
farà in uguaglianza g rispetto al sempo di poter generare; purche non C 3
VCI yenga variata da qualche indisposizione morbofa. Sem. Sicche
dunque un uomo di 40. anni farebbe- nell'uguaglianza , prendendo una giovane,
che ne avesse venti? Med. Così è: uscirebbe bensì da calc proporzione ,
se la prendesse di 14.anni; poiche trovandoli la donna nell'età di anni
34.avendone il marito 60. sarebbe già divenuto sterile sei anni prime di
effa. Sem. E se la donna fi accalaffe in età maggiore di quella del
marito , che ne potrebbe seguire da ciò ? Pub. Le riuscirebbe certamente
pii facile di fare à suo modo; imperciocche non prendendosi quella soggezione
del marito , che suole apportare di più l'anzianità, disporrebbe, tụtto à fuo
piacere;ed Iddio guardi,che la diffcrenza degli anni foffe tale, che il marito
le potess’essere figliuolo,allorsi,che lo vor. rebbe tenere, e regolare da
subordinato in tutto à se medesima : e poi è da riflet. tersi, che
difficilmente inducendoli ladonna, se nő è molto stimolata dal senso, à
congiungersi in macrimonio con ginvani di tanta disparità; onde in questo caso
soffrirebbe il povero marito per molti capi penc considerabili: solamente
la gelosia, che ne potrebbe ella avere gli i recherebbe tormento grando; olere
di chc, comc vuole Leonide , sarebbe sen- za prole, e senza moglie,
posciacche egli dice: Conjuge nec frueris,nec
frueris fobole . Sem. Io , che non voglio tanti guai, la bramo più
giovane di mie; mà diremi, Dottore, qual'è l'età competente della donna,per
cffer moglic? Med.La giovane può prendere marito allor'appunto, ch'è atca
à concepire , effédo divenuta già dóna;c può succedere questo alle volte
nell'età di 12. anni, altresì di 13., 0.14.3 e più tardi ancora ; onde in detço
tempo porrebbe divenire sposa. Mes. Sarebbero però quelle di 12., 0
13.anni spose immature; e non só quanto potessero riuscire buone mogli;
poi che [ocr errors][ocr errors] C 4 che lasciando la
conliderazione di do. versi queste scegliere uno stato nel quale conviene
perseverare fino alla morreu, cd in conseguenza averebbero bisogno di più
maturo senno per fare detto passo: e senza riflettere a tanti disaggi, che
ponno incontrare nei primi parri; doinando, come si sapranno bene regolare col
marito, e nell'educare i figliuoli? Med. Hò considerato anch'io queste
difficoltà; mà dall'altro canto è da riAettersi ancora, che prendendoli così
giovanette ; si possono ind rizare, come li vuole ; ed abbiano l'esempio nelle
piante, le quali allorche sono tenere , con facilità grande le poisiamo piegare
a nostro compiacimento ; mà non già questo accade allorche sono indurate
Virgilio parlando di domar la gioventù, dice, che nell'età più tenera con più
facilità succeda. viamque infifte domandi, Dum faciles animi juvenum, dum
mo bilis ætas. Mec. Io mi maraviglio, che. voi co [ocr errors]
me [ocr errors] meMedico non vi opponiate 'a maritag: gi di età si
tenera, potendo meglio di chi non è vecfato in medicina conoscere il danno, che
possa apportare alle cenere giovani similc mutazione di stato . : Med.
Non vi maravigliare di questo, perche noi circgoliamo nel modo di vivcre colle
consuetudini de? paefi', insegnandoci il nostro Ippocrate, che: dandum fit
aliquid regioni, & confuetudini; e non per questo , che qualche.caso liano
seguito funesto, debbong esse variure, essendoche cziandio consimili cali fe,
guono nelle più adulce, pericolando queste ancora ne parti. Mec: Lasciamo
le consuetudini dan parte, e dicemi di grazia, se inariterelte una vostra
figliuola in età si tenera ? Med. Ci penserei alquanto , & anderei
procrastinando il trattato , fin tanto che li assodasse un poco più negli anni;
c tanto maggiormente, se non fosse ben complessa ; poiche non vorrei, che nel
cominciare si prestamente à far figliuo. li , quello, che dovesse andare in
suo [ocr errors] crc [ocr errors] crescimento , G.deviasle
altrove..' Sem. Si differiranno facilmente quefti maritaggi, per non
ispropriarsi della dote, e voi alori Medici, che fiete renuti alquanto
interessati, forse per ciò differirete di effettuarli. -:" Med. Non fiamo
però sì ftolidi, che non riflettiamo, che la dilazione non paga debito, e che questo
fodisfacendosi fpedicamente ci libera da cravagli di doverlo pagare..
Sem. Qual'età voi realmente credere più propria da prendersi marito? Med.
Se la giovane goderà prospera falute , mi persuado , che intorno al vigelimo
anno lia la più convenevole ; le poi foffe gracile, si potrebbe anche in.
dugiare qualche anno di più, per meglio ftabilirsi; purche non paffalse il
vigefimo quinto; ftantccche facendoli talri. soluzione di accasarsi, per godere
prole sufficiente alla conservazione della fami. glia , ciè d'uopo di
figliuolanza, che fopraviva, e ci fiano ancora de'maschi , e ciò nello spazio
di 20. anni di fecons [ocr errors][ocr errors][ocr errors] dità si può
commodamente ottenere. Semi Talmente che, chi bramasse di avere più
numerola figliuolanza,gli coverrebbe prendere una giovane di 15. anni?
Med. Per istabilire bene la sua casa, non fi dee solamente procurare il nuinero
defigliuoli, mà ancora la robustezza, e vitalità de'medefini; e questi,co. me
vuole Aristocile nel 7. della sua politica, nascendo da Padri giovanetri, sono
di poco vigors, almeno i primogeniti, i quali fogliono per lo più accafarsi.
Quindi è, che Tacito, ove parle de'costumi de'Germani, dice; che tras cffi le
vergini fi maricavano già adulte, cche perciò passasse ne'figliuoli la ro,
bustezza dei genitori. Sem. E l'età dell'Uomo più congrua di accasarsi,
quale sarà ? Med. Quella appunto, che si contiene erà lo spazio di 25.,
30.anni;quando ciò da altro impedimento non venga ri. tardato. Mes, Lo
credo anch'io, che da molte cagioni potrà essere ritardato : im. percioche, se
averà egli impieghi,i quali richiedono applicazione grande, e non si troverà
sufficientemente proveduto di beni di fortuna, per sostentare la famiglia ; fe
non goderà salute competente; se in casa averà molte sorelle, e madre in
particolare, che fosse donna risentita, in questi casi doverà indugiare a
farlo, fin tanto almeno, che si troverà in istato più opportuno, non essendo
convenevole porli sotto ad un giogo di questa forta con simili impedimenti
svantaggiosi alla quiere conjugale. Semi Vorrei sapere, quali danni
risulterebbono,s’io tardasli a prender moglie fino alli anni 35. Mec. Se
voi tarderete tanto, temo, * che non la prenderete più, e per ducor motivi:
primièramente perche trà tana to facilmente' vi potreste deyiare, cd
abbattendovi in qualche donna scaltrita , saprà ben'ella distorvi da tal penfie
ro con le sue arti; e guai a voi, le fi af fomigliaffe questa a quella donna
impu dica,descritta da Salomone al 7. dc' suoi Proverbj, la quale ; ornatu
meretricio prçparata ad capiendas animas; e con quali artificj ! victimas pro
faluse vovi, hodiè reddidi vota mea ; idcirco egreffas fum in occursum tuum,
defiderans te vin dere , e reperi ; intexui funibus lectulum meum , ftravi
tapetibus pietis ex Ægypto, aspersi cubile meum mirra , a aloe br. E poi
trovandovi in quell'età, farà facile, che comincierete a rifertere sù
l'incertezza di poter'invecchiare, e facilmente direte ; come anderebbe allora
la niiafamiglia séza’l mio stradaméto;qual pensiero , se non vi distogliesse
affitto, vi renderebbe almeno irrisoluto nell'effettuarlo; onde farc à mio
modo, risolvetevi, e non procrastinate di vantaggio: perche altrimenti vi
seguirà cioco ch'è accaduto à me medeliino, che mi fono invecchiato senza
successione. E sapere , che diranno di voi le donne, elsendovi avanzato negli
anni? Questi è vecchio, che ne vagliamo fare? E perciò converrà allora,
volendola prendere, ассо accommodarvi a chi troverete , con le
condizioni che da ella vi saranno date; dove che adesso farà a vostro modo
quella , che vorrete prendere. Sem. Questo certamente sarebbe svantaggio
grande per me; laonde non bisognerà perderci teinpo. Pub. E tanto più
sollecitamente vi risolverete,sentendo li pregiudizj grandi , ricevuti da cui
tarda moltó a pren. dere moglie,i quali sono anche maggioridi quelli, che
possono accadere à chi lo fà prima del tempo. Sem. Quali sono, Dottore,
questi Matrimonj fatti prima, ò più tardi del dovuto tempo? Med. Li
preventivi sono; se un giovanetto fi accasaffe in età di 15.9 16. anni; e li
tardivison quelli, che si fanno, allorche tal’uno è divenuto già veça
chio, Sem. Quali danni apporterebbe ad un giovane lo accafarli di 15.
anni? Med. Questi accompagnandosi con, una giovanetta coetanea , non
saprebbe [ocr errors] regolare le sue operazioni; c s'egli in quello
primo fervore fregolato pregiudicaffe allo proprio individuo, quanti svansaggi
ne riporterebbe? E qual'indi. rizzi sarebbe capace di dare a suoi figliuoli,
avendo egli bisogno di chi lo dirigeffe? E stando tuttavia in crescimeto,
defraudandofi questo per il diyiamento della miglior parte del suo sanguc
iinpiegata nella troppo sollecitas generazione, come potrebbe convertirli in
suo beneficio ? Oltre di che noll possono fperarsi frutti perferti da simili
piante, le quali non sono arrivate an. cora alla loro perfezione, Pub.
Aristotile nel 7. della sua Politica fà sopra di questo un'ottima riflerfione ;
cioè, che fimili figliuoli, che pajono quasi coetanei a Padri, poco rispetto
portano loro, querclandofi sovente sopra il governo della casa contro di
efli. Med. Ci sono però alcuni cafi, che debbonsi eccettuare
dall'accénata regola , e tra questi sono quelli unichi , cd [ocr
errors] ed antichi rampolli di qualche illustre, e ricca famiglia, che per non
vederlas estinta , fi procura in età tenera di accafarli. Siccome ancora, se si
vedesse un giovanetto ben complesso, che comincialle a deviarhi, non avendo chi
lo tenesse a freno;onde per non vederlo precipitare , converrebbe accasarlo ,
senza indugiare di vantaggio ; ed in questi casi li doverà prendere un'altra
inisura , competendo loro piu tosto una saggias giovane, che avesse qualche
anno di più di loro, affinch'essa regolaffe alcune operazioni concernenti alla
salute , potendo la moglie saggia molto adoperarfi in fimili affari. Sem.
I poveri vecchi allorche foffero robufti, perche non potrebbero divenire fposi
anch'elli? Med. Perche, conforme dice Euripide. Sed, aut feneétus
Veneri valere jubet; Aut Venus senibus molefta eft . Onde per tal cagione
si accelerarebbero la inorte, çssendo anche potenti, e ritrovandosi inabili a
questo , si contri- sterebbero per molte cagioni:primiera-
mente per essersi accinti ad un'impresa, nella quale non riescono abili
perlochę verrebbero anche derisi,e beffeggiati da giovani, e per
non vedersi corrisposti dalle loro conforti con quelle maniere
cortofi, ch'elli vorrebbero, e final mente per essere privi della
bramatas. prole, come descrisse Virgilio ;: Nec dulces
natos , Veneris nec prçmian noris. E vi
parc,che questi poffano vivere con- tenti? Con ragione dunque
Blepirone appresso Aristota ne diceva: -Heu, mihi infeliciis
qui senex. cxiftens duxi uxorem. E Menandro
esprimendo le fvcnturc de?. vecchi amanti, così fayella:
Nurde miferius poteft daramante Seine, Hifi alius fenex
amans; Nam , qui frui cupis rebus , à quibus Propten tempus,
quomedò ille non mi Jerefte), 06.01.10 D
Mere [ocr errors][ocr errors] arasiit Mec. Ia questo li credo
infelici anch? io, leggendo in Catullo : Er fenis amplexus culta puella
fugit. Ed in Arenco ciocche disse Teognide, ch'è appunto. Sero Viro
juvenis uxor magna calamiras. Cymba fine anchora , effractisq;
Tudensibus. Pub. Udite ciocche dice Plauto di questi: Tum capire cano
amas fenex nequif fime? Si unquàm vidiftis pictum amantem, bem
illic eft. Ed Ovidio, ch'era informatiffimo de' genj delle donne di quei tempi,
così ebbe a dire : Que bello eft habilis , Veneri quoque convenir , stas
; Turpe fenex miles', turpe fenilis amor. Quos petiere Duces annos in
milise aforit Hos petir in focio bella puella viro. Laonde, qnando a
vecchi venitfe in fantasia di preader moglie, a configlino con 2
con Orazio , il qualc dice : Intermiff - Venus diu Rursùs bella
moves:parce precor precor, : Non fum qualis eram. Sem. Riceveranno questi
certamente, prendendo moglie , svantaggi affaimag. giori di quelli, che
incontrano i giovanerti? Med. Senza fallo; posciacche questi, crescendo
loro con gli anni il senno, u la robustezza, vanno incontro al tempo
migliore ; dove quelli sempre più u precipitano nel più miserabile : or
re dere voi, Sempronio , che danni apporta il diffrire tanto lo
accasamento Mec. Ho conosciuto però un vecchio, il qual, essendo caduto
nelle reti di Venere, piangeva dirottamente la sua sventura; e volendolo io
confolare, persuadendomi, che li lagnasse dell'errore commesso; cgli mi rispose
: oh che fallo hò commiffo io a non prendere moglic, quando era giovane!
poiche fe valoroü so mi son portato nell'età inaridica della un vecchiezza , quanto
più farei stato nel , [ocr errors] 2 la verde giovenile? Gli
replicai però: guai à voi, se in quel tempo foste stato così dedico à fimilc
piacere; posciacche vi averebbe farro inyecchiare prima del ecinpo; dicendoli
dell’ainor lafcivo. Ef juvenis juvenes, qui facit ille fenes. E per
meglio illuminarlo gli apportai l'iscrizione sepolcrale di Menelao, ch'è
questas Inter opus medium lafcivå mørte for lutus; Hic fitus eft , dom
init jam Menelaus bumum ; Qui blande. Veneri visa facraverat Haud aliter
vitam ponere juffus eraf. Sem. Or ditemi : questa uguaglianza come dec
essere nelle altre cose? Pub. L'esamineremo in appresso. [ocr
errors] [ocr errors][merged small] CONFERENZA III. :2 [merged small][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Dove si mostra,in che cose sia esenziale
l'uguaglianza nei Matrimonj; quali svantaggi
nascano dalledisuguaglianze
in queste. Sempronio ; Publio , Mecenate's Medico.
M [ocr errors] Sem. I persuado, Publio, che non essendo seguite trà
voi, clas voftra conforte, al. tercazioni,e discors die, averece goduta
la sorte di una perfectisfima uguaglianza in tutte le cose. Pub. In tutte
è impossibile poterlos ottenere ; bafta solamente , che difuguaglianza non sia
nelle più esenziali, nelle quali certamente fui fortunato,ef. fendo di
verificato in me il Proverbio diSalomone: Qui inuenit mulierem bonam, invenis
bonum : du auriet jucunditatem à Domino Sem. E queste quali sono?
Pub. La prima è il genio buono uniforme in ambidue: e questo non potrete credere,
quanto mai trà noi foffe reciproco ; poicche, quanto io volea,senza repugnanza
alcuna cra grato anche ad effa ; ed in quello poteva immaginarini, che fosse
stato di sua sodisfazione, ci concorreva anche la mia, à segno, che delle
nostre volontà, sen'era formata una sola ; onde di noi con ragione si poteva
dire, ciò ch'è registrato nell'Ecclesiastico al 25.,ch'è grato à Dio, ed à gli
uomini : Vir, & mulier benè fibi confentientes . Sem. Sicche
dunque se vi potevate immaginare, che avesse deliderato un, bell'abito, ò una
nobile Stufiglia allas inoda,voi l'avereste compiaciuta prontamente Pub.
Non desideravano le mogli queAte cose in quei tempi, ne'quali non
costu. [ocr errors] costumavano ; bramavano bensì di avej re provisioni
abbondanti di lini, cana pc, e cottoni per farne lavorare copio se
biancherie ; di vedere fatte le provi. i sioni à tempo debito , di quanto
biso gnava per servizio di casa cutto l'anno ; di avere otrimi maestri
per istruire bene i figliuoli; e servitù fedele, e benc accoltumata. Sem.
O tempi felici: non poteva io essere nato allora ! Pub. Ed io vorrei
trovarmi giovane in questi coll'uso di ragionc, cd esperienza , che godo
: Sem. E la seconda quale sarà ? Pub. Che questo genio uniforme fi
ftabilisca sopra le virtù cristiane, e morali in primo luogo; c di poi in tutto
le altre cose utili per lo stabilimento della casa,cd in queste è stata
veramente seinpre singolare; imperciocche vedendo, che bramavo di sodisfare
all'. obbligo, che corre ad ogni benestante, di sovvenire i poveri, essa ancora
facea le sue parti con mia somma consolazio D4 ne ; ne; e nel
rimanente vedendomi artento agli affari domestici, s'ingegnava per quanto
poteva, di sollevarmi in molte cose ; talmentecche hò sperimentato in me ciò,
che diffe. Appollonide : Certè inter homines Non aurum , non regnum , non
divitia. .. rum luxus Voluptates tam eximias prebent , Quam buni marici , &
uxoris pia Volunt as jufta , & legitimè affecta. Sem. Lo credo
anch'io[facendo voi cosi]che potevare godere una perpetua felicità. Pub.
E voi ancora la potrete godere, se farete il medesimo. Sem. I tempi
calamitofi , ne'quali siamo , non lo permettono. Pub. Se dipenderà da
tempi, converrà avere pazienza ; perche farà irremcdiabile; mà se dipédeffe poi
da voi,senza fallo potrete porvi rimedio: or'vediamo,da chi dipenda. I tépi
calamitofi dāneggiano co carestie, pestilézcguerre, terremuoti,c tempeste ; c
queste non effens 20 [ocr errors] effendoci ora crà noi,come
possono corbare il regolamento della propria casa? Onde vedere, che dipende da
noi', non da tempi ; dunque à torto vi lagnate de'tempi ; essendo voi , non
cfli l'origine della vostra infelicità; e se poressero questi parlare ,
direbbero in loro dif colpa: voi ci calunniare à torto, per ricoprire i vostri
mancamenti; perche vi piace tale modo di vivere, e vi dilet. ta,
quanrunque ne moftriate un'appa. rente rammarico. Sem. Si pratica oggidi
fare diversa. mcate d' allora i conviene accomodarli ai più : bisogna averci
pazienza . Puh. Questo è un pretesto peggiore i dell'antecedente; perche
voi conoscere, che fate male; ed avere la cognizione, che non facendolo
fareste felice ; porche dunquc lo fate , dipendendo da voi il farlo, ò non
farlo? Ohcecità ! volere piuttosto effere imitatore di chi voi conofcete; che
faccia male, che di quellig che operano bene; e poi, se voi dite che ci vuole
pazićza,perche vi lagnate? Som. [ocr errors][ocr errors] Sem.
Operavano allora cutti in questa forma? Pub. Io non andava cercando, se
vi era caluno , il quale diversamçare operaffe ; perche volendo prendere
l'esempio da chi lo faceva ; questi solamente rimiravo, per imitarlo.
Mec. Sempronio mio, non vi avanzate più oltre in questo, perche Publio. vi
convincerà di vantaggio ; e vi farà anche conoscere, che i vecchi non sono storditi,
conforme alcuni credono; efsendo che al parere di Plutarco;la mente in
vecchiaja ringiovenisce. Sem. Vi è altro trà le cose neceffarie. da
fervarli uguaglianza ? Pub. Nella ftatura ancora ci vuoly, se non totale
uguaglianza, almeno proporzione ; posciacche, se sarà la spora pigmea, ed il
marito gigante , se ne avyodrà ella ne'parti, ed in alere segrete occasioni
ancora ; laonde à questo proposito parlò Ovidio : Quàm malè inæquales veniunt
ad aran tra juvenci,Tam premitur magno conjuge nuptas minor. : Sem.
Sarebbe dunque bene prendernc prima le misure di ambidue per formarne una
giusta pariglia. Pub. Non è ciò necessario, nè conve. niente ; perche
coll'occhio ancora fi può discernere la notabile disuguaglia, za. Debbo ancora
avertirvi , che li rim cerca la proporzione de'beni di fortuna; ? perche
se vi apparentaste con gence mi lerabile, alla vostra casa coccherebbe il
mantenerla: altrimenti non vi sarà pace con vostra moglic; perche la vora rà
soccorrere di nalcolto, sc non potrà farlo palesemente. Sem. E la Nobiltà
dee entrare ancora essa trà le cose necessarie da ugu2 gliarli ? Pub.
Questa uguaglianza non è ftia mata essenziale , secondo il sentimcnto i di
Platone, registrato nel tive del suo Regno; ovcper teffere la tela della
buo. na discendenza , cgli procura di moa strare, non ricercarli cosa più
effenzia, le [ocr errors][ocr errors][ocr errors] ke ne'maritaggi,
che d’innestare le virtù ; per esempio, al temperamento forte unire il
moderato : onde potendo questa unione formarsi con inferiori di condizione
ancora ; non si ricercheranno nè ricchezze, nè poffanza, nè altre credute dal
mondo vantaggiofe condizioni, per tesserla a suo dovere ; come appunto lo fà
contesfare à Socrates ; perche egli considerava talc affare in ordine al bene
univerfale , non particolare di ciascuno ; persuadendosi, che congiungendoli in
tale forma , fi potesfc porre il mondo in migliore consonanza. Ed in conferma
di questo, cade in acconcio la bella concione , fatta dawa Camulejo Tribuno
della plebe l'anno 310. ab Urbe condita, la quale viene riferita da Livio; e
dimostra questa con vive ragioni tutti quei vantaggi, che possono apportare i
maritaggi scambie. voli trà nobili, c plebei alla Republica. Io però mi
persuado , che più decoroso fia, secondo l'apparenza del Mondo, fceglierla non
plebca. Mec. [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mec.
Voi dice benc , Publio ; malo colla nobiltà fosse unito il mal costume
scegliere te forte piuttosto una Meffalina, che una ben'educara, c prudente
plebea per vostra consorte? Pub. Questo poi nò ; perche in tale caso mi
perfuado minor caccia, porerne ricevere, sposando una plebea , la quale col suo
buon costume,.c fenno, in brieve tempo fi farebbe conoscere non dissomigliante
à quelle nate nobili; doveche la nobile mal’educata , e viziola, degenerarebbe
in plebea fenza fallo. Mer. Vedete dunque, che la sola nobiltà non dee
attendersi, mentre voi medesimo la posponere al buon coftu. Sem. Vi sono
esempj di nobili savj, che abbiano sposate giovani ignobili? Pub,
Molcillimi. Vifu Teodofio lin. peratore , il quale antepose la figliuola di un
povero Filofofo à cutte le più nobili, riconoscendola meritevole di tale
grandezza , per la fua buona educazioac. Ed Abramo che desiderò, volen
do [ocr errors] 1 70 me. [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] do prendere moglie? Uditelo das. Ambrogio : Difce quid in uxore
queratur : "Non aurum , non argentam quafivis Abraham, non poffiones ,
fedt gratiam bons indolis : lib.i. de Abr. cap.9. Sem. Nella bellezza, ò
deformità fi dovrà cercare proporzione? Pub. Qualche forta sarà bene di
procurarla ; perche , fe diforme sarà il inarito , c bella la moglie, dirà ogni
rivale, ammirato di questo; con Virgilio : Mopfo Nisa datur , quid non
fperemus amantes! ! Oltre di che in un continuo tormento di gelosia fi
ponc, chi la prende éon fimile disuguaglianza; e tanto maggiormente , dicendo
Giovenale : Rara eft concordia forma, • Atque pudicitia. 21 che viene
anche confermato dal Petrarca in tal guifa : Due gran nemiche erano
insieme ago gionte: Bellezza, ed'oneftade Oltre di che poi [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Fastus ineft pulcbris, fequitur
superbiaus formam . Sem. Nelle ricchezze fi dee cercare od
uguaglianza? Pub: Quella appunto , che fu detta i dell'ecà , cioè, che
sem pre fiano ad una certa proporzione inferiori quelle della cala, con
cui volete apparentarvi,perche, come disse ben Marziale : Inferior
Matrona fuo fit, Prifce marito, 4 Non aliter fiunt femina,virque
pares.. Sem. Sc uno volcffe prendere moglic in lontani paesi, e di
diversi linguaggi, indurrebbe questo disuguaglianza alcuna ? Pub. Forse
che si, quando non s'incontrasse donna di gran fenno ; perche il costume , e
modo di vivere differenti, prima, che si accomodino a quelli, che troveranno ,
possono fare nafcere molti diffapori ; se pure potranno mai uniformarli; come
ne dubitano Emilio Probo : Non cadem omnibus funt honefta atque turpia , fed
omnia majorum inftitusis, judicant ; nemaque nibil rectum puosat, nifi quod
patriæ moribus convenit. Ed Ovidio così canto: Nefcio que nasale folum
dulcedine cun stos Ducit , immemores non finit effe fui. Beo'è vero però,
che in quei luoghi, fe Veducazione delle giovani fosse mi gliore di
quella del vostro paese, forse che potrebbe questa accrescere vantaggio a voi.
Sem. Se il marito farà dotto, indur. rà disuguagliáza l'effere la moglie
ignorante Pub. Anzi più tolo disuguaglianzas apporterebbc , fe fosse
dotta, ed erudi-$perche come vuole Giovenale ; Non habeat matrona , tibi qua
junctae recumbit Dicendi genus , aut curtum fermones rotatum.
Torqueat enthimema, nec biftorias soins ? omnes, Sed quædam ex libris, non
intelli. Ed udite, come dice l'Ecclesiastico di ques [merged
small][ocr errors] queste al 28. Lingua tertia mulieres vin ratas ejecit, o
privavit illas laboribus fuis ; Qui respicit illam non babebis rea quiem , nec
habebit amicum in quo requieJoar. Mec: Posso a questo proposito riferire
ciò, che è accaduto a tempi noftri. Vi tù un dotto Jurisconsulto, che aveva una
sua figliuola, e volle addottrinarla nelle materie legali,cd avendo acquistato
detta giovane molta perizia in esso le convennc,morto il padre,
prédere,inarito, e si trovò la povera giovane talniente confusa nelle faccende
domestiche, che si pentiva grādemente di avere applicato allo studio, dicendo:
che mi serve ora di sapere le leggi, non avendo įmparato quello, che mi
conviene fapele per governare la casa? Sem. Già fu parlato della
uguaglian. za, o proporzione , ch'essere dee tra l'uomo , e la donna intorno
all'età ; ina se portasse la necessità , che un attempato unico della sua
famiglia dovesse prédere moglic, pornon lasciarla cftinguc: E [ocr
errors] re re, ditemi, Dottore , quale sarà l'età, se non proporzionata ,
almeno più fe. conda della donna, con cui dovesse con. giungersi Med.
Quella, nella quale più facilmente li concepisce, ch'è tra i venti, e li
venticinque anni. Sem. Orsù Mecenate risolviamoci ambidue a prendere
moglie, potendo ogn' uno di noi provedersela della medesima ctà, e non
permettere , che la vostra famiglia si illustre fi cftingua in voi. Mec.
Credeva essermi già bastantemente spiegato nella prima conferenza, ma voi non
avete capito le mic raggioni, tornando la seconda volta a configliarmi 'l
medesimo, con mostrare premura maggiore per la mia descendenza, che per me; onde
vi torno a dire, che nella mia età non è più convencvole lo aceafarli; dicendo
Euripide : Verùm fonecta jubet valere Cypridem, Et ipfa rursus
senibus infensa est venus. Quindi è, che Sofocle interrogato allorch'era già
vecchio s'egli esercitava [ocr errors] a più gli atti venerei : Iddio me
ne guardi diffe, che io mi sono guardato un pezzo fa da coresti, come da
una impetuofa, e violenta tirannide, Valerio Mallimo lo riferisce. Sem.
Io ne domando scusa, dichiza randomi non averlo detto a questo fi ne ,
Delidero ora faperc i pregiudizj; EI che apportano ne' matrimonj le disus
guaglianze; ed in primo luogo ; fe faranno di genio differenti tra loro.
Pub. Dice Salomone: Melius eft habitars in terra deferia , quam cum mulieu
rerixoja, litigiofa; onde vi potrete i figurare di vedere la casa piena di
con fufione, ove regnano genj differenti; * pofciache ciocche vorrà il
marito, ve nendo ad essere disapprovato dalla mo glie, onon fi
effettuerà, o per la meno I in qualche parte verrà variato, e que Ito medelimo
darà occafionc à discordie perpetue tra effi , fe il marito non averà la
prudenza di Giove , cui Giunone si opponeva sempre come vuoo le Omero,Dum
moliuntur,dum comitur annus est. Sem. Ed il rimedio per questo, quaEin le
farebbe? Pub. Lo diremo a suo tempo. . Sem. Ho conosciuto marici alti
due palmi più delle mogli, e il doppio più i grossi, ne da questa
disuguaglianza ho veduto seguirne inale alcuno. Med. Ed io ; che fon più
vecchio di voi, ho medicato più d'una di questo nel tempo, che stavano per
partorire, ridotte a termine di morte, per non poter dare alla luce i loro
figliuoli, se non dopo alcuni giorni , e coll'ajuto del Chirurgo, e di
queste, alcune sono pei rite. Succederà a quelle di avere parto felice
che nella gravidanza avendo fi avuta inappetenza grande, il feto si sarà
poco nudrito; e perciò rimanendo picciolo, questi non averà ftentato ran
to nel uscir fuori; o pure la cassa del o corpo della madre, con quanto è
neces sario, per rendere meno difficile il parto , sarà stato in queste
proporzionato al bisogno. Ma preventivamente alcu [ocr errors] ne di
queste cose non costumandoli ri. conoscere tra noi , conforme appresso alcuni
popoli li faceva, e perciò, per esimerki da tal pericolo, conviene riAeterle
prima del maritaggio, toccan. do questo a'padri di famiglia. sem. Sc un
bel giovane prendeffe per moglie una donna deformc , che male potrebbe ciò
apportare? Pub. Niuno, quando però foffe egli fodisfatto, e la donna
fosse prudente, e non l'avesse presa per cagione di grofsa dote; perche si farà
quest'invaghito delle sue rare qualità, ed averà egli facilmente appreso da
Salomone ne' suoi Proverbj, che: Fallax gratia , e vana eft pulcritudo : mulier
timens dominum ipfa laudabitur. Sem. E se il motivo di prenderla foffe Itata
la dote Mec. Seguendo per lo più simili deliderij in giovani , i quali
penuriano di beni di fortuna, la pace tra essi dyrerebbe lintanto, che la dote
foffe in picdi: mà appena consumata questa , allo. ra 1 [ocr
errors] racomincierebbero reciproche doglian. ef ze; quelle del marito
sarebbero, diri. trovarsi vicina la moglie deforme, e della donna di non
vedere più la sua dote, Caduceo di pace tra di loro. Sem. Dandosi però
vincolata , ciò non potrebbe seguire . Mec-Non si può ottenere questo in
limili disuguaglianze ; perche vogliono tali sposi libero il danaro, per
vincolarsi cili colla deformità della moglie, finche dura la doce. Sem.
Non so capire perche s'abbiad d'apparcntare con casc men facoliose ; perche
questo apporterà. svantaggio nella dote. Pub. Ma però quiere maggiore,
ove entrerà limile sposa; perche quella giovane , la qual’esce da una casa, ove
con gran laurezza viveva, difficilmente po trà acomodarli alla vostra,
ove 1101 i potrete con quel fasto trattarla ; onde da ciò ne nasceranno
amarezze continuc ; o pure (arece forzato , volendola consolare, ad impoverirvi
prestamente. E4 Sen. of [ocr errors] Sem. Il prendere
una moglie nata in paesi lontani potrebbe forse recare gran vantaggio ; perche
non avendo parenti vicini, sarebbe più ossequiosa al marito, nè lo
disgusterebbe, e ciò farebbe felicità grande. Pub. E voi credete, che 'l
Padre fia sì sciocco, che non penserà ancora di raccomandarla à chi lia
d'autorità , acciocchè le assista in caso di bisogno? c quando avesse cgli difetrato
in questo, credere voi, che chi parte dal suo pae. sc, sia così insensata di
non sapere col suo ingegno trovare chi la protegga in un suo urgente bisogno?
Qual patrocinio cal volta sarà molto più autorevole; ed efficace di quello,
potesse ricevere da suoi congiunti: non v'invaghite di straniere, se non in
caso, che mancare sero donne del paese, ove voi dimorate. Mec. Sono
andato più volte rifectendo, che non sarebbe forse svantaggio lo sceglierla ,
non dico da paesi remoti, ma da città convicine, e mi ha mosso que
in questo pensiero Giovenale, con dire Malo Venofinam , quam te
Cornelia [ocr errors][merged small] Grascorum , fi cum magnis virtutibus
be affers Grande supercilium, & numeras in dos be te sriumphos
; id Perche queste riescono più docili, eve nendo in città più nobile,
gradisco no ?: quanto si fa loro, più delle proprie cita tadine, e fogliono
ancora eslerc meno dedite al luflo , Pub. Vi sono le sue difficultà in
queste i . ancora . Imperciocche Carone, con e tutto che fosse uomo sì
faggio, quanti di guai ebbe con la sua moglie Acrorias I Paola, quantunquc
povera, e nata in ¿ un villaggio ? fu questa superba, vio2 lenta , e debole di
mente. Laonde a tal propofito S. Girolamo lib. 1. in Joviniznum diffe;
Nequis putet si pauperem dy xerit fatis fe concordie providili &c. E
bij maggiormēte ora che il lusso ha polto il piede da per tutto; ne
crediare che vorranno vestirc con minore pompa delle E 2 Fu 과 [ocr errors] Junonem autem non adeo
accuso, neque irafcor, Semper enim mihi consueta eft impedire
quidquid intelligo, Sem. Ma quale rimedio ci sarebbe in questo caso per fuggire
le discordie? Pub. Conoscendo' voi il costume di vostra moglie, che sia
di contradirvi, come espresse Terenzio, Novi ingenium mulierum Nolunt
ubi velis, ubi nolis Cupiunt ultro. In questo caso ordinate tutto
l'opposto di ciò, che bramare, per esser ubbidi to. : Sem. E se
avesse poco fervore nellas pictà, e trascurassc alquanto gli affari domestici,
scorgendo quancunque suo marito attcntiffimo a tutto? Pub. Sarebbe segno,
che avesse altre cole, credute da essa di premuras maggiore di queste , che le
andasse. ro per la mente; perche non si trascurano affari si rilevanti, se non
da quel. le, di cui disse Terenzio ;ciccadine, se non s'incontrerà in savie, c
prudenti. Sem. Mi piacerebbe di avere una moglie, la quale mi sollevasse
con qualche storietta ; perche dunque il fatirico dice: Nec historias feiat
omnes? Pub. Perche, con sapere le donne molte storie, essendo cosa facile
il poterG abusare di qualcuna di esse, niun vantaggio vi apporterebbe ; e
sappiate che ci sono libri molto lascivi, i quali non comple in conto alcuno,
che da esse si leggano, confessando tal verità Ovidio medesimo quantunque fosse
impudico, con dire : Eloquar invitus, teneros no tange poetas , Summoveo
dores impius ipfe meas . Callimacum fugito non eft inimicus e mori, Er
cum Callimaco tu quoque Coe noces . Carmina quis potuit tutò legifeTibulli ?
Veltua, cujus Opus , Cintia fola fuit ? Quis potuit lecto durus difcedere
Gallo? Er mea, nefcio quid, carmina tale fo E [ocr errors] [ocr
errors] E poi due cose non si possono fare: die vertirsi nel leggere, e reggere
la casas; e dovendo a voi premere la secondands ( conviene ch'essa
abbandoni la prima ; ¢ sappiate, che Giovenale dice a questo
proposito Quis ferat uxorem,cui conftent omania? Mer. Plutarco però
dice, che sarebbe di profitto al marito d'istruire la mo* glie nella geometria,
ed in alire cores o dottrinali, ed onoratissime ; perches ď allora si
spoglierebbe affatto delle leg. gierezze, e vanirà de pensieri , e si
aAterrebbe dal danzarc, Pub. Che la moglie s'istruisca nei buoni
documenti morali, e di pietà da mariti è cosa ucile, e lodevole; maw, che
s'impieghi ad apprendere la geomei tria , quando fi trovare inadre di più fi:
gliuoli, non so come le potesse riuscire avendoli d'intorno , per lo
strepito ch' delli fanno ; se poi fi allontanaffe da elli , ecco che
l'educazione loro anderebbe a male. Sarebbe ciò solamente tollera. bile in una
donna itcrile, avendo servis tà tù sì buona, della quale si potesse
ad chiusi occhi fidare, per divertirsi con tale scienza, c passare la noja che
le recherebbe il trovarsi senza figliuoli; per altro se abbiamo d'aspettare ,
che las geometria tolga la yanità donnesca, regnerà questo difetto per sempre
nelle donne : e poi la mia moglie, che nulla sa di geometria, odia la vanità,
ed i balli; dunque possono fuggire detti vizi quelle ancora, che non sono
geome tre. Sem. Vorrei sapere distintamente, che cosa fia questo
matrimonio ; perche dovendomi accasare bramo di esserne informato, per non
operare alla cieca in così rilevante materia ? Mec. L'udirete da me nella
venturas conferenza. CON [merged small][ocr errors][ocr errors]
Sopra gli antichi costumi , praticati apprello alcuni Popoli per la
gene- razione; e se sia più vantaggioso lo
scoprire scambievolmente i proprj
corporali difetti , prima di
sposarsi, o l'occultarli.. Mecenate, Sempronio ; Publio
e Medico. i Mec. On mi ftéderò molto nel riferirvilan. tichissima
libertà de? Greci, nè tampoco l'incestuoli modi de' Persiani, praticati
ne gli atti conjugali, per non contaminare le vostre orecchie; mentre i primi a
guisa di bestie moltiplicavano, conoscendo i figliuoli solamen te
te le loro madri, comme scrisse Tzetzes Iftorico Gracorum priùs mulieres
per Greciam, Non quemadmodum nunc , conjunge-
bantur legitimis viris, Sed inftar jumentorum mifcebantur om-
nibus volentibus ; Erant igitur unius naturæ tunc
filii , Sobas agnofcentes matres , non patres, Ed i secondi non
avevano orrore di esse. re figliuoli, c mariti, come riferisce Catullo,
Nafcatur magus ex Gelli, matrique nefando Conjugio , con discat Persicum
aruspi cium , Nam Magus ex matre, donato gigne
tur oportet i Si vera eft Perfarum impia religio. Sem.
Ma il Cielo lasciava impunici fi effecrandi delitti Mec. Non già; perche,
come si ricaya dal fudecco Tzetze furono mediante il diluvio puniti, dicendo
egli in appreffo.a Poft illud , quod in Ogygis
tempore inci. dit diluvium , Cecrops
acceffit ad Aibenas Gracia, Has Ashenas cū vocaffet ex Soi Ægypti,
Cum multis aliis rebus commoda vis Gracia; Tùm lege conftituit
mulieribus nuptias 5 legitimas, 1M Ex quibus filii cognoverunt duos
pa rentes. Anzi per farvi conolcere , che la natura stessa
abborrisce l'incestuosi connubj, vi posso apportare molci csempj de bruti, tra
quali, non solamente il camelo lo ha in orrore, uno de' quali ammazzò il suo
cuftode , che lo ingannò a coprire la madre, appena avvedutofene , coine
riferiscono Aristocile , ed Eliano ; ma Plinio ancora racconta, che nellad
campagna di Rieti vna cavalla avvedu tasi di questo, immediatamente si
prei cipitasse, e Varrone fcriffe, che un ca vallo per la medesima
cagione faceffe tale impeto contro il suo armétiero, che l'uccidcffe:e
dell'elefante raccora il me deliof desimo avvenimento Nicolò
Lirense. Sem. Ma come faceano a riconoscersi i figliuoli da'
Padri,avendoli cosi confufamente generaci . ; Pub. Appreffo alcuni Popoli,
allorche i figliuoli aveano compito il quinto anno, quei, che più li
assomigliavano a gl’incerti padri, erano tenuti da essi per loro
figliuoli; come racconta Stob. Ser. 42. Sem. Quanto è stato peggiore il
mondo in quei tempi di quello fia oggidi ! Mec. Se voi sapeste il
rimanente, ftu. pirere anche di vantaggio. Sem. Eche, vi sono state altre
scelleratezze ancora? Mac. Contentatevi di non udire altro per ora ; e
lasciate simili notizie , per quando farete più proveito : passiamo aderlo a'
tempi incno infelici. Ristabilito, che fu il matrimonio, s'introduffe da alcuni
popoli il contratto della vendita delle loro figliuole, cioè da' Greci, Traci;
Aliri, Arabi, Indiani, ed al, tri, come da Tiraquello nelle sue leggi
COS [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] ·
conjugali si racconta, e Sofocle intro- o duce le donne, che cosi
favellano fo- pra dició: Ubi verò
ad pubertatem hilares perve- nimus Pellimur foras,
atque divendimur Procul à Diis patriis, a parentibus, Alia quidem
peregrinis, alia barbaris. De' quali parlando Pomponio Mela riferisce, che:
proba , formof&que in pretio erant . Sem. In quei tempi saranno stati
con: ienti i padri, nascendo loro figliuole , e non già mesti, conforme ora
sono, che debbono dotarle, mercecch'essi al-, Jora ne ricevevano utile
grande; oltre I di che saranno state anche molto più cu stodire queste
mogli a caro prezzo com* prate di quello si faccia ora, ch'effe b con grosse
doti comprano noi; poiche offervo, che se un cavallo ci costa molK to,
abbiamo somma premura di esso. Mec. L'interessati padri può effere, di
che lo faceffero, ma non già i buoni, che le amavano, e perciò
riflettevano, F [ocr errors] ancora, che se non portavano dote le
loro figliuole, non acquistavano, ovc foffero entrate, dominio alcuno. Ele
mogli fi ftimano c rispettano ancor adeffo da giusti, e saggi mariti , per
questa modelima cagione ; e poi quelle, che portano grosse doci fanno ben farli
portare rispetto anche da’mariri non favj , dicendo Giovenale : Intolerabiliùs
nibil eft, quam fæmina dives. Dicendo ancora Cleobulo appreffo Stobeo: Si
babebis uxorem ditiorem , aut nobiliorem, dominos habebis , non affines. In
oltre si costumava da altre nazioni ancora comprarsi dalle mogli i mariti;
conforme fi ricava da Virgilio; Teque fibi generū Thethis emas omnibus
undis. E Boetio, nel lib.z. de Commenti alla topica di Cicerone, così
parla. Tribus modis uxor habebatur,usu,farre, & coemptione ; fed
confarreatio folis Ponsificibas conveniebat; quæ autem in mamum per coemprionem
conveperat , hæc [merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr
errors] mater familias vocabatur &c.; Sem. Si è costumato in alcun
tempo, che non fa corsa tra contracnci dote ale cuna ne’inaricaggi? Mec.
Nelle leggi di Solone, Licur. go, e di Platone fu stabilito questo ; ben è vero
però, che la sperienza has fatto conoscere, che fuccedevano più di rado i
matrimonj , per non effervi il suo fuflidio dotale ; essendocche pochi vi
erano', che volessero soccomettersi al grave pero di essi, senza il follievo
della dote; onde vedendoli dan ciò risultare notabile danno alla Republica , la
prudenza Romana ftabilì con leggi le doti,da consegnarsi alle figliuole , per
sostentare non solamente li peli del matrimonio, ma per allettare maggiormente
ancora, mediante effe, gl uomini a prender moglie, come disse il Satirico,
Veniunt à dote sagitsa . Pub. Erano certamente troppo pregiudiziali
fimili leggi, dalle quali lcfcludevano le dori; c perciò Aristotilo discordò
dall'opinione del suo Macftro Platonc provando ne' suoi Problemi , che fia cosa
obbrobriosa prendere moglie indotata ; e che sia anche gran pazzia di colui ,
che lo facefle , dovendo egli riflettere al peso, che se gli accresce: onde
sopra di ciò interrogato Anafsandro, cgli 'rispose ; che sarebbe divenuto servo
certamente colui il quale bisognoso prendeva moglie indotata; perche in vece di
se solo, dovea alimentare più persone. Quindi è, che con somma prudenza fu
risoluto nel Concilio Arelatcose; che non si dovesse fare matrimonio alcuno
senza dotc , como riferisce il Fontanella. Sem. E' stato costumato da
nazione alcuna il prendere più d'una moglie nel medesimo tempo ? Mec.
Anzi tuttavia dagl'infedeli fi pratica ; ben è vero però, che tra eli le mogli
sono trattate , come schiave , tenendosi racchiuse , e guai a voi, Sempronio,
se vi fosse permesso più di unas moglie , allora vedreste in che travagli
maggiori vi porrebbero le donne , che go [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] godono la libertà, ond'è stato fantisfimo il provedimento ,
che unica fia la conforte. Sem. E da chi ebbe origine, questo matrimonio
in fimile forma? Pub. Dal grande Iddio ; posciacche, crcato Adamo, formò
Eva, e glicla died'egli medesimo per conforte; onde ad iinitazione di questo
gran matrimonio dce ogni fedele contentarsi di una's fola compagna, e di
rispettarla ancora, conforme fece il primo marito, il quza le allorche la
ricevette per sua sposas, così disse : Hoc nunc os ex ossibus meis, caro de
carne mea , hæc vocabitur virago, quoniam de viro fumpta eft : quamobrem
relinquer homo patrem fuum, a matrem, adbarebit uxori suæ, derunt duo in
carne una; e da ciò comprendere, quale ftima li debba fare della propria
moglie. Sem. Ma tornando alle doti, queste da principio in che quantità
furono ftabilire ? Mer, Non fu allora ciò determinaco, ben [merged
small][merged small][ocr errors] F 3 ben è vero però, che in appresso,
essendo divenute ecceffive, furono stabilite in una certa quantità, secondo le
condizioni delle persone ;. e particolarmçate nei domini, ben regolati.
Sem. E questo viene offervato? Mec. Qualche volta, ma non sempre;
fentendosi assegnate a caluni in fommas più considerabile degl'altri,quantunque
fiano della medesima condizione Pub. Mi piacerebbe lo stabilimento fiffo
, secondo lo fato delle persone, ma da che proviene questa inosservanza?
Mec. Dal lusso accresciuto, il quale effendosi anch'esso posto tra le spese
necessarie per il sostentamento matrimoniale, viene anche considerato per tale
da chi dee accasarsi ; e perciò dice, tanta dote io voglio , per pocer fare
quello, che si costuma dagl'altri. Pub. Qnando io preli moglie, e per
qualche cempo in appreffo , & contentava ogn’uno di ricevere competente
dore; perche questo lusso di oggidi non non vi era. More [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] Mec. A tempo ancora, che vivevas Gnco Scipione, le doti
parimente erano molto proporzionate al vivere di allora , ascendendo la più
pingue, quale ebbe Magulia, che fu chiamata las dotata, a cinquecento mila
affi, come riferisce Valerio Maffimo. Sem. Non erano dunque si tenui les
doti ascendendo a tanta somma. Mec. Avvertite Sempronio, che gli affi non
erano già scudi; ma solamente ogo’uno di essi arrivava appena al valore di
quattro de' noftri quattrini di rame; onde turci icinquecento mila afli
formavano la somma di circa quattro milas fcudi de' noftri; e poi le più
frequenti erano di dieci mila asli, come ebbe Tacia figliuola di Cesone , il
quale non era ignobile, e cal somma appena ascendeva a scudi ottanta,
Sem. Ma da che proveniva, che corressero doti si tenui in quei tempi ?
Mec. Non da altro, che dal non efservi lusso, Sem. Ma perche non si pone dal
Prin cipe [ocr errors][merged small] F4 cipe sopra di ciò la
prammatica ? Pub. Perche aon ci è bisogno in queIto della sua
autorità. Sem. Come non ci è bisogno? Pub. Ditemi, Sempronio, se
voi poteste senza l'autorica del Principe far cosa, che fosse anche di sua
fodisfazione, vi sarebbe bisogno della sua autorità per farla? Sem. Non
ci sarebbe certamente di uopo di essa. Pub. Or ditemi, s'è in voftra
libertà, nel farvi un'abito , spenderci 50. ò pur 100. scudi , ed in una
carrozzas 500.Ò 1000. in questo vi astringerà forfc il Principe alla spesa
maggiore? Sem. Certamente, che no; Pub. Perche dunque non lo fate
confiftendo in qưesto la prammatica ? Sem. Perche gl'altri non costumano
di farlo. Pub. Or dunque domandate a questi, che pongano efl'la
prammatica, non al Principe, il quale non comanda, che fi ecceda gel lufto,Mec.
A questo proposito essendo ftato supplicato Tiberio , a porre moderazione
all'eccellivo lusso, che correvad in quel tempo, egli negò apertamente di
farlo, dicendo come riferisce Tacito: Pauperes neceffitas, divites fatietas,
Nos pudor in melius muter; onde da ciò comprendete , che noi siamo i padroni di
prendere quelle misure, che più ci aggradano nei nostri trattamenti ; &
udite da Tacito medesimo, come mai lo espresse al vivo nel secondo de' suoi
Annali: Cur ergò olim parfimonia pollebat? Quia sibi quisque moderabatur : non
ritrovandoli Gneo Fabrizio, e Quinto Emilio, che un tondino, ed una saliera di
argento, per servirsene nei sagriticj; per altro tenevano da se lontano ogni
luflo , conforme fecero ancora i Publicoli, i Curj, i Scauri, & altri
valoroG uomini, i di cui pensieri non si aggi. rayano già intorno alle ricchezze,
ma bensi agli onorevoli Consolati alle me. ravigliose Dittature, ed ai Trionfi
, per çimagcre immortali nella pofterità: cos me [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] me riferisce Valerio Malimo : Sem. Hò
capito a bastanza, e conofco, che il mancamento viene da noi. Notificatemi ora,
Dottore , quali sono questi difetti corporali delle donne, i quali voi meglio
degli altri conoscerere: Med. Non posso servirvi in ciò, ele sendo che
quanto sò di occulco, non, debbo palesarlo. Mec. Il Dottore è compatibile
in questo, perche s'entrasse egli in disgrazia delle donne, potrebbe dire di
aver finito di fare il Medico; imperciocche, comincierebbero queste a dire, che
tutti di suoi infermi muojono, e perciò sias sfortunatissimo nel medicare, e di
vantaggio sia un vecchio stordito, che non sappia ove si abbia la testa; e
sapere purc, che queste muovono gl'animi colla loro eloquenza più di Demostene;
onde lo porrebbero in una totale defiftimazione, non facendoli scrupulo alcuno
di far ciò quanrunque fosse di pregiudizin grande a professori, il dicui merito
effe non sanno conoscere, per vedersi [ocr errors] [ocr errors][ocr
errors] da effe anteporfi gl'adulatori a questi. Med. Non è questo il
motivo, che mi ritarda il palesarli, ma bensì, l'avere io qualche segreto di
cal’una, che si trova con qualche imperfezione, onde non vorrei , che mi
credesse manca. core di fede , figurandofi, parlaffi di lei: per altro, non mi
ritarderebbe già di farlo quello, che voi avete accennato; perche, se dicessero
mal di me, diverrei Medico fortunato, essendo che non me . dicando , non mi
potrebbe morire alcuno, e per questo riposo ancora goderebbe la mia mente
tranquillità maggio [ocr errors][ocr errors] re. Mec. Queste sono
belle rifleffioni, ma - però ad ogn'uno piace l'effere adopera to, e
questo senza protezione difficile mente si conseguisce. Med. Piacerebbe a
me ancora quan. do ciò non distruggeffe il mio indivi. duo ; e cercherei
ancor io queste pro- tezioni, quando accrescessero dotčrina ; ma non
potendo le stelle cramandare i quci benigai inguda, ch'effe non hanno
onde onde per tal cagione mi persuado, che queste ancora non potranno
addottrinare. Voi conoscere il mio naturale ; di grazia non diciamo
altro. Sem. Se non diremo altro, non termineremo la nostra conferenza, ed
io rimarrò senza essere istruito. Mer. Vi consolerò io , ch'essendo già
vecchio, niū fastidio mi prédo delle doglianze feminili, non curandofi esse più
trattare meco. Vi persuaderete forse, Sepronio, che tali difetti personali
occulti sieno cose grandi , essendo, che il Dottore ricusò palesarveli? questi
non sono altro, per quanto mi vado immaginando, che un poco digobba, la quale
viene ben uguagliata da buftini ripieni nella parte mancante . Sono qualche
palmo di giunta ne'calcagni, per potere coparire al par delle altre ; qualche
piaghetta,ò fistola occulta,o ferore di naso, ò di bocca ; ò pure altro
impedimento, mediante il quale si rendono infeconde: Ma non crediate già, che
tutte le donge abbiano fimili imperfezioni , effen, do [ocr errors]
do solamente alcune poche queste così imperfette. Pub.
E' certamente curioso quel caso riferito a tal proposito da San
Vincenzo Ferrerio nei suoi fermoni. Aveva un giovane sposato una
donna , la quale gli parea di giusta ftatura , rimase poi cgli
quando la vide porsi a letto manca- ta in un momento per metà. Dubito
da principio, che gli fosse stata cambiata, mà miratala bene in
viso, si avvide effe. re la medesima , onde stimò bene dirle, cosa
avesse fatto dell'altra metà della sua persona ; l'accorta non fece altro
, che mostrargli le sue pianelle, ò tram- pani per la loro
grandezza, che appun- to allora si era cavati, i quali non erano
inferiori all'altezza della base di una co- longa. Sem. Fra
tutte l'accennate imperfec zioni, niuna mi darebbe maggior faItidio del fecore
del nalo, ò della bocca ; perche io, che sono dilicato, non potrete credere ,
che avversione ciò mi recherebbe; onde di questo , prima difpofarla, voglio
ben'accertarmi in vicinanza tale, che possa scoprirlo io medefimo. Pub. E
che ? forse temete, udendolo per relazione altrui, d'incontrare las bontà di
quelle donne, che redarguite, perche non avessero palesato il fetore della
bocca de loro mariti, effe rispofero ; che credevano , che tutti gl'uomini odorassero
in quella forma? D.Hier. in Jovin. Sem. Come si potrebbe fare per isco.
prire quefti difetti corporali occulti? Mec. Doverebbero palesarsi
reciprocamente alla prima, altrimenti, essen. do il matrimonio un contratto, vi
farebbe inganno, ciò non facendosi : E fe nei contratti delle compre de'
schiavi, ò cavalli, quando la frode fi scuopre, esli si possono riscindere,
così mi persuado, che sia in questo, cadendo-yil'inganno in cose essenziali
alla fecon- N dità; oltre poi, quando non si poteffc riscindere , quante
occasioni daranno di perpetui disturbi tra di effi fimili diferti.
Sem, [ocr errors][ocr errors] 3 Sem. Şi è dato mai il caso, che
siang palesati questi prima delle nozze? Mec. Molti esempj ci sono, e tra
gli alori, quello di Crate Filosofo Teba. no, cui portando grand'amore
Hipparchia, la quale aveva non inferior genio col Filosofo , che colla sua
doctrina , onde richiedendolo per marito, che, fece egli ? si scoprì il dorso,
cmostrolle la sua gibbosità; e di poi posto in terra il maorello, bastone, e
tasca , che 2veva, le disse: Signora, queste sono tutte le mie supellectili, la
mia defor mirà già l'avete veduta, onde considerate seriamente ciò, che fare
per non. avervene a pentire . La saggia donnarei plicogli, che aveva già
sufficientemen te proveduto ogni bisognevole, e confiderata ogn'altra
cosa, e perciò credeva, che più bello di lui, e più ricco non fosse nato al
mondo; onde che l'avesse pure condotta dove voleva , come sua moglie . Ed il
simile fece ancora nel discoprire la sua gibbofità il Padre di Sergio Galba a
Livia Occellina Daman mol per mo molto ricca, è bella, per
non ingannarla. Sem. Bisogna, che queste non credersero deformità
svantaggiosa la gobbas de’loro mariti , perche hò osservato i figliuoli di
cocefti molto diritti , e belli; mà vorrei sentir riferire qualche caso di
donna, che avesse scoperto all'uomo i suoi difetti. Pub. Vi fu una
giovane bellissima amata teneramente da un Gentiluomo, il quale avédola farta
chiedere glie , fi scusò ella di non poterlo compiacere, onde da simile ripulsa
s'accese di desiderio maggiore , per averlas; mà che fece la savia giovane,
vedendo , ch'egli non defifteva ? gli fe intendere, che lei medesima gli
averebbe palefata la cagione, per la quale ritardava di condescendere alle sue brame,
e c011"certato il luogo , ed abboccatisi insienie gli scoprì il suo petto
, e felli vedere un canchero , ch'aveva in una zinna, dicendogli,Signore,
questa carne, ch'è incominciata ad incadavcrirli voi amato [ocr
errors][ocr errors] ta [ocr errors][ocr errors][ocr errors] canto! Rinase
egli confuso nel rimira, re tale spettacolo, il quale frenò in gran parte
quell'ardente amore, che le portava's desistendo in avvenire di farla più
importunare. Sem. lo credea , che le donne non fossero facili a scoprire
i loro difetti, sarauno però rari questi esempi : Mec. Il simile credo
anch'io, e da ciò facilmente oasceranno molte contese cra mariti, e mogli ,
d'onde provengono i divorzj, e fe li palesaffero alla prima scambievolmente i
loro difetti, forfe che non seguirebbero; posciache essendune ainbidue
consapevoli, non li pom trebbero allora dolere, se non di loro medefimi.
Sem. Perche non si potrebbero fare ri. conoscere ambidue prima del matrimos nio
per meglio accertarsene? M26. Questo ripiego fu disapprovato, quantunque
lo aveffe proposto Platone; onde che fi dirà apportandolo you?' Evi pare, che
l'oneltà lo debba permettere? Appena le leggi Romane antiche tolle.
G [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr
errors] 98 Conf. 4. Dec. prima il rarono una tale ricognizione nell'uomo,
proibendola efprenainente nelle donne: e re Platone aveffe osservato cioccheri
feriscono Plinio, e Solino, che i cadaveri delle donne galleggiano sù l'ondes
con il ventre all'ingiù, e degli uomini all'opposto, cercamente, che averebbe
appreso dalla natura il documento di doverte, trattare con maggior onestà,
vedendoli naduralmente risplendere un non fo che di modestia in eile, anche
dopo morte. 1. Pub. A questo propofito lessi in Plufarco, con mią grande ammirazione,
ciocch'egli racconta di quelle Vergini Milelie, le quali , divenute pazze a
cagione d'influenza peftifera,che ivi vagava, erano forzate dal loro delirio a
morire appiccare, e questi spectacoli giornalmente fi trimiravano nella Città
di Mileto ; fenza che le preghiere, e le dagrimé de' genitori potessero
impedirli; solamente il contiglio di un Savio porè rimuoverlig. e fu di
procurare con decreto del Senato, che tutte quelle,che si sospendessero in
avvenire , forfero esposte nude in nezo alla piazza a vita di ogniiuno:Indusfe
nella fancatia di cucina te le giovani tale spavento, ufc4to sopra di ciò
l'editto, che manco affatto Porrido fpettacoto, aftenendoli age'unas in
avvenire di farlo ; perche concerioz per cola assai peggiore perfere veduta ignuda
, benche morta, che vestica ap. piccata . Med. Due altri fatti poffo
riferire anch'io di donne savie : Polisena fu unas di queste, di cui così ne
parla Euripi de, At illa jam moriens tamen Multum providit ,
ut honeftè caderet . Celaretque', que celare oculos virorum
oportet i Ed Ovidio ancora, nelle sue Metamor, foli, così dice della
medesima , Tunc quoque cura fuis partes velare, pudendas Cum caderet ,
castique decus fervare; pudoris ; E l'altra fu Olimpia madre di Alessan
dro il Grande , che trovandoli proffiina alla morte, con i propri capelli, e
vefti ricopriva ciocche l'onestà non permetteva - Acimirasle scoperto .
Sem. E chc G farà delle belle, delle ricche, e delle brutte, e povere ancora ,
come troveranno queste marito? Mes, L'udirete in appreso. [ocr
errors][ocr errors][merged small] [ocr errors][merged small] [ocr errors] Nella
quale si mostra, in che modo si maritino le belle,
le ricche, e le deformi quantunque
povere. Mecenast , Sempronio , Publio , & Medico. Mec.
A lunga sperienzando che hò del mondo, grá cose mi ha fatto conoscere
intorno a_matrimonjoli qua, li per essere contracti, come fu detto, hò
scoperto in effi ancora i suoi scnsali , conforme fono negli alori trafichi. In
quei fatti a doves re de quali già parlammo hò offervato sempre mezana la
Prudenza, la le non già di approveccia di alcuna fensaria per se medesima, come
sogliono qua, praticare gli altri sensali dc' matrimo. nj.
Sem. Quali sono questi altri? Meci Amore , l' Ambizione, e las Bugia.
Sem. Che fofle Amore sensale Ò, 'mezano de' natrimonj' lo sapevo anch? io; ma
questi alori mi giungono nuovi; e come mai l'Ambizionc potià trattare i
matrimoni? Mec. Vi sarà una giovane brutta ral. volca , e povera , c
perciò Amore l'averà abbandonata'; ma perche si trove rà umfratello, che si
potrebbe avanzare nelle armi, ò nelle letrere, che farà l'Ambizione? li metterà
a trattare il di lei matrimonio, e con motivi si efficaci darà ad intendere ,
che da quel mari. taggio, ne risulteranno vantaggi tali a prò di quel giovane,
cui la propong, che lo porranno in grandezze, edonorificenze molto
considerabili in breves tempo - Sem. Ma non li avvede, ch'ella è de
forme Mero Mec. In questo l'Ambizione s'inge. gnerà di non
fargliela comparire tanto brocca con mostrarli, che ci sono tante più deformi
di effe, le quali pure hanno trovato marito; e di poi gli caricherà tanto le
specie dell'apparence bene futuro, che arriverà ancora , quantunque. fyfle
brutiifiina a fargliela comparire vaga a segno, che lo farà divenire diella
amante. Sem. Ma questi sarà impazzito, se non diftinguerà ciocche a leoli
esteriori si fa palese. Mec. Credere forse voi,che solamen. ce Amore
faccia impazzire gli Orlandi? l'Ambizione ancora è capace di farlo; e questa
appunto è la sensaria, ch'ella brama: cioè di vedere fuori de'suoi sen. rimenti
anche gli uomini savj, e talvol? ta quelli ancora , che si stimavano capaci di
dare ottimi consigli ad altri. Sem, Ed Ainore, che fensaria ritraer da?
suoi maritaggi? Mes. Non altra ; che di vederli in brieve tra di loro
disgustati, essenda,che come si luol dire per proverbio; chi per amore si
prende, per rabbia li lascia. Sem. Ela Prudenza , che ne ritrae di
sensaria? Mec. Di vederli con perfecta pace tra elli, di sentirli dire con
Aufonio trai di loro : Uxor vivamus , quod viximus', dove teneamus,
Nomina, qua primo fumpfimus in than) lamo : Nec
ferat ulla dies, ut commutemur in Ævo, Quin juvenis
tibi fim, tuque puellas mibi. Sem. Questa per verità è un'ottima
fenfaria, che volentieri si può pagare da curti,e con fomino diletro.Ma
palliamo ora all’Avarizia ; com’enera questa nei matrimoni, vedendosi
introdottas oggidi tanta pompa , e splendidezza in elli , che pajono più costo
trattari', u regolati dalla prodigalirà sua nemica. Mec. Cosi non ci
cotraffe: : vedrete una giovane non solamenté bructa, ma [ocr
errors][merged small] anche mal sana , ricca però affai: e chi mai [poserebbe
questa , con cucce le sue ricchezze, se l'Avarizia non trattasse il suo
parenrado ? Sem. E come mai ella opera ? Mer. Si porrà d'intorno ad
un bel giovane, ma povero , e gl'infinuerà, che quel partito potrebbe farlo
divenia re molto riccbi e gli riempirà la testad fcema, che si ritrova, di
molte, ei molte migliaja di scudi; dicendogli , che potrà allora godere, e
stare allegramente; e susurrandogli qualche altra cosecca di più alle orecchie,
lo farà fare in tutto, e per tutto a suo modo; fenza che gli amici lo possano
più rimuovere con tutta la rectorica di Cicerone, e l'energia di Demostene.
Sem. Questi ancora mi sembra un paz-s zo. Ben è vero però, ch'è caso raro ,
effendoci fatto divenire dall'Avarizia i posciache i suoi seguaci non buttando
il loro non sono tenuti pazzi; conformea potrà contestare il Dottore', che
conos sce, che cosa fja pazzia, Mede [ocr errors] Med. Cilono però
diverse specie di questo male; laonde se non sono di quefta fpecie di di:Sipare
il loro gli Avari sa-, ranno di qualche altra; mentre alcuni di essi, per non
ispropriarli del danaro , divengono tiranni di se medefimi i ed inoltre, quanti
Avari vi sono stati, che per leggiere cagioni hanno dato la morce a se
incdelimi , e quetti di riputere: voi forse savj? e tornando al caso proposto,
à me pare, che per avarizia coftui spreghi il meglio, che si ritrovas,
ch'è appunto il fiore delli suoi anni, spofando una donna mal fana, e brutta .
..Sem, Che sensaria mai può guadagnare l'Avarizia in far questo? » Mer Ella
spera di potere acquistare tanti seguaci di più, quanti poveri arricchisce per
questa via, essendoche quando erano poveri, non potevano : cflere Avari, perche
non avevano mo-> do da cumulare i dove che arricchiti poffono averlo
.. Sem. Mà come potrà avanzare? dicendogli, che faute, che avesse il
pa. ren rentado, averebbe goduto, e sarebbe ftato allegramente , e
questo non si può tare da quelli , che vogliono cumula Meo. Voi non
capice il parlar equivoco dell'Avarizia ; ella non già intende il godere , e
stare allegramente dispendiofo , ma bensì quello di cumulare , creduto da efla
, e suoi seguaci piacere , e contento maggiore di tutti gli alori"; è ben
vero però, che in questi cali rimane ella fovente delusa ; posciache i giovani
dislipano tanto in tali occalioni, che bene spesso si pente l’A. varizia di
esservisi ingerita. Semi Com'entra la Bugia ne'matri. monj? Mec. In
quanti se ne fanno, senza le direzioni della Prudenza essa vuole-ingerirsi, e
per un verso; d per Palero ci vuole avere in questi la sua parte. 7 Sem.
Si dice però communemente, che la Bugia abbia le gambe corte, onde fi fcoprirà,
e non potrà perciò fare breccia. diri Mele 1 Mec. Non è così
perche non opera già sola. Se Amore per esempio trarre. rà un parentado, essa
pronta vi accorre, e si affatica tanto per fare apparire quel. la giovane , per
cui si tratta , savia, prudente, e di abilirà : ò quel giovane di costumi
angelici, e di abilità sommas; quando per verità farà tutto l'opposto.
Sem. Mà quelto in brieve si può scoprire. Mec. Prenderà ben ella il
contratempo, e quando vedrà che i genj, mediante Amore, saranno cominciari as collegarsit,
allora, ciocche ella dirà , sadà creduto per vero; nè fi pafferà più oltre per
iscoprirlo, quantunque fosse falfifsimo: lo fomina in tali occasioni la Bagia
si affatica tanto; che arrivò as dire un Filoloto, che s'ella non si ri-,
mescolaffe à questo segno si troverebbe per certo il mondo.più spopolaco
notabilinente Sem. E come ? e perche ? Mec. Popolandoli il mondo,
median-> te i matrimonj, quando questa non aju.taffe à farli, oh quanti di
meno ne le guirebbero! Onde per mancanza di effe molto fcemerebbe ; talmente
ch'essad lo mantiene cosi popolato . Sem. Non credo però; che abbia tanta
parte in essi, quanta voi dite. ) Mec. Ed io credo di vantaggio ancora;
imperciocche dicemi: nel mondo, quali sono più numerosi, i buoni, ò i
carrivi? Sem. Questo calcolo non so chi l'abbia fatto : ti dice bene da
pertutto, che gran parte in esso vi sia di cattivi. · Men E credete voi,
Sempronio, che questi trovassero moglie, se la Bugiai non ricoprisse i loro
vizja: Sem. Io credo di nò; Mec. Dunque non facendosi tutti questi,
che danno considerabile apporterebbero alla popolazione del mond? Sem.
Ditemi, che fensaria ella riceve ? Mec. Non altra, che di trionfare
allorche li scuoprono gl'inganni da efsa orditi; e li prende sommo piacere
del lc de discordie, e dissensioni, nate da ciò tra in
arirari. Sem. Oh che razza di gusti deprava Mic. Quéli appunto sono
i piaceri, che li prendono i vizj, non confiitendo in altro, che nel vedere
precipitato chiunque dura loro fede, e perciò non iè bene di prevalerli,
Sempronio, della opera loro in conto alcuno. -- Semi Mirpersuado , che la
Prudenza non tratterà fimili mariraggi, onde pochi faranno quelli, nel quali
effa s'in. trometterà : per efeinpio, se sarà bella da giovane, lascierà
trattare il suo pa. rentado ad Ainore, ed effa fi discolto. rà.
Mec. Non è così ; perche la Prudenza non è già tanto indiscreta, che odj la
bellezza, c fe vedrà, che colla beh - lezza ci fia unica anche l'onestà, ed
il buon costume, li tratterà , e concladerà infieme; ma quando poi fi
ávvedesse, che colla bellezza, questi non ci fossero, allora ne lafcierà la
libertà ad A mo more , che le marici a suo piacere : Sem. Mà
ci sono elempj di queste belle accasate dalla Prudenza? Pub. Tanti
appunto, quante donne helle hanno mantenuta la fede illibata) ai loro mariti; e
di queste Plutarco ne riferisce molte, parlando delle donne illuftri į
confessando ancora l'Ariosto nel canto 37. non esservene stata mai pea nuria di
esse, con dire: E di fedeli , e caste , e faggie , e forti Stare ne
fon, ne pur in Grecia, e ithead [ocr errors] Roms, Ma in ogni
parte, ove fra gl'Indi, gl’Orti Dell'Esperidi
il Sol spiega la chioma; Delle quai sono i pregi, e glonor mortis
Sì ch'appena di mille una finoma, E questo perche avuto hanno a'lor
tempi I Scrittori bugiardi, invidi , ed empji. lSem. E nci
maritaggi con ricche doti s'ingerisce mai la Prudenza , effendo disuguali di
condizione ? Mes. In questi ancora , quando ritrova, che amili ricchezze
fono venu te te per vic oneste;descritre così da Sene's ca de Vila
beat a cap.2 3. Nulli detractas, nec alieno fanguine cruentas , fine cujufquam
injuria parias , fine fordidis quæstibus, quarum tam honeftus fit exitus,quàm
introitus, quibus nemo ingemifcat , nifi malignus. E non scorgendo di mal
cofume chi le poflede, li conclude ancora; perche come mostró Platone į non
induce disuguaglianza disdicevole las fola disparita di condizione. Sem.
Quale farebbe questa disugua. glianza disdicevole? Mec. Sarebbe appunto,
se un nobile, per cagione della gran dote, volefse sposare l'unica figliuola
map educa. ta di un vile, e sordido arcista; l qual matrimonio non solamente
darebbe da dire a molti, ma ancora per lungo tempo sarebbe privo di potere
conversare con uguali, chi prendesse una fimile Spofa, Sem. Vi fuschi di
Te in fimile congiuntura, che de mormorazioni solamente per qualche tempo
duravano, mà chc che le grosse dori rimanevano per sem., pre; io
però non sono di genio si vile. Méc. Credo, che voi manterrete il decoro
di Gentiluomo,má replico bensis a colui, che punto non lo consideras :: che i
figliuoli ancora riinangono per : seinpre di somiglianti inclinazioni, e co.
ituini; essendoli osservato in molii, che hanno voluto canto digradare dalla
lo-> ro condizionc, con prendere per moglie giovani mal nate , e di poco
buon co-> itume', 'credirarsi da loro descendenti » gonj vili, c plebej;
cosa alai più dannoia , e pregiudiziale , di quello sieno le mediocri picchezze
nelle famiglie ile luftris onůc perciò il poeta Satirico conrra di questi
disle,....... 9. Scilicet expectas, us tradat mater boSo do neftosigilom
Aut alios mores, quam quos babet? E quell'altro anche canto Infequitur
leviter filia matris iter... Olere diche certi matrimonj fatti con tanta
disparità di condizione, se non, averà prudenza la moglie , riescono ang che
infaufti a mariti; come provò Fulvio, il quale avendo sposato una Ichigvå, fu
dalla medeliina tradico, denunziando ove egli era nascosto, csendo tra i
proscritti in tempo del Triumvirato ..., Sem. Vorrei anche sapere, fela
Pru-, denza tratti marrimonj didonne brurce, e ditettofe... * Mec. Questi
ancora maneggia , quando ci trova il suo conto; cioè a dire che quella da voi
creduta deformità non pregiudichi a fare figliuoli, nè alla pace
doinestica. Sem. Io mi perfuado, che la brut. tezza poffa ritardare
'ambidue ; perciocche, come si potrà amare una donna deforme e non amandoti
questa, come li potranno avere figliuoli, ed esserci la pace domestica di
Mec. Dovete sapere , Sempronio ; che due bellezze sono nelle donnc ; una delle
quali è di fola apparenza, e perciò viene detta eftcriore, e l'altra inter, Da,
la quale risicde nell'animo: la pri. [ocr errors] ma si rende inanifesta
ad og i uno, che Ja rimira; la seconda poi, quanto più si nasconde tanto
maggiormente risplende'; quale di queste due voi bramerefte, Sempronio, che
avesse il primo luogol nella vostra sposa ? Sem. Quella , che porelli
vedere, we godere insieme. Meci Questa sarebbe lefterna , che per breve
tempo la potreste vedere, er godere ; essendocche prettamente fier nisce,
venendo da' Poeti assomigliatas alla rosas Collige virgo rofas dum fos novus,
o nova pube's, Er memor efto , ruum fic properare tuum. Ed altri:
Rofa viget breve tempus, fi autem pra
terierit Quærens invenies.non rofas, fed fpinas. E
Seneca dinle Anceps.forma bonum mortalibus , Exigui donum
breve temporis , U velox celeri peide laberis : H 2 8.
Ed [ocr errors][ocr errors] Ed il Petrarca ancora così ne parla
Questo noftro caducong fragil bene, Cb'è vento ed ombra , ed ha
nome beliade. L'altra bensì, effendo radicata nell'ani. ino, non
languisce in alcun tempo; anzi che in certe contingenze fa vedere quanto opera
in conservare la pace domeftica. Vi potrei a questo proposito addurre molti
csempj; ma quello riferito da Enea Silvio della moglie di un celebre Medico
Sanesc fa al nostro propofito. Questa era molto deforme , nulladimeno, per le
fue rare viciù, l'amaya suo marito svisceratamente, chiamandola la sua buona
Ladiç; ed appunto d'onde possa ciò nascere lo spiega Lucrezio, dicendo : Nee
divinitùs interdum , Venerisque sagittis , Deteriore , fit ut a
forma muliercula ametur ; Nam facis ipfa fuis interdum fæminar factis
Morigerisque modis , cu mundo corpore cultu Ur fucile insuefcat
fecum vir degere vitam. Sem. Ma effendoci l'efteriore , per- · che non
potrebbero ancor' acquistare 1.1 bellezza interna coll'industria de’lo"ro
mariti? Moc. Onanto siete buono, Sempronio, che vi volete affaricare in
merte, re "il giudizio, ove non sia ; e non sapite, che fin'ora non è
bastato l'animo ad alcuno di porcelo: bisogna pregare Iddio, che non vi
abbarciate in caluna, che penurj di effo; perche altrimenti è tuito tempo
perduto quello, che s'impiega per farlo entrare, ove non sia. Pub.
Sempronio procurare di grazia di stare cautelato; perche questa bellezza
esteriore, che voi tanto bramare, fi uniforma alle volte a quella dei tempi
degl'Egizj, ch'erano belli di fuori, e e brunti al di dentro : oltre di che
apprendere questo utiliffimo documento da S. Girolamo : non facilè cuftodisor,
quod omnes amant, O in quo totius popu. li vosa fufpirant; e canto
maggiormen te , [ocr errors] H 3 .te, che il Nazianzeno la
chiama : temporis, & morbi ludibrium : Santamente, dunque l’Ecclesiastico
dice: Ne respicias in muliere speciem, nec concupiscas mulierem in
fpecie. Scm. Coinc fa la Prudenza a conosce. re, che questo giudizio vi
lia, ove law bellezza non regna? Mec. Lo comprende ben ella allorche
rimira una giovane modesta , circospetra nel parlare, non curiosa, ftabile,
attenta , ed applicata a fare ciocche dee; onde la reputa perciò giudiziosa; mà
le poi la scorge incostante, disapplicata, curiosa', garrula , c vana , que.
Ito le basta per crederla imprudente, c non fi prende penfiere alcuno di
essa. Sem. Ho udico raccontare più volte, che alcune giovani pri na di
maritarsi fieno ftatc tenute per giudiziose, e prudenti, ma che poi fattefi
(pose sieno diveoute l'opposto di quello, che dianzi erano reputate , per avere
sciolta labri. glia a tutti quei vizj, che tenevano ce.Mec. Bisognerebbe con esattezzas
esaminare, per colpa di cuilia ciò provénuto , se di effe, o de i loro mariti;
u se fi rincontraffe , che avessero in ciò peccato i mariti, sarebbero esse
degne di compaffione, dovendo come subordinate regolarli secondo quello, che a
medelimi vedranno operare; potendo ancor esse scusarfi, come fecero le don. ne
Ebrce allorche furono riprese, perche fagrificavano nell'Egitto, le quali
dillero : Numquid fine noftris viris fecimus? fer: 44. Sem. Come Opera la
Prudenza per concludere fimili matrimoni? Mec. Primieramcnte con fare
riflettere al giovane, che brama di accasar fi, quale sia il fine
principale del matri,-monio , cioè per ottenere figliuoli, o che questo non fi
orriene mediante los bellezza, ma bensì per la sanirà del corpo;: onde che non
debba quell'anceporsi a questa ; ficcome ancora cons fare confiderare i danni,
che potrebbe qucla bellezza ofteriore apportare [ocr errors][ocr errors]
mariti, li quali provò appunto Uria per la bellezza di Bersabea ; ed Abramo
uomo saggio per isfugirli, che cosa facelle, avendo Sara per moglie, donna.
belliffima , allorche dovea andare in E. gitto, e fu , Gen.12. Novi quod
pulchra fis mulier, & quod cum viderint te Ægyptii di&turi funt : uxor
illius eft, interfcient me, o te refervabunt : dic ergò obfecro te, quod foror
mea fis &c.: Eche quando simili infortunj, non accadersero per cale cagione
, potrebbero per altro succedere dicendo Leucippo:che la bellezza sia una
saetta, la quale ferisce con maggiore velocità di quellow, che viene scoccata
dall'arco : e Ciro che debbali più temere questa, del fuoco, il quale non
offende in qualche distan. za conforme fa la bellezza; insegnando
l’Ecclefiaftico al 9. Propter Speciem mulieris multi perierunt , & ex bac
concipifcentia quafi ignis exardefcit : oltre di che gli farà ben capire, che
non solamente,egli viventesquefta polsa danneggiarlo , ma cziandio clinto che
sarà , c CON [ocr errors] con qaciti motivi lo ani nerà a scize
glierti per inoglie più costo la laggine, che la bella. Sem. Mà come dalla
moglie belles potrà strapazzarli il maritu defanto? Mec. Lo comprenderete
dal seguente avvenimento riferito da Petronio Are bitro. Dimorava in Efeso una
Matrona, non meno bella, che stimata da tutti di fomma pudicizia ; ed essendole
morto il inarito, non solamente dirottitfunamente lo pianse, mà, accompagnatolo
al sepolcro, delibero volere ivi termic nare la sua vita con esso ; nè fu
porabile, che i parenci , anzi il Magistrato stesso la potessero rimuovere
daral penfiero. Già sofferri. avea cinque giorni di rigorosa astinenza, quando
un sol. dato, il quale cuftodiva alcuni cadaveri de ladri, ch'erano stari,
giustiziati vicino a quel sepolcro, si avvide di notte, che usciva un cerro
lume da unas contigva casetta , ed udiva insieme ivi piangerl ; vi accorse , cd
animalo vi entro, e calato che fu dove si piangeva, ap [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Conf. 5. Dec. prima appena vedute due
donne'appreffo ad un cadavero, sen tornò in dietro a prendere la sua poca cena,
e ritornato che fu, cominciò a consolarle con offerire loro quel poco di
ristoro, che feco portato avea. La più addolorata , la qual'era la sudetra
Matrona non mostrò punto di gradire le cortesi esibizioni del feldato, anziche
più costo'raddoppiava ischiamazzi con svellersi i capelli, e percuoterfi
maggiormente il perto : non si perdette egli di animo per questo , ma fi
accosto all'altra, ch'era la fervente , offerendole cortesemente il vino, che
avea ; ed ella non fi moftro canto ritro. fa; posciache'riftoroffi con quello,e
guftò ancora il cibo'; ed indi si pose ad efpugnare la pertinacia della sua
padrona, e tanto le leppe dire, che alla fine la vinse, eristoroffi anch'ella.
Vedendo il soldato, efferli renduta in questo, passò più oltre', e coll'ajuto
della fervente gli riusci di prenderla per moglie, non dispiacendo alla vedova
l'aspetto del fudecco giovane ; ¢ ciò fu concluso frete [ocr
errors][ocr errors] frettolosainente . Dimorarono tre gior- ni in decto
sepolcro i sposi, uscendo ap- pena di noite tempo il soldato a
prove- dere ciocche faceva d'uopo per alimca- tarsi tutti. In
questo montre da' paren- ti degli appiccati fu portato via uno di
quei cadaveri , ed avvedutofene il sole dato lo palesò alla sua fpofa
tutto con- tristato ; dicend le, che non era coave- niente di
aspettare la sentenza del giu- dice , essendo egli incorso nella
pena di vita , per la sua trascurata custodia ; on. de che gli
avesse pure preparato il luo. go per fepelirlo allieme coll'altro suo inarito,
essendo egli già disposto a darli la morte . Ciò udico, la compaffionevole
donna rispose: non sia mai, che io abbia da vedere due de' mici carifli.
mi mariti, defonti nel medesimo tempo; desidero più costo appiccare il inorto,
che di perinettcre, che il vivo perisca: deh prediamo questo cadavero,e
collo? chiamolo, ove manca quello del ladro. Ubbidi prontamente il
soldaco ; e nel di seguente cucco il popolo f maravi. Conf. s. Doc. prim.
gliò, coine inai quel njorto, così teneramente pianio, fosse stato posto sopra
un paribolo: Sem. Talmente che saranno tutte finzioni quei gran pianti, e
schiamazzi, che fanno le donne vedendo morti i mariti? Mec. Per lo più
cosi credo anch'io ; perche, non avendo queste la prudenzas virile, con
faciliià grande fi pongono as piangere, ma noui tono già così gli uo. mini
. Pub. Voi mostrato di non avere letto Filostrato in Sofijt.: il quale
raccontas ciò, che fece Erode il Sofista nella morte di sua moglie, ch'è questo
appunto. Non si contentò egli di averla pianta dirottilmamente, stando anche
sopra terra, ma volle continuare a farlo tutto il rimanente di sua vita : e
come se le inura della sua casa pocessero essere as parte del suo dolore, le fè
tutte vestire di bruno, e la sua casa fu dall'alto al barlo così bene dipinta a
color nero, chu rendca gränd'orrorc: inoltre volle, che tutti quei,
ch'erano al suo servigio fof. sero mori, o per natura, o per arte: cgli stesso
si fè cignere co’carboni il vol. to, per portare ancora in fronte la di. visi
del suo dolore. Tutti i suoi mobili anche i piatii, e bacili', ne' quali li
lavava crano neri . Passò del tempo in questa bizaria, senza volere udire alcu.
no di quei, che volcano persuaderlo a cambiare risoluzione. Lucio, che gliera
amico, gli aveva più volte parlato di questa materia, mà senza frutto; allas
tine una sola parola di scherzo lo guada. gnò. Le sue serventi lavavano un
giorno alla fontana certe rape; le vide Lucio , e domandò , fe quelle doveano
servire per la tavola del loro padrone, il che affermarono; se ciò è cosi disse
Lucio ; riferitegli da mia parte, ch'egli fa un gran torto alla sua moglie, e
che non dee mangiare rape bianche in casas vestita tutta di nero ; onde che si
era infinitamente maravigliato , com' egli non riparasse a cosi grave
disordine, dovendo il suo bere, cd il suo mangia. [merged small][ocr
errors][ocr errors][merged small] TC re essere vestiti come lui di
gramagliw; ed a queste parole cominciò ad aprire gli occhi, per vedere, e
riconoscere le sue stravaganze, e questi era pur Filosofo non già donni !
Sem. Iftruitemi di grazia meglio sopra i matrimoni, fatti senza l'intervento
della Prudenza, per non cadervi. Mec. Nella: ventura conferenza vi
consoleremo. [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][merged small] 100, avendola me CONFERENZA VI. 6'1 Nella quale si
esaminano più distintamente i pregiudizj', che risultano dai matrimonj farci
fenza in l'intervento della
Prudenza. Sempronio, Publio , Mecenate © Medico 6,156
OL Uanto mai mi ha contriftato la storia riferita della cru. dele donna
di Efe. fo glio considerata . Pub. Non bisogna sgomentarsi, Sempronio ,
per fi lieve cagione ; perche. primicramenre chi fa , le veridico lia tutto ciò
, che in esta si racconta parendoini molto inverisimile , che li di lci
parentis cd amici l'avessero del cute [ocr errors] to cata, avendo,
oltre i natali, Giulio s 1981 Conf. 6. Dec. prima qualche
concerto maggiore, per lo sviscerato amore mostrato verso suo marito; oltre di
che, chi potrà mai credere, che una donna, i dopo efsere stata cinque giorni,
con tanta attinenza, poreise pensare , non che effettuare ciò , che fi lppone
facesse : e poi, quando' realmente fosse ciò foguito , vi posso riferire
moltissini esempj dimogli fedeliflime, le quali o per vero dolore sono morte,
quando videro i loro consorti estipfi, è dettero chiari atteftati del loro
fincero , e costante amore. Laodamia fù una di queste, la quale mori di
cordoglio sopra il çadavere di Protesilao fuo marito , ucciso da Etrore. Ed
Artemisia a che segno amò le ceneri di Mausolo suo marito , che fin volle ,
stemprate tolle sue lagrimc, dar loro ricetto nel suo corpo ingojandole a poco
a poco! 'E finalinente, per non diftendermi di vantaggio nel riferirne inolte
altre : Peponilla moglie dime riferisce Xitilino, sotto l'Impero di Vespasiano,
aon visse nove anni con suo marito dentro un sepolcro, ove diede la vita a due
figliuoli? e questa lo tenne lontano dal supplicio, per quanto le fu permesso,
non già ve lo mandò. ? Sem. Tutto va bene; ma però, che una donna, dopo
tante lagrime sparse per suo marito, l'abbia esta condannato al patibolo, mi
pare grave, e detestabilc facro; posciache, se non amava quel cadavero, à che
fine bagnarlo di tante lagrime? e se poi l'era ficaro, come mai ebbe tanto
cuore di fare un' atto si crudele contro di esso, feuzan averle data occasione
alcuna? Mec. Quell'iniqua fantesca fu la cagione di tanta fceleratezza;
impercioc" che la povera padrona, dopo cinque giorni di dolorofa
inedia sofferta, non trovando dalla morte pietà alcuna in voler porre fine ai
suoi cordogli, e vedendosi imporcunara dalle preghiere di essa s’induffe à
prendere quel poco diria ftoro', offertole non già da pareoti , che
I l'ave [ocr errors][ocr errors] l'avevano abbandonata, mà bensì da
un cftranco, che fu la ruina della sua réputazione, perche chi d'altrui preode,
se Iteffa vende. Sem. Mà come! nc anco dentro il repolcro è sicura la
pudicizia , ed allas prcfenza del marito defonto! Mec. Diceva il Re
Filippo, che non era inespugnabile quella fortezza, ove fusse potuto entrare un
mulo carico di oro; e voi credere sicura una donna bella, guardata da una sola
fancesca in luogo remoto ? quando trovandofi già languida è affalita da un
soldato armato, giovane bello , ed avvenente , ristorandola col cibo ,
adulandola, e lusingandola insieme con dolci parole. A queIto proposito cade in
acconcio il proverbio di Salomone. Mulierem fortem quis inveniet? E tanto
inaggiormente, quando il marito giace estinto, e per. ciò nè può correggerla,
nè punirla. : Sem. Queste ragioni non mi appaga. no punto, onde per non avere a
cadere in fimili infortunj , bramerei che voi con [ocr errors][ocr
errors] con la vostra solita ingenuità mi scopriIte molti altri pregiudizj, che
potrebbero nafcere , non avendo la Prudenza parte uc'maritaggi ; e perche avete
voi conversato molto in yostra gioventù , vi sarere incontrato facilmente in,
più contrasti nati tra i mariti , e mogli. Mer. Gli hò uditi certamente
fpefso riferire , e letti ancora ; e quantunque non li abbia provati, per
essere vivuto libero, con tutto ciò sono appicno informato di molciffimi
avvenimenti in fimili materie. 1 Sem. Or dunque, in quelli fatti per
opera d'Amore, senza intervento della Prudenza , che vi avere offervato di
inale ? Meo. Ne hò veduci tanti di questi principiare bene, ma poi
cambiare in un tratto la bella apparenza, ed allas fine rerminare infelicemente
ancora . Sem. Come cominciali bene, e poi mutarfi? fe: Chi ben
comincia , bà la metà dell'opra? Mec. E pur così è seguito ; impera
cioc [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors]
I 2 ciocche alla prima, in quel fervor di afferro, la sposa era tenuta in
pianta di mano; ma appena intiepidito questo de qualche lieve cagione mutava
faccia il tutto, e quel grand'amore in breve pafsava in noja, ed alla fine
questa si avanzava al dispregio. Quindi è che l’Ap. piense disse: 174 Ef modus
, dulci, nimis immodera ta voluptas Tædia finitimo limite semper babet :
Cerne nouas fabulos rident florente colore
Piet a, velut primo vere coruso at bumus, Cerne diu tamen bas, hebetataque
lumi- na fleetas, Et tibi conspectus nausea
mollis erit. Pub. Voi, Sempronio, avete lascia. to il meglio,
cioè, Non si comincia ben se non dal Cielo. E credete, che facendosi il
matrimonio per opera d'Amore senza l'intervento della Prudenza, sia esso
cominciato dal Cielo ? Sem. E perche no, avendol per fine la la
conservazione della propria specie ? Pub. Il fine è fanto, ma il da voi
proposto mezo, per conseguirlo , non è buono;non dovēdosi ricorrere ad Amore
per farci conseguire una buona moglie, ma bensì a Dio, conforme c'insegna
Salomone : Uxor prudens à Domino · Sem. Per quali motivi si avanzano di
poi al dispregio? Mec. Per molti ; lasciando in disparte l'interesse
della dote (molto tenue per l'ordinario nelle donne belle) promessa, e per lo
più non pagata; che suole frea quentemente turbare la pace domeftica: Il primo
de' quali è il dominio, che vuole acquistare la donna bella sopra il marito;
imperciocche come vuole Mcnandro : Superba res eft pulchra mulier: E
pretenderà per giustizia di poterlo efiggere mediante il favore , che gli hà
fatto di prenderlo, essendofi veduta vagheggiare da tanti altri, che la
bramavano per inoglie. Il secondo sarà la gelolia, che apporterà tra loro una
continua guerra.... Sem. Come la gelosia, essendosi pre . fi per
amore? Mer. Amore medesimo , che li uni, per prendersi di elli diletto,
s'ingegnerà di suscitarla ; e per promoverla, ba. sta, che faccia concepire ad
un di effi un minimo sospetto di essere passato in altri quell'affetto ,
ch'egli godeva intiero; non essendo altro la gelosia al parer di Cicerone , che
: Ægritudo, 6x quod alter quoque poriatur co , quod ipse concupicris, e come
questa operi uditelo dal Taffo N'arde il marito, e dell'amore al
fuoco Ben della gelosia s'agguaglia il gelo, E va in guifo avanzando
a poco , a poco Nel tormentato petro il folle zelo , Che da ogni
uomo l'afronde in chiuso loco; Vorria celarlo a tutti occhi del
Cielo. Sem. Mà questa Publio potrebbe anche nalcere, quantunque la
Prudenzas avesse avuto parte in detto matrimonio, Pub. Difficilmente, essendo
che aves reb [ocr errors] rebbe ella saputo scegliere una donna
saggia , che avesse colte fiınili ombre, quando fossero nate nella mente del
marito, senz'occasione alcuna , e che non fosse ella stata capace di
suscitarvele. Sem. E come potrebbe far questo una donna? Pub.Con
fuggire ogni eccesso di vanità; insegnando S. Crisostomo nell’onilia 21. al
popolo : Ornatus Zelotypia fuSpicionem ingerere folet; cd in appresso, che ;
modeftia ornatus omnem improbar fufpicionem expellis, omni autem vinculo
formius conjugium conciliat. Sem. Vi sono casi seguiti di donne,
ch'abbiano usata tanta prudenza? Pub. Certamenre , che ve ne sono molti
antichi, e moderni ancora: tra gli antichi , la moglie di Focione , di Trajano
, & Alpolia moglie di Ciro, e di Arcasserse, e tra moderni. Madama di
Chantal, come scrive il Padre Cordier uclla sua famiglia Santa , fu unan di
quefte; posciache ella non G vede.rs giammai meglio vestita , che quando
[ocr errors] doveva trattenersi col marito; se doveva egli andar fuori, e fare
qualche viaggio, non ornava mai il suo corpo, che quando cia di
ritorno : le fu detto un giorno, troyandofi lontano da molto teippo il Barone
suo marito: Madamas ogn'un crederà , ch'abbiate vendute le vostre velti, ed i
vostri ornamenti, voi non li fate più comparire, come se dubitafte, che da
alcuno dovessero esservi rubati: non mi parlare di questo rispose ella ,
pofciache gli occhi , a' quali devono piacerc,sono cento leghelungi di quà.
Riferisce anche il medesimo, che la Ducheffa di Gandia Vice-Regina di Catalogna
avesse una somma modederazione nel yeftiré, non curandosi di portare abiti di
fera , nè con oro. Una delle sue confidenti prese parimente un giorno ardire di
così favellarle: Madama di altro non discorre per tuttas questa città , che della
riforina de' vostri abiti, pare', che sempre voi diveniate di minor condizione
di quella, fiecc Aata ; più vi fi accrescono beni di for [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr
errors][merged small] fortuna, meno ve ne service ; cui rispose:2 ine non dà il
cuore di portare nè seta, nè oro, quando il mio marito vas sempre ricoperto di
un'aspro cilizio , ed in questo anche riflettere, quanto operi il buon'esempio
del marito, per frenare la vanità donnesca. Sem. E quelli, che tratta
l'Ambizione senza l'intervento della Prudenzas, che fine fortiscono? Mec.
Pellimo, stante che, non verificandosi punto quanto s'era da essa promeso, li
riinane con moglie deforme, ed indotata ; e di vantaggio ancora, è con molti figliuoli
sulle spalle ; ed alle volte ancora privi di elli', senza speranza di poterli
ottenere, per la poca falua te di fimile consorte . Sem. Se vi avesse
avuto mano la Prudenza, come si potevano fuggire queste disgrazie ? Pub.
Avcrebbe con maggiori cautele questa consigliato, cfaininando atcentamente, che
fondamento potevano avere le milácate speranze; ç rinvenute le [ocr
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le acree, ed insuffiftenti, averebbe dilsuaso più costo, di effettuarlo ; ò per
la meno nella dubietà di cffe averebbe assicurato meglio le buone qualità
dellas donna, affinche'andando le speranze a male, fosse piinasto questo di
certo : di aver una donna prudente in casa,la quale quantunquc povera , come
vuole Salomone. Sapien's mulier edifcat domum fuam. Ne averebbe già permesso a
Tiberio, che avesse sposato Giulia, las quale oltre il disprezzarlo, come non
uguale a lei; ci faceva lecito di vivere a luo piacere; conforme riferisce
Tacito nel primo de' suoi Anoali. Ne tampoco Silio averebbe sposaro Meffalina,
vivente Claudio, se la Prudenza vi forse intervenuta:nè già di Claudio
Mellalina sarebbe stata conforte. Sem. E li matrimonj fatti dalla solas
Avarizia, che danni possono apportarc? Mec. Maggiori di quello, che vi
potrete mai perfuadere; posciache in tali casi non li sposa già la giovane, mà
bensi la dote i mercè che : veniunt à dote;di fagitta ; onde considerare voi,
come ella ella sarà trattata dal marito, e che amoal re le porterà;
quando l'affetto non è inndi dirizzato alla moglie, ma bensì tutto
alinero interesse ; ed avvedutali effa di E essere posposta ad una cosa
inanimatas, che dirà, e farà mai, troyandosi ricBt ca ? Sem.
Bisognerà ben, che soffrá , I ftia focto l'ubbidienza del marito .. 1 Mec. Voi
fempronio non avere letto Anafsandro , e perciò parlare in cal # guisa ,
il qual dice, Si quis pauper pecuniofam uxorem 1 Duxerit, non uxorem ,
fed dominam habeti [ocr errors] Cujus eft famulus , de
feruus ; E credete forse , che quancunque paja- no fortunati
coloro, che prendono grof. u se dori, realinente siano sempre? Oh quanto
sono infelici ! come conobbs o anche Menandro con dire : Quisquis uxorem
unicam heredem cupit adfcifcere Divitem ,is vel irasis pænamluit
Diis, Vel inf. lix effe vult s-sub nomine for tunati. Sem. Gran
cose si dicono da questi poeti, che fono favole; lo vedo, che le grosse doti
arricchiscono le cafe. Meca Li poesi son chiamati Vates da’ Latini, qual
voce significa anche indo. vino, ed in questo ho osservato , che per lo più
l'hanno indovinato; oltre di che tra efli vi sono stati Filosofi celebri. Io
non nego, che qualch’uno prendendo groffe doti Gi sia potuto arricchire;
essendosi però incontrato con moglie saggia; mà quanti li fono finiti di
fpiantare per questa medesima cagiore, elsendosi abbattuti in mogli
imprudenti? Sem. E come ciò può accadere, prendendofi quantità grande di
danaro in fimili matrimoni? Mec. Per questo medelimo segue;po. fciache
addolorato diceva Demenao. Argentum accepi ; dote imperium ven didi.
Laonde, comandando esse , sono capaci di darli fondo, con difsiparlo in
bre ale fon ve tempo.; ed eccovi appunto il guadagno, che si ricava
da effe. Sem. Questo però seguirà , quando di incontreranno mariti, che
non sapranno farG ubbidire. Mec. Porrà accadere agl'altri ancora dicendo
Giovenale; Intolerabilius nihil eft , quam fæmina EI dives, i Ed
andare a cozzar con queste ? andate le a riprendere; ed affinche Gate
meglio informato ; udite ciocche dice a questo & propofito
Artemone, fazio, ut fcias Quid periculi fir dotata mulieri convi
cium dicere. Si potranno con facilità maggiore reg. gere bensì quelle, che non
averanno portata dote, come si ricava da un detto greco: Sponfa indotata non
habet libertatem, fiuè audaciam loquendi. Sem. Questo ardıre lo potranno
avere forse le belle. Mec. Lo hanno le brutte ancora re [ocr
errors][ocr errors] fa [ocr errors] saranno ricche , e superbe , come
vien riferito da Gellio , Me miferum, qui Corbulam duxi , & talenta
decem Nanam , mulierculam, cubitalem, cujus Superbia adeò intolerabilis
eft! Sem. Ed in che cosa potrà gettare il fuo la moglie, dovendo essere
soggetta al marito? Mec. Chi è ricca, come abbiam detto, non vuole stare
soggetta ad esso; onde vorrà spendere a luo modo : se vedrà, che una sua uguale
condurrà tre servitori, ella per la sua grossa dore, pretenderà condurne sei,
bramerà anche gli abiti di inaggior valuta; Carrozze più nobili, e suntuose s e
vorrà effe. refrattara in tutte le cose con magnificenza superiore alle altre;
e se il marito non si troverà commodo di farlo, elibirà cfla medesima la sua
dore , per fupplire a quanto bisogna ; e durando molto que, fta vita , anderà
in malora la dore , con tutto il capitale del inarito . Or vedete , che fortuna
s'incontra nel prendersi grof. [ocr errors][ocr errors] is grosse
doti, e che svantaggi ne riceveranno da questa anche i loro figliuoli.
Sem. In questo io vorrei mostrare spirito, e farla fare a mio modo. Pub.
Vi voglio riferire un caso a quefto proposito assai curioso ; Una certas
giovane, che si trovava ricca dote, la prima sera , che cenò col suo marito ,
non volle gustare cosa alcuna , e ftando in tavola molto contristata, le fù
domandato ; da che ciò provenisse , e qual occasione la rendeffe così meftas,'
ella rispose; come volete, che io man. gi, se non vi è l'uomo nero, che
ini ser1 va in tavola ; e non hò piatti d'argen , proporzionati alla
dote, che hò portata : il marito le rispose, che nel giorno seguente averebbe
fatto trovare più d’un uomo nero, i quali l'avercbbero servita , come
desiderava : fec'egli comparire nel tempo del delinare due mori ben neri ,
acciocche la servislero, s'icfierà per tal cagione la giovane a segno, che si
levò di tavola , e nacquero da ciò infiniti disturbi tra di elli,onde vedete
voi, Sempronio, che vantaggi risultano dall'essere risentito in fiinili
contingenze: bisogna pregar Iddio, che la moglie ricca, sia ricca anche di
senno, aliriinenti la casa andrà in malora , quantunque avesse portato il
doppio di dote. Sem. Hò udito sempre dire, che las metà della dore non si
possa alienare, e che li fidecommiffi rimangono sempre in piedi; come dunque
potranno seguire l'accennati dilapidamenti? Mec. Il lusso però oggidì hà
usurpato il privilegio di poter alienare ogni reliduo dotale, e di svincolare
ancora ogni più stretto fidecoaimiffo . Sem. Mà in che modo?.. Mec.
Si fingono pericoli di case, che stanno per cuinare, e per tal cagione di
toglie ogni più stretto vincolo, posto sopra i capitali: mà passiamo ad altro,
perche questa è materia molto lagrimevole. Sem. Talmente che a derro
vostro re alla moglie ricadesse quaich'eredità; con [ocr
errors][ocr errors] converrebbe rinunziarla, per non incorIf rere in fimili
fventure ? Mec. Muta faccia il cafo ; perche la moglie, ch'è vivuta
qualche anno col marito, trovandosi molti figliuoli, ed a vendo già passato
quei primi fervori del. le nozze , ne' quali si spende molto, non averà genio
più a dissipare, ed effen• dosi assodata nel governo della casa, se pur
farà qualche sfarso di più , sarà con i moderazionc , e proporzionato al suo
Itato, Sem. Or io ho capito, come si abbia da scegliere la moglie, che
sia di tutto proposito ; cioè nè povera , nè riccas, e che abbia più cervello,
che bellezza, acciocche non si abbia da dire di essaie : quello mi fu
raccontato una volta, che dicefle la scimmia , effendo entrata nella
bottega di un arteficet, che lavorava modelli di cera, ove prendendo nelle
inani una bella cesta, dopo di averla ac carezzata, e baciata, mettendo
den| tro di essa la mano, c trovatala vota gridò: Oh che bella gefta, mà
de manca il cervello ! K Pube [ocr errors] Pub. Or sì, che
voi la capite per il suo verso; e scegliendola di questa forta allora sì, che
farere forçunato, e potrete dire di avere presa una grandislima dote , conforme
è succeduto a me: evi voglio raccontare ciocche ini seguì nel tempo , che io
era sposo : mi fù domandato da un mio, amico, che dote io avca ricevuto, e
trovandomi sodisfatto delle buone qualità della mia compagna , gli rispofi ;
che credeva di aver ricevuto cento mila scudi ; rimase egli ammirato , sapendo
, che io non eras folito di milantare le mie cole, nè fimile dote fi costumava
allora, folamente mi replicò: in che corpi li avete ricevuti? cui soggiunfi, in
contanti dieci mida, ed in giudizio il rimanente ; egli di pose a ridere; cd io
non ho avuta sin ora occasione alcuna di contristarmi di ciò. Sem.
Desidererci ora sapere, che altri miali, poffa apportare la Bugia , concludendo
etsa il matrimonio? Mec. Se lo-traria di passaggio , non suolo apportare
danni molto conlidera 1 i bili; mà se poi s'interna nelle cose
cffen ziali, guai a chi si fida di essa ; pofciache se ricoprirà i
mancamenci d'una donna impudica a segno, che quel povero uomo, che la vuole
sposare, la creda una casta Penelope ; effettuandolo diverrà infelice; e se
vorrà fare com parire le ricchezze dello sposo affai e maggiori,
s'ingegnerà ben ella di pro: curarlo, e con infolite maniere : che non ha
fatto a giorni nostri in fimile afa fare! e arrivata fino a fingere le note
dell'avere, nelle quali vi erano regiftra ti molti crediti fruttiferi ,
senza il no* i me de? debitori; con pretesto, che si celavano questi ,
perche , essendo fiignori di qualità, non volevano essere nominati; e
nebanchi ancora non è arrivata a fare apparire grosli depositi in faccia
di Tizio', i quali erano mere imei prestanze, che nel dì susseguente tor
navano a credito di Sempronio suo vefo posseditore? Sem. Bisognerà dunque
vivere molto caurclaro'nci trattati de matrimonj,per K 2 non
[ocr errors] non essere dalla Bugia tradito sin Mer. Udite di più : se
una poverad giovane sarà ingannata da esla's facendole apparire il suo futuro
sporo ricco; che tenga carrozza; si trovi las cafa ben fornita di preziose
suppellettili, a segno che le faccia credere che quel partito sia una gran
fortuna; cadendo. vi in effettuarlo, in un tratto si avvede. rà, che il cutto
fù mera apparenza; pois che appena consumato il matrimonio, sparisce il palazzo
incantato di Armida, e li cavalli, o carrozza tornano al fuo padrone ; : e per
vivere conviene dar di mano alla sua dore, trovandosi il mari10 fpiantato. Vi
voglio raccontare una storiella, nella quale scoprirete l'astuzia usata da uno
di questi miserabili,che con inganni giunse a sposare una ricca giovane. Se ne
stava egli nel giorno fta. bilito per le nozze penlierofo , e mesto, a segno
che la Suocera si mofle a domandargli cosa egli aveva; cui replicò, che
certamente non aveva cosa alcuna ; fco. perte, che furono di poi le fue
miseric,G dolse leco la medesima, ch'era statas da esso ingannata ; replicò il
ribaldo: fignora lei si ricorderà benissimo, che's io le diffi nel tal
giorno, domandando i mi cosa io aveva, che niente le replicai? che
occasione dunque ella ha da dolerlei dime , se le palesai la verità, con
dirle', che nulla avea. Sem. Accadono questi cali? Mer. Cosi non
accadeffero, anzi ve ne sono de'peggiori ancora. Sem. E quali sono
? Mec. Volendo la Bugia accasare un giovane deviato, che farà? comincie.
rà a lodare il suo buon costume, la sua modeftia, a fegno, che lo farà
compa0 rire in iftato d'innocenza cadendo las povera fpofa a
credere questo, tuttaa allegra acconsentirà, non solamente al
matrimonio, mà sicuramente ancoras converserà seco; non dico altro,
che in breve diverrà un cadavero, median- tc i quel malo
;-col-quale l'averà mal concia. Şom. Sono vesiquefi
cali, Dottore? Med K 3 Med. Accadono, e non di
rado;quando però liamo avvisati in tempo, diamo loro il suo rimedio ; ma
allorche il malfattore vuol fare da Medico., la finisce di stroppiare con quei
secreti, che talvolta averà egli in se medelimo provati , i quali applicati in
una compleffione gentile, essendo rimedji mercuriali, potranno in vece di
giovamento apportarle danno notabile. Pub. Questi pregiudizj tempo fà non
seguivano; imperciocche, se allora cal uno cadeva in fimili mali, îi faceva
prima curare , e risanato, ch'era perfertamente prendeva moglie. Sem.
Talmente, che questa Bugia ne matrimoni cagiona danni molto confiderabili,
ond'io procurerò di tenerlas lontaga allorche tratterò il mio
accalamento. Mec, Bisognerà, che stiáre però molto avvertito; posciachc
comparirà travestiça; e sotto specie dį verità per ins gannarvi. Sem, Io fona
un bell'umorcänon cres derò 1121 N derò allora all'istefa
verità, per non di ingannarmi, giacche la Bugia fi vestu dei suo manto.
Mec. Alla verità conviene prestarlo d fede in ogni tempo, mà però vi è il
modo da discernerla, quando cssa sia pura , ò simulata. Sem. E
come? Mec. Quando voi vedrete ingrandire le cose assai più di quello ,
che fieno ve. risimili, ivi ftà nascosta la menzogna, e datele la tara di due
terzi meno di quello vengono rappresentate, che così di poco sbaglierete. E se
vedrete poi in alcune altre ufarsi artificj, c diligenzu u maggiori, di
quello, che convenga, per farvele credere, e voi togliete tre terze parti
a ciò, che fi dice, e credete solamente quello , che rimane, che così
l'indovinerere. Sem. Dovendo io prendere moglie poco fastidio mi prendo
dei difetti de gli uomini , vorrei bensì sapere quei i delle donne,
da' quali doverò guardarini. K 4 Mer. [ocr errors] Mec. Nella
ventura Conferenza farete istruito in questi. Pub. Bisognerà fargli
conoscere ancora le virtù di esse, affinche fappia difcernere quali siano le
buono. [ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] CONFERENZA
VII. Sopra i difetti, e le Virtù delle donne. Sempronio ,
Medico , Mecenate e Publio , M Sem. I persuado Dottore,
che niuno meglio di voi conoscerà les imperfezioni delle donne , effendo
voi meglio di ogni altro informato de' naturali, e tempera menci
loro. Med. Secondo il parere di Democri. to, le povere donne soffrono ,
per cam gione dell'utero, seicento mali di più degli uomini ; come si legge
nella lettem ra da esso scritta ad Ippocrate', over Sexcentum arumnarum mulieri
auctorSem. Io non voglio sapere da voi li mali dell'utero, ma bensì quelli
dell'animo, non quelli, che sono ad effe di moleftia, ma quei che possono
altrui ancora nuocere, conforme sono i loro vizj. Med. Di questi ogni
uno, che per qualche tempo le abbia trattate , ne può effere bastantemente
informato . lotor110 poi al temperamento delle donne, vi poffo ben dire, che
una volta fu promossa questa gran disputa ; qual foffe più caloroso, l'uomo , ò
la donna, e dipoi essersi molto dibattute le ragioni dell'una, e dell'altra
parte, fu detto, che quando la donna non fia di temperamento più caldo di
quello dell'uomo , non si possa mettere in dubio che non sia più callida di
esso ; cioè a dire più astuta Pub. L'aluzia però, quando non è maliziosa,
c fraudolenta, non entra tra i difetti deteftabili; dicendo Teren. zio in
Andria i Aftutum fallere difficile eft. [ocr errors] [ocr errors]
201 [ocr errors][ocr errors] Onde questa può ftimarsi avvedutezžas,
Jodata dall'Ecclesiastico al 19. Aft ut us agnoscit fapientiam.
Mec. Nelle donne però farà sempre detestabile, non essendo
quefte fcarse di malizia, e d'inganni, al parerc di Se1 neca
in Hippolyto : 1 Sed dux malorum foemina , d fcelerum
artifex, E di Plauto in milite : Quid pejus
muliere ; atque audacius? Quid? Nibil. E l'Ariosto così ebbe
a dire di effe Non siate però tumide,
efastofe + Donne per dir,che l'uom fia vostro figlio,"
Che dalle spine nascono le roje, E d'una ferid'erba nafce il
giglio. Importune', Superbe , e dispettose Prive di amor; di fede ,
e di consiglio; Temerarie , crudeli, inique, ingrate , Per
peftilenza eterna al mondo nate. Pub. Piano di grazia , Mecenaco;
cliente perche parlando in tal guifa', correcc pericolo di essere
lacerato dalle donne come fucceffe ad Orfeo, di cui parlaw
Pla 1 Platone ne' suoi simposj. Per tal unas, che sia stata
cattiva tra effe , con questo vostro modo di parlare cosi generale,
pregiudicate a tante illustri femmine degne di eterna memoria, anzi che as vostra
madre medefma, e con essa a voi ancora. Leggere,le opere di Cristina Pisana, è
di Lucrezia Marinelli, che troverete ivi, quanti più iniqui, escellerari uomini
vi sono stati, che donne ; onde ci comple stare cheri; e tanto maggiormente,
che le donne cattive, fono appunto come le vipere, le quali, sc non vengono
compresse, o con altri modi irritate, non mordono già , nè avvelenano; ina gli
uomini perverfi, non sono già così, assomigliandoli al lupo quel detto greco:
homo homini lupus: da cui non giova punto l'allontanarsi ; perche ello va
cercando di danneggiare. E parliamo con tutta sincerità; avete voi veduto mai
alcuna donna andare di. predando i.paffaggieri per terra , ò per mare,
conforme, fanno gli uomini E giacche avere apportato l'Ariosto con [ocr
errors] 1 [ocr errors][ocr errors] tro di esse, perche non riferite
ancoras el ciò, che dice a loro favore? che apporDe tai nella conferenza
quinta, ch'è appunto : E di fedeli , e caste, Saggie, e forti State
ne fon ne pur in Grecia,e in Roma; ti Ma in ogni parte , ove fra gl'Indi ,
6 "gl’orti Dell'Esperide il fol spiega la
chioma, Delle quai sono i pregi, e gi’onor morti, Si ch’appena di
mille una fi noma , E questo, perche avulo hanno a lor sempi
Iscrittori bugiardi , invidi , empj. E finalmente doverebbe bastare
ciocche dicono Socrate, e Platone di esse per frenare la lingua di chi ne
dice male, 1 cioè, che sono capaci molce di effe d? amministrare la
republica ancora . Mec. Bisognerà dunque credere, che le donne non
abbiano difetti, per non pregiudicare a qualcuna , che tra esse fia ed
Itata buona? Pub. Io non pretendo difendere les cattive , ma fulamente
cancellare lo buone del numero di queste, nè voglio fcu 1
scusare i vizj, chc insidiano le donne ; ma se le Virtù non isdegnano di
accompagnarsi con effe, come posso tenerle çelate in pregiudizio di cante? e
precisamente di quelle di cui l'Ecclesiastico al 26. ne fa gloriosi
encomj,chiamandole : Lucerna splendens ; columna aurea super bafes argenteas ;
fundamenta æterna: Laonde , Mecenate, non dobbiamo in conto alcuno dir male
delle donne; poffiamo bensì censurare quei difetti, che le perseguirano; perche
facendo in tal guisa non fi potranno dolere di noi le buone , le quali non
danno a' vizj ricerto; no tampoco, se taluna cadeffe a darglielo, farà contro
di noi risentimen. 10 alcuno, per non dichiararsi da se medelima viziosa : e
regolandoci con que. Ita norma faremo conoscere, che non odiamo le donne, ma
bensì quei vizj, che da loro medefimc debbonli odiaren come loro capitali nemici.
Sem. Iftruitemi dunque, Mecenate, sopra questi vizj, scorgendovi molto
informato di effeMec Di alcuni ne fono informato; ma cutti tutti io non li so:
perche mi fido' guro che siano tanti appunto, quanti so. i no i caratteri
Cineli: vi posso riferire li più principali , che doverebbe fapere ogni
marito, per potersi ben regolares scorgendoli nelle mogli. Il primo di
questi è la Vanità, la quale ha un gran i seguito di altri vizj, a se
fubordinati, mà cominciamo ora da questa, che die ď poi parleremo degli
altri. Sem. Che cosa è precisamente, ed in che consiste questa vanità?
:) Mec. Credo, che fia un vižio, tanto in esse, quanto negli uomini
effeminati, diretto a procurare ftima maggiore, che competa loro in genere di
bellezza.in c. 10,4:19.fi Sem. Spiegatevi di vantaggio affinche possa
comprendere meglio quanto avete detto. Mec. Ciocche dilli mi pare
chiaro', con tutto ciò mi spiego più diffusamente , e dico: che se una donna,
ò-un uomo effeminaco deformi procureranno pre all prevalersi
di superfui abbellimenti a fine di comparire belli, pretendendo das ciò
ricevere stima maggiore nel concetto delle persone intorno alla loro bel.
lezza. Questi saranno vani. Sem. Dunque le belle non saranno vane, non
avendo d'uopo di fienili abbellimenti. Mec. Ponno cadere queste ancoras
in detto vizio ; quando paresse loro di non essere tanto belle, che abbiano a
rapire il cuore di tutti, e perciò effe credessero colla vanità di potere
diveairvi a quel segno. Sem. Come fono numerose le donne di questo genio?
Mer. Poche sono quelle, che non lo abbiano ; la moglie di Publio è tras quefte,
che odiano la vanità. Sem. E che! la vostra moglie, Publio, non si
ornava, come le altre , quando era giovane ?: Pub. Si ornava in quella
forma, che io desiderava, a fine di compiacermi,non già per fare pompa di fa
con altri. Sem. [ocr errors][ocr errors] 1 1 Sem. Come
vi contenevate per firla di perseverare in cotal guisa? posciache a
alcune per breve tempo incominciano a farlo, mà dipoi vedendo le altre ,
che fi adornano, b-lasciano trasportare dal i mal costume anch'efle
Pub. Avevå ella fomma venerazione alle fentenze de' Santi Padri, ed affinche
meglio le comprendeffc, l'erano da me spiegate : onde adducendole sopra ciò
quella bella sentenza di S. Cipriano, che dice : Non eft pudica, qua affeet at
animum "altorius movere , etiam Jalva corporis caftitate ; fi afteneva
ella perciò dal vestire con pompa, dovendo uscire di cafa, Sem. Se
faceffero tutte cosi, andrebbe la maggior parte assai positivamente
vestira ; imperciocche li mariti per non u ispendere, non direbbero già loro,
che fi ornassero, e studierebbero giorno ,' notte fentenze contro la
vanità. Mes. Che male ciò apporterebbe loro 2 Sem, Non altro, che si
farebbe di ef fe oggidì poca ftima; essendo che, chi non fa la lụa
comparsa, come le altre, non è punto contiderata , Mec. E te taluna la
faceffe con inde. bitarti, chi sarebbe di queste due più considerata , la yana,
ò la modefta? . Sem. Certamente quella, che più di ornaffe, perche niuna
và cercando, come questa comparsa si faccia , effepdo molto noto quel detto :
Unaè bibe'as, quaris nomo, Sedopor. tet babere. Mec. Si cercano, come
anche voi di. ceste, più i fatti altrui oggidi, che i proprj; onde per questo
motivo yi ammetto, che sarebbe più considerata la ya-na , che la modefta; e poi
quando quefti non si cercassero, non credo già, che i mercanti vogliano donare
il loro; onde dipoi,che averanno aspettato un pezzo, forzati a domandare
giudicialmente il loro nelle publiche udienze vi pare, che possa stare celato?
ell'essere conf. derata in questo modo, vi pare, che posla apportare decoro , ò
vituperio? Pub, [ocr errors][ocr errors] d Pub. Senza queste
vostre rifellioni, di forma cattivo concetto delle vane solamente a rimirarle,
şi era ornata Thamar c deposti avea gli abiti yedoyili più modefti, e
Giuda quando la vide i in quella forma, che concerto ne fè di effa?
Suspicatus eft efe meretricem: Genef. 38. vedere dunque yoi, Sempronio, come
sono considerare le vane da parenti anche più congiunri? Sem. Dicemi, che
altro pregiudizio apporti questa yanicà ? Mec. Quando esce fuori de' suoi
limi. ti, hà due altri vizj, che per l'ordinario noll'abbandonano, e sono la
prodi. galità, e l'impudicizia Sem. Sono queste certamente due peflime
compagne, le quali possono apportare gran male, infidiando alla ro. ba, ed
all'onore; mà è seguitata da alţri vizj? Mer. E più correggiata la yanità
das cu efli, di quello sia un Generale di esser cito da 'suoi Officiali,
posciacche 120 fuperbia, l'invidia, il dispreggio, l'ineganno, con molti altri
di questa perversa natura, a vicende la servono, onde chi è vana, è anche
superba , invidiosa , dispreggiatrice, e fraudolenta, tramando sempre inganni,
e frodi. Pub. In conferina di questo, diffe S. Crisostomo. In Gen.fim Homilia
41. A corporis cultu innumera frunt mala , arrogantia, que intus nafcitur,
defpectus proximi , faftus spirisus, animą corruptio, voluptatum illicitarum
fomes &c. Sem. Questa vanità fino a che segno potrebbe tollerarsi
nelle donne? Mec. Sarebbe certamente indifcreto quel marito, che non
tollerasse alla moglie giovane una mediocre vanità, quantunquc da questa fi
poffa facilinente fare passaggio alla grande ; dee bensi per tema di ciò egli
ftare vigilante, affinche non trascenda questa i suoi limiti, li quali le
vengono prefissi dall'onesto: e lidee questa tollerare ancora, affinche
s'inducano alcune più facilmente a pren. dere marito. Pub. Sant'Agostino
riprese rigorofa men [ocr errors] [ocr errors] mente Eudicia per
voler andare troppo ncgletta nel vestire, e le fè incendere, che averebbe
dimostrata umiltà maggiore con ubbidire a suo inarito , che a vestirsi di panno
vile, per lo spirito di contradizione , esclamando il Santo : quid
absurdius, quam mulierem de bumi. I li vifte fuperbire ? Sem. Come li
conoscerà, che questa trascenda i limiti prefilli dall'onesto a
Mer. Allorche una donna vorrà rico- prirsi di gioje, e di oro, e quello è
peg. gio, senza riflettere se le sue entrate lia- no sufficienti a
poter fare tante spele, venendone di ciò ripresa da Ovidio poe- ta
lascivo, dicendo: Quis pudor eft cenfus corpore ferre
Juos? Ed altrove. Gemmisque auroque
teguntur Omnia , pars minima eft ipfa puellae
fui. E Properzio dice anche di più. Matrona incedit
cenfus induta nepa- tum Pub. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] L 3 Pub. Seneca al 7. de Benef. dice
ancora : Video uniones non fingulos fingulis auribus comparatos; jam verò
exerci14 aures oneri ferendo funt ; junguntur interje, & infuper alii binis
fupponuntur Non faris muliebris injania viros fubjegerat , nifi bina ar terna
patrimonia auribus fingulis pependisent. Ma meglio di ogni alero S. Ambrogio :
De Nabut. Ifrael. cap.s. lo fa capire . Dele&tantur compedibus mulieres
dummodo auro ligentur non putant onera effes fi pretiofa funt: non pusant
vincula efi, fi in iis shefauri corufcant : delectant de vulnera , ut aurum
auribus inferatur, do margarita depen. deant c. E finalmente conchiude . Non
parc unt dispendio , dum indulgent cupidisati. Laonde fantamenre dice
l'Ecclefiafte ; Averre faciem tuam à muliere compta. Sem. Må se sarà
nobile , non potrà fare di meno, quantunque le sue rendi. te foffero tenui, di
non ornarsi pomposamente, vedendolo praticare da chi è mcno дobile di
ella. Mece [ocr errors] Mes. Ditemi per cortesia, forle che questa
sua nobiltà, senza danaro, potrå fodisfare il costo di tante pompe? Sem.
Mi perfuado che nòsmå pare una certa cosa, il comparire meno delle alo tre,
alla quale, chi è nobile non si può accomodare. Mec. Anzi queste , per
fár comparire maggiormente la loro nobiltà, non doverebbero soggettarsi a cose
vandag per far conoscere inlieme, ch'essa rin fplenda assai più dell'oro, e
delle gioje. Sencite, ciò che diffe a tale proposito la saggia moglie di
Focione ; come riferisce Plutarco nella di lui vita. Şi trovava un giorno
questa illuftre Dama ins conversazione di altre donne, ornate tutte
pomposamentes vi fu chi le disse: perche non era venuta essa ancor adornata
come le altre, cui rispose : che le bastava per ornamento la virtù di suo
marico, al che non seppe che replicare la più curiosa, e vana delle
altre. Pub. A questo proposito dice Aristocile, che il buon ornamento
nelle don ne', non debba già consistere nella pompa, mà bensì nella
modeftia, e nel modo onesto, e decente di vivere ; il quale fu da Aspasia
praticato, come riferisce Eliano , quantunque ella avesse avuto per
mariti due gran Monarchi; cioè Ciro, & Artafferse, ciò non ostante fi feppe
ella così bene guardarc dalla soverchia curiosità, e pompa, che recò am
mirazione a tutto l'universo. Elodando Plinio la moglie di Trajano, non seppe
apportare fatto più glorioso di queIto a suo favore: che di efferli, come donna
mantenuta sempre lontana dallas vanità superflua. Sem. E se l'entrare
fossero sufficienti, potrebbe dirsi vana una, che trascendeffe i sudet i
limiti? Mec. Se la vanità non fosse unira col. la prodigalità, forse che
in questa, se non trascendeffe molto, sarebbe rollera bile, ma il vizio della
prodigalità non le permetterà moderazione alcuna; posciache: Prodiga non sentit
pereuntem fæminas fenfum. E poi credete voi, che'l fine, per cui fi orna a quel
segno, fia sempre onesto? non lo credetre già Seleuco , quel gran Legislatore
de' Locri, il quale fè quefta legge; che non fosse permesso ad altre donne di
ornarsi pomposamente, se non a quelle che volevano amoreggiare, e fare anche di
peggio; e sappiare , che, fù questo un gran rimedio contro la vanità; posciache
divenne quel Dominio per qualche tempo modeftiilimo, spor gliandosi le donne
delle loro fupes Aves pompe. Quindi è, che da saggio padre operò Lisandro, come
riferisce Plutara co, con rimandare a Dionilio tiranno le preziose vefti, che
aveva mandate in dono alle sue figliuole, con tutti gli altri ornamenti; con
fargli incendere; che averebbero più tosto tali ornamenti viruperato le sue
figliuole, in vece di or. narle. Sem. E le ricchissime, che non
soggiacciono al pericolo d'impoverire,perche non poffono fare tutto quello
sfara fo, che bramano? 1 [ocr errors] tutte Mec. Non tutto
quello, che si può, è convencvole a farli. Giovanna di Navarra consorte di
Filippo il Bello, trovandosi in Burges, mortificò molte Dame, che andarono a
visitarla con abiti sontuofiffimi , dicendo loro. Credeas effere in questa
città io solamente la Reging, mà ne trovo mille. Pub Chi brama servirsi
bene delle proprie ricchezze, non dee impiegarle per fodisfare le sue
voglie, ed in cose superflue ; dee ancora pensare and quelle, che sono
maggiormente necef• farie, che ornano l'anima, come insegna S. Cipriano dicendo
: locupletem te effe dicis e utere divitiis , fed ad bonds are tes; divitem te
fentiant pauperes &c. Sem. Se taluna fosse deforme , potrebbe ornarli
più dell'onesto per comparëre bella e Mec. Faccia pure quanto può la
deforme , che fempre scoprirà di vantage gio la sua deformità; e guai a
quelles, povere damigelle, che vi harno a conbattere, perche rimirandofi allo
fpero [ocr errors] chio, deteriorare più costo con quelli
abbellimenti, che li pongono, si per- suadono, che per difetto di
effe ciò deo tivi', non sapendo bere addattarli, ed a questo
proposito cosi parla Giove- nale, Quid Pfecas admifit
, quænam eft culpa puella Si tibi difplicuit
nasus tuus? Sem. Consideriamo i sarti quanti rimproveri riceveranno
di vantaggio Mer. Vi fù uno di questi gli anni scorfi, che avendo portari
alcuni abiti ad una ricca, e deforme, ed allorche se li provava , diffe, che
non erano ben fata ti; perche non le stavano bene al viso ; quel povero uoino
vi ebbe un pezzo fof. ferenza, må alla fine le disse : Signora io gli ho fatti
a misura della sua vita , alla quale vanno benissimo , non già del suo viso;
onde questa non è colpa mia , mà deila natura, se non stanno bene ad
effo. Sem. E le brutte, è belle, che siano adoperando i bellectiglo fanno
per vanitá a Moc. Mec. Questo certamente è molto dubioso;
posciache, se lo fanno per essere stimate più belle, s'ingannano, mentre ogni
uno, che le rimira, le tienes per copie mal dipinto, non già per ori . ginali,
e voi sapete ; quanto lieno più timati gli originali delle copie,
quantunque pajano ben colorite; e poi quel mal odore, che tramandano quegli
unguenti posti sul viso, come le possono rendere amabili? ed udite Plauto, come
ne parla, Vei fefe sudor cum unguentis fociavit illico, Ibidem olent, quafi
cum una multa jura confundit coquus, Quid oleas , nefcias ; nifi id unum
male olere intelligas. E Giovenale così dice: Interea fæda aspectu ,
ridendaque's multo Pane tumet facies, aut pinguia popeana Spirat, hinc
miferi vifcantur Labra marici. Ed in appresso; Tal Tot
medicaminibus , coctaque filiginis Offas
Accipit , & madido, facies dicetur anni ulcus ? E guai a queste
se intervenissero al giuo, .co, che inventò Frine, riferito da E rasmo lib. 6.
Apophtegn.pofciache si troverebbero confufe, e mortificate. Ef sendo ella in
conversazione di donne; tra quali ben si avvide effervene non poche bellettate
, introdusse il giuoco del1e penitenze, uscendo a forie chile doveffe
comandare; e toccando a lci, ordinò, che fosse portato un gran carino pieno di
acqua', e che ciascuna dovesse ja varsi il viso, come ella faceà ; 'non
poterono le altre scufarfi, effendoli'impegnate ad ubbidirç, e ne seguì da ciò
tal metamorfofi,che li domandava il nome ad alcune non riconoscendosi più per
quelle , ch'erano prima. Pub. Bisognerebbe , che leggeffero S.Ambrogio :
Examer. 6. cap. 8. per illuminarsi, ove dice : Deles picturam' mulier , f
vultum tuum materiali candore,oblinius, fi acquifito rubore perfundas : ila la
pi&tur a via, non decoris eft ; illa pi. Eura fraudis , non fimplicitatis
eft ; illance pictura temporalis eft, aut pluvia, aut Judure fergiiur : illa
pi&tura fallit, de ripit, ut neque illi place as , cui placere de
laderas , qui:nielligit non tuum, fed alicnum effe, quod placeas, & tuo
displiceas auctori , qui vidiet opus fuum efl deletun; ed apporia inoltre,
lib.i. de Virginibus, un dilema affai calzante a questo propofito, dicendo,
fepulchra es, quid abscomderis? fi deformis, cur te formosam effe mentiris? neç
tud conscientia , nec alieni gratiam erroris habitura? Şem. Lo faranno
çalvolta le bruite per ricoprire ļa ļoro deformità. Mes. Quanto s'
ingannano queste; posciache in vece di ricoprirla più costo in tal guisa la
rendono palese a tutti; cfsendo che non potendo mai fare in modo, che non si
conosca ciocche di più del naturale si sono poste sul viso, das Joro medesime
si discuoprono per defore mi, çon pregiudizio anche delle bells, Şe
[ocr errors] [ocr errors] se ciò facessero; perche saranno queste ancora
credute di ayere difetti tali, che abbiano d'uopo di essere ricoperti; E se poi
la deformità proveniffe dall'improporzione delle parti, che non è male da
biącca, come la potranno rimcdiare? posciache converrebbe in tal calo inventare
il modo da profilare mcglio il naso, ristringere la bocca, e di slargare la
fronte, ed a questo non potendo ațrivar esse senza maggiormente deformarli,
perche dunque li pongono a garreggiare col Divino Artefice, che così le formò
per fini a lui ben ooti? Sem. Hò udito però, che quelle, che cadono in
fimile errore, sia impoffibile, che possano più aftenersi dal non farlo, e
queste in che modo le coayincereste Publio? Pub. Sono certamente infelici
quelle donne, che non piacciono a se medefime , come disse S. Cipriano , de
Bon. Pud. femper eft mifera, que non fibi places qualis eft. Onde queste
difficilmense potranno convincerli; con tutto ciò, quan: Tollens
ergo quando' mai godessero un momento di mente tranquilla , domanderci
loro, se amano più la bellezza dell'anima, è quella del corpo, e dicendomi,
come è più verifimile , ch'amino più quella dell'anima , apporterei loro
ciocche dicc S. An:brogio : in Examer 6. cap. 8. ergo membra Ch ifti
faciam membra meretricis? Abfit, quod fi quis adulteret opus Dei; grave crimen
admittit , grave eft enim crimen , ut pures, ut melius te bomo , quam Deus
pingat . Grave eft , ut dicat de te Deus, non cognofco 16lores meos , non
agnofco imaginem meam, non agnofco vultum, quem ipse" formavi, Rejicio
ergò quod meum non eft , illum quare, qui te pinxit , cum illo habeto confortium
, ab illo fume gratiam, cui mercodem dedifti. Quid refpondebis ? ed udite
ancora quanto lo detefta S. Cipriano de Habit wirg. Manus Deo inferunt quando
illud, quod ille formavit, reformare, transfigurare contendunt ,
nefcientes quod opus Dei eft omne quod nafcitur:Diaboli, quodeumque mutatur ac,
tu te exi, Jimas impunè Laturum tam improbare meritatis audaciam Dei
artificis offenfama Ut enim impudica circa bomines, du inn cefta fucis
lenocinantibus non fis ,' corruptis, violatisque, qua Dei funt péjor adultera derineris
dc. Sem. Quelle, che fi bellettano, mi persuado certamente, che non
averanno uditi gliaccennati sentimenti di queisti Santi; perche in verità, sc
riflettes sero attentamente a ciò , che questi di cono, fi alterrebbero dal
farlo; mà vor: rei sapere in oltre da voi, Dottore, se pollano queste lordure,
che si pongor Ho le donne sul viso, essere di nocumento alla loro salute?
Med. Sono senza dubio molto dannosi; perciocche se il tingerfi solamenrei
capelli ha apportato a molte la mor- to, come riferisce Gal. de comp.medic.
fec. locos , cap.3. de tinet.capil. oye dice: Non folum enim in periculo
verfatas fape frio -fæminas ; fed mortúas ex perfrigeratione capitis per
hujufmodi pharmaca induéta , Ed Aczio parimeate afferisce , libr. 6.
M CAP 1 cap: 57. di averne vedute morire alcune per tale
cagione apoplettiche, e tabide; quanto più facilmente potranno es. fere
danneggiate da cosmetici , ne' quali entra il solimato? E posso io asserirvi di
avere veduta più di una di queste divenute , ò asmatiche, ò apopletriche, à
paralitiche, ò idropiche in érà proverra; senza poi quel danno, che suode
recare in gioventù a tutte , ne' loro denti ; e gignive; nè preftino fede a
coforo, che fabricano belletti, quantun. que dicano di averli fatti fenza
folimato, poiche le gabbano. Sem. Si che dunque aon gioveranno ne per
l'anima, ne per il corpo? Mas come si doveranno regolare i poveri mariti , fe
queste fi oftinaffero in voleres tutte le cose alla moda 2 Mer. Io non
farei altro, che spiegare loro i seguenti vèrsi di Properzio ar. vocato di effe
: * Quid juvat arnato procedere vitta ca pillo Et tenues Cos vete
movere finns ?Aut quid orontea crines perfunderes
mirra? Teque peregrinis vendere muneribus ? Naturęque decus mercato
perdere cultu? Nec finere in propriis membra nitere bonis
estir's Ed altroye: Nunc etiam infectos demens imitance Britannos Ludis,
o caterno gincta colore caput, E soggiunge : Ut natura dedit, fic omnis
recta figura, Turpis Romano Belgicus ore colar E Plauto ancora, che pone
in derisione queste tante variazioni di mode : dicendo in Epidico
Quid ifta ? Quo quotannis nomina in In veniuntur noua
* Tunicam rallama tunicam spilam Linteulum, Cæcisium,
Indosiatam, Palegiatam. Calšbulan, aut Crocotulam. er. Pub. Allai
meglio facente, Mecenate, a fare intendere loro ciò che dice San Cipriano dihi
de babitu Kirginum ; ovewi . Ceterùm fi tu te fumptuofiùs cumas,
per publicum notabiliter incedas , oculos in se juventutis illícias', fufpiria
adolefcentum poft te trabas , concupifcendi libidinem nuFrias, peccandi fomitem
yuccendas, ut fi ipfa non pereas, alios tamen perdas, velut gladium te, du
venenum videntibus se prabeas * excufari non potes , quafi mente cafta fis, do
pudica s redarguit te cultus improbus id impudicus ornatus , conforme lo fa
conoscere Aufonio in Delia, od ei Delia, nos miramur ,'eft mirabile ,
quod tam Diffimiles eftis ruque , fororque túa ; ?> Hæc habitu casta , cum
non fit caffats videtur, Tu preter cubium nil meretricis habes. Cum caffi
nores sibi fint , buic cultus honeftus, Te tamen, cultus damnat,
caftus cam. Sem. Parfando ora all'ira , queltas noir mi pare, che
abbia tanto dominio i nelle donne, quanto negli uomini, aven do
[ocr errors] do veduto adirati più questi, che quelle alcune volte, che mi sono
abbattuto seco in Gimili contingenze. x Mec. Non doverebbero certamente
le donne adirarfi ; pofciache divengono allora talmente deformi , che più non
si riconoscono , .quanto mai li erasfigurano; onde avendo effe in orrore la
deformità, doverebbero anche odia. re la cagione di essa ; Ma yoi , Sempro,
nio, le averete facilmente trovate in bonaccia, non già in tempo di furore ; e
perciò dite, che vi pajono gli uomini più colerici di esse; fe però vi foste
abbattuto nel vedere adirata Ja moglie di quel povero, Grammatico riferito
lepidamente da Ausonios diversamente para lcreste ; mentre di essa cosi dice:
Anma', virumque docens, atque arma virumque peritus':' Non duxi uxorem ,
fed magis arma do 1 ܢ ܀
Namque dies fotos y Botafque ex ordine ! noctes :: Liribus oppugnat a,
meques meumque Ata [ocr errors] M 3 giam ! Atque , ut
perpetuis dotata à Marre duellis risin Arma in me follit , nec datur
ulla quies: Jamque repugnanti dedam me, wide nique victum Jurget ob
hoc folùm, jurgia quod fuOltre di che Salomone, che non 'mentisce, dice ancora:
non eft ira fuprà iram mulieris . Sem. Non saranno però ofinate les
donne, che averanno i marici più rifenciti di effe , e non tanto buoni, come
era il sudetto Grammatico? 0:0, Mec. L'oftinazione alle volte liavanza
tanto in effe , che le rende incorre. gibili, come comprendercte ancora dal
feguente avvenimento riferito dal Poga gi. Vi fu una di queste» che dopo ave.
rc ricevuto moltisms bastonate da fuo marito, non potendola far ritrattare
dall'ingiuria, che gli facea, chiamaadolo pidocchiofo,la calò anche nel poz .
30, fin tanto che poteva parlare sem.. pre [ocr errors] pre fu
percinace nel medesimo disprego gio ; finalınente, avendo anche la te. ita
fommersa nell'acqua, colle unghie de deti grosli soprappoftę gli faceva cenno
di quello , che averebbe colla voce pronunziato , se avesse potuto Oltre di che
il vizio della vendetta facilmente di collega con esse, dicendo :
Giovenale:
Vindicta Nemo magis gaudet , quam femina. Sem. Le finzioni, e
le menzogne and che segno s'internano acll'animo dona, nesco ? Mec. Nelle
donne scaltrite più affai, che nelle milense:Ben è vero però,che se
s'incontreranno in mariti accorti, apporteranno loro gran danno le proprio
finzioni, e menzogne; come appunto seguì alla moglie di Teodofio à allas quale
avendo egli donato un pomo di eccessiva grandezza , volle ella gratifi care con
esso uno de principali Signori della corte, il quale due giorni dopo mandollo
in dono all'Imperatore ;quantunque mostrasse apparentemente di gradirlo n'ebbe
per ò egli intern rammarico;perloche essendo cornato dipoi dall’Imperatrice,
domandandole, se riteneva più quel bel pomo; gli rispose, che lo aveva
mangiato, ed avendola pregata, che avesse fatta matura riflessione a quanto
diceva, ella ostina. tamente confermava il suo derto; allo. ra l'Imperatore per
convincerla lo fè portare in sua presenza, ele disse: Voi Giete una finta donna
; ne mostrò in av. venire feco più confidenza . Sem. Hò uditi con molto
mio rammarico i difetri donnefchi; consolatemi ora voi, Publio, con riferirmi
le Virtù delle donne, ed in ispecie qvelle, che ponno apportare profitto alli
mariti. & Pub. La Prudenza, e l'Amore Gince. ro sono le principali virtù,
che debbono risplendere nelle mogli. Sem. Ma di queste Virtù sono capaci
Je donne? Pub. Non può dubitarf di ciòyinenero le le ftorie non
solamente profane, ma faa cre ancora lo confermano, e presentemente vediamo
anche risplenderé mole cisime di effe con fimili virtù. Sem. Perche
duaque fi dice tanto ma le delle donne Pub. La cagione di ciò la trovo in
Euripide, il quale dice: Miferrimum eft muliebre genus , femel Nam
, quæ peccant etiam immeritis Dedecorifque funt mulieribus,
com municant vituperium, Mala non malis , Ma questo, e un abuso
grande, ed in. giusto posciache contro di noi altri uomini non si costumà
addollarsi a' buon il vituperio de' cattivi, e qual ragione dunque vuole, che
ciò militi contro di effe ? Ovidio però le difende da tale in. giusta
maledicenza con dire: Parcite paucarum diffundere crimen ist
Spectesur meritis quaque paella fuis. Sem. Voglio credere che
donnes prudenti vi siano ffate ayendo udita rasa omnes :
raccontare molci saggi farci delle Porzie, Cornelie , Paoline, e Paoline,
e di altre ; Mà di queste , che con amore sincero abbianoamato i loro mariti
vorrei udirne riferire qualche altro csempio per meglio accertarmene.
Pub. Vi posso fodistare in questo picnamente, e principiando dal grande, e
fincero amore', che mostrarono a loro mariti carcerarile donne Spartane;men.
tre queste andando a visitarli li ferono vestirc de iloro abici, ed effc
rimasero carcerate: pafferò poi a riferirvi, ciocche fè Cabadis Reina di
Persia, la quale parimente liberò suo marito carcerato con vestirâ ella de'
suoi abiti, e rima. nere priva della sua libertà , c vita ancora · Riferisce
parimente il Tarcagnota un fatto molto riguardevole a tales proposito. Avendo
ottenuto per capi. tolazione di uscire solamente le donne dalla città di
Vespergia cariche di quello, che più loro piaceva, abbandonando queste oro, e
supellectili preziose, she avevano, trasportarono sulle spal. le
[ocr errors][ocr errors] le i loro più congiunti. Ed udite finalmencé un
esempio singolare dell'amorce sincero di una saggia Regina, riferito dal Padre
Cordier · Roberto Re della gran Bertagna si trovava ferito con una laetta
velenata , fu giudicato da’Medici per unico riinedio il farla succhiare da cui
avesse voluto esporre la propria vita, per salvare quella del Re ; la Regina
sua moglie fi mostrò prontislima di farlo, ma non voleva in conto alcuno il Re
permetterle, che si esponesse a tal pericolo. Chę fè l'amorosa moglic !
aspetto, che fosse addormentato , ed allora appunto, sciolta la ferita ,
succhiolla intrepidamente, e con tanto felice successo, che rifano il Re, senza
riportarne nocumento alcuno l'amorosa Consorte... Sem. Persevereranno
queste prudenti, ed amorose consorti semipre nella. medesima forma ? Pub.
Se faranno i mariti prudenti in faperle bene diriggere, lo fåranto, come
udirete nella seguente ConfeTenzi. CON CONFERENZA VIII. Come
si debba regolare l'uomo colla moglie scelta di ottime
qualità. Sempronio , Publio, Mecenase , e Medico
M Som. perfuado, chief sendo la giovane di ottimi costumi,non
civoglia grandparte nel regolarla, po sciacche da se mca delima sapra ben
governarsi. Pub. Non è già così , Sempronio ; quantunque sia buona, ci
vuole anche attenzione in reggerla , affinche non divenga cattiva , perche
conforme fi dice, che prendendo marito, muci sta10, può anche cambiare costume;
im, [ocr errors] L2perciocche il corso è di molti anni, é fi
dee navigare in un mare, nel quale s'in. contrano de' scogli, e continuando la
metafora , descrittami da quel vecchio, che la donna sia la nave; questa quan.
tunque non abbia difetto alcuno, da se fola, e senza chi la indirizzi, a fola
di: screzione de' venti , che sono i suoi pen• ficri, non può giugnere al
defiato porto della felicità , onde conviene, che l'uomo faccia da nocchiere, e
non dor ma; quantunque fia bonaccia.. Sem. Infegnatemi, dunque come do.
vrò regolarmi, per non errare? Pub. Potrò riferirvila direzione del la
quale io fteffo mi sono servito, eve: drete, fe questa vi aggrada. ' Sem.
Avendola voi posta in esecuzio. nc felicemente, poffo fperarne anch'io
profitto. Pub. Ebbi alla prima quest'avverte11za di non addomesticarmi
seco in ecceso fo, ma solamente, quanto bastava per -farle conoscere, ch'io
l'amava , c perciò la rispettava , ferviva, ed oporava s mà mà çon
tenere sempre un tale qual den, coroso fuftegno. Procurava in oltre, ché non
iscopriffe il mio debole, c per fare prova del suo afferto, di quando in
quando, mi facea da essa scorgere penberolo, ed alle volte ancora alquanto
mesto: non li assicurava ella di ricerca. fc la cagione di ciòs solameore dopo
qualche giorno, faccosi animo, mi diss fe: Signore, yorrei vedervi allegro,
comc debbono essere i spost ; fe poffo io sollevarvi in cosa alcuna , eccomi
pronta': comandatemi, ed indirizzatemi che non ricoferò di obbedirvi . Mi senti
a tale corcese offerta immediatamente giubilare il cuore, e le rispoli con
faccia ilare : Signora viringrazio delle obliganti esibizioni, che voi mi fate,
u vi afficuro , che me nc prcvalerò, avendomi molto sollevato con questo voftro
-corcese parlare : E guitai immediatamente di quella confolazione registrata
nell'Ecclesiastico al 26. Gratia mulieris -Sedula delectabit virum fuum,
copaiba ljus impinguabit . Sem. 6 [ocr errors][ocr errors]
Sem. E se fosse entrata in sospetto , che voi non l'aveste amata? Pub.
Questo non poteva crederlo perche, come diffi , la rispettava, cd onorava con
particolare artenzione ; cd essendo ella prudente, ben fi avvedeva, che della
sua persona era sodisfattiffimo; sospettava bensì, come mi riferi dipoi,
il che da altre cagioni ciò veniffc ; u con bel modo tanto fè, che alla
fine un i giorno, dapoi avere presa meco confia denza maggiore ,
interrogandomi sopra ciò, seppe da me la cagione de' mici turbati penfiori ;
cioè : che questi dcrivavano dal timore, che io aveva di non cffere ancor
baltantemente capace di cducare bene i figliuoli, e di non sapere mantenere
fino alla morte il reciproco affetto coniugale a quel segno, che fi dovea
. ! Sem. Che rispofe ella? Pub. Con volto ilare mi replicò, che a
questo dovea anch'effa contribuire la sua parte , ic perciò ca ayefli pur
deposto la metà di detti pensieri , ch'erano tuoi. Sem. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Sem. E se vi aveffe risposto ; penfiamo ora a
darci bel tempo : figliuoli non po abbiamo quando quefti nasceranno Gi farà,
come li potrà, non ci contriftiamo ora di quello, che non è presente.
Pub. Non fi parlava così in quei rempi, ne' quali il divertimento non erao
anche divenuto affare creduto rilevan. te, ed essenziale, che richiede sfe
giornata intera ; era bensì creduco effenziale il provedere quanto faceva
d'uopo, ed il prevedere ciocche poteva fuccca dere. ... Sem. Vi manrenne la
parola data di sollevarvi , quando sopravenne il bisagno Pub. Fè anche di
vantaggio, pofcix che fcoperto ch'ebbi il suo buon animo, un giorno così le
parlai: Signora mia, voglio, che camminiamo di buon conia certo in reggere la
casa ; abbiamo tansto assegnamiento, che può bastare as Amantenerci nel nostro
stato decorosamente ; pofliamo tenere tre fervitori, due per lei, ed uno per mc
, una ser [ocr errors] vente, ed una matrona, ed avere la noftra
carrozza, che serve ad ambiduc; of dividiamo ora l'incumbenza: voi pen+ ferere
alla tavola, alle biancherie, ed io al rimanente ; dell'esazioni
voglio ne fiare anche voi consapevole per vom ftro governo ;
ficcome ancora dell'esi- to, per caminare di buon concerto tra noi
nello spendere: debiti non voglio ne facciamo, nè avanzi
considerabili fino a tanto, che abbiamo l'assegnamen. to fiffo , c
non amministriamo tutte le rendite; e basterà , che solamente po-
niamo da parte ogni anno qualche cosa, per fupplire alle stagioni
fterili, alle ri- tardate rescoffioni, ed alle spese straor-
dinarie, per non ritrovarci allora bilo- gnosi di danaro : All'educazione
de' fi- gliuoli penseremo concordemente, al- lorche Iddio li
manderà. Sem. Ed essa accettò queste brighe ? Pub.
Anziche mi ringraziò ; mo- strandofi contentissima, per averla po-
fta a parte del governo. Sem. E se aveffc risposto; io non vo-
glio ingerirmi in questo affare ; pensateci voi, col maestro di casa; perche
non voglio prendermi questo tedio? Pub. Sarebbe stata troppo ardıca
simile risposta in quei tempi, ne quali crano molto rispettati dalle mogli i
mariti , contentandoli vivere subordinate ad effi , e non succedca già come
dice l'Ecclefiaftico al 26. Mulier si primatum babeat , contruria eft viro fuo;
perche qucfta maggioranza non la godevano. Sem. Mà come riusciva in
quelle cose , che le toccavano di fare? Pub. A maraviglia bene; posciache
aveva la matrona , ch'era donna savia, e consigliandosi con essa lei, divenne
in breve tempo espertisfima in tutte quelle cose, che le appartenevano.
Sem. Chi potrà trovare oggidi quefta matrona non costumandosi più tal servigio
? e poi quando anche si trovassc, diventerei ridicolo, se prendesi, per servire
mia moglie, la matrona . Pub. Perche ridicolo? forse che fa. rebbe cosa
mal fatta? Som. [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors]
Sem. Non dico mal facta , mà effendo in disufo , farebbe segnato a dito, chi
l'introduceffe. Pub. Mà da chi? forse da' savj, u prudenti? Sem.
Non credo da questi ; mà bensi da tutti quelli, che non costumano te.
nerla. Pub. Or io di questi non mi prendcrei soggezione alcuna; mi
dispiacereb. be bensì , che i savj biasimassero le mie operazioni ; imperciocche
possono farvi altro dispetto costoro,che non son savj, che di non conversare
con esso voi? E che perdita da ciò riceverefte? ogni qual volta questo
provenga, non per cagione di cosa malfatta, mà più tosto decorosa, ed onesta,
che sono vantag. giose per voi ; nel qual caso efli li renderebbero meritevoli
della censura de' savj. Io vi poffo ingenuamente confessare, che se non fosse
stata in cafa mia la matrona, che avesse indirizato da pria. cipio la mia
consorte , non averci già goduta quella tranquillità di animo fpe [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] rimentata fino al presente; posciacche questa
matrona essendo nata civilmente, e così ancora trattata da me, dando alla mia
conforte buoni conligli, la istruiva ottimamente, e perciò non vi è stata
occasione alcuna di discordie tra noi; il che non sarebbe già seguito, se fi
fosse configliata con qualche donnas ordinaria, e giovane, da cui facilmente
pellimi consigli averebbe ricavati. Sem. Questa matrona itava al fervia
gio attuale? Pub. Quantunque fosse falariata, era però distinta
dall'altra donna, che mi serviva, e faceva molce cofe spontaneamente di più di
quelle, che le toccavano, per l'amore, che portava alla casa, ove sperava
terminare i suoi giorni; non costumandofi licenziare queste , fe non per cagioni
assai gravi, le quali raro volte accadevano ; e quando la Signora partoriva ,
essendo pratichisimas; non li può esprimere , che aflistenza le prestava in
tutto quello, lc occorreva ; ed in tempo di malattie cra singola
re; 2 re; oltre di che nell'educare bene i figliuoli, e le femine
in ispecie, cra mol. to eccellente, sapendosi far amare, a rispettare insieme:
or vedere voi quali danni ha apportato privarsi di effe. Sem. Mà perche è
stato dismesso si buon fervigio ? Pub. Io precisamente non lo sò, può
essere, che sia noto a Mecenate. Moc. Io ho udito riferire più voltes che
queste volessero fare troppo lezelaati, e perciò fi fia verificato in esse la
favola di Efopo, ove parla del trattata di accordo fatto tra il lupo, e la
pecor ra,contro la soverchia custodia de' cani; e per verità, vi erano alcune,
di esse, che facevano la guardia alle figliuolo più di quello , che facciano i
cani alle pecore; -mà questo non era motivo fufficiente per dismettere un
servigio cotanto utile al decoro, ed onestà dellas casa, conosciuto ciò, anche
da Tibullo quantunque molto lascivo, mentre egli consigliò: At tu cafto precor
maneas, fanétique pue Aft [ocr errors] dorisa N3
Affideat cuftos fedula femper anus . Sem. Come regalavate, Publio, fperso
la vostra sposa? :- Pub. Oltre le mancie solite del Natale, e del giorno
mio natalizio, che consistevano in dodici piastre per.volta, e quando si
riscotevano grosse somme, fempre qualche moneta di oro le davas, perche mi è
piaciuto , ch'ella 'manegiafle danari. Sem. E che ne faceva 279
Pub. Quando arrivava a cumulare la somma di cinquanta scudi , creava un cenfo,
e la metà del frutcabo di effo dispensava a poveri, c fi verificava in lei ciò,
che dice Salomone delle donne savie: Manum fuam aperuit sinopi , & palmias
suas extendit ad pauperem , dell'altra si serviva per vestirdi:. ;1 Sem.
E le fpilte non se l'era riservate ne' capicoli matrimoniali? LifPubi Questo
non costumava allora... non facendofi tanto consumo di effe,come 'oggidì, che
liveste alla moda . Sem. Eche a non fi vertiva alla moda in quel
temposPub. Si vestiva all'usanza propria det [ paese, quale era di non cangiare
sì di sovente, quella , che correva. Sem. Non è questa la vera
moda, mà bensì quella, che oggi si porta da paeli stranieri, ed indi a pochi
meli, venen, done un'altra, la prima non si usa più , perche le ultiine sono
quelle , che dilectano, ed appagano gli occhi . Pub.E degli abiti di
vecchia moda anche in buono essere che fe ne fa? Sem. Si esitano a quel
prezzo, che fi trova, e con discapito grandissimo, Pub. Come costa questo
vestire all? ultima moda , perche io, che vivo all antica, non ne sono in
formato ? Sem. Costa assai per verità, essendo che bisogna pagare sempre
di più del suo valore quel drappo di nuova moda; mà ad alcuni ciò non da fastidio,
perche i mercanti sono cosi cortesi', che lo danno in credenza. ti ''p
Pub. Questa , per parlarvi con tutta fincerità, mi pare la vera moda diandare
in malora; perche estendo sì cari, Conf. 8. Dec. prima ed il mercante
volendo alla fine essere pagato, che si farà allora , non essendovi danaro per
sodisfarlo? Mec. Si mucerà paese, e per verità quando questa nuova moda
non era tanto in uso non si vedevano già i galant' uomini , divenuti per essa
miserabili, nè mutare paese, essendo per loro poco sicuro quello, ove vestirono
a tutta moda. Sem. Con chi coversava la vostra fposa ? ? ? Pub. Con
i suoi parenti più proflimi , li quali in giorni festivi, in occasione di male
, ò di altri bisogni venivano as visitarci, ed altresì noi con effi loro facevamo.
Sem. Ma non recavano noja fimili conversazioni Pub. Anzi erano di
sollievo grandislimo; essendoche i capi di casa fi ritiravano in disparte a
difcorrere fopra gť iatereffi domestici; consigliandosi tras loro, per meglio
regolarti, nel far colcivare la campagna, ne irinvestimenti da da
farsi, e nel governo economico della casa : le donne poi colli ragazzi, ftavano
divertendosi tra loro. Sem. Ed in che? Pub. Nel domandare , che
profitto facevano i figliuoli,che belli premj avevano avuti da loro maestri, e
come fi portavano le figliuole ne' loro lavori, i quali bene spesso portavano
seco queste, per farli vedere ; e ciò serviva per eccitar emulazione tra
elli a portarli meglio in avvenire, lodandosi, e premiandos ancora chi s'era
portato benc. Sem. In detto tempo a costumavad giocare? Pub. Questo
non fi faceva , eccettuato, che in tempo di carnevalc. Sem. Si giocava
alle ombre in detto tempo? Pub. Questo si costumava ; posciache ove si
giocava, non vi era Sole . Sem. Voglio intendere colle carte di fpade ,
bastoni , coppe, e danari. Pub. Queste ne pur si conoscevano in quel
tempo da esse, e se l'avessero co no [ocr errors] nosciute', non
averebbero giocato con carre tantó-misteriose, le quali fanno vedere , che le
spade, i bastoni, e le coppe , malamente adoperate consumano tutto il danaro
, .. Sim. Ele conedie li udivano allora? Pub. Queste erano
frequentare', ò'da curiofi forestieri, è da paesani ožiofi per alcro le
donne se n'altenevano ; e se non era più, che qualche rappresentazione facra,
fatta di giorno, avevano rossore di comparirvi. Sem. Eli passeggi si
costumavano ins quel tempo? Pub. Passeggiavano ancora, mà per essercitare
iutto il corpo a beneficio della salute , non già come si fa oggidi, per
'indolirli folamente la schiena , a cagione di tanti inchini, che Gi fanno,
fenza muovere un paffo. Sem. Lecafe, come erano bene a dobbate Pub.
Asai meglio', che non sono adesso, rimirandovisi appcfi nelle pareti di effe
akuni quadri di carte', ches er [ocr errors][ocr errors] ga
in erano le piante delle tenute, che si possedevano,dalle quali &
ricavava groffi ffimo frutto, ed allora non vi era tanto luffo; poiche loro,
ch'oggidì s'impie in apparenze superflue d'indorature, e nelle vanità
alla moda, fi ipendeva in quei tempi assai meglio in compre diterreni, e di
alcre cose fructifere. Ne si commettevano già furti di piatti, fottocoppe ,
bacili, candelieri, ed altri vali di argento ; perche questi allora. erano.
assai meglio custoditi ; effendo pochi elli, che gli aveano, e perciò di rado
ancora venivano adoperati. -Sem. Sapete Mecenate, che mi crovo confuso a
cagione di questo racconto fatró da Publio, riflettendo a ciò, che sarebbe più
utile , mà non lo potrò seguitare, per il diverso costume introdotto oggidi ; e
dichiarandomi volere vivcre così, non troverò moglie; dall' altro canto a
seguitare il modo, che si tiene, sono arrivato a comprendere , che è molto
dannoso per cutti i verfi. Dunque che dovrò fare?Mec. Di non isbigottirvi punto
per qucsto. Scegliete voi il modo, che credece migliore, e dichiaratevi pure
apertamence , che questo volete seguitare e troverete ciò non oftante moglie, u
forse senza d'uopo di ricercare tanto al minuto il costume; posciache quelles
giovane,che si contenterà di essere tratcata in questa guisa , sarà certamente
fac via, e bene accostumata . Sem. Mà se le altre non la vorranno
trattare per non seguitare ciocche effe fanno, come si troverà ? Mec. Che
pregiudizio risulterà a voi & ad effa da questo, che farebbe la voftra
fortuna? anzi voi medelimo lo do. vreste procurare, affinche non la deviaf.
sero dai suoi doveri. Sem. Or io così farò, e dica ogn'uno ciocche vuole
; perche hò uditi molti mariti sospirare frequentemente; da che provenisse
questo, non lo só precisamente, sò bene, che senza cordoglio non ti sospira .
Or ditemi , che altro doverò fare per mantenerla costante nel fuo
[ocr errors] suo buon costume ? Pub. Nun altro, che di non darle al. cun
mal'esempio, e di tenerla continuamente occupata in devozioni ; affari do.
mestici; e nell'educazione de' figliuoli; perche la vita oziosa è pessima,
dicenda l'Ecclefiaftico: Mitte illum in operationem, ne vacet; multam enim
malitiam docuit otiofitas . Sem. Come mi dovrò contenere intorno alla
devozione? Pub. Le darete in questo voi huono esempio ,' conforme
richiede l'obligo voltro ; imperciocche tanto io , quanto la mia conforte
cravamo favoriti dal medesimo direttore spirituale , c trequentavamo sovvente
le nostre devozioni ; la sera poi colli figliuoli, e servitù fi recitavano
alcune preci, e li leggevano anco libri fruttuosi per l'anima, ed in oltre da
noi si sovvenivano bene spelso i poveri, e da ciò ne hò ricavato quel bene, che
si trova registrato nell'Ecclefiaftico : Mulieris bona beatus Vir, numerus enim
annorum illius duplex . Sen. . Sem. In che altri affari
domestici la tenevate occupata ? Pub. Effendomi avveduto , ch'aveya
desiderio di copiosa biancheria , ordinavo, che fossero proveduti nelle fiere
canape, lini , e cottone, é veden. dole si rallegrava molto, e li faceva
filare, e reffere a suo modo; e ciò per verità la teneva impiegata qualche ora
del giorno , ingegnandosi ancor essa di filare , ò d'inaspare; e facendosi le
bucate in casa, rinnacciava a maraviglia , quanto ne aveva bisogno, affieme
colla matrona ; ed io rimirandola cosi diligente ne godevo fommamente, vedendo
verificarsi in essa quella condizione ancora di donna saggia, descritta da
Salomone: Quafivir lanam, d linum, operara eft confilio manuum suarum.
Sem. La conducevate in Villa? Pub. In certe belle giornate lo praticavo;
anzi che le faceva vedere le nostre tenute, e tutti quegli stabili, che la casa
godeva in campagna, con istuirla ancora, sopra quello che si poteva
fars [ocr errors] fare di van aggio, per renderli più frutriferi; sopra
di che ne ricercavo ancora il suo parere, da poi che la vidi ben, informata di
tutto Sem. E qual bisogno avevate di configlio donnescovoi, che fiece sì
esperto in tali affari? Pub. Il prendere consiglio giova agli inesperti,
e non pregiudica mai a i pratici; e poi sapere voi il mio fine qual’ era:che,
se Iddio mi avesse chiamato a se prima di essa fosse riinasta informata. di
tutte le cose: e sappiate, che le povere vedove sono gabbate da loro miniftri,
quando non si trovano informace degl'interessi domestici; il che non legue già allorche
fanno ciò, che debbas farsi. Ne crediate già , che sia cosa im, propria alle
donne d'essere informate della campagna, ponendo tra le condizioni di saggia
donna Salomone anche questa : Consideravit agrum, a emis eum: De fructu manuum
fuarum planiavit vineam. Sem. Nell'educazione de' figliuoli, che
[ocr errors] che diligenze usavate Pub. Eravamo tanto io, quanto essas
attentiffimi a tutte le loro operazioni, per poterli di ogni minimo difetto
correggere da principio; eflendo che le piante velenose fi svellano alla primas
con facilità grande dalla terra,mà allorche sono ben radicate v'è d'uopo di
maggiore facica. E riflettendo che tanto si fà, e quanta industria si pones per
ridurre docile un cavallo da maneggio, mi pare che questa sia più necessaria d'impiegarla
a pro de' figliuoli, da quali vantaggi maggiori si ritraggono senza fallo, che
da cavalli . Sem. Come viriusciva facile il correggerli? Pub. Per
verità facilisimo, perche erano docili ; e questo beneficio l'hò riconosciuto
dal buon naturale della madre, il qual passò anche ne' figliuoli; scorgendoli
bene spesso all'opposto i vizj de genitori paffare ne' figliuoli
ancora. Sem. Quale induftria usavate nel di. riggerli ?un canto viera
l'altarino con tutti li suoi Pub. La prima fu d'istruirli nella pie-***
Tu tà cristiana, e d'insinuarla bene ne'lo. si ro cuori ; primieramente col
buono esempio, e poi colle parole; ed era vely ramente di consolazione
grande il vede re quei figliuolini attenti, e divoti nel fare orazioni ;
e di poi, per meglio afficurarmi delle loro naturali inclinazioni, aveva fatto
preparare per divertirli varie cose in una stanza spartata , ove in [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] arneli; sin altro
l'armariuccio con certe armi di legno tinte, che sembravano di ferro ; vi erano
ancora in altra parte din versi giocarelli puerili, ed altrove qual che
libretto in una picciola scanzia ; c nelle ore di recreazione li conducevo ivi,
affinche si divertisfero. Quei ch'erano portati dal genio all'Ecclefiaftico,
correvano alla prima all'altarino, el ornavano in quella forma į che l'ayeano
veduto in chiesa; e ciò serviva per renderli maggiormente attenti alla
devozione: altri poi secondo le loro incli O [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] na. nazioni si divertiyano, coi libri, è
colle armi,e di rado alcuni di efli li spas, favano co i
giocarelli; e stava attentifli- mo osservando quelli, che
persevera- vano nel medesimo genio ; perche con- forme
averete ancora voi osservato, non è fempre uniforme l'inclinazione
de’ra- gazzi, e mi sono finalmente accertato , che quelli,
ove il genio li portava , sono stabiliti in esso divenuti
adulti,col- tivava però sempre le loro inclinazioni, vedendole
disposte al buono. 1 Mec. Gli Archieli foleano condurre i
loro figliuoli ad una fiera, per com- prendere i loro genj, e quei,
che ve- deano desiderosi di provederli de' libri, li
mandavano all'Accademia, quei poi , che aveano compiacimento a
rimirare le armi, li deftinavano per
la guerra Sem. E le figliuole, che facevano ?
Pub. In altra ftanza fi syariavano,afliftite ò dalla Madre,ò dalla Matrona,ove
erano coscinetti, per commodo das cucire ; ferri da fare calzette,
piccio. [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Dell'Elezione della
Mog. arr le conocchie, ecommode per filare ; e diverse pupazzine vestite, ò da
spose , ò da monache ; ed ivi ancora chi affifteva loro', fcorgeva Vinclinazio
ni, ch'avevano", rimirando a’ quali di queste cose le portava il genio ;
ed in fatti quella, che si fè monaca, non si divertiva in altro, che in
ispogliare, e rivestire la sua pupazzetta in abito da monaca, e l'altra, che
prendette marito , sempre giocolava colla sua pupazzetta vestira da sposa
. Sem. Felice coppia! non saprei anch' io abbattermi in simile
compagnia. Pub. La troverete anche voi cercandola, perche non è già
estinta nel mondo la razza di quelle di cui parlò l'Ecclesiastico al caj. 26.
Mulier fortis obleEtat virum fuum, de annos vitæ illius in pace implebit.
Sem. Sì bene, mà se per mia sventura m'incontrafí in una , che non fosse così
buona; che doverò fare in sal caso ? Meca, L'esaminereino nella venturas
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] conferenza, nella
quale meglio anche apprenderete il modo, che dovrete tenere in, fare
perseverare la buona, co(tante nel suo lodevole costume avendola scelta per
vostra conforte, CON, the te CONFERENZ A IX. [ocr
errors] Come si debbano regolare i faggi mariti con le mogli imprudenti,
e viziofe. Publio , Mecenate , Sempronio , & Medico
Pub. O, ch' hò navigato lungo tempo per questo vasto Oceano degli
ammogliati, posso servire di fida scorta a voi,che doyete entrarvi. Le
maffime principali, che dovrete tenere sono queste : primieramente di operare
più col buono esempio, che con semplici parole, confessando Platone, ed
Aristocile che maggiore profitto fi ricavava da ciò, che si vedeva fare a
Socrate, che da' suoi morali documenci. Quindi è, che'Plutarco ne' suoi
ammaestramenti matrimoniali ebbe a dire: che non preten. da il marito di far
divenire la moglie buona economa , s'egli coll'esempio non le mostrerà efferlo
anch'effo : onde non recherà maraviglia, ciocche diffos Ovidio. Dum fuit
Artrides una contentus , illa, Caffà fuit , vitio eft improba fuftaus
viri. Mec. L'esempio però di Socrate appresso la sua moglie Santippe nulla
giovava, Pub. Sapete perche ? Si abbatte il una donna talmente pazza, che
dovea più tosto essere legata colle catene, che ammonita con esempi, e parole :
mà di questo ne parleremo a suo tempo. Or proseguendo il mio discorso; in
secondo luogo deesi togliere ogn'occasione, che possa farle cambiare di buona
in cattiva, perciocche quantunque ottima da principio, per trascuraggine del
marito può divenire peffima, ed in che mo [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] modo uditelo da Euripide. Sed
nunquam nunquam [ neque enim, femel dicam
Oportet prudentes, quibus eft uxor, Ad uxorem in domibus accedere
finere Mulieres, ipfæ enim præceptores funt
malorum. E che più ! Levina donna da principio caftiffima
per la libertà, che le diede suo marito di andare vagando per il
mondo , quanto , quanto si mutaffe mutasse , sentitelo da questo
Épigramma. Cafta , nec antiquis cedens Levina Sa
binis, Et quamvis tetrico triftior ipsa viro, Dum modo Lucrino ,
modò fe permitrit Averno, Et dum Bajanis fæpè
fovetur aquis, Incidit in flammam, juvenemque fe-
quuta , relicto Conjuge, Penelopes venit,
abiit Helena. E d'onde ciò avvenne, se non dalla li. bertà, che le
diede il marito ? Nè Mef- salina averebbe già commessa quella sì
enorme scelleragine di sposarli con Silio [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] publicamente, e nel palazzo imperia, le , fe Claudio
Imperatore l'avesse condotta seco ad Oftia; del qualc attentato parlandone
Tacito arrivò a dire : laborabit annalium fides; c credete forse , che se
Ottone non avesse lodata a quel segno la bellezza di Poppea Sabina sua moglie
alla presenza di Ncrone, glie l' averebbe tolta ? non già ; ma il pazzo
arrivando a dire, nel levarsi dalla menfa dell'Imperatore, che se ne andavas
lieto a trovare sua moglic stupore di bellezza, a lui solo concedura, e
desiderata da tanti, e volete chc Nerone, udendolo non s'invaghisse di essa
? Sem. Averanno forse da tenerli chiu. se le mogli per far verificare,
ciocche disse il Satirico ? Pone feram choibe , fed quis custodiet ipfos
Custodesē cauta eft, & ab ipfis inci pit uxor. Pub. Io non intendo
dire questo, mà folamente di trattarle, come diffe Tacito del popolo Romano ,
che: nec tam, tam [ocr errors][ocr errors] fam feruitutem pati
poteft, nec totam libertatem , cioè colla misura di mezo, discreta, e
giudiziola e finalmente conviene compatire molte leggiere debolezze di effe con
non farne calo, di quelle particolarmente, ove non si scorge malizia, e cattivo
fine ; ¢ quando mai vi fosse d'uopo di rimedio, non dee questo darsele in
publico, nè con istrepito contenzioso, e riflettere a ciò, che dice Plutarco;
che Venere fù collocata dagli antichi vicino a Mercurio, affinche con arte, ed
avvedurezza , e non con violenza in tali faccende li procedesse ; e lasciando
il profano da parte, vediamo che rispetto avesse a sua moglie il nostro primo
padre Adaino : dipoi di avere detto, ch'era una porzione di se medesimo; cioè:
cara de carne mea; soggiunse « quamobrem relinquer bomo patrem fuum , &
matrem, &adbarebit ukuri sud, do crunt duo in carne una Gen. cap. 2.
Sem. Questo però mi reca gran tercore, perche se Adamo trattò così bere
sua : sua mnoglie, ed erano nel Paradiso terrestre ; ne- ella
poteva essere stata crea . ta da mano più perfetta , contuttociò ingannò suo
marito a segno , che tutti noi ce ne risentiamo, che farà dunque una figliuola
di essa in questo mondo? Pub. Fu fedotta però dal serpente, allorche
Adamo dormiva, onde apprendetene dà ciò questo documento: di non dormire,
quando vi sia il serpente, che tenti sedurre voftra moglie. Sem. Mà qual
serpente ci sarebbe, se io sposarsi una giovane, che da zitellas aveffe dato
sempre saggio di somma mo. deftia ; ed appena entrata in casa mias, cominciasse
a dire ; voglio un'altro abito alla nuova moda: queste gioje non; sono legate
all'usanza; voglio lo scarabattolo, come hanno le altre mie pari; qual
ferpente la tenterebbe in questo caso, per farla parlare in tal guisa ?
Pub. Sarebbero due non che un fojo, li serpenti; cioè l'eccessiva vanità, e
l'ambizione proprie ò insinuate,e quefti converrebbe scacciarli,er. [ocr
errors] Sem. Ed in che modo? Pub. Voi averece già scelta la giova.
CH ne nata da? savj, e discreti parenti, and mutt quali avrete
facilmente manifeftato l'animo voftro , in che forma la vorretes trattare;
accordandomi ciò, mi pare, cosa quasi impossibile, che una giovane
ben'educara possa alla prima avanzarsi Q a domandare imperiosamente
ciocche be brama ; se pure non sarà stata mal con figliata; da qualch’una
poco prudente, i onde per ovviare questo, converrà , che alla prima
stiate attento di non farlas trattare , se non con quelle, che voiconoscerere
savie, e prudenti, delle quali potrete essere sicuro, che non sarà configliata
a questo; ò pure se voi medelimo nolle darete mal'esempio ; conforme a questo
proposito avvertiscePlutarco, ne? suoi precetti matrimoniali, oye dice'; vir
corporis ftudiofus, uxorem reddit la sciviori cultui deditam ;
voluptuofus amas, toriam, & libidinofam ; boni , honestique amator ,
modeftam , & honeftam: E sog. giugae di vantaggio; nè putes à super,
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] mo, fuis , profusifque
fumptibus uxorem temperaturam ; fi te ad hæc omnia minimè contemnentem
confpiciat', quin potiùs auratis poculis , pietifqae cubiculis, mulorum, &
equorum phaleris gaudentem videat ; non enim fieri poteft, ut à mulieribus
luxus removeatur, quo viri circumfluunt . Sem. Mà come farà praticabile il pri
se terrà visite publichce ove ogn' una farà a gara di comparire con mag . gior
pompa dell'alere? Pub. Se conoscerete, ch'ella abbias la prudenza della
moglie di Focione, di cui già parlammo, permetteteglielo pure liberamente;
perche farà della natura di quella , di cui parla l’Ecclefiaftico al cap. 26.
Mulier fenfata, tacita non eft immutatio eruditæ animæ : mà per al. fro, se non
farà di tal senno vi porrete ad evidente cimento di essere forzato a tractarla
meglio delle altre , e con pompa maggiore, per esfere sposa novella. Sem.
Ma queste non si potranno fuggire; imperciocche lo potrebbero incon
fra: [ocr errors] trare inimicizie, ricusa adofi ; ò per la a meno li
darebbe moito da dire à tuttaa la città. Pub. Se non si potranno fugire,
e voi permettetele. [ocr errors] Sem. Mà facendolo poi bisognerà ,
che seguiti ciocche praticano le altre. Pub. Non è da porsi in
dubio. Sem. Consigliacemi dụnque, che dovrò fare. Pub. Non mi dà
l'animo. Sem. E perche ? Pub. Perche scorgo più volonterolo
voi di queste visite, di quello che sarà la voftra sposa, compiacendovi forse,
che si vedano le vostre grandezze, e sono molti del vostro genio', che mostrano
in apparenza dispiacimento di tal cosa, che internamente con ardenza la bra.
mano; e fanno come diffe Tacito di Ti. berio : Specie recufantis vebementiffime
cupiebat. Sem. Mà è possibile, che non ci siad mezo termine per isfuggire
queste prime vifte, senza che rimanga alcuno disgutaco? Pub. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][merged small] Pub. Si potrebbe questo
trovare,ogni qualvolta però non abbiate voi compia. çimento di averle. di Sem.
E questo quale sarebbe? Pub. Di condurre la vostra sposa fuofi della
città in distanza tale, che non rioscisse facile alle altre di venirla a
visitare. Sem. E chi sà, se la sposa fi contentasse di questo? Pub.
Non vi contenterete voi ; perciocche una giovane bene accostumatas farà ciocche
vorrete : toccate voi ora colle mani, che i mariti sono per lo più arrefici
delle loro ruine, e non le povere mogli. Sem. Mà andando fuori, e poi
tornando , faremo nei medefimi termini di prima, rispetto à queste visite
: Pub. Così credo anch'io ; pofciache vorrete fodisfare allora al
desiderio,che avere di riceverle; mà udite di grazias, ciò che ne potrebbe
nascere di buono da questa vostra lontananza dalla città : Che intanto voi col
vostro giudizio po tre [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] trefte istradarla in modo , che non sarà poi facile,
che diça , qucsto voglio, po: sciache le potrete far ben conoscere
i precipizi , che nascono dall'ecceffivo lusso, ed i danni, che
apporta l'ambi, zione;ed averefte inoltre in quelto men. tre, che
dimorerete in villa , tempo op: portuno d'istruirla ancora nella
buona economia, la quale è l'unico antidoto contro la prodiga
vanità. Sem. Insegnatemi dunque, che dovrò fare fin
tanto che staremo in villa? Pub. Contratto, che averete trà voi
quel santo amore conjugale, le farete comprendere, che guadagno abbia recato
alla vostra casa l'efferyi portaticolà, e che per farle conoscere , che voi non
l'avete fatto già per avarizia , ma per esimervi bensì dalle confuloni, u
disturbi, che nascono da tante visite, e rivisite, che si costumano, donare ad
effa la metà di detta somma avanzatas; affinche ne faccia una soccita di
animali, ò la rinvesta a suo piacere, c commodo, e procurerete , che facendosi
detta foccita, non abbia questa disgrazia alcuna per più anni, con foggiacere
voi as quei discapiti, che l'inclemenza delle Stagioni potrebbero apportarle, e
vedrete in atto pratico y qual amore effa. porrà all'economia. Le prime
impresfioni sono quelle , le quali radicateli negli animi foftri tanto del
bene', quanto del male, difficilmente fi cancellano più, mentre che, Quo
fuerit imbut a recens feruabir odo rem Tefta diu. Sem. Questo
mi piace affaislimo; perche mi concilierà l'amore di essa, edonerò senza fare
discapito alcuno ; mentre ciocche dono, rimane in cafa; mi farebbe discaro
bensì, quando andaffe in börfá de mercanti: Mà se in progrefso di tempo desiderasse
qualche abito , come mi dovrò regolare? Pub. Dovrete invigilare di
provederla preventivamente di ciocche è necefsario al decente ornato, secondo
il voItro grado ; affinche non sia forzatas [ocr errors] chiedervi cosa
alcuna . Sem. Mà se ciò non ostante lo facesse, hò da negarglielo?
Pub. Se voi la scorgerete attaccatas, al danaro non glielo negate , questo si,
che in vece di spendere voi, date la moneta ad ella, acciocche la spenda a suo
modo, Mec. A questo proposito posso riferire un caso accaduto. Venne
voglia ad una donna civile di farsi una certa scuffia alla moda; il di lei
marito, ch' era accorto , non glie la negò; ben è vero, che le diede il
danaro nuovo di zecca per farsela ; ella cominciò à con, tare, e ricontare
dette monete, li le parvero assai belle, e perciò non s’induceva à
spenderle ; le domandò į egli pallato qualche tempo, se fi cras ancora
fatça la scuffia; cui rispose, che non aveva potuto trovare cosa appropo.
fito; le replicò : fatela quando vi piaci ce, perche il danaro è vostro, e se
lo Ha volere impiegare in altro, fate voi; mà ella non lo spese già per
goderselo. P Sem : [ocr errors] le qua [ocr errors][ocr
errors] Sem. E se fosse liberale ; che non fa. ceffe conto del danaro ?
Meo. In questo caso pariinente non mostrare renitenza in sodisfarla ; dite
bensì, che commetterete fuori, e farété venire merletti più belli, e più alla
moda di quei, che sono in città; perche intanto, ò le passerà la voglia di
farsela, ò si murerà la moda , come si vede giornalmente accadere, e potrebbe
anche darli il caso, che un giorno fi rendeffe capace di ciocche disse Crate,
Filosofo : che ornamentum eft, quod orhaf:ornat autem quod mulierem boneftiorem
reddit. Quindi è, che secondo quel detto greco : Mulieri ornamentum
mores, e non [ocr errors] durum Sem. E se le venisse tentazione di
porfi qualche manteca nel viso, per comparire più vaga? Pub.Ciò non
dovrete tolerarlo in conto alcuno riso.it Sem. Che averò da fare?
sgridarlas .forse, e mortificarla inleme Pub. [ocr errors] fa
Pub. Questo poi nd; pofciache me. no verrece seco alle brutte, meglio semnot
pre farà per voi, ed affinche possiate di in ciò regolarvi con prudenza, vi
rifeac rirò per convincerle dolcemente, cioc che dice Zenofonte
nell'economico, ch' è questo: Die mihi uxor, nonne hisce legibus matrimonium
inivimus, ut quod effet utrique faculsatum, invicem communica. remus ? annuit
illa . Jam ait , fi poftquam tu tuam portionem bonæ fidei contulifes, ego pro
veris gammis fiétitias , prò auro puro, adulterinum darem , prò torquibus
aureis vitrum auri bracteis oblitum prò monilibus folidis , ligna 'auro, argen
to, incruftamentis obducta, num boni confuleres, aut judicares , me plus tibi
contuliffe ; fi talibus technis tibi imponerem, quam fi quod baberem', uti eft
in medium conferrem? quod illa excipiens , cave , inquit, ne mibi talis fis ,
neque enim te ex animo amare pollem; quo audiio ille fic perrexit : atqui nos
in hoc potisimum convenimus, ut alter alteri corporum Noftrorum copiam
faceremas, quod P. 2 [ocr errors][ocr errors] h cum
Pub. Nira maltrattato ? cum uxor annuiset. Sum ne, inquit , tj bi
gratior, aut carior futurus, fi corpins boc, uti eft, nullo medicamento
vitiatum Communicem, an fi os,oculofque minio infestos tibi ofculandum
preberem? At ego in. quit uxor; minimum nunquam attigerim, neque fucatos oculos
gratius, quam tuos afpexerim . Et mihi , ait ille , puta mentem eamdem effe:
nec tam mentito (quem tu cerufit, fib:oque inducis) colore delectari, quam tuo
nativa. Quo tam commado fermone caftigata mulier abjecit omnia tectoria,
formaque medicamenta . Onde di questo convincentissimo ragionamento vi potrete
anche voi prevalere per ridurla a suoi doveri, senza contendere seco,
Sem. E se diveniffe fastidiosa, iraconda, e garrula, che dovrò fare? Pub.
Tutto l'opposto di quello , che farà lei, imperciocche altrimenti sarà la. casa
vostra un continuo inferno. Sem. Come si potrà praticare questo
Pub. Non vi potrà fare mai peggio di uxor. unda , quello, che
faceva Santippe a Socrate, e pure la sopportava , come viene dea
scritto da Bigo poeta :
Ferendum eft Socratis exemplo quodcumque peregerit Xantippen,
fiquidem convitia multas moventem , Cum blando
argueret, fædatus defuper Nil nifi deterso, poft tanta tonitrua,
dixit Vertice, se pluviam non ignorante se quutang Sem.
Bisognerebb’essere però Socrate per sopportare tanta ingiuria . Pub.
Cominciando ad operare da Socrate potreste anche voi divenire simile ad esso ;
posciache interrogato per qual cagion'cgli sopportava tanti strapazzi ricevuti
dalla sua insolente moglie, rifpofe : Cum illam domi talem perpetior ,
infuefco, dw exerceor ,'ut ceterorum quoque foras patulantiam, et injuriam
facia liùs feram; laonde con sopportare l'in giu [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] P 3 [ocr errors] giurie della vostra
moglie, diverreste Socrate anche voi. Sem. Mà se fosse altera , ambiziosa
di commandare, e non volesse fare ciocche dal marito le veniffe ordinato
Pub. Socrate sopportava questo ancora .. Sem. Mà voi, Mecenate, che non
fieţe Socrare, che fareste? Mec. Vi posso riferire ciocche fecero alcuni
in fimili casi, e con profitto . Vi fu una certa vedova, cui erano morti trè
mariti, a cagione dei gran disgusti dati loro da essa ; non trovava questas più
alcuno, che la volesse prendere per moglie, un giovane alla fine, sapendo
ch'era divenuta inolto ricca la volle sposare ; mà cosa fè questi ? ordinò, che
fosse trovato il cavallo più indomito, che fosse nella città, con ordinare al
fuo cocchiero, che nella mattina feguente alle sue nozze lo avesse fatto andare
furiosamente per il cortile del suo palazzo, e che avesse di poi eseguito
puntualmente ciocche da esso gli fareb, be 1 be stato
comandato; in quella macci na il cavallo fè furie grandi ; venne cuole
riosità alla sposa di vedere da che pro cedesse quel gran rumore, che
udivano in si affacciò alla feneftra, e nel medesimo tempo ancora vi
accorse lo sposo, il quale domandò al cocchiero , la cagione di ciò, cui
rispose : Signore, è unas beftia, che non si può domare, e perciò ogni giorno
farà il medesimo; allora egli comandò, che fosse trucidato, conforme
crudelmente seguì; la povera sposa rimase attonita da sì risoluto comando, c
voltatosi lo sposo verso di effa , le disse : Signora mia, quando le bestie non
G poffono domare è necessario di venire à queste risoluzioni : das dovero, che
mutò ella modo di vivere, e di leone divenne agnella. Vi fù parimente una
moglie assai disobediente,alla quale avendo ordinato il marito, che non fosse
uscita di casa ogni giorno, e tornata di notte, mà vedendo , che
colle buone non ricavava profitto alcupo; udite un giorno quello le fece
nel [ocr errors] P 4 tor tornare a casa : teneva'pronte le
forfici, e le recise i capelli, dipoi le disse : oh adesso andare fuori di casa
quando volete, che farete una bella comparsa : sapete voi, che se ne
aftenne, ed in avvenire fu più obediente a suo marito. Sem. Vedete voi,
Publio', che con mostrarsi risentito, si possono anco togliere i difetti
donneschi? Pub. Questi sono casi rariffimi, che felicemente riescano : I
più frequenti però fanno vedere il contrario. Nacque una volta competenza tra
il Sole e l'Aquilone, a chi di loro fosse riuscito più agevole, a togliere da
dosso il mantello ad un viandante : si adoperò con tuttas la sua violenza il
secondo, mà, ftringendoselo alla vita chi lo portava , non fu mai possibile
farglielo lasciare : cominciò dipoi il Sole, senza usare violenza, a
percuoterlo coi suoi continuati raggi ; refiftè egli per qualche spazio di
tempo ; mà alla fine & spogliò non solamente del mantello, ma del giuppone
ancora; e da questa ápologo.com, pren: [ocr errors] i prenderete se
riesca più utile la violenob za , ò la piacevolezza continuata per ri
muovere i difetti donneschi : ed Ovidio che le conosceva bene,così canto:
Define, crede mibi, visin irritare vetado Obfequio vinces aprius
ipfe tuo. Sem. E se fosse ostinata in non volere cedere mai, mai ,
allorsì , crederei , che fosse d'uopo prevalera di quel rime dio
contenuto in questi due versi : .. Rendon più frutta donne , afini , e
noci A cbi ver loro ha le mani più atroci . Pub. E da cui
apprendeste, Sempronio, modo sì ingiusto, e villano das trattar le mogli? forse
che dall'indiscreto Ercolano Sanese ? il quale, conforme racconta il Dolce nel
secondo del. le istituzioni delle donne, avendo comprati certi tordi , mentre
li stava mangiando con sua moglie, le diffe ; se aveva mai veduti tordi più
grassi di quelli ; vi replicò la moglie ; ch'erano merli, mà , volendole far
capire il marito, ch'erano tordi, non fu mai possibile, crsendofi oftinata
nella sua falsa credenza;alla fine, dopo le contese, l'Ercolano fi avanzò a
percuoterla col bastone, il quale non tolse già la sua pertinacias; posciache
in capo all'anno disse al marito, che in quella medesima sera era Itata così
malamente trattata per quei maledetti merli, ch'egli diceva essere tordi ; e
convennegli fare l'anniversario ancora , con batterla nuovamente, come accadè
in molti anni seguenti. Or vedere, che profitto apportano le battiture alle
donne pertinaci? Poteva l' Ercolano crederli anche per storni; perche ciò non
diminuiva loro già il sapore: mà, se fosse egli stato sotto la censura di
Catone, non averebbe certamente commesso fimili attentati; imperciocch'egli
voleva, che i mariti, che percuotevano le mogli, foffero puniti col medesimo
gastigo, che si dava a coloro,che rubavano nei tempi dei loro Dei, come
riferisce Plutarco. ES. Crisosto. mo nella umilia 26. epift. prima D. Pau. li
ad Corinthios, così dice: Neque verberandam uxorem dico , abfit: ultima
nam [ocr errors] 201 [ocr errors][ocr errors] namque ignominia eft
non ejus qui verbe- ratur , fed qui verberat &c. e dipoi , vos
viros illud admoneo , nullum fit tam magnum peccatum, quod ad
verberan- dum uxorem vos compellat , per lo che meritamente cantò
il Guazzo: Offende il Cielose il santo amor discioglie Quel
che con empia man baste la moglie. Sem. E se si credesse impudica,
li ha da fare da Socrate in permetterglielo ? Pub. Questo poi nò : fi dee
bene fare da Socrate in non ingannarsi nel crederla cale, quando non fosse ;
perche alle volte la gelosia fà travedere le ombre per corpi; e fa credere,
anche le menzogne rapportate da uomini sceleraci per cose vere; ed udite a tale
proposito questo prodigioso fatto. Si trovava al servigio di S.Elisabetta
Regina di Portogallo un paggio di ottimi costumi, u perciò da effa amato, di
cui si prevale va per suo elemofiniero ; fu questi ca* lunniosamente
imputato appreffo al Re di soverchia confidenza verso la sua pa.
drona, ed anche reciproca di essa verso . di [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] di lui ; fu data credenza alla calunnia ; onde il Re
adirato fè ordinare ad un fornaciaro, che avesse gettato dentro l'ardente
fornace il primo paggio, che nel di seguente gli mandava; comandò dunque all’innocente
, che si portafíe colà; mà perche udà sonare la campana di una chiesa, mentre
era in viaggio, la sua devozione lo spinse ad andare verso quella parte ove si
trattenne in ascoltare più messe qualche spazio di tempo; mà, perche il
Reviveva impaziente di udire il successo, ftimò bene inviarvi l'altro paggio
calunniatore, il quale, essendo arrivato il primo , conseguì il meritato
gastigo, ch'era preparato per l'innocente : ed arrivato poi il secondo portò al
Re l'avvifo, di essere ftato ubbidito; e risaputali poscia las cagionedal Re,
perche fosse egli indugiato tanto, ben si avvide della sua innocenza, e della
giustizia di Dio. Viene riferito dal P. Crodier. Sem. Mà corne potrò
conoscere d'a. vere occafione di dubitarne con fondamento? Pub [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Se voi per esempio non ufafte a ad
Jei tutta quella fedeltà dovuta , ò pure se per cafî faceste conversare
gioventù in più vistosa di voi, e con tutta libertà; allorsì forse forse,
che, se non fosse più, che la carta Penelope, ne potreste alquanto
dubbitare. Sem. Ed in questo caso, che dovrei fare per correggerla , e
gaftigarla ancora bisognando?, Pub. Bisogna , ch'esaminiamo prima chi
foffe il reo principale in questo caso, se voi, ò essa? Sem. Sarà essa
lei , perche io voglio, che sia pudica. Pub. Voi volere, chefia, e fate
ogni possibile, che non lia. Sem. E come? Pub. Con darle
primieramente mali esmpio col vostro cattivo modo di operare; e poi con darle
commodo di fare ciocche ella vuole. Credetemi, Semipronio , che le donne, se
non hanno il cattivo esempio dato loro di mariti, ad ditficilmente
s'inducono a far male, Scn 3 d Sentite ciocche dice a
tale proposito Euripide, Stulla quidem fumus mulieres,
non nego, Cum autem infit hoc animis , peccat
ma- ritus Faftidiens connubia , imitari vult Mulier viruń, co aliui
parare ama fium. Ed operandosi in questa guisa , tutto questo procede per
colpa de' mariti, e sentitene ora il parere de' Santi Padri, | S. Agostino così
dice , lib. 2. de adult. conjug. Periniquum effe videsur , ut pudicitiam vir ab
uxore exigat, cum ipse non exhibeat , ed inoltre dice , ui quales volumus
uxores noftras invenire , ipfe nos inveniant , du fi intactam quærimus, intatti
fimus ; c Lactanzio, de vero cul. cap. 2 3. Exemplo continentiæ docenda uxor,
ut fe caftè gerat , iniquum eft enim, út id exigas, quod ipse præftare non
poffis; e poco in appresso, uxorem ejus qui circa corrumpendas alienas uxores
occupatur , exemplo ivcitatam, aut imitari se putare,aut vindicare; e l'uomo di
Dio Giob così parla , fi deceptum eft cor meum fue 2 per per
muliere, a fi ad oftium amici mei infi diatus fum , fcortum alterius fit
uxor mea, od fuper illam incurventur alii , e notare quella parola alii,
che denota, che non sarà un solo. Sem. Ma se per colpa mia non venisse,
ed ella fosse sì pazza , che volcsse trau dirini, che dovrò fare? 1 Pub. Questo
sarebbe caso rarissimo, s poiche avendola scelta di famiglia ono rata;
non facendole mancare cosa alcu. na, e non dandole veruna occalione di tradirvi,
sarebbe una grandiflima ini. quità , fe lo faceffe ; in questo caso dunt. que
da principio dovere stare vigilantes alla di lei custodia con fare molte caure
diligenze. Sem. E da che me ne potrò avvedere? Pub. In primo luogo
dal suo affetto til vero, che s'intiepidirà verso di voi, ef sendo che
questo non può portarlo a dụe gel medesimo tempo Sam. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Sem. E se fosse finta, come potrò di. stinguere
il vero dal fimulato affetto ? Mec. Con un poco di tempo ve ne av.
vedreste beniffino, con dirle, che volete fare un lungo viaggio con essa lei, e
cominciando a porre all'ordine ciocche fa di bisogno, per farvi conoscere
risoluto ; può essere, che da principio diffimuli, onde se vedrete, che in
progresso di tempo ella li contristi, almeno in assenza vostra , credere
pure, che qualche cattivo pensiere le va per las mente, essendo quaGi
impollibile , che chi hà simili attacchi, non si rammari. chi allorche dee
allontanarsi; e tanto maggiormente, quando non abbia avu. ta in altri tempi
repugnanza alcuna di viaggiare . Sem. Io che dovranno confiftere
l'accennate diligenze ? Pub. Principalmente in vedere, che fidata servicù
voi avete in casa ; posciache, se farà al vostro servizio qualcuno bizarro, che
faccia spese disorbitanti, di questi non vi fidate punto, che non
ten [ocr errors] di tenga mano, perche d'onde gli vengoo? no l'entrate da
spendere tanto, non ba stando la sola paga per far queste ? licenziatelo
dunque alla prima, e se il ma le da ciò procedeffe , tal volta potrebbe
in questo solamente bastare.In oltre sareb-'. be anche ben fatto,
sospettando voi dela la di lei fedeltà, d'intraprendere qualche viaggio ad
onefto titolo di devozio ne; con andare a visitare qualche Santi
tuario ; ed in tale occasione le userere, delle cortesic più del ordinario, per
riscaldare quell'affetto, che si era inties pidito verso di voi; e fatela
girare un gran pezzo, che così le ritornerà il rens no, che aveva incominciato
a perdere; e voi sapete, Dottore , quanto bene può apportare il viaggiare in
questi casi. Med. Certo è, che allontanandoci da quell'oggetto, che turba
l'animo postro, può quefto più facilmcórc cálmarfi , conforme lo conobbe anche
Proper: zio dicendo : Unum erit auxilium mutatis Cinthia terris Quan
1 [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Quantùm oculis, animo
tàm procul ibis. Amor. Ma per addurvi autoricà più propria vi apporterò
ciò , che ne dice Cornclio Celso : Mutare debere regiones , fi mens redis ,
annua peregrinatione effe jaDandos. Sem. Hò da farne alla prima risenti.
mento, cominciando a sospeccarne con fondamento Pub. Questa è materia
molto gelofa ; onde con prudenza grande doverà cratcarli, e con molta
circospezione. Mec. Così credo anch'io, rifetten. do a ciò, che dice Ausonio:
Toxica zelotipo dedit uxor maca ma wire. Sem. Mà se il caso si avanzasse
tant' oltre, che mi accertalli di tale misfatto? Pub. Due rimedi ci
sarebbero, un o legalc, cl'altro suggerito dalla somma prudenza , o
fancità, Sem. Lasciamo il legale ; l' altro qualid? Pub, Marc'Antonio
Filosofo Impera [ocr errors] bi tore prudentissimo diffimulò, come
rac conta Giulio Capitolino ; il gran torto 1 fattogli da Faustina sua
moglie, dicenddo di esso : tantùmque abfuiffe , ut de cas ejufque
adulteris fupplicium ex lege fumeret, ut illos fibi non ignotos (gran
virtù in chi tutto poteva ) pra ceteris ad ve#rios honores, &
magistratus promoveret s du in iis Tertullum, quem cum ea prandena sem
aliquandò deprebenderat. E S.Paolo Eremita, come vien riferito da Socr. in fripart.
historia lib. 1. cap. 2. Avendo ritrovato la sua moglie adultera, che fec'
egli. Nil aliud , quam tacitè subrifis, jureque jurando affirmavit , fe nunquam
cum ca concubiturum , ad adulterum au tem; tibi, inquit , tam babeto,
& cuma 1 difto adberemum abiit . Mec. Rimali sorpreso da maraviglia,
Dottore, quando lesti nel lib. de cap. util. ex adverfis , come mai il vostro
Carda no autore di esso ;' uomo sì celebre, vi * abbia posto gli utili ,
che ne' possa ri portare il marito dalla moglie adultera ; pour
essendoche quanto da fimile misfattorisulta , è tutto danno, e'
vituperio. Med. Non parla ivi il detto autore dell'utile onesto, e
decorofo , mà bensi di quello, che si ricava (per servirmi della frase di
Tacito) Ex induftria facinorofa ; ed avendo egli intrapreso l'affunto di
ricavare da tutte le avverGità quell'utile, che ponno dare, da questo non si
poteva ritrarne altro che un vàntaggio viziolo e detestabile chiamandolo egli
medesimo:surpe auxilium. Sem. E se li moftcafie gelola di me? Pub.
Sarebbe segno, che molto vi amasse, nel qual caso, facendole cono. fcere, che
sono vani quei sospetti, che concepisce di voi, che vivete, comes debbono i
buoni mariti, farebbe colas facile, che deponeffe tal gelosia. - Sem. Ma
se non vivefli offervantiflimo, ed andafli in qualche luogo un poco fospetto,
solamente per divertirmi , mà fenza fare inale alcuno 1 Pub. Evoi
tralasciate di andarvi,che così cesserà ancora.la gelosia; altrimensi quel
vostro divercimento xi.cofterà са [ocr errors][ocr errors] caro ,
togliendovi la pace domesticas; e rifertere di grazia allo spaventofo fuccesso
seguito nell'isola di Lenno; ove, le donne per gefolia z ch’ebbero, che i loro
marici fi foffero invaghiti di alcune belle schiave, congiurarono contro di
essi talmente, che divennero ftudiofamente tutte vedove in una notte : oltre di
che, udite ciò, che dice l’Ecclefiaftico al 26. Dolor: cordis , do luctus
mulier zelotipa : : Sem. Mà se pretendeffe poi,che io so. disfaccffi al
debito matrimoniale di vantaggio , che fosse convenevole, cho dovcrò
fare? Pub. Avendola voi scelta di buoni coo stumi, non avere da temere
questo ; se pures non ile darete occasione di farlo! Sem. E quale sarebbe
questa ? 15,368 Pub. Potrebb’essere il gran confumo di cioccolata , e pistachiara
, di rosolà, e vini generosi, e di altre cose, che accendeffero il sangue
, che si faceffe in * casa vostra ; orde basterebbe , che lo toglie te
via ; imperciocche, [ocr errors] Sine Cerere , Bacco friget Venus .
Sem. E se questo rimedio non baItasse? Pub. Allor conviene ricorrere alla
prudenza , con farle ben capire, che quello sarebbe il modo da farla divenire
prettamente vedova ; e che per non farle provare una così infelice fyenturas,
dovete opporvi alle sue eccedenci brame... Mer. Ad un certo marito, che
si tro. váva spesso in fimili angustie , gligiovò molto il fare l'astrologo,
posciache non mostrava già di opporli a quanto deside, rava la moglie, ma bensì
le diceva , ch' cra d'uopo trovare prima nell'Effemeri. di, se in quel punto G
farebbe generato figliuolo sano ; ed alle volte le dava ad intendere, che
sarebbe nato cieco, altresi zoppo, onde in questo modo operava tanco, che li
bastava per indurre a fare a suo modo la credula moglie . Sem. E se non
volesse applicare a farai domestici, come mi doycrò conteacre ?
Pub. 7 [ocr errors][ocr errors] #1 Pub. Bisognerà , che voi
claminiace boy bene d'onde ciò provengà ; pofciache, se nascesse
per cagione di qualche indis1 posizione di testa sopravenutale il non ad
potere applicare i converrebbe, che voila comparifte, cd in tal caso
potrcbI be fupplire la matróna a quanto ad ella spettava, 18 Sem.
Si che dunque non potrò fare di meno di non provedermi di questa matrona ,
potendonc avere bisogno grande di essa? Pub. Questo non è da porta in
dubbio, fe bramercte, che la direzione della vostra casa vada bene, e non
vorrete voi medefimo fare da donna', Sem. E se non provcnifle
dall'accennata cagiones Pub. Doverete anche informarvi, se ciò
procedeffe, perche qualcuno voftro favorito le volefle fare da sopraftante, il
che non sarebbe conveniente, ed in tal calo to doverefte ammonire a defi.
ftate, quando nollo vogliate rimuovere, ed allora vedretc, cho e Ha sarà
appli ciui 1 [ocr errors] cata, ò pure , se si divertisse ia
altre cose per dare sodisfazione a voi, ael qual caso non potrebbe applicare
alli facci domestici : per esempio, se vi veniffe voglia, che imparasse, a
sonare, a cantare, e ballare, ò pure qualche linguage gio straniero ,
certamente, che non potrebbe ella applicare con attenzione a tante cose ; onde
mutando voi fimile pensiero la vedrete tornare attentissima alle cose
domeftiche, Sem. Mà se non vi fosse alcuna delle fudette cagioni , mà che
per il suo catcivo nacurale volesse inquietarmi con operare da pazza, che
doverò fare? Pub. S. Crisostomo insegna in questi casi gell’amilia 26.
epist. 1. D. Pauli ad Corinthios, che cosa si debba fare: cioè quello, appunto,
che pratica un buono agricoltore nel coltivare il sao campo, il quale, fe lo
conosce sterile, procura di ajutarlo con industria, per farlo divenire fecondo
; e non per questo, sem mentato che abbia ivi il grano, nafcendovi
dell'erbs.catcive, si duglefe. co, perche le abbia prodotte ; mà beni sì con
sofferenza grande le carpisce a po co a poco , senza danneggiare punto
quel seme di frumento, che ivi vede - germogliato. Or perche non si ha
dad praticare il medesimo colla moglie? fors' ella è meno meritevole del
campo di ricevere simili ajuti ? è forse il seme umano inferiore a quello del
frumento? ed udice ciò, che dice il fudeko Santo: quotiescumque aliquid molefti
domi contigerit, fi quid uxor peccaverit , confolare, cu noli marorem augere
Licèt enim omnia proiicias, nibil, moleftius continger, quàm non, babere
benevoham domi uxorem; licèt quodcumque dixeris peccafuni, nuha lum magis
dolendum , quam cum uxorlu Jeditionem habere. Quod fi inuicemones ra ferenda
funt , multo magis uxoris, fi pauper fi, noli exprobrare fistulta, noli ei
infultare ; fed efto modeftior . Etes nim tuum membrum et Garo una fa&i
cfis. Sed falta eft cbrid auracundai Igitus dolendum eft , nox irafcendum ut e
poi soggiunge. Quod fi vorberaveris [ocr errors][ocr errors] exafperabit
morbum ; afperisas enim mare fuetudine , , non alia afperitate disolui
Sem. E sc le veniffe voglia di vedere tutte le comedie , andare a' festini , c
di frequentare tutti gli altri divertimenti, che doverò fare Pub.
Arendola alla prima assuefatta diversamente, come potrà venirle tale volonca ?
E quando in particolare averà più figliuoli, ò pure farà anche gravida: non li
potrebbe dare altro caso, che le faceftc mutare costume voi mcdefimo, divenendo
curioso , c vagabondo : mantenetevi costaoce nel ben operare i ch'ella ancora
persevererà nelles medefima forma; ed usatele ancora in quei tempi qualche
amorevolezza di vantaggio, per tenerla contenta . Mer. Questo lo credo
anch'io ben fatto, avendo conosciuto un certò marito , cui era discaro, che la
sua moglie, c figliuole fossero andate alle comedies & ad altre publiche
feste, mà che cosas egli faceva ? in cambio di questo , leroy [ocr
errors] o galava in quei tempi frequencemente, dando loro l'equivalente a
quello , che averebbe potuto spendere in fimili died vertimcoti; e
quantunque ad effe dispia cesse per allora di non andarvi, nulladi. meno
vedendo quelle insolite cortelier, si consolavano, e terminato poi
ch'eras # quel tempo, diceva la madre alle fi gliuole : nulla averemmo
guadagnato di buono , se fossimo state alle comedie, dove che da non averle
vedute, ne ab. biamo ricavato molto; e poi per verità erano una volta proibice
alle donne certe feste notturne, come da Tito Livio, lib.g.Dec.4. fi ricava,che
in compendio, e questo: Viri per noctem fæminis, dousenere etati turpiter
miscebantur . Qua nc comperts , fuere S.C. fublata, din mulros animadverfum
fuit. E Svetonio lo conferma nella vita ancora di Octaviano Augusto Sem.
Ditemi finalmente, se uno avefin se pensiere di sposare una vedova , come du fi
doverebbe regolare in diriggerla ? Pim. Se questa averà avuto un
mari [ocr errors] Ate condizioni unite è cosa difficilissima ,co
saggio, sarà facile parimente, che un altro faggio marito la poffa regolare, mà
elsendo stata assuefatta di fare a sno - inodo, non si potrà mai piegare a far
diversamente : posciache una pianta assodata con cattiva piega, non si può più
addirizare. Io non consiglierei a prendere queste per moglie,se non chi(quando
fosse tuttavia in età di farlo) si trovarfe molti figliuoli, e non avesse tempo
d'invigilare attorno ad effi; e che fosse pienamente accertato, che la detta
vedova avesse dato faggio di somma prudenza in casa del defonco marito; e che
in oltre non avesse figliuoli proprj, nè fosse più in iftato di farli, e li
trovaffe prospera falute; mà chi abbia tutte que di trovarla dall'altro
canto non essendoci queste, si prepari-pure a soffrire molti travagli, chi
vorrà applicare a fimili matrimonj , poiche queste fogliono effere troppo
scaltrite . Sem. Vado riflettendo, che molti di Q uesti buoni consigli
non saranno prati [ocr errors] [ocr errors] [merged small][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][merged small] cabili nei nostri tempi, onde se
I ddio non ci provede , non sò come potremo più softenerci in avvenire .
Pub. Perche non sono praticabili forse che non dipende ciò da voi? Sem.
Dipende da me , mà è dura cosa di essere il primo riformatore degli
abusi. Pub. Non si fanno già queste riforme colla corda al collo, come
disponevano le leggi di Ligurgo; c poi non sareste già il primo voi , essendoci
i Curj oggidi ancora, ma questi non si rimirano già per non averli da in
mirare; onde questo sarebbe appunto quello , che vi doverebbe animare a farlo :
posciachei non volendovi gli altri seguitare, non riferterebbero con attenzione
a quello, che voi operafte. Sem. E nella ventura Conferenza sopra clie fi
tratterà? Pub. Bisognerebbe confolave quelle povere mogli-faggie, che G
abbattono in mariti viziofi, ed insegnare loro coinc debbanfi contenere in
simile sveninca.CONFEREN ZA X. Sopra i ripieghi prudenziali, che debbonsi
prendere in diverse occorrenze dalle mogli saggic, incontrandosi in viziosi, ed
indiscreti mariti. Sempronio , Publio, Mecenate , € Medico.
Semi mag Iferitemi , Publio , quali sono i vizj,de' mariti cattivi.
Pub. Questi sono molti, e forse non minori di quelli delle mogli
pellime : iinperciocche , fe farà egli trascurato, da tal difetto ne verrà il
precipizio di tutta la casa: se prodigo peggio che peggio : se avaro , farà
mancare ancora quello , che sarà necefsario : fe fcapestrato, guai a quella
povera moglie, che dovrà combattere fe [ocr errors] [ocr errors]
seco : se giocatore , fi porrà a peri. colo in una sola notte di perdere quan,
to egli possiede : se lascivo, non li con. tenterà dell'onesto : fe affatto
impotente, poco amore per lo più suole avere verso la moglie : sc goloso fuori
dimo. do, oltre di soggiacere a continue in. fermità , sarà oppresso anche da
dobbiti. Or vedere in che miserie Gi troveranno le saggie donnc in mano di
costoro ? E se per disgrazia fi abbattessero ancosa in taluno debole di senno,
che avesse appresso di se qualche servitore fcal. trito, il quale lo dominaffe,
c lo facesse fare a suo modo, oh quanti disaggi se converebbe soffrire !
Sem. Come dunque li doverà regolare una donna saggia , ed attenta col 04rito
trascurato ? Pub. Con ama rlo teneramente, quancunque fi avveg ga della
sua trascurag. gine. Sem. E come lo potrà fare? Pub. La prudenza le
infinuerà di far. lo, per vedere , fe per questa via lo po acres
[ocr errors][ocr errors] réffe indurre ad essere applicato,, perciocche, fe per
sua sventura facefle il contrario, e cominciasse a sgridarlo , certamente
ch'egli si mostrerebbe assai più trascurato ; e credete pure per co. fa
certa, che colle buone più profitto ne ricaverà, che irritandolo. Sem. E
se vedeffe , che ciò non ostanu Te', continuasse ad cssere trascurato , doyrå
ella perfeverare in questo grand'amore? ... Pub. Senza fallo ; anzi che, invece
di scemarlo; più costo, glie lo dee accrescere; poscia sche, se non sarà più ,
'che'affatto iosensato , fi avvedrà alla fine, che lo ama di puro caore ; ed
accertatoli di questo, come potrà fare di meno di non amarla anch'effo ?
Platone, allorche gli fu riferito, che Zenocrate Two scolare enipiamente
parlaffe di esso, * *ffpofe : non essere credibile : ut quem tantoperè amaret ,
ab eo invicem non di ligeretur; ed intal proposito dice Sene• Ed Lpift.g.
Ego tibi monftrabo amatorium Dane medicamente fine berba , fine ullius
0 [ocr errors][ocr errors][ocr errors] er veneficæ carmine ; fi vis amari
, amau. :l Ed udite anche ciò, che dice S. Ago stino : Nulla est major ad
amorem in vitai tio , quam prævenire amando. Sem. E che le gioverà questo
reciproco amore , quando le cose domestiche andranno di male in peggio?
Pub. Assai più di quello , che voi credete; imperciocche quando sarà ac.
certata di questo reciproco amore, ed informata insieme dei disordini
domestici, in certe congiunture, che le donne fanno prendere, lo saprà con
dolci maniere ben'effa illuminare. f Sem. Ed illuminato , che fosse,
se non sarà capace di operare di vantaggio, a che gli potrà servire
? Pub. A molte cose ; imperciocche prenderà ben' ella un'alera simile
congiuntura, e ne otterrà ciò, che saprà bramare; che farà appunto il maneggio
dispotico della casa : e vi pare, che questo amore abbia operato poco a far. le
spuntare tanto dominio? Sem. E se glie lo negasse ? R Pube
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Non è
possibile, che ciò faccia, se pon farà più che inumano . Sem. E se fosse
? Pub. Allora converrebbe prendersi altre vie, senza però scemare punto
del suo cordiale affetto. Sem. Queste quali sarebbero ? Pub.
Essendo egli trascurato sarebbe cosa facile, che potesse la saggia donna
trovare qualche buon canale fecreto,da far penetrare a chi comanda lo stato,
nel qual li trova quella infelice casa. Sem. Basterà poi questo , per
farlo divenire applicato? Pub. Oh quanto opera tale istanzas fatta da
faggia, e pudica moglie ! si udirå all'improviso dichiarato unEconomo al
trascurato marito, e si verificherà in Jui il proverbio di Salomone : Qui
ftultus eft ferviat fapienti ; ò pure quell’al feruus fapiens dominabitur
stultis filiis : e recherà ammirazione, che non potrà penetrare, donde fia
provenuta tale istanza, non potendosi egli mai persuadere, che l'abbia
procurata la sofferentiffima moglie. Ed ecco rimediato a tutto senza
strepito, e concesa alcuna; non dovendosi a queste esporre le fag-
gie donne; conformc lo dimostra il la- crificio, che costumava presso i
gentili farsi 2 Giunone Dea delle nozze, cui non ardevano già le
vittime, alle quali non era stato prima levato il fiele, eget- taro
via , per denotare, che non deb- bano mai marito, e moglie adirarsi
in- fieme. - Sem. Qualche volta però è riuscito
alla moglie, che ha mostrato perto , di ottenere ciocche voleva da suo
marito. Pub. Sì bene dal marito prudente,mà non già dall'imprudente
, e vizioso . Santipre non averebbe già fatto fare a fuo modo , fe invece di
Socrate foffe stato marito suo l'Ercolano, di cui parlammo ; e ragionando noi
ora de' mari. ti viziosi, e mogli saggie, nulla gioverebbe a queste,il
mostrare petto;anzi facendolo doverebbero cancellarsi dal numero delle
prudenti. mi Se fosse prodigo, come ella si [ocr errors] dovrà contenere
? Pub. Oltre di amarlo, come si è detto di sopra, dovrà guardarsi dal
riprenderlo soverchiamente, e con modi aspri per non irritarlo maggiormente;
insegnando Plutarco, che l'austerità della donna dee, come quella del vino ,
renderá giovevole, e grata , non già amara, e dispettosa, conforme quella del.
l'aloe. Sem. S'indurrà facilmente la moglie, per goder ella ancora de'
suoi fcialacqui, a non riprenderlo. Pub. Non è così ; perciocche la donna
faggia patisce fuori di modo, nel vedere dilapidarsi la casa; anzi che
procurerà di non goderli per quanto può, u fi conterrà nel vestire pulita si,
ma senza alcuna vanità; mostrando Plutarco, che l'unico mezo per acquistarli la
grazia del marito, fia la vita esemplare, lontana da cutte le vanità superflue
: cu quando il marito, la volefie forzare a far diversamente, sarà capace di
scusarfi con un santo pretesto di divozione, dal [ocr errors][ocr
errors] dal quale venga moffa a vestirsi di unj abito votivo, cd accompagnerà
ancor'a questo astinenze, ed orazioni, per ottenere da Dio la grazia , che il
marito fi ravvegga. Sem. E le ciò non ostante, egli continuafle nella
medelima forma , non sarebbe pur ineglio, che godesse ancor essa, potendo in
tal guisa dar gusto as suo marito? Pub. Non lo farà essendo prudente;
perciocche considererà , ch' essendo due a dilapidare, più prestamente si
darebbe fondo a tutto ; mentre due deAtrieri, che concordemente corrono al
precipizio, poco indugiano a cadervi; dove che, quando uno di essi è refio, lo
può ritardare di vantaggio. Sem. Sin ora però non iscorgo riparo
alcuno. Pub. E credere voi, che il marito , vedendola così ben composta,
e così esemplare nella modestia, a lungo andare non s'illumini? Quello esempio,
çh'egli avrà continuamente avanti gli [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] occhi, sarà di tanta efficacia , che finalmente lo farà rayvedere : ed
udite ciò, che dice Euripide a cale proposito: Domiperdam etiam virum
probibet UXOR Bona , ci conjuncta , fervat domum. Mà meglio ancora
apprenderete tal verità da S. Crisostomo in Joan. Homil.60. Nil potentius
muliere bona ad inftruendum, & informandum virum, quodcumque voluerit :
neque tam lenitèr amicos, neque, magistros , neque Principes patietur, ut
conjugem admonentem , atque consulentem . Habet enim voluptatem. quamdam
admonitio uxoria, cum plurimùm amet, cui consulit. Multos poffums afferre viros
asperos, immises per uxores mites redditos, & manfuetos; ipfa enim mensa,
lector. E conclude:fi prudens erit, & diligens, omnes vincot. Sem.
Tutto questo bene si potrà ottenere, allorche avrà dilapidato ogni cosa; ed à
che le potrà giovare l'effersi tanto affaticata, allorche averà ricevu., to il
colpo facade? Pub. [ocr errors] Pub. Non è così, Sempronio ; perche
se indugiass’egli molto à ravvedersi, non già trascureranno i propri parenti ò
pure colui, che aveffe con autorità suprema a porgervi riparo, mossi
dalla gran sofferenza della saggia donna. Sem. Ma non sarebbe rimedio più
speditivo, che intentasse la donna il giudizio contro di esso, per farlo
dichiarare dilapidatore? Pub. Questo non farà mai chi è saggia; perche
considererà molto bene, che dopo un simile paffo non vi sarebbe più pace tra
loro : e poi diciamola giusta, per via di liti, se facesse il marito comparire,
che in vece di effere dilapidatore, fosse più costo economo, che cosa se li
potrebbe fare ? sapete pure, che i raggiri non mancano. Sem. Quale sarebbe
dunque il rimedio per ovviare fimil male , quando colle buone non si potesse
ottenere ? Pub. Di porre un'altra testa capace à governare bene la casa,
in vece di quella, che governava male, qual sarebbeappunto un'altro Economo,
per fare verificare ciò, che dispone l'Ecclesiaste: Servo fenfato liberi
serviant . Sem. Io bisogna, che parli, come la intendo: ho veduto alcuni
Economi in breve tempo arricchirsi con queste ainministrazioni; onde non
vorrei, che simili economati servissero di apparenza; mà che poi in sostanza le
cose continuaffero nella medesima forina ad andar male; con questa differenza
solamente; che quello , che si deteriora, non apparisca, passando nascostamente
in borsa dell'Economo; il che mi perfuado , che possa esser'errore peggiore del
primo ; mentre facendolo il padrone confumerebbe il suo ; mà l'Economo fi
apo proprierebbe quello degli altri. Pub. E di quelli , che hanno
amministrato con ucile considerabile dell' economato, ne avete veduto
alcuno? Sem. Di questi ancora. Pub. E de' prodighi , chi avete
osservato, che non abbia dissipato tutto il fuo? Serg Sem. A
lungo andare niuno. meh Pube Or dunque complirà alla Repu blica, che vi
sia detto economato; e 1 particolarmente , se la moglie sarà pruI dente, e non
vorrà anch'essa approvece ciarsi di qualche cosa; nel qual caso i non potrà già
l'Economo fare dispotica mente a suo piacere, avendo ch’invigi li
attentamente alle sue operazioni : 0 i poi se questi si arricchiscano, ponno
far lo con altri impieghi onoratamente , essendo uomini di somma
abilità. Sem. Mà non sarebbe meglio, che separasse la sua dote, e
riconoscesse il fuo? Pub. Queste voci di mio, e tuo non sonavano bene
alle orecchie di Platone; e le detesta Plutarco in bocca delle mogli, volendo
che tanto il bene, quanto il inale sia comune tra efli: ed io credo, che questa
reciproca comunanzas fia molco vantaggiosa per il marito; pera che se la moglie
crederà per sue ancora tutte l'entrate della casa, non ispenderà con tanta
facilità queste in cose sus per: [ocr errors] perAue , essendo le
donne di natura tenacissiine nello spropiarsi del proprio. Sem. E se
foffe Avaro a quel segno, che per ingordigia di cumulare moltoro facesse
mancare il bisognevole alla moglie, ed a' suoi figliuoli ? Pub. Questo
non dovrebbe farsi, e da persone civili maggiormente, essendo padri di famiglia
; tanto per non dire a’figliuoli mal'esempio , quanto perche dee l'uomo civile
lasciare a posteri gloriosa memoria di se medesimo; questa non si acquista già
mediante l'oro viziosamente radunato; perche non sarà più suo dopo morte,
passando all' erede, per lo più prodigo, il dominio di effo, il quale
scialacquandolo ravviverà bensì l'ignominiosa memoria dell'Avaro, che lo
cumulò; dicendo ogn'uno allorche lo vedrà spendere malamente in bagordi , crapole,
e luffi : vedere dove và l'oro dell'Avaro ? onde à che gli sarà servito
l'effere stato tiranno di se medesimo nel cumularlo, e che bei vantaggi ne avrà
riportato ? Quindi è, che non 0. non senza inistero fà da
un'ombra del suo inferno domandare il Dante all'Avaro. Dicci , che 'l
sai, di che sapor è loro 3 Mec. Se l'avesse doinandato à Crasso, averebbe
risposto francamente, ch'era molto amaro amaro, come dice
il Petrarca. E vidi Ciro più di sangue avaro , Che Crafo d'oro,e
l'un, e l'altro n'ebbe Tunto alla fin, che a ciascun parves
amaro. Mec. Fu data una bella risposta à colui, che trovandosi presente
al sontuoGislimo funerale fatto dal figliuolo generoso al Padre zvaro, domandò
ad un suo amico : che averebbe detto il defonto se fosse risuscitato, ed avefle
veduti tanti lumi di cera ardere nel medesimo tempo, quando egli vivente, in
casa sua, non pocea Coffrire , che più di una lucer, na di olio ardeffe ; cui
rispose : nullas certamente, posciache tuito s'impic-. gherebbe in estinguere
prestamente col suo fiato quei lumi, affinche non li logoralsero di vantaggio;
ayerebbe bensi [ocr errors][ocr errors] mu mutato con sollecitudine
il testamento; perche tal generoso erede non gli sareb. be piaciuto. Sem.
Vorrei sapere, che dovrà fare la povera moglie, e come lo potrà amare,
trovandosi priva del bisognevole? Pub. Ciò non oftante conviene, che lo
ami, lo serva, e gli faccia tutte le maggiori finezze poslībili, con mostrarne
anche piacere de' suoi sordidi avanzi, fintanto che sarà divenuta padrona del
suo cuore per regolarlo à suo modo. Sem. E questo appunto egli
defidererà; mà in tanto la meschina patirà doppiamente, facendolo di
contragenio. Pub. Abbia un poco più di sofferenza; perche guadagnato ,
che avrà l'animo di esso, farà allora ciocche vuole, essendoci moltissimi
esempj di Avari fatti divenire anche prodighi dalle mogli; onde quanto sarà più
facile a renderli persuali, di dover fare le loro convenienze: Mec. Si
racconta dal Sabellico un ingegnosa maniera, della quale si servi ladem faggia
moglie di un Signore molto avatro. Questi per ammassare quantità im mensa
di oro, che si produceva dalle di miniere, scoperte nel suo dominio, tei nea
impiegati à tal opera tutti i conta dini, che coltivavano la tèrra ; e
perciò n'era nata grandissima carestia, per la quale correva pericolo di essere
tagliato in pezzi l'autore di essa, se las iaggia moglie colla sua prudenza non
lo aveffe illuminato. Questa dipoi di csferfi ben internata nel suo affetto fè
dan molti artefici formare coll'oro tante vivande, quante n'erano necessarie in
un sontuosislimo banchetto, e perfezionare segretamente che furono , invitò fuo
marito à definare nel suo appartamento, e portatovig rimase egli ammirara
allas prima, nel vedere quel sontuoso imbardimento di vivande, tutte di
oro, e fi persuadeva, che ciò fosse itato fatto per ; una.vaga prima comparsa ;
mà rimirane. do in appresso, che non compariva a'.tro, che oro in varie forme
di vivaride lavorato , le disse ; Signora ;, e quan do do verranno
le vivande da potersi mangiare ? Replicogli la moglie, che trovandosi tutti li
contadini applicati alle miniere , non si attendeva più à coltivare la terra ;
onde bisognava accomodarsi à mangiare oro, perche de' soliti comestibili già si
penuriavad affatto ; fi avvide egli del suo errore , e fe dismettere tal lavoro
per attendere à quello, ch'era più neceffario, e dopo piamente utile per la
conservazione del suo individuo. Sem. Essendo il marito scapestrato , che
cosa dovrà fare l'infelice moglie? Pub. Arinarsi di' una santa sofferenza
con amarlo più, che sia possibile . Sem. Maltrattando però anch' ellas
con fatti, econ parole; non sò, come potrà continuare ad amarlo, e
fopportarlo. Pub. Non potendosi cimentare seco la saggia moglie, non
potrà farne di meno; perche altrimentine anderebbe sempre di sotto ; come
accennò Ovidio nel secondo de' Fasti: Quid faciet? pugnet? Vincetur
fæmina pugnans • E parlando altrove d'Ipemnestra , le fe dire : Che
deggio io far del ferro? in che con viene Coll’armi una donzella 2 io più
conformi Ho le braccia , le man, la forza , ib cuore All'ago,
all'apo , alla conocchia, al fufo, Che all'armi crude, e bellicosi ferri
. Laonde sempre meglio farà à soffrire', 1 andandolo bensì illuminando a poco
ad poco con dolci modi, mediante i quali le fiere stesse depongono la
loro crudel. tà; e s'egli non averà un cuore più cru do di quello
delleone , non incrudelirà - certamente contro di essa, raccontando
Plinio di questo animale : ubi sævis, in viros, plus, quam in fæminas
fremeres 1 veluti natura eum docuerit mulieres mi tius, quam viros elle
tractandas. E for tuttavia perseverasse à rampognarla, si serva di
quell'avvertimento, che diero no [ocr errors] no i capitani di Ciro
ai suoi soldati : che venendo i loro inimici alla zuffa gridan. do , con
silenzio gli avessero accolti ; mà se tacendo, andassero efli ad inveftirli
gridando; dal che ne cavo Plutarco layvertimento, che debbano tacere le donne,
allorche vedono i mariti adiraci; quando sono mesti bensì debbano animarli, e
dar loro sollievo con affettuose, ed efficaci parole. Sem. Voglio
credere, che la moglie manierosa lo possa addolcire à fine, che seco non
contrasti; mà fuori di casa come lo potrà trattenere, che non prenda impegni di
duelli, ò di riffe ? Pub. Quello , che seguirà fuori di casa, essa non
potrà cercamente impedirlo, essendoche non dee andargli appreffo; lo domerà
bensì in questo caso qualcun'altro, perche vexatio dat intellecium ; onde
maltrattandolo qualcuno, ò effo altri, in ambidue i modi potrebbe mettere
giudizio; poiche, feri. ceverà, oh quanti mutano vita dopo di avere fofferta
qualche disgrazia confi. de. [merged small][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] derabile , e se offenderà altri, il gasti. go ancora, che
gli sovrasterà lo potrebu be far ravvederc . Mer. Hò conosciuto molti di
questi , che hanno perseverato qualche tempo nelle loro stravaganze, e poi si
sono domati, e particolarmente quei, che hanno sofferte considerabili
sventure. Pub. Alcuni di questi ancora si ravveggono allor , che divengono
padri di numerosa famiglia, crescendo loro il pensiero di provederla , e
particolarmente avendo molte figliuole ; onde non dee mai la saggia donna
disguItarsi con fimili mariti; dee bensì raccomandarli al Signore , che li
faccia ravvedere , ed abbandonando le vanità mondanc, attendere al governo
dellas sua casa più diligentemente, che sia poflibile. Sem. Essendo
giocatore, come dovrà regolarsi con esso lui ? converrà che lo seguiti
anch'essa per darli sodisfazione? Pub. Per andare in rovina prestamente,
cosi potrebbe fare.Sem. Forse che nò; perche tal volta perdendo uno, vincerebbe
l'altra, e maggiormente, che sogliono le donne vincere sempre ; onde potrebbero
andare le cose compensate, e senza veruno discapito. Pub. E se perdessero
ambidue, bella compensazione , che seguirebbe! Le donne possono vincere con
licurezza solamente quando si contentino di fares perdite maggiori,terminato il
giuoco, è prima di principiarlo; per altro sono anch'esse soggette alle
perdite. Mec. E curiofo,ciò che accadette una volta in mia presenza :
giocava un mio amico con una donna alquanto atrempata, ed avendo egli carte
superiori, io gli disli, che non le avesse scoperte, e fi foffe fatto vincere,
giocando con una donna. Questi mi rispose, che non las teneva più per donna
altrimenti, avendo passico li quaranta anni, mà bensì per uomo. Sem. Or
ditemi , che cosa debbas fare? Pub. [ocr errors][ocr errors] [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Amare, e sopportare il marito,
ed i suoi difetti. Sem. Questa è la solita canzona; mà intanto in una
notte potrebbe giocarsi tutto il suo; ed allora che le averebbe giovato
l'amare, ed il sopportare? I. Pub. Dite voi dunque ciò, che dovesse fare
per darvi più opportuno riparo . Sem. Diricorrere, farqi sentire con
iftrepito, per impedire, che non potefse più giocare. Pub. Oh bene ! É
non sapete voi, che nitimur in vetitum ; onde questo sarebbe à appunto il
motivo di fargliene venire maggior desiderio di prima ; e se avesse
dismesso per lo passato il giuoco à meza notte, di farglielo durare in avvenire
sino à giorno, per fare dispetto all'imprudente moglie. Sem. Mà che dovrà
fare questa infei lice donna? Pub. Non altro, che sofferire , ed amare,
più che mai, ed udite ciò, che dise S. Ambrogio Sec. Offic. Quid tam
ino. [ocr errors][ocr errors] S 2 S [ocr errors][ocr errors]
inolitum , atque impreffum affe Etibus humanis, quam, ut eum amare inducas in
animum, à quo te amari velis? Sem. Penurierà la casa del necessario, non
si pagherà la servitù, i debiti cresceranno, le tenure deterioreranno, anderà
tutto da male in peggio, e questo sarà appunto il frutto del soffrire , ed
amare. Pub. Forse , che lo schiamazzo della moglie, quantunque giugnesse
à quel fegno descritto da Virgilio: Fæmineum clamorem ad. cæli fidera's
tollunt. potrebbe dare riparo à tanti mali? certo che no, mentre, come dicemmo,
diverrebbero maggiori. A tal pro- en pofito cade in acconcio la risposta , che
diede il Re Filippo à coloro, che lo fti- dic molavano à muovere guerra ai
Greci, i quali beneficati da esso sparlavano della sua real persona, che fu
quefta : Quanto peggio farebbero , se fossimo nemici la loro ? Sem. Però
se io fosfi ne. suoi piedi, [ocr errors] non [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] non potrei essere così amoroso di un marito,
che procura di mandare la casa in malora. Pub. E che fareste dunque di
vantaggio? 50 Sem. Sei iniei parenti non mi volesseed ro dare
ricetto in casa loro , me ne sta rei in un appartamento separato , e pro.
1 curerei di non trattarlo più; perche, come si suol dire : occhio non
vede, cuor non duole. Pub. Sarebbe questa certamente una gran pazzia
conosciuta anche da Eui ripide per tale; mentre egli fa dire ad Giunone;
non esserci altro rimedio più opportuno , di questo, per riconciliare
gli animi, che il conversare insieme , dicendo: Ho disegnato
a lunghi lor contrasti Ho giammai di por fine con un modo
Segreto, e nuovo a lor, unırli insieme. i Onde qual vantaggio
riporterebbe dallo ftare lontana dal marito, e di abbandonare affatto il
letto nuzziale , fe non di eternare le discordie? e se non sapete,
che [ocr errors] S 3 che cosa guadagna la donna , con fare la
disgustata, udirelo da Salomone: Qui confundit domum fuam poffidebit ventos ;
onde fi ritroverà alla fine colle mani piene di vento, e questo sarebbe appunto
tutto il guadagno, che averebbe fatto. Mec. Io, che in mia gioventù sono
fato amico di qualche giocatore , il qual faceva grosse perdite , in occalione,
che taluno di effi mi riferiva le sue sventure, non potevo contenermi di non
domandare, se la sua moglie n'era consapevole, e mi dicea, non avere potuto
farne diineno di non palesargliele, allora, che dovendo fodisfare la grossa
perdita già fatta , gli era convenuto più volte chiedere le gioje, per
impegnarle, non trovandosi pronto il danaro; cui replicavo : che schiamazzi
averà fatto ella trovandosi doppiamente disgustata ; e rimaneva ammirato
nell'udire, che qualcuna di effe con prontezza grande glie le dava ; e di
vantaggio mi riferiva, che non vi era già pericolo, che la trovasse colcata,
quando cornava quancunque avesse tardato molto; anzi, che con faccia molto
allegra li dava la buona sera, allorche lo vedeva comparire; e mirallegravo
seco dellas buona sorte, che godeva nelle sue sventure, essendosi abbattuto in
una sì prudente moglie; ne mi poteva contenere, avendo seco confidenza, di non
riprenderlo in tale occasione con dirgli:c voi siete sì crudo, che non avete
comparfione di farla ogni sera tanto parire: troppo fo, mi dicea egli ; perche
se non pensasli ad essa talvolta, che mi trovo sotto nel giuoco,chi sà quando
lo avessi terminato, e che perdita maggiore avessi fatto ; allicurandomi
inoltre che di tanti incomodi, che le aveva recati , ne averebbe avuta viva
rimembranzada à suo tempo, per farla godere, se soprayiyeva ad esso, pensando
di lasciarlas erede, non avendo figliuoli; conforme appunto è seguito ; onde la
sua sofferen· za , fu alla fine rimunerata . Sem. Ed in quei giocatori,
che avevano le mogli risentite, vi siete mai abbattuto? Mec. [ocr
errors] S4 Mec. In questi ancora, e domandan. do loro, che dicevano le
mogli allorche sapevano le loro grosse perdite, vi fu tra questi chi in tal
guisa mi rispose : il maggiore tormento, che io abbia allorche fo qualche
groffa perdita è di vedere inviperita mia moglie, cui chiedendo le gioje, per
impegnarle, me le hà sempre negate ; mà io l'hò mortificata con vendere altre
cose, ch'erano di sua somma fodisfazione ; affinche conoscesse, che io era il
padrone. Pub. Vedere dunque , Sempronio , quanto sia meglio soffrire in
questi casi, che fare risentimento; e voi Mecenate, di grazia cessate di dir
male più delle donne, avendo confeffato, che vene sono delle prudenti ancora
. Mec. Sono però queste di fimile natura rariffime, non contentandosi per
lo più le mogli di farli impegnare le gioje, e particolarmente à sodisfare per
le perdite fatte nel giuoco . Sem. Come debbonsi le mogli regolare,
quando scorgogo i mariti diviati a Pub [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] [ocr errors] mente, Pub. In niuna altra occasione si conosi
sce meglio la donna saggia , quanto in fi questa ; imperciocche le tocca sul
più 1 vivo; onde doverà adoperarvi cutta la prudenza poffibile per
divertirlo. Sine tanto, che il fatto sarà secreto, non dee darsene per intesa;
e se taluna lv rapportasse , che viene tradita da fuo marito , dee ella
replicarle con risentimento: ch'egli l'ama , e crede ferma che per questa
cagione non le possa fare un simile torto, dee però servirsi dell'avviso, per
rincontrare dalle mutazioni , che scorgesse in lui , tanto nell'affetto, quanto
nella stima verso di lei, se debba prestarle fede. Sem. Doverà dunque
lasciar correre trascuratamente, senza darci riparo , male fi considerabile,
una donna in particolare, che non gli da occasione alcuna di farle simile torto?
Pub. Ho udito dire da' Medici, che ci siano alcuni rimedi , che sono peggiori
del male, al quale si applicano ; onde non vorrei, che questo fosse uno
di quelli; palesatemi dunque voi qual credereste in questo caso essere il suo
ri. medio più valido , quando non vi piacciano i più beoigni . Sem. Di
fuggirsene immediatamente in casa de' suoi genitori, con animo di non tornare
più da suo marito. Pub. Questo appunto sarebbe uno di quei peffimi
rimedi, posciacche dandofegli campo libero in avvenire di fare, ciò, che vuole,
accrescerebbe non folamente il male antico, mà ne produrrebbe, anche degli
altri, che sono las totale discordia conjugale, ed il divul. garsi da pertutto
ciò, che non è bene, venga publicato. Sem. Che cosa dunque ella dovrà
fa , per non morire accorata , dimorando in casa del marito ? Pub.
Conyerrebbe , in questo caso principalmente , ch'ella ben apprendesse quel
consiglio dato da Platone as Zenocrate, qual fù : che sacrificate alle grazie ,
per essere più avvenente, che per lo passato ; e così con dolci manie.
re [ocr errors][ocr errors][ocr errors] re [ocr errors][ocr errors]
re potrebbe facilmente conciliarsi il suo affetto ; dicendo Salomone che:
Mulier gratiofa invenit gloriam. E quali debbano essere queste dolci maniere ;
non occorre, che mi diffonda per istruirne le donne, cfsendone di effe maestre:
diro solamente, che se la palma, ch'è un albero insensato arriva, come vuole
Plinio, à piegarsi, allorche stà vicino alla sua palma femina , volete , che il
marito ancora non si renda alle piacevoli maniere di una saggia moglie? Fu
interogata Livia Drufilla da una Dama, perche faceva fare ad Augusto marito suo
ciò, ch'ella volea ; così rispores : perche fo volentieri quello, che io
conosco essere di Cesare in piacere, e non ricerco i fatti suoi , come racconta
Dio. ne. Sem. E se faceffe praticare per casas una sua qualche
donna Atraniera, come la potrà tollerare ? Pub. Anzi la dee, per non
irritare maggiormente l'animo di suo marito, e farle corresie ancora, mostrando
di non essere consapevole di cosa alcuna ; conforme appunto fè Terzia Emilia
moglie del maggiore Affricano, la quale, non solament’egli vivente, diffimulò
di fapere, che suo marito amaya una fuas schiava, mà dopo la morte di
esso las fè libera, e la diede per moglie ad un suo liberto ; come racconta
Valerio Massimo. Ed Omero riferisce di vantaggio, che la moglie di Antenore
aveffe egual cura di un figliuolo fpurio di esso, di quello , che avea de
proprj, per non disgustarfi suo marito. Plutarco ancora racconta nel libro delle
donne illuftri, che Stratonica si prendesse il pensiero di educare bene i
figliuoli di Dejotaro suo marito, quantunque forsero nati da Elettra sua
serya : oltre poi quello, che dice la facra Genefi di Sara, ė di Rebech ab 16.
& 30. Sem. Questo però non lo porrà mai fare una moglie di spirito ;
non potendo questa soffrire un simile torto . Pub. Quefte, che hò
riferite , avevano spirito, cprudenza; ne mi persua [ocr errors][ocr
errors][merged small][merged small][ocr errors] deco, [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] derò, che possiate darvi à credere , che - Olimpia madre di Alessandro
il Grande lie non avesse spirito, e pure questa , venendole rapportato,
che Filippo suo marito era talmente invaghito di una giovine di Teslaglia, che
si credea communemente, foffe ammaliato ; volle conon scerla , ed appena
veduta, che l'ebbe le disse : Tecum enim philtra babes, quanto mai le parve
bella ! e non fu questa picciola finezza il dire ad una sua rivale, che rapiva
il cuore di tuti. Mec. Io so, che alcuna di queste per aver
ricevute.cortesie obbliganti dalle saggie mogli, sono fervite di mezane , per
riconciliare l'affetto era effe,e i loro mariti : altre poi, che hanno ricevuto
strapazzi,sono state cagione di odj mag. giori tra essi ; onde seinpre hà giovato
alle mogli saggic, di non inafprire maggiormente la piaga con irritarla.
Pub. Un'ottimo ammaestraméto vien dato à queste da Plutarco, ed è di non
allontanarsi mai dal marito, perche facenda altrimenti, la rivale diverrà
af for [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors] soluta
padrona, non solamente del letto mà ancora della casa tutta, Sem. Mà
durerà sempre questo disordine ? Pub. Non durerà, perche la prudente
moglie saprà vincere col tempo las violenza dell'altra, come ben cspreffe Ofeo
Poeta : Capitur ergo ab infirmis celer, Aquilamque brevi testudo
vincit. E la testuggine appunto, essendo Gimbolo della donna onefta, non
recherà maraviglia, se questa ancora frenerà il volo dell'aquila, con aspettare
però l'occafione opportuna, la quale potrebbe essere, allorche li fa dimora in
villas, ove l'amica non fosse presente; ed il maggiore argomento che potesse
addurre per allontanarlo dall'amore impudico, sarebbe appunto di fargli
conoscere colle buone, il cattivo esempio, che ne prendono i figliuoli; con
insinuargli ancora,per giuoco,quel detto di una pudica donna, tratta å forza
dal Re Filippo: deh lasciami andare, gli disse, per [merged small][ocr
errors][merged small][merged small][ocr errors][ocr errors] na , Il che
tutte le donne , portata via la lucer sono simili ; mà se poi imitasse *
quella prudenre Gentildonna Sicilianad di cui fa menzione Lodovico Vives,
nel *' lib. 2. de Christiana fæmina , quanto mai u lo renderebbe à se
affezionato? Questas andava osservando ciò , che facevano i servitori,
che fosse al padrone marito suo più grato, e quello ella facea di sua mano
studiosamente; se bene talora con estrema fatica fua, quello poi , ch'era di
meno travaglio, fatica, e noja, comandaya à servitori. Sem. Mà quando non
fosse deviato altrove il marito, che cosa porrà fare la i donna savia , à fine,
che non ecceda con i essa lei in pregiudizio della propria falute ? Pub.
La saggia donna non dovrà mostrarsi renitente à fodisfare le brame di E fuo
marito ; ben è vero però, che dee'as 1 poco a poco, andargli dolceinente
infio nuando il danno, che potrebbe appor tare l'immoderata frequenza
degli arti conjugali , potendogli questi abbrevia Per que .
re anco la vita con danni notabili della sua famiglia ; e starà ben ella
circospet- ta nell'ordinare vivande, calorose per la mensa, ed
ancora nel tenerlo lonta- no dallo frequente uso del cioccolato,
erosolì. Crescere res poset nimiùm damnofa
libido. Come vuole Ovidio . Sem. Prometteste, Dottore, di mo. strarmi
sino à che segno poffa giugnere l'uomo in pagare il debito matrimoniale senza
discapito della propria salute. Med. Epicuro, Democrito , Averroe, ed
altri Filosofi ancora credettero, che sempre sia molto dannoso l'uso venerco :
Altri poi lo credono solamente, allora, ch'eccede i limiti dell'onesto.
Sem. Or io non voglio andare cercando malanni ; per battere al sicuro mi
contento starmene senza prendere moglie ; perche la propria salute mi dee
premere molto più della moglie. Med. Ditemi di grazia , Sempronio, senza
andare in collera : Voi che avete fpiriti generosi, fe venisse un
esercitoDell'Elezione della Mog. 289 per distruggere la vostra patria, per
salvare la propria vita, abbandonereste la difesa di essa é o pure vi porreste
ad evidente pericolo di morte per difenderla ? Sem. Sarei un gran
codardo, quando l'abbandonaffi; dovendo per sua difesa porre à pericolo la vita
con tutte le mie sostanze Meda E per conservare la vostra specie, la
quale può difenderla ne' suoi bisogni, perche ricusate di farlo? non ponendo
già ad evidente pericolo, nè vita , nè roba , contenendovi dentro i limiti
della moderazione, esponendovi in tal caso solamente à pericolo di soffrire
qualche moderato, e breve disaggio: e se voftro Padre fosse stato di questo
sentimento come farefte voi [ocr errors][ocr errors][ocr errors]
naro ? Sem. Converrà dunque farlo ; mind u questa moderazione nell'uso
venereo, in che doverà confiftere? Med. Primieramente in fuggirlo più,
che sarà possibile la state: dicendo Cel. co 10, aftate in fptum, fi fieri
poteft, abftinen. , dum ; e nell'autunno dice : neque autumno
utilis venus eft ; nel rimanente poi dell'anno non abufandovene sarà sempre
meglio per voi, Sem. Mà da che potrò comprendere tale abuso? Med.
Dalla stanchezza, che riceverete dopo di esso, perseverando questa, per qualche
tempo, nella forina , che descriffe Ovidio di averla osservata in un amante
Vidi ego cum foribus laljus prodiret amator Invalidum referens ;
emeritumques latus, Sem. E cadendo io in questo, che rimedio averò da
praticare? Med. Aftenervene per qualche tempo, dicendo Virgilio nella
Georgica; Nulla magis vires industria firmat Quam Venerem, cæci fimulos
aver tere Amoris, E di questo niuno meglio, che voi ne potrà essere
giudice s purche sia la voItra mente libera, e non preoccupatas dall
[ocr errors] [ocr errors] dall' estro libidinoso . Şem. E per fuggire
questo, qual ri# medio sarebbe opportuno ? Med, Il vitto moderato, e la
moglie - favia sono i veri antidoti per indurre moderazione nelli cimenti di
venere. Pub. Vedere dunque , Sempronio, quanto possa giovare una saggia
donnas nel fare prolungar la vita à suo marito ? prendetelo dunque à buon fine,
quan do la vostra moglie vi frenaffe in que1 fto, facendolo per noftro
bene. Met. Or io non vorrei starmene raffi, dato alle donne sopra di ciò;
perche affai di rado fi riceverebbe da effe tale beneficenza;vorrei più tosto
prendere l'efeinpio dai bruti, i quali , toltone quei tempi prefisli loro dalla
natura, non si ac. costano più alle femine, nè tampoco ef: se appetiscono
i maschi; ed udite come lo conobbe bene Democrito riferito ,
Dottore, dal vostro Ippocrate nellas u lectera scritta à Damageto;
Anniversa riorum temporum ordo, brutis quidem danimantibus coitus finem
adfert , homo T2 verò [ocr errors] [ocr errors] verò infano
libidinis stimulo continenter agitatur. Sem. Dandosi il caso, che il
marito fosse impotente, ne viverà contristatas la povera moglie di
questo? Pub. Prescindendo dal rammarico, che averà, trovandosi priva di
figliuoli, credetemi , ch'essendo prudente, non fi prendera di ciò fastidio
alcuno;perche considererà ben'ella, che quel momentaneo diletto è compensato da
molti altri tormenti, che îi soffrono, non solamente nelle cattive gravidanze,
e laboriofi parti , mà quello, ch'è di travaglio maggiore, nell'educar beoe i
figliuoli , de' quali taluno alle volte riesce scapestrato laonde se rifletterà
à ciò che dice l’Ecclefiaftico al 16, Utile eft mori fine filiis quam impios
habere, aidarà pace essendo priva di elli. Sem. Io conoseo alcune di
queste sterili, che non fanno alcro, che sospirare; eso che volentieri
introdurrebbero il giudizio del divorzio. Pub. Ed io conosco più di una
di que [ocr errors] 2 fte, fte, che si trovano nella
medefima nave, le quali stanno contentiflime, e pensano perseverare col suo
marito fino allas morte, quantunque sia impotente. E forse credono quelle , che
il tentare questo divorzio sia qualche delizioso divertimento ? Sappiano, che
converrà loro esporsi à prove, e recognizioni , che danno molto da cicalare per
tutta la citrà. Ed inoltre, facendo ciò, mostreranno ancora di essere
libidinose,deliderando avere più validi mariti. Sem. Mà coine ci potrà
essere pace i tra simili conjugi? Pub. Se la moglie sarà prudente, non i
ci sarà discordia alcuna ; perche vedenÛ dofi il marito così impotente,
procurerà per altre vie divertirla , se non fürà del tutto
disamorato. Sem. Mi persuado , che poco averà · da dolerâi la moglie del
marito goloso , * quando però faccia anche ad essa gufta10 re qualche delicata
viyanda? Pub. Non è così; perche la donnas prudente di questo fi
rammarica al parodi tutti gli altri difetti, essendo che fis mile vizio
persevera per lo più fino allas morte ; onde con facilità grande può far
impoverire; conforme si legge nell' Ecclesiastico al 21. Qui diligit epulas in
egeftate erit, qui amat vinum, Q pin. guia non ditabitur . Oltre poi imali, che
suole apportare alla salute. Sem. Mà comc ci potrà dare rimedio ?
Pub. Conosco anch'io, che farà cola difficile il poterlo affatto rimuovere, mà
la prudenza, e l'ingegno donnesco potranno darvi bensì qualche riparo , con
guadagnarsi l'affetto del suo marito, il quale acquistato, se le réderà à poco
à poco facile à titolo di sanità, d'introdura, re qualche moderazione ia effo :
avvertali però, che la servitù rimanga in qual. À che parte compensata di
quegli avanzi della mensa , de' quali soleva partici- ; parne, altrimenti
questa per tal cagione sarà capace suscitare discordie traefo sa, e suo marito,
con inventare infinite menzogne, Sem. 11 [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] [ocr errors] Sem, Ed abbattendosi con mariti di la mente
debole, come hanno da fare per di rimuovere dalla loro grazia certi servis I
tori favoriti, che li dominano ? Pub. La donna, che colla sua pru. denza
può giugnere à rimuovere dal cuore di suo marito caluna, che lo porfedeya
indebitamente, con quanta facilità maggiore potrà allontanare questi,quando
voglia abusarli della dilui grazia ; ed in ciò non occorre istruirla di
vantaggio, essendone espertissimas; basterà solamente accennarle , che faccia
passaggio delle cose leggiere, e nelle gravi norf operi con violenza grande,
per non porlo in impegno di sostenerlo ; mà venendo l'occasione opportuna in
qualche fuo trascorso rilevante, gli faccia conoscere , ch'ella non opera per
passione, ma bensì per suoi vantaggi. Sem. E se aveffe anche la Suocera
cartiva , la quale consigliaffe suo figliuolo à Itrapazzarla , che cosa doverà
fare? Pub. Di sopportarla , amarla , erispettarla , come costuma fare con
fuo [ocr errors] [ocr errors] marito ; perche non nascono già per altra
cagione le discordie tra suocera, u nuora , che dalla gelosia , che hanno le
madri , che i figliuoli amino più le mogli ch'esse, da cui ricevettero
l'efsere Sem. Mà se ciò non ostante continuarse à fare il medesimo, non
sarebbe me. glio di metterla in discredito appresso il figliuolo, à fine che
non le desse più credenza ? Pub. Questo non dee fare la donna saggia';
dee bensì riflettere à ciò, che, fi costumava nella città di Lepidi in Affrica
per meglio imparare à soffrire. Racconta Plutarco, che ivi era costu che
nel giorno seguente alle nozze la sposa mandasse à domandare alla suocera una
pentola, la quale le venivad negara ; e questo si facev'à fine che, non G
sdegnafre, le in avvenire le avesse negato alcuna cosa. Sem. Converrebbe
ora discorrere fopra le stravaganze grandi, che nascono tra i marişi çattivi,
cle mogli peffime , [ocr errors][ocr errors] me , [ocr
errors][merged small] Pub, [ocr errors] Pub. Non è certamente neceffario
parlarne ; posciacche, à chi darebbes l'aniino di consigliare costoro, che sono
incapaci di ragione ? Bisogna, che tra loro si aggiustino, e fogliono per lo'.
più essere concordi', perche niuno di loro può rinfacciare all'altro i difetti,
elsendone ambidue colmi . Il danno è bensì de' poveri figliuoli , che non si
educano bene, tanto per l'esempio cattivo, che danno loro, quanto per la
direzione, della quale eli penuriano : ben è vero però, che quando questi li
avanzano alle discordie', non effendoci mezo capace à poterli più riconciliare
tra loro, solamente l'autorità del prencipe può impedire le rovine maggiori che
possono nascere per i dilapidamenti delle loro sostanze, 'à fine și non vedea
ce mendichi i loro discendenti. Sem.Sarebbe però un vantaggio grande, che
tutti i mariti catrivi prendesse. ro mogli (imili ad essi ; perche alloran per
i buoni rimarrebbero le buone solamente. Pub. Pub. Succede
frequentemente così , essendo questi portati dal loro genio ad amare simili ad
essi, secondo il pro-. verbia : aqualis æqualem delectat, ý semper à fimili
fimile amatur. Il che viene confermato dal Nazianzeno , di. cendo: Pulli
quidem pullis amici , coruique corvis , [ocr errors] Et furnis
sturni , puro autem pretiofus. eft purus : Meglio però di tutti l'insegna
l’Ecclesiaste: Diligit fimile fibi , dow omnis homo fimilem fibi, omnis caro ad
fimilem fibi conjungitur, omnis homo fimili sui sociabitur. Onde se accaderà,
che una catciva giovane prenda un buon marito non sarà già di sua volontà, mà
verrà bensì sforzata da' parenti à farlo, e das quefto nc nascerà quello
appunto, che, dice l'Ecclefiaftico al 26. Mulieris ira , o irreverentia , &
confufio magna: on- ; de guai à chi toccherà limile infortunio. ; Sem. Mà
che potrebbe fare chi li trovafle in simili miserie?Pub. Di prevalersi di
quest' ottimo consiglio, riferito.da Gel. in Sat.Menip. Vitium uxoris's aut
tollendum , aut ferens dum ; perche : Qui tollit vitium, uxorem commodiorem
præftat , qui ferte se fe meliorem facit. Sem. E cui riuscì il potere far
questo in core rilevanti ? Pub. Tra gli altri à Socrate; come ris ferisce
Plutar.de Choib. ira: il quale avendo seco à defináre Euridemo, quando nel
meglio si alzò in piedi Sancippe , e dopo di avere caricato di villanie socrate
roversciò la tavola in terra; onde Euridemo si alzò in piedi addolorato per
partirli; cui Socrate disse con gran Aemma: non accadè poco innanzi in casa
tua, che una gallina yolando fece l' isteffo ? e pure niuno vi fu , che li
contriftaffe disinile avvenimento; perche dunque voi ora lo fate 2 Sem.
Non si è parlato Gin'ora, come fì abbiano da regolare le povere donne per
iscegliersi un buon marito Pub. Nom dçe la donna sceglierli as suo
suo compiacimento il marito; mà bensì riceverlo da' suoi più congiunti, e di
questo ne parleremo nell'educazione de' figliuoli, mostrando le diligenze, che
doveranno farg da' padri å fine di provederle bene. Sem. Spererei di
sapere scegliere las moglie, ora che ini trovo in ciò istruito; mà sposata che
l'avefli mi troverei intricato nell'educare i figliuoli, quando Iddio me li concedeffe,
non avendo ancor appreso à bastanza il modo das regolarmi per bene
diriggerli. Pub. Nella seguente Decade tratteremo di questo. [ocr
errors][merged small] Sopra l'educazione morale de' figliuoli CONFERENZA
PRIMA Nella quale si mostra, che cosa sia educazione, cui appartenga più
di ogni altro; e se sia necessario luogo particolare,ove
debba farsi. Sempronio , Publio , Mecenate e Medico.
[ocr errors] Sem. N che consiste l'edu-. cazione? Pub. Nello
svellere da gli animi de' tcneri figliuoli tutti quei vizi, che
spontaneamente germogliano in elli, e nell inestarvi in loro vece i preziosi
gerini delle virtù ; effepdoche, come ben'er preffe Virgilio nella
Georgica parlando degl'innesti ; Pomaque degenerant , fuccos oblita priores,
sem. Come! in noi spontaneamente nascono i vizj! Pub. Non è da dubitarnę
mentre nascono molti vizj con noi medesimi insę. gnandoci il Profeta : Ecce
enim in iniqui, tatibus conceptus fum ; du in peccatis concepit me mater mea;
verità conosciutas, anche da' gentili ; posciacche Orazio così scriffe:
Nam vitiis nemo finè nafcitur. Optimus Qui minimis ur getur . E
Democrito, che ; totus homo ab ipfo are fu'morbus eft ; ed inoltre, che secondo
l'età in noi germogliano i vizi propri di effe, i quali se non saranno a tempo
dçbito estirpaţi, quei della puerizia fivedranno adulti nelle altre età; ma vie
peggio ancora, che vedo verificarsi ciò che diffe Orazio nell'Odę 6. lib.3.
cioè i Ætas parentum pejor avis tulit Nos nequiores, mox
daturos Pro ille eft, Sopra l'educ. de figliuoli. 303
Progeniem vitiofiorem , E da ciò comprenderece à che segno debba essere ora
l'educazione più esatta di prima. Mec. Ed io che soglio conversare spesso
co' miei amici ho veduto più di una volta, in occasione, che questi as. pertavano
qualche visita di soggezione, verificarli ciò, che dice Giovenale nella satira
14, Hofpite ventura ceffabit nemo tuorum ; Verre pavimentum,
nitidas oftende co- lumnas, Arida cum tota
defcendat aranea tela, Hic lavet argentum, vasa aspera fer-
geat alter, Vox domini fremit inftantis, virgam. que
tenensis. Ergo mifer trepidas ne stercore fæda cao ning Atria
difpliceans oculos veniensis amici, Ne perfufa luto fit porticus, tamen
uno Semodio foobis , her emendat fervulusE quel ch'è peggio ancora , che
vedo verificarli appresso alcuni ciò, che se gue : 14 [ocr
errors][ocr errors] Illud non agitas, ne sanctam filius
omni. Afpiciat fine labe domum, vitioqae ca-
rentem, Sem. Vi concorre altro alla cattivas 90 Educazione,
che la trascuraggine ulata in non eftirpare à tempo debito gli ac GE cennati
difetti Pub. Potrebbero anche renderla peg el gior e i cattivi esempj
dati a' figliuoli, luz dicendo Giovenale nell'accennata satira. Sic
natura jubet velociùs, du citiùs nos Corumpunt vitiorum exempla
domeftica magnis Cum subeant animos
auctoribus . Quali cattivi esempi potrebbero a’proprj accrescere gli altrui
difetti . Sem. Mà come possono essere capaci in di cattivi esempi i
teneri fanciulli non distinguendo questi ancora il bene dal male?
Pub. [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Dice Plutarco
nell'educazione de' figliuoli, che s'imprimono gli ammaestramenti in elli
conforme appunta fanno nella cerà molle i sugelli, e che perciò il divino Platone
saggiamente avertisce le balie à non raccontare loro favole di ogni sorta
, mà solamente u quelle, che ponno essere giovevoli al buon
costume;confermandoci ciò S.Ba, filio, il quale, scrivendo à quei
dellas città di Neocesarea , confessò loro di ellere debitore di
una buona parte della sua divozione alla nutrice, la quale,non
perdendo mai alcun sermone di S. Gre. gorio, li serviva di molti belli
derti uditi da esso in tutte le congiuntùre, che se le presentavano
per imprimnerglieli benc nel cuore ancora tenero ; laonde saggia-
mente diffe Focilide : Mentre fanciullo lei, virtute impara
, Ma oltre il malesempio', pregiudicano anche ad elli molto le
carrive insinua. zioni, Sem. Ma questi mali esempi non sa.
ranno dati già loro dai genitori, quants [ocr errors] 3 ci
[ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] cunque fossero
viziosi; perche vediamo i ciechi desiderare i figliuoli bene illuminati, ed i
zoppi, che questi liano liberi, e spediti al moto: ne tampoco infinueranno loro
cose cattive. Pub. Così appunto dovrebb’essere, e pure ciò non liegue ;
posciache alcuni hanno voluto insinuare à i loro figliuoJini l'invecchiati
difetti da' quali esli erano contaminaci. Vi furono due di questi, di cui fa
menzione Enea Silvio libr. 1. comment.; che dediti all'ubriachezza procuravano
, appena slactati ch'erano i loro figliuoli, di affuefarli al vino facendone
gustare loro de' più generofi, che si trovassero; ed uno fti, persuadendosi ,
che non averle il suo figliuolo bastantemente bevuto vino di giorno, volle di
notte, in tempo chc dormiva,farglielo ingojare con un cannellino; mà perche
sonnacchioso corceva la bocca ingiuriò aspramente las moglie ; dicendole, che
non era suo fi. gliuolo legittimo, per non affomigliarsi ad esso, cui tanto
piaceva il vino. E vi [ocr errors] ed uno di que [merged small][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] re [ocr errors] recherà
orrore il sentire di vantaggio bu quello, che riferisce S. Gregorio di un li
esecrando bestemmiatore il quale ingi nuava ad un suo figliuolino di
cinque anni di ritrovare bestemmie anche infoJite, e riferisce ancora il
gastigo , che da Dio ricevette per sì detestabile dclitro, Mec. Mà senz'
and are cercando gli antichi esempi ; non ci è stato à giorni noftri un Padre,
che premiava de' suoi figliuoli quello, che cimentandoli co i suoi
fratelli, rimaneya vittorioso nel d fare à pugni ? cosa tanto crudele ,
che non fi racconta già praticata da Gladiatori Romani tra fratelli, Sem.
Le Madri però non saranno state così perverse nel mal'educarli, Pub.
Queste ancora sono state colpevoli di ciò; scrivendosi di Draomirad, :
Principessa molto vana, che per colpa fua diveniffe Boleslao parricida, e
fratricida ; dove che il fratello Vinceslao educato da Ludimilla sua ava
molto fagi gia, e pia divenne un Sanco , come nela [ocr errors] [ocr
errors][ocr errors][merged small] la sua vita si riferisce; e da ciò
comprendere quanco di profitto apporti la buona educazione. Mec. Questo
non è da porfi in dubio, scorgendoli anche ne bruti profittevole; mentre
racconta Plutarco, che Licur. go per fare conoscere tal verità a? Spartani fè
comparire due cani , uno de quali era avvezzato per la caccia, e l'altro,
dedito in tutto alla sua naturale inclinazione, non attendeva ad altro, che à leccare
pentole di cucina, e nel mede: simo tempo à vista loro fè portare anche una
lepre, ed un carino di broda : nel vedere il primo fuggire la lepre li pose a
seguirla ; e l'altro se ne andò verso il catino; soggiungendo egli a’Spartani:
così faranno appunto i vostri figliuoli ancora , se saranno, ò nò istruiti.
Quindi è che avendo Tolomeo Re di Egitto domandato ad un Savio quale foffe las
negligenza maggiore, che regnava tra gli uomini, egli prontamente rispore :
ch'era la trascuragginc nell'educare i figliuoli, mercecche da questa
infinitimali ne potevano nascere: Sem. Mà à chi dev'essere più à cuore
questa educazione? Pub. A coloro, cui dev'essa maggiormente premere, che
sono i genitori, e questi debbono con industriose, e diligenti manière
spogliarli d'ogni difetto, e d'andare ne i loro teneri cuori giornalmente
istillando il prezioso liy quore delle virtù, senza desistere mai;
essendoche, come avvertì Plutarco questa voce costume , pronunziata in lingua
Greca, significa anche continuo esercizio, onde da ciò si può comprendere che
non ci vuole trascuraggine nell'educare i figliuoli. Riferisce Orazio Flacco,
le diligenze in ciò usate da suo padre; verso di lui lib. 1. Sat. 6. che
furono. Sed puerum est ausus Romam portare docendum; Ipfe mihi cuftos incorruptiffimus
omnes Circum doctores aderat , quid mulia? pudicum, Qui primus virtutis
bonos , fervavit ab omni Non 11 [ocr errors] V 3 [ocr
errors][merged small] Non folùm facto verùm opprobrio quo que furpi.
Santamente dunque ordina Salomone ne' suoi proverbj : erudi filium tuum , do
refrigerabit te, & dabit delicias anime tudo Sem. Mà le saranno i
Padri talmente occupati, che non abbiano tempo das poterlo fare? Pub. Se
averanno occupazioni più riLevanti di questa, saranno compatiti, caso che nò, sono
tenuti di farlo, e non facendolo meritano la riprensione del vecchio Crate,qual
disse;contro costoro: Dove andate meschini, d voi, che nel cercare di farvi
ricchi movete ogni pietra; e nondimeno de' voftri figliuoli, a' quali lieto per
lasciare le vostre facoltà, vi prendere poco pensiero ; al che sog. giugne
Plutarco, che questi operano in quella maniera, come se alcuno governaffe bene
le sue scarpe, e de i piedi non fi curaffe punto. Or ditemi di grazias qual
potrà essere l'occupazione più riguardevole di questa ? Sem. [ocr
errors][ocr errors] [ocr errors] Sem. I publici affari, per esempio, oltre il
decoro personale, i quali ricer. cano somma attenzione, e si può dalli buona
amininistrazione di questi ricavarne molta gloria, e molto lustro, vantaggiosi
ai figliuoli ancora, onde perciò non potranno distrarsi per
educarli bene. Pub. E questo lustro, e gloria se si estingueffe
nc'figliuoli mal educati qual i acquisto averebbero fatto i Padri? Gli
Ateniesi nelle feste di Cerere faceano un misterioso giuoco, ed era , che
comparivano avanti l'alcare quei destinati ad effo à prendere ivi un luine
acceso, qual dovea porgersi ad un'altro , che in una decerininaca distanza lo
stava aspettando, per consegnarlo ancor esso ad altri, che in egual lontananza
lo atrendevano: se il detto lume si foss' estinto prima di giugnere all'ultima
mera , era in libertà di ogni uno beffeggiare colui in inani di cui si
estinguěya. E Platone fu di se. timento nelle sue leggi, che : gignentes,
alentes liberos vitam tanquam 1 [ocr errors] lampada alii aliis
tradunt. Or figuratevi ancor voi, che questo splendore, che voi dite debba
passare ne' posteri; come rimarrebbe colui , che per la sua malas educazione lo
estingueffe ? in che ludibrj egli li troverebbe venendo da tutti, beffeggiato ?
e sapendosi, che vi ebbe colp’anche la poca applicazione del padre in educarli,
dirà facilmente qualcuno : quanto era meglio un poco meno di luftro, mà più
durevole nella sua descendenza. Mec. Da questo dunque procederà, che
alcuni figliuoli di uomini illustri sono di costumi tanto diversi da efli , che
pajono più tosto nati dal disonore, averanno quelli facilmente difefcato nell'
educarli. Pub. Plutarco ne adduce ancora un alıra cagione credendo egli
che i fi. gliuoli degli uomini illustri divengano facilmente superbi, ed
arroganci; e lo comprova coll'esempio di Diofanto figliuolo di Temistocle, il
quale solevas, dire ne cerchi, che tutto ciò, che li fos se [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][merged small] se piaciuto sarebbe anco al
popolo d'A. tene piaciuto; perche quello , che voleva egli voleva la inadre; e
quello che la madre Temistocie, e quello che Temistocle anco tutti gli
Ateniefi. Sem. Credo però , che più comparibili polfano essere le Madri
se diferteranno in deira educazione, essendoche alcune di esse hanno impiegato
turte le ore del giorno in adornarli, in ricevere, ò fare visite, in passeggi ,
ò conversazioni; talmente che pochissimo tempo potrebbe rimanere loro di badare
a' figliuoli,quando non foffero diftrarte an. che nel giuoco . Pub. Già
sono capace, che premono oggidi ad alcune più i divertimenti, che i propri
figliuoli. E vi pare, Sempronio, che debbanli queste scusare? Non averanno
certameote occasione alcuna di lagnarli , se faranno questi cartivas riuscita
;. perch'esse vi hanno difettato non solamente colla trascuraggine, w cziandio
col mal esempio dato loro ies S. Girolamo scrivendo a Leta non diffgià, che
foss'esfa scufabile, dando a'figliuoli mal esempio, mentre così parla: Nihil in
te, & in patre suo videat , quod fi fecerit peccer . Sem. Non si
potrebbe supplire coiu Maestri, & Aij alla propria trascurag
gine? [ocr errors][ocr errors] Pub. Si potrebbe in caso di necessità; mà
però è assai differente l'industria,che adoperano i propri genitori da quellas,
che sia l'altrui, ed eflendo questa à proporzione dell'amore , quanto maggiore
sarà quella de' propri genitori, che più di ogni altro li ainano? Si suol dire
ingeniofus amor , e questo appunto è quello, che li ricerca nella buona edu.
cazione . Sem. Se dunque li può supplire, saranno scufabili quei
genitori, che sostituiscono in loro vece chi lo faccia. Pub. Non per
questo però debbonli affatto allontanare da efsa, senza averci qualche
sopraintendenza particolare, e non usando questa non si potranno mai scusare,
Mer. [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] Meg. Siete Publio troppo rigoroso, e questo credo , che
proceda , perche voi foste l'educatore de' vostri figliuoli; mà non sono ora
più quei tempi felici , ne' quali si pensava di lasciarli più rosto ben
educati, che ricchi; non sarà poco, che abbiano ora i figliuoli un Ajo di ti.
tolo , che non li lasci almeno precipi. tare in tutti i vizj ; onde da alcuni,
che sono arrivati a conoscerlo a è trovato quel santo ripiego di porli nei
seminarj, assai giovanetti, e prima che la malizia fi avanzasle in elli.
Pub. Or io non mi sono curato di porre i miei figliuoli in questi seminarj;
perche ho voluto fare a modo del Profeta , il qual dice : Filii tui ficut
novelle oliva. tum in circuitu menja tuk. Sono questi seminarj
fantissimi,istituci ostimi per ap: prendere il rimore di Dio, mà oh quanto fà
di più quel Padre amoroso , ed actento, quella Madre faggia, e divora, in
educarli in tutto , avendoli appreffo di loro ! e questo ben lo conobbe Orazio
ringraziando suo padre della buo V è C. na sua
educazione in tal guisa . Laus illi debetur,à me gratia major; perche :
obiiciet nemo fordes mihi . Mac. Voi aveste però la fortc,, che vi furono
i vostri figliuoli, tanquam novelle olivarum ; perche, se riflettiamo alli rami
di elli, sono simbolo di pace , e tali appunto sono li vostri ellendo dotati di
ottimo naturale ; fe al frur. to, è vero ch'essendo immaturo , inolto
amaro, ma questo con industria diviene anche dolce, ed il fimile è seguito in
elli, essendo giovani; se poi final. mente al sugo, che da' suoi frutti maturi
si esprime, ch'è l'olio, questo non fà alcun movimento, solendosi dire per
proverbio : è cheta come l'olio , e contimnili à questo sono anche i vostri figliuoli,
contro de' quali aon si è senci. to alcun richiamo fin'ora, e spero, che
trovandosi già avanzati negli anni , cresceranno sempre più in bontà: mà se in
vece di novella olivarum Iddio ve li avelse dati, come piante di mirto, questi
non iftavano bene in circuitu menja tud. Sem. [merged small][ocr
errors][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors]
[ocr errors] Semi E per qual cagione, producendo il mirto un fiore gratissimo
? Mer. Sì bene, mà però senza alcun frutto, ed è pianta dedicata à
Venere, e tra esli facilmente si annidano i serpenti, e se fossero ftati di
limile cattiva natura i vostri figliuoli, Publio, come vi fareste contenuto con
efli loro? Pub. Gli averei ben domati io; perche più fieri de'Leoni non
potevano già essere, e pur questi coll'arre divengono mansueti, e vi assicuro,
che non averei fatto da cerusico pietoso; avendo appreso da Salomone il rimedio
qual'è; nos li subtrabere' à puero disciplinam ; fi enim percufferis eum virgâ,
non morietur. ** Més. Sapete pur, che Dione, con forme racconta Plutarco nella
sua vita, per il soverchio rigore usato , e fatto ufare, nell'educare il suo
figliuolo, fu cagione, che per disperazione cgli si precipitasse da una
finestra : il rigore paierno non è sempre moderato , per cagione, che il più
delle volte questo parsa dal soverchio amore, al foverchio (de [ocr
errors] 9 [deg no ; e poi i Padri vorrebbero in un tracto estinguere
tutti i difetti de’loro figliuoli, e questi han d'uopo di tempo preparatorio
non meno, che le valide medicine, come fa il Dottore. Med, Questo è
veriflimo, perche dandoli un violento rimedio, senza prepa, sare prima gli
umori, danno maggiore potrebbe apportare ; quindi è che il noItro Ippocrate
c'insegnò : Corpora cum quis purgare volucrit oportet Auida facere , Pub.
Però se Neocle non avesse usato tanto rigore , con arrivar sino à privare della
sua eredità il figliuolo , certamente, che la Grecia non avrebbe avu. PC
to il gran Temistocle, il quale ritrovan. doli in tali angustic ricavò dalla
necefficà la virtù, essendo che bene spesso : veWatio dat intellectum .
GULE Mec. Questo esempio appunto fa conofcere, che sotto padri tanto rigorofi
non possono educarli bene i figliuoli ; fpc posciache avendolo diseredato lo
mandò ancora fuori di casa, e perciò averàalırove trovato chi lo cducasse con
più discretezza; e poi questo fu un bene per accidente, il quale assai di rado
rie. sce con tanta felicità, rimirandosi dall' altra parte infiniti, che
discacciati da' propri genitori , datisi in preda maggiormente de vizj,
terminarono infelicemente la loro vita negli spedali, ò disperati, di trovare
modo da vivere, presero il soldo militare, per foftentarli in quel breve tempo,
che vissero . Pub. Or io sono di questo parere, che debbano i propri
genitori educare i loro figliuoli; perche, se saranno buoni , e docili,
riuscirà facile l'educarli; re poi perversi, ed ostinati niuno credo, che potrà
usare diligenza , ed attenzione maggiore di cfli: saprete pure quel che seguì
tra lo scolare, ed il maestro, fingendo il primo di studiare diceva sotto voce
: tu credi, che io studj, e non istudio, al quale sotto voce anche risspoodeva
il secondo : e cu credi, che jo mi curi di questo che nulla mi preme. Mec. Voi
dite orcimamche, perche [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] fete capace di farlo, e fiete anche pru.
dente, mà come pretendete esiggere tutto questo da un Padre imprudente,
e vizioso, il quale non rifletterà punto à quel saggio documento di
Giovenale registrato nella Satira 14. il quale è: Maxima
debetur puero reverentia, so quid Turpe paras,
nec tu pueri contempferis annos, Sed peccaturo obfiftat tibi
filius infuns, Nam fi quid dignum cenforis feceris ira, Quandoque
fimilem tibi ; te non corpore Bantung Nec
vuleu dederit, murum quoque filius,
& cum Omnia deterius tua per veftigia peccer. Pub.
Allorsì, che converrebbe tro- vare chi foffe capace di farlo , per la
ra- gione, che Giovenale medefimo appor- ta successivamente nella
Satira da voi citata : Unde tibi frontem, libertatémque
pa- rensis Cum facias pejora fenex?
Wacuumque cerebro Jam [ocr errors]
[ocr errors][ocr errors][ocr errors] Jampridem capul huc venioja
cucurbito quçrat . Mà però, che l'educatore insieme coll' educando
dimorassero in propria casa. Mec. E se in casa propria, oltre il mal
esempio, la laurezza del vivere ritardassero i loro progressi? Pub.
Confesso,che in questo caso converrebbe mandarli fuori, ed in paesi anche
remoti; acciocche il mal esempio, e la trascuraggine grande de' genitori, colà
non giungeffero.Mà è possibile, che questi, a' quali non dev'esser cosa di
maggior premura di questa, possano as proprio compiacinento dare mal efempio a'
figliuoli? e poi se non sono prudenti, perche s'inducono à divenire Padri ?
Certa cosa c,che i figliuoli mal ducati non apporteranno loro altro, che
confulione, dicendo l’Ecclesiastico al 22. Confusio pat.is eft de filio in
disciplinato. Mer. Il mondo oggi corre cosi, mol. ti sono. Padri di nome,
e solamente perche li hanno generati , onde perciò con vie. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] X viene ricorrere
ad altri Padri savj, u prudenti , che gl' istruiscano, e fuori del proprio nido
, essendo ora gran parte de' genitori divenuti imitatori de' corvi, è dello
struzzolo, che gli abandonano, non già delle aquile, che con tanta attenzione
istruiscono i loro polli. Pub. Polliamo dunque conchiudere , che se i
genitori saranno capaci, e diligenti nell'educare i loro figliuoli, niu. no
meglio, di efli potrebbe farlo; e fe nella casa paterna si vivesse, come
conviene non sarebbe d'uopo cercare altro luogo per educarli,potendosi con
profit. to istruire in effa. Sem. Che doverà fare il buono educatore, sia
Padre, è estraneo, per isvellere da efsi i difetti? Moc. Questo lo
vedremo nella seguente Conferenza. CON [merged small][ocr errors]
Intorno à quello, che debba farsi da' Genitori
per educar bene i figliuoli. [ocr errors] Mecenate ,
Sempronio , Publio , e Medico [ocr errors] мес. . L peso
maggiore, che abbiano i Pa. dri , mi persuado che sia l'educazione dei
figliuoli s perche si tratta di navigare sempre contro acqua, dovendo
opporsi bene spesso alle loro cattive inclinazioni, e superarle à forza d'ingegno;
e si trovano alle volte torrenti si rapidi, che si rende assai difficilc
poterli alla prima superare. Sem. Non mi fono risoluto fin ora di prender
moglie; perche hò consideratoanch'io le molte difficoltà, che s'incontrano in
questi tempi à ben’educare i fi. gliuoli , ne' quali vedo , che appenas
slattati che sono, pretendono di fares à lor modo, senza avere alcun riguardo à
quanto viene ordinato loro da'genitori . Mec. Non vi sgomentate per
questo ; Sempronio mio, essendoci il suo rimedio , quando chi sopraintende há
prudenza, e la prendere, come li suol dire, la lepre col carro. Vi dirò io sci
avvertimenti generali, che vi potranno molto giovare, allorche sarete Padre di
famiglia ; nel particolare poi sarete meglio istruito da Publio.Ed il primo
farà; che tanto voiquanto la vostra con. forte diare loro buono esempio.
Sem. Ed in quali cose ? Mer. In tutte ; perche se voi sarete in continue
discordie con vostra moglie, come potrete correggerli, quando mai foffero
discordanti tra fratelli? se vorrete, che non disordinino nel nutrirsi, come lo
potranno fare vedendovi cra po [ocr errors] [ocr errors][ocr
errors][merged small] polare giornalmente se li bramerece divori, come potranno
essere, se non mostrerete voi coll'esempio, ciò, che volete , ch'essi facciano
3 E scoprendovi tutti dediti agli spasli, e piaceri, come pretenderece,che
siano applicari allo studio, divagandosi ancor elli collaa mente nel pensare di
fare il simile quanto prima , per imitarvi? non fate 10 una parola, che quel
difetto,che volete da effi (vellere lo rimirino in voi medeliini, dovendo voi
imitare Agricola, quando fi portò al governo dell'Inghilterra , allorche si
trovava molto rilassata, il quale prima da se medelimo cominciò à dare il buono
esempio. Sem. Ed il secondo qual sarà ? Mec. Di trattarli
ugualmente tutti, senza mostrare parzialità benche minima verso alcuno.
Sem. Che male potrebbe apportare questa parzialità paterna Mes. Infinito
; percioche usandola voi, non solamente darette occasione di odio tra fratelli,
ed ecco, che invece [merged small][ocr errors] che il pre ce di
svellere da esli i vizj gli accrescere. ste di vantaggio, mà ancora, che il
diletto sarebbe meno attento degli altri ad approfittarsi de' vostri buoni
docu. menti, persuadendosi egli, che' compacirete i suoi difetti, per l'amore,
che loro mostrate, e gli altri,dal mal esempio di questo, che profitco
farebbero ? Igenitori debbono : imitare il Sole, e la Luna , che risplendono
ugualmente as benefizio di cutri : e sappiate che la parzialità, che usò David
per Ammone fu la sua ruina ; impercioche questa lo fè divenire incestuoso, e
quell'amore troppo tenero, che fè trascurare tal mi. sfatto,incitò Abfalone à
divenire fratri. cida; mancamenti tutti derivati dalla connivenza
paterna. Sem. Il terzo qual sarà ? Mec. D'accomodare l'animo vostro
alla dolcezza, ed al rigore secondo le occasioni, che vi si
presenteranno. Sem. E queste quali saranno ? Mec. Se voi li vedrete
attenti , e che & approfittino dei buoni documenti che [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] avete dati loro, in quel tempo sarà opportuna
la dolcezza; mà se poi vedre. te, che trascurino, e diferčino, dovrete servirvi
del rigore per correggerli. Sem. In tutti i loro trascorsi mi dove. rò
contenere ugualmente severo? , Mec. Ci sono alcuni difetti, de' quali non
si dee far caso, essendo prudenza alle volte non darsene per inceso; altri sì,
benche minimi in apparenza, non debbonsi lasciare impuniti : per esempio una
tal inavvertenza, nata più tosto da disapplicazione, che da disubbidienza è
compatibile; mà non già una benche picciola bugia , ò una finzione maliziosa
anche minna, dovendosi quefte con risentimento svellere affatto dow principio ;
perche se prendono piedes non li svellono più ; ed in correggerli di queste non
dovete usare il rigore alla prima, mà bensì colle buone far loro confeffare la
verità, e conoscere il mancamento, e dipoi con risentimento ainmonirli, facendo
loro capire , per quan. to sarà poflibile, la deformità grande [ocr
errors][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] di tali vizj, con
non perderli sopra quefti più di mira ; concioliacosache come insegna
l’Ecclesiastico al 20. Mores hominum mendacium fine bonore : du confufro
illorum cum ipfis fine intermifione . Sem. Il quarto quale sarà ?
Mec. Di essere tanto voi, quanto las Madre sempre concordi in ammonirli; perche
se un di voi li coreggerà, e l'altra li vorrà scusaro, non solamente non fi
approfitteranno della correzione , mà prenderanno animo di far peggio, trovando
chi li difenda ; ed in questo errore fogliono cadere frequenteinente le Madri
con danno evidente della buona educazione; come par che l'accenni Salomone ne'
suoi proverbj al 29. Puer qui dimittitur voluntati sur confundit miirem suam :
ond'effe , per non cadere in questo, debbono imitare quelle faggio miatrone del
testamento vecchio tra le quali che non fece Sara per l'educa. zione d'Isac,
Rebecca di Giacob, od Anna di Samuele ; siccome ancora Sansa Monaca, S.
Celinia, che fecero ofetime educazioni de' figliuoli, dilendo- ne
da queste nati un S. Agostino, un S. Remigio: tra le quali merita
anche di essere annoverata la pia , e zelance Madre di S.
Andrea Corfini, che non desistè giammai d'industriarsi Gintanto,
che non lo vide di lupo cambiato in agnello. Sem. Riferitemi
ora il quinto. Mec. Dovete parimente tener celato l'amore, che portate
loro, ne tampoco con quotidiani gaftighi far loro credere, che Giete disamorato
affatto verso di essi ; perche il soverchio amore li farà prendere troppa
confidenza con voi ; ficcome alli continui gastighi facendovi il callo,non li
prezzeran più . Quella correzione risentita , fatta à suo tempo, cou parole,
che li pungano, serve as molei di stimolo maggiore ad operare bene, più di
quello che facessero le sferzate . La scimmia, allorche si moftras madre sviscerata
de suoi parti,con troppo ftringerseli al lato li uccide, e questo segue per lo
soverchio amore, che por [ocr errors] porta loro , non già per
isdegno. Il destriero più generoso colle continue sferzate divien reftio.
Ordinariamente de Madri sogliono peccare di troppo affetto , ficcome i Padri di
soverchio rigore; e da ciò ne viene , che più amorosi li portano i figliuoli
verso le Madri, che verso i Padri, de'quali hanno bensì maggior timore.
Sem. Ed il sesto finalmente ? Mec. Di non farli trattare in assenza
vostra con persone, che possano distrug. gere quanto di buono avere in esli
inlinuato; posciache debbono anche credere, che cutti abbiano da operare in
quella forma, che voi prescrivere , che elli vivano; e se per disavventura
udiranno da qualche malvagio consigliero maslime contrarie alle vostre , quanto
male apporterebbero queste infinuandosi in quelle tenere menti, e non atte
ancora à ben discernere qual sia il veleno, e quale l'antidoto. Ne vi starò
so-. pra di ciò à riferir esempj, perche di Umili miserie ne accadono
giornalmen tes [ocr errors] E te, come voi ben sapere ; vi
addurrà solamente ciò che si osserva in un certo animale (come riferisce
il Salier Hs: - Juppon:) che dimora in una montagna del regno di Gotto
nel Giappone, il quale è in grandezza, e figura fimile al
lupo ; viene però ricoperto da un pelo morbidiffimo al par della seta, e
la sua carne è delicatissima al gusto;entra que- sto animale bene
spesso nel mare; mas se per fua
(ventura s'inoltra molio in effo, diviene pesce, ricoprendosi di squame, de'
quali essendone stato presentato uno al Re di Gotto, che per metà era divenuto
squamoso, e nel rimanente conservava il suo morbidissimo pelo, fè ciò conoscere
tal verità. Or se il conversare co pesci può far divenire un'animal si morbido
anch'effo squamoso,che farà l'innocente giovanetto conversando cou cattivi? Che
apprenderà di buono da quel lacche vizioso? da quel cocchiere scapestrato, è da
altri viziosi? quando non facesse altro discapito, imparerà a correre, ò pure à
guidare land carrozza, oh che belle prerogative di un giovane nato per
governare, e reggere qualche parte del Mondo! Quindi è che rettamente ordina
l’Ecclefiaftico al 7. Difcede ab iniquo , & deficient man la abfte. E S.
Agostino scrisse che : fitcilius eft fortem stare in martyrio, quam in pravå
societate . Sem. I Genitori, Publio , debbono ugualmente essere à
parte dell'educazionc Pub. Certamente, che sì ; mà però in modo,
che uniforine vada la dettaa educazione, e perciò debbono in tutto portarli
concordeinenre: si possono bene tra loro dividere alcune incombenze; per
esenipio la Madre, essendo assidua, e non vagabonda,averà maggior campo
d'infinuare loro , ed anco di fare apprendere in primo luogo ciò che riguarda
alli precetti Divini , dovendoli allan sofferenza donnesca questa lode, che,
per non attediarsi punto in replicare le medesime cose infinite volte, riescono
in ciò lingolari, cd in segucla d'iftruir. [ocr errors] li nel Galateo
oon affetrato, e vano, ma bensì nel serio , ed in quello, che insegna ciò, che
appartiene ad un gentiluomo cristiano, il quale non solamente è diretto alle
cose mondane, mi alle divine ancora; e sopra tutto al rispecto, e venerazione,
che si dee à Dio in ogni tempo, come dispone l’Ecclesiastico al 2. Serva timorem
illius, do in illo veterafce; perche soggiunge: Quis enim permanfit in mandatis
ejus , & dereli&tus eft? aut quis invocavit eum, & difpexis
ilum? Sem. Ed il Padre quale incombenza doverà prenderli ? Pub.
Essendo un poco grandicelli, e come li fuol dire già smammari, dee il buon
Padre cominciare ad iftruirli in modo, che possano riuscire graci, ed utili
alla Republica, come faggiamence viene avvertito da Giovenale : Gratum eft ,
quod patria civem , popu loque dedifi Si facis,ut patria fit idoneus, utiliser
E per fare questo dev'essere vigilaore',non solamente à rimuovere da elli certi
primi difetti, che sogliono in quell'età manifeítarli, come sono la pertinacia
, e disubbidienza , con certa vivacità di spirito contenziosa , e questo farlo
più tosto con uno sguardo severo , e con minaccie, che con percosse in sì
tenera età ; e qualche volca ancora il togliere loro parte della colazione è un
gastigo molto profittevole ; 'mà divenuti, che saranno alquanto più capaci dee
istillar loro maslime nobili, cd onorate, e replicatamente, à fine, che se le
imprimano bene nel cuore. Pub. E queste quali sono ? Pub. La prima,
ch'è la più essenzia. le, sarà di amare sopra tutte le creature Dio, e di
venerare tutci i Sanri, con fare loro comprendere , che tutto il bene, che
abbiamo, viene da Dio, e che non amandolo, non lo potremo da esso conseguire,
non potendo avere altro, che lui, che ci soccorra nei nostri maggiori travagli:
dicendo appunto l’Ecclefiaftico al 33. Timenti deum non occur. rent
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] rent mala, fed insentatione
Deus illums confervabit, & liberabit à malis , Sem. E dopo questa
? Pub. La seconda farà di amare il noftro prossimo come noi medesimi, e
di non fare altrui ciò, che sarebbe discaro à noi stesi ; e far loro di
vantaggio capire, che ognuno sarebbe miserabile in questo mondo , se non fosse
soccorso dal compagno : e venendo l'occasione di comprare qualche cosa,andare
infinuan. do loro in quel punto questa verità, che se quel povero uomo non
avesse faticato per noi, se sarà farto per esempio , noi . anderemmo nudi , ò
vestiti al più di pampini , con mostrar loro ancora, che conviene sodisfarlo
delle dovute mercedi , affinche possa vivere per averci à servire con
puntualità un'altra volta : Capitando lavoratori di campagna farà bene che
conprendano,che se quei miserabili non iftassero di giorno al sole, e di notte
allo scoperto,non si mangierebbes quel bel pane , nè li berebbe quel buon vino,
che ci portano in tavola, onde [ocr errors][subsumed][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] degli altri. che
debbonsi con prontezza sodisfare, acciocche possano con amore attendere à
coltivare la terra, che li produce mediante la loro industria ; e non perdere
alcuna delle occasioni , che capitano per meglio imprimere in quei teneri cuori
l'amore verso il prossimo, clas puntualità in fodisfare quanto si dee a' poveri
mercenarj. Sem. Offervo però quei, che sono più puntuali in
sodisfare,peggio serviti Pub. Non è così, Sempronio, può effere che vi
sia taluno, che operi con questa ingratitudine, mà nell'universalc offervo, che
chi ben tratta è ben tractato, e poi non ci dee già muovere à ben operare il
proprio vantaggio; mà bensì, perche in coscienza liamo tenuti di sodisfarli
puntualmente, ed udite che grave eccesso commette colui , che traIcura di farlo
: Panis egentium, dice l' Ecclesiastico al 34. vita pauperum eft : qui detrabit
illum bomo fanguinis eft. Qui aufert in fudore panem, quafi qui occidis
pre [ocr errors] proximum fuum . Qui effundit fanguinem, e qui fraudem
facit mercenario , fratres '. funt. Mec. Queste massime sono certamen. te
necessarie , affinche divenuti adulti non si facciano guadagnare dal mal
esempio di alcuni , che costumano di fa. re ciocche non conviene ; e sarebbe
anche necessario nel medesimo tempo d’in. finuare ne'loro animi la benevolenza
neceffaria verso la servitù ; affinche la possano riscuotere reciproca dalla
medefima ; perchè, conforme chiaramente fa conoscere Seneca nell' Epistola 47,
è falso quel detto : Quot servi tot hoftes , dicendo egli : non habemus illos
boftes, fed facimus; per non tratçarli in quellas guila: Quemadmodum tecum
fuperiorem velles vivere. Onde io sono camminato sempre colle massime di questo
grande Uomo nel inorale ; che il servitore: 60lat magis dominum , quàm timeat,
e për cagione di ciò assegna:quod Deo fatis eft, quod colitur, eu amatur ; onde
che più di questo noi non dobbiamo esiggere, Y da [merged
small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] da noftri servitori, e tanto più
che non paseft amor cum timorë mifceri. Pub. Dice questo grand’uomo
cercamente il vero ; perche se non farà reciproco l'amore tra il servidore, ed
il Padrone, avendo continuamente questi. al.lato,continua sarà ancora
l'occasione prossima di rammarico tra efl ; e fatto che averà l'abito in
questo, non potrà più aftenersi di non contriftarlo, per ogni lieve
cagione. Sem. Dunque, Mecenate, al parere del vostro Seneca non si
potranno licenziarei servitori, chcli porteranno male? Mec. Non pretend'
egli questo ; ma folamente, che non fieno i Padroni in fervos fuperbiffimi,
crudeliffimi , dow contumeliofiffimi ; come pocrete vedere nella citata
Epiftola. Sem. Essendo però noi li Padroni, toccherà ad efli soffrire qualche
noftra ftravaganza . Pub. Dobbiamo anche noi riflettere, fino a che segno
possano quest' esferes forferte da cali perchè se le nostre stra-,vaganze
fossero grandi, e continue, ci renderemmo noi meritevoli di
riprenfio. ne : vietandoci l'Ecclefiaftico il farlo al 4. ove così
dice: Noli effe ficut leo in doa mo tua evertens domesticos tuos, &
oppria mens fubjeétos tuos . E c'insegna di van-' taggio , come ci
dobbiamo portare co") fervitori senfati al settimo , dicendoci
: sonladas fervum in veritate operum, ne- que mercenáriun danten
animam fuam. Servus fenfatus fit sibi dilectus , quas ani: ma sua ;
ne defraudes illum libertate, nebo que inopem derelinquas
illum, - Sem. Ma se divenissero a noi importu. ni,
contradicendo a quello, che noi bra. miamo di fare, doveremo anche
collea rarli? Pub. Se saranno fedeli, e parleranno per zelo a
bneficio voftro, dovrete non solamente tollerarli, ma eziandio amar-, li più di
prima; perche farà segno, che non vi adulano,facendo cosa ucile a voi,
quantunque la considerino svantaggiosa a loro medefimi, con moftrarne voi
dispiacere ; ed udite l'oracolo dell'Eccle siasti [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Aico al 33. Si eft tibi seruus
fidelis, fortis bi quafi anima tua : quasi fratrem , fic cum tracta , quoniam
in janguine anima comparasti illum. sibaforis eum iniuftè, in fugam
convertetur. É cosa averete acquistato con perdere per vostro capriccio un
servitore tanto fedele? quando ne trovarete un' altro fimile ad eiro ? &
abbiate da me questa certa notizia, che l'adulazione ne' servitori, si è
avanzata a questo segno , per il dispiacere,che alcuni Padroni mostrano
nell'udire la verità fincera : laonde esli, per non perdere la loro grazia ,
vengono forzati ad adularli , c tradirli insieme. Ma vorrei, che questi, che
hanno a male di udire da fervitori la verità, facessero attenta riflessio. be a
quello che dice Giob al cap-31. che è questo: Si contempla fubire judicium cum
Servo meo, e ancilla mea, cum discepia. rent adversus me : quid enim faciam cum
Surrexerit ' ad judicandum Deuse du cum quaferis quid respondebo illi ?
Nunquid non in utero fecit me ; qui & illum operatus eft, & formavit me
in vulva unus? Semp. Sem. Quando però saranno grandi li figluoli li
scorderanno di questi utili avvertimenti . Pub. Non sarà così quando il
Padre, oltre il rammentarli frequentemente', li praticherà esso ancora, dal di
cui buono csempio comprenderanno meglio, che debba farli così.. Sem.
Vorrei sapere , Publio, fe il Pa. dre possa condurre i suoi figliuoli a vedere
le maschere? Pub. Anzi dee farlo, con que sta avvertenza però d'imprimere
ne loro cuori , che quei,che con sembianti sì deformi, e spaventofi si
trasmutano,sono paz. zi, e che quei sconci gefti, e parole oscene,chc dicono,
sono tutticffetti della loro pazzia, con infinuare loro, che divenendo effi
grádinon lo facciano per non essere anch'elli tenuti pazzi. Sole. vano i
Spartani fare ubriacare i schiavi, c li facevano vedere a loro figliuoli, af.
finchè prendessero orrore all’ubriacheza za da quelle pazzie, che da fimile get
tc agitata dal vino fi commetreyades rem ied effendo riuscito a
quelli profittevole; fperarei, che facesse il fimile anco a quefti, e tanto
maggiormente non avendo il mal'esempio da i genitori, perchè se ne aftengono ,
cd essendo veriffimo quel detto : Quo fuerit imbuta recens fervabit ode
Tefta diu. Impreffe che faranno da principio ne' cuori de' fanciulli fimili
verità, difficil. mente si cancelleranno più. Sem. E crescendo negli
anni, & avan. zandosi nella capacità, che averaano da fare i genitori?
Pub. Di prevenire tutti concorde mente i mali, ne'quali potessero cadere;
insegnandoci l'Ecclesiastico al 18. Antò languorem adhibe medicinam , per lo
che doveranno porre un antemurale a vizj in questa forma: Già efli averanno
cominciato ad aver l'uso di ragione, e potranno comprendere qual fia il male,
& il beno,cominciando a conoscere gli effetti dell’uno, e dell'altro; :
onde venendo loro questi meglio spiegati comprende ran. ranno con
più facilità qual mostro orrendo sia l'uomo vizioso, e quanto preggiabile sia
colui, che abborrisce i vizi, quanto odiati da cucci siano i primi, ed amati li
secondi, prenderanno in questa forma ancor efi orrore al vizio; efe non
averanno compagni più che cattivi, i quali vadino seducendoli, come potrà
cflere, che non s'incamminino ancor'eff per la buona via ? ed una volta,
che fi sono incamminati per essa colla grazia di Dio, e con l'occhio paterno
vigilante sarà cosa difficile il discostarsi più das quefta . Sem. E
delle massime di onore, e de puocigli cavallereschinon ne discorrere?
Pub. E che credete voi , Sempronio, che le massime di Dio non siano anch'effe
di onore, e cavalleresche? Impoffel fatevi bene di queste, che tutte le altre
vengono di seguito ; non sapete voi, che la prima vircù : Eft vitium fugere,
fapientia prima Stultitiâ caruifle. Datemi uno , che abbia in orrore il via
zio, cche lo fugga, che io lo crederò perfetto in cutro.Sem. Io credeva, che
queste matsime dovessero servire per i figliuoli, che s’indirizano alla vita
religiofa,non per quel. li, che debbono vivere nel mondo, ove senza aver un
poco d'inganno pare, che non a polla convivère; Pub. Quanto ficte in
errore ; perchè ugualmente sono necessarie le mailime di Dio per i Religiosi,
che per i fecolari, dovendo tutti indirizarci per la via dell' ecernità ; nè
crcdiate che godano quelli, che vivono,come voi dite al mondo, van. taggio
alcuno di più di coloro, che ope. rano come si dee; anzi sono infelicillimi ,
& uditelo dall'oracolo dell'Eccle. {iastico al 2. V & duplici corde , d.
labiis fceleftis, du manibus malefacientibus, peccatori terram ingredienti
duabus viis. Va disolutis corde, qui non credunt Deo; & ideo non
protegentur ab.co. Va his, qui perdideruns Justinentiam, & qui
dereliquerunt vias rectas, diverterunt inue vias pravas. Et quid facieni cum
infpicera esperit Dominus ? Se dunque lo mafime del mondo faranno differenti da
queste abban, [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] -
abbandonatele puré , che non fanno per voi , perchè come vi troverete senza il
-Patrocinio di Dio? Sem. Dicemi, se in casa ci saranno,oltre i genitori,
altri parenti, li doveran. no ancor questi ingerire nell' educazione Pub.
Questi ancora , ma però più con dare loro buon' csempio, che con pas role;
posciache è cola inolto difficile, che tutti questi siano uniformi nelle buone
direzioni di effa'; oode fe taluno di questi-inlinuasse tal cosa, la quale
sembrasse differente a quella , che udi da'genitori, o ficonfonderebbe, o per
lo meno non prestérebbe la dovuta crea denza a quanto verrà foro insinuato da
suo Padre, è questo lo mostrerò col segucnce. esempio . Nel domare i pola Icdri
[ che "polledrucci anco possono chiamarsi i figliuoli, avendo bisogno'ral
volta ancor esli di effere domati ] fcfaranno diversi li cozzoni, non folamen
te ci vorrà più tempo in renderli docili , ma ancora potranno correre pericolo
di pren. [ocr errors][merged small] -prendere qualche vizio ;
perchè fentendo, oggi una mano più gravę, nel di seguente altra più legiera,e
certe speronate differenti dalle altre , pon comprenderanno così bene quello ,
che doveranno fare; e cal, volca inasprendoli diverranno anche restj. Se questi
paren. ti fossero tutti uniformi, e caminaffero colle medesime direzioni,
potrebb'effere meno male, ma sempre meglio farà , che sia uno solo quel complesso
, & armonia vaiforme de propri genitori savj, e prudenti, da'quali una sola
volontà li forma. i 37. Sem. Voi, Publio, che avete educa. toi vostri
figliuoli da voi medesimo, in, segnatemi di quali documenti xifiere servito per
iftruirli nelle þuo be creanze, cda cui gli apprendelte per potermene ancor'io
prevalere a suo tempo 2 Pub. Per non crrare mi sono servito di quci, che
non possono fallire, aven, doli ricavati dalla Sacra Scritsura. Sem. E
che parla quefta ancora delle buone creanze, che debbono insegnarli
a'figliuoli? Pub. [ocr errors][ocr errors] Cena Pub.
Divinamente ne tratta l' Eccle. El di fiaftico al 31. ove dice: Utere ,
quafi himo frugi iis , que tibi apponuntur , ne cum manduces multum, odio
babearis; cela prior causa disciplina , el noli nimius effe, ne * forsè
offendas. Et fi in medio multorum fe. disti prior illis , e exsendas
manum fuam , nec prior pofcas bibere. Sem. E del rispetto, che debbe
avetfi a Maggiori, ne parla ? Pub. Di questo ancora al 32. dicen. do:
Adolefcons loquere in quâ causå vix', fibis interrogatus fueris ; babeat caput
rée Sponfum fuum ; in multis efto quasi infciusi, audi taceus fimul' quçrens
• • In me dio Magnarum non presumas, & ubi sunt fenes non multùm
loquaris : talmente che leggendo voi attentamente la Sacrae Scrittura , potrete
divenire un'ottimo educatore de i vostri figliuoli. Sem. Vorrei sapere
ancora qual vizio giudicace peggiore di tutti gli altri, in un uomo civile, è
facoltoso, sopra il quale fia d'uopo d'invigilarci più, che negli altri, per
porerlo affatto svellere da figliuolis [ocr errors] Pub. Io ho stimato
sempre tutti i vizj per pesimi, non effendoci alcuno di effi tollerabile;
quello però, che ho sem. pre proccurato di svellere con più attenzione da miei
figliuoli, è stato l'avarizia; perchè ho sempre creduto, che, crescendo questa
avesse superato tutti gli alcri, figurandomi l'avaro come una lacuna,che
assorbisce in fe moltiffimi rivi, che debbono scorrerc ad inaffiare, e rendere
fecondi molti campi; onde che, stagnando effi, possono apportare notabile danno
a molti, c.quel ch'è peggio con danno notabile di chi li divia: ed udine, come
a propofito l'efpreffe \'Eccicfiaftico al s.F4 & alia infirmitas peffima,
quam vidi fub Jole : divitia conservala in malum Domini fui , pereunt enim in
afflictione peffima, & in appresso miserabilis prorsùs infirmitas : quomodo
venit,fic revertetur . Quid ergo prodeft ei , quod laborauit in ventum ?
Cunétis dicbus vitæ fua comedit in tenebris , & in con ris multis, & in
ærumna, aique friftitiâ ed il perche lo efpresc Orazio con dire Jemper Avarus
eget.Sem. Ora io, che ho udito tanto, non sarà mai pericolo, che divenga avaro
, sembrandomi la vita di questi infelicissima . E tornando all'educazione: se
il Padre non fosse capace di educare, ela Madre fosse poco prudente, chi si
dove. rà sostituire in loro vece? Mec. Buoni Maestri, è se saranno ricchi
, potranno provedersi anche dell' Ajo, di cui discorreremo nella ventura
Conferenza. [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors]
CON. CONFERENZA III. Intorno all'uffizio, e qualità dell'Ajo,
Ĉ dei Maestri: [merged small][ocr errors] V [ocr errors] Sem.
Ual'è l'uffizio dell' Ajo ? Pub. L'Ajo dee at-
tendere precisame- te al costume, ed a ciò ch'è
ordina. to ad effo. Sem. Ed al Maestro, che apparticoche di fire ?
Pub. Oltre quello, che riguarda il costume, dee ancora insegnare loro le
scienze, & tutto quello, che ha da premettersi per il conseguimento di
elle. Semp. Ma non potrebb’essere anche Ajo Ajo il Maestro, giacche
attende questi al costume ancora ? Pub. Alcuni lo praticano ; altri poi
più facoltosi provedono di Ajo, è dit Maestro i loro figliuoli , credendo il
far ciò diligenza maggiore. Semp. Ma realmente, chi di quefti fa
meglio? Pub. Se s'incontrasse un uomo versacissimo nell’una, e nell'altra
profesione , mi perfuado :, che questi foffe di profitto maggiore, ma per
essere raris : fimi quefti,quindi è, che chi può li provede dell'uno,
dell'altro. Sem. Che condizioni dee avere l’Ajo? Pub. Dovcado egl'istruire
nel costume, lo doverà avere anche otti mo in priino luogo , dovrà essere
prus Idente, ed accorto, industrioso, e diri piego prontojalliduo,
crudito nelle ftoorie, non molto colerico, sostenuto, che di abbia ancora parti
da faríi amare , fia prarichissimo delle cose del Mondo , e se fosse
versato in medicina, sarebbe anche ile requisito. Sem. [ocr errors]
Sem, -Mà trovare tante parti in un uomo farà cosa molto difficile. Pub. E
perciòi rari fono quei , che facciano l'uffizio loro come si richiede; contenrandoli',
alcuni Padri di averly nobile sì, mà nel riinanente , come si diffe; folamente
di citolo, battando loro di avere l'ombra , e non tutto l'effenziale di efia,
persuadendosi , che questa possa essere sufficiente. Sem. E come,
anderebbe Gmil'educa. zione? Pub. Quafi nella medesima maniera , che se
non ci foffe chi la dirigeffe , porendo fare l'educando a fuo modo . Mac.
lo so, che dovendosi provede re un Signore di qualità dell'Ajo, furongli
proposti diverli ; trà quali vi era un nobile ,'mà poco erudito; un Poera
infigne ; ed un eccellente Geografo, ed Aftrologo insieme ; niuno di questi
volle al suo fervigio ; ricufando il primo, per il motivo, che di nobiltà il
suo figliuolo nè aveva a sufficienza ; al secondo oppose , che Aimava fi fosse
potuto trop. U troppo divagare dal suo ufficio chi at tendeva
a comporre poemi, nè volle il che terzo, perchè dubitava che l'aveffe
fated to troppo girare colla mente, non che avendo altro , che discorrere
seco, che di cielo, e di terra: alla fine gli fu pro* posto un buono
Istorico, eccellente Fi. losofo, e Matcematico , questi disse fà al mio
bisogno: perchè gli mostrerà come fi dee yiyere cogli esempi altrui,
l'insegnerà a tirare le linee recte , ed a prendere col compasso le misure
giuste 3 ; e lo fermo al suo fervigio, Sem. In qual'età li dee porre
sotto la cuftodia dell'Ajo l'educando? Pub. Più prestamente, che si
può. Sem. Mà 'non sarebbe fpefa superdua questa , ponendosi in età, nella
quale non è ancora capace di comprendere i buoni documenti? Pub. Non li
chiama mai spesa super, fua quella, che & fà per educare i pro· pri
figliuoli, essendo ucilisfimo rinvesti. ·mento,perciocchè, acquistato che
averanno elli le virtù si troveranno un gran tesoro, e non soggetto alle
vicende della fortuna; ed in quella età, quantunque non comprendano i buoni
documenti, nulladimeno questi in qualche parte, cominciano ad imprimerli nella
loro mente oltre;di che quanto gioverà, per conoscere le inclinazioni nacive
l'averli ayuci in custodia da çenerį anni? Meç. Si disse tempo fà di uno,
che gettava il danaro avendo posto l’Ajo al figliuolo di età adulta, e divenuto
già alquanto vizioso, perchè non averebbe allora potuto egli più emendarlo,
aven. do prelo già possesso in esso i vizj. Pub. Questo lo credo anch'io
; per. chè le piante tenere sono quelle , che si possono piegare a proprio
compiacimento, dove che le già cominciare ad assodarfi vogliono crescere
co’loro di. fepti , quantunque ci si adoperi ogni in. duftria per emendarli.
Quindi è che l'Ecclefiaftico al7.così ordina. Filii ribi sunt, Erudi jllos,
& curva illos à pueritia illorum. Sem. nes [ocr errors]
Sem. Qual onorario si dee dare all' ile Ajo ? Pub. Non ci è danaro,
portandosi be che uguagli il beneficio, ch'egli apporta , onde deefi
generosamente trattare, Mec. V'era un’mio amico', che solea dire che se
avesse trovato un educatore, a suo modo , per i suoi figliuoli, non solamente
lo averebbe trattato assai bene, mà di vantaggio gli averebbe anche la. sciato
nn grosso legato nel suo tcftamento , per maggiormente animarlo ad impiegare
ogn'industria poffibile pro de fuoi figliuoli, Pub. Costui mostrava
conoscere cer. tamente l'utile maggiore de suoi figliuoli; perchè ben
comprendeva, che rimanendo dopo la sua morte efli bene educati quancunque fossero
alquanto meno ricchi di beni di forcuna , sarebbe questo stato compensato
dall'utile assai più riguardevole, che risultaya loro dalle virtù acquistate,
posciache al pa. rere di Cicerone.Ora:pro Sexto: virtus in [ocr errors]
tempeftate fava quieta eft,lucer in tenebris , expulsa loco manet tamen, atque
hş. ret in patria , Splenderque per fe semper, neque alienis unquam fordibus
obfolefcit , quale sorte cerçamente non godono le richezze. Sem. In qual
modo si hanno da prevalere della loro industria, e prudenza
nell'educarli? Pub. Secondo l'età si debbono anche regolare. Nè teneri
fanciulli con maniere foavi debbono insinuare loro quello, a che dicemmo essere
tenuti i propri genitori, ę fucceffivamente fecondo vedranno i narurali così
debbono opcrare Som. Di quante fpecie possono essere questi
naturali? Pub. E quì presente il Dottore, che meglio di me potrà
fodisfarvi ; iftruite, lo di grazia in questo brevemente e con termini chiari
da capirsi da ogn'uno : Med. Secondo la diversità de temperamenti sono
varj ancora i naturali ; posciache questi da quelli in gran parta
des [ocr errors][ocr errors][ocr errors] derivano, ed effendo quattro le
specie bi principali de temperameati a quattro sorte ancora si potranno
ridurre li naturali de figliuoli, cioè all'igneo , o biliofo, che dir vogliamo
, al femmatico, al melanconico, o al soverchiamente allegro, detto fanguigno.
Ci sono poi altre specie subalterne, che nascono dalle diverse mescolanze dei
liquidi, che nella massa umorale predominano, de quali ora non ne parlo.
Sem. Per meglio distinguerli dunque i doverebbe l'Ajo essere Medico
ancora. Med. Cimancherebbe questo d'averci anche da impazzire co'ragazzi,
forse che non ci danno da fare a bastanza allora che sono infermi? Sem.
Questi naturali sono sempre uniforme in tutte l'età? Med. Sogliono
variare fpeffe volte nelle mutazioni di esse, offervandoli ciò manifeftamente.
Sem. E per quali cagioni? Med. Perchè varia la massa de Avidi, secondo
che ci avanziamo nell'età acquis [ocr errors][ocr errors] 2 3
acquistãdo energia maggiore alcuni fer, menti col crefcere gli anni, ficcome
questa si può scemare ancora accostandoci alla vecchiaja. Sem. Come si
dovrà regolare con chi è di naturale biliosoa, Med. In quefti, per quanto
si può, è sempre meglio servirsi della dolcezza ; poscia che colle afprezze
maggiormente si accendono, ed allora divengono pertinaci. Sem. E se di
questa si abusaffero? Med. Allora la dolcezza dell' Ajo dee cambiarsi in
rigore per far loro conofcere , che nel mele, e nel zuccaro ancora è nascosto
l'amaro.' Pub. Di questo già raggionammo baftantemente nella paffata
conferenzas istruendone i Padri, onde non stiamo.a dilungarci di
vantaggio Med. Siami permesso di aggiungere, a quanto fù detto, una mia
rifeflione, ed è quefta : che le severe correzioni riescono più utili fatte a
sangue freddo, canto per profitto dell'educando quanto per vantaggio dell'Ajo ,
che può senza ira insinuargli le sue più mafurate ammonizioni , e restano anche
maggiormente iinpresse ricevute di mattina a ventre vuoto, essendo la mente
anche più limpida, dove che ricevute allorche si trovano già agitati
dall'errore commesso, non sono cosìcapaci di comprenderle. Sem. Come si
doverà contenere co' sanguigni. Med. Questi sono più facili de primi ad
educarli ; perchè sogliono essere difinvolti ;basterà tenerli frenati in
certi eccelli , ne quali potrebbero cadere', di soverchia allegria, e
curiosità, ed avvicinandosi all'età giovenile tenerli lontani da cose veneree
. Sem. Che potrà fare il povero Ajo allor che sono grandicelli, ed
averanno quei stimoli, che fanno prevaricare anche i saggi? Medi Il
miglior antidoto , che fias contro li stimoli della lussuria c, di condurre
qualche volta i giovani ne noftri Spe. [ocr errors][ocr
errors][merged small] 24 spedali , ed in tempo, che si faccias qualche
amputazione di parti genitali putrefatte, a cagione del morbo gallico: e
cercamente induce loro tale spavento sì crudele spettacolo, che si sono alcuni
di questi spogliati affatto di fimili pensieri, per l'orrore conceputo allorchè
udirono, che da donne era ve. nuto quel tanto male, e che per esse conveniva
soffirire sì atroce tormento di ferro, e di fuoco, e di vantaggio di non essere
più uomo. Sem. Ec i malinconici come vanno trattati? Med. Questi
appunto sono quelli , che fanno fofpirare non solamente i poveri Aji, mà ancora
noi quando essi sono malati; perchè hanno un naturale stravagantissimo, é
maggiormente fe regierà in elli qualche porzione di umore chiamato atrabilare :
bene è vero però, che nell'età tenera non hà tal'umore. quella energia, che si
manifesta colcrefcere essi negli anni, e questi ò danno al byono, e divengono
eroi, ò al pessimo , elo. [ocr errors] [ocr errors] e sono molto
iniqui, e perversi; debmit bonsi dunque con grande industria queili
fti trattare, e senza usar loro molta vios lenza, e più coll'affiduirà ,
e colli efemin pj fatti da lor medesimi leggere, o rifei riti di persone
viventi da loro cono, of sciute, che con aspre sferzate;debbonsi anche
tenere divertiti, & applicaci a più cose, alle quali abbiano genio.
Sem. Come divertiti, & applicati, parendo queste cose contrarie Med.
Divertiti, dico, con far loro prendere aria amena , conducendoliins villa
più frequentemente degli altri, & i applicati alle volte a cose diverse
dallo studio, come farebbe il suono, il quale se sarà di loro genio li
può tenere lontani da que pensieri tetri, che occupa no continuamente le
loro menti; ma di o questo converrà discorrerne più diffusamente a suo
tempo. Pub. Egliflemmatici come van regolati ? Med. Questi sono
quelli, che se non faranno onore all'Ajo gli recano almeno poo [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] pochi travagli; perchè fogliono
essere pacifici, e tardi d'ingegno: Ben'è vero però, che nelle mutazioni
dell'età sogliono alle volte sciogliersi, e divenire un poco più spiritosi, e
fare ancora com petente riuscita. [ocr errors] Sem. Come suole
essere, Publio, di profitto l’Ajo, facendo anche da Maeftro, nelle scienze
? Pub. Se terrà lo stile praticato da Mae. Ari, riuscirà egregiamente
come dicemmo ; ma se vorrà poi insegnare colla medesima maniera le scienze, che
insinua il buon costume,anderà tutto peffimamente. Sem. E perchè
Pub. Lo stile tenuto dagli Aji in istruire nel buon costume è d' infingare
tutto in voce, il quale nulla giova per fare loro apprendere con fondamento le
frienze ; perchè queste sarebbero superficialmente adattate , & à quella
guifas appunto, che G soprapone loro ridotto in fogli al legno, il quale col
tempo di. sperdendol rimane legno ciò, che mo. Atraa [ocr errors]
tre ftrava di essere oro, dove che il Maes po stro, professore esperto, procura
d'in= finuarle nella mente colle sue regole, e collo scritto, affinche
abbia pronto il comodo di ricordarli di quello , che si fosse mai
dimenticato. G Mec. Ora comprendo da che fia pros ceduto, che viaggiando
molti anni fono udj in una Città discorrere alcuni giovani co molto spirito in
ogni scienza, i quali per essere di poca età mi recarono ammirazione ; ma
avendo avuto curiosità alcuni anni dapoi di sapere se profitto maggiore
avessero farto, mi fu risposto, che avevano più tosto deterio. rato;
bisogna dunque che il loro Ajo gli de aveffe istruiti a braccia , e non con
fon10 damento. Pub. Nerone, che fu istruito da Seneca in questa guisa,
fece alla prima las < sua bella comparsa, ma terminò poi u
peffimamente. Sem. L'autorità dell' Ajo sin dove fi
Atende? Pub. Tanto'oltre, quanto quella del Padre,dovendo essere
amplifima, a fine che f. rendano ossequioli, & obedienti ad effo,
Mec. Le Madri però sono quelle, che procurano di ristrignerla,imponendo loro,
che non li gastighino, nè li sgridino, ma che li compatiscano se non si
approfittano de’loro documenti; e questo lo fanno per rimore, che non
fiammalina, e bene spesso,per questo timore di male ideale , ne nasce il certo
male della possima educazione loro ; perchè per non disgustarle gli Aji fanno a
lor modo, comportando quanti difetti efG hanno: le saggie madri però lasciano
che li gastighino ad arbitrio loro, eli correggano secondo il bisogno , conoscendo
queste per isperienza, quello che per dottrina ancora conobbe Salomone al
prover. 22. ftultitia colligata eft in corde pueri, d virga disciplina
fugabit Cam • Sem. Debbono usare distinzione alcu, na in questo, secondo
l'erà ? Pub. Essendo l'Ajo prudente saprà re. go: ne [ocr
errors] golarsi anche in questo , & accomoderă i il gastigo secondo l'erà,
econ quei mo. di, che conoscerà effere all'educando più sensibili ; per
esempio se lo scorgessc goloso, il fargli sottrarre qualche pietanza in tavola
gli sarà di gran gastigo ; se giocoliero, togliendoli quell'ora di
divertimento, lo toccherà lül vivo; e fe averà un certo roffore in sentirsi
sgridare, questo sarà appunto l'opportuno suo gastigo ; in somma il migliore
sarà quel. lo, che si renderà più sensibile. Sem. Può l’Ajo per qualche
suo af. 1 fare allontanarsi da effo ? Pub. Per quanto meno farà possibilu
dee farlo; perche non mancano scelerati adulatori, i quali, per guadagnarsi la
grazia de padroni giovani,infinuano loro ciò , che può dilettarli , quantun.
que lia pregiudiziale, e per ciò se mai doveffe allontanarsi da effo per
qualche tempo, dee avere di chi possa fidarsi in sua assenza . Sem.E qual
sorta di divertimento deb, bono permettere loro? [ocr errors] [ocr
errors] Pub, :: Pub. Tutti quelli, che non sono viziofi, e fono ad esli
geniali, per esempio il giuoco delle boccie, della palla, del volanıę, ed
altri, anche più laboriosi di questi, competenti alla loro età. Sem. Nel
tempo che sono direrti li fi. gliuoli dall’Ajo possono i Padri educarli ancor
effi? Pub. Se saranno capaci di uniformarfi alle buone direzioni
dell'Ajo, pofranno qualche cosa contribuire ancor essi, L'incombenza loro però
è di offeryare qual profitco facciano, e di sentirne anche il parere di più
persone capaci sopra i loro buoni progrefli , esaminati che li averanno; per
altro scorgendo, che yą. da tutto a lyo dovere non debbono con fondere i
figliuoli con documenti diffc. reori, ne contristare l? Ajo con varjare il loro
metodo; bafterà la loro vigilante Lopraintendenza ; mà muta quando non
vogliano come doverebbero, effimedelimi in tutto instruirli. Sem.
Bramerei ora sapere le condi. zioni che doyerà avere un ottimo Mae. Aro
Pub. [ocr errors][merged small] [ocr errors] 101 Pub. In primo luogo
dev'essere di via ta esemplare, dotto , c prudeme , siccodel me è necessario
ancora, che abbia buo na comunicativa, per farsi ben capire, fia
sostenuto, diligente, e si sappia far 1 amare, e temere, e sia anche
pratico delle tristizie de figliuoli, per non farq gabbare da effi.
Sem. Trovandogi un uomo di tante buone qualità potrebbe anche servire I per
maestro di casa, ed elascore nelme, desimo tempo; perchè facendosi ben
ca. pire, indurrebbe più facilmente i debi, tori a pagare ciò, che
debbono particos e larmente ora, che sono tanto renitenti di farlo, Med.
Questo e uno degli errori mal. fimis perch'essendo talunò ottimo per un impiego
2 con darglicne tanti fi fa in modo , che divenga trascurato in tutti; essendo
grito quel detto; Pluribus intentus minor eft ad fingula fenfus. Or io coftumo
questo s chi mi serve., faccia solamente l'ufficio suo ; perchè considero,' che
non sia poco,che li riesca in una sola cosa, cosa, ed ho provato
con isperienza, che se taluno procura ingerirsi in più, confondendole tutte ,
ne pur una ne farà bene. Pub. Voi Sempronio vi figurate, che fia picciolo
affare l'insegnare a figliuoli le dottrine , e ben picciolo il generarli, mà
non già il farli divenire uomini eccellenti; perchè in un istante si generano,
e con poca fatica , mà per bene addottrinarli non solamente vi è duopo di molti
anni, mà ancora di attenta , ed induftriosa applicazione . Per abbozzare una
statua ci vuole poco, mà per ridurla a somma perfezzione numero infinito di
sealpellate di più ci vogliono; C riflettendo voi al valore della statuas
abbozzata, ed a quello della ridotta a perfezione, ben comprenderete il van.
tagio di più che ne ricaveranno i vostri figliuoli dal Maestro, che istruisce
con profitto. Sem. Io lo dicca a buon fine ; perchè risparmiandosi
qualcheservitore,mi riufciva più comodo di fargli un buono af4 fegnamento ,
acciochè viveffe contea. to. Pub. Glie lo dovete fare senza accrom
(cergli maggiori brighe, se bramare, to che la statua da voi abbozzata abbia
iti ma , e valore grande, Mec. Veramente in quei casi conviene deporre
l'avarizia', ed ogni parkmonia ; e non fare come quel Padre sciocco riferito da
Plutarco, che domandando ad Aristippo ; quanto paga. mento ricercava per
ammaestrare il suo figliuolo, udendo domandare inillo dramme rispose ; questo è
troppo ; perchè con mille dramme potrei comperarç un servo; çoi
saggiamente replicò: duna que averai due servi, tuo figliuolo, e e
quello, che comprerąi: facendogli conoscere, che se non era bene ammacftrato,
sarebbe diyenuto un servo il fuo figliuolo ancora. Sem, Quale farà
l'incombenza del Macftro? Pub. Gjà per quanto appartiene al co. fune
seguirerà quello, che si è detto CON [ocr errors] Аа 1
con cominciare prima da Dio ;' nel rima, nente poi lasciate pensare ad esso,
per; che avendolo scelto pratico, e dotto faprà secondo l'età, e capacità
andarlo itruendo come fi dee: bensi voi di. chiaratevi apertamente com voftri
fi, gliuoli alla sua presenza , che volete,che lo ftimino, ed obbediscano da
Padre, con dargli ogni più ampla facoltà di cor. eggerli, e gaftigarli
severamente in ralo di bisogno; perchè bramare di riconofcere per figliyoli
solamente quei , che studieranno, e faranno passata nelle ccienze 1 Mec. Quanto
fu mai eroico l'atto, che fece l'Imperatore Teodosio ; impercioche avendo
scelto Arsenio per Maestro del fuo figlinolo, ed avendogli detto; Pofthac tu
magis pater ejus quam ego, come riferisce il Baronio all’A.380-avvenne un
giorno, che passando Teodo, 'fio per la camera, oye Arsenio faceva la
repetizione a suo figliuolo, osservò , che il Maestro fe ne stava in piedi, e
lo [colaro affifos ne bo potè coptcnere di non [ocr errors][ocr
errors] non dimostrare ad Arsenio il suo dispia çimento ; veramente gli disse
ini avvcdo, che voi non sapere far bene il vo. ftro uffizio ; tenete, tenere il
grado di Maestro, e non di scolaro : Sagra Mac fta , replicò Arsenio, non
sarebbe punto convenevole, che io mi ponelli a se. dere per dar la lezzione ad
un Imperatore; ciò udito Teodofio tolfe la Coro, na di capo al suofigliuolo,c
comando ad Arsenio , che fedesse ; & ad Arcadio suo figliuolo, che
stasse in piedi colla testad á scoperta, fin tanto che il Maçstro gli parlaffe
, Sem. E se non faceffero tutto quello i profitto, che io defiderasli,
che averò el da fare? Pub, Vedere, Sempronio, parliamo chiaro, i Padri
yorrebbero dopci in bre. yiflimo tempo i loro figliuoli, onde in quefto
non abbiate tanta fretta, lasciateci porre il sempo neceffario per impof
sessarsi bene; må se poi vi accorgette, nel che oon dare tempo al tempo non li
apejet profitrassero, doveţe esaminare d'onds A a 7 prox
, [ocr errors] erro [ocr errors] [ocr errors] provenga la cagione,
e se saranno più Hgliuoli, vedendo , che taluno di edi li di
approfittaffe, e gli altri rimanessero indietro, la colpa non sarebbe del
MaeItro, ma bensi dei figliuoli, e che non applicassero, o che non fossero di
mente ancor capace di apprendere. * Sem. E se la cagione venisse dal Mae. Itro,
che fosse disapplicato , contenzio, so, o troppo bestiale ? Pub. E'voi
trovarene un'altro į mas non date fede loro alla prima ; perchè dopo , che
averanno ricevuto il gastigo verranno a piangere da voi, el dole. che il
Maestro fia bestiale; ma non diranno già la cagione giusta; per çui li ha
gastigati; ed in questo caso avvertite a non dar mai ragione a loro trovandosi
presenti,anzicon volto afpro sgridageli , e dite loro che lo averanno meritato
: informatevi però bene come è andato il fatto , per ritrovare la verità.
Sem. Ma venendo per colpa de figliuoli che averà da fare? Pub,
ranno, Pub. Se saranno disapplicati, vedete ancor voi di usarci diligenza
, con promettere loro premi per animarli ad essere più attenti ; e fe poi
venisse dall'incapacità in qualcuno, bisogna averci pazienza; e rimirate le
dita delle vostre mani, che ancor’esse non sono uguali , e pur la mano turta
insieme fa l'uffizio suo; così parimente sarà la figliolanza, quando venga
secondo la sua capacità impiegata bene. Sem. Dolendosi il Maestro di
questo, e dichiarandosi di non poterci aver più pazienza? Pub.
Confolatelo, & animatelo ad averci ancor effo pazienza, conforme conviene,
che P abbiate ancor voi Mec. Si doleano con Antipatro i MaeAtri, che i
suoi figliuoli non volevano per tante fatiche, e diligenze usate loro ,
approfittarsi punto dei loro documenti, e per consolarli egli dicevan che vi
era un paese nel mondo, ove le parole si gelayano in tempo di verno appena
uscite dalla bocca, a cagione digio freddi ecceffivi, che le
racchiudevano nell'aria, ma appena comparfa la primavera,fgelandoli queste
allora si udivano.. Non dubitate , diceva loro » che verrà ancora in essi la
primavera ; ed alloras queste parole, che odon'ora da voi , fi Igeleranno ancor
effe; continuate pura parfare , per , per uđitne all'ora di vantago Sem.
Dovero comparire nel cempo , che si fa scuola? Pub. Anche, frequentemente
s per ve. dere che si fa, per aninarli insieme a portarfi bene, c tenerli in
freno. Sim. Stimate neceffario ohre di tea net loro il Maestro di
mandarli alle fouo: le publiche? Pub. Per godere di quei vantaggi, che
apporta l'emuluzione può essere utile : debbonfi però avvertire due cofe; la
prima , che vadano sempre accompa. gnati dal reperirore, perchè del fetvis rore
in curto non vi dovete fidare, poa tendolo indurre fare a lor modo:Pal. tra poi
che fixno vicini in feuola a come pa [ocr errors][ocr errors]
mpagni bene accostumati, perchè ivi po. trebbero divenire maliziosi
trattando con carrivi. eri Mec. Bisogna ancora stare molto cau.,
telato nello scegliere questi reperitori, detçi comunemente Pedanti, perchè
vi è stato tra esfi cal’uno, che insegnaya of a' figliuoli il fare la
fabbatina , il giuoco delle carte, & altri vizj in vece delle virtù; e vi è
stato chi di questi ancora così iniquo , che ha procurato, che
abbandonaffe il figliuolo la casa paterna , dopo d'ayer rubaro al Padre qualche
fomma di danaro considerabile, e seco conducendolo fuori di stato , per ispre.
garla. Onde se non si sappia che siano di ottimi costumi, non debbonli
consesgnare ad effi i propri figliuoli, per non ricevere quella riprensione,
che fece Diogenç Sinopio a quei di Megara, dicendo loro, come riferisce Eliano,
che fi contentava di essere più rosto un ariete della lor mandria, che loro
figliuolo, perchè a custodire quello impiegavano uomini fedelilimi, & ad
iftruire questi ripų [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] A a 4 riputavano abile chiunque fi folfe loro
abbattuto dinanzi. Sem. E le figliuole fi debbono regola. re nella
medesima forma? :) Pub. In alcune cose non vanno regolate così, conforme
udirete nella seguente Conferenza. w CON [ocr errors][merged
small][merged small][merged small] Semn. He differenza cie tra
l'educazione dei С figliuoli, e quella delle figliuole ? Pub.
Primieramen: te, che queste,non dovendosi incamminare per la via delles
fcienze , non hanno d'uopo di tanti maeftri; e poi essendo diverli i loro vizj,
e naturali inclinazioni,debbonsi quefticon differenti manicre correggere
, Sem. ' quali sono questi vizj delle figliuole 22 Pub. La vanità
par che nasca con lo ro, quçfta opera, che moltissime di effe [ocr
errors] cffe sino dalla nascital par che mostrino compiacimento in
fegtir lodare la loro bellezza : ha poi la maggior parte di cffe, un certo
difpreggio, il quale viene da alcuni creduto per vivacità di fpirito; altre poi
fin d'allora moftransi vezzofe, e molto affabili; e vi sono ancora di quelle,
le quali danno a divede. re appena nate la loro dispettosa rozzez. za ,
contrafegni tutti non leggieri di ciò, che possa nell'età pid avanzata ope.
rare la loro naturale inclinazione. Sem. Di correggere tali difetti cui
partiene principalmente * Pub. Alle Madri, che con affiduità amorosa
aflifton loro ; dovendo i Padri portarsi giornalmente fuori di casa per affari,
che li tengono alle volte lungo tempo occupati; c quefte avendo bisogno di una
affidua cuftodia da niuno meglio, che dalle Madrila poffono riccvc, re: debbono
però i Padri per quaaco fa. rà perineslo lorosinvigilarci attenicamene te
anch'effi. Sem. Che dovranno fare le Madri in quella tenera età, nella quale ne
put capiscono ciò che loro si dice? Pub. Poffono far tholco, con impea
dire ancora, che non rimirino , ed odino ciò che non è convenevole; perchè
quello, che mostrano inclinazione alla vanità; non bisogna cominciare ad
ornarle vanamente, pe å far loro certi ýczzi disdicevoli, perchè s'imprimono
quelle vanità, e quegli atti con facilità grande in si tenera età; quelle bensi
che mostrano dispettosa rozzezza pof. fono follorarli con fimili vezzi
per inco minciare a poco y a poco a renderle più [ocr errors][ocr
errors] umane. [ocr errors] Sem. E di poi cominciando a capire , che
dovrà farsi? Pub. Allora farà tempo d'incomina ciare a far loro
apprendere , che la bela lezza della donna non confiste ja altro che nella
bontà de'coftumi. Sem. Oh capiranno beneche cosa dano costumi le picciole
figliaole? Pub. Non importa, perchè quantunque allora pon lo capiscano,
nulladime nos [ocr errors][ocr errors] no , effe continuando
ad udirlo a fuo tempo ben lo comprenderanno; basta che allora non si secondino
le innate inclinazioni loro viziose. Sem. Mà fe la Madre avesse
compiacimento di essere stimata bella, c fpiritofa, e forse anche vana , come
potrà istruire la sua figliuola diversamente da sè medesima, e che non abbia da
compiacerli anch'essa di ciò ? Pub. Ora entriamo nei guai grandi, perchè
se la Madre non diriggerà bene tal affire, l'educazione anderà pellina
menic. Sem. In questo caso che dovrà farsi? Pub. Quello appunto,
che fù da me praticato, di provederli d'una buona matrona ; e se questa fù
utile alla mia famiglia, essendovi la Madre capace, evigilance, ; quanto
più sarà geceffaria in questo caso, che voi mi rappresentare ? Sem. Lo
credo anch'io; dunque essendo duopo provedersi della matrona, ditemi quai
requisiti dovrà avere per far bene l'uffizio fuo ; perchè essendog [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors]
dismesso questo buon servigio, non si potranno trovare con facilità quelle ,
che siano esperte. Pub. Non dev' essere giovane , nè vecchia , mà di età conlistence,
Sem. Perchè non vecchia , pocendo quest' avere maggiore sperienza del
mondo? Pub. E vero , mà la vecchiaja ancora la può rendere più fastidiosa
, e meno attenta : e poi se dovrà cuftodire le vostre figliuole, che hanno da
nascere, chi sà se fosse allor viva ; e vivendo farebbo decrepita , quale età
non lega.molto colla gioventù, e perciò non sarebbe ad effe accetta,dec ancora
essere di buo. ni costumi, e pia,di parentato civile, ed onoraco , prudente ,
discreca, attenta, affezzionata', che sappia ben cucire di bianco , leggere ,
fcrivere mediocres mente, e che non sia curiosa di leggere: libri profani, e
lascivi. p9 Sem. O che mal farebbe, se leggere ancora l'istorie profane,
potcado fervire si di effe per meglio iftruirlo? Pub, -1 Pub.
Le storie profane non tutge conferiscono alla buona educazione, el, fondovene
alcune molto nocive ad essą come già dicemmo, onde chi sà, che prendendo
diļetto in udirne riferire alGuna di queste, non prendessero amo, re anche
l'educande a simile lectura Sem. E se sapesse la lingua francese , o
spagnuola, non sarebbe maggior van taggio , per insegnare loro quel parla. xe ,
che oggidi è tanto in uso ::Pub. Che pretendete ? forse di mari, farle in
Francia, o in Ispagna ? Sem. Non lo dico per questo fine, mà veáendo
qualche lignora di quei paeli , o trovandoli con alcuna , che la parlasse,
sarebbe da esse capita, e por trebbero risponderle. Pub, Voi
vorreft'educare le vostre fi, gliuole per far pompa del loro spirito , e non vi
accorgete, che quefta non è la sua strada; e qual nccefficà avete,cheessa
converfino , e tratejno con gence ftraniera s volere forse, che apprendano į
cofumi loro diffepsadi dai noftri? Sem, [ocr errors] [ocr errors]
GB [ocr errors][ocr errors] Sem. Non bramo quefto, mà hò sentito dire ,
che sia vantaggio grandes e l'avvezzarle disinvolte, e spiricosc, perchè più
facilmente fi maritano queste, Pab. Voi prendereste moglie di spiritofa,
e disinvolta Şem. Io non già, ora chc sò come debi ba sceglierli.
Pub. E perchè dunque volete incam, minare le vostre figlie per una yia , che
voi la ftimate non recta e non vi avve, dere , che in ţal guisa mostrarefte di
amarle poco a Sem. Il saper ricamare ancora mi per, suado, che la
requisto necessario nella matrona : i Pub. Per far che ? per educarle
forse nella vanità e non sapete, che cosi fa comincia bel bello ; posciache
dalla sem ta fi paffa al’oro, e dall'oro alle perle per formarne ricami
di gran valore.Cor. 4, nelia madre dei Gracchi fe conoscere a quella
gentildonna Capuana, la quale 0 era alloggiata in sua cafa, allorchè
moArolle i ricami ida effa farsi,per mio fvario. bano essere i layori
delle Madri, con farde yeder i suoi figliuoli, ed in qual forma da effa fi
aducavano, che non era già nelle vanità, mà bensì nelle virtù . Sem. Bramerei
almeno , che sapesse insegnar loro un poco fuono, e di canto, Pub. Questo
poi sarebbe peggio, per: che l'educherebbe cantarine, & im. parandolo per
vostro syario, non lo di fimparerebbero già, per non dilectare an, che
gl'altri. sem. Contenendom’io in questo vo. fro antico rigore mi farefte
mutare il mondo. Pub. Io non pretendo tanto : voi mi vichiedere del
regolamento della vostra cafa ;c chcaforse pretendece che da queta debba
prendere la norma tutto il mondo a facciano gli altri ciò che vogliono , mi
basterebbe di ottenere, che voi, che ricercate il mio parere appren. deste ciò,
che dovrete fare, Sem. Io resto perfuafiffimo di quanto dite per
benefizio mio, ma sifetto añ, cora [ocr errors][ocr errors] cora
nel medefimo tempo a quello , che li il mondo dirà, operando diversamente
da quanto ora li costuma dalla maggior parte . Pub. Qual parte del mondo
stimate voi, che sia più saggia, la maggiore, o la minore? Sem. Ho udito
sempre dire, che sia la minore, Pub. Or dunque; perchè da voi medelimo
volete porvi nel numero de i meno saggi? deh seguitate la più sana , e non vi
prendere fastidio alcuno dell' altra , quantunque sia più numerosa :
prendete di grazia la mira verso quò eundi dum, non quò itur. Sem.
Rimango persuaso, e quanto m'insegnafte voglio risolutamente fare. Or ditemi
per mia istruzione ; scelto che averò questa matrona , della quale voglio
provedermi prima di prendere moglie, che averò da fare io, e qual' incumbenza
apparrerrà ad essa ? Pub. Voi, allor che le consegneretç la vostra figliolanza,
le direte: che Bb fia [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] lia cura sua d'istruirla principalmente nella pietà , e
devozione, e che rimuova da essa tutti i difetti allorche li ye desse comparire
, senza indugiarvi un momento ; anzi che meglio farebbe an. cora, se preveniffc
al bisogno con semi, narę anticipatamente ne’loro animili preziosa semenza
delle virtù, e che per questo procuri di non perder la mai di vifta : e vedendo
ch'ella li porti diligen. te nel suo uffizio usatele più gratitudine, affinche
non habbia da parerle penosas quella vita tanto soggetta, che farà ; e
credetemi, che il premio è il maggiore incentivo a farci fare con amore quelle
cose, che senza di esso ci parrebbono molto penose. Mec. Questo è certiffimo,
posciache chi mai li porterebbe il primo a scalare una muraglia, difesa da
tanti nemici are mati, se non se {perasse da questo un premio grande ?
Sem. Fatto che avrò le mie parti, in che forma essa adempirà le sue ? Pub..
Nato che sarà alcuno de' vo [merged small][ocr errors][ocr errors] ftri
figliuoli, principierà il suo minister ro con invigilare, venendo
lattato,dal... la balia, a quanto sara necessario, con i fare anche da
soprabbalia , nè permetteo ra già, come dicemmo, chc oda,quan tunque non
le comprenda ancora , cer, i te canzone amorose, nè pure, che fifli i
suoi occhi innocenti a'rimirare certi datti scomposti, & indecenti;
perchè quantunque non siano allora da esso conosciuti per quel che sono ,
nulla dime, no in progresso di tempo, conforme fi apprendono le parole, così
ancora può insinuarsi nell'animo qualche cintura noSeminaciva di tali
difetti; e procurando, che D in vece di quelle oda, e rimiri cose
profittevoli,cd oneste, delle quali se ne i apprenderà alcuna particella, resterà
questa a benefizio dell'educazione, e i procurerà ancora nel tempo della
lacta zione colle buone sue maniere , di prin- cipiare ad
affezionarselo. Sem. Che dovrà fare dipoi ? Pub. Già
toccherà ad effa slattarlo, e * si perderà il sonno più di una notte. B b
2 Sem, [ocr errors][ocr errors][ocr errors] liri Sem. Sarà
bene, acciocche non lo perdiamo anche noi, di tenerlo in qualche mezanino
lontano dalle nostre stanze, Mec. Per questa cagione sono andato io più
volte in collera co i miei amici , avendo osservato lontani dal loro
appartamento i figliuoli anche lattanti,per timore, come dicean'o , che non
turbarsero il loro riposo, e diceva loro: pere dete pur tanto tempo, e vegliate
tanto per il giuoco, e continue conversazioni, oh bene non potete vegliare un
poco pe’ vostri figliuoli? E se non lo volece perdere voi, cui tanto debbono
premere , vi persuadete forse, che le donne mercenarie di servigio vorranno
perdere il fonno? Dormiranno ben bene, e lasciefanno piangere chi vuole; ma da
questo quanti mali ne saranno seguiti lo faprà meglio il Dottore. Med. lo
dalle offervazioni fatte sono arrivato a conoscere questa verità ; che più
fortunati siano nel mascere, e nel imorire i poveri, che i ricchi; perchè
quelli dalle proprie Madri sono lattaţi, eand custoditi diligentemente con
amore;docal ve che questi sono consegnati alla indi screta servitù, e
trattati assai diversadai mente in tutto ; e posso riferire a que fto
proposito di averne curati alcuni,che caduti dal letto, per trascuraggine del.
le balie , ebbero a perdervi la vita , ed altri, per il gran pianto fi
allentarono , negando cal volta loro il latte le balie, allorche ne avevano
bisogno; e per avere loro ripercosso secretamente il lat. time, quanti ne sono
periti? Giccome ancora quanti ne sono morti af gati per averli tenuti
negligentemente nel proprio letto ? avvenimenti tutti, che afa sai più di rado
G odono accaduti tra po veri , quantunque questi siano assai i più
numerosi, che i bene stanti. Della morte dei ricchi non parlo, perchè
ave. rete uoi medesimo osservato questi, be ne spesso, per li soverchi, e
conculcati : rimedj, dati loro, più facilmente , che i poveri perire,
& alle volte in mano de Ciarlatani. Pub, Se voi dunque
avercte amore per [ocr errors][ocr errors] Bb 3 per i
vostri figliuoli non li terrete lontaa ni dalle vostre stanze in ogni tempo
per. che tal vicinanza darà stimolo maggiore alla matrona di avere per loro più
attenzione , & all'altre donne di fare me . glio il loro uffizio.
Sem. Riferitemi ora il modo, che doverà tenere in appresso per conoscere meglio
s'ella, operi a suo dovere? Pub. Già fu discorso, ma non sarà mai a
bastanza, di quello, che dovrå farli intorno ad imbeverarli ben bene del fan.
to cimor di Dio, e crediate pure per cofa certa, che questo è il fondamento
principale della buona educazione; efsendo esso solamente capace di rimuovere
tutti i vizj, non porendo questi far breccia ove si ricrova benradicato: è vero
però, che questo feme santo noni basta piantarlo solamence, na decli col.
rivare sempre con atrenzione, e fervore, acciocche non perisca, essendo che a
poco a poco germoglia ne teneri par. goletti, ed in questo doverete aricor voi
invigilarvi. In seguela poi dovrà, appe 19 and appena che le
figliuole faranno capa. ci, tenerle impiegate ad apprendere qualche
lavoro di quei necessarj a saperG dalle donne, che sono il cucire , far
calzerte, cessere, e filare, e questi disporli secondo l'ctà, e capacità loro :
nel medesimo tempo impareranno a leggere, e di poi a scrivere, e questa sarà
l'incumbenza , che dovrà avere intorno al lavoro, Sem. O ben le donne
civili, e nobili averaono da teffere, e filare che han. no forse da
procacciarsi il vitto con que. fti lavori Mer. Intorno al filare non
avete occasione di risentirvene, perchè è torna, ta l'usanza di farlo ; non sò
però se per bizzarria, o per profitto ; averere pur veduto, Sempronio, nelle
case civili conocchie sì ben fatre , che fanno venire la voglia di adoperarle
anche a noi al. tri uomini. Sem. Queste le ho veduce certamente, ma però stare
oziose, onde mi perfyadeva, che fossero state fatte per col locarle
dentro i loro scarabattoli nonri: mirandole punto adoperate . Mer.
Nonaveranno filato in presenza vostra, perchè non avendo voi moglie non era
tempo ancora, the imparaste a filare alla moda. Pub. Le caste donzelle in
questo s'im: piegavano anticamente, e tralasciando di riferire, che lo
facessero Penelope, Lucrezia , & infinite Matrone Romane; Alffeandro Magno
fi vestiva co gli abiti teffuti dalle fue Sorelle, come racconka Curzio ; &
Augusto non portò già altri abiti , che quelli, che dalla sua Moglie, Figliuola
, e Nepoti erangli ftati fatti, come riferifce Svetonio: Onde se no li
vergognavano queste di farlo, per qual motivo potranno aftenersene le tanto
inferiori ad effe ? Sem. Ma fe non avessero genio di fardo , tanto più
non vedendolo praticarea alle Madri? Pub. Questo genio può farfi venire
con riferir loro qualche bell'esempio, & appunto de racconta uno il Surio
nel di fe fecondo di Maggio, che se coinincies ranno a gustare le
cose di Dio sarebbe assal a propogto: dice dunqu'egli, che andando S. Antonino
Arcivescovo di Firenze, per una contrada di qite!la città vide un buon numero
di Angeli, che formavano come un corpo di guardias e sopra il tetto di
una povera časa ; li ven , ne in pensiere di catrarvi, e di riconoscere
l'occasionc y per cui meritava canto favore da Dio; non vi trovò, che und Madre
con tre sue figliuole , le quali filavano per guadagnarsi un poco di pane, e
stavano con gran modestia : vedendo il Santo il bisogno , che avevano, fc loa
to una buona limosina :-Dopo qualche tempo ripassando per la medesima strada
vide, che la stessa casa era ricoperta di piccioli folletti, armati di tutti
quei stromenti, che fogliono portare li dediti alla libertà del mondo : entrò,
evide le medesime, che passavano il tempo a ridere, scherzare', e motteggiare ,
e fare le belle: Riferito questo, si poa trebbe soggiungere loro, che se
Iddiogradisce canto il non stare in ozio in quelle, che sono miferabili, quanto
più lo gradirà in effe, che spontaneamente, e fenza bisogno alcuno lo fanno e
credetemi, che non mancano modi per fare applicare le figliuole, effen. do
queste più docili demaschi. Sem. Oltre il lavoro, che averanno da fare di
vantaggio ? Pub. In tutte le cose deve esservi la buona ordinanza, la
quale tutta dcpende dal sapersi ben compartire il tempo , onde queste essendo
pratiche divideráno Je ore def giorno in questa guisa ; la pri. ma della
mattina , dette che saranno le figliuole, e veftite di tutto punto, sarà impiegata
al servigio di Dio con fare orazione, o sentire qualche cosa di quanto esso
vuole da noi; ciò fatto dcefi ristorare colla colazione moderata il corpo, per
poi passare quelle ore de. ftinate al lavoro; e terminate queste , conviene di
fare alquanto esercitare il corpo in cose non violence, e permettendolo il
tempo, in aria con affatto [ocr errors] rac [ocr errors] .. 395 K
tacchiusa. Avvicinandosi poscia l'oras del definare converrà prendersi il
nutrimento a proporzione dell'età, e poi dopo di questo è neceffario godere
alquan. to di riposo, per potere alle ore destitiate tornare al solito
lavoro. Sem. Sino a qual'età possono i maschi ftare sotto la custodia
della matrona? Pub. Fin tanto appunto, che, cono. scendo le lettere
dell'alfabeto, possono consegnarli al Maestro, per tenerli in quelle ore , che
dovrà far egli scuola fotto la sua custodia; ben è vero peròs che non essendovi
l’Ajo,possono ritornare, per quelle ore, destinate al diverti mento,
sotto la cuftodia della medelima $ matroni. Semi. Nascendo tra fratelli,
e sorelle qualche contrasto come doverå regolarli la marrona? Pub.
Sogliono i fanciulli vivaci essere molesti alle forelle, e da ciò ne nascono
bene spesso trà loro reciproche aleercam zioni, mà se la matronal manterrå
fotenuta a segno, che non pregdano les [ocr errors][ocr errors]
confidenza , avendone rimore di essa, difficilmente si avanzeranno a contendere
tra loro, ma caso che la sua efficacia non bastasse,dee di ciò farne
consapevole il Padre, o il Maestro , affinchè pensano a prendervi il più
opportuno rimedio con tenerli separati. . Sem. Crescendo le figliuole in
età, e scoprendosi in esse qualche differto donnesco, come li dovrà regolare la
matrona per estirparlo? Pub. Non aspetterà quefta , essendo prudente, che
giungano fimili diffetti a manifestarsi ; perchè come dicemmo procurerà con
preventivi ripari di ab. batterli prima che si manifestino. Sem. Venendo
le figliuole negli anni , ne' quali sogliono alcune cominciare a contristarsi,
e fofpirare, che averà da fam rela matrona? Pub. Le figliuole ben'
educate difficilmente cadono in fimili debolezze; ma quando mai ciò seguisse in
alcuna, alJora si conoscerà il senno, e la prudenza della matrona; posciachè si
saprà inters ! [ocr errors] e nare nella sua confidenza per consigliarl
a far cose non disdicevoli alla sua condi* zione,ed a lasciarsi regolare dal
suo amo. roso Padre. 3 Sem. Ma non sarebbe meglio, quan. do si
vedellero contristate, porle in monastero per compire l'educazione? Pub.
Se sarete sicuro , che colà possano vivere con più ritiratezza, che in casa
vostra , ed abbiano migliori direttrici cui dia l'animo di calinare le loro
passioni, potrebbe farsi ; mà se poi vivessero con libertà maggiore, qual
vantaggio ne ricaverebbero ? Sem. Vivono colà tanto ritirate, che la
porta di rado si apre; ne viene permefso l'ingresso libero ad alcuno.
Pub. Qucfto non basta se gli occhi, c le orecchie staranno maggiormente aperte;
perche per esse po lono entrare le cagioni de' sospiri: e poi voi,
Sempronio,mostrate di non fidarvi della voftra matrona , la quale totalmente
dipende da voi, enon diffidate punto di tanţe servenci de’monafterj, sopra le
qua; [ocr errors] di autorità niuna yoi avere. Sem. Sarà ben
vigilante in questo chi averà cura dell'Educayde, Pub. Voi y’ingánate$épronio,
se crede, te,che l'altrui vigilanza superi quella de genitori attenti , e
capaci : onde mi perJuado , che nella casa paterna queste ftiano meglio , che
altrove, Mec. Voi dite bene,Publio , che fiee te capace di custodirle
come li dee, mà datemi un Padre, ed una Madre, che ad ogn'altro pensino, che
all'educazione delle figliuole , e tanto maggiormente se non averanno una tale
donna capace , e fedele a ben diriggerle, o saranno prive di Madre, la sola
casa pater. na sarà sufficiente a custodirle? Pub. Credo certamente di
no. Mec. Or dunque, che fi hà da fare in questo caso per non lasciarle a
discrezio. ne dell'infida servitù ? o bisognerà, chę qualche faggia parente la
conduca in casa sua, o porle in monasterio , sotto Ja direzione di saggia
Maestra, Pub. Non è questo il rimedio appro;od [ocr errors][ocr errors]
priato al loro male, che congste in una gran passione , la quale non si : può
rimovere da esse senza cósolarle.Ne certamente si cureranno già di
ricevere i queste in casa loro le saggie parenti : e ricevendole le
imprudenti qual vantaggio ne potreste Iperare ? E ponendole in monaftcro sotto
la cura di faggiaMaestra qual bene potranno ricevere da essa ef$ sendo
tra loro discordanti di genio ? fa rebbe più capace tal una di queste di
sedurre altre compagne,a far che si unifor massero al suo genio , più
tosto, che di u mutarlo; onde nè ad esse, nè al monastero oi tornerebbe conto ,
che vi entrassero, 1 Intorno poi al sudetto riincdio ne parleremo a suo luogo ,
e tempo, Şem. E quelle figliuole, che non avea se ranno le accennate
paflioni ponno eduei carsi ne monasteri? Pub. Se i loro genitori sarın
capaci, ed attenti, e viveranno all'antica, non fra farà d'uopo cercare altra
casa , che las paterna per educarle, come dicemmo parlando de figliuoli
della Conferenzís [ocr errors] 1, della presente decade ; mà se poi foffe
il contrario,non sarebbe buona per esse, ¢ converrebbe anche fanciulle racchiu.
derle in monafterio, affinchè si discostas sero dalrimirare i mali efsempj domesti
ci, specialmente quei, che potrebbero dalle Madri ricevere , Sem. Vorrei
che mi diceste, Mecena, te,in che possono difettare le Madri nella educazione
dellc figliuole? Mec, In due cose principali, che so. no l'eccessivo
amore che portan loro,e la libertà che vogliono mantenere per fare ancor
esse tutto a lor modo. L'amore non le permetterà di contriftarle, ne
riprenderle, e la libertà,che vogliono godere , le disanimerà a procurare di
farle .vivere diversamente da quello ch'esse .coftumano, e vi voglio riferire
un caso seguito in mia presenza, Si trovavano in una conversazione alcune
gentildonne în tempo di carnevale , le quali domandavano l'una l'altra quante
volte avevano condotte, le loro figliuole alle commediese per verità non udj
già che alcu na if ve le avesse condotte poche volte; vi fù f,
bensì la più attempata dell'altre, che hin disse in tempo ch'ella era zitella
rare tudi volte G costumava condurvele, e se non # era modeftiffima l'opera,
che si recitava cui non potevano già udirla le zitelle; vi fù chireplicò
ancora che non si poteva oggidi far di meno di non condurle;perchè altrimenti
fi contrifterebbero tanto, che non ci si potrebbe più vivere ; non dico
altro,che vedo il mondo andare da male in peggio come predisse Orazio.
Sem. Oh consideriamo come anderà l'educazione delle cittadine , e dello à
plebce ! Mec. Sappiate, che a queste fi è dato da qualche tempo in qua
un'ottimo regolamento, essendosi aperte scuole publiche in ogni Rione, e
mantenute dalla generosità del nostro Prencipe , - ove vengono dirette da
Maestre molto esemplari numerose figliuole,molte delle quali si
tratrengono ivi tutto il giorno; onde non solamente hanno occasione tutte di
apprendere il fanto timor di Сс Dio, Dio, ed il buon costume, ma
eziandio d'approfittarli in molti lavori dooneschi utili, e necessari per la
casa , tenendoli in oltre lontane da quelle occasioni, che potrebbero in esse
introdurre difetti; onde fpererei, che quando questo fanto istituto giuagesse
ad eliere sufficienre anche per le più miserabili, un'infinito bene, e
più universale se ne porelle ricevere Sem. Bramerei ora di sapere quale
sia il tempo più opportuno d'apprendersi de fcienze? Pub. Si parlerà di
questo quando ci rivedremo , [ocr errors][merged small] [ocr errors][merged
small][ocr errors][ocr errors] 1 Sopra l' età opportuna d'apprendersi le
scienze, cd il modo più façile per accertarsi delle par. ticolari
inclinazioni de' figliuoli, Sempronio , Publio , Mecenate ,
& Medico, [ocr errors] Pub. A proporzione delle cose li può chiama.
re ànima del monL do ; essendo che questa lo mäntic ne, clo fà
risplen. dete : sconcerto grande certamente formano quelle cose, che sono prive
di efsa. Se per sua sventura veniffe genio ad uno, che avesse voçe rauca
abituata di fare il Musico,non doverebbe certamen Сс 2 quali
deb bago Z S Semo
1 1 [merged small][ocr errors] [ocr errors][merged
small] 3. onde to H
fpo. F 2 Dum Sem, A 2 Mec. 127.
ÇON: IOI ani te egli effettuarlo ; perchè non troverebbe,
quando anche giugnesse a saper cantare, chi si prendesse diletto del luo
ingrato canto. Converrà dunque in tutte le cose prendere la sua proporzione
giu. sta, con proccurare attentamente, in fare ciò, di non ingannarli.
Sem. L'erà dunque proporzionatas ne' figliuoli per apprendere le scienze quale
sarà? Pub. Quantunque secondo il loro spi. rito, e capacità deel cio
regolare ; nulladimeno prima di dodici, o tredici anni farà difficile, che
questa sia proporzionata ; e tanto maggiormente, che debbonsi prima applicare
ad imparare la lingua latina , per meglio intenderle. Sem. Ho sentito
dire da qualcuno, che la lingua latina li potrebbe imparare come Gi apprendono
gli altri linguag. gi, o nella manicra, che s'impara la lingna nativa, o dipoi
col sentir parlares altri che la possiedono. Pub. Vedete , Sempronio, se
voi bra. mate fare da buon Padre di famiglia, sia. tc * t'e a mico
di fare poche novità nell'edu care, & istruire i vostri figliuoli, e
fere vitevi di questo avvertimento,che i Maa rescalchi, che non inchiodano i
cavalli da essi ferrati, sono quelli, che pongono il chiodo nella guida
vecchia · Anzi che vi dico di vantaggio,che se vi abbaca tefte per vostra
disgrazia in Maestri, che $ volessero sperimentare modi nuovi per
addottrinarli, non vi prevalete di loro; i perchè avendo i vostri figliuoli
perduto ; tempo in mano di questi, converrebbe farli tornare da capo.
Mer. Vi fu a questo proposito un cer. to Maestro di musica, chiamato
Timor teo, che pretendeva doppia mercede & da quei, che avcano imparato
l'arrej 1 senza buoni fondamenti , adducendone op per cagione , che doppia
facica glicon veniva fare ; cioè, che disimparasfero essi ciò che
avevano appreso, e poi d’indi fegnare loro le vere regole dell'arte :
onde se dupplicata riuscirà la fatica a Maestri nel caso , che non avessero
pre. sa la strada diritta, il fimile seguirebbe Cc 3 an. [ocr
errors][ocr errors] anche a voi per doverli far dilimparare ciocche malamente
apprefero. Pub. E poi,che cosa averebbero a fa. re i figliuoli allorchè
non hanno ancora la capacità di apprendere le scienze e quando mai ne
acquistassero alcuna parte di esse, seguirebbe ciò per la felicità di memoria ;
ina non capirebbero già quello che elli avessero appreso, nè tampoco saprebbero
prevalera di quel documento generale,non ben capito,in molte particolari
contingenze; onde tal'età non sarebbe proporzionata per fare acquisto delle
scienze. Sem. Ma se caluno avesse ingegno, e capacità maggiore degli
altri, perchè non potrebbe questi esserae capace anche nella tenera età ?
Pub. Dee benli avvertirsi di vantag. gio in questi se.convenga allora porli a
fimili laborioli studi ; perchè il buono agricoltore , quancunque abbia un
campo fertilissimo, a suo tempo vi getta il seme, e lo fa riposare ancora , per
non vederlo divenire sterile, e poi chi sà [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] si, che non sia un fiore senza frutto quello,
che comparisce prima del suo tempo 2 e che poi allorche gli altri,erci
đuti di minor ingegno si vedranno cari, chi di frutti, questi non si
rimiri spogliaco di efi? ricordiamoci, che: nil violentum durabile. Met.
Aveva un giovanetto di questi fatto una bella composizione in lode di un gran
Personaggio, e recieztala alla sua presenza con tanto spirito, che ne. i
rimase ogn’uno degl’ascoltanti ammira to; il meno ingegnoso, é fpiritoso,
che vi era tra efli , domandò al suo Maestro, che ivi si trovava presente, sçra
ftaja composta dal detto figliuolo, cui rispoe fe di fi ; e voltatosi
egli a quel Personag gio gli dise : fogliono alcuni avere spirito, c
capacità grande da giovanetti, la quale perdono poi avanzati che sono o
negli anni. Udendo questo il figliuolo 1 rispose prontamente a costui: ma
voi Sigaore, da giovanetto bello spirito, c | capacità che averete ayura
! Rimafer quel Signore in vdir si propra, ed argu Сс 4
ta ta risposta, la quale fe credere a tutti la composizione essere
fata fua. , sem. Questi ingegni dunque , per quanto ho udito, averanno
d'uopo più tosto di ritegno, che di stimolo. Pub. Voi non dovere dubitare
di ciò, vedendolo praticare giornalınente nella vostra scuola di cavalcare, ove
tra i precerci, che averete avuci , vi sarà questo, di non lasciare la libertà
del freno a quei destrieri , che sono più fpiritoli degli altri. Sem.
Come mi dovrò regolare per conoscere, che sieno i figliuoli proporzionati più
ad una, che ad altre scienze? Pub. Dovrece principalmente fare esplorare
il loro genio ftabile qual Ga, eriflettere,fe corrisponda questo alla loro
capacità, e disposizione naturale. Sem. Come si potrà conoscere, che fia
stabile questo genio ? Pub. Ciò di discerne benissimo; pofciache i
figliuoli dalla più tenera età cominciano a mostrare le loro inclinate egli
effettuarlo ; perchè non troverebbe, quando anche giugnesse a saper cantare,
chi si prendesse diletto del luo ingrato canto. Converrà dunque in tutte le
cose prendere la sua proporzione giu. sta, con proccurare attentamente, in fare
ciò, di non ingannarli. Sem. L'erà dunque proporzionatas ne' figliuoli
per apprendere le scienze quale sarà? Pub. Quantunque secondo il loro
spi. rito, e capacità deel cio regolare ; nulladimeno prima di dodici, o
tredici anni farà difficile, che questa sia proporzionata ; e tanto
maggiormente, che debbonsi prima applicare ad imparare la lingua latina , per
meglio intenderle. Sem. Ho sentito dire da qualcuno, che la lingua latina
li potrebbe imparare come Gi apprendono gli altri linguag. gi, o nella manicra,
che s'impara la lingna nativa, o dipoi col sentir parlares altri che la
possiedono. Pub. Vedete , Sempronio, se voi bra. mate fare da buon Padre
di famiglia, sia. tc * t'e a mico di fare poche novità
nell'edu care, & istruire i vostri figliuoli, e fere vitevi di questo
avvertimento,che i Maa rescalchi, che non inchiodano i cavalli da essi
ferrati, sono quelli, che pongono il chiodo nella guida vecchia · Anzi che vi
dico di vantaggio,che se vi abbaca tefte per vostra disgrazia in Maestri,
che $ volessero sperimentare modi nuovi per addottrinarli, non vi
prevalete di loro; i perchè avendo i vostri figliuoli perduto ; tempo in mano
di questi, converrebbe farli tornare da capo. Mer. Vi fu a questo
proposito un cer. to Maestro di musica, chiamato Timor teo, che
pretendeva doppia mercede & da quei, che avcano imparato l'arrej 1 senza
buoni fondamenti , adducendone op per cagione , che doppia facica glicon
veniva fare ; cioè, che disimparasfero essi ciò che avevano appreso, e
poi d’indi fegnare loro le vere regole dell'arte : onde se dupplicata
riuscirà la fatica a Maestri nel caso , che non avessero pre. sa la strada
diritta, il fimile seguirebbe Cc 3 an. [ocr errors][ocr errors]
anche a voi per doverli far dilimparare ciocche malamente apprefero. Pub.
E poi,che cosa averebbero a fa. re i figliuoli allorchè non hanno ancora la
capacità di apprendere le scienze e quando mai ne acquistassero alcuna parte di
esse, seguirebbe ciò per la felicità di memoria ; ina non capirebbero già
quello che elli avessero appreso, nè tampoco saprebbero prevalera di quel
documento generale,non ben capito,in molte particolari contingenze; onde
tal'età non sarebbe proporzionata per fare acquisto delle scienze. Sem.
Ma se caluno avesse ingegno, e capacità maggiore degli altri, perchè non
potrebbe questi esserae capace anche nella tenera età ? Pub. Dee benli
avvertirsi di vantag. gio in questi se.convenga allora porli a fimili laborioli
studi ; perchè il buono agricoltore , quancunque abbia un campo fertilissimo, a
suo tempo vi getta il seme, e lo fa riposare ancora , per non vederlo divenire
sterile, e poi chi sà [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
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suo tempo 2 e che poi allorche gli altri,erci đuti di minor ingegno si
vedranno cari, chi di frutti, questi non si rimiri spogliaco di efi?
ricordiamoci, che: nil violentum durabile. Met. Aveva un giovanetto di
questi fatto una bella composizione in lode di un gran Personaggio, e
recieztala alla sua presenza con tanto spirito, che ne. i rimase ogn’uno
degl’ascoltanti ammira to; il meno ingegnoso, é fpiritoso, che vi era tra
efli , domandò al suo Maestro, che ivi si trovava presente, sçra ftaja
composta dal detto figliuolo, cui rispoe fe di fi ; e voltatosi egli a quel
Personag gio gli dise : fogliono alcuni avere spirito, c capacità grande
da giovanetti, la quale perdono poi avanzati che sono o negli anni.
Udendo questo il figliuolo 1 rispose prontamente a costui: ma voi
Sigaore, da giovanetto bello spirito, c | capacità che averete ayura !
Rimafer quel Signore in vdir si propra, ed argu Сс 4 ta
ta risposta, la quale fe credere a tutti la composizione essere fata fua.
, sem. Questi ingegni dunque , per quanto ho udito, averanno d'uopo più
tosto di ritegno, che di stimolo. Pub. Voi non dovere dubitare di ciò,
vedendolo praticare giornalınente nella vostra scuola di cavalcare, ove tra i
precerci, che averete avuci , vi sarà questo, di non lasciare la libertà del
freno a quei destrieri , che sono più fpiritoli degli altri. Sem. Come mi
dovrò regolare per conoscere, che sieno i figliuoli proporzionati più ad una,
che ad altre scienze? Pub. Dovrece principalmente fare esplorare il loro
genio ftabile qual Ga, eriflettere,fe corrisponda questo alla loro capacità, e
disposizione naturale. Sem. Come si potrà conoscere, che fia stabile questo
genio ? Pub. Ciò di discerne benissimo; pofciache i figliuoli dalla più
tenera età cominciano a mostrare le loro inclinapo [ocr errors] ruti
zioni, & in proseguimento di essa li van. no spiegando meglio, &
alla fine avvici. nandosi al tempo di risolversi , la palesano espressamente,
ed in questo caso è veramente stabile, e fissa. Oh quanto die
si conobbe bene fin da suoi teneri anni il genjo di Marco Catone :
posciache quanrunque venisse violentato con fiere minaccie a fare
cosa da esso creduta di- sdicevole da Quinto Popedio Latino, si
mantennc sempre costante nel suo senti- mento; il di cui animo intrepido
G. avan- zò, crescendo negli anni; posciache condotto alquanto più
grandicello, da Sarpedone fuo pedante a casa di Silla per
visitarlo, e vedendo nel cortile di decto palazzo la lista de'
proscritti, eb. be a dire : è possibile, che non vi sia chi ammazzi
un tiranno sì crudele comes Silla? domandò egli al suo pedante un
coltello, dicendogli , che ad esso fareb- be riuscito facile il poterlo
uccidere ; perchè fi poneva a sedere accanto a lui come riferisce
Valerio Massimo, Sem. E se nell'ecà genera avessero mo.
stra, strato qualche inclinazione ad una scien. za, e poi dopo
qualche anno li fossero invogliati di qualche altra , ed alla fine, venuto il
tempo da determinarli, voJeffero apprenderne alera differente da queste, che
doverà farsi? Pub. Questi sono di genio istabile , e non li fiffano mai,
onde a qualunque fcienza si applicheranno, non sarà mai di lor piena
sodisfazione , ed in questo caso consigliatevi con chi ben conosce. rà il loro
talento, come sono i Macítri, e da esli comprenderete in quale fcienza ciascun
di loro potrà riuscire più atto, e fare in modo , che in quella fi
applichi. Sem. Ma fe moftraffero non avervi genio ? Pub. Questo si
fa venire con far suggerire loro, che quella scienza , la qua. Je si crede
proporzionata alla loro abilità, sia la più bella, la più nobile, la più utile,
c la più dilettevole, che li accomoderanno senza indugio a volerla apprendere.
Sem. [merged small][ocr errors][merged small] Sem. Sarebbe necessario,
che m'in formaste ancora sopra la facilirà , che uno possa avere in apprendere
più una scienza, che un'altra Pub. Se voi scorgerece un figliuolo serio,
e prudente, per quel che potrà portare la sua età, divota', e che inclis ni
all'ecclesiastico, questi pare nato per istudiare Teologia, Se serio parimente,
e prudente , volonteroso di studiare, s che tal volta nelle picciole
altercazioni nare tra fratelli effo fi frapponga , e mostri voler giudicare ,
chi di loro abbia corto, o ragione , a questi fate pur studiare Legge,
che diverrà un'altro Bartolo. Se poi obiecterà , sarà riflessivo, tirerà
frequenti conseguenze , questi averà cutti'li buoni requisiti per divenire
un'eccellence filosofo . Se lo vedrere ingegnoso in adattare, e difporre i suoi
giocarelli puerili, prendere misure di alcune cose, il suo genio lo porterà ad
apprendere le Marcematiche ; conforme seguì in Protagora, ed in Biagio Pa.
fcali:c fs lo mirerete sonrinyamente ap [ocr errors][merged
small][ocr errors][ocr errors] applicato a disegnare, o rimirar picture, la sua
inclinazione naturale lo porterà a fare il Pittore : finalmente se lo vedrete
afliduo nel tempo, che qualcuno sia malato in casa, e desideroso d'allistergli,
c stare con attenzione ad ascoltare ciò, che dirà il Medico, il genio, e
l'abilicà lo portano a studiare Medicina. Sem. Se sarà nobile però come
potrà effere Medico, non costumandoli das pertutto che questi esercitino cale
pro feffionc Pub. Dunque sarebbe affai fortunato uno de’vostri figliuoli;
se fosse Medico; perchè essendo singolare , che stimas grande averebbe egli, e
che belli acquisti apporterebbe a casa vostra ? Sem. E se tal uno
morteggiaffe, che odoraffero questi alquanto di cattivo? Pub. E voi fate,
ciò che fè Vefpafiano a Tito, allorchè riseppe, che aveva ciò motreggiato,
quando pofe la gabella fopra l'orina , cioè di fargli odorare i danari, che da
detta imporzione furono esatti, e trovò il buon figliuolo, che [ocr
errors] [ocr errors][ocr errors] il modo di medicar cavalli, alcuni nou 3
che non avevano alcun cattivo odore, Dita ed il (mile seguirebbe anche in
questi. Mec. Vorrei sapere da voi, Sempro>nio, se vi sia stato alcun
nobile, che abbia imparato a medicare cavalli? Sem. Che voi non lo
fipete! essendo. !ci quel vostro amico, che non solamen te lo sà fare, mà
anco l'esercita , peel rò nobılmente. Mec. Oh Dio buono,per medicare le
bestie s’ha da impiegare senza alcun moc teggiamento un nobile ! e per
curare un -2.14 uoino tanto più nobile di esse hà d'ave. mai retinore di essere
motteggiato! più no bile dunque farà creduto da questi of l'esercizio del
Manescalco, che quello del Medico, giacchè quello è esercitato da nobili,
e questo da essi viene abbor. rito? Pub. Hanno dato alla luce libri,sopra
bili, tra quali vi è Pasquale Caraccioli Cavaliero Napolitano, e Marino Gir,
zoni Senatore Veneto ; laonde potrebbero meglio impiegarsi i nobili nello
elpi scrivere di medicina, per imitarc
Corne. lio Celso nobile Romano. Med. Vi è stato anche a giorni nostri
Roberto Boile nobile, e ricco Inglese , il quale non hà risparmiato, ne spefa ,
ne fatica per accrescere la filosofia fperimentale ; e quanto di bene egli
abbia fatto, le sue opere lo mostrano , avendolo queste renduto glorioso
a’posteri . Mec. In questo particolare bisogna , che io parli contro di
noi medesimi : per ispregare le nostre ricchezze in lussi, lo facciamo
prontamente ; per impiegarle poi a beneficio della viriù, non ci sappiamo
indurre, perchè pajono ad alcu. ni spregate, quantunque realmente non fiano. Mà
torniamo al nostro assunto. Sem. Vorrei sapere dal Dottore, da che
proceda la varietà dei genj . Med. Questo secondo il mio debole
fentimento credo , che da temperamenti poffa in gran parte derivare, perchè
colui , ch'è malinconico averà genio as cose serie, il bilioso ad altre più
risoluto, il demmático gradirà la quiete, ed 1 [ocr errors][ocr
errors] il sanguigno amerà la varietà delle cose, e poi rifletto, che
l'arie ancora, ove al- cuni nascono, ponno contribuire molto alla
determinazione de genj, essendoche vi sono alcuni luoghi,ove quasi tutti
at- tendono ad un solo metiero, ed in un tal clima li
osservano genj affai differen, ti dall'altro; ben è vero però, che
alle volte ancora le altrui fortune fanno ve. nire il genio più ad
una cofa , che ad un'altra per esempio l'essere un semplice Soldato
divenuto Generale, ha fatto venire il genio a più d'uno di
seguitare la guerra : l'avere lasciato un Medico ricchezze
considerabili, ha dato moti- vo a molti di applicare alla Medicina
ed il fimil è accaduto nell'altre profes- sioni. Leggo però che
nella Cina, cd in alcuni altri dominj fuori dell'Europa quefi genj
sono già fissati , non essendo permesso ad alcuno il fare differente
me- stiero da quello di suo Padre., e perciò colà igenj sono
stabili non potendoli yariarere a suo modo. Şem.
E se quedo genio, che taluna do [ocr errors] de'figliuoli hà,
non corrispondeffe alla sua capacità, che doverà farsi? Pub. Questo suole
per lo più corrifpondere, quando nasca spontaneamente, e aon da impegno; perchè
ci potrebb' essere taluno, che avendo genio il suo compagno di applicare, per
esempio alla legge , e questa quantunque non geniale nulladimeno per non
discoftarli da esso, volesse anch'egli ftudiarla , ed in questo caso, vedendo
voi, che non avesse quell'abilità, che tale profes. fione richiede, potreste
farlo allontanare dal detto suo amico per qualche tempo, senza che penetrasse
il perchè, e così il genio , che nasce dall'impegno,fi muterà facilmente,
quando non vi concorra anche il proprio . Sem. Come mi potrò allicurare,
che fia proporzionato il genio, e l'abilità alla scienza , la quale bramano di
acquiItare ? Pub. Niuna cosa vel potrà far meglio conoscere , che lo
profitio , che faran. no ja quclle, perché è impossibile che con
[ocr errors][ocr errors] di concorrendovi l' abilità , ed il genio ,
questo non si faccia anche da principio, ed accertato, che voi sarete di
ciò vivea te pur quieto di mente, che ci è la sua of proporzione. Sem. E
se non ci sarà detto profitto, G doveranno levare da questa per porli ad
apprendere alcra scienza? Pub. Conviene maturare bene fimile si
risoluzione, per conoscere meglio don de proceda il non farsi profitto,
poten. do ciò nascere da due cagioni, cioè,o da fimulata inclinazione, o da
inabilirà : se provenissc dalla prima potrete fare da qualche loro
confidente scoprire i qual fia la loro propria inclinazione, ; dove il
genio li porti, e prima di perdere maggior tempo ponereli in quellas ad essi
geniale ; se poi nascerà dalla inabilità, ovunque li porrete, questa farà
sempre impedimento al conseguimento di essa. Sem. E se procedesse
dall'essersipenriti, ritrovandola più difficile di quello, che se l'erano
figurata ? Dd Pub. [ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr
errors] Pub. Questi cenereli per istabili, poltroni, che poco di buono ne
potrete tiçayare; perchè ovunque gli applicherere , sempre faranno il medesimo,
non avendo fermezza , ge sofferenza per la fatica, Sogliono però alle volte
alcuoi di questi rimetçerli nella buona strada , quando ciò venisse da una
certa pufillanimità di cuore , onde farà bene di ajugarli da principio con
buoni repetitori, mediante i quali animandosi , prosegui. ffono poi con
profitto , Sem. E se non ayeffe taluno genio a fofa alcuna, come mi
doyero regolare Pub. Vi potrete con questi regolare a yostro modo , ogni
qual volca či liau Pabilità, e l'ingegno ; perchè sogliono alcuni per modestia
in tutço , e per tut: to forromergersi al volere paternoję queIti riescono per
lo più virtuofi , ogni qual voltą abbia l'ayerţenza di farli applicare a quella
scienza, che Gia proporzionata al loro talento, come già di. femmo Sem. Stimate
bene che nel tempo,i che applicano alle scienze si possano , pare per loro divertimento,
far applicare al plin suonogal canto, o ad altri civili diverčia 0,1 mçnti?
open Pub, Şe li yoletę far divertire day * quells, fateli applicare anche a
questi , A Colui, che applica, e li approfita in cose ferie , non bisogna
distrarlo con çosę amene, perchè le prendeffe cal vol. i ha genio grande
a queste come ande, rebbero , Sempronio mio, le serie an zi che, se
ne moftrassero efli genio,dove. a fe da questo diftorli, con dire loro,
che approfittati, che saranno nelle scienze, * yoi medelimo volere, che
si divețiano o in quelle, ed in turti gli alțri civili orna mengi . In un
caso solamente fi potrebbe ciò permettere, cioè quando il figliuolo fosse di
temperamento molto malin. conico, e çetro per solleyargli l'animo contriftato,
Sem. E se la foyerchia applicazione allo {tudio danneggiasse la salute, che
converrà farsi, Dottore? Med. Primieramente procurerere, DI? che
[ocr errors][ocr errors] illbuono per evitare i nocu. che si moderi
ciocche sarà eccessivo;perchè quello che non fi può apprendere ia un giorno, fi
apprenderà nell'altro, e fe voi vedrete , che ciò non basti, levateli affatto
dallo studio ; perchè è me. glio il figliuolo fano, quantunque fias ignorance,
che dotto divenuto inabile a godere il frutto delle sue faciche: e non vi fate
dare ad intendere da parabolani, che a forza di rimedi possa superarsi tal
incomodo, perchè in tal caso averà due nemici, che lo perseguiteranno;cioè
l'applicazione soverchia, ed il rimedio da taluno credulo, o malizio. menti di
effa, quando lo specifico rimedio consiste nella totale rimozione
dall'applicazione: Sem. Approfftrati che saranno i figliuoli, che dovrà
fare il buon Padre di famiglia per provederli bene? Pub. Ci penseremo
trattanto, e la di. scorreremo in appreffo. CON. 421
CONFERENZA VI. [ocr errors] Sopra gl' impieghi, che dovranno darsi da
faggi Padri a' figliuoli ben’educati ,, e dotti. [ocr
errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] Pub. o sviscerato ainore de Padri verso i figliuoli, li fa bene
spesso cadere in mol. ti eccelli, e partis colarmente allorche questi
nascono ; pofciache fino da quel punto di figurano alcuni di efi , e senza
alcun fondamento, di far loro ottenere grandezze, & onori confiderabili, e
per ciò allora dispongono d'indirizare il primo per l' Ecclesiastico, a fin che
giunga a sublimi posti; di acca fare il fe con el Dd 3
[ocr errors] condo , e fargli ottenere una groni lima dote : d'incamminare il
terzo per un generalato di esercito: ed al quarto ; c quinto di dat per moglie
figliuole ereditieres e ricche, acciocche poffano passare la quelle famiglic ad
ereditarne archie il cognome. Se tali chimere, senza verun fondamento ideates
riuscisfero , oh chie bella cosa che sarebbe! l'averebbero con quefti modi
certamen. té accomodati tutti affai bene : mà benedetta sia quella volta, che
pur una di queste si verifichi in tutto ; posciachè al destinato per
l'ecclefiaftico viene genio di prender moglie; a quello per la moglie di farsi
ccclefiaftico, o religioso; all'altro per condurre eserciti d'imparate a guidar
bene un biroccio ; o muta i fei; ed agli altri destinati, pet rostegno di
famiglie altrui, di rovidare, per quanto poisono s la propria , con giuochi , é
bagordi ; a quali si darino in preda : e sapete ciò da che nasce dal non avere
i Padri appreso bene da Salomone al 16. quello che debbatio fare , qual'è?
Cor. bos st bominis difponii viam fuam, fed Domini eft. n diriģere
grefus fuos; onde per voler fare to tutto da se medesimi, perciò non poffo. !
nio avere buon fine i loro disegni . of Mec. Questo l'ho confiderato anche dio
più volte, in occasione, che seativa I dire a Padti: questo l'ho già destinato
i per la tal via ; e quello per quell'altra s # conforme ch'elli fossero stati
arbitri del la Providenza Divina , che regge turto, a difpofitoti
assoluti delle inclinazioni de figliuoli ; é volendo ammonire sopra di
ciò talun di quefti , mitróncava il dia scorso con dire che già poneva da para
te gli assegnamenti necessari, e che pensava ancora alle fpefe straordinarie ;
per i quando avessero conseguito quelle caris che; che bramavano di fare
orretiere 2 figliuoli; ed era quelto trent'aniti primas che le potessero
conseguirt , onde mi sembra vano le loro menti teatri di commedie, ove fiori
personaggi paffeggiano · Sem. Non ci averanno dunque das penfare, i Padri
allorche nascono i Ai gliuoli di far conseguire loro vantaggi? DI 4Pub. Non
hanno allora da pensare a questo, mà bensì di proccurare, che divengano abili a
conseguire quella buona sorte , che Iddio 'averà preparata a meri. tevoli : e
perciò fantamente un saggio Padre aveva in una tela fatti dipingere i suoi
figliuoli colla sola camicia, e con questa iscrizione. Tocca a Dio lo
stabilire In che guifa han da vestire . Volendo significare , che a lui
non toccava fare altro, se non ricoprirli colla ca. micia, affinchè non
comparisfero affatto nudi ; nel riinanentę poi si uniformavi colla volontà di
Dio, acciocche li avesse rivestiti a suo modo, e che questa prima copertura non
consisteva in altro, che nella buona educazione , alla quale dovea cffo
pensare; onde non prima , che fiano educati, ed istruiti questi nelle
virtù,possono i Padri comprendere, che voglia Iddio disporre di eli. Sem.
Qual di questi il Signore Iddio averà disposto per acca farsi? E sem. Quello ,
che conoscerece più (e frio, sano, e sensato, e che averà inclina.
kizione a questo, perchè avere pur udito bu qual capacità , e segno ci
vuole per prenaf dere moglie? Sem. Se il primo genito , al quale si suol
dar moglie, non avesse tutte queste condizioni, e foffe volonteroso
d'accasarsi, che si averà da fare? Pub. Se gli mancaffe la sanità, o
faviezza sarebbe segno, che Iddio non vo. lesse; e voi potreste sostituire ad
esso chi fosse più capace.. Sem. É se ci fosse il maggiorasco, che ma
potrò far io venendo egli chiamato as [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] Pub. Farete dal canto vostro tutto quello , che potrete ;
perchè non manca. no, ripieghi in simili contigenze, per farlo rinunziare a
questo, con serbarli un buon assegnamento; mà se poi non vi riufciffe converrà
averci pazienza; perchà vostra non è la colpa , mà di chi lo chiamò a questo,
che non pensò a tanto. Sem. E per l'ecclesiastico, chi dielli a doverà
incaminare, Pub, [ocr errors] Pub. Il più docilc, dotto, e
divoto. Sem. E se non avess' egli tal genio ? Pub. Sarebbe
segno che Iddio non lo volesse per questa via, e voi sostituitene un altro ad
effo, che l'abbia , quartunque foffe men dotto; o pute incominciatead
istradarlo per questa via alla lon. tana, che può essere's che tal genio gli
venga . Sem. É quale sarebbe questa via Pub. Quella della
Avvocatura, se fará inclinato alle materie legali; mà non to fare Avvocato di
dome, perchè cið (crvirebbe a nulla. Sem. Come mi dovrà regolare in far
questo? Pub. D'incaminarlo per la medesima via , che calcarono quelli che
sono riufciti eccellenti in tale professione ; i quali ne'primi anni
cominciarono a rivolta. fé protocolli negli offizj de Notari. Sem. Mà una
persona nobile non potrà far questo. Püb. E percið non potranno forfe
giugnere ancora alla perfezione di quellig che lo fecero: More [ocr
errors][ocr errors] Med. Vannio pure alla guerra ventu. fieri moltissimi nobili
con pericolo giornalmente di morte, e cominciano meri fanci di volontà; perchè
dunques non possono fare ancor questo, nel quale non li incontra un fimile
pericolo, ed il fine ancora, è retrissimo,onoratiffimos crfendo diretto
all'atimigistrazione della giustizia ? sem. E dipoi che dovranno
fare Pubs Prendere pratica delle cause appreffo i migliori Curiali , ed
esercitari in questa, passare a prenderla dagli Avvo. cati con iftare sotto la
loro dettatvra , se forà bisogno : e finalmeiite im poffeffati, che saranno in
detta pratica ascoltare attentamente per qualche tempo i Giudici de primi
tribunali; ed allor si, che po. tranno porsi a fare gli Avvocati , tros Vandofi
colmi di doctrina , e di sperien2à. Sem. Esercitato che averanno
l'Avvocatura che faranno ? Pub. Avendo acquistata perizia maga giore in
tal ministerio , c per averlo lom de. [ocr errors] deyolmente
qualche tempo esercitato , potranno per giustizia , non già per grazia
pretendere i migliori posti della Republica, e di grado in grado avanzandosi,
potranno conseguire ciò, che bra. mano: Sem. E’lsudetto genio come verrà
? Pub. Chi averà amministrato con rettitudine la giustizia, sarà senza
dubio rimunerato da Dio; se lo fè a Salomone per avere solamente mostrato
desiderio di esser giusto,fupplicandolo di ciò,come fi legge al 3. dei Rè: Quia
poftulafti ver. bum hoc , bu non petiffi tibi dies multos ; nec divitias
&c. ecce feci tibi fecundum Sermones tuos &c. fed, hæc que non
poftulasti, dedi tibi : divitias fcilicet, do gloriam; ed udite ciocche dice
per bocca d'Isaia al 51. Facite justitiam &c. ed ins appreffo: Beatus vir ,
qui facit hoc; e nel libro della sapienza al primo : diligite ju, ftitiam , qui
judicatis terram ; come volete dunque che, a questi non dia las vocazione
ancora di servirlo; cffendogli sì grata la sua servitù.Sem. Se taluno di eisi
volesse farsi re, ligioso, che dovrò fare? Pub. Non altro ch'esplorare se
fia vera vocazione, o soggestiones perchè se farà vera vocazioneld, dioè, che
lo chiama; onde a questa non dovete opporvi s perchè si sono veduti gastighi
assai evidenti fulminati contro chi si è opposto al Divino Volcre , : Sem. Come
mi porrò accertare di questa vera vocazione ? Pub. Dovete alla prima
mostrare res nitenza in dargli permissione, che lo faca cia : conducerelo
continuamente con esso voi, ed informarelo sinceramente di tutte le difficoltà,
che potrebbe in. contrare nella vita religiosa ; come anco delle astinenze, ad
altre penitenze, che tra effi fi costumano, con doverfi privare della propria
volontà, allorchè sarà religioso; e se si manterrà sempre saldo, é costante nel
suo proposito, crem dete per certo, che farà vera vocazione. Sem. Mà non
sarebbe bene, che lo condücelli alle conversazioni, alle comig me
medic, ed ai passeggi per divertirlo me, glio, caso che lo vedcili
malinconico? Pub. Questo poi non dovretç fare ; perchè allor îi che
perderebbe quanto di buono egli acquisto nell'educazione; e non facendoli poi
Religioso vi farebbe fofpirare, per averlo voi con defii mo: di improprj
sedotto , E non crediatę gia che facendosi Religioso, per vera vocazione,egli
viverà infelice, anzi che sarà il più contento, e felice degli altri, per, che
godono questi , quando non abbia. no ambizione, ed altri attacchi mog, dagi,
sommą tranquillità d'animo, Sem, Sicchè dunquc sarebbe bene, che facefî
venirç a qualcun aloro ancosa la yolontà di farsi religioso, giacchè elli
vivono così feļici, e particolarmense a quelli, che fossero incapaci di alcu,
no impiego della Republica . Pub. Ayversite, Sempronio, di non far
questo, con modi suggestivi, per fini mondani; come sarebbero, per far di,
venire gli altri fratelli,che sono al secolo più facologi mediapre l'augumento
delo la la sua parte șinunziara , o perchè non saperç a che
impiegarlo, mentre questo non piacerà a Dio, onde contentatevi di dare
solamente a Dio quelli, ch'esso yuole, e non quelli che non fanno per voi, come
sogliono pure troppo effettuar re alcuni, che sc hạnno raluno de figliuo, li
difertosi, o di poco fennolo consacra no a Dio, essendo questo il sacrificio
apo punto di Çaigo , che gli daya le vittiine più magre, e tanto maggiormențe
chę essendo questi turti suoi operarj? come volere, che poslano fervirlo bene,
se non avranno capacità sufficiențe di farlo? Mec, Sarebbero dunque, come
quelle vittime, che si offerivano agl'Idoli di Moloc, ed a quello di Sapurno
dai Gentili, che morivano nelle loro braccia jufocate senza esser capaci di
alçro, che di piançi. Sem. Se paluno & volçís'elimçre da qualunque
impiego per starsene senza pensare a cosa alcuna,che averò da fare? Pub.
Coltui bramerebbe darG all' ozio, e non è volontà di Dio, che stia
l'uo l' uomo ozioso leggendosi nella Geneli al 2. Pofuit eum in paradiso
voluptatis, ut operaretur, e se in luogo di delizie non volle , che stesse
ozioso l'uomo , come lo permetterà nel mondo? quando allorchè ye lo pose gli
disse : In Judore vultus fui vefceris pane tuo, donec rever. teris in terram ;
quale poi fa il danno, che apporta l'ozio uditelo dall'Ecclefiastico al 33.
Multam malitiam docuit otio. fisas; e maggiormente questo può nuocere a chi hà
beni di fortuna', perchè essendo l'ozio il padre di tutti i vizj, che ne
seguirebbe da questo? Allorsi che la buona educazione gli gioverebbe poco; onde
per ovviare a ciò potreste farli suggerire, se bramasse entrare in corte ove fi
sta per lo più a sedere , gon si fatica, ne fi applica a cose di rilievo,
discor, rendosi bensì delle novelle della città, e del mondo,e li fà una vita
neghittosa,la quale farà facilmente confacevole al suo genio, e perciò, che la
provasse un poco: caso poi, che ricusasse questa ancora, allora vedete a chc
aveffe genio, e la. [ocr errors][ocr errors] sciateglielo fare,
perchè sempre sarà meglio, che faccia qualche cosa', che stia coralmente
in ozio ; e tra gl'impieghi onorevoli ci sono la pittura, nella quale alcuni
malinconici i sono con genio esercitati : il lavoro alcorno : il dar las
vernice indiana , ed altre cose simili , confacevoli a chi non voglia
intraprendere affari di suggezione, ed udite ciocchè consigliava ancora San
Girolamo Epist. ad Ruftic. Vel fifcellam texe junco, vel canistrum piecte
viminibus ; più costo che ftare ozioso. Sem. E se tal uno di essi volesse
applicare a far negozj di cambi, e ricambi, edsagl’affitci'de dazj, averò da
permetterglielo? Pub. Ci penserei prima d'accordarglielo; non solamente
perchè nostro Signore Gesù Cristo levò S. Matteo da far simili esercizj, mà
ancora, perchè questi impieghi, che mediante un fallimento, o altri accidenti
del mondo ponno scomodare di molto, non sono negozj licuri, anzi azzardolidimi
in chihà da perdere molto del suo ; che questo lo faccia chi poco può
discapitare di proprio gl’è tollerabile. Sem. Avendo taluno genio alla
caval. lerizza, e li dilettasse di mantenere più cavalli di quelli, che Geno
necessarj,averò da collerarglielo? Pub. Essendo tal genio diretto alle
bestie, quando fi eccedesse nel numero , o nell'amore verso di effe, non
sarebbe tollerabile:nel numero, perchè al parere del Petrarca: in Dial. de
equo; Quot equorum mores totidem equitum pericula; e nell' amore, perchè
gl'uomini quantūque grádi, che vi cadettero, furono di ciò biasi. mati;
tra’quali Alessandro, Augusto, ed altri. Quindi è, che faggiamente dispone il
Deutero.al 17. Rex non multiplicabit fin bi equos ; or dunque come potrà ciò
permcttersegli, essendo anche dispendioso? Sem. Vado or riflettendo come
G rę. goleranno quei figliuoli educati benc da Maestri,criusciti eccellenti
nelle scienze, se non averanno i Padri attcari, e 'capaci di dar loro direzioni
buone in [ocr errors] j tempo, che debbono prendere stato : © che
faranno ancora quci nati da Padri poco nobili, e meno ricchi,effendo d'uopo riflettere
a tante cose per accomodarli bene? Pab, La gran providenza di Dio supa
plisce a questo ; effendoche : bong menfi fuccurrit Deus,Allorchè questi
faranno divenuti capaci,cd abili, da loro medesimi comprenderanno qual ha il
volere Divino, ed avanzandosi colla loro prudenza giugneranno felicemcate fin
dove Iddio averà disposto, che arrivino. Sem. Io sono rimasto sorpreso
allo volte nel vedere cerți mal educati, e poco dotti , ed anco per vie
indirctte , giu. gnere a gran posti; ed altri, alle volte quanrunque di vita
esemplarc, meritevoli, e capaci, rimanere indietro, Pub. Questo ancora è
un arcano della Providenza Divina ; posciachc essas I tollererà , che caļuno
s'avanzi per queste ich vie; mà che ? vedendosi questi nell'au, ge delle
loro fortunc cadere a terra, çi i fa credere, che senza il Divino ajuto
for [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] formino la statua di
Nabucdonosor, 12 quale mediante un picciolo falsolino s' atterra, come appunto
provò Sejano. I E quelli poi, che rimirate non avanzarsi, avendo merito, Iddio
conosce, che quel posto,che voi credere, che compete. rebbe loro, e non lo
conseguiscono, non fàrà per loro,effendoche, oc'incontrerebbero delle
disgrazie, o pur sarebbe dannoso alla loro eterna salute, e di quefta verità
non dubiterere punto ; perchè alle volte: honores mutani mores, ondes chi sà,
che in questi non seguisse cosi? se volete udire altre ragioni sopra di ciò
leggete Seneca che tratta diffusamcnte di questo nel libro:quare bonis viris
mala accidant cum fit Providentia . Sem. E che dice di più di
questo? Pub. Tra le altre cose urili dice la Pro. videnza Divina a
coloro, che di ciò si prendono rammarico al cap. 6.Quid habetis quod de me
queri pofitis vos, quibus recta placuerunt? Aliis bona falsa circum. dedi ,
animos inanes velut longo , falla. rique fomnio luff, Auro illos , argento
, ebo [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] ebore
ornavi: intus boni nibil eft . Ifti quos profęlicibus aspicitis fi non quâ
occurrunt, sed quâ latent videritis, miferi sunt , fordidi , turpes ad
fimilitudinem parietum fuorum extrinfecus culti . Non eft ifta folida, sincera
folicitas: crufta eft, quidem tenuis . It aque dum illis licet ftare, co
ad arbitrium suum oftendi, nitent , da imponunt cum aliquid incidit , quod
difurbet; ac detegat , tunc apparet quantum alta , ac veræ feditatis alienus
Splendor absconderit. Vobis dedi bona certa, manfura quanto magis versaveritis
, & undique inspexeritis,meliora,majoraque permisi vobis , metuenda
contemnere , cupienda fastidire. Non fulgetis extrinfecus : bona veftra
introrsum obverfa sunt . Non egere feu licitate fęlicitas veftra eft.
Ferte fortiter, bc. · Sem. Sin ora abbiamo discorso intorno al modo da
provederli senza soccorrerli di proprio , vorrei , che ora m’ istruiste come mi
doverò regolare con efli loro nel sovvenirli, vivendo io, e dopo la mia morte
? Pub, [merged small][ocr errors] Ec 3 Pub. Questo è un
prudente quesito, e dev'esaminarsi seriamente, dependendo da questo il
mantenimento ancora della buona educazione acquistata ; posciache bene spesso
conforme diffe Tacito: felicitate corrumpimur. Sem. Come dunque mi dovrò
regola. re coll'ammogliato ? perchè non vorrei pensare al suo mantenimento ,
fentendo giornalmente molci dolersi de loro Pa. dri, che non li provedono in
tempo opporcuno di quanto fa loro bisogno; oltre di che sò ancora, che così
pensa mio Padre trattarmi. Pub. Voi dovrete affegnargli unas convenevole,
c fufficient entrata, che pofsa baftare per il suo mantenimento ; con questa
considerazione di vantaggio di accrescerla, secondo che anderà mul. riplicando
la famiglia. Sem. Mà non averà d'avere qualche cosa di vantaggio del
bisognevole? Pub. Qualche cosarella credo anch' io di fi, perchè accadono
alle volte certe spefarelle impensace, alle quali nonfi farà dato il suo
equivalente assegnamento; mà per altro non debbono i buoni Padri di famiglia
essere molto generoli co'suoi figliuoli ammogliati. Sem. E per qual
cagione? Pub. Perchè dagli affegnamenti soprabbondanti ne nascono il
lusso, las crapola, e cento altri vizj. Sem. Mà se farà ben’educato non
caderà in questi trascorsi . Pub. L'essere ben’educato opererà , che
questi non si dolga del conveniente, e giusto assegnamento fattogli da suo
Padre ; mà per altro fate, ch'egli si ritrovi denaroso, troverà ben più d'uno,
che gli li porrà d'intorno per farglielo spendere in cose voluttuose, onde
toglieregli affatto l'occasione di far questo, che vivererc voi più quieto , ed
egli più fano Sem. Si dovrà quest'ingerire nell'amministrazione dell'azienda
? Pub. Anzi sarà necessario, che lo facciate istruire in tutte le cose,
dovendo egli, non solamente dopo la vostra mor [merged small][merged
small][ocr errors] te reggere la casa , mà eziandio se mai per disgrazia voi
v'inabilitaste; o pure per la soverchia età volerte attendere alla
quiere. Señ. Ed agl'altri figliuoli dovrà farsi assegnamento per farli
vivere da se ? Pub. Questo nò: li doverece bensì voi provedere di quanto
farà loro'bisogno, al più, che vi potreste stendere; sarebbe d'assegnare loro
un tanto per vestirsi, con qualche cosarella di più, mà non già con prodiga
mano ; perchè l'abbondanza del danaro è la rovina dei giovani, anco ben
educati, e credetemi, ch' io sò qualche cosa in questo particolare, e Mecenate
ne sarà tal-volta informato più di me. Mec. Voi dire la verità, poichè se
un figliuolo di famiglia maneggierà danaro, sarà corteggiato da più d'uno, e
tentato da questi a prendersi divertimenti d'ogni genere, dove che se non
averà, questi Teduttori faranno come le formiche, che non li accofano ove gon è
grano ; come dille Ovidio. Hora [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] Horrea formicæ tendunt ad inania nunquam Nullus ad amisas currit
amicus opes. Sem. Guadagnando taluno di questi, dovrò continuare a fare con
effo lui quello, che fo con gl' altri? Pub. In questo caso voi potreste
fargli da economo , affinchè non ispregasse, con rinvestire in faccia sua i
suoi guadagni , per animarlo ad accrescerli; ed infieme, per eccitare gli altri
fratelli ad imitarlo; e continuerete voi a mantenerlo, essendo la casa non
bisognofa ; mà se non bastassero l'entrate al comune mantenimento, il figliuolo
bene educato spontaneamente vi soccorerà col proprio guadagno; non potendol
prevalere del consiglio di Solone, come riferisce Plutarco: che solamente i
figliuoli, abbandonati da loro Padri, non fossero tenuti, allorche questi
avessero avuto bisogno di esser soccorsi da figliuo, li, efli
didarglielo. Sem. E se uno de miei figliuoli foffo; destinato a qualche
giverno, o 'alera [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged
small] ca. [ocr errors] carica dispendiosa,per servigio del
Prencipe? Pub. In questo caso,Sempronio , con. verrà,che voi facciate
tutti li sforzi por. fibili in soccorrerlo, anche oltre il bisognevole:e per
queste cótingenze debbo. no i buoni Padri avere cumulato danaro per
prevalersene, e non bastando, pofsono anche fare debito; perchè questo si
chiama rinvestimento, che a suo tempo, oltre il decoro , recherà anco utile
alla casa. Sem. Vediamo ora come dovrò lasciarli dopo la mia morte, ed in
primo luogo come averò da contenermi coll' ammogliato; se lasciarlo padrone
libero, o usufruttuario con fare la primoge, nitura ? Pub. Lasciandolo
voi, che sia arrivaco in età affodata, e senza vizj, attento alla casa, e versato
nel maneggio di effa, potreste anche fare di meno di legarlo con fidecommisso;
con tutto ciò, perchè non potrete sapere i naturali de' figliuoli, che da esso
nasceranno, e se [ocr errors] e se sarà in tempo, per qualche
accidca: te di poterlo far esto, non sarebbe male d'istituirlo, con lasciare ad
esso qualche porzione libera, per fargli conoscere, che non diffidate della sua
bontà, ed at. tenzione in moltiplicare la roba. Sem. Ed agl’altri, che
dovrò lasciare Pub. Un Ogorevole mantenimento per potere decentemente
vivere fecon. do la loro condizione, ed a colui, che foffe capace di avanzarsi
nelle cariche, qualche cosa libera per poterlenc prea valere ne'suoi urgenti
bisogni , quando le averà ottenure ; må dite che farefta di vantaggio voi,
Mecenate ? Mes. Avendo veduto , che alcuni apa pena eftinti i genitori ,
quantunque fora to la loro dirczione foffero ftati mode tariflimi in
tutto, pull adimeno pelle o pompe funebri, clutto incominciarona di a slargarli
in modo, che non mostravano o essere più quci di prima , cosi ben disci·
plinati nella parhimonia ; questo dico mi o farebbe, avendoqualche rimedio,
acciocche non foffe in tutta libertà loro di manifestare quel ge nio ch'era
quando vivevano i padri fie mulaco,a fine di precluder loro affatto la via di
darsi all'eccessivo lusso. Pub, Sapete pure quanto sia difficile il
volere regolare le cose canto al minuto dopo morte ? e quante disposizioni si
fanno, che non fi osservano dagli eredi? or come potrete far mai, ch'elli
allora fieno buoni economi di quello, che non è più vostro? Mec. Tutto va
bene, mà però certe cose possono farfi eseguire anche dopo morte , perchè li
dispongono in vita, ed allor'appunto, che sono proprie; onde perchè non le
potrei conseguire difpo. nendo, che si dovesse ogn'anno rinvestire una parte
dell'entrate, la quale io credelli soprabbondante al loro decente.
sostentamento? Pab. E che pretenderefte farne di tal vincolato
investimento? Med. Vorrei che dovesse servire per dotare le figliuole ; e
credetemi, che que [ocr errors] [ocr errors] queste doti d'oggidì,
che sono divenute eccessive, sono la rovina delle care, onde quando queste non
si dovessero linen. brare da' capitali mi persuado, che sarebbero esenti dal
deteriorare per questa parte. Farei ancora assegnamento maggiore a Cadetti, di
quello, che alcuni costumano di fare, e particolarmente a quei, che sono ben
incaminati per la strada della letteratura, o militare, non servendo questo
scarso, ed insufficiente assegnamento ad altro, che a fare maggiormente
spregare a primogeniti, godendo più grosse rendite del loro bisogno con
pregiudizio de progressi altrui, perchè in sostanza tutti debbonli, e gualmente
considerare per figliuoli, e fenza demerito alcuno dell'amore paterno
portandoli tutti seco rispettofi. Sem. Voi Mecenat vorreste reftringere
tanto i poveri Primogeniti, che poco rimarrebbe loro per vivere, perchè una
parte dell'eredità paterna la vorreste porre a moltiplico, ed oltre di
questo pre [ocr errors][ocr errors] pretendere ancora di accrefcere
gli assegnamenti consueți de Cadetti;onde stencerebbero i poveri Primogeniti a
vivere anchę mediocremente, Mer, lo non hò preteso di appor. car ļoro
danno alcuuo, ma bensi più fofto giovamento, liberandoli dallas penosa briga di
dover pensare alle dori delle loro sorelle, e figliuoic, facendo trovare queste
pronte in tempo , che ne potranno avere biso, gno, Şem, Sę tante
deligenze si dovranno praticarç per li figliuoli ben educati, e dosti , che
doverà farsi per quei , che non si farango approficcati nell'educa, zione, e nelle
scienze Pub. L'esaminaremo ia appreso, SON [ocr
errors][merged small] Come debbano i Padri regolarsi nel provedere i
figliuoli ignoranti, ç yiziosi, Publio , Sempronio , Mecenate
, & Medico. [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] Pub.
Alomone non solamente notificò il giubilo grande,che godono i Padri allorche
vedono i lo ro figliuoli ben di. sciplinati , come al 23. dc suoi
Proyerbj dice ; Exultat gaudio paser jufti : qui fapientem genuis lætabitur
inco; Må eziandio espresse il rammarico, che ne hanno quei , che li vedono
viziofi al decimo ferrimo ove dice ; Ira patris filius ftultus, dolor
matris, qua genuit eum. Quindi è, che è, che l'Ecclesiastico al 16.
conchiude: Utile eft mori fine filis , quàm impios habe re. · Sem.
Questi cattivi , e viziosi forse non averanno avuto dircttori nei loro teneri
anni, che gli abbiano ben'educari. Pub. Ci sono di quei, che l'ebbero an.
cora, e pure da essi niun giovamento ne riportarono Sem. Come è possibile
questo? Pub. Dovete voi sapere, che quando il vizio è radicato nel cuore
de figliuoli, e che di la si propaga al capo, ardua impresa fi renderà il
poterlo svellere, perchè fi rende allora effo quali padrone della volontà
? Sem. Mà perchè questi non possono. coll'educazione estirparsi dal
cuore, e dalla mente quando di effa fi foffero impoffesfati ancora è Pub.
Ardua impresa, come disi farà prenderla con vizj chiamati da Salomone nelle sue
Parabole al 2 2. Stultitia colligata in corde pueri; e tanto maggior. io
figliuoli, pensare allnde mente quando chi n'è contaminato non coopererà
ancor ello per rimuoverli? Sem. E come potrà farac di meno, avendo avanti
gli occhi canti buoni esempj, ed udendo saggi documenti , e ragioni
convincentisfime ! Pub. Si trovano questi talmente accecati, e sordi, che
non veggono, nè capiscono nè esempj, nè ragioni ; e queIto nasce ancora dal
loro naturale , egenio perverso, che in vece di apprende. re, e vedere con loro
profitto li fà porre in deriGone quanto odono, e veggono, come saggiainente
insegna Salomone al 15. de suoi Proverbj: Stultus irridet disciplinam patris
fui, qui autem cuftodit increpationes astutior fiet. Sem. Questi genj
perversi donde nascono ? Pub. Dalla poca cognizione dell'onefto, e del
vero bene , e da questa deriva, che credono ogni qualunque cosa, che appag! la
loro volontà, per onesta, quautunque sia detestabile, ed avendo, fatto in tal
falfa ccedenza l'abito, quc FF Ito [merged small][ocr
errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] Ito palsa in naturalezza, e genio, per es. ser divenuta la loro
fantasia quasi consimile a quei cristalli con artificio lavorati, che fanno
comparire le cose proporzionate,e belle per i isconcie,e le íconcie per belle ,
e proporzionate . Sem. Indicatemi ora qualcuno di que. Iti vizj tanto
perversi. Pub. Se voi scorgerete in un fanciullo certa crudeltà ferina,
qual fù di colui, che con un ago cavava gli occhi a cerci uccelli : d'altri che
feriva col coltello, o bastone il compagno, e scorgendo sgorgare sangue maggiormente
s'infieriva: o pure una certa inclinazione a trafugare, e nascondere cose non
comestibili , prese anco da qualche scrigno: l'essere pertinace, e perseverante
nel non dire mai verità, e fare qualche danno per imputarlo altrui; overo
quantunque corretto,e gastigato più volte il continuare tuttavia a non volere
apprendere cose di Dio, con avere dispiacere di sentirne anche parlare ;
imparando ben l'altre dannose al buon costume : non rispettare [ocr
errors] i i genitori , anzi beffeggiarli di più quanworld do sono da elli
correcci; e tutti questi di fetti crescendo esli negli anni vedendosi
avanzati più rosto, che diminuiti, credete pure, che limili vizj sono già
divenuti padroni del cuore , e della volon. tà. Mec. Vi fù uno di questi,
che in età di cinque anni ammazzò con coltello un fuo compagno, e non
essendo capace, i per essere di sì tenera età, di gastigo, o
proporzionato a tal'eccesso, commesso anche con crudeltà per li
rinovati colpi, a che gli diede, fu fatto caftrare in pe na da quel
Prencipe dominance, dicendo egli, che non voleva razza di simili fiere nel suo
dominio . Sem. Mà hò udito riferire più volte, che pur si rendono máfuete
le fiere ache o più crudeli; com'è poflibile dunque, che questi, in
qualche modo, dall'industrias umana non si possano domare? esaminiamo di
grazia, se vi poress’essere qual che rimedio, per rendere mansueci anco o
questi, o pur datemi sopra cio, per mio Ff 2 re regolamento,
qualche buon consiglio ; perchè , fe Iddio per gastigarmi mi desse un di quefti
figliuoli, io sarci il più infelice uomo tra tutti i vivenci. Pub. Lo
credo, e perciò bisogna, che cominciare da or'a supplicarlo, che non vel dia ,
ed essendo egli sì misericordio. fo, potrete dopo reiterate preghiere an. che
sperarlo ; e voi, Dottore, avete alcun rimedio di quelli, che chiamare
eradicativi per isvellere questi vizj? Med. Se non foffero cotanto
radicati spererei disì, mà farò qualche studio particolare , anche intorno a
questi, per vedere se G trovasse alcuno specifico, almeno, che potesse minorar
loro tant' orgoglio , Pub. Se si trovaffe questo sarebbe gran vantaggio ;
perchè allora coll'educazione li potrebbe fare qualche cosa di più, se non in
cutti, almeno in alcuni di esli , onde pensateci seriamente, e fare qualche
sperienza tractanto , per riferire a suo tempo ciò, che averete ritrovato
giovevole. Sem. [ocr errors] . Elio Sem. Mà intanto
insegnatemi almeno แบ่งชี้ quello, che li potcffe fare di vantaggio 11
nell'educare questi, perchè poi, che averà ritrovato qualche rimedio il
Dotcore, mi informerà di quello. Pub. Şe fi potesse discernere in tempo,
che prende il latte quel figliuolo,in cui la crudeltà volesse fare progresi, la
prima cosa che farei, sarebbe, di mutargli la nutrice, se fosse donna risentita
, e tiera, ed in vece di questa gli farei dal Dottore scegliere un latte di
balia pacifica , e femmatica; effendocche di ciò me ne porge morivo quello, che
seguì all'Imperatore Commodo, il quale per essere stato nudrito da una donna
rifen tita, e barbata come un uomo , data* gliela affinchè diveniffe
generoso; mà in vece di questo divenne un gladiatore , per non
dilergarfi di altro, che di sangue, j e di caroificine, ed hà ben creduto
talun che appunto detta balia fosse figliuola di gladiatore. Med. Olrre
lo sceglierla proposito,fi potrebbe anch'essa far nudrire di erbe,ed altri cibi
di tenue sostanza, e toglierle ache affatto l'uso del vino, e slattato che
fosse il fanciullo converrebbe non fargli gustare, ne vino, ne carne per alcuni
anni; mà è cosa difficiliffima, per non, dire impossibile , a conoscer quisto
ne? bambini. Sem. A questi sarebbe bene, fin dalla tenera età cominciare
ad usarglı gran rigore per vedere di domarlo? Pub. Se si verificasse
realmente che le vespe muojono nell'olio, e risuscitano nell'aceto,converrebbe,per
estinguere vizj li perniciofi, valerli più costo del dolce lenitivo, che
dell'afpro pungente; contuttociò per assicurarsi meglio con. viene regolarfi
secondo gli effetti, che produrranno in loro i gastighi ; essendoche xlcuni
fanciulli nella tenera era acora s'infieriscono allorchè fi veggono perciotere
colla sferza, onde senza pro ditco alcuno questi di batterebbero, come
insegnò Salomone : ne suoi Proverbi al 27. fi contuderis ftultum in pila quafi
pofanas feriente de super pile, non aufes retur ab eoftultitia ejus Semo
erli che Sem. Ponendosi questi per la buona via , con deporre gran parte
della loro fierezza, si potrà sperare, che divengano buoni? Pub. Dee
sempre temersi, che possano ricadere nel medesimo eccesso, non potendosi ne anco
alle bestię togliere af. fatto la fierezza nativa, quantunque mostrino essere
divenute mansuete. Mec. Riferirò a questo proposito ciò che seguì di un
Leone : questo era divenuto apparentemente fi mansueto,chę girava per tutta la
città senza recare molestia ad alcuno; mà abbattendosi un giorno in un
macellaro , che portava sulle spalle un gran pezzo di carne , se gli avventò
alla vita, lo ferìgravemente colle unghie,e se non era pronto a dargli la detta
carne,l'averebbe anche sbranato. Così mostrò la sua fierezza , che teneva di
anzi celata. Sem. E quelli , che mostrano inclinazione al furto ?
Pub. Questi ancora, se Iddio non gli ajuta', termineranno malamente la
lor [merged small][ocr errors] Ff 4 loro vita; effendo cosa assai
difficile, per non dire impoffibile, il poter svellere af. fatto tal vizio ;
perchè quanrunque alcuni non siano forzati dal bisogno, las cattiva loro
inclinazione li porta a rubare, Sem. Si possono questi gastigare colle
sferzate ? Pub. Così fi dee fare, perch'essendo vili di natura, enon
superbi come i primi , dalle percoffe possono ricevere profitto,almeno in
aftenersene per qual che tempo. Mec. Abbiamo l'esempio di colui ,
che condannato a morte per ladro, conducendosi al paribolo fè premurofiffima
istanza di rivedere sua Madre, ed oricnura che l'ebbe, avicinoffi tanto ad
essa, che coi denti le svelre un orecchia, dicendole: per colpa voftra io vado
al paribolo, perchè, fe foffi ftato da voi ga. ftigato da piccolo, non vedreste
tale spettacolo, ne tampoco io soffrirei queIta ignominiofa morte. Pub. E
neceffario ancora condurli a 31 2 vedere far giustizia, e con
tal occasione insegnare loro qual gastigo meritano quei, che rubano', e che in
oltre sono semprc miserabili questi infelici, come ben conobbe Salomone al is,
de' suoi proverbj:Alii rapiuni non fua, & femper in egeftate funt ,
Mec. Un simile obbrobrioso speccacolo indusse una volta gran terrore ad uno
quantunque ftolido mendico ; poscia che per essere stato giustiziaco un
monctario falso, aveva una collana appesa al collo di dette monete falsificato
da esso, e credendo il mendico, che per quelle monete foffe fatto morire , al.
lorchè taluno gli esibiva una moneta di argento, la ricusava con allontanarli
da eslo , contentandofi solamente di quelle di rame, che non le aveva vedute
appese in quella collana di vituperio. Sem. Mostrando poco rimor di Dio ,
e meno rispecto a genitori? Mec. Questo appunto, essendo il vi. zio
peggiore di catti, diviene incorrig. gibile per opera de'genitori. [ocr
errors][ocr errors] Sem. E per opera di chi fi potrebbe emendare? Mec.
Polemone essendo giovane fu viziofiffimo a segno che si portò un giarno alla
scuola di Zenocrate, non già per apprendere da esso alcun buon documento, mà
bensì per disturbare più tosto quei, che aveano genio d'apprenderli; avvedutofi
di ciò il saggio filosofo, cominciò a favellare sopra il vivere onesto, e li
vantaggi, che da esso firiportavano, e con tali convincenti ragioni , che
rimase sorpreso il vizioso giovane a segno, che abbandonò i suoi viziosi compagni
per seguitare Zenocra. te, da i di cui buoni documenti, u modo di vivere
esemplare, si cambiò da peffimo , ch'egli era , in ortimo, e da ciò ne deduco,
che ancor voi non dovete indugiare un momento di più, essendo il figliuolo in
età capace, di non mandarlo in qualche esemplare seminario , affinchè , co'i
documenti, e colli buoni esempj apprenda , e miri ciocche fare gli convenga; e
proccuracedi non farlo tornare più a casa vostra, se non averà mutato costume ,
e state ancor voi lontano da esso, mostrandovi dif. gustato del suo modo di
vivere'; e sapranno ben quei buoni' directori, ayvezzi a domare fimiliceryelli,
allertarlo al bene, e con modi più spedienti correggerlo, e punirlo, affinchè
li emen. di. Pub. Debbono parimente i Padri ftare cautelati nel gastigare
i viziosi loro figliuoli, divenuti grandicelli, perchè fi potrebbe dare il
caso, che questi sentendosi percuotere, fi rivoltassero contro di effi , e li
znaltrattassero ancora : Sem. Se per disavventurà de poveri genicori
rimanessero questi incorriggibi. li , che fi averà da fare per
provederli? Pub, Udite come mai parla bene a in questo proposito
l'ecclesiastico ál 22. Confufio Patris eft de filio indisciplinato: onde
come potrà mai in simile confun fione régolarsi egli con prudenza! Certa cosa
è, che per prender moglie questi non sono buoni ; per Rcligios- neanco;
. de [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] de maneggi
della Republica non sono capaci; talmente che non sapranno, che impiego
potessero far loro ottenere. Sem. Perchè non sarebbero buoni a prendere
moglie ; pofciachè chi sà, che divenendo capi di casa non mettessero giudizio
? Pub. A voi darebbe l'animo di convivere insieme con costoro, se vi
foffero compagni Sem. A me difficilmente. Pub. Or dunque, perchè
volere porli a convivere con una giovane senza fpe. rienza? ed a che vica
infelice fiespor. rebbe questa con marito si vizioso? E poi roi procurate fare
il poffibile per togliere da effo i vizj, e non essendovi ciò riuscito ,
pretendere forse far razza de suoi difetti In quanto poi, che il prendere
moglie li possa fare mutar coItume, non è credibile ; perchè, se Mulieres
faciunt prevaricari fapientes, che faranno a vizioli di questa specie? Ne fi
potrà persuadere alcuno, che questi tali non abbiano già provato le dissolu.,
sez: [ocr errors][ocr errors][ocr errors] tezze di Vegere, perchè i vizj
al parere di Seneca non vanno mai foli; e se quem ste non hanno moderato il
loro orgoglio, che più potranno acquistar di buono conginngendosi in matrimonio
Il dir poi, che si prenderanno il pensiero dei loro tigliuoli nell'educarli,
questo è lontano dal vero ; perchè li vorranno bensì allevare limili adelli, e
quando ciò non riuscisse loro palcsemence, mediante le diligenze usate in
contrario dalle Madri, faranno il possibile nasco, ftamente di conservare in
effi, alincno in propri difetci, acciocche non li dica, che non liano loro
degni figliuoli; come ap parisce dagli esempj dell'ubriaco, e de beftemmiatore
riferici di sopra . Sem. E qualcuno di questi perchè non si potrebbe indirizzare
per la vian Ecclefiaftica Pub. Peasate voi che questi abbias vera
vocazione di caminare per queIta santa via. Sem. Mà se G dichiaraffe, che
a volesse indirizare per essa , e mi pregafle, che [ocr errors][ocr
errors][merged small][ocr errors][ocr errors] che gl'impetrafli qualche pingue
beneficio, averò da ricusare il farlo 2 Pub. Certamente che sì, perchè
quefi farà mosso dall'intereffe, cioè dal conseguire l'utile del pingue
beneficio, non già dal servire a Dio, come far dovrebbe ; onde farà non
diffimile a colui, che brama prendere moglie, non per il fine del santo
Matrimonio, mà per l'intereffe della pingue dore, che si ritrova colei , che
vuole sposare. Mec. A proposito di groffa dote fece una donna accorta una
bella burla al suo futuro sposo: Ella era per verità alquanto deforme, e perciò
più d'uno dicca al giovane, che la voleva prendere, il qual era molto bello,
che l'aveffe rimirata meglio prima di sposarla,cui rispondea, che li bastava di
effettuare il matrimonio , per dare di mano alla grossa dore , che aveva; per
altro, che di tal moglie punto non si curava i Fù ciò riferito alla giovane, la
quale fe portare da una sua damigella, allorchè fi dovea spofare, una grolla
borsa di danaro in Chiesa, ed aspete [ocr errors] [ocr errors][ocr
errors] aspettò , che il Parroco avesse domandato allo sposo se la voleva,il
quale udito ciò disse, senza indugiarvi punto: disi; allora l'accorta donna si
fe sporgere la preparata borsa , e tenendola nelle mani, allorchè fu ricercata
anch'essa del suo consenso, nulla rispondeva ; ne fi sapeva che fine doveffe
fare quella borsa; perchè il futuro sposo si speranzava, che dovesse servire
per un publico donativo per effo , ed i Chierici, che fosse la mancia per
loro : alla fine stimolata più volte a rispondere ella disse; se questo fignore
si è dichiarato volersi sposare collas mia dore, questa, mostrando la
borsa,essendo parte di essa, mentre non risponde, è segno , che non lo vuole
qual consenso dunque hò da dare io s'egli brama la mia doce, e non già me? e
così confuso, e mortificato partì il giovane ; onde non vorrei , che facesse il
beneficio ancora il Gmile, di ricusarlo, facendo con esso l'amore a cagione
della sua dote. Pub. E poi dovreste anche rifletreredi quanto scandalo
sarebbe un ecclefiastico vizioso , dovendo cgli essere lo fpechio de'buoni
costumi; ne fperace , che questi,che si muovono per fimile fine possano divenir
buoni ; ponno divenire benli peggiori impiegando il danaro sa. gro in cose
viziose. Sem. E se caluno di questi volesse applicarsi al governo della
Republica, c chiedesse il mio ajuto,per poter e ottencre qualche posto per via
di favori, e di regali; perchè non ho da compiacerlo? Pub. Questo ne
tampoco doverete fare, perchè se fosse d'uopo amministrar la ! giustizia,nó direbbe
già egli quello, che diffe Giulio Cesare : che per un Regno di poteva far torto
alla giudizia, perchè lo farebbe per assai meno, effendo ano che capace
di farlo per sodisfare an folo de suoi viz); onde tanto voi, quanto chi vi
avesse contribuito entrerette a parte di tutte l'ingiustizie, ed iniquità chia
capace di commettere un vizioso. Sem. Che dunque doverei fare , per non
vivere da disperato , quando avelli alcuno di questi? Pub. [ocr
errors] Pub. Mandarlo alla guerra per fargli provare come Gi vive, cd alle
volte qucIta è l'unica medicina di questi cali; perchè se fono fanguinarj
possono faziarsi del sangue de nemici; se attendono alla rapina
nc'saccheggiamenti possono sodisfare la loro ingordigia;se poco cimorati di
Dio, e niente rispettoG a genitori, vedranno quanto temere Gi debba , e
rispetrare un Capitano quantunque non gli abbia creati, o generaci; onde
poirebbe essere, che il Signore Iddio gli toccaffe il cuore, e facesse
comprende, re, che se tanto li fa per un uomo , quant. to di più fi doverà fare
per Iddio, e per chi lo gencrò !e sappiate , che dalle lega gi di Mosè venivano
questi condannati ad esser lapidati dal Popolo, come nel Deuteronomio al 21. Si
genuerit homo filium contumacem, da proteruum, qui non audiat Patris , aut
Marris imperium, co coercitus obedire contempferit, appraben. dent cum, ducent
ad seniores civitatis illius, & ad portam judicii , dicentque ad ços c.
lapidibus eum obruet populus Civis Gg tatis [ocr errors][ocr
errors][merged small][ocr errors][ocr errors] taris, ut auferatur malum de
medio ucStric. onde in vece di vedere fimile spettacolo sarà pur meglio
mandarli alla guerra, la quale faggiamente fu difi. nita: Infolefcentis generis
humani tonfura. Sem. E se ricufaffe di andare alla guerra ? Pub. E
voi figuratevi, che vi sia già andato, e fatto prigione ; onde rinchiudetelo in
qualche fortezza : non avendo però commessi ancora reati gravi , affinchè non
siano puniti dalla giustizia con morte ignominiofa; conforme qualche volta è
seguito; e tenerelo ivi fin tanto che camperere, che così farcte sicuro, che
non commetterà gravi eccelsi, trovandosi guardato, e custodito , Non bisogna
però, che prendiate cal risoluzione a sangue caldo, mà fateci matura
riflessione : c regolatevi ancora col consiglio di qualche faggio , e buono
amico, Sem. Per dopo la mia morte comes avero da disporre le cose ?
Pub. Pub. Con lasciare a cattivi figliuoli ma solamente tutto quello, che
non potrei te cogliere loro, non per odio persona le; mà de loro vizjicon
questa condizio. ne però , ch'effendosi ravveduti, dopo un triennio di vita
esemplare, poffino godere un tanto dei frutti della vostra eredità; e
perseverando nel ben operare abbiano ancora d'avere qualche accrescimento
maggiore ; qual perdano intieramente, ed immantinente, ricornando a menare vita
scandalosa. Sem. E se fingeranno di essere divenuti buoni a fine di poter
godere quel i frutto maggiore? Pub. Non sarà meglio, che facciano
così,che operino sfacciaramente male ? de l'interno Iddio solamente lo rimira ;
le l'esterno appena è palese a gli uomini, i quali di questo
solamente pouno appa- garsi; e poi vi è stato qualcuno ancora ,
ch’hà incominciato a menar vita mi- gliore , per conseguire qualche
premio, che poi si è ravveduto da dovero. Mec. Vi è
l'esempio di quel Soldato, che [ocr errors][ocr errors]
bu COM [ocr errors] [ocr errors] che si racconra essere stato
convertito da S.Francesco Saverio : Questi era un pessimo uomo, ed iracondo a
segno, che non averebbc sofferta una parola anche indifferente, che non l'avesse
appresa detta per lui, e volesse anco vendicarsene . Le ainmonizioni, ed
esortazioni faccegli dal Santo nulla giovavano; alla fine li disse mostrandogli
una moneta di oro, se voleva guadagnarsela rispose francamente di sì : or sù
dunque replicò il Santo venire meco , e giriamo d'incor. no l'esercito ; Io la
porterò in mano, affinchè la miriate, e voi non avete a fare altro, che di
sopportare con pazienza quello, che udirete dire contro di voi. Fù dato
principio alla grande ope. ra,ed egli rimirando con occhi tifi l'oro, si rideva
di quanto male udiva contro di sè, e cerininato felicemente il giro, guadagnò
il premio. Allora il Santo tiratolo da parte gli disse: figliuolo mio per una
si vile mercede voi avere potuto sopportar tanto, e per un Dio non poteie
sofferire una minima particella diquesto ? il Signore Iddio in quel punto $ gli
toccò il cuore , e fi ravvide per sempre. Sem. Mà se poi i difetti de'
figliuoli non fossero gravi a questo segno, e fos. sero di quelli, che pure non
disdicano ganto, per essere divenuti ormai familiari, potrebbero con questi
proporsi a sudetti ministeri, ed impieghi ? Pub. Spiegatevi apercamente,
quali voi intendere per questi vizj familiari? Sem. Per esempio se caluno
di esli avesse principiato da 14: 0 15. anni a dimorare la maggior parte della
notte fuori di casa, e quancunque suo Padre l'avesse più volte ammonito, che
non lo facesse , ed effo ciò non oftante continuafle ; contraeffe debiti; e
perchè è figliuolo di famiglia, non potendosi obbligare, facesse obbligazioni
dette pagherà. con grandissimo difcapito, senza data , per firmarla dopo
la morte di suo Padre; ed altre cosarelle non tanto familiari; come dir male
del profimo , di mancare alle volte alla parola data ; ne ga: [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] GS 3
[ocr errors] gare ciò, ch'egli averà avuto; e se riyscirà , di gabbare il
compagao nel giuoco; con altri piccioli vizj di questa forte? Pub.
Cofarelle, piccoli vizj voi chiamate questi! E non riflettere,che quando il
giovane li sarà abituato in questi ugua. glierà egli taluno de vizioli di primo
rango: ad uno che sarà avvezzo la maggior parte della notte
dimorare fuori di sua casa, e sarà giovane, voi volere impetrare beneficj
Ecclesiastici, ed im. picghi gelosi della Republica ? Và forse a studiare in
quelle ore, o a farsi la disciplina negli oratorj, quando i studj, e questi
sono ferrari ? e come vi persuadete, che possano adempire l'obbligo loro,
effendo scarf di dottrina , e di buoni costumi, ed applicati a cose, in cui per
la meno inutilmente si perde il tempo a e fatta che averete rifcllione agli
altri loro vizj, che avete apportati ; consigliatevi colla vostra coscienza se
lo potrete fare : mà esaminiamo di grazia donde ciò proceda, e se sia solamente
colpa de figliuoli canto deviamento. Sem. [ocr errors][merged
small] Sem. É' loro certamente; perchè hò sentito lagnarsene i Padri di questo,
col. le lagrime su gli occhi. Pub. Questo fu il pianto del coccodrillo,
che piagneva il suo figliuolo allorchè lo aveva ucciso: come si sono portati
questi Padri nell'educarli? Sem. Certa cosa è, che tante diligenze,
quante ne hò udite nelle nostre conferenze,non le han faute. Pub. Or
dunque, se non gli hanno educati bene, a dolgano della loro trafcuraggine,
perchè viziosi li vollero efli. Sem. Mà che averanno da fare ora?
Pub. Questa penitenza appunto, che Iddio manda loro;di sopportare figliuo. li
viziogi . Sem. Ci sarà pure qualche rimedio? Pub. Ciè certamente,
ed è questo; di fare alli piccioli nepoti ciò,che non fece. ro a loro
figliuoli, cioè di educarli bene; perchè altrimenti, non essendo capacii loro
Padri di fare questo, i vizj non li fyelleranno mai dalle loro famiglie:
Sem. Voi diceste,che questo cocchi al Padre, Pub, [ocr
errors][merged small][ocr errors] Gg 4 Pub. Sibene quando sia capace di
farlo, e vi pare , che questi viziofi fiano abili ad educare i figliuoli a suo
dove-' re? Il loro mal esempio come permetterà, ch'essi apprendano le virtùd
Onde quantunque schiamazzino alle volte redendo i loro figliuoli viziosi,č
incerco se lo facciano per zelo di amore, o per invidia , perchè non possono
essi più con. tinuare fimile vita rilassata essendo vecchi. Sem. Io hò
cap to a bastanza , ed ora compreоdo la cagione; perchè nell'universale non si
possono affatto estirpare i vizj, mà voglio approfittarmene per casa mia, per
non avere anche io a fare il pianto del coccodrillo. Ma le povere figliuole
come si doveranno provedere? essendo gran disgrazia loro, quando capitassero in
mano di simili viziofi. Pub. Esamineremo anche questo , nà non è ora
tempo ; perchè richiede affare si rilevante lungo ragionamento. CON
[merged small][merged small][ocr errors][merged small] [ocr errors] Pub.
Onfesso ingenuamente che non séza rigione alcuni Pa. driffi contristano ál.
lorchè nascono tan, co loro figliuole ; perchè il penfare a collocarle
bene non è piccolo intrico, chiamandoli questo affare dall'Ecclefiaftico al
7.opera grande dicendovi: Trade filiam, & grandes opus feceris, o bomini
fenfato da illam; posciache saranno state educate alcune di effc col timore di
Dio, senza lusso ,c vagità, modeste comc fi dee, istruite inquanto è necessario
per il buon regolamento di una casa; mà che servirà loro tutto questo , se
capiteranno in mano di un marito imprudente , vizioso, ed indiscreto! e fimile
appunto a quello , ch' ebbe quell'innocente Giustina , il di cui Epitatio
sepolcrale è questo. Immitis ferro secuit mea colla mari. [ocr
errors] Dum propero nivei folvere vincla pedis Durus, ante thorum , quo
nupér nupta coiur, Quo cecidis noftrę virginitatis
honos. Nec culpâ meruisse necem bona Numi- na
testor, Sed jaceo fasi forte perimpia mei Discise ab exemplo
Juftine , difcite pa. tres Ne nubat fatuo filia veftra viro.
Or vedete Sempronio, che gran facenda è questa ! Mec. La conobbe afrai
bene Democr. appresso Stob. dicendo: Qui bonum generum nactus eft invenis
plium, qui verò, malum, fimul & filiam perdidit: quindi è, che
[ocr errors] che saggiamente fù conligliato da Temiffocle quel Padre, che
desiderava das effo fapere , cui dovesse dar per moglie l'unica sua figliuola;
se al dotto povero, o al ricco vizioso, replicò egli a mè aggrada più l'uomo,
che ha bisogno di ricchezze, che le ricchezze , che hanno bisogno di uomo :
come dice Val. Mas. Sem. Mà quando si sono fatte le dili. gen ze
necessarie, e fiè già rincontrato, che sia imprudére, e vizioso chi la vuole
perché non si esclude fimile soggetto ? Pub. Se voi sapeste quante
fraudolenti manifatture Gi fanno, per avere unas giovane savia per moglie,
stupireste; anzi quante più d'imperfezzioni hanno i giovani, che vogliono
accasarli seco, tanto maggiormente queste si adoperano, tanto si fa,che alla
fine riesce fimile facenda. Sem. Mà chi sono questi, che faranno tante
manifatture , non essendo capace un fimil giovane di farle ? Pub. Se non
sarà cgli, saranno ben’i suoi congiunti , i quali raffidati, che per [ocr
errors] [ocr errors] Il fingo della futura sposa cffo possa divenire saggio,
tanti ponti di oro le faranno , che alla fine caderà a dire di sì. Sem.
Mà i genitori come lo permetteranno? · Pub. Saranno ancora effi sforzati
a chinare la cesta, quando colla linguas non poteffero arrivare a proferire
quel doloroso sì. Sem. Saranno dunque anche i suoi genitori poco
prudentia Pub. Oh bene : non fiete voi ancora a pieno informato dal
mondo; mà ne ben Mecenate. · Mec. Ne sono pur troppo, anzi fono arrivato
a conoscere , perchè fi dica insa geniofus amor; avendo scoperto, che amore
aguzza l'ingegno de fuoi fenfali, e rende anche artificiofa la lingua alla
menzogna . Sem. Mà che potrebbero fare questi, quando il Padre steffe
faldo in non volergliela dare? Mes. L'ingegno agguzzato fi ferve
dell'autoricà, e la dispone in modo , che [ocr errors][ocr errors] niuno
più degno di merito si affacci a chiederla, per rispetto di colui, col quale si
tratta : e sapere pure, che in questi cali, per non fare inimicizie, non li
vicne mai alla negativa scoperta , potendovi costringere ad addurre un
ignominiofa cagione,per cui far non si vuole: Siprude bensì un mezzo, termine,
quale è che la giovane pensa di farsi monaca; laonde in questo mentre dal
sudetto pretendente fi fanno affacciare tutti li peggiori, ed i più scapestrati
giovani, che siano nella Città a chicderla,e cutci inferiori di condizione ad
ello; talmente che il Pae dre , che la vorrebbe maritare, trovan dofi
annojato, alla fine li piega, per non che trovare soggetto migliore, che la
fac. i cia domandare : e tanto più, che si tro verà circondato da
consiglieri già guadagnati da chi la pretende. Sem. Sarà dunque peggiore
, e più id svantaggiosa la condizione della donna nell'accasarsi , che
dell'uomo. Pub. Non ci è dubbio alcuno, perchè l'uomo non è ricercato, ne
violentaco per [ocr errors] en [ocr errors] per parte della
donna, mà beasi effa da chi la brama. Mec. Può essere,che quando voi
prendeste moglie ciò non li coftumaffe ; mà ora posso dirvi di certo, che
questo li pratica, essendo seguito in persona mia, che ho avuto più d'una
richiesta fe.voleva accasarmi colla tale, senza ricer carla. Sem. Or
io quantunque non fia versato sufficientemente nelle cose del mon. do,
procurerei segretamente di trovare un giovane favio,quantunque meno ricco, e la
darei a questi; perchè sposata , che fosse,hò sempre udito dire, che: multa
facta tenent, così finirebbe ogni conresa. Pub. In somma in questi casi,
chi più sà, più s'inviluppa nelle difficoltà; onde alle volte riescono migliori
certe risoluzioni fatte senza tante rifellioni ; c voi Sempronio, non avete
detto male; mà non saprete già scegliere questo giovane savio così
all'infretta; converrà dunque che l'impariats, ed [ocr
errors][ocr errors] Ff 3 Ес Pub. . [ocr errors]
1 [ocr errors] 1 Sem. Come si doverà dunque fare per
conoscerlo? Pub. Il Padre che ha figliuole da mai ritare dev'essere un Argo,
per rimirare nel medesimo tempo cento giovani, ed offervare i loro
andanlegri. Mec. Oggidì però non è necessario averne tanti ; perchè con
soli due occhi moltissimi difetti li possono ritrovare ne giovani, ed in breve;
quantunque non corrano quei calamitosi tempi, che accenna Giovenale alla satira
13. Humani generis mares sibi noffe volenti Sufficit una domus , paucos
confus me dies, do Dicere te miferum poftquam illic vec [ocr
errors] neris, [ocr errors] Pub. Fatemi piacere dunque voi, Mecenate,d'istruirlo
in questo giacchè fiece più pratico di mè nel discernere i giova. nili
mancamenei correnti; perchè a tempo mio la gioventù viveva diversamen. te, e
perciò fi ftentava più in iscoprire i loro difetti. Mec. Lo faro, perchè non
voglio, ri CU: [ocr errors] cusandolo, che vi confermiate nellas
credenza di qnello , che di me sospettafte,che io fia nimico delle
doone,poscia. chè io ammiro la virtù in alcune di esse, e perciò non vorrei,
che questa mancafse affatto, abbattendosi in viziofi mariti: onde se voi,
Sempronio,vedrere un gio.. vane accompagnarfi, e conversare continuamente con
taluno, conosciuto da voi per vizioso y tencte pur ancor esso per tale, senza
fare altra diligenza; verificandoli quel proverbio:all'accoppiar ti
veggio. Sem. E se fi desse il caso, che questi non converfaffe con
altri? Mec. Questo è difficile oggidì, che fi conversa tanto; mà se
caluno fuggisse le conversazioni,mirate bene la sua firo. nomia, e se la
scorgerete tetra , e inalinconica tenerelo pure per uomo infociabile, e non
senza i suoi difetti proprj; se poi foffe allegro, disinvolto, e non
converfasse oggidi con altri, formatene buon concetto di esso; perchè lo farà a
cagionc , che non troverà coma pa de pagni bene accoftunati uguali
ad effo. Sem. Vorrei qualche altra regola,per meglio potermene avvedere ;
perchè se non conoscefli per viziofi quei, co’quali egli conversalle, potrei
ingannarmi. Mes. Se voi vedrete un giovane stare in chicfa con poca
divozione, e discorserc ivi co i compagni comc farebbe in piazza, questi farà
poco timorato di Dio; se frequenrerà le feste, cd i passeggi, e rimirerà con
grand'arrenzione le donne, in cui si abbaite, farà egli effemminato ; se
dispreggerà i suoi compagni, cvorrà avere sopra di essi una certa superiorità ,
farà superbo ; se li piacerà vestire con pompa , sarà vanos se poi oggi dirà
una cosa, c domane ne farà una alıra, farà incostante; e finalmente se
frequenterà i ridotti, ove si giuoca , gran genio egli avrà a questo vizio; in
somma da se medesimo colle sue operazioni manifeftcrà i suoi difetti.
Sem. Starei fresco, se aventi d'accomodare una mia figliuola in questi tempi,
dovendo fare tante diligenze; mi cor. H vers pa [ocr errors]
verrebbe prendere la fantcrna di Diogene, ed andare per la città dicendo: homi.
nem quæro, e caminare più di un giorno per trovare, chi fosse in cucco; e per
turto, senza alcun de'detti diferci. Moc. Mà chi non vuole affogarla ,
dee anche servirsi del cannocchiale del Galileo,che scuopre le macchie del
sole. Sem. Io mi persuado, che se i Padri, c le Madri riguardassero al
minuto curti i differti , pochi troverebbero moglie. Mer. Sarebbe questo
la fortuna de i giovani; perchè non trovandola allorsi che incomiacierebbero a
spogliarfi do loro vizj, ed in breve diverrebbero bene accostumari, ed a tale
proposito posso riferirvi ciò , ch'è seguito in una riguardevole città.
Affinchè iCadetti andassero con più fervore, di quello faccano , alla guerra,
cominciarono le donnc a non ammettere alle loro conversazioni coloro, che non
avevano fatte almeno dues campagne in gucrra viva ; conciofiacofache li
reputavano vili, e codardi.Servi tale renitepza di Aimolo grande a tutta
la Die la gioventù per andare alla guerra; segnoche pochi furono
quci, che non Si seguitassero i primi, che vi andarono: " or se una fimile
ripulsa molte canti ad andare incontro alla morte; dovrebbe
certament’essere di stimolo maggiore, per andare incontro alla vita migliore,
quando questi non trovasfero inoglie. Pub. Vedete voi,Semprouio,che
sconcerti sono questi, di non potere con facilità come prima trovare mariti a
proposito per le figliuole, c.questo da che na. sce, se non dalla cattiva
educazione della gioventù ? rifecrcte dunquc quano co debba premcre
questo affare anco alla Repubblica, Sem. Io lo scorgo molto bene; mà che
fi dovrà fare ritrovandoci in queste an. [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] Mec. Quello che disse quel Filosofo, che presc per moglie una donna
allai picciola, allorchè fu interrogato, perchè l'avesse scelta così, egli
rispose : perchè del male conveniva prenderne il minore: il fimile anche dirò
io de'mariti difetto Hhafi; di prendere quei che hanno vizj me. no
considerabili , che fono appunto quelli che riescono men disdicevoli alla
condizione del galantuomo. Sem. Maritandofi dunque con questi, che buona
direzione doverà darfcle da genitori? Mes. Debbono i genitori allorche le
maricano non seguitare quel caccivo costume di alcuni , che le consigliano a
farli rispectare, e ftare sostenute con tutti, di non farli sottomettere alla
prima, perchè diverranno, così facendo, infelicissime, quantunque portassero
groffa dote, mà le consiglino bensì nella forma, che fecero i genitori di Sara,
allorchè la consegnarono per isposa al secondo Tobia con groffa dore; ed uditc
ciocchè fecero Tob, 10. Apprebendentes parentes fo. liam suam ofculari funs
eam, & dimiferunt ire monentes eam, bonorare foceros, diligere maricum,
regere familiam, gubernare domum, da se ipsam inreprebensibilē exhibere.
Sem. E se un Padre avesse tre , o quattro figliuole, che si volessero mari
tare [ocr errors][ocr errors][ocr errors] tare cuite, chc dovrà egli
fare, non efrendo molio ricco? Mec. Maricarle , con dar loro quella dote
più congrua, che può. Sem. Mà li scomoderebbe troppo privandosi di sì
considerabile somma di danaro, o quantità di roba, che con. veniffe dar loro
maritandole turce. Mec. E come potrebbe farac di me00? Sem.
Potrebbe farlo beniffimo con efortarlca fará Monache. Mec. E se non Gi
volessero fare? Scm. Non mancano modi al Padre accorto, che ci facciago,
o colle buones ocolle cattive. Mec. Padre voi chiamare colui, che vuole
sforzare la volontà delle figliuole? chiamatelo Padrigao, non accorto,
màcrudele; perchè qual delitto hanno queste commesso da chiuderle in vitas.
contro il loro genio? Sem. Come chiuderle in vita, trattantandosi'di
darle, e consagrarlo a Dio? Mes, Non si chiama darle a Dio , [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] qualia quando la loro volontà non ci
concorra, nè consacrarle a lui, quando non ci sia il lor consenso : questo li
chiamná porle a penare continuamente, non avendole iddio chiamare a questo
stato : ( guai a quei Padri , che lo faranno, perchè del bene, facendone tanto
poco, che non basterà loro , punto non ne parteciperanno: del male si che ne
faranno partecipi di molto, essendo capaci di farlo, trovandoli in iftato di
disperazione. E fappiate, che mi fù riferito un caso orribile di una di quelle,
fatta Monaca per forža, la quale , quando ebbe eseguito quanto defideraya il
Padre, lo chiamò alle grate del Monastero, cgli disse alle orccchie : fignor
Padre or farcte conten. to, che mi avere levata di casa.in que: fto mondo
non ci rivederemo più ; må bensi nell' altro ed in pellimo luogo, perchè ci
danneremo ambiduc . E che vitupero è questo ; per far godere i maschi, li hanno
da porre in disperazione Je feminine? Se voi non potere dar loro dieci mila
sçudi di dorc, dategliene me no, [ocr errors] cina no , ed
acca sacele; quando volontaria. mente non siano inclinate alla vita reli
giosa. Non vi chiederanno già quel tal e giovane per i sposo, mà vi faranno
dire bensì, che la loro vocazione sarebbe di accasarli . Starà
dunque al Padre marii tarle a chi più gli aggrada ; mà so ben io da che ciò
procede. Sem. E da chc? Mec. Dall'eccellive doti, che corrono, le quali
oltre il dispendio,che apportano per le spese grandi, che si richiedono
allorchè â prendono, angustiaao ancora quando hango a darli altrui nel
maricarsi le figliuole. Sem. Or io non voglio nell'anima. mia questo
peccato ; fe li vorranno maricare cutte, le lascierò mnaritare; mi diremi: che
dote farebbe proporzionata, Publio ? Pab. Quella , che fi foleva comune.
mente costumare prima , che foffero inse dal Prencipe , come già dicemmo ;
e se [ocr errors] Hh 4 feaveste da trattare co persone
discrete, potreite anche di loro francamente, che non vi curate di tanti lussi,
e perciò volece dare quella dote, che si costumava in quel tempo, che questi
non vi erano: o fi contenteraano, e voi averete fatto doppio negozio, essendovi
anche accertato di appareatare con gence discreta , e capace; se poi non lo
vorranno fare , averete scoperto , che non sono a proposito per vostra
figliuola, volendo clli vivere con pompa , e lusso eccellivo. Sem. Questa
dote li dovrà consegnare libera ? Pub. Questo poi nò; perchè potreb. be
alienarli , c restare la voftra figliuola indotata, Sem. E se non
vorranno concludere il matrimonio fenza la dote libera? Pub, E voi
sconcluderelo affatto ; perchè è un pessimo segno, quando si pretenda questo,
denotando che ci sia bisogno in quella casa di danari. Questo sì, che sposata
che farà, consegnare allo fpolo quanto gli avste prometo; perechè non porrere
immaginarvi mai, quan. ti difturbi aascono tra conjugi per quem fta benedetta
dote promessa, e non pio gaca ; provando bene spesso le povero mogli, per tal
cagione, molti mali trace tamenti. Sem. E se non mi trovali il danaro
pronio? Pub. Prendcrelo più costo ad interesse, e perciò i saggi Padri di
famiglia sogliono essere buoni econoini, con met. tere da parte ogni anno
qualche fommi di danaro, per essere anche puntuali allorchè locano le loro
figliuolc; e fanno coato allora di fare vantaggioso rinvs. Itimento. Som.
Sarebbe dunqne bene, che s'iq. dutriassero i Padri di famiglia coi trafichi, e
s'impiegaffero con fervore in fare confiderabili avanzi. Pub. Di far
qucfto non sono cenuri in costo alcuno; bilta ch'elli non fcia. lacquino le
loro rendire, perchè li poslono anche fare avanzi congderabili in questo modo ,
ellendo che: Parfimonias eft magnum veftigab. Sem. [ocr errors][ocr
errors] 1 [ocr errors] di ; Sem. Almeno lo doverebbero fare,
avendone molte da maritare. Pub. Neanco; perchè il buon Padre re, ed
avendole educate bene,molti concorreranno a prenderle, e con onesta doto,perchè
porranno a cõro la buona educazione per qualche migliajo di scudi, essendo
realmente essa l'equivalente;onde saggiamente diffe. Plauto in Aulu. Dummodo
morata rectè veniat dotata eft fatis, ed Orazio nell'ode
24.li: 3. Dos eft magna parentum Virtus, metuens alterius
oiri Certo federe caftitas. Sem. Oggidi vogliono però dote, e
non chiacchiare. Pub. Sì quelli che s'innamorano della dote , o vogliono
spendere più della loro pollibilità ; quelli però, chcbramerango avere una
moglie saggia, conlide. reranno in primo luogo le sue buone qualicà, e di
queste faranno maggior ca. pitale, che della dore, la quale è mero bene di
fortuna, dove che quelle, non fo [merged small][ocr errors][ocr
errors] [ocr errors] solamente non sono soggette alle sue in- costanti
vicende, mà sempre crescono di valore , onde faggiamente Orazio eb-
be a dire nella r. Epistola. Vilius argentum eft auro , virsusibus
au- [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Sem. E se il Signore mi
delle', in 32stigo de mici peccati, una figliuola risentita', vana, pronta,
loquace, contenziosa, che con tutta la buona educazione non si fosse potuta
mutare, volendo questa marito, che averò da fare? Pub. Trovarle uno
simile a Socrate, che fu li sofferente colla sua dispetrosa Sancippe ; cioè a
dire un giovane sodo , prudente, non iracondo, mà soItenuto. Mec. Vi fu
però quel filosofo,il quale diede una sua figliuola simile a questa ad ug fuo
nemico, e ricercato perchè avesse ciò fatto , rispose : per gastigarlo :
Sem. Doverò in quello caso conte. nermi nella moderata dore ? Pub. Per
levarvi di casa una figliuo: la di questa forra, non dovete reftare per
dat [ocr errors] . 492 Conf. 8. Deco feconda la doro, perche date allo
sposo un grande osso da rodere, onde, è di dovere, che gli diate ancora un poco
più di polpa, per consolarlo , cd a fine, che ci abbia ancora un poco più di
soff:renza. Sem. E se questa, la prima volta , che contrastasse con suo
marito, tornaflc a casa mia ? Pub. Voi immediatamente dovete rimandarla a
casa sua, senza darle alcun ricetto, e sgridarla ancora; acciochè non fi
avezzafle a farlo più in avvenire ; con dirle apertamente, che colà hà da mori.
re, perche se il Padre comincierà a dar. le ricetto, è finira; ogni giorno
seguirango'nuovi sconcerti, e perciò il Profeta saggiamente disse: Obliviscere
domum Pa. tris tui. Mec. Un saggio Padre in fimile avveniincnto fè
questo: Si portò egli medelimo colla sposa dal genero , e gli disse. Per grazia
vi chieggo, che per questa prima volta le perdoniate per amor mio, nà se mai
succederà cosa fimilc in avvemire, datele pure quel gastigo, che vor.
гс [ocr errors] rece; perchè io non intendo più inters porre nè pur una
minima parola a suo favore ; anzi che non la reputerò più per mia tigliuola ,
trasgredendo i vostri, e miei comandi. Ella , che credeva, che suo Padre fosse
scco andato per isgridare fuo marito, perdè l'orgoglio a segno, che in avvenire
muco modo di vivere. Sem. Se avelli una figliuola brutta, c mal fina, e
volelle marito, che avcrò da fare? Pub. Primeramente vi dovrete informare
col vostro Dottore,se possano i suoi difetti pregiudicarle nel pártorire, con
porre a risico la sua vita ; accertato che farete di questo , che non poffa
seguire, maritätela pure nel miglior modo, che potretc, darele anche buona
dote per avere un uomo di propofito. Mec. Vi fu molti anni sono una
lice per cagione, ch'essendosi sposata senza il consenso de suoi Genitori una
giovane, perchè il di lei Padre pretendevas darle la dote stacutaria, e lo
sporo ne chiedeva di vantaggio ; essendo che oltre gli altri difetti , che
aveva era statas sempre senza denti : giunse queftas istanza all'orecchie del
Prencipe , il quale ordinò che fossero alla rolitas dote accresciuti duc
mila scudi di più , per uguagliarc i difetti, che aveva la sudetta sposa.
Sem. Mà se non si affacciaffe alcuno, che li voleffe, non si potrebbe stimolare
a farsi Monaca? Pub. Questo sarebbe peggiore facrificïo dell'altre, che
volevare dare a Dio, essendo stata rifiutata da tutti gli uomini; e militando
per questa ancora le medefine ragioni, non lo dovete fare ; se non farà chiamata
da Dio a questo stato; onde la potrete tenere in casa vostra , e procurate, che
ha servita più degli altri voltri figliuoli:non dovendo voi permetrcre che
all'interne sue imperfezzioni, vi si aggiungano anco gli esterni
(trapazzi. Sem. E con quelle che averanno la vocazione di farsi Monache,
come mi doverò contenere ?, Pub. [ocr errors] Pub. Primieramente di
far esplorare beo bene la loro volontà , per accertarvi, le lia vera vocazione,
c non disperazione ; perchè alcune in questa cadono alle yo!ce, e precisamente
quando non possono avere quel marito, che bramano; e scoperto che ayerere, che
siano chiamate da Dio,adocchiare tre, o quat. tro Monasterj de più osservanti,
į di diversi istituti, e fare ad effe leggere le i loro regoles acciocchè
sappiano ciò,che - doveranno fare ; e dipoi dice loro, che fi scelgano
quell'istituto,che piace loro, e fatele pur monacare. Sem. Sarà bene di
tenere loro una conversa per forvirle? Pub. Sc alcuna fosse
stroppia, venendole permesfo,fatelo, per altro non inno. vate cosa di vantaggio
di quello, che ivi fi suole praticare dalle altre ; questo sì che dovrete far
loro il livello costumandosi, e consegnarlo, acciocchè lo faccia. no riscuotere
a loro modo,affinchè nó ab. *biano da stare dopo la vostra mortc all'
indiscretezza de fratelli, i quali foglio [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] no essere molto trascurati in
soddisfarle, e trattatele in modo, che nő abbiano bi. sogno di soccorso altrui;
perchè così viveranno staccatiffime dal secolo. Sem. E se qualcuna
volesse imparare a cantare,efsendol già dichiarata di far. fi Monaca?
Pub. Non permetterei quefto ; perchè, se poi fi mutasse , ilche sarebbe cosa
ficile cantando delle belle ariette, voi rimarrette colla cantarina in casa;
ditele bensì che lo imparerà allorchè larà Monaca, perchè ivi averà delle altre
compagne ancora, colle quali si potrà esercitare per meglio apprenderlor
Sem. E se volesse viaggiare un poco per il mondo , prima di chiudersi?
Pub. Questo neanco firebbe ben fit. to ; perchè col viaggiare si può vedere, e
trattandosi,udire più d'una cosa, che po. trebbero rimuoverla dal suo fervore,
e. quando questo desiderio procedesse per cagione di divozione, conducerela in
qualche luogo de più vicini,ove sia qual. chc divoro Santuario, per consolarla
. Soma 1 '1 Sem. Se bramasse vestirsi da sposa prima di
monacarsi, e ricoprirli di gioje, hò da permetterlo ? Pub. Alifte por
motivo di potersi fare l'antichissima consuetudines per altro doyendofi sposare
col Signore , non mi pa. jono simili abiti da esso graditi, mà ben. † sì
i più modefti: Una sola riflessione in & favor di ciò ci potrebbe essere,
che si portassero per dispreggio, facendo vedere allorchè li spoglia di
esli per rivestira dei sacri, che li rinunziano tutte le pompe, e vanità
mondane. Sem. Rimanendo redove le figliuole , averò da riceverle più in
casa inia? Pub. Effendo uscire da casa vostra, ed essendosi già
dimenticate, come vuole fil Profeta,di essa, non siete più tenuto di
riceverle :- e perciò fi foleva ancora nei Kriti degli átichi Romani praticare
colle Spose di muoverle nell'uscire dalla casa paterna più volte in
giro affinché si die : menticassero affatto di ritornavi più . 4 Sem. Mà
se rimaneffero vedovc affai giovani,e senza figliuoli,che averebbero da fare
così solc li Pub. [ocr errors] Pub. In questo caso, se volessero
corparvi, mostrerebbe essere crudele quel Padre, che ricusaffe riceverle.
Sem. E volendoli queste rimaritare toccherà al Padre penfarci? Pub. Lo
ponno fare senza il di lui consenso; bene è vero però, che le fuggie figliuole
fogliono col consiglio pacerno regolarsi in tutte le cose, ed in particolare in
affare di tanta premura , conforme è questo. Sem. E se avesse più
figliuoli anche pargoletti potrebbe penfare il Padre prima di morire a qualche
ripiego, affinchè fossero questi ben' educaci;perchè rimaritandoli la loro
Madre poco penlicro Gi prenderebbe di effi il Patrigno nell'edu. carli.
Pub. A questo ci vuole un poco di tempo per rillerrerci bene, onde ne pare
leremo nella seguente.i Sopra l'educazione de Pupilli: e come debba ciascuno
portarsi verso i suoi genitori defonti. [ocr errors][ocr
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Mec. A pena maggiore, che possa avere il Padre moribondo, essendo egli in
sen. timenti, mi persua do che sia questa: di lasciare i figliuoli
pargoletti, dubicando, che non solamente possano esserc danneggiati nella roba,
mà ezian. dio nell'educazione; posciache rifletterà facilmente , che quando la
Madro pallasso alle seconde nozze, poco penGaro li prenderebbe di elli il
Patrigno, ela pro propria Madre molto certamente farebbe dividendo
l'affecto per merà trà elli , cd i figliuoli gencrati col secondo mari. to.
Laonde la loro educazione Iddio sà comc anderebbe. Sem. Mà ti è pur
bastantemente proveduto 'a tali sventure, con Tutori, e Curatori ; come dunque
potrebbe andar male l'educazione di effi, venendo cosi bene affiftiti?
Mec. Può essere , che a tempi antichi li Tutori fossero di giovamento a Pupil.
li : oogidì però tra questi fanno nulla i mediocri; fanno bensì del gran male i
cattivi, e gli occimi, che operino all'antica sono così pochi, che non sò se
arriveranno al numero di quelli buoni , di cui parla Giovenale : Boni
quippe homines numero vix funt totidem quof Thebarum poriæ , vel
divitis oftia Nili. Sem. Udii pur da voi , Publio, nella Conferenza
decima della decade passa. ta;effere utili alla Republicà gli Economi; or come
dunque i Tutori, essendo an [ocr errors][ocr errors] anch'elli
Economi, possono apportarc e questo gran mile. Pub. Tra l'Economo, ed il
Tutore ci è differenza potabile; conciofacosache all'Economo non appartiene
l'educazione de figliuoli; ed essendo egli splendidamente riconosciuro delle
sue fatiche procura di servire con somma fedeltà, per accrescere, o mantenersi
almeno il credito acquistato , a fine di essere ados, perato in altre fimili
contingenze; essendo che per profeffione lo esercita ; dove che il Tutore,
dovendo anche invigilare alla educazione , vedendosi poco, O nulla riconosciuto
delle sue maggiori fatiche, non è cosìgeloso della sua estimazione in cal
ininisterio , per non cu. rara punto di fimile briga inutile ,
fpecialmente chi non opererà per virtù, la qual'è da pochi seguirata, e
maggiora mente se non si vede rimunerata secondo il sentimento di Giovenale, il
quale dice: Quis enim virtutem ample&titur ipfam Prema fi
tollis? Laon. [ocr errors] 0 li 3 Laonde non
recherà maraviglia se eras efli vi saranno de cattivi. Sem. E questi, che
mali potrebbero apportare, Mecenate? Mer. Primieramente di lasciar fare a
figliuoli ciocche eff vogliono , e poi ponno prendere tanto amore alla roba
de’Pupilli, che se vogliono, possono arri. vare ad appropriarsene buona parte
di cffa. Sem. Edin che modo ? Mec. Faranno comparire debiti
antichi, i quali furono gia pagati, ed accordandoli con detti finti creditori,
fi divideranno per metà il furto, dando loro indietro l'antiche ricevure ;
lascic. ranno vendere all'incanto i corpi più frucciferi , ed effi vi faranno
offerire sot. to mano ; & farà cal vendita, nella quale farà grossa
senfaria a lor favore; faranno rinvestimenti con persone fallite , e non senza
considerabilitimi approvesci loro; in somma, per non infpiegarmi di vantaggio,
sarebbe assai meglio, che questi non ci fossero ; perchè almeno se
spregasscro i figliuoli anderebbe per sodisfare i ca. pricci di chi
n'è padrone. Sem. Costumeranno di far questo i più
bisognofi. Mec. I bisognosi lo faranno per biso . gno, ed i non bisognosi
per arricchirsi di vantaggio. Sem. Mà è possibile, che nel Mondo ci sia
gente così iniqua che lo faccia? Mec. Questa è questione di fatco; di.
cendomi il mio Procuratore , che giornalmente accadono liti di rendiinenti
de'conti in cause de Pupilli, e che si vedono prodotti certi libri di
amministrazione così intricati, per ricoprire le magagne, che ben si scorge
essere stati fatti così da gente molto maliziosa . Sem. Talinente che voi
non lodate, che si diano a Pupilli questi Tutori? Mer. I cattivi
certamente noa posso lodarli. Sem. E quali saranno i buoni?
Mec. Quelli, che ricuseranno di ac- cettar qucfte brighe
Sem. I cattivi non sono a proposito, i buoni non vogliono accettarle ; dunque
bisognerà cadere a prédere per necelfità i mediocri, che non fanno nè bene nè
male. Oh confideriain corne p')trà andar bene l'educazion de figliu li !
Mec. E perciò doverebbe ogni b:100 Padre di famiglia aver un amico confidente
di lom na integrità, è che fosse anche informato de fuoi interelli, e que. fti
impegnarlo da molto tempo prima ad accettare, se li delle mai il caso, ch' egli
morisfe in tempo, che i suoi figliuo. li avessero bisogno di guida, che voleffe
fargli carità di tenerli, ed allevarli, come se foffero fuoi ; senza però
discapito di borsa; ed è cosa facile , che prene desse allora l'impegno di
farlo, perchè fi lusingherebbe, che ciò non fosse per seguire in breve.
Sem. Signor Mecenate mio, scusate. mi, se passo taor'olore; vedo oggidi il
mondo così corrotto che dubiterei molto, che l'amico si ponesse anche in luogo
di Padre con isposare la moglie del l'amico rimasta vedova . Mec.
[ocr errors] Mec. Questo non doverebbe farli da un buono amico, Sem.
Questo ancora è di fatto, conoscendone qualcuno , che lo hà bevislimo
praticaco, e lo sò con tutto che io ab. bi. meno anni di voi. M:c. Losò
anch'io; mà questo diceva per vedere di fuggire il maggiôr male; or dunque
bisogna conchiudere, che doppia disgrazia lia, quando i Padri muojono
giovani, Sem. In fimile intrico dunque o biso. gierà , che il Dotcore
trovi rimedio, che in tal erà non si inuoja , o pure tro. Vire chi poffi
fedelinente indirizire cali Pupilli: avete voi, Doctore , un simile rimedio
? Med. Rimedio per non morire non si è trovato fin'ora; ben è vero però,
che a prolungare la vita con tenersi lon, tani da cerci spropositi massicci ,
che possono abbreviarla, a questo si può are rivare. Sem. Ed in che
modo Med. Contenendosi con moderazione nel [ocr
errors][ocr errors] nell'esercizio conjugale; perchè ci so. no taluni, che si
pongono alla disperata in tale facenda, come se nel dì seguente la moglie
dovesse essere loro rubata, senza avvederfi, che ruberà la morte elli alla
moglie , continuando tal vita; oltre poi tanti altri disordini accompagnati a
queste. Bisogna dunque, che viva re. golato chi ha figliuoli di tenera età , e
non li fidi della gioventù ; perchè que. sta tradisce bene spesso, e che
consideri il danno, che apporterebbe alla sua famiglia , con morire prima
d'invecchiarli. Sem. Questo si può fare ; mà se non baftaffe ? perchè hò
veduto morire anchci giovani non aminogliari , e ben regolati ancora ; che
doverebbe dunque farli per terminare la vita non tanto dolorosamente?
Pub. Hò udito riferire, che in alcune città vi lia una specie di magistrato ,
composto di persone di sperimentata integrità, le quali invigilano a questo ;
onde introducendoli trà di noi potrebbe con consolar molto i Padri,
cui seguiffc fimil e disgrazia duplicata, per lasciare i figliuo li non
atti ancora a poterli da se regola [ocr errors] re. [ocr errors]
Sem. Questo mi piacerebbe, e vi prometro, che procurerei ach'io di entrare in
derto magistrato. Pub. Se vi avelli da porre io, due di difficoltà ci
avrei ; la prima , che fiere troppo giovanezessendo cariche da con.
ferirsi a persone di provetta e à, e l'al tra perchè voi lo chiedete,
essendo che A finili impieghi, doyendosi conferire a solimericevoli,
aleuoi di questi più toe $ fto li ricusano, che li domandino; ed è a cosa cerca
, che colui, che brama un ins cumbenza, non solamente senza lucro, mà di
molto incomodo ancora', qualche fine vi hà per lo più vantaggioso per se..
medesimo, il quale potrebbe rendere infructuoso ogni vantaggio, che da ello, si
speraffe . Serth Che averebbero da fare quefti? Pub. Primieramenre
d'inventariare fedelmente tutto quello, che avesse la. [ocr errors]
sciato quel defonto, di eficare poi il superfluo , e non fruttifero, e
rinvestire il ritratto in faccia de Pupilli , con fare le cose chiare, e senza
procacciarli emolumento alcuno . Sem. E che altro? Pub. Di dare
fefto immediatamente all'educazione; con porre nel migliore feminario i maschi,
se saranno di erá ca. paci, e le femmine in un Monastero dei più
csemplari. Sem. Ele rendite chi le amministrerà? • Pub. Un ministro
salariato, che fia capace, o più secondo l'azienda che foffe, i quali rendessero
esatto conto ad uno dei detti sopraintendenti dell'ope. rato ogni settimana,
per potersi poi, da più di elli congregati ogni mese, risol. vere gli emergenti
più difficili, che ac. cadeffero. Sem. E degli avanzi, che si
farebbe? Pub. Andarli rinvestendo , allorche foffero arrivati ad una
certa somma, con tutte le dovute cautele acciocchè fosse. ro fatti a ragione
veduta.Sem. Nello stabilirli poi divenuci adulti chi ci penserebbe? Pub.
Quci deputati medesimi, che sopra intendono all'amministrazione. Sem. E
se caluno di questi avesse figliuolo , o figliola, ed apparenrasse cilin eli: 0
pur faceffe quello che fu obiettaco a Tutori. Pub. Vi sarebbero sopra di
ciò, le suc regole, in quali casi li dovesse proibi. re, o ammettere tra esli
l'apparentarli; perchè quando mai fossero eguali, che male farebbe
l'appareatare con gente scelta, e capace a bene dirigere. Oltre di che con qual
amore di vantaggio liarebbe amministrata quella roba ; ¢ qual educazione più
vigilante riceverebbero questi in cal casoBafteşebbe, che non entraffero poveri
in detra soprainten denza affinchè non seguissero casi disdif cevali, che
daffero occalione di inormo, rare , ed essendo questi scelti nobili, c
bencftanti, non li indurrebbero a far quelle cose, che furono obiercare a Tucori,
c tanto più ch'essendo molti a for pra [ocr errors] sopraintendere
difficilmente tra questi vi sarebbe chi potesse, anche volendo, defraudare
iPupilli in cosa alcuna per la vigilanza degli altri. Sem. E se in detta
amministrazione seguisse qualche disgrazia, chi sarebbe teauto-a
risarcirla? Pub. O questa seguirebbe casual. mente, senza colpa altrui,
ed in questo caso non sarebbe a ciò tenuto alcuno , mà se poi ci fi scorgesse
inalizia ; il delinquence farebbe obbligato a risarcirla. Sem. A fare
ottenere loro buoni impieghi, e provedecli di cariche proporzionate alle loro
condizioni, e capacità, chi vi doverebbe pensare, fatti aduki ? Pub. Il
medesimo inagiftrato, atinchè con ragione di potessero chiamare quei, che lo
compongono veri Padri della Patria, cgran sollevatori de Pupilli ; mà divenuti
questi capaci sapranno da se medesimi farli strada per il conseguia mento di
effe. Sem. Sino a quale ctà doverebbero Rarc fotto tal depucazione?
Pub. 11 [ocr errors] Pub. Le femmine fino a canto,che fora ossero
collocate ; i maschi poi non sareb* be male in tempi si calamitosi, che
vi stessero fino a tanto, che fossero atti, è 1 capaci di sapersi
regolare da se mcdefifoto mi nell'amninistrazione de loro beni. Sem. E se
caluno di questi rimaneffe d incapace di operare a dovere? Pub. Affinchè
non dilapidaffe il fuo, converrebbe tenerlo soggetto sin tanto, i che vi fosse
chi porelle prendere partii colare direzzione di effi, come sarebbe di qualche
fratello di giudizio , o altro pa• from rente ricco; pio , ed onorato.
Sem. Mà questi pareori, perchè non potrebbero anch'elli prendersi il pensie.
iro di amministrare detta roba de Pupilli, alineno lin tanto, che foffe
ftabilico fimile magiftrato? Mec. I Parenti , Sempronio mio, talia dc
quali però, sono peggiori degli altri, perchè prendono maggior
contidenzas colla roba de fuoi parenti è perciò facilmente se
l'appropriano;onde di questi non vi prevalec, se non quando li scor
gere gerete con lunga sperienza, che siano ve. ramente difinteresati,
Pub. dove sono andati quei parenti antichi , che avevano premura maggiore della
roba de loro congiunti,che della propria : hò veduto io alcuni di que. Iti
mettere fuori somme confiderabili di danaro per folicvarli nelle loro angustic,
ed ancor fenza alcuna usura ; ve ne fu uno tra gli altri, che prese
l'amministrazione di un luo cognato, il quale eras quali che fallito, e lo
ripose in piedi, con liberarlo da tutti i debiti da esso fatti, che ascendevano
a fomma molto considerabile. Sem. Ritornando alla grand'opera di cariià
del sudetto Magistrato , mi perfuado, che in quei luoghi, ove li costu. i
Padri morranno senza avere da pensare all'indirizzo , che dover ango • avere i
loro figliuoli divenuti Pupilli. Pub. Occalione non hanno di ricerca.. re
altri inodi : posciache questo Magiftrato pensa non solamente a diriggere i
Pupilli ricchi, ma anche quei che riman goo [ocr errors] gono con
mediocre commodo. Sem. Oh luoghi fclici, ove la morte non reca tanto
cordoglio, divenendo ivi l'amore, e l'autorità paterna a guisa di fenice,
che rinascono, ed alle volce più i profittevoli a figliuoli di quello, che
fos fero prima a cagione dei Padri trascura#ci, e nel costume , e
nell'economia , e se per questi ancora ci fosse qualche cenfoi se, quanto
anderebbero meglio le cose? Mer. Voi, Sempronio, che non avein te ancora
piena sperienza del mondo vorrelte aggiustarlo in un tratto ; come
fogliono fare alcuni zelanti giovani , allorch' entrano a governarne qualche
particella di efto. Abbiare de me questo configlio, cavato da Licurgo, che
nelle riforme bisogna camminare affai lenta. mente, e con molta circospezione ,
per non cadere in peggio. Sem. Che doveranno fare i figliuoli per
mostrarâ grati verso i loro genitori defonti? Pub. Due cosc, la prima è
di mante, gere nel mondo la meinoria onorovolsdielli, e l'altra, che
maggiormente preme, di alleggerire le loro pene, che possono foffrire
nell'altra vita. Mec. La prima dagli Egizi li praticava con imball mare i
corpi de' loro genitori, e questi conservavano anco gli atavi , i tritavi, con
quel auiero maggiore degli ascendenti, de quali furono eredi, e con quanta
stima, c vencrazione universale! che se ac loro sommi bifogni avessero avuto
necessità di danari, impegnando una di queste mumie, ne trovavano quanti
facevano loro bisogno ; perchè avevano il pensiere di riscuoterle in breve. Gli
antichi Romani ancora fabricavano tempj alle memorie de’loro Padri, o per lo
meno ftatue per mano di eccellenti scultori. Sem. Come si doverà fare per
mantenere viva la memoria de genitori? Mec. Se sono stati illustri per le
loro rare virtù, e maneggi, debbonsi anche imitare da figliuoli, per fare
scorgere a chi non li conobbe, di essere le loro virtù passare in effi;
insegnandoci l’Ecclelia. [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors]
ftico al 11. che in filiis agnofcitur vir. Sem. E se avesse dato alla
luce opero letterarie , doverà imitarlo in queste ? Mer. Certamente più
in queste che pcll'edificare ville sontuose, posciache quelle di Cicerone, e di
Seneca fono già da gran tempo distrutte, ma non già i loro libri, i quali
continuano i loro anni sempre più gloriofi alla fama. Pub. Fù interrogato
un favio, se fosse più defiderabile l'acquistare un regno, o l'avere dato alla
luce qualche operas dottrinale, utile a posteri; rispose egli che la seconda ;
perchè della prima non pofsiamo eslerne altro, che meri usufrutruarj,
privandoci della proprietà di esso la morte, dove che della feconda ne Gamo
perpetui poffeffori ,accrescendo più tosto la morte il valore di essa, e perciò
con ragione diffe Giovenale : fat. 8. Libera fi dantur populo fuffragia
quis să Perditus ut dubitet Senecam preferre
Neroni. Sem. E se non avessero fatto cofa al- cuna
memorabile ? Kka Mer.
[ocr errors] Mec. Debbono i figliuoli incominciare a farl’elli ; perchè
diccndoli poi fatte dal figliuolo del rale, anco i genicori faranno partecipi
della gloria di efsi. Sem. E se fosse stato un gran Capitano, ed il
figliuolo non avesse quel coraggio, che si richicde in tal carica ? Mec. Procuri
egli di uguagliare la fua gloria in cose concerncati alla pace; perchè si
dira:il Padre fè prodezze grandi in guerra, e questi le ha fatte in affari
di pace. Sem. Lasciando debiti più del suo capitale dovrà il
figliuolo fodisfarli del fuo, quando avesse? · Mec. Certamente che sì, per non
farlo dichiarare fallito ; e di vantaggio le fors' egli ne paeli Elvetici, per
non riceverne infamia; cottumandog colà gaftigare anche i defonci , che per
malizia feceto più debiti del loro capitale. Sem. E se avesse ricevuto
fuo Padre qualche ignominioso gastigo?. Mec. Doverà egli allontanarli dos
quel qu I paesc, per non udirne dir male pui blicamente, non potendolo
scusare; per altro se fosse stato' cattivo a quel fcgno , che non avesse
meritaco‘limiles ignominia,doverà colle opere buone, e a gloriofe
cancellare ogni memoria po. co buona di esso; perch' essendo pro? prietà
della luce scacciare le tenebre così ancora delle buone operazioni
pre fenti è di cancellare la memoria delle 8 carrive passate.
Sem. E se lo avesse privato dell'eredi. tà parerna doverà farannullare il
testa. mento , avendo ciò fatto senza cagione? Mec. Sofferendo ciò farà
credere, che certamente lo faceffe fenza cagione , . i poichè facendo
altrimenti, se non l'ebbe allorchè lo fè, la previde, per dichia. rarsi
dopo la sua morte il figliuolo concrario alla sua volontà, e di ciò ne dierono
un memorabil'esempio i figliuoli di Metello, i quali, quantunque esclisfi
contro le leggi, non vollero,per riverenza dovuta ai Padre , far istanza alcuna
in contrario. Sem. Kk 3 Sem. Se un Padre ainoroso de fuoi
figliuoli, ed anche pio, volesse, allorchè stà vicino à morte, far distribuire
qualche fomma confiderabile di danaro a poveri , ma perchè l'amore verso i
figliuoli lo portasse a farne effi consapevoli, per vedere se fossero contenti
di ciò, come dovranno contenerfi in fimi. le affare? - Mec. Uniformarsi in
tutto , e per tutto al volere paterno , c sappiate che Iddio non solameate
gradirà tal atco , mà lo rimunererà ancora . Pub. Un caso prodigioso si
racconta a questo proposito nel Prato spirituale di un uomo dabene, e fomnmo
elemosiniere', il quale, ritrovandosi vicino a morte, chiamò il fuo figliuolo,
cui dopo avergli fatto vedere una gran somma di danaro disse:figliuolo,che
gradirete più, che vilasci questo danaro, o pure, che vi deputi Gesù Cristo per
vostro curatore rispose il figliuolo: averò più accaro il mio Gesù per curatore
: ciò udito fece dispensare a poveri tutto queldanaro: cosa fè il giusto, e
supremo Cu. ratore? Si ritrovava in Costantinopoli, ove egli dimorava , uno
de'principali, ch'aveva una sola figliuola, la quale per essere ricchissima
veniva da molti desiderata per moglie ; il gran Curatore dell'orfano ispirò
alla Madre di essa, che infinuaffe a suo marito, qualmente la loro figliuola
avesse più bisogno di un uomo faggio, che di ricchezze, e che maritandola a
qualche Signore correva pericolo ch'ella fosse malamente trattata: Piaccque cal
consiglio al marito , il qnale repplicolle : preghiamo dunque Sua Divina
Maesta, che glielo dia a foo compiacimento, ed andare voi in quefto punto
alla Chiesa a supplicarla,e có. ducetemi quello, che immediatamente entrerà in
Chiesa dopo di voi ; qual fù appunto il pio, e generoso pupillo, dal suo grã
curatore arricchito in un istáte. Mec. Or vedere voi, Sempronio, ch'
effetri buoni produce l'uniformarii colla pia volontà del Padre, e quanto si è
detto del Padre doyerà aacora inrcn. der, [ocr errors][merged
small][ocr errors] Kk 4 dersi della Madre, in tutto quello, che apparterrà
a figliuoli. Sem. In che doverà con Gftere il bene che sono tenuti di
fare i figliuoli, per l'anima dei loro genitori? Mec. In sodisfare in
primo luogo tutti i loro debiti, e legati pij, ed adempio re prontamente le
loro disposizioni. Sem. Må se non ci saranno danari pronti, si averanno
d'alienare gli effetti? vi saranno pure i suoi tempi da sodisfar-, li con
commodo ? Mer. Sapete che detti effetti , ne' quali ci è debito; non
vanno considerati come propri, e per ciò, non entrando nell'eredità a favore
dell'erede, che gli dee importare, che si vendano ? fe poi li vuole appropriare
a se, ci prenda danari sopra, se non gli hà, e fodisfaccia chi dee averc;; e se
per cagione di detta dilazione quella povera anima penaffe in. tanto, oh
che bcll'amore moftrerebbe il figliuolo per suo padre, lasciandolo cor. mentare
! Il più chiaro contrafegno di affetto verso fuo Padre è questo, di ob
be [ocr errors] Les bedirlo sollecitamente in fodisfare cioco che diipone
li faccia seguita la sua morte Pub. Or io sono di questo parere, che non
si debba aspettare fino alla morte a fodisfare i debiti contratti, c le
opere o pie, che si vogliono fare, e maggior meate mi sono confermato in
questo leggendo, che vi fosse un certo uomo civile sì, mà assai povero, non
avendo altro, che quattro Sparvieri avvezzati alla caccia, coi quali si
alimentava; vc nendo egli a morte chiamò tre suoi fi& gliuoli, ene
lasciò uno per ciascuno, di cendo loro, che il quarto lo
vendeffero, e ne facessero tanto bene per l'anima sua morto che
fosse. I detti figliuoli il di venente, per vivere se ne andarono
alla caccia coi quattro uccelli, uno de quali seguitando la preda
non tornò più : co- minciarono a contrastare tra loro di chi fosse
il perduto, ed ogn'uno giurava, che quello, che era ritornato, ed aveves
sulle mani era il suo ; fi accordarono alla fine, che il perduro
era quello , che do- veva impiegarli in beneficio dell'anima
del [ocr errors] ! [ocr errors][ocr errors] del loro comune
Padre ; il quale rimase privo di quel bene. Sem. Oltre di questo
doveranoo far altro? Mec. Avere giornalmente una viva memoria di essi,
col raccomandarli a Dio in tutte l'orazioni, che faranno, fervencemente; perchè
non è picciolo il bene, che da cfli ricevettero, conGitendo in tutto il loro
etlere, e ciò facendo oltre il sodisfare a propri doveri, daranno anche chiaro
indizio deila loro buona cducazione. Sem. Vorrei sapere da voi , Publio,
so la vedova possa essere capace di ben’ educare i propri figliuoli,parendomi
che da principio ne dubitaffe Mecenate, con dire, che non farebbe poco a
dividere il suo amore materno tra i primi figliuoli, e gli altri avuti col
secondo marito, Pub. Perchè nò ; quando ella perseyerasse costante nello
stato vedovile, fosse dotata di senno, e prudenza, ftesse attenta , ed avesse
petio da farsi ftimare, c rispettare da efl, e Mecenatc parlò del
na delle vedove , che prendono altro mari to, non di quelle di cui diffe
Ovidio, [ocr errors] che. bes 01 ol Sustinent in
viduâ triftia figna domo. Sem. A trovare però oggidi chi sia il dotata di
tante virtù sarà cosa molto difficile, dicendo di queste Giovenale. Rara avis
in terris nigroque fimillima cygno. Pub. Si a voi, Sempronio, che
forse of anderete solamente in cerca de diferti ili donncschi, mà non già a chi
brama di trovare le virtù, per approfittarsene, o gi ainmirarle; e non
crediare già, che ogbe gidi le virtù sieno affatto efiliate dal d mondo, anzi
sappiare, che quando paa re, che i vizj (i dilatino maggiormente, do allora è
il tempo , ch'esse li affaticano in trovare ricetto dai più lavj, per
risplendere maggiormente : ed io vi poffo finceramente palesare, che ci sono
presentemente alcune vedove, le quali vivono con tanta csemplarità , che ponno
uguagliarsi alle antiche matrone, delle quali i Scrittori fecero tanti grandi
elogj.Sem. Bisogna che queste vivano molto ritirare ; c da ciò trascerà che, da
me non son conosciute, laonde notificatemi chi sono, affinche possa anche io
fodar. le, ed onorarle, come meritano , ed apprendere insieme dalle loro
operazioni qualche urile documento. Pub. Mostrare certamente troppa cu.
riosità , Sempronio, con volerle conoscore', e se avete deliderio di apprendere
qualche documento dalle loro operazioni , questo lo potrete appagare con udire
le relazioni dell'operato da esse, e tanto maggiormente, che queste non operano
a fine di acquistare gloria, må bensì di bene istruire i loro tigliuoli, e
perciò non fi curaro punto di essere lodate da alcuno, ed a voi è vietato anco
il farlo dall'Ecclefiaftico al 2. dicendo : Ante mortem non laudes hominem
quemquam. Sem. Informatemi dunque del modo, che questo hanno tenatoy e
tragono in educare i figliuoli? Pub. Quefte , Sempronio , sono quela
le res ope mogli,che amarono di vero cuore i loro
mariti, e perciò appresero da Didone ciò, che rifeșisce nel quarto
dell'Enei- di Virgilio : Ille meos primus qui me fibi junxit
ame- Abftulit ille, babe ai
fecum, fervetque se- pulchro.
laonde quantunque rimase vedove nel più bel fiore degli anni, non
vollero giammai acconsentire a rimaricarsi ; inà bensì rimirando
ne'figliuoli qualche par. ic de’loro genitori collocarono in elli,
per tal cagione cutto il loro materno affetto; e non li
potranno mai baftantemente esprimere le deligenze da esse usare
a pro dei loro vantaggi ; posciache , ia cu- ftodire,
ed accrcfcere le sostanze di clli, che cosa non fanno mai?
Sem. E come possono , essendo mancato il capo di casa, crescerle?
Pub. E pure ciò non ostante , l'hò osfervato in più di una di effe, c quello,
che mirende ammirazione, senza fordida economia , perchè mantengono illo
[ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] ro to
grado decoroso, senza scemarlo puoto: laonde sono meritevoli di quell'encomio,
che fè Cicerone a Craffo , ed a Scevoli, chiamando il primo moderatiffimo nello
fpendere fra i fplendidi , e l'altro splendidiffimo tra i moderati ; vi potrei
anche dire di vantaggio, che avendole osservate e faccillime jipitatrici del
bombice, il quale per formare la sua casa poge tutta la sua miglior softanza in
essa, onde spero, che l'imiteranno anche dopo morte, con divenire farfalle per
volarsene più speditanicnte al Cielo. Sem. Hò udito esaggerare tanto
cótro il luffo nelle passare conferenze ; como mai queste si fanno così bene
regolare in tempi, ne quali ci troviamo.? Pub. Vidifli parimente in
quelle , se ben vi ricorderete , che non mancava presentemente ancora, chi
viveffe net costume ancico, e che non si osservalle da tutti chi operava in tal
forma ; perchè pochi erano l'imitatori di efli, c da ciò nasce, che queste di
regolano con tan. tanta aggiustacezza, perchè vivono a quella
usanza, e se li vagliono di qualby che cosa dello presente, lo fanno con
gran moderazione, e più per salvare una certa apparenza, a fine di non
singolarizzarsi, che per vanità. Sem. Mà nell'educarli di che norma si
servono ? Pub. Di quell' appimnto, di cui già i parlammo , ina con
grandiilima atten#zione ; folamente di vantaggio hò osserte vato, che avendo
quefte già bene im bevuti i figliuoli del rispetto dovuto ad effe
ne'ceneri anni, divenuci poscia più ci adulti, deposto il rigore priiniero si
so no servite più costo della piacevolezza ; coli ed in questo modo hanno
continuato ad elggere curta la venerazione ad else dovuta da figliuoli.
Sem. E nel provederli d'impieghi comc li porrano? Pub. Volelle Iddio, che
con tanto fervore operaffino noi alori Padri conforme esse fanno' in questo;
effendoche taluna li ha così ben accomodaci , che : non non
si è renduta loro fenfibile la perdita fatta del Padre, trovandosi
presen!emente in istato tale, che possono contentarsi. Sem. Oh fortunati
figliuoli; se io fossi nei loro piedi , non mi dimenticherei gianımai di tanto
beneficio ricevuto da effe. Pub. Ed io pasferei più oltre, cioè a
riflettere i disaggi, che averano sofferto, per fare conscguire questo bene,e
quanto averanno cenuto occupata la mente co’pensieri, e quante vigilie averanno
sofferte. Or ditemi, vi pare che qucftc, che operano in tal forma, si possano
paragonare alle antiche Porzie , alle Cor. nelie, alle Avie , ed alle Pauline
che cosa fecero quelle più di queste, che meritarono la corona di pudicizia,
pero effere vivate nella stato vcdovile esem. plarissime e Sem.
Certamente che meritano qucm Ite ancora di esser coronate, e credecemi, Publio
, che questo vostro racconto mi hà sommamente confolatozed animato ingeme a
prendere moglie; perchè se io arrivafli á scegliermi una di queste, morrei
certamente men contristato , avendo chi supplirebbe le mie veci nel ben educare
i figliuoli. Mec. Abbiamo finora parlato della cducazione dei figliuoli
de benestanti, e di quelli de' poveri non abbiamo fatta menzione alcuna.
Pub. Conyerrà certamente discorrere anche di questi, essendo cosa essenziale
ondc lo porteremo alla ventura Conferenza. [merged small][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] CONFERENZA
X. Sopra l'educazione de' figliuoli poveri, e donde venga queita
danneggiata. Publio , Mecenate , Sempronio , i Medico. Pub.
He bella cosa fareb. be , se nel monС do ognuno viveffe conforme
richiede l'obbligo cristiano: di non fare altrui, ciò, che a se dispiace:
oh bell’armonia, che nascerebbe da questo allorsì che ciascuno potrebbe vivere
ad occhi chiuli, non trovandosi chi ingannasso il coinpagno ; c tanre sorte di
supplicj , inventare per reprimere', c. gastigare la malizia degl'uomini
rimarrebbero affas. [ocr errors] to oziose; e li ministri di Giustizia a
che | servirebbero, essendo ciascuno retrislimo giudice di se medesimo?
Oh felice, c mi fortunato vivere che sarebbe, essendo ritornato il secol
d'oro, nel quale come lo descriffe Ovidio ne suoi fafti.
Proque metu populum fine vi pudor
ipfe
regebar, Nullus erat justis reddere jura labor.
E Giovenale nella fac. 6. Cum furem nemo timerer Caulibus,
aut pomis, tu aperto vive. ret borte,
Mà quanrunque fiafi tanto affaticato Platone per farlo ritornare , appena
c rimasto ogni suo pensiero riposto nel ga- binetto delle sue
Idee, senza recare vei runo profitto; onde si può conch iudere, che
questo probabilmente non tornerà [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][merged small] Sem. Mà non fi potrebbe almeno far ritornare quello di
argento ? perchè a sopportare da gran tempo in qua il secolo di ferro, già
divenuto rugginoso, fembra dura , ed insoffiribile cola. L12
Sem. [ocr errors] Pub. Questo è difficile; e non meno, che a far divenire
un pezzo di ferro argento; intorno al cui lavoro tanti ci si affaticano indarno.
Non sarebbe poco se a questo di ferro,che noi abbiano, il quale ben diceste,
che sia divenuto rug. ginoso, se gli potesse dare una ripulitura, affinchè non
comparisse tanto deforme, come presentemente par, che sia diveDuto • Sem.
Facciamolo dunque ; ma da che parte di esso si doverà principiare? Pub.
Da quella più tenera, come abbiamo fatto finora nei nobili, cioè dalla tenera
gioventù, ove la lima può più facilmente attaccare : cominciate voi dunque a
portarmi il lavoro, che io li. merò. Sem. Qiello , che' mi premerebbe più
d'ogni altra cosa, sarebbe che in. cominciassimo a ripulire un poco i
servitori. Pub. La ruggine in questi è troppo dura; come volete voi, che
limi, efsendo di già quefti divenuti adulti; por [ocr errors][ocr errors]
tatemeli giovaneci, che io cominciero limarli. Sem. E come potranno
questi allora discernerli? Offervandoli, che ne pur i loro figliuoli hanno
genio a fare tal meftiero; ideandosi tanco i Padri, quanto effi, allorchè
cominciano a conoscere i vantaggi della vita civile, di voler parfare ad
effa,con avanzarli di condizione. Pub. Dunque se non si sà precisamente
chi voglia incaminarli per questa via, cominciamo da tutti i figliuoli poveri ,
che cosi comprenderemo quelli da incaminarsi in cursi li mestieri nel inedeliino
tenipo. Sem. Che doverà farfi in questi prima di ogni altra cosa ?
Pub. Quello appunto, che già dicem. mc:infinuare bene nell'animo loro il
fan. to timor di Dio, base fondamentale di O tutte le virtù morali, e
cristiane Sem. E chi doverà far questo? th Pub. I loro genitori.
Sem. E se questi non ne avessero appreso tanto, che hastaffc loro ? Pub. Ci
sono i Parochi de'quali è incombenza,non solamente di proccurare, che fieno
istruiti i figlioli, mà anche, i genitori medelimi, Mec. Se ci fosse un
fol pastore in una gran greggia di pecorelle, molte ne divorerebbero di più i
lupi ; onde come potranno baltare questi, che sono pochi a tanci? Pub. Ci
sono i Maestri, che supplisco. no ancor ela. Mec. Mà quelli che non hanno
modo da tenerli? Pub.Sogovi tante scuole per i poveri, che possono ben
ivi apprendere ciocche appartiene a questo Mec. Mà fe trascureranno di
andarvi, ed intanto innoltrandosi i vizj come firi. medierà?. Pub.
Colgastigo, che servirà dierempio agli altri, che non ci cadano, ed a tal effetto
ci è per questi la casa di correzione, ove sono severamente morti. ficati. Mec.
Vorrei, che vedeflimo, Publio , se [ocr errors][ocr errors] fc ci
fosse modo di non avere rovente bisogno di limili gastighi; perchè vado
rifcttcndo, che molti pochi sono correcti da eso ; e quantunque ci licno le
forche alzate, tanto i delicti fi comincitono gel inedefimo tempo. Pub. E
che prerendete forse, che nel monda non feguano delicti? Mec. Non
pretendo tanto, mà solamente che sceinino questi più notubilincnte, ed in
conseguenza ci sia meno duopo digastigo. Pub. E come fareste per
procurare che minor numero deili presenti ne leguillero? Mec. Vorrei in
diverse parti della cietà scegliere i più caritativi ; e pii artetici, che ci
foffero in ogni profeflione, ed a questi consegnare , e raccomandare più di uno
dei giovanetti, arrivati in età di poter cominciare ad apprendere i principi di
quell'arte, alla quale 'mostraffero inclinazione, ed abilità. Pub. E
prima di detto tempo chi ne averebbe il pensiero di andarli istruendo nel beo
operare ? Mr. [merged small][ocr errors][merged small][ocr
errors][merged small] [ocr errors] Mec. Ci sono pur tanti pii, cd esemplari
operarj , zelantisfimi del buon costume, cui non recherebbe gran briga
l'invigilare sopra di elî, con un ben regolato ripartimento, li quali per
rimediare a'disordini maggiori, che incontrasfero doverebbero avere chi desse
loro assistenza, e braccio autorevole; e credetemi, che dupplicato bene da ciò
ne risulterebbe: cioè, che non anderebbono in quelle ore vagabondando per la
città, e li approfitterebbero insieme di molti buon iavvertimenti, e cosi la
gregge averebbe pastori a proporzione del fuo bisogno: e fapere pure, che
quantunque tanto si operi da questi zelancisfimi nello svellere i vizi già
adulti, nulladimeno per lo più poco, o niente di frutto da cfsi si ottiene ,
onde mi parrebbero fatiche con profitto maggiore queste impiegate, allorchè i
vizi sono anco teneri, potendosi allora con più facilità sradicare; che quando
sono già adulti,senza tralasciare però d'invigilare a fradicare anche questi
assodati. Pub. [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors]
Pub. E chi manterrebbe detti figliuoli da quei artefici; acciocchè
l'istruiffero fin tanto, che il loro lavoro meritalse premio ? Mer.
Sarebbe facile qui tra noi a trovarsi il modo, essendoci si numerose, e
considerabili limosine di pane , da diftribuirli a poveri; nè si potrebbe
dubicare in conto alcuno, che questi non folsero tali ; onde sarebbero con
giustizia , e profitto impiegare in essi ; nè potrebbero gli altri dolerli,
perchè verrebbero anche distribuite colla discreta propora zione rispetto agli
altri bisognosi invalidi; ne apporterebbero gran briga cinque, o sei ragazzi di
questi, provedusi già di pane, avendoli in bottega; ecenendo loro gli occhi
sopra, non potrebbero andare vagabondando in cerca de vizj conforme
facevano. Pub, E'pensiero questo da macurarsi meglio per discernere, che
vantaggio conliderabile potesse apportare. Sem. E se avessero genio di
studiare? Mec. [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mer. Di questo
ne discorreremo nel fine. Sem, Or ditemi dunque quali sono i vizj
familiari a ragazzi poveri ? Mec. Possono essere innumerabili, se non
sono sradicati alla prima da qual. cuno, e tanti appunto, quante sono l'erbe dannose
, & inutili, che nascono in una siepe abbandonata da chi la coltivi.
Posciache questi poffono essere primieramente affatto ignoranti dei misteri
della Santa Fede; non hanno in bocca altre parole, che difonckte, appreses per
istrada, e ral volia per essere figliuolini nè pur fapranno i loro ligniti.
cati ; fi afsucfaranno da teneri anni al rubare, e cominciando dalle core
commefibili faran passaggio all'altre ancora ; diverranno poi tanto impertin
nenti, che daranno fastidio a tutti; bu. giardi , fraudolenci, bestemmiatori, e
malizioli a segno, che quabrunque fico no di dieci, e undici anni saranno già
capaci in pratica di tutti i vizj concernenti alla luffuria . Puo.
[ocr errors] [ocr errors][ocr errors] De i buos
[merged small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] prove, e do
po [merged small][ocr errors][ocr errors] Sem. Ma è poflibile, Dottore,
che in sì tenera età facciano questo? Med. Io più d’uno di questi ho
vedy. to venire zoppi all'ospedale per ca. gione di buboni gallici, che avevano
acquistati con tali viziose ritrovata la verità gli ho anche mol. to bene
sgridati. Sem. Da che diviene questa gran facilità di cadere in fimili
vizj? Med. Lo spiegò Socrate a Teodata bellissima meretrice,allorche li
gloriava di superarlo nel saper sedurre più facilmente essa i suoi scolari,di
quello avess' cgli potuto fare colla sua dottrina in rimuovere dal suo amore i
suoi drudi, con risponderle,che lo credeva , nè punto fi maravigliava di ciò;
perch'ella li tirava all'ingiù , & a seconda del precipizio con poca sua
fatica dove ch'egli dovendoli tirar fuori da questo aveva d'uopo impiegarvi
fatica maggiore; come riferisce Eliano, Sem. Oh so, che crescendo questi
vizj con gli apoi, quanci mali effetti eli pros [ocr errors][ocr errors][merged
small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] 540 Conf. 10. Dec. feconda
produrranno ! riempiranno per la meno le galee di genec facinorosa, se pur que.
fti non anderanno sulle forche; onde conosco anch'io, ch'è troppo necessa. rio
darci riparo, altrimenti di questi viziosi ne toccheranno ad ogn'uno per
servitori, o per arrifti: ma come fi potrebbe fare almeno , che non cre.
scessero di vantaggio? Mes. Se non li trova il modo, che non vadano
vagabondando per le piazze, e di cenerli lontani da quei, che fono un poco più
adulti di essi, sempre correranno tali pericoli; e perciò lag. giamente ordinò
Ligurgo, che i figliun. li fossero allevati per i villaggi, e gli Egizi non li
faceano porre alla mensa per cibarsi, se prima noa avcano corso a piè nudi due,
o cre leghe. Ed appresso i Parci, se i loro figliuoli non avevano colla frezza
colpito, e fatto cadere il pane, che posto avevano in luogo eminente, non
facevano gustar loro altro; conforme ancora facevano le donne dell'Isole
Baleari, ma colla fionda, c CO: [ocr errors][ocr errors] così li
tenevano occupati , affinchè non aveflcro campo di avanzarli ne'vizj. Ma
trovandosi tra noi impicghi con direttori discreti, sarebbero questi affai più
profitcevoli; potendoli eziandio formare scuole d'apprendere arti, dove fossero
istruiti, e nella pierà, & in quel mestiero al quale applicassero di genio
; ma per opere sì magnifiche crè cose si ricercano , le quali sono ; l'autorità
del Prencipe ; valido soccorso; & allistenza allidua di uomini pii,
ezclanti del buon costume. Sem. Ma vi è pur S. Michele a Ripas grande ove
si fa tutto queito; perchè dunque andate cercando altro? Mec. Abbiamo
certamente tal Ospizio Apostolico utiliffimo, esantißimo, ove col timor di Dio
G avvezzano, e si approfittano ancora in diverse arci, era sendo usciti di là
molti , ch'erano prima senza indirizzo, e modo da softcocarli, divenuti capaci
d'alimentare se medesimi, e le loro famiglie; ma questo folo non è sufficiente
per educare tutri i [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] nigliuoli
poveri, che sono nella Città; nè è poffibile moltiplicarne canti altri
confimili ad effo, che foffero fufficienti; onde bisognerebbe trovare un modo
praticabile , acciocche fossero istruiti nella medesima forma, ma senza ag.
gravio di spesa equivalente alla proporzione di quella . Pub. Tutto si
potrebbe fare, ma però se non si toglieffe prima quello , che dasse loro mal'
esempio, gioverebbe a nulla. Meo. Questo è veriffimo;.perchè entrando
caluno al servizio, quantunque fosse semplice, e di buon costume ,' fe
cominciarse a comandargli il suo padione certe cose, che non li possono dire in
pubblico, effendo indecenti, como potrebbe far di ineno obbedendolo as non
divenire ancor esso diviato ? effen. do che: a bove majori discit arre minor ,
Se quantunque foffe sobrio, e vedeff: continuamente banchettare , & a vesse
tutto il commodo da disordinare anch' effo, come non diverrà gologfimo? E
par [ocr errors][ocr errors][ocr errors] last particolarmente se si
abbatteffc in chi, come dice Giovenale, Radere tubera terra Boletum
condire, codem in jure na, tantes Mergere facedulas didicit
Sco ap Et cana monstrante gula. Se si accorgerà poi, che manchi di pa.
rola, imparerà anch'esso a farlo dicen. do: se lo fa il mio Padrone, ben lo posso
far arch'io , perchè farà forse oggi di civiltà prar carlo. Voi dunque,
Semi pronio, vidolete attorto dei servirori; doleceri bensì dei padroni,
che gli ac- coltumano viziosi. Sem. Ma io
per la Dio grazia non fò di questo, e pure mi sono capitati molci
cattivi fervitori. Pub. Saranno stati prima corrotti da altri padroni se
non gli avete corrorti voi, e perciò imparare a non mutarli tanto spesso ,
potendovi abbattere ins peggiori, i quali non sarebbero più correggibili:
Barbatos licet admoveas, mille inde magiftros.Mec. Non solamente i servitori si
approfittano del mal'esempio de' padroni, ma tutti gli artisti, e mercanti
ancora, dandosi da caluno di esli a questi, invece del danaro, che avanzano,
certe mercaozie, le quali non trovano ad clitare, e le pongono a prezzi altissimi,
e da ciò essi imparano ad alterare i conti, ed in che forma ! Sem. Ma ci
sono pure i periti, che li rivedono, e tarano? Mec. Si bene, ma però elli
l'informano, e fanno ben loro capire, che hanno ricevuto, a ragione di
contanti, assai di meno di quello pretendevano di aver dato loro, a cagione dei
prezzi alterati delle robe ricevute. Sem. Sicche faranno un bel guada.
gno questi , che daranno roba in vece di danaro; e ditemi, Dottore, se ciò si
pratica collo Speziale ancora ? Med. Taluno per quanto ho udito lo
fa. Sem. Consideriamo, che buone medicine daranno loro questi, che sono
così malamente pagari. Med. Med. Li poveretti troppo fi sforzano
die a servirli bene; ma certa cosa è, che vo gliono starci in capitale
almeno, c peri ciò non daraano già loro i migliori ri1 nedj. Pub. I
mercanti Moscoviti, prima che it fosse data loro la libertà di uscire dal El
Regno, avevano una bella maniera di contrattare, la quale era di chiedere
soSelamente il giusto prezzo delle loro mer canzic, e guai a colui, che
l'avesse altea si raco; posciache sarebbe caduto in pene sd gravissime.
Mec. Sicoftumerebbe tra noi ancora, 1 se correffe puntualmente il danaro;
må dovendosi tener morto questo più anni, e poi pagarfi Iddio sà come,
bisogna pur, ch'ella pensino al modo, che debbo. no tenere per
guadagnarci ; diano dunSe qne i primi ad edi buon csempio, che fa raono
imitati. Sem. E per fare, che i servitori non divengano viziosi, olcre il
non dar loro mal'esempio, che si potrebbe fare di e vantaggio ?
Mer. [ocr errors] Mm Mec. Bisogn' anche procurare, che non abbiano
occasione di addocrinarli in certe cose, che mal'interpretate da efli, da buone
che sono potrebbero divenire pesime; e vi riferirò a tale proposito un esempio.
Si abbatte un giorno un mio amico, che seco aveva due fervi. tori, ad udire un
certo discorso morale, fatto da un buon religioso, mà molto semplice, sopra il
furto, e venuto al par. ticolare, a che fomma questo doveste giugnere per
essere peccaminofo , avvedutosi egli, ch'erano attentissimi i suoi fervitori in
udirlo, chiese incontinente licenza,con iscusa di dover fare certo ur.
gentislimo negozio in quel punto;mà come egli,ini riferì il negozio era, che
non udifícro questi , che li potesse con ficura coscienza rubare una anche
minima cosa, perchè, come diceva, costoro l'averebbero reiterato tante volte in
un giorno, che in breve mi farei impoverito . Pub. Mi persuado ancora,
che non convenga dar loro il comodo di approvecciarsi malamente, con fidarsi
alla sjeca di cili, dando loro gran maneggio; per [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] perchè la comodità appunto fà l'uomo ladro. Mec. Vi
era uno di questi, il quale prendeva cutto all'ingrosso, e con vantaggio
grande, e dipoi lorivendeva a minuto, ed a prezzo rigoroso al suo padrone, e vi
faceva giornalmente guada. gno considerabile, scusandosi in far ciò,
ch'era per sua industria , perchè non gli aveva ordinato di far
questo il suo padrone ; onde ingannavafi costui in credere di non aver
obligata, ad effo tutta la sua industria, come difatto avea . Sem.
Sarebbe dunque riuscito van taggioso per loro se avessero studiato , ed appreso
le buone dottrine. Mic. Se avessero fatto questo non si porrebbero a
servire, come disse uno di questi al suo padrone, allorchè lo sgridava, ch'era
un ignorante, cui replicó: signore se fossi dotto non servirei , mà bensì
averei chi mi servisle. Sem; Ne hò però ayuti di quei, che sono stati
alla scuola, e sapevano anco ra un poco di latino. Ner. [ocr
errors][merged small][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors] Mm
2 Mec. Mà che serviva loro questo? Sem. A nulla ; mà però se non
mori. vano i loro Padri si sarebbero tirati aranti nello studio, e forse
sarebbono riusciti uomini dotti. Mer. Vorrei , ch'esaminaflimo ora qual
fosse meglio: chci figliuoli dei poveri s'incaminassero per la strada delle
lettere , o pure fi ponessero da principio ad apprendere le arti, Sem. E
che pretendereste forse voi impedire, che ogn’uno non s'incamini a suo bellagio
per la via , che giudica per fe più vantaggiosa ? Capece pure, che vi sono
stati molti plebci , che sono riusciti in esso come accennò Orazio
fat.6.1. Multos fape viros nullis majoribus oj tos, Ei vixise
probos , magnis du honoribus auctos. Mec. Questi non saranno stati però
miserabili, perchè dice ancora GioveHaud facilè emergunt quorum virtutibus
ebfas.Res angufta domi. e poi se taluno di questi, inà molto
di rado, è riuscito, oh quanti sono andati a inale! onde vorrei, che
vedeffimo quali di questi fieno quelli , che possono essere capaci di
compire questa carriera , ed a quali non getti conto ; perchè il
sen. tiere delle scienze, é assai lungo , ed crto, ed ha difficile
ancora il suo ingres- so; come bene lo descrive Silio Italico
dicendo. Ardua faxofo perducit semita clive , Aspera
principio, nec enim mihi fallera, mos eft, Profequitur
labor ad nitendum intrare volenti. Onde chi non potesse caminarvi
fino al fine, che farcbbe trovandosi nel mezo di esso ? non vorrà tornare
indiccro per vergogna, nè potrà ivi foftentarli., per essergli mancata la
provisione neceffaria; onde non faprà a che partito appigliarfi; dove che la
via delle arti, efiendo assai più piana, e più breve, ed ancomeno dispendiosa,
li renderà più facile, e [ocr errors] Mm 3 van. vantaggiosa a
questi di poterla cerminare. Sem. Sicchè dunque farà meglio, e più
vantaggioso per loro d'incaminarsi per il sentiero delle arti, giacchè questo
si renderà più facile a poveri di compirlo. Mec. Così credo anch'io,
perchè almeno giugneranno a guadagnarli il pa. ne più spedicamente, e con minor
pericolo di rimanere inesperti . Sem. Come pensate voi di fare questa
scelta, di chi sia capace d’incaminarsi per essa, e chi per l'altra più piano
delle arti . Mec. Se per esempio ci fossero figliuo. li di mediocre
talento de poveri artisti, o di vedove, che appena colla loro fati. ca arrivano
ad alimentarli parcamente, questi sarebbero perduti, volendoli incaminare per
la trada delle scienze, e maggiormente, se saranno i loro genitori avanzati
negli anni ; perchè morendo questi, chi li softenterà trovandoạ nella carriera
a qualcuno di quei, che sono nel principio del camino può essere,
che; torni indietro, econ ripugaanza gran3 de si ponga ad apprendere
qualche arre, quelli, che saranno però più inoltraci , vergognandosi di
farlo, come si trove. ranno i meschini, non avendo chi più li sostenri ?
talmente che per procac. ciarli il vitto saranno costretti di fare ogni viltà,
purchè salvino l'apparenza del proseguimento di tale impiego , ch' esli si
avevano figuraco di voler esercitare; laonde poftisi in doslo una toghetta,ed
un perucchino, ne quali consiste il loro capitale, tutti lindi si porranno ,
essendo ignoranti, a far da guasta mestiere: e vi pare che questi possano
apportare utile alla Republica, stroppiando cause, se prenderanno la via legale
? e quello ch'è peggio , che se per quella della medicina s'incamineranno
quanti ne animazeranno impunemente ? Olere poi il discredito, che ne
riceverebbono professioni (i nobili, per cagione di essi. Sem. Mà perchè
se ne prevalgono di questi? Mec. [ocr errors] Mm 4 Mec.
Perchè la maggior parte, chc litigano sono ignoranti; e simili a questi ancora
sono quelli, che si trovano malati; onde come potranno discerneru questi a che
segno giunga la di loro abilità? ctanto più, che quantunque penuriando di
dottrina i guasta mestieri, non si trovano già scarû di malizia, per dare ad
intendere lucciole per lanterne quando vi sia duopo, essendo questi gran;
mensognieri. Sem. Quali voi crederefte, Mecenate, che potessero
incaminarli per la via del le scienze con sicurezza maggiore? Meo. Quelli
solamenre a quali il Padre morendo in questo mentre , poresse lasciare 'ranto,
che fosse sufficience a poter terminare i loro studj, cche fossero di buono
ingegno; perchè se non saranno cali gertato averebbero quel danaro, e rimanendo
mendichi, ed ignoranti, questi ancora fi porrebbero a fare molce viltà, e
perciò l'Ecclesiast. al 27. csclama. Propter inopiam multi deliquerunt;
de'quali così ebbe anco a dire Orazio . Ma Magnum pauperies opprobrium
jubet. Quiduis , @ facere, & pari, Virtutisque viam deferit
arduam. Sem. A chi toccherebbe di farne la prova del loro ingeg:10
, e capacità ? Mec. Niuno meglio de' loro maestri , che li avessero
cominciati ad istruire sarebbe più a proposito; mà taluni di questi alle voltc
consigliano i poveri Padri con poca carità a fare proseguire loro l'opera
mal’incominciara . Pub. Sapere, Mecenate, che non è disprezabile pensiero
questo da voi apportato, e rifletto ora anch'io, che il voler porre con tanta facilità
i poveri all'acquisto delle scienze possa essere una delle cagioni, che
ritardano più tosto la buona educazione,e mi inaraviglio che non si dia già
dato opportuno riparo a questo inconveniente, Mec. Sicte pur pratico del
mondo, e non riflettere , che non tutto arriva all' orecchie di chi vi può dare
rimedio,perchè se vi giugnessero tutte le cose, quanti buoni regolamenti si
prendereb [ocr errors][merged small] Res nale fac. 3:bero dalla
vigilanza di effo. Pub. Che imparassero i figliuoli de’ poveri, a leggere,
scrivere , e l'abaco lo stimerei necessario ; mà che questi poi si applicassero
alli studi delle scienze, non avendo nè capacità necessaria, nè modo da
foftentarli, ora che voi ave. te mostrato tanti inconvenienti lo stimo dannoso
anch'io. Sem. Come fecero Publio, quei celebri filosofi antichi, i quali
erano affatto privi de’beni di fortuna, a divenire così dotti; efsendomi stato
raccontato di Diogene, che appena avesse una botte per
difendersi dall'inclemenze dell'aria : e di Socrate, chę altre di calcare sem,
pre la terra co’piedi nudi, appena venisse ricoperto da un sordido
mantello. Pub. Affinchè meglio comprendiate la verità di quanto diffi,
dovete sapere, che considera S. Tomaso la povertà in due maniere ; ove parla :
Contra genti. Jes; cioè: aut ex coactâ neceffitate, aut ex propriâ voluntate.
Questi filosofi da voi mentovati erano poveri; perchè non [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] si curavano punto de'beni della fortuna,
e riputandoli dannosi non istudiavano di cumulare richezze, quantunque
das queste 'venissero adescati . Mentre , che non fece Alessandro
il grande per ri- muovere dalla sua bramata povertà Diogene ,
quantunque in darno? Quan, . to non fi adoperò Archelao per fare
divenire ricco Socrate ? mà egli per liberarsi dalla di lui generosa
importunità li fè intendere , che in Atene a vile prezzo si vendevano le
farine, e che colà le acto que nulla costavano; e perciò questa voin lontaria
povertà, non folamente non li * contristava , mà serviva loro più tosto
di ajuto per la filosofia; come riferisce 1 Stobeo, fer.93, che confeffalse,
l'isteiro Diogene . Anzi Epicuro passò più oltre, come si ricava da
Seneca nell'epift. 2 1. persuadendosi egli,che la volontaria poi
vertà , la quale si uniforma alle leggi di natura , non debba riputarsi
povertà, į inà più tosto ricchezza superiore a tutte 3 le altre, di qual
sentimento , oltre molti altri filosofi, fù ancora Democrito; men
[ocr errors][ocr errors] tre tre venendo egli interrogato, come ri. ferisce
Scobeo, qual fosse il vero modo da divenire molto ricco, rispose : con divenire
povero di desiderio. Sem. Potrebbero dunque i nostri poveri figurandoli
volontaria la loro forzata povertà, divenire Filosofi ancor efli. Pub.
Non è più quel tempo antico, nel quale i poveri si contentavano audrirli di
solo pane, ed acqua , o di sole erbc , come riferisce Eliano, che faceffe
Diogene; onde questa povertà volontaria, senza un special dono di Dio si
renderà impollibile a conseguirsi . Sem. Vorei sapere, perchè questa povertà
forzata abbia da ritardare l'acquisto delle scienze, c la volontaria più tosto
da promoverlo? Pub. Perchè la forzata contrifta fortemente
l'animo,apprendendo chi la sof. fre di essere infeliciffimo, dove che la
volontaria, riputandoli per feliçità da cui si gode, lo rende sommamente
cranquillo : Laonde chi mai coll'animo con, [ocr errors] tristato potrà
applicare a cose tanto serie, conforme sono le scienze ? le quali richiedono
attenta meditazione da cui brama d'approfittarsene. Quindi è, che Aristotile nel
primo della sua Etica ebbe con ragione a dire: Impoffibile eft indigentem
operari bona ; e più chiaramente nel secondo della politica : Impoffibile eft
inte digentem ftudio vacare ; c non potendosi i poveri di spontanea volontà
chiamare in digentes,non milita contro di esli l'autorità di Aristotile; perchè
questi hanno ciocche, fà d'vopo al loro necessario sostentamento, ed è ciò
sufficiente per effi , avendolo fatto conoscere Socrate, riferito da Stobeo al
serm. 95. allorchè diffe: Si res 'mea mibi non fufficiunt, du ego ipfis
fufficio, as fic etiam ipfa mibi; al opposto i poveri, che non hanno povero il
loro desiderio ancora , non li appagano punto di ciò, chè fi trovano , braman.
do sempre di vantaggio, sembrando loro quanto hanno per esli insufficiente, c
per tale cagione vivono perperuamente contristati. Or ditemi, Sempronio,
se [ocr errors][ocr errors] avere da dire altro intorno al morale?
Sem. Non altro certamente intorno a questo, e credo di avere udito tanto, che
se me ne approfitterò saprò scegliere la noglie approposito , ed allevare nel
buon costume anche i miei figliuoli, che nasceranno : mi rimane solamente di
sentire dal Dottore, quali vantaggi potrebbe apportare all'educazione la
Medicina, e specialmente in quei figliuoli , che ricalcitrano nello
approfittarfi de buoni documenti morali. Med. Di questo ne tratteremo
nella ma Parte . seconda parte Il fine della Prima Parte.Grice: “I
like Gagliardi. In honest Italian prose, he manages to write a treatise for the
week: the first day (or giornata) and so forth. It is an empirical ethical
treatise along Aristotelian lines of the type I classify as ‘is’ rather than
‘ought’. Recall that the fundamental question I pose for pragmatics is why
maxims ought to be followed rather than being, as they are, mainly and ceteris
paribus followed! My answer to that is in three stages, and the first ‘answer,
dull and empirical’ is that the maxims ARE, as a matter of EMPIRICAL fact,
followed. This far Gagliardi goes – and succeeds!” – Grice: “He wrote
extensively, knowing British parents, how a father must take care of his son,
or at least find him a good tutor!” Domenico Gagliardi. Gagliardi. Keywords: “a
dull (if at a certain level adequate) answer to the fundamental question about
the conversational categoric imperative”; moralia, etica, mos, ethos – Grice on
morality – morals – educazione – “We learn not to tell lies from our parents”
Hardie, Ethica Nichomachaea, la formazione del carattere. “Empirical fact we’ve learned since childhood
and it would be difficult to diverge from the practice” – “This is a dull
empirical.” -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Gagliardi” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691219431/in/photolist-2mPYy6p-2mPqEYR-2mKRfHn-2mKCfz1-2mKM1De-mw5RV7-mw5QTh-mw5PVA-mw4r44-mw2gNX-mw2JS4-mw5LT3-mw3Tvr-mw2Mpi-mw2eZ6-mw264R-mw45RG-mw2QUp-mw2Ton-mw27EB
Galetti. Filosofo. Emporium.
Grice e Galilei – Eppur si muove -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Pisa).
Filosofo. Galileo Galilei. Grice: “His father was, like mine, a musician.” – “La
filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto
innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non
s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto.
Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed
altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne
umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro
laberinto”. Personaggio chiave della rivoluzione scientifica, per aver
esplicitamente introdotto il metodo scientifico (detto anche "metodo
galileiano" o "metodo sperimentale"), il suo nome è associato a
importanti contributi in fisica e in astronomia. Di primaria importanza fu
anche il ruolo svolto nella rivoluzione astronomica, con il sostegno al sistema
eliocentrico e alla teoria copernicana. I suoi principali contributi al
pensiero filosofico derivano dall'introduzione del metodo sperimentale
nell'indagine scientifica grazie a cui la scienza abbandonava, per la prima
volta, quella posizione metafisica che fino ad allora predominava, per
acquisire una nuova, autonoma prospettiva, sia realistica che empiristica,
volta a privilegiare, attraverso il metodo sperimentale, più la categoria della
quantità (attraverso la determinazione matematica delle leggi della natura) che
quella della qualità (frutto della passata tradizione indirizzata solo alla
ricerca dell'essenza degli enti) per elaborare ora una descrizione razionale
oggettiva[N 6] della realtà fenomenica. Sospettato di eresia e accusato di
voler sovvertire la filosofia naturale aristotelica e le Sacre Scritture,
Galilei fu processato e condannato dal Sant'Uffizio, nonché costretto, il 22
giugno 1633, all'abiura delle sue concezioni astronomiche e al confino nella
propria villa di Arcetri. Nel corso dei secoli il valore delle opere di Galilei
venne gradualmente accettato dalla Chiesa, e 359 anni dopo, il 31 ottobre 1992,
papa Giovanni Paolo II, alla sessione plenaria della Pontificia accademia delle
scienze, riconobbe "gli errori commessi" sulla base delle conclusioni
dei lavori cui pervenne un'apposita commissione di studio da lui istituita nel
1981, riabilitando Galilei. La casa natale di Galilei Abitazione
all'800 Abitazione in via Giusti Dal libretto di battesimo di Galileo
riportante come luogo "in Chapella di S.to Andrea", si credeva fino
alla fine dell'800 che Galileo potesse essere nato vicino alla cappella di
Sant'Andrea in Kinseca nella fortezza San Gallo, il che presumeva che il padre
Vincenzo fosse un militare. In seguito fu identificata casa Ammannati, vicino
alla Chiesa di Sant'Andrea Forisportam, come la vera casa natale. Nacque a
Pisa, figlio di Vincenzo Galilei e di Giulia Ammannati. Gli Ammannati,
originari del territorio di Pistoia e di Pescia, vantavano importanti origini; Vincenzo
Galilei invece apparteneva ad una casata più umile, per quanto i suoi antenati
facessero parte della buona borghesia fiorentina. Vincenzo era nato a Santa
Maria a Monte, quando ormai la sua famiglia era decaduta ed egli, musicista di
valore, dovette trasferirsi a Pisa unendo all'esercizio dell'arte della musica,
per necessità di maggiori guadagni, la professione del commercio. La
famiglia di Vincenzo e di Giulia, contava oltre Galileo: Michelangelo Galilei,
che fu musicista presso il granduca di Baviera, Benedetto Galilei, morto in
fasce. Dopo un tentativo fallito di inserire Galileo tra i quaranta studenti
toscani che venivano accolti gratuitamente in un convitto di Pisa, fu ospitato
"senza spese" da Tebaldi, doganiere della città di Pisa, padrino di
battesimo di Michelangelo Galilei, e tanto amico di Vincenzo da provvedere alle
necessità della famiglia durante le sue lunghe assenze per lavoro. A Pisa,
Galilei conobbe Bartolomea Ammannati che curava la casa del rimasto vedovo
Tebaldi il quale, nonostante la forte differenza d'età, la sposò, probabilmente
per metter fine alle malignità, imbarazzanti per la famiglia Galilei, che si
facevano sul conto della giovane nipote. Successivamente fece i suoi primi
studi a Firenze, prima col padre, poi con un maestro di dialettica e infine
nella scuola del convento di Santa Maria di Vallombrosa, dove vestì l'abito di
novizio. Vincenzo iscrisse il figlio a Pisa con l'intenzione di fargli studiare
medicina, per fargli ripercorrere la tradizione del suo glorioso antenato
Galileo Bonaiuti e soprattutto per fargli intraprendere una carriera che poteva
procurare lucrosi guadagni. Nonostante il suo interesse per i progressi
sperimentali di quegli anni, la sua attenzione fu presto attratta dalla semiotica,
la logica, e la matematica – lo studio del segno -- che comincia a studiare dall'estate
del 1583, sfruttando l'occasione della conoscenza fatta a Firenze di Ostilio
Ricci da Fermo, un seguace della scuola matematica di Tartaglia. Caratteristica
del Ricci era l'impostazione che egli dava all'insegnamento della matematica:
non di una scienza astratta o formale, ma di una disciplina materiale che
servisse a risolvere i problemi pratici legati alla meccanica e alle tecniche
ingegneristiche. Fu, infatti, la linea di studio "Tartaglia-Ricci"
(prosecutrice, a sua volta, della tradizione facente capo ad Archimede) a
insegnare a Galileo l'importanza della precisione nell'osservazione dei dati e
il lato ‘prammatico’ della ricerca scientifica. È probabile che a Pisa abbia
seguito anche i corsi di filosofia naturale (fisica) tenuti dall'aristotelico
Bonamici. Durante la sua permanenza a Pisa arriva alla sua prima, personale
scoperta, che chiama l' “iso-cronismo” nelle oscillazioni di un pendolo.
Rinuncia a proseguire gli studi di medicina e anda a Firenze, dove approfondì i
suoi nuovi interessi, occupandosi di meccanica e di idraulica. Trova una
soluzione al "problema della corona" di Gerone inventando uno
strumento per la determinazione idrostatica del peso specifico dei “corpi”. L'influsso di Archimede e dell'insegnamento
del Ricci si rileva anche nei suoi studi sul centro di gravità dei solidi.
Cerca intanto una regolare sistemazione economica: oltre a impartire lezioni
private a Firenze e a Siena, andò a Roma a richiedere una raccomandazione per
entrare nello Studio di Bologna a Clavius, ma inutilmente, perché a Bologna gli
preferirono alla cattedra Magini. Su invito dell'Accademia Fiorentina tenne due
Lezioni circa la figura, sito e grandezza dell'Inferno, difendendo le ipotesi
già formulate da Manetti sulla
topografia dell'Inferno. Galilei si rivolse allora a Monte, matematico
conosciuto tramite uno scambio epistolare su questioni matematiche. Monte e fondamentale
nell'aiutare Galilei a progredire nella carriera universitaria, quando, superando
l'inimicizia di Giovanni de' Medici, un figlio naturale di Cosimo de' Medici,
lo raccoma al fratello cardinale Francesco Maria Del Monte, che a sua volta
parlò con il potente Duca di Toscana, Ferdinando I de' Medici. Sotto la sua
protezione, ebbe un contratto triennale per una cattedra a Pisa, dove espose
chiaramente il suo programma, procurandosi subito una certa ostilità
nell'ambiente accademico di formazione aristotelica. Il metodo che sigue e
quello di far dipendere quel che si dice da quel che si è detto, senza mai
supporre come vero quello che si deve spiegare. Questo metodo me l'hanno
insegnato i miei matematici, mentre non è abbastanza osservato da certi
filosofi quando insegnano elementi fisici. Per conseguenza quelli che imparano,
non sanno mai le cose dalle loro cause, ma le credono solamente per fede, cioè
perché le ha dette Aristotele. Se poi sarà vero quello che ha detto Aristotele,
sono pochi quelli che indagano; basta loro essere ritenuti più dotti perché
hanno per le mani maggior numero di testi aristotelici [...] che una tesi sia
contraria all'opinione di molti, non m'importa affatto, purché corrisponda alla
esperienza e alla ragione”. Frutto dell'insegnamento pisano è “De motu
antiquiora”, che raccoglie una serie di lezioni nelle quali egli cerca di dar
conto del problema del movimento. Base delle sue ricerche è il trattato,
pubblicato a Torino, “Diversarum speculationum mathematicarum liber d
Benedetti, uno dei fisici sostenitori della teoria dell'impeto come causa del
moto violento. Benché non si sapesse definire la natura dell’impeto impresso a
un corpo, questa teoria, elaborata da Filopono e poi sostenuta dai fisici parigini,
pur non essendo in grado di risolvere il problema, si opponeva alla
tradizionale spiegazione aristotelica del movimento come prodotto del mezzo nel
quale il corpo animato stesso si muove. A Pisa Galilei non si limitò alle
sole occupazioni scientifiche: risalgono infatti a questo periodo le sue “Considerazioni
sul Tasso” che avrebbero avuto un seguito con le Postille all'Ariosto. Si
tratta di note sparse su fogli e annotazioni a margine nelle pagine dei suoi
volumi della Gerusalemme e dell'Orlando furioso dove, mentre rimprovera al
Tasso la scarsezza della fantasia e la monotonia lenta dell'immagine e del
verso, ciò che ama nell'Ariosto non è solo lo svariare dei bei sogni, il mutar
rapido delle situazioni, la viva elasticità del ritmo, ma l'equilibrio armonico
di questo, la coerenza dell'immagine l'unità organica – pur nella varietà – del
fantasma poetico. La morte del padre lo lasciando l'onere di mantenere tutta la
famiglia: per il matrimonio della sorella Virginia, dovette provvedere alla
dote, contraendo dei debiti, così come avrebbe poi dovuto fare per le nozze
della sorella Livia con Galletti, e altri denari avrebbe dovuto spendere per
soccorrere le necessità della numerosa famiglia del fratello Michelangelo. Del
Monte intervenne ad aiutare nuovamente, raccomandandolo al prestigioso Studio
di Padova, dove era ancora vacante una catedra dopo la morte di Moleti. Le
autorità della Repubblica di Venezia emanarono il decreto di nomina, con un
contratto, prorogabile, di quattro anni e con uno stipendio di 180 fiorini l'anno.
Tenne a Padova il discorso introduttivo e dopo pochi giorni cominciò un corso
destinato ad avere un grande seguito presso gli studenti. Vi sarebbe restato
per diciotto anni, che avrebbe definito «li diciotto anni migliori di tutta la
mia età. Arriva a Venezia solo pochi mesi dopo l'arresto di Bruno a
Venezia. Nel dinamico ambiente di Padova (risultato anche del clima di
relativa tolleranza religiosa garantito dalla Repubblica veneziana), intrattenne rapporti cordiali anche con
personalità di orientamento filosofico lontano dal suo, come Cremonini,
filosofo rigorosamente aristotelico. Frequenta anche i circoli colti e gli
ambienti senatoriali di Venezia, dove strinse amicizia con Sagredo, che Galilei
rese protagonista del suo Dialogo sopra i massimi sistemi, e Sarpi, esperto di
semiotica. È contenuta proprio nella lettera
al frate servita la formulazione della legge sulla caduta dei gravi. Gli
spazii passati dal moto naturale esser in proportione doppia dei tempi, e per
conseguenza gli spazii passati in tempi eguali esser come ab unitate, et le
altre cose. Et il principio è questo: che il mobile naturale vadia crescendo di
velocità con quella proportione che si discosta dal principio del suo moto.
Galileo tiene a Padova lezioni di meccanica: il suo “Trattato di meccaniche” dovrebbe
essere il risultato dei suoi corsi, che avevano avuto origine dalle “Questioni
meccaniche” di Aristotele. A Padova Galileo attrezza con l'aiuto di un
artigiano che abitava nella sua stessa casa, una officina nella quale eseguiva
esperimenti e fabbricava strumenti che vendeva per arrotondare lo stipendio.
Perla macchina per portare l'acqua a livelli più alti ottenne dal Senato veneto
un brevetto ventennale per la sua utilizzazione pubblica. Da anche lezioni
private e ottenne aumenti di stipendio: dai 320 fiorini percepiti annualmente
passa ai 1.000. Una nuova stella fu
osservata d’Altobelli, il quale ne informò Galilei. Luminosissima, fu osservata
successivamente anche da Keplero, che ne fece oggetto di uno studio, il De Stella
nova in pede Serpentarii. Su quel fenomeno astronomico Galileo tenne tre
lezioni, il cui testo non ci è noto, ma contro le sue argomentazioni scrisse un
opuscolo Lorenzini, sedicente aristotelico originario di Montepulciano,su
suggerimento di Cremonini, e intervenne a sua volta con un opuscolo anche
Capra. Interpreta il fenomeno della ‘nuova stella’ come prova della mutabilità
dei cieli, sulla base del fatto che, non presentando la "nuova
stella" alcun cambiamento di parallasse, essa dovesse trovarsi oltre
l'orbita della Luna. A favore della tesi si pubblica “Dialogo de Cecco di
Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la Stella Nuova. Ronchitti difende la
validità del metodo della parallasse per determinare la distanza minima di cose
accessibili all'osservatore solo visivamente, quali sono gli astri. Rimane
incerta l'attribuzione del dialogo, se cioè sia opera dello stesso Galilei o di
Spinelli. Compose due trattati sulla fortificazione, la Breve introduzione
all'architettura militare e il Trattato di fortificazione. Fabbricò un compasso,
che descrisse in “Le operazioni del compasso geometrico et militare” (Padova). Il
compasso era strumento già noto e, in forme e per usi diversi, già utilizzato,
né Galileo pretese di attribuirsi particolari meriti per la sua invenzione; ma
Capra lo accusa di aver plagiato una sua precedente invenzione. Ribalta le accuse
di Capra, ottenendone la condanna da parte dei Riformatori dello Studio
padovano e pubblicò una Difesa contro alle calunnie et imposture di Baldessar
Capra milanese, dove ritorna anche sulla precedente questione della nuova
stella. L'apparizione della nuova stella crea grande sconcerto nella società e
Galileo non disdegna di approfittare del momento per elaborare, su commissione,
oroscopi personali, al prezzo di 60 lire venete. Peraltro, e messo sotto accusa
dall'Inquisizione di Padova a seguito di una denuncia di un suo
ex-collaboratore, che lo aveva accusato precisamente di aver effettuato
oroscopi e di aver sostenuto che gli astri determinano le scelte dell'uomo. Il
procedimento, però, fu energicamente bloccato dal Senato della Repubblica
veneta e il dossier dell'istruttoria venne insabbiato, così che di esso non
giunse mai alcuna notizia all'Inquisizione romana, ossia al Sant'Uffizio. Il
caso venne probabilmente abbandonato anche perché Galileo si era occupato di
astrologia natale e non di astrologia pro-gnostica o previsionale. La sua
fama come autore di oroscopi gli portò richieste, e senza dubbio pagamenti più
sostanziosi, da parte di cardinali, principi e patrizi, compresi Sagredo,
Morosini e qualcuno che si interessava a Sarpi. Scambia lettere con Gualterotti,
e, nei casi più difficili, con Brenzoni. Tra i temi natali calcolati e
interpretati figurano quelli delle sue due figlie, Virginia e Livia, e il suo
proprio, calcolato tre volte. Il fatto che si dedicasse a questa attività anche
quando non era pagato per farlo suggerisce che egli vi attribuisse un qualche
valore. Non basta guardare, occorre guardare con occhi che vogliono vedere, che
credono in quello che vedono. (if you see that p, because you want that p). Non
sembra che, nella polemica sulla "nuova stella", Galilei si fosse già
pubblicamente pronunciato a favore della teoria elio-centrica di Copernico. Si
ritiene che egli, pur intimamente convinto copernicano, pensasse di non
disporre ancora di prove sufficientemente forti da ottenere invincibilmente
l'assenso della universalità dei filosofi. Tuttavia, espressa privatamente la
propria adesione al copernicanesimo a Keplero – che aveva pubblicato il suo
Prodromus dissertationum cosmographicarum scriveva. Ho già scritto molte argomentazioni
e molte confutazioni degli argomenti avversi, ma finora non ho osato
pubblicarle, spaventato dal destino dello stesso Copernico, nostro maestro. Questi
timori, però, svaniranno proprio grazie al cannocchiale, che Galileo punterà
per la prima volta verso il cielo. Di ottica si erano occupati già Porta nella
sua Magia naturalis e nel De refractione e Keplero negli Ad Vitellionem
paralipomena, opere dalle quali era possibile pervenire alla costruzione del
cannocchiale. Lo strumento fu costruito indipendentemente da Lippershey, un
ottico tedesco naturalizzato olandese. Galileo decise allora di preparare un
tubo di piombo, applicandovi all'estremità due lenti, ambedue con una faccia
piena e con l’altra sfericamente concava nella prima lente e convessa nella
seconda. Quindi, accostando l’occhio alla lente concava, percepii l’astro
abbastanza grande e vicino, in quanto essi apparivano tre volte più prossimi e
nove volte maggiori di quel che risultavano guardati con la sola vista
naturale. Presenta l'apparecchio come sua costruzione al governo di Venezia
che, apprezzando l'invenzione, gli raddoppiò lo stipendio e gli offrì un
contratto vitalizio d'insegnamento. L'invenzione, la riscoperta e la
ricostruzione del cannocchiale non è un episodio che possa destare grande
ammirazione. La novità sta nel fatto che Galileo è il primo a portare questo
strumento, usandolo in maniera prettamente logica e concependolo come un
potenziamento del sentire – il vedere. La grandezza di Galileo nei riguardi del
cannocchiale è stata proprio questa. Supera tutta una serie di ostacoli
concettuali (cf. Galileo sees that the star is nice +> without a telescope –
I could see the cow from the window) -- utilizzando suddetto strumento per
rafforzare le proprie tesi. Grazie al cannocchiale, Galileo propone una
nuova visione del mondo celeste. Giunge alla conclusione che, alle stelle
visibili ad occhio nudo, si aggiungono altre innumerevoli stelle mai scorte
prima d’ora. L'Universo, dunque, diventa più grande; Non c’è differenza di
natura fra la Terra e la Luna. Galileo arreca così un duro colpo alla visione
aristotelico-tolemaica geo-centrica del mondo, sostenendo che la superficie
della Luna non è affatto liscia e levigata bensì ruvida, rocciosa e costellata
di ingenti prominenze. Quindi, tra gli astri, almeno la Luna non possiede i caratteri
di assoluta perfezione che ad essa erano attribuiti dalla tradizione. Inoltre,
la Luna si muove, e allora perché non dovrebbe muoversi anche la Terra che è
simile dal punto di vista della costituzione? Vengono scoperti i un satellite
di Giove, che Galileo denomina “la stelle medicea”. Questa consapevolezza l’offre
l'insperata visione in cielo di un modello più piccolo dell'universo
copernicano. Le scoperte furono pubblicate nel Sidereus Nuncius, una copia del
quale Galileo invia a Cosimo II, insieme con un esemplare del suo cannocchiale
e la dedica dei quattro satelliti, battezzati da Galileo in un primo tempo
Cosmica Sidera e successivamente Medicea Sidera («pianeti medicei»). È evidente
l'intenzione di Galileo di guadagnarsi la gratitudine della Casa medicea, molto
probabilmente non soltanto ai fini del suo intento di ritornare a Firenze, ma
anche per ottenere un'influente protezione in vista della presentazione, di
fronte al pubblico degli studiosi, di quelle novità, che certo non avrebbero
mancato di sollevare polemiche. Chiede a Vinta, Primo Segretario di Cosimo
II, di essere assunto allo Studio di Pisa, precisando. Quanto al titolo et
pretesto del mio servizio, io desidererei, oltre al nome di Matematico, che S.
A. ci aggiugnesse quello di “filosofo”, professando io di havere studiato più
anni in filosofia, che mesi in matematica pura. Il governo fiorentino comunica
a Galileo l'avvenuta assunzione come «Matematico primario dello Studio di Pisa
et di” “Filosofo” del Ser.mo Gran Duca, senz'obbligo di leggere e di risiedere
né nello Studio né nella città di Pisa, et con lo stipendio di mille scudi
l'anno, moneta fiorentin. Galileo firma il contratto e raggiunse Firenze.
Qui giunto si premura di regalare a Ferdinando, figlio del granduca Cosimo, la
migliore lente ottica che aveva realizzato nel suo laboratorio organizzato
quando era a Padova dove, con l'aiuto dei mastri vetrai di Murano confezionava
occhialetti sempre più perfetti e in tale quantità da esportarli, come fece con
il cannocchiale mandato all'elettore di Colonia il quale a sua volta lo prestò
a Keplero che ne fece buon uso e che, grato, concluse la sua opera Narratio de
observatis a se quattuor Jovis satellitibus erronibus, così scrivendo. “Vicisti
Galilaee” -- riconoscendo la verità delle scoperte di Galilei. Ferdinando ruppe
la lente. Galilei gli regala qualcosa di meno fragile: una calamita armata, cioè
fasciata da una lamina di ferro, opportunamente posizionata, che ne aumenta la
forza d'attrazione in modo tale che, pur pesando solo sei once, il magnete sollevava
quindici libbre di ferro lavorato in forma di sepolcro. In occasione del trasferimento
a Firenze lascia la sua convivente, la veneziana Marina Gamba, conosciuta a
Padova, dalla quale aveva avuto tre figli: Virginia e Livia, mai legittimate, e
Vincenzio, che riconobbe. Affida a Firenze la figlia Livia alla nonna, con la
quale già convive l'altra figlia Virginia, e lascia Vincenzio a Padova alle
cure della madre e poi, dopo la morte di questa, a Bartoluzzi. In
seguito, resasi difficile la convivenza delle due bambine con Ammannati,
Galileo fece entrare le figlie nel convento di San Matteo, ad Arcetri
(Firenze), costringendole a prendere i voti non appena compiuti i rituali
sedici anni. Virginia assunse il nome di suor Maria Celeste, e Livia quello di
suor Arcangela, e mentre Virginia Galilei si rassegna alla sua condizione e
rimase in contatto epistolare con il padre, Livia non accetta mai
l'imposizione. La pubblicazione del Sidereus Nuncius suscita apprezzamenti ma
anche diverse polemiche. Oltre all'accusa di essersi impossessato, con il
cannocchiale, di una scoperta che non gli apparteneva, fu messa in dubbio anche
la realtà di quanto egli asseriva di aver scoperto. Sia Cremonini, sia Magini,
che sarebbe l'ispiratore del libello “Brevissima peregrinatio contra Nuncium
Sidereum” da Horký, pur accogliendo l'invito di Galilei a guardare attraverso
il telescopio che egli aveva costruito, ritennero di *non* vedere alcun
supposto satellite di Giove. Solo più tardi Magini si ricredette e con
lui anche Clavius, che aveva ritenuto che i satelliti di Giove individuati da
Galilei fossero soltanto un'”illusione” prodotta non direttamente dal corpo di
Galileo mai dalla lente del telescopio. Quest’obiezione e difficilmente
confutabile. Conseguente sia alla bassa qualità del sistema ottico del primo
telescopio, sia all'ipotesi che la lente potessero deformer la vision natural
all’occhio nudo. Un appoggio molto importante fu dato a Galileo da Keplero,
che, dopo un iniziale scetticismo e una volta costruito un telescopio sufficientemente
efficiente, verifica l'esistenza effettiva dei satelliti di Giove, pubblicando
a Francoforte la “Narratio de observatis a se quattuor Jovis satellitibus
erronibus quos Galilaeus Galilaeus mathematicus florentinus jure inventionis
Medicaea sidera nuncupavit”. Poiché i gesuiti del Collegio Romano sono considerati
tra le maggiori autorità scientifiche del tempo, si recò a Roma per presentare
le sue scoperte. Fu accolto con tutti gli onori da Paolo V e da Cesi, che lo
iscrisse nei Lincei. Galileo scrive a Vinta che i gesuiti avendo finalmente
conosciuta la verità dei nuovi Pianeti Medicei, ne hanno fatte da due mesi in
qua continue osservazioni, le quali vanno proseguendo; e le aviamo “riscontrate
con le mie” e si rispondano giustissime. Però, a quel tempo non sapeva ancora
che l'entusiasmo con il quale anda diffondendo e difendendo le proprie scoperte
e teorie suscita resistenze e sospetti precisamente in ambito
ecclesiastico. Bellarmino incarica i matematici vaticani di approntargli
una relazione sulle nuove scoperte fatte da un valente matematico per mezo d'un
istrumento chiamato cannone overo ochiale e la Congregazione del Santo Uffizio precauzionalmente
chiese all'Inquisizione di Padova se fosse mai stato aperto, in sede locale,
qualche procedimento a carico di Galilei. Evidentemente, la Curia Romana
comincia già a intravedere quali conseguenze avrebbero potuto avere questi singolari
sviluppi della filosofia sulla concezione generale del mondo e quindi,
indirettamente, sui sacri principi del cristanensimo. Scrisse il Discorso
intorno alle cose che stanno in su l'acqua, o che in quella si muovono, nel
quale appoggiandosi alla teoria di Archimede dimostra, contro Aristotele, che i
corpi galleggiano o affondano nell'acqua a seconda del loro peso specifico non
della loro forma, provocando la polemica risposta del Discorso apologetico
d'intorno al Discorso di Galileo Galilei di Colombe. Al Pitti, presenti il
granduca, la granduchessa Cristina e Barberini, allora suo grande ammiratore,
diede una pubblica dimostrazione sperimentale dell'assunto, confutando
definitivamente Colombe. Galilei accenna anche alle macchie solari, che
sosteniene di aver già osservate a Padova, senza però darne notizia: scrisse
ancora, l'Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti,
pubblicata a Roma dall'Accademia dei Lincei, in risposta a tre lettere di Scheiner
che, indirizzate a Welser, duumviro di Augusta, mecenate delle scienze e amico
dei Gesuiti dei quali era banchiere. A parte la questione della priorità della
scoperta, Scheiner sosteneva erroneamente che le macchie consistevano in sciami
di astri rotanti intorno al Sole, mentre Galileo le considerava materia fluida
appartenente alla superficie del Sole e ruotante intorno ad esso proprio a
causa della rotazione stessa della stella. L'osservazione delle macchie
consentì, quindi, a Galileo la determinazione del periodo di rotazione del Sole
e la dimostrazione che il cielo e la terra non erano due mondi radicalmente
diversi, il primo solo perfezione e immutabilità e il secondo tutto variabile e
imperfetto. Infatti, ribadì a Federico Cesi la sua visione copernicana
scrivendo come il Sole si rivolgesse «in sé stesso in un mese lunare con
rivoluzione simile all'altre de i pianeti, cioè da ponente verso levante
intorno a i poli dell'eclittica: la quale novità dubito che voglia essere il
funerale o più tosto l'estremo e ultimo giudizio della pseudofilosofia,
essendosi già veduti segni nelle stelle, nella luna e nel sole; e sto
aspettando di veder scaturire gran cose dal Peripato per mantenimento della
immutabilità de i cieli, la quale non so dove potrà esser salvata e celata».
Anche l'osservazione del moto di rotazione del Sole e dei pianeti era molto
importante: rendeva meno inverosimile la rotazione terrestre, a causa della
quale la velocità di un punto all'equatore sarebbe di circa 1700 km/h anche se
la Terra fosse immobile nello spazio. La scoperta delle fasi di Venere e
di Mercurio, osservate da Galileo, non era compatibile col modello geocentrico
di Tolomeo, ma solo con quello geo-eliocentrico di Tycho Brahe, che Galileo non
prese mai in considerazione, e con quello eliocentrico di Copernico. Galileo,
scrivendo a Giuliano de' Medici il 1º gennaio 1611, affermava che «Venere
necessarissimamente si volge intorno al sole, come anche Mercurio e tutti li
altri pianeti, cosa ben creduta da tutti i Pittagorici, Copernico, Keplero e
me, ma non sensatamente[N 36] provata, come ora in Venere e in Mercurio». Difese
il modello eliocentrico e chiarì la sua concezione della scienza in quattro
lettere private, note come "lettere copernicane" e indirizzate a
padre Benedetto Castelli, due a monsignor Pietro Dini, una alla granduchessa
madre Cristina di Lorena. L'horror vacui Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Vuoto (filosofia). Secondo la dottrina
aristotelica in natura il vuoto non esiste poiché ogni corpo terreno o celeste
occupa uno spazio che fa parte del corpo stesso. Senza corpo non c'è spazio e
senza spazio non esiste corpo. Sostiene Aristotele che "la natura rifugge
il vuoto" (natura abhorret a vacuo), e perciò lo riempie costantemente;
ogni gas o liquido tenta sempre di riempire ogni spazio, evitando di lasciarne
porzioni vuote. Un'eccezione però a questa teoria era l'esperienza per la quale
si osservava che l'acqua aspirata in un tubo non lo riempiva del tutto ma ne
rimaneva inspiegabilmente una parte che si riteneva fosse del tutto vuota e
perciò dovesse essere colmata dalla Natura; ma questo non si verificava.
Galilei rispondendo a una lettera inviatagli nel 1630 da un cittadino ligure
Giovan Battista Baliani confermò questo fenomeno sostenendo che «la ripugnanza
del vuoto da parte della Natura» può essere vinta, ma parzialmente, e che,
anzi, «lui stesso ha provato che è impossibile far salire l’acqua per
aspirazione per un dislivello superiore a 18 braccia, circa 10 metri e mezzo. Galilei
quindi crede che l'horror vacui sia limitato e non si chiede se in effetti il
fenomeno fosse collegato al peso dell'aria, come dimostrerà Evangelista
Torricelli. La disputa con la Chiesa Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Disputa tra Galileo Galilei e la Chiesa. La denuncia
del domenicano Tommaso Caccini. Il cardinale Roberto Bellarmino Il 21 dicembre
1614, dal pulpito di Santa Maria Novella a Firenze il frate domenicano Tommaso
Caccini lanciava contro certi matematici moderni, e in particolare contro
Galileo, l'accusa di contraddire le Sacre Scritture con le loro concezioni
astronomiche ispirate alle teorie copernicane. Giunto a Roma, il 20 marzo 1615,
Caccini denunciò Galileo in quanto sostenitore del moto della Terra intorno al
Sole. Intanto a Napoli era stato pubblicato il libro del teologo carmelitano
Paolo Antonio Foscarini, la Lettera sopra l'opinione de' Pittagorici e del
Copernico, dedicata a Galileo, a Keplero e a tutti gli accademici dei Lincei,
che intendeva accordare i passi biblici con la teoria copernicana
interpretandoli «in modo tale che non gli contradicano affatto». Bellarmino,
già giudice nel processo di Giordano Bruno, tuttavia affermava che sarebbe
stato possibile reinterpretare i passi della Scrittura che contraddicevano
l'eliocentrismo solo in presenza di una vera dimostrazione di esso e, non
accettando le argomentazioni di Galileo, aggiungeva che finora non gliene era
stata mostrata nessuna, e sosteneva che comunque, in caso di dubbio, si
dovessero preferire le sacre scritture. L'anno dopo il Foscarini verrà,
per breve tempo, incarcerato e la sua Lettera proibita. Intanto il Sant'Uffizio
stabilì, il 25 novembre 1615, di procedere all'esame delle Lettere sulle
macchie solari e Galileo decise di venire a Roma per difendersi personalmente,
appoggiato dal granduca Cosimo: «Viene a Roma il Galileo matematico» – scriveva
Cosimo II al cardinale Scipione Borghese – «et viene spontaneamente per dar
conto di sé di alcune imputazioni, o più tosto calunnie, che gli sono state
apposte da' suoi emuli». Il papa ordinò a Bellarmino di convocare Galileo
e di ammonirlo di abbandonare la suddetta opinione; e se si fosse rifiutato di
obbedire, il Padre Commissario, davanti a un notaio e a testimoni, di fargli
precetto di abbandonare del tutto quella dottrina e di non insegnarla, non
difenderla e non trattarla». Il cardinale Bellarmino diede comunque a Galileo
una dichiarazione in cui venivano negate abiure ma in cui si ribadiva la
proibizione di sostenere le tesi copernicane: forse gli onori e le cortesie
ricevute malgrado tutto, fecero cadere Galileo nell'illusione che a lui fosse
permesso quello che ad altri era vietato. Comparvero nel cielo tre comete,
fatto che attirò l'attenzione e stimolò gli studi degli astronomi di tutta
Europa. Fra essi il gesuita Orazio Grassi, matematico del Collegio Romano,
tenne con successo una lezione che ebbe vasta eco, la Disputatio astronomica de
tribus cometis anni MDCXVIII: con essa, sulla base di alcune osservazioni
dirette e di un procedimento logico-scolastico, egli sosteneva l'ipotesi che le
comete fossero corpi situati oltre al «cielo della Luna» e la utilizzava per
avvalorare il modello di Tycho Brahe, secondo il quale la Terra è posta al
centro dell'universo, con gli altri pianeti in orbita invece intorno al Sole,
contro l'ipotesi eliocentrica. Galilei decise di replicare per difendere
la validità del modello copernicano. Rispose in modo indiretto, attraverso lo
scritto Discorso delle comete di un suo amico e discepolo, Mario Guiducci, ma
in cui la mano del maestro era probabilmente presente. Nella sua replica
Guiducci sosteneva erroneamente che le comete non erano oggetti celesti, ma
puri effetti ottici prodotti dalla luce solare su vapori elevatisi dalla Terra,
ma indicava anche le contraddizioni del ragionamento di Grassi e le sue erronee
deduzioni dalle osservazioni delle comete con il cannocchiale. Il gesuita
rispose con uno scritto intitolato Libra astronomica ac philosophica, firmato
con lo pseudonimo anagrammatico di Lotario Sarsi, attaccava direttamente
Galilei e il copernicanesimo. Galilei a questo punto rispose
direttamente: fu pronto il trattato Il Saggiatore. Scritto in forma di lettera,
fu approvato dagli accademici dei Lincei e stampato a Roma. Dopo la morte di
papa Gregorio XV, con il nome di Urbano VIII saliva al soglio pontificioBarberini,
da anni amico ed estimatore di Galileo. Questo convinse erroneamente Galileo
che risorge la speranza, quella speranza che era ormai quasi del tutto sepolta.
Siamo sul punto di assistere al ritorno del prezioso sapere dal lungo esilio a
cui era stato costrett, come scritto al nipote del papa Francesco
Barberini. Galileo resenta una teoria rivelatasi successivamente erronea
delle comete come apparenze dovute ai raggi solari. In effetti, la formazione
della chioma e della coda delle comete, dipendono dall'esposizione e dalla
direzione delle radiazioni solari, dunque Galilei non aveva tutti i torti e
Grassi ragione, il quale essendo avverso alla teoria copernicana, non poteva
che avere un'idea sui generis dei corpi celesti. La differenza tra le
argomentazioni di Grassi e quella di Galileo era tuttavia soprattutto di
metodo, in quanto il secondo basava i propri ragionamenti sulle esperienze. Galileo
scrisse infatti la celebre metafora secondo la quale la filosofia è scritta in
questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi
“(io dico l'universo)” mettendosi in contrasto con Grassi che si richiamava
all'autorità dei maestri del passato e di Aristotele per l'accertamento della
verità sulle questioni naturali. Giunse a Roma per rendere omaggio al
papa e strappargli la concessione della tolleranza della Chiesa nei confronti
del sistema copernicano, ma nelle sei udienze concessegli da Urbano VIII non
ottenne da questi alcun impegno preciso in tal senso. Senza nessuna
assicurazione ma con il vago incoraggiamento che gli veniva dall'esser stato
onorato da papa Urbano – che concesse una pensione al figlio Vincenzio –
Galileo ritenne di poter rispondere finalmente, nel settembre del 1624, alla
Disputatio di Francesco Ingoli. Reso formale omaggio all'ortodossia cattolica,
nella sua risposta Galileo dovrà confutare le argomentazioni anticopernicane
dell'Ingoli senza proporre quel modello astronomico, né rispondere alle
argomentazioni teologiche. Nella Lettera Galileo enuncia per la prima volta
quello che sarà chiamato il principio della relatività galileiana: alla comune
obiezione portata dai sostenitori della immobilità della Terra, consistente
nell'osservazione che i gravi cadono perpendicolarmente sulla superficie terrestre,
anziché obliquamente, come apparentemente dovrebbe avvenire se la Terra si
muovesse, Galileo risponde portando l'esperienza della nave nella quale, sia
essa in movimento uniforme o sia ferma, i fenomeni di caduta o, in generale,
dei moti dei corpi in essa contenuti, si verificano esattamente nello stesso
modo, perché «il moto universale della nave, essendo comunicato all'aria ed a
tutte quelle cose che in essa vengono contenute, e non essendo contrario alla
naturale inclinazione di quelle, in loro indelebilmente si conserva».[65]
Dialogo Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Dialogo
sopra i due massimi sistemi del mondo. Galilei comincia il suo nuovo lavoro, un
Dialogo che, confrontando le diverse opinioni degli interlocutori, gli avrebbe
consentito di esporre le varie teorie correnti sulla cosmologia, e dunque anche
quella copernicana, senza mostrare di impegnarsi personalmente a favore di
nessuna di esse. Ragioni di salute e familiari prolungarono la stesura
dell'opera. Dovette prendersi cura della numerosa famiglia del fratello
Michelangelo, mentre il figlio Vincenzio, laureatosi in legge a Pisa si sposa con
Sestilia Bocchineri, sorella di Geri Bocchineri, uno dei segretari del duca
Ferdinando, e di Alessandra. Per esaudire il desiderio della figlia Maria
Celeste, monaca ad Arcetri, di averlo più vicino, affitta vicino al convento il
villino «Il Gioiello». Dopo non poche vicissitudini per ottenere l'imprimatur
ecclesiastico, l'opera venne pubblicata. Nel Dialogo i due massimi
sistemi messi a confronto sono quello geo-centrico e quello elio-centrico. Tre
sono i protagonisti: due sono personaggi reali, amici di Galileo, Salviati e
Sagredo, nello cui palazzo si fingono tenute la conversazione. Il terzo
protagonista è ‘Simplicio,’ un commentatore di Aristotele, oltre a
sottintendere il suo semplicismo scientifico. Simplicio è il sostenitore del
sistema geo-centrico, mentre l'opposizione elio-centrica è sostenuta da
Salviati e Sagredo. Il Dialogo ricevette molti elogi, ma si diffusero le voci
di una proibizione. Riccardi scrive ad Egidi che per ordine del Papa il
“Dialogo” non doveva più essere diffuso. Gli chiedeva di rintracciare le copie
già vendute e di sequestrarle. Il Papa adirato accusa Galileo di aver raggirato
i ministri che avevano autorizzato la pubblicazione. L’Inquisizione romana
sollecita quella fiorentina perché notificasse a Galileo l'ordine di comparire
a Roma entro il mese di ottobre davanti al Commissario generale del
Sant'Uffizio. Galileo, in parte perché malato, in parte perché spera che la
questione potesse aggiustarsi in qualche modo senza l'apertura del processo,
ritarda per tre mesi la partenza; di fronte alla minacciosa insistenza del
Sant'Uffizio, parte per Roma in lettiga. Il processo comincia con il primo
interrogatorio di Galileo, al quale Maculano contesta di aver ricevuto un
precetto con il quale Bellarmino gli avrebbe intimato di abbandonare la teoria
elio-centrica, di non sostenerla in nessun modo e di non insegnarla. Nell'interrogatorio
Galileo nega di aver avuto conoscenza del precetto e sostenne di non ricordare
che nella dichiarazione di Bellarmino vi fossero le parole “quovis modo” (in
qualsiasi modo) e “nec docere” (non insegnare). Incalzato dall'inquisitore,
Galileo non solo ammise di non avere detto cosa alcuna del sodetto precetto, ma
anzi arriva a sostenere che nel detto Dialogo mostra il contrario di detta
opinione del Copernico, e che le ragioni di Copernico sono invalide e non
concludenti. Concluso il primo interrogatorio, Galileo fu trattenuto, pur sotto
strettissima sorveglianza, in tre stanze del palazzo dell'Inquisizione, con
ampia e libera facoltà di passeggiare. Il giorno successivo all'ultimo
interrogatorio, nella sala capitolare del convento domenicano di Santa Maria
sopra Minerva, presente e inginocchiato Galileo, fu emessa la sentenza dai inquisitori
generali contro l'eretica pravità, nella quale si riassume la lunga vicenda del
contrasto fra Galileo e il cristanesimo, cominciata con lo scritto Delle
macchie solari e l'opposizione dei cristiani al modello Copernicano. Nella
sentenza si sostiene poi che il documento fosse un'effettiva ammonizione a non
difendere o insegnare la teoria copernicana. Imposta l'abiura con cuor
sincero e fede non finta e proibito il Dialogo, e condannato al carcere formale
ad arbitrio nostro e alla pena salutare della recita settimanale dei sette
salmi penitenziali per tre anni, riservandosi l'Inquisizione di moderare, mutare
o levar in tutto o parte le pene e le penitenze. Se la leggenda della frase di
Galileo, «E pur si muove», pronunciata appena dopo l'abiura, serve a suggerire
la sua intatta convinzione della validità del modello copernicano, la conclusione
del processo segna la sconfitta del suo programma di diffusione della filosofia,
fondata sull'osservazione rigorosa dei fatti e sulla loro verifica sperimentale
– contro il cristenesimo che produce esperienze come fatte e rispondenti al suo
bisogno senza averle mai né fatte né osservate – e contro i pregiudizi del
senso comune, che spesso induce a ritenere reale qualunque apparenza: una
filosofia che insegna a non aver più fiducia nell'autorità, nella tradizione e
nel senso commune e che vuole insegnare a pensare. La sentenza di condanna
prevedeva un periodo di carcere a discrezione del Sant'Uffizio e l'obbligo di
recitare per tre anni, una volta alla settimana, i salmi penitenziali. Il
rigore letterale fu mitigato nei fatti. La prigionia consistette nel soggiorno
coatto per cinque mesi presso Palazzo Niccolini, a Trinità dei Monti e di qui,
in Palazzo Piccolomini a Siena. Quanto ai salmi penitenziali, Galileo incarica
di recitarli, con il consenso della Chiesa, la figlia Livia, suora di clausura.
Piccolomini favore Galileo, permettendogli di incontrare personalità della
città e di dibattere questioni scientifiche. A seguito di una lettera che
denunci l'operato, il Sant'Uffizio provvide, accogliendo una stessa richiesta
avanzata in precedenza da Galilei, a confinarlo nell'isolata villa del
Gioiello, che possede nella campagna di Arcetri. Si l’intima di stare da solo,
di non chiamare ne di ricevere alcuno, per il tempo ad arbitrio di Sua Santita.
Solo i familiari poaaono fargli visita, dietro preventiva autorizzazione: anche
per questo motivo gli fu particolarmente dolorosa la morte di Livia. Poté
tuttavia mantenere corrispondenza con amici ed estimatori: a Diodati consolandosi
delle sue sventure che l'invidia e la malignità “mi hanno machinato contro” con
la considerazione che l'infamia ricade sopra i traditori e i costituiti nel più
sublime grado dell'ignoranza. Da Diodati seppe della versione in latino che
Bernegger anda facendo a Strasburgo del suo Dialogo e gli riferì di Rocco, purissimo
peripatetico, e remotissimo dall'intender nulla di filosofia che scrive a
Venezia mordacità e contumelie contro di lui. Questa, e altre lettere,
dimostrano quanto poco Galileo avesse rinnegato le proprie convinzioni
copernicane. Dopo il processo scrive e pubblica “Discorsi e dimostrazioni
matematiche intorno a due nuove scienze attinenti la mecanica e i moti locali”,
organizzato come un dialogo che si svolge in quattro giornate fra i tre
medesimi protagonisti del precedente Dialogo dei massimi sistemi: Sagredo,
Salviati e Simplicio. Nella prima giornata si tratta della resistenza dei
materiali. La diversa resistenza deve essere legata alla struttura della
particolare materia e Galileo, pur senza pretendere di pervenire a una
spiegazione del problema, affronta l'interpretazione atomistica di Democrito,
considerandola un'ipotesi capace di rendere conto di fenomeni fisici. In
particolare, la possibilità dell'esistenza del vuoto – prevista da Democrito –
viene ritenuta una seria ipotesi scientifica e nel vuoto – ossia
nell'inesistenza di un qualunque mezzo in grado di opporre resistenza – Galileo
sostiene giustamente che tutte le cose discendeno con eguale velocità, in
opposizione con Aristotele che ritiene l'impossibilità concettuale di un moto
in un vuoto. Dopo aver trattato della statica e della leva nella seconda
giornata, nella terza e nella quarta si occupa della dinamica, stabilendo le
leggi del moto uniforme, del moto naturalmente accelerato e del moto
uniformemente accelerato e delle oscillazioni del pendolo. Intraprende
corrispondenza con Bocchineri. La famiglia Bocchineri di Prato aveva dato una
giovane, di nome Sestilia, sorella di Alessandra, per moglie al figlio di
Galilei, Vincenzio. Quando Galilei incontra Bocchineri, questa è una
donna che si è affinata e ha coltivato la sua intelligenza, sposa di Buonamici,
un importante diplomatico che diventerà buon amico di Galilei. Bocchineri
e Galilei si scambiano numerosi inviti per incontrarsi e Galilei non manca di
elogiare l'intelligenza di Bocchineri dato che sì rare si trovano donne che
tanto sensatamente discorrino come ella fa. Con la cecità e l'aggravarsi delle
condizioni di salute è costretto talvolta a rifiutare gli invite NON *SOLO* per
le molte indisposizioni che mi tengono oppresso in questa mia gravissima età,
ma perché son ritenuto ancora in carcere, per quelle cause che benissimo son
note. L'ultima lettera mandata di
"non volontaria brevità". «Vide / sotto l'etereo padiglion rotarsi /
più mondi, e il Sole irradïarli immoto, onde all'Anglo che tanta ala vi stese /
sgombrò primo le vie del firmamento. E tumulato nella Basilica di Santa Croce a
Firenze. Il Cristenesimo mantenne la sorveglianza anche nei confronti degli
allievi. Quando i seguaci diedero vita al Cimento, esso intervenne presso il Granduca,
e il Cimento e sciolto. Convinto della correttezza della cosmologia
copernicana, Galileo era ben consapevole che essa fosse ritenuta in contraddizione
con il testo cristiano che sostenevano invece una concezione geocentrica dell'universo.
Il cristanesimo considera le Sacre Scritture ispirate dallo Spirito Santo, la
teoria eliocentrica poteva essere accettata, fino a prova contraria, soltanto
come semplice ipotesi (“ex supposition”) o modello matematico, senza alcuna
attinenza con la reale posizione dei corpi celesti. Proprio a questa condizione
il “De revolutionibus orbium coelestium” di Copernico non e condannato dalle
autorità ecclesiastiche e menzionato nell'Indice dei libri proibiti. Galileo si
inserì nel dibattito sul rapporto fra scienza e fede con la lettera a Castelli.
Difese il modello copernicano sostenendo che esistono *due* verità
necessariamente non in contraddizione o in conflitto fra loro. La Bibbia è
certamente un testo sacro di ispirazione divina e dello Spirito Santo, ma
comunque scritto in un preciso momento storico con lo scopo di orientare il
lettore verso la comprensione della vera religione. Per questa ragione, come
già avevano sostenuto molti esegeti tra i quali *Lutero* e Keplero, i fatti
della Bibbia sono stati necessariamente scritti in modo tale da poter essere
compresi anche dagli antichi e dalla gente comune. Occorre quindi discernere,
come già sostenuto da Agostino, il messaggio propriamente basato nella fede
dalla descrizione, storicamente connotata ed inevitabilmente narrativa e
didascalica, di fatti, episodi e personaggi. Dal che seguita, che qualunque
volta alcuno, nell'esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono litterale, splicito,
potrebbe, errando esso, far apparire nelle Scritture non solo contraddizioni e
proposizioni remote dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora. Poi che
sarebbe necessario dare a Dio e piedi e mani e occhi, e non meno affetti di un
corpora quasi-umanio, come d'ira, di pentimento, d'odio ed anco tal volta la
dimenticanza delle cose passate e l'ignoranza delle future.” Lettera alla granduchessa
di Toscana. Il noto episodio biblico della richiesta di Giosuè a Dio di fermare
il Sole per prolungare il giorno era usato in ambito ecclesiastico a sostegno
del sistema geo-centrico. Galileo sostenne invece che in quel modo il giorno
non si sarebbe allungato, in quanto nel sistema geo-centrio la rotazione diurna (giorno/notte)
non dipende dal Sole, ma dalla rotazione del Primum Mobile. La Bibbia deve
essere re-interpretata e bisogna “alterar” il “senso” delle parole, e dire che
quando la Scrittura dice che Dio ferma il Sole, voleva dire che ferma 'l primo
mobile, ma che, per accomodarsi alla capacità di quei che sono a fatica idonei
a intender il nascere e 'l tramontar del Sole, lo Spirito Santo dice al
contrario di quel che avrebbe detto parlando a uomini sensati. Nel sistema
elio-centrico la rotazione del Sole sul proprio asse provoca sia la rivoluzione
della Terra attorno al Sole, sia la rotazione diurna (giorno/notte) della Terra
attorno all'asse terrestre. Quindi l'episodio biblico ci mostra manifestamente
la falsità e impossibilità del mondano sistema aristotelico e Tolemaico, e
all'incontro benissimo s'accomoda co 'l Copernicano.. Infatti se Dio avesse
fermato il Sole assecondando la richiesta di Giosuè, ne avrebbe necessariamente
bloccato la rotazione assiale (unico suo movimento previsto nel sistema
copernicano), provocando di conseguenza - secondo Galileo - l'arresto sia della
(ininfluente) rivoluzione annuale, sia della rotazione terrestre diurna
prolungando quindi la durata del giorno. A questo proposito, è interessante la
critica proposta da Koestler, in cui sostiene che Galileo sape meglio di
chiunque altro che se la terra si fermasse bruscamente, montagne, case, città,
crollerebbero come un castello di carte. Il più ignorante dei frati, senza
sapere nulla del momento di inerzia, sape benissimo quel che succedeva quando i
cavalli e la carrozza frenavano di colpo o quando una nave finiva contro gli
scogli. Se si interpreta la Bibbia secondo Tolomeo, il brusco arresto del Sole non
aveva effetti fisici degni di nota e il miracolo rimaneva credibile al pari di
qualsiasi altro miracolo. In base all'interpretazione di Galileo, Giosuè
avrebbe distrutto non soltanto gli Amorrei, ma la terra intera! Sperando di far
passare queste sciocchezze penose, Galileo rivela il suo disprezzo per gli
avversari. Fece analoghe considerazioni in lettere a Dini, le quali destarono
preoccupazione negli ambienti conservatori per le idee innovative, il carattere
polemico e l'ardimento coi quali Galilei sostene che alcuni passi della Bibbia
dovessero venir re-interpretati alla luce del sistema copernicano. Le Sacre Scritture
si occupano di Dio. La filosofia naturale, che fa indagini sulla Natura si fondarsi
su «sensate esperienze» e «necessarie dimostrazioni». La Bibbia e la Natura non
possono contraddirsi perché derivano entrambe da Dio. Di conseguenza, in caso
di discordia apparente, non sarà la scienza a dover fare un passo indietro,
bensì gli interpreti del testo sacro che dovranno cercare al di là del “significato”
splicito superficiale (explicatura). Le Sacre Scritture sono conforme soltanto
"al comun modo del volgo", ossia si adatta non già alle competenze
degli "intendenti", ma ai limiti conoscitivi dell'uomo comune,
velando così con una sorta di “allegoria” il “senso più profondo” di un
enunciato.. Se il “messaggio” “letterale” diverge da un enunciato del filosofo
naturale, non lo può mai il suo “contenuto” "recondito" e più
autentico, ricavabile dall'interpretazione delle Sacre Scriture oltre i suoi “significato”
più epidermico. Circa il rapporto tra filosofia e la rivelazione, celebre è la
sua frase: «intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado,
l'*intenzione* dello Spirito Santo essere d'*in-segn-arci* come si vadia al
cielo, e non come vadia il cielo», usualmente attribuita Baronio. Si noti che,
applicando tale criterio, Galileo non avrebbe potuto usare il passo biblico di
Giosuè per cercare di dimostrare un presunto accordo tra testo sacro e sistema
copernicano o la supposta contraddizione tra la Bibbia e il modello tolemaico.
Deriva invece proprio da tale criterio la teoria di Galileo secondo la quale
esistono *due* sorgenti di *conoscenza* che sono in grado di rivelare la stessa
verità che proviene da Dio. Il primo è le
Sancte Scritture, scritte dal spirito santo in termini comprensibili al
"volgo", che ha essenzialmente valore salvifico e di redenzione
dell'anima, e richiede quindi un'attenta inter-pretazione delle affermazioni
relative ai fenomeni naturali che in essa sono descritti. Il secondo è questo
grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico
l'universo), scritto in simboli», che va letto (decifrato) secondo la ragione
(non la fede) e non va pos-posto alle Sancte Scriture ma, per essere *ben* o
corretamente interpretato, deve essere studiato con gli strumenti di cui Dio –
nostro genitore -- ci ha dotati: sentire, il giudicare, il discorrire. Nella
disputa filosofica di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalla
autorità di luoghi delle Sancte Scritture, ma dall’esperienza sensata (a
posteriori) e dalla di-mostrazioni necessaria (dall’assiomi, a priori): perché,
procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la Natura – la fisi
dei grecchi --, quella come ‘dettatura’ (dictature – dettato ed impiegato) dello
Spirito Santo, e questa ‘dettatura’ come osservantissima esecutrice de gli
ordini di Dio, nostro genitore.” La filosofia – regina scientiarum – La
‘materia’ della filosofia la rende d'importanza primaria (metafisica come
filosofia prima, filosofia naturale come filosofia seconda. La flosofia non pretendere
di pronunciare giudizi su una verità specifica (la porta e chiusa). Al contrario,
se una certa esperienza non si accorda con un assioma, allora e quest’assioma
che deve essere ri-letti alla luce della experienza. Non vi può essere, in
definitiva, dis-accordo tra ragione ed experienza, essendo, per definizione,
entrambe vere. Ma, in caso di *apparente* contraddizione su un fenomeno
naturale, occorre modificare l'interpretazione dell’assioma per adeguarla
all’esperienza. Aristotele – con il suo geo-centrimo -- non differe
sostanzialmente da Galileo. Aristotele ammetteva la necessità di rivedere
l'interpretazione dell’esperienza. Ma nel caso del sistema elio-centrico, Bellarmino
sostenne, ragionevolmente, che non vi fossero una prova conclusive a suo
favore. Dico che quando ci fusse vera demostratione che il sole stia nel centro
del mondo (o nostro sistema pianetario) e la terra nel terzo cielo, e che il
sole (elio) non circonda la terra (gea), ma la terra circonda il sole, allhora
bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono
contrarie, e più tosto dire che “non l'intendiamo” – cf. Grice on metaphor and
‘My neighbour’s three-year old is an adult”), che dire che sia “falso” (‘You’re
the cream in my coffee”, “My neighbour’s three-year old understands Russell’s
Theory of Types”) quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal
dimostratione, fin che non mi sia mostrata. L’ esperienzia di visione –
osservazione -- con gli strumenti allora disponibili, della parallasse stellare
(che si sarebbe dovuta riscontrare come l’effetto dello spostamento della Terra
rispetto al cielo delle stelle fisse) costituiva invece evidenza contraria alla
teoria elio-centrica. In tale contesto, Aristotele ammetteva quindi che si
parlasse di una teoria o ipotesi o modello elio-centrico solo “ex suppositione”
(come ipotesi matematica geometrica o aritmetica). La difesa di Galileo ex professo
(con cognizione di causa e competenza, di proposito e intenzionalmente) della
teoria geo-centrica quale “reale” descrizione fisica del sistema solare e delle
orbite dei pianete si scontrò quindi, inevitabilmente, con la posizione ufficiale
d’Aristotele. Tale contrapposizione sfociò nel processo a Galilei, che si
concluse con la condanna per veemente sospetto di eresia" e l'abiura forzata
delle sue concezioni astronomiche. RiAl di là dal giudizio storico,
giuridico e morale sulla condanna a Galilei, le questioni di carattere
epistemologico filosofico e di “ermeneutica” che furono al centro del processo
sono state oggetto di riflessione da parte di Grice. che spesso ha citato la
vicenda di Galileo per esemplificare, talora in termini volutamente paradossali,
il suo pensiero in merito a tali questioni. Contro Feyerabend, sostenitore di
un'anarchia epistemologica, Grice sostenne che Aristotele si attenne alla
ragione più che Galilei, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche
e sociali della teoria elio-centrica. La sentenza aristotelica contro Galilei e
razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può
legittimare la revision. Questa provocazione sarà poi ripresa da Ratzinger,
dando luogo a contestazioni da parte dell'opinione pubblica. Ma il vero scopo
per cui Grice espresso tale provocatoria affermazione e "solo mostrare la
contraddizione di coloro che approvano l’eliocentrismo di Galileo e condannano
il geo-centrismo aristotelico, ma poi verso il lavoro dei loro contemporanei
sono rigorosi come lo erano gl’aristotelichi ai tempi di Galileo. Nel corso dei
secoli che seguirono, l’aristotelismo modifica la propria posizione nei confronti
di Galilei. Il Sant'Uffizio concesse l'erezione di un mausoleo in suo onore
nella chiesa di Santa Croce in Firenze. Benedetto XIV olse dall'Indice i libri
che insegnavano il moto della Terra (“e pur si muove”) con ciò ufficializzando
quanto già di fatto aveva fatto Alessandro VII con il ritiro di un dicreto.
La definitiva autorizzazione all'”in-segna-mento” del moto della terra e
dell'immobilità del sole arriva con un decreto della Sacra Congregazione dell'inquisizione
approvato da Pio VII. Particolarmente significativo risulta il contributo
di Newman, a pochi anni dalla abilitazione dell'insegnamento dell'eliocentrismo
e quando le teorie di Newton sulla gravitazione risultavano ormai affermate e
provate sperimentalmente. Newman riassume il rapporto dell'elio-centrismo con Aristotele.
«Quando il sistema copernicano comincia a diffondersi, quale aristotelico non
sarebbe stato tentato dall'inquietudine, o almeno dal timore dello scandalo,
per l'apparente contraddizione che esso implicava con una certa autorevole tradizione?
Generalmente si accetta che la terra e immobile e che il sole, fissato in un
solido firmamento, ruota intorno alla terra. Dopo un po' di tempo, tuttavia, e
un'analisi completa, si scoprì che Aristotele non aveva deciso quasi niente su
questioni come questa e che la scienza fisica poteva muoversi in questa sfera
di pensiero quasi a piacere, senza timore di scontrarsi con l’adagio, “Master
dixit””. Newman compie della vicenda Galileo come conferma, e non negazione, di
Aristotele. E certamente un fatto molto significativo, considerando con quanta
ampiezza e quanto a lungo fosse stata sostenuta dai aristotelichi una certa
interpretazione di questa affermazione fisica geo-centrica, che Aristotele non
l'abbia formalmente riconosciuta (la teoria del geocentrismo, ndr). Guardando
alla questione da un punto di vista umano, e inevitabile che essa dovesse far
propria quell'opinione. Ma ora, accertando la nostra posizione rispetto
all’esperienza, troviamo che malgrado gli abbondanti commenti che fin
dall'inizio essa ha sempre fatto su Aristotele, com'è suo compito e suo diritto
fare, tuttavia, è sempre stata indotta a spiegare formalmente Aristotele o a
dar loro un senso di autorità che l’esperienza può mettere in discussione. Paolo
VI fece avviare la revisione del processo e con l'intento di porre una parola
definitiva riguardo a queste polemicheGiovanni Paolo II auspicò che fosse
intrapresa una ricerca interdisciplinare sui difficili rapporti di Galileo con
la Chiesa e istituì una Commissione per lo studio della controversia
tolemaico-copernicana nella quale il caso Galilei si inserisce. Il papa ammise,
nel discorso in cui annuncia l'istituzione della commissione, che"Galileo
ebbe molto a soffrire, non possiamo nasconderlo, da parte di uomini
aristotelichi. Si cancella la condanna e chiarì la sua interpretazione sulla
questione teologica scientifica galileiana riconoscendo che la condanna di Galilei
fu dovuta all'ostinazione di entrambe le parti nel non voler considerare le
rispettive teorie come semplici ipotesi non comprovate sperimentalmente e,
d'altra parte, alla mancanza di perspicacia, ovvero di intelligenza e
lungimiranza, dei filosofi aristotelichi che lo condannarono, incapaci di
riflettere sui propri criteri di interpretazione di Aristotele e responsabili
di aver inflitto molte sofferenze a Galilei. Come dichiara Giovanni Paolo II, come
la maggior parte dei suoi avversari aristotelichi, Galileo non fa distinzione
tra quello che è l'approccio scientifico ai fenomeni naturali e la riflessione
sulla natura, di ordine “filosofico”, che esso generalmente richiama. È per
questo che Galilei rifiutò il suggerimento che gli era stato dato di presentare
come un'ipotesi il sistema di Copernico, fin tanto che esso non fosse
confermato da prove irrefutabili. Era quella, peraltro, un'esigenza del metodo
sperimentale di cui egli fu l’iniziatore. Il problema che si posero dunque i
aristotelichi era quello della compatibilità dell'eliocentrismo e Aristotele.
Così l’esperienza, con i suoi metodi e la libertà di ricerca che essi
suppongono, obbligava gl’aristotelichi ad interrogarsi sui loro criteri di
interpretazione di Aristotele. La maggior parte non seppe farlo. Il giudizio
pastorale che richiedeva la teoria copernicana e difficile da esprimere nella
misura in cui il geocentrismo sembrava far parte dell’insegnamento stesso
d’Aristotele. Sarebbe stato necessario contemporaneamente vincere delle
abitudini di pensiero e inventare una pedagogia capace di illuminare il popolo.
La storia del pensiero scientifico del Medioevo e del Rinascimento, che si
comincia ora a comprendere un po' meglio, si può dividere in due periodi, o
meglio, perché l'ordine cronologico corrisponde solo molto approssimativamente
a questa divisione, si può dividere, grosso modo, in tre fasi o epoche,
corrispondenti successivamente a tre differenti correnti di pensiero: prima la
fisica aristotelica; poi la fisica dell'impetus, iniziata, come ogni altra
cosa, dai Greci ed elaborata dalla corrente dei Nominalisti; e infine la fisica
galileiana. Fra le maggiori scoperte che Galilei fece guidato dagli
esperimenti, si annoverano un primo approccio fisico alla relatività, poi noto
come “relatività galileiana”, la scoperta delle quattro lune principali di
Giove, dette appunto “satelliti galileiani” (Io, Europa, “Ganimede” e
Callisto), il principio di inerzia, seppur parzialmente. Compì anche
studi sul moto di caduta dei gravi e riflettendo sui moti lungo i piani
inclinati scoprì il problema del "tempo minimo" nella caduta dei corpi
materiali, e studia varie traiettorie, tra cui la spirale paraboloide e la
cicloide. Nell'ambito delle sue ricerche di matematica – geometria ed
aritmetica -- si avvicinò alle proprietà dell'infinito introducendo un celebre
paradosso di Galileo. Galilei incoraggiò Cavalieri a sviluppare le idee del
maestro e di altri sulla geometria con il metodo degli indivisibili, per
determinare aree e volumi: questo metodo rappresentò una tappa fondamentale per
l'elaborazione del calcolo infinitesimale. Quando Galilei fece rotolare le
sue sfere su di un piano inclinato con un peso scelto da lui stesso, e
Torricelli fece sopportare all’aria un peso che egli stesso sapeva già uguale a
quello di una colonna d’acqua conosciuta fu una rivelazione luminosa per tutti
gli investigatori della natura. Essi compresero che la ragione vede solo ciò
che lei stessa produce secondo il proprio disegno, e che essa deve costringere
la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per
dir così, colle redini; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso
e senza un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria. Galilei
fu uno dei protagonisti della fondazione del metodo scientifico espresso con
linguaggio matematico e pose l'esperimento come strumento a base dell'indagine
sulle leggi della natura, in contrasto con Aristotele e la sua analisi
qualitativa del cosmo. Hanno sin qui la maggior parte dei filosofi creduto che
la superficie della luna fosse pulita tersa e assolutissimamente sferica, e se
qualcuno disse di credere, che ella fusse aspra e muntuosa fu reputato parlare
più presto favolusamente, che filosoficamente. Ora io questa istessa lunare asserisco
il primo, non più per immaginazione, ma per sensata esperienza e necessaria
dimostrazione, che egli è di superficie piena di innumerevoli cavità ed
eminenze, tanto rilevate che di gran lunga superano le terrene montuosità. Già
nella lettera a Welser a proposito della polemica sulle macchie solari, Galilei
si domandava che cosa l'uomo nella sua ricerca vuole arrivare a conoscere.
«O noi vogliamo specolando tentar di penetrar l'essenza vera ed intrinseca
delle sustanze naturali; o noi vogliamo contentarci di venir in notizia
d'alcune loro affezioni» Ed ancora: per conoscenza intendiamo l'arrivare
a cogliere i principi primi dei fenomeni o come questi si sviluppano? «Il
tentar l'essenza, l'ho per impresa non meno impossibile e per fatica non men
vana nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissime e celesti: e a me
pare essere egualmente ignaro della sustanza della Terra che della Luna, delle
nubi elementari che delle macchie del Sole; né veggo che nell'intender queste
sostanze vicine aviamo altro vantaggio che la copia de' particolari, ma tutti
egualmente ignoti, per i quali andiamo vagando, trapassando con pochissimo o niuno
acquisto dall'uno all'altro. La ricerca dei principi primi essenziali comporta
dunque una serie infinita di domande poiché ogni risposta fa nascere una nuova
domanda: se noi ci chiedessimo quale sia la sostanza delle nuvole, una prima
risposta sarebbe che è il vapore acqueo ma poi dovremo chiederci che cos'è
questo fenomeno e dovremo rispondere che è acqua, per chiederci subito dopo che
cos'è l'acqua, rispondendo che è quel fluido che scorre nei fiumi ma questa
«notizia dell'acqua» è soltanto «più vicina e dependente da più sensi», più
ricca di informazioni particolari diverse, ma non ci porta certo la conoscenza
della sostanza delle nuvole, della quale sappiamo esattamente quanto prima. Ma
se invece vogliamo capire le «affezioni», le caratteristiche particolari dei
corpi, potremo conoscerle sia in quei corpi che sono da noi distanti, come le
nuvole, sia in quelli più vicini, come l'acqua. Occorre dunque intendere in
modo diverso lo studio della natura. «Alcuni severi difensori di ogni minuzia
peripatetica», educati nel culto di Aristotele, credono che «il filosofare non
sia né possa esser altro che un far gran pratica sopra i testi di Aristotele»
che portano come unica prova delle loro teorie. E non volendo «mai sollevar gli
occhi da quelle carte» rifiutano di leggere «questo gran libro del mondo» (cioè
dall'osservare direttamente i fenomeni), come se «fosse scritto dalla natura
per non esser letto da altri che da Aristotele, e che gli occhi suoi avessero a
vedere per tutta la sua posterità. Invece i discorsi nostri hanno a essere
intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta.A fondamento del
metodo scientifico quindi ci sono il rifiuto dell'essenzialismo e la decisione
di cogliere solo l'aspetto quantitativo dei fenomeni nella convinzione di poterli
tradurre tramite la misurazione in numeri così che si abbia una conoscenza di
tipo matematico, l'unica perfetta per l'uomo che la raggiunge gradatamente
tramite il ragionamento così da eguagliare lo stesso perfetto conoscere divino
che la possiede interamente e intuitivamente. Però...quanto alla verità di che
ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella è l'istessa che conosce
la sapienza divina. Il metodo galileiano si dovrà comporre quindi di due
aspetti principali: sensata esperienza, ovvero l'esperimento distinto dalla
comune osservazione della natura, che deve infatti seguire a un'attenta
formulazione teorica, ovvero a ipotesi (metodo ipotetico-sperimentale) che
siano in grado di guidare l'esperienza in modo che essa non fornisca risultati
arbitrari. Galileo non ottenne la legge di caduta dei gravi dalla mera
osservazione, altrimenti ne avrebbe dedotto che un corpo cade più rapidamente
tanto più è pesante (un sasso nell'aria arriva prima a terra di una piuma per
via dell'attrito). Studiò invece il moto dei corpi in caduta controllandolo con
un piano inclinato, costruendo cioè un esperimento che gli permettesse di ottenere
risultati più precisi. Anche l'esperimento mentale può essere un utile
strumento di dimostrazione e permise a Galileo di confutare le dottrine aristoteliche
sul moto. necessaria dimostrazione, ovvero un'analisi matematica e rigorosa dei
risultati dell'esperienza, che sia in grado di trarre da questa risultati
universali e ogni conseguenza in modo necessario e non opinabile espressi dalla
legge scientifica. In questo modo Galileo concluse che tutti i corpi nel vuoto
precipitano con una velocità proporzionale al tempo di caduta, anche se
chiaramente non aveva effettuato esperimenti considerando tutti i possibili
corpi con differenti forme e materiali. La dimostrazione va ulteriormente
verificata, con ulteriori esperienze, ovvero il cosiddetto cimento che è
l'esperimento concreto con cui va sempre verificato l'esito di ogni
formulazione teorica. Sintetizzando la natura del metodo galileiano, Rodolfo
Mondolfo infine aggiunge che: «Il vincolo stabilito da Galileo tra
osservazione e dimostrazione le esperienze fatte mediante i sensi e le
dimostrazioni logico-matematiche della loro necessità – era un vincolo
reciproco, non unilaterale: né le esperienze sensibili dell’ osservazione
potevano valere scientificamente senza la relativa dimostrazione della loro
necessità, né la dimostrazione logica e matematica poteva raggiungere la sua
"assoluta certezza oggettiva" come quella della natura senza
appoggiarsi all’ esperienza nel suo punto di partenza e senza trovare la sua
conferma in essa nel suo punto d’ arrivo. È questa l'originalità del metodo
galileiano: avere collegato esperienza e ragione, induzione e deduzione,
osservazione esatta dei fenomeni e elaborazione di ipotesi e questo, non
astrattamente ma, con lo studio di fenomeni reali e con l'uso di appositi
strumenti tecnici. La terminologia scientifica in Galilei Fondamentale è
stato il contributo di Galileo al linguaggio scientifico, sia in campo
matematico, sia, in particolare, nel campo della fisica. Ancora oggi in questa
disciplina molto del linguaggio settoriale in uso deriva da specifiche scelte
dello scienziato pisano. In particolare, negli scritti di Galileo molte parole
sono tratte dal linguaggio comune e vengono sottoposte ad una
"tecnificazione", cioè l'attribuzione ad esse di un significato
specifico e nuovo (una forma, quindi, di neologismo semantico). È il caso di
"forza" (seppur non in senso newtoniano), "velocità",
"momento", "impeto", "fulcro", "molla"
(intendendo lo strumento meccanico ma anche la "forza elastica"),
"strofinamento", "terminatore", "nastro". Un
esempio del modo in cui Galileo nomina gli oggetti geometrici è in un brano dei
Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze: «Voglio
che ci immaginiamo esser levato via l'emisferio, lasciando però il cono e
quello che rimarrà del cilindro, il quale, dalla figura che riterrà simile a
una scodella, chiameremo pure scodella. Come si vede, nel testo ad una
terminologia specialistica ("emisferio", "cono",
"cilindro") si accompagna l'uso di un termine che denota un oggetto
della vita quotidiana, cioè "scodella". Galilei è ricordato nella
storia anche per le sue riflessioni sui fondamenti e sugli strumenti
dell'analisi scientifica della natura. Celebre la sua metafora riportata nel
Saggiatore, dove la matematica viene definita come il linguaggio (o la
semiotica, o i ‘signi’ – il segno -- in cui è scritto libro della natura:
La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta
aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se
prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è
scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli,
cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a
intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un
oscuro laberinto. In questo brano Galilei mette in collegamento le parole
"matematica", "filosofia" e "universo", dando
così inizio a una lunga disputa fra i filosofi della scienza in merito a come
egli concepisse e mettesse in relazione fra loro questi termini. Ad esempio,
quello che qui Galileo chiama "universo" si dovrebbe intendere,
modernamente, come "realtà fisica" o "mondo fisico" in
quanto Galileo si riferisce al mondo materiale conoscibile matematicamente.
Quindi non solo alla globalità dell'universo inteso come insieme delle
galassie, ma anche di qualsiasi sua parte o sottoinsieme inanimato. Il termine
"natura" includerebbe invece anche il mondo biologico, escluso
dall'indagine galileiana della realtà fisica. Per quanto riguarda
l'universo propriamente detto, Galilei, seppur nell'indecisione, sembra
propendere per la tesi che sia infinito: «Grandissima mi par l’inezia di
coloro che vorrebbero che Iddio avesse fatto l’universo più proporzionato alla
piccola capacità del loro discorso che all’immensa, anzi infinita, sua potenza»
Egli non prende una posizione netta sulla questione della finitezza o infinità
dell'universo; tuttavia, come sostiene Rossi, «c'è una sola ragione che lo
inclina verso la tesi dell'infinità: è più facile riferire l'incomprensibilità
all'incomprensibile infinito che al finito che non è comprensibile». Ma Galilei
non prende mai esplicitamente in considerazione, forse per prudenza, la
dottrina di Giordano Bruno di un universo illimitato e infinito, senza un
centro e costituito di infiniti mondi tra i quali Terra e Sole che non hanno
alcuna preminenza cosmogonica. Lo scienziato pisano non partecipa al dibattito
sulla finitezza o infinità dell'universo e afferma che a suo parere la
questione è insolubile. Se appare propendere per l'ipotesi della infinitezza lo
fa con motivazioni filosofiche in quanto, sostiene, l'infinito è oggetto di
incomprensibilità mentre ciò che è finito rientra nei limiti del comprensibile.
Il rapporto fra la matematica di Galileo e la sua filosofia della natura, il
ruolo della deduzione rispetto all'induzione nelle sue ricerche, sono stati
riportati da molti filosofi al confronto fra aristotelici e platonici, al
recupero dell'antica tradizione greca con la concezione archimedea o anche
all'inizio dello sviluppo nel XVII secolo del metodo sperimentale. La
questione è stata così ben espressa dal filosofo medievalista Moody. Quali sono
i fondamenti filosofici della fisica di Galileo e quindi della scienza moderna
in genere? Galileo è sostanzialmente un platonico, un aristotelico o nessuno
dei due? Si limitò, come sostiene Duhem, a rilevare e perfezionare una scienza
meccanica che aveva avuto origine nel Medioevo cristiano e i cui principi
fondamentali erano stati scoperti e formulati da Buridano, da Nicola Oresme e
dagli altri esponenti della cosiddetta "fisica dell’ impetus" del XIV
secolo? Oppure, come sostengono Cassirer e Koyré, voltò le spalle a questa
tradizione dopo averla brevemente processata nella sua dinamica pisana e
ripartì ispirandosi ad Archimede e Platone? Le controversie più recenti su
Galileo sono consistite in larga misura in un dibattito circa il valore
fondamentale e l’ influsso storico che su di lui avevano esercitato le
tradizioni filosofiche, platoniche e aristoteliche, scolastiche e antiscolastiche.
Galileo viveva in un'epoca in cui le idee del platonismo si erano diffuse
nuovamente in tutta Europa e in Italia e probabilmente anche per questa ragione
i simboli della matematica vengono da lui identificati con entità geometriche e
non con numeri. L'uso dell'algebra derivato dal mondo arabo nel dimostrare
relazioni geometriche era invece ancora insufficientemente sviluppato ed è solo
con Leibniz e Isaac Newton che il calcolo differenziale divenne la base dello
studio della meccanica classica. Galileo infatti nel mostrare la legge di
caduta dei gravi si servì di relazioni e similitudini geometriche. Da una
parte, per alcuni filosofi come Alexandre Koyré, Ernst Cassirer, Edwin Arthur
Burtt (1892–1989), la sperimentazione fu certamente importante negli studi di
Galileo e giocò anche un ruolo positivo nello sviluppo della scienza moderna.
La sperimentazione stessa, come studio sistematico della natura, richiede un
linguaggio con cui formulare domande e interpretare le risposte ottenute. La
ricerca di questo linguaggio era un problema che aveva interessato i filosofi
sin dai tempi di Platone e Aristotele, in particolare rispetto al ruolo non
banale della matematica nello studio delle scienze della natura. Galilei si
affida a esatte e perfette figure geometriche che però non possono mai essere
riscontrate nel mondo reale, se non al massimo come rozza
approssimazione. Oggi la matematica nella fisica moderna è utilizzata per
costruire modelli del mondo reale, ma ai tempi di Galileo questo tipo di
approccio non era affatto scontato. Secondo Koyré, per Galileo il linguaggio
della matematica gli permette di formulare domande a priori prima ancora di
confrontarsi con l'esperienza, e così facendo orienta la stessa ricerca delle
caratteristiche della natura attraverso gli esperimenti. Da questo punto di
vista, Galileo seguirebbe quindi la tradizione platonica e pitagorica, dove la
teoria matematica precede l'esperienza e non si applica al mondo sensibile ma
ne esprime la sua intima natura. La visione aristotelica Altri studiosi di
Galilei, come Stillman Drake, Pierre Duhem, John Herman Randall Jr., hanno
invece sottolineato la novità del pensiero di Galileo rispetto alla filosofia
platonica classica. Nella metafora del Saggiatore la matematica è un linguaggio
e non è direttamente definita né come l'universo né come la filosofia, ma è
piuttosto uno strumento per analizzare il mondo sensibile che era invece visto
dai platonici come illusorio. Il linguaggio sarebbe il fulcro della metafora di
Galileo, ma l'universo stesso è il vero obbiettivo delle sue ricerche. In
questo modo secondo Drake, Galileo si allontanerebbe definitivamente dalla
concezione e dalla filosofia platonica per accostarsi invece alla filosofia
aristotelica per cui ogni realtà deve avere in sé stessa le leggi del proprio
costituirsi. La sintesi tra platonismo e aristotelismo Secondo Eugenio Garin
Galileo invece, con il suo metodo sperimentale, vuole identificare nel fatto
osservato "aristotelicamente" una necessità intrinseca, espressa
matematicamente, dovuta al suo legame con la causa divina "platonica"
che lo produce facendolo "vivere". Alla radice di gran parte della
nuova scienza, da Leonardo a Galileo, accanto al desiderio tutto rinascimentale
di non lasciare intentata via alcuna, è viva la certezza che il sapere ha
aperta innanzi a sé la possibilità di una salda cognizione. Se noi
ripercorriamo la Teologia platonica, vi troviamo al centro questa tesi,
largamente e minutamente discussa nel libro secondo: alla mente di Dio sono
presenti tutte le essenze; la divina volontà, che poteva non creare, ha
manifestato la sua generosità col dare concreta e mondana realizzazione alle
eterne idee facendole vivere. La fecondità del concetto di creazione si rivela
nel dono della vita che Dio ha dato, e poteva non dare. Ma la volontà non tocca
quel mondo razionale che costituisce l'eterna ragione divina, il verbo divino,
cui dunque si conforma e si adegua questo mondo il quale, platonicamente,
rispecchia l'ideale razionalità per il tramite dell'intermediario matematico:
"numero, pondere et mensura". La mente umana, raggio del Verbo divino,
è nelle sue radici impiantata essa pure in Dio; è in Dio partecipe in qualche
modo dell'assoluta certezza. La scienza nasce così per il corrispondersi di
questa struttura razionale del mondo, impiantata nell'eterna sapienza divina, e
della mente umana partecipe di questa luce divina di ragione. Studi sul moto La
descrizione quantitativa del movimento Rappresentazione dell'evoluzione
moderna dei diagrammi utilizzati da Galileo nello studio del moto. Ad ogni
punto di una linea corrisponde un tempo e una velocità (segmento giallo che
termina con un punto blu). L'area gialla della figura così ottenuta corrisponde
quindi allo spazio totale percorso nell'intervallo di tempo (t2-t1). Dilthey
vede Keplero e Galilei come le massime espressioni nel loro tempo di
"pensieri calcolatori" che si disponevano a risolvere, tramite lo
studio delle leggi del movimento, le esigenze della moderna società
borghese: «Il lavoro degli opifici urbani, i problemi sorti
dall’invenzione della polvere da sparo e dalla tecnica delle fortificazioni, i
bisogni della navigazione relativamente ad apertura di canali, a costruzione e
armamento di navi, avevano fatto della meccanica la scienza preferita del
tempo. Specialmente in Italia, nei Paesi Bassi e in Inghilterra, questi bisogni
erano assai vivaci, e provocarono la ripresa e continuazione degli studi di
statica degli antichi e le prime ricerche nel nuovo campo della dinamica,
specialmente per opera di Leonardo, del Benedetti e dell'Ubaldi. Galilei fu
infatti uno dei protagonisti del superamento della descrizione aristotelica
della natura del moto. Già nel medioevo alcuni autori, come Giovanni Filopono
nel VI secolo, avevano osservato contraddizioni nelle leggi aristoteliche, ma
fu Galileo a proporre una valida alternativa basata su osservazioni
sperimentali. Diversamente da Aristotele, per il quale esistono due moti
"naturali", cioè spontanei, dipendenti dalla sostanza dei corpi, uno
diretto verso il basso, tipico dei corpi di terra e d'acqua, e uno verso
l'alto, tipico dei corpi d'aria e di fuoco, per Galileo qualunque corpo tende a
cadere verso il basso nella direzione del centro della Terra. Se vi sono corpi
che salgono verso l'alto è perché il mezzo nel quale si trovano, avendo una
densità maggiore, li spinge in alto, secondo il noto principio già espresso da
Archimede: la legge sulla caduta dei gravi di Galileo, prescindendo dal mezzo,
è pertanto valida per tutti i corpi, qualunque sia la loro natura. Per
raggiungere questo risultato, uno dei primi problemi che Galileo e i suoi
contemporanei dovettero risolvere fu quello di trovare gli strumenti adatti a
descrivere quantitativamente il moto. Ricorrendo alla matematica, il problema
era quello di capire come trattare eventi dinamici, come la caduta dei corpi,
con figure geometriche o numeri che in quanto tali sono assolutamente statici e
sono privi di alcun moto. Per superare la fisica aristotelica, che considerava
il moto in termini qualitativi e non matematici, come allontanamento e
successivo ritorno al luogo naturale, bisognava dunque prima sviluppare gli
strumenti della geometria e in particolare del calcolo differenziale, come
fecero successivamente fra gli altri Newton, Leibniz e Cartesio. Galileo riuscì
a risolvere il problema nello studio del moto dei corpi accelerati disegnando
una linea ed associando ad ogni punto un tempo e un segmento ortogonale
proporzionale alla velocità. In questo modo costruì il prototipo del diagramma
velocità-tempo e lo spazio percorso da un corpo è semplicemente uguale all'area
della figura geometrica costruita. I suoi studi e le sue ricerche sul moto dei
corpi aprirono inoltre la via alla moderna balistica. Sulla base degli studi
sul moto, di esperimenti mentali e delle osservazioni astronomiche, Galileo
intuì che è possibile descrivere sia gli eventi che accadono sulla Terra che
quelli celesti con un unico insieme di leggi. Superò quindi in questo modo
anche la divisione fra mondo sublunare e sovralunare della tradizione
aristotelica (per la quale il secondo è governato da leggi diverse da quelle
terrestri e da moti circolari perfettamente sferici, ritenuti impossibili nel
mondo sublunare). Il principio d'inerzia e il moto circolare Sfera sul
piano inclinato Studiando il piano inclinato, Galilei si occupò dell'origine
del moto dei corpi e del ruolo degli attriti; scoprì un fenomeno che è
conseguenza diretta della conservazione dell'energia meccanica e porta a
considerare l'esistenza del moto inerziale (che avviene senza l'applicazione di
una forza esterna). Ebbe così l'intuizione del principio di inerzia, poi inserito
da Isaac Newton nei principi della dinamica: un corpo, in assenza d'attrito,
permane in moto rettilineo uniforme (in quiete se v=0) fino a quando forze esterne
agiscono su di esso. Il concetto di energia non era invece presente nella
fisica del Seicento e solo con lo sviluppo, oltre un secolo più tardi, della
meccanica classica si arriverà ad una precisa formulazione di tale
concetto. Galileo pose due piani inclinati dello stesso angolo di base θ,
uno di fronte all'altro, ad una distanza arbitraria x. Facendo scendere una
sfera da un'altezza h1 per un tratto l1 di quello a SN notò che la sfera,
arrivata sul piano orizzontale tra i due piani inclinati, continua il suo moto
rettilineo fino alla base del piano inclinato di DX. A quel punto, in assenza d'attrito,
la sfera risale il piano inclinato di DX per un tratto l2 = l1 e si ferma alla
stessa altezza (h2 = h1) di partenza. In termini attuali, la conservazione
dell'energia meccanica impone che l'iniziale energia potenziale Ep = mgh1 della
sfera si trasformi - man mano che la sfera discende il primo piano inclinato
(SN) - in energia cinetica Ec = (1/2) mv2 sino alla sua base, dove vale mgh1 =
(1/2) mvmax2. La sfera si muove quindi sul piano orizzontale coprendo la
distanza x tra i piani inclinati con velocità costante vmax, fino alla base del
secondo piano inclinato (DX). Risale poi il piano inclinato di DX, perdendo
progressivamente energia cinetica che si trasforma nuovamente in energia
potenziale, fino a un valore massimo uguale a quello iniziale (Ep = mgh2 =
mgh1), al quale corrisponde velocità finale nulla (v2 = 0).
Rappresentazione dell'esperimento di Galileo sul principio d'inerzia. Si
immagini ora di diminuire l'angolo θ2 del piano inclinato di DX (θ2 < θ1),e
di ripetere l'esperimento. Per riuscire a risalire - come impone il principio
di conservazione dell'energia - alla medesima quota h2 di prima, la sfera dovrà
ora percorrere un tratto l2 più lungo sul piano inclinato di DX. Se si riduce
progressivamente l'angolo θ2, si vedrà che ogni volta aumenta la lunghezza l2
del tratto percorso dalla sfera, per risalire all'altezza h2. Se si porta
infine l'angolo θ2 ad essere nullo (θ2 = 0°), si è di fatto eliminato il piano
inclinato di DX. Facendo ora scendere la sfera dall'altezza h1 del piano inclinato
di SN, essa continuerà a muoversi indefinitamente sul piano orizzontale con
velocità vmax (principio d'inerzia) in quanto, per l'assenza del piano
inclinato di DX, non potrà mai risalire all'altezza h2 (come prevederebbe il
principio di conservazione dell'energia meccanica). Si immagini infine di
spianare montagne, riempire valli e costruire ponti, in modo da realizzare un
percorso rettilineo assolutamente piano, uniforme e senza attriti. Una volta
iniziato il moto inerziale della sfera che scende da un piano inclinato con
velocità costante vmax, questa continuerà a muoversi lungo tale percorso
rettilineo fino a fare il giro completo della Terra, e ricominciare quindi
indisturbata il proprio cammino. Ecco realizzato un (ideale) moto inerziale
perpetuo, che avviene lungo un'orbita circolare, coincidente con la
circonferenza terrestre. Partendo da questo "esperimento ideale",
Galileo sembrerebbe erroneamente ritenere che tutti i moti inerziali debbano
essere moti circolari. Probabilmente per questo motivo considerò, per i moti
planetari da lui (arbitrariamente) ritenuti inerziali, sempre e solo orbite
circolari, rifiutando invece le orbite ellittiche dimostrate da Keplero.
Dunque, ad essere rigorosi, non pare essere corretto quanto afferma Newton nei
"Principia" - fuorviando così innumerevoli studiosi - e cioè che
Galilei avrebbe anticipato i suoi primi due principi della dinamica. Misura
dell'accelerazione di gravità File:Isocronismo.webm Spiegazione del
funzionamento dell'isocronismo nella caduta dei gravi lungo una spirale su un
paraboloide. Galileo riuscì a determinare il valore che egli credeva costante
dell'accelerazione di gravità g alla superficie terrestre, cioè della grandezza
che regola il moto dei corpi che cadono verso il centro della Terra, studiando
la caduta di sfere ben levigate lungo un piano inclinato, anch'esso ben
levigato. Poiché il moto della sfera dipende dall'angolo di inclinazione del
piano, con semplici misure ad angoli differenti riuscì a ottenere un valore di
g solamente di poco inferiore a quello esatto per Padova (g = 9,8065855 m/s²),
nonostante gli errori sistematici, dovuti all'attrito che non poteva essere
completamente eliminato. Detta a l'accelerazione della sfera lungo il
piano inclinato, la sua relazione con g risulta essere a = g sin θ per cui,
dalla misura sperimentale di a, si risale al valore dell'accelerazione di
gravità g. Il piano inclinato permette di ridurre a piacimento il valore
dell'accelerazione (a < g), facilitandone la misura. Ad esempio, se θ = 6°,
allora sin θ = 0,104528 e quindi a = 1,025 m/s². Tale valore è meglio
determinabile, con una strumentazione rudimentale, rispetto a quello
dell'accelerazione di gravità (g = 9,81 m/s²) misurato direttamente con la
caduta verticale di un oggetto pesante. Misura della velocità della luce
Guidato dalla similitudine con il suono, Galileo fu il primo a tentare di
misurare la velocità della luce. La sua idea fu quella di portarsi su una
collina con una lanterna coperta da un drappo e quindi toglierlo lanciando così
un segnale luminoso ad un assistente posto su un'altra collina ad un chilometro
e mezzo di distanza: questi non appena avesse visto il segnale, avrebbe quindi
alzato a sua volta il drappo della sua lanterna e Galileo vedendo la luce
avrebbe potuto registrare l'intervallo di tempo impiegato dal segnale luminoso
per giungere all'altra collina e tornare indietro.Una misura precisa di questo
tempo avrebbe consentito di misurare la velocità della luce ma il tentativo fu
infruttuoso data l'impossibilità per Galilei di avere uno strumento così
avanzato che potesse misurare i centomillesimi di secondo che la luce impiega
per percorrere una distanza di pochi chilometri. La prima stima della
velocità della luce fu opera, nel 1676, dell'astronomo danese Rømer basata su
misure astronomiche. Apparati sperimentali e di misura Termometro di
Galileo, in un'elaborazione successiva. Gli apparati sperimentali furono
fondamentali nello sviluppo delle teorie scientifiche di Galileo, che costruì
diversi strumenti di misura originalmente o rielaborandoli sulla base di idee
preesistenti. In ambito astronomico costruì da sé alcuni esemplari di
cannocchiale, provvisti di micrometro per misurare quanto distasse una luna dal
suo pianeta. Per studiare le macchie solari, proiettò con l'elioscopio
l'immagine del Sole su un foglio di carta per poterla osservare in sicurezza
senza danni alla vista. Ideò anche il giovilabio, simile all'astrolabio, per
determinare la longitudine usando le eclissi dei satelliti di Giove. Per
studiare il moto dei corpi si servì invece del piano inclinato con il pendolo
per misurare intervalli temporali. Riprese anche un rudimentale modello di
termometro, basato sulla dilatazione dell'aria al variare della temperatura. Il
pendolo Schema di un pendolo Galileo scoprì nel 1583 l'isocronismo delle
piccole oscillazioni di un pendolo; secondo la leggenda l'idea gli sarebbe
venuta mentre osservava le oscillazioni di una lampada allora sospesa nella
navata centrale del Duomo di Pisa, oggi custodita nel vicino Camposanto
Monumentale, nella Cappella Aulla. Questo strumento è semplicemente composto da
un grave, come una sfera metallica, legato ad un filo sottile e inestensibile.
Galileo osservò che il tempo di oscillazione di un pendolo è indipendente dalla
massa del grave e anche dall'ampiezza dell'oscillazione, se questa è piccola.
Scoprì anche che il periodo di oscillazione {\displaystyle T}T dipende solo
dalla lunghezza del filo {\displaystyle l}l:[135] {\displaystyle T=2\pi
{\sqrt {\frac {l}{g}}}}T=2\pi {\sqrt {\frac {l}{g}}} dove
{\displaystyle g}g è l'accelerazione di gravità. Se ad esempio il pendolo ha
{\displaystyle l=1m}{\displaystyle l=1m}, l'oscillazione che porta il grave da
un estremo all'altro e poi di nuovo indietro ha un periodo {\displaystyle
T=2,0064s}{\displaystyle T=2,0064s} (avendo assunto per {\displaystyle g}g il
valore medio {\displaystyle 9,80665}{\displaystyle 9,80665}). Galileo sfruttò
questa proprietà del pendolo per usarlo come strumento di misura di intervalli
temporali. La bilancia idrostatica Galileo nel 1586, all'età di 22 anni quando
era ancora in attesa dell'incarico universitario a Pisa, perfezionò la bilancia
idrostatica di Archimede e descrisse il suo dispositivo nella sua prima opera
in volgare, La Bilancetta, che circolò manoscritta, ma fu stampata postuma
«Per fabricar dunque la bilancia, piglisi un regolo lungo almeno due braccia, e
quanto più sarà lungo più sarà esatto l'istrumento; e dividasi nel mezo, dove
si ponga il perpendicolo [il fulcro]; poi si aggiustino le braccia che stiano
nell'equilibrio, con l'assottigliare quello che pesasse di più; e sopra l'uno
delle braccia si notino i termini dove ritornano i contrapesi de i metalli
semplici quando saranno pesati nell'acqua, avvertendo di pesare i metalli più
puri che si trovino. Viene anche descritto come si ottiene il peso specifico PS
di un corpo rispetto all'acqua: {\displaystyle P_{S}={\frac {\operatorname
{peso\;in\;aria} }{\operatorname {peso\;in\;aria} -\operatorname
{peso\;in\;acqua} }}}{\displaystyle P_{S}={\frac {\operatorname
{peso\;in\;aria} }{\operatorname {peso\;in\;aria} -\operatorname
{peso\;in\;acqua} }}}. Ne La Bilancetta si trovano poi due tavole che riportano
trentanove pesi specifici di metalli preziosi e genuini, determinati
sperimentalmente da Galileo con precisione confrontabile con i valori moderni. Il
compasso proporzionale Una descrizione dell'uso del compasso
proporzionale fornita da Galileo Galilei. Il compasso proporzionale era uno
strumento utilizzato fin dal medioevo per eseguire operazioni anche algebriche
per via geometrica, perfezionato da Galileo ed in grado di estrarre la radice
quadrata, costruire poligoni e calcolare aree e volumi. Fu utilizzato con
successo in campo militare dagli artiglieri per calcolare le traiettorie dei
proiettili. Galilei e l'arte Letteratura Gli interessi letterari di Galilei
Durante il periodo pisano Galileo non si limitò alle sole occupazioni
scientifiche: risalgono infatti a questi anni le sue Considerazioni sul Tasso
che avranno un seguito con le Postille all'Ariosto. Si tratta di note sparse su
fogli e annotazioni a margine nelle pagine dei suoi volumi della Gerusalemme
liberata e dell'Orlando furioso dove, mentre rimprovera al Tasso «la scarsezza
della fantasia e la monotonia lenta dell'immagine e del verso, ciò che ama
nell'Ariosto non è solo lo svariare dei bei sogni, il mutar rapido delle
situazioni, la viva elasticità del ritmo, ma l'equilibrio armonico di questo,
la coerenza dell'immagine l'unità organica – pur nella varietà – del fantasma
poetico. Galilei scrittore. D'altro più non si cura fuorché d'essere
inteso» (Giuseppe Parini) «Uno stile tutto cose e tutto pensiero, scevro
di ogni pretensione e di ogni maniera, in quella forma diretta e propria in che
è l'ultima perfezione della prosa.» (Francesco De Sanctis, Storia della
Letteratura Italiana) Dal punto di vista letterario, Il Saggiatore è
considerata l'opera in cui si fondono maggiormente il suo amore per la scienza,
per la verità e la sua arguzia di polemista. Tuttavia, anche nel Dialogo sopra
i due massimi sistemi del mondo si apprezzano pagine di notevole livello per
qualità della scrittura, vivacità della lingua, ricchezza narrativa e
descrittiva. Infine Italo Calvino affermò che, a suo parere, Galilei è stato il
maggior scrittore di prosa in lingua italiana, fonte di ispirazione persino per
Leopardi. L'uso della lingua volgare L'uso del volgare servì a Galileo per un
duplice scopo. Da una parte era finalizzato all'intento divulgativo dell'opera:
Galileo intendeva rivolgersi non solo ai dotti e agli intellettuali ma anche a
classi meno colte, come i tecnici che non conoscevano il latino ma che potevano
comunque comprendere le sue teorie. Dall'altro si contrappone al latino della
Chiesa e delle diverse Accademie che si basavano sul principio di auctoritas, rispettivamente
biblico ed aristotelico. Si viene a delineare una rottura con la tradizione
precedente anche per quanto riguarda la terminologia: Galileo, a differenza dei
suoi predecessori, non trae spunti dal latino o dal greco per coniare nuovi
termini ma li riprende, modificandone l'accezione, dalla lingua volgare. Galileo,
inoltre, dimostrò atteggiamenti diversi nei confronti delle terminologie
esistenti: terminologia meccanica: cauto accoglimento; terminologia
astronomica: non respinge i vocaboli che l'uso abbia già accolto o tenda ad
accogliere. Li utilizza, però, come strumenti, insistendo sul loro valore
convenzionale ("le parole o imposizioni di nomi servono alla verità, ma
non si devono sostituire a essa). Lo scienziato poi segnala gli errori che
nascono quando il nome travisa la realtà fisica o che nascono dalla suggestione
esercitata dagli usi comuni di un vocabolo sul significato figurato assunto
come termine scientifico; per evitare questi errori, egli fissa esattamente il
significato dei singoli vocaboli: sono preceduti o seguiti da una descrizione;
terminologia peripapetica: rifiuto totale che si manifesta con la sua messa in
ridicolo, servendosene come puri suoni in un gioco di alternanze e rime. Arti
figurative «L'Accademia e Compagnia dell'Arte del Disegno fu fondata da Cosimo
I de' Medici nel 1563, su suggerimento di Giorgio Vasari, con l'intento di
rinnovare e favorire lo sviluppo della prima corporazione di artisti
costituitasi dall'antica compagnia di San Luca. Annoverò tra i primi accademici
personalità come Buonarroti, Bartolomeo Ammannati, Agnolo Bronzino, Francesco
da Sangallo. Per secoli l'Accademia rappresentò il più naturale e prestigioso
centro di aggregazione per gli artisti operanti a Firenze e, al tempo stesso,
favorì il rapporto fra scienza e arte. Essa prevedeva l'insegnamento della
geometria euclidea e della matematica e pubbliche dissezioni dovevano preparare
al disegno. Anche uno scienziato come Galileo Galilei fu nominato membro
dell'Accademia fiorentina delle Arti del Disegno. Galileo, infatti, prese pure
parte alle complesse vicende riguardanti le arti figurative del suo periodo,
soprattutto la ritrattistica, approfondendo la prospettiva manieristica ed
entrando in contatto con illustri artisti dell'epoca (come il Cigoli), nonché
influenzando in modo consistente, con le sue scoperte astronomiche, la corrente
naturalistica. Superiorità della pittura sulla scultura Per Galileo nell'arte
figurativa, come nella poesia e nella musica, vale l'emozione che si riesce a
trasmettere, a prescindere da una descrizione analitica della realtà. Ritiene
inoltre che tanto più dissimili sono i mezzi usati per rendere un soggetto dal
soggetto stesso, tanto maggiore l'abilità dell'artista. Perciocché quanto più i
mezzi, co' quali si imita, son lontani dalle cose da imitarsi, tanto più
l'imitazione è maravigliosa.” Ludovico Cardi, detto il Cigoli, fiorentino, fu
pittore al tempo di Galileo; ad un certo punto della sua vita, per difendere il
suo operato, chiese aiuto al suo amico Galileo: doveva, infatti, difendersi
dagli attacchi di quanti ritenevano la scultura superiore alla pittura, in
quanto ha il dono della tridimensionalità, a discapito della pittura
semplicemente bidimensionale. Galileo rispose con una lettera. Egli fornisce
una distinzione tra valori ottici e tattili, che diventa anche giudizio di
valore sulle tecniche scultoree e pittoriche: la statua, con le sue tre
dimensioni, inganna il senso del tatto, mentre la pittura, in due dimensioni,
inganna il senso della vista. Galilei attribuisce quindi al pittore una
maggiore capacità espressiva che non allo scultore poiché il primo, tramite la
vista, è in grado di produrre emozioni meglio di quanto faccia il secondo
mediante il tatto. “A quello poi che dicono gli scultori, che la natura fa
gli uomini di scultura e non di pittura, rispondo che ella gli fa non meno
dipinti che scolpiti, perché ella gli scolpe e gli colora.” Il padre di Galileo
era un musicista (liutista e compositore) e teorico musicale molto noto ai suoi
tempi. Galileo fornì un contributo fondamentale alla comprensione dei fenomeni
acustici, studiando in modo scientifico l'importanza dei fenomeni oscillatori
nella produzione della musica. Scoprì anche la relazione che intercorre fra la
lunghezza di una corda in vibrazione e la frequenza del suono emessa. Nella
lettera a Lodovico Cardi, Galileo scrive: «Non ammireremmo noi un musico,
il quale cantando e rappresentandoci le querele e le passioni d'un amante ci
muovesse a compassionarlo, molto più che se piangendo ciò facesse?... E molto
più lo ammireremmo, se tacendo, col solo strumento, con crudezze et accenti
patetici musicali, ciò facesse...» (Opere XI) mettendo sullo stesso piano
la musica vocale e quella strumentale, dato che nell'arte sono importanti solo
le emozioni che si riescono a trasmettere. Dediche Banconota da 2.000
lire con la raffigurazione di Galileo 2 euro commemorativi italiani per
il 450º anniversario della nascita di Galileo Galilei A Galileo sono stati
dedicati innumerevoli tipi di oggetti ed enti, naturali o creati
dall'uomo: la Galileo Regio, una regione della superficie del satellite
Ganimede; l'asteroide 697 Galilea; una sonda spaziale, la Galileo; un sistema
di posizionamento spaziale, il sistema Galileo; il gal (unità di
accelerazione); il Telescopio Nazionale Galileo (TNG), situato sull'isola di La
Palma (Spagna); l'aeroporto internazionale "Galileo Galilei" di Pisa;
un gruppo musicale giapponese, Galileo Galilei; un album degli Haggard dal
titolo "Eppur si muove"; una canzone scritta e interpretata dal
cantautore pugliese Caparezza intitolata "Il dito medio di Galileo";
il sottomarino Galileo Galilei; una nave da guerra italiana, la Galileo
Galilei; la banconota da 2.000 lire; una canzone Messer Galileo cantata da
Edoardo Pachera durante la 52ª edizione dello Zecchino d'Oro; una società,
produttrice di strumenti scientifici, ottici ed astronomici e denominata
Officine Galileo; una moneta commemorativa da 2 euro nel 2014 per il 450º
anniversario della sua nascita; un supercomputer di potenza di calcolo pari a
circa 1 PetaFlop, installato presso il consorzio interuniversitario CINECA e
classificato per diverso tempo fra le prime 500 strutture di calcolo al mondo;
una cattedra di storia della scienza dell'Università di Padova, detta appunto
cattedra galileiana, istituita per Enrico Bellone a cui poi successe William R.
Shea che la resse fino al 2011, più la Scuola Galileiana di Studi Superiori
della stessa università, nonché l'Accademia galileiana di scienze, lettere ed
arti di Padova. Galileo Day Galileo Galilei viene ricordato con celebrazioni
presso istituzioni locali il 15 febbraio, il Galileo Day, giorno della sua
nascita. Altre opere: La bilancetta (postuma), Tractatio de praecognitionibus
et precognitis and Tractatio de demonstration. Le mecaniche, Le operazioni del
compasso geometrico et militare, Sidereus Nuncius, Discorso intorno alle cose che stanno in su
l'acqua, Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti
(pubblicato dall'Accademia dei Lincei), 1613 (su archive.org, BEIC) Discorso
sopra il flusso e il reflusso del mare, Roma, Il Discorso delle Comete, Il
Saggiatore, Roma, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Firenze, Due
nuove scienze, Leida, Trattato della sfera, Roma 1656 (su BEIC) Lettere Lettera
al Padre Benedetto Castelli, Lettera a Madama Cristina di Lorena, Lettera a Pietro
Dini, Edizione nazionale Opere di Galileo Galilei, Edizione Nazionale, a cura
di Antonio Favaro, Firenze, G. Barbera, Le opere di Galileo Galilei. Edizione
nazionale sotto gli auspicii di Sua Maestà il Re d'Italia. Firenze, Tipografia di G. Barbera, Le opere di
Galileo Galilei, Edizione Nazionale, Appendice, Firenze, Giunti, 2013 ss. in
quattro volumi: Vol. 1: Iconografia galileiana, a cura di F. Tognoni, Carteggio,
a cura di M. Camerota e P. Ruffo, con la collaborazione di M. Bucciantini, Testi,
a cura di A. Battistini, M. Camerota, G. Ernst, R. Gatto, M. Helbing e P.
Ruffo, Documenti, a cura di M. Camerota e P. Ruffo (Edizione digitale delle
Opere Letteratura e teatro Vita di Galileo è il titolo di un'opera teatrale di Brecht
in più versioni, a partire dalla prima risalente agli anni 1938-39. Gli ultimi
anni di Galileo Galilei è il titolo di un'opera teatrale giovanile di Ippolito
Nievo. Galileo è uno spettacolo teatrale del 2010 di Francesco Niccolini e
Marco Paolini. Film Galileo Galilei è un cortometraggio sullo scienziato
pisano. Galileo è un film di Cavani. Galileo si chiama anche il film di Joseph
Losey tratto dal dramma Vita di Galileo di Bertolt Brecht. Per testuali parole
di Puccianti, Galileo fu veramente cultore e propugnatore della Natural
Filosofia: in effetti egli fu matematico, astronomo, fondatore della Fisica nel
senso attuale di questa parola; e queste varie discipline considerò sempre e
trattò come intimamente connesse tra loro, e insieme ad altri studi vari, come
diversi aspetti e atteggiamenti di una stessa attività dello spirito: filosofo
dunque, anche perché portò su questa attività la riflessione e la critica; ma
non incurante delle conseguenze o, come ora si direbbe, delle applicazioni
pratiche. I problemi più importanti e centrali lo impegnarono per tutta la
durata della sua vita scientifica, non con continua opera su ciascuno di essi,
ma con ritorni successivi sempre più approfonditi e più generali, e in fine
risolutivi» (da: Luigi Puccianti, Storia della fisica, Firenze, Felice Le Monnier,
Fondamentali furono inoltre le sue idee e riflessioni critiche sui concetti
fondamentali della meccanica, in particolare quelle sul movimento. Tralasciando
l'ambito prettamente filosofico, dopo la morte di Archimede, il tema del
movimento cessò di essere oggetto di analisi quantitativa e discussione formale
allorché Gerardo di Bruxelles, vissuto nella seconda metà del XII secolo, nel
suo Liber de motu riprese la definizione di velocità, già peraltro considerata
dal matematico del III secolo a.C. Autolico di Pitane, avvicinandosi alla
moderna definizione di velocità media come rapporto fra due quantità non omogenee
quali la distanza e il tempo (cfr. Gerard of Brussels, "The Reduction of
Curvilinear Velocities to Uniform Rectilinear Velocities", edito da
Clagett, in Grant, A Source Book in Medieval Science, Cambridge (MA), Harvard
University Press, e Mazur, Zeno's Paradox.
Unraveling the Ancient Mystery Behind the Science of Space and Time, New
York/London, Plume/Penguin Books, Ltd., Achille e la tartaruga. Il paradosso
del moto da Zenone a Einstein, a cura di Claudio Piga, Milano, Il Saggiatore, Grazie
al perfezionamento del telescopio, che gli permise di effettuare notevoli studi
e osservazioni astronomiche, fra cui quella delle macchie solari, la prima
descrizione della superficie lunare, la scoperta dei satelliti di Giove, delle
fasi di Venere e della composizione stellare della Via Lattea. Per maggiori
notizie, si veda: Luigi Ferioli, Appunti di ottica astronomica, Milano, Editore
Ulrico Hoepli, Cfr. pure Vasco Ronchi, Storia della luce, IBologna, Nicola
Zanichelli Editore, Dal punto di vista storico, un'ipotesi autenticamente
"eliocentrica" fu quella di Aristarco di Samo, poi sostenuta e
dimostrata da Seleuco di Seleucia. Il modello copernicano invece,
contrariamente a quanto generalmente ritenuto, è "eliostatico" ma non
"eliocentrico" (vedi nota seguente). Il sistema di Keplero, poi, non
è né "eliocentrico" (il Sole occupa infatti uno dei fuochi
dell'orbita ellittica di ciascun pianeta che gli ruota attorno) né
"eliostatico" (a causa del moto di rotazione del Sole attorno al
proprio asse). La descrizione newtoniana del sistema solare, infine, eredita le
caratteristiche cinematiche (i.e., orbite ellittiche e moto rotatorio del Sole)
di quella kepleriana ma spiega causalmente, tramite la forza di gravitazione
universale, la dinamica planetaria. ^ A proposito del modello copernicano: «È
da notare che, sebbene il Sole sia immobile, tutto il sistema [solare] non
ruota intorno ad esso, ma intorno al centro dell'orbita della Terra, la quale
conserva ancora un ruolo particolare nell'Universo. Si tratta cioè, più che di
un sistema eliocentrico, di un sistema eliostatico.» (da G. Bonera, Dal sistema
tolemaico alla rivoluzione copernicana, E non più soggettiva, come era stata
fino ad allora condotta. ^ Secondo Giorgio Del Guerra, nella casa sita al n. 24
dell'attuale via Giusti in Pisa (G. Del Guerra, La casa dove, in Pisa, nacque
Galileo Galilei, Pisa, Tipografia Comunale. Verosimilmente, Galileo non dovette
avere buoni rapporti con la madre se non ricorda mai gli anni della sua
infanzia come un periodo felice. Il fratello Michelangelo ebbe occasione di
scrivere a questo proposito a Galileo, quasi augurandosene l'ormai imminente
dipartita: «[...] di nostra madre intendo, con non poca meraviglia, che sia
ancora così terribile, ma poiché è così discaduta, ce ne sarà per poco, sì che
finiranno le lite.» Un Tommaso Ammannati fu fatto cardinale da Clemente VII nel
1385, mentre il fratello Bonfazio Ammannati ottenne la porpora da uno dei
successori di Clemente, l'antipapa Benedetto XIII; quanto a Giacomo Ammannati
Piccolomini, cardinal, fu umanista, continuatore dei Commentarii di Pio II e
autore di una Vita dei papi che è andata perduta. ^ Si ricorda un Tommaso
Bonaiuti, che fece parte del governo di Firenze dopo la cacciata del Duca di
Atene e un Galileo Bonaiuti, medico noto al suo tempo e gonfaloniere di
giustizia, il cui sepolcro nella Basilica di Santa Croce divenne la tomba dei
suoi discendenti; a partire da Galileo Bonaiuti, il cognome della famiglia
cambiò in Galilei. ^ Così scriveva Muzio Tedaldi a Vincenzo Galilei: «per la
vostra ho inteso quanto havete concluso con il vostro figliuolo [Galileo]; et
come, volendo cercar di introdurlo qua in Sapienza, vi ritarda il non esser la
Bartolomea maritata, anzi vi guasta ogni buon pensiero; et che desiderate che
la si mariti, e quanto prima. Le considerationi vostre son buone, et io non ho
mancato né manco di far quell'opera che si ricerca; ma sino a qui son venuti
tutti partiti, per non dir obbrobriosi, poco aproposito per lei… Per
concludere, ardisco di dire che credo che la Bartolomea sia così casta come
qual si vogli pudica fanciulla; ma le lingue non si possono tenere; pure io
crederrò, con l'aiuto che do loro, di levar via tutti questi romori et farli
supire; per il che a quel tempo potrete facilmente mandare il vostro Galileo a
studio; et se non harete la Sapienza, harete la casa mia al vostro piacere,
senza spesa nessuna, et così vi offero et prometto, ricordandovi che le novelle
son come le ciriegie; però è bene credere quel che si vede, e non quel che si
sente, parlando di queste cose basse.» Obbligatoriamente l'iscrizione doveva
avvenire per gli studenti toscani in quell'Università. Chi voleva andare in
un'altra Università avrebbe dovuto pagare una multa di 500 scudi stabilita da
un editto granducale per scoraggiare la frequenza in un ateneo diverso da
quello pisano (In: A. Righini, Op. cit.). ^ Lo testimonierebbe la coincidenza
di argomentazioni esistente tra gli Juvenilia, gli appunti di fisica abbozzati
da Galileo in questo periodo, e i dieci libri del De motu del Bonamico. (In:
Storia sociale e culturale d'Italia, La cultura filosofica e scientifica, La
filosofia e le scienze dell'Uomo, La storia delle scienze, Milano, Bramante
Editrice, Ne descrive i dettagli nel breve trattato La bilancetta, circolato
prima fra i suoi conoscenti e pubblicato postumo nel 1644 (Annibale Bottana,
Galileo e la bilancetta: un momento fondamentale nella storia dell'idrostatica
e del peso specifico, Firenze, Leo S. Olschki Editore). Studi riportati nel
Theoremata circa centrum gravitatis solidorum, pubblicato in appendice ai
Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla
meccanica e ai moti locali. ^ Galileo sottopose a Clavius una sua
insoddisfacente dimostrazione della determinazione del baricentro dei solidi.
(Lettera a Clavius). Giovanni de Medici aveva progettato una draga per il porto
di Livorno. Su questo progetto il granduca Ferdinando aveva chiesto una
consulenza a Galilei che dopo aver visto il modellino affermò che non avrebbe
funzionato. Giovanni de Medici volle comunque costruire la draga che in effetti
non funzionò. (Giovan Battista de Nelli, Vita e commercio letterario di Galileo
Galilei, Losanna, con tale Benedetto Landucci che Galilei raccomandò a Cristina
di Lorena riuscendo a fargli ottenere nel 1609 il posto di pesatore al saggio;
il lavoro, consistente nel pesare gli argenti che venivano venduti, procurava
un guadagno di circa 60 fiorini. Lettera a Cristina di Lorena (Ed. Naz., Vol.
X, Lettera N., Alla dote per la sorella Livia avrebbe dovuto contribuire anche
il fratello Michelangelo. (Lettera a Michelangelo Galilei, Michelangelo... fu
versatissimo nella musica e la esercitò per professione; essendo stato buon
liutista non v'è dubbio che fosse allievo egli pure di suo padre Vincenzo. visse
in Polonia al servizio di un conte palatino; nel 1610 era a Monaco di Baviera
ove insegnava musica, e in una lettera datata del 16 agosto di quell'anno, egli
pregava il fratello Galileo, di acquistargli grosse corde di Firenze per suo
bisogno et dei suoi scolari...» (Dizionario universale dei musicisti, Milano,
Casa Editrice Sonzogno). Le spese per i viaggi in Polonia e Germania furono
sostenute da Galileo. Michelangelo appena sistematosi in Germania volle
sposarsi con Anna Chiara Bandinelli e, anziché saldare il debito per la dote
che aveva con il cognato Galletti, spese tutto il denaro che aveva in un
lussuoso ricevimento nuziale. ^ «Mi dispiace ancora di veder che V.S. non sia
trattata second'i meriti suoi, e molto più mi dispiace che ella non habbi buona
speranza. Et s'ella vorrà andar a Venetia questa state, io l'invito a passar di
qua, che non mancarò dal canto mio di far ogni opera per aiutarla e servirla;
chè certo io non la posso veder in questo modo. Le mie forze sono deboli, ma,
come saranno, io le spenderò tutte in suo servitio. (Lettera di Guidobaldo Del Monte a Galilei.
In: Ed. Naz., Vol. X, Lettera N. 35, Ancora vivente, Galileo fu ritratto da
alcuni dei più famosi pittori del suo tempo, come Santi di Tito, Caravaggio,
Domenico Tintoretto, Giovan Battista Caccini, Francesco Villamena, Ottavio
Leoni, Domenico Passignano, Joachim von Sandrart e Claude Mellan. I due
ritratti più famosi, visibili alla Galleria Palatina di Firenze e agli Uffizi
sono invece di Justus Suttermans che rappresenta Galileo ormai anziano come
simbolo del filosofo conoscitore della natura. (In "Portale Galileo")
^ Per moto «naturale» s'intende quello di un grave, ossia di un corpo in caduta
libera, diversamente dal moto «violento», che è quello di un corpo che sia
soggetto ad un «impeto». ^ L'esatta formulazione della legge è stata data da
Galileo nel successivo De motu accelerato: «Motum aequabiliter, seu
uniformiter, acceleratum dico illum, qui, a quiete recedens, temporibus
aequalibus aequalia celeritatis momenta sibi superaddit», ove l'accelerazione
di gravità è indicata essere direttamente proporzionale al tempo e non allo spazio.
(Ed. Naz.) ^ Con lettera da Verona, l'Altobelli riferiva a Galileo, senza dar
credito, che la stella, «quasi un arancio mezzo maturo», sarebbe stata
osservata. In verità, dietro Antonio Lorenzini (da non confondere col vescovo
Antonio Lorenzini) si celava il Cremonini; cfr. Uberto Motta, Antonio
Querenghi. Un letterato padovano nella Roma del tardo Rinascimento,
Pubblicazioni dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Vita e
Pensiero, «Nacque in Padova intorno al 1580. Poco più che ventenne professò i
voti nell’Ordine Benedettino, e nei primi anni del secolo XVII si trovava nel
monastero di S. Giustina di Padova, legato in molta intimità col Castelli,
insieme col quale fu discepolo di Galileo, prendendo le parti del Maestro nelle
questioni relative alla stella nuova dell’ottobre 1604.» (Da Museo Galileo). Usus
et fabrica circini cuiusdam proportionis, per quem omnia fere tum Euclidis, tum
mathematicorum omnium problemata facili negotio resolvuntur, opera & studio
Balthesaris Capræ nobilis Mediolanensis explicata. (In: Patauij, apud Petrum
Paulum Tozzium, 1607) ^ Alcuni calcoli astrologici, anche risalenti al periodo
fiorentino, furono conservati da Galileo e compaiono nel volume 19 dell'Opera
omnia (sezione "Astrologica nonnulla", pp. 205-220). Da notare che
per lo più si tratta di calcoli del tema natale, solo in qualche caso
accompagnati da interpretazioni o pronostici. ^ È stata ritrovata una lista
della spesa dove Galilei, insieme a ceci, farro, zucchero, ecc., ordinava di
acquistare anche pezzi di specchio, ferro da spianare e quanto di utile per il
suo laboratorio ottico. (Da una nota di una lettera di Ottavio Brenzoni conservata nella Biblioteca Centrale di
Firenze) ^ Espressione tradizionalmente attribuita da scrittori cristiani
all'imperatore pagano Flavio Claudio Giuliano che in punto di morte avrebbe
riconosciuto la vittoria del Cristianesimo: «Hai vinto o Galileo» riferendosi a
Gesù nativo della Galilea. ^ Il comportamento di Galileo è stato variamente
giudicato: vi è chi sostiene che egli le chiuse in convento perché «doveva
pensare a una loro sistemazione definitiva, cosa non facile perché, data la
nascita illegittima, non era probabile un futuro matrimonio» (come se egli non
potesse legittimarle, come fece con il figlio Vincenzio e come se una
monacazione coatta fosse preferibile a un matrimonio non prestigioso; cfr.
Sofia Vanni Rovighi, Storia della filosofia moderna e contemporanea. Dalla
rivoluzione scientifica a Hegel, Brescia, Editrice La Scuola), mentre altri
ritengono che «alla base di tutto stava il desiderio di Galileo di trovare per
esse una sistemazione che non rischiasse di procurargli in futuro alcun nuovo
carico [...] tutto ciò nascondeva un profondo, sostanziale egoismo» (cfr.
Ludovico Geymonat,). ^ «quel mirare per quegli occhiali m'imbalordiscon la
testa», avrebbe detto Cremonini secondo la testimonianza di Paolo Gualdo. (Da
una lettera del Gualdo a Galilei. Scheiner pubblicò ancora sull'argomento il De
maculis solaribus et stellis circa Iovem errantibus. La priorità della scoperta
andrebbe all'olandese Johannes Fabricius, che pubblicò a Wittenberg, il De
Maculis in Sole observatis, et apparente earum cum Sole conversione. Cioè con i
sensi, con l'osservazione diretta. ^ «Egli pensava infatti che una colonna
d’acqua troppo alta tendeva a spezzarsi sotto l’azione del suo stesso peso,
così come si spezza una fune di materiale poco resistente quando, fissata in
alto, viene tirata dal basso. Fu quindi proprio questa analogia fondata
sull’esperienza osservativa a portare il Galilei fuori strada.» (in IL VUOTO – Elisa
Garagnani – Isis Archimede). Salmi che la figlia di Galileo, suor Maria
Celeste, s'incaricò di recitare, con il consenso della Chiesa. Baretti, in una
sua ricostruzione, avrebbe fatto nascere la leggenda di un Galilei che una
volta alzatosi in piedi, colpì la terra e mormorò: "E pur si muove!"
(In Giuseppe Baretti, The Italian Library). Tale frase non è contenuta in alcun
documento contemporaneo, ma nel tempo fu ritenuta veritiera, probabilmente per
il suo valore suggestivo, a tal punto che Berthold Brecht la riporta in
"Vita di Galileo", opera teatrale dedicata allo scienziato pisano
alla quale egli si dedicò a lungo. ^ In Paschini è riportato che: «secondo le
norme del Sant'Offizio» questa condizione «era equiparata ad una prigionia per
quanto egli facesse per ottenere la liberazione. Si ebbe il timore
probabilmente ch'egli riprendesse a fare propaganda delle sue idee e che un
perdono potesse significare che il Sant'Offizio si fosse ricreduto a proposito
di esse» (cfr. pure Alceste Santini, "Galileo Galilei", L'Unità). Conceditur
habitatio in eius rure, modo tamen ibi in solitudine stet, nec evocet eo aut
venientes illuc recipiat ad collocutiones, et hoc per tempus arbitrio Suae
Sanctitatis.» (Ed. Naz.) ^ A Galileo era infatti proibito stampare qualunque
opera in un paese cattolico. ^ Fonti di questa corrispondenza si trovano in:
Paolo Scandaletti, Galilei privato, Udine, Gaspari editore, Antonio Favaro,
Amici e corrispondenti di Galileo Galilei, Alessandra Bocchineri, Venezia,
Pubblicazioni del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Valerio Del
Nero, Galileo Galilei e il suo tempo, Milano, Simonelli Editore, A. Righini,
Galileo: tra scienza, fede e politica, Bologna, Editrice Compositori, 2008, p.
150 e sgg.; Geymonat, Giorgio Abetti, Amici e nemici di Galileo, Milano,
Bompiani, Banfi, «Galileo fu invitato
alla villa di S.Gaudenzio, sulle colline di Sofignano, alla fine di luglio del
1630, ospite di Giovanni Francesco Buonamici, che con lo scienziato vantava una
parentela da parte della moglie Alessandra Bocchineri: la sorella di lei,
Sestilia, aveva sposato a Prato l'anno prima il figlio di Galileo, Vincenzo.»
(In Comune di Vaiano) Fu permessa a Galilei l'assistenza del giovane allievo
Vincenzo Viviani e, dall'ottobre 1641, anche di Evangelista Torricelli. ^ «La
prego a condonare questa mia non volontaria brevità alla gravezza del male; e le
bacio con affetto cordialissimo le mani, come fo anche al Signor Cavaliere suo
Consorte.» (In Le Opere di Galileo Galilei, a cura di Eugenio Albèri, Firenze,
Società Editrice Fiorentina, 1848, p. 368) Anfossi pubblicava–anonimamente–in
Roma un libro in cui le leggi di Keplero e di Newton erano presentate come
«cose che non meritano la menoma attenzione» e si chiedeva come mai «tanti
uomini santi» ispirati dallo Spirito Santo, «ci han detto ottanta e più volte
che il Sole si muove senza dirci una volta sola che è immobile e fermo?»
(Sebastiano Timpanaro, Scritti di storia e critica della scienza, Firenze, G.C.
Sansoni, L'edizione curata da Favaro si basava sulle copie allora disponibili,
perché l'originale non era stato ritrovato (Avvertimento. Il manoscritto
originale è stato scoperto nell'agosto 2018 e pubblicato come appendice a
Michele Camerota, Franco Giudice, Salvatore Ricciardi, "The reapparance of
Galileo's original letter to Benedetto Castelli". L'effetto di parallasse
stellare, che dimostra la rivoluzione della Terra attorno al Sole, sarà
misurato da Friedrich Wilhelm Bessel solo nel 1838. Per il testo della
condanna, vedi: Sentenza di condanna di Galileo Galilei, su it.wikisource.org. Per
il testo dell'abiura, vedi: Abiura di Galileo Galileisu it.wikisource.org. ^
Questa frase è stata citata in un intervento molto criticato di Joseph
Ratzinger (cfr. "La crisi della fede nella scienza" in Svolta per
l'Europa? Chiesa e modernità nell'Europa dei rivolgimenti, Roma, Edizioni
Paoline. Ratzinger aggiunge da parte sua che: «Sarebbe assurdo costruire sulla
base di queste affermazioni una frettolosa apologetica. La fede non cresce a
partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità, ma dalla sua
fondamentale affermazione e dalla sua inscrizione in una ragionevolezza più
grande. Qui ho voluto ricordare un caso sintomatico che evidenzia fino a che
punto il dubbio della modernità su se stessa abbia attinto oggi la scienza e la
tecnica.» ^ Già chiaramente indicati nella Lettera a Madama Cristina di Lorena
granduchessa di Toscana. L'Accademia del Cimento, fra le più antiche
associazioni scientifiche al mondo, fu la prima a riconoscere ufficialmente, in
Europa, il metodo sperimentale galileano. Fu fondata a Firenze da alcuni
allievi di Galileo, Evangelista Torricelli e Vincenzo Viviani. Si lasci alla
storiografia stabilire, caso fosse mai possibile, se Galileo concepisse il moto
inerziale unicamente come circolare [...] o se ammettesse anche la possibilità
in natura della prosecuzione indefinita del moto rettilineo, anche perché in
Galileo non si può sensatamente parlare di formulazione del principio d'inerzia
come se fossimo nell'ambito della moderna fisica newtoniana, ma solo di alcune
considerazioni preliminari al principio della relatività del moto.» Portale
Galileo, su portalegalileo.museogalileo.it.Testi non compresi nella prima
edizione dell'Edizione Nazionale curata da Antonio Favaro, ma in quella curata
da William F. Edwards e Mario G. Helbing, con Introduzione, Note e Commenti di
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di Galileo Galilei nobile fiorentino, lettore delle matematiche nello studio di
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usategli sì nella «Considerazione astronomica sopra la Nuova Stella del
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fabrica & gli usi del compasso geometrico & militare sotto il titolo di
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galileiana di scienze, lettere ed arti Arcetri Astronomia Bibliografia su
Galileo Galilei Cannocchiali di Galileo Casa di Galileo Galilei Domus
Galilaeana Fisica Galilei (famiglia) Isocronismo La favola dei suoni Meccanica
Metodo scientifico Micrometro di Galileo Museo Galileo Niccolò Copernico
Ostilio Ricci Processo a Galileo Galilei Relatività galileiana Rivoluzione
astronomica Rivoluzione scientifica Termometro galileiano Trasformazione galileiana
Villa Il Gioiello Vincenzo Galilei Virginia Galilei Vita privata di Galileo
Galilei. Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Galileo Galilei, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
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Internet Archive. Opere di Galileo Progetto Gutenberg. LibriVox. Pubblicazioni
di Galileo Galilei, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la
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Archivio integrato di risorse galileiane, su galileoteca.museogalileo.it. Museo
Galileo – Firenze, Italia, su museogalileo.it. Conserva gli strumenti
scientifici originali di Galileo European Cultural Heritage Onlinesu
echo.mpiwg-berlin.mpg.de. Scheda su Galileo Galilei accademico della Crusca sul
sito dell'Accademia, su adcrusca.it.Fondo "Antonio Favaro", su
domusgalilaeana.it. Archivio "Scienza & Fede", su disf.org.
Laboratorio storico "G. Galilei", su
illaboratoriodigalileogalilei.it. Lo scherzo d'un uomo di genio dice cose
più serie che non le cose serie dell'uomo volgare; anzi primo indicio della
superiorità è il sorriso. Il volgo andava ripetendo che la caduta di un pomo
preannunziò la scoperta della gravitazione universale: e Byron scherzando di
ceva essere stata la prima volta, da Adamo in qua, che un pomo e una caduta
dessero qualche vantaggio al genere umano. Altro che pomo ! voleva dire il
poeta: esatte premesse occorrono alle grandi scoperte e non il caso. Il
pensiero è una catena e ciò che ai più par caso entra nella serie. Togliete
Galilei e Keplero e avrete soppresso le premesse immediate a Newton. Togliete
Copernico, e li avrete soppressi tutti. Togliete le tradizioni pitagorichealle
univer sità italiane e sparisce Copernico. Dov'è il caso? Il pomo no: una serie
di grandi pensieri che furono grandi scoperte sgombrò le vie del firmamento
all' anglo. Un fatto può essere occasionale, ma per quegli uomini che portano
nel cervello quella preparazione, che rias sumendo la serie, afferra il fatto e
lo trasforma. Così nell'astronomia e così proprio in tutte le altre scienze. To
gliete Bruno e Campanella, e non troverete Vico. Togliete Telesio, e li perdete
tutti. Togliete le tradizioni naturalistiche dell'antica scuola italica— già
greca di origine —e sparisce Telesio. È la me desima serie ed è una riprova
della cognatela tra tutte le scienze. E questa serie non si smentisce neppur
dove la reazione crede spennare le reni agl'ingegni alati. Non fu una reazione
il libro della Ragion di Stato —che creò tanti discepoli-contro il Principe,
che aveva già tutta una scuola, cioè Bottero non ebbe il disegno aperto di
reagire trionfalmente contro Machiavelli? Ebbene, mentre il prete Bottero
mandava ad uno de'più grandi e sventurati ingegni 215 italiani quante
maledizioni gli erano ispirate dalla triplice reazione di Parigi, di Madrid e
di Roma, era nel tempo istesso tirato dalla logica a prendere da Machiavelli la
teorica de’ mezzi, come il secre tario di Firenze aveva preso la teorica
de'fini pubblici da Dante e da Petrarca, ispirati — alla loro volta
—dall'antica tradizione ro mana. Ed ecco la reazione entrare nella serie, come
appunto la santa alleanza insinuava ne 'codici tanti principii della
rivoluzione. E ciò non accade soltanto rispetto ai sistemide'quali l'uno
suppone l'altro anche dove il secondo reagisce al primo, ma alle singole teo
riche di ciascuno, le quali non segnano un progresso che non sia una
conclusione di ciò che si era pensato prima. A che mira, infatti, la critica di
Galilei? A reintegrare l'unità della natura. Ma se Bacone lo chiama filosofo
telesiano, voi dovete ricordare che Telesio non solo aveva propugnato il metodo
sperimen tale, ma tentato comporre il dissidio lasciato aperto da Aristotile
tra materia e forma, come Pomponazzi e Campanella avevano troncato il dualismo
tra intelletto e senso, e Bruno tra natura e Dio. Non è un gruppo, è una catena
nella quale il nome di ciascuno s’inanella nel precedente, e tutti insieme
presentano il disegno della rinnovata natura. Per questi il risorgimento fu
naturalismo, fu ita liano, mentre la scolastica era stata europea. Se dalla
serie e dal proprio posto nella serie voi spiccate il nome di Galilei, vi
accorgerete che resterà il nome di un astronomo più o meno insigne, di un
improvvisatore di qualche teorica, dello scopri tore fortunato di qualche astro
e di qualche istrumento, ma che cosa egli abbia aggiunto al pensiero, per quale
via e con quali effetti voi non saprete dire. Ammirerete un mito e sarà volgare
ammirazione. Voi, in somma, assisterete ai miracoli di un prestigiatore non
alle scoperte del genio. Or sospettate voi che io vi voglia esporre ad una ad
una le pre messe di Galilei e di Klepero per arrivare sino a Newton? che
io voglia indicarvi da quali parti specialmente della meccanica terre stre
emerse la meccanica celeste e come la dimostrazione de'quadrati de' tempi delle
rivoluzioni che stanno fra loro come i cubi degli assi maggiori delle orbite
abbia aperto a Newton la conclusione che la forza era proporzionale alla massa?
Sarebbe riuscire, pel cammino peggiore, a nessuna meta. I dotti · non
imparerebbero una sillaba di nuovo e vedrebbero in espressioni difettive
snaturate quelle forme che chiedono un'analisi esatta, e i meno dotti si
allontanerebbero storditi e infastiditi. Io, dunque,. 216 senza guastare la
serie, debbo dirvi quel che penso io intorno ad al cuni pensieri di quell'uomo
sommo e scelgo — non a caso —i punti seguenti: 1.º Come intese Galilei il
metodo sperimentale? 2. ° Quale valore oggettivo dette egli alla conoscenza? 3.
° Quale fu il risulta mento scientifico e morale delle sue dottrine? Non è
poco, e più che nella cortesia --cosa mediocre— confido nella serietà con la
quale voi ed io vogliamo che sia discusso il pa trimonio glorioso della mente.
II. « Non vogliamo costruzioni scientifiche, non metodi aprioristici, vogliamo
il metodo sperimentale: » Così gridano, e vogliamolo pure, io scrivevo, ma
vogliamolo davvero. Non fu forse proclamato ed eser citato con diverso intento
e diversa fortuna? Non fu fecondo o arido, secondo l'intelletto e la mano che
presero a trattarlo? Non si distin gue dall'empirismo? Bisogna dunque sapere
che è veramente me todo sperimentale. Galilei si trova a pari distanza tra
Telesio e Bacone, due che pro pugnarono il metodo sperimentale senza scoprire
nulla nel mondo naturale, e si trova ad un secolo di distanza da Leonardo da
Vinci, che, professando il metodo sperimentale, strappò più di un segreto alle
cose reali. Perchè dunque l'istesso metodo, arido nelle mani di Telesio e di
Bacone, diventa fecondo nelle mani di Leonardo e di Ga lilei? Ecco il punto. E
la risposta è chiara: — Perchè il metodo non è veramente lo stesso. Per Telesio
e Bacone comincia e resta nel fenomeno e dove al fenomeno aggiunge qualche ipotesi,
è soggettiva, cioè puro ri torno all'antico. Per Leonardo e Galilei comincia
dal fatto e sale alle alte sfere della ragione, mediante il linguaggio stesso
delle cose che è la matematica. La matematica è formale come la logica —dice
Bacone. La matematica è reale come le cose afferma Galilei. Con la matematica
sei arrivato a far girare la terra -è un frizzo di Bacone contro Galilei. E la
terra gira -- grida il pisano. Pur tu ti sei disdetto —rincalza Bacone. Stolto
! dice Galilei -- potevo disdirmi cento volte, e la prova re sta e la terra
continua il suo giro. 217 Ma chi ti malleva la realtà della matematica? Il
fatto stesso che misuratamente si move, misuratamente per corre il tempo e lo
spazio, nella misura costituisce l'ordine. -La misura è aggiunta. - La misura è:
io la colgo: chi non la coglie non vede il fatto. Telesio non lo dice. Leonardo
lo disse, e scoprì. Telesio e tu non avete scoperto. Il fatto a voi è stato
muto; a noi ha parlato. Fermiamoci. Il divario è grande. Potete voi dire che
sia l'istesso metodo? Fu Bacone l'anglo che intese Galilei o un altro? Quando
si parla di metodo sperimentale, di senso, di fatto, biso gna cogliere tutto il
fatto, il quale non è qualità soltanto, è quan tità; e questi due termini
s'integrano a vicenda, in modo che la quantità si qualifica, e la qualità si
quantifica. Questo pro cesso graduale ed intimo delle cose è l'evoluzione, e la
legge che la traveste, affaticandola di moto in moto, è la causalità, che in
Newton si determina come gravitazione universale. Il fatto dunque non è
fenomeno soltanto, è fenomeno e legge. Così Galilei lo intuisce e così lo
intuisce intero; Bacone coglie un termine solo e mutila il fatto. L'esperienza
che in Galilei è piena, in Bacone è unilaterale; quel metodo che in Galilei è
sperimentale, in Bacone diventa empirico; e quel processo che nell'uno è
fecondo di scoperte, nell'altro è gonfio di precetti pom posi. Ha un bel
rimuovere Bacone tutti quelli ch'ei chiama idoli, se innanzi agli occhi gli
rimane fisso l'idolo peggiore, il fatto eslege. Così aveva fatto Leonardo da
Vinci notando nel fenomeno la legge, e così fa Galilei, entrambi con pochi
precetti e con effetti amplissimi, tirandone l'uno applicazioni mirabili alla
meccanica, e specialmente all'idraulica, l'altro al sistema planetario. E si
ripeta pure che in Galilei l'esperienza naturale è senso pieno, ma quì un fatto
contemporaneo ci deve fermare e impensie rire. Bruno senza i computi di
Copernico, senza il metodo speri mentale e il teloscopio di Galilei, e senza il
calcolo superiore di Newton, non era pervenuto per sola forza di pensiero, alle
medesi me anzi a più larghe conclusioni che non si trovino nell'astronomo
tedesco, nell'italiano e nell'inglese, affermando cose che facevano sgomento a
Klepero e furono trovate poi vere dal progresso poste riore? Il pensiero, da
solo, non valse altrettanto che l'esperienza, e 218 ciò che lo scienziato
induceva computando, il genio non poteva co struire? L'esempio di Bruno, non
bene inteso, potrebbe inficiare la cri tica di Galilei, nè per il genio vale
ricorrere ad eccezioni, che com plicano la quistione e non spiegano nulla. Il
vero è che Bruno intese il fatto e l'esperienza come Galilei, e movendo dal
medesimo punto, l'uno giunse con la logica dove l'altro con la matematica. La
conseguenza è che la matematica è la logica delle cose, e che se rispetto alla
mente, come dice Leibintz, pensare è calcolare, rispetto alle cose moversi
misurata mente vuol dire evolversi razionalmente. Bruno è la riprova, non
l'eccezione. Appena, infatti, il nolano intese il sistema copernicano,
n'esultò, cercò alla matematica la riprova della logica, e come Campanella
scrisse l'apologia di Ga lilei, così Bruno di Copernico. Era dal medesimo punto
di partenza la medesimezza del pensiero logico e del pensiero matematico, con
medesimezza di disegno e di effetti. E-ora si dirà-Cartesio non intese fare la
medesima cosa, cioè costruire la fisica col pensiero, come il nolano,
introducendovi la matematica, come Galilei, e perchè egli riuscì a costruire
una fi sica falsa, disconoscendo Bruno in tutto e in gran parte il disegno di
Galilei? Perchè egli non muove come que due dal fatto, bensì dall'idea astratta,
dal puro cogito, che non è la cosa, ma l'ombra della cosa, e l'ombra ei tratta
come cosa salda. Perciò non solo non giunse per forza di logica, agl’infiniti
mondi del nolano, ma nep pure per forza di matematica a riconoscere
l'importanza del siste ma eliocentrico dimostrato da Copernico e da Galilei.
Bacone errò, mutilando il fatto e attenendosi al solo fenomeno, Cartesio errò,
correndo dietro l'ombra del fatto e improvvisando la legge. L'uno cadde
nell'empirismo l'altro nell'apriorismo. In Bacone riconosciamo il merito di
avere insistito sulla indu zione, e in Cartesio, come dice Comte, il merito di
aver convertito la qualità in quantità, e la quantità continua nella discreta.
Ma l'uno e l'altro, non avendo colto il punto di partenza, non aggiun sero
nulla alla scienza della natura. Justus Liebig, parlando dell'intima gioia
degli scopritori - ne gata a Bacone - nomina Galilei, Klepero, Newton. E perchè
non ricorda Bruno? Quanta non è la sua gioia dove saluta le comete come
testimoni della sua filosofia, e parlando di Copernico, ag giunge qualche
felicità essere toccata al secolo suo, quando dai 219 lidi dell'oceano
germanico un grande astronomo sorse a con forto della sua filosofia. In quella
gioia c'è — come ho detto— l’unità del pensiero logico col matematico, e nella
medesimezza de' risultati c'è la cognatela tra la natura e il pensiero, la
quale vuol essere riaffermata, supe rando da una parte il vecchio idealismo
metafisico e dall'altra il positivismo empirico. Ed ora, dopo il metodo
sperimentale, dobbiamo esaminare in Ga lilei il valore che egli dà alla
conoscenza. III. Non è di piccolo momento questo esame; involge il massimo pro
blema della filosofia ed è un punto importante della mente, e dirò, del
carattere di Galilei. Si può formularlo così: Il metodo speri mentale condusse
Galilei a quel relativismo filosofico che dà alla conoscenza un valore
precario, cioè o relativo al soggetto pensante (sofistica) o relativo ad un
certo tempo e luogo (empirismo)? In altre parole: per Galilei nulla di
permanente, di assoluto, di uni versale entra nella conoscenza, o c'è invece
delle conoscenze che per loro necessità intrinseca s' impongono a tutti gli
uomini, e alla natura come agli uomini, e a Dio come alla natura? Ci sono— risponde
il Pisano - e il fatto ci dice che sono, e ci dice che sono le conoscenze
matematiche sian pure o applicate, perchè non mutano per variare di luogo e di
tempo, e perchè tali si riscontrano nelle cose quali si trovano nella mente. La
natura le impone, la mente le sugella, neppur Dio potrebbe negarle, ma o il
sofista o il pazzo. L'affermazione è solenne, e bisogna lasciargli la parola.
Quanto alla verità, egli dice di che ci danno cognizione le dimostrazioni
matematiche, ella è l'istessa che conosce la sapienza divina. Nessun divario,
dunque, in questo tra la sapienza divina e umana? Di vario di modo, egli dice,
lo ammettiamo, perchè in Dio è sapienza intuitiva quella che nell'uomo è
discorsiva; di numero pure, perchè Dio le sa tutte quelle verità, e l'uomo una
parte; ma di necessità no: sono del pari necessarie per lui e per noi, e mille
Demosteni e Aristotili e-voleva dire—mille Dei non potrebbero scemare la
certezza di una sola di quelle. Partecipa di questa certezza la scienza della
natura, le cui leggi sono matematiche. E il processo fu questo: Telesio affermò
che il 220 libro della filosofia è la natura; Bruno aggiunse che quel libro è
scritto in carattere assoluti: Galilei conchiuse che i caratteri sono
matematici. Anche Cartesio disse come Galilei: Apud me omnia sunt ma thematice
in natura; ma lo disse dopo e timidamente, essendoci questa differenza tra’due
pensatori, che per Galilei le verità mate matiche leggibili nella natura hanno
l'istesso valore per la mente sia divina o umaņa, e per Cartesio niente è
limite alla onnipotenza di Dio, neppure il principio di contraddizione. Se lo
disse davvero o per vivere tranquillo, specialmente dopo le persecuzioni fatte
a Galilei, non - so; ma, certo, l'italiano lo a vanza di tempo e di fermezza.
Delle altre scienze che non sono le naturali Galilei dubitò, perchè si
sottraggono alle matematiche e l'uomo vi mette del suo. Le abbandonò al
relativismo. Ma se tutto è evoluzione e tutto procede da natura, noi ben pos
siamo affermare che i suoi Dialoghi delle Scienze Nuove saranno quasi
prefazione di una Scienza Nuova intorno alla comune natura delle nazioni. Le
teoriche sulla psico-fisi e sulla fisica sociale hanno assai allargato il campo
di applicazione alle matematiche. Noi, è vero, non possiamo mutare le leggi naturali,
ma possiamo forse mutare le leggi sociali e costruire a nostro talento le
società umane? La storia non rientra ogni giorno più nelle leggi della natura e
però della misura? La morale par certo la cosa più im ponderabile, ed è pure
altrettanto graduale e necessaria nel suo processo che il suo moto si potrebbe
dire uniformemente accelerato. Dal pensiero si traduce nella volontà,
dall'azione alle istituzioni, e se rea, dal fastigio all ' imo (1 ). Signori,
ho esaminato quelli che nella scienza di Galilei mi parevano i punti principali
ed ho tentato liberare dagli equivoci volgari il metodo sperimentale. Non a
pompa letteraria mi sono giovato di rapidi raffronti ma per delineare quello
che fu il cervello più equilibrato di quanti al mondo furono scienziati. Le
conse guenze scientifiche e morali di quella profonda rivoluzione intel
lettuale io ve le ho segnate senza orgoglio nazionale e con pura coscienza di
uomo. Era cosí alto il tema, così pieno di pensiero, di (1 ) Qui manca qualche
pagina intorno all'applicazione delle matematiche ai fenomeni sociali e morali,
non potuta trovare. 221 poesia, di storia, di gloria e di dolori che a me non
che il tempo, mancò il volere di divagare. Abbasserei l'occhio da Telesio, da
Co pernico, da Galilei per posarlo sulla politica? Farei allusioni, rim
proveri, programmi? Mail monumento che divisate è mondiale; una sillaba
aggiunta al tema macchierebbe la prima pietra: e, per rien trare nella
mediocrità de ' Parlamenti, invidieremmo a noi questa breve fortuna che ci
solleva a colloquio coi legislatori degli astri. Che sono i nostri codici, i
nostri statuti, i disegni nostri, che durata hanno e che sapienza di fronte
alle leggi onde Galilei sta biliva il ritmo dei cieli, Machiavelli la vicenda
degli Stati, e Vico il corso dell'umanità? C'è qualcosa al di sopra dei codici
ed è la pa rola dei fondatori delle religioni, che lasciano libri sacri e
parlano ai millenarii. Pur viene il secolo che mette nella pagina più au
tentica di quei libri il tarlo del pensiero. Ma qualcuno c'è stato che senza
chiamarsi messia nè profeta misurò una parola a lettere di stelle, la pose nel
firmamento, e nessuno la cancellerà. Come chia mate un uomo che vi trasmette un
libro più duraturo di una bib bia? Alzate il monumento e non mi chiedete altro.
The principle of relativity states that it is im- possible to determine
whether a system is at rest or moving at constant speed with respect to an
inertial system by experiments internal to the system, i.e., there is no
internal observation by which one can distinguish a system moving uniformly
from one at rest. This principle played a key role in the defence of the
heliocentric syst- em, as it made the movement of the Earth com- patible with
everyday experience. According to common knowledge, the prin- ciple of
relativity was first enunciated by Galileo Galilei (1564–1642; Figure 1) in
1632 in his Dialogo Sopra i Due Massimi Sistemi del Mondo (Dialogue Concerning
the Two Chief World Syst- ems) (Galilei, 1953), using the metaphor known as
‘Galileo’s ship’: in a boat moving at constant speed, the mechanical phenomena
can be described by the same laws holding on Earth. Many historical aspects of
the birth of the rel- ativity principle have received little or scattered
attention. In this short paper we put together some evidence showing that
Giordano Bruno (1548–1600; Figure 2) largely anticipated Gal- ilei’s arguments
on the relativity principle (Bruno, 1975). In addition, we briefly discuss
Galilei’s silence about Bruno, and the con- nection between the lives and
careers of the two scientists. Figure 1: A portrait of Galileo Galilei by
Ottavio Leoni (en.wikipedia.org). Figure 2: An eighteenth century egrav- ing of
Giordano Bruno (http://www. the history blog . com / wp - content / up-
loads/2012/02/bruno-giordano.jpg). Page 241
Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo Giordano Bruno and the Principle
of Relativity 2 GALILEI AND THE PRINCIPLE OF RELATIVITY The Dialogo Sopra
i Due Massimi Sistemi del Mondo is the source usually quoted for the enun-
ciation of the principle of relativity by Galileo Galilei. However, its
publication in 1632 was certainly not a surprise, as Galilei had expres- sed
his views much earlier, in particular when lecturing at the University of
Padova from 1592 to 1610. Some aspects of the evolution of Galilei’s ideas,
from the Trattato della Sfera ... (D’Aviso, 1656) in which the Earth is still
placed at the centre of the Universe, towards the Dia- logo, and passing
through his heliocentric cor- respondence with Kepler from 1597 onwards
(Galilei, 1890 –1907), are examined, for ex- ample, by Barbour (2001), Crombie
(1996), Cla- velin (1968), Giannetto (2006), Martins (1986) and Wallace (1981;
1984). In February 1616, the Roman Inquisition condemned the theory by Nicolaus
Copernicus (1473–1543) as being foolish and absurd in philosophy. One month
before, the inquisitor Monsignor Francesco Ingoli (1578 –1649) ad- dressed
Galilei in the essay Disputation Con- cerning the Location and Rest of Earth
Against the System of Copernicus (Ingoli, 1616). This letter listed both
scientific and theological arg- uments against Copernicanism. Galilei only
responded in 1624, and in his lengthy reply he introduced an early version of
the ‘Galileo’s ship’ metaphor, and discussed the experiment of dropping a stone
from the top of the mast. Both arguments, as we shall see, had previously been
raised by Bruno, and later were used again by Galilei, although with small
differences, in the Dialogo. In the Dialogo Sopra i Due Massimi Sistemi del
Mondo, Galilei discusses the arguments then current against the idea that the
Earth moves. The book is a fictional dialogue be- tween three characters. Two
of these, Salviati and Sagredo, refer to figures in the ok that disappeared a
few years after the publication of the book. Salviati plays the role of the
defender of the Copernican theory, putting forward Gali- lei’s point of view.
The second character, Sa- gredo, is a Venetian aristocrat who is educated and
liberal, and he is willing to accept new ideas. Thus, he acts as a moderator
between Salviati and the third character, Simplicio, who fiercelysupportsAristotle.
Thenameofthislast character (reminiscent of ‘simple-minded’ in Ital- ian) is in
itself a clear indication of Galilean dia- lectics, which are designed to
destroy oppon- ents. Despite being a famous commentator of Aristotle, Simplicio
manifests himself with an embarrassing simplicity of spirit. Galilei uses
Salviati and Simplicio as spokespersons for the two clashing world views;
Sagredo represents the discreet reader, the steward of science, the one to whom
the book is addressed, and he intervenes during the discussions, asking for
clarification, contributing conversational topics and acting like a science
enthusiast. On the second day, Galilei’s dialogue con- siders Ingoli’s
arguments against the idea that the Earth moves. One of these is that if the
Earth is spinning on its axis, then we would all be moving eastward at hundreds
of miles per hour, so a ball dropped from a tower would land west of the tower
that in the meantime would have moved a certain distance to the east- wards.
Similarly, the argument goes that a cannonball shot eastwards would fall closer
to the cannon compared to a ball shot to the west since the cannon moving east
would partly catch up with the ball. To counter such arguments Galilei propos-
es through the words of Salviati a gedanken- experiment: to examine the laws of
mechanics in a ship moving at a constant speed. Salviati claims that there is
no internal observation which allows them to distinguish between a
smoothly-moving system and one at rest. So two systems moving without
acceleration are equivalent, and non-accelerated motion is rel- ative: Salviati
– Shut yourself up with some friend in the main cabin below decks on some large
ship, and have with you there some flies, but- terflies, and other small flying
animals. Have a large bowl of water with some fish in it; hang up a bottle that
empties drop by drop into a widevesselbeneathit. Withtheshipstanding still,
observe carefully how the little animals fly with equal speed to all sides of
the cabin. The fish swim indifferently in all directions; the drops fall into
the vessel beneath; and, in throwing something to your friend, you need throw
it no more strongly in one direction than another, the distances being equal;
jumping with your feet together, you pass equal spaces in every direction. When
you have observed all these things carefully (though doubtless when the ship is
standing still everything must happen in this way), have the ship proceed with
any speed you like, so long as the motion is uniform and not fluctuating this
way and that. You will discover not the least change in all the effects named,
nor could you tell from any of them whether the ship was moving or standing
still. In jumping, you will pass on the floor the same spaces as before, nor
will you make larger jumps toward the stern than toward the prow even though
the ship is moving quite rapidly, despite the fact that during the time that
you are in the air the floor under you will be going in a direction opposite to
your jump. In throwing something to your companion, you will need no more force
to get it to him whether he is in the direction of the bow or the stern, with
yourself situated op- posite. The droplets will fall as before into the Page
242 Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo Giordano
Bruno and the Principle of Relativity vessel beneath without dropping
toward the stern, although while the drops are in the air the ship runs many
spans. The fish in their water will swim toward the front of their bowl with no
more effort than toward the back, and will go with equal ease to bait placed
any- where around the edges of the bowl. Finally the butterflies and flies will
continue their flights indifferently toward every side, nor will it ever happen
that they are concentrated toward the stern, as if tired out from keeping up
with the course of the ship, from which they will have been separated during
long intervals by keeping themselves in the air. And if smoke is made by
burning some incense, it will be seen going up in the form of a little cloud,
remaining still and moving no more toward one side than the other. The cause of
all these correspondences of effects is the fact that the ship’s motion is
common to all the things contained in it, and to the air also. That is why I
said you should be below decks; for if this took place above in the open air,
which would not follow the course of the ship, more or less noticeable
differences would be seen in some of the effects noted. (Galilei, 1953: 217).
Note that Galilei does not state that the Earth is moving, but that the motion
of the Earth and the motion of the Sun cannot be distinguished (hence the name
‘relativity’): There is one motion which is most general and supreme over all,
and it is that by which the Sun, Moon, and all other planets and fixed stars –
in a word, the whole universe, the Earth alone excepted – appear to be moved as
a unit from East to West in the space of twenty-four hours. This, in so far as
first appearances are concerned, may just as logically belong to the Earth
alone as to the rest of the Universe, since the same appear- ances would
prevail as much in the one sit- uation as in the other. (Galilei, 1953: 132). 3
RELATIVITY AND CELESTIAL MOTIONS BEFORE COPERNICUS The possibility that the
Earth moves had been discussed several times, in particular by the Greeks,
mostly as a hypothesis to be rejected. Also an annual motion of the Earth
around the Sun had been considered by Aristarchus of Samos (c. 310 – c. 230
BC). Later, some medi- eval authors discussed the possibility of the Earth's
daily rotation. The first was probably Jean Buridan (c. 1300–1361; Figure 3),
one of the ‘doctores parisienses’—a group of profes- sors at the University of
Paris in the fourteenth century, including notably Nicole Oresme. Buridan’s
example of the ship, which was lat- er used by Oresme, Bruno and Galilei, is
con- tained in Book 2 of his commentary about Aris- totle’s On the Heavens
(1971): It should be known that many people have held as probable that it is
not contradictory to appearances for the Earth to be moved circu- larly in the
aforesaid manner, and that on any given natural day it makes a complete
rotation from west to east by returning again to the west – that is, if some
part of the Earth were designated [as the part to observe]. Then it is
necessary to posit that the stellar sphere would be at rest, and then night and
day would result through such a motion of the Earth, so that motion of the
Earth would be a diurnal motion. The following is an example of this: if anyone
is moved in a ship and imagines that he is at rest, then, should he see another
ship which is truly at rest, it will appear to him that the other ship is
moved. This is so because his eye would be completely in the same relationship
to the other ship regardless of whether his own ship is at rest and the other
moved, or the contrary situation prevailed. And so we also posit that the
sphere of the Sun is totally at rest and the Earth in carrying us would be
rotated. Since, however, we imag- ine we are at rest, just as the man on the
ship Figure 3: Jean Buridan (www.buscabio- grafias . com / biografia /
verDetalle / 576 / Jean %Buridan). moving swiftly does not perceive his own mo-
tion nor that of the ship, then it is certain that the Sun would appear to us
to rise and set, just as it does when it is moved and we are at rest. (Buridan,
1942: Book 2, Question 22). Here we agree with Barbour (2001), that what
Buridan is referring to is kinematic relativity. To Barbour, ... we have [here]
a clear statement of the principle of relativity, certainly not the first in
the history of the natural philosophy of motion but perhaps expressed with more
cogency than ever before. The problem of motion is beginning to become acute.
We must ask our- selves: is the relativity to which Buridan refers kinematic
relativity or Galilean relativity? There is no doubt that it is in the first
place kinematic; for Buridan is clearly concerned with the condi- tions under
which motion of one particular body can be deduced by observation of other bod-
ies. (Barbour, 2001: 203). Page 243 Alessandro De
Angelis and Catarina Espirito Santo Giordano Bruno and the Principle of
Relativity Later, Buridan (1942) writes: But the last appearance which
Aristotle notes is more demonstrative in the question at hand. This is that an
arrow projected from a bow directly upward falls to the same spot on the Earth
from which it was projected. This would not be so if the Earth were moved with
such velocity. Rather, before the arrow falls, the part of the Earth from which
the arrow was projected would be a league’s distance away. But still supporters
would respond that it happens so because the air that is moved with the Earth
carries the arrow, although the arrow appears to us to be moved simply in a
straight line motion because it is being carried along Figure 4: A miniature
portrait of Nicole Oresme included in his Traité de la sphère. Aristotle, Du
ciel et du monde (n.d.) (en.wikipedia.org). with us. Therefore, we do not
perceive that motion by which it is carried with the air. Buridan already
expresses some concerns about the dynamics involved, but his conclusion is that
... the violent impetus of the arrow in ascend- ing would resist the lateral
motion of the air so that it would not be moved as much as the air. This is similar
to the occasion when the air is moved by a high wind. For then an arrow pro-
jected upward is not moved as much laterally as the wind is moved, although it
would be moved somewhat. (ibid.). Thus, the theory of impetus is not pushed to
the limit in which one would identify it with the prin- ciple of inertia, nor
with a dynamical concept of relativity. A further step was implicitly taken a
few years later by Nicole Oresme (c. 1320 –1382; Figure 4). Oresme first states
that no observation can disprove that the Earth is moving: ... one could not
demonstrate the contrary by any experience ... I assume that local motion can
be sensibly perceived only if one body appears to have a different position
with re- spect to another. And thus, if a man is in a ship called a which moves
very smoothly, irrespective if rapidly or slowly, and this man sees nothing
except another ship called b, moving exactly in the same way as the boat a in
which he is, I say that it will seem to this person that neither ship is
moving. (Oresme, 1377; our English translation). Oresme also provides an
argument against Buridan’s interpretation of the example of the arrow (or stone
in the original by Aristotle) thrown upwards, introducing the principle of
composi- tion of movements: ... one might say that the arrow thrown up- wards
is moved eastward very swiftly with the air through which it passes, with all
the mass of the lower part of the world mentioned above, which moves with a
diurnal movement; and for this reason the arrow falls back to the place on the
Earth from which it left. And this appears possible by analogy, since if a man
were on a ship moving eastwards very swiftly without being aware of his
movement, and he drew his hand downwards, describing a straight line along the
mast of the ship, it would seem to him that his hand was moved straight down.
Following this opinion, it seems to us that the same applies to the arrow
moving straight down or straight up. Inside the ship moving in this way, one
can have horizontal, oblique, straight up, straight down, and any kind of
movement, and all look like if the ship were at rest. And if a man walks
westwards in the boat slower than the boat is moving eastwards, it will seem to
him that he is moving west while he is going east. (ibid.). Also, Nicolaus
Cusanus (1401–1461) stated later, without going into detail, that the motion of
a ship could not be distinguished from rest on the basis of experience, but
some different argu- ments need to be invoked—and the same ap- plies to the
Earth, the Sun, or another star (Cu- sanus, 1985). All this happened before
Copernicus: a dis- cussion of how things could be, not so much
abouthowthingsreallyare. Thisviewpointwould change after Copernicus. 4 GIORDANO
BRUNO AND THE PRINCIPLE OF RELATIVITY In April 1583, forty years after the
publication of the book by Copernicus and nine years before Page
244 Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo
Giordano Bruno and the Principle of Relativity the 28-year old Galilei
was called to the Uni- versity of Padova, Bruno went to England and lectured in
Oxford, unsuccessfully looking for a teaching position there. Still, the
English visit was a fruitful one, for during that time Bruno completed and
published some of his most important works, the six ‘Italian Dialogues’,
including the cosmological work La Cena de le Ceneri (The Ash Wednesday Supper,
1584) (see Bruno, 1975). This latter book consists of five dialogues between
Theophilus, a disciple who exposes Bruno’s theories; Smitho, a character who
was probably real but is difficult to identify, possibly one of Bruno’s English
friends (perhaps John Smith or the poet William Smith)—the English- man has
simple arguments, but he has good common sense and is free of prejudice; Pru-
dencio, a pedantic character; and Frulla, also a fictional character who, as
the name in Italian suggests, embodies a comic figure, provocative and somewhat
tedious, with a propensity to- wards stupid arguments. In the third dialogue,
the four mostly com- ment on discussions heard at a supper attend- ed by
Theophilus in which Bruno—called in the text ‘il Nolano’ (the Nolan), because
he was born in Nola near Naples—was arguing in part- icular with Dr Torquato
and Dr Nundinio, re- presenting the Oxonian faculty. Bruno starts by discussing
the argument relating to the air, winds and the movement of clouds, and he
largely uses the fact that the air is dragged by the Earth: Theophilus ... If
the Earth were carried in the direction called East, it would be necessary that
the clouds in the air should always appear moving toward west, because of the
extremely rapid and fast motion of that globe, which in the span of twenty-four
hours must complete such a great revolution. To that the Nolan replied that
this air through which the clouds and winds move are parts of the Earth, be-
cause he wants (as the proposition demands) to mean under the name of Earth the
whole machinery and the entire animated part, which consists of dissimilar
parts; so that the rivers, the rocks, the seas, the whole vaporous and turbulent
air, which is enclosed within the high- est mountains, should belong to the
Earth as its members, just as the air does in the lungs and in other cavities
of animals by which they breathe, widen their arteries, and other similar
effects necessary for life are performed. The clouds, too, move through
happenings in the body of the Earth and are based in its bowels as are the
waters ... Perhaps this is what Plato meant when he said that we inhabit the
con- cavities and obscure parts of the Earth, and that we have the same
relation with respect to animals that live above the Earth, as do in re- spect
to us the fish that live in thicker humid- ity. This means that in a way the
vaporous air is water, and that the pure air which contains the happier animals
is above the Earth, where, just as this Amphitrit [ocean]1 is water for us,
this air of ours is water for them. This is how one may respond to the argument
referred to by Nundinio; just as the sea is not on the surface, but in the
bowels of the Earth, and just as the liver, this source of fluids, is within
us, that turbulent air is not outside, but is as if it were in the lungs of
animals. (Bruno, 1975: 117). The Dialogue then moves to discussing the motion
of projectiles, and Bruno starts by ex- plaining the Aristotelian objection to
the stone thrown upwards: Smitho – You have satisfied me most suffic- iently,
and you have excellently opened many secrets of nature which lay hidden under
that key. Thus, you have replied to the argument taken from winds and clouds;
there remains yet the reply to the other argument which Aristotle submitted in
the second book of On the Heavens2 where he states that it would be impossible
that a stone thrown high up could come down along the same perpendicular
straight line, but that it would be necessary that the exceedingly fast motion
of the Earth should leave it far behind toward the West. Therefore, given this
projection back onto the Earth, it is necessary that with its motion there
should come a change in all relations of straightness and obliquity; just as
there is a difference between the motion of the ship and the motion of those
things that are on the ship which if not true it would follow that when the
ship moves across the sea one could never draw something along a straight line
from one of its corners to the other, and that it would not be possible for one
to make a jump and return with his feet to the point from where he took off.
(Bruno, 1975: 121). In Theophilus’ speech, Bruno then gives the following reply
(in reference to the ship shown in Figure 5): Theophilus – With the Earth move
... all things that are on the Earth. If, therefore, from a point outside the
Earth something were thrown upon the Earth, it would lose, because of the
latter’s motion, its straightness as would be seen on the ship AB moving along
a river, if someone on point C of the riverbank were to throw a stone along a
straight line, and would see the stone miss its target by the amount of the
velocity of the ship’s motion. But if some- one were placed high on the mast of
that ship, move as it may however fast, he would not miss his target at all, so
that the stone or some other heavy thing thrown downward would not come along a
straight line from the point E which is at the top of the mast, or cage, to the
point D which is at the bottom of the mast, or at some point in the bowels and
body of the ship. Thus, if from the point D to the point E someone who is
inside the ship would throw a stone straight up, it would return to the bottom
along the same line however far the ship mov- Page 245
Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo Giordano Bruno and the
Principle of Relativity ed, provided it was not subject to any pitch and
roll. (Bruno, 1975: 121). He then continues with the statement that the
movement of the ship is irrelevant for the events occurring within the ship,
and he explains the reasons for this: If there are two, of which one is inside
the ship that moves and the other outside it, of which both one and the other
have their hands at the same point of the air, and if at the same place and
time one and the other let a stone fall without giving it any push, the stone
of the former would, without a moment’s loss and without deviating from its
path, go to the prefixed place, and that of the second would find itself
carried backward. This is due to nothing else except to the fact that the stone
which leaves the hand of the one supported by the ship, and consequently moves
with its mo- tion, has such an impressed virtue, which is not had by the other
who is outside the ship, Figure 5: The ship referred to in the dialogue; note
that the letters are missing (math.dartmouth.edu). because the stones have the
same gravity, the same intervening air, if they depart (if this is possible)
from the same point, and arc given the same thrust. From that difference we
cannot draw any other explanation except that the things which are affixed to
the ship, and belong to it in some such way, move with it: and the stone
carries with itself the virtue of the mover which moves with the ship. The
other does not have the said participation. From this it can evidently be seen
that the ability to go straight comes not from the point of motion where one
starts, nor from the point where one ends, nor from the medium through which
one moves, but from the efficiency of the originally impressed virtue, on which
depends the whole differ- ence. And it seems to me that enough consid- eration
was given to the propositions of Nun- dinio. (Bruno, 1975: 123). The
experiments carried out in the ship are thus not influenced by its movement
because all the bodies in the ship take part in that move- ment, regardless of
whether they are in contact with the ship or not. This is due to the ‘virtue’
they have, which remains during the motion, after the carrier abandons them.
Bruno thus clearly expresses the concept of inertia, using the word ‘virtu`’,
in Italian meaning ‘quality’, which is carried by the bodies moving with the
ship—and with the Earth. Bruno’s arguments certainly constitute a step towards
the principle of inertia. 5 DISCUSSION AND CONCLUDING REMARKS We have seen that
in La Cena de le Ceneri Giordano Bruno anticipates to a great extent the
arguments of Galileo Galilei on the principle of relativity. In fact, his
explanation contains all of the fundamental elements of the principle. The idea
that the only movement observable by the subject is the one in which he does
not take part, was presented earlier by Jean Buridan and Nicole Oresme,
together with the notion of the composition of movements, which was alien to
Aristotelian mechanics (see Barbour, 2001). Sim- ilar arguments were used by
Nicholas Copern- icus (1543). The main missing ingredient was the idea of
inertia, which explains the fact that projectiles move along with the Earth. In
fact, while there is a continuous line between Buri- dan, Oresme, Copernicus,
Bruno and Galilei, the arguments of Bruno on the impossibility of detecting
absolute motion by phenomena in a ship constitute a significant step towards
the principle of inertia and providing a dynamical context for relativity. What
is new in Bruno, and what brings him almost exactly to where Galilei stood, is
a clear understanding of the concept on inertia. The arguments and metaphors
used in dis- cussions concerning the world systems were common to different
authors, and were largely derived from Aristotle, Ptolemy and their com-
mentators. Often they were used without ref- erencing, and sometimes they were
attributed to the wrong source. For example, in his On the Heavens, Aristotle
uses as experimental argu- ment the one about the stone that is sent upwards.
In their comment on this work, Bur- idan and Oresme used a modified version of
this experiment in which an arrow is sent upwards in a ship—although this was possibly
introduced by an earlier unidentified commentator/translator. Nevertheless, the
description by Galilei of exact- ly the same ship experiment that Bruno used in
the Cena makes it very likely that Galilei knew this work. The use of the
dialogue form with a similar choice of characters can also be seen as a
possible sign that Bruno influenced Galilei. Page 246
Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo Giordano Bruno and the
Principle of Relativity However, Galilei never mentions Bruno in his
works, and in particular there is no reference to him in Galilei’s large corpus
of letters, even though he references the ‘doctores parisienses’ in his MS 46
(Galilei, c. 1584),3 a 110-page long manuscript containing physical
speculations bas- ed upon Aristotle’s On the Heavens. Some authors (e.g.
Clavelin, 1968) have commented on Galilei’s silence about Bruno, putting
forward reasons of prudence, but as pointed out by Mar- tins (1986) this can
hardly explain the absence of any mention also in his personal correspond-
ence. Furthermore, although Galilei himself never mentions Bruno’s name in his
personal notes and letters, several of his correspondents do mention the Nolan.
In a letter to Galilei dating to 1610, Martin Hasdale tells him that Kepler had
expressed his admiration for Galilei, although he regretted that in his works
the latter failed to mention Copernicus, Giordano Bruno and sever- al Germans
who had anticipated such discov- eries—including Kepler himself: This morning I
had the opportunity to make friends with Kepler ... I asked what he likes about
that book of yourself and he replied that since many years he exchanges letters
with you, and that he is really convinced that he does not know anybody better
than you in this profession ... As for this book, he says that you really
showed the divinity of your genius; but he was somehow uneasy, not only for the
German nation, but also for your own, since you did not mention those authors
who intro- duced the subject and gave you the opportun- ity to investigate what
you found now, naming among these Giordano Bruno among the Ital- ians, and
Copernicus, and himself. Thus, we can say that Galileo Galilei was probably
aware of Giordano Bruno’s work on the Copernican system. When Galilei arrived
in Padova in 1592 it is also possible that the two scientists met, because
Bruno was a guest of the nobleman Giovanni Mocenigo in Venice at the time and
Galilei shared his time between Padova and Venice. In 1591, Bruno had unsuc-
cessfully applied for the Chair of Mathematics that was assigned to Galilei one
year later. Although it might be impossible to prove that the two astronomers
met, it is hard to believe, given the motivations and characters of the two men
and the circumstances of their lives during those years, as well as the small
size of the Italian scientific community in those days, that they failed to
discuss their respective arguments con- cerning the defence of the Copernican
system. 6 NOTES 1. Amphitrite was in Greek mythology the wife of Poseidon, and
therefore the Goddess of the Sea. 2. See Aristotle (1971: Section 296b). 3.
Although Antonio Favaro, the Curator of the National Edition of Galilei’s
works, dates it to 1584, Crombie (1996) and Wallace (1981; 1984) prefer a date
of around 1590. 7 ACKNOWLEDGEMENTS We wish to thank Luisa Bonolis, Alessandro
Bettini, Alessandro Pascolini, Giulio Peruzzi and Antonio Saggion for useful
suggestions, and the anonymous referees for directing us to some important
aspects that we neglected to mention in the first draft of this paper. 8
REFERENCES Aristotle, 1971. On the Heavens. Cambridge (Mass.), Harvard
University Press (Loeb Classic Greek Lib- rary English translation of the c.
350 BC Greek original). Barbour, J., 2001. The Discovery of Dynamics, Ox- ford,
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lation by J. Hopkins of the 1440 Latin original). D’Aviso, U., 1656. Treatise on
the Sphere of Galileo Galilei. Rome, N.A. Tinassi (apparently written in Padova
in 1606, in Latin). Galilei, G., c. 1584. MS 46. In Collezione Nazionale
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Sixteenth-Century Sources of Galileo‟s Thought. Dordrecht, Reidel. Wallace,
W.A., 1984. Galileo and His Sources: Heri- tage of the Collegio Romano in
Galileo‟s Science. Princeton, Princeton University Press. 4
Volgareelatino nel carteggio galileiano Sommario 4.1 Galileo
epistolografo: volgare e latino. – 4.2 Un confronto con Descartes e Mersenne. –
4.3 Le lingue dei corrispondenti. – 4.4 Le lettere latine di Galileo. 4.1
Galileo epistolografo: volgare e latino Per le consuetudini della respublica
litterarum lo scambio epistolare europeo riveste un ruolo importantissimo,
anche in considerazione della censura, in quanto «la lettre n’a pas besoin
d’imprimatur ni de ‘privilège’» (Fattori in Armogathe, Belgioioso, Vinti 1999,
52).1 Non esistendo ancora i periodici scientifici, le lettere svolgevano anche
tale funzione. Allievi e simpatizzanti, protettori, principi e cardinali,
eruditi ita- liani e stranieri, colleghi ed ecclesiastici, artisti e letterati,
amici e familiari: il carteggio galileiano comprende tutto questo.2 I
destinatari di Galileo sono per lo più in Italia, ma non mancano corrispondenti
stranieri, specialmente in Francia (Parigi e Lione), in Baviera, a Praga e nei
Paesi Bassi: «Per quanto la giurisdizione del 1 Sulla respublica litterarum e
la corrispondenza tra i savants cf. Fumaroli 1988; Bots, Waquet 1994 (in
particolare i saggi di Johns, Fumaroli, Waquet, Frijhoff); Waquet 1998;
Armogathe, Belgioioso, Vinti 1999 (in particolare l’intervento di Marta
Fattori); Jau- mann 2001; Bots, Waquet 2005; Fumaroli 2015. 2 Breve, ma
puntualissimo, Bucciantini in Irace 2011, 344-9; si veda anche Garcia 2004,
257-65. All’epistolario galileiano è dedicato Ardissino 2010; la studiosa ha
cura- to un’antologia delle lettere italiane dello scienziato (Galilei 2008),
con introduzione di Battistini (L’umanità di uno scienziato attraverso le sue
lettere). Sul registro polemico nell’epistolario si veda Ricci 2015.
Filologie medievali e moderne 23 | 19 10.30687/978-88-6969-450-9/004
57 Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano suo epistolario
sia di estensione europea, Galileo si rivolge soprat- tutto alla classe
dirigente degli Stati italiani, laica ed ecclesiastica» (Battistini in Galilei
2008, 13).3 In che lingua scriveva Galileo le sue lettere? Ci si aspetterebbe
che, nonostante la programmatica scelta del volgare per le sue opere, egli
utilizzasse nella corrispondenza con gli stranieri il latino, lingua franca
dell’aristocrazia del sapere. Una verifica integrale nei volumi dell’EN riserva
invece la sorpresa di una situazione affatto diversa, che riportiamo in
tabella: Vol. EN 10 11 12 13 14 15 16 17 18 18suppl. 20 suppl. 1 20
suppl. 2 Suppl. 2015 TOT. Anni Lettere di cui scritte in latino da Galileo
1574-1610 89 3 1611-13 42 0 1614-19 47 0 1620-28 51 1 1629-32 49 1 1633 18 0
1634-36 50 2 1637-38 33 1 1639-42 49 1 2 0 2 0 3 0 10 0 445 9 2 a Kepler (4
agosto 1597, EN 10, 67; 19 agosto 1610, EN 10, 421) 1 a Brengger (8 novembre
1610, EN 10, 466) a Kepler (28 agosto 1627, EN 13, 374) a Fortescue [Aggiunti]
(febbraio 1630, EN 14, 83) 1 a Bernegger [Aggiunti] (16 luglio 1634, EN 16,
111) 1 agli Stati generali dei Paesi Bassi (agosto 1636, EN 16, 468-9) a
Boulliau(d) (1 gennaio 1638, EN 17, 245) a Boulliau(d) (30 dicembre 1639, EN
18, 134) 3 Cf. anche
Garcia 2004, 257: «l’espace de cette république semble se réduire, dans son
esprit, à la seule Italie – c’est-à-dire aux trois villes de la Péninsule les
plus actives culturellement, Rome, Venise et Florence». Filologie medievali e
moderne 23 | 19 58 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi 4 • Volgare e
latino nel carteggio galileiano Su un totale di 445 lettere – manteniamo i
criteri di Favaro, che in- clude anche le epistole-trattato, quali le tre sulle
macchie solari, e le dedicatorie – sono latine soltanto 9 (il 2,02 %). Si
tratta delle lettere superstiti, ma, anche supponendo che la sorte ne abbia
distrutto un numero maggiore in latino che in italiano, i dati sono
inequivocabili. Sappiamo poi che di quelle 9, 2 sono state composte da Niccolò
Ag- giunti su commissione dello scienziato (v. infra). Ne restano dunque 7. 4.2
Un confronto con Descartes e Mersenne Il confronto con Descartes è eloquente.
Charles Adam ricostruisce che nel carteggio superstite «sur un total de 498
lettres, 63 sont en latin» (Adam 1910, 22), cioè il 12,65%. Del resto la familiarità
del fi- losofo con il latino era profonda: Il apprit le latin à fond, non
seulement comme une langue morte, mais comme une langue vivante qu’il pourrait
avoir à parler et à écrire. Il la parla, en effet, quelquefois en Hollande, et
même en France à une soutenance de thèses; et il l’écrivit dans trois ou quatre
de ses ouvrages et un certain nombre de lettres. Quelques- unes de ses notes
mêmes, rédigées pour lui seul et à la hâte, sont en latin. Il maniait cette
langue aussi bien et souvent mieux que le français, le plus souvent avec
vigueur et sobriété, parfois aus- si pourtant avec quelques gentillesses de
style qui rappellent les leçons des bons Pères; lui-même avoue qu’il a fait des
vers, sans doute des vers latins, et une fois avec Balzac il se piqua de bel
esprit et lui écrivit dans un latin élégant ‘à la Pétrone’. (Adam 1910, 22)4 Il
latino fu ancor più abituale per Marin Mersenne (1588-1648), che anche in
quanto ecclesiastico (ordine dei Minimi) era più legato alla lingua antica: su
308 epistole da lui redatte e conservateci sono la- tine il 38, 64% (119), in
francese le restanti.5 Sarebbe interessante uno studio dell’uso linguistico in
tale epistolario che analizzi il tipo di missiva, la provenienza e la
formazione dei destinatari. Accenniamo qui soltanto al fatto che Mersenne, a
cui furono rivolte alcune lette- 4 Al carteggio di Descartes è dedicato l’ampio
volume di Armogathe, Belgioioso, Vinti 1999; vi si veda in particolare il
saggio di Torrini che compara l’epistolario di Descartes e di Galileo: per il
primo il carteggio fu un luogo privilegiato di discussione filosofica, ben più
che per Galileo. 5 Conteggio nostro dai 17 volumi della corrispondenza
dell’erudito (Mersenne 1945- 1988). Divergono leggermente dalla nostra la somma
indicata nel vol. 17 a p. 107 (330) e quella che si ricava dall’indice delle
missive a pp. 145-9 (317). La lettera nr. 1691 a Baliani ci è tradita in
italiano da una stampa secentesca delle opere di questi, ma si tratta
probabilmente di una traduzione dall’originale latino o francese (cf. il
commen- to di de Waard, Beaulieu). Filologie medievali e moderne 23 | 19 59
Galileo in Europa, 57-70 Bianchi 4 • Volgare e latino nel
carteggio galileiano re in italiano, non rispose mai in quella lingua; i
curatori del carteg- gio affermano, seccamente, che «Mersenne savait très mal
l’italien» (commento alla lettera nr. 1691). Troppo seccamente, perché egli
comprendeva in verità assai bene l’italiano, come dimostra la tradu-
zione-rielaborazione di pagine galileiane (Les Méchaniques de Gali- lée, Les
nouvelles pensées de Galilée).6 Interessante sarebbe valutare affermazioni di
comprensione o incomprensione di una lingua stra- niera come quelle di Giovanni
Battista Baliani, in cui la grafia sem- bra giocare un grande ruolo. Per esempio,
ha ricevuto da Mersenne una lettera «in lingua francese, ma tanto chiara ché io
l’ho intesa leg- gendola correntemente» (missiva nr. 1429), cioè è riuscito a
legger- la nonostante fosse in francese e nonostante la grafia. Un mese pri- ma
aveva spiegato al corrispondente: «Rispetto alla lingua, in che V. P. mi deve
scrivere, confesso, che mi è più caro che mi scriva in lat- tino, che già hò
preso un poco la pratica del suo carattere. Il france- se però intendo meno,
ancorche intenda assai bene i libri stampati» (missiva nr. 1417; in nota i
curatori ricordano che Torricelli aveva lo stesso problema). Galileo non
leggeva il francese.7 Contrariamente a ciò che era consuetudine e norma nella
respublica litterarum, Galileo fece uso parchissimo del latino per l’epistolografia.
Anche se dobbiamo precisare che era ormai scontata a quell’altezza cronologica,
almeno in Francia e Italia, l’utilizzo della lingua mater- na per comunicare
con connazionali,8 e il carteggio stricto sensu ga- lileiano – lettere composte
o ricevute dallo scienziato – non presenta quasi eccezioni.9 Anche tra le
lettere che nell’EN fanno corona all’epi- stolario galileiano propriamente
detto, ma che fornendo informazioni sullo scienziato furono raccolte da Favaro,
sempre o quasi gli italia- ni scrivono a un connazionale (foss’anche il papa)
in italiano. Analo- gamente si comportano i dotti francesi (pur con qualche
eccezione): Mersenne, Fermat, Descartes si scrivono in francese. Ricorrono in-
vece non infrequentemente al latino i dotti tedeschi per comunicare tra loro:
nell’EN si veda Scheiner che scrive a Kircher, e Bernegger a tutti i propri
connazionali.10 Analogamente, l’olandese Hugo de Gro- 6 Sul rapporto
Mersenne-Galileo (e Descartes-Galileo) si veda almeno Bucciantini 2009. 7 Cf.
anche Favaro 1983, 1392. 8 Pantin 1996, 58: «À la fin de la Renaissance, les
langues vernaculaires (surtout s’il s’agissait du français et de l’italien)
étaient devenues le premier moyen de s’exprimer et même de raisonner (dans la
correspondances scientifiques du début du XVIIe siècle les allemands sont
souvent presque les seuls à parler latin)». Di diverso parere Battis- tini in
Galilei 2008, 13: «pur essendo ancora il latino la lingua abituale nel trattare
ma- terie scientifiche ed erudite, anche tra connazionali». 9 Paolo Maria
Cittadini, che si firma teologo dello Studio bolognese, si rivolge in la- tino
a Galileo (EN 10, 389). 10 Per un’indagine sulla corrispondenza dei dotti
tedeschi nel Cinquecento si veda Lefèbvre 1980. Cf. anche Leonhardt 2011, 213.
Filologie medievali e moderne 23 | 19 60 Galileo in Europa, 57-70
Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano ot (Grotius) scrive
in latino a Maarten van den Hove (Martino Orten- sio nell’EN) e a Gerhard Voss
(Vossius). 4.3 Le lingue dei corrispondenti Galileo non si allinea al costume
della comunicazione latina con stra- nieri, mostrando una forte tendenza a
evitare la lingua antica.11 D’al- tra parte, l’adozione dell’italiano da parte
di stranieri testimonia la fortuna della nostra lingua e il suo prestigio.12
Galileo instaura una comunicazione italiana paritetica – nel senso che entrambi
i corri- spondenti scrivono in italiano – non solo con Clavius e Faber, che vi-
vevano stabilmente in Italia da molti anni (si noti però che in alme- no due
lettere il principe Cesi aveva scritto al secondo in latino), ma anche con
Markus Welser,13 l’ingegnere militare Antoine de Ville (al- lora in servizio
della Serenissima),14 Carcavy, Peiresc, Reael, Lowijs Elzevier,15 Ladislao IV
di Polonia, Massimiliano di Baviera, Jean de Beaugrand. L’effettiva conoscenza
dell’italiano da parte dei corri- spondenti non si può misurare solo dalle
missive, per alcune delle quali va postulato l’intervento di un madrelingua
(certamente nel caso di principi e regnanti, ma anche le lettere di Reael sono
troppo ben scritte per non supporre almeno un correttore).16 Significativo il
caso di François de Noailles (1584-1645).17 Già sco- laro di Galileo a Padova,
ufficiale militare e poi non troppo abile am- basciatore francese a Roma (1634-36),
attivo nel chiedere alla Chie- sa clemenza per l’antico maestro, lo incontrò a
Poggibonsi sulla via del ritorno in Francia e ricevette una copia manoscritta
delle Nuove scienze, delle quali fu dedicatario. Restano 8 lettere da lui
inviate a Galileo dall’ottobre 1634 al novembre 1638. Le prime cinque sono in
italiano e risalgono al tempo in cui era diplomatico a Roma: di esse soltanto
una è interamente autografa (EN 16, 144), ma probabilmente 11
Nell’inopportunità di riportare dettagliate rassegne biografiche sui molti
personag- gi che nomineremo, rimandiamo una volta per tutte all’Indice
biografico dell’EN (anche del supplemento 2015) e agli indici di Drake 1995 e
di Heilbron 2010, nonché al rege- sto di nomi propri curato dal Museo Galileo
di Firenze, disponibile online e continua- mente aggiornato. Daremo qui
solamente qualche informazione utile al nostro discorso. 12 Cf. Stammerjohann
2013. 13 Cf. cap. 2, § 5. Quando questi è malato, anche il fratello Matthäus
scrive in ita- liano a Galileo. 14 Cf. Pernot 1984 e Vérin 2001. 15 Scrive in
italiano anche a Micanzio. Bonaventure e Abraham Elzevier si erano in- vece
rivolti a Galileo in latino. 16 Diodati scrive a Reael in italiano (EN 16,
492). 17 Su di lui cf. Favaro 1983, 1317-45. Per i corrispondenti francesi di
Galileo riman- diamo a Baumgartner 1988 e ai riferimenti bibliografici ivi
contenuti. Filologie medievali e moderne 23 | 19 61 Galileo in Europa,
57-70 Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano
composta o almeno rivista da un madrelingua. Le altre quattro han- no soltanto
la sottoscrizione di pugno del diplomatico. Il 15 gennaio 1636, in un punto
morto delle discrete manovre per il mitigamento della condanna di Galileo,
Noailles si scusa con questi del ritardo nel- lo scrivere: «Potrà similmente
attribuire la cagione dell’haver tardato a scriverli all’assenza del mio
secretario italiano» (EN 16, 377). È al- meno in parte un pretesto, ma ci
informa delle abitudini linguistiche della corrispondenza. La stessa lettera
riporta un breve poscritto au- tografo, che può dare l’idea della competenza
linguistica dell’amba- sciatore, buona, ma nettamente inferiore alla lingua e
allo stile esibi- to nelle altre lettere a Galileo: «Il latore de la presente
li darà nove di me, et quanto gran stima fo de le sue virtù et come sto con
desiderio di servirla in ogni occorrenza». Di fatto, l’uso dell’italiano
sembra, non solo in Noailles, un piacere e un omaggio al maestro degli anni
pado- vani e al grande scienziato. Dopo il rientro in Francia (1636) Noailles
gli scriverà personalmente – cioè senza aiuto di segretari – in france- se
(restano tre lettere autografe). Lettere che – l’ambasciatore dove- va certo
esserne al corrente – Galileo non poteva intendere e di cui restano tra i
manoscritti galileiani le traduzioni italiane.18 A Grienberger e de Groot che
gli si rivolgono in latino, Galileo ri- sponde in italiano. In latino gli
scrivono anche Gassendi (con l’ec- cezione di una missiva italiana composta
insieme a Peiresc), Tycho Brahe, Mersenne, Morin, Abraham e Bonaventure
Elzevier, l’avver- sario Scheiner e parecchi altri.19 Ma non sono conservate le
risposte del nostro (a Tycho non rispose affatto) 20 e dunque non sappiamo in
quale lingua fossero composte. Gli scrissero invece in italiano Martin Hasdale
(tedesco, fu a lun- go in Italia per divenire poi potente consigliere alla
corte di Rodolfo II); David Ricques (polacco o tedesco), Thomas Segget
(scozzese, fu a lungo in Italia; poi a Praga), il greco Demisiani, il cardinale
François de Joyeuse, Krzysztof Zbaraski (nell’EN Cristoforo di Zbaraz), Ri-
chard White (allievo di Castelli, scrive da Londra e si scusa per gli errori di
lingua), Giovanni di Guevara (spagnolo, ma nato a Napoli), Philippe de
Lusarches (maestro di camera degli ambasciatori fran- cesi a Roma), Johannes
Riijusk (cugino del Reael, scrive da Venezia), Francesco van Weert (olandese al
servizio della Serenissima), Justus 18 Cf. l’introduzione di Favaro alle
missive e il supplemento di EN 18, 436. Al ruo- lo dei segretari nella respublica
litterarum accenna Fattori in Armogathe, Belgioioso, Vinti 1999, 57-8. 19
Raymund Schorer (mercante tedesco attivo anche a Venezia), Theophilus Mül- ler
(tedesco, linceo, da Roma), Beaulieu (non meglio identificato), John Welles (da
Lon- dra), Jan Friedrich Breiner, Michel Coignet, Marek Lentowicz (che fu
studente a Pado- va), Bartholomäus Schröter (tedesco), Jean Tarde, Filippo
d’Assia, Jan Brozek (polac- co), Maarten van den Hove (Hortensius,
olandese). 20 Bucciantini 2003, 87. Filologie medievali e moderne
23 | 19 62 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi 4 • Volgare e latino nel
carteggio galileiano Weffeldich (agente degli Elzevier a Venezia), Jean-Jacques
Bouchard (dotto francese che visse molti anni a Roma), Henry Robinson (ingle-
se, fu a Livorno per commercio e abitò per alcuni anni a Firenze). Restano
alcune epistole italiane che Galileo inviò a Leopoldo d’Au- stria (Innsbruck),
a Pedro de Castro conte di Lemos (Madrid), agli Stati Generali delle Province
Unite dei Paesi Bassi (ve n’è un’altra in latino, EN 468-69, di cui parleremo
tra qualche pagina), a Francisco de Sandoval duca di Lerma (Madrid), a Maarten
van den Hove (matematico olandese). Scrivono a Galileo sia in latino che in
italiano Leopoldo d’Austria, Jacques Jauffred21 (una missiva privata è in
volgare, una pubblica è stampata in latino), Benjamin Engelcke (di Danzica, fu
per alcuni an- ni in Italia).22 Gli Stati Generali delle Province Unite dei
Paesi Bassi si rivolgono a Galileo sia in latino che in francese (Reael traduce
per Galileo; una deliberazione dell’assemblea sulla proposta galileiana del
calcolo della longitudine è redatta in olandese e Reael la tradu- ce in latino
per Galileo). Il francese è peraltro usato anche in altre occasioni dagli
olandesi, come quando Huygens si rivolge a Diodati. Il quadro generale
dell’epistolario è dominato dall’italiano, anche perché la maggioranza degli
stranieri aveva vissuto per un periodo abbastanza lungo in Italia durante gli
studi universitari o per altri motivi. Sono dunque stranieri con una vasta
conoscenza personale della Penisola e della sua lingua.23 4.4 Le lettere latine
di Galileo Si esaminerà ora il ristretto gruppo di epistole latine di Galileo
rima- steci. Della corrispondenza tra Galileo e Kepler, di importanza capi-
tale, restano poche lettere, 7 da parte del tedesco, 3 da parte del pi- sano.
Non si incontrarono mai di persona. La comunicazione si svolse sempre in latino
e coprì, per quanto è conservato, un arco tempora- le che va dal 1597 al 1627
(ma le lettere scritte da Kepler non vanno oltre il 1611). I rapporti
scientifici e personali tra i due scienziati so- no illustrati nel dettaglio e
nell’ampio quadro culturale del tempo in Bucciantini (2003), a cui ci
rifacciamo per la nostra analisi. Al tempo del primo contatto epistolare (1597)
nessuno dei due è famoso: Gali- leo è niente più che il solido matematico dello
Studio di Padova; Ke- pler, dopo aver rinunciato alla carriera teologica e
pastorale, è mate- matico a Graz. I due non si conoscono neppure di nome. Per
tramite 21 Su di lui vedi DBI (s.v. «Gaufrido, Jacopo»). 22 Cf. infra in questo
capitolo. 23 Cf. Favaro 1983, 1320-2. Una testimonianza in senso contrario
(ovvero scarsa com- petenza dell’italiano da parte di studenti stranieri a
Padova) è riferita da Mikkeli 1999, 81; ci sembra tuttavia un’eccezione di
fronte alle tante altre. Filologie medievali e moderne 23 | 19 63 Galileo in
Europa, 57-70 Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio
galileiano dell’amico Paul Homberger, Kepler fece arrivare in Italia il suo My-
sterium cosmographicum (1596). «Probabilmente fu lo stesso Keple- ro a
suggerirgli [a Homberger] di destinare una copia allo Studio di Padova, ovvero
di consegnarla a chi in quel tempo occupava la catte- dra di matematica in una
delle università più prestigiose d’Europa» (Bucciantini 2003, 22). E Galileo,
letta solo la prefazione dell’opera, nella quale Kepler dichiara la sua
adesione al Copernicanesimo, de- cise di inviare una lettera di ringraziamento
all’autore per tramite dello stesso Homberger che stava per fare ritorno in
Austria.24 È la missiva del 4 agosto 1597 (EN 10, 67), che contiene
l’importantissima di dichiarazione di Copernicanesimo da parte di Galileo (in
Copernici sententiam multis abhinc annis venerim).25 Importantissima anche in
base alla doppia considerazione che a fine Cinquecento i copernicani si
contavano sulle dita (oltre a Kepler e Galileo, erano Bruno, Roth- mann,
Mästlin, Digges, Harriot, Stevin, de Zúñiga)26 e che prima del- le scoperte del
1610 «le copernicianisme était une opinion extrava- gante et ridicule, et donc
non dangereuse ni ne méritant même d’être condamnée» (Bucciantini 2009, 20). Si
capisce dunque l’entusiasmo di Galileo nell’apprendere che un tale Kepler aveva
le sue stesse idee e pubblicava opere per difenderle e diffonderle, mentre lui,
Galileo, non aveva avuto il coraggio – afferma – di pubblicare le sue osserva-
zioni in difesa del sistema eliocentrico per non fare la fine di Coper- nico,
lodato da pochissimi e deriso dai più. Il latino di questa lette- ra ci sembra
un poco più elevato di quello del Sidereus nuncius, con più frequente
subordinazione (soprattutto frasi relative e infinitive). La gioiosa risposta
di Kepler, contento anch’egli di aver trovato un compagno, è più lunga e
stilisticamente superiore, per quanto non brillante: esclamazioni e
interrogative retoriche vivacizzano il det- tato, che è molto fluido e senza
imbarazzi; vi sono finezze umanisti- che, come l’inserzione di una parola in
caratteri greci (αὐτόπιστα). La strategia culturale di Kepler per l’affermazione
del Copernicane- simo prevede innanzitutto il convincimento dei matematici ed
egli si dichiara disponibile a far pubblicare in terra tedesca gli scritti di
Galileo, se questi teme di farlo in Italia. Ma Galileo, non condividen- do la
strategia proposta, non rispose a questa lettera.27 Stupito del silenzio,
Kepler ritentò attraverso Edmund Bruce di avere nuove di Galileo nel 1599.28 24
Cf. anche Biancarelli Martinelli 2004. 25 Una dichiarazione di poco precedente
(maggio 1597), ma appena accennata e di- messa, diversamente dalle righe
indirizzate a Kepler, è in una lettera a Jacopo Mazzo- ni (EN 2, 197-202; cf.
Bucciantini 2003, 29). 26 Bucciantini 2003, 53. 27 Bucciantini
2003, 73. 28 Bucciantini 2003, 103. Filologie medievali e moderne 23 | 19
64 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio
galileiano Giunse poi la stagione del Sidereus nuncius, durante la quale Ke-
pler fu il solo grande interlocutore straniero cui Galileo si rivolse e la cui
conferma delle scoperte ebbe importanza paragonabile soltanto a quella degli
studiosi del Collegio Romano. Oltre alla presa di posizio- ne ufficiale con la
Dissertatio cum Nuncio sidereo, Kepler invia a Ga- lileo una lettera privata il
9 agosto 1610, chiedendo, in sostanza, altri elementi a sostegno delle scoperte
e del cannocchiale. La risposta di Galileo, datata 19 agosto (EN 10, 421), è
significativa. Il nostro è an- cora a Padova, ma ha già ottenuto il posto alla
corte di Toscana e la lettera è pervasa da un’esuberante soddisfazione del
proprio succes- so, «con toni che sfiorano l’autocelebrazione» (Bucciantini
2003, 190): il racconto delle ricompense e dello stipendio ricevuto dopo la
scoper- ta, la protezione e la garanzia del Granduca quanto alle scoperte, il
ti- tolo di filosofo aggiunto ora a quello di matematico, che Kepler non gli
riconoscerà. Galileo non ha molto tempo per scrivergli (paucissimae enim
supersunt ad scribendum horae). Lo stile è solido e non più impac- ciato come
nella lettera del 1597; la scrittura è più fluida, c’è più mo- vimento, con
interrogative e riferimenti eruditi (seppur scolastici, co- me oblatrent
sicophantae) e quasi con affetto per il suo alleato lontano che, pur chiedendo
chiarimenti e testimoni, lo ha appoggiato. In par- ticolare è insolita, in Galileo,
una conclusione come me, ut soles, ama. Con la pubblicazione della Dioptrice
nel 1611 (Kepler fu il padre dell’ottica moderna), termina uno scambio
frequente tra i due: essi non hanno più avvertito il bisogno di confrontarsi e
collaborare rego- larmente, a causa sia di progetti e attitudini scientifiche
differenti, sia di piccole incomprensioni (per es. la stima riposta da Kepler
in Simon Mayr, che dispiacque al nostro).29 Certo, Galileo si informerà su co-
me stia e che cosa faccia l’altro e Kepler prenderà posizione nelle po- lemiche
legate al Saggiatore con l’Hyperaspistes (1625), ma non è più in gioco una
collaborazione stabile e duratura. Le lettere superstiti, in ogni caso, saltano
dal 1611 al 4 settembre 1627 (EN 13, 374-5), al- lorché Galileo raccomanda
Giovanni Stefano Bossi al dotto corrispon- dente perché questi lo accetti come
scolaro. La missiva, non molto in- teressante quanto al contenuto (una
raccomandazione), testimonia il tentativo di riallacciare la relazione. Nel
poscritto Galileo aggiunge: Mitto, cum his complicatam litteris, Orationem
Nicolai Adiunctii, adolescentis in omni humaniore et severiore literatura
excultissi- mi: eam sat scio te magna cum voluptate lecturum, et mirifice fu-
turam ad tuum palatum et gustum. Si tratta dell’Oratio de mathematicae
laudibus, uscita a Roma nello stesso anno dalla penna del giovane Aggiunti,
notevole non solo per 29 I motivi del distacco sono scandagliati in Bucciantini
2003, 198-205. Filologie medievali e moderne 23 | 19 65 Galileo in Europa, 57-70
Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano lo stile
latino brillante di cui l’autore dava prova, ma anche per la celebrazione della
matematica come modo di vedere la realtà (una Geometria nos in rerum notitiam
perducit, et sola complectitur studia universa).30 Dopo di che, morto Kepler
nel 1630, il Dialogo lo accuse- rà, pur «con rispetto» (così la didascalia a
margine), di aver creduto a «predominii della Luna sopra l’acqua, ed a
proprietà occulte, e simi- li fanciullezze» (4, 54): come è noto, un attacco
che si ritorce contro Galileo. A rendere incompatibili le posizioni dei due
grandi vi erano idee radicalmente diverse sul cosmo e la posizione dell’uomo in
esso.31 Veniamo agli altri corrispondenti. Johann Georg Brengger (1559- 1630
ca.), medico di Augsburg, si interessava di problemi scientifici.32 Per tramite
di Welser pone a Galileo alcune questioni sui monti lu- nari, cui Galileo
risponde con una lunga epistola in un latino asciut- to l’8 novembre 1610. A
sua volta Brengger risponderà estesamente in latino il 13 giugno 1611 (EN 11,
121). Una delle due lettere composte in latino da Niccolò Aggiunti su incarico
di Galileo si legge in EN 14, 83 (datata febbraio 1630) ed è la risposta a
George Fortescue.33 Il 15 ottobre 1629 (EN 14, 47) que- sti gli aveva
indirizzato una pomposa lettera latina annunciandogli la pubblicazione delle
sue Feriae academicae (1630), nelle quali, di- scorrendo di ottica, catottrica,
matematica e astronomia, adduceva nonnulla [...] experientia comprobata mea.
Lettera pomposa in cui gli elogi a Galileo, iperbolici, sono intessuti di
riferimenti eruditi (il mi- to di Cefeo e la costruzione del faro di
Alessandria su progetto di So- strato). La notizia più saliente che il mittente
vuole comunicare è l’a- ver fatto di Galileo un personaggio del libro
annunciato: In his usus sum artificio Marci Tullii aliorumque, qui, ut sibi in
dicendo auctoritatem concilient, inducunt colloquentes Catones, Crassos,
Antonios, similesque palmares homines. [...] Igitur ignosce, Vir sapientissime,
si disputantem in scriptis meis temet repereris, 30 Il passo è riportato in
Camerota 2004, 570. Secondo Peterson 2015, 130, inviando a Kepler il testo di
Aggiunti, Galileo inviterebbe il corrispondente a rivolgere un’‘atten- zione
matematica’ non solo ai cieli, ma anche alla realtà terrestre. 31 «L’abbandono
[da parte di Galileo] di ogni visione antropocentrica è certamente una delle
caratteristiche della sua filosofia che più lo allontana non solo da Keplero ma
an- che da Copernico» (Bucciantini 2003, 322). «Il progetto galileiano di
fondazione di una scienza copernicana del moto fu fin dall’inizio antitetico e
concorrente alla nuova dina- mica celeste kepleriana. La forza e la tenacia con
cui Galileo proseguì in ogni momento della sua vita le sue ricerche sul moto
inerziale all’interno di una prospettiva cosmolo- gica gli impedirono di
accettare le ‘assurde’ leggi kepleriane» (Bucciantini 2003, 336). 32 Laureato
in medicina a Basilea, ebbe scambio epistolare con Clavio e Kepler su problemi
scientifici (cf. Reeves, van Helden 2010, 43, 220-1; Keil 2002, 610-11; Buc-
ciantini 2003, 230-3). 33 Pochissimo si sa di lui: cf. la voce di Ross Kennedy
nell’Oxford Dictionary of National Biography (2004), con bibliografia; Favaro
1883b, 203-10; Besomi, Helbing 1998b, 3-4. Filologie medievali e moderne 23 |
19 66 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi 4 • Volgare e latino
nel carteggio galileiano illos inter qui exquisitis suis artibus occiduum hunc
sustentant orbem. Alle pp. 122-59 delle Feriae è allestito un dialogo (con
narratore) tra Ga- lileo, Clavio, Grienberger – astrologorum huius aevi facile
principes – e Ferdinando Gonzaga. Con la missiva Fortescue ne informa lo
scienziato e si scusa per non avergli chiesto il permesso (Ergo da veniam,
serius petenti licet, Vir spectatissime, quod, inconsulto te, cum tuo egerim
nomine). Nella risposta – che commenteremo – lo scienziato dichiara, con
accenti che corrispondono del tutto ai moduli dello stile encomia- stico, che
nostram [...] enim mirifice incendisti cupiditatem, pregando- lo di inviargli
copia del libro non appena stampato (Cum typographi suam operam absolverint,
tuique libri editionem perfecerint, unum vel alterum exemplar ad nos primo
quoque tempore perferendum cures). Non escludiamo che la parte ‘galileiana’ delle
Feriae34 abbia potuto ispirare Galileo e suggerirgli quell’unicum narrativo che
è la sua appa- rizione come personaggio nel Dialogo sopra i due massimi sistemi
(3, 176). In tale passo, per ribadire la priorità galileiana su Scheiner ri-
guardo alla scoperta della correlazione tra macchie solari e l’inclina- zione
dell’asse solare, Galileo si è servito di un fine stratagemma reto-
rico-narrativo, unico nell’opera: Salviati ricorda dettagliatamente una
discussione con Galileo e ne riporta in modo diretto (con due punti e
virgolette) le parole. Un intervento ‘diretto’ dell’autore all’interno del
Dialogo dei personaggi. Lo stratagemma è interessante anche perché è un falso
creato ad hoc da Galileo, come hanno acutamente ricostruito Besomi, Helbing
(1998b, 720-37) e come era noto a collaboratori di Ga- lileo: Benedetto
Castelli parlò del passo in questione come «testimonio falso delle macchie del
sole» (lettera del 29 maggio 1632 a Galileo, EN 14, 358). L’influenza di
Fortescue su tale episodio è indimostrata, ma possibile anche in base alla
cronologia della composizione del Dialogo.35 Contrariamente alle sue abitudini,
Galileo volle rispondere a For- tescue in latino (questi era stato al Collegio
inglese di Roma dal 1609 al 1614; non sappiamo tuttavia se Galileo ne fosse al
corrente), e si affidò per questo al provetto latinista Niccolò Aggiunti
(1600-1635). Allievo di Castelli a Pisa, al quale succedette nel 1626 sulla
cattedra di matematica, Aggiunti fu anche precettore di corte, dove conobbe e
divenne discepolo fidato di Galileo, tanto che fu tra coloro che du- rante il
processo del 1633 asportarono da casa del maestro le carte giudicate
pericolose. Studiò in particolare i fenomeni capillari. Uni- ca sua opera a
stampa è la già menzionata Oratio de mathematicae 34 Accenni in Favaro 1883b,
203-10; Besomi, Helbing 1998b, 3 e Camerota 2004, 206. 35 La parte dell’opera
sui movimenti delle macchie solari (3, 172, 10-187) è stata com- posta
«probabilmente dopo il settembre del 1631, dopo che Galileo aveva letto la Rosa
Ursina [opera di Scheiner]» (Besomi, Helbing 1998b, 47). Filologie medievali e
moderne 23 | 19 67 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi 4 •
Volgare e latino nel carteggio galileiano laudibus (1627), che fu la prolusione
al suo insegnamento universi- tario; restano manoscritti alcuni altri suoi
testi.36 Ebbe fama di otti- mo latinista e per questo Galileo chiese la sua
collaborazione. Ciono- nostante difese anche l’uso del volgare nella
trattazione filosofica.37 Il 30 gennaio 1630 Aggiunti scrisse a Galileo: «Credo
che V. S. Ecc.ma volentieri mi perdonerà così lunga dilazione, vedendo che io
gli pago il debito e in oltre qualche usura: io parlo della rispo- sta al Sig.r
Giorgio [Fortescue], la quale mando a V. S., fatta con quella maggior
accuratezza che ho potuto. Harò caro intender quan- to gli sodisfaccia. Nella
soprascritta basterà fare: Eruditiss.o Viro Georgio de Fortiscuto. Londinum»
(EN 14, 71). Della missiva ci resta la copia autografa di Galileo. In essa,
datata da Favaro febbraio 1630, si ringrazia ampollosamente, anche con richiami
eruditi, per l’onore di comparire come personaggio inter eximios viros e di
essere così celebrato. La lettera è ben nota agli studiosi galileiani, perché
Gali- leo dichiara di lavorare a un arduum opus: magnum mundi systema, quod
trigesimum iam annum parturiebam, nunc tandem pario. E di- chiarandone il tema
(in hoc opere abditissimas maris aestuum causas [...] inquiro, et, nisi mei me
fallit amor, mirabiliter pando), prega il cor- rispondente di inviargli dati
sull’osservazione delle maree: Proinde siquid habes circa hasce alternas
aequoris agitationes diligenti nec divulgata observatione notatum, ad me
perscribere ne graveris. L’altra lettera latina composta da Aggiunti su
commissione di Galileo (16 luglio 1634; EN 16,111) è indirizzata a Matthias
Bernegger (1582- 1640), dotto residente a Strasburgo e traduttore in latino del
Dialogo. Alcuni mesi prima egli aveva scritto a Galileo annunciandogli la
tradu- zione (10 ottobre 1633; EN 15, 299).38 Favaro ricostruisce che probabil-
mente tale epistola non fu consegnata allo scienziato, perché Benjamin Engelcke
(1610-1680), che avrebbe dovuto portarla di persona, la spedì a Galileo ed essa
andò perduta (noi leggiamo oggi la minuta dello scri- vente); l’Engelke scrisse
poi a Galileo informandolo della traduzione. La lettera di Bernegger è stesa in
un latino sicuro e curato, ma non af- fettato, con la sola iperbole finale di
Galileo non Italiae modo tuae, sed orbis, quem immortalibus tuis scriptis
illustrasti, lucidissimum sidus, che rispecchia lo stile encomiastico. Per la
risposta Galileo volle affidarsi anche in questa occasione ad Aggiunti, che
così scriveva allo scienziato il 12 aprile 1634: «Questa qui alligata è la
lettera che, in esecuzione del suo cenno, ho fatta al Bernechero, del quale non
sapendo il nome non ho potuto porvelo. Se le paresse lunga, potrà scorciarla et
acconciarla a modo suo. Io l’ho scritta con mia gran fatiga, perché il
considerare in 36 Su Aggiunti, oltre alla voce del DBI, si vedano Favaro 1983;
Camerota 1998; Ca- merota 2004, 21-2 e passim; Peterson 2015, 128-36.
37 Cf. Camerota 1998. 38 Commenteremo questa lettera nei cap. 8.
Filologie medievali e moderne 23 | 19 68 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi
4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano nome di chi io scrivevo mi
sbigottiva. V. S. nel mio mancamento accusi il suo comandamento» (EN 16, 82).
Ciò testimonia inequivocabilmente che Aggiunti non ha semplicemente tradotto in
latino una risposta re- datta da Galileo in volgare, ma composto in toto la
lettera. Essa sfoggia uno stile brillante, retorico, erudito. Aggiunti parago-
na Bernegger traduttore a un egregius pictor che abbellisce la figura della
persona ritratta: con i latinae elegantiae colores egli riprodurrà le
philosophicae lucubrationes dello scienziato. L’acme retorico-erudita è
raggiunta paragonando la traduzione del Dialogo al ritratto di Antigo- no
sapientemente realizzato da Apelle: essendo il sovrano privo di un occhio – era
appunto soprannominato μονόφθαλμος –, il pittore sfruttò i vantaggi del tre
quarti per nascondere il difetto fisico, come ricorda un passo dell’Institutio
oratoria (2, 13, 12): Habet in pictura speciem tota facies: Apelles tamen
imaginem Antigoni latere tantum altero ostendit, ut amissi oculi deformitas
lateret. Aggiunti si rifà direttamente a Quintilia- no e inscena una ‘cecità’
di Galileo, non fisica, come avverrà più tardi, ma metaforica (difetti di stile
e improprietà di espressione del Dialogo): tuum artificium hoc pollicetur, ut,
citra similitudinis detrimentum, me pulchriorem quam sum ostendas, et, imitatus
Apellem, qui Antigoni faciem altero tantum latere ostendit, ut amissi oculi
deformitas occultaretur, tu quoque, si quid in me mutilum vel deforme offendes,
ab ea parte convertas qua speciosius apparebit. È evidente la soddisfazione e
l’orgoglio per la traduzione latina dell’o- pera che tante umiliazioni aveva
portato a Galileo, soddisfazione e orgoglio accresciuti dai dolori fisici e
dalla perdita della figlia, man- cata pochi mesi addietro (ma di ciò non si
accenna nella lettera): Ceterum deierare liquido possum, post tot turbas et
corporis animique vexationes, quas mihi pepererunt primum studia ipsa, quae
radices artium amarae sunt, deinde studiorum fructus, qui multo ipsis radicibus
amariores fuerunt, hoc tuo erga me studio nullum mihi maius solatium
contigisse. Passi come questo attestano l’alto livello della prosa latina di
Aggiunti: sottolineamo la naturalezza stilistica con cui l’immagine degli studi
co- me radici delle scienze – radici amare perché intrise di fatica – si tramu-
ti nel paradosso dei frutti più amari delle radici, paradosso in cui sono
adombrate le sofferenze e umiliazioni del processo e dell’abiura. Alle quali
Galileo reagisce con nuovi studi e la stesura delle Nuove scienze: Non tamen
his angustiis eliditur aut contrahitur animus, quo liberas viroque dignas
cogitationes semper agito, et ruris angustam hanc solitudinem, qua
circumcludor, tanquam mihi profuturam aequo animo fero. Filologie medievali e
moderne 23 | 19 69 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi 4 • Volgare e
latino nel carteggio galileiano Bernegger fu sbalordito dall’eleganza di tale
lettera e non subodo- rò che non venisse dalla penna di Galileo; scrisse
infatti a Diodati: Valde me terruit ipsius [Galileo] epistola, longe tersissima
et elegantissima; quam elegantiam cum vel mediocriter assequi posse desperem,
verendum habeo ne magnus ille vir ingenii sui divini foetum in commodiorem
interpretem incidisse velit. Sed iacta est alea (EN 16, 176-7). Aggiunti morì
nel dicembre 1635. Meno interessanti le ultime tre lettere di cui dobbiamo
occuparci. Il 30 ottobre 1637 il dotto Ismaël Boulliau(d) (1605-1694)39 inviò a
Ga- lileo una copia del suo De natura lucis40 accompagnandola con una lettera
latina in cui si dichiarava amico di Gassendi e di Diodati (EN 17, 207-8) e in
cui annunciava l’imminente pubblicazione del Philolaus sive Dissertatio de vero
Systemate Mundi (1639). È una missiva di ac- compagnamento, piuttosto breve e
spedita quanto a stile. La risposta di Galileo (1 gennaio 1638; EN 17, 245),
pure in latino, ha lo stesso te- nore: con un dettato puramente comunicativo
informava di aver già perso la vista e di non poter quindi formarsi un giudizio
sulle dimo- strazioni del De natura lucis che contengano figure; ha però apprez-
zato ciò che gli è stato letto e si interessa del Philolaus. Infine si scu- sa
per la brevità e sommarietà della risposta: Breviter admodum ac ieiune scribo,
praestantissime vir: plura enim scribere me non patitur molesta oculorum
valetudo. Quare me velim excusatum habeas. Una seconda lettera di Boulliau(d)
risale al 16 settembre 1639 (EN 18, 103): un puro accompagnamento all’invio del
Philolaus, con l’augurio retorico che utinam Deus, qui alligat contritiones
suorum, restituat oculorum lumen tibi ademptum, nobisque tale damnum resarciat,
ut ipse legas libellum, et rationum seriem sine alienorum oculorum opera
dispicias. La risposta latina del nostro, in data 30 di- cembre 1639 (EN 18,
134), è del tutto analoga alla precedente: rin- grazia il corrispondente e
apprezza quanto gli è stato letto, ma non potendo vedere le figure non può
giudicare bene. È latina, infine, una missiva di Galileo agli Stati generali
dei Pae- si Bassi, in cui chiede che sia esaminata la sua proposta per il
calco- lo della longitudine in mare. È una lettera non retorica, per quanto
contenga alcuni elementi topici come l’elogio del destinatario: 39
40 Celsitudinum Vestrarum, qui per omnia maria et terras celeberrimas suas
peregrinationes et navigationes cum gloria maxima iam instituerunt et quotidie
porro instituunt, et commercia amplissima ubique quotidie dilatant [...] (EN
16, 469). Su di lui vedi Beaulieu 1984, 377) e Hockey et al. (2007). L’opera a
stampa reca la data 1638; non sappiamo dire se Boulliau(d) ne abbia invia- to
un esemplare (cui poi fu apposta una datazione posteriore) o una copia
manoscritta. Filologie medievali e moderne 23 | 19 70 Galileo in Europa, 57-70Galileo
291. MARTINO HASDALE a GALILEO in Padova. Praga, 15 aprile 1610. Bibl.
Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 120. – Autografa. mor mo Essendo un
pezzo che disegnavo di ritornare in Italia, et particolarmente a Padova et
Venetia, più per godere quella gentilissima conversatione di V. S. che per
altro; et tanto più me ne cresce il desiderio, quanto che veggo nuovi parti del
suo felicissimo et divino ingegno: delli quali l'ultimo, intitolato Nuntius
Sydereus, ha rapito ultimamente tutta questa Corte in ammiratione et stupore,
affaticandosi ogniuno di questi ambasciatori et baroni di chiamare questi
matemathici di qua per sentire se vi sanno fare alcuna oppositione alle
demostrationi di V. S. Però vanno procurando di havere di quelli occhiali
doppiii, per vederne l'esperienza. re re Io mi truovai, XII giorni fa, a
desinare dal Sig. Ambasciatore di Spagna, dove il Sig. Velsero portò al detto
Ambasciatore uno di questi libbri, mostrandogli molti luoghi notabili di r
quello libro. Il Sig. Ambasciatore mi domandò delle qualità di V. S. Io gli
risposi quello che potei, non già quanto V. S. merita. Mi disse che voleva
sentire l'openione del Kepplero(658) sopra questo libro, sì come credo che
habbia fatto chiamarlo. Ma io questa mattina ho havuta occasione di fare
amicitia stretta con il Kepplero, havendo egli et io mangiato con
l'Ambasciatore di Sassonia; et domattina siamo invitati da quel di Toscana,
dove io vado familiarmente di continuo, essendo quel Signor mio padrone
vecchio. Hora gli ho domandato quello che gli pare di quel libro et di V. S. Mi
ha risposto che sono molti anni che ha prattica con V. S. per via di lettere,
et che realmente non conosce maggiore huomo di V. S. in questa professione, nè
manco ha conosciuto; et che con tutto che il Tichone fosse tenuto per
grandissimo, nondimeno che V. S. l'avanzava di gran lunga. Quanto poi a questo
libro, dice che veramente ella ha mostrata la divinità del suo ingegno; però,
che ella viene havere data qualche occasione non solo alla natione Todesca, ma
anco alla propria, non havendo fattone mentione(659) alcuna di quegli autori
che le hanno accennato et(660) porta occasione di investigare quello che hora
ha truovato, nominando fra questi Giordano Bruno per Italiano, et il Copernico
et sè medesimo, professando di havere accennato simili cose (però senza pruova,
come V. S., et senza demostrationi): et haveva portato seco il suo libro, per
mostrar allo Ambasciatore Sassone il luogo. Ma in quello ch'eramo in questi
ragionamenti, è sopragionto un estraordinario di Sassonia al detto
Ambasciatore, che ha disturbata la conversatione. Ma domattina, piacendo a Dio,
ci rivederemo, che senz'altro porterà il medesimo suo libro con quello di V.
S., come ha fatto hoggi, per mostrarlo all'Ambasciatore di Toscana. Seppi poi
la morte del Cl.mo nostro Sig.r Cornaro(661), con mio grandissimo dispiacere,
che me mo Vostro Aff. Fratello lo Michelag. Galilei. (658) (659) (660)
(661) de Kepplero – [CORREZIONE] non havendo fattione mentione – [CORREZIONE]
Tra accennato e et si legge, cancellato, quelle cose. – [CORREZIONE] Un LORENZO
di MARCANTONTO CORNARO era morto il 25 settembre del 1609 (Necrologio Nobili,
nell'Archivio di 252 r lo scrisse il S. Ottavio Pamfilio, quale desidero
sapere se si truova ancora costì, perchè gli vorrei scrivere. Et la prego,
havendo occasione, di fare un cordialissimo baciamano al Padre Maestro Paolo et
Padre Maestro Fulgentio(662), suo compagno, et che spero fra alcuni mesi
lasciarmi rivedere con qualche carico. Con che fine le bacio le mani. Di Praga,
alli XV d'Aprile 1610. Di V. S. Ecc. ma re mo Serv. Devot. Martino Hasdale. Io
mando questa per via dell'Ambasciatore di Venetia. Mi ricordo degli suoi
melloni Turcheschi. mor mo Fuori: All'Ecc. Sig. P.rone Oss. r Il Sig. Gallileo
Gallilei, Mattematico di Padova.Galilei. Galilei. Keywords: “the sun rises in
the east” “the sun sets in the west” “you’re the cream in my coffee”
‘disimplicature’ -- esperienza, observazione, visione, nature, aristotele,
filosofia naturale, fisis, natura, interpretazione, semiotica, segno naturale,
il padre di Galileo – Some like Galileo Galilei, but Vincenzo Galilei is MY
man” – Galileo e Bruno. Refs: Luigi Speranza, “Galileo, Grice e il saggiatore,”
The Swimming-Pool Library, Villa Grice. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51713841789/in/photolist-2mMLXtT-2mMN3uy-2mLLZRD-2mLQ1Vx-2mKHfUW-2mLMaMX-2mKR9ZM-2mPsUUV-2mKGUth-2mKN13V-2mKBDtr-2mKQW9n-2mKGTYe-2mPBcdN-2mPEECV-2mKCfz1-2mKyJgk-2mKiNkD-2mJwx6n-2mJwx4P-2mJzYWx-2mJxNBT-2mJxNLf-2mJzYYg-2mJB4gi-2mJB4hW-2mJB48H-2mJwx4U-2mJsq3i-2mJzYWs-2mJxNJ1-2mJB48s-2mJzYWY-2mJsq3Z-2mJxNAf-2mJzYmE-2mJzZ4g-2mJB4ag-2mJspX3-2mJB5vc-2mJsw72-2mJwyqm-2mJsq69-2mJzZ7H-2mJxV5n-2mJA6g1-2mJB5uR-2mJxQ19-2mJA6fe-2mJBawe
Grice e Galimberti – l’imaginario sessuale –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Monza).
Filosofo. Grice: “I like Galimberti: he has philosophised on amore, amicus,
amicizia – all topics of my interest – while I am into vyse, he is into the
seven capital vyses! He also has spoken about speech: the ‘parole nomade,’ and
the ‘equivoci’ of the ‘anima.’ – In general his philosophy is about nihilism
and the idea of man in the age of ‘techne’ (ars).” Il suo maggior contributo riguarda
lo studio del inconscio e il simbolo (contractio), inteso come la base primeva
e più autentica dell’uomo – ‘logica simbolica’. Nasce a Monza, la mamma
maestra di elementari e il padre deceduto. Le necessità della famiglia l’obbligano
a lavorare. Frequenta le scuole superiori in seminario. Terminati gli studi
liceali classici, si iscrive al corso di
laurea in Filosofia a Milano. Si laurea quindi con Emanuele Severino con lode,
con “La logica di Jaspers”. Fra i suoi maestri, anche Bontadini. Studia
fenomenologia del corpo con Borgna a Novara. Insegna a Monza e Venezia. Studia
con Trevi.“E se "filo-sofo" non volesse dire "amante del
sagio" ma "saagio dell'amore", così come "teo-logo"
vuol dire dotto *su* Dio e non ‘parola di Dio’, o come "metro-logo"
vuol dire scienzato delle misure e non misura della scienza?” “Perché per la
forma greca ‘filo-sofo’ questa *inversione* della morfologia nella implicatura?
Perché il filosofo greco si struttura come un logico che formalizza il
reale, sottraendosi al mondo della vita, per rinchiudersi nell’academia, dove,
tra iniziati, si trasmette da maestro a discepolo quesso che lo face un
‘sagio,” e che non ha nessun impatto sull'esistenza e sul modo di condurla. E
per questo cheda Socrate, che indica come la sua condotta "l'esercizio di
morte", ad Heidegger, che tanto insiste sull' “essere-per-la-morte”, il
filosofo si e innamorato più del saper morire che del saper vivere. Al centro
della sua riflessione sta il corpori degli uomini, che, in un mondo sempre più
dominato dalla tecnica, si sentono un "mezzo" nell'"universo dei
mezzi", riuscendogli sempre più difficile trovare e dare un senso alla sua
vita, alla sua esistenza. Si deve trovare un senso al radicale disagio, alla
tragicità del suo esistere, anche attraverso il recupero dell'ideale antico
greco-romano, evitando mitologie. Il suo maggior contributo consiste nel
porre la dimensione del simbolo (coniactum – the idea is that you throw two
things together so that the recipient may compare them, one becomes the
‘symbol’ – coniactum – of the other – cf. Grice on Peirce on symbol) alla base
primordiale della ragione conversazionale, che ha inteso ordinare il simbolo
(mito, no logos) – dunque l’ambilavenza delle cose ma non l’equivalenza
generale di significati. Il simbolo (coniactum) è il sustratto pre-razionale.
Rappresenta un caos originario che ragione tenta di arginare. Siamo razionali
(apolineo) per difenderci dal simbolo dionisiaco. Il concetto fondamentale del
simbolo non è l’equi-valenza generale, ma l’ambi-valenza. Riprende Freud e Jung,
fondendone con Nietzsche, Severino e Heidegger. Importante è stato il costante
riferimento a Husserl e Jaspers. Il filosofo cerca la “comprensione”
(verstaendnis – cf.. Grice on ‘understand’ – ‘understanding,’ literally, slang
for a leg) e non la spiegazione (verklaerung) del comportamento umano. La psicologia
filosofica o rationale (l’anima di Aristotele) non può operare una
trasposizione tout-court dei metodi e dei modelli concettuali delle scienze
naturali perché, così facendo, l'uomo verrebbe ridotto a mero evento naturale,
fisico, come ha luogo, per esempio, in psichiatria. Contrario, poi, al
dualismo di Cartesio, Galimberti ha anche fatto riferimento al metodo
fenomenologico e al funzionalismo per consentire altresì, alla psicologia
filosofica o rationale, la comprensione e la descrizione fenomenologica di
quelle strette relazioni che intercedono fra nostri corpori assieme al
significato che queste relazioni comportano. E e tutto ciò lo porterà ad
abolire, di conseguenza, ogni distinzione concettuale fra ”salute“ e
”malattia.” Insiste sull'inconsistenza della contrapposizione tutta occidentale
fra scienza e fede – fiducia -- individuando come questa seconda – la fiducia,
cf. English ‘trust,’ truth’ -- sia in realtà l'elemento fondativo dell'intera
coscienza occidentale, all'interno anche della scienza e della tecnica. Scienza
e fede non dovrebbero mai confliggere, è importante che nessuna delle due
invada il campo dell'altra. Tematizza innanzitutto il passo della Genesi
in cui Adamo è definito "dominatore della Terra, sui pesci dei mari e
sugli uccelli del cielo", collocando l'uomo in una posizione privilegiata
rispetto agli animali e la Natura in sé e legittimandolo a operare su di essi
per alimentare la propria esistenza. In quanto il progresso è l'affermazione di
questo primato umano, la tecnica (Greco techne, Latino, ars) è indubbiamente
l'ipostasi che sigilla costantemente quest'affermazione sull'indifferenza
naturale. La coscienza della techne (Latin ‘ars’) tecnica è formulata come una
risposta alle fatiche naturali, si appellerebbe, dunque, a una condizione
strutturale di eminenza consegnata da Dio e propugnata dalla persistenza di un
animale sui generis. Riconosce la cristianità come il carattere di una
scansione temporale che identifica il passato come spazio del peccato, il
presente dell'espiazione, il futuro della redenzione e salvezza. Questo
semplice modello triadico ha una ricorrenza quasi ossessiva nelle forme
occidentali, fra le quali la medicina (malattia, diagnosi, cura), psicoanalisi
(disturbo, terapia, guarigione), scienza (ignoranza, sperimentazione,
scoperta). La triade è il "coefficiente a-storico" necessario a
profilare la possibilità di un progresso, che si esercita eminentemente nello
scenario tecnico. Qui, l'uomo che soccombe alle fatiche naturali della
sopravvivenza, del parto e del lavoro (così come minacciato nella Bibbia) ha
modo di riscattare la propria difficoltà attraverso mezzi che ne purificano
endemicamente l'opera, al costo di un esaurimento delle risorse naturali. Ma,
in fondo, la loro esistenza è preposta a questo. Non si definisce né
"credente" (in senso cattolico) né "non-credente", ma
"greco-romano", nel senso di colui che vuole recuperare la visione del
mondo della civiltà greco-romana, in modo nietzschiano e heideggeriano (si veda
anche Il detto di Anassimandro, un noto saggio di Heidegger sul pensiero greco
arcaico), fondendola però con la pur antitetica visione cristiana: la morte e
la vita vanno pertanto prese sul serio, e non minimizzate pensando a un'altra
vita ultraterrena. La ragione è importante perché, come nel detto "Conosci
te stesso", fornisce all'uomo il senso del proprio limite. Approfondisce
molto la tematica del concetto di tempo e del suo rapporto con l'uomo. La sua
indagine evidenzia come nell'età degli antichi – eta greco-romana, eta classica
-- non si pensasse al tempo come lineare ed escatologico, tanto meno vi era
associata l'idea di progresso. Essi concepivano l'essere come kyklos (tempo
ciclico, l’eterno ritorno di Nietzsche), come un ciclo in cui ogni evento è
destinato a ripetersi. Nella filosofia greco-romana antica era impensabile che
l'uomo potesse esercitare un controllo sul cosmo, o di imporre su di esso i
propri fini. La dimensione dell'uomo era inserita armonicamente all'interno dei
cicli naturali che si susseguivano necessariamente e senza alcuno scopo. Nel
ciclo infatti il fine (in greco telos) viene a coincidere con la fine e la
forza propulsiva (in greco energheia, actus) porta all'attuazione dell’ergon,
l'opera, ciò che è compiuto. Il ciclo si manifesta dunque con l'esplicitarsi
dell'implicito.Il seme diventerà frutto solo alla fine del ciclo di crescita e
maturazione stagionale, e il frutto coinciderà con il fine del seme, con il
dispiegarsi completo dell'energia e delle potenzialità implicitamente contenute
in esso. Nel ciclo, in cui tutto si ripete, non si dà progresso: di conseguenza
divengono fondamentali la memoria dei cicli passati e quindi la parola dei
vecchi, deposito di esperienza, e l'educazione, come trasmissione della memoria
e dell'esperienza passata. Tuttavia, l'uomo è da sempre tentato di conciliare
il tempo ciclico della natura con il tempo umano, che è un tempo “scopico” (dal
greco skopein, che indica un guardare mirato). Con questa operazione l'uomo
vuole reintrodurre scopi umani nel tempo naturale, naturalmente privo di scopi.
Emerge qui dunque la necessità propriamente umana di progettarsi, cioè di
gettarsi-fuori di sé verso un obiettivo, cercando di dotare di senso la propria
esistenza. Questa tendenza tuttavia, può armonizzarsi con il “kyklos” solo se
l'uomo vive con la consapevolezza tragica di non poter oltrepassare i limiti
posti dalla natura, primo tra tutti la sua mortalità. In caso contrario, egli
si macchierà di hybris (superbia), la tracotanza, l'unico vero peccato riconosciuto
dalla saggezza greco-romana.In termini esemplificativi, il cacciatore esercita
il suo guardare mirato nel bosco (skopos) e solo in questo tempo progettuale e
nella compresenza di mezzi e fini, il suo arco diventa strumento e la lepre
l'obiettivo. Si tratta di un tempo lineare che si muove tra due estremi: i
mezzi e i fini (la ragione come phronesis or prudentia).V'è tuttavia un elemento
che si inserisce tra questi termini, impossibile da controllare, ovvero il kairos,
il tempo opportuno, che è anche imprevedibilità, e che può determinare o meno
l'incontro tra mezzi e fini. Non è dunque nelle possibilità dell'uomo il
tessere il proprio destino. Egli deve saper cogliere il kairos, la circostanza
favorevole, e in essa espandere sé stesso. Questo equilibrio tra tempo
naturale, umano e del kairos è stato sconvolto dall'uomo nell'età della
tecnica: obiettivo di quest'ultima è infatti quello di ridurre fino ad
annullare la distanza tra mezzi e scopi (in cui si inseriva il kairos,
l'imprevedibile) per realizzare così un controllo e un dominio assoluti sul mondo,
che da cosmo a cui accordarsi è divenuto natura da dominare, e per portare a
compimento una tirannia completa del tempo umano. Con l'età della tecnica
abbiamo scatenato il Prometeo che gli dèi avevano incatenato, determinando il
trionfo del potere della techne sulla necessità (in greco ananke) della natura,
fino alla paradossale situazione in cui la tecnica non è più strumento nelle
mani dell'uomo ma è l'uomo a trovarsi nella condizione di mero
ingranaggio, funzionario inconsapevole dell'apparato tecnico. Riflettendo
sulle modalità in cui l'uomo abita il mondo, approfondisce il concetto di
‘corpori.’ Studiando genealogicamente il concetto di corpo dal periodo romano
antico – quale e la etimologia di corpo? Quella di Platone e terribile: soma
sema -- mette in contrasto le diverse
modalità in cui esso è stato osservato. I corpori – corpus romano, pl. corpora
– corpore -- sono visto come organismi da sanare per la scienza, come forza
lavoro da impiegare per l'economia (body-abled man), come carne da redimere per
la religione, come inconscio (id) da liberare per la psicoanalisi, come
supporto di segni (semiotica corporale – la semiotica dei corpi) -- da trasmettere
per la sociologia – un segno e un medio fisico – l’immagine e percipita per un
corpo – un corpo mittente – un corpo che recive il messagio – semiotica fisica.
L'uomo e capace di cappire significatum ambi-valente (uno senso Fregeiano e una
implicatura – “He is a fine friend +> He is a scoundrel). Questo
significatum ambivalente e fluttuante e quello che il corpo ha da sempre
assunto. Questa ambivalenza del segno fra corpo 1 e corpo 2 nasce dal suo
sottrarsi all'uni-vocità (or aequi-vocita – or aequi-segno) di una teoria
psicologica categorizzante, concedendosi invece una “con-fusione” de un codex
di senso fregiano e un codex di implicatura, con i quali i corpori sono costituito.
Per salvarsi di un panico creato da questa ambivalenza (significatum fregeano,
significatum griceianum), si sigue il principio d'identità, collocando i corpori
di volta in volta sotto un equi-valente generico che gli garantisse uni-vocità
o aequi-vocita (quando l’implicatura e cancellata). Cogliendo lo sfondo in cui
i corpori si mostrano, si evidenzia la legge fondamentale che lo governa,
ovvero lo “scambio” (o ‘con-versazione’) simbolica – il simbolo e il
significatum griceiano -- in cui tutto è re-versibile e non vi è demarcazione
tra significati – questo che Grice chiama la ‘indeterminazione disgiontiva
infinita: il corpo significa che p1 o p2 o p3 o … L'ambivalenza del segno è una
legge inclusiva per cui ciò che è, è sì sé stesso (principio d’identita), ma
anche altro da sé (principio della negazione – diaphoron). In questo modo i corpori conservano la sua
oscillazione simbolica tra vita e morte: oscillazione che non posse eliminarsi
tracciando una violenta disgiunzione tra vita e morte, tra ciò che è (l’ente,
il ‘being’ di Grice) e ciò che non è (vide Grice, “Negazione e privazione).Proposito
conclusive è quello non tanto di emancipare o liberare i corpori dalla
restrizione impostagli dal senso apolineo fregeiano (che non avrebbe altro
effetto che confermare i limiti in cui i due corpori sono reclusi), bensì
quello di restituire i corpori alla sua originaria innocenza. Si è sempre
schierato su posizioni fortemente anticapitaliste, esprimendosi e professandosi
inequivocabilmente comunista. è stato ufficialmente richiamato da Venezia a
volersi attenere alle corrette regole di citazione degli scritti di altri
autori. Questo per aver riportato alcuni brani di altri autori senza citarli
in. Tutto ha avuto inizio quando in seguito a un articolo de Il Giornale è emerso
che aveva copiato "una decina di brani" di Sissa per un saggio. Ha
ammesso di aver violato il diritto d'autore riservandosi di riparare al danno. Ciò
non ha comunque soddisfatto Sissa perché “quello non chiedere scusa, piuttosto
un cercare delle scuse, un patetico arrampicarsi sugli specchi. Con il passare
del tempo sono emersi altri precedenti analoghi. Infatti anche per il saggio su
Heidegger, copia Zingari. I due arrivarono a un accordo che prevedeva
l'ammissione da parte di Galimberti dell'indebita appropriazione intellettuale
nelle successive edizioni del libro e da parte di Zingari l'impegno "a non
tornare più sulla questione". Oltre a Sissa e Zingari sono stati copiati
testi di Cresti, Natoli e Bradatan. Per difendersi, dice che "in ogni ri-elaborazione
però, c'è uno scatto di novità". L'inchiesta giornalistica de Il Giornale ha
accertato che due dei saggi, presentati al concorso a Venezia erano stati
copiati da altri autori. La commissione giudicante composta all'epoca non si
accorse del fatto. Il rettore ha detto che "non ho, ora come ora, estremi
per sollecitare il ministero, deve essere un professore del raggruppamento a
farlo. Di mio posso dire che in ambito umanistico si producono troppi testi e
che questo è uno dei fattori che causano l'impossibilità di fare controlli
accurati. Nello specifico, secondo me dovrebbe essere Galimberti, nel suo
interesse, a chiedere la convocazione di un giurì o comunque a rispondere e a
specificare le sue posizioni.”Nel giugno
la rivista L'indice dei libri del mese ha pubblicato nel proprio sito un
lungo articolo su altri copia-incolla. In particolare il saggio sul mito è
stato indicato come costituito al 75% da un "riciclaggio" di suoi
scritti precedenti, per il restante 25%, una ristesura di intere frasi e
paragrafi, presi da altri autori, quasi identici agli originali. Le accuse
mosse a Galimberti sono poi diventate un saggio, “La mistificazione
intellettuale (Coniglio Editore, ), in Bucci, elenca i nomi dei pensatori da
cui avrebbe tratto parti di testi senza citare la fonte. Vattimo ha dichiarato
al Corriere della Sera: «si scrive anche a distanza d'anni dalla lettura; la
spiegazione è plausibile. Lui cita l'autore la prima volta; poi ci mette quelle
frasi che ricorda anche senza virgolettarle. Il sapere umanistico è retorico.
Noi si lavora su altri testi, si commenta. Platone e Aristotele sono stati
saccheggiati da tutti. Nella filosofia è tutto un glossare. C'è chi copia dagli
altri e chi da sé stesso».Altre opere: ROMA SERMO ROMANVM -- Milano, Mursia). Agire
(Milano, Apogeo); Amore. Assisi,
Cittadella Editrice,.Tra il dire e il fare. – dire e una forma di fare -- Il viandante della filosofia, con Marco
Alloni, Roma, Aliberti,.Parole d'ordine, Milano, Apogeo,. Amore. Milano, AlboVersorio. Amante, amato,
amico --” Napoli-Nocera Inferiore (SA), Orthotes,. “Il bello” Napoli-Nocera Inferiore (SA), Orthotes,.
Eros e follia, Mariapia Greco, Lecce, Milella Editore. Fenomenologia del corpo,
Milano, Feltrinelli – cf. Grice on ‘body’ – in “Personal Identity” “I fell from
the stairs” -- Dall'inconscio al simbolo, Milano, Feltrinelli, 2“Equivoci” (Milano,
Feltrinelli); Parole nomadi, Milano, Feltrinelli; I vizi capitali e i nuovi
vizi, Milano, Feltrinelli. Amore, Milano, Feltrinelli. Treccani. Umberto
Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato
di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia
della Storia. Dal 1999 è professore ordinario all'università Ca' Foscari di
Venezia, titolare della cattedra di Filosofia della Storia. Titolo opera: Le
cose dell'amore. Il libro è di: saggistica, cioè appartiene al genere
letterario dei saggi. Sommario: A) Riassunto per capitoli: I CAPITOLO
“Amore e trascendenza”: La metafora di Dio è sempre stata collegata alla
metafora dell'amore, nel senso che senza la presenza della trascendenza, cioè
che è al di là dei limiti di ogni conoscenza possibile e quindi superiore alla
ragione umana, l'amore perde la sua forza e la sua capacità di leggere il
mondo. Rimane un enigma dove l'amore vede in Dio la sua trascendenza, e Dio
vede nell'amore la sua natura,e questo intreccio non presenta sentimentalismi
ma solo il nesso tra amore e trascendenza. II CAPITOLO “Amore e
sacralità”: La sacralità è dovuta dal desiderio dell'uomo di immortalità
e quindi dal desiderio di conservare la sopravvivenza dell'individuo e della
totalità dell'essere. Oltre al sacrificio, un altro modo di sperimentare la
morte della propria individualità è l'orgasmo, l'apice della vita sessuale,
durante il quale l'Io e il Tu si dissolvono, e ciò è reso possibile dalla
fiducia reciproca. III CAPITOLO “Amore e sessualità”: Il sesso non è qualcosa
di cui l'Io dispone, ma è qualcosa che dispone l'Io, aprendolo così alla
crisi. Nella sessualità, la meta non è il godimento dell'Io, ma il suo perdersi
negli abissi dell'anima, i quali si pensa siano rimasti disabitati, e che
invece possono riapparire durante quel rinnovamento della vita a cui l'Io cede
ogni volta che ha un rapporto sessuale e quindi nesso con l'altra parte di sé.
IV CAPITOLO “Amore e perversione”: La perversione è sempre stata
giudicata negativamente, perché concepita come sinonimo di devianza,
degrado, ribrezzo e ripugnanza. Il perverso non cerca la trasgressione, ma la
sua aspirazione è di raggiungere uno stato dove è soppressa ogni nozione di
organizzazione, struttura, separazione e dl'universo di differenze da cui
prende avvio ogni principio d'ordine. Il godimento del perverso non deriva
dalla sessualità, ma dalla sessualità portata a quel limite oltre il quale c'è
l'incontro con la morte. V CAPITOLO “Amore e solitudine”: La mitologia
greca aveva divinizzato la masturbazione, perché era espressione di
autosufficienza e indipendenza dagli altri. Ma questo atto venne condannato,
nell'età dei Lumi, dalla scienza medica e dall'economia: la prima sosteneva che
essa provocava malattie, mentre la seconda affermava che era uno spreco.
Osservando invece il fenomeno della masturbazione da un'ottica diversa da
queste due discipline, questo "vizio dell'adolescente" non appare
come un qualcosa da combattere, ma un qualcosa su cui fare leva per integrare
gradualmente la sessualità. VI CAPITOLO "Amore e denaro": La
prostituzione è uno scambio di sesso e denaro che caratterizza il regime
sessuale della nostra società, e che viene alimentato da un desiderio di rapido
miglioramento delle proprie condizioni economiche. Infatti, di fronte al denaro
tutto diventa merce: quando un uomo paga una donna, non le riconosce alcuna
interiorità sua propria, arrivando a considerarla più come un
"genere" che come "individuo". VII CAPITOLO "Amore e
desiderio": L'amore è un'illusione di stabilità emotiva. Questo sentimento
necessita novità, mistero e pericolo, ma deve saper combattere il tempo, la
quotidianità e la familiarità. infatti, la ricerca della sicurezza e
della stabilità porta l'amore al suo degrado, perché così facendo essa non
prevede l'avventura, la tensione e il senso del rischio che alimentano la
passione. VIII CAPITOLO "Amore e idealizzazione": La percezione della
realtà è una costruzione attiva, dove l'immaginazione, la fantasia, il desiderio,
di cui l'idealizzazione amorosa è una figura, intervengono a trasfigurare i
dati della realtà. Da ciò si deduce che l'oggettività è un'ideale impossibile,
e infatti la convinzione di conoscere l'altro in modo oggettivo è una delle
tante illusioni create dalla passione per evitare la delusione. IX CAPITOLO
"Amore e seduzione": Nella vita quotidiana, la trasparenza riesce ad
allargare l'orizzonte e lo scenario dischiuso dall'immaginazione. Infatti il
desiderio si trova in ogni fessura della realtà che lascia trasparire
un'ulteriore senso: quello dell'irreale e de-reale. Il corpo dell'altro diviene
così uno specchio che riflette il nostro desiderio, e questo corpo non deve
essere mai nudo, perché la seduzione si esprime attraverso le vesti, gli
accessori, i gesti, la musica. X CAPITOLO "Amore e pudore": L'amore
prevede che ad amare e ad essere amato sia il nostro Io, una delle due
soggettività presenti in ogni individuo e che, contro la sessualità generica,
impone la barriera del pudore. Essa però non limita la sessualità ma la
individua, sottraendola a quella genericità in cui si celebra il piacere senza
riconoscere l'individualità. E' importante sottolineare che il pudore non è un
sentimento esclusivamente sessuale, ma ha anche una valenza sociale che si pone
alla difesa dell'individuo contro la pubblicizzazione del privato. XI CAPITOLO
"Amore e gelosia": Nella nostra società, dove la sussistenza dipende
sempre meno dalla solidità dei vincoli familiari, la gelosia è vista come
un sentimento arretrato che ostacola la libertà e la sincerità dei singoli.
Essa, cha affonda le sue radici nell'infanzia non per la progressiva rinuncia
da parte del bambino al possesso esclusivo del padre o della madre, ma
perché durante questo periodo chiunque ha provato sentimenti come la solitudine
e la paura di essere abbandonati, altera la percezione, l'attenzione, la
memoria, il pensiero e il comportamento. Per avere controllo su questo potente
stato d'animo, bisogna separare progressivamente l'amore dalla ossessività,
cioè civilizzarla. XII CAPITOLO "Amore e tradimento": Il tradimento
risiede nella fiducia originaria, dove non c'è traccia neppure del sospetto,
perché non sorgono ne l'interrogazione ne il dubbio. Ma la scoperta di
quest'ultimo segna la nascita della coscienza, e questo atto è indicato dal
tradimento. Sono presenti diverse reazioni al tradimento: 1)la vendetta, che
non emancipa l'anima ma la irrigidisce; 2) la negazione, in cui l'individuo che
ha subito una delusione tenta di negare il valore dell'altro; 3) il cinismo,
che fa credere che l'amore sia sempre una delusione; 4) il tradimento di sé,
che porta a tradire sé stessi e le proprie esperienze emotive; 5) la scelta
paranoide, un atteggiamento legato più alla sfera del potere che a quella
dell'amore. XIII CAPITOLO "Amore e odio": L'odio è il compagno
inevitabile dell'amore, e la sopravvivenza di questo sentimento amoroso non
dipende tanto dalla capacità di evitare l'aggressività, che è il riflesso dello
stato di pericolo in cui si trova la persona che ama, quanto dalla capacità di
viverla e oltrepassarla. In amore, l'individuo può accettare la dipendenza
verso la persona amata, oppure per riscattarla trasforma la passione amorosa in
passione aggressiva, carica di odio, dove il messaggio finale è che non si può
fare a meno di questa persona. XIV CAPITOLO "Amore e passione":
A differenza dell'amore, la passione non segue le regole, ignora il
governo di sé, non conosce il limite e non dipende da progetti. Per questo è
possibile dire che l'amore è cristiano, mentre la passione è pagana. La
passione cerca rassicurazione, ma nello stesso tempo vuole essere smentita,
rifiutata e delusa, perché attribuisce all'affetto, alla domesticità, all'amare
e all'essere amato poca importanza. Questo perché la passione conosce il destino
e non lo scambio, in quanto l'altro è considerato solo come materia per la sua
creazione, ovvero la fantasia, la quale si alimenta del dubbio e
dell'incertezza. XV CAPITOLO "Amore e immedesimazione": L'alienazione
nell'altro per amore di sé approda o nell'assimilazione con la persona amata,
che porta alla perdita della propria identità, o nel possesso della persona
amata, con la tendenza ad escluderla dal mondo. Gli amanti chiamano amore
questa reciproca immedesimazione, e questa rinuncia di sé e della propria
libertà non esprime solo un rapporto di dipendenza, ma una vera e propria
condizione di alienazione. Il mantenimento in amore della propria autonomia non
solo evita l'identificazione con la persona amata, ma consente il recupero di
se stesso. XVI CAPITOLO "Amore e possesso": La passione, quando non
approda nell'immedesimazione con la persona amata, si indirizza verso il
possesso, che riduce le relazioni della persona amata, e in cui l'amante non
ama propriamente l'altro, ma solo il potere che esercita sull'altro. Dunque,
chi ama per possesso non si accontenta del possesso del corpo e del godimento
sessuale che ne deriva, ma pretende che la persona amata lasci per lui tutto il
suo mondo, e che lo ami non solo per la sua evidente identità, ma per le sue
qualità nascoste. Solo a questo punto il suo desiderio di possesso è
soddisfatto ma, con la sua soddisfazione, anche la sua passione si estingue,
perché non era amore per l'altro, ma era perverso amore di sé. XVII CAPITOLO
"Amore e matrimonio": La nostra società è caratterizzata
dall'individualismo, in cui l'individuo vive in base alla sua personale
idea di felicità, senza più subire l'influenza delle norme tradizionali.
Attualmente, l'amore è slegato da ogni riferimento sociale, giuridico e religioso,
e si sta diffondendo la figura de "l'uomo della passione", che
attende dall'amore qualche rivelazione su se stesso o sulla vita in generale.
Da una parte quindi l'amore-passione, che rappresenta l'evasione dal mondo per
raggiungere in sogno la felicità assoluta, dall'altra l'amoreazione che fonda
il matrimonio, che non evade dal mondo ma assume in esso il proprio impegno.
XVIII CAPITOLO "Amore e linguaggio": L'amore utilizza le parole per
dare espressione a ciò che la logica non sa cogliere. Infatti, i paradossi del
linguaggio dell'amore cercano di infrangerla, perché la logica include la
normalità e la quotidianità, mentre l'amore vuole esprimere l'eccesso,
l'insolito, e non può farlo se rispetta le regole della ragionevolezza. Questo
eccesso concede all'amore nuove libertà di cui ha bisogno, perché essa nasce
quando è totalizzante, e infatti il linguaggio dell'eccesso pretende la
totalità, dove odio e amore possono confluire e passare l'uno nell'altro. XIX
CAPITOLO "Amore e follia": L'amore è quasi sempre stato considerato
come un qualcosa posseduto dall'Io. Freud smentisce ciò sostenendo che non
esiste una ragione onnipotente che guida la volontà che governa le ragioni, in
quanto la psiche umana non è razionale. Fu Platone il primo ad interessarsi
alle regole della ragione e agli abissi della follia. Egli con il termine
follia indica un'esperienza dell'anima che sfugge a qualsiasi tentativo che
cerchi di fissarla e disporla in successione. B) Tesi dell'autore: I
CAPITOLO: L'amore non può esistere senza un raggio di trascendenza. II
CAPITOLO: C'è una profonda affinità tra il sacrificio e l'atto d'amore. III
CAPITOLO: L'amore non rinnega il sesso e l'erotica. IV CAPITOLO: L'amore deve
sapere accettare anche la perversione. V CAPITOLO: La masturbazione è segno di solitudine.
VI CAPITOLO: Con la prostituzione ciò che si vuole comprare non è il
sesso ma il potere su un altro essere umano. VII CAPITOLO: E' importante saper
conciliare il bisogno di sicurezza (l'amore) e il desiderio di avventura (la
passione). VIII CAPITOLO: L'idealizzazione amorosa influenza la nostra
percezione della realtà. IX CAPITOLO: La vera seduzione è possibile solo quando
il corpo non si riduce a quel significato univoco che è il sesso. X CAPITOLO:
Il pudore è quel sentimento che difende l'individuo dall'angoscia di perdersi
nella genericità animale. XI CAPITOLO: La gelosia è il rovescio della passione,
dell'intimità e della dedizione che caratterizzano l'amore. XII CAPITOLO: Il
tradimento è il lato oscuro dell'amore, che però è ciò che gli conferisce il
suo significato e che lo rende possibile. XIII CAPITOLO: L'odio è il compagno
inevitabile dell'amore, perché esso è la risposta a quella minaccia che è
l'amore. XIV CAPITOLO: A differenza dell'amore, la passione non conosce limite
e regole. XV CAPITOLO: L'amore non prevede la rinuncia di sé. XVI CAPITOLO:
L'amore come passione è il desiderio di potenza assoluta su di una persona.
XVII CAPITOLO: Il matrimonio non è supportato da alcuna buona ragione, perché
nelle cose dell'amore la ragione non ha gran voce in capitolo. XVIII CAPITOLO:
L'amore si affida al linguaggio per esprimere l'intreccio della nostra anima.
XIX CAPITOLO: L'amore è un cedimento dell'Io per liberare in parte la follia
che lo abita. C) Impressioni riportate nella lettura: A mio parere, il libro
"Le cose dell'amore" è stato molto coinvolgente per i temi trattati:
l'autore, grazie alla sua esperienza di vita e alla sua abilità di scrivere che
non è da sottovalutare in uno scrittore, riesce a descrivere tutte le sfumature
dell'amore senza cadere nella banalità e nella monotonia, tendendo sempre
accesa nel lettore la voglia di proseguire la lettura. Ciò è favorito anche dal
fatto che molti dei temi affrontati si riscontrano nella vita quotidiana di
ognuno di noi, cioè ci riguardano da vicino perché fanno parte della società in
cui viviamo: l'amore legato al denaro, e quindi al fenomeno della
prostituzione, che è un problema diffuso in Italia; l'amore legato al pudore,
un aspetto necessario per vivere in comunità, che quindi ha una valenza
sociale; l'amore legato alla gelosia, la quale è vista come un sentimento che,
in una società in cui sta avvenendo l'emancipazione dell'individuo, ostacola la
libertà e la sincerità dei singoli; l'amore slegato dal matrimonio, in quanto
nella nostra società si sta diffondendo l'individualismo. Difficoltà incontrate
nella lettura: Durante la lettura del libro "Le cose dell'amore", ho
riscontrato delle difficoltà nella comprensione di alcune frasi o parole. In
qualsiasi lettura è fondamentale capire e interiorizzare tutto ciò che sta
scorrendo sotto i nostri occhi, e porsi delle domande per essere certi di aver
appreso tutto in maniera corretta. Se si tralascia anche un solo particolare
perché non lo si riesce a comprendere fino in fondo, andando avanti nella
lettura si svilupperanno sempre più problemi di condiscendenza. In questo libro
ho riscontrato più di una frase, o semplicemente delle parole, che hanno
sollevato delle difficoltà nella comprensione dei concetti-chiave. Ad esempio,
prima di continuare lalettura mi sono dovuta soffermare su parole di cui non
conoscevo il significato e che ostacolavano la mia interpretazione di questo
testo, alcune delle quali sono: ambivalenza, assedio, avvedutezza,
dissoluzione, ineffabilità, millanteria, parossismo, prevaricazione. In
particolare, ho dovuto cercare informazioni relative al significato di due
parole, trascendenza e alienazione, perché entrambe sono temi importanti
affrontati rispettivamente nel capitolo I e nel capitolo XV. Era dunque
necessario approfondire il concetto contenuto in queste due espressioni per
raggiungere l'obiettivo di questa lettura: accrescere le nostre conoscenze.
Inoltre ho avuto modo di riflettere in modo più attento e accurato sul termine
"immedesimazione", che era già stato per me oggetto di studio in
alcune discipline, ma non era mai stato così legato alla quotidianità, così
vicino al nostro ambiente di vita. In conclusione, questo libro mi ha dato
l'opportunità di ampliare il mio sapere, e soprattutto mi ha dato l'occasione
di approfondire il concetto di alcune parole, elencate precedentemente, prima a
me estranee. Scheda del libro Introduzione: L’uomo, troppo spesso, tende
a definire l’amore legandolo a significati che, in realtà, non gli
appartengono completamente. Galimberti, attraverso un’attenta analisi,
s’introduce all’interno del sentimento più incomprensibile ed equivocato di
tutti i tempi. Egli non definisce l’amore, ma associa a questo i tanti falsi
sinonimi che gli vengono attribuiti, cercando di dimostrare che i termini
non sono equivalenti ma solo in relazione. Graficamente, dunque, l’amore
e i falsi sinonimi potrebbero essere rappresentati da due insiemi, con un’ampia
parte compenetrata, ma non sovrapposti. Il risultato evidente
risulta essere un passaggio dalla amore è… ad una più ricca ed attenta
osservazione di amore e… definizione abituale di Amore e... L’amore viene
analizzato in tutte i suoi aspetti, dalla trascendenza, sacralità alla
perversione, seduzione, denaro, dal pudore al tradimento, dall’immedesimazione,
possesso al matrimonio, dal linguaggio alla follia. Il sentimento più
oscuro sembra nascere da un incantesimo della fantasia che fa idealizzare in un
essere la persona amata e cessare con il tempo che, favorendo la realtà,
finisce col produrre una disillusione delle aspettative, trasformando la
passione, l'idealizzazione, iniziale in un affetto privo di partecipazione e
trasporto. Le conseguenze, talvolta, possono essere anche molto gravi tanto da
tramutare la passione in una patologia e sostituire ai poeti d'amore degli
psicologi. La vicenda divina è legata anche all'atto sessuale in cui l'uomo
trasgredisce, eccede, cadendo sotto il peso della passione che non rappresenta
solo uno smarrimento del desiderio e di se stesso ma anche un vero e proprio patire.
"il desiderio, per quel che ancora le parole significano, rimanda alle
stelle: de-sidera" (Le cose dell'amore, 1) Come scrive l'autore, l'amore e
la trascendenza vanno di pari passo e dal momento che il significato della
parola desiderio rimanda alle stelle, quando esso con il tempo si estingue, non
c'è più elevazione dell'anima che è in grado, trascendendosi, di lasciarsi
superare. L'amore e la trascendenza, dunque, sono legati non da un rapporto
reciproco, ma dal sentimento che viene sviluppato per le cose che non è
possibile possedere. D ANALISI E COMMENTO: Il libro risulta essere molto
interessante nelle tematiche e negli accostamenti tra gli argomenti e permette,
attraverso l'uso di un linguaggio comune di poter essere compreso da diversi tipi
di lettore, trattando ,infatti, un tema senza età e senza la necessità di
particolari conoscenze umane o scientifiche permette a tutti di immedesimarsi,
interrogarsi ed interagire conil testo ed è proprio questa compenetrazione del
lettore che crea una polisemia di significati e sempre diverse chiavi di
lettura sia da altre persone sia dal tempo che muta le circostanze della vita.
L'autore riesce a non abbandonarsi mai in trattati banali o superficiali
finendo in discorsi pesanti ed inconsistenti ma inserisce diverse tonalità che
mantengono viva la curiosità e la voglia di proseguire la lettura. La
contemporaneità in cui vive gli permette di rapportare al testo l'esperienza
personale, permettendo che venga identificata o differenziata da quella altrui.
Le tematiche attuali, lo stile concreto e il narratore in cui è possibile
identificarsi mostrano, dunque, l'ottima riuscita del libro. "Amore non è
solo vicenda di corpi, ma traccia di una lacerazione, e quindi incessante
ricerca di quella pienezza, di cui ogni amplesso è memoria, tentativo,
sconfitta." (Le cose dell'amore, 19). conseguenza si tende ad
innamorarsi solo delle persone che la fantasia porta a sognare ed idealizzare e
a cadere in depressione o nel deprezzamento di se stessi se il sentimento non è
ricambiato, poiché, senza l'immaginazione, che influenza la percezione ed
esalta la realtà il desiderio di sicurezza potrebbe far cessare sul nascere
l'amore per la paura di non essere corrisposti. L'amore, tuttavia, nelle sue
molteplici identificazioni ha anche un lato oscuro, riconosciuto nel
tradimento. Esso rappresenta sia il dolore per fine della fiducia, che l'inizio
dello sviluppo della coscienza, infatti, solo chi si concede senza avere la
sicurezza di non essere tradito può provare il vero amore. La coscienza può,
emancipandosi, portare al perdono e decidere di passare oltre oppure può
svilupparsi in vendetta, cinismo, svalutazione o malattia, e dal momento che
questa è la strada più percorsa generalmente è bene che non si realizzi come
pratica insincera ma come reciproco riconoscimento, dove chi ha tradito non
cerca scuse e chi ha subito prende atto ed eventualmente accetta il cambiamento
poiché tradire qualcuno, qualsiasi sia il rapporto che lega, è già una
possessione che inizia il processo di arresto della propria crescita. L'amore e
l'odio, invece, coesistono perfettamente, poiché solo chi ama davvero sa odiare
e solo chi odia veramente è, in realtà, in grado di amare. Essi rivelando che,
per vivere bene, non si può fare a meno d'altre persone, sono i soli, unici e
veri sentimenti. "Amore, come Socrate ce lo ha descritto, non è tanto un
rapporto con l'altro, quanto una relazione con l'altra parte di noi
stessi" l'amore e le caratteristiche che gli vengono associate mettono in
relazione l'uomo con la parte folle del proprio essere da cui si era discostato
nel tempo. " Ora che vi ho detto tutto sull'amore, non crediate che io ne
sappia più di voi: il ragazzino, il bimbo appena nato ne sanno quanto me.
L'unica differenza è che lui, che non ha anni e ancor meno esperienza, crede
ancora a ciò che lo tormenta; mentre noi, che siamo carichi di anni e di
esperienza, cerchiamo di affidarci a essi per rendere meno dolorose le nostre
illusioni. Eppure con tutto ciò, sappiamo forse amare meglio di lui?" (M. Chebel
"Il libro delle seduzioni") Galimberti conclude la sua opera con
questa breve citazione, in essa è racchiuso, infatti, tutto il significato
dell'amore. Un sentimento inspiegabile che non è possibile conoscere né
completamente né in modo uguale o simile ad altre persone, una sensazione che
gratifica i bambini, poiché nella loro innocenza la vivono senza tormenti e
ansietà pur conoscendola come gli adulti. AMORE È... "l'amore è un fiore
delizioso, ma bisogna avere il coraggio di andarlo a cogliere sull'orlo di un
abisso spaventoso" (le cose dell'amore, 116 Ivi, 120) L'amore è il più
importante tra tutti i sentimenti, dal momento che è possibile associarlo a
tutti gli altri. Esso è difficile da trovare e spesso viene confuso con altri
molto simili ma mai uguali. Solo chi ha il coraggio di lottare, di sfidare, di
mettersi in gioco, di rischiare può ottenere il vero sentimento ricercato o in
ogni caso non vivere nell'illusione, riconoscendo i falsi sentimenti che
cercano continuamente di insidiare un posto che non appartiene a loro. La
fatica di condurre il "gioco" attraverso la strada se pur più reale,
più complicata porta ad una felicità certa e vera che permette di non patire
grandi sofferenze ma solo piccole illusioni riconoscendo che il male apparente
non è in realtà vero male così come ciò che si definisce generalmente come bene
non sempre è il vero bene. Nella Introduzione al suo celebre libro del
1983 Il corpo(Feltrinelli, Milano, pp. 11-16), Umberto Galimberti così si
esprimeva: È forse tempo che la psicologia incominci a pensarsi contro se
stesse a comprendersi al di là della sua nominazione idealistica che la propone
come «discorso sulla psiche, quindi su quell'unità ideale del soggetto che la
grecità ha promosso col termine ????, e a cui la psicologia non s'è ancora
sottratta neppure nella sua più moderna espressione scientifica. Ma
pensare contro non significa pensare l'opposto, mantenendosi su quel medesimo
terreno d opposizione in cui il conflitto, così come si genera, si riassorbe.
Pensare contro significa pensare fino in fondo, quindi andare alle radici,
scavando il fondo su cui si impianta il radicamento. Questa operazione
che rimuove la solidità delle radici, disloca la psicologia dal luogo che s'è
data, quindi la dis-orienta, la sottrae al suo oriente, alla sua origine
storica. Quest'origine è rintracciabile nella cultura greca e
precisamente in quel momento in cui la specificità dell'uomo è sottratta
all'ambivalenza delle sue espressioni corporee per essere riassunta in
quell'unità ideale, la psyche, che da Platone in poi, per tutto l'Occidente,
sarà il luogo del riconoscimento dell'unità del soggetto, della sua identità.
Ma questo luogo di identificazione contiene già il principio della
separazioneperché, come coscienza di sé, la psyche incomincia a pensare per sé,
e quindi a separarsi dalla propria corporeità. La prima operazione metafisica è
stata un'operazione psicologica. Nata con un significato semplicemente
classificatorio per designare quei libri aristotelici che erano collocati dopo
(µ?ta) i libri di fisica (t? f?s???), la «metafisica» ha guadagnato ben presto
e coerentemente un significato topico che designa un al di là della natura,
quindi una scienza dell'ultrasensibile che si differenzia dal mondo dei corpi
perché, contro il loro divenire e mutare, rappresenta l'immutabile e
l'eterno. L'idea platonica è il modello di questa separazione e
contrapposizione, e la psyche, essendo «amica delle idee, incomincerà a
considerare il corpo come suo carcere e sua tomba. Una volta che la
verità è posta come idea, l'opposizione tra ideale e sensibile , tra anima e
corpo, diventa l'opposizione tra vero e falso, tra bene e male. Valori logici e
valori morali nascono da questa contrapposizione che la metafisica ha creato e
la scienza moderna ha mantenuto, rivelando così la sua profonda radice
metafisica se è vero, come dice Nietzsche, che «la credenza fondamentale dei
metafisici è la credenza nelle antitesi dei valori». A questo punto per
la psicologia, pensarsi contro se stessa, pensarsi fino in fondo, fino al fondo
della sua origine storica, significa pensarsi contro questa antitesi di valori
che non la realtà, ma lo sguardo metafisico, con cui la psicologia ha generato
se stessa, ha instaurato. È uno sguardo che ancora ospita la psicologia come residuato
di quell'idealismo che, a partire da Socrate e Platone, ha percorso l'Occidente
come suo lungo errore. Da questo errore la filosofia si è emancipata con
Nietzsche che ha denunciato quel retro-mondo, quell'«al di là inventato per
meglio calunniare l'al di qua», ma non la psicologia, che così rimane la più
occidentale delle scienze e quindi la più metafisica, se per metafisica
intendiamo il pensiero della separazione, il puro d?a ß???e??, da cui
nascono quelle antitesi denunciate da Nietzsche e fedelmente riportate dal
discorso psicologico sulla norma, dove si disgiungono ragione e follia.
Fattasi carico della logica della separazione inaugurata dalla disgiunzione
platonica tra corporeo e ideale, la psicologia, se vuol essere coerente a se
stessa, non può parlare del corpo se non impropriamente, se non per
un'infedeltà al suo statuto scientifico, a meno che per corpo non intenda
l'idea di corpo che come scienza s'è data. Ma se il corpo anatomico, a cui
questa idea si riduce dopo che lo psichico è stato separato e autonomizzato,
non è luogo in cui la psicologia si riconosce, allora del corpo la psicologia
potrà parlare propriamente solo se si pronuncia contro se stessa, contro lo
statuto della separazione, che è poi quell'origine metafisica da cui la psicologia
è nata, ha fondato se stessa come scienza, e ancora si conserva.(…)
Come luogo della revisione psicologica, il corpo parla simbolicamente, non nel
senso in cui la psicoanalisi parla dei simboli per ribadire un'altra
separazione, quella tra conscio e inconscio, dove nell'inconscio si ritrova il
rovescio dell'iperuranio platonico, il 'vero' significato di ciò che si
manifesta, ma nel senso di abolire la barra che ha separato l'anima dal corpo
inaugurando la 'psico-logia'. Abolire la barra significa mettere assieme,
s?µ-ß???e??. Proponendosi come simbolo, il corpo abolisce la psicologia come
storicamente s'è pensata in Occidente, la sradica dalle sue radici
storiche, che sono poi quelle metafisiche e idealistiche, e così la costringe a
pensarsi contro se stessa. Questo pensiero che è contro, perché pensa
fino in fondo, fino alle radici, incontra la corporeità che, nel suo sorgere
immotivato e nel suo ambivalente apparire, dice di essere questo, ma anche
quello. L'ambivalenza così dischiusa non è ambiguità, ma è quell'apertura di
senso a partire dalla quale anche la ragione può fissare l'opposizione dei suoi
significati ,e quindi quell'antitesi dei valori in cui si articola la sua
logica disgiuntiva quando divide il vero dal falso, il bene dal male, il bello
dal brutto, Dio dal mondo, lo spirito dalla materia, l'anima dal corpo.
Queste opposizioni sopprimono l'ambivalenza (?µf?) con cui la realtà corporea
originariamente appare nel suo duplice aspetto, come un Giano bifronte, per
instaurare quella bivalenza (bis) dove il positivo e il negativo si
rispecchiano producendo quella realtà immaginaria da cui traggono origine tutte
le «speculazioni». Diciamo immaginaria perché la realtà non può mai di per sé
essere negativa se non per effetto di una valutazione. Ma se il negativo è da
interpretare semplicemente come il «valutato negativamente», allora la
negatività attiene essenzialmente al giudizio di valore. Proponendosi come
questo, ma anche quello, il corpo, come significato fluttuante, che si concede
a tutti i giudizi di valore, ma anche si sottrae, con la sua ambivalenza li fa
tutti oscillare. Luogo e non-luogo del discorso, esso opera quel taglio
geologico nella storia che ne rivela tutte le stratificazioni. Da centro di
irradiazione simbolica nella comunità primitiva, il corpo, infatti, è diventato
in Occidente «il negativo di ogni valore» che il gioco dialettico delle
opposizioni è andato accumulando. Dalla «follia» del corpo di Platone alla
«maledizione della carne» nella religione biblica, dalla «lacerazione»
cartesiana della sua unità alla sua «anatomia» ad opera della scienza, il corpo
vede proseguire la sua storia con la sua riduzione a «forza-lavoro»
nell'economia dove più evidente è l'accumulo del valore nel segno
dell'equivalenza generale, ma dove anche più aperta diventa la sfida del corpo
sul registro dell'ambivalenza. Qui «sfida» non significa che il corpo si
oppone a qualcosa o a qualcuno, ma semplicemente che non si affida a una
pienezza di senso e di valore, non perché abbia obiezioni o riserve che
qualsiasi discorso sarebbe in grado di recuperare o di assorbire, ma perché
quella pienezza di senso e di valore è cresciuta sulla sua negazione che, se da
un lato ha lasciato il corpo senza senso, senza nome, senza identità,
dall'altro gli ha dato la possibilità di diventare il contro-senso, colui che
dissolve il Nome e risolve l'identità nelle sue adiacenze: A enon A, perché
questo è il gioco dell'ambivalenza simbolica, e insieme la strada con cui il
corpo può recuperarsi dalle divisioni disgiuntive in cui la struttura
metafisica del sapere psicologico l'ha confinato. Questo recupero è
possibile perché il gioco dell'ambivalenza è aperto prima che il sapere
metafisico fissi le regole del gioco, ma proprio perché le regole vengono dopo,
questo gioco è imprevedibile, perché nessuna determinazione posta in gioco
conosce la sua destinazione. L'unica certezza è quella che non ci si può
sottrarre alla necessità del gioco, non si può dire l'ultima parola sul gioco e
fermarlo per sempre. Per la sua natura ambivalente, infatti, il corpo è
una riserva infinita di segni, entro cui lo stesso sapere psicologico, che ha
individuato nella psyche lo specifico dell'uomo, diventa a sua volta un segno,
una modalità di ricognizione che non può pretendere di dire qual è il senso
ultimo del corpo. Qui il corpo si cela non perché nasconde se stesso, ma perché
in esso i segni sovrabbondano sulle capacità che il sapere psicologico ha di
ordinarli. Il volume di senso indotto dai segni del copro prevale infatti sulla
costituzione dei significati istituiti dalla rappresentazione che il sapere
psicologico s'è fatto. Si tratta allora di demolire la semplicità della
rappresentazione psicologica dissolvendola nella pluralità di senso che la
sovrabbondanza dei segni produce. Se ciò non accade, se la psicologia non
si pensa contro la rappresentazione che si è data a partire da quell'alba greca
in cui ha preso avvio l'autonomizzazione della psyche, la psicologia non
giungerà mai alla comprensione dell'espressività originaria del corpo, ma sarà
costretta ad errare, perché ignora l'errore che è alla base della sua
fondazione epistemica, della sua nascita come scienza. Si tratta di un
errore che non investe solo il sapere psicologico ma ogni sapere razionale
quando, sottraendosi alla polisemia della realtà corporea, si afferma come
asserzione incontrovertibile su di essa. In questo passaggio dalla verità come
ambivalenza alla verità come decisione del vero sul falso, il sapere razionale
dimentica di essere una procedura interpretativa tra le molte possibili per
porsi come assoluto principio, dimentica di essere un inganno necessario per
dirimere l'enigma dell'ambivalenza, e in questa dimenticanza diviene un inganno
perverso. Contro questo inganno il corpo rimette in giuoco la sua natura
polisemica rifiutandosi di offrirsi all'economia politica esclusivamente come
forza-lavoro, all'economia libidica esclusivamente come fonte di piacere,
all'economia medica come organismo da sanare, all'economia religiosa come carne
da redimere, all'economia dei segni come supporto di significazioni. In questo
rifiuto il corpo sottrae a tutti i saperi il loro referente, e alle economie,
che su queste codificazioni hanno accumulato il loro valore, sottrae il loro
senso. Ciò è possibile perché, nonostante le iscrizioni, nel loro immaginario,
abbiano cercato di dividere il corpo in quei settori in cui era possibile
ricondurlo all'equivalente generale in cui si esprime di volta in volta
l'economia di un sapere, il corpo è ambivalente, è cioè una cosa, ma anche l'altra,
per cui: o la decisione del sapere sulla divisione del corpo, o l'ambivalenza
del corpo sulla frammentazione dei saperi, con conseguente dissolvimento del
loro valore accumulato. Per sfuggire a questa alternativa, che è
inevitabile dal momento che ogni sapere è un'assunzione di prospettiva, quindi
una selezionedella visione che diviene condizione preventiva per la
delimitazione del vero e del falso, occorre riguadagnare il terreno su cui il
sapere occidentale è cresciuto. Questa consapevole riappropriazione non è una
regressione, non è l'abbandono del solido terreno del sapere, al contrario, è
la ricostruzione genealogica del suo significato. Riproporre
l'ambivalenza del corpo non significa quindi rifiutare il sapere razionale, né
tanto meno accettarne la resa, ma significa andare alle radici di questo sapere
e scoprirlo per ciò che esso è: nulla di più che un tentativo per far fronte
all'ambivalenza della realtà corporea che, così riscoperta, è ciò che dà
ragionedelle molteplici ragioni. Queste ragioni che i saperi tendono a
soddisfare non possono più proporsi con assoluta verità, perché ormai si è
scoperto che la verità non è nella lotta tra l'asserzione vera e quella falsa,
ma l'apertura nell'universo del senso che l'ambivalenza della realtà corporea
custodisce come luogo da cui partono tutte le decisioni scientifiche. Si tratta
di un senso che sta prima di ogni significato, e che nessun significato
promosso dalla decisione scientifica può abolire, perché è prima di ogni inizio
e continua oltre ogni conclusione. Ne consegue che alla metafisica
dell'equivalenza produttrice di quei significati con cui in Occidente si sono
fatti circolare i corpi secondo quel preciso registro di iscrizioni che di
volta in volta li de-terminavano, e sulle cui determinazioni sino nati i vari
campi del sapere, il corpo sostituisce il gioco dell'ambivalenza, ossia di
quell'apertura di senso che, venendo prima della decisione dei significati, li
può mettere tutti in gioco col corredo delle loro iscrizioni in quell'operazione
simbolica in cui il sapere perde la sua presa, perché la delimitazione dei
campi in cui da sempre si è esercitato si è simbolicamente con-fusa.
Questa è la sfida del corpo, una sfida che è già iniziata se c'è da dar credito
a quella «crisi delle scienze europee» denunciata da Husserl. Niente di più
benefico. Sono i primi effetti di quella violenza simbolica rispetto a cui
quella razionalistica è in ritardo di una generazione, perché ancora crede in
una controparte, e quindi non sa che ogni parte e ogni controparte altro non
sono che l'effetto di quell'operazione disgiuntiva che ogni ragione mette in
atto per affermare il proprio sapere. Ma quando la realtà immaginaria,
prodotta dalle opposizioni polari in cui si articola ogni sapere razionale, non
riesce più a farsi passare per realtà vera, in quel gioco di specchi che si
frantumano a contatto con la polisemia della realtà corporea, allora si è più
vicini all'ambivalenza, non per una contrapposizione dialettica o per
un'opposizione organizzata, ma perché là dove tutte le maschere sono cadute,
compresa quella della bivalenza codificata, ogni termine che ruota su se stesso
si s-termina. Questo è l'esito simbolico che attende l'ordine strutturale di
ogni sapere. E già se ne vedono le tracce. Seguendole, il corpo consegna ogni
ontologia e ogni deontologia alla geo-grafia, alla grafia della terra, la più
dicente, la più descrittiva, quella che non accorda privilegi metafisici,
perché non conosce la mono-tonia del discorso, ma l'ambi-valena della
cosa. Fra tutte le numerose pubblicazioni di Galimberti,
questa è, forse, quella che maggiormente gli ha dato visibilità e lo ha
designato quale uno dei più popolari maitres-à-penser della filosofia italiana
contemporanea. È anche un'opera caratteristica, perché in essa
Galimberti, curatore di rubriche di psicologia su svariate riviste illustrate,
si fa campione di una rivolta della psicologia contro se stessa e cerca di
scalzarne le basi storiche e ideologiche, in nome di un «pensarsi fino in
fondo» che equivarrebbe, nelle intenzioni dell'autore, a un completo
rovesciamento della sua prospettiva e delle sue stesse finalità. Il punto
da cui muove Galimberti per sferrare il suo attacco alla psicologia è che
quest'ultima, «la più occidentale delle scienze, e quindi la più metafisica», è
nata sull'idea della separazione di corpo e psyche che, partendo da Platone,
percorre come un filo rosso tutta la storia del pensiero occidentale. Secondo
l'Autore, la specificità dell'uomo è stata sottratta all'ambivalenza delle sue
espressioni corporee in nome dell'unità ideale, quella - appunto - della
psyche, divenuta l'elemento fondamentale della sua identità. Ma il corpo,
per Galimberti, è portatore di un messaggio ambivalente (non equivoco, ci tiene
a precisare), secondo il quale mostra di essere questo, ma anche quello. Egli
non si prende il disturbo di precisare meglio questi concetti, considerandoli -
evidentemente - di per sé chiari. Afferma invece che l'ambivalenza suggerita
dal corpo realizza una «apertura di senso» (bella espressione, ma altrettanto
vaga del «questo» e «quello»), grazie alla quale la ragione ha la possibilità
di fissare l'opposizione dei suoi significati, ossia l'aborrita «antitesi dei
valori», che ha l'imperdonabile impudenza di voler distinguere il vero dal falso,
il bello dal brutto, il buono dal cattivo. Tale antitesi dei valori è,
per Galimberti, la somma di tutti i vizi della filosofia; riprendendo il
concetto da Nietzsche, egli la ritiene responsabile della lacerazione e della
schizofrenia del pensiero occidentale, del quale traccia una veloce panoramica
per mostrare - con accenti severiniani - che esso è stato un lungo, deplorevole
errore, in quanto basato sulla metafisica e, quindi, sul dualismo. E il
dualismo, si capisce, è un male, perché crea arbitrariamente un al di là, dal
quale poter meglio calunniare l'al di qua; ovvero, per dirla in termini più
razionali, perché si basa su una logica disgiuntiva che sa, vagamente, di
sulfureo (d?a-ß???e??, la separazione, etimologicamente fonda il nome del Diavolo,
«colui» che separa). Questo, dunque, è un punto centrale della
argomentazione di Galimberti: il pensiero che separa è malvagio ed erroneo;
dunque, tutto il pensiero dell'Occidente, essendo dominato dall'idealismo e
dalla metafisica, è un pensiero erroneo e foriero di tristi conseguenze.
La ricetta per uscire da questo vicolo cieco non è, come si potrebbe pensare,
la logica unitiva, bensì il pensiero dell'ambiguità, dove le cose sono queste e
anche quelle, allo stesso tempo; ossia, dove rinviano a una polisemia che può
essere interpretata, volta a volta, in un senso come nell'altro. Anche la
psicoanalisi è una scienza metafisica, anzi, la più metafisica di tutte, perché
reintroduce, attraverso la contrapposizione di conscio e inconscio, la
lacerazione platonica e cristiana tra anima e corpo, tra spirito e materia; e
fornisce una immagine distorta dell'uomo. È a partire da questo punto che
il ragionamento di Galimberti si fa propriamente filosofico, oltrepassando il
campo ristretto della psicologia. Invece di accettare l'ambivalenza del
corpo, la logica disgiuntiva (dell'economia, della medicina, della religione e
della psicanalisi) instaura la sua «bivalenza», dove il positivo e il negativo
si rispecchiano in un gioco di riflessi che rimanda sempre a una rigida
contrapposizione, a una polarità di «interpretazioni della realtà». Ma perché
interpretazioni? Perché, per Galimberti, non esistono il positivo e il
negativo, bensì la valutazione positiva e la valutazione negativa di fatti e
situazioni che potrebbero essere anche i medesimi, guardati però da differenti
punti di vista. Eccoci arrivati, dunque, nel castello del mago Atlante,
dove le cose non sono quelle che sono, ma quelle che vorremmo (o che temiamo)
che esse siano. Come in un labirinto di specchi, a metà fra Borgés e
Pirandello, noi nulla sappiamo delle cose che vediamo e con le quali ci
confrontiamo, bensì emettiamo giudizi di valore che ce le fanno percepire in un
modo piuttosto che in un altro. Rashomon di Kurosawa o Sei personaggi in cerca
d'autore: sia come sia, la negatività è un giudizio di valore; e il corpo, da
Platone in poi, è il negativo: dunque, la negatività del corpo è frutto di un
giudizio di valore. Anche se sostiene di non indulgere a una modalità di
pensiero irrazionalistica, Galimberti sostiene che ogni ragione si serve di una
logica disgiuntiva allo scopo di affermare se stessa, ossia il proprio sapere.
Così, la psicologia afferma la separazione della psyche dal corpo, per poter
affermare il proprio sapere su di essa; esattamente come l'economia politica
afferma la separazione della forza-lavoro dalla totalità della persona, per
poter affermare il suo controllo sulla prima (e a danno della seconda).
Senonché, le opposizioni su cui si articola ogni sapere razionale sono, in realtà,
«immaginarie»: non attengono alla dimensione della realtà, ma a quella
dell'alienazione dalla realtà. Ci si potrebbe chiedere in che cosa questa
realtà ulteriore, questa realtà vera che sta dietro la facciata della realtà
(immaginaria), sia più reale di quella; su che cosa fondi la sua pretesa di non
essere vittima dell'alienazione metafisica; in base a quali criteri la si possa
considerare più concreta, più effettuale della deprecata «antitesi dei
valori». Galimberti non affronta esplicitamente la questione, ma sembra
intuire la possibile critica e anticipa eventuali obiezioni affermando che,
quando il pensiero è capace di accettare l'ambivalenza (e non la bi-valenza,
che è tutt'altro) delle cose, allora cadono tutte le maschere e si è più vicini
alla loro realtà. O meglio, egli non adopera l'imbarazzante espressione
«realtà»; glorifica l'ambivalenza in se stessa, come concetto del tutto
auto-evidente; gli basta impedire che il pensiero duale, oppositivo, bivalente,
non riesca a farsi passare per la «realtà vera». Ma questa «realtà vera»,
in ultima analisi, esiste o non esiste? Galimberti non risponde, l'abbiamo già
detto; si limita ad osservare, con ironia un po' pesante, che coloro i quali si
attardano nel pensiero oppositivo - che, dice, è di per sé violento - non sanno
di essere in ritardo rispetto alle lancette della storia: perché credono ancora
in una controparte, e non sanno che «ogni parte e ogni controparte altro non
sono che l'effetto di quell'operazione disgiuntiva che ogni ragione mette in atto
per affermare il proprio sapere». Vi sono echi minacciosi in questa
affermazione (il trotzkiano «cestino della spazzatura della storia» ove
precipitano i non rivoluzionari, in tempi di rivoluzione), ma anche un po'
patetici (l'ultimo soldato giapponese che continua a combattere nella giungla
per una guerra che è vane questioni, senza rendersi conto di appartenere a una
razza che si è estinta. Si tratta di una posizione quanto mai radicale,
poiché equivale alla condanna senza appello di tutta la filosofia occidentale,
da Platone in poi; anzi di ogni sapere, «dal momento che ogni sapere è
un'assunzione di prospettiva, quindi una selezionedella visione che diviene
condizione preventiva per la delimitazione del vero e del falso».
Ma il vero e il falso, in se stessi, non esistono; così come non esistono
le verità di principio, ma solo le verità di fatto. Non esistono verità, dunque
non esistono saperi che possano presentarsi come portatori di verità: i saperi
sono sempre strumentali, parziali, relativi. È incredibile: siamo in
piena sofistica, che Socrate aveva già brillantemente confutato circa
ventitré secoli fa; ma Galimberti ci presenta le sue conclusioni come se
fossero qualcosa di staordinariamente nuovo, riconoscendosi - casomai - un
continuatore radicale dell'opera di Nietzsche. «Queste ragioni che i
saperi tendono a soddisfare - afferma Galimberti con la massima disinvoltura
-non possono più proporsi con assoluta verità, perché ormai si è scoperto che
la verità non è nella lotta tra l'asserzione vera e quella falsa, ma l'apertura
nell'universo del senso che l'ambivalenza della realtà corporea custodisce come
luogo da cui partono tutte le decisioni scientifiche». E aggiunge che «si
tratta di un senso che sta prima di ogni significato»; ma, di novo, non ci
spiega in che modo egli arguisca l'esistenza di questo «senso originario», dato
che tutti i sensi che noi diamo alle cose forzano la loro vera essenza.
Arrivati a questo punto, possiamo fare alcune osservazioni
conclusive. Punto primo: che il pensiero idealistico sia stato tutto un
lungo errore, forse bisognava sforzarsi di dimostrarlo e non darlo per scontato
al principio di un libro interamente dedicato alla discussione degli effetti
negativi di un tale errore. Punto secondo: che non esista alcun criterio
di verità, è posizione filosoficamente rozza e semplicistica. Altro è affermare
che la verità è difficilmente accessibile, altro è affermare che ogni verità è
una forma di violenza che i «saperi» cercano di imporre per fondare se stessi.
La filosofia è frutto di sottili distinzioni, di una particolare sensibilità
per le sfumature; ma qui, sulla scorta di Nietzsche, si fa filosofia veramente
a colpi di martello (e non è un complimento). Punto terzo: che il corpo
sia il luogo privilegiato in cui la realtà ci svela il suo volto ambivalente,
aiutandoci a liberarci dalle pastoie alienanti del pensiero disgiuntivo, è -
ancora una volta - posto ma non discusso, e tanto meno dimostrato. Eppure
è fin troppo facile osservare che, se l'introduzione della psyche ha relegato
il corpo al ruolo di «negativo», l'esaltazione del corpo che fa Galimberti
sembra ribaltare la prospettiva, senza modificarla «alle radici» (come egli
sostiene di voler fare). Ossia, a questo punto è la psyche che rischia di
diventare il negativo o, quanto meno, il luogo dell'errore, dell'illusione,
della disgiunzione. Ma sarebbe perfettamente inutile muovere una simile
obiezione a Galimberti: egli vi risponderebbe, come ha fatto in più occasioni,
che la psyche non è altro dal corpo, che è corpo anch'essa, perché tutto è
corpo. La sua intera filosofia non è che una assolutizzazione della
corporeità; e, pur di sostenere questa tesi, egli arriva a sostenere, senza
batter ciglio, che l'anima è una «invenzione» dei cristiani, avvenuta nel IV
secolo dopo Cristo (cfr. il nostro precedente articolo Umberto gGlimberti e la
morale del cristianesimo, sempre sul sito di Arianna Editrice). Ma
davvero basta dire che tutto è corpo, per eliminare l'antitesi dei valori e
restaurare l'età dell'oro del pensiero (del pensiero?) ambivalente, dove le
cose sono finalmente se stesse e non quello che noi giudichiamo che esse
siano? Ora, è verissimo che la vita, nel suo livello immediato e
quotidiano, procede per giudizi di valore che sono spesso affrettati, imprecisi,
immotivati e, soprattutto, soggettivi. Da ciò, tuttavia, non discende che il
rimedio consista nel proclamare la relatività di tutti i valori e l'inesistenza
di ogni criterio di verità. Questo sarebbe quel che si dice curare il mal di
testa con le decapitazioni. Esistono altri livelli di esistenza - non
solo di tipo razionale, su questo siamo d'accordo con Galimberti -, ai quali è
possibile accedere, e nei quali si può intravedere, pur senza possederlo
interamente, un criterio di verità capace di sottrarre le cose al gioco degli
specchi della loro incessante mutevolezza. Se non credessimo a questo,
dovremmo non solo sospendere ogni giudizio di valore, ma rinunciare a ogni
possibilità di avvicinarci al vero, al bello e al buono; in altre parole, dovremmo
ritirare un rigo su ogni possibilità di fare non solo psicologia, ma anche
filosofia. Queste, e non altre, sono le conclusioni coerenti
del ragionamento di Galimberti: per cui, ad essere rigoroso, egli dovrebbe
dichiarare non la riforma della psicologia, ma la sua soppressione radicale; e,
quanto alla filosofia, la sua estinzione irreversibile. Come è possibile
continuare a ragionare in termini filosofici, se dobbiamo prendere atto che non
esistono controparti, ma solo ambivalenze che è possibile tirare ora in qua e
ora in là, secondo il nostro umore del momento? Si badi: quello che
propone Galimberti non è un pensiero complementare, come lo è - ad esempio - il
taoismo, il quale, giustamente, ci ricorda che non esiste luce senza buio, caldo
senza freddo, gioia senza dolore. No, si tratta qui di un relativismo puro e
semplice: io dico che questa cosa è calda, tu dice che è fredda; forse lo dirò
anch'io, domani, se me ne verrà la voglia; per intanto, abbiamo ragione tutti e
due. Io ho la mia verità, tu la tua; e sappiamo che entrambe sono vere, o che
entrambe possono esserlo, o che entrambe lo sono state o lo saranno. Il
relativismo è una cattiva filosofia, anzi è l'impossibilità di fare
filosofia. Eppure, questi sono gli applauditissimi maitres-à-penser della
cultura odierna.Umberto Galimberti. Galimberti. Keywords: il sessuale,
l’immaginario sessuale, sesso, Why did the Romans need to distinguish between
‘amatus’ and ‘amicus’? -- amore, follia, jung, simbolo, sole-fallo, simbolo,
simboli di jung, I corpi d’amore, I corpi d’amore sessuale – immaginario
sessuale, immaginario collettivo sessuale, cose dell’amore, platone, il
convito, I corpi, I gesti – I gesti dei corpi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Galimberti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690260374/in/photolist-2mRdKdB-2mQ81kz-2mPZ2Vc-2mPkobg-2mPnrMV-2mN8ym7-2mKyyDD-2mKG8fP-2mKG6xL-2mKDZmL-2mF2HcQ
Grice e
Galli – filosofia italiana – Luigi Speranza (Carru). Filosofo.
Celestino Galli. Interesting philosopher. Not to be confused with Galli.
Grice e Galli – sull’amore -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Montecarotto). Filosofo. Compiute gli
studi classici con assoluta regolarità, si iscrive alla Facoltà di Filosofia a Roma,
dove ha come maestri, tra gli altri,
Varisco e Barzellotti. Da Varisco apprende il rigore del metodo negli
studi filosofici. Da Barzelotti aprende la passione per le ricerche storiche e
le vaste esplorazioni letterarie. Si laurea sotto Barzellotti con il massimo
dei voti dopo aver discusso “Kant e Rosmini” (Lapi, Citta di Castello); Insegna
a Senigallia, Bologna, e Firenze. In “I principii della scuola, con particolare
riguardo alla scuola elementare” (Il Risveglio Scolastico, Milano). Insegna a
Cagliari e Torino. Figura centrale della filosofia italiana, Galli esordisce
con una ricerca sullo sviluppo della filosofia kantiana e quella di Rosmini;
temi che non solo non si stanca mai di ampliare ma affina in ulteriori indagini.
Esegue vaste indagini sulla storia della filosofia. Socrate, Platone,
Aristotele, Cartesio, Bruno, Leibniz, e Renouvier. «L'uno e i molti” (Chiantore, Torino)
certifica la teoria. Gli procura l'interesse di larga parte del mondo
filosofico italiano per le conclusioni sui rapporti tra il sentimento e la
reflessivita. Ampie le discussioni, e talora vivacissime, su autori
contemporanei, dai quali esige rigore, chiarezza e intransigenza speculativa.
Organo di polemiche e di interventi nella vita della cultura italiana
contemporanea è «Il Saggiatore», da lui fondata, Privo di ambizioni mondane,
sempre affabile, ama la compagnia delle persone colte e la conversazione delle
anime semplici, destinate al bene e alla verità. Confida soprattutto nella scuola,
veicolo ideale per dare alle generazioni nuove volontà, serietà, cultura
adeguata ai tempi. Una scuola che studia, senza divagare e che sappia attingere
costantemente alle fonti del sapere, ama ripetere. Grazie al suo ininterrotto
lavoro di studioso, il mondo accademico italiano ha beneficiato di un numero
impressionante di sue pubblicazioni, fatto di saggi, manuali per le scuole,
opuscoli e articoli per riviste specializzate. Si dedica all'arte e alla
religione, completando, in questa maniera, il panorama delle sue indagini. La
Scuola media statale di Montecarotto ha aggiunto all'intestazione il nome di
"Gallo Galli". Altre opere: La
filosofia teoretica dei manuali, Oderisi, Gubbio, Dialettica dello spirito”
(I., Oderisi, Gubbio); “Lineamenti di filosofia, Azzoguidi, Bologna; La
dimostrazione dell'esistenza del mondo esterno e il valore pratico delle
qualità sensibili secondo Cartesio, Oderisi, Gubbio); Renouvier. II. La legge
del numero, D. Alighieri, Milano, Le prove dell'esistenza di Dio in Cartesio
(Valdes, Cagliari);:La dottrina cartesiana del metodo, D. Alighieri, Milano); “La
filosofia di Leibniz: Facoltà di Magistero, Torino, Statuto, Torino); “Studi
cartesiani, Chiantore, Torino); “Cartesio, Chiantore, Torino, “Dall'essere alla
coscienza, Chiantore, Torino); “L’idealismo” (Gheroni, Torino); “PComenio,
Gheroni, Torino); “La Filosofia greca: I sofisti, Socrate, Platone. Torino.
Facoltà di Magistero. heroni, Torino, Leibniz, Milani, Padova); “Carlini ed
altri studi; da Talete al "Menone" di Platone; il problema di
Cartesio, per la fondazione di un vero e concreto immanentismo, Gheroni,
Torino, Corso di storia della Filosofia: Aristotele, Gheroni, Torino, Da Talete
al menone di Platone, Gheroni, Torino, Tre studi di filosofia: pensiero ed esperienza,
sulla persona, su Dio e sull'immortalità, Gheroni, Torino Socrate ed alcuni
dialoghi platonici: Apologia, Convito, Lachete, Eutifrone, Liside, Jone,
Giappichelli, Torino, Linee fondamentali d'una filosofia dello spirito, Bottega
d'Erasmo, Torino, L'idea di materia e di scienza fisica da Talete a Galileo,
Giappichelli, Torino, L'uomo nell'assoluto, Giappichelli, Torino, La vita e il
pensiero di Giordano Bruno, Marzorati, Milano Sguardo sulla filosofia di
Aristotele, Pergamena, Milano, Platone, Pergamena, Milano 1974. Di carattere
pedagogico Filosofia (Oderisi, Gubbio). Idealismo, spiritualismo ed
esistenzialità nella metafisica in Galli; Cartesio, in Italia. Dizionario
Biografico degli Italiani, Volume 51, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Persée. Portail de revues en sciences
humaines et sociales, su persee.fr. There is another Galli, who also did
philosophical studies – but his brother was more famous, the author of Tabula
philologica. Platone FEDRO FEDRO: Dalla casa di Lisia, Socrate, il figlio
di Cefalo, (1) e vado a fare una passeggiata fuori dalle mura. Ho passato
parecchio tempo là seduto, fin dal mattino; e ora, seguendo il consiglio di
Acumeno,(2) compagno mio e tuo, faccio delle passeggiate per le strade, poiché,
a quanto dice, tolgono la stanchezza più di quelle sotto i portici. SOCRATE: E
dice bene, amico mio. Dunque Lisia era in città, a quanto pare. FEDRO: Sì ,
alloggia da Epicrate, nella casa di Monco, quella vicino al tempio di Zeus
Olimpio.(3) SOCRATE: E come avete trascorso il tempo? Lisia non vi ha forse
imbandito, è chiaro, i suoi discorsi? FEDRO: Lo saprai, se hai tempo di
ascoltarmi mentre cammino. SOCRATE: Ma come? Credi che io, per dirla con
Pindaro, non faccia del sentire come avete trascorso il tempo tu e Lisia una
faccenda «superiore a ogni negozio»? (4) FEDRO: Muoviti, allora! SOCRATE: Se
vuoi parlare. FEDRO: Senza dubbio, Socrate, l'ascolto ti si addice, poiché il
discorso su cui ci siamo intrattenuti era, non so in che modo, sull'amore.
Lisia ha scritto di un bel giovane che viene tentato, ma non da un amante, e ha
comunque trattato anche questo argomento in modo davvero elegante: sostiene
infatti che bisogna compiacere chi non ama piuttosto che chi ama. SOCRATE: E
bravo! Avesse scritto che bisogna compiacere un povero piuttosto che un ricco,
un vecchio piuttosto che un giovane, e tutte quelle cose che vanno bene a me e
alla maggior parte di voi! Allora sì che i suoi discorsi sarebbero urbani e
utili al popolo! Io ora ho tanto desiderio di ascoltare, che se facessi a piedi
la tua passeggiata fino a Megara e, seguendo Erodico,(5) arrivato alle mura
tornassi di nuovo, non rimarrei dietro a te. FEDRO: Cosa dici, ottimo Socrate?
Credi che io, da profano quale sono, ricorderò in modo degno di lui quello che
Lisia, il più bravo a scrivere dei nostri contemporanei, ha composto in molto
tempo e a suo agio? Ne sono ben lungi! Eppure vorrei avere questo più che molto
oro. SOCRATE: Fedro, se io non conosco Fedro, mi sono scordato anche di me
stesso! Ma non è vera né l'una né l'altra cosa: so bene che lui, ascoltando un
discorso di Lisia, non l'ha ascoltato una volta sola, ma ritornandovi più volte
sopra lo ha pregato di ripeterlo, e quello si è lasciato convincere volentieri.
Poi però neppure questo gli è bastato, ma alla fine, ricevuto il libro, ha
esaminato i passi che più di tutti bramava; e poiché ha fatto questo standosene
seduto fin dal mattino, si è stancato ed è andato a fare una passeggiata,
conoscendo, corpo d'un cane!, il discorso ormai a memoria, credo, a meno che non
fosse troppo lungo. E così si è avviato fuori dalle mura per recitarlo.
Imbattutosi poi in uno che ha la malattia di ascoltare discorsi, lo ha visto, e
nel vederlo si è rallegrato di avere chi potesse coribanteggiare con lui (6) e
lo ha invitato ad accompagnarlo. Ma quando l'amante dei discorsi lo ha pregato
di declamarlo, si è schermito come se non desiderasse parlare: ma alla fine
avrebbe parlato anche a viva forza, se non lo si fosse ascoltato volentieri. Tu
dunque, Fedro, pregalo di fare adesso quello che comunque farà molto presto.
FEDRO: Per me, veramente, la cosa di gran lunga migliore è parlare così come
sono capace, poiché mi sembra che non mi lascerai assolutamente andare prima
che abbia parlato, in qualunque modo. SOCRATE: Ti sembra davvero bene. FEDRO:
Allora farò così . In realtà, Socrate, non l'ho proprio imparato tutto parola
per parola: ti esporrò tuttavia il concetto più o meno di tutti gli argomenti
con i quali lui ha sostenuto che la condizione di chi ama differisce da quella
di chi non ama, uno per uno e per sommi capi, cominciando dal primo. SOCRATE:
Prima però, carissì mo, mostrami che cos'hai nella sinistra sotto il mantello;
ho l'impressione che tu abbia proprio il discorso. Se è così , tieni presente
che io ti voglio molto bene, ma se c'è anche Lisia non ho assolutamente
intenzione di offrirmi alle tue esercitazioni retoriche. Via, mostramelo!
FEDRO: Smettila! Mi hai tolto, Socrate, la speranza che riponevo in te di
esercitarmi. Ma dove vuoi che ci sediamo a leggere? SOCRATE: Giriamo di qui e
andiamo lungo l'Ilisso,(7) poi ci sederemo dove ci sembrerà un posto
tranquillo. FEDRO: A quanto pare, mi trovo a essere scalzo al momento giusto;
tu infatti lo sei sempre. Perciò sarà per noi facilissimo camminare bagnandoci
i piedi nell'acqua, e non spiacevole, tanto più in questa stagione e a
quest'ora.(8) SOCRATE: Fa' da guida dunque, e intanto guarda dove ci potremo
sedere. FEDRO: Vedi quell'altissimo platano? SOCRATE: E allora? FEDRO: Là c'è
ombra, una brezza moderata ed erba su cui sederci o anche sdraiarci, se
vogliamo. SOCRATE: Puoi pure guidarmici. FEDRO: Dimmi, Socrate: non è proprio
da qui, da qualche parte dell'Ilisso, che a quanto si dice Borea ha rapito
Orizia?(9) SOCRATE: Così si dice. FEDRO: Proprio da qui dunque? Le acque
appaiono davvero dolci, pure e limpide, adatte alle fanciulle per giocarvi
vicino. SOCRATE: No, circa due o tre stadi più in giù, dove si attraversa il
fiume per andare al tempio di Agra: (10) appunto là c'è un altare di Borea.
2 Platone Fedro FEDRO: Non ci ho mai fatto caso. Ma dimmi, per
Zeus: tu, Socrate, sei convinto che questo racconto sia vero? SOCRATE: Ma se
non ci credessi, come fanno i sapienti, non sarei una persona strana; e allora,
facendo il sapiente, potrei dire che un soffio di Borea la spinse giù dalle
rupi vicine mentre giocava con Farmacea, ed essendo morta così si è sparsa la
voce che è stata rapita da Borea (oppure dall'Areopago,(11) poiché c'è anche
questa leggenda, che fu rapita da là e non da qui). Io però, Fedro, considero
queste spiegazioni sì ingegnose, ma proprie di un uomo fin troppo valente e
impegnato, e non del tutto fortunato, se non altro perché dopo questo gli è
giocoforza raddrizzare la forma degli Ippocentauri, e poi della Chimera; quindi
gli si riversa addosso una folla di tali Gorgoni e Pegasi (12) e un gran numero
di altri esseri straordinari dalla natura strana e portentosa. E se uno, non
credendoci, vorrà ridurre ciascuno di questi esseri al verosimile, dato che fa
uso di una sapienza rozza, avrà bisogno di molto tempo libero. Ma io non ho
proprio tempo per queste cose; e il motivo, caro amico, è il seguente. Non sono
ancora in grado, secondo l'iscrizione delfica, di conoscere me stesso;(13)
quindi mi sembra ridicolo esaminare le cose che mi sono estranee quando ignoro
ancora questo. Perciò mando tanti saluti a queste storie, standomene di quanto
comunemente si crede riguardo a esse, come ho detto poco fa, ed esamino non
queste cose ma me stesso, per vedere se per caso non sia una bestia più
intricata e che getta fiamme più di Tifone, oppure un essere più mite e più
semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di vanità
fumosa.(14) Ma cambiando discorso, amico, non era forse questo l'albero a cui
volevi guidarci? FEDRO: Proprio questo. SOCRATE: Per Era, è un bel luogo per
sostare! Questo platano è molto frondoso e imponente, l'alto agnocasto è
bellissimo con la sua ombra, ed essendo nel pieno della fioritura rende il
luogo assai profumato. Sotto il platano poi scorre la graziosissima fonte di
acqua molto fresca, come si può sentire col piede. Dalle immagini di fanciulle
e dalle statue sembra essere un luogo sacro ad alcune Ninfe e ad Acheloo.(15) E
se vuoi ancora, com'è amabile e molto dolce il venticello del luogo! Una
melodiosa eco estiva risponde al coro delle cicale. Ma la cosa più leggiadra di
tutte è l'erba, poiché, disposta in dolce declivio, sembra fatta apposta per
distendersi e appoggiarvi perfettamente la testa. Insomma, hai fatto da guida a
un forestiero in modo eccellente, caro Fedro! FEDRO: Mirabile amico, sembri una
persona davvero strana: assomigli proprio, come dici, a un forestiero condotto
da una guida e non a un abitante del luogo. Non lasci la città per recarti
oltre confine, e mi sembra che tu non esca affatto dalle mura. SOCRATE:
Perdonami, carissimo. Io sono uno che ama imparare; la terra e gli alberi non
vogliono insegnarmi nulla, gli uomini in città invece sì . Mi sembra però che
tu abbia trovato la medicina per farmi uscire. Come infatti quelli che
conducono gli animali affamati agitano davanti a loro un ramoscello verde o
qualche frutto, così tu, tendendomi davanti al viso discorsi scritti sui libri,
sembra che mi porterai in giro per tutta l'Attica e in qualsiasi altro luogo
vorrai. Ma per ì l momento, ora che sono giunto qui io intendo sdraiarmi, tu
scegli la posizione in cui pensi di poter leggere più comodamente e leggi.
FEDRO: Ascolta, dunque. «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che
ritengo sia per noi utile che queste cose accadano; ma non stimo giusto non
poter ottenere ciò che chiedo perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli
innamorati si pentono dei benefici che hanno fatto, allorquando cessa la loro
passione, mentre per gli altri non viene mai un tempo in cui conviene cambiare
parere. Infatti fanno benefici secondo le loro possibilità non per costrizione,
ma spontaneamente, per provvedere nel migliore dei modi alle proprie cose.
Inoltre coloro che amano considerano sia ciò che è andato loro male a causa
dell'amore, sia i benefici che hanno fatto, e aggiungendo a questo l'affanno
che provavano pensano di aver reso già da tempo la degna ricompensa ai loro
amati. Invece coloro che non amano non possono addurre come scusa la scarsa
cura delle proprie cose per questo motivo, né mettere in conto gli affanni
trascorsi, né incolpare gli amati delle discordie con i familiari; sicché,
tolti di mezzo tanti mali, non resta loro altro se non fare con premura ciò che
pensano sarà loro gradito quando l'avranno fatto. Inoltre, se vale la pena di
tenere in grande considerazione gli amanti perché dicono di essere amici al
sommo grado di coloro che amano e sono pronti sia a parole sia coi fatti a
rendersi odiosi agli altri pur di compiacere gli amati, è facile comprendere
che, se dicono il vero, terranno in maggior conto quelli di cui si innamoreranno
in seguito, ed è chiaro che, se parrà loro il caso, ai primi faranno persino
del male. D'altronde come può essere conveniente concedere una cosa del genere
a chi ha una disgrazia tale che nessuno, per quanto esperto, potrebbe tentare
di allontanare? Essi stessi, infatti, ammettono di essere malati più che
assennati, e di sapere che sragionano, ma non sanno dominarsi; di conseguenza,
una volta tornati in senno, come potranno credere che vada bene ciò di cui
decidono in questa disposizione d'animo? E ancora, se scegliessi il migliore
degli amanti, la tua scelta sarebbe tra pochi, se invece scegliessi quello più
adatto a te tra gli altri, sarebbe tra molti; perciò c'è molta più speranza che
quello degno della tua amicizia si trovi tra i molti. Se poi, secondo l'usanza
corrente, temi di guadagnarti del biasimo nel caso la gente lo venga a sapere,
è naturale che gli amanti, credendo di essere invidiati dagli altri così come
si invidiano tra loro, si inorgogliscano parlandone e per ambizione mostrino a tutti
che non hanno faticato invano; mentre coloro che non amano, essendo più padroni
di sé, scelgono ciò che è meglio in luogo della fama presso gli uomini. Inoltre
è inevitabile che molti vengano a sapere o vedano gli amanti accompagnare i
loro amati e darsi un gran da fare, cosicché, quando li vedono discorrere tra
loro credono che essi stiano insieme o perché il loro desiderio si è realizzato
o perché sta per realizzarsi; ma non provano affatto ad accusare coloro che non
amano perché stanno assieme, sapendo che è necessario parlare con qualcuno per
amicizia o per qualche altro piacere. E se poi hai paura perché credi sia
difficile che un'amicizia perduri, e temi che se sorgesse un dissidio per un
altro motivo la sventura sarebbe comune ad entrambi, mentre in questo caso
verrebbe un gran danno a te, perché hai gettato via ciò che più di tutto tieni
in conto, a maggior ragione dovresti temere coloro che 3 Platone
Fedro amano: molte sono le cose che li affliggono, e credono che tutto
accada a loro danno. Per questo allontanano gli amati anche dalla compagnia con
gli altri, per timore che quelli provvisti di sostanze li superino in
ricchezza, e quelli forniti dì cultura li vincano in intelligenza; in somma,
stanno in guardia contro il potere di tutti quelli che possiedono un qualsiasi
altro bene. Così , dopo averti indotto a inimicarti queste persone, ti riducono
privo di amici, e se badando al tuo interesse sarai più assennato di loro,
verrai in discordia con essi. Chi invece non si è trovato a essere nella condizione
di amante, ma ha ottenuto grazie alle sue doti ciò che chiedeva, non sarebbe
geloso di chi si accompagna a te, anzi odierebbe coloro che rifiutano la tua
compagnia, pensando che da costoro sei disprezzato, ma trai beneficio da chi
sta assieme a te. Perciò c'è molta più speranza che dalla cosa nasca tra loro
amicizia piuttosto che inimicizia. Per di più molti degli amanti hanno
desiderio del corpo prima di aver conosciuto il carattere e aver avuto
esperienza delle altre qualità individue dell'amato, così che non è loro chiaro
se vorranno ancora essere amici quando la loro passione sarà finita; per quanto
riguarda invece coloro che non amano, dal momento che erano tra loro amici
anche prima di fare questo, non è verosimile che la loro amicizia risulti
sminuita dal bene che hanno ricevuto, anzi esso rimane come ricordo di ciò che
sarà in futuro. Inoltre ti si addice diventare migliore dando retta a me
piuttosto che a un amante. Essi lodano le parole e le azioni dell'amato anche
al di là di quanto è bene, da un lato per timore di diventare odiosi,
dall'altro perché essi stessi danno giudizi meno retti per via del loro
desiderio. Infatti l'amore produce tali effetti: a coloro che non hanno fortuna
fa ritenere molesto ciò che agli altri non arreca dolore, mentre spinge coloro
che hanno fortuna a elogiare anche ciò che non è degno di piacere, tanto che
agli amati si addice più la compassione che l'invidia. Se dai retta a me,
innanzitutto starò assieme a te prendendomi cura non solo del piacere presente,
ma anche dell'utilità futura, non vinto dall'amore ma padrone di me stesso,
senza suscitare una violenta inimicizia per futili motivi, ma irritandomi poco
e non all'improvviso per motivi gravi, perdonando le colpe involontarie e
cercando di distogliere da quelle volontarie: queste sono prove di un'amicizia
che durerà a lungo. Se invece ti sei messo in mente che non possa esistere
amicizia salda se non si ama, conviene pensare che non potremmo tenere in gran
conto né i figli né i genitori, e non potremmo neanche acquistarci amici
fidati, poiché i vincoli con essi ci sono venuti non da una tale passione, ma
da altri rapporti. Inoltre, se si deve compiacere più di tutti chi ne ha
bisogno, anche nelle altre cì rcostanze conviene fare benefici non ai migliori,
ma ai più indigenti, poiché, liberati da grandissimi mali, serberanno la
massima gratitudine ai loro benefattori. E allora anche nelle feste private è
il caso di invitare non gli amici ma chi chiede l'elemosina e ha bisogno di
essere sfamato, poiché costoro ameranno i loro benefattori, li seguiranno,
verranno alla loro porta, proveranno grandissima gioia, serberanno non poca
gratitudine e augureranno loro ogni bene. Ma forse conviene compiacere non chi
è molto bisognoso, ma chi soprattutto è in grado di rendere il favore; non solo
chi chiede, ma chi è degno della cosa; non quanti godranno del fiore della tua
giovinezza, ma coloro che anche quando sarai diventato vecchio ti faranno
partecipe dei loro beni; non coloro che, ottenuto ciò che desideravano, se ne
vanteranno con gli altri, ma coloro che per pudore ne taceranno con tutti; non
coloro che hanno cura di te per poco tempo, ma coloro che ti saranno amici allo
stesso modo per tutta la vita; non coloro che, cessato il desiderio,
cercheranno il pretesto per un'inimicizia, ma coloro che daranno prova della
loro virtù quando la tua bellezza sarà sfiorita. Dunque tu ricordati di quanto
ti ho detto e considera questo, che gli amici riprendono gli amanti perché sono
convinti che questa pratica sia cattiva, mentre nessuno dei familiari ha mai
rimproverato a coloro che non amano di provvedere male ai propri affari per
questo motivo. Forse ora mi domanderai se ti esorto a compiacere tutti quelli
che non amano. Ebbene, io credo che neanche chi ama ti inviti ad avere questo atteggiamento
con tutti quelli che amano. Infatti né per chi riceve benefici la cosa è degna
di un'uguale ricompensa, né, se anche lo volessi, ti sarebbe possibile tenerlo
nascosto allo stesso modo agli altri; bisogna invece che da ciò non venga alcun
danno, ma un vantaggio a entrambi. Io penso che quanto è stato detto sia
sufficiente: se tu desideri ancora qualcosa e pensi che sia stata tralasciata,
interroga». FEDRO: Che te ne pare del discorso, Socrate? Non è stato
pronunciato in maniera straordinaria, in particolare per la scelta dei
vocaboli? SOCRATE: In maniera davvero divina, amico, al punto che ne sono
rimasto colpito! E questa impressione l'ho avuta per causa tua, Fedro,
guardando te, perché mi sembrava che esultassi per il discorso intanto che lo leggevi.
E dato che credo che in queste cose tu ne sappia più di me ti seguivo, e nel
seguirti ho partecipato al tuo furore bacchico, o testa divina! (16) FEDRO: Ma
dai! Ti pare il caso di scherzare così ? SOCRATE: Ti sembra che io scherzi e
che non abbia fatto sul serio? FEDRO: Nient'affatto, Socrate, ma dimmi
veramente, per Zeus protettore degli amici: credi che ci sia un altro tra i
Greci in grado di parlare sullo stesso argomento in modo più grande e copioso
di lui? SOCRATE: Ma come? Bisogna che il discorso sia lodato da me e da te
anche sotto questo aspetto, ossia perché il suo autore ha detto ciò che
bisognava dire, e non solo perché ha tornito ciascun termine in modo chiaro,
forbito e puntuale? Se proprio bisogna, devo convenirne per amor tuo, dal momento
che mi è sfuggito a causa della mia nullità. Infatti ho posto mente soltanto
all'aspetto retorico del discorso; quanto all'altro, credevo che neppure Lisia
lo ritenesse sufficiente. A meno che tu, Fedro, non abbia un'opinione diversa,
mi è parso che abbia ripetuto due o tre volte gli stessi concetti, come se non
avesse a disposizione grandi risorse per dire molte cose sullo stesso
argomento, o forse come se non gliene importasse nulla; e mi sembrava pieno di
baldanza giovanile quando mostrava com'era bravo, dicendo le stesse cose prima
in un modo e poi in un altro, a parlarne in tutti e due i casi nella maniera
migliore. 4 Platone Fedro FEDRO: Ti sbagli, Socrate: precisamente
in questo consiste il discorso. Infatti non ha tralasciato nulla di ciò che meritava
d'esser detto in argomento, tanto che nessuno mai saprebbe dire cose diverse e
di maggior pregio rispetto a quelle dette. SOCRATE: In questo non potrò più
darti retta: uomini e donne antichi e sapienti, che hanno parlato e scritto di
queste cose, mi confuteranno, se per farti piacere convengo con te. FEDRO: Chi
sono costoro? E dove hai ascoltato cose migliori di queste? SOCRATE: Ora, lì
per lì , non so dirlo; ma è chiaro che le ho udite da qualcuno, dalla bella
Saffo o dal saggio Anacreonte o da qualche scrittore in prosa.(17) Da cosa lo
arguisco per affermare ciò? In qualche modo, divino fanciullo, sento di avere
il petto pieno e di poter dire cose diverse dalle sue, e non peggiori. So bene
che non ho concepito da me niente di tutto ciò, dato che riconosco la mia
ignoranza; allora resta, credo, che da qualche altra fonte io sia stato
riempito attraverso l'ascolto come un vaso. Ma per indolenza ho scordato
proprio questo, come e da chi le ho udite. FEDRO: Ma hai detto cose bellissime,
nobile amico! Neanche se te lo ordino devi riferirmi da chi e come le hai
udite, ma metti in atto esattamente il tuo proposito. Hai promesso di dire cose
diverse, in maniera migliore e non meno diffusa rispetto a quelle contenute nel
libro, astenendoti da queste ultime; quanto a me, io ti prometto che come i
nove arconti innalzerò a Delfi una statua d'oro a grandezza naturale, non solo
mia ma anche tua.(18) SOCRATE: Sei carissimo e veramente d'oro, Fedro, se pensi
che io affermi che Lisia ha sbagliato tutto e che è possibile dire cose diverse
da tutte queste; ciò, credo, non potrebbe capitare neanche allo scrittore più
scarso. Tanto per incominciare, riguardo all'argomento del discorso, chi credi
che, sostenendo che bisogna compiacere coloro che non amano piuttosto che coloro
che amano, abbia ancora altro da dire quando abbia tralasciato di lodare
l'assennatezza degli uni e biasimare la dissennatezza degli altri, il che
appunto è necessario? Ma credo che si debbano concedere e perdonare simili
argomenti a chi ne parla; e di tali argomenti è da lodare non l'invenzione, ma
la disposizione, mentre degli argomenti non necessari e difficili da trovare è
da lodare, oltre alla disposizione, anche l'invenzione. FEDRO: Concordo con ciò
che dici: mi sembri aver parlato in modo opportuno. Pertanto farò anch'io così:
ti concederò di stabilire come principio che chi ama è più ammalato di chi non
ama, e quanto al resto, se avrai detto altre cose in maggior quantità e di
maggior pregio di queste, ergiti pure come statua lavorata a martello a
Olimpia, presso l'offerta votiva dei Cipselidi! (19) SOCRATE: L'hai presa sul
serio, Fedro, perché io, scherzando con te, ho attaccato il tuo amato, e credi
che io proverò veramente a dire qualcosa di diverso e di più vario a confronto
dell'abilità di lui? FEDRO: A questo proposito, caro, mi hai dato l'occasione
per un'uguale presa.(20) Ora tu devi parlare assolutamente, così come sei
capace, in modo da non essere obbligati a fare quella cosa volgare da
commedianti che si rimbeccano a vicenda, e non volermi costringere a tirar
fuori quella frase: «Socrate, se io non conosco Socrate, mi sono dimenticato
anche di me stesso», o quell'altra: «Desiderava dire, ma si schermiva»; ma
tieni bene in mente che non ce ne andremo di qui prima che tu abbia esposto ciò
che sostenevi di avere nel petto. Siamo noi due soli, in un luogo appartato, io
sono più forte e più giovane. Da tutto ciò, dunque, «intendi quel che ti
dico»,(21) e vedi di non parlare a forza piuttosto che spontaneamente. SOCRATE:
Ma beato Fedro, mi coprirò di ridicolo improvvisando un discorso sui medesimi
argomenti, da profano che sono a confronto di un autore bravo come lui! FEDRO:
Sai com'è la questione? Smettila di fare il ritroso con me; poiché penso di
avere una cosa che, se te la dico, ti costringerà a parlare. SOCRATE: Allora
non dirmela! FEDRO: No, invece te la dico proprio! E le mie parole saranno un
giuramento. Ti giuro... ma su chi, su quale dio? Vuoi forse su questo platano
qui? Ebbene, ti giuro che se non pronuncerai il tuo discorso proprio davanti a
questo platano, non ti mostrerò e non ti riferirò più nessun altro discorso di
nessuno. SOCRATE: Ahi, birbante! Come hai trovato bene il modo di costringere
un uomo amante dei discorsi a fare ciò che tu ordini! FEDRO: Perché allora fai
tanti giri? SOCRATE: Niente più indugi, dal momento che hai proferito questo
giuramento. Come potrei astenermi da un tale banchetto? FEDRO: Allora parla!
SOCRATE: Sai dunque come farò? FEDRO: Riguardo a cosa? SOCRATE: Parlerò dopo
essermi coperto il capo, per svolgere il discorso il più velocemente possibile
e non trovarmi in imbarazzo per la vergogna, guardando verso di te. FEDRO:
Purché tu parli; quanto al resto, fa' come vuoi. SOCRATE: Orsù, o Muse dalla
voce melodiosa, vuoi per l'aspetto del canto vuoi perché siete state così
chiamate dalla stirpe dei Liguri amante della musica,(22) narrate assieme a me
il racconto che questo bellissimo giovane mi costringe a dire, così che il suo
compagno, che già prima gli sembrava sapiente, ora gli sembri tale ancora di
più. C'era una volta un fanciullo, o meglio un giovanetto assai bello, di cui
molti erano innamorati. Uno di loro, che era astuto, pur non essendo innamorato
meno degli altri aveva convinto il fanciullo che non lo amava. E un giorno,
saggiandolo, cercava di persuaderlo proprio di questo, che bisogna compiacere
chi non ama piuttosto che chi ama, e gli parlava così : «Innanzi tutto,
fanciulfo, uno solo è l'inizio per chi deve prendere decisioni nel modo giusto:
bisogna sapere su cosa verte la decisione, o è destino che si sbagli tutto. Ai
più sfugge che non conoscono l'essenza di ciascuna 5 Platone Fedro
cosa. Perciò, nella convinzione di saperlo, non si mettono d'accordo all'inizio
della ricerca e proseguendo ne pagano le naturali conseguenze, poiché non si
accordano né con se stessi né tra loro. Che non capiti dunque a me e a te ciò
che rimproveriamo agli altri, ma dal momento che ci sta dinanzi la questione se
si debba entrare in amicizia con chi ama piuttosto che con chi non ama,
stabiliamo di comune accordo una definizione su cosa sia l'amore e quale forza
abbia; poi, tenendo presente questa definizione e facendovi riferimento,
esaminiamo se esso apporta un vantaggio o un danno. Che l'amore sia appunto un
desiderio, è chiaro a tutti; che inoltre anche chi non ama desideri le cose
belle, lo sappiamo. Da che cosa allora distingueremo chi ama e chi non ama?
Occorre poi tenere presente che in ciascuno di noi ci sono due princì pi che ci
governano e ci guidano, e che noi seguiamo dove essi ci guidano: l'uno, innato,
è il desiderio dei piaceri, l'altro è un'opinione acquisita che aspira al sommo
bene. Talvolta questi due princì pi dentro di noi si trovano d'accordo,
talvolta invece sono in disaccordo; talvolta prevale l'uno, talvolta l'altro.
Pertanto, quando l'opinione guida con il ragionamento al sommo bene e prevale,
la sua vittoria ha il nome di temperanza; mentre se il desiderio trascina fuori
di ragione verso i piaceri e domina in noi, il suo dominio viene chiamato
dissolutezza. La dissolutezza ha molti nomi, dato che è composta di molte
membra e molte parti; e quella che tra queste forme si distingue conferisce a
chi la possiede il soprannome derivato da essa, che non è né bello né
meritevole da acquistarsi. Il desiderio relativo al cibo, che prevale sulla
ragione del bene migliore e sugli altri desideri, è chiamato ingordigia e farà
sì che chi lo possiede venga chiamato con lo stesso nome; quello che
tiranneggia nell'ubriachezza e conduce in tale stato chi lo possiede, è chiaro
quale epiteto gli toccherà; così , anche per gli altri nomi fratelli di questi
che designano desideri fratelli, a seconda di quello che via via signoreggia, è
ben evidente come conviene chiamarli. Il desiderio a motivo del quale è stato
fatto tutto il discorso precedente ormai è pressoché manifesto, ma è
assolutamente più chiaro una volta detto che se non viene detto; ebbene, il
desiderio irrazionale che ha il sopravvento sull'opinione incline a ciò che è
retto, una volta che, tratto verso il piacere della bellezza e corroborato
vigorosamente dai desideri a esso congiunti della bellezza fisica, ha prevalso
nel suo trasporto prendendo nome dal suo stesso vigore, è chiamato eros».(23)
Ma caro Fedro, non sembra anche a te, come a me, che mi trovi in uno stato
divino? FEDRO: Certamente, Socrate! Ti ha preso una certa facilità di parola,
contrariamente al solito! SOCRATE: Ascoltami dunque in silenzio. Il luogo
sembra veramente divino, percio non meravigliarti se nel prosieguo del discorso
sarò spesso invasato dalle Ninfe: le parole che proferisco adesso non sono
lontane dai ditirambi.(24) FEDRO: Dici cose verissime. SOCRATE: E tu ne sei la
causa. Ma ascolta il resto, poiché forse quello che mi viene alla mente
potrebbe andarsene via. A questo provvederà un dio, noi invece dobbiamo tornare
col nostro discorso al fanciullo. «Dunque, carissimo: cosa sia ciò su cui
bisogna prendere decisioni, è stato detto e definito; ora, tenendo presente
questo, dobbiamo dire il resto, ossia quale vantaggio o quale danno
presumibilmente verrà da uno che ama e da uno che non ama a chi concede i suoi
favori. Per chi è soggetto al desiderio ed è schiavo del piacere è inevitabile
rendere l'amato il più possibile gradito a sé; ma per chi è malato tutto ciò
che non oppone resistenza è piacevole, mentre tutto ciò che è più forte o pari
a lui è odioso. Così un amante non sopporterà di buon grado un amato superiore
o pari a lui, ma vuole sempre renderlo inferiore e più debole: e inferiore è
l'ignorante rispetto al saggio, il vile rispetto al coraggioso, chi non sa
parlare rispetto a chi ha abilità oratorie, chi è tardo di mente rispetto a chi
è d'ingegno acuto. è inevitabile che, se nell'animo dell'amato nascono o ci
sono per natura tanti difetti, o anche di più, l'amante ne goda e ne procuri
altri, piuttosto che essere privato del piacere del momento. Ed è altresì
inevitabile che sia geloso e causa di grande danno, poiché distoglie l'amato da
molte altre compagnie vantaggiose grazie alle quali diverrebbe veramente uomo,
danno che diventa grandissimo quando lo allontana da quella compagnia grazie
alla quale diventerebbe una persona molto assennata. Essa è la divina
filosofia, da cui inevitabilmente l'amante tiene lontano l'amato per paura di
essere disprezzato, così come ricorrerà alle altre macchinazioni per fare in
modo che sia ignorante di tutto e guardi solo al suo amante; e in questa
condizione l'amato sarebbe fonte di grandissimo piacere per lui, ma del massimo
danno per se stesso. Quindi, per quanto riguarda l'intelletto, l'uomo che prova
amore non è in nessun modo utile come guida e come compagno. Poi si deve
considerare la costituzione del corpo, e quale cura ne avrà colui che ne
diventerà padrone, dato che si trova costretto a inseguire il piacere anziché
il bene. Lo si vedrà seguire una persona molle e non vigorosa, non cresciuta
alla pura luce del sole ma nella fitta ombra, inesperta di fatiche virili e di
secchi sudori, esperta invece di una vita delicata ed effeminata, ornata di
colori e abbellimenti altrui per mancanza dei propri, intenta a tutte quelle
attività conseguenti a ciò, che sono evidenti e non meritano ulteriori
discussioni. Ma stabiliamo un punto essenziale, e poi passiamo ad altro: per un
corpo del genere, in guerra come in tutte le altre occupazioni importanti, i
nemici prendono coraggio, gli amici e gli stessi amanti provano timore. Perciò
questo punto è da lasciar perdere, dato che è evidente, e bisogna passare
invece a quello successivo, cioè quale vantaggio o quale danno arrecherà ai
nostri beni la compagnia e la protezione di chi ama. è chiaro a chiunque, ma
soprattutto all'amante, che egli si augurerebbe più d'ogni altra cosa che
l'amato fosse orbo dei beni più cari, più preziosi e più divini; accetterebbe
che rimanesse privo di padre, madre, parenti e amici, ritenendoli causa
d'impedimento e biasimo della dolcissima compagnia che ha con lui. E se
possiede sostanze in oro o altri beni, egli penserà che non sia facile da
conquistare né, una volta conquistato, trattabile; ne consegue inevitabilmente
che l'amante provi gelosia se l'oggetto del suo amore possiede delle sostanze,
e gioisca se le perde. Inoltre l'amante si augurerà che l'amato sia senza
moglie, senza figli e senza casa il più a lungo possibile, poiché brama di
cogliere il più a lungo possibile il frutto della 6 Platone Fedro
sua dolcezza. Ci sono altri mali ancora, ma un dio ha mescolato alla maggior
parte di essi un piacere momentaneo; per esempio all'adulatore, bestia
terribile e fonte di grande danno, la natura ha comunque mescolato un piacere
non privo di gusto. E così qualcuno può biasimare come rovinosa un'etera o
molte altre creature e attività del genere, che almeno per un giorno possono
essere occasione di grandissimo piacere; ma per l'amato la compagnia quotidiana
dell'amante, oltre al danno che arreca, è la cosa di tutte più spiacevole. Infatti,
come recita l'antico proverbio, il coetaneo si diletta del coetaneo (credo
infatti che l'avere gli stessi anni conduca agli stessi piaceri e procuri
amicizia in virtù della somiglianza); tuttavia anche il loro stare insieme
genera sazietà. Inoltre si dice che la costrizione è pesante per chiunque in
qualsiasi circostanza: ed è proprio questo il rapporto che, oltre alla
differenza d'età, l'amante ha con il suo amato. Infatti, quando uno più vecchio
sta assieme a uno più giovane, non lo lascia volentieri né di giorno né di
notte, ma è tormentato da una necessità e da un pungolo che lo conduce a destra
e a manca procurandogli di continuo piaceri a vedere, ascoltare, toccare
l'amato e a provare tutto ciò che lui prova, sì da mettersi strettamente e con
piacere al suo servizio. Ma quale conforto o quali piaceri darà all'amato per
evitare che questi, stando con lui per lo stesso periodo di tempo, arrivi al
colmo del disgusto? Quando quello vedrà un volto invecchiato e non più in
fiore, con tutte le conseguenze già spiacevoli da udire a parole, per non
parlare poi se ci si trova nella necessità di avere a che fare con esse; quando
dovrà guardarsi in ogni momento e con tutti da custodi sospettosi e sentirà
elogi inopportuni ed esagerati, come anche insulti già insopportabili se
l'amante è sobrio, vergognosi oltre ogni sopportazione se è ubriaco e indulge a
una libertà di linguaggio stucchevole e assoluta? E se quando è innamorato e
dannoso e spiacevole, una volta che l'amore è finito sarà inaffidabile per il tempo
a venire, in prospettiva del quale era riuscito a malapena, con molte promesse
condite di infiniti giuramenti e preghiere e in virtù della speranza di beni
futuri, a mantenere il legame già allora faticoso da sopportare. E allora,
quando bisogna pagare il debito, dato che dentro di sé ha cambiato padrone e
signore, e assennatezza e temperanza hanno preso il posto di amore e follia, è
divenuto un altro senza che il suo amato se ne sia accorto. Questi,
ricordandosi di quanto era stato fatto e detto e pensando di parlare ancora con
la stessa persona, chiede che gli siano ricambiati i favori resi allora; quello
per la vergogna non ha il coraggio di dire che è diventato un altro, né sa come
mantenere i giuramenti e le promesse fatte sotto la dissennata signoria
precedente, dato che ormai ha riacquistato il senno e la temperanza, per non
ridiventare simile a quello che era prima, se non addirittura lo stesso di
prima, facendo le stesse cose. Perciò diventa un fuggiasco, e poiché l'amante
di prima ora è di necessita reo di frode, invertite le parti, muta il suo stato
e si dà alla fuga.(25) L'altro è costretto a inseguire tra lo sdegno e le
imprecazioni, poiché non ha capito tutto fin dal principio, cioè che non
avrebbe mai dovuto compiacere chi ama e di necessità è privo di senno, ma ben
più chi non ama ed è assennato; altrimenti sarebbe inevitabile concedersi a una
persona infida, difficile di carattere, gelosa, spiacevole, danno sa per le
proprie ricchezze, dannosa per la costituzione fisica, ma dannosa nel modo più
assoluto per l'educazione dell'anima, della quale in tutta verità non c'è e mai
ci sarà cosa di maggior valore né per gli uomini né per gli dèi. Pertanto,
ragazzo, bisogna intendere bene questo, e sapere che l'amicizia di un amante
non nasce assieme alla benevolenza, ma alla maniera del cibo, per saziarsi;
come i lupi amano gli agnelli, così gli amanti hanno caro un fanciullo». Questo
è quanto, Fedro. Non mi sentirai dire di più, ma considera ormai finito il
discorso. FEDRO: Eppure io credevo che fosse a metà, e che tu avresti speso
uguali parole per chi non ama, dicendo che bisogna piuttosto compiacere lui e
indicando quanti beni ne derivano; ma ora perché smetti, Socrate? SOCRATE: Non
ti sei accorto, beato, che ormai pronuncio versi epici e non più ditirambi,
proprio mentre muovo questi rimproveri? Se comincerò a elogiare l'altro, cosa
credi che farò? Non lo sai che sarei certamente invasato dalle Ninfe, alle
quali tu mi hai gettato deliberatamente in balia? Perciò in una parola ti dico
che quanti sono i mali che abbiamo biasimato nell'uno tanti sono i beni, ad
essi opposti, che si trovano nell'altro. E che bisogno c'è di un lungo
discorso? Di entrambi si è detto abbastanza. Così il racconto avrà la sorte che
gli spetta; e io, attraversato questo fiume, me ne torno indietro prima di
essere costretto da te a qualcosa di più grande. FEDRO: Non ancora, Socrate,
non prima che sia passata la calura. Non vedi che è all'incirca mezzogiorno,
l'ora che viene chiamata immota? Ma restiamo a discutere sulle cose che abbiamo
detto; non appena farà più fresco, ce ne andremo. SOCRATE: Quanto ai discorsi
sei divino, Fedro, e semplicemente straordinario. Io penso che di tutti i
discorsi prodotti durante la tua vita nessuno ne abbia fatto nascere più di te,
o perché li pronunci di persona o perché costringi in qualche modo altri a
pronunciarli (faccio eccezione per Simmia il Tebano, (26) ma gli altri li vinci
di gran lunga). E ora mi sembra che tu sia stato la causa di un mio nuovo
discorso. FEDRO: Allora non mi dichiari guerra! Ma come, e qual è questo
discorso? SOCRATE: Quando stavo per attraversare il fiume, caro amico, si è
manifestato quel segno divino che è solito manifestarsi a me e che mi trattiene
sempre da ciò che sto per fare. E mi è parso di udire proprio da lì una certa
voce che non mi permette di andare via prima d'essermi purificato, come se
avessi commesso qualche colpa verso la divinità. In effetti sono un indovino,
per la verità non molto bravo, ma, come chi sa a malapena scrivere, valido solo
per me stesso; perciò comprendo chiaramente qual è la colpa. Perché anche
l'anima, caro amico, ha un che di divinatorio; infatti mi ha turbato anche
prima, mentre pronunciavo il discorso, e in qualche modo temevo, come dice
Ibico, che «commesso un fallo» nei confronti degli dèi «consegua fama invece
tra gli umani».(27) Ma ora mi sono reso conto della colpa. FEDRO: Che cosa
dici? 7 Platone Fedro SOCRATE: Terribile, Fedro, terribile è il
discorso che tu hai portato, come quello che poi mi hai costretto a dire!
FEDRO: E perché? SOCRATE: è sciocco e sotto un certo aspetto empio. Quale
discorso potrebbe essere più terribile di questo? FEDRO: Nessuno, se tu dici il
vero. SOCRATE: E allora? Non credi che Eros sia figlio di Afrodite e sia una
creatura divina? FEDRO: Così almeno si dice. SOCRATE: Ma non è detto da Lisia,
né dal tuo discorso, che è stato pronunciato tramite la mia bocca ammaliata da
te. E se Eros è, come appunto è, un dio o un che di divino, non sarebbe affatto
un male, e invece i due discorsi pronunciati ora su di lui ne parlavano come se
fosse un male; in questo dunque hanno commesso una colpa nei confronti dì Eros.
Inoltre la loro semplicità è proprio graziosa, poiché senza dire niente di sano
né di vero si danno delle arie come se fossero chissà cosa, se ingannando
alcuni omiciattoli troveranno fama presso di loro. Pertanto io, caro amico, ho
la necessità di purificarmi; per coloro che commettono delle colpe nei
confronti del mito c'è un antico rito purificatorio, che Omero non conobbe, ma
Stesicoro sì . Costui infatti, privato della vista per aver diffamato Elena,
non ne ignorò la causa come Omero, ma da amante alle Muse quale era la capì e
subito compose questi versi: Questo discorso non è veritiero, non navigasti
sulle navi ben costrutte, non arrivasti alla troiana Pergamo.(28) E dopo aver
composto l'intero carme chiamato Palinodia gli tornò immediatamente la vista.
Io pertanto sarò più saggio di loro almeno sotto questo aspetto: prima di
incorrere in un male per aver diffamato Eros tenterò di offrirgli in cambio la
mia palinodia, col capo scoperto e non velato come allora per la vergogna.
FEDRO: Non avresti potuto dirmi cose più dolci di queste, Socrate. SOCRATE:
Veramente, caro Fedro, tu intendi con quale impudenza siano stati pronunciati i
due discorsi, il mio e quello ricavato dal libro. Se un uomo dall'indole nobile
e affabile, che fosse innamorato di uno come lui o lo fosse stato in
precedenza, ci ascoltasse mentre diciamo che gli amanti sollevano grandi
inimicizie per futili motivi e sono gelosi e dannosi nei confronti dei loro
amati, non credi che avrebbe l'impressione di ascoltare persone allevate in
mezzo ai marinai e che non hanno mai visto un amore libero, e sarebbe ben lungi
dal convenire con noi sui rimproveri che muoviamo ad Eros? FEDRO: Per Zeus, forse
sì , Socrate. SOCRATE: Io dunque, per vergogna nei suoi confronti e per timore
dello stesso Eros, desidero sciacquarmi dalla salsedine che impregna il mio
udito con un discorso d'acqua dolce; e consiglio anche a Lisia di scrivere il
più in fretta possibile che, a parità di condizioni, conviene compiacere più un
amante che chi non ama. FEDRO: Ma sappi bene che sarà così : quando avrai
pronunciato l'elogio dell'amante, sarà inevitabile che Lisia venga costretto da
me a scrivere un altro discorso sullo stesso argomento. SOCRATE: Confido in
ciò, finché sarai quello che sei. FEDRO: Fatti coraggio, dunque, e parla.
SOCRATE: Dov'è il ragazzo a cui parlavo? Faccia in modo di ascoltare anche
questo discorso e non conceda con troppa fretta i suoi favori a chi non ama per
non aver udito le mie parole. FEDRO: Questo ragazzo è accanto a te, molto
vicino, ogni qualvolta tu voglia. SOCRATE: Allora, mio bel ragazzo, tieni
presente che il discorso di prima era di Fedro figlio di Pitocle, del demo di
Mirrinunte, mentre quello che mi accingo a dire è di Stesicoro di Imera, figlio
di Eufemo. Bisogna dunque parlare così : «Non è veritiero il discorso secondo
il quale anche in presenza di un amante si deve piuttosto compiacere chi non
ama, per il fatto che l'uno è in preda a "mania", l'altro è
assennato. Se infatti l'essere in preda a mania fosse un male puro e semplice,
sarebbe ben detto; ora però i beni più grandi ci vengono dalla mania, appunto
in virtù di un dono divino. Infatti la profetessa di Delfi e le sacerdotesse di
Dodona,(29) quando erano prese da mania, procurarono alla Grecia molti e grandi
vantaggi pubblici e privati, mentre quando erano assennate giovarono poco o
nulla. E se parlassimo della Sibilla (30) e di tutti gli altri che, avvalendosi
dell'arte mantica ispirata da un dio, con le loro predizioni in molti casi
indirizzarono bene molte persone verso il futuro, ci dilungheremmo dicendo cose
note a tutti. Merita certamente di essere addotto come testimonianza il fatto
che tra gli antichi coloro che coniavano i nomi non ritenevano la mania una
cosa vergognosa o riprovevole; altrimenti non avrebbero chiamato
"manica" l'arte più bella, con la quale si discerne il futuro,
applicandovi proprio questo nome. Ma considerandola una cosa bella quando nasca
per sorte divina, le imposero questo nome, mentre gli uomini d'oggi, inesperti
del bello, aggiungendo la "t" l'hanno chiamata "mantica".
Così anche la ricerca del futuro che fanno gli uomini assennati mediante il
volo degli uccelli e gli altri segni del cielo, dal momento che tramite
l'intelletto procurano assennatezza e cognizione alla "oiesi", cioè
alla credenza umana, la denominarono "oionoistica", mentre i
contemporanei, volendola nobilitare con la "o" lunga, la chiamano
oionistica.(31) Perciò, quanto più l'arte mantica è perfetta e onorata della
oionistica, e il nome e l'opera dell'una rispetto al nome e all'opera
dell'altra, tanto più bella, secondo la testimonianza degli antichi, è la mania
che viene da un dio rispetto all'assennatezza che viene dagli uomini. Ma la mania,
sorgendo e profetando in coloro in cui doveva manifestarsi, trovò una via di
scampo anche dalle malattie e dalle pene più gravi, che da qualche parte si
abbattono su alcune stirpi a causa di antiche colpe, ricorrendo alle preghiere
e al culto degli dèi; quindi, attraverso purificazioni e iniziazioni, rese
immune chi la possedeva per il tempo presente e futuro, avendo trovato una
liberazione dai mali presenti per chi era in preda a mania e invasamento divino
nel modo giusto. Al terzo posto vengono l'invasamento e la mania provenienti
dalle Muse, che impossessandosi di un'anima tenera e pura la destano e la
colmano di furore bacchico in canti e altri componimenti poetici, e celebrando
innumerevoli opere degli antichi educano i posteri. Chi invece giunge alle
porte della poesia senza 8 Platone Fedro la mania delle Muse,
convinto che sarà un poeta valente grazie all'arte, resta incompiuto e la
poesia di chi è in senno è oscurata da quella di chi si trova in preda a mania.
Queste, e altre ancora, sono le belle opere di una mania proveniente dagli dèi
che ti posso elencare. Pertanto non dobbiamo aver paura di ciò, né deve
sconvolgerci un discorso che cerchi di intimorirci asserendo che si deve
preferire come amico l'uomo assennato a quello in stato di eccitazione; ma il
mio discorso dovrà riportare la vittoria dimostrando, oltre a quanto detto
prima, che l'amore non è inviato dagli dèi all'amante e all'amato perché ne
traggano giovamento. Noi dobbiamo invece dimostrare il contrario, cioè che tale
mania è concessa dagli dèi per la nostra più grande felicità; e la
dimostrazione non sarà persuasiva per i valent'uomini, ma lo sarà per i
sapienti. Prima di tutto dunque bisogna intendere la verità riguardo alla
natura dell'anima divina e umana, considerando le sue condizioni e le sue
opere. L'inizio della dimostrazione è il seguente. Ogni anima è immortale.
Infatti ciò che sempre si muove è immortale, mentre ciò che muove altro e da
altro è mosso termina la sua vita quando termina il suo movimento. Soltanto ciò
che muove se stesso, dal momento che non lascia se stesso, non cessa mai di
muoversi, ma è fonte e principio di movimento anche per tutte le altre cose
dotate di movimento. Il principio però non è generato. Infatti è necessario che
tutto ciò che nasce si generi da un principio, ma quest'ultimo non abbia
origine da qualcosa, poiché se un principio nascesse da qualcosa non sarebbe
più un principio. E poiché non è generato, è necessario che sia anche
incorrotto; infatti, se un principio perisce, né esso nascerà da qualcosa né
altra cosa da esso, dato che ogni cosa deve nascere da un principio. Così
principio di movimento è ciò che muove se stesso. Esso non può né perire né
nascere, altrimenti tutto il cielo e tutta la terra, riuniti in corpo unico,
resterebbero immobili e non avrebbero più ciò da cui ricevere di nuovo nascita
e movimento. Una volta stabilito che ciò che si muove da sé è immortale, non si
proverà vergogna a dire che proprio questa è l'essenza e la definizione
dell'anima. Infatti ogni corpo a cui l'essere in movimento proviene
dall'esterno è inanimato, mentre quello cui tale facoltà proviene dall'interno,
cioè da se stesso, è animato, poiché la natura dell'anima è questa; ma se è
così , ovvero se ciò che muove se stesso non può essere altro che l'anima, di
necessità l'anima sarà ingenerata e immortale. Sulla sua immortalità si è detto
a sufficienza; sulla sua idea bisogna dire quanto segue. Spiegare quale sia,
sarebbe proprio di un'esposizione divina sotto ogni aspetto e lunga, dire
invece a che cosa assomigli, è proprio di un'esposizione umana e più breve;
parliamone dunque in questa maniera. Si immagini l'anima simile a una forza
costituita per sua natura da una biga alata e da un auriga.(32) I cavalli e gli
aurighi degli dèi sono tutti buoni e nati da buoni, quelli degli altri sono
misti. E innanzitutto l'auriga che è in noi guida un carro a due, poi dei due
cavalli uno è bello, buono e nato da cavalli d'ugual specie, l'altro è
contrario e nato da stirpe contraria; perciò la guida, per quanto ci riguarda,
è di necessità difficile e molesta. Quindi bisogna cercare di definire in che
senso il vivente è stato chiamato mortale e immortale. Ogni anima si prende
cura di tutto ciò che è inanimato e gira tutto il cielo ora in una forma, ora
nell'altra. Se è perfetta e alata, essa vola in alto e governa tutto il mondo,
se invece ha perduto le ali viene trascinata giù finché non s'aggrappa a
qualcosa di solido; qui stabilisce la sua dimora e assume un corpo terreno, che
per la forza derivata da essa sembra muoversi da sé. Questo insieme, composto
di anima e corpo, fu chiamato vivente ed ebbe il soprannome di mortale.
Viceversa ciò che è immortale non può essere spiegato con un solo discorso
razionale, ma senza averlo visto e inteso in maniera adeguata ci figuriamo un
dio, un essere vivente e immortale, fornito di un'anima e di un corpo
eternamente connaturati. Ma di queste cose si pensi e si dica così come piace
al dio; noi cerchiamo di cogliere la causa della perdita delle ali, per la
quale esse si staccano dall'anima. E la causa è all'incirca questa. La potenza
dell'ala tende per sua natura a portare in alto ciò che è pesante, sollevandolo
dove abita la stirpe degli dèi, e in certo modo partecipa del divino più di
tutte le cose inerenti il corpo. Il divino è bello, sapiente, buono, e tutto
ciò che è tale; da queste qualità l'ala dell'anima e nutrita e accresciuta in
sommo grado, mentre viene consunta e rovinata da ciò che è brutto, cattivo e
contrario ad esse. Zeus, il grande sovrano che è in cielo, procede per primo
alla guida del carro alato, dà ordine a tutto e di tutto si prende cura; lo
segue un esercito di dèi e di demoni, ordinato in undici schiere. La sola Estia
resta nella dimora degli dèi; quanto agli altri dèi, quelli che in numero di
dodici sono stati posti come capi guidano ciascuno la propria schiera secondo
l'ordine assegnato.(33) Molte e beate sono le visioni e i percorsi entro il
cielo, per i quali si volge la stirpe degli dèi eternamente felici, adempiendo
ciascuno il proprio compito. E tiene dietro a loro chi sempre lo vuole e lo
può; infatti l'invidia sta fuori del coro divino. Quando poi vanno a banchetto
per nutrirsi, procedono in ardua salita verso la sommità della volta celeste,
dove i carri degli dèi, ben equilibrati e agili da guidare, procedono
facilmente, gli altri invece a fatica; infatti il cavallo che partecipa del
male si inclina, e piegando verso terra grava col suo peso l'auriga che non
l'ha allevato bene. Qui all'anima si presenta la fatica e la prova suprema.
Infatti quelle che sono chiamate immortali, una volta giunte alla sommità,
procedono al di fuori posandosi sul dorso del cielo, la cui rotazione le
trasporta in questa posa, mentre esse contemplano ciò che sta fuori del cielo.
Nessuno dei poeti di quaggiù ha mai cantato né mai canterà in modo degno il
luogo iperuranio.(34) La cosa sta in questo modo (bisogna infatti avere il
coraggio di dire il vero, tanto più se si parla della verità): l'essere che
realmente è, senza colore, senza forma e invisibile, che può essere contemplato
solo dall'intelletto timoniere dell'anima e intorno al quale verte il genere
della vera conoscenza, occupa questo luogo. Poiché dunque la mente di un dio è
nutrita da un intelletto e da una scienza pura, anche quella di ogni anima cui
preme di ricevere ciò che conviene si appaga di vedere dopo un certo tempo
l'essere, e contemplando il vero se ne nutre e ne gode, finché la rotazione
ciclica del cielo non l'abbia riportata allo stesso punto. Nel giro che essa
compie vede la giustizia stessa, vede la temperanza, vede la scienza, 9
Platone Fedro non quella cui è connesso il divenire, e neppure quella che
in certo modo è altra perché si fonda su altre cose da quelle che ora noi
chiamiamo esseri, ma quella scienza che si fonda su ciò che è realmente essere;
e dopo che ha contemplato allo stesso modo gli altri esseri che realmente sono
e se ne è saziata, si immerge nuovamente all'interno del cielo e fa ritorno
alla sua dimora. Una volta arrivata l'auriga, condotti i cavalli alla
mangiatoia, mette innanzi a loro ambrosia e in più dà loro da bere del nettare.
Questa è la vita degli dèi. Quanto alle altre anime, l'una, seguendo nel
migliore dei modi il dio e rendendosi simile a lui, solleva il capo dell'auriga
verso il luogo fuori del cielo e viene trasportata nella sua rotazione, ma
essendo turbata dai cavalli vede a fatica gli esseri; l'altra ora solleva il
capo, ora piega verso il basso, e poiché i cavalli la costringono a forza
riesce a vedere alcuni esseri, altri no. Seguono le altre anime, che aspirano
tutte quante a salire in alto, ma non essendone capaci vengono sommerse e
trasportate tutt'intorno, calpestandosi tra loro, accalcandosi e cercando di
arrivare una prima dell'altra. Nasce così una confusione e una lotta condita
del massimo sudore, nella quale per lo scarso valore degli aurighi molte anime
restano azzoppate, e a molte altre si spezzano molte penne; tutte, data la
grande fatica, se ne partono senza aver raggiunto la contemplazione dell'essere
e una volta tornate indietro si nutrono del cibo dell'opinione. La ragione per
cui esse mettono tanto impegno per vedere dov'è sita la pianura della verità è
questa: il cibo adatto alla parte migliore dell'anima viene dal prato che si
trova là, e di esso si nutre la natura dell'ala con cui l'anima si solleva in
volo. Questa è la legge di Adrastea.(35) L'anima che, divenuta seguace del dio,
abbia visto qualcuna delle verità, non subisce danno fino al giro successivo, e
se riesce a fare ciò ogni volta, resta intatta per sempre; qualora invece, non
riuscendo a tenere dietro al dio, non abbia visto, e per qualche accidente,
riempitasi di oblio e di ignavia, sia appesantita e a causa del suo peso perda
le ali e cada sulla terra, allora è legge che essa non si trapianti in alcuna
natura animale nella prima generazione. Invece l'anima che ha visto il maggior
numero di esseri si trapianterà nel seme di un uomo destinato a diventare
filosofo o amante del bello o seguace delle Muse o incline all'amore. L'anima
che viene per seconda si trapianterà in un re rispettoso delle leggi o in un
uomo atto alla guerra e al comando, quella che viene per terza in un uomo atto
ad amministrare lo Stato o la casa o le ricchezze, la quarta in un uomo che
sarà amante delle fatiche o degli esercizi ginnici o esperto nella cura del
corpo, la quinta è destinata ad avere la vita di un indovino o di un iniziatore
ai misteri. Alla sesta sarà confacente la vita di un poeta o di qualcun altro
di coloro che si occupano dell'imitazione, alla settima la vita di un artigiano
o di un contadino, all'ottava la vita di un sofista o di un seduttore del
popolo, alla nona quella di un tiranno. Tra tutti questi, chi ha condotto la
vita secondo giustizia partecipa di una sorte migliore, chi invece è vissuto
contro giustizia, di una peggiore; infatti ciascuna anima non torna nel luogo
donde è venuta per diecimila anni, poiché non rimette le ali prima di questo
periodo di tempo, tranne quella di colui che ha coltivato la filosofia senza
inganno o ha amato i fanciulli secondo filosofia. Queste anime, al terzo giro
di mille anni, se hanno scelto per tre volte di seguito una tale vita,
rimettono in questo modo le ali e al compiere dei tremila anni tornano
indietro. Quanto alle altre, quando giungono al termine della prima vita tocca
loro un giudizio, e dopo essere state giudicate le une vanno nei luoghi di
espiazione sotto terra a scontare la loro pena, le altre, innalzate dalla
Giustizia in un luogo del cielo, trascorrono il tempo in modo corrispondente
alla vita che vissero in forma d'uomo. Al millesimo anno le une e le altre, giunte
al sorteggio e alla scelta della seconda vita, scelgono quella che ciascuna
vuole: qui un'anima umana può anche finire in una vita animale, e chi una volta
era stato uomo può ritornare da bestia uomo, poiché l'anima che non ha mai
visto la verità non giungerà mai a tale forma. L'uomo infatti deve comprendere
in funzione di ciò che viene detto idea, e che muovendo da una molteplicità di
sensazioni viene raccolto dal pensiero in unità; questa è la reminiscenza delle
cose che un tempo la nostra anima vide nel suo procedere assieme al dio, quando
guardò dall'alto ciò che ora definiamo essere e levò il capo verso ciò che
realmente è. Perciò giustamente solo l'anima del filosofo mette le ali, poiché
grazie al ricordo, secondo le sue facoltà, la sua mente è sempre rivolta alle
entità in virtù delle quali un dio è divino. Quindi l'uomo che si avvale
rettamente di tali reminiscenze, essendo sempre iniziato a misteri perfetti,
diventa lui solo realmente perfetto; dato però che si distacca dalle
occupazioni degli uomini e si fa accosto al divino, è ripreso dai più come se
delirasse, ma sfugge ai più che è invasato da un dio. Questo dunque è il punto
d'arrivo di tutto il discorso sulla quarta forma di mania, quella per cui uno,
al vedere la bellezza di quaggiù, ricordandosi della vera bellezza mette nuove
ali e desidera levarsi in volo, ma non essendone capace guarda in alto come un
uccello, senza curarsi di ciò che sta in basso, e così subisce l'accusa di
trovarsi in istato di mania: di tutte le ispirazioni divine questa, per chi la
possiede e ha comunanza con essa, è la migliore e deriva dalle cose migliori, e
chi ama le persone belle e partecipa di tale mania è chiamato amante. Infatti,
come si è detto, ogni anima d'uomo per natura ha contemplato gli esseri, altrimenti
non si sarebbe incarnata in un tale vivente. Ma ricordarsi di quegli esseri
procedendo dalle cose di quaggiù non è alla portata di ogni anima, né di quelle
che allora videro gli esseri di lassù per breve tempo, né di quelle che, cadute
qui, hanno avuto una cattiva sorte, al punto che, volte da cattive compagnie
all'ingiustizia, obliano le sacre realtà che videro allora. Ne restano poche
nelle quali il ricordo si conserva in misura sufficiente: queste, qualora
vedano una copia degli esseri di lassù, restano sbigottite e non sono più in
sé, ma non sanno cosa sia ciò che provano, perché non ne hanno percezione
sufficiente. Così della giustizia, della temperanza e di tutte le altre cose
che hanno valore per le anime non c'è splendore alcuno nelle copie di quaggiù,
ma soltanto pochi, accostandosi alle immagini, contemplano a fatica, attraverso
i loro organi ottusi, la matrice del modello riprodotto. Allora invece si
poteva vedere la bellezza nel suo splendore, quando in un coro felice, noi al
seguito di Zeus, altri di un altro dio, godemmo di una visione e di una
contemplazione beata ed eravamo iniziati a quello che è lecito chiamare il più
beato dei misteri, che celebravamo in perfetta integrità e immuni dalla prova
di tutti quei mali che dovevano attenderci nel tempo a venire, contemplando
nella nostra iniziazione mistica visioni perfette, semplici, immutabili e
10 Platone Fedro beate in una luce pura, poiché eravamo purì e non
rinchiusi in questo che ora chiamiamo corpo e portiamo in giro con noi, incatenati
dentro ad esso come un'ostrica. Queste parole siano un omaggio al ricordo, in
virtù del quale, per il desiderio delle cose d'allora, ora si è parlato
piuttosto a lungo. Quanto alla bellezza, come si è detto, essa brillava tra le
cose di lassù come essere, e noi, tornati qui sulla terra, l'abbiamo colta con
la più vivida delle nostre sensazioni, in quanto risplende nel modo più vivido.
Per noi infatti la vista è la più acuta delle sensazioni che riceviamo
attraverso il corpo, ma essa non ci permette di vedere la saggezza (poiché
susciterebbe terribili amori, se giungendo alla nostra vista le offrisse
un'immagine di sé così splendente) e le altre realtà degne d'amore. Ora invece
soltanto la bellezza ebbe questa sorte, di essere ciò che più di tutto è manifesto
e amabile. Chi dunque non è iniziato di recente, o è corrotto, non si innalza
con pronto acume da qui a lassù, verso la bellezza in sé, quando contempla ciò
che quaggiù porta il suo nome; di conseguenza quando guarda ad essa non la
venera, ma consegnandosi al piacere imprende a montare e a generare figli a mo'
di quadrupede, e comportandosi con tracotanza non ha timore né vergogna di
inseguire un piacere contro natura. Invece chi è iniziato di recente e ha
contemplato molto le realtà di allora, quando vede un volto d'aspetto divino
che ha ben imitato la bellezza o una qualche forma ideale di corpo, dapprima
sente dei brividi e gli sottentra qualcuna delle paure di allora, poi,
guardandolo, lo venera come un dio, e se non temesse di acquistarsi fama di eccessiva
mania farebbe sacrifici al suo amato come a una statua o a un dio. Al vederlo,
lo afferra come una mutazione provocata dai brividi, un sudore e un calore
insolito; e ricevuto attraverso gli occhi il flusso della bellezza, prende
calore là dove la natura dell'ala si abbevera. Una volta che si è riscaldato si
liquefano le parti attorno al punto donde l'ala germoglia, che essendo da tempo
tappate a causa della secchezza le impedivano di fiorire. Così , grazie
all'afflusso del nutrimento, lo stelo dell'ala si gonfia e prende a crescere
dalla radice per tutta la forma dell'anima; un tempo infatti era tutta alata. A
questo punto essa ribolle tutta quanta e trabocca, e la stessa sensazione che
prova chi mette i denti nel momento in cui essi spuntano, ossia prurito e
irritazione alle gengive, la prova anche l'anima di chi comincia a mettere le
ali: quando le ali spuntano ribolle e prova un senso di irritazione e
solletico. Dunque, quando l'anima, mirando la bellezza del fanciullo, riceve
delle parti che da essa provengono e fluiscono (e che appunto per questo sono
chiamate flusso d'amore) (36) e ne viene irrigata e scaldata, si riprende dal
dolore e si allieta. Quando invece ne è separata e inaridisce, le bocche dei
condotti donde spunta fuori l'ala si disseccano e si serrano, impedendone il
germoglio; ma esso, rimasto chiuso dentro assieme al flusso d'amore, pulsando
come le arterie pizzica nei condotti, ciascun germoglio nel proprio, tanto che
l'anima, pungolata tutt'intorno, è presa da assillo e dolore, e tornandole il
ricordo della bellezza si allieta. In seguito alla mescolanza di entrambe le
cose, l'anima è turbata per la stranezza di ciò che prova e trovandosi senza
via d'uscita comincia a smaniare; ed essendo in stato di mania non può né
dormire di notte né di giorno restare ferma dov'è, ma corre in preda al
desiderio dove crede di poter vedere colui che possiede la bellezza: e una
volta che l'ha visto e si è imbevuta del flusso d'amore, libera i condotti che
allora si erano ostruiti, riprende fiato e cessa di avere pungoli e dolore, e
allora coglie, nel momento presente, il frutto di questo dolcissimo piacere.
Perciò non se ne distacca di sua volontà e non tiene in conto nessuno più del
suo bello, ma si dimentica di madri, fratelli e di tutti i compagni, e non gli
importa nulla se le sue sostanze vanno in rovina perché non se ne cura, anzi
disprezza tutte le consuetudini e le convenienze di cui si ornava prima
d'allora ed è disposta a servire l'amato e a giacere con lui ovunque gli sia
concesso di stare il più vicino possibile al suo desiderio; infatti, oltre a
venerarlo, ha trovato in colui che possiede la bellezza l'unico medico dei suoi
più grandi travagli. A questa passione cui si rivolge il mio discorso, o bel
fanciullo, gli uomini danno il nome di eros, gli dèi invece la chiamano in un
modo che a sentirlo, data la tua giovane età, ti metterai ragionevolmente a
ridere. Alcuni Omeridi citano due versi, credo presi da poemi segreti,
riguardanti Eros, uno dei quali è piuttosto insolente e non del tutto corretto
come metro; essi suonano così : I mortali lo chiamano Eros alato, gli immortali
Pteros, ché fa crescere l'ali.(37) A questi versi si può credere oppure non
credere; non di meno la causa e la sensazione di chi ama è proprio questa. Ora,
se chi è stato colto da Eros era uno dei seguaci di Zeus, riesce a sopportare
con più fermezza il peso del dio che trae il nome dalle ali; quelli che erano
al servizio di Ares e giravano il cielo assieme a lui, quando sono presi da
Eros e pensano di subire qualche torto dall'amato, sono sanguinari e pronti a
sacrificare se stessi e il proprio amore. Così ciascuno conduce la sua vita in
base al dio del cui coro era seguace, onorandolo e imitandolo per quanto gli è
possibile, finché resta incorrotto e vive la prima esistenza quaggiù, e in
questo modo si accompagna e ha relazione con gli amati e con le altre persone.
Quindi ciascuno sceglie tra i belli il suo Eros secondo il proprio carattere, e
come fosse un dio gli edifica una specie di statua e l'abbellisce per onorarla e
tributarle riti. I seguaci di Zeus cercano il loro amato in chi ha l'anima
conforme al loro dio:(38) pertanto guardano se per natura sia filosofo e atto
al comando, e quando l'hanno trovato e ne se sono innamorati, fanno di tutto
affinché sia effettivamente tale. E se prima non si erano impegnati in
un'occupazione del genere, da quel momento vi mettono mano e imparano da dove è
loro possibile, continuando poi anche da soli, e seguendo le tracce riescono a
trovare per loro conto la natura del proprio dio, perché sono stati
intensamente costretti a volgere lo sguardo verso di lui; e quando entrano in
contatto con lui sono presi da invasamento e tramite il ricordo ne assumono le
abitudini e le occupazioni, per quanto è possibile a un uomo partecipare della natura
di un dio. E poiché ne attribuiscono la causa all'amato, lo tengono ancora più
caro, e sebbene attingano da Zeus come le Baccanti,(39) riversando ciò che
attingono nell'anima dell'amato lo rendono il più possibile simile al loro dio.
Coloro che invece erano al seguito di Era cercano un'anima regale, e trovatala
fanno per lei esattamente le stesse cose. Quelli del seguito di Apollo e di
ciascuno degli altri dèi, procedendo secondo il loro dio, bramano che il
proprio fanciullo abbia un'uguale natura, e una volta che se lo sono procurato
imitano essi stessi il dio e con la persuasione e 11 Platone Fedro
l'ammaestramento portano l'amato ad assumere l'attività e la forma di quello,
ciascuno per quanto può; e lo fanno senza comportarsi nei confronti dell'amato
con gelosia o con rozza malevolenza, ma cercando di indurlo alla somiglianza
più completa possibile con se stessi e con il dio che onorano. Dunque l'ardore
e l'iniziazione di coloro che veramente amano, se ottengono ciò che desiderano
nel modo che dico, diventano così belle e felici per chi è amato, qualora venga
conquistato dall'amico che si trova in stato di mania per amore; e chi è
conquistato cede all'amore in questo modo. Come all'inizio dì questa narrazione
in forma di mito abbiamo diviso ciascuna anima in tre parti, due con forma di
cavallo, la terza con forma di auriga, questa distinzione resti per noi un
punto fermo anche adesso. Uno dei cavalli diciamo che è buono, l'altro no:
quale sia però la virtù di quello buono e il vizio di quello cattivo, non
l'abbiamo precisato, e ora bisogna dirlo. Dunque, quello tra i due che si trova
nella disposizione migliore è di forma eretta e ben strutturata, di collo alto
e narici adunche, bianco a vedersi, con gli occhi neri, amante dell'onore unito
a temperanza e pudore e compagno della fama veritiera, non ha bisogno di frusta
e si lascia guidare solo con lo stimolo e la parola; l'altro invece è storto,
grosso, mal conformato, di collo massiccio e corto, col naso schiacciato, il
pelo nero, gli occhi chiari e iniettati di sangue, compagno di tracotanza e
vanteria, dalle orecchie pelose, sordo, e cede a fatica alla frusta e agli
speroni. Quando dunque l'auriga, scorgendo la visione amorosa, prende calore in
tutta l'anima per la sensazione che prova ed è ricolmo di solletico e dei
pungoli del desiderio, il cavallo che obbedisce docilmente all'auriga, tenuto a
freno, allora come sempre, dal pudore, si trattiene dal balzare addosso
all'amato; l'altro invece non cura più né i pungoli dell'auriga né la frusta,
ma imbizzarrisce e si lancia al galoppo con violenza, e procurando ogni sorta
di molestie al compagno di giogo e all'auriga li costringe a dirigersi verso
l'amato e a rammentare la dolcezza dei piaceri d'amore. All'inizio essi si
oppongono sdegnati, al pensiero dì essere costretti ad azioni terribili e
inique; ma alla fine, quando non c'è più alcun limite al male, si lasciano
trascinare nel loro percorso, cedendo e acconsentendo a fare quanto viene loro
ordinato. Allora si fanno presso a lui e hanno la visione folgorante
dell'amato. Scorgendolo, la memoria dell'auriga è ricondotta alla natura della
bellezza, che vede di nuovo collocata su un casto piedistallo assieme alla
temperanza; a tale vista è colta da paura e per la reverenza che le porta cade
supina, e nello stesso tempo è costretta a tirare indietro le redini così forte
che entrambi i cavalli si piegano sulle cosce, l'uno, spontaneamente perché non
recalcitra, quello protervo decisamente contro voglia. Ritiratisi più lontano,
l'uno per vergogna e sbigottimento bagna tutta l'anima di sudore, l'altro,
cessato il dolore che gli veniva dal morso e dalla caduta, a fatica riprende
fiato e incomincia, pieno d'ira com'è, a ingiuriare, coprendo di male parole
l'auriga e il compagno di giogo perché per viltà e debolezza hanno abbandonato
il posto e l'accordo convenuto. E costringendoli di nuovo ad avanzare contro la
loro volontà a stento cede alle loro preghiere di rimandare a un'altra volta.
Quando poi è giunto il tempo stabilito ed essi fingono di non ricordarsene, lo
rammenta a loro con la forza, nitrendo e trascinandoli con sé, e li obbliga ad
accostarsi di nuovo all'amato per fare i medesimi discorsi; e quando sono
vicini tende la testa in avanti e rizza la coda, mordendo il freno, e li
trascina con impudenza. L'auriga, sentendo ancora più intensamente la stessa
impressione di prima, come respinto dalla fune al cancello di partenza, tira
indietro ancora più forte il morso dai denti del cavallo protervo, insanguina
la lingua maldicente e le mascelle e piegandogli a terra le gambe e le cosce lo
dà in preda ai dolori. Quando poi il cavallo malvagio, subendo la medesima cosa
più volte, desiste dalla sua tracotanza, umiliato segue ormai il proposito
dell'auriga, e quando vede il bel fanciullo, muore dalla paura; di conseguenza
accade che a questo punto l'anima dell'amante segua l'amato con pudicizia e
timore. Poiché dunque l'amato, come un essere pari agli dèi, è oggetto di ogni
venerazione da parte dell'amante che non simula, ma prova veramente questo
sentimento, ed è egli stesso per natura amico di chi lo venera, se anche in
precedenza fosse stato ingannato dalle persone che frequentava o da altre, le
quali sostenevano che è cosa turpe accostarsi a chi ama, e per questo motivo
avesse respinto l'amante, ora, col passare del tempo, l'età e la necessità lo
inducono ad ammetterlo alla sua compagnia; infatti non accade mai che un
malvagio sia amico di un malvagio, né che un buono non sia amico di un buono. E
dopo averlo ammesso presso di sé e avere accettato di parlare con lui e stare
in sua compagnia, la benevolenza dell'amante, manifestandosi da vicino,
colpisce l'amato, il quale si avvede che tutti gli altri amici e parenti non
offrono neppure una parte di amicizia a confronto dell'amico ispirato da un
dio. Quando poi questi continua a fare ciò nel tempo e si accompagna all'amato
incontrandolo nei ginnasi e negli altri luoghi di ritrovo, allora la fonte di
quei flusso che Zeus, innamorato di Ganimede, (40) chiamò flusso d'amore,
scorrendo in abbondanza verso l'amante dapprima penetra in lui, poi, quando ne
è ricolmo, scorre fuori; e come un soffio di vento o un'eco, rimbalzando da
corpi lisci e solidi, ritornano là dov'erano partiti, così il flusso della
bellezza ritorna al bel fanciullo attraverso gli occhi, e di qui per sua natura
arriva all'anima. Quando vi è giunto la incoraggia a volare, quindi irriga i
condotti delle ali e comincia a farle crescere, e così riempie d'amore anche
l'anima dell'amato. Pertanto egli ama, ma non sa che cosa; e neppure è a
conoscenza di cosa prova né è in grado di dirlo, ma come chi ha contratto una
malattia agli occhi da un altro non è in grado di spiegarne la causa, così egli
non si accorge di vedere se stesso nell'amante come in uno specchio. E in
presenza di questi, il suo dolore cessa esattamente come a lui, se invece è
assente allo stesso modo di lui desidera ed è desiderato, perché reca in sé una
sembianza d'amore che dell'amore è sostituto: però non lo chiama e non lo crede
amore, bensì amicizia. Più o meno come l'amante, ma in misura più debole,
desidera vederlo, toccarlo, baciarlo, giacere con lui; e com'è naturale, in
seguito non tarda a fare cio. Quando dunque giacciono insieme, il cavallo
sfrenato dell'amante ha di che dire all'auriga, e pretende di trarre un piccolo
guadagno in cambio di tante fatiche; invece quello dell'amato non ha nulla da
dire, ma, gonfio di desiderio e ancora incerto abbraccia e bacia l'amante,
manifestandogli affetto per la sua grande benevolenza. Così , nel momento in
cui si congiungono, non è più tale da rifiutare di compiacere da parte sua
l'amante, se viene pregato di soddisfare; ma il compagno di giogo assieme
all'auriga 12 Platone Fedro si oppone a ciò, obbedendo al pudore e
alla ragione. Se dunque prevalgono le parti migliori dell'animo, quelle che
guidano a un'esistenza ordinata e alla filosofia, essi trascorrono la vita di
quaggiù in modo beato e concorde, poiché sono padroni di sé e ben regolati,
avendo sottomesso ciò in cui nasce il male dell'anima e liberato ciò in cui
nasce la virtù; e alla fine, divenuti alati e leggeri, hanno vinto una delle
tre gare veramente olimpiche, di cui né la temperanza umana né la mania divina
possono fornire all'uomo un bene più grande.(41) Se invece seguono un genere di
vita piuttosto grossolano e privo di filosofia, ma ambizioso, forse, in stato
di ubriachezza o in qualche altro momento di negligenza, i loro due compagni di
giogo sfrenati, cogliendo le anime alla sprovvista e portandole nella stessa
direzione, possono compiere la scelta che tanti considerano la più beata e mandarla
ad effetto; e una volta che l'hanno mandata ad effetto, se ne avvalgono anche
in futuro, ma raramente, poiché fanno cose che non sono approvate da tutta
l'anima. Anche costoro vivono in amicizia reciproca, ma meno di quelli, sia
durante l'amore sia quando ne sono usciti, credendo di essersi dati l'un
l'altro e di aver ricevuto i più grandi pegni, che non è lecito sciogliere
perché ciò condurrebbe all'inimicizia. Al termine della vita escono dal corpo
senz'ali, ma col desiderio di metterle, cosicché riportano un premio non
piccolo della loro mania amorosa; infatti non è legge che coloro i quali hanno
già iniziato il cammino sotto la volta del cielo scendano di nuovo nella
tenebra e camminino sotto terra, bensì che trascorrano una vita luminosa e felice
compiendo il viaggio in compagnia reciproca, e che una volta rinati rimettano
le ali assieme per grazia dell'amore. Questi doni così grandi e così divini, o
fanciullo, ti darà l'amicizia da parte di un amante. Invece la compagnia di chi
non ama, mescolata con temperanza mortale, capace di amministrare cose mortali
e misere, dopo aver generato nell'anima amata una bassezza lodata dal volgo
come virtù, la farà girare priva di senno attorno alla terra e sotto terra per
novemila anni. Questa, caro Eros, per le nostre facoltà, è la più bella e
virtuosa palinodia che abbiamo potuto offrirti in dono e in espiazione,
costretta a causa di Fedro a essere pronunciata, oltre al resto, anche con
alcune parole poetiche. Ma tu concedi il perdono per le cose di prima e serba
gratitudine per queste, e, benevolo e propizio, non togliermi e non storpiarmì
per la collera l'arte amorosa che mi hai dato, anzi concedimi di essere in
onore tra i bei fanciulli ancor più di adesso. E se nel discorso precedente io
e Fedro abbiamo detto qualcosa che a te suona stonata, attribuiscine la colpa a
Lisia, che del discorso è padre, e fallo desistere da simili prolusioni,
volgendolo alla filosofia come si è volto suo fratello Polemarco,(42) affinché
anche questo suo amante non sia nel dubbio come ora, ma dedichi senz'altro la
sua vita ad Eros in compagnia di discorsi filosofici. FEDRO: Mi unisco alla tua
preghiera, Socrate: se questo è meglio per noi, che avvenga. Da un pezzo ho
ammirato il tuo discorso per quanto l'hai reso più bello del precedente; quindi
temo che Lisia mi appaia misero, quand'anche voglia opporre ad esso un altro
discorso. Recentemente infatti, mirabile amico, un politico lo biasimava
criticandolo proprio per questo, e in tutta la sua critica lo chiamava
logografo;(43) perciò forse si tratterrà per ambizione dallo scrivercene un
altro. SOCRATE: Ragazzo, la tua opinione è ridicola, e quanto al tuo compagno
sbagli di grosso, se credi che si spaventi così al minimo rumore. Ma forse
pensi che chi lo biasimava dicesse quello che ha detto proprio per criticarlo.
FEDRO: Così pareva, Socrate; del resto sei anche tu conscio che coloro che
nelle città hanno il massimo potere e la massima reverenza si vergognano a
scrivere discorsi e a lasciare propri scritti, temendo l'opinione dei posteri,
cioè di essere chiamati sofisti. SOCRATE: Ti sei scordato, Fedro, che la dolce
ansa ha preso il nome dalla lunga ansa del Nilo (44) e oltre all'ansa
dimentichi che gli uomini di governo piu assennati amano tantissimo comporre
discorsi e lasciare propri scritti, almeno quelli che, quando scrivono un
discorso, apprezzano a tal punto chi li loda da aggiungere in testa per primi i
nomi di quelli che li devono lodare in ogni singola occasione. FEDRO: In che
senso dici ciò? Non capisco. SOCRATE: Non capisci che all'inizio del discorso
di un uomo politico per primo viene scritto il nome di chi lo loda! FEDRO: E
come? SOCRATE: «Il consiglio ha deciso», dice più o meno, ovvero «il popolo ha
deciso», o entrambi, e ancora «il tale e il tal altro ha detto» (e qui lo
scrittore cita se stesso con grande reverenza e si fa l'elogio). Poi si mette a
parlare, mostrando a chi lo loda la sua abilità, talvolta dopo aver composto
uno scritto assai lungo. O ti pare che una cosa del genere sia altro che un
discorso scritto? FEDRO: Non mi pare proprio. SOCRATE: Quindi, se il discorso
regge, l'autore esce di scena tutto lieto; se invece viene escluso e radiato
dallo scrivere discorsi e dall'essere degno di scriverli, piangono lui e i suoi
compagni. FEDRO: E anche molto! SOCRATE: è chiaro dunque che non disprezzano
questa attività, ma l'ammirano. FEDRO: Sicuro! SOCRATE: E allora? Quando un
retore o un re è in grado di raggiungere la potenza di Licurgo, di Solone o di
Dario (45) e di diventare un logografo immortale nella sua città, non si crede
forse egli stesso pari agli dèi mentre ancora vive, e i posteri non pensano di
lui la stessa cosa, contemplando i suoi scritti? FEDRO: Certamente! SOCRATE:
Credi allora che uno di costoro, chiunque sia e in qualunque modo sia ostile a
Lisia, lo biasimi proprio perché scrive discorsi? 13 Platone Fedro
FEDRO: Non è verosimile, da ciò che dici, poiché a quanto pare criticherebbe
anche il proprio desiderio. SOCRATE: Allora è chiaro a tutti che non è cosa
turpe in sé lo scrivere discorsi. FEDRO: Ma certo. SOCRATE: Ora però io ritengo
turpe questo, il pronunciarli e scriverli in modo non bello, ma riprovevole e
disonesto. FEDRO: è chiaro. SOCRATE: E allora qual è il modo di scriverli bene
e quale il modo contrario? Abbiamo bisogno, Fedro, di esaminare a questo
proposito Lisia e chiunque altro abbia mai composto o comporrà uno scritto sia
pubblico sia privato, in versi come un poeta o non in versi come un prosatore?
FEDRO: Chiedi se ne abbiamo bisogno? E per quale ragione uno, oserei dire,
vivrebbe, se non per i piaceri di questo tipo? Non certo per quelli per cui
bisogna prima soffrire, altrimenti non si prova godimento, come sono quasi
tutti i piaceri del corpo, che per questo motivo sono stati giustamente
chiamati servili. SOCRATE: Tempo ne abbiamo, a quanto pare. E poi mi sembra che
in questa calura soffocante le cicale, cantando sopra la nostra testa e
discorrendo tra loro, guardino anche noi. Se dunque vedessero che anche noi
due, come fanno i più a mezzogiorno, non discorriamo, ma sonnecchiamo e ci
lasciamo incantare da loro per pigrizia della mente, giustamente ci
deriderebbero, considerandoci degli schiavi venuti da loro per dormire in
questo luogo di sosta come delle pecore che passano il pomeriggio presso la
fonte; se invece ci vedranno discorrere e navigare accanto a loro come alle
Sirene senza essere ammaliati, forse, prese da ammirazione, ci daranno quel
dono che per concessione degli dèi possono dare agli uomini. FEDRO: E qual è
questo dono che hanno? A quanto pare, non l'ho mai sentito. SOCRATE: Non si
addice davvero a un uomo amante delle Muse non averne mai sentito parlare.(46)
Si dice che un tempo le cicale erano uomini, di quelli vissuti prima che
nascessero le Muse; quando poi nacquero le Muse e comparve il canto, alcuni di
loro restarono così colpiti dal piacere che cantando non si curarono più di
cibo e bevanda e senza accorgersene morirono. Da loro in seguito ebbe origine
la stirpe delle cicale, che ricevette dalle Muse questo dono, di non aver
bisogno di nutrimento fin dalla nascita, ma di cominciare subito a cantare
senza cibo né bevanda fino alla morte, e di andare quindi dalle Muse a riferire
chi tra gli uomini di quaggiù le onora, e quale di esse onora. A Tersicore
riferiscono di quelli che l'hanno onorata nei cori, rendendoli a lei più
graditi, a Erato di chi l'ha onorata nei carmi d'amore, e così per le altre,
secondo l'onore che ha ciascuna. A Calliope, la più anziana, e a Urania, che
viene dopo di lei, riferiscono di quelli che trascorrono la vita nella
filosofia e onorano la loro musica, poiché esse, avendo cura del cielo e dei
discorsi divini e umani, emettono tra tutte le Muse la voce più bella.(47) Per
molte ragioni, quindi, a mezzogiorno bisogna parlare e non dormire. FEDRO: E
allora bisogna parlare. SOCRATE: Dobbiamo dunque esaminare quello che ora ci
siamo proposti, ossia come è bene pronunciare e scrivere un discorso e come non
lo è. FEDRO: è chiaro. SOCRATE: I discorsi che saranno pronunciati in modo
bello e decoroso non devono forse implicare che l'animo di chi parla conosca il
vero riguardo a ciò di cui intende parlare? FEDRO: A tal proposito, caro
Socrate, ho sentito dire questo: per chi vuole essere un retore non c'è la
necessità di apprendere ciò che è realmente giusto, ma ciò che sembra giusto
alla moltitudine che giudicherà, non ciò che è veramente buono o bello, ma che
sembrerà tale, poiché il convincere il prossimo viene da questo, non dalla
verità. SOCRATE: «Non parola da buttare»(48) dev'essere, Fedro, ciò che dicono
i sapienti, ma si deve esaminare se le loro affermazioni sono valide. Anche per
questo non bisogna lasciar cadere quanto ora è stato detto. FEDRO: Hai ragione.
SOCRATE: Esaminiamolo dunque in questo modo. FEDRO: Come? SOCRATE: Se volessi
persuaderti a difenderti dai nemici acquistando un cavallo, ed entrambi non
conoscessimo un cavallo, ma io per caso sapessi di te solo questo, che Fedro
reputa sia un cavallo quell'animale domestico che a orecchie assai grandi...
FEDRO: Sarebbe ridicolo, Socrate. SOCRATE: Non ancora. Ma lo sarebbe nel caso
che, per convincerti sul serio, componessi un discorso di elogio dell'asino
chiamandolo cavallo e sostenendo che tale bestia è assolutamente degna di
essere acquistata sia per uso domestico sia per le spedizioni militari, utile
per il combattimento in groppa, valente a portare bagagli e vantaggiosa in
molte altre cose. FEDRO: Allora sarebbe davvero ridicolo. SOCRATE: E non è
forse meglio essere ridicolo e amico piuttosto che esperto e nemico? FEDRO:
Così pare. SOCRATE: Pertanto, quando il retore che non conosce il bene e il
male inizia a persuadere una città che si trova nelle sue stesse condizioni,
facendo non l'elogio dell'ombra dell'asino come se fosse del cavallo, ma
l'elogio del male come se fosse il bene, e presa dimestichezza con le opinioni
della gente la persuade a operare il male anziché il bene, quale frutto credi
che mieterà in seguito la retorica da quello che ha seminato? FEDRO:
Sicuramente non buono. 14 Platone Fedro SOCRATE: Ma buon amico,
abbiamo forse svillaneggiato l'arte dei discorsi in modo più rozzo del dovuto?
Essa forse dirà: «Cosa mai andate cianciando, o mirabili uomini? Io non
costringo nessuno che non conosca il vero a imparare a parlare, ma, se il mio
consiglio vale qualcosa, a prendere me solo dopo aver acquisito quello. Questa
dunque è la cosa importante che vi voglio dire: senza di me, anche chi conosce
le cose come sono in realtà non saprà essere più persuasivo secondo arte».
FEDRO: E non dirà cose giuste, se parlasse così ? SOCRATE: Sì , se i discorsi
che si presentano le rendono testimonianza che è un'arte. In effetti mi sembra
di udire alcuni discorsi che vengono a testimoniare che essa mente e non è
un'arte, ma una pratica priva di arte. Un'autentica arte del dire senza il
tocco della verità, afferma lo Spartano,(49) non esiste né esisterà mai. FEDRO:
C'è bisogno di questi discorsi, Socrate: su, portali qui ed esamina cosa dicono
e in che modo. SOCRATE: Venite avanti, nobili rampolli, e persuadete Fedro dai
bei figli (50) che se non praticherà la filosofia in modo adeguato, non sarà mai
in grado di parlare di nulla. Fedro dunque risponda. FEDRO: Chiedete. SOCRATE:
La retorica, in generale, non è l'arte di guidare le anime per mezzo di
discorsi, non solo nei tribunali e in tutte le altre riunioni pubbliche, ma
anche in quelle private, la stessa sia nelle questioni piccole sia in quelle
grandi, e non è affatto di maggior pregio, almeno quando è retta, nelle cose
serie che in quelle di poco conto? O come hai sentito parlare in proposito?
FEDRO: No, per Zeus, assolutamente non così , ma soprattutto nei processi si
parla e si scrive con arte, come pure nelle assemblee pubbliche. Non possiedo
informazioni più ampie. SOCRATE: Ma allora, a proposito dei discorsi, hai
sentito parlare solo delle arti di Nestore e Odisseo, che hanno messo per iscritto
a Ilio nei periodi di tregua, e non di quelle di Palamede? (51) FEDRO: Per
Zeus, neanche di quelle di Nestore, a meno che tu non faccia di Gorgia un
Nestore, o di Trasimaco e Teodoro un Odisseo.(52) SOCRATE: Forse. Ma lasciamo
perdere costoro. Tu dimmi piuttosto: nei tribunali gli avversari cosa fanno?
Non fanno affermazioni tra loro contrastanti? O cosa diremo? FEDRO: Proprio
questo. SOCRATE: Riguardo al giusto e all'ingiusto? FEDRO: Sì . SOCRATE:
Allora, chi opera in questo modo con arte, farà apparire la stessa cosa alle
stesse persone ora giusta, ora, quando lo voglia, ingiusta? FEDRO: Come no?
SOCRATE: E in un'assemblea popolare farà sembrare alla città le stesse cose ora
buone, ora, al contrario, cattive? FEDRO: è così . SOCRATE: E non sappiamo che il
Palamede di Elea (53) parlava con un'arte tale da far apparire agli ascoltatori
le stesse cose simili e dissimili, una e molte, ferme e in movimento? FEDRO: Ma
certo! SOCRATE: Dunque l'arte del contraddire non si trova solo nei tribunali e
nell'assemblea popolare, ma a quanto pare in tutto ciò che si dice ci sarebbe
questa sola arte, se mai la è veramente, con la quale uno sarà capace di
rendere ogni cosa simile a ogni altra in tutti i casi possibili e per quanto è
possibile, e di mettere in luce quando un altro fa la stessa cosa e lo
nasconde. FEDRO: In che senso dici una cosa del genere? 5OCRATE Se cerchiamo in
questo modo credo che ci apparirà evidente. L'inganno si verifica di più nelle
cose che differiscono di molto o in quelle che differiscono di pOco? FEDRO: In
quelle che differiscono di poco. SOCRATE: Ma è più facile che non ti accorga di
essere arrivato all'opposto se ti sposti poco per volta che se ti sposti a
grandi passi. FEDRO: Come no? SOCRATE: Dunque chi ha intenzione di ingannare un
altro senza essere ingannato a sua volta deve distinguere con precisione la
somiglianza e la dissomiglianza degli esseri. FEDRO: è necessario. SOCRATE: Ma
se ignora la verità di ciascuna cosa, sarà mai in grado di discernere la
somiglianza dì ciò che ignora, piccola o grande che sia, con le altre cose?
FEDRO: Impossibile. SOCRATE: Dunque, in coloro che hanno opinioni contrarie
alla realtà degli esseri e si ingannano, è chiaro che questa impressione si
insinua attraverso certe somiglianze. FEDRO: Accade proprio così . SOCRATE: è
possibile allora che uno possieda l'arte di spostare poco a poco la realtà di
un essere attraverso le somiglianze, conducendolo ogni volta da ciò che è al
suo contrario, o viceversa di evitare questo, se non ha cognizione di cosa sia
ciascun essere? FEDRO: Non sarà mai possibile. SOCRATE: Dunque, amico, colui
che non conosce la verità, ma è andato a caccia di opinioni, ci offrirà un'arte
dei discorsi ridicola, a quanto pare, e priva di arte. FEDRO: Pare di sì .
15 Platone Fedro SOCRATE: Vuoi dunque vedere, nel discorso di Lisia
che porti e in quelli che noi abbiamo fatto, qualcuna delle cose che definiamo
prive di arte e conformi all'arte? FEDRO: Più d'ogni altra cosa, poiché ora noi
parliamo in certo qual modo a vuoto, non avendo esempi adeguati. SOCRATE: E per
un caso fortunato, a quanto pare, sono stati pronunciati due discorsi che
recano un esempio di come chi conosce il vero, giocando con le parole, possa
condurre fuori strada gli ascoltatori. Ed io, Fedro, ne attribuisco la causa
agli dèi del luogo; ma forse anche le profetesse delle Muse, che cantano sopra
la nostra testa, possono averci ispirato questo dono, poiché io non sono certo
partecipe di una qualche arte del dire. FEDRO: Sia come dici tu. Solo spiega
ciò che affermi. SOCRATE: Su, leggimi l'inizio del discorso di Lisia. FEDRO:
«Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia per noi
utile che queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere ciò che
chiedo perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si pentono...»
SOCRATE: Fermati. Bisogna dire in che cosa costui sbaglia e opera senz'arte,
non è vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Non è forse evidente per chiunque almeno
questo, che siamo d'accordo su alcune di queste cose, in disaccordo su altre? FEDRO:
Mi sembra di capire il tuo pensiero, ma esprimilo ancora più chiaramente.
SOCRATE: Quando uno dice la parola "ferro" o "argento", non
intendiamo forse tutti la stessa cosa? FEDRO: Certo! SOCRATE: E quando si
tratta dei termini "giusto" e "bene"? Non siamo portati chi
in una direzione, chi in un'altra, e siamo in conflitto gli uni con gli altri e
persino con noi stessi? FEDRO: Proprio così ! SOCRATE: Dunque concordiamo su
alcune cose, su altre no. FEDRO: è così . SOCRATE: In quale dei due campi siamo
più facilmente ingannabili e la retorica ha maggior potere? FEDRO: Quello in
cui vaghiamo nell'incertezza, è evidente. SOCRATE: Pertanto chi si accinge a
praticare la retorica deve innanzitutto aver distinto con metodo queste cose e
aver colto un carattere peculiare di entrambe le forme, quella in cui è
inevitabile che la gente vaghi nell'incertezza e quella in cui non lo è. FEDRO:
Chi avesse colto questo, Socrate, avrebbe compreso un'idea davvero bella.
SOCRATE: Inoltre credo che, nell'occuparsi di ciascuna cosa, non debba
lasciarsi sfuggire, ma debba percepire con acutezza a quale delle due specie
appartiene ciò di cui intende parlare. FEDRO: Come no? SOCRATE: E allora?
Dobbiamo dire che l'amore appartiene alle questioni controverse oppure no?
FEDRO: Alle questioni controverse, non c'è dubbio. O credi che ti sarebbe stato
possibile dire quello che poco fa hai detto su di lui, ossia che è un danno sia
per l'amato sia l'amante, e al contrario che è il più grande dei beni? SOCRATE:
Parli in modo eccellente; ma dimmi anche questo, giacché io a causa
dell'invasamento non lo ricordo troppo bene: se all'inizio del discorso ho dato
una definizione dell'amore. FEDRO: Sì , per Zeus, in modo davvero insuperabile.
SOCRATE: Ahimè, quanto sono più esperte nei discorsi, a quel che dici, dici, le
Ninfe dell'Acheloo e Pan figlio di Ermes rispetto a Lisia figlio di Cefalo! Può
darsi che dica una sciocchezza, ma Lisia, cominciando il suo discorso
sull'amore, non ci ha costretto a concepire Eros come una certa realtà unica
che voleva lui, e in relazione a questo ha composto e condotto a termine tutto
il discorso seguente? Vuoi che rileggiamo il suo inizio? FEDRO: Se ti sembra il
caso. Tuttavia ciò che cerchi non è lì . SOCRATE: Parla, in modo che ascolti
proprio lui. FEDRO: «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che
ritengo sia utile per noi che queste cose accadano; ma non stimo giusto non
poter ottenere ciò che chiedo, perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli
innamorati si pentono dei benefici che hanno fatto, allorquando cessa la loro
passione...». SOCRATE: Sembra che costui sia ben lungi dal fare ciò che
cerchiamo, se mette mano al discorso non dall'inizio ma dalle fine, nuotando
supino all'indietro, e prende le mosse da ciò che l'amante direbbe al suo amato
quando ormai ha smesso di amarlo. Oppure ho detto una sciocchezza, Fedro, mia
testa cara? FEDRO: è certamente la fine, Socrate, quella intorno a cui compone
il discorso. SOCRATE: E il resto? Non ti pare che le parti del discorso siano
state buttate lì alla rinfusa? O ciò che è stato detto per secondo risulta che
per una qualche necessità doveva essere messo per secondo piuttosto che un
altro degli argomenti trattati? A me, che non so nulla, è sembrato che lo
scrittore abbia detto in maniera non rozza ciò che gli veniva in mente; e tu
sei a conoscenza di una qualche arte di scrivere discorsi, in base alla quale
lui ha disposto questi argomenti così di seguito, uno dopo l'altro? FEDRO: Sei
troppo buono, se credi che io sia in grado di vedere nelle sue parole in modo
così preciso! SOCRATE: Ma penso che tu possa dire almeno questo, che ogni
discorso dev'essere costituito come un essere vivente e avere un corpo suo
proprio, così da non essere senza testa e senza piedi, ma da avere le parti di
mezzo e quelle estreme scritte in modo che si adattino le une alle altre e al
tutto. FEDRO: Come no? 16 Platone Fedro SOCRATE: Esamina dunque il
discorso del tuo compagno, se è composto così o in altro modo, e troverai che
non differisce in nulla dall'epigramma che secondo alcuni è stato scritto sulla
tomba di Mida il Frigio.(54) FEDRO: Qual è questo epigramma, e cos'ha di
particolare? SOCRATE: è questo qui: Vergine bronzea sono, e sto sull'avello di
Mida. Fin che l'acqua scorra e alberi grandi verdeggino, stando qui sulla tomba
di molte lacrime aspersa, annuncerò a chi passa che Mida qui è sepolto. Capisci
senz'altro, come credo, che non c'è alcuna differenza se un verso viene
recitato per primo o per ultimo. FEDRO: Tu ti fai beffe del nostro discorso,
Socrate! SOCRATE: Allora lasciamolo perdere, così non ti crucci (eppure mi
sembra che contenga parecchi esempi ai quali gioverebbe porre attenzione,
cercando di non imitarli in alcun modo); e passiamo agli altri due discorsi. In
essi, mi sembra, c'era qualcosa che per chi vuole fare indagini sui discorsi è
conveniente esaminare. FEDRO: A che cosa alludi? SOCRATE: In qualche modo erano
opposti: uno diceva che si deve compiacere chi ama, l'altro chi non ama. FEDRO:
E con molto vigore! SOCRATE: Pensavo che tu avresti detto il vero, cioè con
mania: ciò che cercavo è appunto questo. Abbiamo detto infatti che l'amore è
una forma di mania. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: E che ci sono due forme di
mania, una che nasce da malattie umane, l'altra che nasce da un mutamento
divino delle consuete abitudini. FEDRO: Giusto. SOCRATE: Distinguendo quattro
parti di quella divina in relazione a quattro dèi, abbiamo attribuito
l'ispirazione mantica ad Apollo, quella iniziatica a Dioniso, quella poetica
alle Muse, la quarta ad Afrodite ed Eros, e abbiamo detto che la mania amorosa
è la migliore. E non so come, rappresentando con immagini la passione amorosa,
forse toccando da un lato un che di vero, dall'altro uscendo un po' di strada,
abbiamo composto un discorso non del tutto incapace di persuadere e abbiamo
levato quasi per gioco, con parole misurate e pie, un inno in forma di mito in
onore di Eros, mio e tuo signore, Fedro, e protettore dei bei giovani. FEDRO: E
almeno per me, un discorso davvero non spiacevole da ascoltare! SOCRATE:
Prendiamo dunque in esame solo questo, come il discorso sia potuto passare dal
biasimo alla lode. FEDRO: Cosa intendi dire con ciò? SOCRATE: A me pare che il
resto sia stato fatto realmente per gioco; ma in alcune di queste cose dette a
caso ci sono due procedimenti di cui non sarebbe spiacevole se si riuscisse a
coglierne con arte la potenza. FEDRO: Quali? SOCRATE: Il primo consiste nel
ricondurre le cose disperse in molteplici modi a un'unica idea cogliendole in
uno sguardo d'insieme, così da definirle una per una e da chiarire ciò su cui
si vuole di volta in volta insegnare. Per esempio, nel discorso fatto poco fa
su Eros, una volta definito ciò che è, a prescindere se sia stato detto bene o
male, è appunto grazie a questa definizione che il discorso ha acquistato
chiarezza e coerenza interna. FEDRO: E dell'altro procedimento cosa dici,
SOcrate? SOCRATE: Esso consiste, al contrario, nel saper dividere secondo le
idee in base alle loro articolazioni naturali, senza cercar di spezzare alcuna
parte, alla maniera di un cattivo macellaio; ma come i due discorsi di poco fa
concepivano la dissennatezza dell'animo come un'idea unica in comune, e come da
un corpo unico hanno origine membra doppie dallo stesso nome, chiamate destra e
sinistra, così i due discorsi hanno considerato anche la componente della
follia come un'idea per sua natura unica in noi: il primo discorso, tagliando
la parte di sinistra, e poi tagliandola ancora, non ha smesso prima di aver
trovato in queste divisioni un certo qual amore chiamato sinistro e di averlo a
buon diritto biasimato; l'altro discorso invece ci ha condotto nella parte
destra della mania e vi ha trovato un amore che ha lo stesso nome dell'altro,
ma è divino, e dopo aavercelo posto innanzi lo ha elogiato come la causa dei
nostri più grandi beni. FEDRO: Dici cose verissime. SOCRATE: Io, Fedro, sono
amante di questi procedimenti, delle divisioni e delle unificazioni, al fine di
essere in grado di parlare e di pensare; e se ritengo che qualcun altro sia per
sua natura capace di guardare all'uno e ai molti, lo seguo «tenendo dietro alle
sue orme come a quelle di un dio». E quelli che appunto sono in grado di fare
ciò, lo sa un dio se la mia definizione è giusta o meno, fino a questo momento
li chiamo dialettici. Quelli che invece hanno appreso da te e da Lisia ciò di
cui si è discusso ora, dimmi tu come conviene chiamarli: o è proprio questa
l'arte dei discorsi, grazie alla quale Trasimaco e gli altri sono diventati
abili a parlare essi stessi e rendono tali gli altri, che vogliono coprirli di
doni come dei re? FEDRO: Sono uomini regali, sì , ma non esperti delle cose che
chiedi. Ma mi pare che tu dia il nome giusto a questo metodo, chiamandolo
dialettico; quello della retorica invece pare ci sfugga ancora. SOCRATE: Come
dici? Potrebbe forse esserci qualcosa di bello, che anche senza questi
procedimenti si apprende lo stesso con arte? Né io né tu dobbiamo assolutamente
disprezzarlo, ma dobbiamo appunto precisare che cos'è ciò che rimane della
retorica. FEDRO: Rimangono moltissime cose, Socrate, almeno quelle che si
trovano nei libri scritti sull'arte del dire. 17 Platone Fedro
SOCRATE: Hai fatto bene a ricordarmelo. Per primo, credo, all'inizio del
discorso dev'essere pronunciato il proemio; sono queste che chiami le finezze
dell'arte, non è vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Al secondo posto viene una
narrazione seguita da testimonianze, al terzo le argomentazioni, al quarto le
verosimiglianze. Poi vengono la conferma e la riconferma, così almeno credo che
dica l'eccellente uomo di Bisanzio, il Dedalo dei discorsi. FEDRO: Vuoi dire il
valente Teodoro? SOCRATE: Come no? E poi sia nell'accusa sia nella difesa vanno
fatte una confutazione e una controconfutazione. E non tiriamo in ballo il
bellissimo Eveno di Paro, che per primo trovò l'insinuazione e gli elogi
indiretti; (55) alcuni sostengono che pronunciasse persino dei biasimi
indiretti in poesia per esercitare la memoria (in effetti era un uomo abile). E
lasceremo riposare Tisia e Gorgì a,(56) i quali videro come il verosimile sia
da tenere in conto più del vero e con la forza del discorso fanno apparire
grande ciò che è piccolo e piccolo ciò che è grande, vecchio ciò che è nuovo e
al contrario nuovo ciò che è vecchio, e scoprirono la brevità dei discorsi e le
prolissità infinite su ogni sorta di argomento? Una volta Prodico,(57) sentendo
da me queste cose, scoppiò a ridere, e sostenne di aver scoperto lui solo i
discorsi di cui l'arte abbisogna: né lunghi né brevi, ma misurati. FEDRO:
Parole molto sagge, o Prodico. SOCRATE: E non menzioniamo Ippia? Credo che
anche l'ospite eleo voterebbe con lui.(58) FEDRO: Perché no? SOCRATE: E come
parleremo dei Templi alle Muse dei discorsi innalzati da Polo, ad esempio la
ripetizione o il parlare per sentenze e per immagini, e dei Templi alle Muse
dei nomi di cui Licimnio gli fece dono per la composizione del bello stile?(59)
FEDRO: E le opere di Protagora,(60) Socrate, non erano più o meno di questo
tipo? SOCRATE: Una certa Correttezza dello stile, ragazzo, e molte altre belle
cose. Ma quanto ai discorsi strappalacrime sfoderati per la vecchiaia e la
povertà, mi pare che l'abbia vinta per arte la potenza del Calcedonio, uomo
d'altronde straordinario nel suscitare la collera nella gente e poi
nell'ammansire chi aveva fatto adirare incantandolo, come soleva dire, e
potentissimo nel lanciare e sciogliere calunnie in ogni modo. Sembra poi che ci
sia comune accordo tra tutti sulla conclusione dei discorsi, alla quale alcuni
danno il nome di riepilogo, altri un altro nome. FEDRO: Intendi il ricordare
per sommi capi agli ascoltatori, alla fine del discorso, ciascuno degli
argomenti trattati? SOCRATE: Intendo questo, e se tu hai qualcos'altro da
aggiungere sull'arte dei discorsi... FEDRO: Cose da poco, che non vale la pena
di dire. SOCRATE: Lasciamo perdere le cose di poco conto, e vediamo piuttosto
in piena luce quale potenza dell'arte hanno le cose di cui abbiamo parlato, e
quando. FEDRO: Una potenza davvero forte, SOcrate, almeno nelle adunanze del
popolo. SOCRATE: Infatti l'hanno. Ma guarda anche tu, o esimio, se la loro
trama non sembra anche te, come a me, slegata. FEDRO: Purché tu lo dimostri.
SOCRATE: Allora dimmi: se uno si presentasse al tuo compagno Erissimaco o a suo
padre Acumeno e dicesse loro: «Io so somministrare ai corpi farmaci tali da
riscaldarli e raffreddarli, se lo voglio, e se mi pare il caso tali da farli
vomitare e persino evacuare, e moltissime altre cose del genere. E dal momento
che ho queste conoscenze sono convinto di essere un medico e di far diventare
medico un altro a cui comunico la scienza di queste cose», cosa credi che
direbbero dopo averlo ascoltato? FEDRO: Cos'altro se non chiedergli se sa anche
a chi e quando bisogna fare ciascuna di queste cose, e in quale misura?
SOCRATE: E se allora rispondesse: «Non lo so affatto: ma sono convinto che chi
ha appreso queste conoscenze da me sia a sua volta in grado di fare ciò che
chiedi»? FEDRO: Direbbero, credo, che quell'uomo è pazzo, e che crede di essere
diventato un medico per aver sentito qualcosa da qualche libro o per aver usato
casualmente dei farmaci, senza avere alcuna conoscenza dell'arte. SOCRATE: E se
uno si presentasse a Sofocle e ad Euripide dicendo che sa comporre discorsi
lunghissimi su un argomento piccolo e piccolissimi su un argomento grande,
commoventi, quando lo vuole, e al contrario spaventevoli e minacciosi, e tante
altre cose del genere, e che insegnando ciò crede di trasmettere il modo di
comporre una tragedia? FEDRO: Credo che anche costoro, Socrate, riderebbero se
uno pensa che la tragedia sia altra cosa che l'unione di questi elementi ben connessi
tra loro e accordati con il tutto. SOCRATE: Però non lo rimprovererebbero con
villania, credo, ma come un musico, se incontrasse un uomo che crede di essere
esperto nell'armonia, perché il caso vuole che sappia come si fa a produrre il
suono più acuto e quello più grave, non gli direbbe villanamente: «Disgraziato,
tu sei pazzo!», ma in quanto musico gli direbbe, in modo più affabile:
«Carissimo, chi vuole essere un esperto di armonia è necessario che conosca
anche questo, tuttavia nulla vieta che chi ha le tue capacità non sappia
neppure un poco di armonia; tu infatti conosci le nozioni necessarie e
preliminari dell'armonia, non come si produce l'armonia». FEDRO: Giustissimo.
SOCRATE: Allora anche Sofocle direbbe a chi si esibisse di fronte a loro che conosce
i preliminari dell'arte tragica ma non il modo di comporre una tragedia, e
Acumeno direbbe all'altro che conosce i preliminari della medicina, non la
scienza medica. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: E cosa pensiamo che direbbero
Adrasto voce di miele o Pericle, (61) se sentissero parlare degli accorgimenti
che abbiamo elencato poco fa, cioè parlare conciso, parlare per immagini e
tutte le altre cose che abbiamo 18 Platone Fedro scorso affermando
che erano da esaminare in piena luce? Forse per villania, come abbiamo fatto io
e te, si rivolgerebbero con parole aspre e rudi a chi ha scritto queste cose e
le insegna spacciandole per retorica, oppure, essendo più saggi di noi, ci
lascerebbero di stucco dicendo: «Fedro e Socrate, non bisogna essere aspri, ma
indulgenti, se alcuni, non essendo a conoscenza della dialettica, non hanno
saputo definire cosa mai sia la retorica e in conseguenza di questa condizione,
possedendo le nozioni necessarie e preliminari dell'arte, hanno creduto di
averla scoperta; e impartendo queste nozioni ad altri ritengono di averli
istruiti compiutamente nella retorica e presumono che i loro discepoli debbano
procurarsi da sé nei discorsi la capacità di esporre ciascuna di queste cose in
maniera convincente e di collegare tutto l'insieme, come se fosse opera da
nulla!». FEDRO: Ma può anche darsi, Socrate, che sia proprio un qualcosa del
genere cio che concerne l'arte che questi uomini insegnano e presentano per
iscritto come retorica, e mi sembra che tu abbia detto il vero; ma allora come
e dove ci si può procurare l'arte di colui che è veramente esperto di retorica
e persuasivo? SOCRATE: Riuscire a diventare un perfetto campione della
retorica, è naturale, Fedro, e forse anche necessario, che sia come negli altri
campi: se per natura sei portato alla retorica, sarai un retore famoso, a patto
d'aggiungervi scienza ed esercizio; ma se manchi di una di queste qualità,
resterai imperfetto. Quanto poi all'arte connessa a ciò, non mi sembra che il
metodo proceda nella direzione in cui vanno Lisia e Trasimaco. FEDRO: Qual è il
metodo, allora? SOCRATE: Si dà il caso, carissimo, che Pericle sia stato
probabilmente il più perfetto di tutti nella retorica. FEDRO: Perché? SOCRATE:
Tutte le grandi arti hanno bisogno di sottigliezza e di discorsi celesti sulla
natura, poiché questa elevatezza di pensiero e questa capacità di condurre
tutto ad effetto sembrano provenire in qualche modo da qui. E Pericle, oltre
alla buona disposizione naturale, si acquistò anche questo: imbattutosi, credo,
in Anassagora,(62) uomo di tal fatta, si riempì di discorsi celesti e giunse
alla natura dell'intelletto e della ragione, argomenti intorno ai quali
Anassagora si diffondeva ampiamente, e da qui ricavò quello che era utile per
l'arte dei discorsi. FEDRO: In che senso dici ciò? SOCRATE: Il modo di
procedere dell'arte medica è lo stesso della retorica. FEDRO: E come? SOCRATE:
In entrambe bisogna dividere una natura, in una quella del corpo, nell'altra
quella dell'anima, se tu, non solo per esercizio e in modo empirico, ma con
arte, vuoi procurare all'uno salute e vigore somministrandogli medicine e
nutrimento, e trasmettere all'altra la convinzione che desidera e la virtù
offrendole discorsi e occupazioni rispettose delle leggi. FEDRO: è verosimile
che sia così , Socrate. SOCRATE: Ritieni dunque che sia possibile comprendere
la natura dell'anima in modo degno di menzione senza conoscere la natura
dell'insieme? FEDRO: Se si deve dare qualche credito a Ippocrate, che è degli
Asclepiadi,(63) senza questo metodo non è possibile neanche comprendere la
natura del corpo. SOCRATE: E dice bene, amico; tuttavia bisogna confrontare il
discorso con quanto afferma Ippocrate ed esaminare se si accorda. FEDRO:
Certamente. SOCRATE: Allora esamina cosa dicono sulla natura Ippocrate e il discorso
vero. Non bisogna forse ragionare così riguardo alla natura di qualsiasi cosa?
Innanzitutto si deve considerare se ciò in cui vorremo essere esperti noi
stessi e in grado di rendere tale un altro sia semplice o multiforme; poi, se è
semplice, si deve esaminare quale potenza ha per sua natura nell'agire e su che
cosa la esercita, o quale potenza ha nel subire e da che cosa la subisce, se
invece ha più forme bisogna enumerarle e vedere per ciascuna di esse ciò che si
vede per un'unità, cioè in virtù di che cosa è portata per sua natura ad agire
e su che cosa, o in virtù di che cosa a subire, che cosa e da che cosa. FEDRO:
Può essere, Socrate. SOCRATE: Dunque il metodo privo di questi procedimenti
somiglierebbe all'andare di un cieco. Chi invece persegue con arte una
qualsiasi cosa non è da rassomigliare a un cieco o a un sordo, ma è chiaro che,
se uno vuol trasmettere ad altri discorsi fatti con arte, dimostrerà
puntualmente l'essenza della natura di ciò a cui rivolgerà i suoi discorsi; e
questo sarà in qualche modo l'anima. FEDRO: Come no? SOCRATE: Perciò tutto il
suo sforzo è teso a questo, poiché in questo cerca di produrre persuasione. O
no? FEDRO: Sì . SOCRATE: è chiaro dunque che Trasimaco e chiunque altro offra
seriamente l'arte della retorica, innanzitutto descriverà e farà vedere con la
massima precisione l'anima, se per sua natura è una e tutta uguale o multiforme
come l'aspetto del corpo; diciamo infatti che questo è dimostrare la natura di
una cosa. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: In secondo luogo, in virtù di che cosa
è per sua natura portata ad agire, e su cosa, o in virtù di che cosa è portata
a subire, e da che cosa. FEDRO: Come no? SOCRATE: In terzo luogo, classificati
i generi dei discorsi e dell'anima e le loro proprietà, passerà in rassegna
tutte le cause, adattando ciascun genere di discorso a ciascun genere di anima
e insegnando quale anima, da quali discorsi e per quale causa viene di
necessità persuasa, quale invece non viene persuasa. 19 Platone
Fedro FEDRO: Sarebbe bellissimo se fosse così , a quanto pare! SOCRATE:
Pertanto, caro, ciò che verrà dimostrato o detto in altro modo non sarà mai
detto o scritto con arte, né su questo né su un altro argomento. Ma quelli che
oggi scrivono le arti dei discorsi che tu hai ascoltato sono scaltri, e pur
conoscendo molto bene l'anima sono portati a dissimulare; perciò, prima che
parlino e scrivano in questo modo, non lasciamoci convincere da loro, credendo
che scrivano con arte. FEDRO: Qual è questo modo? SOCRATE: Già usare le
espressioni appropriate non è cosa facile; ma per quanto mi è possibile voglio
dirti come bisogna scrivere, se si intende farlo con arte. FEDRO: Dillo dunque.
SOCRATE: Poiché la forza del discorso sta nella guida delle anime, chi vuole
essere esperto di retorica è necessario che sappia quante forme ha l'anima.
Esse sono tantissime e di svariate qualità, e di conseguenza alcuni uomini sono
di un certo tipo, altri di un altro; e dato che le forme dell'anima risultano
così divise, a loro volta sono tantissime anche le forme dei discorsi, ciascuna
di tipo diverso. Per questo motivo gli uomini di un certo tipo si lasciano
facilmente persuadere da discorsi di un certo tipo su determinati argomenti,
mentre gli uomini di un altro tipo, sempre per questo motivo, sono difficili da
persuadere. Perciò chi vuole diventare retore deve innanzitutto tenere in
adeguata considerazione queste cose, poi, osservando il loro modo di essere e
di operare all'atto pratico, dev'essere in grado di seguirle acutamente con le
sue facoltà intellettive, altrimenti non avrà mai niente più dei discorsi che
ascoltava quando frequentava un maestro. E quando sappia dire in modo adeguato
quale genere di uomo viene persuaso e da quali discorsi, e sia in grado di
accorgersi della sua presenza e di provare a se stesso che si tratta di
quell'uomo e di quella natura sulla quale vertevano a suo tempo i discorsi, e
poiché ora è di fatto presente deve riferirle questi discorsi nella maniera
prevista, per persuaderla di determinate cose, una volta che dunque sia in
possesso di tutti questi requisiti, sappia cogliere i momenti giusti in cui
bisogna parlare e quelli in cui bisogna trattenersi e sappia discernere
l'opportunità e l'inopportunità del parlare conciso, commovente o indignato e
di tutte le altre forme di discorso che ha appreso, allora l'arte è realizzata
in modo bello e compiuto, prima no. Ma se uno manca di una qualsiasi di queste
cose quando parla, insegna o scrive, e afferma di parlare con arte, vince chi
non si lascia persuadere. «E allora?», dirà forse il nostro scrittore. «Fedro e
Socrate, la pensate così? Dobbiamo forse definire in altro modo l'arte che è
detta dei discorsi?». FEDRO: è impossibile in altro modo, Socrate; eppure
sembra un lavoro non da poco. SOCRATE: Hai ragione. Proprio per questo bisogna
rivoltare tutti i discorsi sottosopra ed esaminare se da qualche parte appare
una via più facile e più breve per giungere ad essa, così da non procedere
inutilmente per una via lunga e aspra, quando è possibile percorrerne una corta
e liscia. Ma se hai da qualche parte un aiuto, per averlo ascoltato da Lisia o
da qualcun altro, cerca di richiamarlo alla memoria e di dirlo. FEDRO: Così ,
per fare una prova, potrei, ma non me la sento, almeno adesso. SOCRATE: Vuoi
dunque che io riferisca un discorso che ho ascoltato da alcuni che si occupano
di queste cose? FEDRO: Perché no? SOCRATE: D'altronde, Fedro, si dice che è
giusto riferire anche le ragioni del lupo. FEDRO: Allora fa' così anche tu.
SOCRATE: Dunque, essi sostengono che non si devono magnificare e levare così in
alto queste cose, con tanti giri di parole; infatti, come abbiamo detto anche
all'inizio del discorso, chi intende essere sufficientemente esperto nella
retorica non deve certo partecipare della verità circa questioni giuste e
buone, o uomini tali per natura o per educazione, poiché nei tribunali non
importa proprio niente a nessuno della verità su queste cose, ma importa solo
ciò ch'è atto a persuadere: è il verosimile, a cui si deve applicare chi
intende parlare con arte. Talvolta infatti non bisogna neanche esporre i fatti,
a meno che non si siano svolti in maniera verosimile, ma solo quelli
verosimili, sia nell'accusa sia nella difesa, e in genere chi parla deve
seguire il verosimile, dopo aver detto tanti saluti alla verità; poiché è
appunto questo che, se percorre l'intero discorso, procura tutta quanta l'arte.
FEDRO: Hai esposto, Socrate, proprio le ragioni che adducono quelli che danno a
vedere di essere esperti nell'arte dei discorsi; mi sono ricordato che già in
precedenza abbiamo toccato brevemente tale argomento, e sembra che ciò sia di
enorme importanza per chi si occupa di queste cose. SOCRATE: Sicuramente hai
studiato con precisione proprio Tisia: quindi Tisia ci dica anche questo, se
per verosimile intende qualcosa di diverso da ciò che sembra ai più. FEDRO: E
che altro? SOCRATE: E avendo fatto questa scoperta, a quanto pare, di saggezza
e d'arte insieme, ha scritto che se un uomo debole e coraggioso, che ha
percosso un uomo forte e vile e gli ha portato via il mantello o qualcos'altro,
viene condotto in tribunale, nessuno dei due deve dire la verità, ma il vile
deve asserire di non essere stato percosso dal solo uomo coraggioso, questi
deve confutare ciò ribattendo che erano loro due soli, e servirsi del seguente
argomento: «Come avrei potuto io, data la mia condizione, mettere le mani
addosso a una persona come lui?». L'altro non ammetterà la propria viltà, ma
cercando di dire qualche altra menzogna offrirà subito materia di confutazione
all'avversario. E anche negli altri campi le cose dette con arte sono più o
meno di questo genere. Non è così , Fedro? FEDRO: Come no? SOCRATE: Ahimè,
sembra che abbia fatto la scoperta davvero sensazionale di un'arte nascosta,
Tisia o chiunque altro sia e da qualunque luogo si compiaccia di trarre il
nome! Ma a costui, amico, dobbiamo dire o no... FEDRO: Cosa? 20 Platone
Fedro SOCRATE: Questo: «O Tisia, da tempo noi, prima ancora che tu
venissi qui, ci trovavamo a dire che questo verosimile viene a nascere nei più
per somiglianza col vero; e poco fa abbiamo spiegato che chi conosce la verità
sa scoprire benissimo le somiglianze. Perciò, se hai qualcos'altro da dire
sull'arte dei discorsi, lo ascolteremo; altrimenti daremo credito a ciò che
abbiamo esposto or ora, cioè che se uno non enumererà le nature di coloro che
lo ascolteranno, e non sarà in grado di dividere gli esseri secondo le forme e
di raccoglierli uno per uno in un'idea, non sarà mai esperto nell'arte dei
discorsi, per quanto è possibile a un uomo. E non potrà mai acquisire queste
capacità senza molta applicazione; ad essa il sapiente dovrà indirizzare i suoi
sforzi non per parlare e agire con gli uomini, ma per poter dire cose che siano
gradite agli dèi e fare ogni cosa in modo a loro gradito, per quanto è nelle
sue facoltà. Infatti i più saggi tra noi, Tisia, dicono che chi ha intelletto
deve prendersi cura di compiacere non i compagni di schiavitù, se non in modo
accessorio, ma i padroni buoni e che discendono da uomini buoni. Perciò, se la
strada è lunga, non meravigliartene, in quanto per raggiungere grandi traguardi
bisogna percorrerla, non come credi tu. D'altronde, come dice il nostro
discorso, anche queste fatiche diventeranno bellissime grazie a quei traguardi,
se uno lo vuole». FEDRO: Mi pare che si stia parlando in modo bellissimo, Socrate,
se davvero qualcuno ne è capace. SOCRATE: Ma per chi intraprende azioni belle è
bello anche soffrire, qualunque cosa gli tocchi di soffrire. FEDRO: Sicuro.
SOCRATE: Quanto si è detto a proposito dell'arte e della mancanza di arte nel
fare discorsi sia dunque sufficiente. FEDRO: Come no? SOCRATE: Rimane la
questione della convenienza e della non convenienza della scrittura, quando
essa vada bene e quando invece sia sconveniente. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: Sai
allora come, nell'ambito dei discorsi, potrai acquistarti il massimo favore di
un dio con le tue azioni e le tue parole? FEDRO: Per niente. E tu? SOCRATE: Io
posso raccontarti una storia tramandata dagli antichi; il vero essi lo sanno. E
se noi lo trovassimo da soli, ci importerebbe ancora qualcosa delle opinioni
degli uomini? FEDRO: Hai fatto una domanda ridicola! Ma racconta ciò che dici
di aver udito. SOCRATE: Ho sentito dunque raccontare che presso Naucrati, in
Egitto, (64) c'era uno degli antichi dèi del luogo, al quale era sacro
l'uccello che chiamano ibis; il nome della divinità era Theuth.(65) Questi
inventò dapprima i numeri, il calcolo, la geometria e l'astronomia, poi il
gioco della scacchiera e dei dadi, infine anche la scrittura. Re di tutto
l'Egitto era allora Thamus e abitava nella grande città della regione superiore
che i Greci chiamano Tebe Egizia, mentre chiamano il suo dio Ammone.(66)
Theuth, recatosi dal re, gli mostrò le sue arti e disse che dovevano essere
trasmesse agli altri Egizi; Thamus gli chiese quale fosse l'utilità di ciascuna
di esse, e mentre Theuth le passava in rassegna, a seconda che gli sembrasse
parlare bene oppure no, ora disapprovava, ora lodava. Molti, a quanto si
racconta, furono i pareri che Thamus espresse nell'uno e nell'altro senso a
Theuth su ciascuna arte, e sarebbe troppo lungo ripercorrerli; quando poi fu
alla scrittura, Theuth disse: «Questa conoscenza, o re, renderà gli Egizi più
sapienti e più capaci di ricordare, poiché con essa è stato trovato il farmaco
della memoria e della sapienza». Allora il re rispose: «Ingegnosissimo Theuth,
c'è chi sa partorire le arti e chi sa giudicare quale danno o quale vantaggio
sono destinate ad arrecare a chi intende servirsene. Ora tu, padre della
scrittura, per benevolenza hai detto il contrario di quello che essa vale. Questa
scoperta infatti, per la mancanza di esercizio della memoria, produrrà
nell'anima di coloro che la impareranno la dimenticanza, perché fidandosi della
scrittura ricorderanno dal di fuori mediante caratteri estranei, non dal di
dentro e da se stessi; perciò tu hai scoperto il farmaco non della memoria, ma
del richiamare alla memoria. Della sapienza tu procuri ai tuoi discepoli
l'apparenza, non la verità: ascoltando per tuo tramite molte cose senza
insegnamento, crederanno di conoscere molte cose, mentre per lo più le
ignorano, e la loro compagnia sarà molesta, poiché sono divenuti portatori di
opinione anziché sapienti». FEDRO: Socrate, tu pronunci con facilità discorsi
egizi e di qualsiasi paese tu voglia! SOCRATE: E pensa che alcuni, mio caro,
hanno asserito che i primi discorsi profetici nel tempio di Zeus a Dodona
venivano da una quercia! Agli uomini di allora, dato che non erano sapienti
come voi giovani, bastava, nella loro semplicità, ascoltare una quercia o una
roccia, purché dicessero il vero; ma forse per te fa differenza chi è colui che
parla e da dove viene. Non miri infatti solamente a questo, se le cose stanno
così o diversamente? FEDRO: Hai colto nel segno, e mi sembra che riguardo alla
scrittura le cose stiano come dice il re di Tebe. SOCRATE: Allora chi crede di
tramandare un'arte con la scrittura, e chi a sua volta la riceve nella
convinzione che dalla scrittura deriverà qualcosa di chiaro e di saldo,
dev'essere ricolmo di molta ingenuità e ignorare realmente il vaticinio di
Ammone, se pensa che i discorsi scritti siano qualcosa in più del riportare
alla memoria di chi già sa ciò su cui verte lo scritto. FEDRO: Giustissimo.
SOCRATE: Poiché la scrittura, Fedro, ha questo di potente, e, per la verità, di
simile alla pittura. Le creazioni della pittura ti stanno di fronte come cose
vive, ma se tu rivolgi loro qualche domanda, restano in venerando silenzio. La
medesima cosa vale anche per i discorsi: tu potresti anche credere che parlino
come se avessero qualche pensiero loro proprio, ma se domandi loro qualcosa di
ciò che dicono coll'intenzione di apprenderla, questo qualcosa suona sempre e
21 Platone Fedro solo identico. E, una volta che è scritto, tutto
quanto il discorso rotola per ogni dove, finendo tra le mani di chi è competente
così come tra quelle di chi non ha niente da spartire con esso, e non sa a chi
deve parlare e a chi no. Se poi viene offeso e oltraggiato ingiustamente ha
sempre bisogno dell'aiuto del padre, poiché non è capace né di difendersi da sé
né di venire in aiuto a se stesso. FEDRO: Anche queste tue parole sono
giustissime. SOCRATE: E allora? Vogliamo considerare un altro discorso,
fratello legittimo di questo, in che modo nasce e quanto è per sua natura
migliore e più potente di questo? FEDRO: Qual è questo discorso e come, secondo
te, nasce? SOCRATE: è quello che viene scritto mediante la conoscenza
nell'anima di chi apprende; esso è in grado di difendersi da sé, e sa con chi
bisogna parlare e con chi tacere. FEDRO: Intendi il discorso vivente e animato
di chi sa, del quale quello scritto si può a buon diritto definire un'immagine.
SOCRATE: Per l'appunto. Ora dimmi questo: l'agricoltore che ha senno
pianterebbe seriamente d'estate nei giardini di Adone (67) i semi che gli
stessero a cuore e da cui volesse ricavare frutti; e gioirebbe a vederli
crescere belli in otto giorni, o farebbe ciò per gioco e per la festa,
quand'anche lo facesse? E riguardo invece a quelli di cui si è preso cura sul
serio servendosi dell'arte dell'agricoltura e seminandoli nel luogo adatto,
sarebbe contento che quanto ha seminato giungesse a compimento in otto mesi?
FEDRO: Farebbe così , Socrate: sul serio per gli uni, diversamente per gli
altri, come tu dici. SOCRATE: Dovremo dire che chi possiede la scienza delle
cose giuste, belle e buone abbia meno senno dell'agricoltore con le sue
sementi? FEDRO: Nient'affatto. SOCRATE: Allora non le scriverà seriamente
nell'acqua nera, seminandole attraverso la canna assieme a discorsi incapaci di
difendersi da sé con la parola, e incapaci di insegnare in modo adeguato la
verità. FEDRO: No, almeno non è verosimile. SOCRATE: Infatti non lo è. Ma a
quanto pare seminerà e scriverà i giardini di scrittura per gioco, quando li
scriverà, serbando un tesoro da richiamare alla memoria per se stesso, nel caso
giunga «alla vecchiaia dell'oblio»,(68) e per chiunque segua la sua stessa
orma, e gioirà a vederli crescere teneri. E quando gli altri faranno altri
giochi, ristorandosi nei simposi e in tutti i divertimenti fratelli di questi,
egli allora, a quanto pare, invece che in essi passerà la vita a dilettarsi in
ciò di cui parlo. FEDRO: è un gioco molto bello quello che dici, Socrate,
rispetto all'altro che è insulso: il gioco di chi sa divertirsi coi discorsi,
narrando storie sulla giustizia e sulle altre cose di cui parli. SOCRATE: Così
è in effetti, caro Fedro: ma l'impegno in queste cose diventa, credo, molto più
bello quando uno, facendo uso dell'arte dialettica, prende un'anima adatta, vi
pianta e vi semina discorsi accompagnati da conoscenza, che siano in grado di venire
in aiuto a se stessi e a chi li ha piantati e non siano infruttiferi, ma
abbiano una semenza dalla quale nascano nell'indole di altri uomini altri
discorsi capaci di rendere questa semenza immortale, facendo sì che chi la
possiede sia felice quanto più è possibile per un uomo. FEDRO: Ciò che dici è
molto più bello. SOCRATE: Ora che siamo d'accordo su questo, Fedro, possiamo
giudicare quelle altre questioni. FEDRO: Quali? SOCRATE: Quelle che volevamo
indagare e per le quali siamo arrivati a questo punto, ossia esaminare il
rimprovero rivolto a Lisia circa lo scrivere i discorsi e i discorsi stessi,
quali fossero scritti con arte e quali senz'arte. Ciò che è conforme all'arte e
ciò che non lo è mi sembra che sia stato chiarito opportunamente. FEDRO: Così almeno
mi è parso: ma ricordami ancora una volta come abbiamo detto. SOCRATE: Se prima
uno non conosce il vero riguardo a ciascun argomento su cui parla o scrive e
non è in grado di definire ogni cosa in se stessa, e una volta che l'ha
definita non sa dividerla secondo le sue specie fino ad arrivare a ciò che non
è più divisibile, quindi, dopo aver scrutato a fondo allo stesso modo la natura
dell'anima, trovando la specie adatta a ciascuna natura non dispone e regola il
discorso secondo questo procedimento, offrendo discorsi variegati a un'anima
variegata e dalla piena armonia, discorsi semplici a un'anima semplice, non
sarà possibile, per quanto è conforme a natura, maneggiare con arte la stirpe
dei discorsi né per insegnare né per persuadere, come il discorso fatto in
precedenza ci ha chiaramente indicato. FEDRO: Risulta in tutto e per tutto così
. SOCRATE: Riguardo poi alla questione se sia bello o turpe pronunciare e
scrivere discorsi, e quando un rimprovero sia rivolto giustamente oppure no,
non ha forse chiarito ciò che abbiamo detto poco fa... FEDRO: Cosa abbiamo
detto? SOCRATE: Che se Lisia o altri ha mai scritto o scriverà su argomenti
d'interesse privato o pubblico, proponendo leggi o scrivendo un'opera politica,
nella convinzione che in ciò vi sia una grande solidità e chiarezza, allora il
biasimo ricade su chi scrive, che lo si dica o meno: poiché il non distinguere
realtà e sogno in ciò che è giusto e ingiusto, male e bene, non può davvero
evitare di essere riprovevole, quand'anche tutta la gente lo apprezzasse.
FEDRO: No di certo. SOCRATE: Chi invece ritiene che nel discorso scritto su
qualsiasi argomento vi sia necessariamente molto gioco e che nessun discorso
con pregio di grande serietà sia mai stato scritto né in versi né in prosa (e
neanche pronunciato, come i discorsi dei rapsodi che sono recitati senza essere
sottoposti a vaglio e non mirano a insegnare, ma a persuadere), 22
Platone Fedro ma che i migliori di essi siano realmente un mezzo per
aiutare la memoria di chi già conosce l'argomento, e ritiene che solo nei
discorsi sul giusto, sul bello e sul bene, pronunciati come insegnamento allo
scopo di far apprendere e scritti realmente nell'anima, vi sia chiarezza,
compiutezza e pregio di serietà; e inoltre è convinto che discorsi tali debbano
essere detti suoi come se fossero figli legittimi, innanzitutto quello che reca
in sé, nel caso si trovi che lo possiede, poi quelli che discendenti e fratelli
di questo, sono nati allo stesso modo nell'anima di altri uomini secondo il
loro valore, e ai rimanenti manda tanti saluti; bene, un uomo siffatto, Fedro,
è probabile che sia tale quale tu e io ci augureremmo di diventare. FEDRO: Io
voglio e mi auguro in tutto e per tutto ciò che dici. SOCRATE: Dunque, per
quanto riguarda i discorsi, ormai abbiamo scherzato abbastanza: tu ora va' da
Lisia e digli che noi due siamo discesi alla fonte e al santuario delle Ninfe e
abbiamo ascoltato dei discorsi che ci ordinavano di riferire a Lisia e a chi
altri componga discorsi, a Omero e a chi altri abbia composto poesia epica o
lirica, e in terzo luogo a Solone e a chiunque nei discorsi politici abbia
scritto dei testi con il nome di leggi, quanto segue: se ha composto queste
opere sapendo com'è il vero e può soccorrerle quando ciò che ha scritto viene
messo alla prova, e quando parla è in grado egli stesso di dimostrare la
debolezza di quanto è stato scritto, una persona del genere non deve essere
chiamato col nome di costoro, ma con un nome derivato da ciò a cui si è
dedicato con serietà. FEDRO: Quale nome gli assegni dunque? SOCRATE: Chiamarlo
sapiente, Fedro, mi sembra che sia cosa troppo grande e che si addica solo a un
dio; chiamarlo invece filosofo o con un nome del genere sarebbe a lui più
adatto e conveniente. FEDRO: E niente affatto fuori luogo. SOCRATE: Chi invece
non possiede cose di maggior pregio di quelle che ha composto e ha scritto,
rivoltandole su e giù per lungo tempo, incollandole l'una con l'altra o
separandole, non lo dirai a buon diritto poeta o autore di discorsi o scrittore
di leggi? FEDRO: Come no? SOCRATE: Riferisci dunque questo al tuo compagno!
FEDRO: E tu? Cosa farai? Non bisogna lasciare da parte neanche il tuo compagno.
SOCRATE: Chi è costui? FEDRO: Isocrate (69) il bello. Cosa riferirai a lui,
Socrate? Come lo definiremo? SOCRATE: Isocrate è ancora giovane, Fedro:
tuttavia voglio dire ciò che prevedo di lui. FEDRO: Che cosa? SOCRATE: Mi
sembra che per doti naturali sia migliore a confronto dei discorsi di Lisia, e
che inoltre sia temperato di un'indole più nobile. Perciò non ci sarebbe affatto
da meravigliarsi se, col procedere dell'età, proprio grazie ai discorsi cui ora
pone mano superasse più che se fossero fanciulli quanti mai si sono dedicati ai
discorsi, e se inoltre questo non gli bastasse, ma uno slancio divino lo
spingesse a cose ancora più grandi; giacché nell'animo di quell'uomo, caro
amico, c'è una forma naturale di filosofia. Pertanto io riferisco queste cose
da parte di questi dèi al mio amato Isocrate, tu fa' sapere quelle altre al tuo
Lisia. FEDRO: Sarà così . Ma andiamo, poiché anche la calura si è fatta più
mite. SOCRATE: Non conviene rivolgere una preghiera a questi dèi prima di
metterci in cammino? FEDRO: Come no? SOCRATE: O caro Pan e voi altri dèi di
questo luogo, concedetemi di diventare bello dentro, e che tutto ciò che ho di
fuori sia in accordo con ciò che ho nell'intimo. Che io consideri ricco il
sapiente e possegga tanto oro quanto nessun altro, se non chi è temperante,
possa prendersi e portar via.(70) Abbiamo bisogno di qualcos'altro, Fedro? Da
parte mia si è pregato in giusta misura. FEDRO: Fa' questo augurio anche per
me; le cose degli amici sono comuni. SOCRATE: Andiamo! 23 Platone
Fedro NOTE: 1) Celebre oratore ateniese vissuto tra il quinto e il quarto
secolo a.C., di cui restano 34 orazioni giudiziarie. Il discorso sull'amore che
gli viene attribuito nel dialogo è probabilmente fittizio. Il padre Cefalo,
originario della Sicilia, aveva una fabbrica d'armi al Pireo; nella sua casa è
ambientata la Repubblica. 2) Noto medico dell'epoca. 3) Epicrate era un oratore
democratico; Morico, forse il proprietario precedente della casa, era un
cittadino ateniese che per le sue ricchezze e il suo lusso divenne frequente
bersaglio dei poeti comici. 4) Pindaro, Isthmia 2. 5) Erodico di Megara,
divenuto poi cittadino di Selimbria, era un medico famoso per il suo regime di
vita "salutistico"; Platone lo menziona anche nella Repubblica e nel
Protagora. 6) I Coribanti erano i sacerdoti della dea Cibele, i cui culti erano
caratterizzati da una forte valenza orgiastica. 7) Piccolo fiume che scorre
vicino ad Atene. 8) Il dialogo è immaginato in piena estate, a mezzogiorno. 9)
Borea, vento del nord, rapì Orizia, figlia di Eretteo, re di Atene; in cambio
concesse agli Ateniesi il suo favore nelle battaglie navali. Farmacea, citata poco
sotto, era una ninfa cui era sacra la fonte dell'Ilisso. 10) Demo dell'Attica.
11) Letteralmente 'colle di Ares', era un'altura in Atene dove aveva sede il
più antico tribunale della città, formato dagli arconti usciti di carica. 12)
Sono tutti esseri mitologici. Gli Ippocentauri o Centauri, nati dall'unione di
Issione con una nube, erano metà uomo e metà cavallo. La Chimera era un mostro
con tre teste, una di leone, una di capra spirante fuoco, una di serpente. Le
Gorgoni, mostri marini, erano Steno, Euriale e Medusa; le prime due erano
immortali, mentre Medusa, che aveva il potere di pietrificare con lo sguardo,
era mortale e fu uccisa da Perseo. Pegaso era il cavallo alato nato dal sangue
della testa di Medusa tagliata da Perseo; con il suo aiuto Bellerofonte uccise
la Chimera. 13) «Conosci te stesso» era appunto il precetto scritto nel tempio
di Apollo a Delfi. 14) Tifone o Tifeo, figlio di Gea e del Tartaro, era un
drago dalle molte teste che emettevano fumo e fiamme; al termine di una dura
lotta Zeus lo fulminò e lo scagliò sotto l'Etna. Il suo mito è ricordato in
Esiodo, Theogonia 820 seguenti. Da Tifone ha avuto origine il nome comune
indicante un vento caldo portatore di tempeste. Nel testo greco c'è un gioco di
parole, intraducibile in italiano, con il quale Tifone viene
paretimologicamente accostato al participio di "túpho" ('fumare',
'bruciare') e, tramite l'aggettivo privativo "atuphos" a
"tuphos" ('vanità', 'orgoglio', superbia'). Nel dialogo Platone fa
uso più volte di simili giochi verbali, impossibili da mantenere nella
traduzione, per creare paretimologie. 15) Alle Ninfe, divinità dei boschi e dei
fiumi, Socrate in seguito attribuirà il dono dell'ispirazione. Acheloo, oltre
ad essere un fiume della Grecia centrale, era anche dio dei fiumi. 16) Una
locuzione simile ricorre in Omero, Iliade libro 8, verso 281. 17) Saffo è la
famosa poetessa lirica di Lesbo vissuta tra il settimo e il sesto secolo a.C.,
autrice di carmi soprattutto d'amore omoerotico, divisi dagli Alessandrini in
nove libri; di essi ci sono pervenuti un'ode intera, una quasi completa e
parecchi frammenti di varia lunghezza. Anacreonte di Teo, lirico monodico del
sesto secolo, fu autore tra l'altro di poesie amorose dal tono leggero, di cui
restano pochi frammenti. Non è invece possibile sapere a quali autori in prosa
si allude nel passo. 18) Gli arconti ateniesi, al momento di entrare in carica,
giuravano che se avessero trasgredito le leggi di Solone avrebbero innalzato a
Delfi una statua d'oro della loro grandezza e peso. 19) Cipselo fu tiranno di
Corinto nel sesto secolo e fondò una dinastia di tiranni. L'offerta votiva cui
si allude era forse una statua. 20) Immagine derivata dalla lotta: Fedro
intende che Socrate a sua volta ha offerto il fianco a una critica. 21)
Pindaro, frammento 105 Snell-Maehler (citato anche in Meno). 22) Il testo greco
gioca sull'assonanza tra "ligús", 'dalla voce melodiosa', e
"ligús" 'Ligure' (con lambda maiuscolo). Questo gioco paretimologico
è probabilmente alla base della leggenda secondo cui i Liguri erano amanti del
canto. 23) Socrate istituisce un nesso paretimologico tra "èros" e
"róme" ('forza'). 24) Il ditirambo, componimento lirico corale
associato al culto di Dioniso, ai tempi di Platone era in piena decadenza. Qui
il termine ha una connotazione negativa, indicando una forma di invasamento non
ispirata da "mania" divina, e quindi non mediata dal logos. 25)
L'immagine è ricavata da un gioco fatto con un coccio (óstrakon), nero da una
parte e bianco dall'altra; i giocatori, divisi in due squadre, sceglievano un
colore e a seconda di quello che risultava lanciando il coccio dovevano fuggire
o inseguire. La metafora significa che l'amante, prima inseguitore, ora fugge
l'amato. 26) Simmia, prima pitagorico, poi discepolo di Socrate, è uno degli interlocutori
del Fedone. 27) Ibico, frammnto 310, Page. Poeta lirico corale del sesto secolo
a.C., di lui restano un'ode e pochi frammenti. 28. Stesicoro, poeta lirico
corale, visse nel sesto secolo a.C. Secondo una leggenda perse la vista per
aver accusato Elena di infedeltà in un carme omonimo e la riacquistò per aver
scritto la Palinodia (la 'Ritrattazione'), in cui sosteneva che Paride non
aveva portato a Troia la vera Elena, ma un fantasma con le sue sembianze;
questa versione del mito fu ripresa da Euripide nell'Elena. Omero invece, non
avendo fatto la stessa cosa, rimase cieco. Allo stesso modo Socrate pronuncerà
una ritrattazione del discorso precedente su Eros, nella quale solleverà il dio
dalle accuse che gli aveva mosso. 24 Platone Fedro 29) A Delfi, in
Beozia, c'era il più famoso santuario di Apollo, che dava i responsi per bocca
della sua sacerdotessa, la Pizia; a Dodona, nell'Epiro, c'era un santuario di
Zeus. 30) Questo nome designava in origine una, in seguito più sacerdotesse di
Apollo, di cui era nota l'ambiguità dei responsi; la più celebre era la Sibilla
di Cuma, in Campania. 31) L'arte divinatoria, in greco "mantike",
viene fatta derivare da "manikos" cioè 'affetto da mania'; il
composto "oionoistike", di invenzione platonica, viene ricondotto a
"oieris" ('opinione', 'credenza'), e accostato a
"oionistike", ovvero l'"arte di trarre gli auspici" dal
volo degli uccelli. Il gioco paretimologico, di cui si è provato a rendere
ragione nella traduzione, è importante in quanto è funzionale al rovesciamento
della tesi sostenuta da Lisia. 32) è il celebre mito dell'anima come una biga
alata, metafora complessa e non facile da interpretare. Se infatti l'auriga
rappresenta palesemente la ragione, non è del tutto chiaro il significato dei
due cavalli; è poco soddisfacente l'interpretazione tradizionale, secondo cui
il cavallo nero rappresenterebbe l'anima concupiscibile, quello bianco l'anima
impulsiva, e l'intera immagine sarebbe da intendere come la tripartizione
dell'anima che Platone teorizza nella Repubblica (libri 4 e 9). Infatti nel
Timeo si dice che anima concupiscibile e anima impulsiva sono mortali, mentre
qui i due cavalli fanno parte proprio della struttura dell'anima immortale,
come prova anche il fatto che essi si nutrono di nettare e ambrosia, cibo e
bevanda degli dèi, e che tale struttura è comune sia all'anima umana sia a
quella divina. è preferibile pensare che i cavalli indichino due componenti
opposte connaturate comunque all'anima immortale, che l'auriga ha la funzione
di conciliare per trovare un equilibrio. 33) Estia, dea del focolare, nella
cosmologia antica veniva identificata col centro dell'universo, che era
immobile; per questo essa, unica tra gli dèi, non viaggia per il cielo. Le
divinità che guidano le dodici schiere sono probabilmente quelle olimpiche. 34)
L'Iperuranio, il luogo 'oltre il cielo', è il mondo delle Idee. Luogo
metafisico, immagine della sfera dell'intelligibile che nella sua immutabilità
trascende la realtà sensibile, esso è raggiungibile solo dell'anima. 35) Adrastea,
letteralmente 'l'inevitabile', in questo caso è una personificazione del
destino; in Repubblica (libro 5) impersonifica invece la vendetta. Viene qui
esposto il destino escatologico delle anime e la teoria della metempsicosi,
argomento che ha una più ampia trattazione con il mito di Er nel libro decimo
della Repubblica. Nel Fedro l'assegnazione della vita futura è strettamente
determinata dalla misura in cui le anime hanno contemplato la pianura della
verità prima di tornare sulla terra, poiché ad esso corrisponde il grado di
verità connesso alla vita in cui si reincarnano. 36) Altro gioco verbale basato
su una paretimologia il termine "imeros" ('desiderio'), collegato per
assonanza ad Eros, viene fatto derivare da i-, radice di "eiri"
('andare'), "mer-" radice di "méros" ('parte'),
"ro-", radice di "roé" ('flusso'). 37. Gli Omeridi erano
una scuola di aedi nell'isola di Chio che la tradizione voleva fondata dallo
stesso Omero. Invenzione platonica sono sia i poemi segreti cui si allude
ironicamente sia i due versi citati, nei quali c'è un gioco di parole tra
"Eros" e Ptéros" (epiteto scherzosamente coniato da
"pterós" ('alato'), probabilmente suggerito da quei passi omerici
(Iliade libro 1, versi 403-404; libro 14, verso 291; libro 20, verso 74) in cui
si dice che gli dèi chiamano le cose in modo diverso dagli uomini. 38) è
impossibile conservare nella traduzione il gioco tra il genitivo
"Diós" ('di Zeus') e l'aggettivo "dios", solitamente reso
con 'splendente' o 'divino'. 39) Le Baccanti o Menadi erano le sacerdotesse di
Dioniso. 40) Zeus, innamorato di Ganimede, bellissimo fanciullo frigio, in
forma di aquila lo rapì sull'Olimpo, e ne fece il coppiere degli dèi. Per il
gioco linguistico su "imeros", la nota 36. 41) L'espressione
significa che né la temperanza umana esaltata da Lisia, né la follia divina di
per sé bastano a costruire una scienza nel senso pieno del termine, ma occorre
una giusta mescolanza delle due cose; questo, in ultima analisi, può essere il
senso del mito della biga alata. L'immagine agonistica, più che a tre
differenti gare, allude probabilmente al fatto che per vincere nella lotta
bisognava atterrare l'avversario tre volte. 42) Figlio di Cefalo e fratello di
Lisia, fu vittima delle persecuzioni politiche sotto i Trenta tiranni. 43) Ad
Atene la frequenza dei processi e l'assenza del patrocinio legale, che
obbligava l'accusatore o l'accusato a parlare personalmente in giudizio,
avevano fatto nascere la professione del logografo ('scrittore di discorsi'),
che preparava su commissione i testi da pronunciare in tribunale; le orazioni
di Lisia sono appunto la testimonianza della sua attività di logografo. Il
termine ha nel contesto una connotazione negativa, tanto da essere poco sotto
equiparato a sofista. Il parallelo ritorna più avanti, dove si allude ai
compensi che i sofisti chiedevano per i loro insegnamenti. 44) L'espressine, un
po' enigmatica, significa probabilmente che da una cosa semplice ne è derivata
una difficile. 45) Figura storicamente indeterminata, Licurgo fu, secondo la tradizione,
il legislatore di Sparta. Uomo politico e poeta, annoverato tra i sette saggi,
Solone attuò, durante il suo arcontato (594-593 a.C.), una riforma dello stato
ateniese che prevedeva la divisione dei cittadini in classi in base al censo.
Dario primo, re di Persia dal 521 al 485 a.C., fu il promotore della prima
guerra greco-persiana. 46) Il mito che segue è probabilmente creazione
platonica. Il canto delle cicale è metafora dell'ispirazione a comporre
discorsi ma anche del rischio, da parte dell'ascoltatore, di lasciarsene
ammaliare senza sottoporli a vaglio critico, un atteggiamento passivo che le
cicale stesse, intermediarie tra gli uomini e le Muse, non approvano. 47) Sulla
scia del catalogo esiodeo (Theogonia 75 seguenti), le Muse qui citate hanno
nomi parlanti Tersicore è 'colei che gioisce dei cori', Erato è connessa con
Eros, Calliope è 'dalla bella voce', Urania 'la celeste'. 25 Platone
Fedro 48) Omero, Iliade libro 2, verso 361. 49) Per Spartano qui si
intende semplicemente una persona che dice la verità in modo franco e
lapidario. 50) I "figli" di Fedro sono i discorsi che ha indotto gli
altri a fare. 51) Nestore, il più vecchio dei guerrieri greci a Ilio, era
famoso per la sua eloquenza persuasiva. Abile, e soprattutto astuto parlatore
era notoriamente Odisseo. Anche Palamede, l'eroe che smascherò un tentativo di
Odisseo di non partecipare alla guerra di Troia, era fornito di capacità
oratorie. 52) Gorgia di Lentini, nato tra il 485 e il 480 a.C. e morto
vecchissimo dopo il 380 a.C., fu uno dei principali esponenti della sofistica;
a lui è dedicato l'omonimo dialogo di Platone. Delle sue numerose opere restano
pochi ma significativi frammenti. Il sofista Trasimaco di Calcedonia, vissuto
nel quinto secolo a.C., è uno dei personaggi della Repubblica, dove difende in
modo combattivo la sua idea della giustizia come diritto del più forte. Teodoro
di Bisanzio, attivo nella seconda metà del quinto secolo a.C., scrisse un
trattato di retorica. 53) Allusione ironica a Zenone di Elea (quinto secolo a.C.)
e ai paradossi con i quali cercava di confutare dialetticamente i concetti di
molteplicità e movimento; famosi sono i paradossi della freccia e di Achille e
la tartaruga. 54) Mida era il leggendario re della Frigia che per avidità di
ricchezze chiese e ottenne da Dioniso di poter trasformare in oro tutto ciò che
toccava; ma poiché anche tutto ciò che voleva mangiare o bere diventava oro,
pregò il dio di liberarlo da questo dono funesto. L'epigramma citato è
attribuito a Cleobulo di Lindo, uno dei sette saggi. 55) Poeta e sofista
contemporaneo di Socrate. 56) Tisia fu maestro di Gorgia e iniziatore, assieme
a Corace, della scuola retorica siciliana. 57) Prodico di Ceo, uno dei più
importanti esponenti della sofistica, discepolo di Protagora e maestro di Socrate.
58) Ippia di Elide, il celebre sofista da cui prendono il titolo due dialoghi
di Platone. 59) Polo di Agrigento e Licimnio di Chio furono discepoli di
Gorgia; il primo è uno dei protagonisti del Gorgia di Platone. Nel passo si
allude probabilmente a opere di retorica dei due sofisti, come poco sotto a
proposito di Protagora. 60) Protagora di Abdera, protagonista dell'omonimo
dialogo Platonico, visse ad Atene nell'età periclea. Considerato il principale
esponente della sofistica, è ricordato soprattutto per il suo agnosticismo
religioso, che gli valse una condanna per empietà, e il suo relativismo,
sintetizzato nella massima «l'uomo è misura di tutte le cose». Nulla ci rimane
delle sue numerose opere. 61) Adrasto, il re di Argo che guidò la spedizione dei
sette contro Tebe, è rappresentato da Eschilo nelle Supplici come abile
oratore; l'epiteto «voce di miele» gli è già riferito da Tirteo (frammento 9,8
Gentili-Prato). Adrasto è qui usato come eteronimo di un personaggio
contemporaneo, forse un sofista. Anche Pericle, lo statista ateniese del quinto
secolo che radicalizzò il processo democratico della polis portandola al
massimo splendore, è qui ricordato, con un tocco d'ironia, per le sue capacità
oratorie. 62) Anassagora di Clazomene (quinto secolo a.C.) visse per molti anni
ad Atene, dove ebbe come discepoli Pericle e lo stesso Socrate. Punto cardinale
del suo pensiero è l'esistenza di un principio razionale che dà ordine al
mondo, da lui chiamato "nous" ('intelletto'). 63) Ippocrate di Cos,
vissuto tra il quinto e il quarto secolo a.C., fu il fondatore della medicina
antica; l'epiteto di Asclepiade deriva da Asclepio, dio della medicina. Di lui
e dei suoi discepoli resta un considerevole numero di scritti riuniti nel
cosiddetto corpus Hippocraticum. 64) Città sul delta del Nilo, sede di un
emporio commerciale greco. 65) Theuth o Thoth era il dio egizio
dell'invenzione, che i Greci identificavano con Ermes; rappresentato con la
testa di ibis, era scriba nel tribunale dei morti. Con questo mito Platone assegna
alla scrittura un valore puramente "ipomnematico", ovvero la
considera un mero supporto alla memoria, e non veicolo di sapienza; la
trasmissione del vero sapere resta per lui affidata all'oralità dialettica. 66)
«La regione superiore» è l'alto corso del Nilo. Thamus, leggendario re
dell'Egitto, viene considerato un eteronimo dello stesso Ammone, una delle
principali divinità egizie, venerata da una potente casta sacerdotale e
identificata dai Greci con Zeus; poco sotto infatti, la risposta da lui data a
Theuth è chiamata «vaticinio di Ammone». 67) I «giardini di Adone» erano
recipienti in cui d'estate si piantavano semi che nascevano entro otto giorni e
subito morivano; il rito simboleggiava la morte prematura di Adone, il
bellissimo giovane amato da Afrodite. Allo stesso modo i «giardini di
scrittura», ovvero i discorsi scritti, devono essere intesi come una forma di
gioco, poiché i veri discorsi latori di verità sono affidati alla dimensione
orale. 68) Citazione poetica di autore ignoto. 69) Il retore Isocrate (436-338
a.C.) fondò ad Atene una scuola in competizione con l'Accademia platonica; di
lui restano 21 orazioni. Isocrate era fautore di un'alleanza di tutte le città
greche sotto la guida di Filippo di Macedonia, in vista di una spedizione contro
i Persiani. 70) Pan, figlio di Ermes, era la principale divinità agreste del
pantheon greco, venerata soprattutto in Arcadia; presiedeva alla pastorizia e
per questo era rappresentato con sembianze caprine. Pan compare già come
protettore del luogo assieme alle Ninfe, e per questo Socrate gli rivolge la
preghiera conclusiva. «Oro» è da intendersi in senso metaforico come ricchezza
della sapienza.Convito Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org Platone Il Convito 1 Biblioteca Elettronica
Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org I APOLLODORO Credo proprio di essere
bene informato di quello che mi chiedete. Infatti, l'altro giorno, me ne stavo
venendo in città, da casa mia, dal Falero, quando uno che conoscevo, vedendomi
di spalle, mi chiamò da lontano e, con tono scherzoso, mi fa: «Apollodoro il
falerese, m'aspetti un momento?» lo mi fermo e l'aspetto e quello: «Ti stavo
cercando ansiosamente, Apollodoro, perché volevo sapere qualcosa di preciso sui
discorsi che fecero Agatone, Socrate, Alcibiade e tutti gli altri, al
banchetto, discorsi d'amore, a quanto pare; me ne ha accennato un tizio che ne
aveva sentito parlare da Fenice, il figlio di Filippo, ma mi disse che ne eri
al corrente anche tu. Lui, in realtà, non ne sapeva molto. Raccontami tutto tu,
quindi, perché nessuno meglio di te, può ripetermeli, i discorsi del tuo amico.
Ma, prima di tutto, c'eri o non c'eri a quella riunione?» «Si vede proprio che
questo tizio ti ha male informato se credi che quella riunione di cui stai parlando
è avvenuta poco tempo fa e che io, quindi, vi abbia potuto partecipare.»
«Credevo di sì.» «E come hai fatto a pensarlo, Glaucone? Non sai che da
parecchi anni, ormai, Agatone non s'è più visto qui e che, d'altra parte, non
ne son passati ancora tre da quando io me la faccio con Socrate, che gli sto
sempre dietro, per conoscere quello che dice e quello che fa? Prima d'allora
gironzolavo qua e là e mi pensavo di far chissà che cosa, mentre ero l'essere
più miserabile che c'era sulla faccia della terra, come te, adesso, che credi
ci siano altre cose da fare meglio della filosofia.» «C'è poco da prendere in
giro. Dimmi, piuttosto, quand'è che c'è stata questa riunione.» «Eravamo ancora
ragazzi e fu quando Agatone s'ebbe il premio per la sua prima tragedia,
precisamente il giorno dopo i sacrifici che lui e quelli del coro vollero fare
per festeggiare la vittoria.» «Allora ne è passato del tempo! Ma a te chi te
n'ha parlato. Proprio Socrate?» «Magari. Fu, invece, la stessa persona che ne
parlò a Fenice, un certo Aristodemo, del distretto di Cidateneo, uno
mingherlino, sempre scalzo. Era presente alla riunione perché era un patito di
Socrate, più di tutti, a quel tempo. Ad ogni modo, di quanto mi riferì costui
volli chiederne anche a Socrate che mi confermò quanto l'altro m'aveva
raccontato.» «E, allora, perché non me lo racconti anche a me? Questa strada
che porta in città è proprio fatta apposta per conversare.» Strada facendo,
così, ci mettemmo a parlare di questo ed ecco perché, come vi ho detto in principio,
sono al corrente della cosa. Se devo, quindi, raccontarla anche a voi, eccomi
pronto, anche perché, quando si tratta di filosofia, sia che ne parli io o che
ne senta parlare, provo sempre un immenso piacere, a prescindere dal vantaggio
che penso di ricavarne. Quando, invece, sento certi discorsi, i vostri
specialmente, discorsi di gente ricca, di persone d'affari, che barba, ma anche
che pena, amici miei, che vi credete di far chissà cosa e poi non fate il resto
di nulla. Può essere che voi, da parte vostra, mi crediate un povero diavolo e
supponiate che, in effetti, io lo sia, ma di voi, io non lo suppongo soltanto,
ne sono convinto. AMICO Sei sempre lo stesso tu, Apollodoro, sempre che dici
male di tutti e di te stesso; io credo che per te, tranne Socrate, tutti gli
altri siano soltanto dei disgraziati, tutti quanti, a 2
Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org cominciare da
te. Perché poi ti chiamino «il Tranquillo», questo proprio non riesco a
capirlo, con tutti i tuoi discorsi sempre così aspri verso gli altri e te
stesso, tranne, appunto, che per Socrate. APOLLODORO Ah, sì? Io, dunque,
bellezza, dato che penso così di voi e di me, sarei un pazzo e un esagitato?
AMICO Ma ora lasciamo perdere questo, Apollodoro, piantiamola di litigare, e,
come t'abbiamo pregato, raccontaci quali furono questi discorsi. APOLLODORO E
va bene, presso a poco furono questi... ma, aspettate, sarà meglio che
incominci dal principio, come me li ha riferiti Aristodemo. 3
Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Egli mi
riferì di aver incontrato Socrate tutto bello lisciato, con un paio di sandali
ai piedi (cosa stranissima) e di avergli chiesto dove stesse andando tutto così
bello. E Socrate: «A pranzo da Agatone; ieri, infatti, alla premiazione per la
sua vittoria, riuscii a svignarmela perché tutta quella folla mi dava fastidio,
ma gli promisi che, oggi, sarei andato da lui. Ecco perché mi son fatto bello:
lui è un bello e, sai com'è. Ma perché non vieni anche tu, che fa, anche se non
sei stato invitato?» Ed io, così mi riferì Aristodemo: «Va bene, come vuoi.» «E
allora andiamo,» fece, «e cambieremo il proverbio dicendo che ‹a, pranzo, dal
buon Agatone, van senza invito le brave persone›. Del resto, Omero, non solo
l'ha modificato, questo proverbio, ma l'ha addirittura capovolto: infatti,
mentre ci ha sempre descritto Agamennone come un guerriero in gamba e Menelao,
invece, come uno smidollato, ecco che ti fa presentare quest'ultimo, senza
essere invitato, a pranzo da Agamennone, che aveva allora allora fatto un
sacrificio e si stava mettendo a tavola, lui, un mediocre, alla mensa di un
valoroso.» E Aristodemo: «Ma Socrate, corro anch'io, allora, questo rischio,
non come dici tu ma nel senso che scrive Omero, di andare, cioè, io, uomo da
nulla, senza essere invitato, a pranzo da un sapiente. Vedi tu, che mi ci
porti, come devi metterla per giustificarti, perché io non dirò che son venuto
da me, ma che sei stato tu ad invitarmi.» «Ma sì, andiamo, ci penseremo per la
strada a quello che dobbiamo dire.» Si dicevano questo, mi raccontava
Aristodemo, quando si posero in cammino. Ma, lungo la strada, Socrate si fece
pensieroso, meditando chissà su che cosa, e restandosene indietro e quando lui
si fermava per aspettarlo, gli diceva di andare pure avanti. Quando Aristodemo
giunse alla casa di Agatone, trovò la porta aperta e qui, mi disse, gli capitò
un fatto curioso: un servo gli corse subito incontro e lo condusse dove i
convitati erano già tutti seduti, in procinto di mettersi a pranzo. Appena
Agatone lo vide: «Oh, Aristodemo,» fece, «arrivi proprio al momento giusto, per
mangiare un boccone con noi; se è per qualche altro motivo che sei venuto,
lascialo per dopo. Ieri ti ho cercato, proprio per invitarti, ma non sono
riuscito a trovarti. E Socrate? Come mai non è con te?» «Io mi volto indietro,»
continuò a raccontarmi, «e, infatti, non lo vedo più. Dissi, allora, che ero
con lui e che, appunto da lui ero stato invitato a quel pranzo.» «Hai fatto
benissimo, ma dov'è che s'è cacciato?» «Un attimo fa era dietro di me; sarei
proprio curioso di sapere anch'io dove può essere andato.» «Suvvia, ragazzo,
non ti sbrighi?» fece Agatone, «va a vedere dov'è Socrate e tu, Aristodemo,
siediti là, vicino a Eressimaco.» II 4 Biblioteca Elettronica
Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Continuò a raccontare così, che
mentre un servo gli dava da lavarsi per mettersi a tavola, un altro venne a
dire che quel bel tipo di Socrate se ne era andato nell'atrio della casa vicina
e se ne stava lì tutto immobile: «L'ho chiamato,» riferì, «ma lui non vuol
venire.» «Ma che sciocchezze stai dicendo?» gridò Agatone. «Torna a chiamarlo,
insisti.» «Allora, intervenni io,» mi raccontò sempre Aristodemo, «pregandolo
di lasciarlo tranquillo perché era una sua abitudine quella di isolarsi tutt'a
un tratto, e di restarsene immobile dovunque si fosse trovato: ‹Vedrete che
verrà, ne sono certo, ma ora non lo disturbate, lasciatelo tranquillo›.» «Ah,
va bene, va bene, se lo dici tu,» commentò Agatone. «Però voi, ragazzi, ora
portateci da mangiare. Voi mi mettete in tavola sempre quello che vi passa pel
capo, se non vi si sta addosso, ed io non me ne son mai presa troppo la briga;
ma oggi, fate conto come se foste stati voi ad invitare queste persone e me e
quindi, trattateci bene e fatevi onore.» Così mi raccontò che si misero tutti a
mangiare e che Socrate, intanto, non si faceva vivo. Spesso Agatone insisteva.
perché lo mandassero a chiamare, ma lui lo sconsigliava. Finalmente Socrate
fece la sua comparsa e non s'era mica fatto aspettare poi tanto tempo, come di
solito faceva: cioè quando il pranzo era circa a metà. E Agatone che stava
seduto in fondo: «Qua, qua,» esclamò, «Socrate vieniti a sedere vicino a me,
così, gomito a gomito, con un sapiente, io potrò godere della grande scoperta
che hai fatto davanti ai portoni; è chiaro che qualcosa l'hai dovuta pur sempre
scoprire, altrimenti mica ti saresti mosso, tu.» E Socrate, sedendosi: «Sarebbe
una bella cosa, Agatone, se la sapienza potesse scorrere da chi ne ha di più a
chi ne ha di meno, soltanto che ci si mettesse uno vicino all'altro, come
l'acqua che attraverso un filtro passa dal bicchiere pieno a quello vuoto. Se
anche per la sapienza è così io sarò onoratissimo di starmene al tuo fianco;
sono convinto che sarò colmato da parte tua di tanta e bella sapienza, perché,
vedi, la mia, seppure ne ho, è ben misera, assai discutibile, vaga come un
sogno, mentre la tua, invece, così luminosa, così ricca di possibilità, tanto
che, proprio ieri, nonostante la tua giovane età, s'è rivelata e ha brillato in
tutto il suo fulgore davanti a più di trentamila greci.» «Sei un mascalzone tu,
Socrate,» fece Agatone, «ma fra poco ce la vedremo, io e te, in fatto di
sapienza e giudice sarà Dioniso. Intanto, per ora, pensa a mangiare.»
III 5 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org E così, continuò a raccontarmi Aristodemo, Socrate si
sedette e quando ebbe finito di mangiare, insieme agli altri, fece le
libagioni, poi cantarono tutti in onore del dio, compirono gli altri riti
dovuti e poi si misero a bere. A un tratto, mi riferì Aristodemo, Pausania se
ne uscì in queste parole: «Ehi, amici, non possiamo andarci più piano?
Francamente devo dirvi che mi sento male dopo la gran bevuta di ieri e che devo
pigliare un po' di respiro; e così, penso anche per molti di voi: ieri
c'eravate un po' tutti. Guardate, dunque, com'è che ci possiam moderare un
po'.» E Aristofane: «Pausania ha ragione. Non scherziamoci troppo col vino; io
mi sento ancora come una spugna zuppa, per ieri.» E allora intervenne
Eressimaco, il figlio di Acumeno: «Ottima idea. Su, coraggio, voglio sentirne
qualche altro; e a te, Agatone, come va col vino?» «Macché, anch'io niente
bene.» «Benissimo,» s'infervorò Eressimaco; «è proprio una fortuna per me, per Aristodemo,
per Fedro e per tutti quanti gli altri se voi, che in fatto di bere ce la
mettete tutta, oggi non vi sentiate in forma: di fronte a voi, infatti, siamo
dei pivellini. Per Socrate è un altro discorso: lui se la cava benissimo
sempre; sia che oggi si beva o meno, lui è sempre a posto. Ma, dato che, mi
pare, qui, oggi, nessuno ha troppa voglia di bere, io credo che se vi parlassi
dell'ubriachezza e del male che fa, la cosa non vi sarebbe sgradita; come
medico, è chiaro, devo dirvi che ubriacarsi fa male e che io non vorrei mai
bere più di un tanto e darei lo stesso consiglio agli altri, specie quando il
giorno prima s'è alzato un po' troppo il gomito.» «Sicuro,» intervenne Fedro,
quello di Mirrinunte; «sai che ti ascolto sempre, specie quando parli da
medico; e farebbero bene ad ascoltarti anche questi altri, se hanno un po' di
giudizio.» E così si trovarono tutti d'accordo di evitare una sbornia, per
quella volta e bere ciascuno per quel che gli andava. IV 6
Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «E poiché,
ora,» riprese Eressimaco, «siamo d'accordo che ognuno potrà bere solo quello
che vuole senza che nessuno stia lì ad obbligarlo, io propongo di mandare a
spasso la suonatrice di flauto, che è entrata ora (che se ne vada a suonare per
conto suo o, dentro, dalle donne) e noi, invece, di restare un po' qui, oggi, a
chiacchierare insieme; potrei anche dirvi di cosa, se volete.» Tutti, allora,
almeno così riferì Aristodemo, approvarono e lo esortarono a proporre
l'argomento. E così, Eressimaco, incominciò: «Inizio come la Melanippe di
Euripide, non sono mie le parole che sto per dirvi, infatti sono di Fedro. È
Fedro che ogni volta, tutto sdegnato, mi dice: ‹Non è una indecenza,
Eressimaco, che i poeti si mettano a comporre inni e canti a tutti gli dei e
che per Amore, invece, per un dio di quella specie, per un dio così grande, non
ce ne sia uno, tra tanti, che abbia scritto un solo verso di lode? Se pigliamo
i sofisti di fama, quello stesso grand'uomo di Prodico, per esempio, ti
scrivono in prosa di Ercole o di altri; e questo sarebbe niente se non mi fosse
capitato tra le mani il libro di un gran cervellone nel quale, costui, non
faceva niente po' po' di meno che l'elogio sperticato del sale e della sua
utilità: di questi elogi ne puoi trovare dovunque, in abbondanza. E pensare che
si spreca tanta fatica per simili argomenti e, poi, per Amore non s'è ancora
trovato nessuno, almeno fino ad oggi, che s'è sentito di celebrarlo degnamente:
ecco come si tratta un dio simile.› Secondo me Fedro ha proprio ragione.
Quindi, è mio desiderio fargli questo regalo e mostrarmi compiacente e, nello
stesso tempo, profittando dell'occasione, niente di meglio, a mio avviso, per
tutti noi, di rendere onore a questo dio. Se siete d'accordo anche voi potremmo
passare il tempo così: ognuno di noi, cioè, io penso, per esempio partendo da
destra, dovrebbe fare un discorso in lode di Amore, si capisce meglio che può;
e che cominci proprio Fedro che è il primo della fila e che, d'altro canto, è
stato lui proprio a darci l'idea per un simile argomento.» «Nessuno sarà
contrario, Eressimaco,» intervenne Socrate, «a cominciare da me che affermo di
essere un esperto soltanto in cose d'amore, né Agatone, né Pausania,
figuriamoci poi Aristofane che tra Bacco e Venere, ci passa la vita, e nemmeno
questi altri a quanto vedo. C'è un fatto però, che noi che siamo seduti
quaggiù, per ultimi, veniamo a trovarci in svantaggio; comunque, se i primi
diranno quel che devono dire e lo diranno bene, a noi basterà. E, allora, buona
fortuna, Fedro, comincia a fare le lodi di Amore.» Al che tutti quanti
approvarono e fecero eco alle parole di Socrate. Ora, quello che ciascuno
disse, Aristodemo non lo ricordava bene e, dal canto mio, io stesso, ora, non
ricordo più, tutto quello che lui mi riferì, tranne le cose più importanti e,
perciò, vi potrò ripetere solo quei discorsi che mi parvero più degni di
ricordo. V 7 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org E, così, il primo a parlare, mi raccontò, fu Fedro che
incominciò presso a poco col dire che Amore è un dio possente, meraviglioso,
tanto fra gli uomini che fra gli dei per molte e tante ragioni ma, soprattutto,
per quel che riguarda la sua nascita: «Egli ha il vanto,» continuò Fedro, «di
essere, fra tutti, il dio più antico e, prova di questo è il fatto che non ha
genitori e mai nessuno ne ha parlato, prosatore o poeta che fosse. Esiodo ci
dice che ci fu dapprima il Caos: la Terra dall'ampio petto, sicura sede e poi
per tutti sempre e, poi, Amore Insomma, secondo questo poeta, dopo il Caos ci
furono queste due divinità: Terra e Amore. E Parmenide così narra la genesi:
Primo di tutti gli dei creò Amore Con Esiodo concorda Acusilao. Quindi, da più
fonti, si conviene che Amore è antichissimo. E, così com'è il più antico, è
fonte, per noi, di grandissimi beni. Io, infatti, non so se vi sia un bene
maggiore che avere, fin da giovani una persona virtuosa da amare o anche
viceversa, che ci ami. E, in effetti, niente come Amore può dare all'uomo quei
principi che valgono per vivere rettamente tutta la vita, non la nascita, non
gli onori, non la ricchezza, niente di questo. Ma a quali principi voglio
alludere?, mi chiedo: alla vergogna per le brutte azioni e al desiderio di
buone, senza dei quali né stati né individui possono mai realizzare qualcosa di
grande e di bello. E, inoltre, io dico che un uomo innamorato, sorpreso a
commettere una brutta azione o a subirla, se la sua viltà non gli consente di
difendersi, non proverà mai tanto dolore se lo vede il padre o l'amico o
chiunque altro, quanto se lo vedesse la persona amata, E lo stesso è per
quest'ultima, che se fa qualcosa di male si vergogna soprattutto se è vista da
chi la ama. Oh, se ci potesse essere una città o un esercito composto tutto di
innamorati, non vi sarebbe modo migliore di reggerlo e di vedere uomini
rifuggire dal male e rivaleggiare tra loro nelle belle azioni; in guerra, poi,
messi uno al fianco dell'altro, anche se in pochi, si può dire che vincerebbero
il mondo intero. Perché l'uomo innamorato sarebbe disposto ad abbandonare il
suo reparto, a gettare le armi sotto gli occhi di tutti, ma non dinanzi alla
persona amata, piuttosto preferirebbe centomila volte morire; e, d'altronde,
abbandonare la persona cara, non prestarle il suo aiuto se è in pericolo, non
c'è nessun uomo tanto vile cui Amore non riesca ad infondere il necessario
coraggio, come se fosse posseduto da un dio e renderlo uguale a chi è
coraggioso di natura. Insomma, lo stesso soffio divino che, a quanto dice
Omero, un dio infonde in taluni eroi, Amore, come un suo dono, suscita in
quelli che amano. VI 8 Biblioteca Elettronica Esoterica
ESONET.ORG http://www.esonet.org «E poi, solo quelli che amano sono pronti a
morire per gli altri e non solo gli uomini ma anche le donne. Vedi Alcesti, per
esempio, la figlia di Pelia che per noi greci è la più bella prova di ciò che
dico, la quale fu la sola a voler morire al posto del suo sposo che aveva pure
un padre e una madre; costei fu tanto più sublime, nel suo cuore di donna,
acceso, appunto dall'amore, da far apparire i parenti di lui quasi degli
estranei al loro stesso figliolo, legati a lui soltanto dal nome. E questo
gesto fu giudicato così bello non solo dagli uomini ma anche dagli dei, che
questi, pur concedendo solo a pochi, tra i tanti che compiono belle imprese, il
privilegio di vedersi restituita alla luce la loro anima, consentirono a questa
fanciulla il ritorno alla terra, commossi del suo gesto; questo dimostra che
gli dei apprezzano moltissimo lo zelo e la virtù che nascono dall'amore. Orfeo,
invece, il figlio di Eagro, te lo rimandarono fuori dall'inferno senza che
avesse ottenuto nulla, mostrandogli solo la falsa immagine della sua donna, per
la quale egli era sceso nell'Ade e non gliela restituirono, considerandolo un
debole (suonatore di cetra com'era) perché non aveva avuto il coraggio di
morire per amore, come Alcesti, ma, vivo, era riuscito a penetrare nell'Ade e
con l'astuzia. Ecco perché gli inflissero questa punizione e lo fecero morire
per mano di donne. Non così Achille che onorarono invece e mandarono alle isole
dei beati perché per quanto egli fosse già stato avvertito dalla madre che se
avesse ucciso Ettore sarebbe morto mentre se l'avesse risparmiato sarebbe
ritornato in patria e lì avrebbe finito vecchio i suoi giorni, preferì scendere
in campo per Patroclo, per l'amico che amava e vendicarlo e morire per lui, non
solo, ma per lui morto; per questo gli dei profondamente ammirati gli resero
onori grandissimi, come quello che aveva tenuto così alto nel suo cuore l'amico
amato. Eschilo dice un'inesattezza quando afferma che era Achille l'amante di
Patroclo, lui che non solo era più bello di Patroclo ma di tutti gli altri
eroi, imberbe ancora e quindi molto più giovane di lui come dice Omero. La
verità, però, è che gli dei pur onorando assai questo sentimento d'amore,
volgono più la loro ammirazione, le loro lodi a colui che ricambia l'amore di
chi lo ama, piuttosto che a quest'ultimo. Colui che ama è cosa più divina di
chi si lascia amare, perché un dio lo possiede; per questo gli dei onorarono
maggiormente Achille che non Alcesti e gli dischiusero le isole dei beati. Per
concludere io affermo che Amore è il più antico degli dei, il più degno di
onori, quello che più può infondere agli uomini virtù e felicità, sia mentre vivono
che dopo la loro morte.» VII 9 Biblioteca Elettronica
Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Questo, presso a poco, a quanto mi
riferì Aristodemo, fu il discorso di Fedro. Dopo di lui parlarono altri, però
non ricordava molto. E così passò a riferirmi il discorso di Pausania che prese
a dire: «Non mi pare che tu abbia ben impostato il tuo discorso, Fedro, così
come hai troppo semplicisticamente fatto le lodi di Amore. Se, infatti, Amore
fosse uno solo, la cosa sarebbe potuta anche passare; ma il fatto è che non è
uno soltanto e quindi è più giusto precisare prima qual è che bisogna lodare.
Ed è a questo errore che io cercherò di rimediare, in primo luogo dicendo quale
Amore convenga lodare e poi facendone in modo degno l'elogio. Tutti riconoscono
che non si può concepire Venere senza Amore. Se di Venere ce ne fosse una sola,
lo stesso dovrebbe dirsi di Amore, ma poiché due sono le Veneri, due saranno
anche gli Amori. Non sono forse due le dee? Una, la più antica, che non ebbe
madre, la figlia del Cielo, che appunto chiamiamo Celeste, l'altra, più
giovane, figlia di Giove e di Dione, che chiamiamo Pandemia. Ne consegue che
l'Amore che convive con quest'ultima, giustamente vien chiamato Pandemio,
l'altro, Celeste. Gli dei, in verità, bisogna onorarli tutti, ma ora, di questi
due, occorre pur dire quali sono gli attributi. Intanto, ogni azione ha questo
di caratteristico: che per se stessa non è mai bella o brutta. Per esempio:
quello che noi ora stiamo facendo, cioè bere, cantare, discutere, in se stesso,
non è che sia bello, ma lo diventa dal modo con cui questa azione viene
compiuta: onestamente e rettamente, è bella, altrimenti, la stessa azione è
cattiva. Lo stesso è quando si ama: non ogni Amore è bello o degno di lode, ma
solo quello che spinge a nobilmente amare. VIII 10 Biblioteca
Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Orbene, l'Amore che
convive con la Venere Pandemia, è ovvio che sarà anch'egli Pandemio, cioè
volgare e si comporta un po' alla carlona; questo tipo d'Amore vien prediletto
dai mediocri che non fan differenza a giacersi con donne o giovincelli di cui
amano, oltretutto, più il corpo che l'animo, anzi preferiscono gli esseri
sciocchi, tutti presi come sono dall'atto carnale, senza un briciolo di buon
gusto, e accade così che finiscono per comportarsi come capita, bene o male che
sia. Questo perché un simile Amore deriva dalla Venere più giovane che,
nascendo, s'ebbe i caratteri della femmina e, insieme, quelli del maschio.
L'altro Amore, invece, deriva dalla Venere Celeste che anzitutto non partecipa
della natura femminile ma solo di quella maschile (e questo è l'amore per i
giovinetti) e, in secondo luogo è più antica e immune da ogni forma di
libidine. Così, quelli che sono infiammati da questo Amore, volgono le loro
predilezioni al sesso maschile presi come sono da ciò che, per natura, è più
vigoroso e dotato di più aperto intelletto. E in questa passione per i giovani
è facile riconoscere quelli che sono nobilmente infiammati da questo Amore;
costoro, infatti, non si legano ai giovani se non quando questi hanno già una
loro maturità intellettuale e vedono spuntare la prima barba. Io penso,
infatti, che chi per amarli attende che essi giungano a questa età, lo fa per
poter convivere poi tutta la vita con loro in una dolce intimità e non per
ingannarli, per approfittare della loro ingenuità e sbeffarli, piantandoli poi
in asso per correre dietro a un altro. Anzi ci vorrebbe proprio una legge che
vietasse di aver relazioni amorose con i minorenni, per evitare che si sciupi
tempo e fatica per un esito incerto; con i ragazzi, infatti, non si sa mai come
vada a finire, se faranno una buona riuscita o meno, sia per quel che riguarda
le doti fisiche che per quelle morali. I galantuomini se la pongono da sé
questa legge, ma per i dongiovanni da quattro soldi, sarebbe proprio necessario
far qualcosa in proposito, così come abbiamo impedito, meglio che s'è potuto,
che avessero rapporti intimi con donne di condizione libera. Sono questi che
han fatto degenerare la cosa a tal punto che ora c'è gente che afferma che è
brutto corrispondere chi ci ama; e lo dice proprio perché ha davanti agli occhi
l'esempio di questi tipi, privi affatto di buon gusto e di un minimo di pudore,
giacché nessuna cosa, se è fatta nei dovuti limiti e secondo onestà, può
giustamente tirarsi dietro un qualche biasimo. Negli altri Stati, intanto, le
leggi sull'amore non sonio di difficile interpretazione, regolate da principi
assai semplici, così come concettosi e ingarbugliati sono da noi. Nell'Elide,
per esempio o a Sparta o anche in Beozia, dove la gente non è abituata a far
bei discorsi, viene, molto semplicemente, riconosciuto che è bello
corrispondere chi ama e nessuno, giovane o vecchio che sia, si sognerebbe di
dire che è cosa brutta; questo, a mio avviso, perché non vogliono pigliarsi
troppo la briga di persuadere i giovani, inesperti come sono nell'arte del
dire. Nella Ionia, invece, e in molte altre parti dove predominano popolazioni
non greche, la cosa è ritenuta vergognosa; presso i popoli stranieri, del
resto, proprio per i loro regimi tirannici, anche l'amore che uno può portare
alla sapienza o alla ginnastica, è cosa disonesta. Infatti, io penso che ai
governanti non convenga che sorgano tra i sudditi nobili e forti proponimenti o
salde amicizie o identità di vedute, tutte cose, queste, che è proprio l'amore,
di solito, a far IX 11 Biblioteca Elettronica Esoterica
ESONET.ORG http://www.esonet.org nascere. E questo l'hanno imparato anche qui
da noi i nostri tiranni, come l'amore di Aristogitone e l'intrepida amicizia di
Armodio, abbiano distrutto il loro potere. Pertanto, là dove si ritiene che è
cosa disonesta corrispondere chi ama, ciò è dipeso dalla mediocrità dei
legislatori, dall'arroganza dei governanti e dalla viltà dei sudditi; laddove, invece,
la cosa è ritenuta senz'altro bella, in linea assoluta, è stato per la pigrizia
di chi ha fatto la legge. Quindi, da noi, vige una consuetudine più bella che
altrove ma, come dicevo prima, non è facile, però, interpretarla.
12 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org «Si pensi, infatti, che da noi si reputa più bello amare
alla luce del sole che di nascosto, amare, poi, soprattutto, chi è virtuoso e
nobile anche se è più brutto degli altri e che si dà un incoraggiamento straordinario
a chi ama, non ritenendo affatto che la sua sia un'azione vergognosa, anzi è
motivo di orgoglio riuscire nel proprio intento ed è quasi un disonore, invece,
fallire nella conquista e che la legge accorda all'amante, per le sue imprese
amorose, la libertà di fare cose addirittura straordinarie e di riceverne lode,
cosa che se uno facesse con altre intenzioni e per altri fini, si tirerebbe
addosso il biasimo di tutti. Se uno, infatti, volendo farsi dare del denaro da
qualcuno o desiderando ottenere un pubblico impiego o qualche carica, si
mettesse a fare quel che gli amanti fanno per i loro fanciulli, suppliche,
scongiuri, per ottenere quello che bramano, i giuramenti che fanno, tutte le
notti che passano fuori davanti all'uscio del loro amore, tutti i servizi a cui
si piegano, quelli più infimi, cui nessuno schiavo s'adatterebbe, costui si
vedrebbe ostacolato in questo suo modo di fare, non solo dagli amici ma anche
dai suoi avversari che gli rimprovererebbero queste smancerie e questo
servilismo, richiamandolo al dovere e vergognandosi per lui; se tutto questo
uno, invece, lo fa per amore, acquista addirittura pregio e la nostra legge
glielo consente, senza che su di lui ricada biasimo alcuno, come se, in
effetti, compisse una cosa bellissima. Ma quello che è ancora più straordinario
è che, a quanto dicono i più, solo a chi ama è concesso, quando giura e poi non
mantiene il giuramento, di ottenere il perdono degli dei perché, a quanto si
dice, in amore non c'è giuramento che valga. È per questo che sia gli dei che
gli uomini hanno concesso, a chi ama, un'assoluta libertà, come ci provano le
nostre leggi. Tutto questo autorizzerebbe a credere che in questa nostra
patria, amare e corrispondere chi ama è ritenuta cosa bellissima. Eppure quando
i genitori ti mettono alle calcagna dei loro figlioli un pedagogo, col preciso
incarico di tenerli lontani dai loro corteggiatori, quando i compagni e i
coetanei fanno quasi succedere uno scandalo se si accorgono di qualcosa del
genere, mentre i più anziani lasciano che dicano e non intervengono a queste
esagerate reazioni, a guardar bene tutto questo sembrerebbe proprio che qui da
noi l'amore sia considerato cosa del tutto disonesta. Il fatto è, a mio avviso,
che la cosa sta invece così: non c'è nulla di assoluto, come accennai prima, e
niente è bello o brutto per se stesso, ma diventa l'uno o l'altro a seconda che
sia fatto bene o male. Così, l'amore diventa cosa spregevole se, senza alcun
buon gusto, uno si concede a un essere spregevole, è cosa bella, invece, quando
lo si fa onestamente con persona onesta. Ed amante del tutto indegno, volgare,
è colui che ama più il corpo che l'animo, perché costui, infatti, non è
costante, preso com'è da cosa che non dura. Quando, infatti, sfiorisce la
bellezza del corpo, di quel fiore che amava, egli ‹fugge lontano, scompare› e
addio promesse e belle parole. Chi, invece, ama qualcuno per la bellezza del
suo animo, gli resta fedele per tutta la vita, perché s'è congiunto a cosa che
dura. Perciò le nostre leggi si prefiggono di ben individuare tutti costoro per
accordare, agli uni, ogni favore e mettere al bando gli altri e per questo si
esortano gli amanti a insistere nelle loro profferte e gli amati a schermirsi,
cercando così, per questa specie di gara, di stabilire a quale delle due
categorie appartengano gli uni e gli altri. Per questo X 13
Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org motivo è
ritenuta gran brutta cosa, prima di tutto, lasciarsi sedurre, così, in quattro
e quattr'otto, senza dar tempo al tempo, che, in fondo, si sa, per tante cose è
un gran maestro; in secondo luogo, lasciarsi incantare dal denaro o dalle
prospettive di cariche politiche, sia che il giovane per qualche violenza
subita si intimorisca e si metta in condizione di non reagire, sia che,
prospettandogli la possibilità di far denaro o di avere successo in politica,
egli non vi rinunci sdegnosamente: infatti, nessuna di queste cose è sicura e
durevole, oltre al fatto, poi, che da esse non potrà mai nascere una lunga
amicizia. Quindi, secondo la nostra legge, non c'è che una strada perché
l'amato possa onestamente corrispondere e compiacere l'amante, ed è questa:
come non è affatto vergognoso e umiliante, per chi ama, sottoporsi per il suo
amore, a ogni sorta di schiavitù, così c'è una sola servitù volontaria, non
indecorosa o infamante: quella che ha per oggetto la virtù.
14 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org «Ed è norma ancora, da noi, che se uno si mette al
servizio di un altro ritenendo che ciò possa contribuire a renderlo migliore
nel campo del sapere o in qualche altra virtù, questa sottomissione volontaria
non è vergognosa, né servile. Occorre, pertanto, che queste due norme, quella
sull'amore dei giovinetti e quella sul desiderio di acquistar sapienza o
qualsiasi altra virtù, si fondano insieme se si vuole che sia veramente una
cosa bella che il giovane conceda le sue grazie a un amante. Infatti quando
l'amante e la persona amata s'incontrano, ciascuno, ligio a una sua precisa
condotta, cioè l'uno disposto a servire il giovane che gli ha concesso i suoi
favori e a servirlo onestamente, l'altro, con la stessa onestà, a seguire la
volontà di chi lo rende sapiente e migliore e quando il primo sia veramente
capace di dare senno e virtù e l'altro veramente desideroso di educarsi e
d'acquistar, in ogni modo, sapienza, quando questo avviene, quando queste due
direttrici convergono a un unico fine, oh, allora, si è cosa bella che la
persona amata conceda i suoi favori a chi l'ama, altrimenti niente da fare. In
questo caso essere ingannati non è nemmeno mortificante; in tutti gli altri
casi, ingannati che si sia o meno, c'è da arrossir di vergogna. Se un giovane,
infatti, in un miraggio di ricchezza, si è lasciato sedurre per denaro e poi
resta ingannato perché s'accorge che il suo seduttore è povero, questo giovane,
compie un'azione molto spregevole, perché s'è rivelato quel che egli era: un
uomo capace di darsi a chiunque per sete di denaro e questo non è bello. E per
un ragionamento analogo, se lo stesso giovane, invece, si fosse concesso a
persona virtuosa, riconoscendo che sarebbe divenuto migliore proprio in virtù
di quella corrispondenza e poi fosse stato ingannato perché il suo amante s'è
rivelato persona del tutto mediocre, priva di qualsiasi virtù, ebbene questa
delusione è motivo di compatimento; infatti, egli ha dimostrato di esser pronto
a dar tutto se stesso a chiunque, ma per la virtù e pur di diventar migliore, e
questo, certo, è tra tutte, cosa bellissima. In conclusione, il concedersi per
ottenere, in cambio, virtù, è bello. Questo è l'Amore della dea celeste,
celeste egli stesso, degno in tutto di venerazione da parte dello stato come
dei singoli individui, che spinge gli amanti e le persone amate, ciascuno per
quel che gli compete, a preoccuparsi soltanto d'essere virtuosi. Quanto agli
altri amori, provengono tutti dalla Venere Pandemia, volgare. Questo è quanto
ho improvvisato, Fedro, così su due piedi, a proposito di Amore.» Dopo la pausa
di Pausania (guarda un po' che giochetti di parole ti sto a fare, che
m'insegnano i dotti), a quanto ebbe a riferirmi Aristodemo, toccava ad
Aristofane, senonché, vuoi per la pienezza di stomaco, vuoi per qualche altra
causa, costui aveva il singhiozzo e, quindi, era nell'impossibilità di parlare.
Si rivolse, allora a Eressimaco, il medico, che gli era seduto accanto: «Cerca
di liberarmi da questo singhiozzo, Eressimaco,» gli disse, «o, almeno, prendi
tu la parola, finoa quando non si sarà calmato.» «Cercherò di venirti incontro
in un modo e nell'altro; parlerò io al tuo posto e poi interverrai tu quando ti
sarà passato; intanto cerca di trattenere il respiro per qualche minuto e
vedrai che il singhiozzo se ne andrà, oppure bevi un sorso d'acqua, fai dei
gargarismi e, se persiste, prendi qualcosa che ti solletichi il naso e cerca di
starnutire e vedrai che, con un paio di starnuti, per quanto XI
15 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org
ostinato, ti passerà.» «Sì, ma tu sbrigati a parlare,» insistette Aristofane, «intanto
io cercherò di fare come tu dici.» 16 Biblioteca Elettronica
Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org E così Eressimaco incominciò: «A mio
avviso, mi par necessario che cerchi di concludere il discorso che Pausania ha
iniziato così bene ma che poi non ha portato a termine. Che Amore sia duplice,
ci sembra distinzione esatta; ma che esso non alberga solo negli uomini
attratti dalle belle creature, ma in tutti gli altri esseri, a loro volta presi
per altre forme, negli animali, per esempio, nelle piante e comunque in tutte
le creature viventi, io credo di averlo dedotto dalla medicina, la nostra arte
e, altresì, come Amore sia grande e meraviglioso iddio, presente ovunque in
ogni cosa umana e divina. Comincerò, quindi, a trattar l'argomento da un punto
di vista medico, anche in omaggio a questa arte. La natura dei corpi è tale che
essi hanno in sé questo duplice Amore; infatti, per il corpo, malattia e salute
sono, come tutti sanno, due condizioni diverse e contrarie e, come tali,
perciò, non appetiscono e non desiderano mai le stesse cose. In poche parole,
altro è il desiderio che prova la parte sana, altro quello che sente la parte
malata. E come Pausania diceva poco fa che è bello concedersi a un amante
virtuoso e vergognoso è, invece, darsi a un dissoluto, lo stesso è anche per i
corpi per cui è cosa bella, anzi doverosa, favorire lo sviluppo delle parti
sane di ciascun organismo (e, in fondo, proprio questo è il compito del medico)
ed è male, invece, farlo per le parti malate per le quali occorre agire con intransigenza,
se si è veramente capaci nell'arte medica. Infatti, la medicina, per dirla in
breve, è la scienza che studia le tendenze affettive dell'organismo nel suo
riempirsi e svuotarsi e chi sa distinguere in queste tendenze, le buone dalle
cattive, costui è un gran medico; chi, poi, queste tendenze le sappia anche
modificare o suscitarne una al posto dell'altra o stimolarne qualcuna laddove
non ve ne siano e invece dovrebbero esservi o, addirittura, cancellare quelle
che vi sono, costui, allora, sarà proprio un maestro eccellente. Bisogna,
infatti, che le parti di un organismo che sono tra loro incompatibili si
riconcilino e trovino una loro reciproca armonia. E gli elementi più
incompatibili sono quelli contrari, freddo e caldo, amaro e dolce, secco e umido
e così via; e poiché ad aver saputo conciliare ed armonizzare tutti questi
contrari è stato nostro padre Asclepio, egli, come dicono questi poeti e come
anch'io sono convinto, è il fondatore di questa nostra scienza. Tutta la
medicina, dunque, come vi sto dicendo, è governata da questo dio, come del
resto la ginnastica e l'agricoltura. Quanto alla musica, poi, basta un minimo
di riflessione perché tutti comprendano che essa si comporta alla stessa
stregua delle altre arti, come anche Eraclito, del resto, forse vuol dire,
sebbene non si esprima in termini molto chiari: ‹L'unità in sé discorde,› dice,
‹con se stessa s'accorda, come l'armonia dell'arco e della lira.› Ora, è
assurdo pensare che l'armonia sia mancanza di accordi o che nasca da elementi
ancora discordanti tra loro. Egli, forse, voleva dire che essa nasce da
elementi prima discordanti, l'acuto e il grave, per esempio, che si son poi
accordati per virtù della musica; infatti, non è certo possibile che l'armonia
risulti da suoni tuttora discordi tra loro quali l'acuto e il grave. In verità,
l'armonia è consonanza e la consonanza è accordo; non è possibile, ora, che vi
sia accordo da cose discordi finché restino tali, come impossibile è che vi sia
armonia quando gli elementi discordanti non abbiano trovato il loro accordo;
così come anche il ritmo, del resto, che risulta dal veloce e dal lento prima
discordi tra loro ma poi XII 17 Biblioteca Elettronica
Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org armonizzati insieme. E l'accordo fra
tutti gli elementi, come per quelli di prima era dato dalla medicina, così per
questi è dato dalla musica che produce, quindi, tra loro, reciproca armonia e
corrispondenza. La musica, quindi, per quanto riguarda il ritmo e l'armonia, è
scienza d'amore. Non è difficile, poi, individuare nella stessa costituzione
del ritmo e dell'armonia questa sua peculiarità, in quanto in essa non vi sono
le due specie d'amore. Quando però si compongono ritmi e armonie per la gente
(ed è questa, propriamente, ciò che si chiama composizione musicale) o si
eseguono fedelmente melodie e partiture altrui (e questo è virtuosismo), allora
sì che viene il difficile e occorre un bravo artista. E qui si torna al
discorso di prima, cioè che bisogna compiacere alle persone per bene o a quelle
che ancora non lo sono ma vogliono diventarlo e conservarsi il loro amore che è
poi quello bello, quello celeste, l'amore di Afrodite Urania; quello di
Polimnia, invece, è l'amore pandemio, volgare, cui bisogna concedersi con
prudenza e che dobbiamo, a nostra volta, con prudenza concedere per goderne
senza tuttavia farne abuso. Del resto, anche nella nostra scienza è molto
importante sapersi ben destreggiare con i desideri per la buona cucina in modo
da saperla gustare senza poi ammalarsi. E così nella musica, nella medicina e
in tutto il resto, sia nelle cose umane come in quelle divine, occorre tener
presenti, per quanto possibile, l'uno e l'altro amore, dovunque contenuti
entrambi. 18 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org «E anche le stagioni dell'anno, nella loro successione,
son colme di questi due amori e quando gli elementi contrari di cui parlavo
prima, il caldo e il freddo, il secco e l'umido, cadono sotto l'influenza
dell'amore benigno che li armonizza e li compone sapientemente, allora le
stagioni recano abbondanza e salute agli uomini, agli animali e alle piante e
non portano alcun danno. Quando, invece, ha il sopravvento l'altro amore, con
tutta la sua violenza, ecco, allora, rovine e distruzione ovunque, ecco la
causa di pestilenze e di molti altri simili morbi per gli animali e le piante;
e, infatti, il gelo, la grandine, la rubigine derivano dalla violenza e dal
disordine con cui si manifestano queste tendenze d'amore. La scienza che,
attraverso il moto degli astri e il succedersi delle stagioni indaga questi
fenomeni, si chiama astronomia. Inoltre, tutti i sacrifici e i riti a cui
presiede l'arte profetica, nel loro insieme (sono essi a mantenere un rapporto
tra gli uomini e le divinità) non hanno altro scopo che di custodire e
salvaguardare l'Amore; ogni scelleratezza, infatti, nasce perché non si
dimostra buona disposizione nei riguardi dell'amor benigno, né, in quel che si
fa, lo si tiene nella dovuta stima e lo si onora. Cose, invece, che si
concedono tutte all'altro amore, sia per quel che riguarda i rapporti con i
propri genitori, vivi o morti che siano, sia quelli con gli dei. A queste cose,
appunto, l'arte profetica è destinata, per cui deve sorvegliare gli amori e
apprestarne i rimedi; e la divinazione è all'origine dell'amicizia tra gli dei
e gli uomini in quanto, delle tendenze umane, conosce quelle che si volgono
alla giustizia e alla pietà. Dunque, tanto grande e vasta, anzi, universale è
la forza d'Amore, ma quello che si volge al bene con saggezza e giustizia sia
nei nostri rapporti umani che in quelli degli dei tra loro, ha forza ancora
maggiore e ci dà la felicità e ci fa vivere nella concordia e nell'amicizia con
tutti e con chi è migliore di noi, cioè con gli dei. Forse anch'io ho
tralasciato molte cose, mio malgrado, in questo elogio d'Amore; se l'ho fatto,
è compito tuo Aristofane rimediarvi; se, invece, vuoi onorare il dio in altro
modo, fallo pure, dato che il singhiozzo t'è passato.» E così, mi riferì
Aristodemo, cominciò a parlare Aristofane che disse: «Veramente è passato ma
solo con lo starnuto, tanto che io mi meraviglio come il corpo umano, così ben
fatto, abbia proprio bisogno di tanto rumore e solleticamenti, come lo
starnuto. Sta di fatto, però, che il singhiozzo è cessato appena ho
starnutito.» «Ma, mio caro Aristofane,» ribatté Eressimaco, «sta un po' attento
a quel che fai; ti metti a far dello spirito proprio ora che devi parlare e
così mi costringi a stare sul chi va là per ogni tua parola, nel caso ti
saltasse in mente di dirle grosse, e sì che potresti parlar tranquillamente.»
«Hai ragione, Eressimaco,» ammise Aristofane, ridendo, «fingi come se non
avessi detto nulla. Ma non stare sul chi va là mentre parlo perché io ho
proprio paura, non tanto perché, forse, con quello che sto per dire, farò
ridere, il che potrebbe essere anche piacevole e coerente con la mia musa, ma
perché mi farò invece deridere.» «Sì, sì, va bene, Aristofane, tu prima lanci
il sasso e poi nascondi la mano; mettici attenzione, invece, e parla come se
dovessi dar conto di quello che dici; da parte mia, intanto, vedrò di lasciarti
tranquillo.» XIII 19 Biblioteca Elettronica Esoterica
ESONET.ORG http://www.esonet.org «Per dir la verità, Eressimaco,» cominciò
Aristofane, «io avrei in mente di fare un discorso diverso da quello tuo e di
Pausania. Io credo, infatti, che di tutta questa potenza dell'Amore, gli uomini
non se ne siano accorti per niente, altrimenti gli avrebbero innalzato templi
grandiosi, altari, gli farebbero sacrifici magnifici e, invece, nulla di tutto
questo mentre sarebbe la prima cosa da fare. Nessuno come lui, tra tutti quanti
gli dei, è amico degli uomini, viene in loro aiuto, cerca di curarne i mali, la
cui guarigione, forse, sarebbe la più grande felicità del genere umano. Quindi,
io cercherò di svelarvi la sua potenza e voi, a vostra volta, la rivelerete
agli altri. Per prima cosa, dovete rendervi conto cosa sia la natura umana e
quali siano state le sue vicende; per il passato, infatti, essa non era quella
che è oggi. Nel principio, tre erano i sessi dell'uomo, non due, il maschio e
la femmina, come ora: ce n'era un terzo che aveva in sé i caratteri degli altri
due, ma che oggi è scomparso e del quale resta soltanto il nome: l'ermafrodito.
Esso, infatti, era un essere a sé stante che, nell'aspetto esteriore e nel
nome, aveva dell'uno e dell'altro, cioè, del maschio e della femmina; oggi,
ripeto, non resta che il nome che, per di più, ha un significato infamante.
Inoltre, la figura di questo essere umano era arrotondata, dorso e fianchi
formavano come un cerchio; aveva quattro mani e quattro erano pure le gambe;
aveva anche due facce, piantate su un collo anch'esso rotondo, completamente
uguali e attaccate, in senso opposto, a un unico cranio; aveva quattro
orecchie, doppi gli organi genitali e, da tutto questo, possiamo immaginarci il
resto. Camminavano in posizione eretta, come noi, volendo potevano spostarsi in
qualunque direzione e, quando correvano, facevano un po' come i nostri
saltimbanchi che gettano in aria le gambe e capriolettano su se stessi: e poiché
gli arti erano otto, appoggiandosi su di essi, procedevano, a ruota,
velocemente. I sessi erano tre, perché quello maschile aveva avuto origine dal
sole, quello femminile dalla terra e l'altro, con i caratteri d'ambedue, dalla
luna, dato che quest'ultima partecipa del sole e della terra insieme: perciò
avevano quell'aspetto e si spostavano rotolando, perché somigliavano a quei
loro progenitori. Avevano una resistenza e una forza prodigiosa, nonché
un'arroganza senza limiti, tanto che si misero in urto con gli dei e quel che
dice Omero di Efialte e di Oto, che tentarono di scalare il cielo, va riferito
a costoro. XIV 20 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org «E così Giove e gli altri dei si consigliarono sul da
farsi ma non seppero risolversi: non era il caso di ucciderli, infatti, come i
Giganti, e di estinguerne la specie a colpi di fulmine (il che sarebbe stato
come far sparire onori e sacrifici agli dei da parte degli uomini) e del resto
non era possibile continuare a sopportare oltre la loro tracotanza. A furia di
pensare, Giove, finalmente, ha un'idea: ‹Ho trovato il sistema,› esclamò,
‹perché gli uomini sopravvivano ma, nello stesso tempo, divengano più deboli e
la smettano con la loro prepotenza. Ecco che li taglierò, ciascuno, in due,›
continuò, ‹così diventeranno più deboli, e, dato che aumenteranno di numero
potranno esserci anche più utili. Cammineranno su due gambe e, se non si
metteranno tranquilli e faranno ancora i prepotenti, li taglierò ancora e cosi
impareranno a camminare su una gamba sola, come nel gioco degli otri.› Detto
fatto, si mise a tagliare gli uomini in due come si tagliano le sorbe quando si
mettono a seccare, o come si divide un uovo col crine. E via via che tagliava,
poi, raccomandava ad Apollo che a ciascuno gli rivoltasse il viso e la metà del
collo dalla parte del taglio in modo che l'uomo, vedendosi sempre la sua
spaccatura, diventasse più mansueto; Apollo, infine, provvedeva a chiudere le
altre parti. Girava la faccia e, tirando la pelle, tutta verso quel punto che
noi ora chiamiamo ventre, come chi fa per chiudere coi lacci una borsa, faceva
una specie di groppo, che legava proprio in mezzo alla pancia, quello che noi
chiamiamo ombelico. Spianava, poi, le molte rughe e modellava il petto usando
un arnese un po' simile a quello che adoperano i sellai per spianare, sulla
forma, le grinze del cuoio: ne lasciava, però, qualcuna, nei paraggi del ventre
e intorno all'ombelico, in ricordo dell'antico castigo. Fu così che gli uomini
furono divisi in due, ma ecco che ciascuna metà desiderava ricongiungersi
all'altra; si abbracciavano, restavano fortemente avvinti e, nel desiderio di
ricongiungersi nuovamente, si lasciavano morire di fame e di accidia, non
volendo far più nulla, divise com'erano, l'una dall'altra. Quando, poi, una
delle due metà, moriva, quella rimasta in vita, se ne cercava un'altra e le si
avvinghiava, sia che le capitasse una metà di sesso femminile (che oggi noi
chiamiamo propriamente donna) che una di sesso maschile; e così, morivano.
Allora Giove, impietosito, ricorse a un nuovo espediente: spostò il loro sesso
sul davanti; prima, infatti, l'avevano dalla parte esterna e generavano e si
riproducevano non unendosi tra loro, ma alla terra, come le cicale. Dunque,
trasferì questi organi sul davanti e, così facendo, rese possibile la
procreazione attraverso l'unione del maschio nella femmina; lo scopo era quello
di far generare e di perpetuare la specie grazie a un simile accoppiamento tra
maschio e femmina; se, invece, l'unione fosse stata fra maschi, dopo un po'
sarebbe venuta sazietà da questo connubio e così, una volta separatisi,
sarebbero potuti ritornare al lavoro e alle altre cure della vita. Da tempi
remoti, quindi, è innato negli uomini il reciproco amore che li riconduce alle origini
e che di due esseri cerca di farne uno solo risanando, così, l'umana
natura. XV 21 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org «Quindi, ciascuno di noi è come la metà di un unico
contrassegno, dal momento che fu tagliato in due, come le sogliole, e va
continuamente in cerca dell'altra metà. Ora, tutti quegli uomini che son
derivati dalla divisione di quel doppio essere, cioè, dall'ermafrodito, come
l'abbiamo appunto chiamato, sentono tutti l'attrazione per le donne e da lì provengono
anche la maggior parte degli adulteri; così pure hanno la stessa origine le
donne che vogliono il maschio e le adultere. Invece, le donne che son derivate
dalla divisione di un essere di sesso femminile, sono frigide nei riguardi
dell'uomo e sentono, piuttosto, attrazione per le altre donne e da qui sono
nate le lesbiche. Quegli uomini, infine, che son nati dalla divisione di un
essere maschile, van dietro ai maschi e, finché son ragazzi, per il fatto che
son parti di maschio, amano gli uomini e godono di giacersi stretti abbracciati
con loro. Questi sono i ragazzi, i giovinetti più in gamba, dotati di un'indole
virile; c'è della gente che dice che costoro sono degli svergognati, ma
sbaglia: non per impudenza, infatti, fanno questo ma perché sono arditi,
valorosi e virili e, come tali, cercano il loro simile. E questa è la prova
migliore: in età matura, soltanto costoro diventano dei veri uomini e
partecipano alla vita politica. Da adulti, poi, sono loro ad amare i fanciulli
e se non fosse perché la consuetudine un po' ve li costringe, se dipendesse
dalla loro natura, certo non penserebbero affatto a sposarsi e ad avere dei
figli, anzi sarebbero contentissimi di vivere così da scapoli. Insomma, da qui
nascono quelli che amano gli uomini o si lasciano da essi amare, preferendo
sempre chi ha la loro stessa natura. E quando uno incontra quella che fu la sua
metà, non solo chi si sente attratto verso i fanciulli, ma anche ogni altro,
sente allora nascere in sé quel sentimento di amicizia, di intimità, di amore
per cui non sa più vivere separato dall'altro, nemmeno un istante, tanto per
dire. E questi che passano insieme la loro vita non ti saprebbero nemmeno più
dire quello che vogliono per loro; e io penso che nessuno crederà che sia
soltanto l'attrazione fisica a tenerli così appassionatamente uniti; è certo
che l'anima loro cerca qualcos'altro, che non sa definire ma che vagamente
intuisce. Se, per esempio, mentre stanno dolcemente insieme, comparisse Efesto,
con gli strumenti del suo potere e chiedesse loro: ‹Cosa vorreste, uomini,
l'uno dall'altro?› e vedendoli incerti chiedesse ancora: ‹Non desiderate,
forse, diventare una cosa sola in modo che non possiate mai separarvi, né di
giorno né di notte? Se è questo che volete, io vi unirò, vi fonderò in una stessa
natura così che da due voi diventiate uno e la vostra vita la viviate come un
essere solo e quando morrete, anche laggiù, nell'Ade, possiate essere uno solo
invece di due, uniti da un'unica morte. Vedete un po', allora, se è questo che
desiderate, se è questo che vi basta ottenere.› Dunque. se udissero queste
parole, siamo convinti che nessuno dei due rifiuterebbe, nessuno mostrerebbe di
voler altro, anzi, ognuno penserebbe di aver finalmente udito le parole che da
tanto tempo sognava di ascoltare, diventare cioè di due una sola cosa, unirsi,
confondersi nella creatura amata. E la ragione di tutto questo è che tale era
la nostra antica natura e che noi eravamo uniti; e lo struggimento per quella
perduta unità, il desiderio di riottenerla, si chiama amore. Ripeto, noi, prima
eravamo un essere solo ma poi, per i nostri falli, da dio siamo stati divisi,
un po' come gli Arcadi lo XVI 22 Biblioteca Elettronica
Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org sono stati dagli Spartani. E c'è da
temere che se non saremo obbedienti verso gli dei, verremo ancora tagliati e
vagheremo un po' simili a quelle figure in bassorilievo, segate in due lungo la
linea del naso, che si vedono sulle steli, ridotti come dadi a metà. Occorre,
perciò, che ogni uomo consigli gli altri ad essere pii verso gli dei, sia per
evitare questo male, sia per ottenere quel bene al quale Amore ci volge e ci
guida. Nessuno sia ostile ad Amore (chi lo è, è inviso agli dei); perché se gli
saremo amici, se ci riconcilieremo con questo dio, noi riusciremo a trovare e a
congiungerci con la nostra anima gemella, cosa che oggi capita a pochi. E non
insinui Eressimaco, canzonandomi per questo che sto dicendo, che io voglio
alludere a Pausania e ad Agatone (molto probabilmente essi sono tra questi pochi
e hanno entrambi natura virile). Ad ogni modo io dico, in generale, di tutti,
uomini e donne, che la razza umana sarà felice nella misura in cui ciascuno
realizzerà il suo amore e troverà la sua creatura amata, ritornando così
all'antica condizione. Se questo è il bene più grande, ne consegue che, nelle
presenti condizioni, la cosa migliore è quella che più gli si avvicina:
incontrare l'amante che meglio ci sappia corrispondere. Se, dunque, vogliamo
levar lodi al dio che ci può dar tutto questo, è ad Amore che dobbiamo
inneggiare il quale, per ora, favorisce il nostro incontro con chi ci è affine
e, un domani, ci darà le più grandi speranze che, se noi ci mostreremo
riverenti verso gli dei, ci restituirà l'antica natura e, risanandoci, ci
renderà felici e beati. Questo, o Eressimaco,» concluse, «il mio discorso su
Amore, diverso dal tuo, a quanto vedi. Come ti ho pregato, non starmelo a
canzonare, dato che dobbiamo ancora sentire quel che diranno gli altri, anzi
gli ultimi due, perché non sono rimasti che Agatone e Socrate.»
23 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org «E va bene, t'accontento,» rispose Eressimaco, «anche
perché il tuo discorso m'è proprio piaciuto; anzi, se non sapessi che Socrate e
Agatone son ferratissimi in fatto d'amore, avrei proprio paura, con tutto quel
che s'è detto, che rimanessero a corto d'argomenti. Ma, nonostante questo,
invece, mi sento sicuro.» E Socrate, intervenendo: «Eh, già, Eressimaco, perché
tu hai già detto la tua e bene anche; ma se ti trovassi qui, al mio posto o
meglio nella posizione in cui mi troverò quando Agatone avrà finito anche lui
di fare il suo bel discorso, saprei immaginare la tua paura, e quanta anche,
come ce l'ho io adesso.» «Non m'incanti, Socrate,» fece, di rimando, Agatone, «tu
vuoi proprio confondermi facendomi credere che queste persone son tutte qui ad
aspettare chissà cosa dal mio discorso.» «E io, allora, sono uno smemorato,
Agatone,» replicò Socrate, «se credessi che ora tu hai paura di noi che siam
qui in pochi. Ho visto il tuo coraggio, la tua sicurezza quando sei salito sul
podio con gli altri attori e hai abbracciato con uno sguardo tutto il teatro
pieno zeppo, poco prima di rappresentare la tua opera.» «Ma che c'entra,
questo, Socrate?» ribatté Agatone. «Non mi crederai mica tanto infatuato per
una rappresentazione teatrale, da non capire che per uno che abbia un po' di
buon senso, poche persone intelligenti fan più paura di una folla di sciocchi?»
«Non sarebbe bello da parte mia, Agatone,» insisté Socrate, «se ti pensassi
capace di un pensiero volgare. So benissimo che se ti venissi a trovare fra
persone che tu ritenessi sapienti, ne saresti preoccupato più che se fossi in
mezzo a un mucchio di gente; il fatto è che noi non siamo tali e, del resto,
c'eravamo anche noi, lì, non più che folla tra la folla. Se tu, invece, ti
incontrassi veramente con dei sapienti, ti vergogneresti davanti a loro, se ti
accorgessi di far qualche brutta figura, non credi?» «Certo, dici bene,»
ammise. «E se tu la brutta figura la facessi davanti alla folla, non ti
vergogneresti?» A questo punto intervenne Fedro e: «Mio caro Agatone,» disse,
«se stai lì a rispondere a Socrate, te le saluto le cose che stavamo dicendo,
ma tanto a lui non gliene importa niente, basta che abbia qualcuno con cui discutere,
specie poi se è un bel ragazzo. Con questo non è che io non ascolti volentieri
una discussione di Socrate, ma certo che ora mi sta più a cuore l'elogio di
Amore e avere, da ciascuno di voi, il rispettivo discorso. Pagate al dio il
vostro debito e poi discuterete come vi pare.» «Dici proprio bene, Fedro,»
esclamò Agatone; «niente mi impedisce di parlare; con Socrate non mancheranno
certo le occasioni per discutere.» XVII 24 Biblioteca
Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Io desidero prima dirvi
com'è che intendo impostare il mio discorso, dopo entrerò nel vivo della
questione. A me pare che tutti quelli che hanno parlato finora non abbiano
celebrato il dio ma soltanto posto l'accento su quanto gli uomini siano felici
per quei beni di cui, appunto, quel dio è la causa; nessuno ha detto chi sia
propriamente costui che ci offre tutti questi beni. Orbene, l'unico metodo
giusto per far qualsiasi elogio, di qualunque cosa, è quello di illustrare
prima chi sia, in effetti, quello di cui si parla e poi di quali beni sia la
causa. Ecco perché noi dobbiamo prima lodare Amore per quel che egli è, poi per
i doni che ci reca. Intanto io affermo che tra tutti i beatissimi dei (se m'è
lecito dirlo e non è peccato) Amore è il più beato perché è il più bello e il
più buono. Il più bello soprattutto perché è il più giovane degli dei, Fedro.
Egli stesso ce ne dà la prova migliore fuggendo dinanzi alla vecchiaia che,
tutti sanno, è veloce e ci casca addosso più presto di quel che dovrebbe.
Naturalmente Amore la odia e non le si avvicina nemmeno da lontano. Giovane
com'è, invece, sta sempre con i giovani e ha ragione l'antico detto che il
simile s'accompagna sempre al suo simile. Ed io, pur consentendo con Fedro in
molte cose, non condivido il fatto che Amore sia più antico di Crono e di
Giapeto. Ripeto, invece, che è il più giovane di tutti gli dei, eternamente
giovane e tutti quei vecchi fatti tra gli dei che raccontano Esiodo e
Parmenide, accaddero per opera di Necessità, non di Amore, ammesso pure che
quei due abbiano detto il vero. Non ci sarebbero state, infatti, mutilazioni,
catene e tutte quelle altre violenze se Amore fosse stato in mezzo a loro, ma
solo amicizia e concordia come è ora, da quando egli regna sugli dei. Dunque
egli è giovane e non solo, è gentile. Il fatto è che gli manca un poeta, un
poeta come Omero che ne esalti la delicata bellezza. Di Ate, per esempio, Omero
dice non solo che è una dea ma che, appunto, è delicata (almeno i suoi piedi
sono tali), quando scrive: morbidi sono i suoi piedi che non accosta alla terra
ma ella procede sfiorando le teste degli uomini. E mi pare che egli ci abbia
dato una bella prova della sua delicatezza col dirci che non cammina sul duro
ma sul morbido. Serviamoci, anche noi, per Amore, dello stesso indizio a
conferma che è delicato; egli, infatti, non cammina per terra e nemmeno sulle
teste degli uomini che, poi, tanto morbide non sono, ma tra le più tenere delle
cose che esistono egli procede e dimora: egli, infatti, ha posto la sua sede
nel cuore e nell'animo degli uomini e degli dei; non però in tutte
le anime indistintamente. Se, infatti, ne trova una rozza, fila via, se gentile
invece, vi resta. Dato, quindi, che egli è sempre a contatto, e non solo con i
piedi ma anche con tutto se stesso, con le più tenere tra le tenerissime cose,
necessariamente deve essere delicatissimo. Il più giovane, dunque, e il più
delicato; ma oltre a questo è duttile. Non potrebbe piegarsi in tutte le
direzioni e entrare di soppiatto nelle anime e così uscirne se fosse rigido; la
leggiadria, per consenso comune, è la prova evidente delle fattezze armoniche e
flessuose che Amore possiede. Infatti, fra l'amore e la bruttezza c'è sempre
reciproca guerra. La bellezza del suo incarnato ci dice che egli
XVIII 25 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org indugia tra i fiori, poiché Amore non resta dove non v'è
cosa in fiore o che sia avvizzita, sia essa corpo o anima o altro, ma dove
tutto è fiorito e olezzante, là si posa e dimora. 26
Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Sulla
bellezza del dio può anche bastare, per quanto ce ne sarebbe ancora da dire. Ma
ora parliamo delle sue virtù. La cosa che prima di tutto bisogna notare è che
Amore non fa torti a nessuno, né a uomini né a dei e nemmeno ne riceve. Egli
non subisce violenza (ammesso che subisca qualcosa), perché essa non lo tocca,
né con prepotenza fa quel che fa, ma ognuno serve Amore spontaneamente in ogni
cosa; e quando c'è accordo reciproco tra due volontà, ‹le Leggi che sono le
regine degli Stati›, dicono che è giusto. Oltre che la giustizia, Amore
possiede in sommo grado anche la temperanza. Tutti son d'accordo nell'affermare
che la temperanza consiste nel dominio delle passioni e dei piaceri. Ma non c'è
nessun piacere più intenso dell'Amore e quindi se tutti gli altri sono meno
intensi, sono inferiori a lui che, perciò, trionfa e ha il dominio sulle
passioni e sui piaceri e, come tale, è in sommo grado, temperante. Per quanto
riguarda la forza, ad Amore ‹neanche Marte può stargli a fronte›. Non è,
infatti, Marte che conquista Amore, ma Amore che seduce Marte, amore di Venere
a quanto si dice; e chi possiede è più forte di chi si lascia possedere:
quindi, vincendo chi è più forte degli altri, egli è il più forte di tutti.
Della giustizia, quindi, della temperanza e della fortezza del dio, s'è già
detto; resta ora da dire della sua sapienza: per quanto è possibile, bisogna
cercare di non tralasciare nulla. Intanto, per prima cosa per rendere onore
alla nostra arte, come Eressimaco ha fatto per la sua, dirò che questo dio è
poeta cosi sapiente da far diventare tali anche gli altri; in effetti, ognuno
diventa poeta se è toccato da Amore, anche se non ha mai avuto prima a che fare
con le Muse. Da qui possiamo trarre la conferma che Amore, in generale, è buon
poeta in ogni genere di produzione artistica. Infatti, ciò che uno non ha e non
conosce, non può certo darlo, né insegnarlo a nessuno. E, infatti, chi è che
vorrà contestare che la creazione di tutti gli esseri viventi non avvenga per
la sapienza d'Amore che genera e fa crescere tutte le creature? E, inoltre,
nell'attività artistica non sappiamo forse che chi ha per maestro questo dio
diviene famoso e illustre, chi invece non è toccato da Amore resta oscuro?
L'abilità nel tiro dell'arco, la sapienza nella medicina, l'arte profetica,
Apollo le ha scoperte sotto l'impulso del desiderio e dell'amore, così che
anch'egli può dirsi discepolo di questo dio, come le Muse per le loro arti,
Efesto per l'arte di forgiare metalli, Minerva per quella del tessere e Giove,
infine, per quella di governare sugli dei e sugli uomini. Fu cosi che tutte le
questioni tra gli dei si appianarono, da quando Amore comparve in mezzo a loro,
si capisce, Amore della bellezza, perché delle cose brutte non c'è amore;
mentre, come ho detto, prima d'allora, molte e orribili cose, a quanto si dice,
accadevano tra gli dei, perché regnava Necessità. Ma dopo che nacque questo
dio, si amarono le cose belle e ne venne per gli dei e per gli uomini
abbondanza di beni. Così, Fedro, mi sembra proprio che Amore, bellissimo e
buonissimo com'è, rechi anche agli altri bellezza e bontà. Quasi quasi mi vien
da dire in versi quello che fa, per esempio così: pace agli uomini reca, calma
sul mare tregua ai venti e, nel dolore, il sonno. XIX 27
Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Egli ci
libera dal timore di essere estranei a noi stessi, ci dà un senso di calda
intimità, ci invita a partecipare a riunioni come questa, a feste, a danze, a
sacrifici di cui diventa un po' l'auspice, assicura la benevolenza, allontana
ogni rancore, largo in favori, incapace di malvagità, benigno, buono, esempio
ai saggi, ammirato dagli dei, invidiato dagli infelici, posseduto dai
fortunati, padre della Delizia, dell'Eleganza, del Fasto, della Grazia, del
Desiderio, della Bramosia, sollecito verso i buoni, incurante dei malvagi,
nelle fatiche, nelle paure, nelle passioni, nelle conversazioni, è guida,
guerriero, compagno di lotta, salvezza provvidenziale, ornamento di tutti gli
dei e di tutti gli uomini, duce meraviglioso e perfetto che ognuno deve seguire
e celebrare con inni degni di lui, partecipando al suo canto col quale egli
ammalia il cuore degli uomini e degli dei. Questo, Fedro, il mio discorso in
omaggio al dio, svolto un po' celiando, un po' con ben dosata gravità, secondo
le mie capacità.» 28 Biblioteca Elettronica Esoterica
ESONET.ORG http://www.esonet.org Quando Agatone ebbe finito di parlare,
raccontò Aristodemo, ci fu uno scroscio di applausi da parte di tutti i
presenti che riconobbero come il discorso del giovane fosse stato degno di lui
e del dio. E, allora, Socrate volgendosi ad Eressimaco: «E così, figlio di
Acumeno, ti sembra ancora fuori posto il mio timore di prima o non ho forse
previsto giusto, poco fa, quando ho detto che Agatone avrebbe parlato benissimo
e che io mi sarei trovato in un bell'imbarazzo?» «Per il primo punto,» rispose
Eressimaco, «ti do anche ragione, cioè quando dici di aver previsto che Agatone
avrebbe parlato bene, ma che tu, poi, ti trovi nell'imbarazzo questo proprio
non lo credo.» «Ma come faccio a non esserlo, mio caro, e come me chiunque
altro dovesse parlare dopo un discorso così bello e così interessante? Certo in
qualche parte non è stato stupendo come nel resto, ma verso la fine chi non
sarebbe rimasto sbalordito di fronte a tanta bellezza di vocaboli e di
espressioni? Quasi quasi, pensando che non sarei mai stato capace di dire
qualcosa che solo si avvicinasse a tanta bellezza, stavo per fuggirmene dalla
vergogna. Perché il suo discorso m'ha fatto venire in mente Gorgia, tanto da
farmi sentire nella stessa situazione di cui parla Omero, temevo proprio, cioè,
che alla fine Agatone con il suo discorso, gettasse sul mio la testa di Gorgia,
di quel formidabile oratore, togliendomi l'uso della favella e facendomi
diventare di pietra. E ho capito, allora, di essere stato proprio un ingenuo
quando ho accettato di celebrare, insieme a voi, Amore, dicendo che ero un,
esperto su questo argomento, mentre invece, e me ne accorgo adesso, non sapevo
un bel niente, persino come si fa un elogio qualunque. Da quell'ingenuo che
sono credevo che nel fare l'elogio di chicchessia o di qualcosa si dovesse dire
la verità e che questa era la cosa fondamentale; poi pensavo che bisognasse scegliere,
tra le cose vere, le più belle e disporle nel modo migliore; ed ero tutto
contento del fatto mio, sicurissimo che avrei fatto un figurone dato che
conoscevo esattamente il modo di imbastire un elogio. E, invece, a quanto pare,
non è così che si fa un bell'elogio: bisogna al contrario fare le lodi più
sperticate e più belle, corrispondano o meno al vero: si vede che eravamo
d'accordo di lodare Amore, così, per burla, non di farne l'elogio seriamente.
Ed è per questo, credo, che voi tirate in ballo ogni sorta di argomenti e li
affibbiate ad Amore e affermate che egli è questo e quello ed è la causa di un
sacco di cose in modo che appaia bellissimo e perfettissimo ma, è chiaro, a chi
non lo conosce, non a quelli che ne sanno qualcosa. Sfido io che, così, il bel
panegirico è presto fatto. Ma io non conoscevo un simile sistema di far gli
elogi e proprio per questo fui d'accordo con voi di pronunciarne uno anche io,
seguendo il mio turno: la lingua lo promise, non il cervello. E, allora,
statevi bene, perché io un elogio con questo sistema non ve lo faccio, è più
forte di me. La verità, invece, se volete, eccomi qua, pronto a dirvela, a modo
mio, senza far gare con nessuno perché non ho proprio voglia di farmi ridere
dietro. Vedi tu, quindi, Fedro se è proprio necessario un discorso di questo
genere e sentire come veramente stanno le cose, a proposito dell'Amore, con
quei termini e con quello stile poi che lì per lì mi passeranno per la mente.»
Ma Fedro e gli altri, mi riferì Aristodemo, lo invitarono a parlare come
volesse. «E va bene, Fedro, però lasciami prima fare una piccola domanda ad
Agatone, perché voglio mettermi un po' XX 29 Biblioteca
Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org d'accordo con lui e poi
parlerò.» «Ma figurati,» commentò Fedro, «fa pure.» E allora Socrate cominciò
presso a poco così: 30 Biblioteca Elettronica Esoterica
ESONET.ORG http://www.esonet.org «Dunque, mio caro Agatone, m'è parso proprio
buono l'inizio del tuo discorso quando hai detto che prima di tutto bisogna esporre
quale sia la natura d'Amore e poi passare alle sue opere; un esordio che mi è
proprio piaciuto. Ma ora, dato che hai così magnificamente parlato su tutto
quel che riguarda la natura d'Amore, dimmi una cosa: Amore, è amore di qualche
cosa o amore di nulla? Bada che non ti chiedo se amore per una madre o per un
padre (sarebbe ridicolo chiedere se Amore sia amore verso la madre o il padre),
ma come se ti chiedessi a proposito del padre: il padre è padre di qualcuno o
no? tu, certo, mi risponderesti, se volessi darmi una risposta appropriata, che
il padre deve essere necessariamente padre di un figlio o di una figlia, non ti
pare?» «Ah, certamente,» ammise Agatone. «E la stessa cosa è per una madre?»
Era d'accordo anche in questo. «E rispondimi ancora,» proseguì Socrate, «a una
piccola cosa per capire meglio dove voglio arrivare: se ti chiedessi: e allora,
un fratello, come tale, è fratello di qualcuno?» «Sicuro che lo è.» «Fratello
di un fratello o di una sorella?» «D'accordo.» «Prova a dire la stessa cosa a
proposito di Amore: Amore è amore di qualcosa o amore di nulla?» «Certo amore
di qualcosa.» «Ebbene,» riprese Socrate, «questo tientelo per te bene a mente e
dimmi, invece: Amore desidera o meno ciò di cui è amore?» «Certo,» rispose. «E
quel che egli desidera e ama, l'ama e lo desidera perché lo possiede o proprio
perché, invece, gli manca?» «Probabilmente perché non lo possiede,» rispose.
«Sta attento,» insisté Socrate, «che non si tratta di probabilità, ma è
necessariamente logico che si desidera quello che non si possiede; quando si ha
una cosa, invece, non la si desidera affatto. Di qui non si scappa ed io ne
sono assolutamente convinto, tu no, invece?» «Ah, anch'io lo sono,» fece. «Ben
detto. Ed effettivamente uno che lo è già potrebbe desiderare di essere grande?
E essere forte uno che è già tale?» «Dopo quel che s'è convenuto, è
impossibile.» «Effettivamente, non può essere privo di queste qualità chi le ha
già.» «È chiaro.» «Eppure,» osservò Socrate, «se uno che è forte, volesse esser
forte o se è veloce, volesse essere veloce o, ancora, se è sano, volesse esser
sano, dato che qualcuno potrebbe pensare, di fronte a un esempio simile o a
casi del genere, che vi siano persone che pur possedendo tutte queste qualità,
tuttavia le desiderano sempre (ti sto dicendo questo per non lasciarci trarre
in inganno); ebbene, Agatone, se ci pensi, costoro che al momento posseggono
queste qualità, è inevitabile che le abbiano, lo vogliano o meno, e se le
posseggono già, come possono desiderarle? Ma se uno dicesse: ‹lo che son sano
voglio essere sano o, pur essendo già ricco, voglio essere ricco e desidero
questo che già posseggo,› gli potremmo rispondere: ‹Tu, caro mio, che hai già
ricchezze, salute, forza, vuoi continuarle ad avere anche per l'avvenire,
giacché, per il momento, tu voglia o non voglia, già le possiedi; pensa un po'
se, quando dici che desideri le cose che hai, tu non voglia dire, invece,
semplicemente, che desideri di possedere anche per l'avvenire quello che oggi
già possiedi.› Credi che non sarebbe d'accordo?» E Aristodemo mi riferì che
Agatone lo ammise. Socrate allora proseguì: «E desiderare che per l'avvenire ci
siano preservate le cose che noi già possediamo oggi, non vuol forse dire amare
quel che ancora non si possiede o di cui tuttora non si dispone?» «Certo,»
ammise. «E quindi, se Tizio o Caio desiderano qualcosa, sarà sempre ciò di cui
ancora non XXI 31 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org dispongono, che ancora non hanno o quelli che essi stessi
non sono o di cui si sentono privi; non è tutto qui il loro desiderio e il loro
amore?» «Senza dubbio,» fece. «Bene, ricapitoliamo, allora, quanto s'è
convenuto. Amore, prima di tutto è amore di qualcosa e, in secondo luogo, di
ciò di cui si è privi?» «Sì, sempre.» «E adesso ricordati quello che hai detto
poco fa, che cioè l'Amore tende a qualcosa. Se credi cercherò io di
ricordartelo: se non sbaglio, tu hai detto, su per giù, che le questioni tra
gli dei s'aggiustarono grazie all'Amore del bello e che per le cose brutte non
c'è amore; non è questo che hai detto?» «Sì, questo,» ammise Agatone. «E l'hai
detto molto opportunamente, mio caro,» riprese Socrate; «e se le cose stanno
così, Amore, che altro è se non amore del bello e non del brutto?» «D'accordo.»
«Ma non abbiam detto che si ama ciò di cui si è privi, ciò che non si ha?»
«Sì,» fece. «Dunque, l'Amore, non ha la bellezza, ne è privo.» «Per forza.» «E
allora? Chi è privo di bellezza, chi non ne ha, tu lo chiami bello?» «Affatto.»
«Se le cose stanno così, tu sei sempre del parere che Amore sia bello?» «Temo
proprio, Socrate, di non capir più niente di quel che ho detto,» esclamò
Agatone. «Eppure hai parlato bene, Agatone,» incalzò Socrate. «Ma dimmi
un'altra cosetta: quello che è buono, secondo te, non è anche bello?» «Per me
sì.» «Se, dunque, Amore non ha la bellezza e se quello che è bello è anche
buono, egli sarà anche privo di bontà.» «Io non sono in grado di contraddirti,
Socrate e quindi sia pure come tu dici.» «È la verità, Agatone carissimo, e tu
non puoi contestarla; Socrate, invece, sì, lo puoi contraddire e la cosa non è
per niente difficile.» 32 Biblioteca Elettronica Esoterica
ESONET.ORG http://www.esonet.org «Ma sì, via, ora ti lascerò in pace. Vi
racconterò, piuttosto, quello che sull'Amore, mi disse un giorno una donna di
Mantinea, Diotima, molto dotta sull'argomento e su un'infinità di altre
questioni. Figuratevi che una volta, con i sacrifici che fece fare agli
ateniesi, prima della peste, riuscì a ritardare l'epidemia di dieci anni. Fu
lei a erudirmi nelle questioni d'amore e quindi, partendo dalle conclusioni che
Agatone ed io abbiamo tratto, cercherò di ripetervi, come posso, a parole mie,
il discorso che ella mi fece. Ebbene, proprio come tu dicevi, Agatone, bisogna
definire prima chi sia Amore, quale la sua natura e poi le sue opere. Ora io
penso che la cosa più facile per me, sia quella di seguire lo stesso metodo che
usò quella straniera quando discusse con me. Anch'io, infatti, le dicevo un po'
le stesse cose che ora mi ha ripetuto Agatone, cioè che Amore è un grande dio,
che è amore di cose belle ed ella cominciò a confutarmi con gli stessi
argomenti, precisamente, che io ho usati ora con costui, cioè che Amore non è
né bello (per usare le mie parole) né buono. Ed io: «Ma com'è che dici questo,
Diotima? Allora Amore è brutto e malvagio?» «Ma che? Ora ti metti pure a
bestemmiare?» fece lei. «Credi forse che ciò che non è bello debba
necessariamente essere brutto?» «Sicuro, io sì.» «E credi anche che chi non è
sapiente, sia ignorante? Ma non ti accorgi che c'è sempre una via di mezzo tra
sapienza e ignoranza?» «E quale?» «Avere un'opinione giusta, ecco, ma senza
poterne dare una spiegazione; non sai,» fece «che questo non è sapere (e come
può esserlo se non se ne sa dare una spiegazione?), ma non è nemmeno ignoranza
(e come, infatti, potrebbe se coglie nel vero?). Insomma, la retta opinione è
qualcosa di simile, una via di mezzo tra la sapienza e l'ignoranza.» «È vero
quello che dici,» ammisi io. «E quindi non insistere a credere che ciò che non
è bello debba essere, a tutti i costi, brutto e ciò che non è buono, debba
esser malvagio. E così anche a proposito di Amore, visto che anche tu sei
d'accordo che non è buono né bello, non pensare che debba essere malvagio e
brutto,» concluse, «ma qualcosa tra questi due estremi.» «Eppure,» obbiettai
io, son tutti d'accordo che è un dio potente.» «Tutti chi?» ribatté lei,
«quelli che non sanno o anche quelli che sanno?» «Tutti quanti.» «Ma come
fanno, Socrate, a dirlo un gran dio,» fece lei, ridendo, «se affermano che non
è nemmeno un dio?» «E chi sono questi?» «Uno, intanto, sei tu, l'altra sono
io.» «Ma come fai a dir questo?» «Semplice. E tu, infatti, rispondimi: non
affermi che gli dei son tutti beati e belli? avresti il coraggio di dire che
qualcuno non è bello o non è beato?» «Santo cielo, io no,» risposi. «E beati,
secondo te, non sono quelli che hanno bontà e bellezza?» «Sicuro.» «Ma non hai
convenuto che Amore desidera le cose buone e belle, proprio perché ne è privo?»
«Già, certo.» «E, allora, come può essere un dio chi non ha né bellezza né
bontà?» «Ah, no, assolutamente.» «Vedi, dunque,» concluse, «che anche tu
affermi che Amore non è un dio.» XXII 33 Biblioteca
Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Ma, allora,» chiesi,
«chi sarebbe Amore? Un essere mortale?» «Ma niente affatto.» «Ma allora?» «Come
nel caso precedente, qualcosa di mezzo, tra, il mortale e l'immortale.» «E
cioè, Diotima?» «Un demone possente, Socrate, che come tutti i demoni, sta tra
il divino e l'umano.» «E qual è il suo potere?» chiesi. «Quello di interpretare
e di recare agli dei le preghiere e i sacrifici degli uomini e, agli uomini, i
comandamenti e i premi degli dei per i sacrifici compiuti; nel suo ruolo di
intermediario, egli colma l'enorme distanza tra gli uni e gli altri, così
l'universo risulta in se stesso collegato. Da lui procede tutta l'arte della
divinazione, tutta la scienza sacerdotale, per quel che riguarda i sacrifici e
le iniziazioni e poi gli incantesimi, ogni sorta di profezie e la magia. Dio non
scende a contatto con l'uomo ma è attraverso i demoni che egli parla e ha
rapporto con gli uomini, sia quando sono svegli, sia durante il sonno; e chi è
sapiente in queste cose è un ispirato chi invece s'intende d'altro, esercita,
per esempio, una diversa arte o un mestiere qualsiasi, non è che un manovale.
Molti sono i demoni e di ogni specie. Amore ne è uno.» «E suo padre e sua
madre,» chiesi, «chi sono?» «È, una cosa lunga,» fece, «ma te la racconterò
ugualmente. Quando nacque Afrodite, gli dei si trovavano a banchetto e, tra gli
altri, c'era anche Poro, il figlio di Metide. Avevano già finito di pranzare,
quando giunse Penia, per elemosinare, dato che sontuoso era stato, il banchetto
e se ne rimase sull'uscio. In quel mentre Poro, gonfio di nettare (il vino
infatti non era ancora conosciuto), se ne uscì nel giardino di Giove e, mezzo
ubriaco com'era, s'addormentò. Allora, Penia, sempre afflitta dalle sue
angustie, pensò se non le fosse possibile avere un figlio da Poro e così gli si
stese al fianco e restò incinta di Amore. Per questo Amore è compagno e
ministro di Afrodite, perché fu concepito nel giorno della sua nascita ed è,
nello stesso tempo, amante del bello perché bella è Afrodite. D'altro canto,
per il fatto che Amore è figlio di Poro e di Penia, si trova in questa
condizione. Anzitutto è sempre povero e tutt'altro che delicato e bello, come i
più se lo figurano; anzi è grossolano, mezzo selvatico, sempre scalzo,
vagabondo, dorme sempre per terra, allo scoperto, davanti agli usci e nelle
strade, sotto il sereno, perché ha la natura della madre ed è tutt'uno con la
miseria. Per parte del padre, invece, è fatto per insidiare ciò che è bello e
buono, essendo di natura virile, audace, violento, gran cacciatore, sempre
pronto a tramare inganni, amico del sapere, ricco di espedienti, tutta la vita
dedito a filosofare, abilissimo imbroglione, esperto di veleni, sofista.
Inoltre né immortale, né mortale, ma, in uno stesso giorno, sboccia rigoglioso
alla vita e muore, poi torna a vivere grazie a mille espedienti e in virtù
della natura paterna; sfumano tra le sue dita le ricchezze che si procura, così
che Amore non è mai al verde e mai ricco. Inoltre è a mezzo tra sapienza e
ignoranza. Ecco come: nessun dio s'occupa di filosofia, né ambisce a diventar
sapiente (ché già lo è), né, del resto, chi è sapiente, si dedica alla
filosofia; d'altra parte, nemmeno gli ignoranti si dedicano alla filosofia, né
ambiscono a diventar sapienti; e questo è il brutto dell'ignoranza, che chi non
è né bello, né buono, né saggio, crede, invece, di esserlo abbondantemente;
naturalmente chi non si accorge di esser privo di qualcosa, non desidera quello
di cui non sente il bisogno.» «Ma, allora,» feci io, «chi sono, Diotima, quelli
che si dedicano alla filosofia, se non sono né i sapienti, né gli ignoranti?»
«Ma è XXIII 34 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org chiaro,» mi rispose, «anche un bambino lo capirebbe che
son quelli che stanno in una posizione intermedia, tra, i primi e i secondi e,
tra questi, c'è anche Amore. La sapienza, infatti, è tra le cose più belle e
Amore ama le belle cose e, quindi, necessariamente, è anche filosofo e, come
tale, sta fra il sapiente e l'ignorante. E la sua origine è un po' la causa di
tutto questo: suo padre è sapiente e pieno di estro, ma sua madre, invece, non
lo è affatto, è ignorante. Tale, Socrate, è la natura di questo demone. Come
poi tu immaginavi che fosse, non c'è da meravigliarsi; per quel che ho potuto
capire dalle tue parole, credevi che Amore fosse colui che si ama, non colui
che ama. Ecco perché, io penso, ti sembrava così bello. Infatti, chi è amato è
veramente bello, seducente, perfetto, degno di ogni felicità; colui che ama,
invece, ha un altro aspetto, quale io ti ho descritto.» 35 Biblioteca
Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Ed io: «E sia,
straniera, tu parli bene, ma se tale è Amore, che utilità arreca agli uomini?»
«È questo che ora cercherò di chiarirti, Socrate. Tale, dunque, è Amore e così
è nato: Amore del bello, come tu dici. Se qualcuno, ora, domandasse: ‹In che
senso, Socrate e Diotima, l'Amore è amore del bello› o più precisamente, ‹chi
ama le cose belle, ama, ma ama che cosa?›» «Che diventino sue,» risposi. «Ma
questa tua risposta,» mi precisò, «esige che si ponga un'altra domanda, di
questo genere, per esempio: ‹Che cosa gliene viene a chi possiede le cose
belle?›» Io risposi che, a una domanda simile, non sapevo sul momento che dire.
«E immaginiamo, allora, incalzò, che uno al posto del bello mettesse il bene e
che chiedesse: ‹Via, Socrate, chi ama il bene, ama, ma ama che cosa?›» «Che
diventi suo,» risposi. «E che cosa gliene viene a chi possiede il bene?» «A
questo,» dissi, «mi è più facile rispondere: sarà felice.» «E, infatti,
concluse, è proprio per il possesso del bene che le persone felici sono tali e
non è proprio il caso di star lì a chiedersi perché uno vuole essere felice. Mi
pare che la domanda abbia già avuto la sua risposta definitiva.» «È vero quello
che dici,» ammisi. «E allora, questo desiderio e questo amore, credi siano un
po' comuni a tutti gli uomini e che tutti desiderano sempre possedere il bene o
pensi diversamente?» «Sì, io credo proprio che siano comuni a tutti,» feci. «E,
allora, Socrate,» continuò, «come mai non diciamo che tutti quanti gli uomini
amano dato che tutti desiderano sempre le stesse cose, ma diciamo, invece, che
solo alcuni amano ed altri no?» «Anch'io me ne meraviglio,» ammisi. «E non devi
stupirtene,» riprese, «siamo noi, infatti, che prendiamo, dell'amore, soltanto
un aspetto e a questo solo diamo il nome generico di ‹amore›, mentre per il
resto usiamo altri appellativi.» «Cioè,» chiesi. «Ecco, tu sai che la poesia è
creazione ed ha un significato quanto mai vasto; tutto ciò, infatti per cui
qualcosa passa dal non essere all'essere, è poesia e, quindi, ogni attività
creativa è poesia e tutti i creatori sono poeti.» «È vero.» «Ma intanto,»
continuò lei, «sai che non tutti sono chiamati poeti, ma con altri nomi; di
tutte le attività creative, solo alcune e precisamente quelle che si occupano
della musica e della metrica, noi chiamiamo poesia; solo questa è poesia e
poeti, solo quelli che si dedicano a questo particolare aspetto della poesia.»
«È vero,» ammisi. «E così è anche per l'amore. In genere ogni desiderio di bene
e di felicità è, per ognuno, ‹possente e ingannevole amore›, ma mentre quelli
che cercano di realizzarlo per altre vie, come per esempio attraverso i
guadagni o l'educazione fisica o la filosofia, noi non diciamo che amano né che
sono amanti, gli altri, invece, quelli che seguono e preferiscono un
particolare tipo d'amore, ne prendono anche il nome generico: amore, amare,
amanti.» «Sembra proprio che tu abbia ragione,» confermai. «Eppure va in giro
un certo discorso secondo il quale gli amanti sono quelli che cercano la loro
metà. La mia opinione, invece, è che non esiste amore né per la metà, né per
l'intero, a meno che, mio caro, non si tratti di un bene; perché gli uomini si
lascerebbero tagliare volentieri e mani e piedi se li credessero dannosi per
loro, perché io credo che nessuno ami le cose proprie a meno che ciò che ci
appartiene non sia il bene e ciò che ci è estraneo, invece, il male; infatti,
gli uomini non amano altro che il bene. Non pare anche a te?» «Per Giove, a me
sì,» ammisi. «E, dunque, possiamo senz'altro affermare che gli uomini amano il
bene?» «Sì,» confermai. «Ebbene, XXIV 36 Biblioteca
Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org non bisogna aggiungere
che essi, questo bene, desiderano anche possederlo?» «Sicuro.» «E non solo
possederlo per un momento, ma per sempre?» «Sicuro, anche questo bisogna
aggiungere,» feci. «Per concludere, l'amore è possesso perenne del bene.» «È
verissimo quello che dici,» feci. 37 Biblioteca Elettronica
Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Ora, se questo è l'amore,»
proseguì, «quando è che la sollecitudine e lo sforzo di quelli che, in ogni
modo e in ogni azione, lo perseguono, può chiamarsi, appunto, amore? Quand'è,
insomma, che questo succede? Sai rispondere?» «Se lo sapessi, Diotima, non
sarei così pieno di meraviglia per la tua sapienza, né sarei venuto da te per
imparar tutto questo.» «E, allora, te lo dirò io: quando si concepisce nel
bello, sia da parte del corpo che da parte dello spirito.» «Bisognerebbe essere
indovini,» azzardai io, «per capire quello che dici ed io, proprio non lo
sono.» «Mi spiegherò più chiaramente,» fece. «Tutti gli uomini, Socrate, hanno
in loro, nel corpo come nell'anima, un seme fecondo e quando giungono a una
certa età, come per un bisogno naturale, desiderano produrre qualcosa;
concepire nel brutto, però, non è possibile, nel bello, invece, sì. Così
l'unione dell'uomo con la donna è procreazione ed è veramente quest'atto una
cosa divina, questo concepire e generare è veramente ciò che di immortale ha la
creatura che pure ha vita mortale. Ma tutto ciò non può avvenire nella
disarmonia; e disarmonia, rispetto a tutto ciò che è divino, è il brutto, come
il bello è armonia. Quindi la bellezza fa da Parca e da Ilitia al miracolo
della vita. Per questo, quando chi ha dentro di sé un seme fecondo, si avvicina
al bello, diventa sereno, atteggia a letizia l'animo suo e allora crea,
produce; quando, invece, s'accosta al brutto, allora, s'incupisce, si chiude in
se stesso tutto afflitto, si ritrae, si ravvolge e non genera ma resta col suo
seme fecondo e ne soffre. Di qui, nella creatura feconda e già ricca, sorge un
intenso desiderio per tutto ciò che è bello perché il bello soltanto libera chi
lo possiede da atroci doglie. Infatti, Socrate,» concluse, «Amore non è amore
del bello, come tu credi.» «Ma, allora, cos'è?» «produrre e creare nel bello.»
«E sia,» ammisi. «Sicuro,» confermò lei. «E perché questo generare? Perché
generare è quanto di sempre rinascente e immortale vi possa essere in una
creatura mortale. E l'immortalità è naturale che si desideri come il bene,
almeno da quel che abbiamo convenuto se è vero che amore è possesso perenne del
bene; ne consegue, inoltre, da tutto questo discorso che l'amore è amore di
immortalità.» XXV 38 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org Queste cose ella mi insegnava, quando indugiava a
parlarmi di questioni d'amore e, un giorno, mi chiese: «Quale pensi, Socrate,
sia la causa di tutto questo amore, questo desiderio? Non vedi in che terribile
stato son tutti gli animali, sia quelli che camminano sulla terra che quelli
che volano nel cielo, quando son presi dal desiderio di generare, malati tutti
d'amore, prima per il desiderio d'accoppiarsi tra loro, poi per la cura e per
l'allevamento dei loro nati, e son pronti a combattere per essi, perfino i più
deboli contro i più forti e a dare la vita oppure a lasciarsi morire di fame
per nutrirli e a far qualunque altra cosa. Gli uomini, si può dire, che
facciano tutto questo perché dotati di ragione ma, negli animali, donde
proviene questa disposizione all'amore? Sai dirmelo?» E io ancora ad ammettere
di non saperlo. «E credi,» continuò ella, «allora di diventare un esperto nelle
questioni d'amore se non sai nemmeno questo?» «Ma proprio per questo, Diotima,
come t'ho già detto, io son qui, perché so che ho bisogno di maestri. Dimmela
tu, dunque, la causa di queste cose e di tutto ciò che riguarda l'amore.»
«Orbene, se tu sei convinto che l'amore, per natura, tende a ciò su cui più
volte s'è discusso, non devi meravigliarti; anche ora vale il discorso di prima
che cioè la natura mortale tende, sempre, per quanto le sia concesso, di essere
immortale. E le è possibile in un modo soltanto, attraverso la procreazione,
per cui essa lascia sempre un essere nuovo al posto del vecchio, il che succede
anche nella vita di ogni creatura, quando si dice che resta sempre la stessa;
si dice, per esempio, che uno è sempre la stessa persona, da quando è bambino
fino a che è vecchio; in effetti, si dirà che è sempre lo stesso individuo, benché
in lui molte cose si mutino; ma si rinnova continuamente, perdendo sempre
qualcosa, nei capelli, nelle sue ossa, nel suo sangue, insomma in tutto il suo
corpo. E non solo nel corpo, ma anche nell'animo: sentimenti, abitudini, modo
di pensare, desideri, piaceri, dolori, timori, ognuna di queste cose non resta
sempre la stessa in un individuo, ma si rinnova e poi muore. Ma quel che è
ancora più straordinario è che anche le nostre cognizioni non solo nascono e
periscono e quindi noi non siamo sempre gli stessi nemmeno per quel che
riguarda il nostro sapere, ma ciascuna, presa in se stessa, segue, anch'essa
sempre la stessa sorte. Infatti quel che si dice esercitarsi nello studio
presuppone che qualche cognizione possa sfuggire; dimenticare, infatti, vuol dir
perdita di cognizioni, l'esercizio nello studio, invece, suscita un nuovo
ricordo al posto di quel che s'è perduto e salva il sapere in modo che esso
appaia sempre eguale. Del resto è in questo modo che si perpetua tutto ciò che
è mortale, non col rimanere sempre e immutabilmente se stesso, come ciò che è
divino, ma lasciando - ciò che invecchia e vien meno - qualcosa di nuovo al suo
posto in tutto simile ad esso. Ecco, Socrate,» concluse, «in che modo tutto ciò
che è mortale, sia esso corpo od altro, ha la possibilità di partecipare
dell'immortalità; diversamente non c'è altro mezzo. Non stupirti, quindi, se
ogni creatura, per legge naturale, cura e protegge il suo seme, perché in
tutti, questo zelo e questo amore nascono dal desiderio dell'immortalità.»
XXVI 39 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org Ed io sentendola parlare così, tutto stupito, le chiesi:
«Ma sapientissima Diotima, sono proprio vere queste cose?» Ed ella con un fare
tipicamente cattedratico: «Persuaditi pure, Socrate, che è proprio così; basta
che tu faccia caso al desiderio di onori che hanno gli uomini; se tu non
riflettessi a quel che ho detto, ti meraviglieresti della loro follia,
considerando quanto grande è il loro desiderio di diventar famosi e acquistar gloria
immortale per l'eternità e come per questo siano disposti a correre tutti i
rischi, più che per i loro figli e sperperare ricchezze, sopportare fatiche,
sacrificare perfino la loro vita. Credi proprio che Alcesti sarebbe morta per
Admeto o Achille per Patroclo o il vostro Codro per conservare il regno ai
figli, se essi non avessero creduto che sarebbe rimasta immortale la loro
memoria, quale oggi noi la serbiamo? Assolutamente,» disse. «Invece, credo che
ognuno faccia di tutto per ottenere merito imperituro le fama gloriosa (e
questo quanto più si è migliori) affascinato com'è dall'immortalità. E così
quelli che han fecondo il corpo si volgono essenzialmente alle donne e il loro
modo d'amore si risolve nel generare figli e così procurarsi secondo loro,
immortalità, memoria e felicità per tutto il tempo a venire. Quelli, invece,
che han feconda l'anima (e ve ne sono fecondi spiritualmente più di quanto non
lo siano nel corpo), di una fecondità, beninteso che si addice all'anima, ma
quale? la saggezza e ogni altra specie di virtù,» diceva, «di cui tutti i poeti
sono gli artefici, insieme a quegli artigiani che hanno il nome di inventori;
la più alta e più bella forma di saggezza è quella relativa all'ordinamento
dello Stato e di ogni organismo sociale, quella che prende il nome di prudenza
e di giustizia. Dunque, quando uno di quelli, quasi esseri divini, fin da
giovane, ha l'animo fecondo di tali cose e quando, giunto all'età giusta,
desidera creare e produrre, io credo che anche lui vada alla ricerca del bello
in cui generare; perché nel brutto non lo farà mai. Quindi, fecondo com'è,
sentirà maggiore attrazione per le belle sembianze che per le brutte,
figuriamoci poi se, in più, incontra un'anima bella e gentile; quando si
rallegra di questo felice connubio, accanto a una simile creatura egli sentirà
tutto un fervore di ammaestramenti sulla virtù e sul come un uomo per bene
debba comportarsi, iniziando, così, la sua opera di educatore. Infatti, penso
che a contatto con una bella creatura, convivendole accanto, egli esprima e dia
alla luce ciò che da tempo custodiva dentro e, o che le stia vicino o che le
stia lontano, sempre la porta alla memoria e nutre, insieme con lei, ciò che è
nato dalla loro unione; e tra loro nasce un'intimità, un legame molto più profondo
di quello che lega i genitori ai figli, un affetto più intenso dato che hanno
in comune figlioli più belli e immortali. Ognuno preferirebbe figli simili
piuttosto che creature umane e guardando a Omero o a Esiodo o agli altri grandi
poeti non può non provare invidia pensando quale progenie, immortale essa
stessa, essi hanno lasciato, che ha loro assicurato memoria e gloria eterna o,
se tu vuoi, diceva, figli come quelli che Licurgo lasciò a Sparta, a salvezza
di Sparta o meglio ancora di tutta la Grecia; così presso di voi è onorato
Solone per avervi dato le leggi e così altrove, altri grandi uomini, sia
in XXVII 40 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org Grecia che nei paesi stranieri, che hanno compiuto molte
e belle opere, realizzando ogni sorta di virtù. Per questi loro fieli sono già
stati tributati ad essi molti onori, il che mai nessuno s'ebbe per quelli di
carne e di ossa.» 41 Biblioteca Elettronica Esoterica
ESONET.ORG http://www.esonet.org «Ebbene, Socrate, io penso,» continuò, «che
anche tu potresti essere iniziato alle cose d'Amore, ma fin qui; a un grado più
alto, a quello contemplativo, cui si giunge appunto passando attraverso questi
stadi, sempre che si proceda sulla via giusta, non credo tu sia adatto. Tuttavia
te ne parlerò egualmente e farò del mio meglio,» disse; «tu cerca, intanto, di
seguirmi come puoi. Dunque,» incominciò a dire, «è necessario, prima di tutto
che chi vuol tendere a questo fine, debba, fin da giovane, avvicinarsi alla
bellezza fisica e, sin dall'inizio, se chi lo guida lo dirige bene, amare una
sola persona e ad essa rivolgere i migliori discorsi; successivamente dovrà pur
rendersi conto che la bellezza che alberga nel corpo di una persona, è sorella
di quella che può esservi in ogni altra e che quindi se bisogna ricercare
quella bellezza che è insita nelle forme visibili, sarebbe sciocco pensare che
essa non sia identica e uguale per tutti i corpi; convinto di questo deve,
allora, sentire trasporto per tutti quelli che hanno belle sembianze e frenare
un po' la sua passione nei riguardi di una sola persona, riconoscendo come ciò
sia meschino e mediocre. Ma, infine, deve ben comprendere che la bellezza
spirituale ha pregi assai maggiori di quella fisica, di modo che se dovesse
incontrare una creatura dall'anima bella ma dal corpo non florido, se ne
contenti egualmente ed ugualmente se ne innamori e le mostri sollecitudine e
sia l'autore di discorsi tali che rendano migliori i giovani, per cogliere poi,
da qui, la bellezza che è nelle azioni e nelle istituzioni umane e comprendere
come essa sia, ovunque, sempre se stessa e persuadersi come la bellezza fisica
sia ben piccola cosa. Dopo le attività umane, si rivolga alla scienza per
conoscerne la bellezza e ammirarne l'ampio dominio sul quale ormai ella si
spande: così non sarà più come uno schiavo, preso d'amore per un sol giovinetto
o per un solo uomo o per una sola attività, non sarà più succube inetto e
meschino ma, rivolto allo sterminato oceano della bellezza e contemplandolo,
potrà dar vita a molti e bei discorsi, a splendidi pensieri concepiti
nell'amore infinito per la sapienza finché egli stesso, rinvigorito e
arricchito, non riuscirà a scorgere che una scienza unica che ha per oggetto la
stessa bellezza. Ma cerca, ora,» continuò, «più che puoi, di farmi
attenzione. XXVIII 42 Biblioteca Elettronica Esoterica
ESONET.ORG http://www.esonet.org «Chi è stato, via via, guidato fin qui nelle
questioni d'amore attraverso la contemplazione delle cose belle, quando sarà
giunto al termine di questa iniziazione, scorgerà, Socrate, a un tratto, una
meravigliosa bellezza, quella stessa che era un po' la ragione di ogni sua
precedente fatica, una bellezza, anzitutto, eterna, che non ha origine né fine,
che non cresce né si consuma e, inoltre, che non è per un verso bella e per un
altro brutta o che a volte sì e a volte no, né bella da un punto di vista e
brutta da un altro, né bella qui e brutta là, come se lo fosse per alcuni e per
altri no, né, questa bellezza, gli apparirà con un volto o con due mani, né
come qualcosa che possa riferirsi ad alcunché di corporeo e nemmeno come
discorso o come dottrina, né come quella che possa esistere in qualche altra
cosa, in altri esseri viventi, per esempio, o nella terra o nell'aria o
altrove, ma quale essa è, in sé e per sé, sempre uniforme e mentre tutte le
altre cose belle che di quella partecipano, nascono e periscono, essa non ha
alterazione di sorta, in più o in meno, non subisce mutamento. E così, quando
sollevandosi dalle cose terrene, in virtù anche dell'amore che si porta ai
giovinetti, uno comincia a scorgere questa bellezza, allora potrà dire di
essere vicino alla meta. Infatti questo è il retto cammino per procedere da
soli o insieme a una guida verso le questioni d'amore, cominciare, cioè, dalle cose
belle di quaggiù e, avendo come fine ultimo questa bellezza, innalzarsi
continuamente, come su una scala, da uno a due, da due fino a tutti i bei corpi
e da questi alle belle occupazioni e poi alle belle scienze, finché non si
giunga a quella scienza che di null'altro è scienza che della stessa bellezza e
finché non si conosca, giungendo, così, alla meta, il Bello in sé. Questo, caro
Socrate,» diceva la straniera di Mantinea, «è il momento della vita che più di
ogni altro, per un uomo, val la pena di vivere: quando giunge alla
contemplazione della Bellezza in sé. Se una volta sola tu riuscirai a vederla,
oh, ti sembrerà assai più preziosa dell'oro o di una veste o degli stessi bei
fanciulli e giovinetti che ora guardi non senza un palpito e per i quali, tu e
molti altri, se fosse possibile, rimarreste anche senza mangiare e senza bere,
pur di poterveli sempre contemplare e stare in loro compagnia. Cosa
succederebbe allora,» continuava a dire, «se uno riuscisse a vedere la Bellezza
in sé, in tutta la sua adamantina purezza e non già quella offuscata dalla
carne, dai colori, da tutte le altre vanità terrene, se gli riuscisse, insomma,
di scoprire la Bellezza in sé, divina e uniforme? Credi forse che sarebbe
miserabile la vita di quest'uomo che fissasse quel punto, lassù e lo
contemplasse come va contemplato, congiunto con esso? Ed è soltanto in quel
punto,» continuava, «contemplando la bellezza con quella facoltà che la rende
visibile, che egli potrà dar vita non a parvenze di virtù, dato che non è a una
falsa immagine di bellezza che egli si è accostato, ma a una virtù vera, per il
fatto che egli è nella verità; non pensi, del resto, che avendo dato vita alla
virtù vera e avendola continuamente alimentata, costui potrà diventare caro
agli dei ed essere anch'egli immortale, se mai altro uomo lo è stato?» Queste
cose, Fedro e anche tutti voi, Diotima mi ha detto ed io ne sono rimasto
persuaso e come tale, quindi, cerco ora di persuadere gli altri che per il
conseguimento di tanto bene, non è facile che l'uomo trovi chi possa meglio
soccorrerlo dell'Amore. Per questo io affermo che ogni uomo deve onorare Amore,
come io stesso faccio, XXIX 43 Biblioteca Elettronica
Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org esercitandomi nelle sue discipline
ed esorto gli altri a fare altrettanto ed ora e sempre esalto la potenza e la
forza d'Amore, nel modo che ne sono capace. Ed ora, Fedro, questo discorso
giudicalo, se credi, come un elogio d'Amore, altrimenti definiscilo pure come
meglio ti piace.» 44 Biblioteca Elettronica Esoterica
ESONET.ORG http://www.esonet.org Quando Socrate ebbe concluso, continuò a
riferirmi Aristodemo, e mentre tutti ne elogiavano il discorso, Aristofane
stava per intervenire, perché Socrate aveva a un certo punto, fatto
un'allusione sul suo conto a proposito di una certa teoria. Ma ecco che, a un
tratto, si sentì picchiare alla porta dell'atrio e, poi, un gran vociare, come
di gente allegra e la voce di una suonatrice di flauto. «E, allora, ragazzi,
non correte a vedere?» esclamò Agatone ai servi; «se è gente di casa, fatela
pure entrare, altrimenti dite che abbiam già finito di bere e stiamo
riposando.» Dopo un po' si udi nell'atrio la voce di Alcibiade, ubriaco
fradicio, che urlava a squarciagola chiedendo dove fosse Agatone e che lo
conducessero da lui. Egli, infatti, comparve sulla soglia, sostenuto dalla
suonatrice di flauto e da alcuni della compagnia e s'avanzò verso i convitati,
incoronato da una folta ghirlanda di edera e di viole e con la testa piena di
nastri. «Salve, amici,» esclamò, «lo volete con voi, a bere, un uomo già
completamente ubriaco? Oppure possiamo soltanto mettere questa corona in testa
ad Agatone, dato che siamo venuti per questo e poi filarcela subito? Ieri non
mi è stato possibile venire e così eccomi qua ora, con questi nastri in testa,
per passarli su quella di uno che, senza offesa per nessuno, è il più sapiente
e il più bello di tutti. Ma voi ridete perché sono ubriaco? E ridete pure,
tanto lo so; ma, piuttosto, ditemi, posso o non posso entrare? Berrete con me,
o no?» Tutti allora si misero ad applaudirlo e gli dissero di entrare e di
prender posto in mezzo a loro. Anche Agatone lo invita ed egli si fa avanti
sorretto dai suoi amici e, togliendosi dal capo i nastri, fa le mosse di
incoronarlo senza accorgersi che Socrate era proprio lì, sotto i suoi occhi, al
punto che, quando egli si pose a sedere in mezzo a loro, questi dovette
scostarsi per fargli posto. Non appena si fu accomodato, cominciò ad
abbracciare Agatone e a cingerlo di ghirlande. «Ragazzi,» veniva, intanto, dicendo
Agatone, «slacciate i sandali ad Alcibiade, ché si metta comodo e sia terzo tra
noi due.» «Benissimo,» approvò Alcibiade, «ma chi è questo terzo?» e così
dicendo si volse e vide Socrate; a quella vista fece un balzo: «Santi numi,»
esclamò, «ma chi è questo? Proprio Socrate? Ti sei messo qui per giocarmi
ancora qualche tiro e mi compari davanti, al tuo solito, quando meno me
l'aspetto. Che sei venuto a fare? E perché ti sei messo qui e non vicino ad
Aristofane o a qualche altro che voglia fare lo spiritoso? Ma tanto hai fatto
che ti sei piazzato vicino al più bello.» E Socrate: «Vedi un po' di difendermi
tu, Agatone, perché l'affetto di quest'uomo mi sta dando non pochi fastidi. Da
quando, infatti, mi sono legato a lui, non posso più guardare una persona di
bello aspetto, né stare un po' a conversare con nessuno perché, geloso e
invidioso com'è, mi salta su e me ne dice un sacco e poco ci manca che non mi
metta le mani addosso. Sta attento, quindi, che anche ora non me ne faccia una
delle sue e cerca di mettere un po' di pace tra noi e difendimi, se egli vuol
farmi ancora qualche sfuriata, perché comincio proprio ad aver paura delle sue
manie e del suo temperamento eccessivo.» «Niente affatto,» gridò Alcibiade,
«fra te e me, nessuna pace e di quello che hai detto faremo i conti dopo. Ora
tu, Agatone,» riprese, «dammi un po' di questi nastri, ché incoroni anche lui,
questa testa meravigliosa, in modo che non s'abbia poi a lagnare che ho cinto
te di ghirlande e lui niente, lui che nel parlare vince tutti e sempre,
non una volta sola, come te, ieri.» XXX 45 Biblioteca
Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org E così dicendo prese dei
nastri e incoronò Socrate, mettendosi, poi, comodo. 46
Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «E allora
signori,» esclamò quando si fu messo a suo agio, «mi sa che qui volete fare gli
astemi; non ve lo posso permettere; bisogna, invece, bere, così eravamo
d'accordo. Fino a quando non avremo preso l'avvio, i brindisi li dirigo io. Avanti,
Agatone, fa portare una bella coppa, di quelle grandi, anzi, anzi, non ce n'è
bisogno; invece, ragazzo, dà qui quel vaso per tener il vino in fresco.» Ne
aveva, infatti, intravisto uno che conteneva più di otto quartini abbondanti.
Dopo esserselo riempito, se lo scolò per primo; poi disse di riempirlo per
Socrate, soggiungendo: «Amici belli, con Socrate, però, non c'è niente da fare:
più gli se ne versa e più ne beve e non c'è caso che si ubriachi.» Infatti,
appena il servo versò, Socrate prese a bere. Ma Eressimaco, intervenendo. «Ma
così che facciamo, Alcibiade? Vogliamo proprio starcene coi bicchieri in mano,
senza dire una parola, senza cantare un po', vogliamo proprio darci sotto come
tanti assetati?» «Salve, mio caro Eressimaco,» esclamò allora Alcibiade,
«ottimo figlio di ottimo e assennatissimo padre.» «Salute anche a te,» rispose
Eressimaco, «e, allora, che facciamo?» «Ai tuoi ordini, siamo qui per
obbedirti: poiché un medico regge da solo il confronto con molti. Perciò,
comanda quello che vuoi.» «Stammi a sentire, allora,» fece Eressimaco; «prima
che tu venissi si era stabilito che ognuno di noi, partendo da destra, facesse
un discorso in lode di Amore, come meglio ne fosse capace. Noi abbiamo già
tutti quanti parlato, tu, invece, no e dato che hai bevuto, è giusto che ora
tocchi a te; dopo, potrai proporre a Socrate quello che vorrai e lui, a sua
volta, passerà l'invito al compagno che è alla sua destra e così gli altri.»
«Oh, un'ottima idea la tua, Eressimaco,» fece Alcibiade, «solo che non puoi
mettere a confronto il discorso di un ubriaco con quello di gente che s'è
mantenuta sobria; e poi, mio caro, tu ci credi a quello che Socrate ha detto un
momento fa? Non lo sai che è invece, tutto il contrario? Questo qui, se io mi
metto in sua presenza a fare le lodi di qualcuno, uomo o dio che sia, solo per
il fatto che non si tratta di lui, mica me le risparmia le legnate.» «Ma la
vuoi piantare?» fece Socrate. «Per mille tempeste,» rimbeccò Alcibiade, «è
inutile che protesti; in tua presenza io non posso lodare nessun altro.» «E
allora, fa così,» intervenne Eressimaco; «se vuoi, loda Socrate.» «Come dici?»
fece Alcibiade. «Vuoi proprio, Eressimaco, che io me la pigli con questo tipo e
mi vendichi davanti a voi?» «Ma che ti salta in testa,» intervenne Socrate, «di
prendermi in giro con la scusa dell'elogio? Ma che intenzioni hai?» «Dirò la
verità e tu vedi se ti garba.» «Allora, sicuro, la verità te la concedo, anzi
voglio che tu la dica.» «Eccomi subito a te,» fece Alcibiade, «e tu, intanto fa
una cosa: se io non dico il vero, interrompimi se vuoi e dì pure che sto
mentendo, per quanto io, di bugie, non ho intenzioni di dirne. Se, poi, nel
riferire i fatti, io non andrò per ordine, non meravigliarti, perché non è
certo facile, nello stato in cui sono, fare l'elenco ordinato e completo di
tutte le tue stranezze.» XXXI 47 Biblioteca Elettronica
Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Ebbene, signori, io, Socrate
comincerò a lodarlo così, per immagini. Lui, crederà che io voglia continuar
nello scherzo e invece, le immagini mi serviranno per precisare la verità, non
per scherzare. Comincio col dire, infatti, che egli somiglia a quei sileni che
si vedono nelle botteghe degli scultori, che hanno in mano zampogne e flauti,
fatti in modo che, aprendosi a metà, mostrano, all'interno, immagini di
divinità; e soggiungo anche che somiglia al satiro Marsia. Eh, sì, Socrate, ci
somigli proprio, almeno nell'aspetto, tu stesso non puoi negarlo; e sta a
sentire come poi ci somigli anche nel resto. Non sei forse petulante, e ti
posso portare i testimoni se non vuoi ammetterlo. E non sei un suonatore di
flauto? E come assai più portentoso di Marsia. Lui aveva bisogno dello
strumento per incantare gli uomini a forza di fiato e così, anche oggi, deve
fare lo stesso chi vuol suonare le sue melodie; (quelle che suonava Olimpo,
infatti, erano di Marsia, che gliele aveva insegnate). Insomma le sue melodie,
sia che le suoni un flautista di vaglia o una suonatrice di mezza tacca, sono
le sole a commuoverci, a farci quasi sentire il desiderio di dio, divine come
sono e di iniziarci ai suoi misteri. Tu soltanto in questo gli sei diverso, che
senza strumento, con le sole parole, ottieni lo stesso risultato. Infatti noi,
quando ascoltiamo qualcuno che parla, fosse pure il più bravo oratore di questo
mondo, di quello che dice, non ce ne importa niente, per così dire, proprio
niente di niente; quando invece ascoltiamo te, o anche soltanto un altro che
riferisce i tuoi discorsi, fosse pure un buono a nulla, quanti ne siano,
uomini, donne o giovani, restiamo tutti sbalorditi e affascinati. Quanto a me,
signori, se non temessi di passare completamente per ubriaco, vi direi, dietro
giuramento, quello che ho provato e provo ancora quando questo qui comincia a
parlare. Quando lo sto a sentire, il cuore mi si mette a battere forte, peggio
di quello dei Coribanti, alle sue parole mi vengono giù le lacrime e vedo tutti
gli altri, ma tutti, quanti ne sono, che provano la stessa impressione. Quando
invece sentivo parlare Pericle o altri bravi oratori, mi rendevo conto che
anch'essi parlavano bene, eppure non provavo niente di simile, non mi sentivo
l'anima in tumulto, né turbata al pensiero di essere una ben povera cosa. Ma
per costui, invece, per questo Marsia qui, quante volte mi son sentito come se
non mi fosse più possibile vivere come vivevo. E non dirai mica, Socrate, che
tutto questo non sia vero? Ed io sono convinto che anche adesso, se decidessi
di ascoltarlo, non riuscirei a resistere e proverei le stesse emozioni. Egli,
inevitabilmente, mi farebbe persuaso delle mie molte deficienze e che, perciò,
invece, di badare un po' a me stesso, m'intrigo dei fatti degli Ateniesi. E
così, mio malgrado, io mi tappo le orecchie, come se fossi in mezzo alle sirene
e scappo via perché non voglio mica invecchiare vicino a lui. Soltanto davanti
a quest'uomo io ho provato una cosa che nessuno mi sospetterebbe: quella di
vergognarmi. Davanti a lui solo, io mi vergogno, perché riconosco che non ho la
forza di contraddirlo, di oppormi a quello che mi dice di fare, ma poi, appena
mi allontano da lui, ecco che mi lascio nuovamente prendere dal favore
popolare; così lo evito e lo fuggo e quando lo vedo, solo a pensare a tutte le
cose di cui mi ha convinto, arrossisco dalla vergogna. Tante volte mi farebbe
addirittura piacere che non fosse più a questo mondo, anche se poi, so
benissimo XXXII 48 Biblioteca Elettronica Esoterica
ESONET.ORG http://www.esonet.org che questo mi addolorerebbe assai di più e
così, con un uomo simile, non so proprio come fare. 49
Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «E così,
questi sono gli effetti che io e tanti altri proviamo per le melodie che questo
satiro sa tirar fuori dal suo flauto. Ma state ancora a sentire come egli
somiglia anche nel resto a quelli cui l'ho paragonato, e quale straordinario
potere egli ha. Mettetevelo bene in testa, costui nessuno lo conosce: ma ve lo
farò conoscere io, dato che mi ci trovo. Guardatelo qui, Socrate, pronto sempre
a innamorarsi dei bei giovanotti, a corteggiarli, a perdere addirittura la
testa; mica poi che capisca qualcosa, non sa proprio niente, almeno
dall'apparenza. E questo non significa essere un sileno? Altro che: lo stesso
aspetto esterno di una di quelle statuette di sileni; ma dentro, se lo aprite,
ve la immaginate, commensali miei, la saggezza che ha? E poi, dovete sapere che
a lui, non gliene importa niente se uno è bello, anzi lo tiene in così poco
conto, che non ne avete l'idea; e se uno è ricco e ha tutto quello che, secondo
la gente fa beato un uomo, egli dice che tutto questo non vale un bel niente,
anzi che noi stessi siamo addirittura delle nullità, questo ve l'assicuro io. E
per giunta passa la vita, poi, a fare il finto tonto e a pigliarsi un po' gioco
di tutti. Se poi fa sul serio, però e si lascia veder dentro, non so se l'avete
mai viste le bellezze che ha. Io però le ho viste, una volta, e mi son sembrate
così divine, così preziose, stupende e straordinarie, che mi sentii soggiogato
e pronto a fare tutto ciò che Socrate avesse voluto. Credendo che egli
s'interessasse alla mia bellezza, pensai che era proprio un'occasione e una
bella fortuna la mia se, cedendogli i miei favori, avessi potuto apprendere da
lui tutte le cose che sapeva: io infatti andavo tutto superbo della mia
bellezza. Con queste intenzioni, allora, io che prima non ero solito restarmene
da solo con lui, senza la compagnia di un servo, un bel giorno congedai il mio
schiavo e rimasi solo con lui. Bisogna che ve la dica tutta la verità e voi
fate attenzione e se dico bugie, Socrate, smentiscimi pure. E così me ne rimasi
solo soletto con lui ed io credevo che egli avrebbe subito attaccato con quei
discorsi che di solito un innamorato fa al suo ragazzino, quando si trovano a
tu per tu ed ero tutto contento. Invece, niente da fare ma, come al solito,
parlò con me e giunta la sera, se ne andò. Vedendo questo, lo invitai, allora,
a far ginnastica insieme a me, cominciai a esercitarmi con lui e speravo di
concludere qualcosa. Anche lui, in verità, faceva i suoi bravi esercizi con me
e lottavamo insieme, spesso senza che nessuno fosse presente. Ebbene, ve lo
devo dire? Non ne cavai un bel niente. E quindi, visto che in questo modo non
combinavo nulla, pensai che con un uomo simile bisognasse adoperare le maniere
forti, altro che lasciar perdere, dato poi che mi ci ero messo, e vedere un po'
come andava a finire la faccenda. E così lo invita a cena, addirittura come fa
uno spasimante quando vuol far cascare la persona amata. Macché, mica accettò
subito; tuttavia, dopo qualche tempo, si convinse. La prima volta che venne,
però, volle andarsene subito, appena mangiato; quella volta io mi vergognai un
po' e lo lasciai andare. La volta appresso, però, gli tesi il laccio e dopo che
finimmo di mangiare, gli impiantai una discussione che si protrasse fino a
tarda notte e così, quando fece le mosse di congedarsi, io gli dissi che ormai
s'era fatto tardi e quindi lo convinsi a fermarsi. Così egli si mise a riposare
in un letto accanto al mio, lì dove aveva cenato: nella sala, nessun altro
avrebbe dormito tranne noi due. Fin qui niente di male nel mio racconto e anzi
potrei continuare a parlare di fronte a tutti ma, a questo XXXIII
50 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org
punto, io non vi darei più nulla se, anzitutto, nel vino, come dice il detto
(aggiungeteci pure i bambini o meno) non vi fosse la verità e poi perché mi
sembrerebbe proprio una cosa ingiusta, dal momento che sto facendo l'elogio di
Socrate, passare sotto silenzio il suo nobilissimo comportamento. Oltre a
questo, ancora, io mi sento come uno che è stato morso da una vipera che, a
quel che si dice, non vuol raccontarlo a nessuno, tranne a quelli che sono
stati anch'essi morsi, ai soli, cioè, che potrebbero comprendere e compatire i
suoi gesti e tutte le frasi che si dicono sotto l'influsso del dolore. Ed io
che sono stato punto dal morso più doloroso e nella parte che più duole... al
cuore o all'anima o come vuoi chiamarla, trafitto e punto dai ragionamenti
filosofici che penetrano più profondamente del dente di una vipera specie
quando afferrano l'anima di un giovane non mediocre e lo spingono a fare e a
dire qualunque cosa... io che mi vedo dinanzi un Fedro, un Agatone, un
Eressimaco, un Pausania, un Aristodemo, un Aristofane (e bisogna anche
nominarlo Socrate?) e tanti altri, tutta gente un po' patita e fuori di sé per
la filosofia... Eh, sì, per questo, ora, voi tutti, mi starete a sentire. E mi
compatirete per quello che è accaduto allora e per quanto sto per dirvi ora. E
voi, famigli e quanti ne siete, rozzi o villani, tappatevi con grossissime
porte le orecchie. 51 Biblioteca Elettronica Esoterica
ESONET.ORG http://www.esonet.org «Dunque, signori, quando la lampada fu spenta
e i servi se ne furono andati, pensai che non era più il caso di star lì a
gingillarsi ma di esprimergli chiaramente le mie intenzioni. «Dormi, Socrate?»
perciò gli chiesi scuotendolo. «Nient'affatto,» mi rispose. «Sai cos'ho
pensato?» «Cosa?» «Che tu mi sembri l'unico amante degno di me, però mi pare
che tu esiti a dichiararti. Però, sai, io ho deciso; credo proprio che sia da
sciocchi non esserti compiacente in questo, come in tutto il resto, se tu ne
avessi bisogno, dei miei amici per esempio, delle mie sostanze. Perché, vedi,
niente mi sta più a cuore che diventare il più possibile migliore e nessuno, io
penso, può far meglio di te al caso mio. Anzi mi vergognerei molto di più, di
fronte alle persone intelligenti se non compiacessi un uomo simile, che non
dinanzi alla gente ignorante se gli cedessi.» E lui, dopo essere stato lì a
sentirmi, col suo solito fare un po' ironico: «Mio caro Alcibiade,» rispose,
«può darsi proprio il caso che tu non sia uno sciocco se è vero che io ho tutto
quello che tu dici e se c'è in me una specie di potere che ti possa far
diventare migliore. Se è così, devi aver visto in me un'irresistibile bellezza,
di gran lunga superiore alla tua e, rendendotene conto, ora cerchi di far
comunella con me, di metterci le mani addosso e barattar bellezza con bellezza
e così concludere, alle mie spalle, un affare non poco vantaggioso; cerchi,
insomma, di pigliarti una bellezza vera in cambio della tua che è apparente e
pensi proprio di scambiare oro con rame. Ma benedetto figliolo, fa più
attenzione, ché tu non t'inganni nei miei riguardi, dato che io non sono
proprio nulla. Il fatto è che l'occhio della mente comincia a veder chiaro
quando s'affievolisce quello del corpo e per te, ce ne vuole del tempo.» Ed io
dopo averlo ascoltato: «Per quel che mi riguarda, le cose stanno cosi ed io non
ho detto nulla di diverso da quello che penso. Tu, piuttosto, devi decidere
quello che è meglio per te e per me.» «Così va bene,» mi rispose. «In seguito
vedremo e faremo quello che ci sembrerà meglio per tutti e due a proposito di
questa faccenda e anche per il resto.» Quanto a me, dopo quello che aveva
detto, e ora che avevo udito la sua risposta, come se gli avessi lanciato un
dardo, pensavo d'averlo già bell'e trafitto. E così, senza dargli la
possibilità di dire una parola di più, balzai su e gli gettai addosso il mio
mantello (infatti eravamo d'inverno) ficcandomi, poi, sotto quello suo, logoro,
e stringendolo nelle mie braccia (sì, proprio costui, questo essere veramente
divino e meraviglioso) e tutta la notte gli stetti disteso vicino. Nemmeno
questo, Socrate, puoi dire che non è vero. Ebbene, nonostante che io avessi
osato tanto, si dimostrò superiore e mi disprezzò beffandosi della mia
bellezza, schernendola; e si che io credevo di non essere mica poi tanto male,
o giudici (sì, giudici dell'insolenza di Socrate); ebbene, sappiate, ve lo giuro
su tutti gli dei e le dee, che io dopo aver passato la notte accanto a Socrate,
mi alzai come se avessi dormito con mio padre o con mio fratello
maggiore. XXXIV 52 Biblioteca Elettronica Esoterica
ESONET.ORG http://www.esonet.org «Dopo tutto questo, ve lo immaginate come ci
rimasi. Da una parte l'idea di essere stato disprezzato, dall'altra la mia
ammirazione per le sue qualità, per la sua saggezza, per la sua forza d'animo.
Mi resi conto di aver proprio incontrato un uomo quale non avrei immaginato,
per rettitudine e per fortezza. E così non riuscii né a pigliarmela con lui e,
quindi, troncare ogni rapporto, né, d'altro canto, a trovare il modo di
conquistarlo. Sapevo benissimo che col denaro non c'era niente da fare: era più
invulnerabile d'Aiace di fronte alle frecce, ed ora anche l'unico modo con cui
pensavo di poterlo conquistare, m'era fallito. Privo così d'argomenti, schiavo
quasi di quest'uomo, come nessuno lo fu mai d'alcun altro, gli stavo sempre
dietro. Tutto questo accadde prima della campagna di Potidea, durante la quale
combattemmo insieme e fummo anche compagni di mensa. Ricordo che alle fatiche
era più resistente non solo di me ma di tutti quanti gli altri; quando poi si
restava bloccati, tagliati fuori, come capita spesso in guerra e così ci
toccava patir la fame, la capacità di resistenza degli altri non era niente al
confronto della sua; quando invece c'era abbondanza, lui era il solo a
godersela veramente; e a bere, poi, vinceva tutti, non perché ci fosse portato,
ma solo quando ve lo spingevano e quello che è straordinario è che mai nessuno
ha visto Socrate ubriaco e di questo, io credo che ne avrete anche ora una
prova. Quanto poi a sopportare i rigori dell'inverno (e lì il gelo non
scherza), era addirittura straordinario. Ricordo che, una volta, durante una
gelata terribile, mentre tutti se ne stavano chiusi dentro e se qualcuno
usciva, s'infagottava fino all'inverosimile e si fasciava i piedi con panni di
feltro e pelli di pecora, lui se ne andò in giro con quel suo solito mantelluccio
che porta sempre, camminando sul ghiaccio, a piedi nudi, assai meglio di quelli
che avevano le scarpe; e i soldati lo guardavano un po' in cagnesco credendo
che, così, egli li volesse umiliare. XXXV 53 Biblioteca
Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «E a questo proposito,
bisogna proprio sentire ‹quello che ancora fece e sostenne quest'uomo animoso,›
laggiù, durante la spedizione. Tutto preso non so in quali pensieri, una volta
se ne rimase in piedi, immobile a meditare, fin dal mattino presto e, poiché
non riusciva a venirne a capo, non la smise, ma continuò a restarsene tutto
assorto nelle sue riflessioni. Era già mezzogiorno e i soldati cominciarono a
farci caso e a passarsi la voce, tutti stupiti che Socrate, pensando a chissà cosa,
se ne stava lì dal mattino presto. In conclusione, col calar della sera, alcuni
soldati della Ionia, dopo il rancio, portarono fuori, all'aperto, i loro
pagliericci (s'era, infatti, in estate) per dormire al fresco ma anche per star
lì un po' a vedere se quel tipo se ne fosse rimasto immobile tutta la notte. Ed
egli lì se ne restò fino a che non si fece mattino e non spuntò il sole; dopo
di che, fece al sole una preghiera e se ne andò. E in battaglia, poi, se volete
sentire, perché anche questo bisogna riconoscergli. Quando ci fu quello scontro
in cui i generali mi dettero una ricompensa al valore, nessun altro mi salvò
tranne costui che non volle lasciarmi lì ferito ma riuscì a portarmi in salvo
con le mie armi. Ed io, Socrate, in quell'occasione, insistetti perché la
ricompensa la dessero a te (neanche in questo caso tu potrai riprendermi e
dirmi che sto mentendo). E poiché i generali, considerando il mio rango,
volevano dare a me la ricompensa, tu fosti più zelante di loro perché venisse a
me attribuita invece che a te. E non è finita, signori miei, perché bisognava
vederlo Socrate, quando il nostro esercito fu rotto a Delio. In quell'occasione
io ero col mio cavallo, lui a piedi, con tutte le sue armi. Tra lo scompiglio
delle truppe in fuga, dunque, egli ripiegava insieme a Lachete. Io per caso
sopraggiungo e, vedendoli, grido di farsi coraggio, assicurandoli che non li
avrei abbandonati. In quella occasione meglio che a Potidea, potetti ammirare
Socrate, anche perché, a cavallo come ero, avevo meno da temere. Prima di tutto
dimostrava un controllo superiore a quello dello stesso Lachete;
secondariamente parve anche a me quello che tu stesso, Aristofane, hai detto di
lui che cioè anche là egli camminava come qui, ‹tutto altero gettando occhiate
di traverso›, tenendo sempre sott'occhio amici e nemici, facendo capire a
tutti, anche a distanza, che se qualcuno lo avesse attaccato, egli era il tipo
che si sarebbe difeso strenuamente. E così procedeva sicuro insieme al
compagno, perché è proprio vero che quelli che si comportano così in guerra, i
nemici nemmeno li toccano, mentre incalzano chi si dà a gambe levate. E ancora
per molte altre cose, tutte straordinarie, Socrate andrebbe lodato.
Probabilmente, però, queste altre qualità si possono anche trovare in qualche
altro; quello che invece è meraviglioso è il fatto che lui non è simile a
nessun uomo del passato né del nostro tempo. Ad Achille, per esempio si
potrebbe avvicinare, in un certo qual modo, Brasida e altri e per Pericle
potrebbe trovarsi una certa somiglianza con Nestore o Antenore e non con questi
soltanto e altri paragoni se ne potrebbero far sempre. Ma quanto a quest'uomo,
per il suo modo di fare, per i suoi discorsi, è impossibile trovare uno che gli
somigli, nemmeno lontanamente, né tra i viventi, né tra gli antichi, a patto
che uno non lo volesse paragonare, appunto come dicevo, lui e i suoi discorsi,
ai sileni e ai satiri, ma non certo a un uomo. Anzi, a proposito, i suoi
discorsi (me ne ero dimenticato di precisarvelo prima) sono proprio come i
sileni che si aprono. XXXVI 54 Biblioteca Elettronica
Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org 55 Biblioteca
Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Infatti, se uno si
mette a sentire i discorsi di Socrate, all'inizio, gli sembreranno addirittura
ridicoli, come sono tutti inviluppati per il di fuori, da termini e da
sentenze, una specie di pelle di satiro petulante; infatti, non fa altro che
parlare di asini da soma, di fabbri, di sellai, di conciatori e sembra che dica
sempre le stesse cose, tanto che se uno non se ne intende o è uno sciocco, gli
riderebbe dietro. Ma se cerchi di aprirli, i suoi discorsi, e di guardarvi
dentro, prima di tutto ti accorgerai che sono i soli, tra tutti, ad avere un
loro senso profondo, poi che sono addirittura divini, ricchi di ogni virtù
possibile e immaginabile, volti al sublime o meglio a ciò che deve tener
presente chi voglia diventare un vero galantuomo. Questo è quanto ho da dirvi
in lode di Socrate, amici miei. Quanto al biasimo io ve l'ho già mescolato,
riferendovi le offese che mi ha fatto; del resto egli non s'è comportato così
solo con me, ma ha fatto lo stesso con Carmide, il figlio di Glaucone e con
Eutidemo, il figlio di Diocle e con molti altri, tutta gente che egli ha
ingannato fingendo, appunto, la parte dell'innamorato, con la conseguenza che
furono, invece, costoro ad innamorarsi di lui. E questo lo dico anche per te,
Agatone, ché non debba cascarci anche tu in modo che, fatto esperto dalle
nostre disavventure, tu possa stare in guardia da costui e non debba imparare,
da citrullo, a proprie spese, come dice il proverbio.» XXXVII
56 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org
Appena Alcibiade ebbe concluso, l'ilarità fu generale, proprio per quel suo
modo franco di parlare, anche perché, così, aveva fatto capire di essere ancora
innamorato di Socrate. «Mi sembra, invece, che tu, Alcibiade, non abbia proprio
bevuto per niente,» esclamò a un certo punto Socrate, «altrimenti non l'avresti
rigirata tanto abilmente, nascondendo il vero scopo del tuo discorso e
alludendovi solo alla fine, come un di più, come se tutto il tuo parlare non
fosse stato per seminar zizzania tra me e Agatone, fissato come sei che io
debba amare solo te e nessun altro e che Agatone devi amarlo soltanto tu e gli
altri niente. Ma non t'è andata bene e questa tua farsa a base di satiri e di
sileni è apparsa evidente. Mio caro Agatone, costui non deve spuntarla e bada
tu che, tra me e te, nessuno venga a mettere disaccordo.» E Agatone, di rimando:
«Ah, sì, Socrate, forse hai proprio ragione. Ora capisco perché s'è venuto a
piazzare tra me e te, proprio per dividerci. Ma sta fresco, anzi, eccomi qua
che ti torno vicino.» «Oh, benissimo,» fece Socrate, mettiti qua, al mio
fianco.» «Santo cielo,» esclamò Alcibiade, «quante me ne fa passare quest'uomo.
Vuole sempre stravincere; ma, almeno, mio straordinario amico, lascia che
Agatone resti tra noi due.» «Impossibile,» fece Socrate. «Infatti tu hai fatto,
in questo momento, le mie lodi ed ora tocca a me farle a quello che mi sta a
destra. Quindi, se Agatone se ne viene vicino a te, non può mica mettersi a
fare il mio elogio prima che io non abbia fatto il suo, ti pare? Piantala,
quindi, tesoro, e non essere geloso se elogerò questo giovane: io desidero molto
tesserne le lodi.» «Iuh, iuh, Alcibiade,» si mise a fare Agatone, «non è
proprio il caso che io me ne resti qui, anzi, mi alzo subito perché le lodi di
Socrate io le voglio avere.» «Eh, già,» commentò Alcibiade, «la solita musica;
quando c'è Socrate, niente da fare con i belli. Guarda un po' anche adesso,
come ha saputo trovarsela facilmente la sua ragione, in modo che costui gli si
strofini al fianco.» XXXVIII 57 Biblioteca Elettronica
Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org E così Agatone si alzò per mettersi
vicino a Socrate, quando a un tratto, una numerosa brigata di buontemponi si
fece sulla soglia e trovando la porta aperta perché qualcuno era uscito,
irruppe dentro di filato verso di noi e ognuno si trovò comodamente il suo
posto. Ne nacque un baccano dell'altro mondo e si perse ogni misura, tanto che
ci demmo a bere a più non posso. Allora Eressimaco, Fedro e qualche altro se ne
andarono, continuò a raccontarmi Aristodemo; quanto a lui fu vinto dal sonno e
dormì profondamente anche perché le notti erano lunghe; si svegliò ch'era
giorno e che i galli cantavano. Quando aprì gli occhi, vide che gli altri o
dormivano ancora o se n'erano andati e che solo Agatone, Aristofane e Socrate
erano svegli e bevevano da una grande coppa che si passavano da sinistra a
destra. Socrate stava discorrendo con loro, ma Aristodemo disse che non
ricordava quello che si dicevano dato che non li aveva seguiti fin dal
principio e, poi, perché (almeno così disse) era tutto insonnolito, ma che, in
conclusione, Socrate stava persuadendo i due amici ad ammettere che uno può
comporre ugualmente sia commedie che tragedie e che chi, per vocazione, è poeta
tragico, sarà anche poeta comico. Quelli, costretti ad ammetterlo, ma senza
capir molto, sonnecchiavano. E ci disse che fu Aristofane ad addormentarsi per
primo, poi, a giorno fatto, anche Agatone. Socrate, quando li vide
addormentati, si alzò e se ne andò e lui, Aristodemo, com'era sua abitudine, lo
seguì. Giunto al Liceo si lavò e, come al solito, trascorse il resto della giornata,
poi verso sera se ne andò a casa a riposare. XXXIX 58. Educazione
guerriera Il filosofo Gallo Galli, voce narrate dell'educazione fascista
scriveva: "La possibilità, la necessità della lotta armata è immanente
alla coscienza nazionale, è presente in ogni momento di questa. …E non c'è
dunque educazione veramente, vigorosamente nazionale, che non sia ache
educazione guerriera."Una delle caratteristiche fondamentale – e forse la
piu nuova e significative – che la scuola italiana e andata gradatamente
acquistando e che sta per trradursi in aao nella piena chiarezza e precision
delle idee direttive e della organizzazione tecnica, e l’impronta guerriera.
Nel dominio dell’educazione, in cui tutta la vita di un popolo si riflette e da
cui insieme trae alimento e vigorose affermazione, si fa valere, cosi,
quell’attuarsi categorico della coscienza nazionale, che e la missione del
Fascismo nella storia d’Italia … La coscienza militare, lo spirito guerreiero,
non e qualcosa di diverse della coscienza nazionale; bensi costituisce con
questa un duplice aspetto della elevazione dell’individuo al disopra del bene
proprio particolare, per attuare le ragioni ideali della vita: un duplice
aspetto in quell concetto della vita come missione, onde l’individuo perisce
nelle sue forme superficiale e caduche e si sostanzia de realta universal ed
eterna … Al dispora della nazione non esiste, invero, non puo esistere una
organizzazione che equamente diriga e governi l’atttivita dei singoli gruppi
sociali-nazionale e instauri, attraverso la composizione dei contrasti, un
armónico equilibrio. … La possibilita, la necessita della lotta armata e
immanente alla coscienza nazionale, e presente in ogni momento di questa; e la
coscienza di essa e la preparazione dell’animo atto a combatterla sono; diremmo
quasi, una seconda facia della coscienza nazionale. E non c’e dunque educazione
veramente, vigorosamente nazionale, che non sia anche educazione guerriera. Ma
non basta. Il compito specific dell’educazione guerriera, la preparazione alla
lotta armata, ha un suo proprio carattere – in connessione con la natura e le
esigenze di tale lotta – per cui non e soltanto il riflesso o, direbbesi,
l’ombra dell’educazione nazionale, ma da questa in certo modo si distacca e su
essa reagisce, aumentandone e integrandone il valore; e aumentando e
integrando, inoltre, il valore anche dell’educazione generale. La preparazione
alla lotta armata e in vero preparazione: 1) alla rinunzia piu complete al
proprio io particolare; poiche si tratta di ninunzia alla vita, il primo ed il
massimo dei beni e da tutti presupposto; 2) alla rinunzia – sia pure momentanea
e quale mezzo a una superior affermazione – anche alla propria personalita
spirituale, mediante l’obbedienza pronta ed intera: poiche la lotta e azione e
nulla v’ha di piu dannoso e folle che discutere quando e il momento d’agire.
Fornisce quell’agilita e pronezza di movimenti e quella resistenza alle fatiche
e forza muscolare, in cui la lotta armata ha uno dei suoi mezzi piu essenziali.
Non solo; per il riscio che e inerente a molti esercizi ginnastici, anche si
rifugga dale acrobazie – con le quali si sarebbe fuori dal dominio educativo –
essa e buon addestramento dell’animo alla lotta. L’educazione guerriera ha un
contenuto per ricchezza ed importanza infinitamente superior a quello
dell’educazione fistica; ma include questa necessariamente dentro di se.
Giovera in ultima accentare agli sports, in quanto non significhino
virtuosismo, ossia abilita tecniche e capacita fisiche prese come fine a se
stesse, ma si dispongano nel Quadro generale dell’educazione quale stimolo allo
sviluppo dell’uomo. Essi in questo caso sono il naturale sbocco dell’educazione
fisica, o meglio l’educazione fisica nella pienezza della sua attuazione;
poiche accentuano il momento del rischio e del consequente necessario dominio
di se. Ma non bisogna esagerare riguardo al valore degli sports in ordine
all’educazione guerriera. Questa ha il suo fondamento in un mondo ideale che a
quelli e compiutamente estraneo; e si riferisce ad una condizione di cose in
cui ben altro sir ischia che non qualche slogatura ed ammaccatura, e in cui l’Eroe
non attende il plauso, ma si vota sereno e deciso al sacrifizio che, anche,
rimanga oscuro.” Gallo Galli. Galli. Keywords: il fedro, sull’amore, metafisica
dell’amore, fisiologia dell’amore, dialoghi dell’amore, dialoghi sull’amore,
sul bello, l’uno e i molti, unum et multa – the one and the many – Plato –
Aristotle – Parmenides’s aporia – D. F. Pears, “Universals” in Flew, Rosmini, Bruno,
ermetico, Galileo, Serbati, Carlini, idealismo, idealismo critico, dialettica
dello spirito, Renouvier, educazione guerriera, Sparta, Platone, Siracusa,
dorio, guerriero, sacrifizio. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Galli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759002761/in/dateposted-public/
Grice e Galluppi – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Tropea).
Filosofo. “Gallupi is a great one; and much can be philosophised about his
philosophy of the ‘parola come segno del pensiero’” – Grice: “On top, he was a
Baron!” -- Eessential Italian philosopher. Figlio del barone Vincenzo e
della nobildonna Lucrezia Galluppi, entrambi della stessa famiglia Galluppi,
una delle antiche famiglie patrizie di Tropea. Dopo lo studio della
lingua latina, apprese filosofia sotto Ruffa. Trasferitosi a Santa Lucia del
Mela, compì il corso elementare di filosofia e presso il Seminario vescovile
della cittadina peloritana. Intraprese dunque lo studio a Napoli sotto
Conforti. Sposa Barbara d'Aquino, da cui ebbe quattordici figli, otto
maschi e sei femmine. Trascorreva le giornate di libertà nella residenza
privata di famiglia, cioè Palazzo Galluppi, sulla Strada Provinziale a Caria,
frazione di Drapia, alla biblioteca o al giardino. Pubblicò a Napoli “Sull'analisi
e la sintesi”. Durante i moti aderì alla causa liberale sostenendo la riforma
costituzionale dello Stato e protestando quindi contro l'intervento repressivo
degli Austriaci. Si riavvicina alla monarchia. Insegna Filosofia a Napoli. Membro
dell'Accademia Sebezia e dell'Accademia Pontaniana di Napoli, dell'Accademia
degli Affatigati di Tropea, di quella del Crotalo di Catanzaro e della
Florimentana di Monteleone. Il suo merito maggiore consiste nell'avere
introdotto in Italia Kant. Le Lettere filosofiche furono definite il primo
saggio in Italia di una storia della filosofia. A Pasquale Galluppi sono
dedicati il Convitto nazionale, il Liceo Classico di Catanzaro e il Liceo
Classico di Tropea. A Tropea, la sua città natale, è attivo il Centro
studi Galluppiani, associazione culturale dedita alla ripubblicazione
dell'opera omnia del filosofo e che di recente ha decretato l'ampliamento dei
fini statutari, fino ad accogliere e curare altre interessanti iniziative di un
certo spessore culturale. Periodicamente, il Centro organizza il
Congresso degli Studi Galluppiani, importante appuntamento di respiro
nazionale, animato da studiosi e saggisti provenienti da tutta Italia.
L'attuale presidente è Luciano Meligrana. Altre personalità di notevole
importanza nella storia del Centro studi Galluppiani sono stati Pugliese e Cane,
filosofo, appassionatissimo studioso dell'opera di Galluppi. Una vera
dedizione, la sua che non è mai venuta meno fino alla fine della sua vita.
Organizzatore infaticabile di seminari, simposi e conferenze, ha cercato di far
conoscere il pensiero del Galluppi, favorendo la pubblicazione dell'opera
inedita "La Filosofia della Matematica" la cui edizione lo ha visto
anche quale curatore. Su Galluppi ha pubblicato numerosi saggi ed articoli in
quotidiani e riviste specializzate. Altre opere: “Memoria apologetica”
(Napoli, Vincenzo Mozzola-Vocola); “Grice, ovvero, Sull'analisi e la sintesi”
(Napoli, Verriento); “La conoscenza, o sia analisi distinta del pensiere umano,
con un esame delle più importanti questioni dell'Ideologia, del Kantismo e
della Filosofia trascendentale” (Napoli, Sangiacomo); “Filosofia” (Messina,
Pappalardo); “Lettere filosofiche sulle vicende della filosofia, relativamente
a' principii della conoscenza umana da Cartesio insino a Kant inclusivamente” (Messina,
Pappalardo); “Logica”; “Metafisica” (Firenze, Tipografia della Speranza); “La
volontà” (Napoli, Giachetti); “Storia della filosofia” (Napoli); “Opera
compresa in nove capitoli a cui si aggiunge l ‘Elogio funebre scritto da Errico
Pessina, autore del Quadro storico dei sistemi filosofici” (Milano, Gio.
Silvestri); “Autobiografia”, “Scritti”
(Milano, Dumolard); La filosofia del Galluppi e le sue relazioni col
Kantismo, (Napoli, Morano); “Lettere filosofiche” (Bonafede, Palermo); “Epistolario
Lettere private. Inedite e rare, Franco Ottonello, Milano, Franco Angeli
("Filosofia e scienza nell'età moderna" Collana a cura della Sezione
di Milano dell'Istituto per la storia della filosofia. Dizionario biografico
degli italiani. Quella
specie di deduzione con cui da una
causa , che cade sotto i sensi , deduciamo
un efletto , che sotto i sensi non
cade , o da un elTetto , che cade
sotto i sensi , de- duciamo una causa , che
sotto i sensi non cade , quando la
connessione fra la causa e l' elTelto non
si presenta a noi come necessaria , è
fondata su questa verità sperimentale, le
carne simUi producono o son accompagnate da
effetti simili; ed ef- fetti simili
suppongono cause simili. Tutti e due questi
mo- di di dedurre i fatti , che immediatamente
non si sperimentano , costituiscono r argomento
detto di analogia. Si argomenta dunque
per analogia , quando dairosservazionc disoggetti
si- mili si deducono qualità simili, e
quando da cause simili si de- ducono
efletti simili , o da elTetti simili si
deducono cause simili. Ma r esistenze ,
che si deducono , sono di due
maniere, alcune possono essere oggetto di
esperie tua , altre non pos- sono esserlo.
Sebbene quando vedo l’acqua, che non
ho an- cora bevuto , e che giudico di aver
essa la qualità di estin. guermì la
sete, non abbia ancora sperimentato in
questo ca- so particolare la qualità di
cui parlo; pure è essa un ogget- to
di esperienza , poiché posso di fatto
sperimentarla , be- vendo l’acqua che ho
presente. Sebbene prima di vedere la
liquefazione della neve , io la deduco
dalla vicinanza del fuo- co ; pure questa
liquefazione può colpire i mici sensi, ed
es- sere un oggetto di esperienza. Ma
vi sono infiniti casi , in cui 1’
esistenze che si deduco- no , non possono
divenire oggetto di esperienza. Domandato
ad un uomo perchè egli crede un
fatto, che succede in luo- ghi ove
non è , per esempio , che il suo
amico soggiorna alla campagna , o viaggia
per la Francia , egli vi darà per
ragione un altro fatto : allegherà una
lettera che ha da lui ricevuto ,
alcune risoluzioni che gli vide prendere ,
alcune promesse che gli ha sentito
fare. Ora in tutte queste dedu- zioni ,
si suppone, che alcuni dati moti
dipendono dalla vo- lontà dell’ amico ; si
suppone in conseguenza , che il suo .
corpo sia animato da uno spirito
simile al nostro. Ora lo s[iiito dell’
amico , c le modificazioni inieinc di esso,
non Digitized by Googlc 58
possono giammai divenire un oggetto
di esperienza : noi non possiamo giammai
sortire da noi stessi , e sentire 1’
anima sua , e ciò che in essa acca(k
; noi dunque qui argomentia- mo da una
esistenza , che è un oggetto sperimentale, ad
un altra esistenza , che per noi non
può giammai divenire un oggetto di
esperienza. Quando vedo la lettera, di
cui si parla io giudico , che fu l’
effetto de’ moti del corpo dell’
amico , giudico inoltre , che questi
moti furono 1’ effetto della sua
volontà. Ora questa volontà io non la
posso sentire giammai, risalgo dunque qui
da un effetto che colpisce i sensi
miei ad una causa , che non può
giammai divenire un oggetto di es-
perienza. Similmente se vedo piangere un
uomo giudico che egli è afflitto , ora T
afflizione di lui non può giammai
dive- nire un oggetto di esperienza per
n>e; io dunque deduco qui da ciò
che sperimento una causa, che non
posso sperimenta- re. Ora si domanda : una
tal deduzione è esM legittima? Allora
che vedo un uomo, io vedo un
corpo simile al mio: se lo vedo
camminare vedo questo corpo eseguire certi
moti simili a quelli , che io fo quando
voglio camminare , da ciò concludo , che i
moti del corpo che vedo suppongono
una causa simile a quella, che ho
sperimentato, vale a dire uno spirito, che
vuole tali moti. Pare dunque, che questo
caso possa ridursi alla stessa spezie
di quello di sopra , cioè alla
deduzione di una causa simile da un
effetto simile. Ma vi ha qui
una differenza, di cui bisogna tener
conto. Quando dal vedere un orologio
deduco 1’ esistenza di un ar- '
tc6ce, io ho osservato non solo gli
effetti simili, ma anche le cause simili ,
vale a diro , ho veduta molti orologi
fra i quali ho trovato della
similitudine, ed Ito veduto ancora molti
artefici di orologi, fra i quali ho trovato
ancora della simi- litudine. Ciò non accade,
quando da’ moti del corpo di un
uomo deduco l’ esistenza di uno spirito
simile al mio, da cui questo corpo è
animato. Io non ho giammai sperimentato
un altro spirito , all’ infuori del
mio , quindi non lio giammai sperimentato
la similitudine delle cause , da cui
derivano gli effelti de' quali si parla,
io dunque esco qui fuori deirespc-
\ Digitized by Google 59
nenia : se avessi ^erimontato piìi
volte che alcuni moti di altri corpi
simili al mio derivano da spiriti
simili al mib , allora la mia
deduzione avrebbe lo stesso fondamento
dell’ ana- logia , la quale mi autorizza a
dedurre da effetti che speri- mento ,
simili a quelli che ho sperimentato , cause
simili a quelle che ho sperimentato. Ma
qui siamo in un caso di- verso; io sono
racchiuso nella sola osservazione di una
cau- sa sola: ho sperimentato in me
solo che alcuni dati moti pro- cedono
da un atto di volontà. Ma non
1’ ho sp^imentato in altri , nè posso
giammai sperimentarlo; or chi mi autorizza
a concludere da un caso solo una
legge costante, ed univer- sale della
natura? Nell' argomento di analogia si
conclude per un caso ciò che abbiamo
sperimentato costantemente in tutti gli
altri , che ci son occorsi : ho
sperimentato mólte volte, che il fuoco
posto in vicinanza della neve la liquefa ,
nè mi è occorso alcun caso, in cui
non abbia ciò sperimentato: ve- dendo del
fuoco posto in vicinanza della neve
concludo, per questo caso particolare, ciò
che ho sperimentato costante- m«ite nella
moltitudine degli altri casi. Ma quando
al veder muovere gli altri uomini giudico ,
che sono animati da uno spirito
simile al mio , procedo tutto al rovescio
dell’ analo- gia , poiché da un solo caso ,
vale a dire da ciò che speri- mento
in me , giudico tutti gli altri.
Questa obbiezione merita di esser
esaminata, poiché l’ ana- lisi dei motivi
de’ nostri giudizi è 1’ oggetto della
logica. Io ho camminato un numero
incalcolabile di volte , per varie
direzioni, ed in vari luoghi: ho
sperimentato questo fatto co- stantemente unito
al mio volere: ho sperimentato fra il
cammi- no di una volta e quello di un
altra una similitudine, ed una similitudine
fra l’ atto di volere di una volta
e quello di un altra : ho dunqiK qui
sperimentato, che effetti simili procedono
da cause simili, vale a dire, che il
camminare consiste in moti volontari ;
quando dunque veggo camminare un altro
uomo io concludo per questo caso
particolare quello che ho sperimentato
nella moltitudine de’casi particolari occorsi
in me stesso; non esco dunqtic
dell’aualogia, con cui si concludeda molli
ad uno. Digitized by Google
60 È nondimeno incontrastabile , che l'
illazione non può giam- mai divenire
sperimentale, poiché 1’esistenza della volontà
in un altro uomo', che io deduco dal'
vederlo camminare, non può giammai divenire
per me un oggetto di esperiaiza come
può divenirlo questa illazione : il fuoco
che vedo liquefarà la neve a cui è
vicino: Ma ciò mi sembra , che non
tolga al- cuna forza alla deduzione, che
esaminiamo. Quando dal vedere il
fuoco posto in vicinanza della neve deduco
la liquefazione di questa , io giudico
prima dell'es- perienza ; r essere perciò l’
illazione di natura a poter dive- nire un
giudizio sperimentale , non influisce nella
deduzione : r illazione è vera per me
per la sua connessione colle pre- messe ;
non già perchè è un giudizio , il
quale può confer- marsi coll’esperienza.
Sinnlmcntc l’illazione di analogia, con cui
giudico che gli altri corpi umani ,
fuori del mio , sono animati da uno spirito
simile al mio , è vera in forza della
sua connessione colle premes.se , e l’ impossibilità
che ha questo giudizio di divenire
immediatamente sperimentale;, non toglie mica
il valore della deduzione. §, 28.
Ma qui conviene aggiugnere qualche cosa
molto im- portante. Che i moti chiamati volontari
, e che scorgo ne’ cor- pi umani , non
dipendano da una causa meccanica , ma
da una causa intelligente , mi sembra
una verità necessaria della stessa natura
delle verità necessarie , che esprimono le
leggi del moto, di cui abbiamo di
sopra parlato. Se io sono ric- co o potate,
e deadcro d'innalzare un edifìzio , mille braccia
agiscono , e la mia volontà ha il suo effetto.
La mia voce non .ha fatto impressione
sul corpo de’ travagliatori , se non die
per mezzo dell’ aria , e no n ha prodotto
nell’ atmosfera on’ agitazione suflìciente a
muovere de’ corpi molto piìi pic- coli
di quelli , che eseguono gli ordini
miei ; la mia voce dun- que non
produce 1’ elfetto come causa meccanica ;
bisogna perciò che un principio diverso
dall’ agitazione dell' aria , o dalla
mia parola abbia prodotto questo moto ne’
corpi , e che la mia parola abbia
detcrniiiiato questo princijiio a produrre i moti
, che chiamiamo voloiitai l. Non si
può riguardar la mia Digitized by
Google 61 parola , se non che
o come un molo eccitato nell’ aria ,
o come r espressione della mia volontà ;
la mia parola non ha potuto come
causa meccanica produrre i moti , de’ quali
par- liamo , perchè ciò come abbiamo veduto
, è contrario alla le^e del moto , che un
piccolo moto ne produca uno mag- giore ;
al che si aggiunga , che la mia
parola non avrebbe prodotto moto alcuno
nell’Ottentotto , o in un altro individuo che
parla un linguaggio diverso dal mio:
per la sola espres- sione della mia
volontà ha dunque potuto la mia
parola de- terminare ad agire il principio
del moto de’ corpi die mi hanno
ubbidito. Questo principio è perciò un’
intelligenza , poiché ha conosciuta la
mia volontà nelle mie parole. i
La proposizione dunque : vi tono
alcuni moti ne’ corpi u- mani dieerti
dcU mio corpo, i quali ^ hanno per
cauta una cauta intelligente , mi sembra
di verità necessaria. La pro- posizione
poi: vi sono alcuni moti ne"
corpi umani dècer si dal mio corpo i
quali hanno per causa la volontà di
uno spirito simile al mio , e per
conseguenza tali corpi tono animati co- me
il mio , è di verità contingente , e
poggiata sull’analogia. Concludiamo nell’
argomento di analogia si deducono spes- so
cause , (M non possono divenir giammai un
oggetto di es- perienza , sebbene sieno
simili ad altre cause , che si speri-
mentano. 2.° Vi tono nondimeno alcune
deduzioni di esistenze , che non possono
divenire sperimentali, le quali deduzioni
danno verità necessarie in risultamento.
Questa seconda parte , della conclusione
enunciata , si con- ferma da quello che
abbiamo detto nell’ Ideologia circa
resisten- za dell’ assoluto. Questo non può
certamente divenire un og- getto di
esperienza , intanto la sua esistenza è il
risultamento di un raziocinio legittimo, in
cui una delle premesse è una verità
sperimentale. Noi diciamo ; se vi è il condizionale
, et dee essere l’ assoluto. Questa
proposizione esprime un giudizio analitico , e
necessario : vi e il condizionale : questa
secon- da proposizione esprime un giudizio
sperimentale ; vi è dunque r assoluto. L’ illazione
è una verità necessaria. L’ empirisnto
ci riserra nel solo circolo dell’
esistenze, im- Digilized by Google
62 mediatamente sporimetitali ; nè ci
permette di passare da ciò , che cade
immediatamente sotto 1’ esperienza , a ciò che
sotto la stessa immediatamente non cade.
Io vi ho fatto ve- dere il contrario
; vi ho dunque dimostrato la falsità
dell’em- pirismo. L’ argomento di
analogia è fondato sul rapporto d’ iden- tità ;
ma T identità può fra due cose essere
ma^^iore o mi- nore. L’ identità fra il
mio corpo ed il corpo di un
altro individuo , che io chiamo uomo , è
maggiore di quella che passa tra il
mio corpo ed il corpo di un
cavallo. Ora si do- manda : tino a qual
grado d idetUilà V analogìa è un argo~
mento valevole , cioè «n argomento certo ì
È questo un pro- blema di difllcile
soluzione : l’ esamineremo in altro capitolo.
§. 29. U analogia ci rivela dunque 1'
esistenza degli altri q)ìriti simili al
nostro. L’ esperienza c’ ins^a , che
alcuni moti volontari in noi nascono , o
sono accompagnati da al- cune affezioni
interne del nostro spirito ; vedendo in
conse- guenza moti siniili in altri corpi
umani , attribuiamo agli spi- riti animatori di
tali corpi affezioni simili a quelle che
ab- biamo sperimentato in noi. Allora che
sono affetto dal sen- timento della sete ,
corro a bevere ad una fontana , che a
me si presenta. Se dunque vedo un
altro nomo camminare verso una fontana , e
bevere , giudico , appoggiato su l’ana- logia ,
che egli sia modificato dal sentimento
della sete , e che voglia bevere.
In queste deduzioni analogiche dovete
osservare ciò che vi ho detto nel
§. 16 circa 1' aspettazione del
futuro simile al passato, i^li bisogna
distinguere il sentimento della deduzio- ne
meditativa. La dottrina generale che ivi
vi ho spigato , può applicarsi all’
oggetto che ci occupava. Noi supponiamo
ne’ nostri simili delle anime alla
nostra simile : noi facciamo tali
sup^izioni in forza della I^gc della
nostra immagina- zione , non già in forza
de’ raziocini , che abbiamo sviluppato. Io
suppongo r incontro di due uomini , privi
sino a questo momento di ogni commercio ,
ancora cògli animali ; ridotti per
conseguenza al circolo stretto de’ propri
sentimenti, e delle Digilized by Google
63 proprie operazioni : ciascuno di
essi vede nell’ altro un essere che
gli rassomiglia in tutte le cose ,
che presenta le stesse forme , possiede
gli stessi organi , ne fa un simile
uso ; egli crede dunque il corpo che
lo colpisce, animato da uno spirito.
Or ecco, secondo la mia dottrina,
come si opera questo fatto intellettuale.
Io suppongo, che un di questi uomini
vegga I' altro camminare , questa percezione
risveglia i fantasmi simili del proprio
corpo camminante in varie volte , e perciò
anche i fantasmi del ])roprio me
affetto in tali circostanze da tali e
tali modificazioni: queste riproduzioni si
fanno con somma ra- pidità in modo che
non posson essere fissate dall' attenzione,
esse sono perciò obbliate l' istante
appresso, in cui si s«n avu- te,
intanto la percezione del corpo simile
al proprio detemù- na r attenzione non
solamente ad essa sola , m’ ancora alla
percezione simultanea del proprio me , e lascia
fu^ire le per- cezioni successive simili
del proprio corpo camminante in varie volte
; la piercezione del me riprodotta si
lega perciò a quella del corpo presente del
mio simile , invece di legarsi a quella
riprodotta del proprio corpo camminante ,
che si è obbliata, e questo legame
costituisce il sentimento interno di questa
specie di credenza. L' obblio delle
percezioni riprodotte del proprio corpo
camminante in varie volte, neH’atto che
rimane quella riprodotta del proprio me ,
fa si, che questa ultima si associi a
quella presente del corpo simile. La
.percezione ri- prodotta del proprio me
rimane, perchè la percezione del cor- po
camminante e quella del proprio me son
legati naturalmente in una comune
attenzione; essendo associate dalla natura
stessa; qnella riprodotta del corpo
camminante si ccclissa, perchè quel- la del
corpo simile camminante richiama l’ attenzione.
Lo spi- rito trasporta dunque fuor di
lui col pcnsiere l’ idea del proprio
me , che egli immagina , e che stabilisce
nel seno di quelle forme, che
colpiscono i suoi sguardi, ed a traverso
delle quali il suo sentimento immediato
non può penetrare. Egli presta dunque
il suo me al suo simile , 1’
anima della vita che re- spira in se
stesso, e concepisce 1’ esistenza di un
altro uomo. Tale mi sembra la
spiegazione del sentimento della credenza.
Digitized by Google C4 che
esaminiamo. Risulta dalla stessa, che noi
concependo ciò che |>ensano gli altri
uomini, non usciamo mica da noi
stessi. Nel' le nostre proprie idee
noi vediamo le loro maniere di
essere, la loro stessa esistenza. Da
ciò avviene, che 1’ uomo misura dal
proprio spirito quello degli altri, dal
che nascono molti orrori , come a suo luogo
diremo. Noi non possiamo accuratamente
determinare lo stato dei fanciulli ; e
conoscere perciò 1’ epoca in cui
hanno luògo le loro abitudini
intellettuali. Ma egli mi sembra
incontrastabile, che queste abitudini si
formano in loro mediante la rapiditll
di talune associazioni. I fanciulli percepiscono
negli altri nomi- ni de’ corpi simili
al proprio: &si sperimentano alcuni
moti spontanei del loro corpo ed
altri simili ne percepiscono nei corpi
degli altri nomini ; queste similitudini , ed
altre , che si manifestano piìi tardi ,
determinano le associazioni di cui ho
parlato. Legete il capitolo degli abiti
nella Psicolgia. Ma non solamente i
moti volontari che osserviamo negli altri ,
ci menano a supporre nel loro spirito
alcune medin- cazioni ; ma ancora certi
moti e cambiamenti necessari, che son gli
stessi elTetti meccanici i quali accompagnano i
senti- menti interni dell' anima , come il
tremore e la pallidezza nello spavento , le
grida , e le lagrime nel dolore , il riso ,
e il tripudio nella allegrezza. Questi si
manifestano incontanen- te da se medesimi , anche
ne’ fanciulli appena nati , princi- palmente i
gridi ed il lamento, che accompagnano
il dolóre. Concludiamo : noi poniamo
per mezzo di alcuni cambiamen- ti , che
osserviamo ne' corpi altrui pervenire a conoscere
ciò che accade nel loro spirilo.
Questa eonoscenza può essere mec- canica o
sia il risultamenlo del sentimento prodotto
da alcune rapide associazioni, e può essere
ancora V illazione di un ra- ziocinio
legittimo di analogìa. Possiamo dir la
stessa cosa in modo breve; questa
conoscenza può essere o istintiva o ragionata.
Da ciò si vede, che non è
necessaria una prima convenzione fra gli
uomini acciò s’ incomincino a intendere fra
loro. La natura ha reso gli uomini
tali , che conversando insieme essi s’iiit
elidono naturalmente anche senza l’istituzione
del linguaggio. Digilized by Coogle
«5 §. 30. Seguiamo la supposizione
de’ due'solitari. Sebbene 1' uno abbia
compreso ciò che accade nello spirito
dell’ altro, non tì è ancora un lii^uaggio
propriamente detto ; perchè non si parla ,
se non quando si cerca di farsi
intendere ,ese 1’ uno de’ due
individui ha penetrato il pensiero dell’
altro ciò è accaduto senza che questi
cercasse a farglielo conoscere.! due individui
di cui parliamo, osservano, eh’ eglino
sono stati compresi , ed allora cercano di
farsi comprendere , e nascerà cosi il primo
linguaggio. Sviluppiamo questa dottrina.
Abbiamo veduto, che il corpo degli
altri uomini ci presenta alcuni
avvenimenti, la percezione de’ quali ci
fa conoscere ciò che accade nel loro
spirito. Ciò la cui idea eccita l’
idea di un’ altra cosa chiamasi
segno. Nel corpo di un altro nomo
vi sono dunque de’ segni delle
interne modificazioni dello spirito animatore
di questo corpo. Siccome tali segni
son tali per la costituzione della nostra
natura , cosi si chiamano segni nor
turali. Vi sono , in conseguenza , de’
segni naturali de’ pen- sieri o modi di
essere delio spirito degli altri uomini.
Ma non solamente vi sono di
questi segni naturali de’ pen- sieri altrui
; ma 1’ uomo può conoscere , che vi
sono , cioè può conoscere , che con alcuni
dati mezzi si può manifestare altrui
ciò che si sperimenta internamente nello
spirito proprio. Supponiamo, che uno de’
due nomini supposti pianga, gridi, si
lamenti, senza avere l’ intenzione dì
manifestare all’ altro il dolore, che
egli sente; intanto 1’ altro sapendo,
che questi gridi, e questi lamenti sono
soliti ad accompagnare il dolore, conoscerà
da questi segni il dolor dell’ altro ,
ed accorrerà al soccorso di lui,
questi perciò comprenderà da tutto questo,
che egli è stato compreso ; e se avviene
altra volta , che si trovi affetto
dal dolore , ed in bisogno del soccorso
dell’ al- tro, piangerà e griderà coll’
intenzione di manifestare all’al- tro il
proprio dolore. Così gli uomini
incominciano dal com- prendersi scambievolmente ;
in seguito conoscono , che sono stati
compresi, e finalmente si determinano a farsi
compren- dere. Cosi si osserva in tutt’i
fanciulli comunemente. A prin- cipio essi gridano
, e si lamentano costretti unicamente dalla
Gall. Vol. II. 8 Digitized by
Coogle C6 forza del dolore , senz’
aver l’ intenzione di manifestarlo con
questi segni agli altri , anzi senza sapere
neppure , che cosa alcuna si possa
esprimere col pianto, e colle grida; ma
ap> presso avendo imparato , che con
tali s(^i si ottiene 1’ altrui
soccorso, cominciano a valersene avvertitamente
per manife- stare il loro dolore, e
ricevere il soccorso che bramano. Ciò
di cui gli uomini si servono, per
manifestare agli altri i pro- pri pensieri ,
chiamasi ugno artificiale. 1 segni naturali
di- vengono dunque naturalmente s^ni artiGciali.
Qui ha termine T educazione della
natura per le nostre scam- bievoli
comunicazicmi., La natura ha insegnato all’
uomo, che egli può farsi intendere ; e l’
uomo può non solamente ser- virsi de’
mezzi, che la natura gli ha mostrato
per la comu- nicazione de’ propri pensieri
; ma può ancora ritrovarne de- gli altri
simili. Il primo e più semplice mezzo
di comunica- zione che si offre allo
spirito, si è quello di ripetere con
ri- flessione ciò eh’ egli fece
dapprincipio, senza prevederne le con- seguenze,
cioè di riprodurre quelle azioni, per
mezzo delle qua- li ^li si è fatto
comprendere. Così si formerà un primo
lin- guaggio, che può chiamarsi linguaggio
della natura, poiché esso non si
compone se non che de’ s^i naturali,
vale a dire di quei s^ni di cui
la natura aveva già senza di noi
ri- vestito i nostri pensieri spreti, per
renderli sensibili agli altri* §. 31.
Il lingua^io della natura è insnlHc^te per
mani- festare agli altri tutt’i nostri
pensieri. Noi abbiamo al pre- sente il
linguaggio de’suoni articolari : i filosofi disputano
su l’ origiiK di esso : la quistione
si versa su l’ esistenza, e su la
possibilità, cioè si cerca ; gli uomini
hanno esH da se stes- si istituito il
linguaggio 1 Questa ricerca suppone quest’
altra-* gli uomini abbandonati a u stusi
potevano istituire il linguag- gio’l \
nostri sacri libri c’ insegnano, che
Adamo, ed Èva fu- rono creati da Dio
in uno stato adulto con delle
conoscenze in istato di riflettere, e di
comunicarsi i loro pensieri. Iddio ù maqiiestò
all’ uomo innocente ne’ primi istanti
della crea- zione. Iddio è dunque l’ autore
primitivo del lingm^io. Ma io suppongo',
dice Condillac, che qualche tempo dopo
il di- Digitized by Google 67
luvio due bambini dell’ uno, e dell’
altro sesso siensi trariati ne’ deserti, avanti
che conoscessero 1’ aso de’ vocaboli. A
fare questa supposizione, egli dice, io
sono spinto dal fatto del giovane di
Chartres rapportato nelle memorie dell’
accademia delle scienze, anno 1703. Era
questi dell’età di 23 a 24 anni sordo
c muto di nascita : cominciò con gran
sorpresa di tutta la città tutto ad
un colpo a parlare. Si seppe da lui;
che tre o quattro mesi prima egli
aveva udito il suono delle campane,
ed era stato estremamente sorpreso da
questa sen- sazione novella ed incognita.
In seguito gli era sortita una spe-
cie di acqua dell’ orecchia sinistra, cd
aveva acquistato l’udi- to in tutte e due
le orecchie. Egli impiegò tre o quattro mesi
ad ascoltare senza nulla dire,
assuefacendosi a ripetere sotto voce le
parole, ch’ali udiva, ed esercitandosi
nella pronun- ciazione, e nelle idee legate
a’ vocaboli. Io non so come
questo fatto possa autorizzare il filosofa
francese, a fare la supposizione di cui
parla, se non perché ciò mena a poter
supporre , che due giovani di sesso diverso
sordi c muti di nascita, possono traviarsi
ne’ deserti o ne’ bo- schi, indi
incontrarsi, e dopo l’ incontro ricever tutti e
due r udito. Questa supposizione non ha
niente di assurdo ; ed è perciò
lecito al filosofo di cercare , se in
una tale supposi- zione questi due giovani
possano istituire una società, ed un linguaggio.
A ciò si può aggiungere, che si
rapporta, esser- si in vari tempi vari
fanciulli trovati ne’ boschi ; uno ne
fu sorpreso nell’ Asia l’ anno 1334
in compagnia de’ lupi, un al- tro
dell’età di circa 12 anni in Weteravia,
un altro di 16 fu scontrato fra
una torma di pecore selvatiche nell’
Irlanda , verso alla metà del passato
secolo, un altro di nove fra gli
orsi nelle selve della Lituania nel
1662 : in questo secolo me- desimo uno
ne fu scoperto presso ad Hamelen
nella Sasso- nia, una fanciulla presso a
Lwlla nella provincia di Utrecht, ed
un’altra fu arrotata presso Chalons nel
1731. Io per al- tro non comprendo,
come questi fanciulli abbiano potuto vi-
vere, se sono stati abbandonati, o perduti
prima di potersi alimentar da se
stessi, ed m conseguenza prima di avere una
Digitized by Google 68
lingua. Si potrebbe supporre, che
avevano principiato a par* lare, quando si
smarrirono ; ma che poi nella solitudine
ave* vano interamente obliato quanto
avevano imparato. Or si domanda : se
due di questi di sesso diverso, si
fos- sero per avventura incontrati nella
stessa foresta , che sareb- be egli avvenuto ? E
per limitarci all’ ometto delle nostre
ricerche , domandasi : avrebbero essi istituito
una lingua 7 Tralitsciando dunque , su
l’origine del linguaggio, la quistio* ne
di fatto , è egli lecito di esaminare
quella della possibili- tà , o di cercare
se gli nomini abbandonati a loro stessi
avreb- bero potuto istituire una lingua ?
L’ esame di una tal qui- stione è
molto utile, per ben conoscere, e misurare
le for- ze dello spirito umano, e queste
ricerche ipotetiche ci menano ancora a
risultamenti , che hanno luogo nel fatto
reale. Io aggiungo dippiìi , che alcuni
autori anche su l’autorità de’ nostri
libri divini , hanno creduto , che le
lingue attuali sieno state istituite dagli
uomini coll’uso delle loro forze na- turali
: ecco come può essere accaduta la
cosa. Nel famoso avvenimento della
costruzione della torre di Babele, per
for- za miracolosa, fu cancellata dalla
mente degli uomini la me- moria intera
del primitivo linguaggio: in seguito di
un tale miracolo , gli uomini si divisero
a torme secondo i rapporti di parentela e
di amicizia , e si stabilirono hi diverse parti
della -terra : furono dunque abbandonati a se
stessi, per isti- tuirsi un linguaggio ; e
così perduto interamente il linguag. gio
primitivo , dì cui era* stato autore
Iddio stesso , le nuo- ve lingue , che
nacquero su la terra , furono un
prodotto dello spirito umano. In questo
modo si spiega come gli uo- mini
perduto, per forza del miracolo, il primitivo
linguag- gio , non si sieno più
scambievolmente intesi ne’ linguaggi •rispettivi.
Questa opinione ammette un solo miracolo,
quale è quello della memoria perduta del
linguaggio primitivo , lad- dove nell’opinione
contraria bisogna supporre una gran mol-
titudine di miracoli, l’uno in forza del
quale gli uomini ab- biano perduto la
memoria del lingua^io primitivo, e gli al-
tri con cui Iddio abbia istituito i diversi
linguaggi , che eb- DigiliZL by
Google 69 bero luogo dopo
dell’ avvenimento ; ora si potrebbe dire
, non e^r verisimile , che Iddio
moltiplicasse inutilmente i miracoli.
Checché ne sia di tale opinione ,
noi esamineremo qui la quistione della
possibilifb. 11 rispetto che il filosofo .
debbe alla religione divina , che c’ illumina ,
mi ha condotto a que- sta digressione.
§. 32. Per esaminar la quistione
proposta continuiamo la supposizione di sopra , e
partiamo dal punto ove siam ri- masti.
Abbiamo veduto l.°che gli uomini per
natura si com- prendono scambievolmente , 2.° che
conoscono di essere stati compresi ; 3.°
che con ciò si fanno naturalmente un
linguag- gio artificiale , che è il linguaggio
della natura. Vale a dire che fanno
uso de’ segni naturali , per manifestare
agli altri i propri pensieri. .Ma il
bisogno non potrebbe spingere gli uomini , a
migliorare , cioè ad acrescere questo
linguaggio della natura , ritrovando de’
segni analoghi ? n pianto ed i gemiti
manifestano agli altri il dolore da
cui un individuo è affetto ; ma non
manifestano lyica la causa del dolore.
Ora gli uomini hanno spesso bisogno , per
essere soccorsi , dì manifestare agli altri
la causa del loro dolore : per
tale oggetto alcune volte bastano le
circostanze : uno de’ due suppposti
solitari cade in una fos.«a : egli
non può senza l’al- trui soccorso cavarsene
fuora : egli grida -- 1’ altro
accorre , e si avvede della causa del
dolore del suo simile. Parimente se
uno de’ due è inseguito da una bestia
feroce , e grida : l’ altro conosce
dalla circostanza la causa del dolore
del com- pagno. Spesso nondimeno la causa
del dolore non apparisce dalle circostanze.
Tutti generalmente acquistiamo l’abito , al- lorché
ci sentiamo in alcuna parte addolorati,
di recare colà la mano. Se dunque
uno de’ due supposti solitari sentirà
do- lore in qualche parte ; egli griderà , c
la mano correrà na- turalmente alla parte
addolorata : l'altro accorrendo alle grida , e
spingendo per avventura lo sguardo là ,
dove è corsa la mano dell’ altro conoscerà
il luogo del dolore c se la causa
del dolore fosse una ferita , o una contusione
, o qualche al- Digitized by Google
70 tra cosa visibile ; allora
conoscerà chiaramente questa causa. Qualora l’
uno vorrà porgere all’ altro alcuna
cosa, amendue stenderanno la mano T uno
per darla , e l’ altro per prenderla . Questi
moti della mano potranno da s^i
naturali divenire segni artificiali , così
si potrà indicare la causa del dolore
re- cando la mano su la parte
addolorata ; e si potrà da uno de’
due individui volendo dire all’ altro che
non è vicino qual- che cosa ; e non volendo
o non potendo muoversi , stendere la mano
con entro la cosa che gli vuol
porgere. L’altro si^ milmente se cosa
alcuna bramerà aver dal compagno , por- gerà
la mano vòta per prendere ciò che
desidera. Fin qui non si esce
ancora dal linguaggio della natura; ma
già siamo al termine di un altro
linguaggio, a cui il primo ci mena..
Vi sono due specie di cose, di
cui gli nomini han- no bisogno di
eccitare le idee negli altri: alcune
possono nel momento stesso colpire i sensi
tanto di colui che vuol par* lare ,
quanto di colui a cui si vuol
parlare; altre sono lon- tane o almeno invisibili
, e non esistono nel momento, se non
che nello spirito di colui che vuol
farsi comprendere: riguar- do alle prime
basta , che colui che vuol parlare,
cioè che vuol farsi comprendere ecciti T
attenzione del suo compa- gno , e la diriga
su 1’ oggetto che gli vuol mostrare.
Ab- biamo veduto , che il gesto può
esser naturale e divenire un segno
artificiale ; ma alcune volte non è cosi :
supponiamo , che uno de’ due solitari
voglia mostrare all’ altro un ogget- to
lontano ma che può esser veduto ;
egli avvertirà il suo compagno per un
grido , ed allora che questi volgerà a lui gli
sguardi , il primo dirigerà Io sguardo su
l' oggetto , che vuole mostrare all’altro , e farà
uso del 'dito , per meglio mostrargli la
direzione , che prende Io sguardo suo : l’
altro r imiterà, e la sua curiosità lo
porterà ad osservare ciò che occupa
il suo compagno. Questi gridi, questi gesti
, formano una prima spezie di segni
istituiti, che si possono chiamare ugni
indicatori. Osservate , che i segni , di cui
parlo , non sono segni naturali, perchè il
grido è naturale nel dolore e nel
piacere: esso diviene da naturale
artificiale per denota- Digitized by
Coogle 71 re il dolore , o il
piacere. Ma l’ uno de’ due solitari
aven- do osservato , che 1’ altro , quando
egli manda fuori il grido , diriga a
lui il proprio sguardo , fa uso del
grido per obbligare il compagno a fissare
su di lui lo sgiiardo: cos) il
grido si estende a denotare ciò che
denota ({uesta proposizione : volgiti a me:
inoltre lo stendere il dita verso 1’
oggetto che si vuol mostrare non è un
segno naturale, ma un segno analogico,
poiché vi ha Una similitudine fra il
mo- to che fa il dito , ed il moto
che far dovrebbe il proprio corpo per
ginngerc all’ oggetto , che si vuol
mostrare; que- sti due moti avendo la
stessa direzione, o pure , la direzio- ne del
dito è - identica colla direzione, che
prende lo sguardo. Per tal ragione io
credo , che il gesto , di cui parlo ,
do- vrebbe riguardarsi piuttosto come un
segno mitalko, poiché il moto del
dito imita nella direzione il moto
che far dovreb- be il proprio corpo
per giungere pel cammino più corto al-
1’ oggetto , che si vuol mostrare , o pure
imita la direzione dello sguardo ; ma
servendo tal gesto ad indicare un
(^et- to, che può nello stesso momento
colpire i sensi de' due so- litari, gli
si pùò dare il nome di segno
indicatore. Questi due segni indicatori ,
di cui parliamo, equivalgono; a queste diK
proposizioni : volgiti a me e guarda là.
Vi ha inoltre de' segni imitativi , i
quali servono a deno- tare alcune cose
future, od altre cose che nel momento
non possono colpire i sensi di tutti e
due i solitari. Supponiamo, che uno di
questi sia in A , 1' altro sia
icmtano ma a vista del primo in B,
che 1’ oggetto lontano ma a vista di
tutti e due sia in C ; inoltre cl»
il primo non potendo muoversi per
andare io C voglia manifestare all’ altro
che vada in C, e che prendendo I’
oggetto bramato ivi posto, lo rechi a
lui in A ; ecco come io immagino , che
la cosa potrà farsi : il primo con
un grido ecciterà 1' attenzione del
compagno: indi stenderà il dito nella
direzione della linea fra A e B: poi
la muoverà nella direzione di una
linea parallela a quella 'fra B e C: con
questo moto egH dirà al compagno che
vada da B in C, c questo moto sarà
un sogno imitativo del moto che
Digitized by Google 72 il
compagno dee fare , per secondare il
desiderio dell’ altro ' io A : questo moto,
che H compagno dee fare , è una cosa
futura, che non pnò nel momento
colpire i sensi de’ due so- litari : ecco dunque
come con de’ segni imitativi si
possono denotare gli oggetti assenti.
Supponiamo inoltre, che l' indi- viduo posto
in B si conduca in C: l’ altro che
si trova in A stenderà il suo
braccio da A verso C in posizione
orizzonta- le, indi farà un moto col
braccio, imitativo di quello che dee
fare il compagno per prendere T oggetto
posto in C : dopo di ciò ritornando a
mettere il braccio nella stessa posizione
orizzontale, lo ritrarrà a se con un
moto contrario a qfuello, con cui r ha
steso , e che sarà imitativo di quello ,
che dee. fare il compagno per venire
da C in A. Con i s^ni imitati- vi
dunque si pò^no denotare le cose
invisibili nel momen- to. Questi s^i
imitativi si possono eseguire in vari
modi : così per denotare una serpe
si può su l’arena designare la sua
forma, o il suo moto tortuoso. §.
33. Abbiamo veduto, che vi sono de’
s^i naturali delle nostre interne modificazioni ,
e che questi segni possono di- venire artificiali
, e così costituire un primo linguaggio,
che abbiamo chimato linguaggio della natura.
Abbiamo detto inol- tre nel §. antecedente ,
che 1’ uomo può con altri s^ni
ac- crescere questo linguaggio della natura;
ed abbiamo chiamato i s^i, che accrescono
il linguaggio della natura, segni in-
dicatori , e segni imitativi. Ora qual principio
può guidare r uomo a ritrovare le ultiqie
specie di segni ? Nella logica
pura vi ho detto , che lo spirito è
naenato nel passare analiticamente da una
proposizione ad un’ altra, ad una
certa similitudine che passa fra 1’
una e 1’ altra; il prin- cìpio della
similitudine è dunque un principio d’ invenzione,
e questo principio ha condotto gli uomini ,
partendo dal lin- guaggio della natura, a
ritrovare i segni indicatori, ed i se- gni
imitativi, queste due specie di segni
possono perciò chia- marsi segni analogici.
Difatto fra il moto del miodito , con
cui mostro l’ oggetto lontano, ed il
moto che dovrei fare col mio corpo ,
per arrivare , pel cammino più breve , all’
og- Digitized by Google 73
getto, vi si osserva una similitudine:
una certa similitudine si os- serva
eziandio trai segni imitativi e ciò di
cui sono l'imitazione. X>e interne
modìGcazioni dello spirito possono manifestarsi
per mezzo de’ moti del corpo. Il
desiderio , il rifiuto, l’ av- versione, il
disostosi esprimono per mezzo de’moti del
braccio,- della testa, e per mezzo di
quelli del corpo intero, moti piò o
meno vivi, secondo la vivacità, con
cui ci portiamo verso di un (^getto,
o ce ne allontaniamo. Tutti i sentimenti
del- 1’ anima possono esser espressi
dalle posizioni del corpo. Esse dipingono di
una maniera sensibile l’ indifferenza, l’
incertezza, r attenzione , e le altre affezioni interne.
Ora se ripetendo queste azioni, e posizioni
del corpo, si denota insieme, che
esse non si riferiscono ad affezioni
presenti , allora denoteranno le modificazioni ,
da cui siamo stati affetti. L’
analògia acquista spesso una grande
estensione. Cosi , per esempio , quando voglio
attendere ad un oggetto , die colpisce i
miei occhi, dirigo lo sguardo verso
di esso: questa direzione è segno dell’
attenzione dello spirito ; ma io posso
ancora rivolgere la mia attenzione ad
oggetti invisibili : se dunque per denotare
questa ultima attenzione, mi servo della
- direzione dello sguardo ; questo segno
si estende al di là di ciò, che
naturalmente denota. Allora che io peso
un corpo, lo paragono ad un altro ;
pesare è dunque paragonare ; ma paragonare
non è sempre pesare; perciò quando per esprimere
l’azione intellettuale che paragona, io
prendo nelle due mani de’ corpi , come
fo quando viglio pesarli , questa azione è
trasportata a denotare più di quello che
denotava in origine. Questa terza specie
di segni, che l’analogìa somministra agli
nomini , si possono chiamare segni figurali.
L’ unione de< segni indicatori ,
imitativi , o figurati costi- tuisce il linguaggio
analogico. Cosi i segni naturali , divenendo
artificiali , costitoiscono il linguaggio della natura
: gli uomini guidati dal principio della
similitudine, partendo dal principio della natura
, inventano il linguaggio analogico. §.
34. Ma fa d’uopo considerare l’ultimo
linguaggio, di cui abbìam parlato , in
colui che per parlarlo lo trova: ed
Digilized by Google 74 in
colui che l’intende. Nel primo, il
principio della simili- tudine guida la
meditazione a produrre nuove idee ; nel se-
condo il principio della similitudine riproduce
alcune idee si- mili a quelle , che
modiBcano attualmente lo spirito. Quando .
colui che vuol parlare fa uso il
primo di alcuni gesti , per denotare alcuni
dati pensieri, ^li, guidato dall’analogia, in-
venta questi segni , e qu^ti s^ni , e questa invenzione
è un prodotto della meditazione ; ma colui
che ascolta intende questi . s^ni in
forza del principio meccanico deH’associazione
dellé idee. Fra i principi particolari
compresi sotto questo principio generale,
si contiene come abbiamo detto nella
Psicologia, il principio della similitudine :
in forza di questo principio il moto
del dito riproduce l' idea del moto
simile del corpo in- tero , e questa
riproduce quella delle modificazioni interne
dello spirito legate col moto del
corpo intero. Colui che istituisce il
linguaggio per farsi intendere è attivo :
quegli che intende il linguaggio btituito è
passivo. I gesti , i moti del vbo, ed i
suoni inarticolati costitubeono il linguaggio
chia- mato da CondxUac linguaggio di
aziona. Su di esso debba fare ancora
due osservazioni. 1..° un tal linguaggio
esiste ancora*. esso accompagna quello de’
suoni articolati ; un oratore parla
eziandio coi gesti , colla posizione del
corpo , co’ moti del vbo , e principalmente
co’ moti degli occhi. Ciò che si
chbma mimica consiste appunto nell’ arte
di far concordare il lin- guaggio di
azione con quello de’ suoni articolati :
2.° col solo linguaggio di azione , anche
dopo T istituzione di quello de’ suoni
articolati, alcune nazioni incivilite esprimevano
de’ lunghi discorsi. Presso i Romani i pantomimi
rappresentavano de’ pezzi interi, senza proferire
una parola, ^li bisognava dunque , che i
pan- tomimi , partendo dal linguaggio della
natura prendessero l’ analogb per guida , e
così poterono pervenire a farsi in- tendere.
La scrittura santa ci somministra ne’
profeti molti esempi di questo linguaggio
analogico di azione. Così , per darne
un esempio , ad (^getto di denotare che
la Giudea ch’era imita con Dio , sarebbe
poi stata da Dio rigettata c dispersa
per la sua superbia ed idolatria , il
profeta Geremia *, per ■0:- Digitized
by Google 73 ordine di Dio ,
si cinge con una cintura di lino i
lombi , indi si toglie questa cintura , e
presso T Eufrate in un forame di una
pietra la nasconde : dopo molti giorni
ritorna a prendere la nascosta cintura , e
la trova infracidita in modo , cf)’
era inutile per qualunque uso. Nella
profezia di Geremia si possotm trovare
molti esempi di questo linguaggio analogico
di azione. §. 35. Se i moti del
nostro corpo da segni naturali diven*
gono segni artificiali , e se questo
linguaggio può essere ac- cresciuto
dall’analogia, quello de’ suoni che da
naturali sono ancora divenuti s^ni
artificiali, non potrà similmente essere
accrescinto dall’ analogia stessa 7 Se il
selvaggio , per deno- tare il moto che dee
fare , secondo il suo desiderio , il suo
compagno , può servirsi del moto simile
del suo dito , per- chè per denotare il
muggito del bove , il belare delle peco-
re , il rumore del tuono , non potrà egli
adoperare un suo- no simile 7 L' analogia
che 1’ ha menato all’ invenzione dei
primi segni , dee menarlo ancora all’
invenzione de’ secondi. Il bisogno di
denotare questi suoni degli oggetti sonori,
me- na il sdvaggio a produrre fuori de’
suoni imitativi , e così nascono le -prime
voci radicali del linguaggio de’ suoni
arti- colati. Questi suoni non poterono
essere dapprincipio se non che monosillabi ,
come lo prova l’ esempio de’ fanciulli.
Ma l’analogia non fu il solo
principio del linguaggio de’ suoni alticolati,
poiché non sempre si debbono denotare
suoni, o cose sonore. Per denotare
dunque le cose che non mandano suono , l'
analogia fece però conoscere agli uomini ,
che po- tevano servirà de’ suoni articolati ,
per farà comprendere. Ciò posto se il
selvaggio si trovò nel bisogno di
farsi com- prendere , se non trovò altro
mezzo per ottenere il suo fi- ne , se
non quello dei suoni , perchè non potè
egli produr- re un suono arbitrario , il
quale poi compreso dall’altro di- venne un
segno comune 7 Per rendere sensibile
ciò che dico , supponiamo , che ì due
solitari immaginati siensi perduti di f bta
, e che l’ uno voglia ritrovar 1’ altro ,
egli conoscerà certamente , che non potrà
far comprendere all’ altro questa sua
volontà , se non Digitized by Coogle
76 che per mezzo di un
suono. Egli manderà dunque fuori un
grido ; questo grido da principio non sarà
, come ognun ve- de, se non che un
puro effetto naturale. Se il dolore è
na- tiiralinente sonito da un suono
inarticolato , dal pianto e dal gemito ;
perchè il bisogno di spiegarsi , e di
mandar fuori un suono , non potrà
esser seguito da un suono quale che
siasi ? Noi non poliamo determinar la
ragione , per cui il, selvaggio manda fuori
un tal suono piuttosto che un altro ,
come volendo camminare non possiamo
conoscere la ragione , perchè abbiamo mosso
il piede diritto anzi che il sinistro , o
questo anzi che quello. Questa ragione
può consistere , almeno in parte , nella
varia posizióne meccr- nica del nostro
cervello , e generalmente di tutto il no-
stro corpo. Ma saniamo lo sviluppa della
nostih ipotesi. L’ altro selvaggio sentendo
il grido , di cui si parla , ac- corre a
ritrovare il suo compagno, e come amendue
avran- no osservato, che un tal grido
ha la forza di fs^r che l’uno
ritorni all’ altro , i due solitari se
ne serviranno appostata- mente. lu tal
caso la voce di cui parliamo ha
lo stesso si- gnificato del verbo vieni.
Può dunque 1' uomo ritrovare dei
suoni articolati non imitativi , per denotare
agli altri le sue interne modificazioni.
Egli può trovarsi nel bisr^no di
farsi comprendere dal suo simile con
un suono : da un tal biso- gno nasce
la volontà di mandar fuori un suono:
questa vo- lontà avrà il suo effetto ,
ed un suono sarà da lui mandato
fuori; questo suono sarà tale e non
altro, perchè tale e non ^Itro è lo
stato fisico del corpo , che produce
il suono , e lo stato morale ancora
dello spirito animatore di questo cor- *
po. Ecco spigata la nascita de’ suoni
arbitrari. Ciò che ho detto è provato
coll’ esempio de’ fanciulli: eglino innanzi
che abbiano appreso a parlare, quando
bramano alcuna cosa ar- dentemente, nell’atto
che si sforzano di acceimarla co’gesti , e
co’ movimenti del corpo , per lo più
proferiscono insieme una qualche voce ;
poiché lo spirito quando, si trova in
qual- che grave bisogno mette ad un
tempo tutte le sue facoltà in azione.
Questo è comune alle bestie ancora. Anzi i
sordi muti Digilized by Google
77 medesimi, benché nemmeno sappiano
di aver voce, ciò non ostante per
non so qnal movimento meccanico, mentre
s'im- pegnano di spiegarsi co’lorogesti,
principalmràtc quando si trat- ta di cose ,
che molto l’ interessano , e che non
possono fa- cilmente farsi comprendere , mandano
anch’essi quando una, e quando un’ altra
voce. §. 36. Gli uomini possono
dunque istituire de’ suoni arti- colati analogici,
e possono istituire ancora de’ suoni
articola- ti arbitrari. Io li chiamo arbitrari,
non già perchè son pro- dotti senza
una ragion sufficiente; ma perchè non
sono imi- tativi, o analogici. Qiìal
similitudine, per esempio, può mai trovarsi
fra questo suono Cielo, ed il
complesso delle sensa- zioni visuali , che
ci desta in una notte tranquilla il
firma- mento 7 £ perchè la costituzione fisica e
morale , in cui si son trovati gl’ inventori
delle lingue , allora che furono ndl
bisogno, di denotare con un suono uno
stesso oggetto, è sta- ta varia non
solamente per la natura , e per gli
abiti con- tratti , ma eziandio per i
climi, ed i siti ; perciò in diversi
luoghi di questo globo terraqueo nacquero
diversi suoni pri- mitivi, come è provato per
le radici di tutte le lingue co-
gnite. V . §. 37. n fatto de’
fanciulli prova senza replica , che gli
uomini possono arrivare a comprendere il
linguaggio arbitra- rio. E meditando attentamente
su di questo fatto st può in- tendere
come ciò possa avvenire. Supponiamo che
un fanciul- lo' abbia appreso il
significato del vocabolo gallina , il che
può accadere unendosi da alcuno alla
prouunciazionc del vo- cabolo gallina l’
indicazione del volatile dal vocabolo deno-
tato : supponiamo inoltre, che il fanciullo
abbia veduto una gallina morta e che
il giorno seguente ascolti da uno
della famiglia questa proposizione: la
gallina jeri morì, si accor- gerà che
si vuole denotare 1’ avvenimento, del la
morte della gallina , accaduto, il giorno
innanzi. Supponiamo ancora che la
proposizione: la gallina jeri mori siasi
udita più volte dal fanciullo in modo
che egli 1' abbia impressa nella sua
me- moria ; « che avendo veduto ima cagna
partorita il giorno Digitized by
Coogle 78 avanti , c sapendo il
signifìcato del vocabolo tagm , ascolti la
seguente proposizione : la cagna jeri
partorì', ecco la se- rie de’ fatti
intellettuali che in tal caso avranno
luogo nello spirito del fanciullo: l.°
egli intenderà che colla proposizone, la
cagna jeri partorì, si denota il
parto della cagna da lui il giorno
antecedente osservato: 2.* la pronunciazione
del vo- cabolo jeri, per la le^
dell’associazione delle idee, riprodur- rà nel
suo spirito l’altra proposizione , la gallina
jeri mor\\ 3.° volendo intendere il
significato di ciascun vocabolo delle due proposizioni,
il fanciullo dirigerà la meditazione su
le stes- 'se; 4.” paragonando le due
proposizioni fra di esse , e coi fatti
dalle stesse denotate, non meno che i
fatti stessi fra di loro , il
fanciullo vede che le due proposizioni
sono identi- che nel vocabolo jeri] e che i
due fatti significati sono iden- tici nella
circostanza del tempo in cui sono
accaduti; essen- do tutti e due accaduti
nel giorno precedente a quello in cui
si parla: 5.° con questi paragoni il
lànciullo intenderà il significa- to del
vocabolo jeri isolatamente considerato, 6.°
dopo di ciò comprenderà eziandio il
significato isolato de’ vocaboli mori «
partorì ; poiché avendo compreso il
significato in confuso delle due
proposizioni, ed indi il significato
distinto del vo- cabolo jeri, e sapendo
dall’ altra parte il significato distinto
de’ vocaboli^ gallina, e cagna, conoscerà , che i
vocaboli mo- ri e partorì sono destinati a
denotare i due avvenimenti, e ne apprenderà
perciò il loro distinto significato.
Questo esempio fa vedere che i fanciulli
meditano prima di apprendere il linguaggio
più di quello che comunemente si
crede ; e che le nozioni soggettive d’
identità , e dì diversità sono antecedenti
alla conoscenza della propria lìngua, e
ser- vono ai fanciulli per farla loro
apprendere. §. 38. Nell’ Ideologia vi
ho detto , che i vocaboli o de- notano gli
oggetti.de’ nostri pensieri , o l’ azione dello
spirito su di questi oggetti : Pietro è
con Paolo , i vocaboli Pietro e Paolo
denotano gli oggetti de' nostri pensieri ; i
vocaboli ^, con denotano I’ azione
dello spirito su dì questi (ggetti.
Ma ciò richiede ancora una ma^iore
spiegazione. Il vocabolo 4 Digitized
by Google 79 significa r azione
dello spirito , che attribuisce a Paolo il
rap- porto di compagnia con Pietro. Ma
acciocché lo spirito avesse la nozione
soggettiva di tal rapporto , è necessaria la
com- parazione di Pietro con Paolo'
riguardo alla loro esistenza in un
certo tempo , ed in un certo spazio ;
questa comparazione aggiunge all' idea
assoluta di Paolo il rapporto di
compagnia con Pietro : la voce con
esprime un tal rapporto , e per questa
ragione un tal vocabolo può riguardarsi
eziandio come segno dell’ azione dello
spirito che compara. Pur tuttavia essendo
il rapporto uq prodotto della* comparazione
preliminare all’ atto del giudizio , pare
che sia ma^ior esattezza il di^nguere
i vocaboli , che denotano 1’ azione
dello ^irito , in vocaboli di giudizio ed
in vocaboli di rapporto. £ questa
distinzione si trova in un opuscolo
di Mariano Gigli, ìatÀUAato-Metafùica del
linguaggio. Secondo questa osservazione i vocaboli
si distinguono in vocabbli di cosa,
in vocaboli di giudizio ed in
vocaboli di rapporto. Così nella
proposizione: Pietro è con Paolo , i vo- caboli
Pietro, c Paolo son vocaboli di cosa,
il vocabolo i, espri- mendo l’atto del
giudizio, è vocabolo di giudizio, ed il
vo- cabolo con è vocabolo di rapporto :
esso denota insime l’azione comparativa, ed
il rapporto di questa azione. Secondo
la grammatica generale e ragionata di
Portoreale, ■ ■ vocaboli si distii^cno in
due classi, alcuni significano gli oggetti
de’ nostri pensieri , altri significano la
forma , e la maniera de’ nostri pensieri di
cui la principale è il giudizio. Questa
distinzione mi sembra giusta , cd in
seguito di ciò che abbiamo detto è
chiara. I vocaboli materialmoite considerati
sono o radicali , o de~ rioati , 0 toHituiti. Radicali
, o primitivi son quelli , che non nasc<mo
da altra voce conosciuta ed usata
nella medesima lin- gua , come tote , dolce
, fuggire ec. Derivati son quelli, che
provengono da voci conosciute , ed usate , nella
medesima lin- gua , come talare, dolcezza,
fuggitivo ee. Sostituiti son quelli, che
per maggiore chiarezza , e per brevità si
pongono in luo- go di altre voci
conosciute , ed usate nella medesima
lingua, come mio pensante ec. per di
me, che pensa ec. Digitized by
Google 80 È facile a eomprendei si ,
che ritrovati i vocaboli radicali r analogia
ha menato gli uomini a ritrovare i
vocal>oti deri- vati, e sostituiti, e cosi ad
accrescere notabilmente il linguaggio. Difatti
quanti nomi sostantivi non si possono
trarre dagli aggettivi, quanti aggettivi
da' sostantivi, quanti nomi da'verbi,
quanti verbi da' nomi ? I sostantivi nerezza ,
bianchezza , lunghezza ec. tutti vengono
da nero, bianco, lungo; gli ag- gettivi
celeste, terrestre, marmo ec. derivano da
cielo, terra, mare; i nomi speranza , amore ,
dolore, volontà ec. derivano dai verbi
sperare, amare, dolere* volere. 1 wirbi
velare, ve- stire ec. nascono da velo,
veste. Inoltre quante parole formar non
si possono dall’ unione di due o più
altre? I latini unen- » do il verbo
esse a varie proposizioni, ne facevano adesse,
ab- esse , obesse ,* inesse , processe ,
prodesse , subesse; superesse, interesse. Dall’
unione poi di un nome e di un
verbo, quanti altri composti facessero i
greci e gli ebrei, e quanti ne faccia- no i
cinesi, e tutti gli orientali, è abbastanza
noto agli eru- diti. Tutte le lingue
originali, che diconsi lingue madri, han-
no pochissime radici primitive , per mezzo delle
varie com- binazioni di queste compongono
un gran numero di vocaboli. §.
39. Gli uomini dunque , per manifestare
agli altri i propri pensieri, hanno
potuto istituire il linguaggio dei suo- ni
articolati. Questa invenzione è la causa
principale, che ha condotto il geqere
umano a quel grado di coltura e di
per- fezione , in cui oggi lo vediamo.
Nell' Ideologia vi ho fatto conoscere
come il lir^uaggio faccia 1' analisi del
pensiere , e come sia un valevole soccorso
per la meditazione. Ma indi- pendentemente
dalla influenza che ha pel progresso
delle nò- stre conoscenze, considerato riguardo
all’ individuo che se ne serve, ne
ha una notabilissima considerato riguardo
alla so- cietà , e relativamente all’ individuo,
che ascolta e riceve le altrui conoscenze.
Il linguaggio può essere considerato come
un mezzo , che fa progredire lo
spirito nella propria medi- tazione ; ed
ancora come un mezzo di comunicazione
scam- bievole de’ pensieri degli uomini:
nel primo caso serve d’ is- trumento
all’ azione meditativa , per ritrovare la
verità; nel Digilized by Google
81 secondo presenta allo spirito de’
nuovi materiali per le sue conoscenze.
Nell’ Ideologia 1’ abbiamo considerato sotto
il pri- mo aspetto; qui fa d’ uopo
considerarlo sotto il secondo. Gli
uomini non potendo esistere in tutti i
luoghi > nè in tutti i tempi ; segue
che non tutti possono osservare tutti
i fatti ; un Uomo può perciò aver
osservato de’ fatti , che un altro non
ha osservato. Se dunque il primo
comunica al se- condo le sue osservazioni,
questi conoscerà de’ fatti che non ha
osservato ; e questa conoscenza avrà per
motivo 1’ altrui testimonianza, e costituisce
ciò che si chiama certezza morale^
Domandate, per esempio, ad un napolitano,
il quale non sia mai uscito di
questa città , perche egli creda l’
esistenza di tante altre città , di
Roma , di Milano, di Parigi, di
Madrid di Londra ec.; vi addurrà per
motivo la testimonianza di al- tri uomini,
che hanno veduto le città nominate,
ed egli sa- rà tanto certo dell’
esistenza di queste, quanto lo sarebbe,
se le vedes» co’ propri occhi. Non
basta, che un uomo conosca un fatto,
che un altro ignora, è necessario che
abbia la volontà di narrare il vero,
afllnchè l’altro non fosse dalla
testimonianza del primo in- gannato. Per
disgrazia dell’ umanità la volontà d’
ingannare i propri simili si trova
non poche volte negli uomini ; e non
poche volte ancora accade, che gli
uomini ingannino non già perchè vogliono
ingannare; ma perchè o non hanno conosciuta
esattamente il vero, o sono stati da
altri ingannati. Da. ciò lo scetticismo ha
preso il motivo di combattere la
certezza mo- rale. Ma dicano quello che
vogliono gli scettici, l’esperien- za ci
manifesta queste due verità, l,°un uomo
può aver co- nosciuto de’ fatti, che
un altro, o non ha potuto conoscere, o
non ha conosciuto; 2.° vi sono alcuni
fatti di tal natura, su de’ quali
non si trova giammai concordemente fallace
la te- stimonianza di coloro, che gli
hanno osservati. Non si è tro- vata giammai
fallace la testimonianza di coloro che
sono stati in Napoli , nello assicurarmi
dell’ esistenza di questa città ; r
esperienza stessa me ne ha assicurato ,
poiché essendo io stato in Napoli, ho
ammirato io stesso co’ miei occhi questa
Call. Vob, IL 6 Digilized by
Google 82 magnifica città , ed
ho così trovata verace l’ altrui testimo-
nianza: la stessa esperienza ho ripetuto circa
molti altrifat- ti. È dunque una verità di
esperienza quella che stabilisce , essere
la concorde testimonianza di altri nomini,
circa alcu- ni fatti , un motivo leggittimo
dei nostri giudizi Vi sono , è vero , degli
uomini che narrano de' fatti , de’ quali
non sono stati testimoni oculari, e su de’
quali sono stati da altri ingannati ; e
vi sono ancora di quelli , che volontaria-
mente mentiscono. Ma vi sono eziandìo de’
testimoni non so- lamente oculari di alcuni
fatti ; ma testimoni tali che non
somministrano alcun motivo di dubitare
della loro veracità. È questa una verità
che la propria giornaliera esperienza ci
manifesta. Chiunque non ha veduto Napoleone
Bonaparte,è sicuro nulla dì meno , per la
testimonianza di altri , che vi sia stato
un uomo così chiamato , il quale ha
esercitato il som- mo potere nella Francia ,
ha perduto poi il trono , ed è morto
prigioniero nell’ Isola di S. Siena. A
suo luogo parleremo de’ limiti della
certezza morale : qui mi son ristretto a
stabi- lire la sua esistenza : per istabilirla
ho stimato di salire a’suoi pri- mi
princìpi. Ho fatto vedere , che un uomo ,
può intendere un altro , che l’ nomo
può voler essere inteso ; e che da
ciò nasce il primo linguaggio chiamato
linguaggio della natura ; che r analogia
può accrescere un tale linguaggio , e far
na- scere ancora alcuni vocaboli radicali
analogici ; che il biso- gno può menare
poi gli uomini a stabilire altri vocaboli
ra- dicali arbitrari ; e che così ha potuto
nascere il linguaggio , de’ suoni
articolati. L’esperioiza m’insegna , che vi sono
delle cose circa le quali altri non
s’ ingannano , nè si propongono d’ ingannarmi.
Da ciò concludo, che l’altrui testimonianza
, cioè il linguaggio volontario degli
altri nomini, può in molti casi, circa ì
fatti , essere un motivo legittimo de’ nostri
giu- dizi. Io non posso coesistere a tutte
le generazioni , ed a tutti i luoghi. La
mia durata è breve : il mio luogo è
quasi un punto nello spazio. Intanto
vi sono moltissime cose , die m’ importa di
conoscere , e che sono accadute prima della
mìa nascita, o che accadono in luoghi più o
meno lontani da quello Digitized by
Coogle 83 ove io mi trovo.
La testimonianza altrui mi è dunque neces*
saria per 1’ acquisto di tali
conoscenze. §. M. Il linguaggio de’
suoni è un linguaggio passeggierò e limitato
ad alcuni luoghi. Un uomo , che per
mezzo delle parole comunica agli altri i
suoi pensieri , non può farlo , se non che
nel tempo in cui egli parla , e ne’
luoghi ne’ quali può estendersi il
suono delle sue parole. Un gran
problema presentai al genere umano : il
problema consiste a trovare il mezzo di
estendere a tutti i tempi , ed a tutti i luoghi ,
il lingua^io limitato della parola. Voi
già comprendete l' im- portanza del problema
enunciato , e che la soluzione di esso dee
formare la seconda epoca, del progresso
delle umane co- noscenze ponendo la prima
nella nascita del linguaggio parlato. I
fatti ovvi e ripetuti incessantemente sogliono
destar poco r attenzione del volgo degli
uomini , e perciò non gli recano sorpresa .
Vi ho fatto sopra osservare quale
studio fanno i fanciulli per apprendere ,
sin da’ loro primi anni , il linguag- gio
della parola ; intanto si crede forse , che
essi non me- ditino affatto ; appunto
perchè comunemente iiiuno cerca di
conoscere come i fanciulli apprendano tal-
linguaggio. Vi ho detto nel secondo
capitolo della logica pura , essere un
errore il credere , che le cose sieno
state in tutti i tempi , come sono in
un certo tempo; e qui è il luogo di
fare uso di questa importante osservazione.
La nostra educazione letteraria incomincia
, dal fare ap- prendere a’ fanciulli le
lettere dell’ alfabeto; ma v’ingannereste
credendo , che la scrittura , vale a dire ,
l’arte di dipingere la parola e di
parlare agli occhi , sia stata conosciuta
nella prima fanciullezza del genere umano :
^no scorsi de’ secoli prima che
siensi trovate le lettere dell' alfabeto :
la scrittura non è stata conosciuta che
molto tardi. Siccome questa ci somministra
un motivo molto fecondo di conoscenze ,
cosi è necessario , dopo di aver cercato
l’origine del linguaggio parlato , di
cercar quella del linguaggio scritto.
§. 41. Qual mezzo si può<
presentare agli uomini , per perpotuafc la
memoria de’ fatti accaduti ? In primo
luogo si Digitized by Google
81 può osservare un tal mezzo
nello stesso linguaggio parlato. La
propagazione del genere umano si fa
in modo, che gl’indi' vidui di una
età vivono insieme per qualche tempo
coi loro antenati , e coi loro discendenti.
Un uomo può dunque nar- rare alla sua
fìgliuolanza tanto quello che egli stesso
ha ve- duto , quanto quello che c^Ii
ha udito da suo padre, da suo
avo, e da tutti coloro, che sono
stati testimoni oculari de’fatti accaduti
prima della sua nascita, e del tempo
in cui egli aves.se potuto osservarli*,
questo uomo essendo il primo testimone
di udito, costituisce il secondo anello
della testimonianza; gli altri che
ascoltano il fatto da lui narrato ne
costituiscono il terzo, il quarto ec.
Così si forma una serie non
interrotta di testimoni oculari, e costituisce
ciò che chiamasi tradizione orale. La
maniera più generalmente adoprata ne’ primi
tempi , per osservare la tradizione orale ,
era quella di comporre una specie di
ode o di cantico. Cotesta sorte di
poesia racchiudeva le principali circostanze
degli avvenimenti , che volevano alla posterità
tramandarsi. Vedasi questo uso stabilito
ne’ secoli più remoti appo tutte le
nazioni, tanto dell’ antico, che del
nuovo continente. Dopo la sommersione dell’
esercito di Faraone nel mare rosso, Moisè,
e gli Istraditi composero un cantico di
lode, e di ringraziamento al Signore, nel
quale cantico era espres- so questo
memorabile avvenimento, come si legge -nel
capo XV. dell’ esodo. Al mezzo
della tradizione orale , per conservare la
memo- ria degli avvenimenti passati , si è
aggiunto quello di alcuni grossolani
monumenti. L’ uso dei primi secoli era
di piantare un bosco , d’ innalzare im
altare , o un monte di pietre , di
stabilue delle feste , e di comporre de’
cantici in occasione di avvenimenti
riguardevoli. Quasi sempre davasi a’ luoghi
ove erano accaduti de’ fatti memorabili ,
un nome relativo ai fatti ed alle
circostanze. L’ istoria di tutte le nazioni
somministra molte prove , ed esempi di
queste antiche costumanze. Si vedono i
patriarchi innalzare un altare nei luoghi ,
ove era loro apparso il Signore , piantare
de’ boschi , fare dei monti
Digitized by Google 85 di
pietra in memoria de’ principali ancnimenti
della loro vita c dare a’ luoghi , ove
erano accaduti de’ nomi che ne ri-
chiamassero la memoria. Se si consultano
gli scrittori pro- fani , questi attestano
lo stesso. Ne’ contorni di Cadice
vede- vansi in altri tempi delle
pietre ammassate, le quali si dicevano
essere i monumenti delia spedizione di Ercole
nella Spagna. Tutte queste diiTerenti
pratiche hanno servito a rinfrescare la
memoria de’ fatti memorabili , e a perpetuare le
scoperte importanti. La tradizione suppliva
allora alla mancanza della scrittura ; i
padri spiegavano a’ loro figliuoli l’
origine di que- sti monumenti , e gl’ istruivano
de’ fatti , i quali ne erano stati la
cagione. Io chiamo tradizione tanto la
tradizione orale , quanto 1’ unione
della tradizione orale coi monumenti.
§. 42. Fra lo spezie de!
monumenti composti dagli uomini, ad oggetto
di perpetuare la memoria de’- fatti passati
, untt. delle principali, che siasi
presentata al loro spirito, è stata la
rappresentazione degli oggetti corporali. I primi
uomini pen- sarono naturalmente, d’ impiegar
questo mezzo, per rendere i loro pensieri
sensibili alla vista, e cominciarono dal
presen- tare agli occhi il ritratto degli
oggetti , dei quali volevano parlare. Per
fare conoscere , per cagione di-esempio, che
un uomo aveva ucciso un altro , eglino
disegnavano una figura umana stesa per
terra, ed. una altra in faccia di
quella dritta con un’ arma alla mano.
Per fare intendere, che alcuno era
abbordato per mare in un paese,
rappresentavano un uomo assiso sopra una
barca , e così del resto. Da quello ,
che degli antichi monumenti è rimasto , puà
assicurarsi, che in prima origine I’
arte dello scrivere consi-r steva ili
una rappresentazione informe e grossolana degli
og- getti. corporali. L’ uomo di sua
natura imita facilmente, ed in ogni
nazione vedesi la gente portata a ricopiare
gli oggetti che le si presen- tano.
Le nazioni più selvagge, o quello le
quali hanno minor relazione e commercio con
i popoli colti, possiedono con tutto ciò
una certa idea dell’ arto del
disegnare, vale a dire di rap- presentare,
beiichò rozzamente, gli oggetti della
natura. L’ onir Digitized by Google
8« bra che produce ogni corpo
sopra una superficie che gli sia
opposta, quando il corpo si oppone al
passaggio della Ince, ha somministrate le
prime idee del disegno. Tirando su i
li- miti dell’ ombra alcune linee , allora
che 1’ ombra sparisce, la figura
descritta con queste linee sarà simile
alla figura del corpo che getta I’
mnbra. Dopo le prime esperienze i primi
popoli avranno tentato di rappresentare, e
di copiare gli oggetti senza I’ ajuto
della loro ombra. Avranno a poco a poco
av- vezzata la mano a lasciarsi guidare
dall’ occhi o, ed a seguire le
proporzioni suggeritele dalla vista. Il
disegno nella sua ori- gine consisteva
solamente nella circoscrizione del contorno
es- teriore degli oggetti. Si tentò dopo
di esprimere le parti in- teriori , che T
ombra non disegnava , come per cagione
di esempio una testa , gli occhi , il naso
ec. Il carbone, la creta ec.
avranno potuto somministrare a’ pri- mi
uomini la maniera di disegnare sopra
il legno, sopra la pie- tra ec. come
ancora si saranno eglino esercitati in
ciò su la sabbia, su la terra
molle ec. Avranno in seguito con l’
ajuto dei sassi, e di altri strumenti
taglienti procurato d’ imprimere de’s^i sopra
le materie solide. La forma che
prendono i corpi molli insinuati ne’ corpi
duri, e l’ impronta che lasciano i corpi
duri applicati a’ corpi molli , avranno
su^rito a’ primi uomini I’ arte del
model- lare. Questa avrà a poco a poco
prodotta quella dell’ intagliare nel 1(^0.
nella pietra , e nel marmo. In questa
maniera il dis^o, la scoltura, l’intaglio
avranno avuto la loro origine; questo
arti, a mio credere, hanno preceduto la
pittura. Hanno queste rappresentazioni degli
oggetti corporali servito per molto tempo
invece della scrittura propriamente detta. Io
chiamo la rappresentazione degli oggetti
corporali , della quale ho parlato , scrittura
figurativa. Questa maniera di scrivere
richiedeva molto tempo; si pensò perciò
di renderla più semplice , ed invece di
dis^nare per intero a cagion d’ esempio,
un uomo, un albero, un cavallo, si
disegnavano le parti principali che li
facevano conoscere; come per esempio la
testa, la mano ec. D^itized by
Google 87 §. 43. Ma questa
scrittura fìgurativa non poteva essere
suf> fìcieute per esprimere tutti i
pensieri degli uomini. Vi sono molte
cose, che non si possono dipingere,
come sono lo spirito, le sue facoltà,
le sue modificazioni. È impossibile di |>arlare
delle cose materiali, senza unirvi delle
idee die non sono capa- ci d’ immagini ;
come per esempio , descrivere l’ immagine dell’
affermazione, e della negazione? Fa d’ uopo
dunque in- ventare i segni di queste idee
intellettuali e 1’ analogia guidò gli
uomini a trovarli. Si concepì una
certa similitudine fra alcune qualità, che
si osservano negli uomini, e quelle che
si osservano negli animali, e per
esprimere, che un uomo è in queste qualità
simile ad un certo animale, si disse
più brevemente, che il tale uomo è un
tale animale ; cosi per dire di un
uomo , che ^li è prudente, che ^li è
astuto, che è fiero e crudele , si dice ,
che è un serpente, una volpe, una
tigre; disegnando dunque l’immagine di
questi tali animali si disegnano mediatamente
le im- magini delle qualità spirituali, di
cui si tratta. Una tale rap- presentazione
costituisce ciò che chiamasi geroglifico. I
Cinesi per cagion di esempio , per
denotare che FoAt, primo fondatore del
loro impero, era dotato di prudenza,
e di sagace ingegno, lo disegnano col
capo umano unito ad un corpo di
serpente. Il successore di FoA» di
nome Xino , ad oggetto di denotare,
che egli si applicò all’ agricoltura ,
ed in- cominciò a porre i bovi sotto il
giogo , lo disegnano col capo di bove
unito al corpo umano. Gli antichi
denotarono la giustizia, dipingendo una
vergine cogli occhi bendati , tenendo in
una delle mani una bilancia, ed in
un' altra una spada. La vergine
figura la giustizia ; la bilancia denota
che la giustizia consiste a dare a ciascuno
il suo dritto, la spada significa,
che la giustizia dee infligger la
paia do- vuta a’delinguenti, gli occhi bendati
finalmente denotano, che la giustizia non
dee avere alcun riguardo alle persone,
ma deve agire conformemente alla legge,
senza esser mossa da motivi estrinseci.
Si vede qui che la similitudine
concepita fra alcuni modi de’ corpi , e
le qualità dello spirito, dettò questo
geroglifico. La giusti- Digitized by
Google 88 lia è una nozione astratta
, e le nozioni astratte sussistono sole
nello spirito ; passa perciò nna certa
similitudine fra T as-' trazione eia
personiGcazione, una vergine non è macchiata
da alcuna impurità corporale , e ia
giustizia dee esser monda da qualunque
difetto. Quando per dare ad un altro
una quan- tità di merce , questa si
pesa , ciò si fa per dargli ciò
che gli appartiene. Le similitudini fra
alcune modificazioni del cor- po , e quelle
dell’ animo si deducono da ciò , che
le prime sono i segni naturali delle
seconde. Denotando le prime si denotano
mediatamente le seconde ; e siccome le
prime son capaci d’ immagini corporali;
così lo sono mediatamente anche le
seconde ; e questa rappresentazione mediata
costituisce il geroglifico. Da ciò si
vede, che la scrittura geroglifica si
è unita alle volte alla scrittura
figurativa, come si vede ne’ due
esempi di Fohi , e di Xino. Alle volte è
stata impiegata solq come nell’ esempio
recato della giustizia. Si vede
inoltre, come questo modo di scrivere
fa le veci delle proposizioni verbali.
Cosi, per cagion di esempio, i ge-
roglifici rapportati valgono pel significato
quanto queste pro- posizioni verbali : F(M
fu dotalo di sagacità. Xino pronwtse ¥
agricoltura , e pose « bovi sotto il giogo ,
fa giustizia dà a ciascuno U tuo dritto,
infligge la pena dovuta a'delinguenti, né
si lascia muovere da molivi estrinseci.
Osservate , che ne’ geroglifici enunciati
si trovano i segni relativi al soletto , al
predicato , ed al verbo delle propo- sizioni
rapportate. Così il capo di forma
umajia nel primo geroglifico donata il
soggetto delia proposizione cioè Fohi , i{
corpo serpentino denota il predicato, cioè
la segacità, e l’ unio- ne del capo umano
al corpo serpentino denota l’ unione del
predicato al soggetto significato dal verbo
fà. Nel secondo ge- roglifico , il corpo
di figura umana denota il soggetto
della proposizione cioè Xino , il capo
bovino denota il predicato cioè l’aver
promosso l’agricoltura, e l’aver posto i bovi
sotto il gio- go; l’unione poi del capo
bovino alla forma umana denota l’u- nione
del predicato al soggetto, espressa dal
verbo promosse. Nel terzo geroglifico ,
il soggetto della proposizione è sw
Digitized by Google 89 gnificato
dalla vergine ; la bilancia , la spada,
la benda de> notano i predicati della
proposizione , e T anione di queste cose al
corpo della vergine denota T unione de^
predicati al soggetto. Da ciò segue,
che un geroglifico può esprimere diverse
pro> posizioni, 0 sia una proposizione
composta. Ciò si vede chia- ramente nel
geroglifico recato della giustizia. Wolfio
riferisce che un certo Comenio , volendo
formare il geroglifico del- r anima , dispose
de' punti in modo da formare una
figura simile a quella , che presenta 1’ ombra ,
prodotta dal corpo umano su di un
piano perpendicolare all' orizzonte, ed opposto
direttamente al corpo umano, ed al
lume. I punti, secondo i geometri, essendo
privi di estensione, denotano la semplicità
dell’ anima. La figura del corpo
umano costruendosi, per mez- zo de' soli
punti, senza l' intervento di alcuna linea,
denota la sostanzialità dell’ anima umana,
la quale sussiste indipen- dentemente dal
corpo. I punti, essendo disposti in modo,
che necessariamente formano la figura del
corpo umano, denotano l’ unione dell'
anima col corpo, la quale unione si
forma dal- r autore della natura , indipendentemente
dalla volontà del- r anima. Finalmente
questi punti , essendo dispersi in tutta la
figura del corpo umano , denotano la
dottrina degli sco- lastici, cioè che r
anima è tutta in tutto il corpo e
tutta in ciascuna parte. ir
geroglifico comcniano equivale perciò alle
scienti pro- posizioni : l.° l’anima è semplice:
2.° l’anima è una so- stanza: S.** 1’
anima, indipendentemente dalla sua volontà,
è unita al corpo : 4.” 1' anima
esiste tutta in tutto il corpo, e
tutta in ciascuna parte. §. 44.
Dopo r invenzione della scrittura geroglifica
por- tata al più alto grado di
perfezione, di cui era capace, restava
. ancora àgli uomini di farp 1’
ultimo sforzo per ritrovare i caratteri
alfabetici, che sono i segni del suono
non già d(^li oggetti. Vi sono stati
in ogni tempo degli spiriti sublimi , i
quali colle loro invenzioni hanno ampliato
notabilmente la sfe- ra delle umane cognizioni,
ed hanno spinto velocemente il
Digitized by Google 90 genere
umano verso quel grado di coltura , in
cui (^gi te vediamo. Un vocabolo è
un suono o composto, o semplice: per ren-
dere durevole questo segno basta dunque
stabilire de’ segni permanenti de’ suoni
semplici , che compongono i vocaboli ; e per
tale oggetto basta stabilire per segni
de’ suoni semplici alcune Ggnre , e la
scrittura alfabetica è trovata. Ma (pianto
tempo è egli trascorso, priachè una verità
cotanto semplice si presentasse allo
spirito de’ padri nostrii Si voleva
render permanente il lingua^io passaggiero
della parola ; e non si pensò di
decomporre i suoni articolari, e di stabilire
de’ segni permanenti de’ suoni semplici
che compongono i vo- caboli. Lo spirito intraprese
de’ cammini lunghi e tortuosi , per
tramandare alla posterità la somma delle
sue conoscenze. La scrittura fu prima
figurativa perfetta indi figurativa im- perfetta.
poiché si designarono prima gli oggetti
interi , indi le loro parti principali : in
seguito divenne geroglifica , indi tiUabica, e
finalmente alfabetica, lo dico prima
sillabica , e ' poi alfabetica , poiché penso
coll’ illustre Goguel autore del- r opera
su 1’ origine delle leggi, delle
arti, e delle scienze, che dopo la
scrittura geroglifica furono trovati i segni
de’ suo- ni delle sillabe de’ vocaboli ,
prima che si trovassero i segni de’
suoni semplici che compongono i suoni delle
sillabe. In questa maniera di scrivere ,
la quale chiamasi scrittura sU- labica
non s’ impiega se non che un solo
carattere per iscri- vere ciascuna sillaba,
di cui vien composta una parola. Non
si esprimono allora né vacaboli, né
consonanti. Noi, per esem. pio, per
iscrivere la voce pane impieghiamo quattro
lettere; nella scrittura sillabica non vi
bisognano se non che due caratteri.
Ora supponiamo che la pronuuciazione
del vocabolo pane risvegli r idea del
suono cane, e questo quella del suono
sa- ne , e che lo spirito mediti , e paragoni
fra di essi questi suoni : egli li
decompone in sillabe , e trova , che la
silla- ba ne è la stessa in tutti e
tre questi suoni , il che gli vie- ne
ancora insegnato dalla stessa scrittura
sillabica , poiché Digilized by Google
91 Io stesso carattere indica il
suono della sillaba ne in tutti e
tre i vocaboli enunciati. Questa identità
conosciuta mena lo spirito a notare la
diversità de’ suoni pa, ea, sa, che
sono le prime sillabe di questi
vocaboli ; ma in questa diversità lo
spirito trova ancora una identità nella
desinenza : tutte e tre queste sillabe
cadono nel suono a : ciò conduce lo
spi- rito a separare nelle sillabe pa, ca,
sa, il suono a dagli al- tri suoni
che vi si uniscono; e siccome egli ha
trovato i ca- ratteri de’ suoni pa, ea,
sa, così troverà il carattere del
suo- no a, e quelli de’ suoni p, c,
s, e la scrittura alfabetica è già
trovata. Ecco dunque i passi , che ha
dovuto fare lo spirito per ritrovare
la scrittura alfabetica , l.° egli ha
conosciuto che la maggior parte de' vocaboli
erano de’ suoni composti, e che potevano
perciò decomporsi in altri snoni ; 2.°
egli ha co- nosciuto, che poteva stabilire
segni di segni, e segni perma- nenti di
segni passaggieri; 3.° egli ha stabilito
de' caratteri, che fossero segni permanenti
del suono delle diverse sillabe, e così
nacque la scrittura sillabica : 4.° ^li
ha conosciuto che la maggior parte
delle sillabe erano de’ suoni composti
ancora, e siccome ha trovato de’ caratteri,
che fossero segni delle sillabe, ha
trovato ugualmente de' caratteri, che
fossero segni de’ suoni semplici; c così è
nata la scrittura alfabetica. Alcuni
eruditi, frai quali il citato Goguet,
pretendono che i caratteri alfabetici sieno
derivati da' segni geroglìGci, e che questi
ultimi abbiano a poco a poco introdotto il
metodo brè- ve delle lettere alfabetiche.
Questa opinione è falsa sotto un certo
riguardo, sebbene possa esser vera sotto di
un altro. Per presentacela quistione sotto
un aspetto filosofico, può cercarsi: l.°:
Lo spirito umano poteva, senza passare
per la scrittu- ra figurativa, e geroglifica,
passare immediatamente dal lin- guaggio della
parola al linguaggio permanente della
scrittu- ■ ra alfabetica ? È certo, che
poteva , poiché fra i passi , che egli
doveva fare, partendo dalla considerazione
della parola, per giungere alla scrittura
alfabetica, e che abbiamo di so- pra
sviluppato , non vi sono certamente quelli
della scrittu- Digitized by Google
92 ra figurativa e geroglifica. Si
può cercare S.'': La scrittura figurativa e
geroglifica doveva condurre naturalmente lo
spi- rito alla serittura alfabeticaì La
scrittura figurativa e ge.ro- glifica non
hanno relazione alcuna con le lettere
dell’ alfabeto, e per tal ragione non
hanno potuto condurre lo spirito a ri-
trovare la scrittura alfabetica. Ma hanno sotto
un altro ri- guardo potuto influire a
questa invenzione; queste due scrit- ture ,
come or ora vedremo , sono imperfette
assai, e com- plicate; lo spirito accorgendosi
della loro imperfezione e dif- ficoltà, ha
potato da ciò rivolgere la meditazione a
rendere più semplice, c facile il sistema
de’ segni permanenti. Si può cercare
3.° La figura de’ segni geroglifici
Jta potuto servir allo spirilo, per
concepir la figura de' primi caratteri alfa-
beticil Le ragioni addotte da Goguet
provano, che lo ha po- tuto. Paragonando ,
egli dice , con attenzione quello, che
a noi rimane dei caratteri ^iziani ,
con le figure geroglifiche intagliate sopra
gli obelischi, e gli altri monumenti, si
rica- va che le lettere egiziane tirano
da’ geroglifici la loro origi- ne. Nell’
alfabeto degli etiopi , e nelle lettere
majus cole de- gli armeni si trovano i
vestigi assai chiari della scrittura an- tica
geroglifica. A queste ragioni se ne
può aggiungere un’altra. Col pro- gresso
del tempo il rapporto di similitudine
tra il geroglifico e la idea da esso
significata , non si è piu ravvisato. Ciò è
accaduto per^due ragioni l.° alcuni
rapporti di similitudine erano troppo
lontani ; si esprimeva , per esempio , l’
impu- denza per una mosca , la scienza
per una formica : 2.° al- lorché furono
moltiplicati i volumi, si cercò il modo
di ab- breviare , e perciò invece del
geroglifico primitivo si fece uso di
un altro carattere, che noi possiamo
chiamare la scrittu- ra corrente de’
geroglifici : esso rassomigliava a’ caratteri
ci- nesi ; dopo d’essere stato da principio
formato dal solo con- torno della figura ,
divenne in stanilo una sorta di nota,
hi questo stato il geroglifico poteva
riguardarsi come il segno del vocabolo.
Tosto che si ebbero da’segni permanenti
de’vo- caboli , poteva pensarsi di dare de’
segni permanenti alle sil- Digitized
by Coogli 93 )àb« , ed indi
a’ suoni semplici di cui è composto
il snono delle sillabe. §. 45.
L’ essenza de’caratteri alfabetici si è l’
essere iso- latamente considerati , segni solamente
di suoni , non già di idee : i caratteri ,
per esempio ,a,e,i,o, u,b,c, ec. ,
isolatamente considerati nuli’ altro significano
, se non che alcuni suoni. I caratteri
poi della scrittura fìgurativa, e
geroglifica , non denotano suoni ma idee,
l’ immagine di un serpente denota l’idea
del serpente, quella della prudenza ec.
Le nostre cifre arabe ,1,2, 3,
4, 5, 6, 7, 8, 9, 0 , sono
ugualmente segni d’ idee, non di suoni:
essi si leg- gono diversamente presso le
diverse nazioni, sebbene sieno ì segni
delle stesse idee. Questa differenza è
della massima importanza. Colla divci^ sa
combinazione di un piccol numero di
caratteri, si possono scrivere tutti i
vocaboli di una lingua parlata. Ma
quando i segni della scrittura sono
segni d’ idee non già di suoni , il ^
numero di questi segni dee corrispondere
al numero de’ vo- caboli ; il che
rende il numero de’ caratteri molto
grande , e perciò esige uno studio
lungo , e difficile, per apprendere a l^gere , e
scrivere , come è provato per l’esempio de’Ci-
nesi. È questo un grande ostacolo al
progresso della cono- scenza : ,Ia gente di
studio è obbligata a sottrarre il tempo
necessario , per apprendere le scienze , ed
impiegarlo a sa. per leggere e scrivere. L’
arte di leggere e scrivere essendo di
molto poche persone , il resto della
nazione dee restare nella ignoranza. Dello
stesso inconveniente partecipa anche in
parte la scrittura sillabica , poiché il
numero de’ caratte- ri , per signiGcare
ciascuna sillaba è di gran lunga maggio- re
di quello , che è necessario per denotare i
suoni sempli- ci, di cui il suono di
ciascuna sillaba è composto. Così , per
cagion di esempio con questi tre caratteri
alfabetici, a, b , c , si possono scrivere
le seguenti sìllabe , ab , ba , ac, ca,
bac, cab. In questo esempio il numero
dei caratteri sil- labaci è doppio del
numero de’ caratteri alfabetici. Se sup-
' ponete quattro caratteri ahabetici , a , b , c
, e , il nume- Digilized by Google
94 ro ddle combinazioni di questi
caratteri, presi due a due, è maggiore
del doppio, cosi avremo, ab, ba,
ac,ca, ae,eb,be, ec. Uno de’ vantaggi
dunque della scrittura alfabetica su le
al- tre scritture si è il piccol numero
de’ segni , di cui ha bi- sogno la
prima scrittura. È vero , che le nostre
cifre arabe sono per tale oggetto
perfettissime , mentre con dieci caratteri
possono scriversi tutti i numeri possibili , ma
un tal vantaggio lo debbono alla
formazione delle idee da queste cifre
designate ; poiché que- ste idee si formano
tutte colla ripetizione della stessa idea
che è quella dell’ unità. Un altro
inconveniente della scrittura geroglifica si è l’
inr certezza del significato. Uno stesso
geroglifico può denotare co- se molto
diverse fra di esse. Cosi la immagine
del serpente dinota questo animale, la
prudenza , e ^’universo: l’imma- gine del lepre
dinota questo animale, il candore, e la
timidità. §. 46. L’ invenzione del
linguaggio della parola , e l’ in- venzione della
scrittura alfabetica , che rende permanente il
primo linguaggio di sua natura passeggierò
, fanno che l’ uo- mo possa gettare il
suo sguardo in tutf i luoghi , ed in
tut- ti i tempi. L’ esperienza c’ ins^a , che
gli uomini possono , per mezzo della
scrittura trasmetterci dei fatti che son veri
e che la concorde testimonianza degli
scrittori circa alcuni fatti non si è giammai
trovata fallace. Tutte le gazzette del- r
Europa all’ epoca , in cui Napoleone
Bonaparte scese al trono della Francia
annunciarono questo avvenimento. Tutte le
gazzette ugualmente hanno annunciato la
morte del som- mo Pontefice Pio VII. L’
esperienza dei propri occhi avreb- bo
potuto assicurare colui , che avesse
dubitato , della veri- tà di tali fatti.
I fatti consegnati negli scritti possono
colla conservazione degli scritti, che li
contengono, trasmettersi alle future ge-
nerazioni. È questa eziandio una verità di
esperienza. Vi so- no dunque de’ fatti
accaduti in tempi lontani, de’ quali fatti
noi possiamo conoscere la verità. Il
linguaggio passaggiero della parola ; quello
permanente della scrittura alfabetica , e.
Digilized by Google 95 quello
dei monumenti , possono dunque circa alcuni
fatti , essere motivi legittimi dei
nostri giudizi. Tutti questi motivi
concorrono a stabilire la certezza morale.
Credo utile di addurvi un altro
esempio , in conferma di ciò che vi
ho detto. Nel giorno cinque di
Febbraro 1783 un terribile tremuoto , poi
seguito da altri , cagionò dei danni
notabili alle Calabrie, ed ancora alla
città di Messina. Gliabitan- ti dei paesi
danneggiati furon obbligati di uscire fuori
dalle loro abitazioni , e dì costruirsi
delle baracche per abitarvi ; alcuni
le hanno costruite in lontananza dei
paesi diruti ^ ■ quali rimasero perciò
deserti. Cosi accadde , per esempio , a
Briatico , che fu costruito di nuovo vicino
al mare , e Briatico antico presenta allo
spettatore i segni delle sue mi- ne: altri
hanno costruite le nuove abitazioni in
un suolo con- tiguo all' antico abitato.
Cosi accadde a Tropea, le cui nuore
abitazioni furono costruite lungo ed all'
intorno della strada detta dell’
Annunciata. Molti , che sono stati testimoni oculari
dell’ avvenimento , vivono ancora •* molti
altri appartengono alle seguenti generazioni : i
primi narrano ai secondi l’orì- gine delle
mine che colpiscono i loro occhi , non meno
che l’orìgine delle nuove abitazioni, ciascuno
testimone oculare è istruito dalla esperienza,
che tantoegli,che gli altri testimoni ocu-
lari narrano il vero,eche coloro i qualinarrano
il fatto ad altri, per averlo eglino
inteso narrare da’ testimoni oculari , nar- rano
il vero. L' esperienza dunque c’ insegna ,
die vi sono dei testimoni di udito,
la di cui testimonianza è verace, e che
la tradizione orale unita ai monumenti
può trasmettere alle generazioni future i
&tti accaduti ne’ tempi da queste
gene- razioni lontani. La memoria di
questa tremuoto si trova depositata in
una moltitudine di scritti , i quali ancora rimangono
, ed i cui autori più non sono.
La propria esperienza istruisce dunque
cisscun testimone oculare di questa
importante verità: che per mezzo de’ mo-
numenti , della tradizione orale e della
scrittura alfabetica , si può conservare la
conoscenza di alcuni fatti passati. PASQUALE
GALLUPPI GIACOBINO ? Intorno alle idee politiche del
Galluppi ’, e più sulla condotta da lui tenuta nell’alterna vicenda degli
avve¬ nimenti politici di cui è piena la storia di Napoli nel
periodo della sua virilità, non si può dire davvero che abbondino i
documenti, né che abbiano fatto tutta la luce desiderabile gli studi
consacrati a questo lato della biografia galluppiana dal Tulelli, dal
Guardione e ulti¬ mamente dal prof. Nicola Arnone. Il quale ha
scritto in proposito una memoria molto accurata, ma per giun¬ gere
a una definizione del Galluppi considerato sottol’aspetto politico, la quale è
in aperto contrasto coi docu¬ menti più sicuri da noi posseduti. Anche il
Galluppi, secondo l’Arnone, sarebbe stato un giacobino! Della
sua dottrina liberale e del suo atteggiamento risoluto in favore delle
pubbliche libertà e contro 1 in¬ tervento austriaco nel 1820-1821 non è
possibile che dubiti chi conosca i frammenti che diè il Tulelli de’
suoi Pensieri filosofici sulla libertà compatibile con qualunque
1 P. E. Tulelli, Intorno alla dotte. ed alla vita politica del bar. P.
G., notizie ricavale da alcuni suoi scritti inediti e rari, negli Atti
della li. Accad. delle scienze mar. e poi. di Napoli, voi. I (1865), pp-
101-21, F. Guardione, Due opuscoli di P. Galluppi, prec. dallo studio
critico Dei concetti civili e politici apportati da P. G. nella
rivoluzione del 1820, Messina, D'Amico, 1906; a proposito di questo
opuscolo, G. Gentile nella Critica, V (1907), pp. 229 sgg.; N. Arnone, P.
G. Giacobino, negli Studi dedicati a Francesco Torraca nel XXXVI anniv.
della sua laurea, Napoli, Perrella, 1912, pp. 129-52.
112 ALBORI DELLA NUOVA ITALIA forma di governo,
e i due opuscoli Della libertà di coscienza e Lo sguardo d' Europa sul
Regno di Napoli, ristampati dal Guardione. Ma da quel liberalismo al
giacobinismo c’è un bel tratto. Né i documenti dell’Amone
riscoperti 1 nell'Archivio provinciale di Catanzaro bastano a superarlo.
Da questi documenti apprendiamo che nell’ottobre 1799 il Galluppi
chiedeva un passaporto per recarsi a Palermo « per atten¬ dere ad alcuni
di lui affari litigiosi ». Il Re faceva rispon¬ dere dal Segretario di
grazia e giustizia al Preside di Catanzaro, che al Galluppi si sarebbe
accordato il passa¬ porto, « quando non vi sia niente contro il medesimo
». Il Preside si rivolse per informazioni al Vescovo e al
Governatore di Tropea. Il Vescovo, il 16 ottobre, rispose: « Quantunque
apparentemente il suddetto sembri un giovane morigeratissimo, e studioso anche
di materie teologiche, pure non gode buona fama, perché si pre¬
tende aversi ingoiato con lo studio vari errori della vana filosofia, per
cui fu, anni sono, denunziato sino a Roma, e ne’ pochi giorni della falsa
assunta Repubblica fu im¬ piegato a far traduzioni, per cui stiede lungo
tempo trat¬ tenuto nel Pizzo: timoroso poi all’eccesso, si andiede
in Cosenza dopo liberato dal Pizzo; ed ora vorrebbe andarsi in
Palermo, dove ha degli interessi; ma per questi me¬ glio sarebbe andarvi
il padre don Vincenzo [il padre del Galluppi], mentre non debbo io, né V.
S. 111 . mettersi deve in compromesso nelle circostanze nelle quali siamo
». Tropea tra il gennaio e il febbraio aveva avuto an-
ch’essa il suo albero della libertà e un governo repub¬ blicano. Ma per
pochi giorni. AH’avvicinarsi delle schiere 1 Gli è sfuggita la
comunicazione che ne aveva fatta Gaetano Capasso, nel 1896, alla Riv.
Stor. del Risorg. ital., I, pp. 794-95. [Vedi ora, per un'altra denunzia
di pretesi discorsi giacobini del Galluppi, F. Scandone, Il Giacobinismo
in Sicilia (1792-1802), nell'A refi. Stor, sic., 1922, pp. 327-28].
PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ? 113 del Ruffo la
plebaglia aveva abbattuto albero e governo, e uh comitato di cittadini era
andato incontro, il 24 feb¬ braio 1799, al Ruffo a Mileto, a prestargli
ubbidienza. Per la quale il Ruffo volle alcuni ostaggi, che fece
tra¬ sportare a Pizzo. Tra essi venne incluso il Galluppi, che per
altro dopo alcuni giorni fu rilasciato senza nessuna condanna. Aveva,
secondo il vescovo sanfedista ', tradotto qualche documento francese,
forse qualche proclama o decreto dello Championnet; ma la stessa voce
raccolta dal vescovo della gran timidezza del filosofo, ci spiega
molto facilmente perché il Galluppi, invitato dai giacobini della piccola
città, dove forse era solo a conoscere il fran¬ cese (e non lo conosceva
né pur lui molto) * e quando costoro tenevano il campo, non potesse
esimersene, pur non avendo un grande entusiasmo per la causa repub¬
blicana. Certo, non si compromise, se nella ristaurazione non patì
nessuna noia; e se il tenente colonnello don Giovanni de Mendoza,
governatore di Tropea, pur dopo diligenti investigazioni, non riusciva a
trovare nulla a carico di lui. « Mi sono informato », scriveva costui il
19 novembre al Preside di Catanzaro, « dalle persone più probe e timorate
di Dio di questa ... città; però ho chiamato il decano don Saverio
Polito, il teologo don Michele Grillo, il penitenziere don Vinc. M.
Mazzitelli, il P. M. Carmelitano fra Carmelo Maria Collia ed il
par¬ roco di San Demetrio di questa .... città, e dalle di costoro
estragiudiziali deposizioni, che presso di me si conser¬ vano, rilevai
che il don Pasquale Galluppi è un giovane onesto, probo, e di morigerati
costumi; che frequenta spesso li Santi Sacramenti e la chiesa, ove si fa
vedere attento, e pieno di divozione; e che ad altro non bada, se
non allo studio, essendo anche un giovane virtuoso, 1 Su lui vedi
la stessa memoria dell'ARNONE, p. 134. 5 Vedi la mia pref. al voi.
del Toraldo, Saggio sulla filos. del Gal¬ luppi, Napoli, 1902, p. ix, n.
1. ALBORI DELLA NUOVA ITALIA ”4 e
da bene, e che mai diede veruno scandalo; ma, per quanto cercai sì dalli
stessi testimoni, che da altri sapere l’og¬ getto per cui si volesse
portare in detta città di Palermo, non fu possibile sapersi la cagione,
perché da ognuno s’ignorava. Soltanto ho risaputo, che il di lui padre
don Vincenzo è siciliano, ed ivi tiene degli effetti, per cui suole
spesso andarvi anche col suddetto don Pasquale suo figlio : ma non posso
fame a meno farle presente esser stato, per quanto pubblicamente si dice,
il detto don Gal- luppi uno degli ostaggi di questa città chiamati dal
sig. Vicario generale nel Pizzo, ove [si] trattenne molti giorni e
poi fu liberato senza veruna pena ». Il Preside di Catanzaro si
attenne al Consiglio del prudente vescovo, e propose al Segretario di
Stato che il passaporto non fosse accordato. E non fu accordato. Ma
lo chiese poi, invece del figlio, il padre, Vincenzo, che l’ebbe. Segno
che a Palermo avevano realmente bisogno di recarsi, l’uno o l’altro, per
loro interessi di famiglia. Pei quali forse egualmente il Galluppi,
reduce da Pizzo, invece di fermarsi in Tropea, recossi a Cosenza,
di dov’era la moglie, Barbara d’Aquino. Non credo pertanto che
questi documenti catanzaresi bastino a farci annoverare il filosofo
calabrese nella nu¬ merosa schiera dei giacobini contemporanei. Certo
nei Pensieri filosofici sulla libertà, propugnando il principio della
libertà di coscienza e di tolleranza religiosa, egli ha parole forti
contro coloro che dimenticano lo spirito del Vangelo e «non hanno ritegno
di tramutare la reli¬ gione nell’ istrumento del disordine, della
persecuzione e della strage»; e non dubita, ricordando i recenti
fatti del Regno, di scrivere che « se l’universalità del clero e
del popolo di questo bel regno avesse conosciuto il vero spirito del
cristianesimo e la purità delle massime del Vangelo, non si sarebbe visto
un cardinale comandare delle masse di ribaldi e di fanatici, ed innalzare
il vene- PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ? 1I 5
rando vessillo della Croce per segno dell’assassinio e d’ogni
sorta di iniquità; né si vedrebbero oggi con orrore tanti preti e frati
alla testa delle masnade degli uomini i più infami e più scellerati » Ma
quando il Galluppi scriveva di queste parole — che pur dimostrano
bensì il liberale, ma non il giacobino — a Napoli erano tornati i
francesi con Giuseppe Bonaparte, il cui governo, nel 1806 J , gli aveva
conferito 1’ ufficio di controllore delle contribuzioni; e a Giuseppe era
anche successo il Murat. Tutt’altro che giacobino era apparso a me
qualche anno fa da un suo brutto sonetto pubblicato in un gior¬
nale di Tropea 3 dal prof. Carlo Toraldo 4. Il sonetto in¬ fatti
diceva: Della Patria il dolore, il lutto, il pianto. La
rea sorte fatai veder non voglio. Di Marte, di Bellona il fier
orgoglio. L’augusto trono di Minerva infranto, — Spesso
sedendo al bel Sebeto accanto Col cor trafitto dal più fier
cordoglio, Pria che de' Franchi vacillasse il soglio.
Dico nel mio pensiere, e piango intanto. Un ferro io prendo.
— Occhi miei, non piangete, — Grido nel mio furore; — io corro or ora
Sollecito a varcar l'onda di Lete. — Ma già l’Angiol divin, che
accanto giace. Di man mi toglie il ferro, e grid’allora:
— Verrà Fernando : tornerà la pace ! Il primo editore faceva
precedere al sonetto le seguenti notizie : « Dal manoscritto rilevasi che
il sonetto mede- 1 Tulelli, op. cit., pp. 109, in. *
Arnone, p. 141. 3 L’ Eco di Tropea, a. II, n. 35, 30 agosto
1902. 4 E da me ristampato con qualche correzione di
punteggiatura, per renderlo un po' meno oscuro, nell’opera Dal Genovesi al
Galluppi, Napoli, 1903, pp. 218-19, n. 1 (2 a ed. in 2 voli., col titolo
di Storia d. filos. ital. dal Genovesi al Galluppi, Milano, 1930; ora in
Opere complete di G. Gentile, a cura della Fond. G. Gentile,
XVIII-XIX, Firenze, Sansoni, voi. II, p. 31). H6
ALBORI DELLA NUOVA ITALIA simo fu letto alla nostra Accademia degli
Affatigati (assorta allora ad altissima fama), alla quale il
Galluppi apparteneva col distintivo il Furioso, e apparisce dedi¬
cato a Ferdinando, come chiusura di un discorso, letto all’Accademia
anzidetta, sul medesimo argomento. Dalla parte opposta ove è scritto il
sonetto, si legge: ‘ Ferdinando Augusto, principe magnanimo, nell’
impetuoso turbine che minaccia l'indipendenza nazionale, corri a
salvarci. I destini della nostra nazione son legati alla tua esistenza. —
Ferdi¬ nando viene. Napoli è salvo. Il mio discorso accademico è
ter¬ minato’. Firmato: Pasquale Galluppi fra gli Affatigati il
Furioso. Siegue dietro il sonetto dello stesso Accademico.
Riproducendo il curioso documento, mi parve che di¬ scorso e sonetto si
potessero riferire alla reazione del 1799; e, dietro a me, anche il De
Cesare ritenne che il sonetto alludesse alla restaurazione di quell’anno
*. Ma non tutto a quella prima impressione mi restava chiaro degli
accenni contenuti nel sonetto; e le difficoltà ora oppo¬ stemi
dall’Arnone mi persuadono che sonetto e discorso vanno spostati di sedici
anni. « Prescindendo », dice l’Arnone che non ha potuto vedere il
giornale di Tropea, al quale io mi riferivo, e le cui notizie ora qui
integral¬ mente riportate mi pare che tolgano ogni dubbio intorno
alla paternità del discorso e del sonetto, « prescindendo dalla loro
autenticità maggiore o minore (?), il sonetto e il brano del discorso
accademico non possono mai rife¬ rirsi alla reazione del 1799. Infatti,
nel sonetto stesso si J R. De Cesare, Taranto nel 1799 e mons.
Capecelatro, Martina Franca, 1910 testr. dalla Riv. Apatia ), p. n: «Il
Capecelatro non fu solo a non aver fede nella durata della Repubblica. Se
egli non andò a Napoli, non vi andò neppure Melchiorre Delfico, chiamato
a far parte della Giunta del Governo, mentre Pasquale Galluppi, che pure
aveva da giovane principii liberali, recitava, all'Accademia degli
Affaticati di Tropea, un brutto sonetto, che si chiudeva: Verrà Fernando
: tor¬ nerà la pace ». PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ?
II7 trova la designazione del tempo a cui si riferisce ;
giacché, col verso Pria che de’ Franchi vacillasse il soglio,
l’autore, stanco del fier orgoglio di Marte e di Bellona, deve
asso¬ lutamente alludere alla prossima caduta del trono di
Gioacchino Murat » 1 . Io guardavo bensì al settimo verso del sonetto, su
cui giustamente ha fermato la sua atten¬ zione l’Amone; ma guardavo anche
al quinto: Spesso sedendo al bel Sebeto accanto, che contiene anch’esso
una determinazione cronologica non trascurabile. E poiché era noto
che il Galluppi fu a studiare a Napoli dal 1788 al 1794, pensai che per
soglio dei Franchi si dovesse in¬ tendere per l«appunto il trono di
Francia di Luigi XVI, che cadde quando il Galluppi dimorava al bel
Sebeto accanto. E vedevo nel sonetto un’enfatica e grottesca
rievocazione delle ansie, da cui l’animo dell'autore sarebbe stato
assalito fin dall’ 89 quasi presago dei lutti che la Rivoluzione francese
preparava alla sua patria. Non tutto, di certo, restava chiaro, come non
tutto precisa- mente diventa chiaro se s’intende, come propone ora
l’Arnone, che col soglio dei Franchi l’autore designi il trono del Murat.
Ma vien colmato il grande intervallo che rimaneva, secondo la mia
ipotesi, tra il 1789 e il luglio del ’99, quando avvenne il ritorno di
Ferdinando IV a Napoli, che il Furioso avrebbe celebrato. Ma,
se accetto che il v. Pria che de’ Franchi vacillasse il soglio alluda
alla prossima caduta del trono di re Gioac¬ chino, — e ne argomento in
conseguenza che tra la fine di marzo 1815, quando il Murat dichiarò la
guerra al¬ l’Austria, e il 3 maggio (battaglia di Tolentino) il
Galluppi dovette essere a Napoli — non capisco perché l'Arnone
soggiunga : « A me parrebbe che il discorso accademico potesse riferirsi
al tempo del viaggio di Ferdinando I Borbone pel congresso di Lubiana,
quando appunto 1 Op. cit., p. 139. il8
ALBORI DELLA NUOVA ITALIA l’indipendenza del Regno di
Napoli era minacciata dal- l’intervento austriaco ». Quando il Galluppi
recitava il suo discorso accademico è chiaro che Ferdinando non era
più lontano, ma già tornato a Napoli (« Ferdinando viene, Napoli è salvo
») ; e l’accademia celebra la ristau- razione. È vero che il Galluppi nel
'21 trepidò per l’in¬ dipendenza nazionale, a causa dell’ intervento
austriaco a Napoli; ma nel ’2i gli austriaci eran chiamati da
Ferdi¬ nando, che non avrebbe potuto perciò essere cantato come il
salvatore dell’indipendenza; laddove nel '15 il Murat alla legittimità, a
cui s’appellavano gli ambasciatori del Congresso di Vienna e tutti i
principi delle vecchie dina¬ stie, opponeva in Napoli il principio dell’
indipendenza >; e al Galluppi, già murattiano, i disastri
dell’esercito napoletano e l’entrata degli austriaci nel Regno
dovettero realmente parere la più pericolosa minaccia alla indi-
pendenza di questo, finché non si ripresentò Ferdinando, a riavere, dopo
il trattato di Casalanza (20 maggio), dalle mani dell’ imperatore
d’Austria le redini del suo Stato due volte abbandonate. E le
preoccupazioni che il Galluppi, come quanti altri avevano servito il
governo francese, dovette, prima di quel trattato, nutrire gra¬
vissime e angosciose per la propria sorte, o almeno per l’uificio che da
nove anni teneva, possono anche spie¬ garci la disperazione da cui nel
sonetto dice d’essere stato preso per l’imminente crollo di quel
governo. E l’osanna al Borbone, dopo il trattato di
Casalanza, in cui l’imperatore d’Austria garantiva la sorte di
tutti 1 «Volse i suoi maggiori pensieri alle cose interne;
reputando che più dei maneggi e dei discorsi valere gli dovesse il voto
dei soggetti e la forza dell'esercito, in tempi nei quali menavasi vanto
dell’amore dei popoli e della pace. Raccolse in quattro adunanze i
migliori in¬ gegni napoletani, e lor disse che per gli ultimi
avvenimenti, acqui¬ stata da noi piena indipendenza politica, era suo
debito riordinare il regno senza o soggezione, o somiglianza,, o
gratitudine ad altro stato, così adombrando le tollerate catene per nove
anni»: P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, lib. VII, c. IV, §
68. PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ? 119
i funzionari del passato regime, era pel controllore delle
contribuzioni dirette nella Provincia di Calabria ulteriore l’espressione
d'un sentimento sincero l 2 . Né giacobino, dunque, né
antigiacobino. Ma liberale e patriota, se non nel senso del 1799, in
quello più antico della tradizione paesana di Napoli e della
posteriore storia italiana. Del suo patriottismo e
liberalismo son documento bastevole gli opuscoli politici che il Galluppi
scrisse nel 1820-1821 in cui ripigliava le idee dei Pensieri
filosofici, rimasti inediti, e scendeva in campo a difesa della
libertà e dell’ indipendenza minacciata dall’Austria. Ma la lettura
di questi opuscoli, o almeno dei due a noi pervenuti e qualche anno fa
ristampati dal Guardione, induce piuttosto a ricollegare il Galluppi alla
tradizione del Giannone, del Tanucci, del Vico e del Filangieri,
anzi che a ricondurlo sotto l’influsso esotico del giacobinismo
rivoluzionario. Nei Pensieri filosofici (di cui si conoscono
soltanto alcuni frammenti pubblicati dal Tulelli) egli aveva già
1 II sonetto pare tuttavia debba riferirsi non al 1815, ma
all’anno seguente. Perché l'Accademia degli Affaticati in cui esso fu
letto, dopo il 1783, come ci è fatto sapere da un suo storico, «
riunivasi raramente; anzi dal 1801 il silenzio sostenne sino a quando nel
1816, nella Chiesa dei Liguorini, cantò del Santo fondatore dell’Ordine »
(forse il 2 agosto quando ricorre la festa del Liguori) : N. Scrugli,
Discorso storico intorno all’Accad. degli Affaticati, annesso alle
Notizie archeologiche e storiche di Portercole e Tropea, Napoli, Morano,
1891, p. 132. Ma le notizie raccolte dallo Scrugli non sono esattissime.
Infatti, secondo lui, l’Accademia degli Affaticati sarebbe stata vietata
nella reazione del '31, e non sarebbe più risorta fino al '48; laddove
nel gennaio 1831 vi fu certamente recitato il discorso del Galluppi che
qui appresso si pubblica. 2 Opuscoli filosofici della libertà
individuale: Della libertà di coscienza e delle conseguenze che ne
derivano riguardo al matrimonio, dell’Autore del Saggio filosofico sulla
critica della conoscenza, Messina, 1820, presso Antonino D’Amico Arena;
Lo sguardo d'Europa sul Regno di Napoli, di Pasquale Galluppi di Tropea,
in Messina, presso G. Papparlardo, 1820. Entrambi gli opuscoli sono stati
ristampati dal Guardione, op. cit., e della sua ristampa io mi son qui
servito. 120 ALBORI DELLA NUOVA ITALIA
aderito a quelle dottrine liberali, che il Filangieri aveva
propugnate nella Scienza della legislazione. « Per fissare », aveva
detto, « i dritti del pubblico potere, bisogna partire dal considerare lo
stato di natura come anteriore allo stato politico, se non in ordine di
tempo, almeno in ordine di ragione.... Tutti gli uomini sono per
natura in uno stato di libertà, in cui ciascuno può fare ciò che gli
piace, senza dipendere da un altro, posto ch’egli non offenda gli altrui
diritti. Ogni uomo non ha dunque altro dritto per rapporto ad un altro
che di non farsi molestare nell’esercizio dei propri dritti. Or questo
dritto che ciascuno ha per rapporto agli altri, nella civil società
è confidato al pubblico potere, il quale è custode e vin¬ dice dei dritti
di ciascun cittadino contro gli attentati degli altri ». Movendo da
questo principio, a differenza del Rousseau, il Galluppi separa
nettamente il dominio giuridico-politico da quello della religione.
Riconosce che « la potestà politica dee curare che i cittadini sieno
vir¬ tuosi. Ella dee riguardare come un male la depravazione del
loro spirito; dee mettere in opera quei mezzi che promuovono la virtù ed
arrestare i progressi del vizio »; e però può parere che abbia bisogno
del soccorso della religione. Ma è d’uopo distinguere tra virtù e virtù.
« Le leggi, dice Portalis, non dirigono che alcune azioni deter¬
minate; la religione regola il cuore. Le leggi sono relative al
cittadino; la religione s’impadronisce di tutto l’uomo. Ma se le leggi
arrestano il braccio e la religione regola il cuore, dico io, dunque, che
la depravazione del cuore non dee punirsi che dalla sola religione, vai
quanto dire, dal solo Dio che n’è l’autore; ella è dunque estranea
alla sanzione della legge. Se le leggi non son relative che al cittadino,
e la religione s’impadronisce dell’uomo, le leggi devono dunque
contentarsi della sola virtù civile e lasciare alla religione le virtù
dell’uomo.... Egli bisogna distinguere l’uomo giusto agli occhi
dell’eterno, che tutto PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ?
12 I vede, dall’uomo giusto civilmente. Chi è giusto innanzi
a Dio, lo è anche civilmente, perché la sua legge vuole che si obbedisca
alle potestà costituite; ma si può esser giusto civilmente, senza
esserlo, naturalmente, secondo la religione ». Le opinioni
religiose pertanto non cadono sotto la san¬ zione delle leggi, e
l’irreligiosità non può esser punita Ogni maniera di persecuzione del
resto è contraria allo spirito del Cristianesimo. Intorno al quale il
Galluppi scrive una delle poche pagine eloquenti, che siano uscite
dalla sua penna. « Questa religione divina », egli dice, « annuncia agli
uomini una morale che perfeziona la natura. Lo spirito del Vangelo non è
che imo spirito di fratellanza e di amore. Esso è contrario allo spirito
di persecuzione e di ferocia. Se non siete ricevuti ed ascol¬ tati,
dice G. C. ai suoi discepoli, scuotete la polvere delle vostre scarpe e
partite. I primi banditori del Vangelo non impiegarono altre armi per la
sua propagazione, che la forza della parola. La religione deve avere la
sua sede nello spirito, e lo spirito non rigetta l’errore e non ab¬
braccia la verità, se non a proporzione dei lumi che egli riceve, e
trattandosi di religione, a proporzione della grazia celeste che il Padre
de’ lumi gli dispensa. Le pri¬ gioni, le forche, le mannaie, i roghi non
cambiano certa¬ mente lo spirito dell’uomo, e l’incredulo non lascia
d'esser tale, ancorché vada ad esalare il suo spirito fra i tor¬
menti più crudeli.... L’uomo abusa di tutto. La ministra della pace e
della pubblica tranquillità divenne col pro¬ gresso del tempo in mano del
superstizioso e del fanatico, l’istrumento del disordine, della
persecuzione e della strage. Questo mutamento di condotta, non della
reli¬ gione, che in se stessa è santa ed immutabile, ma ne’ suoi
ministri, fu sorgente d’incredulità ». Nell’opuscolo del 1820 sulla
Libertà di coscienza la stessa questione è ripresa e approfondita sì dal
rispetto 9 - Gentile, Albori. I. 122
ALBORI DELLA NUOVA ITALIA speculativo e sì da quello politico. Vi
ritroviamo quella morale kantiana, che è professata negli Elementi,
nelle Lezioni di filosofia e nella Filosofia della volontà : «La
regola della moralità delle azioni è la coscienza uniforme alla legge»:
legge puramente formale anche pel Galluppi. Il quale infatti soggiunge :
« Si può agir male seguendo una coscienza erronea, ma si agirà male
ancora facendo il bene in contraddizione dei dettami di una
coscienza erronea ». E su questi principii, rannodandosi alle dot¬
trine liberali del Filangieri, fonda la sua dimostrazione del diritto del
matrimonio civile abolito nel Regno dal codice del 1819: il quale aveva
stabilito non potersi celebrare matrimonio legittimo « che in faccia alla
Chiesa, secondo le forme prescritte dal Concilio di Trento ». Già
nell'opuscolo precedente aveva provato che « la libertà del pensiero è il
primo diritto inalienabile dell’uomo»; e che tale libertà è illimitata.
Ora, se questa libertà è illimitata, se la moralità consiste nella
conformità della coscienza alla legge, o meglio, della volontà alla
legge della coscienza, ne viene per conseguenza che quelle azioni,
le quali debbono essere necessariamente in armonia col pensiero, non
possono giammai essere forzate; ma debbono rimanere nel campo libero del
privato cittadino. Potrà intervenire il diritto positivo nel culto
religioso esterno; ma non nel culto interno. E in quello esterno
non potrà di certo intervenire per obbligare il cittadino ad un culto
contrario alla propria credenza, bensì per permettere un dato culto e
impedire quindi che venga offeso e turbato da chi non vi si conformi ».
Ma deve 10 Stato permettere tutti i culti ? Tra il
Montesquieu contrario e il Marmontel favorevole alla libertà dei
culti, 11 Galluppi dichiara di non voler esaminare di
proposito 1’ « importante questione », poiché egli si occupa piuttosto
della libertà individuale, e però della sola libertà di co¬ scienza,
laddove la libertà del culto supporrebbe un gruppo PASQUALE
GALLUPP] GIACOBINO ? 123 sociale che abbia
abbracciato un culto diverso da quello di altri gruppi, ed esce quindi
dalla sfera del diritto indi¬ viduale. Tuttavia ritiene conveniente che
si possa « per ragioni politiche non permettere l’esercizio pubblico
di un culto diverso da quello stabilito ». Quanto al
matrimonio, dato il suo interesse pubblico, esso rientra nella sfera di
attività del potere politico: che « ha il diritto di far leggi positive
sul matrimonio, le quali, lasciando illeso il diritto naturale,
determinino ciò che la natura non determina, e che ha influenza su
la felicità nazionale»; ma deve limitarsi a «prescrivere le condizioni
per la validità del matrimonio come con¬ tratto civile, e lasciare alla
libertà del cittadino, se vuole al contratto unire la forma religiosa,
che T innalza a sacramento ». Altrimenti verrebbe ad esser lesa la
libertà di coscienza, ossia quell’ essenza della morale, che il
Galluppi chiama legge di natura o diritto naturale. Tale principio
a Napoli fu riconosciuto dal codice francese durante il decennio; e certo
quella legislazione, « tranne il mormorio di qualche fanatico, che osava
chia¬ marsi teologo, non produsse fra noi il menomo disordine ».
Ma, tornato Ferdinando, « i superstiziosi spaventarono la sua coscienza
». Quindi il matrimonio rientrò nel puro dominio ecclesiastico. E « si
fece dippiù », dice il Galluppi: «il Concordato diede alla Chiesa il
potere giudiziario sul matrimonio; potere, che dee esercitarsi in
conformità del codice del Vaticano, e così la sovranità temporale
rimase spogliata de’ suoi sacri ed inalienabili diritti sul matrimonio ».
Il Galluppi, nelle cui parole è agevole sentire l'eco della tradizione
giannoniana, ora che Napoli sembra risorta a più libera tuta per
l’ottenuta costitu¬ zione, parla in nome della filosofia («la filosofia
non dee oggi temere di alzar la voce contro di questi abusi ») ; e
chiede che il matrimonio torni ad essere per lo Stato contratto civile; e
protesta contro la censura preventiva. 124 ALBORI
DELLA NUOVA ITALIA stabilita nella Costituzione spagnuola, per i
libri che trattino di religione. Il secondo opuscolo, assai
più importante per la cono¬ scenza delle sue idee politiche, quantunque
rechi anch’esso sul frontespizio la data del 1820, non par che possa
essere anteriore ai primi del febbraio 1821. Infatti v’ è detto che
« un’armata austriaca si fa vedere in volto minac¬ cioso nella bella
Italia » 1 2 ; con accenno evidente, se non erro, all’ordine del giorno
del barone di Frimont (4 feb¬ braio 1821), di cui si ebbe notizia a
Napoli tra il 15 0 il 20 di quel mese In quei giorni un altro
filosofo napoletano, Pasquale Borrelli, componeva un inno di guerra, che,
messo in musica dal Rossini, fu cantato al San Carlo la sera del 21
febbraio. La seconda strofa diceva: O straniero, che guerra ci porti,
Chi ti offese ? quell’ ira perché ? Va, rispetta la terra de'
forti.... Ma sprezzante 1 ’ iniquo c’ invade, Ha di
sangue nell’occhio il desir. Cittadini, tocchiamo le spade:
Qui si giuri svenarlo o morir ! Il Galluppi dal fondo delle
Calabrie rivolge all’ Europa (ma fin dove sarà giunto ?) il suo
opuscoletto, enfatico nella forma, ma savio ed acuto nella sostanza, per
scon¬ giurare anche lui l’invasione straniera e la soppressione
delle libere istituzioni. Rifa brevemente, con giudizi che ricordano
l’alta intelligenza storica di Vincenzo Cuoco, la storia di Napoli dal
1789 in poi, a conferma del principio, che oppone alle prepotenti pretese
del- 1 Rist. cit., p. 47. 2 Vedi De Nicola, Diario
napoletano dal 1798 al 1823, III, pp. 252 253 (in calce all'Arch. slor.
napol., 1905, fase. 3). PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ?
125 l’Austria: che la storia se la fanno i popoli da sé, e
inter¬ romperla ad arbitrio è violenza, e lo stato violento non è
durevole. Tutto, egli dice, « cangia incessantemente nel mondo
; ma tutto cangia gradatamente... Questo principio igno¬ rato o
negletto ha spesso fatto abortire i migliori pro¬ getti di riforme ». I
grandi avvenimenti, che pare mutino d’un tratto miracolosamente lo stato
di un popolo, in realtà sono l’effetto d’un « concorso di cause, al
quale l’unione di una picciola causa dà quella forza stupenda, onde
hanno origine gli avvenimenti che formano l’epoche delle nazioni ». Come
dai patiboli del '99 si potè giungere alla libertà del '20 ? Il Galluppi
studia brevemente questo problema. La rivoluzione del '99, per lui, fu la
conse¬ guenza degli errori commessi dal governo borbonico (il
Galluppi parla sempre di Ministero) dopo il 1794; quando, dopo aver
favorito in tutti i modi le tendenze liberali promosse e alimentate dalla
filosofìa, a un tratto, spaventato dalla Rivoluzione francese, che
intanto aveva accelerato il movimento degli animi verso la rigene¬
razione politica, esso volle violentemente arre¬ starsi, e tornare indietro,
e dichiarò guerra al liberalismo, e si propose di ripiombare la nazione
nella barbarie. La venuta dei francesi fu la piccola causa che fece
rovi¬ nare il trono, le cui fondamenta erano state da lunga pezza
lentamente scavate da’ suoi ministri. Così i Giaco¬ bini del 1799, che
s’appigliarono alla massima della perfetta imitazione dei francesi, senza
chiedersi se Napoli fosse preparata alla democrazia, e alla democrazia
fran¬ cese, come 1 ’ Issione della favola, invece di Giunone,
abbracciarono la nuvola. — Giudizio che non è certo quello di un
giacobino. Successe la reazione; e il governo, anzi che
mostrarsi ammaestrato dagli avvenimenti passati, tornò cieco,
feroce, dispotico; e accrebbe quindi sempre più il desiderio d’un
126 ALBORI DELLA NUOVA ITALIA cangiamento. Aggiungi
l’azione continua della Francia sulle cose d' Italia, e gli errori della
diplomazia: ed ecco Giuseppe Bonaparte e Gioacchino, che non sono più
i francesi del '99, ma i correttori e moderatori dispotici della
libertà, i quali compiono l’abolizione del feudalismo nel Regno, e
vengono via via elevando la coscienza civile della nazione. Questa al
ritorno di Ferdinando è già matura per la Costituzione: la cui richiesta
per altro è affrettata dagli errori che toma sempre a commettere il
Ministero pur dopo il '15. Fra i quali il Galluppi non manca di ricordare
il « concordato ignominioso, che annienta tutte le riforme dall’epoca
dell’augusto genitore di Ferdinando fino al suo ritorno fra noi ».
Mostrata la necessità storica della rivoluzione del 1820 e della
costituzione che Napoli s’era con essa conqui¬ stata, il filosofo
protesta contro l’intervento straniero, e minacciosamente esclama : « Un’
invasione è ella facile nelle attuali circostanze della nostra nazione?
Il '99, il 1815 sono gli stessi tempi per noi del 1820 ? Si è mai
veduto in altri tempi, allorché il nemico ci minacciava, l’agricoltore,
l’artista, il prete, il monaco stesso doman¬ dare l’iniziazione nelle
società patriottiche per emettere il giuramento di vincere, o di morire
per la difesa della costituzione e del trono ? ». Siamo così
abituati a rappresentarci il Galluppi, attra¬ verso i suoi libri
meramente speculativi, dove non spunta mai favilla di passione umana, o
un accenno storico, o un’allusione personale, e attraverso le memorie di
quel suo insegnamento universitario, tutto chiuso, tra il '31 e il
'46 (periodo di puro raccoglimento spirituale per Napoli), nella
speculazione sopramondana.: che questa specie di Galluppi inedito,
agitato dalle preoccupazioni politiche e storiche del mondo in cui visse,
ci riesce di uno strano sapore nuovo e d'un vivo interesse. E ne
viene aggiunta una linea caratteristica e simpatica alla PASQUALE
GALLUPPI GIACOBINO ? 127 figura del nostro vecchio e
caro scrittore; che viene ad occupare anche lui il suo posto non pur
nella storia del liberalismo italiano, ma in quella schiera di acuti
pen¬ satori improntati della più schietta italianità, i quali,
rifacendosi direttamente o indirettamente dal Vico, si opposero all’
astrattismo antistorico e rivoluzionario di Francia. Lungi,
dunque, dall'apparirci un giacobino, il Galluppi, pel suo modo
d’intendere e giudicare gli avvenimenti contemporanei, ci si presenta come
un liberale del se¬ colo XIX, penetrato del senso della realtà e
razionalità della storia. Né questa figura viene menomamente
turbata dal nuovo documento che qui appresso si aggiunge a queste
note: un altro suo discorso accademico, letto a Tropea (nella solita
Accademia degli Affaticati) in lode questa volta di Ferdinando II, pel
suo avvenimento al trono Discorso che io ho avuto sott’occhio
nell’autografo, e trascritto fedelmente. Esso, ad ogni modo, non
può suscitare né meraviglia, né rammarico in nessuno che ricordi
con quali lieti auspicii salisse al trono il nipote di quel Ferdinando, a
cui il Galluppi aveva inneggiato nel 18x5. « La giovanezza del re »,
scrisse lo stesso Set¬ tembrini nella sua Protesta, « la recente
rivoluzione di luglio in Francia, e i movimenti di Romagna, alzarono
la nazione a novelle speranze ». E molto meglio nelle Ri¬ cordanze:
«Quando re Ferdinando II, nel novembre del 1830, saliva sul trono delle
Sicilie, cominciò bene, e a molti parve un buon principe. Ogni giovane a
venti armi è buono, come ogni fanciulla a quindici anni è bella. In
un suo Manifesto dichiarò di voler rammarginare le piaghe che da più anni
affliggevano il Regno, ristorare la giustizia, riordinare le finanze,
promuovere le industrie ed il commercio, assicurare in ogni modo i beni
dei suoi amatissimi popoli. Quando poi diede un’amnistia, per la
128 ALBORI DELLA NUOVA ITALIA quale tornarono
a le loro famiglie molti esuli, molti pri¬ gionieri, le speranze crebbero
e l’allegrezza fu grande. Gli uomini savi dicevano che egli aveva fatto
una brutta orazione funebre a suo padre; ma gli davano lode perché
scacciò parecchi ministri e servitori, che durante il regno di Francesco
avevano fatto mercato d’ogni cosa, perché restrinse le spese della casa
sua, tolse via le cacce, e volle vivere con certa semplicità e
parsimonia, che il popolo chiamò avarizia. Pareva a tutti cortese perché
dava udienza a tutti, domandava, rispondeva, provvedeva subito, e
ricordava i nomi di quanti aveva una volta veduti ». Anche Nerone, uscì a
dire, uno di quei giorni, esso Settembrini tra giovani suoi amici e
maggiori d’età: anche « Nerone cominciò col quam mallem nescire
scribere. L’ è scopa nuova, ma di quella mala erba: fate che s’usi,
e vi riuscirà Borbone come il padre, e come l’avolo ». E gli diedero del
matto '. « Io che sono stato vittima del suo insaziabile dispotismo » —
scriveva Nicola Nisco nell’accingersi alla storia del suo regno, — « e
che ne porto ancora i ricordi ai piedi ed ai polsi, rifarò con
civile orgoglio la storia dei suoi primi anni di regno, i quali
sono andati confusi con quelli che seguirono, massime dopo il
quarantotto, quando la natura borbonica, ride¬ standosi ampiamente in
lui, lo menò a divenire l’avver¬ sione non pure d’Italia, ma d’ Europa ».
E ricordando la soddisfazione generale di quei primi mesi del nuovo
re, raccontava : « Alle acclamazioni dei popoli facevan eco i
prosatori ed i poeti di quel tempo, e nell’entusiasmo della sperata
redenzione, sventuratamente poi tradita, vennero fuori giovani ed uomini
egregi, fra i quali Gia¬ como Filioli, i fratelli Baldacchini, i fratelli
Dalbono, il Ruffo e quella sublime donna, che mai non si conta¬
minò di servo encomio, Giuseppina Guacci. E quando 1 Ricord., c.
V. PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ? I2Q il 18
dicembre 1830, rimosso ogni ostacolo derivante da colpe politiche al
conseguimento dei pubblici uffizi, abi¬ litò all’esercizio delle
pubbliche cariche gl’ impiegati ed i militari destituiti per le politiche
vicende, concedè ai detenuti in carcere, espatriati, esiliati e
condannati napo¬ letani e siciliani alle galere e all’ergastolo di
ritornare nelle loro famiglie, Saverio Baldacchini il chiamò in un
suo inno, Padre a tutti, che il gaudio Del perdonar
provò; e dall’animo purissimo della giovane Guacci si elevò
quella nobilissima esclamazione Oh ! lieto il sire, Che
nell’amor dei popoli riposa » Al coro delle lodi si unì adunque nel
gennaio 1831 anche il filosofo di Tropea, tuttavia controllore delle
con¬ tribuzioni, col seguente discorso; in cui l’adulazione del
suddito par s’indirizzi all’ idea dell’ottimo sovrano piut¬ tosto che
alla persona del giovine monarca ; onde si direbbe che a tratti assuma il
tono dell’ammonimento anzi che del panegirico. — Alcuni accenni di
dottrine filosofiche, che vi si mescolano, come i riferimenti ai concetti
del bello e del sublime, dimostrano il già sessantenne filosofo
incapace di distrarre la mente dalle sue astratte medi¬ tazioni. E questo
è forse l’ultimo scritto, in cui gh ac¬ cadde di volgere attorno uno
sguardo, per esprimere il suo pensiero su fatti e personaggi
contemporanei. 1914. 1 N. Nisco, Gli ultimi trentasei
anni del Reame di Napoli, Napoli, Morano, 1889, II, pp. i, 8.
Pel felice avvenimento al Trono delle Due Sicilie di
FERDINANDO II Discorso Accademico di P. Galluppi
Di letizia ripiena, Accademia illustre, io ti rimiro. Con la rapidità del
fulmine l’arrugginita cetra riprender ti vedo. Il tuo vivo ardore, di
scioglier la lingua al canto, espresso nel tuo volto io leggo. Sì,
dell’estro che ti ac¬ cende, l’oggetto io ben ravviso. Un giovine eroe
ascende sul trono di Ruggiero: il dolore, che ingombrava i nostri
cuori, sparisce: in tutti i volti degli abitatori delle Due Sicilie, con
vivi ed espressivi colori, la gioia dipinta si vede. Un grido di letizia
dappertutto rimbomba. Ma non è la gioia il solo effetto, che la
comparsa del giovine Re sul trono ha universalmente prodotto ne’
nostri cuori. Un vivo sentimento di ammirazione e di devozione verso la
sacra persona di lui, si è immanti¬ nente acceso ne’ popoli di qua e di
là del Faro. Ferdi¬ nando II, l’augusto discendente di tanti Re, non
sola¬ mente quel sentimento fa nascere, che, in una ridente
primavera, l’aspetto d’una deliziosa campagna, negli animi sensibili alle
bellezze della natura e dell’arte, suole produrre; ma quel sentimento
eziandio produsse, che in una vasta pianura, la veduta dell’azzurra volta
del cielo, in una notte serena, l'anima colpisce dell’osser¬ vatore
attento a contemplar l’universo. Ferdinando II è dunque un oggetto
non solamente bello, ma sublime. Come bello, la sua PASQUALE
GALLUPPI GIACOBINO ? I3I comparsa sul Trono ha inondato di letizia il
cuore de’ suoi popoli ; come sublime, di ammirazione e di devozione
gli ha colpiti. Il bello ed il sublime producono diverse affezioni
morali: l’uno rallegra, ed in certe cir¬ costanze fa pianger di
tenerezza. L’altro l’ammirazione e la devozione produce. Nondimeno, quando
il sublime si riguarda come una causa, che su la nostra felicità
influisce, all’ammirazione ed alla devozione fa esso succedere la
confidenza e la letizia. Tale è il sentimento, che provano i soldati di
un’armata, quando sanno che il loro generale è uno Scipione, un Alessandro,
un Camillo ; e tale appunto è quello che in noi produce la vista di
Ferdinando II sul trono delle Due Sicilie. Se il bello ed il
sublime l’oggetto sono dell’eloquenza e della poesia, se senza un
oggetto, che sia defl’una e dell’altra qualità fornito, il genio
dell’oratore e l’estro del poeta languiscono; se l'alto personaggio, che
è l’og¬ getto di questa letteraria adunanza, è dell’una e del¬
l’altra qualità eminentemente adorno, con ragione, Con¬ sesso illustre della
città di Alcide *, di estro animato ti veggo, per fare oggetto de’ tuoi
canti l’augusto prin¬ cipe, che al Trono ascende di Carlo III. Con
ragione, cogli occhi a me affissi, che dell’onore di esser tuo
oratore son fregiato, attento ti miro. Tu vuoi udir dal mio labbro
la dipintura dell’alto personaggio, che verso di lui attira i nostri
sguardi. Tu brami, che i motivi io ti esponga, che dalla velocità
incalcolabile del pensiero aggruppati insieme, i sentimenti di gioia, di
ammirazione e di devo¬ zione ne’ nostri cuori producono.
Ferdinando II è bello: nel suo volto dipinto si vede la candidezza
deH’anima sua, ed una certa misteriosa espressione del buon senso, del
buon umore, del brio, 1 Tropea, città, secondo la leggenda, di Ercole.
Vedi Nicola Scrugli, Notizie archeologiche di Portercole e Tropea, pp.
15-17. 132 ALBORI DELLA NUOVA ITALIA
della benevolenza, della sensibilità e delle altre amabili
disposizioni. Con questa sua bella fisonomia e colle sue belle maniere,
la letizia egli sparge ne’ nostri cuori. Ma non è questo il punto di
veduta, sotto di cui io mi pro¬ pongo di dipingerlo. Ferdinando II ci ha
colpiti di ammi¬ razione e di devozione, ed a questi sentimenti è
successa la speranza e la letizia. Egli è dunque un oggetto
sublime. Un oggetto sublime è grande. Egli è, per conseguenza,
grande. Ma qual grandezza siam noi costretti ad am¬ mirare in lui ? Sarà
forse quella degli Alessandri, e de’ Cesari ? Quella vera grandezza, che
in questi gravi capi¬ tani dell’antichità noi ammiriamo, si trova bensì
nel nostro Eroe. Ma questa non è quella, che più immediata¬ mente
ci colpisce, e che più in lui risplende. Una gran¬ dezza guerriera può
trovarsi negli uomini i più nefandi. Siila non era insieme un gran
capitano, ed mi mostro di crudeltà ? Ferdinando II è grande, perché
conosce i doveri di un Re. Egli è grande, perché adempie i doveri
di un Re. È questo l’oggetto del mio discorso. Parte Prima
Un pensiere è grande, allora che esso è esteso. Un pensiere che,
nella sua espressione la più semplice, com¬ prende tutti i pensieri
particolari, che vi si rapportano, è un pensiere grande; e l’anima, che
lo sente in sé, spe¬ rimenta un sentimento di grandezza. Il sentimento
della grandezza è il sentimento della forza o del potere. Colui che
possiede una verità generale, sente che ha in suo potere tutte le verità
particolari che vi son comprese. Egli è simile a colui che, posto su la
cima di un alto monte, comprende, con un semplice sguardo, un vasto e
variato orizzonte. Floro ci desta un pensiere grande quando ci
rappresenta, in poche parole, tutti gli errori di Annibaie
PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ? 133 dicendo : « Allora
che poteva servirsi della vittoria, amò meglio goderne ». Una consimil
grandezza si ravvisa nell’ idea, che egli ci dà di tutta la guerra di
Macedonia, quando dice: «Il vincere fu l’entrarvi». Uno spirito
sublime racchiude le verità particolari in una che sia la più generale, e
per conseguenza la più semplice. Ferdinando II, asceso sul trono
de’ suoi antenati, vede, con un colpo d’occhio, tutti i doveri di un Re:
egli li racchiude in un principio generale. Il suo pensiere è
grande: egli che lo concepisce, è grande in conseguenza. La prima parte
del mio discorso accademico è terminata. È terminata ?
Accademia illustre, ti credi tu forse, con questo mio breve
parlare, delusa nella tua aspettazione ? Hai tu forse sperimentato un
sentimento dispiacevole, simile a quello che sperimentar suole uno
spettatore di un’azione tea¬ trale, allora che una causa improvvisa lo
chiama in altro luogo, ed interrompe il suo piacere ? Ma cesserà in
te questo momentaneo doloroso sentimento. La rapidità incalcolabile
del sentimento mi ha fatto attraversare, in un baleno, un vasto spazio.
Io non ho potuto arrestare la sua impressione. Lo scotimento prodotto
nell'anima da qualche grande oggetto, l’alza notabilmente sopra il
suo stato ordinario. Si desta in lei una specie di entu¬ siasmo
piacevolissimo finché dura, che le fa compren¬ dere, con uno sguardo, una
moltitudine di oggetti, ma da cui l’anima tosto ricade nella sua
ordinaria situazione. Percorrerò dunque di nuovo, ed a passi osservabili,
lo spazio trascorso. Iddio, eh’ è il legislatore dell’intero
universo, diede all’uomo una legge, e la impresse nel cuore di lui.
L’uomo è dalla sua natura determinato allo stato della civil so¬
cietà. In questo stato solamente può egli perfezionar se stesso, ed
adempiere la sua destinazione. L’uomo ha in se stesso le tendenze, i
mezzi e la legge di vivere nella civil J 34 ALBORI
DELLA NUOVA ITALIA società. La società civile non può sussistere
senza un essere morale, dotato del potere legislativo ed esecutivo.
Un tal essere è il Sovrano. Nelle monarchie semplici, il sovrano è il
Re. Ma Iddio ha voluto l’esistenza della civil società su la
terra, per la felicità degli uomini; 1’esistenza dunque della sovranità,
come ordinata a quella della civil società, è voluta da Dio per la
felicità degli uomini. Queste sem¬ plici riflessioni ci menano infallibilmente
alla conoscenza del principio generale della morale de’ Re. La
desti¬ nazione dei Re su la terra è di rendere, per quanto è loro
possibile, felici i loro sudditi. Ecco il principio luminoso e
sublime, che tutti racchiude i regi doveri. Ma non udiamo noi
forse questa sublime e consolante filosofìa annunciarsi a’ popoli delle
Due Sicilie, nel primo momento del suo avvenimento al trono,
dall’augusto Ferdinando II ? Ascoltiamo la sua voce sovrana in
quel- l’ammirabile proclama, che destò ne’ nostri cuori l’am¬
mirazione e la devozione per la sua sacra persona, e che di vera gioia
gl' inondò. Il giorno otto di novembre dello scorso anno 1830 Ferdinando
II ascese sul trono, ed in quell’ istesso giorno egli così parlò a’ suoi
sudditi : « Avendoci chiamato Iddio ad occupare il Trono de’
nostri augusti Antenati, sentiamo l’enorme peso, che il supremo Di¬
spensatore de’ regni ha voluto imporre sulle nostre spalle, nel-
l'affidarci il governo di questo Regno. Siamo persuasi che Iddio, nell’
investirci della sua autorità, non intende che resti inutile nelle nostre
mani, siccome neppur vuole che ne abusiamo. Vuole che il nostro Regno sia
un Regno di giustizia, di vigilanza, e di saviezza, e che adempiamo verso
i nostri sudditi alle cure paterne della sua Provvidenza « *.
1 II proclama si può leggere nella Collezione delle leggi e de'
decreti reali del Regno delle Due Sicilie, a. 1830, sem. II, Napoli,
Stamp. Reale, 1830, pp. 143-.45. PASQUALE GALLUFPI
GIACOBINO ? 135 A voi, gran Dio, che avete nella
vostra mano il cuore de’ Re, per inclinarlo secondo la vostra volontà
sempre santa, grazie siano rese del prezioso dono, che nella vostra
misericordia ci avete concesso. Non mica nel furore del vostro giusto
sdegno, ma nelle vedute imperscrutabili della vostra misericordia, voi ci
avete inviato a reggere i nostri destini il giovane eroe, che ci
sorprende colla sua sublime sapienza. Egli riconosce che non dee
punto abusare dell’autorità di cui voi l’avete rivestito; che è suo
sacro dovere, di far che regni fra di noi la giustizia, e che egli sia il
felice istrumento delle cure paterne della vostra provvidenza su di noi.
Ciò è lo stesso che riconoscere esser egli destinato da voi a
render felici i suoi sudditi. Ciò è lo stesso che proclamare il principio
generale della mo¬ rale de’ monarchi. Il principe, che così parla a’
suoi popoli, non ha mica il crine canuto: egli è un giovanetto, che
ha appena compiuto il quarto lustro della sua età. Egli è dunque dotato
di un’anima grande ; ed è con ragione, che qual Grande è salutato da’
popoli delle Due Sicilie. Un’anima grande ha solamente potuto concepire
il pen¬ siero sublime, che tutta racchiude la morale de’ Re; ed
un’anima grande ha potuto, invece di essere distratta dallo splendore del
Trono, specialmente in un’età gio¬ vanile, concentrar tutta se stessa
nell’espressione de’ propri doveri, ed esserne profondamente
penetrata. Nell’ammirabile proclama il nostro gran Re non
sola¬ mente conosce la sua augusta destinazione nel governo de’
suoi popoli, ma vede ancora i mezzi principali, che debbono fargli
conseguire il gran fine. Egli scovre nel principio le illazioni. Egli
vede, in primo luogo, che gli uomini non possono esser febei, senza esser
virtuosi: egli conosce T intima relazione, che passa fra la virtù e
la Religione; che i sentimenti rebgiosi conducono alla virtù, come la
virtù conduce alla Rebgione. Egli com- I36 ALBORI DELLA
NUOVA ITALIA prende che la vera religione viene in soccorso della
pub¬ blica autorità, e per estendere la sanzione delle leggi, e per
ottenere ciò che esse non possono prescrivere, e per evitare ciò che esse
non potrebbero sempre giugnere ad impedire; ed egli conclude, che dee
proteggere la divina Religione, che c’ illumina. « I grandi », dice
il celebre Massillon, « non son grandi se non perché eglino sono le
immagini della gloria del Signore, ed i deposi¬ tari della sua potenza.
Eglino dunque debbono sostenere gl’ interessi di Dio, di cui rappresentano
la maestà, e rispettare la Religione, che sola rende rispettabili
loro stessi ». Dalla Religione volge il nostro gran Re lo
sguardo alla giustizia. Egli vede che la felicità de’ cittadini
richiede una gelosa custodia de’ loro diritti. Egli conosce che
questa custodia è il sacro dovere del potere giudiziario. Egli è convinto
che il Re nell' istituzione di questo potere, e nell’elezione de’ membri,
che debbono comporlo, deve porre la maggiore attenzione che gli sia
possibile. Il cit¬ tadino dee, sotto la protezione della legge, e del
pubblico potere, vivere tranquillo: egli non dee temere che i suoi
diritti sieno violati. Magistrati, a cui la regia maestà consegnò la
spada di Temi, ascoltate la voce del sapiente legislatore. Tutti i miei
sudditi, egli dice, debbono essere uguali agli occhi della legge '. I
tribunali debbono essere un santuario, che la corruzione, la prepotenza,
T intrigo, non debbono giammai profanare. Se i giudici debbono
essere indipendenti nelle loro sentenze, eglino non deb¬ bono essere
legislatori. L'accordar grazie ed eccezioni è una funzione estranea al
loro potere. L’impero della legge dee essere universale. 1 «
Noi vogliamo — dice il Proclama — che i nostri tribunali siano tanti
santuari, i quali non debbono mai essere profanati dagl' in¬ trighi,
dalle protezioni ingiuste, né da qualunque umano riguardo o interesse.
Agli occhi della legge tutti i nostri sudditi sono uguali, e procureremo
che a tutti sia resa imparzialmente la giustizia ». PASQUALE
GALLUPPI GIACOBINO ? 137 I cittadini non possono
essere felici, se lo Stato non è ricco. Uno Stato, dice un celebre
politico, non si può dire ricco e felic.e, che in un solo caso, allorché
ogni cit¬ tadino con un lavoro discreto di alcune ore può como¬
damente supplire a’ suoi bisogni ed a quelli della sua famiglia. Un
lavoro assiduo, una vita conservata a stento non è mai una vita felice. I
dazj eccessivi sono contrarj alla felicità di cui parliamo; ed i dazj
debbono essere eccessivi, allora che il Tesoro generale dello Stato
pre¬ senta un voto. E qui l’anima grande di Ferdinando II ci si
mostra allo scoverto. Egli non dirige il suo sguardo su le pompe de’ Re,
su i palagi de’ Grandi, ma lo dirige su i cenci, e su i tugurj de’ poveri
e degl’ infelici. Al suo penetrante sguardo tosto si svela lo spettacolo
doloroso della soma pesante de’ dazj, che gravita sul suo popolo.
La sua grande anima ne è profondamente penetrata, ma non abbattuta. Le
grandi passioni innalzano l’anima, e scovrire le fanno degli oggetti
incogniti agli uomini ordinari. Ferdinando II vede quasi nel momento
stesso il voto spaventevole del Tesoro generale, ed i mezzi di
ripararlo. La grande opera della instaurazione delle reali finanze, è
tosto nella gran mente del Principe magnammo già delineata. La felicità
de’ cittadini richiede ancora, che lo Stato sia temuto e rispettato al di
fuori. Ad un si grande oggetto conferisce un’armata disciplinata,
valorosa ed animata dal nobile ardore di gloria. E Fer¬ dinando II si
fece già ammirar da capitano, prima di farsi ammirare da Re.
Augusta filosofia! Se io a te consagrai sin da primi anni la mia
vita, se non ho avuto altro scopo ne miei scritti, che di annunciare la
verità al genere umano, se tu vedi che io ardisco di parlare ad un Re, da
te non si concepisca contro di me alcun sospetto, che mi avvi¬
lisca a’ tuoi sguardi. No, l’adulazione non ha profanato il mio
linguaggio. Io non ho prestato al mio Eroe i miei 10 - Gentile,
Albori. I. 138 ALBORI DELLA NUOVA ITALIA
pensieri, per formarmi un prototipo di mia immagi¬ nazione. Io gli ho
osservati in lui, che nel suo proclama gli esprime. Io ho dunque, senza
rimorso di arrossire al suo cospetto, il diritto di concludere :
Ferdinando II è grande perché egli conosce i doveri di un Re.
Parte Seconda Ferdinando II adempie egli i doveri di un Re ?
Il tempo, in cui 1 ’ Eroe di questo discorso regna su di noi, non è
ancora di tre mesi; ed egli ha tali e tante cose operato, che con ragione
i sudditi suoi, nella sincerità del loro cuore, 1' hanno unanimemente
acclamato per Grande. Ferdinando II è un personaggio straordinario. Pe’
per¬ sonaggi di tal fatta i giorni sono anni, e gli anni sono de’
secoli. I loro passi sono di una rapidità incalcolabile, ed agli occhi degli
uomini ordinar] sembrano de’ pro¬ digi- Eglino, quando anche la loro vita
fosse molto corta, formano l’epoche della storia; perché producono
quei memorabili avvenimenti, che cambiano lo stato de’ popoli, e
fanno a questi percorrere un cammino diverso. I loro nomi resistono al
furore del tempo, che tutto di¬ strugge. Ferdinando II ascende al trono
de’ suoi antenati, nell’aurora della sua vita. Un uomo ordinario
sarebbe stato sedotto dallo splendore del Trono: egli avrebbe
sdegnato le penose cure del governo di un Regno; egli sarebbe stato
colpito dal fasto de’ grandi. Il giovin Eroe chiude gli occhi alle pompe
incantatrici del Trono, ed attento gli rivolge su i mah del suo popolo.
Egli non vuol assidersi in mezzo de’ grandi pria di piangere cogl’
in¬ felici. Una serie d’infausti avvenimenti produce torrenti di
mali, ed immerge nel dolore e nel pianto gli abitatori di queste belle
contrade. Un muro di separazione s’in¬ nalza fra di noi. Esso divide i
sudditi da’ sudditi. Quelli PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ?
139 della parte sinistra son privi della vita civile,
nell’atto che la necessità ne chiama degli altri, che sono insuffi¬
cienti, alle pubbliche cariche >. Il potere giudiziario perde
tanti ragguardevoli magi¬ strati. L’amministrazione tanti prudenti e savj
ammini¬ stratori. La indizia tanti valorosi campioni. Gran Dio, chi
riparerà i nostri mali ? Voi avete udito i gemiti de buoni e virtuosi
cittadini di questo bel Regno: la vostra voce finalmente dal Cielo si è
udita. Popoli delle Due Sicilie, rasciugate le vostre lagrime : i vostri
cuori si aprano alla gioja. Un Re di un’anima eroica ascende sul
Trono: egli sanerà le vostre piaghe : egli vi farà risorgere a
nuova vita. Sì, il core magnanimo di Ferdinando il Grande è
commosso all’aspetto de’ mah di una gran parte de sudditi suoi. Egli
sente, nella sua clemenza, che, essendo l’immagine di Dio e del Redentore
divino su la Terra, dee qual padre correre ad abbracciare il figliuol
prodigo. Egli vede, che la discordia in un Regno è la sorgente di
mali deplorabili, e che un principio saggio dee farla ces¬ sare. Egli
conosce, che i Re debbano regnare su i cuori de’ loro sudditi. Il
memorando decreto del 18 dicembre del 1830 è pubblicato. Il muro di
separazione è rove¬ sciato. La gloria di Ferdinando II sarà immortale
». Tacete, animucce infelici, in cui la calunnia ha posto la
sua sede, tacete. Che cosa mai dir vorrete ? Che il Reai Decreto or ora
citato è una finzione ? Che esso non avrà alcuna esecuzione ? No, l’anima
eroica di Ferdi¬ nando II non cape siffatta bassezza. I reali Decreti
del dì 11 del corrente gennaio 3 vi ammutoliscano. Ferdi- 1
A questo punto d'altra mano, in margine: «La tempesta politica fa
traviare dal retto cammino anche i migliori talenti ». 1 L’atto
sovrano del 18 dicembre 1830 portava un indulto in favore dei condannati
come rei di Stato, e di coloro che per ragioni politiche si trovavano
esclusi dagli impieghi civili e militari. 3 Allude ai due decreti
nn. 104 e 106, emanati con quella data da Ferdinando II, col primo dei
quali si cercava di curare le piaghe 140
ALBORI DELLA NUOVA ITALIA nando II regna senza distinzione, su i
cuori di tutti i sudditi suoi. Tutti si riguardano quasi fratelli,
perché vivono sotto T impero di un Re, che è loro Padre. DalTuna
all’altra estremità delle Due Sicilie una sola voce si ascolta : Viva
l’Eroe! Viva Ferdi¬ nando II il Grande! Tutti sì, tutti son pronti
a versare per un tanto clemente Monarca il loro sangue. La virtù
non dee amarsi che per se stessa, e sarebbe, in buona filosofìa, un
distruggerla il riguardarla qual mezzo per la felicità. Ma è essa una
verità incontrasta¬ bile, che l’uomo virtuoso sarà felice, ed il vizioso
infelice. Quale spettacolo più commovente per l’anima di Fer¬
dinando II di quello che gli presentò la capitale ne' giorni ix, 12 e 13
di gennajo, e la relazione, che certa¬ mente gli pervenne, della letizia
universale innalzata sino al più vivo entusiasmo di tutto il Regno ? Il
piacere di rendere milioni di uomini felici, e di vedersi da essi
adorato ne ha esso forse un eguale su la terra ? Il Principe magnanimo
intese nel suo cuore, che egli ha tanti sol¬ dati, quanti sudditi conta
il suo regno. Egli vide il suo Trono immobile, la sua gloria
immortale. La grand’opera della rassicurazione delle reali
finanze la dicemmo già delineata nella gran mente del nostro Eroe.
La mano incomincia tosto ad eseguire il disegno profonde che erano
nelle finanze del Regno, sopra tutto dei do¬ mimi continentali, per « le
conseguenze fatali della straniera usurpa¬ zione: gli avvenimenti
disgraziati del 1820#; si esponeva con leale franchezza il deficit della
tesoreria generale di Napoli, che am¬ montava a 4 345 251 ducati; per
colmare gradualmente il quale si annunziava una serie di lodevoli
economie nella milizia e nei ministeri, oltre straordinari rilasci della
cassa privata del Re e dell'assegnamento della R. Casa; l’abolizione del
cumulo degli stipendi; l’imposizione di una ritenuta ai soldi e pensioni
superiori a 25 ducati mensili; e in compenso pel « sollievo della parte
più bisognosa del popolo » si dimi¬ nuiva della metà il dazio sul macino.
Con l’altro decreto veniva pre¬ scritta « una generale economia nelle
spese a carico dei comuni di qua del Faro per invertirla nella
diminuzione de’ più gravosi dazi comunali». Vedi Collezione cit., a.
1831, sem. I, pp. n-17, e 18-20. PASQUALE GALLUPPI
GIACOBINO ? I4I del pensiere. I Re imprimono alle loro azioni un
carat¬ tere di gloria, che spinge i sudditi ad imitarle. L’idea di
grandezza si associa a quella delle azioni de’ grandi, e l’impero delle
idee associate sul cuore umano è molto esteso. Quindi la virtù, quando si
scorge nelle azioni de' grandi, di qualunque grandezza essi sieno
adorni, rende la virtù rispettabile su la terra. Guidato da
questo sublime pensiere, Ferdinando II incomincia da sé la nobile
impresa. Que’ insti spazj di terra riserbati alla caccia de’ Re son tosto
restituiti al¬ l’agricoltura ». Questa misura diminuisce le spese
relative alla persona del Re, ed aumenta la pubblica ricchezza. Un
rilascio è conceduto dalla borsa privata del Principe: altro ne è fatto
dall’assegnamento della Casa reale. La classe degl’ impiegati è chiamata ad
imitar l’esempio del Reggitor supremo dello Stato: ed il reai Decreto del
di 11 gennaio contenente una diminuzione di dazj, vien tosto a
colpirci di ammirazione e di gioja. Se tali sono le imprese di
Ferdinando II in men di tre mesi, che cosa non dobbiamo noi sperare in un
lungo regno, che gli auguriamo felice ? Egli ha promesso la
restaurazione della giustizia. La sua promessa è sacra ed immutabile. Il
passato ci autorizza a sperare il futuro. Sì, il cittadino vivrà
tranquillo sotto 1 * impero della legge. Il regno di Astrea rinascerà su
le nostre contrade. Ed io non posso trattenermi di finire col poeta
latino: lam redit et virgo, redeunt Saturnia regna, lavi nova
progenies caelo demìititur alto. 1 « Con la pubblicazione del suo
proclama il Giornale ufficiale annunziava le sue disposizioni per
l’abolizione delle cacce »: N. Nisco, Gli ultimi trentasei anni del Reame
di Napoli, voi. II, p. 67. PASQUALE GALLUPPI. ( 1770-1816 ). 1. Il
Galluppi è stato detto a ragione gran riformatore della filosofia italiana ; e
aspetta ancora un degno illustratore della sua vita e del suo pensiero . Noi ne
diremo soltanto quanto è neces sario al disegno di questo lavoro . Nacque a
Tropca, in Calabria , il 2 aprile 1770 ( lo stesso anno di Hegel) dal barone
Vincenzo e da Lucrezia Galluppi, una delle più antiche famiglie patrizie di
quella cittaduzza. Fattii primi studi di latino, tredicenne fu mandato a scuola
di filosofia e ma tematica da « un abile maestro » ( 1 ) , tal Giuseppe Antonio
Ruffa, che gli pose in mano la Logica del Genovesi e la Geometria di Euclide; e
l'innamorò talmente di questi autori e di queste disci pline, che il Galluppi ,
anche innanzi negli anni , non rivedeva quei libri senza una certa commozione.
Ma non si fermò al Ge novesi ; perchè alcuni suoi compagni l'indussero a
leggere la Teodicea del grande avversario di Bayle. E il Galluppi ne fu in
vogliato a studiare tutto il sistema nelle opere del Wolff, come anche ad
applicarsi alla teologia , poichè nella scuola « si era in trodotto, scrive
egli stesso , un certo misticismo » . 2. Studi teologici e metafisici continuò
a coltivare a Na poli , dove si recò nel 1788 , da Palermo, ove il padre
qualche anno prima aveva condotto la famiglia . Frequentò le lezioni di
teologia di Francesco Conforti, il Sarpi napoletano, e quelle di greco di
Pasquale Baffi ; entrambi vittime gloríose del 1799. Studiò la Bibbia, la
storia antica , l'ecclesiastica, la patristica, ( 1 ) Vedi il brano
autobiografico pubblicato dal prof. F. PIETROPAOLO nella Rivista di filosofia
scientifica di E. Morselli, &. 1887, e ripubblicato da CARLO TORALDO nel
suo Saggio sulla filos. del Galluppi e le sue relazioni col kantismo, Napoli ,
Morano , 1902, p. 29 ( dove per una gvista è stampato amabile per abile ) .
PASQUALE GALLUPPI 217 specialmente s . Agostino. Ma, per la morte del suo minor
fratello Ansaldo, dovette nel 1794 rimpatriare per attendere all'azienda do
mestica ; e sposò Barbara d'Aquino di Cosenza , dalla quale ebbe quattordici
figli ! Negli Elementi di psicologia ( 1 ) egli stesso ricorda la sua numerosa
figliuolanza, che nella sua casa non grande gli avrebbe impedito co'suoi
strepiti infantili di studiare la filosofia e le matematiche, senza la sua
grande passione per questi studi. Persistetti, egli dice, e « l'esercizio mi
pose in istato , che io me ditavo tranquillamente, non ostante i giuochi
strepitosi, i pianti e le grida de ' ragazzi > ( 2 ) . Nel 1795 , per
rispondere alle censure che certi ecclesiastici avevano fatto di alcune sue
proposizioni , pubblicò una Memoria apologetica (3) Nè tralasciava frattanto di
coltivare la filosofia : « ma i libri filosofici che leggeva, com'egli
c’informa, erano tutti della scuola cartesiana » . Intorno al 1800 lesse
Condillac, e « qui cominciò la seconda epoca della sua vita filosofica . Le opere
di questo filosofo fecero cambiare la direzione dei suoi studi nella filosofia
» , « lo compresi , - ci dichiara il Galluppi, – che prima di affermare qualche
cosa su l'uomo, su Dio e su l'universo , bisognava esaminare i motivi legittimi
dei nostri giudizi e porre una base solida alla filosofia ; che bisognava
perciò risalire all'origine delle nostre co noscenze, e rifare in una parola il
proprio intendimento » ( 4) . 3. Così egli scriveva nel 1822 , quando era molto
progredito nella critica della conoscenza , e aveva, si può dire, approfondito
il problema. Forse la prima lettura di Condillac non gli diede quella netta
coscienza, che parrebbe da queste parole , dell'im portanza della questione
gnoseologica . Certo, l'avviò per questa strada, che è la strada maestra delle
filosofia moderna, facendolo ritornare sul Saggio del Locke. E primo frutto di
questi nuovi studi fu nel 1807 un opuscolo Sull'analisi e la sintesi ( 5 ) ; le
due ( 1) § LVI ; 2.a ed. , Firenze, Pagani, 1832, p. 103 . ( 2) Anche il Vico nella
sua vita ricorda con quella sua disinvolta vanità di esser * uso sempre a
leggere o scrivere, o meditare » tra lo strepito de' suoi non pochi figliuoli.
( 3 ) In Napoli , pei torchi di Vincenzo Mozzola - Vocola . ( 4 ) Autobiografia
citata. (5) Napoli, Giuseppe Verriento , 1807. Tirato in pochi esemplari non
messi in vendita, quest'opuscolo è divonuto oggi rarissimo. Una copia è
conservata dalla Biblioteca Univer sitaria di Napoli, nella Miscellanea
Imbriani. 218 CAPITOLO I facoltà che occuperanno un posto primario nella
filosofia dello spirito galluppiana. Tutto intento a' suoi studi , e senza
allontanarsi mai da Tro pea, se di là « con l'occhio e col pensiero » , come
immaginava in un suo affettuoso elogio Luigi La Vista, non si sarà rivolto «
alla prossima Cotrone, ed ai suoi costumi ed alle sue idee trovato un modello
nella vita e nella sapienza del divino Pita gora » ( 1 ) ; certo avrà seguito
gli avvenimenti politici dei for tunosi tempi del decennio francese in Napoli ,
com'è certo che partecipò vivamente con l'animo alle riforme liberali allora at
tuate o vagheggiate. Scrisse anche un opuscolo Su la libertà com patibile con
ogni forma di governo, rimasto inedito . E nel 1809 da re Gioacchino fu
nominato controllore delle contribuzioni della provincia di Catanzaro ( 2) .
Della parte da lui presa alla vita pub blica contemporanea si ricorda pure un
opuscolo stampato nel 1820, Lo sguardo dell'Europa sul Regno di Napoli, in
difesa degli ordini costituzionali napoletani minacciati dal Congresso di Lai bach,
e contro l'intervento straniero . E altri due opuscoli avrebbe indirizzati al
Parlamento napoletano , l'uno Sulla libertà dell co scienza e l'altro Sulla
libertà della stampa ( 3) ; opuscoli ora irrepe ribili, ma che non dovevano
contenere niente di diverso dallo scritto Su la libertà compatibile con ogni
forma di governo, di cui larghi squarci e transunti furono pubblicati nel 1865
; nei quali il Nostro mostrasi largo fautore di ogni libertà (4) , 4. Quando
scrisse l'opuscolo Sull'analisi e la sintesi il Gal luppi ancora non conosceva
nulla di Kant, secondo che egli stesso ci attesta. « La conoscenza di questa
filosofia, egli dice, non cam biò punto la direzione dei miei studi ; io
continuai le mie appli ( 1 ) Memorie e scritti di L. LA VISTA, Firenze, Le
Monnier, 1863, pag. 257. ( 2) Vedi quel che no dice P. E. TULELLI in
un'interessante memoria Intorno alla dottrina ed alla vita politica del bar .
P. G. - Notizie ricavate da alcuni suoi scritti ine diti e rari, negli Alti
della r. Acc. delle scienze mor . e pol. di Napoli, I ( 1865 ), 201 e sgg. Il
TULELLI pubblicò un'altra memoria : Sopra gli scrilli inediti del bar, P. G.
negli stessi Atti del 1867, III, 81 e sgg. ( 3) Vedi l'opuscolo più sotto
citato di F. S. BISOGNI, Omaggio , p. 9. (4) Vedi la prima delle due memorie
del Tulelli. Pare tuttavia che nella reazione del '99 il Galluppi , che allora
trovavasi a Tropea , non abbia mantenuta quella condotta che si conveniva a un
amico della libertà . Nell'Eco di Tropea del agosto 1902 II , n. 35 ) il prof.
C. TORALDO , al quale pure si deve il citato Saggio sulla filosofia del Gal
luppi con appendice di scritti inediti, ha pubblicato questo bruttissimo
sonetto recitato dal Nostro noll'Accademia degli Affaticati di quella città :
PASQUALE GALLUPPI 219 cazioni su l'intendimento umano, ma profittai molto delle
fati che del filosofo di Koenisberg ; io riconobbi il merito dei problemi
elevati dalla filosofia critica , sebbene trovai insufficiente la so luzione
che questa ne avea dato . Le meditazioni da me por tate su la filosofia critica
, elevarono molto più alto i miei pensieri e mi presentarono delle nuove vedute
nella scienza dell'intendi mento umano » ( 1 ) . E vedremo infatti quanta parte
del criticismo kantiano si rispecchi nel Saggio filosofico sulla critica della
co noscenza , di cui il Nostro pubblico i primi due volumi a Napoli nel 1819 (
2 ) , Questa prima conoscenza di Kant provenne al Galluppi dalle esposizioni nè
complete nè esatte del Villers ( 3 ) e del Kinker ( 4 ) e Della Patria il
dolore , il lutto , il pianto , La rea sorte fatal veder non voglio , Di Marto,
di Bellona il fler orgoglio , L'augusto trono di Minerva infranto , Spesso
sedendo al bel Sebeto accanto Col cor trafitto dal più fler cordoglio , Pria
che de' Franchi vacillasse il soglio , Dico nel mio pensiere, e piango intanto.
Un ferro io prendo. Occhi mici, non piangete, Grido nel mio furore ; io corro
or ora Sollecito a varcar l'onda di Loto . Ma già l'Angiol divin , che accanto
giace, Di man mi toglie il ferro , e grid'allora Verrà Fernando : tornerà la
paco ! Il sonetto è conservato su un foglio volante, che reca dalla parte
opposta queste parole che sono la conclusione di un discorso accademico : «
Ferdinando augusto , principe ma gnanimo, nell'impetuoso turbino che minaccia
l'indipendenza nazionale, corri a salvarci. I destini della nostra nazione son
legati alla tua esistenza . Ferdinando viene, Napoli è salvo. Il mio discorso
accademico è terminato » . E poi : « Pasquale Galluppi fra gli Af fatigati il
Furioso . Siegue dietro il Sonetto dello stesso accademico » A me pare che
discorso e sonetto possano riferirsi alla reazione del 1799 . ( 1 ) Le frasi in
corsivo di questo passo meritano particolar considerazione per quel cho si dirà
più innanzi del pensiero galluppiano. ( 2) Pei torchi di Domenico Sangiacomo.
Seguirono altri 2 vol. Messina , Pappalardo , 1822 ; poi un 5.° e un 6. ° , per
cui l'opera fu compiuta, nel 1832 , presso lo stesso Pappalardo. Nel 1833 in
Napoli fu incominciata la 2.a edizione migliorata ed accresciuta . ( 3) Philos.
de Kant, ou principes fondamentaux de la philos. trascendentale, Metz, 1807. (
4) Essai d'une exposition succincte de la Critique de la Raison pure ; trad. du
l'ol landais par. J. le F. , 1801; vedi su questi e gli altri primi scritti
francesi sul Kant l'im portante memoria del PICAVET, La philos. de Kant en
France de 1773 à 1814 , proposta alla sua trad. della Critica della Ragion
pratica (Paris, Alcan, 1888 ). 220 CAPITOLO VII dalla Storia comparata dei
sistemi filosofici ( 1803) del Degerando. Egli non seppe mai il tedesco ( 1 ) ,
nè mai conobbe la traduzione latina di alcune opere kantiane, già ricordata,
fatta dal Born ( 1796-98 ) ; nè era uscita peranco la traduzione che il cav.
Man tovani fece della Critica della ragion pura ( 1820-26) , e che sarà poi la
sua fonte principale. 5. Nel 1820 pubblico i primi due volumetti di Elementi di
filo sofia contenenti la Logica pura e la Psicologia , e prometteva l'Ideologia
, La logica mista , la Filosofia morale, che infatti uscirono in altri tre volumetti
nel 1826 ( 2) , e una Storia filosofica ragionata, che un avvertimento
dell'editore al quinto volumetto annunziava non si sarebbe piu pubblicata
avendo l’autore « su l'oggetto intra presa un'opera estesa » ( 3) . E questi
libri , i migliori testi di filo sofia per le scuole che si siano avuti finora
in Italia , per i loro squisiti pregi didattici d'ordine e di chiarezza , si
divulgarono presto per tutta Italia , procacciando molta fama al benemerito
autore . Intorno al 1821 scrisse alcune lettere sulla storia della fi losofia
moderna, indirizzate al canonico don Goffredo Fazzari, che nel seminario
vescovile di Tropea insegnava gli Elementi di lui e desiderava da lui stesso di
essere orientato in mezzo al « caos delle opinioni , che al presente scrive il
Galluppi nella prima lettera — agitano il mondo filosofico » , e di essere
sovrattutto informato della filosofia critica. E queste lettere l'autore nel
1827 raccoglieva in un bel libro, piccolo di mole ma che è il primo degno
saggio di storia della filosofia in Italia ( + ) , il quale diede ( 1 ) Nè
soppe tanto di francose da tradurre da questa lingua sonza errori di senso .
Vodi per un esempio curiosissimo la mia prefazione al Saggio citato del prof.
C. TO RALDO , p. IX, n . 1 . ( 2) Aggiunse più tardi gli Elementi di teologia
naturale. Nel 1835 si fece a Firenzo una edizione di tutti questi Elementi di
filosofia con aggiunte dell'autore e note di P.(OMPILIO ) T.(ANZINI) S. (
COLOPIO ), pubblico lettore ; ristampata a Bologna nel 1837. ( 3) Di questa Storia
della filosofia non fu pubblicato poi che il primo volume conte nento il primo
dei duo libri di Archeologia filosofica , che l'autore intendeva premettere al
l'opera. Ne conosco solo l'odizione di Milano, Silvestri, 1847, nella quale
precode l'Elogio funebre scritto da ENRICO PESSINA . ( 4) Lellere filosofiche
sulle vicende della filosofia relatiramente ai principii delle cono scenze
umane da Cartesio sino a Kant inclusicamente , Messina, Pappalardo, 1827. Le
let tere in questa edizione erano tredici. Una 14. ne aggiunse l’A. alla 2.a
edizione (Napoli, 1838) , con un Discorso di LUIGI BLANCH per venire fino al
Cousin e al Rosmini. E questa 2. edizione fu riprodotta in quella di Firenze,
Fraticelli, 1842 , che noi citeremo. PASQUALE GALLUPPI 221 occasione al
Romagnosi ( 1 ) di scrivere una Esposizione storico -cri tica del kantismo e
delle consecutive dottrine ( 2) . E altre cinque Lettere sull’ontologia
indirizzd a un amico tra il 1820 e il 1822 , dove si adoperò a mettere in
chiaro, da un punto di vista kan tiano, la futilità dell'ontologia wolfiana (
3) . Ma queste lettere non sono venute in luce che recentemente . 6. Per tutti
gli scritti già divulgati il Galluppi s'era reso noto per tutta Italia ; e il
giovane Rosmini l'11 novembre 1827 , ap pena stampato il primo volume de' suoi
Opuscoli filosofici, glielo inviava da Milano, dichiarandoglisi obbligato se
egli , che aveva « arricchita la filosofia , quella scienza avvilita e
profanata nei no stri tempi, anzi distrutta » , avesse voluto aggradire l'opera
e comunicargli « qualche lume relativo alle materie che sono in esse contenute
» . E si stabilì fra i due filosofi un carteggio assai istruttivo per chi
voglia conoscere le relazioni storiche delle ri spettive loro dottrine ( 4 ) .
Varie accademie fin da prima del 1822 l'avevano aggregato a’loro soci ; fra
esse la Sebezia e la Pontaniana di Napoli. Quivi il Galluppi tornò il maggio
del 1831 ; e subito vi pubblicò una traduzione dei Frammenti del Cousin , con
una prefazione e una « Dissertazione del traduttore , in cui si confuta il
domma del l'unità della sostanza » , ove però son comprese le osservazioni del
Galluppi intorno alle altre dottrine del Cousin non accettate ( 5 ) . « Avendo
meditato su di questo sistema filosofico, ho creduto di trovare in esso delle
vedute sublimi, ed insieme un errore pe ( 1 ) Che ne aveva scritto prima una
recensiono nella Biblioteca Italiana , di Milano, vol. L, p. 163 e ss . ( 2 )
Nella stessa Biblioteca , LIII, 180 e ss . Vedi Opp. filos . ed . e ined . , di
G. D. R. con annotazioni di A. DE GIORGI, Milano, 1842, pp. 575-605. Su questo
scritto e in generale sul Kantismo in G. D. Romagnosi vedi l'art. del CREDARO
nella Riv. di filos. italiana , an . 1887, vol . II . ( 3) Vedi ciò che ne ho
detto nella prefazione al citato Saggio del Toraldo. Dovo que ste lettere sono
stato tutte cinquo pubblicato per la prima volta . Solo le prime due erano
state edito da F. PIETROPAOLO , Scritti inediti di P. Gall. nella Riv, filos.
scient., VII ( 1888 ), 128-44. ( 4) Vedi il nostro Rosmini e Gioberti, pp.
75-82 ( Pisa , Nistri , 1898 ). ( 5) La filosofia di V. Cousin , trad . dal
francese, ed esaminata dal bar. P. Galluppi , a spese del N. Gabinetto
lotterario, 1831 , vol. I. Il vol. II è del 1832. A pag. 197 del vol. I si
incontra anche una postilla del tradut tore relativa ad alcune massime morali
del Cousin , 222 CAPITOLO VII ricoloso » . Quindi, accompagnando la traduzione
con la detta dis sertazione, ei credeva di porre « il lettore filosofo in
istato di conoscere non solo la filosofia del sig . Cousin , ma di giudicarla »
. Il libro frutto presto molto favore all'eclettismo francese a Na poli , e
specialmente al suo capo , che dal canto suo fece conoscere il Galluppi in
Francia ( 1 ) , e anche fuori per mezzo dell'amico Ha milton, che in un
giornale filosofico di Edimburgo scrisse un ar ticolo sul Nostro . 7. A Napoli
nello stesso anno 1831 fu persuaso da amici a chiedere la cattedra di logica e
metafisica vacante nell'Univer sità . Presentato al ministro degli interni
marchese di Pietraca tella, questi , udito il suo desiderio , l'invito a
cimentarsi a un esame. Ma egli con sdegnosa semplicità calabrese rispose : E
chi c'è a Napoli che possa esaminare Pasquale Galluppi? – L'amico che l'aveva
presentato , rimase sconcertato . Ma il 4 ottobre 1831 il nostro filosofo aveva
il suo decreto di nomina ( 2 ) . « Con che festa noi giovani , narrava il
Settembrini con quanta calca tutte le colte persone si andò a udire la sua
prolusione, e poi le lezioni che egli appollaiato su la cattedra dettava con
l'accento tagliente del suo dialetto ! Ci sono sempre i maldicenti, i quali
dicevano che egli era mezzo barbaro nel par lare, ma in quel parlare era una
forza di verità nuova , ma l'in gegno cra grande, e il cuore quanto l'ingegno »
( 3 ) . Quell'anno stesso aveva dato una novella prova delle sue atti tudini
didattiche dando alle stampe un'opericciuola : Introduzione allo studio della
filosofia per uso dei fanciulli. Ma nel seguente anno, primo del suo
insegnamento , coi primi due volumi della Filosofia della volontà dedicati al
marchese di Pietracatella, poi e --- ( 1 ) Si conservano nella biblioteca del
Cousin , appartenente alla Ropubblica, le lettere a lui del Galluppi. Vedi
l'art. da me pubblicato su V. Cousin e l'Italia nella Rassegna bibliograf. della
letter. ital. del 1898, VI , 213. Il Cousin fece tradurre in francese dal
Peisse suo discepolo le lettere del Galluppi ; o questi da F. Trinchera le
Lezioni del Cousin Sulla filosofia di Kant, aggiungendovi cgli delle note, come
sarà notato a suo luogo . Un'affettuosa commemorazione del Galluppi fece il
Cousin nel 1847 all'Accademia di Francia , o pubblicò nel Journal des
Économistes del febbraio 1847, riportato nell'Omnibus di Napoli del 29 maggio
1847, dove il Galluppi aveva scritto sul Cousin, anno III ( 1835) , pag. 225 .
( 2 ) Vedi FIORENTINO, Man . di storia della filos., Napoli, 1887, pag. 609 ;
L. SETTEM BRINI, Ricordanze , Napoli , 1898 , I , 75, e il Discorso cit . del
BORRELLI, p . 6 . ( 3) Op. cit . , vol. I , pag. 76. PASQUALE GALLUPPI 223 ammontati
a quattro , già composti a Tropea, cominciò a puh blicare le Lezioni di logica
e metafisica, dettate all'Università , vero modello di quel lucidus ordo tanto
raccomandato dal Veno sino . Nel 1834 ne compì la stampa in tre volumi ; di cui
fece nel '40 una seconda edizione e una terza nel 1846 ; ristampata nel 1853
dal Tramater ; e questa stampa noi citeremo. 8. A proposta del Cousin il 30
dicembre 1838 , in concorrenza coll'Hamilton che ebbe un solo voto , veniva
nominato socio cor rispondente dell'Accademia delle scienze di Francia. E il 28
aprile 1841 , a proposta del Guizot , Luigi Filippo lo insigniva della croce
della Legion d'onore (1) Ei se ne sdebitava con le sue Considerazioni
filosofiche sul l'idealismo trascendentale, ossia sul sistema di Fichte ,
memoria presentata il 1839 all'Istituto di Francia , accademia delle scienze
morali e politiche ( 2) ; e mandando più tardi , poco prima di mo rire , uno
scritto su la teodicea dei filosofi antichi, che fu inserito come il precedente
negli Atti dell'Accademia. Nel 1842 pubblico il primo volume della Storia della
filosofia , annunziata fin dal '26 . Vi si tratta della filosofia greca , non
però secondo la successione delle scuole , sibbene « considerando e cri ticando
le diverse opinioni dell'Antichità » su l'origine dell'uni verso e del genere
umano fino ai neo-platonici . « Una siffatta opera, dice in un elogio funebre
dell'autore un affettuoso discepolo saria stata monumento novello di gloria
italiana , se a nostra disavventura la vecchiezza , le malattie , le sciagure
non avessero di tale infievolito l'animo di lui , ch'ei non potè vederla
compiuta, ed a perfezione condotta » (3) 9. Infatti gli ultimi anni della vita
del nostro filosofo furono amareggiati da sciagure che ne affrettarono la morte
. Già uno dei figli maschi era caduto , com'ei narra , « vittima del furore
d'un giovane sconsigliato » . Ed egli ne aveva scritto e stampato (Mes sina,
1818) l'elogio . Nel 1834 poi gli era morta la moglie . Ora, nel 1844 in una
insurrezione scoppiata a Cosenza perdeva la vita un altro suo figlio, Vincenzo,
che era capitano . Il vegliardo ( 1) Vedi la lettera del Guizot in LASTRUCCI,
P. G. studio critico , Firenze, Barbèra , 1890 , p. 112. ( 2) Stampate in
italiano nel 1841 , da' torchi del Tramater ; un vol. di p. 159 in 4.° Negli
Atti dell'Accademia francese furono pubblicato come la successiva memoria in
francese. (3) Elogio funebre di P. G. , per E. PESSINA, in Op. cit . , p. XIII.
224 CAPITOLO VII ne fu profondamente addolorato e agli amici che tentavano con
fortarlo disse : « Avrei desiderato che morisse per una causa più nobile e
giusta » Morì il 13 dicembre 1846. P. Borrelli , come sopra s'è visto , ne
disse degnamente le lodi presso al letto funebre, il 14, fra una folla di
giovani discepoli , che recarono a spalla la salma compianta alla chiesa di S.
Nicola ; e il giorno 21 gli celebrarono funerali solenni nella chiesa di
Sant'Orsola a Chiaia , in cui recitò un'ora zione il gesuita Carlo Maria Curci
. Giuseppe Campagna piangeva la morte del filosofo in un sonetto filosofico,
lamentando che con lui si partisse dalla terra Una favilla dell'eterno lume ( 1
) . Il 14 marzo 1867 dall'Accademia delle scienze morali e politiche al
Galluppi veniva eretto un busto nella Università degli studi, da lui onorata con
molti altri spiriti magni . 10. Molti scritti aveva ancora in animo di
pubblicare , oltre i ricordati, e molti manoscritti di lui ci son rimasti , ora
in depo sito presso la Biblioteca nazionale di Napoli, i quali fan testimo
nianza della larga estensione degli studi fatti da lui in teologia , storia
dell'antica e moderna filosofia , filologia greca e latina, sto ria ,
matematica, astronomia ( 2 ) . Meno vita modesta e di grande raccoglimento :
assorto negli studi, visse veramente per la scienza , in cui riuscì ad
imprimere orme profonde, rinnovando la filosofia italiana . Egli infatti fu il
solo dei filosofi napoletani da noi studiati, dopo il Genovesi, che esercitasse
una influenza molto notevole al di fuori del regno , su tutti gli studi
filosofici nazionali ( 3 ) , ( 1 ) Pubblicato nel Museo di scienza e lett., X,
348 ; v. DE SANCTIS, La letter . ital. nel sec. XIX , Napoli, Morano , 1897, p.
96 , e nota del CROCE, p. 208 . ( 2) Oltre la memoria ricordata del Tulelli ,
vedi l'olenco dei mss. galluppiani nel l'opuscolo citato dell'avv. Pietropaolo
. ( 3 ) Per la biografia v. anche L. PALMIERI, Elogio stor . del bar. P. G. con
alcuni poe tici componimenti recitati in un'adunan za tenuta per cura di L.
Palmieri in Napoli il di 10 del 1847 , di pp. 32. V'è oltre l'elogio un sonetto
del Campagna, un carme latino di A, Mirabelli, alcune sestine di D. Anzelmi,
un'ode latina di Quintino Guanciali e un so netto « improvvisato dall’egregio
poeta sig . Giuseppe Regaldi che per una congiuntura si trovò presente alla nostra
adunanza » , - Vedi anche la necrologia Morti e morenti di C. CORRENTI, pubbl.
nella Rivista europea del decembro 1846 , ristamp. in Scritti scelti , ed.
Massarani, Roma, tip . Sonato, 1891 , I , 481-83. L'articolo dell'ab. ANTONIO
RACIOPPI, Il Bar, P. G. , nel Poliorama pittoresco, an. XI ( 1847 , 13 marzo e
20 marzo) , n. 32 e 33 ; l'opu scolo di F. S. BISOGNI , Omaggio alla memoria
del b. P. G. nell'occasione che in Tropea il Munic. e la Prov. innalzano una
statua all'illustre filosofo , Napoli, Morano, 1877 ( in PASQUALE GALLUPPI 225
11. Nella quattordicesima delle Lettere filosofiche il Galluppi, vo lendo
determinare le relazioni della sua filosofia, ch'egli chiama sperimentale, col
criticismo kantiano, si fa a descrivere le varie fasi attraverso le quali era
passato il suo pensiero . Ma la de scrizione non è molto accurata ed esatta.
Abbiamo visto come fino circa ai trent'anni ( al 1800) suoi autori fossero
Leibniz, S. Agostino e i filosofi della scuola di Cartesio ; e si può dire che
egli fosse in un periodo di dommatismo metafi sico , che rimase poi sempre nel
fondo del suo pensiero ; non solo perchè molto più tardi, quando aveva studiato
anche Kant , con tro di questo egli affermava che « la filosofia è
essenzialmente dommatica, e non può essere che dommatica. Essa dee contenere
delle verità assolute » ( 1 ) ; ma anche per altre ragioni: La lettura di
Condillac gli fece intendere , che c'era una que stione preliminare dą
risolvere prima di ogni metafisica : ricer care, cioè , i motivi legittimi dei
nostri giudizi , quindi risalire all'origine delle nostre conoscenze , rifare,
egli dice , l'intendimento. Condillac e Locke cangiarono insomma la direzione
de' suoi studi . Segue perciò dal 1800 fino circa al 1810, quando venne a cono
scenza del Villers e del Degerando, un periodo prekantiano di revisione della
conoscenza ; al quale periodo appartiene l'opuscolo Sull'analisi e la sintesi,
12. In questo egli concedeva al Locke e ai suoi seguaci, che « tutte le nostre
idee hanno origine da' sensi » , che pertanto « tutte le nozioni universali
vengono a formarsi dal paragone degli oggetti particolari , e ... che le
cognizioni particolari ci menano alle no zioni universali , e non già viceversa
» ( 2) . Ma si proponeva la questione « se lo spirito , tosto che ha for mate
le nozioni universali, possa paragonarle, scovrirne i rapporti, e quindi
applicare questa cognizione universale alle idee parti colari , racchiuse
nell'idea universale , che si è paragonata colle questo opuscolo è pubblicato
uno scrittorello inedito del GALLUPPI Sulla semplice appren sione, pag . 17 e
segg. ) . Uno studio biografico ha pure dato in luce il sig. F. PIETROPAOLO,
nel Pensiero contemporaneo di Catanzaro , an. I , 1899, fasc . 6, 7 e 8. Non
c'è riuscito di vedere la biografla pubblicata nel Giornale dell'equilibrio,
1841, n. 1 (citata dal Palmieri) scritta da P. E. TULELLI « sopra note
comunicatemi questi diceva, accennando molto probabilmente a questa biografia
dall'autore medesimo > ; Atti della R. Accad . d. scienze morali e polit .,
1865, I , 203. ( 1 ) Letl . filos. , p. 342 . ( 2) Sull'analisi, p. 20 . 15 226
CAPITOLO VII altre » ( 1 ) . Per es . , delle due proposizioni generali ogni
cerchio ha tutti i suoi raggi uguali e ogni corpo è grave, nella seconda tra
corpo e gravità non havvi una connessione necessaria e il loro rapporto non può
affermarsi se non mediante il soccorso dell'espe rienza ; nella prima invece è
nell'idea del cerchio la ragione di affermare l'uguaglianza de' suoi raggi; e
fra le due idee v'è un legame necessario, che non dev'essere attestato
dall'esperienza. V'ha dunque , conchiudeva il Galluppi, verità generali cui lo
spi rito non perviene dalle verità particolari (sensazioni), « ma per mezzo del
semplice paragone delle idee universali, ch'egli si ha formato » ; e v'ha poi
verità generali che derivano dalla cognizione delle singole verità particolari
, che ci fornisce l'esperienza. Le une costituiscono le conoscenze a priori e
necessarie ; le altre le conoscenze a posteriori e contingenti. Le prime sono
principii ana litici, in quanto si devono all'analisi delle idee“ generali già
ac quisite per l'esperienza ; laddove le seconde sono un prodotto della sintesi
delle verità particolari, non altrimenti che le idee universali . 13. Sicchè
già nell'opuscolo del 1807 il Galluppi era arrivato a quella forza analitica e
forza sintetica di cui farà nel Saggio ( lib . I , § 18 , 34) il fondamento di
ogni giudizio, distinguendolo net tamente dalla sensibilità . In quell'opuscolo
si poteva egli dire an cora puro empirista ? Certo, egli faceva ancora, come il
Locke , derivare dalla sensazione ogni idea universale, e puramente speri
mentale faceva ancora la materia delle conoscenze a priori . Giac chè le idee
generali , fra cui può ammettersi un rapporto neces sario a priori, sono esse
stesse sperimentali a posteriori . Tutta quanta la materia della nostra
cognizione deriva dall'esperienza. Ma un a- priori si ammette nella sintesi ,
che, elaborando il dato immediato dei sensi , ci conduce alle idee universali e
alle cono scenze contingenti, e più nell'analisi che ci fornisce conoscenze
indipendenti dall'esperienza . In quell'opuscolo adunque l'empiri smo crudo cui
il lockismo per mezzo dei sensisti francesi era stato ridotto , non era
accettato. E notevole sovrattutto era in esso questa netta distinzione tra
conoscenze a priori necessarie e co noscenze a posteriori contingenti , fatta
dal Galluppi quando igno rava affatto la distinzione kantiana di giudizi
analitici e sintetici alla quale corrisponde precisamente. Ne pare ch'egli
allora cono scesse i Saggi filosofici sull’intelletto umano dell'Hume , nel
quarto ( 1 ) Ivi , ibid . PASQUALE GALLUPPI 227 dei quali ritrovasi quella
distinzione tra i legami di causalità, fon damento delle cose di fatto e
relazione d'idee, scoperte per mezzo di semplici operazioni della mente, che
giustamente si è voluto preluda alla teorica di Kant ( 1 ) . 14. Nel 1819 , nel
libro I del suo Saggio, la posizione del Gal luppi si determina assai più
chiaramente. Egli , bene o male, ha già studiato Kant, e combatte l'empirismo
di Condillac, di Elvezio , di Destutt - Tracy ; di quel Tracy , che ancora nel
1827 a Firenze , al dire d'un arguto scolaro del Cousin, rappresentava le chef
et maitre, celui qui l'a dit ( 2 ) ; e dichiarava che la geometria, « questa
scienza pura , razionale, è la pietra immobile su cui va a rompersi la macchina
debole dell'empirismo » (S 36 ) ; e che, infine, « non è vero esattamente » ciò
che egli aveva ammesso o , almeno, non aveva combattuto, nell'opuscolo del 1807
: derivare cioè tutte le idee universali dal paragone delle particolari (S 40)
. 15. Parve a lui che la critica di Kant fosse una vera rivolu zione . « La
rivoluzione kantiana , scrisse nella prefazione del Sag gio (3 ), merita , più
di quel che si crede , l'attenzione dei pensa tori » . Asseriva bensì , che il
criticismo non fosse altro che un neo logismo, sotto il quale non si faceva
passare che una questione vecchia, quella dell'origine delle nostre idee. Ma le
prime parole della sua prefazione erano tuttavia le seguenti : « L'oggetto di
quest'opera è la Critica della conoscenza , o l'esame della realtà della
scienza dell'uomo . Che cosa posso io sapere ?... Son io ca pace di conoscenze
reali ? Quali sono i motivi legittimi di queste conoscenze ? Quali sono i
limiti prescritti al mio spirito , limiti che non gli è permesso di
oltrepassare senza precipitare nell'abisso dell'errore ? Tali sono le ricerche
sublimi ed importanti che mi occuperanno » ( 4) . Ora queste sublimi ricerche,
come tutti sanno, sono appunto quelle del criticismo kantiano ; che se è una
rivoluzione, sarà cer tamente una novità. ( 1) Vedi D. JAJA , Saggi filosofici
, Napoli, Morano, 1886 , pag . 189 e sgg. E a quel saggio di Hame fu il
Galluppi ricondotto dal Kant, nella IX delle sue Lettere filosofiche, per
spiegare, esponendo la critica del concetto di causa fatta da D. Hume, perchè
la lettura di essa svegliasse Kant dal suo sonno dommatico . Ma ivi ( p. 171 )
, ricordando la distin zione di Hume tra cose di fatto e relazione d'idee, non
ne avverte punto la parentela con la divisione kantiana dei giudizi. ( 2 ) Vedi
il mio Rosmini e Gioberti, pag . 14. ( 3) Tom . I , p. 9. Cfr. lib . III , § 76
; tom . III , p. 268. ( 4) Cfr. lib. IV , $ 1 . 228 CAPITOLO VII Se non che, a
giudizio del Galluppi , la critica di Kant , « lungi dallo stabilire la realtà
della conoscenza , tende radicalmente a distruggerla » ; che i suoi risultati
sono essenzialmente scettici ; e quindi una buona dottrina della conoscenza non
può costruirsi se non in opposizione a quella critica . Una critica, insomma,
ci vuole ; ma non quella di Kant. E quale dunque ? 16. Noi non esporremo ne'
loro particolari le teorie del Gal luppi e le critiche delle altrui dottrine
ond'egli stabilisce le pri me. E poichè col Saggio filosofico la sua dottrina è
già fissata , senza seguire l'ordine cronologico delle opere , possiamo
dall'una e dall'altra di esse raccogliere i tratti caratteristici della sua fi
losofia e farne un corpo compiuto. 17. Il Galluppi, come gli antichi psicologi
metafisici ammette un sistema di facoltà dello spirito ; e a capo di tutte pone
la co scienza o sensibilità interna . Questa è la facoltà per la quale lo
spirito percepisce , sente se stesso , il me, la cui esistenza è una di quelle
verità primitive, che ci sono attestate dall'esperienza, ma non si possono
dimostrare ; come già pensarono Cartesio e Leibniz . Nè vale l'obbiezione che
noi non percepiamo se non le nostre modificazioni, e che l'idea del me si
dedurrebbe percið da quella delle modificazioni, pel principio che non v'ha
atto senza soggetto . Non v'ha sentimento delle proprie modificazioni donde si
possa separare quello del proprio essere ; perchè non si può percepire
l'astratto, ma il concreto, non il dolore, ma il me dolente . Il me adunque è
un dato dell'esperienza, che bisogna ac cettare come una verità primitiva di
fatto ; e l'atto con cui lo si apprende , è la percezione immediata. 18. Qui il
Galluppi, ritornando alla posizione cartesiana, ne sente tutta l'importanza.
Egli osserva nel Saggio filosofico, che il defi nire , come si fa comunemente,
l'idea per la rappresentazione dell'oggetto nella mente, separando cosi
l'oggetto dalla mente , e il far consistere quindi la norma della verità nella
conformità della nostra rappresentazione con l'oggetto esteriore, apre irrepa
rabilmente la porta allo scetticismo. « Se gli oggetti , se la re gione
dell'esistenza son separati dallo spirito , chi getta un ponte per passare dal
pensiero all'esistenza , all'oggetto ? Questo ponte si fa consistere nelle
immagini degli oggetti. Lo spirito, dicesi , possiede le immagini degli oggetti
; ma in questo caso lo spirito non potrà giammai conoscere la conformità di
queste immagini cogli originali, e la verità andrà sempre lungi da lui » ( 1 )
. Me ( 1) Saggio , lib . I , 8 15 ( I , 37) . PASQUALE GALLUPPI 229 morabili
parole , per cui il Galluppi non solo non è un prekan tiano , come credono i
più , ma va innanzi al Kant dei neokan tiani ; del quale egli in questo luogo
discopre espressamente il vizio principale , notando che il fenomenismo critico
è una con seguenza della falsa posizione volgare dell'oggetto rispetto al sog
getto , presunta dalla definizione dell'idea testé riferita . 19. L'idea del
me, a proposito della quale l'autore fa queste osservazioni, non ci deve esser
data da una percezione che sup ponga il termine percepito opposto al soggetto
percipiente : « L'Io ed i suoi modi non sono separati dall'atto della coscienza
, ma gli sono presenti . La coscienza li prende dunque immediatamente, e fra
questa percezione e gli oggetti percepiti non v'ha alcun intervallo . Questa
coscienza , questa percezione è dunque l'appren sione e l'intuizione della cosa
percepita » (§ 16) . E le intuizioni, secondo il Galluppi , « son vere , non
perchè son di accordo cogli oggetti , ma perchè elleno agiscono immediatamente
sugli oggetti , e li prendono » ( 1 ) . Nè bisogna cercare di definire la
percezione, perchè non se n'ha se non una nozione semplice, e ognuno pud solo
rimettersene alla propria coscienza per istruirsene . Il semplice, adunque , il
principio da cui parte il Galluppi, è questa immediata coscienza di sè , che
egli dice percezione o in tuizione ; la cui verità è fondata nella identità
dell'essere e del pensiero, come in Cartesio . « Tutta la scienza dell'uomo
riposa su la base unica della coscienza di se stesso » ( Saggio, lib . IV, § 3)
. 20. Sicchè la filosofia del Galluppi è un vero soggettivismo , come si può
vedere anche dal suo concetto della filosofia . « Che cosa è mai la filosofia ?
Ella è , rispondono alcuni filosofi, la scienza di ciò che è . In conseguenza
ella è la scienza dell'uomo , del mondo, di Dio. Una tal definizione suppone,
che l'uomo possa giugnere a conoscere se stesso, il mondo e Dio. Ma, dicono
altri filosofi, bisogna prima esaminare se l'uomo può saper qualche cosa ; e su
qual fondamento può egli saperla . La conoscenza dei nostri mezzi di conoscere
è certamente una conoscenza prelimi nare alla scienza delle cose . Da ciò segue
che la filosofia pud riguardarsi sotto due aspetti , o come la scienza delle
cose , o come la scienza della scienza umana . Considerata sotto il primo
aspetto , ella può chiamarsi scienza oggettiva ; considerata poi sotto il se
condo, può chiamarsi scienza soggettiva. Ma se la filosofia è la scienza prima,
la quale dee contenere la legislazione di tutte le ( 1 ) Li investono, dice più
innanzi. 230 CAPITOLO VII - altre scienze , voi vedete bene esser necessario di
considerarla nel secondo aspetto . A cið tende la celebre massima
dell'antichità conosci te stesso . Io dunque la riguarderò come scienza sogget
tiva » ( 1 ) . E « scienza della scienza » la definisce già negli Ele menti di
ideologia (S III). Negli Elementi di filosofia morale (SI) la dice : la scienza
del pensiere umano, distinguendola in teoretica e in pratica , secondo che studia
l'intelletto o la volontà . Egli ha insomma un concetto moderno della
filosofia, giustificato dal suo principio : che è la coscienza di sè . 21. Ma
come, partendo da tale principio, egli costruisce la realtà conoscitiva ? E
qual carattere dà al suo soggettivismo la sua costruzione ? Prima di tutto ,
avverte giustamente il Galluppi , bisogna di stinguere l'ordine cronologico
delle nostre conoscenze dall'ordine scientifico ( 2) , Noi abbiamo con la prima
sensazione e come fonda mento di essa la coscienza del nostro Io ; ma essa non
è certo una coscienza di riflessione ( 3 ) . Vale a dire , c'è di fatto questa
co scienza che è il Primo scientifico ; ma non si rivela se non alla
riflessione filosofica posteriore , molto posteriore, cronologicamente. Perchè
questa coscienza primitiva si rivelasse effettivamente, lo spirito dovrebbe
cominciare da un giudizio ( lo esisto ), ed essere già in possesso dell'idea
astratta di esistenza , laddove ei comincia invece da una percezione o
sensazione che voglia dirsi . Comincia da una percezione complessa : dalla
percezione del me che riceve delle modificazioni, dalla percezione del me che
percepisce il fuor di me. Ora lo spirito presta successivamente la sua
attenzione ai diversi elementi che compongono l'oggetto di questa prima
percezione, decompone , divide questo oggetto ; poi lo ricompone di nuovo e
forma il giudizio, che è perciò il pro ( 1 ) Lett. filos., lett . I ; ediz .
cit. , p. 37-8 . Questo stesso concetto è svolto nella Prolusione del 1831:
Introduzione alle lezioni di logica e di metafisica del bar . P. G. , Napoli,
Ga binetto bibliografico e tipografico , 1831, di pp. 30 in-8. ° (ristampata in
fronte alle Le zioni di logica e di melafisica , vol. I) e nelle primo tre di
questo lezioni. Vedi puro il suo articolo Filosofia nella 1." dispensa
dello Ore solitarie del 1838 (rivista diretta al lora da Lorenzo Riola , P. S.
Mancini e Luigi Curion , più tardi dal solo Mancini), pp. 9-11. Nella
Continuazione delle Ore solitarie ovvero Giorn . di scienze morali, legislat. ed
econom. , 1842, fasc . I e II , pp. 7-14, è un altro scritterello del GALLUPPI:
Sul panteismo del signor Lamennais. ( 2) Saggio filos., lib. I , § 22 ; tom . I
, p. 49. (3) Ivi, $ 20 ; I , 45 . PASQUALE GALLUPPI 231 dotto dell'analisi e
della sintesi della percezione complessa ( 1 ) . Sic chè bisogna ammettere
nello spirito , oltre la facoltà della sensibi lità ( interna o coscienza, ed
esterna) , quelle dell'analisi e della sintesi. 22. Il fuor di me ci viene
offerto adunque dal me, da quella coscienza che cogliendo il me lo coglie
modificato dal fuor di me. Questa coscienza, che il Galluppi dice pure
sensazione, corri sponde , come bene osservò lo Spaventa, alla coscienza
sensibile dell'Hegel ; è l'unità ancora confusa ed indistinta di soggetto ed
oggetto. Allorchè, dice il Galluppi, la modificazione esterna « è percepita col
me, che modifica , io non ho ancora che una per cezione ; ma quando ella è
riguardata come distinta dal me, e poi riunita a lui dall'atto dello spirito ,
io allora giudico » ( 2 ) ( Saggio, lib . I , § 18) . Ora, se conoscere è
questo distinguere e unire , è chiaro che conoscere pel Galluppi non è sentire
( percepire) , ma giudicare . Quindi egli combatte i sensisti, insistendo sulla
dif ferenza sostanziale che corre tra sentire e giudicare, notando come
giudicare importi necessariamente un rapporto , e come non sia possibile
indicare l'impressione esterna, l'organo sensorio che ci manifesta la
conoscenza del rapporto ( 3) . La forza analitica e la forza sintetica dello
spirito sono distinte dalla sensibilità (4) ; come già aveva sostenuto
nell'opuscolo del 1807 . 23. La coscienza sensibile è adunque l'unità
fondamentale del conoscere ; l'unità che è condizione dell'analisi e della
sintesi , ne cessaria a tutti i nostri giudizi . Ma come si giustifica questa
unita ? Il fuor di me è sentito , dice il Galluppi , come un molteplice del
quale ciascuna parte è distinta dall'altra e le modificazioni di una parte non
sono, nel mio sentimento, le modificazioni delle altre . Il tronco di un albero
è distinto dai rami : ciascun ramo è distinto da un altro : il moto di un ramo
può stare senza il moto di un altro e di tutto l'albero ( 5 ) . Questa
molteplicità si raduna nel me, il quale alla coscienza si rivela sempre lo
stesso , sia che ( 1 ) Saggio filos. , lib . I , § 18, ed Elem . di Psicologia
, & VIII . ( 2) Lo stesso è detto negli Elem , di Psicol., 8 VIII in fine.
( 3) Saggio, lib. I , § 32 ; I , 69. II Galluppi riferisce un notevolissimo
passo dell'Emilio di Rousseau ( lib . IV) sul valore del giudizio ; passo che
conferma la parentela che col fllosofo ginevrino ha quello di Koenigsberg . (
4) Ivi, 8 34 ; I , 73. (5) Elem . d'Ideologia , 8 XXIV , ediz . cit ., p. 56 .
232 CAPITOLO VII ragioni, che giudichi, o che percepisca ; talchè « il soggetto
di un giudizio può avere una composizione fisica ed una unità logica ( 1 ) che
gli vien conferita dal pensiero , che appunto sintetizza nella sua unità il
molteplice fisico . Questa unità del pensiero s'addi manda unità sintetica , la
quale se si ravvicina a quella forza analitica e forza sintetica che s'è
accennata , s'intenderà come un'attività distintiva e unitiva insieme . E
un'attività sintetica originaria dell'essere conoscitore appunto è ammessa dal
Gal luppi ( 2 ) . 24. Ora la coscienza di sè coglie adunque l'Io che sintesizza
, uno e semplice, indivisibile. E l'unità sintetica del me, suppone percið
l'unità metafisica del me stesso che « è la semplicità o spi ritualità del
principio pensante. Senza di essa non sarebbe possi bile la scienza, poichè la
scienza suppone la riunione di tutti i pensieri da' quali si compone ; ed
essendo un pensiere distinto dall'altro , come si farebbe l'unione di questi
pensieri senza un centro di unione ? Ove si incontrerebbero i diversi raggi del
sapere ?... L'agente che costruisce, è necessario che abbia tutti i materiali
della costruzione » . « L’io di Newton , ripete qui il Galluppi, che ritrova il
calcolo sublime è lo stesso io che ha ap appreso la numerazione aritmetica.
Senza l'unità metafisica del me non sarebbe possibile l'unità sintetica del
pensiere, e senza l'unità sin tetica del pensiere non sarebbe possibile alcuna
scienza per l'uomo ( 3) . Questa unità sintetica della coscienza originaria ha
una intrin seca parentela , come ognun vede, coll'appercezione originaria di
Kant. Col quale il Galluppi s'accorda nel ritenere che « l'essenza particolare
specifica dello spirito umano > ci è ignota affatto ( 4 ) . 25. Ma data
questa coscienza originaria, che forza analitica e sintetica insieme , tutte le
nostre conoscenze derivano , secondo il Galluppi , dai sensi ? Nel libro I del
suo Saggio filosofico egli , rife rendosi allo scritto del 1807, scrive : « Io
suppongo in tale opu scolo che tutte le idee universali derivano dal paragone
delle particolari ; ma cið non è vero esattamente, poichè vi sono alcune idee
soggettive > (8 40) . La tesi degli empiristi che non ammettono nella nostra
conoscenza se non elementi oggettivi, è insostenibile . ( 1 ) Elem . d'Ideol.,
ivi. ( 2 ) Lettora ad A. Rosmini, Tropea , 23 aprile 1830, nella Sapienza,
rivista di filos. e lettere , fasc . del 15 marzo 1885, p. 165. Cfr. il mio
Rosmini e Gioberti, p. 79. ( 3 ) Elem . d'Ideol., & XXV, pp. 61-2 ; cfr .
Saggio, lib . III , SS 50-1 . ( 4) Saggio, llb. IV , 8 98 , V, 418. PASQUALE GALLUPPI
233 ma In quell'autobiografia intellettuale che è nella quattordicesima delle
sue Lettere filosofiche il Galluppi dice, che il problema della sua filosofia
dell'esperienza fu questo : « Ma lo spirito umano è un agente ; e colla sua
azione non potrebbe forse sviluppare dal suo interno qualche elemento che egli
non riceve , ma che produce ? E questo elemento soggettivo non potrebbe forse
esser tale , che lasciasse intero l'elemento oggettivo , che cooperando collo
stesso non recasse alcun nocumento alla realtà della conoscenza , l'estendesse
e la fecondasse ( 1 ) ? 26. Infatti, questa rimaneva la più grave difficoltà
del Gal luppi contro l'a priori: che l'a priori con la sua soggettività
scalzasse la realtà della conoscenza, come rimproverava a Kant per le forme
dell'intuizione e dell'intelletto e come rimproverava al Rosmini per la idea
dell'Ente indeterminato ( 2) . Perchè egli non ebbe il giusto concetto delle
categorie kantiane , ritenendole quasi preformazioni dell'intelletto . Del
resto , nella critica che fa delle idee innate , pure avendo combattuto nel
primo libro del Saggio l’in natismo di Leibniz , si può ben dire che ne accetti
il principio ne gli Elementi di ideologia (8 XXIII) . Egli distingue idee
accidentali all'intelletto e idee essenziali. Le une non tutti gli uomini
possono formarsele, perchè non a tutti è dato di avere le sensazioni che sono
il materiale donde l'analisi può ricavare coteste idee . Le altre non mancano a
nessun uomo, perchè derivanti da sensazioni co muni a tutti . Sicchè anche le
idee essenziali dell'intelletto pre suppongono l'esperienza ; e « se per idee
innate si vuole intendere idee , che non sono il prodotto della meditazione
(analisi) su i sentimenti (sensazioni) , tali idee non hanno esistenza » . Ma,
« se per idee innate s'intendono quelle idee , di cui ogni uomo porta
costantemente in se stesso i germi per isvilupparle , e che ogni uomo capace di
meditare pud in qualunque luogo ed in qua lunque tempo acquistare , idee che ho
chiamato idee universali all ' intelletto, l'esistenza di siffatte idee mi
sembra incontrastabile ... Noi conveniamo con Locke, che tutte le nostre idee
hanno la loro origine ne' sentimenti : conveniamo ancora, che tutte le idee
sono acquistate ; ma crediamo di dover fare distinzione fra idee generali , e
di ammettere alcune idee per l'acquisto delle quali ogni uomo porta
costantemente in se stesso i materiali necessari; da questi germi, che sono
nello spirito si sviluppano le idee essen ( 1 ) Op. cit . , p. 343. ( 2) Vedi
il mio Rosmini e Gioberti, p. 79 e sgg. 234 CAPITOLO VII ziali al pensiero
umano, e che si ritrovano in tutte le lingue » . Donde è chiaro che il Galluppi
tiene per innate nel senso leibni ziano , di attitudini, disposizioni, germi,
coteste idee essenziali all'intelletto , quali sarebbero le idee di corpo ,
spazio, causa, unità , numero, ecc .; comecchè tutta la sua Ideologia sia una
deduzione di queste e altre simili idee dalle sensazioni. 27. Ma, quali sono
queste sensazioni o sentimenti portati costan temente da ogni uomo in se stesso
? Se ogni uomo li possiede co stantemente, essi sono necessari , essenziali
costitutivi dello spi rito . Lo spirito è questi stessi sentimenti. E come
potrebbe es sere altrimenti, se tali sentimenti devono servire alla formazione
di idee essenziali all'intelletto ( facoltà conoscitiva in generale) ? Il
Galluppi dice, che essi sono i sentimenti « che in qualunque luogo, ed in
qualunque tempo modificano lo spirito di ogni indi viduo del genere umano » ( 1
) . Dunque, essi sono immanenti real mente allo spirito , nè questo si può
concepire senza di essi . Ora tal carattere nella filosofia del Galluppi
compete solo ai senti menti del me e del non me inscindibilmente legati fra
loro , costi tuenti il gran fatto , il Primo, dal quale deve cominciare la filosofia
. « Questo fatto è universale per tutti gli uomini, per tutti i luoghi, e per
tutti i tempi. Il complesso de ' sentimenti racchiusi in questo fatto dee
dunque riguardarsi come essenziale all'umano intendi mento » ( 2 ) . Il quale,
fornito della forza di analisi e di sintesi , può con la sua azione feconda
sviluppare da questi sentimenti e così produrre tutte le idee che gli sono
essenziali ( 3) . Ma la stessa produzione è essenziale , se i prodotti sono
essenziali ; tal chè lo spirito , partendo dall'indistinta e oscura coscienza
del me e del fuor di me, non raggiunge il grado dell'intelletto , se non per
questa spontanea produzione che fa , mediante l'attività ond'è for nito , delle
idee di sostanza, causa , corpo, spazio , tempo , unità , numero , ecc. , di
cui ha in sé i germi indefettibili. 28. Intorno al valore di questo virtuale a
priori del Galluppi si può esser tratti in inganno da certe sue espressioni,
dalla sua polemica contro l'innatismo, dal bisogno da lui così spesso e for
temente affermato dell'esperienza, che è esperienza sensibile, come unica
sorgente delle conoscenze reali . Ma bisogna attender bene al valore della
sensibilità nella teoria del Galluppi . La sua sen sibilità è coscienza , è
sentir di sentire , è l'unità ancora indistinta di soggetto ed oggetto, che
egli concepisce come Primo attivo e ( 1 ) Saggio , lib. III , § 49. Ivi. ( 3)
Ivi. PASQUALE GALLUPPI 235 produttivo ; di cui vedremo quanto si gioverà a
fondare l'ogget tività del conoscere . Ora , dato questo Primo come coscienza
sen sibile , egli non può ammettere più un intelletto opposto al senso e ricco
a priori di determinazioni dal senso indipendenti. Perchè l'intelletto è uno
sviluppo del senso e le sue determinazioni es senziali non possono non essere
contenute virtualmente nel senso insieme con l'attività che possa dallo stato
virtuale portarle al l'attuale , fecondandone i germi. E questo è , come tutti
sanno ora o dovrebbero sapere, il vero concetto dell'a -priori kantiano ,
preparato dalle virtualità innate di Leibniz ; e in que sto concetto il
Galluppi evidentemente sorpassa e si lascia addietro il kantismo volgare,
com'egli l'intese e come tuttavia si vuol sostenere dai neocrịtici , che
concepiscono senso e intelletto in assoluta opposizione , in un dualismo
inconciliabile . Questo punto della filosofia del Galluppi non è stato studiato
e apprezzato ancora abbastanza ( 1 ) . La idea essenziale del Galluppi
corrisponde preci samente all ' acquisitio originaria , con cui Kant definiva
il suo a priori nella famosa lettera all'Eberhard, come l'idea accidentale
all'acquisitio derivativa . Sono idee acquisite le idee essenziali come tutte
le altre idee ; ma esse sono le acquisizioni originarie che la coscienza fa per
la sua propria attività salendo al grado del l'intelletto . 29. Fermata questa
teoria , il Galluppi ha ragione di scrivere : « Io non ho ammesso idee
anteriori a ' sentimenti, in modo che non gli suppongano neppure come
condizione ; ma ho ammesso alcune idee essenziali all'intendimento , ed ho
stabilito questa dottrina sopra solidi fondamenti... lo nego le idee innate nel
senso di idee anteriori ed indipendenti assolutamente da' senti menti ; io le
ammetto nel senso di idee naturali, o d'idee per l'acquisto delle quali si
possiede una disposizione o virtualità naturale » ( 2) . E poichè così viene a
dire il medesimo del Kant bene inteso , a me pare che abbia pur ragione di
soggiungere : « Io dunque credo di aver trovato il mezzo di conciliazione fra i
due sistemi contrari su la formazione delle nostre idee » ; come è merito reale
di Kant, che naturalmente il Galluppi non poteva riconoscere , di avere operato
siffatta conciliazione del puro em pirismo e del puro intellettualismo . ( 1 )
Il meglio che se ne sia detto sono le tre pagine dello SPAVENTA, nella sua mo moria
Kant e l'empirismo ( 1880) , rist . in Scrilti filosofici, Napoli, Morano,
1900, pp . 81-114. (2) Saggio , lib. III , 8 86 ; tom . III , pag. 303. 236
CAPITOLO VII 30. Per fare intendere meglio la propria dottrina il Galluppi la
raffronta a quella del Leibniz. Conviene con l'autore dei Nuovi saggi
sull’intelletto che lo spirito non è tabula rasa ; « che vi sono molte idee,
che lo spirito ricava dal fondo del proprio essere , meditando (1) sul
sentimento di se stesso » ; non solo gli accorda che sono in noi queste
disposizioni e virtualità naturali, ma am mette certe modificazioni passive o
sia i sentimenti, che contengono i materiali o le condizioni di tutte le idee
naturali ( 2) . E, dichia rando meglio la dottrina del Leibniz , ripete che
riconosce con lui esservi « molte idee essenziali all'intendimento , che
l'anima non ha bisogno di ricavare dalle impressioni de ' sensi esterni, ma che
può ricavare dal proprio fondo » ( 3) . Le idee sono innate come attitudini o
virtualità naturali. E questo ritiene anche il Gal luppi. « Ma io non mi
contento di rimanermi in idee vaghe : io determino le mie espressioni. L'anima
nostra ha un'attitudine , una preformazione naturale per alcune idee ; poichè :
1. ° ella ha originariamente ed incessantemente i sentimenti necessari a for
marsi tali idee ; 2. ° questi sentimenti sono i materiali delle idee , o le
condizioni indispensabili per le idee ; 3.0 l'anima ha origi nariamente nella
sua natura le facoltà necessarie per formarsi tali idee ; 4. ° l’anima ha in sé
originariamente la disposizione, che pone in esercizio le facoltà elementari
della meditazione » ( 4 ) . 31. Data questa dottrina, ch'egli ben dice non
potrebbe esser contrastata dalla stessa scuola di Locke , s'intende agevolmente
perchè il Galluppi continui sempre , in tutte le opere sue , a com battere l'a
- priori kantiano , inteso come parte di conoscenza già formata avanti
all'esperienza ; esperienza , che era per lui , come vedremo, la sorgente
dell'oggettività, della realtà del sapere umano . La filosofia è essenzialmente
dommatica, egli ha detto ; e kan tismo per lui significava scetticismo, in
grazia appunto di quel l'a -priori soggettivo, anteriore ad ogni esperienza,
onde reste rebbe inquinata, secondo la teoria di Kant, tutta la conoscenza.
Pure riuscì anch'egli a certe idee soggettive , che ammise come costitutive
della conoscenza , e innocue , benchè soggettive, allá realtà di essa . Quali
sono cotali idee ? 32. Per rispondere a questa domanda bisogna dare un cenno
delle sue teorie dell'analisi e della sintesi . Queste due facoltà non sono
soltanto , come s'è visto , il fondamento di ogni giudizio , ma ( 1 )
Meditazione dice il Galluppi l'analisi e la sintesi insieme. ( 2) Ivi, pp.
305-6 . ( 3) Ivi, p. 309. (4) Ivi, pag . 812. PASQUALE GALLUPPI 237 il fondamento
anche di ogni idea universale. Giacchè ogni idea universale nasce dalla sintesi
degli elementi comuni che l'analisi discopre in più percezioni simili.
L'analisi e la sintesi sono quindi le forze produttive di tutto il conoscere.
L'analisi precede ; segue la sintesi . L'una si presenta sotto quattro forme :
come atten zione propriamente detta , quando lo spirito si ferma a considerare
un solo degli oggetti fornitigli dal senso , escludendo tutti gli al tri ; come
attenzione parziale, quando lo spirito contempla soltanto una parte dell'intero
oggetto , che gli si rappresenta ; come astra zione modale , quando lo spirito
separa il modo dal soggetto cui inerisce ; e come astrazione del soggetto, nel
caso inverso (1), 33. La sintesi è di tre specie : sintesi reale, quando lo
spirito unisce ciò che gli vien dato congiunto dalla esperienza, cioè la
relazione tra il soggetto e le sue modificazioni, o quella tra causa ed effetto
( epperò v'ha propriamente due specie di sintesi reale) ; sintesi ideale oggettiva,
quando scopre relazioni logiche tra oggetti reali ; sintesi ideale soggettiva ,
quando scopre , come avviene nelle matematiche pure, relazioni logiche tra idee
nostre , non imme diatamente forniteci dall'esperienza ( 2) ; cioè le relazioni
tra le idee generali . 34. La siņtesi non può riunire se non per rapporti , le
cui no zioni devono essere possedute dallo spirito , a mo' di categorie . E
alle quattro maniere di sintesi corrispondono quattro nozioni di rapporti , le
quali, per ciò che s'è osservato, dovrebbero essere di lor natura tutte
soggettive : e sono le nozioni di sostanza , causa , identità e differenza ;
idee essenziali all'intelletto umano, « sem plici vedute dello spirito , le
quali derivano dalla sua facoltà di sintesi » (3) . 35. Rapporto, come aveva
notato il Laromiguière nelle sue Le zioni di filosofia, è l'atto della
comparazione o l'idea che risulta da questo atto . « Ora se la comparazione ,
dice il Galluppi, è una sintesi , e se il risultamento di questa sintesi è
un'idea che non ( 1 ) Elementi di psicologia , $ 25 ; Saggio , lib. II , capo ,
$ 139 . ( 2) Saggio , lib. II , cap . XI, $ 147. Il Galluppi distingue ancora
la sintesi immagi nativa come « la facoltà di riuscire in una percezione
complessa , alla quale non corrisponda alcun oggetto naturalo, diverse
percezioni di cui ciascuna ha un oggette naturale fuori dell'attuale
combinazione ( Saggio , ivi, $ 148, e Psicologia , $ 35) . Ma s'intende cho
questa sintesi non ha valore teorico o conoscitivo, ma solo pratico od estetico
. ( 3 ) Saggio, lib. III , § 46. Alcune dello idee semplici, dice ivi più sotto
, « sorgono dall'attività sintetica e queste sono i rapporti > . 238
CAPITOLO VII risulta da un'impressione, e che non ha percið un oggetto reale al
di fuori, segue che vi sono idee semplici, le quali sono sola mente soggettive
ed un prodotto della sintesi » ( 1 ) . Suppongono le sensazioni, ma sono
prodotti semplici dell'attività sintetica dell'in telligenza. Infatti seguono,
come ogni idea di rapporto , al para gone , che è un'azione dello spirito . «
Pel paragone non basta che si abbiano nello spirito insieme due percezioni : è
necessaria l'a zione che riferisce l'una all'altra » ( 2 ) . Parrebbe adunque,
che le idee dei rapporti, queste vedute dello spirito , o modi della sua attività
sintetica, non differissero punto dalle categorie kantiane . Ma l'autore
afferma recisamente il contrario . Non vuole aver nulla di comune con Kant;
vuol fondare una vera filosofia dell'esperienza , e afferma come una delle
esigenze ineluttabili della filosofia , che la connessione fra le esistenze ,
per cui è possibile la scienza , non deve essere una creazione dello spirito ,
bensì un dato dell'esperien za ( 3 ) ; cioè del senso , che per lui , come
vedremo, è norma dell'og gettività del conoscere . Insomma, nota un suo critico
, gli elementi soggettivi ammessi dal Galluppi son sempre determinati da
qualche cosa di reale che si trova negli oggetti ; e Kant percið è scettico ,
Galluppi no ( 4 ) . 36. Ed in verità esso, il Galluppi, scrive che la stessa
connes sione deve essere un dato dell'esperienza , quando si tratta di og getti
esistenti che dan luogo alla sintesi reale : e che questa sin tesi « riunisce
gli elementi reali di un oggetto reale ; e li riunisce perchè li trova
realmente riuniti. Così, dicendo : Io son sensitivo, riunisco al me le
sensazioni : ora tanto l'io che le sensazioni son cose reali , e realmente le
sensazioni son cose reali, c realmente le sensazioni sono unite al me.
Quest'unione non è dunque l'opera del mio spirito : io non posso fare altro che
conoscerla distinta mente . Questa sintesi copia dunque, dirò così , la realtà
delle cose, ed è per cid che io la chiamo sintesi reale » ( 5) . 37. Or dunque,
queste idee di rapporti sono o non sono un pro dotto dell'attività sintetica del
soggetto ? Qui , s'è detto , havvi una flagrante contraddizione. Sentire un
rapporto, secondo il Galluppi è un espressione assurda ; e la connessione delle
esistenze , che è un rapporto necessario , non si potrebbe sentire ; eppure si
deve . « Se fosse creata da noi cotestà connessione , scrive il Fioren ( 1 )
Saggio, lib. III , § 47. ( 2) Saggio , lib. II , 8 147. ( 3) Saggio, lib. II ,
& 74. ( 4) LASTRUCCI, Op. cit . , p. 213. ( 5) Saggio , lib . II , § 146 ;
cfr . Psicologia , & XXXI. PASQUALE GALLUPPI 239 tino (1), la realtà della
scienza sfumerebbe ; e Galluppi , impaurito delle conseguenze, contraddice ai
suoi principii . Il nesso tra il me, sostanza , e le sue sensazioni , tra la
sensazione e la causa esterna, cotesto doppio rapporto è sentito . Ei non osa
dire sen tito , e dice : è dato » . La questione è importante e merita ogni più
seria considerazione . 38. Prima di tutto bisogna distinguere , come fa il
Galluppi , le due nozioni di causa e di sostanza , da quelle di identità e
diver sità. Le une sono un prodotto della sintesi reale , le altre della ideale
; le une sono dei veri rapporti reali , le altre semplici rap porti logici .
Ora questi rapporti logici sono veramente creati dallo spirito , nascono per
l'attività di questo , sono idee dello spirito e nulla fuori di queste idee (
2) . Di esse l’autore dice che « lo spi rito non riceve dal di fuori questi
elementi semplici ed essenziali delle sue conoscenze , ma li ricava dal proprio
essere » ( 3) , cioè li produce . Esse corrispondono appuntino alle categorie
kantiane . Nè vale opporre , come altri ha fatto ( 4) , che anche questi
rapporti presuppongono l'esperienza, e ricevono da questa i termini , fra cui
intercedono . I termini fuori del rapporto , ho detto altrove, cioè prima del
rapporto , sono termini del rapporto ? E si badi che dell'esperienza il
Galluppi ha un concetto tutto kantiano, perchè essa consiste , secondo lui , «
nel giudizio , il quale vede un rap porto fra i nostri sentimenti » ( 5) . 39.
Il solo errore del criticismo , che ha de ' semi preziosi di verità, consiste
nell’aver troppo generalizzato riguardando « tutti i modi di connessione fra le
nostre percezioni come soggettivi » , negando la sintesi reale, confondendo
l'esperienza primitiva, cui la sintesi reale dà luogo, con l'esperienza
secondaria , scientifica e comparata , che è produzione soggettiva della
sintesi ideale . Dunque, a confessione del Galluppi stesso ( 6) , egli è
schietta mente kantiano nella teoria della sintesi ideale , come attività sin
tetica generatrice delle due idee di rapporto , identità e diversità ,
all'occasione delle sensazioni , che ne sono condizione indispen sabile . ( 1 )
La filos. contemp. in Italia, Napoli , Morano , 1876, p . 195. ( 2) Psicologia,
8 32. ( 3) Saggio, libro III , § 77. ( 4) LASTRUCCI, p. 213. Il GALLUPPI ( lib.
III , $ 77 del Saggio) non parla di esperienza , ma di sensazioni, supposte
cronologicamente como a condizione indispensabile » delle idee d'identità e
diversità . (5) Saggio , III, 76. ( 6) Vedi anche Lettere filosof ., XIV , p.
347. 240 CAPITOLO VII - 40. Soggettive pur sono le idee di causa e di sostanza
. Ma il Galluppi distingue fra soggettivo e soggettivo . V'ha, egli dice , il
soggettivo rispetto all'origine, e v’ha il soggettivo rispetto al valore ; e
altrettanto dicasi dell'oggettivo. Altra è la questione dell'origine delle
conoscenze , altra è la questione della realtà loro . « Io dichiaro , scrive
l'autore , che per oggettivo in tendo ciò che nelle nostre cognizioni deriva
dagli oggetti che si conoscono, e per soggettivo ciò che nelle stesse deriva
dal soggetto conoscitore . Questi due vocaboli si prendono ancora in un altro
senso, quando si parla della realtà delle nostre conoscenze : l'og gettivo
dinota allora quell'elemento della nostra conoscenza , a cui corisponde una
realtà in sè , ed il soggettivo dinota ciò a cui non corrisponde nessuna realtà
» ( 1 ) . Dunque le idee di causa di sostanza sono soggettive per l'origine, ed
oggettive rispetto alla realtà, epperò si dicono relazioni reali , laddove,
quelle di identità e di diversità sono soggettive , e per l'origine e pel
valore , e son dette perciò semplici relazioni logiche . E però resta fermo,
che anche le idee di sostanza e di causa siano un prodotto dell'attività sin .
tetica dell'intelligenza, perchè da essa derivano ; il senso è inca pace di
darcele . Se non che esse, invece di avere un semplice valore logico , hanno
una corrispondenza nella realtà , pel nesso, che è tra la sostanza e i modi,
tra la causa e l'effetto . 41. Ma il Galluppi dice che il rapporto della
sintesi reale ( sia di causa , sia di sostanza ) è dato dall'esperienza . Si ,
ma devesi inten dere, dato rispetto alla realtà oggettiva di cotesto rapporto.
Dato in quel luogo del Galluppi , che pur bisogna metter di accordo con tutta
la sua dottrina, vale solo oggettivo (rispetto al valore). 42. La difficoltà
vera è la seguente : come ciò che è soggettivo rispetto all'origine , può
essere oggettivo rispetto al valore ? Que sto è lo scoglio della filosofia
della esperienza propugnata dal Gal luppi ; ma è pur uopo notare i grandi
sforzi fatti da lui per evi tarlo. S'egli si fosse sempre ricordato
dell'osservazione, dianzi ac cennata , relativa alla comune definizione delle
idee : che cioè non bisogna separare ed opporre oggetto a soggetto, ove non si
vo glia incorrere nello scetticismo , non avrebbe avvertita nessuna dif ficoltà
in questa questione della sintesi , circa la soggettività della sua origine e
l'oggettività del valore. Egli non avrebbe concepito un'oggettività distinta
dalla soggettività. ( 1 ) Saggio, lib . III , $ 46 ; tom . III , p. 159-60 .
PASQUALE GALLUPPI - 241 43. Di quell'osservazione fondamentale si ricorda
certamente nella sua teoria dell'oggettività di tutte le sensazioni, quando af
ferma che la sensazione è la intuizione dell'oggetto , e sog giunge : « Per non
far nascere equivoco in una materia molto importante, io chiamo intuizione la
percezione immediata dell'og getto , in modo che l'esistenza della percezione
supponga neces sariamente quella dell'oggetto . Se ogni sensazione è di sua na
tura la percezione di un oggetto esterno al principio sensitivo ( 1 ) , se
quest'oggetto non è rappresentato dalla sensazione, esso è dunque reale, come è
reale la sensazione. La realtà dunque del l'oggetto sentito mi è data dall'atto
della coscienza ; il quale mi . dà la realtà della sensazione : ecco dunque la
realtà esterna fra le verità primitive di fatto ; ecco risoluto uno dei
problemi fon damentali nella critica della conoscenza » ( Saggio, lib . II , §
71 ) . In tutta la teoria dell'oggettività del conoscere si può dire adun que,
che il Galluppi confermi ciò che aveva detto fin dal primo capitolo del suo
Saggio circa la coscienza, o conoscenza prima , conoscenza del me e dei suoi
modi ; coscienza fatta consistere appunto in un'intuizione immediata, tale che
« fra questa perce zione e gli oggetti percepiti non v'ha alcun intervallo » .
Pare che per tutta la sfera della conoscenza immediata ei sia disposto a
chiedere, come aveva chiesto infatti a proposito della comune definizione delle
idee in generale: « Se gli oggetti, se la regione dell'esistenza son separati
dallo spirito , chi getta un ponte per passare dal pensiero all'esistenza ,
all'oggetto ? » - Argomento insolubile, com'egli dice , ai filosofi dommatici.
44. Senso ed oggetto , sia che si tratti di senso intimo o di senso esterno ,
non si possono scompagnare. Il senso è la misura adeguata e sicura della
realtà, comecchè il dato del senso debba poi venire elaborato dalla forza
analitica e sintetica dello spirito onde si perviene alle idee e a'giudizi. Il
senso costituisce , per le idee e i giudizi cui dà luogo, l'esperienza
primitiva o imme ( 1 ) Il Galluppi non ammette l'incosciente : « La scuola di
Leibniz ammotte delle percezioni di cui non si ha coscienza : alcuni Allosofi adottano
questa opinione ; ma molti altri, co' quali io son d'accordo, non ammettono
alcuna percezione, di cui non si abbia coscienza ... Non si può percepiro alcun
oggetto come un fuor di me, senza perco pire il me, poichè la percezione di un
di fuori è ossenzialmente la porcezione di più oggetti ; se non vi ha due
oggetti , non vi è un di fuori. Se la percezione di un ſuor di me non è
possibile senza quella del me, segue che non possono esservi nello spirito
delle percezioni senza osser sentite ) . Elem . di psicologia , 8 XVII. 16 242
CAPITOLO VII diata ( 1 ) ; immediata rispetto all'oggetto , in cui s'appunta
imme diatamente nella intuizione. Dall'esperienza primitiva va distinta poi la
comparata, o derivata o secondaria , la quale consta dei giu dizi d'identità o
diversità che noi portiamo sulle idee offerteci dalla primitiva esperienza :
giudizi d'un valore puramente logico e soggettivo . I giudizi della esperienza
immediata hanno per og getto gl'individui . Questa acqua ha la qualità di
estinguer la sete . Questo calorico liquefà la neve vicina . Sono giudizi
particolari, che non si possono generalizzare, nè possono costituire
l'esperienza secondaria , fondamento delle scienze , se con le impressioni
sensibili , coi dati oggettivi non si combinano quegli elementi soggettivi ,
che sono le due vedute dell'identità e diversità . Per dire la propo sizione
generale : l'acqua estingue le sete , - io devo, in seguito alle successive
esperienze delle varie acque che m'hanno estinto la sete , comprendere sotto
una nozione generale tutte queste acque , e le azioni loro di estinguer la sete
; il che significa che lo spirito dee vedere un rapporto d'identità fra questi
soggetti particolari e fra le loro particolari qualità ( 2) ; rapporto
d'identità che il senso non mi può fornire ; perchè esso non mi dà che
successivamente le singole acque. 45. Della scienza si potrà dire giustamente
che è una costru zione soggettiva per mezzo dei materiali offerti dalla
esperienza primitiva. Il Galluppi, in verità , non può attribuire altro valore
che questo , che è il kantiano , alla scienza. Se la conoscenza vera della
natura ci vien fornita dalla scienza , anch'egli deve dire.col Kant, che lo
spirito , legando gli sparsi caratteri datigli dal senso , costruisce il gran
libro dalla natura . Eppure.egli ritiuta ( Saggio , III , S 83) una tal
soluzione. « La distinzione delle due esperienze, egli dice , è della più alta
importanza, per determi nare il valore delle nostre conoscenze » ( $ 78) . È
della più alta importanza, perchè se i rapporti di sintesi ideale
nell'esperienza derivata sono soggettivi , quelli di sintesi reale nell'altra
espe rienza sono essenzialmente oggettivi; in questa esperienza (pri mitiva )
l'esistenze son date allo spirito : egli ne è spettatore , e non il conoscitore
: una connessione fra l'esistenze gli è anche data : egli dee conoscerla , non
ispiegarla o comprenderla » (S 83) . Ma questa distinzione non tocca punto la
soggettività della scienza , in quanto prodotto della sintesi ideale ; anzi la
conferma. Il Gal ( 1 ) Saggio , lib. III , $ 78, tom . III , p. 275 . ( 2)
Soggio, loc . cit. PASQUALE GALLUPPI 243 luppi nella epistemologia è un
kantiano puro. Checchè egli ne dica , tale è la sua dottrina. 46. Ed ecco la
stridente contraddizione cui lo condusse il suo voluto sperimentalismo. La
scienza , la parte più certa della cono scenza, è soggettiva ; e la conoscenza
sensibile è di sua natura oggettiva ; che , per lui , è come dire che la
scienza è rosa dal tarlo dello scetticismo , laddove l'esperienza sensibile è
certa e reale . Le conoscenze necessarie ed universali , che sono il pernio di
ogni specie di conoscenze, hanno un valore puramente logico, e le conoscenze
contingenti e particolari sono reali . Il che avrebbe dovuto condurre il
Galluppi al più schietto nominalismo ; perchè se le nostre conoscenze veramente
oggettive , sono quelle dateci dai giudizi particolari dell'esperienza
immediata, sfuma la realtà dell'universale . E un realista il Galluppi
certamente non Egli combatte tuttavia l'empirismo nominalistico di taluni
seguaci del Locke, come l'Helvetius , i quali negano le idee universali , asse
rendo che quelle, che tali appariscono , non sono se non termini generali ,
vocaboli vôti di senso . « Perchè , dice il Galluppi , al ve dere un uomo che
non abbiamo giammai veduto , noi diciamo è un uomo ? Se non avessimo un'idea
universale di questa specie, come vi rapporteremmo quest'individuo ?
L'esistenza delle idee universali nello spirito è talmente attestato dalla
intima coscienza , che si dura fatica a supporre che vi sia stato chi l'abbia
contra stata » ( Saggio, $ 27 , lib . I ) . Nè anche il Locke , secondo il Gal
luppi ( 1 ) , nega le idee universali ; e come Locke egli è concettua lista .
Siamo sempre lì : la cognizione universale , scientifica ha sì un valore , ma
un valore logico . 47. E al Rosmini , che gli dichiarava in una sua lettera di
non vedere « come dal soggetto possa venire l'universalità e la neces sità
delle cognizioni . Il soggetto è essere particolare e contingente, e non può
produrre un effetto maggiore di sè » ; egli rispondeva, che la necessità che ha
luogo nelle cognizioni, è una semplice « legge logica del pensiero umano » , da
non confondersi con la ne cessità metafisica; legge logica espressa dal
principio di contrad dizione , e , come ogni altra modificazione dell'anima
nostra , me ramente soggettiva . E aveva un bel ribattere il Rosmini , che la
necessità logica e la necessità metafisica non sono in fondo che una sola
necessità ( in questo punto è tutta la novità, non pic ( 1 ) Cita il lib. III ,
cap. 3. ° del Saggio , dove il Locke spiega la gonesi delle idee universali .
244 CAPITOLO VII cola , – del Rosmini verso il Galluppi) : « Io non suppongo
mica, replicava il Galluppi, che vi sia una necessità metafisica distinta dalla
necessità logica ; ma solamente combatto quei filosofi che riguardano quella
necessità, che è meramente logica , come una necessità metafisica , che
trasformano la prima nella seconda..... L'origine di tal necessità ( logica )
mi sembra già determinata ; essa è nella natura del soggetto ..... noi non
dobbiamo cercarne la causa efficiente, ma arrestarci alla causa formale di tal
neces sità » ( 1 ) . La sua scienza , perciò abbiamo detto altra volta , come
quella di Kant, s'è chiusa nella cerchia invalicabile del fe nomeno ; sicchè
egli riesce , per la scienza, a quel criticismo che voleva correggere . 48. Gli
sarebbe bastato estendere la - sua teoria della sensibi lità o meglio
dell'esperienza primitiva alla esperienza secondaria . Non l'ha fatto , perchè
gli premeva salvare la realtà del mondo esterno ; e così s'è messo in
disaccordo con se stesso , accoppiando al criticismo puro dell'epistemologia il
più crudo dommatismo nella gnoseologia. I due elementi in lui non si fondono, e
un'in tima contraddizione travaglia tutta la sua filosofia. 49. Infatti ammessa
giustamente come soggettiva l'origine della nozione che abbiamo della
connessione reale delle cose ( come sostanza o come causa , sussistenza, egli
dice per lo più, ed effi cienza ), il valore oggettivo delle medesime non può
essere e non è infatti nel Galluppi, che una semplice affermazione dommatica.
La percezione del me è la percezione di un soggetto con le sue modificazioni.
Sicchè, egli dice , nella coscienza del me , – che è il principio della nostra
filosofia , è data « 1. ° la connessione fra la percezione e l'oggetto ; 2.º
fra il soggetto e la modificazione ; 3." fra la causa e l'effetto , il che
vale quanto dire , che in questo fatto primitivo ci è data la base della
filosofia , e la realtà delle nostre conoscenze » ( 2 ) . Su per giù , è sempre
questa la dimostra zione data dal Galluppi della realtà delle connessioni tra
sostanza e modi, tra causa ed effetto. Le connessioni sono reali, perchè il me,
termine reale della coscienza è soggetto (sostanza ) di modifi cazioni, e
queste modificazioni a lor volta sono effetto dell'azione del mondo esterno .
Ma i termini noi possiamo percepire, non i rapporti: e i termini in quanto
connessi nel loro rapporto non pos siamo percepirli , se non applicando ad essi
quelle nozioni di rap ( 1 ) Rosmini e Gioberti, pp. 77-80 . ( 2 ) Saggio , lib
. II , 8 74 ; tom . II , p . 161-2. PASQUALE GALLUPPI 245 porto , onde già
dobbiamo essere forniti. Chi ci garantisce che i rapporti, che con queste
nostre vedute, di origine soggettiva , noi scorgiamo tra i termini percepiti ,
abbiano un fondamento ogget tivo ? Chi ci costruisce questa volta il famoso
ponte di passaggio dal soggetto all'oggetto ? Chi ci sottrae a quell'argomento
inso lubile ? Il dommatismo è evidente . 50. C'è un passo, nel terzo libro ( 1
) del Saggio, contro la sin tesi a priori di Kant , che merita qui speciale
considerazione. « Il filosofo di cui parliamo, – scrive il Galluppi, ha confuso
l'operazione sintetica co'suoi prodotti, che sono le percezioni del rapporto
fra le idee paragonate. Allora che lo spirito rapporta un termine della
relazione all'altro, egli esegue una sintesi, la quale è il principio
efficiente che pone un termine rapportato. Lo spi rito nel termine rapportato
vede un rapporto, ed esegue con ciò un'analisi , indi unisce questo rapporto ,
che aveva separato dal termine rapportato allo stesso termine, e compie il
giudizio. Lo spirito , prima della comparazione, non aveva che il termine della
relazione : dopo la comparazione ha un termine rapportato : l’atti vità
sintetica ha dunque posto dal suo fondo, nel termine della relazione , il
rapporto , e questo rapporto è un elemento sogget tivo aggiunto all'oggettivo »
. - Quale che sia il valore di questa osservazione contro il giudizio sintetico
a priori ( io non credo che ne abbia alcuno ; chè il giudizio è già avvenuto
con quella prima operazione dell'attività sintetica , che consiste nel
rapportare i termini), certo è notevole e giusto il concetto del soggettivismo
dei rapporti accennato qui dall'autore ; ma vi apparisce pure evidente falso
concetto che ei s'è formato dell'oggetto . Ter mine e termine rapportato son
cose differentissime; il primo è un dato , il secondo è il prodotto di quel
principio efficiente, che è la sintesi . Ma il termine è termine in quanto è
termine rapportato ; sicchè il termine si può dire che venga posto , rità ,
dall'attività sintetica dello spirito . E questa è la dottrina di Kant. Ma se
il Galluppi ne avesse piena consapevolezza , non do vrebbe dire , che lo
spirito PRIMA della comparazione non aveva che il termine della relazione. No ,
non aveva niente : non c'è prima il termine , l'elemento oggettivo, a cui dopo
venga ad ag giungersi l'elemento soggettivo, il rapporto : termine e rapporto
nascono ad un parto, nè lo spirito può percepire il termine della relazione ,
senza il rapporto , nè questo rapporto è nulla di con ( 1 ) $ 81 ; tom. III ,
pag. 283. 246 CAPITOLO VII creto fuori dei termini ai quali viene applicato .
Questo prima e questo dopo, di cui parla il Galluppi, accusano quella
separazione di oggetto e soggetto, quella opposizione da lui già criticata come
punto di partenza donde non sia dato arrivare a una conoscenza certa . 51.
Sicché , anche per le nozioni di identità e diversità ( alle quali , s'intende
, egli si riferisce nel passo ora citato) il Galluppi si di batte nelle strette
della soggettività , come qualcosa di differente e assolutamente opposta a
quella oggettività , che s'era proposto di fondare contro il criticismo
kantiano. Ma le sue velleità empi ristiche rompono sempre in quel principio
fondamentale della co scienza di sè , preso dalla filosofia di Cartesio, onde
si nutrì , come abbiamo notato , la mente di lui nel suo primo periodo
speculativo . E la conclusione del Saggio filosofico è che tutti i motivi dei
no stri giudizii (senso intimo, sensi esterni, evidenza, memoria, razio cinio e
testimonianza degli altri uomini) « hanno per motivo me diato ed ultimo il
senso intimo » : e quindi « tutta la scienza dell'uomo riposa su la base unica
della coscienza di se stesso, e chiunque tenta di toglier questa base è
indegno, che si ragioni con lui ; poichè non si ragiona col nulla » ( 1 ) . E
così nella chiusa delle Lettere filosofiche: « Io ho poggiato – dichiara
l'autore su la veracità della coscienza la veracità di tutti gli altri nostri
mezzi di conoscere ... ; non si può supporre la veracità di alcun mezzo di
conoscere senza supporre la veracità della coscienza, e supponendo la veracità
della coscienza , la veracità di tutti gli altri nostri mezzi di conoscere
segue necessariamente . Così , secondo me, l'aliquid inconcussum è nella
coscienza, ed essa è la base di tutto il sapere umano » ( 2) . 52. Ma se si
ricordasse sempre, che principio e aliquid incon cussum è la coscienza, il
Galluppi non dovrebbe parlare mai di quella oggettività indipendente dal
soggetto , alla quale vuol ripor tare le relazioni di sostanza e di causalità ;
e in verità non riesce a scoprirne che una origine soggettiva e a darne una
giustifi cazione, come s'è visto , fondata unicamente sul sentimento del me. Si
potrebbe dire , che egli parla di un oggetto soggettivo for nitoci dalla
sensazione, che da lui è detta di sua natura oggettiva . Egli , infatti,
rigetta la distinzione di qualità primarie e secondarie, come arbitraria e falsa
, e sostiene che tutte le nostre sensazioni ( 1 ) Saygio, lib . IV, § 3 ; tom .
V , p. 58 . ( 2) Ediz . cit. , p. 348 . PASQUALE GALLUPPI 247 soggettive , nè
più nè meno di quel senso del tatto , in cui Con dillac indicava il filo
d'Arianna col quale si potesse uscire dal labirinto della soggettività, «
convengono in ciò , che tutte sono le percezioni di un soggetto esterno ; son
differenti, poichè sono i modi diversi di percepir questo soggetto : questi
modi diversi di percepirlo costituiscono per noi le diverse qualità degli
oggetti esterni , le quali sono perciò i diversi rapporti di questi oggetti con
noi » ( 1 ) ; e che, « qualunque ipotesi si adotti su la natura de ' corpi , è
incontrastabile che il mondo dei corpi non esiste nel modo in cui ci apparisce
; e che noi non conosciamo dei corpi se non le qualità relative » , talchè il
pensiero bensì è una realtà in sè ( 2) , « ma l'estensione non è almeno certo
se sia una realtà o un fenomeno » ( 3 ) e addirittura « la conoscenza che noi
abbiamo de ' corpi è meramente fenomenica > ( 4 ) . E però il Galluppi non
può parlare se non di un oggetto soggettivo , di un oggetto termine essenziale
del soggetto . 53. Ma allora perchè contrapporre oggetto a soggetto , e sin
tesi reale a sintesi ideale ? Siamo sempre nella sfera del soggetto, e
l'attività sintetica dello spirito darà luogo sempre a una sin tesi ideale .
Dov'è il punto di separazione tra la res e l'idea ? Non rampollano entrambe
dalla coscienza di se ? 54. Per metter d'accordo Galluppi con se stesso dovremmo
dire , che quello che ei dice sintesi reale e sintesi ideale non siano se non
due gradi della sintesi soggettiva, qualche cosa di simile della sintesi di
primo e di secondo grado, che lo Spa venta e il Tocco han rilevate in Kant.
Vale a dire , bisognerebbe anche la sintesi reale ritenere pura operazione
soggettiva; ma non tanto soggettiva quanto la ideale, perchè l'una si esercita
su una relazione che la coscienza , questo ultimo motivo , questa. norma
suprema della verità , attribuisce al mondo esterno, lad dove l'altra non
ragguaglia che termini aventi un valore logico . La sintesi reale coglie,
diciamo così , i rapporti degli individui , in cui , secondo il Galluppi,
consiste la realtà ; la sintesi ideale co glie , invece , i rapporti che
intercedono tra le idee generali, già formate per la forza analitica e
sintetica dello spirito . Di modo che la materia della sintesi reale è
oggettiva, nel senso che di ( 1 ) Elem , di Psicologia , S XVII , pp. 27-28 . (
2) Non vi ha fenomeni nel santuario del mio essero , dice il GALLUPPI, Saggio,
lib . IV , § 4 ; tom . V, p. 63. ( 3) Iri. ( 4) Saggio , lib. IV , S 100 ; tom
. V, p. 420. 248 CAPITOLO VII cemmo poter avere pel Galluppi l'oggetto ; e la
materia della ideale è una pura formazione soggettiva. E se la coscienza ha da
es sere sempre la fonte della verità , se noi non possiamo parlare di altra
verità , se non di quella che tale apparisce alla coscienza , i rapporti che si
scoprono dall'attività sintetica nella materia og gettiva saranno rapporti
reali, e si potrà pur dire che siano og gettivi pel valore ( poichè il valore è
attestato dalla coscienza) ; e i rapporti che dalla stessa attività sintetica
si scoprono nella materia soggettiva, non possono avere più che un valore
logico , perchè sono rapporti di concetti, ci concetti nel concettualismo del
Galluppi non sono reali . Alla coscienza i rapporti appariscono tali quali
appariscono i termini che essi connettono ; fra termini oggettivi , rapporti
reali; fra termini astratti e soggettivi , rap porti ideali . I termini infatti
non possono essere percepiti per quel che sono, se non coi loro rapporti, coi
quali e pei quali vengono ad essere quei dati termini. 55. Ma allora non
bisogna separare la facoltà dell'analisi e della sintesi da quella della
sensibilità ( o coscienza ), come fa il Galluppi ; perchè la sensibilità come
tale non potrà mai percepire un rapporto , come bene ha avvertito il Galluppi
stesso . Allora bisogna andare molto più addentro , che questi non sia andato ,
nel concetto dell'unità del me. 56. Certo è che il Galluppi, mosso a scrivere
il suo Saggio, che è la sua opera capitale , dal bisogno di assodare la realtà
del cono scere contro la Critica di Kant , non riesce a distrigarsi dal sog
gettivismo nella epistemologia ; e nella gnoseologia vi riesce solo
contrapponendo al criticismo kantiano un oggetto , che non è tale se non per un
dommatismo preso dalla coscienza volgare , e che non può non metter capo nella
tesi scettica del criticismo, appena venga innanzi alla riflessione scientifica
( 1 ) . La sua stessa critica perpetua al Kant, e quell'oscillare continuo tra
le lodi più sincere e il biasimo più acerbo del criticismo, dimostrano
l'acutezza del suo spirito, che intende la gravità del problema sol ( 1 ) Il
Rosmini il 3 giugno 1840 scriveva al p. Giacomo Maso & Roma : « Pare a lei
che la filosofia del prof. Galluppi sia veramente sana ? Noti bene, non metto
in dubbio le intenzioni dell'ottimo calabrese, a cui professo sincera stima ;
parlo solo della sua filo sofia ; di questa dubito , o piuttosto non dubito ;
perocchè agli occhi miei ella si volge in circolo perpetuo dentro al soggetto
-uomo, e nel soggetto -uomo non vi ha nulla d’immu tabilo : manca il punto
fermo a cui appoggiare la leva » . Vedi La Sapienza del 1883, vol. VIII , p.
402. PASQUALE GALLUPPI 249 levato dal Kant , e insieme la sua impotenza ad
uscire da quel cer chio sconfortante segnato dal filosofo di Koenigsberg
attorno allo spirito umano ; l'impotenza in cui rimase per non essere salito al
concetto adeguato di quella coscienza, che è il Primo della sua costruzione
filosofica . E dopo quattro libri di discussioni, di polemiche contro quei
filosofi, trascendentali, che non si sa « se siano filosofi che ragionano ,
oppure frenetici che delirano » ( 1 ) , il Saggio filosofico finisce anch'esso
nella tristezza del mistero : « La scienza umana è limitata . Essa può
successivamente perfezionarsi. Ma essa non può oltrepassare certi limiti » .
Non fu più reciso l'ignorabimus del Du Bois Reymond ( 2) . 57. E il primo
limite dello spirito umano , secondo il Galluppi, è questo : « noi abbiamo una
nozione generale della sostanza , ma noi non conosciamo affatto la natura , o
come suol dirsi , l'es senza di ciascuna sostanza in particolare ( 3 ) . E fin
qui ha ragione Kant. Secondo limite : « ignorando le prime sostanze, ignorar
dobbiamo il come le cause efficienti producono i loro effetti ; e l'efficienza
è per noi un mistero » . Dunque nè anche nel ritener soggettivo il rapporto di
causalità aveva poi un gran torto Kant! ( - ) . Ma « tutto quello , che è
incomprensibile, non è mica assurdo » , avverte il Galluppi ; e questo basta a
salvare la crea zione. Terzo limite : « noi ignoriamo affatto le qualità
assolute de ' primi componenti de'corpi ; noi conosciamo alcune qualità rela
tive di alcuni aggregati delle prime sostanze della materia ... I corpi non
sono tali quali a noi si manifestano » ( $ 100 ). E que sto , in verità, è un
po ' più di quel che sostiene Kant : pel quale, se il noumeno va distinto dal
fenomeno, appunto perchè ignoto , non si può dire che differisca dal fenomeno
stesso . Differirà ? Non differirà ? Se a queste domande si desse una risposta,
non si avrebbe più un noumeno . Qui , dunque, Galluppi è più kantiano di Kant.
Quarto limite : la conoscenza importa successione, processo , passare da un
principio a ciò che ne procede : ma Dio è ne ( 1 ) Passo del Saggio che il
prof. CREDARO raccomanda « a coloro che fanno del Gal luppi un kantiano » ; ni
kantismo in G. D. Romagnosi, in Riv. ital. di filos . del 1887, vol . II , p.
59, n. 2. ( 2) Vedi il celebre opuscolo Ueber d. Grenzen d . Naturerkenntniss,
Lipsia , 1872 ; e LANGE, Gesch . d . Materialismus, 3." ediz ., Iserlohn ,
1876 , pp . 148 sogg. ( 3 ) Saggio , lib . IV , cap. X ed ultimo, & 98 ;
tom . V, p . 418. ( 4) Saggio , ivi, $ 99. 250 CAPITOLO VII lui > gazione
assoluta di ogni successione : « in questo essere infinito non vi è alcuna cosa
che precede l'altra ; perciò la sua natura ci è perfettamente inesplicabile ed
incomprensibile. I metafisici intanto non si credono tutti incapaci di
comprendere la natura Divina > ; ma uno di essi , e de' più moderati, il
Genovesi , avendo tentato, per esempio , di concepire in che modo questo mondo
fosse architettato da Dio , non è riuscito che a una spiegazione contraddit
toria . « Il volere spiegare l'atto creatore intelligente è una con traddizione
; poichè è un supporre qualche cosa antecedente a (come il Genovesi era
costretto a porre in Dio prima l'essere e poi il conoscere , prima il conoscere
e poi il volere o l'ope rare) . Questo è incomprensibile, e lo scrutatore della
divina maestà resta oppresso dalla sua gloria Proposizioni che non hanno forse
il rigore scientifico della Dialettica trascendentale, ma che riescono , mi
pare , al medesimo risultato . Che più ? Kant riconosce come tutti i filosofi
moderni il grande valore delle matematiche; ma anche in esse il Galluppi trova
dei limiti. Noi conosciamo esattamente, egli dice , le relazioni logiche tra le
nostre idee astratte ; e ne son prova l'aritmetica e la geo metria . « Ma noi
non conosciamo tutte queste relazioni, perchè il loro numero è inesauribile; e
la conoscenza di queste relazioni non si estende quanto le nostre idee » « La
nostra scienza è percið molto limitata sotto tutti i riguardi » ( 1 ) egli
conclude : ed è la conclusione del Saggio intero , vale a dire della sua
filosofia sperimentale . 58. Questo mi pare criticismo schietto , sufficiente
di certo a fare ascrivere il Galluppi alla direzione kantiana , pur con tutte
le sue più o meno ragionevoli invettive contro il soggettivismo del Kant ; se
anche Alfonso Testa , che altri disse « l'unico kantiano, che abbia avuto
l'Italia » ( 2) , era pur persuaso che il Kant , distrug gendo il sensismo, non
fosse riuscito a sostituirvi altro che « un sistema soggettivo che distrugge la
scienza verace » ( 3) . 59. Molto ha contribuito a mascherare il kantismo
galluppiano , e ben più che le sue dichiarazioni e le sue proteste , che non (
1 ) Vedi il capo X ed ultimo del lib. IV del Saygio . ( 2) L. CREDARO, A. Testa
e i primordii del kantismo in Italia , in Rendic. Acc. Lin cei, 1886, S IV, III
, p. 241. Vedi dello stesso CREDARO Il kantismo in G. D. Romagnosi ( in Riv .
it. d. filos., 1887, vol. II, p. 59 n. ) , dove si oppone a chi fa del Galluppi
un kan tiano, uno dei soliti passi del Saggio contro il trascendentalismo. ( 3)
Come scrisse nel suo ultimo libro La mente dell'ab. G. Taverna , Genova , 1851
, p. 82. PASQUALE GALLUPPI 251 hanno o non dovrebbero avere molto valore per la
valutazione del critico -, alcune speciali dottrine , che basta accennare bre
vemente. 60. E in primo luogo : rifiuta nientemeno che la stessa sintesi a
priori , che è come dire il nocciolo sostanziale del kantismo . « La
distinzione , che la scuola trascendentale pone fra i giudizii analitici ed i
giudizii sintetici (a priori) è assurda » . Queste son parole del Galluppi . E
qui non si tratta di una semplice afferma zione. C'è anche la prova. « Se le
due idee A e B non hanno alcuna identità fra di esse , lo spirito non può
riguardarle che come distinte, e senz'alcun legame fra di loro : è impossibile
, dun que, ch'egli vi percepisca un rapporto necessario di convenienza fra di
esse : dire in conseguenza che lo spirito dee percepire neces sariamente un
rapporto di convenienza fra due idee diverse , è affermare, che lo spirito pud
pronunciare una contraddizione evi dente... Tutt'i giudizi necessarii debbono,
in ultima analisi , risol versi nel principio di contraddizione : essi son
dunque tutti ana litici , ed i giudizii a priori non possono essere che necessarii.
Ammettere dei giudizi necessarii non poggiati sul principio di contraddizione ,
è un assurdo manifesto . Se lo spirito non vede alcuna contraddizione
nell'opposto di un suo giudizio, egli non può certamente riguardarlo come
necessario . I giudizi sintetici a priori non possono dunque esistere » ( 1 ) .
Somiglia non po ' , a dir vero, al ragionamento di quel tale aristotelico
restio agl'inviti di Galileo di guardare attraverso il cannocchiale ; ma è il
ragio namento del Galluppi ; e questo basta allo storico, il quale dirà che il
filosofo di Tropea, chiuso nel cerchio della logica formale e nel ferreo
apriorismo delle sue regole , non poteva ammettere e non ammise il risultato
principale della Critica kantiana, che è la sintesi a priori. « In effetto , – egli
dice negli Elementi di logica pura (S XV) , – un principio sintetico, puro , a
priori come Kant lo suppone , è una cosa contraria alle nozioni fondamen tali
di una sana logica » . Infatti, egli soggiunge , prescindendo dall'esperienza ,
nella sfera delle mie idee , io non posso unire B con A, se non riconoscendo
che B è uguale ad A, o ne fa almeno parte . Che se B eccedesse realmente A in
estensione , in valore , come potrei attribuire ad A, come sua proprietà, tale
eccedente di B, non ritrovato in A ? ( 1 ) Saggio , lib. I , cap . IV , s 116 ;
tom . I , p. 241-2. 252 CAPITOLO VII 61. Così la critica del Saggio è
confermata negli Elementi con esplicito appello alle leggi della logica
formale, per la quale cer tamente non è possibile la sintesi a priori kantiana,
perchè l'iden tità non è conciliabile con la differenza, e se la necessità
richiede l'identità , rifugge dalla differenza ( 1 ) . 62. È inutile mostrare
il valore della critica galluppiana , fon data come quella del Degerando con
cui va raffrontata , e quella stessa del Rosmini, sopra l'intelligenza della
sintesi a priori de sunta dalla sola Introduzione alla Critica della ragion
pura (nella 2.a edizione) coi famosi esempii: 7 + 5 12 ecc. Giova piuttosto
ricordare che la vera sintesi a priori non con siste propriamente nell'unione
di predicati a soggetti, onde siano già belli e formati i concetti ; bensi
nella formazione medesima dei concetti: problema, di cui non s'accorse affatto
il Galluppi, a proposito di Kant , ma riprodusse, del resto , e risolvette
egual mente nella sua teoria dell'analisi e della sintesi , che , munite dei
rapporti soggettivi dell'identità e diversità , servono anzi tutto alla
formazione delle idee , e nella sua teoria del giudizio, essen zialmente
distinto dal sentire, e necessario alla percezione di qualsiasi rapporto . 63.
Questa della sintesi a priori è uno dei motivi prediletti della critica
italiana intorno alle dottrine del Kant, e ricorre spesso nei libri del
Galluppi ( 2 ) . Ma non è la sola teoria kantiana che egli ( 1 ) Ma, so sintesi
a priori e logica formale sono assolutamente inconciliabili , non biso gna
conchiudore : dunque, aut aut : o si rifiuta la sintesi a priori, o si rifiuta
la logica formale . Su questo punto si fa , secondo me, molta confusione. Vi tornerò
su in un mio prossimo lavoro ; qui voglio solamente aggiungere, che la dottrina
della sintesi a priori fa parte della teoria della formazione delle conoscenze
; laddove la logica formale studia i rapporti delle conoscenze già formate o
delle conoscenze in sè ; e notare, che se il pon siero non ha da essere un
quissimile del vano lavoro delle Danaidi, non s'ha da far consistere solo in un
accroscimento delle conoscenze , ma anche in un'intuiziono delle già acquisite.
( 2) Un anonimo già nel 1832 notava in un opuscolo molto arguto e tagliente
contro il nuovo professore dell'Università, che le belle ed acute riflessioni,
con cui il Galluppi combatte nel § XVII degli Elementi della logica pura il
giudizio sintetico a priori, sono tolte da LAROMIGUIÈRE, Leçons de philos. , p.
I , 1. 3 e 5. Vedi : Degli Elementi e della Introd . allo studio della filos.
del celebre Bar. Galluppi, giudizio dato all'editore da un suo amico, Napoli ,
De Bonis, 1832, 8 37 , p. 42. · L'opuscolo reca la data di Napoli, 14 di cembre
1831. Scritto con molta vivacità e castigatezza di lingua, rimprovera al
Galluppi l'inesattezze di certi suoi esempii presi dalla geometria e
dall'algebra , l'ignoranza in ge nerale delle scienze fisiche e naturali, la
scarna o niuna cognizione dei classici antichi PASQUALE GALLUPPI 253 combatta.
Anzi, non v'è quasi teoria esposta nella Critica della ragion pura che venga
risparmiata nel lib . III del Saggio gal luppiano e nelle parti delle altre
opere che ne dipendono . Lo spa zio, il tempo, le categorie, lo schematismo, la
dialettica trascen dentale gli offrono materia di lunghe e energiche
discussioni, il cui scopo è sempre la confutazione del Kant. Aggiungi le fre
quenti proteste contro il trascendentalismo e l'idealismo, che pel Galluppi
equivalgono allo scetticismo, proteste nelle quali il Gal luppi unisce al Kant
il Fichte e lo Schelling ( 1 ) , per quel poco che ne poteva conoscere da
traduzioni o esposizioni francesi ; cd è evidente , che il lettore sbadato e il
critico ottuso non potes sero e non possano vedere il filosofo di Tropea che
agli antipodi di quello di Koenigsberg. 64. Il vero è che per un'esatta
intelligenza delle dottrine di questo , il primo incontrava insormontabili
difficoltà nei limiti della sua cultura ; la quale non si estendeva oltre la
letteratura filosofica italiana e francese e alle traduzioni (allora pochissime
e affatto insufficienti) che c'erano in queste lingue delle opere tedesche.
Quello che poteva intravvederne indirettamente, era na turale che gli dovesse
riuscire oscurissimo, e restargli innanzi con tali lacune, che s'egli ne avesse
avuto coscienza, non sareb besi certo provato alla critica della filosofia
tedesca. Egli, scrit tore chiarissimo e pensatore analitico per eccellenza ,
manifesta mente soffriva nello studio che poteva fare di quegli scrittori.
Nella critica del Fichte, sforzandosi d'intendere il vero signifi della
filosofia , la leggerezza nell'appigliarsi alla moda francese, e quindi la
pedanteria e confusione del metodo analitico imitato dagli ideologi, e perfino
i barbarismi e le im proprietà di espressione. L'opuscolo pare facesse una
certa impressione. Il Galluppi ri spose col silenzio ; ma i suoi scolari con
due opuscoli : Di un giudizio dato da ignoto giudice sur alcune parole del
chiarissimo B. P. G. appella VINCENZIO MORENO , Napoli, Trani, 1832 ; Al
giudizio dato da un anonimo su talune opere del chiarissimo P. G. risposta di
GIUSEPPE PISANELLI, Napoli, Ruberto o Lotti, 1833. Curioso l'opuscolo del
Pisanelli nella parte in cui difende il Galluppi scrittore, per l'enfatica
digressione che vi è contro il purismo ( pp. 28-36 ). Per questa parte invece
il Moreno riconosceva che il G. non fosse puro elegante e gentil dicitore ( p.
17) ; il che non toglieva ch'ei fosse, alla sua volta , pessimo scrittore . ( 1
) Vodi le Considerazioni filosofiche su l'idealismo trascendentale e sul
razionalismo assoluto ( Napoli , 1841 ). Di Schelling non pare che conoscosse
nulla di originale , all'infuori della trad . francese del Bruno. Del Fichte
cita la trad . francese della Bestimmung des Menschen . 254 CAPITOLO VII cato
della costui dottrina dell'Io puro, dichiarava ai colleghi del l'Accademia
francese : Qui l'oscurità alemanna comincia ad affliggermi; io che non amo ne'
discorsi filosofici, se non che la chiarezza e la precisione , son qui
circondato dalle più dense te nebre » ( 1) . E terminava la sua memoria
invocando le regole wol fiane De stylo philosophico, e domandando agli amici
della verità e del progresso della filosofia , se « lo scrivere i trattati
filosofici in un modo più oscuro di quello , in cui è scritta la Teogonia di
Esiodo, è esso un segno di progresso verso la verità o pure verso l'errore »
(2) 65. Altri più recentemente si son lagnati dell'oscurità di alcuni scrittori
filosofici, e si son levati in difesa del bello stile . Ma, come nel caso del
Galluppi , molto spesso l'oscurità che si vede negli autori , non dipende da un
loro difetto, sibbene dalla insufficienza nostra a intenderli ; chè nessuno è
chiaro a chi non sia preparato e non procuri in ogni modo e con ogni mezzo
d'intendere . Comunque, la dottrina del Galluppi è cosa ben distinta e diversa
dalla sua intelligenza e dalla sua critica del Kant ; e della prima è
indubitabile che s'ispira al Kant e non riesce a risul tati essenzialmente
differenti ( 3 ) . 66. In sostanza egli è più kantiano di Kant. Questi ,
criticata la ragion pura , nega il valore scientifico , oggettivo, della meta
fisica , ma le riconosce un ufficio regolativo , e scrive una meta fisica della
natura come una metafisica dei costumi. Ma il Gal luppi si rinchiude in un
assoluto psicologismo, per usare parola giobertiana ; e , pienamente
conseguente alla sua filosofia dell'esperienza, tiene fermo alla dottrina dei
limiti della scienza umana ; e alla metafisica sostituisce l'ideologia. La sua
cattedra ufficiale era di logica e metafisica ; ma egli nella Prolusione an
nunzia che tratterà della filosofia teoretica, ossia della scienza dell'umana
scienza , e darà pertanto la legislazione suprema di tutte le scienze ( 4 ) . «
La metafisica tratta , egli dice , delle idee essenziali all'umana ragione » ).
Nella prima lezione rifiuta la definizione della filosofia data dal Wolf,
sostenendo che egli volle una ( 1 ) Op. cit . , pag. 23. ( 2) lvi , pag. 133. (
3 ) Ricordo per semplice curiosità che sostenne il kantismo del Galluppi CARLO
Ro DRIQUEZ , Lett. su la filos . sogg . ed oggettiva del bar . Galluppi,
Messina , 1833, p. 22 ; cui rispose ONOFRIO SIMONETTI, Analisi critica della
Lettera ecc . ( Napoli ), Fernandes (1834 ), p. 31 e sgg. ( 4) Lezioni di log .
e metafsira , p. XI. ( 5) Iri, p . XIV . PASQUALE GALLUPPI 255 definire
piuttosto l'infinita sapienza conforme a quel suo enun ciato che Deus est
philosophus absolute summus, e attribuendo alla filosofia wolfiana il difetto
ascrittole appunto dal Kant, di confondere la cosa con l'idea della cosa. Nella
seconda lezione commenta il suo concetto della filosofia come scienza del « pen
siere umano ne' suoi elementi , nelle sue funzioni e nelle sue leggi » ;
nozione , fa notare , della più alta importanza . 67. Prevede la possibile
osservazione : ma è il pensiero il solo oggetto della filosofia ? E la
ontologia, la cosmologia, la teologia naturale , la fisica ? — Queste scienze,
risponde il Galluppi , in parte si riducono alla ideologia, scienza del
pensiero , e in parte escono fuori dal campo della filosofia . L'ontologia
studia « alcune nozioni universali , essenziali all'umano intendimento » ; e la
dottrina delle nozioni , delle idee non appartiene forse alla scienza del
pensiero ? Lo stesso dicasi della cosmologia e della teologia naturale. Sic chè
il Galluppi conchiude : « Tutte le parti dunque della meta fisica appartengono
alla scienza del pensiere umano » . Quanto alla fisica , in parte è filosofia (
psicologia, per le relazioni che que sta scienza studia tra i fatti fisici
quali sono in sè e i fatti fisici quali appariscono a noi , e teologia) ; e in
parte , quale si tratta comunemente nelle scuole, se non può ridursi a rigore
alla scienza del pensiero , « è nondimeno una scienza che le è contigua , e che
serve a rischiarare, ed a perfezionare la filosofia intellet tuale » . Sicché
la metafisica, nel sistema del Galluppi, è bella e ita assolutamente. E se la
filosofia per lui si divide com'è detto nella 3.4 lezione – in filosofia
speculativa o teoretica , che studia l'anima ( soggetto del pensiero) in quanto
conosce , e in filosofia pratica , che studia l'anima in quanto vuole , è
chiaro che nè an che questa potrà essere fondata su alcun principio metafisico.
Il Kant non era arrivato a questo punto. Ma prima di accennare i principii del
Galluppi nella filosofia pratica , bisogna fare un'altra osservazione generale,
che ci pare di non poca importanza . 68. Nella Prolusione il Galluppi ,
vantando le ragioni del me todo sperimentale , avvertiva che non bisogna però
mutilarlo ; anzi prenderlo tutto intero nelle sue specie e ne ' suoi
risultamenti ; ne confonderlo con l'empirismo ; giacchè la filosofia
intellettuale, co me egli chiama quella che dovrà insegnare , < non ammette
so lamente quelle esistenze , che cadono immediatamente sotto l'espe rienza ;
ma quelle ancora , che le esperienze sperimentali suppon gono necessarie .
Quindi ella deduce tanto dall'esistenza del mondo materiale , che da quella del
mondo intellettuale, che a noi si ma 256 CAPITOLO VII nifesta, l'esistenza
eterna di un ' Intelligenza creatrice . E ciò in modo simile a quello in cui
l'astronomia , partendo dal cielo em pirico , pone un cielo razionale » ( 1 ) .
Il cielo razionale sarebbe il cielo costruito dall'astronomo mercè la forza
portentosa del cal colo, della geometria e del raziocinio , onde si « sbalza
dal cen tro del planetario sistema la terra , e vi si pone il sole ; si tra
sforma in masse di meravigliosa grandezza quei piccolissimi corpi , che
sembrano tanti chiodi affissi nel firmamento, si determina le distanze , le
orbite ed i tempi delle rivoluzioni de' pianeti » ( 2 ) . 69. Sicché, pel
Galluppi, anche la filosofia intellettuale, la ideologia , la filosofia
dell'esperienza, con tutti i suoi limiti , ha il suo cielo razionale ; come
l'ha del resto il criticismo con la sua cosa in sé . Ma la cosa in sè per Kant
è un puro concetto limite, di cui s'afferma l'essere non il come ; che si
afferma, non si conosce; laddove il Galluppi dedica tutta la seconda parte
della sua Ideologia, che intitola Teologia naturale , allo studio dell'Asso
luto e de ' suoi attributi , come se Kant non fosse mai esistito . Il nome di
questo qui non ricorre se non nelle ultime pagine, dove è detto insensato il
suo « impegno di contrastarci la possibilità di una Teologia naturale e
filosofica » ( 3 ) , 70. Ma tutta questa parte evidentemente è non solo in con
traddizione con la Critica kantiana, ma anche con lo stesso Sag gio
dell'autore, la cui conclusione riesce a quella dottrina dei limiti della
scienza che sopra vedemmo. Che dire adunque del vero pensiero del Galluppi ? È
vero , come è detto nel Saggio, che lo scrutatore della divina maestà resta
oppresso dalla sua gloria ? O è vera la teologia delle Lezioni ? Le due
dottrine sono certa mente inconciliabili. E io non dubito d’asserire , che se
il Galluppi non avesse scritto le Lezioni per i giovani dell'Università in uno
de ' periodi di più cupa servitù intellettuale che abbia attraversato il
pensiero italiano, la seconda parte della Ideologia non sarebbe stata scritta .
7i . « Questa opera , diceva l'autore nella prefazione delle Le zioni, non è
mica la ripetizione dei miei Elementi di filosofia pub blicati in cinque
volumi, nè di altra mia opera antecedente » . E notava altresì che « serbando le
leggi essenziali di un metodo, può questo ricevere delle variazioni accidentali
» . Intendeva egli alludere alla teologia naturale, di cui trattava per la
prima volta ( 1 ) Op. cit . , p. XIX . ( 2) Ivi , p, XVII . ( 3) Op . cit . ,
III , 306 . PASQUALE GALLUPPI 257 . in queste Lezioni ? ( 1 ) . Si noti che non
parlava di nuovi svolgi menti del suo pensiero , ma di variazioni di metodo;
onde non poteva accennare a parti ora per la prima volta trattate della sua
filosofia che non importassero alcuna modificazione di principii . Si noti
anche, che la seconda parte dell'Ideologia è come appiccicata alla prima. Solo
alla fine della 108. lezione (1. della Ideologia ) l'autore dice : « L'essere è
o finito o infinito ; io divido perciò l'ideologia in due parti , nell'ideologia
del finito ed in quella del l'infinito » E in questa distinzione così accennata
è tutta la ra gione della teologia naturale o ideologia dell'infinito , cui son
de dicate le ultime dieci lezioni del corso universitario . Le dottrine non essoteriche
hanno ben più stretti legami coi principii sostan ziali dello spirito d’un
pensatore ; e questi le fa sempre sgorgare specialmente quando siano dottrine
così importanti , rispetto a quella filosofia dell'esperienza, onde il Galluppi
si proclamo sempre assertore le fa sempre sgorgare, bene o male , dalle
dottrine per l'innanzi professate, le pone, bene o male , in ac cordo con esse
, per rimanere esso stesso d'accordo con sè mede simo. Nell'opera del Galluppi
nulla di tutto questo . 72. Io propendo pertanto a non attribuire alcun valore
a quella parte delle Lezioni nel sistema delle idee galluppiane. Non penso già
che egli le dettasse e le pubblicasse contro la sua coscienza, ma certo contro
la sua coscienza filosofica . Egli pensava certamente quanto scrisse e insegno
degli attributi divini ; ma quella parte del suo pensiero non era stata da lui
elaborata filosoficamente ne coordinata quindi alla sua speculazione . Chi ha
insegnato e non s'è trovato nel caso del nostro filosofo , di esser costretto da
un programma a insegnare anche ciò che il suo spirito non ha ma turato e fatto
suo , e insegnarlo quindi nella forma in cui ordi nariamente si dà , e in cui è
pur bene che sia offerto all'intel letto dei discepoli ? Chi non si trova a
dover insegnare qualcosa di più di quello che in buona fede e a rigore potrebbe
dir di sapere , o di quello ond'egli può dirsi veramente persuaso ? Chi oltre a
ciò che, per sè e per altrui , deduce chiaramente da ' propri principii non ha
insegnato qualcos'altro, che da quei principii sinceramente non sa derivare nè
per altrui nè per sè ? Il Galluppi non aveva per sè una teologia più filosofica
di quella che è esposta nelle ( 1 ) Della religione tratta anche negli Elementi
di filos. morale. Ma se la sbriga in un breve capitolo , che non ha nessuna
pretensione filosofica , e si limita a una semplice notizia molto compendiosa
del concetto della religione cristiana. 17 258 CAPITOLO VII sue Lezioni; in
questa fermavasi il suo pensiero ; ma stimo che non vi s'acquetasse ; perchè una
consapevole o inconscia insoddi sfazione doveva fargli sentire che nella sua
filosofia dell'esperienza non c'era posto per quella teologia . 73. S'è
accennato che sulla fine della teologia naturale l’au tore si ricorda
dell'impegno insensato del Kant di contrastare la possibilità di una teologia.
E che fa egli per combattere l'assunto kantiano ? Scrive così : « Kant insegna
che i giudizii su cui ella ( teologia naturale e filosofica ) poggia, sono
sintetici a priori e fenomenici, privi di una assoluta realtà. Egli dice che le
verità necessarie della teologia naturale non sono mica identiche, ma
sintetiche ; e che le verità di fatto non sono che mere apparenze, che fenomeni
privi della realtà noumenica ed assoluta, indipen dente dal nostro modo di
vedere. Io , nella mia Critica della co noscenza ( 1 ) ho seguito passo passo
la dialettica kantiana ; e vo lendo parlar con giustizia , non può negarmisi,
che l'ho invinci bilmente distrutta. Io ho mostrato, che i giudizii sintetici a
priori sono assurdi ; ho mostrato eziandio , che le verità sperimentali ci
danno pure delle conoscenze delle cose in se stesse considerate » ( 2) . Questo
è tutto. Ora, poniamo che sia esatta l'esposizione del pen siero del Kant . Ma
la critica della sintesi a priori non giustifica , tutto al più , che la
posizione dell'assoluto, come avviene per l'ap punto nel Saggio dello stesso
Galluppi ( lib . III , cap. XII) ; dove partendo dalla pretesa impossibilità
dei giudizii sintetici a priori , si dice , contro Kant, che non è tale neppure
il principio : dato il condizionale, si deve dare l'assoluto ; e si conchiude
quindi che il condizionale dell'esperienza è reale in sé , non fenomenico, e
che nella sua realtà è pur data quella dell'assoluto ( 3 ) . E nel Sag gio
tutto finisce li . E la conclusione dell'opera è quella che ab ( 1 ) Acoopna al
Saggio filosofico . ( 2) Lez ., III , 306. Quindi accenna alle critiche che
alla sua confutazione della sin tesi a priori aveva mosse il MAMJANI nol
Rinnovamento e lo ribatte. ( 3 ) Un'ottima osservazione contro questa deduzione
fa col suo solito acume il Tesia , il quale crede come il Rosmini che il
Galluppi non mova un passo fuori del soggetti vismo. È falsa , egli dice, la
premessa che il condizionale sotto il rispetto del condizionale sia un termine dato
dall'esperienza. Quosta non ci dà che sensazioni e sentimenti. Ma le sensazioni
non sono il condizionale ? - Si , sono, ma non ci sono date come tali
dall'esperienza . La qualità d'essere condizionale è una veduta dello spirito ,
non è nella sensazione, opperò non è trovata nella sensazione. Vedi Le ricerche
apolog. del crist, del popolo dall'ab. G. Bignami esaminate, Lugano, 1841, p.
33 e seg . PASQUALE GALLUPPI 259 biamo vista. Gli attributi divini son
dichiarati incomprensibili. Nè quell'assoluto del Saggio differisce molto dalla
cosa in sè kan tiana . Ma nelle Lezioni non c'è solo l'assoluto, bensì la
scienza del l'assoluto ; e non viene giustificata. La conclusione dell'opera si
limita ad affermare che « mostrando l'oggettività delle nozioni di sostanza, di
causa e dell'assoluto , il criticismo è rovesciato , e la realtà della
conoscenza è stabilita » . Sono le ultime parole delle Lezioni; ma potrebbero
essere a miglior ragione le ultime del Saggio, perchè in quelle s'era cercato
di provare qualcosa più dell'oggettività della nozione che la mente possiede
dell'as soluto. 74. Se la teologia naturale avesse avuto nella mente del Gal
luppi la stessa saldezza dei principii più genuini della filosofia
dell'esperienza, la sua etica non avrebbe mancato di esservi su bordinata.
Invece ne è assolutamente indipendente . Anzi, pure inspirandosi , come si
vedrà , all'idealismo kantiano , non tiene af fatto conto delle esigenze
sentite dal Kant nella Critica della ra gion pratica e nella Fondazione della
metafisica dei costumi. Forse egli non conobbe nulla direttamente di queste
opere , e della mo rale kantiana non dovette avere che l'indiretta notizia
fornitagli dalle solite esposizioni francesi. Non per questo si può dire con
certi critici , che i suoi quattro volumi della Filosofia della volontà « non
contengono nulla di nuovo, anzi , di fronte a Locke ed Hume, ed a tutta la
specula zione contemporanea, segnano un sensibile regresso verso il vec chio
rancidume metafisico e teologico » . Chi giudica così , non deve avere grande
familiarità con questo rancidume, e certo è asso lutamente falsa la sua
sentenza, che la morale galluppiana sia ispi rata all'idealità patristica e
scolastica ( 1 ) . Non si potrebbe dire nulla di più inesatto intorno a quella
morale. 75. Basta una sommaria esposizione per convincersene. Bisogna prima di
tutto osservare , che il Galluppi insegnava nell'Università, come s'è visto ,
filosofia teoretica o , com'egli dice , intellettuale ; e non v'ebbe quindi
occasione di trattar mai la morale. Ma egli aveva pubblicato nel '26 , nel
quinto volumetto del suo ma nuale scolastico , gli Elementi della filosofia
morale ; e prima d'as sumere l'insegnamento aveva scritto La filosofia della
volontà , ( 1 ) Vedi l'art. La speculazione di P. G. , nella Rivista di filos,
e sc. affini di Bolo gna , an. III , vol . V (ottobre 1901), p. 276 . 260
CAPITOLO VII in quattro volumi, che cominciò a pubblicare nel 1832 ( 1 ) . In
essa , secondo che egli dichiara nella Prefazione , si proponeva di trat tare
in un'opera estesa lo stesso argomento di quegli Elementi, ma col metodo stesso
del Saggio filosofico, ossia con la discussione e l'esame delle varie dottrine
relative ad ogni materia . Ma non do veva aver compiuto il lavoro prima di
salire la cattedra di logica e metafisica ; e non pare che vi sia potuto più
tornare ; sicchè non tutte le parti del volumetto degli Elementi vi sono
riprese e no vellamente trattate con quella maggiore larghezza, che l'autore
s'era proposta. E il disegno di essa , delineato sulla traccia degli Elementi,
gli rimase colorito meno che a metà . 76. Nella Filosofia della volontà
comincia dal distinguere nel l'uomo l'agente fisico della natura , « disposto o
mosso ad operare pel fine della propria felicità , >> e l'agente morale,
disposto o mosso ad operare dal principio del proprio dovere » . Distingue
anche i movimenti « che nel corpo umano si osservano » , in mec canici, che non
dipendono dalla volontà , e volontari, per cui sol tanto l'uomo può dirsi
agente. Chiama quindi filosofia della vo lontà « quella scienza che fa conoscer
l'uomo considerato come un agente » ; e divide questa scienza in quattro parti
: « nella prima, dice , esamino l'uomo considerato generalmente come un agente
; nella seconda l’esamino sotto l'aspetto di agente morale ; nella terza sotto
l'aspetto di agente fisico ; e nella quarta finalmente l'esamino riguardo alla
sua esistenza in uno stato futuro, dopo il fenomeno della morte ; e ciò in
conseguenza della sua virtù e de' suoi vizi » ( 2) . Questo il disegno. Ma
delle quattro parti ideate i primi tre volumi dell'opera e il primo capitolo
del quarto trattano solo la prima ; gli ultimi due capitoli di questo quarto
volume e del l'opera iniziano appena la trattazione della seconda, com'è svolta
negli Elementi; e della terza e della quarta non c'è nulla ; laddove negli
Elementi l'una ( intitolata De' mezzi per esser felice, cap . VI) è trattata
con relativa larghezza , e dell'altra c'è pure un cenno col titolo : Della
religione. Sicché, quantunque l'autore appaiasse questa sua Filosofia della
volontà col Saggio filosofico, come l'opera con tenente la sua filosofia
pratica accanto a quella contenente la ( 1 ) I primi due volumi , pp. 338 0
452, nel 1832 presso C. L. Giachetti in Napoli ; il 3. ° vol , di pp. 388 nel
1839 presso la stamperia Tramater in Napoli; e il 4.° di pp. 361 nel 1840 ivi .
La dedica del 1. ° vol. , a S. E D. Giuseppe Cova Grimaldi, marchese di Pie
tracatella , reca la data di Napoli 30 aprile 1832. ( 2) Ed. cit. , I , 6-7 .
PASQUALE GALLUPPI 261 a sua filosofia teoretica ; è evidente, che se la
Filosofia della volontà presenta discusse con grande ampiezza questioni
brevemente accennate negli Elementi, di questi non può fare meno chi voglia
acquistare un concetto compiuto delle teorie pratiche gal luppiane ; e in essi
deve principalmente attingere quella parte di coteste teorie , che spetta più
propriamente alla morale. 77. Dal disegno stesso dell'opera maggiore si scorge
un pre gio non comune in questo ramo della filosofia del Nostro : voglio dire
la pienezza del suo concetto dello spirito pratico . Egli, com'è chiaro già da
quelle semplici indicazioni, non vede tra la felicità e il dovere quella
dualità inconciliabile, in cui si dibatte l'etica prima di Kant e nello stesso
Kant; quella dualità che finisce ine vitabilmente, secondo l'uno o l'altro
pensatore , o con la nega zione dell'uno o con la negazione dell'altro
principio , o nel con cetto puramente utilitario o in quello del puro
disinteresse . Il Gal luppi vede che sono due i fini dell'umano volere : due fini
però conciliabili tra loro , sì che uno non importi la negazione dell'altro .
L’uomo infatti è agente fisico e agente morale insieme ; e per es sere agente
fisico non cessa di essere agente morale ; e viceversa : segno manifesto , che
tra i due fini non c'è opposizione assoluta. La confutazione perentoria
dell'utilitarismo dal punto di vista etico sta in questo concetto , che il
Galluppi vide nettamente, come apparrà meglio dalla notizia che ora ne daremo.
78. Tutta la prima parte della sua filosofia pratica s'aggira adunque intorno
all'attività in generale dell'uomo : è, come noi diremmo, una semplice
psicologia pratica. Parla quindi del desi derio, della volontà, dell'influenza
della volontà sull ' intelletto, e viceversa, e in generale dei principii motori
della volontà , e della libertà umana . Questa è la trattazione più ampia, e
occupa quasi per intero il secondo e il terzo volume della Filosofia della
volontà ; non avendo voluto il Galluppi lasciare senza risposta nessuno degli
argomenti che sono stati addotti contro l'esistenza del libero volere . 79.
Della volontà il Nostro dice che non può definirsi. Ne fa una facoltà,
avvertendo bensì , che « le diverse facoltà , che concepiamo nel nostro spirito
, non sono certamente tanti agenti diversi : esse non sono che lo spirito
stesso considerato relativa mente ad una determinata specie di modificazioni,
che avvengono in lui » ( 1 ) (I , 15-16) . Si potrebbe intendere per volontà la
facoltà ( 1 ) Quindi, secondo l'autore, è volontà « il nostro spirito stesso
considerato relativa 262 CAPITOLO VII di volere ; ma questo come ogni atto
semplice non può definirsi, e non se ne può altrimenti avere la nozione che «
dirigendo la nostra attenzione sul sentimento che abbiamo di questo atto » ,
ossia ricorrendo alla nostra personale coscienza. La volontà senza gli atti di
volere è indeterminata come volontà ; è lo spirito stesso in generale . La
determinazione della volontà è la produzione de ' voleri particolari ; e
siccome, dice Galluppi stesso, lo spirito è il principio efficiente de ' voleri
, così può dirsi tanto che lo spi rito determina se stesso , quanto che la
volontà determina se stessa ( I , 51 ) . 80. La volontà, come notò gia Locke,
va ben distinta dal de siderio. Un idropico , malgrado il desiderio di bere ,
si astiene dall'acqua . Egli dunque desidera di bere , ma non vuol bere . In
tali casi vi sono desiderii opposti , fra i quali la volontà si deter mina. Pel
Galluppi tra desiderio e volere c'è una recisa differenza . Quello non è , come
ordinariamente si crede , un fatto d'attività dello spirito , ma, come oggi si
direbbe , un fatto puramente emo tivo ; quel misto di piacevole e di spiacevole
onde lo spirito è af fetto per la percezione d'una sensazione in se stessa
piacevole , ma assente , e però causa d'un dispiacere tanto maggiore, quanto
più lontano è il futuro, in cui si pensa che essa sarà provata ( 1 ) , Quando,
come fa il Wolff ( 2) , si vede nel desiderio uno sforzo, un'avversione,
un'inclinazione, o ci si contenta di metafore fallaci, o si confonde col
desiderio il volere, onde i movimenti corporei sono l'effetto. Sforzo,
tendenza, inclinazione , allontanamento son tutti vocaboli, che applicati
all'anima non presentano alcun senso ( 8) . ( I , 65) . 81. Come dal desiderio,
la volontà va distinta dall'intelletto ; sicchè può parlarsi di un'influenza
esercitata dalla volontà sul l'intelletto , come di un'influenza esercitata
dall'intelletto sulla volontà. Quanto alla prima , il Galluppi vede un potere
della vo lontà perfino nelle sensazioni, in quanto lo spirito « può esporre o
pure sottrarre i propri sensi all'azione de ' corpi esterni ; e quindi
procurarsi o privarsi di alcune date sensazioni » ( 4) . Quindi mente a quella
specie di modificazioni, che abbiam chiamato voleri » ( I, 24 ). Insomma, gli
atti singoli presuppongono un quid nella natura dello spirito ; o questo quid è
la volontà . ( 1) Filos. d. vol., I , 63 e ss . (2) Psych , emp., SS 279 e 281.
( 3) Filos. d . vol. , I , 65 . ( 4) I , 112. L'autore s'accorge che questo
potere della volontà si esercita indiretta PASQUALE GALLUPPI 263 ci parla di
sensazioni volontarie e sensazioni involontarie ; e come i desiderii sono un
effetto delle sensazioni , trova che vi sono e desiderii volontari e desiderii
involontari; e come anche i fan tasmi seguono le sensazioni , anche tra i
fantasmi pone la stessa distinzione nel campo dell'immaginazione. 82. Quando si
passa dalla sensibilità alle facoltà dell'analisi e della sintesi , non si
tratta più di un potere indiretto , ma im mediato della volontà sull'intelletto
; e dicesi attenzione ; nel cui studio l'autore si trattiene con diligenza e
acutezza , che fan degne quelle pagine di esser lette ancora , pur dopo tanto
progresso nella conoscenza dei fenomeni psicologici . E come l'analisi e la
sintesi sono le due attività spirituali onde vengono prodotte tutte le
conoscenze, l'impero su di esse vale l'impero su tutto il co noscere . 83. Che
più ? L'associazione è anch'essa volontaria e involon taria. L'abito , questa
seconda natura morale , può dirsi anch'esso volontario , quando consta della
ripetizione volontaria di atti vo lontari ; e conferisce a quell'educazione
onde ognuno è responsa bile , poichè egli ne è l'artefice. I giudizii temerarii
sono colpevoli, perchè volontari ; in essi l'attenzione si volge a fantasmi ,
cui non dovrebbe rivolgersi , e l'uomo vuol manifestare i giudizii che da quei
fantasmi deriva , confondendo l'immaginare col giudicare. Infine , da questo
impero della volontà sull’intelletto la distin zione dei moralisti di ignoranza
vincibile e invincibile ( 1 ) . 84. In quanto all'influenza dell'intelletto
sulla volontà , è chiaro : che la vita dello spirito , come nota il Galluppi ,
comincia dalle sensazioni . Ora queste , secondo che sono piacevoli o no ,
deter minano lo sviluppo dell'attività dell'anima ( 1 ) ; suscitano i desiderii
che influiscono sulla volontà. Quindi nasce il problema : in quanti modi
l'intelletto influisce sulla volontà ? E se ciò che nel no stro spirito dispone
o eccita la volontà all'atto di volere, dicesi principio attivo della volontà,
si domanda : quanti sono i prin cipii attivi della volontà ? E non sono
riducibili tutti ad un solo principio , come sue varie modificazioni ? 85.
Elvezio concentrò tutti i principii dello spirito nella fi sica sensibilità .
Ma, « annientata così tutta l'attività dell'anima, e mente ; ma non vede che
pertanto in questi casi trattasi d'un impero del volere sul corpo , e non
propriamente sull'intelletto . ( 1) Tutta questa dottrina dell'influenza della
volontà sull'intelletto è anche negli Elem . , capp. II-VII. 264 CAPITOLO VII
l’uomo riguardato come solamente sensitivo ed animale , la virtù negli scritti
di Elvezio scomparve dall'universo, e vi fu rimpiaz zata da un grossolano
egoismo » ( 1 ) . L'uomo per Elvezio è tutto ciò che le cause esterne lo fanno
essere . Egli ricava le conse guenze logiche più rigorose dal sensismo del
Condillac, che uso tutti i riguardi per la morale e per la religione, ma non
ragionò coerentemente al suo principio della sensazione trasformata . Elvezio
parte dallo stesso principio , e ne deduce illazioni che fanno or rore (2 ) 86.
Ma, come è falso nella filosofia intellettuale che tutto sia sensibilità fisica
o da essa derivi , com'è falso ridurre il giudizio che è attività sintetica e
analitica, al mero fatto passivo della sen sazione, così è falso nella
filosofia pratica non distinguere dalla passività del senso l'attività e la
libertà della volontà , e non ri conoscere l'origine soggettiva del dovere ( 3)
. 87. Non è vero che tutto lo spirito sia sensibilità ; e perciò il presupposto
elveziano è privo di fondamento . Non è vero che i piaceri e i dolori che
agiscono sul volere , sieno in ultima ana lisi sempre piaceri o dolori fisici
provenienti da sensazioni ; è incontrastabile, che vi sono anche piaceri o dolori
intellettuali provenienti da pensieri ( 4) . Quindi una prima divisione dei
prin cipii motori della volontà o motivi : desiderii inriflessi, quelli in cui
lo spirito è passivo , e principii riflessi, in cui lo spirito è at tivo. I
primi si possono dire anche semplicemente desiderii, gli altri , ragioni ( 5) .
I principii irriflessi si possono ridurre a sette ; appetito fisico ( fame,
sete , amor fisico ), desiderio della propria ec cellenza, curiosità ,
sociabilità, desiderio della gloria , emulazione e potere, affezioni. 88. La
ragione è principio di atti volitivi come principio eco nomico e come principio
morale ; o , come il Galluppi dice , in quanto esamina ciò che conviene alla
nostra felicità , fa il cal colo dei beni e dei mali , e dirige le nostre
azioni a produrre un certo stato dell'anima ; e allora si chiama prudenza ; e
in quanto ci mostra il bene e il male morale , e ci comanda di far l'uno e non
far l'altro ; e allora può dirsi ragione legislatrice della nostra volontà (6)
89. I principii della prudenza sono quattro : un piacere che ci priva di
maggiori piaceri è un male ; un piacere che ci pro ( 1 ) Op. cit . , I , 175. (
2) I , 193. ( 3) I , 194. ( 4) I , 238 . ( 5) I , 286-7. ( 6) I , 318. PASQUALE
GALLUPPI 265 duce maggiori dolori , è un male ; un dolore che ci libera da mag
giori dolori , è un bene ; un dolore che ci produce maggiori pia ceri , è un
bene ( 1 ) . 90. A questo punto l'autore si propone la questione della li bertà
, alla quale , come s'è detto , dedica la maggior parte del l'opera sua , ma
della quale noi ci sbrigheremo in poche parole . Questa è la parte più vecchia
della sua filosofia, e una delle meno logicamente dedotte dai principii della
sua speculazione . In essa egli sentì la forza del pregiudizio come impedimento
insormonta bile alla visione della verità più evidente ; e ci si vede la soprav
vivenza di una vecchia dottrina, che mal si connette all'orga nismo del nuovo
pensiero ; anzi vi rimane aggiunta e giustap posta come membro morto che
l'artificio collochi al posto di quello che manca in un corpo vivo . 91. Dal
suo concetto dell'unità metafisica dell'Io, dal suo con cetto delle facoltà
come semplici principii costitutivi della natura dello spirito , il Galluppi
avrebbe dovuto esser condotto a più elevato e concreto concetto della libertà,
che non sia quello da lui ancora difeso a forza di sottigliezze ingannevoli e
d'illusorii ragionamenti. Egli vede la distinzione tra sensibilità , intelletto
e volontà, di cui fa tre facoltà distinte , ma pur facendole scatu rire
dall'unico Io , non giunge a scorgerne la recondita unità . E veramente ,
separato l'intelletto dalla volontà, da cid che v'ha di umano, di spirituale
nella volontà , non è possibile altro con cetto di questa , all'infuori di quel
vuoto volere , che è il fonda mento della libertà bilaterale. 92. Questa è la
libertà a cui giunge il Galluppi : la libertà per cui nell'atto stesso che
vogliamo , potremmo non volere ; quel po tere, che non si esercita , e la cui
essenza stessa è di non esercitarsi nel momento stesso che lo sentiamo ( 2) .
Questa libertà del volere è determinata nettamente dal suo confronto con la
necessità del sillogismo . La coscienza ci attesta, che noi non siamo liberi di
tirare o non da due premesse quella data conclusione , laddove ci attesta il
contrario rispetto ai singoli atti del volere . E siccome ( 1 ) I , 318. Nella
Filosofia della volontà tutto finisce con la enumerazione di queste leggi.
Negli Elementi invece, come si disse, tutto il capitolo VI è dedicato ai Mezzi
per esser felice ( pp. 210-292). Quivi fra i piaceri intellettuali si annovera
il piacere estetico ; e quindi i 88 71-85 contengono una breve trattazione di
estetica. ( 2) Elem . , V, 123. « La libertà , io dico, è il potere di volere,
o di non volere un og getto percepito ; Filos. d. vol. , II , 811. 266 CAPITOLO
VII la coscienza è quel fatto fondamentale, a cui il filosofo deve sem pre far
capo, la sua testimonianza basta a provare la realtà della libertà ( 1 ) .
Tutti gli argomenti contrari non reggono alla critica 93. Ma negli Elementi il
Galluppi , prima di appellarsi al te stimonio della coscienza, ricorre a un
argomento , che rivela su bito la paternità kantiana. Nella coscienza del
dovere e del pre mio o delle pene che spettano alle azioni si comprende , egli
dice, la coscienza della nostra libertà . « Non si comandano le azioni
necessarie , come non si comanda ad un sasso il cadere se non è sostenuto . Le
azioni necessarie non sono riguardate come meri tevoli nè di premio, nè di
pena.... La coscienza della legge in teriore contiene la coscienza della
propria libertà . Il comando suppone in colui , a cui è diretto , il potere di
eseguirlo e di non eseguirlo » . Devi ; dunque , puoi, aveva detto Kant . 94.
Non bisogna , del resto , porre il Galluppi fra le anticaglie pel suo concetto
della libertà . L'indeterminismo anzi è una delle con cezioni oggi alla moda ;
e non manca in Italia di rappresentanti ; i quali si sforzano di combattere il
concetto della direzione unica ed unilineare degli atti del volere , ponendo
nello spirito un irri conciliabile dualismo, che lacera internamente l'unità
dell'indi viduo umano, e sta quasi condizione necessaria, se non sufficiente ,
della libertà morale ( 2) . E ancora uno dei più acuti psicologi che abbia
l'Italia , afferma che il concetto del volere libero , « cioè non coatto
estrinsecamente (libertas a coactione), nè intrinsecamente (li bertas a
necessitate) è una verità , la quale, sebbene accanitamente combattuta da molti
e sotto molti rispetti , resterà sempre incon cussa per chi , scevro da
pregiudizii e forte nelle convinzioni morali , non si lascia smuovere da'
sofismi ne turbare dalle difficoltà » ( 3) . Il vero è , che una questione mal
posta non può aver mai la sua vera soluzione ; e potrà sempre far accettare or
l’una or l'altra di due opposte soluzioni. Quella del libero arbitrio è stata
ap punto una questione mal posta, per l'indeterminatezza del con cetto del
volere , su cui si fondava. Giacchè, se si determina rigoro samente il volere,
è impossibile escluderne la ragione , e non vedere quindi , che se han torto
gl’indeterministi a difendere la libertas ( 1) Filos., II , 21 , 329 e passim ;
cfr. gli Elem ., V, 123. ( 2) Vedi la lodata opera del prof. IGINO PETRONE, I
limiti del determinismo scienti rico , Modena, 1900, pp. 105-6 ; 2.a ed .,
Roma, 1903, pp. 110-111; cfr . BOUTROUX, De la con lingence des lois de la
nature, Paris, 1895 , pp . 123 e sgg. ( 8) BONATELLI, Elem . di Psicologia e
logica , Padova, 1895 , p. 210. PASQUALE GALLUPPI 267 a necessitate, non hanno
minor torto i deterministi a combattere la libertas a coactione : gli uni
perdendosi in una vuota creazione dell'intelletto astratto , gli altri rompendo
nello scoglio fallace del meccanismo. E dire che non è mantato chi ponesse bene
la questione , e le desse quindi una soluzione da soddisfare le oppo ste
esigenze e dissipare tutte le difficoltà ! 95. Stabilita , comunque ,
l'esistenza della libertà morale, si tratta pel Galluppi di risolvere questo
problema: esiste un bene e un male morale ? E ne chiede la soluzione , anche
questa volta, alla coscienza . L'esistenza del bene e del male morale, e per
conseguenza di una legge morale naturale, è una verità primitiva attestataci
dalla nostra coscienza ( 1 ) . Darne una dimostrazione è impossibile, senza
avvolgersi in circoli viziosi , al pari di chi vo lesse provare allo scettico
l'esistenza e la realtà del nostro cono scere . La coscienza ci dice che esiste
una legge morale naturale, ossia necessaria ed originaria che si dice dovere :
indipendente dalla legge positiva , come dall'opinione altrui , valida nel
segreto dell'anima nostra . Donde viene a noi la nozione di essa ? Chi
indipendentemente dalla legge positiva mi comanda di non ucci dere un uomo, di
rendergli il deposito , che mi ha confidato ? È la mia ragione , la quale
comanda alla mia volontà . « Son io che comando interiormente a me stesso .
Questo comando non mi viene dunque dal di fuori ; ma dall'interno del mio
essere » . Il predi cato dei giudizii morali è l'idea del dovere ; e questa
idea viene da noi , dice il nostro filosofo , non dagli oggetti. « La nozione
del dovere , egli dice anche esplicitamente , è una nozione soggettiva
essenziale alla nostra ragione » ( 2) . Meglio non si potrebbe dire. Altro che
rancidume, e idealità patristica e scolastica ! Nessuna più esplicita e più
coraggiosa proposizione avrebbe potuto pro nunziarsi in omaggio al moderno, al
vero soggettivismo . Sog gettivo il dovere , ma anche essenziale : questa è la
giusta defini zione non solo del vero soggettivo, ma anche del vero oggettivo ,
dopo Kant, quando bene s'intenda . E nella morale il Galluppi riproduce Kant
bene inteso , senza esitazioni e senza limitazioni. Annunziata la soggettività
del dovere egli dice con accento di sincerità commovente : « È questa una
verità per me evidente , e credo che tale sembrerà a chiunque vi rifletta di
buona fede » ( 3) . ( 1 ) Filos. d. vol ., IV , 38. ( 2) IV, 41 . Il corsivo è
dello stesso Galluppi. ( 3) Ivi . Tutto ciò trovasi anche negli Elementi, V, 91
. 268 CAPITOLO VII 96. La nozione del dovere rende la ragione ragion pratica o
legislativa (tutta terminologia kantiana, come si vede). Essa è essenziale alla
ragione, e perciò potrebbe dirsi innata. Ma non sono già innati i principii
della morale , ossia i singoli doveri . Non uccidere : se questo precetto fosse
innato , dovrebbe esser tale anche l'idea di omicidio, la quale ci viene invece
dall'esperienza. « L'uomo è però costituito di tal natura , che la nozione del
do vere sorte, nelle occasioni , dal suo proprio fondo » ( 1 ) . Insomma, quel
che vi ha di a priori in Galluppi, come in Kant , è la forma del giudizio
pratico ; e la materia è data dall'esperienza . In che consista il dovere, non
è determinato in quella nozione sogget tiva ed essenziale , che costituisce la
Ragion pratica. Di a priori nello spirito e quindi di essenziale nei fatti
etici non havvi che il predicato onde si giudicano le azioni morali : cioè
appunto la forma. Soggettivista come Kant, Galluppi è del pari formalista nella
morale . 97. « La nozione del dovere, egli dice , sorte dall'interno di noi
medesimi, ed applicandosi alle azioni che si presentano allo spirito
costituisce quei giudizii, che sono precetti o comandi » ( 2) . « Questi
precetti, in conseguenza, son proposizioni sintetiche; poi chè essi sono un
prodotto necessario della sintesi della ragione, che aggiunge ad alcuni dati
atti liberi l'elemento del dovere... Questi giudizii , sebbene suppongano
alcuni dati sperimentali, non sono però sperimentali; essi possono, in
conseguenza, riguardarsi come giudizii a priori » ( 3) , - Questa dottrina non
ha bisogno di commento. In essa l'implacabile avversario del Saggio filosofico
riconosce la verità del sistema di quel grande uomo, com'egli lo chiama nella
Morale , che fu Kant ( 4) , « In varie parti delle mie opere filosofiche, dice
nella Filosofia della volontà ( 5) , io ho mo strato l'assurdità de' giudizii
sintetici a priori , ammessi dalla scuola di Kant ; ma i giudizii sintetici di
cui ho io parlato nelle mie opere di filosofia teoretica, sono giudizii
teoretici , non già giudizii pratici » . E negli Elementi di morale, al $ 37 :
« I giu dizii sintetici a priori teoretici mi sembrano assurdi . Ma dal l'esame
profondo della nostra facoltà di volere son forzato di am mettere i giudizii
sintetici a priori pratici, i quali son precetti. Mi sembra impossibile lo
stabilire altrimenti la moralità delle azioni » . ( 1 ) Elem ., V, 92. (2) Ivi,
ibid. (3) Filos. della vol. , IV , 46 ; Elem . , V, 120. ( 4) Elem ., V, 75. (
5) IV, 46 . PASQUALE GALLUPPI 269 98. Fuori di questo soggettivismo morale il
Galluppi , come il Kant, non vede altro che eudemonismo, o morale
dell'interesse, come egli dice ; e questa gli pare soltanto una morale
apparente (1). Quando s'intende la giustizia come un interesse bene inteso, si
fi nisce necessariamente col sommettere la giustizia a qualche cosa che non è
la giustizia . Distinguendo l'interesse bene inteso dal male inteso , « non si
pongono in opposizione due interessi diffe renti ; al contrario, si pone in
fatto, che non vi ha che un in teresse unico , che l'uomo giusto e l'uomo
ingiusto hanno egual mente in veduta ; e che fra essi non vi ha che questa
differenza , che l'uomo giusto è un uomo accorto , e l'ingiusto un imbecille »
( 2) . 99. Ora contro questa concezione morale militano tre argo menti. 1. ° «
La volontà dell'uomo virtuoso differisce intrinseca mente da quella dell'uomo
vizioso » . Laddove nella morale del l'interesse la volontà di entrambi è unica
; perchè entrambi vo gliono la cosa stessa : il proprio utile . 2. ° La virtù
vera è una dote del volere ; e nella morale dell'interesse, invece , sta tutta
nell'accortezza dell'operare ; poichè col cuore più perfido si può saper fare
il proprio utile ( 3 ) . 3. ° La legge morale dee essere asso luta ed
universale . Invece la morale utilitaria « è fondata su la situazione ipotica
dell'uomo , la quale, cambiandosi, cambia pari menti nell'uomo il principio di
direzione, e la virtù diviene vizio , il vizio virtù » . Sicché la morale
utilitaria è falsa , distruggi trice di ogni vera virtù si privata che pubblica
( 4 ) . La virtù è causa della felicità ; poichè , se diviene mezzo, cessa di
essere virtù ( 5) . 100. La morale è essenzialmente disinteressata : la virtù è
amabile per se stessa, indipendentemente dal premio, che la segue. Ma « la coscienza
di averla praticata dev'essere un piacere puro distinto dal piacere preveduto
dal premio , ed indipendente da questo » ( 6) . Nella Filosofia della volontà (
7 ) l'autore sostiene che se il principio dell'utile non può produrre la virtù
, nondimeno può concorrere col principio del dovere a produrla. Non manca
tuttavia di notare che tale concorrenza « non impedisce, che l'azione sia
prodotta dal principio disinteressato del dovere; poichè il princi ( 1 ) Filos.
d. vol., IV , 104. ( 2) Op. cit . , IV , 105 . ( 3) Il Galluppi non ammetto che
dall'utile proprio possa nascere l'utile altrui , che l'egoismo, come ora si
direbbe, possa generare l'altruismo . « L'uomo nulla può amare fuori di se
stosso se non per se stesso » . Fil. d . vol ., IV, 105 . ( 4) Op. cit . , IV,
107-9 ; Elementi, V, 8 32, pp. 98-103. ( 5) IV , 113. ( 6) IV , 147. ( 7 ) IV,
164. 270 CAPITOLO VII pio dell’utile in tal caso toglie solamente o diminuisce
gli ostacoli all'esercizio della virtù » ( 1 ) . Sicché , insomma, non è una
vera e propria concorrenza : l'azione morale è effetto unicamente del principio
del dovere assoluto e universale, categorico. Pare che il Galluppi si opponga
alla rigidezza razionalistica della morale del Kant ; ma in realtà sono
d'accordo nella medesima dottrina. 101. Negli Elementi l'autore pare accenni
veramente al Kant, dove dice ( § 33) : « Alcuni filosofi alemanni hanno preteso
che l'ubbidienza al dovere dee esser l'effetto del puro rispetto della ragione
per la legge , senza alcuna specie di piacere , nè di amore. Una tal dottrina è
falsa , e contraria alla testimonianza irrefraga bile della coscienza » . Ma
egli spiega così il suo pensiero : « Non si dee esser giusto e benefico , per
esser felice ; poichè anche quando la moralità non fosse una sorgente di felicità
, non si do vrebbe abbandonare . Ma più la virtù sarà pura e disinteressata,
più vivo sarà il piacere , che risulta dalla coscienza di averla praticata
..... Il piacere unito all'esercizio del proprio dovere di spone all'azione
doverosa la volontà dell'essere ragionevole..... Ma non bisogna confondere le
conseguenze di un fine col fine stesso .... L'uomo virtuoso vuole il dovere per
se stesso : e questo è il fine ultimo della sua volontà ; egli , in
conseguenza, non fa il dovere per lo piacere ; ma il piacere non lascia di
accompa gnare la pratica del dovere » . Ora questa dottrina è in opposi zione a
un kantismo mal inteso : al kantismo cui s'allude dallo Schiller nel famoso
epigramma sullo Scrupolo di coscienza . Ma il Kant, in verità, non ammetteva
meno del Galluppi quel piacere che consiste nella soddisfazione che ci dà la
coscienza d'aver adem piuto il proprio dovere; ma come il Galluppi teneva a
distinguere questo piacere morale consecutivo all'azione virtuosa dal piacere
patologico a cui uò essere ispirata un'azione non virtuosa (2) ; ad affermare
che il sentimento morale è conseguenza non principio ( 1 ) IV , 165. ( 2) P.
es. nella prefazione alla Tugendlehre scrive : « Ich habe an einem Orte ( der
Berlinischer Monatsschrift) den Unterschied der Lust, welche pathologisch ist,
von der moralischen, wie ich glaubo, auf die einfachsten Ausdrücke
zurückgeführt. Die Last nähmlich , welche vor der Befolgung des Gesetzes
hergeben muss, damit diesem gemässgehandelt werde, ist pathologisch , und das
Verhalten folgt der Naturordnung ; diejenige abor , vor welcher das Gesetz
hergeben muss, damit sie empfunden werde, ist in der sittlichen Ordnung » .
Werke ( ed . Rosenkr. ), IX , 221; cfr . Krit. pr. Vern . , in Werke, VIII ,
152-3. PASQUALE GALLUPPI 271 della moralità . Il Kant bensì osservava che il
piacere per l'atto virtuoso compiuto e il rimorso per il delitto presuppone che
si sappia apprezzare il valore del dovere e l'autorità della legge mo rale';
ond’è che la legge morale è il fondamento di questi senti menti, non viceversa.
Si deve essere , dice il Kant , almeno per metà di già galantuomini per potersi
fare un'idea di tali senti menti . Osservazione che mi pare perentoria contro
ogni specie di eudemonismo ( 1 ) . – Sicché, anche per questo rispetto, la
morale del Galluppi riproduce quella del Kant. 102. Nella morale il Galluppi si
attiene al criticismo del Sag gio filosofico . La sua morale, come quella di
Kant , è indipendente dall'esistenza di Dio. All'ateo, con la sola
considerazione dell'umana natura può provare l'esistenza del bene e del male
morale, in dipendentemente dalla considerazione dell'utile ( 2) ; perchè l'ateo
, qualora non voglia esser sordo alla voce della coscienza, non può non
riconoscere una legge morale, che gli comanda di esser giu sto e benefico .
Giacchè il dovere si conosce per se stesso , è un elemento semplice di tutte le
verità morali , che sgorga dall’in timo di noi stessi . Le difficoltà da altri
incontrate a dedurre dalla natura umana per sè considerata la legislazione morale,
derivano dalla inesatta e incompleta comprensione di questa natura ; cui si
attribuisce solo il principio dell'utile e si nega il principio mo rale . « Si
parte dal principio che nella natura umana non vi può essere altro principio
razionale di azione che quello della pro pria felicità ; ora qual meraviglia
che partendo da un principio insufficiente a generare il dovere non si giunga
ragionando con conseguenza ad una verità pratica ? » ( 3) . Anzi , secondo il
Gal luppi , l'idea di Dio non è sufficiente a spiegarci l'origine del do vere :
perchè una conoscenza teoretica non è sufficiente a generare un principio
pratico. 103. Ma, diceva il Genovesi, la ragione umana è fallibile : è spesso
traviata dal personale interesse ; epperd i suoi dettami non possono essere
norma delle nostre azioni . E il Galluppi replica , che questo scoglio non si
evita certo con la tesi dell'origine di ( 1 ) Cfr. del resto questo passo del
GALLUPPI: « I difonsori della moralo dell'interesso bene riguardano il rimorso
come motivi , che debbano determinar l'uomo a fare il proprio dovero ; ma noi
sostenghiamo, che l'uomo virtuoso dee fare e fa il proprio dovore per se stesso
, indipendentemente dagli effetti che seguono dalla pratica della virtù e da
quelli del vizio » Filos. d. vol. , IV , 241. ( 2) Filos. d. vol. , IV , 238. (
3) IV , 250 . 272 CAPITOLO VII vina della morale . Perchè la legge morale
bisogna sempre che sia conosciuta dagli uomini ; e conosciuta , naturalmente,
per mezzo della loro ragione . Nè maggior valore ha l'argomento a cui ar
restavasi il Tamburini : che non si può concepire legge senza legi slatore . Il
legislatore , dice il Galluppi , è essa la ragione , in quanto ragione pratica
. 104. Un ultimo punto d'incontro del Galluppi col Kant è il seguente . Secondo
il filosofo italiano è un principio essenziale della ragion pratica che la
virtù è degna di premio , il vizio è degno di pena : giudizio sintetico a
priori. Ora, se noi crediamo a questo principio , dobbiamo pure credere
all'immortalità del nostro spirito ; perchè l'uomo virtuoso in questa terra non
è sempre felice, nè sempre sfortunato il malvagio. Che il vizio dev'esser
punito intanto è indimostrabile, come che la virtù debb’esser premiata : è
indimostrabile, perchè è un giudizio sintetico . Ma è legge inalte rabilmente
impressa nella realtà del mio essere ; è la voce di quella ragion pratica, che
è la legislatrice delle nostre azioni , e che non ci pud ingannare, se la virtù
non è nome vano . Uno stato è ne cessario in cui quel principio abbia il suo valore
reale , la sua piena esecuzione . Inoltre , io trovo nel santuario del mio
essere la necessità d'una ricompensa della virtù e d’una punizione del vi zio ;
vi trovo pertanto la necessità di un giudice supremo. Vi è dunque
un'intelligenza suprema, infinita , assoluta , che si manifesta a tutti gli
esseri intelligenti . Questo supremo legislatore e giu dice è Dio ( 1 ) . È,
comesi vede , su per giù , la teoria kantiana dei postulati della ragion
pratica. 105. Ma il Galluppi sente la difficoltà che s'oppone a una de duzione
teoretica da un'esigenza morale, e si domanda : possiamo noi su la semplice
esistenza delle nostre affezioni in noi, stabilire la realtà degli oggetti di
esse ? Anche al Kant si affacciava un problema simile ; e faceva escogitare
quella teoria del primato della ragion pratica sulla ragion teoretica, che è
una vera rinun zia a ogni diritto di vero e proprio filosofare , e perciò a
ogni fondamento filosofico della stessa morale ( 2) . Il Galluppi non fa motto
di questa teorica , forse convinto della sua manchevolezza, e tenta ogni via
per distrigarsi dalla difficoltà ravvisata . Ma non pare che le ragioni trovate
lo persuadano bene. Giacchè , infine, ( 1 ) Elem ., V, § 42, pp. 138-40 . ( 2)
Vedi le ottime osservazioni del prof. SEBASTIANO MATURI , Principii di
filosofia , Napoli, 1837-98, pp. 14 e sgg . PASQUALE GALLUPPI 273 1 si prova a
dimostrare l'immortalità dell'anima, indirettamente, dimostrando che non si può
provarne la mortalità . Se pure que sta può dirsi dimostrazione. 106. Egli dice
in sostanza, dopo qualche esitazione : l'esperienza ci mostra che gli oggetti
delle nostre affezioni sono reali ; ma fra le nostre affezioni c'è la tendenza
alla immortalità ; dunque l'anima è realmente immortale. Bisogna riconoscere
che in gene rale le nostre tendenze naturali non sono defraudate del loro
oggetto . Una di queste tendenze è la curiosità . E « non possiamo noi forse,
dice il Galluppi, spesso soddisfare la nostra curiosità ? » . Questo spesso ,
veramente , guasta, e non poco , l'argomentazione dell’autore ; il quale si
contenta di constatare con l'esperienza : « non vi ha alcuna tendenza nel cuore
umano la quale non possa qualche volta raggiungere l'oggetto cui ella tende » .
Qualche volta ! Dunque l'asserzione dell'immortalità dell'anima non è nulla
d'apodittico : è meramente problematica . Per dirla schietta, il nostro
filosofo è convinto che « il domma dell'immortalità » im porti alla filosofia
morale « come il più fermo sostegno della virtù infelice ed un freno potente
alla licenza del vizio » ; ma chiuso nel suo sperimentalismo, ignaro degli
espedienti mal fidi del Kant, non sa fondare teoricamente il suo principio ,
non sa darne una giustificazione filosofica ; più filosofo nella sua impo tenza
degli odierni prammatisti, che con la maggiore disinvoltura creano una
metafisica per uso e consumo della morale, quasi che lo spirito avesse fine più
degno del vero ; quasi che il bene potesse fare a meno di essere il vero bene.
107. Stabiliti comunque i suoi principii generali della morale, che , come s'è
notato , sono principii essenzialmente formali, come tutti i principii
soggettivi, si può rimproverare al Galluppi ch'egli ne deduca i singoli doveri
( 1 ) . Ma anche in questo egli s'accorda col Kant, la cui Dottrina della virtù
, nella seconda parte della Meta fisica dei costumi, per quanti sforzi facesse
l'autore di salvare il suo formalismo , è in assoluta contraddizione col
principio for male da cui si vuol derivare . Il formalista così nella logica
come nella morale deve lasciare alla storia il compito di dare un con. tenuto
alle leggi soggettive , epperò necessarie ed universali, dello spirito . 108.
Certo , con tutti i suoi difetti , che non sono solamente suoi, anche nella
morale il Galluppi rappresenta un progresso immenso ( 1 ) Elem . della filos.
morale, cap. V. 18 274 CAPITOLO VII sui filosofi precedenti. In conchiusione ,
egli con le sue ispirazioni kantiane, co'suoi studi accuratissimi su tutta la
moderna gno seologia post-cartesiana si libera dalle angustie del sensismo e
dello spiritualismo dommatico ; e inizia in Italia un nuovo periodo speculativo
; nel quale il nostro pensiero, rinsanguato delle idee più vitali della
filosofia tedesca . si solleva col Rosmini e col Gio berti a un'altezza non più
toccata da noi dopo i grandi pensatori del Rinascimento.Galluppi. Pasquale Galluppi. “Galluppi errs in calling natural
semiotics, ‘il linguaggio dell natura,’ since no tongue is involved!” But we
can forgive him for that since he genially realizes, unlike King Alfred, that
one can use ‘dire’, ‘con questo moto del ditto, egli dice al compagno che vada
da B in C” Segno figurato, motto dei bracci quando imito il moto de pesare para
figurar paragonare. – Grice: “Gallupi’s scheme is a complex, and much better
than Locke. He notes that ‘natural’ can apply to ‘sign’, and it is a natural
fact that men will start using ‘natural’ signs in an artificial way – this he
calls ‘natural sign’ – in that it is already an utterer making the gesture, as
when he sneezes, intentionally. Galluppi has always in mind the dyad, what he
calls il ‘compagno’ – so he plays with fifty variants on a theme. A makes a
gesture – with the finger, with the arm --. Galluppi speaks of the
‘proposizione’ being communicated even in these cases – a ‘grido’ is equivalent
to the proposizione that the compagno is to ‘turn his attention towards the
utterer’ – In the ‘natural’ sign, as used in communication, we are already in
the realm of the artificial – only a black cloud naturally means rain –
Galluppi hardly dwells on a ‘grido’ signifying pain in a natural way. He notes
that we progress. And he keeps looking for the reasons in the utterer and the
addressee for all this. So like me, he looks for a motivational rationale – a
‘semantic’ freedom – or ‘prammatica’ as he would say. Since he is an
illuminista, he is only concerned about this in terms of a minimal taxonomy of
signs. So between the signs used in communication he distinguishes three types:
the imitative, the indicative (different criteria) and the figured sign – not
figurative – ‘segno figurato’ – when a lot of pantomime takes place. It is only
THEN that he explores the arbitrariness: one loses one’s compagno, and utters,
“Where are you?” – so since this worked, they agree that ‘Where are you’ will
mean, “I lost you – where are you?” --. And then we have a full lingo – or
semiosis. He rightly thinks that his is an improvement over Lucrezio!” Pasquale Galluppi. Galluppi. Keywords: gesto,
grido, gemito, moto del ditto, dolore, causa del dolore, circustanza, segno
naturale, segno istituito, segno commune (istituito per la comprensione mutua),
segno arbitrario, segno artificiale, segno imitative, segno indicatore, segno figurato,
segno analogico, segno figurativo -- gesto della mano, lo sguardo, communicare,
sentire, volere, Gentile, il canone nella storiografia filosofica italiana –
Gentile su Galluppi. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Galluppi," per
Il Club Anglo-Italiano,The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758115582/in/dateposted-public/
Grice e Galvano – arte naturale –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I like Galvano; he has
philosophised on aesthetics, on ‘spirit and blood,’ and on polytheism, citing
Sallust!” Frequenta la scuola a via Galliari, animata da Casorati. Fonda L'Unione Culturale di Torino. Promuove il “Movimento Arte Concreta” – cf.
Arte Astratta – Insegna all’Accademia Albertina. Dizionario Biografico degli
Italiani. FONDAZIONE GIORGIO AMENDOLA E ASSOCIAZIONE LUCANA CARLO
LEVI Pino Mantovani Luca Motto
Albino Galvano Fare, pensare, vivere la pittura
"i P____—_ mm gr s_———m dz de
__—2zpA—A_t} PA "o Scritti di
PINO MANTOVANI LUCA MOTTO ALESSANDRO BOTTA ADRIANO
OLIVIERI ALBINO GALVANO Fare, pensare, vivere la
pittura Aver puntato il senso della propria vita sui segni e sui
colori sarà stata magari una puntata inutile ma non elusiva e non
insincera | [ALBINO GALVANO, 1980] FONDAZIONE GIORGIO
AMENDOLA AssociaziIoNE LUCANA IN PieMONTE Carto LEVI
MOSTRA D'ARTE TRENTENNALE DI ALBINO GALVANO Torino,
marzo-giugno 2021 presso la Sala Mostre dell’Associazione Lucana Carlo
Levi e della Fondazione Giorgio Amendola Con il Patrocinio di Con
la collaborazione di REGIONE CONSIGLIO wc I GALLERIA | NE }
CITTA DI TORINO olii MIN FEONIE DEL PIEMONTE att Sen DEL
PIEMONTE Il 2020-21 è stato un biennio segnato dalle notevoli
difficoltà imposte dalla pandemia da Covid-19. Alla luce delle molte
restrizioni, la Fondazione Giorgio Amendola ha cercato, nel limite del
possibile, di proseguire con le proprie attività di divulgazione e promozione
culturale adattando spazi e metodologie alle esigenze del periodo,
rispondendo all'emergenza coronavirus con iniziative dinamiche e
creative, passando per la fruizione digitale per permettere agli utenti di
restare a casa, come le disposizioni prescrivono, senza perdersi dei
contenuti culturali. Sotto questa prospettiva e, nonostante le
molteplici difficoltà, il lavoro svolto per ricordare, a trent'anni dalla
sua scomparsa, l'artista torinese Albino Galvano (1907-1990) è stato importante.
La Fondazione Giorgio Amendola ha ritenuto opportuno offrire alla città di
Torino e non solo, la possibilità di accedere gratuitamente all'incontro
con l’opera artistica e intellettuale di una delle figure di spicco del
panorama artistico italiano della seconda metà del novecento. L'iniziativa, di
rilievo nazionale, ha permesso di raccogliere artisti e intellettuali di
tutta Italia che hanno collaborato con Galvano e che tuttora ricoprono un
ruolo fondamentale nella produzione culturale del nostro Paese.
Prospero Cerabona Presidente della Fondazione
Giorgio Amendola Studi, Convegni, Ricerche della Fondazione
Giorgio Amendola e dell’Associazione Lucana Carlo Levi
54 Presidente Fotografie delle opere PROSPERO CERABONA MARCO
CORONGI Curatore mostra e catalogo Direttore Responsabile PINO
MANTOVANI PROSPERO CERABONA Scritti di Redazione PINO MANTOVANI,
LUCA MOTTO, ALESSANDRO BOTTA, ADRIANO OLIVIERI DOMENICO CERABONA, MARIA SOFIA
FERRARI Progetto ed allestimento PINO MANTOVANI, LUCA
MOTTO, EDITRICE IL RINNOVAMENTO —” Fotocomposizione ©
EDITRICE IL RINNOVAMENTO Ente promotore Fondazione Giorgio
Amendola VIDEOIMPAGINAZIONE GRAFICA DI TESTI E IMMAGINI Associazione
Lucana in Piemonte Carlo Levi VIA TOLLEGNO 52 - 10154 TORINO TEL. 0112482970 —
cerabona@libero.it Si ringraziano per il prestito delle opere e la
collaborazione: Galleria del Ponte (Torino), Civica Galleria d'Arte
Contemporanea Filippo Scroppo (Torre Pellice), Stefania e Stefano Testa,
Liliana Dematteis, la famiglia Maggiorotto e tutti gli altri prestatori che
hanno preferito restare ano- nimi. Si ringrazia Francesca Barzan per la
realizzazione delle docu-interviste. Sommario Albino
Galvano e la pittura Pino Mantovani Albino Galvano: la fedeltà alla pittura
Luca Motto Da discepolo a interprete. Albino Galvano e Felice Casorati
Alessandro Botta Gli occhi fervidi e il sapore di cenere.
Albino Galvano: Decadentismo, Simbolismo, Art Nouveau Adriano Olivieri
Opere esposte ARTE DI VENEZIA 1954
GATMAZH TEAOZ GANATOZ XXVI: ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE
D GALVANO ALBINO BIENNALE (267) Foto
Giacomelli - Venezia FOTOTECA ASA. Albino Galvano e
la pittura Pino Mantovani Da pittore, Albino Galvano pone
tre livelli d’inda- gine; come qualsiasi artista intelligente, se non
fosse che, nel caso suo e di non molti altri, i tre livelli si
presentano specialmente complessi e coltivati con con- sapevole
separatezza e problematica interconnessione: Il primo livello
comporta chiedersi che pittore Galvano sia stato e, ovviamente,
interrogarsi sulla specie e sulla qualità della pittura (delle pitture)
che ha messo in opera nel lungo percorso, sicuro e tortuo- so, che
lo ha impegnato pressoché ininterrottamente dalla fine degli anni Venti
(era nato nel 1907) fino alla morte, nel 1990. Il secondo
livello comporta mettere a fuoco la concezione (le concezioni) ch'egli ha
elaborato della pittura, in quanto da critico (e autocritico: nella
sua scrittura, l’autoritrattoè un vero e proprio genere!) si è
occupato dell’arte, in particolare della pittura, conuna intensità, una
pervicacia, una curiosità sempre sveglia, direi aggressiva, in un'epoca
provocatoria e insieme minacciata dalla condiscendente banalizzazione.
Ma, forse, il nodo più difficile da sciogliere è quale rapporto ci
sia tra il praticante pittura (‘[...] è questa l’arte — scrive di sé nel
‘46 — della quale ab- biamo, bene o male, una qualche esperienza
vissuta e [...] non crediamo se non ai discorsi che nascono da questa
esperienza”, dove si radica anche la mi- litanza del critico) e il
teorico che usa gli strumenti del filosofo, dell’antropologo, dello
psicanalista, dello storico (da competente, eppure mai imprigionato
dallo specialismo? e anche meno dall’appartenenza'*)
1 Sipuòdaffermare che ogni suo scritto è occasione per una au-
toanalisi. Come, d'altra parte, che l'autobiografia non è mai cro- naca
contingente, invece occasione per andare oltre la cosiddetta evidenza dei
fatti, per indagarne radici e proiezioni. 2 A. Galvano, La pittura,
lo spirito e il sangue, in “Tendenza” n.1, Torino, ripubblicato in A.
Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue, a cura di G. Mantovani, Il
Quadrante, Torino 1988; in A. Galvano, Diagnosi del moderno, a cura di A.
Ruffino, Aragno editore Torino, 2018. 3. G. Gallino, in
Attraverso il Novecento: Albino Galvano, Atti del Convegno, Torino 1997 a
cura di M. Pinottini. Bulzoni editore, Roma 2004, pag. 45: "Se ...
l’eclettismo diventa una condizio- ne dell'esercizio dell’arte, è anche
la qualificazione dello status dell’intellettuale, che, in ogni specifico
ambito d'indagine, è sol- lecitato a non perdere di vista la visione
d'insieme dei problemi. La polemica di Galvano contro la specializzazione,
quale esclusiva procedura del sapere, risponde a tale regola
metodologica. In- dubbiamente, in ogni attività culturale, è necessaria
una partico- lare competenza, ma, al di là del suo confine, s'impone
l'esigenza del controllo unitario dei suoi esiti e delle sue interpretazioni”.
A. Ruffino, (Com)plessi galvanici, introduzione a Diagnosi del mo- derno,
cit., pagg. XIII-XIV: “Contro lo specialismo, ... Galvano ha sferrato una
controffensiva senza tregua e a tutto campo: sul pia- no pratico, opponendo
al tecnicismo la tèchne (nel suo caso quella pittorica); sul piano
morale, opponendo alla provvisorietà della posa il rigore della presa di
posizione (ma mai irrigidita in partito preso); sul piano estetico,
opponendo ai miraggi di progresso illi- mitato espressi dal Funzionale le
ragioni dell’Organico, capace di suscitare creazioni vive”. 4
Interessato “da una parte all'eredità del tardo romantici-
A. G. con Mariacarla e Pino Mantovani, Racconigi, 1980. per
affrontare la pittura, alla quale riconosce una singolare
centralità. Tutti questi temi mi hanno per decenni accom-
pagnato e sollecitato. I miei primi interventi su Galvano pittore
risalgono, infatti, all’inizio degli Ottanta: data 30 novembre 1980, la
presentazione ad una personale presso la Galleria Maggiorotto di
Cavallermaggiore, seconda di una serie dedi- cata ai protagonisti del MAC
torinese; ma già nel marzo dello stesso anno avevo tracciato, con
la collaborazione dei miei allievi in Accademia, un quadro della
pittura degli anni Cinquanta a Torino nel Museo Civico di Casa Cavassa a
Saluzzo’, sulla falsariga delle indicazioni che Galvano aveva for-
nito a T. Sauvage? per una storia ancora regionale dell’arte italiana nel
Dopoguerra; e nel 1983 sul catalogo della mostra Arte a Torino,
1945-1953” nel smo e del decadentismo:
Mallarmé e Bergson, ‘esoteristi e filosofi della vita’, psicanalisi ed
esistenzialismo, dall'altra alla severità dello storicismo crociano e
all'esempio del rigoroso metodo cri- tico negli studi di storia dell’arte
[...] Lettore di Klages, di Jung o di Guénon, ma anche studioso di Kant e
di Hegel” (A. Galvano, Perché non possiamo non dirci crociani, in
“Numero”, n. 3, 1953. At- tento a Freud come a Jung. Curioso delle
storie, nel tempo e nello spazio, pronto a coglierne, nella comune
umanità, le differenze e le istruttive potenzialità. 5
PitturaaTorinoneglianni cinquanta, a cura di G. Mantovani, cata- logo
della mostra, Museo Civico di Casa Cavassa, Saluzzo 1980. 6 T.
Sauvage (pseudonimo di A. Schwarz) Pittura italiana del Dopoguerra; Ed.
Schwarz, Milano 1957, il testo fu ripubblicato con integrazioni e il
titolo La pittura a Torino dal ‘45 ad oggi, in “Let- teratura”, n. 1,
Torino 1960, successivamente in A. Galvano, La pittura..., cit. pag. 135
segg; e A. Galvano, Diagnosi..., cit., pagg. 393 segg. 7 Arte
a Torino, 1945-1953, a cura di M. Bandini, G. Mantovani, F. Poli,
catalogo della mostra, Torino 1983 salone d’onore dell’Accademia
Albertina, dedicavo a Galvano il mio intervento, anche oltre gli
anni definiti nel titolo. Mi troverò, pertanto, a incro- ciare in
queste pagine scritti pubblicati in un arco di tempo di circa
quarant'anni, con il proposito, spero non solo narcisistico, di
organizzare in di- scorso unitario contributi sparpagliati e spesso
di non facile reperimento. Proprio dalla presentazione
Maggiorotto — poi variamente elaborata per occasioni ulteriori
dedicate appunto al MAC, come il catalogo per la esposizione del
MAC torinese sempre curata dalla galleria Mag- giorotto alla Expo Arte —
Fiera Internazionale di Arte Contemporanea di Bari (1982), la
presentazione del catalogo Albino Galvano, Proferio Grossi, Luiso
Sturla, Artecentro, Milano 1994, fino al saggio sul movimen- to torinese
nel volume per la mostra MAC/ESPACE TORINO È VIa S. GIULIA
12 TORINO 370 ‘ Pre.
A. PARISOT |F. SCROPPO Bollettino «Arte Concreta» n.
9, 1952 e n. 12, 1953. all’Acquario di Roma, 1999°—mi parlogico
cominciare, non tanto perché uno dei primi approcci al tema —
allora potevo anche contare sul rapporto diretto con Galvano, ma devo
dire che la sua disponibilità non era invasiva e tanto meno arcigna
rispetto alle inter- pretazioni che venissero proposte del suo
impegno — quanto perché vi si pongono i fondamenti del mio
interesse per l'artista /critico / filosofo. L'incipit che sceglievo
allora mi pare sia ancora il migliore possibile; non mio, intendiamoci,
invece proprio di Albino che 8. Loscrittosarà rielaborato come
prefazione a A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue, cit.
9 P. Mantovani, Pittori concreti a Torino, in MAC-ESPACE - Arte
concreta in Italia e in Francia, 1948-1958, a cura di L. Berni Canani e
G. Di Genova, catalogo della mostra, l'Acquario Romano, Roma, ed Bora, Bologna
1999, pagg.60 e segg. così aveva concluso un
asterisco sul Bollettino “Arte Concreta”, n.12, 195310 ; “E
scopriremo che è un programma [quello del MAC le cui premesse erano già
nei romanzi dei tempi della nonna? Tanto meglio, almeno avremo
evitato l'equivoco più antipatico che grava sull'arte astratta: che
si tratti di cosa moderna 0, peggio, d'avanguardia”. Una fulminante
risposta al nemico Leonardo Borgese che sul Corriere della Sera, aveva
definito A’ rebours di Huysmans, “un vecchio romanzo dell’800”,
fonte peraltro “di tuttele velleità estetiste dell'avanguardia”:
fornendo unovvio spunto polemico — non saprei quan- to consapevole, nel
caso addirittura masochistico — a chi da anni si occupava del rapporto tra
le cosiddette “avanguardie” ela linea dal Romanticismo al Simboli-
smo; ma anche agli amici di Milano che si riconoscevano nel programma di
Sintesi delle Arti pubblicato nello H |
FIL sintesi allo studio b 24 dal 21-2 al i: se
? i fi 5 5! È s7
A. G. riproduzione di Verso Occidente, Biennale di Venezia
1952. stesso Bollettino, che prevedeva “il diretto concorso
di tecnici e artisti, sul piano della stretta collabora- zione, per il
raggiungimento finale d’un concreto il quale aderisca alla funzione in
armonia di colleganza fra il mondo della forma, lo spazio e
l'applicazione pratica dell’opera collettiva”! viva il design, la
grafica e l'estetico diffuso, dunque. Come non bastasse, Gal- vano
conclude l'asterisco citato rigettando qualsiasi attualismo:” Che bel
giorno quello in cui potremo lavorare in pace al compito che la storia ci
ha affidato, certi che nonè sulla misura della contingente
attualità 10 L'asterisco, cioè l'osservazione,
la messa a punto marginale è il contributo che Galvano sceglie per
intervenire criticamente liberamente sui Bollettini del MAC (e
altrove). 11 E Passoni, Le arti e la tecnica, “Arte Concreta” 12,
1953, pag. 65, ried. anastatica, a cura della galleria Spriano, Omegna,
1981. , , che il nostro lavoro verrà
giudicato!”. Il fatto è che Galvano non intende escludere tutta la
complessità di rimandi e proiezioni, soggettivi ed oggettivi, che i
linguaggi dell'immagine — specialmente quando non siano troppo condizionati
da tecniche o ideologiche motivazioni — si portano dietro e dentro, e
che, del resto, la cultura moderna indaga con particolare impegno e
analizza con rinnovata strumentazione, mentre altri linguaggi
dell’immaginario—la poesia, la narrativa, lamusica — stanno sperimentando
a tentoni forme “nuove” (o vecchie !? o antiche, al punto d’essere
“originarie”!). Neppure, d'altra parte, egli intende abbandonare la
pittura come linguaggio specifico, proprio quella tradizionale (tela,
carta o qualunque supporto piano, disegnoe colore, gesti e tracce a
formar figure !4); per quanto metta in conto uno spostamento
dall’iconico all’aniconico, dal descrittivo all’evocativo, dall’allusivo
all’emblematico, dal geometrico al rit- mico al gestuale; ciò che non precluderebbe
peraltro “la possibilità di uno scambio e di una penetrazione
sempre possibili nell'esercizio di una lettura figurativa per elementi —
segno, colore, movimento, materia ecc. 12. “Confessiamo di essere
segretamente d'accordo con Bor- gese [quando invita a rileggere A’
rebours]. Perché... l'essere agli antipodi [delle scelte di Huysmans e
delle preferenze in pittura del suo eroe Des Esseintes] è troppo
vitalmente legato a ciò che rifiuta per non riprenderlo su di un piano
meno esterno: e le cita- zioni dalla Blavatzky e da Steiner del Kandinsky
della ‘Geistige’, l'appartenenza a circoli teosofici di Mondrian giovane,
il fatto che uno dei primi scritti italiani sull'arte astratta sia di J.
Evola sono ben significativi di un rapporto ambivalente — di rifiuto per
la ca- rica letteraria, moralistica o immoralistica, del simbolismo
speso alla spicciola nell’allusività delle immagini e della messa in
scena, e insieme di accettazione di quel gusto di allusioni e
suggestioni, di segrete corrispondenze tra immagini e speculazioni — che
— nel- le sue due facce: sensualmente umbratile l'una,
simbolicamente intellettuale l’altra — tra il 1890 e questa metà del
nuovo secolo hanno ostinatamente tentato di aprirsi una strada — sia pure
af- fidandosi alla romantica barca ‘ebbra’- dalle varie forme di
resa alla prosasticità del realismo”. Ancora dall'asterisco citato di
Gal- vano in “Arte concreta” 12, 1953. 13. Azzardo un'ipotesi
(certo suggestionato dal recente catalogo della mostra La regione delle
Madri. I paesaggi di Osvaldo Licini, Elec- ta, Milano, 2020, in
particolare dal saggio di S. Bracalente, Licini oltre la geometria: una
primordiale genesi del mondo): che Galvano non abbia ignorato “Valori
primordiali”, e in particolare l’opera di F. Celiberti, anche lui
proveniente da studi di storia delle religioni, tanto importante per
Licini proiettato dalla fine degli anni Trenta oltre la geometria,
specialmente nell’incrocio tra teosofia, esisten- zialismo e
fenomenologia (Paci e Banfi), e per comuni interessi per Spengler,
Klages, Guénon ... e per l'alta poesia romantica. 14 “Dipingere con
colori e pennelli ... è stata una costante del mio lavoro nei suoi vari
cicli, anche quando come spettatore ho pregiato e difeso esperienze varie
e opposte. Ma è certo che, se tra il '75 e il ’78 ero venuto via via
recuperando alla mia pittura quell’attaccamento alle gidiane nourritures
terrestres che confessa- vo in un altro mio scritto, nei quadri qui
presentati esse hanno perso ogni ghiottoneria che non sia quella
dell'occhio contemplan- te: in bocca è solo sapore di cenere. Ciottoli,
fossili: l'eco della vita in ciò che non ha vita o non l’ha più”. A.
Galvano, Autopresenta- zione della Personale, Piemonte Artistico
Culturale, Torino 1985). Libretto di iscrizione a
magistero. — non diversi da quelli che consentono la
valutazione di ogni buona pittura”! Perfino le ‘’ giuste ragioni”
concesse ai concretisti milanesi sembrano far parte di un gioco alquanto
provocatorio, portando il discorso dal livello tecnico a quello culturale
ed etico, di una eticità sempre esposta, in un certo senso negativa
(“demoniaca”, nella cultura occidentale, di radice inevitabilmente
cristiana anche nella più spinta laicità). Già l’anno precedente,
nelnovembre del ’52, firmando con Biglione, Parisot e Scroppo quello che
a ragione o a torto è considerato il manifesto del movimento
torinese, Galvano aggira gli ottimistici programmi dei milanesi, espressi
nei manifesti dell’ Arte Organica, del Macchinismo, del Disintegrismo,
dell'Arte Totale!’ che sanno ancora tanto di Futurismo, e dichiara
che carattere essenziale nella scelta dei nuovi adepti è la
“responsabilità liberamente assunta sul limite più impegnativo ... di
lotta contro ogni conformismo e pigrizia intellettuale” nel campo della
pittura come in diversa applicazione estetica e pratica, senza com-
promessi e “senza pudore”. Il fatto è che Galvano (e
15. A. Galvano, presentazione della collettiva, Bordoni, Galva- no,
Jarema, Parisot, Scroppo, Galleria del Fiore, Milano 1954. 16 Cfr.
“Arte Concreta n. 10. 17. “L'unico atteggiamento ragionevole è
quello di lavorare at- tendendo colla sincerità di chi sa che lo spirito
ama le posizioni estreme ed attive , non i compromessi”. (A. Galvano,
L'evasione, in “Il Selvaggio”, 15 gennaio 1940, ripubblicato in A.
Galvano, Dia- gnosi del moderno (a cura di A. Ruffino), cit., pag.
28. con lui i pressoché coetanei Adriano Parisot, Filippo
Scroppo, Paola Levi Montalcinie i più giovani Anniba- le Biglione e Carol
Rama, per nominare tutti i torinesi che aderiscono più o meno convinti al
MAC)ha dietro le spalle una ventina abbondante d’anni di lavoro non
ovviamente mirato allo sbocco astratto. Basta pensare alla frequenza
orgogliosamente esibita fino all'ultimo della scuola di Felice Casorati
(sul quale elabora una piccolamaimportantemonografia che punta non
poco sulla stagione simbolista — sull'argomento si rimanda
all'intervento in questo catalogo di Alessandro Botta), al rapporto con
il neoimpressionismo dei Sei, in va- riante espressionista; al fatto che
egli medita, continua a meditare sul significato e sul valore della
scelta “moderna”, essenziale, inevitabile, ma problematica nelle
ragioni, nei modi, negli obiettivi; infine, che ha una formazione teorica
e storica — aggiungerei una struttura psicologica ed una educazione — che
non gli consentono di utilizzare a cuor leggero la strategia del
manifesto, di ascendenza futurista, e in genere le dichiarazioni programmatiche!8:
una questione di carattere e di stile oltre che di metodo e di
cultura. Del resto, Albino Galvano aveva già affrontato il tema in
testi antecedenti di alcuni anni, ne utilizzo uno in particolare:” La
pittura, lo spirito e il sangue”, che uscì nel 1946 sul primo ed unico
numero della rivista “Tendenza”, nell’ambiziosa prospettiva dei
direttori responsabili — lo stesso Galvano e Pippo Oriani — Ri-
vista mensile di Arti figurative!. Certo esistono di Galvano saggi più
importanti come quelli che elenco innota?°, dove il tema è affrontato con
argomentazioni analitiche e storicamente complesse, ma continuo a
trovare snodo esemplare nella vicenda dell'artista il brevesaggio citato.
Anche la data è importante, a guer- 18. Il dubbio, lo scetticismo,
l'ambiguità come tensione fra op- posti sono fondamenti del suo metodo,
che non è irrazionale, in- vece di un razionalismo critico che mai cede
allo schema ideolo- gico o alla rigida consequenzialità. 19
Nonacaso ho scelto il titolo del saggio come titolo per la citata
Antologia di A. Galvano, edita dal Quadrante, Torino 1988. 20 Diversi
saggi di grande respiro, Galvano pubblica negli anni immediatamente
successivi alla seconda Guerra mondiale. Elen- co in ordine cronologico
quelli ripubblicati sull’Antologia citata, consenziente l’autore: Aspetti
del problema estetico dell’esistenziali- smo, Atti del Congresso
internazionale di Filosofia, Castellani e C ed., vol II, Roma, 1946;
L'esistenzialismo, a cura di E Castelli, Mi- lano 1948; Storicità e
significato dell’arte “astratta”, in “Archivio di filosofia”, vol. I,
Milano 1953, “Galleria di Lettere ed Arti”, n. 4-5, 1953; Medioevo e
Romanticismo, “Questioni” n. 2, 1955; Vita e forma in alcune ricerche di
estetica contemporanea, Atti del IIl Congresso In- ternazionale di
Estetica, Venezia 1956, edito dalla “Rivista di Esteti- ca”, Torino 1957;
Le poetiche del simbolismo e l'origine dell’Astrattismo figurativo, Studi
in onore di L. Venturi, vol. II, Roma 1956. All'elenco si aggiungono i saggi
pubblicati in successive occasioni: in partico- lare sul catalogo della
Antologica postuma: Omaggio a Albino Galva- no, a cura di P. Fossati, F.
Garimoldi, M. C. Mundici, catalogo della mostra, Circolo degli Artisti,
Torino 1992 e, con scelta assai più am- pia ma ancora lontana dalla
completezza, sulla recente antologia: A. Galvano, Diagnosi del moderno,
cit. ra appena finita; come significative le collaborazioni,
che elenco per segnalare la ricchezza e la varietà dei contributi, intesi
a coprire in tutta la loro estensione le cosiddette Arti figurative: C.
Mollino e U. Mastro- ianni, Monumento ai Caduti per la liberazione
d'Italia; R. Chicco, ... et le tableau quittè nous tourmente et
nous suit; I. Cremona, Dal cannone alla Secessione; A. Dra- gone,
Disegni, acqueforti e acquerelli di Cino Bozzetti; P. Oriani, Franco
Costa; C. Mollino, Gusto dell’Architettura organica; O. Navarro Il
messaggio della cultura; ancora A. Galvano, Woyzeck di Georg Biùchner, P.
Oriani, Breve discorso su due films di Cocteau. Aggiungo — e non è
un dato secondario—dopo una pagina redazionale, quindi di Pippo
Oriani “che proviene dall'esperienza futuri- sta” e dello stesso Albino
“che proviene dal purismo casoratiano e dal neoimpressionismo
venturiano”, dove si rivendica, dalle due parti inconciliabili (ma
l’inconciliabilità è segno di forza, di utile tensione) la gratuità
dell'atto creativo rispetto alla riflessione critica, e l'autonomia del
giudizio critico rispetto alle generalizzazioni dell'estetica, in un
tempo storico che minaccia di deludere chi aveva sperato che la fine
del regime politico e culturale comportasse il recupero pieno della
libertà e la sua pratica esplosiva. L'avvio del saggio è forte, al solito
compromesso, e ancora una volta lo propongo: “L'appello della pit-
‘LA PITTURA, LO SPIRITO E IL SANGUE L'appello della pittura
risuona dal profondu del nostro sangue — ancora con quell’urgenza —
come nei quindici anni quando sostituiva in camuff:imenti impegnati
sino alle estreme ragioni della possibile azione, gli slanci religiosi o
i presentimenti sessuuli. Ma le vie dell'Eden sono perdute, e sarà vano
lo sforzo di ricostruire un itinerarioche approdi al- l’innocenza
d'allora, che vi riscatti la sin troppv chiara coscienza del carattere composito
e compro. messo di ogni atto umano che non sia di rinunzia: il
peccato fondamentale dell’arte. Invano da anni l'estetica crociana, non
per nulla irritata con il « fanciullino » pascoliano troppo
chiaramente preanunciante le scoperte freudiane {e contro Freud i
erociani si armeranno della più ipocrita in- comprensione) cerca di
riprendere e di legittimare, con la sterilizzata convinzione del
carattere « teore. tico» dell’arte, il troppo scoperto « alibi »
kan- tiano del « bello come simbolo del bene morale ». Credo siu
venuto il momento di confessare schiet- tamente che il bello, proprio
questo bello artistico che ci brucia sin dalla giovinezza ogni
possibilità di rassegnazione e di conformismo, è piuttosto il « sim.
bolo del male morale ». Tanto, anche eticamente. dla questa franchezza
non perderemo nulla. Soltanto Nietsche ha insistito con sufficiente
chia- rezza su questo carattere, profondamente « vitale » e perciò
profondamente « immorale » dell'attività artistica: contro il quale assai
poco mi paiono va- lere le due obiezioni che implicitamente o
esplici- tamente vengono mosse dagli idealisti e dagli spiri.
tualisti. Se per i crociani — ma credo che in Gen- tile l'implicita
ammissione, inevitabile data l’iden- tificazione di arte e sentimento e
l’inseparabilità dell'agire dal conoscere, di quanto sì è detto,
fosse più che sospettata dall'autore anche se la reto. rica di cui
sempre fu ammalato gli impedì di am- metterlo in termini chiari; che tuttavia
non man- cano nei più diversi fra i suoi seguaci o avversari-
seguaci: dal primissimo Abbagnano disciogliente tatto il reale in
irrazionalità, appunto con una re- ducetio ad absurdum dell’attualismo,
all'Evola, al più recente Spîrito — se per i crociani, si diceva, la
scappatoia di ridurre l’arte a pura conoscenza, giocando sul doppio ruolo
confuso insieme del- l’« intuizione » permette di evitare lo spinoso
prò- blema, i recenti spiritualisti — ma anche fra di.
loro lo Stefanini, ad esempio, ammettendo una.« in- sufficienza
dell’arte alla vita» — pur nella auto- ì enza in ordine al proprio valore
peculiare, finisce collo svalutare moralmente l’arte — candi-
damente invece sermoneggiano sulle comuni radici del bello e del buono (nel
secolo scorso queste niaiseries di solito avvenivano su di uno
sfondo ontologistico vagamente giobertiano, oggi lo gnoseo- logismo
idealistico generalmente è rispettato anche dagli spiritualisti che
dell’idealismo dovrebbero es- ser avversari) e ci avvertono che il
tormento del- l'urtistu che insegue con il diuturno lavoro il
fan- tasma che sempre gli sfugge è profondamente mo- rale! ;
Dio volesse che fosse veramente così. E che si potesse sul serio
sperare che all'artista, dopo la conquista su cui ha tutto giocato, della
propria immagine, fosse anche riservato per soprappiù il paradiso
delle religioni e delle etiche! Sarà meglio invece guardarci
chiaramente in fac- cia e chiederci se veramente per il puradiso
provvi. sorio della bellezza non giochiamo la salvezza della nostra
anima — ammesso che «questa espressione abbia un senso: quello cristiano,
+ quello di una etica « laica » (ma generalmente è cripto-eristiana
anch'essa) — riconoscere per che cosa abbiamo scommesso; chè le
conseguenze del nostro « pari » atiche se lo avremo perduto non
diventerunno duv- vero peggiori per quest’atto di franchezza.
Rimane inteso che su questa rivista, che non è dedicata a studi
filosofici, non potremo farlo che sotto l'angolo della pittura; ma poichè
è questa arte della quale abbiamo, bene 0 male. una qual che
esperienza vissuta e poichè d'altra parte non crediamo se non ai discorsi
che nascono da questa specie d'esperienza, la cosa non sarà fuori
posto. La coscienza rimane inquieta. E poichè sente che tutto
nel problema implica la discussione delle CAROL RAMA
Disegno - 1944 Da «Tendenza», 1946, disegno di Carol Rama.
tura risuona dal profondo del nostro sangue — ancora con
quell’urgenza — come nei quindici anni quando sostituiva in camuffamenti
impegnati sino alle estre- me ragioni della possibile azione, gli slanci
religiosi o i presentimenti sessuali”. Geniale, perché collega
direttamente, intimamente la pittura (ma in genere i linguaggi creativi)
alla natura, al sangue appunto, affermando “il carattere profondamente
immorale dell'attività artistica” già sostenuto da Nietzsche,
negato o perlomeno arginato invece da Idealisti e Spiritualisti; e
insistendo sulla “presenza di una volontà — non risolta nella pura contemplazione,
né risolvibile, dato ilsuo orientamento verso l’immagine [...] La
cosaè particolarmente evidente nelle arti figu- rative e la multiforme e
aperta a direzioni divergenti attività [...] ne è il paradigma [...] Ed è
appunto ciò che è sfuggito all’idealismo, a causa della artificiosa
distinzione [...] di teoretico e di pratico, come al confu- sionismo
attualistico che confinando l’arte nella sfera dell’immediato sentimento
cade di fatto in un troppo semplicistico naturalismo. La distinzione fra
teoretica e pratica è certo valida, ma all’interno di ogni singolo
atto spirituale nella sua integrità, ché la vita spirituale presenta
questi due aspetti come facce sempre distinte, sì, ma sempre
inseparabili”. Conclude Galvano (e in questa direzione trova
sostegno nella fenomenologia di Alain?!, ne “L'Imma- culée Conception”
dei surrealisti e in Breton, più che nella poetica di Valery, almeno
quando troppo insiste sul pieno controllo cosciente dell'artista
nell’elabora- zione dell’opera): ‘Qui [...] bisogna pensare [...]
ad una volontà tutta inconscia, individuante e non ancora
individuata (come[...] Schopenhauer presentiva) e ad unopposto momento
rappresentativo che solo giustifi- ca il valore estetico dell'immagine
raggiunta negando nel sogno l’ebbrezza del movimento fisiologico”.
Con un salto di parecchi anni, dal 1946 de La pittura, lo spirito e
il sangue ad una autopresentazione 21
Utilissimal’ampia citazione in proposito da uno scritto ine- dito di A.
Galvano, riportata da F. Garimoldi Albino Galvano: pro- getto di una
nuova cultura, in Omaggio a Albino Galvano, cit., nota 12: “[in Alain
ovvero Emile Chartier] l'accento cadrà ... molto più che nell’estetica
idealistica, sul momento del fare che su quello del conoscere , e sulla
resistenza del mezzo sentita come condizio- ne positiva ed essenziale al
sorgere del fantasma artistico, fanta- sma che non sarà più un'immagine
al tutto congiunta a priori ad una materiale estensione che la traduce,
ma che sorgerà insieme all'atto di esecuzione e che soltanto a posteriori
rispetto a que- sto avrà la sua concretezza “ ... “L'opera non nasce
nella testa o nel cuore, nell’intelletto o nel sentimento, per poi essere
realizzata nella pietra o sulla tela, ma, direi, nel vivo pulsare del
sangue al polso quando questo gioca le resistenze e le tensioni, gli
scatti e le flessioni del pollice e della mano nell’urto con il
resistente ma- teriale. La scultura e la pittura sono meno la
realizzazione visiva di un'immagine mentale che la materiale traccia
lasciata da un gioco di ritmi fisiologici”. Sarà in particolare
Merleau-Ponty a sviluppare il tema, per esempio negli studi dedicati a
Cézanne. lino Vieeate colla (o crlize pus (olenda,
cuni (aza sr net&uk' a fr suina und la gut rin % NAM (dA Pene
più 0 me0 Ara la rr tn he Ut forata ME TISHOI: RE Peas LA LALA
Les al caso TU fi e fa dii Lo val poco comi pila
est; ua dn AA Prima pagina della lettera di A. G. a Adriano
Villata, 1980. del 1980 — scritta a mano “quasi si trattasse di una
lettera destinata solo all'amico [il “Caro Villata”, gallerista], nella
quale ci si può confidare e divagare come l'umore o la nostalgia
suggeriscono” —, Galvano ritorna sul rapporto fra il concepire e il fare,
tra il fare e il decodificare il senso in più o meno risolutive
lettere; ancora una volta mettendosi in gioco, ma senza alcuna
intenzione di assumere valore esemplare o chiedere scusa 0 simpatia,
esponendosi in tutto lo spessore di sensibilità e intelligenza, di impossibilità
(a meno che non si scelga o si accetti la rinuncia) di sottrarsi
all'impulso profondo. E anche senza compiacimento narcisistico: ci si
esprime non per coltivare l'emozione ma per darne testimonianza e, per
quanto possibile, esporla a sé e ad una analisi non priva di
crudeltà, comunque oggettiva. È interessante seguire il filo del
discorso, che nella scelta del tono dimesso non è meno teso del
solito. Prima motivazione del movimento pendolare tra pittura
e scrittura, così esposto al giudizio e all’ironia dei colleghi dell'una
e dell'altra banda: l'appartenenza “ad una generazione [quella di
Cremona, di Maccari, di Mollino, per restare tra amici] e ad un
ambiente 22 Ripubblicata in A. Galvano, La pittura,
lo spirito e il sangue, cit., pag. 29 e segg.; e in A. Galvano, Diagnosi
del moderno, cit. , pagg. 13-17.
All'inaugurazione di una sua personale, inizio anni ‘70. in
cui questo male, se male, era quasi una ragione di orgoglio”. Era la
generazione dei nati all’inizio del secolo, che raccoglieva dai
protagonisti del rinno- vamento dell’arte (secessionista o
avanguardistico, rappresentato per Albino, in primo luogo e per
sempre, dal maestro Felice Casorati), una eredità che era non meno
di esperienza materiale che di elaborazione intellettuale, un
atteggiamento aperto, anzi tentato da molteplici contraddittorie
curiosità e linguaggi espressivi (ma il quasi suggerisce l’affacciarsi di
qual- che incrinatura nella certezza adamantina esibita dai
predecessori, forse anche per il confronto inevitabile con una
generazione successiva che tornerà a proporre arroccamenti
specialistici). Seconda motivazione: ‘[...] Tutto quantohai
odiato o amato nei giochi e nella noia dell'infanzia alimenterà
peruna vita quanto produrrai, buono o meno chesial....] I
nutrimenti terreni avranno un bel essere filtrati in parole, in segni e
colori, in note, in spettacolo, il loro repertorio non muta, non lo hai
scelto, ma ne sei stato scelto, e tu sei quello che essi ti hanno fatto,
la tua libertà non può consistere che nell'essere loro fedele sino alla
fine, libertà di adesione non di ripudio, e libertà nella misura in cui
con il tuo ripensamento e il tuo scavo li trasformi da passivo esser
fatto in attivo assecondamento della sorte che essi ti hanno
assegnato, in obbiettivazione in cui il loro oscuro sgorgo, la loro
inconscia matrice, si chiarisce nell'opera, nel segno formato e
consegnato all'oggetto che ti rivela agli altri e in cui assumi
responsabilità di confessione e di 10 proposta”. Insomma,
è proprio il rilancio dal fare al pensare e dal pensare al fare che
definisce una identità intuita come destino e accettata come
scelta. Ma se rimane “ovvio” il rapporto fra i nutri- menti
terreni e ciò che uno diviene e fa nel tempo, è anche vero che “una
immagine retrospettiva di sé è sempre un’interpretazione che porta il
peso della mutata identità dell’interrogante, del penoso carico di
nostalgie, ricordi, rimpianti e rimorsi [...] e ogni interpretazione,
specialmente nell'impegno auto- biografico, è anche una falsificazione”,
per quanto cerchi di evitare tanto l’apologia ideologica quanto la
“disgustosa e mimetica” confessione personale. Giusto nel mezzo,
fra le due citazioni del 1946 e del 1980, nel 1960 (è il caso di
ricordare che è il tempo della svolta neodada e pop che mette in
crisi e addirittura annichilisce alcuni dei pittori più con-
vinti), Galvano mostra d’avere di questo destino ironica e malinconica ma
anche dura consapevolezza. Del fallimento egli tesse un sistema, secondo
i miti di Prometeo e Sisifo, riscoperti come”moderni” dal
Romanticismo all’Esistenzialismo. “Finis picturae? [...] Il punto si
identifica [...] con questo estremo di coscienza contraddetta e irritata:
la certezza che la via senza uscita dell’arte oggi non ha [...]
nemmeno l'alibi della professione, del successo, del guadagno, ma
soltanto il fascino senza illusioni di una fedeltà a un impegno
individuale, quasi di una scommessa con la propria intelligenza e con la possibilità
e i limiti del nostro stesso temperamento!”. Diventano così
esemplari l’ultima e penultima produzione di Galvano pittore, alla quale
viene dedi- cata in questa mostra una intera sezione, iniziata
verso la fine degli anni ’70 con i ciottoli le foglie i frutti, i
relitti, proseguita con “i paesaggi (rocce, alberi, isole), i nudi,
le macchie[|...]”:esemplare neltentare una trascrizione di
archetipi, congelati inluoghi comuni della pittura, tipi, generi e
maniere (il fascino baudeleriano dei luoghi comuni!). Ma già muovevano
nella stessa direzione ireos e cespugli d'inizio ‘70 — tracce che
regrediscono attraverso lamemoria nella gesticolazione elementare —
e prima i segni asemantici, prima ancora (siamo nella seconda metà dei
‘60) le bandiere, i nastri, i nodi e così via: tutte figure emblematiche,
primarie e coltissime, che niente hanno a che fare con la
semplificazione, la banalizzazione pop. La pittura ivi
coincide con la costruzione delle im- magininominabili (nona caso
varianti dell'icona della cosa, anzi del frantume, astratta da qualsiasi
contesto, su un fondo bianco che è il segno di una definitiva
separazione dallo scorrere fenomenico), e insieme la pittura è
automatismo oggettivo, registrazione fredda della emozione costruttiva
(se non creativa): infatti presentata tipicamente come nodo, descrizione
dell’a- 23 A. Galvano, La pittura a Torino dal ‘45 ad oggi,
cit. »m®) da cor. 4 È "ut me rematori) E ua
Br su : Pa ù LE a
Con Gino Gorza a Palazzo Te, Mantova, 1988. zione
dell’annodare, avvolgere, intricare-intrigare, 0 dello sciogliere e
liberare (vedi la bellissima immagine scattata, credo, alla galleria
Martano). Ma è tutta la vicenda di Galvano pittore e critico
che val la pena di ripercorrere in mostra, sia pure per cenni e con
discutibili tagli. Danotarel’uso ch'egli fa dell’insegnamento
casora- tiano: del maestro, Galvano non assume passivamente il
“platonismo”, consapevole che il rapporto di Felice con la pittura è dal
principio e resta nel tempo un rapporto “decadente”, che diventa
eticamente “sano” e formalmente “classico” solo per un atto di
volontà tanto mirabile quanto falsificante; sarebbe meglio dire
critico, con vettore opposto, sia pure, a quella che sarà la scelta di
Galvano. Che il travestimentosia storicamente giustificato su un modello
rispettabilissimo come quello gobettiano, non vuol dire che la sua
sostanza più vera non debba essere riconosciuta nonostante,
attraverso la corazza ideologica e formale ritrovando il nucleo
profondo, ’malato”ma straordinariamente vitale. 11
Del Galvano degli anni’30-inizio ‘40, sarebbe da approfondire
l’espressionismo — che del resto condivi- de con altri della sua
generazione: Nella Marchesini, Paola Levi Montalcini, Piero Martina,
Italo Cremona, Carol Rama. In tal senso ci si potrebbe chiedere che
peso abbia avuto, localmente, Spazzapan che esaltava l'ispirazione e
deprecava l'istinto (viene in mente la teoria di Klages, che insiste
sulla attrazione magnetica traimmagine e “anima”, ben distinta, l’anima
ispirata e creativa, dall’istinto che è del corpo, come dalla
volontà decidente e dotata di facoltà riflessiva che è dello spirito”); e
anche Carlo Levi, l’unico dei Sei che partecipi intimamente all’espressionismo
europeo, e, fuori sede, i romani, Scipione in particolare al quale
Albino dedicò una bellissima recensione nel ‘40, che è lo stesso anno
della prima edizione del Casorati. In un saggio intitolato Perché
non possiamo non dirci crociani, in “Numero”, 3, 1953, Albino Galvano
sottolinea che la sua generazione “decadente” deve a Croce specialmente
questo: d'essere stata messa nella condizione di “accettare senza
malafede e senza rimorsi i dati di quella cultura di tardo
romanticismo che, così feconda quanto a ricchezza e sottile
sensibi- lità di ricerche particolari, tanto si è dimostrata inca-
pace di una sistemazione totale... [insomma di poter essere] decadente
malgrado Croce, grazie proprio al riscatto che il metodo crociano
offriva”. Che è un modo ottimo anche per comprendere come coerenza
di sistema e incoerenza pragmatica siano in Galvano strettamente
congiunte in dialettica tensione: la co- erenza consistendo nella
allarmata coscienza critica, nella responsabilità che non può consentirsi
“nessuna comoda complicità”, l’incoerenza nell'essere ogni scelta
un esito che, per quanto imperfetto, è sempre compromesso e
rappresentativo. Come a dire che la vitalità della ricerca costituisce un
valore, non meno che l'aspirazione ad una sistemazione che finalmente
rappresenti una “identità”, forse meglio “la libertà di essere identici
al proprio destino”. Perciò Galvano non intende, tanto meno come pittore,
tagliare i ponti col passato (il suo passato, oltre che la storia);
invece semina il cammino di tracce, di residui, vorrei quasi dire
fisiologici, di lapsus, così che in ogni momento il cammino sia
ripercorribile o almeno riconoscibile, ma anche sostituibile. Egli, in
effetti, sa che nulla va distrutto e non consuma sacrifici liberatori.
Per lui in particolare (adatto il titolo di un importante saggio
del ’63), La sublimazione astrattista non liquida l'erotismo del Liberty,
semmai ne prende le distanze, per poterlo rimettere in circolo, come in
un processo alchemico in perenne rinnovamento. Così Galvano
passa necessariamente da un con- cretismo geometrizzante, che di fatto
ironizza — ma non banalizza - la geometria come privilegiata ma-
24 A. Galvano, Per un'armatura, Lattes, Torino 1960, pag.
87. nifestazione della razionalità e della chiarezza, ad un
concretismo informale che libera la possibilità di una pittura scritta
usando il campo come tabula rasa 0 pagina intonsa, dove il gesto può
scorrere ed intricarsi, e/o come dimensione praticabile in tutto il
suo spessore magmatico, a sua volta ironizzato dalla scoperta di una
ritmica, di una metrica essenziale. Come adire che è nella pittura
(nell'arte) chesi realizza, assumendo evidenza di mito visivo — feticcio
laico — l'unico progetto possibile senza illusioni razionaliste e moralismi
ideologici. Un momento certamente fondamentale, sarei tentato
di dire il perno sul quale ruota il resto è quello attorno al’60: quando
la “natura” del gesto s'incontra felicemente conlo schema, generando una
concrezione araldica, l'intenzione simbolica con il simbolo ricono-
sciuto nella memoria collettiva; ennesima variante della tradizione
dell’ornato, raccolta e riavviata dal Liberty: insieme puro gesto e
automatismo assolu- tamente impuro. In questa mostra, il momento
avrà adeguata evidenza. Ma è anche vero che Galvano si guarda bene
dal protrarre artificiosamente quel momento (diciamolo pure,
straordinario, quasi senza confronto in Italia), tanto che si prenderà
negli anni immediatamente successivi, dal ‘62 al ‘65 circa, una pausa
di riflessione che produrrà anziché pittura saggi teorici che culminano
in Artemis Efesia, per riprendere il filo (la matassa) della pittura con
proposte (in appa- renza) assai differenti: le bandiere, i nastri, 1
padiglioni, gli anelli di Moebius. Che cos'è la pittura per
Galvano, allora? Scrive di lui nel 1974 l’amico / avversario
Giulio Carlo Argan, che ha scommesso sul progetto ideolo- gico,
vincente almeno per un certo periodo storico: “Egli non risponde una
volta per sempre, con una definizione filosofica: infatti ciò che vuol
sapere è che cosa sia la pittura in questa precisa condizione della
cultura, della coscienza, dell’esistenza, e quale sia il suo grado di
vitalità, quali le sue possibilità di sopravvivere in uno spazio ogni giorno
più ristretto”. Non gli si potrebbe dar torto, se non fosse
che proprio l’opera e ciò che la sottende, l’opera come atto
critico, questo è appunto il suo contributo filosofico, e anche la sua
testimonianza sapienziale, che trascrivo da una autopresentazione del
19822: “Dunque [la pittura], una meditazione sulla morte
imminente [...] o il recupero della gioia ottica nello spazio ripercorso
in termini di colore e di luce, sia pure della luce irreale della memoria
e del sogno? O la scenografia di ambigue emersioni dall’inconscio?
Davvero non saprei dirlo, e, forse, è inutile porsi le domande. Forse
anche soltanto la monotona iterazione 25. G.C. Argan,
in catalogo della personale, Galleria Unimedia, Genova, 1974.
26 A. Galvano, Autopresentazione, in catalogo della mostra,
Piemonte Artistico Culturale, Torino 1982. 12 di una
passione per il dipingere, che ripercorre con insistenza sigle che non è
più capace di vivificare colla curiosità e il gusto avventuroso della
giovinezza”. Tante pitture, allora, e però tutte mirate ad essere
presenza di pittura e non illustrazione di concetti. Pittore concettoso,
a volte, mai concettuale nel senso di illustratore di concetti :
aggiungo,nel segno di una ine- ludibile, per quanto mascherata vocazione
poetica.” Devo citare, almeno una volta, Edoardo Sangui-
neti, allievo e amico, grande estimatore di Galvano: “Mi trovo [...]
forzato a pensare che, alle radici del lavoro di Galvano, come artista e
come studioso, stia un'immagine — è la parola giusta — che accenna
all'uomo come animale che è capace di immagine. E dunque un’antropologia
fondata sopra la facoltà della visione”, In formula perfetta,
a conclusione di Storicità e significato dell’arte astratta (1953),
Galvano aveva già precisato:“L'opposizione affermata da Mallarmé
tra la concretezza della vue e l’allusività delle visions,
l'affermazione di Alain che il poeta è l'opposto del visionario perché sa
di non vedere sino a che la mano non abbia realmente costruito nello spazio
l'oggetto che la passione progettava, sono divenute nella co-
scienza del pittore concreto l'imperativo di una scelta tra il peso della
memoria e la libertà pericolosa di una iniziativa tutta affidata al
risultato”. F. Garimoldi, nel saggio più volte citato”, sottolinea che
Galvano pone come centro dell’arte “l’insoluto rapporto fra
espressione ed enigma” (che cosa di più chiaramente collocato sulla linea
romanticismo-simbolismo come la vede Albino?), citando una autopresentazione
del 27, La seconda parte di questo scritto elabora
liberamente tre miei testi: in ordine cronologico, Témoignage de notre
dignité, in Fi- gure d'Arte, artisti a Torino dagli anni ‘50, a cura di
A. Balzola, R. Cavallo, E. Ghinassi, P. Mantovani, Alberti ed., Pescara
1991; A proposito del pittore Albino Galvano, in Attraverso il Novecento.
Albi- no Galvano, 1907-1990, a cura di M. Pinottini, Bulzoni ed.,
Roma 2004; Albino Galvano pittore, catalogo della mostra, Galleria
del Ponte, Torino, 2010. 28 E. Sanguineti, Contro la ragione,
“La Stampa”, 10 marzo 1990. Un libro singolare, dove Sanguineti è figura
nodale nella messa in circolo della “linea liberty” ancora nella seconda
metà del ‘900; li- nea che Casorati, Cremona, Mollino e Galvano avevano
mantenu- ta viva con originali apporti nella prima metà del secolo, è
L'altra faccia della luna — Origini del neoliberty a Torino di Elvio
Manganaro, Libria ed., Melfi 2018. Al libro citato devo la conoscenza di
un te- sto di Galvano: Processo alla pittura in “Il Selvaggio”, 15
novembre 1938, che dà originale contributo alla interpretazione della
vicenda artistica della sua generazione, che “si gioca tutto nello spazio
che separa le Uova del 1914 da quelle del 1920, o tra l’”Icaro senza ali
e le ali senza volo del Sogno...”, di Casorati naturalmente, perché
proprio Casorati era “appartenuto paradigmaticamente ai due mondi [...]
quello della figlia di Iorio e quello della Jeune Parque”... (E.
Manganaro, L'altra faccia della luna, cit., pagg. 168-170). 29 A.
Galvano, Storicità... cit., 1953. 30 EF Garimoldi, A. G. Progetto
di una nuova cultura, in Omag- gio..., cit., pag. 15.
‘77%:"Si dà arte solo quando il non differente operare a fini
strumentali o di puro edonismo è impedito e stravolto dai sedimenti di
una vicenda individuale che s'insinuano e dominano dove pretendeva
condurre il gioco la razionalità del progetto decisionale. A que-
sta condizione in ogni tempo si è cercato di opporre la dignità
dell’autocontrollo [...], certo vanamente, ma anche proficuamente perché
[...] la possibilità di coinvolgere gli altri [...] non consiste se non
nel pun- tualizzato istante di tensione in cui lascia materiale
traccia di segno o di tocco quel gioco d’insidie; l'istante in cui
l’inspiegata vicenda interiore si fa immagine ed emblema”.
Con Francesco Bartoli a Palazzo Te, Mantova, 1988.
Nota bibliografica La discutibile scelta di privilegiare la
pittura come via di accesso alle molteplici attività di Albino
Galvano, obbliga a segnalare gli autori che hanno af- frontato il caso
con particolare intelligenza e puntuale cultura filosofica.
E. Sanguineti, in catalogo Antologica, 1979; R. Tessari, nello
stesso catalogo, e Galvano e il mito, in Figure d'Arte, cit. 1991; G.
Carchia, Prefazione a Arte- mis Efesia, nella riedizione del 1989, cit.;
P. Fossati, F. 31 Autopresentazione, mostra personale, Galleria
Weber, Tori- no 1977. 13
Garimoldi, M.C. Mundici (a cura di), catalogo della mostra al Circolo
degli Artisti, cit. 1992; A. Balzola, Galvano e D'Adda: l'immagine
matrice, in Figure d'Arte, cit. 1991; G. Gallino, pagg. 27-46 e F. Salza,
Albino Galvano e Jung, in“ Attraverso il Novecento”, cit. 2004; A.
Ruffino, Introduzione in Albino Galvano — Diagnosi del moderno, cit.
2018. A parte, segnalo il “ritratto” che ne fa Paolo Fos-
sati, con riferimento prevalente agli anni Sessanta e Settanta,
presentando Omaggio a Albino Galvano nel 1992; e le memorie che in circa
trent'anni di colloqui — non di rado centrati su Casorati, Cremona e
Galvano — ho potuto raccogliere da Gino Gorza, l'unico artista di
generazione successiva che per cultura e gusto potesse essere accostato a
Galvano. Fu proprio Gino a volere una mostra comune — con il significativo
titolo di Sincronie — a Mantova in Palazzo Te, nel 1988; riannodando
il filo della presentazione che Albino gli aveva dedicato dieci
anni prima, per l’Antologica nello stesso luogo. Ricordo
all’inaugurazione del 1988 la presenza di Francesco Bartoli, documentata
anchein una fotografia dove il geniale interprete di Licini sembra
inchinarsi al geniale interprete di Artaud. Più recentemente,
sempre al Te, una giornata di studio dedicata a Bartoli è stata
anche l'occasione per rievocare la figura di Galvano con Roberto Tessari.
Anche Tessari è mancato. Prova di ritratto
Uomoriservatissimo, comea volte chi non si neghi alla mondanità, anzi se
la imponga come esercizio. La leggendaria disponibilità (senza
ombra di debolezza) realizza una delle forme più aristocratiche
dell'etica (per discrezione in maschera di rigore pro- fessionale).
Essenziale un fondo di malinconia, come misura di una perdita
irreparabile, e di nostalgia per una totalità irreversibilmente
frantumata. Tra distacco soggettivo e oggettiva commozione
scorre l’impurità di un continuare a vivere, si scrive in tracce
stenografiche il diario di un sedotto ... e di un seduttore per forza (di
un gentiluomo piemontese). Sensualissimo lettore; scrittore capace
di costruire macchine logiche come trebbie di tortura, e di
avvolgere in sontuose inestricabili ragnatele (costante una specie
di dolcezza, cui tanto meno resistono rigidi baluardi): trascurabile vi è
l'inganno, perché la circonvenzione è ignobile, specialmente d'incapace.
Come un dovere coltiva il diletto: su questo piano potrebbe essere
magistrale se non fosse troppo fine e pericoloso un tal modello. Nel suo
sistema, la pittura rappresenta il “concreto”. Distratto semmai da
irridu- cibile curiosità, non è mai astratto. Ireos, sassi e
conchiglie sigillano una storia so- stanzialmente coerente, perché osano
confronto con il principio e la fine: così su una pietra tombale si
posano cose e il tempo vissuto, relitti nudi, epifanie senza velo.
Omaggio a Albino Galvano Catalogo mostra
antologica, Palazzo Chiablese, Torino, 1979. Catalogo mostra antologica,
Circolo degli Artisti, Torino, 1992. Atti del convegno, a cura di M.
Pinottini, Torino, 1997. Antologia di scritti di A. G., a cura di
A. Ruffino, Aragno editore, 2018. Electa Piemonte
ATTRAVERSO IL NOVECENTO: ALBINO GALVANO (1907-1990)
a cura di Marzio Pinottini BIBLIOTECA DI
CULTURA / 657 BULZONI EDITORE 14
Albino Galvano: la fedeltà alla pittura Luca Motto
Il magistero casoratiano e la prima figurazione 1928 — 1944
Albino Galvano nacque a Torino il 16 dicembre 1907, l’anno
d'esecuzione delle Demoiselles d'Avignon di Picasso che segnò l’imporsi e
il susseguirsi delle avanguardie: « che nel bene e nel male
problematico [...]dovevanocaratterizzare, inconcomitanza concrisi
umane, politiche e sociali ben più gravi, ilnostro secolo sino a porre
oggi il problema della “morte dell’arte” qualunque cosa si intenda
sottolineare con questo termine apocalittico»!. Galvano pur muovendosi
nel solco della modernità, affondava le sue radici in una meditata
e personalissima assimilazione di riferimenti pittorici dell'Ottocento e
del primo Novecento, ben lontano dalla reazione e dall’inattualità.
Apparteneva all'ambiente casoratiano e alla sua scuola «divenuta il
centro di un'opposizione cortese, tacita che non esclu- de — la cosa è
molto torinese — rapporti amichevoli o per lo meno corretti con gli
avversari»?. Nel decennio 1918-1928 venne segnata la tempe-
rie di una Torino moderna (tuttavia non futurista) di seguito enunciata
in pochi assunti utili a comprendere l’ambiente artistico nel quale il
giovane Galvano s'in- trodusse: la comparsa di Felice Casorati alla
Promotrice del 1919 come artista rivoluzionario e di rottura; la
«breve esistenza » di Piero Gobetti e il suo cenacolo antifascista; le
polemiche e la reazione dell'ambiente cittadino alle scelte di «gusto»
antinovecentiste di Lionello Venturi rivolte all'arte di nuovi
«primitivi», gli impressionisti; il fugace percorso del gruppo dei
Sei di Torino (coagulato e promosso dal duo Persico e Venturi)che
rinunciarono a «Roma madre» per «Parigi amica»; e la vitalistica apertura
culturale europea del finanziere, collezionista e mecenate Riccardo Gualino.
Dopo un precoce apprendistato con il pittore Giovanni Pisano e il
maestro di disegno Vannini, l'educazione di Galvano all'arte
contemporanea si svi- luppò suriviste di settore (in
particolare”“Emporium” e “L'art vivant”) e attraverso la frequentazione
delle Biennali veneziane. Alla rassegna del 1928 Galvano poté
osservare dal vivo la pittura di Felice Casorati che rappresentò «la
scoperta del mondo nuovo e spre- giudicato che si apriva alla nostra
cultura: l'ingresso del mondo “moderno”»*. Al termine del 1928
si iscrisse alla Scuola Libera di Pittura di Casorati (sorta a Torino nel
1921 e struttu- ratasi maggiormente dal 1927 nella nuova sede di
via Galliari, antistante l'abitazione di Riccardo Gualino) e la
frequentò fino al 1930. Il suo magistero, lontano da
1. A. Galvano, Autobiografia, in N. Pizzetti e G. Givone (a cura
di), Albino Galvano, catalogo della mostra, Palazzo Chiablese, Re- gione
Piemonte, Torino 1979, pp. 17 — 18. 2 A. Galvano, Torino e i «Secondi
futuristi», in A. Galvano, Dia- gnosi del moderno. Scritti scelti 1934 -
1985, a cura di A. Ruffino, Nino Aragno editore, Torino 2018, p.
344. 15 Albino Galvano (al centro,
seduto) e (da sinistra, in piedi, tra gli altri) Filippo Scroppo, Daphne
Maugham, Rina Galvano, Danila Cremo- na, Felice Casorati, Carol Rama,
Leopoldo Bertolè, Valpellice 1949. «Ogni sistematicità
d'accademia»°, non fu solamente estetico ma anche pregno dell'eredità
etica e politica gobettiana: un debito verso quel «fanciullo puro»
che esigeva «fedeltà e non lacrime»®. Per Galvano il punto
fondamentale della sua formazione fu il trovarsi par- tecipe di un
ambiente che lo salvò «tanto dal rischio di un'adesione acritica al
regime imperante [...] e da quello ben più grave [...] di un'immersione o
som- mersione nella Torino di quel tipo di borghesia che amava in
pittura Giacomo Grosso». L'insegnamento del «platonico» Casorati, pervaso
«d’una signorile severità», verteva su l’«insieme» e il «tono».
Dalla monografia Felice Casorati di Galvano (1940, editore Hoepli,
Milano) si legge che il Maestro consigliava agli allievi di «imparare a
vedere il più semplicemente possibile [...] la forma di quella
determinata massa tonale, di quella determinata massa
chiaroscurale, non la forma dell'oggetto» [...]. La forma serve qui
a distruggere la linea ed a passare al colore [...]»*. Il clima
della scuola di via Galliari fu efficacemente narrato da Lalla Romano ne
Una giovinezza inventata: «Verso sera venivano sovente visite: Alberto
Rossi, Mario Soldati, Carlo Levi. Levi ridacchiava — con noi —
sull'indirizzo classicistico della scuola, dove gli allievi più ambiziosi
preparavano un bozzetto per il quadro. Rideva ma affettuosamente. C'era
una base culturale comune: il disprezzo per il fascismo».I nomi
citati sono solo una parte delle personalità con cui Galvano, all’inizio
degli anni Trenta, instaurò un duraturo rapporto amicale sulla via del
confronto artistico, tra gli altri: Paola Levi Montalcini, Sergio
Bonfantini, Riccardo Chicco, Italo Cremona, i Sei e 5
P. Gobetti, Iniziative d'arte a Torino, in “L'Ordine Nuovo”, 27 dicembre
1921. 6 F. Casorati, in “Il Mondo”, 20 marzo 1926. 7.
A. Galvano, Autobiografia cit., p. 17. 8 A. Galvano, Felice
Casorati, cit. pp. 369, 371. O) L. Romano, Una giovinezza inventata
(1979), Einaudi, Torino 2018, p. 185. Giulio
Carlo Argan, ma anche Carlo Mollino, Massimo Mila, Leone Ginzburg e
Franco Antonicelli. La pittura postimpressionista di Galvano del
decennio Trenta e fino al 1945 si orientava in un «con- traddittorio
intento di tenere insieme i valor plastici di Casorati e quelli dei Sei»
il cui risultato «pesante e impastato» fu autocriticamente espresso
dall'artista stesso!°. Anche una certa l’arte d'oltralpe praticata
da stranieri fascinò Galvano (Maurice de Vlaminck, Ko- stia
Terechkovitch, Christian Krog), mentre i rimandi nostrani furono
indirizzati alchiarismo lombardo eai tonalisti romani. «Quei loro mezzi
[...] misi sfasciava- no ed intorbidivano tra le mani, rimanendo parentele
d’accatto o esperimenti di lettura, ed enorme riusciva la dispersione e
la perdita di tempo»"!. Un repertorio antinovecentista di temi
iconogra- fici ricorrenti segnò quel periodo: «pesci, molluschi,
conchiglie, vecchi libri accartocciati, crocefissi e acquasantiere
barocchi, nudi tortili come molluschi e paesaggi incerti tra quegli
andamenti sinuosi e un modesto cezannismo che era nell’aria»!“.
Galvano s’inserì nel circuito espositivo nel 1929, anno in cui le
arti si avviavano verso la loro fasci- stizzazione di forma con
l'istituzione del Sindacato Fascista a cui venne affidato il compito di
gestire le manifestazioni espositive periodiche sul territorio
nazionale. Il rapporto con la società artistica di un Novecento
sarfattiano (a un passo dallo smantella- mento definitivo) e della
retorica celebrativa di Stato era destinato tuttavia a un sostanziale
fallimento. A Torino Galvano esordì nell'alveo casoratiano in
due mostre della scuola nel 1929 e nel 1930. Dal 1930 al 1942 furono
regolari le sue presenze alle espo- sizioni annuali della Promotrice di
Belle Arti con più sporadiche puntate alla Società degli Amici
dell’arte (1931, 1932, 1934). Il critico Emilio Zanzi, in una
recensione riguar- dante un'esposizione di vendita torinese del
1934, sagomava i tratti pittorici del giovane Galvano: «[...]
sfuggito anzitempo alla disciplina rigorosa della scuola di Casorati. Il
Galvano in certe composizioni di nature in silenzio ricorda la chiara e
sapiente pittura del Maestro, in altri quadroni ricerca l’effetto
della pennellatona agile ed abile, cara passione di qualche
post-impressionista»". Alle rassegne di carattere nazionale
Galvano prese parte alla I e alla Il Quadriennale romana (1931 e
1935) dove vi fu una discreta rappresentanza torine- se e piemontese:
Felice Casorati e il suo discepolato (Paola Levi Montalcini, Nella
Marchesini, Sergio Bonfantini, Emilio Sobrero), Daphne Maugham,
10 A. Galvano, Autobiografia cit., p.18.
11 A. Galvano, in catalogo della mostra, Galleria La Giostra, Asti
1952. 12. Ibid. 13 E. Zanzi, in “La Gazzetta del
popolo”, 1934 16 Albino Galvano e
Filippo Scroppo alla I Mostra Internazionale dell'Art Club, Palazzo
Carignano, Torino 1949. parte dei Sei (Carlo Levi, Francesco
Menzio, Enrico Paulucci), Giulio Da Milano, Umberto Mastroianni,
Italo Cremona. Alla Biennale di Venezia del 1930 Galvano presenziò con
un’opera nella stessa sala di Casorati e allievi, mentre nell'edizione
1936 espose isolato (a Gigi Chessa scomparso nel 1935 venne
dedicata un'ampia retrospettiva, Menzio e Paulucci comparivano
attigui). In questo periodo sono da indagare infine le par-
tecipazioni alle quattro edizioni del Premio Bergamo (1939-1942). Fuuna
manifestazione, insieme al Premio Cremona, che svelò la dialettica
artistica italiana: due componenti antitetiche dello stesso volto del
regime. Il primo (promosso da Giuseppe Bottai), più elitario, «si
riallacciava a un versante dell’arte italiana colto, internazionale e
post-impressionista»!* suscitando polemiche nell’ala più intransigente
del fascismo; il secondo (voluto da Roberto Farinacci) era
sintonizzato sull'onda delle mostre hitleriane. AII Premio
Bergamo del 1939 (in giuria Casorati, Funi, Longhi e Argan) il terzo
riconoscimento venne suddiviso tra cinque concorrenti: si evidenziava
la presenza romana di Giuseppe Capogrossi e quella piemontese con
Menzio, Paulucci, Galvano e Piero Martina (era presente anche Nicola
Galante, non premiato). Al secondo Premio Bergamo del 1940 Galvano
ricevette una particolare menzione e il suo dipinto fu acquistato dal
Ministero dell'Educazione Nazionale. Galvano espose anche alla terza
(1941) e alla quarta edizione (1942, vincitore l’intimista Menzio),
la rassegna scandalo della Crocifissione di Guttuso, reinterprete
drammatico e rabbioso di un’iconografia mutuata dal sacro: anticipazione
in chiave cubista della militanza postbellica. Il ventennio
Trenta-Quaranta contrassegnò inol-
14 AA.VV, Gli anni del Premio Bergamo: arte in I talia intorno agli
anni Trenta, catalogo della mostra, Bergamo, Electa, Milano 1993, p.
58. tre il compimento della formazione intellettuale di
Galvano che si laureò nel 1938 (con Angiolo Gambaro e Nicola Abbagnano)
con una tesi sulla pedagogia della religione: primo atto
dell’approfondito con- fronto con le tematiche spiritualiste,
antropologiche e filosofiche (in primis l'influenza di Benedetto
Croce e Henri Bergson). Tra le sue prime prove di critica
d’arte si possono menzionare il breve scritto del 1932 su Armando
Spa- dini in “L'Arte” diretta da Venturi; il saggio del 1934 su
Luigi Spazzapan in “Orsa”; le collaborazioni con il periodico milanese
“Le arti plastiche (1933) e la reda- zione delle cronache d’arte torinese
per “Emporium” (1938-1942). Si ricordano inoltre i volumi del 1938
(per l'editore fiorentino Nemi) L'arte egiziana antica, L'arte
dell'Asia occidentale e centrale, L'arte dell'Asia orientale; la
monografia Felice Casorati edita da Hoepli (nel 1947 uscirà una seconda
edizione) e Tre nature morte: Casorati, Menzio, Paulucci pubblicato a
Torino nel 1942. Fu assistente alla Cattedra di pittura di
Paulucci all'Accademia Albertina di Belle Arti di Torino nel 1942 e
da quell’anno, fino al 1978, insegnò storia e filosofia negli istituti
liceali. Tra inumerosissimi allievi con i quali mantenne profondi legami
si ricorda in particolare Edoardo Sanguineti. Dalla fase
espressionista verso l'astrattismo 1945-1951 AI termine del
conflitto bellico per Galvano e gli artisti della sua generazione
s'impose il confronto con l'avanguardia, l'Europa e il moderno. «Moderna
non è soltanto l’arte prodotta nel periodo in cui viviamo, ma
quella che di voler essere moderna ha program- matica intenzione! [...]
Che assume come categoria predicativa l'affermazione di “novità” rispetto
ad una situazione di cultura storicamente conclusa. [...] Il
concetto di moderno si chiarisce, così come un concetto “etico” [...] per
cui l'avversario non è un modesto o nullo artista, ma il traditore di una
causa totale, il reazionario che non merita pietà e al quale non
giova la buona fede». Queste lucide affermazioni di Galvano aiutano a
delineare un settore della sua linea di pensiero che contribuì ad animare
il vivace dibattito degli intellettuali torinesi, fautori di quel
compatto blocco culturale che, tra il 1945 e il 1947 tentò una
ricostruzione «morale e civile» della società. La posizione politica di
Galvano dopo la Liberazione fu abbastanza distante dall’ideologia
estetica del fronte comunista. L'urto «non era tanto fra tradizione
e innovazione, anche meno tra astratto (o concreto) e figurativo
[...] ma tra militanza “costruttiva” ed autonomia “critica”
[...]»!9. 15 A. Galvano, Moderno, in Enciclopedia
Universale dell'Arte, vol. IX, Fondazione Cini, Roma-Venezia 1963.
16 G. Mantovani, Il malessere dell'arte, in A. Galvano, La pittura,
lo spirito e il sangue, a cura di G. Mantovani, Il Quadrante edizioni,
E; Negli anni postbellici il complesso confronto-
scontro con Croce era ineludibile e la posizione di Galvano (sviluppata
in anni più tardi nel fondamen- tale scritto Perché non possiamo non
dirci crociani, 1953) merita qui qualche breve accenno. L'intuizione
pura, come atto teoretico astorico, non poteva prescindere dalla
soggettività dell’«opera manuale». La polarità non sussisteva tra il
bello crociano, simbolo del bene morale e il suo opposto, quanto tra lo
«spirito» (il momento razionale - contemplativo) e il «sangue» (il
principio vitale inconscio che in ultimo concretizza l’opera con il
linguaggio scelto). Scriveva Galvano nel numero unico del periodico
“Tendenza” (1946, coideato con Pippo Oriani): «Questo bisogno del
sangue che ignora l’astratto spirito e gli anatemi e le accuse di
“naturalismo” degli idealisti o quelle di “immoralità” degli
spiritualisti è essenziale all'opera di pittura. Essa cade o sussiste con
il sangue non con lospirito»!. L'attività di critico d’arte seguitò in
quegli anni anche su quotidiani come “La Nuova Stampa” (nel 1946) e
“Mondo Nuovo” (nel 1947 e 1948). Tra il 1945 e il 1949 la pittura
di Galvano si aprì ad una fase espressionista slargandosi e
semplifi- candosi in campiture bidimensionali dai contorni lineari
marcati e attraverso l’uso di un cromatismo timbrico. In un testo di
autopresentazione del 1952 l'artista esplicò: «Così quando, intorno al
1941, Guttuso guardando a Picasso, Birolli e quelli di “Corrente”
sbirciando l’espressionismo, diedero altro indirizzo alla pittura
italiana, mi trovai in ritardo rispetto a quei coetanei e ai loro
discepoli molto più giovani di me, e con un bilancio piuttosto negativo.
[...] Tentavo così una soluzione in un breve periodo di
esasperazione “espressionistica” del segno, dove l’“illusivo” si
tra- sformava in “allusivo” a quelle immagini che potevo
considerare mie». Galvano puntualizzava inoltre di essere
stato tentato verso «esperienze varie di carattere cultu-
ralistico, fra cui un primo richiamo al liberty che allora fu aspramente
rimproverato da certi critici (A. Podestà) come incomprensibilmente
anacronistico ma che almeno come recupero critico, rappresentava
un'anticipazione di interessi e recuperi diventati di moda un ventennio
più tardi». Nella Torino della Ricostruzione gli spazi
esposi- tivi erano esigui; molto spesso sorgevano in simbiosi con
una libreria come per esempio la Galleria Faber, dove Galvano nel 1945
partecipò ad una Antologica di Maestri contemporanei. Alla personale di Galvano
del 1946 presso la Libreria del Bosco «ci troviamo di fronte ad un
artista dalle varie esperienze», denotava
Torino 1988, p. 18. 17 A. Galvano, La pittura, lo spirito e il
sangue, in “Tendenza”, n.1, 1946. 18. A. Galvano, Galleria la
Giostra cit. 19 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 18.
Salvatore Gatto su “L'Unità”, e proseguiva: «riesce spesso a lievitare le
acquisizioni culturali ed a tradurle in efficienti risultati creativi».
Il molteplice approccio stilistico, confessato dallo stesso Galvano nell’auto-
presentazione del 1979, è qui confermato: «leggero impressionismo, [...]
decorativismo un po’ orientale, [...] motivi che tendono a risolversi in
figurazioni quasi astratte». La fase pittorica più recente, concludeva
Gatto, «pare indirizzarsi verso una pittura dominata da una volontà ed
un’ansia di sintetismo formale»?. Alla Biennale di Venezia del 1948
(la prima edi- zione al termine del ventennio fascista nella quale
emersero le linee essenziali degli sviluppi dell’arte moderna europea)
Galvano partecipò su invito con cinque opere (nudi e nature morte del
1947-48) in sala con Martina e Paulucci. In quell’edizione fu
parecchio vasta la partecipazione di artisti torinesi sulla via
dell’astratto: Sandro Cherchi, Mario Davico, Franco Garelli, Gino Gorza,
Paola Levi Montalcini, Umberto Mastroianni, Mattia Moreni, Adriano
Parisot, Carol Rama, Filippo Scroppo. All’edizione del 1950, nuova-
mente su invito, Galvano fu presente con tre opere (in sala con Birolli, Corpora,
Moreni, Morlotti, Turcato, Vedova, Zigaina). Nel quadriennio
1948-1951 si registrarono nume- rose partecipazioni dell'artista a
rassegne nazionali di verifica diretta degli sviluppi artistici
contemporanei, tra cui la Quadriennale romana del 1948 e la mostra
collettiva Arteastratta e concreta presso la Galleria Nazio- nale d’arte
moderna di Roma nel 1951(il comitato ese- cutivo era composto da Joseph
Jarema, Palma Bucarelli e Giulio Carlo Argan). Il testo di Galvano in
catalogo analizzava la ricerca concretista propria e dei torinesi
verso una direzione lontana dal «formalismo astratto» insenso stretto e
intesa attraverso la «‘“proiezione” nelle strutture dell'oggetto stesso
di una carica emotiva, che asua volta presuppone la totalità spirituale
dell'artista impegnato, ed impegnato “responsabilmente”, in una
prospettiva, in una scelta, in una “Weltanshaung”, cioè in ultima analisi
in un punto di vista etico e metafisico [...]. Non può perciò stupire che
anche a Torino siano proprio gli artisti più responsabili di fronte a un
loro mondo interiore a volgersi a questa pittura. Superfluo cercar
nel dato estrinseco del gusto un’unità “munici- pale” o di gruppo: se mai
l’unità “torinese” di questi pittori è nella condizione di cultura cui lo
stesso schivo etalvolta un poco scontroso raccoglimento della città
in cui essi lavorano, è, per taluna delle ragioni accennate,
propizia»”!. Rilevanti furono inoltre le sortite
extranazionali del 1951. In occasione della mostra nizzarda,
Peintres de Turin, Galvano definì forme e colori delle sue com-
20 S.Gatto, Mostra d’arte. Galvano al Bosco, in “L'Unità”,
31 mag- gio 1946. 21 A. Galvano, in Arte astratta e concreta,
catalogo della mostra, Galleria Nazionale d’arte moderna, Roma
1951. 18 Con Enrico Paulucci, Albino
Galvano e Filippo Scroppo. Confe- renza al Circolo degli Artisti, Torino
1967. posizioni come «feticci laici», «costanti di
sentimenti e impulsi» che non necessitavano di riportarlo «a una
rappresentazione esteriore e imitativa». «La topografia spirituale di
questo mondo che non è né meccanica né architettonica, ma piuttosto
organica e determinata soprattutto dalla tensione tra le forze
elementarie vitali pressanti, da una parte, e l'aspirazione religiosa o
me- tafisica dall'altra, che vuole dominarle e oggettivarle nello
spirito delle tradizioni filosofiche e religiose alle quali nei miei
quadri faccio a volte allusione anche attraverso i titoli stessi».
Al Premio Parigi (itinerante anche a Cortina d'Ampezzo) il critico
Luigi Carluccio seguitava di rimando: «[...] L'artista si è portato
sempre su posi- zioni di ricerca mantenendo tuttavia vivo il
dialogo fra i suoi istinti pittorici e le sue meditazioni. [...] Il
temine “feticcio laico” [...] annota con felice incidenza che all'origine
degli impulsi e dei sentimenti è sempre vivo lo stesso dibattito tra la
pressione vitale di forze elementari, naturali, e l'aspirazione ad
ordinarle in una ragione metafisica»?3. Il rivolgersi all'arte
d'oltralpe (già a partire dalla mostra Arte francese d'oggi, Roma e
Torino 1947) ebbe degli echi a Torino con le sei edizioni della
rassegna Pittori d'Oggi Francia- Italia (1951-1961) promosse da
Carluccio e alle quali Galvano partecipò alla prima (1951) e alla terza
(1953), così come figurava ai due Premi Saint Vincent (1948-1949) messi
in piedi dalla fronda democristiana capeggiata da Carluccio in re-
1951. 23 L. Carluccio, in Mostra Nazionale
del Premio Parigi 1951, cata- logo della mostra, Cortina d'Ampezzo 1951 e
Parigi 1951-1952. Con Mauro Chessa e Liliana De
Matteis. azione al Premio Torino del 1947, troppo
polarizzato a sinistra secondo il critico. È di vitale
importanza ricordare infine il ruolo di Galvano come animatore culturale
nel clima di fermento postbellico, dapprima impegnato attivamente
come promotore dell’Unione Culturale (sorta nel 1945, raccolse
intellettuali antifascisti tra cui Giulio Einaudi, Massimo Mila, Franco
Antonicelli, Lionello Venturi e tra gli artisti Casorati, Menzio,
Levi) e nel 1949 come propugnatore di due rassegne artistiche: la I
Mostra Internazionale dell'Art Club a Torino e la Mostra d’arte
contemporanea di Torre Pel- lice. La prima — con presidente Casorati e
segretario Scroppo, organizzata dalla sede torinese dell'Art Club,
un'associazione apartitica internazionale — mirava a presentare le nuove
voci artistiche italiane e di diversi stati esteri. La seconda, aveva
sede a Torre Pellice, che «pur nella modestia delle proprie
possibilità, possiede, come centro delle Valli Valde- si, una secolare
tradizione di cultura che ha i suoi particolari caratteri di pensiero e
di ispirazione»”4. Era stata ideata insieme a Filippo Scroppo,
artista e critico valdese, (nativo della Sicilia ma inseritosi
dalla metà degli anni Trenta nell'ambiente cittadino) e da Leopoldo
Bertolè notaio e illuminato collezio- nista di moderno. La Mostra d’arte
contemporanea — appuntamento estivo annuale protrattosi per un
24 Mostra d'arte italiana contemporanea, catalogo della mostra,
Collegio Valdese, Torre Pellice 1949. 19 quarantennio
(1949 - 1991) al quale Galvano espose assiduamente—trasformòla cittadina
della provincia torinese in un polo culturale aggiornatissimo sulle
ricerche artistiche nazionali e con qualche non rara puntata
internazionale. Il Movimento Arte Concreta 1952-1955
Il «confuso ribollire di tendenze astratteggianti»?, che imperava tra il
1947 e il 1951, andò delineandosi verso l’elusione dell’astrazione su
base mimetica in favore del concretismo. Una lucida definizione
della corrente venne offerta da Gillo Dorfles in uno scritto del
1951, il così detto manifesto del Movimento Arte Concreta, (MAC) fondato
a Milano nel 1948 insieme a Bruno Munari, Gianni Monnet e Atanasio
Soldati. Dorfles precisava il concetto di concreto «che non cer-
cava di creare delle opere d’arte togliendo lo spunto o il pretesto dal
mondo esterno e astraendone una successiva immagine pittorica, ma che
anzi andava alla ricerca di forme pure, primordiali, da porre alla
base del dipinto senza che la loro possibile analogia con alcunché
di naturale avesse la minima importanza»”. L'adesione formale al
MAC di Galvano eun gruppo di giovani torinesi — Annibale Biglione,
Adriano Parisot, Filippo Scroppo e in seguito Carol Rama e Paola
Levi Montalcini — avvenne nel 1952. A Torino il coagulo del
Movimento rappresentò una sfaccettata unione di poe- tiche, abbastanza
distante dal rigore costruttivista delle soluzioni compositive lombarde che
fondava le sue basi nell’Astrattismo storico internazionale e locale
degli anni Trenta. In questa sede non è possibile analizzare la
presa di coscienza sulle radici dell'avanguardia delle personalità
torinesi e ci si limita al solo caso di Galvano. Nel 19471]
distacco di Galvano dal comitato promo- tore del Premio Torino (la prima
manifestazione locale di arte attuale italiana dopola fine della
guerra)non avven- ne solo per posizioni politiche. Come chiariva
Giuliano Martano, nel catalogo della mostra Arte concreta a Torino
1947-1956, per una parte di artisti si trattava di una scelta di «lettura
in quelle matrici dell'avanguardia europea [...]quasiin contrapposizione
alle matrici trovate allora in un neonaturalismo e del “Fronte nuovo
delle arti”»”. Per Galvano e il discepolato della scuola di
Caso- rati, alla quale riconoscevano la creazione di «una terra
concimata pronta a recepire, stratificazione di cultura
altezzosasevogliamo, maattenta[...]. Aveva purelasciato ineredità una
figurazione latente, una scansione dell’og- getto che verrà dai torinesi
lentamente e sofferentemente decantata»°. Unosmarcamento, dunque,
intotalebuona 25 T.Sauvage, Pittura italiana del
dopoguerra 1945 — 1957, edizio- ni Schwarz, Milano 1957, p. 129.
26 G. Dorfles, Manifesto del MAC, ora in Arte concreta a Torino
1947 — 1956, catalogo della mostra, Sala Bolaffi, Torino 1970. 27,
G. Martano, in Arte concreta a Torino 1947 — 1956 cit. 28.
Ibid. pace del Maestro, che anche Galvano intraprese: la via
verso l’astrattismo ben circoscritta e lineare. La sua poetica, tra
i torinesi, era la più distante dal concretismo «proprio perché non è mai
d'origine speri- mentale ma la sua “avanguardia” si pone sempre
come una verifica dello sperimentalismo. Si pone insomma come
contrasto immediato fra una realtà esterna [...] ed una realtà interna
quasi avida di controllare im- mediatamente sul terreno stesso
dell’accadimento, la validità dell’accadere, e di controllarlo appunto in
via sperimentale»? Gli aspetti strettamente contenutistici
della pittura di Galvano della prima metà degli anni Cinquanta
erano in diretto contatto con i suoi interessi in quanto studioso di
filosofia e storia delle religioni. Andreina Griseri notava che gli
entusiasmi per il Kandinskij volto all’astratto e per il primo
Kupka giungevano «a una presa di posizione nell’ambito dell’arte
non figurativa, chiarita in numerosi scrit- ti, in cui il Galvano
lumeggia la derivazione dalla secessione di Klimt di molta arte contemporanea
in una interpretazione nuova dei rapporti art nouveau- Liberty e
astrattismo»?°. Degli scritti galvaniani degli anni Cinquanta ai quali
Griseri si riferisce citiamo almeno: Storicità e significato dell’arte
“astratta” (1953), Dal simbolismo all’astrattismo (1953), Le poetiche
del Simbolismo e l'origine dell’Astrattismo figurativo (1956).
Gli intendimenti del manifesto del MAC torinese del 1952 furono
piuttosto netti. Più in generale erano incontrapposizione con il
dibattito dilagante in quegli anni che scindeva gli artisti tra
formalisti e realisti, con- tro il neopicassismo ed estranei al «pudore»
del com- promesso dell’astratto-concreto di Venturi. A livello
localelalororicerca era indirizzata all'emancipazione dall’orbita casoratiana,
dal neoimpressionismo dei Sei e dal secondo futurismo con il quale
condividevano lo spirito avanguardistico, ma certamente non gli in-
tenti. Biglione, Galvano, Parisot e Scroppo firmarono il testo
programmatico, con la responsabilità di «lotta contro ogni conformismo
pigrizia intellettuale». «Se il nome stesso di “arte concreta” [...] sta
a significare il desiderio di rigore di chi ha rotto ogni ponte con
tradizioni storicamente esaurite [...] per sostituire la loro ricerca
d'una diretta “presentazione” di oggetti in cui si vengano obiettivando i
bisogni spirituali dell’uomo, come negli strumenti del suo lavoro
quo- tidiano si proiettano i suoi bisogni materiali [...]»®.
Galvano, pur immerso in una personalissima ricerca non figurativa,
nel periodo che all'incirca si estende tra il 1952 e il 1954,
sviluppò una maggior 29. Ibid. 30 A. Griseri, Albino
Galvano, in Dizionario Enciclopedico, Utet, Torino 1957. 31.
A. Biglione, A. Galvano, A. Parisot, F. Scroppo, in “Arte con- creta” n.
9, 15 novembre 1952, ora in L. Caramel, Mac Movimento Arte Concreta 1948
- 1958, Electa, Milano 1984, p. 58. 20 adesione al
MAC. Lo spazio dei suoi dipinti, asciugato dall'andamento curvilineo
delle partiture, si popolò di forme squadrate dalla linearità spigolosa.
Tutta- via, la freddezza costruttivista e il rigore logico del
concretismo erano solo apparenti; l'artista puntava al contrario «ad
un'arte che preservi il dialogo tra gli schemi astratto-geometrici e
quelli compositivamente più liberi, moduli grafici e forme archetipiche
non direttamente razionalizzate»”. Un precoce avvicinamento
ai concretisti lom- bardi lo si data già al 1950. Galvano fu presente
a Milano in due collettive: con Filippo Scroppo (1950, presentati
da Gianni Monnet) presso la Libreria Il Salto, cenacolo della pittura
concreta milanese e alla Terza mostra di pittura astratta italiana.
Astrattisti milanesi e torinesi allestita alla Galleria Bompiani
(1951, dove esponevano i piemontesi Costa, Davico, Mastroianni, Parisot,
Scroppo, Spazzapan). I mag- giori rappresentanti della corrente di
entrambe le regioni figuravano, Galvano compreso, anche alla II e
III Mostra d’arte contemporanea di Torre Pellice del 1950-51.
L'allineamento al MAC di Galvano fu palesato anche dalla sua
presenza ad esposizioni promosse dal gruppo. La sortita d'esordio dei
torinesi (Biglio- ne, Galvano, Parisot, Scroppo ai quali si
aggiunsero anche Mario Davico, Mario Merz e Ugo Giannattasio)
avvenne alla Saletta Gissi di Torino con la mostra Pittori
astratto-concreti di Milano e Torino. Non fu però la prima presenza
organica del concretismo in città poiché già nel 1950 presso la Galleria
il Grifo si affacciarono alcuni esponenti milanesi così come alla
Quadriennale Nazionale d’Arte di Torino dove comparve una nutrita schiera
di astrattisti tra cui anche Galvano. Commentando la mostra presso
Gissi, sul bollettino “Arte concreta” n. 9, Galvano esibiva la profonda
sicurezza di una non superficiale accoglienza nell'ambiente cittadino e
rilevava la sfaccettatura di posizioni della compagine torinese che
collimavano in una base comune di principi. «Principi che possono
riassumersi in una profonda fiducia nella capacità dell’uomo ad
esprimersi e a comunicare con gli altri uomini, attraverso il puro
linguaggio delle forme, attraverso l’organicità e la coerenza ch’esso sa
imprimere ad un discorso i cui vocaboli non hanno bisogno di essere
immagini e finzioni per legarsi a una sintassi espressiva e, nei
casi più felici, poetica»®. La politica espositiva del gruppo
torinese non 32. L Mulatero, in P. Mantovani, I.
Mulatero (a cura di), Lucide inquietudini. Storie singolari
dell’astratto-concreto tra il '50 e il ‘70, Civico Museo d’arte
Contemporanea di Calasetta, Calasetta 2016, p. 26. 33 A.
Galvano, Mostra di pittori concreti di Milano e Torino alla Saletta
Gissi, in “Arte concreta” n. 9 cit., ora in L. Caramel, Mac Movimento
Arte Concreta 1948 — 1958 cit., pp. 58-59. Con
un'opera dalla serie i Nastri. ebbe seguito se non l’anno
successivo alla Galleria 5. Matteo di Genova. L'eccezione è rappresentata
da Galvano che figurò in svariate mostre organizzate dal MAC, si
ricordano qui le principali: Pitture di Albino Galvano in un esperimento
di sintesi, presso lo Studio b24 di Milano nel 1953 (valla pena
rimandare agli «asterischi» galvaniani di quel periodo, quasi
«privati manifesti» sui bollettini “Arte concreta” n. 12 e 14 che
chiariscono la sua posizione all’interno del movimento) e lo stesso anno
a Torino da Gissi esposero pittori concretisti italiani e francesi
(Gal- vano presentò collages polimaterici di ascendenza
prampoliniana); sempre al Torino l’anno successivo Galvano fu presente ad
una mostra allestita dallo Studio b 24 in occasione del Salone dell'Automobile.
Si menziona a parte la collettiva presso la Galleria il Fiore di Milano
del 1954 dove Galvano espose insieme a Bordoni, Jarema, Parisot e
Scroppo. Nello scritto introduttivo al catalogo elaborò stringenti
analisi nei riguardi di un’«arte figurativa che non ripeta ma continui la
natura», invitando il visitatore a riflettere «che l'apparente chiusura
ad una più ovvia comunicazione di queste opere nulla intende
precludere alla possibilità di uno scambio e di una penetrazione sempre
possibili nell'esercizio di una 21 lettura figurativa
per elementi, segno colore, mo- vimento, materia, ecc., non differenti da
quelli che consentono la valutazione di ogni buona pittura»*.
Non sono da dimenticare infine le presenze alle Biennali veneziane
del 1952 e del 1954 con la sua produzione concretista e la ripresa
espositiva alle rassegne della Società Promotrice di Belle Arti di
Torino (1951, 1953, 1954). Dall'Informale al neoliberty floreale
1955- 1965 Il «logico passaggio all’astrattismo»” di Gal-
vano culminò tra il 1952 e il 1954 in una fase di «tensione tra
impaginatura attenta alle squadra- ture neoplastiche e colore tonale
impastato». La vibrazione cromatica delle campiture, ottenuta
attraverso una libera stesura di pennellate, lo portò a un lento e
graduale sfaldamento delle sue strut- ture geometrico-architettoniche a
favore dell’indi- pendenza dell'immagine e al protagonismo di una
componente espressiva. Sul piano formale il gesto pittorico si faceva
emancipato e l’organicità della materia riprendeva vigore. Si
segnò qui il definitivo passaggio di Galvano all’Informale, lontano
dall’interpretazione del neona- turalismo propugnata dal duo
Carluccio-Arcangeli (è proprio nel 1955 che furono presentati a Torino
i giovani artisti informali presso la Galleria La Bussola
nell'esposizione Niente di nuovo sotto il sole, titolo che rivelava la
volontà di mantenere una continuità con il passato e la natura).
L'evoluzione del concretismo impose a Galvano (e alla compagine
torinese del MAC) un binario doppio di direzioni che nonsiindirizzò
all’antipittura quanto piuttosto alla scelta di rimanere «dentro la
pittura» nell’opzione di un astrattismo lirico che lo condurrà
verso l’Informale. Un Informale, sosteneva Galvano, affine alla
«declinazione di un linguaggio asemantico in cui tuttavia potessero
trovare esito quelle allusioni simbolistiche che già avevano un posto ben
rivelato dai titoli dei miei quadri del periodo astratto-concreto
Rica pe Una delle prime esposizioni che offrirono un Galvano
smarcato dall’astrattismo di matrice con- creta fu la personale (undici
opere del 1954-56) alla Biennale di Venezia del 1956 mirabilmente
introdotta da Giulio Carlo Argan. «La radice comune della sua
pittura [...]è la distinzione netta tra i concetti di forma e immagine.
L'idea di forma è inseparabile dall'idea di arte come rappresentazione,
implica sempre un contenuto di nozioni, un riferimento alla natura,
un 34 A. Galvano, in Bordoni, Galvano, Jarema, Parisot
e Scroppo, catalogo della mostra, Galleria Il Fiore, Milano 1954.
35 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 20. 36 A. Galvano, in
Bordoni, Galvano, Jarema, Parisot e Scroppo cit. 37 A. Galvano,
Autobiografia cit., p. 20. processo dioggettivazione. L'idea
diimmagine supera ildualismo dioggetto e soggetto, la relatività
costante di quod significat e quod significatur; mira a designare
un assoluto valore d’esistenza, a sostituire alla rap- presentazione
un'immediata semantica». Seguitava Argan: «La sua è la ricerca di
un'immagine che non abbia determinazioni dirette o indirette nel
mondo esterno, che non si manifesti per via di similitudini o
allegorie, che dichiari esplicitamente le sue origini e le sue ragioni
esclusivamente umane, che si ponga ad un tempo come noumeno e come
fenomeno. [...] Così la materia, non la forma, diventa mito ed
immagine; e la materia è il colore, ma anche il segno, la linea, il
punto». Nel 1957 Galvano venne invitato da Carlo Lu- dovico
Ragghianti per una personale alla Galleria La Strozzina di Firenze.
Nell’autopresentazione l'artista tenne a ribadire ancora una volta le
convinzioni e la coerenza del suo percorso pittorico che lo avevano
condotto all’Informale. La «formazione spirituale» si era compiuta, esplicava
Galvano, «attraverso la mia adesione alle correnti non figurative, a
quel- l'inversione” del simbolismo nell’astrattismo che ho cercato
di spiegare storicamente in sede critica. Perciò a Kandinskij e al Kupka
del 1913 [...] agli americani Pollock e Tobey, ai polimaterici di
Prampolini. [...] L'unico germe di “manifesto” è quello sul
“feticcio laico”. “Feticcio” cioè metafisica, ma “laico” cioè an-
timetafisica”. Credo si possa essere antimetafisici solo nella misura in
cui si è contro le false metafisiche. Nel caso dell’arte contro la falsa
“ispirazione”, l'evasione sentimentale...»°. Tra il 1956 al
1962 il mezzo informale di Galvano virò verso accezioni neoliberty. La
copertura totale della tela della prima fase si distillò per mezzo di
uno sfondo neutro solcato da grafismi pittorici orientati sempre
meno verso un'immagine quanto in direzione di archetipi floreali e
calligrammidi scrittura gestuale. Galvano recuperava, seppur
allusivamente, attraverso una nuova definizione di immagini, la
figuratività «trasformando o meglio puntualizzando i ‘feticci
laici” in “emblemi”»‘° esplicitati in forme larvali di iris, i fiori
paradigmatici del Simbolismo. Sul finire del decennio Cinquanta e
fino al 1965, oltre alle regolari presenze alle Promotrici torinesi
e alle mostre annuali di Torre Pellice, si segnalano la puntata
alla collettiva berlinese presso la Maison de France del 1957, le
partecipazioni al V Premio Bergamo dell’anno successivo, ai Premi
Arezzo (1960) e Fiorino. (Firenze 1960) e alla Quadriennale romana
del 1963. Di particolare rilevanza in quel periodo furono
38. G. C. Argan, in catalogo dell’ XXVIII Biennale di
Venezia, Venezia 1956. 39 A. Galvano, in catalogo della
mostra, Galleria La Strozzina, Firenze 1957. 40 A. Galvano,
Autobiografia cit., p. 20. 22 Nel
1972. due mostre. La personale del 1960 presso Galleria Il
Canale di Venezia presentata da Edoardo Sanguineti che così ultimava il
suo scritto: «I fiori Mallarmé ci costringono anche a riguardare di nuovo
in faccia la posizione dell'artista las que la vie étiole, portando
cosìla pittura ad assolvere a un compito, molto forte e molto
importante, di smascheramento dell'avanguardia, nella forma, secondo le
possibilità “moderne” di uno “estraniamento”»*!. Nella
collettiva (Galvano, Scroppo e Levi Mon- talcini) alla Galleria il
Quadrante di Firenze, Gillo Dorfles, accogliendo gli enunciati di
Sanguineti, alluse altresì ad un significato orientaleggiante delle
pitture di Galvano che avevano: «accolto nella loro matrice
compositiva quasi il “vuoto” il sunyata di certa arte zenista,
purrimanendo lige a una composta scansione di ritmi
dell’Abendland»”. Pittore dunque in «senso tradizionale» si definiva
Galvano che ricusava le forme antipittoriche, schiuse alla strada
dell’arte-oggetto (della quale si interessò in sede teorica), per
abbracciare una «simulazione d'avanguardia». Un profondo disagio lo
condusse, tra il 1962 e il 1965, a compiere una pausa dalla pittura
causata probabilmente dal cortocircuito innescato a causa di intendimenti
antitetici perseguiti dal parallelo mestiere di critico e di artista.
Come rimarcava Argan: 41 E. Sanguineti, in catalogo
della mostra, Galleria Il Canale, Venezia 1960. 42 G. Dorfles,
Tre pittori torinesi, in Albino Galvano, Paola Levi Montalcini, Filippo
Scroppo, catalogo della mostra, Galleria Il Qua- drante, Firenze
1962. 43 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 21. Con
Filippo Scroppo. «la confluenza dei due percorsi di pensiero (e la
sua pittura è tutta pensiero) sono difficili e interiormente
sofferte[...]»*. Assumono infine un ruolo fondamentale nella
produzione saggistica di Galvano i due volumi pubblicati in quel periodo:
Per un’Armatura (Lattes, 1960) e Artemis Efesia. Il significato del
politeismo greco (Adelphi, 1966). Sono opere difficilmente
classificabili che attingono alla filosofia, alla storia delle
religioni, alla psicoanalisi e all’antropologia. I due studi
affron- tano il problema dell’interpretazione sia culturale che
psicologica di un passato che ci coinvolge direttamente e sono al tempo
stesso «processo di autoanalisi in me- rito al rapporto tra una
figura-feticcio — un’armatura tardomedievale e un idolo greco — e l’area
psichica della coscienza». Il decennio 1955 -1965 fu
certamente per Galvano la fase più feconda di collaborazione con
periodici e riviste tra cui le torinesi “Sigma”, “Cratilo” e come
redattore di “Questioni” (già “Galleria di Arti e Lette- re”)con Vincenzo
Ciaffi, Mario Lattese Oscar Navarro per l'editore Lattes. Una menzione a
parte merita il 44 G. C. Argan, in catalogo della mostra, Galleria
Unimedia, Genova 1974. 45M. T. Roberto, Albino Galvano,
Dizionario biografico degli italiani, Treccani, Milano 1988.
23 contributo Le tigriimpagliate (1959) peril
primo numero della rivista “Azimuth” fondata da Piero Manzoni ed
Enrico Castellani. Per “Letteratura” nel 1960 Galvano pubblicò La pittura
a Torino dal ‘45 ad oggi, un lucidissi- mosaggio che inquadrava, da
testimone diretto, l’arte torinese del dopoguerra. Successivi furono i
notevoli contributi sulla situazione artistica cittadina tra cui:
Per lo studio dell'Art Nouveau a Torino (1960), Torino e i “secondi
futuristi” (1962) e il più tardo La pittura a Torino all’inizio del
secolo (1897-1918) (1978)?°. Bandiere, Nastri, «Griffonages» e
Segni asemantici 1966- 1974 Nel 1966 con l'esposizione Erbe
e Bandiere, presso la Galleria Botero di Torino, Galvano sentì «il
bisogno di affiancare e poi sostituire gli emblemi ispirati alla
natura con quelli di carattere artificiale più spogli e tendenti in
qualche modo a una nuova astrazione». In mostra le forme organiche dai
tratti guizzanti dell'ultimo Informale di Galvano furono accostate,
in un felice trait d'union, con la nuova produzione attraverso la serie
delle Bandiere. In uno scritto critico perla suddetta mostra Gilda Chepes
sottolineava: «Le sue erbe alghe, le sue flammulae, più che
bandiere, sembrano, ad analizzarle, vive, agitate da sentimenti, da
spasimi da aneliti, da desideri»**. L'artista perseverò nella
coerenza linguistica della sua ricerca che ancora una volta, nei più
nuovi risvolti, non si collocò in un'immediata e netta inserzione in
correnti o gruppi operativi. Gli estesi panneggiamenti svolazzanti dai
colori accesi che si stagliavano su fon- di neutri riecheggiavano quasi
un'antica tradizione araldica. I riferimenti pittorici non erano di
certo estranei al linearismo sensuale del Liberty, anche nella sua declinazione
decorativa, rammentando inoltre suggestioni neobarocche. Un commento di
Carlo Mollino, riguardante un'architettura baroccheggiante di
Galvano dipinta degli anni Quaranta, potrebbe restituire puntualmente le
atmosfere delle recenti Bandiere espresse in uno: «scenario di questo
tempo immobile nella chiara decisione di un arabesco che non si
placa che in un ordine senza indulgenza, ma vivo di un amore
disincantato»? Furono ancora le Bandiere ad essere esposte nel
1968 per una personale a Cremona alla Galleria d’arte I Portici. Gli
stendardi svolazzanti davano la prova di una profonda conoscenza degli
allora attuali linguaggi pop e forniscono anche un «grave riverbero di
anti- chità» rendendo l’immagine «imminente e insieme assente che
par scelta e fabbricata per un pubblico 46
Tutti gli scritti qui citati sono reperibili in A. Galvano, Dia- gnosi
del moderno, cit. 47 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 21.
48. G. Chepes, in “Borsa Arte”, 1966. 49 C. Mollino, in S.
Cairola, Arte italiana del nostro tempo, 1946. senza tempo e
d’ogni tempo [...]. Proprio per questo [...]è significante perché carica
di intenzioni contrad- dittorie e fortemente drammatiche, nella
dialettica che stabiliscono tra l’esperienza passata e l'avvento, e
la necessità del presente»”. Dal1968Galvanosirivolse alla
nuova serie pittorica dei Nastri mantenendo una viva tangenza allo
sviluppo formale del periodo MAC. L'oggettivazione del dato
geometrico si sostituì con una figurazione elementare di armonica
tridimensionalità sull’estensione della tela. Le masse sventolanti e
libere, nelle quali si evidenzia una ben nota propensione per l’ellissi e
il semicerchio, proseguivano l'indagine sullo spazio volumetrico.
Giuliano Martano asseriva appunto di un'«astrazione intellettuale, in cui
i segni, i ghirigori, sono veri e pro- pri simboli codicillari, incognite
d’equazione, libertà della memoria. [...] Nastri che si dipanano nel
quadro senza né capo né coda e sono le bandiere di prima rese a
brandelli, sono una forma chiusa che si apre, che da circonlocuzione
diventa interlocuzione»?”!. Presso la Saletta d'Arte contemporanea
di Cu- neo, nel 1972, Galvano presentò questa figurazione
elementare di volute concave e convesse di recente produzione, che si
palesavano, secondo Giorgio Brizio, «dall’uso parco e strettamente
pensato delle timbrici- tà cromatiche. Basandosi su toni primari,
operando esclusivamente sulla opacità della parte in ombra, Galvano
può, in una suddivisione doraziana dell’in- fluenza tonale, usare la
direttrice cinetica del timbro per equilibrare il dinamismo globale della
partitura spazio-occupato, spazio-vuoto»”. Nel 1974 la
personale alla Galleria Martano di Torino assunse il significato di una
ricapitolazione, dal MAC al presente, in cui gli elementi nastriformi
si erano evoluti, tra il 1973 e il 1974, in forme dall’aspet- to
cellulare e in moduli verticali e curvilinei. Tracce realizzate a
carboncino, impreziosite da lievi velature scariche di colore, campeggiavano
solitarie sulla tela; la dimensione gestuale fu affiancata
dall'espressione intellettiva dell'atto primario del dipingere.
Questi moduli nella linea filogenetica della sua pittura non-
figurativa «appaiono anche maggiormente legati ai dettami grafici di una
cultura passata attraverso “quell’inversione del simbolismo
nell’astrattismo” [...] che riaffiora con l’organicità delle sue forme
così tese ed essenziali, rispondenti ancora una volta a quella
logica interiore che resta come la matrice vera di ogni opera di
Galvano»”. Lostesso anno una sala personale della 25° Mostra
d'arte contemporanea di Torre Pellice venne dedicata a 50
E. Fezzi, in catalogo della mostra, Galleria d’arte I Portici, Cremona
1968. 51. G. Martano, Albino Galvano, in “Pianeta”, 1968.
52. G. Brizio, in catalogo della mostra, Saletta d'arte contempo-
ranea, Cuneo 1972. 53. A.Dragone in “Stampa sera”, 1976.
24 Galvano che vi espose una ventina di opere.
L'artista presentò efficacemente al pubblico la sua recente svolta
pittorica: «ho sentito il bisogno di logorare la forma, di intercettarne
la presunzione di organicità, sgranan- done il supporto disegnativo in
pochi cenni grafici su cui il colore nonagisse più come elemento
qualificante ma soltanto come sottolineatura allusiva. [...] Come
nel ritmo stesso delle vicende vitali, a una stagione di estroversa
aggressione della percezione dello spet- tatore si avvicendava una fase
di ripiegamento sulla discrezione, sulla riserva, sultono contenuto».
Coevi furono i Griffonages e i Segni dell'alfabeto asemantico
lavori con scritte quasi illeggibili rese «come puro segno e gioco
lineare [...] non senza un, fra ironico e intenerito, strizzar l'occhio
al “concettualismo”»59. Sempre nel 1974 si ebbe la personale
genovese alla Galleria Unimedia per la quale Saguineti imple- mentò
la troppo riduttiva definizione del Galvano “doppio”, critico e pittore,
trascendendo anche nella saggistica e nella filosofia e invitando a vedere
«con totale persuasione [...] la forza della sua lezione [...]
rispecchiata, con eguale fedeltà, nelle sue pagine e sopra le sue tele».
Il discorso si reiterava anche nello scritto critico di Argan che
chiudeva con un interro- gativo dal quale Galvano non si discostò mai:
«Che cos'è la pittura?». «Ciò che vuol sapere è che cosa sia la
pittura in questa precisa condizione della cultura, della coscienza,
dell’esistenza, e quale il suo grado di vitalità, quali le sue
possibilità di sopravvivere in uno spazio ogni giorno più
ristretto»”. Tra la ripresa dopo l'interruzione pittorica e
il 1974 si ricordano infine le puntuali presenze a collettive con cadenza
annuale come la Promotrice delle Belle Arti e le mostre del Piemonte
Artistico e culturale di Torino; le rassegne estive di Torre
Pellice e due edizioni dell’Incontro di artisti piemontesi e liguri
a Bordighera (1967, 1969). Il periodo ultimo 1975-1990
Dal 1975 si reimpose per Galvano un nuovo approccio rivolto alle
forme naturali: la ripresa di una figurazione espressionista pervasa
d’un realismo quasi visionario e il fascino recuperato, come
confessò lo stesso artista, per le gidiane «nourritures terrestes».
Galvano sembrò sentirsi quasi responsabile d'un tradimento verso la pittura
allorché, per coerenza, operò una «sintesi tra l’ele- mento naturale e il
non figurativo che gli consentì 54 A. Galvano,
Personale di Albino Galvano, in 25° mostra d’arte contemporanea, catalogo
della mostra, Scuole comunali, Torre Pel- lice 1974. 55 A.
Galvano, Autobiografia cit., p. 21. 56 E. Sanguineti, in catalogo
della mostra, Galleria Unimedia, Genova 1974. 57 G.C. Argan,
in catalogo della mostra Galleria Unimedia, cit.
SZ Nella bottega dell'antiquario.
un'impaginazione astratta servendosi di forme non inventate, non di
natura cerebrale ma veramente esistenti», Riemerse, con la
serie dei Cespugli (fino al 1977 circa), la fascinazione per i cespi di
iris, tema dominante di inizio anni Sessanta, ma questa volta non
più giocato con la «gestualità irruente» del colore spremuto direttamente
sulla tela, eredità del linguaggio informale, ma attraverso un
sedimen- tato approccio di sottili velature di pittura a olio
utilizzata come gouache che si rifaceva alle delicate tinte dei moduli di
qualche anno precedenti. Gli sfondi bianchi svuotati erano percorsi
esplicita- mente da segni grafici e scritte che sembrarono
dischiudere uno spiraglio perfino alla poesia visiva. Fu Galvano stesso,
riferendosi a questi la- vori — esposti in una personale del 1977 presso
la Galleria Weber di Torino — a parlare di «archetipo floreale»
dove «il fiore dell’iris scandisce l’intrico dei segni, grafismi di
parole o di immagini, altre volte rigidamente modulari o, almeno non anco-
ra piegati all’allusione significativa. ‘“Cespugli”
58 A. Spinardi, in catalogo della mostra, Piemonte Artistico e
Culturale, Torino 1982. 25 perciò in
contrapposizione ai glifi dell’”alfabetico asemantico” e dei griffonages
che li avevano, verso la fine del 1974, preceduti»®?. Dal
1978 e fino al concludersi del decennio seguì la serie dei Motivi
vegetali (Ciottoli, Foglie, Frutti, Relitti). La riappropriazione di una
rappresentazione ottica- mente realistica fu solo apparente; il candore
neutro dei fondiesaltava una suggestione di tridimensionalità
attraverso la scansione prospettica degli oggetti. Tali elementi solitari
erano estraniati dal loro contesto naturale e inseriti negli spazi
illusori di questa pittura d’assenza. Sul cadere diogni riferimento
a contenuti simboli- ci «o anche solo sentimentali» della pittura di
Galvano, ne scrisse Renzo Guasco in un testo che introduceva
lagrande mostra retrospettiva dell'artista organizzata a Torino nel 1979
dalla Regione Piemonte. Tali opere, per Guasco, «non sono più emblemi né
simboli che rimandano a un ulteriore significato. Per essi si può
forse parlare di “sospensione di senso” (per usare un termine di
Barthes), di un muto stupore di fronte alla vita e alla natura. Le foglie
morte e i relitti di Galvano rifiutano il significato, e quindi ogni
commento, o spiegazione. Il cespuglio spezzato è solo un cespuglio
spezzato; le foglie, anche se rosse, autunnali, non sono les feuilles
mortes»®. Con avvio del decennio Ottanta ne i Paesaggi
(Rocce, Alberi, Isole) vi fu il riutilizzo di una stesura cromatica che
spesso occupava l’intera tela con un conseguente recupero dell'effetto
tonale. Gli spazi desolati, le «muse inquietanti», che Galvano
propose in questa fase suggerirono a Paolo Fossati richiami alla
pittura metafisica. «Luoghi, intanto, vuoti, svuotati di allotrie
presenze, come è giusto siano le radure vuote e silenti, per il
camminante che vi si ferma a pensare e meditare. Luoghi di pensiero e di
inconsci sofismi: con i relativi feticci oppure archetipi, teste in
gesso di eroi, manichini nel pictor optimus; rami sassi acque per
Galvano»®!. L'artista in età avanzata, provato dalla
difficoltà dell’offuscamento della vista, con le serie di guazzi su
carta di Nudi e Macchie sperimentò infine, una pittura liquida fatta di
segni colantiin un'inversione di «sgor- bi cromatici di netta matrice
informale»? Nel 1988 confessava ai lettori del catalogo della Galleria
Micrò (una delle sue ultime mostre): «Ancora una volta ho voltato
gabbana e me ne scuso a chi può dare fastidio, 59 A.
Galvano, in catalogo della mostra, Galleria Weber, To- rino 1977.
60 R. Guasco, in N. Pizzetti e G. Givone (a cura di), Albino Gal-
vano cit., p. 16. 61 P. Fossati, Per un omaggio a Galvano, in P.
Fossati, F. Garimol- di e M. C. Mundici (a cura di), Omaggio a Albino
Galvano, catalogo della mostra, Circolo degli Artisti, Torino, Electa,
Milano 1992, p. iz. 62 A.Galvano, in catalogo della mostra,
Galleria Micrò, Torino 1988. ma vorrei ricordare che vi è
stata una mia stagione di “eriffonages” [...] che a questi fogli ultimi
molto si apparenta, anche se là il segno prevaleva, monocromo
[...]. Perciò dico a mia difesa — il diritto di difendersi è sempre riconosciuto
ai colpevoli — “versatilità, ca- pricciosità sì, incoerenza no”»®.
Molti furono gli spazi espositivi torinesi che ac- colsero le
personali di Galvano inquadrando la sua ultima fase pittorica, tra cui:
la Galleria Weber (1977), il Piemonte Artistico e Culturale (1982), la
Galleria Cittadella (1981 e 1984) e la Galleria Micrò (1988).
Occasioni extracittadine rilevanti furono presso la Galleria Morone di
Milano (1979), la Galleria Villata a Cerrina Monferrato (1980) e la
bipersonale insieme a Gino Gorza presso Palazzo Te a Mantova (1988).
Si rammentano poi l’antologica presso la Galleria La Cittadella di
Torino con opere dal 1930 al 1950 (1976); la vasta esposizione del 1979
organizzata dalla Regio- ne Piemonte presso Palazzo Chiablese di Torino
che esplorava l’intera carriera dell'artista (corredata da un
notevole apparato critico in catalogo) e le mostre retrospettive del 1989
e 1990 alla Galleria Accademia di Torino. Costanti furono
inoltre le partecipazioni a collet- tive come alla Promotrice torinese
(dal 1975 al 1979), alla Galleria Martano (1976) e all'esposizione
Torino tra le due guerre presso la Galleria d’arte moderna di
Torino. Infine, nell’ambito della rinnovata attenzione perlostoricizzato
Movimento Arte Concreta, Galvano figurò in svariate mostre a:
Cavallermaggiore (1980), Torre Pellice (1983), Gallarate (1984), Aosta
(1987). Albino Galvano morì il 18 dicembre 1990 a Torino
all’età di ottantatré anni. La dichiarazione conclusiva sugli
intendimenti di una pratica pittorica perseguita per l'arco di una
vita intera è affidata a Galvano stesso e permette di afferrare almeno un
aspetto di questa multiforme e primaria figura di artista, critico e
intellettuale italiano del Novecento. «Di una sola coerenza credo di
poter- mi vantare, ma è coerenza che in qualche modo mi sequestra
al di fuori di tanta arte contemporanea: la fedeltà alla tela, al colore
ai pennelli. In parole povere ho sperimentato molto, forse troppo e
troppo disper- sivamente, ma non mi sono mai sentito vicino alle
ricerche di chi avevarifiutato o cercato un'alternativa ai mezzi tecnici
— che poi vuol dire anche espressivi — di una tradizione che va dal
Cinquecento agli impressio- nisti, ai fauves, agli espressionisti.
Fedeltà o incapacità di uscire dalla routine? Non sta a me deciderlo.
Ne rivendico la responsabilità o il merito». 63 bid.
64 A.Galvano, in catalogo della mostra, Palazzo Te, Mantova 1988.
26 Seconda metà anni Settanta.
Alla presentazione del volume "La pittura, lo spirito
e il sangue", 1988. Da discepolo a interprete. Albino Galvano
e Felice Casorati Alessandro Botta “Quando, a
vent'anni, mi presentai alla Scuola di via Galliari, cioè allo studio di
Felice Casorati, avevo dietro le incerte aspirazioni dettate da una
pretesa mia attitudine al disegno [...]. Poco, ma abbastanza,
insie- me alla passione per la storia dell’arte, perché seguis- si
con attenzione sulle riviste (specialmente “Empo- rium”) le Biennali
veneziane del 1926 e del 1928 che mi educarono al gusto per l’arte
contemporanea”. Con queste parole Albino Galvano apre la sua auto-
biografia scritta per una mostra retrospettiva torinese del 1979,
definendo sin da subito le proprie origini di formazione e circostanze di
aggiornamento. Nato nel 1907, “anno in cui, con le Demoiselles’ di
Picasso, l’arte occidentale vedeva chiudersi il ciclo iniziatosi alla
fine del duecento”? si iscrive al liceo classico Cavour insie- me a
Giulio Carlo Argan (“eravamo vicini di banco”), e presto interrompe gli
studi per dedicarsi interamente alla pittura, seguendo inizialmente le
indicazioni di ar- tisti intercettati attraverso le conoscenze
familiari.‘ Un temperamento vivo e curioso, il suo, che più
che seguire le letture e gli studi che il percorso scola- Stico gli
impongono, preferisce accrescere le proprie conoscenze con una formazione
isolata, fatta di letture personalissime: “Mi seppellivo cinque-sei ore
al giorno in biblioteca — sostiene in un'intervista —. Lì incomin-
ciai a leggere ‘La Critica’. Nel’25 avevo letto Bergson” 5
Nell’atteggiamento che caratterizza il giovane artista, concentrato ad
inseguire le proprie passioni piuttosto che le strade già battute, si può
forse leggere una conti- nuità nella scelta di rivolgersi a Casorati come
maestro, una decisione non così scontata in una Torino dove gli
orientamenti estetici erano ancora influenzati dall’in- gombrante figura
di Giacomo Grosso e dall’insegna- mento della paludata Accademia
Albertina. Galvano ha una fascinazione improvvisa verso
l'artista torinese, arrivata attraverso l'osservazione di-
1 A. GALVANO, Autobiografia, in N. PizzETTI, G. Givone (a
cura di), Albino Galvano, catalogo della mostra (Torino, Palazzo
Chia- blese, 21 dicembre 1979 - 13 gennaio 1980), Regione Piemonte,
Torino 1979, p. 17. 2 Ibidem. 3 G. C. ARGAN, Albino
Galvano [presentazione], in XXVIII Bien- nale di Venezia, catalogo della
mostra (Venezia, giugno - ottobre 1956), Alfieri Editore, Venezia 1956, p.
213; “Non eravamo tra i pri- mi della classe: troppe cose
c'interessavano, che non avevano nulla a che fare col programma, e ne
discutevamo per interi pomeriggi, dimenticando le versioni di latino e i
problemi di matematica. For- se quell’amicizia di ragazzi ci costò qualche
esame a ottobre ma, almeno per me, non fu un'esperienza inutile”
(Ibidem). 4 Galvano parla di “un apprendistato presso il Vannini,
ma- estro di disegno a cui ero stato indirizzato dal pittore
Giovanni Pisano amico di famiglia, che avevo avuto spesso occasione di
veder al cavalletto” (A. GaLvano, Autobiografia [1979], cit., p. 17). ©)
[Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], in P. Fossati, F. GarmoLpi, M.
C. Munpici (a cura di), Omaggio a Albino Galvano, catalogo della mostra
(Torino, Circolo degli Artisti, 23 gennaio - 1° marzo 1992), Electa
Piemonte, 1992, p. 140. Ud Albino
Galvano alla mostra personale di Palazzo Chiablese, Torino, 1979.
Archivio Storico della Città di Torino, fondo "Gazzetta del Popolo".
retta di alcuni suoi dipinti presenti nelle collezioni del museo
cittadino: “Alla Galleria di Torino — sostiene egli stesso
nell’autobiografia del 1952 — mi erano cioè pia- ciuti piuttosto i
bianchi di tempera con il rosso dei co- ralli o il cielo spugnoso del
bozzetto per il ‘Ritratto del- la signora Wolf” che il neoquattrocentismo
del ‘Ritratto della sorella’”.. Prime indicazioni attestabili dopo
il 1926, sintomatiche di un interessamento che si rafforza man mano
e che è destinato a diventare decisivo per il suo ingresso nella scuola
dopo la visita alla Biennale veneziana del 1928, nella quale Casorati
espone,” oltre ad otto dipinti, anche due statue destinate al
proscenio per il teatro Gualino. Galvano è colpito, in questa occa-
sione, ‘“[dal]l’azzurro o il paglierino di stoffe e legni in ‘Daphne’ che
le pose ricercate dei nudi”. 6 A.GALVANO,
[autobiografia], in Albino Galvano, catalogo del- la mostra (Asti,
Galleria La Giostra, 1952), Asti 1952, p.n.n.; rela- tivamente ai dipinti
di Casorati citati si veda il catalogo generale dell'artista G.
BERTOLINO, F. PoLi, Felice Casorati. Catalogo generale. I dipinti
(1904-1963), 2 voll., Allemandi & C., Torino 1995, nn. 188 (1922),
250 (1925). Da qui in poi citato come (Bertolino, Poli). 7 A. GALVANO,
[autobiografia] [1952], cit., p. n.n. Relativamen- te alla Biennale del
‘28 scrive: “Quella del 1928 volli visitarla di persona e vi fui
impressionato specialmente da Felice Casorati, sicché decisi, scoperto
che abitava a Torino, di iscrivermi alla sua scuola.” (Ip., Autobiografia
[1979], cit., p. 17). 8 Ibidem;inquell’occasione, oltre al Ritratto
di Daphne (1928) (Ber- tolino, Poli 328), Casorati espone l’opera Ragazze
dormenti (o Mozart) (1927) (309), ricordata da Galvano nel suo racconto
autobiografico. L'ingresso alla scuola, avvenuto
probabilmente verso la fine dell’anno o all’inizio di quello
successivo, lo vede inserirsi in un ambiente già consolidato, ac-
cresciuto notevolmente d’iscritti rispetto al nucleo fondante di stretto
discepolato del suo studio “che sta tra l'accademia e il monastero” del
1921.!° La “Scuola libera di pittura”, inaugurata nel 1927 in via
Galliari 33, è ormai una realtà pubblica, che riunisce maestro e
allievi e li vede impegnati come fronte coeso nelle esposizioni cittadine
e nazionali.! La serietà e la dedizione alla pittura sono le
ca- ratteristiche fondamentali che danno l’accesso alla scuola: lo
si ricava dalle impressioni che risuonano con continuità tra i commenti e
i ricordi degli allievi che in tempi diversi affrontano l’alunnato
casoratia- no.! Galvano non fa eccezione: “L'accoglienza fu, come
era nel suo stile, di una signorile severità”.! Ma, al di là delle
incertezze iniziali, il maestro sem- bra essere più colpito dalla
spiccata vivacità intel- lettuale del giovane allievo piuttosto che dalle
sue capacità pittoriche: “credo che — sottolinea Galvano
raccontando di se stesso — abbia avuto subito per l’uomo la simpatia e la
stima che poi sempre mi di- mostrò, forse assai più scarsa la fiducia
nelle mie possibilità di pittore, il che mi fu ottimo stimolo a
intestardirmi e ad impegnarmi a fondo”! Tra la fine di ottobre e
l’inizio di novembre del 1929 lo scolaro “intelligente ma noioso,
predicatorio”, secondo il ricordo di Lalla Romano (anche lei discepola
di Casorati),'° presenta le sue opere per la prima volta con il gruppo di
allievi alla II Esposizione d’arte allesti- ta nello studio di via
Galliari. L'esposizione “intima”, alla sua seconda edizione, è aperta al
pubblico di inte- ressati (a visitarla, sono perlopiù personalità del
milieu intellettuale antifascista cittadino) e vuol essere una
“raccolta dei lavori più notevoli eseguiti dagli allievi nello scorso
anno”.!° La prova generale della scuola non sembra però garantire a
Galvano l’accesso all’im- 9 Galvano, a molti anni di distanza,
fissa la sua presenza nella scuola “dalla fine del 1928 a quella del
1930” (A. GaLvano, Auto- biografia [1979], cit., p. 17). 10
P. GOBETTI, Felice Casorati pittore, Torino [1923], p. 91. 11
Perunostudiosulla scuola di Casorati e sulle vicende espo- sitive della
stessa si veda V. CavaLLaro, La scuola di Casorati, tesi di laurea,
Facoltà di lettere e filosofia, Università degli Studi di Torino, 2012,
relatore: F. Rovati; F. Poi, V. CavaLLaro (a cura di), La scuola di
Felice Casorati ed Andrea Cefaly, catalogo della mostra (Catanzaro,
Complesso monumentale di San Giovanni, 26 ottobre — 26 novembre 2017),
Rubettino, Soveria Mannelli 2017. 12 testimonianze e memorie dei
suoi discepoli, in C. Pianciola (a cura di), Il critico e il pittore.
Gobetti, Casorati e la sua scuola, Aras Edizioni, Fano 2018.
13 A. GALVANO, Autobiografia [1979], cit., p. 17. 14 Ibidem.
15. L. Romano, Una giovinezza inventata, Einaudi, Torino, 1979, p.
192. 16 E. PauLuccCI, Cronache torinesi. Scuola di Casorati, in “Le
Arti Plastiche”, 16 novembre 1929, p. 2. Su questo
argomento si veda A. BOTTA, Felice Casorati nelle. 28
minente esposizione alla Galleria Valle di Genova — or- ganizzata
probabilmente da tempo e inaugurata nel gennaio del nuovo anno -, che
vuol essere l’occasio- ne per riunire una selezione più stretta degli
allievi.!” Dovrà attendere ancora qualche mese, in primavera, prima
di assistere alla presentazione di un suo dipinto (accolto per
accettazione dalla Giuria) alla Biennale del 1930.!* Riuniti attorno al
maestro, gli allievi di Casorati — otto in totale — occupano la sala 30,
attigua alla fortu- nata e discussa retrospettiva di Modigliani ordinata
da Lionello Venturi, che non manca di far nascere alcune
corrispondenze e letture parallele con le opere dei ca- soratiani.
Da questo momento in poi Galvano incomince- rà ad essere presente
con continuità alle mostre della scuola. Una conferma che arriva già a
poche settima- ne di distanza con la partecipazione alla 88°
esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti con ben
quattro dipinti. Ancora alla fine dell’anno il suo nome si regi-
stra tra gli allievi presenti alla III Esposizione d’arte di via
Galliari,' mentre nel gennaio del 1931 viene segna- lato come uno dei
“casoratiani” che espongono - que- sta volta senza il maestro — alla
mostra torinese degli “Amici dell’ Arte”. Se fino a questo
momento le opere di Galvano non sembrano sollecitare più di tanto l'interesse
della critica — forse perché il modello del maestro è troppo
riconoscibile nella sua pittura —, l'occasione della I Qua- driennale
d'Arte Nazionale di Roma del gennaio 1931 apre ad un interessamento che
coinvolgerà da lì in poi anche il giovane artista torinese, presente con
il dipinto Estate, riprodotto per l'occasione sulla nota rivista
mi- lanese “La casa bella”?! Galvano, ancora coeso al gruppo
almeno fino al marzo di quell’anno (la sua presenza è confermata in
una mostra di “scuola” allestita alla galleria Milano),
17 Esposizione dei pittori Casorati, Bay, Bionda, Bonfantini, Mar-
chesini, Maugham, Mori, prefazione di G. Pacchioni, catalogo della mostra
(Genova, Galleria Valle, 20 gennaio - 3 febbraio 1930), Ge- nova
1930. 18. Sitratta del dipinto Paese con un ponte; cfr. Catalogo
XVII Espo- sizione Biennale Internazionale d'Arte 1930, catalogo della
mostra (Venezia, maggio - novembre 1930) Venezia 1930, sala 30, n.
18. 19 Cfr. E. Pautucci, Cronache torinesi. Scuola di Casorati, in
“Le arti plastiche”, 16 gennaio 1931, p. 2. 20 Cfr.E. ZANZI,
Cronache torinesi. La mostra degli “Amici dell’Ar- te”, in “Emporium”,
vol. LXXIII, n. 433, gennaio 1931. pp. 50-51. 21. P. Torriano, Cronache
d’arte. Note alla I Quadriennale, in “La casa bella”, marzo 1931, p. 57.
Relativamente alla partecipazione degli artisti piemontesi alla rassegna
romana si veda L. IAMURRI, Levi, Paulucci e gli altri. Presenza torinesi
alla Quadriennale, in M. Cossu, C. MicHELLI (a cura di), Cultura artistica
torinese e politiche nazionali 1920-1940, catalogo della mostra (Roma,
Galleria Nazio- nale d'Arte Moderna, 16 dicembre 2004 - 13 febbraio
2005), Electa, Milano 2004, pp. 58-60. 22. Cfr. Bay, Bionda,
Bonfantini, Casorati, Chicco, Cremona, Donati, Galvano, Levi, Maugham,
Marchesini, Mennyey, Mori, catalogo del- la mostra (Milano, Galleria
Milano, 1° - 15 marzo 1931), Milano 1931.
Copertina del catalogo della mostra alla Galleria Milano, Milano 1931.
incomincia a dar segni di cedimento rispetto allo sta- tuto
casoratiano e nei confronti della scuola. Un di- Stacco progressivo che
si rende evidente nell'esercizio Stesso della pittura, che lo vede
ricercare una propria indipendenza e nuove vie di espressione. La Promo-
trice del 1931 diventa per lui un terreno di confronto nel quale
presentare le più recenti ricerche, filtrate at- traverso nuovi modelli
nel frattempo subentrati e ma- turati, chiariti con lucidità — a distanza
di anni — dallo Stesso artista: Mi affascinavano il tentativo
di ricostruzione formale del mio maestro e, contemporaneamente e
contradditto- riamente, gli esiti dell’impressionismo e
postimpressio- nismo, sia nelle loro accezioni originali sia nelle
riprese locali dei Sei e, in genere, la pittura di colore e di
tocco, ovviamente legata a una visione naturalistica. Nel du- plice
e, in certo senso, contraddittorio intento di tener Insieme i valori
plastici di Casorati e quelli cromatici dei Sei il risultato diveniva
naturalmente pesante, impasta- to, anche perché subivo fortemente
l'influenza di una certa pittura francese [...], o meglio di una pittura
che si faceva in Francia spesso da stranieri, [...] che allora agli
inizi degli anni trenta mi affascinava dalle pagine di “L'Art
Vivant”.® Assente il maestro, Galvano è presente con tre
ope- re. La Composizione con figura, in particolare, riprodotta
23. A. Galvano, Autobiografia [1979], cit., p. 18.
29 sia in catalogo che sulla rivista “Emporium”,’°
mostra gli esiti dell'aggiornamento condotto sugli esempi dei
post-impressionisti francesi e sulle proposte figurative dei “Sei”
(sciolti ufficialmente, come gruppo, proprio nel 731), che si
riconoscevano nella linea di rinnovamento dell’arte contemporanea tracciata
da Lionello Venturi.® Il passaggio, da questo momento in poi, è
breve. Complice un disfacimento generalizzato della scuola stessa,
il pittore, alla mostra degli “Amici dell'Arte” al- lestita nell'autunno
del medesimo anno, è considerato già da tutti un ex allievo.?? Ma la sua
fedeltà al maestro e l'amicizia che li lega lo vedranno partecipare
ancora ad una mostra di “scuola”, allestita nel teatro di Pavia
all’inizio del 1932. Accanto agli ex compagni, Galva- no diventa una
presenza eccentrica. Le sue opere, che spaziano tra i generi (dalla
natura morta al paesaggio), mostrano la sua indecisione circa la strada
da intra- prendere, alla luce delle più recenti scoperte, passando
“da l’espressionismo a l'impressionismo senza un atti- mo di esitazione”.
La “rottura” con Casorati — 0 presunta tale —, coin- cide con il
suo esordio di critico e con il suo avvicina- mento a Lionello Venturi,
al quale viene introdotto dal suo compagno di studi Giulio Carlo Argan.*
Nel lu- glio del 1932 Galvano pubblica il suo primo contributo
sull’illustre rivista trimestrale “L'Arte”, che a partire dal 1930 vede
Lionello impegnato nella condirezione accanto al padre Adolfo. La
presenza del figlio, pro- fessore all’Università di Torino, apre il
periodico al di- battito sulle arti contemporanee, fino a quel
momento escluso dai contenuti tradizionali della rivista. Il saggio
Armando Spadini e il gusto degli impressionisti? mostra l'avvicinamento
di Galvano alla critica venturiana, già evidente nel titolo del
contributo (che riecheggia il più celebre volume del 1926)" e che si
conferma nei conte- nuti e nel soggetto stesso dell'articolo.
24 E. ZANzZI, Cronache torinesi. Dopo ottantanove anni...
L'Esposi- zione Interregionale della Promotrice di B. A., in “Emporium’”,
vol. LXXXIV, 443, novembre 1931, p. 307. 25 Alberto Rossi,
sulle pagine de “L'Italia letteraria”, sottolinea come Galvano sia ormai
“teso a tutt'uomo alla ricerca di costru- zioni personali” (A. Rossi, Una
mostra interregionale, in “L'Italia letteraria”, 12 luglio 1931, p. 4),
mentre Emilio Zanzi, su “La Gaz- zetta del Popolo”, rileva come la
distanza -tra allievo e maestro- sia ormai sensibile sia da un punto di
vista cromatico che formale: “Il giovane Galvano - fa notare - sta
liberandosi dai grigi e dalle tristezze casoratiane e ora si esperimenta,
con accortezza e con gusto, nelle esperienze di Matisse e di Friesz” (E.
z. [E. Zanzil], L'arte al Valentino. La terza Mostra regionale del
Sindacato delle Belle Arti, in “Gazzetta del Popolo”, 14 maggio 1931, p.
6). 26 Cfr.e.z. [E. Zanzi], Agli “Amici dell'Arte” pittori,
scultori, ar- chitetti, decoratori. La mensa degli avieri ideata da S. E.
Balbo, in “Gaz- zetta del Popolo”, 10 ottobre 1931, p. 7. 27,
P.A.Sornini, Alla mostra Casorati II, in “Il Popolo di Pavia”, 27 gennaio
1932, p. 3. 28 Cfr. A. GALVANO, Autobiografia [1979], cit., p.
17. 29 In., Armando Spadini e il gusto degli impressionisti,
in “L'Arte”, vol. III, nuova serie, IV, luglio 1932, pp. 318-331.
30 LL. VENTURI, Il gusto dei primitivi, Zanichelli, Bologna 1926.
Accanto all'impegno pittorico, piuttosto in crisi in questo
periodo (“per una dozzina d'anni, mi mossi un poco a casaccio”), Galvano
intraprende gli studi universitari presso la Facoltà di magistero. Una
scelta che è dettata non tanto dalla sua ben nota passione per le
materie letterarie e filosofiche o dalla sua curiosità innata, ma più
semplicemente da “problemi economi- ci” che lo obbligano “in fretta e
furia a prendere una laurea e ad iniziare l'insegnamento in istituti
privati” La fine del suo percorso di studi, che si conclude con una
Tesi sulla pedagogia della religione discussa con Angiolo Gambaro e
Nicola Abbagnano, coincide con la ripresa dell'attività di critico ma
anche di saggista,” che si fa particolarmente intensa a partire dal 1938
e che lo vede collaborare con le riviste “Il Selvaggio” ed
“Emporium”. AI di là dell'abbandono della scuola di Via Gal-
liari, Casorati resta per Galvano un solido punto di riferimento, non
tanto come esempio figurativo o di pratica pittorica da seguire, ma come
rappresentate di un modello culturale autorevole e indipendente
pre- sente in città. L'amicizia tra i due, avviata alla fine degli
anni Venti e riconfermata in più occasioni, sembra in questo giro di anni
intensificarsi ulteriormente, antici- pando il sodalizio che porterà alla
pubblicazione della monografia per la collana “Arte Moderna Italiana”
di Scheiwiller nel 1940, dedicata integralmente al mae-
stro.” A partire dal 1938 (fino al 1942) incomincia a col-
laborare con “Emporium” occupandosi di curare la sezione Cronache
torinesi del mensile. Questo nascente incarico gli permette di affrontare
e commentare l’atti- vità artistica piemontese, confrontandosi con un uni-
verso legato ad una rivista nota ed ampiamente diffusa e discussa.
Casorati è sempre presente nei suoi articoli: viene seguito passo passo
da Galvano sia nelle vesti di pittore che di organizzatore culturale,
offrendo in spe- cial modo la propria attenzione all'impresa della
galle- 31 A.GALVvano, [autobiografia] [1952], cit., p. nn.
32. [Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], cit., p. 138.
33. Da ascriversi sempre al rapporto con Venturi sono i tre vo-
lumi di Galvano, apparsi a partire dal 1938 per l'editore Nemi di Firenze
(L'arte egiziana antica [1938]; L'arte dell'Asia occidentale e centrale
[1938]; L'arte dell'Asia orientale [1939]), pubblicati nella collana
“Novissima enciclopedia monografica illustrata”. 34 “Casorati
[...] sapeva rispettare la personalità dell'allievo anche quando non era
affatto d'accordo sulla visione dell’allie- vo. Infatti quei pochi
che sono venuti fuori tra i molti che c'erano - Bonfantini,
Chicco, Paola Levi Montalcini, ed io, ci siamo subito allontanati da
Casorati pur restando suoi amici, pur essendo sem- pre aiutati da lui sul
piano pratico per mostre ed esposizioni. [...] Ma la Montalcini ed io
siamo passati negli anni Cinquanta all’a- strattismo, poi all’informale,
tutte cose che Casorati... ma non ci ha mai tolto né la sua amicizia né
la sua protezione. In questo era veramente un grandissimo signore”
([Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], cit., p. 141). 35
A. GALvano, Felice Casorati, Arte moderna italiana n. 5, Serie A -
Pittori - n. 4, Ulrico Hoepli, Milano 1940. 30 ria
“La Zecca”, avviata dal maestro a Torino insieme a Enrico Paulucci in via
Verdi 15.5 Se appare piuttosto chiaro come Galvano tenti —
con i mezzi a sua disposizione — di promuovere e so- stenere l’amico
Casorati nelle sue molteplici attività, il maestro, dal canto suo, cerca
di aiutare il suo ex-allievo nel suo percorso di pittore. È lo stesso
Galvano a di- chiarare apertamente, molti anni più tardi, come la
sua affermazione al Premio Bergamo sia in realtà frutto di un aiuto
arrivato dallo stesso maestro: “Casorati era molto potente [...] mi fece
accettare [al Premio Berga- mo], mi fece sempre dare qualche premio, per
cui mi trovai agganciato”. Presente con continuità dal 1939 al
1942, Galvano si aggiudica per ben tre anni i pre- mi in denaro del
concorso. Solo nella seconda edizio- ne non compare tra i vincitori, ma
la sua opera viene acquistata dal Ministero dell'Educazione Nazionale
a titolo di incoraggiamento. Il. Verso la fine
del 1940 è data alle stampe la mo- nografia “Felice Casorati” scritta da
Albino Galvano, apparsa per le edizioni Hoepli di Milano.* La pub-
blicazione si inserisce all’interno dell’ambiziosa col- lana “Arte
Moderna Italiana” inaugurata nel 1925 e coordinata da Giovanni Scheiwiller,
immaginata per raccogliere — uno dopo l’altro — gli artisti italiani
più noti del tempo, attraverso piccole monografie illustra- te,
introdotte da un testo critico che viene di volta in volta scelto
dall'editore o dall'artista protagonista del volume. In questo caso, è
infatti Casorati a suggerire il nome del giovane critico a Scheiwiller,
incaricandolo di aggiornare radicalmente la precedente edizione di
Raffaello Giolli, ormai vecchia di quindici anni.” La piccola
monografia di Galvano non si colloca, all’epoca, come una novità di
genere nella letteratura artistica del pittore, ma rientra in un panorama
già piuttosto sedimentato di studi sul maestro, che si oc- cupano
di fornire uno sguardo complessivo sull'intera produzione raggiunta sino
a quel momento. Il volume 36 Ip., La collezione
Della Ragione, in “Emporium”, vol LXXXVII, 520, aprile 1938, p. 220; Ip.,
Torino. Maccari alla “Zecca”, in “Em- porium”, vol. LXXXIX, 531, marzo
1939, pp. 161-162. In., Torino. Mostre alla “Zecca”, in “Emporium”, vol.
XC, 537, settembre 1939, pp. 161-163; Ip., Torino. Mostre alla “Zecca”,
in “Emporium”, vol. XC, 538, ottobre 1939, pp. 203-204. 37.
[Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], cit., p. 138. 38. A.
GALVANO, Felice Casorati, cit. Per uno studio sulla mono- grafia si veda
A. Botta, Albino Galvano e Felice Casorati. La mono- grafia per la
collana “Arte Moderna Italiana” di Giovanni Scheiwiller, tesi di
specializzazione, Università degli Studi di Udine, 2014- 2015, relatore:
F. Fergonzi. 39 R. Giotty, Felice Casorati, Arte moderna italiana
n. 5, Serie A - Pittori - n. 4, Ulrico Hoepli, Milano 1925. lo studio di
Giolli, infatti, limitava necessariamente l'indagine sull'artista alla
prima metà degli anni Venti. di Gobetti del 1923,‘ che si
propone come una rico- struzione cronologica del percorso artistico
(nonostan- te la limitatezza della produzione casoratiana) apre la
strada a numerosi tentativi di interpretazione e ordi- namento dell’opera
del maestro, non limitati alle pub- blicazioni di carattere monografico
(il caso successivo — come si è detto — è quello di Giolli) ma
rintracciabili anche all’interno di contributi meno estesi che, a
par- tire dal saggio di Venturi uscito il medesimo anno su
“Dedalo”, diventano sempre più frequenti nei tempi a venire, anche sotto
forma di presentazioni nei catalo- ghi delle esposizioni.” La
critica contemporanea studia la produzione di Casorati secondo principi e
approcci molto differen- ti che, verso la metà degli anni Venti, tendono
a farla rientrare in quel processo di costituzione di un'arte
nazionale ufficiale: un’annessione ai “pittori del Nove- cento” (non
pienamente condivisa dall'artista) che sarà esplicitata nell'articolo di
Margherita Sarfatti apparso su “La Rivista Illustrata del Popolo
d’Italia” nel marzo del 1925* e che contribuirà a determinare una
lettura della pittura di Casorati divisa “tra estetica e lettera-
tura”, destinata a rimanere ancora per molto tempo identificativa del suo
lavoro. Intorno agli anni Trenta il lavoro di Casorati rien-
tra già nell'ottica di una ricostruzione storica più am- pia dell’arte
italiana ed internazionale: le pubblicazioni della Sarfatti, di Virgilio
Guzzi, di Vincenzo Costanti- ni, di Anna Maria Brizio e — poco più tardi
- di Ugo Nebbia, esaminano Casorati secondo una prospettiva
generale (con le inevitabili ed ulteriori opinioni con- traddittorie), ma
sono tutte piuttosto concordi a identi- 40 P. Gost, Felice
Casorati pittore, cit.. 41 L. VENTURI, Il pittore Felice Casorati, in
“Dedalo”, IV, fasc. IV, Settembre 1923, pp. 238-261. 42 Ip.,
Mostra individuale di Felice Casorati, in XIV Esposizione Internazionale
d'Arte della Città di Venezia, catalogo della mostra (Venezia, aprile -
ottobre 1924), Carlo Ferrari, Venezia 1924, pp. 88-89; G. PACCHIONI,
Felice Casorati, in Exposition d'’artistes italiens contemporains,
catalogo della mostra (Ginevra, Musée Rath, feb- braio 1927),
Stabilimento grafico Foa, Torino 1927, p. n.n.; A. Rossi, Felice Casorati,
in 21 Artistes du Novecento Italien. Deuxième exposi- tion du Novecento
italien, catalogo della mostra (Ginevra, Galerie Moos, giugno-luglio
1929), Richter, Ginevra 1929; M. BERNARDI, 25 opere di Felice Casorati
nel salone de La Stampa, catalogo della mostra (Torino, gennaio 1937),
Tipografia del giornale “La Stam- pa”, Torino, 1937, p. n.n. Per una
ricognizione sulla fortuna critica Casoratiana si veda P. THeA, La
critica e Casorati: profilo e antologia, in M. M. LAMBERTI, P. Fossati,
Felice Casorati 1883-1963, catalogo della mostra (Torino, Accademia
Albertina, 19 febbraio - 31 marzo 1985), Fabbri Editori, Milano 1985, pp.
141-167. 43. M. SARFATTI, Pittori d'oggi. Felice Casorati, in
“Rivista illustra- ta del Popolo d’Italia”, 15 marzo 1925. 44
In. Storia della pittura moderna, Paolo Cremonese Editore, Roma 1930; V.
Guzzi, Pittura italiana contemporanea. Origini e aspet- il, Bestetti
& Tumminelli, Treves, Roma-Milano 1931; V. COSTAN- TINI, Pittura
italiana contemporanea dalla fine dell’800 ad oggi, Ulri- co Hoepli,
Milano 1934; A. M. Brizio, Ottocento Novecento, Utet, Torino 1939; U.
NEBBIA, La pittura del Novecento, Società editrice libraria, Milano
1941. 31 ARTE MODERNA ITALIANA N.
5 ALBINO GALVANO FELICE CASORATI
1940 - XIX ULRICO HOEPLI . MILANO EDITORE
Felice Casorati, Ulrico Hoepli, Milano 1940. ficare
nell'opera del medesimo una tendenza interna e personalissima alla
corrente novecentista. Le difficoltà nel rintracciare una linea
condivisa per la sua arte era già stata evidenziata da Giacomo
Debenedetti (intellettuale torinese, come Gobetti, “pre- stato” anche lui
alla critica d’arte) con l'articolo Casorati e la critica d'arte del
1933, nel quale sottolineava come “L'arte di Casorati pare fatta apposta
per isconcerta- re gli schemi che la più ‘scientifica’ critica d'arte
s'è data come sicuri oramai ed incontrovertibili”,’° evi- denziando
nelle conclusioni tutte le contraddizioni di una generazione: “Linea,
dunque, no: forma plastica, no: colore, no: o quanto meno né la linea, né
la forma, né il colore intesi come schemi esclusivi ed esaurien-
ti, nell'accezione data dai critici, che di quegli schemi si sono fatti,
non pure gli interpreti, ma i banditori. E questa è l’involontaria
polemica del Casorati contro la critica d’arte”. Davanti a
questo insieme di opinioni e approc- ci differenti, Galvano si dimostra
sin da subito molto perplesso verso i suoi predecessori, affermando
in maniera categorica come “Ciò che è mancato più ad una critica
concludente su Casorati è appunto [...] una comprensiva ‘lettura’ delle
sue pitture”,‘ e sintetizzan- 45 G.
DEBENEDETTI, Casorati e la critica d'arte, in “L'Italia lettera- ria”, 15
gennaio 1933, p. 4. 46 Ibidem. 47 A.GALVANO, Felice
Casorati, cit., p. 28. do poi, nelle prime pagine della
monografia, i termini di questa fortuna critica — che è anche
incomprensio- ne — sedimentata verso l’artista, almeno fino alla
metà degli anni Venti: Casorati ha goduto di un momento di
fortuna quando la sua pittura, forse proprio perché meno urtante a
prima vista di quella di altri pittori di avanguardia, ebbe tutti i
suffragi e specialmente a quelli della critica che voleva essere alla
pagina, ma salvando il rispetto per la tradi- zione [...] Erano i tempi
in cui la pittura del novecento appariva come uno sforzo neoclassico in
polemica con l’arte futurista da una parte, con l’aneddotismo
elegante dall'altra, [...] la pittura di Casorati [...] ebbe una sua
funzione in Italia per liberare il medio pubblico dagli en- tusiasmi per
Grosso, per Sartorio, per Dall’Oca Bianca.* Rispetto ai precedenti
studi la posizione di Gal- vano è fin da subito ben chiara: risiede
nell'approccio preferenziale con cui affronta l’opera di Casorati,
total- mente inedito sino a quel momento, che viene ribadito in più
punti della monografia. In apertura del volume il critico-pittore
sottolinea come la sua analisi non si circoscriva a una rilettura
analitica e distaccata della produzione casoratiana, ma si sviluppi
attraverso una consapevolezza fondata sul ricordo della propria
formazione: “Casorati pittore — scrive richiamandosi ai suoi rapporti col
maestro — è stato per molti della mia generazione una esperienza di
importanza capitale in ordine alla formazione del gusto e
all'orientamento di una cultura non soltanto limitata a fatti di specie
figurativa. La pratica di di- scepolato presso di lui e la frequente
consuetudine di Casorati uomo, hanno valso ad alcuni di noi come
un'esperienza fra le più profonde e decisive anche per quanto riguarda la
vita morale”! L'insegnamento di Casorati, oltre a fornire una
solida base di rudimenti pittorici insieme agli stru- menti per uno
sviluppo individuale delle personalità artistiche, è la chiave — sempre
secondo Galvano — per la comprensione stessa dell’opera del maestro,
chiarita metaforicamente in un passaggio del testo: “Casorati è uno
di quei pochissimi artisti che dopo il rapimen- to delle muse non
rimangono incoscienti di quanto in loro è avvenuto; lo capiscono ed
aiutano a capirlo agli altri”.°° Un concetto che viene ribadito, in
maniera ancora più chiara, verso la fine del suo lungo contri- buto
per Scheiwiller: “Non molti di noi [allievi] hanno saputo da quelle
parole imparare a dipingere decente- mente, ma certo tutti a leggere i
suoi quadri un poco meglio”. Con queste premesse Galvano
vuole dimostra- re come la vicinanza al maestro gli permetta di
avere 48 Ivi, p.7. 49 Ivi, p.d. 50 Ivi, p. 6.
51. Ivi, p.32. 32 una visione privilegiata, lucida e
fedele del suo lavoro, elevando la lettura delle opere ad un’originalità
vicina alle intenzioni del maestro, più di quanto gli altri pos-
sano avere. AI di là degli schieramenti e dei tentativi di
cate- gorizzazione che, a più riprese, hanno interessato il la-
voro di Casorati — tra assimilazione al gruppo novecen- tista, ascendenza
neoclassica 0, ancora, appartenenza alla poetica metafisica —, Galvano
sceglie il sostantivo “Platonismo” per riassumere gli esiti figurativi
ottenu- ti dall'artista a partire dagli anni Venti,"
un’indicazio- ne che gli permette di liberarsi da ingombranti
etichet- te sino a quel momento attribuite all'opera del pittore.
È un'affermazione di Casorati a suggerire a Gal- vano le basi per
un'interpretazione platonica delle sue opere: il critico recupera
esplicitamente una dichiara- zione del maestro che risale al 1921
espressa a margine di un catalogo della Galleria Pesaro, nella quale
chiari- sce le proprie intenzioni —quasi programmatiche — di
esercizio pittorico: “Dipingere la verità, dimenticando la realtà
superficiale” 5° Un concetto che viene succes- sivamente ribadito da
Casorati, spogliato delle sue im- plicazioni categoriche (rinnegate in un
secondo tempo dallo stesso pittore)? in una successiva
dichiarazione, fatta a dieci anni di distanza e riportata nel
catalogo della prima Quadriennale romana, con la quale l’ar- tista
sottolinea ancora una volta come il suo distacco dalla realtà dei
soggetti sia prerogativa fondante del suo lavoro: “la mia pittura è
staccata dalla vita”.> La posizione “platonica” di Galvano pone
il la- voro di Casorati in netto contrasto con la pittura degli
Impressionisti (che godono invece di una notevole for- tuna, verso gli
anni Trenta, a Torino), collocando il mo- vimento francese e il maestro
torinese su due fronti op- posti — sia da un punto di vista lirico che
tecnico —: un 52 sto di Casorati preferiremmo
ad ognuna quella di ‘Platonismo (Ivi, p. 6). 53 F. Casorati,
[Dichiarazione], in Arte italiana contemporanea, catalogo della mostra
(Milano, Galleria Pesaro, ottobre - novem- bre 1921), Alfieri &
Lacroix, Milano 1921; ora in In., Scritti intervi- ste lettere, cura di
E. Pontiggia, Abscondita, Milano 2004, p. 11. 54 “Scrissi allora
nel catalogo alcune parole per spiegazione del mio lavoro e quasi per
contrappormi all'arte di quel tempo: affermavo di voler dipingere la
verità, dimenticando la realtà apparente; di voler indulgere agli errori
che spesso sono la sola ragione dell’opera d’arte... Queste parole furono
definite un’ere- sia estetica; in fondo, però, esse volevano spiegare il
carattere di immobilità, di impassibilità dei contorni decisi di forma,
in con- trapposto al più o meno degenere impressionismo di
sfarfalleg- giamenti colorati, di indecisione ottica, di ricerca del
movimento nel vibrare continuo della luce” (F. CASORATI, in G. MascHERPa
[a cura di], Felice Casorati e il religioso, catalogo della mostra
[Milano, Galleria San Fedele, Milano, 1 marzo - 8 aprile 1983], Milano
1983, p. 12). 55 E. CASORATI, Presentazione, in Prima
quadriennale d'arte nazio- nale, catalogo della mostra (Roma, Palazzo
delle esposizioni, gen- naio - giugno 1931), E. Pinci, Roma 1931; ora in
In., Scritti interviste lettere, cit., p. 23. “E infatti se
dovessimo trovare una parola per definire il gu- IN
rifiuto che è categorico e si muove sulla falsariga delle indicazioni già
enunciate dall'artista nella citata pre- sentazione del 1931: “non ho mai
capito il movimento ‘qui déplace les lignes’, e adoro invece le forme
statiche [...] la mia pittura nasce -per così dire- dall'interno e
mai trova origine dalla mutevole ‘impressione’ }° consi- derazioni che
vengono caricate di significati filosofici, anche in questo caso, da
Galvano: Al Protagorico impressionismo per cui misura di tutte
le cose è l'uomo individuale, si contrappone dunque il Pla- tonico
Casorati richiamandoci all'ordine di una pittura dove le cose appaiono
reali in quanto hanno la maneg- giabilità di ciò che dal flusso delle
sensazioni è ritagliato per opera dell'intelletto. Scodelle o uova, teste
o seni var- ranno come categoria.” Al “degenere
impressionismo” Casorati contrap- pone, secondo Galvano, “i suoi
caratteri di immobilità, di impassibilità, di contorni decisi, di
‘forma’”.* Alle premesse teoriche fanno seguito le prime
verifiche sulle opere che, a differenza dei precedenti Studi, non seguono
uno sviluppo strettamente crono- logico ed organico della produzione casoratiana,
ma si Muovono più liberamente, procedendo secondo l’an- damento del
discorso. | Come nelle antecedenti occasioni di studio,
l’ini- z10 dell'attività pittorica viene fatta coincidere con le
Opere del 1909, che gli valgono le prime attenzioni da parte della
critica alla Biennale di Venezia ed alla mo- Stra degli Amatori e Cultori
di Roma. Le considerazio- ni che investono il dipinto Le vecchie (1909) e
La cugina (1909)? sottolineano nelle ricerche di Casorati “un sen-
so drammatico della vita teso in un’acuta analisi psico- logica in cui
non manca una punta di sensualità [...], Ma temperata in una specie di
serenità letteraria”’,9 Motivi che si pongono in continuità con le
formulazio- Ni espresse in precedenza sia da Gobetti che da Ventu-
Il, attenti entrambi a rilevare l’attenzione psicologica ed il senso
letterario di queste prime composizioni.‘ ._ Il salto a questo
punto si fa subito brusco: l’esclu- Silone di tutta la produzione degli
anni della guerra (che coincide con il suicidio del padre di Casorati e
con le nuove responsabilità di capofamiglia verso le due Sorelle e
la madre) è in linea con le volontà dell'artista, che sceglierà di non
conservare le opere di quel perio- do, contraddistinte da un simbolismo e
sintetismo de- Corativo piuttosto anomalo. 56
Ibidem. 957 A. Galvano, Felice Casorati, cit., p.7. 98 Ivi, p.
6. 59 (Bertolino, Poli 40, 50). 90 A. GALvaNnO, Felice
Casorati, cit., p. 9. 01 Cfr. P.Gosetti, Felice Casorati pittore,
cit., p. 93; L. VENTURI, Mostra individuale di Felice Casorati, in XIV
Esposizione Internazio- nale d'Arte della Città di Venezia, cit., p.
88. 33 Un passaggio su Le signorine (1912), che
“libe- ro questa volta da preoccupazioni di ordine realistico ed
orientato verso una completa subordinazione alla composizione”, permette
a Galvano di transitare di- rettamente su Tiro al bersaglio del 1919,
anticipando i problemi di annullamento della terza dimensione già
evidenti nel dipinto. Per Galvano Tiro al bersaglio rappresenta
un’opera cruciale, da cui parte tutta la produzione più celebrata
dell'artista, quella del periodo immediatamente suc- CESSIVO:
l’opera significativa ‘Tiro al bersaglio’ (1919) [...]. In essa il
colore e la linea collo scomparire di ogni ricerca della terza dimensione
assumono per la prima volta una organicità che è davvero il segno
dell’impostarsi nella pittura di Casorati dei problemi di cui anche oggi
essa si nutre. Ridotto il qua- dro, colla completa scomparsa delle
ricerche chiaroscurali e mancando ancora l'ulteriore ricerca spaziale, ad
un sem- plice tappeto di tinte piatte, si comprende facilmente come
linea e colore divengano funzione l'uno dell'altro, tendendo a uno stato
in cui la visione inquietante del pittore raggiun- ge uno dei più intensi
suoi momenti” Il dipinto, in realtà, aveva sino a quel
momento goduto di una fortuna alterna: tacciato di futurismo nella
prima presentazione pubblica del 1919, è per Gobetti un’opera dai “rapporti
formali [...] indecisi” ancora legata alla produzione dalla prima metà
degli anni Dieci, un lavoro insomma, che Casorati realizza come
“prova per testimoniare a se stesso la fine del suo estetismo e la sua
incapacità di fermarsi ormai all'episodio”. La rivalutazione di Tiro al bersaglio,
nei fatti trova, prima di Galvano, un precedente mol- to prossimo
all'uscita della monografia Scheiwiller: nell'agosto del 1940 Italo
Cremona (anch’egli vicino a Casorati, pur non essendo mai stato allievo
della sua scuola), in maniera analoga a Galvano ragiona sull’im-
portanza del colore e sul principio di astrazione pre- sente nel dipinto,
che anticipa le opere più compiute e celebrate degli anni Venti:
sottrarre le cose dai variabili accidenti della luce per pe-
netrare invece il colore secondo un processo di intelli- gente
astrazione. [...] In quella curiosa vetrina di oggetti [...] vivono
infatti quei bianchi spettrali, quei colori —fin- ti-, che sovente
ritroveremo nell'aria rarefatta dove re- spirano le sue figure, anche quelle
delle parate familiari che Casorati ha sovente composto con sincera
affettuosi- tà ma che appaiono pur sempre affacciate a una ribalta,
in uno scenario freddamente preordinato, sul mondo dal quale l’artista le
ha volontariamente allontanate.” 62 (Bertolino, Poli
71). (Bertolino, Poli 140). A. GALVANO, Felice
Casorati, cit., pp. 10-11. 65 P. GOBETTI, Felice Casorati pittore, cit.,
p. 96. Ibidem. I. CREMONA, Felice Casorati, in “Primato. Lettere
e arti d’Ita- La rivalutazione del dipinto si pone
verosimil- mente in linea con le volontà dello stesso Casorati:
l’o- pera, che dal 1919 trova collocazione stabile nell’abita-
zione dell'artista, è ripresentata nel 1929 ad una mostra degli allievi e
riprodotta per volere dello stesso mae- stro come prima tavola nella
monografia Scheiwiller.® Un interessamento che viene letto da Galvano
come un “Segno che una pittura senza volume ed una pittura di
colore sembra ancora a Casorati rivelatrice del senso profondo della sua
arte”. Le opere realizzate a partire dal 1921 aprono la di-
scussione sulla funzione e l’importanza del colore per Casorati, che
viene ampiamente discussa nel testo e che caratterizza da qui in poi
tutta la monografia come lettura univoca del decennio successivo. Accanto
ad una premessa platonica, che si confronta nuovamen- te con le
opere Meriggio (1923), Lo studio (1923) e Con- certo (1924),
allontanandole da facili letture estetiche,” Galvano vede in “quegli
slarghi formali” di pittura un anticipo di “un’esperienza di tono che
sarà chiarissima intorno al 1931-32”. Contrapponendosi alle
interpretazioni — che vede- vano nella linea e nella forma plastica le
caratteristiche fondanti dell’opera di Casorati — Galvano valuta la pit-
tura del maestro come una pittura essenzialmente di colore,” spingendosi
a verificare le intenzioni dell’arti- sta e giustificare la scelta di
determinati soggetti e for- me piuttosto che altre, proprio in funzione
del colore: “Vi sono dei quadri di Casorati, e talvolta proprio i
più formali a prima vista, come ‘Daphne”? [...] che non si
afferrano in tutto il loro valore se non riferendoli al co- lore.
Casorati ama le forme semplici perché sono quelle che permettono al
colore di stendersi con la sua miglio- re ampiezza. È strano come questa
semplice verità sia stata tanto spesso fraintesa, non mancando del resto
di contribuirvi la stessa interpretazione che il pittore ha dato
della propria opera”. Una sensibilità tonale che porta il critico ad accostare
come esempio di ‘“straordi- lia”, I, 11, 1
agosto 1940, p. 19. 68 ‘è quanto mai significativo a questo
proposito il fatto che il pittore abbia tenuto in tempi recenti non
lontani ad esporre, ad introduzione e quasi chiave di sue opere più
recenti, quel ‘Tiro a segno’ piatto e ritagliato fra tutti che volle
anche ad inizio di queste riproduzioni” (A. GALVANO, Felice Casorati,
cit., p. 24). 69 Ibidem. 70 “Il ‘nudo’ e gli analoghi
‘Concerto’, ‘Meriggio’, ‘Studio’, ci presentano un mondo che si presta ad
essere interpretato in modo equivoco, come estetistico, da chi non tenga
presente che per Ca- sorati quelle platoniche accolte di figure femminili
ignude, anche se esse presentano molta eleganza, non hanno veramente
valore per questa eleganza ma solo per lo snodarsi ritmico dei
volumi” (Ivi, p. 12). Cfr. (Bertolino, Poli 212, 215, 226).
71. A.GAlvano, Felice Casorati, cit., p. 13. 72 “La forma
serve [...] a distruggere la linea ed a passare al colore: essa è, se si
vuole, il punto di partenza, ma è proprio il colore è il punto di arrivo”
(Ibidem). 73. (Bertolino, Poli 328). 74 A.GALVANO,
Felice Casorati, cit., pp. 13-14. 34
ARTE MODERNA ITALIANA N.5 ALBINO GALVANO |
FELICE CASORATI II ed. del volume Felice Casorati,
Ulrico Hoepli, Milano 1947. nario pre-casoratismo” l’opera di Jan
Vermeer e di Ge- orges de La Tour piuttosto che quella di Ingres,
riferita dallo stesso pittore come modello di riferimento alla
propria pittura nel “Referendum sul quadro storico” del 1929.
A sostegno di questa sua tesi sul colore Galvano recupera ancora
una volta i ricordi dell’insegnamento del maestro, affrontando questioni
di metodo e di pra- tica pittorica vissuta nello studio dell'artista,
dove l’os- servazione dei modelli veniva condotta non tanto sulla
forma degli oggetti, ma sui valori tonali dei medesimi: ci
limiteremo a notare come quanto resti nel ricordo di chi è stato alla
scuola di Casorati verta essenzialmente su due punti: l'insieme e il tono.
E soprattutto l’insie- me come forma il più sintetica possibile in
funzione del tono. La forma intellettualistica di un oggetto,
proprio ciò che interessa di più al pittore formale o classico, è
ciò che Casorati consiglia all'allievo di disimparare, la for- ma
che l'allievo deve imparare a vedere il più semplice- mente possibile è
la forma di quella determinata massa tonale, di quella determinata massa
chiaroscurale, non la forma dell'oggetto.” 75
F. CASORATI, [Risposta al referendum sul quadro storico], in “Le arti
plastiche”, 16 dicembre 1929; ora in Ip., Scritti interviste lettere,
cit., p. 22. 76 A.GALVANO, Felice Casorati, cit., p. 14. Analoghe
impressioni sì ritrovano in L. RoMAnO, La scuola di Casorati, in
“L'Arte”, XXXIII, La discussione sul colore offre a Galvano il
punto di partenza per affrontare le influenze cézanniane che,
secondo una critica assodata ormai da tempo, avrebbe- ro avuto un ruolo
capitale nell'evoluzione del lessico pittorico casoratiano, soprattutto
per il genere della natura morta.” È Venturi, nel 1923,” a
offrire per primo quest'in- terpretazione, individuando nell'esperienza
diretta di Casorati alla Biennale del 1920 (dove, su 28 dipinti di
Cézanne presenti, erano ben sette le nature morte) il passaggio di svolta
tra Le uova sul tappeto verde del 1914 e Le uova sul cassettone del
1920:”? “Le ‘uova’ [...] del 1913 sono un motivo di bianco su verde, le
‘uova’ del 1920 sono un motivo di forma geometrica solida e chiara
sopra un volume scuro”.8° Per Galvano, l'avvicinamento al maestro
di Aix è da intendersi come “esperienza più morale che pittorica”,
nella quale l'evoluzione delle sue natu- re morte rappresenta un processo
interno alla pittu- ra stessa piuttosto che il risultato di quest’incontro:
“[Uova sul cassettone] non si spiega con un riferimento al costruire
tonale del Provenzale nella sua essenza sti- listica” — puntualizza
Galvano - “ma solo col metterlo In relazione a quello che la pittura di
Casorati fu prima d'allora” 8 Secondo il critico, più che un precedente
sti- listico, la lezione di Cézanne offre la verifica di nuove
possibilità espressive; un punto di vista che trova con- ferma — più
tardi — nelle stesse dichiarazioni del pittore, che ripercorrono
l’incontro con i dipinti alla Biennale del 1920: Tutta la
grandezza del Maestro di Aix mi si manifestò im- provvisa. L'emozione che
ne provai fu enorme e non fu un'emozione di sbalordimento o di stupore,
che anzi mi sentii preso da quel senso di calma, di fermezza, di
equi- librio, che solo le opere dei grandi può dare. Equilibrio!
Compresi che nella sua pittura trovava il giusto equilibrio il problema
posto e sviluppato in un senso dell'Impressioni- smo e il grande opposto
risolto da tutta la tradizione; com- presi l'aberrazione di una certa
critica che non si staccava di insistere sui problemi di Cézanne: capii
che proprio, che Specialmente in quei difetti era il germe della sua
grandez- fasc. IV, luglio 1930, p. 380.
77. Relativamente a questo genere si vedano P. Fossati, Nature
morte di Casorati, in M. M. LamBERTI (a cura di), Casorati. Mostra
antologica, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 27 mar- ZO - 20
maggio 1990), Electa, Milano 1989, pp. 29-38; G. BERTOLINO, Dal
repertorio di oggetti alle prime nature morte (1910-1920), in ID., F.
PoLI (a cura di), La natura morta nella pittura di Felice Casorati, cata-
logo della mostra (Iseo [Brescia], Sale dell’ Arsenale, 24 maggio-20
luglio 1997), Electa, Milano 1997, pp. 11-22. 78. L. VENTURI, Il
pittore Felice Casorati, in “Dedalo”, cit. 79 (Bertolino, Poli 114,
162); relativamente alle opere si veda In particolare M. M. LAMBERTI,
Scherzo: uova (o Le uova sul tappeto verde) e Le uova sul cassettone, in
In., P. Fossati, Felice Casorati 1883- 1963, cit., pp. 62-64;
79-80. 80. L. VENTURI, Il pittore Felice Casorati, in “Dedalo”,
cit., p. 254 ù A. GALVANO, Felice Casorati, cit., p. 33.
Ivi, p. 16. 35 za. Compresi che Cézanne era il
pittore della rinuncia e che la rinuncia era la forza della pittura
moderna. Non cambiai modo di dipingere, ero troppo inconsciamente
orgoglioso per tentare un cambiamento di rotta che non avrei potu-
to fare in alcun modo. Credetti allora di approfittare della grande
lezione di Cézanne proprio irrigidendomi sulle mie posizioni e cercando
solo in profondità.* La monografia Scheiwiller, pensata per
aggiorna- re la precedente di Giolli, in realtà affronta solo
margi- nalmente la più recente produzione del maestro, soste- nendo
per le opere più prossime la piena attuazione del proposito coloristico
în nuce già nei primi anni Venti. Ai ricordi della Biennale del
1924, e soprattutto a quella del 1928,* Galvano contrappone le opere
espo- ste nei primi anni Trenta: per La lezione (1929), Susanna
(1929) e Lo straniero (1930) pone l'accento su come pre- valgano in
questi dipinti “certe note di rossi improvvisi, il taglio in controluce,
il gusto, almeno nei due primi, di accostare il nudo ad una figura
maschile vestita, un de- siderio di atmosfera serena che suggerisce
lontananze chiare e assolate” .8# Motivi pittorici che, spogliati
degli elementi accessori (come la copertina del “Selvaggio” nella
Lezione o, ancora, le pantofole rosse di Susanna), trovano un'ulteriore
compiutezza in Daphne (1934) e Ragazza in collina” delle collezioni dei
Musei Civici di Torino, “soluzioni più aneddoticamente umane [...]
dove il motivo del controluce sulla finestra aperta so- stituisce figure
familiari o umilmente umane ai mani- chini, mentre il paesaggio si fa
sereno [...] ricavato da quei campi di Pavarolo ormai cari
all’artista”.* Come già sottolineato da Maria Mimita
Lamberti, l'apporto di Galvano si dimostra poi piuttosto illuminan-
te nell'individuare nel tema del nudo una possibile linea di lettura
della sua produzione, sino a quel momento tra- scurata rispetto al genere
più discusso della natura morta. 83 Il passo è
riportato in L. Caruccio, F. Casorati, quaderni d'arte del Centro
Culturale Olivetti, Ivrea, All'insegna del pesce d'oro, Milano 1958, p.
22. 84 ‘Noi veniamo dall'esperienza della generazione per cui
i quadri del ‘24 rappresentarono lo scandalo dell'adolescenza che
ancora confondeva la classicità coll’accademismo e che scorgeva in quei
quadtri, visti alle esposizioni colla famiglia deplorante o pronta al
riso di fronte alle stranezze dell'arte moderna, pur qual- che cosa di
inquietante e di tentatore che non si poteva dimenti- care [...] i quadri
della biennale del ‘28 rappresentarono invece la scoperta del mondo nuovo
e spregiudicato che si apriva alla nostra cultura” (A. GaLvano, Felice
Casorati, cit., p. 15). 85 (Bertolino, Poli, 366, 368, 396).
Erroneamente Galvano attri- buisce il titolo Lo studio al dipinto La
lezione esposto alla Biennale del 1930. L’opera verrà distrutta
nell'incendio del Glaspalast di Monaco del 1931. 86
A.GAlvano, Felice Casorati, cit., p. 22. 87 (Bertolino, Poli 531,
592). Galvano, in realtà, indica il secon- do dipinto con il titolo
Estate. Cfr. A. Galvano, Felice Casorati, cit. p.iz. 88 Ibidem.
89 M.M.LAMBERTI, I nudi nello studio, in Ip. (a cura di), Casorati.
Mostra antologica, cit., pp. 13-28 (13).
Galvano vi riconosce una traccia di continuità che, a partire dalle
Signorine del 1912 (opera che, secondo il critico, non è da intendersi
come “gruppo” ma come insieme di figure isolate), arriva sino alla Venere
bionda del 1934, “punto di arrivo e di dissoluzione di quello che
si potrebbe chiamare il ‘tonalismo’ di Casorati”:” secondo Galvano il
motivo del nudo in Casorati si presenta “come figura essenziale, come una
forma ele- mentare, categorica, simile a quelle delle scodelle,
delle uova, dei libri”, caratteristiche che, alla pari dei sem-
plici oggetti che popolano i suoi dipinti, permettono quegli “slarghi
formali” di pittura, oltre alla “possibi lità di un tono uniforme”?
capaci di confermare la sua sensibilità di colorista.
III. A distanza di sette anni dalla pubblicazione la
monografia di Galvano su Casorati viene ristampata,” aggiornata in alcune
sue parti e rivista totalmente per quanto concerne l'apparato
iconografico. È il 1947. Tra la prima uscita e la riedizione,
l’interessamen- to che il discepolo dimostra nei confronti del
maestro è continuo e si attesta già dall'inizio del 1941 con mo-
dalità simili a quelle che avevano contraddistinto il suo
precedente impegno sulle riviste nazionali. Vi si affiancano però
nuove prospettive lavorative. Proprio nel 1941, accanto alla sua attività
di pittore e di critico (che in questi anni, oltre alla corrispondenza
per “Em- porium” e alla collaborazione per “Il Selvaggio”, si
amplia con due contributi sulla rivista “Le Arti”) Gal- vano è impegnato
nella nuova veste di assistente alla cattedra di “Pittura” di Enrico
Paulucci presso l’Acca- demia Albertina di Torino, assegnata
contestualmente anche a Felice Casorati per l'insegnamento di “Com-
posizione pittorica”. Incarichi che vengono entrambi costituiti ad
personam dal Ministero dell'Istruzione nel contesto dei provvedimenti
avviati da Bottai a favore delle Accademie artistiche. Sono questi,
inoltre, gli anni nei quali Galvano va consolidando una sicurezza
economica stabile — tanto auspicata negli anni Trenta — grazie
all'insegnamento nelle scuole superiori: prima come professore di figura
disegnata nei licei artistici piemontesi e poi, dal 1942, come docente di
filosofia e storia nei licei classici e scientifici. La
mostra Casorati Menzio Paulucci, inaugurata nel novembre del 1940 alla
Galleria Cigala di Torino, è l’oc- casione per tornare a parlare di
Casorati sulle pagine di 90 A. GaLvano, Felice Casorati, cit., p.
18; cfr. (Bertolino, Poli 501). sa: «Ivi, p. 20.
92 Ibidem. 93 Ip, Felice Casorati, Arte moderna italiana n.
5, Serie A - Pitto- ri - n. 4, Ulrico Hoepli, Milano 1947. 94
Cfr. F. Darmasso, Casorati e l'Accademia Albertina, in M. M. LAMBERTI, P.
Fossati, Felice Casorati 1883-1963, cit., pp. 199-205. 36
Copertina e pagine del volume Tre nature morte. Casorati
Menzio Pau- lucci, Carlo Accame, Torino 1942. “Emporium”,
presente in questa circostanza con due pittori torinesi protagonisti
della scena artistica citta- dina (reduci entrambi dall'esperienza del
gruppo dei “Sei” ), sicuramente vicini a Casorati ma mai allievi di-
retti del maestro: il quarantaduenne Francesco Menzio e il più giovane
(di poco) Enrico Paulucci, con il quale Casorati ha intrapreso da tempo
un rapporto di stretta collaborazione.” Il sodalizio dei tre
artisti, che non vuol essere un principio di ricerca comune ma piuttosto
un impegno di politica culturale condivisa, si ripropone più tardi,
in modo analogo, con una mostra allestita alla Galleria Genova del
capoluogo ligure nel febbraio del 1942. La circostanza è anticipata da
una pubblicazione autono- ma di Galvano, intitolata Tre nature morte e
stampata dalla tipografia Accame di Torino (che pubblica, nello
95 A. Galvano, Casorati, Menzio, Paulucci, in “Emporium”,
XCI- II, 554, febbraio 1941, pp. 93-95. Stesso anno, la
monografia su Casorati di Italo Cremo- na), in un elegante edizione in
folio che riporta come Sottotitolo i nomi dei tre pittori torinesi.’ In
questa oc- casione — che si propone di presentare sinteticamente
tre opere dei rispettivi pittori, con tanto di riprodu- zioni a colori —
Galvano sceglie la natura morta come genere esemplificativo della
produzione degli stessi. Un'operazione che nell’introduzione viene
definita come “didattica”” e che si pone in aperta polemica nei
confronti della tendenza a considerare questo genere come motivo poco
adatto alla pittura moderna: “ad Ogni esposizione abbiamo sentito
deplorare l'eccessiva presenza di nature morte o esaltare per il loro
scom- parire di fronte ai quadri di figura”. Una difesa per
l'autonomia e dignità del genere pittorico, che non si risparmia nel
chiamare in campo i precedenti noti di Cézanne, Manet ed ancora
Renoir. La questione, in realtà, non è nuova, ma prende le
mosse da un pensiero espresso dal maestro quasi quindici anni prima, che
rappresenta verosimilmente il pretesto per il contributo di Galvano, che
mostra que- sto taglio così inaspettato. Sulle pagine del
quotidiano torinese “La Stampa”, Casorati lamentava nell’artico- lo
La crisi delle arti figurative i medesimi problemi di accettazione della
natura morta da parte di pubblico € critica, con presupposti che
sembravano essere gli stessi avanzati ora da Galvano nella sua
introduzione: Ho sentito dire ed ho letto purtroppo parecchie
volte questa frase: troppe nature morte, troppe mele, troppi
aranci, troppi pomodori ecc. [...] poveri oggetti, [...] vo1 siete i
modelli più docili e più esigenti degli artisti [...] Nei momenti più
disperati della mia vita di arti- Sta, io ho potuto riconciliarmi con la
pittura dipingen- do umilmente una scodella, un uovo, una pera”.?
. La scelta della natura morta casoratiana — vero- sImilmente
selezionata da Galvano — ricade su Le pere verdi del 1941,!% presentata
probabilmente per la prima volta in questa sede: un’opera che gli
permette di riba- dire il principio coloristico sostenuto nella
monografia del ‘40, che viene qui chiarito con un'attenta analisi
96 Ip., Tre nature morte. Casorati Menzio Paulucci,
Carlo Accame, Torino, 1942. 97 “La presentazione di ‘Nature morte’,
dovute a tre fra i più autentici pittori operanti oggi a Torino, potrà
anche apparire, ed essere criticata, come una iniziativa a carattere
tendenzioso e po- lemico. Non sarà forse il caso di affermare che essa ha
piuttosto un intento didattico? E proprio di educazione del pubblico:
degli intelligenti (almeno in potenza, chè degli ostinati per
limitazione Naturale di possibilità, per passione di parte o per
difficoltà di Sclogliersi da presupposti culturali privi di validità non
occorre Hr a comprendere le ragioni per cui, su di una falsa impo-
azione di presupposti, può passare per atteggiamento polemico 9, peggio,
di conventicola, il semplice intento di chiarificazione Intellettuale e
critica” (Ivi, p.n.n.). 8 Ivi, p.nn. "i F CASORATI, La crisi
delle arti figurative, in “La Stampa”, 29 ra raio 1928; ora in Ip.,
Scritti interviste lettere, cit., pp. 19-20. (Bertolino, Poli 682).
CY della sua pittura (non priva di tecnicismi del
mestie- re), che si concentra sui valori tonali e sugli accordi
cromatici presenti nel dipinto, che sottendono sempre — secondo Galvano —
a problemi ed equilibri di natura compositiva: Sul fondo
rosa e paglia un accordo di due verdi: crudo e spento, e le chiazze
rugginose e calde della putredine che intacca i frutti; solo dal colore prende
realtà il fascino di questa natura morta, eppure il colore qui non
evocherà a nessuno la categoria della ‘forma aperta’ o la scioltezza
di un pittoricismo abbandonato: chè Casorati è anche ora il pittore
delle forme assolute e degli elementari geometrici, ma il colore ne
rivela, per distinguersi dei campi continui e dilatati, la purezza, anzi
il purismo, di impaginazione e ce ne propone la più castigata
presenza. [...] i colori si subordinano ad una ragione compositiva
a priori [...] in essa si giustifica quel disporsi graduale di intensità
pittorica che può far apparire persino sordo (e tale veramente sarebbe se
non servisse a concentrare ogni attenzione sull’interno ordinarsi del
gruppo centrale, ma pretendesse di disporsi sul medesimo piano di ‘bel
colo- re’ dei toni vicini) il colore locale; necessario a staccare
nel castigato e serrato gioco compositivo della frutta ritagliati
sul fondo chiaro, dove più i toni non si distinguono nella vibrante
luminosità, la bruciata profilatura delle foglie.!®! Di respiro
ben diverso, invece, è il contributo Fe- lice Casorati (e i torinesi)
apparso un anno più tardi, nel 1943, sulla rivista “Pattuglia” di
Forlì.!® Nel numero di maggio-giugno, dedicato interamente alle arti
figura- tive e curato da Giovanni Testori, Galvano traccia un
bilancio della situazione artistica torinese: accanto a considerazioni su
Casorati in linea con la monografia Hoepli del 1940, abbandona i ricordi
della scuola di via Galliari proponendo una lettura totalmente
rinnovata, alla luce dei più recenti sviluppi espositivi. Menzio e
Paulucci rappresentano qui (insieme agli altri “Sei”, che però non
vengono nominati) i “giovani pittori che si erano stretti intorno a
Casorati” e che, seppur non direttamente allievi dell'artista, non
“rinnegavano il debito contratto col primo ideale maestro, né erano
da lui sconfessati: anzi la stima, l'amicizia e la valutazione dei
diversi ed ugualmente validi risultati, da parte del più anziano
rimanevano intatti od accresciuti”."° Una 101
A.GALVANO, Tre nature morte. Casorati Menzio Paulucci, cit., p.
n.n. 102 In., Felice Casorati (e i torinesi), in “Pattuglia”, 7-8,
maggio- giugno 1943, pp. 15-16. La rivista, mensile del Guf di Forlì,
viene inaugurata nel 1941 e riporta nel sottotitolo la dicitura
“Mensile di politica, arti e lettere”. L'articolo di Galvano viene
pubblicato nell'ultimo numero della rivista, curato Giovanni Testori e
in- titolato “Omaggio alla pittura”, che si proponeva di fornire un
bilancio dell’arte italiana del ‘900. La rivista viene interrotta e se-
questrata da Mussolini per i suoi contenuti non in linea con le direttive
-in campo figurativo- imposte dal regime. 103 Ivi, p. 16.
07 ee (E I TORINESI) E condizioni che
determinarono a To- ‘20: sei anni dopo l'altra polemica fra rino
l'orientarsi della pittura degna L. Venturi, a proposito del di
quest'ultimo, di eu- proposito del valore
positivo tentici pittori. Condizioni in cui la eri. tivo delle influenze
parigine sull'arte tica ai pose di per se stessa come po- —ita'iana non
ebbe significato diverso. Ora lemica: © in cui da polemica fu l'one- —P.
Gobetti e L. Venturi furono appunto stà stessa della critica. La guerra
del tra | primi ad esaltare l'opera di Ca 14-18 era terminata. Lo stile
«libe- sorati. A dispetto danque delle av ty » in architettura, il
neo-pre-ralfuel- versioni del borghese e delle ammira lismo tipo «In arte
libertas» da cui zioni dell'aggiornato, che esalta insie pure avevano mosso
î primi passi pit- e Carrà 0 © Casorati, l'e tori validi come Modigliani
e Spadini figurativa di quest uveva esaurita ogni pretesa alla forma-
—srebbe un significato diverso, e in certo zione di una coscienza
figurativa nella senso opposto, n quello in cui si è banalità di
un'acquiescenza in cui i svolta la comune esperienza della più fermenti
di possibilità che più tard' vi viva pittura italiana? In parte si deve
scoprirà l'accorto senso del « perver- rispondere affermativamente pEr eg
sai 16 gin lettuale per quello Hgurativo sano ogni evasione
dal fatto pittorico, E che sioo al 1928 la pittura di Casorati quanto per
queste esperienze avveniva —anche nelle punte di estrema avanguar- ordine
a le possibilità della linea cur- —.ija come in certi distrutti. di- me
di questo è quel complesso frea- —pinti, n quanto si dice. sotto l'influenza F.
Casorati: “Ragazza,. (1937) diano avveniva, in modo anche più vol- —gel
gusto di Kandiski, cerca i proprii gare è fatuo, mancati Sant'Elia e
Boocio riferimenti non in un mondo mediterra- : ma in uno nordico {quasi
a fedeltà i H È È; i
figurativo di Martino Span- Torino poi: Thover seguitava a eredere viti e
di Defendente Ferrari che guard Memet o di Bestlovea, a confeadero
assai più che quello, volto verso il l'eleganza
lineare di Modigliani con di Gaudenzio), non in un'umanità l'imperizia
del bambino (e se mai si assertrice di proporzionata statura mul sarebbe
dovuto rimproverargli un'ele- rondo det orizzonte, ma nel panza sin
troppo vicina » preoccupazio- tormento di sentirai oppressa da È ni
ostetistiche e contenutistiche simili amine mirror quelle che limitavano
fl eritico) inau- ciò di dramma per la propria persona, guraodo quella
tradizione di contenu- in quanto finita, Il sottile Tinguaggio tismo ad
oltranza e di cauto e garbato, formale, la ricerca d'equilibrio compo- ma
fondamentalmente deciso, « fin de sitivo, l'astratto rigore della sintesi
po- non recevoie » mel riguardi di una vi- Loveno sì! suggerire, insieme
@ certo conda pittoricamente valide a cui si at- codenze illustrative (i
libri aperti, i tiene con un'ostinazione che ha per io csrtigli) o agli
accorgimenti ‘tecnici, meno 2 merito della consequenzialità come l'uso
della tempera verniciata, ri- quel poco di csi valga la pena di (91
—rorimenti al quattrocento, mostro. sn menzione della critica d'arte del
quo- non poteva sfuggire ad ‘una tidiani oggi ancora a Torino. più
accorta l'assoluta continuità spi- Un panorama, come si vede, sostan-
rituale che legava il mondo d'allusioni rialmente simile a quello del
resto crepuscolari è le eleganze cstotizzanti d'Italia, in cui tuttavia,
in quegli delle « Vecchie» o delle « Signorine» anni dell'immediato
dopoguerra, Tori. attraverso 1 paradossi pseudoformali ba ipo ipa delle «
Scodelle » è delle « Uova » nella maniera particolare e gerto senso,
doppia redazione, a tappeto ed s vo- fispetto al resto d'Italia,
polemica, su tume. a questo muovo mondo di non di un doppio piano,
intellettuale e figu: —1meno quintessenziate definizioni umane Rene a pi
o spaziali, anche se nel silenzio di IO) essere esemplificata PO quelle
quinte prospettiche ora quei pro- sizioni reciproche de «La Ronda fili
proponessero le loro cadenze non di « Rivoluzione Liberale ». Cinscuno
più per la via analitica dei compisci vede quanto diversi gli
orientamenti menti particoleristici, ma per quella umani e culturali. Ma
è tipico che pro? —delle sintesi ellittiche. prio fra Cardareti un'occe.
Eppure una così diversa afferma- sione polemica, sul Leopardi, portò a
zione in ordine a scoperte pittoriche, una discussione do andava ben una
tanto dialettica decisione nel de- oltre i termini della cortesia. Siamo
nel finire il proprio mondo indipendente. F. Casorati: “ Bambina. (1932)
Felice Casorati (e i torinesi), "Pattuglia", 7-8 maggio-giugno
1943. lettura della scena artistica cittadina che esclude
total- mente i primi discepoli dell'artista — che continuano nel
frattempo a dipingere ed esporre, non solo a Torino — preferendo invece
soffermarsi poi sulle “anomalie” figurative (intese rispetto al tracciato
casoratiano) pro- poste da Luigi Spazzapan e Italo Cremona.
Il rapporto tra allievo e maestro, che è innanzi- tutto di
amicizia, rimane solido negli anni a seguire, nonostante le scelte di Galvano
si avviino, nel frattem- po, verso un fronte non figurativo della
pittura, che lo vedono abbracciare l’astrazione ed aderire nel 1950
al Mac (Movimento Arte Concreta), fondando insieme ad Annibale
Biglione, Paola Levi Montalcini, Adriano Parisot, Carol Rama e Filippo
Scroppo la sezione tori- nese del gruppo. Accanto alla sua
attività di critico militante, più orientata verso le verifiche nel
frattempo ottenute con- testualmente in pittura, tornerà solo raramente ad
inte- ressarsi di Casorati, soprattutto in occasione di letture
complessive e bilanci di un'epoca, che sembra ormai essere lontana nel
tempo.!% 104 Cfr. A. Galvano, Felice Casorati, in S.
CAIROLA (a cura di), Arte italiana del nostro tempo, Istituto Italiano
d’Arti Grafiche, Bergamo 1946, pp. 18-20; In., La pittura a Torino dal
'45 a oggi, in “Letteratura. Rivista di lettere e di arte contemporanea”,
43-45, gennaio-giugno 1960, pp. 55-76; ora in Ip., La pittura, lo spirito
e 38 mente da ricerche solo per certi riguar- questi
sforzi di giovani della cultura mona, Anch'egli amico di Casorati: ma pre
riuscito a cogliere il momento di di parallele, grazie
all'autenticità della universitaria e in tutt'altra la lezione che ne ha
appreso. spontanen concretezza pittorica. Senza realizzazione figurativa
è della schiet ritorno! Un rigore, un'incisività, un'analitica nì- che del
resto questo gli abbia impedito tezza di linguaggio fantastico da essa
Nacque così il gruppo dei «Sei»: —tidenza di segno, una predilizione per quell'accorta
coscienza teorica della po- presupposia, s'inseriva nel dialogo della
—Menzio, Chessa, Levi, Paolucci, Galanta —quei profili nettissimi che gli
permettono sizione di gusto in cui il suo mondo fi- italiana di quegli
anni con una © Jessie Boswell.,Fntro e fuari le vi- di dare evidenza
allucinante di inganno gurativo sì determina e del rapporti di validità
di proporzioni che tuttavia man. —cende del gruppo, Francesco Menzio isivo alla
riproduzione dei i og- esso col movimento «surrealista», (di tiene
integro il valore dell'esperienza risultò allora e tale si mantiene, come i:
distribuiti poi questi in un ardine cui, per una curiosa ‘e significativa
» a della la personalità più dotata che fosse ap- di fantasia di rara coerenza
suggest vicenda gli interessi destati a Torino memoria 0 più rigorosa-
parsa, da Casorati in qua, fra i pit- rispondere a furono proprio nella cerchia
dei col monte impegnata in un bilanelo della tori torinesi. Un mondo di
compiaci- più profondamente che gene- laboratori dell'originariamente
pittura. Tutti da « Fanciullo ad- —menti delicati, di edonismo controllato
—rano l'inquietante mondo delle ansocia» sano» Seleaggio, per brev'ora
torinese dormentato » del "21, allo « Studio » del —© schivo, sceglie
usa sun umanità d'ele- i oniriche e dei senza si ppunto, sino alle recenti
realizzazioni 122, al « Concerto » del ‘24. ne henno zione in volti di
giovani donne 0 di gnilicato, dei soprasensi di cui non si itettoniche, nella
sede della società nti i risultati più vivi. Poi el si bambini. Da questo
punto di partenza —dà lettura , ma « cl Ippica di Carlo Mollino) che tatti 1
suoli hnocorse che i valori di tono e di ero appena le due esperienze
opposte, ma frata» per via di quegli emblemi pit- lettori conoscono, ma
erano pur utilizzabili în assai più —concordanti nella dissoluzione di ogni e-
—torici in cui però Cremona è quasi sem- ALBINO GALVANO concreto discorso
di quanto non si lamento estrinsecamente contenutistico, facesse dagli
epigoni del peggior otto- del rigoriamo formale casoratiano in- cento. Si
affermò che i Macchiaioli tu- torno al ‘23, e del fervore cromatico de
rono fra gli artisti autentici della no- gli impressionisti intorno al ‘29 per-
=== stra tradizione; si riconobbe che un ar- —misero a Menzio di scontare
in puro tista ostile o almeno appartato di fron- sollecitazioni
pittoriche quei dati del te a ricerche futuriste, metafisiche ©
sentimento, si defini una visione tanto neoclassiche era un grande pit-
personale quanto coerente dove la mu i si riscopri l'im- sicalità del
colore e la freschezza del pressionismo. Îl necclassiciamo, nel
È È «po vecento » milanese, che
qualcuno git si che delicati non impedirono, anzi fa- definiva nooromantico,
sì innestava, con vorirono lo spiegarsi di una confes- Tosi, in una
tradizione di pittura a- —sione umana piena di melanconica no- perta.
Soffici non più cubista predicava —biltà nel reiterato e come
ansiosamento ed esemplificava un ritorno alla natura interrogato indagare
intorno alla con- in cui l'esperienza di Cézaane non eselu- sistenza
pittorica di quelle persone di deva quella di Fattori: a Torino, do-
drumma, così sottilmente lirico e di ve già ‘intorno a Casorati una
scuola cosi pausate parole, che si muovona tendeva a ridurre a grammatica
il sua nelle composizioni famigliari di Menzio. figurativo,
attraverso l’inse- Tanto Casorati che Menzio del resto guamento
universitario, Îl mecenatiamo —qutt'altro che paghi o chiusi nell'au di
un collezionista, i più rapidi con- tosoddisfazione: anzi entrambi sempre
tatti con Parigi, rapporti col gruppo sofferenti dei limiti 0 della
milanese di Persico anch'esso partito —contiagenti stanchezze che potessero
cc- in battaglia contro il neoclassicismo, appannare il gelido speo-
la lezione degli impressionisti fu at- chio di formalismi eidetici del
primo, tinta direttamente ai grandi modelli: © Manet, Renoir,
Cézanne, in un preciso pida dell'altro. inquietudine che ci spie senso
importante due notevoli carollari). ga il piegare verso più riscntite ao Enrico
Paolacei: * Piazza Navona .. l'affermazione che Cèzanne non meno
nitide pro- veva reagito all'impressioniamo, ma lo filature lineari di
Casorati dopo il ‘30, veva continuato e che perciò la tradi- —come le |
ritorni, e, meno zione più viva di movimento an- , da monotonia le
ripetizioni dava proprio cercata in quel discorso —1delle cose meno
valide di Menzio. ln rapido ed atmosferico si, ma tutt'al. modo assai
diverso, ina con accanita tro che occasionale e vedutistico che era
commovente dedizione ad un'ideale stato proprio dei pittori che abbiamo
di pura pittura che escludesse tanto citato piuttosto che dei Monet, dei
Pis- ogni intrusione intellettualistica quento surro, del Sisley.
Secondo: che quel- ‘ ogni dispersione decorativa Enrico Pao l'adesione
all'impressionisno non po. Iucci è venuto sempre più approfon teva che
importare, da una parte, con- dendo una visione grata © improvvisa,
Van Gogh al più libero «fsuvinmo », rivivere il gusto degli impros-
che-dn qualche modo e sia pure unilate; sionisti, proprio di questa fase
della ralmente, il linguaggio di Cizanne ave- pittura torinese, possono
essere riat- ivano continuato, Gli strilli dei varii taccati, in senso
diverto, Piero Mar- Ojetti per i «salti in lunghezza da tina,
temperamento delicato di colorista Giorgione n Braque » naturalmente non
eu cui è stata decisiva l'influenza di si contarono! Ma intanto quello
che te nf gie gi importava fu che la esemplificazione cento personale una
trepida, © vitale dei frutti di quest'esperienza cul- come smorzata,
elaborazione di ogni da- turale fosse data proprio da quei gio- to tonale
degli oggetti, e Luigi Spazza- vani pittori che sì erano stretti intorno
pan la cui origine è le cui esperienze è Casorati, pur non più così
ragazzi istriano diedero ad una veramente pro da diventar suoi allievi
nel senso sco- digiosa capacità di trasfigurare |pit- lastico della
parola, © che ora nell'inì- —1toricamente, attraverso la rapidità della
ziare un lavoro diversamente orientato, —acchia e del segno, ogni dato
ogget- e vano il debito contratto col tivo una truculenza
cspressionistica re- primo ideale macatro, nè erano da Jui =—mota dal
raccoglimento degli altri to- sconfessati: anzi la stima, l'amicizia
rincsi e dalla pacata visione dell'im- © la valutazione dei diveral ed
ugual. =—pressioniamo. È di questo suo pecu- mente validi risultati, da
parte del —liare atteggiamento ci restano molti mo- più anziano
rimanevano intatti od ec- menti d'espressione mirabile, speci
cootrapporre ai della mano facile è dell'illustra <
incomprensioni fra chi incegue un me- tone occasionale. desio sforzo
d'arte, ala pur attra- Opposta invece, per intento e per ri verso
divergenti esperionze di gusto. È all'impressionismo l'esperienza
i sultato, altrettanto si può dire dell'attenzione a —Dittorica
inieressantiesima di Italo Cre- Francesco Menzio: ‘ Ritratto ,,
Nel 1963, alla scomparsa del pittore, Galvano traccerà un ricordo del
maestro, a margine del catalo- go della 14° mostra d'arte contemporanea
di Torre Pelli- ce. Non più il colore o il tono, ma quei valori
umani e di rispetto per le diversità appresi durante gli anni di
via Galliari animeranno, in conclusione, questo suo “omaggio” di
discepolo: “poiché fu anche la coscienza di questa libertà, prima ancora
morale che estetica, che da Felice Casorati alcuni di noi ricevettero
come l’inse- gnamento più prezioso, ci è caro chiudere col richiamo
ad esso questo saluto al Maestro. Chè le sue opere par- lano, per il
rimanente, senza bisogno di commento”!°. il sangue, a cura di G.
Mantovani, Il Quadrante Edizioni, Torino 1988. 105 A.
GaLvano, Omaggio a Felice Casorati, in 14° mostra d'arte con- temporanea,
catalogo della mostra (Torre Pellice, Collegio Valdese, 3 - 28 agosto
1963), Tipografia Subalpina, Torre Pellice 1963. Gli occhi fervidi
e il sapore di cenere Albino Galvano: Decadentismo, Simbolismo,
Art Nouveau Adriano Olivieri Approssimarsi all'opera
letteraria di un uomo di cospicua cultura quale fu Albino Galvano,
significa penetrare in una eletta densità speculativa sorpren-
dente se commisurata a un intellettuale defilato in vita e ricorrente
oggi nella ferma e attenta riflessione di pochi storici. Come ebbe a
dichiarare Galvano stesso In una autopresentazione del 1980, non gli si
perdonò l'ambiguità di essere scrittore e pittore aggravata dalle
stigmate dell’intellettuale, categoria in cui finì suo malgrado per
giovanile quanto vocazionale passione per la cultura. Proprio
nell’ambiguità, nel marcare un confine ideologico sottile, ordinandosi
orgogliosamen- te in disparte insieme alla generazione degli
eclettici Cremona, Mollino e Maccari, ci pare che Galvano trovi un
eccentrico terreno di appartenenza sul quale edificare una propria filosofia
personale sistematica- mente relata all’erudizione antropologica,
filosofica, religiosa e pedagogica. Formazione altresì integrata
agli interessi misteriosofici - Galvano stesso ebbe a definire le proprie
opere “evocazioni esoteriche” — vagamente connessi alla cultura torinese
d’inizio secolo e, in modo maggiormente probante, con lo Studio di
Casorati in via Galliari dove conobbe Daphne Maugham che, dopo avere
respirato l’aria mistica della parigina Académie Ranson, si era
trasferita a Torino dove la sorella Cynthia con Cesarina Gurgo
Salice, Bella e Raja Markman si dilettavano già, oltre che di
danza, di teosofia. Redattore e pubblicista prolifico, Galvano — che
inizia allora ad interessarsi a Rudolf Steiner e Madame Blavatsky — batté
gli argomenti indigesti alla cultura del suo tempo facendo di sé un
Intellettuale atipico che, come ricordava Sanguineti, ISpirò idee
ereticali nei propri allievi. Autore di pochi libri, che punteggiarono
una carriera meno prodiga di quella del compagno di studi liceali Argan,
nel 1932 conobbe Lionello Venturi che lo accolse come collaboratore
de “L'Arte” facendogli inoltre pubblicare alcuni studi sulle civiltà
extraeuropee?. L'equivocità tra critica militante e pratica pittorica
fu un banco di prova sul quale verificare, tra continui rilanci e
azzardi, la reciproca tenuta delle parti. In questo assiduo riversarsi
delle specificità discipli- nari consiste per Galvano il senso estremo
della sua Pittura, votata alla vanità dell'atto privato, smagata da
Ogni velleità economica e promozionale ma cro- S!uolo rovente dal quale
estrarre i concentrati succhi di un'urgenza creativa. L'incessante
ritorno all'arte . ni n GALVANO, La pittura a Torino dal ‘45 a oggi, in
“Letteratura”, I, “n 0, p. 99-76. Poi in: “La pittura, lo spirito e il
sangue”, P.MAN- ia la cura di), Il Quadrante Edizioni, Torino, 1988, p.
155. Poi R i ALVANO, Diagnosi del moderno. Scritti scelti 1934-1985”,
A. UFFINO (a cura di), Nino Aragno Editore, Torino, 2018, p. 393.
| L'arte egiziana antica, Firenze, 1938; L'arte dell'Asia
occidentale centrale, Firenze, 1939; L'arte dell'Asia orientale, Firenze,
1939. 39 è, Al Liceo
Gioberti di Torino, 1961-62. dA EdO a ad.
come artificio, come fare in sé autosufficiente, fu per Galvano un
difettivo rimedio all’insanabile scissura della natura umana divisa tra
spirito e materia, tra razionalità e intuizione, e un’imperfetta
occasione di confronto tra individui sul piano partecipabile ed
empirico dell'immagine che, pur sempre aderente alla condizione fabrile,
trova la propria natura più autentica nell'essere essa stessa divisa tra
creazione e imitazione. L'attività poietica, l'agire sulla materia
intesa sui presupposti estetici gettati da Alain (pen- satore scomunicato
da Croce), sottrae il discorso di Galvano dall’osservanza teoretica
idealistica come dall'impegno etico esistenzialista e, abrogando di
fatto la condanna platonica dell’arte, accetta il va- lore estetico come
simbolo del “male”. L'arte trova allora la propria eretica ragion
d'essere nella forma materiata, così come l’idolo o il feticcio sarebbero
la divinità in presenza e non l’ipostasi divina. Per questo la
pittura per Galvano rappresenta enigmaticamente il “dio visto di spalle”.
Quando Mosè chiese al Signo- re di mostrargli la sua Gloria il Signore
gli rispose: «Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e
proclamerò il mio nome” [...]. Soggiunse: “Ma tu non potrai vedere il mio
volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo [...]. Tu starai
sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella
cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi
toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può
vedere”». L'espediente divino narrato nell’Esodo biblico?, fatto
laicamente 3 i La Sacra Bibbia, cap. 33, vers. 19 e
segg. Cesare Saccaggi, Alma Natura, Ave!, pastello su
carta applicata su tela, 68x125 cm., 1898, GAM Torino. reagire con
esperienze disposte alle “proiezioni”, tra cui l’idea del dio pagano che
non tace non parla ma accenna, sarebbe da intendersi per Galvano — che
si era laureato presso la facoltà di magistero di Torino discutendo
con Gambaro e Abbagnano una tesi su “La pedagogia della religione” — come
metafora dell'immagine (il “dio visto di spalle” appunto), quale
unica possibilità mondana di riconquistare l’unità primigenia dell’uomo.
L'azione esercitata dall'artista nelle condizioni oggettive della materia
è, più di una tecnica operativa, un’alchimia - ai filosofi Galvano
preferisce Jean Baptiste van Helmont e Cesare Della Riviera — che
permette il verificarsi di un'unione tra l'esperienza concreta bloccata
nell'immagine e l’'epifania del dio inteso non in senso devozionale.
Sì tratta in sostanza dell’allontanamento dall'idea crociana di un'arte
che esisterebbe autenticamente solo nell’intuizione e non nella funzione
estrinsecante della materia. L'arte sfugge così al concetto di rap-
presentazione candidandosi come opportunità che contemporaneamente apre
allo sguardo rinserrandosi nell’enigma, nella manifestazione del
trascendente. Galvano percorrerà incessantemente questa terra di
frontiera: come filosofo, come storico, come pittore. Prodromo del percorso
pittorico fu l’alunnato presso Felice Casorati, scelto peril linguaggio
sufficien- temente decantato, sintetizzato e affrancato dal dato
naturalistico per mezzo di un'operazione intellettuale capace di
conferire un ordine platonico agli oggetti dispensati dalla polverizzazione
cromatica impressio- 40 nistica. Una lezione estetica
essenziale quanto l’austero contesto della scuola. Esemplarità che si
concretizza inunalto profilo morale e umano che Galvano ritiene in
dissolvimento nell'arte moderna con la quale si conclude un ciclo
plurisecolare aprendosene un altro, tumultuoso nel bene ma anche nel
male, dal quale si sentì definitivamente estraneo dall'inizio degli
anni Sessanta. Il mondo del secondo dopoguerra sarebbe affetto da
una crisi di moralità alla quale potrebbe unicamente fare fronte una
presa di responsabilità politica, artistica, religiosa, speculativamente
limpida ed esente da posizioni compromissorie e accomodanti come
quelle sostenute dagli artisti che vogliono salvare i valori della
tradizione pur dichiarandosi moderni. L'intera modernità e l’idea stessa
di progresso tecnico aGalvanorisultano ree di edificare, intorno a un
fulcro di ragioni economiche (Marx) e sessuali (Freud), un presente
depauperato dall’opportunità della variazio- ne imprevista. A una
totalità di costruzione legata alla forma, tipica del Medioevo, si
avvicenda insomma una totalità d'impiego legata allo scopo,
decisamente avvilente come comproverebbe per inverso il moder- no
carattere apologetico della narrazione tecnica e scientifica. Giudizio
estendibile al fatto estetico per cui all'arte come atto fabrile, tipico
del Medioevo, si avvicenda l’arte come atto intellettuale,
peculiare del Rinascimento e dei secoli successivi fino al XVIII.
Seguirà il periodo reazionario e tradizionalista del Romanticismo,
caratterizzato dal recupero program- matico degli archetipi (Jung)
medievali ma rivissuti Per un'armatura, Edizioni Lattes, Torino,
1960. Senza il contesto sociale entro il quale quegli ideali
Sl erano formati. La spontaneità medievale diviene nel Romanticismo
programma culturale e come tale sarà ereditata dal Decadentismo e dal
Simbolismo, il Soggettivismo dei quali impronterà di sé l'Espres-
Slonismo. Le avanguardie appaiono dominate dalla pulsione oppositiva alla
tradizione elevando a sistema l'efficienza produttiva di un “nuovo”
codificato come autoreferenziale, programmatico e inintelligibile
ma ‘ncapace di emanciparsi dal dato naturale nonostante esaurirsi
dell'esperienza storica dell’arte illusiva. Gli €pigoni dell’astrazione
storica, i concretisti, sarebbero Invece esonerati da questa soggezione
insieme alle Tetoriche idealistiche riuscendo, in piena
ricostruzione etica e umana, a calarsi completamente nel dato resi-
duale figurativo, ossia all'evidenza del fatto pittorico. Fu l’esperienza
che Galvano intraprese dal 1948 al 1953, con l'adesione alla branca
torinese del MAC, €sauritasi per lui nella spontanea affermazione
delle forme curvilinee tipiche del Liberty su quelle rette e Spigolose
dell’astrazione concretistica. In una sorta di personale
contropartita agli inte- lessi spiritualistici e antropologici, Galvano
pensa a 41 Artemis Efesia, Edizioni
Adelphi, Milano, 1966. un'arte come luogo del verificarsi del mito
capace di portare a definitiva decantazione la sua inclinazione
espressionistica (rubricata dal Pallucchini) estraendo- ne la forza
panica trasfigurata in una rinnovata spinta metafisica. Sein ambito
artistico risulta evidente come egli abbia risolto insé l’apprendistato
casoratiano non assorbendone che un clima d'insieme, metabolizzando
l'aspetto decadentistico della pittura del maestro celata sotto la
rigorosa adesione a una norma di cristallina evidenza estetica ed etica, sul
piano dell'esercizio critico volle incrinare dialetticamente il sapere
con- solidato al fine di cogliere unitariamente il senso più
autentico della modernità. Accostandosi ai testi suoi maggiori, nei quali
dispiega un cospicuo sforzo storico ma editati in un periodo a loro
sfavorevole — “Per una armatura” (1960) e “Arthemis Efesia” (1967), si
hala sensazione di essere dinanzi a un affascinate quanto
indefinibile prodotto letterario —saggio, disquisizione filosofica, colta
divagazione, eccentrico soliloquio, introspezione analitica — che,
pensando alla continua permutazione tra scrittura e pittura, indurrebbe
a pensare a una creazione letteraria con statuto indipen-
denteecreativo rifiutato da Galvano incline, viceversa, a una
critica intesa come emanazione di un'attività immanente all'atto
creativo. Permane tuttavia l’eco dell'idea crociana della storiografia e
della critica che, pur non aggiungendo nulla all'opera ma
limitandosi a sancirne la validità poetica secondo l’idea del philo-
sophusadditusartifici- contrapposta all'idea dell’artifex additus
artifici sostenuta da Gabriele D'Annunzio e Angelo Conti sulla scorta di
John Ruskin e Walter Pater -—, attribuisce facoltà filosofiche e
artistiche alla soggettiva sensibilità intuitiva dello storico.
Coscienza “temuta e avversata”* Croce è, per Galvano, un'autorità
intellettuale che in cambio di una piattaforma teoretica esige la
partecipata condanna delle opere che, passate al vaglio di un
accurato approccio metodologico, risultino prive di valore poetico.
Nell’acido corrosivo dell'ironia e dialettizzando gli argomenti con lo
storicismo, Croce condanna il Decadentismo nelle accezioni
mistiche, estetizzanti, irrazionalistiche e in quella che crede
inconsistenza filosofica e spirituale, includendo in quel termine tutto
ciò che tende a sviluppi formali astratti e condannando di fatto la fitta
rete culturale e relazionale della modernità. Nonostante ciò Croce
avrebbe il merito di avere reso accessibile e ripercor- ribile questa
fitta topografia anche nella declinazione contraddittoria e fragilmente
raffinata del vituperato Decadentismo. Accettando la condanna
crociana, Galvano confessa la propria passione per decadenti,
esotici, erotici e apostoli misteriosofici, ponendosi scientemente in una
giurisdizione infernale come critico e come artista nato dalla linea
evolutiva del Simbolismo. Identifica anzi quello straordinario mo-
mento storico come un estremo malinconico balenio della civiltà al
crepuscolo, un'epoca di transizione divisa tra spirito e carne, abitata
da alcuni tra i più eletti spiriti dell'umanità capaci di creazioni
difformi ma compiute e che lo sperimentalismo modernista delle
avanguardie esaurirà. In una sorta di ribellione alla figura paterna,
Galvano trasgredisce la raccomandazione crociana di non leggere Rimbaud,
Mallarmé, Valéry e risco- pre, anteriormente a Cremona?, il modernismo e
la linfa vitale del Decadentismo attraverso il quadro metodologico
del filosofo abruzzese inclusivo di fatti estetici anche diametralmente
opposti alle sue idee. A Galvano, come alla sua generazione, fu quindi
im- possibile non dirsi crociano proprio per l'opportunità 4
A. GALVANO, Perché non possiamo non dirci crociani, in “Nu- mero — Arte e
letteratura”, V, n. I-II, gennaio-marzo 1953. Poi in: “Omaggio a Albino
Galvano”, catalogo della mostra, Circolo de- gli Artisti, Torino,
gennaio-marzo 1992, P. Fossati, F. GARIMOLDI, M. C. MunpiCI (a cura di),
Electa, 1992, pp. 116-120. Poi in: A. GALVA- NO, “Diagnosi del moderno”,
cit., p. 37. 5 I. CREMONA, Il tempo dell'Art Nouveau, Firenze,
1964. 42 che quella metodologia offriva nel
sistematizzare l’intera storia. Quello che invece depose fu lo
spirito conciliante dell'estetica di Croce buona, al più, a ba-
nalizzarsi nell’idea diunmuseoimmaginario.Quando negli anni Sessanta ebbe
il proposito di approfondire l’immagine cultuale e psicologica
dell’efesina Arte- mide, partì dalla fascinazione prodotta su di lui
da un pastello di Cesare Saccaggi, “Alma Natura, Ave!” (1898),
opera collocabile allora, quando uscì il libro, e tuttora, in un filone
di gusto piuttosto sospetto. Con una serie di pubblicazioni’, si renderà
così protago- nista, a partire dagli anni Cinquanta, del rinnovato
interesse per l’arte Liberty dalla quale trarrà ben più diuna semplice
ragione di studio quanto invece, nella pratica pittorica, una viva
permutazione in allusioni enigmatiche irriducibili a ogni
interpretazione, quali il fiore di iris, destituite dal ruolo di metafore
e sim- boli. Questa continuità formale si chiarisce anche come
continuità semantica quando si consideri come Galvano e Cremona abbiano
ricondotto l’arte astratta in un comune svolgimento con il Simbolismo e
con il Liberty che, di quest’ultimo, ful’espressione impiegata sul
piano della fabbricazione. Da cui il transitare di Galvano dalla fase
concretistica a quella informale e, più in là negli anni, a quella
araldica di nastri e bandiere per giungere appunto agli iris.
Trascorrere stilistico da non leggersi come eclettismo quanto piut-
tosto come legittimo susseguirsi tra la carica allusiva assegnata ai
reticoli cromatici astratti e la sensibilità decorativa trasformata in
materia fermentata fino alla disgregazione dalla quale estrarre infine
nuovamente il ritmo danzante delle forme arabescate. Il Simbolismo
gli consente di riversare il misticismo nella propria opera di pensatore
e, soprattutto, di pittore. L'arte assume quindi un valore emersivo di
forze morali (leggi spirito) — del “bene” nel momento crociano, del
“male” più tardi in modo nietzschiano — prima ancora che estetiche (leggi
sangue); diade debitrice al suo filosofo di riferimento Ludwig Klages,
altro intel- lettuale trascurato in Italia quanto sospettato di
avere incubato l'ideologia autoritaria tedesca quando invece più
coerentemente dovrebbe essere pensato come un epigono del romanticismo
intuizionista. L'arte tenta un'indiretta conciliazione tra spiritualità e
artificio consegnando alla storia un’estrinsecazione autentica-
mente creatrice e non solo la copia di una copia; non una
rappresentazione ma un esserci immanente. La volontà di accogliere quel
“male” come necessario gli viene dalla presa coscienza di
un'’artisticità, che arde 6 A. Galvano, Dal
simbolismo all'astrattismo, in “Galleria di lettere ed arti”, n. 4-5,
1953; Le poetiche del simbolismo e 1 ‘origine dell'Astrattismo
figurativo, in “Studi in onore di L. Venturi”, vol. II, 1956. Articoli
specifici ai quali aggiungere: L'erotismo del liberty e la sublimazione astrattista,
in “Cratilo”, n. 3, 1963. i Gabetti Isola, Casa di Erasmo, Torino,
1953-1956. inlui fin dalla giovinezza, radicata proprio nelle
opere Create tra XIX e XX secolo e nelle elaborazioni più
irrazionalistiche. Come quella immoralità sia aperta a fertili risultati
lo si comprende appoggiandosi all’in- terpretazione che Galvano offre
delle Artemis: bianca come simbolo coadiuvante di perfezione conchiusa
ma Statica, nera come simbolo avverso di imperfezione e INCompiutezza
ma dinamica e che in potenza può Jenerativamente aprirsi a una riserva di
possibilità eventualmente immanifeste. Per traslato, quindi, la
hegatività del Simbolismo si apre a una plenitudine di risultati. Permane
tuttavia il concetto di fondo che la Pittura, come prodotto di una
volontà impossibilitata a realizzarsi nell’ideale, sia il risultato di
una caduta la Cul spoglia materiale sarebbe prova di vanità e
disvia- mento. Come s'accennava sopra, Galvano si smarca dall'idea
di un'arte quale esempio del bello estetico e del bene morale, per lui
non più coincidenti, ma accetta la disperata affermazione dell'immagine
come 43 “ ” a »
l Me. È È n IS 18 la . t
: LI è» ® î unico possibile
risultato dell'impulso proiettivo delle aspirazioni individuali o
sociali. Pittura che in ultima istanza è anche piacere sensoriale,
vocazionale istinto a testimoniare (Baudelaire), “vizio assurdo”,
vanitas; pittura come atto cultuale che mantiene in gioco la
proiezione degli archetipi, la ricchezza delle imma- gini aderenti al
mistero, almeno per quel poco che la contemporaneità consente, poiché
ilmondo nega ogni giorno più spazio alla pittura mentre il pensiero
bor- ghese, incapace di slanci estetici e metafisici, permette che
in questa duplice assenza si innesti la tecnica, la pianificazione, la
sterile sistematicità. Per Galvano la nostra epoca è irrimediabilmente
scissa dal significato iù autentifico della vita, dalla sua forza
feticistica poiché ha fatto di quel mondo, in cui la presenza del
dio era costante, una favola bella l'iconografia della quale non è che
una lontana immagine idealizzata priva, per i moderni, di ogni accenno
oracolare. Queste ragioni filosofiche, di estremo interesse,
dovettero apparire perlomeno eterodosse all'atto della loro formulazione,
divise tra esistenzialismo e fenome- nologia e affacciate all’abisso del
mondo preclassico, alle profondità eraclitee. Scostatosi
dall’irrazionalismo di Klages, Galvano non intese fare di sé un anti-razio-
nale quanto piuttosto un convinto a-razionale, come indica la personale
concezione di arte in equilibrio tra ragionevolezza e vaticinio, secondo
un fare né pienamente consapevole poiché eroticamente privo di
volontà intellettiva, né tantomeno completamente incosciente poiché
contemplativo. Pertanto l'ipotesi di Galvano fu più aderente alla poetica
di Mallarmé piuttosto che al pensiero di Valery, perché dove il
primo disidratando e affinando la parola poetica pose le condizioni per
un superamento del modello simbolistico aprendo di fatto alle
avanguardie, il secondo immaginò la creatività come un processo
logico ricondotto alla piena luce della razionalità, alla consapevolezza
dell'atto. Esaltando cartesianamente l’intellettoela coscienza, il
processo creativo per Valery è un'attività spiegabile analiticamente
senza ricorrere a misticismo, vitalismo e spiritualismo. Carnalità,
sessualità e sensualità - Croce aveva biasimato la sen- sualità
nell'opera di Mallarmé come priva di “anelito d’innalzamento”” — furono
invece le pulsioni vitali del Simbolismo che interessarono Galvano e che
la razionalità, in un prolifico ripiegamento autoanaliti- co,
dovrebbe avocare a sé integrandole senza ripulse pregiudiziali.
Speculazione intellettuale e artistica che rivela tutta l’enigmaticità di
Galvano che oscilla tra i termini affermati da Mallarmé, e ripresi da
Alain, di “vision”, intesacome vaghezza di ispirazione, e “vue”,
intesa come concretezza dell'oggetto in sé risolto. Se da una parte,
sull'esempio di Mallarmé — il quale pre- cipitò le parole nell’assoluta
perentorietà delle pure idee aspirando infine a una “poésie sans les
mots”® -, Galvano pare decidersi per la “vue” aderendo al
concretismo astratto come pars construens dalla quale pretendere risposte
formali di esito certo, dall'altra, per mezzo del multiforme divenire
della sua pittura, apre obliquamente alla possibilità allusiva
dell’appa- rire, accettando di fatto unesito provvisorio prossimo
al concetto di “vision”. L'oscillazione dalla vaghezza creativa
all'evidenza intellettuale di forme e colori è l’unica risposta
contingente possibile per Galvano che decide di non decidere tra i
termini antitetici asseriti, approfondendolo sguardo nell'oscurità della
creazio- ne e della vita. Medesimamente il Galvano scrittore
affronta il passato eludendo la descrizione analitica delle epoche
storiche portandone bensì all’emersione 7. B. CROCE, Poesiae non
poesia, Laterza, Bari, 1950, 5° edizione riveduta, pp. 318, 319.
g S.MALLARMÉ, Divagations, Bibliothèque-Charpentier, Eugène
Fasquelle Éditeur, Parigi, 1897, p. 297. i reconditi meccanismi,
le contraddittorie spinte pul- sionali; un’organica prassi opportuna a
increspare la ricerca storica attraverso una molteplicità di punti
di vista culturali posti in reciproco dialogo e liberamente
sollecitati. Il rischio nell’approcciare oggi la figura di
Galvano è quello di appiattirne il pensiero, come già avvertiva
Sanguineti nel 1990°. L'illustre allievo aveva compreso come il
decadentismo pittorico di un Moreau o lette- rario di un Huysmans fossero
considerati dal maestro un indispensabile momento storico. Galvano
mostra insomma un’idiosincrasia per quelle “mortificazioni
crepuscolarmente schifiltose”!° che avevano impedito ai Campana, agli
Onofri, agli Ungaretti e ai Montale di superare, senza rifiutarne la
“carica panica e mitica”, il naturalismo panteistico dell’Alcyone
dannunziano. InItalia, l'assenza del dissolutivo lavacro simbolista
si era in sostanza ripercosso nella crociana deplorazione
categoriale per l’arte moderna insieme all’illusione di potere produrre
un'opera estetica autenticamente nuo- vaeludendo il peccato originario
del Decadentismo. Il tentativo di emanciparsi dal prestigio delle autoritates
latine che aveva tentato D'Annunzio richiamandosi ai romantici tedeschi,
apriva gli occhi di Galvano ai presocratici e alla filosofia moderna
(dall’irrazionali- smo alla scuola ermeneutica) che del classicismo
aveva assunto il senso vitalistico, indefinibile e misterioso di
una natura come rivelazione del divino. Da cui l’idea di una suprema
ragion d'essere trascendente alla quale l’arte, per Galvano, dovrebbe
aprirsi ma che invece nelle enunciazioni contemporanee gli pare,
con buona pace di Eco, rinserrarsi in un'opera chiusa. Con un piglio da
lettura sociale dell’arte, Galvano scrive dell’esaurimento dei rapporti
storici tra committenti e artisti e di come ciò abbia mutato
l'originaria destinazione d'uso delle opere, ridotte così a gratuite
provocazioni. Conseguentemente proponeva le dimissioni delle categorie di
giudizio elaborate perle arti visive del passato da sostituirsi con
un equivalente delle letture psicanalitiche tentate da Sartre su
Baudelaire e da Lacan su Poe. Restato sempre un pittore tradizionalista,
Galvano si dichiara disin- teressato a certi sviluppi artistici lasciando
intendere come il problema dell'effimerità dell’arte contempo-
ranea—compreso l'amato astrattismo geometrico—sia anche un problema della
storia dell’arte come disci- plina. Su come debba essere poi questa
storiografia Galvano non si pronuncia se non dichiarando che il
problema della storia dell’arte debba essere anche e
9 E. SANGUINETI, Contro la ragione, in “La Stampa”, 10 marzo 1990,
p. 7. 10 A. GALVANO, catalogo della mostra, Palazzo Chiablese,
Tori- no, dicembre 1979-gennaio 1980, p. 108. 11
Ibidem. soprattutto il problema dell’uomo! Sovvengono le
parole destinate a grande fortuna critica che avrebbe scritto Hans
Belting nei pamphlet intitolati “La fine della storia dell’arte o la
libertà dell’arte” (1983) e nel successivo “Das Ende der Kunstgeschichte.
Eine Revision nach zehnJahren” (1995)nei quali auspicava la fine
della storiografia artistica tradizionale a favore di proposte olistiche
e antropologiche avvedute delle mutate circostanze sociopolitiche, del
rimescolamento di cultura alta e bassa, della suggestione
determinata dai linguaggi mediali, dell’emergere di realtà
culturali prima marginalizzate, dell’obsolescenza della funzio- ne
assegnata al lavoro manuale, dell’alterato ruolo di musei e gallerie
d’arte. La prospettiva delineata da Galvano si tinge di accenti acri
quando denuncia la pacifica cittadinanza ottenuta dagli ismi ridotti
alla non nocenza di prodotti da supermarket immersi in una rete di
opportunità economiche e di complicità professionali. Un terreno
culturale desolante che assume una disillusa trasposizione nella sua
pittura ultima, nei paesaggi desertificati, nella scelta estrema del
silenzio creativo come opzione possibile nonché parzialmente intrapresa.
Facendosi anticipatore di posizioni storiografiche di superamento della
cano- nica divisione tra antico e moderno e concentrando il periodo
rivoluzionario dell’arte d'avanguardia tra il 1907 e il 1925, in una
sorta di personale à rebours Galvano esprime l'opinione secondo cui i
movimenti artistici successivi si sarebbero attestati su posizioni
di assimilazione manieristica piuttosto che di irriverente
Sovversione peculiare degli ismi nei riguardi della tradizione
rappresentativa. Delinea unastoria dell’arte moderna parallela più
complessa e connettiva come avrebbero potuto scriverla gli artisti ai
quali infine delega idealmente il compito futuro di creare un'ar-
te che, restando nell’ambito non figurativo e senza Impossibili riflussi,
riesca coerentemente a ristorare i Valori artistici e umani del passato.
Galvano insomma invoca il diritto anon essere moderno, o peggio
ancora d avanguardia, evitando di lavorare sulla contingenza e
rifiutando l'egemonia della critica per privilegiare, In senso
dichiaratamente anticrociano, la poetica degli artisti che al lavoro
intellettuale uniscono la prassi. Insieme alla proposta per un
rinnovamento della Storiografia artistica Galvano ne affianca un’altra
di Natura conservativa consistente nell’idea di salvaguar- dare le
opere minori del modern style, perlomeno gli Oggetti e gli arredi non
ancora distrutti (di Cometti Per esempio). Immagina la documentazione
degli edifici Liberty finendo per invocare l'allestimento di Una
retrospettiva sull’Art Nouveau internazionale, ma ù A. Gauvano,
«Cosa nostra», in “Sigma”, Ln1, primavera 64, pp. 63-70. Poi in: “Omaggio
a Albino Galvano”, 1992, cit., Pp. 130-133. Poi in: “Diagnosi del
moderno”, cit., p. 59. 45
avveduta del caso italiano e piemontese nel dettaglio, da allestirsi
nella rinata Galleria di Arte Moderna di Torino (1960). Caduta nel vuoto
la proposta sarà pro- prio Galvano a scrivere un articolo sull’Art
Nouveau a Torino! e poi, insieme a Giorgio Balmas e Lorenzo Guasco,
a curare nel 1978 al foyer del Piccolo Regio una mostra dedicata alla
pittura torinese all’inizio del secolo. Sorta di doveroso omaggio a uno
stile di vita prima ancora che d’arte nel quale confluirono la vita
delle forme collettive e l’individualità creativa. Dissentendo da Croce,
l'interesse di Galvano per gli oggetti si approssima alle idee espresse
da Giovanni Gentile nella prolusione al corso universitario di
storia della ceramica pronunciato nel Palazzo Comunale di Faenza
nel 1928 nel quale il filosofo, saldando arte e vita, rivendica la
dignità estetica dei prodotti artigianali e industriali di qualità. Si
consuma qui l'ennesima contraddizione di un crociano affine alle
idee di Gentile che pur biasima per densità retorica. Sensibile alle arti
dei periodi di transizione e avvedu- to della caducità dei giudizi,
compresi i propri, per Galvano ogni critica obiettiva deve essere
sempre un’autocritica. Augurandosi l'avvento di un esegeta capace
di rileggere l’arte tra i due secoli, così come Sanguineti seppe fare con
la letteratura, Galvano rammenta come la sua generazione abbia
vergato parole sferzanti su Bistolfi fino a pochi anni addietro
valutato un artista di statura europea. Ma fu anche la generazione di
quei giovani i quali, raggiunti i vent'anni nella terza decade del XX
secolo, quando dovetteroimmaginare una ribellione la fantasticarono
conle parole di Rimbaud, Gide, Lawrence e Huysmans il cui Des Esseintes
sembrò essere allora il prototipo di un esteta come Carlo Mollino.
Dell’amico, stimato oltre che come professionista di genio anche
come dilettante d'eccezione, Galvano ammirò la capacità di
governare con la formazione culturale crociana e il rigore razionale
tipico della sua professione, gli umori sensuali, avventurosi e ambigui
del suo animo capace di rievocare il ritmo aperto e biologico del
Liberty restituendolo nella voluttà degli interni arredati, nell'armonia
architettonica dei pieni e dei vuoti, nella eterogenea e immaginosa
commistione di elementi organici e funzionali. Un'omogeneità che il
termine “surreale” illustra solo parzialmente e che trova una segreta
corrispondenza nelle opere di Cremona come nei molluschi, nelle
conchiglie, negli antichi libri accartocciati e nelle acquasantiere
barocche che Galvano dipinge negli anni Trenta e Quaranta. L'identità
autopoietica generata da Torino si manifesta nella condivisione
spirituale prodotta da 13 A. GALVANO, Per lo studio
dell'Art Nouveau a Torino, in “Bol- lettino della Società Piemontese di
Archeologia e Belle Arti”, nn. 14-15, 1961. questa
generazione d’eccentrici intelletti, nella speci- fica formazione di un
genius loci come Galvano e nel progetto della Bottega d’Erasmo che
Gabetti e Isola disegnano in forme intellettualistiche neo-liberty
nel 1953. Proprio in quell’anno, “A Rebours” di Huysmans diverrà
per Galvano il pretesto per puntualizzare le proprie posizioni
all’interno del Mac e più in generale nel modo di intendere il Decadentismo!.
Quando Leonardo Borgese consigliò agli astrattisti concreti, in
chiusura della recensione alla mostra di Galvano allestita presso lo
Studio B 24 di Milano nel 19535, di rileggersi il celebre romanzo di
Huysmans nel quale, a suo parere, ci sarebbe stato il necessario per
decodi- ficare la loro poetica, gli aderenti al gruppo accolsero
l'esortazione come una blasfemia da respingersi inte- gralmente. Galvano
ritenne legittima la protesta dei compagni astrattisti apparendogli
chiaro come Borgese incaricasse l’ipocondriaca, solitaria ed estetizzante
vita del protagonista narrato nelromanzo, diesprimere un'e-
pidermica quota di edonismo e di sensualismo ribelle ai disvalori della
società positivistica industrializzata e scientifica, votata al profitto,
al commercio, al nuovo capitale borghese. Dopo di che Galvano,
confessando di aderire parzialmente al pensiero del capitano della
brigata anti-astrattista Borgese, s'inalvea in una lettura
sorprendentemente sincretica aperta al riconosci- mento dell’ambivalenza
del rapporto tra astrazione e Simbolismo. Al rifiuto delle suggestioni
emotive del Simbolismo, l’astrattismo, secondo Galvano, ne
intellettualizzerebbe le allusioni ele “corrispondenze” (termine
apertamente rimontante a Baudelaire) come strumento oppositivo al
dilagare prosastico del reali- smo. L'astrattismo del dopoguerra
ridurrebbe quindi ai minimi termini la carica letteraria aumentando
quella metafisica, riscattando la tradizione dei padri nobili dell’astrazione
primonovecentesca e tesaurizzando nel contempo (sulla scorta della
ricostruzione filogenetica di Pevsner) la lezione di Toorop, Gauguin,
Munch e Klimt insieme a quella degli antesignani Runge, Blake,
Antonelli, Ciurlionis, Kupka; in sostanza dei precursori che evocarono
ancora le leggi del mondo fisico consentendo agli evoluti linguaggi non
figurativi di divincolarsi più recisamente dalla mimesi. Negli anni
tra le due guerre, sull'onda della fenomenologia e della psicologia della
forma, si assisté a un aurorale revisionismo storiografico dell'Art
Nouveau — anche Edoardo Persico ebbe in animo di scriverne una
storia!° 14. A. GALVANO (asterisco di) in, ‘Pitture di A. Galvano
in un esperimento di sintesi” (testo anonimo), Milano Studio B 24,
“Arte Concreta”, bollettino n. 12, seconda serie, febbraio 1953. Poi in:
P. Fossati, “Il movimento arte concreta 1948-1958. Materiali e
documenti”, Martano Editore, Torino, 1980, pp. 62, 63. 15 L.
BorcEse, “Corriere della Sera”, 1° gennaio 1953. 16 A. Pica,
Revisione del Liberty, in: “Emporium”, a. XLVII. n. 8, vol. XCIV, n. 560,
agosto 1941, p. 66. 46 — ma sarà con gli anni
Sessanta e Settanta che diverrà condivisa acquisizione la carica
anticipatoria ricoperta da Mackmurdo e dalla cultura figurativa a partire
da Blake. Anima nera del concretismo, Galvano assume un ruolo
sovversivo nel movimento proponendo ine- dite e intelligenti aperture di
senso che tuttavia non giungeranno a ispirare un prolifico dibattito
all’interno del gruppo infragilito dalle difformità tra la
posizione intellettuale rigorosamente metodica dei milanesi e gli
arrovellamenti sulla materia fortemente allusiva espressi dalla linea
torinese. Risalendo alle sorgenti dell’arte astratta, Galvano riannodò,
in antitesi alle let- ture formalistiche, le affinità con le fonti
spiritualiste di Decadentismo e Simbolismo e — pensando alla
densità mistica nell'opera di Huysmans sfogata in occultismo e
cattolicesimo — con le citazioni della Blavatsky e di Steiner scritte da
Kandinsky, con la prossimità di Mon- drian ai circoli teosofici, con il
lirismo magico di segni e colori dell’orfismo di Kupka e, non ultimo, con
uno dei primitesti dedicati all’astrazione scritto da Julius Evola.
Dandy autoironico votato alla marginalità, Galva- no disseminò il
proprio percorso di tracce sulle quali indugiare, trascorrendo
liquidamente da una disciplina all'altra in modo stupefacente per un
intellettuale ani- mato da pura vocazione pedagogica ma riottoso
alla metodicità dello studio scolastico. Attribuire un senso
univocoal suo pensiero equivarrebbe a fraintenderne la filosofia e l’idea
stessa di un'arte come autosufficiente e spontaneistico operare nella
ferita aperta tra vitali- smo e intelletto che l’atto artistico non
riesce tuttavia a cicatrizzare. La civiltà intera corrisponde per lui
alla fenomenicità delle immagini da essa prodotte che, in sostanza,
aprirebbero al mistero quale autentico even- to metafisico. Intendendo
come piani dell’emersione archetipica i segni dell’arte — della quale
l’idealismo si limiterebbe a coglierne l'aspetto teoretico, Alain
quello pratico e l’Esistenzialismo quello etico — sarebbe troppo
semplicistico archiviare la passione di Galvano per Decadentismo,
Simbolismo e modern style, come l'infatuazione culturale per un'epoca
vesperale. Egli si sente invece custode ed erede di quella
lacerante contraddizione, di quella genesi oppositiva, di quella
disperata tensione verso uno spirituale fatalmente arreso alle forme
dell’estetismo, di quella magnifica e perduta sfida, tanto da riversarne
la forza vitale nella personale proteiforme pittura così come nelle
pro- gressive illuminazioni della sua letteratura filosofica e
artistica. Opere esposte
1 Lettrice sdraiata -— 1931 — olio su tela — 63,5x81
cm 2 Autoritratto - 1940 ca — olio su tela — 23,5x18
cm 3 Astrazione - 1950 — olio su tela — 50x60
cm et adi 4 Il giorno — 1952 — olio su
tela — 100x80 cm 5 Pacato — 1954 — olio su tela —
90x110 cm 6 Composizione in nero — 1954 — olio su
tela — 90x110 cm / S.t.-1956-olio su carta — 34x48
cm $ Ercole ed Anteros — 1956 — olio su tela — 85x115
cm 9 Omaggio a Van De Velde - 1959 — olio su tela —
80x90 cm 10 Ir1s — 1960 — olio su tela — 105x95
cm 58 10Y1-1960- olio su tela — 95x110
cm 3 F 12 Calligramma — 1960 — olio su
tela — 100x85 cm 13 Fiori di lago — 1962 — olio su
tela — 100x120 cm 14 Le jardin de cet astre — 1962 —
olio su tela — 132x116 cm 15 Ireos — 1962/65 — olio
su tela — 130x115 cm 16 Proposta — 1965 — olio su
tela — 135x122 cm 17 Pavese — 1967 — olio su tela —
120x110 cm 18 Farfarello e Malambruno — 1967 — olio
su tela — 80x60 cm 19 Gonfaloni — 1968 — olio su tela
— 95x80 cm 20 Nastro n. 25 — 1968 — olio su tela —
90x80 cm 21 Nastri — 1969 olio su tela — 60x50
cm 22 Nastri colorati — 1969 - olio su tela — 110x100
cm 23 Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm
24 Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm
MALI 25 Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm
ter» IG MOFBEE sie Tre ir"
Saitta Sl 26 Segni asemantici
(dittico) - 1973 — olio su tela — 110x90 cm pari #1 =$
Re |a te n ; 26 Segni asemantici
(dittico) - 1973 — olio su tela — 110x90 cm 27
Artemis — 1974 — olio su tela — 120x110 cm 28
Maioresque cadunt - 1974 — olio su tela — 90x80 cm —____
TITO sal - 1974 — olio su tela — 70x50
cm 30 s.t. 1974 - olio e carboncino su tela — 80x60
cm 31 Ireos - 1977 — olio su tela — 70x60 cm
—_—— mr LIIII:5 ——_—_ T=—r-—-r®x
(i 32 Iris n. 2 - 1975 - acquarello su carta — 40x30
cm Sa Cespu glio — 1974 — acquarello su carta — 40x30
cm 34 Glotre
du lon g desir idees —- 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm
35 Fiori — 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm
VRREET L6 LL AIA USD GOG VE o VERDE IL I BEILET DART DIG SPARI DIO
RR pia I I LITIO ODE LIL 36 Fiori — 1975 — acquarello su carta —
40x30 cm 37 Une Fleur — 1975 — olio su tela—
70x70 cm 38 Scrittura - 1976 — acquarello su
carta — 60x50 cm 39 Sassi e foglie — 1978 — olio su
tela — 80x80 cm 40 Foglie morte — 1978 — olio su tela
— 80x80 cm 41 Ciottoli — 1980 — acquarello su carta —
40x30 cm Labrit, © di DASIO LT R EDLI u
DILODIAT 42 Ciottoli e rocce — 1980 — acquarello su carta — 48x35
cm 43 Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 48x35
cm ” — hu ro iiriiRRRE
44 Rocce e ciottoli — 1981 — olio su tela — 80x80 cm
45 Rocce e sassi — 1981 — olio su tela — 80x80 cm
46 Rocce e sassi — 1981 — olio su tela — 80x80 cm
47 Rocce e sassi — 1982 — olio su tela — 80x80 cm
Opere in mostra 01 — Lettrice sdraiata — 1931 — olio su
tela — 63,5x81 cm 02 — Autoritratto — 1940 ca — olio su tela —
23,5x18 cm 03 — Astrazione — 1950 — olio su tela — 50x60 cm
04 — Il giorno — 1952 — olio su tela — 100x80 cm 05 — Pacato
— 1954 — olio su tela — 90x110 cm 06 — Composizione in nero — 1954
— olio su tela — 90x110 cm 07 — s.t.-— 1956 — olio su carta — 34x48
cm 08 — Ercole ed Anteros — 1956 — olio su tela — 85x115 cm
09 — Omaggio a Van De Velde — 1959 — olio su tela — 80x90 cm 10 —
Iris-— 1960 — olio su tela — 105x95 cm 11 — Fiori - 1960 — olio su
tela — 95x110 cm 12 — Calligramma — 1960 — olio su tela — 100x85
cm 13 — Fiori di lago —- 1962 — olio su tela — 100x120 cm
14 — Le jardin de cet astre — 1962 — olio su tela — 132x116 cm 15 —
Ireos — 1962/65 — olio su tela — 130x115 cm 16 — Proposta — 1965 —
olio su tela — 135x122 cm 17 — Pavese — 1967 — olio su tela —
120x110 cm 18 — Farfarello e Malambruno — 1967 — olio su tela —
80x60 cm 19 — Gonfaloni — 1968 — olio su tela — 95x80 cm 20 —
Nastro n. 25 - 1968 — olio su tela — 90x80 cm 21 - Nastri — 1969 —
olio su tela — 60x50 cm 22 — Nastri colorati —- 1969 — olio su tela
— 110x100 cm 23 — Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm
24 — Nastri - 1970 — olio su tela — 60x50 cm 25 — Nastri -
1970 — olio su tela — 60x50 cm 26 — Segni asemantici (dittico) —
1973 — olio su tela — 110x90 cm 27 — Artemis — 1974 — olio su tela —
120x110 cm 28 — Matoresque cadunt — 1974 — olio su tela — 90x80
cm 29 — s.t.- 1974 -— olio su tela — 70x50 cm 30 — s.t.—
1974 — olio e carboncino su tela — 80x60 cm 31 — Ireos — 1977 —
olio su tela — 70x60 cm 32 — Iris n. 21975 — acquarello su carta —
40x30 cm 33 — Cespuglio — 1974 — acquarello su carta — 40x30
cm 34 — Gloire du long desir idees — 1975 — acquarello su carta —
40x30 cm 35 — Fiori —- 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm
36 — Fiori - 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm 37 — Une
Fleur — 1975 — olio su tela — 70x70 cm 38 — Scrittura — 1976 —
acquarello su carta — 60x50 cm 39 — Sassi e foglie — 1978 — olio su
tela — 80x80 cm 40 — Foglie morte — 1978 — olio su tela — 80x80
cm 41 — Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 40x30 cm
42 — Ciottoli e rocce — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm 43 —
Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm 44 — Rocce e
ciottoli - 1981 — olio su tela — 80x80 cm 45 — Rocce e sassi — 1981
— olio su tela — 80x80 cm 46 — Rocce e sassi — 1981 — olio su tela
— 80x80 cm 4/ — Rocce e sassi — 1982 — olio su tela — 80x80
cm Finito di stampare nel mese di marzo 2021 da
GARABELLO ARTEGRAFICA (SAN MAURO TORINESE). Grice: “I don’t see why Italians
are obsessed with art, but Speranza is Italian, so let it be. Speranza thinks
conceptual artists are the only ones – such as Keith Arnatt – worth analysing.
In his more snobbish ways, he thinks to mould the male body was Pliny’s idea of
art – bronze statuary of the ‘nudo maschile’ – Painting comes only second or
third, and only because of the desegno – i.e . the line of beauty, which is –
as shape, where ‘kallon’ resided for the Greeks!” -- Albino Galvano. Galvano. Keywords: arte naturale, Gallupi, Peirce,
Grice. By uttering x (gestus), U means that p” gesto, gestus, Grice’s use of
gesture. il concreto, l’astratto, Sraffa’s gesture. Il gesto di Sraffa,
l’implicatura di Sraffa. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Galvano: implicatura
concreta”– The Swimming-Pool Library. Luigi Speranza, “Grice e Galvano”. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701743649/in/photolist-2mQtVUe-2mPdwPf-2mPdwwX-2mMQbzj-2mLzoXX-2mLzpRF-2mLzqdc-2mLGX8g-2mPsfT9
Grice e Gangale
– il dia-letto e la dia-lettica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cirò
Marina). Filosofo. Grice: “I like Gangale; the fact that I taught for years in
front of the martyrs memorial helps!” Porta a termine gli a San Demetrio
Corone. Si iscrive alla facoltà di Filosofia di Firenze. Si laurea con “La
logica della probabilita”. Iniziato in Massoneria, nella Gran Loggia d'Italia. Porta avanti la difesa dell’idioletto e del
dialetto. Opere "Rivoluzione
Protestante" (Torino, Gobetti); “Calvino (Roma, Doxa); “Apocalissi della
cultura arabresca” (Roma, Doxa); “Il Protestantesimo in Italia” (Roma, Doxa);
“Il dio straniero” (Milano, Doxa); “Giacomo della Marca” (Napoli); “Salve
regina”; “Fragmenta ethnologica arberesca medio-calabra, Soveria Mannelli,
Rubbettino. “L’arbërisht: l’utopia. According to Louis Hjelmslev,
semiotics is first and foremost a hierarchy. Its distinguishing feature is that
it is guided by a dynamic principle by which it is split into dichotomies at
all levels, yielding expression and content, system and process, denotative and
non-denotative semiotics, and, within the latter, metasemiotics and connotative
semiotics. This text may be reproduced for non-commercial purposes,
provided the complete reference is given: Sémir Badir (2006), « The Semiotic
Hierarchy », in Louis Hébert (dir.), Signo[online], Rimouski (Quebec), http://www.signosemio.com/hjelmslev/semiotic-hierarchy.asp.
2. THEORY top 2.1. OVERVIEW The terms semiotics and semiotic [n.]
designate two a priori dissimilar things. By semiotics, we mean a field of
study in which we can formulate a method for analyzing signifying phenomena, as
well as a theory including all the particulars of this analysis. By semiotic
[sg.], we mean the result of a semiotic analysis. So for example, there is a
musical semiotics that seeks to map out music as a comprehensive signifying
phenomenon. And furthermore, from a synchronic perspective (the music of a
given period and culture), if not from a panchronic perspective (music in
general), we can say that music is itself a semiotic [sg.], being possessed of
both a system (distinctions in pitch, duration, timbre, and so forth) and a
process (consistent relations between sounds in their various aspects).
According to Hjelmslev, the acceptations of semiotics and semiotic must be
articulated in relation to one another. Semiotics as a field of study is
(ideally) conformal to the results of its analyses. As such, it is also endowed
with a system and a process. In order to preserve the distinction between the
two terms, we must understand that semiotics as a whole contains specialized
individual semiotics [pl.], some of which are useful in developing theories and
methods (the ones that Hjelmslev calls metasemiotics), while others are meant
to be articulated into semiotic hierarchies (this is the role of what he calls
the connotative semiotics). Francis Whitfield, the English translator of
Hjelmslev's works, drew up a chart showing the semiotic hierarchy with its
constituent parts (in Hjelmslev, 1975, p. XVIII; also translated into French in
Hjelmslev, 1985, p. 17). The class of objects The class of objects
NOTE: THE LIMITS OF GRAPHICS The above chart shows only one aspect of the
functions identified between semiotic components: their paradigmatic functions
(the relations between classes and their members). A more complete diagram
designed to include the distinguishing features of semiotics would also show
the syntagmatic functions (relations of implication) that operate between the
different components. Tree diagrams do not really lend themselves to this kind
of representation. This is one difficulty that Hjelmslev himself was unable to
completely resolve. 2.2. SEMIOTICS AND NON-SEMIOTICS In his first work,
Principes de grammaire générale, written in French in 1928, Hjelmslev sets out
the principle of classification that is operative in any language [langage].
"Categories as such", he writes, "are a fixed quality of
language. The principle of classification is inherent in all idioms, all times
and all places" (trans. of Hjelmslev, 1928, p. 78). Thus linguistics, with
its three levels of analysis (phonology, grammar, and lexicology) is a science
of categories. However he adds that "the science of categories must
disregard the categories established in logic and psychology and venture right
into language's territory to find the categories that are characteristic of it,
that are specific to it, and that are not found anywhere outside language's
domain" (trans. of Hjelmslev, 1928, p. 80). Hjelmslev soon extended this
domain to include languages other than verbal ones, but not to the point of
including any system of classification. The semiotics [pl.] make up this
larger domain, and they are distinguished from other systems of classification
by a certain uniformity (or homogeneity) that forms the basis of their analysis
at all levels. 2.2.1 EXPRESSION AND CONTENT We find this uniformity first
between the components of any semiotic. By custom, these components are called
the expression plane and the content plane. The reason for this is that as a
general rule, expression forms are visible in the object (they are
"expressed"), whereas it is in the content forms that signification
resides (the semiotic object "contains" content forms). However, this
is beside the main point, which is that we always analyze a semiotic object
(usually a text) uniformly, with an initial distinction between two components.
In other words, for Hjelmslev, as for Saussure, neither expression nor content
can be given predominance; they must both be analyzed together (Hjelmslev,
1928, p. 88). NOTE: ISOMORPHISM AND NONCONFORMITY It is true that
Hjelmslev subsequently states that the semiotic planes must also not be
conformal to one another; otherwise the distinction between them is nullified
(Hjelmslev, 1963, p. 112). It would require too many theoretical details to
explain the principle of nonconformity here. Suffice it to say that this
principle is not directly related to the issue addressed in this chapter, which
is hierarchical organization, and that, furthermore, nonconformity does not in
any way interfere with the isomorphism of the semiotic planes (that is, their
structural parallelism). NOTE: SYMBOLIC REPRESENTATION
Although it doesn't simplify matters any, we must acknowledge that the diagram
of semiotics given above actually postulates a classification that is itself
non-semiotic: It is a symbolicclassification, for it can be seen as either an
expression plane (the terminology Hjelmslev adopts in his theory) or a content
plane (the meaning assigned to each of the terms it presents), and each of
these planes is conformal to the other. 2.2.2 PARADIGMATIC FUNCTIONS In
one aspect of semiotic analysis, we use paradigmatic functions to establish
distinctions within the individual semiotics. A paradigmatic function can
always be expressed as two elements in an either... or...relation: "either
this or that". In a semiotic, any element of any magnitude (a sound, word,
sentence, idea, or abstract feature) can be analyzed in terms of these
functions. There are three possible results: (1) two constants are identified;
(2) there is no constant identified, so that the elements involved remain as
variables; (3) one of the elements is considered to be the variable of the
other. The three types of paradigmatic functions either this or that, one
excludes the other constant ↓ constant complementarity either
this or that, it makes no difference variable ↑ variable
autonomy either this, or more specifically that constant –|
variable specification For example, in French, the masculine and
feminine are two constants (of content) with respect to animate beings.
Conversely, with respect to inanimate elements, they are regarded as variables.
In French we refer to cities, which have no designated grammatical gender,
sometimes as feminine and sometimes as masculine. And finally, with respect to
the class 'sex' itself, each one has a variable, since sex has been selected as
the constant of content. Naturally, linguistics aims first to establish
constants, in either a relation of complementarity or of specification. From a
paradigmatic standpoint, the expression plane and the content plane are
complementary in semiotics (e.g., in a verbal language), whereas in a symbolic
system (e.g., in a computer programming language) they are autonomous.
2.2.3 SYNTAGMATIC FUNCTIONS Another aspect of semiotic analysis
identifies relations between elements. A syntagmatic function can be expressed
as two elements in a both... and... relation: "both this and that".
Once again, three kinds of syntagmatic functions may be identified: (1) if one
element is present, the other must also be present, and vice versa; (2) one
element does not have to be present for the other to be present; (3) one
element is required for the other to be present, but not the reverse. The
three kinds of syntagmatic functions both this and that, by necessity
constant ↔ constant solidarity both this and that, by
contingency variable – variable combination this necessarily
accompanied by that variable → constant selection A
verbal sentence is the necessary association of a noun phrase and a verb
phrase; they are the two syntagmatic constants of the sentence. Conversely,
there is no consistent relation between the categories of verb and adverb: the
verb can be present without the adverb, and the adverb can modify something
other than a verb (an adjective, such as pretty, in very pretty). The verb and
the adverb are variables relative to one another. On the other hand, an article
requires a noun, but the reverse is not true; in this relation, the noun is the
constant and the article is the variable. From a syntagmatic perspective,
there is always solidarity between expression and content. If the analysis
identifies an expression plane for a given object, then it must also identify a
content plane, and vice versa; otherwise, the object in question would not be a
semiotic object (something we are not supposed to know before we begin our
analysis). NOTE ON LINGUISTIC LAWS Necessity in syntagmatic
functions is quite relative; it depends on the corpus under study. Caution
would prompt us to speak of consistency rather than necessity, as language is
replete with exceptions, and its rules are subject to rhetorical
non-compliance. We are keeping this term nevertheless, if only to emphasize the
predictive intent of linguistic analysis: whatever consistencies have been
recorded in attested texts must still be valid for future texts. 2.3
DENOTATIVE SEMIOTICS AND NON-DENOTATIVE SEMIOTICS Natural languages are the
first object of semiotic analysis. Their systems are identified through the
paradigmatic functions, and their processes through the syntagmatic functions
on both planes, expression and content. When analyzed, texts are equivalent to
processes, since they constitute chains of semiotic elements that are put into
relation with one another. Semiotic analysis can be applied secondly to
other kinds of language, with no theoretical adjuncts, and it is from this
extension that it has earned the name semiotics. But in addition,
semiotic analysis can be applied to a third kind of target: forms of language that
cannot be reduced to two planes (their components are not even in number).
These languages [langages] are termed non-denotative. There are two kinds: the
metasemiotics and the connotative semiotics. 2.4. THE METASEMIOTICS A
metasemiotic is rooted in a semiotic equipped with a control plane, so to
speak. Through this plane, each element of content takes on an expression in a
denominative capacity. This is what we are doing when we say that
in a certain advertisement for French pasta (to take a famous example used by
Roland Barthes), the yellow and green colours on a red background (the colours
of the Italian flag) signify "Italianicity" (Barthes, 1985, p. 23).
Italianicity is a metasemiotic expression used to designate the signification
of visual elements (colours). The same function is in operation when we
say that the expression arbor signifies "tree" (Saussure, 1959, p.
67), except that in this case, both expression and content take on metasemiotic
expressions through the use of distinct typographical markers (italics and
quotation marks) and different languages (Latin and English). In this case they
are called autonyms. Metasemiotic control helps us to avoid any equivocation
between expression and content in our analysis. Finally, metasemiotic expression
also has a power of generalization, by allowing categories to be designated.
When we talk about the verb, as we do in linguistics, we are attributing a name
to several syntagmatic functions grouped under this common denominator. To put
it another way, the metasemiotic expression verb can be used to describe a
syntagmatic function that is analyzed in each particular verb (Badir, 2000, pp.
122-123). It can be helpful to include this control plane in a specific
semiotic, for the human mind seems to be adept at juggling metasemiotic
expressions (writing being the prime evidence of this, and so very complex).
This is how a metasemiotic is formed: one of the planes is the control plane,
and the other is the object semiotic. By doing this, the metasemiotic once
again becomes a binary structure, but with two tiers (in the table below, E
stands for expression, C for content). Metasemiotic structure
metasemiotic control plane (E) object semiotic (C)
expression plane (E) content plane (C) 2.5 CONNOTATIVE
SEMIOTICS The plane that is affixed to a semiotic does not always perform a
control function, however. In fact, we can always affix a third plane to a
semiotic in order to account for anything that has been missed by the analysis,
anything that is considered to be a special case or exception.
Variants are the evidence of this analytical shortcoming. If we wish to
account for them in some way nonetheless, then we define them as invariants
within special or narrowed parameters that Hjelmslev calls connotators. The
third plane, then, is formed by considerations that were not selected in the
first-tier analysis (called denotative). This plane is ordinarily held to
be a content plane, since it is assumed that semiotic objects cannot be
intrinsically modified by these considerations. (One senses a delicate point
here, that is admissible only at the discretion of the analyst).
Connotative structure connotative semiotic denotative semiotic (E)
plane of connotators (C) expression plane (E) content plane (C)
For example, Hjelmslev maintains that any given language may be
analyzed equally well through its written texts or its oral utterances; in
other words, that its rules of syntax, its morphological formations and
vocabulary are common to oral as well as written productions. Certainly anyone
can see that this assessment is not ill founded. Nevertheless, there are
distinctions, which have inevitably been left as variants in the linguistic
analysis. Ensuring compatibility between the analysis of these variants and the
first-tier analysis is a matter of establishing a plane in which orality and
writing can be included as two paradigmatic invariants of content of a
particular type: orality and writing are set up as connotators. In this way,
the first-tier analysis remains valid, although it can always be customized
with respect to the newly established paradigmatic function (Hjelmslev, 1963,
pp. 116-119). From a broader perspective, we can use connotative
semiotics to specify which tier of specialization to use for a particular
semiotic analysis, as semiotic analysis is not apt to be applied
indiscriminately to any element of language (this is only true of its
theoretical components, in particular, the ones presented here). In linguistics
we begin by recognizing the plurality of verbal languages, basing our analyses
on distinct corpora for each language. It is the role of connotative semiotics
to establish each language as a connotator. So when we speak of the
"linguistic analysis of French", French is a connotator, as it
determines in which particular case the analysis is valid. 3. APPLICATION
top At this time, the theory of semiotic hierarchy has been developed
extensively only in the application for which Hjelmslev initially intended it:
the metasemiotic hierarchy of verbal languages (as illustrated in Whitfield's
tree diagram, reproduced in section 2.1). Metasemiotic hierarchy with
languages [langues] as the object semiotics
expression plane analysis content plane analysis internal
semiologies paradigmatic perspective phonology
lexicology syntagmatic perspective "morphology"
grammar external semiologies paradigm of historical and geographic
connotators historical and dialectal phonology historical
lexicology and dialectology comparative and historical grammar
paradigm of social connotators sociolinguistics, linguistics of written
language paradigm of psychic connotators pedolinguistics,
psycholinguistics, study of language disabilities paradigm of cultural
connotators rhetoric, stylistics, narratology internal
metasemiologies phonetics semantics external
metasemiologies physics and physiology of sound extrinsic
interpretations We will start by discussing the table entries. In the
hierarchy there are two columns dividing the analysis into two components,
labelled expression plane and the content plane. However, this
subdivision does not hold throughout (as in the case of comparative grammar),
either because two different semiotic analyses bear the same name in practice,
or because the analysis is non-semiotic, as it turns out. The hierarchy is
divided into rows representing the object semiotics. First they are divided by
their rank in the hierarchy (semiotic or metasemiotic), next by distinguishing
the denotative semiotics (addressed by the internal semiologies) from the
connotative semiotics (described by the external semiologies). Lastly, the
denotative semiotics are divided into paradigmatic and syntagmatic functions.
It should be noted that the hierarchical structure shown here is reversed in
actual practice, where one always proceeds by progressive expansion, beginning
with denotative analysis, or more specifically, paradigmatic analysis. In
this table, languages are denotative semiotics from the standpoint of the
internal semiologies and metasemiologies; however, they are treated as
connotators from the standpoint of the external semiologies and
metasemiologies. The operation of the latter is dependent on the former.
In addition, the metasemiologies regulate the semiologies by allowing us
to verify whether they are adequate to account for the facts of language
[langage]; however, there is no one-on-one correlation between internal
semiology and internal metasemiology, nor between external semiology and
external metasemiology. For example, a semantic analysis can provide the basis
for a lexical derivation or for a narrative schema. And the physiological
analysis of sound can be used as a descriptor for a phonological invariant
(e.g., using the physiological feature palatal to designate an invariant) or as
a means to describe child language (e.g., the term "labial click",
which describes the onomatopoeia produced by babies 12 months old, also known
as the "kissing sound" – this example is cited in Jakobson, 1968, pp.
25-26, footnote). Morphology should be understood in a specific
sense, not entirely removed from the common meaning, but in a narrower sense.
Morphology deals with what Hjelmslev calls the functions between grammatical
forms in his Principes de grammaire générale (1928, pp. 112-127).
Finally, note that while linguistics can be considered as one metasemiotic
among others, there can be no objection to adopting the point of view that
semiotics provides cultural connotators for a comprehensive linguistic
analysis. These two perspectives are compatible in glossematics (Hjelmslev's
theory of language) and are even seen to be complementary, to the benefit of
semiotics. 4. LIST OF WORKS CITED top BADIR, S., Hjelmslev, Paris:
Belles-Lettres, 2000. BARTHES, R., "Rhetoric of the Image", in The
Responsibility of Forms. Critical Essays on Music, Art, and Representation,
trans. R. Howard, New York: Hill and Wang, 1985, pp. 21-40. HJELMSLEV, L.,
Principes de grammaire générale, Copenhagen: Bianco Lunos Bogtrykkeri, 1928
[1929]. HJELMSLEV, L., Prolegomena to a Theory of Language, trans. F.
Whitfield, Madison: University of Wisconsin Press, 1963 [1943]. HJELMSLEV, L.,
Résumé of a Theory of Language, Madison: University of Wisconsin Press, 1975.
HJELMSLEV, L., Nouveaux essais, Paris: Presses universitaires de France, 1985.
JAKOBSON, R., Child Language: Aphasia and Phonological Universals, The Hague:
Mouton, 1968. SAUSSURE, F. de, Course in General Linguistics, trans. W. Baskin,
New York: Philosophical Library, 1959 [1916].Grice: “I like Gangale. Of course,
the Italians adored him because he got Danish citizenship; also because he
understood Hjemlslev as nobody does! Gangale was practical; he was into his
ethnic minority. He formed good philosophical bond with Gobetti, against Croce
and Gentile. It is obvious that those who know the Gangale of the Albanian
studies won’t make a connection with his fight for protetantism and his
adventures with Italian philosophy, with Doxa and Conscientia – but he got his
doctorate and he was able to immerse in Hjelmslev’s glottology like nobody else
did!” Giuseppe Gangale. Giuseppe Tommaso Saverio Domenico Gangale. Gangale. Keywords:
il dia-letto e la dia-lettica, idiolect, dialect, ethno-lect, idio-letto,
dia-letto, ethno-letto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gangale: dall’idioletto
al dia-letto” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758920461/in/dateposted-public/
Grice e Garbo – la fisiologia dell’amore -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Firenze).
Filosofo. Grice: “I like Garbo; for one I like Firenze, for another I like a
Renaissance man – I’m one!” Grice: “Garbo is extremely interesting at a time
when physis did mean ‘nature’ – the physicist and the physician were the
natural philosophers! At Oxford Transnatural philosophy was created against
Natural Philosophy,” – Grice: “Garbo made the greatest comment on “Love
unrequited” by G&S – by focusing on a ditty by Cavalcanti – Boccaccio loved
the pretentious prose by Garbo on ‘eros,’ ‘amore,’ and ‘cupidus.’ –“ Studia
sotto Alderotti a Bologna. Figlio di Bono, medico e chirurgo. Sotto il
consiglio del padre, fu allievo a Bologna di Alderotti, suo cognato, poi uno
dei più importanti rappresentanti di un riorientamento della filosofia, all che
Garbo diede un contributo importante. Studia sotto Alderotti per un breve
period. Torna presso la casa paterna a Firenze a seguito della guerra tra Bologna
e Ferrara e fu iscritto, a fianco del padre, nella gilda di Firenze di medici e
farmacisti. Le condizioni politiche migliorate gli consentirono di riprendere i
suoi studi e si laurea, successivamente si sposta a Bologna, dove insegna. Quando
Orsini scomunicò Bologna e, quindi, escluse i cittadini bolognesi dal
frequentare lo studio generale, fu, ancora una volta, costretto a lasciare
Bologna. Si transferice a Siena, con l'insolitamente alto stipendio di 90
fiorini d'oro come "dotore del chomune di Siena". Saltuariamente si
recasse a Bologna nonostante la scomunica. E fu a Bologna che completa il suo
commento su una parte del libro IV del Canon di Avicenna, tanto da guadagnare
il soprannome di "espositore.” Torna a Bologna, inizia la sua “Dilucidatorium
totius pratice scientie” un commento sul Libro I del Canon. Insegna a Padova, a
causa del "propter malum statum civitatis Paduae" (come afferma nel
suo commento ad Avicenna), riprese a peregrinare tra un'università e l'altra
(anche se è un percorso poco chiaro, a causa delle scarse informazioni fornite
dai biografi e dell'assenza dei documenti). Torna a Firenze e completa
Dilucidarium. Sulla scia dell'esodo della Facoltà di Filosofia da Bologna a
Siena, venne nuovamente nominato dal Comune di Siena, questa volta con uno
stipendio annuo esorbitante di 350 fiorini d'oro, più 100 fiorini, perché teneva
letture a casa sua, la sera. Lavora al suo commento al trattamento con piante
medicinali nel libro II di Avicenna, Canon, cioè "l'Expositio super
canones generales de virtutibus medicamentorum simplicium secundi canonis
Avicennae", che complete dopo il ritorno a Firenze. Commenta sul “Donna mi
prega” di Cavalcanti. Questo commento è conservato in un manoscritto di
Boccaccio ed è stata tradotta in una versione in lingua “volgare”. A causa dell'invidia dei suoi colleghi di
Bologna, fu accusato di essersi appropriato del commento a Galeno di
Torrigiani. Le lezioni riscuotevano
molto successo, allora i suoi colleghi, invidiosi, dettero il compito a un
allievo che viveva con il medico di spiarlo; quest'ultimo scoprì che prepara le
sue lezioni basandosi sul comment a Galeno di Torrigiani, che conserva
segretamente. Il plagio e reso pubblico, addiruttura Cecco D'Ascoli ne fece scherno
con i suoi allievi, e Garbo e costretto a allontanarsi da Bologna. Sia
Tiraboschi che Colle notarono delle incongruenze cronologiche della vicenda. Torrigiani
e co-etaneo e collega del medico alla scuola di Aldreotti, e successivamente si
fece certosino in tarda età e solo da quel momento, o dopo la sua morte,
avrebbe potuto prendere i suoi scritti. L'episodio,
probabilmente, indica l'atmosfera ostile – tossica -- in cui era immerso Garbo
a Bologna, per questo è plausibile che decidesse di accettare l'offerta di Padova,
che dopo la crisi causata dalla guerra contro Enrico VII, cerca insegnanti di
fama. Tornato a Firenze, incontra Mussato in preda a un malanno, che
probabilmente aveva conosciuto in precedenza a Padova e che era a Firenze in
veste di ambasciatore di Padova. A Firenze, la sua stima di filosofo si riprese
dai colpi bassi inflitti dai bolognesi; mostra un ritratto cordiale, sapiente
ma non scontroso, con un atteggiamento affidabile e umano, che cercava di
capire i segreti della natura e molto disponibile, questa era la maniera in cui
appariva ai fiorentini. Descritto come una persona arguta in episodi riportati
da Petrarca, che non conosceva direttamente, ma che aveva avuto contatti con Garbo.
Pesso un cimitero, rispose a dei vecchi che lo volevano schernire con queste
parole. La disputa è ingiusta, qui: infatti voi siete più coraggiosi perché
siete a casa vostra. (Rerum memorandum libri, risposta simile a quella di Cavalcanti
nel Decameròn. Un altro episodio, invece, fu la volta in cui un uomo prende in
giro il suo piccolo cavallo dicendogli: "e gli insegni a camminare, ma
dove hai imparato quest'arte?", e Garbo rispose: "A casa
tua". Quanto torna scrisse le "Recollectiones in Hippocratem de
natura foetus" (Venezia), con la "Expositio super capitula de generatione
embryonis" di Tommaso Del Garbo, suo figlio, e la "Expositio in
Avicennae capitulum de generatione embrionis" di Torre. Il trattato di
Garbo mostra quanto fosse dipendente dall'astrologia araba. Distingue
l'anatomia dalla fisiologia. Indaga la causa delle malattie ereditarie, dicendo
che dipendono da un vizio organico del cuore, dal quale ha origine lo spirito
che il seme del padre trasmette al nascituro. Tratta anche di argomenti molto
discussi dai filosofi del secolo, come la trasmissione dell'intelligenza tra
generazioni, dell'origine del calore animale e della nascita di piante e
animali per “fermentazione.” Dice nell'Expositio che torna a Firenze non per la
crisi di Siena, ma per altri motivi di cui non si hanno documentazioni. Per
Tiraboschi e Colle, Garbo non sarebbe mai uscito dall'Italia, mentre De Sade
dice che ad Avignone avrebbe incontrato Ascoli.
Quest'ultimo è il motivo della grave colpa di cui Garbo, insieme al figlio, fu
macchiato dopo il plagio già nominato. Ascoli venne allontanato da Bologna e
sospeso dall'insegnamento poiché accusato di eresia, successivamente giunse a
Firenze con la fama di mago e negromante, al servizio del duca Carlo di
Calabria. Ascoli scrisse "Commentarii in Sphaeram Mundi Ioannis de
Sacrobosco", che si ritiene fosse trattato che egli porta sul rogo,
trattato che fu aspramente criticato da Garbo che gravemente accesi di rabbia e
d'odio contro di lui, perché invidiosi che d'Ascoli fosse preferito come medico
dal duca Carlo. I. Garbo accusa Ascoli di fronte al vescovo d'Aversa e
successivamente lo denuncia all'inquisizione. Questo spinse il duca di Calabria
ad allontanare Ascoli dalla sua corte e dopo fu arrestato dall'inquisitore
Bonfantini. L’accusa era di essere "alieno dal vero dogma della
fede". Ascoli fu bruciato sul rogo. E evidente la responsabilità di Garbo
in questa condanna, per invidia e non per motivi religiosi. Garbo muore poco
dopo l'esecuzione d’Ascoli. Questo, dice Grice, e causato da un incantesimo di
vendetta lanciato da Ascoli. Altre opere: La figura di Del Garbo
campeggia se non come il più grande filosofo di Firenze, sicuramente come
quello più nominato, sia nel bene che nel male, a prescindere dal valore che
possono avere le sue opere a livello della storia della filosofia, infatti
rappresenta, nell'opinione comune, il tipo ideale di filosofo, sia con i suoi
pregi, che con i suoi difetti. Tra le opere che sicuramente possiamo
attribuirgli ci sono ricettari, commenti e trattati. Tra i vari, ci sono i "Super IV Fen primi
Avicennae praeclarissima commentaria, quae Dilucidatorium totius practicae
generalis medicinalis scientiae noncupatur" (Venezia), dedicati agli
studenti bolognesi che l'avevano seguito a Siena; "Chirurgia cum tractatu
eiusdem de ponderibus et mensuris nec non de emplastris et unguentis"
(Ferrara) insieme ad un trattato sulla lebbra di Gentile da Foligno e uno sulle
giunture ossee di Gentile da Firenze, ampio commento ad Avicenna, Abū l-Qāsim
az-Zahrāwī e ar-Rāzī. In questo e in altri testi, rileva molte inesattezze di
Avicenna e parla con tono di ammirazione dei antichi greco-romani. Altre opere invece non sono state stampate:
"De militia complexionis diversae"; una "quaestio" sulla
flebotomia secondo Ugo da Siena (Bergamo, Biblioteca civica) "Recolectiones super cirurgia
Avicennae" (Modena, Bibl. Estense); Tractatus podagre (San Candido, Bibl.
della Collegiata). E non va dimenticato il commento alla canzone "Donna mi
prega" di Cavalcanti: "Scriptum super cantilena Guidonis de
Cavalcantibus" ("De natura et motu amoris venereis cantio cum
enarratione Dini de Garbo", Venezia, introvabile). Il commento riguardo a
“Donna mi prega” considera l'amore (eros) da un punto di vista strittamente patologico,
come passione, e anche se a volte tende a sovrapporsi a “Donna mi prega”,
esponendo le idee sull'amore di se stesso (“amore proprio”) che quelle di
Cavalcanti, resta un importante document. Suddivide il testo in tre parti.
Nella prima parte, Garbo dimostra quante e che sono le cose, che dello amore si
dicono. Nella seconda parte, Garbo filosofa di quelle, che esser ne determina.
Nella terza parte, la chiusa, Garbo dimostra la sufficienza di quelle cose,
ch'egli ha dette. Nella seconda parte, la più importante, si segue la
dimostrazione sulle *otto* caratteristiche dell'amore: I) dove si produce
(nell’appetito sensitivo); II) chi lo genera? la disposizione naturale del
corpo dell’amante – per non fare menzione digli influssi di Marte su Venere.
III) quale virtù ha l’amore, dato che è passione d'appetito? Nulla. IV) Quale e
l’effetto dell’amore? La morte che impedisce
le operazioni della virtù vegetativa; V) quale e l’essenza dell’amore? E una
passione naturale. VI). Che alterazione provoca? Infermità, malinconia, morte.
VII) Che spinge a filosofare sull’amore, dato che non si può celare la
passione? Lo spirito platonico. VIII) Se l'amore (o strittamente, l’amare) si
dimostri via il sentire? Si. È evidente che parli come filosofo aristotelico.
Per Garbo, l'amore è una malattia, una passione dell'appetito sensitivo, che
può causare a sua volta molte altre malattie, e per questo va curata, con la dimenticanza
e l'allontanamento, l'"accidente fero" di Cavalcanti è il maligno
influsso di Marte, in congiunzione col Toro e la Bilancia, quando si trova
nella casa di Venere. Altre opere: “Dynus super quarta Fen primi cum
tabula” (Venezia: Lucas Antonius Giunta Florentinus); “Expositio super tertia,
quarta, et parte quintae fen IV. libri Avicennae” (Venezia: Johann Hamann für Andreas
Torresanus); “Dilucidatorium totius pratice medicinalis scientie Expositio
super canones generales de virtutibus medicamentorum simplicium secundi canonis
Avicennae (Venezia); “Recollectiones in Hippocratem de natura foetus; “Dilucidatorium
Avicennae (Ferrara) Expositio super parte quintae Fen quarti Canonis Avicennae (Ferrara,
André Beaufort); “Super IV Fen primi Avicennae praeclarissima commentaria, quae
Dilucidatorium totius practicae generalis medicinalis scientiae noncupatur
(Venezia); Chirurgia cum tractatu eiusdem de ponderibus et mensuris nec non de
emplastris et unguentis (Ferrariae); “De militia complexionis diversae; di cui
un saggio è pubblicato da Puccinotti; Recolectiones super cirurgia Avicennae (Modena,
Bibl. Estense); De generatione embrionis; Dizionario biografico degli italiani.
Boccaccio, Cavalcanti’s Canzone “Donna me prega” and Dino’s Glosses The
enigmatic, indeed disturbing figure of Guido Cavalcanti (1259– 1300) exercised
the imagination of his contemporaries, especially of his fellow poets. Without
naming him once, Dante talks about Guido in his youthful work, the Vita nuova,
telling us that Cavalcanti was the “primo de li miei amici” (VN III), and that
he was one of those who replied poetically to Dante’s first sonnet. Dante also
refers to Guido’s senhal, Gio- vanna/Primavera (VN XXIV). The whole of Dante’s
treatise, as a specifi- cally vernacular composition, is dedicated to this first
friend (VN XXX). Amongst Dante’s Rime, also, there is a companionship sonnet
addressed to Cavalcanti, “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io,” to which the
older poet responded in verse. The most memorable mention by Dante occurs in
canto X of Inferno, where Guido is the “grand absent,” asked after by his
damned father, Ca- valcante de’ Cavalcanti. The accent in the exchange is on
Guido’s implied “altezza d’ingegno,” shared with Dante (X.59), and his disdain
for some- thing — unspecified — which Dante by now was pursuing (poetry? theol-
ogy?). The poet later resurfaces as an allusion in Purgatorio XI.97–99, where,
in an object lesson in humility, literary primacy is passed through the Guidos,
presumably from Guinizelli through Cavalcanti, and on to (perhaps) Dante
himself. Guido Orlandi, who wrote the enquiry sonnet, “Onde si move e donde
nasce Amore?” which occasioned Cavalcanti’s famous reply, the doctrinal canzone
“Donna me prega,” paints a picture of the poet in “Amico, i’ saccio ben che sa’
limare,” stressing Guido’s verbal prowess, but also his consid- erable
intellectual ambition, verging on vanity. Cino da Pistoia, however, in “Qua’
son le cose vostre ch’io vi tolgo?” reacts angrily to an accusation of
plagiarism coming from Guido, and hints that his own humility is more
appropriate than Cavalcanti’s self-importance. Amongst the other, almost
contemporary poets who mention Cavalcanti is Cecco d’Ascoli (Francesco
Stabili), in whose astrological apology the Acerba (III.1), dated to 1327, he
seemingly takes Guido to task, in detail, for an erroneous analysis of love’s
http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 1 Heliotropia 2.1 (2004)
http://www.heliotropia.org workings (particularly the function of the irascible
appetite, Mars) con- tained in “Donna me prega.” Chroniclers, too, were
fascinated by him, but as much for his propen- sity to engage in partisan
violence as for his intellectual eminence. His contemporary Dino Compagni
refers repeatedly to the powerful Cavalcanti clan’s readiness for street-fighting,
and refers specifically to Guido’s ex- ploits, including his failed attempt on
the life of Corso Donati, who had re- portedly organised an assassination plot
against the poet on the pilgrimage route to Compostela. Dino characterises
Guido as “cortese e ardito, ma sdegnoso e solitario e intento allo studio.”
Giovanni Villani, writing con- siderably later, draws attention to the prickly
nature of Guido’s intelli- gence: “era, come filosofo, virtudioso uomo in più
cose, se non ch’era troppo tenero e stizzoso,” a description of the
philosopher-poet which al- most exactly parallels Giovanni’s description of
Dante himself. Amongst the later novella writers, Sacchetti would include
Cavalcanti as the butt (literally) of a practical joke by a small child (Trecentonovelle
LXVIII), a jape which in turn is reminiscent of a Boccaccio novella (Decameron
VIII.5). Cavalcanti figures in the early commentary tradition of the Comedy, in
particular as a response to the pilgrim’s discussion with Cavalcante de’ Ca-
valcanti in Inferno X, and the reference to the two Guidos in Purgatorio XI. He
also figures to some extent in elucidations of the two lonely, anon- ymous
Florentine “giusti” in Inferno VI.73. Commenting upon Inferno X, Guido da Pisa
(1327–28) says of Cavalcanti “Fuit enim iste Guido scientia magnus et moribus
insignitus, sed tamen in suo sensu aliqualiter inflatus. Habebat enim scientias
poeticas in derisum” [This Guido was great in knowledge and celebrated in
character, but nevertheless somewhat puffed up as to his opinion of himself.
For he despised the poetic discipline]. Guido da Pisa’s interpretation of
Cavalcanti’s “disdegno” (Inferno X.63) as essentially poetical will be
influential amongst subsequent commentators. The Ottimo commentary (1334)
points to Guido’s common intellectual in- terests with Dante (“similitudine
d’abito scientifico”). Later, when discus- sing the two Guidos passage in
Purgatorio XI, the commentator opines: “E Guido Cavalcanti si può dire, che
fossi il primo, che [le] sue canzoni fortifi- casse con filosofi[ch]e pruove,
come si mostra in quella sua canzona, che comincia: ‘Donna mi prega, perch’io
deggia dire.’” The Selmiano (1337), commenting upon Inferno X, again points to
Cavalcanti’s intellectual im- pact: “Guido fu tenuto del maggiore ingegno e più
alto che allora fosse uomo di Firenze.” The greatest contribution to the myth
of Guido Cavalcanti comes from Boccaccio, who views the poet essentially
through the distorting prism of http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf
2 Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org Dante and the early
Dante commentators. In the “Introduzione alla quarta giornata” of the
Decameron, Boccaccio justifies his own persistence with amorousness, even in
his more mature years, by claiming that such a trait was shared with Guido
Cavalcanti, Dante and Cino da Pistoia in their old age. He even suggests that
he could supply the biographical justifications to prove it (“istorie in
mezzo”). The most consistent account of Cavalcanti, however, occurs in
Decameron VI.9 where Boccaccio applies to Guido a widespread anecdote, with a
“lethal” punch-line, which Petrarch, amongst others, had used some ten years
previously in the Rerum Memorandarum (II, 60) about Dino del Garbo, the famous
Florentine physician. The tale, now firmly attached to Cavalcanti, thanks to
Boccaccio, will subsequently pass into the Dante commentary tradition when
Benvenuto da Imola glos- ses the two Guidos passage in Purgatorio XI. The
Decameron tale has been frequently discussed and minutely ana- lysed: what
concerns us here is Boccaccio’s preliminary portrait of the poet: oltre a
quello che egli fu un de’ migliori loici che avesse il mondo e ottimo filosofo
naturale [...], si fu egli leggiadrissimo e costumato e parlante uom molto e
ogni cosa che far volle e a gentile uom pertenente seppe meglio che altro uom
fare; e con questo era ricchissimo, e a chiedere a lingua sa- peva onorare cui
nell’animo gli capeva che il valesse. [...] Guido alcuna volta speculando molto
abstratto dagli uomini divenia; e per ciò che egli alquanto tenea della
oppinione degli epicuri, si diceva tralla gente volgare che queste sue
speculazioni erano solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse.
(Decameron VI.9.8–9) Creatively interpreting Dante, in order to give the
punch-line extra signifi- cance, Boccaccio deliberately confuses (or rather
suggests that the vulgar throng confuses) Guido with his father, Cavalcante de’
Cavalcanti, for it is effectively the latter who is amongst the “Epicureans”
who “l’anima col corpo morta fanno” (Inferno X.15). A very similar portrait of
the poet is given in the Esposizioni, where Guido is described as: uomo
costumatissimo e ricco e d’alto ingegno, e seppe molte leggiadre cose fare
meglio che alcun altro nostro cittadino: e oltre a ciò, fu nel suo tempo
reputato ottimo loico e buon filosofo, e fu singularissimo amico dell’autore
[scil. Dante], sì come esso medesimo mostra nella sua Vita nuova, e fu buon
dicitore in rima; ma, per ciò che la filosofia gli pareva, sì come ella è, da molto
più che la poesia, ebbe a sdegno Virgilio e gli altri poeti. (Esposizioni X.62)
The phrase “ebbe a sdegno” clearly shows Boccaccio’s debt to Inferno X.63:
“Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno,” and to the view amongst early
commentators, initiated by Guido da Pisa as we have seen, that the
http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 3 Heliotropia 2.1 (2004)
http://www.heliotropia.org disdain was for poetry, not theology. It is this
Boccaccian portrait, with a distinctly Dante colouring, which will inform
Filippo Villani’s much later biography of Cavalcanti in the Liber de origine
civitatis Florentie [Book of the Origin of the City of Florence]. As we have
seen, the anecdote in Decameron VI.9 had been previously used by Petrarch, who
places Dino del Garbo as its protagonist. Dino was, in addition to being a
notable physician (a pupil of Taddeo Alderotti at Bologna), a lecturer on
materia medica at various universities. He had a number of commentaries to his
credit, including a reading of the third and fourth fen of the fourth book of
Avicenna’s Canon, dealing with surgery (a relatively new area for medicine,
traditionally hostile to the knife). He also wrote a general handbook, based on
book one of Avicenna, the Dilucidato- rium totius pratice medicinalis scientie
[Clarification of the Whole Prac- tice of Medical Knowledge]. According to
Giovanni Villani, Dino was very touchy about his academic standing, and took a
mortal dislike to Cecco d’Ascoli, at the time a lecturer on the astronomy of
Sacrobosco and Alca- bitius at Bologna, who publicly accused him of having
plagiarised a dead colleague, Torrigiano de’ Torrigiani’s commentary on Galen.
Indeed, Vil- lani suggests that Dino was instrumental in the passing of the
death sen- tence on the astrologer: “molti dissono che ’l fece per invidia”
(Cronica X.41). Popular opinion had it that Dino’s own puzzling death, very
shortly after the astrologer’s execution, was the result of a posthumous necro-
mantic revenge on Cecco’s part. Cecco wasn’t the only one to have an interest
in Guido Cavalcanti’s canzone “Donna me prega.” Dino del Garbo wrote a detailed
Latin com- mentary on the poem, heavily indebted to Avicenna, Haly Abbas and
Ar- istotle, which was partially imitated and adapted in a vernacular version
unconvincingly attributed to Egidio Romano. Medical and philosophical interest
in Cavalcanti’s canzone would continue into the Renaissance, with Ficino,
amongst others, clearly in debt to it. Dino’s commentary (no later than 1327)
was certainly known to Boccaccio. Indeed, it has been con- vincingly argued by
Antonio Enzo Quaglio (“Prima fortuna della glossa garbiana a ‘Donna me prega’
del Cavalcanti,” in GSLI 141 (1964): 336–68) that the unique surviving
manuscript of the commentum (an insert in Vatican Chigiano L. V. 176, ff.
29r–32v) is a Boccaccian autograph. This particular transcription, one of the
later documents reinserted into the manuscript, dates from approximately 1366,
judging by the evolution of Boccaccio’s handwriting studied by Pier Giorgio
Ricci (Studi sulla vita e le opere del Boccaccio, Milan-Naples: Ricciardi,
1985, p. 295 [and plate XIII]). The entire MS is reproduced phototypically in
colour by Domenico http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 4
Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org de Robertis (Il codice
Chigiano L. V. 176 autografo di Giovanni Boccaccio, Rome-Florence: Alinari,
1974). However, already in the Teseida (1339–41), Boccaccio shows some fa-
miliarity with the commentary. Perhaps he had obtained the glosses from Dino’s
close acquaintance, the poet and jurist Cino da Pistoia, who had known and
corresponded poetically with Cavalcanti, and who had been teaching Roman law in
Naples whilst Boccaccio was a student canonist there. The commentary, entitled
Scriptum super cantilena Guidonis de Cavalcantibus [Writing on the Canzone of
Guido Cavalcanti] has been ed- ited and published as an appendix by Guido
Favati (Guido Cavalcanti, Rime, Milan-Naples: Ricciardi, 1957, pp. 359–78). An
earlier, sectionalised English summary translation and secondary commentary can
be found in Otto Bird, “The Canzone d’Amore of Cavalcanti According to the Com-
mentary of Dino del Garbo” (Mediaeval Studies 2 (1940): 150–203 and 3 (1941):
117–60). In Italian, there is a fine translation and commentary of the glosses
by Enrico Fenzi (La canzone d’amore di Guido Cavalcanti e i suoi antichi
commenti, Genoa: Il Melangolo, 1999, pp. 187–219). In the Teseida, Boccaccio
furnishes substantial ecphrases of the abodes of Mars and Venus, the tutelary
deities of the two rivals for the hand of Emilia, Arcita and Palemone. The
description of the temple of Venus in book VII, octaves 50 ff., prompts an
immensely long authorial gloss, part of which is on the nature of love itself.
In keeping with Boccaccio’s implied fiction that the glosses are by somebody
else, he refers to himself in the third person as the “author” and reserves the
first person for the fictive commentator. The gloss labours on through the
various symbolic, almost personified qualities (à la Roman de la Rose)
propitious to erotic passion till it reaches the figure of Cupid, or desire:
Alcune ne pone quasi confermative dello appetito eccitato per le sopra- dette:
tra le quali pone Cupido, il quale noi volgarmente chiamiamo Amore. Il quale
amore volere mostrare come per le sopradette cose si ge- neri in noi,
quantunque alla presente opera forse si converrebbe di di- chiarare, non è il
mio intendimento di farlo, perciò che troppa sarebbe lunga la storia: chi
disidera di vederlo, legga la canzone di Guido Caval- canti Donna me priega,
etc., e le chiose che sopra vi fece Maestro Dino del Garbo. (Teseida, gloss to
VII.50) What is important here is that, for Boccaccio, the poet’s canzone and
the physician’s glosses were already intimately linked, presumably in a single
document (as would be the case in the much later Chigian MS transcribed by
Boccaccio himself). The Teseida self-commentary then continues, after this
parenthesis, with further enumeration of the “author’s” selection of symbolic
qualities, beginning with an elucidation of Cupid’s darts. But the
http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 5 Heliotropia 2.1 (2004)
http://www.heliotropia.org first sentence of this continuation shows that
Boccaccio was still thinking in terms of technical definitions of love borrowed
from other sources: Dice sommariamente che questo amore è una passione nata
nell’anima per alcuna cosa piaciuta, la quale ferventissimamente fa disiderare
di piacere alla detta cosa piaciuta e di poterla avere. The phrasing about
fervent desire, in this definition, is reminiscent of a remark in Dino’s
commentary: est passio quedam in qua appetitus est cum vehementi desiderio
circa rem quam amat, ut scilicet coniungatur rei amate. (Favati, 371) [it is a
certain passion in which there is appetite along with fervent desire concerning
the thing which it loves, so that it may join with the thing be- loved] But the
presence in Boccaccio’s gloss of the adjective “nata” (even though it could be
construed here as meaning merely “arising”) almost certainly betrays an older
source, namely the opening definition in Andreas Capel- lanus’ De arte honeste
amandi (late 12th cent.): Amor est passio quedam innata procedens ex visione et
immoderata co- gitatione formae alterius sexus, ob quam aliquis super omnia cupit
alte- rius potiri amplexibus et omnia de utriusque voluntate in ipsius amplexu
amoris praecepta compleri. (De amore I.1) [Love is a certain inborn passion
arising from the beholding of and un- controlled thinking about the beauty of
the other sex, on account of which the person desires above all else to enjoy
the embraces of the other person and, by common desire, fulfil all the
commandments of love in this embrace] Andreas uses the term “innata” to
describe erotic passion twice more, in quick succession, clearly wanting his
readers to understand that its endo- genesis is an important part of his theory
of love. “Innata” in the De amore is clearly adjectival in function, as shown
by the following participle “pro- cedens”: but “nata” in the Teseida may be
more in the nature of a past participle. The lexical fragment survives,
however, despite its possible change of status, as a tell-tale sign of
Boccaccio’s prior reading. For Boc- caccio, conflating the two sources was
tempting, because Dino is clearly indebted, for substantial elements of his
treatise, to the chaplain’s opening remarks on love, as the characteristic
initial combination “passio quedam” already demonstrates. Boccaccio was not
reading Cavalcanti and Dino del Garbo as an inno- cent, then, but rather as
somebody who had already come across authori- tative, if somewhat obsolescent
definitions. The problem for the compiler of the Teseida glosses is that the
two definitions do not match. Andreas
http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 6 Heliotropia 2.1 (2004)
http://www.heliotropia.org believed that love was intrinsic (“innata”), the
line which Guinizzelli would famously take in his canzone “Al cor gentil,”
whereas Dino, following Ca- valcanti, declares that this passion was definitely
exterior in origin “cau- sans ipsum principaliter est res extrinseca” (Favati,
p. 360). Boccaccio at the time of his writing of the Amazon epic seems totally
unaware of the in- consistency between these auctoritates. One might doubt that
Boccaccio had anything more than circumstantial knowledge of the existence of
Dino’s commentary. In other words possibly he hadn’t read it. But certain of
the key words (“appetito” and “generare,” markedly Aristotelian terms, though
present in the De amore, are simply not used as technicisms in An- dreas) imply
that he has a good idea of the philosophical slant of Dino’s vocabulary. Unlike
Cino da Pistoia, who is quoted unambiguously in the Filostrato (V.62–65) and
Rime (XVI.8 and 13), textual traces of Cavalcanti in Boc- caccio’s fictional
and creative works are rare and tantalising. The meagre harvest of possible
(and hardly provable) intertextuality has been traced by Letterio Cassata,
passim in hisedition of Cavalcanti (Guido Cavalcanti, Rime, Anzio: De Rubeis,
1993, esp. index, p. 353). Vittore Branca furnishes more detailed examples
(Rime I, IX, XI, XIII, XXIV; Teseida X.55–57 etc.) in Boccaccio medioevale e
nuovi studi sul Decameron (Florence: Sansoni, 1992, pp. 254–57). One could add
to this list, tentatively, perhaps. There is possibly a hint that Boccaccio had
a “cultural memory” of the opening of “Donna me prega” when writing the
Filocolo, for Florio’s love is there de- scribed by an experienced Ascalion as
“sì nobile accidente” (III.5.2). It could be, however, that this particular use
of “accidente” (generically a very common term in the early Boccaccio) derives
from a reading of Dante’s Vita nuova, where the distinction between substance
and accident in love theory, probably as an echo of Cavalcanti, is also made
(VN XXV.1). Another possible reprise of Cavalcanti occurs in the Teseida
sequence which generates the gloss which mentions “Donna me prega” and Dino del
Garbo’s glosses. In octave 53 of the seventh book, Boccaccio describes the
musical and visual environment of Venus’ garden, indicating Palemon’s soul in
prayer as it visits the bower: ripieno il vide quasi in ogni canto di spiritei,
che qua e là volando gieno a lor posta... (VII.53.6–8) Though “spiritus” was a
technical term in medicine, referring to the transmission of vital and animal
forces through the body, the diminutive “spiritelli” is a characteristic
Cavalcantian usage, denoting the hypostatic emanations of fragmented
consciousness characteristic of the “anima
http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 7 Heliotropia 2.1 (2004)
http://www.heliotropia.org sbigottita.” Guido even parodied this verbal tic in
a sonnet, “Pegli occhi fere un spirito sottile.” More persuasive again, in
terms of intertextuality with Cavalcanti, is one of Boccaccio’s early Rime
(XXI): Biasiman molti spiacevoli Amore e dicon lui accidente noioso, pien di
spavento, cupido e ritroso, [...] Though Vittore Branca does not expressly say
so in his commented edition of the Rime in volume V of Tutte le opere (Milan:
Mondadori), this sonnet seems to parodically contrast a pessimistically
Cavalcantian view of love in the first quatrain with a more Guinizellian,
positive stance in the remain- der. All in all, though, compared with the
massive early presence of Dante, and later of Petrarch, the verse of Cavalcanti
seems to have had little prac- tical impact on Boccaccio. He seems to have been
much more interested (as the layout of the glosses and the title of the
autograph Chigiano LV 176 transcription shows) in “Donna me prega” as a vehicle
for Dino del Garbo’s commentary, rather than as a composition in its own right.
The Dino del Garbo commentary became more useful to Boccaccio when he came to
write the Genealogie (ca. 1360 in its first version) and the Esposizioni
(1373). By this time, his appreciation of the question of sub- stance and
accident, and of intrinsic and extrinsic causality, had markedly improved,
though his interest is still anything but scientific. The Genealo- gie passage
occurs in the biography of Cupid, begotten from the illicit cou- pling of Mars
and Venus, in IX.4. Cupid had been the figure, as we have seen, who had given
rise to the mention of Dino del Garbo’s glosses on “Donna me prega” in the
Teseida. This time, though used much more ex- tensively, the Garbian source is
not explicitly acknowledged. Est igitur hic, quem Cupidinem dicimus, mentis
quedam passio ab exte- rioribus illata, et per sensus corporeos introducta et
intrinsecarum vir- tutum approbata, prestantibus ad hoc supercelestibus
corporibus aptitu- dinem. Volunt namque astrologi, ut meus asserebat
venerabilis Andalo, quod, quando contingat Martem in nativitate alicuius in
domo Veneris, in Tauro scilicet vel in Libra reperiri, et significationem
nativitatis esse, pretendere hunc, qui tunc nascitur, futurum luxuriosum, fornicatorem,
et venereorum omnium abusivum, et scelestum circa talia hominem. Et ob id a
phylosopho quodam, cui nomen fuit Aly, in Commento quadri- partito, dictum est
quod, quandoque in nativitate alicuius Venus una cum Marte participat, habet
nascenti concedere dispositionem phylocap- tionibus, fornicationibus atque
luxuriis aptam. Que quidem aptitudo agit ut, quam cito talis videt mulierem
aliquam, que a sensibus exterioribus commendatur, confestim ad virtutes
sensitivas interiores defertur, quod placuit; et id primo devenit ad fantasiam,
ab hac autem ad cogitativam http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 8
Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org transmictitur, et inde ad
memorativam; ab istis autem sensitivis ad eam virtutis speciem transportatur,
que inter virtutes apprehensivas nobilior est, id est ad intellectum
possibilem. Hic autem receptaculum est specie- rum, ut in libro De anima
testatur Aristoteles. Ibi autem cognita et intel- lecta, si per voluntatem
patientis fit (in qua libertas eiciendi et retinendi est) ut tanquam approbata
retineatur, tunc firmata in memoria hec rei approbate passio (que iam amor seu
cupido dicitur) in appetitu sensitivo ponit sedem, et ibidem, variis agentibus
causis, aliquando adeo grandis et potens efficitur, ut Iovem Olympum
relinquere, et tauri formam su- mere cogat. Aliquando autem minus probata seu
firmata labitur et adni- chilatur; et sic ex Marte et Venere non generatur
passio, sed, secundum quod supra dictum est, homines apti ad passionem
suscipiendam secun- dum corpoream dispositionem producuntur; quibus non
existentibus, passio non generaretur, et sic large sumendo a Marte et Venere
tanquam a remotiori paululum causa Cupido generatur. (Genealogie IX.4.6–9)
Rather than provide a translation into English here, we can go straight to
Esposizioni V litt., 162–67, which is an outstanding example of Boccaccio’s
self-volgarizzamento. The passage occurs in Boccaccio’s literal commen- tary on
the episode of Paolo and Francesca, and is occasioned by Dante’s famous line
“Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende” (Inferno V.100). Whereas in the
Teseida Boccaccio indulges in a long account of Cupid’s iconography and
dismisses (“per ciò che troppa sarebbe lunga la storia”) the aetiology of love
with a curt reference to Cavalcanti and Dino del Garbo, here in the Dante
commentary he inverts the process, omitting the lengthy account of details
Cupid’s portrait (“alle quali voler recitare sarebbe troppo lunga storia”) so
as to concentrate on the explanation of love’s workings. The passage is
prefaced with an apparently perfunctory explanation of Aristotle’s tripartite
distinction of the kinds of love (Ni- comachean Ethics VIII.3), of which more
later. Only the very last periods suffer any change from the content of the
earlier Genealogie text. The cor- responding passage in the Esposizioni, the
volgarizzamento of the Gene- alogie text, reads: Ma, vegnendo a quello che alla
nostra materia apartiene, dico che questo Cupidine, o Amore che noi vogliam
dire, è una passion di mente delle cose esteriori e, per li sensi corporei
portata in essa, è poi aprovata dalle virtù intrinseche, prestando i corpi
superiori attitudine a doverla rice- vere. Per ciò che, secondo che gli
astrologi vogliono, e così affermava il mio venerabile precettore Andalò,
quando avviene che, nella natività d’alcuno, Marte si truovi esser nella casa
di Venere in Tauro o in Libra, e truovisi esser significatore della natività di
quel cotale che allora nasce, ha a dimostrare questo cotale, che allora nasce,
dovere essere in ogni cosa venereo. E di questo dice Alì nel comento del
Quadripartito che, qualunque ora nella natività d’alcuno Venere insieme con
Marte parti- cipa, avere questa cotale participazione a concedere a colui che
nasce una http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 9 Heliotropia 2.1
(2004) http://www.heliotropia.org disposizione atta agl’inamoramenti e alle
fornicazioni. La quale attitu- dine ha ad aoperare che, così tosto come questo
cotal vede alcuna femina, la quale da’ sensi esteriori sia commendata,
incontanente quello, che di questa femina piace, è portato alle virtù sensitive
interiori e questo pri- mieramente diviene alla fantasia e da questa è mandato
alla virtù cogita- tiva e da quella alla memorativa; e poi da queste virtù
sensitive è tra- sportato a quella spezie di virtù, la quale è più nobile intra
le virtù apren- sive, cioè allo ’ntelletto possibile, per ciò che questo è il
recettaculo delle spezie, sì come Aristotile scrive in libro De anima. Quivi,
cioè in questo intelletto possibile, cognosciuto e inteso quello che, come di
sopra è detto, portato v’è se egli avviene che per volontà di colui nel quale è
que- sta passione, con ciò sia cosa che in essa volontà sia libertà di ritenere
dentro questa cotal cosa piaciuta e di mandarla fuori, questa cotal cosa
piaciuta sia ritenuta dentro, allora è fermata nella memoria la passione di
questa cosa piaciuta, la quale noi chiamiamo Amore, o vero Cupido. E pone
questa passione la sedia sua e la sua stanza ferma nell’appetito sen- sitivo e
quivi in varie cose adoperanti divien sì grande e fassi sì potente che egli
fatica gravemente il paziente e a far cose, che laudevoli non sono, spesse
volte il costrigne; e alcuna volta, essendo meno aprovata questa cotal cosa
piaciuta, leggiermente si risolve e torna in niente. E così non è da Marte e da
Venere generata questa passione, come alcuni stimano, ma, secondo che di sopra
è detto, sono alcuni uomini prodotti atti a rice- vere questa passione secondo
le disposizioni del corpo: la quale attitu- dine se non fosse, questa passione
non si genererebbe. The translation diverges only at the end. Out goes the
Ovidian reference to a love-struck Jupiter preparing to ravish Europa
(Metamorphoses II.846– 75), clearly inappropriate for a commentary to a
Christian poem, and in comes a limp and vague reference to shameful behaviour.
Similarly, the very last concessionary formula of the Genealogie passage,
conceding at least the indirect operation of Mars and Venus, is removed in its
entirety, leaving the earlier categorical denial of astral influence intact.
But what of the content? The making of such contentious horoscopes, predicting
a libidinous disposition, could be dangerous. Villani intimates that one of the
reasons for Cecco d’Ascoli’s misfortune at the stake was his disconcertingly
accurate prognosis for his patron, the duke of Calabria, that his daughter
Giovanna, the grand-daughter of Robert the Wise and future queen of Naples,
would be subject to scandalous erotic excesses on account of her birth under
the sign of Mars in the house of Venus. Though at first sight, Boccaccio is
implying that his source in both pas- sages is the Genoese astronomer Andalò
del Negro (almost certainly dressed up as Calmeta in Filocolo V.8) and that he
is quoting from Ptol- emy’s commentator Haly Abbas and from Aristotle’s De
anima, a large section of this treatment, including the reference to these
auctoritates, is in fact lifted from various, almost contiguous places in
Dino’s glosses. The http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 10 Heliotropia
2.1 (2004) http://www.heliotropia.org opening sentence is an extremely
reductive paraphrase of a section of Dino’s commentary where the physician
indicates the role of the stars in creating the dispositions of the soul. Dino
writes: Alia res concurrit ad causandum aliquam passionem, que est res ex-
trinseca que suam ymaginem vel speciem causat in virtute sensitiva, ad quam
cognitionem vel apprehensionem consequitur appetitus talis vel talis, in quo
appetitu iste passiones fundantur. Ideo auctor, ut complete ostenderet que est
res generans istam passionem, primo ostendit que est dispositio naturalis
corporis que reddit hominem aptum ut faciliter istam passionem incurrat;
secundo ostendit que est res extrinseca ex cuius ap- prehensione consequitur in
appetitu passio amoris. Secunda ibi: “Vien da veduta forma”; vel posset
incipere ibi: “D’alma costume.” In prima parte quod dispositio naturalis, per
quam aliquis inclinatur ad incurrendum faciliter in aliquam passionem, ex
principiis proprie nati- vitatis hominis contraitur et, inter ista principia
nativitatis alicuius, pre- cipua et principalia sunt corpora celestia: nam, ut
dicit Philosophus in Phisicis, homo hominem generat et sol; et in De
Generatione Animalium dicit quod in spiritu genitivo est natura existens
proportionalis ordina- tioni astrorum. (Favati 363) [Something else is involved
in causing any passion, and that is an exte- rior thing causing its image or
“species” in the sensitive faculty, upon the cognition or apprehension of which
there follows an appetite for this or that, in which appetite these passions
are established. So the author, in order completely to show what is the thing
which generates this passion, first demonstrates what is the natural
disposition of the body which makes man suitable for incurring this passion
easily; secondly he demon- strates what is the external thing from whose
apprehension the passion of love follows in the appetite. The second starts
“Vien da veduta forma”; or can start at “D’alma costume.” In the first part he
shows that the natural disposition, by which some- body is inclined to incur
some passion, is contracted from the principles of a person’s own birth, and,
amongst these principles of a person’s birth, the foremost and most important
are the heavenly bodies: for, as Aris- totle says in the Physics, man and the
sun generate man; and in The Ge- neration of Animals, in the generative spirit
a nature exists proportion- ally to the ordering of the stars] Boccaccio’s
reference to his astrological mentor, Andalò del Negro, is an opportunistic
amplification of a far less specific passage in Dino. The Garbian passage,
commenting on line 18 of the canzone, reads: Hoc autem ostendit in verbo illo
quod premisit cum dixit “La quale da Marte viene et fa dimora”: nam ista passio
dicitur procedere a Marte isto modo, quoniam astrologi ponunt quod, quando in
nativitate alicuius Mars fuerit in domo Veneris, ut in Tauro vel in Libra, et
fuerit significator nativitatis eius, significabit natum fore luxuriosum,
fornicatorem et om- nibus venereis abusivis scieleratum; unde quidam sapiens
qui dicitur Aly, http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 11
Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org in “Comento Quadripartiti,”
dicit quod, quando in nativitate alicuius Venus participat cum Marte, dat
inamoramentum, fornicationem, luxu- riam et talia similia, que omnia pertinent
ad passionem amoris de quo loquitur auctor in hac cantilena. (Favati 363) [He
shows this, however, in that word he placed before when he said “La quale da
Marte viene et fa dimora”: for this passion is said to proceed from Mars in
this way. Astrologers claim that, whenever, at the birth of somebody, Mars is
in the house of Venus, as in Taurus or in Libra, and there is a person to do
the child’s horoscope, he will signify that the child will be lustful, a
fornicator, and wicked in all venereal excesses. Whence a certain sage called
Haly in his commentary to the Quadripartitum says that, when at the birth of
somebody Venus participates with Mars, it grants enamourment, fornication, lust
and such like, which all are con- cerned with the passion of love which the
author talks about in this can- zone.] Boccaccio’s reference to Andalò is
rather disingenuous, if the evidence of the Calmeta episode of the Filocolo is
to be believed. For there the empha- sis in that passage is almost entirely
astronomical, with no hint of judicial astrology, and the authorities consulted
are almost certainly limited to Ptolemy’s Almagest, Andalò’s own
Introductorium, rather than the simi- larly titled work by Alcabitius, and to
the Alfonsine Tables. Of Haly’s commentary to the Ptolemaic Quadripartitum
there is not a trace. Boccac- cio’s early astrological culture, under the sway
of Andalò, has been exam- ined in an important study by Antonio Enzo Quaglio
(Scienza e mito nel Boccaccio, Padua: Liviana, 1967) and its narrative
consequences (possibly more tending towards judicial astrology) in the Filocolo
have been investi- gated by both Janet Levarie Smarr and Stephen Grossvogel.
The adventi- tious references to Haly in the love definition in the Genealogie
and Espo- sizioni are a sure sign that the late Boccaccio, whilst acknowledging
his youthful enthusiasms, was now passively accepting and reproducing Dino’s
quotes and mentions, rather than referring to material he knew and remembered
intimately and at first hand. What then follows in Boccaccio’s account, namely
the sequence of inter- iorisation, comes from Dino’s gloss to line 21. Dino’s
ordering of the inner processes is, according to Otto Bird, untypical, yet
Boccaccio accepts it without demur: Hic autem est ordo in apprehensione humana,
sicut declaratum est in scientia naturali: quod primo species rei pervenit ad
sensus exteriores, ut ad visum vel auditum vel tactum vel gustum vel olphatum,
deinde ab illis pervenit ad virtutes sensitivas interiores, sicut pervenit ad
fantasiam primo, deinde pervenit ad cogitativam et ultimo ad memorialem. Ab
istis autem virtutibus procedit postea ista species ad virtutem nobiliorem, que
http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 12 Heliotropia 2.1 (2004)
http://www.heliotropia.org virtus in homine est altissima inter virtutes
adprensivas, et ista est virtus possibilis. (Favati 364–65) [For this is the
sequence in human apprehension, just as it is declared in natural science.
First of all the “species” of the thing reaches the exterior senses, for
instance sight or hearing, touch, taste or smell, thence from these it reaches
to the inner sensitive faculties, so it comes to fantasy first, then comes to the
cogitative and lastly to the memorative faculty. From these faculties this
“species” reaches to the nobler faculty, which in mankind is the highest
amongst the apprehensive faculties, and this is the possible faculty] Dino then
provides a brief explanation of the difference between the intel- lectus agens
[active intellect], the reasoning function of individuation and universals, and
the passive or possible intellect, merely concerned with the processing of
species resulting from sensibles. The discussion is not otiose, for Dino is
aware of Cavalcanti’s dramatic positioning of love right at the crucial
borderline between rational and sensitive activity. Boccaccio is not at all
interested in such technicalities, and moves on to a matter of much greater concern,
namely the question of the relationship between love and will. The relevant
passage from Dino glosses Guido’s assertion that love is “di cor volontate,”
but Boccaccio characteristically leaves out Dino’s pro- fessionally inspired
mention of the difference of opinion between Aristotle and Galen concerning the
seat of the sensitive faculties, in the heart or in the head. Dino writes: Et
nota quod istum appetitum vocavit voluntatem, que videtur intellectui attinere,
ut ostenderet quod, licet amor fiat in aliquo ex dispositione na- turali per
quam quis inclinatur ad incurrendum faciliter hanc passionem, tamen fit etiam
ex proposito et per electionem, quod pertinet ad volun- tatem, que est libera
et liberi arbitrii, cum se habeat indifferenter ad op- posita; et est simile
hic, sicut etiam est in aliis passionibus ut, verbi gra- tia, de ira. Nam
aliquis, licet sit dispositus ex natura ad faciliter incurren- dum in iram,
tamen per voluntatem potest se retrahere ab ea, et potest etiam in eam
incurrere; et simili modo etiam de amore. (Favati 364) [And note that he calls
this appetite the will, because the latter is seen to appertain to the
intellect, in order to show that, although love can happen to somebody through
a natural disposition whereby that person is in- clined easily to incur this
passion, that person does so nevertheless on purpose and by choice, and so that
is a case of will, which is free and by free choice, when it is faced equally
with opposites. And it is the same here, just as it is with the other passions,
like anger, for instance. For somebody, even though he may be disposed by
nature to get angry easily, nevertheless through his will he can draw himself
back from it, and he can even indulge in it; and it is the same with love.]
http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 13 Heliotropia 2.1 (2004)
http://www.heliotropia.org For Dino, the question is one of classification:
given the working of erotic passion specifically in the sensitive appetite, it
follows that engaging in or disengaging from love is necessarily a voluntary
act, and therefore in part subject also to the operations of the rational soul,
where choices are made. Boccaccio’s rewording changes the emphasis
substantially towards moral philosophy: love is no longer an ineluctable force,
and the potential lover, being free to choose, is therefore responsible for his
own actions in this field as in any other. Love, as a phenomenon of the soul,
is consequent on an initial act of the will, by accepting or refusing to be
drawn further into passion. Though Boccaccio’s direct quotations from the
Garbian glosses are all located in a compact area, he may have been encouraged
to under- line this aspect by his reading further on in the commentary, for
Dino re- fers to the will obliquely later on, drawing on Haly’s Pantechne, to
state more clearly than elsewhere the voluntaristic nature of passion: amor est
sollicitudo melanconica, similis melanconie, in qua homo iam sibi inducit
incitationem cogitationis super pulcritudinem quarundam formarum et figurarum
que insunt ei. (Favati 371) [love is a melancholic anxiety, similar to
melancholy, in which a man ac- tually brings upon himself the rousing of
cogitation upon the beauty of certain forms and figures which are within him.]
A fragment of this reading of Dino can be found in the Decameron, when
Boccaccio describes the aegritudo amoris of the pharmacist’s daughter Lisa
(X.7.8), as she struggles with cumulative “malinconia.” What is more important
in the Garbian gloss is the accent on the will. The lover “sibi inducit
incitationem.” And later again, Dino will return to the topic, to explain why
nobles have a greater propensity for erotic pas- sion than those whose
existence is marred by the struggle for economic survival: Secunda causa est
quia, licet in amore, quando est multum impressus, appetitus non sit liber, imo
est servus et ducitur secundum impetum huius passionis, tamen in principio,
quando incipit hec passio in appe- titu, adhuc appetitus est quasi liber, ita
ut possit amare et possit desistere ab amore. Et ideo initium huius passionis
incipit multotiens ex proposito. (Favati 373) [The second cause is because,
though in love for instance the appetite, when it is much pressed, is not free,
indeed it is enslaved and is led by the impetus of this passion, nevertheless
in the beginning, when this passion starts in the appetite, at that point the
appetite is almost free, so that it can love or desist from love. And so the
beginning of this passion fre- quently starts from choice.] http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf
14 Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org Whereas in the
Genealogie the highlighting of the question of free will served no particular
purpose, and was not set within a moralising context, in the Esposizioni the
moral discussion is crucial. Boccaccio has a precise task, for he is explaining
the sin of those who “la ragion sommettono al talento” (Inferno V.39).
Boccaccio’s own prior interpretation of this line is rather odd: Eran dannati i
peccator carnali, Che la ragion sommettono al talento, cioè alla volontà. E
come che questo si possa dire d’ogni peccatore inten- dere, per ciò che alcun
peccatore non è che non sottometta, peccando, la ragione alla volontà, vuol
nondimeno l’autore che per quel vocabolo “carnali” s’intenda singularmente per
i lussuriosi. (Esposizioni V litt. 46) Boccaccio, never very consistent when
adopting others’ philosophical sys- tems or terminology, seems to see no
difference here between “will” and “desire.” He seems to have no real
understanding of the complexities of appetition. Perhaps he was thinking of the
passage in Dante’s Vita Nuova XXXIX, where the poet admits to a struggle
between appetite (“cuore”) and reason (“anima”). Maybe he is using “volontà” to
stand for “voglia,” the term Meo Abbracciavacca uses when he writes “e qual
sommette a voglia operazione” (Gianfranco Contini, Poeti del Duecento,
Milan-Naples: Ricciardi, 1960, vol. I, p. 337). It is no surprise, therefore,
to find that Boc- caccio now moves straight from his paraphrase of Dino del
Garbo on love and will to a discussion of whether Paolo, “atto nato ad amare”
(Espo- sizioni V litt., 168) was obliged to fall in love with Francesca.
Boccaccio freely admits that Paolo was “flessibile,” in other words easily
swayed, be- cause of his complexion. It is the same concept Boccaccio applies
to Dante’s amorous disposition in the Chigi version of the Trattatello:
“inchinevole molto a questo accidente” (again a fairly Garbian formula), but
when it comes to the famous line: “Amor, ch’a nullo amato amar per- dona”
(Inferno V.103), the moralist suddenly swings into action: Questo, salva sempre
la reverenzia dell’autore, non avviene di questa spezie di amore, ma avvien
bene dello amore onesto (Esposizioni V litt. 169) Here Boccaccio is returning to
the Aristotelian distinction between the three varieties of love (Nicomachean
Ethics VIII.3) with which he had prefaced his discussion in the Esposizioni.
There, he had indicated that the sensual love indulged in by Paolo and
Francesca is the morally inferior “amore dilettevole,” where the pleasure
principle is foremost. It is a defi- nition totally missing from the Genealogie
account of Cupid, even though it had been promised much earlier (III.22.8). Now
he claims that Fran- cesca’s declaration of the inevitable reciprocity of love
is misplaced, for http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 15
Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org such reciprocity can only
happen with “amore onesto.” He backs this up with the definition to be found in
Purgatorio XXII.10–12 (where Statius’ love for Virgil causes a corresponding
affection in the older poet). But the lovers of Inferno V are seekers of
pleasure only, not seekers of goodness (the “amore onesto” of Aristotle). But
why did Boccaccio, between the Genealogie and the Esposizioni accounts,
suddenly introduce the Aristotelian distinction? What does it have to do with
Dino’s commentary? Once again, Boccaccio has been searching around in the
glosses, and has found that the next argument Dino engages in is concerned with
is the dual nature of love. One is the common definition: uno modo comuniter et
large, secundum quod est quedam passio per quam inclinatur et movetur appetitus
in aliquam rem que videtur sibi bona propter complacentiam eius, ratione
cuiuscumque actus illius rei: et isto modo non accipitur hic: nam amor est
circa multa, de quo amore non est presens intentio. Et de omnibus amicis ad
invicem est hoc modo amor: quia amici amant se ad invicem, et tamen non amant
se amore de quo est hec presens intentio; et potest etiam esse amore in uno
respectu alterius, et tamen non erit amicitia inter eos: omnis enim qui est
amicus alicui amatur ab illo, sed non omnis qui amat aliquem amatur ab illo; et
ideo, licet omnis amicitia sit cum amore, non tamen omnis amor est cum
amicitia. (Favati 371–72) [one way commonly and widely defined, according to
which it is a certain passion by which the appetite is inclined and moved
towards something which seems good to it on account of its pleasurability, by
reason of whatever agency of that thing: and it is not accepted in this way
here: for love concerns many things, about which love it is not Guido’s present
in- tention to speak. Concerning all mutual friends, love is of this kind: for
friends love each other reciprocally, and yet they do not love each other with
the kind of love which is the topic here; and it can be a question of love in
one regarding the other, and yet there will not be friendship between them: for
everybody who is a friend to somebody is loved by that other person, but not
everybody who loves somebody is loved by that person, and so, even if every
friendship is with love, not every love is with friendship.] In his round-about
way Dino is dealing here with the distinction between love “per concupiscentiam”
[for desire’s sake] and “per amicitiam” [for friendship’s sake]. The first is
properly the subject of Guido’s canzone, whereas the second is Aristotle’s true
friendship, what Boccaccio calls “amore onesto.” Dino’s purpose is to go on to
define the pathology of the illness that derives from amorous excess, the
so-called “ereos,” richly in- vestigated by Massimo Ciavolella (La “Malattia
d’Amore” dall’Antichità al Medioevo, Rome: Bulzoni, 1976) and before that by
John Livingston http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 16 Heliotropia
2.1 (2004) http://www.heliotropia.org Lowes (“The Loveres Maladye of Hereos,”
Modern Philology 11.4 [1914]: 491–546). Boccaccio, uninterested in the minutiae
of such medical matters (though he refers to them in his Valerius Maximus
inspired episode of Giacchetto Lamiens in the novella of the Count of Antwerp
(Decameron II.8.44–48), retains the distinction but uses it for a moral
purpose. Paolo and Francesca were free to retreat from their passions, as
theirs was an “amor dilettevole.” Their obstinate refusal to avail themselves
of the free- dom of choice inherent in the birth of such sensual passion led to
their damnation. This issue of free will clearly exercised Boccaccio, for he
re- turns to it belatedly in the allegorical exposition to the canto. The com-
mentator has been explaining why carnal sinners, guilty of excess in what is
otherwise a natural process, are punished more lightly than the other damned
souls, in a circle further from the pit of hell and nearer to God. He then has
another go at defining the relative roles of astrological disposition and free
use of the rational faculty of choice: L’origine del quale, secondo che di
sopra è mostrato, par che sia nell’attitudine a questa colpa datane da’ cieli;
la quale parrebbe ne do- vesse da questo scusare, se data non ci fosse la
ragione, la quale ne dimo- stra quel che far dobbiamo e quel che fuggire, e,
oltre a ciò, il libero albi- trio, nel quale è podestà di seguire qual più gli
piace. (Esposizioni V all. 78) But this moralistic view of erotic passion,
prompted by a public reading of the Paolo and Francesca episode and shaped,
selectively, by Dino del Garbo’s glosses to Cavalcanti’s canzone, represents a
very late position, beginning with the first redaction of the Genealogie, and
perhaps impli- citly coeval with some of the thinking behind the remedia amoris
of the Corbaccio. Boccaccio’s earlier allusions to the Inferno V episode seem
to show, instead, that the involuntary nature of love, propounded by Fran-
cesca, prevails. In the Filostrato, for instance, after much sighing and
tearful pillow-soaking, Troiolo finally admits to his friend Pandaro the cause
of his melancholy: he has fallen in love. Boccaccio’s writing at this point is
saturated with reminiscences of the Paolo and Francesca passage from Inferno V.
Troiolo is grateful that Pandaro is inclined to hear of his “martiro,” rhymed
with “sospiro” (Dante: “sospiri” and “martiri”) and is responding to Pandaro’s
“priego” since he is incapable of opposing a “nie- go” (Dante: “priega” and
“niega”). Troiolo then indicates how love took over: Amore, incontro al qual
chi si difende più tosto pere ed adopera in vano, d’un piacer vago tanto il cor
m’accende, ch’io n’ho per quel da me fatto lontano http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf
17 Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org ciascheduno altro, e
questo sì m’offende, (Filostrato II.7.1–5) This is a clear echo of Francesca
speaking of how love “al cor gentil ratto s’apprende [...] e ’l modo ancor
m’offende” (Inferno V.100–02). Boccaccio in paraphrasing “Amor, ch’a nullo
amato amar perdona” here, further em- phasises the involuntary nature of such
passion. The same emphasis can be seen in the Filocolo: in the “court of love”
in book four, Clonico has asked the queen for a judgment on whether an
unrequited or a jealous lover should be more pitied. The queen passes sentence,
saying that the unrequited lover will finally get his reward, for true love
induces inevitable reciprocity in the beloved: ché, ben che ella si mostri
verso voi acerba al presente, e’ non può essere ch’ella non vi ami, però che
amore mai non perdonò l’amare a niuno amato. (Filocolo IV.38.11) The same
concept lies behind that other enamourment clearly inspired by Dante’s Paolo
and Francesca, the Ovid-inspired passion of Florio and Biancifiore in Filocolo
II: their love, too, is caused by Cupid’s agency, they too are apparently
coerced by mutual delight. Florio clearly considers that such a situation is
universal, and affects not only mortals but gods: Padre mio, sì come voi
sapete, né il sommo Giove né il risplendente Apollo, da voi ora davanti
ricordato, né alcuno altro iddio ebbe all’amorevole passione resistenza; né
tra’ nostri predecessori fu alcuno tanto di virile forza armato, che da simile
passione non fosse oppresso. (Filocolo II, 15, 1–2) But perhaps the most
memorable examples of such love apologies come in the Decameron. In the novella
of the count of Antwerp, the queen of France lays bare her passion for the
count: Egli è vero che, per la lontananza di mio marito non potendo io agli
sti- moli della carne né alla forza d’amor contrastare, le quali sono di tanta
potenza, che i fortissimi uomini non che le tenere donne hanno già molte volte
vinti e vincono tutto il giorno, essendo io negli agi e negli ozii ne’ quali
voi mi vedete, a secondare li piaceri d’amore e divenire innamorata mi sono
lasciata correre. (Decameron II.8.15) Though the power of love is emphasised, a
subtle change has now taken place. We now get at least a fleeting admission that
an element of volition was involved (“mi sono lasciata correre”). When we come
to look at the famous justification of Ghismonda, caught in flagrante with
Guiscardo by her jealous father (Decameron IV.1.31–45), we see the same refined
con- cession. Her speech begins with a reminiscence of the Paolo and Francesca
episode, audible in the pairing “né a negare né a pregare sono disposta.”
http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 18 Heliotropia 2.1 (2004)
http://www.heliotropia.org Ghismonda, at various points, then outlines the
sheer power and durabil- ity of the passion which has overtaken her: Egli è il
vero che io ho amato e amo Guiscardo, e quanto io viverò, che sarà poco, l’amer
e se appresso la morte s’ama, non mi rimarrò d’amarlo. (Decameron IV.1.32)
Though the wording has been altered, the influence of Francesca’s per- during
love in Inferno V is clear: “ancor non m’abbandona” (105) and “che mai da me
non fia diviso” (135). But then the speech gets down to detail. It is
Ghismonda’s youthful appetite, whetted by previous marriage and now enforced
celibacy, which causes her to cede to her desires: Sono adunque, sí come da te
generata, di carne, e sí poco vivuta, che an- cor son giovane, e per l’una cosa
e per l’altra piena di concupiscibile disi- dero, al quale maravigliosissime
forze hanno date l’aver già, per essere stato maritata, conosciuto qual piacer
sia a così fatto desidero dar com- pimento. Alle quali forze non potendo io
resistere, a seguir quello che elle mi tiravano, sí come giovane e femina, mi
disposi e innamora’mi. (Decameron IV.1.34–35) Yet, here again, we can see that
Boccaccio clearly imagines there to be a moment of decision, an instance of
rational choosing, even if the flesh (and the sensitive faculties) are
predisposed to “incur such passion.” To sum up then, the evidence for Boccaccio
having read Dino del Garbo early on in his career, earlier than the Teseida, is
quite strong. The gloss on “Donna me prega” is not associated, as one might
imagine, with an interest in Cavalcanti’s vernacular verse, but rather with its
availability as a con- venient manual, accessible to a non medical scholar, on
the “maladye of hereos.” For this reason, perhaps, it became associated with
Boccaccio’s constant re-reading of the Paolo and Francesca episode from Inferno
V. What changed over time was the quality of Boccaccio’s reading of Dino,
starting from an opportunistic level, where the distinction between Capel-
lanus and Del Garbo is hardly felt, and ending with an interpretation which
consciously develops the potential in Dino’s understanding of the role of the
will. The moment of transition, however timid, seems to take place in the years
of the Decameron. Grice: “So here is charming Cavalcanti writing a charaming
love lyrics (Donna mi preigha) and Garbo in his worst Aristotelian jargon
destroying it. I dealt with Blake (“love that never told can be”) and the best
thing is to leave poetry to poets (cf. Austin rebuffing Nowell-Smith’s
inability to understand Donne). The physiology of love is beyond philosophy.
But in philosophy, unlike any other discipline, we respect history, and the
longitudinal history of philosophy ensures that every philosopher will be
familiar with the idiocies Plato makes Socrates says in Convitto about Cupido,
Cupidine, Amore, Eros, Erote, Anterote, and Mars, qua symbol of maleness. In
Italy they were concerned about astrology. Since the future queen of Naples had
been born under the House of Mars, she will possibly be a whore!” -- Aldrobrandino Del Garbo. Garbo. Keywords: appetitus,
appetitus sensitivo – spiegatura dell’amore in termine aristotelichi – amare,
sentire, il patico – fornicazione – latino/volgare – Boccaccio – Petrarca –
Alighieri – Cavalcanti --. de militia complexionis diversae, eros, amore,
malattia, Aristotele, passione, ragione, appetite sensitive, amore, sentire –
re-cognosenza da parte dell’amato dell’amore dell’amante – via senso? Marte – self-love,
other-love, amore proprio, amore a se stesso, amore all’altro. Refs.: Luigi
Speranza, “Garbo e Grice: amore, passione, implicatura” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690528577/in/photolist-2mJq2uE-2mLzoFz-2mKHtgX
Grice e Gargani – Eurialo e Niso; ovvero,
dell’empatia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo. Grice: “I like Gargani; many of
his essays are pretty interesting: he’s written on the ‘sense’ of ‘true,’ and
on the ‘endless phrase,’ – la frasse infinita – which according to Griceian
principles, must rely on implicature, since it involves a communicational
impossibility!” -- «È un fatto che gli uomini hanno prodotto assai più cose di
quanto siano propensi ad ammettere; ma ciò che essi hanno eretto nella forma di
costruzioni concettuali elevate e sublimi, come se fossero separate dal caso e
dal disordine, corrisponde ad un uso che essi hanno fatto della propria vita.”
Aldo Giorgio Gargani (Genova), filosofo. Si laurea a Pisa sotto Barone.
Collaborando con Lepschy, allora professore all'University College di Londra, e
conducendo le sue ricerche al Queen's sotto la guida di Geordie McGuinness. È stato il massimo studioso italiano di
Vitters, e ha contribuito alla diffusione della filosofia di D. F. Pears. I
suoi ambiti di studio sono stati prevalentemente la filosofia del linguaggio,
l'estetica, l'epistemologia, e la psicoanalisi. Di particolare interesse è
anche il suo tentativo di una scrittura filosofica narrativa, come in Sguardo e
destino” (Laterza, Roma-Bari); “L'altra storia” (il Saggiatore, Milano); Il
testo del tempo” (Laterza, Roma-Bari). Altre
opere: “Esperienza in Vitters” (Le Monnier, Firenze); “Hobbes” (Einaudi,
Torino); “Vitters” (Laterza, Roma-Bari); “Il sapere senza fondamenti. La
condotta intellettuale come strutturazione dell'esperienza commune” (Einaudi,
Torino ); “Vitters a Cambridge” (Stampatori Editore, Torino); “Kafka” (Guida,
Napoli); “Lo stupore e il caso” (Laterza, Roma-Bari); “La frase infinita” (Laterza, Roma-Bari); “Il
coraggio di essere” (Laterza, Roma-Bari); “Stili di analisi” (Feltrinelli,
Milano); “L'organizzazione condivisa. Comunicazione, invenzione, etica”
(Guerini, Milano); “Il pensiero raccontato” (Laterza, Roma-Bari); “Una donna a
Milano” (Marsilio, Venezia); “Il filtro creative” (Laterza, Roma-Bari); “Dalla
verità al senso della verità” (Plus, Pisa); “Mondi intermedi e complessità”
(Ets, Pisa); “Il gesto” (Cortina, Milano); “La filosofia della cura” (ASMEPA
Edizioni, Bentivoglio); “L'arte di esistere contro i fatti” (Lamantica
Edizioni, Brescia); “Crisi della ragione. Nuovi modelli nel rapporto tra sapere
e attività umane” (Einaudi, Torino). Altri contributi Relazione d'aiuto,
sintonia comunicativa e organizzazione sociale, in Il vaso di Pandora, Dialoghi
in psichiatria e scienze umane, Fondazionalismo e antifondazionalismo, Relativismo
e nuovi paradigmi filosofici, Inquietudine, empatia, identità e narrazione
(Pordenone). Eurialo e Niso coppia di amici, guerrieri troiani nella mitologia
greca e nell'Eneide di Virgilio Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni
Questa voce o sezione sugli argomenti mitologia romana e personaggi immaginari
non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Eurialo e
Niso Nisos Euryalos Louvre LL450 n2.jpg Eurialo e Niso (1827) di Jean-Baptiste
Roman, Louvre SagaCiclo Troiano ed Eneide Nome orig.Euryalus e Nisus
Epitetoinsigne per bellezza (Eurialo), fortissimo in armi (Niso), Irtacide
(patronimico di Niso) 1ª app. inEneide di Virgilio, I secolo a.C. circa
(Eurialo) Sessomaschi Luogo di nascitaTroia (Eurialo), monte Ida (Niso)
Eurialo e Niso (in latino Euryalus e Nisus) sono due personaggi che compaiono
in due episodi dell'Eneidedi Virgilio. Giovani guerrieri profughi di Troia,
costituiscono un grande esempio di amicizia e di valori che Virgilio teneva a
riportare in vita con la sua opera. Il particolare rapporto che li lega è
definito dall'autore "amore", ciò che nel contesto dell'epoca va
inteso come serena manifestazione di continuità tra l'amicizia fraterna e
l'affettuosità omoerotica. Non è l'unico caso nel poema: anche tra gli italici
nemici dei troiani vi è una coppia siffatta, quella costituita dai due giovani
latini Cidone e Clizio. Il mito «… Appresentossi in prima Eurïalo con
Niso. Un giovinetto di singolar bellezza Eurïalo era; e Niso un di lui fido e
casto amico.» (Virgilio, Eneide, traduzione di A. Caro, V, 425-428)
Eurialo Modifica
Eurialo (figlio di Ofelte, un troiano morto durante la guerra di Troia nonché
lontano parente di Priamo) è il più giovane dei due amici, poco più che un
fanciullo, e con la sua grande bellezza riesce sempre a ottenere il favore
degli altri. Partecipa alla gara di corsa a piedi durante i giochi
funebri per Anchise, nel quinto libro dell'Eneide, a fianco dell'amico Niso e
riesce a vincerla grazie all'aiuto del compagno. Nonostante le proteste di
Salio, un altro corridore, che è inciampato a causa di Niso, Eurialo sfrutta le
sue lacrime e il suo bell'aspetto per far sì che gli spettatori parteggino per
lui. Nel nono libro affianca nuovamente Niso nel tentativo di raggiungere
Enea, passando per l'accampamento dei Rutuli addormentati. I due giovani,
approfittando dell'occasione favorevole, compiono un'ingente strage di nemici.
L'inesperienza di Eurialo si dimostra quando il giovinetto ruba
nell'accampamento nemico diversi oggetti di valore, tra cui uno splendido elmo.
Saranno proprio quei trofei a mettere a repentaglio la vita di Eurialo; da una
parte il riflesso dell'elmo attirerà l'attenzione del nemico Volcente sui due
compagni, dall'altra il peso del bottino ostacolerà il giovane in fuga dai
soldati nemici. Eurialo muore trafitto dalla spada dello stesso Volcente in un
bosco vicino all'accampamento rutulo. In quel momento Virgilio richiama
alla mente un altro paragone con il candido corpo esanime di Eurialo, ossia
l'immagine di un fiore purpureo reciso da un aratro o un papavero che abbassa
il capo durante la pioggia. NisoModifica Niso appartiene a una famiglia
illustre: è infatti figlio - al pari di Ippocoonte e dell'omerico Asio - del
nobile troiano Irtaco che aveva sposato Arisbe, la moglie ripudiata da Priamo,
chiamata anche Ida. Egli è, rispetto a Eurialo, più maturo ed esperto, avendo
combattuto insieme ai fratelli nella guerra di Troia. Nel poema è ricordata tra
l'altro la sua passione per la caccia, trasmessagli da entrambi i genitori.
Compare per la prima volta nel quinto libro al fianco di Eurialo nella gara di
corsa, in cui scivola, ma aiuta il compagno a vincere grazie a uno
stratagemma. Successivamente, nel nono libro, Niso si fa avanti per
uscire dall'accampamento dei troiani assediati dai Rutuli e raggiungere Enea,
ma Eurialo vuole seguirlo. Dapprima Niso non acconsente ritenendo il ragazzo
non ancora pronto per affrontare un'impresa tanto rischiosa, ma, data la sua
insistenza, parte con lui. Entrato nel campo nemico, Niso vi uccide parecchi
giovani italici sopraffatti dal sonno, dal vino e dall'inesperienza, imitato
poi da Eurialo. Tenterà invano di salvare l'amico fatto prigioniero dai
cavalieri di Volcente. Il suo affetto per il giovinetto lo spinge a vendicarne
la morte; egli riuscirà nell'intento cadendo però a sua volta. Quinto
libro - La gara di corsaModifica La prima apparizione di Eurialo e Niso risale
al quinto libro dell'Eneide, durante la gara di corsa a piedi svoltasi a Erice
nei giochi in onore di Anchise, il defunto padre di Enea. L'episodio è peraltro
tratto dalla gara avvenuta nell'Iliade fra Odisseo, Aiace d'Oileo e Antiloco,
vinta da Odisseo. Niso si porta in testa, ma scivola inavvertitamente su una
pozza di sangue sacrificale, probabilmente sparso da Eneaprima della
celebrazione dei giochi. A quel punto Salio, un altro partecipante, tenta
di correre per il primo posto, ma Niso, mosso da un profondo affetto per
l'amico, fa uno sgambetto all'avversario che finisce a terra. Di
conseguenza Eurialo sorpassa Salio e vince la gara. Irritato per la
vittoria ingiusta di Eurialo, Salio si lamenta da Enea, ma il pubblico,
commosso dal pianto e dal bell'aspetto di Eurialo, parteggia per il
giovinetto. Enea consegna comunque un premio di consolazione a Salio e a
Niso, rispettivamente una pelle di leone africano e uno scudo forgiato da
Didimaone, e offre al giovane vincitore il premio che gli sarebbe spettato di
diritto, ossia un cavallo con borchie. Nono libro - La sortita notturna e
la morte dei due giovani Modifica
Nella sortita notturna del nono libro, Virgilio s'ispira a quella di Diomede e
Ulisse nel decimo libro dell'Iliade, dove i due achei sorprendono nel sonno il
giovane re trace Reso e dodici suoi guerrieri. L'esercito di Turno sta
cingendo d'assedio la cittadella dei Troiani sbarcati nel Lazio; Enea, alla
ricerca di alleati, si è recato tra gli Etruschi. Niso si propone di uscire per
andare a raggiungere Enea e avvertirlo del pericolo imminente, ma Eurialo vuole
rimanere al suo fianco, pur sapendo di essere ancora molto giovane per un'impresa
così rischiosa e di poter avere ancora una lunga vita davanti a sé. Dopo aver
ricevuto il consenso dei compagni riguardo alla loro proposta, Eurialo e Niso
si preparano a partire per la loro missione. Ascanio, il figlio di Enea,
promette loro grandi premi, tra cui tazze e cucchiai d'argento, cavalli,
armature, donne e schiavi, mentre gli altri troiani li equipaggiano con armi
adatte all'impresa. I due amici penetrano nel campo dei Rutuli
addormentati. Niso mette al corrente Eurialo della sua intenzione di farne
strage e passa immediatamente all'azione, aggredendo un amico intimo di Turno,
il borioso re e augure Ramnete, che stava russando nella sua tenda su un cumulo
di sontuose stuoie, e con la spada lo colpisce alla gola; introdottosi quindi
negli alloggiamenti di Remo, altro importante condottiero italico, sgozza
l'auriga disteso sotto i cavalli per poi staccare la testa al suo signore
coricato nel letto e ancora al bellissimo giovinetto Serrano riverso a terra
nel suo sonno di ubriaco dopo aver dedicato al gioco dei dadi buona parte di
quella che sarebbe stata la sua ultima notte. Questi sono i più noti tra i
numerosi guerrieri che finiscono vittime di Niso. Anche Eurialo non
resiste alla tentazione di uccidere qualche italico; un certo Reto, svegliatosi
improvvisamente, cerca di nascondersi dietro un cratere, ma viene ucciso
proprio da Eurialo. A questo punto Niso esorta il compagno a cessare la strage;
i due troiani escono dal campo nemico. Eurialo porta via con sé alcuni oggetti
di valore, tra cui l'elmo di Messapo (un alleato italico dei Rutuli, che non è
tra le vittime). Proprio per la vanità di Eurialo i due amici vengono
avvistati da un drappello di trecento maturi cavalieri rutuli guidato da
Volcente; accade infatti che i bagliori dell'elmo e il suo vistoso pennacchio
attirino l'attenzione dei nemici, che incominciano allora a inseguire la coppia
di troiani, rifugiatasi nel bosco. Gli uomini di Volcente si sparpagliano
quindi attraverso passaggi sconosciuti a Eurialo e Niso, che cercano una via di
fuga. Improvvisamente Niso si ritrova da solo e, correndo a ritroso per
cercare l'amico, lo vede circondato da soldati italici. A quel punto,
disperato, scaglia le sue armi contro i nemici e riesce a uccidere Sulmone e
Tago, due cavalieri di Volcente, il quale, non capendo chi possa essere
l'autore di quelle uccisioni, si scaglia su Eurialo con la spada, trafiggendolo
mortalmente. (LA) «Talia dicta dabat; sed viribus ensis adactus
transabiit costas et candida pectora rumpit. Volvitur Euryalus leto,
pulchrosque per artus it cruor, inque umeros cervix conlapsa recumbit:
purpureus veluti cum flos succisus aratro languescit moriens lassove papavera
collo demisere caput, pluvia cum forte gravantur.» (IT) «Mentre
così dicea, Volscente il colpo già con gran forza spinto, il bianco petto
del giovine trafisse. E già morendo Eurïalo cadea, di sangue
asperso le belle membra, e rovesciato il collo, qual reciso dal vomero
languisce purpureo fiore, o di rugiada pregno papavero ch'a terra il capo inchina.»
(Traduzione di Annibal Caro) Niso allora grida disperato e si scaglia con tutta
la sua violenza contro Volcente, conficcandogli quindi la spada nella bocca
spalancata e uccidendolo. Il giovane viene però attaccato dagli altri soldati
presenti e, morendo, si getta sull'amico e si dà finalmente pace.
(LA) «At Nisus ruit in medios solumque per omnis Volcentem petit in solo
Volcente moratur. Quem circum glomerati hostes hinc comminus atque hinc
proturbant. Instat non setius ac rotat ensem fulmineum, donec Rutuli clamantis
in ore condidit adverso et moriens animam abstulit hosti. Tum super exanimum
sese proiecit amicum confossus placidaque ibi demum morte quievit.»
(IT) «In mezzo de lo stuol Niso si scaglia solo a Volscente, solo
contra lui pon la sua mira. I cavalier che intorno stavano a sua
difesa, or quinci or quindi lo tenevano a dietro. Ed ei pur sempre
addosso a lui la sua fulminea spada rotava a cerco. E si fe' largo in
tanto ch'al fin lo giunse; e mentre che gridava, cacciogli il ferro
ne la strozza, e spinse. Così non morse, che si vide avanti morto
il nimico. Indi da cento lance trafitto addosso a lui, per cui
moriva, gittossi; e sopra lui contento giacque.» (Traduzione di
Annibal Caro) Conseguenze della morte di Eurialo e NisoModifica Sùbito dopo la
morte di Eurialo e Niso, Virgilio interviene nella narrazione, assicurando ai
due amici un eterno ricordo da eroi tragicamente sconfitti: (LA)
«Fortunati ambo! Siquid mea carmina possunt, nulla dies umquam memori vos
eximet aevo, dum domus Aeneae Capitoli immobile saxum accolet imperiumque pater
Romanus habebit.» (IT) «Fortunati ambidue! Se i versi miei tanto
han di forza, né per morte mai, né per tempo sarà che 'l valor vostro glorïoso
non sia, finché la stirpe d'Enea possederà del Campidoglio l'immobil sasso, e
finché impero e lingua avrà l'invitta e fortunata Roma.» (Traduzione di
Annibal Caro) I corpi esanimi di Eurialo e Niso vengono portati all'interno
dell'accampamento rutulo, e quivi sottoposti a decapitazione. Le teste recise
dei due giovani vengono quindi conficcate su lance e portate davanti al
presidio troiano con grande clamore. In seguito la Fama avverte la madre
di Eurialo della morte del figlio. Ella, sconvolta dalla notizia, corre fuori
di casa strappandosi i capelli e urlando. Ha così inizio un commovente discorso
in cui sembra rimproverare il figlio per non averla nemmeno salutata per
l'ultima volta prima di partire per la sua pericolosa missione, e rimpiange di
non aver potuto guidare le sue esequie e rivedere il suo corpo. La donna
sembra non aver più nemmeno la forza di vivere e implora di essere uccisa dai
Rutuli, trafitta dalle loro frecce. L'ultima memoria a Eurialo e Niso è offerta
dai troiani che li rimpiangono con gemiti e lacrime e riportano in casa la madre
di Eurialo. Vittime di Eurialo e NisoModifica Vittime di EurialoModifica
Le vittime di Eurialo, tutte uccise nel campo dei Rutuli, sono perlopiù
anonime; fanno eccezione: Abari Erbeso Fado Reto (l'unico che non viene
ucciso nel sonno). Colpito di spada al petto, muore vomitando l'anima insieme
al vino e al sangue. Vittime di NisoModifica Cavalieri uccisi in scontro aperto
(3): Sulmone, colpito mortalmente da un dardo al petto Tago, ucciso con
un dardo che gli trapassa le tempie Volcente, il comandante, cui Niso conficca
la spada nella bocca spalancata Guerrieri sorpresi nel sonno (5):
Ramnete, augure e re italico Remo, condottiero rutulo Lamiro e Lamo, guerrieri
rutuli al seguito di Remo Serrano, giovanissimo guerriero rutulo famoso per la
sua bellezza, anch'egli al seguito di Remo In questo elenco vanno aggiunti i
tre servi di Ramnete e l'auriga di Remo: ma il verso 328 «armigerumque Remi
premit aurigamque sub ipsis», da alcuni tradotto «sopprime l'auriga ed armigero
di Remo» è da intendersi per altri come «sopprime lo scudiero di Remo e
l'auriga», quindi il numero complessivo delle vittime di Niso può variare da 12
a 13. In ogni caso Niso è, dopo Enea e Turno, il guerriero che uccide più
nemici nel poema; e tra gli italici che egli sorprende nel sonno sono ben
quattro quelli che subiscono la decapitazione, ovvero Remo, Lamiro, Lamo e
Serrano. Virgilio mette anche un certo Numa tra gli italici uccisi nel
sonno, ma solo nella sequenza che descrive la scoperta della strage. Per molti
studiosi il punto in questione sarebbe uno dei tanti sfuggiti alla revisione
definitiva dell'opera: e poiché Numa viene citato insieme a Serrano, si pensa
che il poeta abbia scritto erroneamente "Numa" in luogo di
"Lamo" o "Remo". Peraltro in un passo del libro X il nome
Numa ritorna, insieme a quelli di Volcente e Sulmone: quest'ultimo viene detto
padre di quattro giovani guerrieri catturati da Enea, che poco dopo appunto
uccide, in mezzo ad altri nemici, un guerriero chiamato Numa, e il figlio di
Volcente, Camerte, biondo signore di Amyclae. Raffronto con
l'IliadeModifica Nel compiere la strage, i due giovani vengono paragonati dal
poeta a un leone vorace che entrato in un ovile affonda i denti sulle inermi
pecore; la similitudine proviene dal modello omerico con la strage dei Traci.
La pagina del massacro compiuto dalla coppia troiana si caratterizza però
soprattutto per la presenza di particolari cruenti, come l'immagine di Reto che
vomita la sua anima intrisa del vino bevuto, e le decapitazioni operate da Niso
(Diomede riserva questo trattamento a Dolone e non ai Traci addormentati); il
giovane eroe tuttavia si astiene dall'incrudelire sulle teste recise delle sue
vittime, divergendo in questo da altre figure epiche (Agamennone e Achille
nell'Iliade; Turno e lo stesso Enea nell'Eneide). L'immagine di Eurialo
morente, col giovinetto che piega il capo come un papavero, è anch'essa mutuata
dall'Iliade, ma richiama un altro passo, quello dell'agonia di Gorgitione, uno
dei figli di Priamo, ucciso in battaglia da Teucro nell'ottavo libro del poema.
Il testo virgiliano contiene anche alcuni tratti di comicità nera (l'augure
Ramnete, amante del fasto, che non riesce a prevedere la propria morte; e
l'uccisione del bizzarro auriga di Remo, sorpreso mentre giace tra i suoi
stessi cavalli). Benché l'episodio della sortita notturna sia modellato
su quella compiuta da Odisseo e Diomede, i troiani presentano tratti che
rimandano più ad Achille e Patroclo per il rapporto che li unisce, ovvero
quello di due guerrieri-amanti. In Niso peraltro si può riscontrare una
personalità molto simile a quella di suo fratello Asio nell'Iliade,
caratterizzata da audacia e irruenza; oltretutto anche Asio soccombe dopo aver
tentato di vendicare un commilitone caduto, Otrioneo, al quale però non è
sentimentalmente legato, così come non risulterebbe avere un coinvolgimento
erotico col proprio auriga, destinato a perire subito dopo di lui. [1].
Interpretazione dell'episodioModifica Affiora in questi versi lo sgomento di
Virgilio di fronte agli orrori della guerra, che miete lutti su lutti. La
guerra non è tra buoni e cattivi: i troiani cercano una nuova patria, gli
italici si sentono minacciati. In nessun altro punto del poema soccombono così
tanti eroi giovani: se si eccettuano Volcente e i suoi due cavalieri, padri di
famiglia, tutti gli altri personaggi dell'episodio vanno incontro a morte
prematura, non ci sono solo Eurialo e Niso, dato che i guerrieri che i due
troiani uccidono nel sonno sono più o meno loro coetanei: in IX, 161-63 si dice
infatti che Turno sceglie per l'assedio 1.400 giovani («bis septem Rutuli muros
qui milite servent / delecti, ast illos centeni quemque sequuntur /purpurei
cristis iuvenes auroque corusci»). Gioventù che va di pari passo con
l'imprudenza: i Rutuli si lasciano sopraffare dal sonno, un elmo sottratto da
Eurialo ai nemici sarà all'origine della sua morte. Ma morire giovani in guerra
significa anche guadagnarsi la fama eterna, e a questo provvede Virgilio che
manifesta lo stesso senso di rispetto per tutti i caduti: guerrieri aristocratici
come Niso, Remo e Ramnete (che pur bollato dal poeta in un primo tempo come
superbus per l'ostentazione del suo doppio potere è uno degli italici che
Virgilio metterà tra le vittime maggiormente rimpiante dall'esercito italico,
essendo indiscutibile la sua amicizia per Turno), e soldati di estrazione non
nobile come Eurialo e Serrano. Fortuna dell'episodioModifica Nell'Orlando
furioso di Ludovico Ariosto i due giovani soldati saraceni Cloridano e Medoro
compiono una sortita notturna nel campo dei cristiani per cercare il cadavere
di Dardinello, il loro signore caduto in battaglia, e vi uccidono diversi
nemici sorpresi nel sonno. Fin qui Ariosto segue Virgilio: diversa è la
conclusione, che vede soccombere il solo Cloridano, mentre Medoro è destinato a
essere salvato dalla bella Angelica; inoltre mancano descrizioni relative al
ritrovamento dei guerrieri uccisi nella strage. Eredità culturaleModifica
A Eurialo e Niso sono stati dedicati due crateri di Dione, uno dei satelliti di
Saturno. Massimo Bubola ha preso ispirazione dall'episodio virgiliano per una
sua canzone scritta in collaborazione con i Gang e da questi incisa in primis,
intitolata Eurialo e Niso, in cui si narra di due giovani partigiani - omonimi
della coppia di personaggi virgiliani - autori di una sortita notturna contro i
nazisti. Anche in questo caso la vicenda si conclude con la morte di entrambi
gli amici. FontiModifica Publio Virgilio Marone, Eneide, libri V e IX.
NoteModifica ^ Asio è invece molto più legato al principe troiano Deifobo, che
subito dopo la sua morte decide di vendicarlo Iliade (Monti)/Libro XIII -
Wikisource, su it.wikisource.org. URL consultato il 23 giugno 2021. Voci
correlateModifica Temi LGBT nella mitologia Irtaco Arisbe Asio (figlio di
Irtaco) Ippocoonte (figlio di Irtaco) Salio Volcente Cloridano Medoro (Orlando
furioso) Ramnete Remo (Eneide) Serrano (Eneide) Lamiro e Lamo Reto Cidone e
Clizio Decapitazione Reso Altri progettiModifica Collabora a Wikimedia Commons
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Portale Letteratura Portale Mitologia Scienza e
filosofia della complessità. Studi in memoria di Aldo Giorgio Gargani A cura di
Angelo Marinucci, Stefano Salvia, Luca Bellotti Collana “I Tempi e le Forme”
(Carocci 2020) INDICE Prefazione. Aldo G. Gargani: la filosofia come analisi
delle possibilità di Alfonso Maurizio Iacono Introduzione di Angelo Marinucci e
Stefano Salvia 1. Determinismo, linearità, prevedibilità. Il problema dei tre
corpi da Newton a Poincaré di Stefano Salvia Genesi e sviluppo di un problema
scientifico/La prima formulazione esplicita del problema/Dalla geometria
analitica all’analisi algebrica/La controversia intorno a 1 r2/Il problema dei
tre corpi ristretto/Il Sistema solare è stabile?/Dall’analisi algebrica alla meccanica
analitica/La meccanica razionale e l’analisi classica/Il teorema di Poincaré:
limite invalicabile o nuovo spazio di possibilità? 2. Il problema della
previsione in un sistema deterministico classico di Andrea Cintio
Introduzione/Il problema dello studio delle evoluzioni temporali/Sistema
dinamico/Il determinismo e il problema delle previsioni delle
evoluzioni/Evoluzioni caotiche/Dalle singole orbite alle famiglie di sistemi/Il
problema della previsione e la dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali
3. Ordine e caos nella scienza moderna di Leone Fronzoni Introduzione/La
riscoperta del caos/Le biforcazioni/Coerenza e autorganizzazione/La
turbolenza/Stati coerenti localizzati: i solitoni/La sincronizzazione/Coerenza
e disordine nella meccanica quantistica/Entropia e
complessità/Network/Conclusioni 4. Su Turing, gli algoritmi, le macchine, la
prevedibilità di Luca Bellotti Alan M. Turing (1912-1954): una brevissima
biografia/Una digressione: Penrose contro Turing/Algoritmi/Macchine di
Turing/Un’osservazione finale: sulla prevedibilità del comportamento delle
macchine di Turing 5. Come il futuro dipende dal passato e dagli eventi rari
nei sistemi viventi di Giuseppe Longo Introduzione/Storia e dipendenza dal
cammino in fisica: qualche confronto/La memoria: un esempio d’invariante
storicizzato/Gli osservabili biologici e le loro dinamiche evolutive/Verso il
futuro: sapere e imprevedibilità/Tracce invarianti di una storia/Spazi
relazionali costruttivi e invarianza/Conoscenza del presente e invenzione del
futuro/Il ruolo della diversità e degli eventi rari/Conclusione 6. Possibilità
e realtà tra fisica e biologia di Angelo Marinucci Introduzione/Fisica
classica/La meccanica quantistica/La biologia/Conclusioni Bibliografia Gli
autori Scienza e filosofia della complessità: Studi in memoria di Aldo Giorgio
Gargani, a cura di: Angelo Marinucci, Stefano Salvia, Luca Bellotti, Carocci,
Roma, 2020 Abstract Il volume raccoglie i contributi, ampiamente elaborati,
presentati al convegno Possibilità al di là della determinazione. Matematica,
fisica e filosofia della complessità, tenutosi all’Università di Pisa in
memoria di Aldo Giorgio Gargani. Dello studioso scomparso nel 2009 sono ben
noti gli interessi filosofici per la questione, nata nella fisica moderna e in
altri saperi, dell’emergere – in sistemi complessi – di possibilità che vanno,
irriducibilmente, al di là della determinazione.Aldo Giorgio Gargani. Gargani. Keywords: Eurialo e Niso; ovvero,
dell’empatia, scambio, organisazzione condivisa – communicazione – implicatura
come condivisa – empatia – d. f. pears --. Mcguinness, Gargani on Grice –
ragione – Treccani -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gargani” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758901736/in/dateposted-public/
Grice e Garin – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Rieti).
Filosofo. Grice: “Garin is a serious student of what we may call the
longitudinal, rather than latitudinal, unity of Italian philosophy! If ever
there is one!” -- Italian philosopher,
author of a very rich, “La cultura filosofica del rinascimento italiano.” And
“L’umanesimo italiano”Grice was Lit. Hum. Oxon, so he knew. Linceo. Studia sotto Limentani. Frequenta il Liceo classico
Galileo. Si laurea sotto Limentani. Vari studi sull'Illuminismo che confluiranno
nel volume sui moralisti inglesi. Subito dopo la laurea sostenne e vinse il
concorso per insegnare nei licei, cosa che continuò a fare fino a quando vinse
la cattedra da ordinario all'università. Tra i commissari del concorso liceale
c'era Guzzo, una figura che costituirà un punto di riferimento per Garin quanto
meno fino ai primi anni del dopoguerra. I suoi riferimenti culturali non erano
costituiti da intellettuali e politici come Gramsci, ma da filosofi di matrice
spiritualista e cattolica come Lavelle,
Senne, Castelli Gattinara di Zubiena, Michele Federico Sciacca e lo
stesso Guzzo. Iscritto al Partito Nazionaledal 1931, pronuncia al Lyceum di
Firenze una commemorazione a Gentile. Una svolta nelle prospettiva politica,
filosofica e storiografica (le tre cose non vanno separate) si ha con l'uscita
dei Quaderni del carcere di Gramsci, che hanno fortemente influenzato la sua filosofia
nel costante riferimento alla concretezza del pensiero, e con la pubblicazione
delle Cronache di filosofia italiana”, fortemente sollecitato da Laterza. Storico
della filosofia molto legato al rigore filologico e al lavoro sui testi,
rifiuta la definizione di filosofo; è tuttavia considerabile tale proprio in
virtù delle sue polemiche anti-speculative e come influente teorico della storiografia
filosofica. Insegna a Firenze. Si ttrasferì a
Pisa a causa dei perduranti disordini della rivolta studentesca iniziata nel
'68, di cui non condivideva le modalità di lotta e che considerava espressione
di astratto rivoluzionarismo. La sua infaticabile avidità di letture
filosofiche lo rese consigliere prezioso. L’Accademia dei Lincei gli ha
conferito il Premio Feltrinelli per la Filosofia. Altre opere: “Giovanni Pico
della Mirandola. Vita e dottrina”; “Gli illuministi inglesi. I Moralisti; “Il
Rinascimento italiano”; “L'Umanesimo italiano”; “Medioevo e Rinascimento”; “Cronache
di filosofia italiana”; “L'educazione in Europa”; “La filosofia come sapere
storico”; “La filosofia nel Rinascimento italiano”; “La cultura italiana tra
Ottocento e Novecento”; “Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano”; “Storia
della filosofia italiana”; “Dal Rinascimento all'Illuminismo” “Filosofi italiani”; “ Rinascite e
rivoluzioni”; “Lo zodiaco della vita”; “Tra due secoli”; “Cartesio”; “L’Ermetismo
del Rinascimento”; “Gli editori italiani tra Ottocento e Novecento”; “La cultura
del Rinascimento”. Ciò non toglie che l'importanza della interpretazione del
Rinascimento che Garin ci dà nei suoi scritti e ci documenta nelle sue
edizioni, pubblicazioni, finissime traduzioni di testi umanistici di ogni tipo
(filosofico, politico, critico, letterario) possa essere, senza iperbole,
confrontata con l'importanza della evocazione del Burckhardt» in Cantimori,
Studi di storia, Torino, Einaudi, la Repubblica, Mecacci L., La Ghirlanda
fiorentina e la morte di Giovanni Gentile, Adelphi, Milano, su lincei. Fondo
Eugenio Garin, Il percorso storiografico di un maestro, Firenze, Le Lettere, Marino
Biondi, Dopo il diluvio. Eugenio Garin, l'ombra di Gentile e i bilanci della
filosofia, in Un secolo fiorentino, Arezzo, Helicon,,Olivia Catanorchi e Valentina
Lepri, Dal Rinascimento all'Illuminismo (Atti del convegno Firenze), Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura,. Michele Ciliberto, Eugenio Garin. Un
intellettuale nel Novecento, RomaBari, Laterza,. Raffaele Liucci, Quelle ombre
sul delitto Gentile in "Treccani Magazine", La Ghirlanda fiorentina e
la morte di Giovanni Gentile, Adelphi, Milano, "Il Gramsci di Eugenio
Garin", in Archetipi del Novecento. Filosofia della prassi e filosofia
della realtà, Napoli, Bibliopolis, Umanesimo e umanesimi. Saggio introduttivo
alla storiografia di Garin, Milano, FrancoAngeli, TreccaniEnciclopedie
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Eugenio Garin, su BeWeb, Conferenza
Episcopale Italiana. Opere di Eugenio Garin EUGENIO GARIN. LA LEZIONE DI
UN MAESTRO * Negli ultimi anni della sua vita, quando con ritrosia
era portato a far¬ ne un sobrio bilancio, Eugenio Garin insisteva a dire
di essere stato so¬ prattutto un insegnante. «Ho sempre insegnato»,
ripeteva. E insegnante lo era stato da giovanissimo, appena ventenne, dei
giovani della scuola di avviamento al lavoro di Fucecchio, delle ‘ragazze
di buona famiglia’ delle Mantellate di Firenze, alle quali faceva lezione
sorvegliato, giovinetto tra giovinette, da una severa suorina, dei suoi
quasi coetanei del Liceo Can- nizzaro di Palermo, ventiduenne nel 1931,
poi di quelli del Liceo scien¬ tifico Leonardo da Vinci di Firenze,
mentre, precoce in tutto, sostituiva uno dei suoi maestri, Francesco De
Sarlo, neH’insegnamento universita¬ rio di Filosofia teoretica nel 1935,
appena ventiseienne. Aveva, insomma, sempre insegnato e, come si dice, in
ogni ordine di scuola dall’università in giù. Non saprei dire di Garin
insegnante di liceo. Vorrei dire solo qual¬ cosa di Garin docente
universitario. Credo che ognuno possa sostenere, e con ragione, di aver
conosciuto e di aver avuto un suo Garin. Non già perché egli avesse la
facoltà di adattarsi a chi per dovere o per diletto lo volesse ascoltare.
Anzi. Ma perché ciascuno era messo in grado di reagire a quell’incontro
con il proprio carattere, con la propria formazione, con * Nel
dicembre del 2004 è scomparso Eugenio Garin. Al maestro fiorentino e alla
sua opera la Biblioteca Roncioniana aveva dedicato un convegno nel 2002
(cfr. Giornata di studi, omaggio a Eugenio Garin, «Bollettino
Roncioniano», II, 2002, pp. 45-47; del convegno sono poi usciti gli atti:
Eugenio Garin. Il percorso storiografico di un maestro del Novecento, a cura di
F. Audisio e A. Savorelli, Firenze, Le Lettere, 2003). Pubblichiamo qui un
ricordo di Garin, che Maurizio Tonini ha letto neha cerimonia svoltasi in
Palazzo vecchio il 12 gennaio febbraio 2005, aha qua¬ le sono intervenuti
il Sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, Massimo Cacciali, Michele Ci¬
liberto, Mario Luzi e Paolo Rossi. Il testo è apparso neha brochure Per Eugenio
Garin, Napoli, Bibliopoli, 2055, edita a cura di Maurizio Tonini e
Francesco Del Franco, che si ringraziano per averne acconsentito la
ristampa in questa sede. 6 Maurizio Tonini
le proprie attese. In altre parole egli non intendeva plasmare
l’ascoltatore, ma solo offrire occasioni, occasioni cui ognuno doveva e
poteva rispon¬ dere a suo modo, liberamente. Non che il suo insegnamento
fosse univo¬ co, uguale dappertutto e per tutti: era un insegnante troppo
navigato per sapere che una cosa era far lezione agli studenti di Lettere
e filosofia assie¬ me, un’altra ai soli filosofi, come ci chiamava,
un’altra cosa ancora ai lau¬ reati e laureandi. Sapeva bene
che era diverso rivolgersi ai colleghi in un convegno di studio, o
parlare in una casa del popolo, oppure rivolgersi a tutti, ai citta¬
dini, come spesso gli è capitato proprio qui nel Palazzo Vecchio della
sua Firenze. Cambiavano i contenuti, mutavano i toni, mai il carattere,
l’alta professionalità, medesima sempre la passione. Eugenio Garin non ha
mai spezzettato il pane della cultura: ovunque, o a chiunque avesse da
parlare o da insegnare, lo sconosciuto studente che si presentava
all’esame, l’ami¬ co e collega, lo studioso straniero, il giovane
laureato, tutti meritavano sempre la stessa attenzione, il medesimo
trattamento. Sì che nella sua pro¬ duzione letteraria le conferenze
lincee e le lezioni al Collège de France stanno insieme agli scritti,
diciamo, d’occasione, senza che il lettore ne colga, se non con l’aiuto
di riferimenti bibliografici, la loro provenienza e la loro
destinazione. Niente gli era più alieno, fisicamente e
metaforicamente, dell’espres¬ sione ‘prendere per mano’. Garin non
prendeva per mano nessuno: apri¬ va un libro, i cui capitoli andava
narrando di volta in volta. Un libro sem¬ pre nuovo. Per chi sapeva
apprezzarlo, quel libro conduceva a altri libri, poi a una collana,
infine a una biblioteca, spesso la sua. Un libro somi¬ gliante a quello di
un autore a lui carissimo, Laurence Sterne, La vita e le opinioni di
Tristram Shandy, fatto di parentesi, di divagazioni apparenti, di vie
traverse che sembrano far perdere di vista il contenuto promesso fino a
farlo dimenticare, ma che in realtà indicano tutto ciò che è necessario
per cominciare, più tardi altrove, la lettura. Come in un libro ciascuno,
per proprio conto, doveva specchiarvisi, trovarvi, se volete, la propria
strada, senza ammiccamenti né scorciatoie. E come con un libro, ciascu¬
no instaurava con lui un rapporto individuale: per quanto paradossale, la
sua lezione non consentiva alcuna lettura corale, alcuna possibilità di
di¬ spense, alcuna versione ufficiale. Considerava la
cultura, lo ha scritto, la «conquista di una più profon¬ da coscienza di
sé». E l’università era cultura. In questo senso il suo non è mai stato
un insegnamento demagogicamente democratico, né si è mai considerato un
missionario, né ha considerato il proprio lavoro una mis¬ sione.
Piuttosto un funzionario, come amò talora definirsi, civettando con il
motivo del trasferimento della sua famiglia a Firenze, che assicurava
Eugenio Garin. La lezione di un maestro 7
8 Maurizio Tonini un viaggio su
un treno sicuro, tecnicamente aggiornato, ben condotto, ma che, al pari
di un capotreno, non era, e non si considerava, poi re¬ sponsabile se i
viaggiatori scendevano alle stazioni intermedie e prende¬ vano altre
direzioni. Non credo si sia mai sentito coinvolto nelle scelte al¬ trui,
né voleva esserlo. Non si prestava, pur avendone le doti, a essere il
pifferaio fascinatore di candide giovinette e di timidi giovinotti. Lo
avrebbe considerato un tradimento, un traviamento del suo compito, che
era appunto, e solo, quello di insegnare la filosofia, di insegnare a
capirne la storia, di fare cultura, ma sempre altro da convincere o da
portare su una strada che non fosse già in qualche modo segnata, e
segnata indivi¬ dualmente, in chi lo ascoltava. Un pescatore
anche, ma un pescatore che gettava reti larghe e pro¬ fonde nelle quali
si aspettava che i pesci entrassero spontaneamente, mai che venissero
catturati. I suoi pesci erano e dovevano essere studenti ma¬ turi — non
venivano infatti da un esame che ne aveva certificato proprio la
maturità? — che egli considerava suoi pari, almeno per quel che riguar¬
da il cartesiano bori sens, la bona mens, la cosa più diffusa e più
equamente distribuita tra gli uomini, sì che la differenza tra lui e noi
riguardava, ga¬ lileianamente, l’estensione del sapere, non la capacità
di comprendere. Il severo, severissimo Garin, che tanto spaventava le
matricole, era un be¬ nevolo confessore dell’ignoranza dei suoi studenti.
E quelli più maturi imparavano subito che la migliore risposta alle
domande che fioccavano in aula era quella di confessarla subito quella
ignoranza, anche quando si era quasi sicuri della risposta (ma chi era
sicuro di fronte a Garin?). Certo, quell’estensione del sapere
costituiva una barriera, una diffe¬ renza di cui era consapevole lui e
consapevoli noi, una barriera quantita¬ tiva, ci faceva credere,
scalabile e riducibile, quasi come una differenza di età, mai come
un’inattingibile diversità, che mai si trasformava in pater¬ nalistica
condiscendenza. Quella barriera si sgretolava nella generosa di¬
sponibilità a fornire indicazioni e libri, al reiterato prestarsi a spiegare
non solo le tematiche del proprio corso, ma a offrirsi di guidare piccoli
gruppi alla lettura dei testi (Hegel, Kant o Husserl) dei corsi di altri
colleghi che ci risultassero particolarmente difficili. Il grande
intellettuale non dimen¬ ticava in nessuna occasione la sua professione:
non solo nel rigido adem¬ pimento dei suoi obblighi di docente, nella
proverbiale puntualità, nella scrupolosa preparazione dei corsi (i
‘bauli’ di libri che partivano anzitem¬ po per la montagna), nella
paziente e tanto prodiga lettura dei capitoli delle tesi di laurea, nella
curiosità con cui ogni anno rinnovava l’incontro con i suoi giovani
interlocutori. Aveva trasformato una precoce vocazio¬ ne in una
professione, in un affetto per il proprio lavoro, prima ancora che per
chi dovesse usufruirne, in una disciplina che scherzosamente at-
Eugenio Garin. La lezione di un maestro 9 tribuiva
alle lontane origini savoiarde, ma che forse è la chiave per coglie¬ re
la sua straordinaria e mai dismessa operosità, la freschezza di ogni suo
intervento. Eugenio Garin non è mai stato altro che un insegnante:
poche, mo¬ deste e occasionali le cariche accademiche, nelle quali emergevano
un’in¬ sofferenza e una scontrosità imprevedibili nel professore,
altrettanto rare quelle istituzionali o editoriali e solo al termine, o
quasi, della sua carriera scolastica, nessuna, ovviamente, carica
politica, in un uomo che aveva, come sapete, una grande e perdurante
passione civile, per la sua scuola, per la sua città, per il suo paese.
Credo che nulla gli sarebbe apparso più estraneo e spiacevole di esser
considerato a capo di qualcosa, fosse un isti¬ tuto, una rivista o una
cordata accademica. Di fatto non c’è mai stata una scuola di Garin, ci
sono stati, e ci sono, tanti che hanno studiato e si sono laureati con
lui, che hanno lavorato con lui, che hanno condiviso aspetti e momenti
del suo lavoro, che si sono incontrati con lui, ma niente di più. Incauti
giovinetti, invidiavamo gli allievi di Dal Pra, che il maestro radunava a
S. Margherita o sul lago di Garda, cui apriva la «Rivista critica di
storia della filosofia», la collana del centro milanese di storia del pensie¬
ro scientifico e filosofico. O quelli di Paci, che si ritrovavano su «aut
aut», che si incontravano nelle edizioni del Saggiatore, ricordavamo e
ricono¬ scevamo quelli di Banfi o quelli emergenti di Geymonat, che
attendeva¬ no a imponenti opere collettive, e tanti altri che andavano
sorgendo vi¬ cino e lontano. Garin non aveva nulla: non ha mai diretto
opere colletti¬ ve, non ha mai organizzato convegni né li ha fatti
organizzare, mai colla¬ ne editoriali. Quando ciò è avvenuto, in tarda
età, con l’Istituto Nazionale del Rinascimento o con il «Giornale critico
della filosofia ita¬ liana», tutto si è potuto e si può dire, fuori che
fossero espressioni di una scuola o di un gruppo che in lui si
riconoscesse o che in lui fosse ricono¬ scibile. Neanche quando alla
Scuola Normale di Pisa gli si è offerta l’op¬ portunità di cogliere
ancora una volta una straordinaria e entusiasta messe di giovani
studiosi, è venuto meno il carattere del suo insegnamento. Lì, come in S.
Marco e poi in Piazza Brunelleschi, non ha mancato di offrire
opportunità, un’occasione irripetibile, anzi, generosamente resa disponi¬
bile, ma sempre e solo per chi aveva modo e voglia di coglierla e di rea¬
lizzarne le potenzialità, ma lasciando a ciascuno la libertà di decidere,
di interpretare quell’incontro, di farne ciò che voleva. Il severo Garin
non rimproverava mai: non gli sarebbe mai venuto in mente di
riprenderci, come capitava al suo amico e collega Cantimori o al più
giovane Ragio¬ nieri, se mancavamo a una seduta di seminario e venivamo
sorpresi in bi¬ blioteca o, peggio, al bar. Ma neppure gli sarebbe venuto
in mente di 10 Maurizio Tonini portarci
nello stesso bar a prendere un aperitivo o un caffè, come capitava spesso
con Cantimori e occasionalmente con Ragionieri. Non voleva essere
né un padre, né un maestro di vita. Non credo neppure che volesse
additarci un modello: era piuttosto una lezione di maturità, di piena e
consapevole democrazia intesa come rigoroso rispet¬ to dei ruoli, quella
a cui ci chiamava, e che per molti era anche la prima. Il suo dovere era
quello di insegnare, del nostro dovevamo rispondere noi. Scendeva dalla
cattedra per aiutarci a leggere un testo, per offrirci un’indicazione,
per mostrarci un passo di un libro, sedeva tra noi a discu¬ tere di
Cartesio o di Platone, e la lezione poteva proseguire nella Biblio¬ teca
di Facoltà, o vicino ai tavoli della Nazionale o tra i libri di Seeber,
ma senza mai abdicare alla sua funzione: non sarebbe mai sceso a
discutere con noi il corso dell’anno seguente, la sua organizzazione, le
sue modali¬ tà. A ciascuno il suo. Non discuteva le nostre scelte di
vita, i propositi di lavoro, le carriere. Li considerava su un altro
piano, nel quale l’insegnante non doveva né poteva intromettersi: li accettava.
Al massimo inarcava le ciglia, come nei lavori che gli sottoponevamo, e
abbiamo continuato a sottoporgli, quando un impercettibile segno di lapis
segnalava i dubbi e gli errori di sintassi. Cittadino di forti passioni
civili, le lasciava tutte, fuorché quella di insegnare, fuori dall’aula.
Era facile sapere come la pen¬ sava, lo leggevamo su «Paese sera», su
«l’Unità», su «Rinascita», lo segui¬ vamo nelle Case del popolo, al
Circolo di cultura, ma non si è mai inne¬ scata, con lui, una forma qualsiasi
di intesa, di complicità, oserei dire, che prescindesse da quella unica e
prevalente di insegnante e studente. Garin ci ha lasciato
centinaia, migliaia di pagine in cui ci ha insegnato come ricostruire
figure di pensatori grandi e piccoli, da Elia Astorini a Cartesio, da
Antonio Cittadini a Giovanni Pico della Mirandola. Ha ri¬ costruito
squarci del nostro passato culturale e civile, da Croce a Gentile, da
Gramsci a Labriola, da Gino Capponi a Pasquale Villari, ci ha dato testi
e momenti del nostro passato filosofico che hanno costituito e costitui¬
scono un’eredità operante, viva e vitale per ognuno che voglia fare una
professione simile alla sua. Non ci ha potuto lasciare, ed è purtroppo
destinato a perdersi, quello che gli pareva più importante: la sua
lezione. Mi accorgo, nel concludere, di aver ricordato una scuola,
un’università che non c’è più. Non saprei dire se l’attuale, nella quale molti
di noi si trovano ora, sia migliore o peggiore di quella. Mi auguro, e lo
auguro so¬ prattutto ai più giovani, di potervi incontrare ancora un
insegnante come Eugenio Garin. L'insidia implicita nel
concetto stesso di genere letterario ha
non di rado contribuito a falsare la
prospettiva necessaria a ben collocare la
produzione in prosa latina del grande
secolo deH'Umanesimo. Eta in cui vennero
predominando preoccupazioni critiche, in cui
tutta I'attivita spirituale era impegnata a
costruire una respublica terrena, degna
pienamente dell'uomo nobile,1 il Quattrocento
trovo la sua espressione piu alta in
opere di contenuto in largo senso
moralistico e di tono retorico, in
cui non solo si consegnava un modo
nuovo di concepire la vita, ma si
difendeva e si giustifi- cava polemicamente
un atteggiamento originale in ogni suo
tratto. Per questo chi voglia andar
cercando le pagine esemplari del-epoca, le
piu profondamente espressive, dovra rivolgersi,
non gia a testi per tradizione considerati
monumenti letterari, ma alle opere in
cui veramente si manifest6 tutto 1'impegno
umano della nuova civilta. Cosi, mentre chi
prenda a scorrere novelle umani- stiche
non potra non uscir deluso da talune,
piu che imitazioni, traduzioni, o meglio
raffazzonamenti, di modelli boccacceschi, quali
troviamo, tanto per esemplificare, in un
Bartolomeo Fazio, pagine di insospettata
bellezza, capaci di colpire ogni piu
raffi- nata sensibilita, ci si fanno
incontro nei trattati e nei dialoghi
di Poggio Bracciolini, e perfino nelle
opere di un filosofo di profes- sione,
dalPandamento talora scolasticizzante, qual &
Marsilio Fi- cino. E proprio il
Ficino della Theologia platonica, presentando
gli uomini travagliati dalla malinconia
della vita e desiderosi che tutto sia
un sogno (wforsitan non sunt vera
quae nunc nobis ap parent, forsitan
in praesentia somniamus»),2 defmisce nei
suoi par- ticolari espressivi un tema
di larghissima risonanza in tutta la
letteratura europea. Sempre il Ficino, nel
Liber de Sole, pur para- frasando
talora Torazione famosa dell'imperatore Giuliano,
fissa i momenti di quella «lalda del
sole)) che, attraverso Leonardo da Vinc,
arriva fino alPinno ispirato di Campanella.
Leonardo ri- manda esplicitamente all'apertura
del terzo libro degli Inni na- turali
del Marullo; ma chi veramente, ancora
una volta, in una prosa di
grandissimo impegno, ci offre tutti i
temi di quella so- i. «L'omo
nato nobile e in citt& libera»-
come diii Alessandro Piccolo- mini. 2.
FICINO, Opera, Basileae, per Henricum
Petri, 1576, vol. i, pp. 315-17
(Theol plat., xiv, 7). lenne
preghiera di ringraziamento alia fonte di
ogni vita e di ogni luce, e proprio
Ficino. Del quale e la non
dimenticabile raffigu- razione di una
tenebra totale, ove e spento ogni
astro, che fascia lungamente i viventi,
finche di colpo il cielo si apre
per mo- strare colui che e sola
forma visibile del Dio verace. E
ficiniana e 1'opposizione del carcere
oscuro e della luce di vita, della
te nebra di morte e dei germi
rinnovellati dalla luce e dal calore
solare, in cui si articolera il metro
barbaro di Campanella. Ma per
rimanere agli scritti di un medesimo
autore, Leon Bat- tista Alberti, non
grande imitatore del Boccaccio, raggiunge
in- vece la sua piena efficacia
quando costruisce i suoi dialoghi, e
sa essere perfettamente originale pur
intessendoli di reminiscenze classiche. Perfino
la tanto celebrata Historia de Eurialo et
Lucre- tia di Enea Silvio perde tutto
il suo colore innanzi alle pagine dei
Commentarii'* e sono piu facili a
dimenticarsi i casi di Lucre- zia che
non le stanze delle antiche regine
divenute nidi di serpi, o le porpore
dei magistrati romani rievocate fra Tedera
che copre le pietre rose dal tempo,
o i topi che corrono la notte
nei sotter- ranei di un convento e
il papa che caccia sdegnato i monaci
ne- gligenti. Per non dire di quella
feroce presentazione dei cardinali, fissati
in ritratti nitidissimi con rapide Imee
mentre per complot- tare trasferiscono
nelle latrine la solennita del conclave.
Poggio consegna a trattati di morale
narrazioni scintillanti di arguzia, spesso
molto piu facete di tutte le sue
Facezie. I mari di Grecia percorsi
sognando di Ulisse, il fasto delle
corti d'Oriente, le belve africane, i
fiumi immensi, «et per Nilum horrifici
illi anguigeni crocodiliw, si alternano a
discussioni erudite sulle iscri- zioni
delle Piramidi nelle lettere agli amici
e nel taccuino di viaggio di quel
bizzarro e geniale archeologo che fu
Ciriaco dej Piz- zicolli d'Ancona. E forse
ii grande Poliziano ha scritto le sue
pa gine piu belle nella prolusione al
corso sugli Analitici primi d' Aristotele e
nella lettera alPAntiquario sulla morte del
Magnifico Lorenzo. Lettere dialoghi e
trattati, orazioni e note autobiografi-
che, sono i monumenti piu alti della
letteratura del Quattro cento, e tanto
piu efficaci quanto meno 1'autore si
chiude nelle i. «La novella era
un genere troppo definite, troppo
condizionato nelle sue linee essenziali da
una tradizione ormai piu che secolare,
perche il Piccolomini potesse eluderne il
colorito e gli schemi» (G. PAPARELLI,
Enea Silvio Piccolomini, Bari, Laterza,
1950, p. 94). forme tradizionali, quanto
piii si impegna nel problema concrete
che lo preoccupa,1 o si accende di
passione politica nel discorso e
nell'invettiva, o si dimentica nella
confessione e nella *lettera. Poliziano,
che della produzione letteraria del suo
tempo fu il critico piu accorto e
consapevole, e che ha dichiarato con
grande precisione i suoi princlpi
dottrinali nella prefazione ai Miscellanea,
nella lettera al Cortese e, soprattutto,
nella grande prolusione a Stazio e
Quintiliano, ha visto molto bene come
alPumanesimo fossero intrinsiche particolari
maniere espressive. Proprio nelle prime
lezioni del suo corso sulle Selve di
Stazio, con la cura mi- nuta che
gli era propria, si sofferma a
dissertare abbastanza a lungo intorno a
due forme letterarie tipiche, Fepistola e
il dia- logo,2 accennando insieme al genere
oratorio, da cui gli altri due si
distaccano pur non senza svelare un'intima
parentela. L'epi- stola — egli dice —
e il colloquio con gli assenti, siano
essi lon- tani da noi nello spazio
oppure nel tempo: e vi sono due
specie di lettere, scherzose le une,
gravi e dottrinali le altre («altera
ociosa, gravis et severa altera))).3 Ma
1'epistola deve essere sempre i. In
una compilazione erudita come i Dies
geniales di Alessandro d'Ales- sandro la
discussione filologica si inserisce con
eleganza fra il « ritratto» e il «ricordo»
senza togliere a questi alcuna grazia,
cosi che la discus sione di un
testo classico si colloca nella descrizione
di un compleanno del Pontano o di
una cena di Ermolao Barbaro, o fa
seguito a una lezione romana del
Filelfo (cfr. BENEDETTO CROCE, Varietd di
storia letteraria e civile, n, Bari,
Laterza, 1949, pp. 26-33). 2. A
proposito del dialogo e dell'epistola come
forme caratteristiche dell'Umanesimo e da
vedere quan to dice WALTER RttEGG,
Cicero und der Humanismus, Formate
Untersuchun- gen iiber Petrarca und
Erasmus, Zurich, Rhein-Verlag, 1946, pp.
25-65, anche se a proposito della sua
tendenza a ricondurre tutto a Cicerone
e da tener presente la nota che
Croce stese appunto sull'opera del Rxiegg
(Mommsen e Cicerone, in Varietd cit.,
pp. 1-12). 3. II com- mento del
Poliziano e nel ms. Magliab. vn, 973
(Bibl. Naz. Firenze). II testo in
questione e a c. 4V-5V («est ergo
proprie epistola, id quod ex Ciceronis
. . . verbis colligimus, scriptionis
genus quo certiores fa- cimus absentes
si quid est quod aut ipsorum aut
nostra interesse arbitremur. Eiusque tamen
et aliae sunt species atque multiplices,
sed duae praecipuae . . . altera
ociosa, gravis et severa altera. Atqui
neque omnis materia epistolis accommodata
est... Brevem autem concisamque esse
oportet simplicis ipsius rei expositionem, eamque
simplicibus verbis. Multas epistolae inesse
convenit festivitates, amoris significationes,
multa proverbia, ut quae communia sunt
atque ipsi multitudini accommodata. Qui
vero sententias venatur quique adhortationibus
utitur nimiis, iam non epistolam, sed
artificium oratorium . . . Epistola
velut pars altera dia- logi. . .
maiore quadam concinnatione epistola indiget
quam dialogus . . . imitatur enim
hie extemporaliter loquentem . .. at epistola
scribitur»). XII INTRODUZIONE breve
e concisa, semplice, con semplici
espressioni, ricca di brio, di
affettuosita, di motti, di proverbi (amulta
proverbia, ut quae communia sunt atque
ipsi multitudini accommodata»). Ne la
lettera deve prendere un tono troppo
sentenzioso e ammonitorio, altri- menti non
si ha piu una lettera ma una
elaborata orazione («iam non epistolam, sed
artificium oratorium))). L'epistola e come
la battuta singola, e die rimane
quasi sospesa, di un dialogo («velut
pars altera dialogi»), anche se deve
essere formalmente piu cu- rata del dialogo,
che per essere schietto deve imitare
ii discorso improwisato, mentre Tepistola e
per sua natura discorso medi- tato e
scritto. In tal modo un carteggio
viene ad essere un dia logo compiuto
e vario; e non va dimenticato come
proprio il cu- rioso epistolario del
Poliziano ci offra un esempio
caratteristico di simili colloqui. Non
a caso, con la sua grande sensibilita
critica, il Poliziano batteva proprio su
queste forme: ad esse infatti si pu6
ricondurre quasi tutta la piu significativa
produzione latina in prosa del Quat trocento,
poiche anche il diario, il taccuino
di viaggio, si confi- gura di
continue come lettera ad un amico.
Cosi, per ricordare ancora V Itinerarium di
Ciriaco d'Ancona, noi vi troviamo ripor-
tati di peso i temi e le
espressioni medesime delle epistole.1 6
stato detto, ma non del tutto
giustamente, che «PUmanesimo fu una
rivoluzione formale»;3 in verita la
profonda novita for- male aderiva
esattamente a una rivoluzione sostanziale
che fa- cendo centro nella ((conversazione
civile)), nella «vita civile)), po-
i. Itinerarium: «ego quidem interea magno
visendi orbis studio, ut ea quae
iamdiu mihi maximae curae fuere antiquarum
rerum monumenta undique terris diffusa
vestigare perficiam . . .»; «Hinc ego
rei nostrae gratia et magno utique et
innato visendi orbis desiderio ...» Epist.
Bo- ruele Grimaldo (ins. Targioni 49,
Bibl. Naz. Firenze): «cum et a
teneris annis summus ille visendi orbis
amor innatus esset ...» Del resto
tutta 1' opera di Ciriaco e una serie
di variazioni di questo appassionato motivo:
summus ille visendi orbis amor, antiquarum
rerum monumenta vestigare, quae in dies longi
temporis labe . . . collabuntur .
. . litteris mandare. La sete di
conoscere il mondo, il bisogno di
vincere spazio e tempo, di riconqui-
stare ogni piu lontano frammento d'umanita
e di sottrarlo alia morte, e insieme
questo senso concrete del passato trovano
in lui una espres- sione singolare.
Nella medesima epistola a Leonardo Bruni
abbiarno in sieme notizia di un'iscrizione
inviata da Atene (ex me nuper
Athenis..,) e della difesa di Cesare
contro il Bracciolini spedita dall'Epiro
(ex Epyro hisce nuper diebus . .
.). 2. Cosl, appunto, il Riiegg, op. cit.y
p. 26 («der Humanismus ist eine
formale, nicht eine dogmatische Revolution»).
INTRODUZIONE XIII neva il colloquio
come forma espressiva esemplare.1 E se
la let- tera deve essere considerata
velut pars altera dialogi, Fattenzione si
polarizza sul dialogo: ed in forma di
dialogo e in genere il trat- tato,
di argomento morale o politico o
filosofico in senso lato, che rispecchia
la vita di una umana respublica e
traduce perfetta- mente questa collaborazione
voita a formare uomini ccnobili e li-
beri», che costituisce 1'essenza stessa
della humanitas rinascimen- tale. La quale
celebrandosi nella societa umana tende a
persua- dere, a far culminare ogni
incontro in una trasformazione degli altri
attraverso una riforma interiore raggiunta
per mezzo della politia litteraria.2-
Limiti e prolungamenti del colloquio ci
appa- iono da un lato la notazione
autobiogranca, dalTaltro il pubblico discorso,
1'orazione, che attraverso la polemica
arriva all'invettiva. I cancellieri fiorentini,
Salutati e Bruni, ci ofFrono esempi
insigni di questo intrinsecarsi di
letteratura e politica, di questa prosa
che deU'efficacia e potenza espressiva si
fa un'arma piu valida delle schiere
combattenti. La lode famosa di Pio II
alia saggezza di Firenze, e ai suoi
dotti cancellieri le cui epistole
spaventavano Gian Galeazzo Visconti piu di
corazzate truppe di cavalleria, non e
che la proclamazione del valore di
una propaganda fatta su un piano
superiore di cultura in una societa
educata ad acco- gliere e a
rispettare la superiorita della cultura.
L'incontro di po litica e cultura a
Firenze e a Venezia ritrova la
valutazione della «retorica» di un
Poliziano e di un Barbaro, e giova
a defimre un'epoca che cercava i suoi
titoli di nobilta al di fuori dei
diritti del sangue. La « virtu», che
non e certamente un bene ereditato, e
sempre intelligenza, humanitas., e cioe
consapevolezza e cultura. Anche quando,
nelle discussioni non infrequenti sulP
argomento, si riconosce il valore della
«milizia», s'intende una sottile dottrina,
ove il valore personale del capo e
intessuto di sapienza. Federigo da
Montefeltro — e poco ci importa se
il ritratto sia fedele — e
profondamente addottrinato, e sa che i
poeti descrivendo le bat- taglie possono
divenire anch'essi maestri delParte della
guerra. Alfonso il Magnanimo reca seco
al campo una piccola biblioteca, e
pensa sempre a poeti e a filosofi,
e sa che la parola bene ado- prata,
ossia veramente espressiva, e piu potente
di ogni esercito. i. C'& appena
bisogno di ricordare che si tratta
dei titoli delle opere di Matteo
Palmieri e del Guazzo. 2. E ancora
il titolo di un'opera signifi- cativa, quella
di A. Decembrio in cui si rispecchia
la scuola del Guarino. II suo motto,
racconta Vespasiano da Bisticci, era che
«un re non letterato, e un asino
coronato ». II che non significa, si
badi, che ser Coluccio fosse un vuoto
retore, o Alfonso un re da ser-
mone, ma che la cultura era, essa,
viva ed efficace e umana, e perfetta
espressione di una societa capace
d'accoglierla. L'uomo che nel linguaggio
celeb ra veramente se stesso («l'uomo si
manifesta uomo essenzialmente nella parola »),*
come si costi- tuisce in pienezza definendosi
attraverso la cultura (le litterae che
formano la humanitas), cosi raggiunge ogni
sua efficacia mondana mediante la parola
persuasiva, mediante la «retorica» intesa
nel suo significato profondo di medicina
dell'anima, signora delle pas- sioni,
educatrice vera dell'uomo, costruttrice e
distruttrice delle citta. Tutto e,
veramente, nel Quattrocento «retorica)), sol
che si ricordi che, d'altra parte,
«retorica» e umanita, ossia spiritua- lita,
consapevolezza, ragione, discorso di uomini;
perche', vera mente, il secolo
delPUmanesimo e il Quattrocento, in cui
tutto fu inteso sub specie humanitatis,
e humanitas fu umano colloquio, ossia
tutto il regno delle Muse figlie di
Mnemosine — che e il piu vero e
il piii bello dei miti. Con
semplicita francescana frate Bernardino da Siena,
che ve- deva in ser Coluccio un
maestro e in Leonardo Bruni un amico,
scriveva cristianamente le medesime cose:
«non aresti tu gran piacere se tu
vedessi o udissi predicare Gesu Cristo,
san Paulo, santo Gregorio, santo Geronimo
o santo Ambruogio? Orsu va, leggi i
loro libri, qual piu ti piace .
. . e parlerai con loro, ed
eglino parleranno teco; udiranno te e
tu udirai loro». E, come dice
altrove, le lettere ti faranno «signore».
II grande Valla par- lera di un
sacramentum\ il modesto Bartolomeo della
Fonte dira di un divinwn mimen: quel
«nume» che da agli uomini anozze e
tribunali ed are».2 Per questo le
litterae sono una cosa terri- bilmente seria,
e la responsabilita di un termine
bene usato & gravissima, e non
v'e posto per Fozio. Per questo la
poesia in senso vichiano e da
cercarsi la dove si traducono e si
consegnano i discorsi essenziali per la
vita delFuomo. i. Cosi FRANCESCO
FLORA, Umanesimo, « Letterature moderne», i,
1950, pp. 20-21. 2. Ecco — secondo
il Fonzio — quello che ottiene la
parola: «fidem inter se homines colere,
matrimonia inire, seque in una moenia
cogere viribus eloquentiae compulit».
INTRODUZIONE XV II Per tal
modo quella «poesia» che talora &
lontana dai versi e dalle novelle, e
presente ed altissima nella pagina di
un filosofo o nell'appassionata invettiva di
un politico. La dolcezza del dire
(dulcedo et sonoritas verborum), la luce
della forma (lux orationis), che si
invoca per ogni espressione di vera
umanita, vuol far «poe- sia» di ogni
umano discorso; e nel momento in cui
riesce a tanto toglie ogni privilegiato
dominio alle dettere oziose». Perfino un
oscuro erudito come Giovanni Cassi d'Arezzo
sa dirci che in tal modo
nell'eloquenza si unificano tutte le umane
attivita, e tutto in essa si umanizza
dawero, e non perche\ come taluno ha
fan- tasticato, si celebri solo il letterato
ozioso, ma al contrario perche 1'uomo
e presente in ogni momento dell'agire:
perche, faccia egli il matematico, il
medico, il soldato o il sacerdote,
sempre e in- nanzitutto e uomo, e
il suo sigillo umano imprime ad ogni
sua opera umanamente esprimendola, ossia
rivestendola della lux ora- tionis.*
Di qui Fimportanza centrale che
vengono ad assumere le trat- tazioni
sulla lingua, sulla sua storia, sulla
eleganza? ove la discus- sione grammaticale
si trasforma di continuo in discorso
finissimo di estetica: e quel trapassare
dal vocabolario, e magari dal reper-
torio ortografico — basti pensare al
Perotto o al Tortelli — nel- Panalisi
critica e nella dissertazione storica.
Mentre, contempo- raneamente, la storia,
che intende farsi vivo specchio della
a vita civile)), e per eccellenza eloquente
discorso, ossia prosa politica e trattato
pedagogico-morale. Bellissima cosa & infatti
— come af- ferma Leonardo Bruni —
raccontare 1'origine prima e il progresso
della propria citta, e conoscere le
imprese dei popoli liberi (est enim
decorum cum propriae gentis originem et
progressus, turn libe- i . « Quasi
unum in corpus convenerunt scientiae omnes,
et rursus tem- poribus nostris . .
. eloquentiae studiis studia sapientiae coniuncta
sunt» (da una lettera del Cassi al
Tortelli, contenuta nel Vat. lat. 3908
e pubbli- cata nel 1904 da G.
F. GAMURRINI, Arezzo e rUmanesimo, Arezzo,
Tip. Cristelli, 1904, p. 87, miscellanea
in onore del Petrarca dell'Accademia
Petrarca). 2. A proposito delle eleganze
del Valla scrivera il Cortesi, De hominibus
doctis, ed. G. C. Galletti, Florentiae,
Giovanni Mazzoni, 1847, p. 229: «
conabatur Valla vim verborum exprimere et
quasi vias ... ad structuram orationis».
XVI INTRODUZIONE rorum populorum...
res gestas cognoscere).1 E Paolo Cortesi,
in quel felice dialogo De hominibus
doctis (1490), che e una vera e
propria storia critica della letteratura
del secolo XV, appunto di- scorrendo
delle storie del Bruni, batte su
questo incontro della verita con
1'eleganza, che e tutt'uno con queH'armonia
di sapienza ed eloquenza che Benedetto
Accolti celebr6 quale dote precipua dei Fiorentini
e del Veneziani del suo tempo nel
dialogo De prae- stantia virorum sui
aevi. Per la stessa ragione per
cui tutto sembrava divenir dialogo, tutto
anche e libro di storia; e storia
e, ancora, colloquio con le eta
antiche, con i grandi spiriti del
passato. II Bruni nell'intro- duzione ai
Commentarii confessa che la grande
letteratura clas- sica fa si che i
tempi lontani ci siano piu vicini e
piu noti dei tempi nostri (mihi
quidem Ciceronis Demosthenisque tempera multo
magis nota videntur quam ilia quae
fuerunt iam annis sexaginta), e dichiara
che e compito della storia immettere
nella nostra vita e nel nostro
colloquio il passato, farlo vivo con
noi (quasi picturam quondam . . .
viventem adhuc spirantemque). Matteo Palmier
i in- nanzi alia vita di Niccol6
Acciaiuoli ci insegna che la storia e
una specie di immortalita terrena di
quanto in noi e, appunto, vita
mondana; la storia & culto e
salvezza di quella parte mortale che
le lettere redimono da morte dilatando
la societk umana oltre i limiti del
tempo e salvandola dalPoblio e dal
destino.2 Ill Si aprono qui,
tuttavia, a proposito della prosa latina,
due que- stioni fra loro strettamente
connesse e che sembrano in qualche
modo, gia nella loro impostazione, venir
contrastando con quei i. Cosi nel
De studiis et litteris (in HANS
BARON, Leonardo Bruni Aretino hu-
manistisch-philosophische Schriften, Leipzig, 1938,
p. 13). Una giusta valuta- zione
delPopera storica del Bruni presenta B.
L. Ullman, Leonardo Bruni and humanistic
historiography, « Medievalia et Humanistica »,
1946, 4, pp. 44-61 (e, per quanto
si e sopra osservato su retorica, politica
e storia, son da vedere i tre
saggi di HANS BARON, Das Erwachen des
historischen Denkens im Humanismus des
Quattrocento, «Hist. Zeitschrift», vol. 147,
1933; di NICOLAI RUBINSTEIN, The Beginnings
of Political Thought in Florence: A
Study in Mediaeval Historiography, « Journal
Warburg Inst. », v, 1942; di DELIO
CANTIMORI, Rhetoric and Politics in Italian
Humanism, «Journ. Warburg Inst.», i, 1937).
2. « Corpoream vero partem non om- nino
negligendam ducunt, sed tamquam suam in
terra recolendam, ideo- que desiderant
illam oblivioni et fato praeripere ...»
INTRODUZIONE XVII caratteri stessi
che si sono voluti definire: come,
infatti, parlare della «umanita» di una
produzione che si serviva di una
lingua che nessuno ormai usava e che,
dunque, gia nel mezzo espres- sivo poneva
come suo canone Timitazione; in che
modo una let- teratura mimetica, ricalcata
su modelli (cciceroniani», poteva ol-
trepassare i limiti della erudizione ?
Ma i due gravi problemi, del latino
umanistico e della imitazione classic, gia
tanto dibattuti, hanno oramai offerto anche
1'avvio a una soluzione. Quanto
infatti si obbietta intorno alPuso del
latino, in luogo del volgare, e ad
una presunta frattura che si opererebbe
rispetto alia tradizione trecentesca, deve
essere corretto con Posservazione che i
generi di prosa a cui ci riferiamo
— orazioni, trattati, epi- stole politiche,
dialoghi dottrinali — avevano sempre fatto
uso del latino. Non e quindi esatto
dire che da un presunto uso del
vol gare si torna al latino; e
vero invece che al latino medievale
defi nite barbarico, e cioe goto o
parigino, si oppone un altro latino
che si determina e si definisce
rispetto ai modelli classici. II quale
latino, che si dichiara — come dice
esplicitamente il Platina1 — integrate da
tutta la piu feconda tradizione
postciceroniana, ivi compresi i Padri della
Chiesa, intende rivendicare i diritti di
una lingua nazionale romana contro
Puniversalita di un gergo scola- stico
(lo stile parigino), ed innanzi tutto
nel campo di una pro- duzione
costantemente espressa in latino. Giustamente
il De San- ctis sottolineava la frase
del Valla che proclama lingua nostra
il latino vero, che si contrappone al
latino gotico delFuso medie vale. La
quale « nostra lingua romana» degli
umanisti, che si pre- cisa con
caratteri propri cosi rispetto al latino
classico come a quello barbaro, va
vista per quello che essa veramente
e, anche rispetto al volgare: «un
nuovo latino, in cui la complessita
antica cede il posto alia scioltezza
moderna)). II latino degli umanisti, lingua
veramente viva che aderisce in pieno
a una cultura afTer- matasi attraverso
una consapevolezza critica che si collocava
chia- ramente nel tempo defmendo i
propri rapporti cosl col mondo antico
come con il Medioevo; il latino
deigrandi umanisti, lungi dal rappresentare
una battuta d'arresto o un momento di
invo- i. Cosi nella prefazione alle
Vite, che riportiamo per intero. Rilievi
utili in proposito ha il Sabbadini
sia nella Storia del ciceronianismo
(Torino, Loescher, 1886), come nel Metodo
degli umanisti (Firenze, Le Monnier, 1920).
XVIII INTRODUZIONE luzione, si
colloca nella storia stessa del volgare.
«I1 latino inse- gnava al volgare
1'eleganza la misura la forza e
1'eloquenza, e il volgare imprimeva negli
scritti latini degli umanisti le leggi
del suo andamento piano, della sua
sintassi sciolta, dei suoi trapassi
intuitivi, della sua eloquenza interiore.
»* Fra il latino, in cui si
rispecchia pienamente tutto un atteggiamento
culturale, e il vol gare v'e una
collaborazione che del resto si traduce
quasi mate- rialmente nel fatto che
gli autori spesso scrivono 1'opera loro
in latino e in italiano. Non sempre
si e posto mente al fatto che
dal Manetti al Ficino gli stessi
trattatisti, siano pur filosofi, stendono
anche in volgare le loro meditazioni.2
E come il loro latino e davvero
una lingua low., cosi il volgare che
adoperano non e per nulla oppresso da
una imitazione artificiosa di modelli
classici. Giungiamo cosi a quello che
forse e il punto piu delicato ad
intendersi dell' atteggiamento di questi quattrocentisti:
Vimita- zione degli antichi. Che la
posizione assunta dagli umanisti ri- spetto
agli autori classici sia alimentata da
una preoccupazione storica e critica; che
essi siano dei filologi desiderosi innanzi
tutto di comprendere gli autori del
passato nelle loro reali dimension! e
nella loro situazione concreta: e cosa
ormai in complesso pa- cifica. Ora
gia questo defmisce il senso di
quella imitazione^ che indica un
atteggiamento molto caratteristico. L'Accolti
dichiarera nettamente la parita di valore
fra i nuovi autori e i classici.
Poli- ziano nella polemica col Cortesi,
che e un testo capitale, confu- tera
tutte le istanze del ciceronianismo, e
proclamera il valore di un'intera
tradizione aff errata nel suo sviluppo, riven
dicando il senso di tutto il periodo
piu tardo della letteratura romana («
neque autem statim detenus dixerimus quod
diversion sit»). Ma dira so- prattutto
1'enorme distanza fra una poesia che
fiorisce come li- bera creazione su
una cultura meditata e fatta proprio
sangue, e I'imitazione pedestre — ilia
poetas facit, haec simias.3 1.
RAFFAELE SPONGANO, Un capitolo di storia
della nostra prosa d'arte (La prosa
letteraria del Quattrocento), Firenze, Sansoni, 1941,
p. 3, p. 10 ecc. 2. E
cosi sono spesso notevoli le version!
di scrittori celebri come lati- nisti:
TAurispa che traduce Buonaccorso da
Montemagno, Donate Ac- ciaiuoli che
volgarizza il Bruni, e cosi via.
3. 6 interessante ritrovare, distesi
e volgarizzati, i concetti di un
Valla e di un Poliziano negli scrit
tori francesi del '500. Per esempio
Joachim du Bellay, scrivendo a meta
del sec. XVI, dopo aver tratto dal
Valla il concetto che Roma fu grande
per la lingua ^imposta all'Europa non
meno che per 1'impero (« la gloire du
peuple Romain n'est moindre - comme a
dit quelqu'un - en Tamplifacation
INTRODUZIONE XIX L'Umanesimo fu in
questa singolare « imitazione-creazione », come
1'ha chiamata il Russo:1 umanita fatta
consapevole attra- verso il rapporto
stabilito con gli altri uomini nell'operoso
sforzo di raggiungere una sempre pifc
alta forma di vita. Di qui, appunto,
il particolare carattere delle sue piii
felici espressioni letterarie. EUGENIO
GARIN de son langaige que de
ses limites»)> eccolo riprendere Poliziano:
«im- mitant les meilleurs aucteurs . . .,
se transformant en eux, les devorant,
et apres les avoir bien digerez, les
convertissant en sang et nouriture ».
Solo cosl 1'imitazione e giovevole allo
scrittore ; « autrement son immitation res-
sembleroit celle du singe ». Cfr. BERNARD
WEINBERG, Critical prefaces of the French
Renaissance, Northwestern University Press,
Evanston, Illinois, 1950, pp. 17 sgg.
i. LUIGI Russo, Problemi di metodo
critico, Bari, Laterza, I95Q2, PP. 126
sgg. . GARIN, Eugenio Antonio Nacque a Rieti il 9 maggio
1909, figlio di Francesco e di Teresa Barbagli. LA FORMAZIONE Il
nonno, intendente di Finanza, si era trasferito dalla Savoia in Toscana con
l’Unità d’Italia; la madre era originaria di San Giustino nel Valdarno; il padre
– allievo di Girolamo Vitelli, in rapporti amichevoli con Giorgio Pasquali, che
scrisse il suo necrologio su Atene e Roma – era un giovane e valente filologo,
con particolare interesse per la storia del romanzo greco, per Teocrito e per i
commenti a Teocrito. La guerra e la fine prematura e quasi improvvisa – morì il
26 luglio 1920, a poco meno di quarant’anni – ne stroncarono la carriera e
costrinsero il figlio ad assumersi, precocemente, pesanti responsabilità.
Garin ebbe, anche per questo, un'infanzia e un'adolescenza assai difficili e
tormentate, che ebbero un peso nel rafforzare i toni disincantati e pessimisti
del carattere, controllati, in genere, dall'ironia e anche dal sarcasmo, pronti
però a esplodere nei momenti di particolare amarezza o di maggior
contrasto con i tempi in cui gli toccò di vivere e di lavorare. Fin
da quegli anni – duri e mai dimenticati – comprese però quale era la sua
vocazione e individuò nei libri, e in uno studio assiduo e «disperatissimo», la
bussola con cui avrebbe costruito, con tenacia, la propria vita: bruciando le
tappe, si iscrisse a soli 16 anni, nel 1925, alla facoltà di lettere e
filosofia dell'Università di Firenze e si laureò col massimo dei voti in
filosofia il 25 giugno 1929 con una tesi su Joseph Butler, preparata sotto la
guida di Ludovico Limentani. A Firenze aveva compiuto anche gli studi
elementari e medi, frequentando il Liceo Galilei, nel quale aveva insegnato il
padre e dove incontrò Maria Soro, nata a Sassari il 20 agosto 1908, che sarebbe
poi diventata sua moglie, con rito civile, il 17 luglio 1930. Garin
era nato a Rieti in seguito al trasferimento in quella città del padre, che
come professore di liceo aveva girato, si può dire, tutta l’Italia; ma si
considerò sempre fiorentino e conservò per tutta la vita un ricordo assai vivo
degli anni liceali e, soprattutto, di quelli trascorsi nella facoltà di lettere
di Firenze. In quel periodo fece incontri decisivi dal punto di vista sia
personale sia scientifico, e non solo in ambito filosofico; stabilì rapporti
con personalità come Pasquali, e conobbe compagni di studi ai quali restò
legato tutta la vita, italiani e non italiani: Jacob Teicher, Nicolai
Rubinstein, Cesare Luporini, il quale, nel 1979, rievocando gli anni della sua
formazione (Qualcosa di me stesso, in Cesare Luporini 1909-1993, a cura di M.
Moneti, numero speciale de Il ponte, LXV [2009], 11), ricordò come il giovane
Garin eccellesse già allora su tutti, e fosse più avanti degli altri coetanei
per maturità e sapere. In quegli stessi anni, Garin conobbe due
maestri che incisero segni profondi nella sua mente e nella sua personalità
intellettuale e scientifica: Francesco De Sarlo e, soprattutto, Limentani, che
lo avviò agli studi sull'Illuminismo inglese pubblicati nei primi anni Trenta,
confluiti poi nel volume L'Illuminismo inglese. I moralisti (Milano
1942). L'INSEGNAMENTO NEI LICEI E I PRIMI
SCRITTI Dopo aver insegnato nel Regio Convitto delle Mantellate negli
anni 1929-30 e 1930-31, Garin, ottenuta nel 1930 l’abilitazione in storia e
filosofia riuscendo tredicesimo nella graduatoria generale, fece nel 1931 il
concorso per l'insegnamento di filosofia e storia nei licei per «sedi
determinate», e lo vinse, dopo essere stato esaminato da una commissione
presieduta da Augusto Guzzo. Prese servizio il 16 settembre dello stesso anno
come professore straordinario di filosofia e storia presso il Liceo scientifico
Stanislao Cannizzaro di Palermo, dove rimase fino al 15 settembre 1934, quando
– dopo molti tentativi giustificati da motivi sia familiari sia scientifici –
fu trasferito a Firenze per insegnare, come professore ordinario, filosofia e
storia al Liceo scientifico Leonardo da Vinci. Gli anni palermitani
furono assai importanti e fecondi per Garin: per gli incontri umani e intellettuali
che fece e per le ricerche che condusse, preparando l'importante volume
Giovanni Pico della Mirandola. Vita e dottrina, pubblicato a Firenze nel 1937,
ma già pronto fin dal 1935. Fu a Palermo che scrisse in gran parte il suo primo
libro di argomento umanistico, servendosi delle «eccellenti biblioteche
pubbliche» della città, e frequentando la Biblioteca filosofica a Palazzo
Reale, col «suo singolare fondatore e direttore, il dottor Amato Pojero,
l'amico di Giovanni Gentile e primo editore dell'Atto puro, il bizzarro
'filosofo' noto dappertutto, sempre teso a cogliere una battuta e a fissarla
per scritto» (Una collaborazione lunga una vita, in Belfagor, LIV [1999], 6, p.
732). A spostare Garin dagli studi iniziali sull'Illuminismo inglese
verso le ricerche umanistiche e rinascimentali contribuì una pluralità di
fattori: certo agirono la presenza, e il magistero, di Limentani, che in quegli
stessi anni stava studiando il Bruno 'inglese' sulla scia della importante
monografia su La morale di Giordano Bruno, pubblicata nel 1924. Ma alla
base di quello spostamento ci furono due altri motivi, forse più rilevanti: la
centralità assunta a quella data dall'Umanesimo e dal Rinascimento nella
ricerca filosofica europea intorno a problemi decisivi come la libertà, e la
dignità, dell'uomo; il rapporto tra uomo, mondo, Dio; il carattere e il
significato dell'esperienza umana. È stato, peraltro, Garin, in un testo degli
anni Settanta (lettera a Saveria Chemotti del 16 febbraio 1978, la cui minuta è
conservata presso il Fondo Garin della Scuola Normale Superiore di Pisa), a
segnalare la complessità delle questioni che, negli anni Trenta, si
concentravano nella discussione sul Rinascimento: domande di ordine sia
filosofico sia religioso, ma tutte convergenti in una generale interrogazione
sul significato dell'uomo e del suo destino, in un momento tragico della storia
del mondo. È in questo contesto che si inseriscono sia il libro su Pico
sia il saggio su La "dignitas hominis" e la letteratura patristica (in
La Rinascita I [1938], 4, pp. 100-146) in cui questo intreccio di motivi
si presenta in modo esemplare, con un netto primato della problematica di tipo
religioso – anzi esplicitamente cristiano – e, simmetricamente, con un
consapevole distacco dalle impostazioni di tipo idealistico, comprese quelle
risalenti a Gentile. Come testimoniano anche i molteplici richiami
alla interpretazione di Konrad Burdach – messa in circolazione in Italia, nel
1935, anche da Delio Cantimori –, a quella data Garin era su un'onda assai diversa
rispetto a Gentile che, pure, fin dal primo momento apprezzò molto i suoi
lavori su Giovanni Pico, invitandolo a collaborare al Giornale critico della
filosofia italiana, sul quale aveva cominciato a pubblicare fin dal 1932 con un
saggio su L’etica di Giuseppe Butler (XXXIII, pp. 281-303). Non si
trattava solo di una distanza di ordine storiografico, evidente, per esempio,
nella importanza che già in questi anni Garin cominciava ad assegnare alla
tradizione ermetica, avviando una ricerca che avrebbe continuato, sia pure con
toni e forme assai diverse, fino ai suoi ultimi anni (il saggio su Una fonte
ermetica poco nota. Contributi alla storia del pensiero umanistico, destinato a
essere ripreso e profondamente modificato nel 1958, uscì originariamente in La
Rinascita, III [1940], pp. 202-232). Al fondo, rispetto a Gentile, c'era una
forte distanza di carattere strettamente filosofico, come risulta dai
principali riferimenti filosofici di Garin in questi anni: René Le Senne,
Gabriel Marcel, Etienne Gilson, Louis Lavelle, forse il più importante di
tutti, quello al quale si sentì a lungo più vicino. Sono tutti
autori di area francese e di matrice cristiana, convergenti, sia pure con toni
differenti, nella prospettiva di un esistenzialismo religioso che appare ben
presente negli scritti storici di Garin sul Rinascimento di questo periodo, pur
mediati, e filtrati, da una armatura di carattere filologico ed erudito molto
forte già in quegli anni (ne è una conferma il ricco e aggiornatissimo corredo
bibliografico del libro su Giovanni Pico). Mancano, invece – con l'importante
eccezione di Ernst Cassirer, presente già nel libro del 1937 – riferimenti
altrettanto significativi ad autori di area tedesca, a cominciare da Martin
Heidegger che, in quegli anni, era invece interlocutore privilegiato di altri
importanti esponenti della generazione di Garin, come Luporini, suo amico fin
dagli anni della Università, ma assai diverso sia per interessi filosofici che
per le strade che avrebbe poi preso sul terreno politico. È una mancanza
che non stupisce, se si considera che la cultura di matrice francese fu una
componente centrale della formazione di Garin, e che essa – insieme al pensiero
inglese, ma con maggiore forza – ebbe un ruolo centrale nella sua attività
scientifica e anche editoriale, come testimonia l'imponente opera di
presentazione e traduzione di testi capitali del pensiero francese svolta
insieme alla moglie – da Rousseau a Malebranche, a d'Holbach e gli
Enciclopedisti. Il primato della cultura di matrice francese era, del
resto, un tratto diffuso della generazione di Garin e, in modo particolare,
dell'ambiente culturale fiorentino: quello che si esprimeva in istituzioni di
notevole rilievo come il Gabinetto Vieusseux – di cui in quegli anni era
bibliotecario e direttore Eugenio Montale –, e la Biblioteca Filosofica di
Arrigo Levasti e Piero Marrucchi, una personalità notevole, alla quale Garin
rimase sempre legato e che ricordò in pagine molto intense, rievocando
quell'ambiente e quell’atmosfera, in cui viveva il ricordo di una figura come
Carlo Michelstaedter, alla quale anche Garin dedicò, a più riprese, molta
attenzione. Tornato a Firenze alla fine del 1934, nell'anno accademico
1935-36 ebbe un incarico di filosofia teoretica presso la facoltà di lettere e
filosofia. Nel 1937 ottenne, poi, la libera docenza in storia della
filosofia. L’INCARICO DI FILOSOFIA MORALE E GLI STUDI SUL RINASCIMENTO E
GIOVANNI PICO Nel 1938, quando per effetto delle leggi razziali
Limentani dovette lasciare la cattedra di filosofia morale, la facoltà decise
di non chiamare su essa un altro ordinario, ma di conferire l’incarico a Garin,
come il miglior discepolo di Limentani. Nei modi possibili in quei tempi
difficili, Garin espresse pubblicamente la sua fedeltà al maestro con cui si
era formato, tenendo, il 30 gennaio 1940, una conferenza presso la Biblioteca
Filosofica di Firenze in cui attaccò a fondo ogni forma di storicismo –
identificato con il relativismo – rivendicando, da un lato, il valore della
lotta, e dell'‘ostacolo’, sulla scia di Le Senne; ribadendo, dall'altro, e con
massima energia, la distinzione tra vittima e carnefice, tra perseguitato e
persecutore, che nessuna Provvidenza storica avrebbe mai potuto, in alcun modo,
risarcire. Dopo la morte di Limentani, ne redasse poi un commosso necrologio,
pubblicato in opuscolo insieme alla bibliografia dei suoi scritti (Ludovico
Limentani (1884-1940), Firenze 1941). Aveva, intanto, cominciato a
partecipare a concorsi per ottenere una cattedra universitaria, che riuscì a
vincere nel 1949, quando risultò primo ternato in quello per professore
straordinario alla cattedra di storia della filosofia dell'Università di
Cagliari (la commissione era formata da Antonio Aliotta, presidente, Eustachio
Paolo Lamanna, segretario, e da Nicola Abbagnano, Antonio Banfi, Ugo Spirito).
Precedentemente, nel 1938, nel 1942 e nel 1949, aveva partecipato, venendo
dichiarato «maturo», a tre altri concorsi, banditi, rispettivamente,
dall'Università di Messina e dall'Università di Napoli (quest’ultimo si svolse
in due tornate, per l’annullamento, a causa di un ricorso, dei risultati della
prima). Difficili sul piano accademico e anche personale, quegli anni
furono però fertilissimi dal punto di vista scientifico: oltre a una serie di
saggi assai importanti usciti, in genere, su La Rinascita diretta da Giovanni
Papini (con il quale ebbe, allora, un rapporto intenso), Garin pubblicò due
importanti antologie: la prima, Il Rinascimento italiano (Milano 1941),
commissionatagli da Gioacchino Volpe e stampata nella collana dell'ISPI; la
seconda, Filosofi italiani del Quattrocento (Firenze 1942), uscita come
pubblicazione dell'Istituto nazionale di studi sul Rinascimento. Si tratta, in
entrambi i casi di opere fondamentali, destinate a lasciare una orma profonda
negli studi rinascimentali. Ma lette con attenzione – e tenendo conto della
inclinazione dissimulatoria tipica dell'epoca –, esse svelano con precisione
quali fossero gli atteggiamenti filosofici e politici di Garin in quel momento:
una posizione nettamente antifascista, trasparente nelle pagine dedicate alla
critica del tiranno; un profondo interesse di tipo religioso, già emerso nei
primi saggi rinascimentali della seconda metà degli anni Trenta, e ora
pienamente dispiegato nella lunga Introduzione ai Filosofi italiani del
Quattrocento, a cominciare dalle pagine scritte sulla morte, discorrendo di
Coluccio Salutati. Sono anni, e temi, nei quali la nota religiosa
risuona con particolare forza e vigore, e non solo nei testi sull'Umanesimo.
Nel 1947 pubblicò per una piccola casa editrice fiorentina, Cya, una antologia
di testi tolstoiani – Ultime parole –, nei quali è affermato con nettezza
il primato della 'riforma interiore' come condizione di ogni riforma di tipo
economico e sociale. Sarebbe stato, del resto, lo stesso Garin a ricordare nel
1954 che anni prima, nel pieno della guerra, aveva attraversato una vera e
propria crisi di tipo religioso, subendo a fondo l'influenza di Tolstoj. Sul
terreno scientifico è una inclinazione che si rivela, oltre che sul piano del
linguaggio, nel forte ruolo assegnato in quegli anni a fra Girolamo Savonarola,
un autore che gli fu sempre carissimo, ma che nel 1943 arrivò ad affiancare al
Platone della Repubblica per il Trattato sul reggimento di Firenze.
In questi anni spicca anche il lavoro di presentazione e di traduzione
dei testi fondamentali di Giovanni Pico della Mirandola: De hominis dignitate,
Heptaplus, De ente et uno (Firenze 1942); Disputationes adversus astrologiam
divinatricem (ibid. 1946-52) un'impresa imponente, che contribuì a mutare in
profondità sia l'immagine tradizionale di Pico, sia quella corrente del
Rinascimento, ponendo le basi della interpretazione generale che Garin avrebbe
proposto nel libro del 1947, Der italienische Humanismus, pubblicato nella
collana diretta da Ernesto Grassi per l'editore Francke di Berna (ristampato
poi nel testo originale presso Laterza nel 1952). Furono lavori resi
possibili anche dal forte sostegno di una figura singolare, ma più importante
di quanto in genere si pensi, della cultura italiana di quegli anni: Enrico
Castelli, il quale – oltre a pubblicare le traduzioni di Pico nell'ambito
dell’Edizione nazionale dei classici del pensiero italiano promossa dal Regio
Istituto di studi filosofici da lui presieduto e del quale Garin fu anche
segretario della sezione toscana –, si impegnò con molta tenacia e costanza, a
tutti i livelli, per fargli ottenere un distacco dal Liceo scientifico Leonardo
da Vinci che gli consentisse di svolgere con maggiore tranquillità il suo lavoro.
IL DOPOGUERRA, LA SCOPERTA DI GRAMSCI, LE CRONACHE Garin
sottolineò più volte che non c'è un rapporto meccanico tra storia della cultura
e storia politica, precisando, per esempio, che la crisi e la fine
dell'idealismo crociano si compiono nel 1968, non nel 1945. Non c'è però dubbio
che con la fine della guerra sia iniziata una nuova fase della sua lunga vita
sul piano sia intellettuale sia politico. Dopo un periodo connotato
dalla vicinanza a posizioni di tipo liberal-democratico (come appare chiaro
dagli articoli che nel 1946 pubblicò sull'Italiano), si avvicinò infatti, sia
pur progressivamente, al Partito comunista italiano, senza mai iscriversi a
esso, ma diventandone, specie negli anni Cinquanta e Sessanta, uno dei
principali intellettuali di riferimento. Alla base di questo netto
spostamento di campo ci furono motivazioni di ordine intellettuale e di natura
politica. Sul primo punto, fu decisivo, nel 1947, l'incontro con le
Lettere dal carcere di Antonio Gramsci, che recensì subito su Leonardo, la
rivista di cui, dal 1946, era diventato redattore – cioè, in effetti,
direttore –, avviando un intensissimo colloquio che sarebbe continuato lungo
tutta la sua vita e che avrebbe inciso sia sulle sue ricerche umanistiche sia
sulle Cronache di filosofia italiana pubblicate per i tipi di Laterza nel 1955
(ma preparate dagli articoli usciti alla fine degli anni Quaranta su Leonardo e
sul Giornale critico della filosofia italiana fondato da Gentile e diretto
allora da Ugo Spirito). Dal punto di vista strettamente politico,
per quanto possa apparire paradossale, in quella scelta agì il profondo, e mai
venuto meno, interesse religioso di Garin: era infatti profondamente laico, non
laicista. Riteneva necessario distinguere con chiarezza ciò che è di Cesare e
ciò che è di Dio, anzi pensava che dalla confusione dell'uno e dell'altro
potesse derivare una degenerazione di entrambi. Dopo il 18 aprile 1948, il
partito della Democrazia cristiana gli apparve come la realizzazione concreta
di questo rischio, con la ripresa, e il potenziarsi, di quelle tendenze che
durante il Regime si erano espresse nel clerico-fascismo, contribuendo, a suo
giudizio, a corrompere il carattere morale degli italiani. Perciò considerò
negativamente l'inserzione dell'articolo 7 nella Costituzione repubblicana, ma
fu per questi stessi motivi che si avvicinò al Partito comunista: per una
scelta di ordine anzitutto morale e, alle origini, religiosa. Pur nel dissenso
con il Partito comunista nella valutazione dell'articolo 7, Garin vide in esso
la forza più intransigentemente schierata a favore di una concezione laica
dello Stato e, in genere, della vita, contro il riaffiorare e l'imporsi di una
nuova forma di clerico-fascismo, dannosa, ai suoi occhi, sia per la politica
sia per una autentica esperienza religiosa. I due piani – quello
culturale e quello politico – si intrecciarono e si potenziarono a vicenda,
nella concretezza del suo lavoro, sia in quello sul Rinascimento sia nelle
ricerche sulla filosofia italiana. A quest'ultima aveva già dedicato, per
incarico di Gentile, due volumi pubblicati da Vallardi nel 1947 (si tratta
dell'opera: La filosofia, da non confondere con la Storia della filosofia
uscita per i tipi di Vallecchi nel 1945: uno de suoi libri più belli, più
vivaci, più liberi). Le Cronache di filosofia italiana del 1955
erano, in effetti, un'altra cosa: una sorta di autobiografia di una intera
generazione, quella nata al tornante del primo decennio del secolo – la stessa
di Norberto Bobbio, nato anch'egli, come Garin, nel 1909, e autore, nello
stesso 1955, di Politica e cultura, l'altro grande testo 'autobiografico' della
loro generazione. A considerare oggi quegli anni, non appare casuale che due
intellettuali di quel livello abbiano avvertito, nello stesso momento, la necessità
di confrontarsi con la propria storia, sia pure da punti di vista diversi e con
strumenti differenti. In Garin, assai più che in Bobbio, era infatti presente
la lezione di Gramsci. Sul piano del metodo, anzitutto: La filosofia come
sapere storico (Bari 1959) si conclude con un lungo saggio su Gramsci, nato
come relazione al primo Convegno di studi gramsciani, tenutosi a Roma l'anno
prima, ma anche sul piano del merito, cioè di specifiche valutazioni di uomini
e cose, come Palmiro Togliatti rilevò, nel 1955, nella sua recensione a
Cronache di filosofia italiana (Rinascita, 1955, n. 6). Non solo: la
lezione di Gramsci, in forme assai mediate e controllate, è visibile anche
negli scritti che Garin dedicò al Rinascimento negli anni Cinquanta e fino alla
fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Nonostante che, in questo caso, i
giudizi di Gramsci e Garin fossero, proprio nel merito, profondamente
differenti. L’UMANESIMO CIVILE, IL ’68, IL TRAMONTO DI UN
MONDO Quando si parla di Eugenio Garin si pensa, in genere, alla sua
interpretazione del Rinascimento come 'Umanesimo civile'. È giusto, ma
riduttivo per due ordini di motivi: in primo luogo, essa svolge funzioni e
ruoli diversi, anche a seconda del mutare dei contesti storico-politici; in
secondo luogo, a cominciare dagli anni Settanta Garin riformulò in modo
profondo la sua interpretazione, dislocando l'Umanesimo civile in zone
progressivamente laterali, rispetto al nucleo centrale del suo discorso (in
questo senso è fondamentale Rinascite e rivoluzioni: movimenti culturali dal
14. al 18. secolo, Roma-Bari 1975: uno dei suoi lavori più importanti, insieme
a La cultura filosofica del Rinascimento italiano. Ricerche e documenti, uscito
per i tipi di Sansoni nel 1961, nel quale spicca in apertura il saggio –
capitale dal punto di vista dell'Umanesimo civile – su I cancellieri umanisti
della Repubblica fiorentina da Coluccio Salutati a Bartolomeo Scala, pubblicato
originariamente in Rivista storica italiana, LXXI [1959], pp.
185-209). All'interpretazione del Rinascimento come Umanesimo civile
Garin lavorava, in effetti, fin dagli anni Trenta, in convergenza con le
ricerche di Hans Baron, del quale nel 1938 fece pubblicare su La Rinascita un
importante saggio. Ma allora esso aveva una funzione parallela, anzi
secondaria, rispetto ai motivi ermetici che Garin tendeva maggiormente a
valorizzare, anche in relazione a quell'esistenzialismo religioso nel quale
allora si riconosceva. Negli anni Cinquanta e Sessanta il quadro mutò in modo
deciso, e l'Umanesimo civile diventò il motivo dominante della sua
interpretazione, come appare dall'antologia, fortemente lodata da Cantimori,
Prosatori latini del Quattrocento(Milano-Napoli 1952). I motivi messi a fuoco
nella seconda metà degli anni Trenta erano ripresi, e anzi energicamente
sviluppati, a cominciare dalle tematiche magiche e astrologiche, cui dedicò nei
primi anni Cinquanta due saggi fondamentali; ma essi ora venivano riformulati
(per esempio, cambiò in modo consistente il giudizio sull'astrologia) ed inseriti
in una prospettiva che privilegiava, in primo luogo, la dimensione mondana,
terrestre – appunto, 'civile' del Rinascimento –, dando rilievo centrale al
problema del rapporto tra 'vita contemplativa' e 'vita activa', e valorizzando
in questa luce i grandi cancellieri fiorentini come Coluccio Salutati e
Leonardo Bruni. Ne scaturì, in quegli anni, una nuova immagine del
Rinascimento, entro cui assunsero valore centrale discipline come la retorica,
l'arte della memoria o esperienze filosofiche prima trascurate, o non comprese
in modo adeguato, come, per esempio, il lullismo. Su questo sfondo,
Garin si pose in termini nuovi rispetto agli scritti degli anni Trenta anche il
problema della genesi e dei caratteri della scienza moderna, sforzandosi di
«mostrare come un moto di cultura strettamente legato nelle sue origini alla
vita delle città italiane fra Trecento e Quattrocento debba considerarsi una
delle premesse del rinnovamento scientifico moderno» (come scriveva nella
Premessa al volume Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, p. V,
pubblicato con Laterza nel 1965: una linea di ricerca, sia detto tra parentesi,
che non ebbe ulteriori sviluppi, anche per i mutamenti che, di lì a poco,
avrebbero sconvolto il mondo storico, coinvolgendo a fondo anche il mondo
storiografico). In questa accentuazione della dimensione civile agì
certamente la lezione metodica di Gramsci, che appare con ancor maggiore
chiarezza nei lavori che Garin dedicò, negli stessi anni, alla filosofia
contemporanea, specie a quella italiana. Sono importanti, da questo punto di
vista, sia La cultura italiana tra '800 e '900 (Bari 1962); sia, e soprattutto,
quello sugli Intellettuali italiani del XX secolo (Roma 1974), che costituisce,
per molti aspetti, il vertice della presenza, e della influenza, di Garin nella
cultura, e anche nella politica, italiane. Se si considera il corso
della sua vita, si può azzardare un giudizio: forse furono proprio quelli gli
anni in cui Garin riuscì a stabilire, nel complesso, un rapporto positivo con
il proprio tempo storico, e non solo per i molti riconoscimenti pubblici che
ebbe in quel periodo, dentro e fuori l'Università, in Italia e
all’estero. Nel 1952 era diventato professore ordinario di storia
della filosofia medievale presso l'Università di Firenze (insegnamento che
aveva tenuto per incarico dal 1941 al 1945 e dal 1947-48 al 1948-49); nel 1955
era poi subentrato a Lamanna come titolare della cattedra di storia della
filosofia presso la stessa Università. Riconoscimenti, e onori, altrettanto
importanti stava avendo anche al di fuori dell'Università. Socio effettivo
dell'Accademia toscana di scienze e lettere 'La Colombaria', dal 1948 ne era
anche segretario generale; il 23 luglio 1965 fu eletto socio
corrispondente dell’Accademia dei Lincei, diventandone socio nazionale il 23
novembre 1979; il 10 luglio 1975 ricevette dalla British Academy la Serena
medal for Italian studies (gli ultimi italiani che l'avevano ottenuta –
scrisse, con orgoglio, il 5 luglio 1975 al direttore della Scuola Normale comunicandogli
la notizia – erano stati Roberto Longhi e Ranuccio Bianchi Bandinelli).
Al fondo, però, pur considerandosi anzitutto un insegnante, Garin era, a suo
modo, un animal politicum, e avrebbe voluto essere un cittadino. Negli anni
Cinquanta e per larga parte degli anni Sessanta riuscì a esserlo come non gli
era accaduto prima e non sarebbe più successo dopo, intrecciando un'attività
scientifica di alto livello con un impegno civile assai intenso sui temi che
gli interessavano maggiormente, a iniziare dalla scuola, su cui intervenne
anche con una relazione molto dura letta al Teatro Valle di Roma il 3
giugno 1960, pubblicandola poi in volume (La cultura e la scuola nella società
italiana, Torino 1960). Negli anni successivi la situazione mutò
profondamente; quell'equilibrio, sempre fragile e precario, si incrinò e Garin
si distaccò, progressivamente, fino a contrapporsi, dai movimenti culturali e
politici che, a cominciare dal 1968, avevano cominciato a scuotere il paese fin
dalle fondamenta, nel bene e nel male. Il punto più aspro del contrasto, anzi
la vera e propria rottura, si produsse alla fine del 1971, quando – si legge in
una lettera del 16 novembre al preside della facoltà di lettere, Ernesto Sestan
(minuta nel Fondo Garin della Scuola Normale Superiore) – fu costretto a
interrompere la lezione per il «contegno oltraggioso e provocatorio di uno
studente del 2° anno». Fu una scelta assai meditata, anche se amara,
quella di lasciare l’Università di Firenze, che era stata fin dagli anni giovanili
la sua Alma Mater, trasferendosi, nell'anno accademico 1974-75, alla Scuola
Normale Superiore di Pisa come professore – e anche questa scelta è
significativa – di storia della filosofia del Rinascimento. Come scrisse il 22
giugno del 1974 al direttore della scuola, Gilberto Bernardini, sarebbe stata
quella «la conclusione migliore – certo la più onorevole – di un lungo
insegnamento» (minuta, ibid.). Questo non significa che da quel momento
si sia disinteressato della filosofia contemporanea, a cominciare da quella
italiana. Anzi: nel 1983 pubblicò, con l'editore barese De Donato, un libro
importante, Tra due secoli. Socialismo e filosofia in Italia dopo l'Unità,
riprendendo in forme nuove il problema del positivismo e riaprendo, in
generale, la questione del rapporto tra eredità positivistiche e filosofia del
Novecento, nelle sue varie diramazioni. Ma il libro non ebbe un successo
paragonabile a quello tributato nel 1974 al volume sugli Intellettuali italiani
del XX secolo. Nel giro di pochi anni, la situazione era profondamente mutata e
i temi trattati in quel testo, pur così importante, avevano perso peso e
rilievo nel dibattito filosofico italiano, che stava ormai aprendosi, e su
vasta scala, a nuove tendenze estranee alla tradizione nazionale, nel pieno di
una crisi che investiva lo Stato italiano fin dalle fondamenta. Effettivamente,
un intero mondo stava cominciando a finire. Tanto più colpisce, in questa
situazione, il lungo saggio che nel 1991, in controtendenza, Garin dedicò
a Giovanni Gentile pubblicandone, con l'editore Garzanti, le Opere filosofiche.
Aveva ormai 82 anni: nel 1979 era uscito dai ruoli dell'insegnamento, nel 1984
era andato definitivamente in pensione, nel 1986 era diventato professore
emerito della Scuola Normale; nel 1988 aveva lasciato anche la presidenza
dell'Istituto nazionale di studi sul Rinascimento assunta nel 1978. Era dunque
diventato un libero studioso sciolto da qualunque vincolo di ordine
istituzionale, e forse anche questo contribuisce a spiegare la libertà – e l'atteggiamento
'non conformista', si potrebbe dire – con cui si confrontò con Gentile nella
lunghissima Introduzione che premise ai testi, spiegando il senso della sua
scelta. Non era un'impresa facile: i rapporti di Garin con Gentile e con
Croce furono infatti assai complessi e si modificarono, e complicarono, con il
tempo. Si possono però in sintesi individuare alcuni elementi di ordine
generale. Dal punto di vista filosofico egli si sentì, al fondo, più vicino a
Gentile: basta leggere le pagine che gli dedicò nella Storia della filosofia
del 1945, e accostarle a quelle scritte nello stesso testo su Croce, per vedere
come ne apprezzasse la posizione e quanto fosse invece distante da Croce.
Certo, come dimostrano le Cronache, il suo giudizio sul neoidealismo italiano
si approfondì col tempo e divenne assai più ricco e articolato; ma la distanza
di Garin dalla 'filosofia dello spirito' non venne mai meno, perché essa
coinvolgeva un punto centrale, allora e poi, della sua posizione.
Alle origini, le ragioni di quella scelta stavano precisamente qui: sul
piano filosofico Gentile apparteneva a quella filosofia della libertà, specie
di matrice francese, in cui il giovane Garin aveva riconosciuto il carattere
principale del pensiero del nuovo secolo e anche le proprie radici, sia
filosofiche sia religiose. Filosofia della libertà: cioè azione, praxis, atto,
volontà. Erano i motivi che erano presenti anche nel giovane Marx, quelli che
gli avevano fatto apprezzare Gramsci, sentire affine la ricerca dei Quaderni del
carcere, e che, nel volume del 1991, sottolineò anche in Gentile, vedendo anzi
nella sua lettura di Marx la via attraverso cui si era affermato nel nostro
paese il principio della praxis, dell'azione, della volontà. È per queste
stesse ragioni – strutturali, non contingenti – che Garin fu, invece, in
sostanza, lontano da Croce, pur apprezzandone il rapporto stabilito tra
politica e cultura e l'immenso lavoro: non ne condivideva la concezione del
circolo spirituale; lo sentiva distante per l'incapacità di afferrare la
intima, e insuperabile, tragicità della vita; rifiutava la dissoluzione
dell'individuo empirico, che invece per lui era fondamentale.
Certo, con il tempo maturò un giudizio assai più ricco di quello espresso
negli anni Quaranta; ma alcuni elementi – in cui si esprimevano un distacco, e
un dissenso, perfino di ordine generazionale – non vennero mai completamente
meno. Nel 1966, in occasione del centenario della nascita di Croce, scrisse un
bel saggio sui suoi rapporti con Renato Serra (Serra e Croce, in Belfagor, XXI,
1, pp. 1-13) e, pur facendogli ampi riconoscimenti, non ebbe esitazione a
schierarsi, proprio per questi motivi, dalla parte di quest'ultimo.
FILOSOFIA E AUTOBIOGRAFIA: ALBERTI Con il '68 iniziò una
profonda trasformazione del mondo storico, destinata a incidere, in vari modi,
nel mondo storiografico, compreso quello di Garin, che operò mutamenti profondi
nella sua posizione, a cominciare dalla concezione dell'Umanesimo civile, che
nel ventennio precedente era stato il centro della sua interpretazione del
Rinascimento. Ora venne configurandosi come un ideale; anzi una ideologia
nobile e importante, ma pur sempre una ideologia (come appare nel Ritratto di
Leonardo Bruni aretino in Atti e Memorie dell'Accademia Petrarca di Lettere,
Arti e Scienze di Arezzo, XL [1970-72], pp. 1-17 ), mentre assunsero rilievo
essenziale altri temi, altri autori, come risulta chiaro dal libro Lo zodiaco
della vita. La polemica sull'astrologia dal Trecento al Cinquecento (Roma-Bari
1976), che raccoglieva quattro lezioni tenute al Collège de France fra l'aprile
e il maggio 1975. Fin dall'inizio della sua attività Garin aveva dato rilievo
alle tematiche magiche, astrologiche, ermetiche, sistemandole, poi, nel
contesto dell'Umanesimo civile. Ora esse ridiventarono centrali, con una
particolare sporgenza dei testi e dei motivi di carattere astrologico. Alla
base di questo c'era, come sempre in Garin, un convincimento di ordine
teorico. A lungo era stato persuaso che nella cultura europea fosse
stata presente, e dominante, quella che egli chiamava la 'linea Pico-Sartre',
secondo cui l'uomo «non ha una natura (una "specie", una
"forma"), ma […] è un atto che si sceglie» (per riprendere una sua
battuta contenuta nella lettera a Leonardo Amoroso del 17 luglio 1991 [minuta
nel Fondo Garin della Scuola Normale Superiore di Pisa]). Era un convincimento
coerente con la sua filosofia della libertà, della praxis, del primato della
volontà. Negli ultimi anni furono proprio questi capisaldi che si infransero e
vennero meno sbalzando in primo piano, al posto dei cancellieri fiorentini,
pensatori come Pomponazzi e, soprattutto, Leon Battista Alberti, sostenitori,
l'uno e l'altro, di una concezione totalmente disincantata dell'uomo e della
vita, ridotta o a gioco privo di senso o a una eterna vicissitudine di uomini,
di cose, di sorti. E qui si può osservare come in un microcosmo in che modo
lavorava Garin, e quanto fosse profondo nella sua ricerca l'intreccio tra
autobiografia e storiografia, a loro volta sostenute da una posizione teorica
precisa, ma destinata, al tempo stesso, a importanti variazioni e mutamenti.
Alberti era stato infatti sempre al centro della sua attenzione, ma venne a
lungo inserito nella prospettiva dell’Umanesimo civile, mentre negli scritti
dell'ultimo periodo si configurò come uno dei principali esponenti di una
concezione che vede nell'uomo niente altro che un ludus deorum, per riprendere
l'espressione utilizzata da Platone nelle Leggi e ripresa nel De fato da
Pomponazzi. Sono precisamente questi temi, e queste espressioni (citate
puntualmente nello Zodiaco della vita, e rafforzate dalla scoperta che aveva
fatto di alcune Intercenali inedite di Leon Battista Alberti, pubblicate su
Rinascimentonel 1964), che attrassero Garin quando si convinse che la linea
Pico-Sartre si era infranta ed era stata sconfitta. Né è facile dire quanto in
queste posizioni storiografiche avesse inciso la crisi che fin dalla fine degli
anni Sessanta stava travagliando il mondo storico, dandogli progressivamente il
senso – e poi la persuasione – che una intera epoca della cultura europea stava
tramontando, dissolvendo quegli ideali e quelle utopie che ne avevano sostenuto
il cammino, specie nei momenti più gloriosi come il Rinascimento e
l’Illuminismo. In un intreccio profondo di autobiografia e
storiografia, le pagine dell'ultimo Garin sono solcate da toni assai
disincantati e pessimistici. Ma neppure in questi anni, e in questi scritti,
egli si presenta al lettore in toni disarmati o vinto: troppo forte era stata
la persuasione di un primato della praxis, dell'azione, della volontà perché
essa potesse venire mai integralmente meno. Stava qui la sorgente originaria
della sua personalità fin dagli anni Trenta, e a essa – nonostante tutto –
aveva cercato di restare fedele, dipanando il filo essenziale della sua
esistenza, nelle diverse situazioni in cui gli toccò di vivere, per quasi un
secolo. Quando morì, a Firenze il 29 dicembre 2004, non aveva
smesso di pensare all'utopia di un mondo diverso: come gli avevano insegnato a fare
i rappresentanti più eminenti dell'epoca alla quale aveva dedicato tanta parte
della sua esistenza. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE E. G. Il
percorso storiografico di un maestro del Novecento, Giornata di studio, Prato,
Biblioteca Roncioniana, 4 maggio 2002, a cura di F. Audisio - A. Savorelli,
Firenze 2003 (si vedano in particolare i saggi di C. Cesa, Momenti della
formazione di uno storico della filosofia (1929-1947), pp. 15-34 e di C.
Vasoli, Gli studi di E. G. su Giovanni Pico della Mirandola, pp. 65-92); G. e
il Novecento, numero monografico del Giornale critico della filosofia italiana,
LXXXVIII [XC], (2009), 2; M. Ciliberto, E. G. Un intellettuale nel Novecento,
Roma-Bari 2011; E. G. Dal Rinascimento all’Illuminismo, Atti del
Convegno, Firenze, 6-8 marzo 2009, a cura di O. Catanorchi - V. Lepri, con
Premessa di M. Ciliberto, Roma-Firenze 2011; Il Novecento di E. G., Atti del
Convegno promosso dalla Fondazione Istituto Gramsci in collaborazione con
l’Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 25-27 febbraio 2010, a cura di S.
Ricci - G. Vacca, Roma 2011. Grice: “Don’t expect philosophical insight from
Garin. He is at most an amanuensis. But like Gentile, it is helpful, if you are
into minor philosophers, or minor figures, to go through the indexes of his
many compilations. As with Gentile’s Storia della filosofia italiana, Garin’s
is just as boring. Garin makes it more difficult in that he uses two or three
words which we don’t use at Oxford: ‘pensiero’ for philosophy, ‘intellectual’
(‘intelletuali italiani del novecento’) and ‘culture’ (cultura italiana del
ottocento’). By these monickers, he is attempting to include as philosophers
people who we should not!” Eugenio Antonio Garin. Eugenio Garin. Garin. Keywords:
cicerone come umanista – umanesimo e unamenismi – garin, umanista del Novecento
– umanisti e il ritorno dei filosofi antichi – umanesimo, ovvero, il primo
secolo del rinascimento – il ritorno dei filosofi antichi – retorica umanista –
castelli e garin -- le griceianisme est un humanism!” humus, human, homo
sapiens, homo sapiens sapiens, human vs. person, sapientia, persona -- human,
umano, umanesimo – filosofia romana -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Garin –
umano, troppo umano – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685979254/in/photolist-2mRgKq7-2mRi7qi-2mQPiYS-2mQDMyN-2mQerAd-2mPPzb6-2mPXDFp-2mPF8UJ-2mPAuFE-2mPszkp-2mN8Hgb-2mLQ1Vx-2mLLyEe-2mLEyw7-2mKMuu9-2mPsfT9-2mKMqqn-2mKGTYe-2mKw3hq-2mKxnN1-2mKCnei-2mKAsyK-2mKgN49-2mHGgw3-2mKj9Vm-DndBhH
Grice e Garroni –
l’implicatura di Pinocchio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo. Grice: “I like Garroni; he writes very Griceianly: on lying, on
Pinocchio, on semiotics, on Kant – ‘quasi-Kant’ --, and on sense perception
(‘senso e paradosso’, ‘immagine, figura, communicazione’). Inizia la sua
attività in Rai, dove era entrato per un invito di Gualainsieme come
intervistatore e autore di trasmissioni sulla filosofia. Affianca a questo
lavoro l'opera intellettuale di critica e di riflessione sull'estetica,
grazie anche alla sua frequentazione del mondo artistico dell'epoca anni
cinquanta, redigendo anche presentazioni e cataloghi d'arte. Insegna a Roma.
Pur essendosi tenuto fino a quel momento ai margini della vita accademica, con “La
crisi semantica dell’arte” (Roma, Officina), insegna estetica. Porta un rinnovamento
dell'estetica italiana dopo Croce, culminante in una innovativa traduzione
della Critica della facoltà di giudizio di Kant tesa a sottolinearne la co-appartenenza
di tematiche estetiche (l’estetico) ed epistemologiche (il noetico). Cura
Arnheim, Macherey, Mannoni, Lukács, Brandi, Dufrenne, akobson e del Circolo
linguistico di Praga e collaborato alla rivista Rassegna di filosofia, alle
riviste cinematografiche Cinema Nuovo e Filmcritica e alla Enciclopedia
Einaudi.Cura Benedetto, Bottari, Melis,
Fieschi, Vacchi, Greco ecc. L’estetica è una "filosofia non
speciale" il cui compito non deve limitarsi allo studio delle espressioni
artistiche ("il bello", “l’arte” e “la natura”), ma è finalizzato ad
una visione e ad una "costruzione" del mondo fondata sull'esperienza
del “senso” (il sensibile, sentire, sensate). Ciò che va rivendicata è la
portata iudicativa (e non solo volitiva) delle riflessioni kantiane, che
trascendono lo stato empirico delle scienze e vivono operanti nel meglio degli indirizzi
novecenteschi, magari di ciò inconsapevoli. (L’orizzonte di senso). Altre
opere: “Il mito negative” (Roma, Officina); “Semiotica ed estetica.
L'eterogeneità del linguaggio e il linguaggio cinematografico” (Bari, Laterza);
“Progetto di semiotica: il concetto di messagio” (Roma-Bari, Laterza); “Pinocchio
uno e bino” (Roma-Bari, Laterza); “Estetica ed epistemologia. Riflessioni sulla
"Critica del Giudizio"” (Roma, Bulzoni); “Ricognizione della
semiotica” (Roma, Officina); “Estetica e linguistica” (Bologna, Il Mulino); “Senso
e paradosso. L'estetica, filosofia non speciale” (Roma-Bari, Laterza); “Estetica.
Uno sguardo-attraverso” (Milano, Garzanti); “Sul mentare e il mentire”
(Castrovillari, Teda); “Altro dall'arte. Saggi di estetica” (Roma-Bari,
Laterza); “Senso e storia dell'estetica: studi offerti a Emilio Garroni” (Pietro
Montani, Parma, Pratiche Editrice); "Interpretare", in Il testo
letterario. Istruzioni per l'uso, Roma-Bari, Laterza); “Critica della facoltà
di giudizio” (Torino, Einaudi); “Immagine e figura” (Roma-Bari, Laterza); “Scritti
sul cinema: pubblicati dalla rivista "Filmcritica"; Edoardo Bruno e
Alessia Cervini, Torino, Aragno, Creatività, introduzione di Paolo Virno,
Macerata, Quodlibet); “La macchia gialla’ (Milano, Lerici, Dissonanzen
quartett. Una storia” (Parma, Pratiche); “Racconti morali, o Della vicinanza e
della lontananza, Roma, Editori riuniti); “Sulla morte e sull'arte: racconti
morali, Parma, Pratiche); Lettere alla TV”, Monteleone, Storia della Radio e
della Televisione italiana, Marsilio; Una puntata del 1961, tratta da Rai
Teche, del programma TV "Arti e Scienze", in cui Garroni parla del
Bauhaus e intervista Zevi e Gropius
Presentazione della mostra dell'Autoritratto; Articolo de La Repubblica;
Intervista che riassume la nozione di estetica come "filosofia non
speciale". L'intervista fa parte dell'Enciclopedia multimediale delle
scienze filosofiche. Treccani L'Enciclopedia
italiana". Legalità / Creatività.: Garroni legge Kant di Romeo Bufalo, in
Studi di estetica, Bologna. LORENZINI, Carlo (Collodi). - Nacque il 24
nov. 1826 a Firenze, primogenito di Domenico, originario di Cortona, cuoco del
marchese Carlo Leopoldo Ginori Lisci, e di Angiolina (Maria Angela Carolina)
Orzali, figlia del fattore dei marchesi Garzoni Venturi e nata a Veneri
(frazione di Collodi). Degli altri nove figli di casa Lorenzini sopravvissero
il terzogenito Paolo, Maria Adelaide, Giuseppina, e l'ultimo dei fratelli del
L., Ippolito. È probabile che il L. abbia frequentato le scuole
elementari a Collodi, dove risulta ospitato fino al 1836 dagli zii materni
Giuseppe e Teresa (forse per le disagiate condizioni della famiglia a Firenze);
l'anno successivo, con il sostegno economico del marchese Ginori, entrò nel
seminario di Colle di Val d'Elsa. Nell'agosto 1842 decise di interrompere gli
studi in seminario, iscrivendosi nel maggio dell'anno successivo al corso di
retorica e filosofia delle Scuole pie di S. Giovannino a Firenze. Terminato il
corso nell'autunno del 1844, trovò subito un impiego nella libreria Piatti di
Firenze, nella quale aveva già svolto lavori saltuari per potersi mantenere
agli studi. La libreria, anche casa editrice, era fra le più importanti
di Firenze e frequentata da molti letterati e patrioti liberali, tra i quali
G.B. Niccolini, principale autore delle edizioni Piatti, considerato dal
giovane L. uno dei grandi scrittori italiani. Il L. aveva incarico di redigere
notizie, recensioni e bollettini bibliografici per il catalogo delle novità
della libreria e strinse profonda amicizia con G. Aiazzi, amministratore
dell'impresa ed erudito bibliotecario della Rinucciniana, al quale restò legato
tutta la vita. Aiazzi avviò il L., che già nel 1845 ottenne l'autorizzazione
alla lettura dei libri proibiti, alle ricerche di biblioteca e d'archivio e ne
accompagnò le prime prove come cronista teatrale nella Rivista di Firenze e
come critico musicale nell'Arpa musicale, periodi co milanese animato da
C. Tenca, dove il 29 dic. 1847 apparve il primo articolo firmato del L.,
L'arpa. Nel marzo 1848 il L., insieme con il fratello Paolo e con Giulio
Piatti, proprietario della libreria, si arruolò nel II battaglione fiorentino e
combatté a Montanara: di questa prima esperienza militare rimangono, nelle
Carte collodiane, tre lettere ad Aiazzi, già notevoli per lucidità
d'osservazione e descrizione. In estate il L. tornò a Firenze e dovette
trovarsi un altro impiego anche per poter aiutare la famiglia colpita dalla
malattia del padre, che morì alla fine di settembre a Cortona. Per
interessamento di Aiazzi fu nominato "messaggiere" (segretario,
commesso) del Senato toscano e arrotondò il modesto stipendio con un'intensa attività
di collaborazione a diverse testate, in particolare, al periodico democratico
Il Lampione (1848-49) di cui fu tra i fondatori. Qui pubblicò numerosi
articoli, per lo più non firmati, tra i quali spiccano alcuni pezzi
anticomunisti e antifemministi e, soprattutto, la serie di ritratti intitolata
"fisiologie" in cui già con matura incisività satirica tratteggiava
caratteri e tipi contemporanei, come quelli contrapposti del "codino"
e del "crociato" (cioè il falso volontario): in essi più che
"mazziniano sfegatato" (come lo definì Martini, p. 168), manifestava
tendenze repubblicane e democratiche derivate da Mazzini solo "in termini
generali" e in "modo indiretto" (G. Candeloro, C. Collodi nel
giornalismo del Risorgimento, in Studi collodiani, p. 68). Nella primavera
del 1849, con il ritorno dei Lorena nel Granducato, il L. dapprima rinunciò
all'impiego (o ne fu allontanato), poi, in giugno, fu reintegrato, ma la sua
condizione lavorativa dovette restare precaria, tanto che l'autunno dell'anno
successivo si dedicò alla traduzione dal francese del romanzo La figlia
dell'archibugieredi M. Masson che apparve a puntate nel periodico milanese
l'Italia musicale, per il quale nel 1850 compì un lungo giro tra Emilia e
Lombardia come critico corrispondente; con quella rivista continuò a
collaborare per tutto il 1851 (nell'agosto era di nuovo a Milano per i suoi
impegni giornalistici) e il 1852, quando perdette definitivamente il suo
impiego. Con il 1853 l'impegno del L. come giornalista e pubblicista si
intensificò ulteriormente ed egli divenne una delle firme di punta del
periodico artistico-letterario e teatrale L'Arte(cui collaborava anche I.
Nievo). Nel periodico fiorentino venne pubblicando articoli di critica
musicale, teatrale e letteraria (tra cui, nel 1854, una feroce stroncatura del
poema Rodolfo di G. Prati che anticipava di netto le prese di posizione
negative di F. De Sanctis e G. Carducci sul poeta trentino) e prose
umoristiche: tra l'altro, condusse una battaglia contro la pittura accademica
convergendo sulle posizioni dei macchiaioli, i cui più importanti esponenti (T.
Signorini, A. Tricca, S. Ussi) incontrava e frequentava al caffè Michelangiolo.
Il tutto "con uno stile rapido e di presa immediata, che si segnala per il
valore e la modernità del linguaggio" (Marcheschi, in C. Collodi, Opere,
p. LXXX). Contemporaneamente, fondò e diresse il periodico teatrale Lo
Scaramuccia, per il quale aveva reclutato collaboratori di livello, tra cui P.
Fanfani e il giovane P. Ferrigni (Coccoluto Ferrigni), poi famoso con lo pseudonimo
di Yorick. Ormai dedito a tempo pieno alla sua attività di pubblicista e
scrittore, estese il raggio delle sue collaborazioni giornalistiche a periodici
quali Lo Spettatore (cui collaboravano, tra gli altri, G. Giusti, N. Tommaseo e
R. Bonghi) e al giornale umoristico La Lente, in cui per la prima volta usò lo
pseudonimo di Collodi (nell'articolo Coda al programma della Lente,
1856). Il L. coltivava anche ambizioni di scrittore teatrale e nel
1853 compose il dramma in due atti Gli amici di casa ispirato a un episodio
reale e in cui si ritrovano evidenti influssi del romanzo Beppe Arpia di P.
Emiliani Giudici: tentò invano (1854-55) di farlo rappresentare, ma il testo fu
bloccato dalla censura, cosicché più tardi poté pubblicarlo (Firenze 1856), ma
non riuscì a farlo mettere in scena. Sempre nel 1856 scrisse e pubblicò (ibid.)
Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica, nato come
opuscolo-guida per viaggiatori in occasione dell'inaugurazione della ferrovia
Leopolda, che collegava appunto Firenze a Livorno. In esso il L. contaminava e
stravolgeva, tentando un'inedita forma di giornalismo umoristico ispirato al
modello di L. Sterne (cfr. Marcheschi, in C. Collodi, Opere, pp. XV-XIX), il
genere "popolare" del romanzo e quello "borghese" della
guida di viaggio. Così la narrazione romanzesca, che procede in modo
parodisticamente caotico e con l'intreccio ingarbugliato della narrativa
d'appendice, è inframmezzata da divagazioni con informazioni utili o curiose
per il viaggiatore sulle diverse località toccate dalla ferrovia.
Confortato dal buon esito di critica e pubblico del Romanzo in vapore, il L. si
dedicò alla stesura di un'altra opera romanzesca di carattere parodistico, I
misteri di Firenze. Scene sociali, che uscì a dispense dall'ottobre 1857,
preannunciata dalla stampa sin da maggio ed elogiata per lo stile vivace e
spontaneo. Il romanzo, che restò (forse intenzionalmente) interrotto al primo
volume, intendeva essere sin dal titolo parodia della narrativa d'appendice alla
E. Sue (I misteri di Parigi), ma si risolve, senza il consolante lieto fine del
romanzo popolare, in un'amara critica della società fiorentina, moralmente e
politicamente decaduta, condotta con uno stile fortemente espressivo e
satirico, con esiti non di rado farseschi e surreali. Durante la stesura
di queste opere, il L. proseguì incessantemente la sua intensa attività di
pubblicista e di operatore teatrale. Nel marzo 1856 assunse l'incarico di
segretario della compagnia teatrale Romandiolo-Picena fondata da G. Servadio,
facendo la spola nei mesi successivi tra Ancona, Bologna e Firenze e
intrecciando una breve e tormentata relazione amorosa con il mezzosoprano
Giulia De Filippi Sanchioli. Conclusa nell'ottobre del 1857 la sua attività di
segretario della Romandiolo-Picena, tornò per breve tempo a Firenze, da dove
ripartì improvvisamente (forse in seguito a un'altra infelice relazione
amorosa) la primavera successiva, spostandosi tra Milano e Torino come critico
del periodico L'Italia musicale. Nella capitale sabauda nell'aprile del
1859 si arruolò nell'esercito piemontese e partecipò come soldato semplice alla
guerra. Dopo l'umiliante armistizio di Villafranca, alla fine di agosto fu
posto in congedo e ritornò a Firenze. Qui, amareggiato e depresso, iniziò a
collaborare come "cronista settimanale" al giornale La Nazione,
diretto dall'amico A. D'Ancona, espressione del gruppo moderato che faceva capo
a B. Ricasoli. E proprio dalla cerchia di Ricasoli, tramite C. Bianchi, gli
venne chiesto di scrivere una replica all'opuscolo La politica napoleonica e
quella del governo toscano del conservatore federalista e neoguelfo E. Albèri,
uscito (con la falsa indicazione di Parigi, in realtà a Firenze) ai primi di
dicembre del 1859. In esso, con un violento attacco contro i toscani
filopiemontesi, i plebisciti e il partito unitario, si propugnava l'istituzione
di un Regno dell'Italia centrale, da assegnare, secondo il desiderio di
Napoleone III, a Gerolamo Bonaparte. Il L. rispose con l'ironico e brioso Il
sig. Albèri ha ragione!( Dialogo apologetico (scritto a Collodi e pubblicato a
Firenze alla fine di dicembre), in cui, fingendo di schierarsi dalla parte del
professore bonapartista, ne ridicolizzava la proposta politica, sottolineando
come sull'ipotesi dell'annessione convergesse la volontà prevalente dei
Toscani. Nel febbraio del 1860, per interessamento del marchese Ginori e
di Ricasoli, ricevette la nomina per il modesto ruolo di commesso aggregato
della commissione di censura teatrale; in marzo condusse dalle colonne de La
Nazione un'accesa campagna in sostegno dei plebisciti annessionistici. Nei mesi
successivi si imbarcò nell'impresa della riesumazione (dal 15 maggio 1860) del
quotidiano umoristico Il Lampione, di cui era insieme fondatore, compilatore e
direttore (fino al marzo 1861, mentre il fratello Paolo ne era
l'amministratore) e che, presentandosi come prosecuzione del giornale
interrotto nel 1849, intendeva incarnare ed esprimere l'evoluzione (non solo
del L.) dal repubblicanesimo quarantottesco al successivo e più maturo lealismo
annessionistico. A questa amara e disillusa evoluzione politica
corrispondeva del resto l'insoddisfazione personale per la sua posizione
lavorativa, ormai stabile ma modesta e non amata. Ai doveri del suo ufficio il
L. si dedicò sempre senza entusiasmo, anche quando, nel 1864, ebbe la nomina a
segretario di seconda classe nell'amministrazione provinciale di Firenze e poi,
nel 1874, quella a segretario di prima classe: appena poté, nel giugno 1881,
chiese e ottenne di essere collocato a riposo. Le non onerose
incombenze del suo impiego, pertanto, non gli impedirono di occuparsi con
crescente intensità delle sue molteplici attività di pubblicista, scrittore
teatrale e, infine, di cultore di cose di lingua. Così, nel novembre 1860, recandosi
a Milano per contattare Tenca e il gruppo del periodico Il Crepuscolo, fu
cooptato come segretario aggiunto nella Commissione promotrice del Panteon
italiano, cui era collegato il progetto di un'edizione nazionale delle opere di
Dante. Nel 1861 pubblicò l'opuscolo La Manifattura delle porcellane di
Doccia, steso (probabilmente per iniziativa del fratello Paolo, direttore della
fabbrica Ginori) come guida storica e illustrativa dell'industria dei marchesi
Ginori in occasione dell'Esposizione italiana che si tenne quell'anno a
Firenze. L'opuscolo del L., che ripercorreva abbastanza fedelmente la linea
espositiva di un analogo volumetto compilato ancora da Albèri circa vent'anni
prima, era anche un "elogio della politica illuminata dei marchesi Carlo
("l'Owen della Toscana") e Lorenzo, per migliorare le condizioni di
vita dei propri operai" (Marcheschi, in C. Collodi, Opere, p.
XCIII). Sempre nel 1861, ne Il Lampione, apparve la commedia Gli estremi
si toccano, in seguito ampliata (probabilmente nel 1867) con il titolo La
coscienza e l'impiego, amara satira politica contro l'eterno trasformismo, e in
novembre poté finalmente far rappresentare il dramma Gli amici di casa,
rielaborato sul modello delle opere di V. Sardou in forma di commedia in tre atti:
l'accoglienza della critica fu tiepida, ma unanime consenso ricevette la
vivacità linguistica del testo. Al teatro il L. continuò a dedicarsi per
tutto il decennio successivo sia per dovere d'ufficio (dal 1862 faceva parte
della Società d'incoraggiamento teatrale e il 23 sett. 1867 nella Gazzetta
d'Italia apparve un suo importante articolo tecnico sulla Censura teatrale in
Italia) sia come critico e in qualità di autore. Nel 1870 pubblicò a Firenze la
commedia in tre atti L'onore del marito, rappresentata per la prima volta al
teatro Niccolini nel 1872, rivolta non tanto alla condanna dell'adulterio
quanto a sottolineare la vitalità della borghesia attiva rispetto
all'infiacchita e oziosa aristocrazia italiana. In quel periodo attese anche
alla stesura della commedia in quattro atti Antonietta Buontalenti, che non
risulta essere stata rappresentata; al 1872 risale inoltre la composizione
della commedia in due atti I ragazzi grandi, rappresentata con scarso successo
a Firenze nell'agosto dell'anno successivo. Subito trascritta in forma di
racconto lungo (o romanzo breve), fu pubblicata a puntate nel Fanfulla nella
primavera del 1873 con il significativo sottotitolo Bozzetti e studi dal vero.
Con esso per un verso si indicava il registro di spietata lucidità con cui
erano ritratti i protagonisti, viziati dall'ozio, dall'agiatezza e
dall'opportunismo politico; per l'altro si chiariva come il "vero"
che si prefiggeva il L., più che quello del naturalismo letterario, era quello
nitido, rapidamente tratteggiato e nettamente chiaroscurato en plein air della
contemporanea pittura toscana. Del resto, anche nell'intensa attività
giornalistica esercitata dal L. nel quindicennio che va dall'Unità al 1876 (in
particolare in La Nazione, La Gazzetta del popolo e, dal 1871, nel Fanfulla),
la sua attenzione di notista politico e di osservatore e commentatore di
costume andò concentrandosi, con toni progressivamente amari e disillusi,
sull'esame dei problemi, dei conflitti e degli scandali dell'Italia appena
unificata, con attacchi sempre più ironici e velenosi contro personaggi e
provvedimenti politici (come M. Coppino e la sua legge sull'istruzione
elementare, Q. Sella e la tassa sul macinato, il corso forzoso e la politica
fiscale dei governi della Destra) e soprattutto contro tipi, costumi e
mentalità dominanti, fino all'acme paradossale e sferzante della Delenda
Toscana, sarcastica lettera aperta a M. Minghetti, pubblicata il 30 genn. 1876
nel Fanfulla. Qui, in risposta alla ventata antitoscana successiva alla
polemica sul privilegiato esercizio delle ferrovie, era esposta la paradossale
e sferzante proposta di sopprimere la Toscana stessa, cancellandola dalla carta
geografica del Regno d'Italia. A questa oltranza polemica, pagata
peraltro cara dall'impiegato L., diffidato, in quanto dipendente del ministero
degli Interni, da G. Nicotera e da F. Crispi dal pubblicare articoli politici,
seguì un deciso cambiamento di attività e di orizzonti. In primo luogo,
al giornalismo etico-politico militante subentrò una fase in cui il L. si
dedicò al riordino e alla pubblicazione in volume del meglio della propria
produzione pubblicistica (racconti e cronache) nelle raccolte, dai titoli
programmaticamente eloquenti, Macchiette (Milano 1880) e Occhi e nasi. Ricordi
dal vero (Firenze 1881). In esse riunì, senza alcuna revisione, semplicemente
legate con il "filo di refe", come avvertiva non senza autoironica
civetteria nella prefazione di Macchiette, le prove più tipiche della prosa
giornalistica, caratterizzate da "sapienti scorciature e tagli
narrativi" (Asor Rosa, p. 554) a formare un antinaturalistico ritratto
"alla macchia" dell'Italia contemporanea, schizzato, cioè, "dal
vero" non a "figurine intere" ma con i tratti essenziali dei
"profili", gli occhi e i nasi (prefazione a Occhi e nasi).
Inoltre, si fece più consapevole la sua attenzione, sempre così acuta, ai
fatti di lingua, e tale senso nativo della lingua venne precisandosi in una più
chiara adesione al fiorentino vivo di tono medio. Proprio per questo nel 1868
fu nominato dal ministro E. Broglio membro straordinario della giunta per la
compilazione del vocabolario dell'uso fiorentino, impresa alla quale, peraltro,
dette scarso contributo. Il L. si indirizzò, dapprima casualmente e
occasionalmente, poi con impegno, assiduità e adesione personale sempre più
convinti, verso la letteratura per l'infanzia. Questa gli offriva un terreno di
illimitata libertà fantastica in cui superare la grigia realtà del presente e
insieme la possibilità di una sua piena partecipazione al clima "fortemente
pedagogizzante" del "mondo morale e intellettuale del tempo",
dominato da un "bisogno incoercibile di guardare al di sotto della
superficie" delle cose (Asor Rosa, p. 555), dal quale prendevano le mosse
i due diversi ma in fondo convergenti filoni della letteratura verista e della
letteratura moralistica e normativa alla De Amicis. L'occasione per quella
svolta fu offerta nel 1875 al L. dalla dinamica casa editrice fiorentina dei
fratelli Paggi, all'avanguardia nel fiorente mercato dell'editoria scolastica,
che gli propose di tradurre i Contes e le Histoires di Ch. Perrault, nonché le
favole della Contessa di Aulnoy e di Jeanne-Marie Le Prince de Beaumont. La
versione, condotta dal L. con leggere variazioni rispetto agli originali e con
stile piano ed elegantissimo, uscì l'anno seguente con il titolo Racconti delle
fate e le illustrazioni di E. Mazzanti. Da allora, pur riprendendo la
collaborazione al Fanfulla (1878) e continuando la sua attività di critico
teatrale, il L. si mosse quasi esclusivamente nel campo della letteratura
scolastica e per ragazzi. Così, sempre presso Paggi pubblicò con discreto esito
i due libri di lettura Giannettino (1877), che sin nel titolo riprendeva il
fortunato romanzo pedagogico Giannetto di L.A. Parravicini (1837), e Minuzzolo
(1878): entrambi erano storie di bambini discoli o svogliati, ricondotti alla
scuola e alla normalità dalle famiglie e da esperienze che li inducevano a
riflettere (lo schema è già quello di Pinocchio, ma le peripezie dei due
protagonisti si svolgono sullo sfondo della Firenze contemporanea).
Ormai accreditato tra i più ricercati autori di libri scolastici e per
l'infanzia, il L. (che per le sue opere pedagogiche ottenne nel 1878 la nomina
a cavaliere della Corona d'Italia e nel 1880 ricevette da A. Conti, assessore
alla cultura del Comune di Firenze, l'incarico di compilare i libri di testo
per le scuole fiorentine) si dedicò con insolita metodicità alla compilazione
di una lunga serie di opere che configuravano una sezione autonoma, personale e
sistematica, all'interno della "Biblioteca scolastica" della casa
editrice Paggi. Nacque così, tra l'altro, una serie di volumi imperniati sulla
figura di Giannettino: il Viaggio per l'Italia di Giannettino: Italia superiore
(1880), seguito nel 1883 dal secondo volume dedicato all'Italia centrale e nel
1886 dal terzo, sull'Italia meridionale; La grammatica di Giannettino (1883);
L'abbaco di Giannettino(1884); La geografia di Giannettino (1885); fino a La
lanterna magica di Giannettino (1890). Con la loro formula innovativa questi
testi costituirono una novità ben accolta dal mondo scolastico, ma non sempre
apprezzata dai vertici più austeri e arcigni del ministero della Pubblica
Istruzione (cfr. Raicich, p. 74 n.): le diverse discipline, infatti, erano esposte
in forma decisamente scherzosa e discorsiva, spesso apertamente dialogica
nell'intento di alleggerire la finalità didascalica del testo e rendere
l'apprendimento il più possibile piacevole e "naturale". Al
centro di tale intensa attività vanno inquadrate la nascita e la complessa
vicenda redazionale ed editoriale de Le avventure di Pinocchio. Il libro nacque
per le insistenze di G. Biagi, vecchio amico del L., che lo voleva tra i
collaboratori del periodico Il Giornale per i bambini di cui era animatore e
che era stato fondato nel 1881 da F. Martini con l'ambizione di rinnovare la
letteratura infantile italiana. Il L., ormai stanco e disilluso, rispose
controvoglia inviando all'amico i primi tre capitoli di un testo intitolato La
storia di un burattino (dallo stesso L. definito, con la consueta autoironia,
"una bambinata"), pubblicati nei numeri di luglio del Giornale. I
capitoli successivi apparvero nei numeri dal 4 agosto al 27 ottobre: la vicenda
si concludeva al capitolo XV con l'impiccagione e la presunta morte del
burattino. Forse per le insistenze di Biagi e certo per il successo riscosso
dalla storia, il L., dopo molti dinieghi, si decise a proseguire la narrazione,
il cui seguito, con il titolo ormai definitivo di Le avventure di Pinocchio.
Storia di un burattino, iniziò a essere pubblicato (dal cap. XVI) dal febbraio
1882. La pubblicazione proseguì a ritmo irregolare durante tutto il 1882 per
concludersi (con il XXXVI e ultimo capitolo) nel gennaio 1883. Velocissima fu
invece la pubblicazione in volume, che uscì nel febbraio successivo presso
Paggi, con le illustrazioni, di nuovo, di Mazzanti; sempre presso Paggi
apparvero, e andarono presto esaurite, una seconda edizione nel 1886 (lo stesso
anno in cui E. De Amicis pubblicava Cuore), una terza (1887) di cui non restano
esemplari, e una quarta (1888). L'ultima edizione uscita vivente l'autore fu
quella pubblicata nel 1890 presso R. Bemporad & figlio concessionari della
Libreria Paggi. Non è sicuro che il L. abbia rivisto personalmente tutte queste
edizioni, che pure furono stampate con il suo consenso; è certo, però, che nel
corso delle varie ristampe il testo fu alterato da refusi e
banalizzazioni. Se ci si limita alle sole circostanze esterne della
composizione e della pubblicazione di Pinocchio, dunque, può risultare fondata
la qualifica di "capolavoro scritto per caso" risalente a P.
Pancrazi. In essa, oltretutto, è cristallizzata in un'efficace formula critica
la constatazione che la straordinaria qualità espressiva della "bambinata"
ha finito per mettere in ombra il resto dell'intensa carriera letteraria e
giornalistica del L., il quale, se non avesse scritto il suo capolavoro,
sarebbe comunque restato, al di là delle sue ambizioni teatrali, uno dei
protagonisti della narrativa umoristica e soprattutto del giornalismo della
seconda metà dell'Ottocento. In realtà, nell'archetipica polisemia
della fiaba e con l'enigmatica perspicuità del capolavoro, in Pinocchio
convergevano, in una struttura insieme profondamente coesa, traballante e
sfuggente, tutte le componenti e le esperienze della vita e della carriera
letteraria del L.: dalla sua lunga militanza come scrittore satirico e
bozzettista (trasfusa nelle numerose figure e figurine che animano l'universo
del burattino), alla sua intensa attività di autore di testi scolastici (da cui
deriva il registro scherzoso e colloquiale con cui è condotta la narrazione),
alla sua ricerca di una lingua non letteraria e mediana, che trova piena
realizzazione nel toscano "vivo" in cui la celebre fiaba è
narrata. Di tutto ciò non si accorsero né i contemporanei, che
decretarono a Le avventure di Pinocchio un successo crescente ma circoscritto
all'esiguo spazio della letteratura infantile, mentre la fortuna editoriale
della "bambinata" veniva crescendo fino a farne il libro più letto e
tradotto al mondo dopo la Bibbia, né gli antesignani della critica collodiana
(da P. Hazard, a Pancrazi, a B. Croce, fino ad A. Savinio e A. Baldini), i
quali, rivolti a indagare e rivendicare Pinocchiocome capolavoro della letteratura
mondiale, non si curarono di ricostruirne i nessi con la vita e la carriera del
suo autore. Negli anni della composizione e pubblicazione di Pinocchio,
il L. proseguì la collaborazione al Fanfulla (fino al 1897) e assunse parte
sempre più attiva nella gestione del Giornale per i bambini, di cui divenne
direttore nel biennio 1883-85 e nel quale pubblicò racconti e novelle quali Chi
non ha coraggio vada alla guerra. Proverbio in due parti, La festa di Natale e
Pipì lo scimmiottino color di rosa, quest'ultima confluita con altri racconti e
memorie, tra cui il brioso dialogo Dopo il teatro, nel volume Storie allegre
pubblicato nel 1887, sempre presso Paggi. L'anno prima era morta la
madre, presso la quale il L. ancora viveva, e per lui fu un colpo da cui non
riuscì a riprendersi. Gli anni successivi furono i più tristi e solitari della
vita del L. che, già minato nel fisico, venne sempre più chiudendosi in se
stesso e isolandosi nel suo lavoro. Il L. morì a Firenze
improvvisamente, la sera del 26 ott. 1890. Dopo la sua morte, su incarico
del fratello Paolo, il grammatico e lessicografo purista G. Rigutini ordinò e
raccolse in due volumi (Note gaie e Divagazioni critico-umoristiche, editi
entrambi a Firenze nel 1892) gran parte delle prose sparse del L., intervenendo
con arbitrarie correzioni e aggiunte ai testi. Rigutini e il fratello Paolo,
inoltre, passarono in rassegna la vasta raccolta delle sue carte, provvedendo a
distruggere quasi tutte le lettere (private o d'argomento politico) che
avrebbero potuto nuocere all'onorabilità del L. e di molti viventi, e
soprattutto molti inediti, al fine di salvaguardare "il buon nome del
Collodi scrittore" (cfr. Paolo Lorenzini [Collodi nipote], pp. 70, 74). Le
non molte carte sopravvissute furono donate dall'ultimo dei fratelli, Ippolito,
alla Biblioteca nazionale di Firenze. Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca
nazionale, N.A., 754: Carte Lorenzini, cassette I, II, III; un altro nucleo di
carte è custodito presso l'archivio del Gruppo editoriale Giunti Bemporad Marzocco
di Firenze, erede della casa editrice Paggi (cfr. M.J. Minicucci, Tra l'inedito
e l'edito delle carte manoscritte di C. L., in Studi collodiani. Atti del I
Convegno internazionale,( 1974, Pescia 1976, pp. 381-403). Altri documenti sono
presso l'Autografoteca Bastogi della Biblioteca Labronica F.D. Guerrazzi di
Livorno e presso la Biblioteca nazionale di Roma. Infine, numerosi cimeli sono
conservati presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze (cfr. i cataloghi
Collodi giornalista e scrittore, a cura di R. Maini - P. Scapecchi, Firenze
1981; Pinocchio e pinocchiate nelle edizioni fiorentine della Marucelliana, a
cura di R. Maini - M. Zangheri, Firenze 2000). Tra le testimonianze
biografiche contemporanee, i necrologi di E. Checchi e Yorick (rispettivamente
nel Fanfulla della domenica e nella Domenica fiorentina, 2 nov. 1890; i profili
premessi dai curatori a due successive edizioni delle Note gaie del L. (a cura
di G. Rigutini, Firenze 1892, pp. V-XVI; a cura di I. Cortona [Lorenzini],
ibid. 1911, pp. III-XL); G. Biagi, Il babbo di "Pinocchio": C.
Collodi, in La Lettura, marzo 1907, pp. 184-190; F. Martini, Confessioni e
ricordi (Firenze granducale), I, Firenze 1922, pp. 168 s.; inoltre P.
Lorenzini, Collodi e Pinocchio, Firenze 1954; R. Bertacchini, Il padre di
Pinocchio. Vita e opere del Collodi, Milano 1993; B. Traversetti, Introduzione
a Collodi, Roma-Bari 1993; Cronologia, in C. Collodi, Opere, a cura di D.
Marcheschi, Milano 1995, pp. LXVII-CXXIV. Manca un'edizione completa delle
opere del L.: il progettato Tutto Collodi, a cura di P. Pancrazi, è rimasto
interrotto al primo volume (Firenze 1948); la più ampia raccolta attualmente
disponibile è quella delle Opere, a cura di D. Marcheschi, che nella
Bibliografia delle opere di C. Collodi dà conto delle numerose edizioni e
ristampe dei testi giornalistici e delle opere minori (narrative e teatrali)
del L.: va inoltre ricordata la ristampa anastatica della Grammatica di
Giannettino, a cura di F. Geymonat, Firenze 2003. De Le avventure di
Pinocchio si segnalano solo le edizioni di particolare rilievo: le due edizioni
critiche, la prima a cura di A. Camilli, Firenze 1946 (basata sull'edizione
Paggi del 1883); la seconda, a cura di O. Castellani Pollidori, Pescia 1983
(fondata sull'edizione Bemporad 1890 - l'ultima rivista dall'autore -, ma
corredata delle varianti delle precedenti stampe e dei manoscritti
dell'autore); inoltre, le tre edizioni curate da F. Tempesti (tutte pubblicate
a Milano) nel 1972, nel 1983 e nel 1993, corredate da un ampio commento e da ricchi
apparati documentari; infine, quella compresa nella raccolta di Opere, a cura
di D. Marcheschi, cit. (pp. 359-526), con ampio corredo di note (pp. 916-1003).
Tra le più recenti, quella (Torino 2002) con introd. di S. Bartezzaghi e
prefaz. di G. Jervis, e quella (Milano 2002) con introd. di P. Italia (pp.
VII-XXII) e prefaz. di V. Cerami (pp. XXII-XXVII). Per il resto si rinvia
(anche per la letteratura critica) alla Bibliografia Collodiana (1883-1980)di
L. Volpicelli (Pescia 1980), da integrare con la citata Bibliografia di D.
Marcheschi (pp. 1119-1130, aggiornata al 1994), alla consultazione del catalogo
della Biblioteca Collodiana e all'Archivio digitale degli articoli su C.
Collodi e Pinocchio (on-line su internet), gestiti dalla Fondazione nazionale
Carlo Collodi di Pescia. La storia degli studi critici sul L. (in gran
parte contributi su Pinocchio) è ricostruita in due ampie panoramiche: Da
Collodi a L.: sulla fortuna critica di D. Marcheschi, in C. L. oltre l'ombra di
Collodi, a cura di G.E. Viola - F. Rovigatti, Roma 1990, pp. 55-64; Pinocchio
tra due secoli. Breve storia della critica collodiana di R. Bertacchini, in C.
L.- Collodi nel centenario. Atti del Convegno, Roma-Pescia( 1990, Roma 1992,
pp. 121-164. Pertanto, diamo per esteso solo i riferimenti agli incunaboli
della critica collodiana richiamati nel testo: P. Hazard, La littérature
enfantine en Italie, in Revue des deux mondes, 15 febbr. 1914, pp. 842-870; P.
Pancrazi, Elogio di Pinocchio [1921], in Id., Venti uomini, un satiro e un burattino,
Firenze 1923, pp. 201-205; B. Croce, Pinocchio, in Id., La letteratura della
Nuova Italia, V, Bari 1939, pp. 361-365; P. Bargellini, La verità di Pinocchio,
Brescia 1942; A. Savinio, Collodi, in Id., Narrate uomini la vostra storia,
Milano 1944, pp. 177-195; V. Fazio Allmayer, Commento a Pinocchio, Firenze
1945; A. Baldini, La ragion politica di "Pinocchio" (1876), in Id.,
Fine Ottocento. Carducci, Pascoli, D'Annunzio e minori, Firenze 1947, pp.
118-124; P. Pancrazi, Capolavoro scritto per caso[1948], in Id., Scrittori
d'oggi, 5, Segni del tempo, Bari 1950, pp. 165-171. Inoltre, va ricordato
l'impulso dato allo studio della personalità e dell'opera del L. dalla
Fondazione nazionale Carlo Collodi, a Pescia, soprattutto con una lunga serie
di congressi scientifici: Studi collodiani. Atti del I Convegno
internazionale,( 1974, Pescia 1976; Pinocchio oggi. Atti del Convegno
pedagogico,( 1978, Pescia-Collodi 1980; "C'era una volta un pezzo di
legno". Atti del Convegno "La simbologia di Pinocchio", Pescia(
1980, Milano 1981; Folkloristi italiani del tempo del Collodi(, Pescia( 1982, a
cura di P. Clemente - M. Fresta, Montepulciano 1986; Pinocchio fra i burattini.
Atti del Convegno internazionale, ( 1989, a cura di F. Tempesti, Firenze 1993;
Pinocchio sullo schermo e sulla scena. Atti del Convegno internazionale,( 1990,
a cura di G. Flores d'Arcais, Firenze 1994; Scrittura dell'uso al tempo del
Collodi( 1990, a cura di F. Tempesti, Firenze 1994; Pinocchio nella
pubblicità(, Pescia( 1995, a cura di P.F. Bernacchi, Firenze 1997; Sterne e
Collodi. Atti della tavola rotonda,( 1995, Lucca 1999. Per il centenario
della morte del L. vanno ricordati il volume promosso dalla Banca Toscana, C.
Collodi, lo spazio delle meraviglie, a cura di R. Fedi, con introduzione di L.
Comencini e Suso Cecchi D'Amico, s.l. [ma Firenze] 1990 e le citate
pubblicazioni dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana a Roma: il catalogo C.
L. oltre l'ombra di Collodi; e gli atti del Convegno C. L.- Collodi nel
centenario. Tra gli studi dell'ultimo decennio: M. Raicich, Di grammatica
in retorica. Lingua scuola editoria nella Terza Italia, Roma 1996, pp. 3-7, 71
s., 74, 231; G. Cives, Pinocchio tra realtà e sogno, in F. Cambi - G. Cives, Il
bambino e la lettura. Testi scolastici e libri per l'infanzia, Pisa 1996, pp.
279-314; E. Giachery, Tre compari intorno a un burattino, in Id., La
letteratura come amicizia, Roma 1996, pp. 137-146; M. Gómez del Manzano - G.
Janier Manica, Pinocchio in Spagna, Scandicci 1996; A. Asor Rosa, Le avventure
di Pinocchio, in Id., Genus Italicum. Saggi sull'identità letteraria italiana
nel tempo, Torino 1997, pp. 551-617; P. Citati, Il ritratto di
"Pinocchio", in Id., Ritratti di donne, Milano 1997, pp. 148-160; G.
Cives, Da "Pinocchio" a "Cuore": due fortune molto diverse,
in Scuola e città, XLVIII (1997), pp. 13-23; M. Farnetti, I notturni di
Pinocchio, in Id., L'irruzione del vedere nel pensare. Saggi sul fantastico,
Pasian di Prato 1997, pp. 71-86; G. Gasparini, La corsa di Pinocchio, Milano
1997; D. Lanza, Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri
trasgressori del senso comune, Torino 1997, pp. 170-175; F. Tempesti,
Pinocchio, in I luoghi della memoria: strutture ed eventi dell'Italia unita, a
cura di M. Isnenghi, Roma-Bari 1997, pp. 115-137; V. Spinazzola, Pinocchio
& C., Milano 1997 (in partic. pp. 9-97); P.M. Toesca, La filosofia di
Pinocchio, ovvero l'Odissea di un ragazzo per bene con memoria di burattino, in
Forum Italicum, XXXI (1997), 2, pp. 459-486; L. Pizzoli, Sul contributo di
"Pinocchio" alla fraseologia italiana, in Studi linguistici italiani,
XXIV (1998), pp. 167-209; R. Randaccio, La "Legge shandyana del nome"
nei personaggi di C. Collodi, in Riv. italiana di onomastica, IV (1998), pp.
59-69; R. Bertacchini, Collodi poeta di teatro, in Nuova Antologia, 1999, n.
2122, pp. 244-253; G. Biffi, Alcuni interrogativi su Collodi e Pinocchio, in
Studi cattolici, XLIII (1999), pp. 522-526; R. Campa, La metafora
dell'irrealtà: saggio su "Le avventure di Pinocchio", Lucca 1999;
Sterne e Collodi, Lucca 1999 (testi di R. Bertacchini, D. Marcheschi, F.
Tempesti); E. Guagnini, Il "Romanzo in vapore" e la tradizione delle
guide e della letteratura di viaggio, in Id., Viaggi d'inchiostro. Note su
viaggi e letteratura in Italia, Udine 2000, pp. 69-84; T. Iermano, Da Parravicini
a De Amicis: considerazioni sulla letteratura per l'infanzia tra Risorgimento e
Italia umbertina, in Studi piemontesi, 2000, n. 2, pp. 345-362; M. Carosi,
Pinocchio. Un messaggio iniziatico, prefaz. di G. De Turris, Roma 2001; A.
Gnocchi - M. Palmaro, Ipotesi su Pinocchio, Milano 2001; S. Moret, Pinocchio e
le "pinocchiate" in Francia, in Levia gravia, III (2001), pp. 77-88;
L. Tamburini, Il cuore di Collodi e quello di De Amicis, in Studi piemontesi,
XXX (2001), 2, pp. 295-314; M. Villoresi, La letteratura poliziesca e del
mistero ambientata a Firenze. Contributo per un itinerario di ricerca, in
Archivi del nuovo, 2001, n. 8-9, pp. 65-83; M. Scollo Lavizzari, Della
disubbidienza in Pinocchio, in Nuovi Argomenti, s. 5, ottobre-dicembre 2002, n.
20, pp. 322-339; F. Geymonat, Una grammatica di buon senso, in C. Collodi, La
grammatica di Giannettino, a cura di F. Geymonat, Firenze 2003, pp. I-XVIII; C.
Marello, La dubbia efficacia del paternalismo induttivo, ibid., pp. XIX-XXII;
O. Castellani Pollidori, In riva al fiume della lingua. Studi di linguistica e
filologia (1961-2002), Roma 2004, ad ind.; Il giro di Pinocchio in due
giornate. Convegno internazionale di studi, Pisa( 2004 (in corso di
stampa). D. Proietti Ho intervistato Emilio Garroni il 21 settembre
2004, presso la sua casa di Roma. Pochi mesi prima avevo deciso, insieme al mio
relatore Prof. Leonardo Amoroso, di scrivere una tesi sull’estetica di Garroni.
Garroni, molto gentilmente, non solo ha concesso l’intervista ma l’ha rivista e
mi ha fornito indicazioni importanti per la stesura della tesi1. 1. Prof.
Garroni, nei suoi testi c'è stato un progressivo spostamento di interesse dalla
semiotica all'estetica, in che modo lo descriverebbe? Come lo motiva? Io mi
sono occupato molto prima di estetica che di semiotica. Ma quando ho cominciato
ad occuparmi di semiotica, l’interesse non era rivolto solo alle opere d’arte,
anche se l’occasione fu questa. Perché mi sono occupato di semiotica? Sono
stato attratto anch’io nel vortice della moda della semiotica, cominciata nei
primi anni ’60, forse negli ultimi anni ’50. Ma forse avevo anche qualche
motivo serio per farlo. Provenivo dalla cultura estetica imperante in Italia
fino a tutti gli anni ’40, di tipo crociano, dove l’arte viene riportata all’intuizione,
e non si dice quasi nulla di più. Non si sa in alcun modo come
l’estrinsecazione di questa intuizione si strutturi e sia analizzabile. Lo
stesso Croce nelle sue opere critiche conduce analisi critiche vere e proprie
in modo assai esiguo. Poesia e non-poesia e quasi nient’altro. Anche i
tentativi che furono fatti sulla scia 2crociana nell’ambito di arti
particolari, nell’architettura da parte di Bruno Zevi , nella musica da parte
di altri e così via, servirono fino a un certo punto, perché restava pur sempre
quelle categoria fissa e indistinta dell’intuizione. Tanto meno si poteva
sapere, come pure era nella mente di Croce, se e quando un’opera d’arte fosse
veramente un’opera d’arte, se si potesse distinguere fra un’opera d’arte
riuscita e un’opera d’arte non riuscita e quindi non più opera d’arte. Appunto
questo intuizionismo mi urtava. Non a caso mi avvicinai in un 1 Questa
intervista nasce dunque come appendice alla mia tesi di laurea, ovvero:
Fiorenzo Ferrari, Estetica e filosofia in Emilio Garroni, tesi di laurea
discussa presso l’Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lettere e
Filosofia, Corso di Laurea in Filosofia, relatore prof. Leonardo Amoroso, a.a.
2004-2005. 2 Cfr. Bruno Zevi, Saper vedere l’architettura, Einaudi, Torino,
1949. Intervista a Emilio Garroni 2 primo momento a Galvano
della Volpe, citato già nel mio primo libro del ‘643 e ampiamente discusso
insieme al pensiero di Anceschi, di Formaggio e di molti altri. Perché Galvano
della Volpe? Perché in lui c’era l’esigenza di riportare l’opera d’arte a un
uso specifico del linguaggio: in lui insomma l’opera si presentava come
analizzabile, ed effettivamente della Volpe conduceva analisi semantiche,
piacciano o no, più che analisi sorvolanti sulla mera forma. Tali analisi
semantiche si occupavano inoltre anche di varie arti non linguistiche.
L’appendice alla Critica del gusto4, che riprende il tema del Laocoonte
lessinghiano, contiene infatti riferimenti, per esempio, alla pittura, e non è
un caso che al proposito si citi Cesare Brandi, che non fu mai un semiotico,
anzi fu un accanito antisemiotico, e tuttavia poneva le basi di un’autentica
analisi dell’opera d’arte. Tra parentesi: io apprezzavo e apprezzo tuttora
moltissimo Brandi, che ho sempre letto fin dall’inizio, fin dagli anni ’40.
Insomma: mi interessava di poter disporre di una teoria che permettesse di
analizzare, sì, la struttura delle opere, ma anche la loro struttura
comunicativa. Ero tuttavia contrario al modo semplicistico allora adottato
frequentemente, di prendere pezzi materiali di opere e classificarli come segni
(per esempio, nell’architettura, «capitello», «colonna», «base», e così via), e
ho tentato invece un’impresa molto più difficile e in qualche modo più fine,
che però si dimostrò anch’essa fallimentare o piuttosto inutilizzabile. Mi
sforzavo cioè di produrre una semiotica formale mediante operazioni analoghe a
quelle che si conducono sul linguaggio, dove appunto si arriva a unità formali,
non materiali. Monemi e fonemi, per esempio, non sono pezzetti di frase, ma
unità formali costitutive della sequenza linguistica. Volevo ottenere insomma
una autentica leggibilità dell’opera, non puramente retorica, ma aderente alla
sua costituzione. Non pretendevo, certo, di arrivare attraverso l’analisi di
un’opera a giustificare la sua bellezza o non bellezza, il giudizio estetico è
un'altra cosa, volevo solo analizzare e capire l’oggetto, che poteva poi essere
opera d’arte o altre cose, anche non opere d’arte, anche oggetti comuni. Ho
intrapreso dunque questa impresa assai ardua, ma a un certo punto mi sono
accorto che quel lavoro poteva forse essere interessante come mero esperimento,
ma non portava a niente. In realtà non portava a niente né la semiotica
materiale di tanti altri, né la mia semiotica formale. Ho avuto una vera e
propria crisi teorica dopo aver scritto Progetto di semiotica5, libro
semioticamente troppo ambizioso. La crisi si risolse con Ricognizione della
semiotica6, che è una dichiarazione di abbandono sostanziale della semiotica e
un’apertura più decisa, anche se già più che affiorante negli scritti
precedenti, verso altri orientamenti. Una precisazione importante: mi sono
distaccato dagli studi di semiotica sulla base di un accorgimento ancora più
fondamentale, vale a dire: avevo tentato di utilizzare opportunamente gli
strumenti linguistici anche per i linguaggi non verbali e di arrivare a
soluzioni non ovviamente identiche, ma analoghe, nella definizione del loro
codice, e mi sono accorto a un certo punto che neanche il codice linguistico è
un vero e proprio codice. C’è, sì, una parte codificata, fonematica, monematica
e grammaticale, ma nell’uso, poi, il linguaggio è creativo, continuamente si
amplia, muta, e così via. E mi sono convinto che sarebbe stato assurdo
pretendere qualcosa di 3 Emilio Garroni, La crisi semantica delle arti,
Officina Edizioni, Roma, 1964. 4 Galvano della Volpe, Critica del gusto,
Feltrinelli, Milano, 1960. 5 Garroni, Progetto di semiotica. Messaggi artistici
e linguaggi non-verbali, Problemi teorici e applicativi, Laterza, Bari, 1972. 6
Garroni, Ricognizione della semiotica. Tre lezioni di, Officina Edizioni, Roma,
1977. Intervista a Emilio Garroni 3 più da linguaggi
chiaramente ancora meno codificati, come per esempio il presunto linguaggio
figurativo. Mi ha allontanato dalla semiotica, inoltre, l’approfondimento del
pensiero di Kant. Naturalmente, mi ero da sempre occupato di Kant e in
particolare della terza Critica, almeno dagli anni ‘60 e anche prima, e ho
tenuto sull’argomento vari corsi di lezioni. E via via che andavo maturando una
mia interpretazione di Kant, essa era sempre più in collisione con una
prospettiva semiotica. Non che le opere non siano analizzabili, ma sono
analizzabili con strumenti diversi, non con strumenti propriamente semiotici.
Ma questo è un altro discorso. 2. Come reputa di inserirsi nella tradizione
kantiana in Italia? Quali sono stati e sono i suoi riferimenti imprescindibili
in essa, e come ritiene di averli rielaborati? Chi sono stati e sono i suoi
interlocutori privilegiati? Il riferimento più significativo è stato ed è
Scaravelli. Scaravelli dà un’inter- pretazione fulminante della terza Critica7,
mettendo in evidenza cose che non erano mai state viste, e che invece, dopo
aver letto Scaravelli, risultano addirittura ovvie. Debbo citare anche un autore,
un po’ più antico, che pure dice cose molto interessanti: Baratono, che
sostanzialmente interpreta il principio estetico della facoltà di giudizio come
un principio per la possibilità dell’esperienza particolare della natura e
quindi della scienza8. È insomma una parziale anticipazione di Sca- ravelli. Un
ultimo riferimento notevole è Vittorio Mathieu, che è giunto a risultati
analoghi nei riguardi del cosiddetto Opus postumum9. Questi sono i miei più
importanti riferimenti. Tutti italiani? Naturalmente ho letto e apprezzato
anche molte opere di stu- diosi non italiani, da Cassirer a De Vleeschauwer, da
Hinske a Guyer, e così via. Ma sa che cosa si dice, scherzando, ma fino a un
certo punto, in Germania, proprio nell’ambiente di Hinske?, che gli studi kantiani
si sono ormai trasferiti in Italia. I miei interlocutori... non è che io abbia
tanti interlocutori. Insomma: molti che si occupano di Kant non si occupano
molto di me, e io non mi occupo molto di loro. Alcuni interlocutori, sì, li ho,
e ottimi. Per esempio Marcucci, con cui ho avuto anche una corrispondenza che,
come lei sa, è stata pubblicata, mi pare, in «Studi di estetica»10. Con
Marcucci sono in ottimi rapporti, abbiamo sempre scambiato idee, mi manda i
suoi libri e i suoi saggi e io gli mando i miei. Insomma discutiamo, anche se
non siamo sempre d’accordo, soprattutto sul punto fondamentale
dell’interpretazione del principio estetico della facoltà di giudizio. Ma
spesso è più 7 Le considerazioni più rilevanti sulla terza Critica sono in:
Luigi Scaravelli, Osservazioni sulla «Critica del Giudizio» (1955), poi in
Scaravelli, Scritti kantiani, La Nuova Italia, Firenze, 1968. 8 Cfr. Adelchi
Baratono, Il pensiero come attività estetica. Introduzione alla Critica del
Giudizio, in «Logos», X, 1-2, 1927. 9 Vittorio Mathieu, La filosofia
trascendentale e l’ «Opus postumum» di Kant, Edizioni di «Filosofia», Torino,
1958; Immanuel Kant, Opus postumum, a cura di V. Mathieu, Zanichelli, Bologna,
1963. 10 Garroni, Silvestro Marcucci, Lettere kantiane, in «Studi di estetica»,
V, 1979-80. Intervista a Emilio Garroni 4 proficuo non essere
d’accordo, che l’esserlo11. E ancora: Amoroso. Con Amoroso ho scambiato idee,
ho letto il suo libro su Kant che apprezzo molto12. Per esempio, ci siamo visti
in occasione di un seminario kantiano a Palermo13, e abbiamo parlato a lungo. E
ancora Makkreel, che ho conosciuto a Cerisy La-Salle14, e La Rocca, che mi
interessa molto. A proposito di Cerisy, proprio lì Amoroso ed io scoprimmo,
chiacchierando insieme, non senza stupore e forse con un po’ di disappunto, che
stavamo entrambi traducendo la terza Critica15, rispettivamente: Critica della
capacità di giudizio16 e Critica della facoltà di giudizio17. Ma dovrei
ricordare alcuni dei miei allievi, con cui sono molto legato e con cui c’è
sempre stato uno scambio molto forte su problemi kantiani: Di Giacomo, Montani,
Catucci, Velotti, che ha scritto un bel libro che si occupa largamente di Kant,
recentemente edito da Laterza18. E soprattutto Miki Hohenegger, con il quale ho
lavorato insieme nella traduzione della terza Critica, edita da Einaudi, e
nella stesura della relativa Introduzione. E altri ancora. La Rocca è un caso
per me leggermente, come dire?, angustiante, perché è un ottimo studioso ed è
per fortuna d’accordo con me su molti punti, abbiamo anche parlato insieme
oltre che scritto reciprocamente uno dell’altro, però non accetta, al pari di
Marcucci, la mia interpretazione del principio estetico come il principio
stesso della facoltà del giudizio19. Eppure Kant dice, mi pare più volte e
chiaramente in tutto il testo, che quello è l’unico principio costitutivo della
facoltà di giudizio, mentre il principio teleologico è soltanto derivato da
quello. Il caso di La Rocca è in un certo senso l’inverso del caso di Desideri,
che è senza dubbio, anche lui, un studioso bravo, interessante, forse un po’
complicato qualche volta, ma bravo. Perché inverso? Perché recentemente è
uscito un suo libro20, in cui lui riprende in sostanza la mia interpretazione,
che a lui sta bene, al contrario di La Rocca. Ebbene, 11 Cfr. Garroni, Estetica
ed epistemologia. Riflessioni sulla “Critica del Giudizio” di Kant, Bulzoni,
Roma, 1976 (2a ed. con una Premessa dell’autore: Unicopli, Milano, 1998);
Marcucci, Epistemologia ed estetica in Kant, in «Physis», XIX, 1977. 12
Leonardo Amoroso, Senso e consenso. Uno studio kantiano, Guida, Napoli, 1984.
13 Seminario promosso dal Centro Internazionale Studi di Estetica e svoltosi a
Palermo, Grand Hotel des Palmes, 9-10 ottobre 1998. Tema del convegno:
Baumgarten e gli orizzonti dell’estetica; contemporaneamente all’uscita di:
Alexander G. Baumgarten, Lezioni di estetica, a cura di S. Tedesco, Aesthetica,
Palermo, 1998. Hanno introdotto la discussione L. Amoroso, M. Ferraris, E.
Garroni, L. Russo. Partecipanti: M. Carbone, G. Carchia, P. D’Angelo, G. Di
Giacomo, R. Diodato, E. Ferrario, D. Goldoni, T. Griffero, P. Kobau, G.
Lombardo, E. Mattioli, M. Mazzocut-Mis, P. Montani, P. Pimpinella, L. Pizzo
Russo, R. Salizzoni, S. Tedesco, G. Tomasi, S. Velotti. La relazione di Garroni
e altre relazioni e comunicazioni sono state poi pubblicate in «Aesthetica
Preprint», 54, 1998. 14 A Cerisy si svolgono le attività del Centre Culturel
International (www.ccic-cerisy.asso.fr). 15 Il Colloquio su L’Esthétique de
Kant si svolse nel giugno 1993. Gli atti sono stati poi pubblicati in: AA.VV.,
Kants Ästhetik, hrsg. H. Parret, Walter de Gruyter, Berlin-New York, 1998. 16
Kant, Critica della capacità di giudizio, a cura di L. Amoroso, BUR, Milano,
1995. 17 Kant, Critica della facoltà di giudizio, a cura di E. Garroni e H.
Hohenegger, Einaudi, Torino, 1999. 18 Stefano Velotti, Storia filosofica
dell’ignoranza, Laterza, Roma-Bari, 2002. 19 Cfr. Claudio La Rocca, Soggetto e
mondo. Studi su Kant, Marsilio, Venezia, 2003. 20 Fabrizio Desideri, Il
passaggio estetico. Saggi kantiani, Il Melangolo, Genova, 2003.
Intervista a Emilio Garroni 5 curiosamente non ho mai avuto
rapporti personali con lui, al contrario di La Rocca, se non di sfuggita in
concorsi o cose del genere. E per di più Desideri scrive all’inizio del suo
ultimo libro che questa idea gli è venuta leggendo una serie di libri, fra cui
il mio, ma anche quelli di altri che negano recisamente questa tesi. Non
capisco bene il perché. In ogni caso posso dire che con Desideri sono «idealmente»
in rapporti di discussione. 3. Più volte Lei fa riferimento alla problematicità
di una storia dell'estetica. In Estetica. Uno sguardo-attraverso21 si prendono
in considerazione Burke e Batteux oltre a, naturalmente, Kant. Inoltre lì, e
per un certo verso anche in Senso e paradosso22, si argomenta intorno alla
possibilità di una rilettura motivata di testi definibili come «estetici»
scritti prima del XVIII secolo, rilettura nella prospettiva del «senso» che è a
Lei propria. Come ritiene quindi fattibile una storia dell'estetica? E con
quali limiti? Non ho mai scritto una storia dell’estetica, né mi è mai venuto
in mente di farlo, e ormai non la scriverò neppure in futuro. Però cominciano a
uscire dei lavori interessanti, cioè esempi di una storia dell’estetica
calibrata in modo diverso rispetto a quello tradizionale: una storia
dell’estetica che non presume di trovare un’estetica dappertutto, tale e quale,
così come si è costituita nel secolo XVIII. Si è ormai consci che si debbono
fare distinzioni opportune. L’oggetto stesso della cosiddetta riflessione
estetica, in senso molto lato, è diverso nei vari tempi, non è affatto identico
a quello che noi chiamiamo opera d’arte bella, una categoria nata storicamente
in un certo tempo. Ci sono, come dico spesso nei miei libri, somiglianze,
identità parziali, ma anche differenze, talvolta molto forti, tra i vari
oggetti sui quali si esercita la cosiddetta riflessione estetica. Questo
significa che non si può scrivere una storia dell’estetica come storia di una
disciplina e che però si può forse delineare un panorama di tutti quei fenomeni
che, in qualche modo, hanno analogie con ciò che noi, poi, abbiamo chiamato
opere d’arte bella e che richiedono parimenti un principio non intellettuale.
Su questa base è nata una subcollanina laterziana di Cultura Moderna, da me
diretta, dedicata ai problemi dell’estetica e dell’altro dall’estetica23, dove
sono usciti alcuni ottimi libri, per esempio quello di Paolo D’Angelo
sull’estetica della natura e dell’ambiente24. Dunque, estetica fino a un certo
punto, che non si occupa di opere d’arte, ma di oggetti diversi che possono
essere sottoposti a giudizi di tipo diverso, che non sono sempre, o quasi mai,
puramente estetici, ma coinvolgono altri aspetti della nostra esperienza. E’ uscito
poi un libro di Guastini sull’estetica antica, particolarmente interessante,
perché riesce a chiarirla senza mai dimenticare che la filosofia antica non
possiede una vera e propria estetica, non solo perché non sia sanzionata come
disciplina, ma perché i suoi 21 Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso,
Garzanti, Milano, 1992. 22 Garroni, Senso e paradosso. L’estetica filosofia non
speciale, Laterza, Roma-Bari, 1986. 23 La serie di Laterza si chiama: «Temi per
l’estetica» ed appartiene alla collana «Biblioteca di cultura moderna». 24
Paolo D’Angelo, Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte
ambientale, Laterza, Roma-Bari, 2001. Intervista a Emilio Garroni
6 problemi erano alquanto diversi25. Ebbene, in quel libro si vedono
bene, come le dicevo, e differenze e analogie. Insomma: questo è appunto un
modo di fare storia dell’estetica senza pretendere di fare la storia di una
disciplina, ma piuttosto la storia di un qualcosa di cangiante che circola
nella riflessione e che tuttavia richiede una qualche condizione comune,
qualcosa come il principio soggettivo della facoltà di giudizio. E del resto io
stesso, il mio ultimo libro, l’ho intitolato L’arte e l’altro dall’arte, con
questa precisa intenzione26. 4. Nei suoi più recenti saggi27, Lei lamenta il
fatto che l'arte contemporanea non riesca più ad essere esemplificatrice di una
prospettiva di senso: essa sarebbe solo una reduplicazione e sostituzione
dell'esistente. In che modo valuta questi cambiamenti? Ritiene inoltre che vi
siano nell'arte contemporanea propensioni opposte a questa tendenza generale?
Sull’arte contemporanea ho poco da dire, ho poco da dire perché... Guardi, io
mi sono interessato moltissimo di arte e storia dell’arte, occupandomi fin
dagli anni ‘40 dell’arte antica e moderna, dai greci fino ai nostri giorni,
compresa l’avanguardia novecentesca. Negli anni ’60 mi sono avvicinato di più
all’arte che si stava facendo allora e ho scritto anche qualche saggio in onore
di pittori che mi interessavano28. Ma questo interesse artistico è un po’
scemato col tempo. Perché? Un po’ per mie traversie intellettuali, non sempre
testimoniate in libri e saggi, che mi hanno portato su altre strade. Un po’
perché credo che il giudizio che ho dato sull’arte attuale come riproposizione
dell’esistente, con l’aggiunta di trovate e trovatine più o meno lodevoli, sia
abbastanza valido. Io non so se esistano casi che facciano pensare il
contrario, può darsi, non so dirglielo. Fino adesso non ne ho incontrati...
qualcosa di «carino», sì, una invenzione che richiama l’attenzione... però
tutto sommato mi pare che l’arte nella sua generalità tenda precisamente a
quella riproposizione dell’esistente, attraverso i mezzi tecnologici oggi a
disposizione. Le stesse installazioni, per esempio, che pure sono qualche volta
opere di grande interesse, sono spesso la raccolta di oggetti trovati, ma con
intenti diversissimi rispetto a Duchamps, e richiamano sempre l’esistente tale
e quale, o quasi. In effetti è significativo che anche in quelle opere ci sia
spessissimo un te- 25 Daniele Guastini, Prima dell’estetica. Poetica e
filosofia nell’antichità, Laterza, Roma-Bari, 2003. 26 Garroni, L’arte e
l’altro dall’arte, Laterza, Roma-Bari, 2003. Pochi giorni dopo l’intervista,
Garroni mi ha inviato una e-mail con la bozza di quello che sarebbe stato
davvero il suo ultimo libro: Garroni, Immagine Linguaggio Figura. Osservazioni
e ipotesi, Laterza, Roma-Bari, 2005. 27 Cfr. Garroni, Relazione interna,
relazione esterna e combinazione delle arti, relazione presentata al Convegno
della Biennale Lo scambio delle arti nel ‘900, Venezia, 1998, poi in: Garroni,
L’arte e l’altro dall’arte, cit.; Garroni, Senso e non-senso, conferenza letta
a I Coloquio Latino-americano de Estética y de Critica di Buenos Aires e alla
Facultad de Arquitectura Diseño y Urbanismo, novembre 1993, poi in: Garroni,
Osservazioni sul mentire e altre conferenze, Teda, Castrovillari, 1994. 28
Garroni, Enrico Crispolti, Alfredo Del Greco, Biblioteca di Alternative
Attuali, Roma, 1962; Garroni, Arte mito e utopia: 11 dipinti di Bice Lazzari,
Tipografia Fonteiana, Roma, 1964; Garroni, Il mito negativo e la pittura di
Vacchi, Officina, Roma, 1964; Silvio Benedetto, Amore Uno: 6 acqueforti,
presentate da E. Garroni, Il Torcoliere, Roma, 1966; Silvio Benedetto (104 opere
dal 1963 ad oggi), Galleria d’arte internazionale Due Mondi, Roma, 1966.
Intervista a Emilio Garroni 7 levisore, quasi che si volesse
richiamare l’attenzione sulle comunicazioni di massa e sul fatto che quello che
si mostra è proprio quello che potremmo incontrare andando in una casa che non
conoscevamo. Naturalmente, non sto facendo previsioni per il futuro. Può darsi
che tutto cambi, basta che emerga una personalità di talento, che faccia del
nuovo diverso da quello che si fa adesso. Ma, a dire la verità, io non credo
molto alle capacità taumaturgiche dei singoli talenti. I talenti sono un fatto,
ma il loro emergere è condizionato dai tempi. E i nostri tempi sono tempi di
degradazione, inadatti a sollecitare i talenti potenziali. Insomma, se l’arte mi
pare giù di tono, non credo affatto che la colpa sia degli artisti, ma
piuttosto dei nostri tempi disgraziati, che oppongono all’orrore ormai
quotidiano la contemplazione dell’esistente ridotto a immagine televisiva o
telematica. 5. Un filosofo citato nei suoi testi (insieme ad Heidegger e
Wittgenstein) è John Dewey. I riferimenti a Dewey, pur significativi, sono più
circoscritti rispetto a quelli nei confronti di Heidegger e Wittgenstein. Per
quale ragione? Quali sono le sue idee ed opinioni sull'autore di L'arte come
esperienza? Perché cito soprattutto Heidegger e Wittgenstein? Ognuno ha i suoi
filosofi preferiti. Oltre a tutto, come è stato detto da Verra, Wittgenstein e
Heidegger sono i due filosofi più importanti del XX secolo. Questo forse sarà
un giudizio estremo. Senza dubbio ce ne sono altri importanti, ma sicuramente
questi sono tra i pochi più importanti. Io ho trovato motivi di interesse per
un certo verso più in Wittgenstein che in Heidegger. Heidegger non lo accetto
per molti aspetti, ma certo ha intuizioni e riflessioni notevoli. In ogni caso
mi hanno aiutato entrambi, o almeno lo spero, a capire come stanno le cose con
la filosofia e con il problema stesso della filosofia. E qui allora vorrei
citare ancora una volta un altro filosofo, che non cita più nessuno:
Carabellese. Carabellese è stato per me un insegnamento fondamentale. Il modo
di ricercare di Carabellese nell’ambito filosofico era stupefacente: la lettura
del testo, lo smontaggio del testo, e lo scavare nel pensiero degli autori, talvolta
non senza qualche coartazione qua e là, ma in ogni caso con serietà e
profondità29. Confesso di preferire di gran lunga questo metodo a quello di
certi filologi che capiscono a metà. Quella era la sua caratteristica
principale. Io ho tentato di ispirarmi a quel metodo, anche se l’ammissione può
nuocermi presso i filologi. Pazienza. Cito Dewey per una ragione semplicissima.
Perché l’estetica di Dewey è un estetica precisamente nel mio senso più che non
nel senso di molti altri. Non un’estetica dell’opera d’arte. Ha come oggetto
non solo l’opera d’arte, ma certe esperienze, che rimandano ad un certo
principio che è lo stesso di quello del giudizio estetico in senso stretto.
Veramente, Dewey non parla esplicitamente di principi, ma fa esempi che non
hanno niente a che fare con l’arte, assimilandoli tuttavia a questa sotto un
comune denominatore: il pranzo in un ristorante francese, oppure la tempesta
(se ricordo bene) durante una crociera, e così via. Però cito molto anche
Brandi. Brandi, come le dicevo, è stato molto impor- tante per me, anche per il
superamento della semiotica30, ma soprattutto per alcuni 29 Sul problema
interno della filosofia, cfr. Pantaleo Carabellese, Che cos’è la filosofia?, in
«Rivista di Filosofia», Anno XIII, 3, 1921. 30 Per le critiche alla semiotica,
cfr. Cesare Brandi, Segno e immagine, Milano, Il Saggiatore, 1960.
Intervista a Emilio Garroni 8 aspetti filosofici della sua
estetica, guarda caso proprio in riferimento allo sche- matismo kantiano, e per
la sua prodigiosa capacità di lettura delle opere d’arte. Basta leggere i suoi
Dialoghi31, l’Architettura barocca32, il Duccio33, eccetera eccetera, per
rendersene conto. 6. Da sempre Lei ha alternato alle opere filosofiche, opere
di narrativa34. C'è stata un'influenza tra i due ambiti? L’argomento dei miei
scritti narrativi mi imbarazza leggermente, dato che cadono del tutto al di
fuori dell’ambito dei miei lavori. Tuttavia non mi imbarazza dirle che li ho
scritti con la stessa attenzione degli altri scritti, e, per di più, che essi
meritavano forse un’attenzione maggiore, al di fuori della ristrettissima
cerchia dei miei lettori, come dire?, «convinti». Non è uno sfogo da autore
deluso. E’ una convinzione, credo non immotivata, che non nasce affatto dalla
delusione. Ora lei mi chiede se c’è un’interrelazione tra i due ambiti. Senza
dubbio, non può non esserci, perché sono sempre io che scrivo, quell’io che ha
una certa storia, personale e culturale, e che è arrivato a certi risultati,
buoni, cattivi o mediocri, questo non importa, in fatto di comprensione. E
tuttavia ciò che scrivo nelle opere narrative non serve a spiegare nulla dei
miei saggi. Anzi sarebbe una fonte di fraintendimento utilizzare quegli scritti
per capire i miei saggi filosofici. Sono semmai gli scritti narrativi che
esigerebbero una spiegazione ulteriore da parte dei saggi filosofici. Infatti
si pongono in una posizione più arretrata. Sono, per così dire, una fabulazione
interna di chi deve arrivare ad una vera comprensione cui non arriverà mai.
Sono racconti di personaggi in qualche modo nevrotici e metafisici. Per
esempio, ho usato queste due parole nel sottotitolo del libretto Racconti
morali35: «lontananza» e «vicinanza». Ebbene i miei personaggi oscillano
precisamente tra la lontananza dal mondo e la vicinanza al mondo, ma non si
pongono mai il problema se questa oscillazione sia superabile, e quindi non
arrivano mai a una comprensione critica della vicinanza con gli oggetti del
mondo, né si pongono il problema se sia possibile guardare da lontano il mondo
intero. In questo senso preciso sono racconti metafisici che intendono lasciare
insoddisfatto il lettore con quella scrittura elaborata, saltellante,
ripetitiva, cosparsa di frequenti contraddizioni, tutte intenzionali,
ovviamente. Infatti questi personaggi nevrotici e metafisici sono fatalmente
ambivalenti e contraddittori. Si potrebbe dire, per autocitarmi, che non hanno
capito 31 Brandi, Carmine o della pittura, Scialoja, Roma, 1945; Brandi,
Arcadio o della Scultura. Eliante o della Architettura, Einaudi, Torino, 1956;
Brandi, Celso o della Poesia, Einaudi, Torino, 1957. 32 Brandi, La prima
architettura barocca: Pietro da Cortona, Borromini, Bernini, Laterza, Bari,
1970. 33 Brandi, Duccio, Vallecchi, Firenze, 1951. 34 Garroni, La macchia
gialla, Lerici, Milano, 1962; Garroni, I tasmaniani, Bucciarelli, Ancona, 1963;
Garroni, Dissonanzen-Quartett. Una storia, Pratiche, Parma, 1990; Garroni,
Racconti morali o Della vicinanza e della lontananza, Editori Riuniti, Roma,
1992; Garroni, Sulla morte e sull’arte. Racconti morali, Pratiche, Parma, 1994.
Garroni si dedicava non solo alla letteratura ma anche alla pittura, alcuni
dipinti sono riprodotti nel libro- intervista: Garroni, Doriano Fasoli, Il
mestiere di capire, Edizioni Associate, Roma, 2005. 35 Garroni, Racconti
morali, cit. Intervista a Emilio Garroni 9 ciò che io chiamo
«il guardare-attraverso». E tuttavia è vero che per arrivarci a capire qualcosa
del genere, non dico quella formula, ma l’atteggiamento mentale che sta dietro
a quella formula, forse bisogna proprio passare attraverso quelle oscillazioni
tra vicinanza e lontananza. Quindi in qualche modo sono una premessa, anzi una
sorta di postfazione, ai testi filosofici. 1. Emilio Garroni non è stato
soltanto uno dei filosofi italiani più impor- tanti del secondo dopoguerra, ma
anche una figura di intellettuale complessa e sfaccettata. Trovandosi di fronte
alle sue molteplici attività e ai suoi svariati interessi, si sarebbe tentati
di concentrarsi – per i fini di questo focus di «Syzetesis» dedicato ad alcuni
Momenti di filosofia italiana – sui suoi contributi più convenzionalmente
etichettabili come “filosofici”, quali quelli dedicati all’interpretazione del
pensiero critico di Kant, tralasciando tutto il resto: le pratiche di narratore
e di pittore (attraversate da specifiche auto-tematizzazioni teoriche e oggetto
di riflessione saggistica), l’interesse per la psicoanalisi e la linguistica,
gli interventi sulle arti visive, la letteratura e la musica – talvolta
affidati a quotidiani, settimanali o cataloghi –, i numerosi saggi, sempre
incisivi, su temi di grande impegno, dalla creatività alla spazialità, dalla
verità alla menzogna1. A questi diversi aspetti dell’attività di Garroni potrò
in effetti fa- re solo qualche cenno, tuttavia ho scelto di presentarne il
pensiero se- condo un’angolazione in cui il confronto con Kant ha certamente un
posto di rilievo, ma solo in funzione di quella che mi sembra la vera vocazione
o passione dominante di Garroni, e che il titolo di una lunga intervista
concessa a Doriano Fasoli poco prima di morire, nel 2005, mi pare colga bene:
Il mestiere di capire2. L’impegno costante a capire – capire quello che la vita
e la storia ci mettono davanti, capire “dove si sta”, capire “cosa si prova a
essere un homo sapiens”3, capire i prodotti della cosiddetta cultura, capire o
com- 1 La bibliografia più completa degli scritti di Garroni, curata da A.
D’Ammando, è dispo- nibile sul sito dell’associazione “Cattedra internazionale
Emilio Garroni” (https://www. cieg.info/ [14.09.2020]). 2 E. Garroni-D. Fasoli,
Il mestiere di capire. Saggio-conversazione, Edizioni Associate, Roma
2005. 3 Cfr. E. Garroni, Che cosa si prova ad essere un homo sapiens?,
testo introduttivo a A. B. Ferrari, L’eclissi del corpo. Una ipotesi
psicoanalitica, Borla, Roma 1992, pp. 7-16; Garroni ha poi rielaborato questo
testo in uno dei suoi ultimi scritti, uscito postumo, La mente, il corpo, le
cose, in P. Carignani-F. Romano (eds.), Prendere corpo. Il dialogo tra corpo e
mente in psicoanalisi: teoria e clinica, Franco Angeli, Milano 2006, pp. 27-36.
268 Il senso dell’esperienza: Emilio Garroni e l’estetica come
filosofia non speciale prendere la stessa attività di capire e
comprendere, cioè la filosofia – è strettamente legato in Garroni alla riflessione
su quel “senso dell’espe- rienza” che ho messo nel titolo di questo saggio. Un
senso che non è affatto da intendersi come la pretesa metafisica di cogliere un
“senso ultimo” dell’esistenza, della storia o dell’universo (su cui la
filosofia, nella prospettiva critica adottata da Garroni, ha ben poco da dire),
ma neppure come una dimensione immanente ma pacifica, in cui ci si installa con
un po’ di buona volontà, rassicurandosi che, essendo una condizione
antropologica, possiamo acquietarci nell’ordine vigente delle cose. Tutt’altro:
per Garroni, come vedremo, il senso dell’espe- rienza è piuttosto un dover
essere4, trascendentalmente ineludibile ma per niente garantito nei fatti, un
compito etico irto di difficoltà, intima- mente paradossale, e sempre
strutturalmente pronto a rovesciarsi in non-senso. 2. Per chiarire ancora
qualcosa a proposito del titolo di questo inter- vento (la sua seconda parte,
“l’estetica come filosofia non speciale”), è bene ricordare che per Garroni
l’estetica non è affatto una filosofia dell’arte, una disciplina con un proprio
oggetto epistemico o materia- le, ma riguarda le condizioni di possibilità di
fare esperienze sensate in genere, nella vita quotidiana, nelle ricerche
scientifiche, in tutte le attività umane, filosofia compresa. L’arte, semmai,
è, o è stata per qualche secolo, un suo referente esemplare5. Per Garroni,
infatti, è la stessa filosofia a doversi comprendere nella sua possibilità non
empirica: la filosofia, come tutte le attività umane, è sì un’attività
empirica, concreta, determinata, ma a differenza di altre attività, che mirano
a produrre effetti pratici o conoscenze, ha piutto- sto il compito di
«guardare-attraverso»6 le esperienze determinate, per 4 Cfr. E. Garroni, Sul
dover essere del senso, in appendice a Id., Estetica. Uno sguardo- attraverso,
Garzanti, Milano 1992 (seconda ed., Castelvecchi, Roma 2020, con un’in-
troduzione di S. Velotti), pp. 245-270, testo presentato originariamente al
convegno dell’Associazione italiana di studi semiotici “Semiotica ed
epistemologia delle scienze umane” (Siena, 23-25 settembre 1988). 5 Cfr.
E. Garroni, Senso e paradosso. L’estetica, filosofia non speciale, Laterza,
Roma-Bari 1986, in particolare p. 179 ss. 6 Garroni usa il termine
“guardare-attraverso”, con il trattino, per sottolinearne l’uso tecnico, quale
traduzione del durchschauen usato da L. Wittgenstein nel § 90 delle Philo-
sophische Untersuchungen, ed. by G. E. M. Anscombe and R. Rhees, Blackwell,
Oxford 1953 (Trad. it. di R. Piovesan e M. Trinchero, Ricerche filosofiche, Torino,
Einaudi 1967, p. 60: «È come se dovessimo guardare attraverso i fenomeni [die
Erscheinungen durchschauen]: la nostra ricerca non si rivolge però ai fenomeni,
ma alla ‘possibilità’ dei fenomeni»). 269 Stefano Velotti
risalire alle loro condizioni di possibilità intellettuali e non
intellettua- li, tra cui appunto una condizione estetica, come orizzonte di
senso dell’esperienza nella sua totalità indefinita e indeterminabile. Il com-
pito di capire è inteso innanzitutto proprio come questo «guardare- attraverso»
i fenomeni per comprenderli, cogliendone le condizioni di senso. Il cosiddetto
«problema interno della filosofia»7 – con un’e- spressione ripresa questa volta
da Pantaleo Carabellese, che Garroni ammirava e le cui lezioni aveva
frequentato da studente alla Sapienza negli anni Quaranta – è infatti per
Garroni un problema fondamentale, che riguarda il paradosso fondante della
filosofia, cioè il suo esercitarsi dall’interno della stessa esperienza dalla
quale, a un tempo, si distanzia per comprenderla, senza mai poter rivendicare
un proprio altrove, un suo luogo metafisicamente appartato. 3. Vorrei partire,
però, da qualche spunto di carattere biografico, ma solo per quel tanto che ci
permette di intravedere l’urgenza anche contingente, socio-biografico-culturale,
di quella passione per il capire stesso, che Garroni non considerava affatto
un’esigenza contingente. Da giovane, Garroni aveva lavorato per diversi
programmi televisivi della RAI, in parte dedicati alle arti, in parte ad altre
questioni (ricor- do, per esempio, un bel documentario del 1960 su Adriano
Olivetti, con quella che divenne la sua ultima intervista). Lavorava alla RAI
per necessità, non per vocazione, per quanto la RAI di allora fosse cultu-
ralmente molto più ricca di quella di oggi. Sono tanti i programmi che potrei
citare a cui Garroni lavorò negli anni Cinquanta e Sessanta: tra gli altri,
Piazze d’Italia, Musei d’Italia, Avventure di capolavori, Arti e scien- ze, Le
tre arti, e soprattutto L’Approdo, iniziato come trasmissione radio- fonica nel
1944, con la direzione di Adriano Seroni e Leone Piccioni, diventato programma
televisivo dal 1963 (come “settimanale di lettere e arti”), più tardi
accompagnato da una sua rivista a stampa, nel cui comitato direttivo si
trovavano alcuni dei più importanti intellettua- li dell’epoca (Riccardo
Bacchelli, Carlo Bo, Emilio Cecchi, Roberto Longhi, Giuseppe Ungaretti, a cui
bisognerebbe aggiungere altri col- laboratori di spicco)8, per non menzionare,
nella RAI, la presenza di figure molto diverse tra loro ma tutte significative,
come Carlo Emilio 7 E. Garroni, Senso e paradosso, cit., p. 130. 8 Cfr. A.
Dolfi-M. C. Papini (eds.), L’Approdo: storia di un’avventura mediatica,
Bulzoni, Roma 2006 e A. Grasso-V. Trione, Arte in TV. Forme di divulgazione,
Johan & Levi, Monza 2014. 270 Il senso dell’esperienza: Emilio
Garroni e l’estetica come filosofia non speciale Gadda (tra il 1950
e il 1955) o, più tardi, di Andrea Camilleri, coetaneo di Garroni, o ancora di
Umberto Eco, che di Garroni sarà, negli anni, un costante interlocutore.
Garroni dà conto della sua attività televisiva in un’interessante in- tervista
del 1994, da cui voglio prelevare solo una frase, apparentemente ovvia, ma
credo invece rivelatrice del suo atteggiamento inflessibil- mente volto al
capire: un curatore o conduttore di una trasmissione culturale, o sulle arti –
dice lì Garroni – deve essere certamente colto, «ma c’è di più: deve essere,
nel campo della letteratura, delle arti figura- tive, della musica, oltre che
colto, anche intelligente»9. Sembra, e forse è, un’ovvietà: un conduttore di
programmi culturali non deve essere uno stupido. Deve anche intelligere, deve
capire. Deve insomma essere qual- cuno, precisa però subito Garroni, che sia
«capace di far vivere un testo, di cogliere un problema che va a fondo, di far
vedere o capire qualcosa di singolare che i più per pigrizia non vedono
affatto»10. Emerge qui quell’avversione per la pigrizia, la sciatteria, la
bana- lità e la semplificazione come le prime nemiche del capire, e dunque come
un tratto costante di Garroni, che ha avuto conseguenze di ordi- ne diverso:
non solo una prosa ritenuta spesso ardua – in realtà solo molto precisa,
scrupolosa, controllata, mai fumosa o compiaciuta – ma anche l’avversione per
una pratica che oggi seduce molti, anche i filo- sofi: occupare una casella
nell’esistente, dare un marchio di fabbrica a se stessi, alla propria anche
minima particolarità, e reiterarlo in ogni occasione, per garantirgli la
massima riconoscibilità e diffusione sul mercato delle idee, al costo –
naturalmente – di imbalsamarsi in un prodotto, rinunciando al compito di
capire. Questo compito – inteso da Garroni come un compito intellettua- le,
culturale ed etico-politico – coinvolge tutte le sue svariate attività: non solo
l’estetica come «filosofia non speciale», cioè come filosofia tout-court,
benché spesso praticata in una sua forma obliqua anche in relazione all’arte e
alla letteratura; non solo il rapporto con la psico- analisi o lo studio del
linguaggio, su cui sono nati, rispettivamente, il lungo sodalizio con Armando
B. Ferrari e la duratura e profonda ami- cizia con Tullio De Mauro; ma anche
l’attività giornalistica e, come vedremo – nelle modalità proprie, non certo
assimilabili a quelle filosofico-argomentative – le stesse pratiche pittorica e
narrativa. Garroni esordisce nel 1962 con un libro di racconti scritti negli
anni 9 L. Bolla-F. Cardini, Le avventure dell’arte in TV, Nuova ERI, Torino
1994, p. 275. 10 Ibidem. 271 Stefano Velotti Cinquanta,
a cui seguiranno altri testi narrativi, pubblicando un’opera singolare, La
macchia gialla11, titolo ripreso da un’incisione di Dürer, riportata sulla
copertina del libro, in cui si vede la mano di un uomo che indica un punto del
suo addome, e una didascalia dello stesso Dürer che dice: «Là dove c’è la
macchia gialla e dove indica il dito, là mi fa male». È un dolore, direi,
insieme singolare e generazionale, che nel giro di due anni metterà capo a una
lunga analisi della nozione di “crisi” nel suo primo libro filosofico-estetico
– La crisi semantica delle arti12, su cui non posso soffermarmi. Né mi
soffermerò sulla Macchia gialla, se non per citare un primo autoritratto di
Garroni, un autoritrat- to verbale dell’autore da giovane (o non più tanto
giovane, dato che aveva 37 anni), a cui seguirà venti anni dopo un secondo
autoritratto, questa volta dipinto (su cui tornerò in chiusura). I curatori
della colla- na “Narratori” dell’editore milanese Lerici erano due nomi di
grande rilievo del mondo poetico-letterario, Romano Bilenchi e Mario Luzi, i
quali presentarono giustamente questa notizia biografica, o autoritrat- to
semi-ironico dell’autore da quasi-giovane, come segnato da «acume» e «humour».
Ne riporto qualche riga, che suggerisce una motivazione anche socio-biografica,
per reazione all’ambiente di provenienza, di quella passione per il “capire”
che ho indicato come la passione domi- nante di Garroni: Sono nato a Roma nel
dicembre del 1925, in un ambiente ab- bastanza sciatto e approssimativo, che
non posso soffrire e al quale sono legato controvoglia, tanto più che certa
piccola bor- ghesia romana ha le sue asprezze ma anche le sue tenerezze.
Oltrepassata la trentina mi sono accorto che anche la mia for- mazione
culturale è caratterizzata dalle stesse contraddizioni: una cultura apolide e
spregiudicata e nello stesso tempo lacu- nosa e assai provinciale. Mi sono
laureato nel 1947 in filosofia presso la Facoltà di lettere e filosofia
dell’Università di Roma, 11 E. Garroni, La macchia gialla, Lerici, Milano 1962.
Il testo, con la relativa copertina, è reperibile integralmente sul sito
dell’associazione “CiEG - Cattedra internaziona- le Emilio Garroni”
(https://www.cieg.info/ [14.09.2020]). 12 Ma, come ha scritto A. D’Ammando
all’interno di un’ottima ricostruzione del percorso filosofico di Garroni (Il
circolo estetico e il guardare-attraverso: la riflessione sull’arte di Emilio
Garroni – Tesi di Dottorato in filosofia discussa alla “Sapienza – Università
di Roma”, febbraio 2019), a cui rimando anche per un’analisi della Crisi
semantica delle arti, «[s]i potrebbe affermare, in proposito, che “crisi”, al
pari di “oriz- zonte” e “senso”, è una parola cara al pensiero di Garroni,
almeno sotto il profilo del problema dell’arte e del suo statuto (quanto mai
incerto e problematico)». 272 Il senso dell’esperienza: Emilio
Garroni e l’estetica come filosofia non speciale con la quale
intrattengo ancora rapporti abbastanza scialbi. Ho pubblicato saltuariamente
saggi, note e recensioni di filosofia e storia dell’arte su riviste specializzate,
settimanali e quotidiani. La saltuarietà del mio lavoro scientifico oggettivo
dipende in parte da una certa attitudine alla dissipazione, e in parte dalla
mancanza di tempo. Da molti anni collaboro infatti alla tele- visione dove ho
fatto un po’ di tutto dedicandomi prevalente- mente in questi ultimi tempi alla
redazione e presentazione di rubriche d’arte, con intenti (dico io) nobilmente
divulgativi13. A queste parole si potrebbero accostare quelle scritte oltre
trent’anni dopo, su richiesta del Manifesto, che aveva invitato ventisei
persona- lità della cultura a raccontare la propria esperienza personale di una
visita a un museo. Garroni scelse la Galleria nazione di arte moderna di Roma:
Non so se fosse possibile negli anni trenta – con la cultura licea- le
imperante, bene che andasse, in assenza di una mentalità più ariosa, volta a
capire, non a accettare, con giornali e riviste non specialistiche di livello
assai modesto – che un museo o una galleria d’arte potessero essere
immediatamente formativi per un ragazzo. Anche le famiglie da cui provenivano
erano per- lopiù ignoranti e disinteressate a tutto ciò che non fosse stret-
tamente tradizionale, compresa la stessa tradizione, più subita come un dato
eccelso e di fatto semisconosciuto, che vissuta come genuina cultura. [...] Non
era un atteggiamento conservatore retrivo, ma semplice- mente passivo. Cosicché
chi è riuscito poi a combinare qualco- sa ha dovuto fare quasi tutto da solo.
[...] A otto-dieci anni, ero in balia della cultura e dei gusti mediocri della
mia famiglia, e della cosiddetta borghesia romana cui essa apparteneva, e fui
condotto più volte da certi miei zii, che si ritenevano intenditori d’arte,
alla Galleria nazionale d’arte moderna [...] Voglio solo dire che quella
galleria fu, negli anni trenta, il luogo della mia diseducazione. Il fatto è
che una galleria o un museo non formano nessuno, se non si è già preparati a
formarsi mediante ipotesi, anche sbagliate. Ma lì, in quelle visite sinistre,
non erano in gioco ipotesi o sforzi per capire, ma solo meschine e dogmatiche
edizioni del mondo dell’arte ne varietur. È strano che, crescendo, non mi sia
allontanato per sempre dalle arti figurative. [...] [Così che la] Galleria
nazionale d’arte moderna, ha avuto il me- rito, con il concorso determinante
dei miei zii, di farmi capire 13 E. Garroni, La macchia gialla, cit., risvolto
di copertina. 273 Stefano Velotti come non si
guarda un quadro. Che è un’abilità indimenticabi- le, come andare in
bicicletta14. Abbandono ora queste incursioni biografiche – che pur nella loro
rapidità credo siano indicative del modo in cui Garroni si situava nei
confronti della realtà, e quindi anche della sua attività filosofica – per
cercare di indicare sinteticamente il nucleo centrale della sua rifles- sione
più matura, intorno a cui si raccolgono questioni complesse e interessi anche
eterogenei. 4. Ho già ricordato Pantaleo Carabellese – che, al di là degli
esiti del suo «ontologismo critico», Garroni considerava «uno dei pochi inse-
gnanti che ho avuto all’Università che fosse anche un grande filosofo»15 –
perché è probabilmente uno dei tre punti di riferimento italiani più
significativi per il suo pensiero, insieme a Luigi Scaravelli – per l’inter-
pretazione di Kant – e poi, su un altro piano, a Cesare Brandi. Era stato
infatti proprio Carabellese, in un articolo del 1921, ad aver criticato sia
Gentile, sia Croce (come poi farà anche con Spirito e Calogero) per non aver
colto il «problema interno della filosofia», la domanda, cioè, con cui la filosofia
diventa problema a se stessa, si interroga sul suo luogo, la sua possibilità,
le sue pretese. In una postilla del 1942, Carabellese spiegava così
l’incomprensione da parte di Croce e di Calogero del problema da lui sollevato:
Il vero è che il Croce e il Calogero (anzi il Calogero molto più del Croce)
continuano a porre il problema della filosofia come pro- blema del suo oggetto,
cioè non pongono veramente il problema interno della filosofia, ma soltanto e
sempre il suo problema og- gettivo, e inconsapevolmente confondono questo con
quello. Indicare come la filosofia il genere di realtà che essa dimostra o
consente, come Calogero (filosofia della prassi) e Croce (storici- smo)
d’accordo fanno, non è risolvere il problema interno della filosofia, ma non porlo
neppure, ignorarlo. Con tale indicazio- ne, infatti, non si sa e non si ricerca
neppure, che cosa sia mai la filosofia entro quella realtà che essa dimostra16.
14 E. Garroni, “Il piccolo Ottocento italiano”, in F. De Melis (ed.), La
scoperta del museo. Ventisei guide sulla via dell’arte, Manifestolibri, Roma
1995, pp. 111-113, corsivi miei. 15 E. Garroni-D. Fasoli, Il mestiere di
capire, cit., pp. 35-36. 16 P. Carabellese, L’ontologismo critico. Primi saggi
II, Che cos’è la filosofia, Signorelli, Roma 1942, pp. 78-79. 274
Il senso dell’esperienza: Emilio Garroni e l’estetica come filosofia non
speciale Il problema della riflessione sul senso, per Garroni si
lega stretta- mente a quello che chiama «il paradosso della filosofia» nel suo
libro del 1986, intitolato appunto Senso e paradosso. L’estetica, filosofia non
speciale. È forse il libro più impegnativo che Garroni abbia scritto, e
certamente uno snodo centrale nello sviluppo del suo pensiero. Lì Garroni cita
Carabellese e il suo articolo del 1921, e la replica di Croce dello stesso
anno, sostenendo che entrambi facciano valere un’esigenza legittima:
Carabellese, quella appunto del problema che la filosofia è a se stessa; Croce,
quella di ribadire, quasi con fastidio, che la filosofia si conquista il suo
luogo proprio solo dall’interno della conoscenza e del fare concreti e storici.
Entrambi, in sostanza, inten- devano rifiutare l’idea di un luogo separato
della filosofia, ma non si rendevano conto della parzialità e complementarità
delle loro posi- zioni, che se rettamente intese si compongono in quello che
Garroni chiamerà appunto il «paradosso fondante della filosofia». Il dissidio
tra Carabellese e Croce, infatti, prefigurava una antinomia non risol- ta,
formulata da Garroni in questo modo: Un problema interno della filosofia va
posto, dato che non è per niente ovvio che questa abbia un suo luogo appartato
e neutra- le [e questa è la giusta esigenza fatta valere da Carabellese]; ma il
porlo suppone che un luogo del genere esista e sia ovvio [e questa è la replica
di Croce, che ritiene il problema di Carabel- lese insignificante]17. Garroni
fa notare che il rischio che correva Carabellese, che pure po- neva un problema
genuino di cui Croce si disfaceva troppo frettolo- samente, era quello di
considerare la filosofia, in quanto si pone il suo “problema interno”, come una
sorta di meta-linguaggio che si e- sercita su un linguaggio oggetto già
compattamente costituito (una me- tafisica, o un sistema, quale era per lo
stesso Carabellese il suo «onto- logismo critico»), perdendo di vista proprio
quel paradosso che pure aveva fatto emergere e trasformandolo così in un
paralogismo. Il modo giusto di far valere insieme le esigenze di Carabellese e
di Croce è inve- ce comprendere la filosofia come «risalimento», o come quel
«guardare- attraverso» che risale dalla concretezza dei fenomeni, dall’interno
dell’e- sperienza concreta in cui stiamo, alle loro condizioni di possibilità,
senza dar per scontato che una filosofia già si dia da qualche parte, e senza
17 E. Garroni, Senso e paradosso, cit., p. 131. 275 Stefano
Velotti però neppure vederla disciolta nelle indagini oggettive.
Quel «guardare- attraverso» deve essere inteso dunque come «un
guardare-attraverso nel guardare, non un semplice guardare a meno di un taciuto
guardare- attraverso»18. Richiamandosi a Merleau-Ponty, Garroni riassumeva così
la sua posizione: «Una filosofia di questo tipo include la propria stranez- za,
perché non è mai del tutto nel mondo e tuttavia non è mai fuori del mondo»19.
Questa stranezza, questo paradosso fondante, era presentato da Garroni come una
posizione fedele alla tradizione critica, in quanto opposta a posizioni
metafisiche, nella specifica accezione di “non criti- che”, sia di stampo
razionalistico, sia di stampo ingenuamente pragma- tista o empirista. Negli
anni in cui in Italia Richard Rorty e il suo neopragmatismo sembravano
raccogliere numerosi consensi (La filosofia e lo specchio della natura era
stato presentato da Gianni Vattimo e Diego Marconi, che aprivano la loro
introduzione sottolineando come questo libro si presentasse esplicitamente come
«epocale»20), Garroni vi scorgeva una delle due prospettive metafisiche, non
critiche, che può assumere lo sguardo della filosofia: da un lato, infatti, è
certamente da rifiutare, con Rorty (e tanti altri) la pretesa di una God’s eye
view, grazie a cui si presume di stabilire come stanno “veramente” le cose
nell’esperienza umana, eccettuandosene: come di chi dicesse che tra noi e il
mondo c’è un filtro fatto di schemi concettuali, culturali o intuitivi,
presumendo contraddittoriamente di vedere la realtà di questa situazione al di
fuori del filtro che varrebbe per tutti gli altri; ma anche di chi proponeva
l’e- sperimento mentale dei “cervelli in una vasca”, magari – come Hilary
Putnam – per confutarlo: per Garroni, porlo e comunicarlo è già confu- tarlo;
immaginarlo o escogitarlo presuppone già un linguaggio sensato, pubblico e non
escogitato. Dall’altro lato, altrettanto metafisica si presentava la posizione
op- posta e complementare, apparentemente demistificante, di chi, co- me il
neopragmatista Rorty, ci dipingesse come insetti intrappolati nel- l’ambra,
cioè inesorabilmente immersi nella realtà e nelle sue determi- natezze,
culturali storiche geografiche, per cui dovremmo rinunciare ad affermazioni che
avanzano pretese universali, e dovremmo conside- 18 E. Garroni-D. Fasoli, Il
mestiere di capire, cit., pp. 37-38. 19 Ibidem. 20 R. Rorty, Philosophy and the
Mirror of Nature, Princeton University Press, Princeton 1979 (Trad. it. di G.
Millone e R. Salizzoni, La filosofia e lo specchio della natura, Bom- piani,
Milano 1986, p. V). 276 Il senso dell’esperienza: Emilio Garroni e
l’estetica come filosofia non speciale rare piuttosto la filosofia
come un genere letterario tra gli altri. Garroni replica: Rorty avrà anche
ragione, ma commette un unico errore, affer- marlo. È questo quel «taciuto
guardare-attraverso» – negato in teoria, e quindi fatto valere metafisicamente
come un ritorno del rimosso – a cui alludeva Garroni nel passo citato poco
sopra dell’intervista con Fasoli, cioè la pretesa di stare sempre alle
determinatezze dell’esperien- za, di sbarazzarsi di ogni riferimento alla sua
totalità indeterminabile, ma facendola valere surrettiziamente nella stessa
pretesa di determinare tutta l’esperienza come il darsi di volta in volta di
esperienze solo con- tingenti e determinate21. Per Garroni, infatti, non si
tratta né di riguadagnare una posizione di sorvolo, né di muoversi sempre in
aderenza assoluta alle esperienze concrete e determinate, proprio in quanto le
chiamiamo esperienze concrete e determinate. Se davvero ci stessimo soltanto
dentro a tali esperienze, non potremmo dirlo, ci staremmo dentro e basta,
saremmo cose tra le cose22. Risalire l’esperienza concreta o guardare-attraverso
i fenomeni dall’interno dell’esperienza concreta è, sì, essere come insetti
nell’ambra, ma con la complicazione decisiva che anche il solo fatto di
affermarlo attesta qualcosa che smentisce quell’immagine, in quanto trascende
le esperienze determinate e attinge all’indeterminatezza del- l’esperienza
nella sua totalità indeterminabile. 5. È questo movimento che Garroni ravvisa
in Wittgenstein e, in una certa misura in Heidegger (sulla scorta dei quali la
filosofia si configura, sì, come un domandare mediante domande determinate, ma
che inclu- dono e rivelano un’autotematizzazione del domandare in genere23).
Questo paradosso fondante è tutt’uno con la condizione di senso del-
l’esperienza e può essere ricondotto a una delle forme antinomiche tematizzate
da Kant, in particolare all’antinomia della facoltà di giudizio estetica, che,
nel modo più schematico, Kant formula in questo modo: (1) Tesi: il giudizio di
gusto non si fonda su concetti, ché altri- menti se ne potrebbe disputare
(decidere mediante prove). 21 Questa argomentazione, qui appena accennata,
viene sviluppata da E. Garroni nel primo capitolo di Estetica. Uno
sguardo-attraverso, cit., pp. 11-53, anche in relazio- ne ad alcuni autori
classici e a diversi autori contemporanei. 22 Su questo punto potrebbe aprirsi
un confronto con il diversificato universo di alcu- ni nuovi
realismi-materialismi oggi in voga (per esempio quello della flat ontology),
che propongono una visione degli esseri umani proprio come “cose tra le cose”.
277 23 E. Garroni, Senso e paradosso, cit., p. 132. Stefano
Velotti (2) Antitesi: il giudizio di gusto si fonda su concetti,
ché altri- menti, malgrado le differenze dei giudizi, non se ne potrebbe
neppure discutere (avanzare l’esigenza del consenso necessario di altri con
tale giudizio)24. L’antinomia può irrigidirsi in una contraddizione, oppure
essere com- posta (non eliminata, ma compresa e resa praticabile), come fa
Kant, spiegando che nella prima tesi si tratta di concetti determinati, nella
seconda di concetti indeterminati. Ora, la struttura di questa antino- mia, e
il modo in cui Kant la compone, è omologa a quella che Garroni fa valere, per
esempio, in relazione al linguaggio (il motivo per cui Rorty non può affermare
quel che l’uso stesso del linguaggio confu- ta). Un saggio dedicato a De Mauro,
L’indeterminatezza semantica, una questione liminare, si apre con una frase che
annuncia la riproposizione della struttura dell’antinomia kantiana della
facoltà di giudicare, che Garroni proporrà poco dopo: Che il linguaggio sia
stato talvolta considerato atto creativo in- dividuale e irripetibile oppure
realizzazione o replica, secondo regole, di possibilità già interamente
previste non è semplice- mente un’alternativa fondata su due ipotesi esclusive
e, prese alla lettera, perfino bizzarre. È qualcosa di più [...]25, in quanto
entrambe le prospettive – inaccettabili nella loro esclusività – fanno valere
«un’esigenza che [...] non può neppure essere lasciata cadere»26. E infatti
poco dopo Garroni riprende anche la forma stessa dell’antinomia kantiana,
enunciando una tesi e un’antitesi che esigo- no di essere composte: Tesi: l’uso
del linguaggio presuppone la determinazione di uni- tà e regole, prima di ogni
sua presunta possibilità indetermina- ta, ché altrimenti non potremmo usarlo e
non ci intenderemmo nell’usarlo. Antitesi: l’uso del linguaggio presuppone
l’indeterminatezza del- 24 I. Kant, Kritik der Urtheilskraft, in Id. Werke in
zehn Bänden, vol. VIII, ed. W. Weischedel, Wissenschaftliche Buchgesellschaft,
Darmastad 1975 (Trad. it. di E. Garroni e H. Hohenegger, Critica della facoltà
di giudizio, Einaudi, Torino 1999, §56, p. 173). 25 E. Garroni, L’arte e
l’altro dall’arte. Saggi di estetica e di critica, Laterza, Roma-Bari 2003, p.
241. Il saggio era già stato pubblicato nel volume a cura di F. Albano Leoni et
al., Ai limiti del linguaggio, Laterza, Roma-Bari 1998. 26 Ivi, p. 89.
278 Il senso dell’esperienza: Emilio Garroni e l’estetica come
filosofia non speciale 27 Ivi, p. 92. 28 Ivi, p. 91. 29 Ivi, p.
105. la sua possibilità, prima di ogni unità e regole determinate, ché
altrimenti non potremmo neppure determinare unità e regole per usarlo e
intenderci [...]27. L’antinomia nasce dal fatto che «quando parliamo, usiamo il
linguag- gio così e così, in certe sue espressioni determinate, e nello stesso
tempo lo usiamo nella sua totalità possibile indeterminata»28 o, detto ancora
altri- menti, «per un verso il linguaggio richiede come una sua propria condi-
zione l’indeterminatezza e per altro verso, proprio perché la richiede, la nega
in favore delle sue determinazioni»29: non si darebbero espressio- ni
linguistiche determinate, dotate di questo o quel significato, se non le
comprendessimo come tali, cioè nella loro determinatezza, e dunque a condizione
di un riferimento a una totalità indeterminata che le rende possibili e che
esse “negano” in quanto, appunto, determinate. È questo il nodo a cui Garroni
arriva sempre, che indaghi il lin- guaggio o la percezione, l’organizzazione
della conoscenza o le opere d’arte, l’esperienza quotidiana o la natura
dell’homo sapiens. Ed è un nodo che si è chiarito proprio nello studio assiduo
e prolungato di Kant, in particolare della terza Critica, la cui dialettica
presenta quella specifica forma antinomica appena esposta. C’è una pagina, in
questo saggio, che credo chiarisca molto bene il nesso di queste riflessioni
sul linguaggio con la rielaborazione del pensiero kantiano, e che per questo
motivo mi permetto di citare dif- fusamente: Ma l’analogia tra questa antinomia
[kantiana] e l’antinomia del linguaggio esposta all’inizio non si ferma
tuttavia a un’analogia imperfetta tra le rispettive correlazioni “concetto
determinato/ concetto indeterminato” e “determinazione/indeterminatezza” del
linguaggio. C’è in Kant un problema ancora più pertinente rispetto al nostro
argomento. Vale a dire: c’è la questione del rapporto tra la facoltà di
giudizio, da una parte, (per cui, soltanto, la conoscenza empirica effettiva è
possibile oltre i giudizi sintetici a priori dell’intelletto: ciò che
Scaravelli ha chiamato “tessitura analitica di tutti fenomeni”, e il principio
della quale facoltà ha tuttavia statuto non-intellettuale, ma estetico), e la
ragione, dall’altra (i cui concetti non hanno appli- cazione nell’esperienza e
tuttavia sono altrettanto indispensabili 279 Stefano
Velotti alla conoscenza empirica). Infatti la nostra conoscenza
d’esperien- za, che è, sì, intellettualmente e sensibilmente determinata (pro-
cede, per quanto le è dato, mediante costruzione di concetti, leggi e unificazioni
di diversi leggi sotto leggi più potenti), non sarebbe possibile se non si
inscrivesse innanzitutto nell’ambito di un’anti- cipazione della totalità
indeterminata delle possibili conoscenze determinate – Kant scrive di “una
conoscenza (di oggetti dati) in genere” –, se insomma, sull’occasione di
rappresentazioni deter- minate, come nel caso esemplare dei cosiddetti giudizi
di gusto, non avessimo coscienza forzatamente non intellettuale che una
conoscenza d’esperienza è possibile. Esperienza possibile, però, non nel senso
della possibilità della conoscenza in genere della prima Critica, (che ci dà
appunto solo una tessitura analitica), ma nel senso che è possibile e ha in
generale senso cercare di deter- minarla intellettualmente e sensibilmente nell’esperienza
sotto il principio della facoltà di giudizio. Ma di questa totalità della
conoscenza d’esperienza possibile né abbiamo una conoscenza a priori, né
tantomeno possiamo fare una conoscenza di esperien- za. Non si fa esperienza di
un’esperienza in genere. Ne sappiamo qualcosa in, non con un’esperienza
determinata, cioè non la cono- sciamo, ma la sentiamo, mediante quel Gemeinsinn
(senso o senti- mento comune, che abbiamo in comune, che ci assicura a priori
della comunicabilità universale delle rappresentazioni e delle conoscenze), il
quale esibisce sensibilmente e indirettamente ciò che non è propriamente
esibibile e che la ragione può soltanto pensare. Qui la ragione, cioè l’idea
indeterminata di una totalità, viene in qualche modo messa in scena sensibilmente
mediante la facoltà di giudizio il cui principio riposa precisamente sul senso
comune o il gusto, cioè mediante il sentire (esteticamente dunque) l’interna
indeterminatezza del determinato30. «Sentire l’interna indeterminatezza del
determinato» è uno dei modi per capire in che modo il paradosso fondante della
filosofia fa della fi- losofia, come estetica non speciale, una riflessione sul
senso dell’e- sperienza. Se vogliamo restare sul piano linguistico, possiamo
dire in- fatti che dare significato ai concetti è determinarli, per esempio me-
diante uno schema empirico o trascendentale, sempre a condizione di mettere in
gioco un simultaneo e inevitabile riferimento all’inde- terminato, alla
totalità indefinita del linguaggio o dell’esperienza, che solitamente resta
implicita, e magari viene negata (come accadeva in Rorty), proprio in virtù di
un surrettizio riferirvisi. 30 Ivi, pp. 110-111. 280 Il senso
dell’esperienza: Emilio Garroni e l’estetica come filosofia non speciale 6.
Il gioco delle parti tra senso e significati, e tra senso e non senso, è
affrontato da Garroni in molte altre occasioni, ma viene tematizzato
direttamente in una conferenza del 1988, poi pubblicata in appendi- ce al
volume del 1992, Estetica. Uno sguardo-attraverso, con il titolo Sul dover
essere del senso. Ora il problema non è tanto distinguere il senso dai
significati, mettere in luce la condizione estetica di senso come anticipazione
estetica dell’esperienza entro cui i significati possono significare, ma un
problema ulteriore: riconosciuta questa condizione di senso che rende possibile
e traspare in ogni significato determinato, non rischiamo infatti di
«parificar[e] tutti [i significati] nel loro essere varianti di sensatezza,
‘seri’ nell’essere sensati come che sia, ma non altrettanto ‘seri’ nel loro
proprio far senso?». Come se la filosofia critica, spinta fino a questo punto,
rischi che il senso possa «riassorbire in sé la sensatezza che esso condiziona
[...] Il senso, così, concederebbe sensatezza a tutti i sensi e i significati
storici e proprio per questo la sottrarrebbe a ciascu- no di essi,
convertendosi esso stesso in non senso»31. Un esempio concreto di questo
problema, Garroni lo aveva scorto nel dilemma a cui deve far fronte
l’antropologia in relazione all’etno- centrismo32: l’irrinunciabile rispetto
che l’antropologia moderna ha costruito per ogni società altra rischia infatti,
d’altra parte, di parifica- re ogni cultura come una variante di sensatezza,
togliendole “serietà”. Il colonialismo e l’imperialismo, ovviamente
inaccettabili, avevano però almeno il pregio di prendere le culture nella loro
serietà33. Ma era proprio questo ciò su cui si interrogava Garroni: non tanto
la questione delle culture altre, ma della nostra stessa cultura. E con-
cludeva così: Le considerazioni appena svolte non hanno [...] una vera e pro-
pria conclusione. Si può dire solo questo: che si è forse messo in luce qui un
nuovo ossimoro, o una forma ulteriore del paradosso 31 E. Garroni, Estetica.
Uno sguardo-attraverso, cit., p. 268. 32 Cfr. E. Garroni, Senso e paradosso,
cit., p. 268 ss. 33 Si potrebbe sostenere che negli anni Novanta questo
imperialismo della sensatezza sia stato proclamato (e poi smentito) da Francis
Fukuyama nel suo libro The End of History and the Last Man (1992), mentre
l’opposto – cioè il prendere la diversità delle culture nella loro serietà, e
tuttavia prenderle così “seriamente” da negargli una dimensione comune di senso
– veniva proposto di lì a poco da Samuel Huntington nel suo The Clash of
Civilizations and the Remaking of the World Order (1996). Le due posizioni,
insomma, potrebbero rappresentare tesi e antitesi di una antinomia non
composta. Cfr. S. Velotti, Dare l’esempio. Cosa è cambiato nell’estetica degli
ultimi trent’an- ni, «Studi di estetica» 1-2 (2014), pp. 339-367. 281
Stefano Velotti in cui consiste la filosofia, vale a dire:
che il senso pare che debba essere considerato nello stesso tempo come
non-senso, in quanto il suo dare sensatezza è nello stesso tempo un sottrarla
[...] Forse il senso si profila ora come il dover essere-sensato. E qui, forse,
ritroviamo – come già in Kant – la più profonda congiunzione tra le radici
estetiche del senso e le radici etiche del dover-essere34. Il problema del
“prevalere” della sensatezza sui significati e quindi del rovesciarsi del senso
in non-senso è strettamente legato al problema spinoso della perdita di
esemplarità dell’arte, della questione, cioè, se l’arte, a partire dagli anni
Sessanta del secolo scorso, non abbia pro- gressivamente ceduto a un’aderenza
sempre più spinta alla realtà fino a confondersi semplicemente con la sua
ottusità, il suo darsi di fatto, come mero “accompagnamento” del senso, avendo
per lo più rinun- ciato al rischio di dare corpo e forma a quella «regola che
non si può addurre» di cui parlava Kant nel §18 della terza Critica; una
«regola» indeterminata che, non potendosi “addurre” – formulare o esplicitare –
può essere, appunto, solo “esemplificata” in un esempio singolare,
inassimilabile a un esempio inteso come membro di una classe. 7. Nell’ultimo,
breve e denso libro di Garroni – Immagine Linguaggio Figura35 – troviamo spunti
inediti, ma anche una nuova sintesi di decenni di studi e ricerche. È un libro
bello e importante, che attende ancora di essere esplorato a fondo, in tutta la
sua fecondità, anche in relazione a ricerche in atto nel panorama nazionale e
internazionale, ma che qui non posso affrontare in modo minimamente adeguato.
Ricorderò solo che il perno intorno a cui ruota è la nozione di «im- magine
interna» che ha preso forma attraverso «l’assiduo ripensamento del cosiddetto
“schematismo” kantiano»36, e che non è confondibile in alcun modo con l’idea di
poter spiegare qualcosa – della percezione o del riferimento al mondo –
rimandando a immagini che avremmo nella testa. Distinte dalle «figure» (che
nell’uso comune chiamiamo “imma- gini”, ma che non possono essere altro che
elaborazioni, esteriorizza- zioni e riduzioni delle «immagini interne»), le
«immagini interne» sono innanzitutto ispezioni attive e mobili, per scorci
sempre diversi, degli oggetti percepiti, o di queste percezioni riprodotte,
rielaborate e ricordate nell’imma- ginazione. È da escludere quindi ogni
obiezione legata alla presuppo- 34 E. Garroni, Estetica. Uno
sguardo-attraverso, cit., p. 270. 35 E. Garroni, Immagine linguaggio figura.
Osservazioni e ipotesi, Laterza, Roma-Bari 2005. 36 E. Garroni, Immagine
linguaggio figura, cit., p. ix. 282 Il senso dell’esperienza:
Emilio Garroni e l’estetica come filosofia non speciale sizione
indebita e circolare di un homunculus che sarebbe a sua volta spettatore di
“figure nella testa”. Figure nella testa non ce ne sono. In questo libro
tornano anche temi antichi – come quello, centra- le, della metaoperatività, un
concetto già introdotto oltre trent’anni prima, in Ricognizione della
semiotica37. Era l’anticipazione di uno dei temi più dibattuti, oggi, in ambito
cognitivo, sotto il titolo di “metarappresentazioni”38, ma che in Garroni si
estendeva già all’in- tero ambito dell’operare umano (un operare che è
senso-motorio, pragmatico e corporeo, percettivo e cognitivo). In analogia e in
corre- lazione con la funzione metalinguistica – che è sempre implicata nelle
funzioni di primo livello del linguaggio, così come quella costituisce pur
sempre una funzione operante solo mediante un linguaggio di primo livello –
Garroni introduce la nozione di metaoperatività come interna e presupposta in
tutte le operazioni umane e praticabile solo mediante esse. È ciò che
distingue, in sostanza, un’operazione del tipo “stimolo-risposta” da
un’operazione che include già dentro di sé una generalizzazione. Piantare un
chiodo con un martello è sì un’opera- zione determinata, concreta, e dotata di
uno scopo preciso, ma – come operazione umana – contiene già dentro di sé una
famiglia o una classe di operazioni possibili (qualcosa, dunque, che potrebbe
essere chiamato uno «schema operativo»39). In Immagine linguaggio figura la
nostra capacità metaoperativa viene reinterpretata e specificata40 pro- prio in
relazione al lavoro di quella che Garroni chiama complessiva- mente «facoltà
dell’immagine», che è responsabile sia delle sensazioni (come precedenti di
un’immagine), sia delle percezioni (le immagini interne prodotte in presenza
degli oggetti del mondo), sia dell’imma- ginazione nella sua specificità (delle
immagini in quanto riprodotte o ricordate-rielaborate). Sensazione, percezione
e immaginazione sono tutte «immagini interne», costitutivamente dinamiche, non
fissabili in un’icona o figura materiale, e abitate da qualcosa di non sensibile,
37 E. Garroni, Ricognizione della semiotica, Officina, Roma 1977, p. 70 ss. 38
Cfr. per esempio D. Sperber (ed.), Metarepresentations. A Multidisciplinary
Perspective, Oxford University Press, Oxford 2000. 39 Una formulazione molto
simile dei rapporti tra linguaggio e metalinguaggio, tra operazione e
metaoperazione – all’interno di una prospettiva “enattiva” sulla perce- zione,
a cui credo sia riconducibile per molti versi anche quella proposta da Garroni
– è possibile riscontrarla nei lavori di A. Noë. Per un confronto, su questi
temi, tra Garroni e Noë, cfr. S. Velotti, Tecnica, in G. Ferrario (ed.),
Estetica dell’arte contempora- nea, Meltemi, Milano 2019, pp. 149-170. 40 E.
Garroni, Immagine linguaggio figura, cit., p. 18 ss. 283 Stefano
Velotti dunque distinte dall’immagine-segno materialmente intesa,
la «figu- ra», appunto, e che è invece sostanzialmente statica. Proprio
l’attività artistica, che mette pur sempre capo a «figure» (per quanto possano
essere mobili, processuali, evanescenti, eventuali) è considerata da Garroni
come il venire in primo piano di questa dimensione metao- perativa – una
rielaborazione della kantiana «conformità a scopi senza scopo» – interna a ogni
operazione determinata. Ma nel corso di questo «ripensamento del cosiddetto
“schematismo” kantiano» vengono in primo piano questioni spesso prima
trascurate, come quella della corporeità, e viene messa a punto una nozione che
mi pare non fosse stata tematizzata in altri lavori, se non di sfuggita e
appoggiandosi a elaborazioni di diversa provenienza41, come quella di
«aggregato». Un aggregato, direi, costituisce una sorta di antecedente di uno
schema, essendo qualcosa di pre-linguistico e pre-concettuale, che deve dunque
precedere – in linea di diritto e ipoteticamente anche di fatto – anche il
costituirsi di famiglie, in senso wittgensteiniano, oltre che di classi vere e
proprie. Un aggregato è ciò che offre una prima pos- sibilità di riconoscimento
degli oggetti, non come membri di una fami- glia o di una classe (che presuppongono
appunto una caratterizzazione di tratti linguistici o una pertinentizzazione di
note concettuali), ed è invece costituito «solo percettivamente» da «un insieme
di casi effettiva- mente sperimentati o di oggetti effettivamente usati, quindi
di numero finito, anche se via via crescente»42. Un aggregato può essere
costituito da oggetti assai diversi, legati da una minima somiglianza e tal-
volta da nessuna somiglianza, ma solo da un cortocircuito tra disparati che
stabiliscono tra loro un’unità non chiaribile in- tellettualmente di tipo
affettivo, emozionale, fantasticante, vol- to al padroneggiamento di eventi e
cose amate, preoccupanti, esaltanti 43. Né la funzione dell’aggregato si
esaurisce all’interno della prima infan- zia, o nelle ipotesi relative a una
“infanzia dell’umanità” o in forme di “pensiero magico”, se, come nota Garroni,
[A]ncora oggi, nello stesso pensiero occidentale, non possono es- 41 Alludo
alle considerazioni dedicate agli oggetti transizionali di D. W. Winnicot in
Senso e paradosso, cit., p. 274. 42 E. Garroni, Immagine linguaggio figura,
cit., p. 11. 43 Ibidem. 284 Il senso dell’esperienza: Emilio
Garroni e l’estetica come filosofia non speciale sere evitati
paradossi liminari, che denunciano in un certo sen- so la persistenza
dell’ufficio, pur intellettualmente controllato, dell’aggregato, cioè
dell’unione di due termini diversi e addirittu- ra opposti, in una proposizione
unitaria e non più risalibile. Ba- sterebbe pensare alla kantiana comprensione
dell’opposizione tra incondizionato e condizionato, di soprasensibie e
sensibile, e insieme del loro richiamarsi l’un l’altro necessariamente, all’he-
geliana unità di essere e non-essere, alla questione russelliana di “classe e
classe di tutte le classi”, e così via44. 8. Voglio però, in conclusione,
mostrare un altro autoritratto di Garroni, molto diverso da quello, verbale,
ricordato all’inizio e consegnato, con «acume» e «humour» alla bandella della
Macchia gialla, perché credo che nelle pagine di Immagine linguaggio figura si
trovi, su un altro regi- stro, una sua importante eco. È un polittico dipinto
da Garroni tra il 1983 e il 1984, sulla soglia dei sessant’anni – dopo aver
subito una seria operazione chirurgica –, composto da 13 comparti, che formano
un quadrato di 115 cm per lato. Collezione privata 44 Ivi, pp.
12-13. 285 Stefano Velotti Alcuni comparti
rappresentano frammenti del proprio corpo, vis- suti come oggetti estranei e
familiari a un tempo. Figurano anche stru- menti di studio e di affezione –
dalla Critica del giudizio a Tempo e rac- conto di Ricoeur –, “cose” amate,
come il Dissonanzen-Quartett di Mozart (che dà anche il titolo a un suo
romanzo-saggio45). Ma questo è solo un primo riconoscimento di figure presenti
nel dipinto, non certo l’inizio di un’interpretazione46. Quando dicevo che la
passione dominante di Garroni era quella di capire, di comprendere, pensavo
anche a questo dipinto, che credo tro- vi una sua ricomprensione filosofica
proprio in un passo del suo ultimo libro, nelle riflessioni sul corpo e su
“cosa si prova ad essere un homo sapiens”. Un’operazione chirurgica diventa
nelle mani di Garroni un’oc- casione per elaborare, anche operativamente e
metaoperativamente, e non solo linguisticamente e intellettualmente,
l’esperienza fatta o subi- ta, anzi proprio per non subire soltanto
l’esperienza comunque subita, ma per esercitare, appunto, quel “dover essere
del senso” già articolato verbalmente. Quel che mi interessa è mettere in
contatto questa ope- razione pittorica, con un passo che, mi pare, le
corrisponde almeno in parte, e che rimanda a quella complementarità tra
determinatezza e indeterminatezza che è al cuore del suo pensiero. Non è
possibile, scri- ve Garroni in alcune notevoli pagine del suo libro47, mirare a
cogliere l’indeterminato in quanto tale; è possibile farlo solo attraverso il
deter- minato. E poi si pone una possibile obiezione: È vero: momenti di
apparente non-riconoscimento e totale in- determinatezza percettiva
intervengono in modo tipico quando ci risvegliamo e a volte pare che non
riconosciamo neppure il nostro piede che spunta fuori dal lenzuolo
aggrovigliato. Forse “vedremmo”, per così dire, solo l’indeterminato e ci
sfuggirebbe affatto il determinato connesso con il riconoscimento di ogget- ti?
Si può rispondere tranquillamente di no. Salvi i casi di pato- logie gravi,
quando il mondo può forse divenire solo un magma indecifrabile e viene meno
perfino il senso della nostra identità (ma parimenti dovremmo escludere il caso
estremo del coma, se non addirittura dell’essere già morti), il riconoscimento
non 45 E. Garroni, Dissonanzen-Quartett. Una storia, Pratiche, Parma 1990. 46
Una densa e attenta interpretazione di quest’opera è stata avanzata da A.
Olivetti, dice [...]. Primi appunti su un Autoritratto di Emilio Garroni,
pubblicato nel catalogo della mostra Emilio Garroni – Un Autoritratto, 4-15
dicembre 2006, Sala Santa Rita dell’Assessorato alle Politiche Culturali del
Comune di Roma. 47 E. Garroni, Immagine linguaggio figura, cit., p. 33.
286 Il senso dell’esperienza: Emilio Garroni e l’estetica come
filosofia non speciale viene meno neanche nel caso di un risveglio
depresso e confu- so. Si tratta piuttosto di una sensazione di estraneità degli
og- getti e delle nostre stesse parti del corpo percepite come oggetti indipendenti
e in qualche modo estranei. E l’idea di estraneità modifica il riconoscimento,
non lo annulla. Anzi, l’idea di estra- neità del nostro piede presuppone un
riconoscimento proprio in quanto lo riteniamo estraneo – è il nostro piede e
per questo ci è estraneo. Solo che il riconoscimento viene depotenziato e in
certo senso avversato. Infatti il nostro piede non dovrebbe esserci estraneo,
ma il fatto è che ci pare assurdo che quel piede sia cosiffatto e ci
appartenga. E insomma la sensazione della stranezza delle cose del mondo,
esterne e nostre. Il che implica un riconoscimento sgradito, languoroso e
stupefatto48. Nelle ultime pagine, poi, il tono sempre controllato di Garroni,
tenden- te piuttosto all’ironia e allo humour che allo scoramento, si lascia
anda- re anche a parole amare sul nostro presente (sono gli anni del venten-
nio berlusconiano, che abbiamo sperimentato quanto fossero destinati a cambiare
i parametri della vita pubblica, «la “mente” dei cittadini»): Ormai si è
istituzionalizzato il banale ed espulso ciò che più con- ta, non tanto l’arte,
di cui ci importa fino a un certo punto e solo a certe condizioni, ma
soprattutto il comportamento civile, le ir- rinunciabili esigenze etiche,
l’interesse alla comprensione delle cose, insomma: la “mente” dei cittadini, di
cui invece ci importa molto in primissima istanza. E con una specie di apologo
politico di trista attualità ho messo termine a questo breve saggio49. La
“facoltà dell’immagine” di Emilio Garroni e il suo contributo alla
ricerca contemporanea sulla percezione , i “contenuti non
concettuali” e l’immaginazione . 1 L’ultimo
libro di Emilio Garroni, Immagine Linguaggio Figura 2 , è in
parte una ripresa e un ripensamento di alcuni temi trattati quasi
trent’anni prima in Ricognizione della semiotica 3 . Da una
rielaborazione dei problemi abbozzati in questo volume del 19 77, e
grazie a un’assidua interpretazione e rielaborazione del pensiero
kantiano, Garroni arriva a precisare il rapporto tra le due dimensioni
irriducibili della sensibilità e dell’intelletto in termini
di «“facoltà dell’immagine”» 4 , da un lato, e di linguaggio e concetti,
dall’altro. Nonostante Immagine Linguaggio Figura nomini fin
dal titolo il problema della relazione tra queste due dimensioni correlate ma
kantianamente irriducibili dell’esperienza umana , lo statuto del
linguaggio non è qui affrontato nella sua problematicità complessiva
all’interno di tale esperie nza, ma solo in relazione all’«immagine
interna», che deve essere considerata «la premessa e la garanzia della
realtà del significato delle parole del linguaggio» 5 . Naturalmente,
1 Relazione tenuta al convegno di studi “Emilio Garroni:
determinazioni e dissonanze”, Chieti, 29-30 marzo 2012. 2 E
MILIO G ARRONI , Immagine Linguaggio Figura. Osservazioni e
ipotesi , Roma-Bari, Laterza 2005. 3 I D .,
Ricognizione della semiotica. Tre lezioni , Roma, Officina 1977.
4 I D ., Immagine Linguaggio Figura , cit. p. ix, dove Garroni
precisa: «Chiamerò complessivamente ‘immagine interna’ sia il precedente
di un’immagine (sensazione), sia l’immagine in quanto attualmente
prodotta (pe rcezione), sia l’immagine in quanto riprodotta o ricordata
-rielaborata (immaginazione), per distinguerle complessivamente dalla ‘figura’
esteriorizzata, per esempio, mediante un disegno. […] Perciò […] mi capiterà di
chiamare la facoltà che ne è responsabi le ‘facoltà dell’immagine’, tale
da riunire in sé sensazione, percezione, immaginazione». 5 I
D ., Immagine Linguaggio Figura , cit. p. 57non bisogna cadere
nell’errore di considerare le «immagini interne» come «fig ure», (
Bilder , pictures ) che avremmo nella mente. Garroni
conosce bene la critica wittgensteiniana a quest’idea tradizionale
e insostenibile. Anzi, si potrebbe considerare la teoria dell’«immagine
interna» come una lunga e meditata replica a chi confonde la critica di
Wittgenstein con un rifiuto di attribuire ogni valore cognitivo o semantico
alla nostra attività percettivo-immaginativa, per attenersi al solo linguaggio.
Per integrare quanto è implicito nel libro a questo riguardo, credo sia oppor
tuno tenere presente l’articolo che Garroni ha dedicato a
Minisemantica di Tullio De Mauro 6 nel 1998,
caratteristicamente intitolato L’indeterminatezza semantica, una
questione liminare 7 . Sia sul versante della percezione e dell’immagine,
sia su quello del linguaggio e dei concetti, troviamo infatti in
quest’articolo quella correlazione di determinato e indeterminato che è
forse il nodo teorico che Garroni ha pensato più a fondo e nelle sue molteplici
articolazioni: il «paradosso fondante» della filosofia, ma a nche
dell’esperienza comune - di cui Garroni parla prima nella voce i
Paradossi dell’esperienza scritta per l’Enciclopedia
Einaudi , e poi in Senso e paradosso 8 - non è
altro che un’a ntinomia inevitabile, modellata sull’antinomia della
facoltà di giudiz io della terza Critica kantiana. La
relazione paradossale tra determinatezza e indeterminatezza è al centro
sia della trattazione della facoltà dell’immagine, sia della facoltà del
linguaggio. Qui vorrei, per un verso, mostrare quale aspetto abbiano
assunto nell’ultimo libro certi problemi già impostati in
Ricognizione della semiotica – creando
6 T ULLIO D E M AURO , Minisemantica
, Roma-Bari, Laterza 1982. 7 E MILIO G ARRONI ,
L’indeterminatezza semantica, una questione liminare , in A A
.V V ., Ai limiti del linguaggio , a cura di F
EDERICO A LBANO L EONI , D ANIELE
G AMBARARA , S TEFANO G ENSINI , F
RANCO L O P IPARO , R AFFAELE S IMONE
, Roma-Bari, Laterza 1998, poi in E MILIO G ARRONI , L’arte e
l’altro dall’arte. Saggi di estetica e di critica , Roma-Bari,
Laterza 2003, pp. 89-115, da cui cito. 8 E MILIO G
ARRONI , I paradossi dell’esperienza , in A A
.V V ., Enciclopedia Einaudi , vol.
XV, Sistematica , Einaudi, Torino 1982, pp. 867-915 ; I
D ., Senso e paradosso. L’estetica, una filosofia non
speciale , Roma-Bari, Laterza 1986così un asse verticale, o di profondità
temporale, all’interno de lla ricerca stessa di Garroni; per altro verso, però,
vorrei tentare qualche rapido confronto tra alcuni temi fondamentali affrontati
in Immagine Linguaggio Figura e la filosofia contemporanea,
soprattutto di area analitica, con qualche riferimento anche all ’ambito
della psicologia cognitiva e discipline affini. Con il corrodersi della “
filosofia linguistica ” , infatti, - o, se si vuole , con l’apertura
della linguistic turn al non linguistico –
quest’area di ricerca emersa negli ultimi 40 -50 anni ha permesso di
riscoprire il problema della perc ezione e dell’immaginazione, creando
ambiti disciplinari anche molto specialistici su questioni strettamente
interconnesse: dal problema della natura della mental imagery
9 a quello dei cosiddetti “contenuti non concettuali” della
percezione (in cui un ruolo di rilievo assume anche la percezione e la
cognizione degli animali non umani, da sempre tenuta presente da Garroni); da
quello della natura delle rappresentazioni mentali a quello delle numerose
prestazioni assegnate oggi in ambito analitico e cognitivistico
all’immaginazione. A lungo considerata in area analitica come
una “facoltà” nebulosa, indeterminata e quindi sospetta, da qualche anno a
questa parte l’immaginazione è al centro di molte aree di ricerca: se ne
parla i n relazione ai “giochi di far finta” ( games of make
believe ) 10 – sia nel campo delle arti
che in quello più generale dell’esperienza comune 9 Cfr.
l’ampio contributo di N IGEL J.T. T HOMAS
, Mental Imagery , in The Stanford Encyclopedia of
Philosophy , (Winter 2011 edition), a cura di E DWARD N.
Z ALTA , URL = http://plato.stanford.edu/archives/win2011/entries/mental-imagery/.
Si tratta di un buon contributo, ma è sintomatico che proprio allo schematismo
kantiano Thomas dedichi uno spazio molto ridotto, e limitato alla schematismo
trascen dentale dell’intelletto della prima Critica :
aggrappandosi alla famosa asserzione kantiana secondo cui lo schematismo è
«un’arte nascosta nella profondità dell’anima umana, il cui vero impiego
difficilmente saremo in grado di strappare alla natura per esibirlo
patentemente dinanzi agli occhi» (B181), Thomas mette da parte il problema
concludendo che Kant, «in attempting to grapple with problems about the nature
of mental representation that the Empiricists had failed to solve, left the
process of image formation, and the nature of image itself, deeply misterious»
(ivi, p. 14). 10 Cfr. K ENDALL W
ALTON , Mimesis as Make-Believe. On the Foundations of
Representational Arts , Cambridge (MA), Harvard University Press 1990
(trad. it. di M ARCO N ANI , Mimesi come far
finta , Milano, Mimesis 2011- , alle ricerche sull’autismo (considerato
da alcuni come una “patologia dell’immaginazione”), a quelle sull’empatia
e sulla simulazione, ai cosiddetti “paradossi della ‘finzione”, della
“suspense” o della “resistenza immaginativa” , e ai tentativi, o alle rinunce,
di fornire una nozione unitaria di immaginazione che ne comprenda le varie
declinazioni: u n’immaginazione pr oposizionale e non proposizionale, una
“ricostruttiva” e una “creativa” , e così via 11 . Immagine
Linguaggio Figura è stato scritto senza note e senza riferimenti
espliciti ad altri autori o ad altre ricerche contemporanee. Ma è
tutt’altro che un libro estemporaneo o isolato. Anzi, Garroni lo ha
potuto scrivere liberamente, quasi “di getto”, solo perché erano almeno
trent’anni che andava elaborando quei pensieri. Abituati
ormai a pensare, come è d’uso nella filosofia analitica, sotto
l’ombrello di etichette generalizzanti, che identificano certi assunti teorici
di fondo nei confronti dei quali occorrerebbe definirsi
– nel caso della mental imagery , per esempio, il
primo discrimine che troviamo è quello fotografato dall’annoso e
fuorviante dibattito tra sostenitori delle teorie “analogiche” e
delle teorie “proposizionali” -, la riflessione di Garroni sembra
condotta in isolamento, e risulta difficile da collocare sotto un’etichetta
univoca. Mentre non credo che le etichette servano davvero, in quanto tali, a
far progredire la comprensione dei problemi, credo invece che un confronto
sostanziale tra le proposte di Garroni e quelle elaborate in ambito
anglosassone sarebbe molto proficuo per entrambi gli schieramenti. In ogni
modo, se proprio volessimo collocare le posizioni di Garroni in quel
dibattito – che nel bene e nel male è sempre più
ristretto, specialistico, talvolta accecato dai propri tecnicismi, ma altre
volte utile a chiarire i problemi in gioco e a suggerire soluzioni che lì,
magari, non sono contemplate -, potremmo orientarci verso l’ambito delle
teorie “enattive” ( enactive ) della percezione e delle
11 Per il nuovo interesse suscitato dall’immaginazione in ambito
anglosassone negli ultimi decenni, e le relative indicazioni
bibliografiche, rimando a S TEFANO V ELOTTI , La
filosofia e le arti. Sentire, pensare, immaginare , Roma-Bari,
Laterza 2012, in particolare il cap. 3immagini mentali, che costituiscono una
“terza via” – non computazionale - rispetto a quelle
“analogiche” e a quelle “proposizionali”. Come che stiano le
cose rispetto a questi orientamenti, il confronto approfondito e sostanziale
tra le riflessioni di Garroni e le teorie della percezione, delle
immagini mentali, dell’immaginazione – nel loro ruolo in ambito
cognitivo, semantico, estetico, artistico – è un lavoro
ancora da fare. Qui offrirò qualche spunto in relazione al problema dei
cosiddetti “contenuti non concettuali” della percezione, cominciando però
dallo sviluppo interno al pensiero di Garroni stesso, e in particolare d
all’insoddisfazione per la semiotica denunciata nel ’77 . Alla
domanda se «la semiotica [sia] sufficiente a se stessa», Garroni rispondeva di
no, perché la semiotica non poteva indagare «il problema delle condizioni»
grazie a cui «un qualcosa diviene segno» 12 . Lì Garroni invocava la
costruzione di una «semantica trascendentale» come metateoria di una «semantica
empirica» e di una «semantica logica», e indicava il suo «oggetto
specifico» nei «significati trascendentali», cioè negli «“schemi
dell’immaginazione” , affrontati in sede di schematismo trascendentale
nella Kritik der reinen Vernunft » 13 . Garroni, d’altra parte,
già avvertiva – avendo pubblicato l’anno prima
Estetica ed epistemologia 14 –
l’insufficienza dello schematismo trascendentale della prima
Critica , valido solo per (le condizioni de)la conoscenza in genere
( überhaupt ), ma non per comprendere la conoscenza effettiva
o determinata, e rimandava al « principio trascendentale soggettivo,
creativo e costruttivo » 15 indagato da Kant nella terza
Critica. Nella Premessa a Immagine Linguaggio Figura
si dice che l’enigma dell’immagine interna, il 12 G ARRONI
, Ricognizione , cit., p. 33. 13 G ARRONI ,
Ricognizione , cit., p. 37. 14 E MILIO G ARRONI
, Estetica ed epistemologia. Riflessioni sulla Critica del
Giudizio di Kant , Roma, Bulzoni 1976, nuova ed. con una nuova
Premessa, Milano, Unicopli 1998. 15 G ARRONI ,
Ricognizione , cit., p. 38, c.vo nell’originale.vero e proprio tema
centrale del libro, ha preso forma attraverso « l’assiduo ripensamento
del co siddetto ‘schematismo’ kantiano» 16 . Dunque, una continuità con
l’opera del ’77, ma certamente anche un’importante discontinuità: lo
schematismo trascendentale, quello dei concetti puri dell’intelletto, passa
decisamente in secondo piano nell’ultimo libro, mentre a venire in primo
piano sono lo schematismo empirico - quello cioè che permette di pensare
la costruzione dei concetti empirici a partire dalla percezione, che Kant nella
terza Critica chiama «esempio» - e lo schematismo
«simbolico» – quello che funziona per analogia, in relazione
a concetti non propriamente esibibili e che è responsabile non solo delle
cosiddette opere d’arte bella, ma anche del funzionamento del nostro lin
guaggio 17 . Naturalmente, questi diversi schematismi, pensabili grazie alla
distinzione - disponibile solo a partire dalla terza Critica
– tra uno schematismo «oggettivo» e un «libero schematismo»,
si intrecciano sempre nella produzione effettiva di enunciati e figure
significanti, ma devono essere distinti a livello analitico. Già nella
Ricognizione della semiotica Garroni metteva in chiaro come lo
schematismo kantiano costituisse il superamento di ogni concezione ingenuamente
referenzialistica del linguaggio. Lì si indicava una direzione di ricerca che
poi si preciserà nel tempo. Si diceva: Il ‘referente’ non è la cosa s tessa,
ma il nostro modo di operare sulle cose, di manipolarle e configurarle
come il correlato implicito del linguaggio; l’ ‘operazione’ a sua volta è
questo stesso concreto manipolare, che non può essere disgiunto peraltro
dal nostro rappresentarci le cose e le nostre manipolazioni delle cose,
cioè dal nostro ‘prendere le distanze’ dagli stimoli immediati, e che
suppone quindi in qualche modo il nostro conoscerle e parlarne 18 .
16 G ARRONI , Immagine Linguaggio Figura , cit., p.
ix. 17 Cfr. I MMANUEL K ANT , Critica della
facoltà di giudizio , ed. it. a cura di E MILIO G ARRONI e
H ANSMICHAEL H OHENEGGER , Torino, Einaudi 1999, in
particolare §49 e §59, e l’ introduzione dei curatori. Sull’analogia in
Kant v. M IRELLA C APOZZI , Le inferenze del giudizio
riflettente in Kant: l’induzione e l’analogia , “Studi kantiani”,
XXIV (2011), pp. 11 -48. 18 G ARRONI ,
Ricognizione , cit., p. 69.È evidente, mi pare, che «l’operazione»
di cui si parla include anche la nostra nativa attività percettiva che verrà
poi indagata attraverso il problema della costituzione, della natura e della
funzione delle «immagini interne». Distinte dalle «figure» (che non possono
essere altro che elaborazioni, esteriorizzazioni e riduzioni delle immagini
interne), le immagini interne sono innanzitutto dinamiche, sono cioè ispezioni
attive e mobili, per scorci sempre diversi, degli oggetti percepiti, o di
queste percezioni riprodotte, rielaborate e ricordate nell’immaginazione. È
da escludere quindi ogni obiezione legata alla presupposizione indebita e
circolare di un homunculus che sarebbe a sua volta
spettatore di “figure nella testa”. Figure nella testa non ce ne sono. È
invece questa operazione percettiva, dinamica e attiva, che impedisce ogn i
regresso all’infinito, anche se naturalmente non pretende di dare
una spiegazione , in termini oggettivi, di come ciò avvenga. Un
ruolo decisivo gioca qui la nozione di metaoperatività
introdotta in Ricognizione della semiotica 19 e poi
ripresa, anche terminologicamente, in tutta la sua importanza, solo
trent’anni anni dopo. È interessante come, anche in questo caso, Garroni
anticipasse uno dei temi più dibattuti, oggi, in ambito cognitivo, sotto il t
itolo di “metarappresentazioni” 20 , ma che in Garroni si es tende già
all’intero ambito dell’operare umano (un operare che è pragmatico e
corporeo, percettivo, cognitivo). In analogia e in correlazione con la funzione
metalinguistica – che per Garroni è sempre implicata
nelle funzioni di primo livello del linguaggio, così come quella costituisce
pur sempre una funzione che può essere solo interna al linguaggio di primo
livello – Garroni introduce la nozione di
metaoperatività come interna a qualsiasi o perazione umana. È ciò che
distingue, in sostanza, un’operazione del 19 G ARRONI
, Ricognizione , cit., p. 70 sgg. 20 Cfr. A
A .V V ., Metarepresentations. A
Multidisciplinary Perspectiv e, a cura di D ANIEL S
PERBER , Oxford, Oxford University Press 2000genere stimolo-
risposta da un’operazione che include già dentro di sé una
generalizzazione. P iantare un chiodo con un martello è sì un’operazione
determinata, concreta, e dotata di uno scopo preciso, ma –
come operazione umana – contiene già dentro di sé
una famiglia o una classe di operazioni possibili (qualcosa, dunque, ch e
potrebbe essere chiamato uno “schema operativo” ): “ piantare
questo ch iodo”, per l’uomo, suppone “piantare i chiodi in generale” , cioè un
comportamento operativo – metaoperativo rispetto a
quello – volto alla fabbricazione di strumenti e alla
determinazion e di variabili operative; e il “piantare chiodi in
generale” suppone ul teriormente l’“ operare in generale in vista d i
possibili variabili operative” , cioè un comportamento specificamente
metaoperativo. 21 Persino l’operare per prova ed errore –
tipico del comportamento animale non umano - suppone nell’uomo un
piano, una consapevolezza di operare per prova ed errore. S appiamo che
proprio l’attività artistica è considerata da Garroni come l’esemplificarsi di
questa dimensione metaoperativa, e che questa dimensione metaoperativa
non è altro che una riformulazione della kantiana «conformità a scopi senza
scopo». La terza parte di Ricognizione della semiotica è
tutta incentrata sui cosiddetti linguaggi artistici, che linguaggi propriamente
non sono, non solo in quanto privi di un codice, ma in quanto
strettamente condizionati da un’operatività e da una metaoperatività
irriducibili a linguaggio. Tutte le arti di cui Garroni lì parla
brevemente – dall’architettura alla musica, dalla
poesia alla narrativa alla pittura – sono indagate a partire dal
modo in cui in esse prende corpo questa nostra capacità metaoperativa, di per
sé inosservabile, ma rilevabile in indici empirici in tutti i prodotti
umani, e in modo esemplare nelle opere d’arte. La stessa nozione di “ stile
” viene riletta alla luce del manifestarsi concreto di indici
metaoperativi. In estrema sintesi, questa capacità metaoperativa viene caratterizzata
come una condizione 21 G ARRONI , Ricognizione ,
cit., p. 94nozioni diverse, quali gli oggetti che Donald W. Winnicott ha
chiamato «transizionali» 27 , di quelli che Michael Dummett ha chiamato
«proto-pensieri» 28 , che sono analoghi poi a quelli che alcuni studiosi
– a partire da Gareth Evans 29 –
chiamano “contenuti non concettuali” della percezione (c ontraddicendo,
dunque, l’idea fatta valere da Maurizio Ferraris secondo cui la
tradizione kantiana avrebbe decretato l’equivalenza tra epistemologia e
ontologia, cioè l’assimilazione di tutt o il reale, di quel che c’è, a
quel che possiamo conoscerne grazie ai nostri “schemi concettuali” , gettando
così le premesse del radicale prospettivismo e costruzionismo
nietszscheano secondo cui “non esistono fatti ma solo interpretazioni”, e di
qui del p ostmoderno, del neopragmatismo alla Rorty, del decostruzionismo
secondo cui niente è fuori dal testo, e così via) 30 . affidata a un
principio estet ico che esprime un’originaria adesione del soggetto all’esperienza,
e insieme un’anticipazione distanziante di questa». 27 Già
in Senso e paradosso , cit. p. 274, G ARRONI si era riferito
in un altro contesto agli oggetti transizionali di Winnicott («mediatori tra il
narcisismo infantile, o primario, e le relazioni oggettuali», obbedienti
a «“quel principio di confusività” […] che violerebbe appunto “il principio
aristotelico di non contraddizione”») accostandoli da un lato all’
Unheimliches freudiano e, dall’altro, alla paradossale unità di
determinato e indeterminato che ha nell’opera d’arte e nell’esperienza estetica
una sua manifetsazione esemplare: «Non c’è esperienza ben determinata,
apparentem ente solo ovvia, che non presupponga una condizione di
transizionalità o, insomma, un paradosso-senso. E certi tipici oggetti
transizionali non sono che concretizzazioni di un paradosso-senso. Qui si
legittima […] anche la creatività […] che viene esemplar mente e più
tipicamente esibita oggi, per noi e dal punto di vista di una riflessione
estetica, da ciò che chiamiamo “arte” ed “esperienza estetica”», ivi, p.
275. 28 M ICHAEL D UMMET , Origins of
Analytical Philosophy , Cambridge, Harvard University Press 1994, ed. it.
a cura di E VA P ICARDI , Origini della filosofia
analitica , Torino, Einaudi 2001, cap. XII: «Il
proto-pensiero si distingue dal pensiero vero e proprio che è esercitato
dagli esseri umani per i quali il linguaggio ne è il veicolo per il fatto di
non essere separabile dalle attività e circostanze presenti. […] non
possiamo dare una spiegazione soddisfacente della nostra capacità di base
di apprendimento e di orientamento nel mondo trascurando il livello dei
proto-pensieri» (ivi, pp. 138-139). 29 G ARETH E
VANS , The Varietis of Reference , Oxford University Press, Oxford
1982. 30 Di M AURIZIO F ERRARIS , tra i tanti testi e
articoli in cui sostiene questa tesi, si veda da ultimo il
Manifesto del nuovo realismo , Roma-Bari, Laterza 2012. Per una
discussione più articolata di questadel l’esperienza che funziona come « unità
costruttiva di un insieme di determinazioni linguistiche e operative», in
dichiarata corrispondenza a « quell’unità estetica delle rappresentazioni
di cui si occupa Kant nella Kritik der Urteilskraft » 22 .
A questo punto abbandono il libro del ’77 per vedere come queste
problematiche vengano riformulate e rielaborate, in modo più adeguato, nel
libro del 2005. Il nuovo strumento teorico che Garroni ha messo a punto, al di
là del riferimento al principio di una «conformità a scopi senza scopo» quale
senso e sentimento comune (il Gemeinsinn kantiano), è la
nozione di «immagine interna», proprio a partire da una rielaborazione del
libero schematismo della terza Critica. Qui la nostra capacità
metaoperativa resta una nozione importante, ed è esplicitamente richiamata nel
testo 23 , ma viene reinterpretata e specificata proprio in relazione al lavoro
di quella che Garroni chiama complessivamente «facoltà dell’immagine» ,
che è responsabile sia delle sensazioni (come precedenti di un’immagine),
sia delle percezioni (le immagini interne prodotte in presenza degli oggetti
del mondo), sia dell’immaginazione nella sua specificità (delle immagini
in quanto riprodotte o ricordate- rielaborate). Quella che nel ’ 77
veniva chiamata per lo più «operazione» è qui inn anzitutto l’attività di
questa «facoltà dell’immagine» , dal livello senso-motorio e non ancora
associato effettivamente al linguaggio e ai concetti, fino al suo pieno
intrecciarsi con linguaggio e concetti, ma pur sempre all’interno di una
non riducibilità dell’una dimensione all’altra. Sensazione, percezione e
immaginazione sono tutte «immagini interne» costitutivamente dinamiche,
non fissabili in un’ icona o figura materiale, e abitate da qualcosa di
non sensibile, dunque distinte dall’immagine -segno materialmente intesa,
che Garroni chiama «figura», e che è invece sostanzialmente statica.
22 G ARRONI , Ricognizione , cit., p. 147.
23 G ARRONI , Immagine Linguaggio Figura , cit.,
p. 18 sggUna delle nozioni di maggior interesse che emerge subito
– assente, direi, negli scritti precedenti
– è quella di «aggregato». Si tratta di qualcosa di
pre-linguistico e pre-concettuale, che deve dunque precedere
– in linea di diritto e ipoteticamente anche di fatto
– il costituirsi di famiglie, in senso wittgensteiniano, e di
classi. Un aggregato è ciò che offre una prima possibilità di riconoscimento
degli oggetti, non come membri di una famiglia o di una classe (che
presuppongono appunto una caratterizzazione di tratti linguistici o una
pertinentizzazione di note concettuali). Un aggregato è invece costituito «solo
percettivamente» e costituisce «un insieme di casi effettivamente sperimentati
o di oggetti effettivamente usati, quindi di numero finito, anche se via via crescente»
24 . Un aggregato può essere costituito da oggetti assai diversi, legati
da una minima somiglianza e talvolta da nessuna somiglianza, ma solo da
un cortocircuito tra disparati che stabiliscono tra loro un’unità non
chiaribile intellettualmente di tipo affettivo, emozionale,
fantasticante, volto al padroneggiamento di eventi e cose amat e, preoccupanti,
esaltanti” 25 . Mi sembra di poter dire che Garroni stia cercando di dar
conto, con una rielaborazione di quella che Kant avrebbe chiamato una
“sintesi dell’apprensione” 26 , ancora priva di un’unità conc ettuale,
della comune radice di 24 G ARRONI , Immagine
Linguaggio Figura , cit., p. 11 25 Ibidem. 26 Ma
G ARRONI segnala una revisione tendenziale dell’estetica
trascendentale kantiana a un livello molto più radicale e produttivo, già
da Senso e paradosso , (cit., p. 226): «Con la riflessione estetica
della Critica del Giudizio , il problema dell’immaginazione viene in
primo piano: nasce u n nuovo schematismo – lo
schematismo libero, senza concetti, dell’immaginazione
– come capacità originaria di organizzazione delle
percezioni. Di conseguenza tende a ridimensionarsi notevolmente la
primitiva Estetica trascendentale , nonché la stessa
Logica trascendentale , della Critica della ragion pura . Per
esempio, che qualcosa possa essere dato ai sensi solo alle condizioni dello
spazio e del tempo non è che un aspetto, forse non il più
originario appunto, della questione dell’intuizione e della sua elab
orazione nell’immaginazione (non più soltanto ‘produttiva’ e ‘riproduttiva’, ma
anche ‘creatrice’), non esauribile in termini di ‘forme’ spazio - temporali
rispetto a una ‘materia’ sensibile. Il centro della questione, di fronte a
quell’aspetto, è ora la lor o interna capacità organizzativa Quanto alla
relazione tra «aggregato» e «oggetto transizionale», mi sembra che uno degli
esempi portati in Immagine Linguaggio Figura non lasci adito
ad alcun dubbio. Nella primissima infanzia, scrive Garroni, «prima che il
linguaggio costituisca un vero e proprio ambiente e quindi sotto la condizione
di un’intelligenza prev alentemente senso-motoria», si può
ipotizzare che si producano, nel la manipolazione degli oggetti, […]
riconoscimenti, usi e aggregati di oggetti in essi variamenti disposti.
Un burattino può essere riconosciuto come un burattino e nello stesso tempo
come un vivente, oggetto d’amore o mostro persecutorio che sia; una
cope rtina o un lenzuolino possono essere riconosciuti come oggetti
d’uso, adatti per coprirsi e stare al caldo, e insieme come utero della
madre, il suo abbraccio, il suo stesso seno e quindi come una difesa dal mondo
esterno non ancora propriamente conosciuto e dominato; e così via. In
questi casi l’aggregato è lontanissimo dalla formazione di una futura
tassonomia intellettuale, e tuttavia una tassonomia non potrebbe più tardi
formarsi se non fosse preceduta da quello. 31 Se queste forme
prelinguistiche di aggregazione e riconoscimento sono però contrassegnate
da una vocazione al linguaggio e all’organizzazione concettuale, ci si
può chiedere se siano pensabili anche senza questa teleologia evolutiva e
se non siano per caso da pensare come l’analogo più prossim o, con le opportune
specificazioni, delle rappresentazioni che dobbiamo attribuire ad alcune specie
di animali non-umani. A questi, infatti, Garroni riconosce non una vera
«percezione interpretante» – come quella umana -, ma
neppure si sente di relegarli in un «ambiente» nettamente distinto da un «mondo»
32 – come avevano fatto Scheler e Heidegger sulle orme
di von Uexküll. Forse la distinzione vale per l’ambiente sensoriale della
zecca, ma sarebbe diff icile dire la stessa cosa di un cane o delle
grandi scimmie. tesi rispetto a Kant, rimando a S TEFANO
V ELOTTI , Storia filosofica dell’ignoranza ,
Roma-Bari, Laterza 2003, in particolare i capp. 3, 4 e 7. 31
G ARRONI , Immagine Linguaggio Figura , cit., pp.
12-13. 32 G ARRONI , Immagine Linguaggio Figura ,
cit., p. 44Un mondo, senza darne qui un’impossibile definizione e accettando
della parola solo l’indicazione di un senso complessivo della vita e delle cose
che la avvolgono, è attribuibile anche agli animali non-umani. Solo che
sembra presentarsi non come mondo in immagine, ma come comportamento, in cui la
sensazione, visiva o non visiva, svolge una funzione segnaletica e non
formativa, essenziale, ma non caratterizzante propriamente una co siddetta
“immagine del mondo”. 33 Mi sono soffermato brevemente sul tema
della percezione infantile e degli animali non-umani perché è diventato
forse l’argomento più forte portato dai sostenitori dei contenuti non
concettuali della percezione 34 . Questo confronto tra le posizioni di
Garroni e quelle dei sostenitori dei “contenuti non concettuali” (un’espressione
che Garroni non usa mai) richiederebbe uno studio specifico, come anche
la relazione tra l’ «aggregato» e i «proto -pensieri» di Dummett, una
nozione elaborata proprio per dar conto di rappresentazioni che non sono
dipendenti dal linguaggio, proprie sia dunque degli infanti, sia degli animali
non-umani (anche se credo che sia necessario, anche per Dummett, distinguere
tra proto-pensieri suscett ibili di diventare pensieri, o “vocati’ a
diventarlo, e quelli che non lo sono). Se menziono i possibili punti di
convergenza della riflessione di Garroni sulla irriducibilità della percezione
al linguaggio con quella di alcuni filosofi di tradizione analitica e psicologi
cognitivi, non è per mostrare che il pensiero di Garroni sta al passo con i
tempi, o li ha precorsi, cosa che sarebbe di pochissimo interesse. Il fatto è
che Garroni mette in luce – spesso senza portare fino
in fondo i dettagli dell’analisi – aspetti, implicazioni e
dimensioni del problema che potrebbero essere molto fecondi se messi a contatto
con la ricerca contemporanea propria di quelle diverse tradizioni. Vorrei
sottolineare che non si tratta solo di un generico auspicio di integrazione di
prospettive diverse, ma di confronti concreti 33 G ARRONI
, Immagine Linguaggio Figura , cit., p. 44-5. 34 Non
solo in E VANS , cit., ma soprattutto, tra gli altri, in C
HRISTOPHER P EACOCKE , Does perception have a nonconceptual
content? , in “Journal of Philosophy”, 98 (2001), p p. 239-264 e I D .,
Phenomenology and nonconceptual content , in “Philosophy and
Phenomenological Research”, 62 (3) (2001), pp. 609 -15, e già anche in F
REDERICK D RETSKE , Naturalizing the Mind ,
Cambridge (MA), MIT Press 1995che potrebbero portare a risultati sorprendenti
forse anche in termini di nuove acquisizioni conoscitive. Farò due esempi: il
primo, già accennato, riguarda proprio i contenuti non concettuali. Il
secondo riguarda invece l’indeterminatezza delle immagini mentali
A. È indubbio che le principali ragioni che hanno portato la filosofia
della linguistic turn a occuparsi di fenomeni non
linguistici, e in particolare di contenuti percettivi non concettuali, è legata
a una serie di ragioni che trovano corrispondenze abbastanza puntuali in
Garroni. E tuttavia, nonostante la loro raffinatezza, spesso queste analisi
sono incapaci di vedere aspetti della questione che una riflessione filosofica
come quella di Garroni aiuta a scorgere. Le ragioni che hanno dato il via al
dibattito sui contenuti non concettuali sono svariate: 1. La possibilità,
riconosciuta da Garroni con la nozione di «aggregato», di rappresentare nella
percezione stati di cose contraddittori o impossibili da un punto di vista
proposizionale e concettuale: l’esempio che si fa di s olito sono le
figure di Escher, o la « l’illusione della casca ta» di Tim Crane 35 , ma
l’aggregato di Garroni, come abbiamo visto rapidamente, coglie questa
possibilità percettiva innanzitutto al livello dell’immagine interna, e
nella sua necessità – non solo come fatto
accidentale ed episodico, o artatamente escogitato e realizzato in una figura
36 . 2. Un secondo argomento è stato proposto da Peacocke, il quale ha
sostenuto che il contenuto della percezione è « unit-free » 37 :
percepisco una distanza 35 T IM C RANE , The Waterfall
Illusion , in “Analysis”, 48 (1988), pp. 142-147. 36
Cfr. il capitolo 8 di Immagine Linguaggio Figura , in cui G
ARRONI analizza la differenza tra la interpretabilità plurima di
alcune figure , e il «ruolo primario nei riguardi della varia
interpretabilità del percepibile» giocato dalla «indeterminatezza percettiva»
propria delle immagini interne in relazione al mondo
reale. 37 C HRISTOPHER P EACOCKE , Analogue
content , in “Proceedings of the Aristotelian Society”, 60 (1986),
pp. 1-17determinata tra me e un oggetto senza per questo dover usare
un’unità di misura. E queste rappresentazioni sono irriducibilmente
non-concettuali. Garroni, di nuovo appoggiandosi – qui
implicitamente - a Kant 38 , usa un’ argomentazione analoga per mostrare
come la percezione ci appaia legittimamente come soggettiva e oggettiva a un
tempo, senza che ci sia nulla di contraddittorio o ossimorico, in quanto la
percezione «fornisce valori oggettivi delle cose, per esempio quantitativi,
tali da poter essere poi esplicitati in rapporti
metrici, in un modo che non è ad evidenza delle cose stesse: lo stesso
avvertimento di quei valori oggettivi è nostro [e
questo avvertimento è non concettuale: nota mia] e, tanto più, la nostra
misurazione non sta nelle cose , ma dipende da
un’unità di misura da noi stabilita idonea per
l’esplicitazione [concettuale] di quei rapporti» 39 . L’avvertimento dei
valori quantitativi privo di un’unità di misura è dunque la condizione, non
concettuale (estetica, direbbe Garroni con Kant) di ogni misurazione
oggettiva e concettuale. 3. Un terzo argomento, avanzato da Gareth Evans e poi
ripreso da molti, è la maggiore «finezza di grana» della percezione rispetto
alla “ grana ” dei contenuti degli atteggiamenti proposizionali.
Qui è facile riferirsi di nuovo a Garroni nella sua rielaborazione del pensiero
kantiano, ma non tanto in relazione agli aggregati, quanto al libero
schematismo e a quelle che Kant chiamava «idee estetiche» (una modalità
esemplare di «immagine interna», che Kant stesso designa come «intuizione
interna»: « dal punto di vista estetico l’immaginazione è libera, al fine di
fornire, ma in modo non ricercato […] una copiosa e inesplicita materia [
Stoff ] all’intelletto, che questo, nel suo concetto,
non prendeva in considerazione » 40 ) . E l’analisi,
centralissima, che Garroni dedica al libero schematismo, non si limita a un
riferimento alle ope re d’arte (che sono, per Kant, « espressioni di idee
estetiche»), ma 38 V. K ANT , Critica
della facoltà di giudizio , cit. § 25. 39 G ARRONI ,
Immagine Linguaggio Figura , cit. p. 6. 40 K
ANT , Critica della facoltà di giudizio , cit., § 49,
c.vo mio si allarga alla stessa costruzione di schemi per concetti
empirici. Garroni precisa infatti che lo stesso schema [lo schema
empirico, l’immagine -schema o, nel linguaggio della terza Critica
kantiana, l’ «esempio» ] è possibile dentro il quadro del
rapporto dell’intera immaginazione e dell’intero intelletto: è una scelta di
certi tratti caratteristici nell’insieme di tutti i tratti caratteristici
percepibili di un oggetto, il quale a sua volta non sarebbe possibile se non
sullo sfondo di tutti i tratti caratteristici possibili, percepiti o no,
percepibili o no, c onfusi nell’indet erminatezza della totalità 41 . Non
si tratta, è vero, di una percezione non relazionata ai concetti (dato il
rapporto dell’immaginazione con l’intelletto) , ma è anche vero che qui nessun
concetto determinato può corrispondere ai tratti caratteristici percepiti, e
anzi un concetto empirico può formarsi solo su progressive selezioni a partire
da una totalità indeterminata di tratti non già linguisticamente o
concettualmente classificati. Nella prospettiva di Garroni, la maggiore
“finezza di grana” della percezione verrebbe vista in un quadro più ampio
di quello analitico e cognitivista, che ha conseguenze antropologiche,
semantiche, di teoria dell’arte, mentre probabilmente potrebbe guadagnare
a sua volta in precisione e articolazione da un confronto serrato con il
dibattito analitico. 4. Un quarto argomento strettamente collegato al
precedente è stato di nuovo messo in evidenza da Peacocke e da Michael Ayers 42
, e riguarda la possibilità di acquisire e apprendere concetti empirici. Se non
si dessero contenuti non concettuali, o il nostro ragionamento sarebbe
circolare (coglieremmo già concettualmente contenuti percettivi di cui invece,
per ipotesi, dobbiamo costruire i concetti), oppure dovremmo supporre un
innatismo fortissimo e insostenibile. La 41 G ARRONI
, Immagine Linguaggio Figura , cit. p. 98. 42 C
HRISTOPHER P EACOCKE , A Study of Concepts , Cambridge
(MA), MIT Press 1992, e I D ., Does perception… , cit.;
M ICHAEL A YERS , Sense experience, concepts, and
content – objections to Davidson and
McDowell , in R. S CHUMACHER , a cura di,
Perception and Reality: From Descartes to the Present , Paderborn, Mentis
2004, pp. 239-262ripresa da parte di Garroni delle considerazioni svolte da
Umberto Eco nel suo Kant e l’ornitorinco (che a sua volta si
riferiva a Garroni) fornisce un modello per la formazione dei concetti empirici
proprio a partire dai contenuti non concettuali, in forma di aggregati, che
permette un riconoscimento percettivo anteriore alla costituzione di uno schema
empirico, correlato a un nome comune 43 . B. Veniamo al secondo esempio.
Discutendo di immagini mentali, alcuni autori di provenienza analitica hanno
sostenuto che una delle caratteristiche che le differenzia dalle figure (
pictures ) è la loro indeterminatezza. Sembrerebbe, questo,
un tratto che li avvicina alla tesi di Garroni sul reciproco correlarsi di
determinatezza e indeterminatezza. Ma non è così. Lo scopo di chi usa questa
argomentazione 44 è quello di sostenere che le immagini mentali, essendo
indeterminate, sono più simili a descrizioni che a figure. L’argomento di
Dennett è abbastanza noto, e rig uarda il numero delle strisce del manto
di una tigre: in un’immagine mentale il numero delle strisce di una
tigre può essere indeterminato, mentre in una figura le strisce devono essere
numerabili, e dunque determinate. In una descrizione, il numero delle
strisce può essere indeterminato (“questa tigre ha numerose strisce sul
manto”), dunque le immagini mentali sono più vicine alle descrizioni che alle
figure. Un’autorità sulla mental imagery come Thomas
– insieme a molti altri - sostiene che questo argomento
non è valido, perché un’immagine mentale di una tig re potrebbe avere un
numero determinato di strisce, solo che uno potrebbe non fare in tempo a
contarle perché l’immagine mentale svanisce velocemente dalla coscienza.
Inoltre, anche una figura di una tigre potrebbe rendere impossibile
contarle, in quanto sfocata o sommaria, e 43 G ARRONI
, Immagine Linguaggio Figura , cit. p. 58, sgg.
44 Tra gli altri D ANIEL D ENNETT , Content and
Consciousness , London, Routledge & Kegan Paul 1969, pp. 135-7; Z
ENON P YLYSHIN , What the mind’s eye tells the mind’s brain:
A critique of mental imagery , “Psychological Bullettin”, 80
(1973), pp. 1 -25; tra i critici di questa argomentazione, M ICHAEL
T YE , The Imagery Debate , Cambridge (MA), MIT Press
1991anche una tigre reale – presente alla percezione
attuale e non immaginata -, data la natura frammentaria, confusa e sfuggente
delle sue strisce, porrebbe molti dubbi quanto al loro numero 45 . A me sembra
evidente come Dennett e gli altri autori abbiano colto solo di sfuggita un
carattere delle immagini mentali o interne e ne abbiano tratto una conclusione
affrettata. E come le contro-argomentazioni di Thomas (insieme a quelle
di molti altri) si mantengano sullo stesso livello, senza prendere neppure in
considerazione la relazione, ben altrimenti pregnante e ricca di conseguenze,
colta da Garroni tra determinatezza e indeterminatezza delle
immagini interne e il loro rapporto con le
figure . L’indeterminatezza dell’immagine interna –
così come viene pensata da Garroni - non è una figura sfocata o mancante
di alcuni particolari, o addirittura una figura che sarebbe determinabile se
solo avessimo il tempo di esaminarla nella nostra mente. La correlazione
essenziale tra determinatezza e indeterminatezza che la caratterizza è
condizionata dal fatto che è un’immagine dinamica e multimodale (visiva,
olfattiva, tattile, uditiva, mnemonica, affettiva, viscerale, e così via)
e dunque non è in nessun modo una figura, neppure una figura sfocata o sbiadita
o evanescente . È piuttosto un’operazione nativa e attiva, che, nel caso
della percezione visiva, è non solo filtrata dalla gamma limitata di raggi
luminosi a cui è sensibile il nostro occhio, ma è resa possibile dai
movimenti saccadici e di altro genere dell’occhio, senza di cui non ci sarebbe
neppure un’immagine retinica. E quest’immagine retinica è a sua volta
attivamente e selettivamente rielaborata dalla nostra «percezione
interpretante» sullo sfondo di un contesto – oggettivo
e soggettivo - che si allarga da quello visibile a quello non visibile,
fino ad estendersi alle altre caratteristiche non presenti (associazioni con
altri oggetti e memorie percettive). I l problema dell’indeterminatezza
condizionante dell’immagine interna non è tanto se possiamo contare o
meno certi suoi elementi, quanto quello di darne un resoconto teorico adeguato,
che, per esempio, non si 45 T HOMAS , Mental
Imagery , cit., nota 31illuda di poterla considerare come l’imma
gine interna di un oggetto già definito e isolato dagli altri oggetti, dal
mondo soggettivo e oggettivo e dal sentimento della totalità
dell’esperienza in cui siamo avvolti. Si possono anche costruire
modellini della percezione più semplici, avendo in vista la costruzione
di macchine per il riconoscimento automatico di certe caratteristiche
oggettuali nel mondo, ma senza illudersi che quei modellini riproducano
effettivamente la percezione umana. Per concludere, vorrei citare per esteso
quel che scriveva Garroni nel già citato articolo sulla indeterminatezza
semantica a proposito del senso stesso di una riflessione filosofica. Credo che
quel che diceva allora a proposito del linguaggio e dei linguisti, potrebbe
essere ripetuto per la percezione e i percettologi, come suggerisce
l’ultimo esempio che ho portato: Si metteva in dubbio prima che
potessero esistere puri linguisti [o puri percettologi, potremmo dire].
Forse è proprio vero: non esistono. Anzi, se l’antinomia che essi
inevitabilmente incontrano e si sforzano di comporre è sempre presente
esteticamente in loro e in tutti noi, linguisti e non linguisti,
nell’anticipazione, all’interno dello stesso uso, del linguaggio in
genere nella sua totalità indeterminata, è forse addirittura possibile
sostenere […] che la cosiddetta ‘filosofia’ si inscrive necessariamente
in ciò che abbiamo detto ‘coscienza implicita del linguaggio’. È infatti
difficile dire cosa sia la filosofia istituzionalmente […] ma che essa nasca da
un qualche sforzo di comprensione dell’esperienza e del linguaggio,
consustanziale all’esperienza e a linguaggio, nella stragrande
maggioranza dei casi solo una precomprensione o un avvertimento oscuro di
una comprensione, questo sembra tutt’altro che campato in aria. Ciò
comporta una differenza rispetto a una linguistica che non vuole saperne,
di filosofemi? Forse no, se la differenza va cercata in positivo, in una
determinazione dall’alto di principi e metodi. Forse sì, se invece va cercata
in negativo, nell’esclusione che principi e metodi possano essere
qualcosa di assoluto e unilaterale, si ispirino poi alla indeterminatezza o
alla determinazione. Ciò pare plausibile soprattutto se essa fa emergere
più nettamente la coscienza implicita che ogni nostro uso del linguaggio […]
non è solo un uso particola re […] ma contiene una componente di
indeterminatezza che lo fa essere paradossalmente proprio quell’uso e permette
di descriverlo proprio come quell’uso determinato, nello stesso uso
effettivo , in tutti i sensi. Non sarebbe per caso anche un contributo non del
tutto insignificante, da un punto di vista etico e politico, non sospettabile
di ideologismo, alla promozione di una cultura non dogmatica, non settaria e
non particolaristica? 46 46 G ARRONI ,
L’indeterminatezza semantica …, cit. p. 112Emilio Garroni. Garroni.
Keywords: l’implicatura di Pinocchio, Freges Sinn – Germanic ‘sinn’ *not* via
Latin cognate ‘sentire’ -- senso, senso fregeiano – senso freegan – “Fregean
sense” – Do not multiply senses -- mentire/mentare/meinen/mean
-- messagio, message, semiotic – sender, recipient, message, emittente,
mittente, recipiente, message, emission, utterance, emitire, to utter – to
‘out’ -- ‘to ex-press’ Lorenzini---- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Garroni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51639513764/in/photolist-2mRGVwA-2mQ8kJS-2mLQyAA-2mLTVsg-2mFd1md-E4u3XA
Grice e Gatti – poetica –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I
like Gatti. Gatti is a good’un; for one, he philosophised on Aristotle’s
Poetics, something we hardly do at Oxford! And many other things, too!!” -- Nato
di Stanislao e Marianna De Nigro. Studia a Napoli sotto Puoti ed ebbe, come
colleghi, Cusani e Sanctis. Collabora a
“Il concetto di progresso.” E a “Filosofia,” il baluardo del hegelianismo a Napoli.
Le fondamenta del suo pensiero sono da ritrovarsi nell'eclettismo di Cousin,
sul quale scrisse “Di una risposta di Cousin ad alcuni dubbi intorno alla sua
filosofia.” Sostiene che vi sia un fondo di verità comune a tutte le scuole
filosofiche e reputa indispensabile fonderle in un'unica sintesi. Abbandona la
filosofia cousiniana avvicinandosi in maniera decisa all'Idealismo tedesco. Dall’idealismo
nasce la convinzione secondo la quale lo sviluppo interiore della coscienza e
l'evolversi della storia provengono entrambe da un principio comune: la legge
universale della ragione. Influenzato da Hegel e da Schelling, considera la
filosofia attuabile solo all'interno della realtà storica in quanto è la
scienza generale di tutto l'esistente. Si indirizza verso l'estetismo in
“L’arte.” Critica la dottrina aristotelica secondo la quale l'arte è una
riproduzione (mimesi) della natura, contrapponendole la filosofia hegeliana che
ritiene l'arte riproduzione (mimesi) del sovra-sensibile, delle idee, del
noetico. (“L’estetico e mimesi del noetico). In “Della filosofia in Italia” si
sofferma sul pensiero e la cultura italiani contestualizzandoli nella filosofia
europea. Esauritosi il periodo florido della diffusione della scuola hegeliana,
la rivista del Gatti andò incontro ad un lento declino e fallì anche nella
creazione di una nuova testata editoriale chiamata Rivista napoletana di
politica, letteratura, scienze, arti e commercio. Altre opere: “Della fenomenologia”; “Fichte e
il concetto di scienza; “La filosofia della storia in Grecia”;“Filosofia”. Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. treccani. Si è detto,ora non saprei più da chi la
prima volta,e poi da mol tisièsoventeripetutocheGian
BattistaVicoautorediunsistemache isuoi contemporanei non poteano intenderecome
quello che dovea esse re la scienza di un'altra età , e il frullo di nuovi
germogliamenti dello spirito,nonaveaperquestaragionepotuto raccogliereinvitailpre.
miodiquellagloriacheinepotipiù idoneiagiudicare dellapoteoza dellasua
menteedelvaloredellesuedottrine,glidoveanoalarga mano
prodigaredopolamorte.Orquestomododiconsiderarlacosaè senza fallo giustissimo
quando vel filosofo napoletano ,come in tutti i
filosofidelmondo,anziintuttiquelliuominichesonosi piùchemez zanamente sollevati
sull'universale , si voglia sceverare due parti es senzialmente diverse insieme
, e che congiunte solo per accidente, co. stituiscono una dualità permanente
nell'unità stessa dell'individuo.Di queste due parti,l'una tulla relativa è
determinata dalle condizioni e. steriori della vita,da'luoghi eda'tempi a cui
siappartiene ,dagli uo. mini
da'qualisiècircondato,dall'educazionestessachesièricevuta,
daglistudiiacuipiùsièpiegatalamente,dal primo librochesiè
letto,dalleprimeimpressionid'infanzia,dalle seguenti occupazioni G.
BATTISTA VICO dallafamiglia,da'parenti,dagliamici.L'altra parte
sottrattaatul te queste contingenze non si appartiene veramente a njun luogo o
tempo determinato ma a tutti del pari,nè ha da farsullacon
alcunaspecialecondizionedivita.Laprima diquesteduepartiscen de insieme col
corpo nel sepolcro e dopo della morte non se rimango no più tracce, la seconda
per contrario sopravvive all'ultimo giorno ed assicura all'uoino
coll'immortalità la perpetuità della sua presenza fra'più lontani nepoti.
Similmente in ogni sistema per quanto nuovo e profondoefruttifero
essosia,trovasiunapartecheèdireltamentede terminata non solo dalle proprie
particolarità dell'indole e dell'ingegno delsuoautore,ma
siancoradaquelledelluogoedeltempoincui
vennefuori,inmodochediquesticonservandosempre laspecialfiso nomia , ne
parlecipa spesso agli errori e a'pregiudizii. Questa è quella p a r t e c a d u
c a d e ' s i s t e m i, l a q u a l e n o n s o p r a v v i v e m a i a q u e
l l e c o n d i zionispezialichelehannodatoorigine,eche,quandoquelleson cam
biate,non ba più niun valore, ed è condannata all'obblio imman. cabile delle
età posteriori,quando caduta nel dominio dell'istoria, non fapiùpartedellascienzavivaefeconda
di conseguenzeediap plicazioni le cui tracce si scorgono presenti, quasi
all'insaputa di tutti, in ogni ramo del sapere e in ogni manifestazione della
vita.Concios siachènonsoloogninazione,ma ognisecolohaunasuaimpronta particolare,
ha uno special modo di veder le cose , una sua propria lo
gica,perlaqualeancheaquellecose chetieneperveredalleetàpre
cedenti,nongiungeperimedesimi procedimenti,ma peraltrevie, per altri melodi,
per argomentazioni e prove di diversa natura . L'altraparte,quasi
l'altroelementocostitutivodiognigran sis tema , è per contrario indipendente da
ogni condizione di luogo e di tempo,nonhainsénullachesiamomentaneoorelativo,ma
stadi per se come un frammino della verilà assolula che mai non rivelasi lulla
intera e nella sua irionfatrice purità nè alla mente di piano uo m o , nè alle
investigazioni di niun secolo , imperciocchè è la conquista ideale dell'umanità
che a fierissimo sudore della sua fronte ne va a po co a poco conquistando ora
una ora un'altra parte in mezzo a errori ed
acolpe,amensogneedaviolenze,ainganni ed a pregiudiziid'ogni
maniera.L'edifiziointantodelsapere insepsibilmentema irreparabil. 268
MUSEO DI SCIENZE E LETTERATURA m e n t e s i a c c r e s c e ,a t t
e s o c h e l o s p i r i t o u m a n o n o n d ' a l t r a c o s a a i u l a t
o c h e dall'opera del tempo , va d'ogni sistema sceverando le parti false e
vane e relative a cerle determinate contingenze,va spogliando della superflua
ed incomoda scoria quella parte di eterna verità che in ciascuno si rac
chiude,la fa diffinitivamente sua e la trasmetle come sacro deposito e in
dubitabile acquisto alla seguente ,che facendone suo pro,l'arricchisce di nuovi
progressi,ne'quali quelli che vengono dopo di essa banno ad esercitare il
medesimo lavoro di purificar l'eredità ricevuta e di accre s c e r e il p a t r
i m o n i o . C o s i l a p i a n t a f e c o n d i s s i m a d e l l a s c i e
n z a c r e s c e d i secolo in secolo con non interrotta germinazione , non
altrimenti che cresceunalberofraleassiduecure dell'agricoltore cheneinnaffiae
lelama diligentemente le radici ,e a suo tempo ne taglia colla scure i sermenti
vecchiedisutili.Questaèquell'aureacatenadicui,senon vado errato , parlava
Platone , per la quale l'un secolo trasmette all'al tro l'eredità del sapere ,
come un sacro deposito che esso è tenuto di
accrescereasuopotereetramandarloalsusseguente;benchènon tutti
isecolipossonougualmenteaccrescere queldeposito,non intuttigli elementi
secondarii e contingenti che circondano i frammenti della v e rità eterna son
della medesima natura e nella medesima proporzione con essa. E questo è pure
quell'ecletismo pon artificiale , quale può farloun
uomoounascuolaecheomancadicriteriooneha uno in cerloesirisolvepiù
tostoinsincretismo,ma reale edistoricoilqua lehapersuo autorelospiritoumano
stessochedisecoloinsecolova sceverando da sistemi la parle condizionata e
temporanea da quella che come frammento della verilà assoluta dee restare senza
alterazione niusa in suo perenne dominio . Cosi il frullone abburrattando la
farina de discevera il fiore dalla crusca inutile , e cosi molte verità da'
tempi nondicodiArislotilemadiParmenide ediZenone diElea,sonori maste tuttavia
sulla terra , dove che tutto l'insieme di que'sistemi non è adeguato nè alla
forma nè al fondo del pensiero di generazioni cosi lontanead
essiperdistanzadiluoghieperdiversitàditempi. Secondo queste considerazioni è
indubitato che in tutto l'insieme del sistema del Vico trovasi una parte di un
valore assoluto che è ri masta per sempre nella scienza ,ed a cui eran troppo
immature le menti de'suoiconleinporanei,iqualionoa neinlesero
affattoosolone G. BATTISTA VICO 269 $ 270 MUSEO DI SCIENZE E
LETTERATURA frantesero e ne misconobbero la vera importanza. M a accanto a que
staun'altracenehaper laqualeilfilosofonapoletanolegasi diretta
menteco'suoitempi,echemeglio intesaeviepiùapprezzatada'coe. lanei non ha più
per noiniun valore , ed è caduta come cosa vieta in dimenticanza. Sicché a lui
, come a tutti igrandi uomini,è avvenuto che per una parteè uomoassolutamentede'suoi
tempi,econessi perquella partesièmorto,dove cheperun'altraè contemporaneo
de'suoi nepoti , e per essa a se medesimo sopravvive. Non giả che i puovi
filosofi da lui abbiano preso il concetto della filosofia dell'isto ria,come
alcunisono andatidicendo,credendo cosidiaccrescere, quando invece diminuivan la
gloria e impicciolivan lavera grandez za di colui che voleano magnisicare.
Conciossiache picciolissima glo ria,eche soloapochi,eforseaniuno anche dei
mediocrissimie mancata,sièquelladicomporreun sistemache adaltriinunaltro secolo
piacerà poi di seguire. M a grandissima si è quella d’indovina re e quasi
divinare tutta una scienza per la quale la pienezza de' tempi non è ancor
venuta , ed a cui un'altra età dovrà essere condotta per i nuovi progressi
dello spirito , comunque per altre vie , per altri metodi e come per dialettica
deduzione di principii di diversa natura , siccome appunto
èavvenutoperlafilosofiadell'istoria moltotempo dopodel
Vico,cheprimolapresenti.Manonpotendo,com'eranaturale, presentir tutto
,procedette senza metodo e senza principii proporziona. ti da cui dedurla ,sol
per induzione da fatti troppo speciali ,e in mez zo a tali tendenze
intellettive che rendeano impossibile qualunque ancorchè immaturo saggio
diquelle costruzioni speculativesu cui solo potea la nuova scienza solidamente
stabilirsi.Sicché cadde e rima. se infruttifero l'isolato tentativo sino a che
la stagione più propizia non fu giunta ,a cui non furono nascoste levere vie
che poteano condurre allanuova terrapromessa,scovertadalungida
unarditissimonavi. gatore che per difetto de'necessarii aiuti appena vi avea
potuto appro dare,manon prendernesicuramentepossesso.Quasiparechelospi
ritotravedendo dilontanolanovellascienza,avesse fattoun primo tentativo per
conseguirla , m a destituito degli altrezzi e delle armi che a q u e l l a c o
n q u i s t a si r i c h i e d e a n o , a v e s s e d o v u t o t e m p o r p
e a m e n t e m e t tersi giù dell'opera per fornirsi in silenzio de'mezzi che
gli abbisogna G. BATTISTA VICO 271 vano, e quando ebbeli tutti
presti ed apparecchiati, ritornare con m a g
giorconfidenzaall'interrottaimpresa,eriuscirvicon migliorsuccesso. Non si vede
egli talora quando già la fióe dell'inverno si avvicina m a ancora la primavera
è di lungi ,un solitario fiorellino quasi racco
gliendoiprimicalorichesicominciano amuovereperlegelateaiuole, spuntare
tra'bronchi eirovi ancora arsidal freddoebianchidalla Deve? M a quel primo
sforzo e troppo precoce della natu ra riman solo, nèèseguitoda altri sinoacheallastagioneavanzata,nuovitorrenti
di calore tutte compenetrando le zolle più mature ,covrono di famiglie
innumerevoli di fiori la faccia de'prati e i dossi delle colline. Qui m a g
gioreèlacopiaelabellezza,ma piùammiratoèilfiore delfebbraio, infrulluoso e
solitario indizio d'una ricchezza a venire di cui tutti lar gamente godranno ,
m a che poca o niuna maraviglia non saprà più ri
svegliareaglisguardiassuefatti. Se poi prendiamo quel sistema del Vico nel
quale appunto ha tra scesoiconfini del suotempodivinandol'avvenire,vitroveremoma
pifestada pertuttolapresenzadelgiureconsultonepoletano dellafine del decimo
settimo secolo , e accanto a que'principii che si veggono diventati proprietà
eterna della scienza e son passati quasi nella c o scienza universale del
genere umano,ne troveremo altria cui nessuno
piùnonsaprebbeattribuirealcunvalore,echesipossondire caduti per terra e
dispersi come cadono e sono disperse dal vento le poche fo glieseccheche
ancorasitrovanoinsu'ramideglialberiamezzono vembre per lasciare nudo il tronco
che alla nuova primavera di più rigogliosa vegetazione si dovrà rivestire.
Troveremo lui aver messo a capodelsuosistemaundualismoicuiduetermininon
possonostare insieme , quello cioè di una mente ,di una ragione, di un mondo
delleideechefacollesueproprieleggiilmondo de'fatti,equellodi
unavolontàestraneadicuilascienzanonpuòtenere niunconto,es
·sendocheisuoiattiappuntoperessere volontarii nonsipossonosot tomettere a niuna
costruzione scientifica,cioè a priori,ma sono essen zialmente contingenti.
Troveremo lui aver detto che la sua scienza del lastoria è una vera teologia
delle idee divine , la qual cosa se può es
serverainaltrisistemi,appuntonelsuoèfalsa.Troveremo averegli traveduto il
principio che la storia dell'umanità si va facendo per m e z zo di
un successivo passaggio da una fortuna più materiale a una più spirituale,dauna
piùoscuraeincertadisèauna più chiaraepiù c o n s a p e v o l e , m a n o n a v
e r p o t u t o v e d e r e n é il c o m e n è l e l e g g i d i q u e sto
cammino , nè tutte le sue conseguenze, nè tutto l'insieme delle sue
applicazioni. Troveremo che dopo di aver veduto la correlazione che è tra le
idee e i fatti , la concepi però a rovescio dicendo che l'ordine delleideedee
procederesecondol'ordine dellecose,ilche sepureè veroinunsenso tutto
psicologico eaposteriori,è falsissimo,anzi privo affatto di senso,negli ordini
dell'ontologia e dell'istoria.Or lutto quanto illibro della scienza nuova
procedendo a questo modo svela costantemente agli occhi del riguardante la presenza
di due uo mini,l'uno giureconsulto napolelanodeldecimo settimosecolo,e l'altro
filosofo divinatore di un pensiero che dovea esser quello di al tri secoli a
venire , e predicente una scienza che egli stesso non in tendeacheamezzo.Ma
nellealtreoperequestadualità scomparisce, oalmenoilsecondoenuovouomo
sieclissatantodarestarquasi tuttointeroilcampoalprimo,cioèall'uomodottodell'età
incuigli era sortito di vivere. Le opere contenute nel volume il cui titolo è
in capodiquestoscrittosonopiùtostodiquestaseconda specieche del la prima ,
quantunque non bisogna dimenticare quello che del resto è quasi inutile di dire
, cioè che la parte più universale dalla sua mente non si nasconde mai tanto
che e'non si veggano sempre e da per tut topresenti le traccediquello spiritoche
ha pensatoilprimo sulla terra una scienza dell'istoria. Io non parlerò delle
diverse orazioni suvariisubbietti,dellequalilelatineson
tradotteinitalianodalPo. modoro , che con tanto amore si è volto il primo tra
noi a dare una raccolta compiuta delle opere del filosofo napoletano. Neppure
parlerò della sua vita scritta da lui medesimo e che anche trovasi nel presente
volume,importante sopra tutto per questo,che in essa trovasi delinea -la la
storia intima della mente del Vico , e vi si assiste alla generazio ne di tutto
il sistema nato nel suo pensiero ( cosa straordinaria e quasi incredibile ) non
di un principio metafisico , che dee essere la sua vera sorgente , m a più
tosto da particolari considerazioni sull'insieme del dritto romano e sull'istoriadi
Roma. L'opera di cui più particolarmente mi propongo di ragionare è 272
MUSEO DI SCIENZE E LETTERATURA G. BATTISTA VICO 273 38 quella
dell'antichissima sapienza degli Italiani,la quale se pure io non m'inganno
stranamente , non solo ci rappresenta più chiaro il Vico del suosecolo,ma
noncirappresentaaltrochequesto,nèmaisenzalei dee e le teoriche che erano in
voga a quell'età,e fino senza i pregiudi zi i e gli errori del tempo non
sarebbe stata concepita , nė mai , neppure iltitolo,potrebbeorasaltarenellamentediniuno.Io
non parlo delle speciali teoriche professatevi,di cui alcune si hanno o poco o
niun v a lore, e altre ne hanno uno grandissimo m a non si appartengono al V i
co propriamente,anzi a tutta la filosofia da Parmenide al Leibnitz e dal Leibnitz
all'Hegel, ma quello che merita di esser considerato come pro prio di lui , si
è il modo di deduzione e il procedimento con cui vi è pervenuto , pel quale una
volta messosi,ne ha tirato delle conseguenze
istoricheecredutodigiungereaunaseriascovertafilosologica, quan tutto riposava
sopra due o tre falsi supposti che sono il perno intorno a cui si aggira tutta
l'opera, e ne formano non meno la conchiusione che labase.Or ecco in che
consiste tutto ilsistema.Nell'uso di alcune vo ciemodididirede'LatiniilVicoha
vedutoo credutodi vedere un profondo significatometafisico, che dimostrava un
gran progresso fatto in questa scienzapressoilpopolo che in quelmodo parlava;
dall'uso che essi facevano delle voci causa eeffetto vero e fallo , ed altre
simili egli deduce il sistema metafisico di cui quelle lo cuzioni erano
l'immagine e che dovea trovarsi nelle menti dico loro che le avean irovale e
che cosi le adoperavano. A questa prima scoverta poi tutta filosofica di sua
natura,se ne veniva ad accoppiarecome perconsegnenza un'altrafilologicao
istorica intorno alpopolo che era giunto a cosi profonda sapienza,a cosi
riposta dottri na da essere autore e di quella filosofia e di que'modi di
parlare.Certo ilromanononpotèessere,delqualesisaindubitatamentenon avere
attesoad altro sino al tempodiPirro che all'agricoltura ed alla guerra, diche è
mestieri di risalire più indietro sino al popolo da cui quello di R o m a
ricevette con la lingua quelle locuzioni ,e lui senza più dichiarare
popolodiprofondadottrina,epressoilqualelametafisicaavea dovuto giungere a uno
non comune grado di eccelleoza.Nè lastoria ci può la
sciarelungamenteincertinellascelta,sapendosiche iduepopoliconcui iRomani ebbero
ab antico più strelte relazioni si furono i Joni della Apao XVII,Vol.VII.
Questa serie di dedazioni ci mena alla giustificazione nel titolo dell'o
pera,dell'antichissimasapienzadegl'Italiani,ciòsonoiJoniegli Etru schi,iquali
per questa via si scovre aver dovuto essere dollissimi in m e
tafisica,epoichèdaessipreseroiLatinigran partedellalorolingua,si trovò questa
come per eredità o più presto per invasione straniera picha di concelli
metafisici,comunque ilpopolochelaparlavanefosseesso medesinioinconsapevole,
ničsipotessedasèsolosollevarea tanlaal tezza.Ne qui le deduzioni istoriche si
arrestano,anzi partendo da quel lepremesse,siècondottiassaipiùlungi,fino
acongetturarechegli Egiziani quando fioriva appresso di essi e l'imperio e la
potenza e l'ar. dimento delle lontane spedizioni,navigando per il mare interno
che lut to signoreggiavano,avessero doyuto dedurre floride colonic per le cosle
diquelle,ecosiportareinToscanalalorofilosofia.Quivi poiessendo s u r t o u n a
s s a i g r a n r e g n o c h e d i e d e il n o m e a l u l t o q u e l t r a
t t o d i m a r e che Lagna di Toscana fino a Reggio l'Italia,anche la lingua
degli Etru schi si dovette per quello diffondere, e di questa più dovellero
prendere i popoli più vicini del Lazio. Per la qual cosa non si dec credere che
Pitagora avesse dalla Ionia portato in Italia la sua filosofia, m a sibbene
esser venuto in Italia ad impararla , e sol dopo di essersi ammaestrato
nellametafisicaitaliana,cioèetrusca,laqualenoneraaltroche l'egi
ziana,essersistabilitoinCotrone e quivifondatolascuola.Diquila sua filosofia si
sparse, cando necessariamente imprimendo le sue trac ce nella lingua, della
quale gran parte passò poi a'Latini,iu guisa che sc ci ha vocc latina di
filosofica signicazione,quella si dee tenere essere stala prima in Egillo,poi
in Toscana e quindi passala in Magna Grecia. Perquestomodo ne'fossilidellalingualatinasitrovatuttalasapienza
degli Etruschi, e dalla notomia di quelli noi possiamo ricavare tutta la
anctafisica che era in voga sulle rive di Arno prima che il Tevere ba e
274 MUSEO DI SICENZE E LETTERATURA magna Grecia e gli Etruschi,dei quali
d'altra parte si sa che furon pc. poli dottissimi, gli uni avendo dato
nascimento alla filosofia italica dell'antichissima sapienza degli altri
facendo ampia fede la purità del la loro religione, l'augusto concetto che essi
aveano dell'ente supremo, i sontuosi sagrisizii, la teologia civile onorata ,
la naturale praticata, e con questo l'architettura antichissima e
semplicissima,a far testimo. nianza che essi furon dotti nella geometria prima
de'Greci. G. BATTISTA VIC ) 278 ! gnasse la città de'sette colli.
Con un passo di più m a senza allontanar ci dal sistema del Vico,anzi
seguendolo fedelmente, solo affidandoci al l'uso di poche parole latine, noi
possiamo esser sicuri di essere in pie no possesso della cosmologia e teogonia
egiziana. 6 1 1 Ho volutoinsisterealquantopiùalungosullevere pretensioni
di questo libro del filosofo napoletano ,sol perchè basta l'esporle nettamen
leperchèsenevegganochiaroilatideboliche sononè più nèman co che tutti isuoi
lati,la cui poca consistenza połea essere nascosta un secolo e mezzo fa, m a
ora non ha più scudo che la possa difendere da piun colpo della moderna
critica. In alcuni punti poi esso ha contro di sè un inimico domestico e
cognato nel Vico della scienza nuova,ilquite lecondotto da altre divinazioni
più vicino alla scienza de'nostri tempi epiùlontano a quella
de'suoi,poevade'principiiiqualinegano le basi su cui poggia tutto il libro
dell'antichissima sapienza degl'Italiani. E in fatti in quel sistema che più lo
ravvicina a noi e più lo stacca da'suoi contemporanei , egli riconosce tutta
l'opera del popolo nella formazione delle lingue , e quasi lo riguarda senza
ambagi come una creazionespontancadiquello,quandospiegatuttelediversitàchesono
fra le une e le altre per mezzo della diversità che passa fra la natura o
icostumi de'differenti popoli.Ma questo principio che veduto in tutta
lasuaplenitudineesvoltosecondoilrigoredellalogicasarebbe stato fecondissimo
d'importanti conseguenze, non gl'impedi di arrestarsi m a ravigliato innanzi
alle locuzioni che a lui parvero troppo metafisiche
dellalingualatina,pertalmodochedimenticodel popolo edelmon do delle nazioni,
ostinatamente volle vedere in quelle l'opera meditata de'filosofi che dopo di
averlo composte e sanzionate coll'autorità del loro sapere, le sparsero e le feccio
adottare al popolo , da cui poi le c b beroineredità gli altri che la dottrina
e ingran parte la lingua diquelloereditarono. Ora non iprincipii,comunque
ancora incerti, dellascienzanuovacondusseroilVicoaquestascried'idee,ma sibbc ne
la filosofia del suo tempo , contro la qualc egli in gran parte prote
stava,etuttoilgeneralmodo concuisiriguardavanoalloralecose,e
cheeglisenzasaperloesenzavolerlo,etalvoitapurvolendo ilcontra rio,avca comune
con tutti.Ora uno de'punti principali della filosofia del secolo
passato si è il non aver riconosciuto in piente l'opera sponla nea dell'umanità
e l'aver veduto da pertutto il prodotto volontario e riflesso e però
consapevole e determinato dello spirito. Nel fatto della società civile non
vide altra cosa che un contratto con cui gli uomini si
eranovolontariamenteconvenutifrasèdivivereinsieme per ilmag
giorcomodoelamaggiorsicurezzaditutti;nellereligioninon vide
cheiltrovatode'pochipercontenereimolti,e farlipiegare coll'au torità di esseri
superiori agli umani , a quelle cose che essi avean risoluto essere di
universale vantaggio o di loro particolare utilità; nella poesia e nelle arti
non vide che l'occupazione di alcuni uomini di più squisita immaginazione e di
maggiore ozio che gli altri, i quali perloropropriodilettoeperaltruisidecideano
didarsiaquell'eser cizio, seguitando delle regole parte tirate dalla natura
stessa delle co se,e parte stabilite per reciproca convenzione fra quelli che
si era no volti al medesimo non so se mestiero o passatempo ; finalmente
nellelinguenon iscorse altro cheunsottilritrovatoeunauniversa. le convenzione
degli uomini , iquali essendosi accorti di avere l'organo delle voce vie più
pieghevole che quello degli altri animali , si erano risolutamentedecisi,non
senzaesame,divolermettereaprofittoquel Ja flessibilità della gola , e
servirsene senza più a render più facili e
speditelelororeciprocherelazioni.Daquestateoricanon eralungo il cammino da
percorrere per giungere all'ipotesi,o per dir meglio,al
laconchiusionedelVico,ilquale,come primasifuimbattutoinlo c u z i o n i c h e g
l i p a r v e r o a v e r e d e l f i l o s o f i c o i n s é , s u b i t o g i
u d i c ò n o n il popolo ignorante,ma sibbene ifilosofiaverne dovuto
esseregliautori. Di che senza por tempo in mezzo,si diede a ricercare dove
doveano poter esser que'filosofi da cui eran venuti parlari filosofici a un
popo lo che non aveva filosofia , e trovolli nell'Etruria e nella Magna Grecia
e,risalendo,nellapatriade'Faraoni.Maisistemi talvoltasoncuriosi
davvero;ecuriosissimisieran questi,iquali negavanolecosepiù
ovvie,ilfatto,lastoria,lavita,l'uomo,peraccordar tuttoa'filosofi;
razzanobilissimaed'ogniconsiderazionedegnissima,ma cosipocodi sua natura
operativa e fattiva da non poter creare non che tutta una Jingua,un solverbooun
articolo.Ora ilfattosiècheilpopolo,equi,
intendiamocibene,popolovalquantogenereumano ospiritoumano , 276 MUSEO DI
SCIENZE E LETTERATURA G. BATTISTA VICO 277 il popolo adunque in
cerle cose non è da meno e in certe altre è da più de'filosofi. Ancora non si
dee credere che nello spirito de'filosofi trovi siassolutamentepiùdiquello che
ènello spiritodiogniuomo,cioè nel popolo.E se nelle coloro menti trovasi tutta
chiara ed aperta la teorica della ragione e degli elementi che la
costituiscono,e la scienza delle sue leggi e del nodo come esse operano,la
mente del popolo per mancare di quella teorica o per ignorar quellascienza non
è men ri. schiarata dalla medesima ragione , nè men costituita dagli stessi
ele. menti,nè men regolata dalle medesime leggi , conciossiache se cosi non
fosse, la filosofia non sarebbe più la scienza dello spirito umano , ma
lascienzadellospiritode’filosofi;ilche,seiononm'inganno,do vrebbe
sufficientemente nuocere alla sua importanza ;la sola differen• za che passa
tra il filosofo e colui che non è filosofo ,si è che l'uno sa
quelcheegliha,laddovel'altroloha senzasaperlo;l'unopossiedee pur possedendo e
usando della sua possessione,non ha mai posto mente a quel che egli
possiede,dove che l'altro non solo possiede ma si è oc cupatodisapere lanatura,ilvalore,leleggi,l'importanza,gliele
menti,ilmodo dioperare,lerelazioni e le condizionidiquelloonde egli è in
possesso. Oralelinguesoncomefigliuoledidue madri,cioèsonoilpro. dotto di due
cause che operano ngualmente nella loro formazione, v a le a dire delle
attitudini naturali e delle fisiche condizioni degli orga ni della voce da un
lato, e dall'altro della natura morale dell'uomo e
delleleggisostanzialidellospirito.Dicheogni lingua senella parte puramente
esternae fonetica de'suoni,della lorotrasformazione e cor ruzione,edel
loropassaggioadaltrisecondariiederivati,eintutto quello che riguarda l'istoria
naturale della parola , segue invariabil mente le leggi naturali
dell'organizzamento fisico della gola, in quanto al contenuto interno di essa
parola rappresenta tutti i principii psicolo gici del pensiero,tuttiglielementi
ontologici che in esso si rinchiudono,
esecondoleleggilogichedelpensierostessocoordinaedispone l'e s p r e s s i o n e
e s t r i n s e c a d i t u t t o q u e l l o c h e il p e n s i e r o h a l a
v o r a t o , e c h e nelle misteriose profondità della mente è stato
apparecchiato.Certo si nella formazione che nell'esplicamento delle lingue non
tutto si può ridurre e principii razionali,e qualche cosa ci ha che si sottrae
all'ana lisi e dipende da quella parte inesplicabile dello spirito
umano ,che senza essere ilprodotto o l'espressione di una o di un'altra sua
legge determinata,risultadall'azione nė descrivibile nè determinabiledi tutte
quante insieme , e dall'opera simultanea di tutte quelle forze in cui si
appalesa la vita nelle sue infinite manifestazioni.M a oltre a q u e sta parte
che si sottrae ad ogni investigazione e ad ogni esplicazione
scientifica,l'edificiodiognilinguaèlegatoper la parteestrinsecaal le leggi
anatomiche e fisiologiche del corpo,e per l'intrinseca alle leg. gi morali
dello spirito, in modo che siccome ogni sintassi nel coordina mento delle
parole e delle frasi è regolata dalle leggi logiche del pen siero, e cosi ogni
etimologia rinchiude in sè un sistema compiuto di tutte le categorie
dellaragione ; e siccome non può trovarsi nello spiri to più o m e n o di quel
che trovasi nella lingua , in cui talti i suoi ele menti raggiungono
un'esistenza estrinseca ed oggettiva, e cosi non tro vasi nelle lingue nè più
né meno di quel che sia nello spirito nel qua leesseelecategoriedicui esse sono
l'espressionehannolaloroesi stenzaintrinsecaesoggettiva.Perlaqual cosa nonciè
nullachesia meno arbitrario e meno convenzionale delle liogue ,nè ci la lingua
di popolo così barbaro o selvaggio che non rappresenti e non contenga in sé un
intero sistema di logica,e un intero sistema delle più recondite categorie
della ragione. Ben si vede da quesle cose che egli è possibile di rendere
ragiona di quelle parole latine che sembrano contenere un significato più a
stratto e metafisico , senza avere a ricorrere all'ipotesi di un popolo
progredito assai oltre nelle vie della dottrina e deHa filosofia, da cui i
Romani nè dottiné filosofiabbiano dovuto ricavarle.Già l'ipotesidel Vico
incontra nel fatto di tali difficoltà che niuno oggidi ancorchè men che
mediocramente iniziato in certi studii, non avrebbela concepita nella mente
senza voler che di lui si dicesse col proverbio che egii fossesi posto a pestar
l'acqua nel mortaio.E in prima le parole su cui spezialmente cadono lo
investigazioni filosofiche e istoriche del Vice sono di origine e di formazione
cosi puramente latina che e'non si ve de che cosa abbian da fare con esse gli
Etruschi o įJonii ,o come a b bia poluto saltare altrui in mente che iRomani lc
abbiano prese dalle costorolingue,oalmenoimitatoda essiilmodo
diadoperarle.Tan!e 278 MUSEO DI SCIENZE E LETTERATURA 1 G.
BATTISTA VICO 279 più che se in ana lingua si possono trovar parole di origine
straniera, ilmododiadoperarlenonèmaistraniero opresoinprestanzadaal tri,ma
propriodelpopolochelaparla,ilquale nell'usarne,imprime in esse il suggello
della propria nazionalità e le fa sue , senza dire che un popolo per imparare
da un altro ad usare secondo un concello metafisico lesue proprie o le altrui
parole,dovrebbe innanzi imparare
daquellotuttoilsistemadellasuametafisica,quando nonsivuolri conoscere che ogni
lingua, qualunque siesi il popolo che la parla, e indipendentemente da ogni
dojtrina acquisita,è naturalmente e sponta neamente l'espressione di un sistema
di metafisica riposto nel fondo
dellaragione,echecostituiscel'essenzastessadiessaragione. PerilVico
intantoiLatiniaveanoaogni modo dovutoimparar qnelle parole e que'modi di dire
du altri popoli più dotti che essi non erano , e questi popoli non poteano
essere che iJonii e gli Etruschi popoli dottissimi e con cui i Latini aveano
strette relazioni. Vediamo oraquelchenongiàioounaltroma
tuttoilsaperedelsecoloincuivi. viamo oppone senza paura di contradizione al più
dotto napoletano del XVIII secolo. Ne è possibile d'incominciare questo esame
senza fermarsi in primo luogo ad un'improprietà di linguaggio che niente nonpuò
giustificareecheinnessunsistemaeinnessuna ipotesi non si può difendere. E
veramente non vi è niuno il quale abbia mai p e n
satoa'Joniioaldialettojonicoper sostenerelaparenteladifiliazio netra
ilGrecoeilLatino,elecolonic grechedicui parlail Vico, ca cui attribuisce nella
formazione della lingua latina un'importanza che nonsihanno
maiavuta,noneranodiJuniima diDori.Ilfatto sloricochelastoria
latinaèposterioreallagrecaunitoall'altrofatto della relazione di simiglianza
fra le due lingue avca condotto alla con chiusione che l'una lingua dovesse
essere derivata dall'altra,nè lasciato alcunluogoadubitarequalesidovesse
esserelamadreequalelafi gliuola fra la più giovine e la più vecchia. La stessa
argomentazione poi avea fatto determinare più particolarmente questa relazione
di m a ternitàfraillatinoeildialettoeolico,che èquellofra'dialettidella
Greciachepiù diaffinitàsihacollalingua delLazio.Intantolenuo
vescovertedellascienzadellelinguehanno dimostratoquestaipotesi impossibile ,
havno scoverto nel Latino tracce di maggiore antichità che pel
Greco si nel sistema de'suoni e si nelle forme grammaticali non che nella
genesi etimologica e nello stato attuale delle parole ; hanno scoverto la
stessa specie e lo stesso grado di aslioilà , e talvolta anche maggiore,che è
tra ilGreco e ilLatinotrovarsi eziandio fra le duelin gue classiche ed altre
ancora o meno conosciute o quasi del tutto igno te prima di a questi ultimi
tempi, sicchè è stato forza di ricorrere all'ai. tra ipotesi di una lingna più
antica di esse lulte , da cui come da comune
stipitetuttequanteesse,elealtreadessesimilidiscen dessero , allontanandosene
quale più e quale meno , quale in una e quale in un'altra cosa, ma ritenendone
tutte e la general fisonomia, eilsistemagrammaticale,eilcomune
materialedelleradici,in mezzo a quelle differenze che debbono fra’i varii rami
di uno stesso tronco essere cagionale dalle speziali condizioni fra cui
ciascuno di essi si è venuto separatamente formando ed esplicando , sicché la
relazione di parentela è rimasta , anzi la famiglia si è trovata cre
sciutadimoltialtrimembri creduliprimaaffattoestranei,masiè trovato quella
parentela essere di fraternità e non già di filiazione. N ė si può negare che
il dialetto eolico sia quello tra gli altri dialetti
dell'anticaGreciachepiùsirassomigliaalLatino,ma invecedi con chiuderne che
questo sia nato da quello,si è dovuto inferirne che esso è come l'anello intermezzo,
ilpunto di passaggio tra le due diverse forme di una medesima lingua, appunto
come la storia naturale ci dimostra molte specie di animali , molte famiglie di
piante, le quali sono l'anello intermezzofraduespeciediversedelmondoanimaleotra
due diverse famigliedelvegetabile,equasicome ilponte percui mezzolanatura che
non procede per salti,dall'una è passata all'altra.Cerlo molte paro le si
possono trovare nel Latino che vi si sono introdotte direttamente dalGreco,ma
questeosonodidataassaipiù recente o sirisesconoa oggetti speciali,ad usi e
invenzioni,a trovati comunicati dal conımercio e dalle esterne relazioni tra
due popoli in quell'epoca e a quella parte della lingua a cui si riferiscono le
investigazioni etmologiche e istoriche delVico.Diparolestranierecheperaccidentesienpassatedauna
lin gua a un altra ancorché di diversa indole e di diverse famiglie se ne trova
in tutte le lingue, m a si è questo un fatto tutto contingente di cui
sirenderagionepermezzodelfattodelleesternerelazionisenzachenulla 280
MUSEO DI SCIENZE E LETTERATURA G. BATTISTA.VICO 281 se ne possa
conchiudere per la forniazione della lingua stessa. La parola kalamos che è ab
antico nel Greco per dinotare la penna o uno stru mento aguzzo , una capna
qualunque da scrivere,non è di origine
greca,nèsenetrovalaradicenellelingueaffinialgreco,ma èdi
patriaaffattostraniera,parendoesserenèpiùnèmanco che ilsemi ticoKalem che
inArabodinotalapenna.Certoverisimilmente è da
crederecheavendoiGreciantichissimiappresoda'Fenici,po poli di stirpe e di
lingua semitica , l'arte dello scrivere abbian preso a n c h e d a e s s i il n
o m e d e l l o s t r u m e n t o d a e s e r c i t a r e , l a n u o v a a r t
e . M a dove sono le parole greche , eoliche, e joniche, come impropria mente
ilfilosofo napoletano direbbe, corrispondenti a quelle con cui i Latini
esprimeano non già un utensile materiale,lo strumento di un'ar te ignola prima
e poi appresa , m a i concetti più intimi e più astratti dello spirito senza di
cui il pensare stesso è impossibile? Lemedesimecose,ma
adassaipiùforteragionesivogliono ripetere per l'Etrusco. Che da questa lingua
si sieno potute intro durreuel
Latinodelleparolerelativeadusidellavitaeacerimonie sacre , è cosa che
facilmente sipuò concedere massime chi pensi che molti riti religiosi
dall'Etruria hauno dovuto passare in R o m a , m a non èpossibileditrasformare
questaazionetuttaestrinseca,questa introduzione accidentale di alcune speciali
parole , in un'azione più internaequasi primitivadell'EtruscosulLatino.Veroèche
questa non è propriamente l'idea del Vico , nè la conchiusione a cui egli
intende di giungere coi suoi procedimenti etmologici. E già la qui. stione
delle lingue era così poco avanzata , anzi così poco sopposta a' tempi del
Vico, che non ad essa la sua mente si rivolse , non di es sa egli si occupò
come conseguenza e coronamento della sua ipote
si,masibbenediquelladellafilosofia.Einfaltinon altrovechein questo punto egli
vide l'importanza della sua scoverta , e assai più che nel libro stesso
v'instette nelle sue riposte a varie obbiezioni mossegli allora contro con una
critica , che non vedea,e in gran parte non
poteavedereiveripuntidebolieimpossibiliasosteneredi tutto ilsistema. Quivi si
vede che il Vico pensava di aver fatto una stupenda sco verta istorica ,
perocchè vi è detto chiaramente che essendo gli Etru. Apno XVII.Vol.VII.
36 schi cosi doltissimi in cosi remotissima eti , come si vedea
manife. b'o da' modi di dire metafisici che sol dalla loro lingua avean poluto
passare nella latina , si dovea credere fermamente che la dottrina non avea
poluto passare dalla Grecia in Italia, ma si da questa , cice dall'Etruria in
quella , e quindi coordinando tutte le parti del siste na , ne conchiude che
Pitagora non avesse portato allronde la soa fi losofia inItalia,quando alcontrariosiavea
dacredere che venulo quivi ad appararla , riuscitovi poi dottissimo , si fosse
fermato nella Magna Grecia a formar la sua scuola , sicchè quest'antichissima
silo. sofia che la rappresentava avea dovuto passare dall' Etruria nel La. zio e
dal Lazio nella Magna Grecia , e in Etruria avea dovuto primitivamente venire
dall'Egitto. Ecco perchè io diceva più sopra che secondo questo sistema, le
vere origini di certe parole e modi di dire della lingua latina si convengono
cercarle senza più nella patria deiFaraoni.Ma tuttequeste ipotesiriposano sul
falsoconcelloche ogni vocedi un contenuto edi un valore metafisico supponga un
sistema metafisico divenuto popolare nel popolo che la parla , ogni sistema
metafisico debba essere stato da un popolo portato nel l'altro. Se i Greci non
avean potuto escogitarlo da sè , ma riceverlo da'Latini,eiLatini
dagliEtruschi,egli EtruschidagliEgiziani, non so perchè non si abbiano da
spingere anche più oltre le investi gazioni,ecercare daquale angolopiùremoto
dellaterra avessedo vato venir trapiantata sulle rive del Nilo. 282 MUSEO
DI SCIENZE E LETTERATURA La scienza moderna che è meno corriva alle ipotesi , e
comunque sia spesso accusata di sognare , più riconosce l'importanza de' fatti
prima di edificare un sistema , va più guardinga in questa qui stione degli
Etruschi, e non ostante la grande abbondanza de'falli che sono a sua
disposizione ,non ha sapulo per anche decidere che cosa eglino fossero stati e
donde venuteci , nè che cosa si fosse la loro lin gua ,se cioè semitica o di
origine arja ,nè che relazioni si abbia avu ta la loro civiltà coll'egiziana. A
ogni modo le induzioni per cui giungeva ilVico allesue opinioni intorno
all'Etruria niunoè ora cheardirebbedicrederledialcun peso o diprenderle in
sulserio. Ben sonostatialcunipiùmodernichelehannosostenute,e avregnac chè
l'istoria dimostri come cosa quasi indubitata che la civillà tenga
G. BATTISTA VICO 283 nel suo corso ilmedesimo cammino che il sole cioè da
oriente în occidente,hanvolutocheiprimiprincipiidiessa fosseropassatidal
l'Etruria nellaGrecia,ma han cercato con fatlieargomenti edo cumenti che al
Vico mancavano di sostener la loro teorica ,comunque non sieno mai riusciti a
sostenerla tanto da farla aceellare almeno
permediocremeuteprobabilea'piùdottiinquestematerie. Enonha guari abbiam veduto
mancare a'viviio Napoli uno deisuoi ultimi sostenitori,uomo
picchissimodiabbondanteerudizione istorica,ina corrivo non so se ad:ingegno o
per la natura stessa del suo spirito. ad abbracciar le opinioni più strane e le
meno simili alle più comune . mentericevute.Spessosièripostocome
unaspeciediamorproprio Nazionale a sostenere colesta emigrazione del sapere
dall'Etruria nella Grecia.quasiperaggiungereunaltroperiodo
digloriaallegloriedel l'istoria italiana E veramente pjente non è più giusto o
più sacro quantoquel sentimentoper cui un popolosistudia diaccrescerei tesoro
delle sue grandezze non meno presenti che future o passate,
diquesteperpetuarelaricordanza nellamemoria degliuomini.Ma per esser gelosi
custodi di questo tesoro noi altri Italiani non abbiamo
afarviolenzaallaistoria,evolervendicareanoiquelche nonciap
partiene,tantopiùchequellodicui non sipuòdubitarechesiano stro è più che
bastevole a non farci desiderosi di altro.Or la nostra ve ra e indubitata
istoria incomincia da Peoma ; ilche mi sembra itd'an
lichitàabbaslanzaremota,eunagrandezzaabbastanza gloriosapera.
verseneacontentare.Tuttoquellocheèprima diRoma,egiàèassat
incertochecosafosse,nonci appartiene.E veramenteItalia nonera
ancorailpaeserinchiuso traleAlpieilmare,nėHalianieranoi
Grecidell'estremitàmeridionale,iSiculiogliAborigeni delLazioo
gliEtruschi,Celtiogl'Iberi,sealcun trattogl'Iberineoccupavano, ma
beneeranoessiglielementiprimordialiiqualistrituraliefasiin sieme dall'opera del
tempo e dalla forza assimilatrice di Roma ,d o veano comporreilpopolo dicui ha
fattol'istoriaTitoLivio,Niccolò Macchiavellie Carlo Botta;lavoro lentoe
gigantescoele con diver se proporzioni e solto diverse condizioni si è operato
per altri popoli ancora;perquestasolaragioneiMacedoni eranGreci,eAlessan droche
sefossenatodu'secoliprimasarebbestatobarbaro,fualsuo Innanzi di
conchiudere questo scritto che avrebbe potuto esser
piùbreve,machepotrebbeprolungarsi ancora dimolto,noncredo
essereinutilepermegliofarcomparirelavera naturadelleobiezioni
chehomossealfilosofonapoletano,ilricordarecomeeglinon a
veapercosaaffattonuovailmodo dellesueinvestigazionietimologi che , anzi fin dal
principio del suo scrillo afferma che egli è per fare quel medesimo per la
lingua latina che avea già fatto Platone per la
greca,ilqualedalleetimologieecomposizione delle parolediquella avea voluto
scourire l'antichissima sapienza de'popoli che l'avean
parlata.SenonchesiformavailVico un conceltoassairistrettodal C r a t i l o s e
c r e d e a a q u e s t o s o l o o r d i n a t o q u e l d i a l o g o , il q
u a l e a b b r a c cia tutta quanta la quistione della lingua ,della sua
origine e del suo valore,coordinandola colla teorica socratica delle idee.Ben è
vero che Platone anche delle etimologie si occupa in quel dialogo , e che ,ove
non il fa ironicamente e come per istrazio , intende di cavare delle in .
duzioni intorno a'primitivi concetti del popolo fra cui quelle parole a .
veanoavutonascimento.Ma adonoredelfilosofoateniese,siconviene confessareche
ilmetododellesuericerchenondeviavada'giusticon fini,nèpoteacondurload
induzioniofalseoimmaginarieo arbitra rieocontrarieallagenesi delle
lingueoripugnantialla vera palura. dellametafisicacheinquellesipuò trovare.Non
abbiamnoiveduto che ogni lingua contiene in sè un intero sistema di metafisica
, ma di netafisica spontanea che in quella si trova all'insaputa dello stesso p
o 281 MUSEO DI SCIENZE E LETTERATURA t e m p o il r a p p r e s e n t a n
t e d e l l o s p i r i t o e d e l l a c i v i l t à d e l l a G r e c i a , e
u n a delle più alte figure dell'istoria greca.Cosi le felci gigantesche del
mondo antidiluviano non sono ilcarbon fossile ma debbono divenirlo, poiché ,
collo scorrere del tempo e coll'azione invisibile delle forze naturali si
macerano a poco a poco , le differenze scompariscono, e da ultimo si trovano
riunite in una sola massa che dee poi divenire uno de'motoripiù
irresistibilinelle mani dell'uomo; ma leproprie tà che fanno onnipotente il
carbon fossile non si appartengono alle umide foglie delle piante naufragate
nel diluvio . Così le glorie q u a si mitologiche de'Pelasgi e de' Rasena , de'
Tirreni e de'Siculi non siappartengonoa'discendenti delpopolo di GiulioCesaree
di Tra jano. G. BATTISTA VICO 285 polo che la parola , e che ve
l'ha senza saperlo , depositata ? Imperocchè le lingue figliuole tulle
dell'identica natura dello spi rito e dell'identica struttura degli organi
della voce sol differisco no nella loro composizione in quanto che
quell'identica natura vede da diversi o opposti lati le cose , e diversamente
concepisce le relazioni obbiettive che passano fra quelle.Per la qual cosa si
può dalla natura di una lingua scovrire il modo in cui il popolo che prima l'ha
parla la concepiva le relazioni fra le cose,e ilmodo con cui iconcetti meta
fisici che presiedono segretamente alla composizione di essa si presen
taronoalsuospirito.E sequestolavoroèancora oggi pienod'incer
tezzeedidifficoltà,seeraimpossibilea'tempi diPlatone,che fae
glicotesto?BastacheildiscepolodiSocrateabbia vedulounaverità che solo
ilontanissimi nepoti poteano dimostrare ,e tentato un lavoro per compiere
ilquale,moltissimi secoli di esperienze e di scoverte non han potuto
somministrare finora tuttiimezzi necessarii.Ma non cre dea Platone che una
setta di filosofi avesse introdotto nella lingua i
concettimetafisici,apziliattribuivaalpopolo stesso,cheegliperle
esigenzedelsuolinguaggio filosofico,chiamaillegislatore,ilquale
nellasuccessivacostruzionedellalinguave livenivaspontaneamente e però
inconsapevolmente trasfondendo.Në pensò mai Platone che da filosofi di altra
nazione dovessero quelle parole tirar la prima loro ori gioe,e quindi esser
passate a'primitivi abitatori della Grecia,che per
essereancoraignoragtinonleavrebberopotutemaipiù ritrovareda
sèmedesimi.Sonquesteledue ipotesisucuièfondatoillibrodel l'antichissima
sapienza degl'Italiani,ma nè dell'una nè dell'altranon è colpevole l'autore del
Cratilo, Seiohotroppoinsistitosuquestecose,non ègià perdesiderio
eheioavessidiappiccareun'inutilegiornata colmaggiore de'filosofi napoletani,ma
sipervolermostrarecolsuoesempiocome camminan d o il s a p e r e c o l l a n d a
r e d e l t e m p o ,e t r a s f o r m a n d o s i q u a s i i n o g n i s e c
o l o lasuafisonomia,evedendo gliuomininellediverseetàsempre diver
samentepurlemedesimecose,lagrandezzade'grandiuomininon si vuol misurare dal
numero delle verità che eglino possono ancora inse
guarea'lontaninepoli,acuipureessendo grandissimi,nonpossono
lalvolta insegnare più niente,ma sibbene dal grado a cui eglino si so no
innalzati al di sopra de'loro contemporanei , dalle nuove vie che prima degli
altri hanno aperle allo spirito, nelle quali altri c a m m i p a n do sonosi
arricchiti di verità ad essi rimaste ignote , e dagli sforzi con cui hanno
potuto faticosamente e oscuramente veder da lungi quel che alle seguenti
generazioni è stato poi agevole di veder chiaramente e di loccare con mano ,
senza che per questo si possano dir sempre seguaci de'primi, alleso che avviene
soventi volte che una verità giunta alla sua maturità e alla pienezza de'tempi,
si mostri per nuove e più facili vieancheaspiri!imenoalli,quando
altempocheeratuttaviaimma lura appena si era svelata per astrusissi mi sentieri
alla potenza divina trice di solitarii ingegni. Chi è più grande di Aristotile
? m a quale è oggiscolarecheintutte lespezialiquistioni non ne sappiaepiùe
meglio del maestro di coloro che sanno ? O quale è scuola filosofica a cui
basterebbe il proporre la massima parte de'problemi della scienza
inquelmodoappuntoincuisitrovanoproposti nell'Organoene'libri della Melafisica,
anche in quei punti in cui il pensiero arislolelico quanto alla sostanza delle
cose è identico col moderno ? 236 MUSEO DI SCIENZE E LETTERATURA L'altra
cosa su cui io voleva insistere siè questa ,che un uomo pec quantograndeeglisia,perquantos'innalzialdisopra
de'suoicon temporanei e de'suoi tempi , par non si può mai taplo da questi sepa
rare che la più parle delle sue idee , anzi esse tulle non abbiano in
quellilalororadice,siche eglinon puòmaisepararsi dalgeneral modod'intenderedell'etàchelovidenascere,anziappuntoperque
slo ègrande , che egli tutta la compendia ed esprime , aprendole le vie agli
altri nascoste che la legano coll'avvenire. Se non che se tul
teleideede'suoitempiinlujsiriflollono,insiemeconquelle anche gli errori e i
pregiudizii comuni penetrano nel suo spirito , nè per quanto egli se ne
distacchi può giunger mai ad emanciparsene intera menle . Di che si vede quanto
sia grande la semplicità di coloro che siappoggianoall'autoritàde'grandi uomini
inque'punticheeglino. hanno in comune con tutta la loro generazione e che non
costituisco no la loro vera e più squisita individualità.Molle volle mi è
avvenuto di udir dire a proposito di speziali quistioni ; o siele voi più
grande G. BATTISTA VICO 287 di Dante Alighieri il quale pensava
appunto cosi come voi negate di consentire.Or cerloilcanlore de'tre regni
dellamorle si fuilpiù grande uomo del suo secolo,nè ci ha oggidi chi in potenza
di menle e grandezza di comprensione poelica possa venire con lui in paragone ,
ma ilpubblicislaeilfilosofodelXIII secolo era figliuolo delmedio
eroeaveacinquesecolidieducazione filosoficaed isloricamenodi noi, e il
cilladino di Firenze nato l'anno di grazia mille duecento sessantacinque in
molte cose non potea non pensare come frale Cipolla e Guccio Imbralta.Or chi è
che vorrebbe piegarsi innanzi all'autorità di questi nomi ?Cerlo,che io mi
creda,niuno. Quesle cose poi che si dicono dell'antorità de'grandi uomini van .
no deltealmedesimo modo dell'autorità dell'istoriaingenerale.La sentenza di
Tullio che dice l'istoria maestra della vita è veris ima se
s'intendeinunsenso,ma fontedimoltierrorises'intendeinun altro. Verissima è in
un senso universale e scientifico in quanto che l'istoria facendoci come
assistere allo spellacolo delle diverse generazioni clic si sono succedute
sulla terra,ci rende quasi contemporanei del pas
sato.Permezzodiessanoipossiainoalloraformarciunconcello ge nerale del cammino
del genere umano ,e delle leggi ideali che presie dono alsuccedersi
dellecivilti,delleleggi,degliistituti,delle religio ni, degli stati e di tutte
quante sono le manifestazioni dello spirito u - mano.Allora noi partendo da
queste considerazionipossiainocom p r e n d e r e il p o s t o c h e a n c h e
n o i o c c u p i a m o n e l l a s t o r i a d e l m o n d o , d e terminare
le nostre relazioni con le generazioni che si sono prima di noi
affaticalesullaterra,edivinarquellecheabbiamocollealtreche dopo di noi
bagneranno col loro sangue e coloro sudori la patria dell'uomo. In questo senso
veramente la sloria è maestra della vita, c o m e q u e l l a c h e n e p o r g
e il p i ù s t u p e n d o a m m a e s t r a i n e n t o c h e si p o s . sa ,
la comprensione della vila slessa in tulle le sue manifestazioni, in
tuttelesuerelazionicolpassalo,colpresenteecoll'avvenire.Ma inet ta e principio
d'inganni è quella sentenza presa in un senso più ristrello
edempirico,quasivolessedireche lastoriainsegnaagliuominico. gli esempii
de'tempi passati a sapere come eglino si abbiano da con durre ne'casi agli
antichi simiglianti,Il credere a questa specie di
aulorilàistoricadipendedallafalsa supposizioneche gliavvenimenti si ripelano o
si possanoripeterenellemedesimecondizioni,ilcheè tantofalsoquanto
èfalsoilcrederecheilgenereumanononsimuo va , e che l'istoria non cammini. Ora
ogni clà ha suoi proprii fatti e un'indole sua propria per la quale anche i
fatli che sembrano rasso migliarsi in certe esterne condizioni, sono
diversissimi di significato e divalore.Ilprincipiochenienteèma luttosi
fa,nientepermanema tultosimuove,spezialmentenellastoriaenelcammino delgenereuma
no si verifica.Ben la nalura fisica ne'rivolgimenti cosmici e tellurici si
ripete,la natura morale dell'umanità non mai.A coloro iquali dicono:
bencosìdeeavvenireperchècosìaltravoltaèavvenuto,ben sipuò rispondere che
appunto perchè altra volta così è avvenuto non può più avvenire al medesimo
modo.Dove il genere uinano cosi continua. mente agitandosi finalmente abbia da
giungere , chi è che possa pre vederlo,oqualeèfilosofiachelopossaalmeno
verisimilmentepre dire? Ma quando si pensa quel che era la famiglia umana al
tempo delre de'reAgamennone,pernon salirepiù alto,equaleog gi è divenuta , chi
non si sente di naufragare coll'anima in uti O c e a n o s e n z a f o n d o ,
a l l o r c h è v o l g e il p e n s i e r o a c o l o r o c u i s e p a r e r
à d a noi la medesima distanza che divide noi dagli eroi dell'Iliade L'Italia
era pervenuta al decimosesto secolo e nella letten ratura e nelle arti ad una
eccellenza , che niuna delle mo derne nazioni ha forse potuto raggiungere e che
emulava se non uguagliava quella de' giorni più felici della Grecia. La poesia,
la pittura, la scoltura e l'architettura quasi facea no a garaper adornare di
opere eternamente duratureun pae se che già per tanti riguardi parea prediletto
dal cielo , e le interne agitazioni e le discordie civili di tanti piccoli e
fio renti stati pareano quasi cote che affilavano gl' ingegni, af forzavano gli
spiriti e rendeanli più pronti a concepire e a ritrarre squisitamente il bello
. Intanto , fra queste potenti pa lestre che aveano esercitato l'infanzia e
l'adoloscenza delle no stre menti,venne l' età più matura e quasi la virilità
dell' in tendimento , nella quale l'uomo, ovvero lo spirito umano, chè qui
suona il medesimo, si rivolgein sè stesso per conoscere da presso
quello ch 'egli è , e quello che le altre cose sono, le quali in fino a
quel punto è stato contento ad ammirare ed a servirsene per sè e per le sue
immaginazioni. Allora inco mincia la filosofia, la quale di necessità dee
sorgere dopo la poesia, siccome la Grecia e l'Italia col fatto ne fanno pro va
. Nè si potrebbe addurre in contrario la scolastica che è 13 194 antichissima ,
e certo precedente alla poesia, perchè quella , oltre che confinava da presso
con la teologia, più presto che esser l' effetto spontaneo , per così dire ,
del pensiero nazio nale , lavoravasi nel seno della chiesa e nel silenzio de'
chio stri , senza che il pensiero laicale vi avesse alcuna parte . Il quale ,
quando fu venuto il tempo propizio, si fece da sè una filosofia che veramente
dalla scolastica fu diversa. Costantinopoli non cadde in vano per noi; perchè
la sua rovina che fu quasi l'ultimo crollo della civiltà antica servi ad
arricchirci di gran numero di monumenti dell'antica sa pienza a noi tuttavia
ignoti , e a compensar con usura i nostri padri dell ' ospitale accoglienza per
essi accordata ai fuggitivi figliuoli d'una nazione illustre e generosa , che
dopo quattro secoli d'oppressione, dovea riacquistar l'indi pendenza , e ,
bella delle memorie passate e del presente trion fo, ricomparire sul fortunoso
teatro del mondo, sorgendo , come Lazaro , dal polveroso sepolcro che avea
accolto il suo cadavere . So bene che da alcuni si è creduto il risorgimento
degli studii classici e la conoscenza più intera dell'antica civiltà essere
stati più presto di nocumenlo che di utile alla mo derna , parendo loro esserne
stato impedito il libero cam mino degli spiriti, e turbata l'originalità del
pensiero mer cè l' innesto violento d' un vecchio ramo sovra un più gio vane tronco
. Ma costoro non pensano che la civiltà di un secolo non è e non può esser un
fatto isolato e da sè ma che è iotimamente legata a quella de' precedenti mercè
l' aurea catena delle tradizioni , e che ogni secolo dee, in quanto può ,
legarsi col passato e argomentarsi di perfezionarne l'opera, piuttosto che
separarsene e disdegnare di riconoscerlo , o pretendere superbamente anzi
puerilmente di incominciar tutto da capo , e rifar da sè l'opera a cui le
generazioni pre cedenti han lavorato .Però il risorgimento degli studi classici
. e la conoscenza dell'antichità , innanzi che nuocere, ha do vuto perfezionar
l'edifizio della civiltà moderna , nè in fatto pud negarsi che a risorgimento
delle antiche lettere sieno 1 195 dovuti in gran parte i subiti progressi che
le scienze fecero tra noi . Quando si furono rotli i cancelli un po' stretti
fra cui la scolastica volea talora chiusa l'intelligenza , quando si fu meglio
e vie più direttamente conosciuto il pensiero dell'an tichità , ed ecco sorgere
di presente una nuova filosofia, alla quale si può dire che avessero posto mano
di conserva il pensiero antico e il moderno, la sapienza greca e lo spirito
italiano. I più profondi ingegni della penisola si misero a quest' opera,
lavorando insieme, quale in uno e qualein un altro modo , al comune e
nobilissimo scopo, e tosto si vide venir fuori dal loro numero il celebre
triumvirato di Telesio, Campanella e Bruno , i quali tutti e tre videro la luce
in questa meridional parte d’Italia . Comune ebbero la forza della volontà ,
l'ardire dell'inge gno e la potenza della mente; ma il primo restò indietro
agli altri due , imperciocchè la sua opera fu puramente ne gativa , laddove
questi poterono crear de sistemi che nè il tempo nè i seguenti sforzi dello
spirito umano non giunse ro a far dimenticare. A così bei cominciamenti fu
possibile di sperare splendidi destini per la filosofia italiana , ma la
speranza anche allora, siccome spesso è, fu ingannatrice, e l'avvenire mancò a
così lieti principii . Del qual fatto non si può trovare altrove la ragione che
nelle condizioni della storia italiana e nella intima natura della nostra
filosofia . E, in vero se, come abbiam veduto, la filosofia comparve in Ita lia
quando il pensiero era abbastanza maturo per siffatta ma niera di studii ,
quando questo momento fu arrivato, la na zione incominciò a declinare . Quella
maravigliosa abbon danza di vita che avea alimentato il movimento dello spi
rito e favorito l'innalzamento di tante piccole nazionalità, nel cui seno eran
comparse prima la poesia e le arti , e poi la scienza , incominciava a
indebolirsi e venir meno. AL XVII secolo la conquista era compiuta; le antiche
forme di reg gimento eran cadute o avean perduto della loro importan za; e le
nostre sorti incominciarono ad esser , quando più e quando meno , legate a
quelle di altre nazioni. Strana 196 cosa è l'ammirazione di taluni storici ,
siccome il Denina , per la beata tranquillità , per i giorni di serenità e di
pace che spuntarono a rallegrare il bel cielo dell' Italia . Più stra na ancora
è la maraviglia del Tiraboschi il quale non sa comprendere come la letteratura
, le arti e in gran parte le scienze sien volte in basso stalo allora a ppunto
che la pa ce di cui finalmente godea l'irrequieta terra italiana , facea sperar
nuovi progressi e quasi un novello secol d'oro al nostro paese . Costoro non
intendevano che quando una nazione cade, cade di necessità con essa tutto
quello che è intimamente collegato con la sua vita e col suo essere . E in
fatti allora la bella prosa italiana fini, allora la poesia spirò sulle labbra
del Tasso , e le arti andarono ogni di più declinando. Allora incominciò la
corruzione onde il sei cento è rimasto celebre nella memoria degli uomini , sic
come età di decadenza. E' sembra che l'antico spirito let terario si rifuggisse
un momento in Toscana per morir no bilmente nel paese stesso che l'avea veduto
sorgere , sic come la pittura cercò un asilo in Bologna e parve di nuo vo levar
il capo fra le mani de' tre Caracci, di Guido Reni , del Guercino e d'altri. Ma
questo fu come l'ultimo sforzo del gladiatore ferito , o come l' ultimo canto
del cigno che si muore . Egli è facile il concepire come una filosofia, la
quale derivava da un movimento al tutto italiano, e che pe rò era legata alla
fortuna del pensiero onde ella avea da nascere, dovesse cader di necessità il
giorno stesso che quel pensiero veniva a perdere la nazionalità e l'indole
origina le . Il medesimo senza fallo sarebbe avvenuto nell'antichità, ove la
Grecia fosse caduta il giorno stesso che il gran disce polo di Anassagora bevè
la cicuta , perciocchè allora a Pla tone e ad Aristotile sarebbe mancato il
tempo di compari re , siccome mancò tra noi dopo la morte de Socrati italiani.
Dopo questo tempo non comparve, si può dire, nessuno il cui nome fosse degno
delle antiche glorie, e le menti ita taliane sembravano comprese da una mortale
stanchezza, quando venne fuori tra noi Gian Battista Vico quasi a pro 197
testare in nome di tutti e mostrare al mondo che il fuoco sacro del pensiero
non era già spento nel bel paese ma solo nascosto sotto tiepide ceneri. Tra una
gran folla di eccel lenti giureconsulti che fiorivano di quel tempo in Napoli,
dalla meditazione del diritto romano egli seppe innalzarsi alla scienza delle
leggi universali che reggono il cammino del genere umano sulla terra , e dalla
meditazione d'una sola città alle leggi supreme della civiltà e del corso di
tut ta quanta l'umana famiglia. Ma poichè egli precorreva di due secoli i suoi
contemporanei, fu non curato e poco avuto in pregio da quelli , ed è stato sol
da' posteri onorato condegnamente alla sua grandezza ; gloriosa ma pur tar da e
, che è più , inutile ricompensa al merito degli uo mini veramente grandi , e
a' sudori per esso loro sparsi in pro di chi o non li comprende e per ignoranza
o per mali gnità li dispregia , ovvero di chi più non può giovarli . Parecchi
anni dopo del Vico , e immensamente a lui infe riore , comparve in Napoli
l'abate Antonio Genovesi . Del quale spiacemi di dover parlare in modo che a
molti sem brerà per avventura o affatto ingiusto o troppo severo . Im
perciocchè io penso che il suo merito, almeno comefilosofo, chè in quanto
economista non so , sia stato più del giusto esagerato de' suoi compatriotti, i
quali eran pure que' me desimi che avean veduto il Vico morir nella miseria , e
poco o niente avean creduto alla sua grandeza. Genovesi poi, sendo prete ,
credeasi in certa guisa mail'obbligo di rico noscer l'antica metafisica,ma nè
seppe intender quello che veramente di più profondo trovavasi in essa , nè il più
delle volte seppe spogliarla dell' aridità delle forme, non ostante che non
poco pretendesse alla leggerezza dello stile , e fino alle facezie e alle
arguzie il più spesso di cattivo gusto e di sdicenti alla gravità delle materie
per esso lui trattate. Nato poi nel XVII secolo e fiorendo ne' principii del
XVIII , credeasi parimenti obbligato di seguir le dottrine del suo secolo ,
senza scorgere le conseguenze a cui quelle menavano . Per tal guisa mentre come
teologo avea in 198 napzi san Tommaso , intendea come filosofo seguitare il
Locke e il Cartesio , allora nuovi e in voga oltremonti , e a cui l'alta mente
del Vico avea mosso infin dal principio potentissima guerra. Diviso fra due
estremi così opposti in sieme , e' travagliavasi pure a volerli conciliare , e
parvegli che l'autore del sistema delle monadi potesse maravigliosa mente
servire al suo scopo , e così volea conseguir la gloria , tanto per lui ambita
, di libero pensatore e di teologo ; ma il tentativo riescì vano alla prova .
Chi in fatti apra i suoi libri di leggieri si potrà accorgere d'un continuo
vacilla re e di una enorme confusione, per la quale il lettore si tro va ,
siccome l'autore dovea essere , in una strana tenzone di discordanti dottrine
che ben sono accoppiate insieme , ma non sono e non posson essere ricondotte
all'accordo e all'armo nia . E, in vero, quale è la teorica onde egli ha
arricchito la scienza ? quale è il sistema che si chiama dal suo nome ? quale
la scuola che ha fondata ? Se pure non voglia dirsi , come si potrebbe in certo
modo affermare, che egli sia sta to il primo che incominciasse a introdurre fra
noi la filoso fia del XVIII secolo , la quale dovea poi più largamente
spandersi e acquistar quasidiritto di cirtadinanza . Concios siachè , spezzato
il legame sacro che avrebbe dovuto legarci a' nostri più antichi, rotta la
tradizione e in certo modo spenta presso il più gran numero la ricordanza delle
passa te glorie filosofiche, parve più facil cosa il domandare ol tremonti
bella e fatta la filosofia , innanzi che travagliarsi a crearla da sè; tanto
più che tra noi l'uso delle profonde me ditazioni era venuto meno , ei sistemi
che lavoravansi oltre le alpi , tra per la loro comoda facilità e per la
popolarità che la letteratura francese ogni di più andava acquistando, divenivano
anch'essi popolari in gran parte dell' Europa. Or questa filosofia era derivata
direttamente da' sistemi del Bacone e del Locke , e più indirettamente da
quello del Car tesio . . 199 II . Renato Descartes avea continuato nelle
astratte regioni della filosofia l'opera incominciata dalla Riforma in quelle
della religione, più astratte eziandio e al tempo stesso più positive delle
prime, che era senza più l'idea della libertà del pensiero . Cosiffatta idea
era nata da prima in Italia , do ve non chiedea altro che la libertà del
pensiero filosofico; anzi in sulle prime si fu contenti a quella solo della
libera discussione contro l'Aristotile delle scuole, salvo a costruire un nuovo
edifizio con le vere dottrine dello stesso Stagirita ovvero di altri filosofi
dell'antichità, siccome spesso si vide fare . Ma la Riforma, confondendo i
limiti di cose diverse , domandò la libertà della discussione religiosa , il
che era distrugggere la religione medesima , la quale per sua es senza è
fondata sulla fede , sulla credenza e sul mistero, talchè sì tosto che la
discussione e l'esame incomincia, la religione finisce, dove tra il credere e
il non credere , tra il si e il no , alcuna transazione non è possibile, e ogni
ana lisi l' uccide. Della religione avviene lo stesso che d'una leggiadra
fanciulla dalle guance rosee e da' capegli dorati , la quale sembra contaminata
dal solo sguardo troppo cupi do e indagatore dell'uomo; ma non si tosto
l'abbiam pos seduta e contemplati a nudo i misteri della sua bellezza , ogni prestigio
è finito . Così accade delle religioni , e tutte quelle che finora hanno
imperato in su la terra, vere e fal se , ne son argomento. I libri sacri degli
Ebrei eran conser vati nel luogo più recondito e segreto dell' arca ; l '
Egitto che può dirsi per eccellenza il paese della religione , è la patria de'
simboli e de' geroglifici , e in Grecia solo pochi savi dopo faticose prove
erano iniziati a' misteri di Samo tracia e diEleusi . In somma è strana cosa il
credersi obbligato ad aver pure una religione e non volerla fondata sul
principio dell'autorità. E in questo veramente il principio cattolico è
superiore alle dottrine de protestanti e a quelle delle altre selte del
cristianesimo , come quello che non soffre di discen 200 dere ad alcuna
transazione , ma riconosce in sè la fonte di ogni vero , poggiandosi in sulla
autorità che è potentissi ma, come quella che ha per sè la costante tradizione
e l'im mutabilità delle dottrine. Ben cammina lo spirito umano , ben fa spesso
de' progressi nel suo cammino, e le scoperte si succedono e i costumi s'
ingentiliscono e le scienze si arricchiscono, e quasi pare che ogni verità sia
destinata a cedere il luogo ad un'altra nuova, e che lo spirito dell'uo me sia
in continuo movimentoed agitazione per avvicinarsi il più che a lui è conceduto
all' unico e immutabile vero , Ma dove è questo vero ? chi mai può dire di
averlo ve duto , o chi mai potrà vederlo e indicare agli uomini la meta di
tutti i loro sforzi in su la terra , siccome il sepolcro di Gerusalemme a'
Crociati e le coste di S. Domingoa Cristo foro Colombo ? Cotesto continuo moto
, coteste secolari agi tazioni stancano l'anima , la quale ha sovente bisogno
di fermarsi pure a qualche cosa di fermo e indubitabile, e di trovar come
un'oasi in cui riposarsi dalle fatiche del suo penoso viaggio fra le certezze e
i dubbi , fra le affermazioni e le negazioni dell' intelligenza . Or la Riforma
distrugge questa proprietà assoluta ed es senziale d'ogni religione, gettandola
in un pelago più con trastato ancora che quello della scienza , e in una bolgia
di più inestricate e spaventevoli quistioni. Ma queste ardue pretensioni della
riforma furono rendute ancor più estreme dal Cartesio , il quale spinse tant'
oltre il desiderio della li bertà che volle quella stranissima di dubitar di
tutte quanle sono le cose create e le increate fipo delle sue conoscen ze ,
delle sue idee e quasi di sè medesimo, per cercar poi, se gli fosse riuscito,
di costruir da sè quello stesso che erasi dilettato con una nuova voluttà a
distruggere. E veramente uno smodato desiderio di azione sernbrami dover esser
in chi si piace di distruggere quello che egli ha intorno , per aver poi
l'illusione del creare , e , che è più strano ancora, creare partendo dal
dubbio ; nuovo e titanico esempio d' un sublime veramente dinamico, 201 Che
cosa è egli quindi avvenuto ? Cartesio dovea egli so . lo ricostruir da sè l '
edifizio della realtà e dell'universo con solo i mezzi che il ragionamento gli
porgea . Ora e' ci ha nella realtà delle cose alcuni fatti, siccome la
religione , l'isto ria , le arti, i quali non sono opera dell'intendimento ovve
ro della logica. E' ci ha nella vita delle cose e degli avve nimenti che non
potrebbero derivare e non derivano dalla intelligenza individuale dell'uomo ,
quale essa alla logica e alla psicologia apparisce, ma sibbene da altri
principii e da altri motori , a cui non si può che per diverse strade per
venire . Per la qual cosa chi si argomenti di costruir la realtà delle cose con
solo le armi che quelle più ristrette scienze gli concedono , e' non ginngerà
mai ad avere essa realtà , quale nel fatto è, ma si quale con i suoi mezzi la
si può formare, e priva delle sue più nobili parti, come quel le che di gran
lunga son superiori ad ogni costruzione in dividuale . La quale difficoltà si
può muovere a quasi tutta quanta la filosofia moderna, e nonsolamente a quella
del Car tesio a cui essa è indubitamente debitrice di si superbe pre tensioni.
Or delle due cose l' una può avvenire; o che la fi losofia riconosca la sua
impotenza e rinunzii alla superba impresa, ovvero che presumendo troppo
altamente di sè, nieghi di riconoscer come vero quello che essa non ha po tuto
creare. Egli è inutile il dire che non potendo la prima ipotesi verificarsi per
esser la scienza troppo superba di sua natura e troppo sicura del fatto suo ,
resta che la seconda si avveri . Pur tuttavia il Cartesio , siccome suole
avvenire, per essere il primo, non giunse alle assolute negazioni di cui era
pure nel suo sistema il germe , che poi seppe altri logicamente tirarne ,
allorchè si vide al fatto qua' si erano le estreme , ma pur legittime
conseguenze delle dot trine cartesiane. Succedeva intanto in Inghilterra
qualche cosa di simile a quello che in Francia , comunque le forme potessero
esser diverse. Quivi il Bacone avea dichiarato quasi vana ogni scienza , il cui
obbietto non potesse cader sotto l' impero de' 1+ 202 - sensi, quando il Locke
cercò modo di applicar questo me todo alla conoscenza dell'intendimento umano ,
e fu di necessità costrello a vedervi solo quello che ci ha in esso di più
apparente, cioè il fatto stesso della sensazio ne . Dalla quale , per sofismi
che la scienza adoperi , non giungerà mai a cavare altro che fatti singolari
con cui è impossibile di venire ad alcuna spiegazione probabile di fatti più
alti e di più riposta natura, siccome sono le religioni , le arti , l' istoria
. Pure il Locke si ostinò nel suo cammi no ma non seppe o non volle o temè di
venire al termine estremo a cui quello conducea . Non io vorrei entrar mal
levadore della verità d'alcun sistema , nè far l' apologista di una più presto
che d'un' altra filosofia , ma mi sdegno di certi acciecamenti della scienza e
della cieca sicurtà con cui sovente si ostina a perdurare in una via , quando
bene si vegga ch'essa non possa condurre se non alla negazione assoluta di
certi fatti i quali essa scienza dovrebbe bensì spiegare ma negare giammai, ove
non volesse , come Ales sandro fece del nodo gordiano , non sciogliere ma tor
di mezzo, negandole , le difficoltà. Pertanto quando il sistema del Locke ebbe
passato lo stretto e ſu giunto sulla terra a lui ospitalissima della Francia,
non fu chi non gli facesse buon viso , e venne accolto non già siccome quegli
che giunge nuovo in terra straniera , ma come un antico amico che dopo lunga
lontananza si riduce in patria . E veramen te sua patria era per esso quella
del Cartesio . E' si dice che ogni idea cerca per per sua natura di venire ad
atlo ed es ser messa in pratica. Or se ci ha filosalia al mondo, de la quale si
può affermare che abbia raggiunto il suo scopo, è certamente quella della
sensazione . Conciossiachè la rivolu zione di Francia si argomento di rifare la
civil comunanza secondo quelle dottrine, e tulto un paese e una nazione no
bilissima per amore di quelle fu veduta pronta ed apparec chiata a rinunziare
un bel giorno alla sua istoria , alle sue tradizioni, alle sue antiche
grandezze e alle passate glorie . Concessioni senza fallo enormi , ma pur
logiche , e per le - 203 quali può dirsi che Marat, Danton , Robespierre e gli
altri fossero gli estremi e più conseguenti discepoli del Locke, del Condillac,
del Voltaire e dell' Elvezio; sebbene al fatto siasi veduto ove quelle teoriche
peccassero, e come è pur mestieri di tener saldi certi altri e più antichi
principii , chi vuol conservare in vita le umane società . Tale si era lo stato
delle cose in Francia quando l'Italia legata oggimai a' destini della politica
straniera ,cercò ezian dio fuori disua casa una filosofia bella e fatta , e
potè leg germente trovarla , siccome l'abbiamo descritta , in Francia dove come
in un nuovo Eden, cercammo l'albero della scien za e della verità, benchè il
frulto che ci regalo fosse morta le per noi , come quello che fini di
distruggere ogni germe di forza e di natio vigore nella patria di Gregorio VII e
di Dante . Vero è bene che la filosofia della sensazione non può dirsi che in
Italia fosse stata accettata ciecamente e compiu tamente , ma pur tuttavia ebbe
abbastanza di forza per in sinuarsi nell' universale, e produrvi certa maniera
di debo lezza morale che è l'effetto della mancanza d' ogni idea più elevata e
più generosa . Ma comunque avesse avuto fra noi gran numero di ammiratori e di
adepti, pure , come dicevo più sopra, le più alte menti italiane non si
piegarono ad ab bracciarla compiutamente ancorchè non avessero saputo di
scostarsene del tutto.Solamente più tardi e quando già quel la filosofia
incominciava a venir meno nella sua stessa patria, si videro comparir tra poi i
libri di Paolo Costa , di Mel chiorre Gioia e del napolitano Pasquale Borrelli
che a quel le dottrine più da presso si accostavano; tre menti temprate in modo
da non intendersi come abbiano potuto nascere nel la patria di Dante ,
Michelangelo e Vico . I due ultimi, scri vendo in una lingua a mezzo barbara ,
intendevano l'uno di spandere e divulgar nell' universale la parte più positiva
della logica del Condillac, e l'altro di rianimare le teoriche del Cabanis ,
mercè qualche dottrina , già forse combattuta e dimenticata, del Locke. D'altra
parte il primo, dico il Costa , purista ma pedante in letteratura , crede che
la me 20% desima lingua che era servita a Dante per narrare i tre re gni
misteriosi della morte, e descriver fondo a tutto l'universo ; la medesima
lingua che era servita al Macchiavelli per disve lare i segreti della politica
del medio evo , e al Vico per di vidare il passato e l'avvenire , e far la
Divina Commedia della vita , siccome l'Alighieri avea fallo quella della morte;
polesse impunemente esser condotta a raccontare le lepide trasformazioni della
celebre statua , che a forza di odor di rosa dovea tornare uomo , come quella
dell'antico Prome teo , mercè la fiamma del sole . Tolta per tal modo al
pensiero l'originalità e l'indole na zionale , la letteratura di rimbalzo dovea
sentire i cattivi ef fetti dello stato morale del paese . Già essa avea perduto
la sua antica grandezza al XVII secolo , la sua fulgida stella era tramontata ,
e quel soffio divino che ne' secoli prece cedenti avea animato le nostre
lettere parea si fosse ritira to dal cielo dell'Italia in mezzo alla corruzione
che invadea d' ogni parte. Per la qual cosa il XVIII secolo , trovatici in
queste condizioni, ci polè facilmente vincere , chè la strada era fatta, aperta
la breccia , e agevolmente si potea una cor ruzione sostituire ad un'altra , un
nuovo ad un antico vi zio . Allora si giunse perfino a sostenere che l'italiana
era quasi una lingua morta la quale non potea più bastare ne alle nuove
esigenze, nè alle nuove idee del secolo , nè agli andamenti più svelti e più
liberi del pensiero moderno, sic chè bisognava al postuito rifarla , provvedere
che ringiova nisse e sopperire alla sua manifesta povertà . Non è chi ignori
come l'abate Cesarotti si fu il massimo campione di questa infelicissima scuola
, e come con questo scopo dettò certo suo trattato che intitolo: Saggio sulla
filosofia delle lingue. Se non che giunta la cosa a questo estremo punto ,
bisognava di necessità che , secondo il corso ordinario degli umani eventi,
ritornasse indietro. E già nella Francia in un altro ordine 205 di cose una
maniera di reazione era incominciata , concios siachè l'opera dell'impero può
affermarsi non essere stata altro che una possente reazione contro gli anni
prossima mente passati, e una ricostruzion di quello che negli eccessi della
rivoluzione stato era distrutto e che pur meritava di esistere. In Italia ,
strana cosa ! questa reazione incominciò dalla lingua . Già poco innanzi il
Parini, l'Alfieri e qualche altro aveano incominciato a levar la voce contro la
servitù dell'imitazione straniera , ma poichè il male non era an cor venuto a
quel punto estremo a cui le cose um ane deb bono arrivar per ritornar indietro,
le loro parole furono im produttrici di effetti immediati in su le menti de'
loro con temporanei , perchè le parole eriandio de' più grandi uomini non
possono riescir proficue ove non trovano gli animi ap parecchiati a riceverle,
e la pienezza de' tempi non è giunta per esse. E in vero quando le cose furon
più mature, del le voci men possenti di quelle che ho citate poterono ope rare
ciò che a'primi fu negato, chè trovarono un eco più fa cile nell' universale .
Vero è che quelli i quali osarono per i primi di opporsi alla corruzion
generale furon coverli di ogni maniera di ridicolo da' dotti del tempo e
regalati, per più derisione, de’ titoli di pedanti (che forse erano) e di pu
risti . Ma tutto fu indarno, perchè i puristi mostrarono un coraggio da onorar
qualunque eroe , e niente valse contro di essi. Or e' bisogna confessare che
costoro, non si credendo che i paladini delle parole , combatteano veramente ,
senza pur sospettarlo, l'invasione dello spirito straniero , e, se eran pedanti
, significa che anche i pedanti possono talora aver ragione contro le
pretensioni della filosofia. III . Duraya giá da alcun tempo questa reazion
grammaticale contro la letteratura allora corrente , quando dalla remota
Calabria s' intese risuonare una voce , che protestava contro la filosofia del
senso e le sue eccessive pretensioni. Colesta 206 da voce era quella del barone
Galluppi da Tropea , rapito pur testè alla scienza a cui avea consacrato
religiosamente la sua vita. Per ben giudicar questo filosofo è d' uopo
distinguere esattamente ciò che egli ha negato da ciò che ha affermato , cioè
la sua polemica col sensualismo dal suo sistema . Con ciossiachè il suo vero merito
si è quello d' essere stato il pri mo in Italia a sentir la necessità d' una
filosofia più ampia opporre alle minute investigazioni del Condillac,delTracy e
degli altri di quella scuola . Cotesto è il vero merito del Galluppi , e per
questo solo gli è dovuto un posto nell' isto ria della filosofia italiana. Vero
è che le sue armi erano il più delle volte domandate alla scuola scozzese , o
eziandio à quel medesimo Locke che era il vero padre delle dottrine le quali
egli volea combattere ; ma cotesto non diminuisce nè il suo merito , nè
l'obbligo che la filosofia italiana gli dee avere. Medesimamente egli si è il
primo che abbia in cominciato a divulgare fra noi il nome e il sistema del
Kant, e comunque non manchi chi sostiene che egli me desimo non fosse giunto a
penetrare compiutamente in tutti i misteri e gli andirivieni e i tragetti della
psicologia kan tiana , pure è cosa indubita che egli si fu il primo ad occu
parsene seriamente . Certo è , come innanzi vedremo, che altri è riescito
meglio di lui nell' investigar la mente del fi losofo prussiano e nel misurar
tutto il valore e le possibili applicazioni di quelle teoriche, ma certo è pure
che il vanto di essere stato il primo,eziandio in questo , non può negarsi al
calabrese. Quanto poi al suo proprio sistema composto in parle dalle teoriche
delLocke e in parte da quelle del Reid, non credo che volendo esser giusti si
potrebbe parlarne con alcuna ammirazione . Conciossiachè debolissima è la sua
psicologia , e quasi nulla l' ontologia , la quale egli spesso non sa
distinguere da quella , e sì confonde stranamente le quistioni che all'una e
all'altra scienza si appartengono. Più confusa eziandio è la logica , che egli
discerne in logica pura e mista ovvero applicata, mercè della qual distinzione
che in niun modo non saprebbe sostenersi , è riescito a trattar 207 della prima
delle pure forme del raziocinio, e ad ammassar nella seconda un gran numero di
quistioni di psicologia e di ontologia, che non sapea come allogare altrove .
Non parlo dello strano metodo con cui movendo dalla logica pura e passando per
la psicologia e l' ideologia, giunge alla mista, perchè quello in cui mostrasi
chiaramente tutta la debolezza delle sue teoriche , è l'applicazione che pure
si argomenta di farne alla morale e all'estetica . Nell'estetica , per esempio,
di cui si occupa sol di volo a proposito della teorica della volontà , senza
punto curarsi de' più alti problemi che in essa si possono discutere , s'in
trattiene a sostener l'opinione , un po' veramente troppo vo luttosa , che il
bello può esserci rivelato dalla sensazione del tatto non altramenti che da
quelle della vista e dell'udito, quasi non fosse chiara la differenza che è tra
certi sensi più altaccati alle necessità della vita e però men nobili, da certi
altri che servendo meno immediatamente al corpo son più liberi, e, se così può
dirsi , più spirituali . Del resto e' si può dire che il Galluppi non ha
veramente una certa teori ca sul bello e sulle arti , ovvero se pur l'ha ,
dubito forte non sia quella del Blair e del buon padre Soave , autore di
un'intera enciclopedia d'istituzioni elementari per l' educa zione della povera
gioventù italiana , filosofo , matematico , grammatico, relore, novelliere ,
moralista e Padre Somasco, che per molto tempo continuò e continua ancora in
gran parte, ad infestar co' suoi libri , i seminarii, i licei e le scuo le
italiane. Quanto poi al suo sistema sulla morale e sul di ritto, il Galluppi
non può dirsi che siane uscito più felice mente che nelle altre parti della sua
filosofia , e chi volesse prendersi giuoco di lui potrebbe leggermente qui ,
come al trove, trovarlo ad ogni pagina in contraddizione con sè me desimo. Non
son molti anni passati che il nostro filosofo in cominciò a pubblicare per le
stampe un'istoria della filosofia , ma sembra che per mancanza di soscrittori
l'edizione non potesse andare innanzi , sicchè dovette smetterne il pensie ro ,
e l' opera morì ia sul nascere . Se in questa , come nelle 208 altre cose ,
l'induzione è buona, e si può indovinare che la scienza non vi abbia perduto
gran fatto ; chè l'autore vi fa cea mostra d' un'erudizione non molto riposta.
E' mi ricor da fra l'altro che nell'introduzione tentava ancora egli un'in
terpetrazione del mito di Prometeo, e giunse per non so che strane congetture a
persuadersi che il celebre prigioniero del Caucaso si era un anticore
dell'Attica, che aveaprima insegna to a quelle genti i primi rudimenti di
agricoltura e sopratut to la coltivazione del grano . Davvero mi sembra enorme
non veder altro che questo in Prometeo inchiodato al Caucaso, per le mani di
Mercurio , per comando di Giove e per decre to immutabile del destino, e mi
sembra più che enorme di struggere il più profondo mito dell'antichità , e
conver tire il figliuolo di Giapelo in un mietitore , con una rovinosa
metamorfosi che trasforma di botto il capo d'opera del teatro di Sofocle in
poco più di un' egloga. Del 1830 il barone Galluppi fu chiamato a dettar
lezioni di filosofia nella regia Università di Napoli , e la scelta del governo
fu facilmente accompagnata dagli applausi unanimi di tutti , imperciocchè si
aspettavano cose grandissime da un uomo la cui riputazione potea dirsi
gigantesca tra noi , e sul cui merito tanto più si giuraya, in quanto niuno
avea ardito di dubitarne o di esaminarlo seriamente. Ma ora dopo se dici anni
di esperienza deve esser conceduto di affermare che l'aspettazione pubblica è
stata delusa , ed anche il suo insegnamento non ha condotto a nulla di
durevole. Quale si è in fatti la scuola che egli ha fondata ? quali le verità che
ha dato a svolgere a' suoi scolari ? quali applicazioni si son potute fare
della sua filosofia al diritto, alle arti, alla politi ca , all'economia ed
alle scienze naturali ? Per me io tengo che una filosofia la quale non è
feconda di applicazioni di ogni maniera, e che si condanna a restare nel
circolo delle quistioni puramente psicologiche, non meriterebbe il super bo
nome a cui aspira , e più presto dovrebbe aversi quello di logomachia di
scuola. Or tale si è quella del professor na politano. Però non dee arrecar
maraviglia se le sue parole 209 uon hanno avuto un eco , se il suo insegnamento
è stato per duto , e se, fra tanti discepoli che han frequentato la sua scuo la
, non ce ne ha pure uno di cui si possa dire : costui conti nuerà l'opera del
maestro ; chè nessun'opera il maestro ha incominciata, nessuno scopo si era
prefisso, e niente vi ha di più inutile che le parole da lui pronunziale per
sedici anni sulla cattedra. IV . Non ricorderò che di volo i nomi del Mancini ,
del Tede schi, del De Grazia e del Winspeare. De’quali i due primi , si
ciliani, non possono dirsi , e sopratutto il primo, che seguita tori , ma nè
interi nè profondi, dell' eclettismo francese, e, poveri non meno di erudizione
che di potenza di mente, possono rassomigliarsi più presto a due scolari che
non si ardiscono dilungarsi dalle peste del maestro. Il terzo , cala brese di
patria, è un antico militare che ha finito per consa crare i suoi giorni alla
filosofia , ed ha , già sono qualche anni passati, dato fuori per le stampe un'opera
in cui intende a richiamare in onore e il Locke e la filosofia dell'esperienza
, ma pur con tali modificazioni che agli occhi dell'autore do vrebbero
allontanar le conseguenze a cui que' sistemi finora han condotto , e che agli
occhi degl' intendenti di ta' discipli ne servono solo a metter l'autore , a
sua insaputa , in con tradizione con sè medesimo , e l' un principio del suo
siste ma in opposizione con l'altro . Il barone Winspeare, giureconsulto di
rinomanza in Na poli , si è ancora egli rivolto agli studi della filosofia, e
come frutto delle sue meditazioni ha incominciato da tre o quat tro anni a
pubblicare una sua opera col titolo di Saggi di filosofia intellettuale. Della
quale il primo volume, che l' au tore ha chiamato Introduzione allo studio
della filosofia, con tiene un compendio dell' istoria di cotesta scienza da
Talete in fino al Kant . Il secondo col titolo di Dizionario della Ra gione ,
dev'essere un dizionario di filosofia che si proponga 14 210 lo scopo di
fermare per sempre le parole della scienza e il loro significato , affine di
renderne il valore così certo e in dubitato come è quello delle matematiche, e
distrugger così alla loro sorgente le quistioni e le difficoltà che lacerano da
tanti secoli il seno della filosofia. Imperciocchè e' sembra che l'autore abbia
per ferma la celebre opinione di quasi tutto il XVIII secolo , e che ora alcuno
non oserebbe di sostenere, esser cioè le più profonde quistioni filosofiche
niente altro che controversie di parole, sicchè, fermato bene il valore di
queste , abbiano quelle immantinente da cessare . Il terzo vo lume poi dovrà
contenere una traduzione de' Nuovi Saggi del Leibnizio , nella quale il
traduttore si propone di dare un vero modello della lingua filosofica italiana,
ancora così povera tra noi ( non credano i lettori che io esageri) , pro
ponendosi di più di venir mostrando ne' suoicomenti quello che ci ha di buono e
quello che ci ha di vieto e di rancidu me metafisico nelle pagine del filosofo
tedesco . Ancora qui non fo quasi che ripetere le modeste parole dell'autore .
Da ultimo il quarto volume dovrà contenere un'esposizione del sistema del Reid
. E qui immagini il lettore il sistema del fi losofo scozzese , che non suole
esser creduto , ch' io mi sap pia, de' più oscuri ed astrusi, esposto
compendiosamente dal nostro barone , in un gran volume in quarto; chè questa è
la dimensione dei suoi fratelli già venuti alla luce. Secon do il Winspeare e'
non ci ha che due uomini al mondo a cui la scienza abbia veramente da essere
obbligata; e di costoro il primo visse , già sono trenta secoli passati, in
Atene, e l' altro nacque in Iscozia l'anno di nostra salute 1710. Questi due
uomini sono Socrate e il Reid . Solo il Leibnizio potreb be esser terzo tra
costoro , ma egli è troppo lordato di me tafisicume per essere accettato
interamente dall' illastre giu reconsulto ; e però, come è detto , e' si
propone di purgarlo . Salvo adunque il greco , Jo scozzese e il tedesco , così
purificalo , tutti gli altri uomini che han consacrato la loro vita alla
scienza e che son giunti a rendere immortali i loro nomi, voglionsi tenere
comepericolosivisionarii, i quali ov 211 vero s'ingannano per difetto di
giustezza di mente , ovvero si lasciano strascinare dalla loro immaginativa. A
purgar la scienza da questi malaugurati sogni è sopra tutto ordinata ľ opera
del Winspeare. Innanzi di lasciar Napoli non posso trascurar di ricordare il
nome di un uomo , forse poco conosciuto altrove, e che eziandio tra noi non
risuona molto , ancorchè il meritasse . Ma in tutte le cose la fortuna è
signora , ed anche per giun gere alla gloria è necessaria certa maniera
d'impostura. Co stui è l'abate Ottavio Colecchi, il quale, sendo già profondo
matematico , allorchè si rivolse seriamente alla filosofia non si potè star
contento all' empirismo che forse prima avea seguito, e si rivolse in quella
vece al sistema del Kant. Con ciossiachè non ci ha niente in quella filosofia
che possa ap pagar la mente di un matematico usata alle astrattezze e a
ricercar le proprietà più essenziali e immutabili delle cose, laddove le
analisi severe ed aride del Kant più ritraggono da' metodi matematici e vie
meglio possono contentare le menti che a quelle sono avvezze. Il Colecchi seppe
penetrarvi così addentro , che quasi le fece sue proprie , e spesso osò
modificarne alcune parti e mutarne alcune altre : tanta è la dimestichezza che
egli ha acquistata col suo autore , ancor chè ardisca di rinnegarlo e levi alto
la voce a sostener che e' non è kantista, per alcune divergenze che separano in
sieme le loro dottrine . Ma, che che egli si dica, non si po trebbe seriamente
da altri dubitare seegli sia o pur no. Due sono i punti principali della
filosofia del Kant, e l' uno si è la sua teorica della ragione soggettiva, e
l'altro dove distin gue la parte mutabile e l'immutabile delle umane conoscen
ze, quella cioè che da' sensi deriva e quella che trae altron de la sua origine
; cominciando egli dal porre come fonda mento del suo sistema che tutto il
sapere incominci con l'esperienza ma non tutto da quella derivi . Cotesto è
forse il più importante e il più vero di tutti i principii kantiani , comunque
sia assai più antico della critica della Ragion Pura . Il Leibnizio, fra gli
altri, avea già insegnato l'anima escir dal 212 le mani del Creatore con tutte
quante le idee necessarie ed assolute, come quelle che compongono la sua
propria essen za ; ma che, oscurate e quasi sepolte sotto il peso della ma
teria , han bisogno che l'esperienza venga a discovrirle e quasi a far che lo
spirito se ne avveda, benchè da quelle non derivino. A questa guisa appunto lo
scultore, se una figura fosse impressa da natura nelle parti più interne d' una
pie tra, ove questa tagliasse e levigasse, non sarebbe egli autore di essa
figura , ma si cagione che quella fosse manifestata. E, assai prima del
Leibnizio, la medesima dottrina può tro varsi insegnata da altri più
elegantemente e con maggior di sinvoltura. Platone nel suo nobilissimo dialogo
del Fedone, nel quale narra , come tutti sanno , della morte di Socrate e delle
cose da lui discorse con i discepoli e con gli amici in nanzi di ber la cicuta
, dimostra siccome è nelle nostre menti un' idea prima dell' uguaglianza (autò
pò trov ) così astratta e generale che non si può in niun modo confondere con
l'idea di duecose qualunque che sieno eguali insieme, come due pietre, due
leyni o altro. Perchè dove quella è tale che noi sempre allo stesso modo la
concepiamo e di necessità non possiamo comprenderla altrimenti col pensiero ,
questa per contrario è mutabile , sendo che il fatto quotidiano ne mo stra che
quelle medesime cose , che pur ieri ne pareano uguali, ne sembrano altra volta
disuguali, senza dire della differenza de' giudizii de' diversi uomini, a cui
le stesse cose appaiono diversamente. Onde egli conchiude l'uguaglianza
assoluta non si dover confondere con quella delle singole cose a cui questo
attributo ci sembra di convenirsi. Le medesime cose Platone dimostra del bello
, del giusto , del vero e di altre cosiffatte idee, che non si possono
confondere con gli obbietti sensati , a cui si trova che solo per contin genza
alcuno di que' modi di essere si può attribuire, e che sono come un debil
raggio di quegli eterni tipi che sopra di esse cose mutabili vengonsi a
riflettere , e che di quelli solo per accidente partecipano ( METÈYouTQ ). Se
non che que sti obbietti mutabili e contingenti son come lo strumento 213 per
cui mezzo l' anima giunge ad aver coscienza delle idee , sendo che, ogni volta
che le cose uguali, belle, vere e giuste le son mostrate da' sensi, si vengono
risvegliando in lei itipi eterni a quelle corrispondenti , i quali pur erano in
lei ab eterno, ma si vennero oscurando il giorno che ella , lasciata la sua
celeste dimora , discese nella prigione del corpo la tal guisa, secondo il
divino Platone , il sapere è solo ricor danza, e l'apparare è ricordarsi.
L'altro punto principale della filosofia del Kant, e pro prio a lui solo , si è
la teorica della ragione che egli tiene per subbiettiva e inetta a farne
conoscere altro che le appa renze, e non mai la sostanza delle cose . Teorica
d'importanza principalissima, come quella da cui dipende il sapere se l' uo mo
ha diritto a credere di poler giungere alla conoscenza di qualche verità ,
ovvero se, condannato a vivere fra illusioni e apparenze, dee rendere immagine
del cane della favola, il quale credea un altro cane da lui distinto la sua
propria immagine che vedea riflettuta nelle onde del ruscello . Chi concede
questo punto al Kant, gli dee conceder tutta la sua filosofia e dee esser
tenuto per kantista, siccome io affermo del Colecchi , quali che fossero in
parti secondarie le loro di vergenze . II Colecchiha pubblicato un gran numero
di articoli su di versi subbietti di filosofia speculativa e morale che poi ha
raccolti in due volumi col titolo di quistioni filosofiche, ove assai spesso
prende a combaltere il Galluppi , e se il faccia con buon successo , e se gli
avvenga sempre di riportar facile vittoria sul nemico èinutile il dirlo.
Conciossiachè il si stema slegato e debole del filosofo calabrese mal potrebbe
resistere a colpi serrati della dialettica del suo avversario. A questi due
volumi dovea tener dietro un terzo di quistio ni estetiche , di cui mi riesci
di aver le bozze di stampa per le mani , poichè il libro non potè veder la luce
. Cotesta este tica , come tutto il sistema del nostro filosofo , è quella me
desima del Kant; un deserto di astrazioni senza mai incon trare un'oasi ove lo
spirito possa alquanto rinfrancar le for 214 - ze . Egli è quasi che
inconcepibile come quel divino rag gio che domandiamo bellezza, e che risplende
misteriosa mente nelle volte de' cieli e negli occhi delle fanciulle , pos sa
esser materia su cui s'innalzino de' formidabili edificii di aride astrattezze
, con le quali è al postutto impossibile di dar pure una spiegazione del bello
e dell'arte, alla guisa che è impossibile di trovare il mistero della vita nel
cada vere , o quello della luce nelle tenebre . V. Mentre questa fortuna si
aveano in Napoli le discipline filosofiche , nelle altre parti d'Italia non
mancarono di esse re , ove più e ove meno, splendidamente coltivate, e in que
sti ultimi tempi videro levarsi chi di gran lunga si lasciò in dielro i
Napoletani. In Italia è succeduto al nostro vivente un fatto il quale è in
manifesta opposizione con quello erasi veduto finora nell' istoria della nostra
filosofia , la quale in fino dalla più remota antichità , ha avuta nel mezzodì
della Penisola un' indole diversa che nel settentrione. Colà il ra zionalismo
ha dominato , qui la scienza ha più presto incli nato al positivo e alla pratica;
quasi queste due diverse ten denze della filosofia si fossero geograficamente
diviso il ter reno . E in vero mentre nell'una parte venivan su la scuo la di
Pitagora e quella degli Eleatici, nell' altra la sapienza etrusca s'introducea
in Roma, che può dirsi il paese per ec cellenza della politica, della guerra e
della legislazione. Vero è che in processo di tempo i due estremi si andarono
ravvi cinando , e l' idealismo si accostò al suo contrario e quindi risultò
l'indole vera della filosofia italiana, che è insieme speculativa e pratica ,
come quella che domanda i principii ma non dimentica le applicazioni , e , se
intende di levarsi. sino al cielo in su le ale della speculazione non perde
però di vista la terra . Se non che è innegabile che non ostante il
ravvicinamento di queste due maniere di filosofare, pure la differenza non fu
mai cancellata del tutto, e i filosofi del 215 - mezzodi restaron sempre più
razionalisti , e più pratici quel li del settentrione ; testimonii il Vico e il
Bruno da una parte, il Macchiavelli e il Pomponazzi, per non citarne in fioiti,
dall'altra . Ora al nostro vivente , come dicevo , il fat to inverso si è
veduto avvenire , chè i filosofi Napoletani non si son saputi dipartire dalla
psicologia , e quelli della più alta Italia hanno ardito di sollevarsi infino
all' ontologia ; quasi il coraggio delle ardue speculazioni , venuto meno a noi
, si fosse rifuggito appo gli altri. E questi sono l'abate Rosmini , Terenzio
MamianieVincenzo Gioberti . Antonio Rosmini ricorda in certo modo i nostri
buoni fi losofanti del medio evo , i quali chiusi fra le mura di un chiostro ,
alternavano la vita fra la preghiera e la meditazio ne , e vedeano scorrere in
silenzio i loro giorni senz'altro pensiero che quello della chiesa e della
scienza . Così il no stro abate, pievano di un piccolo villaggio in quel di
Nova ra, si è dedicato tutto quanto alla religione e alla filosofia, con una
fede e un' anbegazione che ricordano altri tempi ed altri costumi . Egli era
già conosciuto per altri scritti di fi losofia speculativa e di diritto
pubblico e naturale , quando nel 1830 pubblicò per le stampe una sua opera
sull'origine delle idee la quale per la profondità delle dottrine , per la
forza della dialettica e per l'erudizione non comune di cui è ricca nel fatto
dell'istoria della filosofia, e massime della scolastica, merita bene di essere
allogata fra le più importanti che in questi ultimi anni han veduto la luce.
Gran danno che sia di faticosa lettura per l'abbondanza non felice e del lo
stile e delle parole . Il problema che l'autore principal mente discute in
questo suo libro è quello onde è travagliala tutta la filosofia, e che più
specialmente occupa la moderna, dico la questione della realtà della
conoscenza. Gran cosa è veramente cotesta che molesta siffattamente la scienza
. Noi siam circondati anche a nostro malgrado da una tur ba infinita di diversi
obbietti ordinati quale alla soddisfazio ne de' nostri bisogni , e quale a
render lieti o miserevoli i pochi giorni che dobbiam passare su' lagrimosi campi
della - 216 - terra , che pur tanto amiamo ed a cui niente non ci avrebbe da
legare. Or chi mai ha dubitato della realtà di tutte queste cose ? Certo se a
taluno venisse talento di farlo e di dubitar seriamente se esista la donna che
egli ama , l' inimico che odia , le catene che legano i suoi piedi o l'oro che
brilla nella sua scarsella , e' non si dubiterebbe pure un momento di di
chiararlo mentecatto , e condurlo di presente all' ospedale dei matti . Or la
filosofia si è condannata di buona voglia a du bitar di queste cose e ad
ignorar quello la cui ignoranza fa rebbe stimar folle un uomo agli occhi de'
poveri di spirito. Nè è da credere peròche vengada modestia questo dubbio della
scienza , anzi è figliuolo della superbia. Conciossiache la filosofia non vuol
già conoscere le cose alla guisa medesi ma che gli altri uomini, ma si bene
rendendosi ragione e chie dendo una spiegazione possibile di tutto che l'uomo
pud sa pere. Quindi è addivenuto che essendo gli obbietti esterni parte della
conoscenza, la si è imposto il dovere di non cre dere diffinitivamente in essi
, o almanco seriamente dubitar ne in fino alla dimostrazione. E però si è messa
con una calma edificante a discutere la questione di sapere se ci ha niente che
esista fuori dello spirito. Soventi volte le armi le son mancate per provar
quello che volea sapere, e allo ra più presto che essere incredula a sè
medesima o infedele alla sua divisa , ha consentito ad accettare il nulla con
una rassegnazione da disgradare un anacoreta , e a conchiudere che il genere
umano s'inganna visibilmente allorchè crede alla realtà delle cose . O alliludo
! Or l'opera del Rosmini è precipuamente ordinata all'esame di una cosiffatta
quistione, a cui egli giunge incominciando da una rassegna istorica de' varii sistemi
antichi e moderni che su lo stesso problema si son travagliati , i quali tutti
esamina con gran sottigliezza e con mirabile profondità ed erudizione . Di
scute da prima la quistione dell'origine delle idee nella mente; quistione
strettamente legata con quella della realtà della conoscenza, e fa vedere in
una maniera non tolta da altri , come i filosofi di lutti i tempi sono andati
errati in questo , - 217 o per eccesso o per difetto , dappoichè alcuni non
vollero riconoscere alcuna idea primiliva nello spirito , ed altri cre dettero
di vederne in maggior numero che veramente non sono . Lontano dall'errore
degliuni e degli altri , il Rosmi ni ne ammette sol' una , cioè ľ idea
dell'essere , forma uni versale de' nostri pensieri, idea primitiva e necessaria
dello spirito , la quale non ne suppone alcun'altra prima di sè , ma bene da
tutte quante le altre è supposta , come quella che alla loro formazione è
necessaria . Or su questa idea riposa la realtà delle conoscenze, sendo che
essa rinchiude il con cetto dell'esistenza , anzi è l'esistenza medesima ; per
suo mezzo noi possiamo giungere dal mondo de pensieri a quel lo dell'esistenza,
da' concetti a ' fatti. Non io qui intendo di difender l' una ovvero l'altra
opi nione, ma poichè mi propongo solo di raccontare, non posso tralasciar di
riferire una opposizione cheè stata fatta alla teo riea detta di sopra . Quale
si è la difficoltà arrecata in mezzo dagli avversarii della realtà ? Noi non
sappiamo le cose , e'di cono, ma sì le idee che ne abbiamo; o come si passa
all' obbietto da quella rappresentato ? su qual ponte si supera la distanza che
è da un'idea ad un fatto ? Or la vostra idea dell'essere, si è opposto al
Rosmini, non è punto diversa dalle altre , e indarno vi dibattereste a
dimostrare che è di differen te natura; e, se è vero, come è, che la è generale
e necessa ria , non è però vero che a differenza delle altre idee di que sta
medesima natura , sia di per sè stessa obbiettiva e atta a porci in relazione
con le cose reali . Sicchè l' antica quistione non è stata per voi risoluta ,
anzi rimane tultavia intera , po tendosi opporre all'idea dell' essere le
medesime difficoltà che alle altre idee, non ostante i vostri sforzi per
sostenere il con trario . Vero è che l'autore , dopo cinque faticosi volumi ,
con una rara, non so se io dica superbia o modestia , dichiara che non è
leggiera cosa l'intendere la sua dottrina , e che egli in vano si è studiato,
per l'impossibilità della cosa , di esser chiaro e intelligibile . Non tacerò
che a taluno è sembrato di vedere nell' opi passa dall'idea 218 - e nione del
Rosmini una pericolosa teorica da cui agevolmen te si può sdrucciolare nel
panteismo . Ma a questo proposito fa d'uopo por mente a tre cose; la primache
siffatte conse guenze senza fallo non sono state pensate dal suo autore , e che
se egli giungesse mai a persuadersi che quelle legitti mamente si possono far
discendere dalle sue opinioni , certo pon indugerebbe pure un momento a
ritirarle. La seconda cosa si è che non si vogliono tormentar troppo le parole
le sentenze degli scrittori per condurli in una maniera o in un'altra a certi
estremi punti a cui quelli non vogliono giungere e a cui regolarmente non si
potrebbe menarli sen za i sottili sforzi d'una dialettica che può divenire per
que sto petulanti ; chè da tutto si può giungere a tutto. Ultima mente non
bisogna dimenticare che il panteismo oggidì è lo spauracchio universale, e che
troppo facilmente si crede di poterlo trovare in tutte le opinioni; e se è vero
che parecchi de'sistemi moderni v’inchinano, è pure strano vederlo sem pre e da
per tutto. VI . Terenzio Mamiani della Rovere del 1834 pubblicò in Pa rigi
un'opera di filosofia intitolata : Rinnovellamento dell'an lica filosofia
italiana. Oltre al nome dell'autore che già ri suonava nella nostra penisola ,
cotesto titolo contribuì non poco a chiamar l'attenzione dell'universale sul
libro del Mamiani . Conciossiachè si credette di vedere certo orgoglio
nazionale , e quasi una bella virtù cittadina nell'idea di ri chiamare in onore
e in vita la nostra antica filosofia . La ste rilità pedantesca de' nostri
filosofi non avea fatto escir le loro scritture dai limiti della scuola , e
privatili così d' ogni ma niera di popolarità in un paese in cui gli uomini
consa crati specialmente agli studii filosofici, non sono abbastanza numerosi,
perchè levi gran grido nell' universale un libro di malerie così speciali ; ma
questa difficoltà il Mamiani riesci a superar felicemente . Or vediamo qual sia
la sua idea . - 219 I filosofi italiani del XVI e del XVII secolo , non solo
sono slati primi nell ' ordine del tempo a incominciar la guerra contro la
scolastica , da cui poi dovea venir fuori la filosofia moderna , ma ancora sono
entrati innanzi agli altri per la profondità e dottrina con la quale seppero
eziandio trovare il vero metodo con cui unicamente le scienze speculative
possono giungere a glorioso porto, riconducendole all'osser vazion della natura
, da cui le astrattezze della scuola aveanle allontanate; metodo di cui il
pensiero moderno mena gran vanto come della più bella delle sue invenzioni , e
della sola armecon cui sipossa giungere alla scoperta della verità . An cora
fecero di più, e non contenti ad indicare altrui la strada che si ha da tenere,
si posero animosamenle in quella , e ri ducendo ad atlo il pensiero del loro
metodo , riescirono a crear de ' sistemi a niuno secondi di quanti ne ' tempi
posle riori si son veduti venir fuori. In questi sistemi certamente molte cose
sono da rigettare, molte da correggere e da mo dificare , ma molte sono eziandio
accanto alle prime, le quali meritano ben altra cosa che dispregio e noncuranza
. La fi losofia moderna avrebbe da studiare attentamente in quelli per tirarne
tutto il buono che vi è , e far tesoro delle altis sime verità che soventi
volte han costato a' loro scoprilori la libertà o la vita . Sopratutlo gl '
Italiani non dovrebbero lasciar perire sotto a' loro occhi la grande opera
incomin ciata da' loro avi con tanto ardire e potenza di mente, anzi dovrebbero
alacremente continuarla , e in vece di tener die tro astraniere filosofie e
trapiantarle siccome piante di al tro clima della loro patria, dove mai non
potrebbero alli gnare siccome frutto indigeno e nazionale, bisognerebbe che si
adoperassero a tult' uomo di richiamarli in vita e risve gliar la nobile
tradizione d'una scienza pur nata fra essi . Le altre parti del libro del
Mamiani son destinate a svol ger la vera natura di questo metodo , che ,
secondo lui , è quello dell ' osservazione , il quale a molti può parere non
acconcio a condurre la scienza là dov'essa dee pervenire , e che a me sembra
egli confonda troppo con i procedimenti i 220 delle scienze naturali. Ancora ne
viene mostrando l' appli cazione a parecchie quistioni speciali , che egli si
studia di risolvere seguendo per lo più le orme de' nostri antichi filo sofi.
Per menon esaminerò sino a che punto i grandi filo sofi italiani del
risorgimento abbian seguito il metodo di os servazione, siccome il Mamiani l'
intende, nè se questo me todo, sì utile d'altra parte alle scienze fisiche, sia
sufficiente alle metafisiche, chè cotesto mi menerebbe lungi dal mio pro
ponimento e getterebbe in quistioni che non ho in animo di discutere ; solo
dirò qualche cosa del proposto risorgimento della nostra antica filosofia .
L'idea del Mamiani si è di ri chiamar in vita tra noi le nostre tradizioni
filosofiche, per chè la scienza si abbia nella penisola un tipo veramente ita
liano e un'indole nazionale. Egli è indubitato che ogni pae se ha da natura una
particolar fisonomia,per la quale si di stingue da tutti gli altri , e che
siccome è impossibile di can cellare del tutto così è vil cosa di non
rispettare come up dono della Provvideoza, e di non custodir gelosamente come
un sacro pegnocontro ogoi invasione straniera. Nè questa differenza d'indole si
mostra solamente ne' costumi e nelle abitudini di ogni popolo, negli istituti e
nelle maniere este riori della vita ma eziandio in un modo speciale di vedere e
d' intendere e di rappresentarsi le cose . Gli obbietti sì del mondo fisico che
del morale , si possono giustamente chia mar poligoni, in quanto che ciascuno
ha molti diversi lati, e può , rimanendo sempre il medesimo , esser considerato
in mille guise diverse , e produrre , secondo queste diversi tà , mille diverse
impressioni. Or quanlo più le cose posso no essere variamente riguardate ,
tanto più vasto campo ha l'indolenazionale di ogni popolo di spaziarsi e
mostrarsi aper tamente. Nella letteratura, per esempio , esercita vastissimo
impero, perchè quella abbraccia tutta la vita , nè ci ha cosa che possa esser
considerata sotto più diversi aspetti che la vita umana e i suoi infiniti
accidenti , da cui ogni letteratu ra direttamente sorge , facendo ritratto
dalle più intime qua lità di essa vita . Per contrario poi quanto meno di
realtà è 221 negli obbietti che cadono sotto la considerazione e Y opera dello
spirito , e quanto più essi son semplici o astratti; tanto più si viene a
restringere il campo in cui l'indole nazionale si può mostrare. Cosi, appena se
ne può scorgere le tracce nelle matematiche e nelle scienze naturali,
occupandosi quel le di astrazioni nude e di semplici concetti e queste delle
qualità fenomeniche ed esterne de'corpi, quali cadono sotto i sensi. Ma
altrimenti avviene della filosofia perchè i prin cipii comunque razionali di
cuiessa si occupa, son pieni di vitae di valore, comequelli che debbonoservire
alla spiegazio ne di tutti i fatti umani e cosmici dell'universo , dell'uomo e
delle civili comunanze. Certamente non ci ha nè ci po trebbe essere una verità
italiana e una tedesca, ma ci ha una diversa maniera per gli Italiani e per i
Tedeschi d'intendere i medesimi veri , di considerar gli stessi fatti generali
, sic come di dare più importanza a una specie di essi innanzi che ad un'altra.
Di qui deriva che si può giustamente parlare d'una filosofia inglese, francese
o tedesca , dicendosi, per esempio, che la tedesca èpiù idealista e razionale,
dove che l'inglese inclina in quella vece a starsene più dappresso a ' faiti ed
è quindi più sperimentale o empirica ; differenze che trovandosi nell'indole
della scienza, mostrano che ci ab bia da esserne un'altra corrispondente
nell'indole delle due nazioni. In questo modo solamente si può intendere la na
zionalità della filosofia , sendo però necessario di far due os servazioni su
tal proposito. La prima si è che non bisogna credere alla necessità di un
intero isolamento scientifico , ov vero credere che ogni idea straniera possa
esser contagiosa e opporsi al libero procedimento del pensiero indigeno e na
zionale. La verità non è pianta che germoglia in un solo paese, ma in tutta la
terra, nè è proprietà di un solo uomo o d'un solo popolo ma di tutto quanto il
genere umano; ciascuno può trovarne una parte, e tutti gli uomini sono ob
bligati di riconoscerla per tale, ove che la sia , e di abbrac ciarla e farle
plauso e festa. E' bisogna cercarla da per tutto, e lo spirito allorchè è forte
e sicuro di sè medesimo , le da - 222 - rà a sua insaputa quell' atteggiamento
particolare ,e quasi direi quel colore morale cheèfigliuolospontaneo
dell'indole di uno o di un altro paese. Laseconda avvertenza da fare è che ogni
consiglio su tal proposito dee tornare quasi inu tile , e che quindi debba
riescir vano il raccomandare ad un popolo di custodir la sua nazionalità nella
filosofia . Basta es sere veramente un popolo sano e robusto e sentirlo e glori
arsene per avere untipo da sè e conservarlo senza fatica, e quasi non
avvedendosene , in tutte le parti della vita ed eziandio nella filosofia. Ma se
un paese è debole e corrotto , se già ha perduto la sua indole nativa , i
consigli de'dotti saran vani, perchè avendo quelloperduto la suaoriginalità
nelle al tre cose,non gli sarà possibile dicustodirla nella filosofia più
presto che nella letteratura , nella politica e nelle arti . Del resto ho
voluto dir queste cose più presto a proposito del Mamiani che contro di lui
perchè nè l'uno nèl' altro de' due rimproveri gli si può fare. Quanto poi
all'idea d' incomin ciar la scienza ove l'hanno lasciata i nostri maggiori ,
certo gl' Italiani d'oggidi avrebbero ben torto di dimenticare i no bilissimi
lavori de'loro padri e le dottrine onde hanno splen didamente arricchito la
scienza , ma è da vedere se per far questo si convenga rinunziare a tutto
quello che lo spirito umano ha scoperto in processo di tempo, perchè non è ve
rosimile che sieno tornati vani tutti i suoi lavori per tre se coli e più.
Credo che non sia questa strettamente l'opinione del nostro autore, ma domando
se vi si potrebbe giungere partendo dalla sua. VII . Eccomi finalmente arrivato
a quello de' filosofi italiani no stri contemporanei che è giunto ad ottenere
una fama uni versale fra noi. Ciascuno intende che io parlo dell'abate Vin
cenzo Gioberti, il cui nome da qualche anno risuona univer salmente dall' uno
all'altro estremo della penisola . Quindi è che ciascuno si è creduto in
diritto di dar la sua opinione e 223 11 giudicarlo a sua posta , onde egli si è
trovato esposto a ' più contraddittorii giudizii , alla più inetta critica ,
alle noiose esagerazioni del dispregio ed a quelle ancor più no iose della stupida
ammirazione. Quanto a me, nemico come io sono d'ogni opinione eccessiva che si
lasci volenlieri ac cecare all'odio e all' amor di parte , a' nuovi ed a'
vecchi pre giudizi , dirò franco il mio parere per un uomo di un merito
grandissimo, quantunque io credo che sia ancor troppo pre sto per poterlo ben
giudicare, e che di lui meglio i posteri che i contemporanei potranno portar
sentenza , perciocchè intorno a molte sue dottrine bisognerebbe aspettare i
suoi nuovi schiarimenti e la prova del tempo . Intanto per por tare in fin da
ora un giudizio più o meno esatto di quello che egli è, sarebbe mestieri di
esaminare sottilmente il suo yalore come scrittore, come filosofo e come
politico. Io, se condo il mio istiluto, non posso toccare che pe' generali della
due prime parti e quasi niente della terza . Come scrittore, il Gioberti
appartiene senza fallo alla no bilissima schiera de'Botta, de’Leopardi e degli
altri che in questi ultimi tempi han cercato, ritirando la lingua italiana
a'suoi principii, di renderle l'antico splendore , la forza, l'e leganza e la
vivacità che ammiriamo ne'nostri grandi scrit tori de'secoli passati , e che le
aveano negato la fiacchezza degli animi e i pregiudizi comuni del secolo XVIII
e de’pri mi anni di quello in cui noi viviamo , e che ancora regnano appo la
maggior parte de ' filosofi di cui innanzi è discorso , la cui lingua , e più
ancora lo stile , si penerebbe a crederlo italiano , e si direbbe
compassionevole , se la pretensione non non lo rendesse più tosto ridicolo. Il Costapuò
dirsi il primo che in questi ultimi tempi abbia trattato di filosofia con cor
rezione di lingua ed eleganza di stile, ma oltre a questi pre gi , non si può
dire che abbia nessuna di quelle doti che co stituiscono il grande scrittore .
La medesima cosa può affer marsi del Mamiani la cui lingua è pura , lo stile
esalto ed elegante ma invano si cercherebbe altro nella sua prosa . Il Rosmini
, senza aver nè l'uno nè l'altro di questi pregi, è di 224 una tale abbondanza,
che e'si potrebbe comodamente ridar re alla metà i volumi delle sue opere senza
chiedergli il sa grifizio pur d'una idea . Tull'altra cosa è del Gioberti nelle
cui pagine si trova ben altro che purezza ed eleganza sola mente; qui è
ricchezza smisurata , nobiltà e vera eloquenza , tanto che si potrebbe citar
de' passi da valer come modello da imitare . Conservando il tipo originale e
l'antica grandez za della nostra lingua , e’la tratta pur tultavia come la
lingua d'un popolo che è ancor vivo , che ancora ha uno splendido posto nel
mondo, e che forse a nuove e più luminose sorti è destinato da Dio . Chè nella
nostra penisola accanto a quelli che nel fatto della lingua si lasciano andare
ad ogni maniera di novità, ci ha degli altri che per paura di corromperne la
natia purezza , non si vorrebbero allontanare da' limiti del tre cento , e si
spaventano d'ogni innovazione , come se fosse morta la lingua parlata da
ventiquattro milioni d'uomini . Niuno di questi rimproveri non può farsi al
Gioberti, a cui niente manca per esser giustamente allogato tra gli scrittori
di prim'ordine . Pure non saprei negare che, sia effetto del l'ardente
immaginativa, sia naturale impazienza e difficoltà di contenersi , si abbandona
talora un po ' troppo alla sua ine sauribile abbondanza, sì che si sarebbe
inclinati a trovare il suo stile in certi luoghi aleun poeo declamatorio . Non
su che spirito di sofisma viene talora segretamente a turbarne l' ordinaria
chiaroveggenza , per modo che per volere aver troppo compiuta vittoria de' suoi
avversarii e spingerne le opinioni alle più lontane e assurde conseguenze,
scaglia con tro di essi ogni maniera di opposizioni e di ragioni e di ar
gomenti , della cui perfetta convenienza si potrebbe talora dubitare. Ma questo
non giunge ad oscurare per niente gli altri pregi grandissimi che sono in lui .
Dalle cose che abbiamo così brevemente discorse intorno alla presenle filosofia
italiana, si può vedere come i nostri filosofi, attenendosi strettamente solo
alle questioni psicologi che , ovvero non osando che modestamente occuparsi di
quelle di altra natura , si son tenuti lungi da' più alti pro 225 - 1 blemi
ontologici sull'origine , l' essenza e le leggi della realtà , quistioni in cui
risiede tutta la grandezza e l'importanza della filosofia e che l'hanno
sollevata a un sì alto posto nel l'antichità e nel medio evo. In questi ultimi
tempi i Tede schi sono stati i primi ad avvedersi che la scienza si era messa
per vie troppo ristrette , e che per renderle il suo antico valore bisognava
senza più ricondurla sul terreno che altra volta avea occupato , da cui le
modeste pre tensioni della psicologia l'aveano scacciata , e in cui solo potea
incontrarsi con quelle quistioni che più potentemente importano al genere
umano, e riacquistar così la vita e l'im portanza primiera. Quest' obbligo la
scienza deve indubitata mente a ' moderni Tedeschi, quali che siano state le
conse guenze a cui sono giunti . Il Gioberti ha tenuto il medesimo cammino , ma
con mezzi alquanto diversi , ed è venuto a conchiusioni di ben altra natura .
Anch'egli vuol giungere ad una scienza più compiuta che esca dalle aridità
psicolo giche, e che, piena del senso della realtà e della vita, cerchi di
pervenire alla causa prima e reale d'ogni causa e d'ogni fenomeno ,
riproducendo nell' ordine ideale della scienza l'ordine reale della
generazione. Movendo dalla teologia cri stiana, egli si è sforzato di
ricondurre la scienza all' ontolo gia , in modo da conservarla d'accordo con la
religione, e in vece di adoperar come i Tedeschi che fanno entrar la reli gione
nella filosofia e vogliono col mezzo di questa spiegar la , egli , per opposto
cammino, seguendo i più antichisistemi ortodossi, ha voluto sottomettere la
filosofia alla religione , in guisa che fosse questa obbligata a riconoscer da
quella ogni suo valore . Il suo punto di partenza è una formola sin letica , la
quale , benchè d'accordo col Cristianesimo , anzi, appunto perchè è di accordo
con esso , spiega l'uomo e l'u niverso e le loro relazioni con Dio , onde poi
discendę ogni ordine d'idee e di fatti, il pensiero e la natura , le società e
le civili istituzioni , la scienza a l'arte . Io non mi fermerò su ' varii
punti del sistema , nè sulle varic applicazioni che egli va facendo del suo
principio , nelle quali dimostra una po 15 226 tenza di mente mirabile e delle
conoscenze non punto ordi narie , ma non posso tacere che soventi volte,
siccome è moda oggidì, si lascia strascinar troppo all'amore del sistema, e a
certa smania di costruzioni a priori , le quali son certamente del dominio
della scienza , ma che oggi si sogliono condurre fino all'esagerazione. Per
questo rispello gli antichi mi pa iono ben superiori a 'moderni, perchè Platone
ed Aristotile si occupano anch'essi di costruire l'universo a priori e per
mezzo delle idee , ma sanno bene fermarsi alle generalità senza discendere a
taluni troppo minuti particolari , i quali sfuggono alla scienza e non si
possono senza esagerazioni far discendere comodamente da' principii generali. E
chi sa se nell'universo , come nell'uomo, non ci ha un punto in cui l'impero
assoluto della legge ha termine , e quello dell' arbitrio , del capriccio e
dell'accidente incomincia ? Certo è giusto di volere co' principii razionali
spiegar le leggi e le . generalità delle cose, ma è strano il pretendere di
spiegare ugualmente i più piccioli fatti, la cagione necessaria e razio nale
d'ogni avvenimento , d'ogni legge, d'ogni fenomeno, d'ogni istituzione, d'ogni
onda che la forza de'venti scaglia contro le rive , d'ogni foglia che la brezza
dell'autunno fa . cadere dal ramo ; allora si potrebbe ripetere il detto di Na
poleone, che un brieve limite separa dal sublime il ridicolo . Vediamo ora qual
sia la formola suprema e creatrice del sistema del Gioberti. Ogni filosofia ,
egli dice, la quale muova dalla nozione semplice e astratta dell'essere, dee
necessaria mente smarrire la diritta via . Siffatla nozione , come quella che
si può applicare al Creatore e alle creature, senza alcuna diversità, e che
però nulla può produrre, conduce all'ipotesi d'una sostanza unica , cioè al
panteismo. Ora la teorica del panteismo è falsa perchè non risponde a tutte le
esigenze della scienza , nelle applicazioni non trovasi d'accordo con la vera
natura delle cose, distrugge la morale, ed è contraria al cristianesimo che è
la veritàperfetta ela parola stessa di Dio. Però è mestieri trovar modo di
escire di questa peri colosa ipotesi, la quale ha potuto soventi volte sedurre
le più 227 belle intelligenze e i più profondi spiriti. Ove la causa che
conduce al panteismo eziandio quelli che meno vi vorrebbe ro pervenire , chi
ben guardi la troverà nel punto stesso onde muovono, giacchè la nozione
dell'essere in astratto non può menare alla realtà. Per la qual cosa a fio di
cansar l'errore , è d'uopo aggiungere all'idea dell'essere qualche altra
nozione che sia nello stesso tempo primitiva e sottopo sta all'altra. Se non
fosse primitiva rispetto al nostro spiri to , non potremmo acquistarla
altrimenti, essendo la nozione dell' essere di sua natura improduttiva; d'altra
parte se non fosse sottoposta ad essa nozione dell'essere e quasi da essa
ingenerata, e' si cadrebbe io un dualismo assoluto non meno assurdo dello
stesso panteismo. Ma fortunatamente è facil cosa trarre l'essere dal suo stato
astratto , considerandolo siccome concreto e creatore , perchè l' essere così
conside rato rinchiude in sè l'idea di un effetto, cioè di un'esistenza che non
fa parte della natura di quello , ma che essendo un libero prodotto della sua
volontà , è legato con esso lui mercè il vincolo della creazione . Per tal modo
e ' si avrebbe un sol principio da cui partirebbe lo spirito , cioè l'idea
dell' essere puro e necessario che crea l'esistenza contingente, e questa
verità -principioprodurrebbe un principio-fatto, cioè la realtà dell'esistenza.
Così l'autore invece di partire dalla nozione astratta dell'essere , è partito
da quella dell'essere che per mezzo della creazione produce altre esistenze a
lui sottopo ste, ed ha espresso il suo principio supremo con la formola:
l'essere crea l'esistenza; e con questo mezzo ha evitato ilpan teismo , ponendo
il concetto della creazione come il lega me fra l'essere assoluto e l'esistenze
contingenti. Pur tutta via questo mezzo non è paruto a tutti soddisfacente; già
non è mancato chi ha detto che il suo sistema era la teorica dello Schelling
battezzata e fatta cristiana , ed altri altre difficoltà hanno arrecato in
mezzo. Cone è egli possibile di costruire a priori una filosofia mercè diun
principio il quale contie ne in sè un dato essenzialmente contingente e di
fatto, quale è quello della creazione ? 228 Se si considera l'idea della
creazione legata di necessità con quella dell'essere, e allora si cade senza
più nel pantei smo, o almeno nella sentenza assai vicina a quello della ne
cessità della creazione ; se poi si considera essa creazione come un fatto empirico
e contingente, è impossibile allora di farla discendere dal concetto
dell'essere , e dedurla da esso ; anzi , essendo essa libera e volontaria , il
principio si dovrebbe esprimere altrimenti, dicendosi piuttosto: l'essere vuol
creare l'esistenza ; nel qual caso potrebbe domandarsi : chi v'insegna questa
volontà dell'essere ? domanda a cui è difficile di soddisfare senza cadere in
Cariddi per evitare Scilla . Conciossiacchè se si risponde che l'insegna il
fatto , la formola a priori è distrutta, e si cade in uo circolo vizio so , col
quale si verrebbe a dire che l' essere ha voluto crear l'esistenza , perchè
esiste , e che l'esistenza esiste , perchè l'essere ha voluto crearla . Se poi,
mutando strada, si rispon de che non già il fatto ma la nozione stessa dell'
essere rin chiude il concetto della creazione, e allora si giunge diritto ,
come inpanzi dicevamo, alla necessità di essa creazione. Non insisterò più a
lungo su questa discussione, che, come tutte le altre , ho voluto toccar solo
di passaggio, ma osser verò invece alcuna cosa sull'indole generale della
dottrina del Gioberti. Nati in un tempo che è succeduto ad un altro di strani
rivolgimenti ed inuditi rumori, e che ancora è in certo di sè medesimo e più
incerto del suo avvenire , noi possiam dire di assistere al contrasto di due
opinioni , le quali si disputano ostinatamente l'impero dell'intelligenza .
L'una, che è la meno seguitata, è essenzialmente conserva trice, e non crede nè
al presente nè all'avvenire, ma sogna caldamente il passato , i secoli scorsi e
quasi il secol d'oro della favola. L'altra, che domina appresso l'universale,
non ha fede che nel presente e nell' avvenire, dispregia e deride tullo quello
che non è nato pur ieri, e ciecamente crede al progresso infinito delle umane
generazioni , al cammino dello spirito sempre trionfanle e vittorioso. Il
Gioberti non può essere accusalo nè dell'una nè dell'altra estrema opinione, e
229 il suo modo di vedere e giudicar le cose può dirsi essenzial mente
conciliatore dell'antico e del moderno. Non egli du bita che lo spirito umano
cammini , ma non crede che lutto quello ci ha di bene sulla terra sia nato ieri
; nè dubita che lo spirito progredisca, ma non crede che ogni suo mo vimento
sia un progresso; in somma il passatonon è per lui unicamente l'antecedente
cronologico del presente, o un ca davere senza vita e senza importanza, anzi
egli vuole che se ne faccia altamente conto come di cosa che contiene in sè i
germi del nostro essere presente, e che non venga punto messo in dimenticanza
nelle nuove combinazioni si della scienza e sì della vita pratica. Nè punto
diverso da questo è il principio delle sue opinioni politiche, nelle quali
ammira il passato ma non lo crede bastevole a corrispondere a tutte le esigenze
del presente , ammira il medio evo in tutto quello che ha di grande, di nobile
e digeneroso ma pon vuole per questo la ricostruzione del castello feudale;
vuol bene che la politica italiana sia degna del nostro secolo ma non chiama
ugualmente degne del secolo tutte le utopie . VIII. Questi sono i filosofi
italiani degni di essere ricordati da chi voglia tessere un quadro dello stato
in che trovasi oggi la scienza fra noi . Il quale , come si può vedere, se non
è da esserne troppo superbi, non è neppur tale da doyercene ver gognare, perchè
accanto a nomi mediocri o poco maggiori della mediocrità, se ne trova pure
altri , come quello del Ro smini e del Gioberti, degni di fare onore a
qualunque tempo e a qualunque paese. Un'osservazione però sorge natural mente
da tutto quello che finora abbiamo discorso, cioè che se ci ha de sistemi e
de'filosofi italiani, non ci ha però una filosofia o una scuola italiana da
mostrar le dottrine domi nanti universalmente, poichè dottrine comuni veramente
non ce ne ha, ma ciascuno ha le sue proprie , e nessuno giunge a diffonderle in
modo da formare una scuola forte ed upita da contrapporre ad un'altra . 230 La
medesima cosa mi ricorda d'aver fatto osservare a pro posito del teatro , ove
dicevo che ci ha bene de' drammi e dei drammaturgi in Italia , ma non un dramma
italiano , da po terne indicare l'indole generale. Sarebbe lungo cercar le ra
gioni di questo fatto , ma quanto a' sistemi filosofici, non può nascondersi
che ciha un punto essenzialissimo in cui tutti o almeno i più importanti si
accordano , e questo è l' essere ugualmente ortodossi e cattolici. I nostri
antichi non erano generalmente così solleciti di trovarsi d'accordo con la reli
gione , e spesso con le prigioni, con l'esilio e co' roghipa garono la pena del
loro ardimento . Oggi in mezzo alla co mune eterodossia delle scuole moderne, e
soprattutto delle tedesche , i filosofi italiani si studiano di mantener
collegate amorevolmente la fede e il pensiero, la religione e la scien za , e
compensano con la propria ortodossia gli errori de'loro predecessori , i quali
signoreggiano oltremonti e trovano nuovi seguaci e arditi rinnovellatori
massimamente nelle scuole di Germania . Certamente sarebbe cosa assurda il
negare che la filosofia tedesca in questi ultimi anni abbia renduti
straordinarii ser vigi alla scienza, e fattole fare de'passi che mai non
saranno perduti per il pensiero umano. Certamente in que' sistemi sono
altissime verità, profonde escogitazioni, fortunate e fe conde applicazioni a
tutti i diversi ramidel sapere e della vita , ma accettarli interamente come
veri è cosa enorme ed insoffribile. Insoffribile soprattulto per poi Italiani
la cui mente è dotata da natura di forme troppo originali per sofferire
qualunque maniera d'imitazione , senza che tosto ritorni in caricatura, ed al
cui pensiero, naturalmente chia rissimo e bisognoso di realtà e di vita , mal
si convengono le astrazioni soventi volte troppo vôte de' Tedeschi, e la col
trice di tenebre onde al concello alemanno piace spesso di avvilupparsi. Oltre
a ciò si potrebbe dire che assai male prova ha fatto la filosofia tedesca ,
quando dopo tante pro messe e sì grandi rumori , si è mostrata inetta a fermar
niente d'intero e di durabile, e ora quasi venuta meno , tace pro - 231
fondamente , e quasi non ha un'idea o una parola comuni per farsi intendere, e
le scuole deboli e divise internamente o più non vivono o vivono di una vita
che molto si rasso miglia alla morte. Forse che il dottor Fausto ha ragione tut
tavia di lagnarsi della loro impotenza e della vanità degli sforzi per esse fatti.
Prima di conchiudere sentomi spinto come di viva forza a ricordare un nome, che
pochi forse sanno e che niuno ha obbligo di conoscere ma che io non voglio
tacere , solamen te perchè colui che il portava ora più non vive , e perchè al
tra meno sterile testimonianza di amicizia non gli posso ren dere. Io non so se
le poche pagine scritte da Stefano Cusani giungeranno a'posteri, e molto più
dubito delle mie , ma de sidero che i contemporanei sotto i cui occhi potrà
cadere questo scritto , sappiapo che fra’giovani che ora fra noi si oc cupano
di filosofia nessuno forse fu fornito più di lui di mente veramente filosofica,
la quale con più sodi studii e con la malurità degli anni avrebbe forse , anzi
senza forse , dato frutti degni di vera gloria . Nè vorrei che di lui si
giudicasse da quello che finora avea stampalo , perchè chi il conobbe può far
giudizio sicuro di quello che un giorno avrebbe potuto fare se gli fosse
bastata la vita. Non so altri che faccia bene e splendidamente sperare di sè ,
ma non dubito che fra tanti dovrà sorgere alcuno degno degli antichi e de'
nuovi nomi , perchè giovami di credere, e i fatti mi confermano nella mia
opinione, che la sacra fiaccola della scienza non sia , non che spenta,
affievolita nella patria del Vico , del Campanella e di Giordano Bruno. Grice:
“Gatti is a difficult one to catalogue – not at Oxford! He is a man of letters
and action, by man of letters we mean Lit. Hum. And Gatti, being the snob he
was, would rather be seen dead than referred to as merely a ‘philosoopher’ – He
edited the Museo di FILOSOFIA e letterature – and his passion (if he had one)
was Vico – and more, to criticse oters. He would not speak of ‘italian
philosophy,’ but of ‘philosophy in Italia’! – He wrote on Rovere, and other
philosophers – but he was always ready to grade them: “Genovesi, infinitely
inferior to Vico” – Incredibly that this philosopher is talking the same lingo
as Machiavelli or Dante!” – His exegesis of Vico is good – he refers to the
Bruno, Campanella and Telesio as the celebrated triunvirato, and there are
references to some obscure philosophers in his prose – about which he writes
little to enthusiase his reader!” -- Stanislao Gatti. Gatti. Keywords: poetica,
Vico, Filosofia Italiana, Scritti filosofici – implicature italiane – il vico
di Gatti -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gatti” – The Swimming-Pool Library.
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Grice e
Gelli – sulla difficultà di mettere in regole la nostra lingua – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “I like
Gelli; he is a difficult philosopher, in a typical Italian fashion, mixing
semiotics, philosophy, philology, and literature! His reflections on Adam’s
tongue (lingua adamitica) is genial – and he proposes a distinction, which I
often ignored, as Austin did, between ‘sweet language’ (lingua dolce, qua
expression, or materia) and ‘content’ (forma) – The issue was central for
Italians: Tuscan Italian was THE lingua because it was the sweetest – at least
to Florence-born Gelli’s ears!” “Ricordati un poco di Matteo Palmieri, che era
tuo vicino, che fece sempre lo speziale, e non di manco s'acquistò tante
lettere ch'e' fu mandato da' Fiorentini per imbasciadore al Re di Napoli; la
quale degnità gli fu data solamente per vedere una cosa sì rara, che in un uomo
di sì bassa condizione, cadessono così nobili concetti di dare opera agli
studi, senza lasciare il suo esercizio; e mi ricorda avere inteso che quel re
ebbe a dire: pensa quel che sono a Firenze i medici, se gli speziali vi son
così fatti.”. Figlio di Carlo, un agiato mercante di vini originario di
Peretola e trasferitosi a Firenze col fratello, nacque in San Paolo. Esercita per tutta la vita il mestiere di
calzolaio e studia filosofia da amateur – cf. Grice, “Gioccatore di cricket
amateur e filosofo profesionale” -- Discepolo di Francini, Verini, 3 Ficino e
poeta di ispirazione savonaroliana, e vicino alla filosofia piagnona, participa,
anche se in disparte, alle riunioni dell'Accademia, agli Orti Oricellari.
Fedele a Cosimo I, ricopre cariche pubbliche di scarso rilievo, dapprima in
qualità di magistrato delle arti, poi come membro del collegio dei dodici
Buonomini, organo consuntivo del governo mediceo. Membro degli Umidi. Ne
approva la trasformazione in Accademia Fiorentina l'anno successivo e ne fu
console. Ivi tenne la sua prima lezione, commentando un passo sulla lingua di
Adamo, tratto dal canto XXVI del Paradiso di Dante. Tenne saltuariamente
lezioni su Dante e Petrarca. Le sue opere più famose sono I capricci del
bottaio, ragionamenti fra un bottaio e la propria anima (inserito nel primo
indice dei libri proibiti) e La Circe, un dialogo fra Ulisse e i propri
compagni trasformati in animali. Tra le tesi sostenute nelle sue opere vi sono
quelle della discendenza diretta da Noè dei fondatori di Firenze, dovuta
probabilmente all'influenza sul Gelli degli “Antiquitatum variarum volumina
XVII”; un falso confezionato da Annio da Viterbo, e quella della superiorità
della lingua fiorentina sulle altre. ---
nominato da Cosimo I lettore ordinario della Commedia presso l'Accademia e
recita nove letture dantesche, pubblicate con cadenza annuale, che ebbero
grande influenza sugli interpreti di Dante durante tutto il Cinquecento fiorentino.
Altre opere: “L'apparato et feste nelle nozze dello Illustrissimo Signor Duca
di Firenze et della Duchessa sua Consorte”; “Egloga per il felicissimo giorno 9
di gennaio nel quale lo Eccellentissimo Signor Cosimo fu fatto Duca di
Firenze”; “La sporta” “Dell'origine di Firenze”; “I capricci del bottaio”; “La
Circe”; “Ragionamento sopra la difficultà di mettere in regole la nostra
lingua”; “Lo errore”; “Polifila”; “Lezioni pubblicate”; “Il Gello sopra un
luogo di Dante, nel XVI canto del Purgatorio della creazione dell'anima
rationale”; “La prima lettione di Gelli fatta da lui l'anno, sopra un luogo di
Dante nel XXVI capitol del Paradiso”; “Il Gello sopra un sonetto di M. Franc.
Petrarca”; “Il Gello sopra que'due Sonetti del Petrarcha che Lodano il ritratto
Della Sua M. Laura” “Il Gello sopra ‘Donna mi viene spesso nella mente’ di M.
F. Petrarca, Tutte le lettioni di Gelli, fatte da lui nell'Accademia
Fiorentina, Letture sopra la Commedia di Dante, Delmo Maestri, Opere di Giovan
Battista Gelli, POMBA, Claudio Mutini, I dialoghi morali di Giambattista Gelli
in "Storia generale della letteratura italiana V", Federico Motta
Editore, Delmo Maestri, op. cit. Claudio
Mutini, op. cit. Giovan Battista Gelli,
Dialoghi, Scrittori d'Italia 240, Bari, Laterza, F. Reina, Delle opere di G. B.
Gelli, Società tipografica de' classici italiani, B. Gamba,, G. B. Gelli, La
Circe, Venezia, Tip. d'Alvisopoli, G. B. Gelli, La Circe e i Capricci del
Bottaio (Milano, Silvestri); A. Gelli, Opere di G. B. Gelli, Firenze, Le
Monnier, C. Negroni, “Lezioni petrarchesche” (Bologna, Romagnoli); C. Negroni,
Letture edite e inedite di sopra la Commedia di Dante, Firenze, Bocca, A. Fabre,
La Circe di G. B. Gelli, Torino, Tip. Salesiana, M. Barbi, “Trattatello
dell'origine di Firenze” di Giambattista Gelli (nozze Gigliotti-Michelagnoli),
Firenze, Tip. Carnesecchi, A. Ugolini, Le opere di Giambattista Gelli, Pisa,
Tip. Mariotti, C. Bonardi, Giovan Battista Gelli e le sue opere, Città di
Castello, Tip. Lapi, A. Ugolini, G. B. Gelli, Scritti scelti, Milano, Vallardi,
U. Fresco, G. Battista Gelli. I Capricci del Bottaio, Udine, Tip. Del Bianco. M.
Bontempelli, G. B. Gelli. La Circe e i Capricci del Bottaio, Istituto
editoriale italiano, I. Sanesi,Opere di G. B. Gelli (Torino, POMBA, R. Tissoni,
G. B. Gelli, Dialoghi, Bari, Laterza, A.
Corona Alesina, G. B. Gelli, Opere, Napoli, Fulvio Rossi, Bonora, “Retorica e
invenzione” (Milano, Rizzoli); A. Montù, “Gelliana”. Dizionario biografico
degli italiani. cheesserescaciato,& fuggitodaogni Àno,comesifarebbe
una fiera.A. tuparli come unfilosofoGiusto;chel'inuidiaèquela,laqualepiu
chealtracosaguastailconfortiohumano;& tanto
peggioriefetiproducequantoelaèinhuomini p i u ingeniosi p i u ualenti, m a
eglie di giaaltoilsole,ionochetutilieui, pieno. . > 0 wadi à letue
faccende , con un'altrauoltara gioneremodi questopius
ellamipare?sie.Orgliètroppoinnanzi giornoà
leuarsi,questifratiminorihannoquesto costume,disonarsempreilmattutinoinsulamez
sarameglioleuarji,machefaroiopoi,egli ètantodiquiàleuatadisole,chemirincrefcera,
ma iopotreiuedere,fel'animamiauolesseparlar
meco.Anchoracheiocomincioadubitare,chefe joseguito,elanonmifacciimpazzare,&
non èdafarsebeffe,perchesecondome,tutiqueiche impazzano,impazzan'nel'anima,
nelcorpo, etcosifaràforsequestamiaàmeseiolecredocosi ognicosa.Eccoelam'hacominciatoàdire,chesi
puoesseresauioe dottosenzasaperelinguagrea
carolarinascheènnacosaches'ioladiceßifraque
stidotimoderni,iosareiucelatopropriocomeun. gufo, iopermenonhomaisentitodire,cheesipos
faeferefanioinwolgare,mapazzofibenesetnon
75 Y. > 4 1 OVELLA lasquiladisantaCroceco E una
dimostrationegrandißimad'undisagio nonpicolo,esaràdunquebeneraddormentarsi unpocobenecheiltempochesidorme,ècomeper
duto,anzièpocomeno,chesel'huomofufemorto, Operò S 那 0 an zanottechel'hucmoéapuntoinJulbuondeldors
mire;bencheàlorocheneuannoàletocomeipol tidae'pocanoia,
nientedimanconell'uniuersa lefar . i fi
n'homainedutohuomoalcunochenefiaftatofat tostimagrande,senonsaqualcosaingrammatica;
ficheiononleuòcosicredere,maiopotreiforseno
l'hauereintesabene,e'faradunquemegliouedere
seelauoleseragionarealquantomeco,& potrò
dimandarnela,Animamia,òanimamiacara,uo gliãnoifauelar'ancshotamaneunpocoinsieme
A. DigratiaGiusto,cheiononhopiacerealcuno
maggiordiquestoperchementrecheiomiftòraç
coltainmemedesimaàparlareteco,ionounengo astareoccupatainqueiconcettinili,&
bası,che tuhailamaggiorpartedel tempo;nemancot’hoa
ministrarespiritietforze,finarequeituoizoccoli,
etqueituoibariglioncin.iG.Iononmimarauiglio
puntodicotesto,cheiolauoroanchoraiomalsolen
tieri;anzinonfocosachemisiapiugraue,ale i
nonchemelofafarelamaledettfaorzy,iononda reimaicolpo.A.
Erchevoreftitu?startisempre, Guruerotiosamente?G. No, maioconsumereial
tempoinqualcosa, chemidiletafsejdoueilavorare mied'affannoetdifatica. A.
Opensaqueloche eglièàmè,essendomoltopiucontroalanatura
mia,chealatua.G.Iononsòcotefto,coueggoche
Idiodapocihel'huomohebbepecato,uoledodar glipartedelapenitentia,cosi > comeeglihaueuada.
toaladonnailpartorircondolore;glidiffestuman
geraiilpanedelsudoredelupleotuojdandogliilla let
pocoapoconelopinionemia.Otutimarauigliaui,
quandoiotidicenaľaltrogiorno,cheeglieraprufa
tica,àunhuomfoareunpaiodizoccoli,che AiAhahuediuedi,chetuuienià
vorareperlapiugraue,& piufaticosacosachpeo To tessedargli studia *
remezoAristotile,eccolaragione;tul'hardetta da uuere. A.Eglièiluero,mailfato la
stacontentarsidiquelocheènecessariosolamente n o n
cercareilsuperfluo,cheèquello,chereca cada millepensieridifutiliàl'huomo,&
lotienesempre occupatointerra,neglilasciamaialzarelafacia
ra,acontentarsidelpoco;perchechifacosiguruecon *
pochipensieri,etèlietoilpiudeltempo
uatoinme,quãtomisiastatoutileilcontentarmidi o
quelocheioho,accomodădolauogliaalafortuna, be
etseiohauesiuolutouiuer,òueftirmeglio,e'miera a
forza,òfarqualcosadishonesta,òandarastarecon me altri.A.
Malperigranmaestri,Giufto,feglihuo 2.1 il gode al 1 da
teàtesperchelostudiareenaturale,Qvé pro Pas
priodel'huomo,gloinuiaalaperfetionesua,& bra
'illauoraregliè'unapenitentia.G. E bisognapur ancohauer
alcielo;dondeusciprimieramentel'animasua,eo -
doueeladesideradiritornar';&fappiGiustoche ilmaggiorbene,&
lapiuutilcosachesipossafaro * agl'huominiinquestauita,è'auezargliabuon'ho
pernondir o sempre, G. Iolocredocertamentepercheiohopro minifußindicotestauogliatuti,chebisognarebbe
> pochicheglirestano,ul
mendoinferuitisperognipicoloprezzo,laqualeco
Sanonsolsegiafarequelsapientißimofilosofodi Diogene,che cheesiseruissindaloro,perchee'nonsonosenonle
moglieimmoderate,òdelladegnità,òdelpoterben mangiare,&
beresuntuosamenteuestire;che fanno,cheunbuomo,cheragionevolmentepuoui
uereunsessantianni(dequalinedieci,òdodecipri mi,nonconoscequelcheèfifacia;&
delrestone dormelametà)uendeque essendoglidettoda AlessandroM 5
gno,cheeichiedesequellocheuolena,Orchetue
toglisarebbedatorisposecheancorchefußicosi ponero e'nonglimincauacosaalcuna,machesegle
leuaffed'innanzi,percheglitoleusilsole,laqual cosanonerainpotest:suadidargli.
G. Certa mentecheildependeredasestessoe'unacosabellis
fima,etuorrebbesieseramicodesignori,minor
giaseruo,honorandoglioubbidendogliperòfem
pre,comequeglicherēgonointerrailuogodiDio,
etquandounpuruuoleinnalzarsi,debbecercardi farloconlevirtù,&
nonconferuire,pensandonon dimcno,chien ognistato,glihabbiaàmancarjem
prequalcosa.A. Nontidoleradunquedeltuo; &
sappicertamentechenonèstatoalcunoinque
stomondo,douenonsiaqualcheincômodo,&aqual
checosachedispiacciaaltrui.nesipuoritrouareal
cuno,checometuhaidetto,nonglimanchiqual , ز 210
,chetutiglistatidaglıhuominiera noàunmodo;Etdiceuaàciaschedunomancaso
lamenteunacosa,e quelleprimieramentedeside
ra.Verbigratia,unpoucrostropiatodesiderasola
mentediesersano,dapotereguadagnarsilauita,
pernonhauereàireaccatando;chréfano& non
hanulla,hauerdichepoteruiuere;pernonhauerà lauore;chihadicheuiųerecommodamente,has
uer tanto che eipossatenere una caualcatura c u unragazzo,&
chihaquestohauerqualchedigni tà,àmaggioranzasopraglialtri;& dipoessere
Principe,& chiePrincipefinalmente,potereper petuarsiinquelloStato,&
nonhauereàmorire. A. Non'tidolereadunquetu,dihauereàlavorare un
pocosedognunomancaqualcosa. G. Lha sereàlauorareunpocosarebbeunpiacere,mafem
prezcomehoàfareio,chehopocoènulla;e >
cosa. G. Conquestaragioneuoleuagiaprouare unoamicomio 'undi Spetto.A.
Eccochetufaipurancortu,comegli altri, m a dimmi un poco che uorrestitu ? che ti
manch'egle? A. Cinquanta ducatid’ıntrata. &
staremmipoiaffaiacconciamente.A. E quandotuhaueßicotestoanchorpoitimanchereb
bequalchealtracosa,e desiderereftıla,cometu
faihorquestaperchecometuhaidetodatsetesso, inqualsiuogliastato,sihasemprequalcosainanzi
agliocchi,chseidesiderapensandocomel'huomo 79 tha, dhauersiacontentare;nientedimancopoi
quandotul'haitunonticontenti,macomincia.de
siderarneun'altra;ficheprudentementediseun
trattounuostroCittadino,aunocheentrauainun disordinegrandißimopercomperareun
podere', cheglieraaconfino.Tudonerestipensare,chetu haihauercanfini,e
checomperatoquesto,tun'ha raiaconfinoun'altro,delqualetíuerralamedefi 2 ma
uoglia.G.Iocredocertamente,cheinogni statosiadepensieri;mapiue maggioriinuno
cheinun'altro.A.E'nonègiailtuoundiquegli chen'habbiao demaggiori
fidianzifudatoal'huomoperpenitētiadesuoipeç C a t .t A . s i d i q u e g l i c
h e h a n n o l e u o g l i e d i s o r d i nate,& chenon
sicontentanodiquclchesiconuie nealostatoloro,comehauenaAdam ,quandogli duuennequesto,maachisiaccomodailcamminar
patientementeinquellauitacheeglièstatochia mato;nonauuiengiacoli ,G.Comenò,hauen
doioaniveresolamentedellauorare,checom’iodir 2 ,qualpuoeserepuidolce
cosa,cheuiueredellafaticadellesuemaniwediche DauitProfetach'erapurRe,cometusai,chiamò
questifimilibeati,& fappifinalmentequesto,che
quantepiucosefihajatantepiufihahauercura; Brèmoltopiugraue&
faticosoilpensierodigo Hernarelecosesuperflue,cheladolcezzadelpolle derle;&
quantipiuserpiòpiulaworatorisihatan tipin ,cheognibuo mon'haunramo;benfai,cheèl'hamaggioreuno
cheun'altro;Ma ecciquestadifferentiadaifaui,a
imatti;cheifauiloportancoperto,& ipazziin manodifortechelouedeogn’uno.
G.Ehtuuuoi tábaid.A. Stafermo,iotelouoprouareinte
stesso,quanteuoltefetuandatoaspasopercasa,po nendoipiedinelmezodemattoni,&
cercando, conognidiligentiadinon toccareiconuenti? G. Omilleuolte,&
fommipostoàcontareicorenti delpalco,& àfareseialtrecosedabambini.A. o
dimmiunpoco,setuhauesifattocotestecosefuo
riifanciullinontisarebboncorsidietro,comefan noàipazzi? G.
Permiafe,chetudiiluero;car non uòpiu negare dinonhauere ilmio capriccio
anch'io;anzitengohoraperuerißimoquelprouen bio,cheiohopiuvoltesentitodire,che و
+ > tiprunimicisiha,comebendiceuaquelPhilosofo, Mi
lasciamoandarequestiragionamenti,e'mipa rechenoin'habbiamoparlatoàbastanza,Tornia
mounpocoàqueglidihiermattina,chenoilasciam 2
momperfetti;perälchetudubitauidianzi,chese
tumicredesi,ionontifaceßitenerepazzo;come
seancortunon'hanesilatuaparte,comeglialtri. G.
Otoquest'altrafeelatipiace;cheuorraitu dire,cheognounosiapazzo?A. Pazzono; M a
che ogn'uno n e sentasi. G . O questo è quafi quelmedesimo. A. SappiGiusto .0
selapazzia F A. lotiuodireancorapiula,chetutrouueraipo
chihuomınıalmodochehabbinolasciatofama,che setuconsideribenelauitaloro,nonhabbinoqual
cheuoltaportatoilramoloroscoperto,maperche
ceglieriuscitolorobenfato,nesonostatilodat,ima
iononuòchenoifauelliamopiudiquesto,torniamo
alragionamentonostro,dimmiunpocodondehar tusaputo,chenonsaigrammaticaa
nonhaistu; diato,cheilauorarefuffedatodaIddio .G.Siquantoàleparole;maapenetrar
poibeneisensibilognaaltro.A. Eibafta,che
tunonharestidificulànelintendereleparolė;
masolamentenellainteligentiade'fenfi;laqual
cosasel'hannoancorquegli,cheleleggonoingre cooinlatinochetunonticredesiche
dereunalinguayé's’intendinoancututigliAu.
tori,tuttelescientiechesonoinquela,perche
àfarequesto,bisognal'aiutodepreccettori de
fuffeundoloreinognicasasisentirebbestridere.'! ,anostropri
mipadriperpenitentia& paritionedeladisúbi dientialoro? G. O non
losaitu,chelaitanteuol teletomcoquelitBibiacheioho.A. Ocomela intenditu?G.
Perchenonuuoitucheiolainten da?non sartucheel laeinuolgare? A s i sò. G.
Operchemenedomandi?A. Perfarticonfeffa
requelchetuhaidetto,eccodunquecheselescien tic,&
laferiturafacrafußınoinuolgare,tulein tenderesti per inten. 2
you 4 2 gliinterpreti,
anchepors'intendonoconfati cagrande,simileauuerebbemedesimamente,
s'elefußınoinuolgare;maamebastaperhora,
chetuconosca,chenonsonolelingue,chefanno glihyominidoti,malescientie;&
chelelingue s'imparano,peracquistarlesciencie,chesonoin quelle.
G.Etperònonsipuoeglieseredotto senzaintenderelalingualatina,doueelefontut
te,cheuuoituimpararenellanoftra A. Mera 1
cedeRomanicheneletraduffono,selalinguala tinaneèricca;&
colpadeToschani,chenonhan no maifattocontodelaloro,feelaneèpouera: G.
ilfatostà,felacolpaviendzlalingua,che nonsiatantocopiosadiuocaboli,ch'elenon
nifi poßinoscriuere.A. Oefenefadinuouo;e
mettonfiinuso,dimanoinmanosecondoibiso-. gni.G.
oèeglilecitofaredeleparolenuoueina unalingua?A siinquellechenonfonomorte; G dacolorosolamentedichielefonopropri.e
G. Etqualichiamitumorte?A. Quellechenon
siparlanonaturalmenteinluogoalcuno;comeso-, nohoggi,lagreca,e lalatina,e
inquestaàco lorocheniseriuonpoernonesereelalaloronatit
àpropria,nonèlecitofareparoledinuouo. G. O perchenonèegliancorlecitoà
queiforestieri,che lafanno?A. Perchenonelsendoelalornatu rale;nonlefannoinmodo
chel'habingratia, selanaturaproducessetuttelesuecoseper
fette,nonbisognerebbel'arte,& fel’artepotese farle perfettedasestessa non
bisognarebbe lana tura,machebisognapiu,non ,e gliHebrei
dagliEgitti,nonhaitumarsentitochee'nosipuo
direcosialcunachenonsiastatadettaprimamai Romani,chieranoaltrihuomini,&
d'altrogiudi cio,chenonsonohoggiiToscan,amandopiuleca Ponmente alcuneche n'hannofattecertimoderni
nellanostra,comemedesimitàgioucuolezza,mar, cigione&
fimili.G.Tugiudichiadunqueche nonsarebbeerrorefarnenellanostrae?A. Non
dechilaparlanaturalmente,anzisarebbecosalo-,
deuole.Dimmiunpoco,credituchelalinguagre ca,òlalatina,fusincosiperfete&
copiosediuoce. bolidaprincipio,comeelefurnopoinelcolmoloro, &
quandofiorirnoinlorotantipregiatiscrittori? G 'Noncredere.io. A.
Sianecerto,perchee nonsiritrouacosaalcuna 2 fra queste chesonoeserci
tatedanoi;chesiastatenelprincipio,òprodotta perfettadilanatura,òritrouatada
l'arte;perche sequestosipotesefare,l'unadilorofarebbeinus no;che
fecionoancordelepa rolenuoueCicerone Boetioseeuolseromettere.
nellalinguaRominalecosediPhilosofia,& diLo gica?G.
Chelecauoronodaaltrenationi? A. Bensaichesi. G. Etdachi?A. DaiGreci,
EriGrecilhebbenodaglıHebrei OPINTO 85
feloroproprie(comeègiustoragioneuole)che
Paltrui,studiauansolamentelelingueesterne,per Canarne,seuieranulladibuono,
arrichirnelai loro. G. Inueritàcheinquestomiparecheefuf finomoltodalodare.
A.Ricercaunpocobene tuttelecoseanticheconuedraichesitrouapochis fimiRomaniche
.G.Inquestomeritonoeglinoalquantod'ef ferescusatinonessendocome
tudiquellalalingua loro.A. Anzimeritonod'essereripresidoppia
mente,nontiricordaeglihaucrmaisentitodire cheM. Catoneleggendocerte
cosescritedaA l binoRomanoinlinguagreca,t&rouādonelprin
cipiochesiscusauadelnonhauerlescriteconquel
laeleganzachedoueua,dicendocheeracittadin. RomanoOrnatoinItalia,e
moltoalienodalla linguagreca;non , o lofare.G.Veramentechequestesonoragions
tantouerecheiopermenonsapreicontradirti. i A. VediquantoiRomanicercauanodinobilita
relalingualoro,chee'nonistımauanomancolar
recareinquelaqualchebelaopera,chesotopore, scriuesjeingreco,comfeannoque
fliToscaniinlatino,chenonèlalingualoro.perche
faccinoquantoeifannoeinonfiuedemaineiloro scrittiquelcandore,ne
quelostilechee'neilatini proprii 2 . solamentenonloscusò;masene
vise,dicendoherAlbino,tuhaiuolutopiurostoha
wereàchiedereperdonod'unoerrorefato,cheno > 3 coloroiqua
lihaueuasottopošoconlaforzaqualcheCità,è qualcheprouinciaàl'imperioRomano.G.
Oani mieapensieriueramentesanti,& paroledegne
d'unCittadinRomano,perchel'ufitiouerode Cnta
dinièsempreinqualunchemodosipuogiouareàla
patriaalaqualenoinonsiamomancoobligati,che, apadrıQ àlemadrinostre. A.
Etperquesto èhoogiinpregiotantolalingualoro,cheritrouan dosiinquellabuonapartedelescientie,chiuuole,
acquistarle,bisognaprimacheimparı;quelladoue,
seinostriToscanitraduceßinomedesimamětequel
lenellanostra,chidesiderad'imparare,non hareb,
beaconsumarequattroòseideprimisuoimigliori anniinimparareunalinguaperpoterpoicolmez:
zodiquellapassarealescientie,oltradiquestolefi imparcrebbonopiufacilmente
conmaggiorfis curta,perchetuhaiàsaperequestocheenons'im
paramaiunalinguaesterna,inmodocheelasi plega bene,comelasuapropria,&
fimlmente
al'imperiolovoqualcheCità,òqualcheRegns,
chequestosiailnero,leggafiilproemiochefaBoe
tionellasuatradurrionedepredicamentideAria,
Storiledouee'dicecheessendohuomoconsulare,et n o n atto à la guerra
,cercherebbe di instruire i fuor Cittadiniconladottria; chenonfperaudmeri
faremanco,neejeremenoutileàquegli,insegnan dolorol'aridelagrecafapientia,che 2
e 2 non siparlamaitantosicuramente,necontantai facilità,a
setunonmicredi,pontrenteaquesti. chetuconosci,chedannooperaàlalingua.latina,
chequandoe’uoglionoparlareinquellaèparpro-, priocheeglihabbinoàaccattareleparole,contan->
tadificultà,etantoadagiofauel'ano.G. Tudi;
ilnero,maquestodeRomanifucertamenteunmo)
dobelissimo,àtradurenellalingualoro,dimolte
cosebele;acciochechedesiderauaintenderlefuf seforzatoàimpararla,
cosielaueniseàfpar-, gersipertutoilmondo.A. Enonfecionsola
mentequesto;mainmentrecheétennonol'impe
riodelmondo,eilafaceuanoancoraimparareàla
maggiorpartedelorosudditiquasiperforza. G. Et comefaceuano?
A.Haueuanofattoperlegge, chequalseuolesseimbasciaderenonpotesseellere
uditoinRomaseeinonparlauaRomano, oltre àquestochetutelecauseche >
perlaqualcosatutiNobilidiqualsiuogliare grone,& tuttigliAuuocati,&
tuttiiProcura forieranoforzatiadimpararla.G. Oiononmi
marauigliopiucheRomadiuentassesigrande,fe. teneuandiquestimodinel'altrecose.
A.Diquelo nonuoloragionarti,perchelecosebellechecausa
noditutoilmondo,nefannochiaratestimoniázs: 11 EMA 3 siagitauanoinqual a
fiuogliapaese,sotoiloroGouernatori,& turtii i
procesisidouessinoscriuereinlinguaRomana; F irü
.nessunochescrineseinEgittio,ne. GrecochescriuefleinHebreo,neLatino(comeio
t'hodeto)chsecriueffeingreco,f& e purecen’e's
nostatisonopochissimi,G.Odondehannocauato
aduncheiToscaniquestausanzadiscriuereingră matica,perdireamodotun A. Daloinordi
natoamorproprio,n o n delapatria,òdellalin gualoro,imperòchecofifacendo,fisonocredutief
Jerestatitenutipiuualenti
àchiunqueleconfidera.G. Ocostume'uerämen
telodeuole,òCittadiniueramenteamatoridellapa trialoro.A.
OquestocostumeGiustononfuso lamentedeRomani;madituttelealtregenti:cer
capurequantotuuoi,chetunontroueraiquasi maiHebreo mequelMedico
cheiobaueuagia?ilqualeperpa rore dotto,mi ordinaua certe ricctte con certinomi
tantodifusati,chemifaceuonmarauigliare,infra lealtreiomi ricordounamattina
chemiordinòno sochericetaperquelapostemationfeaicheroheb bi,doue infral'altrecosene
n’entrauauna,chee' chiamauaRob,un'altraTartaro,e un'altraAl
tea,perlequalimicredettiiochebisognasseman darepereseinquesteIsolenuouega
porlunaera. Sapa; l'altraGrommadebotte,conl'altraMal ud.A.
OtulhaipropriodettoGiusto,concofil mondo,fetuconsideribene,nonèaltro,tutto,che
unaciurma,maferToscaniattendefinoatradur. N . G. Chefannoe',co > 2 2
relefcientienellalorolingua,10nonfodubbioalcu
no,cheinbreuissimotempo,elauerrebbeinmag
giorreputationecheelanonè,percheefiuedeche zao bontà gliauuienesolamenteperlabellez. 2 me elapiacemolto,G ehoggimoltoatesadefide
rata,& questo fuanaturale,laqualcosanonconoscen
doiforestieri,bensepessocoluolerlatropporipulire
laguastano,ondeauuienproprioàlei,comeà unadonnabela,checredendosifarpiubellaconil
lisciarsi,piufiguasta.G. Ocomepuoauueni-. requesto? A.
Dirottelo,mentrecheecerca noperfarlapiuornata difareleclausulesimilia
quelladelalatinaevengonoàguastarequelasua facilità&
ordinenaturale,nelqualeconsistela bellezzadiquella, oltreaquestopiglierannoal
cuneparolenfatequalcheuoltadalBoccaccio,òdal
Petrarca,benchedivado,lequaliquantomancole
trouanousatedaeßi,tantopaionolorpiubele;co
efarebbongouari,altrefi,fouente,adagiare,fouer chio,& fimili,
perchee'nonhannopernatura neiluerosignificato,neiluerofuononell'orecchio, lepongonquasiinogniluogo@bene
spesofuor dipropofito,& cofileuengonoàtorelasuabel lezzanaturale.G.
1odubitochefee'nonglisan noimmitareinaltro,e’nonsipossadirelorocome
disePippodiferBruncllescoàFrancescodela
Luna,cheuolendosiscufared'unoarchitrame,ch'e olihaueuafattosopralaloggiadegl'innocenti,
chelaruvigneinsinointerra,coldirechel'haueua
CauatodeltempiodesanGrouanni,glirispose,tu,
l'haiimitatoappuntonelbrutto.Maselalinguae
diquellaperfettionechetudizdondeuiene,chemot
tidiquestiliteratibiasimantantocoloro,chetra duconoqualcosainquela? A
:Etconcheragio mi? G. Diconchelalinguanonèatta,nedegna
chesitraducainleicosesimil,& chesitoglielo vodiriputatione,&
auxilisconsimolto. A. Tut telelingupeerleragionicheiotidißidianzi,sa n o a t t
e a d e s p r i m e r e i c o n c e t t i, G i b i s o g n i d i c o l o
socheleparlano;& quandopureelefußınoal
trimenti,queichel'usanolefanno,sichenonmial.
legarepiuquestascusa,cheelanonuale.G. O qualcagioneadunchepuoesere,cheglimuonaa
direchelecoseche liscono,
fitraduconoinuolgarefiauui & perdondiriputatione?A. Quellache
iotidissil'altrogiorno,cheeracagioneditantial trimali,malainuidiamaladetta,e
ildesiderio ch'eglihannodeesertenutidapiudeglialtri. : G.
Certamenteiocredochetudicailnero,perche iomiricordocheritrouandomiaquestigiornidoue
eranocertilitterati,& dicendounocheBernardo
SegnihaueuafattouolgarelaRhetoricad Aristo tele,unodilorodise
cheeglihaueuafatoungran male;& domandacodelaragionerispose,perche:
enoistabene,ch'ogniuoloarehabbiaasaperequel lo,che un'altrofiharaguadagnatoinmoltianni
congranfática;supelibrigrec.latini. A.O
paroledisconuenienti.Iononnodirfolamentea u n C h r i s t i a n o ,m a a c h i
u n c h e é h u o m o , s a p e n d o c h e
quantonoisiamoobligatiadamarciascunocagio
uarcl'unàl'altro,etmoltopiual'animachealcon
poalaqualenonsipuofarmaggiorbenechefaci kitargliilmododelointendere.G.
Maftafalda emiricordachediconoun'altracosa.A. Etches
G.Diconochelecosechesitraduconod'unalingua
inun'altra,nonhannomaiquellaforzanequella bellezza,cheelehannonellaloro. A.
Eleron hannoanchequellanellaloro,chel'hannonel’als
tre,percheognilinguahalesueargurie,& lefue. capresterie,
laToscanaforsepiuchel'altre,et chinenuolsedere,leggadoueDāte,òrlPetrarcha
handettoqualcosachel'abiaanchoradetoqual che Poetagreco,òlatino,etuedràchepassaronlor
dimoltevolteinnāzi,etcherarissimifonquelliche Jonrimasti.adietro.G.
Si,maneletradutionifa debbeattēderepiualsensochealeparole.A.1056
chesitraducepercagionedelesciēze,etnõperue.
derlaforzaèlabellezzadellelingue,etse'non gr | fur fecofiiRomani,cheteneuonlalorlinguaperlapru
belladelmodo,nöharebbonotradottolecosediMa goneCartaginese,&
dimoltialtrinelaloro,nei nonlofaperaltro,senonpen
chelecosefueessendoconferuaredallelettere,che non
uengonmenoleuoci,fienointesedatuttoil mondo G. Tugiudicheadunchecheilcondurre
lescientienelanostralinguafiabenee?Ai An
ziaffermochenonsiposafarcosapiautilenepin
lodeuole,perchelamaggiorpartedeglierrorina • sconodal'ignorantia,&
douerebbonoiPrincipiat tenderci,conciòsiachesienocomepadridepopolis
Etalpadrenons'appartienesolamente Grecfimilmente chfeurontantsouperbi,& tan
92 tofiuanaglorianadellaloro,chechiamanontut
tialtrebarbare,quelledegliEgittij;odeCaldei.
Nientedimancoesidebbecercareneltradurre oltreal'eferfideledidirlecosepiuornatamente
chesepuo,eoperòènecesarioaunochetraduce Saperbenel'unalingual'altra,G
dipoipoffe derbenequelecose,òquelescientiechseitraduco
30,perpoterledirebeneGornatamentesecondo
imodidiquellalingua,percheàuolerdirelecose
inunalinguaconimodidel'altre,nonhagratis alcuna,da
sequestofioferuaffe,iltradurenonfaa rebbeforsetantobiasimato- G. E
diconooltredi questochesifacontroal'intentionedel'authore. A. O
comepuoesserequestochesifacontroàl'in tentionedellauthore.A. Ocomepuoessereque
Stosechiunquescriue gouernare ifigliuoli,mainsegnarloro coregerli, seno 2
STŮ VINbyCo. 93 noglionfarquestoditutelecosee'douerebbonals mancofarlodiquele
chesononecessarië 2 e .G.Et qualisonqueste? A. Leleggi,cosilediuineco
melehumane. G. Etcheutilitàarecherebbeque stoaglihumani?A.
Comecheutilita!quantofa rebbonoeglinpiuamatori& piudefenforidele
coseappartenentialaReligioneChristiana?sele
cominciasinoàleggeredaputi,etdimaninma
nofiesercitasinoinquele,comefannogliHebrci;
laqualcosanonsipuofare,nonlehauendobentrở dotteinuolgare,& beneacconcie:G
Nonma rauigliafeglihebreifannotutisiben'parlaredel
lecosedelaleggeloro,òuadinsiàuergognarei
Christiani,cheinsegnonleggeredilorofigliuoli
òinsuleleteredimercantia,òınsucerteleggende
danopoterimpararuisucosanessuna;doueedoue
rebbonolaprimacosainsegnarloroquello,cheap partieneal'esereChristiano,sapendochequeleco
sechesimparanoneprimianni,sonoquele,chesi
ritengonosēprepiuchel'altrenellamemoria.A.
Etoltreaquesto,conquantapiureuerentia, attentionesisarebbeàgliuficidiuini
see's’inten defequelchedicono.G. Certamentechequesto èuero.A. Dimmiconchediuotione,òconcheani
mololodanoglihuominiIddio,nõintendendoquel
chesidicono,tufaipurilfauellaredeleputte,ca
depapagalinonsichiamafauellare;mammita gratiadisam
Girolamochetraduseloroognicosainquellaline
gua;comeueroam.storedellapatriafunt.G. Cene tamenteAnimimia,chequestainaopinionemi
piacemolto.A. Ellatipuòpiacerecheelaé'an choradiPauloApostolo,
chescriveàCorintiche doueuonoancoresidirealcuniloroofitijinhes
breo,com.diroloidiora Amen,sopralabenedition
uostra,seeglinonintendequelchesidice che fruttonecauerae’mu? G. o dachevenne
adun que,chequandoquestecosefuronocanatelaprima
uoltadihebreo,elenonfuronomoffeinvolgare? A.
Percheall'horaperlamescolanzadelemolte
gentiBarbare,cheeranoinqueitempiperlaItas
tia,noncieraaltralinguachelalatina,laqualefuf seintesa,quafipertutto,Guedichee'nonsitrous
fcrituraalcunadiqueitempifenoninquestame
tionedisuonosolamenteperchee'nonintendono
quelcheesidicono(conciosiachefanelareproa
priamentesiaesprimereparole,chefagnifichinoi conceti,quello,cheintendecoluichefanela)
adunqueilnostroleggere,òçantaresalmi,nonin
tendendoquelchenoicidiciamo,èsimileaungrac
chiarediputte,ècinguettaredipapagallinesoia
ritrouarealcunaaltrareligionechelanostra,che
tengaquestimodi,imperòchegliHebreilaudande noiddiainhebreo,i
Greci,ingreco;iLatini; inlatino,conglisciauoniinistiauone, 2 ; . 0.
' 95 . wolgare,cosilesacrecomeleciuili.A. Dala maritiadePreti,
defrati,chenonbastandolos roquellaportionedelledecimechehaueuaordina,
toloroIddioperlegge,àuoleruiuertantofurtuo:
Jamentecomee'fanno,celetengonoafcolecce deuendonoàpoco poco,comesidiceàminuto,
inquelmodo,peròchee'uogliono,spauentandogli
huominiconmillefalfiminacci,iqualinonsuonan
cosinelaleggecomeegliinterpretano',dimas nieracheeglihannocanatodimarioà
pouerises colaripiuchelametadiquel > desima,chseonolecosesacre,maquestobastu,circa
àleleggidiuine.Veniamohoraalehumanefe ele,
fonoquellechehannoàregolareglihuomini,&
secondol'arbitriodellequalisidebbeuiuere,perche
hannoelenoaesereinunalingua,chesiintenda perpochi?IRomanichelefeciono,&
n'ebbonotā tedaGreci,nonlefecionperòinaltralinguache laloro;&
cofisimilmenteLigurgo,Solone,& gli altri,chedettenoleleggiatuttala
Grecia,nonle fecionperòinaltralingua,cheinquelacheusana noipopoliloro.G.O
s’elefonocosinecessarie cometudi,dondeuienėcheelenonsitraduconoin che
eglihaueuano. G. Eh questoèunmalechemiparechesidia nonsolamenteàisacerdoti,ma
aognuno,anzi noncehnomchepensiadaltrofenoninchemodo
&potefjecauareedánaridelescarfeled'altri,e sto 96 metterglinelasua,egliebëuero,cheiPretieFra
ti,egoiNotaichelofannoconleparolesonpiuuse lentideglialtri. A.
Ehimeenosarebbeuenuto lorfatrocosiagevolmente,seglihuominihanesi
nohauutopiucognitione delescrituresacre,
chee’nonhanno.Etlacagionechenonfitraduco no
l'humane,èfimilmentelampietàdimoltidotto rij@
auocati,checiuoglionuenderelecosecommu ni,& perpoterlofarmeglio
,hannotrouatoquesto belghiribizzo,cheicontrattinonsipoßinfarein
uoloare,misolamenteinquelalorobelagramma
tica,chelaintendonpocoeglino,comancoglialtri;
somemurauigliocertamente,cheglihuominihat binmaisopportatotantouna
cosasimile,sotola qualesipuofaremilleinganni. G. Etchee'non
senefaforse,esarebbemoltopiuutile,cheefifaces
finonellanostralingua,perchel'huomointende rebbequelchee'facese,&
cosiitestimoniquello cheeglihannoàtestificare& vorrebbonouederlo
fcriuereal'hora,nòchepigliaßinoinomisolamēte,
etpoilodestēdesinoinsulprotocoloàloropiacimë
to,mettendoàogniparolaunacetera,chesecondo me nonèaltroch'ununcino,dovenon
intendendo quelchefifaccino,bastalorosolamentediresi,ego
nonpensanoaleconditionichespessouisicomprë dono;dondenasconopoimillepiatt.A ,
Etper questomicredoiochelofacino;ondetiuodirque ' G47 totu uuoi.M
a dePreti,ede Fratinon udio gia chetudicamale;perchesecondocheiohointeso
purdaloro,enons'appartieneàisecolari,ilripren dergli ftochenoinon
cipoßiamomancodoleredeSacere dotic,ordegli Auuocati,chesifarebbonoisuddi
tidiqueiPrincipi,cheuolesinucderelorol'acquç GilSole.G. Diquestitilasceròiodire
. A. Eccounadiquelleopinionicheficre
deilmondoessereuera,pernonhauerl'intendimen
todelleleteresacre.Dimmiunpoco,nonsiamonoi tutifigliuolidiDio,e conseguentementefrate.
glidiChristo? G. Sifiamo. A. Etifrategls nonsonoequaliinquantofrategi? G.
Sisono. A AdunqueancoranoicomeChriftianifi gliuolidiDio,fiamoequali,e
àl'unfratelos'ap partieneriprenderel'altro.G. Corestoèuero;ma
eglihannoquelladegnitàdelsacerdoria,cheglifa piudegnidinoi.A.
Oqualpuoesseremaggior dignitàchel'eserefigliuolidiDio;uuoitucheilmi
norlumecuoprailmaggiore?eglièmaggiordegni
tàl'efferChristiano,chel'eferSacerdote,òPrin. 2
cipe,iqualisonoofituidatidaDio,& fannogli huominiministridiDio,tusaipurecheeglièpiues
ferfeigliuolod'unprincipe,cheesseresuominifiro. G. Adunque
iosonodapiucheilPapa.A. Que stonò;cheeglièprimieraměteChristianocometes i n
questonoisiateequali;mapoiperesesreta
toeletoparticularmětedaIddio,persuominiftróz eglivieneaesereinuncertomododapiudite,per
laqualcosatudebbihonorarlo,cometuomaggiorez
manonperquestoperòtièprohibitodipotereriprē
dereglierrorichee'fa,c&ommettecomehuomo, e
comeChristianopurch'efifacia,conquellari
uerentiacheinsegnalacaritaGloamoredelprof fimo,etchequestosiailuero,tunehailoesempioin
PauloApostolo,ilqualedicecheripresePietro,che
erafuomaggiore,percheeglierariprensibile subitoòeglimiraculosamětecadeuamor
to,òeglin'eraportatodaDrauoli farebbedafarlorocomequelsoldato,che
hauendotoltoàunFratelametà dicertopanno,
cheeglihaueuaaccattatoperueftirsi,etminaccian
doloilFratedirichiedergliloildidelGiuditio,gli
tolequelresto;dicendo;poicheiohotantotempoà
pagarlo,iouoglioancorquest'altro .G.
Inueritachequestatuaopinionenonmidispiace, maiononuogiadırlazpercheoltreàl'autoritàegli
hannoancoralaforza,& fannodipoiconl'arme,
ueggiēdochenonuaglionpiulorolescommuniche;
comenellaprimitiuachiesa;chequädoeimaledina nouno,di senonhaueßinoaltrearmi te
che cheleloromala ditioni,e .G.Ehime,che nonpossonoancorfaredeglialtrimiracolich'eifa
Ceuano. A. Benlodises.Thomasod'Aquino
quandoessendoglidettodaPapaInnocētio,cheha .A. Certamen e ' OK
gustatopartequádoe'furapito elterzeÇıelo)dicellechenodesiderauaaltro,che
2 Heuaunmontedidanariinnanzi,& contauagli; TuuediThomaso,laChiesanopuopiudirecomeel
ladiceuaanticamente;Argentum& aurumnon eftmihi,Eglirispose;Ne anchefurge
etambula.G . . Otufaitantecoseanimamia,chetumifaiueramë temarauigliare,&
seimoltopiudotta,etpiuualen te;cheiononcredena;ma dimmiunpoco;comehai
tufatoàsaperlesẽzame;chemihaipurdetto,che
noisiamounacosamedesima,etchementrechetu seiunitamecononpuooperarefenoninme?A.O
Giufto,quesatarebbe cosatroppolungt;10uoglio
chenoiindugiamoaunaltrauolta,cheeglègiadi, tempochetunadialefacendetueG. ohime.
tudiiluero,egliedichiaroaffatto,ohcomepaffa
uiailtempochel'huomononseneauueddequando
sefa,òsiragionadiqualcosachepiaciaaltrui.
V andoio considero taluota meco med RAGIONAMENTO
IH FRA cosmo BÀRTOLI E
GIOYAN BATISTA GELU SOPRA LE
DIFFICOLTÀ DI NEHERE IN REGOLE UL
NOSTRA UNCSVA. 25 J AL
MOLTO REVERENDO MESSER PIERFRANCESCO
6IAHBULLARI amico SUO canssuno
GIOVAN BATISTA GELLI. Da poi
che voi volete pure, messer Pier
Francesco mio onoratissimo, che io vi
racconti il ragionamento stato tra messer
Cosimo Bartoli ^ e me quello stesso
giorno che voi novamente fusto rieletto
nel numero di quegli uomini che
debbono riordinare e ridurre a regola
la nostra lingua fioren- tina; ed, a gli
amici non si può né debbo negare
cosa alcuna che giusta sia, mi sono
risoluto in tutto porlo in iscritto,
ma semplice e puramente come e'
nacque allora in fra noi , e a
guisa pure di dialogo, a cagione che
e la cosa sia meglio intesa, e
si fugga il lungo fastìdio di quella
tanto noiosa re- plica: disse egli, e
risposi io. E perchè voi sapete come
noi altri la occasione in su che
egli è nato, senza replìcarvela ora
altrimenti, dico solamente che usciti de
la Accademia accompagnando messer Cosimo a
casa sua, sopraggiuntovi da la sera,
e desiderando fuggire quella crudezza de
Farla che comunemente apporta la notte,
passammo in casa, e appressò ne lo
scrittojo. Dove ragionando di varie cose,
e eadendo, non so in che modo,
in su quello che si erd il di
fatto ne l'Accademia, voltatosi messer
Cosimo a me, riguarda- tomi alquanto,
cominciò sorridendo a dirmi cosi :
BariolL Io ho bene assai chiaramente
conosciuto oggi, GeUo mio caro, esser
sommamente vero quanto disse il '
Cosimo Bartoli, contemporaneo del Gelli ,
fu uomo di molta dottrina e di
molta fama a' suoi tempi. Fu ambasciatore
per Cosimo I alla Repubblica di
Venena. 1a c^ere die lasciò son degne
di escer tenute, pia che non si
fa, in pregio. 292 mAGIONAMBNTO
INTORNO ALLA UNGOA. diyinìssimo nostro
Dante in persona di Adamo nel XKYI
del Paradiso: Che nullo effetto mai
razionabile, Per lo piacere uman , cbe
rinovella Seguendo il cielo, fu sempre
durabile. Gonciossiach' io ho veduto
dispiacerti oggi si fattamente ciò che
Fanno passato tanto ti piacque, che
con ogni tao stu- dio e ingegno hai
pur fatto quasi che forza di non
esser di nuovo eletto in quel piccol
numero e scelto, che debbo ordinare e
formare le regole di questa lingua ;
non per vie- tare o tórre ad alcuno
la libertà e la facoltà di parlare
e di scrivere a senno suo, ma
solo perchè, essendoci alcuni Accademici
assai differenti ne la pronunzia e ne
la seri tia- ra , chi vorrà pure
apprendere la vera e natia lingua
fioren- tina, abbia almanco dove ricorrere
a vedere il modo e la forma de
V una e de V altra cosa
comunemente iisata in Fi- renze. Il che
nascendo pur da sincerità di mente e
da de- sio di giovare altrui, non può
essere giustamente se non lo- dato. E
perchè le «ose degne di loda si
debbon sempre far volentieri, non so
io veder la cagione che ti abbia
fatto cosi fuggire una impresa tanto
onorata. Ricordandomi^ averti sentito più
volte dire, che tu porti si grande
amore a questo nostro parlare, il
quale, quando egli è favellato puro e
senza mescuglio di forestiero ne la
nostra pronunzia propria, ti pare si
bello, che tu non puoi in maniera
alcuna credere o ima- ginarti che e'
fusse più beilo udire o Cesare o
Cicerone o qoal altro Romano si sia ,
che alcuni di veri e nobili citta-
dini di Firenze, i quali per la loro
grandezza abbino avuto il più del
tempo a trattare di cose gravi , e
a mescolarsi poco col volgo, che ha
lingua molto più bassa e parole tìIì
e plebee : dove, per V opposi to,
costoro hanno parole scelte e fa- cili,
che oltre a la naturale dolcezza, di
questa lingua, ap- portano un certo che
di grandezza e di nobiltà ; e
massima- mente quando essi parlatori hanno
atteso a le lettere, eser- citandosi ne
gli studj, come ne' tempi de la
tua fanciallezza * Qnesto periodo
soTercfaiamente lungo è guasto andie per
questo gerundio ; invece del quale
dicendosi ricordami, tornerebbe meglio.
BÀ6I0NÀÌIB1IT0 INTOBNO ALLA UNtìUA. 293
erano Bernardo Bucellai, Francesco da
Biacceto, Giovanni Canacci, Giovanni Corsi, Piero
Martelli, Francesco Vettori e altri
litterati che allora si raganavanoaTorto
de'Rncellai, doye to, quando ponevi tal
volta penetrare io maniera alca- na,
stavi con quella reverenza e attenzione
a udirli parlare tra loro, che si
ricerca proprio a gli oracoli, E di
più mi ricorda ancora averti sentito
dire che andavi si volentieri, quando ci
venivano ambasciadori, a udirli fare V
orazioni, essendo in qoe' tempi usanza
che parlassino la prima volta
pubblicamente. Di che sopra modo ti
dilettavi, si per la dif- ferenzia che
tu senlivi tra le lingue loro e
la nostra, e si per udire la
maniera de le risposte che si
facevano o per il Gonfaloniere che fu
un tempo Piero Sederini, o per il
segre- tario de la Signoria, che era
messer Marcello Virgilio, uo- mo non meno
elegante e facondo ne la nostra
lingua che ne la latina, e non
manco bel parlatore che si fosse Pier
Soderini. Sovviemmi oltre a questo, che
vivendo Ruberto Ac- cia joli e Luigi
Guicciardini, andavi spesso a starti con
lo- ro, dii;endo che, oltra i dotti
ragionamenti, essendo e T uno e r
altro litteratissimi, ti pigliavi si gran
piacere de lo udir- gli favellare,
parendoti che e' si fusse cosi ben
conservata in loro la grandezza e la
bellezza di questa lingua. De la qual
cosa lodi ancor oggi Jacopo Nardi per
le lettere che e' ti scrive ; e
messer Francesco Vinta, agente ora de
lo illustrissi- mo ed eccellentissimo Duca
nostro appresso la eccellenzia del signor
don Ferrante Gonzaga , parendoti ( secondo
che tu affermi) che egli, ancora che
Volterrano, scriva in quella pura e
sincera lingua fiorentina che tu hai
sempre tanto pregiata. Queste cose, Gello
mìo caro, per parermi tutte, con- trarie a
quanto oggi ti ho visto fare, mi
inducono a maravi- gliarmi si grandemente di
questa tua mutazione, che, se non eh'
io considero che tu sei uomo, cioè
variabile e mutabile come è la natura
di tutti, io non saprei quello che
avessi a dirmi di te, se non
(parlandoti piacevolmente e liberamente, come
noi sogliam fare insieme) che tu
medesimo non sai ancora quello che tu
ti voglia. Gelli. Messer Cosimo mio
carissimo, voi mi siete venuto a
dosso improvisamente col principio d' una
orazione tanto 25» 294 KAGtOHAHUITO
IMTOKIIO ALL4 UK«UA. consideraia e
cosi bene affortificata da tante praoTe,
ehe io non 80 qoasi donde avenni
a pigliare il Inogo o la via da
poter rispondere. Tattavotta, concedendoTÌ quello
che è da concedere, cioè che io
sono umuo, la natora de' quali non
è fidamente yariabile e matahile, come
yoi diceste, ma e tanto sottoposta e
atta ad errare, come voi forse
voleste dire e per modestia non lo
diceste, che, si come canta la santa
Chiesa, ogni nomo è mendace e pieno
di errori ; e negan- dovi, per
Topposito, ciò che è da negare, cioè
che tale mala- mente sia nato in me
dal non sapere io medesimo quello che
io mi voglio, vi rispondo, per
isgannarvi, che se mai approvai per
vero quel detto che Umvìo dMe mnUar
proposito^ lo ap- provo ora e tengo
verissimo; poiché, eletto io ancora lo
anno passato (come voi dite) a dare
regola a questa lingua, co- minciai a
considerare la cosa miAio più
diligentemente che io non aveva fotte
sino a qnell' era. Bartoli. Egli
è il vero che questo detto è
molto spesso in bocca a quegli uomini
che pare che abbino qualche qua- lità più
de gli altrL Nientedimanco, se e' si
considera bene il significato di questo
nome Sapiente, non pare a me che
e' si debbia cosi approvare questo
motte come tu di'. Perchè, non
volendo dire altro lo esser savio,
che le avere una vera scienzia e
certissima cognizione de le cose, a
chi è savio, perchè egli ha di
già conosciate il vero essere di
quelle, non accade mutar proposito. Perchè
il mutarsi conviene so- lamente a colui
che senza aver conosciuto 0 vero,
rùsolutosi troppo tosto, vede poi
finalmente, o per sé e per T altrui
am- maestramento, di avere errato ; e
non volendo mantenersi nel preso errore,
è costretto a mutar proposito. OeìU.
Voi dite il vero. Ma il conoscere
perfettamente la verità de le cose
non è si agevole, come voi forse
vi imagi- nate : anzi, per il
contrario, è tanto difficfle, che alcuni
filo- sofi usaron dire che di ciò che
dicevan gli uomini non era vera cosa
alcuna ; ma che quello che e'
chiamavano vero, era quel che pareva
loro. De la quale opinione non è
però da curarsi molto ; si perchè
e' si leverebbon via tutte le
scienzie ; e si ancora per averla
e dottamente e argutamente riprovata e
annullata Aristotile col dire che non
essendo vera BAGIONÀMBNTO INTORNO ALLA
LIN«OA. 295 cosa alcuna, veniva
ancora similmente a non esser vero
qael che dicevano eglino. Sì che, se
bene si paò chiamare solamente savio
chi conosce le cose secondo il vero
esser loro, e' non è però inconveniente
che a questi tali ancora bisogni a
le volte mutare proposito, se non per
il non aver conosciuto la verità, per
la occasione almanco de' tempi: i quali
continovamente vanno si variando tutte le
cose, che assai manifestamente si vede
esser tal volta bene il fare uno
effetto in un tempo, che in un
altro non è ben farlo. Benché questa
non è propriamente la causa per la
quale io ho mu- tato proposito ; ma
solamente lo aver considerata la cosa
molto più che io non. ave va
prima, e lo averla discorsa fra me
medesimo molto più diligentemente che in
sino al- lora. Bariolù E con
quali ragioni ? Perché io so molto
bene che il discorrere non è altro
che una esamina che fa sopra le
cose quella nostra parte superiore , da
ia quale noi acqui- stiamo il nome di
animali ragionevoli , considerando non meno
ciò che fa per una parte, che
tutto quel eh' appartiene a V altra.
GeUù Le ragioni e le diflicultà
che non solo mi hanno fatto levar
via V animo da questa impresa , ma
ancora giu- dicarla quasi impossìbile, sono
e molte e molto potenti; e quanto
più vi pensava intorno, più mi se
ne offerivano sem- pre a la mente de
V altre nuove. Di maniera che io
posso dire, che e' sia avvenuto
propriamente a me in questa cosa,
come avviene a chi vede da lontano
una torre o altra cosa simile ; che
quanto egli la riguarda più di
discosto, tanto gli pare minore e più
bassa; e dipoi, appressandosele, quanto più
la guarda da presso, tanto gli
apparisce continovamente maggiore e più
alta. Cosi ancora io, mentre che io
stava lontano al mettere in atto
questa formazione de le regole, me la
imaginava piccola cosa ; ma quando
poi tentammo porla ad effetto, quanto
più la considerai, tanto più mi parve
difficile. Imperocché, dovendo principalmente esser
questa opera d'una Accademia Fiorentina, mi
si appresentava subito a l' animo, che
e' bisognava che ella fusse con tanta
arte e con tal dottrina, che gli
uomini non avessino a dispreizarla.
! 296 BAQIORAUSNTO INTORNO ALLA
LINGUA. e ridendosi di noi e
di quella, dire con Orazio in nostra
ver- gogna: Parturient tnontes; nascetur
ridieuhu mtu. Sovveniyami dipoi, che
questo nome di Accademia era per
generare ne gli animi de le persone
una espettazione tanto grande, che e'
sarebbe al tutto impossibile il corrispon-
derle: laonde, ove egli è consueto
non solamente scusare gli errori che
qualche volta si riconoscono ne le
composizioni de' privati, ma difendergli
arditamente, affermando che chiunque opera
merita di esser lodato, in questa nostra
im- presa comune avverrebbe tutto V
opposito. Perchè i fore- stieri, che ci
vogliono esser maestri, per far vero
il detto del vulgo che t più
dotti manco sanno, si porrebbono con
ogni industria a cercar di attaccar
lo uncino ; e gli errori, ancora
che minimi, chiamerebbono sempre gravissimi.
E il farla in ogni sua parte
con tanta considerazione, che alcune cose
non potessino esser chiamate da molti
errori, credo che sia al tutto
impossibile. Bartoli, O questo perchè?
Getti. Per la diversità de' nomi
e de le pronunzie che si traevano
per le città di Toscana ; ciascuna
de le quali pre- giando più le sue
cose che quelle d'altri, stimerebbe e ter-
rebbe errore quello che in Firenze sarebbe
regola. Ma per meglio esplicarvi ancora
questo capo, mi bisogna comin- ciarmi da
un altro principio. Ditemi chi fa l'
una l' altra; o le regole le lingue ,
o le lingue 1q regole?. Bartoli.
£ chi non sa che le lingue
fanno le regole, es- sendo quelle innanzi
che queste; e non essendo fondate queste
m altro, né avendo altra pruova che
le confermi, se non r autorità di
esse lingue? GeUL E da questo,
essendo egli come egli è vero, nasce
che e' non si può far regola
alcuna che sia veramente rego- la non solo
a la lingua toscana, ma ancora a
la fiorentina: e uditene la ragione.
Tutte le lingue del mondo sono, come
voi vi sapete, o variabili o
invariabili. Le invariabili sono quelle che
non si mutarono mai, per tempo o cagione
alcuna, ma da quel di che elle
ebbero principio, insino a BAGIOMÀMEMTO
INTOBMO ALLA LINGUA. 297
che elle furono al mondo, sì
favellarono sempre in qoel me- desimo modo:
come è quella che gli Ebrei stessi
chiamano sacra, cioè quella de la
Bib))ia, la quale dal suo nascimento
sino al di d' oggi si è conservata
sempre la medesima ap- punto. E se
bene Esdra, loro sacerdote, dopo la
servitù ba- bilonica vi aggiunse punti ed
accenti per farla più agevole a
leggere, non mutò egli per questo né
lo idioma né la pro- nunzia; laonde
la mede<iima lingua favellano ogfl^i
tutti gli Ebrei, in qualunche parte
del mondo e' si truovino, che fa- vellarono
i loro scrittori, e particularmente Mosè,
il quale è il più antico che
elli abbino. La qual cosa è veramente
maravigliosa : perché, non si mutando
quasi le lingue per altro che per
mescolarsi que'cbe le parlano con genti
d'al- tro idioma, quale è quella che
dovesse essere più alterata e più
variata che la ebrea? Gonciossiachè i
Giudei, dopo la cacciata loro di
Jerusalem, sono già MGGGG anni, senza
regno, senza patria e senza luogo
dove fermarsi, sieno andati continovamente
errando sino agli estremi fini della
terra, e mescolandosi, a guisa di
peregrini, con tutte le generazio- ni che
il sol vede sotto il suo cielo.
E nientedimanco quella lor lingua é
per tutto quella medesima. Bartolù Ger
lamento che ella è cosa fuori di
natura, e che non può attribuirsi se
non a Dio. Il quale, avendo dato
la legge in quella, e fattovi
scrivere tutte le cose sacre e divine,
ha voluto, per indubitata testimonianza de
la santis- sima fede nostra, che ella
duri incorrotta sempre. GeUi, Di
queste dunque si fatte lingue non
occorre che noi parliamo, essendo
manifestissimo a ciascheduno, che elle
possono agevolmente ridursi a regole, o
pigliandole da gli scrittori o prendendole
pure da V uso, perchè è tutt'
uno. Ma le lingue che io chiamai
variabili non si favellano sem- pre in
un modo ; anzi vanno variando e
mutandosi di tempo in tempo, quando
in peggii^ e quando in meglio,
secondo gli accidenti che accaggiono in
quelle provincie a chi elle sono e
private e proprie, é secondo che e'
vi vengono ad abitare genti d' un'
altra lingua : come avvenne, verbigrazia,
in Italia, ne la venuta dei Gotti
e Vandali, a la lingua lati- na. E
queste tali, od elle sono morte, cioè
mancate, e non si 298 hagionambnto
intorno alla lingoa; parlano più in
laogo alcuno, ma si truovono solamente
su pe' libri de gli scrittori; od
elle sono vive, e si parlano an- cora
e usano in qualche paese, come è,
verbigrazia, a Firenze la lingua nostra.
Di queste ultime due maniere tengo io
per cosa certa che le morte si
possine agevolmente mettere in regola; ma
de le vive, che e' non sia solamente
difiQcile il farvi regola alcuna perfetta
e vera , ma che e' sia quasi al
tutto impossibile. Bartoli. £ per che
cagione? Gellù Dirowelo. Né voi né
altro mai di sano intelletto mi
negherà che, avendo a farsi regole d'
una lingua, e' non si deU)a pigliarle
da lei, quando ella fu favellata
meglio che in alcuno altro tempo;
essendo cosa pur ragionevole, quando si
hanno a pigliare per regola le
operazioni d'una cosa, pigliarle quando
ella opera meglio; il che le avviene
quando ella è nel suo perfetto
essere. E chi sarebbe mai quello, se
non forse qualche stolto, che avendo
a pigliare per esemplo le operazioni d'
un uomo, pigliasse quelle che e' fa
ne la puerizia, quando i sensi suoi
interiori, per essere di troppa umidità
ripieni quelli organi ne' quali e'
fanno lo ufizio loro, non potendo
porgere a lo intelletto la facultà
che a per- fettamente operare gli è
necessaria, non ha esso uomo libero V
uso de la ragione, e vive più
tosto secondo la natu- ra, che secondo
la mente sua? o veramente le azioni
che egli fa in quella parte de
la vecchiezza, ne la quale i sangui,
per il mancamento del caldo e de
V umido naturali, raffred- dati e diseccati
più del dovere, non somministrano a' me-
desimi sensi gli spiriti atti ed accomodati
a le loro opera- zioni? Ninno certamente,
mi penso ; ma sì bene quelle
che egli fa ne la sua età
migliore : la quale indubitatamente sarà
nel mezzo e nel colmo de la sua
vita; come poeticamente lo mostra il
divinissimo nostro Dante, dicendo essersi
accorto, che la vita nostra era una
oscurissima selva di ignoranzia : Nel
mezzo del cammin di nostra vita ec.
Bartoli. Bella certo e dottissima
considerazione. Ma sta saldo, Gello; e
prima che tu proceda più oltre,
dimmi: come si potrà egli trovar già
mai, parlando, come e' pare che la
BAGIONAMBNTO 1NT0BN0 ALLA LINGUA. 299
faccia, propriamente ed esattamente, questo
colmo de la vita e questo essere
più perfetto, ne le cose generabili e
corruttì- bili? Le quali si come misurate
dal tempo, essendo sempre in moto
continolo, non vengono a stare già
mai in uno stato medesimo, se non
in uno instante si indivisibile, che
e' non è possibil segnarlo in maniera
alcuna : per il che viene a
essere- più che impossibile, che e'
vi si troovi dentro fer- mezza.
Gellù Confesso io ancora che questo
è vero , se voi in- tendete per la
fermezza il mancare^d' ogni moto. Ma
questo non è quello che io voglio
inferire. Anzi dico, che in tutte le
cose le quali dopo il principio loro
salgono al sommo e sapremo grado de
la loro perfezione, conviene di necessità
concedere, avanti che elle comincino a
scenderne, un certo spazio di tempo ;
nel quale elle non salghino e non
ìscendi-* no, ma stiano, in quanto ad
essa perfezione, quasi che ferme, e
in uno stato medesimo: essendo di
necessità che in fra due moti
contrari si truovi sempre un po' di
quiete; perchè altrimenti, o non finirebbe
mai l'uno, o non comincerebbe mai l'
altro moto. E questo lo potete voi
chiaramente cono- scere in un sasso tratto
a lo in su ; il quale, poi
che con la sua gravitade ha superato
la forza di quella aria che, fessa
violentemente dal braccio di chi lo
trasse, correndo con grandissima celerità a
richiudersi perchè quel luogo non restì
vóto, continovamente lo pigne in su,
se egli non si fermasse alquanto, non
tornerebbe mai a lo in giù. Goncios-
siachè, non si fermando, egli anderebbe
sempre a lo in su; e andare in
su e tornare in giù in un tempo
medesimo (rispetto a la natura de' contrari,
che non patisce che eglino stiano
insieme in un medesimo tempo, in un
subietto medesimo) non è possibile. Adunque
egli è necessario in tutte le cose
che dopo il principio loro hanno
accrescimento e dicresci- mento di perfezione
, che e' si ritraevi tra V uno
e l' altro nn certo spazio di tempo,
nel quale elle restino di acqui- starne più,
e non comincino ancora a pèrderne: il
qual tempo è chiamato da' filosofi lo
stato, ed è cosa osservata molto da'
medici ne le infermità umane. Ma se
voi volete vedere ancor meglio questo
che io dico, leggete quella parte del
900 BAGIONAMBNTO INTORNO kthk LIN6CA.
Convivio del nostro Dante, dove e'
tratta de la etÀ de V ac- ino,
e resteretene capacissimo. Bartolù Orsù,
sta bene: ma che vnoi ta dire
per questo? GeUi, Yo'dire, tornando
al nostro proposito, che non si
potendo sapere ne le lingue vive
quando sia questo loro stato e questo
colmo de la loro perfezione, egli non
si può ancora conseguentemente farne regole
perfette e intere. Perchè, se bene
e' si può sapere mediante gli
scrittori di quelle quando meglio che
mai elle si siano favellate per il
passato , nessuno è però che si possa
promettere per il futu- ro, che insino
a che elle non mancano, elle non
si possino favellar meglio, e cosi
che e' non possino surgere' ancora alcuni
scrittori che le scrivine molto meglio.
Come potete voi mai sapere quale sia
il mezzo o lo stato d' una cosa,
de la quale, se bene voi avete
il principio noto, voi non potete
però non solamente sapere quando abbia
ad essere il fine suo determinatamente,
ma né anco imaginarvelo per con-
ìetture ; come forse la vita e
de V uomo e di molte altre
cose, le quali quando sono arrivate a
la lor vecchiezza, age- volmente si può
farne la coniettura quando abbia a
essere la morte loro ; non essendo
però di quelle, a chi è concesso
da la natura il rinovellarsi, come, verbigrazìa,rerbe
e le pianle la primavera. Ma le
lingue non sono di queste. Resta
dunque, non si potendo saper lo stato
de le lingue che vivono, che e'
non se ne possa ancora formar regola
alcuna ferma e vera: il che non
avviene de le già morte, come ne
avete lo esemplo chiaro ne la latina.
Ne la quale considerando i gramatici
cbe ne hanno scritto quale fusse
stato il processo suo, e giudican- do,
come è il vero, il colmo di quella
essere stato ne la età di Cesare,
Cicerone e Virgilio ; perchè ne'
tempi di Ennio e di Plauto si
vede che ella era ne lo augumento,
e in quegli poi di Svetonio e
di Tacito, nel discrescimento , fondarono
tutte le regole loro sopra il parlare
di Cesare, Cicerone e Virgi- lio,
affermando che ciò che si dicesse per
lo avvenire ne la maniera de' sopra
detti, sempre sarebbe detto bene e
lati- namente , e massime secondo Cesare
e Cicerone ; per esser lecito e
conceduto a' poeti lo usare spesso
molte cose ne' versi loro, che non si
comportano ne la prosa. Ma questo non
si RAOIOIUMBNTO INTORNO ALLA
LINGUA. 301 può fare ne la
lingua fiorentina, e molto manco ne
la to- scana, che ^ vivono ancora, e
non hanno scrittori da fon- darvi lo intento
sno, non si sapendo se elle sono
ancor per- venute al colmo de V arco.
Bartoli, E se questo non si può
fare per via de gli scrit- ti ,
chi vieta che e' non si faccia
almanco per via de lo uso?
GeUi. E di quale uso? Oh questa
è l' altra difficultà, e non punto
minore de la precedente. Bartoli. E
perchè? GeUi. Perchè ne' tempi nostri
non avviene di questa lìngua quello
che ne' tempi de' Romani avveniva de
la la- tina; che essendo propria d'una
nazione che dominava allora ad una
grandissima parte di questo mondo, era
tanto stimata e onorata da ciascuno
de' soggetti loro, e in Italia
massimamente, che e' non si trovava nohile
alcuno e da farne stima, per qual
si voglia città, il quale non si
ingegnasse di parlar la lingua romana.
SI perchè chi non sapeva era da
essi chiamato barbaro, cioè persona inculta
e di rozzi e aspri costumi; e
si ancora per ì bisogni che
occorrevano giornal- mente ne le faccende é
private e publiche ; avendo coman- dato
i Romàni in tutte le loro Provincie,
che e' non si potesse agitare causa
alcuna criminale o civile, né far
procèsso od ìnstrumento alcuno, se non
in lingua latina. Ad imitazione de'
quali, per quanto io n'ho inteso dire
da Amerigo Benci, che da venticinque
anni in qua ha usato molto la
Francia, e come voi vi sapete, oltra
le pratiche mercantili ha qualche
cognizione ancora de le speculative, ordinò
il padre di questo re, che e' si
facesse cosi in franzese per tutto il
dominio suo: il che osservatosi fino
ad ora, ha tanto migliorata e fatta
più bella e ricca quella lingua, che
è una maraviglia a chi lo considera.
£ il re che vive, Arrigo II,
imitando le ve- stìgio del padre, oltra
il fare osservare quello ordine, fa
ancora e carezze e cortesie grandissime
a chi traduce in essa, 0 fa
opera di arricchirla e farla perfetta.
Bartoli. Bella impresa e degna
veramente d'un principe, amare e onorare
la sua lingua: atteso massimamente che
nessuna può sormontare e venire in
riputazione senza il favor del principe
suo. *J6 302 RA6I0NAMBNT0 INTOBNO
ALLA LINGUA. GeUi. Non sarebbe dunque
stato diflScile a ehi avesse voluto
mettere in regola la lingua latina in
que' tempi ehe ella era yiva, poi
che gli bastava osservare solamente Io
uso e il modo che tenevano i
cittadini romani : p^chè non era in
que' tempi ehi ardisse pre^rre la sua
lingua a qoeUa, e non confessare che
la vera pronunzia e il vero modo
del favellare era quello de' Romani,
altrimenti detto latino. Ma non può
questo avvenire a noi de la nostra,
essendo in To- scana tanti principati e
tanti signori; li stati de' quali, se
non in tutto, hanno pure in parte
ciascuno, come io dissi in quella mia
traduzione * a lo illustrissimo e
reverendissimo Cardinale di Ferrara, qualche
favella e pronunzia propria, varia e
diversa da tutte le altre, e parendo
a ciascuno che la sua sia meglio.
Perchè noi non ci abbiamo imperio
alcuno cosi grande, che e' muova
(come i Romani) le città sottopo- steli
a cercare spontaneamente di favellare e
onorare quella lingua che favella chi
le comanda. Gonciossiachè, quando ben la Toscana
tutta fusse comandata da un signor
solo, lo imperio suo, per avere ì
confini si presso, non sarebbe mai di
tanta grandezza, che e' fusse oiiorato
e temuto quanto era allora quel de'
Romani. Imperocché i suggetti a loro,
essendo privi d' ogni speranza di «scir
mai di tale servitù, non aveado
principe aieuno a lo intorno dove
ricorrere quando e' pensassero di ribellarsi
, erano necessitati, se non per
amore, almeno per timore, a far ciò
che piaceva à' Ro- mani. Bar
Ioli* Io cedo, e confesso, quanto a
la grandezza e forza romana, che egli
è vero tutto quel che tu di'.
Niente dìmanco, e' si vede pur
manifestamente ne' tempi nostri, che molte persone
di quakhe spirito, i»8i fuor d' Italia
come in Italia, s' ingegnano con molto
situdio di apprendere e di favellare
questa nostra lingua non per altro
che per amore. GelU. Egli è
vero che quello che ne la età de'
Romani faceva la forza , lo fa oggi
la bontà e la bellezza di questa
lingua. Ma perchè coloro che la
desiderano e cercano per loro stessi
come cosa buona, la appetiscono edamano in
quella * Intende la tradniione dell'
operetta di Simone Porzio del modo di
orare cristianamente. Qui parla di cose
dette nella lettera dedicatoria.
BAGIONAìIBNfo INTORNO ALLà UNGUA. .
303 maniera che si desidera ed
ama il bene, ella è ancora dipoi
seguitata e adoperala come esso bene,
cioè da ì meno, e non da i
più. Ma datò che e' fosse il
vero che ognuno cer- casse di favellare
in lingua toscana , e desiderasse che
e' se ne facessi regole, donde si
arebbe poi a cavarle, non ci essendo
ciltade alcuna che signoreggi tutta
Toscana? Perchè i Luc- chesi, i Pisani,
i Sanesi, gli Aretini, e qualunque
altra città di questa provìncia , direbbe
sempre che la vera lingua e pronunzia
losca fusse veramente la sua; e il
cavare una parte di esse regole da
una città e V altra da un'
altra, sce- gliendo, come dicono alcuni, il
meglio, per fare un composito di
tutte quante, sarebbe cosa molto difiScile,
e poi forse anche non approvata e
non osservata, non ci essendo chi la
comandi. Bartoli. Oh, io non penso
però che il luogo donde cavare le
regime abbia molta difBcultà ; non
essendo se non raris- simi que' che volendo
imparar la lìngua piglino altri autori
che Dante, il Petrarca e '1 Boccaccio
; i quali essendo pure tutti e
tre di Firenze, mostrano assai
manifestamente donde sì debba imparar la
lingua. Non ostante che alcuni, poco
amici per avventura del n<Mne nostro,
hanno voluto privarci del Petrarca e
del Boccaccio, facendo questo ultimo da
Certaldo e quello altro Aretino, senza
avertire che ser Pe- tracco padre di
messer Francesco, come cittadino che egli
era, ebbe per moglie una de'Ganigiani,
e luogo tempo fu cancelliere alle
Riformagioni ; e che il Petrarca stesso
dice di sé medesimo: SMo fossi
stato fermo a la spelonca Là dove
Apollo diventò profeta, Fiorenza avria
forse oggi il suo poeta; e che
Matteo Villani dice ne la Cronica che
e' seguitò dopo Giovanni suo fratello
: « Questo anno furono coronati poeti
due nostri cittadini fiorentini; messer
Francesco di Petracco, vecchio; e Zanobi
da Strata, giovane. » E che il
Boccaccio, nel suo libro de' Fiumi, quando
e' ragiona de l'Elsa, dice: et quum
oppida plura hinc inde ìabens videai,
a dexlro, modico elatum tumulo, Certaldum,
vetus msiellum, Unquii: cujus ego
304 RÀGIONAMMTO DlTOBNO ALLA UHGUA.
libens memorùiffi celebro, sedes qtUppe
et natole solum nu^o- rum meorum
futi, anUquam illos susciperet FloretUia
eives. GelH, Egli è vero che,
non si stimando qaanto a la lin-
gna, altri scrittori che questi fiorentini,
rispetto (credo io) al non si esser
trovato mai in queste altre favelle,
non sola- meate ehi gli pareggi, ma
nò par chi si appressi loro, e' pare
certamente da confessare che la lingua
fiorentina tenga il principato ne la
Toscana ; nìentedimanco...... BartolL Sta
fermo, Gello, e non dir cosi; che
noi ci recheremo a dosso una invidia
troppo grande. Perchè e' non si può
nò debBè negare che ne' tempi nostri
medesimi non ci siano stati de'
forestier, * e fuor di Toscana, che
abbino scritto in questo idioma si
eccellentemente, che e' ne sono stati
lodati.. Geìlu Si, ma se voi
avvertite bene, vedrete che i più
celebrati fra questi tali sono selamenle
quegli stessi che hanno saputo più e
meglio imitare gli scrittor fiorentini ;
e non son però stati molti : e
di questi ne avete alcuno, che per
aver si bene imitato ed espresso i
concetti altrui con gli stessi modi e
parole de gli autori, que' dotti de
V Orto, pi- gliando la metafora da
quegli scultori che attendono più a
improntar V altrui che a sculpire di
loro artifizio, usavano di dir tra
loro: costui ha formato. Ma voi ci
avete ancora un' altra cosa, che
dimostra meglio e più chiaramente quel
che voi dite: che tutti o la
maggior parte de' forestieri con- fessano e
acconsentono tacitamente, che la lingua che
e' cer- cano e tengon buona ò
solamenle la Fiorentina; io intendo di
quella che favellano i nobili e veri
cittadini fiorentini che hanno qualche
cognizione o di lingue o di scienzie
; e non di quella che usano i
plebei, e gli uomini che hanno
cognizione di poche altre cose che di
quelle che si conven- gono loro come
animali. Perchò, non vi crediate però
che la plebe di Roma, quando fiori
la lingua latina, favellasse con quella
leggiadria che facevano e Cesare e
Cicerone. Bartolù Certamente no ;
anzi si legge di Cicerone, che i
Romani stessi lo ammiravano, maravigliandosi
grandemente * H monicipalismo a que'
tempi faceva non conoscere che non
son forestieri fra loro quelli che
abitano il paese fra le Alpi e
il lilibeo. RAQIOMJJIENTO INTORNO àthk
LlNGOl. SOtt de la 8oa eloquenzia.
Ma quale è questa cosa che ta
volevi dire? GeììL II non si
esser trovato ancora scrittore alcuno di
Toscana, che abbia avuto ardimento a
dire di avere scritto ne la sua
lingua propria, come dissero Dante e
il Boccaccio, r uno nel Convivio, e
V altro nel Decamerone, e come fanno
ancor oggi molti Fiorentini. Di maniera
che e' non si truova opera alcuna,
che si dica scritta in lingua Pisana,
Sanese, Lucchese, Aretina, o di qual
si voglia altro luogo toscano: e pure
hanno avute queste città scrittori di
non piccola fama. Laonde non può
avvenir questo per altro, se non
perchè questi tali conoscono molto bene
la lor lingua naturale non esser
quella che si stima oggi e pregia
cotanto. E se bene essi hanno ancora
imitato gli scrittor nostri, quanto è
loro stato possibile, e' npn V hanno
però voluto confessare aper- tamente e
liberamente, giudicando, per avventura, che
ciò non fusse molto onor loro. Anzi,
perchè se e' l'avessero chiamata Fiorentina,
e' non sarebbe parato loro avervi
parte alcuna o pochissima , e' l' hanno
chiamata Toscana o vulgare; volendo, col
chiamarla cosi, dare a intendere a le
persone, che ella si parli vulgarmente
per tutta la Toscana. Il che si
vede che non è vero. E altri
dipoi non Toscani, per avervi ancor
eglino parte, V hanno chiamata italiana.
Bartolù Sta fermo. Cello, che Dante
ancora egli fu di opinione che ella
si dovesse chiamare Italiana, in quel
li- bretto suo De vulgari eloquerUia, se
io mi ricordo bene. Gellù Ehi
messer Cosimo, non vi ho io detto
più volte che cotesto libro non può
essor di Dante, ma che e' conviene
che qualcun altro l'abbia finto, sotto
il colore di quella pro- messa che ne
la Dante nel suo Convivio? Il che
non può veramente esser nato da
altro, che da lo avere troppo arden-
temente desiderato chi ne fu lo autore,
che V onor de la lingua fusse
generalmente comune di tutta la Italia ,
e non particulare di Firenze solo. Ma
se voi forse non ve ne ricor- date,
avvertite che que'litterati de l'Orto
de'Rucellaì,dispuT tando, ne la venuta di
Papa Leone, col Trissino (perchè egli
fu che ci condusse la prima volta
questa opera} sopra lo essere o non
esser ella di Dante, gli facevano
centra 308 MifiioMAMBaro irtouio alla
limooa* quella, non variati né
alterati in maniera akona, come omo,
Urrà, mare e simili ; e ana
grandissima quantità di quegli altri dove
si varia scrfo una lettera, come
leggo e aequa, che a' Latini son
lego e aqua, GeUL Questa fo,
come dite voi, nua esposixione assai
stravagante, e da uomini che, desiderando
introdurre cose nuove, volsero mostrare che
ciò fusse fatto con qualche mo- tivo
ragionevole. Ma non è già venuta di
qui la diversità della pronunzia, la
quale molto prima si variò, che e'
venisse a campo si stran precetto.
BarioU. E donde venne dunque la
orìgine? GeUi, Dicono alcuni diligentissimi
osservatori de le cose di questa
lingua, e io lo confermo con esso
loro, che in al- cune città e luoghi
particolari di Toscana, per naturale pro-
prietà si costuma di mettere Vo in
quelle parole ne le quali in Firenze
si mette l' u; di maniera che, dove
noi di- ciamo suslanza, singutare, particulare,
speculare e specular- tivo, quivi si
dice sostanza, singolare, parlicolare, speco-
lare e specoUUivo: e cosi ancora di
mettere Ve dove noi altri mettiamo V
i , costumandosi ordinariamente dire in Fi-
renze, principe e UUerato; e quivi prendpe
e letterato: la quale pronunzia arreca
a gli orecchi de' Fiorentini un suono
cosi sgarbato e tanto spiacevole, che
e' non si traeva tra noi chi l'
usi, se non alcuni, e ben pochi, che
per proprio comodo loro seguitano la
pronunzia così fatta ; non si curando
non solamente di dare od accomunare
ad altrui quello che era solamente
de' Fiorentini, ma di adulterare e
imbastardire una lingua mantenutasi pura e
schietta sino a' di nostri, e
solamente bella e leggiadra, quando manco
vi si accompagna voci o pronunzie di
forestieri. Bartolù Certamente che questa,
né a' tempi nostri né a quegli
de li antichi, per quanto se ne
vegga da le scritture, non fu mai
pronunzia fiorentina. £ chi non lo
crede, av- vertisca e osservi bene,
come coloro che V anno 1527 fecero
stampare in Firenze quel Cento novelle,
avuto poi univer- salmente in tanta
reputazione e tanto pregiato, essendo tutti
cittadini fiorentini nobili e veri, e
avendo cotanti testi antichi e buoni,
e tra gli altri uno che é oggi
in guardaroba RÀGIOMÀIIBMTO INTOBNO ALLA
UNGUÀ. 309 di Sua Eccellenza,
scritto, vivendo ancora il Boccaccio, da
uno de' 'Mannelli, e non solamente copiato
da lo originale de lo anlore, ma
riveduto ancora e corretto da lui
medesimo; avyertisca, dico, e osservi, come
sempre dissero principe^ liUerato, iustanzia
e partieulare, come ordinariamente si dice
in Firenze. Getti, Ritrovandosi, adunque,
in Padova alcun di questi tali nel
principio deHa Accademia de gli Infiammati,
dove non era per buona sorte alcuno
veramente Fiorentino (che e' non sarebbe
forse seguito questo disordine) ; e
mettendo in uso col favellare e con
lo scrivere questa lor naturai pronunzia,
scoperta però primieramente fra gli
Intronati ; i Lombardi e i Yeniziani,
che cercavano di pronunziare toscanamente,
credendosi che quella fusse la vera ,
cominciarono non solo a celebrarla, ma ad
usarla, ed a trasferirla ne le loro
stampe. A la qual cosa si aggiunse
presto che alcuni altri non Toscani,
per ispogliare la Toscana di questa
gloria, cominciarono a mescolare in essa
molte parole, le quali, al giudizio
mio, né si favellarono nò si
scrissero mai in Toscana; e oltre a
questo, cercarono ancora dì mutarle nome.
£ perchò se ella si dicesse lingua
Tosca, essi che erano forestieri non
ci avevano parte alcuna, cominciarono a
chiamarla chi, come il Trissino,
Cortigiana, e chi Itala o Italiana,
come il reverendissimo Sadoleto; persona
dottis- sima veramente e eloquentìssima, ma
appartata e in tutto aliena da questa
professione. E di costoro non voglio
io ve- ramente dir cosa alcuna; ma
solo che io mi maraviglio oltre a
modo di alcuni Toscani, che avendo
molto più rispetto al comodo proprio,
che a la verità, per la servitù
forse che e' tengono con alcuni di
questi tali, sono concorsi a chiamarla
Italiana essi ancora l non si curando
di vendere per si vii pregio l'onore
e la gloria propria; e non avendo
avver- tenza che i Genovesi, i Milanesi,
que' del Lago Maggiore, i Bergamaschi,
una gran parte de' Romagnuoli, i
Marchigiani, i Norcini, gli Abbruzzesi, i
Pugliesi, i Calabresi e altri infi- niti
popoli de la Italia, fanno fede
manifestissima a chiun- que favella loro,
che a gran torto ò posto nome a
la lìngua nostra Italiana. 310
BACIOHAMSino mOUO ALLk LU60A. BarlatL
E come potette più in cotesti tem|M
(lasciando or le querele da banda) V
antorità di cotestoro, che ifoella de'
Fiorentini, se il principio de la
lingua e il fonie è in Firenze,
e fondato in sa gli scrittori
fiorentini? GtXtL I Fiorentini, attendendo
in cotesti tempi quasi tutti a la
mercanzia, a la quale sempre è stata
molto incli- nata la città nostra, e
forse |mù per bisogno che per natura,
rispetto a la magrezza del paese ;
non davano opera alcuna, se non
pochissimi, a la lingua latina, e
molto meno a la greca ; e cosi
non venivano a considerare la propria
» e a riconoscer l'arte e lo
studio che avevano usato in essa
Dante, il Petrarca e il Boccaccio:
anzi, quando leggevano questi autori,
attendevano pio le istorie, che altra
cosa. Di maniera che, se vi ricorda
bene, crono molto più stimati allora
i Trionfi del Petrarca, che le
Canzoni e Sonetti suoi. Ma In alcune
altre città toscane, dove per la
fertilità e grassezza del lor paese
non è il guadagno si necessario,
attendendo que' cittadini a gli studj
de le buone lettere, cominciarono a
considerare molto (Nrima di noi ne'
nostri scrittori la bel- lezza di questa
lingua, e ad osservare ne lo
scriverla quelle terminazioni e quelle
concordanzie de' singolari e de' plura- li
che que' nostri avevano usate. Bene è
vero che per la lor favella natia
pronunziando non come noi, e mescolandoci
ancora qualche parola de le loro, ce
l'hanno condotta a r essere che voi
medesimo vi vedete. Lo avere adunque
i nostri atteso a la mercatura e
non a le lettere , e la molti- tudine
de' travagli che sempre ci sono
stati, fecero per lungo tempo restare
in dietro e quasi che perdersi
interamente gii avvertimenti e l'arte usata
da' tre sopra detti ne la nostra
lingua; e i primi che cominciassero
in Firenze a rios- servargli, e ne
la fovella e ne la scrittura, furono
quegli stessi litterati che usavano a l'
Orto de' Rncellai. E ricordami che e'
non potevano restare di maravigliarsi di
alcuni litte- rati poco avanti la loro
età, che avevano composto in versi e
in prosa di questa lingua senza
alcuna osservazione; parendo loro impossibile
che, avendo pur veduti gli scritti di
que' tre famosi, e' non avessero
aperti gli occhi a le loro
osservazioni, e non si fossero accorti
in quanta corruzione BAfilOllAXBIfTO
IMT(MmO ALLA UKSUA. 311 fosse incorsa
la beHìssima lingua che noi inrliamo.
Da co- storo avvertiti Cosimo Rocellaì,
Lnigfi Alamanni, Zanobi Baondelmonti, Francesco
Guidetti e aiconi altri, i qaali»
praticando con esso Cosimo» si trovavmo
spesso a rOrU» con qoe' più vecchi,
c«ninciarono a cavar foori le dette
consi- derazioni, e a metterle tanto in atto,
che la lingua n' è poi tornata
in quel pregio che voi vtdele.
BarloU, Tu di' il vero, GeUo
mio caro; perchè e'mi rioor* da che
da venticinque anni in dietro non
erano versificatori io Firenze, se non
tre o qoattro; a' qnali, senza avere
altri- menti oensiderazione akana di terminazioni
di parole , di concordanzie di numeri,
o d' altra cosa che faccia bello, ba-
stava solamente che e' rimassero e fusser
versi. £ chi lo vuol vedere e
toccar con mano, legga le rappresentazioni
che si facevano in que' tempi :
le quali quando io considero chenti
elle sono, e quanto non solamente
poco verisimili, ma impossibili e
mostruose, mi fanno tenere per di poco
giudizio e, per dirla cosi fra noi,
molto goffi tutti coloro che potevano
stare a udirle ; e mi iinno
credere che se elle si facessero oggi
cosi, i fanciulli, non che altri,
uccellerebbono si a la scoperta i compositori,
che e' se ne rimarrebbono in- teramente
per lor medesimi. eretti. E da
che vi pensate die nasca questo, se
non da r essere oggi in Firenze
cosi gran numero di persone che hanno
bonissima cognizione de la lingua latina
e greca? le quali essendo state
necessitale ne lo impararle, a vedere
i veri poeti, hanno assai chiaramente
conosciuto che cosa sia poesia, e
quanto sia verbigrazia, centra i precetti
de Tarte il ridurre tutta la vita
di uno uomo, o pur le azioni di
venticinqoe o trenta anni, in due o
tre ore di tempo che • si consuma
nel recitare. E a cagione che e'
non si abbia a dire de' casi
loro quel motto di Orazio Delfinum silvis
appingit, fluctibus aprum, non hanno
solamente lasciali cotesti errori, ma
sbanditili ancora in tuUo da le loro
composizioni, e si sono ridotti a
quello uso buono che avevano i Latini
e i Greci. Olire a questo, avendo
appreso per via di regole quelle due
lingue. 31S miaoiiAanno ummo aua
c4HMM6eiido quante e quali nano le
parti del pariare, e in cbe modi
elle debbino accompagnarsi , cominciano a
favel- lare tanto rettamente e con tanta
leggiadria, che io mi persuado
gagliardamente, la nostra lingua esser
molto Tidna a quel sommo grado de
la perfexione, oltra il quale non si
può salire. BartoU. E se cori
è, die cosi la tengo io ancora, perehè
non si può eDa adunque mettere in
regole, e farla perfetta alilittoT
GM. A le cagioni che io ve
ne ho di già assegnate, si aggiagne
questa altra ancora, che non è di
poco momento: ed è il non avere
in su che fondare e formare esse
regole; eonciossiachè in su gli scrittori
non si può, non avendone noi alcuno
che si possa tenere per bello e
per buono tutte quello che egli ha
usato. Perchè, cominciandoci da qne' tre
primi che sopra gli altri sono
approvati, Bante, oltra lo esser poeta,
ebbe dal secol suo rozzo e duro
molte e molte pa- role lasciate oggi
in tutto da Y uso. H medesimo
avviene al Boccaccio, nel qoal sono e
modi e parole che, se ben fìiron
belle in quel secolo, l' oso di oggi
non le riceve. E il Petrar- ca, se
bene ha la sua lingua assai più
purgata, per essere (come io dissi in
Dante) poeta, per le molte licenzie
che a' poeti son concedute, non è
materia conveniente a formarne le regole
per la prosa. BarUAL Io non so,
Gello mio, come questo sia da conce-
dere; perchè, se bene da que' primi
due, rispetto a le licen- zie poetiche,
non si posson trar buone regole, il
Boccaccio è por tanto bello e tanto
pregiato universalmente, ch'io non so
perchè tu lo sfugga. GéUU. 11
Boccaccio, per quanto ne dicono questi
suoi, si imaginò di usare i tre
stili: T alto, nei Filocolo ; il
mediocre, ne la Fiammetta; e il
basso, nel Decamerone. Il che se bene
gli successe o no, non ci accade ragionarne
ora. Basti che la più approvata de
le sue cose è il Cento novelle
; opera beila certo e piacevole, ma
non da essere in tutto imitata
rispetto ad alcune costruzioni che, per
non esser piaciute a Toso, son
restate del tutto in dietro, e ad
una infinità di parole che sono oggi
aborrite e fuggite da gli scrittori:
come, lAGIOMAMKlITO ISITOINO ALLA LINGUA.
313 yerbigrazla, bwma pezxa^ ìa
Intogna, gravenza, abUawBa, niquUoso, avaecio,
autorevole, contezza, deliberanza, sez- zaio»
Ma che sto io a contarle a toì
che ri faceste sopra la tavola y e
le notaste già taile quante? BartoU.
Certamente queste si fatte voci non
solamente si usano oggi da molto pochi
, ma elle non sono ancora più
accettate per fiorentine, e pare che
elle offendine altrui r orecchie, se
pur si truova qualcuno che V usi.
Getti. Non si possono adunque le
regole toscane cavare da gli scrittori.
Bariolù Gavinsi le fiorentine (che de
V altre non tocca a noi) da V
uso di Firenze. GeUù £ questo
anche mal si può fare; dovendosi
(come io dissi non molto avanti)
pigliar V uso non d'ogni tempo, ma
de la età dove la lingua fu nel
suo colino. Il che non possiamo saper
noi altri, poi che e la è viva,
e va a T insù ; avvenga che
voi forse, come alcuni forestieri, vi
persuadia- te che ella fusse nel sommo
grado ne la età di que' tre
scrittori. Bartolù Questo no; anzi
tengo per fermo che ella fusse nel
nascimento, e che ella avesse quasi
principio da essi tre, per essere
stati Dante e 1 Petrarca i primi
in questi paesi che cominciassero avere
tanta notizia de la lingua latina più
de gli altri uomini , che e' ne
furono chiamati suscita- tori e ritrovatori
; come apertamente si può vedere nel
pri- vilegio conceduto ad esso Petrarca,
quando publicamente fu coronato nel
CamfMdoglio : e il Petrarca e il
Boccaccio de la greca, de la quale
non si aveva in Italia notizia alcuna
ne la età loro, se non piccola
e defettiva. Laonde braman- dola questo
ultimo sommamente, condusse a Firenze un
Greco, per quanto si legge ne la
sua vita, che glie la inse- gnasse, e
una quantità di libri greci, lasciati
poi da lui stesso dopo la morte
a la libreria del nostro Santo
Spirito. Costoro adunque, mediante la
cognizione di queste lingue, cominciarono a
parhire rettamente e ordinatamente, miglio- rando
e inalzando tanto il nostro idioma da
quello che egli era, per quanto veder
se ne può in que' che scrissero
avanti a loro, che noi possiamo
liberamente tenere e dire, che il
27 314 BA6I0NAMB1IT0 IMTO&NO
ALLA LINfiOA. vero nascimettto e
principio di questa libgtta fa solunente
dalor tre: ma che e' non foron
già poi segniti né imitati ne lo
allegarla secondo i modi posti da
loro, imperoceliè chi venne dopo, non
essendo dato a gli stadj^ noA
eomiderò le costrocioni e le terminazioni
osate da lèro» e iMcMla di tempo
in tempo cadere in ^ella barbarie die
iMd eenllm- mo non son molti anni.
Ma io dico bene> che poi the
g^i uomini hanno ricomincialo a
considerarla, come fecero qnegli de r
Orto, e ad osare i modi de* tre
nostri Inmi^ ella é tanto migliorata a
poco a poco, che io la tengo
oggi nsolto piA bella universalmente, che
eOa non era ne' tempi loro ; e
che se eglino scrissero cosi bene
allora (^il che fn molto più da
impotare a lo ingegno loro che a
4a bontà de la Ikigoa), scriverebbero
molto meglio oggi : non essendo
necessitati da la povertà Òe la lingua,
che oggi^ è ricchissima^ ad osare
quelle parole che più non piacciono,
e qoe' modi ohe son fuggiti da'
nostri orecchi ; di modo c^e nel
volto ancora del Petrarca non si
scorgerebbero q«e' pochi avvegnaché pic^ eolissimi
nei, che i ben purgati giudizj vi
riconoscono. GelU. Io credo che voi
giudichiate bene, e che la cosa stia
come voi dite* Ma io voglio andare
un passo più là, e dire, che
essendo ancor vìva la lingua nostra,
e in maggiore speranza di avere a
vivere, che eUa fosse fom ancor mai,
egli non si può affermare che la
nstnra (la quale iton si stracca e
non invecchia mal, anzi, se bene ella
varia talora alquanto, è por sempre quella
medesima ) non possa e non abbia
ancora a produrre de gì' ingegni
simili a loro; i qoali, trovando la
nostra lingoa in molto maggior perfezione
che non la trovmrono i sopradetti,
serivino non solamente bene cernie qoelli,
ma forse ancora assai meglio di loro»
Bartolù £ questo similmeiite mi par
di credere, essen- dosi veduto ne' tempi
nostri^ che in quaiuncàe faciità, e
particnlarmente ne la architettura, pittura
-e scoltura, ha la nostra città
generati aiconi che non solo haano
paseggiaU i famosi antichi, ma forse
ancora avanzatili in ^oalohe cosa»
GellL Non si poò donqoe dire dM
ella sia ne lo stato Mio>
veggendosi come di giorno in gèomo olla
va «i soo augomento; e potendosi
agevdmente far conieltara da te lA^IOMAVCNTO
INTORNO ALLA LINGUA. 315 cose
che soprareiigoDO, ehe ella abbia ancora
a farsi più ricca e saolto più
beUa. MartoU. E q«ali Mm questo cose»
Gello? GeUù Molte e molte sono,
messer Cosimo; e dae sopra tatto
l'altre. L'nna de le quali è la
moltitadine grande di ei^oro che oggi
si danno, in Firenze a la lingna
latina e greca; i quali imparando
quelle con re- gola, avellano dipoi ancora
reg<^tamente la nostra, e con
leggiadria; e da questi imparando gli
altri, mossi da quello ingenito desiderio
ohe ha ciascuno di non volere, in
quello che egli può, essere in
maniera alcuna soprayanzato da i suoi
pari, faranno di mane in mano la
lingua più bella ^ più onorata, si
col parlare e si col tradurre,
arrecando- ci le scienzie e V arti
che elli imparano ne l' altre lingue.
L'a&tra è il cominciare i principi
e gli uomini grandi e qualificati a
scrivere in questa lingua le
importantissime cose de' governi de gli
Stati, i maneggi de le guerre e
gli altri negozj gravi de le
faccende, che da non molto in die-
tro si scrivevano tutti in lingua latina.
Perché, non vi date a intendere ehe
una lingua diventi mai ricca e beila
per i ragionamenti de' plebei e de
le donniciuole, che faveUan sempre
(rispetto a lo avere concetti vilis6imi)di
cose basse: chò e' sono solamente gli
uomini grandi e virtuosi, quelli ehe
inalzano e fanno grandi le lingue;
imperocché, avendo sempre concetti nobili e
alti, e trattando e maneggiando coae
di gran momento, e ragionando bene
spesso e discor- rendo sopra quelle in
prò e in contro, persuadendo o dis-
suadendo, accusando o lodando, e talvolta
ancora ammo- nendo e insegnando, fanno le
lingue loro copiose, onorate, ricche e
leggiadre. Per queste due cose adunque,
ancora che altre cagioni non ci
fossero, si può giustamente sperare ^M
la nostra lingua abbia a essere
ancora un giorno tanto pregiata appresso
molti che nasceranno, quanto sono oggi
appresso di noi e la greca e la
latina. £ conseguentemente concludo, che
non essendo ella ancor pervenuta a lo
stato suo, non se ne possa far
regola, che in tempo non molto lungo
non abbia a scoprirsi defettuosa, e
non più tale quale oggi forse ci
apparirebbe. Si come avviene, per esemplo,
ne 316 BAGioNAMBirro nrroBHo alla
libcua. la pittura ; dove i
ritratti de* giovanetti, se bene gli
sonii- gliono interamente quando e' son
fatti y non vi corre però gran
tempo che, cambiandosi lo aspetto del
ritratto nel farsi egli nomo, tanto
varia la effigie, che non lo somiglia
più, né apparisce più qnel medesimo.
BartolL Orsù, pongbiamo per le tante
cose allegate da te, cbe a r
Accademia non si convenga il fare
queste regole : vuoi tu però
affermare al tutto, che una persona
privata e particolare, lasciando favellare
ad arbitrio loro qualonche città e
luogo de la Toscana, senia difettargli
o ripotargli da meno per questo, non
possa almanco da i tre primi nostri
scrittori e da T uso di Firenze
formare le regole, che a' tempi d' oggi
insegnino favellare rettamente a' Fiorentini
stessi, e a chi pur volesse imitar^?
GeìU. Oh questo no, messer Cosimo;
perchè io mi credo pure, che un
solo, in suo nome proprio e non
di Accade- mia, con tutte quelle
avvertenzie che voi avete dette, sicu-
ramente le possa fare. Bartoli, E con
qoal ordine? o in che maniera?
Geìli, Dirovvelo: ma perchè voi mi
intendiate più facil- mente, avvertite che
questa lingua, come quasi tutte l'altre
cose di questo mondo, ha due parti
principali; la materia, cioè, e la
forma : la materia sono le parole
de le quali ella è fatta ; e
la forma è qod modo e quell'
ordine col quale son conteste e
tessute insieme l' una parola con Y
altra, che si chiama ordinariamente la
costruzione. Di queste due parti la
materiale, o de le parole, non tengo
io per molto difficile a metterla in
regola; ancora che ella abbia forse
bisogno di lungo tempo, rispetto a lo
aversi a fare un vocabolista di tutte
le voci che si usano, come aveva
già cominciato il nostro Norchiaio, prima
che morte gli troncasse il volo. Ma
de la costruzione, o volete dire de
la forma, ne la quale consiste tutta
la bellezza e la leggiadria de la
lingua , e ap- presso di noi è per
avventura molto più dolce che ne' no-
stri vicini, non so io come ella
possa mostrarsi meglio che da gli
esempi de' tre scrittori Bartolù Oh
Gello, e' mi ricorda, a questo
proposto de la dolcezza de la testura
del parlar nostro, che messer Ales-
1À6I0NAMB1ITO INTORNO ALLA LIN6DA. 317
Sandro Piccolaomini, persona dottissima e
tanto rara qaanto lo sai, ritrovandosi
in casa mia, e leggendo aicani
scritti dì questi nostri, rivoltatosi a
me, disse: come può e' mai essere,
messer Cosimo mio, che non essendo le
patrie nostre più lontane V ttna da
V altra che trenta miglia, noi altri
non abbiamo le clausole cosi dolci e
gli andari tanto piani e si ordinati,
quanto gli veggiamo e sentiamo in voi
Fiorentini? GéìU. £ voi vedete bene
che tutti costoro che fino ad oggi
hanno fatto le regole del parlar
toscano, distendendosi ne le declinazioni
solamente, si hanno passato la costruzio-
Be senza parlarne se non pochissimo,
come cosa troppo difficile e ad essi
forse mal riuscibile. Laonde, circa il
for- mare queste regole, non mi
affaticherei molto ne là prima parte
; ma dichiarate le parti de la
orazione, e dimostrate le declinabili e
le indeclinabili, e gli esempli de'
verbi, mas- simamente con quella diversità
che è tra V uso moderno e
quello che e' dicono de' nostri
antichi, me n' andrei tutto a la
costruzione. Ne la quale, consistendovi
(come ho detto) tutta la importanzia di
questa lingua, vorrei io certamente usare
una diligenzia più là che estrema,
togliendo da' tre sopra detti tutto
quel che fusse ben detto. Il che,
al giudizio mio, solamente sarebbe quello
che V uso di oggi si ha man-
tenuto; essendo V orecchio nostro inclinato
naturalmente a lasciar sempre le cose
aspre, dure e difficili, e seguitare
le dolci e le facili. Per la
qual cosa, giudicando io che oggi si
favelli meglio in Firenze che in
nessun de' tempi passati, attribuisco molto
a l' uso, non di Mercato e del
vulgo vile, ma de' nobili e
qualificati de la nostra città, come
io dissi poco di sopra. Bartoli.
Questo è appunto l' ordine stesso e
il modo che il nostro GiambuUari
tenne in quelle sue regole, che egli,
già son tre anni, donò a lo
illustrissimo signor Don Fran- cesco de'
Medici primogenito di Sua Eccellenza.
Gellù Voi dite il vero, che il
GiambuUari che mi è quello amico che
voi sapete, me le conferi molte
volte, e massi- mamente r anno passato,
quando eravamo in questo maneggio: e
perchè e' mi parve sempre che egli
avesse trovato la vera via, e con
una diligenzia maravigiiosa fatto ciò che
27» KAGIONAMBIITO INTORNO ALLA
LINGUA. fosse possibile farsi in
questa naterìa, però metto io a campo
di nuovo lo stesso modo die egli
ha tenuto» Ma per- chè non le
comunica egli oramai con la stampa a
taUe le genti che le desiderano?
BartoìL Sta di buona TogUa, Geiio,
che io ne Tho tanto contaminato»* che
egli finalmente mi ha dato non solo
esse reg(^9 ma e libera e pimia
licenzia che io ne &ccia la vo-
f^ia mia. E cosi fra non molti
giorni comincerò a fturle stampare, che
di tanto son convenuto col Torreatmo.
GM. Sollecitate dunque, messer Cosimo
mio, perché farete gran benefizio a
chi desidera imparar dal buono. Ma
perchè noi siamo oramai vicini a
l'ora de la nostra cena, rimanetevi
con Dio, che a casa sono aspettato.
Bartolù Dì grazia, cena con esso
meco. GellL Non questa sera, messer
Cosimo, che dovendo tro- varmi in un
altro luogo, non posso mancar de la
mia pro- messa. Restate con la buona
notte. BmtkdL Poi che cosi ti
piace, va' ool oom» di Dio.
Tanto fu, messer Pierfranoesoo mio
onorando, il ragio- namento che avete
chiesto ; e messer Cosimo nostro ve
ne può render testimonianza: Catene adunque
come di cosa vostra, che io ve
ne fo un presente, e vivete felice^
ricordan- dovi che il GeUo è vostro.
Di Firenze, il xvm di febraio MDLL
* Come ora si direbbe importunato,
o seccato. Velia Crusca non è con
que- sto significato. Io non credo, magnifico signor
Consolo,prudentissimi Consi glieri, e voi altri virtuosissimi Accademici e
maggiori miei ono randi, ? che con voi, i quali sapete i nostri ordini, e come
più per imparare esercitandomi,che per insegnare ad altri,io sia salito oggi in
questo luogo,sia di bisogno che io ne faccia seusaalcuna.Ma
perchèforsequalcundiquest'altriuditoripo trebbeingiustamente
incolparmidipresunzione,essendoioil primo che dopo due si dottissimi e
famosissimi uomini, mes ser Francesco Verini filosofo eccellentissimo, e Andrea
Dazi tanto nella greca e latina lingua celebrato, sia salito sopra que sta
onorata cattedra, non vi sarà grave comportare che in escusazione e scarico mio
io dica loro alquante parole. Nobilissimi uditori, iquali tirati dalla fama dei
valenti uomini che insino a questo giorno hanno letto in questa nostra Acca
demia siate venuti qui,se ilritrovarci in cambio di quegli oggi m e , il q u a
l e s a r e i m o l t o p i ù a t t o a t a c e r e c h e a p a r l a r e , v i
a r recherà maraviglia,non dovete perciò incolparmi di presunzione. Imperò che
avendo ordinato questi miei maggiori Accademici, che per esercizio nostro,per
esaltazione di questa nostra lin gua nativa,e per imparare a esprimere in
quella inostri con cetti, ciascuno di noi legga una volta quello che più gli
piace, ha voluto la sorte che io sia ilprimo a dar principio a così lode
devole,eseionon me neinganno,utilissimoesercizio.Nè debbe · Le parole e
maggiori miei onorandi mancano nella 2^ T. La 1a T., ingiustamente
potrebbe. 3 La fa T., auditori. certamente esser preso questo se
non per buono e felicissimo augurio di questa nostra Accademia.Perciò che se le
cose che fa la natura sono più ferme e più stabili che quelle della fortuna,
per procedere quella con ordine e questa senza,ed essendo l'or. dine della
natura 'andare sempre dallo imperfetto al perfetto (si come noi manifestamente
veggiamo verbigrazia ? nella creazione d e l l ' u o m o, d o v e e l l a f a p
r i m i e r a m e n t e u n p e z z o d i c a r n e , il q u a l e è solamente
animato d'anima vegetativa come le piante,da im e dici chiamato embrione, e
secondariamente infondendovi l'anima sensitiva*lo fa animale,e finalmente gli
dà l'anima razionale,la quale è l'ultima perfezione sua),dovrà senza dubbio
questa nostra impresa aver anch'ella felice successo,da che io,che sono il più
insufficiente di sì bel numero, sono il primo a darle principio. Se dunque voi
non,udirete oggi da me cosa degna de'passi spesi da voi a venire in questo
luogo,non mancherete però di venire a udire quest'altriche dopo me leggeranno ;
da i quali, per esser queglio e per natura e per professione di gran lunga più
sufficienti che non sono io, caverete tal frutto, che di que. stie di quelli vi
ristorerà largamente.La lezione nostra sarà unluogodiDantenelXXVI
capitolodelParadiso;ilquale, per trattare alcune cose del parlare, mi è parso
molto al pro posito nostro,essendo questa nostra Accademia stata principal
mente ordinata per utilità di questa lingua,o per dir meglio, usando le parole
stesse del nostro Boccaccio nella quarta gior nata,di questo nostro
fiorentino,volgare. Presterretemi adun que grata udienza come avete cominciato,
se non per altro, almeno per dare animo a coloro che dopo me leggeranno; da i
qualisenzacomparazionecaveretemaggiore dilettoSemaggior frutto.Ma vegnamo alla
nostra lezione. 6 616 LETTURA DUODECIMA La 1a T.,di quella. ? verbigrazia
è della 2a T. 3 La 1a T., solamente è. 4 Nella 2a T. manca sensitiva. s La 1a
T., l'ultima sua perfezione. quegli è della 2a T. 7 La 1a T.,che io non sono. 8
La 11 T., caverete e diletto maggiore ecc. LEZIONE UNICA 017
conosciuti,dico,iviziiepurgatosi”da essi,asceseper contem plazione sopra i
cieli alla gloria de'beati. Intra i quali trovato il primo nostro padre A d a m
o, 4 come desideroso di sapere, lo . dimandò di alcune cose ; fra le quali fu
questa,che io oggi ho preso per materia del nostro ragionamento, cioè qual
fusse lo idioma o vero il linguaggio nel quale, quando ei fu fatto da
Dio,egliprimieramente parlò.Allaqualedimanda rispose Adamo in questa maniera:
La lingua ch'io parlai fu tutta spenta Innanzi che all'opra 5
inconsumabile Libero, sano e dritto 3 è tuo arbitrio, Fosse la gente di
Nembrot intenta.6 Che nullo effetto ? mai razionabile Per lo piacer uman,che
rinnovella, Seguendo il cielo, fu sempre & durabile. Avendo il divino
nostro poeta Dante, poeticamente parlando, nel suo discendere allo Inferno
conosciuto tutti i vizii e i p e c cati, che cosi per malizia e per matta
bestialità come per umana incontinenza e fragilità si possono commettere,ed
essendosene nel passare del Purgatorio in cotal modo purgato, ch'egli era
tornato1in quello stato della innocenza nel quale fu creata da Iddio l'umana
natura ; là dove la parte nostra inferiore, irra . zionale e mortale, alla
superiore, razionale e immortale, stava obbediente, nè punto ardiva la
sensitiva e carnale, dalla origi nale giustizia regolata,levarsi e combattere
contro allo spirito; tal che dal suo precettore gli fu detto: fallo fora non
fare a suo senno; | La 1a T.,che tornato era. 2Cr.Libero,dritto,sano. •La
1aT.,purgato. * La 1a T., Adam . 5Cr.oora. 8Cr.lagentediNembrotteattenta. • Cr,
affetto. 8Cr.semprefu. Opera di natura è ch'uom favella;' Poi fare
a voi,secondo che viabbella. Pria ch'io scendessi all'infernale ambascia, Donde
s vien la letizia che mi fascia. Elle*sichiamò poi,eciòconviene; Però che l'uso
umano 5 è come fronda In ramo,che sen va,ed altra viene. Da queste parole di
Adamo caviamo noi oggi tre principali conclusioni.La prima è,come la sua
linguasispenseemancò tutta, innanzi che Nembrot cominciasse a edificar la torre
; cosa molto contraria alla volgare oppenione.La seconda,la ragione perchè si
mutino i parlari. La terza, la risposta a una obie zione che se gli potrebbe
fare,dove egli adduce alcuni esem pli in confermazione di quanto egli ha
detto,come largamente si vedrà nel nostro ragionamento.Cominciamo ora adunque a
esaminare la prima,con l'aiuto di Colui dal quale depende ogni nostra
sufficienzia. Avendo l'onnipotenteIddio,nellaproduzione delmondo,creato tutte
le cose insieme con l'uomo,non perchè elle fossero in lor
medesimesolamente,maperchèellefosseroancor principiodel l'altre, ciascheduna di
quelle della sua specie, non tanto nel generarle, quanto nell'instruirle e
governarle,bisognò ch'egli le .creasse nel loro perfetto essere.Dalla quale
ragione mossi dis sero alcuni dottori ebrei che il mondo fu creato di
settembre; perciò che allora pare che tutti gli alberi,insieme con l'erbe,
abbianocondottoaperfezioneifruttiloro.Fu adunque(lasciando stare l'altre cose)
creato l'uomo da Dio nel suo stato più per fetto, e in quanto al corpo e in
quanto all'anima. In quanto al corpo,sano,bene complessionato,e di età di
trenta o tren +Cr.Operanaturaleèch'uom favella. 2Cr.El. öCr.Onde. 618
LETTURA DUODECIMA M a , cosi o cosi, natura lascia Un : s'appellava in terra il
sommo bene, Cr. El. 5 Cr. Chè l'uso de'mortali. ancor è della 2a T. 1 6
LEZIONE UNICA 619 tacinque anni, secondo la maggior parte dei dottori,
acciò che ei fusse atto alla generazione.E in quanto all'anima, ripieno di
tutte quelle scienze, alla cognizione delle quali si può na turalmente
pervenire, acciò chè ei potesse insegnare a quegli che nascessero di lui tutte
quelle cose che sono necessarie alla vita e al bene esser nostro. Con questa
cognizione pose Adamo inomi convenientiatuttelecose,secondolaloronatura;eformò
uno idioma,o vogliam dire uno parlare,con ilquale ei po
tettemanifestareaidescendentiisuoiconcetti.Ma qualfusse questa lingua, non si
sa già manifestamente per alcuno scrit tore. Gli Ebrei, come si legge ne’loro
dottori sopra lo XI del Genesi, ove il testo dice che alla edificazione della
torre di N e m brot si parlava in terra d'una sola lingua, dicono questa essere
stata la loro, ed essersi così dal principio del mondo miraco losamente
conservata intera e incorrotta (la qual cosa a nes sun'altra è avvenuta giammai
"), per avere parlato Iddio sem p r e -m a i a M o i s è e a g l i a l t r
i s u o i p r o f e t i i n q u e l l a ; e q u e s t o è ancora confermato da
loro'con l'autorità dei loro Cabalisti,la quale può molto appresso di loro.Il
che nasce dalla opinione ch'egli hanno, che quando Iddio dette la legge a Moisè
sopra ilmonte Sinai,egli:glidesseancoralainterpretazionediquella, e gli
manifestasse molti altri profondi misterii, contenuti e n a scosi sotto la
lettera di quella, si come scrive Esdra nel suo primolibro.Ma dicano
ch'egliglicomandòsch'einonscri vesse altro che la Legge,e l'altre cose dicesse
a bocca a quelli che reggevano ilpopolo.Per laqual cosa,disceso dal monte,
solamente le rivelò a losuè;e Iosuè dipoi a i settantadue più vecchi del
popolo;e quelli dipoi per ordine successivo le re velaronoailorodiscendenti.E
questadicanoesserelascienza Cabala,che non vuol dire altro che ricevuta a bocca
per suc cessione. Questa oppenione ebrea ha molte difficultà. Primiera 1
giammai è della 2a T. · La 18 T., e questo ancora confermano. 3 La ja T., esso.
* Cioè, dicono ; cosi, appresso , scrivano per scrivono, e simili.
5La14T.,eglicomando. mente,sicomescrivanoiloroTalmudisti,'e'non
parech'eisia vero che questa lingua ch'egli usano,e nella quale è scritta? la
Legge, sia la lor prima e antica lingua.Imperò che Esdra, loro sommo sacerdote,
nella restaurazione del tempio dopo la servitù Babilonica,5 temendo che se gli
avveniva loro un'altra avversità simile, la Legge totalmente non si perdesse,
ragunò tutti i savi loro; e fece scrivere quella, e ciò ch'ei sapevano
appartenente a quella, in settantadue volumi. Ne'quali si legge che, per essere
stati tanto tempo in quella servitù, mutarono molto il modo dello scrivere e
dell'antica favella loro, e tro varono nuovi caratteri e nuovi punti, i quali
sono quelli ch'egliusano oggi;equesto ancorapare,chesentaS.Girolamo nel prologo
sopra i Libri dei Re. La ragione, per la quale ei dicano che Iddio parlo in quella,
non è d'alcuno valore; i m però chè quasi tutti i loro scrittori, o la maggior
parte, sopra iProfetidicanoIddiononaverparlatomai aquellivocalmente, ma quando
egli ha voluto manifestare qualcosa o a Moisé a aglialtri,avere loro formato
nella mente uno concetto,per il quale egli hanno inteso pienamente la volontà
sua.'L'autorità Cabalistica,dalla servitù Babilonica in qua,non ha avuta molta
fede; imperò che allora molti di loro, e per la servitù, e per la loro natura
ch'è molto superstiziosa,come scrive Apuleio nel primo libro de'Floridi,
scrissero di molte cose (dicendo di averle avute da iloro Cabalisti),che sono
manifestamente contro alla lorleggeecontro alla ragione naturale;come
sileggenelloro TalmutBabilonico,ilqualenonèaltrocheunoraccoltodi sen tenzie dei
loro sapienti di quel tempo.Aggiugnesi ultimamente a questo, che secondo essi
medesimi la loro lingua, con loro insieme, ebbe così nome da Eber figliuolo di
Sem ,figliuolo di N o è , a l q u a l e n e l l a d i v i s i o n e d e l l a t
e r r a t o c c ò l a G i u d e a ; il c h e ·La 1aT.,pererrortipografico,ha
Tamuldisti;diquilosconciodella2a, che ha Tamulisti. 2 La 18 T., hanno scritto.
i La 1a T., la Babilonica servitù. mai è della 2a T. La 1a T., la sua volontà.
delle. 620 LETTURA DUODECIMA 6 La 1a T., LEZIONE UNICA 621 I
Caldei,o vero Assirii,dall'altra parte dicono similmente che la lor lingua fu
la prima che si parlasse mai ; e certamente ellaètantosimileallaebrea,come
diceSanGirolamo?nelpro logo di sopra allegato,ch'ei si potrebbe fare coniettura
ch'elle fussero già stateo una medesima.E in confermazione di questo
adducanoquesteragioni,conl'autoritàdiBerosoCaldeo,'ediMna seae Damasceno, e
d'Ieronimo Egizio.Primieramente e'dicano che non si truovano scritture innanzi
al diluvio,se non nella lingua loro;e queste esser certe cose di astronomia,
insieme con la pre dizione del diluvio scritta da Enoc,figliuolo di Iared,bene
cin quecento anni innanzi a quello,in certi pezzi di terra cotta, ac ciò che
leacque non l'offendessero.E similmente dicano essere nel
MonteGordeo’inArmenia,incertisassi,dovedopo quellosifermò l'arca, scritte in
quel luogo da Noè in memoria di tanto caso alcune cose;"e illuogo ancor
nella loro lingua chiamarsi Mirmi Noa, che tanto vale uscita di Noè. Aggiungano
a questo,che Abramo,ilquale fu primo a dare principio al popolo ebreo, fu da
Dio primamente cavato di Caldea.Plinio pare che fusse ancor egli di questa
oppenione, scrivendo che le lettere assirie 3 Male le stampe Masea ; e la 12
T., con errore più grave, facendo di due scrittori uno solo,Masea
Damasceno.Anche nel Giambullari,Origine della lingua fiorentina
(Fir.,1549,p.19),trovasi quasi l'errore stesso, cioè Mnassea Damasceno.
Mnasea,geografodellafinedel3°sec.avantia Cristo, e Niccola di Damasco o
Damasceno, storico dei tempi di Augusto, sono citati,insieme con Beroso Caldeo
e con Girolamo Egiziano,da Giu seppe Flavio nel primo libro delle sue Antichità
Giudaiche, là dove ei parla del Diluvio. fu'circa trecento anni dopo
ildiluvio.Si che ei pare più ra gionevole, ch'ella avesse principio allora
quando ella ebbe il nome,ch'ellasifusseparlataprimatantotempo.E così,come voi
vedete, questa loro oppenione è molto dubbiosa. 1 il che fu non si legge nelle
1a T. La 1a T., S. Ieronimo. 3 La 1a T., che ella fusse già stata. 4 Caldeo manca
nella 2a T. 6 cotta manca nella 2a T. ? Giuseppe Flavio, loc. cit., lo chiama
Monte de'Cordiei. 8 alcune cose manca nella 1a T. sono eterne:la
quale non di manco non è senza molte diffi cultà. Imperò che molti istoriografi
degni di fede, e particular mente Iustino nel secondo della sua Istoria,tengono
che la prima terra che fusse abitata sia la Scizia,e conseguentemente la lor
lingua parimente sia stata o la prima. Il nostro Dante,parendogli che ciascuna
di queste oppenioni fusse dubbiosa e incerta,sicome per il testo si vede,fu
d'un altro parere diverso ; e a ciò lo indusse la esperienzia, maestra delle
cose.Imperò che vedendo egli per lescritture le lingue d i t e m p o i n t e m
p o v a r i a r s i, i n m o d o t a l e c h e c o m e e g l i s c r i v e nel
suo Convito) se quei che morirono cinquecento anni sono,
risuscitatitornasseroallelorocittadi,eicrederebbonoche quell
fosserodastranegentioccupate,perlalinguadaloro discor dante.E non potendo però
per questo persuadersi che dal prin cipiodelmondo allaedificazionedellatorre
diNembrot,dove corsero circa due mila . anni, sempre si conservasse un m e d e
simo modo di parlare, induce Adamo a rispondere che quella lingua,la quale
eiprimieramente parlò,sispense e mancò tutta, innanzi che le genti di Nembrot
cominciassero a edificare la torre. Per la quale risposta si può chiaramente
vedere che il libro Della volgare eloquenza,tanto da alcuni Lombardi lodato,e
tra dotto (per dire come loro) in lingua italiana, non è di Dante, ma da
qualcuno altro stato cosi composto,e col nome di esso Dante mandato fuora.Con
ciò sia cosa che quivi sidicas che la prima lingua,che parlasse Adamo,fuquella
che usano oggi gli Ebrei, e che ella durò insino alla edificazione della torre
di Nembrot ; dove qui dice Dante il contrario. Oltr'a di 5 La 1a T., 022
LETTURA DUODECIMA que sto, quivi si biasima il parlare fiorentino, il quale
Dante nel suo Convito loda massimamente. Le quali contradizioni non credo iomai
che Dante non avesse vedute, o vedutole, accon 1 La 1a T. ha soltanto stata . ?
Le stampe hanno dalloro ;ma parrebbe qui meglio convenire dalla loro. i della
torre, manca nella 2a T. *La 1aT.,dumilia. dice . LEZIONE UNICA 623
sentite e scritte.E questo basti per intelligenza della nostra prima
conclusione.Or vegniamo alla seconda: Che nullo effetto 1 mai razionabile, Per
lo piacere uman,che rinnovella Seguendo il cielo, fu sempre ? durabile. Rende
la ragione Adamo perchè si mutino e variino i par lari; e comincia da questa
dizione che, dicendo che nullo effetto razionabile,cioè nessuna cosa fatta
dall'uomo, il quale si chiama animal razionale,per lo piacere umano,cioè per il
desiderio e per loappetitoumano:questovocabolopiacerehanellanostra lingua duoi
significati; primieramente e'si piglia per ogni sorte di diletto; e appresso,
perchè a tutte quelle cose che noi de sideriamo, ottenute che noi le abbiamo,
ne seguita la diletta zione e il piacere, ei si piglia ancora per il desiderio
e per loappetitochenoiabbiamodiunacosa;sicome noiveggiamo usarlo dal Boccaccio
in molti luoghi,e particularmente nella novella di Rustico e di Alibec,dove ei
dice:cheper disporla a ' s u o i p i a c e r i, c i o è a l l e s u e v o g l i
e : e d i n q u e s t o s i g n i f i c a t o l ' u s a qui Dante, dicendo:per
lopiacere umano,cioè per ildesiderio umano,che sirinnova esimuta,seguendo
ilmoto del cielo, fu sempre durabile.E qui con grandissima arte egli aggiunse
sempre; imperò che ei si truovano molti effetti dell'uomo, si come sono le
scritture,le statue e la fama, Che trae l'uom del sepolcro e'n vita il serba,
come disseilnostroPetrarca,lequaliduranotantotempo,che gli uomini,per non
vedere ilfineloro,l'hanno chiamate eterne; ma non però sono durabili sempre.La
qual cosa mirabilmente espresse Dante medesimo in un altro luogo, dicendo:
Tutte le vostre cose hanno la morte 3 Come che voi;* ma celasi in alcuna Che
vive 5 molto, e le vite son corte. 1 Cr.affetto. 2Cr.semprefu. ö Cr.Le
vostre cose tutte hanno lor morte. i Cr. Siccome voi. 5 Cr. Che dura.
E cosiharendutolaragioneperchèiparlarisimutino.Ma per maggiore
intelligenza di questa sua ragione, è di necessità vedere per quello che l'uomo
si chiami razionabile,e in che modo le sue voglie, seguendo i moti del cielo,
si mutino. D e vetedunque saperecheilCreatorediquestouniverso,perfarlo più
bello ch'ei poteva, fece in quello di ogni sorte creature ; e quelle dispose
tra loro con tanto ordine,cominciandosi dalla prima materia che riceve lo
essere di tutte le cose,e salendo d i g r a d o i n g r a d o i n s i n o a l l
' u l t i m a f o r m a , c h ' è I d d i o , il q u a l e 1 dà l'essere a
tutte,che ifilosofi l'assimigliarono a i numeri;i quali sono tra loro disposti
con tanto ordine, ch'ei non si può tra loro inframettere unità alcuna senza
variargli. Intra queste cose, 624 LETTURA DUODECIMA alcune o furono da
lui fatte perfette, e alcune imperfette. Perfette si chiamono : quelle che
furono da lui create incor ruttibili,e in certo modo eterne, ed ebbero tutte le
perfe zioni che si convengono alla loro natura insieme con lo essere, sì come
sono, infra i corpi, i cieli, e infra gl'intelletti, quello
dell'angelo.Imperfette poi si chiamono quell'altre,che furono da luicreate
corruttibili e mortali,e che non ebbero da prin cipiotuttalaloroperfezione,ma
sel'hannoacquistataconil moto e con il tempo,e oltr'a questo sono sottoposte a
tutte le alterazioni che arrecano seco imoti celesti; si come sono, tra i
corpi, le piante e gli animali, e tra gl'intelletti, quello del l'uomo,per
essere col suo corpo mirabilmente unito.E questo fece il sommo Fattore, perchè a
questo universo non mancasse alcuna sorte di creature, acciò che le perfette
con la loro bel lezza e perfezione di natura ci tirassino alla contemplazione
di esso Iddio sommo,e le imperfette, poste a lato a quelle,ci ren dessino la
loro bellezza più maravigliosa e più desiderabile. L a qual cosa veggiamo noi
che usano ancora 6 nei loro canti i m u . sici,mescolandovi delle consonanze
imperfette, perchè quelle r e n dino poi le perfette più dolci e più grate a
gli orecchi de gli iLa 1aT.,che. 2 2a T., alcune ne furono. 3 La 1a T., chiamo
io. * La 1a T., Imperfette chiamo io ecc. 5 La 1a T., che ancor fanno.
LEZIONE UNICA 625 ascoltanti.Ma perchè questo sommo benefattore e padre
volle che ogni cosa potesse acquistare la perfezione sua, dette a cia scuna un
valore e una virtù per la quale ad essa si conducessi, e una voglia e un
desiderio ardentissimo che a quella le ti rassi; si come agli elementi uno
valore che gli spigne a quei luoghi dove ei sono sempre perfetti, come alla
terra lo andare alcentro,ealfuocoalconcavodellaluna,làdoveegliève ramente
fuoco; (imperò che,come noi abbiamo da Aristotile nel primo delle Meteore,
questo che noi veggiamo non è fuoco, m a è una soprabbondanza di calore,sicome
è ilghiaccio nell'acqua una soprabbondanza di freddo); e alle piante uno
principio in trinseco,' per il quale elle si nutrissero ed aumentassero e po
tessero generare dell'altre simili a loro;? e agli animali uno principio di
moto intrinseco, per il quale ei potessero fuggire quelle cose che fossero
nocive e disconvenienti alla natura loro, e seguir quelle che fosser loro
salutifere e convenienti, insieme con un desiderio innato che gli spingesse a
cercarle. Questo principio nelle piante e negli animali è stato chiamato dai
filo sofi natura, che altro non vuol dire, che quella potenza onde ha origine e
principio quel moto,per il quale egli acquistano le loro perfezioni.E
desiderando similmente ancor che l'intel letto dell'uomo acquistasse la sua
perfezione, gli diede una po tenza o vero facultà, con la quale ei potesse
similmente acqui starla,chiamata dai filosofi discorso o vero ragione.Imperò
che l'intelletto dell'uomo non ha da natura altra cognizione che quella dei
primi principii,insieme con ildesiderio dello inten dere,ch'è lasua
perfezione:iquali,sìcome noi abbiamo da Ari stotile nel quarto della sua Prima
filosofia,' sono le conclusioni che sono parimente chiare e note a tutti
gl'intelletti, subito ch'egli hanno inteso itermini loro,come sarebbe
questa:egliè impossi bile che in un medesimo tempo una cosa medesima sia e non
sia; perchè ciascuno intelletto,subito ch'eisa che cosa è essere,e che 1La
1aT.,uno intrinsecoprincipio. ? La 1a T., dell'altre a loro simili. 3 La 1a T.,
valore. 4 La 2a T., della sua Filosofia. 40. Vol.II. 626
LETTURA DUODECIMA cosa è non essere,sa che questa conclusione è vera per
proprio lume intellettuale, e non l'impara per esperienza o per eserci z i o a
l c u n o . O n d e b e n d i s s e il n o s t r o D a n t e n e l s u o P u r
g a t o r i o : Da questa cognizione intellettuale de iprimi principii,come da
cosa nota,partendosi l'intelletto dell'uomo,con una potenzia ch'egli ha va
discorrendo e raziocinando (se così dir si puote) all'intelligenzia delle cose
ch'ei non intendeva,ed empiesi di intelligibili,doveprimaeracome una tavola rasa;ecosìviene
ad acquistare la sua perfezione. Questa potenzia nella nostra lingua si chiama
ragione; e da lei è l'uomo poi chiamato ra zionale, così come quell'altre cose,
che io prima vi dissi, per acquistare la loro perfezione con la natura, son
chiamate n a turali. Questo nome razionale ? non si può dare all'Angelo, a n
cora ch'egli abbia lo intelletto,per essere quello • d'una natura pura
intellettuale; la quale fu creata da Dio con tutte le sue perfezioni, cioè
piena di tutte le specie intelligibili (onde non sel'haacquistare
conalcunasuaoperazione,comel'uomo);e che oltra di questo è 8 di tanta virtù,che
quando Iddio gli a p presentasse qualche nuovo intelligibile, ei lo
intenderebbe s u bito per semplice lume dell'intelletto,nel modo che intendiamo
noi iprimi principii,e senza alcun discorso,e tutto perfetta
menteinunoinstanteeinuno tempo indivisibile;enonprima una parte e poi l'altra,
si come fa l'intellettonostro ne l’in tender suo,o per non essere di tanta
perfezione; m a farebbe in quel modo che fa uno lume,quando egli è portato in
una stanza buia,che la illumina tutta in uno istante, e non prima una parte e
di poi un'altra.E per questo dicano alcuni teologi che gli A n g e l i c h e p
e c c a r o n o n o n si s o n o m a i p o t u t i p e n t i r e ; i m p e r ò
c h e ne l'intender suo, non è nella 1a T. Però là onde nasca 1
l'intelletto Delle prime notizie,uomo non sape. 1Gr. vegnd . ? La 1a T. manca
di questa parola. 3La1aT.ha:perchèegliè. ·La18T.,enonsel'haavuteacquistare.
5La1aT.hasolo:Oltraadiquestoeglièecc. LEZIONE UNICA 627 intendendo
quegli ciò ch'egl'intendano per semplice 'apprensione d'intelletto, lo
intendano immutabilmente, e senza mai potere variareemutare illoro
intendimento;sicome ancora noi non possiamo mutarci di quelle cose che noi
intendiamo per sem plicelume d'intelletto,come sonoiprimiprincipii;ilchenon
avviene di poi di quelle che noi intendiamo per discorso di ra gione.E
peròsichiamal'Angelocreaturaintellettuale,el'uomo creatura razionale e
discorsiva.E perchè,in quanto al corpo, l'uomo è composto di questa materia
elementare della quale sono composte tutte le altre cose sotto la luna, la
quale m a teria è obligata e sottoposta alle alterazioni che inducano i moti
celesti in lei,egli è da quegli insieme con l'altre cose di versamente
disposto.Onde cosi come la terra altra disposizione riceve dai cieli il verno,
quando ella ha a corrompere i semi e generare le cose, e altra la primavera,
quando ella si ha a vestire di erbe e di fiori, così la complessione nostra
altrimenti è disposta in uno tempo,e altrimenti in un altro;onde l'anima nostra
razionale,in quanto ellaè fondata in su questa nostra complessione
corporale,altre voglie ha in un tempo,e altre in un altro. Imperò ch'ella è
tanto mirabilmente unita con quello,che l'operazioni che ancor totalmente
dependono da lei mentre ch'ella è in esso corpo, si attribuiscano al tutto;
onde dice il Filosofo nel primo Dell'anima, che chi dicesse : l'anima mia
odia,o l'anima mia ama, sarebbe come dire:l'anima mia fila,ol'animamiatesse.E seciònonfusse,cioèchel'anima
seguisse la disposizione del corpo,egli ne avverrebbe,sicome apertamente pruova
Galeno in una operetta ch'ei fa di questa materia, che l'operazioni degli
uomini sarebbero tutte a un modo medesimo;3di che manifestamente si vede ilcontrario.
Imperò che le anime nostre nella loro sustanzia,e,come dicono questi teologi,
in puris naturalibus, sono tutte in un medesimo modo e d'una medesima virtù;ma
pigliano poi diversi costumi, secondo la complessione de'corpi ne'quali elle
sono incluse, 1La1aT.,perunasemplice. 4 La 1a T.,con manifesto
errore,mutabilmente. 3La1aT.,aunmodo. e hanno diverse voglie,
secondo che quegli si variano per i moti celesti.E questo basti per la seconda
parte del nostro ra gionamento. Or vegniamo alla terza e ultima. Risponde
dottissimamente in questa ultima parte Adamo a una tacita obiezione, che se gli
sarebbe potuto fare; la quale Ma,cosiocosi,naturalascia Poi fare a voi secondo
che v'abbella. Per le quali parole voi avete a considerare che l'uomo è c o m
posto di due nature,o vogliam dire di due parti;con l'una delle
quali,laqualeèl'animaincorporea,immortale,razionalee li bera,egliè simile
alleIntelligenzie celesti;econ l'altra,laquale è
ilcorpomortaleeirrazionale,èsimileaglianimalibruti.E ciò fu dalla natura fatto
con mirabile artificio; imperò che avendo ella fatto in questo universo delle
creature irrazionali,corporee e m o r t a l i , e d e l l e r a z i o n a l i,
i n c o r p o r e e e d i m m o r t a l i , e n o n v o lendo che siandasse da
l'uno estremo all'altro senza mezzo,le fu necessario fare l'uomo, che con una
parte communicasse con 628 LETTURA DUODECIMA 1 Opera di natura3 è ch'uom
favella; può,non leggesi nella 2a T. ? naturale, manca nella 2^ T. 3 Cr. Opera
naturale. è questa. Potrebbe dire alcuno:A me non pare che questa tua ragione,
Adamo,conchiuda e sia bastante;imperò che tudi'che iltuo parlare mancò per
essere effetto dell'uomo,e gli effetti dell'uomo col tempo mancano tutti,per
esser esso uomo ,ch'è la loro causa , caducoemortale;enessunoeffettopuò
esseredimaggiorperfe zione che la sua causa. Questo è ben vero, che gli effetti
che procedano semplicemente dall'uomo non sono sempre durabili; m a il p a r l
a r e n o n è d i q u e s t i . I m p e r ò c h e n o n è s u o e f f e t t o t
o talmente, ma è sua propietà naturale;' le quali così fatte pro pietànon
siseparano mai dallaspecie loro,sìcome lacalidità dal fuoco, e la frigidità
dall'acqua. Dunque come di'tu ch'ei mancasse per esser suo effetto ? Alle quali
parole così risponde Adamo : LEZIONE UNICA 629 q u e s t e , e c o
n u n ' a l t r a c o n q u e l l e . E p e r ò il p a r l a r s u o , i n s i
e m e con l'altre sue operazioni, si può similmente considerare in due
modi.Primieramentesipuò considerarecomesuaproprietàna turale; e questo è il
parlare istesso in genere,non si ristrignendo
piùaunomodocheaunoaltro;'einquestomodoeglinon mancherà mai all'uomo,ma sempre
che saranno uomini,sempre parleranno;e di questo non parla qui
Adamo.Secondariamente si può considerare come cosa dependente dalla parte
libera e r a zionale dell'uomo ;e questo è il modo del parlare (e non il par
lare),come sarebbegreco,latino,o toscano;e in questo modo è egli effetto
dell'uomo, e variasi e mutasi secondo che pare a gli uomini.E però disse il
Filosofo che i nomi sono stati posti alle cose,secondo ch'è piaciuto a gli
uomini.E questo è quello chedicequiAdamo,chemancòemutossi.Onde diceneltesto:
Opera di natura è ch'uom favella, cioè : egli è cosa naturale all'u o m o il
parlare ; m a così o così, m a più in questo modo che in quello,natura lascia
poi fare a voi, secondo che vi abbella, cioè secondo che vi piace;chè cosi si
gnifica questo verbo.Il quale è verbo provenzale,che a quei tempi era in uso ;
e dal medesimo Poeta ancora fu usato,? nella medesima significazione, nel
Purgatorio in persona di Arnaldo di Provenza, che fu nei tempi suoi compositore
molto famoso, sì come noi veggiamo per le parole del Petrarca ne'suoi Trionfi.
E così è soluta questa obiezione.Ma per maggiore dichiara zione di questo
testo, voglio che noi veggiamo per quello che il parlare sia stato dato dalla
natura solamente all'uomo, e non ad alcun'altracreatura,ese
egliènecessarioono;imperò che la natura, così com'ella non manca mai nelle cose
necessarie, non abbonda ancora mais nelle soverchie. ' La 1a T., non si
ristrignendo più a questo modo che a quello. 1La 1aT.hasolo:ancorausato.
Avendo la naturà fatto l'uomo, in quanto al corpo, il più imperfetto e debole
di alcun altro animale (il che forse le fu 3 ancora mai, non è nella 1a
T. forza, per volerlo fare più prudente che alcun altro,donde gli
bisognò farlo di più temperata complessione),ne avviene che ogni minima cosa
l'offende; il che non fa così agli altri animali.Oltr'a di questo,avendogli
dato lo intelletto in certo modo imperfetto e ilminimo tra le intelligenze,come
noi abbiamo dal Filosofo nel libro Dell'anima,e desiderando ch'ei potesse
conseguire la perfezione e dell'uno e dell'altro,le fu necessario concedergli
il parlare, con il quale ei potesse chiedere i bisogni del corpo, e apparare le
cose necessarie alla perfezione dell'anima. Voi
vedete,inquantoalcorpo,ch'einasceignudo,ehassia ve stire della pelle degli
altri animali, a procacciarsi il cibo, e a fabricare le case,dov'ei possa
difendersi da quegli incommodi che arrecano'seco le varie stagioni
de'tempi.Vedete ancora di poi,in quanto all'anima,che gli bisogna apparare
molte cose,se non necessarie allo essere,almanco al bene essere della sua vita,
senzalequaliellasarebbemiseraeinfelice.Ilchenon avviene a gli altri animali;'
perciò che ei sono vestiti dalla natura, e per tutto truovano i cibi
convenienti alla lor vita ; e senza alcuno maestro, ma solamente da naturale
instinto guidati, si sanno fare le case, e ciò che fa loro di mestieri a
conservarsi. Vedete la rondine, che quando viene il tempo di fare i suoi
figliuoli, sa per natura fare il nido ; e di poi, veggendogli nati
ciechi,vaacercare lacelidoniaperguarirgli.Eleformiche similmente sono da lei
spinte,quando ifrumenti sono sparsi su per l'aie, a pigliarne e riporgli nelle
lor buche. Che bisogno adunque avevano glianimali di parlare? Chè,seeisono
d'una specie medesima,hanno bisogno di sìpoche cose, e tutti a un modo,e son
spinti dalla natura a cercarle:e se ei sono di varie specie,non
convengonoinsieme.Ma all'uomoèeglicertamente stato necessario ;imperò che egli
ha bisogno di tante cose,e quanto al corpo e quanto all'anima,che nessuno se le
può procacciare per sè solo; e però è stato bisogno che si accozzino insieme
molti, e che l'uno sovvenga al bisogno dell'altro. Il che non 4 La 1a T., Il
che a gli altri animali non avviene. 2 La 1a T., è dalla natura spinta a
cercare. 3 La 1a T., hanno di sì poche cose bisogno. 630 LETTURA
DUODECIMA LEZIONE UNICA 631 si saria potuto fare senza questo mezzo
del parlare,con ilquale l'uno possa manifestare all'altro i suoi bisogni ; e
per questo la natura l'ha dato solamente all'uomo,come quella che non manca
mai'nellecosenecessarie.E peròèquichiamatodalPoetail parlare operazione
naturale dell'uomo, cioè necessaria alla n a tura sua.E se alcuno mi
opponesse,dicendo che ci sono an cora de gli animali che parlano,si come gli
stornegli, le gazze, i papagalli,e non solamente l'uomo,si risponde che il loro
non èparlare,ma èunaimitazionedivoce;imperòcheeinonin tendono ciò che ei
dicano,e dicano sempre quelle parole che egli hanno nell'udire imparate,o a
proposito o no ch'elle si sieno. E se alcun altro dicesse : C o m e di'tu che
il parlare è solamente dell'uomo ?non abbiamo noi nelle sacre lettere,in molti
luoghi, ch'e'parlanoancoragliangeli?dicocheilparlarenon s'appar tiene
all'angelo,come angelo.Imperò che gli angeli sono spiriti, e sono loro
manifesti iconcetti l'uno dell'altro; ma se eglino alcuna volta hanno parlato,
ei l'hanno fatto per manifestarsi a noi e per bisogno nostro, e hanno preso
corpi, dal ripercoti mento de i quali hanno formate le voci o vero suoni,e con
la lor virtù le hanno poi terminate e fatte significative; si come ei fecero
nell'asina di Balaam, la quale coi suoi strumenti natu rali faceva la voce,e
l'angelo la terminava e faceva significativa. A v e t e d u n q u e v e d u t o
c o m e il p a r l a r e è s o l a m e n t e d e l l ' u o m o , e com'ei sia
sua operazione e proprietà naturale.Della qual conclusioneioprobabilmentecavo
una particularlodedellano stra lingua;equesta siè,ch'ellasiapiùpropria
all'uomo,che alcun'altrachesiparli.E chequestosiailvero,lopruovocosì. Tanto
quanto una operazione è all'uomo più propria e secondo
lasuanatura,tantoglièancopiùfacileemen faticosa;ilpar lare nostro gli è men
faticoso e più facile che alcun altro;
adunqueglièpiùproprio,epiùsecondolanaturasua.E che
•La1aT.ha:imperòcheeinonintendonociòcheeidicano,cheèil propriodelparlare.E
cheeisiailvero,avvertitechee'diconosempre quelle parole ecc. i La fa
T.,che mai non manca. ? La 1a T., gli storni. questosiailvero,ponetementechenessunalinguaèpiù
fa cile a imparare,che la nostra.Pigliate uno che non sappia altra lingua che
lasua,emenateloinTurchia,nellaMagna,fraSpa gnuoli,Francesi o Schiavoni,o tra
quale altra gente sivoglia; e poi lo menate tra noi. Voi vedrete (e questo ne
dimostra la esperienzia) ch'ei non imparerà di qual si voglia lingua tanto in
uno anno, quanto ei farà della nostra in uno mese. Il che non avviene per
altro, che per la facilità d'essa, e per la pro prietà ch'ella ha con la natura
umana.Un'altra cagione si po trebbe forse ancor dire che fusse quella, per la
quale questa nostra lingua s'impara così facilmente.E questa siè,per avere
tutte le sue parole che finiscono in lettere vocali ; le quali per essere, come
scrive Macrobio, quasi che naturali all'uomo, si mandon più facilmente alla
memoria che l'altre,e ancora più lungamente si ritengono.Donde nasce forse
ancora quella m a ravigliosa bellezzach'ellaha,scrivendoQuintiliano,chequante
più lettere vocali ha una parola, tanto è più dolce e più grato il suo suono.
Seguita Adamo ilparlar suo;e per confermazione delle cose ch'egli ha dette
adduce per esemplo,che innanzi ch'ei morisse,
gliuominimutaronoilnomeaDio;edoveprimalochiama vano Uno,gli posero nome
El.Nelle quali parole ei fa quella bellaargomentazione
cheilogicichiamanoamaiori;laquale io credo che noi potremo ? chiamare dalla
parte più importante. Fa dunque Adamo questa argomentazione, per volere provare
che la sua lingua mancò, dicendo: Se Iddio, il quale è sola mente stabile e immutabile
in tutto questo universo, a mio tempo mutò nome, che credete voi che facessero
l'altre cose, le quali sono in sempiterno moto e continuamente si variano ? Di
poi dice che noi non ci debbiamo maravigliare diquesto; con ciò sia cosa che
l'uso umano continuamente si muti e si varii in ciascuna operazione nostra. E
assomigliandolo alle frondi, fa una comparazione tanto dotta e tanto bella, che
io 632 LETTURA DUODECIMA 1La1aT.,eifaunaargomentazione. 2 Così le stampe;
ma forse la lezione vera ha da essere potremmo. 3La
1aT.hasolo:conciòsiachel'usoumanocontinovamentesimuta. LEZIONE
UNICA 633 Pria ? ch'io scendessi all'infernale ambascia, cioè: prima ch'io
morissi e discendessi nel Purgatorio,o vero nel Limbo,dove andavano tutte
l'anime di coloro che crede vano l'avvenimento di Cristo.Ambascia è quella
infermità che iGreci e iLatini chiamano asma,e ancora da noi toscanamente si
chiama asima;la quale è una difficultà di alitare, che, se condo Aezio
nell'ottavo, nasce dall'avere ristretti i meati del polmone (cioè quei luoghi
dove passa lo spirito a rinfrescamento del cuore),e ripieni di materie grosse
eviscose;'o veramente nasce da debolezza di virtù naturale. Galeno nel quarto
libro De'luoghiinfettidicech'ellapuòancorprocedereda infiamma zione di cuore;e
dà lo esemplo di coloro che hanno la feb bre,e di coloro che si sono affaticati
nel correre, i quali, per avere acceso ilcalore nel cuore ed
eccitatolo,'patiscono que sta difficultà di respirare. E perchè ancora coloro
che sono rinchiusi in luoghi che non abbino esito,o son ripieni di vapori
grossi, patiscano questa difficultà, si dice per similitudine che gli hanno
l'ambascia. Ora perchè ilLimbo,come voi avete da Dante medesimo, è un luogo
appiccato con l'Inferno nel ventre della Terra; e ne'luoghi che sono sotterra,per
esser ripieni di vapori,che il sole continuamente tira da quella, si respira
con difficultà, dice qui Adamo: Pria ch'io scendessi all'infernale ambascia,
cioè,al Limbo tra gli altri santi padri.Questo luogo ancora nelle s a c r e l e
t t e r e è c h i a m a t o il s e n o d i A b r a m o ; e l a c a g i o n e è
, p e r chè Abramo fu il primo,che lasciati gl'Idoli venissi al cultos
perme nonsapreichealtralodedarmele,senondirech'ella' è di Dante ; perciò che io
non ho mai visto ancora autore al cuno che in questo l'avanzi.Dice adunque il
testo: 1 La 18 T., che dire ella ecc. ?Malela2aT.,Prima. 3 La 1a T.,di materia
grossa e viscosa. · La 1a T., escitatolo. 5 La 1a T., venne al vero
culto. di Dio;onde gli fu promesso che del seme suo uscirebbe la redenzione
del mondo.E però coloro che morivano,andando in questo luogo, si diceva che gli
andavano a riposarsi nel seno di A b r a m o, cioè nella promissione che fu
data da Dio ad A b r a m o . Dice adunque Adamo:pria ch'io scendessi a questo
luogo,il sommo bene, cioè Iddio, Donde vien la letizia che mi fascia, cioè, da
cui viene la mia beatitudine (imperò che, come noi a b
biamoinSanGiovannialXVIIcapitolo,altrononèvitaeterna
chevedereIddio),erachiamato dagliuominiUno.Ilqualenome glifupostodaqueglipersimilitudine,eper
alcune proprietadi cheha l'unità con Dio,sìcome è,essere semplice,indivisibile,
non essere numero, ma principio di tutti,e mantenere tutte le
coseinessere;perchè,come voi avete da Boezio,tantoèuna
cosa,quantoellaèuna;lequalituttecosesonoinDio.Im però che egli è semplice e
indivisibile; non è alcuna di queste cose che noi veggiamo,ma principio di
tutte,e mantienle in essere continuamente ; e molte altre proprietà simili al
l'unità , comesileggenelladottrinapitagorica.E perògliposerogli uominiquestonomeUno;perchènonpotendoporglinomi
che significassero la sua sustanzia (perchè nessuno conosce il Padre , se non
ilFigliuolo,come noi abbiamo in San Matteo allo XI ), gli ponevano di quegli
che significano ? qualche sua proprietà. Dipoi,lasciandoquestonome
Uno,lochiamaronoEl,cioèDio; il quale nome gli fu ancora posto per una proprietà
sua. I m però che considerando gli uomini la maravigliosa potenza de le opere
sue, lo assimigliarono a l'ardere del fuoco, non si ritro vando infra
l'operazioni delle cose naturali potenzia alcuna che superiquelladelfuoco.Onde
diceiltesto:Ellesichiamdpoi. Avvertite che tuttiitesticheiohovistidicano:Eli
sichiamo poi; ilche non può stare;imperò che Eli vuol dire Iddio mio; 1 La 28
T., ha ;ma la lezione è mal sicura,poiché il passo nella stampa è guasto, e
potrebbe non essere stato emendato interamente nelle correzioni a detta
edizione. In quella del Doni, le parole a l'unità mancano. 634 LETTURA
DUODECIMA •La faT.,significavano. LEZIONE UNICA 635 donde la sentenza
non quadrerebbe a dire:ei si chiamò poi Iddio mio.Anzi sichiamò El, che vuol
dire Iddio.E per fare il verso intero disse Elle,e non El,come ei devea;e usò
qui lo Elle in quel modo ch'egli usò nel XXIII canto del Pur gatorio lo m ,
dicendo : Ben avria quivi conosciuto l'emme. Questo nome El fu ancora posto a
Dio per una sua proprietà; perchè tanto è adireEl,quanto potenteeconservatore.E
per questa cagione una gran parte degli angeli,per essere stati da Dio ordinati
e deputati a governare e mantenere questo uni verso,hanno incluso nel nome loro
questo nome diIddio El; nè senza quello si possono nella ebraica lingua
proferire, si come è Gabriel,che vuol dire grazia o vero virtù di Dio, Raf
fael,medicina di Dio,e così va discorrendo de gli altri.La qual cosa non è senza
gran misterio,come potrà ben vedere chi vorrà diligentemente esaminarla nel
santissimo Reuclino e nell'uni versalissimo'Agrippa.Di
poiseguitailtesto:eciòconviene,e questa è cosa conveniente;però che l'uso umano
Dottissimamente e con grande artificio assomiglia il Poeta i c o stumi dei
mortali alle fronde.Imperò che,come voisapete,le fronde si generano e cascano
da gli alberi per la disposizione che fa il sole con l'altre stelle,
appressandosi o discostandosi da quegli; e così le nostre voglie, sì come noi abbiamo
a suf ficenzia di sopra dichiarato, si mutano e si variano secondo la
disposizionecheilcieloinduceneinostricorpi.E questobasti per dichiarazione di
questo testo. Se altra volta ne fia data occasione,noi c'ingegneremo di
sodisfarvi maggiormente per la grata audienza che voi ne avete prestata; della
quale somma mente vi ringraziamo. 1 La 1a T., e universalissimo. Grice: “The
issues Gelli addresses are interesting, but hardly Oxonian.” Grice: “Gelli is
considering ‘our tongue’ (nostrra lingua) and conversing on how difficult it is
to set it to rules – not impossible, though. Cf. my procedures. Gelli is
confused about ethnicity. The Roman ethnicity is different from the Latin
ethnicity, -- or rather the Latin ethnicity involved more than the Roman ethnicity
– yet he uses freely and undistinnctly ‘lingua romana’ and ‘lingua latina’ – or
‘latino’ meaning sermone – otherwise, he refers to ‘i romani’ – never to ‘I
latini’ – the thing is – with who is he contrasting them? With the fioreusciti
fiorentini like himself, the flourished Florentines – lingua fiorentina – but
he seems to prefer lingua toscana – he accepts that lingua napoletana is quite
a different thing, since he himself cared to translate from ‘lingua napoletana’
to ‘lingua toscana’ – more interestingly, he is into Toschani (thus spelled)
--. And here comes the myth which some have called evangelist. Etruria as the
cradle of Tuscany, and Hebrew and Adam’s tongue as the ‘lingua primigenia’.
Gelli is clear about the nature of language – made for ‘uno possa manifestare
all’altro i suoi bisogni. Like Plato, he revels in the dialogic form, of a
cooper with his own soul – what about Boezio and Cicerone, he asks. They are
different. Cicero tried to ENRICH (make piu ricca) the lingua he thought was
the ‘piu bella del mondo’ – Boezio the same. But the Toschani are not Romani –
and so the cooper can do as he wishes!” Giovan Battista Gelli. Gelli. Keywords:
sulla difficultà di mettere in
regole la nostra lingua, lingua, linguaggio, Grice on English, idiolect,
dialect, Language, ---. Noe – origine della lingua, la lingua di Adamo – la
lingua fiorentina -- Accademia agli Orti Oricellari; Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Gelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690118940/in/photolist-2mPC6Zb-2mLKeCe-2mKC3nj-2mKFnvf-2mKA5tC
Grice e
Gemmis – il console – filosofia italiana – Luigi Speranza (Terlizzi).
Filosofo. Grice: “I love Gemmis.” Grice: “Gemmis is a good example of how an
Italian philosopher differs from a philosophy don at Oxford – ‘don’ is
derogatory; whereas de’ Gemmis is a barone! – And he writes about ‘reason,’
‘ragione’ – with Abate Genovesi --; unlike a ‘don’ at Oxford who would over-do
reason to keep a post at his college!” – Grice: “In them days, Italian
illuminists took reason very seriously, and possibly ‘light,’ too!” Ferrante de
Gemmis (Terlizzi), filosofo. Figlio del Barone di Castel Foce Tommaso de Gemmis
e di Francesca Bruni dei baroni di Cannavalle, fu fratello di Gioacchino,
rettore dell'Altamura, di Giuseppe de Gemmis, Presidente della Regia Camera
della Sommaria, e di Giovanni Andrea, Consigliere della Suprema Corte di Giustizia. Si trasferì in Napoli affidato al prozio, il
potente Ministro Ferrante Maddalena, dove studia dai più prestigiosi
precettori. Fu allievo di Genovesi, di cui divenne amico e con cui mantenne una
cospicua corrispondenza epistolare raccolta nelle Lettere familiari del celebre
illuminista. Si laurea a Napoli, il ministro Maddalena lo introdusse negli
ambienti più esclusivi della corte partenopea istituendolo erede universale con
la clausola di aggiungere il suo cognome, obbligo mai rispettato dai
discendenti. Morto il pro-zio, e nominato dal sovrano giudice a Cava de'
Tirreni e fu malvisto a corte poiché rinunzia alla carica per ritirarsi a
Terlizzi, per stare vicino al padre malato. Qui si dedica ai suoi studi di
filosofia e da vita ad una fervida attività culturale rivelandosi l'esponente
primario dell'illuminismo. Istituì una Accademia, vero e proprio cenacolo
culturale con scopo di ricerca scientifica e di attuazione pratica di
conoscenze in campo agricolo. Purtroppo, non ottenendo l'approvazione Reale perché
sospetto centro di idee liberali, l'Accademia dovette chiudere, ma gli incontri
culturali proseguirono ufficiosamente per anni grazie anche all'incoraggiamento
epistolare di Genovesi. Sposa Caterina Lioyi, di nobile famiglia di orientamento
massonico. Fu governatore de promosse il riscatto della città dal diritto di
molitura che aveva la duchessa di Giovinazzo donna Eleonora Giudice. Fonda il
Conservatorio delle Orfanelle a la scuola pubblica con reale approvazione. Fu
inoltre incaricato da Ferdinando I di Borbone al riordinamento
dell'amministrazione della Città, che fu divisa in tre ceti in base ai ranghi.
Ebbe sette figli, tra cui Tommaso de Gemmis Maddalena, capitano dei R. R.
eserciti e governatore militare di Terlizzi; Elisabetta, moglie di Giuseppe de
Samuele Cagnazzi, fratello del celebre Luca de Samuele Cagnazzi; Cecilia,
sposatasi con Pietro Lupis e Giuseppe, sposato a Donna Maria de Introna, dalla
cui discendenza avrà origine il ramo di Gennaro de Gemmis. De Gemmis scrive
numerose opere letterarie e filosofiche, che volle pubblicate anonime per
modestia e che oggi sono andate perdute, salvo “Tavole cronologiche della
Storia Universale” (Napoli, Stamperia della Soc. Letteraria e tipografica).
Gaetano Valente Feudalesimo e feudatari Terlizzi nel Settecento, Molfetta,
Mezzina, Cabreo de Gemmis, Biblioteca Provinciale de Gemmis, Bari Ruggiero Di
Castiglione, La Massoneria nelle Due Sicilie e i fratelli meridionali del '700, Gangemi Editore, Roma. FERRANTE
DE GEMMIS Figlio di Tommaso de Gemmis e di Francesca Bruni dei baroni di
Cannavalle, fu fratello di mons. Gioacchino de Gemmis, rettore dell'Università
di Altamura e di Giuseppe de Gemmis, Presidente della Regia Camera della
Sommaria. All'età di undici anni si trasferì nella capitale affidato al prozio,
il potente Ministro Ferrante Maddalena, dove studiò grammatica, eloquenza greca
e latina, logica e matematica dai più prestigiosi precettori dell'epoca. Fu
anche allievo dell'Abate Antonio Genovesi, di cui divenne amico e con cui
mantenne una cospicua corrispondenza epistolare raccolta nelle Lettere
familiari del celebre illuminista. Laureatosi in diritto all'Università di
Napoli il ministro Maddalena lo introdusse nella pratica forense e negli
ambienti più esclusivi della corte partenopea istituendolo, alla fine, erede
universale con la clausola di aggiungere il suo cognome al proprio, obbligo mai
rispettato dai discendenti. Morto il prozio nel 1752 fu nominato dal Re giudice
a Cava de' Tirreni e fu malvisto a corte poiché rinunziò alla carica per
ritirarsi a Terlizzi nel 1754. Qui si dedicò ai suoi studi di filosofia e diede
vita ad una fervida attività culturale rivelandosi esponente primario
dell'illuminismo della regione. Istituì una Accademia a Terlizzi, vero e
proprio cenacolo culturale con scopo di ricerca scientifica e di attuazione
pratica di conoscenze in campo agricolo. Purtroppo, non ottenendo
l'approvazione Reale perché sospetto centro di idee liberali, l'Accademia
dovette chiudere ma gli incontri culturali proseguirono ufficiosamente per anni
grazie anche all'incoraggiamento di Antonio Genovesi. Ebbe un grave incidente
per la caduta da un calesse, per cui subì una difficile operazione e a stento
salvò la vita. Prese in moglie nel 1757 Donna Caterina Lioy di Terlizzi. La
nobile famiglia Lioy, di orientamento massonico, si trasferirà in quegli anni a
Vicenza dove avrà i natali il nipote Paolo Lioy. Fu governatore di Terlizzi e
promosse il riscatto della città dal diritto dell'ius moliendi, diritto di
molitura, che aveva la duchessa di Giovinazzo donna Eleonora Giudice. Fondò il
Conservatorio delle Orfanelle nel 1769 e nello stesso anno aprì le scuole
pubbliche con reale approvazione. Fu inoltre incaricato da Francesco I di
Borbone al riordinamento dell'amministrazione della Città, divenuta regia nel
1774. Ebbe sette figli, tra cui Tommaso de Gemmis Maddalena, capitano dei R. R.
eserciti e governatore militare di Terlizzi; Elisabetta, moglie di Giuseppe de
Samuele Cagnazzi, fratello del celebre Luca de Samuele Cagnazzi; Cecilia, sposatasi
con Pietro Lupis e Giuseppe, sposato a Donna Maria de Introna, dalla cui
discendenza avrà origine il ramo di Gennaro de Gemmis. Scrisse numerose opere
letterarie e filosofiche, che volle pubblicate anonime per modestia e che oggi
sono andate perdute, salvo il libro storico intitolato "Tavole
cronologiche della Storia Universale" pubblicato a Napoli nella stamperia
della Soc. Letteraria e tipografica nel 1782. Ne scrisse la biografia Vitangelo
Bisceglia pubblicata nel "Dizionario degli uomini illustri del
Regno". Morì a Terlizzi, largamente stimato, il 21 aprile 1803, e fu
sepolto nella cappella nobiliare de Gemmis di Terlizzi.Ferrante de Gemmis. Gemmis.
Keyowords: il console, tavola cronologica della storia universal. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Gemmis” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758773591/in/dateposted-public/
Grice e
Genovese -- tribù – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo. Grice: “I like Genovese; for one, he has explored the philosophy of
‘vincoli,’ which is all that my theory of communication is about!” Grice:
“Genovese has explored the etymology of ‘tribe,’ as originating with Romolo!”
Gricce: “Genovese has punned on Kant’s silly ‘pure reason,’ surely what Kant
meant was a pure critique of reason – since ‘pure’ is hardly synonymous with
‘theoretical,’ which the treatise is all about! When Kant goes on to write Part
II, he qualifies ‘reason,’ as ‘practical,’ HARDLY impure!” – Studia a Pisa e
Parigi sotto Foucault al Collège de France. Interessato alla teoria dei
sistemi, entra in contatto con Luhmann. La teoria sociologica costituirà da
allora una parte importante della sua riflessione. Membro della Fondazione per
la critica sociale, fa parte della redazione della rivista La società degli
individui e lascia la redazione di Il Ponte per contrasti sulla direzione della
rivista. Formatosi in una prospettiva hegelo-marxista vicina alla Scuola
di Francoforte, se ne allontana progressivamente (come si può osservare già in
“Dell’ideologia inconsapevole. attraverso Schopenhauer, Nietzsche, Adorno”
(Napoli, Liguori), assumendo sempre più nettamente una postura
scettico-relativista con un’attenzione alle scienze sociali e, in esse, alla
funzione, appunto relativistica, svolta dall’antropologia culturale. Indicativo
di questo passaggio è l’articolo su “Hume e la filosofia antropologica” in “Tra
scetticismo e nichilismo” (Pisa, Ets), in cui nel contempo si nota l’interesse
per la teoria dei sistemi. La forma
compiuta dell’evoluzione della sua filosofia si trova in “La tribù
occidentale”, “Per una nuova teoria critica” (Torino, Bollati Boringhieri), e:Un
illuminismo autocritico. La tribù occidentale e il caos planetario” (Torino,
Rosenberg e Sellier), in cui, nella presa di distanze dalla soluzione di
Habermas (v. Speranza, “Grice e Habermas”), si profila una logica
dell’ibridazione e del paradosso come fuoriuscita dalla dialettica di marca
hegeliana. Questa linea è approfondita,
in senso più strettamente politico con il rilancio di un’idea di socialismo,
nel successivo “Convivenza difficile” (Milano, Feltrinelli), “L’Occidente tra declino
e utopia” (Milano, Feltrinelli), e soprattutto, facendo i conti finali con la
teoria dei sistemi, nel “Trattato dei vincoli. Conoscenza, comunicazione,
potere” (Napoli, Cronopio), a tutt’oggi
la sua opera teoricamente più significativa. Si è dedicato in modo particolare
ai temi politici e civili con “Che cos’è il berlusconismo” (Roma, Manifesto); “Il
destino dell’intellettuale” (Roma, Manifesto), “Totalitarismi e populismi”
(Roma, Manifesto) -- tutti pubblicati dalla casa editrice Manifesto di Roma, e
intervenendo regolarmente in rete nel sito “Le parole e le cose” e in quello
della rivista Il Ponte. I suoi interessi estetico-letterari si esprimono dapprima
con “Teoria di Lulu. L’immagine femminile e la scena intersoggettiva” –
keywords: scena intersoggetiva – (Napoli, Liguori), in cui, nel rivisitare il
mitico personaggio teatrale, e poi anche filmico, creato da Wedekind, affronta
il tema della cosiddetta lotta dei sessi, ripreso con un romanzo breve in forma
epistolare (“L’anti-eros”, Firenze, Ponte alle Grazie) in cui sono presenti sia
una chiara vena satirica sia il tentativo di fare filosofia in altro modo, in
una vaga ispirazione kierkegaardiana. Seguono i libri di viaggio, o
apparentemente tali nella miscela di finzione narrativa e saggismo, Falso
diario e Tango italiano (Torino, Bollati Boringhieri); “L’Occidente (“Roma,
Manifestolibri), e ancora quello che probabilmente è il suo libro più sofferto,
insieme documento di una crisi e stravolta autobiografia visionaria, “Ci sono
le fate a Stoccolma. Dal diario dell'esilio mentale” (Reggio Emilia, Diabasis).
Altre opere: “Modi di attribuzione” (Napoli,
Liguori); “Figure del paradosso” (Napoli, Liguori); “Critica della ragione
impure” (Milano, Bruno Mondadori); “Gli attrezzi del filosofo” (Roma, Manifesto).
“L'idea, o forse dovrei dire il gesto, mi sembra felice: invece di scrivere un
saggio su x (ideologico, politico, storico) scrivere di sé come turista a
disagio che vorrebbe scrivere un libro su x», G. Bollati a R. Genovese, leGiulio
Bollati. Lo studioso, l'editore, Torino, Bollati Boringhieri, A. Tricomi, La
Repubblica delle Lettere, Macerata, Quodlibet. “Genovese è quasi costretto non
semplicemente ad alternare, ma addirittura a sovrapporre, ad arricchire l'uno
con le peculiarità degli altri, e infine a rendere, più che reversibili,
indistinguibili, registri argomentativi e stilistici tra loro assai diversi. Ci
sono le fate a Stoccolma diventa perciò il libro di un filosofo, senza che mai si possano individuare
luoghi del testo in cui una delle anime che lo ispirano prenda nettamente il
sopravvento». MEMORIE I.Ledueleggendetroianaeromulea.–
I.Ilprimopopolo,ossia iRamni,iTiziieiLuceri.– IV.Laplebe. Dopo la rivoluzione
portata nella storia tradizionale romana dal l'olandese Perizonio, con le sue
Animadversiones historicae, e dal Beaufort con la sua famosa Dissertation sur
l'incertitude des cinq premiers siècles de l'histoire romaine, lavori che si
succedettero alla distanza di mezzo secolo (1), la critica, che era rimasta ne
gletta nell'evo antico e nel medio, perchè riguardata o inutile o incapace di
produrre frutti fecondi, comparve un elemento neces sario nello studio di
quella storia tradizionale. E di quei due critici va detto ciò che in una
pubblicazione recentissima (2)sidisse,senza (1)La prima edizione delle
Animadversiones venne in luce ad Amsterdam nel 1685,equelladella Dis sertation
beaufortiana ad Utrecht nel 1738. (2 ) S t o r i a d i R o m a n a r r a t a d
a R . B o n g h i, v o l . I , M a n i f e s t o d i F r . B r i o s c h i, G .
B . G i o r g i n i e M . M i n
ghetti.QuestitresignorirecanoilseguentegiudiziosullaStoriaRomanadiB.G.NIEBUHR:
Amalgama felice di erudizione e di critica, l'opera del Niebhur (sic) era fatta
col sentimento che vi domina, non tanto per dare una nuova direzione allo
studio delle antichità, quanto per ispirarne l'amore ». Questo giudizio
dimostra che gli autori del Manifesto non sono storici. Ma appunto perchè non
sono tali, avreb bero potuto astenersi dal profferire sul fondatore della
critica storica moderna un giudizio che dilàdelle Alpi fará un'impressione
tutt'altro che lusinghiera per noi. Al giudiziodegli scrittori del Manifesto,
con
trapponiamoquellodelSavignyedelloSchwegler,lacuicompetenzainsiffattoargomento
nonèscono sciatadaalcuno.IlSavigny,ne'suoi
Vermischte-Schriften,IV,216,cosìparladellaStoriaRomanadel Niebuhr:«L'opera del
Niebuhrhaimpressoallatrattazionedellastoriadell'antichitàuncarattereaf fatto
nuovo (Niebuhrs Werk hat der Behandlung der Geschichte des Alterthums einen
ganz neuen Cha r a k t e r v e r l i e h e n ); e s s a h a i n a l z a t o l '
i d e a l e d e l l a s t o r i o g r a f i a e f i s s a t o l ' i n d i r i z
z o d i o g n i r i c e r c a n e l c a m p o Rivista di Storia Italiana.
Origini Romane. 13 I. I critici: loro scuole: Niebuhr, Schwegler, Mommsen ,
Bonghi. I. < ragione,aparernostro,delNiebuhr;che,cioè,questisi
propo nesse più d'inspirare l'amore allostudiodelleantichitàromane,che di dare
a quello studio un indirizzo nuovo. L'opera del Niebuhr mirasoprattuttoaquesto
secondoscopo;quantoall'altro,delde stare l'interesse per lo studio delle
antichità,esso rampollava natu ralmente dal primo ; mentre la critica del
Perizonio e del Beaufort, pel suo carattere negativo, non poteva prefiggersi
che quest'ultimo scopo. Sebbene però ilconcorsodellacritica
fosse,dopolacomparsadel l'opera del Perizonio,generalmente ammesso,esso non fu
usato da tutti secondo l'ufficio suo. E se i più se ne giovarono per ret
tificare od anche per abbattere del tutto la tradizione romana, non mancarono
anche coloro che se ne servissero in senso op posto, che è a dire, in difesa di
essa tradizione. Fra questi ultimi vanno segnalati il Kobbe (Römische
Geschichte, 1841),il Gerlach e Bachhofen (Geschichte der Römer, 1851),il
Newmann (Royal Rome,ecc.1852)eilDuruy(HistoiredesRomains). Gli altri scrittori,
e sono il maggior numero, si divisero in due scuole:all'una vanno ascritti iseguaci
del Niebuhr,all'altraisuoi correttori. Oggi il campo è tenuto dai secondi , in
mezzo ai quali spiccano le due splendide figure di Alberto Schwegler e di
Teodoro Mommsen.Costoro sono pure campioni di due metodi diversi nel
l'applicazione della critica alla storia tradizionale romana. Il metodo dello
Schwegler è severamente analitico. Egli espone prima la tra dizione in tutti i
suoi minuti particolari e con le sue varianti ; poi, nel paragrafo successivo,
assoggetta la tradizione ad un rigoroso esame critico, diretto a scovrirne la
genesi,e ilcarattere degli ele menti che concorsero a crearla. In questa
diagnosi spicca, colla potenza di acume dello scrittore, la sua meravigliosa
erudizione. Dopo di avere ben fermato il concetto della leggenda e del mito, e
fissate del secondo le categorie diverse (mito etiologico, etimo l o g i c o ,
e c c . ), e g l i p r o c e d e a c l a s s i f i c a r e g e n e t i c a m e
n t e i s i n g o l i e l e menti della tradizione romana, e ci dice quali
debbano ascriversi delleantichitàromane»,-
EloSchwegler(Röm.Gesch.,I,145)aggiunge:«La StoriaRomanadel Niebuhr, opera sotto
ogni rispetto classica, non solo diede una nuova direzione allo studio
dell'antichità fatto sinora, ma è ancora il punto di partenza e il fondamento a
tutte le ricerche future, alle quali egli
segnòl'indirizzoediedeilpiùfecondoimpulso
(SeinerömischeGeschichte,eingrossartiges,injeder Beziehung classisches Werk,ist
nicht nur der Brennpankt und Abschluss der bisherigen,sondern auch der
Ausganzspunkt und die Grundlage aller spätern Forschungen , zu denen es den
Anstoss und die fruchtbarste Anregung gegeben hat). 188 MEMORIE
F. BERTOLINI ORIGINI ROMANE 189 alla leggenda, quali all'una o all'altra
forma del mito, e quali deb bano aversi in conto di storici.Non oseremmo
asserire che in questa minuta classificazione lo Schwegler cogliesse sempre
nelsegno;ma dobbiamo pur dichiarare che in essa nulla apparisce mai di co
scientemente arbitrario; di maniera che si potrà dissentire da una data sua
opinione, perchè faccian difetto gli argomenti con cui c o m provarla, non già
perchè gli argomenti siano stati usati a sproposito. L'opera dello
Schwegler,comparsa or fanno 30 anni, è rimasta, a parer nostro, fino ad oggi
insuperata. E fu una sventura irrepara bile per la scienza, che la vita di
quell'uomo dottissimo si spegnesse asoli38anni(n.1819,m.1857).
IlmetododelMommsen ètuttol'oppostodiquellodelloSchwegler. Qua il racconto
tradizionale è preso in esame capo per capo ; là di esso non è fatto nemmen
parola : in luogo della tradizione,abbiamo un racconto ricostruito dalla
critica, senza però che estrinsecamente apparisca traccia di siffatto
lavoro.Non vi è dubbio che questo m e todo presenti maggiori attrattive
dell'altro,perocchè escluda ogni processo dimostrativo; ma appunto perciò porta
anche maggiore responsabilità a chi lo segue ; e offre più largo campo alle
censure. La Storia romana del Mommsen ne incontro difatti di vive ed acerbe,
sebbene il valore generale della sua opera fosse da tutti rico nosciuto. La
polemica suscitata da essa tornò poi a grande profitto della critica
storica,perchè essa diè occasione al Mommsen di lumeggiare alcuni luoghi oscuri
della Storia romana, mercè una serie di monografie storico -critiche, che egli
raccolse poi in due v o lumi col titolo di Ricerche romane (Römische
Forschungen). Il metodo dello Schwegler trovò in questi ultimi giorni un am
plificatore fra noi,in Ruggiero Bonghi.La sua Storia di Roma, da molti anni
aspettata, ha cominciato ora a comparire in luce col primo volume. Il
chiarissimo autore premette ad esso una lettera in risposta al manifesto dei
triumviri che aveano promosso la pub blicazione della sua opera.In questa
lettera egli dice, che « gli pa reva strano e vergognoso che una storia tutta
nostra non avesse mai ritrovato in Italia chi dopo gli antichi avesse
intrapreso di nar rarla ». Veramente, gli storici nazionali di Roma antica non
m a n carono, come non mancarono i critici, e da Lorenzo Valla ad Atto Vannucci
trovasi una schiera numerosa di dotti che a quello studio applicarono l'ingegno
e la dottrina. In questa schiera spiccano i nomi di Francesco Orioli, di P.
Uccelli,di Fr. Rossi, dell'ab.Canal, di L. Canina, le cui opere dimostrano, che
noi non ci eravamo con 190 MEMORIE tentati, come afferma il
Bonghi, di tradurre prima il Rollin, poi il Niebuhr e il Mommsen . E se la
letteratura nostra mancasse pure di codeste opere, non basterebbero le pagine
inspirate che sulla Storia romana dettarono il Machiavelli e il Vico, per
ismentire il basso concetto che il Bonghi reca della storiografia italiana? Il
volume che abbiamo davanti non contiene sufficiente materia, perchè si possa
dire fin d'ora in quale misura l'aspettazione dell'o pera sia stata
soddisfatta. Perché l'autore, amplificando, come si è detto, il metodo dello
Schwegler , premette alla critica storica la critica letteraria della
tradizione. All'esame di ciò che vi può es sere di storico nella tradizione e
della genesi sua, egli manda in nanzi la ricerca della sua forma primigenia.
Per ora non abbiamo che la sua dichiarazione di avere scoverto « in una selva
selvaggia ed aspra e forte di dissensi, di congetture, di questioni d'ogni
fatta qualche sentiero non ancora battuto »; lo che acuisce il desiderio
diaveresott'occhilasecondapartedelvolume,che avrebbedo vuto comparire insieme
con la prima , con la quale ha comune il subbietto, e della quale è l'anima.
L'autore stesso riconosce che lo scompagnare le due parti, come si è fatto, «
avrebbe reso meno facile ai lettori di comprendere il suo disegno ». E così appunto
è avvenuto ; ed io devo confessare che questa difficoltà è nata anche in me,
sebbene il lungo esercizio mi abbia reso in certo modo fa migliare questo
studio.Dopo illavoro diligentissimo dello Schwegler, a me era parsa meno
necessaria quest'opera « di gran pazienza e fatica»,come l'Autore stesso chiama
e con ragione,l'esameminu tissimo cui sottopose la tradizione.E perchè a ciò
solo non si rimane l'opera sua nel volume pubblicato,ma qua
elàeglifuindottodallo sviluppo della sua analisi, ad entrare nel merito storico
della tra dizione, la separazione della seconda parte dalla prima è ancor più
deplorata.Senza di essa noi avremmo,per esempio,chiaritosubito la teorica, con
la quale l'Autore chiude il suo discorso sulla leg
gendadiRomolo,echemessafuoriamo'diassiomastorico,anoi è parsa mancante della
necessaria chiarezza, per poterci risolvere ad accettarla. Eccola con le parole
stesse dell'Autore : « Del rima
nente,ènecessario,dic'egli,tenerebendistintequeste tredimande:
prima,seunaleggenda contengaelementistorici;seconda,quale Sebbene perd
l'Italia abbia fatto il dover suo in questo impor tante studio, ciò non iscema
l'interesse che desta nei dotti la com parsa di un'opera, dettata da una mente
che della sua grande potenza avea dato saggi copiosissimi nelle discipline più
svariate. la storia sia stata ; terza, come la leggenda sia nata.
Noi abbiamo obbligo di rispondere di no alla prima dimanda,se ci si prova che
debba essere negativa, pur quando non abbiam modo - e moltissime volte anche a
tempi molto più vicini ai nostri, che non sono quelli
dellafondazionediRoma,nonneabbiamoilmodo— dirispondere nè in tutto nè in parte
alla seconda ed alla terza ». Come si vede, questo giudizio riesce alquanto
oscuro, particolarmente perché gli manca una dichiarazione di termini, senza la
quale non se ne può m i s u r a r e il v a l o r e . C h e c o s a i n t e n d
e il B o n g h i p e r l e g g e n d a ? C i d Ciò che noi chiamiamo Leggenda,
i Tedeschi chiamano Sage, ma la differenza sta tutta nella forma, mentre un solo
ne è ilconcetto. Ora ilconcettodellaleggendaèquesto;cioè,ilricordodiunevento
notevole trasmesso oralmente, soprattutto per mezzo di canti popo lari,dall'una
all'altra generazione,e colorito dalla fantasia per modo da imprimere ad esso
un carattere prodigioso. Il nucleo della leggendaèadunque
storico.Ilmito,invece,ètutt'altracosa;in luogo del fatto storico che
costituisce l'essenza della leggenda,nel mito abbiamo come elemento essenziale
e come motivo genetico una data idea, resa concreta e sensibile per mezzo di un
intreccio di fatti immaginarii.Ora,nella tradizione romana leggenda e mito tro
vansi mescolati insieme, e il lavoro della critica consiste in cið ap punto, di
sceverare l'una dall'altro, e liberare entrambi dagli invo lucri che hanno
impresso a ciascuno il carattere proprio. Questo lavoro, che non è meno
improbo, e per la storia è assai più utile di quello fatto dal Bonghi nel primo
volume della sua opera , fu già tentato da molti ; ed è in esso che apparirà
nel vero valor suo l'opera dell'illustre storico. Il presente volume si chiude
all'anno 283 della fondazione di Roma. Ed ecco la ragione che il Bonghi dà di
questa fermata: « N e l l ' a n n o 2 8 3 , è s u c c e d u t o , d i c e e g l
i , n o n a d d i r i t t u r a il p r i m o fatto certo della storia interna
di Roma , ma quello de'suoi fatti certi più antichi da cui tutta la sua storia
anteriore è spiegata, e tutta la sua storia posteriore,è,se mi si permette la
parola, pre formata ; l'elezione dei tribuni nei comizii tributi > Per ciò
che riguarda la certezza del fatto accennato, notiamo che esso, tanto rispetto
alla sua cronologia, quanto rispetto al suo stesso contenuto, è tutt'altro che
sicuro.Fatti certi dei primi secoli di Roma non ponno chiamarsi che quelli i
quali sono attestati da documenti autentici. Ed essi sono : la fondazione del
tempio federale di Diana sull'Aventino, avvenuta sotto il regno di Servio
Tullio : il trattato F. BERTOLINI ORIGINI ROMANE 191 federale
stipulato da Tarquinio il Juniore coi Sabini : il primo trat tato di
navigazione e commercio conchiuso da Roma con Cartagine subito dopo il bando di
quel re ; e il patto federale conchiuso da Roma colle città latine sotto il
secondo consolato di Spurio Cassio. Questi sonoifatti,chesiponno
chiamarcerti,perchèqualcunodegli storici maggiori dichiarò di avere visto il
documento originale in cui erano consacrati. Tale qualifica non può essere data
alla lex Publilia, il cui contenuto forma ancor oggi obbietto di disputazioni
fra i critici. Il Bonghi ci dice fin d'ora com'egli spieghi il tenore di quella
legge, ed io sono curioso di sentire con quali nuovi ar gomenti egli
suffragherà una opinione,che oggi è abbandonata dai più; e cioè, che prima
della lex Publilia i tribuni della plebe fos sero eletti in altra sede fuorchè
nei comizii tributi.Nei nostri Saggi critici noi esprimemmo il nostro avviso
sul tenore della lex Publilia, e rimandiamo il lettore a quel nostro libro, non
essendo il caso di ripeterquiciòchescrivemmoaltrove.— Un'ultimaosservazione.Il
Bonghi dice, che il fatto del 283 è quello dei fatti certi più antichi di Roma,
che spiega tutta la sua storia anteriore.Aspetto di avere la dimostrazione di
questo asserto prima di giudicarlo. Per ora, la mia opinione, è che al disopra
di quel fatto (badisi che qui si parla di fatti interni) ci stia l'altro della
creazione del tribunato della plebe, da cui tanto la lex Publilia, quanto le
successive leges tri buniciaeemanaronocome prodottinecessariidiunfattorecomune.
II. Il primo problema che si affaccia alla critica nello studio delle romane
origini,è come avvenisse l'innesto della leggenda troiana nella leggenda
romulea, perchè è fuor d'ogni dubbio che l'una e l'altra traessero origine da
fonti diverse; e mentre la romulea è creazione paesana, nata sui luoghi stessi
che sono la scena del suo racconto,latroianaèindubbiamenteimportazione
straniera.Però non tutti gli elementi di questa seconda leggenda sono nati di
fuori. Dal momento che l'eroe troiano ha posto piede nel Lazio, la leg genda lo
mette in relazione con le popolazioni indigene,facendogli imprendere una serie
di guerre coi Latini, Sabini ed Etruschi.Ora, se tolgasi il protagonista che è
un personaggio favoloso, il racconto di quelle guerre racchiude indubbiamente
elementi storici, che la sciati inavvertiti da Catone e da Dionisio,furono
segnalati e lumeg 192 MEMORIE F. BERTOLINI ORIGINI ROMANE 193
giati dall'autore dell'Eneide.Infatti,mentre presso idue primi,le lotte
combattute da Enea si presentano come guerre dinastiche, nelle quali i popoli
appariscono come stromento delle ambizioni di questo o di quel principe;presso
Virgilio quelle lotteassumono fin da principio la proporzione di una guerra di
stirpi italiche,in cui sono adombrati gli sconvolgimenti politico-sociali onde
il Lazio fu teatro nella età preromana . Quel Turno che negli altri racconti
figura come capo dei Rutuli,nell'Eneide comparisce come duce di una intera
confederazione di città italiche e di popoli di diversa stirpe. Alla sua
chiamata accorrono iguerrieri di Laurento,Ardea,An tenne, Crustumerio , Tiburi
, Atina , Preneste , Gabii , Anagnia , e con essi gli Aurunci,i Volsci,i
Sabini, i Falisci. Per tener fronte a tanta oste, Enea , seguendo il consiglio
di Evandro, rivolgesi ai Tirreni,iquali eransidirecenteliberatidal
tirannoMezenzio, divenuto ora alleato di Turno ; e col loro ausilio, conquista
L a u rento. Ora,levando da questo racconto la parte leggendaria che è la
intromessadiEnea,chiaro apparisce ilcontenuto storicodiesso.Ivi troviamo
adombrati, da un lato,iprogressi della conquista etrusca nella valle inferiore
del Tevere, e dall'altro, gli sforzi operati dai popoli del Lazio per redimere
il paese dalla servitù straniera.Alla quale impresa iLatini trovano ausiliarii
non pure nelle città fini time del Lazio, ma ancora in un popolo di stirpe
sabellica che la primavera sacra ha già portato sulla frontiera latina, e a cui
la parte avuta nella liberazione del Lazio frutterà una stanza nel Set
timonzio. Così per mezzo di Virgilio noi siamo posti in grado di spiegare
lapresenza dei Sabini sul Quirinale e sul Capitolino, comple tando la
tradizione romana, il cui contenuto storico, purificato da gl’innesti
leggendarii,consiste nel presentarciidue popoli,latinoe sabino,viventi già
l'uno presso l'altro sul Settimonzio,e riusciti a pacificarsi e ad unirsi insieme
dopo di essere stati lungamente in guerra fra loro. Ancora nei tempi storici,
noi troviamo gli Etruschi imperanti nella Campania ; prima di arrivare nella
valle del Vol turno, essi aveano dovuto trarre in loro potere la valle
inferiore del Tevere, che è a dire , il Lazio. Senza l'Eneide non sapremmo come
questo paese ricuperata avesse la sua libertà.L'Eneide ci apprende che
ricuperolla per mezzo di una insurrezione popolare capitanata da un eroe.
Quest'eroe è Turno. Enea gli ha strappato dalcapoillaurodeiprodi.Ma
l’Eneaitalicoèunmito;Turno invece è persona rimasta viva nella tradizione di un
popolo. Ed è singolare, che dal gran cantore di Enea la critica storica sia
stata messa sulla via di riconoscere in Turno un eroe italico, e
di ren dergli la sua corona. Dopoquestadigressione,che
nonc'èparsafuoridiluogo,ve niamo ora a risolvere il problema della confusione
avvenuta di due leggende,tanto diverse l'una dall'altra,siaperlafontedacuiema
nano, sia pel loro contenuto. La tradizione romana nella sua forma più antica,
non 194 MEMORIE (1) « Ennius dicit Iliam fuisse filiam Aeneae,quod si
est,Aeneas arus est Romuli » Servio,ad Æn.,VI,778. sa nulla nè dell'una nè
dell'altra leggenda. Prima che la boria destata dalla p o t e n z a d i R o m a
, i n t r o d u c e s s e il t r o i a n o E n e a n e l l e r o m a n e o r i
g i n i , a che nascesse il bisogno di spiegare riflessivamente l'origine nomi,
di instituti e di consuetudini di antiche che si trovavano esistenti da tempo
immemorabile, senza che fosse stato riferito ab antiquo come fossero nate,la
fondazione di Roma erasi spiegata in quel modo semplice, in cui l'antichità si
figuró la origine di tutte le città greco-italiche, vale a dire,per mezzo di un
fondatore epo n i m o . U n a c i t t à c h e n o m a v a s i R o m a , d o v e
a a d u n q u e , s e c o n d o il c o n cetto dell'antichità, avere avuto per
fondatore un Romo, progenie divina al pari di tutti i fondatori eponimi. Ed a
noi fu serbata questa tradizione semplice della origine di Roma, la quale biamente
la più antica. Ne dobbiamo è indub la conoscenza al grammatico Festo , che la
tolse dallo storico Antigono. « Antigonus, italicae historiae
scriptor,ait,Rhomum quemdam nomine,Jove conceptum urbem condidisse in Palatio ,
,Romae eiquededissenomen».Così Festo all'articolo Romam .La
tradizioneromulea,nellaqualel'epo nimo Romo diventa Romolo e gli è dato Remo
per fratello,e l'uno e l'altro sono aggregati alla dinastia dei Silvii che
regnava ad Alba Lunga e ripeteva la sua origine da Enea; questa tradizione era
dunque ignota all'antichità.Lo stesso poeta Ennio,che visse nel VI secolodiRoma
(239-169 a.C.)non laconoscecheinunostato ancora embrionale,giacchè egli dà
allamadre diRomolo,Ilia,Enea per padre (1). Pero , il concetto inspiratore
della leggenda è già nato col poeta rudiese, come è nato l'intrecciamento delle
due leggende Ora come avvenne questa sovrapposizione . della leggenda troiana
alla romulea? La ragione psicologica del fatto fu data già dal Vico in quella
boria delle nazioni, le quali appena son pervenute leggenda ad un alto grado di
potenza, non sdegnano loro origini oscure, e aspirano a fastose e insigni. Il
Vico accennò anche la capitale ca F. BERTOLINI ORIGINI ROMANE 195
gione che indusse i Romani, quando andarono in cerca di origini fastose, a
fissare la mente sulla leggenda di Enea.Ei laattribuisce alla fama strepitosa
che ebbe per lo mondo la guerra di Troia, a cagione del poema di Omero e della
introduzione dell'Occidente nel ciclo troiano, dovuta alla via che si fece
percorrere al reduce Ulisse. Però se la boria nazionale fu la causa
inspiratrice della fusione delle due leggende, a questa non mancarono altri
impulsi. Quando il Senato romano, verso la fine della prima guerra punica,
inter venne nella contesa fra gli Etoli e gli Acarnani, e giustificò la sua
intromessa in favore dei secondi, osservando che gli Acarnani erano il solo
popolo greco, il quale non avesse partecipato alla guerra contro i Troiani
progenitori dei Romani , era l'orgoglio nazionale che ispirava quella
dichiarazione. Similmente, quando ilSenato ac cettò l'amicizia offertadal re
Seleuco,ponendovi per condizione che liberasse i Troiani da ogni tributo ; e
quando Flaminino , nel pre sentareidonativideiRomani
aiDioscurieadApollo,chiamòisuoi concittadini col nome di Eneadi, è sempre
l'orgoglio nazionale che inspira la fusione delle due leggende. Ma allorquando
la politica militare di Roma ebbe prodotto in seno Altri fattori vanno
considerati. E , soprattutto, la parte che nella propagazione della leggenda di
Enea in Italia ebbero le numerose colonie greche dell'Italia meridionale, e più
specialmente Cuma,che oltre ad essere la più antica e la più vicina al Lazio,
era di pro venienza diretta dall'Asia Minore, e precisamente dalla Misia, luogo
finitimo alla Troade. E come le colonie greco-italiche divennero al trettanti
centri propagatori del culto di Afrodite Alveias, dea dei naviganti, con cui la
leggenda di Enea è intimamente collegata, cosi l'oracolo della Sibilla cumana
divenne ilcentro propagatore dei fausti vaticinii, onde la religione della
dardanica Afrodite confor tava nel suo esilio la famiglia degli Eneadi.Già
nell'Iliade è fatta allusione a quei vaticinii, dicendosi che la famiglia di
Enea era serbata ad un nuovo e splendido avvenire, mentre quella di Priamo era
stata destinata alla perdizione. Ora , in questa promessa di un glorioso
avvenire serbato alla progenie di Enea giace il motivo riflesso dell'amalgama
delle due leggende troiana e romulea.Roma costitui se stessa obbietto dei
vaticinii sibillini, e dichiarò avvenute in se stessa le promesse fatte ai
discendenti di Enea.Già il poeta E n n i o p r e s e n t d i n q u e s t o m o
d o il f a t t o , d i c e n d o c h e T r o i a e r a r i s o r t a in Roma, e
non andrà guari che la Repubblica innalzerá a domma nazionale l'origine troiana
della potente metropoli. alla Repubblica i suoi effetti
liberticidi, e la maestà quiritaria che era in bocca a tutte le nazioni
straniere, ed era oggetto di terrore e di riverenza universale, scomparve dal
popolo per riassumersi in un uomo, l'orgoglio nazionale passò in seconda linea
per cedere il primo posto all'interesse dinastico creato da un usurpatore.Il
grande anello di congiunzione fra la leggenda di Enea e la dinastia dei Cesari
è quel famoso Julo,che comparisce nella genealogia degli Eneadi,or quale
figlio, or quale nipote di Enea. E cosi nell'uno,come nell'altro grado, sembra
siavi stato introdotto dai Giulii stessi, dopo che fu sorto il giorno di loro
grande fortuna. Infatti, gli scrittori più an tichi della leggenda non conoscono
quel nome , sebbene più nomi attribuiscano al presunto figlio di
Enea,chiamandolo ora Eurileone, ora Ascanio, ora Ilo. Forse quest'ultimo nome,
che ricorda quello della patria Ilio,suggerì l'idea della finzione genetica,ed
Ilo diventò facilmente Julo progenitore degli Julii. Ciò spiegherebbe il fatto
del comparir di quel nome per la prima volta negli scrittori cesarei. C o m u n
q u e s i a d e l l ' o r i g i n e s u a , v e n n e u n g i o r n o c h e il
p o p o l o r o m a n o apprese per bocca di Caio Giulio Cesare, ch'esso avea
nel suo seno una progenie di Celesti,e che dalla morte di Romolo in poi essa
avea camminato fuori del diritto divino, nel cui sentiero era ora chia mato a
ritornare. Il giorno in cui Cesare, essendo questore,recitò dalla tribuna del
Foro il panegirico di sua zia Giulia, fu decisivo per le sorti di Roma e del
mondo. Fu là che egli annunzið al popolo stupito,che
lasuafamigliaeraaduntempoprogeniedidèiedire.«Amitae meae Juliae maternum genus
ab regibus ortum,paternum cum Diis immortalibus conjunctum est.Nam ab Anco
Marcio sunt Marcii reges, quo nomine fuit mater, a Venere Julii, cujus gentis
familia est nostra. Est ergo in genere et sanctitas regum qui plurimum inter
homines pollent, et caerimonias deorum, quorum ipsi in pote state sunt reges »
(1). Quando Cesare recitò questa orazione non avea che 32 anni di e t à , e n o
n a v e a f a t t o a n c o r a il s u o i n g r e s s o n e l l a p o l i t i
c a m i l i t a n t e , comecchè avesse già coperto parecchie magistrature.Ma
l'uomo che avea osato fare pubblicamente l'apologia della regia potestà e pro
clamare la origine divina della sua famiglia, avea già intuito il futuro e
divisato di rivolgerne a suo profitto il realizzamento. Nel seguente anno ,
infatti, lo vediamo stretto in lega con Pompeo , e (1) SVETONIO, Caes ., cap.
6. 196 MEMORIE F. BERTOLINI ORGINI ROMANE 197 avviato a
compiere il cammino trionfale che da Farsaglia lo con durrà a Munda, e metterà
nelle sue mani l'impero del mondo. Riassumendopertantolecoseinsinquidette,noteremo,che
se la leggenda romulea è anteriore alla troiana, all'una e all'altra so vrasta
per antichità la leggenda semplice,riferitada Antigono,che Roma avesse avuto
per fondatore un eroe eponimo progenie di ce lesti, e cioè, che fosse nata nello
stesso modo in cui l'antichità si figuró l'origine di tutte le città
greco-italiche: che la leggenda ro mulea, sebbene nata sul suolo romano,
mostrasi nelle sue parti es senziali come il prodotto di una invenzione
riflessa, avente in mira di spiegare sistematicamente le origini di
nomi,d'instituti e di con suetudini antiche che si trovavano esistenti da tempo
immemorabile, senza che fosse stato riferito come avessero avuto nascimento :
che la leggenda troiana, divulgata in Occidente per mezzo delle colonie
greco-italiche e degli oracoli sibillini, fu introdotta nella leggenda romulea,
quando la boria destata nei Romani dalla loro potenza li obbligo ad andare in
cerca di origini fastose da sostituire alla ori gine volgare trasmessa loro dai
maggiori. E come la discendenza di Enea era stata creata per soddisfare
l'orgoglio di un popolo con quistatore, cosi essa fu scaltramente usufruita da
Giulio Cesare per legittimare la sua opera liberticida. Un altro problema non
meno interessante della fusione delle due leggende troiana e romulea,per mezzo
della quale si spiegò l'ori gine della città di Roma,è quello che concerne la
formazione del suo primo popolo. La tradizione romana spiega questa formazione
in un modo semplicissimo. Romolo, dopo che ebbe per la morte di Tito Tazio
raccolta nelle sue mani la sovranità sui socii Sabini del Settimonzio, parti il
popolo in tre tribù, e pose a ciascuna ilnome del duce che aveala capitanata.
Ai suoi pose pertanto il nome di Ramnenses ; ai seguaci di Tazio il nome di
Titienses, e a quelli diLucumone,cheavealoaiutatonellaguerra contro iSabini,il
nome di Lucerenses. Quanto alla nazionalità, la tradizione ne at tribuisce una
propria a ciascuna tribù.I Ramnenses di Romolo sono per lei Latini ; i
Titienses di Tazio sono Sabini, e iLucerenses di Lucumone sono Etruschi. Però,
se la tradizione è concorde ri spetto alla origine dei due primi nomi, non lo è
rispetto a quella III. del terzo. Il Lucumone di Cicerone
diventa presso Plutarco illucus asyli, e presso Paolo Diacono il titolo dignitario
e il nome topico si trasformano in una persona, in Lucero re di Ardea. Queste
va rianti attestano per se stesse la mal ferma base su cui riposa co desta
tradizione. Livio se la sbriga, dicendo il nome dei Luceri di incerta origine.
Ma se lo storico maggiore di Roma qualifica d'in certezza l'origine dei Luceri
, la filologia dichiara impossibile la d e rivazione dei Ramni da Romolo,
avendo questi due nomi radicali affatto diverse. Pure la origine dei nomi
sarebbe cosa di poco interesse, quando ad essi non si annettesse la origine
della nazionalità. Il Lucumone o il re Lucero da cui si è derivato il nome
della terza tribù ro mana, si è prodotto come testimonio della origine etrusca
di questa tribù, e da ciò si trasse la conclusione, che la nazione romana
uscisse fuori da tre elementi etnici, il latino, il sabino e l'etrusco, e fosse
quindi una nazione mista. Diciamo subito che questa opinione è oggi abbandonata
(1), e che la critica moderna, dopo di avere impugnato la provenienza etrusca
deiLuceri,non arrestandosiaquestoresultamentonegativo,hapur risoluto
positivamente la questione, dimostrando che iLuceri devono essere
tenutiincontodiunaschiattalatina;ondelanazionero mana sarebbe stata composta di
due elementi etnici omogenei , il latino e il sabino, ramificazioni entrambi
del gran ceppo italico,che (1) Prima della pubblicazione della Storia Romana di
A. SCHWEGLER,l'origine etrusca dei Luceri era ammessa dalla maggior parte degli
storici. Tra i fautori di essa vanno ricordati:Feodor Eago, Untergang der
Naturstaaton,1812,pag.181,195.
WACHSMUTH,AeltereGeschichtedesrömischenStaats,1819,
GÖTTLING,GeschichtederrömischenStaatsverfassung,1836,p.55.—
USCHOLD,Geschichtedes trojanischen Krieges,1836,pag.347.– KORTÜm,Römische
Geschichte,1852,pag.41. BECKER,Hand bruch der römischen
alterthümer,1853,II,18,38,135. WALTER, Geschichte des römischen Rechts,
1845,I,II. SCHÖMANN,DeTulloHostilio,1847,p.8.-
P.U.(P.UCCELLI),Altrevistesugliantichi popoliitaliani,Cortona,1853,p.172.–
A.VANNUCCI,Storiadell'Italiaantica,Fir.,1863,I,pag.392.
L'originelatina,anzialbana,deiLucerièammessadalNiebunR,RömischeGeschichte,I,315—-
dallo SCHWEOLER,Römische Geschichte,I,505,515 –dalNIEMEYER,De
equitibusromanis,p.9esegg. BREDA,Centurie-VerfassungdesServiusTullius
dalKLAUSEN,AeneasunddiePenaten- 198 MEMORIE pag. 197. -dal
RömischeAlterthümer,dritteAuflage,I,99. IlMommsen
silimitaadosservare,nonesseircvhinailcchutns ostacolo ad ammettere la origine
latina dei Luceri (Ueber die Herkunft der Lucerer lässtzu erklären), sagen,als
das nichts in Wege steht die gleich den Ramnern für eine
latinischequeGlelmaeidnidaendare in cerca Röm .Gesch., I,43. L'Ihneinvece
èscettico,edicecheèfaticasprecata dall'ag del vero su una questione nella quale
le fonti ci lasciano al buio, e che non si gu2a0d.agna nulla g i u g n e r e u
n ' o p i n i o n e n u o v a a q u e l l a d e g l i a n t i c h i , R ö m . G
e s c h ., L e i p z i g , 1 8 6 8 , I , dalLANGE, parer nostro, che l'Ihne non
ha bene studiato la quistione, altrimenti troverebbe che si guadagna qualche cosa
da questa aggiunta. Il primo guadagno che si fa è quello di avere chiarito il
significato del nome di questa terza tribù.Luc-ere vuol dire risplendere;Luceri
equivarrebbe adunque ad illustres:equestoap pellativo ben si addice alla
nobiltà di Alba, la quale, dopo la distruzione della loro patria, fu trasferita
nel Settimonzio ed ebbe per sua stanza il Celio. Cid dimostra,a F.
BERTOLINI ORIGINI ROMANE 199 immigroinItaliadopoiljapigicoeprimadeiRaseni.Noi
diremo gli argomenti coi quali si impugnò la origine etrusca dei Luceri ; indi
ci faremo a dire quelli coi quali si dimostró la loro origine latina, e la loro
provenienza da Alba Longa. Prima di tutto, vuolsi avere presente, che la
origine etrusca dei Luceri non è che una mera presunzione, mancante di una tradi
zione positiva, e desunta da dati estrinseci ed accidentali,che pas sati sotto
il crogiuolo della critica, non danno alcun frutto. L'uno di questi dati fu
somministrato da certa analogia che si riscontra fra il nome della terza tribù
e quello di Lucumone , che è titolo gentilizio e dignitario presso gli
Etruschi. E come il nome del colle Celio si è voluto spiegare derivandolo da un
duce etrusco per nome Cele Vibenna,ilquale,secondo alcuni (Varrone),altempo di
Romolo, secondo altri (Tacito), al tempo di Tarquinio Prisco, sarebbesi sta
bilito con una grossa schiera dei suoi connazionali nel Settimonzio; cosi il
nome Luceri che portavano gli abitanti del Celio si spiego per mezzo del titolo
di Lucumone che portava il Vibenna. L'altro dato è ancor più arbitrario, in
quanto che fu desunto dalla ubica
zionegeograficadiRoma,quasicheilfattodeltrovarsiRoma in mezzo a tre schiatte
diverse, generar dovesse necessariamente l'ef fetto, che essa componesse la sua
cittadinanza con ciascuna delle tre schiatte, per modo che esse vi fossero
rappresentate tutte pro porzionalmente. A questo concetto subbiettivo si
contrappone vitto riosamente per ciò che riguarda il contingente etrusco, il
famoso motto del trans Tiberim vendere, e del senso latissimo che esso acquisto
e mantenne per lungo volgere di secoli, anche dopo che gli Etruschi erano
caduti sotto la dipendenza di Roma, ed il Te vere avea cessato di essere un
confine politico. In verità,che se gli Etruschi avessero dato a Roma un
contingente proporzionale della sua cittadinanza, quel motto diverrebbe uno
strano enimma. Perchè esso non si riferisce tanto alla divisione politica dei
due Stati, romano ed etrusco, quanto alla differenza di nazionalità,ay vertita
e vivamente sentita nella lingua, nelle istituzioni politiche e civili, e nei
costumi dei Romani. Ma se i dati estrinseci su cui fu eretta l'ipotesi della
origine etrusca dei Luceri non giustificano siffatta conghiettura, le prove
intrinseche dimostrano addirittura la sua falsità.Queste prove si de sumono
dalla lingua e dalla religione dei Romani. È ovvio,che se gli Etruschi avessero
dato un proprio contributo alla formazione del popolo romano, in tal caso la
lingua latina dovrebbe somministrare 200 MEMORIE
lachiaveperdecifrareleinscrizioni etrusche,edessastessado vrebbe contenere tale
copia di voci etrusche da assumere il carat tere di una lingua mista, ossia, di
una lingua formata di due diversi organismi ; ma nè il latino aiuta a spiegare
l'etrusco, nè nella co stituzione organica della lingua del Lazio apparisce alcun
vestigio di miscele eterogenee;chè,anzi,la caratteristica peculiare della
lingua latina è la straordinaria uniformità della sua struttura; lo che attesta
la uniformità della sua formazione. Alla stessa conclusione conduce l'esame
delle istituzioni religiose diRoma.SeiLucerifosserostatiunatribù
etrusca,lareligione romana conterrebbe traccie di divinità e di culti
etruschi,come ne presenta di divinità sabine. Imperocchè il pareggiamento
successivo della terza tribù alle due prime dovesse avere per effetto la mutua
comunicazione dei rispettivi culti, come cið era avvenuto prima fra i Ramni e i
Tizii, ossia fra Latini e Sabini. Ora, la religione ro mana non presenta una
sola divinità e un solo culto che vesta un carattere etrusco. Anche lo stato
d'inferiorità, in che,rispetto alla tribù dei Ramni e dei Tizii,trovasi la
tribù dei Luceri,portato al grado da tenere costoro fino al tempo di Tarquinio
Prisco esclusi dal Senato, contraddice alla ipotesi che i Luceri entrassero fin
dal l'origine di Roma a formar parte del primo popolo,e compissero di questo la
compagine etnica recando nel suo seno l'elemento etrusco. Questo stato
d'inferiorità si spiega invece in modo semplice e na turale, quando ammettasi
che la tribù dei Luceri fosse costituita dai nobili d'Alba tramutati a Roma, e
che quindi entrasse più tardi a formar parte del primo popolo. Alla posteriore
aggregazione dei Luceri alle due primitive tribù, e allo stato d'inferiorità
dei primi rispetto alle seconde accenna il verso di Properzio (IV, 1, 31): «HincTatiesRamnesqueviri,Luceresquecoloni».—
Nonmancano poi le prove dirette, dimostranti che i Luceri , oltre ad essere e n
trati posteriormente nel consorzio dei Romani e dei Tizii,sono pure di origine
albana. Tito Livio (II, 33), parlando degli stanziamenti condotti dal re Anco
Marcio sul colle Aventino, osserva che egli assegnò ai vinti Latini per sede
quel colle, perché gli altri quattro, il P a l a t i n o , il C a p i t o l i n
o , il Q u i r i n a l e e il C e l i o (il V i m i n a l e e l ' E s q u i lino
furono aggiunti alla città solo dal tempo di Servio Tullio) erano già popolati
; e cioè, il colle Palatino dai Romani primitivi, ossia dai Ramni ; e il
Capitolino e il Quirinale dai Sabini, e il Celio dagli A l b a n i . O r a , s
e q u e s t i u l t i m i e b b e r o p e r l o r o s t a n z a il C e l i o ,
n o n saprebbesi davvero dove collocare iLuceri,quando non siammet
F. BERTOLINI ORIGINI ROMANE 201 tesse che i Luceri e gli Albani fossero la
stessa cosa. La critica adunque negando la origine etrusca dei Luceri, ha messo
in sodo il fatto che la nazione romana venne composta di due elementi
etnici,anzichè di tre,il latino,cioè,e ilsabino.Questa composizione spiega il
carattere che distingue la nazione romana dalle altre na zioni italiche. Questo
carattere è il prodotto della fusione di due stirpi che parevano fatte apposta
per completarsi a vicenda. Dall'e lemento sabino il popolo romano riceverà la
frugalità, lo spirito religioso, la severità dei costumi, il principio della
patriapotestas lasciata senza freno dalle leggi. Sono la base di granito e il
duro cemento che i Sabini apporteranno all'edifizio romano (1). Se nel sabino
prevale lo spirito di conservazione, nel latino predomina lo spirito di
sviluppo. Ma come il primo non è inflessibile, così il se condo non è radicale.
E dal contrasto fra la mobilità latina e la stabilità sabina derivò quel lento,
ma pur continuo e sicuro sviluppo della costituzione romana, che formd di essa
la più grande creazione politica della civiltà antica (2). Ma le tribù dei
Ramni, dei Tizii e dei Luceri non formano t u t t o il p o p o l o r o m a n o
. A c c a n t o a l o r o c o m p a r i s c e , c o m e p a r t e c o stitutiva
di esso popolo,la plebe,la quale,dopo di essere rimasta a lungo in uno stato di
semi-dipendenza dal primo popolo , ossia dal patriziato, fini col prevalere su
di esso, ed obbligarlo a seguire la sua via. Ora, come sorse questo ceto
sociale? Ecco il terzo problema che ci proponiamo di risolvere in questo breve
nostro lavoro (3). (1) I Romani non erano ignari di questo prezioso patrimonio
che avevano ricevuto dai Sabini. Ce lo attesta Catone per bocca di Servio : «
Sabinorum mores populum romanum secutum Cato dicit ». SERVIO a d E n ., V I I I
, 6 3 8 . (2)Vedi Devaux,Étudespolitiquessur lesprincipauxévénementsdel'histoireromaine,Paris,1880,I,25.
(3) La quistione dell'origine della plebe fu studiata particolarmente dallo
STRESSER, Versuch über die römischen Plebejer der ältesten Zeit, Elberfeld,
1832. PELLEGRINO, Ueber den ursprünglichen Reli gionsunterschiedderPatricierundPlebejer,Leipzig,1842.
-lune,Forschungenaufdem Gebieteder
römischenVerfassungsgeschichte,Frankfurta.M.1847.
KRUSZYNSKI,DierömischePlebsinihrerpo litischenEntwickelungvom
UrsprungebiszurvölligenGleichstellunngmitdenPatriciern,Lemberg,1852.
SCHWEGLER,Römische Geschichte,I,628. TOPHOFF,Depleberomana,Essen,1856.
WALLINDER, De statu plebejorum Romanorum ante primam inmontem sacrum
secessionem quaestiones,Upsaliae,1860. - Lange, Verbindung der plebs mit dem
patricischen Staate (nei Römische Alterthümer, Berlin, 1876, 1 , 4 1 4 ).
IV. Gli storici antichi erano affatto all'oscuro intorno il fatto
della origine del ceto plebeo di Roma. La sola cosa che essi sapessero era che
la plebe erasi trovata sempre in uno stato d'antagonismo verso il patriziato:
da ciò la definizione negativa che essi davano della plebe, chiamandola il ceto
in cui gentes civium patriciae non insunt.Perqualviapoil'antagonismo
fossenato,oinaltriter mini, come la plebe avesse avuto origine,ciò essi
riguardavano come una quistione oziosa, imperocchè a loro paresse assurda
l'idea che fossemai esistito uno Stato romano senza plebe;onde per loro era un
assioma, che patriziato e plebe fossero nati e cresciuti insieme collo Stato
romano. Contro questa presunzione stava però il fatto, non considerato, della
condizione giuridica diversa in che trovavansi due ceti sociali all'infuori del
patriziato, la quale attestava che essi non erano nati insieme nè allo stesso
modo. Accanto alla plebe,trovasi, cioè,neiprimi tempi delloStato romano,laclientela,caratterizzata
e distinta dalla plebe dalla forma speciale della sua dipendenza. Mentre la
dipendenza della plebe avea un carattere impersonale e comprendeva
ilcetonellasuageneralità,quelladellaclientelaimpe gnava giuridicamente
l'individuo come persona e non come consorte, ed appunto perciò esso nomavasi
cliente (da cluere, klúeiv, dipen dere),in quanto che fosse ascritto alla gente
di un patrono,e da questo dipendesse. Che se nel giure politico plebei e
clienti trovansi originariamente costituiti nella stessa condizione negativa ;
nel giure privato, la condizione loro era assai diversa. Il cliente nè
possedeva del proprio, nè poteva stare in giudizio; mentre ilplebeo possedeva s
u q u e s t o c a m p o p i e n a p e r s o n a l i t à g i u r i d i c a ( c i
v i t a s s i n e s u f f r a g i o ); di guisa che, quando per la costituzione
di Servio Tullio, il censo divenne il fattore del diritto di suffragio,questo
diritto iplebei con s e g u i r o n o , m e n t r e i c l i e n t i n e r i m a
s e r o o r b i c o m e p e r il p a s s a t o ( 1 ) . Ora, questa differenza
esistente fra i due ceti inferiori non si pud altrimente spiegare fuorché
ritenendo,che l'origine loro fosse,rispetto al tempo e al modo, diversa. La
clientela deve certamente avere preceduto la plebe, e l'inferiorità della prima
rispetto alla seconda dimostra che la forza, che creò la sottomissione dei due
ceti, eser citò sui vinti ridotti in clientela un impero più assoluto che su
quelli ridotti in istato di plebeità. (1) Perchè il cliente conseguire potesse
iljus suffragii faceva mestieri che il dominium ,che egli te nevacome
peculium,glifosse assegnatocomeliberaproprietàexjure
Quiritium.Ilqualeattoequiva leva in certo modo ad una manumissio censu .
202 MEMORIE F. BERTOLINI ORIGINI ROMANE 203 Ora, se l'istituzione
della clientela è più antica che quella della plebe, è forza cercarne l'origine
nella prima conquista che frutto ai Ramni
edaiTiziiildominiodelSettimonzio.Gliabitantiprimitivi di quella regione devono
avere formato il nucleo della clientela romana, che le ulteriori conquiste
vennero via via ingrossando. Ma tra la prima e le ulteriori conquiste, corse,
rispetto agli ef fetti sociali, forte differenza. Se la prima non produsse che
dei clienti e degli schiavi, le successive produssero particolarmente dei
plebei. Già l'interesse politico consigliava i conquistatori a tempe rare verso
i nuovi vinti il rigore dell'antico jus gentium ; e noi non abbiamo memoria
della piena applicazione di quel diritto che verso la città di Collazia (1). E
se alle famiglie imperanti fosse pur piaciuto di partire i novelli sudditi fra
le genti romane, traducen dole sotto la loro clientela, la monarchia dovea
opporsi a questo uso della conquista che avrebbe con pregiudizio della regia
potestà accresciuto in modo esorbitante la potenza dell'aristocrazia. E chi
erano poi questi vinti? Erano Latini : appartenevano, cioè, a quella stirpe che
avea coi Ramni formato il nucleo della cittadi nanza romana ; erano dunque
connazionali dei Romani. Che se co storo aveano avuto pei vinti Albani tale
riguardo, da ammetterli nel loro consorzio religioso e politico, perchè
vorrassi ammettere che verso gli altri popoli latini,sottomessi pure colle
armi,applicas sero in tutto il suo rigore il diritto della guerra? E ove pure
si ammettesse che questo rigore fosse usato, come ci renderemmo ra gione del
sorgere di questa plebe e della importanza sociale che venne improvvisamente
acquistando, così da presentarsi come un potente appoggio della monarchia, e da
ricevere da questa servigi e beneficî che schiuderanno all'avvenir suo il più
vasto orizzonte? Non dimentichiamo che questi plebei son Latini.La tradizione
stessa ci dice quando e per opera di chi i popoli del Lazio caddero sotto
ladizionediRoma.La distruzionediAlbaLonga,eiltramuta mento dei nobili Albani
nel Settimonzio , portarono per effetto lo scoppio di ostilità fra le città
latine, erettesi a vindici della loro antica metropoli, e Roma che pretendeva,
come conquistatrice di Alba Longa, di essere riconosciuta anche come erede
della sua (1) Livio ci ha trasmessa la formula deditionis di Collazio, che egli
attinse verisimilmente dai C o m mentarii Pontificum : « Rex interrogavit:
dedistisne vos populumque Conlatinum,urbem ,agros,aquam, terminos, delubra,
utensilia, divina humanaque omnia in meam populique romani dicionem ? Dedimus
». Livio, I, 38. La domanda del re è rivolta ai deputati di Collazia. Rivista
di Storia Italiana. egemonia sulla confederazione latina. La
grossa guerra scoppiò sotto Anco Marcio.Non èdubbiochequesti,primadiscendereincampo,
approfittasse delle gelosie esistenti fra l'una e l'altra città latina, e che
sono effetto di ogni confederazione a base ristretta, per r o m pere il fascio
con promesse e lusinghe date a tempo e a luogo. Senza ciò, non potremmo avere
ragione della sua facile e completa vittoria.Ora che cosa fece Anco Marcio di
questi nuovi vinti?Gli storici antichi ce lo apprendono in modo chiaro : «
Ancus Marcius, dice Cicerone (1), quum Latinos bello devicisset, adscivit eos
in ci vitatem».ELivio,completando ilraccontodiCicerone,osserva che Anco segui
rispetto ai vinti Latini il costume regum priorum , onde anche allora parecchie
migliaia di Latini furono introdotti nellacittadinanzaromana:«tum
quoquemultismillibusLatinorum i n c i v i t a t e m a c c e p t i s » ( 2 ). N
o n c i c u r i a m o d e l r a c c o n t o t r a d i z i o n a l e ,
chefamaterialmenteintrodurredaAncoinRoma questivinti,eas segnare ad essi per
sede il colle Aventino e la valle Murcia . In questo racconto,laprolessistoricaèmanifesta:chesappiamo
in modo in contestabile,chefinoallafinedelIII°secolodiRoma,l'Aventino fu
disabitato (3). Ma lasciando da parte questo particolare, ciò che va
considerato nel racconto tradizionale è il fatto della cittadinanza c o n cessa
da Anco Marcio ai vinti Latini. E perchè, nè questa era la prima guerra
combattuta vittoriosamente da Roma contro i Latini,e nemmeno era la prima volta
che della vittoria fosse fatto quest'uso; ne emerge,e Livio avvalora
l'induzione nostra,che se laconquista di
Ancodiedeilmaggiorcontingentealcetoplebeo,essanon neinizio la formazione, come
suppose ilNiebuhr,seguito in cið dallo Schwegler, dal Lange e da altri. Il
Bonghi, per ora si limita a dire, che non credechela plebedovesse lasuaorigine
adAnco,e promette,che «procurerà altrove di esporre donde sia nata l'opinione
di una condottarispettoa'vintineirediRoma,cosidiversa da quella che per molto
tempo appare propria della città nel seguito della sua storia ».E perchè insin
d'ora egli dichiara esposta a molti e gravi dubbii cosi larga concessione di
cittadinanza, il desiderio di sapere quale opinione l'insigne storico porti sul
gravissimo tema della ori (3) Lo fece abitare la « les Icilia de Aventino
publicando » dell'anno 298. Il tenore di questa legge ci è dato da Dionisio, il
quale attesta di aver letto il testo originale di essa inciso in una colonna di
bronzo che sorgeva nel tempio di Diana sull'Aventino. Drox ., X , 32 .
204 MEMORIE (1)DeRep.,II,18,33. (2 ) L i v ., I , 3 3 . F.
BERTOLINI ORIGINI EOMANE 205 ginedellaplebe romana rimane più fortemente
sentito.Comunque sia perd dell'opinione del Bonghi su ciò, noi rimaniamo saldi
nella nostra,laquale,oltreadavereilsuffragiodellefonti,hapure insuo favore la
condizione sociale da cui la romana plebe fu costituita. Il plebeo romano è
agricoltore; egli non è nè commerciante nè indu striale;queste arti,che
nell'antichità erano assai meno considerate
dell'agricoltura,sonoprofessateinRoma peculiarmente daiclientie dai
liberti.Codesta condizione sociale della plebe romana è attestata
dallatradizioneinpiùmodi.Ora,essacidiceche Servio Tullio,per poter avere
l'appoggio della plebe alla sua esaltazione al trono,
chiamòincittàirurali,eperboccadiCatone ci dice,che gliagri coltori formavano il
nerbo della fanteria romana (1). Ma un testi monio che serve per tutti, è
l'antica istituzione che le adunanze plebee,ossiaicomiziitributi,non
sipotessero tenere cheneigiorni di mercato (nundines), e che ogni proposta di
legge dovesse pubbli carsi tre giorni di mercato (trinundines) prima di essere
messa a partito (2) Anche la condotta tenuta dalla plebe nella sua lotta col
patriziato conferma questa condizione sua.Gli storici qualificano siffatta con
d o t t a c o l l e p a r o l e m o d e s t i a , v e r e c u n d i a e p a t i
e n t i a ( 3 ). S o n o d o t i codeste che appariscono più proprie di coloro
che attendono alla col tura dei campi, che di coloro che praticano l'industria
e il com mercio (4). E se le contese sociali di Roma non degenerarono in ( 1 )
« E x a g r i c o l i s v i r i f o r t i s s i m i e t m i l i t e s s t r e n
u i s s i m i g i g n u n t u r » , C a t o n e , D e r e r u s t i c a , P r a
e f ., $ 4 . (2) MACROBIO TEODOSIO, Saturnalia , I, 16, 34 : « Rutilius scribit
Romanos instituisse nundinas, ut octo quidem diebus in agris rustici opus
facerent,nono autem die intermisso rure ad mercatum legesque acci piendas Romam
venirent,et ut scita atque consultafrequentiore populo referrentur,quae
trinundino die proposito a singulis atque universis facile poscebantur ». (4)
Ci sia permesso di riportare su l'influenza educativa dell'agricoltura un brano
di una conferenza che tenemmo nel 1881 all'Esposizione Nazionale di Milano, col
titolo : L'industria nei suoi rapporti colla civilta. «Gli
economisti,dicevamo,sogliono distinguereduespeciedilavoro:quellocheagiscesullecose,e
quello che agisce sugli uomini. Questa distinzione non è esatta. Se tolgasi il
lavoro puramente intellet tuale,ogni altro agisce ad un tempo su gli uomini e
su le cose;questa duplice azione viene esercitata sopratutto dall'agricoltura e
dall'industria. Dal raffronto fra queste due arti ritrarremo la ragione psico
logica del nesso intimo che esiste fra l'industria e la libertà. «
L'agricoltore riguarda la terra come fonte unica della ricchezza ; essa è per lui
una provvidenza e un mistero ad un tempo. Perciò noi lo vediamo affezionato al
suo suolo, ivi fissato in istabile sede,ed unito in pacifico consorzio co' suoi
conterranei. Da questo legame contratto dall'uomo colla terra che lo nutre
nacque ilprimo concetto di patria,come dai
consorziigeneratidall'agricolturaebberooriginoiprimi Stati. « Ma la terra, come
dicemmo, non è per l'agricoltore solo una provvidenza, essa è per lui anche un
mistero. E questo lato misterioso sarà una sorgente feconda di superstizioni,
che egli porterà facilmente anche nei negozi civili, o nelle maggiori
contingenze della vita pubblica. Quei soldati di Nicia e D e
mostene,chelanottedel27agosto413a.C.ricusaronodilevareilcampoda
Siracusaerifugiarsia (3)Livio,III,52. 3:V,25,12. CICERONE,de
Rep.,II,36,61. Riassumendo pertanto le cose dette intorno la
formazione della plebe romana,diremo,che sebbene la genesi di quel ceto non
possa esserechiaritaintuttiisuoiparticolari, tuttavia hannosi datiposi
tivi,iquali rilevano di che elementi fosse formato, e la ragione po litica che
indusse i vincitori a trattare i vinti con una generosità di cui non si ha
esempio nella storia dell'antichità. Questi dati ci dimostrano ancora che la
istituzione della clientela precedette quella della plebe, e ci spiegano il
diverso trattamento avuto dai primi vinti rispetto ai secondi. Catania, perchè
quella notte comparve in cielo un ecclisse lunare, erano agricoltori
dell'Attica. E l'es sere essi rimasti in quel luogo portò per effetto lo
sterminio della flotta e dell'esercito ateniese,e la ro vina di Atene. « Del
resto, non è da meravigliarsi che l'agricoltore sia superstizioso. Quel grano
che egli consegna alla terra per riceverlo moltiplicato, non gli dice come sia
avvenuto il fatto della moltiplicazione sua. mentre questo evento che ogni anno
si rinnova gli stordisce l'intelletto, altri fenomeni del mondo fisico,
dinaturadeleteria,gliriempionol'animodisgomentoediterrore.L'uragano
cheglidevastailcampo; la grandine che gli distrugge le messi, gli appariscono
mandatarii di forze arcane che gli fanno la « Dallo stesso principio che aveva
dato nascimento alle gerarchie ipercosiniche ebbero origine le ge rarchie
sociali, trasformate ben presto in tirannidi. Il despota non è un uomo come un
altro. Egli è il mandatario di un ente superiore che gli affida l'incarico
d'imperare in suo nome. E l'agricoltore subisce rassegnato il suo imperio, e
comprende nel suo culto mandatario e mandante, dai quali altro non impetra che
la sua pace. « Quanto diverso è il magistero civile che si consegue
dall'industria ! Anche l'industriale ritrae dalla
naturafisicalamateriadelsuolavoro.Ma
questamateriainluogodiessereperluiunmistero,èinvece una rivelazione. Essa gli
rivela che egli coll'opera della sua intelligenza non solo può trasformare i pro
dotti della natura e adattarli a'suoi bisogni,ma può anche sorprendere isegreti
di essa e svelarli.Si, l'intelligenza gl'insegna,ch'egli può perfino combattere
contro la natura,ora congiungendo mari da lei divisi, ora atterrando baluardi
da lei inalzati fra l'una e l'altra regione, ora sopprimendo colla vaporiera e
coll'elettrico le distanze. Se l'agricoltore può chiamarsi servo della natura,
l'industriale può dirsi suo ribelle. Ed è mai possibile che quest'uomo, al
quale l'impero della natura è troppo grave,possa rassegnarsi a sopportare
l'impero di un suo simile ? » 206 MEMORIE guerre civili, come avvenne in
tutti gli altri Stati dell'antichità con jattura della loro libertà, cið fu
particolarmente dovuto al carattere longanimeepazientedellapleberomana,laquale,convinta
delsuo diritto, lasciò che il tempo ne facesse maturare la coscienza anche nei
suoi avversarii, e transigette sopra uno scacco patito oggi per essere più
sicura della vittoria domani. guerra , e contro le quali egli non sa
difendersi. Da ciò il suo ricorso ad una tutela che lo educherà alla sommes
sione per prepararlo alla servitù. In questi misteri del mondo fisico è riposta
quindi la genesi tanto delle religioni, quanto delle teocrazie. Le due specie
divine, l'una delle quali risiede in cielo in mezzo alla luce, l'altra negli
abissi del tartaro, sono emanazioni antropomorfe delle forze benefiche e
malefiche della na
tura.Createlespecie,erafacilecreareunasimbolica,permezzodellaquale
spiegareidiversifenomeni e momenti della natura fisica. In questa simbolica
vediamo attribuita una importanza affatto speciale al fenomeno della
fecondazione terrestre. I Latini simboleggiarono quel fenomeno in una festa
nuziale divina chesirinnovava ognianno
nelmesedidicembre,quandolanaturasiraccoglieinsè,eserbainistato latente le sue
forze per ispiegarle rigogliose tra poco. Così ebbero origine in Roma i
Saturnali, la più popolare delle feste romane, durante la quale era concesso
anche agli schiavi di ricordarsi di essere uomini. La chiesa cristiana sostituì
ai Saturnali la nascita del Cristo,e non poteva collocare in migliore luogo la
comparsa dell'uomo che veniva ad insegnare, essere tutti gli uomini eguali
davanti a Dio. F. BERTOLINI ORIGINI ROMANE 207 La clientela sorse
colla conquista del Settimonzio, ossia,colla for mazione del primo Stato ; e
clienti diventarono i prischi abitatori di quella contrada. La plebe surse
invece col primo sviluppo che con seguì lo Stato romano fuori del Settimonzio,
nelle altre contrade del Lazio. Una eccezione fu fatta cogli Albani, e fu
eccezione di privilegio dovuta al primato che Alba Longa possedeva verso le
città della lega latina. Sia la riverenza che tributar si volle all'antica
metropoli;sial'interessepolítico,che consigliavalalarghezzaverso i vinti
Albani, per poter più facilmente ridurre le città latine ad accomodarsi alla
nuova padronanza ; e l'una e l'altra ragione por tarono per effetto, che gli
Albani venissero dai vincitori accolti nel loro consorzio religioso e
politico,e costituiti in una nuova tribù. Questa larghezza non poteva essere
usata verso le altre città la tine, e cið per più ragioni. Prima di tutto, va
considerato il carat tere d'inferiorità che, rispetto alla loro importanza, si
manifesta fra esse città e Roma.Se eccettuisi Alba Longa,che ha una posi zione
privilegiata rispetto alle città latine confederate, queste son tutte sul piede
di una piena eguaglianza vicendevole ; e però, nes suna di esse poteva invocare
dal vincitore un trattamento eccezio nale accampando privilegi anteriori che
non erano stati posseduti. Però, se la eguaglianza delle città vinte fra loro
non dava luogo a sperare che iljus gentium non sarebbe stato applicato verso di
esse in tutto il suo rigore, vi erano altre ragioni che creavano questa
speranza, la quale ebbe poi nel fatto sua piena conferma. L'una di queste
ragioni era riposta nella connazionalità esistente tra vinti e vincitori, Roma,
dovesse la sua origine all'atto geniale di un fondatore, o alla deliberazione
di un'assemblea, non poteva dimenticare che dal Lazio erano partiti i suoi
primi fondatori, i Ramni; e che dal Lazio , essa avea tolto i suoi costumi e le
sue primitive istituzioni. Dopo il tramutamento in Roma dei vinti Al bani, la
latinità di Roma ebbe rafforzato il suo contingente,onde avvenne che i rapporti
morali fra lei ed il Lazio si facessero più forti e più sentiti. I quali
rapporti non poterono rimanere senza influenza il giorno in cui la vittoria
trasse le città latine sotto la dipendenza di Roma. Anche l'interesse
monarchico concorse a mitigare la sorte dei vinti. Importava ai re di rivolgere
a loro profitto questa novella forza che ora introducevasi nello Stato, per
potere col mezzo di essa mettere un freno alle tendenze invaditrici del
patriziato. Cosi, pel concorso di due circostanze, che apparentemente contraddiceansi,
i vinti Latini ebbero pur essi da Roma un trattamento eccezionale. Non
furono ascritti nel consorzio gentilizio come i nobili Albani , ma non vennero
nemmeno degradati allo stato di clientela. Diven tarono invece plebe, che vuol
dire massa disorganizzata (da pleo, plenus); ma non sarà lontano il giorno, che
essa conseguirà pure un organismo suo ; e allora il nome non rappresentando più
la cosa, non le rimarrà che come ricordo storico. E sarà il giorno, in cui, per
opera di Servio Tullio,al principio teocratico che cinge in nome del diritto
divino di una cerchia di ferro i privilegi del patriziato, si sostituirà il
principio timocratico, che aprirà quella cerchia per attribuire il privilegio
al censo. Fu questa la prima breccia aperta nella cittadella del patriziato;
dopo di essa,la espugnazione della fortezza diventava quistione di arte
strategica, che è a dire, qui stione di tempo. Bologna,giugno 1884. FRANCESCO
BERTOLINI. 208 MEMORIE M a se la plebe nel suo nascere non avesse posseduta
la persona litàgiuridicacheimplicavailjuscommercii,essanonavrebbe po tuto
pervenire per mezzo del diritto di proprietà a quello del suf fragio, e la
riforma di Servio Tullio sarebbe rimasta sterile per lei, come sarebbe mancata
la ragione politica di crearla.Rino Genovese. Genovese. Keywords: tribù, attribution,
self-ascription, ascription, labelling, power, language, illuminism, critical
illuminism, critical theory, critica della ragione impura; tribu occidentale; Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Genovese” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758754166/in/dateposted-public/
Grice e
Genovesi – logica pei giovanetti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Castiglione
del Genovese). Filosofo. Grice: “I like Genovesi.” Grice: “Genovesi is a
good’un – he reminds me of Oxford – his treatise on logic he called ‘per gli
giovenetti,’ which is, as Piaget would say, as it would.” Grice: “Genovesi
reminds me of Strawson, or rather of myself teaching logic to Strawson back in
that infamous term of 1938!” – Grice: “I like Genovesi; I don’t think Socrates
taught logic to Alcebiades; he couldn’t teach since the ‘dialogue’ is hardly
the way to do it; and then Socrates did not teach logic to Plato; Plato did not
teach logic to Aristotle, since the dialogue is not the way to go – so it is
possibly Aristotle who first ‘taught’ logic to Alexander – this would indicate
that he felt the need to change the form from silly dialogical exchanges to
actual propositions that Alexander could swallow – “Sign” is what stands for
something – a word is the sign of an idea – the idea is the sign for a thing.”
– and so on. “Some things imply others; others IMPLICATE others.” – Grice:
“Genovesi has an interesting bunch of things to say about logic, but then any
writer of a ‘tractatulus’ in logic would: so he explores the
natural/conventional distinction as applied to signs, and then the affirmation
and negation, and pragmatic concerns with obscurity and ambiguity – and
sophismata – and complex ‘causal’ propositions, -- quite a genius – and if a
palaeo-Griceian, if I may myself say so!” Figlio di Salvatore, calzolaio e
piccolo imprenditore, e di Adriana Alfinito di San Mango. Il padre lo indirizza
in tenera età verso gli studi. E affidato agli insegnamenti di Niccolò Genovese,
un congiunto, medico tornato da Napoli, il quale lo istruì in filosofia
peripatetica per due anni e in quella cartesiana per un anno. Nel corso degli
studi filosofici, si innamora di Angela Dragone. Questo amore non trovò
l'approvazione del severissimo genitore il quale condusse immediatamente il
figlio a Buccino, dove abitavano alcuni parenti, presso il convento dei Padri
Agostiniani dove seguì gli insegnamenti filosofici di Abbamonte, appassionandosi
al latino di Catone e Varrone. Insegna retorica a Salerno dove incontra Doti, dal
quale riceve lezioni di perfezionamento nel latino.Si trasferì a Napoli, dove
intraprese dapprima la carriera forense, che lasciò presto. Fonda una scuola
privata di metafisica e teologia. A Napoli fu in contatto con Vico e ottenne la
cattedra di metafisica. Alcune sue posizione contenute in “Elementa Metaphysicae”
furono dai suoi nemici considerate eretiche, e dovette servirsi dell'intervento
dell'arcivescovo di Taranto Celestino Galiani, e di Benedetto XIV per
conservare l'abito talare. In seguito a queste denunce lascia l'insegnamento
della metafisica a Napoli, per passare all'etica, cattedra che era stata tenuta
in passato da Vico. L'evoluzione dalla metafisica- all'etica prosegue con
il passaggio all' “economia” quando si compì la trasformazione 'da metafisico a
mercante', come egli stesso ebbe a scrivere nella sua autobiografia. Insegna'commercio
e meccanica, con fondi privati da Intieri, la prima cattedra di economia di cui
si abbia traccia in Europa, se non consideriamo cattedre di economia quelle
istituite negli anni venti Professorei n Prussia nell'ambito della tradizione
camerale. Il suo lavoro come economista è stato quello più fecondo, tanto che
Genovesi divenne un autore fondamentale. Si diffondevano in quel tempo i primi
accenni di rivolta allo spirito e al costume della Contro-Riforma: gli spunti
di polemica antigesuitica e anticlericale, la ripresa della lotta in difesa
dell'autonomia di un sato laico contro ogni interferenza del cattolicesimo, ai
primi elementi di una teoria delle monarchie illuminate e del regime
paternalistico, nonché, sul piano letterario, l'avvento di una poetica e di una
critica più aperte e coraggiose. In pratica, fu l'inizio della vera
rivoluzione culturale che si attuò nella seconda metà del Settecento sotto il
segno dell'Illuminismo caratterizzata dalla necessità di trasformare integralmente
i cardini dciviltà in tutte le sue manifestazioni. In questo ambito, la
filosofia politica di Genovesi e decisamente di tipo riformatore, un anglofilo
sotto spoglie francesi. Nella sua filosofia, persegue un compromesso tra
idealismo ed empirismo, cercando ad ogni costo di salvare gli essenziali valori
religiosi della filosofia cristiana. Riceve l'influenza del nuovo panorama
culturale italiano, con la voglia di cercare con studi ed esperimenti il
concetto della pubblica felicità, consistente nel far uscire l'uomo dallo stato
di "oscurità" (Illuminismo, che in Francia era già in atto: Les
Lumières). Prese coscienza della decadenza culturale, materiale e spirituale
dopo il periodo d'oro del Napoletano e, quindi, si rese conto della necessità
di intervenire per riportare le arti, il commercio e l'agricoltura a nuovi
splendori. “Io, che era cominciato a tediarmi di questi intrighi teologici
e che cominciava ad avere in orrore studi si turbolenti, e spesso sanguinosi,
feci di più: mi ripresi i miei manoscritti, e deliberai permanentemente di non
pensare più a queste materie.» Per tale motivo, abbandona la metafisica e
si dedica all’economia affermando tra le altre cose, che l’economia deve
servire ai governi per alimentare la ricchezza e la potenza del stato. Ritiene
che per favorire il benessere “sociale” sia necessario promuovere la cultura e
la civiltà, per questo motivo è il primo cattedratico ad impartire le sue
lezioni in italiano. Docente di economia politica, occupa una cattedra
istituita appositamente per lui di “commercio e meccanica” a Napoli da Intieri.
Soggiorna più volte nel palazzo proprio di Intieri a Massaquano per lunghi
periodi dove si rifugiava per trovare "la musa ispiratrice" e lì
infatti scrisse alcune sue opere. Sostiene che anche le donne e i
contadini abbiano diritti alla cultura poiché questa è uno strumento
fondamentale per realizzare l'ordine e l'economia nelle famiglie, e di
conseguenza nella società, è inoltre importante anche l'educazione degli uomini
e in particolar modo lo sviluppo delle arti e delle scienze, contrapponendosi
all'idea di Rousseau per il quale il progresso costituisce la fonte di tutti i
mali. Denuncia anche la presenza di un numero eccessivo di persone che vivono
esclusivamente di rendita e affronta tematiche importanti come problemi di
debito pubblico, inflazione e circolazione monetaria. Il suo pensiero economico
è espresso in Lezioni di commercio o sia di economia civile e considerate una delle prime opere di
filosofia economica. Cerca, così, di indicare la via per alcune riforme fondamentali:
dell'istruzione, dell'agricoltura, della proprietà fondiaria, del protezionismo
governativo su commerci e industrie. Tenne sempre le sue lezioni in
italiano grazie alla sua passione per il civile: viene ricordato per essere
stato il primo docente a esprimersi in italiano durante i suoi corsi e per
essere stato tra i primi a scrivere trattati di metafisica e di logica in
italiano. Così operò, anche e soprattutto, per diffondere lo studio
dell'Economia e delle scienze nel popolo: in questo atteggiamento Genovesi è
ancora una volta in piena continuità con gli umanisti, giudicando anche questo
un mezzo di incivilimento. Altre opera: Lezioni di commercio (Milano,
Fondazione Mansutti). Altre opera: Elementa metaphysicae mathematicum in morem
adornata, Napoli; Elementorum artis logicae-criticae libri quinque Gli elementi
dell'arto logico-critica, Venezia) Meditazioni filosofiche; Lettere
filosofiche; Lettere Accademiche;
Memorie Autobiografiche; Lezioni di commercio o sia d'economia civile; Della
diceosina o sia della Filosofia del Giusto e dell'Onesto; Delle Scienze
Metafisiche per li giovanetti 1767; Altre opere da ricordare sono La logica per
i giovanetti, Istituzioni di Metafisica per Principianti e Lettere familiari,
che testimoniano l'intensa corrispondenza epistolare tra l'abate e il letterato
dell'epoca Ferrante de Gemmis, uno dei pochi testimoni dell'illuminismo
pugliese. Corpaci, F., Antonio Genovesi; note sul pensiero politico,
Giuffrè, Peter Jones, Reception of David Hume in Europe, Continuum, Palatano,
Rosario; Genovesi, Antonio. Antonio Genovesi: teoria del commercio, LUISS
University Press,.Antonio Genovesi, in Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. 10 maggio.
Lucio Villari, Il pensiero economico di Antonio Genovesi, Le Monnier, Chines,
Loredana. Su alcuni aspetti linguistici degli scritti di Genovesi, Pensiero
politico, Davide Alessandra, Antonio Genovesi: uno dei padri dell'illuminismo
meridionale, su historiaiuris.com,. M. Bonomelli (a cura di, Quaderni di
sicurtà. Documenti di storia dell'assicurazione, Fondazione Mansutti, schede
bibliografiche di C. Di Battista, note critiche di F. Mansutti. Milano: Electa,
Luigino Bruni, Voce "Antonio Genovesi" in Il Pensiero Economico
Italiano, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani. Luigino Bruni e Stefano Zamagni, Economia
civile, Il Mulino, Bologna,. A. M. Fusco, Antonio Genovesi e il suo
mercantilismo "rinnovato", in A. M. Fusco, Visite in soffitta. Saggi
di storia del pensiero economico, Napoli, Editoriale Scientifica, Giuseppe
Galasso, Il pensiero religioso di Antonio Genovesi, Rivista storica italiana, G.
Genovese, Contro le "Penelopi della filosofia". Note sulle Lettere
accademiche di Antonio Genovesi, L'acropoli, G. Genovese, Tra Vico e Rousseau:
le autobiografie di Antonio Genovesi, L'acropoli, D. Ippolito, Antonio Genovesi
lettore di Beccaria, Materiali per una storia della cultura giuridica, C.
Passetti, Una fragile armonia: felicità e sapere nel pensiero di Antonio
Genovesi, Rivista storica italiana, M.L.Perna, Eluggero Pii e l'edizione delle
opere di Antonio Genovesi Dialoghi e altri scritti. Intorno alle Lezioni di
Commercio, Il pensiero politico: rivista di storia delle idee politiche e
sociali, A. M. Rao, Etica e commercio: i Dialoghi di Antonio Genovesi
nell'edizione di Eluggero Pii, Il pensiero politico: rivista di storia delle
idee politiche e sociali, Wolfgang
Rother, Antonio Genovesi, in Johannes Rohbeck, Wolfgang Rother: Grundriss der
Geschichte der Philosophie, Die Philosophie des 18. Jahrhunderts, Italien.
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motrici dello sviluppo sociale, «Studi Storici», E. Zagari, Il metodo, il
progetto e il contributo analitico di Antonio Genovesi, Studi economici, 2V.
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dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
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Genovesi, sConferenza Episcopale Italiana.
Opere di Antonio Genovesi / Antonio Genovesi (altra versione), su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Antonio Genovesi,. Luigino Bruni, Genovesi, Antonio, in Il
contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Saverio Ricci, Genovesi,
Antonio, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. 13 novembre. Corrado Barbagallo, Antonio
Genovesi, Estratto da: Rassegna Storica Salernitana. Antonio Genovesi 1 2
non è uno di quei filosofi, che fanno compiere un passo innanzi al
pensiero filosofico. A paragone del grande Giambattista Vico, che si
gloria di aver avuto maestro e la cui Scienza Nuova cita nelle sue
opere con profondo rispetto : , il Genovesi apparisce come uno di quei
mille ammiratori, più o meno sinceri, che il Vico ebbe tra i suoi
contemporanei e tra gli uomini più illuminati delle generazioni
successive; i quali ebbero un certo sentore di alcune teorie di lui,
concordanti o no con dottrine congeneri di altri pensatori e da
annoverare tra le parti accessorie del suo sistema, ma pei quali i
problemi originali posti e risoluti dal Vico, si può dire, non ebbero
senso. Se pertanto nella storia del pensiero il Vico rappresenta quello
che egli rappresenta a’ nostri occhi di storici che han penetrato il
significato di quei problemi, il Genovesi dopo di lui è un arresto o una
de¬ viazione. Quella vena speculativa altissima nello scolaro
1 Discorso tenuto al Teatro Verdi di Salerno, il 17 gennaio 1932,
ì n occasione del monumento inaugurato lo stesso giorno a Castiglione del
Genovesi. 2 « L’illustre Giambattista Vico, uno de’ fu miei
maestri, uomo d’immortai fama per la sua Scienza Nuova » (Lez. di
Comm., Napoli, 1783, IX, p. 12; parte II, c. I, § 5); «Il nostro Vico
nella Scienza Nuova, libro maraviglioso e uno dei pochi che in queste
ma¬ terie [su Omero] facciano onore all’ Italia » (Logica e Metafisica,
Mi¬ lano, Classici italiani, 1835, p. 208. Cfr. ivi, p. 331).
72 ALBORI DELLA NUOVA ITALIA è
inaridita. Il pensiero ha cambiato strada, abbandonando gli ardui
argomenti con cui s’era cimentato. Ma il paragone col Vico
storicamente non è giusto. I due pensatori in verità appartengono a
due piani storici, da uno dei quali non si passa all’altro
direttamente. Se il Genovesi non ebbe occhi per vedere i problemi
del Vico, neanche il Vico, dalla parte sua, ebbe occhi per vedere
quelli del Genovesi. Uomini di tempra diversa, con diversi interessi
spirituali, si può dire che il maestro abbia pensato sempre al cielo, e
lo scolaro alla terra. L’uno non si guarda mai attorno se non come
uomo privato, che, quando dai pensieri ordinari si rivolge alla sua
scienza e alle cure più nobili del suo intelletto, vi si assorbe tutto,
estraniandosi affatto dai pensieri, dalle gioie e dai dolori della vita
quotidiana. Dove non sono in verità gli attori del dramma che egli ama
studiare e nel cui studio concentra infatti le energie più potenti
della sua intelligenza. Passa perciò tra i suoi e tra i coe¬ tanei come
l’uomo astratto, il filosofo, l’uomo che non è di questo mondo.
Quantunque il suo animo, propria¬ mente, sia a questo mondo legato così
strettamente come nessun altro mai, e di questo mondo, scrutato con
sguardo penetrante fino al profondo, aspiri appassionatamente a
intendere il significato, e in questo mondo appunto agogni con titanico
sforzo a conquistarsi razionalmente, col pensiero, un suo posto. Ma
questo mondo egli vuol vederlo sub specie aeterni, come mondo che è
sempre lo stesso, in ogni luogo e tempo; e che assume bensì aspetti
sempre diversi, ma per l’interna virtù che lo muove con immutabile
legge. L’altro invece è tutto occhi pel mondo che si agita
intorno a lui, nella scuola e fuori della scuola; nelle città e nelle
campagne; nello Stato e nella Chiesa; a Napoli, per tutta Italia, e di là
dalle Alpi. L’istruzione del popolo e l’educazione dei giovani;
l’agricoltura e il com- ANTONIO GENOVESI 73
mercio; l’economia del Regno, e i problemi della feudalità e della
manomorta; il problema della moltitudine degli ecclesiastici eccessiva in
rapporto alla popolazione; e poi la questione giurisdizionale e l’ardente
lotta anticuria- lista in difesa dei diritti dello Stato; e via via tutte
le questioni che erano all’ordine del giorno nella Napoli del
tempo, o che uno spirito alacre ricavava da quelle a cui la pubblica
opinione s’interessava. E poiché i paesi allora alla testa della cultura
europea erano insieme Inghilterra e Francia, e i libri che si
pubblicavano in quelle lingue i più letti, celebrati e discussi, ecco
quelle lingue, insieme con le classiche, a cui il Vico si era
limitato, studiate e possedute con animo pronto a seguire il movi¬
mento della letteratura straniera in ogni campo di ri¬ cerche filosofiche
e sociali. Allargato quindi enormemente l’orizzonte. Non più quel
carattere antiquato e accade¬ mico della scienza tradizionale, nel cui
cerchio si muove ancora il Vico, modernissimo per la sostanza de’
suoi problemi, arcaico per la forma (lingua ed erudizione) E la
modernità segna la fine di quel chiuso provincia¬ lismo, onde lo
scrittore napoletano si era sentito sempre cittadino di Napoli. Genovesi
guarda più in là del Garigliano e del Tronto. Egli si sente italiano; e
come italiano, partecipe dell’unica società europea della cultura.
Italiano e moderno, si lascia alle spalle il vecchio mondo tradizionale
dell’accademia fratesca e teologizzante e dell’angusta provincia, e
respira largo, apre le finestre della scuola della letteratura e del
pensiero, e vive nel tempo suo e si sforza d’interessare gli uomini,
tutti, al sapere e al lavoro dell’ intelligenza. Siamo, come
dicevo, in un piano diverso da quello della pura filosofia. Qui si può
dire che la filosofia ri- nunzii alla sua propria forma, e quasi si
annulli per risorgere in forma più adeguata alle sue esigenze più
profonde. Ciò che è tante volte avvenuto nella storia; 6 -
Gentile, Albori. I. 74 ALBORI DELLA NUOVA
ITALIA e avviene continuamente nella vita. Il pensiero sale,
sale, si purifica, si libera dal rappresentare fantastico e cor¬
pulento, e si libra da ultimo in un’astrazione diafana, per ridiscendere
tosto al concreto della realtà che con quell’astrazione ha cercato di
definire e più perfetta¬ mente possedere: alla realtà che è corpo e
fantasma, e passione e sentire, e quell’oscuro misterioso impeto
dell’essere che tende a realizzarsi, scaturigine ascosa di ogni esistenza
e di ogni luce. Il progresso è pur sempre in certo modo regresso; e se si
volesse andare avanti, avanti sempre, si finirebbe col precipitare nel
vuoto. Bisogna a volta a volta rifarsi da capo. Bisogna toccare la
terra per rialzarsi. Toccare la terra, s’intende, come l’Anteo della
favola, da gigante che ha già la forza per rialzarsi: che ha, in altri
termini, un certo grado di co¬ scienza filosofica. 2. —
Vogliamo sentire dallo stesso Genovesi qual fosse il suo ideale di
cultura ? Basta leggere un suo Discorso sopra il vero fine delle lettere
e delle scienze, che nel 1753 pubblicò innanzi a un Ragionamento sopra i
mezzi più necessari per far rifiorire Vagricoltura dell’abate
Montelatici, quasi per giustificare la nuova via per cui egli si metteva,
dopo aver anche lui pubblicato i suoi libri di Logica, di Me¬
tafisica e di Teologia in lingua latina. In questi stessi libri, per
altro non è difficile scorgere le tendenze innova¬ trici del Genovesi e
il carattere dominante del suo pen¬ siero filosofico, del quale ci
proveremo qui appresso a dare un sommario cenno ; ma ancora non è
avvenuta la radicale conversione per cui la mente dello scrittore,
dopo che ebbe trovato negli studi economici e sociali una ma¬ teria
più adatta al suo genio, raggiunse la sua forma storica, e ritrovò
propriamente se stesso. In questo Discorso il Genovesi propugna una
sorta di filosofia « reale », com’egli dice, e cioè pratica ed
appli- ANTONIO GENOVESI 75 cativa: come
dire una filosofia non propriamente specu¬ lativa e filosofica; e prende
a partito tutti i più celebrati filosofi della tradizione e le loro
dottrine. Esalta bensì la ragione come quella che << più di tutte
le nostre doti ci rassomiglia a Dio », « la sola cosa, per cui l’uomo
si solleva sopra tutto ciò ch’è in terra»: la ragione, «arte
universale » governatrice di tutte le arti e strumenti onde l’uman genere
arricchisce la vita e viene ogni dì perfe¬ zionando il sistema dei mezzi
diretti ad accrescerne il benessere. Ma ne addita nelle astratte
speculazioni e schernisce i deviamenti già nell’antichità derivati
appunto dall’abuso che l’uomo fa della ragione in questioni oziose,
sottili, astruse e atte nondimeno a suscitare la stima e l’ammirazione
dei semplici e a procacciare una riputazione fallace. «
Poiché gli uomini quanto son più semplici, tanto so¬ gliono più stimare
quel che meno intendono, i dialettici ed i metafisici. I don Chisciotti
della repubblica delle lettere, combattenti con gli indistruttibili
giganti delle chimere, per la gloria vanissima di sottilissimo
ingegno, loro Dulcinea del Toboso, salirono in alta stima, ed usur¬
parono il premio doTTito al vero sapere; ciò che fu l’esca fatale, che
riempì ne’ vecchi tempi d’indiscreti sofisti la Grecia, e ne’ secoli
assai più vicini buona parte del- 1 ’ Europa ». Eppure, la
prima e più antica filosofia era stata una « filosofia tutta cose ». I
più antichi filosofi erano stati i legislatori, i padri, i sacerdoti
delle nazioni, studiosi di etica, economica, politica; persuasi
anch’essi, al pari di tutti i buoni cittadini, che, « come partecipavano
a’ comodi della società, così dovevano aver parte alle cure e alle
fatiche » pel bene pubblico e domestico. Vennero dopo i tempi di
corruzione, in cui prevalse la massima che l’ozio fosse un nobile e
onorato mestiere. E quindi la genia infi¬ nita di coloro che sono «peste
del vero sapere e della 76 ALBORI DELLA NUOVA ITALIA
virtù»; «i quali si credettero nati o per garrire inutil¬ mente, o
per disputare di cose inintelligibili, o per met¬ tere empiamente in
ridicolo le sante ed utili cognizioni, le leggi ed i precetti della
giustizia e dell’onestà ». Ven¬ nero i grammatici (oggi diremmo i
critici) « interpreti de’ sogni dei poeti, o mercanti de’ propri»;
vennero i metafisici, «Penelopi della filosofia, implicati in
disciorre quelle tele, che eransi tessute colle loro mani » ;
verniero i dialettici, che « tendevano indissolubili lacciuoli alla
ragione istessa per cui andavan fastosi, e come seppie gittavan del
negro, sotto cui il vero e il falso prendesse un sol volto ». Socrate, —
il gran Socrate, di cui fu detto che richiamò la filosofia dal cielo in
terra e a cui infatti gli uomini devono di sapere che tutto quello che si
vuole intendere essi non lo possono cercare se non nel pensiero,
cioè in se medesimi, — dal Genovesi non è ricordato qui se non come colui
che insegnò la più ricca e la più bella possessione dell’uomo essere
l’ozio. Dei suoi scolari non gli giova menzionare altri che Aristippo e
Diogene il Cinico, corruttori del costume. Di Pitagora a scherno
ricorda la monade e il binario; e l’uno di Parmenide; e l’omeomeria di
Anassagora, e le astratte forme di Platone e le entelechie di Aristotele;
ed altre cosiffatte «bambole di ragione » degli altri più celebrati
filosofi. Che dire poi della filosofia medievale ? Non si può
leggerne la storia « senza aver pietà della debolezza del- l’ingegno
umano ». Poveri scolastici ! «Vestono corazze di carta, che stimano del
più fino metallo; e combattono con i mulini a vento, come con i Giganti
distruttori del- l’uman genere. Un estro ignoto gli rapisce fuor del
nostro mondo. Sembra che sieno i maestri di ogni altra cosa, fuor
che di ciò che ci appartiene o c’ interessa ». In questa caricatura
della storia della filosofia super¬ fluo avvertire lo strazio che il
Genovesi fa delle più im¬ portanti dottrine dei maggiori pensatori.
Voglio solo rife- ANTONIO GENOVESI
77 rire in proposito un altro periodo, tipico documento degli
stravolgimenti storici di questa invettiva, e insieme dello spirito che
la moveva:«La materia prima, che Aristotele fantasticò, animata dal fuoco
dagli Arabi, fu di sì vivi e vaghi colori arricchita in mano di
Abelardo, e di alcuni altri, che divenne una Divinità, la quale poi
il più empio e il più freddo de’ filosofi del passato secolo, si studiò
di adornare con un sistema geometrico ». Allu¬ sione a Spinoza, che pure
Genovesi aveva studiato con grande interesse ’. « Alle quali
cose quante volte io penso », conchiude il nostro filosofo, « forte mi
meraviglio, come gli agricoltori, i pastori e tutti gli altri coltivatori
delle arti per cui l'uman genere si sostiene, abbian potuto tollerare in
pace una razza di uomini, i quali, lungi di dar loro il menomo ri¬
schiaramento e aiuto nel tempo medesimo che de’ frutti della loro
industria godevano, pare che si ridessero delle loro fatighe, o che gli
riguardassero come animali di altra specie, fatti da Dio in forma umana per
servire a’ loro piaceri ». Lode a Bacone, che proclamò la
necessità di ristaura- zione dalle fondamenta tutto il sapere, e dimostrò
che « si poteva essere filosofo con assai gloria, senza essere peso
inutile agli altri uomini ». Lo studio della natura, l’esperienza, « gran
maestra delle utili cognizioni », la geometria « nutrice di tutte le arti
» vennero in grande onore. L’ Europa cambiò faccia. Ogni nazione ebbe
il suo Ercole, uccisore dei mostri che la infestavano. L'Italia
ebbe Galileo. Napoli, sì, rimase lungo tempo chiusa a questa nuova
scienza, forse perché con maggior vigore questa potesse irrompervi a
rendere più glorioso il rin- 1 Cfr. la sua lettera dell' u sett.
1756 a R. Sterlich; dove racconta come potè studiare, quando aveva 28
anni, 1 ’Etica di Spinoza: Leti, fam., ed. Napoli, 1788, I, 124.
78 ALBORI DELLA NUOVA ITALIA novamento
che il Regno, ristaurato dal primo dei Bor¬ boni, doveva promuovere.
Genovesi ha qui un concetto che rammenta l’hegeliano spirito del mondo. «
Egli è veramente un certo Genio, che discorre per le nazioni, e che
in dati intervalli le anima, e le raccende, quello che o primamente mena,
o estinte ravviva le lettere e le belle arti ». Ma questo Genio, secondo
il Genovesi, « vuol essere sempre accarezzato, sollecitato e
alimen¬ tato. Può dirsi che la curiosità, la più utile molla del-
l’animo umano, il dischiuda dal suo guscio, la gloria l’animi e gli dia
della grandezza, l’emulazione l’aguzzi e ’l rinforzi: ma certamente il
premio il sostiene e l’ali¬ menta ». Insomma, il rinnovamento del
pensiero richie¬ deva a Napoli le più propizie condizioni create
dalla nuova vita impressa allo Stato dal nuovo Regno. Grande
infatti il progresso già avvenuto in Napoli, delle arti, delle scienze,
della ragione che le alimenta. Ma « un certo lezzo dell’antica barbarie »
(prisci vestigia ruris) è rimasto tuttavia attaccato agli scrittori.
La ragione non è pervenuta ancora alla sua maturità: è ancora tutta
nell’ intelletto, e deve passare nel cuore e nelle mani. È bella, non è
operatrice; adorna, non utile. Bisogna che diventi pratica e realtà; come
può solamente quando « tutta si è così diffusa nel costume e nelle
arti, che noi l’adoperiamo come sovrana regola, quasi senza
accorgercene » : come accade alle bestie, in cui « la cogni¬ zione è
tutta uso, perché è l’arte di Dio lavorante su la materia, ed in Dio non
ci sono Enti di ragione»: cioè le astrattezze che si annidano nel
cervello dei filosofi. I dotti napoletani hanno bensì coltivato lo studio
delle leggi; ma vi hanno portato le argutezze dei dialettici:
questioni sottili, speciose, aliene dalla pratica e dalla vita. Tutta una
forma di sapere, in cui, insomma, secondo il Genovesi, c’è forza bensì e
intelligenza; ma non c’è cuore; e c’è cattivo gusto. Manca, diremmo oggi,
il senso scien- ANTONIO GENOVESI 79
tifico; e gl'ingegni si credono più grandi quando sono ammirati come
incomprensibili, che quando stimati come utili. La pratica dell'
insegnamento (insegnava già egli da sedici anni) aveva dimostrato al
Genovesi che Napoli era un semenzaio di nobili e glandi ingegni ; ma i
migliori ingoiavano avidamente la nuova filosofia prima di di¬
gerir la vecchia. Avvezzi alle sottigliezze vane e alla « ciarleria », troppo
ancora se ne compiacevano per fare il debito onore alle scienze sode,
feconde, che avevano già trasformato la cultura inglese, francese,
olandese. Sacrifichiamo dunque « una volta la seduttrice e vana
gloria dell’astratta speculazione al giusto desiderio della parte più
grande degli uomini, i quali ci vogliono men contemplanti e più attivi.
Dio ha fatto a tutti il divin dono della ragione perché intendiamo, che
il vero sapere non è di sì gelosa natura che voglia essere di pochi ».
Esso deve giungere al popolo. Il quale ha bisogno di essere illu¬
minato, e non seguito nella sua naturale ritrosia alle novità, ancorché
utili, e nel suo attaccamento tenace alla tradizione. Deve essere indotto
a profittare delle osservazioni e delle invenzioni dei dotti. Deve essere
in¬ gentilito, rianimato, spronato ad elevarsi. E si deve quindi
operare su di esso non con le leggi che non cambiano gli uomini, sì con
la « savia educazione e coltura di questa sì preziosa derrata dell'uomo,
da che egli comincia a sbucciare dal suo guscio ». Curare
l'educazione. È uno degli articoli principali dell’apostolato del
Genovesi 1 ; poiché i contemporanei, a suo giudizio, curavano più i «
testi di fiori » e le piante 1 Sulla educazione e istruzione popolare
vedi Lez. di Comm., parte I, cc. VI e Vili; e Logica, ed. cit., pp.
271-72. Senza educazione «oltre¬ ché non è possibile, che la popolazione
si aumenti.... ma, pure dove avviene che cresca, la repubblica si potrà
ben dire aumentata di semi¬ uomini, ma non di forze» (Lez. di Comm., t.
I. p. 121). 8 o ALBORI DELLA NUOVA ITALIA
peregrine che avevano per avventura ne’ loro giardini, che non i
figli. E raccomandava la massima diligenza nella scelta dei maestri,
poiché molto, a suo giudizio, mancava per questa parte il Regno di
Napoli. Bisogna sentire il ritratto vivo che ce ne ha lasciato:
« I maestri di scuola pongono poca cura a studiar l’ur¬ banità e
l’aria nobile, piena di verecondia e de’ tratti d’onore: sovente i loro
moti, gesti, tuono di voce e tutto il lor volto, che suol esser lo
specchio dei ragazzi, spira tutt’altra cosa che gentilezza: la loro
lingua è più fre¬ quentemente un gergo corrotto de’ vari dialetti del
nostro Regno, che la bella e nobile della pulitissima Italia: final¬
mente, dirò io che il lor costume sia sempre il più puro e il più santo ?
Inoltre, quasi tutti si studiano di coltivar assai più la memoria de’
loro allievi che la ragione e il cuore. Un solecismo o barbarismo in
lingua latina è da loro più severamente punito, che molti a’
gentiluomini sconvenevoli barbarismi e irragionevolissimi solecismi
di ragione e di costume. Si adirano anche spesso, gridano e fanno
dei schiamazzi in testa a’ loro allievi; gli battono senza misericordia,
e gli trattano più da servi, che da figli: tutte cose più atte a fare o
stupidi o villani o zotici e feroci i ragazzi, che ad allevargli nel
sapere, nelle virtù, nella nobiltà. Questi medesimi difetti trovansi ben
anche spesso ne’ padri o nelle madri di famiglia. Io ho sentito
dire a molti di coloro un proverbio, che fa disonore agli esseri
ragionevoli : che i fanciulli si curan colle mazze». 3. — Un
filosofo che parla questo linguaggio umano, familiare, e che pensa come
s’è veduto, dei filosofi e dei loro sistemi, evidentemente non è un
filosofo di professione. Sarà un filosofo che avrà qualche cosa da dire
più e meglio dei filosofi di professione; ma non potrà facilmente
an¬ dare d’accordo con questi. Così poco rispettoso di quelle
ANTONIO GENOVESI Si che sono le idee e le maniere
per loro più rispettabili e venerande, con così scarso interesse, anzi
con tanto fa¬ stidio verso le questioni che formano il nutrimento e
il vanto dei loro cervelli, certo potrà, per caso, trovarsi in
mezzo ad essi: ma vi starà a disagio, e se ne trarrà fuori,
spontaneamente o per necessità, appena se ne presenti l’occasione.
L’abate Genovesi, nato nella terra di Castiglione 1 ’ Ognis¬ santi
del 1713 *, fu avviato quattordicenne agli studi di filosofia da un suo
stretto congiunto, che gli insegnò per due anni filosofia scolastica e
per un terzo anno filosofìa cartesiana (filosofìa di moda allora nel
Napoletano); quindi, poiché il padre lo volle ecclesiastico, obbligato
ad apprendere Canoni e Teologia, e ammesso agli ordini minori nel 1730,
promosso suddiacono nel settembre '35. Chiamato questo anno a insegnar
rettorica nel seminario di Salerno, vi rimane due anni, studiando per suo
conto con gran fervore ; finché nel '37 sarà ordinato prete J'e
un’eredità allora conseguita gli consentirà di recarsi l’anno appresso a
Napoli, per appagare in quella Università e nella consuetudine degli
illustri letterati della metropoli la sua sete ardentissima di sapere. A
Napoli frequentò molti corsi; tra gli altri, fino al *41, quello di
Giambattista Vico; di cui, ci racconta un anonimo biografo, aveva
già da un anno letta la Scienza Nuova : « Il perché corse ad ascoltarlo;
a cui avendo dedicato la sua servitù, ebbe l’onore della sua amicizia » 1
2 . Insoddisfatto della filosofìa che s’insegnava, disegnò programmi
suoi, e aprì una sua scuola privata; finché nel '41 il Cappellano
Maggiore monsignor Galiani, che era l’uomo che poteva intenderlo,
gli affidò l’incarico d’insegnare nell’ Università Meta¬ fìsica. Aveva
letto Malebranche, Locke, studiato Spinoza 1 Note di A. Cutolo
alle Memorie autobiogr. del G., in Ardi. stor. nap., 1924, p. 261.
2 Cutolo, Noie cit., p. 260. 82 ALBORI
DELLA NUOVA ITALIA e Leibniz; e dettava agli alunni, come volevano
i rego¬ lamenti del tempo, le sue lezioni in latino. Ne nacquero
gli Elementi di Metafisica in lingua latina, in cinque tomi; il
primo dei quali pubblicato nel '43, pel metodo geometrico con cui la
dottrina era esposta (metodo, si sussurrava, caro ai protestanti), per le
novità che conteneva, per le con¬ cessioni che faceva al razionalismo,
per quello scetticismo moderato che vi dominava, procurò all’autore ire e
per¬ secuzioni dei censori ecclesiastici, aprendo una serie di
contestazioni teologiche, che alienarono sempre più il suo animo dagli
studi che rimanevano in Italia, e sopra¬ tutto nel Mezzogiorno, monopolio
quasi esclusivo dei frati. Ma ecco che nel '44 il Galiani gli
viene in aiuto pas¬ sandolo dall’ incarico di Metafisica alla cattedra
ordinaria di Etica : insegnamento più conforme all’ ingegno del
Genovesi, e da lui infatti tenuto per un decennio con grande efficacia
per l’eloquenza delle sue lezioni, la mo¬ dernità della dottrina, la
ricchezza e praticità delle que¬ stioni trattate. Pure alla Metafìsica nel
'45 s’aggiungeva in cinque libri un'Arte logico-critica, anch’essa in
latino. E queste opere si ristampavano e si diffondevano in Italia
e fuori d’Italia. Nondimeno l’autore nel '65 poteva scrivere a un amico :
« La Metafìsica (mia) fatta pei teo¬ logi e frati, non può piacere ai
fìsici e ai matematici, come neppure piace a me. E con tutto ciò, la
Logica e la Meta¬ fìsica s’insegna in molti collegi di Francia, e in
quasi tutte le scuole di Germania» '. Avevano fortuna; poiché
questi libri rispondevano al bisogno delle scuole, e nel loro andamento
eclettico e largamente informativo ben s’adattavano alla tendenza media
degli studiosi non ri¬ solutamente moderni ma neppur ciecamente chiusi
nella tradizione, e disposti quindi a conciliare nova et vetera
1 Leti, jam., II, 67. ANTONIO GENOVESI
83 e farsi una filosofia senza compromettersi; ma, come si
vede, non finivano di contentare l’autore stesso. Anche i due libri De
iure et officiis (1764) eran nati dalla scuola e per la scuola (in usum
tironum) ; e del pari altri due brevi compendii latini di Logica ('5 2) e
di Metafisica (’68). Ma quando al Genovesi sarà possibile avere una
scuola a modo suo, intorno a materie nuove, indirizzate a pub¬
blica utilità, non contemplate nei vecchi quadri, egli non scriverà più
latino. Che gioia quando fu istituita per lui, nell’ Università, la
cattedra di « Commercio e Economia », fondata dal suo vecchio amico,
facoltoso e autorevole, il fiorentino Bartolomeo Intieri, studioso di
macchine agricole e di questioni economiche: ingegno pratico alla
toscana, avverso a ogni oziosità speculativa ! Allora il Genovesi si
sentì davvero maestro, e veramente filosofo. Grande l’attesa nel
pubblico per il nuovo insegnamento ; ma potente altresì l’estro del nuovo
insegnante e l’im¬ peto e il calore della sua eloquenza. Quando il 5
novembre del ’54 tenne la sua prima lezione, fu un avvenimento
nella vita del Genovesi e nella storia non soltanto della cultura
napoletana ma della scienza europea. Poiché que¬ sta del Genovesi fu la
prima cattedra istituita in Europa di Economia politica: dovuta,
s’intende, non al semplice intuito d’un privato ma al movimento degli
studi che la situazione economica del Regno di Napoli aveva prodotto.
In una lettera dello stesso mese il Genovesi scriveva a un amico 1 : «
Nel dì 5 corrente feci il mio discorso pre¬ liminare, 0 sia l'apertura
alla nuova Cattedra del Com¬ mercio con uno straordinario concorso,
tuttoché io non avessi fatto invito. Parlai un’ora, non solo senza
niente aver mandato a memoria, ma senza aver niente scritto di
quello che dissi. Con tutto ciò il discorso fu ricevuto con applauso, e
subito diffuso per tutta la città. È stata Leu. falli., I,
108. 84 ALBORI DELLA NUOVA ITALIA bella
! Alcuni volevano copiarselo, e io non ho potuto lor dire, che dopo
averlo letto n’aveva perduto anche l’originale.... Il giorno seguente
cominciai a dettare. Grande fu la meraviglia in sentir dettare italiano ;
sicché, essendomene accorto, nello incominciare la spiegazione
dovetti cominciare dai pregi della lingua italiana, e urtar di fronte il
pregiudizio delle scuole d’Italia.... La scuola è stata sempre piena in
guisa che molti non ci hanno trovato luogo ; ma la maggior parte sono
uditori di barba, e di vari ceti. Gli scriventi sono circa cento.... Gran
moto è nato da queste lezioni nella città, e tutti i ceti domanda¬
vano libri di economia, di commercio, di arti, di agri¬ coltura ; e
questo è buon principio ». Da questo corso, che il Genovesi
proseguì finché le forze gli bastarono (morì il 23 settembre 1769, ma
un anno prima per malattia aveva dovuto lasciare la cat¬ tedra),
trassero origine le belle Lezioni di Commercio ossia di Economia civile
in due volumi (1766 - 67), che rimar¬ ranno tra le opere classiche della
nuova scienza: opera riboccante d’ingegno, di erudizione, di brio e di
amore del pubblico interesse, dall’agricoltura alla pubblica istru¬
zione. Ma uscì prima la traduzione della Storia del com¬ mercio della Gran
Bretagna di John Cary con un Ragio¬ namento del Commercio in universale e
lunghe e impor¬ tanti annotazioni del Genovesi sul commercio del
Regno, e altri scritti minori. In questi stessi anni il laborioso
scrittore riprese bensì in italiano gli argomenti delle sue opere latine.
Sono del '58 le sue Meditazioni filosofiche, che arieggiano quelle di
Cartesio; ed ebbero l’ammira¬ zione del Baretti 1 ; e del '59 le Lettere
filosofiche ; come 1 Da leggere l'articolo che gli dedicò nel 2 0
numero della Frusta Letteraria (15 ottobre 1763): dove il Baretti giudica
il libro con questi termini di alto elogio (ed. Piccioni, Bari, 1932, I,
p. 40) : « Fra le tante migliaia e migliaia di libri scritti nella
nostra lingua, io non ne conosco assolutamente neppur uno, dopo quelli
del Galileo, ANTONIO GENOVESI 35
del '64 le Lettere accademiche. Nel '65 imprese a scrivere in italiano un
Corso di filosofia. E volle scriverlo per i giovani (com’egli stesso
faceva sapere a un amico) « che son curiosi di sapere se le scienze
potessero così parlare italiano come una volta parlarono greco e latino.
Il mo¬ tivo che mi muove, è una massima, che può stare che sia
falsa, ma 1’ ho nondimeno per vera, cioè che ogni nazione che non ha molti
libri di scienze e di arti nella sua lingua è barbara ». Perciò in
Francia nell’età di Luigi XIV s’era cominciato a scrivere di filosofia
in francese. Perciò aveva seguito l'esempio l’Inghilterra. E
altrettanto si cominciava a fare in Germania. Dove non si scrive nella
propria lingua, dice il Genovesi, si accenderà magari mi lume grande e
brillantissimo, ma questo resterà « nondimeno sepolto in que’ lanternoni
da antiquari d’onde non tralucono che pochi tenebrosi raggi »
1. E nelle stesse Lezioni di Commercio inculcava come
che sia tanto pregno di pensamento e di vera scienza quanto è questo
primo tomo di questo nostro ampio, sublime ed aggiustatissimo pen¬ satore
Antonio Genovesi ». Al Baretti non andava lo stile del Genovesi,
seguace della scuola toscaneggiante del Di Capua: «Una cosa però
disapprovo in lui asso¬ lutamente, e questo è lo stile suo.... perché
troppo a studio intralciato e rigirato si, che non poche volte abbuia il
pensiero. — Com' è pos¬ sibile, ho detto tra me stesso mille volte
leggendo queste sue tanto stimabili meditazioni, — com’è possibile che un
uomo il quale è una aquila quando si tratta di pensare, si mostri poi un
pollo quando si tratta di esprimere i suoi pensieri ? Come mai un
Genovesi ha potuto avvilirsi tanto da seguire i meschini voli terra terra
di certi secchi e tisici uccellacci di Toscana ? Eh, Genovesi mio,
adopera gli abbin¬ dolati stili del Boccaccio, del Bembo e del Casa
quando ti verrà ghi¬ ribizzo di scrivere qualche accademica diceria, qualche
cicalata, qualche insulsa tiritera al modo fiorentino antico e moderno;
ma quando scrivi le tue sublimi Meditazioni, lascia scorrere velocemente
la penna....; e lascia nelle Frammette e negli Asolani e ne’ Galatei, e
in altri tali spre¬ gevolissimi libercoli i tuoi tanti conciossiacosacché
e i perocché.... e tutte quell’altre cacherie e smorfie di lingua, che
tanti nostri muffati gram- maticuzzi vorrebbero tuttavia far credere il
non plus ultra dello scri¬ vere ». 1 Cfr. la pref. alla
Logica italiana. 86 ALBORI DELLA NUOVA
ITALIA « certissimo assioma politico » che una nazione non
sarà mai perfettamente culta nelle scienze, nelle arti, nelle
maniere, « se non abbia le leggi, le scienze, le scuole e i libri di arti
parlanti la propria lingua; perché ella dovrà dipendere da una lingua
forestiera; la quale, non essendo intesa che da una picciolissima parte
del popolo, tutto il resto sarà fuori della sfera del lume delle
lettere.... Le lingue sono come vasi, che contengono le nostre idee
e la nostra ragione. Or qual pazzia è pretendere di essere in un paese
uomini, e aver la ragione in un altro ? ». 1 * 3 Finché in un paese le
scienze saranno in un gergo stra¬ niero alla maggior parte del popolo,
avremo sempre, dice il Genovesi -, « molte scuole inutili, molto tempo
perduto, molti cervelli stupiditi; e mancheremo delle necessarie,
né ha possibile di avere delle buone teste ». Con questo ideale di
una scienza che penetri il popolo per svegliarne e metterne in moto tutte
le forze morali ed economiche, il Genovesi voleva scuole e quando
furono da Napoli espulsi i Gesuiti e riordinata la pubblica istruzione ed
egli a tal fine invitato a scrivere un Piano di riforme 3, non dimenticò
nelle sue proposte le scuole del popolo —; voleva metodi razionali e
semplici perché fossero efficaci gl’ insegnamenti accostati al popolo c
ai giovinetti; voleva accademie, che, abbandonando la vec¬ chia
letteratura e le discussioni vane della filosofia in¬ feconda, si
rivolgessero alle ricerche sperimentali e alle arti più necessarie alla
vita; e voleva, come sè visto, libri in italiano, attraenti e di facile
lettura. Ma aveva pure il suo ideale di una dottrina che, liberando il
popolo dalle superstizioni e dai pregiudizi, e rinvigorendo nelle
coscienze i convincimenti morali e la fede religiosa che ne 1
Parte I, c. Vili, § 24. = Op. cit., I, IX, p. 13. 3 Per
questo Piano, vedi gli appunti che ne pubblico G. M. ga¬ lanti, Elogio
stor. di A. Genovesi, Firenze, 1781, p. 108. ANTONIO
GENOVESI 37 è sempre il fondamento, potesse aprire la
strada a quel rinnovamento che egli auspicava: potesse infondere
negli uomini e nelle nazioni la fede nella ragione, di cui egli era
l’apostolo. Tutto il suo sistema riformatore era in¬ somma ispirato a una
filosofia. Della qual filosofia nelle Meditazioni e nei trattati
di Logica e di Metafisica, che, bene accolti dai contempo¬ ranei e
più volte ristampati (è almeno da ricordare 1 edi¬ zione che della Logica
volle curare, nel 1832, il Roma- gnosi), sono entrati a far parte della
letteratura filosofica nazionale, si scorgono i lineamenti anche da chi
non ri¬ cerchi i ponderosi volumi latini, che li precedettero e
prepararono. Il Genovesi è un empirista t , ma non e un sensista,
e tanto meno un materialista. Combatte le idee innate, ma
cartesianamente mette il pensiero a capo di tutto, e la ragione, che
l’uomo che medita trova in se stesso come attività sovrana, libera,
signoreggiatrice, col suo giudizio, dell’universo, vede conforme a una
ragione creatrice universale, divina 1 2 . L’uomo per essa è immor¬
tale. Per essa destinato a vincere il dolore, a superare ogni difficoltà,
a viver felice. Questa ragione infatti non è fredda astratta
intelligenza. Essa è energia ( energetico , dice Genovesi) perché è anche
passione, cuore i. Non 1 Come empirista, Genovesi, pur non
ripudiando ogni metafisica, insiste sempre sulla necessità di limitare le
ricerche speculative alle questioni essenziali per una concezione sana e
morale della vita. Insi¬ stenza che ha fatto pensare al criticismo
kantiano. Vedi Gentile, Stona della filos. ital. dal Genovesi al
Galluppi, Milano, Treves, 1930, c. I’ dov'è particolarmente studiata la
dottrina della conoscenza di Genovesi. Oltre i luoghi ivi citati (voi. I,
p. xm), e le frequenti di¬ chiarazioni che ricorrono nelle Lettere
familiari circa 1 infecondità delle più astruse ricerche metafisiche e
teologiche, vedi Logica, ed. cit., pp. 250-51, 255. Notevole in special
modo la lett. del 2 aprile 1763 a P. Saffiotti. , 2
Vedi Meditazioni filosofiche, Milano, Silvestri, 1846, pp. 53 -° 3 .
Logica, p. 252. 1 Vedi Logica, pp. 260, 274-75.
83 ALBORI DELLA NUOVA ITALIA distrugge la passione;
una passione infatti si combatte con un’altra passione. E poiché ogni
essere è ragione, e soffre e aspira a godere, essa, non essendo
individuale, ma comune e universale, stringe in un vincolo di amore
gli uomini. Intuizione ottimistica, che s’inquadra in una
concezione leibnizianamente spiritualistica del mondo. Poiché anche
per Genovesi i corpi, scomposti negli elementi semplici di cui sono
formati, si riducono a sostanze spirituali, attive. E tutte le qualità
sensibili dei corpi non sono altro che fenomeni, nostre sensazioni.
Lo spirito è attività : è quella stessa forza che è in tutte le
cose che sono in natura, e che tende ad espandersi. In noi questa forza
si svela nella ragione, che è prima di tutto coscienza, affermazione di
sé. Questa forza è attiva e tende perciò a svilupparsi, ad estendere il
suo dominio, a trionfare. Il mondo non è, infine, se non questo
svol¬ gimento della ragione, che nel suo progressivo prevalere è
cultura sempre più intensa e sempre più diffusa; è benessere in cui lo
spirito viene ritrovando e procuran¬ dosi le condizioni più favorevoli al
suo sviluppo ; è amore degli altri, insieme coi quali ogni uomo viene
adempiendo in comune il destino della sua natura, la libera vita
della ragione. Questa la fede del Genovesi. Questa la sorgente
dell’en¬ tusiasmo col quale egli attese con ferventissimo zelo
dalla cattedra e cogli scritti, malgrado la sua malferma salute,
infaticabilmente alla sua opera di apostolato. Questo il segreto della
potente azione da lui esercitata sul suo tempo, promovendo nuovi studi,
animando i giovani alla lotta contro il vecchio mondo: contro la
feudalità in fa¬ vore dei lavoratori della terra e della nascente
borghesia; contro la Curia per lo Stato autonomo e laico; contro il
pregiudizio per la critica; contro la superstizione per la religione;
contro tutto ciò che nel pensiero e nelle isti- ANTONIO
GENOVESI 89 tuzioni impedisse 0 ostacolasse il libero
sviluppo del lavoro, della civiltà, della ragione. Antonio
Genovesi non fu un rivoluzionario; ma fu un educatore di rivoluzionari,
che quando scoppierà in Francia la grande Rivoluzione, o crederanno di
obbe¬ dire alla voce del vecchio maestro accogliendone una
scintilla anche a Napoli, e quindi suscitando il glorioso incendio della
Repubblica Partenopea, celebrazione di una grande fede idealistica
ancorché astrattamente gia¬ cobina, santificata dal martirio 0, uomini di
grande accorgimento ed equilibrio, come Galanti e Cuoco, con più
profonda intelligenza dell’ insegnamento del Genovesi, ne trarranno
argomento a una più realistica concezione politica della libertà
necessaria al popolo napoletano: poiché vedranno come il maestro aveva
veduto, che questa libertà non poteva essere vitale, se non era
forte della forza di uno Stato ben ordinato e potente: di uno Stato
infine in cui tutta l’Italia, prima o poi, doveva unirsi tutta in un
corpo solo tra l’Alpi e il mare. Questa idea di un’ Italia
unificata dal Galanti, il più fido dei discepoli del Genovesi, passò al
Cuoco, e dal Cuoco, come oggi sappiamo, passerà al Mazzini; ma era
stata preconizzata a Napoli dal Genovesi. La cui com¬ memorazione io non
potrei meglio concludere che rileg¬ gendo una sua pagina del 1757, a
proposito della sicurezza necessaria al commercio, e impossibile senza
una fiotta militare adeguata. Impossibile perciò allo stesso Regno
di Napoli, che era tuttavia il maggiore e più potente Stato d’Italia:
«Vorrei io», scriveva nel detto anno il Genovesi, «in questo luogo dire
un pensiero, che ho sempre meco d’intorno all’animo avuto, ed hollo
tut¬ tavia; ma io temo ch’egli non sia per incontrar male 1
Sulla scuola del Genovesi e la sua importanza storica, A. Simioni, Le
origini del Risorgimento politico dell' Italia meridionale, voi. I, Mes¬
sina, Principato, 1925, pp. 152-99. 7 - Gentile, Albori. I.
90 ALBORI DELLA NUOVA ITALIA presso
coloro, che niuno amore hanno e niun zelo nutri¬ scono per l’Italia, come
madre nostra. Ma il dirò pure in qualunque parte sia per prendersi da chi
non guarda più in là del proprio utile. « A voler considerare
l’Italia nostra, e dalla parte del suo sito, e da quella degl’ ingegni, e
per quello che ha ella altre volte fatto e fa eziandio, tuttoché divisa e
come dilacerata, si converrà di leggieri, ch'ella tra tutte le na¬
zioni di Europa sia fatta a dominare; perocché il suo clima non può esser
più bello, né più acconcio il suo sito rispetto alle terre e al mare che
la circondano, né più perspicaci e accorti e destri e capaci di scienze e
di arti e duranti di gran fatiche, e oltre a ciò più amanti della
vera gloria, i suoi popoli, di quel ch’essi sono. Ond’ è dunque, ch’ella
sia non solo rimasta tanto addietro al- l’altre nazioni in tutto ciò, che
par suo proprio, ma dive¬ nuta in certo modo serva di tutte quelle che il
vogliono ? Ella non è stata di ciò causa la sola mollezza, che le
con¬ quiste de’ Romani v’apportarono; perocché questa mor¬ bidezza,
che le ricchezze e la pace v’avevano introdotta, non durò lungo tempo; ma
la vera cagione del suo avvi¬ limento è stata quell’averla i suoi figli
medesimi in tante e sì piccole parti smembrata, ch’ella n’ ha perduto il
suo primo nome e l’antico suo vigore. « Gran cagione è questa
della ruma delle nazioni. Pur nondimeno, ella potrebbe meno nuocerci, se
quei tanti principati, deposta ormai la non necessaria gelosia, la
quale hanno spesse volte, e più ch’essi non vorrebbero, sperimentata e al
comune d’Italia e a se medesimi fu¬ nesta, volessero meglio considerare i
propri e i comuni interessi, e in qualche forma di concordia e di unità
ri¬ dursi. Questa sarebbe la sola maniera di veder rifiorire il
vigore degl’ Italiani. « Potrebbe per questa via aver l’Italia
nostra delle formidabili armate navali, e di tante truppe
terrestri. ANTONIO GENOVESI 91 che la
facessero stimare e rispettare non che dalle po¬ tenze d’oltremare, che
pure spesso l'infestano, ma dalle più riguardevoli che sono in Europa.
Ella non vorrebbe ambire altro imperio, che quello che la natura le ha
cir¬ coscritto: ma ella dovrebbe, e potrebbe difendersi il suo.
Potrebbe veder rinascere in tutti i suoi angoli le arti e le industrie,
dilatarsi il suo commercio, e tutte le sue parti nuovo abito e la
pristina bellezza prendere. Se questi sensi s’ispirassero ai pastori di
tutte le sue parti, forse che non sarebbe questo un voto platonico. E mi
pare che i principati d’Italia non siano sì gli uni degli altri
gelosi, che per massime vecchie che son passate ai posteri più per
costume che per sode ragioni. Non son ora i tempi ch'erano: e quelle
cagioni di reciproci timori, che pote¬ vano una volta essere ragionevoli,
sono ora non solo vane, ma nocevoli e al tutto e alle parti, se ben si
considerano. Egli è per lo meno certo, ch’ella non può, come le
cose sono al presente, sperare altronde la sua salute, che dalla
concordia e dall’unione de' suoi principi. Il comune e vero interesse
suol riunire anche i nemici: non avrà egli forza da riunire i gelosi
? Rettor del Cielo, io chieggo Che la pietà che ti condusse
in terra. Ti volga al tuo diletto almo paese » ». Al
Genovesi dunque, il più filosofo dei grandi riforma¬ tori italiani del
Settecento, spetta il merito di essere stato il più italiano di tutti.
Egli scosse il petto dei giovani, e vi infuse una fede nella civiltà che
è scienza ed è libertà. Egli indicò agl’ Italiani 1 * Italia, che non
c’era, ma co- 1 Carv, Storia del Comm. della Gran Bretagna,
Napoli, 1757, II, p. 35. Pagina celebre dacché il Carducci l’ebbe inclusa
nelle sue Letture del Risorgimento Italiano. 92
ALBORI DELLA NUOVA ITALIA minciava a presentirsi, ed egli
l’annunziò, insegnando come le si potesse preparare la via. E la sua voce
si riper¬ cosse di generazione in generazione, finché l’Italia
venne. E venne per la via che egli aveva aperta: riavvicinando la
letteratura alla vita, la filosofia all'uomo, ammaz¬ zando l’accademia e
l’ozio ancorché dotto ed elegante, educando il popolo a credere nella
cultura, a servire l’ideale, andando incontro per esso anche alla morte.
Fulgido esempio i martiri del '99. Stato laico e veramente sovrano,
religione tutta rivolta alla vita dello spirito, libera da ogni cupidigia
e pretesa mondana; libera la ragione, rispettata come cosa sacra la
scienza, e la scuola che la promuove. E di là dal breve confine della
provincia, per l’Italiano, l’Italia grande, laboriosa, armata,
consa¬ pevole di una sua missione civile. Questa la scuola del
Genovesi. Perciò gl’ Italiani devono ricordare il suo nome; perciò devono
annoverare Antonio Genovesi, lui così modesto, così riservato e chiuso
tra la scuola e i libri, tra i padri della patria. E nella scuola
italiana particolar¬ mente deve esser ricordato come esempio ed
ammonimento contro la pseudoscienza astratta dalla vita sempre
rina¬ scente. Poiché i frati, che punzecchiarono in vita Antonio
Genovesi e furono perseguitati dalla sua dialettica e dal suo frizzo,
hanno cambiato veste, e non natura. E contro di essi bisogna ancora
combattere, ancora difendersi. Perciò Genovesi è vivo. GENOVESI,
Antonio. - Nacque il 1° nov. 1713 a Castiglione (ora Castiglione del Genovesi),
piccolo paese dell'Appennino campano a pochi chilometri da Salerno, primogenito
dei quattro figli di Salvatore e di Adriana Alfenito. La famiglia, un tempo
benestante, era decaduta da "civile" in "basso" stato, e
viveva con i modesti proventi del lavoro del padre calzolaio e di una piccola
proprietà. Allo sforzo di recuperare una condizione economicamente più solida e
socialmente più prestigiosa, nonché alle strategie familiari in uso nella
società del tempo e della zona, si deve la precoce destinazione del G. alla
carriera ecclesiastica, realisticamente accettata dal ragazzo come unica strada
percorribile per accedere agli studi superiori e a una professione
intellettuale, per la quale si sentiva particolarmente tagliato, poi vissuta
sempre con autentica adesione a una religiosità profondamente sentita. Affidato
a parenti membri del clero locale, il G. compì i primi studi nel paese natio,
praticamente da autodidatta, completando il corso di lettere latine a tredici
anni. Seguirono tre anni dedicati alla filosofia, dapprima quella scolastica,
per la quale maturò un rapido rifiuto, poi quella cartesiana, sotto la guida di
un medico suo parente, Niccolò Genovesi, a sua volta allievo del medico
cartesiano napoletano N. Cirillo. Le due autobiografie redatte dal G. e rimaste
incompiute e inedite in vita (la prima si ferma al 1748: Autobiografia I, in P.
Zambelli, La formazione, pp. 797-916; la seconda al 1755: Vita di A. G., in
Illuministi italiani, pp. 47-83) ci trasmettono il ritratto di un adolescente
vivace, intelligente e ricettivo, fortemente motivato allo studio per curiosità
intellettuale e desiderio di primeggiare, ambizioso e abile nella dialettica.
Nello stesso tempo fu iniziato al gusto della letteratura dai consigli di un
altro amico del luogo, S. Parrilli; gliene derivò una passione, che durò tutta
la vita, per i poemi cavallereschi, per Dante e Petrarca, alla quale seguì il
nascere di un altrettanto intenso interesse per la storia. Ma il padre
sorvegliava attentamente che il ragazzo non si concedesse distrazioni. La
rigidezza paterna ebbe modo di manifestarsi più duramente quando il giovane si
innamorò, ricambiato, di una giovane compaesana, Angela Dragone. Per impedire
che questo amore cambiasse i programmi di vita del giovane, il padre gli impose
il trasferimento a Buccino (sempre non lontano da Salerno), in casa di parenti,
mentre la ragazza fu costretta al matrimonio con un pastore. Il G., pur
profondamente addolorato e deluso, trovò conforto nella maggiore apertura e
possibilità di contatti che il nuovo ambiente, sempre provinciale ma più aperto
e animato, gli offriva, e nell'amicizia con l'arciprete G. Abbamonte, che
migliorò la sua preparazione classica e stimolò l'interesse per la teologia e
il diritto civile e canonico. Nel settembre 1735 il G. prese gli ordini
minori. Nel frattempo, spinto dalla necessità di rendersi indipendente
economicamente, con l'appoggio dell'arcivescovo di Salerno G.F. Di Capua, che
ne aveva apprezzato le doti esaminandolo per il diaconato, ottenne
l'insegnamento di retorica presso il seminario della città, dove rimase due
anni. Ordinato sacerdote nel Natale del 1737, l'anno seguente, fornito del
modesto capitale di 600 ducati ereditato da uno zio materno, insieme con il
fratello Pietro, destinato alla carriera forense, si trasferì nella capitale
del Regno, dove avrebbe trascorso tutto il resto della vita, allontanandosene
solo per brevi periodi di villeggiatura. Abbandonato rapidamente il progetto di
intraprendere anche la professione forense, che gli parve avere "poca
conformità […] con le massime del puro cristianesimo" (Vita, p. 53),
insofferente del formalismo giuridico e dell'ambiente del foro, scelse
definitivamente gli studi filosofici. Frequentò le lezioni di N. De Martino e
dell'ormai anziano Vico - di cui già conosceva la Scienza nuova -, conobbe P.M.
Doria, si legò di amicizia con Appiano Buonafede, che lo descrive, in quei
primi anni napoletani, in un acuto ed efficace profilo (Ritratti poetici,
storici e critici di vari uomini di lettere, Venezia 1788, p. 266). Lasciò
inattuato il progetto di un'opera ispirata a Platone, La repubblica divina, per
rivolgersi avidamente alla cultura anglo-olandese, ai neoplatonici di
Cambridge, a J. Le Clerc, a Newton, a Locke (progettando una traduzione dal
francese del Cristianesimo ragionevole), al giusnaturalismo. Nel 1739 aprì una
scuola privata, in cui insegnare i suoi "nuovi piani di filosofia e di
teologia", in particolare il "piano di un'etica" (Vita, p. 53),
frutto delle riflessioni di quegli anni. Cominciò a maturare in
quest'esperienza - che durerà tutta la vita - la vocazione pedagogica che
caratterizzerà tutta l'attività del G. e che si realizzerà in un metodo
d'insegnamento dinamico, in cui l'ampliarsi dell'orizzonte culturale del
docente sollecitava e promuoveva l'apprendimento in interazione costante con i
giovani. Il carattere innovativo e il successo della scuola gli procurarono
l'amicizia e la protezione di M. Cusano, di G. Orlandi e, soprattutto, del
cappellano maggiore C. Galiani, autentico iniziatore della nuova cultura
newtoniana a Napoli, fondatore dell'Accademia delle scienze e promotore della
riforma universitaria, da poco avviata. Attraverso il Galiani, il G.
ottenne il primo incarico universitario, come professore straordinario di
materie metafisiche, e cominciò a insegnare nel novembre 1745. Era nel
frattempo approdato a una visione filosofica fondata su un "eclettismo
programmatico", che tendeva alla serena composizione di un costante
atteggiamento apologetico con la più totale disponibilità verso i portati della
cultura innovatrice, di cui si appropriava con onnivora curiosità. Ne dette la
prima dimostrazione nel manuale degli Elementa metaphysicae (Napoli 1743),
prima tappa dell'ambizioso progetto di un corso completo di filosofia. Proprio
per queste caratteristiche, nonostante la sostanziale ortodossia e
l'approvazione del revisore regio G. Orlandi, l'opera fu duramente attaccata
dagli ambienti ecclesiastici. La protezione del Galiani e la disponibilità ad
accettare di chiarire le proprie posizioni in una Appendix pubblicata nel 1744
salvarono il G. dalla denuncia al S. Uffizio. La polemica però accrebbe la sua
notorietà a Napoli e fuori del Regno; divenne abituale frequentatore del
salotto letterario di M. Di Sarno, bibliotecario di José Joaquín marchese di
Montealegre (duca di Salas dal 1740), primo segretario di Stato. Le tesi
esposte nella Metafisica attirarono l'attenzione di A. Conti, con il quale il
G. avviò uno scambio di lettere filosofiche sulla natura delle idee, stampate
nel 1746 (poi in Letterefamiliari, Venezia 1774). Nel 1745 il G. era passato
alla cattedra di etica, con buon successo per la rinnovata affluenza di
studenti. Nello stesso anno pubblicò, in collaborazione con G. Orlandi, cui si
devono le note scientifiche, gli Elementa physicae di P. van Musschenbroek, ai
quali premise una Disputatio physico-historica de rerum corporearum origine et
constitutione, agile e precisa sintesi delle idee scientifiche dall'antichità
al presente. La manifesta adesione al newtonismo si colloca tuttavia ancora
all'interno di una visione spiritualizzante e ortodossa, che connette la
visione del cosmo di Newton al vitalismo di Cardano e di Campanella e con la
platonica anima mundi. L'opera ebbe grande fortuna, come pure il contemporaneo
manuale di logica Elementorum artis logico-criticae libri V(Napoli 1745), che
gli procurò gli elogi di L.A. Muratori, con il quale avviò un carteggio, quasi
totalmente perduto, destinato a durare fino alla morte del modenese. Ma altri e
più pericolosi attacchi si andavano preparando nel clima di scontro
determinatosi a Napoli a causa del tentativo, peraltro fallito, di introdurre
il tribunale dell'Inquisizione, messo in atto dall'arcivescovo cardinale G.
Spinelli nel 1746. Nel 1747 il G. pubblicava la seconda parte della
Metafisica, dedicandola a Benedetto XIV con l'evidente scopo di garantirsi
un'autorevole tutela, e nel contempo portava a compimento la stesura del
manuale di teologia cui attendeva dai primi anni Quaranta: gli Universae
theologiae elementa. Quando, nel 1748, si rese vacante la cattedra di tale
disciplina, il G. ritenne di avere giusto titolo per concorrervi con buone
probabilità di successo. Ma la sua candidatura provocò violente opposizioni. In
base alla denuncia di un altro concorrente, l'abate I. Molinari, la Curia
romana volle esaminare il manoscritto, mentre la corte di Napoli ne affidò la
revisione a un gesuita spagnolo, G. Barba. Nonostante i suoi timori, anche
questa volta il G. riuscì a evitare la denuncia per eresia, soprattutto in
virtù dell'appoggio dei gesuiti, ostili all'arcivescovo Spinelli, della sua
personale amicizia con il padre provinciale della Compagnia e del fatto che,
sul piano dottrinale, si definiva "mezzo molinista" in materia di
grazia. Ma in questa occasione fu assai tiepido l'appoggio del Galiani, che gli
impose la rinuncia non solo alla cattedra, ma anche all'insegnamento privato
della teologia e alla pubblicazione degli Universae theologiae elementa, provocando
la decisione del G. di abbandonare "studi sì turbolenti e spesso
sanguinosi" (Vita, p. 70). Il G. continuò a insegnare etica fino al
1753, mentre proseguiva il completamento della Metafisica con un quarto volume
(1752), dedicato al giusnaturalismo. Reinterpretando Grozio e soprattutto
Pufendorf, il G. vedeva nel giusnaturalismo le basi per rinnovare un'etica
razionalmente e scientificamente fondabile, in grado di definire il quadro di
valori di una società mercantile, i cui problemi si venivano ormai collocando
al centro dei suoi interessi. La persecuzione di cui era stato oggetto, oltre
ad allargare la cerchia delle sue frequentazioni amichevoli a personaggi come
Raimondo di Sangro principe di Sansevero e F.P.B. De Felice, gli aveva offerto
infatti l'occasione di entrare a far parte del cenacolo che in quegli anni si
era venuto a creare intorno a B. Intieri. Ormai avanzato nell'età, questo
abile e fortunato imprenditore toscano, amico di C. Galiani e cofondatore
dell'Accademia delle scienze, ritiratosi a poco a poco dalle sue multiformi
attività, aveva raccolto intorno a sé vecchi e soprattutto nuovi esponenti
dell'intellettualità napoletana, come A. Rinuccini, G. Orlandi, F. Galiani, con
i quali aveva avviato una fruttuosa consuetudine di discussione, tesa a
stimolare non solo la circolazione delle idee in rapporto con la cultura
internazionale, ma anche l'attività di collaboratori più giovani e la loro
concreta azione nel contesto politico e sociale del Regno. Il cenacolo
dell'Intieri fu infatti tra i primi a leggere e commentare l'Esprit des loisdi
Montesquieu. Dalle opere e dai carteggi di quegli anni emerge con chiarezza
l'autorappresentazione di questo gruppo di intellettuali come forza operante
nel nuovo contesto politico: la ritrovata indipendenza del Regno, che appare
loro come conditio sine qua non per l'avvio di un processo di cambiamento e di
modernizzazione. Vero e proprio manifesto del programma riformatore del
gruppo, incentrato sull'ineludibile nesso teoria-prassi, che ne costituì la novità
immediatamente percepita dai contemporanei, fu il Discorso sopra il vero fine
delle lettere e delle scienze, maturato durante la villeggiatura dell'autunno
1753 nella villa intieriana di Massa Equana, e pubblicato all'inizio dell'anno
seguente a Napoli insieme con il Ragionamento sopra i mezzi più necessari per
far rifiorire l'agricoltura di U. Montelatici e con la Relazione dell'erba
orobanche di P.A. Micheli. Il G. operava così la sua scelta di campo,
presentandosi come l'interprete più convinto di quel programma e il più
attivamente impegnato nella sua realizzazione. Requisito indispensabile
per il progetto di riforma era la diffusione di una nuova cultura scientifica,
economica, tecnologica, posta al centro degli interessi di una intellettualità
nuova. A essa, come campo di indagine, ma anche di azione, doveva rivolgersi la
"studiosa gioventù" del Regno, distolta dagli studi forensi e da
speculazioni astratte, e avviata da un lato a una conoscenza cosmopolita di
idee e linguaggi, dall'altro a sviluppare capacità di osservazione e di studio
dei fenomeni naturali e sociali della realtà in cui viveva. A questa
istanza della cultura intieriana corrispose il progetto che meglio ne
rappresentò la realizzazione istituzionale: la costituzione presso l'Università
di Napoli di una cattedra di "meccanica e commercio" - cioè la prima
di economia politica in Europa -, che Intieri volle finanziare con un lascito
di 7500 ducati che garantisse una rendita di 300 ducati annui, a condizione che
essa venisse affidata al G., che l'insegnamento fosse svolto in lingua italiana
e che anche in futuro ne fossero esclusi rappresentanti del clero regolare. La
nuova cattedra fu inaugurata il 5 nov. 1754, con grande affluenza di pubblico.
Il G. presentò il nuovo corso con una prolusione che avrebbe poi sviluppato nel
Ragionamento sul commercio in universale, pubblicato in estratto nel 1756 e poi
in apertura della Storia del commercio della Gran Brettagna scritta da John
Cary (Napoli 1757). Questo grosso centone in tre volumi conteneva pure la
traduzione dell'Essai sur le commerce d'Angleterre di V. de Gournay e G.-M.
Butel-Dumont (Paris 1755), i quali avevano a loro volta tradotto e aggiornato
l'Essay on the state of England di J. Cary (Bristol 1695), e la
traduzione-rifacimento genovesiana dell'England's treasure of commerce di T.
Mun (London 1664), corredate dalle ampie e ricche annotazioni dello stesso G. e
da altri suoi saggi (Ragionamento filosofico sulle forze e gli effetti delle
gran ricchezze e Ragionamento sulla fede pubblica) destinati a ricomparire
negli Elementi del commercio e nelle posteriori Lezioni di commercio o sia di
economia civile. Contemporaneamente il G. procedeva alla stesura del suo
corso biennale (1757-58) di Elementi del commercio, che anche nel titolo riecheggiavano
gli Eléments du commerce di F.-L. Véron de Fortbonnais. Ambedue le opere
avevano un palese carattere propedeutico, non solo per i destinatari, ma in
certo modo per lo stesso autore, che nel suo sforzo di informazione e
acquisizione di nuove competenze sembra lavorare in parallelo con i suoi
allievi e lettori. Il discorso genovesiano assolveva a una duplice funzione:
definire contenuti e linguaggi della nuova cultura economica; tracciare le
linee di un programma di politica economica per il governo, nel quadro
dell'assolutismo illuminato, che viene considerato come la garanzia
istituzionale delle riforme. Esso si articola sulla polarizzazione tra il
cosmopolitismo culturale, perseguito con la consueta ampiezza e tempestività di
letture, e il patriottismo, consistente nell'attenzione alle specifiche
condizioni del Regno, su cui misurare l'effettiva validità degli interventi.
Sul primo versante i termini di confronto scelti dal G. furono la Spagna e
l'Inghilterra. L'una, studiata attraverso le opere di G. Uztáriz e B. de Ulloa,
per le evidenti analogie con la situazione del Regno; l'altra, proposta come il
modello più avanzato di economia mercantile, nel quale erano ormai operanti le
strutture della moderna circolazione di merci, monete e idee. Su di essa il G.
si documentava con ostinata puntualità, trovando la referenza più significativa
nei Political discourses di D. Hume. L'elemento di mediazione culturale,
approdo dei riformatori napoletani alla koinè illuministica degli anni
Sessanta, era costituito dalle opere e dai dibattiti francesi, da J.-F. Melon a
Fortbonnais, a Plumard de Dangeul. Sull'altro versante, il G. articolava una
serie di proposte operative per una conoscenza sperimentalmente e
statisticamente fondata delle reali condizioni del Regno (andamento
demografico, natura e produttività dei terreni, configurazione della proprietà
attraverso il catasto, strade e comunicazioni ecc.), cui dovevano collaborare
gentiluomini e parroci, intellettuali e proprietari, creando una rete di
società agrarie e scientifiche diffuse sul territorio e radicate nella società
provinciale. La politica economica di un paese povero di materie prime e del
tutto marginale nel commercio internazionale doveva puntare allo sviluppo
qualitativo e quantitativo della produzione agricola, destinata al mercato reso
libero dai vincoli interni. L'adesione piena del G. alla liberalizzazione
del commercio interno dei grani si manifestò, in concomitanza con la grave
carestia che colpì il Regno nel 1764, attraverso la pubblicazione
dell'Agricoltore sperimentato di C. Trinci (Napoli 1764) e delle Riflessioni
sull'economia generale de' grani (Napoli 1765; traduzione della Police des
grains di C. Herbert, Berlin 1755), da lui prefati e commentati. La fiducia
nella possibilità di realizzare le riforme si scontrava, tuttavia, con la
crescente consapevolezza della natura strutturale degli ostacoli che vi si
opponevano. La concentrazione delle terre nelle mani di una nobiltà feudale
ancora detentrice di poteri giurisdizionali e di un clero numericamente
eccessivo, attaccato ai propri privilegi, impediva la formazione di una
proprietà contadina, che ormai appariva al G. la condizione necessaria perché
si sviluppasse non solo l'iniziativa economica, ma pure l'auspicata mobilità
sociale. Sono quindi i problemi della società civile quelli cui il G. guarda
con maggiore attenzione nell'ultimo quinquennio della sua vita, che rappresenta
un'ulteriore scansione della sua attività. Tra il 1764 e il 1769 il
suo impegno politico e culturale si caratterizzava per una sempre più
accentuata polivalenza di funzioni, legata alla sua ormai consolidata posizione
di maître à penser. All'insegnamento universitario e privato si aggiunsero
infatti le consulenze per B. Tanucci e per la giunta degli Abusi, sui problemi
più scottanti del momento: dalla liberalizzazione del commercio dei grani ai
trattati di commercio, dalla monetazione alla redazione dei nuovi piani di
studio per le scuole ex gesuitiche (nel quadro di una vigorosa ripresa della
battaglia giurisdizionalistica per l'abolizione della cattedra delle
decretali); per l'istituzione di nuove cariche in difesa delle prerogative
regie, per la lotta alla manomorta. Si intensificò soprattutto l'attività
editoriale, relativa alla pubblicazione di opere proprie e altrui, che investì
tutti gli aspetti della sua attività di studioso e di insegnante. Ne fece parte
un corso completo di "istituzioni filosofiche per i giovanetti", in
italiano, articolato nella Logica (Napoli 1766), nellaDiceosinao sia della filosofia
del giusto e dell'onesto (ibid. 1766), nelle Scienze metafisiche(ibid. 1767).
Contemporaneamente, il G. stendeva i Dialoghi morali e le note all'Esprit des
lois (pubblicate postume nel 1777). In questo contesto si collocano le
tre edizioni delle Lezioni di commercio o sia di economia civile, cui il G.
lavorò direttamente: le due napoletane, rispettivamente 1765-67 e 1768-70 e
quella intermedia del 1768, promossa a Milano dall'allievo T. Odazi. Alle
Lezionifanno da contrappunto, su un tema specifico carissimo al G., le due
edizioni delle Lettere accademiche sulla questione se sieno più felici gli
scienziati o gl'ignoranti, in cui la ripresa della polemica con Rousseau si
amplia a un riesame critico dello sviluppo delle società umana. I testi che
nascono da questa attività multidisciplinare rappresentano l'espressione più
compiuta di un modusoperandi già sperimentato, fondato su una memoria interna,
attraverso la quale il G. riutilizza e riorganizza continuamente i materiali
della sua riflessione, in uno sforzo onnicomprensivo che tende a coagulare in
una sintesi complessa, pur se talvolta ridondante, tutte le tensioni
intellettuali e politiche degli ultimi anni di vita. Le ampie varianti
recepiscono anche le spinte di circostanze esterne: per queste caratteristiche,
le Lezioni si presentano come l'autentica summa del pensiero genovesiano, un
vero e proprio "work in progress" di letteratura militante. Il
G. colloca le problematiche dell'economia in un più ampio quadro di
considerazioni sulla società, sulle sue dinamiche, esaminate negli aspetti
antropologici e psicologici, secondo una linea storicizzante alla quale
contribuisce con una sua versione della teoria stadiale, per approdare a un più
ampio affresco della situazione del Regno. Il confronto tra gli Elementi e le
tre edizioni delle Lezioni mette in luce l'evoluzione del suo pensiero sui temi
più caratterizzanti, dalla popolazione al lusso alla tassazione, e
l'intensificarsi della polemica antifeudale e anticuriale. Diventa centrale il
problema della comunicazione, elemento caratterizzante della società e del
vivere civile e di conseguenza della lingua, alla quale dedica anche una
riflessione teorica nella Logica, e dei mezzi, delle sedi, delle modalità
attraverso le quali essa può realizzarsi e costituire l'asse portante della
formazione dell'opinione pubblica. La morte lo colse a Napoli il 12
sett. 1769. Negli anni seguenti la sua opera fu oggetto di aspri attacchi
e di appassionate difese, culminate nell'Elogio storico dedicatogli dall'allievo
G.M. Galanti (Napoli 1772). Larga ma diversificata fu l'eco della sua opera
nelle altre aree d'Italia e di Europa. Nonostante la fortuna dell'edizione
milanese delle Lezioni, sulla quale furono esemplate tutte le successive
ristampe, in realtà l'opera genovesiana non venne apprezzata nella Lombardia
asburgica, proiettata verso la fisiocrazia, perché considerata troppo
farraginosa e legata ai problemi di una società sottosviluppata. In Francia
l'annunciato progetto di J. Pingeron di tradurre le Lezioninon ebbe seguito. In
Germania, invece, vennero tradotti sia la Storia del commercio(Leipzig 1788),
sia le Lezioni (ibid. 1776), a cura rispettivamente di A. Witzmann e di C.A.
Wichmann. Molto più ampia fu invece la diffusione dell'opera genovesiana, sia
filosofica sia economica, nella penisola iberica. In Spagna, infatti, apparve
una traduzione in castigliano delle Lezioni (1785-86), a cura di V. de Villava,
mentre nei paesi di lingua portoghese i suoi corsi di filosofia costituirono la
base dell'insegnamento universitario per tutto l'Ottocento. Edizioni:
Illuministi italiani, V, Riformatori napoletani, a cura di F. Venturi,
Milano-Napoli 1962, pp. 3-330; Autobiografia, lettere e altri scritti, a cura
di G. Savarese, Milano 1962; Della Diceosina o sia della filosofia del giusto e
dell'onesto, a cura di F. Arata, Milano 1973; Scritti, a cura di F. Venturi,
Torino 1977; Delle lezioni di commercio o sia di economia civile, Varese 1977
(rist. anast. dell'ed. Milano 1768); Scritti economici, a cura di M.L. Perna,
Napoli 1984; Se sieno più felici gl'ignoranti che gli scienziati. Lettere
accademiche, a cura di G. Gaspari, Carnago 1993; Lezioni di commercio o sia di
economia civile con gli "Elementi del commercio", a cura di M.L.
Perna, Napoli 1998; Dialoghi e altri scritti. Intorno alle "Lezioni di
commercio", a cura di E. Pii, Napoli 1998. Fonti e Bibl.: Le carte
genovesiane conservate si trovano a: Napoli, Biblioteca nazionale, ms.
XIII.B.39; ms. XIII.B.92; ms. XIV.B.53; Arch. di Stato di Napoli, Casa reale
antica. Diversi, f. 868; ibid., LII, Affari gesuitici, ff. 1297, 1298, 1302,
1304, 1307, 1473; Altamura, Archivio Biblioteca Museo civico, Fondo Serena,
Carte Genovesi; Arch. di Stato di Milano, Piani di economia pubblica,
Autografi, 164; Arch. segr. Vaticano, Nunziatura di Napoli, 279, 291, 292, 372;
Arch. di Stato di Torino, Materie economiche. Zecche e monete, n. 9. Inoltre,
copie manoscritte della Theologia sono conservate a Bari, Biblioteca nazionale,
ms. III.16; Ibid., Biblioteca provinciale De Gemmis, Fondo De Gemmis; Fano,
Biblioteca civica Federiciana, Fondo Collegio Nolfi, ms. 9; Macerata,
Biblioteca comunale Mozzi Borgetti, ms. 340; Napoli, Biblioteca oratoriana dei
gerolamini, ms. M.XXVIII-210. Varie lettere sono conservate a: Firenze, Arch.
stor. dell'Accademia dei Georgofili, Carteggio, b. 23; Ibid., Biblioteca
nazionale, Autografi Gonnelli; Forlì, Biblioteca comunale, Autografi
Piancastelli; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss. Beccaria, B.231; Modena,
Biblioteca Estense, MC.103.1; Ibid., ArchivioMuratoriano, filza 65; Ibid.,
Autografoteca Campori; Torino, Biblioteca civica, Collezione Nomis di Cossilla;
Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Mss. Lettere XLI.26. G.
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Settecento, A. G. e G.M. Galanti, Firenze 1926; Studi in onore di A. G., Napoli
1956; L. Villari, Il pensiero economico di A. G., Firenze 1959; A. Potolicchio,
Postille autografe inedite alla "Logica" di A. G., in Atti
dell'Accademia di scienze morali e politiche della Società nazionale di
scienze, lettere ed arti in Napoli, LXXIII (1962), pp. 1-67; F. Corpaci, A. G.
note sul pensiero politico, Milano 1966; O. Nuccio, Un grande riformatore
napoletano. A. G.: scienza economica e problemi di rinnovamento sociale a
Napoli nella seconda metà del XVIII secolo, Roma 1966; M. Agrimi, A. G. e
l'Illuminismo riformatore del Mezzogiorno, in Belfagor, XXII (1967), pp.
373-410; N. Badaloni, Antonio Conti, Milano 1968, ad indicem; M. De Luca, Gli
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eighteenth-century Scotland and Naples, in The Historical Journal, XL (1997),
pp. 667-697; M.L. Perna, L'universo comunicativo di A. G., in Atti del Convegno
Editoria e cultura a Napoli nel XVIII secolo, Napoli 1998.Antonio Genovesi.
Genovesi. Keywords: logica per gli giovanetti, critica della ragione economica,
scambio conversazionale --. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Genovesi: critica della ragione economica” -- per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759585870/in/dateposted-public/
Grice e
Gentile – Enea all’inferno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taggia).
Filosofo. Grice: “It seems every philosopher has a catabasis – as Eneas did!”
“Falamonica spends a ‘stagione’ in hell, too!” -- “I do like Falamonica – the
way he makes ‘Aristoteil’ rhyme! “E vidi alfin colui, che fra’ mortali / più
degno par di tutto quell Collegio, / levarsi contra tutti, e batter l’ali; /
dico Aristotil.” – Grice: Falamonica is interesting: there is Socrates teaching
Alcibiades, and Socrates teaching Plato, and Plato teaching Aristotle, and
Aristotle teaching Alexander!” Figlio di Pancrazio Falamonica Gentile e
Violantina Piccamiglio. Venne in contatto coll’astrologia. Compose i Canti,
poema dottrinale in terzine di 42 canti, chiaramente derivato dalla Commedia di
Dante. Grice: “It is a fun philosophical comedy: “E vidi alfin colui, che fra’
mortali / più degno par di tutto quell Collegio, / levarsi contra tutti, e
batter l’ali; / dico Aristotil.” Opere: “Canti. Dizionario Biografico degli
Italiani. FALLAMONICA GENTILE, Bartolomeo. - Di antica famiglia genovese, che
negli anni 1460-1480 entrò nell'"albergo" dei Gentile (e da qui è
l'origine del doppio cognome con il quale è conosciuto: cfr. Grendi), nacque a
Genova, nella contrada di S. Pancrazio, intorno al 1450, da Pancrazio e da
Violantina Piccamiglio. Nulla si sa intorno alla sua formazione ed ai
suoi studi. Il primo documento nel quale è nominato è il testamento del padre,
del 1469. In una data incerta della fine del sec. XV si trasferì in Spagna,
dove svolse attività mercantile. Durante il soggiorno spagnolo fu tra i protagonisti
della rinascita del lullismo, partecipando alle attività della scuola di Jaume
Janer a Valencia. Fu promotore di iniziative editoriali, fra le quali la
pubblicazione del Liber artis metaphisicalisdello stesso Janer, una sorta di
summaenciclopedica del lullismo, stampata a Valencia nel 1506; dalla
dedicatoria apprendiamo che il F. studiò le dottrine di R. Lullo con Janer. Da
un'altra dedicatoria, quella di Alfonso Proaza, un altro importante membro
della scuola lulliana di Valencia, alla Disputatio Remondi christiani et
Homerii sarraceni del 1510, apprendiamo che il F. si era dedicato anche a studi
di astronomia e di medicina, e che sollecitò Proaza a pubblicare testi di
Lullo. Il F. fu inoltre in possesso di manoscritti di Lullo, del quale subì
l'influenza anche nei testi letterari di cui fu autore. Diciotto sonetti
di argomento religioso, appartenenti alla tipica tradizione poetica catalana
fra XV e XVI secolo e nei quali è anche rilevabile l'influenza delle opere
poetiche di Lullo, furono pubblicati per la prima volta nell'edizione di
Valencia del 1514 del Cancionero general. Nell'edizione del 1520 del Cancionero
(quella da noi consultata) sono suddivisi in cinque sonetti "sobre ecce
homo", un sonetto "in dialogo de Dio", un sonetto "de
trinitate", un sonetto "a la verge Maria par les guerres dela
sglesia", cinque sonetti "en llor del glorios nom de Iesus" e
cinque sonetti "en llahor del nom dela gloriosa verge Maria".
Non si sa di preciso quando il F. rientrò a Genova, dove morì presumibilmente
in una data compresa fra il primo e il secondo decennio del sec. XVI. In
vecchiaia ("Lasciando a dietro il sessagesim anno") si dedicò alla
stesura di un poema, che ci è stato tramandato ed è stato pubblicato con il
generico titolo di Canti. In quarantadue canti in terzine, di cui il primo ha
la funzione di proemio, il F. costruisce un poema dottrinale secondo il modello
dantesco del viaggio nei regni oltremondani. Ma la particolarità del testo del
F., cui non manca una certa abilità nella costruzione del discorso in poesia, è
data dall'aver scelto come guida del viaggio proprio Raimondo Lullo, il
filosofo cui aveva dedicato molti dei suoi studi durante il soggiorno spagnolo.
Nei quarantadue canti troviamo trattati i temi più caratteristici della
filosofia lulliana. I primi canti sono dedicati alla divisione e descrizione
dell'universo ("de' cieli, de' elementi, de' minerali, de' vegetali, degli
animali, dell'uomo, de' morali"), cui seguono canti sulla divinità e sul
messaggio cristiano ("pronostico della cristiana religione, della divina
essenza, della generazione e spirazione eterna, della creazione del mondo,
della natura angelica, della incarnazione, della concezione, della passione,
de' sacramenti, della predestinazione"), sull'uomo e i suoi peccati ("del
divino e mondano amore, dell'usura, del giuoco, dello scandalo e della
fama"), e, in ultimo, i canti del vero e proprio viaggio nei regni
dell'oltretomba ("dell'inferno, del purgatorio, del final giudizio, del
paradiso"). La storia del testo dei Canti è stata piuttosto tormentata:
ricordati negli Annali della Repubblica di Genova di Agostino Giustiniani, già
Uberto Foglietta nei Clarorum Ligurum Elogia lamentava l'inaccessibilità del
testo, che si credette perduto durante i secoli XVII e XVIII. Nel 1821 venne data
la notizia del ritrovamento del poema, che venne descritto nella Storia
letteraria della Liguria da Giambattista Spotorno. Dopo alcuni saggi di
pubblicazione, i Canti vennero finalmente editi, in una veste non
particolarmente curata, a cura di Giuseppe Gazzino (Genova 1877). In questa
edizione i Canti sono accompagnati da un canto in terzine Alla Vergine e da tre
sonetti In nome di Lei, che fanno parte di quelli già pubblicati nel
Cancionero. Fonti e Bibl.: R. Soprani, Li scrittori della Liguria, Genova
1687 (reprint, Bologna 1971), p. 49; (segnalazione in G. Spotomo, Storia
letteraria della Liguria, II, Genova 1824, pp. 189-204; Giorn. stor. della
letteratura ital., XIV [1889], p. 333); S. Caramella, B. G. F. (contributo alla
storia del lullismo nei primordi del Cinquecento), in Dante e la Liguria. Studi
e ricerche, Milano 1925, pp. 127-176; E. Levi, Un poeta italo-catalano del
Quattrocento, in Estudis Universitaris catalans, XXII (1936), pp. 681-685; M.
Battlori, El lulismo, en Italia, in Revista de filosofia, II (1943), pp. 504
ss.; D.W. McPheeters, The Italian poet and lullist B. G. in XVIth century
Valencia, in Symposium, VII (1953), pp. 375-379; P. Zambelli, Il De audito
cabalistico e la tradizione lulliana nel Rinascimento, Firenze 1965, p. 127; L.
Grillo, Seconda appendice ai tre volumi della raccolta degli Elogi di liguri
illustri, Genova 1976, pp. 183 s.; M. Pereira, Bernardo Lavinheta e la
diffusione del lullismo a Parigi nei primi anni del '500, in Interpres, V
(1983-1984), p. 256; E. Grendi, Profilo storico degli alberghi genovesi, in
Mélanges de l'Ecole Française de Rome, M.-A., - Temps modernes, LXXXVII (1975),
1, pp. 241-302 (spec. pp. 246-254). CRIT ICA. SOPRA UN POEMA di
Bartolommeo Falamonica. N o n sono che pochi anni dacchè si scopri un poema di
B a r tolomeoGentile Falamonica,uomo ligure,daluiscritto tra il 1470 e il 1490.
Il Giustiniani e qualche altro G e novese aveano parlato di quell'uomo con
assai lode ; m a deploravano la perdita di quella Opera sua , che andava
smarrita. Il sig. Spatorno nella recente sua Storia lette raria della Liguria
dà un'analisi di quel Poema,che merita per,ognirispetto d'essere conosciuto.Il
manoscritto oggi trovasi presso il marchese Giancarlo di Negro , p a trizio
genovesc, amatore e cultore di ogni ottimo studio. Il poema del Falamonica non
ha titolo; la materia diceilcitatoGiustiniani ėtuttafilosoficaeteologica, con
interpretazione di leggi pontificie e cesaree. Lo stesso attesta
ilsig.Spatorno. L'A.incomincia dal favellare de'Cieli; e iprimi suoi versi sono
questi: Nel tempo che s'inclina ilfiore e l'erba, 38 TARIETA': WY > Perdar
lecarespoglieal'aspraterra, Partendo dalla età dolce e superba , CRITICA
. Lasciando addietro il sessagesim ' anno ... Vedea che l'error m 'avea
condotto 39 Aristotil ... Intanto gli apparve dalle parti occidentali una gran
Stella in formadiromito,dinome Raimondo (Lullo) spiegò il suo desiderio di
conoscere la verità , e di lasciare alcun vestigio di sè dopo morte ; e
Raimondo disse:stasecuro. e lo condusse al Sole,acciò lo guidasse ne'Cieli. Per
man mi prese Tornava senza onor dallamia guerra Con tutte mie speranze
sparse al vento , De'miei passati giorni indarno spesi, Ch'ogni piacere in me
restava spento... 2 motor che mi costrinse il senso E mi condusse in una oscura
valle. Iviilpoetaudìprimaun suonodiguerra;poiunaltro come di favelle che
parlavano del Cielo e della Terra. e >
NelIlCantovedeSaturno,poiMarte,poiGiove; e il Sole gli dice : Già presso al fin
che tutto il mondo atterra. Allor mi ritrovai tutto scontento A volgerealmioverobenlespalle...
Ed eccouscirdelCiel,nonsosiofalle Un gran E vidi ch'eran Spirti in quel deserto
Qual dicea in prosa, e qual cantava in versi. E conobbe tutti esser poeti , e
in tanto numero E vedi alfin colui che fra'mortali Più degno par di tutto quel
Collegio , Levarsi contra tutti e batter l'ali , Questa è la introduzione , e
costituisce il primo Canto del Poema. Nel II Canto si trova in luogo , dal
quale si vede sotto i piedi la Luna e i Pianeti; e sentiva il movimento delle
sfere.VideilcerchiodelleStellefisse edaciòprende occasione di parlare degli
Astronomi , il più moderno dei quali è il Regiomontano ,morto nel 1476, ed
afferma non essere possibile l'eternitàdel mondo. Ma qui conviene omai fermar
le piante Ch'ionon potreidituttiinomidirti. Ne dice però una lunga lista di
greci e latini: nd ram menta alcun italiano. "Ei li lasciò tutti per gire
a' filosofi, tra i quali dà il primo luogo ad Aristotele, di cui dice
Perquellestradeluminose e.terse Ch'ionon potealasciarlaviaserena. Il Sole
dà al poeta un de'suoi rai, onde possa vedere gli oggetti terreni. E inquesto
Canto, e nel VI parla dell'aria,!della dell? E la lussuria il buon smeraldo
affrena; Vedi l'assenzio,ch'apre e scalda e sciolve: Che già della bell'arte
han fatto vizio... Vacuando idenari,e non gli umori. Nel Canto IX ragiona della
vitasensitiva degli animali e delleproprietà delle varie specie. E le cicogne
d'empietà nemiche... ecc. d'onde prende occasione di parlare della empietà
degli u o mini, Che gli uomini son fatti fere ed orsi: Qual strazia , qual
uccide, qual graffigna. Cosi servate son le sacre norme. Le cose accennate
formano la prima cantica del poema ; ed incomincia la seconda parlando
dell'uomo. Alzato già del Ciel a tanto lume , ! 49 CRITICA. acqua
edelfuoco. Nel VII parla de minerali,e delle supposte aque? tempi meravigliose
virtù delle pietre preziose ,dicendo terra , Stringel'acanto> e
falevenesalde; Tempo era omai d'entrar nel mio volume : Dove trovai del mondo
tanta parte· Finchè io ti mostri la mia casa propria. Nel Canto IV visita
Venere , Mercurio, e la Luna ; e famoltedimandedifisica,elerisolvecolla
dottrinape= ripatetica che alloracorreva. N e l canto V. parla degli elementi ;
e vi s'introduce così: Era mia vista di luce si piena, Son gli ametisti
incontro all'ebriopoto , Contra ilvenenoilgran giacinto è noto. Nel Canto VIII
parla della vegetazione, e delle proprietà vereo immaginarie dellepiante. Torna
l'altea la gran durezza in polve. cec. E contro i Medici. Falcon
leale,eladralaperdice... Adulterate son le cose sante ... La
genteritornatasimaligna, Come si mostra in le passate carte , Ch'io vidi in lui
siccome linea al punto Quanto Dio crca , e quanto poi comparte ,
Ogni mondana ed immortal bellezza ... Nel Canto Il parla della
immortalità e libertà dell'ani ma ,e delle idee e degli affetti. Ogni pensier,
e quanto qui s'adopra opra In questa nostra carne per sua forina (l'anina ) Il
lume della vita è la scienza .. Questa partefilosoficaè chiusa con un
pronostico della Religione cristiana. Il Genio del Sole lascia finalmente il
poeta ;e come questi nell'accomiatarsi sentendo una voce terribile, abbraccia
spaventato il suo duce , esso sdegnato Come uomo irato qui fra noi s' incende ,
si volge al'Eterno, e lo prega di far sentire l'indigna zionesuaalla Terrapienaditirannide,disimoniayd'inu
gratitudine e di avarizia. Han fatto un altro Dio tutto mondano ; Creato per
usanza un'altra legge; E posto in terraallorquando s'aggiorna O somma
vita, dove son raccolte Ligate qui col tempo , e là disciolte ; Eterno libro ,
in cui si nota e scrive E posto già il tuo nome tutto in vano. E commette al
poeta di palesare queste cose a tutto il mondo
escriverlealettered'oro;minacciandochese gliuomini non ritornano buoni, saranno
preda dei Maomet tani,che alloraaveano presa Otranto.Questa secondaCan
ticatermina coi seguenti versi. Che nulla per di fuora par si scopra. Nel I I I
Canto espone il difetto delle virtù , e spezialmente della carità , onde
l'anima va dannata. Chiudendo incrudel pianto sua giornata. 1. C a n t i I V ,
V e V I t r a t t a n o d i c o s e m o r a l i . CRITICA. 45 Nobil naturà , in
cui si trova giunto Le vitenostrepriache insesienvive, Per l'alme che lassù si
fanno dive ; Fammi sentir sìcome dentro s' Mortal non è colui che mai non erra
. C h e p e r r i c c h e z z a l' u o m n o n è g i o c o n d o : 1 : Un fonte
di sospetti è signoria... Seguilipochi,e non lavolgargente... Da poimi
vidituttii sensi presi: Con un gridar che uscia da que'paesi Oh ! mondo pravo ,
torna , tornia, torna. Ed ecco allor m'apparve quel divino
Miomastroantiquo(Raimondo Lullo). I Canti I e II trattano della essenza divina
secondo la dottrina e le sottigliezze degli Scolastici. Nel Canto III il poeta
si sforza di mettere in versi la generazione del Verbo, e la spirazione
eterna,giusta gli astrusi concetti delle scuole.
NelIVragionadellacreazionedelMondo;nelV della natura angelica con tutte
ledivisioni gerarchiche. Nel VI e VII tratta della incarnazione del Verbo. Poi
dellaconcezione, seguendolanotasentenzadiScoto Più degno , più eccellente, più
gentile , Di non veder la sua vision divina fermazione,dellaEucaristia,
delaPenitenza,edelleIna dulgenze. Nel Codice autografo , dice il sig. Spatorno
, è Jasciato in bianco ciò che apparteneva agli altritre Sacra
menti.Favellaposciailpoeta dellapredestinazioneedel l'amore divino emondano.
Quest'ultimo lo ispira contro Usura in pravi volentier s'annida ... E cresce
questa piaga al mondo ognora. Quanto son pianegià le vie di morte !
Ne’susseguenticanti inveiscecontro ilgiuoco; indi ra. giona delloscandalo e
della fama. La terza parte del Poema ha per soggetto ilMondo ir. visibile, e
comincia dall'Inferno. 42 CRITICA . E più decente ancora all'Infinito.
Della più mite dottrina poi si mostra seguace rispetto ai fanciulli morti senza
battesimo. Che poco curan giàdiveder Dio Di quanto in sè contien filosofia. In
due Canti espone la passione del Redentore ; nè pia. ceranno a tutti le
disperazioni della Vergine a piè della croce.In duealtriCanti ragiona
delBattesimo, dellaCon I La Cantica terza abbraccia la parte teologica ; e
comin cia così. Eragià fattosicom'uom selvaggio. Non hanno danno alcun , se non
quel bando Giocando insieme tutti e giubilando , Non hannopiù sospiro alcun,nè
stento, E sono al lor parer si gloriosi Siccome fanno al mondo i più viziosi. E
lisuppone occupati M Busura. Secondo differenzia di peccati. A
guardiade'superbistannoileoni,de'lasciviiporci; de'golosi gli orsi: Viensi
poial Giudizio universale Così montaro inCiel disquadrein squadre. Ilpoema si
chiude col Paradiso partito in seicapitoli. Nel I si parla dellafelicità
de'Giusti. Nel IIsono ricor datituttiipiùcelebripersonaggi
dell'anticaalleanza;fra quali ètaciuto diSaloinone,che secondo l'opinionedel
b.Alessandro Sauli si teneva per dannato. NelIII si trattadegli Apostoli, dei Discepoli
e degl'Innocenti, Nel IV parlandosi de' Martiri cosi dice di S . Lorenzo .
Felice tu , mia Genoa , che l'onori , Eccelsocavalier di Cristo atleta. Giorgio
chiamato, e vera insegna e duce Di nostra gran Liguria. CRITICA. 43
Flegias,Cocito,furie d'Acheronte, Aletto con Megera e Tesifone. Lascio la Stige
, e Lete , e Flegetonte , Ed ogni simulacro de Poeti Seguendo solo l'ortodossa
fonte. Ne fu già l'occhio mio cotanto ardito Il Purgatorio delFalamonica ha
forma di anfiteatro; le grotte che rinchiudono le anime , sono dispostesotto
gli scaglioni, e sopra questistanno demonii in sembianza di animali. La valle
tenebrosa ed ipfelice D'ogni ben priva,e d'ogni male carca E le corone d'uno e
d'altro impero Correr fra l'onde , e naufragar con elle ... E come il balenar
seconda il tuono. M a l'invito del Giudice eterno agli Eletti, dice il signor
Spatorno,sa troppodiquellelicenzedantesche pena si perdonano all'Autoredella
incomparabil Commedia. E Roma,ovefursparsiisuoidolori. E di S. Giorgio. >
cheap Cerbero lascio , Minos e Plutone , Da riveder qual fosse quello e questo.
Cið gli frutterà guerra presso gli adoratori d'ogni cosa di Dante. Venite a me
del nome mio maacipio, Diletti e benedetti dal mio padre. Che come miei
fratelliio vi recipio. Felice ancor la Spagna , dov'ei nacque , Nel
V Canto si parla ancora de martiri. Nel VI de'
dottori,monaci,ronitieconfessori,ediquesti l'ul timo è s. Bernardino di Siena.
Di Bernardino parlo ,che a l'uscita Di questa schiera il più moderno parve ,
Fra tanta moltitudine infinita. E chiama s.Anna Ava del Figlio , e Socera del
Padre Miserere di un cuor che in tes'adombra ! e dichiarando di sottomettere
l'Opera sua al giudizio di Santa Chiesa. G. B. 44 CRITICA. Nostro celeste
in Ciel... Chiude poi ilcapitolo e tutto il poema , volgendosi a Dio , e
pregandolo Ch'io la rimetto a lisuoi santi piedi. Tale è l'analisi che ci ha
data del poema del Fala monica ilsig.Spatorno.Non potevaquestaesserepiùam pia
dovendo costituire parte di un articolo della sua Opera. Ma egli ha lasciato maggior
desideriodel medesimo, poi chè pare anoi, che altri passi, e forse più felici,
dovreb b'essocontenere,se,comedicegli,questo poemadopola CommediadiDante,eprima
dell'Orlandofuriosodee tenersi per la migliore composizione poetica che in quel
l'intervallo l'Italia abbia avuta. Noi speriamo che il signor di Negro lo
comunicherà al Pubblicocolle stampe. E vidi alfin colui che fra’ mortali/più
degno par di tutto quell collegio/levarsi contra tutti e batter l’ali./Dico
Aristotil posto in sì gran pregio/di lor filosofanti un lume acceso/E pur dal
ciel si trova dato in spregio/si ch’io restai fra me tutto sospeso/con l’alma
or. Falamonica. Bartolomeo Fallamonica
Gentile. Gentile. Keywords: Enea all’inferno, parodies of the Divine Comedy,
Raimondo Lullo, Bruno e Lullo, il libro dell’amante e dell’amato, ars amative.
Commedia filosofica. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Gentile” – The Swimming-Pool Library.
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Grice e Gentile – implicatura dell’atto – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Castelvetrano).
Filosofo. Grice: “Do not multiply the senses of ‘state’ (normative,
prerogative) beyond necessity.” Grice: “It’s difficult to assess the philosophy
of Gentile; he is a Peirceian, like me –. He ie into ‘conventional sign’ and
‘natural sign’ – and considers intersubjectivity as a way to suprass the type
of Berkeleyan idealism – his tradition is Plathegel, mine is Ariskant!” Grice:
“The roots of Gentile’s philosophy are in Hegel’s logic, as are Bradley’s,
Bosanquet, and Collingwood’s! – and Croce’s!” -- idealist philosopher. He
taught philosophy at Pisa. Gentile rejects Hegel’s dialectics as the process of
an objectified thought. Gentile’s actualism or actual idealism claims that only
the pure act of thinking or the transcendental subject can undergo a
dialectical process. All reality, such as nature, God, good, and evil, is
immanent in the dialectics of the transcendental subject, which is distinct
from the empirical subject. Among his major works are “La teoria generale dello
spirito come atto puro” and “Sistema di logica come teoria del conoscere.”
Gentile sees conversation is a concerted act that overcomes the apparent
difficulties of inter-subjectivity and realizes a unity within two
transcendental subjects. Actualism was pretty influential. With Croce’s
historicism, it influenced two Oxonian idealists discussed by H. P. Grice:
Bernard Bosanquet and R. G. Collingwood (vide: H. P. Grice, “Metaphysics,” in
D. F. Pears, The Nature of Metaphysics, London, Macmillan). Insieme a Croce uno
dei maggiori esponenti del idealismo, nonché un importante protagonista della
cultura, fonda L’Istituto dell'Enciclopedia Italiana e artifice della riforma
della pubblica istruzione (Riforma Gentile). La sua filosofia è detta
attualismo. Inoltre fu figura di spicco del fascismo italiano. In seguito
alla sua adesione alla Repubblica Sociale Italiana, fu assassinato durante la
seconda guerra mondiale da alcuni partigiani comunisti dei GAP. «Era un
omone che ispirava grande simpatia; con la pancia incontenibile, i bei capelli
brizzolati sopra un faccione rosso acceso, di carnale cordialità. Tutto fuorché
un filosofo: così mi apparve, benché fossi pieno di entusiasmo per i suoi
Discorsi di religione, freschi di lettura. Bonario, familiare (paternalista),
mi fece l'impressione di un vigoroso massaro siciliano, che fonda la sua
autorità sull'indiscusso ruolo di patriarca” (Geno Pampaloni, Fedele alle
amicizie. Figlio di Giovanni e Teresa Curti. Frequenta il ginnasio/liceo
"Ximenes" a Trapani. Vince quindi il concorso per posti di interno di
Pisa, dove si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia. A Pisa ha come maestri,
tra gli altri, Ancona, professore di letteratura, legato al metodo storico e al
positivismo e di idee liberali, Crivellucci, professore di storia, e Jaja,
hegeliano seguace di Spaventa, che influirono molto su Gentile. Dopo la laurea,
con massimo dei voti e ottenimento del diritto di pubblicazione della tesi, ed
un corso di perfezionamento a Firenze, ottiene una cattedra in filosofia presso
il convitto nazionale Pagano di Campobasso. Si sposta a Napoli. Sposa
Erminia Nudi, conosciuta a Campobasso: dal loro matrimonio nasceranno Federico
Gentile, i gemelli Gaetano Gentile e Giovanni Gentile junior, Giuseppe Gentile,
e Tonino Gentile Ottiene la libera docenza in filosofia teoretica. Ottiene poi
la cattedra a Palermo, dove frequenta il circolo di Pojero e fonda “Nuovi
Doveri.” A Pisa e Roma. Insegna a Palermo, Pisa, Roma e Milano. Durante gli studi
a Pisa incontra Croce con cui intratterrà un carteggio continuo. Uniti
dall'idealismo (su cui avevano comunque idee diverse), contrastarono assieme il
positivismo e le degenerazioni dell'università italiana. Insieme fondano “La
Critica” al rinnovamento della cultura
italiana. L'attualismo ha configurazione sistematica. Divenne membro del
Consiglio superiore della pubblica istruzione. All'inizio della prima guerra
mondiale, tra i dubbi della non belligeranza, si schiera a favore della guerra
come conclusione del Risorgimento. Rivela a sé stesso la passione politica che
gli stava dentro e assunse una dimensione che non era più soltanto quella del
filosofo che parla “ex cathedra”, ma
quella dell'"intellettuale" militante, che si rivela al pubblico. Partecipa
attivamente al dibattito politico e culturale. E tra i firmatari del manifesto
del “Gruppo Nazionale Liberale”, che, insieme ad altri gruppi nazionalisti e di
ex combattenti forma l' “Alleanza” per le elezioni politiche, il cui programma
politico prevede la rivendicazione di uno stato forte, anche se provvisto di
larghe autonomie regionali e comunali, capace di combattere la metastasi
burocratica, il protezionismo, le aperture democratiche alla Nitti, rivelatosi
«inetto a tutelare i supremi interessi della Nazione, incapace di cogliere e
tanto meno interpretare i sentimenti più schietti e nobili». Fonda il “Giornale
critico della filosofia italiana”. Diviene
consigliere comunale al Municipio di Roma, mentre l'anno successivo viene
nominato anche assessore supplente alla X Ripartizione, A. B. A., ovvero alle “Antichità”
e alle “Belle Arti”, sempre del Municipio di Roma. Diviene socio dell'Accademia
dei Lincei. Gentile non mostra particolare interesse nel confronto del
fascismo. Fu solo allora che prese posizione in merito, dichiarando di vedere
in Mussolini un difensore di un “liberalismo” risorgimentale nel quale si
riconosce.“Mi son dovuto persuadere che il ‘liberalismo’, com'io l'intendo e
come lo intendeno gli uomini della gloriosa destra che guida l'Italia del
Risorgimento, il liberalismo della libertà nella legge, e perciò nello stato
forte, e nello stato concepito come una realtà etica, non è oggi rappresentato
in Italia dai ‘liberali’, che sono più o meno apertamente contro di Lei, ma per
l'appunto, da Lei.” (Lettera a Mussolini). All'insediamento del regime viene
nominato ministro della Pubblica Istruzione, attuando La Riforma Gentile,
fortemente innovativa rispetto alla precedente riforma basata sulla legge
Casati di più di sessant'anni prima! Diviene senatore del Regno. Si iscrive al
Partito Nazionale con l'intento di fornire un programma ideologico e culturale.
Dopo la crisi Matteotti, date le dimissioni da ministro, Gentile viene chiamato
a presiedere la Commissione dei Quindici per il progetto di riforma dello
Statuto Albertino (poi divenuta dei Diciotto per la riforma dell'ordinamento
giuridico dello stato). Resta fascista e pubblica il “Manifesto degli
intellettuali” in cui vede la filosofia come un possibile motore della rigenerazione
degli italiani e tenta di collegarlo direttamente al Risorgimento. Questo
manifesto sancisce l'allontanamento di Gentile da Croce, che gli risponde con
un tipico “contro-manifesto”. Promuove la nascita dell'Istituto di Cultura. Per
le numerose cariche, esercita un forte influsso sulla cultura italiana,
specialmente nel settore filosofico. È imembro dell'Istituto Treccani. A
Gentile si devono in gran parte il livello culturale e l'ampiezza della visione
dell'Enciclopedia Italiana. Invita infatti a collaborare alla nuova impresa
3.266 filosofi di diverso orientamento, poiché nell'opera si deve coinvolgere
tutta la cultura italiana, compresi molti studiosi notoriamente anti-fascisti,
che ebbero spesso da tale lavoro il loro unico sostentamento. Riesce in tal
modo a mantenere una sostanziale autonomia, nella redazione dell'Enciclopedia
Italiana, dalle interferenze del regime. È coinvolto nell'istituzione del
Giuramento di fedeltà al regime che causerà l'allontanamento di alcuni
dall'Università. Inaugura a Genova l'Istituto mazziniano. Fonda il Centro
nazionale di studi manzoniani. Fonda la Domus Galilaeana a Pisa. Non
mancano comunque i dissensi col regime. In particolare, la sua filosofia subisce
un duro colpo alla firma dei Patti Lateranensi tra il cattolicesimo e lo stato.
Sebbene riconosca il cattolicesimo come una forma della spiritualità, ritiene
di non poter accettare uno stato NON laico. Questo evento segna una svolta nel suo
impegno politico militante, è inoltre contrario all'insegnamento del
cattolicesimo nel ginnasio e nel liceo. Il Sant'Uffizio mette all'”Indice” le
sue opere a causa del loro riconoscimento, nel solco dell'idealismo, del
cattolicesimo come una mera "forma dello spirito” -- totalmente inferiore
alla filosofia: ‘theologia ancilla philosophiae.” “La mia religione, in cui vi
sono anche alcune velate critiche al cattolicesimo e ispirata da Alighieri,
Gioberti e Manzoni.” Degna di nota anche la sua difesa di Bruno, il filosofo
eretico condannato al rogo dall'Inquisizione, al quale dedica una apologia,
impegnandosi anche presso Mussolini perché la statua di Bruno in Campo de'
Fiori e opera dello scultore anticlericale Ettore Ferrarinon fosse rimossa,
come richiesto da alcuni cattolici. Comincia una lunga polemica contro
Vecchi, che Gentile accusa di “inquinare la cultura”.“Roma non ebbe mai un'idea
che fosse esclusiva e negatrice.”“Roma accolse sempre e fuse nel suo seno, idee
e forze, costumi e popoli.” “Così poté attuare il suo programma di fare dell'urbe,
l'orbe.” “La Roma antica volgendosi con accogliente simpatia e pronta e
conciliatrice intelligenza a ogni persona a ogni forma di vivere civile, niente
ritenendo alieno da sé che fosse umano.”“Sono i popoli – come i longobardi! -- piccoli
e di scarse riserve quelli che si chiudono gelosamente in se stessi in un nazionalismo
schivo e sterile.”In La mia religione dichiara di essere credente nello stato
laico – ‘stato no laico e una contradictio in terminis’ -- Nel Discorso
del Campidoglio esorta all'unità. Si ritira a Troghi, dove filosofa su la “Genesi
e struttura della società” nel nel quale teorizza su la politica
dell’umanesimo. Considera “Genesi e struttura della societa” il coronamento dei
suoi studi speculativi tanto che mostrando il manoscritto, scherzando disse. "I
vostri amici possono uccidermi ora se vogliono.”“Il mia missione nella vita è
compietata.”La caduta di Mussolini non preoccupa particolarmente Gentile che
intese il tutto come un avvicendamento al governo. Inoltre la nomina nel primo
governo Badoglio di alcuni ministri che precedentemente erano stati suoi
collaboratori lo conforta. In particolare la amicizia con Severi spinse Gentile
ad inviargli una lettera di auguri per la nomina e a sottoporgli alcune
questioni rimaste in sospeso con il governo precedente. Severi rispose a
Gentile lanciandogli un duro e inatteso attacco. Travisandone volontariamente i
contenuti evitando però di renderli noti avvalorò l'idea che Gentile gli si
fosse proposto come consigliere ponendolo quindi in obbligo a respingerne la
proposta. Gentile replica a Severi e rassegna le dimissioni da Pisa. Gentile
respinse in un primo tempo la proposta di Biggini di entrare al Governo, dopo
un incontro con Mussolini sul lago di Garda si convinse ad aderire alla
Repubblica Sociale Italiana. Divenne presidente della Reale Accademia d'Italia,
con l'obiettivo di riformare L’Accademia dei Lincei che fu assorbita dall'Accademia.
“Venne qui tempo fa un amico a cercarmi, ed io dissi francamente i motivi politici
per cui desideravo restare in disparte.”“Ma egli mi assicurò che io potevo benissimo
restare in disparate.”“Ma dovevo fare una visita al mio amico che desidera vedermi
ed era addolorato di certe manifestazioni recenti, ostili alla mia persona.”“Negare
questa visita non era possibile.”“Feci comodamente il viaggio con Fortunato.”“Ebbi
un colloquio di quasi due ore, che fu commoventissimo.”“Dissi tutto il mio
pensiero, feci molte osservazioni, di cui comincio a vedere qualche benefico
aspetto”“Credo di aver fatto molto bene all’Italia.”“Non mi chiese nulla, non
mi fece offerta.”“Il colloquio fu a quattr'occhi.”“La nomina fu poi combinata
col ministro amico e portata qui da me da un Direttore generale.”“Non
accettarla sarebbe stata suprema vigliaccheria e demolizione di tutta la mia
vita.”Sostenne la chiamata alle armi e la coscrizione militare dei giovani
nell'esercito della RSI, auspicando il ri-pristino dell'unità nazionale sotto
la guida ancora una volta di Mussolini. Intanto il figlio, Federico
Gentile, capitano d'artiglieria del Regio Esercito, era stato internato dai
tedeschi in un campo di prigionia a Leopoli in condizioni particolarmente
severe.Federico Gentile e l'unico ufficiale italiano del campo a non ricevere
la posta di ritorno. Federico Gentile aveva aderito alla RSI, ma non aveva
accettato l'arruolamento nell'Esercito Nazionale Repubblicano, preferendo tornare
in Italia da civile.Gentile elogia pubblicamente al "Condottiero della
grande Germania", e lodando l'alleanza italiana con le Potenze dell'Asse.Pochi
giorni dopo, Federico Gentile, venne trasferito in un campo meno duro.Infine, gli
fu permesso il ritorno. Per il suo appoggio dichiarato alla leva per la difesa
della RSI, riceve diverse missive contenenti
minacce di morte. In una in particolare era riportato: "Tu sei
responsabile dell'assassinio dei cinque". L'accusa era riferita alla
fucilazione di cinque renitenti alla leva rastrellati dai militi della R. S. I.
-- fucilazione orchestrata da Carità, che detesta Gentile, ricambiato. Ha
infatti minacciato di denunciare le eccessive violenze del suo reparto allo
stesso Mussolini.Gentile non e assolutamente collegato con tale evento. Il
governo repubblicano gli offre quindi una scorta armata che però Gentile
declina.“Non sono così importante, ma poi se hanno delle accuse da muovermi sono
sempre disponibile.”Considerato in ambito resistenziale come il filosofo del regime,
apologo della repressione e di un regime ostaggio di un esercito occupante, e ucciso
isulla soglia di Villa di Montalto al Salviatino, da gappisti di ispirazione comunista.
Il commando si apposta circa nei pressi della villa.Appena giunse in auto, il
gappista Fanciullacci si avvicina, tenendo sotto braccio un libro di filosofia
– “Apperance and Reality,” di Bradley -- per nascondere la rivoltella e farsi
così credere un filosofo.Abbassa il vetro per prestare ascolto.E subito
raggiunto dai colpi della rivoltella. Fuggito il gappista in bicicletta,
l'autista si diresse all'ospedale Careggi per trasferirvi il filosofo
moribondo.Gentile, colpito direttamente al cuore e in pieno petto, in breve
spira.Fu un episodio che divise lo stesso fronte di resistenza e che è al
centro di polemiche non sopite, venendo infatti già all'epoca disapprovato dal
CLN toscano con la sola esclusione del Partito Comunista, che ri-vendicò l'esecuzione.
Fu sepolto nella basilica di Santa Croce, il foscoliano tempio dell'itale
glorie. Dopo l'attentato, le autorità della R. S. I., dopo aver sospettato all'inizio lo stesso
Mario Carità promisero mezzo milione di lire in cambio di informazioni su
Fanciulacci.Venne disposto l'arresto di cinque, indicati da come i mandanti
morali.Grazie al diretto intervento della famiglia, gli arrestati sono rimessi
in libertà. All'interno di Santa Croce si inaugura un convegno di studi
gentiliani. La filosofia di Gentile fu da lui denominata “attualismo” o idealismo
attuale.L'unica vera realtà è un “atto” puro del «pensiero che pensa», cioè
l'auto-coscienza, in cui si manifesta lo spirito che comprende tutto l'esistente.Solo
quello che si realizza tramite lo spirito rappresenta la realtà in cui il
filosofo si riconosce. Il Pensiero è attività perenne in cui all'origine non
c'è distinzione tra “soggetto” e “oggetto” – dunque l’intersoggetivita e un
pseudo-problema. Avversa pertanto ogni dualismo rivendicando il monismo e l'unità
di natura (corpo, materia) e spirito (anima, forma) (monismo).Al'interno, assieme
al primato, la auto-coscienza è vista come “sintesi” della tesi del soggeto e
l’antitesi dell’oggetto.Questo e un atto in cui il primo, la tesi, il soggetto,
pone se stesso e pone il secondo (auto-concetto).In ciò consiste l'”autoctisi”
–Non hanno quindi senso un orientamento solo spiritualista o solo materialista
(naturalista).Non ha senso la divisione netta tra spirito (l’astratto) e
materia (astrazzione) del platonismo, in quanto la realtà è Una.Qui è evidente
l'influsso dell’aristotelismo (hyle-morphe) e il panteismo rinascimentale e
anche dell’ “immanentismo” (contro il transcendentalismo) più che
dell'hegelismo.Di Hegel, a differenza di Croce, che era fautore di uno
storicismo assoluto (o idealismo storicista), per cui tutta la realtà è “storia”
e non “atto” in senso aristotelico (energeia/dunamis – actus – cf. Grice, “What
is actual”), non apprezza tanto l'orizzonte storicista, quanto l'impianto
idealistico relativo alla auto-coscienza.La auto-coscienza è considerata il fondamento
del reale. Anche vi è un errore in Hegel nella formulazione della “dialettica”.
Ma questo non consiste unicamente, come afferma Croce. Croce infatti sostiene che
"tutto è Spirito". La critica di Croce non è sufficiente.Gentile
sostiene che Hegel confunde la dialettica del “implicare” (‘impiegare”) (che ha
individuato correttamente) con la dialettica dell’ “implicatum” ‘empiegato’. Lascia
forti residui della dialettica dell’impiegato,cioè quella del determinato e
delle scienze. Gentile inoltre non accetta la “dialettica dei distinti” (A
distinto da B) che Croce, in base al adagio che "non ogni negazione è
opposizione") introduce posto accanto alla “dialettica degli opposti"
(A opposto B). Infatti Gentile ritiene la
‘dialettica dei distinti’ un'aggiunta arbitraria, che snatura la dialettica
propria.Questa invece si esplica in un “atto” in cui utilizza la dialettica (A
opposto B, sintesi C) in un atto puro.Questa dialettica si esplica quindi nel
rapporto dell’impiegare e l’impiegato.Recuperando La Dottrina della scienza di
Fichte, Gentile afferma che lo spirito (anima, forma) è fondante in quanto
unità di autocoscienza, atto; l'atto puro –, è il principio e la forma della
realtà diveniente, non esistente (Gott im Werden – dall’divenire all’essere). La
dialettica dell'atto puro e l’opposizione tra la soggettività (il soggeto)
rappresentata dall'espressione --
intention-based semantics -- (tesi) e l'oggettività (oggeto) – cf.
inter-soggetivo -- rappresentata dal positivism scientism. (antitesi), cui fa
da soluzione nell’atto puro (sintesi). L'atto puro si fonda sull'opposizione
della «logica del pensiero pensante» e la «logica del pensiero pensato” – cfr.
implicans – implicatum. impiegatore – impiegante – impiegato --. La prima è una
dialettica materiale– implicans/impiegante --, la seconda una logica formale –
l’impiegato --.Gentile dedica la sua attenzione al tema della soggettività
dell'espressione nel vivere del spirito. Se da un lato l'espressione è il
prodotto di un sentimento soggettivo o una intenzione, dall'altro l’espressione
è un atto puro “sintetico” – “composito” -- non analitico – or divisso -- che
coglie tutti i momenti della vita dello spirito, acquistando dunque alcuni
caratteri del questo che Grice chiama il discorso razionale o la conversazione
come cooperazione razionale. Sviluppando fino in fondo la filosofia di
Spaventa, la filosofia dell’atto puro, per il quale la realtà esiste solo
nell'atto puro che pensa la realta.è stato interpretato come un idealismo
soggettivo (una forma di soggettivismo – o intersoggetivismo), sebbene Gentile
tende a respingere tale definizione, non essendo quell'atto preceduto né dal “soggetto”
né tantomeno dall'”oggetto” -- bensì coincidente con l'Idea stessa, e a
differenza di Fichte, in cui l'Infinito (come aveva già affermato Hegel) è un
"cattivo infinito" è in realtà immanente (non trascendente) all'esperienza,
proprio perché l’atto puro e creatore d una esperienza (datum). Gentile e un
ideologo del regime.La filosofia politica di Gentile è fortemente attivista e attualista (cioè
trasponte l'attualismo del atto puro nel campo veramente inter-soggetivo dello
scambio sociale.La politica coniughi «prassi e pensiero» (lo pratico e lo
speculative) che sia insieme «una azione a cui è immanente una ‘dottrina’
condivisa.’”Essendo insoddisfatto di fronte alla realtà, in Gentile troviamo il
primato del futuro, l’utopia, l’ideale regolativo. Ma, allo stesso tempo, un
recupero della concezione romantica illuminsita di una Ragione intesa come
Spirito universale che tutto pervade, avversa al materialismo e alla ragione
meramente strumentale mezzo-fine. In questo, l’analogia con Grice e obvia. Per
Gentile, ad esempio, il «modo generale di concepire la vita» proprio della sua
dottrina è di tipo «spiritualistico». La dottrina non è la sola qualificazione
politica che dà dello speculative.Gentile infatti e un ‘liberale’ -- nonostante
sembri respingere quasi in toto il ‘liberalismo ottocentesco’ ne La dottrina del
regime.Difatti la sua concezione politica riprende la concezione di Hege di un
stato etico o morale -- per cui ‘libero’ (free) non è primariamente l'individuo
o persona atomisticamente e materialisticamente inteso, ma soltanto lo stato stesso
nel suo processo storico. Un individuo e ‘libero’ se esplica la sua moralità nella
forma istituzionale di suo stato libero -- come chiarisce nella 'Enciclopedia
italiana. L'individuo esprime la sua libertà individuale personale solo
all'interno di un stato libero ("libertà nella legge" – lo giuridico
-- ), con ciò a dire in un contesto istituzionale organizzato (positivismo
kelseniano). Un esempio di questa concezione lo si può trovare nella destra
storica, la quale governa l'Unità d'Italia.Impone un governo autoritario (concezione
ereditata poi dalla sinistra storica di Crispi) che riusce a moderare
l'individualità dei singoli, quella che Gentile definisce come la spinta alla
disgregazione.Questo modello di governo forte è giusto (lo giuridico) in quanto,
per definizione, un stato libero e un stato etico, definito alla Mazzini come
"stato educatore". Se Gentile voglia uno stato totalitario vero e
proprio è questione invece incerta.Di certo nella sua fase prettamente del
regime, Gentile fa riferimento a un ‘stato totale", l'organismo che
accoglie tutto in sé.Con il regime si può avere vero "liberalismo" in
quanto riporta al valore primigenio del Risorgimento. Gentile dimostra un forte
approccio storicistico, secondo il quale il regime trade la sua legittimazione
dalla storia, sarebbe appunto una vera fase storica, non una mera mistica o
dottrina o ideologia. Il Risorgimento non e olo un'operazione politica, ma un
"atto di fede".Il campione di suddetto atto di fede e Mazzini:
anti-illuminista e romantico, anti-francese, spiritualista e nemico dei
principi materialistici. Lo stato giolittiano rappresenta invece un tradimento
dei valori risorgimentali.Per rompere questo “status quo” degenerativo del
processo italiano e necessario una rivoluzione. Porta un nuovo assetto, ma
anche statale, perché va a colmare una lacuna che vige nel sistema del stato. Insiste
molto sulla novità di questa rivoluzione. è un modo nuovo di concepire una nazione,
ha una consapevolezza mistica di ciò che sta compiendo. Un duce viene perciò
dipinto come un vero eroe idealistico. La missione della rivoluzione è quella
di creare l'Uomo nuovo: un uomo di fede, spirituale, anti-materialista, volto a
grandi imprese. Questo nuovo tipo di uomo e anti-tetico al carattere che Giolitti
tentò di imprimere a una nazione e che connota l'Italia come una nazione scettica,
mediocre e furbastra. In quanto ideologo, Gentile sostiene che la dottrina revoluzionaria
si deve istituzionalizzare: ciò avverrà nei fatti attraverso l'istituzione del
Gran Consiglio. La dottrina si deve inoltre far assorbire dall'italianità (e
non il contrario). Il fine è che nella società italiana non vi siano più
contra-dizioni, nessuna differenza tra cultura italiana e cultura della
dottrina. Bisogna arrivare ad una comunità omogenea e compatta anche in ambito
lavorativo. Attraverso l'istituzione
della cooperative e la corporazione, la
quale deve sanare la frattura sindacati-datori di lavoro tramite la
collaborazione o cooperazione di classe. Anche qua Gentile riprende le teorie di
Mazzini, oltre che il distributismo. Il corporativismo (di cui le estreme
realizzazioni saranno la democrazia organica e la “socializzazione” dell'economia,
progettate nella R. S. I.) permette di giungere ad uno stato di fatto in cui i
problemi economici si risolveranno all'interno della corporazione stessa, senza
provocare fratture all'interno della società, ed evitando una lotta di classe
(classe bassa, casse media, classe alta) grazie alla “terza via” della
dottrina. Gentile sostenne, opponendosi all'ala estrema e intransigente l'idea
una riconciliazione, la più ampia possibile, di tutti gli italiani.Pur
riconoscendosi nella R. S. I., invita pubblicamente il “popolo sano” ad
ascoltare “la voce della Patria”, esortandolo alla pacificazione e ad evitare
una “lotta fratricida", di cui comunque non vedrà la fine. Il gentilismo
fu una delle cinque correnti culturali del regime, assieme alla sinistra "rivoluzionario"
di Malaparte, Maccari, Bottai, e Marinetti; la dottrina clericale; la mistica
di Giani, Arnaldo, e Mussolini; e il neo-ghibellinismo pagano di Evola. Per
l'idealista Gentile, a differenza di Croce, che ritene il Marxismo solo
"passione politica", causata da uno sdegno morale a causa delle
ingiustizie sociali, il marxismo è una filosofia della storia derivata da
Hegel. Gentile afferma infatti che la concezione materialistica della storia è
costruita da Marx sostituendo la Materia -- la struttura economica -- allo
Spirito. Per Hegel lo Spirito è l'essenza di tutta la realtà, che comprende la
materia (all'interno della Filosofia della natura), come momento del suo
sviluppo.Secondo Marx invece, avendo scambiato il relativo con l'assoluto, si
finisce con l'attribuire a un mero momento (la materia, cioè, il fatto
economico) la funzione dell'Assoluto che per Hegel si sviluppa dialetticamente
ed è determinato a priori rendendo così determinato a priori l'empirico: la
struttura economica. Nonostante che la filosofia della storia marxiana sia
pertanto una errata filosofia della storia hegeliana "rovesciata",
però la filosofia di Marx possiede ugualmente un pregio: è una "filosofia
della prassi". Nelle Tesi su Feuerbach, che Gentile cura, il
"Moro" infatti critica il materialismo volgare.Questo concepisce
metafisicamente l'oggetto come dato e il soggetto come mero ricettore
dell'essenza-oggetto. Nonostante ciò, secondo Gentile, Marx, attribuisce alla “prassi”,
considerata come attività sensibile umana, la funzione di far derivare a torto
il pensiero medesimo.I filosofo di Treviri infatti considera il pensiero una
forma derivata dell'attività sensitiva e non un atto che ponga l'oggetto. Gentile
sostiene invece (contro Marx e il Marxismo) come sia l'atto del pensiero,come
atto puro a porre l'oggetto, e quindi, in ultima istanza, a crearlo.Gentile
riflette a lungo sulla funzione pedagogica e unisce la pedagogia con la
filosofia, avviando una rifondazione in senso idealistico della prima,
negandone i nessi con la psicologia e con l'etica. L'educazione deve essere
intesa come un attuarsi, uno svolgersi dello spirito stesso che realizza così
la propria autonomia. L'insegnamento è spirito in atto, di cui non si possono
fissare le fasi o prescrivere il metodo.Il metodo è il maestro o tutore, il
quale non deve attenersi ad alcuna didattica programmata ma affrontare questo
compito sulla scorta delle proprie risorse interiori. Programmare la didattica
sarebbe come cristallizzare il fuoco creatore e diveniente dello spirito che è
alla base dell'educazione. Al maestro o tutore è richiesta una vasta cultura e
null'altro.Il metodo verrà da sé, perché il metodo risiede nella Cultura stessa
che si forma continuamente da sé nel suo processo infinito di creazione e
ri-creazione.Il dualismo scolaro-maestro (tutore/tutee) deve risolversi in
unità – il dialogo socratico -- attraverso la comune partecipazione alla vita
dello spirito che tramite la cultura muove l'educatore (tutore) verso
l'educando (tutee – Gentile qui usa una forma romana, ‘educando’ – cfr.
‘implicandum’ -- e lo riassorbe nell'universalità dell'atto spirituale. «Il
maestro è il sacerdote, l'interprete, il ministro dell'essere divino, dello
spirito». Il maestro incarna lo spirito stesso, l'allievo (l’educando, il
tutee, lo scolareo) deve allora entrare in sintonia nell'ascolto col maestro,
proprio per partecipare anche lui dell'attuarsi dello spirito, per farsi libero
ed autonomo, e in questa relazione arriva ad auto-educarsi (auto-diddatica),
facendo del tutto propri i grandi contenuti presentati.Questi concetti ispirano
la riforma scolastica attuata da Gentile in veste di ministro della Pubblica
istruzione, anche se solo una parte furono applicati secondo i suoi desideri.
Altri principi della filosofia di Gentile presenti nella riforma scolastica
sono in particolare la concezione della scuola come membro fondamentale dello stato
(viene infatti istituito un esame di stato che sancisce la fine di ogni ciclo
scolastico, anche se gli studi sono effettuati in un istituto privato) e il
predominio delle discipline del gruppo umanistico-filologico.Gentile fu
ministro della pubblica istruzione e mise in atto la sua riforma scolastica, e
definita da Mussolini "la più riformante delle riforme", in
sostituzione della vecchia legge Casati. Essa era fortemente meritocratica e
censitaria; dal punto di vista strutturale Gentile individua l'organizzazione
della scuola secondo un ordinamento gerarchico e centralistico. Una scuola di
tipo piramidale, cioè pensata e dedicata ai migliori e rigidamente suddivisa a
livello secondario in un ramo classico-umanistico per i dirigenti e in un ramo ‘professionale’
per il popolo. I gradi più elevati erano riservati agli alunni più meritevoli,
o comunque a quelli appartenenti ai ceti più abbienti. Furono istituite borse
di studio perché gli studenti dotati di famiglia povera potessero proseguire
gli studi (cf. Grice, a “Midlands scholarship boy bound to Corpus!”). La logica
e messa in secondo piano, poiché e una materia priva di valore universale, che ha la sua importanza
solo a livello ‘professionale’.Difatti Giovanni Gentile, a differenza di Croce
che sosteneva l'assoluta preponderanza sociale delle materie classiche sulla
scienza, pur criticando gli eccessi del positivismo e considerando anch'egli le
materie letterarie come superiori, intrattenne anche rapporti, improntati al
dialogo, con matematici e fisici italiani (come Majorana, collaboratore di
Enrico Fermi nel gruppo dei "ragazzi di via Panisperna", che divenne
anche amico del figlio Giovanni Gentile jr., coetaneo del Majorana) e cercò di
instaurare un confronto costruttivo con il scientism.L'”obbligo” scolastico fu
innalzato a 14 anni e fu istituita la scuola elementare da sei ai dieci anni.
L'allievo che termina la scuola elementare ha la possibilità di scegliere tra
il ginnasio/liceo classico e la scuola scientifica oppure un istituto tecnico.Solo
il ginnasio-liceo permette l'accesso alla faculta di filosofia nella universita
di Bologna.In questo modo però viene mantenuta una profonda divisione tra classi
– l’elite, la classe alta, la classe media, e la classe basssa (questo vincolo
fu rimosso completamente). Ciò anda incontro alla visione patriarcale del Duce.Anche
Gentile nel complesso mostrò posizioni poco ricettive verso il femminismo
("il femminismo è morto" dirà), sebbene più sfumate, sostenendo che i
licei dovessero formare i "futuri capi" guerrieri.Nel triennio
dell'istruzione classica viene poi introdotta, in sostituzione, la filosofia,
adatta alla elite o classe dominanti e alla futura classe dirigente, ma non al
popolo minuto. Gentile è un filosofo della secolarizzazione e della risoluzione
della trascendenza in prassi in ciò accomunato a Marx -, determinante
addirittura per lo stesso comunismo italiano attraverso la ripresa che ne fece Gramsci.
Da sottolineare che già sulla rivista L'Ordine Nuovo, Gobetti nota sche Gentile
«format la cultura filosofica italiana.”. Di tutt'altro avviso Sasso, secondo
il quale a dover essere rivalutata non è affatto la disastrosa prassi politica
di Gentile, la cui «passionale» adesione alla dottrina «fu filosofica, forse, a
parole ma nelle cose no». Ciò che merita ancora di essere studiato, sostiene
Sasso, è invece «la filosofia dell'atto in atto», e tra essa «e la dottrina non
c'è, né ci può essere, alcun nesso». La filosofia di Gentile e la «fascistizzazione
dell'attualismo» e pertanto una «deformazione dell'idealismo”. Al di là della
sua appartenenza politica, si attribuisce comunque a Gentile un notevole spessore
filosofico. Gentile fu fascista e pagò con la vita la sua fedeltà alla dottrina.
Ma fu anche profondo pensatore. Lo riconobbero, nel primo dopoguerra, persino
Gramsci e Togliatti. Per approfondire gli studi sull'opera di Gentile e create
l' “Istituto di studi gentiliani” e la "Fondazione Giovanni Gentile"
a Roma. La filosofia gentiliana è stimata anche dal Severino, che ravvisandovi
una condivisione del sostrato filosofico tecno-scientifico del nostro tempo la
considera uno dei tratti più decisivi della cultura mondiale. Gentile e
certamente un romantico, forse l'ultima più vigorosa figura del Romanticismo
europeo.Gli venne dedicato un francobollo delle Poste italiane, unico tra le
personalità di primo piano del regime ad avere questa celebrazione da parte
della Repubblica Italiana. L'assassinio di Gentile fu una carognata
ingiusta e vigliacca. Gentile non era fascista. Che gli antifascisti furono dei
acasotto perché uccisero un grande e inerme filosofo mentre non ebbero il
coraggio di sminare i ponti di Firenze che i tedeschi avevano minato.Cavaliere
di gran croce insignito del gran cordone dell'ordine dei Santi Maurizio e
Lazzaronastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce insignito del
gran cordone dell'ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Cavaliere di gran croce
insignito del gran cordone dell'ordine della Corona d'Italianastrino per
uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce insignito del gran cordone
dell'ordine della Corona d'Italia, Cavaliere di II classe dell'Ordine
dell'Aquila Tedesca (Germania nazista)nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere
di II classe dell'Ordine dell'Aquila Tedesca (Germania). “L'atto del pensare
come atto puro; La riforma della dialettica hegeliana” (Firenze, Sansoni); La
filosofia della guerra; Teoria generale dello spirito come atto puro, Firenze,
Sansoni); I fondamenti della filosofia del diritto; “Sistema di logica come teoria
del conoscere; Guerra e fede (raccolta di articoli scritti durante la guerra)
Dopo la vittoria (raccolta di articoli scritti durante la guerra) Discorsi di
religione; Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia; Frammenti di
storia della filosofia”; “La filosofia dell'arte”; “Introduzione alla
filosofia”; “Genesi e struttura della società” “L'attualismo V. Cicero e con introduzione
di E. Severino, Bompiani, Milano Di
carattere storiografico Delle commedie di Antonfrancesco Grazzini detto il
Lasca”; “Rosmini e Gioberti”; “Marx”; “Dal Genovesi al Galluppi”; “Telesio;
“Studi vichiani” “Le origini della filosofia contemporanea in Italia”; “Il
tramonto della cultura siciliana; Giordano Bruno e il pensiero del
Rinascimento; Frammenti di estetica e letteratura; La cultura piemontese; Gino
Capponi e la cultura toscana del secolo XIX; Studi sul Rinascimento; I profeti
del Risorgimento italiano: Mazzini e Gioberti; Bertrando Spaventa; Manzoni e
Leopardi; Economia ed etica; Giovanni Gentile un filosofo scomodo; L'insegnamento
della filosofia nei licei; Scuola e filosofia; Sommario di pedagogia come scienza
filosofica” “I problemi della scolastica e il pensiero italiano; Il problema scolastico
del dopoguerra; La riforma dell'educazione, Bari, Laterza); Educazione e scuola
laica; La nuova scuola media; La riforma della scuola in Italia; “Manifesto
degli intellettuali”; Che cos'è la cultura? Origini e dottrina”; “La mia
religione”; “Discorso agli Italiani”; “Essenza” la prima parte si trova nella
Civiltà Fascista, Torino U.T.E.T.: la prima e la seconda si trovano in
l’Essenza del Fascismo, Libreria del Littorio, Roma; un'altra opera in cui si
trova questo testo è in Origini e dottrina del fascismo, istituto nazionale
fascista di cultura, Roma; altro testo in cui si trova si intitola Lo stato
etico corporativo). La filosofia del fascismo (Origini e dottrina del fascismo;
si trova in Politica e Cultura, oppure lo si può trovare le libro intitolato
L’Identità” un altro libro in cui si trova si chiama, Italia d’oggi, edizioni
de Il libro italiano del mondo, Roma); Che cosa è il fascismo-discorsi e
polemiche (Firenze, Vallecchi). Fascismo al governo della scuola; Giovanni
Gentile Scritti per il Corriere. Note Vi
è chi attribuisce al neoidealismo di Gentile e Croce il motivo che avrebbe
posto l'istruzione scientifica in un ruolo subordinato rispetto a quella filosofico
letteraria (L'Italia della scienza negata, in Il Sole; altri invece respingono
questa interpretazione, ricordando che durante l'egemonia gentiliana nacquero
numerosi enti scientifici (Croce e Gentile amici della scienza, in Corriere
della Sera. 10 giugno.). Cit. di Geno
Pampaloni tratta da Nicola Abbagnano, Ricordi di un filosofo, Marcello
Staglieno, Milano, Rizzoli. Manifesto cit. in Eugenio Di Rienzo, Storia
d'Italia e identità nazionale. Dalla Grande Guerra alla Repubblica, Firenze, Le
Lettere, Cfr. Vito de Luca, Un consigliere comunale di nome Giovanni Gentile.
Attività amministrativa a Roma e linguaggio politico, "Nuova Storia
contemporanea", Dello stesso autore,cfr. "Giovanni Gentile. Al di là
di destra e sinistra. Il linguaggio politico del filosofo, dell'assessore e del
ministro", Chieti, Solfanelli,,Scheda senatore GENTILE Giovanni
Paolo Simoncelli41. Amedeo Benedetti, "L'Enciclopedia Italiana
Treccani e la sua biblioteca", Biblioteche Oggi, Milano, Testo qui Ripubblicato nel 1991 come Giordano Bruno e
il pensiero del Rinascimento, ed. Le Lettere, collana La nuova meridiana. S.
saggi cult. cont. Giordano Bruno. LE
VICENDE DELLA STATUA «De Vecchi, Cesare
Maria», Treccani Paolo Simoncelli207.
La scelta di campo, Marco Bertoncini, Giovanni Gentile, la razza e le
bufale, l'Opinione, 30 marzo Paolo
Mieli, Gentile criticò in pubblico l'antisemitismo del regime. Uno sforzo
vano Paolo Simoncelli43. Paolo Simoncelli40. Paolo Simoncelli34. Francesco Perfetti, Assassinio di un
filosofo; "Giovanni Gentile" di Gabriele Turi; Giovanni Gentile in
“Il Contributo italiano alla storia del PensieroFilosofia”Treccani Francesco Perfetti, Assassinio di un
filosofo23. Francesco Perfetti,
Assassinio di un filosofo24. Francesco Perfetti, Assassinio di un
filosofo, Luciano Canfora, La sentenza. Concetto Marchesi e Giovanni Gentile,
Palermo, Sellerio, Francesco Perfetti, Assassinio di un filosofo26. Vittorio Vettori, Giovanni Gentile, Editrice
Italiana, Roma, Simonetta Fiori, dirigere la casa editrice Sansoni esecondo la
testimonianza dell'ex interermania.html Io, italiano prigioniero in Germania,
in La Repubblica, Antonio Carioti, Quando Gentile s'inchinò a Hitler per
salvare il figlio, in Corriere della Sera, Renzo Baschera, "Chiese la
grazia per molti partigiani ma non riuscì a salvarsi", "Historia",
Raffaello Uboldi, Vigliacchi perché li uccidete?, Storia Illustrata; Arnoldo
Mondadori Editore, Milano56: "Gentile, sdegnato, ha minacciato di
denunciarlo a Mussolini" Elio Chianesi,
La Benvenuti non volle mai raccontare i precisi particolari, dal suo punto di
vista: «Questa è una cosa che non dirò mai. Perché potrei fare rovesciare tutte
le cose. Perché non è come è stato detto. Come è andata l’azione dei Gap io non
lo voglio dire. Me l’hanno chiesto in tanti ma non l’ho rivelato mai a
nessuno». Vedi un intervento della Benvenuti anche in M. C. Carratù (). Paolo Paoletti, "Il Delitto
Gentile" esecutori e mandanti, Ed. Le Lettere, L'omicidio raccontato da
Giuseppe Martini "Paolo" uno dei due esecutori
materiali"...Sicuramente (Fanciullacci l'altro esecutore) gli chiese se
era il professore e subito dopo gli sparammo insieme dalla stessa parte, non
attraverso i due finestrini posteriori..."
Resistenza: "Angela", la ragazza col fiore rosso Antonio Carioti, Sanguinetti venne a dirmi
che Gentile doveva morire, in Corriere della Sera, «Per fare in modo che i gappisti incaricati
dell'agguato potessero riconoscerlo, alcuni giorni prima li accompagnai presso
l'Accademia d'Italia della Rsi, che lui dirigeva. Mentre usciva lo indicai ai
partigiani, poi lui mi scorse e mi salutò. Provai un terribile imbarazzo.»
(Teresa Mattei) Luciano Canfora,
"Giovanni Gentile nella RSI" in La Repubblica Sociale Italiana Poggio,
Annali della Fondazione Luigi Micheletti, Brescia, Antonio Carioti, Sanguinetti
venne a dirmi che Gentile doveva morire, sul Corriere della Sera,: "L'omicidio
di Gentile, anziano e inerme, suscitò una forte impressione e fu disapprovato
dal CLN toscano, con l'astensione dei comunisti. Tristano Codignola, esponente
del Partito d'Azione, scrisse un articolo per dissociarsi." Maria Cristina Carratù, E dopo 70 anni nuovi
scenari dietro l'esecuzione di Giovanni Gentile, La Repubblica, 24 aprile Renzo Baschera, "Chiese la grazia per
molti partigiani ma non riuscì a salvarsi", articolo su "Historia",
Ecco le carte che assolvono l'archeologo
Romano302. Gabriele Turi, "Giovanni
Gentile" Così Gaetano Gentile ricordò il suo intervento presso la
prefettura: «Quella sera stessa, per desiderio di mia Madre, io mi recai dal
capo della Provincia e gli parlai della voce [di rappresaglie] diffusasi in
città, esprimendogli la ferma e calda preghiera di mia Madre che quel
proposito, se effettivamente esisteva, venisse abbandonato e anzi gli arrestati
rilasciati. Dissi anche, naturalmente, come a me sembrasse in fondo superfluo
dover esprimere tale preghiera proprio in quella stanza in cui ancora quella
mattina la voce di mio Padre si era levata a deplorare la tragica inutilità di
un metodo, dal quale non poteva seguire che il ripetersi indefinito di una
crudele successione di attentati e rappresaglie. Era ovvio poi che,
indipendentemente dalla eventuale giustificazione politica o militare di atti
simili, nulla del genere poteva aver luogo in occasione della morte di mio
Padre, alla quale si doveva da parte del Governo e delle autorità fiorentine
questo gesto di rispetto delle sue convinzioni e del suo costante
atteggiamento». Firenze: due
consiglieri, via tomba Giovanni Gentile da Santa Croce, su liberoquotidiano. 15
novembre 16 novembre ). «Attualismo», Enciclopedia Treccani
Diego Fusaro, Giovanni Gentile Sull'importanza
della riforma della dialettica idealista di matrice hegeliana in Gentile, si
veda quest'intervista a Gennaro Sasso. L'intervista è compresa
nell'Enciclopedia Multimediale delle Scienza Filosofiche. Bruno Minozzi, Saggio di una teoria
dell'essere come presenza pura, Il Mulino, Gentile quindi contestava a Fichte
la trascendenza dell'Io assoluto rispetto al non-io, e di restare così in un
dualismo,che non viene mai superato dall'attualità del pensiero, ma solo da un
agire pratico dilatato all'infinito ("cattivo infinito"), fermo alla
contrapposizione fra teoria e prassi, per la quale Fichte «s'irretisce in un
idealismo soggettivo in cui invano l'Io si sforza di uscire da sé» (Discorsi di
religione, Firenze, Sansoni). Giovanni Gentile, Benito Mussolini, La
dottrina del fascismo. Nicola Abbagnano,
Ricordi di un filosofo, Marcello Staglieno, Nella Napoli nobilissima, Milano,
Rizzoli, Vito de Luca, Giovanni Gentile e il liberalismo, Mussolini, Gioacchino
Volpe, Giovanni Gentile, Fascismo, Enciclopedia Italiana. Augusto Del
Noce, L'idea del Risorgimento come categoria filosofica in Giovanni Gentile, in
"Giornale Critico della Filosofia Italiana", G. Belardelli, Il
fascismo e Giuseppe Mazzini Giovanni Gentile, Manifesto degli
intellettuali fascisti Giovanni Gentile,
"Ricostruire" in Corriere della Sera, Cfr. Libertà e liberalismo
("Conferenza tenuta all'Università di
Bologna"), in Scritti Politici, tratti da Politica e Cultura H.A.
Cavallera, Firenze, Le Lettere, Il pensiero pedagogico di Giovanni Gentile
La riforma Gentile, su pbmstoria. Si veda anche ne Il fascismo al governo della
scuola, in Annali, Milano, Istituto Giangiacomo Feltrinelli, «[Boffi:] Qual è il criterio su cui si è
fondata Vostra Eccellenza nella limitazione delle iscrizioni? — Gentile: Questa
limitazione non c'è nella scuola complementare come non ci sarà nella scuola
d'arte e nelle scuole professionali; essa è propria delle scuole di cultura e
risponde alla necessità di mantenere alto il livello di dette scuole
chiudendole ai deboli e agli incapaci; dipende anche dalla riduzione del numero
degli scolari nelle singole classi fatta per evidenti ragioni didattiche,
quelle stesse che hanno consigliato l'abolizione delle classi aggiunte; ma
soprattutto dalla necessità di consigliare agli italiani un diverso indirizzo
nella loro attività. Noi abbiamo troppi ed inutili, quando non son
valenti, professionisti, ed abbiamo invece molto bisogno di industriali, di
commercianti, di artieri, di minuti professionisti, che portino nella esplicazione
delle loro arti e dei loro mestieri quello spirito fine della Nazione che
finora li ha spinti a disertare le scuole industriali, commerciali e
professionali per seguire la scuola umanistica.» (R.Sandron, Il fascismo
al governo della scuola, iscorsi e interviste, Ferruccio E. Boffi, Giuseppe
Spadafora, Giovanni Gentile: la pedagogia, la scuola: atti del Convegno di
pedagogia e altri studi, Armando Editore, 1997261. Enrico Galavotti, La filosofia italiana e il
neoidealismo di Croce e Gentile, Homolaicus.
Il mistero di Ettore Majorana Eleonora Guglielman, Dalla scuola
per signorine alla scuola delle padrone: il Liceo femminile della riforma
Gentile e i suoi precedenti storici, in Da un secolo all'altro. Contributi per
una "storia dell'insegnamento della storia" (M. Guspini), Roma,
Anicia, Una parte del lavoro è stata in precedenza pubblicata, con alcune
varianti, sulla rivista "Scuola e Città" con il titolo Il liceo
femminile Manacorda D'Amico, Katia Romagnoli, Donne, la Resistenza
"taciuta". L'esclusione delle donne nella società fascista G. Gentile, La donna nella coscienza moderna,
in La donna e il fanciullo. Due conferenze, Firenze, Sansoni, De Grazia, Le
donne nel regime fascista, G.
Ricuperati, La scuola italiana e il fascismo, Bologna, Consorzio Provinciale
Pubblica Lettura, De Grazia, Le donne nel regime Giovanni Gentile, La riforma
della scuola in Italia, Milano citata in: Manacorda Le omissioni, qui tra
parentesi tonde, sono nel testo di Manacorda. Noce, Gentile. Per una
interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, il Mulino, Giovanni Bedeschi, Il ritorno del maestro, sta
in Il Sole 24 ore Domenica, 1Gennaro Sasso, Le due Italie di Giovanni Gentile,
Bologna, il Mulino, Martin Beckstein,
Giovanni Gentile und die 'Faschistisierung' des Aktualismus. Zur Deformation
einer idealistischen Philosophie, in «Acta Universitatis Reginaehradecensis, Humanistica
I» Filosofia: A Firenze Convegno Studi Gentiliani Fondazione Gentile | Dipartimento di
Filosofia | SapienzaRoma Liberiamo la filosofia di Giovanni Gentile dalla
faziosità del '900 Emanuele Severino:
Ecco perché la giovane Italia sta andando in malora, da Il Fatto
Quotidiano È Gentile il profeta del la
civiltà tecnica. «I nemici di Giovanni
Gentile», puntata de Il tempo e la storia, documentario Rai Emanuele Severino, dalla quarta di copertina
de L'attualismo, Milano, Giunti, Nicola
Abbagnano, Ricordi di un filosofo, Nella Napoli nobilissima, Milano, Rizzoli,
"La partigiana Fallaci fa a pezzi l'antifascismo", pubblicato da Il
Giornale. Monografie principali Armando Carlini, Studi gentiliani, VIII di Giovanni Gentile, la vita e il
pensiero a cura della Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi filosofici,
Firenze, Sansoni, Aldo Lo Schiavo, Introduzione a Gentile, Bari, Laterza, Sergio
Romano, Giovanni Gentile. La filosofia al potere, Milano, Bompiani, Luciano
Canfora, La sentenza. Concetto Marchesi e Giovanni Gentile, Palermo, Sellerio,Augusto
del Noce, Giovanni Gentile. Per una interpretazione transpolitica della storia
contemporanea, Bologna, Il Mulino, Hervé A. Cavallera, Immagine e costruzione
del reale nel pensiero di Giovanni Gentile, Roma, Fondazione Ugo Spirito, Gennaro
Sasso, Filosofia e idealismo. IIGiovanni Gentile, Napoli, Bibliopolis, Hervé A.
Cavallera, Riflessione e azione formativa: l'attualismo di Giovanni Gentile,
Roma, Fondazione Ugo Spirito, Giorgio Brianese, Invito al pensiero di Gentile,
Milano, Mursia, Gennaro Sasso, Le due Italie di Giovanni Gentile, Bologna, il
Mulino, 1998 Gennaro Sasso, La potenza e l'atto. Due saggi su Giovanni Gentile,
Firenze, La Nuova Italia, 1998 Hervé a. Cavallera, Giovanni Gentile. L’essere e
il divenire, SEAM, Roma, Paolo Mieli, Una rilettura liberale di Giovanni
Gentile, da "Le storie, la storia", Milano, Rizzoli, Daniela Coli, Giovanni Gentile, il Mulino, Sergio
Romano, Giovanni Gentile, un filosofo al potere negli anni del regime, Milano,
Rizzoli, Francesco Perfetti, Assassinio di un filosofo. Anatomia di un omicidio
politico, Firenze, Le Lettere, Gabriele Turi, Giovanni Gentile. Una biografia,
Torino, POMBA, Hervé A. Cavallera, Ethos, Eros e Tanathos in Giovanni Gentile,
Pensa Multimedia, Lecce, Hervé A. Cavallera, L’immagine del fascismo in
Giovanni Gentile, Pensa MultiMedia, Lecce, Marcello Mustè, La filosofia
dell'idealismo italiano, Roma, Carocci, Alessandra Tarquini, Il Gentile dei
fascisti. Gentiliani e antigentiliani nel regime fascista, Bologna, il Mulino,
2009 Davide Spanio, Gentile, Roma, Carocci,. Paolo Bettineschi, Critica della
prassi assoluta. Analisi dell'idealismo gentiliano, Napoli, Orthotes,. Paolo
Simoncelli, "Non credo neanch'io alla razza". Gentile e i colleghi
ebrei, Firenze, Le Lettere,. Luciano Mecacci, La Ghirlanda fiorentina e la
morte di Giovanni Gentile, Milano, Adelphi,
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morte di Giovanni Gentile. A proposito di un recente volume, in Nuova Rivista
Storica, Carmelo Vigna, Studi gentiliani, Orthotes, Napoli-Salerno. Valentina Gaspardo,
Giovanni Gentile e la sfida liberale, AM Edizioni, Vigonza (PD). Altri
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ou l'interminable traduction d'une politique de la pensée, Paris, Lignes, Michel
Surya, Les Extrême-droites en France et en Europe Charles Alunni, Ansichten auf
Italien oder der umstrittene Historismus, in Streuung und Bindung über Orte und
Sprachen der Philosophie, Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek, 1987 Charles Alunni, Heidegger, la piste italienne,
Paris, in Libération, (en collaboration avec Catherine Paoletti pour
l'interview de Ernesto Grassi), Charles Alunni, Giovanni GentileMartin
Heidegger. Note sur un point de (non) ‘traduction’, Paris, Cahier nº 6 du
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Gentile, Ernesto Grassi & Bertrando Spaventa, Paris, Dictionnaire des
Auteurs Laffont-Bompiani, Robert Laffont Charles Alunni, Attualità, attuosità
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reazione dialettica: filosofia del postcomunismo, Roma, Gruppo parlamentare
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Firenze, Nicola D'Amico, Un libro per Eva. Il difficile cammino dell'istruzione
della donna in Italia: la storia, le protagoniste, Milano, Franco Angeli, Vito
de Luca, Un consigliere comunale di nome Giovanni Gentile. Attività
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Contemporanea", Vito de Luca, "Giovanni Gentile. Al di là di destra e
sinistra. Il linguaggio politico del filosofo, dell'assessore e del ministro",
Chieti, Solfanelli,. Antonio Fede, tra attualità e attualismo, Pagine
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anticipatrice di istanze postmoderne?, Dialegesthai. Rivista telematica di
filosofia, Mario Alighiero Manacorda, Storia dell'educazione, Roma, Newton
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Giovanni Pesce, La fenomenologia della coscienza in Giovanni Gentile, in
Quaderni Leif, Antonio Giovanni Pesce, L'interiorità intersoggettiva
dell'attualismo. Il personalismo di Giovanni Gentile, Roma, Aracne,. Antonio
Giovanni Pesce, La filosofia della nuova Italia. Il progetto etico-politico del
giovane Gentile, Viagrande, Algra,. Vincenzo Pirro, Regnum hominisl'umanesimo
di Giovanni Gentile, Roma, Nuova Cultura,
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Politica in Giovanni Gentile, Roma, Aracne,. Rossana Adele Rossi, La presenza e
l'ombra. La pedagogia del giovane Gentile, Roma, Anicia, Giovanni Rota,
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Giovanni Gentile. Un italiano nelle intemperie, Solfanelli, Michele Tringali, L'attualismo è sempre
attuale. Saggio su Giovanni Gentile nel 130° della nascita, Vittorio Vettori,
Giovanni Gentile, Roma, Editrice Italiana, Marcello Veneziani, Giovanni
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intellettuali fascisti Riforma Gentile Uccisione di Giovanni Gentile Ugo
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Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Gentile, in Dizionario di storia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Giovanni Gentile, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
Giovanni Gentile, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni
Gentile, su accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca. H Questa
soluzione della trascendenza è cara, s'intende, ai :filosofi che per la loro
indole amano starsene alla fine stra a godere dello spettacolo che essi
contemplano, ma di cui non hanno la responsabilità (né merito, né demerito).
Nella strada la gente ignara soffre, combatte, muore; alla .lìnestra il
filosofo (che come tale deve essere puro pensiero) imperturbato, spiega, si
rende conto e si frega le mani. Il vecchio ideale di Lucrezio, che è alla base
della eterna leggenda del filosofo che si libera delle passioni e rinunzia
all'azione per chiudersi nel pensiero: Suave, mari magno turbantibus aequora
ventis e terra magnum alterius spectare laborem; non quia vexari qucmquam'st
iucunda voluptas sed quibus ipse malis careas quia cernere suave'st: suavc ctiam
belli certamiua magna tueri per campos instrncta tua sine parte perieli: sed
nil dulcius est, bene quam munita tenere edita doctrina sapienlum tempia
serena, despicere unde queas alios passimque videre errare atque viam palantis
quaerere vita.e, certarc ingenio, contendere nobilitate, noctes atque dies niti
praestante labore ad summas emergere opes rerumqne potiri. O miseras hominum
mentes, o pectora caeca I T.ucR. Il, 1-14.L'etica come legge . . p. 9 1.
Disciplina. - 2. Positivismo ed empirismo. - 3. Legge. - 4. Prammatismo. - 5.
Prassi e teoria. - 6. Oggetto del volere. - 7. Volontà- autoctisi. - 8.
Praticità del conoscere. - 9. Unità cli teorico e pratico. - 1a."L·atto.
JJ}-L'individuo ............... p.II i) Senso realistico e senso idealistico
della individualità. - 'i; Individuo e società. - _J) Comunità immanente ali'
individuo come sua legge. - ,f.) La comunità ideale e la gloria. - �; Vox
populi. - 6:)La concretez1.a dell'individuo. - Ì} La conquista dei valori. - 8)
li processo d<>IJa individualità. - g. La parti colarità dell'individuo
nello spazio e nel tempo. III.-Ilcarattere. . . . . . . . p. 25 1. Velleità,
volere, carattere. - 2. 11 carattere attraverso la condotta emJ?irica. - 3.
Critica del concetto della molteplicità degli atti o l'unità del volere. - 4.
Presente ed estemporaneo nel carattere. - 5. Trascendentalità del carattere. -
6) Il coraggio civile. - i> La socialità origmaria. \r:v1-Società
trascendentale o società in interiore homine. . . . . . . . . . . . . . . .!'
Alte" e socius. - Dalla cosa al socio. - 5. Il dialogo intemo, o
trascendentale. - G'. Il momento dell'alteriEà. - 7. La dialettica pratica. -
8. La crisi dell'Universo. sare più al clovere che ai doveri - 0. Il bene e il
male Avvertenza V. - La categoria etica e l'esperienza. . 'z. Dialettica
dell'Io. - 3. li nulla. - 4. p. H 1. Unicità della categoria logica. 2. La
legge dell'uomo: Pett.sa/ 3. Intendere e amare. - .4., Intendere pratico. - 5.
La categoria etica. - 6. li senso morale e la sua inattualità. - 7. Dovere e doveri.
- 8. Errore di metodo nell'etica. -'..i Necessità cli pen --,_ p. 33
190 INDICE VI. - Lo Stafo. p. 57 1. Concetto dello Stato. - 2. Nazione e
Stato. - .3. Diritto. - 4. Governo e governati. - !1· Autorità e libertà, -f Il
liberalismo. - 7. Etica e politica. 8. Stato etico. - 9. Moralismo, VII1 -
Stato ed econoraia . . . . . . . . . . . . p. 71 t. Economicità dell'uomo e
quincù dello Stato. - 2. Umanità dell'operare economico. - 3. Operare
utilitario o utile? - 4. Umano e subumano. - 5. Il corpo e l'anima. - 6.
Naturalità dell'utile. - 7. Le scienze della logica dell'astratto. -8. Lo
schema del naturalismo nella logica dell'astratto. - q. La forma mate matica
dell'economia. - ro. [L'utilitarismo. - n. L'edonismo. - 12. Moralità ed
eudemonia.-13. Natura e Spirito. -14. Economia e politica. I VIII. - Stato e
religione. . . . . . . . . . . . . p. 88 1. Rapporto essenziale tra i due
termiai. - 2. Laicità. - 3. Rel-igio 1nstntme111u,n regni. - 4. Immanenza della
religione nello Stato. IX. - Stato e scienza . . . . . . . . . . . . 1. Scienza
e filosofia; e rapporto di questa con lo Stato. - 2. Necessità cli questo
rapporlo.-31 Cultura. -4.Scienze naturali. - 5. L'obbligo dj critica della
filosofia. - 6. Immanenza della .filosofia nrlla politica dello Stato.
'X.-LoStatoegliStati............ p.101 u Libertà e infinità dello Stato. - 2.
P!ui:alità degli Stati, unità dello Stato. - 3. Critica del punto di vista
intellettualistico. - 4. Concreto punto di vista pratico. - .'i_- Il
riconoscimento degli altri Stati e il Diritto internazionale, - 6,_ )La guerra.
-7.) La pace e la collaborazione umana. -fil Impero e ordine nuovo.
Xl.-LaStoria................ p.106 r. La Storia come storia dello Stato. - 2.
Storia dell'uomo. - 3. Statolatria. - 4. Autocritica dello Stato. - 5.
Rivoluzione. - 6. L'Unico. - 7. Umaoesùno del lavoro. - 8. Famiglia - 9.
Categorie di lavoratori e rappresentanza politica.
1XII.-LaPolitica............... p.u5 'I) Definizione della politica. �j':)Etica
e politica. -;) Im possioilità cli un'etica apolitica. -:;,:11 privato e il
pubblico. - 5) La teoria dei limiti dello Stato.-� Stato
a�toritario e demo crazia. - � L'anarchismo e il
Jiberalis1:no. - 8. Bellum omnium contra 01mies. - 9. Guerra e pace. - ro.
Ordine. - u. Senti mento politico. - 12. Genio politico. - 13. La politica del
fanciullo. - 141 La politica in ogni forma di attività umana. - 15. Politica
dell'arte. - 16. Politica della scienza.- 17. Politica della lede. - 18. Chiesa
e proselitismo. - 19. La dottrina della tolleranza. - 20, La politica diritto e
dovere. p. 93 l:).'DICE 19r XIII. - La Società trascendentale, la
morte e l' im mortalità.................. p.138 1. 11 motivo della fede ncll'
immortalità. - 2. Immortalità e religione. - 3. L'equivoco. - 4. Illusioni. -
5. Fuga tn01-t1s. - 6. La difficoltà del problema e la soluzione. - 7. La
morte. APPENDICE: L'immanenza dell'azione.NUOVI INDIZI DI (( IIEGELLOSIGKEIT ))
ITALIANA 11 prof. Bollami dell' Università di Leida in un suo
inte¬ ressante opuscolo *, qualche anno fa mettev a in, mostra una
lunga fdza di evidenti spropositi commessi da filosofi con¬ temporanei di
ogni risma nel parlare di Hegel. E dopo avere rilevato con 1 ’ Herbart,
con l’Alexander, col Barth. col Taggart, che Hegel non concepì mai la
follìa 4 Lde- durre dal pensiero auro ciò che non è puro pensier o
(realtà naturale e realtà storica), ma volle solo sistemare logica¬
mente, — comunque poi si giudichi questa sistemazion e e la sua
possibilità. — la cognizione necessariamente empi- rica della natura e
della storia, soggiungeva: «Intanto anche F. Paulsen in vólliger
Hcgellosigkeit afferma (nel suo Kant, p. 177) che Hegel deduce a priori
la stessa natura ». *" L - yOVt
Di questa Hegellosigkeit, che non saprei davvero come tradurre in
italiano, di questo stato d' hegeliana innocenza, cosi caro tuttavia agli
studiosi di filosofia italiani, fu dato recentemente dal Croce 2 qualche
cenno' significativo dove si mostrò con quanta competenza sia stato
spesso giudi¬ cato in Italia 1 Hegel da quelli che volevano passare
per 1 Alte I ernunft unii netto I’erstami, Leiden, 1002, 3
Critica, IV, 410-11. n — Saggi critici.
i — /»x4it'w® \ TU) , Kvuf^vru? -
xtiekW^o * ** ' — 162 — jpt uJQy>^òfjO
suoi avversari. Una prova recentissima ne ha avuta però lo scrivente per
aver curata una nuova ristampa degli Lh - menti di filosofia 1 di
Francesco Fiorentino secondo la pri¬ mitiva edizione del 1877,
dall’autore più tardi parzialmente rifatta e radicalmente mutata nell’ indirizzo
dottrinale. Al¬ cuni (tra i quali uomini dotti nella storia della
filosofia) han rimproverato il nuovo editore di aver voluto dare un
Fiorentino hegeliano, laddove il Fiorentino dagli studi degli ultimi anni
della sua vita era stato costretto ad ab¬ bandonare le dottrine di Hegel
per accostarsi al neokan¬ tismo. E un insegnante di liceo, a chi
proponeva il libro per testo scolastico, opponeva senz'altro ch’egli non
po¬ teva adottare «un libro prettamente hegeliano!)). Molto
probabilmente l’unico fondamento di quest’as¬ serzione, che io denuncio
soltanto per richiamare ancora una volta l’attenzione sulla comune
Hegellosigkeit, è in ciò, che questo libro è stato ristampato per cura
mia, e da me consigliato ai colleghi dei nostri licei. Ma, trala¬
sciando i motivi che mi hanno indotto ad additare il ma¬ nuale del
Fiorentino, nella sua forma originaria, come l ’unico , fra quanti ne
abbiamo in Italia, degna , ancoraci es ser m esso nelle mani dei giov ani
e tolto a base d’un p j nmp~ìnsegnamento filosofico (motivi che credo di
avere sufficientemente accennati nella mia prefazione alla detta
ristampa), qui voglio solo annunziare, col debito permesso dei colleglli
accusatori, che il libro del Fioren¬ tino nella prima edizione non è punto
hegeliano; e che la differenza tra la prima e la seconda edizione non
è divario tra hegelismo e kantismo, ma tra kan¬ tismo ed empirismo
spenceriano. Poiché ne avevo l’occasione, a me parve opportuno
to¬ gliere di mano ai giovani, che cominciano a riflettere su cose
filosofiche, un libro, — raccomandato al nome di Francesco Fiorentino,
per tanti titoli benemerito della cul¬ tura filosofica italiana, — nel
quale s’insegnava a riflet¬ tere su verità di questo genere : « Kant
intende • per a priori soltanto ciò che non‘è derivato dalla sperienza,
ma che invece è condizione indispensabile, perchè la sperienza
1 Torino, Paravia, 1007: voi I: Psicologia e Logica
i63 — sia possibile. Egli non investiga, se questo a priori
abbia potuto originarsi da una associazione di esperienze ante¬
riori accumulate, trasmessa poi per eredità; nè poteva ai suoi tempi, e
prima del Darwin, porre il problema in questi nuovi termini. L ’q trio ri
kantiano è una funzione dell o spinto , non già un dato : e questo
ritenghiamo anche noi : ma ciò non toglie, che pure di questa funzione si
possa cercare di spiegare la genesi», un libro, in cui si dichia¬
rava che l’d priori kantiano è una semplice fer¬ mata al concetto dell’
attività preformata a compiere certe funzioni, senza di cui la
sperienza non si farebbe; e che « la filosofia moderna.... domanda: come
si è preformata ? E cerca di trovar la risposta in due fattori:
l’asso¬ ci a z i o n è e la eredità; la prima che accumula, la
seconda che trasmette. Per loro mezzo, l’a priori dell’individuo sarebbe
ciò ch’è poste¬ riori per la specie» (23* ed., pp. 30-31 n.).
E altrove : « Se il fine etico, che è la vita comune, è stato il
risultato di una lunga lotta per l’esistenza, è pur sempre vero che
cotesto primo acquisto viene oggi trasmesso come eredità, che
gl’in¬ dividui trovano, e non debbono più riacquistare » tp. 288
n.). Proposizioni che si equivalgono nei due campi della conoscenza e
della pratica, e di cui lo stesso Fio¬ rentino. ci dice la fonte, dove
avverte (p. 304) che «nella filosofia dello Spencer ogni a priori è
sbandito, e tutto è spiegato con l’adattamento, o con la trasmissione
eredita¬ ria ». E tutta la seconda edizione è ispirata a questo
prin¬ cipio della negazione di ogni assoluto a priori: onde si
costruisce nèi primi capitoli una teoria psicologica della conoscenza che
non occorre qui valutare. Quello che non ha bisogno certamente
d’ulteriore schiarimento, è che tale negazione dell'a priori e tale
confusione del problema psi¬ cologico con lo gnoseologico, non può a niun
patto ac¬ cettarsi come integrazione del kantismo. C’era un
Fiorentino, che pur poteva presentarsi ai gio¬ vani, e che io ho rimesso
in luce; un Fiorentino che non s’era lasciato sfuggire il vero punto di
questa questione fondamentale dell'a priori, che è pòi il problema di
vita — i&4 — o di morte per Io
spirito, e quindi della scienza e della moralità Nella prima edizione lo
stesso Fiorentino aveva detto « Vuoisi avvertire, che l’o priori non si
deve inten¬ dere come qualche cosa di preesistente, di preformato....
ma come una funzione essenziale dello spirito » (nuova ediz., P 33
)- Aveva discusso, opponendole l’una all altra, le dot¬ trine di Kant e
di Spencer intorno all’apriorità o aposterio¬ rità della coscienza, e
aveva dimostrato che non se ne può dare nessuna derivazione empirica
perchè « la coscienza è un rapporto tale, di cui nel mondo esterno non si
trova il cor¬ rispondente; ed è un rapporto semplice, che non si può
de¬ durre dalla risultante delle nostre rappresentazioni. L’Io, la
coscienza è originaria » (51). « 11 fondamento dell'esperienza non può
essere attinto mediante l’esperienza » (57). E que¬ sto fondamento è
nella coscienza e nelle sue categorie. « Se tutto derivasse davvero da
dati sperimentali, nè l’idea di sostanza, nè quella di causa, quali noi
le concepiamo, sarebbero ammissibili » (63). Questo mi pare
puro e schietto kantismo ; e se. il con¬ cetto d’una possibile
integrazione di Kant per via delle ricerche psicogenetiche è uno
sproposito, che oggi non ha più bisogno d'essere dimostrato tale, mi pare
anche evi-, dente che ricondurre il manuale del Fiorentino a’ suoi
principii fosse dovere imprescindibile d’ ogni nuovo edi¬ tore, hegeliano
o non hegeliano. Perchè, dato e. non con¬ cesso che empiristi si possa
essere per proprio conto, certo per nessuno è più sostenibile una svista
di questo genere per cui, appunto a proposito dell interpretazione
di Kant, una questione gnoseologica si scambia con una questione
psicogenetica. Hegel, dunque, non c’ è entrato proprio per nulla,
be ci fosse stata del Fiorentino un’edizione hegeliana ante¬ riore
alla kantiana, chi sa!, avrei preferito il Fiorentino hegeliano al
kantiano. Ma gabellare per hegeliano quello che ho dovuto e potuto
scegliere, francamente, mi pare indizio di Hegellosigkeit ! Pur troppo,
anche nella prima redazione del suo manuale il Fiorentino rende
omaggio al fantasma della materia opposta all’attività formale
dello spirito; e nell’etica, invece di correggere il timido forma¬
lismo kantiano col formalismo assoluto, crede di compierlo
— 165 — con l’eudemonismo aristotelico. Non importa: sempre
me¬ glio, infinitamente meglio Kant, anche se non perfezio¬ nato,
che Spencer! Si sente, per esser sinceri, negli Elementi del
Fioren¬ tino un’eco lontana dei Principii di filosofia (1867) dello
Spaventa. Ma non più che un'eco, nel paragrafo sull’auto¬ coscienza (pp.
66-7). Ma, se Hegel s'avesse a rannicchiare in quell'a u t o c t i s i
della coscienza accordata con tutto il formalismo astratto accettato e
difeso dal Fiorentino, io ritengo che potrebbero andare a braccetto con
lui tutti i kantiani più scrupolosi del mondo. 1907. LA
FILOSOFIA A NAPOLI DOPO G. B. VICO (1750-1850). 1. Nel 1743
A. Genovesi cominciò a pubblicare in Napoli i suoi Elemento,
metaphysicae. Nel 1744 morì G. B. Vico. Questi aveva avuto due profonde
intuizioni fon¬ damentali: una intorno alla potenza costruttiva
dello spirito, per cui anticipò il principio di soggettivismo
kantiano; P altra intorno al concetto dell’ assoluto come sviluppo nella
natura e nel pensiero, per cui anticipò il principio della nuova
metafisica dimostrata dalla Lo- >jica di Ucgel. Ne’ 6tioi Elementi di
metafisica il Geno¬ vesi invece si mostra seguace di un incoerente
sincre¬ tismo, in cui la monadologia leibniziana s’ accoppia con
l’empirismo di Locke. Così la tradizione del grande pensiero di Vico è
spenta sul nascere, e finita con 1’ uomo che nella solitaria meditazione
del diritto, anzi di tutto lo spirito come vive nella storia, aveva
attinto una forza speculativa che lo pose al di sopra e fuori del
tempo suo, episodio solenne nella storia del pen¬ siero italiano. Gl’ interpetri
del pensiero di Vico non furono nè i suoi coetanei, nè i suoi immediati
successori nella filosofia italiana in genere e napoletana in
ispecie. 58 STORIA DELLA
FILOSOFIA La vera interpetrazione cominciò in Germania col Jacobi,
1 dopo Kant, e fu compiuta in Italia in quel fervore di pensiero
nuovo, che venne suscitato dall’ hegelismo, da Bertrando Spaventa.*
* 2. Tra Vico e Spaventa — i cui primi scritti cadono attorno
al 1850, — per tutto un secolo, c’ è un’ inter¬ ruzione nello sviluppo
dell’ idealismo iniziato dalle opere di \ ico ; nella quale il pensiero
napoletano si appropria ed elabora per conto suo la moderna filosofia
europea. Questo movimento, che riempie tutto il secolo che va dalla
metà del secolo XVIII alla metà del XIX, può essere designato dai nomi
dei due pensatori che aprono e chiu¬ dono tale periodo, Dal Genovesi al
Galluppi. E così appunto s’intitola la monografia, nella quale ho
cercatq d’illustrare tutti gli studi speculativi più notevoli di
cotesto periodo. 3 Può recar meraviglia, che la ricerca sia così
limitata dentro i brevi confini di spazio accennati dai nomi stessi
del Genovesi e del Galluppi, e corrispondenti ai confini del reame di
Napoli, ila chi ponga mente alle condizioni d Italia per tutto il tempo
del dominio borbonico, alle piofonde differenze civili e politiche e
letterarie, in una paiola, storiche, tra la parte meridionale e il resto
della penisola, troverà ovvia e storicamente esatta la linea da me
tracciata intorno ai pensatori che ho studiati e Vedi lo scritto
Voti den gòtlUchen Lìingen unii ihrer Offenbarung (1811), in Werke,
Leipzig. 1816, III, 358. Sul kantismo vicinano cfr. specialmente Tocco,
Descartes jugé par Vico in Reme de métaphy- sigue et de morale del luglio
1896, pp. 568-78, e gli scritti da me citati nel Discorso premesso agli
Scritti filosofici di B. Si’avknta Na- poli, 1901, p. LXXV. •
Vedi tfli Scritti cit., pp. lxxxiv lxxxix, 139-45, 303 e segg. 3
Studi di letteratura , storia , filosofia , pubbi. da B. Crock, voi. I (Napoli,
Edizione della Critica , 1903 ). LA FILOSOFIA
A NAPOLI 59 considerati come formanti una speciale serie
storica a sé. 3. Pel carattere generale della loro filosofia
questi pensatori costituiscono una continuata corrente di em¬
pirismo, a cominciare dal Genovesi stesso, in cui ben presto il principio
critico dominante nell’ empirismo lockiano corrode ogni concetto
metafisico, fino ad Ottavio Colecchi (1773-1847), filosofo abruzzese
pochissimo noto — benché i suoi scritti consacrati all’ interpretazione
di Kant, quelli specialmente relativi alla filosofia pratica,
possano ancora esser letti con profitto — il quale, pur combattendo la
«filosofia dell’esperienza» del Galluppi dal punto ili vista del
kantismo, insiste tuttavia su talune correzioni eh’ ei vorrebbe apportare
alla Critica Mia ragion pura in un senso decisamente empirico¬
oggettivo. Ma tutti quosti empiristi si potrebbero dividere
in due generazioni: 1 una di ideologi e l’altra di criiicisti; e
tra mezzo a queste un gruppo di seguaci della filosofia scozzese e di
eclettici. Tra gl’ ideologi scrittori come Melchiorre Delfico (1744 -
1835), Pasquale Borrelli (1782- 1849) e Francesco Paolo Bozzelli
(1786-1864) meritano certamente di esser posti accanto agl’ ideologi
contem¬ poranei francesi, ai Cabanis, ai Destutt de Tracy, coi
quali essi formano quasi una sola famiglia, rispecchian¬ done spesso il
pensiero pur senza ripeterlo. Anzi il Bor- relh e il Bozzelli stanno, 1’
uno per la sua genealogia del pensiero (com’ ei chiamava la sua filosofia
dello spirito) e per la sua critica di Kant, e 1’ altro pel suo tentativo
di morale intellettualistico-utilitaria, al di sopra dei francesi;
di 8 ‘ ba,la a " a dala di P“*»bUM*lone delle opere di
quest! filosofi e al tempo (leir influenza da essi esercitata; giacché
per a nascita due degli ideologi furono più giovani dei criiicisti.
60 STORIA DELLA FILOSOFIA il cui valore
nondimeno fu giustamente rivendicato nella storia della filosofia dall’
ottima monografia del profes¬ sore F. Picavet su Les idéologues
pubblicata nel 1891. Una pari rivendicazione in prò dei confratelli
italiani vuol essere in parte il mio lavoro, mediante una larga
notizia e uno schiarimento delle loro dottrine. Onde ci son rimasti documenti
notevolissimi in libri ed opuscoli estremamente rari, nelle riviste del
tempo e in mano¬ scritti ancora inediti. 4. In mezzo alle due
generazioni alcuni pensatori le-" ' vano la voce contro le tendenze
materialistiche, palesi o nascoste, proprie del pensiero
speculativo di questi ideologi, traendo autorità e argomenti dalla
filosofia del senso comune del Reid o dall’ eclettico spiritualismo
del Cousin e della sua scuola. Non hanno nessuna origina¬ lità di
dottrine : ma con le loro esposizioni e coi loro commenti di molti libri
francesi, eco, per quanto fioea, di celebri filosofie europee, valgono a
suscitare o pro¬ muovere un moto di studi e di partecipazione al
lavoro filosofico straniero, onde a poco a poco si ringagliardisce
la fibra del pensiero napoletano, e si prepara una scuola di veramente
alto e libero filosofare: da cui uscirà l’e¬ stetica di Francesco De
Sanctis e la metafisica e la storia della filosofia di Bertrando
Spaventa. In questa parte la mia monografia studia scrittori mediocri,
testi¬ moni di cotesta preparazione al risveglio filosofico po¬
steriore. 5. Nella seconda generazione campeggiano due figure
principali: P. Galluppi e 0. Colecchi: due kantiani, di cui si può dire che
la vita speculativa si consumi tutta nella meditazione del criticismo. Ed
entrambi riescono per due vie opposte al medesimo risultato, che è
di accettarlo sostanzialmente e di farne penetrare profonda¬ mente
lo spirito nella filosofia del loro paese. Il Galluppi À
61 LA FILOSOFIA A NAPOLI
combatte sempre, o quasi sempre, un Kant immaginario con le armi
del Kant reale ; e il Colecchi combatte con le armi stesse un immaginario
Galluppi, o almeno un Galluppi che non è il vero, poiché non vede di lui
che la dichiarata opposizione al kantismo, e non scorge mai il
valore intrinseco delle dottrine da lui professate. Dalla curiosa
situazione di questi due pensatori, che genera altre false posizioni
nella filosofia italiana successiva, nascono, com’è agevole pensare, due
conseguenze: 1° che la scuola dei galluppiani continuerà a
combattere Kant e tutta la filosofia tedesca posteriore, sempre
meglio conosciuta in grazia dell’influsso francese già accennato;
2° che la scuola del Colecchi e dei tedescheggianti con¬ tinuerà per un
pezzo a disconoscere il vero valore del pensiero del Galluppi e di quella
filosofia italiana, che da lui prende le mosse : ossia della rosminiana e
gio- bertiana. 6. Se da queste ricerche si sottrae la parte che
con¬ cerne il Genovesi e il Galluppi, si può dire che esse scoprano
una regione presso che sconosciuta nel campo della filosofia moderna. E
poiché anche del Genovesi e del Galluppi questo studio analitico della
serie in cui essi rientrano, pono sotto una luce in parte nuova e
in parte più chiara il significato e il valore, può pure af¬
fermarsi, che l’insieme di queste ricerche colmi una lacuna nella storia
della filosofia italiana, anzi della europea. Vico, infatti, e
l’interpetrazione di Vico, i due termini al cui intervallo coleste
ricerche si riferiscono, non sono due capitoli della storia della
filosofia italiana, ma due capitoli della storia della filosofia europea:
ed è difetto gravissimo quello che può notarsi in proposito in
tutte le recenti storie straniere della filosofia moderna. A. Genovesi,
M. Delfico, P. Borrelli, F. P. Bozzelli, P. Galluppi e 0. Colecchi sono
nomi ai quali, una 62 STORIA DELLA
FILOSOFIA volta conosciuti gli scritti a cui sono legati, devesi
pur rovare un posto, e non degl’ infimi, nel quadro degli u imi
tentativi dell’empirismo naturalistico e materia¬ listico del secolo
XVIII e delle feconde discussioni suscitate dalle Critiche di Kant in
ogni paese civile. 1903. DOCUMENTI INEDITI SULL’
HEGELISMO NAPOLETANO 1 « Il trionfo dell’ Idea » in Italia :
Antonio Tari e Floriano Del Zio Fin dal 29 ottobre 1860 B.
Spaventa era stato nomi¬ nato professore di Filosofìa nell’ Università di
Napoli ; e la sua nomina — scriveva a lui stesso il De Meis, da
Napoli — era stata accolta in questa città « con una commovente
impazienza dai giovani e dal pubblico ». Ma 10 Spaventa chiese ed
ottenne di tornare e restare qualche tempo a Bologna, dove nel maggio era
passato, da Mo¬ dena, a insegnare Storia della filosofìa, per farvi
almeno 11 primo corso semestrale e « non mancare al suo
dovere verso quella Università». A Napoli, dopo una rapida corsa
nel novembre, non andò se non negli ultimi mesi dell’ anno appresso. Era
a Torino dall’aprile, perchè eletto deputato di Atessa (ma la sua
elezione fu annul¬ lata il 25 giugno per eccedenza del numero legale
di deputati professori, * quando gli pervenne la seguente 1
Già pubblicato nella Critica del 1906; ma qui ristampato con molte
aggiunte. * Vedi per questi particolari il mio B. Spaventa,
Firenze, Vai- lecchi, 1925, p. 109. 182
STORIA DELLA FILOSOFIA lettera di Floriano Del Zio, che è un
curioso documento delle disposizioni degli animi verso 1’ hegelismo nella
gioventù colta di Napoli, da cui lo Spaventa era atteso : Napoli,
30 giugno 61. Amico carissimo, Mi prendo licenza di
togliervi con questa mia una piccola parte del tempo che cosi
lodevolmente sacrate alla scienza. E per due ragioni. Per procurarmi
il bene di aver vostre novello, e per dirvi poi alcunché sul trionfo
dell’ Idea, alla qualo abbiamo data la nostra fede. Sono
pervenute qui in Napoli parecchie copie del nuovo libro di Vera (V
Hégélianisme et la Fhilosophie). T. lavoro scritto con molta spiritosità,
e che non solo porrà a dovere 1’ intelletto superficialissimo degli
ecclettici francesi, ma farà pure il suo buon effetto in mezzo al
dilettantismo filosofico de’ nostri dominatici. Si comincia a sentire
come il Pensiero sia P infinita misura e forza, che, battuto ogni
positivismo storico e morale, eleverà ad armonia vivente Essere e
Spirito, Natura ed Umanità. — Son persuaso p. es. che il signor
Pes¬ ame, che tanto ride dell’ Jissere-per-si — e della Fila
ridotta a Pensiero da De Meis, cesserà di sparlarne così frequeu-
temeute, dopo che avrà contemplato il gaio spettacolo che ha dato di sé
Monsieur Jauet. Come Hegel disse che ai tempi della Rivoluzione
francese una nuova vita, un nuovo sole sorgevano per risplendere in
mezzo agli uomini, noi possiamo dire che oggi il suo proprio principio
filosofico, l’Assoluto Spirito, è la forza che dovrà consapevolmente
invadere ogni cosa, e chiarificare le creature tutte quante di un raggio
della idealità infinita. Affrettatevi, amico, a partecipare alla gran
vittoria. Felice voi, che siete sì bene apparecchiato a questa lotta, che
chiude nel proprio grembo 1’ adempimento della libertà assoluta dell’
Uomo, e quel regno di giustizia e di amore, a cui tutte cose
corrono come al bacio dell’ Universo, giusta il bel dotto di Schiller:
Diesen Kur der ganzen IVelt ! Il punto però che nel libro del Vera
avrei desiderato più estesamente sviluppato, è quello della pluralità dei
mondi. I,a dottrina di Hegel su questa materia non può essere
difesa che movendo dal principio dell’ Unità della Coscienza di si
L’ HEGELISMO NAPOLETANO 183 dello Spirito,
unità che, nel presupposto della pluralità de’ mondi, avrebbe fuori di sè
i circoli della vita siderea oltre¬ tellurici ; e cesserebbe d’ essere in
conseguenza la pieua ed una Coscienza di sè. A questa è necessario che
tutto 1* essere sia suo sapere. La dottrina poi dello Spirito
assoluto, ne andrebbe, in quel presupposto, interamente falsata. Noi non
conosceremmo pili l’Assoluto, come vuole Hegel, ma l’Assoluto umano. E,
non potendo darsi ripetizioni nello spirito, si dovrebbero porre,
post’ i mondi come innumerabili, intellezioni intinite, infinita¬ mente
diverse, dell’ istesso Assoluto. E dove sarebbe l’idealità, 1’
unificamento di esse? Se si risponde: nell’Idea medesima dell’Assoluto —
, altri potrebbe osservare che quest’ idea ap¬ punto è quella che deve
essere concreta nell’Umanità. L’U¬ nità della Rivelazione universale
dello Spirito sarebbe sempre un postulato. Krause immagina una sintesi
superiore do’ pianeti e delle stelle; ma la comunione dell’Umanità
terrestre colla solare è sempre data da lui come un’ intuizione,
come un desiderio! Anche il signor Tari, riconosce nella sua
Lettera la necessità della pluralità de’ mondi. Ma in questa ipotesi vedo
sempre che 1’ indeterminato piglia il Inogo del sistematico, e che
il fantastico si sostituisce alla scienza. Diventa oramai neces¬
sario di approfondire maggiormeute 1’ infinito matematico nel- 1’
influito filosofico, e sottomettere cosi 1’ astronomia al con¬ cetto
della finalità assoluta, lo Spirito. La lettera però del Tari
appunto perchè, com’ ei dice, tiene il germe del suo proprio sistema,
avrebbe dovuto essere più lunga e scritta più chiaramente. Vi
prego intanto mandarmi una copia della vostra prolu¬ sione alla storia
della filosofia italiana, perché n’ ebbi ili dono nell’anno scorso una
copia dal vostro fratello D. Silvio; ma quando scesi in Basilicata per 1’
insurrezione, la sperdei a Potenza, e non ho potuto procurarmene un’
altra. Se poi con questa mia preghiera dovessi riuscire indiscreto,
allora usa¬ temi la cortesia dirmi presso chi è vendibile a Torino,
perchè sarà mia cura farla richiedere da librai napoletani.
Quando portate a stampa il vostro libro su Gioberti f Esso dovrà levar
grido straordinario, secondo che mi accennano i comuni amici, e per
quanto ancor io presagisco dal vostro ingegno. Date presto ; e nel
frattempo compiacetevi di tenermi 184 STORIA
DELLA FILOSOFIA di tanto in tanto consapevole de’ vostri stndii, e
segnatemi • quelle opere che possono concorrere all’ aumento vero
della scienza. I miei ossequi a Tari ed all’ egregio De
Sanctis. Se posso attestarvi in alcunché la uiia devozione, comandatemi
libe¬ ramente. Vostro amico Flokiano Dei. Zio.
AH’ Egregio Bertrando Spaventa Deputato al Parlamento
Italiano in Torino. II libro, da cui il Del Zio prende le
mosse, è 1 ’ Hé- gélianisme et la Philosophie (Paris, Detken 1861), che
il Vera, allora professore di Storia della filosofia nell’Ac¬
cademia di Milano, aveva pubblicato poco innanzi per ribattere le
critiche mosse ali* hegelismo da Paul Janet e da altri scolari del
Cousin. — Enrico Pessima, già di¬ scepolo del Galluppi, dal Galluppi era
passato al Gio¬ berti e dal Gioberti al Krause; e mormorava contro
Hegel e gli hegeliani 1 . La lettera di Antonio Tari, a cui il Del
Zio accenna, è un articolo, uscito appunto nel fascicolo di giugno
del 1861 della torinese Rivista contemporanea, col titolo: De’
rapporti del Kantismo collo stato della filosofia in Alemagna, Lettera
filosofica. Il difetto di chiarezza la¬ mentato in questo scritto dal Del
Zio, e divenuto poi sempre maggiore e sempre più caratteristico
del- P ingegno del Tari, — che ingegno ebbe e una certa bizzarra
genialità — aveva fatto dire allo Spaventa, in una lettera a suo fratello
Silvio, dell’8 marzo 1858: «Ho letto molti mesi fa un articolo di
Totonno... Un 1 Vedi il mio B. Spaventa, p. 114; Spaventa, La
fllos. ital. in re¬ lazione con la fllos. europea,' p. 275 e una lettera
dello stesso Pes- sina nella Critica V (1907), 494-5. ♦
L’HEGELISMO NAPOLETANO 185 articolo
filosofico, come puoi immaginarti, sopra un punto di estetica. Mi pare
che abbia studiato finora per imparare a non farsi capire. I tedeschi non
sono facili a comprendersi, e la colpa è un po’ anche loro. Ma i
più difficili tedeschi sono facilissimi di fronte a Totonno; il quale mi
pare che abbia preso da costoro più i di¬ fetti che i pregi. Ti dico, in
confidenza, che sono ri¬ masto trasecolato; e che, dopo tanti anni e con
tanto ozio, mi aspettavo qualcosa di meglio da lui »*. « Dopo
tanti anni ! » S’erano conosciuti a Cassino, quando Bertrando insegnava a
Montecassino (tra il 1838 e il 1840); e il secondo giorno, seduti
fraternamente sulla sponda d’ un letto, Bertrando apriva così la
conversa¬ zione: «Dunque, che ne pensate delle categorie kan¬
tiane?»-. Da lui lo Spaventa aveva appreso i rudimenti del tedesco ; e,
col suo aiuto, acquistato familiarità con la letteratura filosofica
tedesca. Nella quale il Tari, chiuso dal 1849 al 18G0 nella solitudine di
un villaggio (Terelle, in provincia di Caserta), s’era sprofondato,
accumulando una meravigliosa erudizione. Questa però non valse in verità
a rischiarare il suo pensiero. Il quale dall’assoluto idealismo di Hegel
finì nell’agno¬ sticismo del suo cosidetto Innominabile ; in cui
credette si '_ lovesse fondere in una unità superiore lo spinozismo
e 1’hegelismo; in quanto il divenire della logica pre¬ suppone un
principio, che, essendo fuori del divenire, è fuori della logica; e non
si può chiamare Volontà, nè Monade, nè Inconscio, nè Noumeno, nè altro;
poiché ogni nome importerebbe conoscenza, quindi un movi¬ mento di
pensiero, quindi il divenire. È un’ essenza p 'ri SPAVBNTA ’ Dal
184i al i8G1 < leU < scruti e (toc., ed. Croce,» R. Cotuono,
Le lettere di A. Tari in diresa dell’ « Innomina¬ bile», Iranl, Vecchi,
1905, p. XVI. 186 STORIA DELLA FILOSOFIA
non battezzata e non battezzatile, l’Innominabile. « An- ch’ io,
Bpecie di Lohengrin, difendo il santo Graal. Sapete qual’ è? La dotta
ignoranza, che Hegel chia¬ mava l’ignoranza dotta». Non è
questo il luogo di chiarire questo innominabi- liBmo o limitiamo, — com’
egli anche lo chiamò, — del Tari *. Giova piuttosto ricordare un aneddoto
dello Spa¬ venta. Il quale, richiesto di consiglio da uno scolaro
del Tari per una dissertazione di laurea circa il diritto di punire, il
29 settembre 1882, gli scriveva : « Ti vo¬ levo suggerire di chiedere
consiglio al nostro caro Tari. Chi sa, l’Innominabile! Ma come cavare da
lui il di¬ ritto di punire? Mi ricordo di aver detto a Tari, quando
fu nominato professore ordinario (nel 1873), che la sua nomina era in
contradizione coll’ esistenza dell’Innomi¬ nabile, principio, essenza,
natura, causa di ogni cosa e avvenimento. Figurati il diritto di punire!»
1 . — Il Tari, che di questa lettera doveva aver notizia dallo
scolaro, rispondeva a questo, il 23 ottobre 1882 : « Par¬ liamo ora un pò
del quesito, con cui mi tenta 1’ ami¬ cissimo Bertrando Spaventa. Eccolo:
—Come concilie¬ remo il diritto di punire con la dottrina dell’
Innomi¬ nabile? — Se fossi profeta, o figlio di profeta, di
rimbecco direi : Vade retro, Satana. Noli tentare Tariiim admiratorem
tuum! —- Ma, non essendo Gesù, nè gesuita, mi contento di rispondere con
un tibi quoque. Ossia: — Anche a te, o pensatore liberissimo, fa intoppo
questa pietra di giuridico scandalo? Anche a te metterebbe conto
salvar capra e cavolo ; cioè la capra della Feno¬ menalità di ogni fatto
umano, ed il cavolo della pretesa * V. le mie Orig. della / Uos.
contemp. in Italia, III, pari. II, pp. 28-37. * COTI’GNO,
Leu. cit M p. 43. L’HEGELISMO NAPOLETANO 187
Giustizia Assoluta? — Eppure ricordo che, disputando con me di
questo brocardico, uscisti in questa categorica sentenza: — La pena non è
che una valvola di sicu- rezza che la società impiega a garentirsi di chi
la in¬ sidia 1 . E di fatto, il voler costruire a priori un ma¬ nifesto
modus rivendi essenziale, epperò cangevole etno- crono-topograflcamente è
marcia follia. La Idea Giustizia Assoluta anzidetto, s’ ha a lasciare nel
natio concavo della luna, insieme al cervello dei tanti Astolfì
dell’in¬ natismo. Chi ben pensa, riconosce la deplorevole povertà
di siffatte deduzioni... Diritti e doveri, Pene e ricom¬ pense non
giacevano in seno a Giove, a mo’ delle uova dell’aquila esopiana, ad
aspettare che lo scarafaggio umano le facesse rotolare nel basso mondo;
ma si for¬ marono, con un quasi stillicidio psicologico, a poco a
poco scavandosi un bucherello nel naturale egoismo... E tutta la
giustificazione delle pene, da quella del ta¬ glione e quella
penitenziaria, che è ancora in Werden si riduce a formare la necessità di
salvarsi al bosco dalle belve accoppandole, ed alla città dai birboni
ren¬ dendoli incapaci di nuocere. Ora quali sono i birboni? ** U1 e
11 busil tis; e qui interviene P Innominabile a comporre la gran lite,
illuminando i legislatori sul da fare in sullo sdrucciolo del dispotismo,
dove si trovano sempre... Il codice penale, non che un bene in sè, è
un necessario male, presso a poco simigliante alla chirurgica
estirpazione di un arto, il quale, se curabile, anche a dilungo,
l’operatore rispetta religiosamente... Un inno- mi 'n^ 10 S ,
paventa avrà l )ure " sa[0 '(«està frase. Ma la valvola per del
delino, ! V ? Cbe neCessaria ' c °“>« necessaria era l'insidia
dello s r n e a,,a | S0Cie,A: d ’"' ,a necf8sUà Andata su"»
natura o spirito, ossia sul concetto concreto del bene. Il genuino
pensiero dello spaventa intorno all'assoluta giustificazione della pena é
ne suoi Principi di dica, ed. Gentile, p. 102 sgg.
188 STORIA DELLA FILOSOFIA minabilista può
solo affermare, in barba a tutti i dot¬ trinari criminalisti del mondo,
come qualmente il bar¬ baro Kedivè egiziano funzionerà legalmente, da par
suo, fucilando e forse impalando 1’ eroe Arabi pascià, reo di non
aver saputo nascere dove e quando dovea. Ed in- neggerà al magnanimo
Umberto, il quale, facendo grazia all’abietto Passannante, confondeva
molti tirannelli stra¬ nieri e mostravasi anche dappiù del Re
Galantuomo suo padre, cioè filantropo e progressista. In Oriente il
palo, in Occidente 35 legislazioni che aboliscono il car¬ nefice (v. ult.
lett. di Victor Hugo): chi ha ragione? Secondo l’illustre prof. Vera ha
ragione il palo!... 1 Insomma, le cose anzidette tumultuariamente, a
modo mio, rispondono su per giù al caro mio tentatore Asmo- deo
Spaventa »*. — Avviatosi per la sua striida, il Tari, dunque, negava
coraggiosamente jT diritto come diritto. Poeto-1’ assoluto di là dal
divenire, nel divenire, ch’egli vedeva indirizzato a un Nirvana
iperindividualistico, non poteva trovare niente d’ assoluto. Per lui il
magnifico proemio dello Spaventa ai Prineipii di etica (1869) in¬
torno al rapporto dell’assoluto col relativo, e quindi al concetto dell’
assoluta relazione (per cui 1’ assoluta giu¬ stizia non solo comporta, ma
richiede per la propria realizzazione tutti i modi di esistema cangevoli
etno-crono- topouraficamentc), non era stato scritto. E come in
quel concetto è il segreto dell’ hegelismo, era naturale che egli
non riuscisse ad orientarsi e a vedere la nullità del suo Innominabile
in quanto tale, in quanto sostanza, cioè di qua dallo spirito.
Il Tari fu insomma de’ tanti che girarono attorno a 1 A.
Vbra nel 1883 pubblicò un opuscolo La pena iti morte (risi, nel Sappi
filosofici, Napoli, Morano, 1883. pp. 37-381, dove svolgeva le ragioni del
sistema hegeliano in sostegno della pena di morte. * COTUONO, pp.
22-6. 189 L’HEGELISMO NAPOLETANO
Hegel, ricevendone magari ispirazione e suggestioni fe¬ conde,
senza scoprire il principio vero del suo pensiero. Molti si ritrassero
presto sconfortati dall’impresa; etra questi il Del Zio, che con tanto
entusiasmo nel ’61 studiava le opere e la letteratura hegeliana; e
ansiosa¬ mente aspettava gli scritti dello Spaventa (la prolusione
letta a Modena sul Carattere e sviluppo della filosofia italiana del
secolo A VI sino al nostro tempo ‘ e la Filo¬ sofia di Gioberti, di cui
il I» volume usci nel 1863) per fede vaga che indi potesse venirgli la
luce. Il Del Zio allora si preparava a un corso di lezioni,
sulla Enciclopedia di Hegel. Al quale infatti proluse alcuni mesi dopo
con una enfatica lettura, la quale, come documento aneli’ essa de’ tempi,
merita d* essere ricordata: Prolusione al corso di lezioni sulla
Enciclopedia delle scienze filosofiche di Hegel; letta in privato
con¬ vegno ne’ dì 16 e 18 novembre 1861*: scritto pieno di
giovanile entusiasmo e di ardore filosofico. Oltre le opere del Vera, fin
allora pubblicate, l’Autore vi cita ed esalta 1 aurea operetta di Karl
Werder (Logile, als Commentar u. Ergdnzung zu Hegels ÌViss. der Logik, 1
Abili, Ber¬ lino Idèi) « restuta incompiuta con grave danno di co¬
loro che s’ iniziano alla filosofia hegeliana » (p. 22); i Esquisse de
logique di K. L. Michelet (Paris, 1866); e 1 Risi, in Scritti filosofici,
ed. Gentile pp. 115 sgg. Giorgio Pallavi¬ cino, a una figliola del quale
lo Spaventa aveva privatamente Im¬ partito qualche lezione, gii scriveva
per questo opuscolo: Amico pregiatissimo, l.a ringrazio
della sua Prolusione — un magnifico lavoro — il quale rnfiìf. -u- l Sn me
. *' (le ?. l . ller ‘° di vp| ter presto pubblicata la grande Opera eli
Ella sta meditando. Ammiratore di Vincenzo Giohprti. posso io non
ammirare il suo degno interprete: II. Spaventa? lo l’ammiro e i
amo! Giorgio Palla vicino. * Napoli, S. Marchese, IMI,
di pp. 8-1 In 16». Reca quest'epigrafe: « Essere, sapersi e volersi come
la Personalità eterna dello Spirito, ecco il line della lilosofla
». 190 STORIA DELLA FILOSOFIA
di questo le lezioni Ueber die Persònliehkeit Oottes u.
Unsterblichkeit der Seele, oder die ewige Persònliehkeit des Geistes
(Berlin, 1841) ; le quali « quando furono pub¬ blicate, tenevano aspetto
di polemica negativa in rap¬ porto a certi donimi dell’ intelletto ; ma
1’ avanzato sviluppo della scienza ha tolto loro il senso
irreligioso, che gli avversarti accaniti dell’ hegelianismo
volevano a forza vedervi dentro. E debbono così considerarsi come
la teorica potente della nuova sintesi dall’ umanità » (p. 41): ciò che
appare, nota il Del Zio, dell’opera maggiore del Michelet, Die Epvphanie
der ewigen Per- sònlichkeit des Geistes (in tre diali., 1844, 47 e 52).
A proposito del problema hegeliano del punto di partenza
fenomenologico e logico della filosofia, l’Autore dichiarava di sperare
che le difficoltà sarebbero state da lui sciolte più chiaramente nelle
note a una sua traduzione del System der Wissenschaft, ein
philosophisches Eincheiridion (Koenigsberg, 1850) del Rosenkranz : « che
avrei di già pubblicata senza la tirannide borbonica, o la guerra
che tutto il mondo ha fatto e fa presso noi al libero pensiero» (p.
23). Un altro suo lavoro concerneva la filosofia di Krause, la quale,
specialmente per mezzo di Ahrens (il cui Corso di diritto naturale ,
1838, era molto letto dagli avvocati di Napoli, ed era stato anche
tradotto già due volte in italiano, da Francesco Trincherà e da
Vincenzo De Castro 1 ) poteva dirsi « in qualche modo popolare nelle
nostre province ». « Le sue Lezioni sul sistema della scienza (Vorlesungen
nb. System der Philos., 1828)», dice il Del Zio, « e 1’ampio sviluppo
enciclo- 1 Corso Ul Diruto naturale o della ftlos. del dir. traci,
da Fr. Trin¬ cherà, Napoli. 18-11, e Capolago, 1812. Nuova trad. eseguita
sulla quarta ed. dal prof. V. De Castro, 2. voli., Napoli, Stab. Tip.
dell'An¬ cora, 1860. Più tardi la sesta ed. (uscita in ted., Vienna,
1870-71) fu Irad. in italiano da A. Margllieri, Napoli 1872.
191 L’HEGELISMO NAPOLETANO pedico eh’ egli tentò
dare a tutto lo scibile rivelano in classico modo il fermento
incommensurabile dal quale era travagliata 1’ intera Allemagna alla
vigilia dell’ ap¬ parizione d’ Hegel sul teatro della scienza. Ma in
Krause c’ è il presentimento della scoperta, che fu fatta invece da
Hegel »; e questo giudizio era il « risultamento di una conveniente
disamina » . « A tanto speriamo di adempiere più tardi, pubblicando un
nostro lavoro, che ha per ti¬ tolo: Studii sul rapporto del Sistema della
scienza di Krause a quello di Hegel » . Appunto per quella certa
popolarità che il Krausismo aveva acquistata anche nel Napoletano, il Del
Zio stimava opportuno che fosse di¬ scussa la sua teorica generale da’
cultori della filosofia. « Se non cominciamo a disputare pubblicamente
sulle nostre convinzioni speculative, il trionfo della scienza e il
progresso della nazione non saranno nè liberi nè universali » (pp.
27-8). L’opuscolo era dedicato Alia gioventù napoletana con
parole di questo tono : « A voi dedico, o fratelli, questo piccolo
lavoro, il quale non è altro che il programma dell andamento scientifico,
a cui dovrebbe avviarsi, se¬ condo le mie convinzioni, il nostro paese,
per essere in armoniu coll’ indirizzo generale della scienza in Eu¬
ropa. Se vi parrà vero, Voi, più che me, potrete con¬ durlo ad atto,
perchè 1’ amico vostro, comechè giovane, è già percosso dai dolori dell’
animo e dalle sofferenze lei corpo che 1’ opera dissolutrice della
tirannide seppe in molti generare negli anni scorsi». Continuava
an¬ nunziando che, accettato il suo programma, tre fiamme divine
sarebbero venute ad accendere 1’ anima dei gio¬ vani napoletani : tre
sedendovi d’ un unico sole, il libero Pensiero ; le tre fiamme della
Filosofia, della Rivoluzione, dell’Amore. «Colla prima darete fine alla
superstizione del Papato, la più maligna fra quelle che ancora cor-
192 STORIA DELLA FILOSOFIA rodono lo spirito
moderno. Colla seconda scrollerete il Dritto divino ed ogni altra specie
d’irragionevole im¬ perio. E coll’ ultimo tramuterete le rovine in
creazione eterna di bellezza e di verità ; costituirete I* Italia,
e getterete il fondamento alla fratellanza democratica di tutta
Europa». Svolto brevemente il concetto della Fenomenologia
dello spirilo, per mostrare come lo spirito sia necessa¬ riamente condotto
dalla sua interna dialettica al punto di vista del sapere assoluto, il
Del Zio schizzava con pochi tratti l ’ideale della scieina, a cui egli
invitava con molto calore : « Deliberando di seguirmi fraterna¬
mente nel mondo del sapere, renderete testimonianza dell’ istinto divino
che move lo spirito del nostro tempo, e della vita novella d’Italia resa
a sè stessa ed alla sua naturale grandezza... Il nuovo metodo
dell’insegna¬ mento filosofi co è il metodo della morte e dell’ amore
assoluto», della morte alle cose finite e a se stesso, e dell’ amore per
1’ assoluto, in cui lo spirito deve rina¬ scere. Quindi combatteva le
obbiezioni mosse all’ hege¬ lismo «dalla corta vista dell’intelletto 1 o
del sentimen¬ talismo ipocrita della santocchieria » . Ai filosofi dell’
in¬ telletto, del pensare finito addebitava la loro incosciente
predilezione dello scetticismo e del nullismo: e dimo¬ strava che « non
solo il sapere assoluto è possibile, ma che esso è 1’ unicamente possibile
» ; poiché ninna realtà finita, naturale o spirituale, può dirsi
conosciuta fuori del sistema, in cui essa va concepita. Ai mistici
di buona o di mala fede, cercava d’ additare il carattere
intrinsecamente religioso della filosofia hegeliana, nella quale la
verità della religione non è negata, ma trasfi¬ gurata e fatta valere per
la ragione, assolutamente. In- 1 Intelletto (Verstand), nel senso
di Hegel. L' HEGELISMO NAPOLETANO 193
fine, combattendo anche lui il pregiudizio, allora sal¬ dissimo
tra i giobertiani di Napoli, del primato italico- e della filosofia
nazionale, sosteneva, a simiglianza dello Spaventa, ohe « la grandezza
del nostro spirito non è tanto nel sapersi precursore di tutto
l’incivilimento occidentale, quanto nel prevedere che dev’ esserne
il successore eterno ». Si ammira Vico: ma egli « travagliò por
tutta la vita per provare che uno spirito solo regge il mondo delle
nazioni, che una è la mente dell’ Uma¬ nità, e che un piano ideale
stringe in armonia assoluta la totalità de’ fatti politici e le forme
svariatissime del- 1’ intera vita sociale». «La storia della filosofia è
dav¬ vero un’ opera unica, una sola attività produttrice... Le
frutta abbondanti di quei primi pensieri filosofici, che gl’ italiani del
XV e XVI secolo destarono nella coscienza umana sono appunto i grandi
sistemi della fi¬ losofia moderna... Nutricandoci del supere e della
vita europea, noi vendicheremo lo spirito de’ padri nostri,
celebreremo la festa di commemorazione a quel Risor¬ gimento, che il papato
e l’Impero soffocarono nel sangue di tutta la Penisola» : sopra tutto a
Bruno, la cui vita randagia per 1’ Europa, ma cominciata in Italia e
in Italia tragicamente finita, sembra al Del Zio il sim¬ bolo
divino del corso storico della filosofia mo¬ derna nel mondo. E col
ricordo della vita del Bruno e un invito a vendicarne la morte facendo
tornare in Italia la sua filosofia arricchita nel suo secolare
viaggio, termina questa prolusione. Cinque giorni dopo leggeva
nell’ Università la prolu¬ sione al suo corso lo Spaventa, tornando a
trattare il tema : Della nazionalità nella filosofia. 13 —
Gentile. Storia della filosofia. 194 STORIA
DELLA FILOSOFIA 2 . Marianna Fiorenti Waddingtoìi e D.
Spaventa Affrettando col desiderio la pubblicazione dell’
impor¬ tante carteggio della marchesa M. Fiorenti Waddington
tuttavia posseduto dalla famiglia di Francesco Fio¬ rentino, gioverà
spigolare tra le carte dello Spaventa, alcune lettere e ricordi di questa
egregia donna, che non ci paiono inutili alla storia della fortuna
di Hegel in Italia. Quando la Florenzi entrò in rela¬ zione con lo
Spaventa aveva passata la sessantina, essendo nata nel 1802: da Schelling
era giunta fino a Hegel : dall’ ammirazione del Mamiani, per la conver¬
sazione frequente col Fiorentino, che da Bologna andava spesso a Perugia
ospite suo, era potuta passare a quella del critico severo della
prefazione, che il Mamiani nel 1844 aveva premessa alla sua traduzione
del Bruno di Schelling 1 . Prefazione desiderata da lei, che ne
caròla promessa con un certo imperio di belletta che. ancor pos¬
siede, come il Mamiani scriveva al suo fratello Giuseppe il 7 aprile 1844
;* prefazione piaciuta già allo stesso Schelling. 3 Ma ben presto la
marchesa tedescheggiente e libera pensatrice e il conte italianissimo e
cantore dei santi cattolici, s’ erano accorti di non potersi
intendere. Già in una lettera del 1846, 4 il Mamiani le rimprove-
' Vedi B. Spaventa, Saggi di critica. Napoli, Gliio. 1867, pp. 366 sgg.
Intorno alla Florenzi v. le mie Origini della, fllos. contemp. in Italia
III, parte II, pp 37-50. * Mamiani, Leti, dall’ esilio a cura di E.
Viterbo. Roma, 1809. 1, 211. * In una sua lettera a un suo amico,
del 26 dicembre 1845, il Ma- raiant scriveva: «Quantunque lo vi discorra
della tllosolla tedesca moderna con gran franchezza di giudicio, lo
Schelling non se ne tiene punto mal soddisfatto, e scrivendo alla
traduttrice, che è la march. Florenzi, ha detto di me parole onorevolissime
» (op. cit. I, 320). Cfr. il Bruno stesso, ed. I.e Monnier, 1859, p.
213. * Leti, cit.. Il, -10. Cfr. la lett. al fratello del 28 ag.
1846 (II, 33). L'HEGELISMO NAPOLETANO 195
rava di ragionare un po’ alla tedesca, e , non avendo alla mano
ragioni ferme ed evidenti, essersi rairolta della nebbia del suo grande
maestro, lo Schelling. L’ anno ap¬ presso le scriveva: « ìli congratulo
molto con voi dello studiare indefesso che fate e dello involgervi
coraggiosa tra le tenebre sacre della metafisica dello Schelling».
1 Era quasi un addio dalla spiaggia a chi si avventurava per il
rischioso viaggio! Sul principio del 18GB, la Fiorenti aveva
pubblicato i suoi Filosofemi di Cosmologia e di Ontologia (Perugia,
V. Bartelli) ; e il Fiorentino, che doveva scriverne una recensione,
nella Rivista Italiana (o Effemeridi della P. di Torino, del 20 aprile
1863, a. IV, pp. 250-52), la incitò a mandarne un esemplare allo
Spaventa. Quindi la seguente lettera : Signore, Se
un nostro amicissimo, e molto suo conoscente, non m’ in¬ coraggiasse a
mandarle il mio libretto testé stampato, io non oserei inviarglielo.
Esporlo al giudizio d’ uno de’ più distinti lilosofi è al certo temerità
più die grande. Ma io mi affido più assai all’ indulgenza di cui sono capaci
i grandi uomini, e temo maggiormente i piccoli. Ardisco ancora dimandare
il suo leale, franco giudizio e la sua severa censura; ed ancbo la
disapprovazione mi sarà più cara assai di qualsiasi com¬ plimento.
È dunque sotto l’egida del nostro amico che il mio libretto vieue a
cercarla. Mi abbia per iscusata s’ io l’incomodo por cosa di sì poco
valore; ma, le ripeto, io riposo nella indulgenza sua. Me le offerisco e
raccomando. Perugia, li 20 marzo 1863. Obb.ma
M. Marianna Florbnzi WAnDiNcroN. Lo Spaventa in ricambio le
mandò il suo volume Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia,
starn- 1 Lett., li, 314. 196
STORIA DELLA FILOSOFIA pato 1’ anno innanzi ; a cui la Florenzi
fece gran festa, diffondendolo nel circolo di letterati e filosofi, 1 che
si raccoglievano intorno a lei. € Dono prezioso, scriveva
all’ autore il 9 maggio del '63, di cui mi valgo per miu istruzione e
per ammirare uno de’ più grandi filosofi (o il più grande), che ora
dia fama alla nostra nazione » . Da altre lettere della colta
gentildonna si rileva che tra gli ammiratori guadagnati da lei allo
Spaventa, de¬ siderosi di leggere i suoi scritti, v’ erano anche
delle donne. Tanto poteva 1’ esempio della Florenzi ! Il 25
maggio questa mandava allo Spaventa un suo piccolo discorso sojrra l'
Eleroyenia che doveva essere stam¬ pato coi Filosofemi. Era instancabile
: quando, nel giugno 1864, lo Spaventa le ebbe mandata la memoria su
Le prime categorie della logica di Hegel, ella poteva annun¬
ziargli un suo nuovo lavoro, che avrebbe toccato anche quell’argomento
(Saggio di psicologia e di logica, Fi¬ renze, 1864): «Mi preme sempre di
leggere le cose sue, e per questo ho indugiato a dirmene grata e
ricono¬ scente. Non ho parole per esprimerle quanto quella lettura
mi abbia soddisfatta. Un ingegno come il suo non poteva a meno di
escogitare fino al fondo l’argo¬ mento trattato, ed in vero non c’ è
nessuno che abbia penetrato tanto addentro la dottrina e le intenzioni
di llegel, il più formidabile dei tedeschi filosofi. «Ella ha
ragione: chi è mai entrato sì puramente nella scienza del filosofo?
« Tanto più piacere mi ha recato il suo scritto in quanto che io
aveva già compiti due capitoli del libro che scrivo ora : Il divenire e V
essere e il non essere, pen- 1 Cfr. la Necrologia che scrisse di
lei il Fiorentino, in Scritti vari, Napoli, 1876, p. 410-1.
L' HEGELISMO NAPOLETANO 197 siero ed
essere. Quanta istruzione io posso ricavare da lei ! Dunque, per tutto il
piacere e per tutto 1’ utile ri¬ cevuto io ne la ringrazio di cuore ed
anima » (Lettera del ló giugno ’64). In una poscritta d’ una
delle sue lettere la Florenzi scriveva allo Spaventa: «Vi prego di fare
il grande sforzo di rispondermi al pili presto » . Lo Spaventa, in¬
fatti, era tardissimo a scrivere, anche se chi aspettava era una dama
così gentile. Il Fiorentino badava a fare le sue scuse. Così, in una
lettera allo Spaventa del 19 novembre 1804, gli scriveva : « Alla marchesa
Florenzi ho parecchie volte detto quale sia la vostra indole,
perciò non ho durato fatica a persuaderla della vostra trascu-
ranzn nello scrivere. Ella ha sotto i torchi due saggi, uno di logica e
1’ altro di psicologia, ed aspetta di averli in pronto per rispondervi.
Credo che li avrà prima che il mese finisca. Li ha composti con
l’intendimento di dare due lavoretti elementari, e mi sembrano molto
giu¬ diziosi e precisi e chiari, da qualche capitolo almeno che ho
scorso, correggendo gli stamponi che le venivano quando io ero colà. A
proposito di lei, che cosa avete fatto per l’Accademia, di cui mi
parlaste costà? Io non le ho detto nulla, com’ era vostro desiderio ; e
sarebbe cosa ben fatta se si potesse effettuare, perchè veramente è
una donna meravigliosa per 1’ ardore che ha per la scienza » .
Lo Spaventa aveva pensato di premiare la nobilissima operosità e il
virile animo, onde la Florenzi proseguiva gli studi filosofici, facendola
ascrivere all’Accademia delle scienze morali e politiche di Napoli.
Nomina che la scrittrice gradì molto, e ne fregiò il frontespizio
de’ suoi libri pubblicati dopo il 1865. Primo il Saggio sulla natura
(Firenze, 1866), che è dedicato appunto allo Spaventa: non per orgoglio ,
ma soltanto perla fiducia... 198 STORIA
DELLA FILOSOFIA che gl’ ingegni, quanto più sono alti , tanto
maggiore in¬ dulgenza tisano alle persone di buona volontà. Gliene
chiese licenza il 14 dicembre 1865 con una lettera molto mo¬ desta,
dove sono espressi gli stessi sentimenti della de¬ dica a stampa, e da
cui s’ apprende che il Saggio era da tre mesi in tipografia.
Nell’aprile del ’G6 fu a Napoli il'cav. Evelino Wad- dington,
marito della marchesa, ed ebbe dallo Spaventa liete accoglienze. «Egli se
n’è tornato», scriveva il Fiorentino, « contento di aver conosciuto un
uomo del vostro ingegno e con quella franca ed ingenua indole, che
è segno infallibile». E come a Napoli si prepa¬ rava, in occasione d’ una
esposizione di cotone, un Con¬ gresso scientifico italiano, la Florenzi
contava di venirci anche lei; come infatti ci venne: «Ebbi la vostra
me¬ moria 1 che ho letta con grande attenzione per racco¬ glierne
quell’ utile che sogliono apportare i vostri scritti. Evelino fu molto
contento di conoscervi e lo sarò pur io fra poco, perchè ai primi di
agosto contiamo di essere costì nuli’ ostante gli eventi del
monito. « Mi faceste dire di fare un qualche piccolo discorso
per 1’ occasione del Congresso; e 1’ ho tracciato alquanto, e per distenderlo
vorrei la certezza se si fa o no codesto Congresso. « Io
presumo che no, stante 1’ imminenza della guerra ; nulla di meno vi prego
a scrivercene una riga ; ed ancora più mi preme sapere se vi troverete in
Na¬ poli a quell’epoca, o alla campagna, ed in quale cam¬ pagna, od
in quale città ; infine, mi direte dove dimo¬ rerete » (15 giugno
’6G). 1 La dottrina della conoscema di G. Bruno, pubbl. negli
Atti dell'Acc. delle Se. mor. e poi. di Napoli del 1865; risi. In Saggi
di cri¬ tica pp. 100-S55. 199 L'HEGELISMO
N U'OLETANO Un’ ultima lettera del 8 agosto 1867, ha un certo
in¬ teresse, per l’accenno che vi si fa al discorso Della
immortalità dell’ anima umana, che la Florenzi pubblicò nel maggio 1868
: « Io mi preparo o mi sono già preparata a scrivere un
opuscolo sulla immortalità dell’anima: problema scabroso! ma che voglio
sostenere perchè sento 1’ im¬ mortalità dentro di me e voglio essere
immortale a tutti i costi. Sarà dolorosa ai feuerbachiani miei amici 1
la mia assoluta opposizione». Nè anche gli amici hegeliani,
non feuerbachiani, d’ I- talia fecero plauso all’ assunto della marchesa.
E lo Spaventa alluderà forse, con quell’ ironia che gli era
propria, al discorso poco persuasivo della Florenzi, quando nello stesso
maggio 1868, scrivendo al De Meis, la chiamava: « la nostra immortale
Marchesa, — immortale almeno come, socia della Beale nostra Accademia » .
! L’intimo pensiero dello Spaventa sull’ immortalità dell’
anima individuale apparisce dal principio d’ una malinconica lettera da
lui scritta al De Meis il 13 luglio 1880 ; dove ricorda la sua prima
figliuola morta a tre anni : Napoli, 13 luglio 80.
Mio caro Camillo, Spero che la festa di quel sant’ nomo del
De Lellis, 3 tuo omonimo concittadino e la tua, ti riconoilieranno cogli
amici. In particolare io conto sulla reminiscenza, anche
involontaria, di que’ maccheroni al pomidoro; di quella Irittata e di
quelle cocozzelle, oramai divenuti celebri no’ nostri annali
domestici. Via de’ Fiori a San Salvario, n... 4 . Il numero non lo
ricordo 1 II Ff.ii* *riiach, coni' è noto, nel Gcdanhen iiber Tod
und Sterb- li chheil (183(1) sostenne la mortalità dell'anima.
J v. scritti filoio/lci. ed. Gentile, p. 303 n. 8 San Camillo
De I.ellis, di Bucchianico, patria del De Meis. • Recapito dello
Spaventa a Torino. Il numero era 23. Isabella Scano. moglie dello
Spaventa, a lui sopravvissula, morta il 18 die. 1001.
200 STORIA DELLA FILOSOFIA più, e non ho tempo
(li consultare la signora Isabella, che attende alle faccende di casa.
Non lo ricordo; ma fa lo stesso: ricordo il luogo, il prato, la soala, il
piano, le stanze e il mio tavolino da lavoro, e tutte le miuchionerie che
scrivevo : le cose futili e le serie; il mio chiodo Bolare e i misturi
he¬ geliani svelati ; e te che venivi ogni giorno, angelo consola¬
tore, e le chiacchiere che facevamo insieme; e la mia povera prima Mimi e
lo sue ultime parole: — Papà lavorai — Papà lavora! — Io non so so
(|uella casa sia rimasta ancora in piedi; oramai non vedo piti Torino da
circa vent’ anni : ma ella sus¬ siste tuttora qui, come forse non ha mai
meglio esistito iu realtà, nel mio cervello, o, come (licevano una volta,
nell’ a- nima mia; o non si dileguerà se non quando questo cervello
(Papà lavora, Papà lavora), non ci sarà piti. E che ne sarà! Che
significa nou esserci pi fi i Diverrà proprio nullaf Eppure è stato ed è.
O ci è proprio uu modo di essere che non è sussisterei E sussistere
cos’ài 1/orgoglio e la balordaggine umana ha trovato lo consolazione: —
tutto nasce e perisce, è vero, ma gli atomi restano, e son sempre quelli,
non mutali mai. — Bella scoperta! me li fo fritti gli atomi, io.
Troppo serio per la festa di San Camillo ; troppo malinco¬ nico,
anzi. Ma va e freua la mia fantasia!... Lo Spaventa, non occorre
dirlo, non era materialista. Ma nella concezione hegeliana della natura e
dello spi¬ rito non trovava posto per lo spiritualismo astratto, e
quindi neppure per l’immortalità personale. 3. Il primo
scolaro (li B. Spaventa (F. Fiorentino). Battaglie carducciane
ancddote. Nella nota polemica del 1876 con l’Acri il
Fiorentino dice di aver conosciuto tardi lo Spaventa, e poco prima
i suoi libri. « Letti i suoi libri, intravidi un altro mondo, e mi parve
rinascere. Allora (1861-1862) ero professore a Maddaloni, e stavo a
Napoli. Tra i molti L’HEGELISMO
NAPOLETANO 201 che si preparavano a combatterlo c’ero
io; ma, lettolo, mi sentii tirare verso lui, e capii che i suoi
avversarii non valevano neppure i suoi calzari. Quale fu la mia
maraviglia, quando dai più sinceri riseppi, ch’ei non avevano lotto nulla
di lui, e che lo combattevano, perchè volevano combatterlo, senza sapere
perchè! ». 1 Allora infatti egli si presentò allo Spaventa. Ma,
quando, sullo scorcio del ’62, andò a Bologna professore di Storia
della filosofia, non E aveva visto che due volte o tre. * * L’ultima di
queste ne ebbe consigli e suggerimenti circa gli studi per cui la
Biblioteca Universitaria di Bologna avrebbe potuto offrirgli E
opportunità. Giacché dallo Spaventa egli fu stimolato a intraprendere
quelle ricerche sui nostri filosofi del Risorgimento, da cui pro¬
vennero le sue opere più importanti. E quando si di¬ visero, lo Spaventa
dovette annunziargli il libro, che allora stampava, Prolusione e
introduzione alle lezioni di filosofia , dove il Fiorentino avrebbe
trovato uno schema della storia della filosofia italiana. Glielo
inviò poi infatti con una lettera, della quale possediamo la
risposta : Mio carissimo amico, La vostra lettera e il
vostro libro lungamente aspettati mi sono arrivati carissimi. Mi son
messo subito a leggerlo, e posso dirvi di averne scorsa quasi la metà; se
non che intendo rifarmici sopra, come prima avrò satisfatto l'impa¬
ziente desiderio con questa prima lettura. Voi mi riuscite sempre
profondo e stringato ragionatore ; oogliete nel criticare il nodo del
sistema, c ne mostrate lo scioglimento cosi luci¬ damente che meglio non
si può. lo vi ho sempre tenuto, e vi tengo a ninno secondo nell’arto
difficilissima della critica filosofica, eh’ è quella appuuto, di cui noi
Italiaui abbiamo ' La fllos. contemp. in Italia, Napoli, 1876, p.
150. * O. c., p. 152. 202
STORIA DELLA FILOSOFIA specialmente bisogno, serondochè voi avete
maestrevolmente notato. Le considerazioni su la lìlosofia nazionale sono
esatte, e l’indole della filosofìa del Risorgimento, che io ho
letta fino al Bruno, è scolpita cou molta fiuezza, e contorni assai
rilevati. Le osservazioni su l’antichissima sapienza degl’i¬ taliani del
Vico, e ricavate qunuto al fondo dalla Scienza nuova, sono inappuntabili
; ed a rifiutarlo bisognerebbe di¬ sconoscere la teorica della parola dal
Vico medesimo adottata. Io mi rallegro di tutto cuore con voi, mio carissimo
amico, ed auguro all’ Italia molti uomini che vi rassomiglino.
Negli scrittori, come negli uomini, a me piace la lealtà del
manifestare le proprie convinzioni, quali che si fossero; la coscienziosa
ricerca nel formarsele, ed il saldo proposito del sostenerle. Ora invece
si scrivacchia e si cinguetta a spro¬ posito, e più ilei nomi e
dell’autorità si fa caso, che non della verità eterna ed immutabile. Voi
siete molto opportuno nelle condizioni poco prospero del nostro paese, e
gran bene potrete fare. Esperto come siete di gran parte delle
nostre città, dovete conoscere meglio di me, che cotesta o nessuna
può spingere e continuare il movimento della italiana filo* sofìa. Qui se
ne ha pochissima cura: alla mia scuola usano pochi uditori, alle altre
della mia facoltà meno che pochi, o nessuno. Per buona ventura è venuto
qua a continuare i suoi studi filosofici un bravo giovane delle provincia
meri¬ dionali, un tal Donato Jaja, quel medesimo che mi accom¬
pagnava, quando presi commiato da voi. Ila buon ingegno, e buona volontà,
eh’è ancora più rara no’ nostri giovani. Altri vanno e vengono più per
curiosità che per vaghezza ili studio: sono le comete di tutte le
cattedre. Tra pochi altri giorni vi manderò la Prolusione che
lessi qui, e che ho fatta inserire sul Progresso che si stampa
costà. Me no aspètto vostro giudizio, che quanto so che sia com¬
petente, altrettanto voglio che sia ingenuo e franco. Voi sapete che io
non mi sdegno dell’essere appuntato e corrotto: amo la verità più del mio
amor proprio... A libri filosofici qui si sta molto male, e sebbene
mi sia stato promesso che qualcheduno dei più necessari si farebbe
venire, pure io ci conto molto poco per la scarsezza dell’as¬ segnamento
di cui gode questa Universitaria Biblioteca. Avrei bisogno di buoni
espositori di Platone e di Aristotile, perchè questo anno mi occupo della
filosofia greca, e intanto, tranne L’HEGELISMO NAPOLETANO
203 alcuni commentatori antichi, non si trova altro. Ho
fatto ve¬ nire «lei mio la esposizione della Logica aristotelica di
Bar- thólemy; ina a far venire tutto a proprie spese come si
riescef ìi questo per me un gran contrattempo, c, senza le vostre
prevenzioni, quasi inaspettato o iuusputtabile. Chi diamine poteva
credere che la dotta Bologna viveva ancora in pieno Medio Evo»
pi Pomponazzi ci è il solo libro dell'Immortalità. I mano¬ scritti
di Boccaferrato versano più su la tisica aristotelica, che su la
metafisica: ed oltre a ciò sono poco agevoli a leggere, e a parer mio ili
poco giovamento. Ho trovato pori» Scoto Krigena, e Patrizzi, che costà
non mi era riuscito avere. Oopo che avrò letti questi, mi metterò a
studiare la storia della filosofia indiana del Colebrooke, che voi mi
diceste buona. * 1 Mi dimenticai l’altra volta di dirvi, che Vittorio
Cousin scriveva alla Florenzi una lettera sn quel mio lavoretto in¬
torno al Bruno, dove sentenziava degl’italiani a modo suo. È piuttosto
una lunga lettera, di cui io ho copia, che vi manderò, se vi aggrada
leggerla. Parla altresì del Vera.® Ecco quante ve no ho dette, e forse vi
avrò annoiato: ma io sentiva il bisogno di trattenermi con voi, e P ho
fatto alla mia usanza, e senza riserva. Io, oltre all’ammirarvi, vi
amo assai, e stimo che questo all’etto che vi porto renila più
scusabili le molte ciarle che faccio nello scrivervi. Quando avrete tempo
scrivetemi, perchò mi è caro comunicare con qualche spirito privilegiato
ed amico in tanta solitudine in cui vivo. Se potessi in qualche cosa adoperarmi
per voi, mi terrei fortunatissimo di farlo. Addio, adunque, mio
carissimo amico, ed amate Di Bologna, 12 del 1863.
Il tutto vostro Francesco Fiorentino. 1 Enrico Tommaso
Colebrooke (1765-1837), celebre indianista, pre¬ sidente della Società
Asiatica londinese, autore degli Kssai/s on thè Vedas and on thè
phtlosophu of thè llindous nel I voi dei Miscclla- neous Essaj/s (London,
1837, 3.» ediz., 1873); — e a parte: Essays on thè relii/ion and phtlos.
of thè Hlndous, 3.» ediz., London, 1858. 1 Tra la corrispondenza
Inedita del Cousin ci sono lettere del Fiorentino: vedi Gentile, Albori
delta nuova Italia, I, 150. 204
STORIA DELLA FILOSOFIA La Prolusione al corso di storia
della filosofia (letta il 25 novembre 1862) fu dal Fiorentino pubblicata
nel Progresso di Napoli (a. IL voi. II, 1863, pp. 22-33) ; ma non
venne più ristampata. È infatti ancora un do¬ cumento della fase
giobertiana del pensiero del Fio¬ rentino, quantunque vi appariscano le
prime tracce dei nuovi studi e delle nuove tendenze dell’ autore.
Giova riferirne qualche brano: Il pensiero, o signori, regola
il mondo o lo riempie, perché esso è la pienezza ed il vigore dell’
essere : è la sua compe¬ netrazione, e la sua identità. L’ essere senza
il pensiero è spar¬ pagliato, disterminato, e però incompiuto e Unito.
Imperocché l’essere compie se medesimo geminandosi, vale a dire
facen¬ dosi principio e fine; ed il mezzo, pel quale esso si pone e
conclude, è il pensiero, la relazione, l'identità suprema... (p.
23). Se non che esso nel mondo inorganico si occulta inconsa¬
pevole, eil in certo modo seppellito, comincia ad agitarsi operoso nel
vegetale, si va sempre pifi disimpacciando dal grave involucro della
materia nella forma dell’animale; e si sveglia libero e padrone di sé
filialmente nella coscienza umana... Il pensiero divino che trasparisce
attraverso tutto il creato, si che ogui cosa, secondo la frase biblica,
appaia piena dello spirito di Dio, non parla poi e non si rivela
am¬ piamente, se non nella coscienza dell’uomo. Il resto della
natura è parola scritta, rinchiusa, direi quasi cristallizzata: l’uomo
solo è parola viva e palpitante... (p. 24) La dualità di natura e
spirito non è insuperabile. Essa inette capo « nell’ unità cosmica ». E
in virtù di questa la natura tende allo spirito; che comincia bensì
aneli’ esso come forza individua partecipante all’ uni¬ versità del cosmo
; ma esso si generalizza pensandosi. ...Do spirito è l’attuazione
compiuta dell’unità cosmica, e ciò che questa è in potenza, ed esso è in
atto. Or quando lo spirito si abbia assimilato la natura e sé stesso per
quella serie di sviluppamenti che va spiegata nella Fenomenologia,
L'HEGELISMO NAPOLETANO 205 egli,
a rendere scientifico il suo processo spontaneo ed in- cosoio di sé, si
rifà sopra il cammino fatto. E può rifarsi in tre modi. Quando rigira sè
in sò, dà luogo a quel ripensa¬ mento che si dice riflessione
psicologica; e quando si ripete su la natura, partorisce la riflessione
detta dal Gioberti ontolo¬ gica. Ma sopra eoteste due guise di
riflettere, ve u’ ba una terza, che lo vince di pregio e di amplitudine,
vale a dire la riflessione logica, nella quale lo spirito si rivolgo su
la sua azione medesima, sul proprio pensiero... su la natura e 10
stesso spirito è Dio, ossia l’unità vera, l’unità che non è il
moltiplico, ma lo fa. Se l’unità cosmica fosso tutto, 1’ ul¬ timo grado
del pensiero sarebbe la riflessione psicologica e l’ontologica, e la
logica non sarebbe possibile. V’è logica, perché v’ha un assoluto
perfettamente uno; v’è la logica, perchè v’è Dio... Da logica è dunque
l’unità finale della cosmologia e della psicologia, come la protologia n’
era stata 1’ unità primitiva. L’ unità assoluta, 1’ unità cosmica, 1'
anima, 11 concetto; ecco le quattro gradazioni, per le quali passa
il pensiero speculativo, produceudo una scienza eh’è la prima e la
massima, e che comprende la protologia, la cosmologia, la psicologia e la
logica. . (p. 2fi) Venendo alla storia della filosofia, il
Fiorentino di¬ chiara che il disegno della storia si deve modellare
su quello della scienza : sicché la storia dev’ essere essa medesima un
sistema. « Una storia che non fosse un sistema ma un’ imbastitura di
fatti racimolati qua e là, non sarebbe meritevole di tanto nome». Quindi
la con¬ nessione da preferire tra i vari sistemi è quella logica.
So bene io essersi talvolta tenuto conto o della successione
cronologica, o della continuità etnografica; confesso che queste maniere
contengono qualche parte di vero ; che il tempo maturi ed incalzi le
deduzioni della logicn ; che la scienza alcune volte si sviluppi come un
dramma vivente in una nazione: nondimeno il pensiero, essendo di natura
estem¬ poranea ed eslraspaziale, mal si potrebbe acconciare tra
questi angusti cancelli... Egli è da maravigliaro intanto come fra
tanti che hanno trattato la storia della filosofia quasi uiuno abbia
fatto capo dellu genesi logica dei sistemi, salvo l’Hegel
206 STORIA DELLA FILOSOFIA in cui celesta legge si
appalesa inflessibile come il fato; e nelle cni mani la storia si
trasforma in una geometria, dove nulla viene lasciato all’arbitrio del
pensatore. Hegel accorcia e distende i sistemi come il Procuste della
favola, affinché tutti ripetessero costantemente il ritmo prescelto della
trico¬ tomia. Il Richtor inchina per contrario a sostenere l’au¬
tonomia delle scuole e dei sistemi ; sminuzza, taglia i nervi, e leva di
mezzo ogni addentellato. Nel primo 1’ uniformità ò monotona, nell’altro
la varietà rimaue disordinata ed inor¬ ganica. Contemporaro però questi
due estremi, badare alla continuità del pensiero universale, senza
disconoscere l'in¬ fluenza individuale, è proprio mettersi sul giusto
mezzo, ed in postura convenevole, onde si possa portar giudicio
sopra i sistemi. E qnando dico sistemi, io non guardo alla breccia
(f), ma alla radice: non all’aspetto subbiettivo, o nlla
convinzione del filosofo, ma alla materia, eli’ è stata fondamento
della sua opinione. Voglio vedere non quel ch’egli crede, ma quali
cause lo abbiano sforzato a questa credenza... (p. 29) La storia
della filosofia presuppone un sistema, che sia come il regolo con cui
conviene riscontrare e mi¬ surare le dottrine. E dalla maggiore o minore
ampiezza del criterio di una storia, dipende il valore di questa.
Hegel ha immedesimato la storia della filosofia col suo si¬ stema,
affermando non essere tutti gli altri se non momenti del suo, e
(singolare ardimento!! egli non si è peritato di pian¬ tare le colonne di
Ercole della filosofia ! L’avvenire giudicherà di lui, provando coi
fatti, se dopo la grande Enciclopedia ancora allo spirito umano qualche
cosa rimarrà da fare. Infine il Fiorentino toccava la questione di
una filo¬ sofia italiana contestata dagli storici stranieri.
Mettendo n rassegna le nazioni filosofiche di Europa, Hegel
tripartisce il mondo della filosofia moderna, maiorasco ina¬ lienabile,
tra l’Inghilterra la Germania e la Francia... Il Cousin di poi, n cui non
tornava conto una terza nazione, non avendo una tripartizione a fare,
ridusse le partite, e diede luogo a due nazioni soltanto, alla Germania
ed alla Francia... Il professore di Berlino e quello della Sorbona
si L’ HEGELISMO NAPOLETANO 207
trovano peri» d’accordo nel diseredare l’Italia. E perchè 1 Forse
Telesio e Galileo non parlarono mai del metodo spe¬ rimentale ? Giordano
Bruno non mosse dall’unità della sostanza prima ancora dello stesso
Spinoza? Campanella non iniziò la osservazione psicologica? K Vico non partì
dalla conversione del vero col fatto, statuendo il fondamento più solido
cito potesse avere la filosofia? Nulla di tutto questo, o signori;
tre termini bisognarono all’ Hegel, due al Consin, e per noi non rimase
luogo. L’Italia, se diamo retta alle divisioni di oltremonte non ha fatto
mai nulla, non ha pensato mai a nuli», e sola, spogliata del comune
retaggio dell’urnan go- nero, ella è costretta a stare spettatrice
stupida od ingloriosa delle maraviglie altrui. Troppo beata, se il
passato della Ger¬ mania o della Francia potesse diventare il suo
presente; troppo venturosa se, chiamata dalla straniera magnanimità,
le venisse consentito di spigolare nel campo, ove a si larghi
manipoli hanno gli altri mietuto. Mi rincresce, o signori, di dover
prorompere in parole amare verso uomini al cui ingegno porto di cuore
molta ri- vegenza; me ne rincresce ancora più forte per dover
rinfre¬ scare titoli lunga stagione abusati, quando la gloria dei
padri fu chiamata a coprire la riprovevolissima inerzia de’ figli.
No, io protesto, signori, die noi non vogliamo addormentarci sugli
allori dei nostri padri, che noi non vogliamo farci belli della loro
gloria, fragile schermo alle immeritate rampogne... (p. 31) Il
Fiorentino ricordava la « gran sollecitudine » che a Napoli egli aveva
visto « affaticare gl’ intelletti traen¬ done argomento a bene sperare e
ad asserire che forse la filosofìa era « deputata a maturare i fati della
patria». Faceva voti cho quel « desiderio ardentissimo » si dif¬
fondesse da Napoli per tutta Italia ; « lieto di poter proseguire
l’impresa, che qui (a Bologna) inaugurava il suo illustre predecessore»;
cioè lo Spaventa. Infine, una patriottica perorazione : Por
gli altri, o signori, la scienza può essere forse un ad¬ dobbo ed un
decoro, por noi italiani è desiderio di riscossa, è condizione
indispensabile di vita. Noi non sapremmo pas¬ sarcene senza tralignare
dalla nostra antica fierezza, senza 208 STORIA DELLA
FILOSOFIA disconoscere la missione nostra nella storia. E poi
grandi cose ancora ne avanzano a fare, nè potremmo meglio
allenarci, che fortificandoci la mento di profondi studi. Nella
infanzia dei popoli era la fede che operava prodigi, e remica
possibili le Crociate; nella loro virilità non si possono aspettare
altri miracoli, che lineili della scienza... Un pensiero che non
fosse progenitore fecondo di magnanimi fatti, io lo disdegnerei; ma
esso avventurosamente non sarebbe nemmeno da dire pensiero, si bene
fantasma vano, e passeggero capriccio. Io nel filosofo anzi tutto voglio
guardare l’uomo coni’esso è, e voglio trovarcelo vergine, schietto,
maschio e vigoroso. Io batto le mani a Socrate che combatte u Potidca,
sento un cotal orgoglio di coltivare la scienza elio mantenne serena la fronte
di Giordano Bruno avanti al rogo: applaudo a Kicbte che lascia la
cattedra di Jena e corre sui campi di Lipsia; e non so rifinire di
ridurmi nella memoria Sl’acteria, Mestre e Cur- tatouo, ove siete caduti
voi, Santarosa, Poerio e Pilla, va¬ lorosi ingegni, valorosissimi
cittadini. Sì, o giovani, di profondi veri e di magnanimi fatti
noi abbiamo bisogno, e 1’ Italia sarà. Addoppiate gli sforzi...
Per¬ corriamo di conserva e con alacrità 1' arduo arringo della
scieuza, e siamo certi di cooperare in tal guisa potentemente al riscatto
della patria nostra. La scieuza lo iniziò, ed essa indubitatamente lo
coronerà, snebbiando le nienti, aprendo il cuore a piò candidi alletti ed
utlbrzando le braccia della no¬ vella ed adulta generazione. Un ultimo
sforzo ancora, e quanto prima il Ponte di Rialto risuouerà dell’ eco
dell’ inno nazionale cantato sulle serve lagune dell’Adriatico, e le
piume dei nostri bersaglieri si agiteranno al vento che spira dai sette
colli (pp. 32-33). Dagli studi sulla filosofia greca pel
corso universitario annunziato nella lettera del 12 gennaio 1863, fatti
sotto l’ispirazione dello Spaventa, uscì il Saggio storico sulla
filosofia greca (Firenze, Le Monnier, 1864), dove il gio- bertiuno di tre
anni innanzi, autore dell’ opuscolo 11 Panteismo e G. Bruno, si palesava
hegeliano e scolaro dello Spaventa, di cui infatti metteva a proposito
la memoria su Le prime categoi'ie della Logica ili Hegel (1864).
Così il Fiorentino si staccava coraggiosamente da’
L* HEGELISMO NAPOLETANO 209 vecchi
amici di Napoli : onde nella conclusione del Saggio (p. 302) accennava:
«Devoto alla verità, non mi ter¬ ranno del certo impastoiato nè vecchie
preoccupazioni, nè codarde paure». Non gli mancarono, infatti, silenzii
sdegnosi e tacite rampogne, seguite da una rottura, che fu la prima
origine della polemica scoppiata dodici anni dopo con l’Acri e il
Eornari. Nella seguente lettera ne abbiamo il più antico documento:
Mio carissimo amico, Vi so infinitamente grado di llo coso
gentili che mi dito del mio libro, o non vi nascondo che le vostro parole
mi sono valso di sprone efficacissimo a seguitare. Voi sapete di
quanto peso io tenga il vostro parere? o come lo anteponga ad ogni nitro
che potessi avere in Italia, o anche (V oltre¬ mente 5 onde me n* è
venuta allegrezza o buona voglia da non potersi misurare. Per me la
filosofìa è stata sempre un amore, e perciò mi vi sou messo in buona
fede, e senza preoc¬ cupazione di partigiano. Non timido amico del vero,
io dirò sempre aperto il mio modo di vedere; ed in ciò debbo
confessare che voi mi siete stato esempio e conforto. Delle altrui
dicerie non mi brigo; conserverò P amicizia a chi me la continua non
ostante il dissidio delle opinioni, coni’ è mio costume; uon mi dorrà di
perdere amici, i quali pretendessero d impormi un treno, e di vincolarmi
con pastoie, che Panimo mio, non che nou comportare, anzi disdegna.
Questo anno mi occuperò «Iella filosofìa tedesca, e epocial- nmnte
di Kant, lo cui opere ho già tutte, oltre ad altre espo¬ sizioni, tra le
quali quella del Cousin. Sopra tutto ho in pn.'gio il vostro lavoro su
Kant e Rosmini, dove mi pare ve¬ dere il kantismo scolpito con tutP i
suoi pregi e le sue la¬ cune. Mi vo procacciando i nostri filosofi
«lei Risorgimento, per occuparmene in un lavoro che ho in animo di
stendere que- st’anuo medesimo. Ditemi voi se le biblioteche di
Torino, dove siete stato, ne hanno qualcuno, e quale; perchè potrei
chiedere al Ministro che fossero di mano in ninno mandati a questa
hibliot«^ca por studiarli... Vi ricordo e rnccomando da ultimo
l’affare della Metafisica 1-1 — Gentili:. Storia della filosofia.
210 STORIA DELLA FILOSOFIA Aristotile del Bonghi,
avendo egli ora il tempo di de¬ dicarsi alla continuazione di quella
stampa. Add.o, uno ca¬ rissimo amico, e ricordate ed amate
Di Bologna, 19 novembre 1864. Il tutto rostro
£—5S-Svt*-- — Addio. Dal lavoro su Kant e
Rosmini dello Spaventa ossia La filosofia di Kant e la sua relazione con
la filosofie italiana (Torino, 1860, rist. in Scritti filos pp. 1-
9) il Fiorentino aveva mostrato nel Saggio di avere ben compreso il
valore della categoria kantiana. Ma poco vantaggio potè certo cavare
dalla esposizione < Cousifr^Li «fe filosofìa di Kano che - 18«
era stata pure tradotta in italiano da F. Irmctiera eredità,
probabilmente, dei primi studi di Napoli, avan alla conoscenza dello
Spaventa. Della tradurne della Metafisica di Aristotele, di cui il Bonghi
aveva pubblicati i primi sei libri a Torino nel 1854, il Fiorent.no
in¬ sieme col Bonatelli, che allora gli era collega a Bologna
procurava di rendere possibile, con una sottoscrizione . resto della
stampa, anzi la pubblicazione completa, con hTristampa della prima parte;
ed è a deplorare che non ‘ S riusci», e che Jop» il Bonghi ne .1*»
*»b.n. donato il pensiero, quantunque la sua interpretazione
non sia senza difetti. TTT^ale che allora pubblicavano a
Napoli il De Sancii» e .1 Settembrini.
L’HEGELISMO NAPOLETANO 211 Il corso 1864-65 fu
in effetti consacrato a Kant. Della prolusione è notizia in quest’ altra
lettera, dove il Fio¬ rentino torna a lagnarsi del silenzio del Fornari,
dando a divedere quanto pur ne soffriva il suo animo affettuoso':
Carissimo amico, ...Io sono venuto qua a passarvi le feste,
ed ieri, appena, arrivato, vi ho trovato la vostra lettera rinviatami da
Bologna. Aspetto con premura la vostra lunga lettera, ora che le
va¬ canze ve ne lasciano il tempo. Ho letto a Bologna una
prolusione su Kant, di cui questo anno mi occupo precipuamente. Sarà
stampata a Firenze in un nuovo giornale scientifico, elio ha per titolo
La civiltà italiana, e eh’è diretto da De Gubernatis. Quando ne
avrò gli estratti, ve ne manderò uno subito. Se voi voleste
scrivere qualche rosetta, o in qualche modo valervi di questo nuovo
giornale, so che De Gnbernatis no sarebbe lietissimo, fc un bravo
giovane, che io ho conosciuto, e che vi ammira molto. Sapete voi,
che, avendo mandato il mio libro ad alcuni a Napoli, non ne ho avuto
neanche risposta! Che voglia dire, non so ; ma mi par barbara usanza il
voler imprigionare la mente umana. La mia, non si lascia inceppare, e
rinunzio vo¬ lentieri ad alcuno amicizie, quando queste non possono
con¬ ciliarsi con l’amore della verità. Por la soscrizione
ili Bonghi vi rinnovo le premuro, perchè egli sta aspettando che io gli
rimandi i manifesti. So come si vada incontro ad inconvenienti, ma noi
non assumiamo nessun obbligo personale. Addio, mio carissimo amico,
ed amate Di Perugia, 26 dicembre 1861. Il vostro
afet.mo sempre F. Fiorentino. La Civiltà italiana pubblicò
nei primi tre numeri (I trimestre, gennaio 1865) il discorso del
Fiorentino : Em- manuele Kant ed il mondo moderno; come pubblicò di
lui stesso il 19 febbraio 1865 (n. 8) lo scritto su I dia- 1 Cfr.
quello che se ne dice nella Filos. contemp., p. 139.
212 STORIA DELLA FILOSOFIA Ioghi di Orazio Rucellai;
dall’aprile al giugno dello stesso anno (II trimestre, nn. 1, 2, 5, 7, 11
e 12), le lettere Stilla Scienza Nuova di Vico / e nel luglio, il
discorso Dell’armonia del concelto di Dante come filologo, come storico,
come statisla (II semestre, nn. 1 e 2): lavori tutti ristampati più tardi
dall’ autore, salvo il primo, negli Scritti vari (1876). Del
discorso su Kant dimenticato conviene riferire qualche pagina, la quale
dimostra quanto il fiorentino avesse profittato della lettura degli
scritti dello Spaventa. Ecco, per esempio, come poneva il problema
kantiano : jjji sperienzu prima di Kant era stata smaltita siccome
il fondamento più stallilo della scienza, o come le colonne di
Ercole, di là dalle quali non era dato allo spirito umano travalicare
senza pericolo d’imminente naufragio. Kant ri¬ flette, clic la sperieuza
è tiu fatto, e ebe perciò non può essere primitivo; essendo un
risultamento, del quale si può e si deve cercare la guisa e la ragione
del nascimento. Egli adunque propone una domanda nuova nella storia della
tìlosoiìa. coni’è possibile la sperienzat E più generalmente
ancora: coni’ è possibile il conoscerei Con la quale domanda 1
oriz¬ zonte della scienza si trova onninamente cangiato, e i vecchi
filosofi seriamente imbrogliati. Il Galluppi, che primo in Italia giudicò
convenevolmente il movimento kantiano, si accolse di questa novità di
problema, e con la Bolita sua semplicità di linguaggio la espose così: —
Prima di Kant la filosofia era dommutio .1 o scettica: con lui comincia
una nuova forma, la critica. E prima, difatti, i filosofi o ammettevano
la sperieuza, o no; Kant uè l’nmmise, nè la rifiutò; ma disse: come
si formai II problema così mutato non versava più sull’esi¬ stenza
del fatto, ma sul suo nascimento; e cotesto è la mu¬ tazione più
sostanziale che Kant avesse recato in mezzo nella scienza
filosofica. I.a Scolastica mutuava or dalla tradizione religiosa,
or dalla storia, or finalmente dalla filologia il contenuto della
sua scienza: presupponeva l’anima, il mondo, Dio, i loro attributi,
la loro origine, e vi attagliava una forma scientifica per pal¬ liare
l’intrinseco difetto. Cartesio se ne sdegnò, e sopprimendo
213 L’ HEGELISMO NAPOLETANO quel vuoto ingombro,
fece capo alla coscienza, dove credette trovare il punto stabile, sul
quale puntellando la leva onni¬ potente del pensiero si mettesse in grado
di smuovere il mondo antico, e di sfasciarlo. La filosofia sperimentalo
sotterra¬ tagli ridusse lo spirito a tavola rasa, e vi disegnò sopra
le prime linee della scienza nascente. Kant sorpassò l’uno e
l’altra, e soffiò su tutto il sapere precedente, perfino su la coscienza
di Cartesio, pertìuo su la sperienza di Locke ; es¬ sendoché entrambe
contenevano degli elementi variabili, ed egli, messo su l'avviso dalle
rigide deduzioni di limile] non voleva più far entrare nella scienza
nulla elio avesse sembianza di mutabilità. Esposte
rapidamente la unificazione del molteplice, onde nell’esperienza kantiana
s’intuisce il sensibile e onde si giudica per mezzo delle categorie le
intuizioni, il fiorentino dimostra come la vera unificazione ancora
non sia compiuta, essendosi passati dall’ opposizione della materia e
della forma dell’intuizione a quella di intuizione e categoria.
Il legame primitivo, ove si rannoda il multiplo sì della sensibilità,
come della intuizione, è l’unità trascendentale della coscienza. E
badiamo che non ci tragga in inganno il nome medesimo di coscienza, di
cui Kant si vale in due si¬ gnificazioni ben differenti. Questa coscienza
trascendentale ò primitiva ed originaria; producondo gli opposti, non può
ella essere un opposto; se no, si andrebbe all’infinito. L’altra
coscienza di soconda muno vien oontraseguata con la giunta di empirica,
ed è una fattura di quella primo, come ogni altro fenomeno: va costruita
con la forma del tempo, con le categorie di possanza, di causa, di
relazione, e via via. La coscienza empirica, insomma, ò posteriore assai
alla coscienza trascendentale, la quale sola ò unità originaria e
feconda. L non è senza ragione se ho ribadito questa
distinzione, essendo capitalissima nel sistema che stiamo abbozzando,
il vero merito di Kant non è di avere trovato i concetti a priori,
ma di avere posto a capo della sintesi quella eli’ ei chiama energia
porlentota, vale a dire la unità sintetica originaria della coscienza.
L’illustre prof. Spaventa lia con molto aocorgimento
214 STORIA DELLA FILOSOFIA messo in sodo questo punto,
criticando la esposizione che il Ro- smiui aveva fatto del Kant. Non è
gii che gli opposti sieno dati, e che lo spirito, trovandoli, se ne
impadronisca e li vada elaborando: questo processo ci era prima di Kant,
ed egli lo ha sorpassato, vedendone la insufficienza. Imperocché
quale conoscenza potessi avere, posto che i termini, ond ella si compone,
fossero stati accoppiati per caso e alla rinlusaf Data da uua parte la
intuizione, dall’altra la categoria, e poi lo spirito che le sforza ad
un’ unione innaturale, o per lo meno arbitraria ; non si vede che il
giudizio sarebbe un’imbastitura come quella che descrive Orazio, e non
già un processo dello spirito, il cui carattere specialissimo è
l’intimità? Se lo spirito adunque unisce gli opposti, è perchè entrambi
scaturiscano da una sorgente comune, e perchè il riunirli è per lui una
scria necessità. Ma Kant non fu coerente a questo concetto della
sua energia portentosa. Confusa la coscienza trascendentale pura
con l’empirica, ritenne impossibile la deduzione logica delle categorie,
che ripescò perciò empiricamente attraverso i giudizi ; stralciò il
pensiero dall’ essere, fa cendo della sua attività una forma affatto
vuota ; e finì nel noumeno inconoscibile. E la conseguenza è
giusta, ogni volta che si ammetti' un pensiero che non pensa nulla, e, di
rincontro, un essere che non può essere pensato. Se non che lo sbaglio
sta appunto in questa concessione. Un pensiero vuoto non è : un
essere non pensato non è: sono due astratti, ai quali voi
accordate, con soverchia larghezza, forma e persona. Che vuol dir
mai cotesta cosa in sè, che fatalmente sfugge al nostro intelletto?
Cotesto essere oscuro, che brilla per la sua mancanza, e dopo balenato
alla mente, si cela per sempre? Voi diti' di non co¬ noscerlo ed io vi
replico con 1’ Hegel, chi' nulla è più Incile a conoscere di questo punto
oscuro. Esso è l’oggetto del pensiero spogliato di ogni determinazione,
vuotato di ogni contenuto, ridotto alla mingherlina condizione il’
identità pu¬ ramente astratta. Or dunque non raffigurate in lui uuu
crea¬ tura vostra?.... L’HEGELISMO NAPOLETANO
215 Nè le altre due Critiche riescono a sanare
pienamente le conseguenze prodotte da questa opposizione risorta
tra pensiero ed essere nella Critica della ragion pura. Nella
stessa Civiltà italiana (II sem., n. 10, 17 set¬ tembre 1865) il Fiorentino
inserì una recensione del primo di quei tanti libri che poi Ruffaele
Mariano venne compilando sui libri altrui : Lassalle e il suo
Eraclito, € saggio di filosofia hegeliana » (Firenze, 1865). Recen¬
sione benevola verso il giovine autore, nella quale giova rilevare due
osservazioni, che mostrano già nel ’65 ben determinate le due direzioni
divergenti degli scolari del Vera da una parte e di quelli dello Spaventa
dall’ altra. Una è questa : « Perchè chiamate rivoluzionaria, in
senso di... retriva la filosofia di Rosmini? Perchè dir filastrocca
quelln del Gioberti? Questo acerbo procedere verso due illustri italiani,
quando anche si fondasse sul vero, non sarebbe certo modesto consiglio il
tenerlo. Nè veggo che l’essere hegeliano debba di necessità far avere in
poco conto le loro dottrine, perchè la critica imparziale e seria,
che P illustre prof. Spaventa ha fatto dell’ uno e dell’altro, prova il
contrario». L’altra è anche più notevole: «Ammesso come pre¬
feribile [a quello di Lassalle] il giudicio di Hegel sopra Eraclito, non
v’ha proprio nulla a ridire, specialmente su la relazione che P Hegel
pone tra Eraclito e P ultimo degli Eleatici? E forse vero che Eraclito
segni un progresso sopra Zenone? Pare che, Eraclito essendo stato prima
di Zenone, la dialettica obbiettiva di quello sa¬ rebbe apparsa alla
coscienza speculativa prima della dialettica zenoniana ; onde l’andamento
storico, per lo meno, sembra essere stato da Hegel capovolto. Dico
ciò, allinchè l’egregio Mariano si tenga in guardia inverso la
eccessiva fiducia nell’ autorità di maestri, per grandi che fossero. Le
colonne di Ercole dell’ ingegno umano. 216 STORIA DELLA
FILOSOFIA bisogna tenerle discoste più che si può ; e se si
potesse affondarle nell’Oceano, tanto meglio. Anche lo Spa¬ venta
era di quest’avviso. Nel 1865 il Fiorentino si accinse al suo
lavoro sul Pomponazzi, pur continuando all’Università i corsi sulla
filosofìa tedesca moderna. E scriveva allo Spaventa: Mio carissimo
amico, È trascorso gran tempo che manco <li vostre nuovo,
non ostante die vi abbia scritto durante le vacanze, quando il
Settembrini mi fece sapere ch’oravate a diporto nella cam¬ pagna. Ora che
il oholèra si sente a Napoli, io sono divenuto inquieto per causa di qualche
amico elle vi ho, e più d ogni altro per causa vostra. Levatemi da questa
iuquietitudine scrivendomi due parole che m’informassero della vostra
salute. Io sono tornato qui prima della riapertura della
Università, e vi ho riprese le mie lozioni. Ho passate le vacanze
qualche giorno a Ravenna, un po’ a Firenze, un po’ a Perugia, e poi
il più del tempo in villa. Sto esponendo la filosofìa tedesca da
Kant in qua ; e ciò alla Università. Sto preparando una biografia ilei Pomponazzi
ricavata dalle sue opero medesime, per leggerla nella Società di Storia
Patria, di cui faccio parte. Se questa prima non dispiacerà, o non parrà
inutile, ne farò qualche altra di qualche pensatore più importante che
abbia insegnato a Bo¬ logna. Oltre l’Acbillini, chi altro mi suggerireste
voif Forse potrei farla ancora del Cromonini, che, stato a Ferrara,
può dirsi delle stesse provinole di Emilia: del Zabarella no, eh’è
stato soltanto a Padova. Io poi a queste biografie, elle leggerò nella Deputazione
di Storia Patria, aggiungerò per conto mio la esposizione e la critica
del contenuto filosofico dei loro libri, compiendo di ciascuno una
monografia. Che ve ne pare t ...Col medesimo ordinario vi
spedisco un libretto conte¬ nente alcune mie lettere su la Scienza Nuova.
Le scrissi per compiacere a De Gubernatis, che mi chiese qualcosa per
la sua Civiltà italiana. Non sapendo se abbiate o no avuto quel
periodico, ve le mando così radunato, come le feci estrarre;
L’HEGELISMO NAPOLETANO 217 e vi prego di accettarla come
testimonianza della mia sincera stima ed amicizia. Addio
adunque, datemi presto vostre nuove, e ricordate ed amato Di
Bologna, 30 novembre 1865. Il vostro afi.mo amico P.
Fiorentino. E questo il primo disegno del Pomponazzi, la cui
biografìa fu prima inserita negli atti della Deputazione di Storia Patria
per le provincie di Romagna (1867), e poi riprodotta in capo al volume
pubblicato nel maggio 1868. Il 19 giugno 1867 il Fiorentino, che
diventava sempre più intrinseco dello Spaventa, tornava a darne
notizia all’ amico : « Io aspetto la nuova ristampa [della tua memoria]
sul Campanella, 1 perché essendomene quest’ anno occupato nel corso
scolastico, sono desideroso di vedere come tu l’hai trattato. Ora sono
attorno ad una monografia sul Pomponazzi, attorno a cui raggrup¬
però i più celebri suoi contemporanei. Me lo stampa il Le Monnier... Me
ne dà cinquanta copie e 150 lire pei libri che mi sono occorsi ». E il 26
aprile 1868: « La stampa del mio libro è finita, e sono attorno a
scrivere due parole di conclusione, per le quali ho aspettato di
ri¬ leggere tutto il libro, che non avevo riletto, nè ricopiato,
dopo scrittolo. A Firenze, nella Magliabechiana, trovai di Pomponazzi un
manoscritto inedito col titolo di Quae- sliones ammostiate : * le chiesi
al Napoli. 3 Mi promise di spedirle subito, ed ancora non le vedo. Ciò mi
turba non poco, non potendo sbrigare subito la stampa. Ma¬ ledetta
fiaccona degl’italiani! ». 1 III Saggi ili critica, Napoli,
1867. 5 Cfr. Fiorentino, Pomponazzi, p. 509. «Federigo
Napoli, allora segretario generale del Ministero della I. P.
218 STORIA DELLA FILOSOFIA Uscito
il libro, il Fiorentino, mandato che l’ebbe allo Spaventa, ne attendeva
con la solita ansietà un giudizio. E giudice, in altro campo, era stato
quell’anno lo Spa¬ venta a Bologna, tra ire, sospetti e timori, di cui
un’eco risuona anche nella lettera qui appresso riferita del
Fiorentino. Era stato col Brioschi e il Messedaglia a fare quella
ispezione alla Università, di cui parla il Carducci in Ceneri c faville ;
e aveva riferito lui al Mi¬ nistero. Mio Carissimo
amico, Ilo ricevuto i manoscritti del Gatti, che ho
consegnato subito al Siciliani, uonchè lo due dispense che mi
mancavano, e di cui ti ringrazio vivamente... Non ho visto incora
l>e Meis, ma fari) di tutto per leggere la lettera di venti pagine:
1 ci dovrà essere una epopea intera. Qui si fa un grati dir
male di te per la famosa relazione: * io uon l’ho letta, e se non la
leggerò, non me ne sto al detto di nessuno. Mi si è detto cose, alle
quali, come puoi pensare, non ho potuto dar credito: tra le altre cose
che voi avete dato una patente d’ignoranti a tutta l’università in
massa, e che in difetto di scienza, si va in cerca di popolarità
nello associazioni politiche, lo per me, se fosBe vero il detto,
nou protesterei per l’ignoranza, che sento di averne una grossa
dose in corpo, nm protesterei per la popolarità, perchè non no ho avuto
mai gran voglia ; e se si acquista nei cliilie, ci vorrà un pezzo prima
che me ne tocchi un briciolo. Manco male se si acquistasse dormendo,
perchè allora potrei averci delle pretensioni. Fuori di scherzo, quello
che si bucina qui, e che ha prodotte molte ire, nò senza ragione se fosse
vero, 1 La lettera al De Meis che fu pubblicala col titolo
Paolotttsmo, positivismo e raslonallsmo , c che é qui appresso
citata. « Si allude a una Relazione da lo Spaventa presentata al
Ministero della P. I. in seguito ad una inchiesta da lui fatta in
commissione col Brioschi e col Messedaglia, nell’ Università di Bologna,
iter ragioni d'ordine politico, nel 1868. Un articolo del Carducci su
questa faccenda, pubblicato Dell'Amico del popolo, di Bologna, del 29-H0
luglio iami. si può vedere nel volume teneri e faville, serie I: Opere,
V, 61 sgg. L’HEGELISMO NAPOLETANO 219
è qnell’aver messo sotto nini tuie cntegorin, e tutti in un
fascio, i professori bolognesi, lo sono nn mezzo proscritto, perchè
sapendomi tuo amico, o si guardano di me, o mi tempestano a tutta
furia. Lasciamo questa miseria. Ho letto i documenti che il
Berti lui stampato della vita di Bruno. Il processo veneto, se non
e stato adulterato il contenuto, fa mostra di poca fer¬ mezza, o non so
persuadermene. Che cosa ne dici tu! Gli hai visti! 1 Ho tra
le mani pure la seconda edizione delle opere di Comte, e voglio leggerla
tutta, perchè ne ho Ietto soltanto esposizioni, benché assai
larghe. Il mio libro è (inito, almeno le correzioni ultime le
mandai una settimana fa, ma ancora noi vedo. Appena uscirà,
scriverò a Firenze, che di là stesso te ne mandino mia copia, per
far più presto. Tu poi leggila col tuo comodo, e dimmene il tuo
parere, quando potrai. Capisco che hai molto da fare, o che non puoi
tutto quello che vuoi. Mi prometto di avere qualcosa di tuo pel
giornale; qualcosa del Settembrini, fosse anche tuia pagina. Il Siciliani
spesso me ne fa premura... Io non solo non ti ammazzo, ma ti rin¬
grazio, e col vecchio adagio ti ripeto: meglio tardi che inai. Non credo
però a quel « subito », con cui vuoi darmi ad in¬ tendere che mi
scriverai del lavoro di Labriola.* * Sii contenterei che fosse tra nn
mese. Hai avuto il libro del De Meis! 3 Dopo il Don Chisciotte
non ho letto libro che mi avesse fatto rider tanto : le cause del
riso sono spesso gravide di grandi pensieri. Mi piace molto, ma molto.
Qui l’hanno con lui tutti, il dott. Rossi perchè noi trova abbastanza
filosofo, le donne per essere state chiamate animali domestici, e portino
i bambini per essere stati ingiuriati 1 II Fiorentino, esaminali
più lardi gli atti del processo veneto, si confermò Infatti nel sospetto
che fossero adulterati. Vedi un suo scritto nel Oiorn. napol. di fllos. e
teli., luglio 1878. * Non saprei dire a qual lavoro si
alluda. * Il Dopo la laurea del l)e Meis (1808-69).
220 STORIA DELLA FILOSOFIA per
tignosetti. La contessa Gozzadiui 1 gli scrisse una lettera, nella quale
si firmava: « l’animale domestico di Gozzadini*. Addio, mio
carissimo Spaventa, veglimi bene come te ne voglio io Di
Bologna, 19 maggio ’68. Aff.mo tuo amico F. Fiorentino.
Lo Spaventa dovette rassicurarlo sul contenuto della famosa
Relazione. Quindi quest’ altra lettera del Fio¬ rentino : Mio
carissimo amico, Ero capacitato anche prima, che tu non potevi aver
detto tutta quella roba da chiodi di questa Università, che altri
diceva, ed i pih credevano, lo perù, come amico, mi tenui in obbligo di
informartene, non per conto mio, ma per tua regola. Tu puoi già pensarti,
che con gli altri ho detto, e gridato, e asseverato, esser impossibile
che tu avessi voluto, e potuto dire quello che non era; e elio la verità
poi non si può, nè si dove tacere. La tua lunga lettera mi ha fatto
bene, perchè mi ha snebbiato adatto la meute: il cuore, già s’in¬
tendo, propendeva sempre a darti ragione, e non ci era bi¬ sogno di altri
eccitamenti. Io dunque non solo non ti ammazzo, ma neppure ti muovo un
rimprovero, molto meno poi per mie personali considerazioni, lo sono un misto
di stoico, di cinico, e di scettico, che di questi tre elementi non so
quale prevalga pih. Dal Ministero non voglio nastri, dagli studenti
non voglio applausi; dunque, mi sento in grado di resistere ad ogni
tentazione. Ad una sola cosa non resisto, ed è il bisogno di voler bene
agli amici, e di dir loro franca, ed anche brusca la verità.
Tu avrai dovuto ricevere a quest’ ora una copia del mio Pomponazti;
perchè io, vedendo il ritardo di Le Monnier a spedirmene le copie,
commisi ad un mio amico di spedirne 1 Maria Teresa G., di cui
scrisse la Vi la 11 marito, Giovanni Goz- zadini (Bologna, Zanichelli,
1884), con pref. di G. Carducci. V. pure Carducci, Opere, III, 369
ss. 221 L’HEGELISMO
NAPOLETANO una copia almeno a te ila Firenze stessa. Fa il tuo
commotlo nel leggerlo, ma poi dammene il piìl severo giudizio die
tu possa, perchè da nessuno me lo aspetto piìi aspro e più
istruttivo. Chi mi dica: bravo, non ini mancherà; ed anzi più me lo dirà
chi meno me ne crederà degno, nè io ho da peccar contro la modestia per
accettarli, o per pronunziarmeli io stesso; ma chi mi mancherà di certo
sarà chi mi dica: qui hai sbagliato, là avresti dovuto pensar meglio:
queste pagine avresti dovuto bruciarle intere intere. Kbbene, voglio che
quest’uno non mi manchi, e dovrai essere tu. Mettiti al naso
l’inseparabile occhiale, aggrotta le ciglia, prendi quel cipiglio mezzo
tragico che hai nella fotografìa di Napoli ; e per dir tutto in una
parola, figurati di scrivere una pagina di quella relazione, per la quale
vivrai eterno tra gli archivi del Mi¬ nistero, e poi scrivimi un
letterone quanto quello che scrivesti a De Meis. Più male parole ci
troverò, e più te ne renderò grazie. A proposito, quella tua
lettera, con partito unanime, fu li¬ cenziata alla stampa, riseoandone
certi nomi propri, e certe espressioui che ricordavano il Candelaio di
Brano... Io mi oc¬ cuperò in alcuni articoli successivi dei tuoi lavori.
Vorrei farne tre o quattro, o quanti me ne verranno, per far notare
lo sviluppo della filosofia italiana secondo la tua critica, che a me
pare una vera scoperta. Ma aspetto prima di finire le lezioni, perchè tu
sai che questa rivista non è tanto facile... Addio, mio carissimo
Spaventa, e veglimi bene come te no voglio io Di Bologna, 3
giugno 1868. Ajff.mo tuo amico F. Fiorentino. La
lettera dello Spaventa, stampata nella Rivisiti Bo¬ lognese, , che allora
il Fiorentino pubblicava con l’Al- bicini, il Siciliani e il Panzacchi, è
quella al De Meis, col titolo Paolottismo, positivismo e razionalismo
(rist. in Scritli filosofici, pp. 291 sg.). Gli articoli che il
Fio¬ rentino aveva in animo di scrivere sulla scoperta dello
Spaventa, non furono più scritti. Ma egli se ne occupò qualche anno più
tardi in quello inserito nell’itoh'a dell’ Hillebrand.
222 STORIA DELLA FILOSOFIA E poiché
abbiamo accennato alle brighe universitarie bolognesi del 1868, di cui fu
tanta parte il Carducci, diamo pure un altro curioso brano di lettera del
Fioren¬ tino, diretta allo Spaventa poco dopo la sua partenza da
Bologna, dove si serba il ricordo d’una polemica del Carducci col De Meis
e col Fiorentino: « Io sono stato poco bene, parte per la stagione
che corre, parte ancora per una certa polemica, nella quale ci
siamo trovati De Meis ed io, e di cui non so se ti è pervenuto rumore. Or
dunque, hai da sapere, che il Carducci, credendo dall’articolo di De
Meis, intitolato Il sovrano, 1 offesa la dignità del suo partito, gli
scrisse contro nell’-Amico del popolo parole aspre. Gli diede del-
l’imbecille, chiamò citrullerie le cose dette dal De Meis... L’ articolo
non era firmato ; ma io sapeva esserne stato autore il Carducci, per aver
questi scritto le stesse cose in una lettera particolare al Siciliani. s Risposi
io, di¬ cendo... potersi combattere le opinioni, senza insultare le
persone. Il Carducci si rivolse contro di me una prima volta ; ed io lo
avvertii privatamente, che lo avrei jHinto sul vivo. Non si stette a
questo avviso, e ripigliò da capo una tirata contro di De Meis e di me ad
un tempo » (18 marzo 1868). Il Fiorentino replicò, ed ebbe, a
quel che sembra, l’ultima parola. Ma, «tutto ciò mi ha irritato»,
egli scriveva nella stessa lettera, « ed il povero De Meis n’era
rimasto seriamente afflitto : dopo avuta la rivincita, che tutta Bologna
ha approvato, si è rinfrancato ; ed ora * Pubbl. nella Rivista
bolognese del 1868. * Documenti dell’amicizia del Carducci per P.
Siciliani sono i giudizi del primo sul Rinnovamento della filosofia
positiva in Italia del Siciliani, In Ceneri e faville, 8. II, Opere ,
VII, 362-68: e le af¬ fettuose parole Alla bara di P. Siciliani, in
Ceneri e faville, s. Ili, Opere, XI, 313-316.
L’HEGELISMO NAPOLETANO 223 è allegro e sta bene...
Eccoti descritta la nostra battaglia, eh’è finita con nostro
decoro». Quegli articoli il Carducci non li volle pili
ristampati. Ma insieme con quelli del Fiorentino sono stati rin¬
tracciati dal Croce, che ha così potuto tessere la storia di questo aneddoto.
1 In un’altra lettera di due anni appresso (25 maggio 1870)
del Fiorentino allo Spaventa si legge ancora: « Io sono sul punto di
rientrare in lizza col Carducci, che mi ha provocato con una nuova
lettera insolentissima. Questa nuova contesa, alla quale non ho potuto
sot¬ trarmi, mi fa crescere il desiderio di allontanarmi de¬
finitivamente da Bologna ». Nel novembre 1871 il Fio¬ rentino, infatti,
si fece tramutare nell’ Università di Napoli, come professore di
Filosofia della storia. Ma non aveva lasciato Bologna quando
cominciò a lavorare intorno al Telesio. Ecco infatti che cosa
scriveva allo Spaventa il 14 gennaio 1869: Mio carissimo
amico, Sono passati sei lunglii mesi che uè ti ho piti visto, nò ho
avuto tue nuove, tranne questa che mi diede tuo fratello, che tu eri
stato a villeggiare negli Abruzzi. Ora è cominciato un anno nuovo, e
voglio ritentare se tu, chi sa, volessi pure incominciare una vita nuova.
Dalla parte mia non voglio mancare di mandarti i miei augnrii, tra i quali
non ultimo quello di scrivere un poco più frequentemente agli amici.
Vedi, che non ho detto di pensare o di voler bene ad essi, perchè
so che per questo riguardo non ci è bisogno di miglioramenti. Io
quest’ anno mi occupo di Leibniz o di Spinoza princi¬ palmente, poi dei
seguaci, e, se mi avanzerò il tempo, di Ma¬ lebranche. Mi servo, oltre
alle opere loro, di varii espositori e critici, tra i quali della
stupenda storia di lCuiio Fischer. 1 Vedi B. Crocb, Documenti
carducciani: una dimenticata potè- mica tra II Carducci, F. Fiorentino e
A. C. De Mele, nella Critica vili (1910), pp. 401-421.
t 224 STORIA DELLA FILOSOFIA Avrei
intenzione di scrivere quulclie cosa sul movimento telesiano, ed ho
scritto per avere alcuni manoscritti che ri¬ guardano Telesio, e che si
trovano parte costà, parte a Firenze. 1 lo aspetto sempre il tuo parere
sul mio libro; parere, che per essere più aspettato, e piìì pregiato di
tutti, si fa lungamente desiderare. Ma verràf Lo spero. Hai
letto che cosa ne scrisse Franti sul Centralblatt? Egli stesso mandommi
con molta cortesia un numero di quel gior¬ nale, dove ci era la sua
rivista sul mio libro. Con De Meis ci vediamo spesso, ma egli non è
in grado di darmi tue nuove, più che io non sia riguardo a lui. La
neve ieri si è fatta vedere la prima volta in città: tu però quest’anno
non verrai a goderne lo spettacolo. Io quasi quasi sarei tentato di
pregare che a qualche professore saltasse in capo di tribuneggiare per la
tassa del macinato, per vederti comparire in commissione straordinaria.
Ma non vorrei poi il danno del prossimo: in questo sono cristiano.
Tra questi giorni scriverò a Vera per invitarlo a scrivere qualche
cosa su la nostra Rivista. 11 Siciliaui, con le suo velleità ortodosse,
n’ò uscito, come saprai, ed io e l’Albicini vorremmo tenerla in piedi,
anche uu po’ più decorosamente. Con te non ci vogliono inviti; ma, lo so
purtroppo, non c’è neppure da far grande assegnamento. Addio,
mio carissimo, scrivimi qualche riga, anche per dire a chi mi doumnda di
te, che sei vivo o sano. Di Bologna, 14 del 1869.
Aff.mo tuo amico F. Fiokentino. L’articolo del Franti
sul Pomponazzi uscì nel Cen- tralblait del 30 ottobre 1868, e fu tradotto
dal Tocco e pubblicato in Italia, in una difesa dell’opera del
maestro contro gli attacchi della Civiltà Cattolica (nella Rivista
contemporanea di Torino, a. 1860, voi. LVI, pp. 247 58). Del
Telesio si torna a parlare in una lettera del 9 novembre 1869 : « Tocco
ti ha mandato la prima dispensa 1 Vedi L. Settembrini,
Epistolario, con pref. e note di F. Fio¬ rentino, 3.* ed. Napoli. 1898,
pp. 285-88S. 835-8. 225 L’HEGELISMO
NAPOLETANO delle sue Lezioni, * 1 e so che aspetta il tuo giudizio.
Io ho cominciato a scrivacchiare le prime pagine di un lavoro sul
Telosio, che non so come mi potrà riuscire. Aspetto la tua memoria
completa su P Etica di Hegel. 1 Quanti più ne conosco, tanto più ti stimo
e ti voglio bene. Dimmi ora una cosa; vorrei dedicare a te ed a De
Meis questo mio lavoruccio sul Telesio, quando' sarà finito: accetteresti
tu la dedica? Tra me e te non ci sono timori di adulazione, o di altri
secondi fini : è una pubblica professione di stima e di amicizia,
che mi piacerebbe di fare...». Il primo volume del Telesio
(18<2) fu dedicato, infatti, allo Spaventa: non solo come
testimonianza di amicizia, ma come dovere di gra¬ titudine e di
giustizia: di giustizia verso chi aveva scritto i saggi sul Bruno e sul
Campanella ; di grati¬ tudine per l 'insolita luce che scintillava da
essi, e da cui il I iorentino era rimasto colpito. In questi studi
storici sui filosofi italiani del risorgimento il Fiorentino infatti non
fu, come s’è detto, se non uno scolaro dello Spaventa: da lui avviato e
da lui guidato. Ecco come cou lo Spaventa si consigliava per
pre¬ pararsi al primo corso di Filosofia della storia da tenere a
Napoli : Camerino, 26 luglio 1871. Mio carissimo
amico, Ti Borivo da Camerino, per sapere come stai, poiché
non mi iti dato di rivederti a Bologna, dove sperava poter passare
qualche giornata cou te. Avevo anzi desiderio di discorrere 1 F.
Tocco, Lezioni di filosofia ad uso de’ Licei, Bologna, R. Ti¬ pografia,
1889, con pref. del Fiorentino. 1 il proemio a gli Studi sull'mica
di Hegel era uscito nel 1869 nella Riv. bolognese; ma l’anno stesso fu
ristampalo con gli Studi negli Atti della R. Acc. delle se. mor. e poi.
di Napoli; e il tutto fu ripub¬ blicato da me nel 190-1 col titolo di
Principti di Elica (Napoli, Pierro).. 15 - Gkntilb. Storia della
filosofia. 226 STORIA DELLA
FILOSOFIA teco seriamente, per sapere che cosa avresti creduto
meglio, ch’io potessi insegnare nel corso dell’unno venturo in
coleste Università. Tu sai meglio di me i bisogni, i desideri!, ed
anche i gusti di costà, lo per me vorrei far poche chiacchiere sui
generali, e, detto quel tanto eli’è indispensabile come in¬ troduzione,
entrare a dirittura nel tema, che sarebbe, salvo tuo avviso in contrario,
il mondo grimo. Dol mondo orientale so poco: avrei bisogno di studiare
prima; ed il tempo, per questo anno almeno, mi manca. Della Grecia
conosco qualche cosa, e con questi tre mesi di studio mi preparerei
suffiiiien- temente. Che cosa ne dici tu? Quali libri mi consigli di leg¬
gere ? lo sto rileggendo gli storici greci ; e dopo averli riletti
testualmente, uii gioverò del Grote e del Curtius. Per la parte
letteraria ho il Milller (Ottofrodo); per le religioni, la Storia di
Alfredo Minirv; per la parte filosofica, il Zeller; per arte greca forse
mi gioverebbe il Winckelmann, ...a noi so, perchè ancora non lMio
lotto. Da tutti questi potrei attingerò, si sa, i materiali; ma
U resto è da fare. Le poche linee di Hegel nella Filosofia Mia
storia mi servirebbero di traccia: sui tuoi consigli poi faccio largo
assegnamento. Intanto comincia dal darmene qualcuno, e fa presto...
Tutto tuo F. Fiorentino. Aggiungo qui appresso un
altro gruppetto di lettere o frammenti di lettere dello stesso Fiorentino
allo Spa¬ venta, di cui trassi copia alcuni anni fa dalla carte
dello Spaventa ora depositate presso la biblioteca della Società
napoletana di storia patria ; poiché anche queste lettere e frammenti /
gettano qualche luce sugli studi, sulle passioni, sulle idee, che si
agitavano in Italia in¬ torno allo Spaventa. (Pisa, 14 aprile
1873). — Ieri sera parti di Pisa Silvio, ed a quest’ora sarà a Milano, e
domani parlerà a Bergamo. Si trattenne con me la giornata d’ ieri, ed
arrivò qni avantier- sera. Sta benissimo, e me ne sono consolato tanto.
Gli dissi L’HEGELISMO NAPOLETANO 227 elle ti
avrei scritto stamattina ed al solito ti mando queBta lettera col liciti.
1 K la tna lunga lettera? 15 rimasta tra i pii desiderii, di
cui è lastricato, dicono, 1’ inferno. Io ho scritto una risposta
all' accademico linceo Pietro Hu- cione. 1 Si sta stampando a Napoli, e
vorrei che tu ne guardassi le prove prima di pubblicarsi. Ne ho scritto
al Zumbini, perchè te la mostrasse. Gli ho fatta una lavata di capo
delle mie solite. La presunzione e P ignoranza nel Ferri si bilan¬
ciano tanto, che non so a quale delle due dare la preferenza.
Aspetto tua lettera dopo letto questo articolo: mi preme sapere il
tuo giudizio, e ti do piena facoltà di mutare, e di cancellare anche
qualche cosa, die non ti paia conveniente, o inesatta.
(Portici, 9 settembre ’73). — Ieri tornai da Soma, dove la¬ sciai
Silvio che stava benissimo. Ho trovato qui una lettera dello Zeller, clic
mi annunziava la sua venuta a Napoli. Oggi P ho visto, ed ho insieme saputo
dal Labriola, che tu sei a Maddaloni. Vuoi vederlo? Oggi si è parlato di
te, ed egli de¬ sidererebbe di conoscerti di persona, come ti conosce di
fama. Dimora questa settimana... (Pisa, 31 dicembre ’7(i) —
Prima che tramonti l’ultimo sole ili questo anno, e sta già per
tramontare, voglio scriverti. Il tuo ostinato silenzio avrebbe
scoraggiato ogni altro, non me, ohe quando si tratta di te, il peggio che
possa pensare è, che il calamaio l'abbi o smarrito, o asciutto come la sabbia.
Kccoci ora intesi : tu taci, io scrivo. Io sto bene, e tutti di
casa pure, salvo la Tuta 3 eh’è un po raffreddata. E tu? E donna
Isabella? E Camillo e la Mimi f 4 Speriamo che stiate bene, ed auguriamo
che stiate meglio. Pisa 1501 ** 0 ’* malenla lico, che insegnava
nella Università di lll0R0, '° Luigi Ferri, cui era sialo tra gli
amici dello Spaventa applicato tale nomignolo dopo elle Vittorio Imbruni
nel Olorn Napol. di filo.,, e leu , I (18 2) 397, aveva rilevato lo
strafalcione dal j ,, commesso nel trascrivere f.V. Antologia, voi. XX,
1872) l'epitrrafe della tomba del Cusano in S. Pietro In Vincoli
leggendo: Promise* Pelei lìucionts [invece di retri — bucionisj non
fefetut eum » HestItuta Trebbi, moglie del Fiorentino.
* Isabella Scano moglie dello Spaventa; Camillo e Mimi tigli.
228 STORIA DELLA FILOSOFIA Ln
disfatta del nostro partito mi ha commosso non por me, che sai quanto io
stimi il genere umano in massa; ma pe miei amici, per tuo fratello
specialmente, che non ha alte vita, si può dire, che la politica. Ne sono
stato costernato, ancora è scemata l’impressione. Nicotor» è dunque 1
arbitro dell’Italia, e tutti, o quasi, gli si curvano, gl. si
prosternano innanzi. Quanta viltà 1 Quanta corruzione! Vaie il pregio
< curarsi del prossimo! E una terribile domanda : piò si conosce
il moudo, e piti si devo disprezzare: Leopardi non aveva torto. Ma... c’
è un ma; ed io ti confesso che non mi “ ,re “ do - con tutte le ragioni
in contrario. Mi sono chiuso, vivo tra. miei ed i libri, non vedo
nessuno, non conosco e “ conosciuto, e mi sento beato in questo
silenzio ed in questa oscurità. 11 mio Niuarello cresce eh’è una delizia,
ad ha tonto alletto e tanto accorgimento, che mi diverte e mi
ristora, tess’io vederlo giovane fatto come il tuo (.umilio
Non Io perchè, mi sento ora più legato alla vita, come non Cì
iTn povero 1 Settembrini f ■ A casa mia ci fu lutto come se fosse morta
persona nostra: lessi la notizia su la Gazze a dell’Emilia, ed insieme
appresi la scondita di bihio. colpi in una volta. Ma Silvio tornerà alla
Camera, e al Mi¬ nistero, se il senso dell’ onestà non sarà spento nel
nostro nomilo ; il povero Settembrini non tornerà piu . •
Penso di scrivere per lui un articolo sul Giornale napoletano; è la sola
cosa ch’io possa fare per lui. Ma lasciamo questo tr Che3 U
rfacendo t lo sto scrivendo certe lezioni di filosofia pei Licei: il
Morano mi è stato addosso, e finalmente mi ci sono piegato. È cosa molto
ardua, ed il noti poterti allargare quante vorresti, toglie gran parte
della scioltezza del pensiero, ed anche dello stilo. Farò alla meglio e
quel eli’è peggio, in fretta. 11 Morano commise lo sbaglio di un
f..U, munirò ...» »». «■,•«•*> fogli, ora con la spada
alle reni ni’...calza per la tonti n u azione. i n
settembrini mori addi 3 novembre 1878. Il Fiorentino non scrisse
poi l'articolo di cui parla in questa lettera; del rimpianto scrisse P°'
,, u Scriui va .u di tener, polii, ed atte (Napoli, Morano. 1873; e
V Epistolario (ivi, 1883), premettendo agl. uni e all'altro belle e
affettuose prelazioni. L’HEGELISMO NAPOLETANO
229 All’ Università faccio nu corso di Etica, ed lio riletto
la tua memoria su l’Etica di Hegel. Hai visto il giudizio portato
dal Berlini 1 su di te, o di Hegel f Ci ho avuto molto gusto, perchè la
sua autorità non è sospetta, come In mia, appresso la filosofia italiana.
Povero Bortini, spento anche lui 1 Scrivimi, se puoi, e se vuoi:
lascio la cosa al tuo arbitrio ; non cosi, il volormi bene che in mezzo a
tanti disiugauni mi preme e mi giova assai. Alla tua famiglia
di tanti augurii anche da parte della mia, e tu credimi sempre, e non a
parole. S. — Vedi se puoi sorivere qualche cosa pel Giornale
napoletano. (Samhinse, 25 agosto 1877). — Ed ora un’altra
notizia. L’arciprete Pompa mi perseguita per causa tua: ha scritto
su l' Eburino, giornale che si stampa ad Elicli, una recensione di un
uuovo capolavoro artistico dell’Acri, e dico che io sono vo¬ tato a te
anima e corpo. Fin qui non erra : ma il reverendo, pos¬ sessore de’
documenti della storia antidiluviana, non sa farsi capace della mia
polemica contro il vice-gesh, ed il vice- Fornari; cioè contro il
Fornari, e l’Acri. Quest'ultimo, dopo di aver ponzato altri 14
mesi, è venuto fuori con un opuscolo su Spinoza ; non so che cosa dica,
e come c’entri coi giudizi su la filosofia italiana, ch’egli doveva
convalidare. Non ho nessuna intenzione di rispondere, qua¬ lunque sia il
libro, che ancora non conosco, se non per la receusione dell’arciprete
noetico». 1 Su G. M. Berlini (1818-1876) v. lo mio Origini della
fllos. contemp. in Italia. 1,* 129-201. Il giudizio cui alludo 11
Fiorentino, é contenuto in una lettera del Berlini al prof. P. Merlo,
pubblicala nel Giornale napoletano di fllos. e letl. (ottobre 1876) IV,
823, dov’é detto: « Vi ringra¬ zio di avermi mandato lo scritto dello
Spaventa, che io considero corno il più serio e il più chiaroveggente
degli Hegeliani d'Italia. Volendo lo terminare un corso di filosofia elementare
ad uso de’ licei... mi sono creduto in obbligo di tener conto delle
dottrine di quel valentuomo, tanto più che io sono sempre in questa
persuasione, che II restringere il vocabolo scienza a significare
puramente i risultati dell'esperienza, dell'osservazione e
dell’induzione, come si fa oggidì, negando ogni valore scientifico alle
discipline speculative, sia non solo arbitrario, ma contradittorio...
Quindi io credo che sla salutare un ritorno ad Hegel, o per dir meglio,
al suo metodo, e a quella sua assoluta, e direi quasi eroica fiducia
nelle forze della ragione umana ». 230
STORIA DELLA FILOSOFIA (Pisa, 16 giugno 1878). — Prima di
scordarmi, ae hai por¬ tata la Vita di Giordano Urlino, 1 dalla al Betti
che me la porterà: se no, mandala a Domenico Morano, affinchè me la
l'accia pervenire. li Bruno si sta copiando, e dentro questa
settimana co- mincerò a mandare il manoscritto. Spero che tu hai
con¬ certato pei caratteri, pel formato, per la carta. Se non
avessi ancora stabilito niente, scrivo che aspettino Beuz’altro il
tuo ritorno. Il Peipers mi ha risposto che a Gottinga si
conserva sol¬ tanto il manoscritto delP Oratio coneolatona ; ma non mi
dice neppure s’è autografo. Quest’ orazione io la trovai a Roma tra
la collezione degli opuscoli del Cardinal Valenti, ed è rarissima. Vale
la pena di far veniro il manoscritto? Nota che a Gottinga, la copia
stampata non l’hanno neppure. L’edizione del Gfrorer ! non si trova
in commercio : il Zeller uii ha mandato la sua, la quale però è mancante
della quinta dispensa. Ne ho data commissione, ma non so se mi
riuscirà pescarla. Ho scritto per l’edizione del Tugiui, Ve Umbrie
idearum. Ho riscontrato il Buhle : non dice nulla di manoscritti :
porta un catalogo delle opere abbastanza esatto. Ho trovato qualche
altra notizia sul Bruno uelPAoidalio. 3 Dopo che tu partisti di
Roma, riseppi che nell’archivio della congregazione di San Giovanni
decollato c’ era la no¬ tizia del giorno della esecuzione del Bruno, e
che questa data non corrisponde a quella generalmente ritenuta (17
Feb¬ braio 1600).* * Mi è stata promessa una copia, benché quei
fratacchioni non vogliano far supero nulla. La notizia ag¬ giunge, che a
nessun patto si volle convertire. Come sai, questa notizia è un documento
autentico, perchè finora non c’ è altro che la lettera di quel furfante
dello Scioppio. ■ I.a Vita scritta da D. Berti (Torino, Paravia,
1888). * Ossia il volume degli Scritti latini del Bruno, pubblicati
nel 1838 (frontespizio 1831) da A. Kr. Gfrorer a Stoccarda. *
Cfr. la pref. dello stesso Fiorentino alle Opere latine del Bruno, ed.
naz , I, p. XX. * Il doc. pubbl. in facsimile nel voi. Ili delle
Opere latine del Bruno a cura di F. Tocco e G. Vitelli (Firenze.
1891). L’HEGELISMO NAPOLETANO 231
Inoltre il cav. Podestà 1 * mi disse, che a lui orati venute sot-
t’occhio parecchie carte mauoscritte concernenti il Bruno: non sapeva
però dove. Cercai una giornata intera, ma ce ne vo¬ levano delle dozzine
di giornate, ed io avevo fretta di tornare. Il Podestà mi promise di
continuare le ricerche: se no, ci andrò io per lina settimana.
Mi ci sono messo, o voglio riuscire. Tornato tjiti, trovai
Nino ammalato di febbre gastrica: com¬ parvero lo macchie difteriche; in
un giorno si pennellarono tre volte; due altre volte il giorno appresso:
disparvero. Ma come fossi stato io d’animo, tu puoi pensarlo. I nervi mi
ballano ancor», o tra giorni andremo in campagna, in una villa che
ho trovata in iptel di Lucca. Ilo avuto i titoli di Bàrbera, 5
quelli del Siciliani non ancora: conosco gli uni e gli altri; ma r/itid
agenduml Sono tra l’in¬ cudine e il martello, e non so a qual partito
appigliarmi. E tu dimorerai a Napoli? Ovvero andrai in campagna,
e dovei Vorrei saperlo. Il Labriola mi ha mandato un suo
articolo su la libertà; 3 * e vorrebbe ne dicessi qualche parola: mi ci
trovo imbrogliato. Capisco il Labriola, quando parla, non lo capisco
quando Bcrive. Non ha stabilità di pensiero, ondeggia in aria, ed
ha la pretensione di parere elaborato, come egli mi scrive. Capisco
Herbart, non capisco lui. L’oscurità non è nelle parole, o nello stile, è
dentro la testa. Ilo letto il discorso di Silvio, e poi Insita
sdegnosa lettera all’Opinione, tritai maturità ili pensiero nel primo, e
qual forza di carattere nella seconda! Il discorso appartiene al
mondo moderno, ma la lettera è di altri tempi, ed ora non tutti
possono gustarla. Salutamelo tanto, anche da parte della mia famiglia,
che fa lo stesso con te. 1 11 bibliotecario Bartolomeo P.
<m. noi 1910), allora nella Vltt. Emanuele di Roma.
’ Luigi Bàrbera, che fu professore di Filosofia morale nella R.
Uni¬ versità di Bologna. * Del concetto della libertà, studio
psicologico, nell'Archivio di sta¬ tìstica del 1S78 (risi, in
Lakkiola, Scritti cori, ed. Croce, pp. 135-189).
232 STORIA DELLA FILOSOFIA /). 5. M’ero dimenticato
di raccomandarti il Persiani. È impaurito, perché il relatore 1 non sei
tn, ina un lombardo (forse il Teneaf), e par che dalla Lombardia non si
riprometta gran che di bene. Son certo però che tn potrai njutarlo
sempre. (Pisa, 22 marzo 1877). — Avantieri ti scrissi a
Napoli, ed ora avendo saputo che il Betti ò stato chiamato per tele¬
grafo, ti rescrivo da capo, e ti manderò questa lettera per mezzo suo. Io
non gliela posso portare di persona, perchè sono al¬ quanto infreddato a
causa della lezione d’ieri. Tu che sei la fenice dei Presidenti,
specialmente quanto a prudenza, vedi se non entra fra le attribuzioni
presidenziali quello che ti chiedo io. Ho bisogno di venire a
Roma, perchè il primo volume è finito, e per continuare la stampa voglio
esser certo che il ministro non adduca cavilli : nel qual caso pianterei
11 la baracca. Premesso ciò, e visto e considerato che il Ministero
ha premura pel Siciliani, e poca o punta premura pel concorso di Torino,
visto e considerato, che sta alla chiaroveggente perspicacia del
Presidente il decidere se necessiti la convo¬ cazione del concilio: io
riproporrei che tu ci convocassi; che, convocati nell’ interesse del
pubblico erario, stimoli i padri ecumenici di Roma a finir la eterna
questione di Torino; e son certo, come ogni dottor Pangloss, che tutto
andrò per lo meglio in questo perfettissimo mondo, tranne il mio
raffreddore che sempre piò s’ inasprisce. Ed ora che ti ho
detto il mio desiderio, tu con quell’occhio critico che ti rende (che
cosa dico!) che ti rende piuttosto singolare che raro, farai quel che
crederai. Ed orn da capo, ma su di un altro argomento, una
notizia. Nell’ultima puntata (stile mamianico) della Filosofia
delle scuole italiane, il sullodato Conte scrivendo all’amico
Ferri, sai che cosa gli dico f Che in tutta Europa (le pelli rosse e
gli Zulus non ci vanno compresi) a parlare di Platouo e delle idee
non ci sono rimasti altri che loro due. Povero Platone ! Chi glielo
avrebbe detto, che dopo tante feste, e tanti conviti, 1 Nel
Consiglio Superiore della P. I., di cui Carlo Tenca, come lo Spaventa,
faceva parte, e da cui il Persiani aspettava 1’ abilitazione all'
insegnamento. L'HEGELISMO NAPOLETANO
233 <• tanti commensali (a 20 franchi l’uno) che lo
ringiovanirono, lo restaurarono, lo rinnovarono, oramai, finita la
digestione del pranzo, ognuno lift preso la sua via e di idee non ne
vuol sapere nessuno più? Chi avrebbe creduto che perfino quello
ragazze, tanto belline, tanto plutoniche, si son buttate anche loro al
materialismo 1 1 Ah ragazzo, ragazze: da voi me lo aspettavo, che sareste
rimaste platoniche lino ad aver trovato un marito, o un facente funzione;
ma il Finali, il Monabrea, il Borgatti, tutta gente massiccia, chi
avrebbe mai creduto ohe avrebbero lasciato nelle peste il Conte ed il
suo illustre oommilitonef Vista la brutta china, direbbe il
Sella, io proporrei (il raffreddore mi ha dato un diluvio di proposte)
che il Ma- miani ed il Ferri siano impagliati, e ben conservati
nell’atrio dell’Accademia de’ Licei con questa memore iscrizione:
QUESTI BIPEDI IMPLUMI ULTIMI DELLA SPECIE ESTINTA RIMASERO
platonici, ESSI SOLI IN EUROPA DOPO IL PRANZO PLATONICO*
* DEL 1874. Dopo della qual cerimonia vorrei che
l’Accademia prelodata a voti unanimi incaricasse il poeta pindarico B.
Spaventa perchè ne celebrasse condegnamente l’eroismo. E diamine 1
Alle Termopili furono treceuto finalmente, eppure Simonide s’incaricò di
cantarne: qui si tratta di line soli, in Europa, non contro schiere
barbariche, ma contro eserciti di dotti, e non ti paro che ci sia più materia
di canto? Ridettici bene, e poi dimmi il tuo avviso. Tu
duuque hai leggicchiato il mio amico Marino! 5 Beato te, 1 Scolare
dell’ Istituto superiore di Magistero, allora fondato a Roma: le quali —
era la prima volta che si vedevano tante signorine in una Università —
frequentavano alla Sapienza le lezioni di D. Berti. * Su questo
pranzo v. le mie Orig. della fllos. contemp., I, 1 p. 117. * Una
critica che I.uigi Marino (che fu poi professore di Filosofia morale
nella Università di Catania) aveva pubblicata degli Elementi di flloso/la
del Fiorentino. 234 STORIA DELLA
FILOSOFIA che hai tanto tempo da marineggiare. Io l’ho qui il
suo libro, ma non mi è avanzato un briciolo di tempo: ed ho una sua
lettera autografa, che impaglierò pure. Povero giovane! Mi ha scritto con
una ingenuità, ohe se mi fosse vicino, lo abhraccerei. Abbracciarlo sì,
ma leggere no. Non gli ho neppure risposto, ed ho fatto male. Volevo
leggere prima e poi scri¬ vere. La bestia che sono stato! Bisogna fare il
rovescio: uè senza un perchè i metodi moderni fanno precedere la
scrittura alla lettura. Berti, p. es., fondatore della moderna
pedagogia prima lm scritto lo suo opere, e solo da qualche mese iu
qua, a quanto mi assicurano, si sta esercitando nella lettura.
A proposito, vorrei venire a Berna per informarmi da lui, perchè
Camoeraceneie, che vuol «lire di Cambrai, egli l'ha tradotto della
Sorbona : facendo poi una dottn osservazione, che cioè il Bruno or*
saltato a piè pari dentro la rocca dol- 1’ aristotelismo eco.
E poi vorrei sapere, perchè dice che il De immenso, è un libro, uno
tA’ tanti in cui è divisa l’opera De monade, nu¬ mero et figura; quando
il De immenso ole. contiene otto libri, ed il De monade, che sarebbe il
contenente, non contiene nè otto, nè due, perchè è un libro solo, unico
tiglio di madre vedova. Sono piccoli nèi, lo so, ma che
dimostrano una piccolissima cosa: il precetto pedagogico che testò avevo
1’onore di dirti, cioè ch’egli prima scrisse, poi lesse ; o forse
scrisse, e poi spese, nello stampare, il tempo che doveva impiegare
nella lettura. 11 Barzelletti 1 però assicura eh’è il gran
capolavoro della critica italiana : così mi han dotto, perchè io, al
solito, non 1’ ho visto ; e poiché 1’ articolo sarà tradotto certamente
dnl- l’inglese nella lingua degli Zulus, io mi tiguro la festa che
faranno quegli eruditi di laggiù. A furia di scrivere, mi sono
snebbiato un poco il capo, ina temo forte di averlo annebbiato a te;
legge di compen¬ sazione. Quando io mi trovavo a discorrere di lilosotia
col Berti, rimanevo muto: tu eri più fortunato di me, avevi il
pretesto di andare a fumare. Io che ho abborrito sempre il 1 Nell’
art. sulla Filoso/la in Italia pubbl. in una rivista inglese, e poi tradotto
nella Muova Antologia del 15 febbraio 187». L’ HEGELISMO N
APOLETANO 235 tabacco, »e tornassi deputato, per non
dovermi ingoiare quelle forti dosi di filosofia scientifica, che mi
somministrava il nostro Berti, m’imparerei a fumare. Meglio lo stomaco
sconvolto, elle il cervello come un mulino. Spero bene però che non
sarò costretto a nessuno di questi tormenti. Non mi dicesti se il
Morano ti diede o no la prima parte del Manuale ili moria della
filosofia. Fattelo ilare, e leggic¬ chialo: invece di Marino, potresti
dure un’ occhiata al libro mio. Vorrei sapere se quel tanto è sullìciente
per la coltura generale, o s'ò dippiit, o di meno. Mi servirebbe di
norma per le altre duo parti. (Portici 26 settembre 1873). —
Ebbi lettera dal Zeller, che ancora ò a Roma, e seppi del viaggio che
faceste insieme felicemente. M’incaricò pure di dirti tante cose per la
lettera che poi gli scrivesti da Napoli. Egli è in giro dalla
mattina nlla sera, e crede che noi ci vediamo quotidianamente, e
non che siamo a due poli opposti. Ebbi la ricetta : si è
fatta la bobba, ma non li’ è venuta fuori la storia delle prove
dell’esistenza di Uio. Per un concorso a una cattedra
universitaria, della cui commissione faceva parte il Fiorentino ed era
pre¬ sidente io Spaventa, questi lo aveva pregato di rac¬ cogliere
gli appunti per una relazione sulla voluminosa Storia delle prove dell!
esistenza di Dio di Romualdo Bobba. Il Fiorentino, il 19 aprile 1879, da
Pisa gli rispondeva: Letto il tuo, piò volte espresso, desiderio,
ho posto mano alla lettura del Itobbu. Un corto estro maccaronico mi
invase alla prima pagina; ma ho lasciato il poema lutino ai primi
due versi e mezzo. Eccoteli: Iufainem, liertrunde, iubes supportare
laborcm, Insipidimi scilicet putidumqiie ingoiare bobatam ;
Obediain tamen etc. E sto prendendo appunti; ma che diavolo
vuoi appuntaret Finirà prima la pazienza mia, che le sue sciocchezze. È
un pover’ uomo, e noi uccideremo un morto. 236 STORIA
DELLA FILOSOFIA (Pisa, 8 dicembre 1879). — E poi c’è il secondo
libro della Legge morale del De Crescenzio: il titolo è Francesco
Fiorentino. Te lo saresti sognato eh’ io dovessi diventare nn secondo
libro della legge morale! Neppure per idea: la Puglia fa miracoli.
Ma la cosa non Unisce qui : il terzo libro sarai tu. 1 u in
persona! con gli occhiali, con gli stivali alla prussiana, tu sarai un
libro di un’ opera. Non so se l’opera avrà molti altri libri : a
congetturare dall’opera de intellectn dello stesso autore, ch’era divisa
in 100 libri, par checi debbano entrare il mellifluo D’Èrcole, il
veronese Bertinaria, ed il truculento Ferri, con parecchi altri
personaggi minori. Ogni libro costa 20 centesimi : ed io per ora sono
venduto a questo prozzo : tu iorse salirai a cinque soldi ; o calerai a
tre, secondo che P opera seguirà il processo ascensivo o il
discensivo. Il bello consiste ne' documenti. Nella copertina 1
autore di¬ mostra che io sono causa di parecchie depredazioni e
gras¬ sazioni nei pressi di Casale. La mia influenza venefica s è
esercitata, per non so quale selezione, su la provincia di Ales¬ sandria:
e la tua! Probabilmente verso Girgenti, o in quei pressi. Che non ci sii
stato non preme, l’etica hegeliana è come la filossera, si estende per salti
di 70 chilometri la volta. Delle stroncature, come oggi si direbbe,
dei De Cre¬ scenzio ormai chi se ne ricorda più ? Ma c’ è sempre
qualche De Crescenzio in giro, pronto a dimostrare, come quattro e
quattro fanno otto, che il tal filosofo o il tal altro sovverte la legge
morale, il buon senso, o le leggi fondamentali della logica ecc. Ma il
filosofo può accogliere siffatte dimostrazioni con lo stesso buon
umore del Fiorentino. 1 * Intorno al Fiorentino v. le mie
Origini della fllosofla Conlem- poranea in Italia , III, part. I, pp.
7-50. Giovanni Gentile. Keywords: Reale Accademia d’Italia, what does
‘fascista’ applies to – philosophically? To ‘state’ – how is it defined
philosophically? Opera complete frammenti di storia di filosofia 3 volls -- - Refs.:
Luigi Speranza, The Swimming-Pool Library, Villa Grice – Luigi Speranza, “Grice
e Gentile: implicatura conversazionale” -- Conversation and inter-subjectivity.
– The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51748250462/in/photolist-2mQPiYS-2mQUPa3-2mQUPbR-2mQUPcs-2mQY4Qg-2mQWSKX-2mQTy2s-2mQWSML-2mQWSMR-2mQPj6k-2mQY4Qb-2mQTy4X-2mQUPeX-2mQUPew-2mQTy5D-2mQTy53-2mQWSMa-2mQY4R3-2mQUPem-2mQDMyN-2mQtVUe-2mQerAd-2mQfWLw-2mQmZZv-2mQ81kz-2mPY4jk-2mPRG8i-2mPQGvz-2mPPzb6-2mPTwCM-2mPJLpp-2mPJYbw-2mPF8UJ-2mPyn68-2mPyUzx-2mPukhq-2mPnrMV-2mPmmR4-2mN34bs-2mN8u25-2mN8ym7-2mN8nen-2mNbFJE-2mN36eA-2mMYDFF-2mMV4pg-2mMP5LF-2mLP4Rj-2mLLZRD-2mLFBT9
Grice e
Gentile – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). Filosofo. Grice:
“I love Gentile; like me, he is interested in Aristotle’s immotum motor, and
the idea of number in Plato – but he extends his views to all the rest of
philosophy of language; if Vitters wrote a ‘trattato,’ so did Gentile!” – Si
laurea a Pisa sotto Carlini. Insegna a Mantova, Vigevano, Padova e Trieste. Fonda
il Bollettino filosofico. Considerato il fondatore della "scuola
padovana" di metafisica neo-aristotelica.
Altre opera: “La dottrina platonica delle idee numeri e Aristotele” (Pisa:
Tip. Pacini-Mariotti); “I fondamenti metafisici della morale di Seneca” (Milano:
Vita e pensiero); “La metafisica presofistica; con un'appendice su Il valore
classico della metafisica antica, Padova: MILANI); “La politica di Platone,
Padova: MILANI); Institutio: sommario storico di filosofia dell'educazione,
Verona: La Scaligera); “Umanesimo e tecnica, Verona: Arti grafiche Chiamenti);
“Bacone, Brescia: La Scuola); “Didattica: testo ad uso degli istituti
magistrali e dei giovani maestri, Milano: Marzorati); “Filosofia e umanesimo,
Brescia: La scuola); “Il problema della filosofia moderna, Brescia: La scuola);
“Come si pone il problema metafisico, Padova: Liviana); I grandi moralisti,
Torino: Edizioni Radio Italiana); “La riforma silenziosa della scuola: il
completamento dell'istruzione primaria ma inferiore, Bologna: G. Malipiero); “Se
e come è possibile la storia della filosofia, Padova: Liviana); “Storia della
filosofia (I: Periodo antico e medioevale;
II: Dal Rinascimento fino a Kant;
III: La filosofia contemporanea), Padova: RADAR); Saggi di una nuova
storia della filosofia, Padova: MILANI); Breve trattato di filosofia, Padova: MILANI).
Dizionario biografico degli italiani. Marino Gentile (1906-1991) occupa
sicuramente un posto importan-te nella storia della filosofia del secolo scorso,
ma – se fin dall’inizio non vogliamo avanzare discorsi di carattere celebrativo
o commemorativo, quanto innanzitutto teoretico – forse dovremmo dire, più
correttamente e semplicemente, che egli occupa un posto importante nella storia
della filosofia. Il senso di questa affermazione, e la ragione per cui vale la
pena di rinnovare, anche in questa sede, la riflessione sul maestro patavino, è
che egli ci rimette davanti alla struttura essenziale del filosofare.La sua
concezione della filosofia come “problematicità pura” si di-mostra infatti quale
dice di essere, veramente “classica”, in quanto, evidenziando in tale
problematicità quella che non può non essere con-siderata la caratteristica
fondamentale e imprescindibile del filosofare, mostra di possedere essa stessa
un valore permanente ed attuale.Ricordato come fondatore della scuola padovana
della metafisica clas-sica, Marino Gentile, proprio in virtù del riconoscimento
dell’attitudine problematica del filosofare, poté affrancarsi dalla sua
formazione idealisti-co-attualista e aderire alla scoperta aristotelica
dell’Atto puro quale princi-pio divino trascendente l’esperienza. Egli sviluppò
così una posizione ori-ginale che, giunta a maturità speculativa negli scritti
padovani del secondo dopoguerra, si distingueva, oltre che dalla corrente
neoidealista, ancora attiva soprattutto nel pensiero di Ugo Spirito, anche
dalle due filosofie di ispirazione cristiana allora prevalenti, la filosofia
neotomistica, nelle sue va-rie declinazioni (Vanni Rovighi, Fabro, Giacon), e
la filosofia neoclassica di Gustavo Bontadini. Le sue opere più significative, in
particolare Come si pone il problema metafisico (Padova 1955),
Breve trattato di filosofia (Pa-dova 1974) e Trattato di
filosofia (Napoli 1987), non sono tuttavia solo innovative per l’epoca in
cui sono state concepite, ma, come si accennava, restano a tutt’oggi testi vivi
e parlanti, che, nella radicalità del domandare su cui si fondano, appaiono in
grado di raccordare la prospettiva metafisica anche alla sensibilità esigente e
inquieta del nostro tempo Sent from the all new AOL app for iOSLa
fecondità della problematicità pura non è peraltro esaurita dai suoi esiti
metafisici: il “domandare tutto che è un tutto domandare” è ben più che una
formula descrittiva della natura della filosofia, è un vero e proprio “metodo”,
che il maestro patavino dispiega nei più diversi ambiti del suo impegno
teoretico. E che anche nel nuovo millennio merita attenzione. Di questo
domandare filosofico vogliamo dunque continuare a va-gliare la profondità
speculativa, a cominciare dai “saggi” qui raccolti, che intendono sviluppare i
motivi di interesse riscontrati nel pensiero di Gentile da alcuni studiosi che
lo hanno, direttamente o indiretta-mente, conosciuto. Questa stessa
problematicità può del resto essere assunta anche come chiave di lettura dei
contributi che presentiamo, essendo ravvi-sabile quale principio animatore, ora
espressamente tematizzato, ora silenziosamente sottostante l’opportuno
ripensamento dei vari aspetti dell’opera filosofica del nostro Autore. Il nesso
risulta subito evidente nell’articolo di Enrico Berti, uno dei primi e forse il
principale tra gli allievi, che in un saggio denso di ricor-di, si sofferma su
uno scritto apparentemente secondario tra gli ultimi pubblicati dal Maestro,
forse l’ultimo, dedicato alla possibilità di pre-gare il Motore immoto. Si
tratta infatti sicuramente di un’occasione per ripercorrere nei suoi tratti
essenziali l’interpretazione gentiliana della metafisica aristotelica, per
ripensare le due caratteristiche fondamentali del “Dio” dello Stagirita, la
trascendenza e l’intelligenza, ma anche – ci sembra di poter aggiungere – per
ritrovare in quel pregare l’espressione estrema, e forse più autentica, del
“domandare tutto-tutto domanda-re”, che, di fronte alla Causa suprema
ordinatrice del cosmo, poteva, e forse doveva, assumere connotazioni affettive
e oranti. Il tema del domandare puro e integrale è ancor più pienamente al
centro del saggio di Maria Cristina Bartolomei, che di tale domandare indaga le
potenzialità, sia come ineludibile punto di partenza di ogni ricerca filosofica,
sia come fulcro di “fruttuosi collegamenti” con alcu-ni pensatori
contemporanei, evidenziandone, pur nella distanza e di-vergenza delle
posizioni, la comunicabilità e l’inaspettata consonanza su punti fondamentali.
È quanto si verifica con Adorno, a proposito della legittimità della
problematica metafisica e delle caratteristiche di apertura e processualità che
connotano la conoscenza dei suoi oggetti, i concetti; con Badiou, per la
specifica intenzione di verità che distin-gue la filosofia dagli altri saperi; con
Weischedel, sotto il profilo della necessaria radicalità dell’interrogare
filosofico, che, anche laddove non giunga ad esiti metafisici o teologici, non può
non avvertire la realtàdel mistero che lo sollecita. In tutti questi casi –
conclude l’Autrice – la posizione di Gentile, interloquendo costruttivamente
con linee di pensiero profondamente differenti da quella propria della
metafisica classica, dimostra una inesausta vitalità filosofica.Il terzo saggio,
redatto da Gabriele De Anna, affronta il problema del valore morale dell’azione
cercandone la soluzione nelle pagine del Trattato di filosofia , e
rinvenendola nel ricorso all’uso pratico dell’intelli-genza che coglie il
principio nell’esperienza, e quindi una normatività nel reale. In questa
lettura l’importanza della problematicità gentiliana emer-ge specialmente nel
farci intendere come il manifestarsi del principio, e quindi del “valore”, sia
inseparabile dall’esperienza, intesa come atto che precede e trascende
continuamente la distinzione soggetto-oggetto nella sua costitutiva tensione al
sapere. Ma essa ci fa anche meglio compren-dere la prospettiva metafisica di
Gentile, che si presenta come ripresa della concezione aristotelica, ma allo
stesso tempo accoglie dal pensiero moderno l’attenzione al ruolo del soggetto,
si dice “classica”, ma non è per questo “oggettivista”, come altre, più note,
versioni della stessa. Una particolare declinazione dell’azione morale è
costituita dalla pra-tica pedagogica, un altro dei grandi temi della riflessione
filosofica gen-tiliana, cui è dedicato il quarto e ultimo saggio, frutto della
riflessione comune di Carla Xodo e Mirca Benetton. La pedagogia di Gentile è una
pedagogia umanista, poiché «l’umanesimo – egli scriveva – che è ricerca di
classicità, si attua come paideia , cioè come sforzo di realizzare
nelle più diverse situazioni storiche l’essenza dell’uomo», e pertanto non è un
si-stema compiuto, ma una sollecitazione a riprendere instancabilmente la
ricerca speculativa sulla verità della persona, ulteriore espressione di quel
domandare radicale in cui si traduce ogni serio impegno filosofico. Le Autrici
sottolineano come in questa prospettiva, considerando l’essere umano nella sua
integralità, l’umanesimo, anziché contrapporsi, si possa intrecciare
fecondamente, anche in ambito scolastico, con la scienza, la tecnica, e le
attività professionali, persino manuali. L’indicazione è di preziosa attualità
e ci fornisce un’altra conferma della potenza del domandare filosofico, che
percorre tutti questi testi. In essi possiamo infatti vedere tale domandare
vigorosamente rinno-varsi tramite la voce di Gentile. D’altra parte, a sua
volta, lo stesso Gentile, in un necessario scambio di ruoli, tramite questo
domandare, persiste a interrogare e a interrogarci. Ci auguriamo che possa
profi-cuamente interrogare anche l’attento lettore. Marino Gentile. Gentile. Keywords:
storia della filosofia period antico – filosofia romana, la preghiera, segno
dei romani – italici antici – pre-sofistica – pre-Georgia –l’uso di ‘classico’
in latino classico ---- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gentile” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689595451/in/photolist-2mJvNUU-2mJx5ao-2mJvNWn-2mJvNU3-2mJrG6h-2mJAknd-2mJx5a8-2mJx5aP-2mJAkke-2mJzfSc-2mJzfUG-2mJq2uE-2mJ4GHU-hSTpSd-2mKCFTz-2mLEPqL-2mLF5SC-2mKQ3hR-2mKCVmS-2mKSbL6-2mKzRPk-2mKbRVb-2mKjoDU-2mKj6Hp-2mKkwb6-2mKjpwa-2mKhhHU-2mKgWR9-2mKjphT-2mKhhve-DvhhWW-DhRHD2-CcSX6Q-Ck5UQW-CcC1aL-BUZEEQ-rpCCQN-nMb3Qx-nurrdd-nupnpX-ncRws1-nu4v1p-nw7T5i-ncRvsK-nw7Qo6-nu57jS-nnvnLQ-nr43e9-nmysSN-nokWCo
Grice e
Gentili – filosofia italiana – la filosofia romana arcaica -- Luigi Speranza (Valmontone).
Filosofo. Grice: “I love Gentile, and Austin and Ryle do too – he is a
classicist – from central Italy therefore he FEELS Roman – he has explored the
beginnings of philosophical thinking in Lazio, as opposed to the old schools of
Velia, Crotone, and Agrigento --.” Si laurea
a Roma sotto Mercati e Perrotta. Isegna a Urbino. Fonda Il Centro di
studi sulla metrica latina. Figlio di Attilio e Giuseppina Cicciarelli. Frequent
il Liceo Classico "Ovidio" di Sulmona. Studia a Roma sotto Romagnoli,
laureandosi sotto Mercati con “Un Studio critico intorno alla storia di Agatia
e alla sua tradizione manoscritta”. Insegna a Roma, al Liceo Classico
"Virgilio" di Roma. Quando Perrotta si avvicendò a Romagnoli a Roma,
Gentili ne fu subito conquistato e Perrotta lo volle come assistente.
Dal suo maestro Gentili apprese l'arte
della filologia e la passione per la metrica latina (“Metrica e ritmica”). Influenza
significativamente gli allora giovani della filologica latina capitolina, tra
cui Rossi e Privitera che ricorda come quelle "lezioni non avevano il tono
pacato delle lezioni ex cathedra. Come docente, Gentili era bifronte. Si può,
anzi, dire che bifronte fosse sempre; secondo i casi poteva essere flessibile o
intransigente, giocoso o severo". Le sue erano esercitazioni, erano seminari.
Bbasava l'insegnamento sulle sue ricerche. Gli anni '50 non sono facili, sono anni di
studio intensi e febbrili per lo studioso che culmineranno, insieme ai volumi
sulla metrica, con una serie di lavori sui lirici: oltre alla già ricordata
antologia Polinnia, il saggio Bacchilide. Studi e l'edizione di Ancreonte, Insegna
a Lecce dove ebbe modo di frequentare Prato insieme al quale divenne coautore
della teubneriana edizione dei Poetae elegiaci.La svolta decisiva, tuttavia, fu
rappresentata dalla chiamata a Urbino dove nello stesso anno venne inaugurata
la Facoltà di Lettere grazie all'impegno di Bo. Cura la Medea di Seneca (Istituto
Nazionale del Dramma Antico, Mazara del Vallo). Altre opere: “Lo spettacolo nel
mondo antico, Roma, Bulzoni); “Storia e biografia nel pensiero antico”
Bari-Roma, Laterza. Cfr. Bruno Gentili, Eric R. Dodds mentitore? “La idea della
comunicazione nella tradizione classica" Treccani. La cultura e
l’opinione pubblica: anche nel mondo romano antico il rapporto è stato
difficile, spesso conflittuale. Le origini della retorica e della filosofia a
Roma lo testimoniano, e non solo in un dato momento storico; l’arco di tempo
della difficoltà dei rapporti va almeno dall’inizio del secondo secolo a.C., al
principio del primo. E non solo: tensioni, incomprensioni e scontri non
mancarono anche in epoche successive. Basta pensare alle poche voci di dissenso
da Nerone, che erano le voci dei filosofi stoici, in contrasto anche con ciò
che la mentalità comune pensava dell’imperatore: ma qui la nostra analisi si
limita alla fase iniziale di questo rapporto. La filosofia per prima aveva
trovato resistenze nella concretezza tradizionale dei Romani: l’astrazione
filosofica di origine greca suscitava sospetti diffusi, come se si trattasse di
un imbroglio, un raggiro. Non mancarono le espulsioni dei filosofi a partire
almeno dal 190-180 a.C. Celebre la cacciata di Carneade, Critolao e Diogene nel
155 a.C., perché giudicati pericolosi per la società romana: soprattutto tale
appariva quel Carneade sul quale si interrogava don Abbondio nella notte degli
imbrogli. Ma insieme alla filosofia venne colpita la retorica, cioè la tecnica
del parlare bene, che pure era d’importazione greca. Svetonio ci racconta delle
difficoltà iniziali per questa disciplina e sappiamo che nel 161 a.C. un
decreto del Senato bandiva dalla città insieme retori e filosofi greci. Ma la
novità culturale non si arrestava per decreto: e la tecnica retorica riprese
fiato, poi un po’ di vigore, progressivamente apprezzata anche dai Romani:
purché fosse rigorosamente controllata dall’aristocrazia. E così accadde che
nel 93 a.C. venne aperta la prima scuola di retorica a Roma, per iniziativa di
un personaggio non molto famoso: Plozio Gallo. Era la scuola dei rhetores
Latini, della quale parla anche Cicerone, per testimoniarci dei successo che
essa riscontrava presso i giovani di allora e del suo rammarico per non potervi
accedere: il giovane Arpinate era infatti trattenuto da altri maestri, che lo
indirizzavano allo studio della retorica solo in greco, come una volta si
faceva. Ma per quali motivi questo allontamento dalla scuola di Plozio Gallo?
Oggi sappiamo dare una risposta alla domanda e possiamo affermare che i
consiglieri di Cicerone agivano in tal senso per motivi non solo o non tanto
didattici, quanto politici: la scuola dei retori latini rischiava agli occhi
loro, e agli occhi di altri benpensanti romani, di trasformarsi in un
pericoloso centro di democratizzazione del sapere, e, quindi delle vie di
accesso al potere sociale e politico. Sappiamo infatti dell’amicizia del
maestro, cioè di Plozio Gallo, col popolare Mario, in anni di contrasti
fortissimi in Roma, culminati nella guerra del 91 a.C. per il diritto di
cittadinanza degli Italici. È sempre Cicerone a informarci, nel trattato
intitolato De oratore , dell’esistenza di questi maestri e del loro
insegnamento, e lo fa per bocca di Lucio Licinio Crasso che, allora censore, li
aveva colpiti con un editto di chiusura della scuola. Era una scuola di
impudenza e di perdita di tempo, agli occhi di Crasso e dei suoi amici: essi
andavano ripetendo che la mente dei ragazzi diveniva ottusa e si rafforzava la
loro pericolosa sfacciatagggine, mentre i nuovi retori si proponevano
esattamente il contrario: aprire la mente degli alunni, farli ragionare,
spiegare il perché delle cose e dei problemi. Il nuovo genere di insegnamento
consisteva sostanzialmente in una sintesi di retorica e filosofia, in vista
della formazione di un uomo di cultura completa. Si doveva trattare quindi del
superamento di una preparazione esclusivamente tecnica e precettistica, a
vantaggio di una formazione globale dell’oratore: questi diveniva così il
depositario di una cultura in grado di fargli reggere con competenza il timone
della repubblica romana. È in questo contesto culturale e sociale pieno di
fermenti e di stimoli nuovi che si formò il giovane Cicerone. E. Badi?n,
nella recensione al volume Gli storiografi latini tra mandati in frammenti,
Atti del Convegno, Urbino 9-11 maggio 1974, a cura di S. Boldrini, S.
Lanciotti, C. Questa, R. Raffaelli (Studi Urb. n.s. B n. 1, 1975), pubblicata
in Am. Journ. Philol. 99, 1978, p. 137 sg., una recensione per altro biliosa e
insieme presuntuosa, nella stragrande maggioranza dei contributi, dedica al mi?
saggio 'Storiografia greca e storiografia ro mana arcaica' appena due parole:
"the long essay in unoriginal medio crity, e.g. a potted survey by B. Gentili":
un giudizio dr?sticamente negativo, non sorretto da un'ombra di argomentazione;
diverso eviden temente il par?re di D. Musti, che ne ha inserito un lungo brano
nel reading, da lui curato, La storiografia greca. Guida storica e critica,
Bari 1979, pp. 151-157'. Certamente ognuno, nel recensire un libro, ha il
diritto di giudicare come crede Topera che recensisce, ma ha il dovere di
motivare con una qualche analisi il proprio punto di vista, se non altro per
mettere in grado il lettore di comprendere il senso critico del discorso. Se
ilBadi?n si fosse soltanto limitato ad esprimere il suo dissenso o il suo
scetticismo sulle mie tesi, non avrei ritenuto necessario que quale liquida
molto perentoriamente la sto mio intervento. Ma quando egli definisce sic et
simpliciter "non ad una "rassegna raffazzonata", il suo giudizio
in uno stato originale" ilmio discorso, debbo pensare che egli d'ira,
provocato forse dal fatto che io non ho citato il suo saggio riducendolo abbia
espresso 'The Early Historians', in Latin Historians, edited by T.A. Dorey,
London 1966, pp. 1-38, che, esso si, ? realmente una rassegna, certo ben
informata e corretta ma senza alcuna pretesa di originalit?. Egli stesso del
resto lo presenta come un'esposizione panor?mica intesa a riproporre alla
storiografia di lingua inglese una tem?tica da essa obli terata (cfr. p. 27
sg.). Faccio notare, d'altra parte, che questo suo sag gio ? stato da me
citato, a proposito della cronaca pontificale, nel vo This content downloaded
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scorso storico nel pensiero greco e B. Gentili con G. Cerri, Le teorie del di
Roma mie 1975, ricerche la storiografia p. 82 n. 2 e che rappresenta Pedizione
arcaica, delle dettato infon certa ricon "prag definir? Dunque, giudizio
dato mente dotta m?tica" "non sulP argomento. solo un risentimento
che, prima ancora che agli effettivi contenuti di questo ingiusto, del mio tipo
appare un rispetto sa che la studio. alla t?cnica di tipo Come quella da nel
soleo ? me allora ed tucidideo-polibiano. una nuova tesi, Topera storiografia
'isocratea'? possibile proposta illustrata, indico come originale" che
riconduce di Che cosa io intenda quella che con questa storiografia degli
Annales di Fabio Pittore Pontificum di Fabio chiarito in un precedente saggio,
sulla rivista II Verri (2, 1973, pp. 53-76), al quale di proposito avevo
rinviato alPinizio del mio intervento nel Convegno di Urbino ora ripubblicato
in Communication Arts in the Ancient World, ed. by E.A. Havelock and J.P.
Hershbell, New York 1978, pp. 137-155. E avevo esaustivamente pubblicato
frammento delle varie ancora: pu? dirmi programma tico di il Badi?n se la mia
Sempronio Asellione interpretazione del con una ? nuova A questo punto sarebbe
doveroso da parte del Badi?n tornare sul Pargomento per dimostrare, se ? in
grado di farlo, che Pimpostazione del mio discorso ? effettivamente priva di
qualsiasi originalit? e non ? altro che una rassegna rabberciata di idee
altrui. Universit? di Urbino Letteratura: addio al grecista Bruno
Gentili, insigne studioso di metrica Aveva 98 anni, era accademico dei Lincei e
professore emerito ad Urbino Roma, 9 gen. - (Adnkronos) - Il grecista Bruno
Gentili, insigne studioso della letteratura classica e in particolare della
metrica greca, e' morto ieri a Roma all'eta' di 98 anni. L'annuncio della
scomparsa e' stato dato dall'Accademia dei Lincei di cui era socio dal 1984.
Nato a Valmontone (Roma) il 20 novembre 1915, Gentili era professore emerito
dell'Universita' di Urbino, dove ha insegnato letteratura greca dal 1963, nella
Facolta' di Lettere che insieme al rettore Carlo Bo ha contribuito a istituire.
E' stato fondatore nel 1966 della rivista ''Quaderni urbinati di cultura
classica'', di cui e' stato a lungo direttore. Filologo rigoroso, Gentili
si e' dedicato allo studio della lirica e della metrica greca arcaica, curando
anche edizioni critiche di testi di diversi poeti. Tra i suoi libri
''L'Iliuperside nelle figurazioni anteriori a Virgilio'' (1941), ''Metrica
greca arcaica'' (1949), ''La metrica dei greci'' (1952), l'edizione critica di
Anacreonte (1958), ''Bacchilide. Studi'' (1958), ''Aspetti del rapporto poeta,
committente, uditorio nella lirica corale greca'' (1965); l'antologia
''Polinnia. Poesia greca arcaica'' (in collaborazione con G. Perrotta,
1966). La vasta bibliografia di Gentili comprende anche ''Le teorie del
discorso storico nel pensiero greco e la storiografia romana arcaica'' (in
collaborazione con G. Cerri, 1975), ''Storia della letteratura latina'' (in
collaborazione con E. Pasoli e M. Simonetti, 1976), ''Lo spettacolo nel mondo
antico. Teatro ellenistico e teatro romano arcaico'' (1977), ''Storia e
biografia nel pensiero antico'' (in collab. con G. Cerri, 1983) e ''Poesia e
pubblico nella Grecia antica'' (1984), che che e' valsa all'autore il Premio
Viareggio-saggistica 1984. (Sin-Pam/Ct/Adnkronos) CLASSICITÀ E
CONTEMPORANEITÀ:BRUNO GENTILI NEGLI STUDI CLASSICI ITALIANI DEL NOVECENTO «Kein
Volk der Geschichte, auch das begabteste nicht, läßt sich isoliert betrachten.
Ein jedes wird durch äußere Anstöße aus zuständlichem Dasein in geschichtliches
Leben übergeführt. Weder seine äußere noch seine innere Geschichte kann
verstanden werden, ohne die Fäden zu verfolgen, die es mit außen
verbinden».(Usener 1907, 11).«Il senso vero di una vita piena è quello che essa
imprime di più anche sulla quotidianità: la ricerca. Ricerca. Ricerca. Ricerca.
Il possesso che noi abbiamo di certi principi (che a loro modo sono verità) è
labile e sfuggente – e non appena noi ci illudiamo di stringerlo, ecco
scom-pare».( Diari Anceschi/2 2006, 55).1. Il periodo successivo
alla morte di Bruno Gentili nel suo novanta-novesimo anno d’età, il 7 gennaio
2014, ha visto comparire vari ampi e impegnati ricordi ad opera di alcuni tra i
colleghi e allievi più vicini. Con attenzione e devozione vi sono evocati i
momenti e i contributi più signi-ficativi nella carriera scientifica del grande
grecista scomparso; nel riper-correrla si dà davvero la possibilità di posare
lo sguardo su ottant’anni di storia della filologia classica, via via italiana
europea e mondiale, sin dagli anni Trenta del Novecento. A tutti comune è il
riconoscimento del forte valore innovativo nell’incessante attività critica e
filologica di Gentili, a partire soprattutto dalla metà degli anni Sessanta con
la fondazione dei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica», «vera e propria
officina intellet-tuale» dove su impulso del fondatore e direttore «la
filologia classica, sen-za mai smarrire la dimensione tecnica e specialistica,
si apre al confronto serrato non solo con l’archeologia, la storia e
l’ermeneutica, ma anche con discipline emergenti quali l’antropologia, la
semiotica, la linguistica e la sociologia della letteratura» 1 . A tale
sensibilità può ben connettersi la visione che sino ai suoi ultimi anni Gentili
elaborò della traduzione, nel- la ricerca e nell’asserzione di una «teorica
eminentemente pragmatica», 1 Così Catenacci 2014, 450e quindi «una
poetica non astratta, non prefigurata su schemi di modelli già esperiti», così
sempre tendendo a «una poetica aperta che si costrui- sca gli strumenti adeguati
ad una maggiore portata di comunicazione»: il problema del tradurre è così
definito nei termini «di quell’idea cui aspira l’antropologia contemporanea
della traduzione come comunicabilità fra culture, visioni del mondo, strutture
linguistiche e sistemi grammaticali diversi e distanti nel tempo» 2 . Una
prospettiva che nello studio e nella ‘traduzione’ dall’antico (e dell’antico) a
Gentili certo si schiuse in relazio- ne e risposta alle sfide prodotte dai
grandi mutamenti culturali e sociali, di rilievo antropologico appunto, degli
ultimi quattro decenni del XX se-colo: una prospettiva di ‘apertura’
nell’analisi e negli strumenti applicati all’interpretazione dei testi antichi,
e in particolare della Grecia di età ar-caica, che mi è sembrato potesse essere
bene espressa dalla prima citazio-ne in esergo, di un altro grande innovatore
degli studi classici al volgere di un secolo, Hermann Usener (1834-1905). Il
passo proviene da un discorso rettorale bonnense del 1882 riproposto in
occasione del Congresso inter-nazionale della FIEC tenutosi a Bonn nel 1969 3 ,
e richiamato da Gentili nel famoso saggio L’arte della
filologia (1981). A differenza della for-tunata citazione nietzschiana
d’incipit («filologia è quella onorevole arte che esige dal suo cultore
soprattutto una cosa, trarsi da parte, lasciarsi tem-po, divenire lento»), il
rimando a Usener è passato piuttosto inosservato. Gentili si rifà alla
Rede bonnense, dal titolo Philologie und Geschichts-
wissenschaft 4 , discutendo della prevalente natura ‘storica’ o
‘scientifica’ della filologia classica e rinvenendo «una impostazione
sostanzialmente corretta del problema» nella distinzione attribuita a Usener,
«che delimitò i due campi specifici della ricerca, riservando alla filologia la
critica e la ricostruzione del testo e all’indagine storica l’interpretazione
globale del mondo antico» 5 . La prolusione di Usener si apre con un panorama
della storia degli stu-di classici sin dal XVI secolo francese e ugonotto 6 ,
subito poi riservando 2 Gentili 1989, 61, dalla relazione
presentata al convegno La traduzione dei testi classici .
Teoria prassi storia (Palermo 6-9 aprile 1988), nei cui Atti poi comparve
(Gentili 1991). 3 All’interno della Festschrift
per il convegno curata da W. Schmidt (Schmidt 1969, 13-36); al congresso
bonnense Gentili presentò il fondamentale intervento
L’interpretazione dei lirici greci arcaici nella dimensione del nostro
tempo. Sin-cronia e diacronia nello studio di una cultura orale (Gentili
1969). 4 Usener 1907. 5 Gentili 1984 (2006 4 ), 299. 6
Che la riflessione sulla storia della filologia classica sia strettamente
connessa ai temi trattati nella prolusione rettorale è ben chiarito nella
postilla che la intro-duce: «Die Geschichte einer Wissenschaft verzeichnet nicht
bloß Leistungen. In ihrer Geschichte entfaltet sich ihr Begriff, der nicht
unberührt bleiben kann von dem Wandel der Generationen. Die wissenschaftliche
Arbeit bedarf der Selbstbe-sinnung, will sie nicht ziellos in der Unendlichkeit
des Einzelnen umhertreiben." grande rilievo al genio di Bentley («zur
Grundlegung einer Wissenschaft […] die Wege dazu hat erst das Genie Rich.
Bentleys gebahnt»), pur rico-noscendo solo alla cultura tedesca, nel fatale
trapasso tra XVIII e XIX se-colo, la decisiva spinta perché lo studio
dell’antichità classica si costituisse «zu einer geschlossenen philologischen
Wissenschaft». Grazie soprattutto all’impegno di dotti come Melantone e
Camerarius, la centralità della Pa-rola proclamata dalla Riforma si era
rivelata determinante per assicurare la presenza dell’insegnamento del greco
nelle nuove scuole volte primaria- mente alla formazione dei pastori
evangelici, finché nei rifondatori della letteratura tedesca del XVIII secolo
(Klopstock, Lessing, Hamann, Herder) «der gottergebene idealistische Sinn des
norddeutschen Protestantismus», laicizzandosi, risultò fecondo per la rinascita
della cultura e della scienza tedesca grazie a figure come Winckelmann, Reiske,
Heyne 7 . L’organica sistematizzazione delle varie discipline volte al fine della
Rekonstruktion des Altertums secondo l’intuizione dei grandi
edificatori e teorizzatori dell’ Altertumswissenschaft , Wolf e
soprattutto Boeckh, nel corso del XIX secolo si fece altresì modello per le
nuove filologie applicate alle varie letterature d’Europa, come pure per le
discipline storico-filologiche volte allo studio del ben più antico patrimonio
di cultura e civiltà delle lingue mesopotamiche, semitiche e arie. A fronte
dell’enorme ampliarsi delle co-noscenze non solo all’interno dell’ Altertumswissenschaft
, con diretto rife-rimento al mondo classico nelle sue varie epoche e aspetti,
ma soprattutto all’esterno, negli orizzonti aperti dalle antiche civiltà del
Vicino Orien-te rivelate dall’archeologia, Usener riconosce l’impossibilità di
isolare la civiltà greca dall’attenta considerazione di quegli influssi, certo
determi-nanti nella genesi almeno dell’arte greca: «heute zeigen die Reste
Babylons und Ninivehs verglichen mit den griechischen und italischen
Gräberfunden jedem, der Augen hat zu sehen, von wo jene hellenische Kunst
[…] ihre Anstöße und auf lange hin nachwirkenden Vorbilder empfangen hat». In
realtà a Usener preme soprattutto mettere in rilievo che il concetto stesso di
storia si è enormemente ampliato, al di là della tradizionale identificazio- ne
nella «pragmatische Entwicklung der Haupt-und Staats-aktionen von Fürsten und
Völkern», ormai annettendo territori ignoti, nati dall’indagine delle origini
delle lingue, dei credi, dei costumi, dei miti («die unbegrenz-te Ferne einer vorgeschichtlichen
Geschichte»). In tale condizione appare al professore bonnense ormai
impossibile aderire a una costruzione della filologia quale quella boeckhiana.
La filologia, egli afferma, non può più essere intesa come scienza storica,
perché radicalmente mutata è la visione stessa della storia propria del tardo
XIX secolo 8 . La filologia è piuttosto da 7 Onde se «la moderna
poesia italiana e francese è figlia degli studi umanistici, la letteratura
tedesca è invece legata alla nostra filologia in uno stretto rapporto di
sorellanza» (Usener 1907, 7). 8 Usener è in proposito molto chiaro: «Es
bleibt also dabei: eine geschichtlicheconsiderarsi «ein Studienkreis», un
insieme di discipline che vertendo sulla parola scritta, e così assolvendo alla
funzione di arte o metodo di decisivo valore nel fissare i contenuti della
conoscenza storica, costituisce «die le-tzte Voraussetzung aller
geschichtlichen Forschung» 9 : una filologia come tecnica dell’interpretazione
che, potenziata dalla prospettiva comparatista, assunse forse agli occhi di
Usener i tratti di «una sorta di antropologia» 10 . Ho indugiato sul saggio di
Usener perché l’insieme della sua opera, spesso poco apprezzata dal mondo
filologico tedesco contemporaneo, gode da anni di crescente attenzione 11 ,
anche in ragione degli interessi ‘trasversali’, comparativi e
religionsgeschichtlich che l’attraversano e innervano, non privi di
influssi sullo sviluppo della teologia dapprima protestante e poi cattolica
nella Germania del XX secolo 12 , e forse anche sulle origini degli studi
novecenteschi italiani di storia delle religioni e di storia del cristia-nesimo
13 . Notevole è, nelle pagine di Gentili sull’arte della filologia, il suo
ri-farsi a Usener. Sin dal titolo, a Nietzsche esse intendono forse associare
proprio il filologo bonnense, quasi provocatorio (in una prolusione retto-rale
del 1882!) nel definire Kunst l’essenza dell’attività
filologica 14 , pri- Wissenschaft ist die Philologie nicht. Sie konnte und
mußte als solche erschei-nen zu der Zeit, als die Geschichtswissenschaft in
ihrem heutigen Begriff noch nicht vorhanden war […]. Es war die Zeit, wo die
moderne Geschichtswissenschaft zuerst ihre Blüten trieb. Alles hat seine Zeit».
9 «Wenn es also wahr ist, daß der Boden aller geschichtlichen
Wissenschaft das geschriebene Wort ist, so folgt, daß die Kunst, welche
dasselbe feststellt und deutet mittels ihres grammatischen Vermögens, die
letzte Voraussetzung aller geschicht-lichen Forschung ist. Diese Kunst haben
wir in der Philologie erkannt» (Usener 1907, 26). 10 Così Momigliano
1985, 166. 11 A partire soprattutto dal seminario del febbraio 1982
presso la Scuola Nor-male di Pisa coordinato da Arnaldo Momigliano e subito
pubblicato come Aspetti di Hermann Usener filologo della religione
(Arrighetti [et al.] 1982). Sono apparse negli ultimi anni edizioni italiane di
varie opere di Usener, tra le quali Usener 1993; Usener 2008; Usener 2010.
12 Assai notevole e davvero anticipatrice, nonché oggi di particolare
attualità, è la lettera del dicembre 1888 al teologo bavarese I. von
Doellinger, nella quale Use-ner afferma che «lo scopo ultimo ed inespresso dei
miei sforzi è quello di aiutare a preparare l’unità della Chiesa della nostra
nazione», passo su cui attira l’attenzione Momigliano 1985, 147. 13 È
opportuno ricordare l’attenta, e assai poco nota, presentazione che del
Le-benswerk di Usener, «grande maestro che l’Italia colta quasi
ignora», diede Pesta-lozza 1909 (che cito dall’estratto), sulla rivista del
modernismo cattolico milanese «Il Rinnovamento» cessata quello stesso anno: su
Pestalozza, in quegli anni presso l’Accademia scientifico-letteraria di Milano
primo libero docente e poi primo do-cente in Italia di Storia delle religioni,
vd. i riferimenti in Benedetto 2008. 14 Non sorprende il dissenso,
rispettoso ma chiaro, che subito espresse il trenta-quattrenne Wilamowitz circa
la visione della filologia presente nella Rektoratsre-de ,
prospettandone una ben diversa: «Die alte Poesie (und natürlich ebenso
Rechtmariamente volta a fondare l’affidabilità della parola scritta
. La centralità del testo, oggi preferiamo dire: quel testo visto da Gentili
come «struttura complessa di materiali linguistici, di implicazioni
metrico-ritmiche, refe-renziali e pragmatiche» 15 nel cui processo
interpretativo «una pluralità di discipline» è coinvolta (uno
Studienkreis , appunto) 16 . Senza qui proporsi di passare in rassegna l’ampia,
varia, settantennale attività scientifica di Bruno Gentili 17 , si cercherà
piuttosto di soffermarsi su alcuni aspetti, quali soprattutto il rapporto con
la figura di Gennaro Perrotta e in genere con gli studi italiani di filologia
classica nella prima metà del Novecento, la produzione degli anni ’50 e ’60, e
la serie di saggi «di portata fondativa» 18 scritti da Gentili tra la
metà degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, nei qua-li evidente è una svolta
per gli studi sulla lirica greca, e notevole l’interesse verso temi e problemi
della traduzione dall’antico.2. L’esordio di Gentili si ebbe nel pieno della Seconda
guerra mondiale con un articolo nato dalla tesi di laurea con Silvio Giuseppe
Mercati, dedi-cato soprattutto a passare in rassegna quattro inesplorati codici
delle Storie di Agazia conservati in biblioteche italiane (tre
Vaticani e un Marciano) 19 . In quegli anni drammatici il giovane studioso li
collazionò in parte, avendo in animo di preparare una nuova edizione critica
dell’opera 20 , in vista del-la quale non tace anzi l’intenzione di provvedere
a «un nuova collazione accurata» di un manoscritto Vulcaniano conservato
nell’allora inaccessi-bile Leida 21 . Il netto cambiamento di interessi e «una
decisa virata ver- und Glaube und Geschichte) ist tot: unsere Aufgabe ist, sie
zu beleben […] dann empfinde ich, daß Philologie doch etwas für sich ist,
oder wenigstens ihr τέλος hat» (lett. del febbraio 1883 in Dieterich –
Hiller von Gaertringen – Calder III 1994 2 , 28), e cfr. Sassi 1982, 79.
15 Gentili 1984 (2006 4 ), 301. 16 «Philologie in dieser Auffassung
ist nicht eine Wissenschaft, sondern ein Stu-dienkreis» (Usener 1907, 16).
17 Sin d’ora rimando alle molte informazioni e osservazioni desumibili
dal Ri-cordo di Bruno Gentili di Angeli Bernardini 2013;
Catenacci 2014; Cerri 2014; Lomiento 2014; G. A. Privitera, commemorazione
lincea dell’11 aprile 2014, ac-cessibile on line presso
www.lincei.it/files/documenti/Privitera_commemorazio-ne_Gentili.pdf ;
Tedeschi 2014. 18 Cerri 2014, 230. Non si tratterà di Gentili editore e
critico del testo, tema che di per sé richiederebbe apposita discussione.
19 Gentili 1944. 20 Come chiaramente lascia intendere la chiusa
dell’articolo: «Da quanto abbia-mo detto appare chiaro che la sola finora ad
avere almeno l’aspetto di edizione cri-tica ed anche il metodo è quella del
Niebuhr, in quanto si fonda sul valore effettivo di una parte della tradizione.
Ma l’uso di tutto il materiale manoscritto, secondo gli intendimenti che ho
esposto, trae con sé la necessità di una recensione del testo di Agatia, che si
fondi su basi più complete e quindi più solide. E questo compito, se le forze
non mi verranno meno, spero di poter assolvere». 21 Vd. in particolare p.
168: «occorrerebbe perciò una nuova collazione accurata Sent from the all
new AOL app for iOSso la poesia greca arcaica» 22 si legano all’incontro
con Gennaro Perrotta (1900-1962), dal 1938 sulla cattedra romana di Greco come
successore di Ettore Romagnoli (1871-1938) 23 e nel corso degli anni ’30
impegnato nel rinnovamento su modello crociano dello studio della lirica greca
( Saffo e Pindaro. Due saggi critici uscì presso Laterza nel 1935),
ma attento altresì all’esegesi puntuale di frammenti e ritrovamenti papiracei,
in particolare con interventi accolti nei pasqualiani «Studi italiani di
filologia classica» (nota è in particolare la polemica intorno al ‘poeta degli
epodi di Strasbur-go’) 24 . Un’importante rassegna ad opera di Perrotta
su La filologia classica nell’ultimo ventennio , apparsa per il
Natale di Roma del 1943 in un volu-me promosso dal Ministero dell’Educazione
Nazionale (Perrotta 1943), se è priva non solo di elogi ma si può dire di
qualsiasi menzione del morente Regime, è peraltro chiarissima sin dalle prime
righe nell’affermare che il «vero progresso» segnato nel precedente ventennio
dalla filologia classi-ca in Italia è spiegabile perché essa «ha sentito
profondamente l’influsso dell’estetica moderna, anzi di tutto il pensiero
moderno», con sicuro ri-ferimento al crocianesimo e in genere agli orientamenti
antipositivistici: «superate le polemiche del periodo precedente, la filologia
classica ha preso un nuovo indirizzo […] vivificata dalle correnti nuove della
cultura moderna, è divenuta meno arida e pedantesca», e finanche «abbondano i
saggi critici, che una volta avrebbero destato scandalo». Dopo un rapido ma
attento ragguaglio di commenti, edizioni critiche ed edizioni di papiri
pubblicati nel periodo considerato, l’articolo si conclude appunto notando che
mentre «in qualunque campo la filologia classica italiana può sostene-re
dignitosamente il confronto con quella delle altre Nazioni», proprio «nel campo
della critica letteraria, essa supera di gran lunga la filologia classica di
qualunque altro Paese del mondo» 25 . Cinque anni dopo, nell’Italia e
nell’Europa del 1948, presentando ai let-tori insieme al condirettore Gino
Funaioli la nuova rivista «Maia» («nome caro a due grandi poeti, a Gabriele
d’Annunzio e a John Keats»), in sostan-ziale continuità e coerenza con se
stesso Perrotta indicherà la via della ripresa dello «studio della civiltà
antica, per noi moderni» in un «rinnovato umanesimo», fondato sull’incontro tra
l’eredità del classicismo europeo del manoscritto, che mi propongo di
fare quanto prima»; si tratta del Cod. Vulc. 54, usato da Bonaventura Vulcanius
per l’ editio princeps del testo greco del De impe-rio et
rebus gestis Iustiniani imperatoris libri quinque , uscita a Leida nel 1594
(cfr. Dewitte 1981, 196). B. Vulcanius (B. de Smet), fu dal 1578 (in effetti
dal 1581) professore nella nuovissima università di Leida. 22 Lomiento
2014, 1. 23 Su circostanze e contesto della successione illuminanti
scorci in Canfora 2005, 19-20 e passim . 24 Sulla quale, e
sulla persuasiva identificazione in Ipponatte sostenuta da Per-rotta, vd.
Gamberale 1994, 75; Sisti 1994, 43-45; Morelli 1996, 24. 25 Perrotta
1943 Sent from the all new AOL app for iOSdegli ultimi due secoli («la
tradizione gloriosa di Goethe e di Humboldt, di Gioacchino Winckelmann e di
Federico Schlegel, di Shelley e di Keats, di Hölderlin e di Nietzsche, di
Foscolo e di Leopardi, di Carducci e di Pasco-li») e una pratica filologica
che, nutrita di adeguata consapevolezza critica e storica, trascendesse le mai
del tutto sopite conseguenze delle polemiche, e dei connessi schieramenti, che
avevano lacerato gli studi classici italiani d’inizio secolo: Il nostro ideale
è il filologo che abbia l’abnegazione d’un grammatico alessandri-no e
l’entusiasmo d’un umanista del Quattrocento, la tecnica filologica e il senso
storico dei grandi filologi dell’Ottocento, il senso artistico e la coscienza
critica dei migliori critici letterari dell’età nostra. L’ideale della nostra
rivista è la storia senza lo storicismo, la filologia senza il filologismo, la
critica estetica senza l’estetismo e il vacuo filosofismo 26 . Non manca subito
di séguito una citazione da Nietzsche, dalla qua-le risulta «la filologia nel
suo senso più elevato rappresentata, come me- glio non si potrebbe, con alta
fantasia poetica» 27 . Né manca un richiamo a Nietzsche, in quella stessa prima
annata di «Maia», nell’ampia e intensa commemorazione che Perrotta dedicò nel
decennale della morte a Ettore Romagnoli 28 , accostato a Nietzsche nell’accesa
e ‘immaginifica’ giovinez- za di filologo 29 , quindi rievocato come professore
universitario a Catania 26 Funaioli – Perrotta 1948. Che punto
nodale del «discorso sulla filologia» sia «la divisione o meno delle competenze
tra filologia e critica letteraria in senso lato» rimarrà, con altra
prospettiva, costante elemento di riflessione per Gentili: cfr. Gentili 1984
(2006 4 ), 300 sgg. 27 L’ammirazione di Perrotta per Nietzsche filologo è
messa in rilievo da Gi-gante 1996, 150-151, il quale anche suggerisce che
mediatore per il filologo ita-liano della conoscenza di Nietzsche possa essere
stato Croce; un’emendazione del giovane Nietzsche («oltre a giudicare il carme
nel suo insieme con la finezza e la profondità ch’erano proprie del suo genio»)
è lodata e accolta in Perrotta 1951, 83. 28 Un certo paradossale
irrigidimento di Perrotta «negli ultimi tempi in cui poté ancora esercitare un
sensibile influsso negli ambienti culturali», onde «egli affermò sempre più
polemicamente e rigidamente la sua fedeltà al verbo crociano […] com-memorò
entusiasticamente il Romagnoli, proclamò ripetutamente la indipendenza dei
supremi valori poetici da ogni condizionamento ambientale e culturale» noterà
Paratore 1963b, 6 (appunto a intendere «quella sopravvalutazione della critica
let-teraria che è sembrata così singolare in un uomo di così severa formazione
filolo-gica» è dedicata la commemorazione lincea di Paratore 1963a, in gran parte
rifusa nel profilo Gennaro Perrotta in Grana 1969, IV, 2591-2601).
29 È utile citare il passo: «Federico Ritschl soleva dire che Federico
Nietzsche giovinetto concepiva una dissertazione filologica come un romanzo. Il
grande filologo non intendeva certo, con queste parole, spregiare l’attività
filologica di Nietzsche giovane, del quale egli presagì il genio. Ma un intuito
profondo gli face-va scoprire in Nietzsche qualche cosa di singolare, di acceso
e di appassionato, che non faceva assomigliare le sue dissertazioni, pur
dottissime e condotte con metodo impeccabile, a quelle degli altri. Poichè un
uomo dotato di molta immaginazione(attraverso la testimonianza del
fraccaroliano e romagnoliano F. Gugliel-mino), in particolare quando
leggeva con predilezione i lirici greci, e, traducendoli, comunicava agli
uditori con la scelta felice delle parole e delle espressioni, che potessero
rendere con maggiore adesione il pensiero e il sentimento dell’antico poeta, e
anche con l’inflessione della voce, quello che egli stesso sentiva. Il commento
era sobrio, scevro d’in-gombrante erudizione: accennava a questioni controverse
dibattute dai filologi solo quando avevano importanza innegabile per la retta
interpretazione di un passo dub-bio, e in tal caso riduceva la questione
all’essenziale 30 . Il 1948 fu anche l’anno in cui, a cura di Gennaro Perrotta
e del suo as-sistente Bruno Gentili, uscì Polinnia , antologia
della lirica greca ad uso dei licei destinata a grande fortuna nella scuola
italiana della seconda metà del Novecento, sino alla recente e rinnovata terza
edizione del 2007. Non fu la prima antologia dei lirici greci destinata alla
scuola e impostata con rigore scientifico. Dopo che i programmi del 1923, con
la riforma Gentile, più decisamente aprirono ai lirici le porte dei licei, si
diffusero antologie sco-lastiche «nate in un periodo di estetica esasperata, di
olimpico dispregio per tutto quello che si chiamava (e la parola era oltraggio)
filologia», come vollero osservare prefando i loro Lirici greci
scelti e commentati (1940) Giuseppe Ugolini e Alessandro Setti che a
quell’andazzo con efficacia e serietà reagirono, avendo per modello
essenzialmente Aglaia , la nuova an-tologia della lirica
greca da Callino a Bacchilide pubblicata nel 1937 da Bruno Lavagnini
(1898-1992) 31 . In sede di valutazione storica è giusto rilevare che «ad
Aglaia si sono ispirate tutte le antologie successive che si
finirà sempre per mettere, anche senza averne affatto il proposito, perfino in
una dissertazione filologica, un po’ della sua immaginazione. Questo avveniva
spesso a Romagnoli giovane» (Perrotta 1948, 93). Le pagine di Perrotta sono in
parte ripro-dotte nella sezione su Romagnoli in Grana 1969, II, 1448-1459.
30 Nel Profilo di Bruno Gentili premesso da Carlo Bo al
I volume dei ricchissimi Scritti in onore di Bruno Gentili , Romagnoli
ricorre accanto a Perrotta come pre-senza utile a comprendere in Gentili
l’«uomo dotato di spirito creativo, quale ge-neralmente posseggono soltanto gli
scrittori e in modo più specifico i poeti. La sua straordinaria perizia
filologica è strettamente collegata al suo gusto e alle sue doti di creatore.
Tutte cose che si possono riscontrare nella storia della sua formazione, perché
accanto a uno dei suoi primi maestri, Ettore Romagnoli, a un certo punto si è
accostato uno studioso come Gennaro Perrotta» (in Pretagostini 1993b, I,
XXVIII ). 31 Nella Prefazione a Ugolini – Setti 1940
due sono «tra i lavori scolastici» quelli citati dai curatori perché risultati
utili «per il loro carattere più spiccatamente scientifico»: oltre
all’antologia di Lavagnini si fa cenno a un’opera di A. Taccone, in cui è da
ravvisarsi l’ Antologia della melica greca pubblicata nel 1904 con
pre-fazione del maestro G. Fraccaroli, attenta e informatissima ma ormai
invecchiata a fronte delle scoperte papiracee accumulatesi nei decenni
successivi. Del libro di Ugolini e Setti oltre trent’anni dopo uscirà
un’edizione ampliata e rinnovata, in seguito ristampata: Ugolini – Setti
1972possono definire serie, a cominciare da Polinnia » 32 , senza
dimenticare che in pieni anni Trenta la volontà di chiarire agli alunni di
liceo l’«enigma psicologico» di Saffo e della sua passione dettò all’antologia
di Lavagnini toni ben più diretti 33 di quanto dieci anni dopo accadrà a
Perrotta (cui si deve la sezione su Saffo in Polinnia ), e più in
linea con le posizioni cui Gentili espressamente approderà negli anni Sessanta.
I cenni di Perrotta alle «gioie leggere del tiaso di Saffo» insieme a un certo
riemergere delle preoccupazioni per la difesa della poetessa dalle accuse di
immoralità tor-nano a riflettere ambagi e premure proprie peraltro
dei più noti studiosi di Saffo tra metà del XIX e metà del XX secolo, da
Welcker a Valgimigli 34 : impostazione da Perrotta stesso a suo tempo
esplicitamente confutata in Saffo e Pindaro 35 . 32 Così Degani
1995, 30. 33 Nell’introduzione alla sezione su Saffo in Lavagnini 1937,
116, si dice che «Saffo visse facendo della sua casa un centro di culto ad
Afrodite, alle Muse, e alle Cariti. Le più nobili e le più belle fanciulle di
Lesbo e dell’Asia vicina venivano a lei per essere ammaestrate nella poesia e
nel canto, ed essa vive tutta in questa compagnia di fanciulle. Anzi l’affetto
per le scolare assume un trasporto così im-petuoso e sa trovare accenti così
caldi da prendere i colori della passione di sesso, sicché la Lesbia resta
ancora, almeno in parte, un enigma psicologico per noi, che siamo così lontani
da quel suo mondo». Ivi è inoltre il rimando alla trattazione che del tema
Lavagnini aveva dato nella sua precedente Nuova antologia dei
frammenti della lirica greca (Lavagnini 1932, 171), dall’ incipit e
dalle tesi assai esplicite, e con esplicito rifarsi a Freud nell’individuare in
Saffo «una invertita : essa trasferì sopra creature del medesimo sesso il
potenziale affettivo ( libido secondo la termi-nologia di Freud) che
avrebbe dovuto normalmente rivolgere su persone del sesso opposto». Al di là
dell’interpretazione di Saffo, le pagine di Lavagnini meritano di essere
particolarmente segnalate in relazione alla prima (s)fortuna italiana della
psicanalisi, quando si pensi che la «Rivista italiana di psicoanalisi», diretta
da E. Weiss, fu fondata in quello stesso 1932 e soppressa due anni dopo: ricco
di infor-mazioni in proposito, benché talora disorganico e confuso, Zapperi
2013. 34 Per più ampi riferimenti su molti dei temi qui e di seguito
trattati rimando a Benedetto 2012. 35 Cfr. Perrotta 1935, 28-31, in
pagine non prive di sarcasmo e oggi dimenticate: «Infine, non giovano a nulla
le discussioni, interminate e interminabili, sull’amo-re e sulla purezza di
Saffo. I Welcker e i Wilamowitz hanno difeso la poetessa nobilmente, ma non si
sono accorti che nel loro zelo appassionato essi stessi non erano troppo
lontani dai grammatici dell’età romana, da quel Didimo che disser-tava
dottamente an Sappho publica fuerit […] In realtà, Saffo non
ha bisogno di essere giustificata: essa che, se potesse udire i suoi accusatori
e i suoi difensori, non intenderebbe neppure i termini della questione. La
soluzione dei Welcker e dei Wilamowitz non risolve nulla […] Quando per
spiegare il tiaso amoroso di Saffo, si parla di un convento, di un pensionato
di fanciulle, di un conservatorio di musica e di declamazione, e perfino d’un salotto
letterario, e perfino d’un club estetico di donne, non si spiega
nulla; e per giunta non si mostra né senso storico, né gusto irre-prensibile
[…]. E, ancora peggio, si è costretti a ridurre ad elemento secondario, ad
ammettere a mala pena, facendo di tutto per togliergli ogni importanza, l’amore
di Saffo per le amiche; ma per Saffo l’amore era tutto». Significativo il pieno
consen Sent from the all new AOL app for iOSLa parte curata da
Gentili comprende tra gli altri Alceo, Anacreonte e Bacchilide, i tre autori di
cui più egli si occupò tra la fine degli anni ’40 e la fine degli anni ’50.
Nella difesa che Gentili fa (come già Coppola e Perrotta negli anni ’30)
dell’allegoricità del famoso frammento alcaico ora 208a V. citato da Eraclito
stoico («nella nave è rappresentato lo Stato, cioè la città di Mitilene,
minacciata dalla rovina») 36 , tra affinità e differenze piace scorgere lo
spunto delle future pagine sulla ‘pragmatica dell’allegoria della nave’ 37 .
Superando i vincoli ancora operanti in Polinnia connessi al
tradi-zionale confronto ‘estetico’ con Orazio, tramite l’approccio
pragmatico-espressivo Gentili giungerà lì a riconoscere nell’allegoria lo
strumento co-municativo strategicamente più idoneo e perciò scelto in varie
occasioni da Alceo poeta e politico al fine di «trasmettere il messaggio in un
linguaggio velato e allusivo comprensibile solo dall’uditorio dei
compagni» 38 . Crocia- namente priva di introduzione sia generale, sia ai
singoli poeti 39 , Polinnia riserva particolare attenzione
alle presentazioni dei singoli carmi. Spiccano lo spazio e il ruolo assegnati
all’esposizione della metrica, «quelle sequenze di lunghe e di brevi, che
avevano pari dignità grafica rispetto ai caratteri del testo, e apparivano ben
in evidenza, non erano nascoste a fondo pagina, magari in una nota», sì da
divenire per un liceale «il primo impatto reale con la metrica greca» 40 . Ciò
appunto dovettero prefiggersi i curatori, con quella passione per gli studi
metrici che la scarna premessa Ai lettori rivela: Riteniamo
che l’accurata interpretazione metrica sarà accolta con favore. Essa ha per suo
fine principale la lettura metrica, senza la quale non è possibile sentire e
gustare un poeta greco. La metrica greca non è, come purtroppo credono ancora molti,
né una scienza inesistente, né una scienza che permetta ad ognuno
d’inter-pretare i versi come vuole, ma una scienza che è facile imparare,
purché sia studiata sul serio. Per agevolare la lettura metrica, ci siamo presa
la libertà di segnare gli ictus dei piedi, benché agli
ictus non crediamo: certo i Greci non avevano l’accento dinamico, ma
l’accento musicale. Poiché la lettura metrica è indispensabile: coloro che
traggono, dalla giusta constatazione che la nostra lettura con gli
ictus non corri-so riservato in nota alle posizioni esegetiche di
Lavagnini: «Una pagina coraggiosa scrive, invece, nel senso contrario, il
Lavagnini, col quale consento in tutto, benché abbia meno fiducia di lui nella
psicanalisi». 36 Perrotta – Gentili 1948, 198-199. Sulle
Allegorie omeriche del non altrimenti noto Eraclito nell’àmbito
dell’esegesi antica di Alceo, e in particolare sul tema delle immagini
marittime e il loro uso con significato politico da parte del poeta di
Mitilene, rimando alla messa a punto di Porro 1994, 22-23, 55 sgg. e 105 sgg.
37 È il capitolo XI in Gentili 1984 (2006 4 ), 257-283. 38 Gentili
1984 (2006 4 ), 279. 39 Si ricordi per confronto la collana laterziana
degli Scrittori d’Italia , priva d’introduzione e di qualsiasi apparato
interpretativo. Senza introduzione generale e ai singoli poeti sarà anche la
successiva edizione del 1965: Perrotta – Gentili 1965. 40 Sono parole
dalle pagine molto belle, di tono e sapore memorialistico, che alla metrica
di Polinnia dedica Di Benedetto 2001, 141 sggsponde alla
lettura degli antichi, la pessima conclusione dell’inutilità di ogni lettura
metrica, fanno un’imperdonabile rinunzia, che generalmente tende a nascondere
la pigrizia o l’ignoranza. Non diverse considerazioni, e non diversa passione
didattica, animano la prefazione a La metrica dei Greci
(1952), il libro che rappresentò «lo sdoganamento» di tale disciplina «nella
scuola e, più in generale, negli studi classici italiani» 41 . Val la pena
rileggere l’inizio di quella prefazione: È sentita in Italia la mancanza di un
manuale di metrica ad uso dei non iniziati. Tale mancanza ha nociuto sino ad
oggi all’insegnamento di questa disciplina soprattutto nelle scuole medie,
poiché spesso i docenti, mossi da uno strano scetticismo […] considerano di
scarso interesse la conoscenza della metrica greca, talora ritenen-dola del
tutto estrinseca alla poesia, pura invenzione di alcuni studiosi moderni 42
anche perché già vi si rinvengono temi e motivi che ispireranno per decen-ni
l’indefessa indagine metrica di Gentili: In realtà la metrica non è né
estrinseca alla poesia, né invenzione dei moderni. Come ho già dimostrato nella
mia Metrica greca arcaica , alcune teorie metriche dei moderni,
quelle più attendibili, sono già contenute nella migliore tradizione dei
metricologi antichi. La metrica è necessaria, non solo ai fini della critica
testuale, ma anche ad una più compiuta intelligenza del testo poetico. Poiché
metrica e poe-sia furono nell’antica Grecia intimamente connesse, in funzione
reciproca. È un errore avvicinarsi allo studio delle forme metriche con
pregiudizi scolastici […] Soltanto dimenticando gli schemi e seguendo i metri
nel loro sviluppo storico, si può davvero intendere il valore e la necessità
dello studio di questa disciplina. Notevoli sono il precoce apprezzamento per
il valore dei metricisti antichi 43 e la visione non ancillare degli
studi metrici, da intendersi non 41 Catenacci 2014, 448. 42
Gentili 1952, VII - VIII . Circa venticinque anni dopo, tra le cause
dell’isolamento in Italia dello studio della metrica greca «nel ghetto degli
specialisti e guardato al pari di una disciplina esoterica con sospetto e
diffidenza», Gentili tornerà a cita-re l’idea largamente diffusa «della
impossibilità di costruire per la versificazione greca una teoria coerente ed
univoca», inoltre aggiungendo l’influsso avuto dalla nostra cultura degli anni
Trenta «che aveva reciso alla radice ogni altro impulso all’indagine critica
che non procedesse nel solco della teoria estetica dell’arte»: cfr. Gentili
1979a, 681. 43 Sensibilità critica in cui Cerri 2014, 232 ravvisa
l’indizio di una attitudine ‘an-tropologica’ già allora in qualche modo
operante nella filologia di Gentili: «Contro l’orientamento che era invalso tra
i metricisti di allora, non solo rivaluta le teorie e le analisi dei metricisti
antichi, ma basa costantemente su di esse la propria trat-tazione […] è del
tutto evidente che ciò avviene non solo e non tanto perché le ritenga ipotesi
scientifiche acute e azzeccate, ma soprattutto perché le assume come
testimonianza diretta di una sensibilità ritmico-musicale diversa dalla nostra,
di un linguaggio fonico-gestuale specifico di quella civiltà e di
quell’orizzonte mentalecome meramente funzionali o subordinati alla critica del
testo, ma in-dispensabili innanzitutto per una piena comprensione dell’antica
poesia, nella convinzione «che la metrica non sia un fatto esteriore, ma in
funzio- ne della poesia stessa», come è poi ribadito all’inizio dell’
Introduzione . Lì è anche subito affermata l’unità ritmica del verso antico, la
sua strutturale unione con la musica, onde «posta l’unità del verso greco, non
sarà più legittimo parlare di piedi, ma soltanto di cola » 44 .
Rievo-cando di recente le lezioni di metrica tenute da Gentili alla Sapienza
nell’immediato dopoguerra, G. A. Privitera ha colto nella «prospetti-va
storica» l’aspetto che in quelle esercitazioni più colpiva, quando «a
differenza dei trattatisti, che nei manuali si limitano ad esporre le loro
interpretazioni, Gentili citava anche le opinioni dei metricisti antichi e dei
metricisti moderni» 45 : come con ampiezza appunto avviene in
Me-trica greca arcaica , il volume del 1950 dedicato a Gennaro Perrotta,
anch’esso aperto dalla rivendicazione della metrica come «una scienza al pari
delle altre discipline classiche», tutta «nella migliore tradizione della
filologia ellenistica» 46 . Conoscenze ampie sugli studi metrici degli ultimi
centocinquant’anni attestano i primi due capitoli del libro, dove dapprima (
Studi metrici: brevi cenni ) Gentili delinea con ricchezza di esempi e
osservazioni lo svolgersi delle principali analisi e teorie me- triche da
Hermann (con cui «la scienza metrica nacque nel secolo scor-so» sulle orme di
Bentley e di Porson) a Westphal 47 , a Usener 48 , a Wila- 44 Gentili
1952, 1-2. 45 G. A. Privitera, commemorazione lincea, cit. supra ,
n. 17. 46 Gentili 1950. Ho consultato la copia conservata presso la
biblioteca del Cen-tro di papirologia ‘Achille Vogliano’ (Dipartimento di studi
letterari, filologici e linguistici dell’Università degli Studi di Milano),
con ex libris dello stesso Voglia-no (segn. Vgl.II.B.61), in quegli
ultimi anni di vita alle prese con lo studio rimasto incompiuto La
lirica eolica e Pindaro nella critica di Gottfried Hermann . 47 La
cui «Entdeckung eines indogermanischen Urverses» già è lodata in Usener 1907,
15. 48 Di Usener è rammentato con interesse il trattato
Altgriechischer Versbau: ein Versuch vergleichender Metrik
(Usener 1887), con la sua «analisi comparativa del-la metrica greca con
la metrica germanica». I capitoli IV e V dell’opera di Usener consistono di una
rassegna, desultoria ma affascinante, volta a dimostrare la predi-lezione dei
popoli indoeuropei per una struttura metrica base in otto sillabe ancor ravvisabile
nei testi sanscriti, avestici, nelle più antiche ricostruibili forme metriche
greche e latine, nei canti popolari germanici, slavi settentrionali e
meridionali, li-tuani: nota è l’icastica reazione negativa di Wilamowitz alla
lettura del libro («In metrischen Dingen vermag ich nicht in kurzem meine
Differenz auszudrücken, weil sie zu tief geht […]. Ich kann überhaupt das
einheitliche griechische Volk nirgends finden, also auch keine urgriechische
Sprache und keinen urgriechischen Vers und keine urgriechische Religion», lett.
del 13 ottobre 1887 in Dieterich – Hiller von Gaertringen – Calder III 1994 2 ,
46). Dal punto di vista della linguistica storica e della metrica comparativa
indoeuropea severo giudizio sul lavoro di Use-ner dà Campanile 1982, cfr. anche
Morelli 1996, 50 sgg. e 83-87 Sent from the all new AOL app for
iOSmowitz, a Schroeder, a Maas 49 . Il successivo capitolo ( Metrica e
musica ), prendendo spunto dai lavori di R. Westphal volti a «applicare le
leggi dell’isocronia musicale ai metri greci», tentativo fallito ma assai noto
in Italia per l’applicazione che ne diede Romagnoli nei suoi Poeti
lirici 50 , si segnala per la riflessione sulla centralità del rapporto
metrica-musi-ca, cioè poesia e musica, e sulla necessità di considerarlo storicamen-te,
alla luce delle svolte nella storia della cultura greca dall’arcaismo sino a
Timoteo e poi all’età ellenistica, quando «il distacco della musica dalla
poesia è definitivo; questa sarà destinata quasi sempre alla lettu-ra» 51 .
Noti sono i meriti di Perrotta nella rinascita degli studi italiani di metrica
antica 52 , nei quali «egli raggiunse una competenza che lo pose in una
condizione di assoluto predominio in Italia». Così Ettore Para-tore
all’indomani della morte del collega grecista nell’ateneo romano, rimarcandone
la visione della metrica quale «premessa indispensabile per l’intelligenza di
un altissimo testo poetico» e osservando la pro-fonda coerenza della «esemplare
e severa scienza metrica del Perrotta» con l’intera sua concezione degli studi
classici («nella metrologia del Perrotta veramente filologia e critica si dànno
la mano in una sintesi tra le più feconde») 53 : nel timbro certo ‘romano’ ma
già storiografica- 49 Cui già allora Gentili imputa gravi limiti
metodologici, per la sopravvaluta-zione ‘empirica’ dell’ observatio
metrorum e il connesso «profondo scetticismo per tutti i problemi metrici
di Urgeschichte »: Gentili 1950, 20 sgg. 50 Particolarmente il
secondo volume ( I Poeti Lirici. Terpandro, Alceo, Saffo , Bologna 1932)
è costellato di «traduzioni in segnatura moderna della realizzazione sonora»,
cioè vere e proprie trascrizioni per musica dei frammenti dei tre antichi
autori; almeno da un punto di vista storico non a torto Stella 1972, 171 indica
come merito di Romagnoli «quello di avere richiamato l’attenzione fin dai primi
anni del Novecento sul binomio poesia-musica , in stretta
interdipendenza di nota e parola, nei poeti greci fino all’età ellenistica», e
di aver così dato «avvio ad una compren-sione profonda e meno letteraria di
Saffo e di Pindaro, di Eschilo e Aristofane: indicava nuove strade per future
ricerche». 51 Gentili 1950, 33. Le indagini sulla musica greca anche in
età ellenistica cono-scono oggi nuovo impulso: vd. Martinelli 2009. 52
Messi in rilievo da Albini 1963, 111, il quale anche ricorda che «quando la
morte lo sorprese, Perrotta stava ultimando un libro sul saturnio», sul
contenuto del quale vd. la ricostruzione di Morelli 1996, 70 sgg. Resta il
paradosso, segnalato da Morelli sin dall’inizio del suo studio, che «nella
produzione di Gennaro Per-rotta, anche tenendo conto delle notazioni
occasionali e delle scansioni fornite in Polinnia , i contributi di
carattere metrico risultano nel complesso piuttosto scarsi ed esigui, specie se
rapportati all’importanza che egli annetteva notoriamente alla materia e agli
anni spesi nelle relative ricerche fin dall’adolescenza». 53 Paratore
1963b, 7-8. È visione che si ritrova bene espressa anche nell’esordio del I
capitolo di Metrica greca arcaica : «Critica testuale, metrica,
interpretazione estetica sono problemi che devono essere affrontati
contemporaneamente dal fi-lologo classico; essi rappresentano una unità
indissolubile, inscindibile. È merito grandissimo dei grammatici alessandrini
se essi, unitamente all’esame critico delmente atteggiato della valutazione di
Paratore, «la più grande scuola di metrologia classica fiorente in Italia»,
derivata da Perrotta, si ricapitola e si identifica nel nome di Bruno Gentili.
L’esperienza di Perrotta me- tricista non può disgiungersi dal magistero
pasqualiano 54 . Con il ricordo di conversazioni avute con Pasquali «su
problemi importanti di metrica greca» Gentili scelse di aprire il suo
contributo su Pasquali e la metrica nell’àmbito del convegno del 1985 Giorgio
Pasquali e la filologia clas-sica del Novecento : Ricordo con perfetta lucidità
l’esame metrico cui fui sottoposto al nostro primo incontro: mi chiese se ero
in grado di scandire un carme di Bacchilide o di Pindaro; risposi
affermativamente. Non ne fu del tutto convinto; mi porse il testo di
Bacchi-lide e mi invitò a leggere metricamente il quinto epinicio, chiedendomi
prima in quale metro fosse composto. Risposi: «Dattilo-epitriti» e lessi tutta
intera la prima triade strofica. Ne fu sorpreso, forse perché dubitava che un
giovane non formatosi alla sua scuola fosse in grado di superare questa
difficile prova 55 . I colloqui con Pasquali, avvenuti a Firenze nell’immediato
dopoguerra, si incentrarono (continua Gentili) quasi esclusivamente su un
problema che particolarmente angustiava il grande filologo, quello cioè «delle
re-sponsioni impure nei lirici corali e nei cantica della tragedia
e della com-media del quinto secolo», in relazione soprattutto alla soluzione
data da P. Maas in due articoli del 1914 e del 1921, dove «egli crede di poter
negare le responsioni impure in Bacchilide e in Pindaro, correggendo
ar-bitrariamente il testo nei luoghi dove esse appaiono» 56 . Ciò che qui conta
mettere in rilievo è la persuasione che Gentili trasse da quegli incontri
dell’esigenza, in Pasquali riconoscibile, «di affrontare il tanto discusso
problema delle libere responsioni fra strofe e antistrofe non più nella
pro-spettiva astratta e schematica indicata da Paul Maas ma in una prospettiva
più attenta alla fenomenologia del rapporto metro-ritmo melodico» 57 : che
cioè, più in generale, Pasquali già avesse testo, curarono nelle loro
edizioni critiche la divisione in strofe, in στίχοι e in κῶλα dei cori
lirici, tragici e comici […]. Se oggi il filologo moderno dissentirà da essi
nell’interpretazione, non potrà certo dissentire nel metodo. Conoscere, dunque,
la metrica di un poeta significa poter intendere più profondamente la sua
stessa poe-sia, significa poter penetrare nell’intima armonia e musicalità del
verso». 54 «Tratto ereditato da Pasquali» lo dice Gamberale 1994,
77. 55 Gentili 1988, 79. Per la centralità nella ricerca metrica di
Gentili dell’inter-pretazione dei dattilo-epitriti, «così denominati nel secolo
scorso da R. Westphal», nella dialettica tra individuazione di cola
unitari e sistematizzazione metrica otto-centesca di origine boeckhiana
vd. e. g. Gentili – Giannini 1977, 13 sgg. 56 Così Gentili
1950, 21, in un passo e in un contesto che sembrano conservare qualche traccia
delle conversazioni con Pasquali di quegli anni (la prefazione reca la data del
30 settembre 1949, ma Gentili informa il lettore che la prima parte del libro
era già in bozze nella primavera del 1948). 57 Si ricordino le polemiche
degli anni seguenti con Maas circa luoghi bacchi Sent from the all
new AOL app for iOSnetta e chiara l’idea che la poesia lirica sia essa monodica
o corale e la musica erano i mezzi di comunicazione di una cultura che,
attraverso il linguaggio poetico, i ritmi e le melodie, trasmetteva oralmente i
suoi messaggi in pubbliche audizioni 58 . In parte riguardante l’àmbito delle
responsioni, e in polemica con Maas, fu l’intervento di Gentili compreso nella
raccolta di contributi in memoria del maestro («Maia» 15, 1963) 59 : «alcuni
problemi qui discussi», è detto in apertura, «furono non di rado il tema
preferito da Gennaro Perrotta nelle conversazioni con i suoi allievi, i
μετρικώτατοι», particolarmente negli anni 1947-1951. L’articolo è
interessante anche per l’attenzione che di-mostra, pur con vari dubbi, verso la
colometria antica quale attestata dai pa-piri di Anacreonte e di Bacchilide,
già in qualche modo preludendo a quel- lo che diverrà, soprattutto dagli anni
Ottanta, uno degli àmbiti di studio più cari a Gentili e alla sua scuola 60 .3.
Come per l’Italia e il mondo, così per Bruno Gentili gli anni Sessanta videro
prepararsi e poi compiersi svolte decisive. Poco dopo la precoce scomparsa di
Perrotta (settembre 1962), Gentili divenne all’Università di Urbino ordinario
di Letteratura greca, insegnamento tenuto per incarico da alcuni anni, sin
dall’istituzione della locale Facoltà di Lettere di cui fu subito «figura
cardine» 61 . La prolusione urbinate del 18 giugno 1964, pub- blicata l’anno
successivo con il titolo Aspetti del rapporto poeta, commit- lidei
in cui «la presunta corruttela del metro, per la responsione non perfetta»
aveva condotto il filologo tedesco a ritenere corrotto il testo, difeso
ammettendo la re-sponsione impura in Gentili 1958, 20 sgg. 58 Gentili
1988, 80-81. Il racconto di Gentili va naturalmente letto tenendo pre-sente la
frattura tra Pasquali e Perrotta su cui vd. Morelli 1996, 33 sgg.; dal
no-vembre 1948, su sollecitazione di Pasquali, erano ripresi i rapporti
epistolari con il filologo tedesco: cfr. Bossina 2010. 59 Gentili 1963
(poi nei monumentali Studi in onore di Gennaro Perrotta ). Nella
stessa Gedenkschrift non manca un breve contributo di P.
Maas, una nota metrica di argomento ‘moderno’ datata Oxford, 31 ottobre 1962:
Maas 1963. Anche per Maas metricologo molto si potrà trarre dall’esame delle
carte segnalate in Lehnus 2010a e Lehnus 2010b. 60 Una quindicina d’anni
dopo Gentili osserverà: «Si ritiene che la dottrina me-trica degli antichi sia
di scarso valore e di nessuna utilità per noi […]. Ma, ch’io sappia, nessuno
sino ad oggi ha realmente dimostrato la validità di questa asser-zione. Il
disprezzo e il totale rifiuto delle teorie antiche è una moda invalsa negli
studi metrici del Novecento» (Gentili 1979a, 688). Dello sviluppo degli studi
sulla colometria antica guidati da Gentili negli anni successivi sono
testimonianza molti contributi nei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica»:
come sguardo d’assieme vd. Pretagostini 1993a, Gentili – Perusino 1997 e più di
recente la Tavola rotonda 2008; breve consuntivo del dibattito in
corso in García Novo 2008, 408-409. 61 Sugli studi classici a Urbino
dapprima nella Facoltà di Magistero (dall’a. a. 1937/38) poi in quella di
Lettere e Filosofia (dall’a. a. 1956/57) vd. il profilo di Colantonio – Bravi
2006tente, uditorio nella lirica corale greca , presenta un chiaro carattere
pro-grammatico 62 e introduce quell’insieme di temi che «nel tempo si
rivelerà più produttivo e tipicamente ‘gentiliano’» 63 . Fin dalle prime righe
del sag-gio è messo in evidenza il valore di «strumento di conoscenza del
reale» proprio della produzione poetica nella cultura greca del tardo arcaismo,
il suo farsi «guida orientativa nell’evoluzione della società greca, nelle
forme del linguaggio e dell’arte del poetare» per motivi non estrinseci ma
stret-tamente connessi alla centralità del rapporto diretto tra il committente
e il poeta che particolarmente connota la poesia corale. La funzione del mito,
e dunque il tessuto dei contenuti stessi del carme, si svela quando ci si
rifaccia al professionismo del poeta e alla funzione celebrativa
costitutiva-mente propria della sua attività, volta a «scegliere una leggenda
appropriata all’occasione», a trovare cioè e rendere intelligibile all’uditorio
la relazio- ne tra racconto e celebrando, cosicché «il mito avesse un reale
significato e un valore esemplare». Solo in tale contesto, a un tempo
storicamente determinato e aperto alla necessità dell’interpretazione, possono
corretta-mente configurarsi il rapporto mito-attualità e il rapporto
mito-gnome, e può considerarsi superato «il problema dell’unità dell’epinicio e
in genere del carme corale sul quale per più di un secolo dal Boeckh in poi la
critica si è tormentata nella disperata ricerca di un’unità logica o estetica».
Era, quello dell’unità dell’epinicio, il problema centrale della critica
pindarica quale intuíto e sviscerato dalla grande filologia tedesca del XIX
secolo, e che Perrotta aveva posto tematicamente al centro della sezione
pindarica in Saffo e Pindaro (1935), dedicandovi una rilettura di
oltre cento pagine attraverso l’intera produzione del poeta di Tebe, frammenti
compresi, infi-ne giungendo alla constatazione dell’assenza di unità sia
estetica sia logica nelle odi pindariche. Sostanzialmente riprendendo la
visione romagnolia-na di Pindaro come «poeta del mito» 64 , l’interpretazione
di quel «poeta puro, più che poeta-moralista o poeta-filosofo» 65 è
infine da Perrotta per intero riportata all’interno della dicotomia crociana
poesia/non poesia, senza arretrare dinanzi alle necessarie conseguenze di
quella scelta critica: Non poeta dei giuochi, nè della gnome; non poeta
dell’etica e della politica dorica; non poeta della saggezza di Apollo delfico.
Ma poeta grandissimo del mito sentito religiosamente come miracoloso eroismo e
miracoloso prodigio. Questa defini-zione dell’arte pindarica costringe a
ripudiare come non poesia buona parte dei versi del poeta. Questo forse
dispiacerà; e si dirà che Pindaro è ridotto ad essere, a questo modo, un poeta
frammentario, e si deplorerà ch’egli è stato rimpicciolito e diminuito. Ma una
più serena considerazione convincerà, che, anzi, il poeta è 62 «Una
specie di manifesto per la Scuola urbinate» lo definisce Angeli Bernar-dini
2013, 16. 63 Catenacci 2014, 449. 64 La cui derivazione da
Burckhardt sottolinea Paratore 1963, 300. 65 Perrotta 1935, 107-108stato
accresciuto, perchè l’unico modo di onorare un poeta è quello di esaltare la
sua poesia. Isolare le parti impoetiche, non che fargli torto, è un servigio
reso al poeta stesso 66 . Non a caso subito Perrotta richiama per confronto il
caso della poesia dantesca («naturalmente continueranno ad esistere gli
ammiratori dell’architettura, dell’unità, dell’armonia dell’epinicio pindarico,
proprio come non mancano gli ammiratori dell’architettura, della struttura,
della concezione del mondo dantesco») 67 , a proposito della quale con maggior
valenza paradigmatica Croce aveva teorizzato e applicato la necessaria
dis-tinzione – valida per ogni autore e opera letteraria – tra la dimensione
pro-priamente ‘poetica’ e quella ‘allotria’, attinente «una varia
interpretazio- ne filosofica e pratica» 68 .Trent’anni dopo, nel 1965,
disegnando il percorso per un profondo rinnovamento degli studi italiani su
Pindaro e i lirici che definitivamente li sottraesse alle ipoteche critiche
della prima metà del secolo, Gentili in certo modo proietterà all’esterno il
tema dell’unità dell’epinicio, rinvenen-dolo «nel mondo dei valori che il poeta
in rapporto al suo pubblico e alla funzione sociale della poesia era portato a
interpretare» 69 . Discernere nella orazione urbinate i fili di una nascosta
dialettica con Perrotta è operazio-ne non priva di giustificazioni, quando si
pensi che il saggio Aspetti del rapporto poeta, committente,
uditorio nella lirica corale greca , nato da quella prolusione e poi pubblicato
in più sedi, per la prima volta comparve nel volume di «Studi Urbinati»
contenente gli Scritti in onore di Genna-ro Perrotta 70 aperti da
una pagina di presentazione di Gentili stesso, alla quale segue un inedito
perrottiano, una nota critico-testuale a un passo di Lucano, in duello con una
atetesi di Housman nel pasqualiano baluginare di «due varianti antiche» 71 .
Significative le parole introduttive di Gentili, che indicano nel maestro un
modello di «vivo impegno a dare un senso di attualità ai nostri studi», mentre
pur non si può tacere l’esigenza di porre nuove domande alla grecità arcaica e
classica: 66 Perrotta 1935, 227-228. 67 E così prosegue: «gli
uni e gli altri si riterranno i soli capaci d’intendere i poeti, pur essendo
incapacissimi d’intendere qualunque poesia, perchè per poesia intendono
l’allegoria, oppure la così detta ‘poesia d’idee’, oppure perfino una rac-colta
di massime belle e utili». 68 Mi limito a rimandare in proposito, come
testo esemplare, all’ Introduzione di Croce 1921, che cito da una
ristampa laterziana sostanzialmente immutata del 1943. 69 Saranno poi i
temi fondamentali di molte, famose pagine di Poesia e pubblico
nella Grecia antica , soprattutto nel cap. VIII Poeta-committente-pubblico,
ovvero la norma del polipo . 70 Gentili 1965a. 71 Perrotta 1Chi gli
fu vicino e poté, anche fuori della scuola, ascoltarlo nella conversazione
abi-tuale, sempre viva e piena d’intelligenza umana, apprese, oltre che il
rigore scien-tifico della ricerca, il vivo impegno a dare un senso di attualità
ai nostri studi, oggi, nelle prospettive del nostro tempo, diremo l’impegno a
comprendere nell’inesauri-bile mondo della grecità arcaica e classica la
problematicità dei rapporti di valore culturali e civili, quali uomo-scienza,
uomo-natura, uomo-società, che sono alla base della nostra inquietudine e per i
quali sentiamo l’urgenza di una soluzione se dobbiamo, tra i rottami
inutilizzabili del vecchio umanesimo e tra gli automi della odierna civiltà industriale,
riproporre una nuova dimensione dell’uomo, dell’uomo non come strumento ma come
fine 72 . La seconda parte del saggio discute un buon numero di passi, perlopiù
di Pindaro, anticipando traduzioni destinate all’antologia Lirica
corale greca. Pindaro Bacchilide Simonide , che uscì per Guanda nel 1965 73 ;
il saggio originato dalla prolusione urbinate sarà lì riproposto in versione
sostanzialmente immutata, a mo’ di introduzione dal titolo Poeta e
com-mittente . Nuovo è però l’avvio (ripreso nel retrocopertina), che
intercetta le curiosità ‘d’avanguardia’ di quegli anni di profondi mutamenti,
un po’ provocatoriamente invitandoli a una nuova lettura dei poeti della lirica
co-rale greca: In un momento di crisi, oggi, della poesia, tra sperimentalismi
d’avanguardia, giu-stificati, entro certi limiti, dalla buona intenzione di
trovare linguaggi più idonei ad interpretare la realtà presente, ha forse un
senso riproporre una nuova lettura dei poe- ti della lirica corale greca,
Pindaro, Simonide, Bacchilide. La scelta non è casuale, ma ha un suo
significato che sarebbe stato eluso se ci si fosse limitati a ripresentare i
poeti della lirica monodica, troppo consunti dalla tradizione ermetica. Premeva
invece offrire, nei limiti consentiti dall’indole della collana, un panorama
delle op-poste tendenze ideologiche e artistiche che animarono la poesia del
tardo arcaismo greco, cioè di un’epoca culturale caratterizzata da una profonda
crisi evolutiva nella quale la poesia, come solo rare volte nella storia della cultura
occidentale, divenne strumento di conoscenza del reale […] 74 . Si tratta
dunque di una affermazione di ‘contemporaneità’ della lirica greca ancorata a
solide e rinnovate basi filologiche e storiche, proposta in un’epoca di crisi e
trasformazione tra le più incisive e impetuose del se-colo, come oggi sappiamo.
Se può forse anche rimandare qualche eco dei 72 Parole che in parte
torneranno trent’anni dopo nell’introduzione premessa da Gentili alle
Giornate di studio su Gennaro Perrotta . Si può aggiungere che nella premessa
agli Scritti urbinati in onore del maestro, Gentili segnalava che alcuni di
essi costituivano i primi contributi di collaboratori del neocostituito «Centro
di studi sulla lirica greca e sulla metrica greca e latina» presso l’Università
di Urbino. 73 Gentili 1965c. Ho consultato presso la Biblioteca centrale
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano una copia appartenuta a
Luigi Alfonsi, con dedica manoscritta di Gentili datata «Urbino 18.11.1965».
74 Con l’ultimo periodo si apre il saggio in «Studi
Urbinati» clamori suscitati dalla beat generation di A.
Ginsberg, il cenno iniziale agli «sperimentalismi d’avanguardia» nell’àmbito
della poesia contempora-nea, ai loro eccessi e alle loro ragioni, essenzialmente
rinvia alla neoavan-guardia italiana di quegli anni, la cui fase preparatoria
si suole riconoscere nel dibattito culturale sviluppato sulla rivista milanese
«Il Verri», fondata nel 1956: sin dall’inizio diretta da Luciano Anceschi
(1911-1995), se n’era avviata nel 1962 una seconda serie presso l’editore
Feltrinelli, sedendo nel comitato di redazione letterati poeti e studiosi
destinati a fama e fortu-na nei successivi decenni (Nanni Balestrini, Renato
Barilli, Umberto Eco, Alfredo Giuliani, Angelo Guglielmi, Antonio Porta,
Edoardo Sanguineti). I nomi appunto intorno a cui nel 1961 si era aggregata
l’antologia poetica I Novissimi: poesie per gli anni
Sessanta (con testi di N. Balestrini, A. Giu- liani, E. Pagliarani, A.
Porta, E. Sanguineti), con il successivo passaggio al Gruppo 63, più eterogenea
e conflittuale formazione: intorno alla metà degli anni Sessanta poli entrambi
di definizione e diffusione della neoa-vanguardia italiana, poetae
novi avversi contemporaneamente a ermetismo e neorealismo 75 , volti (i
più) alla destrutturazione sperimentale di lingua e forma come unica modalità
di espressione di/in una realtà svuotata di sen-so e accettata come tale 76 .
Presentando il primo numero della nuova serie de «Il Verri» (febbraio 1962), L.
Anceschi salutava il determinarsi di un evidente mutamento nel panorama della
poesia italiana contemporanea. A una maniera «che fu giustamente detta
anacoretica , o ermetica , o chiusa , non senza certe tentazioni di
involuzione neoclassica» e che intendeva la poesia «come fuga o rifugio; come
estrema voce del soggetto nascosto e introverso […] come sintesi illuminante,
pregnante, e veloce nel rigore calcolato, coltivatissimo, e raro della parola»,
si sostituiva ora il diverso atteggiamento e sentimento «di una poesia dissacrata,
estroversa, che si ritrova in un mondo di oggetti reali, affidata talora alla
casualità del sin-tagma, talora ad un ritaglio significante dell’effimero, di
modi analitici, a struttura complessa e multipolare, tale che […] può farsi
capace di una critica di vita, di un’azione per la trasformazione dell’uomo»:
egli avver-tiva insomma il farsi avanti di una poesia, e di una stagione di
poesia, «come accrescimento della vitalità , e nuove tecniche, e volontà
di for-me aperte, e speranze di una maggior portata di comunicazione…» 77 . Il
saggio già apparso in «Studi Urbinati» fu da Gentili subito ripubblicato
75 Nonché «uniti e avvinti (per impulso d’Anceschi) nel programma di
approfit-tare della prima congiuntura economica favorevole dopo secoli – il famoso
boom »: così Alberto Arbasino in Anceschi – Campagna – Colombo, 338. 76
«Sganciato il linguaggio da intenti determinati e da precise responsabilità
semantiche, lo scrittore appare attirato non tanto dalla mancanza di senso
quanto piuttosto da ciò che sembra lecito chiamare il possibile verbale, ossia
l’estrema libertà di invenzione linguistica. La parola comunica non dei
significati, ma le pro-prie avventure e peripezie, percorre lo spazio senza
fine del desiderio, del gioco e del godimento», come efficacemente sintetizza
Curi 2014, 100. Sent from the all new AOL app for iOS appunto
su «Il Verri» 78 , all’interno di un numero monografico Classicità e
contemporaneità contenente contributi anche di altri studiosi del mon-do
antico 79 . Il fascicolo era introdotto da un intervento di Anceschi, da sempre
attento a «scoprire in modi non fortuiti una zona antica e nuova della
classicità» 80 , qui volto a riflessioni di singolare lucidità e preveggen-za,
oggi certo più inoppugnabilmente attuali di cinquant’anni fa: Le infinite
maniere con cui nel secolo son stati sentiti i classici testimoniano già esse
di un continuo vivere dei classici al di fuori della astrazione, ormai
incredibile, di eterne, immobili esemplarità. Che senso avrà la lettura dei
classici in un mondo in cui l’Europa non sia più il “cervello del mondo” ma
solo, se sarà possibile, una delle sue fibre, una delle
voci di una cultura che si è aperta, aperta al riconoscimen-to delle ragioni di
tutti i popoli, di tutte le tradizioni? La cultura europea in certi suoi
esponenti della metà del secolo scorso sembra aver intuito la possibilità del
determinarsi di una situazione di questo genere […]. Questa è la situazione in
cui siamo, qui dobbiamo vivere, e in questo ordine recuperare i nostri antichi
81 . Particolarmente appropriati, nel contesto del numero de «Il Verri»,
ri-sultano dunque sin dall’inizio del saggio di Gentili i rilievi sulla
‘lontanan-za’ dal gusto moderno specialmente della lirica corale, tra le varie
forme della poesia greca arcaica, e sull’almeno apparente maggiore
accessibilità dei grandi poeti della lirica monodica (Saffo, Alceo, Anacreonte)
anche se il loro volto è apparso spesso da noi alterato da un certo estetismo
deca-dentistico che ha ancor più accentuato, a suo modo, quell’idea astratta e
astorica della lirica greca che abbiamo ereditato dalla nostra cultura
classicistica. Il culto della “poesia pura” idoleggiò in essi quella che fu
ritenuta l’espressione essenziale, irripetibile, poetica per eccellenza, o
addirittura la “poesia del frammento” conden-sata in un’immagine di pochi versi
superstiti. Il riferimento è qui alla importante, benché spesso indiretta
presenza dei maggiori lirici monodici nella letteratura italiana dalla seconda
metà 77 Anceschi 1962, in partic. 14 sgg. 78 Gentili
1965, 80-97. 79 C. Del Grande ( Grecità ); C. Diano ( Ritorno a
Plutarco ); E. Pasoli ( Per una lettura dell’epistola di Orazio a Giulio
Floro ); G. C. Giardina ( Note per l’esegesi di Orazio lirico ); A. Mele
( Orazio e il significato culturale del classicismo latino ). 80 Cit. in
Nisticò 1997. 81 Anceschi 1965, 4-5. Quanto una ben diversa visione della
Grecia come «anti-ca madre comune» fosse in àmbito filosofico italiano ancora
viva pochi anni prima testimonia ad esempio il volume di Barié – Sini 1959,
dove a fronte del «senso della crisi dei valori oggi tanto diffuso nella
coscienza dei contemporanei, che nessuna generazione del passato potrebbe
probabilmente reggerne il paragone», si propugna un ritorno alla Grecia, che
«vagheggiata dall’Umanesimo al Romanticismo come il felice e radioso mattino
della nostra storia, sembra non avere mai deluso chi ricerchi in essa i germi
del modo occidentale di considerare e vivere la vita» (17dell’Ottocento, non
solo e non primariamente nelle traduzioni 82 . A Car-ducci in particolare, e
per vari aspetti già al Foscolo 83 , si deve «la riscoper-ta, nelle immagini e
nei metri, dei lirici greci, di Alceo e Saffo, già di leo-pardiana memoria, e
poi di Alcmane […] come modelli di poesia pura» 84 , all’origine di un ricco e
complesso processo di ricezione, ancora non ade-guatamente studiato, che
attraverso Pascoli 85 e D’Annunzio conduce sino ai Lirici
greci tradotti da Salvatore Quasimodo , usciti a Milano in prima edizione nella
tragica primavera del 1940, introdotti da un saggio critico del ventinovenne
Luciano Anceschi. A Milano Anceschi si era formato con Antonio Banfi, subito
segnalandosi con il volume Autonomia ed ete-ronomia dell’arte
(1936) 86 , radicale presa di distanza dall’intuizionismo estetico crociano e
dalla sua incapacità di comprendere le poetiche del Novecento 87 . Come il
coetaneo Carlo Bo (1911-2001) per la corrente ‘fio- 82 Tra le quali
per più ragioni merita ricordare quella che Felice Cavallotti (1842-1898),
allora già famoso deputato dell’ Estrema , dedicò a Canti e
frammenti di Tirteo. Versione letterale e poetica con testo e note preceduta da
un’ode a Gio-suè Carducci , Milano 1878, con prefazione, interessante per il
rifiuto della ‘metrica barbara’ («il tentativo – che non data da oggi – di
ricondurre la poesia italiana alla esteriorità dei metri greci e latini, mal
saprebbe giudicarsi alla stregua di alcune splendide ispirazioni di Enotrio»),
e per l’attenzione alla fortuna di Tirteo anche fuori d’Italia, in particolare
nel mondo tedesco (lingua che Cavallotti aveva appreso nell’ancor asburgico
liceo milanese di Porta Nuova), finanche citando «la versione olandese in versi
di Bilderdijk»: ma nella costituzione del testo adottando «per base la volgata
di Enrico Stefano – del 1566 – che ancora oggi fra tutti i distillamenti di
cervello della critica germanica rimane la guida del testo più fida e più
sicura». 83 Del Foscolo si ricordi almeno la visione dei versi
della Coma catulliano-calli-machea come poesia lirica
sin dalla dedica a G. B. Niccolini («non credo che l’an-tichità ci abbia
mandata poesia lirica che li sorpassi, e niuna abbiano le età nostre che li
pareggi») della traduzione e commento de La Chioma di Berenice
poema di Callimaco tradotto da Valerio Catullo (1803): ivi il
Discorso quarto. Della ragione poetica di Callimaco si chiude
nel nome di Pindaro dopo aver esaltato Alceo e Saf-fo nei superstiti rari
vestigi a fronte di Orazio e di Catullo. Sul ‘pindarismo’ fosco-liano dal
commento alla Chioma di Berenice attraverso i Sepolcri
sino alle Grazie come riflessione sul nesso che lega lirica antica
e moderna vd. Benedetto 2006. 84 Nava 2007, 90; qualche utile elemento si
trae da Tomasin 1997. 85 Fondamentali soprattutto i Poemi
Conviviali (del 1904 la prima edizione in volume) sin dal liminare
Solon (1895), su cui vd. le considerazioni introduttive e il dettagliato
commento in Treves 1980, I 555-569. Un àmbito di particolare interesse è quello
della sperimentazione pascoliana ispirata ai metri della lirica greca, cfr.
Giannini 2009 e ora Capone – Giannini 2015. 86 Lo stesso anno de
La poetica del decadentismo di W. Binni, per il cui influs-so sugli
studi pindarici degli anni Quaranta di M. Untersteiner (1899-1981) vd. Lehnus
1989. 87 Sui fondamenti filosofici e critici del precocissimo
anticrocianesimo di An-ceschi vd. Lisa 2007, cap. I ( La nuova
fenomenologia e la nozione di poetica ); su Anceschi, la critica di ispirazione
fenomenologica e la sua connessione con la neoavanguardia (come già con
l’ermetismo critico) utile profilo in Orvieto 2003, 1090-1095 e
1104-1110rentina’ dell’ermetismo, sul versante ‘milanese’ Anceschi fu figura di
spicco tra i giovani critici che si fecero interpreti e banditori della
singolare intensità della parola nella poesia di Quasimodo: ‘poetica della
parola’ sul-la cui centralità Anceschi torna nell’introduzione ai
Lirici greci del 1940, dicendola erede dell’«esperienza complessa
della poesia dopo Hölderlin, Poe, Baudelaire, e, per noi in special modo,
Leopardi» e, soprattutto, scor-gendone l’antecedente nella «pura e libera voce
dei lirici greci». Anceschi si mostra consapevole del fecondo lavoro filologico
svoltosi per secoli intorno a quegli antichi poeti, ma del pari afferma che
nella cultura euro-pea «non ci fu mai la felice e piena stagione dei lirici
greci». Quella stagio- ne ora è giunta, cosicché «nella ricerca di una poesia
veramente nuova e contemporanea » e soprattutto «nella
aspirazione al raggiungimento di una rigorosa purezza lirica »
l’‘ermetico’ Quasimodo può pienamente espri-mere se stesso traducendo Saffo
Alceo Archiloco e Alcmane, ritrovando cioè «la purezza di quell’antica
sensibilità in una condizione di linguaggio attuale della poesia». Senza
sentimentalismi – va detto – ma nutrito di una chiara percezione della
terribile crisi della civiltà europea 88 , risuona l’appello alla lirica greca
come depositaria dell’assolutezza della parola, paradossalmente assicurata
dalla condizione frammentaria di quella tra-dizione testuale: Questa
aspirazione di purezza in un riconoscimento della relativa «brevità» di ogni
composizione poetica, che, per raggiungere il suo scopo, deve presentarsi alla
no-stra coscienza come un tutto è, appunto, la lirica – per la
prima volta nata all’u-manità nella Grecia. Di essa solo la
parola (qualche parola altissima, e interrotta) ci resta, là dove
era anche danza e musica: parola, danza, musica in un’invisibile armonia
unitaria di ritmi. E solo l’immaginazione più libera può darci un’approssi-mazione
felice a quel segreto. Se pregevole appare la sottolineatura del concorrere di
parola, danza e musica nel definire la particolare natura della lirica greca, è
indubbio che il suggerire compatibilità o addirittura sovrapponibilità tra
‘poetica della parola’ cara agli ermetici novecenteschi e scarni
testi dei lirici greci conservati per fragmina («qualche
parola altissima, e interrotta») si risolve in una forzatura critica a danno
del concetto e della realtà di ‘frammento’ propri della filologia classica:
all’indomani della guerra pubblicamente lo segnalò Manara Valgimigli
(1876-1965) 89 , peraltro con Quasimodo e 88 Consapevolezza che ad
esempio si esprime nel richiamo a un’illuminante frase di P. Valéry: «… une
civilisation a la même fragilité qu’une vie. Les cir-constances qui enverraient
les oeuvres de Keats et celles de Baudelaire rejoindre les oeuvres de Ménandre
ne sont plus du tout inconcevables: elles sont dans les journaux»
(22-23). 89 Valgimigli 1946 (1957). Dopo aver ricordato che dei lirici
greci «per tra-dizione medioevale diretta, oltre la silloge teognidea e quella
pseudofocilidea, e oltre i quattro libri degli Epinici di Pindaro […] tutto il
resto lo abbiamo o per ciAnceschi in rapporti epistolari già in quel 1940, e da
subito ben disposto verso l’impresa traduttoria del poeta ermetico e i suoi
risultati 90 . Quan-do Gentili, nel saggio pubblicato nel 1965 su «Studi
Urbinati» e su «Il Verri», polemicamente alludeva a quell’impresa nei termini
su citati («il culto della “poesia pura” idoleggiò in essi [ scil . i grandi
poeti della lirica monodica] quella che fu ritenuta l’espressione essenziale,
irripetibile, poe- tica per eccellenza, o addirittura la “poesia del frammento”
condensata in un’immagine di pochi versi superstiti»), i Lirici
greci di Quasimodo erano nel pieno della loro fortuna: mentre proprio nel
1965 era definita la for-ma ne varietur delle versioni dai lirici
nell’edizione mondadoriana degli Opera omnia del poeta, tra vivaci
polemiche di recente laureato dal Pre-mio Nobel (1959), quelli erano gli anni
in cui se ne radicava e diffondeva la presenza nelle scuole italiane,
particolarmente dopo l’istituzione della Scuola media unica. Soprattutto dai
primi anni Sessanta e nel successivo decennio si può dire che in Italia nella
percezione comune, anche gene-ricamente colta, la lirica greca coincise con
i Lirici greci di Quasimodo, opera anzi che già all’indomani
della morte del poeta (1968) si prese a riconoscere come la sua migliore 91 .
La stessa scelta da parte di Gentili di tazioni indirette, oppure, dove
siamo stati più fortunati, per ritrovamenti papiracei; a ogni modo, per
frammenti» e che in realtà anche la lirica era «tutta intessuta e ragionata nel
mito», Valgimigli pienamente riconosce le ragioni storico-culturali di
quell’equivoco, il ‘fascino singolare’ esercitato sui ‘lirici nuovi’ dagli
antichi poeti in frammenti: «ora, se io penso a quelle che furono ai principi
del Novecento le teoriche dell’intuizionismo, del futurismo, del frammentismo,
non credo peccare di temerità né di irriverenza se tra le cause di questo
incontro di poesia greca e poeti nuovi oso porre anche questa umile e strana
combinazione, cioè del casuale stato frammentario e quindi, in certo senso,
alogico, anticontenutista, antisintattico, e, vorrei aggiungere, anticantato di
certa poesia lirica greca». 90 Quanto sopravvive dei carteggi
Quasimodo-Valgimigli e Anceschi-Valgimi-gli è ora raccolto nel volume Benedetto
– Greggi – Nuti 2012. Val la pena qui trascrivere almeno la breve missiva (da Padova,
6 giugno 1940, su carta intestata «R. Università di Padova/Seminario di
Filologia Classica») con cui Valgimigli rin-graziava il poeta per l’invio di
una copia degli appena pubblicati Lirici greci : «Caro Quasimodo /
Ho avuto il libro. Grazie. Certi versi mi hanno ridato la consolazione di un
nuovo cantare. Sopra tutto, come già Le scrissi, c’è quel pudore schietto, quel
pudore senza inganni, quella limpidezza liquida, che erano e sono qualità
insolite e ignote. Di alcuni punti e modi, di alcuni suoni di parole, assai mi
piacerebbe par-lare con Lei. Anche mi piacerebbe scrivere di questo suo libro.
Ma dove, in questi giorni feroci? Addio, caro Quasimodo. E auguriamoci bene. E
auguriamo bene al nostro paese e alla nostra civiltà. / M. Valgimigli» (in Benedetto
– Greggi – Nuti 2012, 100-101). 91 Così per primo E. Sanguineti, uno dei
protagonisti della neoavanguardia, che in chiusura dell’
Introduzione alla sua importante antologia einaudiana Poesia
italiana del Novecento (1969) accomuna in iconoclastico dileggio
antiermetico le versioni quasimodee al famoso saggio di Carlo Bo
Letteratura come vita (1938); appunto perché gli antichi lirici
risultano «volgarizzati, mediante il Quasimo- Sent from the all new
AOL app for iOSantologizzare e tradurre per Guanda i poeti della lirica corale
(Pindaro, Bacchilide, Simonide) fu con ogni evidenza determinata dal fatto che
si tratta appunto degli autori non presenti tra i Lirici di
Quasimodo perché non compatibili con l’idea di lirica sottesavi, come peraltro
Anceschi ave-va a suo tempo esplicitamente affermato: Entro i limiti di una
pura (attuale e antica) idea della poesia perciò fu
osservata la scelta dei testi […]. Naturalmente è ben definito il senso anche
delle esclusioni di poeti disposti a mettere a servizio della «celebrazione» la
magnificenza di uno stile espertissimo, come Pindaro; o, come Bacchilide, abile
e colto in una dolcezza di analisi descrittive. E sempre, poi, un rigore senza
concessioni ha voluto la esclu-sione, o, almeno, la limitazione nella presenza
di poeti «semi-lirici» (giambici o elegiaci, gnomici o politici) troppo
disposti alla sentenza , all’ esortazione o alla narrazione :
a indubbie condizioni di prosa 92 . Venticinque anni dopo la comparsa dei
Lirici greci prefati da Anceschi, Gentili propugnava e realizzava
il rovesciamento di quella prospettiva cri-tica 93 ; ci si può quindi chiedere
perché il grecista urbinate abbia scelto pro-prio la rivista diretta da
Anceschi per ripubblicare e più ampiamente divul-gare il saggio
Aspetti del rapporto poeta, committente, uditorio nella lirica corale
greca . Quanto si è prima accennato circa i convincimenti maturati da Anceschi
nel corso degli anni Cinquanta, e poi sempre più all’inizio dei Sessanta, rende
chiara la risposta: «nemico di ogni posizione cristallizza-ta» 94 , Anceschi
soprattutto con «Il Verri» individuò come primario compi-to del critico «quello
di risolvere la situazione in cui si trova, e di cui sente l’ansia e
l’instabilità» 95 . Non solo sin dai primi anni del dopoguerra egli si
do, con i tratti deformanti della poetica ermetica», su quindici poesie
antologizzate da Sanguineti tredici sono tratte dai Lirici greci ,
definiti «il suo più vero contribu-to originale alla poesia del nostro secolo»
e «uno dei documenti più significativi dell’intiera stagione ermetica».
92 L. Anceschi, Introduzione in Quasimodo 1940, 22.
93 Con espressioni che sembrano anche direttamente rispondere a quelle di
An-ceschi del 1940: «per questa via era difficile accostarsi ai lirici corali
del tardo ar-caismo greco, particolarmente a Simonide, Pindaro e Bacchilide,
più elaborati, più consapevoli delle loro possibilità espressive, più ricchi
nei contenuti etici, politici e artistici, indissolubilmente legati a un
particolare ambiente e ad una determinata occasione che stimolarono e
condizionarono il loro canto» (Gentili 1965c, 15). 94 Anceschi – Campagna
– Colombo 1998, 331: «Anceschi – si sa – era nemico di ogni posizione
cristallizzata […]. Non sconfessava l’ermetismo, in cui si era riconosciuto e
che lo aveva visto nascere come critico militante, ma non intendeva lasciarsi
rinchiudere in esso. E magistrale […] era la sua capacità di muoversi in
territori ambigui, d’incerta definizione, non ancora riconosciuti, e di porsi
come punto di riferimento per chi cercava la sua strada». 95 Anceschi
1956, saggio con cui si apre il primo numero de «Il Verri» nell’au-tunno di
quell’anno, riproposto nella nuova serie de «il verri» nel 1996; sulla
con-dizione della letteratura italiana dopo la metà degli anni ’50, chiusa tra
le ultimeera convinto (come Quasimodo del resto) dell’esaurimento della
stagione ermetica, ma tornò ad affrontare i Lirici greci e la
sua stessa introduzione dieci anni dopo, riscrivendola nel 1951 per una nuova
edizione mondado-riana. Molte qui sono le novità, sin dall’avvio. Anceschi
lascia intendere di essere all’origine dell’incontro di Quasimodo con la lirica
greca (come peraltro già le pagine del 1940 lasciavano sospettare) 96 , prende
atto del de-finitivo isterilirsi dell’ermetismo, contestualizza la traduzione
quasimodea nel suo valore e nei suoi limiti storicamente determinati: Ma che
cosa si son fatti i lirici greci nella lettura di Quasimodo? Essi furon letti,
è evidente, nel gusto particolare di una certa tendenza alla poesia del tempo
[…]. Era un momento in cui la verità della poesia ci sembrava tutta compresa
nella veloce intensità della lirica in una estrema lucidità di contatti tra
oggetti lontanissimi e lon-tanissimi tempi della memoria; e gli antichi
frammenti (la giustificazione della vali-dità del frammento è
sempre la prova di resistenza delle estetiche) ci confermavano con la loro
forza che la poesia non sta nella struttura, non sta
nella «musica esterio-re», non sta nel «contenuto morale» o nella
«narrazione» e nel «discorso»…: tutto ciò può andar perduto, eppure una
bellezza intensa e veloce resta, e ci commuove. 4. Importante novità rispetto
all’introduzione del 1940 è il richiamo al saggio «incompiuto e bellissimo» di
Renato Serra (1884-1915) Intorno al modo di leggere i Greci ,
pubblicato postumo da Valgimigli nel 1924 su «La Critica». Ispirate dalle
contradditorie reazioni che il primo volu-me della traduzione commentata
dei Lirici greci del Fraccaroli (1910) gli avevano suscitato
97 , le pagine di Serra sono soprattutto una riflessione sulla fine del vecchio
classicismo («il calco in gesso dell’Ellade serena, dell’Ellade perfetta, che
aveva fatto le delizie di tante generazioni, dagli umanisti fino al Carducci, è
andato in frantumi»), sul nuovo «desiderio di realtà» suscitato dall’incessante
lavoro di filologi e archeologi, sulla inquie- manifestazioni
dell’ermetismo e il dogmatismo neo-realista, e sulla risposta libera-toria che
la rivista trovò in una ‘fenomenologica’ concezione della letteratura «che
rinnova continuamente la propria consapevolezza in rapporto al concreto mutare
delle situazioni» torna ad esempio Anceschi 1967. 96 «Non dimenticherò
certo facilmente il giorno – davvero molto lontano, or-mai – in cui, parlando con
Quasimodo, mi venne fatto di associare, secondo certe ragioni, due idee
familiari e carissime, che, in quel momento, sollecitavano in modo singolare la
mia mente; voglio dire: l’idea della prima lirica greca, e quella della poesia
italiana contemporanea. Fu, credo, un giorno dell’autunno 1938»:
l’introdu-zione anceschiana del 1951 è ristampata in Quasimodo 2004, 321-333.
97 «Ho davanti a me i Lirici del Fraccaroli. Che cosa è dunque
l’interesse di que-sto libro? L’intendimento nuovo di mettere sotto gli occhi dei
lettori comuni questi avanzi venerabili della lirica greca, sì che ognuno possa
vedere e giudicare senza scrupoli quel che sono sostanzialmente e quel che
valgono. Con questo animo l’au-tore ha dato e il pubblico ha ricevuto, molto
lietamente, come sapete, il libro. Per-ché dunque invece di partecipare a
questa lietezza io resto malinconico e dubitoso ad ascoltare l’eco
beffardo di una ironia lontanissima. ὁρᾶς τὸν πόδα τοῦτον;» Sent
from the all new AOL app for iOSta grecità da loro rivelata, consentanea al
gusto fin de siècle («coi prefidi-aci, con la civiltà micenea
e con la cretese, con le fasce delle mummie e con gli ostraka dei monticoli
egiziani, e insomma con l’insistenza su tutto ciò che la Grecia può dare di più
crudo, barbaro, romantico, positivo, con-trastante col vecchio ideale gelato»),
e soprattutto sulle opportunità svelate da questo diverso, modernissimo
‘bisogno di antico’: Realtà, come dicevo, di cose, e non di parole. Questa è la
differenza profonda fra la nostra generazione e quelle che l’han preceduta. Le
statue, le fotografie, le imma-gini, i processi, i costumi, in somma la vita
nella sua indifferente nudità ha preso il posto degli aoristi del maestro di
seminario e delle figure di Longino […]. Una cosa è chiara, direi quasi a
priori ; che con tanta voglia di appropriarsi solo il grosso e l’essenziale
della grecità, i pensieri e i motivi e le immaginazioni piuttosto che le frasi
e le formalità, quest’ora dev’essere propizia per i traduttori. I passi ora
citati del saggio di Serra provengono dal fascicolo de «Il Verri» dedicato
a Classicità e contemporaneità , che si apre con estratti da
Intorno al modo di leggere i Greci 98 . Sugli appunti di Serra si
sofferma il liminare Intervento di Anceschi. Nel giovane
critico cesenate caduto sul Podgora, Anceschi indica colui che «intuì una crisi
del modo di sentire e vivere i classici, in cui noi ancora siamo», la crisi di
chi ha compreso «che non ha più alcuna utilità per noi una lettura
assoluta dei classici», ma che esistono ancora molti modi, altri modi,
con cui i classici ci possono rispon-dere, molti e diversi piani su cui essi
vivono ancora per noi, e che molti e diversi possono essere i gesti del nostro
rapporto con loro. E su questa fenomenologia va forse ormai posato l’accento.
Sono evidenti le consonanze tra un così attento bisogno di fondare una diversa
presenza dei classici in un futuro avvertito come totalmente ‘altro’, e
l’attività di Gentili in quegli anni come filologo e come docente. Ne è
conferma la scelta di continuare a pubblicare su «Il Verri» gli articoli di
maggior impegno teorico e programmatico già apparsi nei «Quaderni Urbinati di
Cultura Classica»: in particolare i due saggi L’interpretazione dei
lirici greci arcaici nella dimensione del nostro tempo e
Prospettive critiche nell’interpretazione della cultura greca dell’età
dei lirici . Il primo (Gentili 1970) 99 pienamente si presenta al lettore
‘nella dimensione del nostro tempo’, subito prospettando l’ineludibile «grosso
problema di fon-do che è il problema stesso della sopravvivenza del mondo
classico nella nostra cultura», letto all’interno del più radicale tema della
‘morte della storia’ nelle società a tecnologia avanzata e pervasiva degli
ultimi decenni 98 Serra 1965. 99 Già in «QUCC», con il sottotitolo
Sincronia e diacronia nello studio di una cultura orale : Gentili 1969del XX
secolo. Quaranta e più anni dopo, sono riflessioni che colpiscono per
lungimiranza, e per estraneità agli ideologismi allora correnti come a
qualsivoglia ‘umanistica’ retorica consolatoria o deprecatoria: In concreto,
quale senso può avere la grecità arcaica nell’odierna civiltà tecnolo-gica che
rifiuta la storia e s’impone come civiltà nuova, integrata e alienata come è
definita dai sociologi, perché ha tolto al mondo, irrevocabilmente, le sue
proprie dimensioni storiche? Il risultato di questa situazione irreversibile è
a tutti noto: la grande crisi dei valori etici, politici, espressivi. Se
volgiamo per un attimo lo sguardo alla cultura contemporanea e agli ultimi movimenti
delle neoavanguardie europee, lo stato di crisi dell’espressione ha forse
toccato i suoi limiti. L’articolo enuclea e propone con chiarezza i principali
elementi caratte-rizzanti il rinnovamento a livello internazionale degli studi
sulla lirica gre-ca arcaica, sulla spinta soprattutto dei lavori di E. A.
Havelock, muovendo dal riconoscere che «dato comune alla lirica greca, e in
generale alla poesia greca sino alla fine del V sec. fu il tipo di
comunicazione cui fu affidata, comunicazione non scritta ma orale», e che una
poesia orale «comporta modi di espressione e atteggiamenti mentali diversi
dalla poesia di comu-nicazione scritta». Si è di fronte a una ‘tecnologia di
scrittura’ rinvenibile «in contesti poetici di altre culture orali»,
solita affidarsi a periodi brevi e figurazioni paratattiche, estranea all’«uso
dell’io idiosincratico», cioè appunto all’‘io lirico’ della poesia latina e poi
moderna, connessa invece a una «psicologia della performance
poetica che mira a pubblicizzare il personale e il soggettivo per renderlo
immediatamente percepibile e coin-volgere emozionalmente l’uditorio» attraverso
la ricca serie di immagini e metafore proprie del linguaggio della lirica
arcaica. La presenza del mito ne riflette la funzione, «tessuto connettivo
della cultura orale e strumento sociale di interazione tra passato e presente,
fra tradizione e attualità, tra poeta e uditorio», sì da delineare un tipo di
poesia prammatica per la sua funzione e i suoi scopi parenetici, didattici e
celebrativi, sollecitata nella scelta dei temi dalle vicende della vita
militare e politica, dalle reali situazioni della vita sociale, dei simposi,
delle feste religiose e degli agoni atletici, vincolata alle richieste di un
committente o a un uditorio di “amiche” e di “amici” di un thiaso di ragazze o
di una consorteria politica di identico rango sociale. Si trovano qui
compendiate e illustrate con efficace consapevolezza critica le linee guida che
per mezzo secolo ispireranno l’amplissimo la-voro di Gentili e della sua scuola
sulla lirica greca arcaica 100 . È opportu-no sottolineare la volontà di
Gentili di legare l’interpretazione dei lirici greci, così rinnovata, a una
prospettiva particolarmente ampia e ambizio- sa, protesa sul futuro e infatti
più volte ribadita nei decenni successivi, 100 Esemplare
l’esposizione in Gentili 1990 Sent from the all new AOL app for
iOSl’idea cioè «cui aspira l’antropologia contemporanea, dell’interpretazione
come comunicabilità fra culture diverse e distanti nel tempo». Il rifiuto, all’inizio
dell’articolo, sia della «interpretazione umanistica tradizionale della poesia
greca come eterna storia naturale del gusto e dell’arte» sia del ‘neoumanesimo
etico’, e in definitiva la presa d’atto della «crisi profon-da dell’umanesimo
tradizionale» in un contesto culturale dominato dalle nuove scienze dell’uomo,
mira all’affermazione di un diverso paradigma (identificabile nei nomi diversi
ma variamente concordanti di Dodds e di Finley, di Vernant e di Havelock) con
«lo sforzo di capire in concreto la mentalità dell’uomo greco arcaico», secondo
una linea critica attenta all’oggi e al domani: nella quale cioè «convergono le
domande, le cate-gorie e gli strumenti delle moderne scienze dell’uomo: dalla
lessicologia semantica alla psicologia sociale e alla psicologia della storia,
dalla socio-logia all’antropologia», e il vero tema risulta infine «il problema
concreto dell’uomo nella sua vita individuale e sociale» 101 .Allo scopo
evidentemente di segnalare nell’attività critica ed esegetica la necessità di
una costante riflessione concernente passato (dell’oggetto) e presente
(dell’interprete), «contro il pericolo di arbitrari travestimenti» 102 , il
saggio si chiude con una breve citazione da T. S. Eliot 103 , cara a Gentili,
che la ripeterà in futuro. Si tratta di un passo proveniente da un saggio del
1920 ( Euripides and Professor Murray ), violento attacco dello scrittore
contro le traduzioni euripidee approntate per la scena dal famoso grecista,
accusato di adottare per le proprie versioni un obsoleto stile
tardo-otto-centesco incapace di trasmettere la sostanza del testo greco e di
renderlo comprensibile nel presente (opinione ben espressa dalla devastante
frase finale: «è per il fatto che il professor Murray non ha istinto creativo
che lascia Euripide lì, proprio morto»): è giusto aggiungere che, quali siano
stati moventi e intenti della stroncatura di Eliot, le traduzioni di Murray
proposte on the stage furono grandemente popolari per decenni, e
anzi «it was largely due to Murray that Greek tragedy established itself as a
permanent feature of the theatrical landscape» 104 . L’intervento fu
incluso 101 Sul significato di fondo dell’opera di Gentili da
individuarsi nella «applica-zione alla filologia testuale dell’antropologia
culturale», al fine di porre «la spiega-zione dei testi, della loro struttura e
dei singoli passi, nel quadro illuminante della cultura complessiva cui furono
funzionali» vd. soprattutto le osservazioni di Cerri 2014. 102 Con
riferimento a quanto sembra alle interpretazioni idealistiche e estetiz-zanti
della lirica greca contro cui più polemizza Gentili. 103 «Abbiamo bisogno
di un occhio che possa vedere il passato al suo posto con le sue definite
differenze dal presente e tuttavia in modo così vivo che esso sia tanto presente
a noi come il presente». 104 Cfr. Garland 2004, in partic. 161-163.
Su Euripides and Professor Murray vd. ora i rilievi di
Morwood 2007, 139 sgg.; sui ben noti, profondi interessi di Eliot per le
letterature classiche e soprattutto per Virgilio, e sull’importanza nella
costru-zione e nell’autorappresentazione del poema The Waste Land
(1922) del concetto Sent from the all new AOL app for iOSda
Eliot nella raccolta Il bosco sacro ( The Sacred Wood
), rivelata nel 1946 alla cultura italiana dalla traduzione di Luciano
Anceschi, che premise una lunga introduzione (datata marzo 1945!) 105
dove non manca di essere menzionato Euripides and Professor Murray
, da Anceschi accostato al saggio «incompiuto e bellissimo di Serra
Intorno al modo di leggere i Greci » per la comune avversione verso «quel
tipo ambiguo di traduttore-poeta-filologo-professore che fu di moda nei primi
anni del secolo e che […] non soddisfò né le ragioni pure della filologia, né
tanto meno quelle, certo più rigorose, dell’arte» 106 . Bersaglio di Anceschi,
subito dichiarato, è «il prof. Romagnoli», esempio più noto della «filologia
poetica di fine secolo», appunto quella « filologia poetica , che è
riuscita a ridurre i liri-ci greci ad una farsa domenicale» a suo tempo già attaccata
dallo stesso Anceschi (direttamente coinvolgendo Romagnoli, da poco scomparso)
nell’introduzione ai Lirici greci del 1940 107 , priva invece
di riferimenti al certo in Italia ancora ignoto intervento di Eliot contro
Murray traduttore: lo si troverà poi citato, in chiusura, nella rielaborata,
quasi palinodica pre-fazione anceschiana del 1951 108 . Il terzo ampio e
importante contributo che Gentili in quegli anni ripropose sulla rivista di
Anceschi ( Prospettive critiche nell’interpretazione della cultura greca
dell’età dei lirici : Gentili 1972) è per intero dedicato a discutere i
radicali mutamenti intervenuti tra la prima e la seconda metà del Novecento nel
definire «l’orizzonte della critica sui lirici greci». Il saggio prima di tutto
registra con soddisfazione il venir meno «dei miti e dei luoghi comuni della
vecchia critica idealistica e delle sue estreme frange estetizzanti»,
particolarmente forti in Italia «per oltre un trentennio» proprio nell’àmbito
degli studi sui lirici, e nelle tradu-zioni. Come traccia dell’estremo
persistere della «critica del gusto» e in di fragment
(«these fragments have I shored against my ruins») vd. il profilo di
Martindale 1999. 105 Anceschi 1946. 106 Anceschi 1946, 32.
107 L. Anceschi, Introduzione in Quasimodo 1940, 24-25.
Questo il passo: «Quasimodo sembra perciò essere veramente il più adatto – oggi
– per una impresa così ardua – necessariamente – difficile […] in reazione a
certa filologia poetica , che è riuscita a ridurre i lirici greci
ad una farsa domenicale (e si veda Romagnoli da un frammento bellissimo:
Tramontata è già Selene / e le Pleiadi: il ciel tiene / Mezzanotte: l’ora
vola; / io son qui sopita e sola )», dove il riferimento è natural-mente al
famoso frammento saffico 94 D. = 168b V. 108 In Quasimodo
2004, 333, dove Eliot «nel saggio su Euripide» è menzionato accanto a pensieri
sul tradurre di Leopardi e di Pound. Pochi mesi prima della comparsa in
italiano de Il bosco sacro , il richiamo al Murray di Eliot a
proposito delle traduzioni dai lirici greci prodotte in Italia tra Ottocento e
Novecento da «certi filologhi non so come invasati dal dio» era già in L.
Anceschi, Presentazione in Anceschi – Porzio 1945, 15-16
(dove come traduttore di poeti antichi oltre a C. Sbarbaro, da Sofocle, compare
in realtà il solo S. Quasimodo, con testi da Omero, Saffo, Alceo, Erinna,
Eschilo, Virgilio, Ovidio, Catullo).generale di «quel gusto del lirismo
novecentesco che ha dominato la cul-tura italiana tra il 1920 e il 1940» è
indicata l’ancora presente «tendenza a ricondurre il testo originale al gusto
del lettore e non viceversa a guidare il lettore verso il testo originale»,
così procedendo a un’operazione «che an-nulla le categorie del tempo e dello
spazio in vista di una contemporaneità falsa ed artificiale». A rinforzo
dell’osservazione e come monito «contro il pericolo di arbitrari travestimenti»
in cui possano cadere le traduzioni, Gentili torna a menzionare il passo di
Eliot contra Murray già citato al termine dell’articolo di due anni
prima ( L’interpretazione dei lirici greci arcaici nella dimensione del
nostro tempo ). È interessante notarlo, inte-ressante e paradossale. Originario
intento del brano, e in genere di Euri- pides and Professor Murray
, era l’accusa dello scrittore Eliot al grecista Murray di essere privo
dell’‘occhio creativo’ 109 capace di render vivo Euri-pide con una
traduzione inglese adeguata ai tempi e alla perduta centralità dell’educazione
classica 110 . Anceschi nel presentare la traduzione italiana ravvisò in Murray
l’equivalente inglese di Romagnoli, cioè dell’esponente più illustre di quella
‘filologia poetica fine di secolo’ a lungo di voga in Italia,
colpevole di aver travestito gli antichi poeti nelle forme di un
linguaggio che non sappiamo collocare né storicizzare: un inafferrabile
linguaggio di Utopia che ci ha sempre meravigliato con certi moti di umore, e
oggi ancor più ci meraviglia e diverte; solo in qualche caso si potrà parlare
di uno sfatto e maldestro residuo di discepolato carducciano 111 . 109 È
opportuno citare per intero nel contesto originario il brano, con cui il
sag-gio di Eliot si conclude: «Abbiamo bisogno di una digestione che assimili
insieme Omero e Flaubert; abbiamo bisogno (come ha incominciato Pound) di uno
studio accurato degli umanisti e dei traduttori del Rinascimento. Abbiamo
bisogno di un occhio che possa vedere il passato al suo posto con le sue
definite differenze dal presente, e, tuttavia in modo così vivo, che esso sia
tanto presente a noi come il presente. Questo è l’occhio creativo; ed è per il
fatto che il professor Murray non ha istinto creativo che lascia Euripide lì,
proprio morto». 110 Eliot 1920 (1946), 142-143: «Negli ultimi anni del
diciannovesimo secolo e fino ad oggi, i classici han perduto il loro posto di
pilastri del sistema politico-socia-le […]. Se i classici devono sopravvivere e
giustificare se stessi, come letteratura, come elementi del pensiero europeo,
come fondamento per la letteratura che spe-riamo di creare, sono proprio
sfortunati per il bisogno che hanno di persone capaci di chiarirli. Se di
Aristotele si può dire che è stato un pilota morale dell’Europa, noi abbiamo
bisogno di qualcuno […] che ci spieghi come sia materia vitale per noi il
rinunciare o no a tale pilota. E abbiamo bisogno di un gruppo di poeti colti
che abbiano, almeno, opinioni sul dramma greco, e se esso sia o no di qualche
utilità per noi. Si deve dire che il professor Gilbert Murray non è l’uomo
adatto per ciò. I poeti greci non avranno il più insignificante effetto di sollecitazione
per la poesia inglese, se appariranno solamente travestiti in un volgare
avvilimento dell’idioma troppo risentitamente personale di Swinburne».
111 Anceschi 1946, 32 n. 1: discorso che, Anceschi tiene a precisare,
«non si rife-risce ad un letterato di bella educazione e di civilissimo
spirito, come il Valgimigli»Per l’Anceschi del 1945, come per quello del 1940 e
parimenti del 1951 (e poi sempre), la risposta alle illeggibili e a tratti
grottesche traduzioni di Fraccaroli e di Romagnoli 112 venne dai
Lirici greci di Quasimodo, frutto di «acuto, inatteso, e ormai da
molti anni pressoché desueto contatto tra l’antico e il contemporaneo» 113 ,
fonte di poesia nuova e antica a un tempo: proprio l’opera cioè implicito (e di
lì a poco esplicito) obiettivo polemi-co di Gentili, in quanto espressione più
nota e fortunata di quel ‘lirismo novecentesco’ che indebitamente assimilò alle
proprie categorie critiche ed estetiche la realtà incommensurabilmente altra
della lirica greca, pie-gandola alle attese e ai gusti del moderno lettore.
Riscoperto da Anceschi a sostegno di una resa dei classici antichi affine a
quella operata da Quasi-modo con i lirici greci, Euripides and
Professor Murray è invece evocato da Gentili come alleato contro gli
«arbitrari travestimenti» realizzati da traduzioni quale quella di Quasimodo.
Lo si nota non per ossessione ‘fon-tistica’ 114 o gusto della minuzia
paradossale, ma come indizio – insieme a tanti altri più rilevanti – del ruolo
che nei decenni centrali del Novecento la versione quasimodea dei
Lirici ebbe, come presenza immanente e come termine di confronto
positivo o negativo, non solo nel mondo letterario italiano, ma anche in quello
filologico e accademico 115 . Nel caso di Gentili una tale presenza e un tale
confronto dovettero sin da giovane caricarsi di più intense risonanze, quando
si pensi che la prima (e pressoché unica) re-censione dei Lirici
greci di Quasimodo ad opera di un grecista accademico fu di Gennaro
Perrotta, nell’ottobre 1940. Dimenticata dopo la guerra in 112
Ottime in proposito le osservazioni di U. Albini, Prefazione , in
Perrotta – Al-bini 1972, V : «Le due traduzioni dei lirici greci che
hanno contrassegnato la prima parte del Novecento sono opera di G. Fraccaroli
ed E. Romagnoli, due studiosi di seria dottrina, impegnati nello sforzo di
rievocare la bellezza e la grandezza dei classici antichi […]. Si voleva
spalancare una grande finestra sul mondo antico, offrire le chiavi di un mondo
paradigmatico, richiamare al passato come premessa e garanzia per l’avvenire.
Se le riprendiamo in mano oggi, tali versioni si rivelano sconfortantemente
indecifrabili. Lessico, movenze, stilemi ci sono estranei, ignoti, quasi…».
113 Dall’introduzione di Anceschi del 1951 ora in Quasimodo 2004, 324. 114
Pare certo che Gentili sia giunto al saggio di Eliot attraverso Anceschi, che
lo propose al pubblico italiano, e di cui nel saggio poche righe più avanti è
del resto citata l’introduzione all’edizione 1951 dei Lirici greci
. Ancora nella postuma Premessa di L. Anceschi,
Brevi parole, su un modo del tradurre a Mariotti 2001, le versioni
di Mariotti sono lodate come «ben lontane dalle effusioni floreali del prof.
Murray, non meno che da quelle di certi nostri professori-poeti», e si ha un
interessante ricordo personale delle «traduzioni dai Frammenti dei
tragici greci [1925] che lessi ai tempi del liceo, lontane ormai, ma non
dimenticate, di Mario Untersteiner, un traduttore che rimase esente dalle
rumorose, eccitate, e un poco illusionistiche euforie degli esuberanti
traduttori liberty del suo tempo». 115 Anche in questo senso
non è fuori luogo osservare, come più volte fece Marcello Gigante, che «la
traduzione dei Lirici greci ha conquistato un posto ben definito
nella storia degli studi classici ragione della sede in cui fu pubblicata
116 , la recensione di Perrotta non si limitò a rilevare errori e spropositi
della traduzione («Bella cosa, se Quasi-modo sapesse un po’ meglio il greco!»),
ma soprattutto seppe cogliere nell’impresa di Quasimodo quella di «un poeta, un
modernissimo poeta che vuol tradurre i lirici greci modernamente, e riesce così
a conservare ad essi la semplicità antica»: da contemporaneo Perrotta comprese
cioè il ‘novecentismo’ dei Lirici greci , la loro pertinenza (come
Anceschi dirà del «classicismo post-simbolista» di Eliot) a «una zona di
dignità anticamente moderna, di classiche aspirazioni, che è movimento proprio
a gran parte dell’Europa civile tra gli anni 1919-1939» 117 .Sono osservazioni
utili, credo, a contestualizzare e meglio valutare l’attenzione, pur critica,
che Gentili spesso manifestò verso i Lirici greci quasimodei
nonché verso significato e influsso nella cultura italiana del Novecento di
quella modalità di accesso alla poesia greca. Nel saggio di Gentili compreso
nell’annata 1972 de «Il Verri» alle versioni di Quasimo-do dai lirici è
accostato il Pindaro di Leone Traverso, cioè la traduzione
delle odi e di una scelta di frammenti che il grecista e germanista L.
Tra-verso (1910-1968) aveva pubblicato nel 1961 per Sansoni 118 . Va ricordato
che sede originaria di Prospettive critiche nell’interpretazione
della cul-tura greca dell’età dei lirici fu l’imponente numero in due
tomi di «Studi Urbinati» (1971) per intero dedicato a ospitare Studi in
onore di Leone Traverso 119 , con Dedica di Carlo Bo, di cui
è altresì presente il saggio La cultura europea in Firenze negli
anni ’30 . Vi si rievoca il clima degli anni di formazione fiorentina di
Traverso, poi professore di Lingua e letteratura tedesca nell’Ateneo urbinate,
tra i giovani poeti e scrittori (Bo, Bigongia-ri, Luzi, Macrí) che raccolti
intorno a «Il Frontespizio» e a «Letteratura» diedero vita all’esperienza
dell’ermetismo, prima di tutto come esigenza di apertura a una cultura di carattere
europeo e organicamente volta perciò alla traduzione 120 : «anni lontanissimi
dove la poesia era una sorta di religio- 116 Si tratta de «Il
Bargello. Foglio d’ordini della Federazione fiorentina dei Fasci di
combattimento», periodico cui collaborarono molti giovani intellettuali anche
vicini all’ermetismo. La recensione ai Lirici greci è
comunque segnalata nelle bibliografie di Perrotta in Studi Perrotta
1964, 663 e in Perrotta 1978, 397; sul tema vd. Benedetto 2012, 40
sgg. e passim . 117 Anceschi 1946, 21; ricordo in proposito
il recente, ricco catalogo Mazzocca 2013. 118 Traverso – Grassi
1961. 119 Gentili 1971. 120 Cfr. Bo 1971 (in origine conferenza
pronunciata a Firenze nel 1967); nel I tomo è l’ampio saggio di Macrí 1971,
dove particolare attenzione è riservata alla rigorosa formazione filologica
classica di Traverso («addetto, nella distribuzione dei nostri compiti
generazionali, alla specula ellenico-germanica»), alla sua ammi-razione per
Perrotta e alla intrinsichezza con Pasquali, alla lunga consuetudine con
Pindaro, letto e tradotto «non con un rifacimento o rimpasto
contemporaneizzante di tipo idealistico pseudostoricistico (poesia e non
poesia, ciò che è vivo e ciò chene e la critica sposava le stesse passioni e le
stesse ricerche dei poeti» 121 . Già coinvolto in una polemichetta con
Quasimodo ( duce Lavagnini) ancor prima dell’uscita dei
Lirici greci , intorno all’interpretazione di ὤρα come
giovinezza nel famoso fr. 94 Diehl di Saffo ( Tramontata è la luna ) 122
, Tra-verso fu uno dei primi recensori dell’opera, su «Primato» dell’1 luglio
1940. Pur notando qualche «arbitrio» e «difetto» nella resa del greco, sin
dall’ incipit egli aderisce alla scelta effettuata sui lirici
(«perfettamente adeguata al gusto del nostro tempo»), alla sua modalità e
ispirazione: Tralasciati i pezzi gnomici e oratorii o comunque ristretti al
giro d’una polemica occasionale (Callino, Tirteo, Focilide,Teognide, Solone,
Senofane, ecc.) e insieme le manifestazioni illustri – a prima vista un po’ estranee
al nostro spirito – di poeti considerati, ma non sempre a ragione, come
ufficiali quali Pindaro e Bacchilide – egli isola di quella poesia una
zona che più evidente offre il carattere di una «pu-rezza» rarissima in tutte
le civiltà letterarie. (E l’ha aiutato efficacemente in questa selezione
anzitutto lo stato in cui più di frequente furono tramandate quelle
reliquie – naturalmente per ragioni diversissime dalle sue: frammentario)
123 . Forse memore di quei lontani trascorsi, e certamente del retroterra
erme-tico di Traverso, Gentili assimila Lirici greci di
Salvatore Quasimodo e Pin-daro di Leone Traverso come «prove
più rappresentative di un’esperienza letteraria intesa come problema
d’immagini, d’invenzione linguistica, di ricerca di stile». Mentre in Quasimodo
la «vera “fedeltà” di traduttore è nella libertà del movimento linguistico e
ritmico» con il conseguente scarso valore attribuito al reale rapporto
originale-traduzione 124 , l’assai più ricca è morto, ecc.) ma di colpo,
al centro e al cuore dell’assoluto e del sublime pindari-co, che fu operazione
tipica della critica ermetica nel contatto con l’opera d’arte»: notandosi
inoltre che «non diverso (pur computata la diversità della preparazione
filologica) fu il possesso della lirica greca da parte di Quasimodo». In una
vivace intervista del novembre 1981 O. Macrí ebbe a ricordare Traverso
all’inizio degli anni Trenta come parte «del primissimo gruppo pre-ermetico al
caffè San Marco […] infusi del demone delle letterature straniere», insieme
naturalmente a Carlo Bo, che «venne alla Facoltà di Lettere fiorentina per
seguire gli studi classici, poi ci ripensò e divertì sulla letteratura
francese, maestro Luigi Foscolo Benedetto, anche di Luzi» (Tabanelli 1986, 65).
121 Sono parole a proposito di Quasimodo e degli anni Trenta da un
articolo di Carlo Bo, Ma dove va la poesia? , apparso sul «Corriere
della Sera» dell’11 marzo 1987, ora in Bo 1994, 1610. 122 I testi della
disputa, avvenuta su «Corrente di vita giovanile» del 29 febbraio 1940, sono
ora disponibili in Benedetto – Greggi – Nuti 2012, 138-140. 123 Traverso
1940; la recensione è ora ripubblicata in Benedetto – Greggi – Nuti 2012,
143-144. Di fronte alle versioni di Quasimodo anche a Traverso, come a tutti i
primi recensori, «preme anzitutto riconoscere la validità di poesia italiana,
indipendente, che ne risulta». 124 E quindi, come da molti è stato
osservato, «il tradurre diviene un momento essenziale del poetare
Sent from the all new AOL app for iOStrama letteraria e filologica
sottesa, nonché l’influsso di Hölderlin traduttore di Pindaro e di Sofocle, ha
come effetto in Traverso un maggiore rispetto «per gli usi della lingua greca
che per lo spirito della propria lingua», con il paradossale scivolare «in una
sorta di ermetismo di scrittura che rende inintelligibile il senso e in un
preziosismo linguistico che tradisce l’impegno della trasparenza anche se il
calco raggiunga in qualche caso la fedeltà auspicata» 125 . Pur tra loro sotto
molti aspetti differenti, le versioni di Quasimodo e di Traverso sono agli
occhi di Gentili accomunate dall’inadeguatezza a riproporre «la totalità umana
e artistica dei lirici greci», vittime della loro stessa ricerca di una
«fedeltà emotiva» incapace di rendere l’attuale lettore consapevole della
distanza che lo separa da quegli antichi e frammenta-ri testi. Allora e per i
successivi decenni della sua intensissima attività scientifica, di filologo e
di traduttore, la risposta scelta da Gentili fu ri-nunciare a soffermarsi sul
«problema teorico, e in un certo senso ozioso, della traducibilità o
intraducibilità in assoluto», e invece, per così dire ‘fenomenologicamente’,
«investire sul piano prammatico il problema del-la traducibilità» 126 . Si
tratta di pagine di grande rilievo, dove sono indi-viduate priorità e finalità
concernenti «il discorso della traducibilità dei lirici, dei modi e delle
tecniche del tradurre», nel rifiuto dell’assunzione a modelli di specifiche
poetiche del tradurre, affermando l’impossibilità di «prescindere dalle reali situazioni
di cultura del mondo contemporaneo e dalle richieste che al traduttore pone il
lettore moderno», e definendo esigenze di vasto e pur rigoroso valore
comunicativo, destinate (come già si è visto) a essere ribadite e di continuo
inverate nel lavoro di Gentili dei decenni a venire: Una poetica non astratta e
irreale, non prefigurata su schemi di modelli già espe-riti, ma una poetica
aperta del tradurre che si costruisca gli strumenti adeguati a una maggiore
portata di comunicazione e riproponga il problema del tradurre dai
125 Gentili 1972, 23-24. Le considerazioni a proposito di Traverso, e
delle tra-duzioni di Hölderlin come «esempi mostruosi» di fedeltà
all’originale, torneranno in B. Gentili, Introduzione , a Gentili –
Angeli Bernardini – Cingano – Giannini 1998 2 , LXVIII . 126
Gentili richiama in nota «il pregevolissimo saggio» di Mattioli 1965, com-preso
nel numero speciale Classicità e contemporaneità , dove anche si aveva la
fondamentale prolusione urbinate Aspetti del rapporto poeta, committente,
uditorio nella lirica corale greca . Il saggio di Mattioli si conclude con
alcune considera-zioni di tipo teorico, a partire dalla convinzione che «la
soluzione univoca (tra-ducibilità assoluta o intraducibilità assoluta che sia)
nega il concreto del vissuto», e che perciò risposta sul piano teorico non si
può dare ma «il problema si risolve soltanto in un contesto prammatico», cioè
sul piano delle molteplici risposte della storia. Alla tradizionale domanda ‘si
può tradurre?’ Mattioli propone di sostituire domande quali ‘come si traduce?’
e ‘che senso ha il tradurre?’, cioè «sostituire alla domanda di tipo metafisico
la domanda di tipo fenomenologico» greci non nei limiti dei vecchi modelli
privilegiati della traduzione letteraria e della traduzione poetica, ma nella
prospettiva più ampia di quella idea cui aspira l’et-nografia contemporanea
della traduzione come comunicabilità fra culture, visioni del mondo, strutture
linguistiche, sistemi grammaticali diversi e distanti nel tempo […]. Poiché fedeltà
alla poesia o fedeltà alla qualità letteraria è un problema che investe la
comprensione totale del testo, non soltanto di tutte le sue connotazioni, dei
suoi registri linguistici e metrici […] ma anche di tutta la realtà
extralinguistica e situazionale dell’enunciato poetico 127 . Senza passare
dettagliatamente in rassegna l’intero saggio, bastino al-cuni richiami a temi
che in futuro variamente continueranno ad occupa-re Gentili. Così
l’interrogarsi su una versificazione italiana adeguata alla complessa struttura
metrica delle strofe di Pindaro e di Bacchilide conduce Gentili a sostenere la
preferibilità del verso libero delle grandi odi dannun-ziane 128 , finanche
segnalando le possibilità aperte dal «verso “dinamico” e “atonale” della poesia
dei Novissimi», e in effetti nell’antologia Lirica corale
greca del 1965 lo stesso Gentili aveva tentato «di risolvere il
movi-mento dei metri simonidei con le tecniche metriche della poesia
contem-poranea dei Novissimi» 129 : va detto che un profondo interesse per le
strut-ture metriche della poesia italiana soprattutto ottocentesca e
novecentesca sin dall’inizio caratterizzò i «Quaderni Urbinati di Cultura
Classica» 130 . La 127 Gentili 1972, 25. Sono affermazioni che
ritorneranno, insieme a parte dell’intero saggio, nell’ Appendice II. La
traduzione dai lirici. Alcune osservazioni sul problema del tradurre in
Gentili1984 (2006 4 ), 313-320 (e cfr. anche supra n. 2). 128
Si ricordi la scelta del verso libero per la traduzione delle
Pitiche , con l’os-servazione che «le grandi odi delle
Laudi del D’Annunzio, particolarmente il verso libero della
Laus vitae , scandito da strofe di 21 versi, offrono sotto il profilo
tecnico un modello esemplare di versificazione per l’esuberante dovizia delle
forme ritmi-che, tali da riecheggiare […] i molteplici schemi della metrica
pindarica» (Gentili, Introduzione , a Gentili – Angeli Bernardini –
Cingano – Giannini 1998 2 , LXIX - LXX ); e si ricordi altresì la lunga
citazione da Maia , con l’apparizione del «monarca de-gli Inni», al
principio dell’ Introduzione alla postrema fatica Gentili –
Catenacci – Giannini – Lomiento 2013. 129 Lo rileva Bernardini
1966, 144. In àmbito diverso ma non estraneo si tenga presente, dello stesso
Gentili, l’importante e innovativo lavoro Cultura dell’im- provviso.
Poesia orale colta nel Settecento italiano e poesia greca dell’età arcaica e
classica (Gentili 1980), poi riproposto in altre sedi: nella conclusione
si esprime vivo interesse per esperienze contemporanee quali «l’affermarsi, in
America, di un’avanguardia poetica, che si definisce “postmoderna” e trae il
suo alimento dai contributi sulla poesia orale forniti, in questi ultimi
decenni, non solo dall’antropo-logia culturale, ma anche e soprattutto dalla
più autorevole filologia classica ameri-cana, rappresentata dagli studi del
Parry, del Lord e dell’Havelock» (poi in Gentili 1984 [2006 4 ], 29-30).
130 Già nel primo numero si ha l’articolo di Pinchera 1966, 92-127, che
si apre lamentando l’effetto negativo sulle «indagini critiche relative alla
storia delle forme metriche» prodotto dalla «dittatura culturale esercitata per
vari decenni in Italia da Benedetto Croce».riflessione sull’eclissarsi nel
secondo dopoguerra del neoumanesimo di W. Jaeger è occasione per evocare il
contemporaneo «crollo dell’esperienza critica crociana», la cui presenza più
autorevole nel settore della classicità e più coerente con l’orientamento
crociano è riconosciuta in G. Perrotta, particolarmente per Saffo e
Pindaro (1935) 131 . Circa la più generale posi-zione critica del
maestro, Gentili tiene a mettere in rilievo che «pur ade-rendo senza riserve al
canone dell’interpretazione estetica dei lirici, aveva tuttavia saldissime basi
filologiche e storiche, non era in altri termini una critica del gusto»,
giacché il crocianesimo operava in lui come una sorta di sovrastruttura, sul
tronco più vi-tale di quella viva metodologia critica introdotta in Italia da
Giorgio Pasquali, che portava in sé già latenti i fermenti di un approccio
linguistico, psicologico e antro-pologico alla cultura classica: la ricerca
filologica costituiva soltanto il momento preliminare e necessario di
un’indagine il cui fine era l’intelligenza del mondo an-tico nella viva
concretezza della sua cultura 132 . Nel prosieguo del contributo, Gentili
brevemente si sofferma sull’innova- tivo apporto soprattutto degli indirizzi di
Dodds e di Vernant allo studio della cultura greca arcaica, infine indicando il
problema cardine della ricerca sulla cultura e la poesia di quell’età «nel
corretto rapporto tra livello sincronico e livello diacronico della ricerca»,
il che è stimolo per accennare alle note riserve verso gli studi pindarici di
E. L. Bundy, e poi di D. C. Young. Ad essi Gentili rimprovera un’analisi
limitata ai soli aspetti sincronici delle strutture linguistiche e formali,
tale da precludere «la possibilità di comprendere gli aspetti situazionali ed
extralinguistici della performance della lirica pindarica».
Alcuni anni dopo, più ampia- mente e duramente Gentili assocerà a questa nuova
critica «il fastidio che suscita inevitabilmente un’analisi soltanto formale,
intesa a repe-rire le costanti intertestuali, senza riguardo all’articolazione
dei singoli contesti ed alla impostazione ideologica dei diversi autori» 133 :
è per noi interessante il confronto lì istituito con «quella critica estetica
che ebbe in Italia come suo massimo esponente G. Perrotta», a tutto
vantaggio 131 In nota è menzionato il contemporaneo saggio su Saffo
di M. Valgimigli (1933), «da noi la prova più rilevante di una critica del
gusto permeata di evoca-zioni e suggestioni letterarie della cultura italiana
fra i due secoli». Significativo è, nella stessa nota, il richiamo invece
favorevole all’intonazione anticlassicistica dei frammenti dal saggio di Serra
Intorno al modo di leggere i Greci pubblicati da E. Raimondi nel
numero de «Il Verri» 1965 su Classicità e contemporaneità ; si consi-deri
anche che del 1965, in occasione del cinquantenario della morte, è il saggio di
Carlo Bo La religione di Serra , poi accolto nel volume
La religione di Serra e altre note di lettura , Firenze 1967. 132
Gentili 1972, 30. Su crocianesimo e Pasquali in Perrotta, analoghe espressio-ni
vent’anni dopo in Gentili 1996, 12. 133 Su questi temi vd. poi almeno
Gentili 1984 (2006 4 ), 156-157dell’approccio del maestro, «una critica
estetica che non è puro estetismo impressionistico ed intuizionistico, ma una
critica del gusto corroborata da un’acuta sensibilità storica» 134 . L’articolo
del 1972 si chiude confer-mandosi come «proposta di una diversa lettura dei
lirici, che recuperi nella storicità delle relazioni fra poeta e uditorio il
significato originario del loro messaggio». Una proposta di cui si tiene a
sottolineare il caratte-re antidogmatico, inteso a rispondere alle esigenze
critiche del presente: «Ma, di là da una falsa pretesa di un equivoco
oggettivismo metasto-rico, essa non presume di essere definitiva. Al contrario,
consapevole del divenire storico della critica, si affianca alle precedenti
proposte, già esperite, in una modalità di lettura più coerente con l’orizzonte
culturale del nostro tempo» 135 .Assai più dei due precedenti interventi
accolti su «Il Verri», nel 1965 e nel 1970, Prospettive critiche
nell’interpretazione della cultura greca dell’età dei lirici è attento al
tema della traduzione, e alle ricadute delle varie correnti critiche del
Novecento su teoria e prassi delle traduzioni dai lirici greci. Al ‘piano
prammatico’ e all’impostazione ‘aperta’ della traduzione, di taglio antropologico,
Gentili rimarrà fedele, ulteriormente approfondendo la riflessione negli anni,
sì da scorgere nel traduttore «uno “sciamano” che non conosce confini sino al
punto da divenire un altro da sé e di cogliere il momento puntuale in cui
significante e significato si compenetrano» 136 , nella fedeltà alla «norma
dannunziana di avvicinare il lettore all’opera e non viceversa» 137 . La
presenza di contributi di Gentili 134 Gentili 1979b; sul conflitto
tra gli indirizzi di E. L. Bundy e della scuola ur-binate di B. Gentili, le
considerazioni di Lehnus 1988. Ampia analisi delle posizioni di Bundy e di
Young, con frequenti richiami a Perrotta e in nome (come noto) della
riproposizione di una ‘lettura estetica’ degli epinici, è nel lavoro di Bonelli
1987, con ricca bibliografia. 135 Gentili 1972, 38. Analogamente, e
fenomenologicamente, si concludeva il già citato Mattioli 1965, 128: «Altre
risposte (traduzioni e idee del tradurre) segui-ranno in futuro per le quali
sarebbe arbitrario stabilir regole o far previsioni come lo sarebbe per l’arte
del futuro», e perciò «a questo punto si può fermare il discorso, non solo
perché si presenta come abbozzo di una futura ricerca, ma anche perché i
discorsi conclusi in questo àmbito di studi sono palesemente insensati».
Si veda già Mattioli 1963 per la proposta di «una impostazione fenomenologica
della ricer-ca», considerata particolarmente necessaria e opportuna nel campo
dell’antichità classica proprio in ragione dello «scacco che ha ricevuto il
tentativo, compiuto in Italia, di trasportare sic et simpliciter l’estetica
crociana nella interpretazione delle letterature classiche». 136
Gentili, Introduzione , a Gentili – Angeli Bernardini – Cingano –
Giannini 1998 2 , LXIV . 137 Così in Gentili 2002, dove anche
è ricordato il giudizio di Perrotta 1935, 97, per il quale D’Annunzio fu «non
solo il traduttore ideale di Pindaro, ma il poeta italiano che meglio di tutti
ha saputo riecheggiarne l’arte, intendendola pienamen-te». Più positivo si fa
nel citato articolo il giudizio sulla traduzione pindarica di L. Traversosu «Il
Verri» non andrà oltre i primi anni ’70 138 , ma sino alla vigilia del-la morte
di Anceschi (maggio 1995) durarono i rapporti epistolari, come oggi sappiamo
grazie alla pubblicazione dei diari riferiti agli ultimi anni del professore
bolognese 139 , che molte volte sino agli estremi suoi giorni continuò a
tornare con il pensiero alla traduzione di Quasimodo dei Lirici
greci e al suo significato storico e culturale 140 .A quella stessa
seconda metà degli anni ‘60 fecondissima di idee e di propositi appartiene il
numero d’avvio dei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» (1966), come
espressione del Centro di studi sulla lirica gre-ca e sulla metrica greca
e latina diretto da Bruno Gentili e connesso al CNR. Un
effettivo riesame dell’attività scientifica di Gentili comportereb-be una
sistematica rilettura non solo dei contributi e degli interventi del direttore
dei Quaderni ma più in generale delle principali linee di ricerca
espresse dalla rivista, del loro permanere, mutare ed evolvere nel corso di
cinquant’anni. Mi limiterò a richiamare due contributi di Gentili su Saffo
ospitati nei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» a distanza di oltre
quarant’anni l’uno dall’altro, per così dire ai due poli cronologici dei
Qua-derni di Bruno Gentili. Il primo è La veneranda Saffo ,
del 1966 141 , che 138 Sino a Gentili – Cerri 1973: sull’importanza
dell’articolo per successivi lavo-ri di Gentili sulla storiografia antica vd. Angeli
Bernardini 2013, 16. 139 Oltre a un cenno in un’annotazione del 3-5
settembre 1989 («Eccellente scritto di Bruno Gentili sulla “Repubblica”. Lo
riporto integralmente. Ancora una volta acu-te considerazioni sulla oralità – e
sulla situazione degli studi umanistici», cfr. Diari Anceschi
2006, 109), si veda soprattutto quella del 2 gennaio 1993 («Lettera molto
lusinghiera di Bruno Gentili. Conosco l’ironia, ed è tale da non accettare
ambiguità. Ecco un uomo che dice quello che pensa», cfr. Diari
Anceschi/2 2006, 9). Nell’Ar-chivio Anceschi presso la Biblioteca
dell’Archiginnasio di Bologna sono conservate 26 lettere di Bruno Gentili: cfr.
Campagna 1998, 513; si tratta della presenza più am-pia per un filologo
classico, insieme a M. Barchiesi (parimenti 26 lettere), del quale sulla
rivista anceschiana vd. Plauto e il “metateatro” antico
(Barchiesi 1969), con la premessa: «sulla tentazione erudita […] prevalse
l’idea di tenere aperto, in perfetta modestia, il discorso su quello che è più
che mai il nostro tema cruciale, e che può designarsi con la formula stessa del
“Verri”, “classicità e contemporaneità”». 140 Così l’11 marzo 1995, a
meno di due mesi dalla morte: «Con Quasimodo ho avuto una frequentazione
amichevole molto prolungata e, mi pare, serena aperta ai problemi con vivi
impulsi di collaborazione e di conoscenza. Certo sono passati tanti anni; per
altro, l’affetto del ricordo non diminuisce. Quale che sia la forza della mia
vita letteraria, per me si è trattato di un risvolto capitale […]. La
traduzione dei Lirici Greci fu una esperienza radicale alle
origini, che ci portò a rivivere il proble-ma del tradurre come un problema
fondamentale della poesia. Da quel momento la discussione è aperta, e mi pare
con qualche frutto, mi pare anche che in questo senso l’impulso continui. Penso
che questa esperienza nel mettere in rilievo tanti motivi della relazione
complessa tra traduzione e poesia – sia, o almeno sia per quel che mi riguarda,
costitutiva di un modo di vedere che continua ad operare» ( Diari
Anceschi/2 2006, 92). 141 Gentili 1966 (confluito in forma
abbreviata nel cap. XII di Gentili 1984 [2006 4prende spunto dal famoso fr. 384
V. (verosimilmente) di Alceo ἰόπλοκ’ ἄγνα μελλιχόμειδε Σάπφοι, forse (si è
supposto) «l’ incipit di un car-me dedicato all’illustre concittadina»
142 . Era il frammento cui s’era volto Perrotta dopo aver espresso il proprio
rifiuto verso «la soluzione dei Wel- cker e dei Wilamowitz» a difesa della
‘purezza’ di Saffo: Molto meglio, per chi voglia davvero intendere e onorare
Saffo, ricordare il fram-mento di Alceo che dice (63 D.): «Saffo pura, dal
dolce sorriso, dal crine di viola». L’omaggio devoto dell’insolente cavaliere
di Lesbo basta a farci sicuri che né bia-simi né malignità aduggiarono mai la
vita mortale di Saffo. Altro non è da ricercare: non si può pretendere di
giudicare con le nostre idee moderne, né giudicare una donna di Lesbo con i
pregiudizi di un Ateniese […]. Ognuno vede quanto sarebbe ingiusto rimproverare
alla poetessa i suoi amori per le amiche, mentre nessuno rimprovererà al suo
compatriota e contemporaneo Alceo gli amori per Lico. Ma più importa questo:
Saffo è soprattutto una poetessa, anzi è soltanto una poetessa per noi;
soltanto la sua poesia noi dobbiamo giudicare, e soltanto in essa noi possiamo
trovare la sua immagine. Ora, alla sua poesia possiamo accostarci con animo
puro: essa è pura, perché poesia, e altissima poesia 143 . Al passo, per molti
aspetti paradigmatico dell’interpretazione perrottia-na di Saffo, Gentili non
fa diretto riferimento, rifacendosi invece all’ultimo articolo di Walter
Ferrari, l’allievo prediletto di Pasquali «inviato come as-sistente di Perrotta
a Roma ma morto assai giovane nel 1940» 144 . Se merito dell’intervento di
Ferrari era stato sottrarre l’interpretazione dell’epiteto ἄγνα all’àmbito
della «castità profana» 145 , caro a «tutte le mitiche specula-zioni sulla
purezza degli amori di Saffo» e a tutte le «moderne idealizzazioni della sua
poesia» 146 , dimostrandone invece il senso arcaico «limitato esclu-sivamente
alla sfera del sacro», d’altra parte – rileva Gentili – l’indagine di Ferrari
sfociava in una idealizzazione di Saffo sostanzialmente coerente «con
l’orientamento critico di stretta osservanza crociana prevalente in quei
tempi», rappresentato al meglio dal Saffo e Pindaro di Perrotta,
«scritto appena cinque anni prima» 147 . Nel varare la fortunata avventura dei
«Qua-derni Urbinati di Cultura Classica», dalla ‘purezza’ di Saffo Gentili
decide 142 Degani – Burzacchini 2005, 241. 143 Perrotta 1935,
31. 144 Canfora 2005, 216. 145 L’articolo di Ferrari era ricordato
a proposito del «significato di ἀγνός» anche nella I edizione di
Polinnia , 202 ad loc . 146 «Questo verso famoso, che sarà da
attribuire ad Alceo, è innocentemente responsabile di tutte le mitiche speculazioni
(soprattutto da noi) sulla personalità di Saffo che poeti, critici e filologi
ci hanno somministrato a partire dalla Saffo “dal riso morbido,
dall’ondeggiante | crin di viola” del Carducci sino alla casta Saffo del
Valgimigli»: così Gentili l’anno prima, in occasione del rifacimento della
sezione su Alceo per l’edizione di Polinnia del 1965, 224
(anche in Gentili – Catenacci 2007a, 196). 147 Gentili 1966, 37-38di
prendere le mosse: da quello stesso frammento, si può aggiungere, scelto ad
introdurre la sezione su Saffo nei Lirici greci di Quasimodo
(«o coro-nata di viole, divina / dolce ridente Saffo»). In conformità ai
principî deli-neati nel saggio dell’anno precedente Aspetti del
rapporto poeta, commit-tente, uditorio nella lirica corale greca , dove si
poneva in primo piano la necessità per il moderno lettore di comprendere la
funzione e il fine proprio del carme lirico, il senso dell’apostrofe è
rintracciato attenendosi «al senso reale del contesto alcaico», così leggendo
nel saluto di Alceo «un reverente omaggio alla dignità sacrale della poetessa
quale ministra d’Afrodite», con precisa allusione «alla funzione
religioso-sociale nell’ambito del tiaso» 148 . L’inveterato tema degli amori di
Saffo è radicalmente riesaminato alla luce di carattere, aspetti, scopi del
tiaso saffico «nelle sue giuste proporzioni storiche e sociali anche mediante
l’apporto di analoghe esperienze di altre culture». Il riconoscimento
dell’esistenza nella dinamica del tiaso di «pre-cise “unioni” per così dire
ufficiali fra le ragazze» tali da non escludere «probabilmente un rapporto di
tipo matrimoniale» è posto da Gentili in relazione a una testimonianza di
Simone de Beauvoir circa la presenza a Singapore e a Canton ancora in anni
recenti «di molte comunità femminili che nelle convenzioni e nelle pratiche di
culto sembrano ripetere antichi modelli culturali molto simili a quelli delle
comunità della Lesbo arcaica», e cioè «des lesbiennes reconnues […] se marient
entre elles et adoptent des enfants». Gentili offre qui un geniale esempio di
«interpretazione dei lirici greci arcaici nella dimensione del nostro tempo»,
come suonerà il ti-tolo dell’intervento al congresso di Bonn del settembre
1969: al di là di eventuali dubbi circa la sostenibilità del confronto, comunque
verosimile, conta mettere in luce l’efficacissima reazione ermeneutica che lega
antico e contemporaneo illuminando entrambi. Né manca l’apertura sul futuro,
quando si pensi in che misura a distanza di pochi decenni in molti Paesi
oc-cidentali quegli antichi modelli culturali si siano concretizzati nella
rifles-sione giuridica, nella legislazione e nella prassi sociale. Esempio
forse tra i più chiari di quanto i classici, e il rinnovamento della loro
interpretazio- ne, abbiano contribuito a porre lontane, e meno lontane, basi
della (post)moderna sexual revolution 149 , con tutte le forzature e gli
arbitrî propri di tali ardui e complessi intrecci di tempi e di culture.
Dell’attenzione di Gen- 148 Gentili 1966, 46 sgg. Importanti in
quest’àmbito anche i numerosi contributi ospitati nei «Quaderni Urbinati di
Cultura Classica» a proposito di significato e contesto del partenio di
Alcmane, a partire soprattutto da Gentili 1976 (poi rifuso nel cap. VI
Le vie di Eros nella poesia dei tiasi femminili e dei simposi in
Gentili 1984 [2006 4 ]); sul più ampio tema delle iniziazioni femminili l’assai
più recente volume Gentili – Perusino 2002. 149 In luogo di rifarmi alla
sovrabbondante bibliografia anglosassone in proposi-to, spesso ideologicamente
determinata, ricordo il capitolo Klassieken en seksuele
vrijheid nel bel libro di Veenman 2009, 273-291: con particolare
riferimento a una cultura, quale quella dei Paesi Bassi, cui in differenti
epoche, sino alle più recentitili a questi temi e alle loro ricadute e implicazioni,
è infine testimonianza Saffo ‘politicamente corretta’ , l’articolo
del 2007 (in collaborazione con C. Catenacci) dove la ribadita posizione
critica che ammette la presenza nei carmi saffici di elementi avvaloranti la
pratica dell’omoerotismo in àmbito iniziatico e paideutico 150 è volta a
contrastare «una nutrita serie di lavori ispirati ai gender studies » di
recente diffusisi soprattutto negli (e dagli) Stati Uniti, e intesi a sostenere
che «Saffo non si rivolgeva a giovinette, ma a sue coetanee in una forma di
libera attrazione omosessuale, e non svolgeva nessun ruolo né paideutico né
religioso all’interno del gruppo». Un corag-gioso intervento, di grande valore
metodologico e rilevanza storiografica, per il quale una tale Saffo politically
correct va respinta, al pari della Saffo otto-novecentesca votata
alla purezza, giacché «rappresentazione astorica e forgiata su istanze
manifestamente attualizzanti» 151 .Nel quadro del crescente interesse nei
«Quaderni Urbinati di Cultura Classica» dell’ultimo ventennio per questioni di
storia e metodologia degli studi classici, alcuni anni fa apparve un articolo
di C. Miralles, dal titolo The use of classics today , aperto
dall’indubbia constatazione «the huma-nities are losing ground and classical
studies are in retreat» 152 . Al di là dei suggerimenti proposti, e dell’enorme
differenza di tempi e condizioni, torna in mente «il vigile e costante impegno
a dare un senso di attualità ai nostri studi» caro a Perrotta, da Gentili più
volte ricordato nelle com-memorazioni del maestro. Nel salutare la recente
rinnovata edizione di Polinnia è stato giustamente e
autorevolmente rilevato che «in tanto rin-novamento, Gentili e la sua scuola
non hanno dimenticato né che la poesia greca si può avvicinare solo attraverso
la storia e la filologia, né che essa ha comunque uno straordinario valore
estetico. Gentili non ha rinnegato le sue radici, semplicemente da esse è nato
un albero capace di produrre fiori non prevedibili all’inizio – se Perrotta
sarebbe contento di lui? Difficile dirlo» 153 . Forse, e per molti motivi, si
può azzardare una risposta positiva. Giovanni Benedetto si devono determinanti
apporti nell’elaborazione di teoria e prassi della moderna sessualità
‘liberata’, Veenman mostra quanto soprattutto negli ultimi due secoli «i
classici hanno aiutato a capire e denominare l’omosessualità» («de klassieken
hielpen homoseksualiteit te begrijpen en te benoemen»). 150 Gentili –
Catenacci 2007b; circa la storia della fortuna e della ricezione di Saffo mi
limito a rinviare alle incisive osservazioni di Most 1996. 151 Va detto
che in generale la critica più recente sembra avvertire una quantità crescente
di aporie circa il significato del contesto comunitario, il gruppo ristretto e
omogeneo tradizionalmente attribuito a Saffo, il ‘tiaso’, e torna ad osservare
che «mentre nel caso di Alceo la dimensione di gruppo ristretto è evidente e
spiega ade-guatamente gran parte – se non la totalità – della sua poesia, nel
caso di Saffo è più difficile da delineare senza rischiare attualizzazioni
indebite» (Michelazzo 2007). 152 Miralles 2009, in partic. 23-24.
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Zapperi, Freud e Mussolini. La psicoanalisi in Italia durante il
regime fascista , Milano 2013. Grice: “I know Gentili’s type – once in love
with Greek, you cannot be a honest Latinist. So he found that everything Roman
had to be Hellenistic, -- see his notes on the Saturnio – this of course
irrirtates and rightly so Latinists – there are Roman ways which are not
Hellenistic ways. Geymonat has analysed this in social-class terms in his
history: Athens remained the finishing school for the ‘figli’ of the ‘migliore
famiglie romane’ – and the circle of Scipione Emiliano was pro-hellenic, but
Cato won: Latin remained the lingo!” Grice: “It also shows the unfairness of
academia for the poor – only the poor learn at Oxford, and I was fortunate
enough to have Hardie – but imagine you are born near Urbino and decide to
study classics at Urbino and you have Bruno Gentili as your teacher in “Latin
literature” and all he teaches you is how Hellenistic it all is! I hope you are
not poor and that you don’t have to LEARN at Urbino!” -- Bruno Gentili. Gentili.
Keywords: implicature. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gentili” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758048183/in/dateposted-public/
Grice e
Gerratana – il contratto sociale – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi
Speranza (Scicli). Filosofo. Grice: “I like Gerratana; for one, he
translated Rousseau, and I have been called a contractualist, if not like Grice
[G. R. Grice].” Grice: “Gerratana carefully edited Pintor’s oeuvre.” – Grice:
“I like Gerratana; they – Italian philosophers, generally -- philosophise on
the working people – operaio --; at Oxford we usually do not!” Partecipa alla
resistenza a Roma, nelle file dei GAP, legandosi a Salinari e Pintor,
conosciuto al corso allievi ufficiali di Salerno, e ricordato in “Sangue
d'Europa.” Prende parte alla ricostruzione del PCI romano e si laurea a Roma.
Insegna a Salerno e Siena. Studioso sobrio e rigoroso del marxismo, cura
Labriola e Gramsci. La sua edizione, con un'accurata ricostruzione cronologica,
archiviò definitivamente l'edizione tematica. Gerratana mette in luce lo stile
"frammentario" e "antidogmatico" di Gramsci. Altre opera:
“L'eresia di Rousseau, Roma, Editori Riuniti), Il marxismo, Roma, Editori
Riuniti); “Labriola di fronte al socialismo giuridico, Milano, Giuffrè
editore); “Gramsci. Problemi di metodo, Roma, Editori Riuniti); “Quaderni dal
carcere. Treccani L'Enciclopedia italiana". Biografia di Gerratana nel
sito dell'ANPI Associazione Nazionale Partigiani d'Italia. Si è svolto a
Roma il 18 e 19 novembre nella Facoltà di Scienze della Formazione
dell'Università Roma Tre, un convegno di studi in memoria di un importante
esponente del pensiero politico italiano, Valentino Gerratana, a dieci anni
dalla sua morte. Essenzialmente noto per aver curato nel 1975 l'edizione
critica dei Quaderni del carcere di Gramsci, Gerratana fu in realtà uno
studioso politicamente appassionato e uomo politico di estrema cultura. Merito
di questo convegno è stato l'aver messo in luce tanto l'impegno politico e
morale di un uomo quanto l'eclettismo, la vivacità intellettuale e la serietà
di un pensatore troppo poco conosciuto in fin dei conti, la molteplicità
variopinta dei suoi contributi scientifici e la continuità e coerenza del suo
impegno, politico ed intellettuale. Il convegno è stato organizzato dalla
International Gramsci Society-Italia – di cui Gerratana fu co-fondatore nel
1996, assieme ad Aldo Tortorella, Giorgio Baratta e Guido Liguori. Le giornate,
divise per sessioni tematiche, hanno ricordato la figura di Gerratana nella sua
complessità: partigiano antifascista a Roma negli anni della Resistenza,
giornalista negli anni giovanili, curatore e studioso di molti classici della
storia della letteratura, della filosofia e del marxismo (dalla cura
dell'edizione critica degli Scritti politici di Labriola a quella degli scritti
estetici di Marx ed Engels, ai contributi su Rousseau, Machiavelli, Lukács,
Lenin), ma noto in tutto il mondo anzitutto come curatore e studioso del
pensiero di Gramsci (dall'edizione critica dei Quaderni, all'approfondimento
dell'indagine sulle categorie sociali e politiche della riflessione gramsciana
e la cura – assieme al suo più stretto collaboratore, Santucci – del volume
sugli scritti gramsciani dell'Ordine nuovo). Non è facile informare
esaurientemente sul convegno, credo proprio per la personalità e la grande
vivacità intellettuale di Gerratana, emersa nella sua complessità lungo la due
giorni di lavori. L’evento ha messo alla prova intellettuali e
ricercatori, ha dialettizzato l'ascolto reciproco di relatori e pubblico, fra i
quali si è avuto un confronto sereno ma anche serrato, indubbiamente
appassionato. Ne è risultato – e ne va il merito agli organizzatori – un evento
generoso per ricchezza e poliedricità delle tematiche affrontate, per l'eterogeneità
degli accenti che si sono avvicendati (secondo l'esperienza politico-culturale
di relatori e pubblico), quanto infine per la vastità dei territori culturali
esplorati (dalla storia – italiana e internazionale, alla filosofia, alla
politica). Su tutta l'iniziativa s'è aggirato lo spettro benevolo di Antonio
Gramsci, della sua vicenda umana come anche di quel lascito inesauribile che è
la sua produzione culturale. E di Gramsci Gerratana non è stato solo il
curatore e il promulgatore, ma anche un indimenticabile interprete. Gli anni e
la formazione giovanile: partigiano antifascista ed intellettuale engagé Questa
introduzione credo consenta di comprendere forse più chiaramente il contesto e
lo spirito in cui il convegno di questi giorni ha trovato spazio. Anche
la presenza e il saluto delle istituzioni che con la IgsItalia hanno permesso
il convegno – contrariamente al solito – sono stati sentiti ed interni al tema
in oggetto dell’incontro. La figura di Gerratana è stata difatti ricordata con
stima sincera e rispetto da Cecilia D'Elia (Assessora alla cultura della
Provincia di Roma) e Gaetano Domenici (Preside della Facoltà di Scienze della
Formazione dell'Università di Roma Tre). Cecilia D'Elia ha sottolineato la
rilevanza di questo convegno su Gerratana – figura complessa, in cui ricerca
politica e ricerca della libertà si intrecciano –, studioso che sempre volle
tener connesso l'impegno pratico e l'impegno teorico, combattente antifascista
negli anni della Resistenza, uomo che diede un contributo decisivo alla
costruzione della democrazia in Italia. Sulla stessa linea d'onda Gaetano
Domenici ha salutato con piacere l'evento in ricordo di Gerratana, anzitutto
perché questa facoltà contribuisce a "formare i formatori": ed è
stato forse fra i più grandi meriti di Gerratana l'aver decisamente contribuito
a divulgare la genesi del pensiero pedagogico-educativo di Gramsci, a partire
dalla cura dell'edizione critica dei Quaderni di Gramsci. Non pochi interventi
hanno messo in luce i meriti di Gerratana riguardo la divulgazione del pensiero
pedagogico-educativo di Gramsci. In particolare ricordiamo qui l'intervento di
Donatello Santarone, Coordinatore del CESME di Roma Tre, che ha messo in luce
il valore generale degli studi di pedagogia della tradizione marxista che
delineano quella fondamentale concezione della formazione umana come
"sviluppo onnilaterale dell'uomo". Un tale impegno risulta ancora più
fondamentale in epoca di globalizzazione capitalista, sottolinea Santarone, in
cui il lavoro dell'uomo e la sua formazione paiono ormai finalizzati unicamente
ai processi di valorizzazione di capitale, i centri di formazione ed istruzione
di massa vengono de-finanziati mentre nel contempo si sostengono economicamente
scuole e "poli di eccellenza" privati, volti a creare le future élite
e classi dirigenti. L'impegno di Gerratana come intellettuale engagé è stato
sottolineato in molti interventi nel corso del convegno, fra cui quello di
Guido Liguori che – in apertura dei lavori – si è soffermato sulle ragioni
della scelta dell'espressione gramsciana filosofo democratico come carattere
fondamentale dell'animo e dell'impegno di Gerratana. Tale formulazione sta ad
indicare un pensatore che non si chiude nella propria torre d'avorio, ma
contribuisce attivamente alla creazione di un senso comune di massa, un uomo
«convinto che la sua personalità non si limita al proprio individuo fisico, ma
è un rapporto sociale attivo di modificazione dell’ambiente culturale» (Q 10, §
44, p. 1332). É questa essenzialmente l'immagine che Liguori ci ha voluto
restituire di Gerratana: un pensatore che non si accontentò del «pensiero
proprio, "soggettivamente" libero, cioè astrattamente libero», ma che
operò per l’unità di scienza e vita come «una unità attiva, in cui solo si
realizza la libertà di pensiero», secondo un «rapporto maestro-scolaro,
filosofo-ambiente culturale in cui operare, da cui trarre i problemi necessari
da impostare e risolvere», un uomo che concepì la propria attività
intellettuale come rapporto di «filosofia-storia» (ibidem), un uomo il cui
impegno politico e la cui elaborazione teorica sono stati la testimonianza
della migliore tradizione del comunismo e del marxismo italiani. Ha
fatto seguito l'intervento di Paola Demurtas, che ha illustrato i criteri e i
temi sulla base dei quali si è svolto l'intervento di riordino dell'archivio di
Gerratana assieme alla collega Lorenza Salvatori (di cui è stato letto un
contributo), e che ha sottolineato come grazie al riordino delle carte e dei
documenti sia ora possibile svolgere ricerche e approfondimenti sull’attività
di Gerratana. I documenti archiviati, difatti, coprono un arco di 61 anni, sono
circa 300 fascicoli, che si è deciso di suddividere in 8 partizioni tematiche
fra studi e attività, e fra queste risultano particolarmente rilevanti le
quantità di fascicoli dedicati a Gramsci e a Labriola e da cui si evince una
grande meticolosità nell'elaborazione. Ha concluso la prima parte di
introduzione ai lavori del convegno la lettura della lettera di saluto del
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in cui è stato espresso «il più
vivo apprezzamento per la scelta di ricordare un insigne studioso, cui va il
merito di aver contribuito, con l'edizione critica dei Quaderni del Carcere di
A. Gramsci. È stata poi la volta del primo relatore, Alfonso Musci (giovane
studioso dell'Istituto Gramsci per gli studi storici) che ha ricostruito gli
anni giovanili di Gerratana, in particolare quelli degli studi universitari e
della polemica con Benedetto Croce, sottolineando una tendenza di Gerratana a
considerare gli eventi storici attenendosi ai fatti, alle formule logiche e
alla loro riproducibilità, ma senza prescindere del tutto dalla
"situazione psicologica" in cui questi si svolgono e che spesso si
maschera in concetti. Ma Gerratana non fu solo un intellettuale impegnato. Fu
un partigiano. Questo hanno ricordato le successive relazioni della mattina
proseguite con i due contributi "di memoria storica" di Alfredo
Reichlin e Giuseppe Prestipino–, significativi per la nota autobiografica in essi
contenuta, che ha permesso una comprensione più articolata del senso
dell'impegno politico di Gerratana negli anni della lotta di liberazione
nazionale dal regime fascista. Medaglia d'Argento per l'impegno negli anni
della lotta di Liberazione dell'Italia dal regime fascista, la narrazione di
quei mesi è stata emozionante nell'intervento di Alfredo Reichlin. Che ha
ricordato gli anni giovanili della "passione politica" (tema che è
stato ripreso anche da Tortorella in chiusura dei lavori del convegno) e le
vicende dell'inverno '44 in cui, nella Roma occupata dai tedeschi, Reichlin
incontrò Gerratana; con Pintor formarono una cellula, e Gerratana divenne loro
dirigente, nome di battaglia "Santo". Furono quelli gli anni in cui
nacque un sentimento nuovo, l'antifascismo, ed una nuova cultura, quella
dell'impegno. Come allora – ha concluso Reichlin – il popolo italiano,
nonostante appaia fiacco e corrotto, tuttavia continua ad esprimere degli
intellettuali, e questi dovrebbero anch'essi prendere il proprio posto di
combattimento. Gerratana fu dunque un partigiano antifascista con un deciso
interesse per la storia e la filosofia politica. Ma anche un giornalista. La
tendenza all'impegno culturale trovò uno sbocco concreto in questa attività –
su cui si è soffermata la relazione di Giuseppe Prestipino –, quando cominciò a
scrivere su "La voce della Sicilia" fra il '45-'48. Prestipino ha
raccontato di un "comunista", un uomo di «innata modestia», che non
firmava i suoi articoli, direttore di giornale cordiale ma austero, «un
intellettuale pensoso». Gerratana: uomo di cultura, filosofo democratico,
marxista Non solo di politica, ma anche di letteratura e di filosofia si occupò
Valentino Gerratana. La sua natura di intellettuale a
trecentosessanta gradi è stata ben messa in luce da tre relazioni in
particolare, quelle di Voza, Savorelli e Burgio. Pasquale Voza ha ricordato
come a metà degli anni '50 si svolse in Italia un ricco dibattito sul tema
della "lotta per il realismo", che nel dopoguerra espresse una
"tendenza" la quale si affermò in molta parte dell'intellettualità.
Nacquero le poetiche neorealistiche della "cronaca" e del
"documento" come ricerca di un massimo di "oggettività" di
contro all'influenza di suggestioni lirico-decadentistiche. Nel passaggio dalla
crisi del neorealismo al realismo si colloca il contributo di Gerratana, che
riteneva quest'ultimo un fondamentale strumento teorico-culturale. In risposta
all'intervento polemico di Croce De Sanctis-Gramsci? (“Lo Spettatore Italiano”,
1952, n. 5), Gerratana stende per "Società" (1952, n. 3) De
Sanctis-Croce o De Sanctis-Gramsci? Appunti per una polemica e sviluppa il
ragionamento nell'Introduzione all'estetica desanctisiana desanctisiana
(“Società”, 1953, nn. 1-2). Egli ha come riferimento la positiva valutazione di
Gramsci del realismo desanctisiano, fondato sull’analisi del contenuto
artistico in connessione alla lotta culturale. Difatti Gramsci coglie nel De
Sanctis un modello di critica letteraria che lo rende emblema della concezione
di un'estetica realista e anticipatore di una concezione marxista
dell'estetica. Alla base della sua concezione vi sarebbe la ricerca di
unitarietà fra La Scienza e la Vita (titolo di un famoso saggio desanctisiano
del 1872, più volte citato da Gramsci nei Quaderni), cosicché De Sanctis si
discosta dalla concezione speculativa dell'estetica di Hegel. In tal senso la
tendenza estetica di De Sanctis, secondo Gramsci, era "istintivamente
materialista", ciò perché la sua attività critica non era «frigidamente
estetica» (Q 4, § 5, p. 426). Per tali ragioni De Sanctis resta, per Gramsci,
un modello di come nella stessa coscienza critica, pur rimanendo distinti,
possano confluire convenientemente giudizio estetico e valutazione di una
tendenza artistico-culturale, cosicché Gerratana condivide l'appello gramsciano
del «ritorno al De Sanctis» (Q 23, § 1, p. 2185), intendendo con ciò la
necessità di assumere verso il rapporto arte-vita un atteggiamento di stretta
connessione, così come lo intendeva De Sanctis ai suoi tempi. Nella seconda
parte del suo intervento Voza ha ricordato come sempre nel '53 Gerratana abbia
steso il saggio Lukács e i problemi del realismo (“Società, 1953, n. 4). Si
ricordi che con la pubblicazione di Il marxismo e la critica letteraria di
Lukács nel '50 giungeva anche in Italia quella poetica dell'estetica marxista
che si poneva come obiettivo la costituzione di una nuova letteratura in una
società socialista – dunque la necessità di definirne la natura e il ruolo che
in essa avrebbero dovuto ricoprire gli intellettuali. Gerratana mise in luce
due diverse idee di realismo: come metodo (di impronta lukácsiana) e come
tendenza (di memoria gramsciana), specificamente come tendenza culturale che
esprime un atteggiamento programmaticamente orientato verso la realtà piuttosto
che verso la sua evasione. La lotta di Gerratana per il realismo, conclude
Voza, alla luce del carattere complesso che intendeva conferirgli, alludeva in
certo modo alla "lotta per l'egemonia" così come delineata da Gramsci
e alle nozioni di "progresso intellettuale di massa" e "riforma
intellettuale e morale". Se l'intervento di Voza ha posto in luce la
capacità di Gerratana di dar conto anche di questioni legate alla scienza
estetica, l'intervento di Alberto Burgio ha affrontato la lettura critica da
parte di Gerratana del pensiero di Rousseau, ripercorrendo le tappe di sviluppo
ed il senso della sua produzione del ginevrino. Burgio ha illustrato come
Gerratana e Rousseau siano stati legati da un "lungo rapporto di
fedeltà", particolarmente significativo per il fatto che Gerratana scelse
di leggere una parte degli scritti rousseauiani – quelli politici – e perché
non mancò mai d'interrogarsi sull'attualità di questi testi, pur leggendoli
entro una prospettiva storica. Questa è la ragione per cui si tratta di un
Rousseau sempre "diverso" a seconda delle diverse fasi della ricerca
di Gerratana, che possono delinearsi anzitutto secondo un ordine cronologico:
gli anni '40, '60 e '90. È degli anni '40 la Prefazione di Gerratana al
Contratto sociale, in cui egli denota il maggior valore di questo testo
rispetto ai Discorsi – «reazione sentimentale al compromesso della cultura
illuministica con la realtà sociale iniqua e corrotta del tempo». Il moralismo
di Rousseau appare tuttavia a Gerratana storicamente attuale in forza dei
valori sui quali si impernia – un valore sopra ogni altro, la libertà. D’altra
parte, sottolinea Gerratana, «non la libertà estenuata dal completo
esautoramento da cui sembrerebbe condannata da una lunga e ormai logora
tradizione liberale, bensì una libertà resa concreta dalla stretta connessione
con l'uguaglianza»; piuttosto una libertà la cui essenza costitutiva è
precisata dal riferimento all'idea di eguaglianza e di legge, ciò che consente
a Gerratana di riformulare il tema della libertà in chiave collettiva, sociale,
vincolandolo al criterio della giustizia e della autonomia politica della
società. Negli anni '60 – caratterizzati sul piano teorico dalla polemica fra
il PCI e Bobbio ('61-'62) – Gerratana prende parte alla discussione sul tema
della transizione dalla democrazia al socialismo (rispetto al quale Rousseau
veniva chiamato in causa da Della Volpe come ispiratore dello stato democratico
e socialista). Egli interviene con una prosa misurata e sobria: Rousseau è il
tramite teorico-pratico dell'evoluzione della democrazia borghese in senso
socialista; quello di Rousseau è dunque un programma di «massimizzazione della
democrazia», non di "anticipazione" del socialismo. Il discorso di
Gerratana muta decisamente nella seconda parte degli anni '60, quando stende
l'Introduzione alla traduzione del Discorso sull'ineguaglianza (Editori
Riuniti, 1968), sullo sfondo della quale pare di intravedere le lotte sociali
che sfoceranno nel '68 studentesco ed operaio. Non si tratta più del tema della
transizione, nota Burgio, ma della trasformazione sociale nel suo complesso e
non è più il Contratto al centro della riflessione di Gerratana, ma il secondo
Discorso. Infine, nel '90 Gerratana stende un saggio con al centro nuovamente
l'interesse per il Contrat (Sul nesso Rousseau-Hobbes, in “Studi politici in
onore di Luigi Firpo”, Angeli 1990): Rousseau è ancora il padre della
democrazia moderna (costituzionalismo) e viene contrapposto a Hobbes, teorico
dell'oppressione assolutista. Burgio indica infine un possibile mutamento di
prospettiva nella lettura di Rousseau da parte di Gerratana, facendo perno sul
testo rousseauiano: se gli scritti degli anni '40, '62 e '90 privilegiano il
Contrat (classico del costituzionalismo e del governo della legge, letto – nota
Burgio – in chiave fondamentalmente montesquieuiana), il contributo del '68
trova il suo oggetto nel secondo Discorso e qui emerge la consapevolezza di
Gerratana del versante distruttivo del progresso, della civilizzazione e della
cieca tendenza degli uomini a far valere le proprie istanze
particolaristiche. Infine ricordiamo il contributo di Alessandro
Savorelli sul “Labriola di Gerratana”, che si è soffermato sull’intento di
Gerratana di sottrarre il pensiero di Labriola dalla lettura che ne faceva la
tradizione crociana e liberale. Negli anni '60 Gerratana riconsidera Labriola
alla luce della polemica con lo spontaneismo dei movimenti e con la
contestazione del marxismo ‘storicista’, mentre negli anni dell'arretramento
del movimento operaio, mentre si profilava la crisi del PCI – Gerratana si
preoccupa per le degenerazioni della politica («sistema di aggregazioni
corporative di interessi locali», per l’emergere in Italia della «disinvoltura
pragmatica» di spregiudicati «mestieranti», «avventurieri» e «giocolieri»),
destinate a spingere le masse verso il riflusso e l’apatia. Savorelli
sottolinea come le attualizzazioni cui Gerratana volse il pensiero di Labriola
non furono una forzatura; al contrario il richiamo a Labriola, al critico
sferzante della società italiana e delle sue classi dirigenti, era
sinistramente profetico dell’accelerazione impressa in quel decennio ai
fenomeni degenerativi di lungo periodo. Infine nell’ultimo Labriola Gerratana
scorse l’intuizione di problemi (imperialismo, globalizzazione, regresso della
democrazia, «crisi della cultura popolare», ritorno del misticismo), che
sarebbero ancora i nostri (V. Gerratana, Antonio Labriola e la politica, “Studi
storici”, 1985, n. 3, p. 578). Vittorio Diniha concluso la serie di testimonianze
sulla vita e l'impegno culturale di Gerratana raccontando della comune
esperienza negli anni dell'insegnamento universitario a Salerno nel 1971. Dini
ha letto una pagina dedicata da Roberto Racinaro a Gerratana nella quale
quest’ultimo è descritto come uomo poco diplomatico, amante di una verità da
pronunciare senza mediazioni, uomo poco tenero anche con i cari, amante della
filosofia illuminista, in particolare del Kant di Cassirer; e la sua stessa
vita accademica si caratterizzava per la puntualità "kantiana", il
forte senso del dovere e il rigorismo morale, quasi draconiano, che fu messo in
luce anche durante gli anni del ’68 all’Università di Salerno. D’altra parte il
rigorismo morale di Gerratana, secondo Dini, sarebbe stato trasferito in modo
eccessivamente rigido contro quella società che si stava rivoltando in quegli
anni di sommovimenti sociali e popolari, dacché ne risultava un rigorismo
spesso astratto. Dini ha inoltre ricordato che Gerratana riprese l’attività
universitaria a Salerno sotto sollecitazione di Lucio Colletti, che ne promosse
l’ingresso, ritenendo questo rapporto GerratanaColletti un esempio del minimo
“rigorismo ideologico” di Gerratana, della sua concezione “aperta” del marxismo
– evidente anche nella ricostruzione non sistematica dei Quaderni.
Il quadro non sarebbe completo se non si accennasse a un altro tema
(assieme all'indagine su Gramsci) che ha attraversato l'evento: l'impegno di
Gerratana come intellettuale marxista. Questo aspetto è stato messo in luce essenzialmente
da due relazioni, quella di Fabio Frosini e quella di Michele Filippini.
Quest'ultimo ha discusso due aspetti peculiari della cultura filosofica di
Gerratana, l'esser insieme democratico e marxista, e si è soffermato
soprattutto su due esempi emblematici di ciò, un dialogo fra Gerratana e
Colletti del 1958-59 ed un lungo articolo di Gerratana del 1971 sul saggio di
Althusser sugli Apparati ideologici di Stato. Ma è stato
soprattutto Fabio Frosini a ricostruire le linee del marxismo di Gerratana, a
partire dal volume del 1972, Ricerche di storia del marxismo. Il testo, che è
in realtà una raccolta di saggi già pubblicati altrove, ha una sua
sistematicità. Nella Prefazione al volume Gerratana sottolinea che il
principale denominatore comune degli otto saggi è il rapporto fra marxismo e
movimento operaio, fino ad affermare che «marxismo e storia del marxismo fanno
tutt’uno» (Ricerche, p. VII). La loro unitarietà sarebbe dunque nell'idea
stessa di storia del marxismo. Il marxismo di Gerratana pare a Frosini ben
sintetizzato da un passo della Prefazione: «Nei confronti della pratica sociale
l’analisi scientifica si distingue dalla raffigurazione ideologica perché non è
solo, come questa, funzionale alla prassi, ma al tempo stesso è funzionale alla
comprensione di questa prassi» (p. X), che mostra l'imprescindibile reciprocità
di prassi e teoria scientifica atta comprendere la prassi. In conclusione,
secondo Frosini il marxismo di Gerratana che emerge dalle Ricerche è confinato
nel piano di una generalizzazione sempre provvisoria e da riprendere ogni volta
in condizioni solo parzialmente ripetibili; e questa sarebbe l’unica condizione
per rispettare l’apertura costitutiva di una verità che si definisce nella
pratica, a contatto con la politica di massa. Gerratana, politico
(e) gramsciano La terza sessione del convegno si è incentrata
essenzialmente sul rapporto fra Gerratana e l'impegno politico per un verso, la
cura delle opere e lo studio del pensiero di Antonio Gramsci dall'altro.
Presieduta da Giuseppe Vacca, la mattinata si è aperta con l'intervento di
Albertina Vittoria sull'esperienza di Gerratana alla Fondazione Gramsci – con
cui il filosofo ha collaborato sin dagli anni della sua fondazione e che
abbandonò negli anni '90 –, esperienza complessa e non esente da dissidi
teorico-culturali. Vittoria ha messo in luce di Gerratana l'impegno di studioso
e insieme quello di "organizzatore della cultura", come anche
l'attività di uomo politico di partito. Non si può dunque isolare l'attività di
Gerratana all'Istituto Gramsci dal resto dell'impegno: quello editoriale come
anche quello nella Commissione culturale del PCI. Già dal '44 egli era
considerato un militante anche sul piano culturale e subito dopo la
Liberazione, Gerratana collaborò a "L'Unità", a "Rinascita",
fece parte del Comitato Stampa e Propaganda del PCI. Nel '47 fu, con Platone e
Trombadori, collaboratore di Onofri, allora responsabile della Commissione
Propaganda del PCI; nel '49 fu responsabile delle “Edizioni Rinascita” e dopo
la fusione fra queste e gli “Editori Riuniti” cominciò la sua collaborazione
con la "Fondazione Gramsci" (fondata a Roma nel 1950) come studioso
di filosofia. Sono questi anche gli anni del rapporto con Colletti e Cerroni.
Nel '54 l'Istituto Gramsci diviene “Fondazione”, nel '56 – anno della
"svolta" del XX Congresso del PCUS, degli eventi di Ungheria e del
«Manifesto dei 101» – Gerratana resta in accordo con le posizioni di Alicata e
Togliatti. Nel '58 si organizza il primo convegno di studi gramsciani, evento
che dà il via all'opera di divulgazione del pensiero di Gramsci, alla cui base
era la necessità di riarticolare teoricamente il legame fra movimento operaio e
democrazia. Gli anni '60 sono per Gerratana gli anni dell'impegno per
l'Edizione critica dei Quaderni del carcere (di cui cominciò ad occuparsi sin
dal '58), impegno che aveva a monte l'intento di offrire un contributo alla
garanzia dell'indagine critico-filologica. Gerratana divenne poi direttore del
"Centro studi gramsciani" dell’Istituto Gramsci, avente come obiettivo
la cura degli scritti di Gramsci nel loro insieme e dal '77 l'attività
"gramsciana" ebbe soprattutto come fine un riordino in quindici
volumi dell’opera del comunista sardo. Sono degli anni '80-'90 i dissapori con
la nuova direzione dell'Istituto, quella di Vacca (la diatriba che si incentrò
soprattutto su una diversa datazione dei Quaderni sul piano metodologico, ma
Vittoria rileva anche come il dissenso fosse in generale culturale e politico).
Nel '93 la crisi giunge all'apice: Gerratana vuole dimettersi, dimissioni
successivamente ritirate, sebbene da allora in poi continui a lamentare il
fatto che vi fosse un tacito dissenso sul suo lavoro. Furono questi gli eventi
che infine condussero Gerratana all’abbandono dell'Istituto Gramsci.
É pur vero che Gerratana sarà essenzialmente ricordato per esser stato
curatore, interprete e divulgatore del pensiero di Gramsci, con l'edizione
critica dei Quaderni del 1975, ciò che l’ha reso noto in tutto il mondo. Da
questo evento, difatti, si è avviato a livello internazionale un
approfondimento dei testi e della riflessione di Gramsci, con l'edizione fra il
1992 e il 2007 negli Stati Uniti dei Prison Notebooks (curati da Joseph A.
Buttigieg, intervenuto su questo tema) e l'avvio in America Latina degli studi
su Gramsci come scienziato politico, tema su cui è intervenuto Carlos N.
Coutinho. I due contributi hanno mostrato ciò che in apertura di questa
relazione si è tentato di individuare come spirito del convegno: poliedricità
degli accenti pur su tematiche affini, partecipazione rispetto al tema
affrontato (giacché il pensiero di Gramsci è indagato come cosa viva), esigenza
di dialettizzare la riflessione di Gerratana con gli eventi politico-culturali
che vedono oggi coinvolti i paesi di provenienza dei relatori. Cosicché se per
Buttigiegl'edizione critica si è rivelata uno stimolo per dar vita ad una
ricerca che appagasse l'esigenza di riscoprire il pensiero di Gramsci come
cultura "aperta" e dei riferimenti validi per il pensiero
democraticoprogressista; per Coutinho, grazie all'edizione del '75, il pensiero
di Gramsci si è mostrato come nuova fonte per indagini di scienza politica alla
luce della contemporaneità – dal marxismo alla "filosofia della
prassi", al rapporto di questi con i processi di trasformazione sociale.
In particolare Coutinho – docente di teoria politica all’Università Federale di
Rio de Janeiro –, ha messo in luce come il valore dell'edizione del '75 dei
Quaderni stia essenzialmente nella capacità di porre in luce come Gramsci nel
suo operare filosofico adotti, come marxista, il punto di vista della totalità.
Negli scritti di Gerratana che Coutinho prende in esame emerge la trattazione
prevalente, non casuale, di due tematiche gramsciane, rivoluzione ed egemonia.
Le due nozioni sono a tal punto interconnesse che quella di egemonia consente a
Gramsci di «arricchire e sviluppare il concetto marxiano di rivoluzione» (V.
Gerratana, Sul concetto di “rivoluzione”, 1997, p. 100). A questi due concetti
gramsciani principali se ne dialettizza un terzo (che in certo modo li tiene
insieme entrambi), quello di stato allargato, che – secondo Gerratana – viene
adoperato da Gramsci per «allargare il ruolo politico delle masse», per
«concepire un processo di estensione delle democrazie, in connessione con il
concetto di egemonia» (V. Gerratana, Stato, partito, 1977, p. 48). Come nel
pensiero di Marx e di Lenin, anche in quello di Gramsci vi è un nesso
filosofico-politico che tiene assieme egemonia e Stato da un lato, la
rivoluzione dall'altro. Secondo Gerratana Gramsci modificò la propria
concezione della rivoluzione nel corso dell'evoluzione del suo pensiero: se
negli anni giovanili questa venne intesa come volontarismo soggettivista, già
negli anni de L’Ordine Nuovo Gramsci avrebbe dato vita a una vera e propria «teoria
organica della rivoluzione» (Gerratana, Sul concetto di “rivoluzione”, cit., p.
88), in particolare a seguito dell’influenza del pensiero di Lenin. In questo
secondo momento Gramsci avrebbe tenuto conto anche del peso delle condizioni
oggettive in cui opera la volontà. In generale secondo Gerratana sia Gramsci
che Lenin concepirono l'egemonia come superamento della dimensione corporativa
in cui opera la classe; ma quel che Gramsci riconosce a Lenin è anzitutto
l’aver integrato questo concetto (la teoria dello Stato-forza) con la dottrina
dell’egemonia. Secondo Coutinho Gramsci dà vita in tal modo ad una generale
teoria dell'egemonia, ed è qui che Gerratana offrirebbe il suo più importante
contributo: «per Gramsci le forme storiche dell’egemonia non sono sempre le
stesse e debbono variare a seconda della natura delle forze sociali che
esercitano l’egemonia. Egemonia del proletariato e egemonia borghese non
possono avere le stesse forme né possono utilizzare gli stessi strumenti» (ivi,
123). Sviluppando l'elemento del "consenso" proprio dell'egemonia
gramsciana, Gerratana distingue l’egemonia borghese, che si basa su un consenso
passivo (o manipolato), e l’egemonia proletaria, che necessita un consenso
attivo. Accenniamo infine ad altre due relazioni che hanno chiuso il convegno,
quella di Aldo Tortorella e quella di Chiara Meta. Tortorella si è concentrato
essenzialmente su due aspetti portanti della personalità dello studioso
gramsciano, la passione politica e il rigore morale. Ha indicato in Gerratana non
uno studioso come altri, ma un uomo che la cui vicenda intellettuale è da porre
dentro una storia specifica e collettiva: quella della Resistenza e della
nascita del PCI. È proprio attraverso la storia di queste vittorie e tragedie
collettive che si è sviluppata la trama della vita personale e intellettuale di
Gerratana. Tortorella ha messo in luce la profonda inquietudine che s'aggirava
nell'animo di Gerratana, al di là dell'apparente serenità scientifica ed il suo
“rigorismo”. Se una distinzione per lui esisteva fra politica (come etica
pubblica) e morale (come etica privata), tuttavia il rapporto fra queste era
per lui molto stretto (non a caso si era espresso sempre in modo contrario
rispetto a guerre di aggressione presuntivamente “etiche” o a qualsiasi
violazione dei diritti umani per ragioni politiche). La concezione etica cui
Gerratana fa riferimento non è quella di Cartesio, tantomeno quella di Spinoza,
ma in diretta connessione con la sua passione politica, dove la politica era
intesa come un'impresa razionale. La passione politica, difatti, poteva avere
due diversi contenuti: volgersi a favore o contro le dittature, e Gerratana
scelse questa seconda strada. In questi anni è nato dunque un modo nuovo di
intendere la libertà come effettualità, anzitutto come libertà dai rapporti di
dominio sul piano materiale. L’intervento di Meta ha infine affrontato la
ridefinizione del concetto di persona nella riflessione di Gerratana. Nel corso
della relazione, Meta ha mostrato come Gerratana abbia risposto positivamente
all'interrogativo sull'esistenza o meno di una teoria della personalità nel
pensiero di Gramsci a partire dallo scritto Unità della persona e dissoluzione
del soggetto ("Critica Marxista", XXV, 1987, nn. 2-3, pp. 113).
Indagando gli scritti gramsciani alla luce dell'elaborazione marxiana delle
Tesi su Feuerbach e di Miseria della filosofia, Gerratana ricorda che Gramsci –
in Q 10 dal titolo emblematico «Che cosa è l’uomo?» – argomenta che l’uomo è
essenzialmente un processo, precisamente «il processo dei suoi atti» (Q 10, §
54, p. 1344). D'altra parte l’individuo entra in rapporti con gli altri uomini
«organicamente, cioè in quanto entra a far parte di organismi dai più semplici
ai più complessi». Così lo sviluppo e costituzione della "personalità"
di ciascuno è da intendersi come acquisizione di coscienza di tali rapporti e
insieme modificazione di sé in relazione al modificarsi di tali rapporti:
difatti «ognuno cambia se stesso, si modifica, nella misura in cui cambia e
modifica tutto il complesso di rapporti di cui è il centro di annodamento»
(Ibidem). Ed è proprio Gerratana, secondo Chiara Meta, uno dei
pensatori che più avrebbe colto questa natura dialogico-relazionale della
filosofia gramsciana, che intesse tutta la trama dei Quaderni. Sottolineiamo
infine un ultimo aspetto che ha qualificato questi due giorni di confronto
intellettuale: la ricchezza del dibattito. Il convegno ha messo in luce come
sia possibile recuperare una trasversalità reciproca nel modo di concepire il
rapporto fra relatori e pubblico, fra ricerca e scienza, fra passato e
presente. Quest'ultimo aspetto è stato la cifra indiscutibile del
convegno: non si è trattato di esposizioni accademiche di "memoria",
ma di un confronto vivo con l'eredità intellettuale di Gerratana, che ha
riportato all'ordine del giorno l'attualità della ricerca e della riflessione
sulla scienza storico-politica del passato al fine di comprendere la politica e
la cultura del nostro tempo, finanche alla luce d'uno sguardo internazionale.
Su molte questioni poste dai relatori il pubblico è difatti intervenuto: dal
rapporto fra Gerratana e Calvino (Lea Durante), Gerratana e Rousseau (Manuela
Ausilio), Gerratana e Colletti (Guido Liguori), al rapporto fra il pensiero di
Gramsci e Lukács (Renato Caputo), alla dialettica fra organicità e
frammentarietà nei Quaderni del carcere (Eleonora Forenza). Lea Durante ha
ricordato come la stretta amicizia fra Gerratana e Calvino risalisse ai primi
anni '50. Nonostante fossero intellettuali provenienti da una diversa impostazione
culturale, tuttavia avevano l'uno verso l'altro reciproco rispetto ed in comune
l'esperienza partigiana. Durante si è soffermata sul carteggio GerratanaCalvino
in merito al suicidio di Pavese, in cui Calvino rifiutava la lettura di questo
evento come d'un gesto irrazionale, ma riteneva andasse letto piuttosto
all'interno di una storia collettiva, emblematico di una "faglia" di
questa storia: la volontà di risolvere l'attività politica degli intellettuali
entro l'orizzonte collettivo, ciò che è impraticabile. La sottoscritta è
intervenuta cercando di porre in luce come la “fedeltà” di Gerratana a Rousseau
nel corso di mezzo secolo possa spiegarsi anche relativamente all'unitarietà
dell'opera rousseauiana, a un rapporto complementare fra i Discorsi e il
Contrat, da cui emerge un pensatore che per un verso è interno alla modernità
borghese, per l'altro ne comincia a cogliere, prima di altri, i rischi ed i
limiti. Renato Caputo si è dialettizzato con la relazione di Voza
confrontandosi sul merito della concezione lukácsiana del realismo e rilevando
da un lato che l'autore fa ancora parlare di sé e dunque è tutt'altro che un
"cane morto", dall'altro la necessità di riconsiderare la battaglia
di Gerratana per il recupero di De Sanctis non tanto in contrapposizione a
Hegel quanto in funzione dell'esigenza di liberarsi della lettura crociana
dell'autore. Guido Liguori è intervenuto sul rapporto fra Gerratana e Colletti,
affermando che fra i due intellettuali – sebbene legati dall’amicizia – non vi
era solo una distanza, ma una radicale contrapposizione teorica. Infine
Eleonora Forenza ha interloquito in particolare con la relazione di Buttigieg,
sottolineando il valore dell’edizione critica dei Quaderni di Gerratana nella
sua capacità di porre in luce il carattere frammentario della riflessione
gramsciana dei Quaderni, l’attualità dialogica di un processo conoscitivo
inteso come “ritmo” e “sviluppo”, la centralità della tensione nell’organicità
dell’opera carceraria e il valore del “frammento” come elemento del processo.
Ma uno dei contributi che più ha emozionato è stato quello di Mario Alighiero
Manacorda, intervenuto per ricordare che in quello "Zibaldone" che
pure sono i Quaderni vi è un'unità assoluta, che ritorna nelle pagine
pedagogiche, e ha riguardato l’indagine gramsciana sulla formazione dell’uomo
nuovo, fondata sul principio dell’unità di «braccia e cervello» (Q 4, 13, 12,
29, 22). Questa ricerca coinvolge la questione (che l'umanità si porta dietro
da millenni) di cosa sia la “natura umana”. Da sempre alla base vi è una sua
declinazione come duplice, cosicché quella duplicità dell'attività umana trova
spazio in una duplicità sociale (gli eroi da una parte come intellettuali, la
plebe dall'altro). Quell'unità fra i due elementi che si ricerca nella filosofia
antica viene rotta dal cristianesimo, che ha separato drasticamente anima e
corpo (così come nella struttura sociale ha diviso cleres e milites), e da
allora ci trasciniamo questa duplicità, che pure oggi biologia e fisica negano
esistere del tutto. Storia passata e futura: la lezione di Gerratana serve
ancora In questa due giorni di convegno si sono succeduti ricercatori, storici,
docenti di filosofia, intellettuali di orientamento politico affine ma niente
affatto identico, esponenti di rilievo dell'odierna intellettualità italiana
che sono (o sono stati) spesso insieme politici e uomini di cultura, che hanno
partecipato alla costruzione della storia democratica del nostro paese; e che
si sono interrogati sul contributo culturale di Gerratana come lezione viva,
esempio per la storia politico-culturale dell'Italia futura. Un evento da e per
Gerratana, dunque: antifascista, organizzatore di cultura, interprete di
politica e filosofia, pensatore infaticabile ed aperto, sebbene saldo quando
necessario nelle sue convinzioni, pronto alla lotta, all'ascolto come anche
alla rottura. Gli interventi dei relatori hanno riportato alla luce (alcuni
affettuosamente alla memoria) la riflessione di Gerratana come frutto della
contraddittorietà della modernità: di quella terra dissestata e martoriata che
è stata l'Italia negli anni della lotta partigiana, di quella storia che si è
radicata nella consapevolezza dell'inaggirabile dialettica fra libertà ed
eguaglianza sociale. Ecco: discutere e ricordare in questi giorni Valentino
Gerratana ha significato parlare insieme della nostra storia passata e delle
prospettive future per questo paese, che ha trovato in una figura come
Valentino un indimenticabile esempio di caratura morale, coerenza politica,
onestà e intellettuale, amore per la vita, per il progresso, per l'eguaglianza
sociale, per la dignità umana e per la libertà – e questa storia, in fondo, non
è di uno. Ma di tutti noi. Valentino Gerratana. Gerratana. Keywords. Rousseu,
Grice on social justice, Gramsci, Labriola, Grice’s ontological Marxism, eresia
di rousseau, labriola a fronte del socialismo, il metodo di gramsci – gappismo
– G. A. P. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gerratana” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Geymonat – il temperamento romano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino).
Filosofo. Grice: “I like Geymonat – he calls himself a neo-rationalist, like
Canova – whereas I go for the real thing! Plato!” – Grice: “Geymonat has
explored the origin of infinity in the triangle of Tartaglia.” – Grice:
“Geymonat has explored what he calls ‘the images of man’ – Grice: “Geymonat has
a curious essay on darkness (‘tenebre’) – and a longer essay on ‘reason.’ –
Grice: “Like me, Geymonat has explored the philosophy of probability – from
Latin ‘probare’ – and he was an anti-fascista1” –Figlio di Giovanni Battista,
un geometra liberale di origini valdesi, e da Teresa Scarfiotti. Frequenta la
scuola privata del Divin Cuore e poi l'Istituto Sociale, un liceo classico
torinese gestito dai gesuiti, dal quale fu espulso l'ultimo anno di corso a
causa di un tema su Giovanna d'Arco non in linea con l'ortodossia e così
conseguì la maturità nel Liceo classico Cavour. Si laurea a Torino con “Il
problema della conoscenza nel positivism” sotto Pastore e sotto Fubini lcon “Sul
teorema di Picard per le funzioni trascendenti intere”. La sua scelta di unire,
nella sua ricerca, filosofia e logica, tenute separate in Italia dall'imperante
cultura idealistica del tempo, quella gentiliana che, con la sua riforma della
scuola, privilegia la cultura umanistica, e quella crociana, con la sua
concezione svalutativa della scienza, creatrice, ad avviso del filosofo
abruzzese, di un “pseudo-concetto”, mostra l'apertura europea delle prospettive
di ricerca intravista allora da Geymonat e la sua estraneità al provincialismo
culturale italiano. Un rifiuto che egli estese anche alla politica del regime
allora dominante. Assistente di Analisi algebrica nell'Torino ma avversario del
fascismo, rifiutò l'iscrizione al partito fascistacio è di prendere la
cosiddetta tessera del pane vedendosi così preclusa la possibilità di una carrier
statale. Si avvicinò altresì a Martinetti, non tanto per comunanza di
prospettive filosofiche quanto per averlo riconosciuto un esempio di impegno
civile e morale, essendo stato tra i pochissimi filosofi a rifiutare il
giuramento di fedeltà al Fascismo. Come Ayer. Anda in Vienna per approfondire
la dottrina del Circolo di Schlick, e
pubblica “La filosofia della natura”
e “Nuovi indirizzi della filosofia.” e iscritto clandestinamente
al Partito comunista, si guadagna da vivere insegnando matematica nella scuola
privata «Giacomo Leopardi» di Torino, dove Pavese insegna italiano. Con il nome
di battaglia Luca fu partigiano in Piemonte nella 105ª Brigata Carlo Pisacane
e, dopo la Liberazione, assessore comunista al Comune di Torino, quando, vinto
il concorso a cattedra, e nominato professore a Cagliari. Insegna a Pavia e
Milano. Fonda il Centro di studi metodologici a Torino. Ebbe uno stile di
pensiero razionalista ateo. La sua filosofia può essere inquadrata nel filone
del neopositivismo (ebbe diversi contatti con il Circolo di Vienna), da lui ri-elaborato
nell'ottica del marxismo! Nell'evoluzione della sua filosofia, si possono
tracciare due fasi. Nella prima fase, approfondisce temi tipici del
positivismo. Nella seconda fase, si sforza di analizzare la realtà oggettiva ed
a questo scopo utilizza concetti caratteristici del materialismo
dialettico. Interpreta la concezione della matematica di Galilei come un strumento
d'interpretazione della realtà. Approfondisce alcuni temi teorici come quello
della causalità, il fondamento della probabilità, il continuo, l’intuizione,
centrali nell'epistemologia. Politicamente fu vicino inizialmente al Partito
Comunista Italiano, da cui si allontanò poi per aderire a Democrazia Proletaria
e successivamente ai movimenti che diedero vita al Partito della Rifondazione
Comunista. Nel corso di questo viaggio politico ha partecipato alla Fondazione,
a Roma, dell'Associazione Culturale Marxista e collabora nella rivista Marxismo
Oggi (editore Teti). Ha compiuto alcune ricerche sul teorema di Picard e
sul teorema di Carathéodory per le funzioni armoniche. In “Neo-razionalismo”,
spiega che un'indagine efficace della realtà, e svolta solamente tramite lo
strumento della ragione. Per fare
questo, propose di scarnificare la razionalità di ogni verità e da ogni sistema
di riferimento assoluti. Il neoilluminismo, capeggiato da Abbagnano e coinvolgente
numerosi altri filosofi italiani, rappresentò per Geymonat il suo corso del neo-razionalismo,
che avrebbe dovuto accogliere i metodi e i risultati della scienza, perseguendo
un duplice obiettivo: ummanizare la scienza e concretizzare la filosofia – e
l'utilizare un'impostazione storicistica al posto di quella metafisica. Per
storicismo, intese l'analisi storica della struttura di un modello scientifico. Pur
condividendo inizialmente l'anti-idealismo di Popper, sostenne che vi era la più
manifesta e totale incompatibilità tra il marxismo e l'epistemologia
popperiana. Alle sue accuse di essere il filosofo ufficiale
dell'anti-comunismo, reo di difendere i regimi liberali, Popper gli rispose: “I
nostri intellettuali dicono che vivono in un inferno, mentre di fatto questo
mondo non è stato, fin da Babilonia, mai così vicino al paradiso come lo è ora
il mondo occidentale. Per contrasto, in Unione Sovietica, si dice alla gente
che vivono in paradiso, e tanti lo credono e sono moderatamente contenti; è
questo, credo, l'unico aspetto per il quale la società sovietica è migliore
della non-sovietica. Si deve a Geymonat l'introduzione in Italia di Kuhn.
Altre opera: “Il problema della conoscenza nel positivismo” (Torino, Bocca); La
nuova filosofia della natura in Germania, Torino, Bocca, “Per un nuovo
razionalismo, Torino, Chiantore, Neo-razionalismo. Torino, Einaudi, Galileo
Galilei, Collana Piccola Biblioteca Scientifica, Torino, Einaudi, La filosofia
della scienza, Feltrinelli, Milano); Filosofia nella storia della civiltà, con
Renato Tisato, Garzanti, Milano, Storia della filosofia, Garzanti, Milano, Il materialismo
dialettico, Editori Riuniti, Roma, Scienza e realismo, Feltrinelli, Milano); “Paradossi
e rivoluzioni. scienza e politica, Giulio Giorello e Marco Mondadori, Il
Saggiatore, Milano, La probabilita, con Feltrinelli, Milano, Kuhn e Popper,
Dedalo, Bari. Lineamenti di filosofia della scienza, Mondadori, Milan); “Le
ragioni della scienza” (Laterza, Roma-Bari, La libertà, Rusconi, Milano, La
società come milizia, Minazzi, I sentimenti, Rusconi, Milano, Filosofia,
scienza e verità, Rusconi, Milano, La Vienna dei paradossi. Controversie
filosofiche e scientifiche nel Wiener Kreis, Mario Quaranta, Il poligrafo,
Padova, Dialoghi sulla pace e la libertà, cCuen, Napoli, La ragione, con
Minazzi e Sini, Piemme, Casale Monferrato, Attualità del Marxismo. Quaderni di
Città Futura, Ancona); “Storia e filosofia dell'analisi infinitesimale, Bollati
Boringhieri, Torino. Emanuele Vinassa de Regny, «Corrado Mangione: breve storia
di una lunga amicizia», «AppendiceL'Associazone Culturale Marxista», in
Attualità del Marxismo. Filosofia e dintorni, Intellettuali non fate ideologia.
L'Occidente non è quest'inferno, Dario Antiseri, articolo su «Il Mattino di
Padova», lincei. Geymonat Mario Quaranta, Geymonat filosofo della contraddizione,
Sapere, Padova, Mangione, Scienza e filosofia. Saggi in onore di Geymonat,
Garzanti, Milano, Pasini, Rolando, Il neo-illuminismo italiano. Cronache di
filosofia, Il Saggiatore, Milano, Minazzi, Scienza e filosofia in Italia negli
anni Trenta: il contributo di Persico, Abbagnano e Geymonat. Norberto Bobbio,
Ricordo, "Rivista di Filosofia" Silvio Paolini Merlo, Consuntivo
storico e filosofico sul "Centro di Studi Metodologici" di Torino, Pantograf
(Cnr), Genova, Minazzi, “La passione
della ragione” Thélema Edizioni Milano-Mendrisio, Mario Quaranta, Una ragione
inquieta, Seam, Formello, Minazzi, Filosofia, scienza e vita civile inGeymonat,
La Città del Sole, Napoli, Fabio Minazzi, Contestare e creare. La lezione
epistemologico-civile di Geymonat, La Città del Sole, Napoli, Silvio Paolini
Merlo, Nuove prospettive sul "Centro di Studi Metodologici" di
Torino, in «Bollettino della Società Filosofica Italiana», Bruno Maiorca,Scritti
sardi. Saggi, Cagliari, Minazzi, Ludovico Geymonat, un Maestro del Novecento.
Il filosofo, Edizioni Unicopli, Milano, Pietro Rossi, Avventure e disavventure
della filosofia. Saggi sul pensiero italiano del Novecento, il Mulino, Bologna,
Minazzi, Geymonat epistemologo, Mimesis Edizioni, Milano Positivismo logico Circolo di Vienna Scuola
di Milano. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Geymonat,
in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Massimo Mugnai, Scienza e filosofia:
Geymonat e Preti, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero:
Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Articoli della stampa italiana
su L. Geymonat, dal Sito Web Italiano per la Filosofia L'eredità intellettuale
di Ludovico Geymonat (C.Preve). La scuola pitagorica
rappresenta un movimento di pensiero di
livello scien- tifico molto superiore a
quello della scuola ionica. Per la
verità non tutti gli studiosi sono
d'accordo su ciò. Taluni sostengono infatti
che Pitagora (il quale non lasciò
nulla di scritto) sia stato il
fondatore più di una setta religiosa
analoga all'orfismo, che non di un
vero e proprio movi- mento di pensiero
scientifico-filosofico. Essi affermano che
soltanto mezzo se- colo dopo la morte
del fondatore la setta pitagorica cominciò
ad interessarsi di scienza e di
filosofia. Oggi però si ritiene dai
più che l'interpretazione ora ac- cennata
sia eccessivamente critica, e si preferisce
ritornare all'interpretazione tradizionale, che
attribuiva proprio a Pitagora la maggior
parte delle concezioni note sotto il
nome di « pitagoriche ». La ricchezza
del sapere di Pitagora ci è del
resto attestata da Eraclito, che
polemicamente lo definiva po!Jmathés, « eru- dito.”
Anche noi dunque ci atterremo alla
tradizione, pur riservandoci di trat- tare
nuovamente nel capitolo v la reazione
pitagorica all'eleatismo, rappresen- tata nel v
secolo da Filolao. Nato a Samo verso
il 575, Pitagora abbandonò circa a
quarant'anni la pro- pria patria per
trasferirsi nella Magna Grecia, e
precisamente a Crotone in Calabria
(dove era fiorita un 'importante scuola
di medicina, per la quale rinviamo al
capitolo vn). Qui fondò una scuola
che ebbe un notevole peso nella vita
poli- tica della città, essendo legata al
partito aristocratico. Era organizzata sulla
base di regolamenti molto rigorosi, che,
tra l'altro, esigevano dagli scolari un
lungo periodo di tirocinio prima di
essere ammessi ai segreti più profondi
della setta. Su questa base si creò
assai presto la divisione fra «
acusmatici », ascoltatori, e «matematici»,
partecipi degli insegnamenti più profondi,
che in seguito si accu- sarono a
vicenda di non essere i veri
depositari delle dottrine del maestro. L'in-
segnamento di Pitagora era circondato da
grande rispetto, e si riponeva in lui
una fiducia illimitata, tanto che a
Pitagora per la prima volta si riferì
il celebre autòs efa (ipse dixit).
Fatto notevole è infine che nella
scuola pitagorica fossero ammesse anche le
donne. Verso la fine del VI secolo,
una sommossa provocata dal partito
democratico cacciò i pitagorici da Crotone.
Pare che Pitagora sia riuscito a
fuggire a Metaponto, ove poco dopo
morì. Sul grande pensatore sorsero presto
numerose leggende, alcune delle quali erano
già note ad Aristotele. Queste accentuarono
il carattere religioso della sua figura,
facendone poco meno che un semidio, e
furono particolarmente care a quel
movimento neopitagorico misticheggiante che fiorì
nel tardo periodo alessandrino e che,
attraverso le opere di Numenio e di
Giamblico, confluì nel neoplatonismo. La
realtà accertata dagli storici è che,
dopo l'espulsione da Crotone, si
organizzarono varie comunità pitagoriche nel
mondo ellenico e soprattutto nella Magna
Grecia. Esse ebbero lunga vita e
diedero notevoli sviluppi all'opera del
maestro. Le due più celebri furono:
la scuola di Filolao (vissuto nella
seconda metà del v secolo) che dalla
Magna Grecia si trasferì a Tebe, e
quella di Archita (inizio del IV
secolo) che fiorì a Taranto, dominando
anche politicamente la città. Di Filolao
ci sono pervenuti vari frammenti, che
dopo lunghe discussioni vengono oggi ritenuti
generalmente autentici, e che costituiscono
la base prin- cipale per ricostruire la
dottrina di Pitagora; su di lui, come
già abbiamo accen- nato, si tornerà con
più ampiezza nel capitolo v. Archita,
uomo di straordinaria va- stità e modernità
di interessi, fu legato da amicizia
personale con Platone, che lo ricorda
affettuosamente nella VII Epistola, ed
esercitò per suo tramite una grande
influenza sull'Accademia. Di Archita parleremo
più diffusamente nel capitolo xn. Né
l'influsso del pitagorismo si limitò alla
filosofia ed alla scienza, ma si
risentì fortemente in tutte le
manifestazioni dello spirito greco. All'acustica
pi- tagorica si possono far risalire molte
delle teorie musicali greche tramandateci
dagli Elementi armonici del peripatetico
Aristosseno (m secolo a.C.), ed al pitago-
rismo esplicitamente si richiamò lo
scultore Policleto, contemporaneo ed amico
di Fidia, che nel Canom sviluppò una
teoria artistica basata sulla concezione
della bellezza del corpo come giusta
proporzione delle parti. Legato al
pitagorismo fu pure Ione di Chio,
poeta tragico e filosofo del v
secolo. I NUMERI PRINCIPIO DELLA REALTÀ
Questa dottrina si imperniava su di
un pensiero fondamentale: i numeri sono
il principio di tutte le cose. «
Tutte le cose che si conoscono hanno
numero; senza questo nulla sarebbe
possibile pensare, né conoscere. » Dovremo
ora cercare, innanzi tutto, di comprendere
il significato filosofico di questo pensiero;
poi di svilupparne le conseguenze
matematiche e fisiche. Alla fine del
capitolo accenneremo al valore intrinseco
della teoria, e al significa- to della
crisi scientifica formatasi nella scuola
prima ancora della cacciata di Pita- gora
da Crotone. Pitagora prese forse le
mosse dalle ricerche ioniche sul principio
e in parti- colare dalla teoria
dell'àpeiron di Anassimandro. Una più acuta
sensibilità ai pro- blemi etico-religiosi (quali
l'opposizione del bene e del male nel
mondo, la vicenda della colpa e del
riscatto), stimolata probabilmente dall'incontro nella
Magna Grecia con i culti misterici, e
d'altro canto una maggiore attenzione per
le leggi formali e modali della
realtà, cui diedero impulso le sue
prime ri- cerche acustiche, dovettero però
fargli apparire inadeguato il principio
unico dei naturalisti ionici. Per rendere
conto di questi più complessi problerill,
Pitagora sdoppiò il principio in due
opposti: da una parte il principio
del limitato, del finito, dell'uni- tario,
che rappresentava l'ordine, il cosmo, il
bene; dall'altra il principio dell'il- limitato,
dell'infinito, che raffigurava il disordine,
il caos, il male. La grande in-
tuizione di Pitagora consistette nel vedere
nei numeri e nei loro rapporti la
chiave e la struttura ultima di questo
assetto dualistico della realtà. Col
termine « numeri » i pitagorici
intendevano soltanto i numeri interi,
concepiti come le collezioni di più
unità. Non fecero particolari indagini
sulla natura di queste unità, limitandosi
a rappresentarle con punti, circondati cia-
scuno da uno spazio vuoto. Proprio
questa rappresentazione spaziale facilitò il
passaggio, caratteristicamente arcaico, dalla concezione
del numero come « chiave » e
rapporto alla sua concezione come
costituente fisico elementare delle cose.
Il problema essenziale diventava allora,
per i pitagorici, quello di cogliere
il modo con cui dalla collezione di
più unità si generano tutti gli
esseri. Le leggi della formazione dei
numeri venivano considerate come leggi
della formazione delle cose, e. si
riteneva di poter trovare in esse la
vera ragione esplicativa del mondo fisico
e morale. La più importante di tali
leggi era costituita - secondo i pitagorici
- dal- l'opposta struttura dei numeri dispari
e di quelli pari. L'antitesi dispari-pari
ve- niva cosi assunta a principio di
una serie di altre nove opposizioni,
che spezzano il mondo in due:
limitato-illimitato (opposizione che era stata,
come s'è visto, il problema iniziale
del pitagorismo, ma poteva ora venir
spiegata sulla base del- l 'antitesi precedente);
uno-molti; destra-sinistra; maschio-femmina;
luce-tenebre; buono-cattivo; immobile-mobile;
retto-curvo; quadrato-rettangolo. Alcune di
queste nove opposizioni avevano palesemente
un carattere fisico (quella per esempio
di luce e tenebre; da essa scaturiva
la raffigurazione del cosmo come costituito
da un fuoco centrale, immerso in
un'estensione illimitata di nebbia); altre
invece un preciso carattere morale. Questa
presenza di significati multipli finiva con
l'infondere ai numeri in generale, e
a certuni di essi in parti- colare,
un vero e proprio valore magico-simbolico.
Così il numero 5 veniva assunto a
rappresentare il matrimonio, essendo la somma del
primo numero dispa-ri, il 3, con il
primo numero pari, il 2 (l'I veniva
considerato come « parìmpari »servendo a
generare sia i numeri pari che i
dispari); il 4 e il 9 venivano
presi come simboli della giustizia; il
7 dell'opportunità; e così via. Di
derivazione pitagorica è un trattato di
medicina intitolato Sul numero sette (Peri
hebdomadon), che cerca appunto nei rapporti
settenari la spiegazione della struttura
dell'orga- nismo e delle sue affezioni. Qualcuna
di queste concezioni è pervenuta fino
a noi, onde si attribuisce per
esempio al 7 un significato speciale
etico e fisico (nella tradizione cristiana
sette sono i ·vizi capitali, sette le
opere di misericordia, in varie malattie
si ha la «settima», ecc.). La
purificazione religiosa, che formava - almeno
in un primo tempo il fine principale
dell'insegnamento pitagorico, era cercata essa
pure attraverso la contemplazione dei
numeri. Questa veniva pertanto a possedere
un doppio aspetto: scientifico e mistico.
La peculiare nobiltà dell'ascesi pitagorica
consisteva appunto nel fatto che a
ogni sua tappa doveva corrispondere la
conquista di un più alto gradino del
sapere. Il carattere mistico delle ricerche
matematiche co- stituì per molto tempo un
notevole impulso al loro sviluppo, e insieme
un im- pedimento al loro caratterizzarsi
come ricerche puramente scientifiche. III ·
L' ARITMO-GEOMETRIA In particolare, la
concezione ora spiegata spinse i pitagorici
a studiare la geometria per via
aritmetica. Ne sorse una disciplina che,
per il suo doppio ca- rattere, fu
chiamata « aritmo-geometria ». Essa era
fondata sulla convinzione che da un
lato. fosse possibile ricavare le
principali caratteristiche delle figure a
partire dal numero dei punti (supposto,
in ogni caso, finito) che le
compongono, e dall'altro fosse possibile- viceversa-
ricorrere alla forma delle figure per
illustrare le più recondite proprietà dei
nu- meri. Di qui la distinzione dei
numeri in vari tipi; per esempio: •
• • • • • • • • • •
• • • • • • • • triangolari
polig6nali quadrati c~ bici Al numero
triangolare 10 veniva attribuita un'importanza
speciale, come somma dei primi quattro
numeri naturali. I dispari venivano chiamati
« gnomoni», per la possibilità di
rappresentarli informa di gnomone (cioè
squadra). Questa rappresentazione permise di
scoprire che ogni numero dispari è la
differenza di due quadrati; per esempio:
• • • • • • • • • •
• • • • • • 7 = 4 2 - 3 2
Varie testimonianze ·- tra cui quella di
Proclo ·- ci dicono che Pitagora fu
il primo a comprendere la validità
generale del teorema che ancor oggi
porta il suo nome, e che, per
taluni casi particolari (per esempio quando
i cateti val- gono 3 e 4, e l'ipotenusa
5), era noto già prima di lui.
Non sappiamo però quale ragionamento
servisse a Pitagora per provare l'importante
teorema. Certamente la dimostrazione riferita
negli Elementi di Euclide non fu
ideata dal filosofo di Crotone. IV ·
L'ACUSTICA E L'ASTRONOMIA PITAGORICHE La
dottrina che « i numeri sono il
principio di tutte le cose » trovò
pure conferma negli studi di acustica.
Stando alla più antica tradizione dobbiamo
infatti ammettere che Pitagora riuscì a
scoprire i principali intervalli musicali.
Sarebbe giunto a questa notevolissima
scoperta dallo studio sperimentale delle
corde sonore, e dalla constatazione che
nei principali accordi il rapporto fra
le loro lunghezze è espresso da
numeri interi molto semplici. L'acustica
venne in tal modo a costituire una
specie di« aritmetica applicata», come
l'astronomia costituiva una «geometria
applicata». Il quadro delle ricerche
scientifiche risultò pertanto suddiviso in
quattro rami fondamentali: aritmetica, musica,
geometria, astronomia. 1 L'astronomia pitagorica - come
abbiamo accennato nel paragrafo n -
partiva dall'ammissione di un fuoco
centrale immerso in una sconfinata nebbia
di tenebre. Intorno a tale fuoco si
pensava ruotassero dieci corpi (notiamo
l'intervento del numero 10): la Terra,
l'Antiterra (invisibile), la Luna, il Sole,
i cinque pianeti allora conosciuti, e
il cielo delle stelle fisse. I
movimenti ciclici di questi corpi
produrrebbero - secondo Pitagora - una
meravigliosa armonia, che noi però non
riusciamo a percepire a causa della
sua continuità. La loro ciclicità sarebbe
la causa del ritorno periodico di
tutte le cose. Nei secoli I Questa
ripartizione costituisce il lontano antecedente
del celebre« quadrivio »,che starà alla
base dell'istruzione nelle scuole del
medioevo.successivi l'astronomia pitagorica portò
a concezioni di grande interesse scien-
tifico; degna di particolare menzione l
'ipotesi eliocentrica, ideata per la prima
volta da Aristarco di Samo nel III
secolo a.C. Ricordiamo infine la teoria
secondo cui tutto il cosmo sarebbe
sorto dal fuoco centrale e ritornato
in esso per poi nascere un'altra
volta. Con riferimento ad essa, i pitagorici
chiamavano «anno cosmico» l'intervallo di
tempo impiegato dal cosmo per nascere
e ritornare nel fuoco. LA CONCEZIONE
DELL'ANIMA La teoria pitagorica dell'anima,
malgrado la sua ambiguità, ebbe notevoli
riflessi sui filosofi posteriori. Da un
lato alcune testimonianze ci dicono che
l'anima veniva concepita dai pitagorici
come «armonia» del corpo, nel preciso
senso in cui si parla di ar- monia
dei suoni emessi da uno strumento
musicale. Secondo questa interpreta- zione,
l'anima doveva venire necessariamente pensata
come mortale, poiché - spezzato lo
strumento - anche l'armonia viene a
cessare. D'altro lato sappiamo però che
uno dei cardini della filosofia pitagorica
era costituito dalla trasmigrazione delle
anime (metempsicosi), e questa suppone
ovviamente che l'anima non muoia con
il corpo che la ospita. Un frammento
del medico Alcmeone (che visse a
Crotone alla fine del VI secolo, e
fu legato ai circoli pitagorici) afferma
che l'« anima è immortale per la
sua somiglianza con le cose immortali
... la luna, il sole, gli astri ».
1 Come risolvere l'apparente contraddizione?
Probabilmente bisogna ritenere che i
pitagorici ammettessero due specie di
anime: una costituita dal tempera- mento
psichi co, legato indissolubilmente al
corpo e destinato a morire con esso;
l'altra da un principio immortale o «
anima-dèmone ». In ogni vita si
avrebbe una stretta rispondenza tra le
due anime; questa rispondenza verrebbe però
a cessare coll'uscita dell'anima-dèmone dal
corpo. Tale uscita sarebbe da lei de-
siderata per raggiungere la purezza di
una vita interamente spirituale. A tali
dottrine si ispirava il « modo di
vita pitagorico », altamente lodato da
Platone per la sua unione di teoresi
e di ascesi; la metempsicosi in particolare
determi- nava il più famoso dei divieti
rituali pitagorici, quello di mangiare la
carne di certi animali, nei quali
potrebbe essersi incarnata un'anima. Anche
dio veniva concepito dai pitagorici come
anima; e precisamente come « anima
del mondo » che circola continuamente
in esso e perciò è presente in
ogni luogo. Il rapporto dio-mondo restò
tuttavia molto incerto nella filosofia
pitagorica, sicché non possiamo cercare in
essa un vero e proprio sistema teolo-
gico. I Ad Alcmeone si deve la
notevolissima sco- perta che il centro della
vita organica e mentale va localizzato
nel cervello. Del pensiero scientifico 45
di Alcmeone, che costituì l'aspetto più
significa- tivo della sua personalità, sarà
detto più ampia- mente nel capitolo
vuQuanto abbiamo finora riferito basta per
farci comprendere la complessità
dell'insegnamento pitagorico. Se in taluni
punti esso può apparirci ingenuo, in altri
casi contraddittorio, ciò non deve farci
sottovalutare l'importanza dei temi ivi abbozzati,
che ricompariranno ampliati e sviluppati
nei più diversi indirizzi filosofici e
scientifici. Notiamo, per esempio, che l'idea
di cercare nei numeri, cioè nella
matematica, la spiegazione di tutti i
fenomeni, ricomparirà potenziata nell'epoca
moderna e formerà per molto tempo la
« spina dorsale » di tutta la
ricerca scientifica. Vi è chi sostiene,
esagerando forse le cose, che le più
celebri teorie della fisica-ma- tematica moderna
(per esempio la teoria della relatività
generale di Einstein) non costituirebbero
altro che il proseguimento del programma
pitagorico. Ma, a parte ciò, noi
troviamo nella matematica di Pitagora un
carattere speciale che la differenzia
notevolmente da molte altre concezioni
posteriori, pur esse accentratesi sulla
ricerca matematica. Il carattere cui voglio
riferirmi, suol venire indicato col termine
«discontinuità». Si dice che la scienza
di Pi- tagora è una matematica del
discontinuo, perché essa si fonda
esclusivamente sui numeri interi e su
ciò che può venire espresso con i
numeri interi (per esem- pio sulle frazioni
ordinarie, e non, invece, sui numeri
irrazionali). Secondo essa, l'accrescimento di
una grandezza procede per «salti
discontinui», essendo im- possibile aggiungere
qualcosa che sia minore dell'unità. Taluno
giunge a riconoscere nelle teorie
quantistiche moderne una soprav- vivenza
dell'antica eredità pitagorica sotto forma
dì concezione discontinua dell'energia. LA
SCOPERTA DELLE GRANDEZZE INCOMMENSURABILI: CRISI
DEL PITAGORISMO Lasciando da parte le
reminiscenze pitagoriche presenti nella fisica moderna,
va detto però ben chiaramente che
l'aritmo-geometria di Pitagora non ebbe
vita lunga nella scienza greca. La
sua fine fu provocata, per l'appunto,
dalla crisi di quell'idea di discontinuità
che costituiva - come s'è detto - uno
dei suoi cardini fondamentali. La grande
crisi fu causata dalla scoperta che
le figure geometriche sono co- stituite non
da un numero finito, ma da una
infinità di punti. (Le teorie moderne,
che tornano ad un'idea rinnovata di
discontinuità, sosterranno implicitamente che la
geometria classica - proprio perché parla
di una infinità di punti - non trova
esatta applicazione nella realtà.) Il primo
« fatto geometrico » che costrinse i
pitagorici a riconoscere che le figure
sono costituite da infiniti punti, è
proprio connesso a quel medesimoteorema che
porta il nome di Pitagora. Ed
infatti, applicando detto teorema ad uno
dei due triangoli isosceli in cui è
diviso un quadrato, si dimostra facil-
mente che il lato e la diagonale
di tale quadrato non possono avere alcun
sot- tomultiplo comune, cioè sono
incommensurabili. Orbene proviamo a supporre
che un segmento sia generato
dall'accostamento di una serie finita di
punti (pic- coli ma non nulli, e
tutti eguali fra loro, come allora si
immaginava): ne se- guirebbe che uno
qualunque di questi punti risulterebbe
contenuto un numero intero, e finito,
di volte (per esempio m volte) nel
lato e un altro numero in- tero, e
finito, di volte (per esempio n volte)
nella diagonale. Lato e diagonale avreb-
bero dunque un sottomultiplo comune, e
non sarebbero - come si era dimo- strato -
incommensurabili. La loro incommensurabilità
esige pertanto che es- si siano costituiti
da una infinità di punti. La leggenda
racconta che il fatto scandaloso, ora
riferito, fu gelosamente custodito per vari
anni tra i segreti più pericolosi
della setta. Esso fu rivelato fuori
della scuola pitagorica da Ippaso di
Metaponto, una delle figure più notevoli
dell'antico pitagorismo. Pastosi a capo
degli acusmatici per la moderna irre-
quietezza del suo ingegno che mal
tollerava il dogmatismo della setta, egli
sarebbe stato vicino ad Eraclito per
l'idea che il fuoco è il principio
di tutte le cose, e si sarebbe
schierato dalla parte dei democratici nei
moti che condussero alla cacciata dei
pitagorici da Crotone. Per avere rivelato
la natura delle grandezze incommen- surabili,
Ippaso sarebbe stato cacciato ignominiosamente
dalla scuola, ed a lui anzi i pitagorici
avrebbero eretto una tomba come ad un
morto. Secondo la tra- dizione su di
lui sarebbe caduta anche l'ira di
Giove, il quale lo fece perire in
un naufragio; la sua triste morte non
impedì tuttavia che lo scandalo si
diffondesse rapidamente tra i cultori di
matematica e finisse per scuotere dalle
fondamenta l'intera concezione pitagorica. Questa
crisi verrà resa ancor più acuta -
come vedremo - dalla scoperta delle
antinomie di Zenone sul movimento e
sulla divisibilità. Per uscire da essa,
i maggiori scienziati greci non troveranno
altra via se non quella di scindere
completamente la geometria dall'aritmetica,
interpretando la prima come studio del continuo
e la seconda come studio del
discontinuo. Il rapporto tra continuo e
discontinuo resterà, per tutta la storia
del pensiero umano, un problema molto
difficile e molto dibattuto; verrà, anzi,
considerato come uno dei più astrusi
«labirinti» della ragione. L'averne intuito
l'esistenza e la difficoltà va dunque
considerato come un merito, e molto
notevole, dello spirito greco. Il primo
passo della ragione umana si compie,
in ogni ricerca, col porre a nudo
le difficoltà ivi esistenti, per gravi
che esse siano, non col nasconderle.
Solo chi le conosce, non chi le
ignora, può sentirsi spinto a cercare
i mezzi indispensabili per risolverle o,
comunque, dominarle; e questa ricerca è
la molla più decisiva del progresso
scientifico. Oggi si riconosce quale
autentico fondatore della scuola eleatica
il grande Parmenide, nato ad Elea
verso il 51 5 e fiorito nella
prima metà del v secolo. Egli scrisse
un poema allegorico Sulla natura (Perì
fjseos), di cui ci sono
pervenuti alcuni interessantissimi frammenti che, integrati
da varie testimonianze, ci per- mettono di
ricostruire con sufficiente sicurezza il
suo pensiero. Data la vicinanza di
Elea ai maggiori centri del pitagorismo, è
indubitato che Parmenide subì, in forma
più o meno diretta, l'influenza di
questo indirizzo di pensiero. Taluni
storici, accentuando questo legame, giunsero
a presentarcelo come un pitagorico,
distaccatosi dalla scuola di provenienza
per divergenze di ordine filosofico. Tale
interpretazione ci costringerebbe a vedere in
gran parte degli argomenti eleatici, come
ad esempio nelle aporie di Zenone, un
intento polemico soprattutto antipitagorico. La
gravità di questa conseguenza lascia
tuttavia perplessi molti autorevoli critici.
Si ritiene oggi piuttosto che la
critica di Parmenide fosse rivolta in
generale contro tutte le filosofie ioniche
ed italiche del molteplice e del divenire,
di cui egli rilevava acutamente la contraddittorietà:
nel tentativo di spiegare razionalmente la
realtà, e di modellare la ragione sui
dati dell'esperienza, tali filosofie dovevano
ammettere una serie di opposizioni e
di alterità di cui però si assumeva
la coesi- stenza. Ora - osservava Parmenide -
se di una qualsiasi cosa si dice o
si pensa che « è », di ciò
che è diverso od opposto ad essa
si dovrà dire o pensare che «non
è»: e com'è possibile riconoscere realtà
alcuna a ciò che non è, se non
si vogliono violare le leggi immutabili
del discorso e del pensiero? La
grandezza della filosofia di Parmenide,
quella grandezza che costituì un fecondo
punto di partenza per il pensiero
successivo e anche un difficile problema
la cui soluzione era tuttavia
indispensabile per poter progredire, sta
proprio qui: nell'aver cioè individuato
nella sua radice filosofica l'ambiguità
della speculazione ionica edita- lica, e
nell'aver posto in primo piano il problema
della verità del linguaggio e del
pensiero, il problema della « via »,
cioè del metodo, che linguaggio e
pensiero dovevano percorrere per giungere
alla realtà. Il metodo vero costruisce
cono- scitivamente la realtà, l'essere, perché
elimina gradualmente dal pensiero tutti i
contrassegni di irrealtà, di non-essere,
che vi si erano infiltrati: la
molteplicità nello spazio, intesa _come
differenziazione di parti, la molteplicità
nel tempo, intesa come differenziazione di
momenti, il vuoto inteso come assenza
di realtà, la generazione e la
distruzione intese come limiti dell'essere.
Partito dal riconosci- mento logico e
metodologico delle esigenze del pensiero e
del discorso, Parme- nide giunge al culmine
della «via» a dichiarare l'impensabilità,
l'inesprimibilità e l'inesistenza del non-essere,
e la parimenti assoluta esistenza
dell'essere, che condiziona la possibilità
di pensare e di dire il vero.
All'essere non potrà venir riferito - sempre
per l'opposizione or ora ac- cennata -
alcun attributo, che possa in qualche
modo diminuirne la positività, assimilandolo
al non-essere. Ci si dovrà limitare a
dire che esso è uno, invaria- bile,
immobile, eterno. Qualche critico moderno
però (come l'Untersteiner) ha ritenuto che
Parmenide avesse concepito l'essere come
«totalità>> e non come «unità».
L'erronea interpretazione del suo pensiero
sarebbe dovuta alla falsa testimonianza di
Teofrasto che attribuisce a Parmenide il
sillogismo: « Quello che è oltre
l'essere non esiste; quello che non
esiste è nulla; dunque l'essere è
uno.» L'attributo dell'unità, con cui
polemizzò Aristotele, risalirebbe solo a Melissa.
Come possiamo conciliare la concezione
parmenidea dell'essere col fatto
incontrovertibile che l'esperienza ci presenta
ad ogni piè sospinto degli esseri
molteplici, variabili, temporanei? Di fronte
a questo stato di cose - risponde
Parmenide - non vi è altro da fare
che respingere la nostra spontanea fiducia
nell'esperienza, riconoscendo che essa
costituisce per l'uomo una via di cono-
scenza fallace e illusoria. Al mondo
dell'esperienza è appunto dedicata la
seconda parte del poema di Parmenide.
Confutate « le opinioni dei mortali
», quali si erano espresse nelle precedenti
cosmologie naturalistiche basate sul divenire,
Parmenide non rinuncia tuttavia a costruire
una propria spiegazione di questo mondo,
di cui aveva di- chiarato la radicale
inconsistenza di fronte all'assoluto essere.
Molto si è discusso fra gli studiosi
sul significato da attribuire a questo
sconcertante aspetto del pen- siero parmenideo:
fra le più recenti, le due posizioni
estreme sono quella del Raven, secondo
cui l'eleata, impegnato nella polemica
contro l'indebita confu- sione di razionale e
di empirico tipica dei suoi predecessori,
avrebbe voluto costrui- re una cosmologia a
base puramente empirica, da affiancare alla
dottrina logico- razionale dell'essere in modo da
isolare ancor più chiaramente i due
momenti; e quella dell'Untersteiner, che ritiene
che il mondo dell'essere e il mondo
del- l'esperienza siano unificati nel pensiero
di Parmenide dal medesimo metodo ra-
zionale, in grado di individuare il
fondamento di realtà presente anche nel se-
condo: una realtà, tuttavia, che si
differenzia da quella assoluta in quanto
immersa nel tempo, e che ne
costituisce perciò soltanto una « immagine
». In ogni caso se ne può
concludere che per Parmenide solo la
ragione è un mezzo di conoscenza
veramente efficace; solo essa, rompendo la
crosta delle ap- parenze, può farci
cogliere l'unità profonda del reale.
L'opposizione tra razio- nalismo ed empirismo,
che tanti sviluppi avrà nella storia
della filosofia, trova proprio qui la
sua prima radice. L'essere di Parmenide
è stato interpretato da taluni in
senso idealistico, da talaltri in senso
materialistico. Entt;ambe queste interpretazioni
svisano, però, il pensiero del grande eleata,
non tenendo conto che esso antecede,
in realtà, ogni consapevole distinzione tra
idealismo e materialismo. L'affermazione di
Parme- nide che più si presta ad una
interpretazione materialistica è quella che
ci presenta l'essere come sferico (cioè
come una sfera piena) ; evidentemente
Parmenide pensò alla sfera, perché la
superficie sferica non è limitata da
alcun perimetro né inter- rotta da alcuno
spigolo. Non si può tuttavia negare
che la sfericità ora accennata vada
accolta con la massima cautela; se
infatti la interpretassimo alla lettera, ca-
dremmo in contraddizione con tutto
l'insegnamento di Parmenide, perché sa- remmo
costretti ad ammettere l'esistenza di un
non-essere (o vuoto), che è al
di là dell'essere sferico, e lo limita.
Essa va intesa invece come identità e
assolutezza dell'essere lungo tutte le
direzioni; come è stato recentemente
osservato, la sfera di Parmenide è
più simile allo spazio curvo einsteiniano
che al solido euclideo che siamo
portati a raffigurarci. L'interpretazione
idealistica è d'altra parte esclusa perché
se il pensiero scopre l'essere, certamente
non lo crea; anzi è piuttosto
l'esistenza dell'essere a rappresentare la
possibilità e la condizione del pensiero,
che in esso culmina e con esso deve
identificarsi. III · CONCLUSIONE DELL'ELEATISMO:
ZENONE, MELISSO Parmenide ebbe due grandi
discepoli: Zenone e Melissa. Il contributo da
essi arrecato all'affinamento del pensiero
del maestro assicura loro un posto
assai ragguardevole nella storia della
filosofia. Entrambi si adoperarono a
difenderne le tesi sia pure svolgendo
in direzioni opposte la tensione che
vi era implicita: Zenone cioè approfondendo
la problematica dellogos nella sua crescente
autono- mia,Melisso invece sviluppando il tema
dell'essere nella sua assolutezza sostanziale.
Zenone di Elea, più giovane di
Parmenide di circa venticinque anni, fu
un ingegno acuto, sottile, vigorosamente
polemico. Per gli argomenti ideati a
difesa dell'unità (intesa come omogeneità e
con- tinuità non divisibile in parti) ed
immobilità dell'essere, e per il suo
metodo di discussione, Aristotele, che li
discusse a lungo nella Fisica, lo
considerò il fonda- tore della dialettica
(dialettica formale, però, non reale).
L'originalità del metodo zenoniano consisteva
nell'assumere a punto di partenza la
tesi da confutare e nel dedurne
rigorosamente tutte le logiche conseguenze,
per mostrarne la contraddit- torietà e di
conseguenza l'assurdità della tesi, Oltre
che di filosofia, si occupò di
politica e contribuì notevolmente al buon
governo di Elea. Morì con grande fierezza-
non si sa l'anno preciso- per aver
cospirato contro il tiranno della città
(Nearco o Diomedonte). Sullà sua fine
si tramandano vari particolari che ne
confermano l'eccezionale coraggio.l I celebri
argomenti di Zenone a difesa della filosofia
di Parmenide mirano a provarci che,
se la negazione del movimento e della molteplicità
può a prima vista apparire assurda,
l'ammissione di essi conduce tuttavia ad
assurdità ancor più gravi, nascoste, ma
non risolte, dal linguaggio ordinario. Il
perno di tali argomenti consiste nella
dimostrazione che, sia nella nozione di
movimento, sia in quella di pluralità,
si annida il delicato concetto .di
infinito. Immaginiamo che un mobile debba
spostarsi da un estremo all'altro di
un I Ecco, per esempio, una versione
dei suoi ultimi istanti: « Antistene,
nelle Successioni, rac- conta che Zenone,
dopo aver denunziato (come cospiratori) gli
amici del tiranno, fu da questi in-
terrogato se c'era qualche altro complice.
Egli ri- spose: " Tu, la rovina della
città. " E poi, rivolto 52· ai
presenti, esclamò: " Mi meraviglio
della vostra viltà, se siete servi
della tirannide per timore di questo
che ora io sopporto. " Da
ultimo, mozza- tasi coi denti la lingua,
gliela sputò addosso. I cit- tadini allora,
incitati da questo esempio abbatte- rono il
tiranno. »dato segmento: prima di aver
percorso. tutto il segmento, dovrà averne
percorso la metà; prima di questa, la
metà della metà, e cosl via
all'infinito. In modo ana- logo, se il
« piè veloce » Achille vuole
raggiungere la lentissima tartaruga, che lo
precede di un tratto s, egli dovrà
percorrere: innanzi tutto quella distanza
s, poi il tratto s' percorso dalla
tartaruga mentre Achille percorreva s, poi
il tratto s" percorso dalla tartaruga
mentre Achille percorreva s', e così via
all'infinito. Nel- l'un esempio come nell'altro,
il fatto- in apparenza semplicissimo - del mo-
vimento, si frantuma dunque in infiniti
moti, sia pure sempre più piccoli ma
non mai nulli. Proprio questa loro
infinità è causa di profonde difficoltà
concettuali, che non possono non rendere
perplesso qualsiasi uomo disposto al
ragionamento. Quanto all'argomentazione di Zenone
contro la molteplicità, essa si svolgeva
così: supponiamo che esistano due entità
A e B distinte; per il fatto di
essere distinte, queste due entità devono
risultare separate da uno spazio intermedio
C. Ma C è distinto tanto da A
quanto da B, e quindi esisteranno altri
d).le elementi D ed E che separano
rispettivamente C da A e da B,
ecc. Poiché ciò può venir ri- petuto all'infinito,
se ne conclude che l'ammissione di due
entità distinte conduce di necessità
all'ammissione di infinite entità. Al fine
di porre luce sulle difficoltà logiche
di quest'ammissione, Zenone passava poi a
dimostrare come, partendo da essa, si
debba giungere a negare l'esi- stenza di
qualsiasi lunghezza finita. Ed infatti- così
ragionava- se gli elementi che costituiscono
un segmento AB sono infiniti, o essi
sono nulli, o non sono nulli; nel primo
caso la lunghezza del segmento non può
essere che nulla (perché la somma di
infiniti zeri è zero); nel secondo
non può che essere infinita (per- ché
a suo parere la somma di infinite
quantità diverse da zero sarebbe infinita).
É ingiusto considerare questi ragionamenti
zenoniani (e gli altri che, per
brevità, siamo costretti a tralasciare) quali
semplici sofismi o pseudoragionamenti. In
realtà, essi attirano efficacemente la
nostra attenzione su talune gravissime dif-
ficoltà dei due concetti di movimento
e di lunghezza, dovute all'inevitabile in-
troduzione dell'infinito, sia allorché si
scompone un intervallo di tempo (o il
moto attuantesi in qtJ.esto tempo), sia
allorché si scompone un segmento. Questi
argomenti - che venivano ad aggiungersi
alle difficoltà già ricordate nell'ultimo
paragrafo del capitolo III, connesse alla
scoperta delle grandezze in- commensurabili - suscitarono
presso i greci una tale diffidenza
nei confronti dell'infinito, da persuaderli
a compiere qualunque sforzo pur di
escludere tale concetto- per lo meno nella
forma di « infinito attuale » 1 - da
ogni seria costru- . I Si dice che
una grandezza variabile costi- tuisce un
<< infinito potenziale » quando, pur
as- s~mendo sempre valori finiti, essa può
crescere al di là ~i ?gni limite;
se per esempio immaginiamo di suddividere
un dato segmento con successivi di-
mezzamenti, il risultato ottenuto sarà un
infinito pot~nziale perché il numero delle
parti a cui per- ventamo, pur essendo
in ogni caso finito, può crescere ad
arbitrio. Si parla invece di « infinito
attuale » quando ci si riferisce ad
un ben determi- nato insieme, effettivamente
costituito di un nume- ro illimitato di
elementi; se per esempio immagi- niamo di
avere scomposto un segmento in tutti
i suoi punti, ci troveremo di fronte
a un infinito attuale perché non
esiste alcun numero finito che riesca
a misurare la totalità di questi punti. zione
scientifica. Oggi noi abbiamo imparato, con
l'analisi infinitesimale e con la teoria degli
insiemi, a trattare con disinvoltura
l'infinito matematico (sia l'infi- nito
potenziale sia quello attuale); proprio
perciò tuttavia ci rendiamo conto che
le difficoltà incontrate dai greci erano
effettive, non artificiose, e possiamo affer-
mare con piena consapevolezza che non
erano certo dovute a volgari errori
di logica, non erano dei « sofismi
» nel senso usuale del termine. Dal
punto di vista dell'eleatismo, il metodo
scelto da Zenone per difendere le
posizioni di Parmenide poneva tuttavia la
premessa di una loro crisi e di
un loro superamento. Lo spregiudicato uso
logico-matematico che egli faceva del logos
non si muoveva più sulla via di
una identificazione del logos stesso
all'essere, del riconoscimento di una
realtà scoperta dal pensiero ma in
cui il pensiero doveva confondersi; Zenone
poneva piuttosto le premesse per uno
svincolamento del discorso logico-matematico
dalla realtà, e lavorava quindi
oggettivamente alla rottura di quella unità
discorso-pensiero-essere che caratterizzava la
«vera via» proposta dal grande maestro
di Elea. La figura di Melissa è
assai diversa da quella di Zenone.
Nato a Samo quasi contemporaneamente a
Zenone, egli trascorse tutta la vita
nella propria isola, ove ricoprì importanti
cariche politico-militari. Basti ricordare che
fu capo della flotta con cui Samo
sconfisse gli ateniesi nel 440. La
sua permanenza a Samo co- stituì, in
certo modo, il ponte ideale attraverso
cui l'insegnamento eleatico per- venne dalla
Magna Grecia nell'Asia Minore. La lunga
lotta fra Mileto e Samo può del
resto contribuire a spiegare l'abban- dono
melisseo della tradizione ionica; una
tradizione, tuttavia, che continuò ad
operare indirettamente nel suo pensiero
condizionando in senso realistico la sua
riforma dell'eleatismo, in contrapposizione
all'indirizzo prevalentemente logico che
quest'ultimo aveva assunto in Zenone. Più
che alla difesa delle teorie del
maestro, Melissa si dedicò infatti al
loro sviluppo e alla loro integrazione. Ab-
bandonatane l'iniziale carica logico-verbale e
metodica, Melissa si propose una più
coerente deduzione dei caratteri sostanziali
e antologici dell'essere. Egli fu il
primo ad insistere sul suo carattere
di unità, che rappresentava più adeguata-
mente in senso spaziale e temporale
la «totalità» dell'essere parmenideo, e so-
prattutto sulla sua infinità. Melissa
afferma in proposito che non è
possibile interpretarlo come sferico (per
le difficoltà accennate alla fine del
paragrafo n) bensì lo si deve
concepire come infinito o illimitato sia
nello spazio sia nel tempo. Per
analoghe ragioni egli negò che si
potesse ammettere,. nell'uno, una qualsiasi
sofferenza o dolore o altra passione,
perché ciò provocherebbe in lui una
specie di perturbazione e quindi ne
diminuirebbe l'unità e immobilità. Quest'ultimo
argomento sembra mostrare come Melissa,
sulla traccia della teologia di Senofane
e della tradizione ionica, dovette
interpretare l 'unico essere come dotato
di vita: una vita, probabilmente, identica
al pensiero, secondo l'equa- zione parmenidea
che abbiamo già esposto. Secondo la
tradizione, Melissa avrebbeanche definito l'essere
come incorporeo, il che contrasta con la
sua infinita esten- sione spaziale e con
la negazione eleatica del vuoto : ciò
mette a nudo in realtà una profonda
contraddizione dell'eleatismo, che non poteva
concepire la realtà come puramente
intelligibile ed incorporea, ma tuttavia
tentava di attribuirle tutte le
caratteristiche di pura intelligibilità richieste
da un pensiero filosofico ormai maturo.
L'incorporeità dell'uno melisseo significava
dunque soltanto che esso era invisibile
e illimitato da qualsiasi forma o
corpo tangibile; e significava al tempo
stesso il portare al limite una
contraddizione già implicita in Parmenide
del cui superamento avrebbe grandemente
beneficiato il pensiero posteriore. L'avere reso
l'essere infinito nello spazio e nel
tempo impediva a Melissa di accettare
la bipartizione parmenidea tra realtà
atemporale e mondo sensibile temporale: a
quest'ultimo doveva venir negata qualunque
sia pur secondaria sussistenza, ed è
infatti alla negazione dell'esistenza e della
concepibilità delle cose sensibili che
Melissa dedica alcune delle sue
argomentazioni più suggestive. Perché una cosa
qualsiasi, egli dice, possa essere
conosciuta, pensata ed esistere, essa
dovrebbe essere sempre identica a se
stessa, assolutamet?-te immobile ed immuta- bile
nello spazio e nel tempo, giacché una
minima modificazione ne farebbe una cosa
diversa e così via all'infinito; dovrebbe
dunque avere le stesse caratteristiche
dell'uno. Proprio questo argomento, che egli
intendeva come una sfida contro il
pluralismo, sarebbe stato rovesciato e
raccolto dalla corrente estrema del plura-
lismo, quella atomistica: si può dire
infatti che l'atomismo attribuì alle sue
in- finite unità fisiche proprio tutte le
caratteristiche dell'uno melisseo, ad eccezione
dell'immobilità che non era più necessaria
dato il riconoscimento del vuoto. Con
Zenone e con Melissa, l'arco dell'eleatismo
si conclu<i.e così, sia sotto la
spinta di contrapposte esigenze logiche e
naturalistiche che esso aveva cercato di
stringere in una compatta unità, sia
per l'insorgere di problemi che esso stesso
aveva per la prima volta portato in
luce e chiarito, ma che non potevano
essere risolti nel suo ambito. L'eleatismo
era comunque destinato a restare una
pietra miliare nel pensiero greco, un
imperativo richiamo alla soluzione di
alcuni fra i più profondi problemi
filosofici. La sua importanza fu enorme
anche nella storia del pensiero
scientifico, soprattutto - come abbiamo più
sopra spiegato - per quanto riguarda l'affi-
namento delle esigenze logiche. Vale la
pena ricordare le parole con cui questo
contributo degli eleati è sottolineato in
una recente, autorevolissima, storia della matematica,
Eléments d' histoire des mathématiques del
gruppo Bourbaki: «Il tenore de- gli scritti
filosofici subisce nel v secolo un brusco
cambiamento : mentre nel v~I e nel
VI secolo i filosofi affermano o
preconizzano (o tutt'al più abbozzano vaghi
ragionamenti, fondati su altrettanto vaghe
analogie), a partire da Parmenide e so-
prattutto da Zenone essi " argomentano
" e cercano di ricavare dei
principi generali che possano servire di base
alla loro dialettica: appunto in Parmenide
si trova la prima affermazione del
principio del " terzo escluso ";
e le dimostrazioni " per assurdo
" di Zenone di Elea sono rimaste
celebri. » Anzi, il richiamo so- pra ricordato
di Aristotele a Zenone come fondatore
della dialettica, sembra appunto riferirsi
all'attribuzione all'eleate della scoperta e
dell'impiego della reductio ad impossibile
in metafisica (suggerito peraltro a Zenone,
probabil- mente, dall'impiego che di tale
forma di ragionamento veniva fatto dai
mate- matici pitagorici. Nato ad Agrigento
intorno al49o e morto verso H 430,
Empedocle riassunse nella propria vita
tanto la ricchezza di umori della sua
terra natale, quanto la grandezza e
l'ambiguità del suo pensiero. L'entusiasmo
per la natura e la varietà dei
suoi fenomeni, il profondo senso religioso
che connetteva uomini, dei e fysis in
intimi legami; la violenza delle passioni
politiche, l'ansia della salvezza e il
senso del tragico: di questi caratteri
della Sicilia greca Empedocle fu, prima
che interprete, pienamente partecipe. Capeggiò
la fazione democratica della sua città; esiliato
nel Peloponneso, si recò in seguito
ad assistere alla fondazione di Turi,
dove poté probabilmente incontrare Protagora,
Erodoto ed Ippodamo; non è da
escludere un suo contatto diretto con
gli eleati. Seguendo l'uso ar- caico,
scrisse in versi; uno dei suoi poemi,
Sulla natura (Perì Jjseos), trattava argo-
menti cosmologici e naturalistici, l'altro,
le Puriftcazioni (Katharmoi), aveva ca-
ratteristiche spiccatamente mistico-religiose. Il rapporto
cronologico fra queste opere e quelle
di Melissa e di Anassagora è incerto;
sembra tuttavia che egli le abbia
composte prima di quest'ultimo. La tensione
fra i due aspetti della perso- nalità
di Empedocle - tuttavia, come vedremo,
profondamente interrelati - ap- pare già
dall'argomento dei suoi due poemi; e
si riflette in quanto ci è noto
della sua vita, pur attraverso le
molte leggende di cui fu ben presto
ammantata. Stu- dioso di fysis, amava
presentarsi come profeta e capo religioso,
e vagava per le città di Sicilia
seguito da turbe di seguaci entusiasti; teorico
di biologia e di micina - anzi
fondatore di una scuola di medicina
scientifica - si considerava però guaritore
e iatromante alla stregua di Apollo,
e vantava la capacità di ope- rare
miracoli; conoscitore attento ed esperto
delle technai, si atteggiava tuttavia a
mago. Interessante è il caso del suo
intervento a Selinunte: la città soffriva
di un'epidemia, dovuta alle acque infette
del suo fiume, che veniva attribuita
agli dei; accorsovi, Empedocle risanò la
città con incantagioni e magia (di
fatto rea- lizzando la confluenza di altri
due fiumi a monte di Selinunte per
purificare le acque del primo). «Sciocchi!
giacché non hanno pensieri di larga
veduta; essi credono che possa nascere
ciò che prima non era o che
qualcosa possa perire e andar del tutto
distrutta ... E un'altra cosa ti dirò:
non c'è nascita alcuna di tutte le
cose mortali, né alcuna fine di morte
funesta; ma solo mescolanza e cangiamento
di cose commiste, e nascita si chiama
fra gli uomini. » In queste parole
Empedocle esprime limpidamente la misura
della sua accettazione dell'eleatismo e
insieme le prospettive della sua soluzione.
L'impossibilità che ciò che è derivi
da ciò che non è o vi si
dissolva si impone al filosofo di
Agrigento come il requisito fondamentale
della realtà e della pensabilità del
mondo; e perciò egli non può
considerare se non come follia il
pensiero pre-eleatico. Tuttavia, proprio in
Melissa egli trovava la chiave del
riconoscimento della molteplicità del mondo;
giacché bastava riconoscere i caratteri dell'
«uno» melisseo -l'identità nello spazio e
la permanenza temporale - a un certo
numero di realtà distinte, perché da
esse si potesse dedurre l'intera varietà
del molteplice. Certo, tale soluzione
cozzava pur sempre contro gli imperativi
logico-metodici di Parmenide; ma, come si
è visto, Melissa aveva già avviato la
loro ontologizzazione, cioè la loro
trasformazione in realtà spazio-temporale: aveva
insomma avviato, nel linguaggio dell'epoca,
la trasformazione dell'essere in «pieno».
Da questa prospettiva melissea prendeva
propriamente le mosse Empedocle - come ha
messo in luce il Calogero - giacché
essa corrispondeva alla sua esigenza di
dar conto del mondo, nella sua
varietà quale si offre ai sensi,
nella sua segreta unità quale è colto
dall'anima, nella sua realtà cui il
pensiero non può rifiutarsi. Nel suo
presentarsi alla nostra osservazione, la
realtà appare indefinitamente diversa eppure
connessa da ritmi, da cicli, da
permanenze che ne formano la struttura
unitaria; così come accade per l'organismo
vivente, mutevole eppure uno, la realtà
appare un tessuto variegato di poche
sostanze semplici, un divenire scandito dal
ciclo delle stagioni, della generazione,
degli astri. Fedele per istinto alla
verità dell'osservazione, Empedocle concepiva
dunque il mondo come un organismo
unitario vivente e senziente, del quale
nessuna parte poteva venire arbitrariamente
amputata e tutte dovevano avere una
loro profonda giustifica- zione. Se questo
punto di vista ilozoico doveva trovare
una spiegazione non mitica, una più
universale razionalizzazione, occorreva infondervi
i requisiti melissei del vero; occorreva,
una volta reso molteplice l'« uno»,
trovare un'armonia tra questo vero
molteplice e la molteplicità dell'esperito.
Da questa esigenza nasce il sistema
cosmico di Empedocle, una delle più
potenti sintesi teoriche del pensiero
greco. Alla base del sistema stanno i
quattro elementi, o piuttosto « radici
» come li chiama Empedocle stesso con
un termine che meglio corrisponde alla
sua vi- sione vitalistica del mondo: la
terra, l'acqua, il fuoco, l'aria (o
meglio l'etere). Tali elementi non sono
nuovi nella filosofia presocratica: si
pensi all'acqua di Talete, al fuoco
di Eraclito e così via. In tutti
questi pensatori il processo era consistito
nell'assumere una zona dell'osservazione empirica
alla funzione pri- vilegiata di principio o
arché di .fJ'Sis; nel rendere quindi
assoluti alcuni dati dell'esperienza per
usarli come chiave di comprensione e
di spiegazione dell'e- sperienza nella sua
totalità. Identico è l'approccio fondamentale
di Empedocle: un'analisi dell'osservazione lo
porta a scoprire in ciò che è
osservato alcune costanti fondamentali, che
una volta generalizzate e rese assolute,
valgono a spiegare l'osservato - di cui
sono costituenti essenziali - e l'osservazione
stessa - di cui sono canoni
imprescindibili. Merito specifico di Empedocle
è tuttavia quello di aver isolato, sia
dall'osservazione diretta sia dalla precedente
riflessione naturalistica, tutte e solo quelle
costanti che potessero valere da ra- dici,
senza che si fosse costretti, contro
l'imperativo eleatico, a postulare il mu-
tamento di una radice in qualcosa
diverso da sé (come avevano dovuto
fare i monisti ionici), né ad
immaginarne un numero eccessivo, che
avrebbe ostacolato la semplificazione e
quindi la possibilità di comprensione
dell'esperienza. Ad ognuna delle quattro
radici Empedocle attribuiva dunque lo
status del- l'« uno» melisseo: l'infinità e
l'immutabilità nello spazio e nel tempo,
l'essere ingenerati e imperituri, e di
conseguenza l'assoluta realtà e intelligibilità.
Ciò non significava tuttavia negare la
realtà degli infiniti altri oggetti dell'esperienza:
ogni singolo ente è il risultato di
una mescolanza delle radici, la sua
nascita è la formazione della mescolanza
e la sua morte ne è lo
scioglimento; benché in tali mescolanze le
radici entrino sotto forma di porzioni
frazionali, neppure nella minima di esse
perdono alcuna delle loro proprietà.
L'individualità specifica di ogni composto
gli deriva dalla diversa proporzione dei
componenti (così ad esempio le ossa
sono formate da due parti di acqua,
due di terra, quattro di fuo- co; il
sangue dal miscuglio perfetto I :I :I
:I). Si è visto in questa dottrina
di Em- pedocle un'anticipazione della chimica,
il che può anche essere accettato qualora
non si dimentichi, però, che le
radici empedoclee non solo erano concepite
come viventi ma anche come divinità
creatrici, in stretto rapporto con la
cosmogonia orfica. Se le quattro radici
potevano spiegare, nel loro vario comporsi,
la molte- plicità del mondo, esse non
davano tuttavia conto del suo infinito
divenire, del formarsi e dello sciogliersi dei
composti; unificavano cioè il reale in
senso sin- cronico ma non diacronico. Empedocle
introdusse quindi altri due principi,
questpiù spiccatamente dinamici: « amicizia»
e « discordia». Come le quattro
radici rappresentavano una generalizzazione
dell'osservazione naturale, così queste due
«forze» rappresentano una generalizzazione
dell'esperienza psichica, e perciò allargano
a tale settore la capacità di
comprensione e di spiegazione del sistema.
Nel mondo di Empedocle non era
tuttavia pensabile una distinzione radicale
delle due sfere, come abbiamo osservato
in sede introduttiva, ma piuttosto una
diversa funzionalità della medesima realtà:
come le radici sono a loro volta
viventi, così « amicizia » e «
discordia » sono coestese e coeterne
ad esse, e dunque non meno di
esse «reali». «Amicizia·» simbolizza nel
sistema l'attrazione del dissimile, cioè
l'impulso che spinge le diverse radici
a fondersi reciprocamente dando luogo a
composti sempre più stabili; «discordia»
rappresenta invece l'attrazione del si- mile,
cioè la forza che spinge ogni radice
a restare coesa a se stessa,
sciogliendo qualsi.asi composto. Questi due
principi sono stati interpretati come cause
in senso aristotelico e anche,
modernamente, come le forze elettromagnetiche
di attrazione e repulsione. Benché anche
questi siano possibili sviluppi del
pensiero empedocleo, va ribadito che nel
suo quadro «amicizia» e « discordia»
rappre- sentavano soprattutto le funzioni
essenziali di una realtà vivente, in
cui causa e causato, forza e materia
non potevano essere distinte se non
in modo simbolico, non erano che
aspetti profondamente connessi di un unico
mondo; mentre poi esse rappresentavano
l'aggancio più immediato, come vedremo,
alle vedute religiose e morali, che a
quel mondo non potevano certo essere
eterogenee. Funzione primaria delle forze
nel sistema era comunque quella di promuovere
il divenire. Poiché tale divenire non
poteva dar luogo ad alcun mutamento
dei suoi contenuti fondamentali, secondo il
divieto eleatico, esso non poteva pre-
sentarsi che come ciclo: solo nel
ciclo si dà infatti ripetizione perpetua
dei me- desimi eventi e delle medesime
strutture, solo il ciclo concilia le
sembianze del divenire (l'esperienza umana non
può carpirne che una piccola frazione
e ha dunque l'impressione del mutamento) con
la verità del permanere, rivelata a
chi penetri nell'intimo della natura. Nel
periodo cosmico di assoluta prevalenza di
«amicizia», ognuna delle radici è così
strettamente congiunta alle altre che
nessun singolo ente sussiste di per
sé: «Non v'è discordia né infausta
contesa nelle sue membra ... Non più
si distinguono in esso le agili membra
del sole, né la forza villosa della
terra, né il mare, tanto fortemente
sta legato nei fitti segreti del-
l'armonia, d'ogni parte uguale e per
tutto infinito," sfero "rotondo che
gode della sua solitudine circolare. »
Nello « sfero » è facile individuare
l'« uno» eleatico, non tuttavia visto
come unico possibile assetto della realtà,
ma conquistato dalla vittoria di un'armonia
di schietta derivazione pitagorica; qui
emerge anche il valore religioso e
morale di «amicizia», che significa
concordia e pace nel cosmo e fra gli
uomini. Agli antipodi sta il trionfo
di « discordia», che vede ognuna delle
radici ritratta in se stessa e ostile
alle altre, il che parimenti significa
la fine del mondo quale noi lo
esperiamo e comporta la negazione dei
valori etico-religiosiFra i due opposti
regni, stanno le vaste regioni in cui
«discordia» viene prevalendo su «amicizia»,
e quindi scioglie le radici dal loro
complesso senza tuttavia contrap- porle del
tutto; qui si situa una prima
generazione del molteplice; e l'altra dove
«amicizia» si a.dopera a ricomporre l'unità
senza poter ancora scacciare del tutto
«discordia», sicché il processo di
unificazione è ancora frammentato in una mol-
teplicità di enti: ed è questa la
seconda generazione del mondo che noi
osser- viamo. Va detto che mentre il
ciclo nel suo insieme è determinato
dalla neces- sità (ananke), la formazione
dei singoli composti è affidata al
caso (ryche) e che quindi la natura
che noi esperiamo consta della sintesi
di necessità e di caso. Questa veduta
è importante per la comprensione di
molte posizioni della scienza naturale
greca. Come si articoli concretamente il
ciclo nelle due fasi intermedie è
mostrato più chiaramente da Empedocle a
proposito degli organismi viventi, cui
andava il suo prevalente interesse (non
a caso è possibile paragonare l'intera
vita cosmica alle sistole e diastole del
cuore, e lo « sfero » appare
assai vicino all'« uovo » origi- nario
presente nel culto orfico ). All'inizio
del ciclo di «amicizia», in un mondo
ancora dominato da « discordia», si
venivano formando membra ed arti separati:
« Sulla terra spuntarono teste senza colli,
ed erravano braccia nude prive di spal-
le, vagavano occhi soli sprovvisti di
fronti»; poi queste membra si congiungono
a caso dando luogo a mostri d'ogni
specie: «e molti esseri nascere con
doppie facce e petti, e buoi con
facce d'uomini, o invece sorgere busti
umani con teste bovine, e forme miste
di maschi e di femmine, provviste di
membra villose. » Ma la gran parte
di queste forme viventi perivano,
sopravvivendo solo quelle più adatte alle
condizioni di vita perché meglio
organizzate nella propria strut- tura. È interessante
notare che in questo processo è
assente qualsiasi idea di finalismo preordinato;
i viventi si aggregano a caso, ed
è la selezione naturale che decide
della sopravvivenza di alcuni di essi.
Nell'opposto processo di «di- scordia», che
viene disgregando l'unità cui «amicizia»
era finalmente giunta, si formano dapprima
creature complete, omogenee; ma una
separazione successiva dà luogo alle
creature del mondo in cui viviamo,
differenziate per sessi e per la
prevalenza in esse di una delle
radici (così nella costituzione dei pesci
prevale l'acqua, ecc.). Abbiamo già visto
come la struttura del nostro organismo
fosse interpretata da Empedocle mediante la
composizione delle radici in diverse
proporzioni. A spiegare la compenetrazione reciproca
delle radici, e i maggiori fenomeni
vitali, quali la respirazione 1 e il
movimento del sangue, Empedocle concepiva I
Il resoconto della respirazione va ripor-
tato per la sua originalità e
tipicità. Il sangue si muove entro
pori i cui fori terminali sono abba-
stanza piccoli da non permettergli di
fuoriuscire, sufficienti però per lasciar
entrare l 'aria nel corpo. !utta la
spiegazione è costruita per analogia con
ti funzionamento della clessidra o pipetta
per il travaso dei liquidi da un
recipiente all'altro. Al- lorché il sangue
si ritrae dai pori, esso attira
l'aria che irrompe nel vuoto così
formatosi: si ha così l'inspirazione.
Quando il sangue torna ad af- fluire,
esso espelle l'aria dando luogo all'espira-
zione l'organismo come percorso da una
fitta rete di pori o canaletti (una
teoria in parte derivata da Alcmeone),
la cui struttura e le cui dimensioni
giocavano altresì una parte importante nel
meccanismo della sensazione. Esso è
spiegato dal filosofo di Agrigento mediante
gli efflussi materiali che ogni corpo
emette e che, giungendo a contatto
del senziente, possono o meno penetrare
attraverso i pori nel suo organismo a
seconda delle reciproche dimen- sioni; g~i
efflussi sono determinati dall'attrazione del
simile, che spinge le radici a
ricongiungersi attraverso la varietà dei
singoli enti. La spiegazione è da un
lato meccanicistica, dall'altro vitalistica
perché appunto fondata sull'intrinseca «ani-
mazione » del corporeo; di conseguenza
Empedocle attribuiva la sensazione, sia
pure in gradi diversi, a qualsiasi
ente, perché ognuno, anche quelli ai
nostri occhi inanimati, era in qualche
misura partecipe della grande vita del
cosmo. Il pensiero non è per
Empedocle qualitativamente diverso dalla sensazione. Contro
le scoperte alcmeoniche, ed introducendo
una veduta destinata ad eserci- tare
profonda influenza, egli pose la sede
del pensiero e dell'attività razionale nel
sangue, esattamente in quello più puro,
prossimo al cuore che ne è la fonte.
Poiché il sangue, come si è visto,
consta di una mescolanza perfetta delle
radici, esso è il più atto a
riflettere la struttura del mondo,
essendole più omogeneo. Non v'è ovviamente
per Empedocle opposizione tra pensiero e
sensi, giacché entrambi convogliano, con
meccanismi fondamentalmente analoghi, il messaggio
profondo di una natura che non può
essere fallace in alcuna delle sue
manifestazioni. Poiché l'uomo è omogeneo al
mondo, la verità della sua conoscenza
del mondo non di- pende né dai metodi
né dai linguaggi che egli impiega; in
tal senso, sparisce il problema della «via»
parmenidea e del suo sempre difficile
rapporto con il reale. L'uomo è generato
dalle stesse radici e animato dalle stesse
forze che generano e animano il mondo
nella sua totalità; egli riflette il
mondo in se stesso, lo « com- prende»
proprio perché ne ritrova dentro di
sé l'immagine rimpicciolita. Il san- gue è pensiero
perché il sangue è principio vitale e
secondo Empedocle conoscere è propriamente vivere
fino in fondo la vita dell'universo,
sperimentarne la molte- plicità e l'unità,
l'eternità ciclica, gli intimi legami che
tutto quanto lo connettono. Sparita così la
tensione tra vero e reale, tra uomo e
mondo, tra mondo e divi- nità, sparisce
anche la presunta contraddizione tra i
due aspetti della personalità di Empedocle,
quello « fisico » e quello « magico
». Ragione e mito non sono che due
forme di un identico conoscere, due
funzioni di un'unica realtà. La conoscenza
razionale è esposizione discorsiva ed analitica
della molteplidtà del mondo quale essa
risulta dall'azione di« discordia?> e ci è
rivelata dai sensi; ma il suo scopo
è quello di rivelarci la verità di
questa molteplicità dando conto dell'unità
che la informa e della necessità che
la domina. D'altra parte, la conoscenza mitica
è penetrazione intensiva di questa unità e
necessità, è il porsi per così dire
dal punto di vista dello « sfero
» che simbolizza l'unità da un punto
di vista sia fisico, sia religioso,
sia morale; è drammatica consapevolezza,
tuttavia, della necessità del ci-do e
dd molteplice, nel loro decadere dall'età
aurea e nel loro fatale tornarvi. 1 Di qui
le « purificazioni », di qui la
dottrina pitagorizzante della metempsicosi che
adegua la sorte dell'anima al ciclo
cosmico. E la via alla purificazione
etico-reli- giosa è ancora una volta, per
Empedocle, quella di vivere fino in
fondo la vicenda -per il singolo uomo, il
dramma- dell'uno e dei molti, del tempo e
dell'eterno, della necessità e del caso; la
via della purificazione è quella che
conduce nel cuore profondo della natura
che sola giustifica l'uomo e il suo
destino, che sola gli. concede conoscenza
e potenza nel tempo, salvazione
nell'eternità. Sicché la leg- genda della
morte del filosofo sparito nella voragine
dell'Etna bene esprime, sotto questo aspetto,
la vocazione del pensiero empedocleo. Si
intende così anche il senso dell'ambiguo atteggiamento
di Empedocle verso le technai, e del
suo interesse profondo per quelle che
consentissero un immediato controllo della
natura (la. medicina, le tecniche
manifatturiere, la fisica; mentre la
matematica gli doveva sembrare irrimediabilmente
lontana dal mondo della vita e quindi
sterile). Non v'è nulla di più
ingiusto dell'immagine trasmessaci dalla tradizione
di un Empedocle abile medico e
tecnologo che ciarlatanescamente am- mantava di magia
i suoi successi per guadagnarne in
prestigio. In realtà, l'oppo- sizione fra
technai e magia sarebbe sembrata assurda ai
suoi occhi. Al culmine della sua
capacità di penetrazione e di controllo,
la techne aderisce così compiutamente
all'intima vita del mondo da diventarne,
dall'interno, una forza agente: il «mi-
racolo» è una possibilità di fysis che
techne porta alla luce (non troppo
diverse dovevano essere le vedute degli
alchimisti rinascimentali). Techne si situa
dunque al crocevia di conoscenza
razionale-discorsiva e conoscenza mitico-intensiva;
come il problema del rapporto tra
uomo e mondo, tra conoscenza e realtà
s'era tendenzialmente annullato nell'unità della vita del cosmo,
così a techne, allorché muova dalla
consapevolezza della
struttura del reale, basta foggiarsi via via ad immagine e simiglianza della
natura per poter penetrare sempre più
profonda- mente in essa, per paterne acquisire
un sempre maggiore controllo. Disvelandosi
all'osservazione dell'uomo, la natura gli
aveva donato la conoscenza; offrendosi ad
una techne che ne sappia comprendere
i segreti, essa gli concede l'accesso
alla potenza: sicché alla fine, nel
volgere del ciclo, l 'uomo diviene «
profeta, bardo, medico e principe »,
pari agli dei immortali, come Empedocle
proclamava di se stesso. Data la
natura della conoscenza e delle technai, è
chiaro come per il filosofo di 1 «V'è
un oracolo del fato, antico decreto
degli dei, suggellato da larghi giuramenti:
se mai alcuno dei demoni (anime) che
ebbero in sorte lunga vita, macchi le
sue membra di sangue col- pevole, o seguendo
la "discordia" empio spergiuri, vada
errando tre volte diecimila anni !ungi
dai beati, nascendo nel corso del
tempo sotto tutte le forme mortali,
permutando i penosi sentieri della vita
... Uno di essi sono anch'io,
fuggiasco dagli dei ed errante, perché
fidai nella folle "di- scordia" ...
Da quale onore e da quale ampiezza
di felicità, così bandito mi aggiro
fra i mortali! » (La traduzione di
questi frammenti, come di quasi tutti
quelli empedoclei citati, è del Mondolfo.)
Ma v'è la via del ritorno: « Ma
alla fine essi vengono sulla terra
fra gli uomini come profeti, bardi, me-
dici e principi, e poi assurgono al
rango di dei degni d'onore ... Io
vengo nelle vostre città quale un dio
eterno, non certo mortale, coperto d'ogni
onore. Agrigento non si ponesse il problema
della logica e del metodo. Il metodo
che egli in effetti usa va era
essenzialmente analogico: acute inferenze
dall'osservazione quotidiana, sia biologica (il
palpito del cuore, lo sviluppo dell'uovo,
il meccani- smo della respirazione), sia
fisica 1 (la riflessione, l'evaporazione, il
ciclo stagiona- le), sia tecnica (il
travaso dei liquidi, la manifattura dei
vasi, la miscelazione dei colori), gli
offrivano lo spunto per audaci
generalizzazioni cosmiche. Tuttavia ai suoi
occhi queste estensioni non avevano nulla
di arbitrario, basate com'erano sulla
certezza di una fondamentale unità e
significatività di tutte le manifestazioni
della natura (una certezza, come abbiamo
visto all'inizio, a sua volta ricavata
dall'esperienza immediata, sia sensoriale sia
psichica). Allo stesso modo, l'espres- sione
linguistica di Empedocle non poteva che
tentare di riprodurre, grazie ad una
poesia potentemente sintetica e visualizzante, la
vita del mondo nella sua ricchezza;
anche qui, l'immagine poetica (la
trasvalutazione delle radici in divinità o
in «membra» del mondo, l'affiorare ovunque
dello psichico, del vivente, dell'orga- nico)
riposava sulla profonda verità che per
questa via si tentava di rivelare.
Tale dunque la risposta empedoclea al
nodo di problemi che si sono esposti
in sede introduttiva: una delle più
grandiose sintesi mai elaborate dal
pensiero greco ed anche una delle più
affascinanti ipotesi scientifiche. Il rischio
che Empe- docle si assumeva era d'altro
canto totale quanto il suo sistema: o
quest'ultimo si rivelava davvero capace di
spiegare l'intero universo, o sarebbe
crollato tutto quanto, perché l'agrigentino
non offriva - né, date le sue
premesse, avrebbe potuto farlo - alcuna
regola di pensiero e di metodo
esterna al sistema ed atta a
modificarlo, a criticarlo, a renderlo più
comprensivo. La potenza del genio di
Empedocle, in tutta la sua ambiguità,
si esercitò sul pensiero greco ed
oltre; e « dinanzi a lui, » ha
osservato il Bignone, « le prospettive
del mondo greco si scompongono stranamente:
è già un antico rispetto a Tucidide,
che è di pochi lu- stri più giovane
di lui; e sarà, dopo più secoli,
quasi un contemporaneo rispetto a Platino
e Porfirio ». Subito rifiutato dal miglior
pensiero filosofico-scientifico del v secolo,
da Anassagora ad Ippocrate, che vedeva
nel dogmatismo dell'esperienza, nel vitali- smo
mistico, nel rifiuto di ogni strumento
razionale di tipo logico-metodologico il
più mortale pericolo per un libero
progresso della ricerca, il sistema di Empedo-
cle apparve tuttavia a lungo come
l'unico che potesse garantire una sicura
base speculativa alle scienze nascenti,
dalla biologia alla fisica, l'unico che ne
assicurasse l'universalità. Così all'inizio del
rv secolo la dottrina dei quattro elementi,
la con- cezione organicistica dell'universo (che
presto significò anche visione finalistica),
il prevalere della qualità sulla quantità,
finirono per trionfare della scienza ionica
e passarono in gran parte al
platonismo del Timeo, all'aristotelismo, alla
medicina I Il sole è il luogo
dove l'emisfero terrestre, che agisce come
una lente, riflette e concentra il
fuoco emesso dall'emisfero etereo; il mare
è il «sudore» della terra: sotto l'azione
del calore; la terra stessa è stata
disseccata dal calore al pari di un
vaso d'argilla; e così via. siciliana
di Filistione. Tramite questi canali, e sia
pure con aggiustamenti progres- sivi, tali
vedute percorsero un lunghissimo cammino,
fino ad affacciarsi al rinasci- mento e
alle soglie dell'età moderna. Qui tornarono
a scontrarsi con il meccanici- smo di tipo
democriteo, e risultarono questa volta
soccombenti senza però lasciar del tutto il
passo. IL MONDO DEL NUMERO: FILOLAO DI
CROTONE Poco sappiamo della vita di
Filolao: nato a Crotone attorno alla
metà del v secolo, e ivi formatosi in
ambiente pitagorico, egli si trasferì a
Te be dove sul finire del secolo
lo troviamo a capo di una fiorente
scuola pitagorica, in rapporto con il
gruppo socratico-platonico ad Atene. Questa
presenza di Filolao a Tebe, congiun-
tamente all'esilio peloponnesiaco di Empedocle,
ci rivela un rifluire della filosofia
italica nella madrepatria greca, localizzato
non a caso nelle poleis che combattevano
Atene nella guerra del Peloponneso: il
pensiero ionico-attico si trovava così in
qualche modo circondato non meno di
quanto lo fosse, in senso
politico-militare, la sua metropoli. Come
abbiamo già avvertito, i frammenti di
Filolao sono stati a lungo con- testati
per vari motivi filologici, alla cui
base stava tuttavia la constatazione che
essi anticipavano un importante aspetto del
platonismo, e dunque la preoccu- pazione
che questo potesse risultarne sminuito
nella sua originalità. L'autenticità dei
frammenti è stata per fortuna rivendicata
dal Mondolfo e dalla Timpanaro- Cardini; ed
è chiaro, secondo una più corretta
visione storiografica, che il genio di
Platone risulta tutt'altro che diminuito
dalla consapevolezza che egli seppe fondere
in una sintesi critica gran parte dei
risultati del pensiero filosofico-scienti- fico
del v secolo, pur conferendo ad essi
la propria originalissima impronta. D'al- tra
parte, già questa considerazione impone di
dare alla figura di Filolao il posto
che gli compete fra i protagonisti della
filosofia preplatonica. Il problema centrale
di Filolao è analogo a quello di
Empedocle, ma i suoi punti di
riferimento speculativi sono meglio definiti, e
il suo approccio alla realtà è più chiaramente
delimitato dall'eredità pitagorica di cui egli si
faceva portatore. Certo, il pitagorismo
originario era stato travolto, in campo
matematico, dalla crisi degli irrazionali,
in campo fisico-filosofico, dalla critica parmenidea
al molte- plice e dalla sua incapacità a
soddisfare i nuovi requisiti logico-metodici.
Vedremo all'inizio del capitolo xn come
si svolse, attraverso il v secolo e
fino ad Archita, il processo ricostruttivo
delle matematiche pitagoriche, al quale
Filolao stesso diede un importante
contributo. Qui ci interessa piuttosto il
suo sforzo di rico- . struzione del
pitagorismo come sistema globale del mondo,
compiuto innestando sul tronco di quella
tradizione la più matura consapevolezza
posteleatica. Si trattava innanzitutto di
salvare entrambi i termini della diade
costitutiva di uno e molteplice, di
limite e illimitato, dove il primo
termine assicurava la verità e
l'intelligibilità del secondo ma dove il
secondo garantiva l'estensibilità del primo
al mondo del reale, la sua presa
sull'esperienza, conferendogli quindi una
concretezza e una funzionalità sepza le
quali esso sarebbe stato confinato alla
sfera delle aspirazioni etico-religiose. Ma
non bastava più, dopo Parmenide, con-
trapporre la serie dell'uno e del limite
alla serie dei molti e dell'illimitato;
giac- ché su quest'ultima sarebbe poi gravata
la dichiarazione di assurdità e di
irrealtà, che avrebbe vanificato la
tensione insita nella diade. Il problema
di Filolao era dunque quello di
calare il principio di unificazione e di
verità profondamente all'interno della struttura
molteplice dell'esperienza, in modo da
garantirne con ciò stesso la realtà;
era di trasformare i termini della
diade in modalità e struttura intima
di un unico mondo, di cui essi
potessero dar conto nella sua to- talità.
La chiave più ovvia per la soluzione
del problema era, agli occhi di
Filolao, quella offerta dal numero.
Generato dall' «uno», e governato da leggi
che sempre all' «uno» potevano riportarsi
senza contraddizione, il numero era
tuttavia atto a fungere da limite al
molteplice perché ne rifletteva in sé
la struttura; ma la riflet- teva in
modo tale da renderla omogenea all'«
uno» e alla sua legge. Si consideri
ad esempio la decade (il numero
dieci): secondo l'analisi di Filolao, essa
comprende in sé tutti i possibili rapporti
aritmo-geometriciche si originano a partire dall'unità
ed è perciò stesso atta a comprendere
e ad organizzare il molteplice.! Ma
Filolao non poteva più arrestarsi alla
generica veduta pitagorica del nu- mero
come natura delle cose. Occorreva che
fosse davvero possibile, leggendo il libro
della natura, scoprirne i caratteri
aritmo-geometrici; da un punto di vista
complementare, occorreva dare una più
precisa dimensione spaziale al numero e
concretarla di una sussistenza corporea. Perciò,
partendo dall'assioma aritmo-geo- metrico secondo
cui l 'unità rappresenta il punto, il due
la linea, il tre la superficie, il quattro
il solido, Filolao diede un impulso
originale e deciso alla geometria so- lida,
giungendo a costruire un certo numero di
figure semplici che si potevano age- volmente
riportare alle modalità fondamentali dei numeri.
Queste figure si assicu- ravano una prima
realizzazione grazie alla loro applicabilità ai
movimenti e alla con- figurazione degli astri, e,
tramite l'astrologia pitagorica, allo stesso
assetto del divino. x Più efficaci di
ogni spiegazione critica sono le parole
di Filolao sulla decade: «L'essenza e
le opere del numero devono essere
giudicate in rap- porto alla potenza insita
nella decade; grande è in- fatti la
potenza (del numero) e tutto opera e
com- pie, principio e guida della vita
divina e celeste e di quella umana,
in quanto partecipa della po- tenza della
decade; senza questa, tutto sarebbe in-
terminato, incerto ed oscuro. Conoscitiva è
la na- tura del numero, e direttrice e
maestra per ognuno, in ogni cosa che
gli sia dubbia o sconosciuta. Per- ciò
nessuna delle cose sarebbe chiara ad
alcuno, né per se stessa, né in
rapporto alle altre, se non ci fosse
il numero e la sua essenza. Ora
questo, 74 armonizzando tutte le cose
con la sensazione nel- l'interno dell'anima,
le rende conoscibili e tra loro
commensurabili secondo la natura dello
gnomone, in quanto compone o scompone
i singoli termini delle cose, così
delle interminate come delle ter- minanti.
Né solo nei fatti demonici e divini
tu puoi vedere la natura del numero e
la sua potenza dominatrice, ma anche
in tutte, e sempre, le opere e parole
umane, sia che riguardino le attività
tecniche in generale, sia propriamente la
musica» (trad. Timpanaro-Cardini). Da varie
testimo- nianze risultano le ingegnose deduzioni
di natura sia aritmetica e geometrica,
sia fisica, dalle quali Filolao traeva
conferma al dominio della decade. A questo
punto tuttavia Filolao avvertiva l'esigenza
di una semplificazione del mondo fisico
che era assente nella tradizione pitagorica,
e riconosceva nel si- stema empedocleo il
più potente strumento in questo senso.
È propriamente nel- l'assunzione che ne
fece Filolao che le radici di
Empedocle si trasformarono in «elementi»,
avulsi ormai dalla vita del cosmo ed
inseriti su di una più fredda strut-
tura numerico-geometrica. Nei quattro elementi,
infatti, e nello « sfero » che
li riassumeva, Filolao vide il veicolo
ideale per la conquista del mondo
fisico da parte dei suoi solidi
geometrici. Per via analogica, il cubo
trovò il suo equivalente nella terra;
il tetraedro nel fuoco; l'ottaedro nell'aria;
l'icosaedro nell'acqua; il dodecaedro, infine,
nello « sfero ». Da un altro
punto di vista, ciò equivale a dire
che gli elementi trovarono il proprio
limite, la propria forma, la propria
armonia, infine la propria razionalità
nelle rispettive figure. I molteplici
oggetti dell'espe- rienza e le loro mutazioni
si presentavano ormai come aggregati degli
elementi e dunque come composizione di
forme geometriche semplici; ma, imbrigliati
dal limite, armonizzati dalla figura, il
loro variare nulla più aveva di
misterioso o di irrazionale, sempre
riconducibile com'era, sia pure per vie
complesse e non tutte esplorate, alla
legge del numero. Filolao giungeva dunque a
modificare così l 'assioma pitagorico che i
numeri sono le cose: « Tutte le cose
hanno un numero; senza questo, nulla
sarebbe possibile pensare, né conoscere. »
Le cose hanno un numero perché, come
in un universo cristallografico, hanno una
figura-forma che le delimita e che è
riconducibile a rapporti numerici; 1 e
perché sono inserite in un'armonia cosmica
che ne ritma il divenire e che
è anch'essa riconducibile al rapporto (logos)
numerico. Nel frammento che abbiamo ora
citato Filolao compie un'altra fondamentale
deduzione: poiché la nostra conoscenza, se
vuol essere ve- ra, non può che
muoversi dall'« uno» e seguirne la legge,
poiché il nostro pensiero non può che
essere -e di fatto, nella tradizione
pitagorica, è -logos mathematikòs, ecco che
il numero instaura la sua suprema
armonia fra pensiero e realtà, fra uomo
e mondo; ecco che il linguaggio
dell'uomo è identico al linguaggio di
fysis, e basterà affinarlo nel medesimo
senso per decifrare fysis tutta intiera.
Così egli ristrutturava il pitagorismo in
modo da adeguarlo alle esigenze
posteleatiche e insieme ne allargava
l'orizzonte fino a includervi le necessità
di spiegazione naturalistica. Più rigoroso,
sebbene meno ricco di quello empedo- cleo,
il suo sistema si prestava a
brillanti deduzioni cosmologiche, ma, posto
a confronto con i problemi del significato
e della vita, era spesso costretto a
sce- I È interessante a questo proposito
la fi- gura di Eurito, un pitagorico
del v secolo spesso associato a
Filolao. Eurito era famoso fra i suoi
contemporanei perché, assegnato a qualsiasi og-
getto reale un determinato numero (non
sappiamo come lo ottenesse), egli
dimostrava in un modo caratteristico la
necessità naturale del rapporto fra l'uno
e l'altro: si provvedeva di un pari
numero di sassolini, tracciava la figura
dell'oggetto in que- stione e incastr11va
lungo il suo perimetro tali 75
sassolini (il numero atto a definire
la figura del- l'uomo era per esempio
250). Variando le dimen- sioni dell'oggetto, il
numero di sassolini, che ne esprimevano
i rapporti essenziali, non cambiava. In
tal modo Eurito voleva stabilire
visivamente la relazione, tipica anche del
pensiero di Filolao, tra numero e
forma limitante gli enti reali: il nu-
mero, tradotto in forma, era quindi il
principio di individuazione e anche di intelligibilità
della na· tura. gliere la via del
superamento mistico alla maniera del primo
pitagorismo; oscil- lazione riconoscibile lungo tutto
l'arco della riflessione naturalistica di
Filolao. L'« uno», ipostatizzato fisicamente
nel «fuoco», sta al centro del cosmo;
dal suo rapporto con l 'infinito circostante-
un rapporto paragona bile al processo del- la
inspirazione ed espirazione - si è generato
tutto quanto il cosmo, che, come ab- biamo
visto, consta di una sintesi inscindibile
di « uno » e molti, di
limitante e illi- mitato. Rinnovando la meccanica
celeste della tradizione pitagorica, spinto
a un tempo dall'esigenza astronomica di
spiegare le eclissi e da quella
mistica di asse- gnare all'« uno-fuoco» il
posto centrale dell'universo, Filolao fece
audacemente della Terra un pianeta
eccentrico e mobile come gli altri,
anticipando così di se- coli la veduta
di Aristarco. La medesima ambiguità si
riscontra nell'ipotesi di un decimo
pianeta, l' Antiterra, in aggiunta ai
nove conosciuti: si trattava, da un
lato, di costruire un modello di
meccanica celeste atto a spiegare fenomeni
quali la maggior frequenza, in uno
stesso luogo, delle eclissi di luna
rispetto a quelle di sole; e,
dall'altro, di trovare un 'ulteriore
conferma al valore universale della decade.
Analogamente ad Empedocle, Filolao riteneva
poi il sole percepito dai nostri
sensi un semplice riflesso focalizzato del
«fuoco » centrale. Filolao fu anche
attento cultore di biologia e di medicina:
operando nel solco della tradizione
alcmeonica, egli accoglieva da un lato
alcune posizioni del sistema vitalistico di
Empedocle, dall'altro, grazie proprio a
quella tradizione, appariva più vicino
all'empirismo esprimentesi nella medicina cnidia;
né poteva riuscirgli agevole la
trasposizione dei punti di vista
aritmo-geometrici al campo della vita.
Proprio per questa complessità di
approccio, appaiono nel filosofo di Crotone
germi interessanti di teoria medica; essi
passeranno in Platone e in alcune
opere del Corpus hippocraticum, e per
un altro verso nella scuola siciliana
di medicina, ma non troveranno una
diretta continuazione per il progressivo
abbandono, da parte del successivo
pitagorismo, delle ricerche più propriamente
naturalistiche. Un primo movimento analogico
permette a Filolao di ravvisare nel ritmo
della vita organica una stretta affinità
cosmogonica. Principio costitutivo della vita
è lo sperma, il calore originario;
principio del corpo è dunque il calore,
così come il «fuoco» lo era del
cosmo. D'altra parte la respirazione
introduce nel corpo l'ele- mento freddo
necessario ad equilibrare tale calore,
proprio come l'inalazione del- l'illimitato
circostante da parte dell'« uno» originava
l'universo. Gli stessi organi principali
del corpo sono racchiusi in uno
schema quaternario analogo a quello degli
elementi, ed essi sono visti come
rispettivamente egemonici nelle varie classi
di viventi. Il cervello, cui corrisponde
il pensiero, è così egemonico nel- l'uomo
(qui è chiara l'eredità alcmeonica); il
cuore, cui corrisponde il principio della
vita sensibile, è egemonico negli animali
(prevalendo qui l'ispirazione empe- doclea);
l'ombelico, che presiede alla crescita
dell'embrione e alla vita vegetati va,
contrassegna la classe delle piante; i
genitali, infine, da cui proviene il seme
fecon- dante, individuano tutti i viventi
in quanto tali. In senso più
propriamente medicFilolao costruì un'eziologia in
cui i maggiori agenti patogeni, di
derivazione cni- dia, erano la bile (vista
come siero delle carni), il sangue e
il flegma o catarro che si originava
dalle urine ed era comunque il
prodotto di una infiammazione. I fattori
scatenanti i processi morbosi erano poi
ravvisati, alla stregua della dottrina
alcmeonica, nell'eccesso o nella scarsità
di alimenti, di esercizio fisico, dei fattori
ambientali necessari alla vita dell'uomo.
La teoria dell'anima era in Filolao
strettamente connessa alla concezione del-
l'organismo: l'anima rappresentava infatti da
un lato il respiro vitale, il
principio di refrigerazione che temperava
il calore corporeo e dava luogo alla
vita; dall'al- tro essa era l'armonia che
scaturiva dalla tensione degli opposti
elementi fisici - come dalle corde di
uno strumento musicale - e li teneva
connessi nel miracoloso equilibrio della
vita. L'anima era dunque la presenza
dell'armonia universale nel corpo vivente,
e d'altro canto l'espressione intrinseca
dei diversi fattori che si componevano
armonicamente a dar luogo alla vita
stessa. Così strettamente legata all'equilibrio
transeunte della vita organica, l'anima
individuale non poteva sopravvivere al
dissolversi nella morte degli elementi
corporei che essa armo- nizzava; ancora una
volta, per giustificarne l'immortalità secondo
il dettame pitagorico, Filolao era
costretto ad un trascendimento religioso
della propria dottrina. Al contrario di
Empedocle, Filolao veniva così offrendo al
pensiero sia filo- sofico sia tecnico-scientifico
uno strumento d'indagine dotato di una
enorme po- tenzialità: quello cioè dell'analisi
formale e modale della realtà, e della
sua tradu- zione nei termini della logica
aritmo-geometrica. In questo senso, era fondamentale
il suo apporto allo sviluppo della matema-
tica, che poteva ormai procedere sulla
via della specializzazione arricchita della
certezza che qualsiasi sua scoperta avrebbe
comportato oggettivamente una più vasta e
profonda comprensione della realtà, avrebbe
comunque rivestito un signi- ficato universale.
E parimenti fondamentale - anche se
destinato ad un meno im- mediato successo -
era il suo contributo alla fisica, che
per la via della matematiz- zazione era
avviata ad una intelligibilità, ad un
rigore nuovi; un rigore persino superiore
a quello della fisica atomistica, che,
come ha osservato il Rey, avrebbe
dovuto basarsi sulla meccanica, una
disciplina molto meno progredita nel pensie-
ro greco di quanto non lo fosse
l'aritmo-geometria pitagorica. Se in epoca
moderna matematizzazione e concezione atomica
della fisica erano destinate a riunirsi,
dando luogo al « sistema del mondo
» proprio della scienza a partire dal
Seicento, nel mondo greco pitagorismo ed
atomismo restarono però a lungo
contrapposti. Ciò è dovuto anche
all'ambiguità che abbiamo visto sottendersi
a tutta la speculazione di Filolao.
Il logos mathematikòs non era soltanto,
e non tanto, un metodo del pensiero
quanto la struttura essenziale, garantita,
dell'universo; il numero non era tanto
uno strumento euristico dell'uomo quanto
una realtà originaria, primale, che garantiva
la validità della scienza, ma soprattutto
la condizionava al riconoscimento di sé,
principio dogmatico del conoscibile prima
che del conoscere. Già per la
matematica, questa natura del numero creava
una situa- zione di privilegio necessariamente
ambigua: giacché essa veniva trasvalutata
in una sorta di teologia razionale,
secondo un processo che sarà comune a
Platone vecchio e a tutto il
successivo pitagorismo, sempre più alieno
dalla ricerca empi- rica, sempre più
portato a rifiutare il contatto così
fecondo tra la matematica stessa e le
discipline tecniche e naturalistiche. Nel
senso di Filolao, assolutizza- zione delle
matematiche voleva dire dunque anche loro
isterilimento sul piano scientifico-tecnico, e
contemporaneamente condanna ad uno status
non scientifi- co delle technai di
controllo della natura, dalla meccanica
alla biologia. L'accen- tuarsi della natura
mistica del numero - che all'origine aveva
anche significato l~ preoccupazione di una
saldatura tra uomo e mondo, tra conoscenza
e realtà - avrebbe scavato un solco
sempre più profondo tra il pitagorismo e le
tendenze più vive del pensiero, conducendo
da ultimo alla fusione tra un
pitagorismo teologiz- zante ed un parimenti
infiacchito platonismo. Filolao, con tutta
la sua ricchezza di interessi metodici
.e scientifici, era certamente lontanissimo
da tali esiti. Ma la sua
impossibilità di liberarsi da talune
ambiguità di fondo lo poneva già, nono-
stante tutto, su questa via.Gorgia nacque
a Lentini, in Sicilia, intorno al
480. La tradizione ci rac- contà che
sarebbe vissuto fino a 108 anni, e
sarebbe stato discepolo vuoi dei pi-
tagorici vuoi di Empedocle. Senza dubbio
riuscì a conquistarsi la stima dei
suoi concittadini, tanto è vero che
fu da essi inviato come ambasciatore
ad Atene per chiedere aiuto contro
Siracusa. Viaggiò per tutta la Grecia,
facendo ovunque sfoggio della sua
sottilissima arte dialettica che era basata
su una tecnica analoga a quella di
Zenone. Scrisse varie opere, fra le
quali ci limitiamo a ricordare l'Elena e il
trattatello Intorno al non ente o intorno
alla natura (Perì tou me ontos é perì
Jjseos). Nella prima viene svolta, con
molta abilità, la paradossale difesa della
celebre eroina, scagionata da ogni colpa
per l'abbandono della casa del marito,
e viene intessuto l'elogio dell'onnipotenza
della parola, specie quando essa è
guidata dalla retorica: « La parola è
un gran dominatore, che con piccolissimo
corpo e invisi- bilissimo, divinissime cose
sa compiere; riesce infatti a calmar
la paura, e a eli- minare il dolore,
e a suscitare la gioia, e ad
aumentare la pietà.» Nell'altra opera
Gorgia espone, una triplice tesi: a)
nulla è; b) se anche qualcosa fosse,
non sa- rebbe conoscibile; c) se poi
fosse conoscibile, non sarebbe esprimibile,
«poiché il mezzo con cui ci
esprimiamo, è la parola; e la parola
non è l'oggetto, ciò che è realmente;
non dunque realtà esistente noi esprimiamo
al nostro vicino, ma solo parola che
è altro dall'oggetto». La critica della
vecchia filosofi di Parmenide è qui
evidente; essa si fonda sull'equivocità del
termine « essere» usato ora nel senso
di « esistere» ora in- vece nel senso
puramente copulativo. Ma più ancora di
questa critica è impor- tante la chiarezza
con cui si pongono i problemi della
conoscibilità e dell'espri- mibilità (cioè i
problemi se tutto ciò che esiste
possa, per il solo fatto di esistere,
venire conosciuto e venire espresso).
Abbiamo parlato, a proposito sia di
Protagora sia di Gorgia, di critica al-
l'eleatismo. Tale critica investì certamente
il tentativo dell'eleatismo di stringere in
una rigida unità l'ordine del pensiero
e del linguaggio con quello della realtà
percepita e vissuta, e vi contrappose
la relativa autonomia di questi due
momenti. Ciò premesso, la critica moderna
tende tuttavia a non sottovalutarei legami
che connessero i maggiori sofisti
all'eleatismo, e non solo nel senso
che la situazione di crisi creata da
quest'ultimo rappresentò il loro punto di
partenza. Nell'ordine logico, i sofisti
accettarono infatti i requisiti di verità
imposti dall'eleatismo, quali l'identità
tautologica (di cui la orthoépeia
protagorea sarebbe una versione raffinata)
e la pregnanza di significati esistenziali
e copulativi del verbo «essere». La
rivendicata autonomia dell'esperienza vissuta si
tradurrebbe pertanto in una sizioni professionali
variano da individuo ad in- dividuo, sicché
ognuno, possedendone alcune, è privo delle
altre, la capacità di contribuire a con-
93 servare e perfezionare l'organismo
sociale deve essere considerata presente in
tutti gli individui normali. rinuncia a
controllarla con strumenti logici, e in
un suo abbandono alla psico- logia
dell'individuo a sua volta stratificato
nella convenzione sociale. Questo atteggiamento
si tradusse, da un lato, in una
certa incapacità della sofistica di
comprendere l'originale rapporto di logica
ed esperienza che si veniva realiz- zando
nella scienza contemporanea (di qui la
polemica di Protagora e di Gorgia
contro la geometria, la fisica e,
indirettamente, contro la medicina); dall'altro,
nella tendenza a considerare il momento
irrazionale del profitto e della forza come
primario nell'ordine sociale, trascurandone le
esigenze etico-storiche. Questo non toglie
nulla alla fecondità dell'atteggiamento critico
della sofistica, ma certamente sottolinea
la vastità del compito di ricostruzione
scientifica, filosofica e storico- sociale che
spetterà al pensiero greco dopo il
fallimento eleatico, l'esaurimento della
filosofia della natura e la critica
sofistica. Non sappiamo se a Crotone,
quando vi approdò Callifonte, l'asclepiade
di Cnido, cui abbiamo fatto cenno nel
secondo paragrafo, già esistesse una scuola
di medicina o se la sua fondazione
si debba a questo scienziato venuto dall'Orien-
te. È certo, tuttavia, che la scuola
conobbe una rapidissima fioritura. Già il
figlio di Callifonte, Democede, si guadagnò
la fama di miglior chirurgo del mondo
greco, e, fatto ritorno alla nativa
costa ionica, impose alla corte del
re di Persia la supremazia della
nuova scuola ellenica su quella
tradizionale d 'Egitto. Toccò al crotoniate
Alcmeone, nato verso il 540, di
portare la scuola al suo massimo
livello scientifico. E soprattutto toccò ad
Alcmeqne -che il Wellmann ha definito
a buon diritto pater medicinae grecae -
di rinnovare profondamente il pensiero scientifico
ellenico, condizionandone lo svolgimento lungo
tutto il v secolo. A contatto attraverso
la sua scuola con le esperienze
maturate dalla historle ionica nel VI
secolo, egli entrò d'altro canto in
relazione con le filosofie i tali che
che sullo scorcio di quel secolo si
sviluppavano rapidamente: il pensiero di
Senofane da un lato, il pitagorismo
dall'altro. Dalla critica senofanea al
sapere umano, Alcmeone derivò la
consapevolezza, via via affinatasi, che
l'osservazione empirica non può immediatamente
offrire la chiave della conoscenza, che
la verità non si rivela tutt'intera a
chi si limiti a descrivere la natura.
Con il pitagorismo, Alcmeone mantenne
rapporti su di una base di autonomia,
da scuola a scuola; insofferente del
carattere settario, dogmatico, della dottrina
e della prassi pitago- rica, egli rivolse
contro di esse la sua critica teorica
e la sua azione politica demo- cratica. Fu
tuttavia profondamente interessato non solo
dai progressi che i pi- tagorici facevano
compiere alle. scienze naturali, ma
soprattutto dal loro tentativo di scoprire
leggi dell'esperienza che fungessero da
principio di organizzazione e di
interpretazione dei fenomeni osservati. Ecco
dunque che sul tronco dell'empirismo
ionico, cui per altro restava solidamente
ancorato, Alcmeone veniva innestando una
problematica e una consapevolezza nuove, la
cui carenza aveva sempre frenato, come
s'è visto, i progressi di quell'empirismo.
Proprio con la dichiarazione di questa
acquisita consapevolezza si apre l'opera di
Alcmeone: «Delle cose invisibili, delle
cose mortali gli dei hanno immediata
certezza, ma agli uomini tocca procedere
per indizi (tekmdiresthai). » Bastava un
tale punto di vista gnoseologico ad
infrangere l'illusione dell'immediata trasparenza
dell'esperienza, ad aprire la via ad
una osservazione critica dei fenomeni e
ad un più attivo intervento dello scienziato
nella loro interpretazione. Alcmeone si
valeva del principio così scoperto nel
vivo della propria ricerca scientifica, e
d'altra parte era la ricerca stessa,
divenuta criticamente più vigile, a
confermargliene la validità. Nel campo dei
fenomeni naturali egli non vedeva più
alcun « elemento »alcuna coppia di
contrari, alcuna arché che di per sé
valessero a spiegare la natura e la
vita. Da biologo, egli riconosceva
piuttosto nell'empirico una indefinita
molteplicità di principi attivi o «
qualità », vale a dire di stimoli
capaci di de- terminare nell'organismo una
certa reazione fisiologica (l'amaro, il
freddo e così via); di conseguenza,
non v'era continuità fra organismo
senziente e il suo ambiente, ma il
rapporto fra l'uno e l'altro era
quello di stimolo e reazione (questo
è il significato della « sensazione
per contrari » attribuita ad Alcmeone,
in contrasto con la «sensazione per simili»
che, come s'è visto, fu tipica di
Empedocle). Parallelamente, Alcmeone scopriva,
grazie alla pratica coraggiosa- mente scientifica
della dissezione, che la funzione del
percepire è nell'uomo bensì diffusa nei
vari organi di senso, ma che essa
viene poi coordinata da un organo
centrale, e precisamente dal cervello. Con
questa scoperta Alcmeone non solo compiva
un progresso di fondamentale importanza per
tutta la biologia greca, ma trovava
altresì una decisiva conferma al proprio
punto di vista gno- seologico: la funzione
del cervello spezzava di fatto il
legame immediato fra uo- mo e mondo,
fra conoscenza e realtà. Ed Alcmeone
rendeva esplicita questa con- seguenza
dichiarando che, se la «sensibilità» è
una proprietà di tutti gli organi- smi
viventi, la funzione del « comprendere »,
cioè del ridurre a sintesi significa- tiva
l'esperienza, e del «prender coscienza»
della sensibilità stessa è propria
esclusivamente dell'uomo. Il valore di
queste asserzioni si po.trà intendere appie-
no ove si ricordi che ancora una
generazione più tardi la dottrina della
centralità del cuore conduceva Empedocle a
conclusioni estremamente antitetiche. In ogni
modo, profondo era il solco così
apertosi fra l'uomo e la realtà che
egli vuol comprendere e trasformare. Il
mondo dell'esperienza riacquistava la sua concretezza,
e l'esperienza stessa veniva riconosciuta
incapace di dare spontaneamente conto di
sé. Così, lo scienziato riconquistava
un'autonomia e una possibilità di comprensione
e di controllo sul mondo, scoprendo
un punto di vista ad esso eterogeneo.
Ma Alcmeone si avvide di una
conseguenza decisiva di questa situazione:
la realtà si faceva a un tratto
opaca agli occhi dello scienziato; la
sapienza, intesa come perfetta trasparenza
di tutto il mondo all'uomo, restava
ormai solo una proprietà degli dei.
In termini di metodo scientifico, la
sapienza doveva allora venir sostituita
dall'indagine, la rivelazione dalla congettura,
l'os- servazione e le analogie che essa
sembrava offrire dovevano essere integrate
dal metodo dell'indizio e della prova.
Quando Alcmeone poneva il tekmdiresthai, il
proceder appunto per indizi, congetture e
prove, come metodo tipico della conoscenza
umana, egli conferiva una consapevolezza
teorica alla prassi della me- dicina, che
doveva interpretare l'esperienza per ritrovare
in essa un significato, un valore di
sintomo, e risalire così all'unità della
malattia e delle sue cause: una
consapevolezza che, come s'è visto, fece
sempre difetto ai cnidi. Sulla base
di queste prospettive teoriche, Alcmeone
poté anche offrire alla medicina una
dottrina fisio-patologica e un'eziologia unitaria
cui i cnidi non avevano potuto
pervenire. Le infinite «qualità» (4Jnàmeis)
agenti nell'organismo, formano nel loro
stato normale un composto (krasis) omogeneo
ed armonico (isonomia). La malattia nasce
dalla rottura di tale equilibrio e
dal prevalere patolo- gico (monarchia) di
uno solo di questi principi, oltre
che per l'azione di una mol- teplicità
di fattori ambientali. È importante notare,
per l'influenza che questa veduta ebbe
su Ippocrate, che Alcmeone lasciò
indefinito il numero delle 4Jndmeis, senza
irrigidirle né nello schema quaternario
degli elementi proprio della scuola
empedoclea, né in quello degli «
umori » sviluppatosi nella tarda scuola
di Cos. Queste determinazioni negative, le
uniche che ci restano delle 4Jndmeis
alcmeoniche, sono tuttavia importanti, perché
gettano il seme di una embrionale chimica
fisiologica, consapevole della molteplicità degli
elementi e dei composti (come ribadirà
anche Anassagora) e attenta soprattutto
alla loro sempre variabile funzionalità
nelle sintesi organiche. D'altra parte,
rompendo anche qui con tutta la
tradizione della_bsiologia, Alcmeone affermava
l'irreversi- bilità dei processi biologici e
dunque l 'impossibilità del ciclo: « Gli
uomini per ciò periscono, che non
possono congiungere il principio con la
fine. » Troppo innovatrici erano tuttavia
le sue intuizioni, perché Alcmeone ne
potesse trarre tutte le conseguenze. La
via del metodo scientifico era stata
indicata, ma un lungo cammino doveva
essere ancora percorso perché quel metodo
potesse essere sviluppato e consolidato. Il
problema del rapporto fra pensiero e
realtà, fra teoria ed esperienza era
stato posto senza che le strutture di
quel rapporto potessero essere compiutamente
analizzate e rese esplicite. Questa
mancanza di una chiara elaborazione teorica
spiega come l'eredità alcmeonica si sia
suddivisa in due filoni diversi e
contrastanti. Da un lato, infatti, essa
fu riassorbita dalla fysiologia italica e
siciliana, che utilizzò alcune delle sue
conquiste scientifiche contestandone altre e
soprattutto annullandone via via la carica
innovatrice dal punto di vista del
metodo. Attraverso Empedocle, questo filone
dell'eredità alcmeonica passò, sul finire
del v secolo, alla scuola italica di
medicina, di cui diremo più ampiamente
al capitolo xr. L'altro filone ci
interessa qui più da vicino: tramite
l'autonoma ricerca medico-biologica, esso rifluì
nell'ambiente scientifico ionico-attico, e dunque
nel suo crogiuolo ateniese, destandovi
immediatamente l'interesse delle più vive
correnti di pensiero. Ad Anassagora la
lezione alcmeonica apportava la veduta
dell'alterità del conoscere rispetto al
conosciuto, dell'inesauribile concretezza del
mondo empirico, del tekmdiresthai come
metodo della conoscenza; agli scienziati
che si raccoglievano intorno al filosofo,
ai medici come lppocrate, Alcmeone insegnava
l'importanza metodica del sintomo, la
centralità del cervello, le basi fisiologiche
della patologia; agli uomini di cultura,
agli storici come Tucidide, egli
trasmetteva analoghi spunti metodici, e
ancora il suo rifiuto della ciclicità, la
sua concezio"ne - così suggestivamente
trasferibile alle vicende umane- dell'armonia
come salute, della monarchia come sua
rottura patologica Seguendo questo secondo
filone dell'eredità alcmeonica, occorrerà quindi
tornare nell'Atene della metà del v
secolo, dove si venivano intrecciando i nodi
di tutto il pensiero scientifico greco
e grazie a ciò si ponevano le
premesse per le sue conquiste più
alte.Nel seguire al capitolo vn il
filone alcmeonico che si svolgeva
attraverso Anassagora e culminava in Ippocrate,
accennammo anche al permanere di una
scuola medica in Magna Grecia e in
Sicilia, nella quale l'eredità di Alcmeone
doveva però esser ben presto sopraffatta
dal prepotente influsso della fysiologia di
Empedocle. Quest'ultima era in effetti tale
da condizionare sia nelle premesse sia
nei metodi la ricerca medico-biologica,
promuovendone a un tempo lo svi- luppo
e indirizzandolo verso esiti estremamente
insidiosi. La concezione del inondo come
un organismo vivente pareva infatti
assicurare la fondazione più universale e
più valida alle scienze biologiche; e
la riduzione del mondo stesso a
quattro elementi primari, o archai,
sembrava a sua volta offrire uno strumento
decisivo per la comprensione della
struttura del corpo e delle sue
affezioni. La metodica da porre in
opera era pure esemplificata da Empedocle:
si trattava di battere la via
dell'analogia tra microcosmo e macrocosmo,
di riportare cioè co- stantemente i
fenomeni organici alla struttura di fondo
del corpo e la struttura del corpo
a quella dell'universo, ritrovando in
quest'ultima una garanzia di ve- rità e
una premessa per ulteriori spiegazioni.
Entro tale orizzonte la scuola italica
si sviluppò lungo la seconda metà del
v secolo, finché sullo scorcio di
quello stesso secolo e nei primi
decenni del IV, Filistione di Locri
la condusse al suo definitivo assetto
dottrinale e metodico. Importante in senso
dottrinale l'elaborazione della teoria del pneuma
o «respiro», principio vitale che animava
la struttura elementare sia del corpo
sia del cosmo, e che valeva a
spiegare molti fenomeni patologici quando
la sua circolazione or- ganica risultasse
anomala. Ma soprattutto importante, dal
punto di vista metodico, era la
traduzione in senso biologico degli
elementi empedoclei, che certamente Filistione
derivava dalla scuola ma cui egli
conferì una forma destinata a domi- nare
per lunghi secoli il pensiero
naturalistico. Non immemore della lettera al-
meno dell'insegnamento alcmeonico, e impegnato
più direttamente di Empedo- cle nell'osservazione
dei fenomeni organici, Filistione trasformò
gli elementi in « qualità » o
principi organici attivi (c!Jndmeis): così
la terra veniva espressa dalla djnamis
«secco», l'acqua dall'« umido», il fuoco
dal« caldo», l'aria dal« fred- do »:
queste c!Jndmeis erano secondo Filistione
la forma specifica con la quale la
struttura elementare dell'universo si manifesta
nell'organismo umano; grazie tuttavia alloro
legame univoco con gli elementi, esse
non potevano diventare, come in Anassagora
ed in Ippocrate, stati relativi e
mutevoli degli oggetti em- pirici, bensì restavano
principi stabili e necessari dell'empirico
stesso. Il processo analogico con il quale
Filistione giungeva alle quattro qualità
era strettamente affine alla deduzione
empedoclea degli elementi, e non occorrerà
tornare a descri- verlo; e la sua critica
più pertinente, dal punto di vista
del metodo della medicina empirica, fu
del resto anticipata dallo stesso Ippocrate
in Antica medicina, come si è visto
al capitolo vn. L'importanza storica della
rielaborazione di Filistione e la ragione del
suo duraturo successo stanno da un lato
nell'aver offerto alla biolo- gia uno
strumento di spiegazione e di
semplificazione dei fenomeni pur sempre
dogmatico ma tuttavia assai più
riconoscibile nella concretezza dei processi or-
ganici di quanto lo fossero gli
elementi empedoclei (ad esempio il «calore
vitale» e il suo eccesso patologico
rappresentato dalle febbri si spiegano
meglio con le vicende della qualità«
caldo» che con la materia «fuoco»);
d'altro lato, toglien- do dalla fysiologia
empedoclea quanto vi era di materialistico
e in fondo di mec- canicistico, Filistione
ne troncava i pur possibili legami con
l'atomismo e la ren- deva assai meglio
accetta al prevalente indirizzo qualitativo
del pensiero platonico e soprattutto
aristotelico. Un'altra importante evoluzione egli
faceva poi subire all'organicismo del
filosofo di Agrigento. Mentre quest'ultimo
non aveva mai compiuto esplicita- mente il
passo che portava dalla concezione
vitalistica del mondo al ricono.sci- mento
di un finalismo in esso operante,
Filistione trovava, ad esito delle sue ri-
cerche anatomiche sull'organismo, proprio questo
grande principio esplicativo: che la natura,
e soprattutto la natura vivente, è
organizzata in funzione di un si- stema
di fini, che questa organizzazione si
ritrova allivello di .tutti gli organi,
e che dunque l'indagine biologica non
deve vertere tanto sul « che cosa
» e sul «come», quanto sul «perché»
finale dell'assetto dei fenomeni studiati.
Nel trattato sul Cuore (Perì kardies) -
dove tra l'altro, nonostante la sua grande
dottrina anatomica, egli rifiuta Alcmeone
per Empedocle e pone l'intelli- genza nel
cuore stesso - Filistione concepisce quest'organo
come la costru- zione mirabile di un
« buon artefice », che tutto ha
predisposto affinché la vita potesse aver
luogo nel migliore dei modi. L'incontro
di queste dottrine con il platonismo,
concretatosi in quello fra Filistione e
Platone avvenuto in Sicilia ver- so il
36o e dunque all'inizio del periodo
di elaborazione del Timeo, doveva ave- re
conseguenze incalcolabili per la scienza
della natura greca. Attraverso Platone,
passarono infatti ad Aristotele, che le
adottò ancor più risolutamente del maestro,
e grazie a lui conquistarono una
egemonia per lungo tempo quasi
incontrastata. Ma prima che tutto questo
avesse luogo, le posizioni della scuola
italica fa- cevano sentire la loro
pressione sulla stessa scuola di Cos
postippocratica, e oc- correrà ora seguire
gli estremi tentativi di quest'ultima di salvare
la techne, «l'an- tica medicina », da
così agguerriti avversari. Già si parlò
nel capitolo v dell'opera di Filolao,;
qui vogliamo ancora accen- nare ai
progressi compiuti, nell'ambito della matematica,
dal filosofo e scienziato Archita, vissuto
a Taranto tra la fine del v
secolo e la prima metà del IV,
ultima figura di statista pitagorico. Egli
resse per lungo tempo la sua città
incrementan- done la prosperità e la
potenza militare, facendone la prima della
Magna Grecia. Si ritiene che Archita
abbia applicato la propria dottrina
matematica alla mecca- nica militare, e,
poiché sappiamo pure che fece uso di
strumenti meccanici per ri- solvere problemi geometrici,
si può dire che per primo (e
sfortunatamente con pochi imitatori per
molto tempo) egli intuì la fecondità
teorica e pratica di una rela- zione
fra matematica e meccanica. Profonda fu
l'impressione che la personalità di Archita
suscitò in Platone in occasione del
suo soggiorno a Taranto nel 3 89.
In campo matematico, Archita riprese il
problema di Delo secondo le linee
tracciate da Ippocrate di Chio, e lo
portò a soluzione mediante la rappresenta-
zione strumentale di figure geometriche in
movimento. La soluzione di Archita è
troppo complessa per essere qui riportata:
da essa risulta comunque che egli era
familiare con i processi mediante cui
si generano cilindri, coni e altri
solidi di rivoluzione, e che fu il
primo ad usare consapevolmente il concetto
di luogo geometrico. In questo modo,
Archita offriva il primo esempio di
applicazione della geometria dello spazio
alla soluzione dei problemi di geometria
piana, e insieme dava inizio alle
ricerche che concluderanno alla teoria
delle coniche. Ma quello che va messo
in maggiore rilievo, è lo spregiudicato
coraggio con il quale Archita faceva
ricorso - nonostante la polemica·platonica - a
tutti i metodi e gli strumenti che
permettessero di far progredire la ricerca.
Parimenti ardite le sue impostazioni in
aritmetica e in acustica: quanto alla
prima, egli contribuì a sviluppare il
concetto che il numero è essenzialmente
un rapporto, perciò in- dipendente dalle
condizioni di commensurabilità e razionalità,
e poté quindi tor- nare a rivendicare la
supremazia dell'aritmetica fra le scienze
matematiche; quanto alla seconda, egli
scoprì che il suono è dovuto al
movimento e all'urto dei corpi, e che
l'aria è un corpo atto a ricevere
la vibrazione e a propagarla La
tradizione, che fa di Archita uno dei
maestri di Eudosso, anche se dubbia, vale
certamente a simboleggiare la funzione del
tarantino nel passaggio dalla ma- tematica del
v secolo alla grande fioritura che
ebbe luogo nel IV I romani,
prevalentemente agricoltori e guerrieri, non
si occuparono affatto, nei primi secoli
della loro storia, né di problemi
filosofici né di problemi scienti- fici. Il
loro interesse culturale si concentrò,
tutto, sui problemi giuridici, per l'evi- dente
importanza del diritto nella costruzione di
uno stato efficiente. Nel 168 a.C. la
conquista della Macedonia li portò a
contatto immediato con la Grecia e provocò
un rapido incremento nei loro rapporti
con la cultura elle- nica. Questi furono,
in un primo tempo, tutt'altro che
facili. La penetrazione in Roma dell'arte,
della filosofia e della scienza greche
poteva infatti costituire un vero pericolo
per lo stato romano, minacciando di alterarne
quei caratteri cheavevano fino allora
costituito la base stessa del suo
crescente successo politico. Gli elementi
·più conservatori come Catone se ne
avvidero immediatamente e cercarono di
opporre una seria resistenza. Un
senatoconsulto del 161 ordinò che i retori
e i filosofi, venuti in Roma come
esuli della Macedonia, fossero cacciati
dalla città. Cinque anni più tardi
Atene inviava a Roma una missione
diplomatica, formata da tre filosofi
(Critolao, che rappresentava il Liceo,
Diogene di Babilonia, che rappresentava la
Stoa, e Car- neade, che era alla
direzione dell'Accademia); essi approfittarono di
questo sog- giorno per esporre in pubblico
le proprie dottrine. Ottennero un enorme
successo, soprattutto Carneade, la cui
oratoria, ricca di sottili argomentazioni
dialettiche, riuscì in breve a conquistare
la parte più intelligente della gioventù.
Famoso è rimasto il suo discorso sul
contrasto fra la giustizia e la saggezza,
dimostrato pro- prio con l'esempio del
popolo romano, che fondava la propria
potenza sui terri- tori strappati con la
violenza ad altri. Questa non fu
l'ultima ragione per cui i filo- sofi
ateniesi, appena conclusa la loro missione,
furono invitati a lasciare la città.
È noto che questi ostacoli non riuscirono
a fermare il processo iniziato. Nel corso
di pochi decenni la situazione muta radicalmente:
i giovani delle migliori famiglie romane
accorrono sempre più numerosi a completare
i loro studi in Grecia; i più celebri
pensatori greci vengono invitati a Roma,
ove diventano amici di influenti
personalità politiche. A Roma fu per
oltre un decennio il filosofo Panezio,
uno dei maggiori rappresentanti della media
Stoa. Egli si legò particolar- mente al
circolo ellenizzante di Scipione Emiliano.
Questo comprendeva oltre allo storico Polibio,
i maggiori rappresentanti della. cultura
romana del tempo: Terenzio, Lucilio, Caio
Lelio, Quinto Elio Tuberone, ecc. Nel
I secolo a.C. Roma comincia a
diventare un centro culturale di notevole
importanza. Sarebbe erroneo tuttavia ritenere
che la Grecia, con i successi ora
ricordati, sia effettivamente riuscita a imporre
a Roma la propria cultura. Che non
sia stato così ce lo dimostra un
fatto semplicissimo ma molto significativo:
mentre la lingua greca si era
rapidamente diffusa in tutto il mondo
mediterraneo orientale (per esempio in
Egitto), tanto da diventarvi l'unico mezzo
di comunicazione della cultura, nulla di
simile accadde in occidente. Nel campo
linguistico la resistenza di Catone riportò
piena vittoria: i romani continuarono a
scrivere in latino ( cer- cando evidentemente
di arricchire il proprio vocabolario), e
la civiltà mediter- ranea finì a poco
a poco per diventare bilingue. Anche
nel campo della filosofia e della
scienza le qualità più caratteristiche del
temperamento romano - buone o cattive che
fossero - non andarono som- merse. Una
certa ripugnanza per le speculazioni troppo
astratte, l'interesse volto più alle
conclusioni che alle premesse, la spiccata
attitudine dei romani alla pra- ticità, non
tardarono a far sentire il peso della loro
influenza. 1 I Per i notevoli riflessi
di questo tempera- gogico, rinviamo all'ultimo
capitolo della pre- mento caratteristico dei
romani in campo peda- sente sezione.Illustreremo,
nel prossimo paragrafo, le conseguenze di
questo spirito nel- l'ambito delle teorie
filosofiche. Ora può essere opportuno - per
dimostrare l'immediata efficacia che tale
spirito ebbe sugli stessi studiosi non
romani entrati a contatto con Roma -
premettere qualche cenno intorno a due
scrittori partico- larmente significativi: Poli
bio e Strabone. Il greco Polibio
(205-123 a.C.) fu invia,to a Roma
come ostaggio dalla lega achea e vi
rimase per oltre sedici anni, nei
quali ebbe modo di assimilare profon-
damente lo spirito di quel popolo. Scrisse
in greco le Storie (in quaranta
libri) sulle imprese di Roma; opera
solitamente considerata come un grande
trattato, oltreché di storia, anche di
geografia descrittiva, per l'enorme ricchezza
di notizie riferite sugli usi e costumi
dei vari popoli presi in esame.
Orbene il modo con cui è concepita
quest'opera è una prova evidente che
Polibio intende la ricerca scien- tifica in
maniera .completamente diversa dai suoi
connazionali. Proprio nulla, infatti, lo
interessano le teorie generali e tanto
meno le ipotesi sulle zone lontane e
mal note del mondo; esse non meritano
la sua attenzione, perché prive di im-
mediata utilità. Secondo lui, ogni indagine
seria deve essere giustificata da un
ben preciso scopo pratico. Il compito,
per esempio, che egli si propone è
quello di istruire i romani intorno
al mondo mediterraneo in cui hanno
svolto e svolge- ranno le loro conquiste:
tutto ciò, dunque, che fuoriesce da
questo programma non può che apparirgli
privo di senso e dannoso allo
sviluppo della ricerca. Da un punto
di vista metodologico merita di venire
notato che la storiogra- fia di Poli
bio presenta alcune affinità con quella
di Tucidide: la ricerca tenace della
certezza, l'analogia- da lui resa esplicita- con
il metodo della medicina, la rinuncia
ad ogni abbellimento retorico. Ancora più
profonde sono tuttavia le differenze che
lo separano dal grande ateniese. Polibio
credeva nella diretta fruibilità della
storiografia come magistra vitae, nella autonoma
significatività delle informazioni riferite
quanto più possibilfedelmente, e si
ricollegava in tal modo alle teorie
sia di Isocrate sia di Teofrasto. Gli
era ignoto lo sforzo di com- penetrazione
tra ragione e fatti che Tucidide aveva
cercato di attuate nel suo me- todo
storiografico, convinto com'era che solo da
esso potesse scaturire quella essenziale
verità della storia la cui «utilità»
era certamente meno immediata ma più fondata
e più generalmente feconda. In tal
senso la storiografia di Polibio sta
a quella tucididea esattamente come la
filosofia ellenistica sta a quella del
v e del rv secolo. Strabone visse
un secolo e mezzo dopo (63 a.C.-25
d.C.). Nato ad Amasea nel Ponto da
una famiglia di sangue misto
greco-asiatico, fu anch'egli fortemente
influenzato dallo spirito romano (come ce
lo dimostra la decisione con cui so-
stenne il dominio politico di Roma).
Compì lunghi viaggi e scrisse una
Geografia (Geograftkd), ampio trattato in
diciassette libri. Ebbene, questo trattato
dimostra, non meno della storia di
Polibio, il nuovo tipo di interessi
che anima il suo autore: brevissima è
la parte dedicata all'aspetto matematico
della geografia; ricchissimeLa filosofia postaristotelica
e diffuse sono invece le notizie
sugli usi, le istituzioni, la storia
dei paesi via via presi in esame. La
differenza fra l'indagine di Strabone e
quella compiuta dai geo- grafi alessandrini
di qualche secolo prima non potrebbe
essere maggiore. L'og- getto di studio ha
conservato lo stesso nome, ma il modo
con cui è condotta la ricerca
dimostra che il significato stesso della
scienza è completamente mutato. L
'ECLETTISMO. CICERONE L'espressione più
caratteristica dell'interesse prevalentemente pratico
dei romani, nell'ambito delle ricerche
filosofiche, è l'eclettismo. Non che esso
sia nato per opera di pensatori
latini, né che tutti i filosofi latini
siano direttamente o indirettamente legati
ad esso; ma nell'ambiente culturale latino
esso trovò le ragioni del suo
successo, e in Roma il suo più
illustre sostenitore, Cicerone. Per trovare
un esempio di filosofo latino che non
abbia compiuto alcuna con- cessione
all'eclettismo, bisogna riferirsi al poeta
Lucrezio di cui abbiamo parlato nel
paragrafo 111. Questa particolare posizione
di Lucrezio non è, del resto, che
la conseguenza logica della sua adesione
alla dottrina epicurea; già sappiamo, in-
fatti, che l'epicureismo è stato l
'unico indirizzo dell'epoca mantenutosi costan-
temente fedele alla propria concezione
teoretica, senza evoluzioni interne, e questa
sua stessa staticità esclude che abbiano
potuto sorgere seri tentativi di
conciliazione fra esso e gli indirizzi
avversari. A parte Lucrezio, però, è
difficile scoprire pensatori latini che non
mostrino qualche venatura di eclettismo. Espli-
citamente eclettico è l'amico di Cicerone,
Marco Terenzio Varrone; atteggia- menti senza
alcun dubbio eclettici caratterizzeranno i
grandi stoici del periodo imperiale romano;
un po' di eclettismo, mescolato con
molto scetticismo, potrà venire ritrovato
quasi dovunque tra gli uomini più
rappresentativi e gli spiriti più raffinati
della cultura romana, come per esempio
in Orazio, che riuscirà ad esten- dere
la propria concezione eclettica fino ad
includervi anche molte dottrine filo- sofiche
caratteristiche degli epicurei. Come si è
accennato nei paragrafi precedenti, l'eclettismo
ebbe le sue prime affermazioni nella
nuova Accademia e nella media Stoa.
Esso rappresentò un tentativo di soluzione
della crisi che tali scuole stavano
attraversando, e rispecchiò una diminuita fiducia
- da parte di ciascuna di esse - nei
propri principi teore- tici. Da questo
punto di vista possiamo giustamente
sostenere che esso esprima un rilassamento
dello spirito filosofico, una profonda
stanchezza e una mancanza di originalità.
Esprime anche, però, la raffinata
consapevolezza dei pericoli cui va incontro
qualsiasi sistema filosofico astrattamente
coerente, e la convinzione di poter
trovare, su di un piano meno rigido
che quello dei principi generali, la via
per una comprensione reciproca e per
un sostanziale accordo circa i problemi
più interessanti per l 'uomo concreto.
Cicerone (106-43 a.C.) ascoltò con molto
interesse le lezioni di maestri che, come
Filone nell'Accademia e Posidonio nella
Stoa, sostenevano la necessità di
un'evoluzione filosofica in senso eclettico,
e si lasciò da essi facilmente
convincere che qualcosa di buono si
trova di fatto in tutte le dottrine,
specialmente nei loro precetti d'ordine
pratico, che il più delle volte
coincidono, pur venendo fatti derivare da
pri11cipi molto diversi e in apparenza
quasi antitetici. La sua adesione
all'eclettismo fu dunque immediata e totale,
sembrandogli che esso dovesse co- stituire
il frutto più maturo dell'ormai plurisecolare
travaglio filosofico. Proprio questo
atteggiamento largamente comprensivo gli consentì
di stu- diare con sincero interesse tutta
la storia del pensiero greco, sforzandosi
con impegno e intelligenza di renderlo
accessibile ai romani. Il suo perfetto
possesso della lingua latina gli permise,
in particolare, di trovare espressioni
eleganti e so- brie per le più
difficili formulazioni tecniche dei greci.
« La filosofia, » scrive nelle Tusculanae
disputationes, « è rimasta fino ad
oggi negletta, e su di essa la
letteratura latina non ha portato nessuna
luce; ma io debbo illuminarla ed
esaltarla, così che, se io sono stato
di qualche utilità ai miei concit- tadini
nelle faccende attive della vita, potrò
esserlo anche, se mi riuscirà, stan- domene
ozioso. » 1 Se Cicerone ha il torto
di dimenticare, in queste parole, il con-
tributo dato alla filosofia latina dal
suo contemporaneo Lucrezio, 2 egli riesce tut-
tavia ad esprimerci molto bene l'animo
con cui si accinge a scrivere di
filosofia. È un dovere che egli
compie per colmare una gravissima lacuna
della letteratura latina. Egli sente che,
se anche non introdurrà nessuna idea
originale, il semplice riuscire a mettere
in circolazione, nell'ambito della cultura
latina, un patrimonio così serio come
la filosofia ellenica, costituirà per lui
un merito di cui i concitta- dini
dovranno essergli grati. E di fatto
gliene saranno grati non solo i concitta-
dini, ma anche i posteri, poiché i
suoi scritti rappresenteranno per molti
secoli una delle principali fonti per
la conoscenza del pensiero filosofico
antico. Tra le principali opere filosofiche
di Cicerone ricordiamo, oltre le Tusculanae
(Le Tu- sculane), il De legibus (Delle
leggi), il De finibus bonorttm et
1nalorum (l limiti del bene e del
male), il De natura deorum (La natura
degli dei), il De ojficiis (Sui
doveri), il celebre Somnium Scipionis
(Sogno di Scipione), che è un
frammento del dialogo De re publica
(andato per gran parte smarrito), l'
Hortensius (un'esortazione alla filosofia, andata
perduta, che influenzò profondamente Agostino,
e che era un'imi- tazione del Protrettico
di Aristotele), ecc. Non è vero,
però, che Cicerone si limiti a
presentare le teorie altrui senza apportarvi
nulla di suo; in realtà egli le
ripensa dal suo particolare punto di
vista, le espone in modo tale da
poterle utilizzare a favore della
concezione eclettica. Ora utilizza Platone,
ora Aristotele, ora invece gli scettici
o gli stoici; e conclude I Qui
si accenna al fatto che Cicerone si
accinse a scrivere opere filosofiche solo
quando venne escluso dalla vita politica
per l'affermarsi del primo triumvirato e,
in seguito, per il trionfo di Cesare.
2 Proprio Cicerone aveva pubblicato, po-
stumo, il poema di Lucrezio, e tale
dimenticanza è dovuta probabilmente alla posizione
dichiara- tamente antiepicurea da lui assunta
in sede fi- losofica. con un generico
probabilismo, che ammette proprio come
unico criterio di ve- rità il consenso
dei filosofi (prova evidente - secondo
Cicerone - che esistono delle idee innate,
a tutti comuni). In queste molteplici
discussioni, non prive talvolta di
incoerenze l'una ri- spetto all'altra, nel
difficile e complesso lavorio di selezione e
coordinamento delle tesi, una preoccupazione
appare costantemente presente in Cicerone:
quella di rendere ogni uomo consapevole dell'immenso
valore educativo della filosofia. Solo la
filosofia, infatti, può farci cogliere il
valore esatto delle nostre conoscenze; solo
essa ci insegna a guardare con
effettiva serenità la morte, mostrandoci
con chiarezza ove risiedano la vera
felicità e la vera sventura; solo
essa riesce a farci comprendere che
chi ha giovato alla patria dovrà
vivere eternamente libero dalle catene del
carcere corporeo. Non v'è dubbio che,
per il senso pratico dei romani,
proprio questa capacità educatrice della
filosofia costituiva la sua più seria
giusti- ficazione: unica giustificazione veramente
sicura e da tutti accettabile Marco
Aurelio nacque a Roma nel I 21.
Salì al trono imperiale nel I 6
I, alla morte di Antonino Pio di
cui era figlio adottivo; morì nel I
So. Fu convertito allo stoicismo dalla
lettura di Epitteto. Scrisse, in greco,
una delle più interessan i opere
filosofiche della sua epoca: Colloqui con
se stesso (Ta eis heaut6n), ordinaria-
mente nota col titolo di Ricordi (in
dodici libri). Le note dominanti della
sua filosofia- nella quale emergono sempre
più chiari i caratteri dell'ultima Stoa -
sono un disprezzo ascetico di tutti i
beni esteriori e una profonda religiosità.
L'essere divino non è semplice fato,
ma è soprattutto provvidenza universale. Il
rapporto dell'uomo con dio è un
rapporto di effettiva parentela, che di
conseguenza viene a legare fra loro
tutti gli uomini. Oltre ai caratteri
ora accennati, è tuttavia presente in
Marco Aurelio un carattere nuovo,
evidentemente connesso proprio al tipo di
vita attiva, gravida di responsabilità, che
gli toccò in sorte come capo dello
stato. Non a caso - egli pensa
-l'uomo occupa la propria carica, ma
perché espressamente postovi dalla provvidenza
divina; l'uomo ha quindi il dovere di
agire con tutta la necessaria energia,
di non sottrarsi ai compiti -- per
quanto difficili e ingrati -- affidatigli
da tale provvidenza. È la forma
mentis del cittadino romano che si
inserisce in quella del filosofo stoico. Né
fra le due sorge alcun contrasto;
anzi, esse riescono a fondersi in una
mirabile armonia, permeate entrambe da un
senso di vivissima religiosità, che non
di rado sembra dare alle massime
dell'imperatore un tono molto simile a
quello degli insegnamenti cristiani. Neanche
i romani, malgrado il loro indiscusso
spirito pratico, seppero svi- luppare a
fondo la preziosa eredità degli ingegneri
alessandrini. Essi rivelarono senza dubbio
grandi capacità nella costruzione di
strade, di acquedotti, di fastosi edifici,
ma non riuscirono a comprendere l
'interesse della vera e propria ingegne-
ria meccanica, né avvertirono l'importanza
pratica di ricerche direttamente o indirettamente
rivolte alla scoperta di nuove fonti
di energia. Il fatto appare tanto più
singolare, quando si pensi che proprio
al I se- colo a.C. risale la massima
invenzione tecnologica dell'antichità: il mulino idrau-
lico (invenzione non dovuta a qualche
scienziato di particolare rinomanza, ma
sorta probabilmente - come scrive U. Forti
-nell'orbita della civiltà di Ales- sandria).
È un fatto che non sembra spiegabile
se non facendo appello, come già
spiegammo nell'ultimo paragrafo del capitolo
XIV, alla difficoltà di comprendere, in
quell'epoca, i vantaggi che avrebbero
potuto provenire dallo sfruttamento sistematico
delle varie forme di energia naturale,
mentre esse apparivano :lssai più costose
dell'energia umana (schiavi) e animale. Per
quanto riguarda lo scarso interesse
dimostrato dai romani verso gli arti-
ficiosi congegni esposti negli Pneumatikd
di Ero ne, va inoltre osservato che
la via da percorrere, onde giungere
ad una loro utilizzazione su vasta
scala, non poteva non apparire troppo
lunga e difficile a uomini - come
appunto gli ingegneri ro- mani --direttamente
impegnati nelle realizzazioni pratiche immediate.
L'abban- dono di tale atteggiamento richiederà
una profonda trasformazione sociale e cul-
turale, che avrà inizio solo parecchi
secoli più tardi. Fra gli autori
latini che abbiano scritto opere di ingegneria
di qualche pregio, il più importante
è senza dubbio Vitruvio, ingegnere militare
del tempo di Giu- lio Cesare e di
Augusto; di lui non si conoscono con
precisione né la data di na- scita né
quella di morte. La sua opera
principale, De architectura, reca evidentiUltimi
sviluppi della matematica e dell'astronomia
nell'antichità classica le tracce dell'influenza
degli ingegneri alessandrini. Vitruvio ricorda
infatti espli- citamente il nome di Ctesibio,
riferendoci parecchie sue invenzioni (la
pompa cui abbiamo fatto cenno nel
paragrafo m, una balestra ad aria
compressa, l'argano idraulico, ecc.). Il
voluminoso trattato del nostro autore si
articola in dieci libri, che esaminano
una gamma assai vasta di argomenti:
dalla preparazione culturale richiesta
all'architetto ai problemi specifici concernenti
la costruzione di edifici pubblici e
privati, all'idraulica, alle macchine da
guerra. È inoltre ricco di richia- mi
storici, di indicazioni giuridiche, di
massime morali, e costituisce una preziosa
fonte per studiare la cultura tecnologica,
e in generale i costumi dell'epoca.
In essa sono tuttavia riscontrabili alcuni
non lievi difetti. Pur sforzandosi di
risultare tecnicamente chiaro e cercando -
ove necessario -- di introdurre nuove
espressioni e nuovi vocaboli adatti al
linguaggio tecnico, il nostro autore non
può nascondere talune pretese stilistiche,
che spesso rendono oscura la di- zione,
ove accanto a volgarismi e plebeismi si
trovano espressioni ampollose e ri- cercate.
Inoltre Vitruvio non è padrone sicuro
della materia di cui tratta, onde non
solo non riesce a portare contributi
nuovi, ma spesso suscita anzi l'im-
pressione di non comprendere bene, egli
stesso, le ricerche che si sforza di
esporre. Gli è che la vera tecnica
non si identifica con la pura e
semplice pratica; essa è scienza applicata,
e, come tale, richiede dai suoi
cultori una profonda prepa- razione scientifica.
Ma questa non poteva essere presente
in chi aveva manifesta- mente studiato
troppo poca matematica. Più che di
ingegneria la cultura romana si era
occupata di agricoltura, su cui ci
sono giunti i trattati di Marco Porcio
Catone (234-149 a. C.), di Varrone e
di Columella (I secolo d.C.). Fu
proprio una disciplina tecnico-scientifica
parallela all'agricoltura ad avere in Roma
gli sviluppi più originali: l 'agrimensura,
detta gromatica dalla groma, lo strumento
che gli agrimensori romani usavano nella
mi- surazione dei terreni. Un famoso codice
latino, il codice Arceriano del VI
secolo, ci ha conservato una parte
delle opere degli agrimensori da cui
si possono ricavare i vari interessi dei
grornatici ed i loro importanti compiti:
ad essi era affidato il com- pito di
costruire gli accampamenti, fondare le
città e le colonie, misurare le altezze dei
monti e le larghezze dei fiumi nelle
campagne militari, far applicare le leggi
agrarie e stabilire le confische ed i
tributi. Apposite scuole erano istituite nell'im-
pero romano per istruire questi funzionari
imperiali nella geometria, intesa nel suo
aspetto pratico, nel diritto, nell'arte
militare e nei rituali religiosi che
accompa- gnavano le loro opere. Fra i
maggiori autori gromatici possiamo ricordare
Balbo, famoso per aver condotto a
termine fra il 34 e il 20 a.C.
l'opera di misurazione di tutto l'impero
che era stata iniziata con Cesare;
Igino (fine del I secolo-inizio delu
secolo d.C.); e infine Sesto Giulio
Frontino (40-103), una volta console sotto
Vespasiano e due volte sotto Traiano,
autore anche di un'opera di arte
militare sugli Stratagemmi (Stratagemata) e
di un'opera su Gli acquedotti di Roma
(De aquis urbis Romae. Grice: “Geymonat, for some reason, is
obsessed with science as we at Oxford are not. Indeed, he wrote a LOOONG
history of “THOUGHT”, which is a word we don’t use at Oxford. The French and
Latin types in general use it – pensée – the idea is something like science,
mathematics, philosophy, you name it. So, his remarks about how the ignorant
Romans started philosophy is interesting. According to Geymonat it was a
generational thing. Catone did not want to do anything with it – for reasons of
‘state’, Geymonat says, i. e. philosophy would be subversive, as it indeed is.
The odd thing is that it attracted the knock knock it’s the youngest generation
knock knock knocking at the door. The Senate forbade philosophers in 161 and
five years later Carneade and two more arrived and that changed things.
Geymonat makes two comments. For one, the best youth – I figli delle migliore
famiglie romane – would have something like the Americans call a Rhosdes – they
would go to Athens as a ‘finishing school’. But what was interesting is that
Scipione Emiliano started a club in his palazzo – more like a villa – where
Polibio Terenzio, Cirilio, Tiburone, Elio, Celio attended --. The third
terribly interesting comment Geymonat makes is twofold. For one, those Greek
slaves who called themselves philosophers (Strabone and Polibio, are the only
two he quotes) did write, respectively, history and geography, but ‘tuned to
the Roman ear’. Geymonat speaks of ‘il temperament romano’ which he
characterizes in a fourtfold way: concretto, interested in the conclusions –
conclusive, rather than the premises – prattico --. So the history by Polibio
is only one that may interest a Roman, a far cry from Thucydides philosophical
prose! And the geography of Strabone has no information on calculus and
measures – only bits about institutions of people the Romans might conquer –
nothing about foreign distant lands! The second most notable remark is then
that Scipione Emiliano paid lip service to the Hellens – Catone’s ‘resistenza’
won in the end – as is seen by the mere fact that Latin was retained as the
lingua romana – in romano – unlike the Empire of the East where Greek was
adopted – So with the fall of the Eastern Empire, the West became bilingual. The
rough tongue of the Latins survived this fashion for things Hellenic! –
Geymonat spends enough time on what Cuoco calls ‘filosofia italica antica’ – it
starts with Crotone and Metoponto – where Pythagoras settled. With his theorem
he underwent a crisis, and philospophy traveled to VELIA with Parmenide and his
lover, Zenone, and Melisso – reductio ad absurdum, and tertium exclusum. Then
there was Girgenti, and that crazy one, Empedocle, who however wrote some witty
things about the four elements (in verse! Like Parmenide). Then there’s
Filolao, educated at Crotone under Pyhathogras but himself from Taranto, and
himself teacher of Archita of Taranto. Then there is the sophistical movement
started with Gorgia of Lentini – and Siracusa – So, ‘philosophy’, as we know
it, had an Italic origin, and is molded in the language of the conquering
Romans! Ludovico Geymonat. Geymonat. Keywords: ragione -- temperamento romano –
concretto – pratico – Catone – il trionfo di Catone con la lingua latina – la
gioventu romana entusiasta con Carneade – I Scipioni ellenisante – la gioventu
delle megliore familie – grand tour a Grecia! -- il teorema di Picard, il
teorema di Caratheodory per le funzione armoniche. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Geymonat” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690486990/in/photolist-2mRwP4i-2mRgKq7-2mQEv8h-2mPPzb6-2mPEDc8-2mPyn68-2mPukhq-2mPiqeP-2mPmmR4-2mPpwbZ-2mPphVq-2mKHfUW-2mKGTYe-2mKFeJo
Grice e Ghersi – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Celle Ligure). philosopher
-- curator of The Swimming-Pool Library at Villa Grice, Liguria, Italia. Ghersi
has an interest in Grice’s philosophybut finds Strawson pretty enjoyable, too!Theere’s
something about the Oxonian nonsensical philosophical humour that Ghersi appreciates
like none other. Ghersi often makes candid fun of some of Grice’s inventions,
such as that of the conversational “common-ground status”!Ghersi enjoys the
full-time paradoxes of the bald king of France. Ghersi’s favourite humorist is
J. K. Jerome, but also enjoys Wodehouse.And finds Dodgson just fascinatingThe
Swimming-Pool Library is mainly organised along Ghersis’s personal tastes, as a
personal library should!Ghersi is not particularly appreciative of poetry, but
will enjoy the ballad set to piano! Ghersi’s favourite genre is drama, since
“it is so clear in implicature.” Grice is a frequent contributor to cultural
circles and societies and a host like none otherVilla SperanzaSperanza
appreciates Ghersi’s talent to infuse enthusiasm in all type of endeavours --. Keywords:
love, soul, life, inghilterra. Refs.: Ghersi e GriceGrice e Watson --. Refs.
BANC MSS 90/135c. Vide Speranza.Vide SperanzaVide SperanzaVide Speranza. – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Ghezzi – i tordi ubriachi – filosofia italiana – dirtto artificiale -- Luigi
Speranza – (Milano). Filosofo. Grice: “I love Ghezzi: he has explored
‘turdus,’ as in ‘sturdy,’ ‘drunk as a thrush’ – but also a count who was
condemned by the church; he has explored the history of masonry – in Italy it
started in Calabria – from a semiotic point of view, ‘il segno del compassso,’
– and he has explored on Ayax’s ‘nichilismo razioale’ – among many other topics
– also an ‘epistemology of willing’ – epissttemologia della volonta --.” Grice:
“Typically of Italian philosophers, he has explored Italian history, ‘ceneri del diritto,’ and a
confrontation between people and ‘stato’. Si laurea a Milano sotto Bobbio con “La
Filosofia del Diritto.” Gran Maestro Onorario del Grande Oriente
d'Italia. Marginalità e Società, ell'Università
degli Studi dell'Insubria (sede di Como). Sociologia della Devianza. Studia il
positivism giuridico dal punto di vista del concetto di diritto. Affrontato il
tema del pluralismo dei valori e degli ordinamenti giuridici, del federalismo, criminalità,
devianza, marginalità e pluralismo nell'ambito della Sociologia del Diritto
Penale, sulla giustizia e sulla legittimità degli ordinamenti giuridici, con
particolare riferimento alla figura del "deviante giuridico",
introducendo i concetti che porteranno alle teorie della "divergenza”
sociale, marginalità, Si rileva essersi principalmente dedicato al tema del
nichilismo giuridico, proponendo una visione nichilista, definite come
“l’assenza del valore” -- del tutto neutra circa la potenzialità “regolatrice”
e la potenzialita ordinatrice di una norma. L’approfondimento del nihilismo assiologico
o valuativo risulta essersi svolto attraverso il confronto con filosofi
contemporanei di questo ambito, tra cui Ferrari, Severino, e Giorello. Scetticismo.
La Rivoluzione del Diritto come Estetica, in estensione del suo libro Il Diritto
come Estetica. Nel volume è stata inclusa, come Appendice, una Raccolta di diversi
saggi di filosofi contenenti riflessioni ed approfondimenti interamente
riferiti a Ghezzi. Altre opera: “Socialismo e sociologia giuridica:
"Centro lombardo studi socialisti, Milano, “Devianza tra fatto e valore
nella sociologia del diritto” (Giuffrè, Milano); “Federalismo, I e II, Patera Palermo Editore, Diversità e pluralismo. La sociologia del
diritto penale nello studio di devianza e criminalità, Raffaello Cortina,
Milano, “Il segno del compasso. La massoneria e i suoi persecutori attraverso
simboli, idee, fatti e processi, Mimesis, Milano. “Le Ceneri del Diritto. La
dissoluzione dello Stato democratico in Italia, Mimesis, Milano. Le lacrime di
Hiram. Autobiografia incompleta di un Libero Muratore, Edizioni della
Confraternita Sufi Jerrahi Halveti in Italia, Milano “La Scienza del dubbio.
Volti e temi di sociologia del diritto, Mimesis, Milano Federalismo laico e democratico, Mimesis,
Milano; “I tordi ubriachi” Un viaggio iniziatico, Mimesis, Milano, Sociologia giuridica del lavoro, Mimesis,
Milano, Il Diritto come Estetica. Epistemologia della conoscenza e della
volontà: il nichilismo/nihilismo del dubbio, Mimesis, Milano Della vita e della
morte. Vulnerant omnes ultima necat, Mimesis, Milano; “Nichilismo razionale e
mistico. Indicazioni per il nuovo mondo, Mimesis, Milano); “Stranieri, ospiti,
alieni, alienati e pluralismo culturale” (Mimesis, Milano); “Nichilismo come
valore senza valori, Mimesis, Milano); “Abusi di stato: Risarcimento del danno
al cittadino, Mimesis, Milano); In ricordo di Riccardo Bauer, di Ghezzi e Arduino,
C.R.E.A., Milano; “Educare alla democrazia e alla pace. Bauer. Scritti scelti, L.I.D.U.,
edizioni Raccolto, Alle origini
dell'Umanitaria, Ghezzi e Canavero Raccolta Edizioni-Umanitaria, L'immagine
pubblica della Magistratura italiana, di Ghezzi Giuffrè, Milano Curatele. “Etica
contro politica”; Morris L. Ghezzi, edizione Iesi, Ferrari, Ghezzi,‘’Diritto,
cultura e libertà. Atti del convegno in memoria di Renato Treves’’ (Milan),
Giuffrè, Milano, Studi preliminari di sociologia del dirittoTheodor Geiger,
Morris L. Ghezzi, Nicoletta Bersier Ladavac e Michele Marzulli, traduzioni di
Leonie Schröder, Mimesis, Milano); “Criminologia” (Mimesis, Milan). Pubblica
amministrazione. Diritto penale. Criminalità organizzata, Osservatorio
permanente sulla criminalità organizzata, Carola Parano, Giuffrè Editore, Stefano
Carluccio, In ricordo di Morris Ghezzi, anima della Società Umanitaria, su
CriticaSociale.net. 1 Dei delitti e delle pene. Rivista dell'Agenzia del
territorio, L'Agenzia, rif. Archivio Università degli Studi dell’Insubria. Cura
“Studi preliminari di sociologia del diritto” (Mimesis, Milano); “Socialismo e sociologia
giuridica: introduzione Arduino, Centro lombardo studi socialisti); La scienza del
dubbio. Volti e temi di sociologia del diritto, Legge di Hume e tesi
giusnaturalistica: un’antitesi teorica nel pensiero di Norberto Bobbio, su
dialettica e filosofia. Etica contro
politica, di Elias Diaz, Ghezzi, edizione Iesi,
L' immigrato extracomunitario non marginale. Una ricerca empirica sul
territorio Milanese, in ‘’Marginalità e Società’ Berzano, Renzo Gallini,
Giovani E “Violenza: Comportamenti Collettivi in Area Metropolitana, Ananke, con
richiamo ad art. Di Ghezzi in “Marginalità e Società, II”. Le ceneri del diritto. La dissoluzione dello
Stato democratico in Italia, Mimesis, Milano, al Ghezzi fa riferimento Rosario
Minna in Crimini associati, norme penali e politica del diritto: aspetti
storici, Giuffrè Editore, Morris L. Ghezzi, Federalismo Laico e Democratico,
Mimesis, Milano Arturo Colombo, Franco Della Peruta “et al.”, in Carlo
Cattaneo: i temi e le sfide, Ed. Casagrande, Milano, Con riferimento al
Federalismo del Ghezzi: “mentre ci sarà chicome Ghezzi pur con tagli molto
diversi, collegherà la prospettiva degli Stati Uniti d'Europa con l’altra
formula cattaneana degli Stati Uniti d’Italia.»
Edmondo Bruti Liberati in "PostfazionePotere e Giustizia",
richiama Morris L. Ghezzi 3 in: Governo dei giudici. La Magistratura tra
diritto e politica, E. Bruti Liberati et al., Ed. Feltrinelli, Berzano,
Gallini, cita di Ghezzi “Alle origini della labelling theory e del concetto di
devianza”, da Marginalità e società, Ghezzi e Simonetta Balboni, Mimesis,
Milano, Cirus Rinaldi fa suo il concetto di Devianza di Ghezzi. “come sostiene
Ghezzi essa svolge un ruolo euristico [empirico] non solo nella spiegazione di
fenomeni di stigmatizzazione di intere categorie, ma anche penetrando
nella marginalizzazione, che agisce all’interno delle categorie” in Devianze e
crimine. Antologia ragionata di teorie classiche e contemporanee, Cirus Rinaldi
e Pietro Saitta, PM edizioni, Scrive M. Marzulli, BRÜCKE als sein Ordinamento
sociale come ponte tra tradizione e futuro nella descrizione del diritto come
estetica, in Ermeneutica del "Ponte". Materiali per una ricerca,
Silvio Bolognini, Mimesis, Ferrari, in Ciò che resta. Le ultime parole diGhezzi,
in Sociologia del Diritto, Fascicolo gennaio, ed. F. Angeli, Emanuele Severino, nel capitolo 4 di Dispute
sulla verità e la morte (Rizzoli) prende a riferimento un libro di Ghezzi (Il
Diritto come Estetica) e s’intrattiene lungamente sul pensiero
dell’autore. Giulio Giorello si
intrattiene sul testo del Ghezzi (“Il Diritto come Estetica”), lo commenta, ne
riporta il pensiero, secondo cui « "la morale non è altro che una forma
dell’estetica"» e ricorda la figura "nihilista" dell'autore. Da
"Introduzione" di Giorello, Piacere, Diritto e Burocrazia. In ricordo
di Morris Ghezzi, inGhezzi. Ciò che resta. La rivoluzione del diritto come
estetica, Furio S. Ghezzi e Simonetta Balboni, Mimesis, Milano, Il Diritto come
Estetica. Epistemologia della conoscenza e della volontà: il nichilismo/nihilismo
del dubbio, Ghezzi. Ciò che resta. La rivoluzione del diritto come estetica
(Domenico Mazzullo, ‘’Prefazione’’, “Appendice“: saggi di: Isabella Merzagora,
Riflessioni di una criminologa prestata alla filosofia del diritto, Claudia
Roxana Dorado, El devenir del derecho: reflexiones acerca de las concepciones
jurídicas de Ghezzi, Il futuro del
diritto: riflessioni sulle concezioni giuridiche di Ghezzi, Metodo di ricerca sul rischio sociale, Marco A. Quiroz Vitale, Esistenzialismo e Nihilismo come confini
aperti del Giurispositivismo; Enrico Damiani di Vergata Franzetti, Il Diritto
come Estetica, Emanuele Severino,
Dispute sulla verità e la morte, Rizzoli, Ghezzi. Ciò che resta. La rivoluzione
del diritto come estetica, Simonetta Balboni e Furio S. Ghezzi, Mimesis, Milano,
“Prefazione” di Domenico Mazzullo, “Introduzione” di Giulio Giorello, In
“Appendice” saggi di: Isabella Merzagora, Claudia Roxana Dorado, Marco A.
Quiroz Vitale, Damiani di Vergata Franzetti. Michele Marzulli, "BRÜCKE als
sein” Ordinamento sociale come ponte tra tradizione e futuro nella descrizione
del diritto come estetica." in Ermeneutica del "Ponte".
Materiali per una ricerca, Silvio Bolognini, Mimesis, Vincenzo Ferrari, Ciò che resta. Le ultime
parole diGhezzi, in Sociologia del Diritto, Fascicolo, ed. F. Angeli, Cirus
Rinaldi e Pietro Saitta (a cura) in Devianze e crimine, Antologia ragionata di
teorie classiche e contemporanee, a cura di, PM edizioni,,Rosario Minna,
Crimini associati, norme penali e politica del diritto: aspetti storici,
Giuffrè Editore, Sociologia del diritto
Filosofia del diritto Criminologia. Le doverositàstatutarie
ritualirischianoc, on il passaredel tempo,di perderela lorodimensione
rilevanzaoriginariap, er trasformarsi in meri adempimentrioutinari,prividi
quelladimensionecreativa, c o s t r u t t i v a p, r o p o s i t i v a c, h e n
e a v e v a m o t i v a t o l a n a s c i t a . D u n q u e , a n c h e p e r q
u a n t o r i g u a r d a l a n o s t r a r e l a z i o n em o r a l es i r i s
c h i ad i f a r s c i v o l a r el e n t a m e n t en e l l ' o b l i ol e i s
t a n z es t o r i c h e c, h e n e i a c c o m a n d a r o n o
I'introduzionep,eraffrontarlacomeunaincombenzan,eppuremoltopiacevolee,
comunqueretoricamente orientata riempiresemplicsi paziscenograficei nonad
esserestrumentodi autoriflessioninedividuale di riflessionecollettivaper la
fratellanzatutta sul passato,nonchépotentestrumentodi stimolocreativoper
affrontarecon consapevolezzale realtàfuture.Purtroppopiù che un rischiotale
situazionesi e negliuliimi t e m p i m a n i f e s t a t ac o m e a v v e n i m
e n t oC. o n s e g u e n t e m e n tpea r e n e c e s s a r i op, r i m a d i
e n t r a r ed i r e t t a m e n t e
nellasostanzadellequestionsiullequalirifletterer,icordarebrevementeilsignificattoradizionaleprofondo
dellarelazionemoralepropriadellaliberamuratoriadelGrandeOriented'ltalia. P e r
c o m p r e n d e r et a l e s i g n i f i c a t oè n e c e s s a r i oc o n o
s c e r ef u n z i o n ie c o m p e t e n z ed i c h i e p r e p o s t oa l l a
sua stesura;ossia del GrandeOratore.Rituali,Costituzione Regolamentdi el
GrandeOriented'ltalia comeognunodi noi,al calicedivinoe assoggettarmail
voleredeldestino. JohannWolfgangGoethe a s s e g n a n oa l G r a n
d e O r a t o r e c o m p e t e n z ei n c a m p o i n i z i a t i c o c , u l
t u r a l e e q i u r i d i c o( e x a r t . 1 1 9 R e g . ) . I n o l t r e
ilGrandeOratorei,nquantoOratoree,
competenteasvolgerequestestessefunzionaincheexart.36Reg., funzionei
competenzeche,peraltro,salvole elencazioneisemplificativreiportateda
quest'ultimaorticolo, nellasostanzadellamateriadisciplinattaendonoa
coincidereP. ertantola relazionemoraleda discuterein Gran Loggiaex art. 28,
letterad, Cost.,in quantoassegnatanellasua stesuraal GrandeOratoree
previamentesaminata(exart.38,letteraf, Cost.)in riunionedi
GiuntadelGrandeOriented'ltalian, onpuò
checonsistereinunsistematicoespletamentaonaliticoepropositivdoellefunzionei
dellecompetenzedel GrandeOratore.Risalendop, oi,
allatradizionestoricaall'internodellaqualenacquenell'ottocentIo'istituto
dellerelazionmi orali,e facilecomprenderceomeessofosse,al contempou, nasortadi
biianciocriticodelle attivitasvoltee, soprattuttod,ellaloroincisivitasia
all'internos,ia all'esternodell'lstituzionen,onchéun programmaed un impegnodi
attivitàper il futuro. Dunque,da un lato,il GrandeOratoree tenutonella
propriarelazionemoralea
richiamarel'attenzionedellaComunionesuitemi,chereputamaggiormente rilevantpi er
la stessa,privilegiandonaelmenouno,e, dall'altraparte,ad analizzarela
moralitàinternad, ei suoicomponentid,eifratelltiuttinelloroinsiemep,
erevidenziarnleacorrettezzcaomportamentalceh,enon
puòessereintesacomemeracorrettezzagiuridica. C o n s e g u e n t e m e n l t ae
p r e s e n t er e l a z i o n em o r a l e v e r r à i d e a l m e n t ed i v
i s a i n d u e p a r t i : I ' u n a r i g u a r d a n t e l a s i t u a z i o
n em o r a l e e g i u r i d i c ad e l l a n o s t r a c o m u n i o n e e, d
e . c r e d o , a t u t t i e v i d e n t eq u a n t o s i a n e c e s s a r i
o ungeneralerichiamoinquestadirezionem, entrel'altrarivoltaaitemitrattatei
datrattareinambitoiniziatico, filosoficoc,ulturale
sociale.Permegliosvolgeresoprattuttoquestasecondapartedellarelazionemorale h o
r e p u t a t o o p p o r t u n on o n f a r s c a t u r i r ei c o n t e n u t
t i e m a t i c di a u n m e r o l a v o r o s o l i t a r i od e l l ' u f f i
c i do e l G r a n d e O r a t o r e , c o n f o r t a t oa l p i ù d a l l e r
i f l e s s i o n d i e l l a G i u n t a , m a m i e p a r s o o p p o r t u n
o o, l t r e c h e m a g g i o r m e n t e proficuoai fini
dell'individuaziondei un correttoquadrodi attivitae di aspettativein
materia,rivolgermi direttamentaeifratelldi
ellaComunioneimpegnatsiulterritorionazionalenelcampodell'elaboraziondee,lla
proposizionedell'organizzaziodnelleiniziativeiniziatico/culturachli,esonopropriedellanostratradizione.
A talefine,ho organizzatonellasecondametàdi novembredell'annopassatoun
incontroa, pertoa tuttii F r a t e l l ci h e a v e s s e r od e s i d e r i od
i p a r t e c i p a r v ai , M a s s a M a r i t t i m ap r e s s o l a R : . L
: . V e t u l o n i ae c o l g o q u e s t a o c c a s i o n e p e r r i n g r
a z i a r ei F r a t e l l i d e l l a R : . L : . V e t u l o n i a p e r l a
l o r o c a l o r o s a a c c o g l i e n z a n , o n c h é t u t t i i p a r t
e c i p a n at i l l ' i n c o n t r po e r i p r e z i o s ci o n t r i b u t
f i o r n i t i a l l a d i s c u s s i o n e L . ' i n c o n t r oh a v i s t
o l a p a r t e c i p a z i o n e numerosadi moltiFratellci omesingolic,
omerappresentandti associazionciollegateallanostralstituzione e
comeoperatoriculturali.I lavorisonostatipienamentesoddisfacentpiertuttii
partecipanteid,in particolarep,er me, in quantomi hannofornitonumeroseed
utiliindicazionpi er la presenterelazione
morale.Nelringraziaraencora,dunque,tuttii
Fratellic,hehannocontribuitaollabuonariuscitadell'iniziativa, possosin da ora
comunicareche intendocontinuaresu questastradaanchein futuroed auspicouna
partecipazionsemprepiuestesaa questomodellodi incontro. 2.
L'immaginesternadellaLiberaMuratoria L'immagineprofanadellaLiberaMuratoriaper
lunghianni,soprattuttoin ltalia,e stataoffuscatadai pregiudizid, allecalunniee,
talvolta,anchedallacongiuradel silenzioperpetratacontrodi noi dai nostri
nemicistorici,ossiadaiseguacidiintegralismeiditotalitarismpioliticir,eligiosei
filosoficdiiognicolore. T u t t a v i ap, u r t r o p p op, e r ò ,t r o p p os
p e s s op e r i n s i p i e n z ai g, n o r a n z ao d i n v i d i al a c a l
u n n i ae d i l d i s p r e z z os o n o natianchedal nostrostessosenoe si
sonodiffusinel mondoprofanograziead un masochisticocupio dissolvoi
adundiffusoatteggiamentpoassivoedautocommiserativo,peggioancora,adunaprofanità
p e n e t r a t at r a l e n o s t r e c o l o n n e a d o p e r a d i f r a t
e l l i ,c h e e r a n o e s o n o r i m a s t i p i e t r a g r e z z a . F o
r t u n a t a m e n t e q u e s t i f e n o m e n i ,s e b b e n e a n c o r a
p r e s e n t i ,s o p r a t t u t t oa d o p e r a d i f r a t e l l i i n v e
t e r a t di a l u n g h i a n n o n e g l i antichivizl,comegiustamenteha
piuvoltericordatoil nostroVenerabilissimGoranMaestrot,endonoa non avere più
presasull'opinionepubblicaprofanagraziesoprattuttoalla decennalepoliticadi
chiarezzad, i trasparenzea di impegnocivileintrapresdaall'attualGe
ranMaestranza. Se cosi si puo dire,la battagliaper I'affermazionedella nostra
legittimapresenzanella società democraticaitalianae per la costruzionedi una
nostraimmaginepubblicapositivaè statavinta. Oggii massmediadistinguonqouasisempreconrigoretraGrandeOriented'ltaliae
massonerieirregolaroi deviate,riportanofedelmentea, nchese ancoracon non
sufficientefrequenza,le nostreopinionie le nostre iniziative ci riconosconouno
spazionell'informazionceh, e, sebbeneda estendere,ha tuttaviagia il
caratteredellacorrettezzaA.nchele
istituzionpiubblichehannomutatoatteggiamentnoei nostriconfronti,
riconoscendocin taluni ambiti, che storicamenteci appartengono,come
interlocutoriqualificati (partecipazionaecommissionic,omitatipubblicie, tc.);i messaggdi
ellemassimeAutoritàdelloStatoalle nostremanifestazionsiono ormaidiventateuna
feliceconsuetudines,emprepiu frequentementepoliticied
amministratorpiubblicipartecipanoalle nostreiniziativeculturalie le
Comunionimassonicheestere guardanoallanostrarealtàconrispettoedammirazioneI.nsintesil,asocietàcivileciharestituitoilruoloche
storicamentien ltaliae
semprestatonostro.Poiché,però,nessunaconquistanellastoriaumanae definitiva e
quandoci si fermaa contemplarecompiaciuti risultatiraggiuntisi rischiadi perderequantosi
è faticosamenteconquistaton, on solo è necessarioperseverarenell'impegnosino ad
ora profusonella costruzionedellanostraimmaginepubblicam, a e
altresìindispensabilientensificaruelteriormente in modo operareattraversoun
radicamentosemprepiu profondo semprepiù rigorosotale impegnoe, soprattutto,
dellanostraimmaginenell'azionesocialeeffettiva,nellanostrarealepresenzastorica,nelleazioniche
quotidianamencteiascunodinoidevecompiereperesseredegnodellamaestranzacuiappartiene.
Nelle attualisocietapostmodernel'immagineè molto,talvoltaquasi tutto, ma non è
tutto. Oltre all'immaginseerveanchela sostanzada cui tale
immaginedovrebbederivareI.n particolarep,roprionella v i a i n i z i a t i c al
i b e r o r n u r a t o r i al ' i m m a g i n en o n d o v r e b b e e s s e r
e i l v u o t o s i m u l a c r od i i r r e a l i s t i c h e aspirazionoi
diabiliingannim, alafedeleiconadellarealtà,diciochevogliamoesseree
siamocomeLiberiMuratorei comeappartenenatil GrandeOriented'ltalia.Pertantole
azionidi markefrngsonosenzadubbionecessarie
inunasocietacomelanostra,percorsadaapparenzesemprepiùinvasivem,
aepropriolanostranatura iniziaticae tradizionalae imporcdi i
essereciochedesideriamaopparireP. erraggiungerqeuestoobiettivoe
indispensabilperogettared,a braviarchitetti, unafattivapresenzanellasocietàin
cuiviviamo;unapresenza che sia significativa,ttraversole nostreopere.dei
valoriche da semprerappresentiamoT.arepresenza avrà la
prevalentecomponenteindividuale, ciascunLiberoMuratoree chiamatoa
farecomesingolola propria parte di lavoro, a dare con il proprio
comportamentoil buon esempio, ma dovrà essere a c c o m p a g n a t ea s o r r
e t t a a n c h e d a l l a p r e s e n z a d e l l ' l s t i t u z i o n l i e
b e r o m u r a t o r i a n e l s u o i n s i e m e p e r r i s u l t a r e
maggiormenteincisivae persistentenel tempo:il mondomodernoe semprepiù
istituzionalizzato ed anche noi dobbiamoadeguarcia questatendenzasociologicad,
el resto,la tradizionealtro non è che una
istituzionliazzaziondeeisingoilcomportamenti. 3. Lo statodellaComunione La
situazioneinternadellanostraComunionesi presentaa, d unaanalisai
pprofonditas,ostanzialmente positivae riccadi prospettiveper il futuro,anchese
le fastidioseturbolenzeprofanedi talunifratelli,più a n i m a t di a s p i r i
t od i r i v a l s ac h e d i c o l l a b o r a z i o n pe o, t r e b b ef a r
p e n s a r ei l c o n t r a r i oF. o r t u n a t a m e n ti er i s u l t a t
i c o n c r e t ci o n s e g u i tpi a r l a n op i ù e m e g l i od i q u a l
s i a s pi e t t e g o l e z z o o d i q u a l s i a s si c o m p o s t od i s
s e n s o . L a C o m u n i o n es i p r e s e n t ai n c o s t a n t e q u a n
t i t a t i v a , crescitasia siaqualitativea segnaI'affermarsdii un
decisoringiovanimendtoeisuoiaderentiQ. uest'ultimdoatonondeveesseretrascuratononsoloe
nontanto percheil futuroe dei giovani.ma soprattuttoperchesonole
vecchiegenerazioni che manifestanmo aggiori difficoltàad abbandonaruen
modellodi LiberaMuratorianonconsononé allanostratradizioneiniziaticane
allarealtàstoricaattualmentesistente. Nel generalepanoraman, on solo
nazionaled, i diffusadisaffezionveersoI'impegnoassociazionistico
(RotaryClub,Lions,partitipoliticic, hiese,etc.) ed, in
particolarev,ersoquelloliberomuratorioconforta constatarecome il
GrandeOriented'ltaliasi ponga in controtendenzae riescaa catalizzareI'interesse
l'adesionedi notevolei qualificateforzgeiovaniliO. vviamentetaliadesionsi
ollecitanuon rinnovatoimpegno per garantireal nostrointernoun ambientesemprepiù
favorevolead una crescitainiziaticacomune.Le a d e s i o n i s c a t u r i s c
o n od a a s p e t t a t i v e e l e a s p e t t a t i v e p i u d i f f u s e
s o n o p r o p r i o q u e l l e c h e h a n n o c a r a t t e r i z z a t o
la nostrastoria:unaelevataqualitàiniziatico-esoterica qrande unitaad una
capacitadi presenzasociale. Simbolicamentpearlandop, urtroppole
noteiniziatichdeel FlautoMagicodi WolfgangAmadeusMozart
sonotroppofrequentementperofanatedall'irromperneellaComunionedi
comportamenatinimatidallatipica profanitàdeitreCompagndi 'ArtecheucciseroHiram.
La LiberaMuratorianon puo esserené la cameradi compensazionedellefrustrazionpi
rofanee neppure un campo di futili contese di natura condominialel;a Libera
Muratoriaè una scuola di p e r f e z i o n a m e n t ion d i v i d u a l ef i n
a l i z z a t oa l b e n e d e l l ' U m a n i t a d; i q u e s t a n o s t r a
c a r a t t e r i s t i c an o n p o s s i a m o m a i s m a r r i r n el a m e
m o r i a a p e n a d i n e g a r e l a n o s t r a s t e s s a n a t u r a .
Per questomotivoe necessariostigmatizzarenegativamentequei comportamentcihe,
nascendoda uno smisuratonarcisismopersonalep, ongonoil proprioio in
posizioneassolutae tentanodi imporreil proprio modo di vedere come
I'unicocorretto.Tali comportamentni on solo contrastanocon il nostro basilare
principioditolleranza,mancheconquellavisionerelativam, olteplice, checi e
propriada sempre. Non meno deprecabilsi ono quei profani comportamenti che
mercanteggiancoarriere,grembiulie r i c o n o s c i m e n t p i , r e s c i n d
e n d do a c a p a c i t à c, o n v i n z i o n i i d, e e e p r o g e t t oi p
e r a t i v i D. e v e r i s u l t a r eb e n c h i a r o a tuttiche le
funzioniniziatiched organizzative, chesi ricopronoin Loggiae
nell'lstituzionien,genere,sono serviziprestatialla comunitàe non
orpelli,gerarchieo privilegdi a esibire,se non ancheda ostentare. esibizionei d
ostentazionsi i configuranocome veri e propriabusi delie funzioniricoperte.Se
vissute correttamentetalifunzionidebbonoessereintesecomeonerie,
pertanto,nondovrebberodareaditoad alcunlitigioin sedeelettoraleo di
nominaallemedesimen; onvi dovrebbei,nfattie, sserenessuninteresse personalea
ricoprire qualsiasi una funzionel;'unicointeresselecitoe quellodi servirela
comunità. stratificatea cumulativadellaverità, Ulteriorniegativitcàigiungonop,oi,dallaormainvalsabitudindeiesternariensedeprofanaiconflitti
i n t e r n i a l l a n o s t r a C o m u n i o n e Q. u e s t o c o m p o r t
a m e n t o c , e r t a m e n t e f a v o r i t o d a i m o d e r n l m e z z i
d i comunicaziondei massa(lnternet, e m a i l s, m s , e t c . ) , i n d u c e
p r e n d e r ep o s i z i o n e , i l p r o p r i op e n s i e r so e n z a i
n t e r p o r r pe r i m a u n a g i u s t a p a u s a d i r i f l e s s i o n
es o: n o v e r a m e n t e convintodi quello
ch-escrivo?Rispondaelveroquantoaffermo?E'opportunaoffermarloF?accioilbenedellanostraComunità
affermandoloE?tc..L'azionedelloscriverecostaormaicosìpocafaticaed è
cosìimmediatcaheprecedeil pensierostessos: i
agiscesenzaunasufficientreiflessioneI .dannid'immaginpeernoitutti,pot,a causa
dell'impulsivirtàrazionaldeeipochis, i diffondono profani, trai
cheleggonoiunquele nostresternazioni, spessoanchesenzariuscirea capirle,ma
semprecomprendendcohe siamocoinvoltin scontri completamenpterofania,nchepeggiori
dlquellpi roprdi ellanormaleprofanità.
Particolarmenrtieprovevolaeppare,poi,I'usoormaidiffusodi
giuridicizzariecontenziosi . -giuridica, interni,
abbandonandlaonoslratradizionme oralei,niziaticea ritualep, iùche e di
inasprirei tonidegli scontrbi enoltrequantodovrebbesserelecitotraFratelli
nell'lniziazionSé.emprepiùspessoI,nottret,ali conflittinon si
fermanoall'internodella nostragiustiziamassonicam, a fuoriesconop,er'approoare
direttamenatei TribunadliellaRepubbliclatalianaD. ellaillegittimiatànchegiuridicadi
talicomportamenstii
diràinseguitop,erorabastisottolineariledegradomoralede-lltaradizionme-uratoria,
lcomportamendtei scritti sonodecisamentreiprovevoli
comeesempioluminosoI.nfattic, onestrema
algradodiApprendistLaiberoMuratorreicordalrecipiendario: ll.secondo[dovere]è di
praticarela virtù,di soccorrereivostri Fratellid, i prevenirele loro necessità,
d i a l l e v i a r e l e l o r o d i s g r a z i e e d i a s s i s t e r l ci
o n i v o s t r i c o n s i g l i e c o l v o s t r o a f f e t t o . e u e s t
e v i r t ù , c h e nelmondoprofanosonoconsideratequalitàrare,sonotra ioi
soltantoil compimentodi un dovere gradito. ll terzodovereè quellodi
conformarvai lteleggidell'Ordinedei LiberiMuratorie ai Regolamentdii
questaLoggia[...]. LanostraComunionenon.dovrebberappresentaruenospaccatodellanostrasocietà,maraccogere
soloilmeglioc,heinessagiàvive,periniziareunpercorsodisemprecrescentpeerfezionamento.
ll Libero Muratorenon può rappresentareil cittadinomedio,ma deve aspiraread
essere l'éllfe della società. Fortunatamenltae maggioranzdaella
nostracomunioneè compostada Fratellimeravigliosi, che si
distinguonoperprofonditàiniziaticae generositàcivile.Pochepiete
gîezzenonpossonorovinarequantoi piùhannolevigato. 4.Alcuntiemidiriflessione La
giornatadi MassaMarittimhaa evidenziatIo'esigenzdai rifletterientornoad
unanumerosaseriedi
temi,chepaionocrucialpierlanostraComunionienquéstoparticolare momentostoricoC.
ertamentietemi individuaeticheoraverrannoespostni
onsononuoviallanostraTradizione,ppuresembranononancora completamenpteadroneggiati
datutti.
InconvergenzcaonleistanzechedapiirpartidellaComunionleiberomuratorisailevanol,apresente
Gran Loggiaè dedicataall'Eticadella libertà ed all'eticadella responsabilitàN.
on può sfuggire soprattuttionunambitocomeilnostroc,henon dovrebberiprodurrievizi
dellasocietàprofanam, a proporsi chiaîezzial ritualedi iniziazione
I'ispirazionweeberiana, cheanimaquestotema.MaxWeberfu,forse,il
piùillustresociologioedescodella primametàdelsecolopassatoefucertamente
-postindustriale un acutoosservatore criticodellasocietà e burocraticac'hein
quegliannisi stavaformandoall'ombradellaminacciadellegrandidittatureuropee,
alloranascentlil. messaggidoell'illustrseociologeovidenziava, primo
poterec'hetendevanaospersonalizzare le decisionpiolitichiendividuali e
lerelatrvseceltem, asubitodopo
richiamavIa'attenzionaenchesullasolitudindeell'esseruemanodifrontealcrescentpeoliieismdoeivalori
delmondomodernop;oliteismo, chetuttorainesorabilmente
organizzazionsiociali.Tuttaviaa frontedi un politeismodilagantenell'estremosoggettivismo,
Weber c o n c e n t r l a a p r o p r i a a n a l i s si u l c o m p o r t a m
e n r t ao z i o n a l e e s u l m o m e n t oe t i c o , p e r m a t é i i a l
i z z a r e dei valoriun comportamento o r i e n t a t oa d u n r e l a t i v i
s m o o p e r a t i v oi ,s p i r a t oa à u n a o r g a n i z z a z i o n e
tutta umanaedemocraticdaellèsocietàW.
eberaffrontailtemafondantedellesocietàmoderÀec:omepossano funzionarele
societàindustriali di massanelrispettodelleindividualitpàersonaluimane?E',dunque,in
questoquadroche I'eticadellalibertàr,ivoltaallatuteladel
singoloessereumano,devecoordinarsei conciliarscion I'eticadellaresponsabilità,
fìnalizzatagliinteressciollettiveid istituzionalNi.ulladi più attuales,
oprattuttoa, llalucedei presentpi roblemdi i sviluppoeconomicosostenibile di
benessereo,t tuteladellelibertàindividuaeli di sicurezzad,i partecipazione d e
m o c r a t i c ea d i e s i g e n z ed i g o v e r n o p, e r
citaresolopochiesempi. Aldilà,.comunqued,egLsipecificciontenutciulturalieberianiiilsempiice
richiamao questoAutoresprimeunelementfoondaniedellaTradizionleiberomuratoria: a
a parlareda trasmettere cheessirivetano. in luogo,i mèccanismi burocraticdiel
incalzae rischiadi sprofondàrneelnichilismloe dalnulla I'impegno
civile e sociale sostenuto da un'etica radicata nella nostra cultura
iniziatica,ossia individuale,personale,propriadi ciascunLiberoMuratore. La
nostraTradizioneiniziaticaci assisteed accompagnanelleimpegnativeprove,che
I'attualerealta storicacipresentae, noi,peressereall'altezzaditaleTradizioned,obbiamoesserecapacidireinterpretarla
a l p r e s e n t e n, o n d i r i p e t e r l a a l p a s s a t o L. a T r a d
i z i o n e e t a l e p e r c h e s i p o n e f u o r i d a l l a s t o r i a i
n u n a p e r e n n e attualitan, onin un richiamocristallizzato ad un
singoloattimodeltempopassato. La centralitaeticadelnostrolevigarela
pietragrezzadi noistessisi impiantasulleduecolonnedi una
profondaconoscenzafilosoficae di unaaltrettantoprofondaconsapevolezza
morale.lgrandi insegnamenti che ci giungonodai simboli,dai riti,dallasapienzae
dai lavoridei nostriFratellipassatie dallanostra
lstituzionehannonaturaeminentemente filosoficae morale.Dunque,ciascunodi
noidevecostruirsciome un attentoconoscitoredei nostri insegnamentim, a anche
come un ferreo e rigorosoportatoredi comportamentisi piratialla nostrapiu
rigidamoralità.Troppospessosi sentonotalunifratellivantarsidi
conoscenzesoteriche, poi,il lorocomportamenteo paragonabilae quellodei
peggiorpi rofani.Troppo spesosi assistealleiamenteledi talunifratellpi
erl'assenzadinsegnamenti poi, massonicei ,
loropersistentaessenzanonsoloadibattitei convegnim,
aancheesoprattuttoaglistessilavoridiLoggia.
TroppospessosiascoltanotalunifratellliamentarsdiiquellochenonottengonodallaLiberaMuratoriae
non domandarsciosaessidannoallaLiberaMuratoriaT. uttiquesticomportamenti
rivelanounaassenzadi vera e p r o f o n d am o r a l e l i b e r o m u r a t o
r i a D. e l l ' a s s e n z da i c o n o s c e n z an o n e n e p p u r ei l c
a s o d i p a r l a r e . F o r t u n a t a m e n taef r o n t ed i q u e s t
ed e g e n e r a z i o nl ai g r a n p a r t ed e i F r a t e l lsi i d i s t i
n g u ep e r i m p e g n oe s e r i e t à
nelpercorrerelaviainiziatictaradizionaldeellaLiberaMuratoria. Perfavorirelacrescitadellanostralstituzionenecessarioin,
unasocietadimassa,giuocaresuigrandi numerie, quindi,selezionaredai
grandinumerii miglioriuomini,per inserirlai l nostrointerno.Se si
raffrontanoquantitativameniteMassoni dell'ottocentiotalianoa quelliattualied entrambialla
rispettiva dimensionenumericadellasocietà,nellaqualeviviamoe vivevanoc, i si
accorgecheogginoisiamomolto s o t t o d i m e n s i o n a Nt i o. n c r e d o c
h e s i p o s s a p e n s a r ec h e g l i i t a l i a n di i o g g i s i a n o
p e g g i o r di i q u e l l i d i i e r i , f o r s e ,
comesembranotestimoniartealunenostrerealtainternealGrandeOrienteè,
veroilcontrarioE.dallorae nostracarenzanon dare la possibilitai miglioridi
entrarenellanostralstituzione. questa Su c o m u n i c a z i o n è e c e n t r
a l e e m o l t o s i e f a t t o i n t a l e d i r e z i o n e s , i a a t t r
a v e r s oi n c o n t r pi u b b l i c i s , i a g r a z i e a d u n a r i c c
a p u b b l i c i s t i c as , i a , i n f i n e , a t t r a v e r s ol a p r e
s e n z a s u i m a s s m e d i a . N o n s i d e v e r a l l e n t a r s l ' i
m p e g n i on questedirezioni,ma tale impegnopotrebbetrovarefattoridi
moltiplicazionaettraversoun sistematico
coordinamentnoazionaledegliinterventiI.noltreil moltiplicarscioordinatodi una
reteassociazionistica sul territorionazionalepotrebbedivenireun
utilestrumentoa, l contempod, i diffusionedei nostriprincipei di
informazionientornoallenostreiniziative, ma anchedi selezionedi
colorocheintendonoavvicinarsai noi. A questaselezionesternadeibussantdi
eveanchecorrisponderuenaselezioneinternadeiFratelli. Non casualmentegli
insegnamentliberomuratorvi engonoimpartitsi u tre gradi(Apprendista, Compagno
d'Arte,Maestro)p, ertantonon puo essereil merotrascorreredel tempoa
determinarei passaggdi i grado. Solola conoscenzadelgradonelqualesi
lavorapuodaredirittoad aumentdi i salarioc, omebeneesprime l a n o s t r a T r
a d i z i o n e e, l a c o n o s c e n z as c a t u r i s c ed a l l a s o m m
a d e l l a v o r o i n d i v i d u a l ec o n q u e l l o d i L o g g i a .
Pertantola selezionenonpuocheavvenirea seguitodi unacostantepresenzain Loggiae
di un sistematico lavoropersonaledi ricerca. Le Loggedovrebberolavorarein
tuttii gradi,nonsoloin quellodi Apprendistae,d, in particolare, i lavori in
terzogradodovrebberoesserevalorizzati, affinchesi possaconstatareche il
GrandeOrientee composto da Maestric, he lavoranonel lorogradoe non in gradodi
Apprendistal.l gradodi Maestroe il verticedella nostralstituzione, pertantod,
eve informarela maggioranzadei lavoriritualidi Loggiaper evitareche le
ritualitadi altrigradiprendanoil sopravvento,
snaturandonleaforzainiziaticail:avoridaApprendistraestano perApprendisatinchese
fattida Maestri. ln questiultimianni il GrandeOriented'ltaliaha promossouna
crescenteorganizzaziondeella Comunioneal fine di potenziarnela presenzasocialee
la capacitainternadi creicita qualitativae
quantitativaIn.fattis,emprepiùnumerosei culturalmente rilevantsionostatii
convegnil,etavolerotondee g l i i n c o n t r si i a p u b b l i c si i a p r i
v a t i ; l a n o s t r a p r e s e n z a s u l t e r r i t o r i o e s t a t a
r a î f o r z a t ad a c o n s i s t e n t i i m p e g n i p e r f o r n i r e
a i f r a t e l l s i e d i d i g n i t o s e m; a n e c e s s i t a a n c o r
a s i a u n a m a g g i o r e p a r t e c i p a z i o n i e n t e r n a a i l a
v o r i d e l l a Comuniones,iaunapiuadeguataorganizzazione storiche.
Rispettoal tema dellapartecipazione ai lavoridi Loggianon mi sembrasi
debbainsisteremoltoper costituzionalech, e megliorappresentlei attualiesigenze
evidenziarnela doverositaoltrealla necessitàT. uttaviapare
opportunoribadirecome la radiceprofonda d e l l a L i b e r a M u r a t o r i
ar i s i e d a n e i t r e g r a d i d e l l ' O r d i n e e n o n n e g l i u
l t e r i o r gi r a d i d e i R i t i , i q u a l i , a l m a s s i m o ,
possonoessereconsiderati dellearticolazionsipecificheD.
unque,nessunacameraritualepuo sostituire sopperireallacarenzadi lavorinei
primitre gradi.Questariflessionedovrebbeconvinceretuttii Maestri Venerabilai
promuovereun consistenteincrementodi lavoriin cameradi Maestro,al fine di
espandere pienamentele potenzialita iniziatichdei dettacamera. R i g u a r d o
, p o i , a l l a n o s t r a o r g a n i z z a z i o n ec o s t i t u z i o n
a l ei n t e r n a , p a r e n e c e s s a r i o c o n s t a t a r e c o m e g
l i e p i s o d i cei d o c c a s i o n a li in t e r v e n tdi i r i f o r m
an o r m a t i v as, o v r a p p o s tai d u n t e s s u t o g i à di
disposizioni spesÀo si constatala stradala contraddittorio
carente,abbianoormairesaevidentela necessitàdi unaorganicae completariscrittura
dellanostraCostituzionee deinostrRi egolamenti. Infattir,isultasubitochiaroa
chiunquestudila nostralstituzionceomeallastrutturainiziatic(aLogge, GranLoggiae,
tc.)dellanostraComunionsei sovrappongaper dallanostraappartenenza precisa ad
una realtàstoricau, nasovrastruttuarassociazionistica di inevitabile
saporeprofanoP. oichenone possibilpeorsfiuoridalleesigenzseloriche
dallasocietàc,uisiappartienae pienotitolo,la strutturainiziaticadeveper
necessitàcoordinarsci on l'oîganizzazionperofanalassociazioni,
societàcommerciaolib, blighfiscalei
.dipubblicasicurezzaq,uoteassociativelo,cazionimi moòiliari,
etc.)dalmodelloconfederale originarivoersoun modellofederalepiùo
menocentralizzaìo. neirecentpi rowedimendti adeguamenatollenormative
fiscalimposteallealsociazioni c i v i l e s, i a d e l l a L i b e r a M u r a
t o r i a , siadelrapportocheintercorre pertanto traquesteduerealtàstoriche.
dobbiamostupircci heancheil nostroapparatonormativo, quello
conseguentemennteo,nscambinoi gradipercarriere,grembiuli i
peronorifìcenzeelenormeperstrumenti
diprevaricazionLea.LiberaMuratorisaialimentadiidealiedispiritodiserviziofraterno.
5.Inultimom, anonultimo. A chiusuradi questarelazionme oralemi sembraopportuno
ricordardeuespecifichtematiche, sonodovuteaffrontarein
questoprimoannodellanuovaGranMaestranza. prima
intornoallatroppoeslesacontenziosigtàrudiziaria ed al degradocomportamentale, d
e r i v a t o e, m e r s i i n o c c a s i o n ed e l r i n n o v od e l l e c
a r i c h ed i é i u n t a e c o n t i n u a tpi e r v i c a c e m e n t e
anchenel corsodelcorrenteanno.LasecondainvesteirapporttiraOrdine CorpiRitualei
dhaportatoallastesuradi nuoviProtocoldli'lntesa. Procediamcoon ordine.ll
primotemaaffrontaI'ormadi iffusomalcostumdei ricorrereallagiustizia
ordinariaperpresuntedisarmonie in materialiberomuratoria, prima anche di
esperireil forodomesticeo di cercareconcordiafraterna,come
dovrebbeesserenostrodoverefare. Inolt;e,tali scontrigiudiziarisi
connotanaoncheperlaviolenza, la ripetitiviteàla caparbiareiteraziondei
atti,citazionei,sposti, r i c h i e s t de i accertamentin via preventivaed in
via risarcitoria,querele,richiestedi prowedimentiourgenzae quant'altro consentaI'articolatoordinamentgoiudiziario
si sommaancheun corrispondente di massa(giornalil,eúere,siti internet, ,
esigenzesocialei giuridichdeipendenti etc.)ai e giuridicarmonicae,ntrola
qualesvolgereinostriarchitettonici finedi costituireunaunitàistituzionale lavoriD'
elrestotaleproblemahanaturaTradizionalpeo, ichenonnasceoggrm, aciaccompagna
storicdi elcompagnonaggeio dellaMassoneriOaDerativa. La
Tradizionecostituzionale dellaMuratoriaUniversale,
Infattil,eLoggesovranesiunisconoc,onservandlaopropriasovranitàp,erformareunaGranLoggiam,
ail sistemaè lentamentsecivolato, lnoltre,ha naturaevidentemente federale.
comeperaltroè awenuioanchenellecostituziosntiatal(iSvizzera, U.S.A., In
sintesis, i è materialeallaCostituzionfeormaleorigtnariaC.iòha
sovrappostuana,cosìdettadaigiuristiC, osîituzione
prodottoincertezzeinterpretativea,d
esempiointornoall'autonomidaelleLogge,comebenesi e evidenziato
dalloStatoltaliano. Maanchea presclnderdealleantinomied,allelacunee
dalleoscuritàdeinostritestinormativil,tempo, comeè notoai giuristiè,
nemicodelleleggie: ssocorrementrele leggirestanofermec, ristallizzate nellaloro
immobilitàIn. questiultimai
nniabbiamoassistitaollerapidetrasfor-Àazioanni,coraínfieri,siade a società n o
n adeguarsai lle nuoveesigenze.OwlamenteI'adeguamento deve esserefatto in modo
organtcoe
sistematictoe,nendoanchecontodelledimensioncirescendtiellanostralstituzioned,elleregolamentazioni,
che si sonodate le altreMassoneriestranieree,
dellenormativedegliordinamengtiiiridicistatalie sovranazionali. ..
UnaultimariflessjonmeiportaaricordaraetuttiiFratelliche,comunquela,LiberaMuratorinaonpuò
divenireuna organizzazionperofana.Essa è e deve restareuna
lstituzioneTradizionaleIniziaticaper il perfezionamento dell'esseruemanoC. iÒp,
erò,presuppone non i n i z i a t i c os , i m b o l i c oe r i t u a l e d, e b
b a anchechei Fratelliavivanoinquestospiritoe, italianoP.
eraltroall'iperattivismgioudiziariJprofano fenomenodi comunicazione emails,
ms,etc.),perlo piùanonimot,endentea screditare
lanostralstituzionaédín,particolaie, alcunsi uoi esponendtiiverticeN.
onparenecessarisooffermarsui llaprofaniteà,spessoa,ncheilliceitàgiuridicdaitali
comportamenstie,mbra,inveceo, pportunosotlolineare comeessirendanodi
dominiopubúicole nostre c o n t e s ei n t e r n ev, i o l a n d on o n c e r t
oi l s e g r e t om a s s o n i c op,o i c h én o n v i è n u l l ad i s e g r
e i oi n s i m i l im i s e r i e umane,ma umiliandoil buongusto,il dirittodei
fratellai d una immaginepubblica internodistesoed alla riservatezzadelle
proprieproblematiche f,ositiva, di fàmiglia.La litigiositàed ancor più
I'accanimenntoellalitigiosità -una sonopessimbi igliettdi a visitae forniscono
immag"ine Oriented'ltalia. finedi
evidenziarqeualidebbanoessereicomportamenti
correùiinialematerianellanostraComunioneln. nostralstituzioneT.uttipossonopercepire
idannichequestsi considerati
PoichéilGrandeOratoretraipropricompitiistituzionali quello haanche di
interpretare e di custodirle leggiho reputatomio precisidoverecompiereun
lavorodi esegesigiuridicasullenostrefontinormativea, l chesi La riguardala
riflessione chène è connessoe deteiioratdaella comportamenairirecanaol Grande
daitempi ad un clima breve,risultaevidenteche la
nostraTradizionenon consenteun facilericorsoalle giustizieor6inariein
materialiberomuratorie, comunquen,
ontolleraunaeccessivanimositaneldifenderàl" propriepresunte ragioni.Se non
e possibileparlaredell'esistenznael nostroordinamentogiuridicodi una vera e
propria
clausolacorxpromissoraiassimilabilaequelletipichedell'associazionismproófanoe,
tuttaviaevidentecome il ricorsoallagrustiziaordinariavengacostantementveistoe
vissutocomeun comportamentpoatologicoe talvoltaanchecomeunaverae
propriacolpamassonicaL.asituazionesiaggravaperI'attoiequalorail g i u d i z t o
m a s s o n i c oo a n c h e s o l o q u e l l o p r o f a n o d i a a l u i t
o r t o ; p o i c h e i n t à l e c a s o s i e v i d e nz i a s e n z a
equivocei d incertezzeuncomportamentnoonfraternoneiconfrcntdi elconvenuto. A l
f i n e d i c h i a r i r ei l p i ù p o s s i b i l et a l i t e m a t i c h
eh o p r o v v e d u t oa d u n a a n a l i s id e l l e n o s t r ef o n t i d
i d i r i t t o , analisiche gia evidenziaquantosopraesposto,ma che
raccomandapiù puntualmi odifichenormativenei nostriregolamentail finedi
rendereesplicitaa, nchesul pianoassociazionistico, nostroordinamentgoiuridicodi
unaclausolacompromissoria. ll pareresullefontidel dirittoliberomuratoriodel
GrandeOriented'ltaliae sul vincolodei Fratellai limitarsni
eicontenziosaillagiustiziadomesticavieneriportatonell'allegato n.1. ll secondorilevantetemaaffrontatoin
questoannomassonicoriguardai Protocoldli'lntesatra il Grande O r i e n t ed ' l
t a l i ae d i C o r p i R i t u a l ai d e s s o a d e r e n t i P. u r t r o
p p oa n c h e i t o m p o r t a m e n t i c, h e h a n n o c o s t r e t t oa
d affrontaretaletematicanonsonocertocommendevolei
rivelanoilmaisopitotentativodellearganizzazioni ritualdi
icostituirsciomeunaMassonerianellaMassoneriac,omeunlivellosuperioredicontrollòdell'Ordine
Libero Muratoriodei primi ed unici tre gradi, contravvenendoin tale modo alle
regole massoniche internazionalmentreiconosciute.Pertantoi nuovi
Protocollid'lntesasi sono rigorotamenteispirati
all'applicaziondellenormativeinternazionali in materiaed hannointeso
pericolosa, correggerela anchese traOrdinee CorpiRituali
nuoviProtocolldi'lntesasifondanosuquattro
forseinconsapevoltee,ndenzaegemonicadeiCorpiRitualsi ull'Ordine. Al finedi
ristabilirIe'equilibrio principbi enprecisi: 1) 2) 3) L'Ordineo, ssiail
GrandeOriented'ltalia,svolgeuna indiscutibiled originaria'funzionieniziaticamente
fondantee giuridicamentlegittimante regolarizzantreispettoai CorpiRituali. |
CorpiRitualihannotuttiparidignitadi fronteal GrandeOriented'ltaliae, pertantoi,
Protocolli, specifichepeculiaritdaovuteadoggettivedifferenzestoriches,onougualipertuttii
CorpiRituali. Ordinee CorpiRitualgi odonodellapiùassolutae reciprocautonomiaE.
',quindi,fattoobbligoai Corpi Ritualdi i astenersdi a qualsiastiipodi
interferenzaedingerenzadirettaod indirettanellavitadell'Ordine ed in modo
particolarenei momentiistituzionadlii sceltae di rinnovodegliorganiinternidi
governo dell'Ordinestesso.A tale fine è parso necessarioritenereincompatibili
dell'OrdinedeiCorpiRituali. 4) l-e normative interne dei Corpi Rituali devono
essere conformi alle normative massoniche internazionalmenrtieconosciute
particolare, ed, in a quellepropriedel GrandeOriented'ltalia,nonche,
ovviamentea,nchealledisposizioni di leggedellaRepubblicaltaliana. La bozzadei
Protocolldi 'lntesatra GrandeOriented'ltaliae CorpiRitualivieneriportataper
esteso nell'alleganto.2. A conclusiondei questarelazionemoralesia
lecitoricordarecon profondodoloree fraternorimpiantoil F r a t e l l oB e n t P
a r o d id i B e l s i t o g, i a G r a n d eO r a t o r eA g g i u n t o c, h
e n e l l e i m m i n e n z ed e l S o l s t i z i od ' i n v e r n oe
passatoall'OrienteEterno.La sua immensaculturasi univaad una
profondadedizioneagli idealilibero muratori,ma soprattuttocoloroche
hannoavutoil privilegiodi conoscerloda vicinohannopotutoapprezzare q u a n t a
n o b i l t a g, e n e r o s i t ae d a m o r e f r a t e r n oa l b e r g a s
s e r no e l s u o a n i m o . Nel rimpiantodi un fratelloed
amicoscomparsovogliodedicareal suo ricordoquestemie brevi
riflessiondiiuntempogiovanileormaiperduto: RINTOCHI Se le campanesuonanos,
egnandoil miofato; seilgiornoe lanottecircolarmente si avvicendano;
Coniltriplicefraternosaluto. se il marearrotolacadenzatriicciolbi ianchi; se i
montiforzanolavoltadelcielo, lo ridoe piangoe bevoe negoildomani.
L'orizzonteguidaallamadre, matuseiunrigidosegmento. IL GRANDEORATORE MorrisL.
GhezziPrima di formulare alcune precisazioni intorno alle principali critiche
rivolte, soprattutto in sede di postfazione, al mio scritto, voglio ribadire
che sono infinitamente grato ad Emanuele Severino, ad Agostino Carrino ed a don
Paolo Renner per l’attenzione, che generosamente hanno voluto de- dicare al mio
lavoro. Le obiezioni, infatti, che mi sono state rivolte hanno arricchito la
ricerca con contributi seri e proficui per la conoscenza umana; conoscenza che
non può che scaturire da serrate critiche, severe obiezioni, profondi dissensi,
diversità metodologiche ed euristiche, divergenti punti di vista e ripensamenti
vari. Ma senza indugiare oltre è tempo di commen- tare queste critiche. Ogni
affermazione presuppone anche la propria negazione: luce e tene- bre, dritto e
curvo, finito e infinito, piace non piace, etc.. La dialettica degli opposti
appare una fenomenologia, per così dire ontologica, ossia propria della
struttura mentale dell’essere umano. Ciò non significa che il dualismo sia
dotato di un fondamento maggiore o minore del monismo, ma sem- plicemente, che
né l’uno, né l’altro sono dotati di alcun fondamento non dogmatico, non
assiomatico. Conseguentemente fidare in un paganesimo monista di dei, semidei,
eroi ed uomini divinizzati, come propone Carrino, o in un dualismo
giudaico-cristiano, che separa il divino dall’umano, è scelta meramente
arbitraria e priva di un solido sostegno logico od em- pirico, nonché, meno che
mai, metafisico o religioso. Probabilmente nel pensiero o, meglio, nella
rivelazione cristiana la sintesi teologica, il ponte
138 Il diritto come estetica tra fisico e metafisico avviene attraverso
la figura del Cristo, che viene considerato vero uomo, ma, al contempo, espressione
della trinità divina. Afferma, infatti, Massimo Cacciari, commentando Emo: Lo
sforzo teologico di Emo consiste, dunque, nell’intuire nella Croce stessa (non
oltre la Croce o dopo la Croce) la Resurrezione1. Si tratta, tuttavia di una
Resurrezione/rivelazione di natura puramente spirituale e, conseguentemente
soggettiva, poiché tale rivelazione di pas- sione e di morte nulla ha mutato
nella realtà empirica del mondo, se non il modo di pensare e di credere dei
fedeli e solo dei fedeli: si continua a nascere, soffrire, morire, fare
violenza e guerra, elargire misericordia ed amore esattamente come nell’era
precristiana. Del resto neppure la diviniz- zazione dell’’essere umano (pagana
o meno), con buona pace dell’amico Carrino, nulla ha mutato nel panorama delle
sciagure e delle piacevolezze empiriche, se non la superbia dell’approccio,
basti pensare alla tragedia greca. Inoltre anch’essa si presenta come una
conoscenza di fede (leggasi scelta arbitraria) Le affermazioni del presente
saggio, per essere correttamente comprese, devono essere considerate solo come
ipotesi scettiche di riflessione, tut- te possibili, ma nessuna fondabile su
solide basi conoscitive, e non come asserzioni sostenibili alla luce di
baluardi inconfutabili; ciò sarebbe in evidente contraddizione con il
presupposto fondante tutte le ipotesi che hanno natura nihilista/nichilista. Ė
ovvio che alla luce di tali presupposti teorici qualsiasi critica si voglia
muovere al saggio non può che avere na- tura esterna; infatti una critica interna
affonderebbe inesorabilmente nelle sabbie mobili di posizioni incerte, si
velerebbe nella nebbia di affermazioni tutte possibili e nessuna certa.
L’empiria vorrebbe imporre come certezze le affermazioni della perce- zione
umana, ma tali percezioni derivano dalla struttura organica dell’es- sere
umano, propria del mondo, che noi crediamo di conoscere e, comun- que, nel
quale viviamo; ma di tale mondo nulla si conosce, salvo il nostro percepito ed
il nostro percepito è presupposto di se stesso, pertanto non testabile a sua
volta empiricamente. Il reale, ammesso che esista un qual- che referente
empirico da attribuire a tale termine, potrebbe essere anche molto diverso e
maggiormente composito, come dimostrano altre forme di percezione animale ed
ulteriori possibili modalità ipotetiche percettive, da 1 M. Cacciari,
“Prefazione” ad A. Emo, Il Dio negativo. Scritti teoretici 1925-1981, cit., p.
VIII. M. L. Ghezzi - P.S. Trappola
senza uscita: una riflessione sulle critiche ricevute 139 come viene immaginato
dall’essere umano. In altre parole, il saggio, pro- blematizzando il fondamento
euristico del metodo empirico, problematizza proprio anche l’a priori kantiano
e dubita delle sue categorie. Ciò tende a porre la ricerca empirica sul
medesimo piano di quella metafisica in quanto entrambe fondate su un a priori
indimostrabile. Infatti, giustamente Ema- nuele Severino parla di una struttura
originaria, che implica per necessità l’eternità, ed è proprio e soltanto a
questa struttura, che si può chiedere il fondamento dell’esistenza del soggetto
e dell’empiria. In termini religiosi il problema non muta: il divino intende
permeare l’umano in modo empi- ricamente comprensibile, trasformandolo? Pare
che ciò sino ad ora non sia mai avvenuto. In termini filosofici si ripete il
medesimo quesito: il meta- fisico riesce ad entrare nel fisico, trasformandolo
dialetticamente? Anche in questo caso la risposta sembra sino ad ora essere
negativa. Dunque il dualismo non può tramontare, almeno come ipotesi.
Ovviamente a questi dubbi mostra il fianco anche l’indiscutibile visione morale
di Kant: non fondabile teoreticamente a priori e per necessità re- lativa nella
sua comportamentalità pratica umana; infatti l’illustre filosofo cerca di
fondarla, pur fugacemente ed in modo quasi silente, nell’antropo- logia umana
del mi piace, nell’estetica, che appare essere la dimensione più originaria
(strutturale? ontologica?) dell’essere umano. Ma un macigno an- cora più grande
e pesante ostruisce la strada dell’etica, della morale (kan- tiana e non
kantiana) e del diritto: il tema del libero arbitrio. L’eventuale assenza di
libero arbitrio nell’essere umano cancella d’un solo colpo ogni dover essere ed
ogni prospettiva teleologica. Certo non si può asserire l’as- senza del libero
arbitrio, ma purtroppo non è neppure possibile affermare la sua presenza. Nel
dubbio, e scommettendo, fideisticamente, sulla possibile esistenza del libero
arbitrio, ciascuno può scegliere la propria convinzione e, quindi, la propria
strada da percorrere, ma dovrebbe anche avere ben chiaro che la sua scelta non
ha alcun fondamento euristico, ma solo esteti- co, ossia soggettivo e,
pertanto, è esclusivamente riferibile e vincolante per il solo soggetto, che ha
compiuto tale scelta. Il tema diviene centrale nel mondo del diritto, se si
attribuisce a quest’ultimo, come nella prospettiva di Carrino, una dimensione
teleologica; ma il telos (τέλος) è un fine, ossia un valore, una scelta ed è
proprio dell’assenza di fondamento etico o di qual- siasi altro tipo dei
valori, delle scelte, che si sta discutendo in questa sede. Di fronte al tema
teleologico del diritto pendono almeno due interrogativi, una di natura
prevalentemente politica e l’altra di natura eminentemente teoretica: Cui
prodest; a chi giova, a vantaggio di chi va la scelta compiuta? E, con
affermazione ancora più radicale: per quale motivo si dovrebbe re- putare
superiore, più auspicabile in assoluto il Cosmos, l’ordine rispetto al
140 Il diritto come estetica Caos, il disordine,
quando, come dimostra il pur discusso, in sede di scien- za fisica, principio
di entropia, è quest’ultimo quello verso cui si muove il nostro universo? Sono
mere preferenze soggettive, estetiche, appunto. Il diritto è ideologia e
l’ideologia è arbitrio personale o collettivo. Riguardo, in fine,
all’interpretazione data da Renner delle affermazioni di Emo, penso che vi sia
stato un fraintendimento, cosa, per altro, non stu- pefacente data la generale
oscurità e frammentarietà dell’opera di questo Autore. Emo si muove nello spirito
del Deus absconditus di Nicolò Cu- sano e, soprattutto, nel solco
dell’attualismo gentiliano, pertanto compie una sorta di rovesciamento
lessicale nel significato delle parole: ciò che afferma come negativo viene ad
esprimere una positività, ciò che è invi- sibile assume il ruolo di realtà
visibile, al contrario, il visibile si annienta, ciò che è nulla è il vero
essere e ciò che appare essere è nulla, etc.. Per- tanto tra fede e scienza
prevale euristicamente la fede, in quanto, negando l’apparente realtà
dell’essere può accedere alla realtà reale del nulla, che si presenta come il
vero essere, perché privo di presenza in quanto assoluto. A conferma di questa
pur complessa interpretazione testimoniano alcune affermazioni di Emo:
“L’incoscienza dei vegetali, delle specie viventi, è la loro unità panica col
tutto, che è appunto il paradiso terrestre, il giardino dell’Eden. Il dramma
della coscienza, che è il dramma della Presenza, è la cacciata dal paradiso
dell’unità panica, è il dramma della separazione, della negazione; ma appunto
perché la separazione è negazione, noi, mediante la negazione, possiamo
ritornare all’unità. La fede è fede nella potenza, nella sacralità della
negazione. La nostra colpa è la trasgressione e la sepa- razione; separazione
cioè negazione.”2. Ed ancora: “Il Dio nascosto, il Dio negativo, è già
implicito nel cristianesimo, religione antichissima che ha origine insieme
all’uomo; religione del Dio sacrificato che, per la logica stessa della sua
situazione, diviene religione del Dio che si sacrifica, cioè si nega. Il Dio la
cui attualità ed atto e realtà è il negarsi. Ed a sua immagine e somiglianza
sono gli uomini e il mondo.”3. Per quanto poi riguarda l’interpretazione che
Renner attribuisce al mio concetto di estetica (mi piace/non mi piace) debbo
dire che riflette esatta- mente quanto desideravo esporre. Infatti, con
estetica non intendo né un fugace capriccio, né una ludica superficialità e
neppure una occasionale propensione, bensì un profondo appagamento, un convinto
compiacimento dell’animo, un radicato benessere spirituale, una persistente
pace con se stessi. In sintesi, è un concetto che si avvicina molto al kalos
kai agathòs 2 A. Emo, Il Dio negativo. Scritti teoretici 1925-1981, cit., p.
30. 3 A. Emo, op. cit., p.39. M. L.
Ghezzi - P.S. Trappola senza uscita: una riflessione sulle critiche ricevute
141 (καλòς καì αγαθός) degli antichi greci, nel quale ciò che era bello aveva
buone probabilità di essere anche buono. A mero titolo esemplificativo penso
possa essere utile all’interpretazio- ne fornire da parte mia uno scenario
concettuale per meglio comprendere i dubbi, che permeano le affermazioni
empiriche, ma anche quelle metafi- siche, che agitano questo lavoro.
Naturalmente tale scenario è ispirato ad alcune convinzioni proprie di chi
scrive, che, ovviamente, si presentano ar- bitrarie, soggettive, relative, come
quelle avanzate da qualsiasi altra perso- na. Procedendo con ordine, pare
doveroso iniziare il discorso da ciò che si crede di percepire vivendo: un
continuo movimento, oscuro nel significato, ma soprattutto, senza fondamenti di
certezza non solo sulla sua origine e direzione, ma addirittura anche sulla sua
stessa esistenza. Il treno della vita non consente discese ai passeggeri: non
possiede porte d’uscita e le finestre sono sigillate; non compie fermate; non
avvertì del- la partenza, ma neppure prevede stazioni d’arrivo. I passeggeri
ignorano come sia loro capitato di salirvi; non conoscono il luogo nel quale si
tro- vano e non sanno neppure nulla di se stessi: come funzionino, siano solo
il percepito o si sdoppino in soggetto ed oggetto; siano Tutto, un terminale
del Tutto o parte tra parti. Sentono, ma non hanno accesso alle fonti del
sentire. La fonte si localizza, oscillando tra spazi successivi, ed immagina le
successioni, il tempo. Eppure non vi è ancora forma, ma puro sentire senza
immagine: chi sente? Chi o cosa fornisce l’immagine, quando si presenta?
Tuttavia una qualche forma di immagine deve pur esistere come riferimento sia
del sog- getto, sia dell’oggetto, affinché anch’essi possano assumere una
propria immagine. La forza, l’energia oscilla senza sosta tra se stessa ed una
qualche forma, modulando la propria vibrazione, ma la forma è instabile e si
liquefa con- tinuamente nella forza, come ghiaccio nell’acqua. Se la forza
osserva vede la forma, che non esiste in se stessa, se non è osservata. Il
mondo sembra un osservatorio permanete, che osserva se stesso in un circolo
tautologico, che esiste nell’osservarsi e l’osservarsi è il solo esiste- re. Forza
e forma, due volti del medesimo fenomeno. La forma si dissolve nelle
metamorfosi e la forza persiste, ma non esiste come massa senza alienarsi nella
forma. Tra i due enti si instaura un vizioso legame mutualistico indissolubile,
nel quale il soggetto crea l’oggetto, ma l’oggetto modifica a sua volta il
soggetto. L’incontro dei due enti produce il fenomeno della consapevolezza, che
è solo consapevolezza di se stessi, ossia del soggetto/oggetto. Un se stesso,
oscillante tra tutto e parte, tra onda e particella, tra forza e forma, tra
energia e massa, che non ha identità fissa.
142 Il diritto come estetica Un soggetto indeterminato come l’oggetto privo di
osservatore, che è sog- getto di se stesso. Soggetto ed oggetto sono due
indeterminazioni, che si determinano reciprocamente, dando vita al percepire da
parte sia dell’uno che dell’altro. Il senso è la selezione dei fenomeni, che
costruisce oggetti e soggetti. Il tavolo si occulta sotto la tovaglia, ma la
tovaglia è materiale coprente men- tre significa pasto per l’essere umano, ma
l’essere umano è entità bipede senza piume, se avesse le piume sarebbe un capo
indiano o un uccello, ma un capo indiano o un uccello esistono, il primo sia in
India sia in America il secondo nel cielo, ma India, America e cielo sono solo
terra ed aria e terra ed aria sono composti di elementi chimici, ma gli
elementi chimici sono energia e massa, ma energia e massa sono vibrazioni. Le
forme si dissolvono. La trappola è l’apparire di un ente, che fugge oltre le
quinte (forse ver- gognandosi della propria oscenità – fuori dalla scena) di un
essere, il quale esiste nell’oscillare del nulla, al di là dell’essere e del
nulla (“[...] è nel determinato essente che il Nulla è Essere”4).
L’indeterminato si determina, sentendo se stesso, ma torna indeterminato appena
cessa di sentire; ecco perché non ha senso, perché è e resta indeterminato,
salvo che per se stesso per un breve lampo di sensazione, non di senso.L’arco
del cielo è sorretto da due colonne. Dal lato destro, la metafisica fornisce
abissale profondità a stelle, galassie e mondi; dal lato sinistro, l’empiria
avvicina l’abisso, presupponendone il fondo anche senza poterlo raggiungere.
L’empiria ci accompagna quotidianamente, nella vita di tutti i giorni,
fornendoci informazioni intorno all’ambiente, nel quale viviamo, ed a noi
stessi, alla nostra nascita, vita e morte. Informazioni che, quasi sem- pre,
non soddisfano per la loro oscurità ed incompletezza. L’essere umano possiede
un corpo, di cui manca il libretto d’istruzioni per l’uso. I problemi del
dolore e del senso dell’esistenza non trovano risposta certa e, forse, non
possono neppure trovarla in quanto argomenti sottratti alla ricerca em- pirica.
Non è possibile verificare/falsificare il valore di un biologico, che si decompone
progressivamente e diviene nutrimento di altro biologico. Il proprio e l’altrui
si fronteggiano fieramente come anelli di una catena, che li tiene separati, ma
strettamente legati; come componenti, appunto, di una catena, di cui non si
conosce né l’origine, né il fine e neppure il senso del suo esistere. Di fronte
al mistero l’empiria si arrende e si asserraglia nelle sue deboli certezze
pratiche, tecniche e strumentali, ma l’essere umano non demorde e cerca
risposte con o senza verificabilità/falsificabilità empirica. Si apre a questo
punto il mundus imaginalis1, ma anche l’Universo dell’i- deazione, della
creatività, della fantasia umana, la cui immaterialità è un suo elemento
costitutivo, proprio per sfuggire ai dubbi dell’empiria, non 1 L’espressione è
usata da Henry Corbin per indicare una realtà intermedia tra fisica e
metafisica, tra materia e spirito, una sorta di sintesi tra i due termini, che
non relega il trascendente nell’ambito dell’inesistenza.
16 Il diritto come estetica un inconveniente. Purtroppo
anche questa via si trova ostruita per l’essere umano, in quanto diretta o
verso una conoscenza superiore ed incompati- bile con quella umana o verso una
conoscenza individuale, soggettiva e, quindi, incerta, relativa e prospettica. In
sintesi, sia l’empiria, sia la metafi- sica svelano l’unica conoscenza umana
possibile, quella propria di Socrate e narrata da Platone nell’Apologia: so di
non sapere2. Può la psicologia umana accettare un verdetto tanto duro sul senso
della propria vita? Evidentemente no ed, infatti, le elaborazioni metafisiche
si sono moltiplicate, articolate e complicate nel tempo, mentre gli studi em-
pirici hanno continuato il loro corso senza aspirazione di completezza e di
assolutezza. Il fondamento di qualsiasi discorso continua a sfuggire e le
affermazioni fisiche e metafisiche restano come appese nel vuoto e da nulla
sorrette. Forse è proprio questa loro collocazione priva di alto e di basso,
che ne impedisce la definitiva caduta o, forse addirittura, che rende priva di
senso la domanda stessa sul fondamento. Un dato empirico tuttavia è certo: la
psicologia umana tende verso la certezza anche a costo di rinunziare al mondo
dei cinque sensi. Dunque, il metafisico è, in qualche misura, conna- turato con
l’essere umano come il fisico; è una componente, per così dire, strutturale
dell’antropologia. Nel mondo dell’etica, cui il diritto sino ad ora è
appartenuto, queste medesime problematiche hanno dato corpo all’ideologia ed
all’utopia, alla norma morale ed a quella giuridica, al diritto naturale ed al
diritto positivo, alla giustizia ed alla legalità, alla validità ed
all’efficacia del diritto, al do- ver essere ed al mi piace/non mi piace. Tutte
queste alternative esprimono la tensione tra il vissuto reale e le aspirazioni,
i desideri del soggetto. In particolare, l’ultima alternativa ricordata apre la
strada, che conduce dal diritto come obbligo al diritto come estetica. Lo
smascheramento del dover essere avviene con la constatazione empirica, che le
scelte umane sono 2 “Infatti, operando con una logica (quella apofatica) che
nega ogni proposizione assertiva (ed esaustiva) in merito alla verità di
qualsiasi ente – ma invece proponendovi l’inclusione di ogni possibilità – si
giunge a questo risultato che auspicava Nicolò Cusano con il suo De docta
ignorantia. Si giunge a un non-sapere che include ogni sapere e viceversa: allo
stesso modo in cui l’Essere-Uno – che non è un essere specifico – include in sé
tutti gli esseri a cui conferisce l’esistenza. Ma questo sapere non è,
gerarchicamente, estraneo e al di sopra dell’uomo – che ne verrebbe in qualche
modo dominato e esautorato – ma assolutamente intrinseco all’uomo stesso che ne
è, pienamente, partecipe, pur essendone abissalmente lontano. Così come il
molteplice è l’espressione ontologica dell’Uno di cui è la manifestazione
teofanica”. C. Bonvecchio, Le meditazioni abissali di Henry Corbin, in H.
Corbin, Il paradosso del monoteismo, Mimesis, Milano-Udine 2011, pp.
14-15. Premessa 17 guidate dal piacere
e non dal dovere, anche se talvolta i due termini coinci- dono. Dover essere e
piacere divengono i due poli reali del disagio esisten- ziale umano e,
contemporaneamente, anche il tentativo di risolverlo. Solo di un tentativo
purtroppo si tratta. Il diritto come estetica non esclude, e non può escludere,
la dimensione metafisica, ma rafforza la descrittività empirica del
comportamento umano, consiglia maggiore consapevolezza psicologica dei limiti
conoscitivi uma- ni ed apre nuove prospettive di regolamentazione sociale. Ogni
demistificazione è un atto di liberazione della conoscenza, ma non è possibile
illudersi di poter superare gli ostacoli ultimi, che oscurano una visione sia
assoluta, sia relativa del mondo, cui apparteniamo. La dea Ananke (Aνάγκη), la
dea Tyche (Τύχη), le Parche, il Fato, il Destino, la Divina Provvidenza intanto
sorridono, interrogandosi intorno al determini- smo ed all’indeterminismo.
Ringraziamenti Al termine di questo mio lavoro voglio rivolgere un particolare
ringra- ziamento ad Emanuele Severino per la sua grande cortesia e
disponibilità ad ascoltare le mie riflessioni; ad Agostino Carrino per il
fraterno impegno con il quale ha setacciato i concetti del mio scritto,
evidenziando proble- matiche a me sfuggite, ed a Don Paolo Renner, che, tra i
moltissimi suoi impegni di misericordia, ha voluto aggiungere, con antica
amicizia, anche quello verso il mio scritto. Capo di Ponte, 11 novembre 2015La
frase, come risulta dalla lettera, riguarda esclusivamente l’Albero della
scienza, della conoscenza del bene e del male, non anche l’Albero della vita,
che pure era presente nel Giardino dell’Eden2. Di quest’ultimo, dunque, Adamo
ed Eva erano legittimati a mangiarne i frutti. Per ora la no- tazione può
apparire irrilevante, ma in seguito risulterà determinante, poi- ché evidenzia
che nel Paradiso terreste i nostri progenitori erano immortali ed, infatti,
compartecipavano della conoscenza divina. La prima evidenza che colpisce il
giurista nella narrazione biblica della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre,
dall’Eden è il concetto di colpa, la quale, per necessità logica, presuppone ed
è indissolubilmente legata ai concetti di conoscenza e di responsabilità. Se
l’albero, del quale mangiano il frutto, è l’albero della conoscenza del bene e
del male, ossia della consapevolezza morale del proprio comportamento, non si
compren- de come sia possibile emettere da parte di una divinità come da parte
di un essere umano un verdetto, una sentenza di condanna per azioni commesse 1
Genesi, 2, 15-17. 2 “Ora il Signore Dio sin da principio aveva piantato un
paradiso di delizia; ivi pose l’uomo da lui formato. Produsse il Signore Dio
dalla terra ogni albero bello a vedersi e buono a mangiarsi; inoltre, l’albero
della vita nel mezzo del paradiso, e l’albero della scienza del bene e del
male”. Genesi, 2, 8-9. 22 Il diritto
come estetica da esseri inconsapevoli, per così dire, innocenti dal punto di
vista sia del- la volontà, sia della conoscenza, in quanto, appunto, ignari dell’esistenza
stessa del contenuto dei concetti di bene e di male: disobbedire poteva essere
sia bene, sia male. Se la ragione, da cui la teoria giusnaturalistica ritiene
di dedurre le norme giuste, è la ragione divina nell’uomo e non la ragione
empirica, questa dottrina non può essere definita come razionalistica. [...].
Se è la ragione conoscitiva a statuire norme, su cui si fonda il valore del
bene e quindi il disvalore del male, allora la distinzione fra bene e male è
una funzione della conoscenza che statuisce norme, cioè della ragion pratica.
[...]. In questa versione, il concetto risale fino al mito dell’albero della
conoscenza: è infatti la conoscenza del bene e del male data a chi gusta i
frutti di quell’albero. [...]. L’essenza di Dio è nel fatto di sapere ciò che è
bene e ciò che è male; sapendolo, egli vuole anche che si faccia il bene e di
ometta il male. Il suo sapere coincide con il suo volere e la sua ragione è una
ragion pratica: è questa la ragione divina di cui l’uomo si appropria col
peccato originale3. Ma è proprio questa la ragione di cui si appropria,
mangiando la mela, l’essere umano o, piuttosto, esistono due diverse ragioni,
quella divina, universale, e quella umana, particolare, ed è della conquista di
quest’ul- tima, che il mito dell’Albero della conoscenza del bene e del male
parla? Probabilmente l’interpretazione della simbologia biblica deve spingersi
oltre, più in profondità, del concetto di acquisizione della responsabilità
(conoscenza del bene e del male) attraverso la colpa: un colpa che non pre-
suppone apparentemente l’esistenza di alcuna responsabilità e scaturisce da una
disobbedienza ad un comando. Forse, è proprio la nostra cultura, ormai
atavicamente assuefatta ad una eteronomia incentrata su divieti e sanzioni, a
condurci sulla strada di una interpretazione colpevolizzante del mito della
mela. Forse, il peccato originale altro non è che il nostro stesso esistere
come esseri umani e non divini e la metafora della mela, intesa come
nutrimento, atto tipico e specifico dell’essere vivente, sembra richia- mare
simbolicamente questa interpretazione. Probabilmente il senso esoterico del
brano biblico nasconde significati, che non sono meramente giuridici, ma
sconfinano nella riflessione filosofi- ca e nella materia teologica. Ogni
condanna prevede una responsabilità, che scaturisce direttamente dalla
consapevolezza e dalla conoscenza sia dell’azione che si compie, sia della
norma, che la vieta: so ciò che faccio e conosco ciò che si può fare e 3 H.
Kelsen, Il problema della giustizia, Einaudi, Torino 1975, pp. 90-91.
La mela, il serpente ed il buon Dio 23 ciò
che non si può fare; ciò che si può fare è bene, ciò che non si può fare è
male. Ma bene e male possiedono almeno due diverse dimensioni: quella assoluta
del bene e del male universale e quella relativa del bene e del male propria di
colui che agisce, del suo modo di sentire, di vedere, di giudicare gli eventi
ed i comportamenti. Dio disse di non mangiare: sembra un comando eteronomo e,
quindi, in quanto tale, pare contrapporre un divieto divino ad un giudizio e
compor- tamento umano. Questa interpretazione, per altro condivisa anche da Alf
Ross (1899-1979)4, viene rafforzata dalla presunta sanzione comminata: se ne
mangerai morirai. Ma si tratta effettivamente di una norma giuridica o morale
dotata di sanzione oppure si tratta di un mero avvertimento, della descrizione
di una sorta di legge naturale, come quelle che derivano da teorie scientifiche
e che prevedono, ad esempio, il moto degli astri? In altre parole si tratta di
un comando o di una descrizione? Per rispondere alla domanda è necessario
risalire alla situazione di Adamo ed Eva rispetto a Dio nell’Eden. Non era una
situazione di separazione, ma di unione; non vi era individualità, ma
comunione; conseguentemente, l’unica conoscen- za esistente era quella divina,
che permeava, proveniente da Dio, anche Adamo ed Eva. Conoscere e volere,
dunque, erano la stessa cosa non solo per Dio, ma anche per Adamo ed Eva ed in
una tale situazione un comando eteronomo è del tutto privo di senso; in primo
luogo, perché non può essere eteronomo, in quanto vi è comunione, ed, in
secondo luogo, perché un co- mando comporta volontà diverse, mentre, in questo
caso, come vi era una sola conoscenza così vi era anche una sola volontà.
Desiderando il frutto dell’albero, torniamo alla realtà del sospetto, cioè allo
svincolare la conoscenza dall’amore e ad impiegarla ai fini dell’autoafferma-
zione dell’individualità. Una conoscenza contemplativa è una conoscenza del
buono, del bello e del vero. La conoscenza contemplativa è una conoscenza della
pace, perché è la conoscenza del riconoscimento dell’altro, dunque non può
essere a fin di male. La conoscenza contemplativa che Dio propone all’uo- mo,
sua immagine, è una conoscenza sapienziale, che ha in sé una dimensione assiologia,
cioè di valutazione del bene e del male. Ma l’uomo ha questa co- noscenza già
in quanto amico di Dio, sua immagine, e può sempre contem- 4 “Il peccato nacque
quando l’uomo violò il divieto, assolutamente arbitrario e irragionevole, di
Dio di mangiare il frutto di un certo albero che gli avrebbe dato una
conoscenza che era di Dio stesso. Peccato significa dunque disobbedienza, pura
e semplice volontà propria, autodecisione e per questo peccato Adamo ed Eva e
la loro discendenza venivano puniti in eterno nel modo più crudele. Tutti
dovevano subire l’ira di Dio ed essere affetti dal peccato originale”. A. Ross,
Colpa, responsabilità e pena, Giuffrè, Milano 1972, p. 19.
24 Il diritto come estetica plarla nell’albero della
conoscenza del bene e del male. Il bene e il male sono conosciuti dall’uomo
insieme a Dio, suo Creatore, e in lui. Anzi, l’unica giusta conoscenza del bene
e del male è quella che l’uomo contempla in Dio. È con gli occhi di Dio che
l’uomo vede il bene ed il male. Ma guardare con gli occhi di un altro e gioire
di questa intimità è proprio delle persone che si amano. Nell’a- more è la
tendenza a conoscere attraverso l’amore dell’altro e con il suo amore. Proprio
nel fatto che l’uomo può guardare l’albero della conoscenza del bene e del
male, perché proprio lì in qualche maniera si incrociano gli sguar- di tra Dio
e l’uomo, c’è la possibilità dell’idolatria, quindi di una tentazione. Guardare
può diventare desiderare, e desiderare prendere5. Il rapporto tra Dio e
l’essere umano in quella dimensione di equilibrio creazionistico, tutto
racchiuso nello spazio/tempo divino dell’Eden, era di completa
compartecipazione, e non proprio di identità (a sua immagine e somiglianza).
L’identità dell’immagine non appartiene ad un semplice fenomeno visivo, ma si
estende anche alla dimensione cognitiva, sebbene non in modo completo
(somiglianza). Il derivato non partecipa a pieno titolo di tutti i caratteri
del derivante, ma certo ne incarna una rilevante porzione. Conseguentemente
Adamo ed Eva non erano privi di conoscenza e, quindi, anche di responsabilità,
ma partecipavano della medesima cono- scenza divina, della conoscenza propria
dell’Uno e del Tutto. L’uomo abbandonerà Dio e la proposta della tentazione
acquisterà sempre più un aspetto di verità [...]. Poiché l’uomo non è più nella
contemplazione dell’albero della conoscenza, ma è ormai scivolato nella logica
della posses- sione, gli rimane solo il male, ossia la necessità di possedere.
Sganciandosi dall’amore, da quella intimità con Dio nella quale ha potuto
conoscere che cosa è bene e che cosa è male per lui, finisce essenzialmente
posseduto dalla necessità di possedere per salvarsi6. La conoscenza divina,
della quale erano compartecipi nell’Eden Adamo ed Eva, era universale,
assoluta, non prospettica, ma posseduta a tutto ton- do nella dimensione della
totalità degli eventi di un Essere, che racchiude in sé ogni evento7. Il
comando, dunque, di non mangiare la mela, la proibi- zione non si presenta come
un atto di volontà eteronoma rispetto ad Adamo 5 M.I. Rupnik, Dire l’uomo.
Persona, cultura della Pasqua, Lipa, Roma 2011, vol. I, pp. 227-228. 6 M.I.
Rupnik , op cit., p. 230. 7 “Il Dio degli Dei, lo Spirito assoluto, permane in
eterno, al di là della conoscenza che può averne la religione in questo mondo.
La storia non è il luogo del divenire della coscienza divina suprema”. H.
Corbin, Il paradosso del monoteismo, cit., p. 74.
La mela, il serpente ed il buon Dio 25 ed Eva, ma come una
informazione, un avvertimento, una descrizione di ciò che avviene quando
dall’unità si passa alla molteplicità, quando l’asso- luto cede il passo al
relativo. Né vi è sanzione nel monito di Dio; ciò che appare come condanna
altro non è se non descrizione di ciò che accade nel relativo, di ciò che
produce, di ciò che è il relativo, ossia l’umano. La mela è un frutto
commestibile, che allieta e nutre il palato umano, quindi potrebbe
simboleggiare quella conoscenza tutta umana e relativa, richiamata anche dalla
leggendaria mela di Isaac Newton (1642-1727), in contrapposizione ad una
conoscenza divina ed assoluta. Adamo ed Eva, mangiando la mela, decidono di
abbandonare l’unione con il divino, per vivere una propria vita separata,
individuale ed autonoma, dotata, quindi, di una propria conoscenza soggettiva e
prospettica, non più oggettiva e completa. Nel racconto del peccato originale,
la tentazione spinge l’uomo a spostare l’attenzione da Dio all’albero – cioè
dalla persona all’oggetto – e a fissarsi sull’oggetto. Prima l’uomo parlava con
Dio e a Dio, poi comincia a contrat- tare con la tentazione, per finire col
ritrovarsi a desiderare l’oggetto – l’albero – come se fosse la sua salvezza.
L’interlocutore ontologico dell’uomo non è più un principio agapico assoluto,
ma una realtà oggettuale. L’uomo diventa ciò che contempla. Come è il suo
interlocutore fondamentale, così è l’uomo. Poiché l’uomo è una realtà
dialogica, non può fare a meno del dialogo, ma tutto dipende da chi è
l’interlocutore di questo dialogo. Se è un oggetto, l’uomo diventerà sempre più
un oggetto. Percepirà se stesso come un oggetto e si rela- zionerà agli altri
come ad oggetti. Anzi, li considererà come suoi oggetti. Ogni peccato commesso
dopo il peccato originale sarà un passo ulteriore in questa reificazione
spersonalizzante dell’uomo8. La ribellione al comando divino (meglio, l’avere
ignorato la descrizio- ne divina) non consiste nell’infrangere un divieto, ma
nel desiderare una propria personalità individuale, separata dal Tutto,
soggettiva, ma questa soggettività si trasforma in oggetto del Tutto;
abbandonata la soggettività del Tutto ciò che resta, come parte, è una
soggettività relativa, ossia una reificazione rispetto al Tutto: il peccato
originale, infatti, si presenta come separazione, rottura del Tutto nelle sue
molteplici parti, come oggetti della soggettività universale. Una prima rottura
nel creato (diversa la rottura dell’Uno prodotta dalla creazione, poiché essa
fu anche rottura, salto qualitativo, di sostanze: so- miglianza con Dio, non
identità) era già avvenuta con la comparsa di Eva: 8 M.I. Rupnik, Dire l’uomo.
Persona, cultura della Pasqua, cit., pp. 233-234.
26 Il diritto come estetica Mandò dunque il Signore Dio ad Adamo
un sonno profondo; ed essendosi egli addormentato, gli tolse una delle coste, e
ne riempì il luogo con della carne. E con la costa che aveva tolta ad Adamo,
formò il Signore Dio una donna, e gliela presentò. E disse Adamo: “Ecco, questo
è un osso delle mie ossa, e carne della mia carne; questa sarà chiamata virago,
perché è stata tratta dall’uomo. Perciò l’uomo lascerà il padre e la madre, e
si stringerà alla sua moglie, e saranno due in un corpo solo”9. Tale rottura,
tuttavia, non si manifesta come irrimediabile, poiché frutto di una medesima
sostanza, la costola di Adamo appunto, che riconduce ad unità ciò che appare
altro, diverso, separato (saranno due in un corpo solo; rebis di alchemica
ispirazione). Ed, infatti, è proprio questo diverso, separato in apparenza, ma
pur sempre composto della medesima sostanza, a patrocinare ed ad attivare la
rottura: è il due che rompe l’unità e la rompe per attrattiva verso
l’individualità, una individualità nuova, il due, appun- to. Il serpente sembra
rappresentare questa attrazione verso il particolare, verso la separazione
(diavolo da diabolos, διάβαλος, colui che divide). La massa della materia (il
serpente) si separa nelle sue parti, forme e qualità dall’energia omogenea e
priva di forme (la Divinità) o, se si preferisce, i corpi si separano dallo
spirito universale. Pare di vivere nel mito l’equa- zione di Albert Einstein
(1879-1955) della conversione, dell’oscillazione, della compresenza (tra?) di
energia e massa in un sistema fisico, che ha su- perato la visione propria di
un materialismo legato solo al visibile, all’og- gettivato: E=mc2. Henry Corbin
(1903-1978) ben sintetizza il tema dell’individualizzazio- ne,
dell’oggettivizzazione nel paradosso (ossimoro?) dell’unità molteplice: 9
È la visione della molteplicità nell’unità. [...]. È la visione dell’unità
nella molteplicità. Le due interpretazioni si completano l’un l’altra
necessariamen- te: l’ontologia integrale presuppone nel perfetto Saggio la
visione simultanea dell’unità nella pluralità e della pluralità nell’unità. È
attraverso questa simul- taneità che si effettua la differenziazione seconda,
quella stessa in forza della Genesi, 2, 21-24.
La mela, il serpente ed il buon Dio 27 quale il pluralismo metafisico si
trova fondato a partire dall’Uno – senza di esso non vi sarebbero i molti, ma
caos e indifferenziazione10. I nostri simbolici progenitori, Adamo ed Eva,
nell’abbandonare la cono- scenza divina, assumono, come loro conoscenza
specifica, quella umana e, dunque, divengono prigionieri di tale conoscenza
limitata, che comporta anche la comparsa di fatiche, dolori e morte. La
separazione è un divenire altro dal Tutto, conseguentemente, all’immutabilità
dell’Essere subentra il divenire con le sue opposizioni, polarizzazioni: essere
e non essere, fatica e riposo, dolore e piacere, morte e vita, etc.. Il
divenire non può esistere senza l’alternarsi di manifestazioni diverse, ossia,
soprattutto, non può esi- stere senza la morte, intesa come termine di una
manifestazione ed inizio di una nuova manifestazione. La morte, dunque, come
nell’ammonimento di Dio, è indissolubilmente legata alla conoscenza umana,
simbolicamente rappresentata dal cibarsi della mela. A questo punto risulta
ormai eviden- te che Adamo ed Eva non potranno più cibarsi dei frutti
dell’altro albero presente nell’Eden, dell’Albero della vita, dei quali sino a
quel momento potevano godere. I frutti dell’Albero della vita donano la vita
eterna, ma la conoscenza ed il divenire umani impediscono l’eternità, ciò che è
eterno non conosce solo la parte, ma conosce direttamente il Tutto, e non
diviene, ma permane sempre immutato uguale a se stesso. La parte, in quanto
limi- tata non può sfuggire alla morte. Particolarmente penetrante si presenta
la puntualizzazione di Friedrich W. Nietzsche (1844-1900): L’albero della
conoscenza. – Verosimiglianza, ma non verità: parvenza di libertà – è per questi
due frutti che l’albero della conoscenza non può venir scambiato per l’albero
della vita11. Alle considerazioni mitologico-religiose sino a questo punto
svolte pos- sono ora essere aggiunte altre ed ulteriori considerazioni di
natura più stret- tamente filosofica. Se il divenire condanna, prima, la parte
a distinguersi da un’altra parte e, successivamente, la stessa parte ad essere
se stessa e, poi, a trasformarsi in altro, allora il divenire appare come un
alternarsi di essere e di non essere. Il tema è antico e vide già contrapposti
il pensiero di Eraclito (535 a.C.-476 a.C.), con il suo tutto scorre, panta rei
(πάντα ρει), a quello di Parmenide (544 a.C.-459 a.C.), sostenitore di un
Essere che non può non essere. Effettivamente anche nella realtà empiricamente
rilevabile il non 10 H. Corbin, Il paradosso del monoteismo, cit., p. 39. 11 F.
Nietzsche, Umano, troppo umano II, in Opere 1870/1881, Newton, Roma 1993, p.
797. 28 Il diritto come estetica essere
è di problematica individuazione. Rilevabile, invece, con estrema facilità è
l’essere e l’essere altro come espressione del divenire. Ma a livel- lo logico,
secondo il principio di identità, l’essere è solo se stesso e l’essere altro
non è continuità dell’essere iniziale, ma un diverso essere a sua volta uguale
solo a se stesso. La logica parmenidea, ampiamente sviluppata ai nostri giorni
da Emanuele Severino12, nega nella sostanza il divenire e co- struisce una
logica di identità degli eterni, che si separa e distingue dalla logica
dialettica del divenire. La logica degli eterni si addice ad un mondo
metafisico, proprio del divino; mentre la logica dialettica, empiricamente
verificabile/falsificabile, pare tipica degli esseri umani. Commentando Corbin,
Claudio Bonvecchio in proposito ricorda: [...] oltre che teologica – la
modalità catafatica [affermativa n.d.r.] di rap- portarsi al divino ha
costruito una vera e propria logica (di ascendenza aristote- lico-scientifica).
Anzi, si può affermare che si è affermata come la base stessa della logica occidentale
in quanto sostiene (apoditticamente oltre che dogmati- camente) – nella
costruzione del discorso – la possibilità di affermare in manie- ra
indiscutibile le caratteristiche di un ente. Caratteristiche che ne esprimono
la verità che si ritiene assoluta, se si ottemperano determinate condizioni
logico- razionali (principio di non contraddizione, principio del terzo
escluso, etc.). Tuttavia, questa verità [...] non consente mai un rapporto
partecipativo con l’Essere. Infatti, esclude dal discorso [...] la dimensione
dell’Essere che è l’u- nica che fa di un ente un ente esistente13. Ciò che
conta tuttavia, ai fini delle presenti riflessioni non è tanto l’af- fermarsi
nella storia umana dell’una o dell’altra logica, quanto piuttosto la
constatazione che anche a livello filosofico emerge la possibilità di un
dualismo logico non dissimile da quello evidenziato nell’episodio biblico del
Giardino dell’Eden. Sul piano filosofico il legame tra l’Albero della
conoscenza del bene e del male e quello della vita appare ancora più
indissolubile che nel testo bi- blico. Infatti, è la stessa logica conoscitiva
umana del divenire, che trascina con sé, come compagna inseparabile, la morte.
Ciò che diviene possiede un inizio ed una fine, prima non esiste, poi esiste,
quindi torna nel nulla. Non è questa la logica conoscitiva del divino, nella
quale ciò che è, lo è per sempre, dall’eternità e nell’eternità. Scrive Massimo
Donà: 12 Cfr. E. Severino, Immortalità e destino, Rizzoli, Milano 2006. Ed
anche del medesimo Autore: L’identità del destino, Rizzoli, Milano 2009. 13 C.
Bonvecchio, Le meditazioni abissali di Henry Corbin, in H. Corbin, Il paradosso
del monoteismo, cit., p. 12. La mela,
il serpente ed il buon Dio 29 [...], nel testo biblico l’Albero della Vita o delle
vite, al plurale, come dice in verità l’Antico Testamento – a indicare, molto
probabilmente, l’infinito distin- guersi del principio – allude ad una verità
che solo l’Albero della Conoscenza avrebbe potuto spingerci a ridire. Facendoci
innanzitutto tradire quel senso di infinita apertura verso un futuro sempre
ancora possibile che caratterizza ap- punto l’Albero della Vita. Ossia, la
speranza in una rigenerazione in grado di negare la definitività connessa ad
ogni supposto improbabile compimento; in primis quello costituito dalla morte.
Ecco perché l’Albero della Conoscenza avrebbe reso mortale il soggetto che
avesse voluto cibarsi dei suoi frutti. Perché il logos umano, troppo umano, da
quest’ultimo (dall’Albero della Conoscenza) rappresentato, è costitutivamente
portato a credere nell’intrascendibilità delle distinzioni e dunque a fare
dello stesso distinguersi in quanto tale il principio incontrovertibile
dell’esistere. Per questo, proprio dicendo tale intrascendibilità, il logos
avrebbe dovuto comunque riconoscere il limite costitutivamente caratterizzante
il suo stesso orizzonte, concependo anche quest’ultimo come essenzialmente
limitato – os- sia, distinto. Finendo così per negare finanche la sua stessa
intrascendibilità. Ed instituendo l’impossibile per eccellenza: ossia un nulla
posto di là dalla po- sitività di tutto quel che è – un nulla concepito, esso
medesimo, dunque come positivo. E perciò valevole come perfetta metafora del
male assoluto14. Dunque, non solo la riflessione religiosa, si potrebbe dire
teologica, ri- leva la presenza, almeno potenziale, nell’essere umano di ben
due diverse logiche, ma anche l’analisi filosofica giunge alla medesima
conclusione. Alla logica dell’Essere Assoluto si giustappone la logica del
divenire, dell’essere altro. La prima si presenta meramente razionale, priva di
possi- bilità empiriche di verifica/falsificazione, tutta dispiegata intorno a
principi considerati indiscutibilmente veri ed evidenti senza ulteriori
necessità di- mostrative; principi che nella terminologia kantiana possono
essere definiti a priori. La seconda, invece, completamente costruita a
posteriori, grazie alla percezione empirica del divenire, alla rilevazione, si
potrebbe dire, sempre in terminologia kantiana, categoriale degli eventi. Quest’ultima
lo- gica si limita a descrivere una realtà fenomenologica umana e, come tale,
relativa, quindi, senza pretese di accesso conoscitivo ad ipotetiche realtà
assolute e metafisiche. L’indissolubile legame, sostenuto dalla logica
dell’Assoluto, tra l’Albe- ro della Conoscenza e la realtà di separazione
sembra ribadito dalla Bibbia anche nell’episodio simbolico della costruzione e
del crollo della Torre di Babele. L’unione tra terra e cielo, già simboleggiata
dall’albero, qualsiasi albero (Yggdrasil, l’albero di Natale, etc.), viene
ricercata, in questo caso, 14 M. Donà (a cura di), Parmenide. Dell’essere e del
nulla, Albo Versorio, Milano 2012, pp. 94-95.
30 Il diritto come estetica attraverso un’opera di architettura, che
sfida altezza e forza di gravità, ma nel crollo di questo asse umano-divino si
dissolve l’universalità della pa- rola, intesa anche nella sua accezione più
estesa di logos, la sua capacità creatrice e comunicatrice universale. La terra
era tutta d’una sola lingua e d’una sola parlata. [...]. Ma il Signore discese
per vedere la città e la torre che i figli di Adamo stavano edificando, e
disse: “Ecco, è un popolo solo, ed ha una lingua sola per tutti; hanno
cominciato a far questo lavoro, né desisteranno dal loro pensiero sinché non
l’abbiano condotto a termine. Andiamo dunque, discendiamo, e confondiamo ivi le
loro lingue, così che nessuno più comprenda la parola del prossimo suo”15. Il
Tutto diviso in parti si differenzia e perde di unitarietà. Ciascuno divie- ne
consapevole di sé, ma solo di se stesso; gli altri mutano in esseri ignoti,
estranei. La metafora della confusione delle lingue, ancora una volta, non
suona come condanna divina, ma come descrizione delle conseguenze de- rivate
dalla separazione delle parti dal Tutto16. L’essere umano, in quanto parte del
Tutto, non ha né colpe, né meriti, ma solo caratteri suoi propri, che si
separano e divergono da quelli divini: 15 Genesi, 11, 1 e 5-7. 16 “Diventare un
solo popolo, sotto una istituzione – la lingua sola – è qui, chiaramente,
l’espressione della hýbris degli uomini, del loro istinto auto- idolatrico:
così chiaramente che non viene nemmeno detto, ma sottinteso. Ma la questione
più interessante, sulla quale ha richiamato l’attenzione Stefano Levi della
Torre nel suo splendido e illuminante Zone di turbolenza, è se la misura presa
da Dio – la dispersione su tutta la terra e la confusione delle lingue – sia la
punizione per un grande male (come nel caso di Caino reso ramingo e fuggiasco)
o la garanzia di un grande bene. L’interpretazione di Stefano Levi, in breve, è
che la distruzione della città dell’onnipotenza, la moltiplicazione delle
lingue, rese incomprensibili l’una all’altra, e la dispersione dei popoli in
lungo e in largo sulla terra, tutto ciò è una moltiplicazione delle culture e
delle istituzioni, un antidoto all’idolatria del pensiero e del potere unico,
una garanzia di pluralità delle visioni del mondo e del modo di vivere nel
mondo. Secondo questa profonda interpretazione, la civitas maxima non è altro
che idolatria”. G. Zagrebelschy, La virtù del dubbio, Editori Laterza,
Roma-Bari 2007, pp. 134-135. La mela,
il serpente ed il buon Dio 31 è relativo e non assoluto; è finito e non
infinito; possiede una conoscenza limitata e non universale. In conseguenza di
queste considerazioni risulta chiaro che gli avvenimenti drammatici, che videro
come scenario il Para- diso terreste, non possono essere incasellati nella
concatenazione di eventi, che accomuna il diritto e la morale: alla colpa
consegue la responsabilità del soggetto agente, al quale, proprio in quanto
responsabile, viene appli- cata la pena. Questi concetti vengono chiaramente
espressi a livello sia morale che giuridico da Alf Ross (1899-1979): L’idea che
esista una responsabilità morale, è identica all’idea della respon- sabilità
giuridica, è l’espressione di una prescrizione normativa per cui la colpa viene
collegata con le conseguenze della colpa, cioè con la pena che qui si chiama
riprovazione17. Ed ancora in modo più esplicito: Quando si fa valere una
responsabilità, ciò avviene sempre con la motiva- zione che qualcosa fu
commessa che, secondo un determinato ordinamento normativo, non sarebbe dovuta
accadere, qualcosa di riprovevole o proibito che, di conseguenza, dà motivo a
quella reazione che consiste nel far valere la responsabilità18. Nel caso
dell’Eden, come si è detto, non pare che ci si trovi in questa situazione, non
solo perché viene meno l’uso tecnico della terminologia giuridica (colpa,
responsabilità), ma anche, e soprattutto, perché manca la norma vincolante, il
divieto. Infatti, l’interdetto pronunziato da Dio, proprio per il suo carattere
che unisce conoscenza e volontà, non può essere considerato un comando, ossia
una norma, ma più semplicemente una informazione, un avvertimento, al massimo,
un consiglio. Si tratta cioè di una frase ipotetica (se mangi la mela divieni
mortale) tesa a de- scrivere gli avvenimenti conseguenti all’azione segnalata
come perico- losa. Del resto, come avrebbe potuto Dio formulare un comando a
dei soggetti che, prima dello strappo, della rottura, partecipavano della sua
stessa conoscenza e volontà? Dunque, se non vi fu comando, norma, non vi fu
neppure colpa, in quanto mancò la violazione, la disobbedienza. Vi fu, invece,
responsabilità per l’azione compiuta, ma la natura umana di Adamo ed Eva
avrebbe potuto consentire loro di compiere una scelta diversa? La risposta deve
essere rinviata, in quanto strettamente dipen- 17 A. Ross, Colpa,
responsabilità e pena, cit., p. 49. 18 A. Ross, op. cit., p. 29.
32 Il diritto come estetica dente dalle convinzioni
intorno all’esistenza o meno del libero arbitrio. Ovviamente, se non vi fu
colpa non è neppure possibile reputare la tri- ste condizione umana come una
pena inflitta dal Creatore alle proprie creature. Piuttosto si tratta di
considerare la stessa natura umana come caratterizzata, nei propri intrinseci
limiti, in quanto parte di un Tutto mol- teplice e differenziato, appunto,
anche in qualità diverse. Per fornire un paragone pur imperfetto: rispetto alla
media statistica degli esseri umani il fenomeno dell’albinismo è minoritario
ed, in quanto tale, appare come uno svantaggio genetico, ma può veramente
essere considerato sempli- cemente uno svantaggio esistenziale o potrebbe anche
essere visto come una articolazione qualitativa del genere umano, dotata a
propria volta di taluni vantaggi soggettivi, sui quali tendiamo a non
soffermarci per pigrizia culturale? L’interpretazione di comando (norma), di
colpa e di, conseguente, punizione (pena) divina pare prodotta da una cultura
umana troppo governata da una autoflagellazione di natura, prima, etica e, poi,
giuridica; del resto, questa interpretazione prevalente punitiva della cac-
ciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre ed anche della distruzione della Torre
di Babele e relativa confusione delle lingue non può stupire in un mondo sempre
più giuridicizzato, quale è il mondo attuale. Che la parte ed il tutto siano
distinguibili sia teoreticamente, sia empi- ricamente è nozione inconfutabile
anche, ad esempio, a livello geometri- co; così come è inconfutabile che la
parte, almeno quella umana, possieda una consapevolezza, più o meno veritiera,
del proprio esistere (cogito ergo sum) e non certo solo per l’autorità di René
Descartes (1596-1650); altra e ben diversa questione è comprendere se esista e
che caratteri manifesti la consapevolezza di se stesso propria del Tutto. Certo
la parte partecipa del Tutto e, quindi, pare arduo pensare che ad una limitata
consapevolezza della parte non corrisponda una illimitata consapevolezza del
Tutto, pur tuttavia nulla può essere escluso senza l’evidenza di prove
comprensibili alla mente umana ed, inoltre, resta comunque impregiudicato il
tema della qualità, delle caratteristiche di questa eventuale consapevolezza.
Lo Spirito, Dio, l’Energia sicuramente non possiedono un carattere di
autocoscienza, di consapevolezza uguale a quello proprio dell’essere uma- no,
ma neppure la massa (materia individualizzata) possiede livelli omo- genei di
autocoscienza, di consapevolezza, almeno per quanto si conosce attualmente,
nelle sue molteplici articolazioni, nelle sue diverse parti. I minerali, i
vegetali, gli animali e l’animale umano percepiscono se stessi ed il mondo a
loro presupposto esterno in modi molto diversi ed in modi altrettanto diversi
reagiscono, interagiscono con l’ambiente circostante. Il Tutto, come somma di
tutte le singole parti o come entità ulteriore, può, e
La mela, il serpente ed il buon Dio 33 secondo quali modalità,
percepire se stesso? Una possibile risposta passa attraverso il concetto di
Spirito o di Energia che, permeando ogni cosa, ogni fenomeno, pur in quantità
e, forse, anche in qualità diversa, consente questa generale, universale
consapevolezza eterna di sé; una sorta di anima individuale, ma universale
(sembra un ossimoro, ma è solo prospettiva di- versa), di anima mundi. Bene e
male rappresentano una dualità, che acquista significato solo in un mondo
scisso, a sua volta, in un bipolarismo oscillante tra un polo, espressione di
assoluto, ed un secondo polo, espressione di relativo, il qua- le subisce il
giudizio del primo: buono o cattivo, appunto, rispettivamente nelle sue singole
e molteplici manifestazioni comportamentali. Quest’ulti- mo bipolarismo non
riguarda solo la distinzione tra dover essere ed essere, ma si articola
ulteriormente in quel dualismo del dover essere perennemen- te in tensione tra
valori assoluti e valori relativi: i primi frutto della dimen- sione assoluta
del Tutto ed i secondi propri della dimensione relativa delle parti del Tutto.
La dimensione relativa della bipolarità etica consente solo l’espressione di
formule valoriali a contenuto soggettivo, cioè proprie del soggetto, della
parte che le esprime; del resto anche la dimensione assoluta non riesce a
fornire un contenuto etico certo, ma si limita a proporre for- mule o
dogmatiche oppure vuote di contenuto, prive di precise indicazioni
comportamentali, come, ad esempio, il noto broccardo del diritto romano intorno
alla giustizia: unicuique suum tribuere. Il problema irrisolto riguar- da il
significato, cosa si intenda per suum, oltre, ovviamente alla discutibi- lità
del principio generale, che potrebbe anche consistere nell’attribuire a
ciascuno l’altrui e non il proprio o, addirittura non riconoscere l’esistenza
di un proprio. Il problema può essere superato solo distinguendo la cono-
scenza umana, cui si riferiscono queste aporie, dalla conoscenza divina, che,
in quanto assoluta, non può incorrere in esse. Certo tale conoscenza non può
competere all’essere umano se non per fede o per rivelazione, ma qui il tema si
complica, poiché nella storia della cultura umana spesso l’e- sistenza stessa
dell’Assoluto, del metafisico, in quanto non empiricamente percepibile e,
quindi, problematico per la conoscenza umana, è stata messa in discussione.
Pertanto questo argomento si è sviluppato secondo due di- versi percorsi
culturali, l’uno monista e l’altro dualista; il primo sostenitore di una realtà
unitaria, nella quale fisica e metafisica si sintetizzano o si escludono a
vicenda, ed il secondo portatore di una visione separata dei due piani del
reale, anche se in qualche modo comunicanti tra loro; ma di ciò si tratterà tra
poco. Oltre alla possibilità alternativa dell’esistenza di una logica divina e
di una umana si presenta anche l’ipotesi di una vera e propria assenza di
lo- 34 Il diritto come estetica gica, come
risultato dell’inconoscibilità dell’Assoluto; un Assoluto che è solo silenzio,
oscuramento della conoscenza umana, come suggerisce Ni- colò Cusano (1401-1464)
con l’ipotesi del Dio nascosto (absconditus): Né ha nome, né non ha nome, né ha
nome e non nome. Ma quanto può dirsi disgiuntamente e copulativamente, per
accordo o disaccordo, non gli conviene, per incommensurabilità di sua infinità,
perché è principio uno, anteriore ad ogni concetto su esso formulabile19.
Abbandonato il Paradiso terrestre da parte di Adamo ed Eva, non solo subentra
la logica umana, il divenire e la morte al posto dell’unione con il divino,
l’eternità statica e la vita eterna, ma la rottura porta con se stessa anche
l’estraneazione dall’Assoluto, che assume una dimensione impe- netrabile,
misteriosa. L’Assoluto creatore si pone prima di ogni creato e di ogni creatura
e, quindi, anche prima di qualsiasi logica e razionalità. L’Increato non
appartiene al mondo empirico, ma neppure al metafisico pensato od al metafisico
alienato nella creazione. Esso appartiene solo a se stesso ed all’insondabile
abisso, che separa l’Assoluto dal relativo, il Tutto dalle sue parti. 19
N. Cusano, Il Dio nascosto, Mimesis, Milano-Udine 2010, p. 37.
2. MONISMO E DUALISMO DEL MONDO Carcharias Taurus è il
nome scientifico del meglio conosciuto squalo toro, il quale possiede una
caratteristica, che può farlo assurgere ad icona, ad emblema della natura
biologica. Lo squalo toro, infatti, è noto per prati- care il cannibalismo
intrauterino; ossia l’embrione dominante si nutre delle uova e degli altri
embrioni presenti nell’utero materno. Tale pratica non può stupire nel mondo
biologico, giacché il biologico si nutre solo di altro biologico (salvo la
fotosintesi clorofilliana). La vita è, dunque, indissolu- bilmente legata alla
morte in un perenne solve et coagula, nel quale vige la locuzione latina mors
tua vita mea. La fine di un essere vivente costituisce la possibilità di
sopravvivenza per un altro essere vivente. Talvolta, poi, il ciclo vitale si
esaurisce direttamente con la procreazione, evidenziando in tale modo
l’irrilevanza della vita del singolo individuo e la sua funziona- lità
esclusivamente orientata alla continuazione della specie. Lo scenario di morte,
nel quale viene ambientata la vita biologica, si completa anche con la lotta
per la vita, che pervade, permea ogni entità vivente. La lotta si dispiega
all’esterno dei corpi per l’approvvigionamento di cibo, che si concretizza in
una forma di dominio del più forte sul più debole, ma anche al loro interno,
poiché miliardi di microorganismi (batteri, virus, funghi e parassiti vari)
combattono continuamente, senza sosta contro le difese immunitarie dei corpi,
che li contengono, per la propria sopravvivenza. Talvolta, pur nelle loro
ridottissime dimensioni, riescono ad avere il so- pravvento, dimostrandosi più
forti del loro ospite, ma, più frequentemente, soccombono, eppure non si
estinguono, se non raramente, grazie alla loro facilità riproduttiva e
sovrabbondanza numerica. Cannibalismo e lotta si presentano, dunque, come la
struttura (si po- trebbe usare anche il termine ontologia se non fosse troppo
compromesso con visioni metafisiche) profonda della natura del biologico. Non
si creda, poi, di sfuggire a questa struttura con facili moralismi legati a
forme, più o meno radicali, di alimentazione vegetariana o vegana, poiché anche
il mondo vegetale, come quello animale è vivente e, come non si comprende la
discriminazione etica tra animali sacrificabili e non sacrificabili, così
36 Il diritto come estetica non si comprende la
sacrificabilità a fini eduli della vita vegetale, ma non di quella animale.
Potrebbe esservi una spiegazione solo in una ipotetica gerarchia delle
esistenze biologiche, che ponga l’essere umano al vertice e il vegetale alla
base, ma allora non si giustifica perché tale gerarchia debba saltare un
gradino, quello animale, appunto, nella scala delle sacrificabilità
gerarchiche. Lo stato permanente di guerra, che caratterizza il mondo
biologico, è aggravato dalla precarietà programmata della sua esistenza, la
quale si deteriora e consuma progressivamente lungo tutto il corso dello
sviluppo della vita. L’adagio latino, che indica l’inesorabile trascorrere
delle ore, vulnerant omnes, ultima necat, ben descrive l’itinerario tra la
nascita e la morte, funestato non solo dalla ricerca cannibalesca del cibo e
dalle insidie date da malattie ed infortuni vari, ma, soprattutto, dal decorso
del tempo e dal disgregarsi dei corpi, che accompagnano l’essere biologico
verso la sua estinzione, la sua fine. Per sintetizzare l’orizzonte esistenziale
del bio- logico basti ricordare la locuzione latina attribuita ad Agostino
d’Ippona (354-430), ma molto più probabilmente di Bernardo da Chiaravalle
(1090- 1153), con la quale si descrive la nascita dell’essere umano: inter
faeces et urinam nascimur. La nascita, dalla cellula all’essere umano, è una
cruenta rottura dell’individualità, una separazione di materiale organico, una
fuo- riuscita di un ente da un altro ente, il numero uno che produce un altro
uno, dando il via con il numero due alla catena dei molti. Quanto, poi, alla
morte basta visitare ospedali, case di riposo per anziani e cimiteri per
chiarirsi le idee intorno al dolore, al decadimento psico-fisico ed...
all’approvvigiona- mento alimentare di microorganismi, vermi ed insetti vari,
messi in fuga solo dal fuoco liberatore della cremazione. Il tragico
disvelamento della triste condizione del biologico, in genera- le, ed umana, in
particolare, è presente in quasi tutte le religioni, le quali, infatti, tendono
a costruire speranze in un mondo non più biologico ed a porre al centro dei
vari culti il concetto di sacrificio: sacrificio, in epoche arcaiche, non solo
animale e vegetale, ma anche umano, a favore del divi- no. Il Cristianesimo,
con ulteriore lucidità intorno alla condizione umana, poi, ha addirittura
capovolto i termini del mistero sacrificale, rovesciando ed integrando il
sacrificio umano nei confronto della divinità con il sacrifi- cio divino in
favore dell’essere umano. Nell’Eucarestia rivive svelata l’on- tologia del
biologico umano e la sua speranza di redenzione, liberazione attraverso il
sacrificio del Cristo1. Il fedele cristiano, infatti, beve il sangue 1 “Ma se
Cristo ha ripristinato il sacrificio umano e il cibarsi della vittima, questo è
accaduto a lui e non a un fratello, perché Cristo ha instaurato la suprema
legge Monismo e dualismo del mondo 37 e
mangia il corpo del Redentore; si nutre del divino per sfuggire all’orrore del
biologico, per aspirare ad una vita priva di dolore ed eterna in Dio2. Il
Cristo dovrebbe risanare la frattura tra divino ed umano, ricostruire il ponte
crollato, riportare la riconciliazione e l’unione tra le parti ed il Tutto. La
struttura del nostro mondo è stata descritta con estremo realismo da Baruch
Spinoza (1632-1677): Per diritto e istituto naturale, non intendo altro che le
regole della natura di ciascun individuo, in ordine alle quali concepiamo che
ciascuno è naturalmente determinato a esistere e a operare in un certo modo.
Così, per esempio, i pesci sono dalla natura determinati a nuotare e i grandi
mangiano i più piccoli, onde diciamo che di pieno diritto naturale i pesci sono
padroni dell’acqua e i grandi mangiano i più piccoli. È infatti certo che la
natura, assolutamente considerata, ha pieno diritto a tutto ciò che è in suo
potere, e cioè che il diritto della natura si estende fin là dove si estende la
sua potenza, essendo la potenza della natura la potenza di Dio, il quale ha
pieno diritto ad ogni cosa: ma, poiché la potenza universale dell’intera natura
non è se non la potenza complessiva di tutti gli individui, ne segue che
ciascun individuo ha pieno diritto a tutto ciò che è in suo potere, ossia che
il diritto di ciascuno si estende fin là dove si estende la sua determinata
potenza. E, poiché è legge suprema di natura che ciascuna cosa si sforzi di
persistere per quanto può nel proprio stato, e ciò non in ragione di altra
cosa, ma soltanto di se stessa, ne segue che ciascun individuo ha a pieno
diritto, e cioè, come ho detto, ad esistere e a operare così come è
naturalmente determinato. E qui noi non riconosciamo alcuna differenza tra gli
uomini e tutti gli altri individui della natura, né tra gli uomini dotati di
ragione e gli altri che ignorano la vera ragione, né tra i deficienti, i pazzi
e i sani. Tutto ciò, infatti, che ciascuna cosa fa secondo le leggi della sua
natura, questo fa di pieno diritto, dell’amore, per cui nessuno dei fratelli ne
ha riportato danno, ma tutti hanno potuto gioire di questa restituzione.
Succedevano le stesse cose dei tempi antichi, ma sotto la legge dell’amore. Per
cui, se non hai un profondo rispetto di ciò che è stato compiuto, distruggerai
la legge dell’amore. Che cosa quindi accadrà di te? Sarai costretto a
ripristinare ciò che c’era prima, ossia atti di violenza, assassini, azioni
illecite e disprezzo per il fratello”. C.G. Jung, Il libro rosso. Liber novus,
Bollati Boringhieri, Torino 2013, p. 225. 2 Il sangue, la carne, il vino, il
pane, l’acqua, il cielo sono simboli magici sino dai tempi più antichi: “Se
avviene che io sia sopraffatto, quando bevi acqua o mangi pane, l’acqua
assumerà il colore del sangue davanti a te, e il pane prenderà davanti a te il
colore della carne, e il cielo prenderà davanti a te il colore del sangue. Horo
figlio dell’Etiope stabilì dunque questi segni tra sé e la madre; poi si recò
in Egitto, essendo pieno di magie”. E. Bresciani (a cura di), Testi religiosi
dell’antico Egitto, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2001, p. 397. Il testo è
ambientato ai tempi del faraone Ramesse II, XIX dinastia, 1293-1190 a. C.. Cfr.
anche. J.G. Frazer, La crocifissione del Cristo, Quodlibet, Macerata 2007; S.
Peverada, Il sacrificio del Dio Bambino. Edipo e l’essenza del tragico,
Mimesis, Milano 2004. 38 Il diritto
come estetica in quanto agisce nel modo a cui è determinata dalla natura, né
può comportarsi altrimenti3. Non sempre la potenza coincide con la grandezza,
come dimostrano i microorganismi, tuttavia il senso di Spinoza è chiaro:
ciascuno è per natura se stesso e si comporta secondo la propria natura; la
gazzella è gazzella ed il leone è leone (preda e predatore), ma anche l’essere
umano è tale ed il pazzo od il criminale altro non sono che una particolare
espressione di essere umano. La struttura della natura assegna a ciascuno
caratteri ben precisi, tutti equivalenti nell’articolazione molteplice della
natura, ma ta- luni dotati di una potenza maggiore di altri ed i più potenti
prevalgono sui meno nel breve periodo della conquista del nutrimento, per, poi,
comunque soccombere anch’essi sotto i colpi dell’invecchiamento,
dell’indebolimen- to, delle malattie e della morte. Ovviamente dietro questa
visione si agita un fiero determinismo, di cui ci occuperemo in seguito, per
ora interessa notare che la natura non si presenta benigna ai nostri occhi, ma
la sua strut- tura ci appare profondamente malevola, matrigna. Questa però è la
mera visione propria della prospettiva umana, alla quale manca, come si è detto
in precedenza, la prospettiva globale, quella divina, e, soprattutto, è viziata
da un ragionare antropocentrico di fronte al Tutto, all’universale. Sarebbe
facile ironia sbeffeggiare, dal punto di vista etico, il diritto naturale alla luce
dell’empiria del nostro mondo biologico, ma, forse, è proprio la vi- sione
etica, che dovrà essere messa in discussione nel rapporto tra visione monista e
dualista del reale. In questo senso appaiono particolarmente il- luminanti le
parole di Giacomo Leopardi (1798-1837) nel Dialogo della natura e di un
islandese: Natura. Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo
è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra se di
ma- niera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione
del mondo; il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe
parimen- ti in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in
lui cosa alcuna libera di patimento. Islandese. Cotesto medesimo odo ragionare
a tutti i filosofi. Ma poiché quel che è distrutto, patisce; e quel che
distrugge, non gode, e a poco andare è di- strutto medesimamente; dimmi quello
che nessun filosofo mi sa dire: a chi pia- ce o a chi giova cotesta vita
infelicissima dell’universo, conservata con danno e morte di tutte le cose che
lo compongono?4. 3 B. Spinoza, Trattato teologico-politico, Einaudi, Torino
1980, pp. 377-378. 4 G. Leopardi, Operette morali, Rizzoli, Milano 2008, p.
288. Monismo e dualismo del mondo 39 La
visione del mondo di Spinoza e le domande di Leopardi hanno il grande pregio di
rappresentare un limpido, inequivocabile e coerente esem- pio di monismo
immanentista del reale (Deus sive Natura). Nel pensiero monista non si tratta,
per lo più, di eliminare uno dei due termini dell’al- ternativa, ma di ridurli
entrambe ad unità, di sintetizzarli entro un unico termine. Tale unico termine
può relegare il mondo empirico all’ambito del- la pura illusione (Velo di Maya,
espressione con la quale Arthur Schopen- hauer – 1788-1860 – si richiama alla
religione induista), all’ambito di un sogno che potrebbe appartenere anche solo
al soggetto che lo percepisce; il mondo esterno potrebbe esistere solo
nell’esperienza di chi lo vive (sogget- tivismo filosofico: esse est percipi).
Spinoza esprime l’indiscutibile merito di unificare il mondo senza sacrificare
la sua dimensione empirica, ma am- pliandolo ad un Tutto, che tutto comprende,
seppure nell’incertezza di non riuscirne a descrivere ogni specificità, ogni particolarità,
ogni individualità. Infatti, poiché la virtù e la potenza di Dio, e le leggi e
regole della natura sono i decreti stessi di Dio, si deve senz’altro credere
che la potenza della na- tura è infinita e che le sue leggi sono tanto ampie da
estendersi a tutte le cose concepite dallo stesso intelletto divino5.
L’intelletto umano, ma soprattutto il suo sentimento, di fronte ad uno scenario
tanto deludente e tragico della vita si è posto la domanda del senso, del
significato di tanto dolore. Poiché nel mondo del percepibile attraverso i
sensi non fu, e non lo è tuttora, possibile trovare risposte sod- disfacenti,
la ricerca si è avviata verso l’immateriale, verso un reale imma- ginato solo
nella mente, ma non soggetto a verifica/falsificazione empirica. L’operazione
si è fondata su un modello dualista di negazione del sensibile e di
contemporanea affermazione del suo esatto contrario: soffro la morte ed allora
affermo l’esistenza della vita eterna, a mero titolo d’esempio. Una
approfondita descrizione ed analisi di tale operazione, applicata alla
religione ed, in particolare, al Cristianesimo, la si può trovare nell’opera di
Ludwig Feuerbach (1804-1872)6. Ragione e fede7 si sono contese questo mondo
astratto dell’immagina- rio, che ha duplicato l’universo, spiegando il senso
del percepibile senso- rialmente attraverso il non percepibile sensorialmente.
5 B. Spinoza, Trattato teologico-politico, cit., p. 153. 6 Cfr. L. Feuerbach,
L’essenza della religione, Einaudi, Torino 1972; del medesimo Autore, L’essenza
del Cristianesimo, Feltrinelli, Milano 1971. 7 Cfr. J. Habermas, Tra scienza e
fede, Laterza, Roma-Bari 2006. 40 Il
diritto come estetica Sul piano razionale sono stati elaborati assiomi,
principi primi imme- diatamente evidenti, ma non dimostrabili, concetti a
priori, ossia ancora non dimostrabili, ed operazioni logiche, teorie e teoremi,
ossia descrizioni di una qualche realtà esistente, validi solo se vengono
accolti i presup- posti non empirici, dai quali prendono le mosse. Del resto, è
ormai noto dai teoremi di incompletezza di Kurt Gödel (1906-1978), che è
possibile definire formule logiche, che negano la propria dimostrabilità, cioè
siano autoreferenziate. Si tratta di teoremi di logica, che hanno prodotto
notevoli conseguenza in ambito matematico e geometrico, ma che possono essere
estesi a qualsiasi sistema formale. Particolarmente significativo ai fini delle
riflessioni qui svolte sembra essere il secondo teorema di Gödel, quello
relativo alla indimostrabilità di un sistema coerente attraverso la sua stessa
coerenza, ossia la coerenza si presenta come una sorta di petitio pricipii (le
premesse già contengono ciò che si deve dimostrare) e/o di tautologia (af-
fermazione vera per definizione) indimostrabile, appunto. Sull’argomento sono
interessanti anche le parole di Bertrand Russell (1872-1970): I grandi scandali
della filosofia della scienza sono sempre stati, dopo Hume, la causalità e
l’induzione. Ad ambedue tutti ci crediamo, ma Hume mostrò che la nostra
credenza è una fede cieca che non poggia su alcuna prova raziona- le. [...]. Se
noi sottolineiamo il fatto che la nostra credenza nella causalità e
nell’induzione è irrazionale, dobbiamo inferire che non sappiamo se la scienza
sia vera, e che da un momento all’altro essa potrebbe anche cessare di darci
quel controllo sul nostro ambiente per amor del quale essa ci piace8. La
ragione, dunque, duplica il mondo secondo il modello proprio di René Descartes
tra res extensa e res cogitans: la prima riferibile ai cor- pi fisici e la
seconda al pensiero dell’essere umano. La distinzione pare speculare a quella
tra materia e spirito, ma ne diverge perché, mentre la distinzione cartesiana
potrebbe sussistere anche all’interno di un sistema immanentista monistico,
tutto incentrato sull’essere umano come modello di unificazione, nel quale i
due termini tendano rispettivamente ad identifi- carsi con l’alternativa
concreto/astratto, la separazione tra materia e spirito, invece, è per
necessità dualista, in quanto le due realtà si escludono vicen- devolmente come
espressione di mondi diversi: fisico e metafisico. Martin Heidegger (1899-1976)
va oltre nella critica e sottolinea come Descartes dualizzi il mondo,
presupponendo, ma non dimostrando, il trascendente: 8 B. Russell, Saggi
scettici, Longanesi &C, Milano 1975, pp. 37-38.
Monismo e dualismo del mondo 41 Cartesio non si fa offrire il modo
d’essere dell’ente intramondano da questo ente, bensì, in base a un’idea di
essere non disoccultata nella sua origine e non dimostrata nel suo diritto
(essere = esser-stabilmente-sottomano), prescrive per così dire al mondo il suo
essere autentico. Non è dunque primariamente il ricor- so a una scienza, guarda
caso particolarmente apprezzata, come la matematica, a determinare l’ontologia
del mondo, bensì l’orientazione fondamentalmente ontologica verso l’essere
inteso come esser-stabilmente-sottomano, alla quale la conoscenza matematica
soddisfa in modo eccezionale. Cartesio opera così filosoficamente in modo
esplicito la commutazione degli esiti dell’ontologia tradizionale sulla fisica
matematica moderna e sui suoi fondamenti trascen- dentali9. Del resto anche
Werner Heisenberg (1901-1976) rileva la problematici- tà euristica della
divisione cartesiana soprattutto alla luce del principio di indeterminazione.
In realtà non erano in gioco soltanto degli esperimenti fisici, ma autentiche
posizioni filosofiche. Qui la vecchia concezione, radicata fin da Cartesio,
del- la divisione tra un mondo oggettivo, svolgentesi nello spazio e nel tempo,
e un’anima da esso separata, in cui esso si rispecchia, entrava in conflitto
con le nuove vedute, alla cui luce non era più possibile compiere quella
divisione nel rudimentale modo precedente10. Oltre la ragione, meglio,
prescindendo dalla ragione, però, si è presenta- ta all’essere umano, come via
d’uscita dalla sua malasorte e dalle incertez- ze del quotidiano vivere anche
un altro strumento mentale: la fede, spesso interpretata più come un dono
divino che come una conquista personale11. Nell’ambito della fede il campo
sembra apparentemente occupato in modo completo dalle religioni, ma non è
possibile tacere che anche talune con- vinzioni filosofiche (paradosso di
Zenone, negazione del divenire di Ema- nuele Severino) od anche scientifiche
(teoria delle stringhe, delle brane, 9 M. Heidegger, Essere e tempo, Mondadori,
Milano 2011, p. 143. 10 W. Heisenberg, Lo sfondo filosofico della fisica
moderna, Sellerio Editore, Palermo 1999, p. 95. 11 “La fede essenzialmente una
negazione implicita o violenta di una realtà o della realtà. La realtà è per
tutti una prigione: ma, fortunatamente, una prigione male custodita. Ora, la
fede insegna a negare queste muraglie, insegna il modo di fuggirle, ecc. La
scienza è invece una affermazione di questa realtà; il modo che essa ci insegna
di liberarci della realtà è appunto quello di affermare la realtà. La fede
invece vuole insegnarci a fuggire la realtà, insegnando a negarla. La scienza
appare come superiore alla fede, appunto perché essa è una liberazione dalla
negazione”. A. Emo, Il Dio negativo. Scritti teorici 1925 -1981, Marsilio,
Venezia 1989, p. 5. 42 Il diritto come
estetica degli universi paralleli e multidimensionali) sono sorrette più da
dogmi, da assiomi logici, da teorie indimostrabili e da convinzioni personali
che da prove empiriche. Esempio tipico di dualismo è rappresentato dal sistema
filosofico di Pla- tone (428 a.C.-348 a.C.). Il mondo empirico si presenta come
l’ombra di una realtà metafisica ideale, nella quale la perfezione dei modelli
informa di sé le copie degradate della realtà in cui vive l’essere umano. Gli
arche- tipi, le idee delle qualità e degli Enti emanano perfezione,
immutabilità ed eternità e sono questi a presentarsi come la vera ontologia del
mondo, che nelle forme terrene manifesta tutta la propria imperfezione e
provvisorie- tà. Il mondo fisico, come brutta copia del mondo iperuranico,
metafisico, spirituale, privo di spazio e di tempo, posto oltre la volta
celeste e sede delle idee, produce una duplicazione consolatoria, sottraendo il
concetto di verità alla percezione dei sensi ed attribuendolo all’elaborazione
razionale. Questo sopraceleste sito nessuno dei poeti di quaggiù ha cantato, né
mai canterà degnamente. Ma questo ne è il modo, perché bisogna pure avere il
co- raggio di dire la verità soprattutto quando il discorso riguarda la verità
stessa. In questo sito dimora quella essenza incolore, informe ed intangibile,
contem- plabile solo dall’intelletto, pilota dell’anima, quella essenza che è
scaturigi- ne della vera scienza. Ora il pensiero divino è nutrito
d’intelligenza e di pura scienza, così anche il pensiero di ogni altra anima
cui prema di attingere ciò che le è proprio; per cui, quando finalmente esso
mira l’essere, ne gode, e con- templando la verità si nutre e sta bene, fino a
che la rivoluzione circolare non riconduca l’anima al medesimo punto. Durante
questo periplo essa contempla la giustizia in sé, vede la temperanza, e
contempla la scienza, ma non quella che è legata al divenire, né quella che
varia nei diversi enti che noi chiamiamo esseri, ma quella scienza che è
nell’essere che veramente è12. Il mito della caverna e delle sue ombre,
proiettate sulla roccia, descrive una conoscenza limitata, tutta ed
esclusivamente umana, che può presen- tarsi completa solo nel momento in cui
riesce ad uscire all’aperto e con- quistare la luce delle idee pure: una
conoscenza, dunque, non empirica è quella sostenuta da Platone, poiché
quest’ultima altro non sarebbe che una falsa conoscenza. Dentro una dimora
sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce [...], pensa di
vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciul- li, incatenati gambe e
collo, [...]. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d‘un fuoco e tra
il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa 12 Platone,
Fedro, in Tutto Platone, Laterza, Bari 1967, vol. I, p. 755.
Monismo e dualismo del mondo 43 pensa di vedere
costruito un murricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti
alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini. [...]. Immagina di
vedere uomini che portano lungo il murricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti
dal margine, [...]. Strana immagine è la tua, disse, e strani sono questi
prigionieri. – Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere,
anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuo- co
sulla parete della caverna che sta loro di fronte?13. Come si è già fatto
cenno, il pensiero religioso presuppone già di per se stesso un dualismo del
reale: la realtà divina crea la realtà umana ed esse vivono separate nella
costante tensione di quest’ultima verso la prima: il ritorno alla casa del
Padre. Esempio particolarmente significativo in questo senso è il pensiero
gnostico. Sono molteplici le correnti gnostiche, alcune risalgono al mondo
antico ed altre fioriscono nell’alveo del Cristianesimo, ma comunque tutte
hanno in comune alcuni caratteri identificativi. In pri- mo luogo, il mondo
umano rappresenta un degrado rispetto a quello divino. In secondo luogo, lo
spirito, la scintilla divina che alberga in ciascun essere umano è racchiusa,
come in una prigione, dal corpo fisico, ossia nella ma- teria. In terzo luogo,
è aspirazione comune di tutte le scintille racchiuse nei corpi umani di
risalire al cielo per ricongiungersi con la perfezione eterna del divino. La
dottrina di Simon Mago (I secolo d.C.), descritta con spirito critico cristiano
da Ireneo (130 d.C.-202 d.C.) sembra particolarmente utile per rilevare gli
elementi gnostici più caratterizzanti di questo pensiero: Se infatti alcuni
caratteri presentano chiara impronta gnostica (ostilità degli angeli [=
arconti] verso Dio e verso l’uomo, imprigionamento dell’elemento divino nel
corpo umano), altri sembrano estranei a questa esperienza: diviniz- zazione di
Simone, cioè del capostipite della setta, e di Elena, e la loro pretesa
immortalità; mancanza di una specifica colpa che spieghi l’imprigionamento
dell’elemento divino nel corpo; redenzione del credente solo grazie alla cono-
scenza della natura divina di Simone, mentre nell’esperienza gnostica è fon-
damentale il riconoscimento dell’elemento divino che ogni gnostico reca in sé;
assenza del Demiurgo, creatore del mondo, e della componente giudaica in
genere: il personaggio femminile non è Sophia ma ha nomi greci, Ennoia ed
Elena. Anche tenuto conto che la notizia di Ireneo presenta una dottrina che
appare influenzata da tratti tipicamente cristiani e perciò non è di facile
apprezzamento, si ha l’impressione che con Simone siamo sulla via che porta
allo gnosticismo vero e proprio, senza esserci ancora giunti14. 13 Platone,
Repubblica, in Tutto Platone, cit., vol. II, p. 339. 14 M. Simonetti (a cura
di), Testi Gnostici in lingua greca e latina, Arnoldo Mondadori Editore, Milano
2001, pp. 6-7. 44 Il diritto come
estetica Ovviamente anche il Cristianesimo dualizza il mondo nell’attesa di una
sua riunificazione alla fine dei tempi. Il non senso del mondo empirico cer-
ca, dunque, spiegazione in un dualismo astratto, ma non per questo meno
probabile del monismo empirico o soggettivistico. Comunque se i dualismi
concreto/astratto e fisico/metafisico rappresentano probabilmente l’origine del
concetto stesso di dualismo del reale, molti altri dualismi percorrono sia le
visioni dualiste che moniste del mondo. Si pensi alle coppie luce/tenebre,
finito/infinito, eternità/tempo, perfetto/ imperfetto, che per il loro stesso
carattere simbolico aprono le porte alla via metafisica, poiché in esse è già
insito, sottointeso un mondo migliore che si contrappone ad uno peggiore, ma
anche la coppia vita/morte prepara a problematiche di rottura o di continuità
dell’essere umano, ossia ancora a problematiche filosofiche e religiose. Del
resto, è la stessa razionalità nu- merica, che indica il nascere del dualismo
con la presenza del numero due dopo il numero uno; tale presenza consente
l’emergere di tutti gli altri nu- meri ed, in effetti, rotta l’unicità
dell’Essere, il dualismo muta rapidamente in pluralismo e nel mondo empirico
prende il via il divenire e lo scorrere del tempo; lo si è già visto in
precedenza nella vicenda gnoseologica del Giardino dell’Eden. Tra i molti
dualismi esistenti, alcuni appena ricordati, ne emerge uno particolarmente
significativo, poiché favorisce la dualizzazione del reale, sebbene venga
generalmente considerato di natura metodologica e non on- tologica, quello tra
giudizi di fatto e giudizi di valore15. Si tratta della nota Grande Divisione
di David Hume (1771-1776), nella quale si distingue ciò che può essere
predicato di falsità o di verità attraverso la verifica empirica, sono i soli
giudizi di fatto, e ciò che può essere predicato di buono o di cat- tivo, di
giusto o di ingiusto, di bello o di brutto, in quanto non sottoponibile a
verifica empirica, sono i giudizi di valore. Il dualismo immediatamente
evidente tra oggettività empirica e soggettività umana, nasconde un altro
dualismo ben più rilevante per la visione dualistica del reale, quello tra
valori relativi e valori assoluti; infatti questi ultimi non possono che pre-
supporre per avere senso nella loro indiscutibile veridicità una dimensione a
sua volta assoluta, alla quale essi appartengono. Tale dimensione può essere
anche meramente razionale, ma più frequentemente ha natura tra- scendente e
religiosa. Immanuel Kant (1724-1804), infatti, accanto ad una ragion pura e
pratica pone anche una dimensione noumenica. 15 M.L. Ghezzi, La distinción
entre hechos y valores en el pensamiento de Norberto Bobbio, Universidad
Externado de Colombia, Bogotá 2007.
Monismo e dualismo del mondo 45 Nell’antinomia della ragion pura
speculativa si trova un contrasto simile [impossibilità del sommo bene secondo
regole pratiche e, quindi fantasiosità ed inutilità della legge morale, n.d.r.]
fra necessità naturale, e libertà nella cau- salità degli eventi del mondo.
Esso fu tolto col dimostrare che non c’è un vero contrasto se gli eventi, ed
anche il mondo in cui essi avvengono, si considerano (come appunto si deve
fare) soltanto quali fenomeni; perché un solo e mede- simo essere, agente come
fenomeno (anche davanti al proprio senso interno), ha una causalità nel mondo
sensibile, che è sempre conforme al meccanismo naturale; ma rispetto allo
stesso evento, in quanto la persona agente si consideri nello stesso tempo come
noumeno (come intelligenza pura, nella sua esistenza non determinabile secondo
il tempo), può contenere un motivo determinante di quella causalità secondo
leggi naturali, libero esso stesso da ogni legge na- turale16. I valori
assoluti conducono direttamente nel mondo divino dell’igno- to, del noumenico,
appunto17, mentre quelli relativi si situano nel giudizio morale dell’individuo
umano, che tuttavia, può essere a sua volta conside- rato come una entità
noumenica. Questi ultimi, dunque, rivelano immedia- tamente la propria natura
soggettiva, ossia legata al pensiero del singolo essere umano, che solo una
ottimistica visione illuminista può reputare espressione di una razionalità
universale e, quindi, omogenea. Il sogget- tivismo valoriale apre la strada al
nichilismo, ma di ciò si dirà più oltre, per ora bisogna meglio comprendere la
distinzione posta alla base della separazione tra giudizi di fatto e giudizi di
valore. Per quanto riguarda i giudizi di fatto il problema si presenta di
sempli- ce soluzione, giacché possono definirsi tali solo quei giudizi
sostenuti da percezione empirica. Ovviamente esistono delle difficoltà anche
sulla stra- da dell’empiria, poiché sempre di giudizi trattasi, ossia di
percezioni sog- gettive filtrate attraverso la struttura categoriale propria
della conoscenza umana, che possiede almeno due caratteri limitanti la presunta
oggettività esterna al soggetto: quello biologico, anatomico, e quello
culturale. Potreb- be sussistere anche un terzo limite, quello psicologico, se
si attribuisce una propria autonomia individuale o collettiva alla mente come
entità separata dal cervello. Si pensi alla distinzione tra conscio, inconscio
ed inconscio 16 I. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, Bari1972, pp.
139-140. 17 “[...] la realtà oggettiva della legge morale non può esser
dimostrata mediante nessuna deduzione, nonostante ogni sforzo della ragion
teoretica, speculativa o sostenuta empiricamente; e quindi, se anche si volesse
rinunziare alla conoscenza apodittica, quella realtà non potrebbe venire
confermata mediante l’esperienza e così dimostrata a posteriori; e tuttavia
essa è stabile per se stessa”. I. Kant, op. cit., p. 59.
46 Il diritto come estetica collettivo18. Una ulteriore
difficoltà è data dai limiti assoluti, non categoria- li, della percezione
umana: le unità di misura di Max Planck (1858-1947) ed, in particolare, il
tempo (tp), la lunghezza (lp) e la massa (mp) di Planck costituiscono
l’attuale, e, forse, definitivo limite di rilevazione empirica, al di sotto del
quale è impossibile o, ancora forse, anche privo di significato procedere19.
Riguardo ai giudizi di valore si presenta qualche ulteriore difficoltà. Tra-
lasciando i valori assoluti, in quanto appartenenti ad un mondo separato da
quello umano, ad un mondo umano assolutizzato o all’individuo sempre
assolutizzato, pare opportuno soffermarsi sulla natura dei giudizi di valore
relativi, soggettivi. Questi ultimi generalmente vengono identificati come un
dover essere, ma cosa significa dover essere a livello del singolo sogget- to?
Parrebbe un impegno inderogabile, morale, non motivato da particolari interessi
personali. Eppure la scelta di un qualche sistema etico e dei suoi 18 “[...]
l’incosciente razionalmente comprensibile [...] consiste per così dire di
materiali artificialmente incoscienti, è solo uno strato superficiale, e [...]
sotto di questo vi è ancora un incosciente assoluto, che non ha nulla a che
fare colla nostra personale esperienza, che dunque sarebbe un’attività psichica
autonoma, opposta all’anima cosciente e perfino agli strati superiori
dell’incosciente, non tocca – e forse non toccabile – dall’esperienza
personale, una specie di attività psichica superindividuale, un incosciente
collettivo, come io l’ho chiamato, in contrapposto con un incosciente
superficiale, relativo o personale”. Cfr. C.G. Jung, Il problema dell’inconscio
nella psicologia moderna, Einaudi, Torino 1971, p. 111. 19 “[...] la gravità
quantistica è proprio la scoperta che non esistono punti infinitamente piccoli.
Esiste un limite inferiore alla divisibilità dello spazio. L’Universo non può
essere più piccolo della scala di Planck, perché non esiste nulla che sia più
piccolo della scala di Planck”. C. Rovelli, La realtà non è come ci appare. La
struttura elementare della cosa, Raffaello Cortina Editore, Milano 2014, p.
201. “Analogamente a come, secondo la teoria della relatività, non si può
parlare in modo sensato di velocità il cui valore superi quello della velocità
della luce, così non si può nemmeno parlare sensatamente di una indicazione di
posizione la cui imprecisione sia inferiore al valore di 0,5. 1013 cm”. W.
Heisenberg, Lo sfondo filosofico della fisica moderna, cit., p. 103. Ed ancora:
“Se partiamo dall’idea che le leggi della natura contengono realmente una terza
costante universale nella dimensione della lunghezza, e dell’ordine di 1013 cm,
allora dovremmo aspettarci di poter applicare i nostri concetti usuali soltanto
a regioni dello spazio e del tempo che siano grandi rispetto alla costante
universale. E dovremmo attenderci fenomeni di un carattere qualitativamente
diverso quando nei nostri esperimenti ci avviciniamo a regioni nello spazio e
nel tempo più piccole dei raggi nucleari. Il fenomeno dell’inversione
temporale, di cui si è discusso e che, fin qui, è risultato soltanto da
considerazioni teoriche come una possibilità matematica, potrebbe perciò
appartenere a queste minimissime regioni”. W. Heisenberg, Fisica e filosofia,
il Saggiatore, Milano 2015, p. 165.
Monismo e dualismo del mondo 47 valori scaturisce da preferenze
personali, legate all’ambiente in cui il sog- getto è stato educato e/o vive
(consuetudinarietà del comportamento, etc.) e dalle proprie individuali
attitudini (propensioni caratteriali, gusti, etc.), non certo da timore di
ricevere punizioni o dal desiderio di ottenere utilità di qualche tipo per se
stesso o per qualcun altro, poiché, in tale caso, non si sarebbe in presenza di
un dover essere morale. Dunque, in concreto il dover essere consiste in una
scelta comportamentale, che appaga il sog- getto agente almeno da un punto di
vista morale. Potrebbe, infatti, in esso sussistere un conflitto tra un
appagamento contrario al dover essere morale e l’appagamento dell’ottemperanza
al medesimo. Ovviamente il conflitto interiore si risolverà in favore
dell’appagamento più forte, della tensione emotiva più potente. Ma se di
appagamento si tratta, il concetto di dover essere non presenta alcuna propria
autonomia di significato, poiché si iden- tifica semplicemente con il concetto
più immediatamente verificabile in via empirica di mi piace. Del resto, è lo
stesso Kant a fornire indicazioni in questa direzione: Invero, ogni
inclinazione e ogni impulso sensibile sono fondati sul senti- mento, e
l’effetto negativo sul sentimento (mediante il danno che avviene alle
inclinazioni) è anche sentimento. Quindi possiamo vedere a priori che la legge
morale, come motivo determinante della volontà, perché reca danno a tutte le
nostre inclinazioni, deve produrre un sentimento che può esser chiamato dolore;
e qui ora abbiamo il primo, e forse anche l’ultimo caso nel quale, con i
concetti a priori, possiamo determinare la relazione di una conoscenza (qui è
conoscenza di una ragion pura pratica) col sentimento del piacere o del di-
spiacere20. Il dover essere altro, dunque, non è che un mi piace, nobilitato
dall’es- sere riferito ad una forza od ad una entità esterna al soggetto. Si
riferisce la propria scelta ad un obbligo inderogabile esterno, radicato nella
trascen- denza della ragione, del metafisico o del divino. Si sdoppia il mondo
per dare oggettività anche alle scelte soggettive ed, in tale modo,
tranquilliz- zare se stessi della bontà della propria opzione e presentare agli
altri tale opzione non come un arbitrio, un capriccio personale, ma come una
ogget- tiva necessità etica, come un comando eteronomo irresistibile, in quanto
doveroso, a pena di riprovazione, disonore, colpa, peccato, rimorso, etc..
Esempio tipico di questo processo è il concetto di obiezione di coscien- za,
proprio di taluni ordinamenti giuridici, che con tale motivazione esen- tano
alcune persone dal tenere, in una data situazione, il comportamento 20 I. Kant,
Critica della ragion pratica, cit., p. 90.
48 Il diritto come estetica prescritto per legge, ma contrario ai
convincimenti etici delle medesime. Ciò spiega anche il tentativo di taluni
autori21, che comunemente dai divi- sionisti viene definito con l’espressione
fallacia naturalistica, di superare la Grande Divisione di Hume, unificando i
due termini, fatti e valori, in un’unica entità di natura oggettiva. In questo
modo tutti i valori divengono assoluti, gli uni perché trascendenti e gli altri
perché immanenti ed empi- ricamente verificabili; l’essere soppianta il dover
essere, ma quest’ultimo, sotto le sembianze dell’essere, mantiene la propria
funzione di guida delle azioni umane e di giudizio morale. Un tale passaggio
diviene impossibile se si prende atto che il concetto di devo coincide,
semplicemente si identifi- ca, con quello di mi piace. Del resto, è Hume steso
ad indicare questa come la vera e profonda natura del dover essere: Ora, niente
accomuna il bello naturale e morale (entrambi causa di orgo- glio), se non
questo potere di produrre piacere22. Il piacere, quindi, è all’origine del
dover essere, ma, se questa è l’ori- gine, pare opportuno riportare un po’ di
ordine nel vocabolario e chiama- re i concetti col proprio nome senza tentativi
di mistificazione. L’etica, la morale, ma anche il diritto altro non sono che
articolazioni specialistiche dell’estetica; talune diversità le distinguono,
ma, in ultima analisi, sono semplicemente espressioni estetiche del soggetto
agente. Inoltre questa de- mistificazione non solo opera favorevolmente sul
piano pratico, in quanto, svelando la natura estetica, ossia soggettiva e
relativa delle scelte umane, ne mina anche l’arroganza integralista ed
intollerante, ma consente anche una migliore utilizzazione metodologica della
Grande Divisione. Infatti, sostituire ai dualismi buono/cattivo,
giusto/ingiusto il dualismo bello/brut- to significa conservare l’elemento
soggettivo del giudizio, anzi rafforzar- lo, ed inoltre radicarlo anche in una
realtà umana individuale o sociale empiricamente analizzabile. Si apre in
questo modo la strada allo studio delle strutture motivazionali dei soggetti,
alle psicologie individuali, all’e- ducazione, alla cultura ed alle tradizioni.
Tolti i valori dall’empireo della razionalità astratta, della religione, della
metafisica e ricollocati, come en- tità estetiche, all’interno del soggetto
agente e della società cui appartiene, divengono fondamentali gli studi
psicologici, antropologici e sociologici per spiegare le scelte
comportamentali. Il dualismo della Grande Divisione permane, ma non necessità
più di giustificazioni non empiriche (almeno in 21 Cfr. G. Carcaterra, Il
problema della fallacia naturalistica. La derivazione del dover essere
dall’essere, Giuffrè, Milano 1969. 22 D. Hume, Trattato sulla natura umana,
Bompiani, Milano 2001, p. 599. Monismo
e dualismo del mondo 49 uno dei suoi due termini) e non produce più neppure
quello sdoppiamento del mondo, che faceva sospettare una sua natura ontologica,
e non mera- mente metodologica, proprio per l’ambiguità oggettiva/soggettiva
del do- ver essere, dei giudizi di valore. La Grande Divisione, nella versione
essere – mi piace/non mi piace l’essere, giudizi di fatto e giudizi di
estetica, riesce a separare, a distinguere con chiarezza il primo temine come
oggettivo ed il secondo come soggettivo; ossia, il primo, come empiricamente
sussi- stente all’esterno del soggetto giudicante ed, il secondo, empiricamente
sussistente all’interno del medesimo soggetto; ovviamente la prova empi- rica
dell’esistenza e della qualità di quest’ultimo giudizio consisterà, sarà data
proprio dalla espressione, dalla manifestazione di piacere o di dolore esternata
del soggetto. Alla luce di quanto detto sino a questo punto pare chiaro che non
esi- stano dimostrazioni affidabili per propendere decisamente a favore della
tesi di una realtà monista o di una realtà dualista; d’altronde non è logico
pretendere una dimostrazione empirica dell’esistenza di un mondo che, per
definizione, non è empirico, né l’affermazione che il mondo empirico sia
l’unica realtà esistente, in quanto verificabile empiricamente, può essere
considerata qualche cosa di diverso da una tautologia. Forse, l’ontologia del
mondo è e non è monista; è e non è dualista, ma oscillano e coesistono
contemporaneamente entrambe le realtà, come sembra suggerire la fisica
subatomica con la coppia particella/onda ed ancor più con l’equazione, già
ricordata, di Albert Einstein E=mc2, nella quale energia e massa sembrano
essere due aspetti della medesima realtà, come potrebbero essere anche spirito
e materia. Anche in questo contesto appare significativo il fatto che, secondo
la mec- canica quantistica, la conservazione dell’energia da un lato, che
esprime la sua esistenza atemporale, e il manifestarsi dell’energia nello
spazio e nel tempo dall’altro sono due aspetti opposti (complementari) della
realtà. In verità, essi sono sempre compresenti, ma in concreto ora l’uno ora
l’altro esplicano la loro azione in modo predominante23. La riflessione di
Wolfgang Pauli (1900-1958), sopra riportata, apre la strada ad una visione non
più oggettivizzata in modo statico del reale, ma, bensì, oscillante in modo
instabile, con frequenze diverse, sia in se stessa, sia tra soggetto ed
oggetto24. Se il mondo non fosse un fatto, ma una mera 23 W. Pauli, Psiche e
natura, Adelphi, Milano 2006, pp. 36-37. 24 “Laddove il vecchio tipo di
spiegazione della natura, partendo dal presupposto di un osservatore
indipendente, assumeva un decorso totalmente determinato dei
50 Il diritto come estetica possibilità oscillante
continuamente a pendolo tra dualismi indissolubili tra loro, quali
soggetto/oggetto, determinato/indeterminato, assoluto/relativo,
visibile/invisibile, finito/infinito, etc., allora neppure una logica
dialettica potrebbe rendere ragione degli eventi, poiché mancherebbe comunque
il momento di sintesi. Si aprirebbe, invece, una finestra su una visione del
mondo instabile, in pendolare mutazione perenne. Una sorta di metamor- fosi
continua, come nell’opera poetica di Publio Ovidio Nasone (43 a.C. – 18 d.C.):
Vi sono creature, o grandissimo eroe, il cui aspetto fu trasformato una sola
volta e per sempre rimase in questa trasformazione; ve ne sono altre, a cui è
data facoltà di mutarsi in più aspetti, come a te, o Proteo, abitatore del mare
che circonda la terra. Ti videro, infatti, ora quale giovane, ora quale leone;
ades- so eri irruente cinghiale, adesso un serpente, al cui contatto si provava
paura; alcune volte le corna ti fecero toro, spesso riuscivi ad apparire pietra
e spesso anche albero; talvolta, assumendo l’aspetto di acque fluenti, eri
fiume; talvolta, l’opposto delle acque, fuoco25. Ovviamente ad una tale visione
si accompagnerebbero inevitabilmente le domande intorno alla illimitata
variazione delle metamorfosi o alla loro natura evolutiva o non evolutiva
oppure, ancora, alla loro ripetitività cicli- ca secondo il principio
dell’eterno ritorno di nietzschiana memoria. Forse, il futuro ci riserva la
necessità di una profonda revisione dei no- stri processi logici, ad iniziare
dal principio stesso di identità. Per ora basti prendere atto almeno di quanto
la conoscenza scientifica ha ormai empiri- camente appurato: Con l’aiuto di
queste particelle [particelle α] Rutherford riuscì nel 1919, a trasmutare
nuclei di elementi leggeri; poté, per esempio, trasformare un nucleo di azoto
in un nucleo di ossigeno aggiungendo la particella α al nucleo d’azoto ed
espellendone nello stesso tempo un protone. Fu questo il primo esempio di
processi su scala nucleare che ricordassero quelli dei processi chimici ma con-
dussero alla trasmutazione artificiale degli elementi. Il successivo
sostanziale fenomeni naturali, la fisica odierna è giunta a un nuovo tipo di
spiegazione della natura: è il caso cieco, privo di finalità, la probabilità
primaria che non può essere ricondotta a leggi deterministiche. Secondo questa
concezione la probabilità primaria appare legata in modo essenziale al fatto
che l’osservatore influenza i fenomeni attraverso la scelta del dispositivo
sperimentale, dal momento che la misurazione comporta per legge di natura
interazioni incontrollabili con l’oggetto da misurare. Questa concezione
sottolinea quindi con forza l’elemento della libertà nei processi naturali”. W.
Pauli, op. cit., p. 163. 25 Ovidio, Le metamorfosi, Bompiani, Milano 1992, vol.
I, p. 453. Monismo e dualismo del mondo
51 progresso fu, come è ben noto, l’accelerazione artificiale dei protoni per mezzo
di congegni ad alta tensione ad energie sufficienti a produrre la trasmutazione
nucleare. Erano necessari a questo scopo voltaggi di circa un milione di volt,
e Cockcroft e Walton riuscirono nel loro esperimento decisivo a trasmutare
nuclei dell’elemento litio in quelli dell’elemento elio26. Il sogno antico
degli alchimisti diviene sempre più reale, contempora- neamente, le forme si
presentano oscillanti non solo a livello di particella e di onda, appaiono
sempre meno stabili e l’energia sembra giuocare contro il principio
d’identità.Il tema del libero arbitrio e del suo corrispondente opposto, il
servo ar- bitrio, tormenta da sempre, con un dubbio sino ad ora irrisolto, i
pensieri dell’essere umano e percorre tutta la storia della filosofia1. Senza presun-
zione di poter risolvere tale dubbio, conviene tuttavia, per affrontare l’ar-
gomento con sufficiente chiarezza, tentare qualche definizione e qualche
precisazione intorno ai concetti in discussione. In via preliminare, dunque,
pare opportuno prendere le mosse dal noto confronto storico tra Erasmo da
Rotterdam (1466-1536) e Martin Lutero (1483-1546), rispettivamente sostenitori,
il primo, dell’esistenza del libero arbitrio ed, il secondo, della sua
negazione. Erasmo formula una precisa definizione di libero arbitrio: [...] noi
qui definiremo il libero arbitrio come un potere della volontà umana in virtù
del quale l’uomo può sia applicarsi a tutto ciò che lo conduce all’eterna
salvezza, sia, al contrario, allontanarsene2. La contestazione di Lutero non si
fa attendere ed è completamente in- centrata sulla salvezza operata
esclusivamente dalla Grazia di Dio e non conquistata attraverso le opere
umane: 1 2 Innanzitutto Dio è onnipotente non solo per il suo potere ma
anche per la sua azione, altrimenti sarebbe un Dio ridicolo. In secondo luogo
sa tutto e prevede tutto, perciò non può né errare né fallire. Se il nostro
cuore e la nostra intelli- genza approvano pienamente questi due punti, siamo
obbligati ad ammettere, per una conseguenza ineluttabile, che non siamo stati
creati per nostra volontà, ma per necessità; e perciò non facciamo ciò che ci
piace in virtù del nostro Cfr. M. De Caro, M. Mori, E. Spinelli (a cura di),
Libero arbitrio. Storia di una controversia filosofica, Carocci Editore, Roma
2014. E. da Rotterdam, Saggio o discussione sul libero arbitrio, in F. De
Michelis Pintacuda (a cura di), Libero arbitrio. Servo arbitrio, cit., p.
57. 54 Il diritto come estetica libero
arbitrio, ma ciò che Dio ha previsto da ogni eternità e che fa accadere secondo
il suo proponimento e il suo potere infallibili ed immutabili3. Sia Erasmo che
Lutero incentrano la questione intorno alla salvezza spi- rituale ed alla
Grazia di Dio, ossia si muovono in ambito religioso, teolo- gico, tuttavia,
mutando i nomi e sostituendo al nome Dio quello di Natura, di scienza, di
necessità causale, di assenza del divenire o di inesistenza del tempo, i
termini del problema non variano e continuano a contrapporsi, anche se
mascherate in Erasmo da formule religiose di stile, proprie dell’e- poca, per
evitare conseguenze repressive, le due medesime posizioni: il monismo umano ed
il dualismo divino. Mentre per Erasmo l’essere umano può conoscere e decidere
il proprio agire, per Lutero, invece, la conoscenza non implica anche la volontà,
la scelta. Una definizione estesa di libero arbitrio potrebbe essere la
seguente: es- sere soggetto autoreferenziato, cioè giustificato nella propria
esistenza da se stesso; autonomo, ossia legislatore in proprio delle proprie
regole di vita, e detentore di una possibilità di volere e di agire
incondizionata da fattori esterni al soggetto medesimo. L’autoreferenzialità
risponde all’esigenza di fornire un’origine ed un senso in proprio della vita
del soggetto. L’autono- mia esprime il rifiuto di regole non condivise,
provenienti da altri soggetti (eteronomia). La libertà di volere e di agire
intende descrive l’inesistenza di condizionamenti sia psichici, mentali, sia
fisici. La definizione deve per necessità presentarsi radicale ed estrema,
poiché nell’alternativa libero o sevo arbitrio sembra impossibile prendere in
considerazione posizioni in- termedie, per così dire, moderate, in quanto o la
libertà c’è o non c’è, una libertà limitata corrisponde ad una non libertà,
sicuramente almeno rispetto ai limiti posti, ma anche in generale, poiché lede
un principio, la libertà, che, per la salvaguardia della dignità umana, non può
che essere assoluto, come è assoluto il soggetto individuale, unico ed
irripetibile. Del resto, l’assolutezza empirica del soggetto individuale è
chiaramente palesata dal fatto che è solo su di esso che si fonda ogni
conoscenza del mondo ed è da esso che si manifesta qualsiasi forma di azione,
ogni agire. Naturalmente per soggetto individuale non si intende esclusivamente
l’essere umano, ma qualsiasi entità esistente, capace in qualche modo di
conoscere ed agire (minerali, piante, animali, entità non visibili,...?). La
definizione sopra illustrata parrebbe far propendere, alla luce della
percezione empirica del nostro esistere, per l’inesistenza del libero arbi- 3
M. Lutero, Commento di Martin Lutero al saggio di Erasmo, in F. De Michelis
Pintacuda (a cura di), op. cit., p. 158.
De libero o de servo arbitrio? 55 trio. Infatti, l’essere umano è condizionato
dal suo stesso vivere entro una forma, una realtà corporea da lui non scelta,
ad esempio non possiede ali per volare, può non apprezzare il proprio aspetto
fisico, rendersi conto di non possedere talune abilità intellettive (difficoltà
di apprendimento, scar- sa fantasia, etc.) o funzionali (carenza di arti,
difficoltà respiratorie, aller- gie, etc.), etc., e l’elenco, è bene
ricordarlo, si presenta come meramente esemplificativo. Ma un colpo ancora
maggiore alla libertà umana è dato dall’impossibilità di scelta di quando, dove,
da chi e se nascere, con il conseguente condizionamento dato dall’ereditarietà
del patrimonio gene- tico e dalla casualità della condizione sociale dei
genitori, inoltre neppure il momento della propria morte è frutto di libera
scelta (salvo il suicidio, forse). Naturalmente tutto ciò alla sola luce della
conoscenza umana, che non può escludere qualsiasi cosa si possa immaginare
nella duplicazione metafisica del mondo, anche la libera scelta di nascere, si
pensi alla dottrina della reincarnazione e della metempsicosi, operanti nel
pitagorismo, nel mito platonico di Er, in talune sette gnostiche,
nell’Induismo, nel Buddi- smo, etc.4. Comunque, empiricamente parlando, le
uniche certezze che si presentano riguardano la nostra forma, il nostro inizio
e la nostra fine5. Sia 4 “Secondo costoro, che appartengono alla setta cui la
ragione è più amica [aristotelici], le anime beate, liberate da ogni
contaminazione materiale possiedono il cielo. Ma quelle che, sotto l’effetto di
un segreto desiderio, da quella dimora vertiginosa e da quella luce perpetua
hanno gettato uno sguardo in basso verso i corpi e verso ciò che chiamano
quaggiù la vita si sono a poco a poco trascinate verso le regioni inferiori,
per il solo peso di questo pensiero terreno. Quando abbandona lo stato di
perfetta immaterialità, questa vestizione del corpo fangoso non è tuttavia, per
l’anima, improvvisa, ma graduale, ed essa si impoverisce impercettibilmente e
con lento degrado dalla sua purezza uniforme e assoluta, mentre s’ingrossa con
certi accrescimenti di sostanza siderale. Infatti, in ciascuna delle sfere
situate al di sotto del cielo, l’anima si riveste di un involucro etereo, di
modo che attraverso tali involucri si adatta, progressivamente, ad unirsi a
questo nostro rivestimento di sostanza terrena e pertanto, per un numero di
morti pari a quello delle sfere che attraversa, l’anima perviene a quello stato
che quaggiù in terra è chiamato vita”. A.T. Macrobio, Commento al sogno di
Scipione, Bompiani,, Milano 2007, pp. 331-333. 5 “I mortali sono gli uomini.
Essi si chiamano i mortali perché possono morire. Morire significa essere
capaci di morte in quanto morte. Soltanto l’uomo muore. L’animale cessa di
vivere (verendet). Esso non ha la morte in quanto morte né davanti a sé né
dietro di sé. La morte è lo scrigno del nulla, vale a dire di ciò che sotto
tutti gli aspetti non è mai qualcosa di meramente essente, ma che, nondimeno, è
essenzialmente in quanto l’essere stesso. In quanto scrigno del nulla, la morte
è il riparo nascosto (Gebirg) dell’essere. Chiamiamo ora i mortali i mortali,
non perché la loro vita terrena cessi, bensì perché sono capaci di morte,
essendo essenzialmente nel riparo nascosto dell’essere. Essi sono il
rapporto 56 Il diritto come estetica
lecito il paragone, siamo come una entità di forma predeterminata, che, nel
percorso della sua caduta dall’ultimo piano di un grattacielo al marciapie- de
sottostante, pensa di essere libera di poter fare ciò che vuole. Ma esiste
veramente questa libertà lungo il tragitto della caduta (vita)? Per poter ri-
spondere a questa domanda converrà ora approfondire anche il concetto di servo
arbitrio. Il determinismo comportamentale o della volontà può presentarsi sotto
diverse sembianze. Quando si afferma di poter fare una certa cosa, di poter
compiere una data azione si possono intendere referenti empirici diversi, come
bene illustra Ross, individuando tre condizioni necessarie per la sus- sistenza
dell’agire: L’agire attuale richiede quindi il verificarsi di tre gruppi di
condizioni: quel- le costituzionali, quelle occasionali, e quelle
motivazionali. Possiamo anche dire che esso presuppone che l’agente abbia sia
la capacità, sia l’occasione, sia la volontà o il motivo per compiere l’atto6.
Ad esempio, per poter nuotare è necessario saper nuotare (capacità), disporre
di uno specchio d’acqua (occasione) e, finalmente anche, volere, decidere di
nuotare (volontà, motivo). A rigore solo quest’ultimo requisito riguarda
direttamente il tema del libero arbitrio; il tema deterministico, in- vece, coinvolge
tutti e tre i gruppi di condizioni. Infatti, il determinismo non riguarda solo
la volontà, ma anche le condizioni soggettive (capacità) ed oggettive
(occasioni) dell’individuo. Comunque, per semplificare un tema sin troppo
arduo, conviene tralasciare queste ulteriori condizioni e soffermarsi solo
sulla volontà. La volontà può presentare almeno tre forme di ipotesi di
condizionamento: 1) la scelta non è riconducibile al soggetto agente (volontà
divina); 2) la scelta è condizionata da fattori immateriali (cultura,
educazione, morale, inconscio individuale o collettivo, psicologia, etc.); 3)
la scelta dipende dalla struttura biologica, biochimica dell’essere umano (si
pensi all’uomo macchina di Julien Offray de La Mettrie (1709- 1751) ed agli
studi medici intorno alla causalità chimica nella struttura organica umana). È
possibile ipotizzare anche altri fattori di condizion- amento, ma, data la loro
particolarità concettuale, sarà più opportuno trat- tarli in seguito; ora è
bene tornare al fattore di condizionamento metafisico. L’esistenza di una
volontà divina prevalente su quella umana presup- pone l’accettazione di una
visione dualista del mondo (fisica e metafisica), essenzialmente essente con
l’essere in quanto essere”. M. Heidegger, La cosa, in A. Pinotti (a cura di),
La questione della brocca, Mimesis, Milano 2007, p. 63. 6 A. Ross, Colpa,
responsabilità e pena, cit., p. 264. De
libero o de servo arbitrio? 57 senza la quale l’esistenza del divino non è pensabile.
Se Dio tutto ha creato, quindi, tutto conosce e tutto vuole, allora la volontà
umana in altro non può consistere che nella volontà stessa di Dio. Tale
posizione fu compiu- tamente espressa dall’occasionalismo di Arnold Geulincx
(1624-1669) e di Nicolas Malebranche (1638-1715). L’occasionalismo, negando un
qual- siasi collegamento tra la res estensa e la res cogitans cartesiane,
sosteneva che le azioni umane altro non erano che occasioni della
manifestazione della volontà divina, l’unica ad essere libera. In questa
visione le azioni umane e la dimensione psichica si presentano come due orologi
perfetta- mente sincronizzati dalla volontà divina, ma indipendenti l’uno
dall’altro. A rigore, data l’evidente derivazione platonica di questo pensiero,
il mondo umano potrebbe essere anche inesistente oppure, seguendo la
convinzione nella onnipotenza creatrice di Dio, apparso solo in questo preciso
istante in cui, tu lettore, stai leggendo questo testo, con tutti i tuoi
ricordi e le tue sensazioni. L’unica certezza dell’esistenza di questo mondo
deriva dalla certezza della fede in Dio7. Ovviamente il determinismo appena
descritto è strettamente legato ad un pensiero religioso. Prendendo ora in
considerazione il pensiero immanentista, si presenta un determinismo tutto
incentrato sulla concatenazione degli eventi attra- verso il nesso di
causa/effetto. La prima considerazione da manifestare ri- guarda la natura di
tale nesso e la sua stessa esistenza. Già Auguste Comte (1798-1857) ne metteva
in evidenza la natura metafisica e lo sostituiva con delle leggi generali di
comportamento degli eventi: Se, più tardi cambia [l’essere umano, n.d.r.] le
sue concezioni in proposito, è unicamente perché, allontanato, attraverso
l’esperienza e la riflessione, dalle illusioni primitive, rinunzia
assolutamente a penetrare il mistero del modo di prodursi dei fenomeni, di cui
la sua natura gli impedisce per sempre ogni cono- scenza, per ridursi ad
osservare le leggi effettive. Ed invero, se anche oggi, con tutte le nozioni
positive acquisite, volessimo, per il più semplice fenomeno, 7 In termini
moderni questo problema è stato affrontato sotto l’aspetto
dell’autoreferenzialità causale: “I fenomeni più elementari dal punto di vista
biologico, incluse le esperienze percettive, le intenzioni di fare qualcosa e i
ricordi, presentano nelle loro condizioni di soddisfazione una struttura logica
particolare. [...]. Le condizioni di soddisfazione del ricordo non si limitano,
se le esamino nei dettagli, all’occorrere effettivo dell’evento, ma richiedono
che il ricordo stesso, delle cui condizioni di soddisfazione è parte
l’occorenza dell’evento, sia stato causato da tale occorenza. Possiamo
esprimere la peculiarità di tale struttura dicendo che sia i ricordi sia le
intenzioni sia le esperienze percettive sono causalmente autoreferenziali. Ciò
significa che il contenuto dello stato stesso si riferisce allo stato ponendo
un requisito causale”. J.R. Searle, La mente, Raffaello Cortina Editore, Milano
2005, p. 154. 58 Il diritto come
estetica tentare di concepire per quale potere il fatto che chiamiamo causa
generi quello che chiamiamo effetto, saremmo inevitabilmente portati a
realizzare immagini analoghe a quelle che sono servite di base alle prime
teorie umane8. Il nesso causale non viene negato dalle leggi generali, ma semplicemente
contenuto entro il limite del suo significato di costanza, di ripetitività
negli accoppiamenti temporali dei fenomeni, senza indagare e pregiudicare il
motivo, si potrebbe dire la causa, di questo legame; ossia possiede natura
meramente descrittiva e non anche esplicativa: rileva il fenomeno, ma non ne
spiega il senso. In altre parole, il principio causale si presenta come il
risultato del principio induttivo, sul quale si fonda tutta la ricerca
empirica, ma che, non essendo a sua volta verificabile/falsificabile in via
empirica, deve essere accolto a priori. Un ulteriore affinamento del principio
caus- ativo passa attraverso la dimensione probabilistica delle rilevazioni em-
piriche9. Conseguentemente le leggi generali causali si sono trasformate negli
studi scientifici in probabilità statistiche di accoppiamento dei feno- meni,
trasformando il nesso causa/effetto in un mero nesso probabilistico a frequenza
variabile. La potenza di questo strumento metodologico (leggi generali causali)
ha creato in un primo tempo negli studiosi una baldanzosa presunzione di poter
conoscere in anticipo tutti gli eventi futuri e tale pre- sunzione ha indotto a
pensare che un generale determinismo governasse gli eventi10. Tuttavia ben
presto il principio probabilistico, in generale, ed, ancor più, in particolare,
quello fisico-quantistico di indeterminatezza di Heisenberg11 hanno, almeno in
parte, ridimensionato questa presunzione e riaperto il dibattito intorno al
libero arbitrio. 8 A. Comte, Opuscoli di filosofia sociale, Sansoni, Firenze
1969, pp. 182-183. 9 “Dobbiamo dire che generalmente i dati rendono il
risultato probabile. La causalità regge, diremo, in ogni esempio che abbiamo
potuto provare: perciò regge probabilmente anche in esempi non confermati. Ci
sono gravi difficoltà nel concetto della probabilità, ma per ora possiamo
trascurarle. Almeno finché è senza eccezione disponiamo così di un principio
logico”. B. Russell, La conoscenza del mondo esterno, Longanesi & C. Milano
1975, p. 38. 10 “Vi sono relazioni così invariabili tra eventi diversi avvenuti
nello stesso tempo o in tempi diversi che, dato lo stato di tutto l’universo in
un tempo finito, per quanto breve, ogni evento precedente o seguente può essere
determinato teoricamente in funzione degli eventi dati durante quel tempo”. B.
Russell, op. cit., p. 210. 11 “Al posto della precisione della posizione
subentra dunque in questa interpretazione l’immagine di una nuvola di materia,
il cui diametro sta nell’ordine di grandezza di 1013 cm e la cui densità decresce
dal centro verso l’esterno suppergiù al modo di una curva di Gauss”. W.
Heisenberg, Lo sfondo filosofico della fisica moderna, cit., p. 101.
De libero o de servo arbitrio? 59 Il nesso
causa/effetto degli eventi è stato per lungo tempo centrale nell’alternativa
determinismo/indeterminismo, sino al punto da relegare il tema della libertà
del volere ed il relativo indeterminismo nell’ambito delle questioni
metafisiche e degli errori di logica. In proposito Nietzsche si esprime in modo
estremamente chiaro: La credenza originaria di ogni essere organico è forse
addirittura questa, che tutto il resto del mondo sia uno e immobile. Da quel
grado originario del pensiero logico è lontanissimo il pensiero della
causalità: anzi, ancora oggi, noi pensiamo in fondo che tutti i sentimenti e le
azioni siano atti della libera volontà: se un individuo senziente si osserva,
considera ogni sensazione, ogni mutamento come qualcosa di isolato, ossia non
condizionato, privo di senso, che affiora in noi senza legami col prima e col
dopo. [...]. Dunque, la fede nella libertà del volere è un errore originario di
ogni essere organico, che esiste sin da quando esistono in esso gli stimoli del
pensiero logico; e allo stesso modo è un errore originario e ugualmente antico
di ogni essere organico la fede in sostanze non condizionate e in cose uguali.
Ma, in quanto ogni metafisica si è occupata prevalentemente di sostanza e di
libertà del volere, la si può definire come la scienza che tratta degli errori
fondamentali dell’uomo – come se fos- sero però verità fondamentali12.
Estremamente interessanti in merito si presentano i più recenti studi
biochimici e neurologici. In particolare, poiché i neuroni per scambiarsi
scariche elettriche attraverso le connessioni sinaptiche necessitano di ener-
gia, che è loro fornita dal glucosio e dall’ossigeno trasportato dal sangue, è
possibile misurare l’attività cerebrale attraverso l’incremento distrettuale di
tale flusso. Ciò si ottiene grazie a metodologie di esplorazione funziona- le
del cervello quali la tomografia a emissione di protoni per il consumo di
glucosio (PET – positron emission tomography) e la risonanza magnetica
funzionale, per il flusso ematico (fMRI – functional magnetic resonance
imaging). Un esperimento specifico, condotto da Benjamin Libet (1916-2007) e
finalizzato a misurare il, così detto, potenziale di prontezza (ossia il cam-
biamento elettrico cerebrale del soggetto, ormai da tempo dimostrato, in
presenza di movimenti volontari) sembra giuocare a favore di un determi- nismo
inconscio. Infatti, il distretto cerebrale corrispondente al movimento
volontario in esame si attiva 550 msec prima dell’atto presupposto volon-
tario. Dunque, sembrerebbe che un impulso inconsapevole anticipi l’azio- ne, ma
la volontà di agire diviene consapevole 100-150 msec prima della effettiva
manifestazione nel mondo esterno dell’azione stessa. 12 F. Nietzsche, Umano,
troppo umano I, in Opere 1870/1881, cit., p. 529.
60 Il diritto come estetica Si può ritenere che le azioni
volontarie comincino con iniziative inconsce, che vengono borbottate dal
cervello. La volontà cosciente quindi selezione- rebbe quali di queste
iniziative possono proseguire per diventare un’azione, o quali devono essere
vietate e fatte abortire in modo che non compaia nessun atto motorio13. Ciò
comporta che l’esperimento consente anche di ipotizzare, in que- sti istanti
consapevoli, una attività di veto del soggetto nei confronti del processo messo
in atto per giungere all’azione ed il vietare è pur sempre espressione di
libero arbitrio, come il fare. Tuttavia è possibile obiettare, non solo e non
tanto, che il concetto di causa non coincide con quello di correlazione, ma,
soprattutto, che il concetto di conscio non si identifica con quello di
arbitrio. Infatti, è possibile essere consapevoli che la casa, nella quale ci
si trova, stia per crollare, ma ciò non comporta né che si pos- sa agire sul
crollo, né che si possa compiere liberamente la scelta di restare o di fuggire.
Il punto da dimostrare, in relazione al libero arbitrio, riguar- da la scelta,
ossia l’origine dell’eventuale veto, non la consapevolezza o meno dell’azione.
Del resto, tale dimostrazione scientifica pare logicamen- te impossibile,
poiché la verifica/falsificazione empirica può rilevare solo i nessi, gli
accoppiamenti causali, ma tali nessi possono essere considerati pressoché
infiniti, quindi non sottoponibili tutti ad una sistematica speri- mentazione.
Soprattutto non possono essere presi in considerazione, per ovvia
impossibilità, i nessi ignoti e non immaginati come possibili dallo scienziato.
Conseguentemente si può solo empiricamente affermare che l’eventuale veto
all’azione nei precedenti 100/150 msec all’azione stessa può essere libero, ma
può anche essere determinato da un nesso causale ignoto (l’assenza di nesso
causale è solo assenza di nesso noto o ipotizza- to come possibile); ciò
prescindendo da tutti i molteplici condizionamenti noti14. 13 B. Libet, Mind
time. Il fattore temporale nella coscienza, Raffaello Cortina Editore, Milano
2007, p. 143. 14 “Nessuna libertà assoluta dunque, bensì uno spazio di manovra
limitato dalla nostra eredità biologica, dal luogo e dal tempo in cui ci siamo
trovati a nascere, dalle esperienze familiari, dalla banda criminale a cui
abbiamo voluto aggregarci, o dall’associazione differenziale a cui siamo stati
esposti, insomma: uno spazio di manovra limitato dalla nostra storia, nostra in
quanto in gran parte costruita da noi”. I. Merzagora Betsos, Colpevoli si
nasce? Criminologia, determinismo, neuroscienze, Raffaello Cortina Editore,
Milano 2012, p. 101. Cfr. anche E. Soresi, Il cervello anarchico, UTET, Torino
2013. L’Autore affida lo studio delle relazioni intercorrenti tra mente e corpo
ad una nuova scienza, la psico-neuro- endocrino-immunologia (PNEI). Intorno a
detta scienza vedere anche P. Lissoni, Teologia della scienza, Editore Natur,
Milano 2003. De libero o de servo
arbitrio? 61 Vi è poi un ulteriore impedimento logico alla dimostrazione
empirica dell’esistenza del libero arbitrio: quest’ultimo è caratterizzato da
assenza di nessi causativi estranei alla volontà stessa del soggetto agente, ma
ciò si- gnifica che la volontà dovrebbe essere indagata prima della sua
manifesta- zione empirica e ciò non è possibile per definizione. L’assenza di fenomeni
empirici non può essere studiata con metodologia empirica; il nulla fisico non
può essere né falsificato, né verificato, ma solo rinviato o non rinviato a
realtà trascendenti, immateriali, metafisiche. Cercare la causa di una vo-
lontà significa già presupporre il determinismo, poiché la volontà è libera
solo se priva di cause, salvo la volontà stessa del soggetto agente (autore-
ferenzialità ed autonomia), ma nulla è privo di cause nel mondo fisico ed una
volontà del tipo indicato non può appartenere al mondo fisico; anche la scelta
soggettiva, presupposta libera, è ancorata all’essere soggettivo, alla sua
psiche ed al suo corpo, ossia ai condizionamenti culturali e materiali sia
ambientali, sia personali. L’indagine sul libero arbitrio è, dunque, una
indagine sul nulla o sul metafisico; non è possibile ipotizzare l’esistenza di
un libero arbitrio senza duplicare il reale in entità trascendenti la fisicità,
si- ano esse divine o meramente mentali astratte, non risiedenti comunque nel
corpo dell’individuo agente. La consolatoria conclusione di Libet in argo-
mento pare indirettamente confermare le considerazioni appena formulate: La mia
conclusione sul libero arbitrio – libero davvero, in senso non deter- ministico
– è che la sua esistenza è un’opinione scientifica altrettanto buona, se non
migliore, della sua negazione in base alla teoria deterministica delle leggi
naturali. Data la natura speculativa di entrambe le teorie, quella
deterministica e quella non deterministica, perché non adottare il punto di
vista che abbiamo il libero arbitrio, almeno finché non compaia – ammesso che
compaia – qualche evidenza che realmente lo contraddica? Questo ci permette,
almeno, di proce- dere in un modo che accetta e accoglie i nostri più profondi
convincimenti e il comune sentire, che ci dicono che il libero arbitrio lo
possediamo15. Resta il problema che solo il determinismo può essere
assoggettato ad indagine empirica e non anche l‘indeterminismo!
Conseguentemente, con- scia o inconscia che sia l’origine di un’azione, il tema
da affrontare resta la presenza o l’assenza di libertà nella dimensione sia
conscia, sia incon- scia e questo tema rinvia, per il libero arbitrio, ad un
livello immateriale privo di quell’origine deterministica propria del mondo
fisico: il mondo si duplica necessariamente per rispondere alla domanda, ma la
necessità, in questo caso, ha natura logica, non certo empirica. Il punto
focale di questa 15 B. Libet, Mind time. Il fattore temporale nella coscienza,
cit., p. 160. 62 Il diritto come
estetica discussione non sembra, dunque, essere il nesso di causa ed effetto od
an- che le leggi costanti e generali di comportamento e neppure le probabilità
statistiche di accoppiamento dei fenomeni, ma, piuttosto, il fattore con-
dizionante l’esistenza stessa del concetto di scelta, ossia il fattore tempo:
se scegliere significa generare azioni successive in alternativa tra loro, le
azioni di questo tipo si possono produrre solo in un sistema in movimento,
ossia condizionato dal tempo. I sistemi acronici sono privi di movimento e,
quindi, anche di scelte, ma di ciò si parlerà più oltre. Al determinismo
neuro-biologico, appena considerato, può aggiungersi una ulteriore forma di
determinismo, nel quale determinante non appare il nesso causa/effetto, ma la
totalità dell’essere con i propri caratteri e le proprie qualità, già e per
sempre dispiegate nelle sue parti specifiche ed individuali. Questo
determinismo si presenta espresso con rigore da Spi- noza, come in parte si è
già visto, nella sua sintetica espressione Deus sive Natura. La totalità della
Natura, governata dalle proprie naturali leggi, determinazioni, assurge al
ruolo di divinità impersonale. Il problema non riguarda più tanto la catene
causativa degli eventi, ma i caratteri peculiari, con linguaggio moderno si
potrebbe dire genetici, delle sue parti, i quali, per necessità, non possono
che estrinsecarsi nell’attività di queste sue parti, nelle azioni, se si tratta
di animali e di animali umani. Ognuno esiste per sommo diritto di natura, e conseguentemente
per sommo diritto di natura ognuno fa quelle cose che seguono dalla necessità
della sua natura; e perciò, per sommo diritto di natura, ognuno giudica cosa
sia bene e cosa sia male, e provvede alla sua utilità secondo il suo giudizio,
e si vendica, e si sforza di conservare ciò che ama e di distruggere ciò che ha
in odio16. Esponente di questa tendenza deterministica di pensiero pare essere
an- che Nietzsche, come risulta con evidenza dal seguente brano: Che gli
agnelli non amino i grandi uccelli predatori non sorprende nessuno: ma non
autorizza certo a rimproverare i grandi predatori per il fatto di cacciare gli
agnelli. E se gli agnelli dicono tra loro: “Questi predatori sono malvagi; e
chi è rapace il meno possibile, anzi chi è addirittura l’opposto, un agnello
cioè, non dovrebbe essere buono?”, non possiamo certo biasimare questo criterio
di edificazione ideale, anche se i predatori stessi considereranno la cosa con
un 16 B. Spinoza, Etica. Dimostrata con metodo geometrico, Editori Riuniti, Roma
2002, p. 258. “Infatti, alla natura di una cosa non appartiene nulla se non ciò
che segue dalla necessità della natura della causa efficiente, e tutto ciò che
segue dalla necessità della natura della causa efficiente accade
necessariamente”. Ibidem, p. 233. De
libero o de servo arbitrio? 63 certo scherno e si diranno probabilmente: “Noi
non li odiamo affatto, questi buoni agnelli, anzi li amiamo, niente è più
squisito di un tenero agnello”. – Pretendere dalla forza che essa non si
manifesti come forza, che essa non sia volontà di sopraffazione, volontà di
oppressione, di potere, che essa non sia sete di nemici e di resistenze e di
trionfi, è tanto assurdo come il pretendere dalla debolezza che essa si
manifesti come forza17. I rapaci e gli agnelli di Nietzsche si sovrappongono
idealmente ai pesci grandi ed a quelli piccoli di Spinoza, nell’evidente
tentativo di evitare, at- traverso il determinismo della forza, della potenza
insita in ciascuna entità vivente, il giudizio morale. Il vivente si trasforma
in un indifferenziato Tutto, nel quale minerali, vegetali, animali ed umani
rivestono ciascuno il proprio ruolo predeterminato ed esplicano le diverse
potenzialità volitive ed operative, che sono state loro assegnate dalla loro
stessa natura, senza poter sfuggire ai limiti imposti da quest’ultima. La forza
necessitante è consustanziale all’individualità: la pietra non possiede organi
riproduttivi e, quindi, non può riprodursi, ma si moltiplica per frantumazione;
la pianta non ha gambe per camminare e, dunque, vive sempre nel medesimo luogo;
la maggioranza degli animali non possono opporre il dito pollice alle altre
dita della medesima mano, conseguentemente non possiedono manualità ed hanno
sviluppato inevitabilmente attività artigianali limitatissime; l’es- sere umano
vive respirando ossigeno e muore se respira anidride carboni- ca. A causa di
questa particolarità può abitare esclusivamente su pianeti simili, per
caratteri atmosferici, alla Terra. Questo determinismo sembra paragonabile
all’opera di un tiranno, che imprigiona i propri sudditi entro carceri diversi
in qualità per ciascuna categoria di essi, ma anche per cia- scun individuo di
ciascuna categoria (ad esempio esseri umani nati senza braccia o diabetici).
L’unica differenza consiste nella fonte del vincolo: mentre nel caso della
Natura il determinismo si presenta autonomo, cioè proprio della natura stessa,
nel caso del tiranno esso è eteronomo, ossia proveniente dall’esterno del
soggetto agente. Per descrivere la diversità dei due modelli attraverso la
tripartizione sopra ricordata del significato di poter fare qualcosa, proposta
da Ross, si deve dire che il modello determi- nista spinoziano non lascia
spazio né all’occasione, né alla capacità, né alla volontà, mentre il modello
del tiranno inibisce solo l’occasione. Oltre a questa ipotesi determinista è
possibile formulare almeno altre due ipotesi. La prima strettamente legata alla
visione di un mondo governa- to da rigide leggi causali in sviluppo cronologico
progressivo, in sintesi, un 17 F. Nietzsche, Genealogia della morale, Newton
Compton Editori, Roma 1977, p. 64. 64
Il diritto come estetica mondo programmato in via di sviluppo; la seconda,
invece, frutto della vi- sione di un mondo acronico, privo di tempo. Non pare
il caso di soffermarsi ulteriormente sulla prima ipotesi, già trattata in
precedenza, se non per dire che tale ipotesi può essere presa in considerazione
sia dal punto di vista della Totalità di un Essere (realtà, mondo) in sviluppo
determinato e pro- gressivo, ed è di questo che qui si discute, sia dal punto
di vista dei singoli gruppi, delle singole catene di nessi causali, come
l’ipotesi è stata discussa in precedenza e come è usata in ambito strettamente
scientifico. Il mondo in sviluppo causale conserva la variabile tempo, mentre
l’ulteriore ipotesi determinista, che si tratterà ora, non prevede l’esistenza
di tale variabile. Il tempo non esiste. L’affermazione sembra forte,
controintuitiva, ma anche falsificata dall’evidenza empirica del divenire,
eppure da Parmenide a Severino, molti filosofi hanno percorso questa strada. La
qualità non me- ramente logica delle affermazioni di Heidegger, consiglia di
orientarsi, per esemplificare il tema, verso questo filosofo: Il tempo ha
sempre funzionato come criterio ontologico o, meglio, ontico nella distinzione
ingenua delle diverse regioni dell’ente. Si delimita qualcosa che è
temporalmente (i processi della natura e gli accadimenti della storia) rispetto
a ciò che è non temporalmente (le relazioni spaziali e numeriche). Si è soliti
distinguere un senso a-temporale delle proposizioni rispetto al decorso
temporale delle enunciazioni. Infine si trova un abisso tra l’ente temporale e
l’eterno sovratemporale e ci si ingegna nel gettare fra essi un ponte.
Temporale equivale qui in entrambi i casi ad essente nel tempo, una
determinazione che, tra l’altro, è abbastanza oscura18. Il panorama del tempo
heideggeriano si presenta come una estensione spaziale, nella quale si
manifestano gli essenti, si illuminano, per poi scom- parire nuovamente dietro
il sipario del tempo. L’ente che reca il titolo di esser-ci è rischiarato.
[...]. È solo in base al ra- dicamento dell’esser-ci nella temporalità che
diventa intelligibile la possibilità esistenziale di quel fenomeno, che
all’inizio dell’analitica dell’esserci abbiamo contraddistinto come
costituzione fondamentale: l’essere-nel-tempo19. Il tempo sfuma e con esso si
affievoliscono anche le sue articolazioni in passato, presente e futuro. In
fondo è solo la memoria che consente una simile distinzione. Dunque, la
principale prova dell’esistenza del tempo ha natura psicologica: ricordo,
quindi, ho vissuto il passato, ma, a parte 18 M. Heidegger, Essere e tempo,
cit., p. 37. 19 M. Heidegger, op. cit., p. 492.
De libero o de servo arbitrio? 65 l’ipotesi di Malebranche di un
mondo creato da Dio attimo dopo attimo, l’organizzazione cronologica degli
eventi potrebbe essere determinata dal- la forma categoriale, di kantiana
memoria, della nostra conoscenza: cono- sciamo attraverso la categoria del
tempo, che in questo caso risiederebbe in noi e non fuori di noi; avrebbe una
esistenza solamente gnoseologica, non anche ontologica. Russell avanza proprio
questo sospetto: La differenza che sentiamo [...] tra cause ed effetti è una
semplice con- fusione, dovuta al fatto che ricordiamo gli eventi passati ma non
ci capita di ricordare i futuri. L’indeterminatezza apparente del futuro su cui
fanno assegnamento alcuni sostenitori del libero arbitrio, è soltanto il
risultato della nostra ignoranza rela- tiva ad esso. [...]. Il libero arbitrio
in ogni significato importante deve essere compatibile con la conoscenza più
completa. [...]. La nostra conoscenza del passato non è basata interamente
sulle deduzioni causali, ma deriva in parte dalla memoria. È un puro caso se
noi non abbiamo memoria del futuro. [...]. Si deve ricordare che la previsione
supposta non creerebbe il futuro più di quanto la memoria non crei il
passato20. Risulta evidente che Russell costruisce il proprio ragionamento
sulla indifferente reversibilità dei fenomeni di causa e di effetto, proprietà
che è tipica delle operazioni di fisica teorica; inoltre, nell’accogliere
questa ope- razione riduce necessariamente la funzione tempo ad un
indifferenziato presente. Probabilmente la posizione privilegiata di un
filosofo, che è stato al contempo anche un insigne matematico, ha consentito a
questo Autore di vivere pienamente le suggestioni di fisica teorica, che i
tempi agitavano. Se il mondo è privo di divenire e di movimento, che
rappresenta una delle possibili forme del divenire, è anche privo di tempo,
poiché non è pensabile divenire e movimento senza tempo. Riappaiono i fantasmi
del- la scuola eleatica e della formulazione del principio di identità
assoluta, ontologica: l’essere è e non può non essere. Se l’identità non può
essere nientificata nell’essere altro, ossia non essere più se stessi allora il
divenire è pura illusione psicologica. Queste riflessioni di natura filosofica,
nel se- colo passato hanno trovato sostegni e conforto anche in campo
scientifico: L’equazione di Wheeler-De Witt, secondo l’interpretazione più
diretta, ci dice che l’universo nella sua interezza è simile a una enorme
molecola in uno stato stazionario e che le diverse configurazioni possibili di
questa molecola mostruosa sono gli istanti di tempo. La cosmologia quantistica
diventa l’estre- 20 B. Russell, La conoscenza del mondo esterno, cit., pp.
224-225. 66 Il diritto come estetica ma
estensione della teoria della struttura atomica e, simultaneamente, com- prende
il tempo. Domandiamoci di nuovo quali conclusioni possiamo trarne in relazione
al tempo. Le implicazioni sono quanto mai profonde. Il tempo non esiste. Esiste
soltanto la mobilia del mondo che noi chiamiamo istanti di tempo21. L’equazione
sopra richiamata, detta anche di Einstein – Schrödinger (1877-1961), cerca di
conciliare la meccanica quantistica, che necessita di un tempo definito, con la
relatività generale, che lo nega, per descrivere la gravitazione quantistica.
Johon Wheeler (1911-2008) e Bryce De Witt (1923-2004) nel tentare questa
difficile operazione, non ancora completa- mente risolta, evidenziarono, forse
anche in parte inconsapevolmente, che la funzione tempo si presentava come
problematica e lo stesso concetto di tempo poteva essere messo in discussione.
Del resto, già la teoria einstei- niana della relatività, proponendo la
relatività, rispetto all’osservatore, del tempo, non poteva che presupporre non
solo l’assenza di un tempo asso- luto, ma anche l’irrilevanza conoscitiva di un
prima e di un dopo (rispetto a cosa?), di cui l’indifferenza di Russell per il
passato ed il futuro ne sono una coerente espressione. Ma se passato e futuro
si propongono come in- differentemente intercambiabili, la realtà nel suo
insieme, il Tutto, non può che possedere un’unica dimensione temporale: il
presente. Dunque, è nel solo presente che si può discutere del libero arbitrio
in questa ipotesi deter- minista. Il solo presente trasforma il tempo in una
sorta di spazio (spazio/ tempo, appunto), nel quale gli eventi non trascorrono,
ma sono collocati, dispiegati, come tanti libri in una libreria. Ciascuno può
narrare la propria storia, ma sempre quella, il cui finale è ben noto sin
dall’inizio e, comun- que, immodificabile. In questa ipotesi i fenomeni possono
essere solo de- scritti, non anche voluti, ed il libero arbitrio non viene meno
né per catene causali predeterminate di eventi biologici, biochimici,
neurologici etc., né per la natura necessitante dei caratteri e delle potenze
dei singoli enti, ma semplicemente perché non esiste il tempo ed il divenire,
quindi non ha sen- so parlare di scelte libere o condizionate, che siano. Il
mondo si presenta come una pellicola cinematografica, il cui movimento
illusorio è dato dallo scorrere della successione dei singoli fotogrammi, in se
immobili, statici, o, se si preferisce un paragone più naturalistico, come una
prateria unifor- me, della quale è possibile descrivere sassi, piante, animali
ed umani, che vi alloggiano, ma completamente priva di ogni arbitrio umano o divino
21 J. Barbour, La fine del tempo. La rivoluzione fisica prossima ventura,
Einaudi, Torino 2003, p. 247. Cfr. anche P. Yourgrau, Un modo senza tempo.
L’eredità dimenticata di Gödel e Einstein, il Saggiatore, Milano 2006.
De libero o de servo arbitrio? 67 (salvo che
divina non venga considerata la prateria stessa). Questa totale assenza di
arbitrio e ben descritta da Ross: Ognuno deve agire esattamente a quel modo che
è determinato ad agire. Il nocciolo del problema può chiarirsi con la storiella
del ladro, il quale si difen- deva dicendo che, essendo egli determinato ad
agire così come aveva agito, e non avendo egli alcuna possibilità di sfuggire
alla necessità ineluttabile della legge della causalità, sarebbe stato assurdo
e ingiusto punirlo. E il giudice gli rispondeva: sì, Lei ha ragione. Il Suo
comportamento era determinato e Lei non ha potuto sfuggire alla necessità che
governa tutto l’universo. Lo stesso vale però per la società e per me in quanto
suo rappresentante. La società è determi- nata a difendersi da aggressioni come
la Sua e perciò io Le infliggo una pena22. Il contesto della storiella si
colloca all’interno di un condizionamento governato dalla catena causale, ma si
adatta ancora meglio ad un mondo privo di tempo, nel quale non ha neppure senso
parlare di scelte e tutti si manifestano per quelli che sono, collocati in quel
luogo da sempre e per sempre, in una eternità non data da un tempo infinito, ma
da una completa acronicità. Riguardo al libero o servo arbitrio ogni proposta di
soluzione del proble- ma non può che essere considerata una semplice ipotesi di
lavoro, poiché le eventuali soluzioni non si prestano ad una verifica empirica;
pertanto l’affermazione o la negazione del libero arbitrio deve essere
considerata una mera proposizione a priori. La verifica/falsificazione empirica
del determinismo o dell’indetermini- smo risulta metodologicamente impossibile
a causa, oltre a quanto prece- dentemente già sostenuto, anche per
l’irripetibilità dell’atto presunto voli- tivo. Infatti, se nel tempo to si
presenta l’alternativa tra il compiere l’azione A o l’azione B e si compie
l’azione A, nel tempo t1 si potrà forse anche compiere l’azione B, ma ciò non
dimostra che la si poteva compiere anche nel tempo to. Per poter raggiungere questa
dimostrazione si dovrebbe poter ripetere la scelta dell’azione, questa volta B,
nel tempo to, poiché la ripetiti- vità dell’esperimento in questo caso non
riguarda una serie di eventi simili (solo simili: ogni evento varia rispetto ad
un altro almeno per il tempo nel quale si realizza, oltre che per la sua
configurazione interattiva), ma la scel- ta stessa dell’evento da mettere in
essere. Poiché è la scelta, non l’oggetto della scelta, da sottoporre a
verifica/falsificazione empirica, dovrà essere possibile ripetere l’atto dello
scegliere, non ciò che si è scelto o non scelto, ma ciò risulta impossibile per
l’unidirezionalità presunta del tempo: dal 22 A. Ross, Colpa, responsabilità e
pena, cit., pp. 184-185. 68 Il diritto
come estetica presente pare possibile accedere solo al futuro ed impossibile
tornare nel passato, almeno per una concezione assoluta del tempo23. Il tempo
in mo- vimento unidirezionale, dunque, impedisce di trasformare il libero
arbitrio da concetto a priori in concetto a posteriori, condannandolo in tale
modo alla dimensione metafisica. Oltre all’impossibilità empirica di
raggiungere certezze in questo cam- po, si presenta anche un ulteriore
impedimento, questa volta di natura lo- gica: se il determinismo descrivesse,
corrispondesse effettivamente alla realtà, alla struttura del nostro mondo,
allora essere monista o dualista ed, addirittura, essere determinista o
indeterminista sarebbe una condizione imposta deterministicamente. Pertanto
prima di affrontare il tema del com- portamento e delle convinzioni individuali
si dovrebbe descrivere e spie- gare il modello di sistema, nel quale
comportamenti e convinzioni sono collocati. Se il sistema è deterministico
saranno condizionate, non libere, anche le azioni e le convinzioni, che in esso
si agitano, ma, viceversa, se il sistema è indeterministico le azioni e le
convinzioni ad esso afferenti po- trebbero essere anch’esse libere oppure
vincolate da un determinismo cau- sativo interno al sistema stesso (è il caso
del principio di indeterminazione, che opera solo a livello subatomico).
Tuttavia, per sapere se un sistema è o non è deterministico si devono
analizzare empiricamente le azioni e le con- vinzioni che lo compongono.
Risulta evidente il corto circuito che si crea: per conoscere del sistema si
deve conoscere delle azioni e delle convinzio- ni che lo compongono, ma per
conoscere delle azioni e delle convinzioni che lo compongono si deve conoscere
il sistema. Si è in presenza di una evidente petitio principi, che impedisce
ulteriori conoscenze. 23 Questo esperimento mentale risulta valido solo nella
realtà a dimensione umana, ove il tempo è assoluto (tempo assoluto newtoniano),
a livello di fisica teorica, invece, perde di validità o perché il tempo
diviene relativo e consente viaggi almeno nel futuro (teoria della relatività
einsteiniana), o perché addirittura il tempo è proprio considerato inesistente
(teoria quantistica a loop). “A livello fondamentale, il tempo non c’è.
L’impressione del tempo che scorre è solo un’approssimazione che ha valore solo
per le nostre scale macroscopiche: deriva dal fatto che osserviamo il mondo
solo in modo grossolano”. C. Rovelli, La realtà non è come ci appare. La
struttura elementare delle cose, Raffaello Cortina Editore, Milano 2014, p.
159. “Il tempo non è che un effetto del nostro trascurare i microstati fisici
delle cose. Il tempo è l’informazione che non abbiamo. Il tempo è la nostra
ignoranza”. Ibidem, p. 220. 4. DIRITTO
ARTIFICIALE L’ambito culturale del diritto presenta un ulteriore dualismo
rispetto a quelli precedentemente affrontati: il dualismo diritto naturale,
diritto po- sitivo, meglio, artificiale. Tale dualismo non si discosta dal
modello di duplicazione del mondo, ispirato ad una visione speculare, ma
perfetta, della realtà empirica: al concreto corrisponde l’astratto; al
particolare il generale; al visibile l’invisibile; al finito l’infinito; al
relativo l’assoluto; al fisico il metafisico; all’umano il divino. Questa
specularità opera anche nel campo del diritto e genera, a fronte del diritto
positivo, imposto dalla forza degli esseri umani dominanti, un diritto
assolutamente giusto, detto natu- rale. Ovviamente, il processo potrebbe essere
interpretato anche in senso contrario: il diritto naturale, per specularità,
ispira la produzione del diritto positivo, che, tuttavia, si presenta relativo
ed imperfetto, ossia non necessa- riamente giusto, ma solo valido ed efficace,
rispetto al modello imitato. La differenza tra i due diritti è tutta giuocata
intorno ai concetti contrapposti di assoluto/relativo e di giusto/ingiusto. Si
tratta, dunque, di evidenziare l’origine, la fonte di questi concetti,
rispettivamente nei due tipi di diritto. Il diritto naturale propone come
propria fonte la dimensione assoluta dell’Essere, sia esso Dio, la Ragione o la
Natura. Non cambiano molto i caratteri di queste tre denominazioni, che,
sostanzialmente, esprimono il medesimo referente; ciò che muta è solo il
necessario dualismo del rea- le, implicito nel concetto di Dio, a fronte della
duplice compatibilità dei concetti di Ragione e di Natura sia con la realtà
dualista che con quella monista. Infatti, la Ragione può appartenere solo al
mondo fisico, può dua- lizzarsi nella res cogitans e può anche risiedere nel
mondo metafisico; la medesima riflessione può essere svolta intono alla Natura,
che può essere vista come una realtà completamente immanente o come il
corrispondente degradato di una realtà trascendente. Non conviene addentrasi
nella discussione intorno ad una Natura me- tafisica, giacché non si avrebbe
alcun strumento di riscontro delle affer- mazioni, se non il proprio o l’altrui
personale convincimento. Conviene quindi appoggiarsi ad un concetto di Natura
immanente e procedere con 70 Il diritto come
estetica lo strumento della constatazione empirica. In questo limitato ambito
si incontrano due diversi significati dell’espressione diritto naturale. Da un
lato, si intende descrivere la costanza di comportamento degli eventi na-
turali: la legge di gravità, le condizioni che fanno franare una montagna,
scoppiare un temporale, sollevare le maree, morire un essere vivente, etc.. In
questo significato l’espressione è semplicemente descrittiva di ciò che
avviene. Dall’altro lato, invece, la stessa espressione acquista una valenza
prescrittiva di comportamenti, che possono essere seguiti o violati a livello
umano (se si accoglie l’ipotesi dell’esistenza del libero arbitrio), ossia sono
relativi, ma che a livello dell’Assoluto si impongono come inderogabili,
necessitanti, poiché a tale livello conoscenza e volontà coincidono. Detta
inderogabilità si traduce nel mondo umano in valorialità assoluta sul piano
morale e, tuttavia, non necessitante su quello fisico come le leggi naturali,
descrittive di fenomeni. Ancora una volta la scriminante passa attraverso il
libero arbitrio: se esiste, la legge naturale non è necessitante, se non
esiste, lo è ed, in quest’ultimo caso, scompare la differenza tra i due
significati dell’espressione, che resta solo descrittiva. A livello empirico è
facilmente constatabile che i comportamenti umani non sono omogenei, uniformi,
ma divergono, anche profondamente, gli uni dagli altri (ciò che è bene per gli
uni è male per gli altri e viceversa) e tale constatazione è stata portata da
taluni autori come prova evidente dell’ine- sistenza del diritto naturale in
quanto prescrizione giuridica assoluta. Come una sgualdrina, la legge naturale
è a disposizione di tutti. Non esiste ideologia che non si possa difendere con
un appello alla legge naturale. E a ben vedere come potrebbe essere altrimenti,
dal momento che il fondamento ulti- mo di ogni diritto naturale risiede in una
immediata percezione privata, in una contemplazione evidente, in una
intuizione? Non può la mia intuizione essere buona quanto la vostra?
L’evidenza, assunta a criterio di verità, spiega il ca- rattere assolutamente
arbitrario delle affermazioni metafisiche. Essa le innalza sottraendole alla
forza del controllo intersoggettivo, aprendo completamente la porta alla libera
fantasia e al dogmatismo1. La prova empirica permane in tutta la sua validità,
ma mostra il proprio limite, ossia resta solo empirica, e come tale, non può
escludere che il diritto naturale non sia monolitico, ma, bensì, pluralista od,
addirittura, ni- chilista. In queste due ultime ipotesi la contraddittorietà
dei diritti naturali non dimostrerebbe la loro inesistenza, ma semplicemente il
loro carattere variabile in dipendenza da fattori a noi ignoti: tempo, luogo,
individui inte- 1 A. Ross, Diritto e giustizia, Einaudi, Torino 1965, p. 246.
Diritto artificiale 71 ressati (perché mai il
diritto naturale dovrebbe essere egualitario ed uguale per tutti?), etc..
L’empiria, tuttavia ci riconduce ad osservare la realtà naturale, nella quale
vive l’essere umano. Come si è già detto, il panorama è desolante e fortemente
immorale agli occhi della nostra attuale cultura umana: il più forte vince sul
debole, il cannibalismo governa tutto il biologico, il com- portamento etico
risulta indifferente alla buona o cattiva sorte umana, al premio o alla pena e
la morte trionfa su tutto e su tutti. Sembra che nella natura e nella vita non
vi sia alcun senso. Infatti già Giobbe, il personaggio biblico, si interrogava:
Perché mai fu data all’infelice la luce, e la vita agli amareggiati d’animo? I
quali anelano la morte – che pur non viene – come si cerca un tesoro
[nascosto]; i quali si rallegrano oltre ogni dire, allorché hanno trovato un
sepolcro? [Perché fu data la luce] all’uomo, la cui via è nascosta, avendolo
Dio circondato di tenebre?2. Il senso lo si è dovuto trovare ancora una volta
nello sdoppiamento del mondo, nella dimensione metafisica, religiosa. Comunque,
stando alle rile- vazioni empiriche, non pare che vi sia molto da mutuare dal
diritto naturale per la vita umana. Anzi, è proprio l’orrore della natura che
ha indotto l’es- sere umano a cercare differenti modelli di comportamento,
modelli artifi- ciali, non naturali. Il diritto positivo rientra nel novero di
questi modelli. L’artificialità si è sostituita, per motivi forse
deterministici, etici o forse anche utilitaristici, alla naturalità. Il
dibattito intorno alla natura benigna o maligna di questo mondo appassionò in
passato molti autori tra i qua- li è possibile ricordare Gottfried Leibniz
(1646-1716), quale sostenitore dell’affermazione che questo è il migliore dei
mondi possibili in quanto creato da Dio, e François-Marie Arouet, detto
Voltaire (1694-1778), che contesta tale posizione da un punto di vista
filosofico. L’affermazione di Leibniz si presenta evidentemente metafisica e
teologica, ossia a priori, mentre la critica di Voltaire si muove in ambito
filosofico ed empirico, ossia a posteriori, tanto che quest’ultimo Autore la
affida anche ad un rac- conto satirico, Candide, ou l’Optimisme. 2 Giobbe, 3,
20-23. 72 Il diritto come estetica
Signori – disse Cocambo – voi dunque pensate di mangiare un gesuita oggi; molto
bene, nulla è più gustoso del trattare così i propri nemici. In effetti il
diritto naturale ci insegna a uccidere il nostro prossimo, ed è così che si
agisce in tutto il mondo. Se non esercitiamo il diritto di mangiarlo, è perché
abbiamo altro per fare un buon pranzo; ma voi non avete le nostre stesse
risorse; certo è meglio mangiare i propri nemici anziché abbandonare il frutto
della propria vittoria a corvi e cornacchie. Ma signori, voi non vorreste
mangiare i vostri amici 3. Si ripresenta il solito dualismo ontologico,
umano/divino, e valoriale, bene/male, di cui il dualismo diritto
naturale/positivo ne è una diretta de- rivazione. In ambito immanentista monistico
il dualismo riesce ad essere risolto attraverso l’artificialità dell’agire
umano, attraverso l’homo artifex che crea sempre e solo, pur sotto sembianze
diverse, un diritto artificiale. Una delle principali caratteristiche
dell’essere umano è quella di creare artefatti materiali ed immateriali,
oggetti ed idee, ossia di essere un artefi- ce; è questa una sua particolarità
congenita, che lo distingue da altre entità naturali, in particolare animali.
Dunque, quando si tratta di esseri umani la naturalità coincide con
l’artificialità. È naturale per l’essere umano essere artificiale. La mano
impugnò prima il pugno, poi la spada e la pistola per difendere il proprio
corpo. La mente ideò il diritto per rendere più certi i rapporti
interpersonali. In questo modo nacque il diritto positivo, che è artificiale
per definizione, ma anche il diritto naturale, se espressione della creazione
umana di un modello ideale, è ugualmente artificiale e frutto di istanze etiche
tutte umane. La coscienza è un livello di sistema, una proprietà biologica
pressoché allo stesso modo in cui la digestione, o la crescita, o la secrezione
della bile sono livelli di sistema, proprietà biologiche. In quanto tale la
coscienza è una ca- ratteristica del cervello e perciò è parte del mondo fisico.
La tradizione contro cui mi batto dice che, essendo gli stati mentali
intrinsecamente mentali, non possono per ciò stesso essere fisici. Io sostengo
invece che, in quanto intrinse- camente mentali, essi sono un certo tipo di
stato biologico, e dunque a fortiori sono fisici4. La posizione di Johon R.
Searle è evidentemente materialista rispetto alla mens cogitans, pertanto
rispecchia un modello monista e immanentista del reale. Conseguentemente, in un
tale modello tutto il diritto è solo arti- ficiale, ossia umano e, quindi,
relativo alla cultura dei luoghi e dei tempi 3 Voltaire, Candido o l’ottimismo,
Publidue, Bolzano Novarese 1997, p. 56. 4 J.R. Searle, La mente, cit., p.
104. Diritto artificiale 73 in cui sorge.
In tale visione il diritto naturale è frutto della mente umana esattamente come
il diritto positivo e, pertanto, entrambe possono essere definiti diritti
artificiali. Paradossalmente potrebbero essere anche definiti come naturali,
poiché l’artificialità è una componente naturale, congeni- ta dell’essere
umano5. È bene precisare che il carattere umano di artifex non coincide con
l’espressione latina homo faber fortunae suae, poiché quest’ultima presuppone
un libero arbitrio che la prima ignora: non è pre- cisabile sotto quale spinta l’essere
umano crei manufatti ed idee. Ciò detto, si tratta di evidenziare in cosa si
diversificano questi due tipi di diritto (naturale e positivo), che manifestano
la medesima origine, quella umana. Il diritto naturale esprime la speranza,
sempre viva nell’essere umano, di accedere ad un mondo perfetto ed immutabile
di giustizia; aspirazione che, per altro, come si è visto, ha prodotto la
duplicazione del mondo reale. In questo caso l’accento non viene posto né sul
carattere della perfezione, né su quello dell’immutabilità, bensì sulla
giustizia. Cosa è giusto? La ri- sposta risiede nell’origine stessa del diritto
naturale artificiale. Il giudizio del singolo essere umano determina il
contenuto concettuale del sostantivo giustizia. Esso, dunque, si manifesta come
soggettivo e trascina con sé la relatività propria dei giudizi soggettivi. Non
si tratta di un valore assolto, ma semplicemente dell’espressione di
un’opinione, di una preferenza; ciò spiega ampiamente il suo, già ricordato,
carattere variabile. Per approfon- dire ulteriormente il discorso, quindi, si
dovrà abbandonare il giudizio in se stesso, il suo contenuto, per rivolgere
l’attenzione verso il soggetto che lo ha espresso, verso i suoi interessi, i
suoi gusti, la sua cultura. Infatti, è nel soggetto ed esclusivamente nel
soggetto, che è possibile comprendere non solo la variabilità dei contenuti del
giudizio di giustizia, ma anche la qualità di questi contenuti. Storicamente
gli esseri umani hanno prodotto da sempre utopie sociali tranquillizzanti, che
potessero fungere da faro verso il quale rivolgere, di- rigere la vita in
comunità. Dalla Repubblica di Platone al De Civitate Dei di Sant’Agostino
d’Ippona, all’Utopia di Thomas More (1478-1535), alla Città del Sole di Tommaso
Campanella (1568-1639), alla Nuova Atlantide di Francis Bacon (1561-1626), alle
Avventure di Telemaco di François de Salignac de La Mothe-Fénelon (1651-1715),
al Comunismo di Karl Marx (1818-1883), al movimento New Age dell’Era
dell’Acquario, e l’elenco è 5 Cfr. G. Barsanti, Dalla storia naturale alla
storia della natura. Saggio su Lamarck, Feltrinelli, Milano 1979. Vedere anche
M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli
Editore, Milano 1980. 74 Il diritto
come estetica solo esemplificativo, l’interesse per una società giusta si è
sviluppato attra- verso i secoli, chiedendo conforto ora all’assoluto
metafisico ed ora al rela- tivo immanente. In quest’ultimo caso l’accento è
stato generalmente posto sui valori della libertà e dell’eguaglianza, sia in
alternativa, sia in equilibrio instabile tra loro6. Il desiderio di far
prevalere il valore della libertà o quello dell’eguaglianza, come il cercare un
equilibrio tra i due, è espressione di precise situazioni sociali e personali
indagabili empiricamente. Basti pen- sare ai diversi interessi di potere ed
economici, nonché agli altrettanto di- versi gusti ideologici, culturali e
religiosi, presenti nelle menti dei singoli individui e nelle relative
organizzazioni sociali. Ovviamente i singoli orga- nizzati in gruppo dominante,
più forte, tenderanno a far prevalere le proprie visioni nell’ambito sociale e,
per raggiungere più agevolmente tale scopo, possono avvalersi non solo del
diritto positivo, ma anche, in funzione di sostegno, di quello naturale. Di
contro, i singoli appartenenti al gruppo dominato, recessivo, più debole,
tenteranno di opporsi alle visioni valoriali dominanti e, per fornire maggiore
forza alle proprie idee, faranno appello ad un ipotetico diritto naturale,
giusto per definizione. Il diritto naturale, dunque, può svolgere
alternativamente una funzione sociale di rafforzamento metafisico del diritto
positivo vigente o di contral- tare, sempre metafisico, al diritto positivo
dominante. La contrapposizione tra gruppi sociali dominati e recessivi si
manifesta, quindi, già nella dua- lizzazione tra diritto naturale e diritto
positivo, ma si esprime in modo più evidente intorno ai concetti di ideologia e
di utopia, così come vengono espressi da Karl Mannheim (1893-1947): [...] le
utopie trascendono la situazione sociale, in quanto orientano la con- dotta
verso elementi che la realtà presente non contiene affatto. Ma esse non sono
ideologie, non lo sono nella misura e fino a quando riescono a trasfor- mare
l’ordine esistente in uno più confacente con le proprie concezioni. Ad un
osservatore che abbia di esse un concetto relativamente estrinseco, questa
distinzione teoretica e del tutto formale tra ideologie e utopie sembra offrire
poche difficoltà. Determinare in concreto quale, in un certo caso, sia
l’ideologia e quale l’utopia è invece estremamente difficile. Noi ci troviamo
qui di fronte all’applicazione di un concetto che implica dei valori e dei
modelli. Per riuscire a questo, uno deve di necessità partecipare ai sentimenti
e alle finalità dei partiti in lotta per il potere su di una realtà storica7.
In sintesi, le ideologie esprimono prevalentemente l’opinione consoli- data dei
gruppi dominanti, mentre le utopie quella dei dominati; in questa 6 Cfr. C.
Rosselli, Socialismo liberale, Einaudi, Torino 1979. 7 K. Mannheim, Ideologia e
utopia, il Mulino, Bologna 1970, pp. 197-198.
Diritto artificiale 75 dualizzazione si manifesta all’incirca il medesimo
rapporto che intercorre tra diritto positivo e diritto naturale ed anche in questo
caso, sia l’ideologia che l’utopia sono realtà meramente umane, relative, pur
aspirando ad una dimensione assoluta. Ovviamente la distinzione è solo
indicativa, poiché non è sempre agevole individuare chi veramente domini e chi
sia vera- mente dominato ed in che misura. In ogni caso, il diritto naturale,
al pari dell’utopia, si presenta come una speranza, come una istanza politica
od etica; se si accoglie il dualismo fisica/metafisica, umano/divino, come la
voce, l’ombra empirica del metafisico, del divino. In questo modo il diritto,
in quanto organizzazione della forza fisica degli esseri umani nella storia, si
trasforma in forza anche morale attraverso un dover essere eteronomo, la cui
fonte è superiore a quella umana. Ma proprio quando viene meno, si prosciuga,
con lo svilupparsi del soggettivismo individualista, questa fonte eteronoma ed
il diritto aspira a divenire autonomo (democrazia o nichili- smo, poco rileva),
si indebolisce anche la sua forza morale ed il dover es- sere perde di senso in
favore del mi piace, come si dirà in seguito. A questa perdita di senso
corrisponde un progressivo evaporare del diritto naturale ed una corrispondente
identificazione del diritto positivo tout court con la forza. Il diritto
positivo, ma anche quello naturale, finalmente gettano la maschera e si svelano
come espressione della potenza dei gruppi sociali dominanti, che possono agire,
nel perseguimento dei propri fini, attraverso la violenza, il convincimento od
il condizionamento culturale. Sotto questo profilo le differenze tra dittatura,
monarchia, oligarchia e democrazia risul- tano marginali, poiché anche
quest’ultima, operando attraverso il principio maggioritario, si distingue solo
quantitativamente e non qualitativamente dall’uso della sopraffazione sul singolo
individuo dissenziente. Un ulteriore tentativo mistificatorio trova espressione
attraverso la se- parazione del concetto di ordinamento giuridico da quello di
Stato, come se un diritto potesse esistere come fonte originaria di doveri, di
obblighi, senza il supporto coercitivo di uno Stato, e come se le regole
imposte dallo Stato potessero vivere di vita propria senza lo Stato che le ha
generate. Si è ancora in presenza di una duplicazione, che assegna al diritto
una propria natura trascendente rispetto all’immanenza dello Stato. Immanen- za
e trascendenza continuano ad essere i protagonisti di questo dilemma tra
autonomia ed eteronomia, tra relativo ed assoluto, tra umano e divino. Ma il
dilemma è destinato a restare tale, poiché la scelta non può avva- lersi di
prove né empiriche, né logico-razionali. Le prove empiriche sono
impercorribili, incompatibili con le realtà non empiriche e quelle logico-
razionali non possono descrivere un mondo governato da una logica e da una
ragione diverse da quelle umane. La scelta resta, dunque, arbitraria,
76 Il diritto come estetica affidata ad assiomi, a
fede, la cui origine risale sempre e solo al soggetto, alla sua personale
convinzione, illuminazione ed, in quanto tale, ad esso relativa. Più in
generale, tutto il mondo empirico si manifesta sempre e solo come relativo al
soggetto che lo percepisce. Lo stato di natura, come si è detto, consiste in
una perenne lotta per l’esistenza e la sopravvivenza, che genera una generale
incertezza nei sog- getti consapevoli intono alla propria sorte. Da ciò
scaturisce l’esigenza e, contemporaneamente, il desiderio di costruire una
propria sicurezza di rapporti, sicurezza in gradazione crescente dal mero
impegno morale al diritto. L’artificialità non si limita, dunque, all’ideazione
del diritto, ma lo organizza anche in istituzione, cioè in una entità astratta
permanente, che persiste nel tempo con il mutare dei soggetti umani che la
compongo- no. Esempi tipici di tale organizzazione sono l’ordinamento giuridico
e lo Stato, che nelle società contemporanee tendono praticamente a coincidere,
anche se, come si è visto sopra, originano da un tentativo mistificatorio di
duplicazione. In altre parole, il diritto, inteso come tecnica di trattamento
dei conflitti intersoggettivi umani, si organizza in un sistema burocratico
istituzionalizzato. Il diritto, quindi, diviene tecnica e si produce e si
applica attraverso pro- cedure burocratiche, a loro volta determinate dal
diritto stesso. Il diritto ge- nera se stesso attraverso procedure ed artifici
linguistici, quali i concetti di doverosità e di obbligo. In realtà, può dirsi
diritto solo quel comportamento concretamente messo in essere nella convinzione
del soggetto di adempie- re ad un dovere giuridico. Le procedure legislative
sono solo canali per convogliare o mediare il consenso dei soggetti intorno
alle proposizioni normative e queste ultime sono indicazioni, segnali per
l’azione o la non azione, ma la norma resta il fatto concretamente
materializzato dell’azione compiuta e non perseguita da sanzione. Si potrebbe
dire che il diritto altro non è che l’opinione giuridica del soggetto intorno
ai comportamenti da tenere. Il comportamento conseguente a tale opinione potrà
anche essere sanzionato, ma ciò non potrà cancellare la natura giuridica di
tale opinione e del conseguente comportamento. Ciò spiega anche come il diritto
natu- rale possa considerarsi diritto al pari di quello positivo, non solo in
quanto entrambe artificiali, ma anche perché entrambe soggettivi, esistenti
solo nella convinzione di obbligatorietà del soggetto agente. Tornando ora al
diritto come tecnica burocratica pare opportuno preci- sare che la burocrazia
si forma come strumento di garanzia della certezza e della velocizzazione delle
procedure, ossia come strumento il cui fine è il raggiungimento dei fini propri
dell’organizzazione, cui viene applicata. Nel nostro caso il fine dovrebbe
consistere nella realizzazione della giusti-
Diritto artificiale 77 zia, ma si è già detto che, purtroppo, il concetto di
giustizia resta di conte- nuto vago e, comunque, relativo al pensiero dei
singoli soggetti agenti. In queste condizioni la burocrazia ha buon giuoco a
fare quello che Severino denunzia essere la tendenza di qualsiasi tecnica: il
trasformarsi da mezzo in fine. Tanto il capitalismo, quanto il diritto sono
forme di volontà destinate a di- ventare, da scopi, mezzi della tecnica. La
tecnica è destinata a prevalere stori- camente, e questo prevalere è appunto il
rovesciamento in cui la tecnica – da mezzo della volontà giuridica, o
capitalistica, o democratica, o di ogni altra forma di volontà – diventa lo
scopo di tali forme; si che, anche per quanto ri- guarda la volontà
capitalistica e la volontà giuridica, non sarà più il capitalismo a servirsi
della tecnica (e della volontà giuridica) per incrementare il profitto, e non
sarà più (posto che lo sia stata) la volontà giuridica a servirsi della tecnica
(e del capitalismo) per realizzare un certo ordinamento giuridico, ma sarà la
tecnica a servirsi della volontà del profitto e della volontà giuridica per
incre- mentare all’infinito la propria potenza8. La tecnica incrementa se
stessa perseguendo obiettivi sempre più estesi ed ambiziosi, sino al punto di
dimenticare gli obiettivi stessi e di espandersi per una propria logica di
espansione. La burocrazia segue questo medesi- mo modello espansionista e
diviene la referente di se stessa. Natalino Irti, pur sollevando vari dubbi
intorno alla posizione di Severino, in particola- re riguardo alla capacità di
tenuta dei giuristi e della scienza giuridica, in quanto detentori della
decisione e della scelta (ritorna il libero arbitrio con il diritto), riconosce
il pericolo del pantecnicismo: Insomma, se l’Apparato tecnico-scientifico è
incremento indefinito della ca- pacità di raggiungere scopi, chi decide, nel
silenzio della politica e del diritto, i concreti e determinati scopi, a cui
quella capacità può dare soddisfazione? Non rischia forse, quell’Apparato, di
risuscitare gli antichi dei, i quali, risolvendo in se stessi il tutto, non
hanno bisogno degli effimeri scopi dell’uomo? Così il cammino, aperto dal
giusnaturalismo, si chiuderebbe nel giustecnicismo9. La risposta alla prima
domanda potrebbe essere: nessuno. Le decisioni potrebbero estinguersi nel
dominio di procedure, che, una volta decise, per- mangono per sempre immutate,
perpetuando se stesse. La seconda doman- da si limita a proporre un
inconveniente della tecnocrazia, la sua tendenza 8 E. Severino, Atto secondo,
in N. Irti, E. Severino, Dialogo su diritto e tecnica, Edizioni Laterza,
Roma-Bari 2001, p. 80. 9 N. Irti, Atto primo, in N. Irti, E. Severino, Dialogo
su diritto e tecnica, cit., pp. 20-21.
78 Il diritto come estetica al metafisico, ma la risposta giunge dal noto
broccardo latino: adducere inconveniens non est solvere argumentum. Lo sviluppo
dei sistemi informatici, poi, moltiplica queste tendenze espansioniste
autoreferenziate a scapito dei fini, cui erano stati preposti. Valga l’esempio
dei sevizi bancari, che, svolti da persone fisiche, forni- scono informazioni e
prestazioni variabili; parzialmente sostituiti dai ban- comat, ampliano il
servizio sotto il profilo degli orari di apertura, ma lo complicano con
operazioni a computer autogestite dalla clientela e da co- dici segreti;
completamente sostituiti da sistemi informatici, obbligano la clientela entro
rigidi schemi e variabili predeterminate, vincolanti per la prestazione del
servizio, con limitato, se non inesistente, accesso ad un dia- logo, ad una
trattativa personale intorno alle condizioni di erogazione dei sevizi medesimi.
La tecnica ha cancellato il servizio in nome del suo stesso sviluppo
tecnologico. Ciò che vale per la tecnica, vale anche per il diritto, in quanto
tecnica: si estende senza sosta, occupando aree sociali sempre più ampie; la
giuridicizzazione del mondo moltiplica le controversie civili ed i reati; si
creano aspettative di certezza sempre nuove, ma sempre anche frustrate
dall’inevitabile varietà del mondo, che non conosce limiti. Inutil- mente
l’artificialità del diritto si affanna a prevedere futuri comportamen- ti
possibili da governare, i comportamenti continuano a moltiplicarsi alla stessa
velocità delle regole e l’unico risultato resta l’inflazione normativa, ossia
l’estendersi della tecnica giuridica. Da un lato, la tecnica giuridica tende a
soppiantare nella regolamentazione sociale tutte le altre tecniche. Dall’altro
lato, accoppiata ai modelli informatici, si disumanizza e fornisce vita ad un
nuovo diritto naturale, non più divino, ma pur sempre metafisico. L’essere umano,
per natura, pone domande, nei sistemi informatici deve solo fornire risposte;
le domande le pone il computer. I termini dei proble- mi li determina il
computer e le soluzioni pure. Non si è ancora completato questo processo di
disumanizzazione, ma con i ritmi di sviluppo attuali della tecnologia i tempi
della sua realizzazione probabilmente non saranno lunghi. La tecnica, dunque,
si assolutizza, prima, come alibi egualitarista di de- responsabilizzazione
decisionale umana, poi, come vera e propria delega di decisione autonoma, in
fine forse, come effettiva capacità decisionale autonoma. La regolamentazione,
che indirettamente viene generata dalle decisioni informatiche, diviene
diritto, un diritto completamente artificiale, che spodesta sia il diritto positivo
che quello naturale. Ma questo nuovo diritto, che si appresta a nascere, ha i
caratteri del suo genitore informati- co: immateriale, trascendente l’essere
umano, onnipotente, onnipresente ed assoluto.
Diritto artificiale 79 Il metafisico sembra potersi materializzare su questa
Terra attraverso l’informatica ed il diritto naturale riconquistare la propria
autonomia tra- scendente attraverso una nuova dualizzazione: umano/informatico.
Questa nuova legge naturale è meramente descrittiva, come quella divina, poiché
anche in essa conoscenza e volontà coincidono: ci si deve attenere alla
maschera dei comandi e delle domande o non si ottiene risposta e servizio; in
metafora, devi nuotare se non vuoi affogare. Il dover essere del diritto
naturale, per così dire, di derivazione etica cede il passo al dover essere dei
fenomeni naturali, delle frane, delle inondazioni, della fisica e della chi-
mica. Questo diritto naturale informatico non manifesta doverosità etiche o
giuridiche, ma necessità empiriche. L’alienazione dell’umano avviene nella
tecnica, ed in particolare in quella informatica, attraverso una etero- nomia
imposta per necessità e non più per scelta. Il libero arbitrio viene negato nei
fatti e nella loro ineluttabilità. Forse, nella ciclicità delle alterne vicende
del futuro potrà rinascere un nuovo umanesimo, che dovrà portare con sé anche
l’emergere di un nuo- vo diritto positivo o, forse, la rinascita competerà ad
una nuova fede tra- scendente ed al relativo diritto naturale oppure, sempre
forse, lo strumento giuridico potrà non essere più considerato idoneo a gestire
le conflittualità umane, le incertezze prodotte dalla natura ed i suoi orrori.
Probabilmente il mutare della prospettiva potrà dipendere da un nuovo salto
culturale, da un nuovo paradigma, per usare una espressione di Thomas Kuhn
(1922- 1996)10. Del resto anche Foucault, nelle sue ricerche archeologiche
intorno al sapere, alla conoscenza umana ha individuato taluni di questi salti
cul- turali. Essa [la natura] si rivela omicida in quello stesso movimento che
la destina alla morte. Uccide perché vive. La natura non sa più essere buona.
Che la vita non potesse più essere separata dall’omicidio, la natura dal male,
e i desideri dalla contro-natura, era quanto Sade annunciava nel XVIII secolo,
del quale egli esauriva il linguaggio, e nell’età moderna, la quale volle
lungamente con- dannarlo al mutismo. Si perdoni l’insolenza (verso chi?): I 120
giorni sono il rovescio vellutato, meraviglioso, delle Lezioni d’anatomia
comparata. Co- munque sul calendario della nostra archeologia hanno la stessa
età11. 10 Cfr. Th. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Come
mutano le idee della scienza, Einaudi, Torino 1978. 11 M. Foucault, Le parole e
le cose. Un’archeologia delle scienze umane, cit., pp. 300-301.
80 Il diritto come estetica Anche il concetto stesso
di natura subisce le mutazioni culturali proprie del soggettivismo e del
relativismo umano: la natura ora appare madre ed ora matrigna, ora si manifesta
come benefica ed ora come malefica (indif- ferente nell’ipotesi leopardiana),
ora generatrice ed ora omicida, probabil- mente perché possiede
contemporaneamente tutti questi aspetti. Il giudizio dipende dal punto di vista
dal quale la si osserva, ossia non è possibile per l’essere umano raggiungere
una conoscenza complessiva, completa, universale, si potrebbe dire olistica. La
stagione, la temperie culturale delle varie società umane consente, poi, il
prevalere di una visione, di un con- vincimento, di una interpretazione
rispetto ad altre, diverse ma altrettanto possibili, secondo un modello di
trasformazione, di sviluppo non ancora ben identificato, secondo un modello di
salto culturale molto simile ai salti quantici propri della fisica
teorica. 5. NICHILISMO E NIHILISMO Le strade
che conducono ad una posizione nichilista o nihilista (si vedrà in seguito la
differenza tra questi concetti) sono almeno due. L’una provie- ne dal
riconoscimento del pieno ed insindacabile soggettivismo delle scelte umane e
conduce al pluralismo, al relativismo dei valori. L’altra origina nella
convinzione del divenire della storia e della vita umana e porta a quel trionfo
logico del nulla, del non essere, che attualmente sembra approdare ai lidi
della tecnocrazia. Entrambe le strade, tuttavia, si aggirano nel mede- simo
panorama ambientale: la fine dell’Assoluto, dell’ episteme (επιστήμη – ciò che
si impone), del trascendente, dell’immutabile, dell’Essere che non può non
essere1. Questo panorama è stato descritto con estrema lucidità da Nietzsche e
sintetizzato nell’espressione: Dio è morto. Cerco Dio! Cerco Dio! [...]. Dov’è
andato Dio? – gridò – Ve lo dico io. L’abbiamo ucciso noi, – voi ed io! Noi
tutti siamo i suoi assassini. Ma come ab- biamo fatto? [...]. Che cosa abbiamo
fatto, quando abbiamo svincolato questa terra dal suo sole? [...]. Non vaghiamo
attraverso un nulla infinito? Non avver- tiamo l’alito dello spazio vuoto?
[...]. Non sentiamo il frastuono dei becchini che stanno seppellendo Dio? Non
sentiamo ancora l’odore della putrefazione divina – anche gli dei si
putrefanno? Non è troppo grande per noi, la grandezza di questa azione? Non
dobbiamo divenire dei noi stessi, per essere degni di lei?2. 1 “Non ci si ferma
più soltanto al sentimento della mancanza di valore e di senso del divenire, né
a quello dell’irrealtà del divenire. Il nichilismo diventa ora esplicita
incredulità per qualcosa come un mondo eretto al di sopra del sensibile e del
divenire (del fisico), cioè metafisico. Questa incredulità per la metafisica si
vieta ogni sorta di via traversa per giungere a un mondo dietro il mondo o a un
sopramondo”. M. Heidegger, Il nichilismo europeo, Adelphi, Milano 2010, p. 75.
2 F. Nietzsche, La gaia scienza, in Opere 1882-1895, Newton, Milano 1993, pp.
121-122. 82 Il diritto come estetica
Già in passato, narra Plutarco (46 d.C.-127 d.C.), all’epoca dell’impe- ratore
romano Tiberio (42 a.C.-37 d.C.) correva la leggenda che un certo Thamus,
capitano di una nave sulla rotta dall’Egitto verso Roma, si fosse sentito
chiamare da una voce tonante, che alla sua risposta gli ingiunse di riferire a
Tiberio che il Grande Pan era morto. Fine di un’epoca? Simbo- logia astrale
della precessione della presunta stella fissa Sirio? Avvento del Cristianesimo
al posto delle antiche divinità? Altro? Poco importa la risposta; ciò che conta
è il concetto di fine di un mondo e delle sue certezze al subentrare di un
altro. La morte cancella il passato ed apre le porte al futuro: nuovi dogmi,
nuovi concetti, nuovi metodi di ricerca, nuove cre- denze, nuovi valori, nuove
leggi. Si rinnovano le basi della conoscenza umana e delle sue modalità
esistenziali, individuali e collettive. Dio è mor- to simboleggia la fine del
mondo trascendente, dell’assoluto, del divino e dell’eteronomia e prepara
l’avvento di un nuovo mondo immanente, rela- tivo, umano, autonomo. Il punto
centrale da affrontare riguardo alla fine del vecchio mondo ed alla nascita del
nuovo, ossia all’origine ed alla forma del nichilismo, è rap- presentato dal
soggettivismo, che Heidegger analizza nel suo sviluppo da Protagora (486
a.C.-411 a.C.) a Descartes, sino a Nietzsche. Il soggettivi- smo genera un
nuovo assoluto, quello umano, sul quale fondare il senso e le scelte, ma tale
assoluto si presenta privo di certezze, di verità, poiché relativo; si è
costretti dentro un ossimoro tra metafisica del soggetto e fisica del soggetto
oggettivato, identificate entrambe nell’essere umano. L’alter- nativa è
stringente: o si accoglie una nuova metafisica o si rinunzia al senso ed alla
verità tradizionale e consolidata, per percorrere la via nichilista, sulla
quale trovare un nuovo senso privo di verità e di valori. Heidegger esprime con
evidenza questa difficoltà: La metafisica moderna, in balia della quale sta o
sembra inevitabilmente stare anche il nostro pensiero, in quanto metafisica
della soggettività fa passare per ovvia l’opinione che l’essenza della verità e
l’interpretazione dell’essere si determinino per l’opera dell’uomo in quanto è
il soggetto vero e proprio. A pensare in modo più essenziale, tuttavia, si vede
che la soggettività si de- termina partendo dall’essenza della verità come
certezza e dall’essere come rappresentazione. E prosegue in modo ancora più
esplicito: Ora, che l’uomo erri, dunque che non sia immediatamente e
costantemen- te in pieno possesso del vero, significa certamente una
limitazione alla sua essenza; di conseguenza, anche il soggetto – come tale
l’uomo funge nel rap- Nichilismo e nihilismo
83 presentare – è limitato, finito, condizionato da altro. L’uomo non è in
possesso della conoscenza assoluta, non è, pensando in termini cristiani, Dio3.
Se il soggettivismo si trasforma in un nuovo assolutismo della verità,
presupponendo a priori come veritiera ogni affermazione soggettiva, si è solo
costruita una nuova metafisica immanentista, ossia priva di dupli- cazione
trascendente. Ma una tale metafisica appare ancora più infondata di quella
trascendente. Infatti, l’immanentismo fisico possiede il carattere della
fattualità, ossia di poter essere sottoposto a verifica/falsificazione em-
pirica. La verifica empirica del soggettivismo narra solo posizioni e scelte
relative ai soggetti che le esprimono, pertanto un suo eventuale assoluti- smo
verrebbe falsificato proprio in via empirica. Ci si deve rassegnare; la via soggettivista
non può che avere come compagno di viaggio il dubbio e come meta l’incertezza.
Si tratta di capire se la psicologia umana è in grado di sostenere un tale peso
esistenziale e se è possibile organizzare una società priva di verità e di
valori assoluti. Se questa è la dimensione umana sarebbe strano rispondere
negativamente ai due precedenti quesiti. Tutta- via non appare strano che il
genere umano abbia tentato di evitare un tale salto nel dubbio e
nell’incertezza attraverso la duplicazione metafisica del mondo. Ma questa
duplicazione può trovare una qualche giustificazione ed, ancor più, un
fondamento, se non logico almeno antropologico. Ciò, in- vece, che è chiaro è
che con l’avvento del soggettivismo, inevitabilmente, viene meno anche
l’Assoluto. Infatti, l’Assoluto, creando il relativo, stacca una parte dal
Tutto, genera un’altra unità, che, sommata alla prima, l’uno, risulta due, la
pluralità. In tale modo, automaticamente, anche l’Assoluto diviene parte di
quel Tutto composto da Creatore e Creato. Il Tutto si esten- de, si diversifica
e l’Assoluto si relativizza; ossia muore. La scienza moderna esprime alle
proprie origini un principio metodo- logico, che passa sotto la denominazione
di Rasoio di Occam (novacula Occami) dal nome di William di Ockham (1285-1347).
Questo principio ha trovato varie formulazioni tra le quali la seguente pare la
più adatta al tema qui trattato: Entia non sunt multiplicanda praeter
necessitatem. In sintesi, si tratta di scegliere tra due alternative, a parità
di fattori, quella più semplice, più immediata. La domanda, dunque, da porre
potrebbe essere: è necessario duplicare il mondo per spiegarlo? In una visione
immanentista sembrerebbe inutile la duplicazione, giacché i nessi causali e le
leggi co- stanti, universali, nonché probabilistiche, paiono poter rispondere
ad ogni quesito, salvo quello dell’origine del mondo stesso, dell’Essere; ma un
tale 3 M. Heidegger, Il nichilismo europeo, cit., pp. 234 e 237.
84 Il diritto come estetica interrogativo dalla
duplicazione viene solo rinviato al metafisico e, quindi, privato di risposta
per non senso della domanda o, più semplicemente, per misteriosità
impenetrabile del metafisico. Le risposte causali e le regolarità
comportamentali, però, si limitano a descrivere i fenomeni, e non giusti-
ficano né la loro esistenza, né la loro finalità, ossia non riescono a fornire
senso, significato alla realtà immanente. Non è questo un difetto dell’em-
piria, ma la sua naturale caratteristica, che consiste nella mera descrittività
dei fenomeni osservati, i quali sono rilevati come privi di finalità nella loro
immediata dimensione dell’attimo presente. Dunque, in una visione imma-
nentista del mondo, a maggior ragione se priva di libero arbitrio, ma anche se
dotata del medesimo (l’empiria si limita a descrivere le scelte non a mo-
tivarle valorialmente), manca completamente il senso della vita, il motivo
dell’esistere: ciò che esiste, esiste perché esiste. Ovviamente una simile
carenza di senso non può soddisfare la presunzione umana e, tanto meno, placare
i timori dell’ignoto. L’essere umano aspira all’assoluto, all’infinito per se
stesso e teme la morte in quanto nulla. Per esorcizzare aspirazioni frustrate e
timori è necessario trovare un senso all’esistere e, possibilmen- te, anche una
sopravvivenza post mortem di questo esistere. Conseguente- mente la
duplicazione del mondo diviene necessaria per giustificare, per attribuire una
qualche finalità alla vita e per calmare le angosce esistenziali; è
antropologicamente e psicologicamente necessaria, non certo teoretica- mente,
come si è già visto. Al contrario, teoreticamente dovrebbe valere il principio
del Rasoio d’Occam e, quindi, reputare inutile, o almeno, poco probabile, la
duplicazione, in quanto operazione meramente mentale al pari di qualsiasi altro
sogno, credenza, ideologia o fantasia. Presa confidenza con il panorama,
conviene ora porre attenzione alla strada da percorrere. Max Weber (1864-1920)
indica la prima (pluralismo e relativismo dei valori). Si tratta di constatare
l’emergere nel mondo occi- dentale moderno di un politeismo di valori, che pone
fine all’unità ideolo- gica, che fu propria della Res publica christiana4. 4
“La Entzauberung der Welt sfocia nel politeismo dei valori, con cui Weber
certifica la destinale pluralizzazione degli ordinamenti della vita, ossia la
perdita di universalità della ragione occidentale. Quella di Weber è la
assunzione radicale della sentenza di Nietzsche Dio è morto, ossia la
consapevolezza di vivere in un mondo senza dei e senza profeti tipica di
un’epoca che ha mangiato all’albero della conoscenza. I valori supremi di
ordine religioso che avevano avviato il processo di razionalizzazione si
svalutano irrimediabilmente nell’epoca del compiuto disincanto, ossia del
nichilismo compiuto”. F. Fusillo, Nichilismo e sovranità, in R. Esposito, C.
Galli, V. Vitiello (a cura di), Nichilismo e politica, Editori Laterza,
Roma-Bari 2000, p. 188. Nichilismo e
nihilismo 85 [...], respingendo come cosa estranea e ostile ogni santità e ogni
bene, ogni legalità etica o estetica, ogni significatività della cultura o
valutazione della personalità, pretenderebbe [questa concezione n.d.r.]
tuttavia, ed anzi proprio perciò, la sua propria dignità immanente nel senso
estremo della parola. Quale che possa essere la nostra presa di posizione nei
confronti di tale pretesa, in ogni caso essa non può venire dimostrata o
confutata con i mezzi di nessuna scienza. Ogni considerazione empirica di
questi argomenti condurrebbe, come ha osservato il vecchio Stuart Mill, al
riconoscimento di un politeismo assoluto come la sola forma di metafisica ad
essi corrispondente. [...]. Tra i valori, cioè, si tratta in ultima analisi,
ovunque e sempre, non già di semplici alternative, ma di una lotta mortale
senza possibilità di conciliazione, come tra dio e il demonio. [...]. Il frutto
dell’albero della conoscenza, frutto inevitabile anche se molesto per la
comodità umana, non consiste in nient’altro che nel dover cono- scere
quell’antitesi e nel dover quindi considerare che ogni importante azione
singola, ed anzi la vita come un tutto – se essa non deve procedere da sé come
un evento naturale, bensì essere condotta consapevolmente – rappresenta una
concatenazione di ultime decisioni, mediante cui l’anima (come per Platone)
sceglie il suo proprio destino – e cioè il senso del suo agire e del suo
essere5. Il mondo sociologico weberiano è animato da una pluralità di soggetti
individuali e collettivi, che perseguono propri interessi e proprie valuta-
zioni, non richiamandosi necessariamente a legittimazioni trascendenti, Anzi
cercando nell’azione razionale, ossia umana, rispetto al mezzo od al fine il
senso, il significato dell’agire. Questo senso diviene in tale modo meramente
immanente e, quindi, patrimonio esclusivo del soggetto agente. Il soggettivismo
si impone come scelta politica e giuridica, ma anche come procedura
burocratica. In Weber si possono già leggere le prime avvisaglie di quello che
la burocrazia potrà generare come tecnica fine a se stessa; è possibile
intravedere il fantasma della tecnocrazia disumanizzante6. Ma ai fini del
nichilismo ciò che maggiormente interessa è il richiamo alla molte- plicità
degli interessi, delle prospettive e delle ideologie sociali, poiché da tale
molteplicità scaturisce anche il relativismo soggettivo delle stesse. Molti
valori non significano certo nessun valore, ma comunque incrinano 5 M. Weber,
Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino 1958, pp. 331-333. 6
“La burocrazia è di carattere razionale: la regola, lo scopo, il mezzo,
l’impersonalità oggettiva dominano la sua condotta. Il suo sorgere e la sua
espansione hanno perciò avuto ovunque un senso rivoluzionario – che rimane
ancora da esaminare – come di solito avviene per la penetrazione del
razionalismo in tutti i campi. Essa annientò le forme strutturali di potere che
non avevano un carattere razionale in questo senso specifico”. M. Weber,
Economia e società, Edizioni di Comunità Milano 1995, p. 101.
86 Il diritto come estetica il monolitismo sociale e
ne cancellano la legittimazione trascendente. Le società umane si presentano
molteplici come molteplici sono gli esseri umani. Severino intraprende, invece,
per giungere al nichilismo la strada del divenire che nientifica l’Essere.
L’Essere è immutabile quindi non divie- ne, ciò per Severino non significa,
come per Spinoza, che il movimento è illusione, ma che il nulla non esiste; ciò
comporta l’assenza di tempo nel pensiero spinoziano di contro ad un emergere ed
eclissarsi dell’Essere nel tempo, senza mai divenire nulla, in quello
severiniano. Questa posizione di Severino incide anche sul suo concetto di
libertà e di nichilismo. Il libero arbitrio dell’essere umano immutabile si
fonda sulle infinite vite che po- trebbero apparire e che non sono apparse;
ossia si fonda non sull’alternarsi del divenire tra essere e nulla, ma sulla
possibilità di manifestasi dell’Esse- re. La libertà è in questo modo pura
contingenza dell’apparire: La possibilità non è nell’essere, ma nell’apparire
dell’essere [...]. Se vivo eternamente tutte le vite che avrei potuto vivere –
se ho già da sempre deciso tutto ciò che avrei potuto decidere – nell’apparire
entra peraltro solamente que- sta vita che vivo. Ma entra soltanto questa
perché tutte le altre restano nascose, o perché non esiste alcun’altra vita? O
anche: esistono altre mie vite, oltre questa che appare? E se esistono,
sarebbero potute apparire invece di questa che appare? In tale possibilità
risiede il fondamento della libertà dell’uomo; che dunque può essere libero,
solo se è pensato come l’eterno vivere tutte le vite che potrebbe vivere7. La
natura non empirica dell’Essere di Severino appare evidente, ma essa scaturisce
non da una duplicazione del mondo, ma dalla negazione, operata con gli
strumenti della logica, del divenire, del passare dall’essere al non essere nel
tempo. La nozione di nichilismo esprime la medesima esigenza di non dare realtà
al nulla. Un Essere tutto pieno ed eterno in se stesso non diviene, quindi può
trovare disvalori solo nell’altro, ossia nel nulla di sé. Siamo prossimi
all’autoreferenzialità chiusa delle monadi di Leibniz, ma in Severino l’accento
non viene tanto posto sull’autoreferenzialità di una molteplicità di Esseri,
tutti equivalenti, di pari dignità e, quindi, ingiudi- cabili nella loro
autonomia, ma piuttosto sul divenire, che, consentendo il nulla, relativizza
appunto nel nulla qualsiasi affermazione, qualsiasi scelta. 7 E. Severino,
Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1995, p. 165. Cfr., per una certa
analogia di pensiero, C. Bruce, I conigli di Schrödinger. Fisica quantistica e
universi paralleli, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006.
Nichilismo e nihilismo 87 Il nulla consente la negazione
dell’assoluto e rende tutto relativo, contin- gente, occasionale, in breve,
nichilista. Nichilismo significa affermare che le cose sono niente, ossia che
il non- niente è niente. Sin da Platone, la metafisica ha identificato le cose
al niente: affermando che escono e tornano ad essere niente. Il mondo è la
dimensione in cui il non-niente è niente, e ove Dio e l’Uomo hanno la capacità
di operare l’identificazione del non-niente e del niente. Forza-cultura,
religione-ateismo, cristianesimo-anticristianesimo, meta-
fisica-antimetafisica, materialismo-spiritualimo, moralismo-immoralismo,
assolutismo-democrazia, capitalismo-comunismo, servo-padrone, umanesimo-
tecnicismo formano i grandi contrasti che si svolgono all’interno della comune
alienazione nichilista dell’Occidente8. Severino è portatore di un monismo
immanentista non empirico, nel quale libero arbitrio e nichilismo si
identificano col problema del divenire e, quindi, giuocano la loro presenza o
assenza intorno all’impossibilità di esistere del non essere e
all’impossibilità di non esistere dell’essere; possi- bilità ed impossibilità
tutte logiche ed, appunto, non empiriche. Oltre il bivio nichilista tra la
strada di un pluralismo valoriale soggettivo e la negazione del divenire si
presenta un ulteriore bivio, quello tra l’eguale fondamento e dignità di
qualsiasi scelta, di qualsiasi valore e l’inesistenza stessa dei valori.
L’equivalenza di tutti i valori conserverà il nome di ni- chilismo, mentre la
vera e propria completa assenza concettuale di entità 8 E. Severino, op. cit.,
p. 137. In merito ai passi citati in testo, con una comunicazio- ne personale
del 6 marzo 2016 via mail, Emanuele Severino precisa quanto segue: “Lei
[Ghezzi] considera quanto si dice nel mio saggio Essenza del nichilismo intorno
al libero arbitrio. Ma in Destino della necessità (1980) mostro che questa
posizione è un residuo di nichilismo e va superata. Quando uso la parola essere
(quasi sempre o sempre con l’iniziale minuscola) intendo gli essenti, qualsiasi
essente, empirico o no. Mostrando che l’essere sè degli essenti (in quanto esso
è ciò la cui negazione è autonegazione, ossia in quanto è la struttura
originaria del destino della verità) implica l’eternità di ogni essente, si
mostra anche l’essere della dimensione non empirica degli essenti. Ma il
decisivo è che l’eternità non è un presupposto, ma è implicata con necessità
dalla struttura originaria; ed è questa necessità che si tratta di discutere.
Questa necessità esclude di essere relativizza- ta e messa accanto alle varie
posizioni filosofico-culturali. Il suo saggio afferma l’esistenza del soggetto
e del suo sentire. Ma la struttura originaria chiede in base a che cosa si
afferma tale esistenza (e l’esistenza del ricco panorama culturale espresso dal
suo saggio, e dunque l’esistenza del mondo) richieste analoghe, si intende,
vanno rivolte a tutta la cultura filosofica e scientifica”. Ulteriori precisa-
zioni in argomento sono presenti anche nella Presentazione di Emanuele Severino
a questo saggio. 88 Il diritto come
estetica definibili come valori verrà chiamata nihilismo. La distinzione potrà
appa- rire più chiara se applicata al nichilismo giuridico. Nella visione
dualista del mondo al diritto positivo, come si è visto, si contrappone una
giustizia, la cui fonte si afferma superiore. L’Assoluto, come analizza senza
timore Irti, tuttavia, si è ritirato nelle sue varie forme (Dio, la Natura, la
Ragione) dalla conoscenza umana, conseguentemente, la volontà dell’essere umano
è stata abbandonata ad una completa solitudine. Solitudine nelle scelte,
soggettività delle medesime e relativismo dei valori perseguiti. Irti constata
questo fenomeno nel diritto e, quindi, ne mette in discussione la capacità
legittimante di comportamenti, che, privi di copertura giuridica, si identifi-
cano con la violenza e con la volontà di potenza del più forte. Gli Dei si sono
ritirati, e non offrono più al potere il fondamento di legitti- mità. Il potere
rimane affidato a se stesso, alla capacità di sostenersi e di rea- lizzarsi. Il
successo della volontà è, appunto, un succedere, un semplice e nudo accadere,
che trae fondamento dalla propria fatticità9. Il diritto abbandona la
dimensione di conoscenza, per divenire volontà, volontà di potenza e
quest’ultima risulta indistinguibile dalla forza, dalla violenza10. La volontà
di potenza non conosce altro imperativo che la pro- pria affermazione ed
espansione. Il dover essere morale e giuridico cede il passo al
confronto/scontro, alla lotta tra le diverse potenze, per determinare quale sia
la maggiore11. [...] il nichilista della volontà di potenza non può auspicare
alcun esito, avendo congedato la categoria del dover essere. Può solo aspettare
l’esito dello scontro storico delle volontà, e non potrà condannare alcunché12.
Una volta abbandonata la categoria del dover essere, il campo, da un punto di
vista pratico, fattuale resta a completa disposizione della forza, ma dal punto
di vista concettuale si deve affrontare il tema di come il dover 9 N. Irti,
Nichilismo giuridico, Editori Laterza, Roma-Bari 2005, p. 49. 10 “Il falso
contrasto tra diritto e forza deriva da una concezione metafisica del diritto,
dal diritto inteso come un potere sovrannaturale, come un potere vincolante che
crea ed impone dei doveri. Questo potere vincolante superiore viene opposto
alla forza, cioè al potere concreto”. K. Olivecrona, Il diritto come fatto,
Giuffrè, Milano 1967, pp. 107-108. 11 “Sul rango decide il quantum di potenza
che sei; il resto è viltà”. F. Nietzsche, La volontà di potenza, in Opere
1882-1895, Newton, Milano 1993, p. 939. 12 V. Possenti, Nichilismo Giuridico.
L’ultima parola?, Rubettino, Savoria Mannelli 2012, p. 146.
Nichilismo e nihilismo 89 essere viene meno e con cosa
viene sostituito. La risposta a quest’ultimo quesito verrà affrontata nel
prossimo capitolo, per ora basti concentrarsi sul primo. Il dover essere può
semplicemente perdere il proprio carattere assoluto o scomparire completamente,
come concetto inesistente o falso. Si è già visto come il soggettivismo renda
relativi i contenuti comportamentali del dover essere e, quindi, ne vanifichi
la forza vincolante, imperativa. Il dover essere resta in vita, ma persiste
come valore individuale, non generalizza- bile, non imponibile a terzi. Però è
dato anche il caso che il dover essere si dissolva come entità concettuale. E
può dissolversi come entità solo teorica od anche come entità pratica; come
affermazione priva di senso o come affermazione falsa. Il dover essere comunque
scompare, ma secondo mo- dalità differenti. Un esempio articolato ed eloquente
di queste tematiche è dato dalla dia- triba sviluppatasi tra la Scuola di
Uppsala, che annovera tra i propri mas- simi esponenti Alex Hägerström
(1868-1939) ed Karl Olivecrona (1897- 1980), e Theodor Geiger (1891-1952). La
prima osservazione che Geiger muove alla scuola di Uppsala riguar- da il
carattere solo teorico del nihilismo proposto. In questo caso si tratta di
nihilismo e non di nichilismo, poiché il presupposto risiede nell’inesisten- za
dei valori, non nella loro generale equivalenza, indifferenza. Chi è
criticamente illuminato è necessariamente un nihilista teorico dei va- lori.
Egli ha compreso che le idee di valore non sono altro che orientamenti emotivi
indebitamente oggettivati. Egli sa che i valori non appartengono alla realtà
temporale-spaziale, che i giudizi di valore non possono pertanto essere altro
che oggettivazioni errate di valutazioni primarie soggettive, traduzioni di
situazioni emotive in enunciazioni conoscitive teoriche13. Gaiger propugna un
nihilismo anche pratico, che cioè abbandoni l’uso dei giudizi di valore anche
nelle discussioni politiche intorno alle decisioni da prendere; non si tratta,
in breve, per questo Autore, solo di teorizzare la fine dei valori, ma anche di
operare senza l’uso giustificativo dei medesi- mi. In questo modo si potrà dare
vita a quello che da Geiger viene definito illuminismo critico e che, a sua
volta, può generare una democrazia sobria, ossia fondata esclusivamente su
discussioni e scelte intorno ai fatti e sulla base dei meri fatti. 13 Th.
Geiger, Saggi sulla società industriale, U.T.E.T., Torino 1970, pp. 553. Vedere
anche M.L. Ghezzi, Un precursore del nichilismo giuridico: Theodor Geiger e
l’antimetafisica sociale, in Sociologia del Diritto, 2007/3, pp. 5-46.
90 Il diritto come estetica [...] la persona
criticamente illuminata deve sapere su quali questioni non si può sapere
niente, quali siano i problemi sui quali non può esprimersi con la pretesa di
validità oggettiva, essa deve conoscere in breve i limiti naturali posti al
processo conoscitivo. Essa ha da mantenersi scettica dinanzi alle as- serzioni
altrui e rigettare tutte le asserzioni presentate con intenti pragmatici. È
pragmatica ogni asserzione che pretenda di motivare teoricamente una finalità
dell’agire (di dimostrarne l’esattezza), o suggerisca tacitamente tali
finalità14. La seconda osservazione riguarda la predicabilità o meno di
verità/falsi- tà dei giudizi di valore. Mentre Hägerström, ma soprattutto i
suoi discepoli e primo fra tutti Olivecrona, sostengono l’inesistenza di una
teoria che for- nisca significato alla domanda sulla veridicità/falsità dei valori
e, pertanto, la domanda risulta priva di senso, neppure formulabile; Geiger,
invece, afferma l’esistenza di senso della domanda, in quanto la teoria esiste,
ma è falsa e, quindi, anche la risposta risulta falsa. Chi asserisce la
veridicità di un valore non formula una proposizione priva di senso, ma intende
soste- nere l’esistenza concreta di ciò che afferma, cioè della fattualità dei
valori; pertanto, per Geiger, non si tratta di una proposizione priva di senso,
ma di una proposizione falsa, poiché ciò che afferma non esiste, è fantasia, è
desiderio soggettivo. Chi giudica non può esprimersi sulle qualità di valore
dei fenomeni, quando è dimostrato che i fenomeni non posseggono alcuna qualità
di valore. Valore e non-valore non sono inerenti all’oggetto stesso, ma gli
sono attribuiti dal soggetto dell’esperienza. [...]. Il giudizio di valore non
è che una esplosione emotiva rivestita della forma linguistica di una
enunciazione oggettiva15. È evidente che mentre Hägerström si muove su un piano
meramente logico, nel quale dovrebbero operare solo teorie verificabili e la
veridicità dei giudizi di valore non è verificabile, ossia su un piano sul
quale le teorie non falsificabili o falsificate sono già state scartate;
Geiger, invece, opera nel mondo empirico dove il primo passo da compiere è
proprio la verifica/ falsificazione delle ipotesi e delle relative teorie16.
Empiricamente la do- manda intorno alla veridicità dei giudizi di valore è
stata posta e continua 14 Th. Geiger, Saggi sulla società industriale, cit.,
pp. 573-574. 15 Th. Geiger, op. cit., p. 554. 16 “Ora una ideologia è per
definizione qualcosa di unilaterale perché è determinato dalla prospettiva
particolare di colui che pensa. Secondo questo si dovrebbe dire che tutte le
ideologie sono false . [...]. L’ideologia è determinata dalla prospettiva
corrispondente alla posizione sociale di colui che la pensa quindi è pensiero
unilaterale. Essa non soddisfa i requisiti dell’oggettività posti dalle scienze
naturali e quindi è teoricamente falsa”. Th. Geiger, op. cit., p. 142.
Nichilismo e nihilismo 91 ad essere posta,
pertanto si tratta di falsificare la teoria che la regge ed è proprio questa la
conclusione a cui giunge Geiger. La differenza appare minima, ma non
irrilevante e tutta impostata sul piano del discorso svolto e sui tempi cui si
riferisce l’affermazione (prima o dopo la verifica empiri- ca). Del resto, il
tema fu affrontato in senso generale anche da Heisenberg, riguardo alla
costruzione di teorie attraverso l’accoppiamento di simboli a fenomeni: Il
procedimento della scienza naturale è raffigurato come l’applicazione di
simboli a fenomeni. I simboli possono, come in matematica, essere combinati
secondo certe regole, in tal modo le affermazioni sui fenomeni possono essere
rappresentate da combinazioni di simboli. Perciò una combinazione di simboli in
disaccordo con le regole non è falsa ma priva di significato. L’ovvia
difficoltà di questo ragionamento è la mancanza di un criterio ge- nerale che
indichi quando una proposizione debba essere considerata priva di significato.
Una chiara decisione è possibile soltanto quando la proposizione appartiene ad
un sistema chiuso di concetti e di assiomi, il che nello sviluppo delle scienze
naturali costituisce piuttosto l’eccezione che la regola17. L’equivoco,
dipendente sia dalla difficoltà di definizione dei concetti, in quanto legati
alle teorie di cui sono figli, sia dall’impossibilità di verifi- ca empirica
degli assiomi su cui si fondano le teorie (concetti ed assiomi non chiusi), non
può stupire. Infatti, come afferma Michel Foucault (1926- 1984), le parole
(simboli) e le cose (fenomeni) non coincidono dal crollo della Torre di Babele
in poi: Nella sua forma originaria quando fu dato agli uomini da Dio stesso, il
lin- guaggio era un segno delle cose assolutamente certo e trasparente poiché
asso- migliava ad esse. I nomi erano deposti su ciò che indicavano, come la
forza è scritta nel corpo del leone, la regalità nello sguardo dell’aquila,
come l’influsso dei pianeti è stampato sulla fronte degli uomini: mediante la
forma della simi- litudine. Tale trasparenza fu distrutta a Babele per castigo
degli uomini. Le lin- gue furono separate le une dalle altre e rese
incompatibili solo nella misura in cui venne anzitutto cancellata la
somiglianza alle cose, la quale aveva costituito l’originaria ragione d’essere
del linguaggio. Tutte le lingue che conosciamo non vengono da noi parlate che
sullo sfondo di tale similitudine smarrita e nello spazio da essa lasciato
vuoto18. Riemerge il solito dualismo tra divino ed umano, tra conoscenza asso-
luta e conoscenza relativa, tra certezza e dubbio. Tuttavia, ritornando ora 17
W. Heisenberg, Fisica e filosofia, cit., p. 90. 18 M. Foucault, Le parole e le
cose, cit., p. 50. 92 Il diritto come
estetica alla polemica tra la Scuola di Uppsala e Geiger, probabilmente essa ne
sottointende un’altra ben più rilevante e di natura politica; non è possibile,
infatti, dimenticare le simpatie della Scuola di Uppsala ed, in particolare, di
Olivecrona per il nazismo di fronte alla posizione social-democratica di
Geiger, sostenitore della Repubblica di Weimar19. In conclusione, il nichilismo
come il nihilismo scaturiscono dalla fine della credenza in verità assolute,
siano esse trascendenti od immanenti, ossia dalla fine della duplicazione del
mondo. Questa fine può giungere attraverso una relativizzazione dei giudizi di
valore od una loro completa soppressione, ma, in ogni caso, l’antica via
eteronoma rispetto all’essere umano non può più essere percorsa. Si tratta, quindi
di costruire una nuova strada autonoma, che tenga conto della fluidità, della
varietà, dell’incer- tezza, ma anche dell’arbitrarietà dei giudizi di valore.
Si tratta di capire se sono effettivamente necessari o, almeno, utili per la
convivenza sociale e se non possono essere sostituiti da altre e diverse entità
in grado di guidare l’agire umano, ammesso che esista la possibilità di
guidarlo attraverso la volontà umana. Tralasciando ora i dubbi intorno
all’esistenza o meno del libero arbitrio, chi scrive è convinto della
possibilità di compiere questa ricostruzione comportamentale anche senza i
giudizi di valore in ambito sia morale, sia giuridico, ma questo è argomento
del prossimo capitolo. 19 Cf.r. K. Olivecrona, I problemi del tempo visti
da uno svedese. Inghilterra o Germania?, in Lo Stato, 3/2014, pp.
173-195. 6. IL DIRITTO COME ESTETICA
L’estetica è una disciplina che studia, dal punto di vista trascendente, il
bello in sé, mentre, dal punto di vista immanente le sensazioni umane che si
manifestano nell’alternativa bello/brutto. Il bello in sé, il Sublime conduce
subito verso il metafisico, la perfezione delle idee, una realtà per- fetta non
appartenente alla realtà umana. Il semplice bello e brutto sono, invece,
giudizi tutti umani intorno a ciò che piace o non piace. Già Aristo- tele (384
a.C.-322 a.C.), nella Poetica (ποίησις, poiesis, il cui significato è fare,
creare) evidenziava come il parametro attraverso il quale giudicare un’opera
d’arte fosse la produzione o meno nel soggetto di una percezione gradevole, di
piacere. Sembra poi in generale che la poesia l’abbia prodotta due cause, e
tutte e due naturali. Infatti è proprio della natura umana, sin dall’infanzia,
l’istinto dell’imitazione e che tutti godano innanzi ai suoi prodotti, e l’uomo
differisce specialmente dagli altri animali come quel genere che più sa
imitare, e questo è il mezzo con cui si procaccia le prime cognizioni. E che
ciò sia vero è mostrato dai fatti, perché mentre certi oggetti, così come sono
in natura, ci riescono sgradevoli, le loro riproduzioni invece, quanto più sono
esatte, ci danno diletto, come le forme degli animali più ripugnanti e dei
cadaveri1. Aristotele definisce l’arte come capacità di suscitare piacere
attraver- so l’imitazione, ossia attraverso il primo strumento umano di
conoscenza. Dunque, riporta al soggetto che conosce la decisione intorno al
bello ed al brutto. In particolare, sottolinea che una imitazione perfetta
dell’orrore naturale può risultare piacevole e questa sensazione pare essere il
fonda- mento del diritto positivo come estetica. Il diritto positivo è
decisamente disumanizzante in quanto generale ed astratto, mentre l’essere
umano è particolare e concreto, pertanto non può essere giudicato con canoni
stati- stici, medi, ma deve essere indagato in tutte le sue particolarità
individuali, personali, ammesso che ciò sia possibile, se si intende
comprenderne vera- 1 Aristotele, La poetica, La Nuova Italia Editrice, Firenze
1940, p. 10. 94 Il diritto come
estetica mente il comportamento. Tutto vero; ma la natura, con il suo diritto
natu- rale, è ancora peggiore, poiché sembra colpire a caso, in modo
arbitrario, senza una qualsiasi giustificazione; giustificazione che, seppur
arbitraria, spesso anche ipocrita e sempre soggetta ad errore, il diritto
positivo tenta di fornire. Dunque, Aristotele ha ragione a sostenere che il
bello può scaturire anche dall’imitazione del brutto naturale; in questo senso
si indirizza anche un autore più recente quale Thomas De Quincey (1785-1859):
Ci asciughiamo le lacrime, e abbiamo forse la soddisfazione di scoprire che
un’azione disgustosa e indifendibile sotto il profilo morale si rivela, se
valutata secondo i criteri del gusto, un atto meritevole2. Non deve stupire il
divario tra dover essere ed estetica, perché il primo è frutto di una
duplicazione metafisica o razionale del tutto estranea (sal- vo che per il
concetto di Sublime) al secondo. Pertanto, abbandonata ogni duplicazione del
Mondo, il vero divario esistente, che tuttavia accomuna dover essere ed
estetica, riguarda la diversità che intercorre tra il sentito individuale,
personale ed il sentito indotto a qualche titolo (minaccia, edu- cazione,
tradizione, etc.) dall’ambiente circostante il soggetto. Ma si tratta di un
divario più apparente che sostanziale, poiché sussiste solo a livello
individuale, infatti, a livello collettivo, viene colmato dal gusto prevalente
dei gruppi sociali, che riescono ad assicurarsi il dominio sugli altri gruppi.
[...] la situazione nell’estetica non è dissimile da quella nell’etica. In en-
trambe le sfere di valori i criteri di valutazione del gruppo influenzano le
nostre decisioni, in entrambe sono stati interiorizzati nella voce della
coscienza o in quello che gli psicoanalisti chiamano il super-io. C’è una
creatura ansiosa na- scosta in noi che domanda posso fare questo?, oppure può
piacermi questo?3. Questa creatura è il nostro sdoppiamento, che non ci
consente aperta- mente di porci come unici giudici delle nostre azioni. È lo
sdoppiamen- to dell’eteronomia. Si cerca sicurezza in un parametro
comportamentale esterno ed, in quanto tale, presupposto oggettivo. L’autonomia
non con- cede giustificazioni esterne all’agire; si agisce palesemente per
seguire il proprio gusto, sia che esso sia originario, sia che sia stato indotto
dall’am- biente o dal determinismo. Tuttavia lo sdoppiamento appare più
evidente 2 Thomas De Quincey, L’assassinio come una delle belle arti, TEA,
Milano 1990, p. 25. 3 E.H. Gombrich, Ideali ed idoli. I valori nella storia e
nell’arte, Einaudi, Torino 1986, p. 94.
Il diritto come estetica 95 nella visione del bello metafisico, del
Sublime, espresso da Platone attra- verso l’esempio di un letto inteso come
mobile d’arredo, di un letto come quadro e dell’idea di letto: Questi nostri
letti si presentano sotto tre specie. Uno è quello che è nella natura: potremmo
dirlo, creato, creato dal dio. – Uno poi è quello costruito dal falegname. –
Sì, disse. – E uno quello foggiato dal pittore. Non è vero? – Va bene. – Ora,
pittore, costruttore di letti, dio sono tre e sovrintendono a tre specie di
letti. – Si, tre. – Ebbene, il dio, sia che non l’abbia voluto sia che qualche
necessità l’abbia costretto a non creare nella natura più di un solo e unico
letto, si è limitato comunque a fare, in un unico esemplare, quel letto in sé,
ossia ciò che è letto. Ma due o più letti di tal genere il dio non li ha
prodotti, e non c’è pericolo che li produca mai4. L’idea del letto in sé o del
bello in sé non si differenziano, sono entrambe metafisiche, assolute e perfette,
quindi rappresentano il corretto parametro verso il quale rivolgere
l’attenzione per sapere cosa è letto e, ciò che in questa sede più interessa,
cosa è bello. In questa prospettiva la dualizza- zione del mondo si è compiuta
completamente e l’eteronomia diviene un elemento strutturale del sistema
interpretativo del mondo, in generale, e di quello umano, in particolare.
L’ulteriore duplicazione, quella tra dover es- sere ed estetica, si è
probabilmente prodotta sia per contenere l’arbitrarietà evidente del senso
estetico, sia per quell’illusoria pausa che intercorre tra la constatazione che
una cosa piace e l’azione che ne segue. In questa pausa potrebbe celarsi il
libero arbitrio, che potrebbe far rinascere la distinzione secondo il
principio: ho agito in un modo che non mi piace perché era mio dovere farlo!
Purtroppo non abbiamo conoscenze idonee né per escludere che in quel momento
nel soggetto il dovere coincidesse con il piacere, ma neppure che questa pausa
concettuale tra sensazione ed azione esista e sia governata nella libertà.
Tralasciando ora i problemi metafisici legati al Sublime, in quanto frutto
della solita duplicazione del mondo già più volte discussa, pare interessan- te
approfondire il termine estetica, il cui significato deriva dal sostantivo
greco αίσθησις, che indica un sentire, una sensazione e dal verbo, sempre
greco, αισθάνομαι, che significa percepire attraverso la mediazione dei sensi,
ossia ricevere stimoli che producono sensazioni. L’essere umano percepisce in
continuazione sensazioni provenienti dal mondo esterno attraverso i suoi cinque
sensi fisici, ed è questa la base sulla quale si fonda il metodo empirico di
ricerca; ma percepisce anche sensa- 4 Platone, La Repubblica, in Tutto Platone,
Editori Laterza, Bari 1967, p. 427. 96
Il diritto come estetica zioni interiori, sentimenti provenienti da precedenti
esperienze, da ricordi, da pregiudizi, da preconcetti, da convinzioni
personali, da tutto ciò, in sin- tesi, che può essere considerato il suo vissuto
mentale. Queste due fonti di sensazioni non sono e non possono essere
rigorosamente separate, poiché insistono sull’unitarietà del soggetto che
percepisce. La percezione fisica viene selezionata, filtrata e completata dalle
propensioni della mente, sino al punto di rendere indistinguibile la percezione
fisica in quanto tale dal percepito e vissuto mentale. La questione, poi, si
complica ulteriormente, poiché la percezione occupa anche il campo del sogno e
del ricordo, con i loro stati dubbi, incerti di realtà empirica. Le percezioni
esterne presuppongono l’esistenza di un ambito circostan- te il soggetto, dal
quale partono gli stimoli che colpiscono i sensi. Non si può, tuttavia, essere
certi, che questo ambito esterno esista veramente fuori dal soggetto, poiché
ciò che si percepisce altro non è che una immagine, una sensazione mentale. Del
resto, non è neppure possibile asserire con certezza l’inesistenza del mondo
esterno, sempre per il problema che a giu- dicare è una entità soggettiva non
oggettiva. L’oggettività nella percezione umana è impossibile, per la stessa
natura umana di soggetto. Si è già osservato che alla mente non si presentano
che percezioni [...]. Ora, siccome le percezioni si distinguono in due generi,
impressioni e idee, questa distinzione solleva una questione, con cui avvieremo
la nostra indagine sulla morale: è dovuto alle idee oppure alle impressioni il
fatto che noi distinguia- mo la virtù dal vizio, e dichiariamo un’azione
biasimevole oppure pregevole? Questo escluderà tutti i discorsi e le dichiarazioni
arbitrarie, riconducendoci a qualcosa di preciso e di esatto in merito al
presente argomento5. La percezione, dunque, è legata ai sensi, l’acqua fredda
produce una sensazione di freddo, mentre l’impressione esprime la
predisposizione, il giudizio del soggetto verso il percepito: il freddo mi
produce sollievo dall’afa estiva o mi disturba perché abbassa la temperatura
dell’ambiente. Conseguentemente l’Autore non esita nella sua risposta, come del
resto era prevedibile data la Grande Divisione di cui è artefice ed alla quale
ha fornito anche il nome: [...] è impossibile che la distinzione tra bene e
male morale possa essere compiuta dalla ragione; poiché quella distinzione ha
sulle nostre azioni un’in- fluenza di cui la sola ragione non è capace. La ragione
e il giudizio possono, infatti, essere la causa mediata di un’azione, destando
o guidando una passione: 5 D. Hume, Trattato sulla natura umana, Bompiani,
Milano 2001, p. 903. Il diritto come
estetica 97 ma non bisogna pretendere che un giudizio di questo genere, sia
vero o sia fal- so, possa accompagnarsi alla virtù o al vizio6. Hume non si
limita a negare la predicabilità di vero/falso all’ambito mo- rale, ma affronta
anche la natura di questo ambito, di queste impressioni, ed appare con evidenza
che la sua analisi conduce direttamente al principio del piacere come
scriminante tra bene e male. La prossima domanda è: di quale natura sono queste
impressioni, e in che modo agiscono su di noi? È qui impossibile non esitare,
ma dobbiamo dichia- rare che l’impressione che sorge dalla virtù deve essere
gradevole, e quella che deriva dal vizio sgradevole. In qualsiasi momento
l’esperienza deve convin- cerci di questo. [...]. Una rappresentazione teatrale
o un romanzo bastano a darci esempi di questo piacere, che la virtù ci procura;
e del dolore, che nasce dal vizio7. Risulta chiaro che sia l’alternativa
buono/cattivo, sia quella bello/brutto dipendono dalle impressioni umane, ossia
sono legate alla percezione di piacere o di dolore. Nell’essere umano la
percezione è unitaria, non esisto- no due diverse forme di percezione, come può
dimostrare l’empiria, forse possono esistere due diverse forme di impressioni,
se elaborate nella mente e quindi non sottoponibili, almeno per ora, a
verifica/falsificazione empiri- ca. Dunque, se non si desidera procedere ad una
ulteriore duplicazione, pri- va in questo caso di motivazione, che avrebbe un
sapore formale incentrato sul mero linguaggio (dover essere o mi piace) e non
su fatti, tra percezioni e conseguenti impressioni morali ed estetiche, si deve
concludere che vi è un’unica percezione ed i due ipotetici tipi di impressioni
coincidono tra loro e sono un solo ed unico tipo di impressione; ossia la
morale altro non è che una forma dell’estetica in quanto fondata, come
l’estetica, sul piacere. In questo caso la prova empirica è possibile poiché si
tratta di impressioni prodotte da percezioni, sensazioni empiriche, salvo
sempre, ovviamente, la duplicazione strutturale del mondo in fisico e
metafisico. Se le percezioni esterne, produttrici di impressioni esterne,
provengono dalla presupposta esistenza di un mondo esterno al soggetto
percipiente, da dove provengono le sensazioni interne, ammesso che abbiano
natura diversa da quelle esterne? La risposta potrebbe risiedere nella capacità
del- la mente di apprendere, ricordare e rielaborare il percepito ed il
sentito, in qualunque modo venga percepito e sentito: fisico o metafisico.
Certa- 6 D. Hume, op. cit.., p. 915. 7 D. Hume, op. cit., p. 931.
98 Il diritto come estetica mente la tradizione,
l’educazione, le convinzioni religiose e scientifiche dovrebbero giuocare un
ruolo centrale nella determinazione delle sensa- zioni interiori e nel giudizio
su quelle esteriori. Commozione, attaccamen- to, repulsione, amore, odio, etc.
possono essere conseguenze di precedenti esperienze: il fuoco mi ha scottato e
provo una repulsione nell’avvicinarlo. Ma anche preconcetti, superstizioni,
credenze si presentano come sensazio- ni interiori e possono avere un’origine
culturale: provo paura alla vista di un gatto nero, perché sono convinto che
porti sfortuna; provo gioia per aver trovato un quadrifoglio, perché penso che
porti fortuna. Searle affronta il tema immediatamente nel suo significato
empirico; le impressioni umane determinano il comportamento, in presenza del
libero arbitrio, attraverso le sensazioni di piacere o di dispiacere. Dunque,
le sensazioni di piacere o di dispiacere si collocano all’origine
dell’intenzionalità, che per sua stessa natura è sempre e solo cosciente;
pertanto la domanda da porre diviene la seguente: come funzionano nei
particolari gli stati intenzionali? L’Autore, pur reputando che resti un
mistero il funzionamento dell’intenzionalità, tuttavia fornisce alcune
interessanti riflessioni ed indicazioni in merito. [...] ogni stato cosciente
presenta un certo grado di piacere o dispiacere. Per meglio dire, occupa una
certa posizione sulla scala che include le nozioni ordi- narie di piacere e
dispiacere. Così, per ogni esperienza cosciente che qualcuno abbia, è sensato
chiedergli: È stato piacevole? È stato bello? Sei stato bene, male, ti sei
annoiato, ti sei divertito? È stato disgustoso, delizioso o deprimen- te? La
dimensione piacere/dispiacere si estende pervasivamente a tutti gli stati di
coscienza8. Si deve notare che la dimensione piacere/dispiacere ha natura
empiri- ca, ossia può essere sottoposta ad un processo di
verifica/falsificazione, pertanto passare da un giudizio di valore ad un
giudizio estetico comporta anche la reintroduzione della metodologia empirista.
Ovviamente non ri- guardo all’oggettività del giudizio, ma all’impressione
prodotta dalla sen- sazione percepita. Infatti, un giudizio morale, se non si
identifica con un giudizio estetico, se non è un giudizio estetico, non può
scaturire da una sensazione produttrice di impressioni di piacere/dispiacere,
non solo per Kant, ma per sua stessa definizione, in quanto il dover essere,
per essere morale, deve essere anche privo di interesse personale. In modo
diverso si presenta la doverosità giuridica, che può anche essere sostenuta da
un interesse personale, e, proprio per questo motivo, sembra appartenere più 8
J.R. Searle, La mente, cit., p. 128. Il
diritto come estetica 99 al mondo dell’estetica che a quello della morale. Ma è
bene continuare con Searle, che precisa il concetto di percezione: Dovremmo
concepire la percezione non come qualcosa che crea la coscien- za, ma come
qualcosa che modifica un campo di coscienza preesistente9. Siamo vicini
concettualmente alla res cogitans di Descartes, ma lontani dalla sua
astrattezza; infatti in Searle tutto ruota intorno ad una sensazio- ne
rapportata ad una percezione non necessariamente autoreferenziata al soggetto
percipiente; in breve, soggetto ed oggetto vengono posti in cor- relazione, non
rigidamente separati. Pare un timido tentativo di riduzione del dualismo
soggetto/oggetto. Ma ciò che più conta riguarda direttamente lo stato mentale
cosciente, che altro non è che l’espressione delle proprie condizioni di
piacere/dispiacere. L’esser vera sta alla credenza come l’esser appagato sta al
desiderio o l’esser realizzata sta all’intenzione. Propongo di descrivere tale
fenomeno nel modo seguente: ogni stato intenzionale con direzione di
adattamento non nulla pos- siede condizioni di soddisfazione. Possiamo
considerare gli stati mentali come rappresentazioni delle proprie condizioni di
soddisfazione10. Searle è esplicito; la separazione fatti/valori comporta, per
i fatti, la pos- sibilità di rispondere a verificabilità empirica, mentre, per
i valori morali o estetici, negata questa possibilità, produce la mera
soddisfazione o insod- disfazione personale del soggetto agente. La Grande
Divisione persiste, ma ridimensionata entro un vocabolario, che meglio la
descrive. La sepa- razione tra giudizi di fatto e giudizi di valore non
esaurisce la serie delle possibili divisioni. Infatti, subito subentra anche la
sottodivisione giudizi di valore e giudizi di estetica, come si è già visto.
Tuttavia, mentre la pri- ma divisione regge alla prova empirica come
scriminante fra i due tipi di giudizio (solo i giudizi di fatto sono
empiricamente verificabili/falsifica- bili), la seconda suddivisione (giudizi
etici/giudizi estetici) non trova altra giustificazione che il tentativo di
recuperare, attraverso il giudizio etico, di 9 J.R. Searle, op. cit., p. 141.
10 J.R. Searle, op. cit., p. 154. “Come è possibile che io abbia sete d’acqua?,
vale a dire che abbia un desiderio il cui contenuto è bere acqua. [...] la
risposta si fornisce mostrando la connessione essenziale tra intenzionalità e
condizioni di soddisfazione. Ciò che fa del mio desiderio il desiderio di bere
acqua è che sarà soddisfatto se e solo se berrò acqua. Non si tratta di
un’osservazione psicologica che predice cosa mi farà sentire bene, ma della
definizione del contenuto intenzionale pertinente”. Ibidem, p. 171.
100 Il diritto come estetica valore, un
metafisico assoluto, trascendente od anche solo razionale. Del resto, risulta
chiaro che, rispetto alla sua origine, il giudizio di valore non è altro che un
giudizio estetico, poiché scaturisce da condizioni di soddisfa- zione o, se si
preferisce, da sensazioni percepite e produttrici di impressioni
(piacere/dispiacere). Le sensazioni, dunque, producono dei giudizi estetici
(impressioni), ri- assumibili sinteticamente nell’alternativa mi piace/non mi
piace. Si tratta ora di vedere se questi giudizi estetici, oltre all’origine,
possiedono anche i medesimi caratteri dei giudizi di valore. Sia i giudizi
estetici che i giudizi di valore esprimono una dimensione meramente mentale, ma
mentre i primi dovrebbero essere finalizzati a manifestare un piacere
personale, i secondi, invece, dovrebbero svolgere la funzione di governo del
comportamento. Ma il giudizio di valore che cosa è? Vi è una sola alternativa
possibile: o è un valore assoluto, in qualche modo trascendente, che è giunto
all’essere umano dal di fuori per illuminazione, per rivelazione, per
quant’altro di immaginabile; oppure è un valore relativo, nato nella mente del
soggetto agente e caratterizzato dalla sue preferenze. Si tralasci ancora il
primo caso, che resta indimostrabile empiricamente e che, comunque, deriva
sempre dalla duplicazione del mondo, e si affronti il secondo caso. Esso non si
distingue dal giudizio estetico: è soggettivo nel medesimo modo; porta giu-
stificazioni solo apparentemente diverse alla propria adozione; infatti, al di
là di giustificazioni autonome od eteronome, funzionali, utilitaristiche,
pietistiche, anagrafiche, culturali, etc., la scelta finale altro non è che una
preferenza personale, un equilibrio tra le convinzioni e le scelte possibili,
che soddisfi il soggetto, lasciandolo emotivamente tranquillo. Il giudizio di
valore è un giudizio estetico formulato in modo diverso, poiché pone l’accento
sul comportamento da tenere e non sul piacere nel tenerlo, ma la forma non
riesce a mascherare il piacere di fondo, che si colloca all’origine delle
scelte etiche; dunque, poco conta la forma funzio- nale, ciò che importa è,
invece, la matrice, la natura comune, unitaria, che li caratterizza. Inoltre la
loro sovrapponibilità perfetta è anche confermata dal modo in cui se ne può
venire a conoscenza: per sapere quali siano i giudizi estetici e di valore di
un soggetto non è possibile fare altro che porre la domanda al soggetto medesimo
od osservarne il comportamento, pre- supponendo (sperando) che il pensiero sia
coerente con l’azione. Tuttavia i giudizi estetici presentano un vantaggio
empirico su quelli di valore: il giu- dizio estetico produce un immediato senso
di piacere nel soggetto, piacere che è empiricamente verificabile; al
contrario, il giudizio di valore aspi- rerebbe ad essere disinteressato e,
quindi, il piacere non dovrebbe essere percepibile nell’imperativo del dovere.
Ciò ovviamente nasconde il piacere Il diritto
come estetica 101 originario della scelta etica, ma, soprattutto, lascia
intendere l’estraneità alla verifica/falsificazione empirica del giudizio di
valore, in quanto asso- luto, a priori, arbitrario. Anche il giudizio estetico
è e resta arbitrario, ma esso riconosce la propria origine empirica nel piacere
e, quindi, può essere studiato anche senza duplicare il mondo. Demistificare il
giudizio di valore significa svelarne l’egoismo e la volontà di potenza, che
nasconde. Il pathos dell’aristocrazia e della distanza [...] il duraturo e
dominante sen- timento totale e basilare di una specie superiore e dominante
nei confronti di una specie inferiore, di un sotto, questa è l’origine
dell’opposizione tra buono e cattivo. (Il diritto signorile di imporre nomi,
risale così indietro nel tempo, che si sarebbe autorizzati a ritenere l’origine
della lingua stessa come espressione di potenza di chi era al potere: essi
dicono questo è questo e questo e con un suono impongono il loro sigillo a cose
e avvenimenti e, così facendo, se ne impossessano)11. Il giudizio di valore ha
una lunga storia dietro le spalle di violenza, di persecuzioni, di soprusi, di
processi, di torture, di eresie, di condanne capi- tali proprio per questa sua
tendenza a porsi fuori dall’immediato giudizio umano individuale, per questa
sua costante aspirazione all’assoluto, anche quando si manifesta palesemente
come relativo, come appunto avviene nell’ambito del diritto. Infatti, quando il
giudizio di valore prende vera- mente atto della propria relatività, si apre il
capitolo del nichilismo e del nichilismo giuridico. Il giudizio estetico,
invece, non sembra manifestare questa tendenza: esso è relativo e tale resta,
almeno nella attuale cultura occidentale, eppure i due giudizi sono un medesimo
giudizio, che, più cor- rettamente dovrebbe essere definito solo giudizio
estetico12. Per continuare ora la marcia verso il diritto estetico si devono
svolgere alcune considerazioni intorno al diritto. Non si tratta certo di
aspirare ad una compiuta definizione di diritto, che ha affaticato vanamente
genera- zioni di giuristi, quanto piuttosto di estrarne alcuni caratteri, che
possono evidenziarne la natura. Kelsen individua chiaramente due aspetti
diversi, ma fondamentali, del diritto: la validità e l’efficacia. 11 F.
Nietzsche, Genealogia della morale, Newton Compton Editori, Roma 1988, p. 49.
12 “[...] quello che vale per i giudizi di valore sensoriali e estetici vale
anche per quelli morali, di cui fanno parte quelli politici e sociali”. Th.
Geiger, Saggi sulla società industriale, cit., pp. 452-453.
102 Il diritto come estetica La possibile indipendenza
della validità della singola norma giuridica dalla sua efficacia indica
nuovamente la necessità di distinguere con chiarezza fra i due concetti13. La
validità attiene alla vincolatività giuridica della norma, l’efficacia, invece,
alla sua capacità di manifestarsi nella realtà operativa umana. La validità
appartiene al mondo delle convinzioni, mentre l’efficacia a quel- lo
dell’empiria. Efficace è una norma che viene applicata da coloro cui è diretta,
rivolta; valida è una norma che viene considerata appartenente all’ordinamento
giuridico vigente, ossia in essere in un certo luogo e tempo (si tratta sempre
di convinzioni personali). In entrambe i caratteri la realtà, tuttavia, non può
essere tralasciata: è evidente per l’efficacia, ma è altret- tanto evidente
anche per la validità dell’ordinamento giuridico, che o si impone o non si
impone come efficace. Come è impossibile nella determinazione della validità di
astrarre dalla re- altà, così è anche impossibile di identificare la validità
con la realtà. [...]. Nel senso della teoria qui sviluppata il diritto è un
determinato ordinamento (od organizzazione) della forza14. Il diritto, dunque,
si presenta sia come valore (validità), sia come forza (efficacia), ma anche la
validità a livello di ordinamento giuridico, ossia di cambio di regime politico
o sociale, si riduce ad efficacia, in breve, a forza. Certo, la validità cerca
di pilotare l’attenzione verso il giudizio di valore, verso il dover essere,
verso la vincolatività, verso la doverosità, ma il depi- staggio non è
sufficiente a far scomparire la forza, la violenza (sanzione), come principale
carattere identificativo del diritto. È al vincitore che appartiene il vinto,
con la sua donna e i suoi figli, i suoi beni e il suo sangue. La violenza è il
primo fondamento del diritto, e non c’è diritto che nel suo fondamento, non sia
tracotanza, usurpazione, prepotenza15. La forza del diritto è, dunque, mera
forza bruta, mera violenza, alla qua- le è difficile resistere, senza subire
gravi danni materiali. Il mito dell’ob- bligo giuridico, della doverosità,
prima, morale e, poi, anche giuridica, non descrive fedelmente il fenomeno
diritto, ma lo cela dietro un immateriale velo di spontanea subordinazione, di
impegno interiore, che poco o nulla esprime del reale. Nel dover essere la
fantasia imperversa libera da qualsia- 13 H. Kelsen, Lineamenti di dottrina
pura del diritto, cit., p. 104. 14 H. Kelsen, op. cit., pp. 101-102. 15 F.
Nietzsche, Verità e Menzogna, Newton Compton Editori, Roma 1988, p. 103
Il diritto come estetica 103 si vincolo
empirico verso poli opposti di intensità, che vanno da una razio- nalità morale
dubbiosa, moderata e tollerante ad un integralismo fanatico ed intollerante, e
di qualità, di contenuto variegato e molteplice. Sia i giuristi che i filosofi
sono perfettamente consapevoli del fatto che la forza vincolante del diritto
non è un elemento del mondo spazio-temporale che li circonda, del mondo
empirico. L’ovvia conclusione a cui dovrebbe portare tale constatazione è che
la forza vincolante esiste soltanto nell’immaginazione degli uomini. Ma la
convinzione della sua esistenza reale è talmente radicata che una simile idea
non è stata quasi mai formulata. Al contrario la nozione di forza vincolante
intesa nel senso tradizionale ha continuato, e continua tutto- ra, a costituire
una della assunzioni fondamentali di tutte le teorie giuridiche correnti16. Il
diritto è l’organizzazione della forza operata dal gruppo sociale domi- nante,
sia esso politico, economico, etnico, religioso od anche solo mag- gioritario;
neppure la democrazia, infatti, è estranea a questo contenuto del diritto.
Pertanto, la burocrazia, come organizzatrice di questa forza, svolge un ruolo
dominante nel diritto, anzi, il diritto come procedura, come applicazione
procedurale e processuale è burocrazia, tecnica buro- cratica con tutti i
problemi disumanizzanti, che sono già stati evidenziati nel rovesciamento della
tecnica da mezzo a fine. Anche il diritto rischia e talvolta subisce tale
rovesciamento. Basti pensare al detto latino: Fiat ius et pereat mundus. Il
diritto, secondo questo broccardo, deve trionfare in quanto tale, costi quello
che costi; si presenta come un imperativo cate- gorico di kantiana memoria, che
ha perso la sua funzione di trattamento dei conflitti sociali17 e si è
trasformato in un valore assoluto, metafisico, da mezzo è diventato fine. Non
si tratta, dunque, di descrivere il diritto quale si vorrebbe che fosse, ma di
attenersi rigorosamente al diritto quale esso effettivamente è nella realtà
umana. In questa direzione il diritto si manifesta come l’espressione di una
preferenza individuale, che, sommata ad altre preferenze individuali omogenee,
riesce a raggiungere un punto critico di forza, a produrre una forza dominante,
sulla base della quale si impone nel contesto sociale e si organizza secondo il
modello burocratico. Questa scelta personale, spesso detta ideologica, altro
non è che una prefe- renza estetica del soggetto, che risponde alla domanda: mi
piace o non mi piace? L’organizzazione, che ne deriva, dunque, in nulla si
discosta dagli stili e dai canoni estetici, che hanno accompagnato l’essere
umano lungo 16 K. Olivecrona, Il diritto come fatto, Giuffrè, Milano 1967, pp.
9-10. 17 Cfr. V. Ferrari, Funzioni del diritto, Editori Laterza, Roma-Bari
1987. 104 Il diritto come estetica la
storia nelle sue avventure culinarie, musicali, letterarie, architettoniche,
pittoriche, scultoree, etc.. Non casualmente, infatti, non solo il nichilismo
giuridico ha fatto la sua comparsa all’orizzonte delle nostre società con-
temporanee, ma anche i modelli, le regole, i canoni, gli ordini estetici, con
la modernità, sono precipitosamente tramontati. Il nichilismo si converte, a
parte subjecti, in solipsismo giuridico. Il diritto è scelto da me; accettando
l’inizio, anche accetto le procedure, con cui si svolge l’intero ordine di
norme. Scegliendo l’inizio di un regime democratico accetto il criterio della
maior pars, e procurerò di scendere nel conflitto e di inserirmi in una od
altra delle forze in campo18. Il solipsismo è l’essenza stessa del nichilismo;
la piena consapevolezza dell’autonomia individuale umana19; il riconoscimento
dell’irriducibilità del soggettivismo ad oggettività; la constatazione che
l’individuo è il referente ultimo ed indiscutibile di qualsiasi scelta.
L’individuo osserva se stesso e, senza la duplicazione del mondo, resta solo
con se stesso, con le proprie speranze, con le proprie opinioni, con il proprio
senso estetico, ma anche con le proprie angosce e con un profondo senso di
impotenza, che certo non riesce ad essere compensata dalla volontà di potenza
insita nel nichilismo. Non deve stupire che il nichilismo ed ancor più il
nihilismo dei valori terrorizzi i gruppi sociali dominanti. Sono, infatti, essi
che governano più facilmente, velando la forza ed il potere con lo strumento
del dover essere etico, morale e giuridico, che riescono a meglio celare i
propri interessi e le proprie preferenze estetiche sotto una parvenza di
universalità, di bene comune, di giustizia oggettiva. [...] la teoria del
nihilismo dei valori è altrettanto pericolosa quanto alcuni secoli orsono lo è
stata la nuova immagine astronomica del mondo, e cento anni fa la teoria
genetica e a suo tempo ogni rivoluzionamento delle rappre- sentazioni abituali.
A lungo andare tale pericolosa verità non potrà rimanere celata; gradualmente
si imporrà, e sarà pericolosa soltanto nella misura in cui durante un periodo
di transizione provocherà disorientamenti passeggeri. Con il graduale
adattamento degli atteggiamenti pratici di vita alla nuova visione teorica il
pericolo verrà superato. Per ciò che concerne in particolare l’incom- bente
pericolo del nihilismo dei valori, di una disgregazione morale, io non riesco a
vederlo. Nessun nihilismo dei valori potrà far sì che il nostro standard 18 N.
Irti, Nichilismo giuridico, cit., p. 139. 19 Cfr. V. Frosini, L’ipotesi
robinsoniana e l’individuo come ordinamento giuridico, in Sociologia del
Diritto, 2001/3, pp. 5-15. Il diritto
come estetica 105 morale sia più disgregato di quanto già non lo sia a causa
dello scisma delle rappresentazioni morali20. La Grande Divisione di Hume si trasforma,
come si è visto preceden- temente, facendo cadere il termine giudizi di valore
e sostituendolo con il termine giudizi di estetica. Ciò produce un certo
vantaggio nel campo della tolleranza, poiché è a tutti noto e da quasi tutti
accettato che i gusti sono personali e non discutibili (de gustibus non est
disputandum), per- tanto non ha senso affaticarsi a convincere gli altri della
maggiore bontà dei propri gusti, della bontà dell’arrosto piuttosto che dello
stufato o del bollito, della bellezza dello stile architettonico romanico
piuttosto di quel- lo gotico o barocco. Il soggettivismo appare in tutta la sua
sfrontatezza e taglia la strada a qualsiasi tentativo di oggettivizzazione. Ma
ciò vale tanto per il prossimo, quanto per il soggetto medesimo e questo fatto
(si tratta di un fatto l’origine personale dei giudizi) mina alla radice ogni
presuntuosa pretesa di verità assoluta. Solo l’ottusità cerebrale potrà
consentire con- vinzioni personali certe ed intolleranti delle, altrettanto
possibili quanto le nostre, scelte e ragioni estetiche altrui. Il nichilismo ha
in parte contribuito a costruire questa strada ed in altra parte ne è la
conseguenza. Il nihilismo, poi, ne è lo sviluppo logico più radicale, ma anche
più concreto e coerente. L’inesistenza fattuale, oggettiva dei valori non
poteva più trovare pudica copertura nell’ipotetica equivalenza di qualsiasi
valore. Il soggettivismo non produce tante oggettività diverse, non produce
alcuna oggettività. Il soggettivismo, se rende il soggetto consapevole dei
propri limiti, dovreb- be guidarlo anche verso una revisione critica delle
proprie convinzioni, prima che verso la censura delle convinzioni altrui. Il
nihilismo non è né caos, né arbitrio capriccioso, ma semplice consapevolezza
dei propri limiti conoscitivi e questi limiti, nella loro varietà, forniscono
il panorama del multicolore teatro umano. La pazzia è una forma particolare
dello spirito e aderisce a tutte le dottrine e le filosofie, ma ancor più alla
vita di ogni giorno, poiché la vita stessa è colma di follia ed è sostanzialmente
irragionevole. L’uomo aspira alla ragione solo per potersi creare delle regole
per lui stesso. La vita in sé non ha regole. Questo è il suo segreto, questa è
la sua legge sconosciuta. Quello che tu chiami cono- scenza è un tentativo di
imporre alla vita qualcosa che risulti comprensibile21. 20 Th. Geiger, Saggi
sulla società industriale, cit., p. 559. 21 C.G. Jung, Il libro rosso. Liber
novus, Bollati Boringhieri, Torino 2013, pp. 227-228.
106 Il diritto come estetica La partita intorno al nihilismo
la si può giuocare solo se si considera fuorviante la duplicazione metafisica
del mondo; è, infatti, solo nell’ipotesi metafisica che i valori non sono
giudizi, ma fatti di una oggettività assoluta, tanto assoluta da essere
trascendente. Il dualismo cartesiano, razionale (res cogitans/res extensa),
potrebbe anche sussistere, giacché nulla impedisce in via teorica che le scelte
estetiche siano frutto di autonoma elaborazione mentale. Intorno al tema del
determinismo o dell’indeterminismo, poi, la caduta della categoria del dover
essere e della sua sostituzione con il giu- dizio estetico, non muta la
prospettiva, che resta come scelta necessaria nel primo caso e libera nel
secondo. Evidentemente si avranno due diversi giudizi estetici: l’uno condizionato
dal sistema e l’altro espressione della scelta, della preferenza del soggetto
singolo. Resta sempre aperto il proble- ma se il soggetto può essere
completamente libero da condizionamenti di qualsiasi tipo, a cominciare da
quelli culturali, ma questi condizionamenti potrebbero anche essere intesi
proprio come i limiti personali, individua- li della conoscenza. Deve risultare
ben chiaro che né le ipotesi trascen- denti, né quelle immanenti e neppure il
determinismo e l’indeterminismo possono essere sostenuti da
verifica/falsificazione empirica; al massimo è possibile affermare che ciò che
si verifica empiricamente è empiricamente verificabile: una tautologia, come è
evidente. Il nichilismo, tuttavia, viene visto da Nietzsche, e non solo da lui,
come un mostro incombente, come una sciagura del nostro mondo occidentale, ma
una tale visione negativa appare eccessiva a chi scrive: Pensiamo questo
pensiero nella sua forma più terribile: l’esistenza, così com’è, senza senso e
scopo, ma che ritorna ineluttabilmente senza finire nel nulla: l’eterno
ritorno. È questa la forma estrema del nichilismo: il nulla (il non senso)
eterno!22. È bene ripeterlo; il nichilista ed il nihilista dovrebbero mettere
in discus- sione le proprie scelte, non le altrui, che rispondono ad un
soggettivismo esterno ed estraneo al nostro e, quindi, si presentano
insindacabili, in quan- to autonome. L’educazione in questo ambito è destinata
a trasformarsi in autoeducazione, in autocontrollo, in autolimitazione, non
certo in arbitrio verso il prossimo, sul quale non si potrebbe vantare alcun
titolo, come il prossimo non può vantare alcun titolo verso il soggetto agente.
Risulta evidente che etica, morale, diritto, sinteticamente, dover essere, in
questa cornice risultano privi di senso, ma ciò non significa, che la vita 22
F. Nietzsche, Il nichilismo europeo, Adelphi, Milano 2006, pp. 13-14.
Il diritto come estetica 107 umana sia priva
di senso. Significa soltanto che il senso non è dato, non può essere dato, da
valori né morali, né giuridici, ma solo dal soggetto stesso, ammesso che abbia
senso interrogarsi intorno al senso di un essere, di un esistere che si
presenta come dato ineluttabile, ineludibile, come un dato primo, come una
singolarità, si potrebbe dire con espressione propria della fisica teorica. Un
diritto estetico è solo espressione di una maggiore consapevolezza intorno alla
realtà, non certo di un imbarbarimento dei costumi. Se, infatti, il diritto
estetico è mero frutto di una descrizione, come pare che sia, e non di una scelta
valoriale, allora già esiste nei fatti, come sostiene chi scrive, e nulla muta
nell’averlo smascherato, se non una maggiore chiarezza sul- la natura e i
limiti del diritto. Il diritto estetico è un diritto positivo, che non si
nasconde dietro né la trascendenza universalistica dello Stato, né la
doverosità metafisica della norma, ma prende atto della propria origine
arbitraria umana. Del resto è interessante riflettere intorno al fatto che già
in epoca romana si discuteva sull’identificazione di ius come ars. L’idea di
associare alle artes la conoscenza del ius appare infatti, sia pure di fuggita
e in modo concettualmente marginale, in due testi di Tacito e di Gellio,
entrambi, curiosamente, riferiti a Labeone [...]. La connessione fra ius e ars
era stata infatti, tempo prima, una bandiera [...] degli studi giuridici di
Cicerone. Quando Celso scriveva non poteva pensare che a lui23. Naturalmente,
all’epoca, il termine ars non corrispondeva all’attuale si- gnificato di opera
artistica, tuttavia, nella interpretazione di Marco Tullio Cicerone (106 a.
C.-43 a. C.) esso descriveva l’elaborazione di un metodo, di una teoria
tecnico-logica universale, di una dottrina razionale. Tale dot- trina, frutto
dell’interpretazione giuridica, spostava sulla ragione umana il contenuto
normativo e, quindi, consapevolmente o inconsapevolmente il diritto, pur
sembrando trasformarsi in una forma di conoscenza e non di volontà, in realtà
diveniva una elaborazione dei giuristi, una scelta relativa, arbitraria,
soggettiva, come tutte le scelte umane. Nota infatti senza esitazioni Guido
Alpa: Un po’ di sano realismo consente di dissacrare i dogmi
dell’interpretazione, o, meglio, di strappare il velo dell’omertà su dogmi
interpretativi. Questi dog- 23 A. Schiavone, Ius. L’invenzione del diritto in
Occidente, Einaudi, Torino 2005, p. 385.
108 Il diritto come estetica mi tacitando le coscienze, restituiscono
tranquillità al giudice, danno conforto al dottore. Tutti questi schemi o
espedienti possono essere considerati per l’appunto schemi o espedienti da
parte di altri interpreti, e quindi la linea del lecito e dell’arbitrio tende a
spostarsi o a non riconoscersi. Nella più parte di casi essa coinciderà con la
linea che la maggioranza degli interpreti dirà essere collocata nella posizione
corretta24. Il soggettivismo, di cui l’interpretazione è un aspetto, esprime
nel diritto estetico tutta la propria potenzialità delegittimante di Stati,
ordinamenti giuridici e norme giuridiche non condivise, ma semplicemente
subite. Poiché l’origine dell’autorità, la fondazione o il fondamento, la
posizione della legge possono per definizione appoggiarsi alla fine solo su
loro stessi, sono anch’essi una violenza senza fondamento. Il che non vuol dire
che siano ingiusti in sé, nel senso di illegali o illegittimi. Non sono né
legali né illegali nel loro momento fondatore. Eccedono l’opposizione del
fondato e del non fondato, come di ogni fondazionalismo o di ogni
antifondazionalismo. Anche se il successo di performativi fondatori di un
diritto (ad esempio, ed è più di un esempio, di uno Stato come garante di
diritto) suppongono delle condizioni e delle convenzioni preliminari (ad
esempio, nello spazio nazionale o interna- zionale), lo stesso limite mistico
risorgerà all’origine supposta delle suddette condizioni, regole o convenzioni
– e della loro interpretazione dominante. [...] il diritto è essenzialmente
decostruibile [...] perché il suo ultimo fondamento per definizione non è
fondato25. Ancora una volta per discutere del fondamento si deve uscire sia dal
soggettivismo, sia, conseguentemente, anche dall’empiria, per entrare in una
qualche forma di duplicazione mistica del mondo. L’alternativa, sem- pre
possibile resta il nichilismo/nihilismo, ma anche del nichilismo/nihi- lismo si
può avere una versione metafisica ed una non metafisica legate alla sorte
dell’Essere e dell’Ente: inesistente, il primo, (metafisica come affermazione
infondata); in dissoluzione, il secondo, (come espressione empiricamente
verificabile/falsificabile). Se l’Essere è inesistente la me- tafisica diviene
priva di fondamento, mentre l’Ente, dissolvendosi nel non essere, appartiene al
mondo dell’empiria. Tuttavia la dimensione metafisi- ca può anche sopravvivere,
monoteisticamente, con un Essere molteplice, 24 G. Alpa, Interpretare il
diritto: dal realismo alle regole deontologiche, in J. Derrida, G. Vattimo (a
cura di), Diritto, Giustizia e Interpretazione, Laterza, Roma-Bari 1998, p.
210. 25 J. Derrida, Diritto alla giustizia, in J. Derrida, G. Vattimo (a cura
di), op. cit., pp. 16-17. Il diritto
come estetica 109 ad esempio, nel Cristianesimo, con una Divinità una e trina
e, nella Gnosi, con il progressivo alienarsi, decadere del divino nella
materia, (in alterna- tiva politeista: con una molteplicità di Esseri equivalenti)
oppure con un Ente cristallizzato, che si manifesta immutabile. Ma anche la
negazione, il Nulla, se dotato di esistenza, di presenza e non di assenza,
vincola alla metafisica. Si sarà già capito che il nichilismo rimane impigliato
nella metafisica fino a che, anche solo implicitamente, si pensa come la
scoperta che là dove crede- vamo ci fosse essere, c’è, in realtà, il nulla.
Così, dove credevamo ci fossero principi della legge c’è solo l’arbitrio del
legislatore o dell’interprete, la de- cisione infondata, e per questo
essenzialmente violenta, che deve essere resa accettabile dalla finzione delle
affabulazioni, o da una accettazione motivata misticamente (nella versione
kierkegaardiana del nichilismo). Una definizio- ne non metafisica del nichilismo
si può invece formulare richiamandosi all’e- spressione con cui Heidegger
caratterizza la storia del nichilismo nietzschiano: nichilismo è la vicenda
nella quale dell’essere come tale non ne è (più) nulla. Nichilismo, se non deve
(e non può) intendersi come la scoperta che al posto dell’essere c’è il nulla,
non può che pensarsi come la storia (senza fine – senza conclusione in uno
stato in cui al posto dell’essere c’è il nulla) in cui l’essere,
asintoticamente, si consuma, si dissolve, si indebolisce26. Il Nulla è entità
metafisica al pari dell’Essere, tuttavia, paradossalmente, tale negazione
dell’Essere, del Principio può trasformarsi, capovolgendosi, in affermazione a
livello di teologia negativa. Scrive, infatti, Andrea Emo (1901-1983): Il principio.
Dobbiamo cominciare con un principio. Ma, nessun principio è definibile od
oggettivabile. Dobbiamo dunque cominciare con la rinuncia ad un principio, il
che equivale ad una negazione del principio. Ed è appunto questa negazione che
è il principio. Il cogito. Come passare da questa negazione alla presenza.
Dobbiamo contemplare l’origine della negazione. L’assolutezza della presenza
consiste in questo: che essa non è presenza in quanto presenza di qualcosa, ma
è presenza per sé, in quanto cioè nega ogni cosa. Nega ogni cosa che non sia la
presenza stessa. Il suo essere pura presenza è un essere presenza di... che è
un essere presenza di nulla, quindi è un negarsi, appunto perché è un ridurre a
presenza27. 26 G. Vattimo, Fare giustizia del diritto, in J. Derrida, G.
Vattimo (a cura di), op. cit., p. 286. 27 A. Emo, Il Dio negativo. Scritti
teoretici 1925-1981, cit., pp. 18-19.
110 Il diritto come estetica La negazione diviene, metafisicamente,
affermazione proprio per la sua alienazione da qualsiasi affermazione. Ma
questa affermazione negativa della metafisica si distingue dall’affermazione
positiva dell’empiria, poi- ché mentre quest’ultima è oggettivata,
individualizzata, è parte di un tutto, la prima, invece, è puro soggetto, privo
di specificazioni e qualità empiri- che, proprio perché le trascende come puro
Essere. In questa logica nega- tiva conoscenza e volontà, pur coincidendo, si
connotano come non cono- scenza e non volontà. Ovviamente, l’ipotesi si
capovolge nella metafisica positiva, nella quale conoscenza e volontà si
presentano come assolute, e scompare nell’empiria, ove la negazione è
metamorfosi, ove il nulla è essere altro. Tuttavia anche nella metafisica
negativa il nulla sembra sci- volare nell’altro, tanto altro da essere al di là
della fisica e della metafisica, ossia del pensiero umano, ma questo altro è a
sua volta nulla, almeno per la dimensione conoscitiva umana, che non riesce a
comprendere un altro non umano e fatica ad immaginare una nullità, una assenza
assoluta. Tornando ora in modo più stretto al tema del diritto, è possibile
riassu- mere quanto detto nel seguente modo: se conoscere e volere coincidono a
livello metafisico, nella realtà fisica possono sia coincidere (Spinoza), sia
non coincidere (volontà di potenza) e lasciare spazio a scelte soggettive. Il
diritto, inteso come estetica, consente di non rinunziare al diritto, pur rela-
tivizzandolo, e di affidare al singolo soggetto l’adesione o meno al diritto
dominante, che in questo modo non rappresenta più una obbligatorietà, ma
l’alternativa tra una vita omologata, ma sicura (forse), ed una vita origina-
le, deviante, ma pericolosa. La norma estetica può essere obbedita o disat-
tesa. Il disattenderla, senza possedere una potenza, una forza sufficiente a
piegarla alla propria volontà, significa soccombere alla forza dominante.
Disattendere il diritto diviene una scelta come tante altre, della quale si
possono subire le conseguenze, generalmente sgradevoli. Il determinismo o la
volontà di potenza governano comunque il sistema umano, ma almeno non
sopravvive l’inganno di un mitologico dover essere, frutto dell’ulterio- re
sdoppiamento nel soggetto che agisce e nel soggetto che guida l’azione.
Nichilismo/nihilismo, in sintesi, sono la demistificazione del mondo ed il diritto
estetico è ciò che resta del diritto dopo questa demistificazione, che,
tuttavia, è solo empirica e, quindi, non può fornire certezze assolute. Ma
l’incertezza, il dubbio sembrano proprio essere il sigillo della condizione
umana. Infatti, la duplicazione del mondo, dei piani della conoscenza e del- la
volontà si presenta come una possibile via di fuga dall’incertezza, dalla
solitudine angosciante dell’individuo; ma, al contempo, è anche la misura
fisiologica del biologico, della stirpe animale ed umana. La duplicazione,
dunque, si manifesta sia come una contromisura psicologica ed artificiale
Il diritto come estetica 111 alla condizione umana
di assenza di senso esistenziale, sia come naturale moltiplicarsi e perpetuarsi
della vita. La singola cellula aliena parte di se stessa, scindendosi in due
cellule. Dalla madre fuoriesce per espulsione viscerale la prole. Le scissioni,
il sacrificio di parte del proprio corpo per generare il corpo dell’altro è un
processo traumatico di riproduzione, che tendenzialmente volge verso
l’infinito, salvo eventi esterni ed imprevi- sti, che ne interrompono lo
sviluppo. Dall’uno scaturisce per rottura un secondo uno, il due, ed, una volta
iniziata la pluralità, automaticamente, sopraggiungono gli altri numeri (3, 4,
5, 6, ..., infinito). Anche l’infinito, come idea, è richiamato da questo
processo moltiplicativo, ma, come in matematica, è una duplicazione
(finito/infinito) espressione di un processo al limite, che mai si compie, che,
per sua stessa natura, non può compiersi, giungere al termine, altrimenti
cadrebbe la duplicazione stessa e resterebbe solo il finito. La vita propone la
tentazione dell’infinito, ma, subito, infligge la disil- lusione. Ogni
duplicazione si presenta come speranza e si accomiata come sconforto. Resta
solo un soggetto, della cui identità tutto o quasi si ignora (dell’oggetto,
poi, non vi è neppure certezza della sua stessa esistenza), con il proprio
sentire incomunicabile se non attraverso l’atto comportamentale. Un sentire
percorso da limiti organici, stimoli, motivazioni, giustificazioni,
condizionamenti, influssi misteriosi, comandi metafisici, etc., ma pur sem- pre
riducibile ad una semplice alternativa: mi piace/non mi piace. Nella solitudine
dell’essere è questa l’unica certezza; una certezza dal contenuto vario e
variabile, come vari e variabili sembrano essere i singoli soggetti; una
certezza che può essere definita estetica. Morris Lorenzo Ghezzi. Morris L.
Ghezzi. Gezzi. Keywords: i tordi ubriachi, i tordi, tordo, “drunk as a
thrush/newt” turdus ubriacus – sturdy – I tordi -- nihilism about values,
Mackie, Inventing right and wrong, Hare, emotivism, Grice, The conception of
value, valitum – valore – axiology, stato federale, federazione, fascismo, il
fascismo e la autobiografia d’Italia – Gobetti – statocentrale – diritto –
diritto naturale e diritto artificiale – assiologia, codice valoriale,
fierezza, onore, massoni, bruno, Alighieri, conte Cagliostro, bobbio, nihilism,
nichilismo, pena e castigo, Beccaria, delitto, delinquent, delinquenza,
devianza, diritto come estetica. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ghezzi:
l’implicatura del tordo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757983938/in/dateposted-public/
Grice e
Ghisleri – atlante filosofico – federalismo contrarivoluzione – lo stato
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Cascina Sant’Alberto). Filosofo. Grice:
“Whereas to many, Ghisleri’s best work is that on Ancient Rome and
counter-revolution, I treasure the details: ‘the pen is like a sword’ – ‘the
pen and the sword.’ “The pen is my sword.’ Note that the first is a mere simile
– as used by Ghisleri, but his executor turns it into a metaphor just by
eliding the ‘like’ (“come”). Grice: “I like Ghisleri – a typical Italian
philosopher; wrote on geography, on ‘la penna d’oca,” and a fabulous history of
Roman philosophy!” -- “He was into
politics, too!” L'Italia non è studiata, non è conosciuta dagli italiani.
Dobbiamo rifare la nostra educazione politica e civile sulla base di una nuova
e più razionale conoscenza del nostro paese. Dobbiamo studiare l'Italia regione
per regione nella natura del suolo, nella sua topografia, ne' suoi prodotti
nelle sue industrie, ne' suoi dialetti, nelle sue tradizioni, nelle sue varie
necessità politiche e sociali.” Fonda La Società dei Liberi Pensatori (L’'Associazione
Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno") di chiare simpatie
democratiche e repubblicane. Iniziato in Massoneria, l'anno seguente entrò
nella Loggia "Pontida" di Bergamo e nel 1906 fu affiliato alla Loggia
"Carlo Cattaneo" di Milano.
Ghisleri diede alle stampe una nuova rivista mensile, Cuore e critica,
rivolta all'educazione civile e agli studi sociali ed espressione di
un'avanguardia intellettuale impegnata nella costruzione di una coscienza
repubblicana e progressista. Sorta a Savona, la redazione della rivista si
trasferì a Bergamo, in coincidenza con il trasferimento del Ghislèri al Sarpi
di quella città. Si dedica con assiduità agli studi di geografia e di
cartografia, che aveva cominciato a coltivare quando insegnava a Matera. Allora
si era sentito mortificato nel constatare che nelle scuole italiane venivano
adottati atlanti stranieri, assai carenti nel trattare la geografia storica
dell'Italia. Dopo aver pubblicato il “Piccolo manuale di geografia storica”
(Bergamo) volle perciò cimentarsi in un'impresa che non era mai stata tentata:
la realizzazione di un testo-atlante che desse il dovuto rilievo all'evoluzione
storico-geografica dell'Italia. Al progetto fu interessato lo stabilimento
"Fratelli Cattaneo di Bergamo" che, grazie al successo delle
iniziative editoriali promosse da Ghisleri, si trasformò in Istituto italiano
d'arti grafiche e s'impose nel settore della cartografia. Ghisleri concepì il
suo atlante in modo da offrire per una stessa regione molteplici carte e
cartine con le denominazioni e le divisioni topografiche proprie di ogni epoca.
L'apparizione dell'atlante fu salutata dalle lodi di esperti e studiosi, ma
suscitò anche riserve di parte del mondo accademico, che rimproverava al
Ghisleri superficialità e la commistione tra la geografia fisica e la storia
dei popoli, delle civiltà, delle esplorazioni, dei commerci. Commistione del
resto ricercata dal Ghisleri che, in polemica con il tradizionale approccio
alla geografia e senza sentirsi condizionato dai limiti angusti dei programmi
scolastici di allora, perseguiva metodi nuovi nello studio e nell'insegnamento
della materia. Tenne la cattedra di filosofia nel Liceo di Lugano. Giornalista,
fu direttore di «La geografia per tutti» e «Le comunicazioni di un collega».Di
idee mazziniane, recepite soprattutto nella versione che ne proponeva Saffi, in
campo politico fu vicino ai movimenti rivoluzionari e collabora con Gaudenzi
alla fondazione del Partito Repubblicano Italiano. Tuttavia Ghisleri non fu un
ideologo sistematico: una sistematizzazione del suo pensiero è soprattutto
opera di Conti. Diresse la rivista
Preludio di stampo filosofico positivista e progressista. Diresse L'Italia del
popolo. Al Congresso del Partito
Repubblicano, tenuto a Forlì, intervenne con una relazione su La questione
meridionale e la sua logica soluzione. Demofonti, La riforma nell'Italia del
primo Novecento: gruppi e riviste di ispirazione evangelica, Roma, Edizioni di
Storia e Letteratura, Vittorio Gnocchini, L’Italia dei Liberi Muratori,
Milano-Roma, Mimesis-Erasmo. Altre opera: “La Scapigliatura democratica:
carteggi” (Pier Carlo Masini,Milano), L'archivio di Ghisleri fu ritrovato da
Pier Carlo Masini ed è depositato presso la Domus Mazziniana di Pisa.
Democrazia come civiltà. Il carteggio Ghisleri-Conti, Antonluigi Aiazzi,
Libreria Politica Moderna, Firenze, Tripolitania e Cirenaica dai più remoti
tempi sino al presente, Emporium, novembre, Tripolitania e Cirenaica, dal
Mediterraneo al Sahara, monografia storico-geografica, Società Editoriale
Italiana, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, Bergamo, Le meraviglie del globo
esplorato e le zone non ancora conosciute Letture geografiche Società Editoriale
Italiana, Milano, Bagdad e la Mesopotamia nel passato e nell'avvenire,
Emporium, giugno, Lombroso nella vita intima, Emporium, luglio 1917 L'ultima
colonia africana della Germania, Emporium, Atlante scolastico di Geografia
moderna astronomica-fisica-antropologica,Istituto Italiano d'Arti Grafiche,
Bergamo (a cura dei professori Magg. G.Roggero, G.Ricchieri, A.Ghisleri) Saffi.
La vita, gli studi, l'apostolato, Libreria politica moderna, Roma, La questione
meridionale nella soluzione del problema italiano, Libreria politica moderna,
Roma, “Testo-atlante di geografia storica generale e d'Italia in particolare,
espressamente compilato per le scuole italiane conforme ai loro programmi- I
Mondo Antico; II Storia Romana; Fratelli Cattaneo e poi Istituto di Arti
Grafiche, Bergamo. Medio Evo, Evo Moderno e contemporaneo Atlante d'Africa,
Istituto Italiano d'Arti Grafiche, Bergamo, Antipode, a Radical Journal of
Geography, Berardi, Verso un nuovo Risorgimento. Il Carteggio tra Ghisleri e
Belloni, Acireale-Roma, Bonanno, Dizionario biografico degli italiani, L'Italia risorgimentale di Ghisleri, Milano,
Angeli, Aroldo Benini, Vita e tempi di Ghisleri, con appendice bibliografica,
Manduria, Lacaita, Tomasi, Scuola e liberta in Arcangelo Ghisleri: con una
scelta di lettere inedite dell'archivio Ghisleri, Pisa, Nistri-Lischi, Ghisleri:
mente e carattere: L'Italia e la rivoluzione italiana, Milano, Sandron Editore,
Treccani. Arcangelo Ghisleri, su siusa.archivi.beniculturali, Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere di Arcangelo Ghisleri, su Liber
Liber. Opere di Arcangelo Ghisleri, su
openMLOL, Horizons. ANTROPOGEOGRAFIA. 21. Antiobb
oe.sti b vicbndb storiodb DBLL'I- TAbiA 6RTTKNTRI0NALB. — Avanzi di armi
e di stru¬ menti di pietra primitivi, preistorioi (punte di soioe»
epeoie di asole oon.) e poi di bronzo e di ferro» nonobè avanzi di
palafitte, di abitazioni umane, dei pasti, di oggetti diversi ritrovuti
In più luoghi nel sottosuolo, dimostrano ohe l'Italia
settentrionale fu abitata nelle età più remote, anohe prima^ del xieriodo
storioo, quand'ossa era io gran parte oooupata da foreste e da
paludi. Ma di oodesci primissimi aoitanti ben pooo» quasi nulla
Allorché si oominotano ad avere documenti sto- rfoi sulle
popolazioni dell* Malia settentrionale questa si trova abitata in qualche
tratto delle Alpi centrati dai Reti, di stirpe etrusoa» ohe la¬
sciarono il loro nome alle Api Retiohe; ma per massima parte del resto,
sopratutto nel bassopiano Padano (dove sono attualmente il Piemonto,
la L/)mbardÌa»l'Bmilial» dal OtltioÒollif da ouÌ venne appunto il
nome antico éìOallia ei$alpina. Nella attuale Liguria, invece» erano i
Liguri, ohe si ore- dono afnni alla stirpo Iberica» e nella parte
orien¬ tale 1 Kensff» di stirpe Illirloa, il ouÌ nome sioon- Borva
appunto anohe attualmente. l Romani più tardi si sovrapiiosoro agli
abitanti e li assimilarono; non oosl però ohe non si distin¬ guano
anoora» soprattutto nei dialetti» le tracce delle antiche genti nel vari
oompartimenti. Pinal- roente nel medio evo avvennero lo Invasioni
bar¬ bariche. Ma i Oérmanici invaoori, rolatlvamento I>oohl di numero»
invece di far soomparire ia po¬ polazione vinta, si ooufusoro oon essa»
adottan¬ done la piviltà e la lingua o lasoiando di sO ap¬ pena {
ricordi in certi nomi (ad es. Lombardia dai Longobardi).
Nell’800 d. U. Carlo Magno» re del Fronohl, vinti i Longobardi, fu
dal PonteHoe di Roma incoronato Imperatore Augusto, considerato cioè
quale erede dell'autorità e dei diritti dell'impero Romano
d’Oecidontei il quale, almeno di nome, durò fino al jprinoipio del 13ii0,
vale a diro por diooi seooli. H}' in baso a tali diritti ohe Carlo .Magno
e i suoi Huooessori pretesero al dominio dell'Italia e spo-
oiulmente deiritalia sottoritrioiialo e della cen¬ trale» mentre 'l'
Italia meridionale oontfnuò per oiroa due seooli a oonslderarsiinolusaneirimpero
d'Oriente» greoo-bisantino. ~ Passata» Uopo raen di un sooolo, la oorona
imperiale dai diretti di- Noendenti dì Carlo Magno ai ro Germanioi
anche l'Italia settentrionale e oentralo fooe parte del oosiddetio
Sacro Romano Impero della nazione Germanica e fu divisa in feudi,
assegnati ai vas¬ salli dei sovrani tedoaohi. Questi però si
trovarono in lotte continue tanto oói Pontefloi di Roma, quanto
oolle popolazioni» soprattutto delle città; le quali, cresciute in
potenza e rionhezza oon le industrie e ool oommorol. vollero ornanoiparsi
e governarsi sotto forma di liberi Comuni. Alcuni di ouosti, oome
Milano e le città marittime di Ve- nesia e di Genova acquistarono, colla
libertà» una importanza e potenza, una gloria e prosperità sempre
maggiore. — Disgraziatamonto. però» le lotte fra oittà o oitt.à o quello
intorno tra lo olassl scoiali, prepararono la trasformazione dei
oomuni in signorie» e mantonnero l'Italia divisa e mili¬ tarmente
debole» proprio nel moatroaldi là delle Alpi, in luogo del frazionamento
dei feudi e del oomuni, si costituivano doi forti regni unitari e
nazionali» ohe volgevano gU occhi cupidi all’UaHa» giunta allora al colmo
della floridezza eoonomioa e oivile. Cosi fu ohe dalla fine
del 1400 Tltalia fu Invasa Uni Franoesi. d.'igli Spagnoli» dai Todesohl.
Bonza ohe gli Stati Italiani opponessero valida resistenza D'allora
In poi soltanto*11 Piemonte sotto la Gasa di Savoja e la repubblica di
Venezia poterono oonsorvaro la loro indipendenza» mentre 11 diioato
di Milano fu occupato dagli stranieri e anohe gli nitri stati minori
(Ducato di Parma, di Modena, Murobesato di Mantova eoo.) orano ad essi
indiret- laiuonte soggetti. Dulia metà del 1500 fin al
prlnoipio del 1700 do¬ minò 008 ) nell'Italia settentrionalu la Spagna»
a oiG suooedette l'Austria, mentre una parte d*d- l'RmiUa (la
cosiddetta Romagna» oon Bologna, Ra¬ venna» Ferrara) apparteneva alto
stat^/dolla Chiosa. — Alla flne del 1700 1« rivoluziono Fran¬ cese
e quindi l'epoca Napoloonioa portarono anohe nell'Italia settentrionale
grandi mutamenti. Pur troppo però» il Congresso di Vienna del 1815
as¬ segnò la tradita reptibblloa di Venezia oon la Lom¬ bardia
airAustria, mentre la Casa di Savoia ag- - 39
- U Liguria al Piemoote ed alia Sardegna, le derivava il
titolo del itegno. tla l’e- rimento per la liberaiione nazionale
trovò nel Piemonte e nell* Italia settentrionale mtri e focolari
maggiori e s’iniziarono le ria unità e l’indipendenza, l’ultima delle
. tra coronata dalle gloriose vittorie del li Vittorio Veneto.
(Ved. Atl. tav. VI). 22. Sdpbbfioib b popolazionb. — Sopra
una superfloio ohe si può oaloolare, entro ai oonfiiii fisioi, di circa
132 000 kmq., ha ora una popolazione che ei calcola di circa 18
700000 di ab. pi codesta superfloie i oonBni del Regno inelu'
devano finora soltanto lOiUOO km> oiroa, mentre ora ne inoludono IZ7
000 ; e includevano otre» 16 milioni 0 >/z di ab., mentre ora la
popolazione, per i nuovi acquisti (oiroa 1 milione e i/il o per il
oaturale aumento annuo, si oaloola di oiroa 18 mi¬ lioni.
Tale popolazione tende continuamente a crescere, nonostante la
forte emigrazione di alcuni compartimenti, soprattutto del Veneto,
del Piemonte e della Lombardia. La densità dunque dell’Italia
Bettentrio- nale entro ai nuovi oonBni del Regno ri¬ sulta in media
141 ab. per kmc^., mentre entro ai vecchi confini sarebbe di IBO.
L’I¬ talia settentrionale ha perciò una densità superiore alla
media di tutta Italia, che nei 1921 risultò di I2fj ab. per kmq. ed
è fra le regioni d’Europa più popolose. La densità tuttavia è
inuguale, perohò in certe province supera 200 e In quella di àlllano
arriva fino a 002 ab, per kmq. mentre in altre e speoial- mente nelle
regioni montuose può soendero a mono di 60 por kmq. — Oltre a oio 6 da
osservare ohe, aehbeue la popolazione per le indusirie tenda ad
aumentare nello città, anche la popolazione eparea deU'ltalia
settentrionale 6 assai numerosa e vive in case sparse e in pioooli
villaggi, ohe dànno alle sue campagne un aspetto molto dille- rento
da quello dell’Italia meridionale e della Bioilia. Delle
città deli’ Italia settentrionale consi¬ derate nella cerchia del comune,
una supera ormai i 700 000 ab-, Milano — una e^cra già '/; milione,
Torino — una supera 300000 ab., Genova — due superano 200 000, —
Trieste e Bologna — una vi s’avvicina, Venezia — due superano 100000,
Padova e Ferrara, mentre altre due vi si avvicinano, Brescia e
Verona. La popolazione di quasi tutte le città dell’Italia
settentrionale tende a crescere. 83 Gruppi ni liroua ■
kazioràlitX btraviera — Abbiamo già detto ohe nelle valli Alpine
Pie¬ montesi (speoialmonte in Val d’Aosta e nelle valli dpi
Valdesi) si parla tuttora franoeee da oiroa SS mila individui : i quali
sono però di eentimenti nazionali perfettamente italiani. —
Ugualmente legati alla nazionalità italiana sono quelli ohe par¬
lano tetteeoo nelle valli intorno al m. Rosa (Qros- soney. Alagna,
Maougiiaga) oiroa 4mila; — nell'alto- piano dui Sette Comuni in provinola
di Yioenza, oiroa 3 mila; — e nella Gamia, circa 8 miU. mentre
inve-ie li popolazione tedeso.a dell’Alto Adig^ oompatta nelle valli
superiori, oaloolata circa ZOO mila Individtii.ò stata finora delle piò
ostili contro l'Italia. — Finalmente nel Friuli orientale si tro¬
vavano finora entro i confini del regno oiroa -tO mila Sloeeni
ispnoialmente intorno a Cividale) anoh'essi nazionalmente fedeli
all’Italia : ma oltre ad essi si trovano Inoluai entro 1 nuovi confini
del regno d’Italia, noi baoino dell’Isonzo, nella otttà e nel re¬
troterra di Trieste, nellTstriao nello Statodi Fiume oiroa i/i milione di
Ulaoi (Sloreni e Croofi) finora molto ostili agli Italiani.
24. OoOUFàZlONI OBOLI ABITANTI ■ PBO- DOTTi - IsTRCzioME. (V’cd.
Atl. tav. IX). — L’agricollura occupa il maggior numero di abitanti
ed ò in più luoghi agricoltura in¬ tensiva, con vigneti (specialmente in
Pi^ monte) ed orti e veri giardini per la colti¬ vazione dei fiori
(in Liguria), — con campi ohe dànno un prodotto por ettaro pan a
quello dei paesi più progrediti dollaTerra, — con risaie (speoialmonte in
provinoia di Novara), — con prati irrigui (mar- oite) specialmente
nella bassa Lombardia, ohe permettono il girando allevamento del
bestiame e l’industria pel cas«i;?cto (nel Lo- digiano, come pure nel
Parmigiano); — fi¬ nalmente con cana;i«/t, soprattutto nell’E¬
milia, — con la coltura della barbabietola da zucchero (nell’Emilia, nel
basso Veneto e altrove). Gli olivi dànno copioso prodotto nella
Liguria e i gelsi diffusi in tutto il bassopiano permettono uno sviluppo
della bachicoltura, che rendo l'Italia unode^aesi di maggior
produzione dellaseta nella'Terra. La Venezia Tridentina darà
all’Italia grande quantità di tranarneoou i nosoni, oue si trovano
uu- nbe in altri luoghi, ma non eooossivamonte al>- londanti
nulla zona alpina. — La pesca t> fonte abbastanza importante di
guadagni lungo le coste dell’Adriatico e nelle lagune (ealli di Gomaoohio
eco.); ò pooo frutti fra invece nel mar Ligure. Ma l’occupazione
che subito dopo all’ a- griooltura ha raggiunto nell’ Italia
setten¬ trionale uno 8vilup(K) grandissimo ò Tindu- sfria nelle sue
svariatissime manifestazioni. Sotto questo riguardo l'Italia
settentrionale supera senza confronto il resto d’Italia e può
gareggiare con le regioni più industriali dol- Pestero, nonostante la
mancanza di mate- ' rie prime (metalli, carbone, cotone eoc.)o)io è
uno degli ostacoli maggiori alla prosperità eoonomioa del nostro paese.
Alla mancanza di carbone mal si provvede con le ligniti o con il
poco petrolio dell’Emilia e molto più efficacemente, invece, ma sempre in
modo inadeguato ai bisogni, con le energie elet¬ triche ottenute
dai corsi d’acqua. Iva le industrie piti importanti e sviluppate
sono quelle metallurgiche o mecoaniohe per fusione e lavorazione di
metalli e fabbrioazione di maooliine, di automobili, di navi,
specialmente a Milano, a Torino, a Genova e dintorni (8. Pier d’Arena.
Sa¬ vona eoo.), a Venezia, a Trieste ed anche in altre località,
come nel Bergamasco e nel Bresciano. Non meno importanti sono le
induatrie teeaili: soprattutto della eeta, a àlilano. a Como e
altrove, in modo da gareggiare con I piu progrediti paesi della
Terra sotto questo riguardo ; del ootone, pure nel Milanese e nelle
province di Torino, di Novara, di Como, di Bergamo, di Genova. Por la
lana hanno acquistato fama soprattutto i dintorni di Biella (prov.
di Novara) o di Schio (prov. di VIoenza). Delle induetrie
alimentari ha preso grande svi- gliingova dalla qua
foioo mo' appatj»^ { •uoi 06 ^crre pe quali fu 5
Piave e d — 40 — luppo
negli ultimi anni quella iJello xùcchero di barbabietola specialmente
nell’Elmilia, nel Veneto o in Liguria. A (lenora sono anche numerose
le fabbrlohe di pa*r«. R nell'Sìmilia sono (famose le t alum trix
di Modena e di liologna. Terzo grande ramo d’oootipazione
degli abitanti nell’ Italia settentrionale sono il commercio e la
navigazione ; il primo age¬ volato dalla posizione goograflna, e
dalla rete ormai assai svilupjjata ui strade, e spe¬ cialmente di
ferrovie, ohe s’intrecoiano in tutti i sensi e_ traversano, come
abbiamo veduto, le Alpi e gli Appennini. Ad esse s’aggiungeranno Io
vie d’acqua interne, specialmente quella Padana. La
navigazione ò occupazione delle pili antiche per gli abitanti dei
litorali della Liguria o del Veneto, dove sorsero nel medio evo le
più potenti città marinare di quei tempi. Uenclib superati ormai sulla
Terra e nello stesso Mediterraneo da altri d’altre regionij i porti
di Genova, Venezia e Trieste gareggiano con i maggiori od è a
crederò furmamente che avranno uno sviluppo commerciale sempre più
intenso. Por tutte questo ragioni l’Italia setten¬ trionale
supera le altre parti d’Italia in ricchezza e in generale anche nelle
varie formo di vita civile. Wistruzione vi è no¬ tevolmente
sviluppata, d’ogni ramo o grado: gli analfabeti, sebbene pur troppo
non manchino, sono in generalo in numero mi¬ nore ohe altrove,
soprattutto nel Piemonte tu su 100 ab. d’oltre 6 anni), nella Lom¬
bardia (13 su 100) e nella Liguria (17 su 25. Rboio.vi stobiohb b
divisioni aumini- STRATivB. — Come già abbiamo detto, l’I- tiilia
settentrionale si divide in 8 compar¬ timenti 0 regioni storiche :
Piemonte. Liqu- ria ool Nizzardo, Lombardia, Canton Ticino, che
costituisce la parto maggiore della Sviz¬ zera italiana, Venezia propria,
Venezia Tri- dentina, Venezia Giulia con lo Stato di Fiume, ed Emilia,
con la piccola repubblica indipen¬ dente di S. Marino. Di
questi compartimenti o regioni sto¬ riche (delle quali il Canton Ticino o
il Niz¬ zardo, oltre a S. Marino, non fanno parte del Regno
d’Italia) diamo qui sotto la su¬ perfìcie e la popolazione, secondo il
cen¬ simento del 1921. Si noti, però, ohe tale superfìcie e
popolazione corrisponde alla somma di quelle delle provinole (che
sono le maggiori oiroosorizioni amministrative del Regno) ; ma i
uonfìni di queste non sempre corrispondono ni oonfìni fìsici, et¬ nici
0 storici dei compartimenti. In fìne al volume diamo in una
tabella i dati statistici particolari per le varie pro¬
vinole. Si noti poi ohe la popolazione che indi¬ chiamo fra
parentesi per le varie città nella | descrizione dei vari compartimenti
corri¬ sponde a quella della cerchia del comune, non del centro
principale abitato, che h la città vera. Tra l’una o l’altra di
tali cifre vi sono assai spesso differenze gran¬ dissime, ohe
rileveremo a mano a mano quando l’occasione se ne presenterà.
Dati statistici relativi alle ragioni dell’ Italia
settentrionale. Entro 1 nuovi confini politioi e
amministrativi. Superficie Popol. nel 1921
In km> assol. relat.
l’iemonto 29 8b6 3 88S 000 116
Liguria . . . . S 280 1 S'IO flOO
248 Iximbardia 24 180 S uo ooo
211 Vanesia propria . 28 010 4 2IS
OOO 150 Venezia 'Tridentina . 18 800
645 000 47 Venezia Giulia 8 iOO
OiO flOO 103 Emilia . . . . 21
848 3 012 000 138 RepubhItQt di 8. Marino
00 12 OOO 200 Nizzardo ool Principato
di Monaco . 600 200 OOO
290 Svizzera italiana 8 8J0 170
000 43 Dati piò speolfioati, soprattutto
per lo'province. Si trovano in aopendioo at fasotoolo.
lo - IL PIEMONTE. r Confini e nosloni generali. —
Il Piemonte (In S latino ftdemontium, oioO paese > pie’ di monti) si
T può dire all'insrosso limitato a H, a WeaN dalla { crosta
dell’Appennino Ligure e dello Alpioocideu- 1 tuli 0 t'entrali fino alle
sorgenti dolla Tooe e al 4 lago Maggioro. Verso R. il Ticino lo divide
soloiJ in parte amministrativamente dalla I.ombordia, <| perohò
a questa appartrngono la Lomellioa o il I cosi detto Oltrepò Pavese,
formante il curioso ou- 4 neo di Bobbio. '4 Pisioaraento
ooraprondo: la sona alpina; la pla-iL nura piemontese da Ounoo ai Ticino,
Il paeso ool- J linose del Monferrato e la pianura di Marengo. Y
Divisione in province. — II Piemonte, di oul / sopra abbiamo
indioato la suporfloie e la popole-'V alone a>soluta o relativa, ò
diviso in t province: ili Torino (!• per superlicfe e per popolaaione)
ohe 'I abbraooia l'angolo NW del compartimento, cioè ■ gran parte
delie Alpi Ponnlne, tutte le Graie ita- . liane e parie dolio Cozie, un
tratto piano luogo il Poe le colline sulla destra del fiume; —di
Cuneo (Z» per Slip.. 4* per popolaz.) ohe oooupa l’angolo' SW ; —
di A.le%8andria (4* por sup. o 2» por pope- ’ laz.) por niussima parto
formata dal Monferrato;! — di Novara (»• por sup. e por popola:.) a
NE, , par.e alpina e parte piana. Occupazioiij degli abitanti
e prodotti. — I vi-, gneti ^ecialmentc del Monferrato e lo] risaie
aoì Vercellese, dànno i prodotti più caratteristici del Piemonte. Il
quale ha ' grande sviluppo anche industriale a To¬ rino e dintorni
(industrie metallurgiche e > meccaniche), nel Diellese per la
tessitura di • lana, in parecchi luoghi per filatura e les-J silura
di cotone, in Valsesia per cartiere^ Città principali. — Torino
6'20) capitale de l Piemonte, è per alcuni anni (dal 1881 a j 1885)
già capitale del regno d’Italia, o entro] deU'tilt.i valle del Po e delle
relazioni cora-J meroiali terrestri dell’Italia con l’Buropa oc-1
cidentale à, dopo Milano, la più iniuatriale] città d’Italia. Si distingua
da tutte le^altrej - 41 -
grandi oitt& italiane per la re^olarith delle vie o le sue
costruzioni tuoderno. Torino Tu oiilU 'Ini risor|;irapnio itahiiiio
r pa¬ tri» t' 'lliiKtrl uomini, comi- U ih'ranso, Kali'O, liio-
(mrtl. IVAmifiio e, superiore a tutti. Camlilo (;.i- yn,,r HiiI rioinn
nnlle 41 Kurerir» /> la hasllina ohe oontiene le tomtie dei re e
prinoipi di Casa Barola flno a Carlo Alberto. Impila
provincia di Torino sono da ricordare an- oorii: /rrea(12) allo sbocco
dolla valle d’Aosta, città d'orisine romana di notevole importanza
storica _ e Aosta I Mianch'essa d'origine romana e capo- luogo
doila bellissima valle, a oui^dà il nome. Cuneo (30), allo sboooo
delle etrmle dei passi di Tenda e dell' Argenterà. Sostenne oon
esito felice otto assedi dei Francesi. Nella sua provincia è
Saluteo (16), giàrapoluogo di un Uarohesato, patria di Silvio
Pellioo. Novara (60), molto commerciante. Sotto le sue mura
avvennero importanti battaglie nel 1613 e nel 1849. Grande centro di
pro- iluzione di riso. Nella sua provincia: ttirl/a (13),
soprannominata la àlanohostor d'Italia, per le sue numerose e Ho-
renii industrie. — VtretUi (36), antiohisaitna città sulla ferrovia
Torino-àlilano, in territorio fertilis¬ simo: centro del mercato del riso.
Alessandria (78), fondata dalla Lega Lom¬ barda contro Federico
Barbarossa alla con¬ fluenza della Bormida eoi Tànaro, nella pianti
rar di Marengo : ebbe in passato no¬ tevole importanza strategica.
Nella Rum provincia: Asfi (àO), città antichissima, repubblica dei
medio evo; centro vinifero del Pie¬ monte. patria di Vittorio Autori. —
Aeaui (15), fa¬ mosa per le sue aocue termali, da cui ha li nome. —
Uanal* Monferrato (35), sulla destra dei Po, già oapiiale del ducato di
Monferrato. Importante cen¬ tro vinloolo. 2o . LA
LIGURIA. Confini e nozioni generali — La Liguria fl-
slonmente oooupa il versante dell’ Appennino e delle Alpi Idguri rivolto
al mare, arrivando a W en¬ tro I oonfini politioi o amministrativi fino
alla valle della ifoja e ad K verso la Tosoana (Ino alla foce della
.Magra. Etnograficamente però ed anche am- inliiistraciraraente la
Liguriapassa in qualohepunto al di là della cresta spartiacque. Oonlina
perciò con la Pranoia, oon il Piemonio, por breve tratto oon la
lx>mbardia, in causa del cuneo di Bobbio, oon l'Emilia e oon la
Tosoana. Divisione In province. — Ni divide in duo pro- rinoe
: di Oenova a E (la maggioro per sup. e par popol.) e Porto Maurizio a
W. Occupazioni degli abitanti e prodotti. — Suolo ristretUL
moatuoso e naturalmente poco fertile. Gli abitanti però seppero trarne
il maggior profitto, ooltivandolo a giardini ed orti, che dànno,
per il clima, fiori e legumi primatiooi, ohe si spediscono in altre
re¬ gioni d'Italia od all’estero. Altri prodotti abbondanti sono :
olio, castagne, vino e a- riimi. Le industrie prinoipali sono
quelle el ferro e dei cantieri navali a Genova, a S. Pier
(l’Arena, a Savona ed alla Spezia; poi quelle ohiraiebe (zucoherifloi),
del co¬ tone, eco.. Ma la riochozza di Genova b il commercio
marittimo, che supera quello di tutto il resto d’Italia.
Città principali. — Genova (300), sorta nel punto della costa ligure pili
opportuno per le oornunicazionì ool bassopiano Padano, è il primo
porto e insieme una delle pili belle citth d' Italia. Edificata ad
anfiteatro su per il monte, ohe salo subito dal mare, manca di
spazio por allargursi ; e le costruzioni anche per l'ingrandimento del
porto furono assai difficili e costose. Un tempo ora pure piazp forte
; ora non pili. I molti e son¬ tuosi palazzi le meritarono il nome di
Su¬ perba. Decaduta dalla sua prima potenza e dal suo splendore dal
1600 in poi, riac¬ quistò tutta la sua importanza nel secolo
passato con l’unità d’Italia, oon l’apertura del oanale di Suez e con i
trafori del S. Got¬ tardo e del Sempione. Ora Genova è rivale di
Marsiglia e si sviluppa sempre più, anche por le industrie Vi nacquero
Cristoforo Colombo e Giuseppe Mazzini. Nell.a sua (Tovincla:
8. J-Her d’Arma (SOI, ò quasi un sobborgo di Genova, oon rInoinaM
fon¬ derie ed oltloiiio sidertirgioho. — àfaronaiTò), sooon-
deporto della Riviera, molto ingrandito; si può oon- siderarooome ti
porto del Piemonte — Npezia( 90), pruno porto militaru d'Italia, si trova
In fondo ad un golfo ampio o ben riparato, cinto da ripide mon¬
tagne, o«ronato da forti,e chiuso danna diga a Ror d'acqua ^sta
diventando anche centro industriale. — Molte altre cittadine minori,
amenissime, Af- bmga, Sestri Levante, lìapallo eoo., sono stazioni
olimatloho di fama internazionale.j Porto Maurizio (9) è il
(piooolo c^oluogo della provincia a cui dà il nome. E’ diviso da
Oneglia{S) quasi somplioemonte dal tor¬ rente Impero, alla cui foce;fe il
piooolo,porto comune. '■* *■' Nella provinola ben piti
imiràrtante oo'me' città ò S»N RaunlSO), rinomata stazione olimatioa,
oome la Tlolna Bordighera (li), — yentimigiia ò a pojiii' km. dal
oonflna franoese; grande mordalo di (lori. Arcangelo Ghisleri. Ghisleri. Keywords:
atlante filosofico, tavola I, tavola II, tavola III, -storia romana, eta romana
– classe V ginnasiale -- storia romana e filosofia, memoria di Cattaneo,
rivoluzione con Rensi – Mazzini, mazziniano – lo stato italiano – stato
federale – federazione -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ghisleri: storia
romana e filosofia”– The Swimming-Pool Library.
Grice e Giacchè – l’altra visione dell’altro – Barba,
Bene, e Fellini antropologo -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo. Grice: “I like Giacché; for
one, he philosophises on theatre, which any Sheldonian should appreciate!”
Grice: “Giacché is what I would call a philosophical anthropologist.”
Grice:”Giacché has an ability with language: “l’altre vision dell’altro,” for
example – difficult to translate, but genial nonetheless, or perhaps genial
because uneasily translatable!” – “He has philosophised on spectator and
participant, which is conversational in tone – there’s no monologue, but
dialogue --.” “He has criticised authoritarian types of performances like
traditional teaching which he has compared to religion!” Insegna a Perugia. Si
occupa di varie problematiche socio-culturali quali condizione giovanile,
devianza, comunicazione di massa, solitudine abitativa, politica culturale. Saggi:
Una nuova solitudine. Vivere soli fra integrazione e liberazione, Roma); “Lo
spettatore partecipante. Contributi per un'antropologia del teatro, Guerini, Milano,
Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale, Bompiani, L'altra visione
dell'altro. Una equazione fra antropologia e teatro, Ancora del Mediterraneo,
Napoli, Ci fu una volta la sinistra. Ovvero il silenzio dei post-comunisti, Asino,
Roma. CURRICULUM di Piergiorgio Giacchè (Perugia, 16.04.46), Professore a
contratto (incarico gratuito), docente di “Etnologia europea: patrimonio
culturale immateriale” presso la Scuola di Specializzazione in Beni demo-etno-
antropologici, Università di Perugia, Firenze, Siena e Torino (sede di
Castiglione del Lago, PG) - anni accademici 2014-15, 2015-16. TITOLI DI STUDIO
E INCARICHI ACCADEMICI Laurea in lettere (indirizzo moderno), con tesi in
Etnologia conseguita nell’anno acc. 1969-70 presso l’Università degli studi di
Perugia, con voti 110/110 e lode. Abilitazione all’insegnamento delle materie
letterarie nelle scuole medie inferiori - titolo conseguito il 3.2.1973 con
voti 100 su 100. Borsa di studio quadriennale (dal 1.11.77 al 31.08.76) per
“ricerche nel campo sociale”, usufruita presso l’Istituto di Etnologia e
Antropologia culturale dell’Università di Perugia. Titolare di contratto
quadriennale (dal 1.11.77 al 31.10.81) presso la Facoltà di lettere e filosofia
della stessa università. Addetto alle esercitazioni presso la cattedra di
Etnologia della stessa Facoltà, per gli anni accademici 1974-75, 1975-76,
1977-78, 1978-79, 1979-80, 1980-81. Ricercatore confermato dal 1° settembre
1981 al 28 dicembre 2004, presso l’Istituto di Etnologia e Antropologia
culturale dell’Università di Perugia; in tale ruolo ha condotto seminari, cicli
di lezione, moduli didattici e progetti speciali (in prevalenza sui temi della
devianza, della condizione giovanile, della società dei consumi e dello
spettacolo, dell’antropologia e sociologia del teatro) fino all’anno acc.
1994-95, in cui è divenuto affidatario di un Corso di Antropologia teatrale
(unico corso attivato in Italia), riconfermato per tutti i successivi anni
accademici. E’ stato altresì docente affidatario del corso di Antropologia
culturale presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di
Perugia, nell’anno accademico 1998-99. Professore associato presso il
Dipartimento Uomo & Territorio – Sezione antropologica ; docente di
Fondamenti di Antropologia e di Antropologia del teatro e dello spettacolo
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di
Perugia, dal 23.12.2004 al 31. 12. 2013. Professore a contratto, docente di
Antropologia culturale presso la Facoltà di Scienze della Formazione della
L.U.M.S.A. di Roma – corso per Educatori professionali, sede di Gubbio – anni
accademici 2004-05, 2005-06, 2006-07, 2007-08, 2010-11, 2011-12, 2012-13.
Professore invitato, nel quadro del progetto “Socrates”, presso l’Université
Libre de Bruxelles - facoltà di Scienze Sociali e di Filosofia e lettere (9 -
27 febbraio 1998); (10 -15 marzo 2000). Visiting Professor presso l’Università
di Malta, Facoltà di Scienze della Formazione (23 – 29 aprile 2001). Professore
invitato, nel quadro del progetto “Socrates”, presso l’Université Paris VIII –
Département d’Etudes théâtrales (7 - 15 dicembre 2000 ; 10 – 20 gennaio 2002; 7
– 9 aprile 2004; 12 – 14 gennaio 2005). Professore invitato dall’Université
Paris VIII per un seminario da tenersi presso il laboratorio di Etnoscenologia
della Maison de l’Homme – Paris Nord (15 novembre – 15 dicembre 2006). Membro
della Commissione per la Procedura di valutazione comparativa per il
reclutamento di un ricercatore presso la Facoltà di Scienze della Formazione
dell’Università di Cagliari, M05X – Discipline demoetnoantropologiche (gennaio
– luglio 2002). Docente del Dottorato Internazionale in Antropologia ed
Etnologia (A.E.D.E.) – anni accademici 2006-07, 2007-08, 2008-09, 2009-2010.
CONSULENZE, COLLABORAZIONI E ALTRI INCARICHI ISTITUZIONALI Consulente
socio-antropologico per alcuni programmi R.A.I. della Sede Regionale
dell’Umbria: “Decentramento e sviluppo urbanistico” (15 - 25 ottobre 1979);
“Anticamera” (novembre 1980 - aprile 1981); “Aperitivo” (aprile-luglio 1982).
Consulente antropologico del Centro Regionale Umbro per le Ricerche Economiche
e Sociali, nel 1978 (Ricerca sulla “popolazione reale”). Consulente del
Comitato Regionale Umbro Radiotelevisivo e curatore di numerose indagini sul
sistema dell’emitttenza locale e sull’ascolto radiotelevisivo ( dal 1978 al
1989). Consulente e collaboratore del Festival Internazionale del Teatro in
Piazza di Santarcangelo di Romagna (edizioni: 1981 e 1982). Consulente e
collaboratore del Teatro Studio 3 di Perugia, dal 1981 al 1985. 2
Consulente e collaboratore della 1^ Rassegna Internazionale del Teatro di Strada
(Montecelio di Guidonia, 24 - 31 luglio 1982). Consulente artistico e
scientifico del festival di teatro, musica e cinema “Segni Barocchi” di Foligno
(edizioni 1985, 1986, 1987). Consulente del Teatro San Geminiano di Modena, poi
centro teatrale “Dramma Teatri”, dal 1982 al 1995. Consulente e assistente, in
qualità di antropologo del teatro per il periodo 27 settembre- 30 ottobre 2013,
della rappresentazione teatrale de “La escuela de la escena y la escena de la
escuela jesuita en el siglo XVII” a cura di Bruna Filippi, nel quadro del
congresso De los Colegios a las Universidades. Las ensenanzas jesuitas y sus
relatos cotidianos, organizzato da la Universidad Iberoamaricana de Ciudad de
Mexico (Città del Messico, 25-29 ottobre 2013). Membro del comitato scientifico
dell’International School of Theatre Anthropology diretta da Eugenio Barba, con
sede a Holstebro, Danimarca (dal 1981 al 1997). Membro del gruppo di lavoro
internazionale di Sociologia del teatro, con sede presso l’Université Libre de
Bruxelles, Belgio (dal 1992 fino al suo scioglimento nel 1995). Membro del
gruppo di lavoro della Maison de Sciences de l’Homme (E.H.E.S.S.) “Spectacle
vivant et sciences humaines” (dal 1996 al 2002). Membro del comitato
scientifico della quinta sezione di ricerca “Créations, Pratiques, Publics”
della Maison de Sciences de l’Homme – Paris Nord (dal 2002). Membro del
Laboratorio di Ricerca Interdisciplinare dell’Istituto di Psicosomatica
Psicoanalitica “Aberastury” di Perugia (dal 2000). Membro del Comité de Rédaction
de “L’Ethnographie. Noveaux objets, nouvelles méthodes. Revue de la Société
d’Ethnographie de Paris” (dal 2002). Collaboratore della rivista “Lo straniero.
Arte Cultura Società” diretta da Goffredo Fofi (dalla sua fondazione – 1997 –
ad oggi); già redattore della rivista “Linea d’ombra” (1982- 1997) e
co-direttore de “La terra vista dalla luna” (1995-1996). Collaboratore della
rivista “Gli asini. Educazione e intervento sociale”, diretta da Luigi Monti,
dalla sua fondazione – 2010. Membro del Comitato scientifico della rivista
trimestrale “Catarsi. Teatri della diversità”, dalla sua fondazione – 1996.
Membro del Comité scientifique de la revue trimestrelle “Théâtre Public” (dal
2013) Presidente della Fondazione “L’Immemoriale di Carmelo Bene” (dal 2002 al 2005).
Membro della Commissione Consultiva per il Teatro – Ministero per i Beni e le
Attività Culturali (dal 2005 al 2007). Membro della Commissione di valutazione
dei progetti di cofinanziamento per lo spettacolo – Ministero per i Beni e le
Attività culturali. (giugno-luglio 2007). 3 Consulente della Regione
dell’Umbria – Assessorato alla Cultura, con l’incarico di ricognizione ed
esplorazione del settore teatro nel territorio regionale (luglio 2010 –
settembre 2011). Membro della Commissione Consultiva per il Teatro – Ministero
per i Beni e le Attività Culturali (dal 2011 al 2013) Membro del Comitato
Scientifico della Fondazione Centro Studi “Aldo Capitini” di Perugia (dal
2012). Membro del Comitato scientifico PerugiAssisi, candidata a capitale
europea per il 2019. CORSI E SEMINARI DIDATTICI SPECIALI Partecipazione, in
qualità di docente, ai seguenti corsi o seminari: • Corso biennale per la
formazione di tecnici della ricerca sulle tradizioni popolari nella regione
umbra (Perugia, 1974-75). • Primo corso regionale di preparazione e
aggiornamento per operatori socio-sanitari impegnati nell’attività di
prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza (Bologna,
27 e 28 settembre 1977). • Corso regionale per operatori culturali nel settore del
cinema (Orvieto, dicembre 1977 - giugno 1978). • Corso di riqualificazione
professionale per operatori audiovisivi: il videotape (Foligno,
febbraio-ottobre 1978). • Corso di formazione professionale per i 28 diplomati
di scuola media superiore (schedatori) previsti dal progetto di “catalogo unico
regionale dei beni bibliografici” (Perugia, maggio 1978). • Corso di formazione
professionale per i 46 diplomati di scuola media superiore (ordinatori di
biblioteca) previsti dal progetto “sistemi bibliotecari comprensoriali”
(Perugia, luglio 1978). • Corso Animatori Q/1 - Seminario sulle comunicazioni
di massa (Spoleto, 23 - 26 giugno 1984). • Seminario residenziale “L’Atelier:
centro internazionale di ricerche artistiche” (Volterra, 1 novembre - 23
dicembre 1984). • “Soglie: esperienze di confine tra attore e spettatore”,
seminario-laboratorio per studenti e insegnanti delle scuole medie superiori
(Perugia e Todi, novembre 1990 - aprile 1991). 4 • Corso di Formation
Doctorale Esthetique, Sciences et Technologies des arts della Université Paris
VIII à Saint Denis (lezioni del 15 e 22 gennaio 1991). • Corso di Scenografia
della Facoltà di Architettura e del Dipartimento di Musica e Spettacolo
dell’Università “La Sapienza” di Roma (lezione del 29 gennaio 1991). • “Teatro,
gioco, narrazione”, progetto teatrale per insegnanti delle scuole materne
(Perugia e Città di Castello, febbraio e marzo 1991). • “L’attore consapevole.
Seminario teorico-pratico sull’arte dell’attore” (Fara Sabina, Rieti, 25 - 31
gennaio 1993). • “La società italiana del dopoguerra”. Seminario di
aggiornamento per gli italianisti polacchi, organizzato dall’Ambasciata
d’Italia, dall’Università Jagellonica di Cracovia e dall’Istituto Italiano di
cultura di Cracovia (Cracovia, 20 – 23 settembre 1993). • Corso di
aggiornamento A/41 dell’I.R.R.S.A.E. dell’Umbria (Perugia, lezioni del 4 marzo
1994). • Seminario di Antropologia del teatro per gli allievi della Scuola
Civica d’Arte drammatica “Paolo Grassi” (Milano, 24 e 25 marzo 1994). • V Corso
Universitario Multidisciplinare di Educazione allo sviluppo, “La cultura del
confronto”, organizzato dall’Unicef di Roma (lezione del 20 aprile 1995:
“Uomini e teatro: culture del mondo a confronto”). • I Corso di aggiornamento
sulla didattica del teatro nella scuola - Seminario internazionale su Scuola e
Teatro (Marcellina, Roma, 19 - 21 ottobre 1995). • Corso di aggiornamento per
insegnanti delle scuole medie superiori della regione Lazio (Roma, novembre
1995 - giugno 1996). • III Corso Universitario Multidisciplinare di Educazione
allo sviluppo, organizzato dall’Unicef di Bari (lezione del 28 marzo 1996). •
Università del Teatro Euroasiano, sessione dedicata alla “Storia sotterranea
del teatro contemporaneo. Solitudine, tecnica, drammaturgia e rivolta” (Scilla,
Reggio Calabria, 9 - 16 giugno 1996). • “Le età del teatro. Corso triennale di
storia e cultura teatrale” - II anno: Dalla Commedia dell’arte alla Riforma
goldoniana - organizzato da Emilia Romagna Teatro (Modena, Teatro Storchi,
ottobre - novembre 1966). • Corso Uni-Tea 1997: “Figli della storia e maestri
del teatro” (Parma, 5 febbraio - 19 aprile). • Corso d’aggiornamento per
docenti e dirigenti di ogni ordine e grado, organizzato dal C.I.D.I. Versilia e
dal Provveditorato agli studi di Lucca e intitolato “Letteratura teatrale e
scuola” (Forte dei Marmi, 21 - 23 febbraio 1997). • Convegno-seminario “La musa
fra i banchi di scuola. Esperienze e modelli di relazione / incontro fra teatro
e scuola” (Cervia, 11 - 13 aprile 1997). 5 • Università del Teatro Euroasiano,
sessione dedicata alla formazione dell’attore e intitolata “Apprendere ad
apprendere” (Scilla, Reggio Calabria, 1 - 8 giugno 1997). • Corso Uni-Tea 1998,
“Oplà noi viviamo! Tecniche originarie e tecniche nuove nel teatro d’attore” -
seminario interno al Corso di Sociologia dell’Educazione dell’Università di
Parma (Parma, 19 marzo 1998). • “Vedere Fare Pensare Teatro, per una formazione
dell’educatore teatrale”, organizzato dall’E.T.I., dal Teatro delle Briciole,
dal G.S.A Fontemaggiore, dal Teatro Kismet OperA e tenutosi in tre sessioni a
Bari (25 - 29 marzo 1998), a Isola Polvese - Perugia (17 - 21 aprile 1998) e a
Parma (8 - 12 maggio 1998). • Corso d’aggiornamento per insegnanti degli
Istituti medi e superiori su “1968 - 1969. Gli anni della contestazione”
(Parma, 24 marzo 1998). • « Sulla verticalità del verso », seminario di e con
Carmelo Bene, organizzato dall’Ente Teatrale Italiano (Roma, Teatro Valle, 19
maggio 1998). • “Criticando criticando. Laboratorio d’analisi dello
spettacolo”, organizzata in collaborazione con l’Associazione Nazionale Critici
di Teatro (sessione dedicata al Teatro Ragazzi - Bagnacavallo, 4 giugno 1998;
sessione dedicata al Teatro di Ricerca - Reggio Emilia 29 giugno 1998. • “I
mestieri e le lingue del teatro”, Seminario di autoapprendimento per operatori
dell’area penale esterna, organizzato dal Teatro Kismet e dall’Università di
Bari, con il patrocinio del Ministero di Grazia e Giustizia (Bari, 2 - 3 luglio
1998). • “Teatro e Carcere: l’esperienza della Compagnia della Fortezza” -
conversazione con P. Giacchè e Armando Punzo, in collaborazione con l’E.T.I.
(Volterra, 21 luglio 1998). • Ciclo di incontri organizzati dall’Istituto Sardo
per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia (ottobre-dicembre 1998)
“Rivelazioni e promesse del ‘68”; relazione su “Il ‘68 e il teatro” (Cagliari,
20 novembre 1998). • “La magia del leggere”, Corso di aggiornamento per
insegnanti e genitori della Scuola Elementare “Ciro Menotti”, Villanova di
Modena (26 marzo 1999). • Corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole
elementari del comprensorio Valle Umbria (Foligno, 23 aprile 1999). • “Teatro e
Carcere: l’esperienza della Compagnia della Fortezza”, nel quadro di “Maggio
cercando i teatri” organizzato dall’E.T.I. (Roma, Teatro Valle, 19 maggio
1999). • “Il verso dannunziano e il concerto d’autore”, seminario con A. Asor
Rosa, C. Bene, P. Giacchè (Roma, Teatro dell’Angelo, 24 novembre 1999). • Ciclo
di incontri “La parte dello spettatore” (relatore del 1° incontro – Faenza, 22
gennaio 2000). • Corso Uni Tea 2000, “Il teatro come disagio antropologico”
(Parma, 27 gennaio 2000) 6 • “Divenire teatro”, incontri su Antonin
Artaud organizzati dal Centro Teatro Universitario di Ferrara. Relatore del 3°
incontro: “Artaud fatto Bene” (Ferrara, 17 aprile 2000). • “Politica e società
nel 2000”, ciclo di incontri di formazione politica (Roma, aprile – giugno
2000). Relatore del 5° incontro: “Minoranze e movimenti nell’Italia del
dopoguerra”, insieme a G. Fofi (Roma, 29 maggio 2000). • “Incontri in scena.
Per un’indagine sull’antropologia dell’infanzia” (Vicenza, Teatro Astra, 20
ottobre – 24 novembre 2000), organizzati dalla compagnia “La Piccionaia – I
Carrara” con la collaborazione dell’Università di Cà Foscari di Venezia.
Relatore del 2° incontro: “Antropologia dell’infanzia” (3.11.00). • “L’utopia
del teatro vivente. Living Theatre” (Siena, 7 marzo 2001), nel quadro di
incontri organizzati dall’Università degli studi di Siena attorno ai “Cinque
sensi del teatro. Cinque trasmissioni monografiche sulla filosofia del teatro”
(Rai-Pontedera Teatro). • “Strumenti innovativi per favorire l’inclusione
sociale”, lezione inaugurale (“Altro è narrare”) del corso organizzato dal
Centro Solidarietà di Modena (CEIS) e da Emilia Romagna Teatro (Modena, 19
ottobre 2001). • Giornate di studio per l’inaugurazione della sezione di
ricerca “Créations, Pratiques, Publics”, presso la Maison de Sciences de
l’Homme – Paris Nord (St. Denis, 23 – 23 maggio 2002). • Conferenza sul Living
Theatre, nel quadro del seminario “Maestri del ‘900. Gli uomini e le idee che
hanno fatto la storia del teatro contemporaneo” organizzato dal Teatro Nuovo
“Giovanni da Udine” (Udine, 28 gennaio 2003). • Conferenza su Carmelo Bene o
delle provocazioni del genio, nel quadro del seminario “Maestri del ‘900. Gli
uomini e le idee che hanno fatto la storia del teatro contemporaneo”
organizzato dal Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” (Udine, 13 febbraio, 2004). •
“Le risorse della diversità”, seminario organizzato da Proteo Fare Sapere e dal
Movimento Cooperazione Educativa (Firenze, Educandato SS. Annunziata, 20 – 21
febbraio 2004). • Corso per attrici “Il corpo del testo”, organizzato da Emilia
Romagna Teatro Fondazione; docente di Elementi di antropologia e cultura del
teatro e spettacolo (30 ore di Antropologia del Teatro nel biennio 2004-2005).
• Seminario sulle “Quattro lezioni sul teatro” di Carmelo Bene, organizzato
dalla Fondazione L’Immemoriale di Carmelo Bene” e dall’Università di Lecce
(Lecce, 19 marzo 2004). 7 • Dimostrazione-conferenza “L’attore
compositore: Mejerchol’d e la biomeccanica teatrale”, organizzata dal Centro
Internazionale Studi Biomeccanica Teatrale (Perugia, 30 aprile 2004). • Quattro
giornate di lavoro teatrale: incontri, dimostrazioni di lavoro, spettacoli
Pontedera, Teatro di via Manzoni, 7 – 10 ottobre 2004), nel quadro di
“Generazioni Festival 2004”, organizzazione e cura della Fondazione Pontedera
Teatro. • Seminario dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, “Carmelo
Bene. Voir la voix, écouter le visible”, coordinato da B. Filippi e G. Careri
(Parigi, Institut National d’Histoire de l’Art, 8 novembre – 20 dicembre 2004);
comunicazione Le Sud du Sud des Saints,, 15.11.04. • “Teatro in forma di
libri”, incontri organizzati dal Teatro Due Mondi – Casa del Teatro (Faenza,
novembre-dicembre 2004). • “Arte dello spettatore”.Corso di formazione per
insegnanti, organizzato dal Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore
(Perugia, Teatro Sant’Angelo, novembre 2004 – aprile 2005). • Seminario
orientativo sul settore spettacolo, organizzato dalla Fondazione Emilia-
Romagna Teatro nel quadro della Laurea specialistica “Progettazione e gestione
di attività culturali” della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di
Modena (lezione del 17.3.2005). • Seminario di studio nel quadro della Mostra
“Carmelo Bene. La voce e il fenomeno. Suoni e visioni dall’archivio”,
organizzato dalla Fondazione L’Immemoriale e dal Comune di Roma (Casa del
Teatri-Villino Corsini, 29 aprile – 26 giugno 2005); comunicazione L’ultimo
Bene. La verticalità del verso, 7.5.05. • Incontro seminariale “Parole chiave
per il teatro” (Lecce, 22 ottobre 2005), organizzato dai Cantieri teatrali
Koreja. • “Un’antropologia della memoria” Conferenza dibattito sul libro di C.
Severi Il percorso e la voce (Perugia, Palazzo dei Priori, 23 novembre 2005). •
Corso “Salute mentale, Antropologia e Teatro: confronto su un’esperienza di
pratica laboratoriale” (Perugia, Parco di S. Margherita, Padiglione Neri,
13.12.2005), organizzato dal Centro di Formazione della ASL 2 di Perugia. •
“Pasolini antropologo” (Gubbio, Biblioteca Comunale Sperelliana, 17 dicembre
2005), nel quadro del ciclo di incontri “Pasolini e la nuova barbarie.
Conversazioni su un testimone del nostro tempo” organizzato dal Comune di
Gubbio (dicembre 2005 – aprile 2006). • “Atelier intensif S.P.O.T. (Spectacle
vivant, Opèra, Thèâtre)”, organizzato nel quadro del Master Europeen conjoint
en Etude du spectacle vivant, coordinato dall’Université Libre de Bruxelles e
organizzato dalla Universitad de La Coruña - Spagna (6 – 18 febbraio 2006);
docente di un corso di 15 ore di Antropologia teatrale. 8 • “Teatro come
impegno civile”, seminario-incontro con Marco Paolini organizzato dai Cantieri
Teatrali Koreja (Lecce, 10 giugno 2006) • Laboratorio di ricerca interdisciplinare
– Quello che ci fa la vita che facciamo, nel quadro del “50° Seminario di Louis
Chiozza”, organizzato dall’Istituto di Psicosomatica “Aberastury” e dalla
Scuola di specializzazione in Psicoterapia psicoanalitica di Perugia (Città di
Castello, Palazzo Vitelli, 22 febbraio 2007). • “Quadri concettuali per
l’analisi del sistema cultura – Seminari di studio”, organizzati dalla
Fondazione Mario Del Monte di Modena (febbraio – aprile 2007); comunicazione su
L’antropologia e il “teatro” della cultura (Modena, Teatro delle Passioni, 29
marzo 2007). • “L’ultimo Bene”, conferenza-lezione nel quadro delle attività
didattiche speciali della Fondazione Accademia di Belle Arti di Perugia
(Perugia, 17 maggio 2007). • Seminario di studio “Economia della cultura, sviluppo
umano e politiche culturali”, a cura del CAPP (Centro di Analisi delle
Politiche Pubbliche), Modena, ottobre 2007- gennaio2008; comunicazione su La
domanda di teatro. Una prospettiva antropologica (Modena, Facoltà di Economia,
17 dicembre 2007). • S.P.O.T. II (Spectacle vivant, Opèra, Thèâtre)
“Espectàculos y dialogo entre culturas: La adaptacioòn y la escena”,
organizzato nel quadro del Master Europeen conjoint en Etude du spectacle
vivant, coordinato dall’Université Libre de Bruxelles e organizzato dalla
Universitad de Sevilla - Spagna (28 gennaio – 8 febbraio 2008); docente di un
corso di 8 ore di Antropologia del teatro e dello spettacolo. • Laboratorio
Interculturale di Pratiche Teatrali (III edizione in collaborazione con
l’International School of Theatre Anthropology, organizzata dal Teatro Potlach,
Fara Sabina (Rieti), 13 – 26 ottobre 2008); comunicazione su L’antropologia
dello spettatore, 14.10.08. • Seminario – Convegno “Omaggio a Carmelo Bene”
(Centro Teatro Ateneo – Dipartimento Arti e Scienze dello Spettacolo
dell’Università “La Sapienza” di Roma, 12 – 14 novembre 2008); Prologo al
seminario e comunicazione dal titolo A scuola da Bene, 12.11.08. • “Il potere
di tutti. Conversazione su Aldo Capitini” (Perugia, Sala Miliocchi, 14 febbraio
2009), organizzata dall’Associazione “Vivi il borgo”, dalla Società Operaia di
Mutuo Soccorso e dalla Fonoteca Regionale “O. Trotta”. • Giornata di studi “La
religione dell’educazione. Don Milani e Aldo Capitini”, organizzata dalla
L.U.M.S.A. di Roma, Facoltà di Scienze della Formazione (Roma, Aula “Edda
Ducci”, Piazza delle Vaschette, 1° aprile 2009). • Seminario “Migrazioni.
Prospettive etnografiche sullo Stato italiano”, organizzato dal Dipartimento
Uomo & Territorio – sezione antropologica (Perugia, Facoltà di Lettere e
Filosofia, Palazzo Manzoni, 16 aprile 2009). 9 • “Voler Bene al cinema.
Omaggio a Carmelo Bene” (Bellaria, Cinema Astra, 4 giugno 2009), nel quadro di
“Bellaria Film Festival 2009. • Seminario interdisciplinare su: “Grotowski e la
ricerca invisibile” (Perugia, Istituto Aberastury, 20 giugno 2009. • “Bruciare
la casa“, incontro-colloquio con Eugenio Barba (Isola Polvese (PG), 8 settembre
2009), nel quadro di “Terre di confine. Lo spazio del teatro”, progetto a cura
di Linea Trasversale. • Séminaire doctoral collectif - Centre d'Etudes
Féminines et d’Etudes de Genre/ CRESPPA-GTM : « Théâtre du genre : production,
performance, spectacle » (Parigi, CNRS , 4 dicembre – comunicazione su
“Travestissement à théâtre: masculin, féminile ou neutre? “). • Séminaire
“SPACE-Supporting Performing Arts Circulation in Europe “- Session Paris (ONDA,
Paris, 3 – 6 février 2010), Comunicazione “Europe Toolbox: quelle boîte pour
quels outils?” • “Cinema e teatro non si incontrano mai, se non all’infinito”
(Bergamo, 17 febbraio 2010) incontro seminariale nel quadro de “Il teatro vivo.
Introduzione al teatro contemporaneo: Corso di Alti Studi Teatrali – XI
edizione, 2009-2010”, organizzato dal Teatro Tascabile di Bergamo. • “La Festa
nelle culture dei popoli: criteri di autenticità” (Gubbio, 19 marzo 2010), nel
quadro del ciclo di incontri “La Festa nella Festa dei Ceri”, per la
celebrazione del 850° anniversario della morte di S. Ubaldo. • Introduzione e
partecipazione al XI Seminario Interdisciplinare dell’Istituto Aberastury su
“La vocazione minoritaria”, condotto da G. Fofi (Perugia, 14 maggio 2010). •
Incontro seminariale su “Lo spettatore partecipante” nel quadro del progetto
“Paesaggio con spettatore” a cura di R. Vannuccini e organizzato da ArteStudio
per il Festival dei Due Mondi – Spoleto 53 (Spoleto, Palazzo Comunale, 25
giugno 2010). • Coordinatore del IX Laboratorio di Ricerca Interdisciplinare
dell’Istituto Aberastury “Dialogo con Sctutatori d’anime di Carlo e Rita
Brutti” (Assisi, 23 febbraio 2011). • Incontro-conversazione “Radicalism:
Piergiorgio Giacchè speakes about Carmelo Bene with Dora Garcia” (Venezia,
Padiglione Spagnolo della Biennale Arte, 4 giugno 2011), nel quadro della
performance THE INADEQUATE: ogni giorno un artista in scena (Padiglione spagnolo,
54th International Art Exibition – Venice Biennale, 1 giugno - 27 novembre
2011). • Relatore e conduttore del XIII Seminario Interdisciplinare
dell’Istituto Aberastury su “L’anima del mondo viene prima del mondo
dell’anima? (Perugia, 11 giugno 2011). • Dialogo teatrale – incontro tra un
antropologo e un avvocato su Teatro Trattamento Carcere, nel quadro di “Stanze
di teatro in carcere 2011. Rassegna intinerante di Teatro Carcere in Emilia
Romagna” (Modena, Teatro delle Passioni, 29 ottobre 2011). 10 • “La
congiura della creatività”, seminario pubblico con P. Giacchè e R. Sacchettini,
organizzato dal collettivo Nevrosi (Agliana, PT, Teatro Il Moderno, 28 gennaio
2012). • Incontro con Marc Augè in dialogo con Piergiorgio Giacchè, organizzato
dal Circolo dei lettori di Perugia (Perugia, Sala dei Notari, 29 marzo 2012). •
Incontro con Piergiorgio Giacchè e Giuseppe Di Leva (Piccolo Teatro Grassi di
via Rovello, Milano, 12 luglio 2012), nel quadro di “Visioni di Bene. Voce,
teatro, cinema, televisione secondo Carmelo”, Milano, 12 – 15 luglio 2012. •
“Memorie del sottosuolo. Il teatro raccontato da spettatori speciali:
Piergiorgio Giacchè su Carmelo Bene” (Giardino del MUSAS, Santarcangelo di
Romagna, 13 giugno 2012), nel quadro di Santarcangelo 12 – Festival Internazionale
del Teatro in Piazza – 13-22 luglio ’12. • “Raduno degli artisti della scena:
Punctum e tempo, dalla fotografia alla scena”, incontro seminariale a cura di
Claudio Morganti, organizzato dal Teatro Metastasio Stabile della Toscana, nel
quadro del festival “Contemporanea 12: le arti della scena” (Prato, spazio
Magnolfi, 6 ottobre 2012). • Incontro-Lezione – TITOLO - per il seminario
residenziale Università Elementare de Gli asini nel quadro di “Leggere la
città: lo spazio pubblico” (Pistoia aprile 2014) • Seminario su “La parabola
dell’animazione teatrale” nel quadro della seconda edizione della Summer School
di Arti performative e Community care (Carpignano Salentino, 20 – 29 agosto
2013). • Incontro con Piergiorgio Giacchè e Alessandro Leogrande condotto da
Giovanna Casadio, intitolato Vizi privati e pubbliche virtù, nel quadro della
decima edizione del “Festival Lector in fabula: Privato, Pubblico, Comune”
Conversano, 11-14 settembre 2014 (Conversano, BA, Auditorium di San Giuseppe,
12 settembre 2014). • Conferenza Orizzonti e vertici del “viaggio del teatro”
nel quadro della XVII edizione de “IL TEATRO VIVO. Progetto di promozione e
diffusione del teatro contemporaneo”, organizzato dal Teatro Tascabile di
Bergamo (Bergamo, 5 dicembre 2014). • Conferenza Dal Living Theatre all’Odin
Teatret, nel quadro di “Effetti collaterali. Ciclo di incontri per la
formazione degli operatori e del pubblico”, organizzato dal Teatro di Sacco di
Perugia (Perugia, Sala Cutu, 18 dicembre 2014). • Incontro-Lezione “Essere
giovani, essere attori” (Pistoia, Piccolo Teatro Mauro Bolognini, 11 aprile
2015) per il seminario residenziale Università Elementare de Gli asini “La
cultura di massa dall’emancipazione all’alienazione”, nel quadro di “Leggere la
città: lo spazio pubblico” (Pistoia 9-12 aprile 2015). • Corso residenziale “Si
deve, si può. Ruolo delle minoranze etiche tra globale e locale” - primo modulo
Dove va il nondo? Analisi del presente: il globale e il locale (Lamezia Terme,
3-4-5 luglio 2015); Progetto Spring organizzato dalla Comunità Progetto Sud in
collaborazione con le riviste Gli asini e Lo straniero. Relazione: “La
mutazione antropologica: dal locale al globale e ritorno”. 11 •
Corso di formazione per docenti presso l’Istituto Omnicomprensivo “D. Alighieri”
di Nocera Umbra (PG): intervento formativo di due ore sul tema “Giovani Oggi”
(1° aprile 2016). • Corso d formazione per docenti “Teatro come cultura delle
differenze”, organizzato dal 1° Circolo didattico di Marsciano (PG) e dal
Teatro Laboratorio Isola di Confine; conferenza “A scuola da Pinocchio”
(Marsciano, Sala E. De Filippo, 14 giugno 2016). Curatore e ideatore dei
seguenti progetti o seminari speciali: • “La casa de l’Odin”, Ciclo di
conferenze sulla cultura teatrale e sull’antropologia del teatro (Valencia,
Barcellona, Castellon e Madrid, marzo - aprile 1983). • “Apriamo un salotto:
appuntamenti di restaurazione culturale” - tre cicli di conferenze sulle
attività e sulla politica culturale (Perugia, marzo - giugno 1984). • “Storia
& Geografia. Corso effimero di educazione permanente” - cinque incontri
dedicati a Gabon, Germania, Iran, Argentina e Umbria, per favorire
l’integrazione degli studenti stranieri (Perugia, febbraio - maggio 1985). •
“La parte dell’altro. Teatro ed esperienze antropologiche” - ciclo di
conferenze e seminario conclusivo con E. Barba (Perugia, febbraio - aprile
1989). • “Altro e Teatro” - ciclo di conferenze e relazioni di ricerca sugli
ambiti contigui al teatro (Perugia, febbraio - maggio 1990). • “L’età dell’oro.
Per un teatro giovane” - incontri e discussioni fra giovani gruppi teatrali
(Parma, 17 - 20 aprile 1994). • “Il primo giorno. Scuola di teatro a scuola” -
convegno/laboratorio sul rapporto tra il teatro nella didattica scolastica e la
pedagogia del teatro (Parma, 5 - 8 novembre 1997). • Coordinatore del seminario
“L’infanzia ritrovata. Lo sguardo dell’artista nel presente che muta” (Parma,
14 gennaio - 25 marzo 1999), all’interno del Corso Uni-Tea 1999. • Coordinatore
del seminario laboratorio “Curare gli affetti. Il teatro come legame sociale.
Un percorso tra luoghi e non luoghi” (Parma, 27 gennaio – 6 aprile 2000),
all’interno del Corso Uni-Tea 2000. • Curatore (assieme a G. Fofi) del ciclo di
incontri “L’arte contro lo stato. Lo stato delle arti” (Santarcangelo di
Romagna, 8 – 16 luglio 2000), nel quadro del XXX Festival “Santarcangelo del
Teatri”. • Curatore (assieme a F.Orlandi) del Corso di aggiornamento per
insegnanti della Scuola Media Superiore “Oralità, Narrazione, Teatro: In
Principio era il verbo”, organizzato da Emilia Romagna Teatro – Fondazione
(Modena, Teatro delle Passioni, 26 gennaio – 23 marzo 2006). • Curatore
(assieme a S. Cipiciani) di “Piccoli maestri. Incontri video spettacoli con il
Teatro delle Albe”. (Spello, Palazzo Comunale e Teatro Subasio, 16 – 17 maggio
2006), organizzato dal Teatro stabile di innovazione “Fontemaggiore” di
Perugia. 12 • Coordinatore (assieme al prof. L. Mango) del Laboratorio di
osservazione dello spettacolo contemporaneo, nel quadro del Festival
Internazionale ESTERNI (Terni, 20 – 30 settembre 2006). • Curatore (assieme a
S. Cipiciani) di “Piccoli maestri. Incontro con Santagata o Morganti” (Terni,
Officine Ex-Siri, 22 – 25 settembre 2007), organizzato dal Teatro stabile di
innovazione “Fontemaggiore” di Perugia nel quadro del festival Es-Terni 2007. •
Ideatore e curatore di “Bene Detto. Oratorio e Laboratorio sull’arte di Carmelo
Bene” (Oratorio: Mondaino (RN), 1° settembre 2009 – Laboratorio: Mondaino (RN)
luglio 2010), organizzato da L’arboreto. Teatro Dimora, con la collaborazione
dell’Ass. Liminalia di Perugia e di B. Filippi e S. Pasello. • “I tagli e le
ferite. La poetica della politica e viceversa”, Incontro con gli artisti
italiani nel quadro di “Vie. Scena contemporanea festival”, organizzato
dall’E.R.T. (Modena, Biblioteca Delfini, 16 ottobre 2010). • Curatore e
conduttore del meeting “Per Ora Labora” sulla condizione lavorativa dell’attore
teatrale, nel quadro del Cantiere delle Arti (Modena, Biblioteca “Delfini”, 15
ottobre 2011). • Ideatore e curatore di “InizioAzione.Vacanze scolastiche per
allievi attori delle scuole di teatro” (per una ricerca sulla motivazione
teatrale), nel quadro del Festival VIE 2012 dell’E.R.T. (Rubiera, Corte
Ospitale – Modena, Biblioteca “Delfini”, 25 – 28 maggio 2012). • Curatore e
coordinatore dei sei incontri del seminario-laboratorio “Il grande attore e il
piccolo spettatore” a cura del Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore di
Perugia e del Dipartimento Uomo e Territorio – sezione antropologica –
dell’Università degli studi di Perugia (Perugia, Teatro Brecht, 7 marzo – 2
maggio 2013). • Curatore di “Autocritica”, quattro incontri fra critici e
attori per il Cantiere delle Arti, nel contesto di Vie Scena Contemporanea
Festival 2013 (Modena, Biblioteca “Delfini”, 23 maggio – 1 giugno 2013). •
Curatore e coordinatore del laboratorio per spettatori “Piccolo pubblico”,
organizzato dal Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore di Perugia
nell’occasione delle repliche degli spettacoli del Progetto Interregionale di
promozione dello spettacolo dal vivo “Teatri del presente” (Teatro Brecht di
Perugia e Teatro Clitunno di Trevi, novembre e dicembre 2013). • Curatore e
direttore scientifico de “Il Centro della Visione. Per un’accademia dello
spettatore”, progetto organizzato da Kilowat Festival a Sansepolcro (AR), dal
dicembre 2013 a luglio 2014. • Ideatore e curatore del progetto “Verso
Capitini, per un Colloquio corale”, prodotto dal Teatro Stabile d’Innovazione
“Fontemaggiore” di Perugia (da aprile 2014 ancora in corso: prima sessione
presso il Teatro Drama di Modena 17-18-19 ottobre 2104; seconda sessione presso
il Teatro Brecht di Perugia 23 dicembre.2014). 13 • Ideatore e curatore
del convegno “Il teatro della critica” (Pistoia, 14 e 15 novembre 2015),
organizzato dal Centro Culturale “Il Funaro” e dall’Associazione Teatrale
Pistoiese. CONVEGNI • Convegno su “L’Italia e l’Umbria dal Fascismo alla
Resistenza: problemi e contributi di ricerca” (Perugia, 5 - 7 dicembre 1975). •
Convegno internazionale su “Droga. Dalle esperienze ad una proposta concreta.
Aspetti terapeutici, sociali e legislativi” (Firenze, 14 - 17 aprile 1980). •
Incontro seminariale “Musica, Possessione, Spettacolo” (Greve in Chianti,
Firenze, 15 - 17 maggio 1981). • Seconda sessione dell’I.S.T.A. - International
School of Theatre Anthropology (Volterra, 8 agosto - 6 ottobre 1981). •
Convegno di studi su “Improvvisazione e spettacolo” (Firenze, 21 ottobre 1981).
• Convegno di studi su “Vedere ed essere visti” (Volterra, 26 - 28 febbraio
1982). • Convegno di studi su “Come si potrebbe vivere. Corpo e linguaggio”
(Vicenza, 22 maggio - 4 giugno 1982). • Giornate della cultura e della
partecipazione (Barcellona, 17 - 18 giugno 1983). • Convegno di studi su
“Elogio dei fiori: tecniche personali e creatività” (Volterra, 9 - 11 dicembre
1983). • Mostra-Convegno “Spoleto come titolo” (Spoleto, 7 - 9 marzo 1985). •
Simposio “Le maître du regard”, nel quadro della terza sessione dell’I.S.T.A.
(Paris, Malakoff, 20 - 21 aprile 1985). • “Incontri di lavoro con Richard
Schechner” (Pontedera, 24 - 26 aprile 1985). • Convegno-seminario su “Cosa
narrare e come narrare” (Bellaria-Igea Marina, 29 - 30 luglio 1985). • Convegno
Nazionale di Psichiatria “Crisi e costruzione delle conoscenze” (Massa, 4 - 6
ottobre 1985). • Convegno “Le forze in campo. Per una nuova cartografia del
teatro” (Modena, 24 e 25 maggio 1986). 14 • Quarta sessione dell’I.S.T.A.
- “Il ruolo della donna nel teatro delle diverse culture” (Hostelbro, 17 - 22
settembre 1986). • Convegno Nazionale di Antropologia delle società complesse
(Roma, 27 - 30 maggio 1987). • Quinta sessione dell’I.S.T.A. - “Tradizione
dell’attore e identità dello spettatore. Dialoghi teatrali” (Otranto, 1 - 14
settembre 1987). • Convegno su “Teatro e Emergenza. Quattro incontri” (Bologna,
11 - 13 dicembre 1987). • “Natura e buongoverno del teatro. Convegno Nazionale
per il rinnovamento della scena italiana” (Milano, 20 e 21 ottobre 1988). • 1°
Encuentro de Artes Escenicas sobre perspectivas, necesidades, metodos,
limitaciones y alternativas para la investigacion y esperimentacion (Mexico D.
F., 23 - 26 gennaio 1989). • Convegno su “La presenza misconosciuta. Nuovi
progetti di teatro” (Frascati, 17 - 19 marzo 1989). • Giornate di studio su
“Grotowski, la presenza assente” (Modena, 6 e 7 ottobre 1989). • 2° Congresso
Mondiale di Sociologia del Teatro (Bevagna, 27 - 29 ottobre 1989) • Seminario
Internazionale “A la recerca d’un espai teatral contemporani” (Olot -
Catalunya, 28 - 30 giugno 1990). • Sesta sessione dell’I.S.T.A. - “Università
del teatro euroasiano. Tecniche della rappresentazione e storiografia”
(Bologna, 28 giugno - 18 luglio 1990). • XIIth World Congress of Sociology
(Madrid, 9 - 13 luglio 1990). • Convegno di fondazione di “Mantis. Centro per
la ricerca sui linguaggi del comportamento funzionale” (Palermo, 15 e 16
dicembre 1990). • Convegno su “Culture immigrate e teatro in Europa. Analisi
dei fenomeni interattivi fra culture immigrate e culture europee” (Bologna, 16
novembre 1991). • Seminario-convegno della Università del Teatro Euroasiano
(Padova, 7 e 8 marzo 1992). • Convegno internazionale su “Teatro Europeo: quali
percorsi formativi” (Torino, 14 - 17 maggio 1992). • 3° Congresso Internacional
de Sociologia do Teatro (Fondazione Gubelkian, Lisbona, 30 ottobre - 2 novembre
1992). • Convegno su “La piazza nella storia. Eventi, liturgie,
rappresentazioni” (Università di Salerno-Fisciano, 9 - 11 dicembre 1992). •
Seminario-convegno della Università del Teatro Euroasiano - “Drammaturgie
parallele” (Fara Sabina, 21 - 30 maggio 1993). • Giornate di incontri e di
studi “Per Carmelo Bene” (Perugia, 13 - 16 gennaio 1994). • 1° Congresso
Nazionale “L’antropologia e la società italiana” (Roma, 28 - 30 aprile 1994).
15 • Convegno “L’identità collettiva e la memoria storica: un confronto
tra Italia e Polonia”, organizzato dall’Ambasciata d’Italia e dall’Università
di Varsavia (Varsavia, 16 – 18 giugno 1994). • Convegno di studi su “L’altra
via dell’intelligenza. Teatro e valore” (Terza Università di Roma, 11 e 12
ottobre 1994). • 1° Convegno Europeo Teatro e Carcere - “Immaginazione contro
emerginazione” (Milano, 21 - 23 ottobre 1994). • Convegno su “I sommersi e i
salvati. Come, perché, dove e per chi fare teatro?” (Terza Università di Roma,
4 e 5 marzo 1995). • Convegno internazionale per la fondazione del Centre
International d’Ethnoscènologie (Paris, 3 - 4 maggio 1995). • Convegno su
“Pacifismo, disobbedienza civile, obiezione di coscienza: il ruolo della
Comunità di Capodarco” (Lido di Fermo, 13 - 14 maggio 1995). • Congresso
Europeo della Biennale Théâtre Jeunes Publics - “Pourquoi aller au théâtre
aujourd’hui?” (Lyon, 3 - 5 giugno 1995). • Convegno su “Teatro antropologico e
Antropologia teatrale” (Scilla, 25 giugno 1995). • Convegno su “Tradizione e
modernità al sud” (Gallipoli, 14 agosto 1995). • Convegno Internazionale su
“Teatro e Scuola: Università ed Educazione al Teatro” (Roma, 18 - 19 ottobre
1995). • Convegno “Teatro e Scuola fra espressività e percezione” (Modena, 15 -
16 novembre 1996). • 5ème Congres International de Sociologie du Théâtre (Mons,
20 - 23 marzo 1997). • Convegno Nazionale su “Arte del narrare, arte del
convivere. Incontro tra immigrati, educatori e artisti narratori” (Palermo, 3 -
5 aprile 1997). • Convegno di studio “Creativi si nasce? Teatro e creatività
nei possibili percorsi della riforma scolastica” (Palazzolo sull’Oglio - BS, 16
- 17 ottobre 1997). • Convegno su “Le letterature popolari. Prospettive di
ricerca e nuovi orizzonti teorico- metodologici” (Fisciano e Ravello -
Università di Salerno, 21 - 23 novembre 1997). • Convegno su “Il gioco del
teatro. L’animazione trent’anni dopo” (Torino, 21 - 22 aprile 1998). • Convegno
“Processo federalistico delle istituzioni meridionali e mediterranee” (Messina,
24 aprile 1998). • Convegno-Seminario “Carmelo Bene e Gabriele D’Annunzio.
Sulla verticalità del verso” (Roma, Teatro Valle, 19 maggio 1998). • “Acting,
Life, and Style”, convegno per un progetto internazionale di ricerca
organizzato dall’Italienska Kulturinstitutet “C.M. Lerici” e dal
Teatervetenskapliga Institutionen della Universitet Stockholms (Stoccolma, 9 -
13 settembre 1998). 16 • 3° Convegno Europeo di Teatro e Carcere: “Verso
il Duemila, il cammino di un’utopia concreta” (Milano, 27 - 31 ottobre 1998),
tavola rotonda su “Il costringimento e il suo doppio” (30.10.98). • Convegno
“Io sono la prima attrice. Crocevia di esperienze tra teatro e handicap”
(Milano, 20, 21, 22 novembre 1998). • Convegno “Un teatro per domani”,
all’interno della X edizione di Galassia Gutemberg Mostra mercato del libro e
della multimedialità (Napoli, Mostra d’Oltremare, Galleria Mediterranea, 21
febbraio 1999). • Convegno di studio per dirigenti e docenti della scuola “Il
Corpo - la Macchina tra avventura, traduzione, mistero” (Calcinate, Bergamo, 21
- 22 maggio 1999). • Congresso “Le Corps du Théâtre. À partir de la
Méditerranée: organicité, contemporanéité, interculturalité” (Bologna, 13 e 14
ottobre 1999), organizzato dalla Maison de Sciences de l’Homme, Ente Teatrale
Italiano e D.A.M.S. dell’Università di Bologna. • Encontro Internacional de
Novo Teatro para Crianças e Adolescentes – “Percursos” (Lisboa – Portugal,
Centro cultural de Bélem, 20 – 27 maggio 2000). • “Per un teatro popolare di
ricerca”, convegno organizzato da La Corte Ospitale (Rubiera, 23, 24 e 25
giugno 2000). • Primo Convegno Internazionale di Studi “I teatri delle
diversità e l’integrazione” organizzato da Ass. Cult. Nuove Catarsi (Cartoceto
–Ps, 14 – 15 ottobre 2000). • Convegno Internazionale “Intrecci tra Educazione
Arte Natura nella prospettiva della conversione ecologica” (Amelia, 29 marzo –
1 aprile 2001), organizzato dalla Casa Laboratorio di Cenci. • Giornate di
studio e di ricerca “I Sud e le loro Arti” (Arnesano, 6, 7 e 8 settembre 2001,
organizzato dal Comune di Arnesano (Le) e dall’Università di Lecce. • Convegno
“Il cinema al limite, al limite il cinema” (Perugia, 9 novembre 2001),
organizzato da Batik-Perugia Film Festival. • “Ho sognato che vivevo. Teatri
della trasformazione e dell’esclusione. Esperienze di teatro con protagonisti
non comuni (pazienti psichiatrici, carcerati, portatori di deficit, immigrati)
a confronto con studiosi e amministratori”, (Arena del Sole, Bologna, 12 e 13
aprile 2002) convegno organizzato dall’Azienda USL Bologna Nord e dalla Regione
Emilia-Romagna. • Convegno di Studi “Antropologia e poesia” (Fisciano-Ravello,
2 – 4 maggio 2002), organizzato dall’Università degli studi di Salerno e
dall’A.I.S.E.A.- Sezione di Antropologia e letteratura. • Convegno “Per un
nuovo Teatro in Italia e in Europa” (Roma, Teatro Valle, 16 e 17 maggio 2002),
organizzato dall’Ente Teatrale Italiano nel quadro di “Cercando i teatri
2001-2002”. 17 • Convegno “Residui illimitati” (Bergamo, Chiesa di
S.Agostino, 21 giugno 2002), organizzato da Il Teatro Prova nel quadro del
festival “Non voglio perdere la meraviglia. Teatri e arti tra diversità e
alterità”. • Convegno Internazionale “Le arti del ‘900 e Carmelo Bene” (Torino,
Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, 24 – 27 ottobre 2002),
organizzato dalla Regione Piemonte e dall’Organizzazione per la Ricerca in
Scienze e Arti di Torino. • Convegno Internazionale “Performing Through –
Tradition as Research at the Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards”
(Vienna, Theater des Augenblicks, 28 – 29 giugno 2003. • Non solo per piacere.
Pratiche teatrali. Adolescenti. Giustizia. Convegno nazionale sulle esperienze
di teatro con minori in area penale interna ed esterna (Bologna, Maison
Française, 28 febbraio 2003), organizzato dal Dipartimento Musica e Spettacolo
dell’università di Bologna, dalla Regione Emilia-Romagna e dal Centro Giustizia
Minorile per L’Emilia Romagna e Marche. • Colloque International
d’Ethnoscénologie (Parigi, Université Paris 8, 12 – 14 settembre 2005) •
Convegno “L’Attore”, organizzato da Primafila e InScena con il patrocinio delle
Segreterie di stato per il Turismo e gli Istituti Culturali – Repubblica di san
Marino (Sala SUMS, 23 e 24 settembre 2005). • Giornate di lavoro e di studio
nel quadro dell’Assemblea Generale di IRIS - Associazione Sud Europea per la
Creazione Contemporanea (Modena, Palazzo Comunale, 28 – 29 ottobre 2005). •
“Controscuola. Riflessioni ed esperienze pedagogiche”, convegno organizzato
dalla rivista “Lo straniero” (Roma, Museo di Roma in Trastevere, 4 – 5 febbraio
2006). • International symposium on tracing roads across “Living Traces –
Performing as a Shared Reality” (in the occasion of the 20th Anniversary of the
Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards), Teatro Manzoni, Pontedera –
PI, 11 – 13 aprile 2006. • Convegno “Réécritures de Médée”, organizzato dal
Centre de Recherche en Etudes Féminines – Etudes de genre del’Université Paris
8 (Saint-Denis, Musée d’Art et d’Histoire, 24 e 25 novembre 2006. • “Il disagio
e chi se ne occupa. Crisi dei sistemi educativi e di cura e prospettive
dell’agire sociale”, convegno organizzato dalla rivista “Lo straniero” (Roma,
Sala Civita, Piazza Venezia, 12 – 13 maggio 2007. • 1° Incontro su
“Travestitismo e identità di genere nelle scienze della recitazione” (Napoli,
Galleria Toledo, 16 novembre 2007), organizzato dal Dipartimento di
Neuroscienze, Unità di Psicologia Cilinica e Applicata e dalle Università degli
Studi di Napoli Federico II , L’Orientale, Suor Orsola Benicasa; comunicazione
su Il teatro e l’alterità di genere. Il caso o l’esempio di Carmelo Bene. 18
• 2° Convegno Regionale A.I.Fi Umbria su “Le alterazioni posturali: dalla
conoscenza alla coscienza riabilitativa” (Trevi, Hotel della Torre, 1 marzo
2008), organizzato con la collaborazione dell’Università di Perugia;
comunicazione su Postura e cultura. Il corpo della tradizione e il corpo della
rappresentazione. • Convegno “Venti anni di teatro della Compagnia della
Fortezza – Per un teatro stabile in carcere” (Volterra, Cortile principale del
carcere, 21 e 22 luglio 2008) – coordinatore e relatore. • Convegno
internazionale “Il teatro che ho in testa. Per un festival di teatro da sogno”
(Ulassai e Jerzu, 8 – 9 agosto 2008), organizzato da Cada Die Teatro, nel
quadro di “Ogliastra Teatro, festival dei tacchi”. • Convegno “La frontiera del
teatro. Grotowski 30 anni dopo” (Milano, Teatro dell’Arte, 23 – 24 gennaio
2009), organizzato dal CRT Centro di Ricerca per il Teatro di Milano. •
Convegno “Teatro e Infanzia”, a cura di G. Fofi e M. Martinelli, organizzato
dal Teatro Stabile di Napoli e da Punta corsara (Scampia-Napoli, Teatro
Auditorium, 28 e 29 marzo 2009. • Journée d’étude “Modes et formes d’émergence
dans le théâtre” (Liegi, Belgio, 15 maggio 2009), organizzato, nel quadro del
progetto Prospero, dall’Université de Liège e dal Théâtre de la Place. • “Ricordando
Lévi-Strauss. Convegno di studi” (Macerata, 6 maggio 2010), organizzato dal
Centro Internazionale di Studi sul Mito e dall’Università di Macerata. •
Convegno seminariale “Chi è il prossimo?”, organizzato dalla rivista “Lo
straniero” nel quadro del 40° Festival Internazionale del Teatro in Piazza
(Santarcangelo di Romagna, Supercinema, XXXXX luglio 2010) • “Futuramente. 1°
Convegno intorno alla Creatività per le future generazioni” (Pontedera, Museo
Piaggio, 29, 30, 31 ottobre 2010), organizzato dall’ass. Libera Espressione e
dal Comune di Pontedera (PI). • Journée d’étude “Vous ne trouvez pas ça
tragique? – conversation publique sur l’art, l’esthétique et la politique”
(Tolosa, Francia, 15 gennaio 2011), organizzata dal Théâtre Garonne, nel quadro
di “In Extremis # 7”, 6 – 15 gennaio ’11. • “Una giornata con il Living
Theatre” – conversazione pubblica (San Sisto – Perugia, Teatro Bertolt Brecht,
27 marzo 2011) organizzata dall’UILT nel quadro della Giornata Mandiale del
Teatro. • Convegno Internazionale “Civiltà, culture, educazione. Le sfide della
società tardo- moderna alla pedagogia” (Aula Magna della Lumsa, Roma, 5 aprile
2011), organizzato dalla Facoltà di Scienze della Formazione della LUMSA di
Roma. • Convegno seminariale “Un’idea di rivoluzione” , organizzato dalla
rivista “Lo straniero” nel quadro del 41° Festival Internazionale del Teatro in
Piazza (Santarcangelo di Romagna, Supercinema, 16 luglio 2011). 19 • “Il
n’y a pas de révolution politique possible, s’il n’y a pas d’une révolution poétique”
– incontro internazionale e tavola rotonda sul rapporto tra pratiche artistiche
e mutazioni politiche nelle aree interessate dalla “primavera araba” (Terni,
Festival Internazionale della Creazione Contemporanea, Caos Area Lab, 18
settembre 2011). • Journée d’études “Potlach notionnel sur la performance.
National potlach on performance”, organizzata dall’E.H.E.S.S., dall’Université
Paris Ouest-Nanterre, dal Centre Edgar Morin e dal H.A.R. (Amphithéâtre
François Furet, 105 bld. Raspail, Paris – 29 maggio 2012). • Convegno
internazionale della Facultatea de Teatru si Televiziune – Universitatea
Babes-Boyai di Cluj-Napoca (Romania) “The Bad Spectator. Performing Arts
between Construction and Destruction / Le mauvais spectateur. Les arts du
spectacle entre construction et destruction”, organizzato dal gruppo di ricerca
Istoria Teatrului, Iconografie si Antropologie Teatrali a Cluj-Napoca (7 – 9
giugno 2012). • Seminario “L’esperienza del principio. Jerzy Grotowski,
l’infanzia e la rinuncia all’assenza” (Cenci-Amelia, 16 giugno 2012), nel
quadro della manifestazione “Sorgenti e torrenti. Omaggio a Jerzy Grotowski e
al Teatro delle sorgenti” organizzata dal Laboratorio di Cenci 15 – 17 giugno
2012. • Convegno “Le théâtre et ses publics: la création partagée” - 2°
Colloque International du Projet Européen PROSPERO (26 -29 settembre 2012,
Salle académique dell’Università di Liegi – Belgio), organizzato dal Théâtre de
la Place di Liegi e dell’Université de Liège. • “Confusion de genres. Journées
d’étude en l’honneur de Jean-Paul Manganaro”, organizzato dall’Université de
Lille 3, dall’Université Paris Ouest-Nanterre-La Defense e dall’Università
Italo Francese (Lille, 29 novembre – 1° dicembre; Paris, 12 dicembre 2012). •
Colloque International “D’après Carmelo Bene” (Parigi, Institut National
d’Histoire de l’Art - Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique -
Cinéma du Panthéon – 8, 9 e 12 gennaio 2013), organizzato da HAR, Université
Paris Ouest-Nanterre, Labex Arts-H2H, Université Paris 8 Vincennes-Saint Denis,
CNSAD, Dipartimento Uomo e Territorio dell’Università di Perugia (in
partenariato con Union des Théâtres de l’Europe e con Emilia Romagna Teatro
Fondazione). • Incontro sul tema “Memoria e Identità” (Gubbio, Biblioteca
Sperelliana, 23 febbraio 2013), organizzato dal Comune di Gubbio e dal Lyons
Club Gubbio Host. • “Teatro e nuovo umanesimo”, convegno nel quadro della
“Giornata per Claudio Meldolesi” (Bologna, Laboratorio delle Arti, 18 marzo
2013), organizzata dal Dipartimento delle Arti visive, performative, mediali
dell’Università di Bologna, con il patrocinio dell’Accademia dei Lincei.
20 • Convegno Nazionale di Teatro educativo intitolato “Scrittura e
riscrittura. Da testo alla messa in scena – Esperienze a confronto” (Avigliano
Umbro, TR, 27 -28 aprile 2013). • 7° Colloque international d’ethnoscénologie,
organizzato da Maison des Cultures du monde, Université Paris 8, Maison des
Sciences de l’Homme Paris Nord (Paris, 21 -23 maggio 2013) • Incontro sul tema
“Ai confini della democrazia” (Roma, La Pelanda, 11 settembre 2013) organizzato
dalle Edizioni dell’Asino nel quadro della rassegna Short Theatre n. 8
intitolato “Democrazia della felicità” (Roma, 5 – 18 settembre 2013). •
Convegno Seminario “Intellettuali e riviste tra passato, presente e futuro”
(Perugia, Sala della Partecipazione del Consiglio regionale dell’Umbria, 17
settembre 2014). • Convegno sulla Rete Regionale dei Teatri (Modena, Teatro
delle Passioni, 27 novembre 2013), organizzato dalla Fondazione Mario del Monte
e da Emilia Romagna Teatro. • Convegno “La possibilità del teatro. Un incontro
di riflessione e confronto”, organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro
(Pontedera, PI, Teatro Era, 12, 13, 14 dicembre 2014). • Convegno “Il teatro
della critica” (Pistoia, 14 e 15 novembre 2015), organizzato dal Centro
Culturale “Il Funaro” e dall’Associazione Teatrale Pistoiese. RICERCHE ricerche
teoriche: • Il contesto sociale della criminalità e della devianza - “Le basi
strutturali dei processi di criminalizzazione” (1974 - 1976). • La solitudine
abitativa come fenomeno emergente (gennaio - ottobre 1980). • Riferimenti
teorici ed esperienze empiriche nella fondazione di una antropologia del teatro
(1984 - 1988). • Cultura dell’attore nelle tradizioni teatrali euroasiatiche
(1987 - 1992). 21 • L’identità dello spettatore e i modelli di fruizione
del teatro (1988 - 1990). • Sociabilità, Relazionalità, Spettacolarità (1990 -
1991). • Tecniche del corpo e azioni performative (1992 - 1993). • Studio per
la realizzazione di uno spettacolo teatrale sul tema del cooperativismo
(dicembre 1993 - febbraio 1994). • Elements anthropologiques dans le théâtre
contemporain - nel quadro della partecipazione al Groupe international de
recherche interdisciplinaire “Spectacle vivant et sciences de l’homme” - Maison
de l’Homme, Paris (dal 1996 ancora in corso). • Il teatro e la scuola: le
funzioni pedagogiche del teatro e i corsi di formazione degli operatori
teatrali e degli insegnanti - nel quadro dell’attività dell’Uni-Tea, progetto
coordinato dall’Ente Teatrale Italiano (dal 1997 al 2000). ricerche empiriche:
• Gli atteggiamenti nei confronti della devianza criminale e dell’istituzione
carceraria (ricerca condotta nel quartiere di P.ta Eburnea di Perugia - giugno
1974). • Le opinioni e gli atteggiamenti degli studenti dell’Istituto Tecnico
per Geometri di Perugia nei confronti della scuola e della condizione giovanile
(aprile - maggio 1976). • Indagine su tipologia e censimento degli organismi di
democrazia di base (ricerca per il Consiglio Regionale dell’Umbria, 1976 -
1977). • Ricerca sulla definizione e le caratteristiche della popolazione
“reale” (ricerca del C.R.U.R.E.S., marzo - maggio 1978). • Indagine
sull’ascolto radiotelevisivo in Umbria (ricerca del Comitato Regionale Umbro
per il Servizio Radiotelevisivo, maggio 1978 - ottobre 1979). • Ricerca sul
comportamento elettorale in Umbria attraverso l’analisi dei risultati delle
elezioni politiche ed europee del giugno 1979 (giugno - dicembre 1979). •
Indagine sull’esercizio e il mercato cinematografico in Umbria (ricerca
dell’Associazione Umbra per il Decentramento delle Attività Culturali, ottobre
1982 - marzo 1983). • Inchiesta sul teatro dialettale in Umbria (ricerca del
Centro Documentazione Spettacolo, settembre 1983 - aprile 1984). • Analisi dei
risultati delle elezioni amministrative del 1985 nel comune di Perugia (ricerca
del Comune di Perugia, giugno 1985 - aprile 1986). • Ricerca sulla memoria e
sulla identità dello spettatore (ricerca condotta in Salento per
l’International School of Theatre Anthropology, marzo- ottobre 1987). •
L’informazione televisiva in Umbria: i notiziari regionali (ricerca del
Comitato Regionale Umbro per il Servizio Radiotelevisivo, novembre 1987 -
giugno 1988). • Indagine sulle emittenti radiotelevisive operanti in Umbria
(ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio Radiotelevisivo, novembre
1988 - settembre 1989). • Aspetti devozionali e spettacolari nelle feste
religiose patronali (ottobre 1996 – ottobre 2002). 22 • “In compagnia:
ricerca e analisi sulle opportunità di lavoro e di impiego nel settore
teatrale” (nel quadro dell’azione pilota “terzo settore e occupazione” promossa
dalla Commissione Europea D.G.V); ricerca coordinata da Emilia Romagna Teatro
con la collaborazione di “Amitié”, Taller de Investigaciòn de la Imagen
Teatrale di Madrid, Teatro delle Briciole, Teatro Festival, Thomas Consulting
Group (dal 15 dicembre 1997 al 15 dicembre 1998). • Ricerca empirica sulla
definizione e sulla’informazione e formazione dello spettatore, all’interno del
progetto “100 spettatori da adottare” organizzato dalla Fondazione Pontedera
Teatro e dall’ETI Ente Teatrale Italiano (aprile 2000 – aprile 2001). • “Il
nuovo attore nuovo” Osservatorio scientifico sulla pedagogia dell’attore di
innovazione, applicato al Progetto interregionale “Teatro – Percorsi di Alta
Formazione” organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro, dai Cantieri
Teatrali Koreja di Lecce e dal Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, in convenzione con
le rispettive Regioni (gennaio – giugno 2008). • Analisi documentale del
“Cantiere delle Arti” – un cantiere transnazionale per la creazione di percorsi
integrati connessi alla realtà produttiva del settore spettacolo dal vivo –
costituito da Emilia Romagna Teatro Fondazione, dalla Regia Accademia
Filarmonica e Musica e Servizio Cooperativa Sociale (aprile – dicembre 2011)
23 PUBBLICAZIONI Sull’opera e il pensiero degli antropologi Giulio
Angioni. Tra antropologia e letteratura (recensione), “Lo straniero Arte
Cultura Società”, anno VII, n. 35, maggio 2003, pp. 153 – 156. Bourdieu:
l’autoanalisi di un maestro, “Lo straniero Arte Cultura Scienza Società”, anno
X, n. 70, aprile 2006, pp. 90 – 92. Postfazione alla parte quinta “Dimensioni
della festa” in: T. Seppilli, Scritti di antropologia culturale, (M. Minelli –
C. Papa, curatori), 2 voll., Olschki Ed. , Firenze, 2008; vol. II – La festa,
la protezione magica, il potere, pp. 519 – 529. Lo sguardo lontano di
Lévi-Strauss, “Lo straniero Arte Cultura Scienza Società”, anno XIV, n. 116,
febbraio 2010, pp. 106 - 109. Lezione e monito dell’ultimo Baudrillard, “Lo
straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XVII, n. 157, luglio 2013, pp.
76 – 79. Sulla condizione e la subcultura giovanile: Dopo Licola, (in coll. con
G. Baronti), “Ombre Rosse”, n. 17, nov. 1976, pp. 50 - 67. Il corpo e il
territorio, “Segno critico”, anno I, nn. 2 - 3, luglio - dicembre 1979, pp. 99
- 103. Una nuova solitudine. Vivere soli tra liberazione e integrazione, (in
coll. con P. Bartoli e S. La Sorsa), Savelli ed., Roma, 1981, 255 pp.
Protagonismo, narcisismo e consumismo, “Ombre Rosse”, n. 33, marzo 1981, pp. 13
- 21. Forza ragazzi, “Linea d’ombra”, anno IV, n. 13, febbraio 1986, pp. 8 -10.
Disagi giovanili, disagi senili, “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno II,
n. 8, autunno 1999, pp. 43 – 50. Il diavolo, sicuramente, “Lo Straniero. Arte
Cultura Scienza Società”, anno XI, n. 84, giugno 2007, pp. 33 – 37. Lo studente
quotidiano, “Gli asini. Educazione e intervento sociale”, anno I, n. 3,
novembre- dicembre 2010, pp. 10 – 19. La Giovane Italia, “Gli asini. Educazione
e intervento sociale”, anno II, n. 7, settembre- ottobre 2011, pp. 93 – 98. Un
saggio Laffi sui giovani e i vecchi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza
Società”, anno XVIII, n. 166, aprile 2014, pp. 30 – 34. Sulla devianza e la
criminalità: La ricerca dei ricercati. Sociologia dell’ordine pubblico, (in
coll. con G. Baronti), “Ombre Rosse”, n. 21, luglio 1977, pp. 85 - 95. 24
La organizzazione del consenso nel regime fascista: la manipolazione ideologica
della devianza criminale, (in coll. con G. Baronti), “Studi e materiali di
antropologia culturale”, n. 5, Perugia, 1983, 33 pp. Sulla cultura meridionale:
Mezzogiorno è già passato, in: G. Fofi – A. Leogrande (curatori), Nel sud,
senza bussola. Venti voci per ritrovare l’orientamento, L’ancora del
mediterraneo, Napoli, 2002, pp. 17 – 30 Sulla cultura politica e la politica
culturale: Partiti e comportamento elettorale. Analisi dei risultati delle
elezioni del giugno 1789 in Umbria (in coll. con A. Sorbini), Com.Reg.Umbro
PSI, Perugia, 1980, 295 pp. Caro nome..., in: AA.VV., A proposito dei
comunisti, Linea d’ombra ed., Milano, 1990, pp. 49 - 64. La festa dell’albero.
Come ri-nasce un partito, “Linea d’ombra”, anno IX, n. 58, marzo 1991, pp. 16 -
20. Invenzione, diffusione e agonia dell’operatore culturale, “Linea d’ombra”,
anno XI, n. 88, dicembre 1993, pp. 13 - 17. Ebrei e naziskin. I fatti e le
notizie, in: A. Cavaglion (a cura di), Gli aratori del vulcano. Razzismo e
antisemitismo, Linea d’ombra ed., Milano, 1994, pp. 59 - 64. Il punto e la linea.
Maggioranze, minoranze e critica della politica, “Linea d’ombra”, anno XIII,
gennaio 1995, n. 100, pp. 4 - 5. La cultura del maggioritario, “La terra vista
dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”, n. 1, febbraio 1995, pp. 4 - 7.
Una merce come le altre? La fiera del libro a Torino, “La terra vista dalla
luna. Rivista dell’intervento sociale”, n. 4, giugno 1995, pp. 65 - 66. Laici
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stagno , “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno II, n. 6, primavera 1999,
pp. 150 - 159. Cosa ci tocca vedere, “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno
II, n. 7, estate 1999, pp. 58 – 63. Il laico e il sacro, “Lo Straniero. Arte
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settembre 2001, pp. 41 – 48. Il porto dell’università, fra la nebbia e il
miraggio, “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno VI, n. 21, marzo 2002, pp.
47 – 53. Toni, Bepi e san Francesco (per tacere di sant’Agostino), “Lo
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(recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XI, n. 81,
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Matteucci (recensione),“Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XI,
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Cultura Scienza Società, anno XII, n. 94, aprile 2008, pp. 14 – 17. Il male
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Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XIV, n. 126/127, dicembre
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Cultura Scienza Società”, anno XIV, n. 126/127, dicembre 2010-gennaio 2011, pp.
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asini. Educazione e intervento sociale”, anno II, nn. 5 – 6, marzo/aprile –
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Scienza Società”, anno XV, n. 133, luglio 2011, pp. 33 – 37. Specchiarsi nelle
vite degli altri. Un romanzo di Emmanuel Carrère, (recensione), “Lo Straniero.
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maggio è francese, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XVI, n.
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post-comunisti, Edizioni dell’asino, Roma, 2013, 149 pp. La cultura e la
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Società”, anno XVII, n. 153, marzo 2013, pp. 94 – 98. Indovinala Grillo!, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XVII, n. 154, aprile 2013, pp.
15 – 18. Fazio ovvero l’ultima volta della tivvù, “Lo Straniero. Arte Cultura
Scienza Società”, anno XVII, n. 154, aprile 2013, pp. 71 – 76. L’università dei
vavassini, “Gli asini. Rivista di educazione e intervento sociale” (numero
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Il Giovane Renzi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XVIII, n.
167, maggio 2014, pp. 35 – 39. I volontari dell’ottimismo. Marino Sinibaldi
riflette sulla cultura, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno
XVIII, nn. 170-171, agosto-settembre 2014, pp. 14 – 18. Sul pensiero e l’azione
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del volume: A. Capitini, Agli amici. Lettere 1947-1968, Edizioni dell’Asino,
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(recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno VI, nn. 30-31,
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Giacchè pas Ciryl Béghin), “Théâtre et Cinéma 2009. Marco Bellocchio, Carmelo
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English-French review, nn. 48 -49, 2^ semestre 2010, pp. 111 – 118. Uomini e
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teatrale, in: D. Pietrobono – R. Sacchettini (curatori), Il teatro salvato dai
ragazzini. Esperienze di crescita attraverso l’arte, Edizioni dell’Asino, Roma,
2011, pp. 46 – 65. Non fare l’amore, in: T. Cots (a cura di), Loving effects,
Quodlibet ed., Macerata, 2011, pp. 17-66 (trad.inglese: pp. 175-184). Buttare
il bambino nell’acqua sporca, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”,
anno XV, n. 138/139, dicembre 2011-gennaio 2012, pp. 125 – 127. Les Menoventi
et le Perithéâtre, in: C. Hurault – G. Banu (curatori), Frontières liquides –
territoires de l’art. Emergences de la scène européenne, Editions Alternatives
théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe (n. 9 hors série de la revue
“Alternatives théâtrales”), maggio 2012, pp. 75 – 76. Liquidité et/ou
verticalité, in: C. Hurault – G. Banu (curatori), Frontières liquides –
territoires de l’art. Emergences de la scène européenne, Editions Alternatives
théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe (n. 9 hors série de la revue
“Alternatives théâtrales”), maggio 2012, pp. 32 – 33. Le public est mort. Vive
le Public! Sur la poétique et la politique du mauvais spectateur, in: S. e J.
Pop-Curseu – A. Maniutiu – L. Pavel-Teutisan – D. Enyedi (curatori), Regards
sur le mauvais spectateur – Looking at the Bad Spectator, Presa Universitara
Clujeana, Cluj-Napoca, Romania, 2012, 346 pp., cfr. pp. 21 – 29. Eugenio Barba
e Carmelo Bene. Vite parallele e viaggi perpendicolari, “Teatro e Storia”, a.
XXVI, vol. IV nuova serie, Bulzoni ed., n. 33, 2012, pp. 321 – 332. (riedito in
francese, traduzione di Cristina De Simone in: Les Voyages ou l’ailleurs du
théâtre. Hommage à Georges Banu (Essais et témoignages réunis par Catherine
Naugrette), Éditions Alternatives théâtrales – Sorbonne Nouvelle-Paris 3, 2013,
pp. 252 – 263). Il pubblico troppo emancipato, “Quaderni del Teatro di Roma”,
n. 11, gennaio-febbraio 2013, pp. 12 – 13. O Espectador-Hòspede, “Revista
Brasileira de Estudos da Presença”, Porto Alegre, v. 3, n. 1, pp. 101 – 109,
jan./abr. 2013 - http://www.seer.ufrgs.br/presenca. Le public est mort. Vive le
Public!, “Alternatives théâtrales” (Le mauvais spectateur), n. 116, 1er
trimestre 2013, Bruxelles, pp. 16 – 19. Le “Public” trop émancipé: vers une
poétique pauvre de la politique théâtrale, in: Le théâtre et ses publics. La
création partagée (Actes du 2° Colloque International du Projet Européen
PROSPERO - Liège, 26 -29 settembre 2012), Les Solitaires Intempestifs Editions,
Besançon, 2013, pp. 57 – 72. Teatro e comunità, “Scena”, n. 74, 4° trimestre
2013, pp. 12 – 15. Sur Sieni, et surtout sur Virgilio... Trois exemples, in: V.
Sieni, Trois Agoras Marseille. Art du geste dans la Méditerranée, Maschietto
editore, Firenze, 2013, pp. 42 – 43. Risposte o riposte. Cinque lettere aperte
su CB, “Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali”, anno XVIII, n.
1, ottobre 2013, pp. 43 – 46. Un Pinocchio letto per Bene, introduzione a: C.
Bene, Pinocchio, Bompiani ed., Milano, 2014. 33 Vers la verticalité
du vers, “Revue d’Histoire du Théâtre”, LXVI année, juillet-septembre 2014-III,
n. 263 (D’Après Carmelo Bene. Actualité), pp. 345-354. Il combattimento tra la
teoria e la poesia (dedicato a Claudio Meldolesi), “Prove di drammaturgia.
Rivista di inchieste teatrali”, anno XIX, nn. 1 - 2, novembre 2014, pp. 27 –
29. Il teatro piccolo, povero, nuovo, in: “L’Italia e le sue regioni. L’età
repubblicana, vol. IV Società (a cura di M. Salvati – L. Sciolla)”, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Abramo Printing,
Catanzaro, 2015, pp. 485 – 503. Carmelo selon Jean-Paul in: Croisement
d’écritures France-Italie. Hommage à Jean-Paul (sous a direction de Camille
Dumoulié, Anne Robin et Luca Salza), éd. Mimésis, 2015, pp. 177 – 182.
Vêtements liturgiques et corps dévôts, in: Jean-Marie Pradier (sous la
direction de), La croyance et le corps. Esthétiques, corporeité des croyances
et identités (Actes du 7° colloque international d’ethnoscénologie, Paris,
21-23 mai 2013), Presses Universitaires de Bordeaux, 2015, pp. 113 – 121. Il
presente curriculum comprende i titoli, le attività e le pubblicazioni al 31
dicembre 2016 Il sottoscritto è a conoscenza che, ai sensi dell‚art. 26 della
legge 15/68, le dichiarazioni mendaci, la falsità negli atti e l‚uso di atti
falsi sono puniti ai sensi del codice penale e delle leggi speciali. Inoltre,
il sottoscritto autorizza al trattamento dei dati personali, secondo quanto
previsto dalla Legge 196/03. Quanto dichiarato nel presente curriculum vitae
corrisponde al vero ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. 445/2000 Piergiorgio
Giacchè. Giacchè. Keywords: l’altra visione dell’altro, Clifton, religion and
education, ego et tu. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giacchè: A Cliftonian
implicature” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757949198/in/dateposted-public/
Grice e
Giacomo – icona -- sensibile, imagine, presentazione, rappresentazione,
formante e formato, contentente e contenudo -- l’inspiegabile – filosofia
italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Avola).
Filosofo. Studia estetica. Il rapporto tra estetica e figura, immagine, rappresentazione.
Si laurea sotto Garroni. Insegna a Parma e Roma. Fonda la Società Italiana
d'Estetica. Nell'affrontare il concetto di ‘immagine’ è necessario rifiutare sia
l'interpretazione che vede una'immagine come lo specchio di una cosa (“Fido”-Fido).
E necessario rifiutare anche quella interpretazione del concetto di ‘imagine’
che la considera esclusivamente come un segno significante di se stesso. Il
concetto di ‘rap-presentazione’ implica qualcosa che si mostra e nel
manifestarsi resta ‘altro' dalla ‘percivibilita’ della rappresentazione stessa.
Così, nel ‘presentare’ se stessa, una immagine manifesta l'altro del
perceptible, del rappresentabil. Quell'altro che si rivela nel perceptibile,
nascondendosi a esso. Ed è proprio così che una immagine si fa un ‘icono’ di
quello che e altro il perceptibile. Afferma la tendenziale perdita di ‘figurativita’
di una immagine e del continuare a sussistere dell'immagine stessa. Una
immagine, infatti, è una segno e insieme una non-segno. E il paradosso di una
“irrealta reale”. Si riferisce al tentativo di scindere la natura ancipite
dell'immagine negli elementi che la compongono. Da una parte in un “readymade”
(come l’urinale di Duchamp), nel quale la dimensione rap-presentativa si
dissolve in una dimensione puramente PRE-sentativa, e dall'altra in una pura
immagine soggetiva, dotata di un debole supporto materiale. Una immagine e una
meta-immgine: l’immagine di una immagine (homuncular regressus ad infinitum of
Griceian theories of representation, according to Cummings, but not Grice!). Di
questo modo, una immagine non e neppure propriamente immagini quanto piuttosto una
‘simul-azioni’, simile allo imperceptibile, un “simul-acro”. Non a caso una immagine, in quanto ri-produzione
(doppia) ha uno scarso valore di immagine, giacché quello a cui tende è l’assumere
dell’ ‘aspetto’ di una cosa. L’immagine
perde così quella connessione di ‘trasparenza’ o ‘opacità’ che caratterizza una
immagine autentica. Di qui, appunto, la questione di realizzare una immagine
vera e propria. Troviamo il superamento della dimensione epifanica che è
propria dell'icona, dove appunto il perceptibile è il luogo di mani-festazione
di la cosa impercetibile – l’Assoluto di Bradley. Emerge una concezione
dell'immagine che, nella consapevolezza dell'impossibilità di ogni pretesa di
esaurire ‘il reale’ e insieme di ‘manifestare’ l'Assoluto, può essere
interrogata come testimonianza di quanto non si lascia ‘tradurre’ (translation)
in immagine: testimoniare, infatti, è raccontare ciò che è impossibile
raccontare del tutto. In questo modo, la testimonianza fa tutt'uno *non* con la
memoria in quanto conformità con l'accaduto, ma con l’immemoriale -- qualcosa
che non possiamo né ricordare né dimenticare, che non è “dicibile” né
“indicibile”. Insomma, il testimone “parla” (spiega, dispiega) soltanto a
partire da l’impossibilità concettuale di spiegare o dispiegare. Che l'immagine
valga allora come testimonianza significa che il tentativo di dire l'indicibile
(spiegare l’inspiegabile) è un compito infinito. La questione dell'immagine è
una questione di fidanza, di etica. In una immagine, non essendoci alcuna
compiutezza, non si dà alcuna redenzione né alcuna pacificazione nel confronto
col reale. Analissare l’immagine come testimonianza equivale a vedere
l’immagine come il luogo di una tensione sempre irrisolta tra memoria e oblio, e
quindi come l'espressione del dover essere (il possibile) del senso in un
orizzonte, come l’attuale. quale sempre di più sia il mondo che l'arte sembrano
essere abbando il NON-senso. Altre opera: “Dalla logica all'estetica”
(Parma, Pratiche); “Icona” “L’immagine tra presentazione e rappresentazione” (Palermo,
Centro internazionale studi di estetica); Estetica e letteratura. Il grande
romanzo tra Ottocento e Novecento, Roma-Bari, Laterza. Introduzione a Paul
Klee, Roma-Bari, Laterza, "Ripensare le immagini", Mimesis,
Milano, "Volti della memoria", Mimesis, Milano,
Narrazione e testimonianza. Quattro scrittori italiani del Novecento, Milano,
Mimesis, "Malevic. Pittura e filosofia dall'Astrattismo al
Minimalismo", Carocci, Roma, Fuori dagli schemi. Estetica e figura
dal Novecento a oggi, Laterza, Roma-Bari, "Arte e modernità. Una
guida filosofica", Carocci, Roma, "Una pittura filosofica: l'informale",
Mimesis, Milano, "F. Nietzsche. L'eterno ritorno", Alboversorio,
Milano, Media e divulgazione Art
and Perspicuous Perception in Wittgenstein’s Philosophical Reflection, L’immagine-tempo
da Warburg a Benjamin e Adorno. Il saggio più importante per il rapporto tra
estetica e letteratura è Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra
Ottocento e Novecento, Laterza, Cf. "Dalla logica all'estetica”, "Alle
origini dell'opera d'arte contemporanea" “Astrazione e astrazioni”, "La questione dell'aura tra Benjamin e
Adorno", Rivista di Estetica, “Volti della memoria”. Giuseppe Di
Giacomo è stato Professore ordinario di Estetica presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia della Sapienza Università di Roma fino al 2015 e, dopo il pensiona-
mento, dal 2015 al 2017, è stato professore a contratto di Estetica presso
stessa la Facol- tà. Sempre presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della
Sapienza Università di Roma, è stato membro del Collegio dei Docenti del
Dottorato di Ricerca in “Filosofia e Storia della filosofia” e Presidente del
Corso di Laurea Magistrale in “Filosofia e Storia della filosofia”. È socio
fondatore e membro del Consiglio di Garanzia della Società Italiana d’Estetica
(SIE). È direttore della collana Figure dell’estetica presso l’editore Albover-
sorio (Milano) e della collana Forme del possibile, presso l’editore Mimesis
(Milano); fa parte del Comitato scientifico della rivista Paradigmi, della
rivista Studi di estetica, della Rivista di estetica, della rivista Estetica.
Studi e ricerche, della rivista Compren- dre. Revista catalana de filosofia,
della rivista on line Memoria di Shakespeare. A Jour- nal of Shakespearean
Studies e di Aesthetica Preprint, collana editoriale del Centro In-
ternazionale Studi di Estetica. Fa parte inoltre del Comitato scientifico delle
seguenti collane editoriali: Filosofie (Mimesis, Milano), Caffè dei filosofi
(Mimesis, Milano), Eterotopie (Mimesis, Milano). È stato Coordinatore nazionale
dell’Osservatorio di Storia dell’Arte della Società Ita- liana di Estetica e
coordinatore, dal 2001, di numerose Ricerche di Ateneo dell’Università degli
studi di Roma “La Sapienza” relative a diverse tematiche filosofi- che,
estetiche e artistiche. E’ stato inoltre responsabile di diversi progetti PRIN.
Dal no- vembre 2012 all’ottobre 2015 è stato Direttore del Museo Laboratorio di
Arte Contem- poranea (MLAC) della Sapienza Università di Roma. Come Direttore
del Museo Labo- ratorio di Arte Contemporanea della Sapienza Università di
Roma, ha ideato e coordina- to, in collaborazione con la Galleria Nazionale
d'Arte Moderna di Roma e con il Teatro Argentina di Roma, numerose iniziative
di carattere seminariale aventi per oggetto la filosofia, la letteratura, la
musica, le arti figurative, il teatro. Dal 2015, collabora con il Teatro Eliseo
all'interno del quale tiene una serie di conferenze e organizza seminari sul
teatro, la musica, la letteratura e le arti visive. Collabora inoltre con la
Fondazione Pri- moli di Roma e con il Museo Andersen (Polo Museale del Lazio).
Tra le sue pubblicazioni: Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a
Wittgenstein (Parma, 1989); Icona e arte astratta. La questione dell’immagine
tra presentazione e rappresentazione (Palermo, 1999); Estetica e letteratura. Il
grande romanzo tra Otto- cento e Novecento (Roma-Bari, 1999; trad. in lingua
spagnola a cura di D. Malquori, Estética y literatura, Universidad de Valencia,
Servicio de Publicaciones, 2014); Intro- duzione a Paul Klee (Roma-Bari, 2003);
Alle origini dell’opera d’arte contemporanea (Roma-Bari, 2008); Beckett ultimo
atto (Milano, 2009), Ripensare le immagini (Milano, 2009); Astrazione e
astrazioni (Milano, 2010); L’oggetto nella pratica artistica, (Para- digmi, 2,
2010), Il Museo oggi (Studi di Estetica, 2012), Aura (Rivista di Estetica,
2013), Malevič. Pittura e filosofia dall’Astrattismo al Minimalismo (Roma,
2014), Fuo- ri dagli schemi. Estetica e arti figurative dal Novecento a oggi
(Roma-Bari, 2015; trad. in lingua spagnola a cura di Juan Antonio Méndez, Al
margen de los esquemas. Estética y artes figurativas desde principios del siglo
XX a nuestros dìas, La balsa de la Medusa, Madrid, 2016), Filosofia e teatro
(Paradigmi, 1, 2015), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica (Studi
di Estetica, 1-2/2014), Tra arte e vita. Percorsi fra testi, immagini, suoni
(Milano, 2015), Arte e modernità. Una guida filosofica (Roma, 2016), 1
Una pittura filosofica. Antoni Tàpies e l'informale (Milano, 2016), Nietzsche e
l’eterno ritorno (Milano, 2016). Ha partecipato a progetti di ricerca
internazionali e a progetti di ricerca europei. Ha svolto attività didattica e
di ricerca (tenendo conferenze, lezioni e seminari, partecipan- do a convegni
di studio e svolgendo attività didattica anche in qualità di correlatore o
tutor di tesi di laurea e di Dottorato) presso importanti istituzioni straniere
sia accademi- che che extra-accademiche, in Spagna, Russia e Messico: Facultat
de Filosofia, Universitat de Barcelona; Facultat de Pedagogia, Universitat de
Barcelona; Facultat de Filosofia, Universitat “Ramon Llull”, Barcelona;
Societat Catalana de Filosofia, Institut d’Estudis Catalans; Ateneu de Vic;
Ateneu de Barcelona; Associació Filosòfica de les Illes Balears, Mallorca;
Facultat de Filosofia i Lletres, Universitat de les Illes Balears, Mallorca;
Facultat de Filosofia i Ciències de l’educació, Universitat de València;
Facultad de Filosofía, Universidad Complutense de Madrid; Istituto di studi
post-universitari “SS. Cirillo e Metodio”, Mosca; Russian Christian Academy for
the Humanities, S. Pietroburgo; “Peter the Great” St. Petersburg Polytechnic
University, S. Pietroburgo; Producciòn Artìstica Contemporànea Coloquio (PAC),
Centro Cultural San Pablo, Ciudad de Oaxaca, Messico; PUBBLICAZIONI: Monografie
·
Nietzsche e l’eterno ritorno, Commentario a F. Nietzsche, L’eterno ritorno, Al-
boversorio, Milano, 2016 · Arte e modernità. Una guida filosofica, Carocci, Roma, 2016 · Una
pittura filosofica. Antoni Tàpies e l'informale, Mimesis, Milano, 2016 · Fuori
dagli schemi. Estetica e arti figurative dal Novecento a oggi, Laterza,
Roma-Bari, 2015 (trad. in lingua spagnola a cura di Juan Antonio Méndez, Al
margen de los esquemas. Estética y artes figurativas desde principios del siglo
XX a nuestros dìas, La balsa de la Medusa, Madrid, 2016) ·
Malevič. Pittura e filosofia dall’Astrattismo al Minimalismo, Carocci, Roma,
2014 ·
Narrazione e testimonianza. Quattro scrittori italiani del Novecento, Mimesis,
Milano, 2012 ·
Introduzione a Paul Klee, Laterza, Roma-Bari, 2003 ·
Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza,
Roma-Bari, 1999 (quinta ed., 2015; trad. in lingua spagnola a cura di D. Mal-
quori, Estética y literatura, Universidad de Va-lencia, Servicio de
Publicaciones, 2014); 2 · Icona e arte astratta. La questione dell'immagine tra
presentazione e rappresen- tazione, «Aesthetica Preprint», Palermo, 1999 · Dalla
logica all'estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein, Pratiche, Parma, 1989
Curatele · G. Di
Giacomo, L. Talarico (a cura di), Letture shakespeariane. Otello e Re Lear,
«Studi di Estetica», 3, 2017 · G. Di Giacomo, L. Marchetti (a cura di), Contemporaneo. Arti
visive, musica, architettura, «Rivista di Estetica», 61 (2016) · G. Di
Giacomo (a cura di), Tra arte e vita. Percorsi fra testi, immagini, suoni,
Mimesis, Milano, 2015 · G. Di Giacomo, L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro.
Amleto e Macbeth, «Paradigmi», 1, 2015 · G. Di Giacomo, L.
Marchetti (a cura di), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica,
«Studi di Estetica», 1-2/2014 · G. Di Giacomo, L. Marchetti (a cura di), Aura, «Rivista di
Estetica», 52 (2013) · G. Di Giacomo, A. Valentini (a cura di), Il museo oggi, «Studi di
Estetica», 45 (2012) · G. Di Giacomo (a cura di), Volti della memoria, Mimesis, Milano,
2012 · G. Di
Giacomo (a cura di), Astrazione e astrazioni. In occasione di una mostra di
Gualtiero Savelli, Alboversorio, Milano, 2010 · G. Di Giacomo, L.
Marchetti (a cura di), L'oggetto nella pratica artistica, «Pa- radigmi», 2
(2010), Franco Angeli, Milano, 2010 · G. Di Giacomo (a cura
di), Ripensare le immagini, Mimesis, Milano, 2009 · G. Di
Giacomo, R. Colombo (a cura di), Beckett ultimo atto, Albo Versorio, Mi- lano,
2009 · G. Di
Giacomo, C. Zambianchi (a cura di), Alle origini dell'opera d'arte con-
temporanea, Laterza, Roma-Bari, 2008 Saggi 2018 Introduzione a D. Malquori,
L’incomprensibile ambiguità dell’orizzonte. Un so- gno fatto a Ginostra,
Mimesis, Milano, collana Narrativa Mele d’Oro, 2018, pp. 5-10. 2017 Il problema
della forma nella Teoria estetica di Adorno, in M. Manicone (a cura di),
Sostanza di cose sperate. Scritti in onore di Franco Purini, Iiriti Editore,
Campo Calabro (RC), 2017, pp. 329-337. 2017 Re Lear. “Essere maturi” in un
mondo abbandonato alla cecità e alla follia, in G. Di Giacomo-L. Talarico (a
cura di), “Letture shakespeariane. Otello e Re Lear”, «Studi di Estetica», 3,
2017, pp. 85-108. 3 2017 Otello: la tragedia della parola e il ruolo
della narrazione, in G. Di Giacomo-L. Talarico (a cura di), “Letture shakespeariane.
Otello e Re Lear”, «Studi di Estetica», 3, 2017, pp. 1-18. 2017 Dostoevsky, a
writer and philosopher: “The Grand Inquisitor”, in “ACTA ERU- DITORUM”, 2017,
Vol. 23, Publishing house of the Russian Christian Academy for the Humanities,
2017, pp. 61-68. 2017 Tradició i innovació en l’art, in “La Tradició”,
Col-loquis de Vic, Societat Catala- na de Filosofia, Institut d’Estudis
Catalans, XXI, 2017, pp. 171-178. 2017 Understanding of the «image» in Plato,
in «PLATO AND ANCIENT SCIENCE», Collection of materials of 25TH INTERNATIONAL
CONFERENCE «THE UNIVER- SE OF PLATONIC THOUGHT», RUSSIAN CHRISTIAN ACADEMY FOR
HUMA- NITIES, Saint Petersburg, June 21–22, 2017, Appendice alla rivista di
Fascia A (in Russia “VAK”) “Vestnik” della RUSSIAN CHRISTIAN ACADEMY FOR
HUMANI- TIES. Redattori: Svetlov R. V., Robinson T. M. (Canada), Protopopova I.
A., Mochalo- va I. N., Kurdybajlo D. S., Shmonin D. V., Alymova E. V., pp.
163-170. 2016 Form, appearance, testimony: reflections on Adorno’s Aesthetics,
in G. Matteucci, S. Marino (a cura di), Theodor W. Adorno: Truth and
Dialectical Experience / Verità ed esperienza dialettica, “Discipline
filosofiche”, XXVI, 2, Quodlibet, Macerata, 2016, pp. 79-97 2016 Antoni Tàpies
e Bill Viola: un'arte che sopravvive alla mercificazione, in G. Di Giacomo, L.
Marchetti (a cura di), Contemporaneo. Arti visive, musica, architettura,
“Rivista di Estetica”, 61, pp. 49-64 2016 Composizione, costruzione, icona
nella concezione artistica di Pavel Florenskij, in D. Guastini, A. Ardovino (a
cura di), I percorsi dell'immaginazione. Studi in onore di Pietro Montani,
Pellegrini Editore, Cosenza, pp. 325-334 2016 Prefazione a A. Lanzetta, Opaco
mediterraneo. Modernità informale, Libria, Fog- gia, pp. 7-9 2016 Reflexions
filosòfiques sobre la festa. Entre temporalitat i eternitat, in “La festa”,
Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, XX, Vic, pp. 51-66 2015 The
Myth. Aesthetic surgery clearly demonstrates what Greek myth has already taught
us: beauty stems from horror, in P. Gandola, P. Persichetti (a cura di), Art of
Blade. A book about surgery and humanity, T.A.M. Books, 2015, pp. 17-29 2015 La
guerra i l'art, in La guerra, Col-loquis de Vic, Societat Catalana de
Filosofia, XIX, pp. 11-26 2015 Arte e vita nella Recherche di Marcel Proust, in
G. Di Giacomo (a cura di), Tra arte e vita. Percorsi fra testi, immagini,
suoni, Mimesis, Milano, 2015, pp. 111-138. 4 2015 Lettura dell’Amleto, in
G. Di Giacomo, L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth,
«Paradigmi», 1, 2015, pp. 21-36. 2015 Lettura del Macbeth, in G. Di Giacomo, L.
Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi», 1,
2015, pp. 111-125. 2014 Arte, linguaggio e rappresentazione nella riflessione
filosofica di Wittgenstein in Comprendre. Revista Catalana de Filosofia, 16,2,
pp.29-50. 2014 Icona e immagine, in G. Bordi, J. Carlettini, M.L. Fobelli, M.R.
Menna, P. Poglia- ni (a cura di), L'officina dello sguardo. Scritti in onore di
Maria Andaloro, Gangemi, Roma, pp. pp.33-37. 2014 El poder i les seves
representacions, in L'estat, Col•loquis de Vic., vol. XVIII, pp.27-49. 2014
Dalla modernità alla contemporaneità: l’opera al di là dell’oggetto, in G. Di
Giacomo, L. Marchetti (a cura di), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di
estetica, «Stu- di di Estetica», 1-2/2014, pp. 57-84. 2013 Entre la paraula i
el silenci: la filosofia com a recerca de la veritat, prefaci a An- toni
Bosch-Veciana, "Imatge-Mirada-Paraula", Barcelona,Facultat de
Filosofia, URL, 2013 2013 L’immagine artistica tra realtà e possibilità, tra
“visibile” e “visivo”, in P. D’Angelo, E. Franzini, G. Lombardo, S. Tedesco (a
cura di), Costellazioni estetiche. Dalla storia alla neoestetica. Studi in
onore di Luigi Russo, Guerini e Associati, Mila- no, 2013, pp.121-134. 2013 La
questione dell'aura tra Benjamin e Adorno, in «Rivista di Estetica», 52 (2013),
pp. 235-256 2012 Antonio Pizzuto: tra letteratura e filosofia, in D. Perrone (a
cura di), La vera novi- tà ha nome Pizzuto, Bonanno Editore, Catania, 2012, pp.
37-48 2012 Bellezza e chirurgia estetica, in «Studi di Estetica», 46 (2012),
pp. 65-94 2012 Il paradosso dell'apparenza nel teatro di Jean Genet, in
«Comprendre. Revista Catalana de Filosofia», 2 (2012), vol. 14, pp. 41-57 2012
La qüestió de la imatge a partir del debat sobre la icona, in «Col•loquis de
Vic», Societat Catalana de Filosofia, 16 (2012), pp. 71- 89
2013 Art and Perspicuous Vision in Wittgenstein's Philosophical
Reflection, in “Aisthe- sis. Pratiche, linguaggi e saperi dell’estetico”,
anno VI, n. 1, pp. 151-172 (http://www.fupress.net/index.php/aisthesis/article/view/12844/12158)
5 2012 L'opera di Kafka come narrazione infinita, in A. Valentini, Il
silenzio delle Sire- ne. Mito e letteratura in Kafka, Mimesis, Milano, 2012,
pp. IX-XXIV 2012 Lo statuto paradossale del museo tra globalizzazione e
apertura all'alterità, in «Studi di Estetica», 45 (2012) "Il Museo
oggi", a cura di G. Di Giacomo e A. Valentini, pp. 7-26 2012 Memoria e
testimonianza tra estetica ed etica, in Volti della memoria, a cura di G. Di
Giacomo (a cura di), Mimesis, Milano, 2012, pp. 445-481 2011 La idea d'Europa
entre la cosciència de l'ocàs i l'obertura a l'altre, in Europa, in J.
Monserrat, I. Roviró, B. Torres (a cura di), Societat Catalana de Filosofia,
Barcelo- na, 2011, pp. 71-78 [Atti del convegno, Col•loquis de Vic, XV, Vic,
2010] 2011 Arte e mondo. A proposito di alcune riflessioni di Georges
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umano, in AA. VV. (a cura di), L'osservazione del comportamento sociale,
Regione Piemonte, Torino, 1982, pp. 37-54 PROGETTI DI RICERCA - Progetto PRIN
Tema: La forma dell’immagine Ente promotore: MIUR 2003 / 24 mesi; - Progetto
PRIN / Responsabile Tema: Estetica analitica ed estetica continentale:
problemi, prospettive e tradi- zioni a confronto 9 Ente promotore: MIUR
2005 / 24 mesi; - Progetto PRIN / Responsabile nazionale e Coordinatore
dell’unità locale Tema: Memoria e rappresentazione nella riflessione filosofica
e artistica Ente promotore: MIUR 2007, 24 mesi; Coordinatore dei seguenti
Progetti di Ateneo: - Progetto di Ateneo: Immagine e rappresentazione. Problemi
estetici, artistici e storici Ente promotore: Università di Roma "La
Sapienza” 2001 / 24 mesi - Progetto di Ateneo: Significati e usi delle immagini
nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università di Roma
"La Sapienza" 2002 / 24 mesi; - Progetto di Ateneo: Significati e usi
delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università
di Roma "La Sapienza" 2003 / 12 mesi; - Progetto di Ateneo:
Significati e usi delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente
promotore: Università di Roma "La Sapienza" 2004 / 12 mesi; -
Progetto di Ateneo: Memoria e testimonianza nella riflessione filosofica e
artisti- ca del Novecento - Ente promotore: Università di Roma "La
Sapienza" 2007 / 24 mesi; - Progetto di Ateneo: Memoria e testimonianza
nella riflessione filosofica, storica e artistica - Ente promotore: Università
di Roma "La Sapienza" 2008 / 12 mesi; - Progetto di Ateneo: Rappresentazione,
memoria e testimonianza nella riflessione filosofica e artistica - Ente
promotore: Università di Roma "La Sapienza" 2010 / 12 mesi; -
Progetto di Ateneo: La questione arte-vita nella società multiculturale.
Identità, immagine e implicazioni etico-politiche - Ente promotore: Università
di Roma “La Sapienza” 2012/ 12 mesi; - Progetto di Ateneo: Il tema
dell'"Annunciazione" come chiave di lettura degli at- tuali processi
di globalizzazione - Ente promotore: Università di Roma “La - Sapienza” 2013/ 12
mesi; - Progetto di Ateneo: Memoria e rappresentazione nella riflessione
estetica e arti- stica Ente promotore: AST - Università di Roma "La
Sapienza" 2007 / 12 mesi; - Progetto di Ateneo: Evento e testimonianza
nell'estetica del Novecento Ente promotore: AST - Università di Roma "La
Sapienza" 2008 / 12 mesi; - Progetto di Ateneo: Il problema dell'aura
nell'arte contemporanea Ente promoto- re: AST - Università di Roma "La
Sapienza" 2009 / 12 mesi; 10 Coordinatore dei seguenti Seminari
dell’Osservatorio di Storia dell’Arte della Società Italiana di Estetica,
presso la Facoltà di Filosofia dell’Università degli studi di Roma “La
Sapienza” - 22 settembre 2003: Seminario sul tema Estetica e storia dell’arte:
necessità di un dialogo; - 27 settembre 2004: Seminario sul tema Fine (della
storia) dell'arte?; - 26-27 settembre 2006: Seminario sul tema Arte, Estetica,
Visual Studies; - 8-9 febbraio 2008: Seminario sul tema Oggetto artistico e
oggetto comune; - 20-21 febbraio 2009: Seminario sul tema Leggere l'opera d'arte;
- 18-19 febbraio 2011: Seminario sul tema Ancora l’aura oggi?; - 27-28 gennaio
2012: Seminario sul tema Che cos’è il museo oggi? Cfr. inoltre: - Sito Web
ufficiale: www.giuseppedigiacomo.it - Voci su Wikipedia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Di_Giacomo ;
https://fr.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Di_Giacomo
https://en.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Di_Giacomo
https://de.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Di_Giacomo
https://ca.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Di_Giacomo 11ROMANTIC PAINTERS and
playwrights of the nineteenth century found rich material in the lives of the
old masters. Fueled by irresistible half-truths and rumors, they created
swashbuckling narratives about the personal intimacies and rivalries, as well
as the career failures and triumphs, of the Italian Renaissance artists. At the
Paris Salon of 1843, for instance, Léon Cogniet unveiled his grand entry, a
large canvas depicting Tintoretto painting a portrait of his beloved daughter
Marietta, who lies on her death bed. Three years later, the painter and
playwright Luigi Marta published a melodrama about an amorous intrigue that
supposedly led to the death of Marietta, who assisted her father as an artist
in his workshop. The six-episode play reads like a soap opera in which the
aristocratic Alfredo is pitted against Marietta’s true love, Valerio Zuccato, a
Venetian mosaicist (and thus, in Tintoretto’s world, a fellow craftsman). The
play circles around the inevitable showdown between the arrogant count and the
sincere artist, which precipitates Marietta’s death at the hands of the
entitled, privileged, and violent Alfredo. Parallel to this love story,
the reader is regaled with the homosocial rivalry between Tintoretto and
Titian, with Paolo Veronese appearing as an intercessor who mediates a grandiloquent
reconciliation scene in which all three masters unite to defend the honor of
the Venetian state. The narrative unfolds against Tintoretto’s commission for
the Last Judgment (1562–64) in Santa Maria dell’Orto. Marta’s artist was thus,
in no uncertain terms, a struggling genius waiting for recognition from his
fellow artists even at the height of his success. Indeed, the episode concludes
with Titian’s transformative endorsement—Ora non siete più il povero
Tintoretto, ma bensì il famoso Giacomo Robusti (“now you are no longer the poor
‘son of a dyer,’ but the famous Jacopo Robusti”).1 Loosely based on
actual historical personages, the tale is almost entirely fantasy. Such
theatrical characterizations are nevertheless of great importance, for they
help give legends the veneer of history. Giorgio Vasari’s sixteenth-century
notices about Tintoretto, as well as, in the seventeenth century, Carlo
Ridolfi’s biography and Marco Boschini’s various writings on the artist, were
the primary sources for many of these tasty morsels, and while scholars have
tried to sift fiction from reality, some myths are just too delectable to give
up. We still hear repeated, for instance, the unfounded story that the young
Tintoretto was kicked out of Titian’s studio. It’s not entirely impossible, but
there isn’t a shred of solid evidence to confirm the tale (any more than
Ridolfi’s allegation that Tintoretto dressed Marietta up as a boy so that
father and daughter could wander the city streets unimpeded by society’s strict
gender expectations). The image of Tintoretto-as-rebel would
culminate in Jean-Paul Sartre’s essay “The Prisoner of Venice”(1964), where the
artist is reinvented as an existentialist hero, a lone wolf fighting against
the stultifying rules of the system: Fate has decreed that Jacopo
unwittingly expose an age which refuses to recognize itself. Now we understand
the meaning of his destiny and the secret of Venetian malice. Tintoretto
displeases everyone: patricians because he reveals to them the puritanism and fanciful
agitation of the bourgeoisie; artisans because he destroys the corporate order
and reveals, under their apparent professional solidarity, the rumblings of
hate and rivalry; patriots because the frenzied state of painting and the
absence of God discloses to them, under his brush, an absurd and unpredictable
world in which anything can occur, even the death of Venice.2 At the
other end of the spectrum, this leitmotif is perhaps best played out for comic
effect in Woody Allen’s Everyone Says I Love You (1996), in which a
skirt-chaser (Allen) is overheard in the so-called Tintoretto Museum (really
the Scuola Grande di San Rocco) in Venice trying to impress a Tintoretto
enthusiast (Julia Roberts) by lauding the artist’s immense genius for painting
“outside the academic convention of sixteenth-century Venice.”
Sometimes myths are just too powerful, and the Tintoretto myth is an
extremely appealing one for modern tastes, especially in the celebratory year
marking the fifth centenary of the artist’s birth. Tintoretto’s anniversary has
been staged as a magnificent international banquet. The festivities began last
autumn in Venice with exhibitions at the Palazzo Ducale(“Tintoretto: Artist of
Renaissance Venice”) and the Gallerie dell’Accademia (“The Young Tintoretto”),
as well as an excellent little show at the Scuola Grande di San Marco (“Art,
Faith, and Medicine in Tintoretto’s Venice”). New York, in the fall, offered
“Drawing in Tintoretto’s Venice” at the Morgan Library & Museum and
“Celebrating Tintoretto: Portrait Paintings and Studio Drawings” at the
Metropolitan Museum of Art. The fete continues in 2019 at the National
Gallery of Art in Washington, D.C., where slightly adapted versions of the
Palazzo Ducale and Morgan Library exhibitions go on view this month, fortified
by a third independent show called “Venetian Prints in the Time of Tintoretto.”
This is a once-in-a-lifetime opportunity for audiences in America to see some
one hundred and seventy artworks by Tintoretto and other Venetian Renaissance artists,
painstakingly gathered by art historians Robert Echols and Frederick Ilchman
(who organized the show at the Palazzo Ducale),along with curators John
Marciari (of the Morgan) and Jonathan Bober (of the National Gallery). Fans of
the artist and of painting in general should take note. IT’S
HARD NOT TO get swept up in all the unbridled Tintoretto worship, but this
celebration also provides us an opportunity to revisit the man, the myth, the
legacy, and above all, the work. To start with the biographical elements:
Tintoretto was hardly seen as a pitiful “poor dyer’s son” in the eyes of his
fellow Renaissance artists, nor as a maverick who “displeases everyone.” When
speaking about Titian vs. Tintoretto, one must take into account a few
historical particulars. For instance, in 1519, the year after Titian installed
the magnificent Assumption of the Virgin in Santa Maria Gloriosa dei Frari,
Tintoretto’s only achievement was to be born. In 1545, two years before
Tintoretto’s first self-portrait (with which all Tintoretto exhibitions seem
compelled to begin), Titian was called to Rome by Pope Paul III; in the 1550s
and 1560s he was practically a court painter to the Habsburgs, while Tintoretto
was painting acres of canvas to fill the walls at the Chiesa della Madonna
dell’Orto, the Scuola Grande di San Rocco, and the Scuola Grande di San Marco
in Venice; Titian died in 1576 during the plague, and in 1577 a conflagration
devastated the Palazzo Ducale, destroying many of his paintings there, some of
which would be replaced with works by Tintoretto and his assistants in the
1580s. While there was probably no love between the two men of the kind that
nineteenth-century dramatists might dream up, their careers ran parallel to
each other rather than in constant antagonistic competition. Many
romantic myths are dispelled in the scholarship that went into the exhibitions
and the catalogue essays, but the melodrama of this rivalry still sneaks into
sections such as “The Mantle of Titian,” which, at the Palazzo Ducale, was
called “Dopo Tiziano” (After Titian) thereby underlining both chronological
priority as well as influence. The paintings Tintoretto did afterTitian’s death
in 1576—large, powerful mythological pictures such as the Forge of Vulcan
(1577) and the Origin of the Milky Way (ca. 1577–78)—are spectacular, but why
filter these achievements once more through Titian? And why not have, instead,
a section labeled “Dopo Tintoretto,” which would include El Greco, the
Carracci, Caravaggio, and a host of other artists from the past five centuries
who found inspiration in his stark chiaroscuro, raking perspective, extreme
foreshortening, airborne saints, psychologically charged portraits, barefoot
worshippers, elaborate banquet scenes, wraithlike angels and spirits, and busted-out
straw chairs? The oft-repeated trope that Tintoretto was an outsider also
willfully overlooks his obvious status as a complete insider, born in Venice
and fully embedded in its institutions from birth. Titian and Veronese, in
contrast, were both provincials (practically foreigners by Renaissance
standards), who came from the hills and plains beyond the lagoon. While a
questionable seventeenth-century account suggested an aristocratic lineage for
the Robusti family, more recent studies have emphasized instead the artist’s
“working class” origins. The truth is somewhere in between. Stefania Mason’s
essay “Tintoretto the Venetian,” from the catalogue that accompanies
“Tintoretto: Artist of Renaissance Venice,” goes a long way to contextualize
the precise socioeconomic conditions of the son of a Renaissance dyer or—to be
more accurate—the son of a manager of a dye works married to a “well-born
woman.” The Robusti were not wealthy by any means, but they were comfortable
enough to give Tintoretto a basic education that enabled him later in life to
befriend the circle of writers and intellectuals known as the poligrafi,
including the notorious satirist Pietro Aretino (a friend of Titian and an
early supporter of Tintoretto). Like his father, Tintoretto married
up. His father-in-law, Marco Episcopi, not only belonged to an influential
family of Venetian cittadini, he was also the guardian of the Scuola Grande di
San Marco, where Tintoretto—two years before his marriage—painted his finest
early work, Miracle of the Slave (1548). The scene features St. Mark swooping
in headfirst from the sky to protect a slave from being martyred for his faith.
Current viewers need not be intimidated by the religious matter of the vast
majority of Tintoretto’s pictures—they are gripping visual tales of life and
death. According to seventeenth-century artist and critic Marco Boschini, one
beholder of Tintoretto’s St. Mark cycle reported: “The terror makes me faint,
and the piety liquefies my heart in such a manner that I lose heart and melt
like wax and feel completely mad!”3 As much “Game of Thrones” as Catholic
doctrine in pictures, these works were meant to move, delight, and instruct
their audience. Indeed, one cannot help but feel that if Tintoretto were alive
today, he would be an unapologetic fan of action films and special effects.
Looking at Miracle, with its explosive light and tense shadows, its superhuman
heroes and racially profiled villains, and its meticulous staging of powerful,
muscular, controlled bodies, one might think he invented the genre. No wonder
Boschini described him as a “thunderbolt” and the “cannons of a ship.”4
Unfortunately, Miracle of the Slave has not been allowed to cross the Atlantic.
Audiences in D.C. can, however, marvel at the luminous Saint Augustine Healing
the Lame (ca. 1550) and the always pleasing Creation of the Animals (1550–53),
which the French philosopher Gilles Deleuze once described as an image of God
as a referee “at the start of a handicapped race, in which the birds and the fish
leave first, while the dog, the rabbits, the cow, and the unicorn await their
turn.”5 While Miracle has been in the possession of the Gallerie
dell’Accademia for many decades now, seeing it anew, rehung next to the
diminutive bronze relief of the same subject by the Florentine sculptor Jacopo
Sansovino, was one of the highlights of the “Young Tintoretto”exhibition. With
the works placed next to each other in a darkened room, the similarities and
differences were enlightening. Designed and executed between 1541 and 1546 for
the north tribune of the choir at the Basilica di San Marco, Sansovino’s
glowing bronze panel reduces the scene to a compact, tactile, monochromatic
field of chiaroscuro with a vibrant mass of bodies emerging from the picture
plane in dynamic, agitated poses. Tintoretto, just on the cusp of his thirtieth
year when he painted Miracle, clearly looked closely at the dramatic effects
that could be sculpted out of gesture, form, and composition alone. To this art
he would add the detail of expression, the intensity of extreme lighting, the
terribilità that often comes with scale, and the incomparable power of
color. WHILE THE TWENTY-FIRST CENTURY audiences might think
it odd for an ambitious artist to unveil a painting so closely modeled on a
recent work by another artist, the reuse of motifs was a common Italian
Renaissance practice, as was made clear in an insightful section of the Palazzo
Ducale exhibition simply called “The Recycler.” Tintoretto and his assistants,
after all, produced more square footage of painting than any other workshop in
the Venetian Renaissance. In one instance, the painter salvaged an old
composition from his painting Mystic Crucifixion by cutting, splitting, and
reintegrating the canvas into a new picture, The Nativity(ca. 1550s and 1570s);
on another occasion, he copied, pivoted, and re-costumed a previously used
figure of St. Lawrence intended for the Bonomi family altar in San Francesco
della Vigna, transforming the martyr into Helen of Troy. Such shortcuts were
standard in most Renaissance workshops, especially prolific ones that had to
turn out hundreds of altarpieces, portraits, mythological paintings, battle
scenes, and other pictures. The juxtaposition between the Florentine
sculptor and the Venetian painter also underlines Tintoretto’s connectedness
with other artists. He painted Sansovino’s portrait more than once, even
signing one of the works as “Jacobus Tintorettus eius amicissimus” (which, if
you believe the inscription, means they were Renaissance BFFs). Tintoretto was
an artist’s artist. His profound sense of community comes across in a rather
touching contract found in the Venetian archives and included in the small but
brilliant “Art, Faith, and Medicine in Tintoretto’s Venice” at the Scuola Grande
di San Marco. In this document, drafted and signed shortly after Christmas in
1585, the artist agrees to provide works and forgo any payment on the condition
that the confraternity admit four people: his son Giovanni Battista Robusti;
his son-in-law Marco Augusta (the real-life husband of Marietta); the tailor
Bartolomeo di Lorenzo; and another man named Angelo Girardi. His dedication to
his family, friends, and students is also borne out in numerous workshop
drawings, which are well represented in D.C. Offering important
opportunities for artistic communion, drawing had its pragmatic as well as
pleasurable purposes. In several sketches made after a copy of the ancient bust
known as the Grimani Vitellius, we see multiple hands working seemingly side by
side, line by line, smudge by smudge, highlight by highlight, with the goal of
mastering the visible world around them. The willful way that these graphic
studies dematerialize carved stone and reincarnate the male portrait head into
what looks at first glance like the image of a flesh-and-blood subject is
remarkable. In this sequence, note especially the Morgan Library drawing
rendered by what the curator identifies as a “left-handed draftsman.” The work
seems almost too bold in its deliberate, sweeping gestures to be “workshop,”
but then Tintoretto was clearly a very good master with some very capable
assistants. In Tintoretto’s drawings and paintings, one often feels
that he is “sculpting” with chalk, charcoal, watercolor, oil, and pigment, ignoring
the flat surface of the paper or canvas. This comes across not only in the
speckled black-and-white patterns of his drawings from sculptures (which he
avidly collected) but in his life studies, too. His rendering of flesh
frequently seems to be rippling and quivering with animal energy, as if the
artist were trying to catch the living body in motion. His is possibly the most
atomistic rendering of the human form in the Renaissance. The frenetic,
vibrating lines in Seated Man with Raised Right Arm (ca. 1577), for instance,
exemplify this stylistic peculiarity: the contours of the mythological body can
never sit still but seem to be in a constant state of flex and flux. (Indeed,
Tintoretto’s figural drawings make Marcel Duchamp’s Nude Descending a Staircase
and every episode of “The Incredible Hulk” seem old hat when they appear
centuries later.) One of the art-historical myths
destroyed—hopefully once and for all—by the exhibitions in honor of Tintoretto
is that Venetians did not really draw. Some did more than others, and
Tintoretto and his assistants surely drew up a storm. On various sheets we find
words such as fa (make), sì (yes), fatto (made), no (no), and bono (good)
scrawled across the surface; sometimes figures are singled out by an asterisk.
These marks were workshop instructions on designs that had been cleared for
production by the master. Sheets such as Study of a Man Climbing into a Boat
(1578–79) were frequently greased and held up to the light so that forms could
be retraced on the verso, offering compositional options. Many have squaring
grids drawn across them. In some instances, this facilitated the transfer of
the design onto a larger surface; in other cases, it assisted in the correction
of foreshortening and the adjustment of figural proportions. Of the
thirty-some drawings by Tintoretto and his workshop on display at the National
Gallery of Art, the majority are on the blue paper favored by Venetian artists.
The dark surface of this carta azzurra provided an ideal ground upon which to
map out gestural movements, tonal subtleties, and, above all, the effects of
light and shadow. It might also be compared with the darkened grounds of many
Tintoretto paintings. The canvas support for The Origin of the Milky Way, for
example, is prepared with a brownish layer upon which the artist sketched out
his composition with white lead paint (rather than using black paint on a white
gessoed surface). Once a scene had been plotted out on the canvas, however,
Tintoretto was prone to further editing, altering, and redrawing of figures and
forms in a variety of white, black, and even red paint until the work was
completed. PAINTERS AND people interested in the way things
are made will find much to consider in these exhibitions. Tintoretto’s process
is revealed in medias res through the various X-rays that accompany the
didactic material in the galleries and comes across most clearly in the oil
sketch Doge Alvise Mocenigo Presented to the Redeemer(1571–74, a work included
in the 2016 exhibition “Unfinished: Thoughts Left Visible” at the Met Breuer in
New York). Looking at the mannequinlike figures waiting to be dressed with
flesh and clothes, one comes to appreciate the procedural logic that binds
these drawings and paintings together (a topic expertly discussed in Roland
Krischel’s essay “Tintoretto at Work” in the National Gallery of Art exhibition
catalogue). The show reveals Tintoretto’s exploratory procedure: visceral,
intuitive, yet ultimately studied and thought-through—but never entirely
scripted. Tintoretto is all gestalt. If the Marxist machismo of
Sartre’s characterization of the artist as a rebel “born among the underlings
who endured the weight of a superimposed hierarchy” is misplaced, one must
admit that his phenomenological acumen regarding the works is often startlingly
spot on. Sartre writes with great perspicacity about the narrow, vertical
composition of Saint George and the Dragon (ca. 1553–55): Everything is
simultaneous in his canvas, he contains everything within the unity of a single
instant. But to mask the over-harsh rift, he presents the spectator with the
spectre of a succession of events. Not only is the route traced in advance, but
each stage devalues the previous one and shows it up as an inert memory of
things past. The corpse’s immobility is memory: it is prolonged and repeated
from one moment to the next, identical and useless. . . . The time-trap works,
we are caught: a false present welcomes us at every step and unmasks its
predecessor which returns, behind our backs, to its original status of
petrified memory.6 Time and space collapse in on the spectator’s embodied
experience, simulating the effects of a hallucinatory drug. And indeed, as
early as Boschini we find the revelatory quality of Tintoretto’s art described
in pharmacological terms. Of the whirlwind of paintings on the ceilings and
walls of the Scuola Grande di San Rocco, he effuses: “I feel as if I am in a
drugstore. Under my nose these odors have aromas that overwhelm my heart. These
fragrances remain in my mind, my mind feels so utterly purged that my heart
jumps for joy in my chest, and my soul feels totally jubilant.”7 One must
be in the presence of the work in order to experience the psychosomatic force
of Tintoretto’s art. A black-and-white photograph of a room filled with
Tintoretto’s portraits can look like a field of dull heads, but in person these
works become alarmingly ghostly presences, with hands and faces that seem
capable of movement. The sketches that move from light fluffy strokes to
devastating valleys of black charcoal seemingly carved with a chisel, the thick
ridges of impasto that rise suddenly like waves from the surface of a canvas,
the glazes and scumble that modulate color and reflect light differently
depending on the angle of view, the enormity of compositions that threaten to
engulf the spectator’s body—these elements simply do not translate in any form
of mechanical or digital reproduction. This is true not only for Tintoretto but
for Venetian art in general, with its penchant for chromatic and luminous
variability and richness. In “Drawing in Tintoretto’s Venice” the
difference between Veronese’s gorgeous drawings covered in elegant, spindly
figures created in a torrent of quick brown ink strokes and Jacopo Bassano’s
schematic black chalk sketches marked by dusty smudges of red, white, green,
pink, and brown becomes immediately clear. Domenico Tintoretto, one of the
master’s sons, produced oil sketches of battle scenes that look comic in
reproduction, but when one stands before the flurry of red, white, and black
patches on dark brown paper, these detailed compositions dissolve unexpectedly
into near abstraction. Renaissance drawings are so fragile and sensitive
to light that they can be exhibited only rarely, and many Tintoretto
paintings are so large that they have remained in situ in Venice for most of
their existence. Thus the current triple exhibition is the first substantial
retrospective of the old master’s work in America. It is a fitting tribute on
the occasion of his five hundredth birthday—and a viewing experience not to be
missed. Endnotes 1. Luigi Marta, Il Tintoretto e sua figlia: drama in sei
quadri del pittore Luigi Marta, Milan, Borroni e Scotti, 1846, p. 46. 2.
Sartre quoted in Laura Lepschy, Tintoretto Observed: A Documentary Survey of
Critical Reactions from the 16th to the 20th Century, Ravenna, Longo Editore,
1983, p. 185. 3. Marco Boschini, La carta navegar pitoresco, edited by
Anna Pallucchini, Venice/Rome, Istituto per la collaborazione culturale, 1966,
p. 280. 4. Ibid., p. 4. 5. Gilles Deleuze, Francis Bacon: The Logic
of Sensation, trans. Daniel W. Smith, London, Continuum, 2003, p. 7. 6.
Sartre quoted in Lepschy, p. 189. 7. Boschini, p. 150.Tintoretto was too
good an artist for his time’s uses; he still clamors for a proper role, seeking
affirmation, four centuries later. This thought came to me as whimsy, and
stayed as conviction, at the Prado, in Madrid, which has just opened the
second-ever retrospective (the first was in Venice, in 1937) of Jacopo Comin, who
was also known as Robusti, and called Tintoretto, or “Little Dyer,” after his
father’s profession. Tintoretto (1518-94) is the most mercurial of the five
undisputed immortals of Venetian painting—the others being Bellini, Giorgione,
Titian, and Veronese—and I was eager to see the Prado show, because I have
never managed to get a satisfying fix on him. How could someone so great, able
to summon the world with a brushstroke, be so inconsistent in style, and, on
occasion, so awful? Stupefyingly prolific, Tintoretto garnished the walls,
ceilings, altars, exteriors, and even the furniture of Venice, performing
commissions for free when that was what it took to edge out a rival. (He was
not popular with his fellow-artists.) He brought off one of the world’s largest
paintings—“Paradise” (1588-92), in the Ducal Palace, which, at seventy-two feet
long and twenty-three feet high, is so vast as to be essentially unseeable—and
perhaps history’s most sustained demonstration of sheer painterly talent,
brimming the Scuola Grande di San Rocco, between 1564 and 1588, with pictures
whose profusion and intensity burn the most concerted effort of looking to
ashes. But he and his populous workshop also perpetrated some of the grimmest
daubs—murky and slack—that you ever rushed past with a shudder. I realized, too
late, that my puzzlement was a warning. Now I feel that I have acquired a
brilliant, neurotic, exhausting friend who enjoins me to undertake on his
behalf campaigns that he bungled when their conduct was up to him. Nothing
inferior taxes the eye at the Prado, which augments the cream of Tintorettos in
European and American collections with a few loans from Venice, where hundreds
of his paintings—including his greatest works, such as “The Miracle of the
Slave” (1548)—reside immovably in churches, palaces, and galleries. The show
more than overcomes doubts about presuming to assess the artist outside his
home town, which he is known to have left just twice, briefly, in his life. The
well-restored canvases, shown in good light, sparkle and blaze. Some make
plungingly deep space with muscular figures of different sizes; your mind
provides perspective that the artist didn’t deign to chart. Others array action
on intersecting diagonals, along which someone is apt to be arriving from
somewhere at terrific speed. (There is an old line that Tintoretto invented the
movies; his ways of enkindling routine scenarios, with thrilling visual rhythms
that seem to unfurl in time, endorse it.) He drew with his brush, light over
dark—so that shadings came first, imparting a sumptuous density to forms that
are hit with highlights like spatters of sun. He is supposed to have said that
his favorite colors were black and white, but he could be every bit the
startling and seductive Venetian colorist when a commission required it. With
abject competitive fury, he was not above imitating the grand dragon of the
Venice art world, Titian, and his designated successor, Veronese. “As a
matter of fact, he almost never takes the liberty of being himself unless
someone builds up his confidence and leaves him alone in an empty room,”
Jean-Paul Sartre wrote in a 1957 essay, “The Venetian Pariah.” For Sartre,
Tintoretto is an avatar of existential anguish, who was both behind his time—as
the last native-born master on a scene ruled by a cosmopolitan élite—and ahead
of it, as the ideal artist for a rising bourgeoisie that was too intimidated by
the pomp of the ducal republic to recognize itself in his demotic trashings of
aristocratic decorum. Intellectuals of the era, while in awe of Tintoretto’s
gifts, scolded him for being too fast, careless, and insolent; when Vasari
credited him with “the most extraordinary brain that the art of painting has
ever produced,” it wasn’t meant as unalloyed praise. (Vasari also called him
the medium’s “worst madcap.”) As a boy, Tintoretto is said to have
entered Titian’s workshop as an apprentice but was thrown out after a few days,
having either frightened the master with his aptitude or irked him with his
personality; at any rate, Titian’s attitude toward him was plated with
permafrost. Little is known of Tintoretto’s subsequent training. His earliest
surviving work, from the early fifteen-forties, is anti-Titianesque—radically
sculptural and draftsmanly, embracing Central Italian influences. Then
something happened which the art historian Alexander Nagel compares to the
bluesman Robert Johnson’s “going down to the crossroads and coming back with
scary new powers.” “The Miracle of the Slave,” made for the Scuola Grande di
San Marco, electrified Venice. Its unprecedented range of spatial, chromatic,
and kinetic effect suggested a synthesis of “the disegno of Michelangelo and
the coloring of Titian”—a contemporaneous formula, often cited, for ultimate
greatness in painting. He was roundly hailed, though Pietro Aretino, Titian’s
literary ally, added a caveat about his lack of “patience in the making.”
Commissions came in bunches to the new hero, but solid status skittered out of
reach. He compensated by striving to engulf the town. Meanwhile, Titian
refused to slacken his grip on preëminence, let alone die. When he finally
expired, at the age of eighty-eight or so, in 1576, it brought Tintoretto no
peace. Though he was now, by general consent, Italy’s leading painter, he
responded with pictures as flailingly ambitious and various as ever. Three from
the late fifteen-seventies triumph in as many styles. In “The Rape of Helen,”
the hauntingly lovely captive languishes in the corner of a churning land-sea
battle scene, with scores of figures, ranging in size from huge to tiny, which
you can all but hear and smell. In “Tarquin and Lucretia,” the naked, lividly
fleshy protagonists struggle at the edge of a bed, toppling a sculpture and
breaking a necklace that rains pearls. The woman’s right hand seems to extend
from the canvas, as if to be grasped by a rescuing viewer. (The Baroque, which
took hold two decades later, with Caravaggio, can seem an edited ratification
of tendencies already developed by Tin-toretto.) “The Martyrdom of St. Lawrence”
is a sketchy and fierce nightmare of death by roasting, with an anticipatory
whiff of Goya. Tintoretto strongly influenced El Greco, blazed trails for
Rubens, and fascinated Velázquez, who acquired his paintings for Philip
IV. “What is a Tintoretto?” the art historian Robert Echols asks in the
show’s catalogue. The answer might be almost anything touched with genius and a
strange, thorny, dashing humor. Tintoretto was reported to be a witty man who
never smiled. What is his “Susannah and the Elders” (1555-56) if not a grand
lark? A luxuriant, glowing nude sits outdoors, surrounded by a glittering
still-life of jewelry and implements of beauty, and is ogled by dirty old men
(one pokes his bald pate, at ground level, practically out of the canvas) from
behind a hedge that forms part of a corridor-like recession into the far
background. There are distant little ducks, and the rear end of a stag. But the
picture’s form is too disorienting to sustain any particular response,
including amusement. The backstage space outside the hedge ignores the unity of
the central perspective, bespeaking a world that rolls away in all directions,
indifferent to pocket realms of mythic anecdote. The effect is stirring and
confusing. “Who is Tintoretto’s viewer?” strikes me as the really compelling
question. No other great artist before modern times, in which shifting
contingency affects every enterprise, seems less certain of whom he is
addressing, and why. It might as well be you or me as some cinquecento ingrate,
and, if we happen to think of people we know who may be interested, the artist
encourages us to contact them without delay. ♦La tesi di fondo di questo saggio
è che l’orizzonte problematico entro il quale si muove da sempre la pittura
faccia tutt’uno con le questioni dell’immagine e che la tradizione occidentale,
soprattutto nella riflessione sulla storia dell’arte, abbia incentrato la sua
atten- zione sul problema dell’immagine senza tenere conto in genere dei suoi
aspetti iconici. Già Tommaso d’Aquino aveva posto in questi termini tale
problema: l’immagine può essere considerata come og- getto particolare, o come
immagine di un altro; nel primo caso l’og- getto è la cosa stessa che al
contempo ne rappresenta un’altra, nel secondo l’aspetto dominante è ciò che
l’immagine rappresenta. Sem- bra dunque che rispetto a un’immagine l’attenzione
si rivolga o al- l’immagine in se stessa – all’immagine come fine – o a ciò che
l’im- magine rappresenta – all’immagine come mezzo 1. A diversi secoli di
distanza un pensatore della statura di Witt- genstein riproporrà con forza il
problema dell’immagine che, a par- tire da una prospettiva iniziale fortemente
improntata a concezioni logico-raffigurative, si andrà via via sempre più
delineando all’inter- no della sua riflessione come un problema di natura
estetica. Così egli scrive nelle Ricerche filosofiche: «E chi dipinge non deve
dipin- gere qualcosa – e chi dipinge qualcosa non deve dipingere qualcosa di
reale? – Ebbene, qual è l’oggetto del dipingere: l’immagine di un uomo (per
esempio), o l’uomo che l’immagine rappresenta?» 2. Tut- tavia Wittgenstein
porta il problema alle estreme conseguenze: «Se paragoniamo la proposizione con
un’immagine, dobbiamo tener con- to se la paragoniamo con un ritratto
(un’esposizione storica) o con un quadro di genere. E tutti e due i paragoni
hanno senso. Se guar- do un quadro di genere, esso mi ‘dice’ qualcosa, anche se
io non cre- do (mi figuro) neppure per un momento che gli uomini che vedo
rappresentati in esso esistano realmente, o che uomini in carne e ossa si siano
davvero trovati in questa situazione. Ma, e se chiedessi: ‘Al- lora, che cosa
mi dice?» 3. La risposta di Wittgenstein suona: «‘L’im- magine mi dice se
stessa’ vorrei dire. Vale a dire, ciò che essa mi dice consiste nella sua
propria struttura, nelle sue forme e colori» 4. Ponendo la questione in tali
termini tuttavia Wittgenstein non in- 7 tende affatto contrapporre
un’immagine intesa come ‘ritratto’, il cui scopo sarebbe quello di indirizzare
l’attenzione dell’osservatore esclu- sivamente su ciò che essa rappresenta, e
un’immagine intesa come ‘quadro di genere’, il cui fine sarebbe quello di
presentare la «sua propria struttura» e le «sue forme e colori». Del resto,
continua Wittgenstein nello stesso paragrafo, «(Che significato avrebbe il
dire: ‘Il tema musicale mi dice se stesso’?)». Il fatto è che per Wittgenstein
queste due modalità dell’immagine: immagine intesa come mezzo e immagine intesa
come fine, sono tra loro connesse, tanto da formare un unico concetto di
‘immagine’. Che il problema vada inteso e ap- profondito in questi termini, lo
chiarisce lo stesso Wittgenstein, af- frontando in alcuni paragrafi successivi
la questione relativa al «com- prendere una proposizione»: «Noi parliamo del
comprendere una proposizione, nel senso che essa può essere sostituita da
un’altra che dice la stessa cosa; ma anche nel senso che non può essere
sostituita da nessun’altra. (Non più di quanto un tema musicale possa venir
sostituito da un altro.) Nel primo caso il pensiero della proposizione è qualcosa
che è comune a differenti proposizioni; nel secondo, qual- cosa che soltanto
queste parole, in queste posizioni, possono esprime- re. (Comprendere una
poesia)» 5. E subito dopo aggiunge: «Dunque qui ‘comprendere’ ha due
significati differenti? – Preferisco dire che questi modi d’uso di
‘comprendere’ formano il suo significato, il mio concetto del comprendere» 6.
Wittgenstein sottolinea in questo modo che i due tipi di com- prensione –
quella che potremmo chiamare ‘logica’, nel senso che il pensiero espresso dalla
proposizione può essere riformulato in modi diversi, rimanendo lo stesso, e
quella che potremmo definire ‘esteti- ca’, caratterizzata invece dal fatto che
il suo ‘tema’ non può essere riformulato in altro modo, come esemplifica il
caso del ‘tema musica- le’ o della ‘poesia’ – sono imprescindibilmente connessi
tra loro in un concetto unitario. È la stessa interconnessione che Wittgenstein
aveva rilevato in relazione all’immagine. Il fatto è che quel particolare tipo
di immagine che l’opera d’arte costituisce può rimandare all’altro da sé,
soltanto in quanto in primo luogo rimanda a se stessa, ‘dice se stessa’; può
essere ‘rappresentazione’ dell’altro, solo in quanto è ‘pre- sentazione’ di se
stessa. Di conseguenza, ciò che nell’opera viene rap- presentato riceve la sua
‘unicità’, la sua ‘specificità’, è insomma pro- prio ‘questo’, grazie al fatto
che l’immagine lo rappresenta, lo ‘dice’, secondo le sue ‘linee e colori’. Così
questo qualcosa di ‘unico’ può e anzi deve essere visto come qualcosa che,
seppure da sempre presen- te sotto i nostri occhi, appare come se lo vedessimo
per la prima vol- ta e, proprio per questo, non può che procurarci stupore e
meravi- glia. Scrive a questo proposito Wittgenstein: «Non pensare che sia cosa
ovvia il fatto che i quadri e le narrazioni fantastiche ci procura- 8 no
piacere, tengono occupata la nostra mente; anzi, si tratta di un fatto fuori
dell’ordinario. (‘Non pensare che sia cosa ovvia’ – questo vuol dire:
Meravigliatene, come fai per le altre cose che ti procurano turbamento [...])»
7. Già nel Tractatus Wittgenstein aveva affermato che «La tautologia segue da
tutte le proposizioni: essa dice nulla» 8, volendo con ciò sot- tolineare il
fatto che ogni proposizione dice, rappresenta qualcosa solo in quanto in primo
luogo è una tautologia, ossia ‘dice nulla’, e tale tautologicità della
proposizione è ciò che la proposizione ‘mostra’ in ciò che dice. Secondo
Wittgenstein il carattere logico della proposizio- ne in quanto immagine 9 è
dato dal suo essere ‘rappresentazione’ di qualcosa, ossia dal suo rinviare a
qualcosa d’altro da sé. In questo con- siste, sempre secondo Wittgenstein, la
«fondamentalità» della logica, giacché «se segno e designato non fossero
identici rispetto al loro pie- no contenuto logico, allora vi dovrebbe essere
qualcosa d’ancora più fondamentale che la logica» 10. E tuttavia Wittgenstein
si rende con- to che «Nella proposizione qualcosa dev’essere identico al suo
signi- ficato, ma la proposizione non può essere identica al suo significato,
dunque in essa qualcosa dev’essere non identico al suo significato» 11. Questo
qualcosa di ‘non-identico’, vale a dire di differente, tra la proposizione, o
l’immagine, e il qualcosa che viene rappresentato o detto, è ciò che esse
mostrano o ‘presentano’. Tale presentazione, nel suo costituire la condizione
interna al rappresentato, è anche ciò che dà a quest’ultimo il suo carattere di
unicità, ossia di individualità, che sfugge a ogni previsione logica, vale a
dire a ogni identificazione nel già-saputo; ciò che fa, in definitiva, del
rappresentato qualcosa di non-previsto e di non-saputo, qualcosa che nell’opera
d’arte trova il suo luogo esemplare. E, se la logica «è prima del Come, non del
Che cosa» 12, allora «Il miracolo per l’arte è che il mondo v’è, che v’è ciò
che v’è» 13. C’è dunque per Wittgenstein qualcosa di più fondamentale della
logica 14. La rappresentazione logica infatti implica qualcosa che si mostra,
che si manifesta e nel manifestarsi resta ‘altro’ dalla visibilità della
rappresentazione stessa. Così, nel presentare se stessa, l’imma- gine manifesta
l’altro del visibile, del rappresentabile: quell’altro che si rivela nel
visibile, nascondendosi a esso. Se questo è il tratto carat- terizzante
l’icona, allora possiamo affermare che le riflessioni di Witt- genstein
sull’immagine si riferiscono non all’immagine come ‘copia’ della realtà, bensì
all’immagine intesa appunto come ‘icona’. Non a caso, se per Wittgenstein il
silenzio, sul cui tema si ‘chiude’ il Tracta- tus, non può dirsi, giacché esso
mostra sé, è proprio l’icona che ha a che fare con l’irrappresentabile, con ciò
che resta sempre altro rispet- to a ogni determinazione logica e
rappresentativa. Ciò che nell’opera d’arte ‘si presenta’ sfugge alla nostra
cono- 9 scenza e alla rappresentazione. Non è stata l’arte ‘astratta’ a
mettere per prima in opera la ‘presentabilità’ del pittorico di contro alla sua
‘rappresentabilità’, dal momento che il rapporto tra presentazione e
rappresentazione appartiene all’essenza stessa dell’immagine. È pro- prio della
natura dell’immagine infatti il suo presentarsi sempre chiu- sa e insieme
aperta, opaca e insieme trasparente, vicina e insieme lon- tana: nell’offrirsi
all’occhio, essa cattura il nostro sguardo. È necessa- rio tornare, al di qua
del visibile rappresentato, alle condizioni stes- se dello sguardo, della
presentazione. È questo il non-sapere che l’immagine manifesta, e tuttavia tale
non-sapere non è una condizio- ne privativa, una mancanza, ma piuttosto una
condizione positiva, come positivo è il ‘Niente’ dei quadri suprematisti di
Malevicˇ. Si trat- ta dell’esigenza di qualcosa che costituisce l’altro del
visibile, il suo al-di-là e che non va pensato come l’Idea platonica, dal
momento che questo altro del visibile è nel visibile stesso. Così l’iconoclastia
del Quadrato bianco di Malevicˇ annuncia non la fine dell’arte, ma ciò che
l’arte deve essere, per essere tale, arte appunto. Nell’opera d’arte qualcosa è
rappresentato e si offre alla vista, ma qualche altra cosa nello stesso tempo
ci guarda, ci ri-guarda. Ciò si- gnifica che la visione si divide, si lacera,
nel suo stesso interno, tra vedere e guardare, tra rappresentazione e
presentazione. Nella visibi- lità del quadro è in opera qualcosa che non si
lascia cogliere e che, come l’oblio, resta sempre altro rispetto a ciò che
possiamo ricorda- re. È come se l’immagine fosse nello stesso tempo
rappresentazione di ciò che ricordiamo e presentazione di ciò che abbiamo
dimentica- to; per questo nell’immagine la rappresentazione deve essere pensa-
ta sempre con la sua opacità. In particolare nell’icona cogliamo l’assenza di
ogni immagine, in- tesa come rappresentazione logica: è questa l’ ‘astrazione’
dell’icona, astrazione come sarà intesa, teorizzata e messa in opera da tanta
par- te della pittura del Novecento. Quello che l’icona mostra non è di-
scorsivamente esprimibile e, se essa può far valere la propria impre-
scindibile implicazione di senso di contro alla critica iconoclastica, è perché
mostra l’inesprimibile in quanto inesprimibile. È proprio que- sta
paradossalità dell’icona a permettere di superare l’iconoclastia, per la quale
non può che porsi l’alternativa schiacciante tra un asso- luto realismo e un
assoluto silenzio. L’icona è la «porta regale», come voleva Florenskij,
attraverso la quale si manifesta l’invisibile e si tra- sfigura il visibile: in
essa non c’è né imitazione, né rappresentazione, ma comunicazione tra questo e
l’altro mondo. Così nell’icona la di- mensione epifanica finisce per coincidere
con la sua dimensione apo- fatica. Da questo punto di vista si può dire che i
problemi posti dal- l’icona siano gli stessi problemi che si ritroveranno nella
contempo- ranea problematica dell’‘astrazione’. 10 L’arte astratta fa
appello all’occhio spirituale, ossia allo sguardo, e ciò comporta il rifiuto
della tradizionale distinzione soggetto-ogget- to, dal momento che l’oggetto è
in tale prospettiva un soggetto che ci cattura proprio mentre lo guardiamo. Già
Kandinskij con la nozio- ne di ‘composizione’ intende superare sia gli stati
d’animo del sogget- to che l’oggetto come fenomeno naturale, per dare luogo a
una pit- tura «iuxta propria principia», nella quale lo stesso limite estremo,
la tela bianca o il silenzio, non significhi la ‘morte dell’arte’, ma la ra-
dicale ‘presentazione’ di quella possibilità dalla quale ogni arte pren- de le
mosse: l’essenza o, per dirla con Heidegger, l’origine dell’arte stessa. In
Kandinskij l’astrattismo non è vuoto decorativismo. Al con- trario,
l’astrattezza del segno, la sua non-rappresentatività, è la mani- festazione
della sua «risonanza interiore», ossia della sua «spiritua- lità». La
concezione dell’arte di Kandinskij è intessuta della connes- sione di
interiorità e astrazione, e una componente essenziale di tale astrazione è il
«misticismo». Già la mistica tedesca medievale affer- mava, con Meister Eckart,
che, come Dio agisce al di là del mondo dell’essere, così l’anima, che è in
grado di rappresentarsi le cose che non sono presenti, opera nel non-essere;
un’analoga operazione com- pie il pittore astratto, che nientifica il mondo
naturale delle cose, dando vita a un mondo di entità non-oggettive, inesistenti
e tuttavia reali. Così nel principio di Kandinskij della «necessità interiore»
si riflette la natura mistica del procedimento astratto di costruzione di
un’opera che viene sottratta alla dipendenza delle cose esistenti. Que- sto
rimando a un agire interiore dà luogo a un non-oggetto che, ana- logamente a
quanto avviene nella mistica, mostra un diverso modo d’essere delle cose
rispetto a quello della loro forma reale. L’eman- cipazione da qualsiasi
dipendenza diretta dalla natura, della quale parla Kandinskij, è la riduzione
delle cose naturali al non-essere. Di conseguenza, la necessità interiore di
Kandinskij, che costituisce il tratto essenziale della sua pittura astratta, si
pone come ‘altro’ rispet- to al mondo delle cose, e quest’ultimo trova in essa
la sua unità e il suo senso. Del resto per Kandinskij, come per Wittgenstein,
il misticismo riguarda «Non come il mondo è [...], ma che esso è» 15; esso
consiste nel «Sentire il mondo quale tutto limitato» 16. Ciò significa dunque
che la totalità del visibile ha un limite: lo ‘sguardo’ delle cose, ossia la
loro spiritualità. ‘Astrazione’, d’altro canto, è proprio questo visi- bile
limitato dal manifestarsi in esso di ciò che visibile non è: è sen- tire il
non-visibile nel visibile, è cogliere la differenza nell’identità.
Nell’astrattismo il segno mostra se stesso, nel senso che non riman- da
all’altro fuori di sé, all’oggetto, ma all’altro che è nel segno senza essere
tuttavia esso stesso segno. Così l’astrattismo rifiuta il significato 11
del segno e nello stesso tempo ne esalta il senso, che si mostra nel segno
ritraendosi da esso. Non c’è dunque alcun contenuto, alcun significato
manifesto dell’immagine, ma questa è l’espressione di un «contenuto interiore»:
è questo a rendere il segno ‘astratto’, proprio nel suo presentarsi come
‘evento’. In definitiva, se il cubismo ha in- franto la totalità, lasciando
solo frammenti, la composizione di Kan- dinskij mira non a ricomporre tale
totalità, bensì a ‘presentare’ il sen- so, facendo risuonare il «contenuto
interiore» del frammento stesso. Se lo ‘spirituale nell’arte’ di Kandinskij,
come il suo concetto di composizione, è interno al problema dell’icona, altrettanto
lo è il «mondo senza oggetto» del suprematismo di Malevicˇ. L’opera su-
prematista infatti ha un’intenzione iconica: non esprime una perdita, ma una
presenza, la presenza dell’‘altrimenti che essere’. Di qui quella dimensione
apofatica, propria dell’icona in genere e del suprematismo di Malevicˇ in
particolare, che, in opposizione ai presupposti dell’ico- noclastia – tesi a
identificare la verità con la rappresentazione logico- discorsiva – mostra la
verità che contiene in sé la propria negazione: la docta ignorantia è la
testimonianza di tale inesprimibile coincidenza. Per questo nel colore
suprematista, come nell’icona, non c’è alcuna ‘finzione’. L’essere di Malevicˇ
non è l’essere secondo la necessità, ovvero secondo il concetto, ma è l’essere
come evento: è qualcosa che si la- scia riconoscere solo al momento del suo
apparire e, in quanto even- to, l’essere è l’altro, poiché non è soggetto ad
alcuna identificazione: è l’essere così, che potrebbe anche non essere; in
questo senso, affer- ma Malevicˇ, l’essere è il ‘Nulla’, ovvero il «che», lo
spazio parados- sale proprio dell’opera d’arte, del tutto indipendente dal
pensiero logico. Questo «che» è negazione del significato, inteso come signi-
ficato logico, è negazione della rappresentazione, come rappresenta- zione
logica e nello stesso tempo è affermazione del senso, in quan- to condizione
dei significati possibili 17. Il «che» non può essere rico- nosciuto in
relazione ad altro, ma solo per se stesso, e tuttavia por- ta in sé l’alterità,
la differenza. Nel non significare nulla al di là di se stesso, l’evento – il
«che» – è assolutamente singolare: accade sem- plicemente, si dà, si mostra,
non come un mero oggetto per un sog- getto. Esso è il manifestarsi di qualcosa
che, presentando se stessa, presenta l’altro, vale a dire si presenta come
l’altro dell’essere oggetto di rappresentazione possibile. Per raggiungere
infatti questo essere, che è il Nulla, Malevicˇ è uscito dal mondo degli
oggetti e delle rap- presentazioni, aprendo uno spazio ‘assoluto’, in quanto
spazio del- l’‘altro’. Così l’astrazione di Malevicˇ è il liberarsi dalla
rappresentazio- ne per la presentazione: è questa l’autentica iconoclastia che
rivela il profondo legame del suprematismo di Malevicˇ con l’icona. 12 E,
se nel suo «mondo senza oggetto» il segno non è rappresenta- zione di qualcosa,
ma rivela l’altro, ovvero il Nulla – in quanto Nulla di rappresentabile e di
dicibile – questo Nulla non è da intendersi come nichilismo: non indica il
silenzio, la fine della pittura, ma espri- me la consapevolezza che si deve
continuare a dipingere perché il Nulla si riveli. È questa la radicalità della
pittura di Malevicˇ. A differenza di quella di Malevicˇ, l’opera di Mondrian
presenta uno spazio la cui assolutezza assume un preciso significato: tutto ciò
che è, è perché si dà solo spazialmente. Per questo in Mondrian il se- gno non
nasconde e in esso non ha luogo alcun ‘ritrarsi’; al contra- rio, nel segno si
mostra l’essenza, l’Idea, e non a caso egli definisce l’astrattismo come la
sola «arte concreta». In definitiva: nella pittura di Mondrian non si manifesta
alcun ‘altro’, né alcun «contenuto in- teriore»; essa si risolve totalmente
nella superficie del quadro, ossia in un piano assolutamente bidimensionale,
nel quale non c’è alcuna fin- zione di profondità, ma ci sono soltanto linee in
rapporto ortogonale che, tautologicamente, ‘dicono se stesse’. Così, se la
‘composizione’ di Mondrian è volta a ricostituire la totalità, tale
ricomposizione si dà proprio e solo all’interno della rappresentazione
pittorica, rappresen- tazione ‘assoluta’, in quanto indipendente da qualsiasi
riferimento ad altro da sé. L’arte di Klee, pur interrogandosi su problemi non
del tutto dis- simili, muove in direzione opposta rispetto a quella di
Mondrian. Se infatti quest’ultimo vuole abolire l’elemento soggettivo –
definito «tragico» – in nome dell’oggettività, Klee invece indaga proprio la
presenza del mondo nel soggetto. L’oggettività di Mondrian è il ri- fiuto del
mondo, in quanto particolarità e contingenza; Klee, al con- trario, non cerca
una realtà più vera di quella sensibile, non cerca cioè una realtà fissa e
immutabile, retta da leggi eterne, fuori dalla storia. Ciò a cui tende l’opera
di Klee è ‘frugare’ nel profondo, nel- la vita sotterranea, immergendosi nel
divenire delle cose stesse, nel- la genesi dei mondi possibili. Il compito
dell’artista è infatti, a suo giudizio, quello di ritornare sulla creazione,
portando avanti e tentan- do le vie di realtà possibili. Klee, in definitiva,
non vede nel mondo qualcosa di già-concluso, ma ne ripercorre la genesi, e tale
genesi si riferisce al sorgere della realtà nella percezione e quindi al
costituirsi dell’essere in significa- to. I presupposti di tutto ciò vanno
rintracciati nel fatto che è pro- prio sul piano della percezione che il mondo
non si configura come l’insieme delle cose già date, ma come un continuo
generarsi. Così l’immagine di Klee «richiama alla memoria» 18 possibilità
diverse, so- miglianze e dissomiglianze, e queste trovano la loro ragione sul pia-
13 no dell’agire del pittore, che non prende le mosse da una logica pre-
fissata, ma genera continuamente forme via via che procede, muoven- dosi
appunto tra somiglianze e differenze. I processi di formazione di Klee sono
questa sorta di «somiglianze di famiglia» – ancora una vol- ta nell’accezione
wittgensteiniana – e, in quanto tali, escludono la de- finitività di ogni
forma. Non a caso nell’opera di Klee la genesi dei mondi possibili riguarda
l’essenza stessa della pittura: si tratta di mo- strare l’apparire di qualcosa
che nessuna logica ha pre-visto, qualcosa che viene all’esistenza, apportando
un «aumento di essere» 19 rispetto a tutte quelle altre possibilità che
comunque sono presenti nel qua- dro come possibilità simultanee. Klee ha
disvelato così l’essenza dell’opera d’arte: quest’ultima non è la
rappresentazione di un fatto del mondo, ma è un evento nel qua- le si manifesta
la possibilità di molteplici determinazioni del mondo, senza che tale
possibilità sia riconducibile ad alcun principio logico di identità e di
non-contraddizione. A ben vedere dunque tale evento, che l’opera costituisce,
altro non è che il darsi del contingente, del ciò che è così ma poteva essere
diversamente, in quanto condizione della stessa necessità logica che regola ciò
che nel mondo è già-dato; si trat- ta di quel «che» – che si dia questo mondo e
non un altro – il qua- le, come afferma Wittgenstein, precede quella logica che
presiede al «come» del mondo. Si tratta insomma di quel senso che è la condi-
zione dei tanti significati possibili: l’opera è la presentazione del darsi di
questo senso, e non la rappresentazione del suo configurarsi come significato
dato, di un senso che si può dunque soltanto sentire, stan- do al suo interno e
non contemplare dall’esterno. Per questo la pit- tura di Klee ha il suo luogo
d’elezione nel cuore stesso della creazio- ne, lì dove hanno origine tutte le
cose. 1 Sul problema dell’immagine e del segno in genere nella riflessione
filosofica medievale, si veda A. Maierù, «Signum» dans la culture médiévale, in
“Miscellanea Mediaevalia”, Veröf- fentlichungen des Thomas-instituts der
Universität zu Koln, Walter de Gruyter, Berlin – New York 1981; Id., Signum
negli scritti filosofici e teologici fra XIII e XIV secolo, di imminen- te
pubblicazione. 2 L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1968, §
518 (ed. or. Philoso- phische Untersuchungen, Blackwell, Oxford 1953). 3 Ivi, §
522. 4 Ivi, § 523. 5 Ivi, § 531. 6 Ivi, § 532. 7 Ivi, § 524. 8 L. Wittgenstein,
Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, Torino 1968,
5.142 (ed. or. Tractatus logico-philosophicus, London 1922). 9 Nel Tractatus
infatti i due termini si equivalgono, dal momento che «La proposizione è
un’immagine della realtà» (ivi, 4.01). 10 Ivi, p. 87. 14 11 Ivi, p. 103.
12 Ivi, 5.552. 13 Ivi, p. 189. 14 Vedi su questo G. Di Giacomo, Dalla logica
all’estetica. Un saggio intorno a Witt- genstein, Pratiche Editrice, Parma
1989. 15 L. Wittgenstein, Tractatus..., cit., 6.44. 16 Ivi, 6.45. 17 Si veda in
proposito E. Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano 1992,
in part. pp. 245-270. 18 L’espressione è usata nel senso del Wittgenstein delle
Ricerche filosofiche, §§ 89,90. 19 H. G. Gadamer, Verità e metodo, Bompiani,
Milano 1983, pp. 168-196 (ed. or. Wahr- heit und Methode, J. C. B. Mohr (Paul
Siebeck), Tübingen 1972).Giuseppe Di Giacomo. Giacomo. Keywords: l’inspiegabile,
aura; ‘impiegatura como spiegatura dell’inspiegabile” sensibile, imagine,
icona, segno segnante segnato presentazione rappresentazione contenente
contenuto formante formato, Tintoretto, Sartre, Venezia. -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giacomo: impiegatura come spiegatura dell’inspiegabile” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758320754/in/dateposted-public/
Grice e Giametta – il volo d’Icaro e l’implicatura di Sanctis –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Frattamaggiore). Filosofo. Grice: “Giammetta is a good’un, but you gotta
be an Italian to appreciate him fully, or at least have gone to Clifton, as I
did!” -- Grice: Giametta’s philosophy is
full of Italianateness: ‘il volo d’Icaro,’ and then there’s his ‘Croceian
heterodoxies,’ and most Italianate of all, the Dantean reference to Nisso,
Chiron, and Folo in the “Inferno”! Sublime!” Cura Nietzsche a Firenze. Ha
scritto saggi di critica "eterodossa" su Croce. Cura Cesare. È anche
romanziere, estraneo a scuole o correnti, con storie dalla forte valenza
filosofica e morale; attitudine
stilistica: la prosa di Giametta pare quella di un centauro: sorprendente
incontro di letteratura e filosofia. Nella
"Trilogia dell'essenzialismo" (composta da “Il Bue squartato” -- L'oro prezioso dell'essere e Cortocircuiti),
elabora un proprio sistema di filosofia erede del naturalismo rinascimentale.
L’Essenzialismo è una nuova filosofia, fondata esclusivamente sulla natura,
intesa nei suoi due aspetti, sia come “naturans” (cf. Grice, implicans,
implicaturus) sia come “naturata” (cf.
Grice implicatum, implicatura, implicaturus, implicata). Grice: “The problem:
‘is ‘naturare’ a good verb?’ --. L’essenzialismo descrive la condizione umana
come determinata dalla combinazione di due elementi eterogenei: dall’essenza di
tutto ciò che esiste, che è divina, e dalle condizioni di esistenza, che sono
spesso fin troppo diaboliche, a cui sono sottoposte tutte le creature. Il con-temperamento
di questi due elementi (essenza ed esistenza), diverso in ogni individuo,
spiega le ragioni per cui si afferma o si nega la vita, si è ottimisti o
pessimisti...". Alter opera: “Oltre
il nichilismo” (Tempi moderni, Napoli); “Poeta e filosofo” (Garzanti, Milano); Palomar,
Han, Candaule e altri. Scritti di critica letteraria, Palomar, Bari Nietzsche e
i suoi interpreti. – cfr. ‘Grice interprete di se stesso” – “Erminio; o, della
fede. Dialogo con Nietzsche di un suo interprete. Spirali, Milano); “Saggi
nietzschiani” (La Città del Sole, Napoli); “Croce” (Bibliopolis, Napoli); “Il mondo”
(Palomar, Bari); “Madonna con bambina e altri racconti morali, BUR, Milano);
“Commento allo Zarathustra” Mondadori Bruno, Milano); “Filosofia come dinamita”
BUR, Milano), “Croce, il pazzo” (La Città del Sole, Napoli); “Eterodossie
crociane” (Bibliopolis, Napoli); “La caduta di Icaro” (Il Prato, Padova); Introduzione
a Nietzsche. Opera per opera, BUR, Milano, Il bue squartato e altri macelli. La
dolce filosofia, Mursia, Milano. L'oro dell'essere. Saggi filosofici, Mursia,
Milano. Cortocircuito e implicatura -- Mursia, Milano. Adelphoe, Unicopli,
Milano. Il dio lontano, Castelvecchi, Roma); “Tre centauri, Saletta dell'Uva,
Napoli. Filosofi, Saletta dell'Uva, Napoli. Una vacanza attiva, Olio Officina,
Milano. Grandi problemi risolti in piccoli spazi. Codicillo dell'essenzialismo;
Bompiani, Milano. Colli, Montinari e Nietzsche, BookTime, Milano. Capricci
napoletani. Pagine di diario (Marco Lanterna), OlioOfficina, Milano; “Il colpo
di timpano, Saletta dell'Uva, Napoli); “Dio impassibile” (Babbomorto, Imola.
Contromano, BookTime, Milano. Il bue squartato e altri macelli, Mursia, Milano. La passione della conoscenza. Pensa
Multimedia, Lecce,. Marco Lanterna, Le grandi oscurità della filosofia risolte
in lampeggianti parole. Marco Lanterna, Contributo alla critica di Sossio (in
Giametta, Capricci napoletani, OlioOfficina, Milano ). Friedrich Nietzsche Arthur Schopenhauer
Giorgio Colli Mazzino Montinari. DE SANCTIS, Francesco. - Nacque il 28
marzo 1817 a Morra Irpina (oggi Morra De Sanctis, in prov. di Avellino), al
centro di. una zona che fino a dieci anni prima era stata tutta feudale e di
cui gli antichi feudatari ancora sfruttavano la scarsa ricchezza boschiva,
mentre il potere era gestito direttamente dal clero e dai piccoli o medi
proprietari terrieri, anch'essi strettamente legati alla Chiesa sul piano
economico -, sociale e Politico. In questo ambiente il D. trascorse solo i
primi nove anni, ma esso costituì sempre per lui un punto di riferimento,
perché sempre egli lo ebbe presente come "polo reale" e, insieme,
come "polo negativo" della storia: la realtà da cui partire e
rispetto alla quale operare per tutte le conquiste del "progresso"
(morale, culturale, civile). La famiglia De Sanctis apparteneva a quel
ceto di piccoli proprietari del Sud che produceva i preti, gli avvocati e i
pochi medici. Avvocato era il padre del D., Alessandro (1787-1874), che però
viveva del reddito della sua piccola proprietà, prima ampliata attraverso un
"buon matrimonio" locale con Maria Agnese Manzi (1785-1847), poi
progressivamente sempre più dissestata; preti i due zii Carlo e Giuseppe;
medico lo zio Pietro (ed anche per costui la qualifica professionale servì
soltanto a sostenere l'orgoglio del ceto dei "galantuomini"). Come
molti esponenti del "galantomismo" meridionale, don Giuseppe e Pietro
De Sanctis avevano aderito alla carboneria (in funzione patriottica e
antifeudale): dopo aver partecipato ai moti carbonari del 1820-21, vissero in
esilio per dieci anni, serbando intatto lo spirito antiborbonico, ma non il
patrimonio. L'altro prete, invece, don Carlo, fece fortuna in Napoli come
titolare di una stimata "scuola di lettere" (un ginnasio
privato). Nel 1826 il D. fu trasferito come ospite ed allievo presso lo
zio Carlo. Dai "ricordi" del D. (La giovinezza) si può ricavare
l'elenco delle discipline da lui studiate, con fortissimo impegno, per tutta la
durata del corso quinquennale tenuto dallo zio ("Grammatica, Rettorica,
Poetica, Storia, Cronologia, Mitologia, Antichità greche e romane" e
inoltre "l'Aritmetica, la Storia Sacra, il Disegno"), nonché una
serie di notazioni sul metodo d'insegnamento tutt'altro che critico e
innovativo ("Un grande esercizio di mernoria era in quella scuola, dovendo
ficcarsi in mente i versetti del Portoreale, la grammatica di Soave, le Storie
di Goldsmith, la Gerusalemme del Tasso, le ariette del Metastasio; tutti i
sabati si recitavano centinaia di versi latini a memoria"). Poiché i
cinque anni di studi "letterari" avevano un completamento canonico in
due anni di studi "filosofici", nel 1831 fu iscritto alla scuola di
don Lorenzo Fazzini, matematico e fisico illustre, di dichiarate convinzioni
sensistiche. Per due anni, perciò, egli visse immerso nello studio di
"Locke, Condillac, Tracy, Elvezio, Bonnet, Lamettrie", o del
Genovesi, ma (e questo è un tratto molto importante, destinato a rimanere come
atteggiamento mentale) nell'ottica "moderata" che era propria sia
dell'ambiente familiare sia del maestro ("Il professore diceva che il
sensismo en una cosa buona sino a Condillac, ma non bisognava andare sino a
Lamettrie e ad Elvezio .... Voltaire, Diderot, Rousseau mi parevano
bestemmiatori, avevo quasi paura di leggerli"). Lo stesso amalgama di
aperture progressiste e di scarsa chiarezza ideologica fu nell'esperienza
successiva (quella degli studi giuridici), in un'altra scuola privata, dove
(con l'abate Garzia) il D. imparò ad apprezzare soprattutto i codici
napoleonici, aprendosi così alla dialettica giuridica liberale. Questi studi
avrebbero dovuto rappresentare il punto d'arrivo di tutto il lavoro precedente
(poiché, scartata una primitiva ipotesi di carriera ecclesiastica, si pensava
di far di lui un avvocato), ma a determinare una diversa scelta di vita
intervenne una grave malattia dello "zio Carlo", in seguito alla
quale il peso della scuola cadde sulle fragili spalle del D. diciottenne, ed
egli divenne fonte di sostegno economico per la sua numerosa famiglia (dopo la
morte della primogenita Genoviefa, restavano ben cinque tra fratelli e sorelle,
che sempre in qualche modo gravarono su di lui, con molte preoccupazioni e ben
poche gratificazioni affettive o sociali). Un altro avvenimento, questo
di qualche anno prima (1833), aveva preparato nel D. tale mutamento di
interessi e di scelte: il suo ingresso nella "scuola di lingua
italiana" del marchese Basilio Puoti: di un "maestro", cioè, che
rappresentava in quel momento uno dei punti di riferimento più vivi della
cultura napoletana e che presto prese a stimarlo, ad amarlo e a guidarlo. Ed è
in ambito puotiano che nascono i primi scritti a stampa del D.: la sua
volgarizzazione di un brano dell'Eudemia di Giano Nicio Eritreo (Discorso
contro gl'ippocriti), apparsa nel 1835 sul Tesoretto, e la Dedicatoria (sua e
del cugino Giovannino) al Puoti dell'edizione (da entrambi curata) del
Volgarizzamento delle Vite de' santi Padri di D. Cavalca e del Prato spirituale
di Feo Belcari (1836). Non è da qui però che si può ricavare l'immagine
complessiva di ciò che egli era alla fine del suo corso ufficiale di studi e all'inizio
del suo primo magistero. Certo, la competenza grammaticale e testuale e
la sensibilità alle cose della lingua (alla lingua come sistema formale in cui
penetrare con il rigore dell'intelligenza, della scienza e del gusto) erano
allora e restarono per sempre una componente molto importante del D. studioso e
maestro (questo va ribadito, anche per opporsi a una troppo lunga
sottovalutazione critica dell'eredità puristica attiva all'interno della
metodologia critica desanctisiana); ma dalla sua precedente esperienza
culturale egli aveva ricavato anche un complessivo eclettismo nozionistico e
ideologico, un evidente taglio "settecentesco" nell'impostazione del
sapere e in più una vastissima pratica di letture, che egli sottolinea con
forza nella Giovinezza e che si riverbera in tutta la sua opera. Ricostruendo
dai suoi "ricordi", risulta che il D., diciottenne, aveva letto con
profondo coinvolgimento (oltre a tanti latini, greci, filosofi, storici e
giureconsulti) un'incredibile quantità di classici italiani maggiori e minori,
dai trecentisti a Metastasio, e poi Parini, Alfieri, Verri, Monti, Foscolo,
Manzoni, Berchet, Leopardi, e Fénelon e Voltaire, Young e Scott (ma la zona
"moderna" ed "europea" andava rapidamente allargandosi: a poco
più di venti anni, il suo patrimonio di lettura spaziava con sicurezza da
Shakespeare a Richardson, da Milton e Klopstock a Chateaubriand, Lamartine e
Hugo). La professione dell'insegnamento diventò per il D. definitiva
(grazie all'intervento del marchese Puoti) nel 1838-39, più o meno
contemporaneamente nel settore della scuola pubblica (prima alla scuola dei
sottufficiali; poi, dal 1841, al Collegio militare della Nunziatella,
prestigiosa accademia militare borbonica) e in quello privato (con la
"scuola di Vico Bisi", che il Puoti aprì per lui, affidandogli
all'inizio i suoi allievi più giovani, poi di fatto - a grado a grado - la sua
stessa funzione docente). A quest'ultima esperienza (di cui restano importanti
documenti nei Quaderni discuola e una vasta rievocazione nella Giovinezza) si
attribuisce, per tradizione ormai consolidata, la definizione di "prima
scuola" del De Sanctis. Ma sarebbe forse più giusto comprendere nella
definizione l'esperienza didattica complessiva del decennio 1838-48: il
decennio che consacrò il successo indiscusso del D. maestro, il quale intanto
(nelle diverse fasi della sua frenetica attività) metteva a punto il suo metodo
e il suo atteggiamento critico, mentre andava costruendo intorno a sé rapporti
affettivi e intellettuali che sarebbero rimasti centrali in tutta la sua vita,
e mentre andava maturando fondamentali scelte ideologiche, filosofiche,
politiche. I numerosi Quaderni di scuola, che documentano il primo
insegnamento desanctisiano, furono in massima parte scritti dagli alunni sotto
dettatura del maestro e finalizzati a raccogliere il "succo" dei
diversi corsi di lezioni, rispetto ai quali si configuravano come veri e propri
libri di testo costruiti in parallelo con l'esperienza scolastica. Si tratta,
perciò, di una testimonianza ampia e diretta del suo progressivo evolversi (a
stretto contatto con la cultura del proprio tempo) dal purismo e
dall'illuminismo moderato fino all'hegelismo, attraverso l'eclettismo, il
neocattolicesimo, la partecipazione alla temperie vichiana e a quella dello
storicismo romantico. In vista della loro funzione manualistica, i quaderni
sono divisi secondo le "materie d'insegnamento" della scuola (alcune
presenti fin dall'inizio, altre introdotte successivamente, come lo stesso D.
testimonia nella Giovinezza). La grammatica fu l'insegnamento originario della
scuola, ma i quaderni "grammaticali" più importanti che ci restano
appartengono agli ultimi anni e si configurano perciò come approdo della
ricerca desanctisiana in materia (con l'acquisizione dello storicismo
romantico, del giobertismo, di Hegel). I più antichi tra i quaderni in nostro
possesso sono quelli di Lingua e stile (1840-41), dove, dopo una serie di
precetti di radice puristico-illuministica (con forte incidenza della
"grande Enciclopedia" e in particolare di D'Alembert), troviamo
documentato il primo impatto con il pensiero romantico tedesco (in particolare
con F. Schlegel) e tracciata la prima sintesi di storia della letteratura
italiana ("Sviluppo della letteratura italiana"). Questa ha già
alcune caratteristiche che resteranno immutate nel D. maggiore (si muove in
ambito postilluministico, con grande attenzione all'Europa e al presente
letterario, ma presenta come modello privilegiato di scrittore
"contemporaneo" il Manzoni, con un'accentuazione del punto di vista
neocattolico, che andrà attenuandosi in seguito). Una lunga storia della poesia
è nei quaderni dedicati alla Lirica (1841-42), in cui l'approdo è rappresentato
dal Leopardi; i quaderni sul Genere narrativo (1842-43) hanno le loro fonti in
Villemain, Sismondi, Voltaire, F. e A. W. Schlegel. Un salto di qualità
notevolissimo si avverte nei corsi del 1843-44 (Estetica) e del 1844-45
(Estetica applicata), in cui l'esigenza di definire teoricamente i problemi
dell'arte trova un sicuro sostegno nelle teorie estetiche di Gioberti, mentre
Hegel fa la sua apparizione nel corso di Storia della critica (1845-46), che
introduce una più stimolante rivisitazione della lirica. Nei due anni
successivi egli presenta ai suoi allievi l'Estetica di Hegel nella traduzione
francese di Ch. Bénard. Alla luce dei nuovi principî affronta inoltre l'esame
della Letteratura drammatica (1846-47), soffermandosi a lungo sulle opere di
Shakespeare. Dell'ultimo anno di scuola (1847-48) ci resta anche un quadernetto
di Storia e filosofia della storia, che ha come punti di riferimento costanti
Vico, Sismondi, Hegel e che aiuta a chiarire il senso dei "compendi"
(autografi) della Storia d'Inghilterra di Hume e della Storia civile del Regno
di Napoli di Giannone. Questo blocco di materiali storiografici conferma il
livello criticamente e ideologicamente molto avanzato della ricerca
desanctisiana alla fine della "prima scuola", attestando una visione
laica della storia, un rigoroso rifiuto di ogni astrattismo e una forte
rivendicazione della "concretezza" in ogni ambito d'analisi, nonché
una chiara assunzione di metodo hegeliano in direzione progressista.Negli
entourages di Puoti, della Nunziatella, della sua stessa scuola (e delle altre
che dopo il 1830 fiorirono a Napoli, inaugurando il clima
"filosofico" vichiano-hegeliano), il D. aveva finito per trovarsi al
centro dell'intellettualità progressista napoletana, non si sa fino a che punto
compromettendosi con le frange estremistiche di essa. Fatto sta che molti
giovani della sua scuola si schierarono a combattere sulle barricate del maggio
1848 (dove fu ucciso quello che era certamente il più colto e il più
ideologizzato fra tutti: Luigi La Vista) e che dopo quella data il D. fu in
qualche modo implicato in una setta segreta rivoluzionaria di ascendenza
musoliniana, l'Unità italiana, e in un attentato per il quale, tra gli altri,
furono condannati a morte L. Settembrini e C. Poerio ("Si facevano i più
matti deliri: porre una mina sotto Palazzo Reale pareva un gioco ... Fu la prima
volta e sola che fui in convegni segreti"). "Espulso", perciò,
dalla Nunziatella e da "ogni altra scuola anche privata" (come
recitano i rapporti della polizia borbonica, che cominciava ad interessarsi di
lui), nel 1849 il D. si rifugiò in Calabria presso un noto e attivo
"patriota", il barone Francesco Guzolini, in casa del quale fu
arrestato il 3 dic. 1850 con l'accusa di essere "uno dei principali
agenti" della "setta diretta da G. Mazzini e da Ledru-Rollin".
Trasferito a Napoli e rinchiuso in Castel dell'Ovo, subì due anni e mezzo di
"carcere duro", e fu infine giudicato politicamente molto pericoloso
("attendibilissimo") e perciò bandito dal Regno e imbarcato per gli
Stati Uniti (3 ag. 1853). 1 suoi allievi-amici napoletani (in particolare A.C.
De Meis e D. Marvasi, a quel tempo già in esilio) lo aiutarono a sbarcare a
Malta, per raggiungere il Piemonte, inserendosi nell'allora foltissima schiera
degli illustri esuli politici ivi rifugiatisi (tra i meridionali, sono da
ricordare: B. Spaventa, R. Bonghi, P. S. Mancini, S. Tommasi, M. d'Ayala, G.
Nicotera, E. Cosenz). Gli scritti del periodo calabrese e della prigionia
rappresentano la punta massima della "spinta a sinistra" che segnò il
pensiero desanctisiano a partire dal 1848. In Calabria furono elaborati due
saggi (Introduzione all'Epistolario di G. Leopardi e Sulle opere drammatiche di
F. Schiller), in cui l'interpretazione dei testi esita in senso fortemente
politico (sia Leopardi sia Schiller segnano la fine di un'epoca, quella
dell'individualismo, dalla quale va nascendo un'epoca nuova -
dell'"Umanità" - impegnata in senso sociale). In Calabria fu
probabilmente impostato anche un dramma in prosa, il Torquato Tasso, terminato
negli anni di prigionia (il modello più vicino è quello goethiano; il linguaggio
è leopardiano; evidente è l'identificazione personale-politica dell'autore con
l'intellettuale perseguitato). Negli stessi anni il D. studiò la lingua tedesca
e se ne servì sia per tradurre il Manuale di una storia generale della poesia
di K. Rosenkranz, sia per leggere in lingua originale la Logica di Hegel, che
ridisegnò in una serie di Quadri sinottici (praticamente una sintesi completa
dell'intera opera). Ma il testo più interessante elaborato in Castel dell'Ovo
(nel 1850-51) è certamente La prigione: un carme di 256 endecasillabi sciolti
(l'unica prova poetica, se si esclude qualche poesia d'occasione), che
rappresenta il punto massimo di "giacobinismo" realizzato dal D., con
il rifiuto e la denuncia di ogni metafisica (un'inversione fortissima rispetto
al neocattolicesimo degli anni della "prima scuola"), e con una
proposta politico-ideologica chiaramente ispirata all'interpretazione "di
sinistra" della filosofia di Hegel. Fortissima è anche la svolta di
atteggiamento nei confronti del Leopardi: all'immagine sentimentalistica e
scettica divulgata nel clima del primo romanticismo napoletano si sostituisce
un'immagine combattiva e materialistica del poeta di Recanati (che offre, del
resto, il modello stilistico e strutturale all'intero carme. costruito come
storia metaforica del pensiero umano, in rivolta per la libertà, contro la
tirannia, l'oscurantismo, l'ingiustizia sociale). A Torino il D. rimase
dal settembre 1853 al marzo 1856, in un vitale rapporto d'amicizia con De Meis
e Marvasi e con B. Spaventa, ma molto isolato rispetto al potere politico e
culturale. Il suo unico lavoro fisso fu, allora, l'insegnamento dell'italiano
nell'istituto femminile della signora Eliott (dove si verificò un episodio
d'innamoramento - per la giovanissima Teresa De Amicis - che riempirà
d'illusioni e di malinconie gli anni successivi); ma ebbe anche alunni privati
dal nome prestigioso (come Virgina Basco - futura destinataria del Viaggio
elettorale -, Ainardo di Cavour, Luigi di Larissé). L'esperienza centrale del
periodo torinese si realizzò, tuttavia, attraverso due corsi di "lezioni
pubbliche" su Dante (1854 e 1855): conferenze organizzate dai suoi amici
per soccorrerlo "nella dignitosa povertà dell'esilio" e che di fatto
lo rivelarono alla cultura italiana. Nel 1855 egli prese a collaborare
alle appendici letterarie: sul Cimento di Torino pubblicò alcuni saggi
fondamentali, vero e proprio punto d'arrivo della sua critica
"militante". E allo stesso anno risale anche il primo episodio di
giornalismo politico della sua vita: la pubblicazione, sul Diritto di Torino,
di una serie di interventi contro il "murattismo" (cioè contro
l'ipotesi di una sostituzione "diplomatica" della dinastia borbonica
di Napoli con la discendenza di Gioacchino Murat), che rappresenta la prima fase
di avvicinamento del D. alla monarchia sabauda (questa viene proposta come
unico possibile strumento di unificazione della nazione, in un'ottica di
"patriottismo costituzionale" cui, in seguito, egli resterà sempre
sostanzialmente fedele). Nel 1856, sempre per interessamento dei suoi
compagni d'esilio, fu finalmente gratificato di un importante incarico pro-
fessionale: l'insegnamento della letteratura italiana presso l'Istituto
universitario politecnico federale di Zurigo, dove rimase fino al 1860. Gli
anni di Zurigo furono anni di nostalgia e di isolamento (anni di réve, com'egli
stesso diceva), ma produssero almeno due conseguenze molto importanti:
l'elaborazione di lezioni che sarebbero rimaste come una pietra miliare della
sua ricerca critica (soprattutto su Dante, Petrarca e la poesia cavalleresca) e
il contatto con ambienti culturali e politici di vera e propria avanguardia in
Europa (Wagner e Matilde Wesendonck, Moleschott, gli Herwegh, Burckhardt,
Vischer, ecc.) che egli ebbe modo di conoscere e di valutare criticamente (per
esempio, prendendo le distanze dall'irrazionalismo di Wagner e di Schopenhauer
molto prima che le mode irrazionalistiche toccassero l'Italia, o cercando di
capire i limiti concreti del ribellismo dei mazziniani quando Mazzini era
ancora un mito in Italia). Dei corsi danteschi di Torino non restano
manoscritti, ma ciascuna lezione fu ricostruita su appunti di allievi (Marvasi,
D'Ancona), in vista di una non mai realizzata pubblicazione in volume. Le
conferenze torinesi (undici di argomento teorico, diciannove dedicate
all'Inferno, cinque al Purgatorio) sviluppano presupposti romantico-hegeliani,
con particolare riguardo ai problemi dell'"unità" e della
"forma" del poema di Dante. Nell'esaltazione "passionale"
dell'Inferno, emergono le grandi figure alla cui analisi è legata la fama
popolare del D. dantista (Farinata, Francesca, Ugolino) e si afferma il taglio
monografico che sarà proprio dei maggiori saggi desanctisiani. Semplificando la
materia dei corsi, e prolungandola fino a percorrere tutta la Divina Commedia,
il D. insegnò Dante a Zurigo dal 1856 al 1859 (anche di queste lezioni ci resta
la ricostruzione da appunti). Da tale lavoro deriva tutto ciò che egli pubblicò
successivamente su Dante e sul suo tempo (ivi compresi i capitoli della Storia,
che ne tesaurizzano le idee-forza), ma i risultati metodologici più avanzati da
lui raggiunti negli anni d'esilio sono testimoniati dai contemporanei scritti
giornalistici (che furono poi pubblicati, a partire dal 1866, tra i Saggicritici).
Il Pier delle Vigne (1855) è addirittura una lezione torinese trascritta, per
LaNazione di Firenze, da A. D'Ancona: la celebre lettura del canto esalta i
"grandi caratteri" e le "grandi passioni" dei personaggi e
ne analizza le sfumature, le "situazioni", i contrasti; il saggio La
Divina Commedia(versione di Lamennais), anch'esso del 1855, dichiara la fine
dell'antico metodo retorico e il rifiuto del metodo "storico" di
oscuola francese"; quello intitolato Carattere di Dante e sua utopia
(1856) individua il "centro" della grandezza poetica di Dante nella
sua "anima di fuoco" in cui "si riverbera l'esistenza in tutta
la sua ampiezza". Il punto d'arrivo della ricerca zurighese (molto più
problematica di quanto appare nelle lezioni) è suggerito nel saggio del 1857
Dell'argomento della Divina Commedia, che afferma da una parte il rifiuto del
sistema e dall'altra la validità degli strumenti d'analisi hegeliani, a stretto
contatto col testo letterario (un approdo, in sostanza, per il D.
definitivo). Negli scritti letterari d'argomento contemporaneo o
d'occasione (destinati a giornali torinesi e anch'essi in massima parte
raccolti poi nei Saggi), il D. esplicò, negli anni d'esilio, il suo impegno
"militante", ma sempre a stretto contatto con i problemi di metodo
critico che sono al centro dell'insegnamento dantesco. Il più esplicitamente
politico di questi saggi è L'ebreo di Verona (febbraio 1855), che consacrò, a
livello nazionale, la sua fama di polemista laico e liberale (l'autore del
romanzo, il gesuita A. Bresciani, ignorando le conquiste del cattolicesimo
manzoniano, ripropone la religione in funzione antiliberale e antiprogressista:
il suo ruolo storico, dopo la sconfitta del '48, è "aggiungere i suoi
colpi codardi alle mannaie del carnefice"). La militanza critica passa
sempre attraverso una precisa idea (romantico-hegeliana o posthegeliana) della
letteratura. In Satana e le Grazie (1855) essa è espressa con molta chiarezza:
di fronte al poemetto di G. Prati "la fantasia rimane inerte: il cuore riman
freddo", perché "in questo lavoro non vi è creazione e quindi non vi
è fantasia ... Prati ha una viva immaginazione, e per questa facoltà è forse il
primo poeta di second'ordine che sia oggi in Italia"; del resto, i suoi
testi poetici hanno tutti i limiti e i difetti della "declamazione
rettorica". E questa non è un difetto esclusivo degli scrittori moderati:
essa è condannabile anche quando sia posta al servizio delle più ardite analisi
politiche, come nella Beatrice Cenci di F. D. Guerrazzi (1855), avvolta nel
"vecchio repertorio" delle "metafore" e dei "luoghi
comuni". C'è un solo poeta italiano che abbia attinto i livelli della
"grande poesia" nel mondo moderno, dice in un importantissimo saggio,
e questo è Leopardi. Il saggio s'intitola Alla sua donna. Poesia di G. Leopardi
ed è, probabilmente, lo scritto leopardiano più importante del D., che, con
parametri schilleriani e byroniani, traccia qui una straordinaria immagine di
poeta laico, interprete della civiltà contemporanea perché capace di farsi
"critico e filosofo" e di far "scintillare" la poesia dalla
"meditazione". Ma, a parte l'eccezione leopardiana, il clima del
presente letterario fa temere un ritorno alla identificazione tra poesia e
retorica (Sulla mitologia - Sermone di V. Monti, 1855). A questa pericolosa
tendenza il D. oppone la difesa di Alfieri contro i critici francesi
contemporanei (Veuillot e la Mirra, Giulio Janin, Janin e Alfieri, Vanin e la
Mirra), ed evidentemente questa polemica ha un profondo retroterra politico: la
rivalutazione della fase "eroica" del classicismo settecentesco,
nella cultura "rivoluzionaria" dell'intera Europa. Perciò questa
rivalutazione riguarda anche Foscolo (Giudizio del Gervinus sopra Alfieri e
Foscolo e "Storia del secolo decimonono" di G. G. Gervinus, 1855) e
la polemica colpisce anche un critico come A. de Lamartine ("Cours
familier de littérature" par M. de Lamartine, 1857). Nello stesso ambito
il modello di V. Hugo viene proposto come sostanzialmente positivo (Triboulet e
"Le contemplazioni" di V. Hugo, 1856) ed è possibile perfino il
recupero di un classico manierato come Racine, perché capace di creare dei
grandi personaggi drammatici (La "Fedra" di Racine, 1856). In questo
ambito, infine, si configura una delle prime, ma già precise professioni di
"realismo" del D. critico (Saint-Marc Girardin, 1856): "Il
sentimento astratto non è poesia, non è cosa vivente ... La poesia dee
riprodurre la realtà "vivente" ... Il poeta dee rappresentarci un
uomo vivo", perché questo, in quanto tale, "ègià un perfettissimo personaggio
poetico". La progressiva conquista di un punto di vista
"realistico" con cui guardare al testo letterario è registrata dai
ricchi appunti che ci restano (a cura di V. Imbriani) delle lezioni zurighesi
sul Poema epico. Proprio in questa sede il D. usa per la prima volta il termine
"realismo" (ancora nuovo nella critica francese più avanzata da cui
lo deriva), mentre ribadisce il rifiuto del "sistema" hegeliano come
strumento di critica letteraria e conferma la validità degli strumenti
d'approccio al testo ricavabili dall'estetica hegeliana. Il messaggio
filosofico più complessivo, nell'ultima fase del suo esilio e del suo vitale
contatto con le avanguardie europee, fu affidato dal D. al dialogo Schopenhauer
e Leopardi (1858). Anche questo testo ha una struttura leopardiana (ispirata
alla provocatoria ironia delle Operette morali), ma s'interessa a Leopardi solo
nell'ultima parte, dedicando molto spazio all'illustrazione del pensiero di
Schopenhauer, indicato come il liquidatore di un'epoca (quella "dell'Ottantanove",
"del Trenta", "del Quarantotto") che egli considera
"un'illusione, o piuttosto ... una imbecillità generale". La
filosofia di Schopenhauer è, perciò, "nemica della libertà, nemica
dell'idee, nemica del progresso"; in politica, egli ripropone "lo
Stato monarchico, la nobiltà, il clero, i privilegi", nega la libertà di
stampa e odia Hegel come "corrompiteste" (la moda di Schopenhauer in
Europa è, in sostanza, un grave sintomo di regresso storico: la sua tardiva
riscoperta equivale a un'abiura di tutto il progressismo europeo). A prima
vista, il rifiuto dell'ottimismo ideologico accosta Leopardi a Schopenhauer;
ma, in realtà, c'è tra i due una vera e propria opposizione, e Leopardi è tanto
interno alla fase "eroica" (progressista e rivoluzionaria)
dell'umanità, quanto ad essa è estraneo e ostile Schopenhauer. La differenza
non è solo nel "materialismo" di Leopardi (opposto allo
"spiritualismo" di Schopenhauer) o nelle sue scelte di stile
"inamabile" (mentre Schopenhauer si affida al fascino della
retorica), ma anche e soprattutto nell'effetto di lettura che Leopardi produce
come uomo e poeta veramente "grande" (egli "non crede al
progresso, e te lo fa desiderare non crede alla libertà, e te la fa amare , è
scettico, e ti fa credente"). Dopo le speranze e le delusioni della
seconda guerra d'indipendenza, sulla scia dell'impresa dei Mille, il D. lasciò
improvvisamente Zurigo e il politecnico e ritornò a Napoli, dove svolse un
ruolo, probabilmente importante, nella mediazione che portò il "partito
garibaldino" (e lo stesso Garibaldi) ad accettare il plebiscito
"piemontese". Per nomina di Garibaldi, appunto in fase di
preparazione del plebiscito annessionistico, fu governatore della provincia di
Avellino e si mostrò attivissimo organizzatore del consenso politico, della
guardia nazionale locale, della lotta al banditismo (che era già esploso
violento in Alta Irpinia, recuperando antiche radici sanfediste). Subito dopo,
fu direttore dell'Istruzione a Napoli e, in quindici giorni (tra l'ottobre e il
novembre del 1860), tesaurizzando tutte le precedenti esperienze di riforme
liberali degli studi (in particolare quella del 1848), impostò una vera e
propria rifondazione della scuola napoletana. All'università chiamò ad
insegnare illustri rappresentanti della cultura liberale (da Spaventa a
Ranieri, a Bonghi, a Imbriani, a Villari, a Mancini); in sostituzione del liceo
gesuitico istituì un ginnasio-liceo statale; per la formazione dei maestri
elementari (sua grande preoccupazione di progressista ottocentesco) deliberò
l'istituzione di scuole "normali" in tutte le province della
luogotenenza (non senza ragione, il 1860 restò per sempre nei suoi ricordi come
il periodo eroico della sua vita). Eletto deputato al primo Parlamento
nazionale unitario, fu ministro della Istruzione pubblica con Cavour e con
Ricasoli (dal marzo 1861 al marzo 1862), continuando sulla linea già tracciata
a Napoli, ma senza ripetere l'exploit del 1860, nell'ambito della troppo vasta
e ibrida realtà nazionale (in pratica, rinunciando .all'ambizione di produrre
una "legge di riforma" della scuola italiana, si limitò ad estendere
con decreti all'Italia unita la legge Casati). Ciò che resta di più indicativo
del primo periodo di attività come ministro è proprio la linea di tendenza
teorizzata nel programma iniziale e vanificata dall'opposizione dei gruppi
reazionari ("Noi abbiamo decretato la libertà in carta. Sapete, o signori,
quando questa libertà cesserà di essere una menzogna? Quando noi avremo
effettivamente uomini liberi; quando della plebe avremo fatto un popolo libero
... Provvedere all'istruzione popolare sarà la mia prima cura"). In questo
ambito si pone anche la battaglia per istituire una rete capillare di
"scuole tecniche" e "istituti professionali", nonché
l'impegno per la qualificazione degli studi scientifici (ma molto avversate
furono anche in questo campo le più importanti scelte progressiste, come quella
che portò il materialista e "rivoluzionario" J. Moleschott ad
insegnare fisiologia nell'università di Torino). Dopo questo incarico
ministeriale, pur sempre rieletto in Parlamento (con la sola parentesi di un
anno, tra il 1865 e il 1866), il D. rimase estraneo e in forte opposizione
rispetto ai nuovi gruppi di potere (le "consorterie", che vedeva via
via riavvicinarsi ai "retrivi" e ai "codini"), su una linea
mediana di progressismo monarchico e antirivoluzionario. Su questa linea si
pose il giornale L'Italia (che egli diresse dal 1863 al 1867), in appoggio al
gruppo emergente della Sinistra costituzionale, che nel 1865 ottenne proprio
nel Sud il suo primo successo elettorale. L'appassionamento garibaldino ai
tempi di Mentana, la firma del manifesto di opposizione crispina e un
importante discorso di denuncia contro il riemergere del clericalismo (in campo
ideologico, politico ed economico) segnarono, nel 1867, i punti più alti della
sua partecipazione politica. Nel 1863 aveva sposato, a Napoli, Maria
Testa dei baroni Arenaprimo, ma il matrimonio agiato (da cui non nacquero
figli) non fu sufficiente a sconfiggere la precarietà economica in cui tutta la
sua vita si svolse, né fornì uno stabile nutrimento al suo complesso bisogno di
réve e di comunicazione sentimentale. All'interno di una sempre meno
inconfessata delusione politica e personale, egli tornò, quindi, agli studi che
gradualmente ridivennero protagonisti della sua vita: dal 1866 al 1872 pubblicò
in volume i Saggi critici (dove raccolse gli scritti giornalistici
dell'esilio), il Saggio critico sul Petrarca, la Storia dellaletteratura
italiana, i Nuovi saggi critici. Il Saggio critico sul Petrarca (1869)
ripropone un corso di conferenze tenuto a Zurigo nell'inverno 1858-59, con
"pochi mutamenti" e con una "introduzione" del 1868. Esso
si articola in dodici capitoli (tre dedicati alla personalità del poeta e al
suo "mondo" culturale; gli altri strutturati come lettura tematica e
analisi del Canzoniere) ed è finalizzato a fornire un preciso punto di vista
per l'interpretazione del testo petrarchesco, sulla base della teoria elaborata
dal D. a partire dalla "prima scuola" e consolidata appunto negli
anni dell'esilio (tesaurizzazione dell'illuminismo, del romanticismo,
dell'hegelismo; rifiuto del metodo "sistematico" e dei suoi esiti
panlogistici; rivendicazione della "poesia" come "forma uscita
dal più profondo della vita reale" e come "sostanza vivente",
secondo i grandi modelli di Omero, Dante, Ariosto, Shakespeare). In
quest'ottica, Petrarca va riscoperto, pur con i limiti che la cultura romantica
ne aveva segnalato, e va rivalutato per quel che lo separa dal petrarchismo (cioè
dalla sua riduzione a modello "rettorico" e "platonico").
La "poesia" di Petrarca va, quindi, individuata in particolari
"situazioni" liriche (soprattutto nella "malinconia" e nei
momenti di "abbandono" sentimentale), pur tra gli ostacoli frapposti
dall'educazione "rettorica" e da una visione
"spiritualistica" della vita. Particolare interesse è rivolto alla
figura di Laura (cui sono intitolati quattro capitoli): Laura è "la
creatura più reale ... che il Medioevo poteva produrre", e la sua
"realtà", tutta interiorizzata nella poesia del Canzoniere, non si
spegne, ma si ravviva dopo la morte del personaggio (proprio in questa
"situazione" Petrarca tocca le sue rare punte di "poesia
sublime"). La Storia della letteratura italiana (1870-71) nacque
come testo scolastico ed è, infatti, una sintesi didattico-pedagogica di
materiali in gran parte preelaborati secondo una precisa metodologia critica
(quella appena illustrata a proposito del saggio petrarchesco) e utilizzati per
un progetto complessivo di informazione-formazione (il progetto
dell'"educazione nazionale") nel quale convergono tutte le attese (ed
anche i timori) del D. "letterato" e "politico" agli inizi
degli anni Settanta. Divisa in venti capitoli, la Storia disegna una linea di
svolgimento della letteratura italiana che va dal XIII al XIX sec. secondo il
"principio direttivo" (ufficialmente dichiarato dal D. in uno dei
suoi ultimi scritti) della "successiva riabilitazione della materia"
(di "un graduale avvicinarsi alla natura e al reale", in parallelo
con i progressi della scienza, della cultura, del costume, della vita politica,
della stessa morale). Ma la finea risulta tutt'altro che retta e univoca: sia
perché l'ipotesi del "graduale" svolgimento della storia letteraria
verso mete progressive è fortemente contraddetta dalle fasi di stasi,
d'involuzione, di "ritorno"; sia perché continuamente emergono
distanze o divaricazioni tra livello storico e livello letterario (e qui
s'innesta la forte rivendicazione della "forma" come valore specifico
del testo letterario); sia, infine, perché (in base alla predilezione per il
metodo monografico e per l'analisi testuale) il racconto della Storia alterna
lunghe soste con rapidissimi voli, grandi indugi analitici con improvvise e
fortissime elisioni. La Storia procede, perciò, per grandi nodi tematici e
testuali, muovendosi in un sistema "a spirale" di allusioni e
richiami tra fenomeni, autori, epoche, con un disinibito oscillare del
linguaggio dal familiare e dal basso all'oratorio e al patetico, non senza momenti
di carattere mimetico a ciascun livello di scrittura (sono queste, del resto,
le caratteristiche peculiari del suo composito stile). Seguendo il cammino
della Storia a partire dai primi capitoli, troviamo anzitutto ISiciliani come
"scuola poetica ... feudale e cortigiana", legata alla potenza della
corte sveva e destinata a spegnersi prima che "venisse a maturità",
radicandosi nelle "classi inferiori". Proprio questo processo di
radicamento si analizza nel ben più complesso capitolo intitolato I Toscani, ma
centrato soprattutto sulla cultura bolognese (e sulla "scienza" che
si sviluppò in senso antifeudale presso l'università di Bologna). Il punto
d'arrivo di questa storia del "mondo lirico" medievale è Dante. Il
breve capitolo dedicato a La lirica di Dante la definisce come "la voce
dell'umanità a quel tempo": Dante rappresenta (vichianamente) l'epoca
della "fantasia", ed è "la prima fantasia del mondo
moderno". Coi capitoli IV e V il discorso ritorna alle origini, per esaminare
La Prosa e I Misteri e le Visioni del sec. XIII, che esprimono "l'idea
religiosa penetrata ne' costumi e nelle istituzioni", ma che restano a
livello di fase letteraria preparatoria dell'"aureo" Trecento. A
questo secolo è dedicato un capitolo molto puotiano (attento ai Fioretti, al
Cavalca e al Passavanti. ai testi di s. Caterina da Siena e alla
"maravigliosa cronaca" di D. Compagni), che però anch'esso converge,
romanticamente, verso la grande figura protagonistica di Dante. La trecentesca
"commedia dell'anima" esprime, infatti, l'ordito culturale da cui
nascerà La "Commedia" (cap. VII), con la sua "base
ascetica" e la sua radicata abitudine alla "allegoria". Ma tutto
ciò rappresenta (secondo l'ottica tipica del D. dantista) la "falsa
poetica" attraverso e nonostante la quale Dante crea un'opera somma di
poesia (una vasta analisi del poema tende proprio a mostrare come, per virtù di
passione e di poesia, esso possa esprimere, "ancora pregno di misteri,
quel mondo che, sottoposto all'analisi, umanizzato e realizzato, si chiama oggi
letteratura moderna"). Il capitolo defficato al Petrarca (Il
"Canzoniere") è breve, ma fondamentale: Petrarca non è solo un
"artista" pieno di "grazia" e di "malinconia", ma
è il rappresentante di una nuova generazione culturale che, dopo Dante,
"volgeva le spalle al Medio Evo ... e si affermava popolo romano e
latino". In questa scelta, secondo il D., c'è una profonda ambivalenza (da
una parte c'è il "rinnovamento" inteso come nascita della coscienza
laica; dall'altra la letterarietà come "erudizione", "imitazione",
abito retorico), in cui si muoverà, per lunghi secoli, la storia della
letteratura italiana. E in un'ottica così conflittuale il Decamerone (cap. IX)
appare come "l'apoteosi dell'ingegno e della dottrina" in dimensione
laica, ma anche come espressione di un "niondo borghese" che,
liberatosi dai vincoli dello spiritualismo, non riesce ad innalzarsi, al di là
del "comico", fino alle "alte regioni dello spirito". Il
Cinquecento (cap. XII) è il secolo che vede l'arte assoldata al mecenatismo,
pur quando potrebbero porsi le condizioni storiche per un avvicinamento tra
cultura e "popolo" (ad esempio, nella Firenze medicea) e pur quando
sono già stati raggiunti grandi vertici di raffinatezza letteraria (ad es.,
nelle Stanze del Poliziano, cap. IX). Infine il Seicento, simboleggiato dal
Marino (cap. XVIII), produce in letteratura "idilli" ed
"elegie", "voluttà" e "musica", mentre
l'intellettuale italiano si fa "estraneo al movimento della cultura
europea e a tutte le lotte del pensiero", stagnando "in un
classicismo e in un cattolicesimo di seconda mano". Nell'arco fra '300 e
'600, e sempre in chiave antifrastica, sono tanti gli episodi letterari che il
D. analizza, e ad alcuni, comunemente ritenuti minori, dedica interi capitoli:
a F. Sacchetti il cap. X (L'ultimoTrecento), a La Maccaronea il cap. XV, a
Pietro Aretino il cap. XVI. L'opera dell'Ariosto (L'Orlando furioso, cap. XIII)
è esaminata secondo i parametri zurighesi: inserita nella serialità storica,
essa si propone come "sintesi dell'intero Rinascimento", mentre
l'"ironia" e il "riso scettico" di Ariosto si manifestano
espressione di un "secolo adulto" (cioè divenuto capace di critica e
ormai maturo per la libertà "borghese", pur nell'accettazione di fatto
della realtà "cortigiana"). T. Tasso (cap. XVII), autore-simbolo
dell'ambivalenza ideologica e sentimentale, offre l'occasione per un discorso
altrettanto ambivalente sulla Contro-riforma e sul suo significato
storico-culturale. Il poema del Tasso è lo specchio della "ipocrita"
cultura controriformistica italiana e i suoi valori letterari vanno individuati
in senso opposto rispetto a quello programmatico e ufficiale: non nella
"falsa" religiosità, ma nell'"idillio",
nell'"elegia", nella "voluttà" (Tasso è, perciò, accostato
al Petrarca, nella tradizione di storiografia politica risalente a Sismondi e
Ginguené). Ma proprio al centro dell'arco storico fra '300 e '600 c'è una punta
alta, un grande ritratto in positivo: quello di Machiavelli (cap. XV), che
riesce a costruire una valida ipotesi di "rinnovamento", sia
opponendo alla teocrazia "l'autonomia e l'indipendenza dello Stato"
("un presentimento dei nostri ordinamenti costituzionali"), sia
rinnovando il "metodo" della conoscenza, col rifiuto della
"teologia" e del principio di "autorità" (per lui "la
verità è la cosa effettuale, e perciò il modo di cercarla è l'esperienza
accompagnata con l'osservazione, lo studio intelligente dei fatti").
Evidentemente, il ritratto di Machiavelli (liberato da tutte le riserve
moralistiche precedentemente espresse su di lui) è un caso-limite
d'interpretazione "tendenziosa" di un autore: se è scelto a
simboleggiare, all'inizio del '500, la politica e la scienza moderna, è perché
il D.-maestro che scrive la Storia nel 1870 (l'anno della presa di Roma, a cui
esplicitamente, proprio nel cap.XV, egli fa riferimento) vuol proporre ai
giovani un preciso progetto di produzione letteraria che leghi
indissolubilmente letteratura, "scienza" e politica laica (e che
indichi anche lo strumento di una lingua letteraria "precisa e concisa",
antiretorica e antimusicale, che pure a Machiavelli viene attribuita con
qualche forzatura). Nel nome di Machiavelli, dunque (anche se a distanza di 4
capitoli), si apre la parte "moderna" e propositiva della Storia, che
consiste nei due ultimi lunghissimi capitoli, intitolati La nuova scienza (cap.
XIX) e La nuova letteratura (cap. XX). Il rapporto tra essi è derivativo: la
"nuova letteratura" non potrà nascere se non dalla
"scienza", che ha come obiettivo "il progresso e il
miglioramento dell'uomo", e che ha come principale strumento la libertà
intellettuale e politica. Perciò, "i primi santi del mondo moderno"
(i primi intellettuali capaci di "lottare, poetare, vivere, morire"
per la "fede" nel progresso) furono Bruno, Telesio, Campanella,
Galilei; e poi Sarpi, Vico, Giannone; infine Beccaria e Filangieri, con alle
spalle il pensiero laico europeo, da Bacone alla Rivoluzione francese. Come
s'innesta in questo clima la "nuova letteratura"? Dopo l'affascinante
ma "superficiale" opera di Metastasio, l'innesto si realizza con la
scelta illuministica di utilizzare "cose e non parole". Il primo
autore "vero" della "nuova letteratura" è Goldoni (ma con
dei limiti di superficialità). Il primo "uomo nuovo" è Parini, e poi
vengono Alfieri e Foscolo (col Monti personaggio negativo), ma con dei limiti
negli eccessi e nelle scelte di stile retorico. L'Ottocento (pur con la sua
tensione d'impegno e di sperimentazione) non ha ancora offerto, in Italia,
modelli attendibili per il cammino da percorrere. Il nostro futuro letterario
è, perciò, incerto ma la direzione da seguire è chiara: "convertire il
mondo moderno in mondo nostro, studiandolo, assimilandocelo e trasformandolo,
"esplorare il proprio petto" secondo il motto testamentario di G.
Leopardi, questa è la propedeutica alla letteratura nazionale
moderna". Nella seconda edizione dei Saggi critici (1869) e poi nei
Nuovi saggi critici (1872) il D. inserì alcuni scritti (in gran parte composti
per la Nuova Antologia) che precedono o accompagnano la stesura della Storia e
che nei confronti di essa risultano in diverso modo illuminanti. Il più antico
è Una "Storia della letteratura italiana" di C. Cantù (1865), che,
recensendo l'opera appena pubblicata, la denuncia come fondata su
"pregiudizi" e "superficiale dottrina" e su valori che
nulla hanno a che fare col letterario (perciò l'inevitabile sottovalutazione di
autori come Machiavelli, Ariosto, Leopardi, Alfieri, Giusti, Berchet, cui si
contrapporrà, appunto, la Storia desanctisiana). Fondamentale, per chi indaghi
sulla genesi della Storia, è il saggio Settembrini e i suoi critici (1869), in
cui il D. condanna il grave limite del contenutismo radicale settembriniano,
così come aveva condannato il contenutismo cattolico-moderato del Cantù, ed
afferma che una vera storia della letteratura dovrebbe essere un lavoro
interdisciplinare (con contributi di "filosofia, critica, arte, storia,
filologia") al quale la cultura italiana non è ancora attrezzata
(risalendo queste considerazioni al periodo iniziale di stesura della Storia,
esse dimostrano la problematicità del D. nei confronti della sua opera
maggiore, e la profonda consapevolezza della "parzialità" di essa).
Più collegati alla componente ideologica "positiva" della Storia
risultano L'"Armando" di G. Prati e L'ultimo dei puristi del 1868.
Nel primo si denuncia la fine dei "tempi sentimentali" e si afferma,
per il presente, la necessità di un impegno tutto reale e concreto ("il
materialismo è uscito trionfante dal seno stesso del mondo hegeliano" e impone
la "serietà della vita terrestre"); nel secondo, la stroncatura di un
purista attardato (F. Ranalli) dà luogo a una attenta e intelligente
rievocazione del Puoti e della sua scuola, che fu "bandiera" di
"libertà, scienza, progresso, emancipazione" nei primi decenni del secolo,
ma che (a parte il valore sempre vivo del "metodo" puotiano) esaurì
il suo ruolo storico alla vigilia della fase rivoluzionaria del '48 (al
presente, ogni nostalgia puristica risulta storicamente e politicamente
ingiustificata). Anche i grandi saggi danteschi del 1869 (Francesca da Rimini,
Il Farinata di Dante, L'Ugolino di Dante) nacquero in margine alla Storia, sia
come ripresa del tema-Dante (e, in particolare, delle riflessioni zurighesi),
sia come esempio di quel lavoro di "monografia" che il D., all'epoca,
considerava storicamente e scientificamente più valido delle
"sintesi". I personaggi danteschi prediletti dalla cultura romantica
ed hegeliana sono letti rispettivamente in chiave di "amore" e
"pietà femminile" (Francesca), orgoglio politico (Farinata),
complessità e profondità di sentimenti antinomici (Ugolino), nell'ambito di
un'attenta, colta, sensibile lettura testuale (era in questo, appunto, che il
D. voleva proporsi come modello di critica "attuale",
"paziente" e costruttiva, ed è appunto questo l'aspetto dei Saggi che
va ancor oggi rivendicato). Il saggio L'uomo del Guicciardini(1869) ripropone
l'antitesi (presente anche nella Storia) fra Machiavelli, precursore del
nazionalismo moderno, e Guicciardini, il cui "particulare" rifiuta
ogni "vincolo religioso, morale, politico" (ma la vera funzione del
saggio si esplicita nell'ultima frase, di amara denuncia della situazione
politica presente: "L'uomo del Guicciardini vivit, immo in Senatum venit,
e lo incontri ad ogni passo"). Nel 1871 venne affidata al D. la
cattedra di letteratura comparata nell'università di Napoli, dove egli tenne
quattro corsi annuali, dal 1872 al 1876 (è questa l'esperienza nota come
"seconda scuola napoletana", che produsse quattro gruppi di lezioni,
rispettivamente su Manzoni, Scuola cattolico-liberale, Scuola democratica,
Leopardi). Contemporaneamente pubblicò una seconda raccolta di saggi (Nuovi
saggi critici, Napoli 1872) e inaugurò quella serie di conferenze e articoli
sugli orientamenti della letteratura contemporanea in chiave realistica che
sarebbe continuata, per dieci anni, fino alla vigilia della morte. Tra il 1874
e il 1875 realizzò un nuovo momento d'impegno politico attivo, in occasione
delle elezioni che prepararono l'avvento al potere della Sinistra costituzionale
(in particolare, nel gennaio 1875 appoggiò, con un'avventurosa campagna
elettorale, la propria candidatura - difficile e piuttosto equivoca - nella
provincia d'origine, e ne rivisse il ricordo in una serie di cronache
giornalistiche pubblicate prima sulla Gazzetta di Torino e subito dopo in
volume, col titolo Un viaggio elettorale, 1876). Al 1877 data il terzo e
ultimo episodio importante di giornalismo politico desanctisiano: ancora un
impegno battagliero, ma interno alla Sinistra (contro la gestione
trasformistica e antidemocratica del potere da parte di Depretis e Nicotera),
condotto soprattutto sulle colonne del Diritto di Roma. Nel 1878 Cairoli
riaffidò al D. il ministero della Pubblica Istruzione che egli tenne fino al
1880, riproponendo, dopo 17 anni, i problemi della "scuola di tutti"
(la "scuola per l'infanzia", la "scuola primaria", la
formazione dei maestri) e quelli dell'istruzione tecnica, in un'ipotesi di
cultura "scientifica" da sostituire alla "cultura
retorica"; ma ancora una volta fu sconfitto nei punti più qualificanti del
suo programma (la traccia più concreta che ne rimase fu l'inserimento
dell'educazione fisica tra le materie d'insegnamento: un omaggio alla
rivalutazione positivistica dell'uomo fisico). Nel 1880, colpito da una grave
malattia agli occhi, lasciò l'incarico ministeriale e dedicò i suoi ultimi anni
di vita a un lavoro di riflessione autobiografica (le Memorie che andò dettando
alla nipote Agnese) e critica (soprattutto ripresa e riorganizzazione della
riflessione petrarchesca e leopardiana). Morì a Napoli il 29 dic. 1883,
lasciando incompiuti i suoi ultimi lavori, cui, pur tra le sofferenze della
malattia, si dedicò sino alla fine. Come tutti i principali episodi
dell'insegnamento desanctisiano, anche le lezioni della "seconda scuola
napoletana" sono documentate da riassunti (redatti in genere da F.
Torraca), rivisti e ufficialmente accettati dall'autore. Il primo corso
(gennaio-marzo 1872) fu dedicato a Manzoni e rappresenta il punto d'arrivo di
una riflessione iniziata all'epoca della "prima scuola", sviluppata a
Zurigo e rimasta sempre centrale nella ricerca del D., pur senza trovare una
sistemazione editoriale. In queste lezioni le posizioni ideologiche e gli
strumenti di ricerca sono molto cambiati rispetto agli anni della "prima
scuola", ma non cambia il giudizio di valore. La grandezza del Manzoni è
identificata ora nella sua capacità di "calare l'ideale nel reale":
da lui escono tre "grandi idee critiche che hanno importanza universale":
la "misura dell'ideale", il "vero" positivo e storico, la
"forma" diretta e "popolare". Manzoni rappresenta la
massima realizzazione della letteratura "moderna" in Italia e le
"scuole letterarie" non segnano alcun progresso né sul piano
dell'arte né su quello dell'ideologia. Negli anni successivi. il D. analizzò,
appunto, lo svolgimento della letteratura in Italia a partire dal Manzoni,
dividendola (secondo una traccia già seguita da Emiliani Giudici, da
Settembrini e da altri) nei due filoni cattolico e laico, definiti rispettivamente
"scuola liberale" e "scuola democratica". Alla Scuola
liberale fu dedicato il secondo anno di lezioni universitarie (1872-73), con
risultati di giudizio fortemente militanti: l'impegno dei cattolici per
l'"educazione popolare" non offre risultati validi in arte e svolge
un ruolo (più o meno esplicito) d'insegnamento reazionario ("nuovi
Arcadi" sono Grossi, Carcano, Tommaseo, Cantú; Gioberti e Rosmini
ripropongono una dimensione "metafisica" della storia e della
politica; D'Azeglio resta attardato su una vecchia e superata immagine di
letteratura retorica). Un interessante excursus riguarda, però, la letteratura
meridionale dell'Ottocento: poeti poco noti (come D. Mauro, V. Padula, P. P.
Parzanese, N. Sole) vengono esaminati con interesse e simpatia. Il corso del
1873-74 fu dedicato alla Scuola democratica, e anche in quest'ambito il
giudizio globale è negativo: Mazzini, Rossetti, Berchet, Niccolini non possono
fornire il modello della "nuova letteratura". Si conferma così
l'esito perplesso e sostanzialmente pessimistico che caratterizza le ultime
pagine della Storia e l'affermazione del principio del
"realismo". I saggi più importanti elaborati dal D. nell'ultimo
decennio di vita riguardano, appunto, le tematiche del realismo (alcuni di essi
furono raccolti nella 2 ed. dei Nuovi saggi critici, del 1879). Dopo la
prolusione universitaria La scienza e la vita (1872), sono da ricordare:
Ilprincipio del realismo (1876), Studio sopra Emilio Zola (1878), Zola e
l'Assommoir (1879), Il darwinismo nell'arte(1883). L'assunto complessivo è che
il "realismo" auspicato dal D. non si può confondere né col
materialismo, né col positivismo, né col naturalismo di Zola (il quale, però, è
molto valido come scrittore: lo studio a lui dedicato è particolarmente vasto e
attento). La letteratura del "reale" dev'essere (cfr. Manzoni)
"l'ideale calato nel reale", e cioè una costruzione "eticac
forza morale impegnata per rinnovare la società, contro l'individualismo, la
reazione, l'autoritarismo sempre in agguato. Nell'ultima fase della sua
vita il D. non si limitò a teorizzare l'importanza e la "modernità"
del realismo in letteratura, né ad inserirsi con diversi strumenti critici
all'interno del problema per farne emergere i pericoli (o quelli che a lui
sembravano tali sul piano morale e politico), ma volle fornire delle prove
concrete di narrativa realistica, utilizzando un registro di linguaggio
"familiare", che già aveva usato nelle sue lettere alla moglie (con
estrema semplificazione sintattica e con frequenti coloriture dialettali) e
che, del resto, non era ignoto ai momenti più colloquiali della sua critica.
L'operetta narrativa che elaborò in funzione di esempio e modello fu Un viaggio
elettorale (1876): una serie di cronache del tragicomico attraversamento della
provincia natia da lui compiuto a sostegno di una candidatura politica poco
chiara e poco fortunata. Nella cronaca, il bozzettismo locale si alterna col
patetico dei ricordi d'infanzia o delle esortazioni politiche; ma il senso del
testo va ricercato più nella sua funzione che nei suoi esiti, né si può
dimenticare che nella storia del realismo italiano esso si colloca quasi in
contemporanea con Nedda (1874), quattro anni prima di Giacinta (1879), sei anni
prima dei Malavoglia (1881). Alla vigilia della morte (sempre su
materiali autobiografici e sempre in ambito di racconto dal vero in linguaggio
familiare), il D. perseguì un progetto molto più ambizioso: la stesura di
un'autobiografia, della quale, però, non riuscì a portare a termine che la
prima parte (egli l'aveva intitolata Memorie; P. Villari ne pubblicò il
frammento realizzato col titolo La giovinezza). Così come ci resta, il
frammento narra l'esperienza del D. dalla nascita fino al 1843, e consta di due
nuclei narrativi essenziali. Il primo è legato ai personaggi bozzettistici
della famiglia paesana e degli ambienti napoletani alti e bassi (preti,
professori, avvocati, ragazze da marito, giovani avventurieri, vecchie
serventi) e, al centro di essi, l'autore pone il personaggio "comico"
di se stesso, pieno di tic, di timidezze, di chiusure, di sogni. Il secondo
nucleo è legato, invece, alla formazione culturale e all'esperienza della
"prima scuola". Qui il tessuto è molto serio e impegnativo: il D.
(utilizzando ricordi, ma soprattutto vecchi "quaderni di scuola")
vuole offrire un importante contributo alla critica di se stesso, mostrando
come siano andate formandosi le linee di forza del suo metodo. In ciò la
Giovinezza non è del tutto veritiera (molti sono gli imprestiti ideologici e
teorici che il vecchio D. fa al se stesso giovane maestro di Vico Bisi), ma
resta, comunque, il fascino di un clima in cui rivivono Puoti e Leopardi, la
scoperta del romanticismo, di Vico e di Hegel, l'autoritarismo borbonico e le
utopie libertarie del primo '800 napoletano. Nell'ultimo anno
d'insegnamento all'università di Napoli (1875-76), argomento delle lezioni era
stato Leopardi: dagli appunti delle lezioni il D. ricavò, negli ultimi mesi di
vita, uno Studio su G. Leopardi, che segue il poeta nelle diverse tappe della
vita, dell'opera, del pensiero, secondo lo schema della "biografia
critica" di taglio positivistico. La biografia rimane, però, incompiuta,
chiudendosi al livello dei "nuovi idilli" (come il D. definisce i
grandi canti del 1827-29), e proprio in questo tentativo di riduzione di
Leopardi alla misura dell'idillio lo Studio è stato foriero di gravi equivoci e
fraintendimenti nella successiva critica leopardiana, mentre nell'ultimo D. si
giustifica come tentativo di leggere Leopardi in quella stessa chiave di
"realismo" che si era rivelata funzionale per il Manzoni e il suo
romanzo. Celebri, proprio in quest'ambito, le riflessioni sulle figure
femminili dell'"idillio" leopardiano ("Silvia non è questa o
quella donna; è il primo apparire della giovinezza in un cuore femminile",
ecc.); ma, a parte questo, lo Studio non aggiunge molto né alla conoscenza del
Leopardi né alla critica del De Sanctis. In sostanza, il meglio su Leopardi era
stato detto nel saggio del 1855 (ma non vanno dimenticate certe importanti
considerazioni della "prima scuola", né il ruolo interessantissimo,
problematico e antidogmatico, che Leopardi ha nelle ultime pagine della
Storia). Altri saggi leopardiani appartengono alla fase e al clima di ricerca
della Storia (La prima canzone di G. Leopardi, 1869; Le nuove canzoni, 1877; La
Nerina, 1877). In quest'ultimo, ancora un esame (forse uno dei più importanti)
della donna nella poesia leopardiana: "La vita è tutta e solo in terra...
La morte è l'altro motivo tragico di questa concezione ... Il motivo della Silvia
è lo sparire. Il motivo della Nerina è il riapparire". Lasciando da
parte la fortuna del D.-maestro (un vero e proprio appassionamento suscitato
nei giovani allievi di Napoli, Torino e Zurigo), per ricostruire la storia del
dibattito sul D. bisogna muovere da un dato obiettivo di iniziale
"sfortuna" critica: lo scarto fra i tempi della genesi dei testi
maggiori (a partire dagli anni '40) e quelli della loro pubblicazione (intorno
al '70). A causa di questo scarto, egli apparve subito come un idealista "attardato"
(e perciò più meritevole di giudizi sommari che di attenzione testuale), nel
clima di positivismo dominante in cui i suoi scritti si offrivano ad
un'interpretazione globale (per es. F. D'Ovidio era convinto che il D.
ignorasse "la pazienza della ricerca e dello studio", e G. Carducci
gli attribuiva "difetto" di "cognizione dei fatti e dei
documenti"). A sintomatico che, in un dibattito così fortemente
pregiudiziale, venisse del tutto ignorato non solo il tipo di formazione del
D., ma anche l'ultimo decennio della sua produzione, con la dichiarata opzione
"realistica" e con la forte propensione per lo scientismo. Ma proprio
a causa della pregiudizialità del dibattito di fine secolo (rilevata, fin
d'allora, da qualche attento osservatore straniero, come A. Gaspary), il D.
poté divenire, attraverso l'elaborazione crociana, lo strumento chiave per il
rilancio di un metodo critico antipositivistico e per la progressiva
riaffermazione culturale e ideologica dell'idealismo nei primi decenni del
'900. Al Croce spetta, certo, il merito di aver "costretto" la
cultura italiana a riconoscere nel D. un protagonista dell'800 (la sua
appassionata cura di editore e di studioso del D. durò per oltre mezzo secolo);
ma, contemporaneamente, Croce prese a "rielaborare" il
"pensiero" del D., fino a propome la riduzione a teoria del
"puro" gusto estetico (G. A. Borgese, che nel 1905 presentò il D.
come punto di arrivo di "tutte le esperienze della critica romantica in
Italia", fu, in realtà, uno dei primi e più autorevoli interpreti di
questa tendenza riduttiva; scarsa fortuna ebbe, d'altra parte, una proposta di
G. Gentile per un "ritorno al De Sanctis" di segno fascista).
Proprio dall'interno della scuola crociana (dai cosiddetti "crociani di
sinistra") fu prospettata, tuttavia, l'esigenza di un dibattito
diversamente impostato, volto al recupero della complessità della figura del
D.: mentre L. Russo rivendicava "il significato pedagogico ed etico"
dell'opera (1928) e la sua "intelligenza dell'arte" come
notalità" (1931), C. Muscetta sottolineava l'importanza della sua
"poetica realistica" (1931), la sua "serietà" culturale
(1934), la sua visione della letteratura come "vita morale" (1940).
Importanti, in questa fase, furono anche gli studi di W. Binni sull'"amore
del concreto" che nutrì tutta la ricerca desanetisiana e che problematizzò
i suoi rapporti con l'hegelismo (1942) e di G. Getto sulla Storia, "in cui
la letteratura era studiata nel suo autonomo valore e insieme nel suo
necessario legame con tutta la vita e la cultura" (1942). Infine,
presentando una importante antologia di scritti desanctisiani, nel 1949, G.
Contini dichiarò, a nome di un'intera generazione di studiosi, l'uscita
dall'"equivoco formalistico" della "riduzione crociana" del
D. e la necessità di tentare finalmente una comprensione filologica dei testi
desanctisiani, con tutta la loro problematicità anche irrisolta. Ma lo
spostamento ideologico dell'intero dibattito critico mosse dalla pubblicazione
dei Quaderni di Gramsci (Letteratura e vita nazionale, Torino 1950) e dalla sua
celebre affermazione che "il tipo di critica letteraria proprio della
filosofia della prassi è offerto dal De Sanctis". Da qui appunto si partì
per un'ampia verifica dell'"impegno" del D., del carattere "militante"
della sua critica, dei "saldi convincimenti morali e politici" che,
secondo Granisci, la sostanziavano: era una verifica, evidentemente, molto
correlata al bisogno della cultura d'incidere sul presente storico, dopo e
contro il "disimpegno" teorizzato, nel ventennio fascista, da
crociani e non crociani. Questo momento di dibattito produsse, fra l'altro, le
iniziative editoriali, cui si deve, oggi, la possibilità di leggere il D. su
testi di alto livello scientifico: le due collane avviate nel 1952 da Einaudi e
Laterza (e dirette rispettivamente da C. Muscetta e L. Russo) per la
pubblicazione delle "opere complete". E non a caso, negli stessi
anni, apparivano fuori d'Italia (dove la letteratura desanctisiana è
scarsissima) due importanti interventi critici: quello di R. Wellek (che nella
sua grande Storia della critica moderna del 1957 presentò il D. come autore
della "più bella storia che sia stata mai scritta di una
letteratura") e quello di P. Antonetti (che nel 1963 ne pubblicò in
Francia una documentata e intelligente biografia culturale). Né a caso, negli
anni '50-'60, furono condotte indagini nuove e approfondite sui legami tra il
D. e la cultura dell'800 (M. Mirri, S. Landucci, G. Oldrini). Alla fine
degli anni '70, in un clima culturale ancora una volta mutato, e ormai
insofferente dell'insistenza sull'"impegno politico del letterato",
si affermò l'esigenza di uscire dall'ottica di un D. modello per il presente, e
di sottolineare (accanto ai "valori" ormai definitivamente affermati)
la distanza storica e le diversità culturali che ci separano da lui. Tra gli
interpreti di questa esigenza ricordiamo A. Asor Rosa e parecchi dei
partecipanti al convegno napoletano del 1977 su "De Sanctis e il
realismo". Con maggiore cautela, le più recenti occasioni offerte dal
centenario desanctisiano (F. D. nella storia della cultura, a cura di C.
Muscetta, Bari 1983 e F. D.: un secolo dopo, a cura di A. Marinari, ibid. 1985)
si sono mosse su una linea di attenzione ai testi, di chiarificazione e
approfondimento della vasta (ancora aperta e interessante) problematica
desanctisiana, di tricollocazione" storico-culturale nel mutevole
orizzonte di cultura europea in cui tutta la sua ricerca si mosse. Il
materiale manoscritto, ormai quasi tutto edito, si trova (tranne una parte di
quello epistolare, sparso un po' in tutta Italia) a Napoli (Bibl. nazionale,
bibl. di casa Croce e bibl. del dott. F. De Sanctis Jr.) e ad Avellino (Bibl.
prov. S. e G. Capone). Restano inediti quasi solo i voll. dell'Epistolario,
relativi agli anni 1870-1883. Le raccolte degli scritti, dopo le
incomplete ediz. Cortese (1931-38) e Barion (1933-411, sono oggi quella
laterziana (Bari, negli "Scrittori d'Italia", a cura di L. Russo,
incompleta) e quella einaudiana (Torino, Opere di F. De Sanctis, a cura di C.
Muscetta, priva soltanto degli ultimi due voll. dell'Epistolario). La raccolta
laterziana comprende i seguenti voll.: La letteratura italiana nel sec. XIX, I
(A. Manzoni, a cura di L. Blasucci, 1953); II (La scuola liberale e la scuola
democratica, a cura di F. Catalano, 1953); III (G. Leopardi, a cura di W.
Binni, 1953); Storia della letteratura italiana, a cura di B. Croce 19121,
19659; Memorie, lezioni e scritti giovanili, I, a cura di F. Brunetti, 1962;
Saggio critico sul Petrarca, a cura di E. Bonora, 1954; Saggi critici, a cura
di L. Russo, 19521, 19656; La poesia cavalleresca, a cura di M. Petrini, 1954.
La raccolta einaudiana, invece, comprende: Lagiovinezza (memorie postume
seguite da testimonianze biografiche di amici e discepoli), a cura di G.
Savarese, 1961; Purismo illuminismo storicismo (scritti giovanili, frammenti di
scuola e lezioni), a cura di A. Marinari, 1975; La crisi del romanticismo
(scritti del carcere e primi saggi critici), a cura di G. Nicastro e M. T.
Lanza, 1972; Lezioni e saggi su Dante, a cura di S. Romagnoli, 19551, 19672;
Saggio sul Petrarca, a cura di N. Sapegno e N. Gallo, 1952; Verso il realismo
(prolusioni e lezioni zurighesi sulla poesia cavalleresca, frammenti di
estetica, saggi di metodo critico), a cura di N. Borsellino, 1965; Storia della
letteratura italiana, a cura di N. Sapegno e N. Gallo, 19581, 19663; La
letteratura italiana del secolo XIX, Manzoni (a cura di C. Muscetta e D.
Puccini, 1955), La scuola cattolico-liberale e il romanticismo a Napoli (a cura
di C. Muscetta e G. Candeloro, 19531, 19722), Mazzini e la scuola democratica
(a cura di C. Muscetta e G. Candeloro, 19531, 19612), Leopardi (a cura di C.
Muscetta e A. Perna, 1960); L'arte la scienza e la vita (nuovi saggi critici,
conferenze e scritti vari), a cura di M. T. Lanza, 1972; Il Mezzogiorno e lo
Stato unitario (scritti e discorsi politici dal 1848 al 1870), a cura di F.
Ferri, 1960; I partiti e l'educazione della nuova Italia (scritti e discorsi
dal 1871 al 1883), a cura di N. Cortese, 1970; Un viaggio elettorale(seguito da
discorsi biografici, dal taccuino parlamentare e da scritti politici vari), a
cura di N. Cortese, 1968; Epistolario: 1836-1856 (a cura di G. Ferretti e M.
Mazzocchi Alemanni, 1956); 1856-1858 (a cura degli stessi, 1965); 1859-1860 (a
cura di G. Talamo, 1965); 1861-62(a cura dello stesso, 1969); 1863-1869 (a cura
di A. Marinari, G. Paoloni e G. Talamo, in corso di stampa). Ottime antologie
degli scritti del D. sono quelle curate da G. Contini (Torino 1949) e da N.
Sapegno e N. Gallo (Milano-Napoli 1961). Fonti e Bibl.: Per la bibl.
delle opere e della critica, cfr. B. Croce, Gli scritti di F. D. e la loro
varia fortuna, Bari 1917 (con integrazioni di C. Muscetta, in F. De Sanetis,
Pagine sparse, Bari 1944) ed E. Pesce, Supplemento alla bibliografia
desanctisiana 1944-65, Napoli 1965. Sono da tener presenti inoltre le rassegne:
M. Tondo, La lezione di D. Rassegna degli studi dell'ultimo venticinquennio,
Bari 1976; P. Tuscano, F. D. a cento anni dalla morte, in Cultura e scuola,
LXXXVI (1983), pp. 32-45; G. Oldrini, La storiografia desanctisiana dell'ultimo
decennio, nel miscellaneo F. D. - Un secolo dopo, a cura di A. Marinari, Bari
1985. Per la biografia, vanno ricordati anzitutto i seguenti saggi
d'insieme: E. Cione, F. D., Messina-Milano 1938 e Milano 19442; F. Montanari,
F. D., Brescia 1939; P. Antonetti, F. D. (1817-1883). Son évolution
intellectuelle, son esthétique et sa critique, Aix-en-Provence 1963; E.
Croce-A. Croce, D., Torino 1964. Per gli anni della formazione, sono da tener
presenti i seguenti scritti: B. Croce, Introd. a F. De Sanctis, Teoria e storia
della letteratura, Bari 1926; A. Marinari, Introd. a Purismo illuminismo
storicismo cit., nonché Le correzioni del Puoti ai primi due discorsi di scuola
del D., in Belfagor, XV (1960), pp. 584-601; Id., Alcuni problemi di cronologia
desanctisiana, Firenze 1963 e Il giovane D. lettore di P. Giannone, in
Letteratura e critica, Studi in onoredi N. Sapegno, II, Roma 1975, pp. 643-80;
G. Savarese, Primo tempo del D. e altri saggi, Bologna 1971; P. Luciani,
L'"estetica applicata" di F. D., Firenze 1983; C. Muscetta, D. e i
generi letterari in F. D. nella storia della cultura, a cura di C. Muscetta,
Bari 1983, pp. 363-84. Per gli anni della prigionia e dell'esilio, sono
indispensabili: E. Cione, F. D. dallaNunziatella a Castel dell'Ovo, Napoli
1933; B. Croce, Il soggiorno in Calabria, l'arresto e la prigionia di F. D.,
Napoli 1917 (ora in Aneddoti di varia letteratura, IV, Bari 1954); F. D. a
Torino, a cura di C. Vernizzi, Torino 1984; M. Guglielminetti-G. Zaccaria, F.
D. e la cultura torinese (1853-56) e R. Martinoni, Gli anni zurighesi
(1856-60), entrambi in F. D. nella storia della cultura cit. (dello stesso
Martinoni, cfr. anche La puzza della birra e del tabacco. Gli anni zurighesi di
F. D. [1856-60], in L'Almanacco 1983, Bellinzona 1983, pp. 112 s.); O. Besomi,
D. "in partibus transalpinis", ma non "infidelium": letture
zurighesi, in Per F. D., Bellinzona 1985, pp. 89-118. Per gli anni 1836-60 sono
da tener presenti i voll. dell'Epistolario (con le rispettive introduzioni). Lo
stesso vale per gli anni successivi (almeno fino al 1869). Per il soggiorno del
D. a Firenze, cfr. G. Spadolini, D. e Firenze capitale, in F. D. - Un
secolodopo cit., pp. 437-43. Per il D. ministro, cfr.: G. Talamo, F. D.
politico e altri saggi, Roma 1969; S. Soldani, Scuola e lavoro: D. e
l'istruzione tecnico-professionale, inF. D. nella storia della cultura cit.,
pp. 451-516; G. Ciampi, Il governo della scuola nello Stato postunitario,
Milano 1983, ad Indicem; A. Santoni Rugiu, Aspetti dell'ideologia formativa di
F. D., nonché S. Valitutti, Il pensiero e l'azione scolastica di D. ed E.
Bottasso, D. ministro e la formazione delle prime tre biblioteche nazionali
(tutti in F. D. - Un secolo dopo cit.). Per la morte e le onoranze funebri,
cfr. In memoria di F. D., a cura di M. Mandalari, Napoli 1884 (rist. anast.,
Napoli 1983, a cura della Comunità montana "Alta Irpinia"). Tra
gli studi critici di carattere generale, cfr.: B. Croce, F. D., in Letteratura
della nuova Italia, I, Bari 1956 (per gli altri scritti desanctisiani del
Croce, cfr. G. Savarese, Croce e D., in Rassegna della letteratura italiana,
CXLIV [1967], pp. 158-174; L. Russo, F. D. e la cultura napoletana, Venezia
1928 (poi Firenze 1956, ora Roma 1983); C. Muscetta, F. D., inLetteratura
italiana. I minori, IV, Milano 1962 e in Letteratura italiana. Storia e testi,
VIII, 1, Bari 1975, ibid 19854; M. Fubini, F. D. e la critica letteraria, in
Romanticismo italiano, Bari 19653; M. Mirri, F. D. politico e storico della
civiltà moderna, Messina-Firenze 1961; S. Landucci, Cultura e ideologia di F.
D., Milano 1963 (sul quale cfr. M. Mirri in Critica storica, III [1964] e la
risposta di S. Landucci, in Belfagor, XX [1965]); A. Asor Rosa, L'idea e la
cosa: D. e l'hegelismo, in Storia d'Italia (Einaudi), IV, 2, Torino 1975, pp.
850-78 e Il "diagramma De Sanctis"... e il nostro, in Letteratura
italiana (Einaudi), Torino 1982, I, pp. 22-26. Utilissime sono anche tutte le
introduzioni ai singoli volumi delle edizioni cinaudiana e laterziana. Sono da
tenere inoltre in grande considerazione le osservazioni di I. Svevo (in
Racconti. Saggi. Pagine sparse, Milano 1968, p. 800" e G. Debenedetti
(Commemorazione del D.), 1934 (ora in Saggi critici, 2a serie, Milano 1971),
nonché quelle di W. Binni (L'amore del concreto e la "situazione"
nella prima critica desanctisiana [1942], ora in Critici e poeti dal
Cinquecento al Novecento, Firenze 1951, pp. 99-116), G. Contini (Introd. a F.
De Sanctis, Scelta di scritti critici, cit.); G. Getto (Storia delle storie
letterarie, Milano 1942, ad Indicem), C. Dionisotti (Geografia e storia della
letteratura italiana, Torino 1967, ad Indicem) e R. Wellek (Storia della
critica moderna, IV, Bologna 1969, pp. 123-55). Molto ricche sono le
miscellanee: F. D. e il realismo, con Introd. di G. Cuomo, Napoli 1978; F. D.
nella storia della cultura, a cura di C. Muscetta, Bari 1983; F. D. tra etica e
cultura ("Riscontri", VI, 1-2), a cura di M. G. Giordano, Avellino
1984; D. - Un secolo dopo, a cura di A. Marinari, Bari 1985; Per F. D.,
Bellinzona 1985; F. D.: recenti ricerche, a cura dell'Ist. per gli studi
filosofici, Napoli 1989. Per i rapporti fra il D. e la cultura napoletana
dell'800, cfr. gli scritti di G. Oldrini (in particolare, La cultura filosofica
napoletana dell'800, Bari 1973 e gli interventi apparsi nelle varie miscellanee
già citate). Per quelli con l'hegelismo, oltre allo scritto già cit. del Binni,
cfr.: N. Giordano Orsini, D., Hegel e la situazione poetica, in Civiltà
moderna, XIV (1942), pp. 138 ss.; M. Rossi, Sviluppi dello hegelismo in Italia
(F. D., S. Tommasi, A. Labriola), Torino 1957; Il primo hegelismo italiano, a
cura di G. Oldrini, Firenze 1969; M. T. Lanza, D. e Hegel, in F. D. nella
storia della cultura, cit., pp. 155-84; S. Landucci, cit. Tra i tanti
altri saggi, cfr. pure: M. Aurigemma, Lingua e stile nella critica di F. D.,
Ravenna 1968; F. Battaglia, Parva desanctisiana, Bologna 1970; B. Moretti, La
lingua di F. D., Firenze 1970; A. Prete, Il realismo di D., Bologna 1972. G.
Malcangi, F. D. deputato di Trani, con Introd. di A. Lapenna e A. Marinari,
Bari 1972; A. Marinari, Il "viaggio elettorale" di F. D. Il
"dossier Capozzi" e altri inediti, Firenze 1973; F. Ghilardi, Il
superamento del kantismo e l'esperienza politica di F. D., Napoli 1974; G.
Guglielmi, Da D. a Gramsci: il linguaggio della critica, Bologna 1976; N. Celli
Bellucci-N. Longo, F. D. e G. Leopardi tra coinvolgimento e ideologia, Roma
1979; M. Dell'Aquila, Giannone, D., Scotellaro. Ideologia e passione in tre
scrittori del Sud, Napoli 1981; G. Nencioni, F.D. e la questione della lingua,
Napoli 1984. Per i rapporti con le altre letterature europee: per la
Francia cfr. F. Neri, Il D. e la critica francese, 1922 (ora in Saggi, Milano
1964); P. Antonetti, F. D. et la culturefrançaise, Firenze-Parigi 1964; U.
Piscopo, D. e la culturafrancese, in F. D. - Un secolo dopo cit.; per la
Germania, cfr.: G. Bach, La cultura tedesca in F. D., in Studi e ricordi
desanctisiani, Avellino 1935; F. Matarrese, Goethe e D., Bari 1975; M. Westhoff,
Schiller e D., Roma 1977; M. Mazzocchi Alemanni, La "fortuna" di D.
in Germania, in F. D. nella storia della cultura cit., pp. 547-76; per il mondo
angloamericano, cfr.: A. Lombardo, D. Shakespeare e la letteratura inglese, in
F. D. - Un secolo dopo cit., pp. 549-68; D. Della Terza, D. e la cultura
anglosassone, in F. D. nella storia della cultura cit., pp. 527-45, e D. negli
Stati Uniti d'America, in F. D. - Un secolo dopo cit., pp. 651-63. Per la
fortuna critica dell'opera del D., cfr. L. Biscardi, F. D., Palermo 1960; S.
Romagnoli, F. D., in Iclassici italiani nella storia della critica, a cura di
W. Binni, II, Firenze 19612 ; F. De Castro, F. D. nella critica italiana del
secondo dopoguerra, in Problemi, LIX (1980); N. Longo, Il "ritorno"
di D. Storia, ideologia, mistificazione, Roma 1980. Cfr. pure, al riguardo, le
rassegne di G. Oldrini, M. Tondo e P. Tuscano citate a proposito degli scritti
bibliografici.Sossio Giametta. Giametta. Keywords: il volo d’Icaro, l’implicatura
di Croce – eterodossie crociane – Cosi parlo Zoroaster; cosi
implico!”—cortocircuito e implicature, la pazzia di Croce, il pazzo di Croce –
la caduta di Icaro? No, il vuolo di Icaro! – Colli e Montanari! -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giametta: cortocircuito ed implicatura” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716489340/in/photolist-2mRAqeJ-2mQxzwE-2mQDDPt-2mQMcti-2mQMcsB-2mQHU1f-2mQK7Hp-2mQMcs1-2mQMcr4-2mQK7Gn-2mQDDQq-2mQMcsG-2mQHTYB-2mQHU15-2mQK7GY-2mQNoEv-2mQK7HQ-2mQNoHr-2mQK7J1-2mQDDPd-2mQHU1a-2mQHTZo-2mQMct8-2mQDDPP-2mQHTYG-2mQNoEF-2mQMcqT-2mQNoFx-2mQK7Hz-2mQHTYr-2mQMcqN-2mPkhvE-2mN1wvj/
Grice e Giandomenico – l’apertura semantica e
l’implicatura di Galilei – filosofia italiana – Luigi Speranza (Carunchio).
Filosofo. Grice: “I like Giandomenico; he makes excellent commentary on
Bernard’s controversial, deterministic idea of life – from amoeba to man, in
Russell’s words --.” Grice: “Surely this has connections with my method in
philosophical psychology, from the banal to the bizarre, which actually starts
with philosophical BIO-logy!” Grice: “Giandomenico shows that while Bernard
never thought he had to provide a ‘conceptual analysis’ of ‘vivente,’ he does
propose this or that criterio: for one he tries to prove that self-nourishment
cannot be the criterion – but I’m not sure what the positive he poes, if any!” Si
laurea con Corsano all’istituto di filosofia di Bari.Insegna a Brindis, Lecce,
Foggia, e Bari. Studia l'insegnamento di Filosofia nei Licei. Studia filosofia della
comunicazione. Fonda il Laboratorio di Epistemologia Informatica e il Centro per
la Metodologia della Sperimentazione. Studia pragmatica computazionale e
Informatica umanistica. Membro della Società Filosofica Italiana. Si occupato della
storia della fisiologia, la storia sdell’informatica, l’informatica pragmatica,
teoria della comunicazione, teoria dell’implicatura conversazionale, e teoria
del segno. Pubblicato uno studio su Tommasi, che aderì alla sperimentazione. Ha
trattato il contributo scientifico di Pende. Analizza i fondamenti
dell'informatica nei suoi rapporti con le teorie filosofiche, mettendo in
evidenza le strutture epistemiche reciprocamente significative. “Filosofia ed
informatica”, Inoltre, ha sperimentato applicazioni delle tecnologie informatiche
nella ricerca umanistica. Le ricerche condotte nell'ambito
dell'informatica linguistica si sono proposte l'analisi
linguistico-computazionale. L'obiettivo è stato quello di andare al di là del
livello “lessicografico” – il filosofese – o terminologia filosofica, como
‘implicatura’ -- e di implementare una rete sintattica automatica con l'ausilio
di software dedicati. Il primo progetto ha riguardato l'analisi della
conversazione nel “Dialogo sopra i due massimi sistemi” di Galileo. Usando un
software, creato dal Laboratorio di Epistemologia Informatica di Bari, ricava
un “vocabolario” (filosofese, terminologia filosofica, vocabolario filosofico)
galileiano, procedere ad una prima valutazione dello stile ed avviare l'analisi
“semantica” di un “concetto” utilizzato da Galileo. Ha raccolto, infine, questi
spunti in una riflessione sui linguaggi dell'artificiale, intersecati con
quelli della vita, sulle nuove tecnologie della comunicazione e sull'etica.
Altre opera: “Tommasi, filosofo, Bari, Adriatica; “Filosofia e sperimento”
Bari, Adriatica; “Scienza, filosofia, letteratura, Verona, Bertani; “
Introduzione a Charcot, Fasano, Schena); “Epistemologia informatica, Bologna,
Transeuropa); “ Filosofia e informatica. Bari: G. Laterza); “L'uomo e la
macchina trent'anni dopo: Filosofia e informatica, Società Filosofica Italiana,
Bari, G. Laterza); “Dall'offerta formativa alla creazione di un nuovo lavoro:
la laurea umanistica” in Convegno per il corso "Informatica umanistica”
BARI: G. Laterza); “Laboratori di psicologia tra passato e futuro, Lecce, Pensa
Multimedia); “La prosa di Galileo: la lingua la retorica la storia, Lecce, Argo);
“La filosofia come strumento di dialogo tra le culture, Bari, Mario Adda Editore);
La Società Filosofica Italiana, Roma, Armando,. Note M. Triggiani, Cultura, un fronte unico.
Università e Comune per una rete dei contenitori, in Gazzetta del Mezzogiorno,
3 A.L., Dopo la laurea faccio il master in orecchiette, in Specchio.
Supplemento di La Stampa, F. Di Trocchio, Dall'archivio al futuro, in
L'Espresso,de Ceglia, l. Dibattista, Semi di storia della scienza. Milano, Franco Angeli. L’esperire
immediato e l’esperienza mediata Affronteremo in questa lezione il difficile
rapporto che s’instaura tra il mondo-della-vita e quello della scienza, tra
esperienza diretta ed immediata ed organizzazione razionale. Husserl ritiene
che le scienze moderne (matematiche e naturali) hanno bisogno di un nuovo fondamento,
diverso e ben più solido di quello che vien loro solitamente attribuito dalla
comunità degli scienziati, dei logici e dei metodologi. Per trovare questo
nuovo fondamento, egli si rivolge direttamente al mondo-della -vita, cioè al
mondo dell’esperienza concreta, nel quale le intuizioni si presentano al loro
stato originario, non ancora elaborate in concetti: in una parola, si rivolge
al mondo del precategoriale. A questo proposito egli mette in guardia gli
scienziati, i quali ritengono di considerare la natura come è realmente e non
si accorgono dell’astrazione attraverso la quale essa è diventata per loro un
tema scientifico, non si accorgono cioè che le cose cui fanno riferimento -
perfino quando parlano di oggetti empirici, di risultati dell’osservazione e
della sperimentazione - sono in realtà il frutto di un precedente, assai
complesso e artificioso, lavoro categoriale. Possiamo ricordare, a questo
proposito, le procedure operative che oggi (in maniera più evidente di quanto
si poteva percepire ai tempi di Husserl) le scienze sperimentali adottano. Ecco
un esempio. Vedere, nella scienza del nostro tempo, vuol dire, quasi
esclusivamente, interpretare segni generati da strumenti: tra la vista di un
astronomo del nostro tempo che fa uso del telescopio spaziale Kepler e una di
quelle lontane galassie che appassionano gli astrofisici ed accendono la
fantasia di tutti gli esseri umani sono interposti oltre una dozzina di
complicati apparati mediatori Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale
dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la
riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della
legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 3 di 17
Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune del
tipo: un satellite, un sistema di specchi, una lente telescopica, un sistema
fotografico, un apparecchio a scansione che digitalizza le immagini, vari
computer che governano riprese fotografiche e processi di scansione e memorizzazione
delle immagini digitalizzate, un apparecchio che trasmette a terra queste
immagini in forma di impulsi radio, un apparecchio a terra che ritrasforma gli
impulsi radio in linguaggio per un computer, il software che ricostruisce
l’immagine e le conferisce i necessari colori, il video, una stampante a colori
e così via. Questo esempio evidenzia che la scienza ha due attività
fondamentali: la teoria e gli esperimenti. Le teorie cercano di immaginare come
il mondo è; gli esperimenti servono a controllare la validità delle teorie e la
tecnologia che ne consegue cambia il mondo. L’intero iter della ricerca
scientifica si può sintetizzare con una affermazione netta: rappresentiamo e
interveniamo. Rappresentiamo al fine di intervenire e interveniamo alla luce
delle rappresentazioni. Dall’epoca della rivoluzione scientifica ha preso vita
una sorta di “artefatto collettivo” che dà campo libero a tre fondamentali
interessi umani: la speculazione, il calcolo, l’esperimento. La collaborazione
fra ciascuno di questi tre ambiti porta a ciascuno di essi un arricchimento che
sarebbe altrimenti impossibile. Per questo, come aveva insegnato già il
filosofo inglese Francesco Bacone (ritenuto con Galilei il padre della scienza
moderna), la scienza non è osservazione della natura allo stato grezzo. I sensi
dell’uomo vanno ampliati mediante strumenti. I raggi dell’ottica di Newton,
così come le particelle della fisica contemporanea, non sono dati in natura,
sono i dati di una natura sollecitata da strumenti. Di fronte alla natura -
come aveva affermato con una delle sue barocche metafore il Lord Cancelliere
inglese - dobbiamo imparare a “torcere la coda al leone”. Da questo punto di
vista la storia degli strumenti non è esterna alla scienza, ma ne è parte
costitutiva e integrante. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso
personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la
riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della
legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 4 di 17
Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune In
altre parole: la definizione operativa accolta usualmente dagli scienziati
tende sì a ricondurre i concetti ad un contenuto empirico, ma questo contenuto
in realtà è quello filtrato da teorie e strumenti, come dall’esempio che
abbiamo sopra riportato. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso
personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la
riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della
legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 5 di 17
Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune 2
Categoriale e precategoriale La tesi di Husserl è, invece, che il fondamento di
tutte le scienze - anche di quelle cosiddette empiriche - possa venire fornito
soltanto dal «fiume eracliteo» delle intuizioni che precedono qualsiasi tipo di
concettualizzazione e che ci coinvolgono nell’immediatezza della vita,
personale e professionale, vissuta, la quale presuppone “il mondo circostante
quotidiano della vita, in cui tutti noi, e anch’io in quanto filosofo,
esistiamo coscienzialmente: non meno le scienze, in quanto fatti culturali
inclusi in questo mondo, e gli scienziati e le loro teorie. Nei termini del
mondo-della-vita: noi siamo oggetti tra gli oggetti; siamo qui o là, nella
certezza diretta dell’esperienza, prima di qualsiasi constatazione scientifica,
fisiologica, psicologica, sociologica, ecc. D’altra parte siamo soggetti per
questo mondo, soggetti egologici che lo esperiscono, che lo considerano, che lo
valutano, che vi si riferiscono attraverso un’attività conforme a scopi,
soggetti per i quali il mondo circostante ha il senso d'essere che gli è stato
attribuito dalle nostre esperienze, dai nostri pensieri, dalle nostre
valutazioni, ecc., e nei modi di validità (della certezza, della possibilità,
eventualmente dell’apparenza, ecc.) che noi realizziamo attualmente, in quanto
soggetti di validità o che già possediamo da prima e che portiamo in noi in
quanto abitualmente acquisiti, in quanto validità di questo o di quel contenuto
che possono essere attualizzate a piacimento. -Naturalmente tutto ciò soggiace
a una molteplice evoluzione, mentre ”il” mondo continua a essere un mondo
unitario, e si corregge soltanto nella sua struttura di contenuto”.[...] Ora,
se consideriamo noi stessi in quanto scienziati, nella funzione di scienziati
in cui ora di fatto ci troviamo, al nostro particolare modo d’essere, di essere
scienziati, corrisponde il nostro fungere attuale nel modo del pensiero
scientifico, del nostro porre problemi e del nostro ricavare Attenzione! Questo
materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche
parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L.
22.04.1941/n. 633) 6 di 17 Università Telematica Pegaso La
rivincita della conoscenza comune soluzioni teoretiche in relazione alla natura
e al mondo dello spirito; ciò a cui ci riferiamo non è dapprima altro che uno
degli aspetti del mondo-della-vita già precedentemente sperimentato o,
comunque, già presente alla coscienza e già valido scientificamente o
pre-scientificamente. Fungono con noi gli altri scienziati, che vivono con noi
in una comunità teoretica, che attingono o già possiedono le stesse verità,
oppure che, grazie all’accomunamento di questi atti, stanno con noi nell’unità
di operazioni critiche e nel proposito di un accordo critico. D’altra parte noi
possiamo essere per gli altri, e gli altri per noi, meri oggetti; invece che
nella comunità dell’unità di un interesse teoretico attuale, possiamo
conoscerci reciprocamente attraverso l’osservazione; possiamo conoscere gli
atti del pensiero, gli atti dell’esperienza e, eventualmente, altri atti, come
fatti obiettivi, ma “senza interesse”, senza partecipazione, senza un’adesione
o un rifiuto critico”. (E. Husserl, La crisi delle scienze europee, cit. pp.
134-135, 139). Ogni pensiero scientifico e qualsiasi problematica filosofica,
secondo Husserl, implicano sempre certe ovvietà, per esempio la certezza che il
mondo esiste, che è già sempre preliminarmente, e che qualsiasi rettifica di
un’opinione di qualsiasi tipo, presuppone sempre il mondo in quanto orizzonte
di ciò che senza dubbio è e vale. Anche la scienza oggettiva pone i suoi
problemi sul terreno di questo mondo, il quale, però, è sempre già da prima,
che è già a partire dalla vita prescientifica. Essa, come qualsiasi prassi,
presuppone il suo essere; ma, insieme, si pone come fine la trasformazione del
sapere prescientifico (che è imperfetto sia nella sua portata che nella sua
consistenza), in un sapere compiuto, conformemente all’idea della correlazione
tra mondo, che in sé è ben determinato, e verità scientifiche che lo spiegano,
presentandosi come delle verità in sé. In altri termini, il suo compito è
quello di attuare questa esplicazione attraverso un processo sistematico,
attraverso gradi di compiutezza, utilizzando un metodo che permetta un costante
progresso. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello
studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o
il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul
diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 7 di 17 Università
Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune In realtà Husserl tende
a realizzare una descrizione dello strato precategoriale (o antepredicativo)
posto a fondamento dell’edificio logico-categoriale. Questo strato può
presentarsi sia come un piano autonomo d’esperienza che ignora la destinazione
predicativa, sia come un’anteriorità funzionale, cioè come un precategoriale
non autonomo in quanto indirizzato verso il piano predicativo (o categoriale).
In questo secondo caso, il predicativo assume il valore di interpretazione ed
esposizione linguistica dell’antepredicativo cioè dell’originario d’esperienza.
Il criterio che egli assume, peraltro, richiede che ogni fondazione e
chiarificazione conoscitiva acquisisca, dal punto di vista fenomenologico, la
forma del rinvio all’intuizione fondante. In tal modo il rapporto tra
sensibilità ed intelletto (è evidente qui il richiamo critico alle due “fonti
della conoscenza”, di kantiana memoria) si traduce nel rapporto tra “sensibile”
e “categoriale”: il non-categoriale, il precategoriale è collocato nella sfera
del sensibile con tutta la sua valenza fondativa per gli atti logici
superiori. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale
dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la
riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della
legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 8 di 17
Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune 3
Agrimensura empirica e geometria scientifica Tra le pagine più note, nelle
quali Husserl analizza il rapporto fondativo del precategoriale incarnato nel
mondo-della-vita ed il categoriale consacrato nei paradigmi scientifici, quelle
dedicate alla genesi della geomertia e della geometrizzazione della natura sono
particolarmente idonee per le tematiche che stiamo analizzando. Husserl precisa
subito che la sua indagine “genealogica” non mira ad una ricostruzione
“storiograficamente corretta” delle origini della geometria (emblematicamente
assurta a simbolo della scienza “esatta”, ma non “rigorosa”) bensì vuole
rintracciare il senso profondo, originario della sua collocazione categoriale.
“Il problema dell'origine della geometria (e sotto il titolo di geometria
raccogliamo qui, a fine di concisione, tutte quelle discipline che si occupano
delle forme esistenti matematicamente nella spazio-temporalità) non è qui un
problema storico-filologico; non si tratta quindi di reperire i primi geometri
che·abbiano formulato proposizioni, dimostrazioni, teorie geometriche, né
quelle determinate proposizioni che essi possono aver scoperto, ecc. Il nostro
interesse mira invece a risalire al senso più originario in cui la geometria si
è costituita, in cui si è sviluppata attraverso millenni, in cui è ancora viva
per noi e in cui continua a evolvere; noi indaghiamo cioè il senso in cui si è
presentata per la prima volta nella storia - il senso in cui dev’essersi
presentata, anche se nulla sappiamo, né cerchiamo di sapere, sui suoi creatori.
Partendo da ciò che sappiamo della nostra geometria, oppure dalle sue forme più
antiche tramandateci (per es. dalla geometria euclidea), cerchiamo di risalire
agli inizi originari e ormai sommersi della geometria, a quegli inizi
“originariamente fondanti” così come devono necessariamente essersi prodotti.
Questo tentativo di risalire al senso originario si mantiene necessariamente
nell’ambito delle generalità, ma, come Attenzione! Questo materiale didattico è
per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli
effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 9 di
17 Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza
comune risulterà tra breve, si tratta di generalità ricchissime, la cui
esplicitazione offre la possibilità di attingere problemi particolari e
constatazioni evidenti che a loro volta si configurano come problemi. La
geometria, per così dire, compiuta, a cui occorre rifarsi per risalire al suo
senso, è una tradizione. La nostra esistenza umana si muove nell’ambito di un
numero enorme di tradizioni. Tutto il mondo culturale, in tutte le sue forme, è
per noi in base alla tradizione. Perciò le forme culturali non sono soltanto
divenute causalmente: noi sappiamo anche che la tradizione è appunto una
tradizione che si è costituita nel nostro spazio umano e in base all’attività
umana, sappiamo che è spiritualmente divenuta - anche se in generale noi non
sappiamo nulla della sua precisa provenienza e della spiritualità che l’ha di
fatto determinata. E tuttavia, anche questo non-sapere include sempre, per
essenza e implicitamente, un sapere che può essere esplicitato, un sapere di
un’evidenza incontestabile”. (E. Husserl, ibidem, p.381). Questo sapere,
continua Husserl, affonda le radici, nell’esempio specifico che egli illustra,
nell’impiego empirico dei concetti geometrici. A questo livello possiamo certo
accontentarci di determinazioni piuttosto vaghe, di una vaga tipicità; e dunque
di confronti sommari, a occhio e croce. Ci possiamo contentare, ma beninteso
secondo i casi. Vi sono situazioni in cui non ci contentiamo affatto. Se, ad
esempio, dobbiamo vendere il nostro campicello o scambiare il nostro con quello
di un altro, presumibilmente non saremo affatto soddisfatti da determinazioni
tra il più e il meno. Cercheremo di escogitare metodi più precisi di confronto,
dunque metodi di misurazione. Si vede subito allora in che senso la pratica
della misurazione abbia a che fare con la geometria, e in particolare con la
sua origine. Pur essendo motivati da interessi pratici, cominciamo tuttavia ora
a porci problemi teorici, continua Husserl, sia pure in una forma relativamente
disorganica. Per escogitare metodi di misurazione abbiamo bisogno di operare
una certa Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello
studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o
il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul
diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 10 di 17 Università
Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune classificazione delle
forme, scoprire certe relazioni tra esse o inventare dei ben determinati
congegni per stabilire tra esse una relazione. In tutto ciò sono implicite
numerose riflessioni teoriche che preparano la riflessione propriamente
geometrica. Lo stesso problema di una classificazione tenderà, ad esempio, ad
un certo ordinamento che prefigura la distinzione tra forme elementari e forme
derivate e che non solo richiede un preciso intervento teorico, ma configura
altrsì un possibile campo di indagine con fini propriamente ed esclusivamente
conoscitivi. Questa origine della problematica geometrica non ha evidentemente
un carattere “storiografico” nel senso consueto del termine. In altri termini,
non ci sono “documenti” che mostrino che le cose siano andate proprio così, e
questo è un altro elemento di notevole interesse che emerge dalle riflessioni
di Husserl e che riguarda il concetto della storicità. È innegabile infatti che
siamo comunque di fronte ad una descrizione “storica”, ma essa è condotta sul
filo di una logica interna ai concetti, non è un racconto più o meno
leggendario. E persino l’origine della riflessione geometrica dall’agrimensura
ha forse queste caratteristiche di una connessione “genetica” non
storiograficamente documentata in senso stretto, ma che rientra tuttavia, in un
certo senso, nel pensiero di una storia della geometria alle sue origini.
Scrive Husserl: “La metodica geometrica della determinazione operativa di
alcune e poi di tutte le forme ideali a partire da forme fondamentali, in
quanto mezzi elementari di determinazione, rimanda alla metodica esercitata già
nel mondo circostante pre-scentifico-intuitivo, dapprima in modo rudimentale poi
secondo regole d’arte, alla metodica della misurazione e in generale della
determinazione misurativa. Le sue finalità hanno un’origine, che è rivelatrice,
nella forma essenziale di questo mondo-della-vita. Le sue forme sensibilmente
esperibili e sensibilmente- intuitivamente pensabili in esso e tutti i tipi
pensabili, a qualsiasi grado di generalità, si Attenzione! Questo materiale
didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è
severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)
11 di 17 Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza
comune connettono continuamente le une con gli altri. In questa continuità essi
riempiono la spazio- temporalità (sensibilmente intuitiva) che è la loro forma
(Form). Ogni forma che rientra in questa aperta infinità, anche quando è data
come un fatto nella realtà, è priva di “obiettività”, perciò non è
determinabile intersoggettivamente da chiunque - per es. da un altro che non la
veda di fatto -, né comunicabile nella sua determinatezza. Evidentemente a
costui serve la misurazione. La misurazione è qualcosa di molto differenziato,
il misurare vero e proprio non è che il suo momento conclusivo: da un lato si
tratta di produrre concetti adatti per le forme corporee dei fiumi, dei monti,
degli edifici, ecc. che di regola devono rinunciare a concetti e a nomi
rigorosamente determinanti; innanzitutto per le loro “forme” (nell’ambito della
somiglianza visiva), e poi per le loro grandezze e per i loro rapporti di
grandezza e; ancora, per l’ubicazione, mediante la determinazione delle
distanze e degli angoli che vengono riportati a luoghi e a direzioni
presupposti noti e immobili. La misurazione scopre praticamente la possibilità
di scegliere come misura certe forme fondamentali empiriche, che sono
concretamente definite su corpi che di fatto sono generalmente disponibili ed
empirico-rigidi, e, mediante i rapporti che esistono (e che devono essere scoperti)
tra queste misure e le altre forme corporee, cerca di determinare
intersoggettivamente e in modo praticamente univoco queste forme - dapprima in
sfere ridotte (ad es. nell’ agrimensura) poi per nuove sfere di forme. Si
capisce così come, in seguito all’esigenza, ormai desta, di una conoscenza
“filosofica”, di una conoscenza che determinasse il “vero” essere, l’essere
obiettivo del mondo, la misurazione empirica e la sua funzione empiricamente-
praticamente obiettivante, attraverso la trasformazione dell’interesse pratico
in un interesse puramente teoretico, potesse venir idealizzata e trapassare
così in un pensiero puramente geometrico. La misurazione prepara così la
geometria universale e il suo “mondo” di pure forme- limite”. (E. Husserl,
ibidem, pp. 57-58). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale
dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la
riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della
legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 12 di 17
Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune
Naturalmente la fenomenologia rappresenta in certo senso la guida di questo
pensiero. Benché l’istante della transizione non possa essere documentato, è
tuttavia chiaro che molte conoscenze geometriche siano state anticipate e
presupposte nella tecnica degli agrimensori. Anzi in generale i problemi che
sorgono nell’ambito della soluzione di difficoltà pratiche stimolano la ricerca
sul piano teoretico–conoscitivo: la prassi tecnica genera motivi di riflessione
teorica. E inversamente la riflessione teorica diventa un “mezzo della
tecnica”; una volta che una scienza come la geometria si è costituita, quando
cioè esiste un lavoro scientifico diretto in modo autonomo ad un universo di
oggetti concettualmente definito, questo lavoro si ripercuote a sua volta sul
terreno dei problemi tecnici suggerendo nuove idee e nuovi progetti.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è
coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo
anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L.
22.04.1941/n. 633) 13 di 17 Università Telematica Pegaso La
rivincita della conoscenza comune 4 Logica trascendentale e mondo-della-vita
Questa interconnessione tra precategoriale e categoriale non riguarda soltanto
le scienze naturali e sociali, ma investono ovviamente anche le scienze formali
e, tra queste, la logica, verso la quale Husserl, fin dall’inizio della sua
attività filosofica, ha sempre mostrato particolare interesse. Dalle Ricerche
logiche (1900) a Logica formale e trascendentale (1929) a Esperienza e giudizio
(1939), egli traccia la via di una “genealogia” della logica, in polemica con
il logicismo e lo psicologismo, Nello sviluppo del suo pensiero si impone a
Husserl anche l’esigenza di chiarire che genere di rapporto sussiste tra la
logica antepredicativa e la logica predicativa . La percezione sensibile, per
quanto consista nel tendere da parte dell’io verso l’oggetto intenzionato, è
sempre una conoscenza instabile, insicura, che non consente mai di possedere
l’oggetto conosciuto in maniera definitiva. Questo è possibile soltanto
mediante una conoscenza predicativa, cioè attraverso la logica, la quale ha la
capacità di fissare l’oggetto e di conservarlo anche quando non è presente
nella percezione. La conoscenza antepredicativa e quella predicativa, perciò,
si differenziano nettamente e ciascuna si caratterizza per una propria
specificità. Se però si analizza la genesi della logica, ci si rende conto che
bisogna rifarsi alla percezione sensibile per spiegare la logica predicativa.
Questo significa che la conoscenza predicativa, di cui appunto la logica è
l’espressione più compiuta, riposa fenomenologicamente, cioè dal punto di vista
della sua fondazione, sulla conoscenza antepredicativa, cioè si esplicita in
logica trascendentale. Scrive Husserl: Attenzione! Questo materiale didattico è
per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli
effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 14 di
17 Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza
comune “Chiarito il contrasto tra scienza obiettiva e mondo-della- vita,
occorre tuttavia localizzare la loro essenziale connessione: la teoria
obiettiva nel suo senso logico (in termini universali, la scienza come totalità
delle teorie predicative, dei sistemi “logici” in quanto sistemi di
“proposizioni in sé”, di “verità in sé” e, in questo senso, di enunciati
logicamente connessi) è radicata e fondata nel mondo-della-vita, nelle sue
evidenze originarie. Proprio per questo la scienza obiettiva ha una costante
relazione di senso col mondo in cui sempre viviamo, e in cui, quindi, viviamo
anche nella nostra qualità di scienziati accomunati a tutti gli altri
scienziati - si tratta cioè di una relazione col comune mondo-della-vita. Ma
così la scienza obiettiva è un’operazione di persone pre-scientifiche, di
persone singole e di persone accomunate nell’attività scientifica, di persone
quindi che appartengono al mondo-della-vita. Le loro teorie, le formazioni
logiche, non sono naturalmente cose del mondo-della-vita nel senso in cui lo
sono i sassi, le cose, gli alberi. Sono totalità logiche e parti logiche
costituite da elementi logici ultimi. Per parlare con Bolzano: sono
“rappresentazioni in sé”, “proposizioni in sé”, conclusioni e dimostrazioni “in
sé”, unità ideali di significato, la cui idealità logica è determinata dal loro
telos “verità in sé”. Ma anche questa idealità, come qualsiasi altra, non muta
nulla al fatto che sono formazioni umane connesse per essenza alle attualità e
alle potenzialità umane, e che quindi rientrano nella concreta unità del
mondo-della-vita, la cui concrezione dunque ha una portata maggiore di quella
delle “cose”. Ciò vale, correlativamente, anche per le attività scientifiche,
sperimentali, per le attività che “in base” all’esperienza plasmano le
formazioni logiche, in cui esse compaiono in forma originaria e in modi
originari di evoluzione, nei singoli scienziati e nella comunità degli
scienziati: quale originarietà delle proposizioni, delle dimostrazioni, ecc.
che sono state elaborate in comune”. (E. Husserl, ibidem, pp. 158-159).
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è
coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo
anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L.
22.04.1941/n. 633) ' 15 di 17 Università Telematica
Pegaso La rivincita della conoscenza comune Come potete notare, si tratta di
un’ampia riflessione sul come le strutture logiche siano o meno adeguate alla
dimensione della realtà oggettiva. In questo senso la logica trascendentale si
presenta come logica dei fondamenti, ed è in seno ad essa che si costituisce la
logica come scienza formale. La logica formale tradizionale, invece, ha
ignorato la propria genesi, presupponendo come ovvia la validità delle proprie
leggi. Al contrario, un giudizio logico deve essere valutato come un atto
soggettivo di conoscenza che si impadronisce del suo contenuto. Per questo
motivo le leggi logiche formali, che siano normative del giudizio, ma che non
tengono conto del fatto che sono normative anche del suo contenuto, fanno
sorgere interrogativi sulla validità dei loro giudizi sul mondo naturale e
sulla verità ed evidenza dei loro contenuti. Seguendo questo punto di vista,
Husserl sviluppa pienamente il tema della logica trascendentale in rapporto
alle categorie di verità e di significato. Conseguentemente, la logica si
configura qui come teoria delle teorie: essa non è solo un discorso logico
sulla logica, condotto con i mezzi della logica, ma un metadiscorso sulla
logica, che tuttavia non si presenta né come una sovrastruttura né come una
forma speculativa. E’, a tutti gli effetti, una regressione, un ritorno ai
fondamenti che l’hanno costituita nelle sue operazioni originarie, anche
storiche, nonché nelle sue operazioni attuali. Le ricerche fenomenologiche,
ribadisce Husserl, risultano necessarie alla logica pura, trascendentale. Ne
rappresentano la sua fondazione intuitiva e precategoriale: in quanto la logica
è da ricercare nelle operazioni costitutive, diventa logica filosofica,
filosofia prima, teoria della teoria. Ma, badate bene, ciò non è in
contraddizione con la fondazione precategoriale: è solo l’altra faccia della
questione, poiché la fondazione deve sempre essere ristabilita nella presenza e
nelle modalità temporali e quindi genetiche e storiche. Attenzione! Questo
materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche
parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L.
22.04.1941/n. 633) 16 di 17 Università Telematica Pegaso La
rivincita della conoscenza comune Le scienze, invece, che non prendono in
considerazione ciò che costituisce il loro fondamento trascendentale, cioè le
condizioni per cui si danno, si risolvono in pure tecniche di manipolazione di
simboli linguistici.Mauro Di Giandomenico. Giandomenico. Keywords: l’apertura
semantica, “How Pirots Karulise Elatically” – pirots karulise elatically –
pirots karulise – ‘implicazione’ – aperture semantica, Galileo, la retorica di
Galilei, Galilei, lo stile di Galilei, Vinci, I corpi, la filosofia
positivistica italiana -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giandomenico: l’implicatura conversazionale: ‘Pirots
karulise elatically; therefore, pirots karulise!” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757604051/in/dateposted-public/
Grice e Giani – implicatura mistica – l’implicatura
di Catone -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Muggia).
Filosofo. Grice: “It’s hard for me to judge Giani’s philosophy because I fought
against the Italians during the so-called ‘second world war,’ so-called!”
Grice: “But I would be willing to expand: if Giani developed what he aptly
called a ‘mystique’ – so did we at Oxford – Churchill surely held his
‘mystique.’ Of course the Italian, being more scholastic, had to call it
‘scuola di mistica,’ – and the idea was that of an all-male chivalry order –
aptly set at Milan!” Fonda la corrente filosofica nota come "Mistica".
Partì come volontario di guerra e morì sul fronte. Dopo aver frequentato
il Liceo ginnasio Dante Alighieri di Trieste si trasferì a Milano, dove si
iscrisse a Milano e quindi ai Gruppi Universitari, laureandosi. Anticipa l'imminente
apertura della scuola sul foglio dei Gruppi Universitari, "Libro e
moschetto" della Scuola di Mistica. Ne divenne direttore, carica che
lasciò alla fine dell'anno seguente dopo aver scritto il suo ampio discorso da
tenersi a Roma in occasione dellaI iunione della Società Italiana per il
Progresso delle Scienze che coincideva anche con il decennale della Marcia su
Roma in cui enuncia i principi della nuova scuola. Su impulso di Giani si
comincia inoltre a pubblicare i Quaderni della scuola di mistica. Poche
settimane dopo la riunionesi dimise da direttore con una lettera inviata a
Mussolini, per contrasti interni con il segretario politico dei Gruppi
Universitari. Imputa le dimissioni al mancato trasferimento della Scuola nella
vecchia sede de Il Popolo d'Italia chiamato anche "Il covo" La
richiesta di entrare in possesso de "Il Covo" puntava ad ottenere il
possesso di uno degli ambienti più importanti dell'immaginario fascista.
Continua quindi a collaborare con diversi quotidiani come "Il Popolo
d'Italia" e "Gerarchia". "Lineamenti sull'ordinamento
sociale dello Stato" gli fece ottenere la libera docenza e e quindi la
cattedra di Storia a Pavia ma parte volontario per la guerra d'Etiopia
arruolandosi col grado di capomanipolo della Milizia Volontaria per la
Sicurezza Nazionale nel CXXVIII Battaglione"Vercelli".
Rientrato in Italia, riassunse la guida della scuola, qui in occasione della
chiusura dell'anno scolastico nell'aula della casa del Fascio di Milano.
Rientrato in Italia riassunse la carica di direttore della "Scuola di
Mistica" lanciando due importanti iniziative, rilancia la pubblicazione
della serie di "Quaderni" che affrontavano differenti problematiche e
sempre per sua iniziativa fu creata nell'ambito della scuola la rivista
mensile, Dottrina che divenne l'organo ufficiale della Scuola, in cui pubblica il "Decalogo dell'italiano nuovo”. Si
dedica inoltre al giornalismo diventando direttore a Varese di "Cronaca prealpina"
e collaborando a diverse testate, tra cui Tempo (Direttore: Alfredo Acito).
Dalle pagine di "Cronaca prealpina" prese parte alla campagna fondata
sui propri convincimenti del ‘spirito’ contrapposto al "biologico" La Cronaca prealpina dopo la nomina di Giani a
direttore arriva a quadruplicare la tiratura. L'incontro a Roma con
Mussolini in cui si decise la cessione del "Covo" ai "mistici"
della Scuola. Su impulso di Giani, con una cerimonia presieduta di Starace, la
sede ufficiale della Scuola di Mistica si spostò nel medesimo edificio che
ospitò ai suoi primordi il giornale Il Popolo d'Italia, chiamato "il
Covo". Il "Covo" negli anni era stato trasformato in una
galleria. La palazzina e proclamata monumento nazionale con tanto di guardia
d'onore svolta da squadristi e
combattenti. Per esplicita decisione di Mussolini, fu ufficialmente consegnata
ai mistici della scuola. L'evento fu vissuto come una autentica consacrazione
dei insegnanti riuniti intorno a Giani. In realtà la consegna era già stata
disposta come risulta da un foglio d'ordini del PNF e in quell'occasione il
consiglio direttivo era stato ricevuto a Roma da Mussolini. Mussolini li aveva
spro continuare nella loro attività. A Milano, in occasione del decennale
dalla fondazione della scuola, organizzò il "Convegno nazionale di mistica"
che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere il primo della serie. Obiettivo
che sfumò a causa dell'entrata in guerra. L'incontro vide oltre 500
partecipanti ed ebbe l'adesione della maggior parte degli filosofi dell'epoca. Come
gran parte dei "mistici", partecipa nuovamente come volontario alla
seconda guerra mondiale, conflitto nel quale vedeva il presagio di una
rivoluzione in vista di una nuova era. Inquadrato nell'11º reggimento
alpini prese parte alla battaglia delle Alpi Occidentali contro la Francia e
venendo decorato con la medaglia d’argento al valor militare.Terminata la
campagna di Francia in seguito all'armistizio tornò alla vita civile ma
incominciata nel frattempo la guerra in nord Africa richiese più volte di
partire volontario senza ottenere soddisfazione. Alla fine ottenne di
partire come corrispondente di guerra de
Il Popolo d'Italia, della Cronaca prealpina e de L'Illustrazione Italiana
presso i reparti della Regia aeronautica. Per quest'ultima realizza anche
diversi servizi fotografici. All'attività di giornalista affiance anche quella
di militare prendendo parte ad alcune azioni e ottenendo una medaglia di bronzo
al valor militare. E richiamato in Italia dove riassunse la guida de "La
cronaca prealpina".Nuovamente incorporato nell'11º reggimento alpini
riparte infine come volontario per la campagna di Grecia, dove cadde sul fronte
greco-albanese nella battaglia per la conquista della Punta Nord del Mali
Scindeli. Si offre volontario per una pericolosa missione che prevede la
conquista di una munita postazione greca. L'attacco ebbe inizialmente successo
con la conquista della posizione ma riorganizzatisi i greci condussero un contrattacco.
Nello scontro cadde. Il periodico L'Illustrazione Italiana scrisse, senza
riportare dove o come avrebbe potuto registrare tali parole, che l'ufficiale
greco che lo aveva colpito a morte avrebbe raccontato che nello scontro Giani
gli si era parato davanti "come un dio o un demone". Il corpo
di Giani andò disperso e gli altri assaltatori che avevano preso parte
all'attacco dovettero ritirarsi rapidamente incalzati dai soldati greci. Fu
pochi giorni dopo incaricato delle ricerche Carati che era anche vice-direttore
della Scuola di mistica. Le ricerche a causa della perdurante situazione di
guerra furono nulle, e riuscì solo ad individuare il luogo in cui era
caduto. In quell'occasione, richiesta un'udienza al Duce, chiese che
potessero partire per l'Albania il cognato Guido Giani e il fratello Aldo Sampietro.
Questi ultimi rinvennero la salma sepolta in maniera anonima in territorio
greco. Di qui la salma fu translata nel piccolo cimitero militare di
Klisura. Mussolini fu preso come principale punto di riferimento dalla
Scuola di Mistica. Elabora un discorso programmatico in cui enuncia i principi
fondanti della Scuola e della Mistica fascista. Compito nostro deve essere
soltanto quello di coordinare, interpretare ed elaborare il pensiero del Duce.
Ecco perché è sorta una Scuola di mistica ed ecco il suo compito: elaborare e
precisare i nuovi valori che sono nell'opera
del Duce. (Giani in La marcia sul mondo).
Inizialmente i principi esposti da Giani facevano parte di un discorso più
ampio da tenersi a Roma in occasione di una riunione della Società Italiana per
il Progresso delle Scienze. L'ampio discorso fu poi pubblicato nella serie dei
"Quaderni" voluti da Giani con il titolo "La marcia sul mondo
della Civiltà". Si impone un ritorno alle origini, ovvero al movimentismo
rivoluzionario, riallacciandosi idealmente all'esperienza delle prime squadre
d'azione e degli arditi della Grande Guerra quindi, secondo Veneziani "una
più radicale rivoluzione coniugata al recupero di una più integralistica
tradizione". Ma più che legati agli enunciati politici del manifesto di
sansepolcro i mistici di quella esperienza esaltavano soprattutto la lotta contro
la borghesia affaristica del primo dopoguerra. La mistica si considera rappresentante
proprio di questo mondo ispirato dall'amore di patria e posta a guardia della
rivoluzione permanente e in contrasto con gli opportunisti e i
trasformisti. Individuava nell'epoca contemporanea *quattro* principali
mistiche, destinate ad apportare in un primo tempo dei benefici ma poi a
fallire: liberale, democratica, socialista e comunista. Liberalismo,
democrazia, socialismo e comunismo sono le quattro mistiche dominanti nella
societa. Il bilanciolo abbiamo già visto è per tutte negativo. Il liberalismo
porta all'anarchia. La democrazia porta all'instabilità politica e sociale. Il
socialism porta alla otta civile. Il comunismo porta alla vita primitiva. Queste
quattro mistiche sono pertanto anti-storiche. A fronte di esse l'unica mistica
in grado di superare tali crisi era quella come sviluppato nel capitolo intitolato
"La marcia ideale" la cui conoscenza e diffusione presso le masse era
compito della élite. Medaglia d'argento al valor militarenastrino per uniforme
ordinariaMedaglia d'argento al valor militare «Volontario nella guerra d'Africa
ove prese parte volontario a diverse pattuglie esploratori, chiese ed ottenne
di essere anche in quest guerra assegnato ad un reparto combattente. Destinato
all'11º alpini volontario a due azioni del battaglione Bolzano chiese di
partecipare alla ardita discesa di due compagnie del battaglione Trento
effettuata in una valle occupata dal nemico e avanzò con la prima pattuglia
sotto intenso bombardamento, sprezzante del grave pericolo di sorprese e di
accerchiamento nemico, esempio trascinante a ufficiali e soldati, e prova di
dedizione alla patria, di alta fede e di valore.» Medaglia di bronzo al valor
militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia di bronzo al valor militare
«Corrispondente di guerra presso una squadra aerea disimpegnava il suo
particolare e delicato servizio con alto senso di responsabilità. Spesso
presente sugli aeroporti più avanzati e maggiormente battuti dall'offesa nemica
allo scopo di rendersi conto di ogni particolare, partecipava volontariamente a
difficili e rischiose missioni di guerra, dando sicura prova anche nelle più
critiche circostanze di sereno sprezzo del pericolo e completa dedizione al
dovere.» Medaglia d'oro al valor militarenastrino per uniforme ordinaria Medaglia
d'oro al valor militare «Volontariamente, come aveva fatto altre volte, assumeva
il comando di una forte pattuglia ardita, alla quale era stato affidato il
compimento di una rischiosa impresa. Affrontato da forze superiori, con grande
ardimento le assaltava a bombe a mano, facendo prigioniero un ufficiale.
Accerchiato, disponeva con calma e superba decisione gli uomini alla
resistenza. Rimasto privo di munizioni, si lanciava alla testa dei pochi
superstiti, alla baionetta, per svincolarsi. Mentre in piedi lanciava l'ultima
bomba a mano ed incitava gli arditi col suo eroico esempio, al grido di:
«Avanti Bolzano! Viva l'Italia», veniva mortalmente ferito. Magnifico esempio
di dedizione al dovere, di altissimo valore e di amor di Patria.» — Punta
NordMali Scindeli (Fronte greco), 14 marzo 1941. Opere: “La via della
gloria, anni 20 La marcia sul mondo della Civiltà Fascista, Lineamenti su
l'ordinamento sociale dello Stato, Giuffré ed. La mistica come dottrina. Perché
siamo, A. Nicola. Perché siamo mistici. Mistica della rivoluzione. Antologia di
scritti, Il Cinabro, Longo, “I vincitori
della guerra perduta” (sezione su Giani), Edizioni Settimo sigillo, Roma.Carini,
Giani e la scuola di mistica fascista,
Mursia, Antonellis, Come doveva essere il perfetto, su storia
illustrate,Antonellis, Come doveva essere il perfetto, su storia illustrate, Tomas
Carini nella prefazione su Giani, La
marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo,Carini, Giani e la scuola di mistica, Mursia,Tomas
Carini, Giani e la scuola di mistica, Mursia, Carini, Giani e la scuola di
mistica fascista, Mursia, Tomas Carini nella prefazione su Giani, La marcia sul
mondo, Novantico Editore, Pinerolo,Grandi, Gli eroi, Giani e la Scuola di mistica,
Cfr. a tale proposito le ricerche di Enzo Laforgia, una cui sommaria sintesi è
nel sito varesenews Archiviato. Tomas Carini nella prefazione su Niccolò Giani,
La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo, Il saggio, edito da Dottrina
Fascista, riporta in forma integra la conferenza inaugurale tenuta da Giani per
l'inaugurazione del corso per maestri della Scuola di Mistica. Cfr. a tale
proposito le ricerche di Enzo Laforgia in Aldo Grandi, Gli eroi di Mussolini,
BUR, Milano, Antonellis, Come doveva essere il perfetto, su storia illustrate, Veneziani,
La rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarcoedizioni, Varese, Longo, Gli
eroi della guerra perduta, edizioni settimo sigillo, Roma, L'Illustrazione italiana, Grandi, Gli eroi di
Mussolini. Niccolò Giani e la Scuola di mistica fascista, cAldo Grandi, Gli
eroi di Mussolini. Niccolò Giani e la Scuola di mistica fascista, cNiccolò
Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo,, Tomas Carini nella
prefazione su Niccolò Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo,Marcello
Veneziani, La rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarcoedizioni, Varese, Giani,
La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo,, Tomas Carini nella
prefazione su Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo, Tomas
Carini nella prefazione su Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore,
Pinerolo, Tomas Carini, Giani e la
Scuola di mistica, prefazione di Marcello Veneziani, Mursia, Milano, Grandi,
Gli eroi di Mussolini. Giani e la Scuola di mistica, BUR Biblioteca Univ.
Rizzoli, RaidoSpeciale Scuola di Mistica, Raido, Roma, Arnaldo M., Coscienza e dovere.
Niccolò Giani MISTICA DELLA RIVOLUZIONE FASCISTA Antologia di scritti,
1932-1941, pp. 302, euro 15.00 In libreria dal 27 novembre In
breve: «Siamo mistici perchè siamo degli arrabbiati, cioè dei faziosi, se così
si può dire, del Fascismo, uomini [...] partigiani per eccellenza e quindi
anche assurdi [...]. Del resto nell’impossibile e nell’assurdo non credono gli
spiriti mediocri. Ma quando c’è la fede e la volontà, niente è assurdo».
(Niccolò Giani) Un’antologia che raccoglie i più significati testi di Niccolò Giani,
tra i massimi esponenti della corrente più radicale, oltranzista e universale
del Fascismo, la Scuola di Mistica Fascista.
Questa antologia rappresenta la prima raccolta organica dei più
significativi scritti di Niccolò Giani nel periodo che va dal 1932 al 1941. È,
a nostro giudizio, il modo migliore per illustrare senza filtri la sua persona,
il suo pensiero e la sua azione. È un omaggio doveroso al testimone di quello
che fu il Fascismo universale e intransigente che mai scese a compromessi con
la “vita comoda”, al rinnovatore spirituale e politico di una intera
generazione. Esempio di eroismo che, al di là della contingenza storica, seppe
essere coerente con i propri principî vivendo l’ideale sino all’estremo
sacrificio; quasi innalzando il Fascismo ad una categoria universale
dell’essere, come fonte inesauribile di spiritualità cui innestarsi per fare la
rivoluzione dell’uomo e del mondo. Niccolò Giani, nato a Muggia il 20 giugno
1909, cadde sul fronte greco il 14 marzo 1941, nello slancio del combattimento,
trasfigurato ormai nell’eroismo muto. Dimostrò con la vita affermata oltre la
morte, l’armonia tra pensiero e fede, la continuità tra dottrina ed azione, e
della autentica Rivoluzione rimane il puro rappresentante della giovinezza
nuova: per questo il suo esempio sarà il seme fecondo dell’aspro cammino di
domani. Seppe con l’azione indicare la strada, con l’intransigenza insegnare
l’esempio. I «tesserati» furono i suoi avversari. Contro di essi combatté,
contro cioè i falsi, i presuntuosi, gli esibizionisti, i retorici, gli
arrivisti; contro coloro, insomma, che considerarono la Rivoluzione come atto
di ordinaria amministrazione, sfruttabile per fini personali. Il
Cinabro Ufficio stampa ufficiostampa@ilcinabro.it INDICE: Saggi
introduttivi: - Luca Leonello Rimbotti: Mistica Fascista. L’ordine della
Milizia sacra - Maurizio Rossi: La Mistica Fascista dell’Uomo Nuovo. Tra
milizia politica e metapolitica la scuola rivoluzionaria del Fascismo ***
Introduzione: - Fernando Mezzasoma: Niccolò Giani discepolo di Arnaldo ***
Decalogo dell’Uomo Nuovo La marcia ideale sul mondo della Civiltà fascista
Generazioni di Mussolini sul piano dell’Impero Civiltà fascista civiltà dello
spirito Aver Coraggio A difesa dell’Europa Fuori La mistica come dottrina del
fascismo Le due Europe Mistica del fascismo, Corporativismo e Autarchia Il
Centro di preparazione politica per i giovani. Fucina di Campioni della
Rivoluzione Valore primordiale del “Covo” I soliti imbecilli L’equivoco Perché
siamo dei mistici Il volto della guerra Testamento spirituale al figlio Niccolò
Giani: Presente!Mistica Della Rivoluzione Fascista “E questo diritto alla prima
linea, ad essere i disperati del Fascismo, è l’unica pretesa che, oggi, domani,
sempre, i mistici del Fascismo accamperanno di fronte alla Rivoluzione, come,
con vena veramente squadrista, ha detto Guido Pallotta nella sua relazione che
ha avuto lo spirito e la mordenza del «menefreghismo» più autenticamente
fascista. Prima linea, sul fronte esterno ed interno, contro il nemico di fuori
e di dentro. Contro gli attentatori della nostra integrità territoriale, ma
anche, e con uguale decisione e durezza, contro gli attentatori della nostra
integrità spirituale.” (Niccolò Giani) Le conseguenze derivate
dalla fine del primo conflitto mondiale e l’immediatarossi 5 crisi strutturale
delle istituzioni e dei valori che investì, con una forza che non aveva avuto
precedenti nella storia, le società europee, vennero allora giudicate come
l’annuncio di un radicale mutamento di tutte le forme della vita politica e
civile fino ad allora conosciute e complessivamente accettate. Una
deflagrazione interna dei costumi, di certezze consolidate e di mentalità che
modificò in maniera irreversibile l’immaginario collettivo di popoli e nazioni.
Niente sarebbe più stato come prima. Uno Spirito nuovo si affacciava con ruvida
decisione e realismo eroico reclamando il proprio posto nella Storia. L’alba
delle grandi rivoluzioni si affacciava sul continente europeo e i popoli si
sarebbero messi in marcia affascinati da nuove e esaltanti
Weltanschauung. Per Arthur Moeller Van Den Bruck, uno dei primi e tra i
più significativi esponenti della Rivoluzione Conservatrice tedesca, si
tratterà di una presa di posizione a carattere diffuso più che evidente: “Assistiamo
all’evento per cui tutto quel che non è liberale si unisce contro quel che è
liberale. Noi viviamo i tempi di questa agitazione mondiale, che si produce per
una estrema consequenzialità, e che si esplica in una rivoluzione radicale che
prospetta la perdita da parte del nemico della sua posizione di potere: tale
nuova situazione mondiale esordisce con un allontanamento
dall’Illuminismo.” Il periodo che immediatamente fece seguito al termine
di un conflitto di così immensa portata, venne visto dai più attenti e acuti
osservatori incredibilmente saturo di una genuina e stupefacente valenza
rivoluzionaria e innovatrice, ciò significò l’inizio di una nuova stagione di
entusiastiche mobilitazioni che avrebbero alla fine tonificato la fibra morale
e politica del continente fino ad allora logorata ed estenuata da
sovrastrutture ipocrite e corrose nel loro intimo che erano riuscite,
attraverso innumerevoli sotterfugi, a sopravvivere a se stesse, sempre più
annichilite da un pervasivo decadentismo culturale e morale e dal predominio di
una mentalità borghese e oligarchica connotata dalle sue più perniciose vedute
utilitaristiche e mercantilistiche. Le conseguenze della fine della
grande guerra significarono soprattutto una presa di coscienza collettiva e
un’accelerazione formidabile dei fenomeni sociali, accompagnate entrambe da una
esigenza totalmente nuova di considerare l’esistenza e i rapporti umani,
esigenza che venne principalmente percepita prima dai combattenti e poi dai
reduci come il frutto maturo della traumatica e allo stesso tempo travolgente
esperienza della guerra di trincea, insomma un insieme di condizioni
imprescindibili che prepararono il terreno e l’atmosfera per l’avvento delle
ondate rivoluzionarie nazionalpopolari che misero in crisi valori e regole
consolidate da tempo, assestando colpi mortali alle strutture politiche,
sociali e culturali delle società borghesi liberal-democratiche. Dalle
forme statiche si passava alle forme dinamiche, nel senso jungeriano del
termine. Il Fascismo sarà la matrice principale che inaugurò la feconda
ed entusiasmante stagione delle insurrezioni nazional-rivoluzionarie e il primo
laboratorio culturale delle ancor più affascinanti sintesi nazionali e
sociali. Furono infatti i reduci del fronte, gli ex-combattenti che
avevano creduto fino in fondo ad una particolare visione eroica della vita
propria di una ideologia della guerra sviluppatasi nell’interiorizzazione del
sacrificio bellico e del sangue versato – subendo poi la frustrazione di una
vittoria conseguita sul campo di battaglia a duro prezzo che videro mutilata
negli accordi di pace internazionali – a rappresentare la spina dorsale di una
innovativa e volontaristica visione politica che pretendeva di coniugare un
nazionalismo intransigente e guerriero partorito nelle trincee con le più
avanzate e spregiudicate chiavi di lettura sociali. La grande guerra di
popolo aveva travasato nei combattenti il senso della tensione nazionale e
sociale verso scopi e missioni comuni, una nuova coscienza collettiva che sarebbe
stata cementata da un formidabile sentimento di fraterno e virile cameratismo,
il culto della differenza e del radicamento nella specificità etnica della
Stirpe italica. Gli squadristi fascisti non fecero altro che travasare
tutti questi motivi nelle battaglie di piazza. Sorti dalla guerra di
popolo, divennero avanguardia di popolo. E il 28 Ottobre 1922 sarà il
coronamento dei loro sacrifici, la loro apoteosi. D’altronde era stato lo
stesso Mussolini a dire che l’esperienza della guerra avrebbe generato le
migliori condizioni per la rivoluzione sociale e politica. Anzi, ne sarebbe
stata la prefazione. Era il novembre 1916 e Mussolini combatteva sul fronte del
Carso, nei ranghi del 11° Reggimento Bersaglieri: “Noi vinceremo la guerra: ma
poi dovremo vincere la pace. Sarà duro; ma ci arriveremo. La società italiana
deve assolutamente mutare. (…) Sui giovani bisognerà contare. Questa guerra che
noi combattiamo e che con tragica definizione viene detta di logoramento,
porterà alla ribalta delle lotte civili una generazione che riuscirà a fare
quello che la nostra non è riuscita a fare: il riscatto sociale e politico del
mondo del lavoro, al di sopra e al di fuori dei dottrinarismi che oggi lo
incatenano. A ciò non saremmo mai arrivati se non avessimo voluto la guerra,
rovesciato i vecchi feticci sostituendo alle vuote ideologie i fatti e le loro
naturali conseguenze. Questo non sarà solo di noi, ma anche di altri
popoli.” Una lucida e profetica anticipazione di quanto sarebbe poi
accaduto in tutta l’Europa. Tutto questo si pose, in maniera del tutto
naturale, in totale opposizione al principio democratico in politica e a quello
liberale nel campo economico, all’insegna di una rivoluzionaria concezione
elitaria, fortemente gerarchica e anti-egualitaria che reclamava la
valorizzazione delle minoranze attivistiche e carismatiche con la conseguente
affermazione del principio guida del Capo, con il mito dello Stato totalitario
come asse formante e legittimante della Comunità nazionale e non ultimo la
funzione pedagogica del Partito unico, soprattutto mediante una costante
mobilitazione politica delle masse, una sacralizzazione della politica
attraverso il ricorso a liturgie collettive, miti e simbologie, e una crescente
militarizzazione della vita sociale e civile, l’intervento statale attraverso
gli istituti del Corporativismo per una razionale direzione disciplinata
dell’economia che ponesse termine all’epoca del predominio delle oligarchie
mercantilistiche e parassitarie e riportasse la vita economica al servizio
dell’interesse collettivo subordinandola alle necessità politiche
nazionali. Infine, l’affermazione sovrana di una particolare e severa
tipologia umana di nuova impronta che avrebbe rappresentato lo spirito del
nuovo tempo: l’Uomo Nuovo, l’Uomo integrale come manifestazione vivente di una
Tradizione atemporale che ebbe la volontà e la capacità di tradursi in
Rivoluzione. Proprio nel senso di quell’interpretazione che Niccolò Giani
seppe dare, facendosi portavoce di quegli ambienti del Fascismo intransigente e
rivoluzionario che vollero interpretare al meglio gli insegnamenti
mussoliniani: “Il Fascismo è un richiamo violento alla Tradizione, non un
ritorno o una ripetizione. Per noi fascisti la Tradizione come lo dice il
significato etimologico del termine e come Evola ha documentato, è e non può
essere che dinamica. Altrimenti si parlerebbe di conservatorismo o di reazione.
Invece, la Tradizione è continua coniugazione, attraverso il presente, del
passato e dell’avvenire; è processo inesausto di superamento, è una fiaccola
accesa con la quale ogni popolo illumina la propria strada e corre nel tempo
verso l’avvenire. Ecco perché, oggi, Rivoluzione e Tradizione non si escludono,
ma anzi si identificano e questo spiega il culto che noi abbiamo pel passato e
dice ai soliti uomini dai paraocchi che l’italiano del secolo XX non può che
essere fascista.” Questa nuova visione della politica rappresentata dal
Fascismo rappresentò inequivocabilmente la radicale negazione dei principi
emersi dalla rivoluzione francese, una evidente antitesi storica e culturale di
quanto fu incarnato dall’illuminismo, che costituì l’essenza di tutte le
manifestazioni materialistiche ed economicistiche della decadenza moderna: da
quelle individualistiche, liberali e democratiche a quelle cosmopolite,
genericamente progressiste e marxiste. Il Fascismo, anche nella sua più
vasta comprensione europea, intese proporre in maniera concreta ed efficace un
discorso radicalmente alternativo alla politica borghese e alla società borghese
richiamandosi al concetto di avanguardia delle idee, un’avanguardia
rivoluzionaria che fosse in grado, senza contraddizioni, di saldare assieme
passato e presente vincendo così la sfida della modernità, sostituendo il
vigore giovanile della passione idealistica e volontaristica alla decadente
dissolutezza del conservatorismo borghese e il cameratismo militante radicato
nella coscienza popolare alla società atomizzata e polverizzata delle
democrazie liberali. Un discorso ambizioso per un’avanguardia che ambiva ad
essere al contempo simbolo della genuinità politica e della resurrezione
spirituale, una speranza che venne riposta nel mito capacitante dell’Uomo Nuovo
creatore di nuovi valori, l’esemplare di una specifica specie umana lanciata
alla conquista del futuro senza per questo dover recidere le radici culturali e
spirituali che lo mantenevano legato alla propria dimensione storica, etnica e
popolare; nei confronti della quale si espresse il Duce parlando nel 1933
all’Assemblea delle Corporazioni: “L’uomo economico non esiste, esiste l’uomo
integrale che è politico, che è economico, che è religioso, che è santo, che è
guerriero.” Quindi questa figura particolare dell’Uomo Nuovo,
capace di raccogliere in sé tutte le sue forze creative, che la cultura
rivoluzionaria del Fascismo proponeva e che non mancava costantemente di
ricollegare alla stagione dello squadrismo, così intrisa di eroicità e di
sacrificio, riconduceva alla stessa definizione dell’Uomo integrale di
mussoliniana memoria, ovvero un uomo che non esistesse unicamente perché
cartesianamente pensante, ma perché arricchito di tutte quelle virtù
“romanamente” intese, eroiche, civiche e politiche, sia nella ragione come nei
sentimenti. Spesso e volentieri nell’immaginario intellettuale il
discorso sull’Uomo Nuovo si andava a concretizzare poi nell’ideale della
gioventù, una gioventù non solamente intesa in senso spirituale ma anche come
dato anagrafico, poiché il concetto di gioventù rimandava all’ansia del
cambiamento e all’impeto rivoluzionario, racchiudendo in se stessa gli ideali
della forza e della bellezza, di una esuberante virilità aggressiva, l’anelito
vitale di un futuro tutto da conquistare, proprio l’opposto di quanto ancora
proponevano i rappresentanti delle democrazie borghesi con tutte le loro
desuete convenzioni e i loro logori formalismi, con tutta la loro boriosa
rispettabilità e lasciva ipocrisia. Il Fascismo fu quindi profondamente
giovane e irruento, meravigliosamente violento e lo fu sia spiritualmente che
anagraficamente. Il comune denominatore della più intransigente e
autentica cultura fascista, quella derivata appunto dalla passionale ed eroica
stagione dello squadrismo, si trovava nell’aspirazione alla realizzazione di un
originale disegno politico ed esistenziale da esplicarsi mediante cambiamenti
radicali frutto di una ferma volontà rivoluzionaria che armonizzava i
riferimenti alla rivolta romantica dell’interventismo e alla mistica eroica
evocata dalla guerra di trincea con i nuovi miti palingenetici di
trasformazione della società e dello Stato. Questa cultura dell’azione che si
nutriva dello spirito barricadiero di rivolta contro l’ordinamento borghese in
nome di un rivoluzionario e fascista Ordine Nuovo era la caratteristica di
quell’ambiente fascista che si riconosceva, anche per esperienza diretta, nel
mito capacitante delle aristocrazie del combattentismo – quella trincerocrazia
più volte evocata da Mussolini – e nella scuola di vita e di coraggio
rappresentata dalla militanza squadristica che venne vissuta, letta ed interpretata
non solamente come una reazione organizzata e armata volta all’annientamento
dei focolai dell’insurrezionalismo marxista, ma soprattutto come militanza
rivoluzionaria e idealistica volta alla rigenerazione della Nazione e alla
creazione di uno Stato nuovo. Una specifica rilettura che si svolgeva anche in
aperta polemica con coloro che ritenevano che la nascita del governo presieduto
da Mussolini, all’indomani della marcia su Roma, rappresentasse la fase
risolutiva del Fascismo. In questo modo, il Fascismo, doveva e poteva
assumere una superiore valenza metafisica affermando il suo essere come un
completamento naturale e organico della storia della Nazione italiana, andando
ben oltre la semplice insorgenza anti-sovversiva e anti-modernista – non a caso
lo stesso Niccolò Giani volle mettere l’accento sul fatto che: “La Rivoluzione
Fascista infatti non è stata reazione come qualcuno ha creduto in origine e
come tuttora si crede da molti all’estero; è stata invece l’ostetrica della
nuova storia. Il 28 ottobre 1922 è sorta una nuova civiltà capace di risolvere
tutti i problemi della società contemporanea.” Per costoro, che in fondo
rappresentavano la vasta base della militanza fascista e anche quella
intellettualmente più viva, l’agire politico del Fascismo non doveva
assolutamente compromettersi con i residui della vecchia classe dirigente, che
in virtù del processo di normalizzazione e di pacificazione avviato dal Duce si
adoperavano nell’inserimento all’interno dei gangli del regime, doveva invece
mantenere e tonificare una assoluta intransigenza dottrinaria senza incorrere
in alcun cedimento politico e morale, perché se il Fascismo era una
rivoluzione, doveva necessariamente procedere nei suoi obiettivi con mentalità
e metodi rivoluzionari, come perentoriamente affermò un autorevole esponente
dell’epopea squadristica della statura di Roberto Farinacci: “Bisogna insomma
che la bestia proteiforme del vecchio conservatorismo sornione sia liquidata
bruscamente; che le vecchie clientele d’interessi e d’ambizioni fiorite ai
margini della vita politica italiana siano messe in mora, vigilate,
controllate, sopra tutto tenute lontane, bisogna che sia impedito a chiunque di
rifarsi, attraverso il Fascismo, una qualsivoglia verginità e continuare, sotto
mentite spoglie, le abitudini peccaminose del passato. La vittoria deve essere
integrale.” Tra gli oppositori più accaniti della deriva moderata si
evidenziarono gli ideatori della Scuola di Mistica Fascista, costituitasi a
Milano il 10 Aprile 1930, tutti provenienti da quella generazione di giovani
dei GUF che era cresciuta respirando l’atmosfera del Fascismo, maturando così
una profonda convinzione nei miti fondatori del regime e una fedeltà assoluta
nella persona del Duce. Al loro fianco si schierarono altre personalità
di spicco del Fascismo rivoluzionario: Berto Ricci con il suo universalismo
fascista, Alessandro Pavolini e l’esaltazione della primavera squadristica,
Edmondo Rossoni con tutte le aspettative del sindacalismo rivoluzionario.
Il 29 Novembre 1931, la Scuola di Mistica Fascista verrà intitolata a Sandro
Italico Mussolini, il figlio prematuramente scomparso di Arnaldo
Mussolini. Niccolò Giani, Guido Pallotta, Fernando Mezzasoma e molti
altri giovani entusiasti, avvalendosi della guida orientatrice di Arnaldo
Mussolini, seppero rappresentare, attraverso l’opera che fu sviluppata dalla
Scuola, una autentica e intransigente avanguardia intellettuale e morale posta
a difesa dei valori espressi dalla Rivoluzione Fascista, che sempre più doveva
farsi rivoluzione culturale e antropologica per meglio adempiere alla consegna
rivoluzionaria che il Duce del Fascismo aveva dato alle nuove
generazioni. Sarà Niccolò Giani a spiegare gli scopi dell’istituzione:
“Poiché una mistica è un postulato di tanti credo, e un valore assoluto non lo
si può derivare che da una fonte indiscutibile, questa fonte non può essere che
il Duce. Ecco perché la fonte deve essere quella, esclusivamente quella.
Compito nostro deve essere soltanto quello di coordinare, interpretare ed
elaborare il pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola di Mistica
fascista ed ecco il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori del
Fascismo che sono nell’opera del Duce.” Quindi una rivoluzione culturale,
del carattere e dello Spirito che, attraverso interessanti rievocazioni del
mito della romanità e della sacralità della Stirpe – rappresentazioni
metastoriche e metafisiche della migliore tradizione aryo-romana – sarebbe
approdata ad una coesione organica della Stirpe italica costituitasi in Comunità
nazionale e avrebbe dato all’Italia fascista il diritto-dovere di adempiere ad
una missione universale facendo del Fascismo il crocevia della storia europea
del ventesimo secolo e il riformatore dei tratti essenziali della Civiltà
contemporanea in ogni suo aspetto, la ripresa e il rinnovamento dell’Europa
all’indomani del fallimento della democrazia liberale e delle utopiche promesse
marxiste. Aprire la strada al secolo fascista. Certamente nella visione
della Mistica fascista elaborata dalla Scuola vi era la ferma consapevolezza
che il Fascismo fosse una autentica rivoluzione totale della società italiana:
spirituale ed etica, sociale e politica, ma al contempo anche una ripresa di
tutte le tradizioni essenziali, però la memoria storica proposta non si sarebbe
dovuta risolvere in un ripiegamento nel passato, l’immagine del passato non
finì mai per schiacciare la dimensione del presente e tanto meno si configurò
come un richiamo intensamente nostalgico, bensì le potenzialità ideologizzanti
della rimemorazione storica vennero fatte espandere fino a provocare una vera e
propria occupazione del cosiddetto campo dei ricordi – una lotta spirituale e
rivoluzionaria per il dominio del ricordo e della memoria – che conducesse ad
una riscrittura della cronologia nazionale che rispecchiasse le concezioni del
pensiero irrazionalista, anti-intellettualista e pragmatista dei decenni
trascorsi, un pensiero profondamente permeato di sfumature di matrice
nietzschiana e soreliana. Anche i richiami alla Mistica insita nel
Fascismo erano animati dallo spirito di rivolta, contro le mentalità borghesi
ancora sussistenti, delle nuove generazioni cresciute ed allevate nelle
organizzazioni totalitarie giovanili e universitarie, una rivolta che si
manifestava con i forti caratteri di un idealismo morale ed etico
qualitativamente aristocratico esprimente l’esaltazione di una giovinezza
istintiva, disinteressata e piena di spirito vitale, aggressiva, pura e decisa
a dare battaglia a qualsiasi forma di conservatorismo e di borghese “buon
senso” pur di affermare il carattere intransigente e le finalità rivoluzionarie
sociali e spirituali del Fascismo. Non vi era nessun punto di convergenza
con eventuali nostalgie reazionarie, mentre invece era presente una totale e
coerente aderenza alle istanze di trasformazione rivoluzionaria che il Fascismo
esigeva e che ancor di più il Duce imponeva. Per questi giovani attivisti
non vi era altra strada per uscire definitivamente dalla crisi della modernità,
esplosa alla fine del primo conflitto mondiale, che con un mutamento radicale
del popolo italiano e una tale mutazione antropologica poteva provenire
solamente da una fede ben salda che aveva iniziato a germinare in un primo
tempo con l’esperienza della guerra nel mito della Nazione in armi, della
guerra di popolo, proseguendo poi con l’esaltante epopea della lotta
squadristica, per approdare infine nella costruzione dello Stato fascista di
popolo, corporativo e totalitario, il compimento finale del rinnovamento
sociale e spirituale della Stirpe e della grandezza politica della
Nazione. Nel corso degli anni che trascorsero dal 1930 fino all’entrata
in guerra dell’Italia nel 1940 la Scuola di Mistica Fascista assolse in maniera
esemplare ai compiti che si era prefissata, ovvero l’ambizione di voler
rappresentare l’infrangibile scudo morale, etico e dottrinario contro il quale
si sarebbero dovute infrangere le velleità dei nemici del Duce e del Fascismo,
soprattutto i nemici interni, i più pericolosi, quelli che si annidavano tra le
pieghe del regime per minarlo alla base. Affinché lo scudo della
rivoluzione fosse solido i mistici della Scuola, i soldati politici dell’Idea,
vollero essere loro stessi esempio di virtù civiche, morali e politiche, di
fedeltà indiscussa nei confronti della guida della rivoluzione, il Duce, spesso
descritto come il genio della Stirpe, l’Eroe che con la sua instancabile opera
dava quotidianamente prova di rappresentare pienamente la coscienza e la voce
dell’anima del popolo, soprattutto di un popolo a cui il Fascismo aveva
restituito la dignità politica e sociale e un’unità spirituale che attingeva
dalla viva coscienza di appartenere integralmente all’organismo della
Nazione. Da questa chiave di lettura emergeva, quindi, una superiore
comunione mistica che legava il Duce al suo popolo, cementata dalla comune fede
fascista, una fede intensa che a sua volta veniva elevata al rango di una sorta
di religione mistico-popolare sacralizzata dal sangue offerto in sacrificio dai
martiri dello squadrismo sull’altare della rivoluzione, una rivoluzione
continua che, come affermava un giovane esponente della Scuola, procedeva
impetuosamente la sua marcia: “I giovani della Mistica si sono irradiati tra le
file delle generazioni vecchie e nuove e hanno dato il goccio d’acqua, il pezzo
di pane del conforto, hanno sorretto i deboli, hanno convinto i pusillanimi. La
Rivoluzione ha attraversato le ubertose valli della sua fase politica, ora
sale. Guai a chi volesse tentare di derogare alle direttive di marcia per
evitare le asprezze della salita e impedire che dalla politicità si torni alla
rivoluzione piena e travolgente delle ore di audacia e di lotta.” Per
queste nobili motivazioni gli esponenti della Mistica fascista chiesero e
ottennero nel 1939 che la Scuola divenisse la custode del famoso “Covo”
milanese di via Paolo da Cannobio, il sacrario della rivoluzione delle camicie
nere, appunto il Covo del fascio primogenito dove la fede fascista aveva mosso
i primi passi e dove il Duce aveva chiamato all’adunata.rossi Un luogo
simbolico carico di suggestivi richiami emozionali, ben presente
nell’immaginario collettivo della militanza squadristica, che avrebbe dovuto
essere la fonte di irradiamento della Mistica fascista verso tutta la
Nazione. Il cosiddetto “Covo” del fascio primogenito rivestì sempre per i
mistici fascisti un ruolo centrale nel loro immaginario dottrinario,
rappresentava la fonte mitica della fede mussoliniana, il principio fondante
del Fascismo, era come trascendere il tempo profano per riapprodare al tempo
mitico della purezza dell’Idea, un riaccostamento di ordine metafisico a cui si
poteva accedere soltanto attraverso i miti e i simboli, e la Mistica fascista
era satura di richiami, di miti e di simboli: “Qui è tutta l’attualità e la
contemporaneità del “Covo”. Attualità e contemporaneità che non dovranno mai
tramontare. Non solo per noi, infatti, ma per i nostri figli e per i figli dei
nostri figli il “Covo” deve e dovrà essere l’Arca dei valori della Rivoluzione,
la bussola cui guardare nei momenti di indecisione, la guida cui ispirarsi, la
stella polare che il navigante dello Spirito deve vedere sempre alta e lucente
davanti a se. E ad esso oggi, domani, sempre gli italiani dovranno salire in
pellegrinaggio, per meditare, per ispirarsi. Ad esso le generazioni si accosteranno
sempre con stupore religioso per imparare che nulla allo Spirito è
impossibile.” Il Fascismo, come spesso ripeteva il Duce, era una fede
coltivata nella lotta che aveva avuto i suoi caduti, i suoi martiri che
immortalatisi vestendo la gloriosa camicia nera la avevano rafforzata e
sacralizzata: “Se ogni secolo ha una sua dottrina, da mille indizi appare che
quella del secolo attuale è il Fascismo. Che sia una dottrina di vita, lo
mostra il fatto che ha suscitato una fede: che la fede abbia conquistato le
anime, lo dimostra il fatto che il Fascismo ha avuto i suoi caduti e i suoi
martiri. Il Fascismo ha oramai nel mondo l’universalità di tutte le dottrine
che, realizzandosi, rappresentano un momento nella storia dello spirito
umano.” Adesso, questa fede, attraverso i mistici fascisti della Scuola
aveva trovato i suoi intransigenti custodi e i suoi più appassionati
apostoli. Anche loro si stavano preparando al combattimento – nella sua
duplice veste fisica e spirituale – aspirando di potere affrontare degnamente
il supremo sacrificio per il Fascismo e onorare così la loro scelta di vita
versando il proprio sangue per la causa rivoluzionaria. Morire all’ombra
dei gagliardetti neri: Mistica dell’azione – Mistica del realismo eroico –
Mistica della fede. Fedeltà che era più forte del fuoco, come narravano antiche
saghe. Che l’intensa e interessante attività svolta dalla Scuola
nell’approfondimento e nell’arricchimento della Dottrina fascista fosse il
risultato di un grande impegno contrassegnato da un’altrettanto grande serietà
venne comprovato dai numerosi riconoscimenti che ricevette, non ultimo
l’apprezzamento e la manifesta simpatia avuta da parte di Julius Evola, ma il
riconoscimento più importante, i mistici, lo ricevettero dal Duce che li
encomiò pubblicamente il 20 novembre 1939, incontrando i quadri della Scuola a
Palazzo Venezia, incitandoli a proseguire nel cammino intrapreso quali custodi
della purezza dell’Idea e del mito rivoluzionario: “Io vi ho seguito in tutti
questi anni da vicino e con vivissima simpatia perché considero la mistica in
primo piano. Ogni rivoluzione ha infatti tre momenti: si comincia con la
mistica, si continua con la politica, si finisce nell’amministrazione. Quando
una rivoluzione diventa amministrazione si può dire che è terminata, liquidata.
Potrei dimostrarvi che tutte le rivoluzioni sono passate attraverso questo
ciclo: noi che conosciamo la storia dobbiamo impedire che la politica scivoli
nell’amministrazione. Alle origini di ogni rivoluzione c’è la mistica: se la
politica è il contingente, la mistica è l’immanente, essa rappresenta i valori
eterni, essenziali, primordiali. (…) Voi dovete lavorare per l’avvenire. Per
far questo occorre la fede. E’ facile ad un certo momento deviare nella
politica: voi dovete essere al di fuori e al di sopra delle necessità della
politica. Di queste cose ho parlato in modo molto sommario; ma tutte erano
presenti in voi. Avete tempo di riflettere.” Il secondo conflitto
mondiale era però già iniziato e l’Italia sarebbe entrata in guerra l’anno
successivo. I mistici fascisti volendo essere, fino alle estreme
conseguenze, la prima linea del Fascismo accolsero con felicità ed entusiasmo
la notizia, chiedendo ufficialmente che gli venisse concesso l’Onore
dell’arruolamento volontario “nei più rischiosi reparti di terra, di mare o di
cielo”. Subito, ben 169 quadri dirigenti della Scuola partiranno per il fronte,
convinti che il processo rivoluzionario fascista avrebbe avuto una formidabile
accelerazione proprio per effetto della guerra. Molti altri mistici seguiranno
a ruota l’esempio dei loro capi. La loro esemplare condotta evidenzierà
una magnifica esplicazione degli insegnamenti della Tradizione: se hai di
fronte due strade, scegli sempre la più difficile. Poiché c’è sempre una strada
per chi vuole percorrerla. Sia Niccolò Giani, sia un’altra figura di
eccezionale valore come Berto Ricci, testimonieranno la loro intransigente
coerenza esistenziale e politica con la scelta del combattimento. Il primo
volontario sul fronte greco-albanese dove troverà eroicamente la morte nel
marzo del 1941, il secondo, sempre volontario, sul fronte africano dove
coronerà la propria esistenza di credente nella fede fascista incontrando,
altrettanto eroicamente, la morte il 2 febbraio 1941 a Bir Gandula sul Gebel cirenaico.
Nell’arco di un solo mese il Fascismo perse due tra i suoi migliori
campioni. Le vicende belliche decimarono di fatto il gruppo dirigente
della Scuola che sarà costretta a cessare le sue attività. I pochi
sopravvissuti di quell’esperienza raccolsero di nuovo la chiamata del Duce
aderendo nel 1943 alla Repubblica Sociale Italiana, tra questi Fernando
Mezzasoma che era stato il vicepresidente della Scuola e che ricoprì il
dicastero della propaganda nella RSI, trasportando con il proprio esempio le intime
motivazioni della Mistica fascista nell’esperienza repubblicana: “È questa
nostra intransigenza nei confronti della Dottrina che abbiamo sposato, delle
battaglie che combattemmo, delle realizzazioni che abbiamo attuate, che, se ci
consente di accettare la collaborazione di qualsiasi Italiano in buona fede e
di buona volontà che voglia aiutare la titanica fatica del Duce, ci obbliga
tuttavia a respingere sdegnosamente qualunque patteggiamento con coloro che
agiscono al servizio del nemico, uccidendo a tradimento i nostri migliori
compagni di marcia e di battaglia, con coloro che nell’Italia invasa
perseguitano i fascisti che a migliaia risorgono e insorgono per rendere dura
la vita agli invasori e aprire la strada al nostro ritorno. Questa deve essere oggi
la nostra missione di fascisti. Questo è il comandamento di Niccolò Giani.
Questo è il suo insegnamento. Nel suo nome, e nel nome degli altri Caduti, i
superstiti della Scuola di Mistica fascista chiamano a raccolta l’autentica
gioventù italiana.” Anche lui morirà poi nel 1945 assassinato dai
partigiani. Andarono tutti volontariamente incontro alla morte per
onorare un patto di fedeltà e di fede che li legava al Duce e al Fascismo, così
facendo coronarono una vita degna e ben vissuta, il loro abbraccio mistico con
il Fascismo si consumò eroicamente in combattimento e di fronte ai plotoni di
esecuzione. Se ancora oggi, dopo i tanti decenni trascorsi, la loro
memoria, la memoria delle tante battaglie ideali e materiali affrontate, viene
nonostante tutto ancora sentita come viva, se il ricordo di questi uomini
caduti con onore non in nome di una passione generica, ma per il Fascismo, per
il compimento di una Rivoluzione che è rimasta scolpita nella Storia, torna
ancora ad emergere non deve assolutamente avvenire perché i vivi di oggi
debbano morire nel loro cuore, struggendosi nella nostalgia del ricordo, ma
deve invece impetuosamente emergere affinché i morti di ieri possano tornare a
vivere tra di noi. Quella marcia, iniziata il 28 Ottobre 1922, non è ancora
terminata. Non ci consta che esistessero specifiche istituzioni
pubbliclie, ma in proposito possiamo ricordare numerosi provvedimenti e diverse
associazioni private. Fra quelli, le leggi agrarie, le disposizioni a favore
dei debitori, le distri buzioni semigratuite o gratuite dì grano, fatte dagli
edili; i congiari imperiali (che erano copiose elargizioni di farina, olio e
carne disposte dagli imperatori). Provvidenze che mi ravano tutte a
combattere, direttamente e indirettamente, le cause dell’indigenza o almeno a
paralizzarne gli effetti, ben ché nella loro essenza e origine avessero
carattere politico, cioè fossero prese sopratutto per cattivarsi il favore e la
simpatia della plebe o evitare tumulti e sommosse. Fra le associazioni,
sopratutto bisogna ricordare quelle costituite a scopo mutualistico ; e tale è
il carattere dei collegia fune- raticia, dei collegia termiorum, delle casse di
soccorso isti tuite da Giulio Cesare fra i suoi legionari. Anche nel campo
dell’istruzione si devono ricordare istituti privati i quali istruivano la
classe dirigente romana. E’ invece nelle opere pubbliche ohe specialmente i
romani ai distinsero legando ai posteri terme e acquedotti, palestre e strade,
circhi e palazzi olle ancora oggi, in parte, almeno, durano e sono
efficienti. L’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO SECONDO LA CONCEZIONE
FASCISTA Capitolo Primo Pag. LA TEORICA
FASCISTA SULLA NATURA E SULLE FUNZIONI DELLO STATO.' . . 3-10
Capitolo Secondo IL CONTENUTO DELLA FUNZIONE SOCIALE
DELLO STATO .11-18 Capitolo Terzo I
PRECEDENTI STORICI DELLA FUNZIONE SOCIALE DELLO STATO NELLA POLITICA E
NELLA LEGI¬ SLAZIONE SOCIALE 19-32 Capo i - in generate ..
19 § 1. Nell’antica Grecia. 19 § 2. In Roma sino
all’editto di Costantino. 20 § 3. In Roma dopo li riconoscimento
ufficiale del cattoli¬ cesimo . 20 § 4. Durante il medioevo.
21 § 5. Dopo la riforma protestante. 22
XIV Ordinamento sociale dello Stato
fascista Capo II - In Italia . 25 § 1. L’evoluzione e
la trasformazione della legislazione sociale 25 § 2. La
legislazione sulla beneficenza e sulla assistenza pub¬ blica e privata.
26 § 3. La legislazione sulla mutualità e sulla previdenza . .
2? § 4. La legislazione del lavoro. ?t) § 5. La
legislazione sull’istruzione pubblica .... 30 § 6. La legislazione
sull’igiene e sulla sanità pubblica . . 31 § 7. La legislazione sui
servizi e sulle opere pubbliche . 31 Capitolo Quarto
GLI ELEMENTI DELL’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO
FASCISTA.33-47 Capo I - I soggetti . 33 Capo II - (Hi
obiettivi . 36 § 1. Gli obiettivi relativi ai cittadini in genere
.... 36 A. Gli obiettivi inerenti alle condizioni generali di vita
. 36 B. Gli obiettivi inerenti in particolare alla fase di
forma¬ zione e di preparazione del cittadino, a quella di
produttività e a quella di riposo. 37 g 2. Gli obiettivi relativi
ai cittadini benemeriti .... 38 § 3. Gli obiettivi relativi ai
cittadini non risanabili e non rieducabili 38 Capo III
- Gli strumenti . 38 § 1. Il criterio, profondamente corporativo,
adottato dal legi¬ slatore fascista per la scelta degli strumenti
attuanti la politica sociale. 36 g 2. La famiglia. 40
g 3. L’associazione professionale . 42 § 4. Le istituzioni
promananti, singolarmente o paritetica¬ mente, dalle associazioni
professionali. 43 g 5. Gli enti locali. 43 g 6. Le
opere nazionali parastatali. 43 Capo IV - I limiti . 44
Indice-S
onvmario xv PARTE SECONDA LE ISTITUZIONI
DEL NUOVO ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO FASCISTA Di alcune
considerazioni preliminari. 51 Capitolo Pbimo LE
ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLE CONDI¬ ZIONI GENERALI DI VITA DEL
CITTADINO . . 55-118 Preliminari . Capo I - ha-
legislazione inerente alla sicurezza, all’igiene e alla sanità
pubblica . 56 § 1. Per garantire la sicurezza. 56 § 2.
Per assicurare l’igiene e la sanità ...... 58 Capo II - La
legislazione inerente alla previdenza ... 62 | 1. Per incrementare
il risparmio .. 63 § 2. Per potenziare la mutualità. 64
£ 3. Per favorire la cooperazione. 64 § 4. Per diffondere le
assicurazioni Ubere. 65 Capo III - La legislazione inerente alla
assistenza di soccorso 65 § 1. Per l soccorsi in natura e in contanti.
66 § 2. Per i soccorsi medico-sanitario-ospitalieri .... 67
Capo IV - La legislazione inerente alla propaganda, all'inte¬
grazione culturale e al perfezionamento scientìfico . 68 § 1. Per
favorire il perfezionamento scientifico .... 68 § 2. Per la
propaganda e l’integrazione culturale .... 60 Capo V - La
legislazione inerente all’integrazione della forma¬ zione e
dell’educazione fisica e sportiva . 71 Capo VI - La legislazione
inerente alla costituzione e all’in¬ cremento del nucleo familiare . 72
§ 1. Per favorire la costituzione della famiglia .... 72 § 2.
Per facilitare l’esistenza e lo sviluppo delia famiglia . 73 Capo
VII - La legislazione inerente a particolari servizi pub¬ blici. 73
§ 1. Per garantire il soddisfacimento di bisogni primari . . 74
§ 2. Per assicurare i rapporti e i contatti economico-sociali . 75
§ 3. Per valorizzare il patrimonio nazionale ..... 76
XVI Ordinamento sociale dello Stato
fascista * Capo Vili - La legislazione inerente al
controlla, <UVadegua¬ mento e al collegamento ielle istituzioni
dell’ordinamento sociale e alla selezione dei suoi soggetti . 77
§ 1. Per assicurare il controllo e l’adeguamento delle istitu¬
zioni sociali . 78 § 2. Per ottenere il collegamento nell'ambito dell’ordina¬
mento sociale . 78 •§ 3. Per assicurare la formazione della classe
dirigente me¬ diante la selezione totalitaria del cittadini .... 79
Appendice al Capo Vili IL PARTITO NAZIONALE FASCISTA E LE
ORGANIZZA¬ ZIONI DIPENDENTI.80-116 Origine, natura e
funzione sociale del P. N. F . 80 I. I Fasci di Combattimento ..
86 co I compiti . gg 3 - I soggetti .• . . 87
y. L’ordinamento. 87 II. L’Associazione nazionale famiglie
Caduti fascisti e Muti¬ lati e Invalidi per la Causa Nazionale .
88 a- I compiti . 88 0 . I soggetti . 88 y.
L’ordinamento. 88 III. L’Unione nazionale ufficiali in congedo
d’Italia ... 88 • a- I compiti .. gg &• I soggetti
. 89 y. L’ordinamento. gg IV. L’Unione nazionale
fascista del Senato . 90 a- I compiti . gg 3 . I soggetti
. 90 Y- L’ordinamento. 90 V. I Gruppi Universitari
Fascisti . 90 co I compiti . 90 3 . I soggetti .
91 y. L’ordinamento. 91 VI . I Fasci Giovanili di
Combattimento . 92 a- I compiti . 92 3 . I soggetti .
94 y. L’ordinament*. 94
Indice-Sommario
XVII VII. I Fasci Femminili ..... ♦
* 95 tt . I compiti .
95 0 . I soggetti . 95
y. L’ordinamento. 96 Vili. L’Opera
Nazionale Dopolavoro . 96 a- I compiti
. 96 I soggetti .
97 y. L’ordmamento. 9T
IX. Le Scuole superiori femminili 00
X. Le Associazioni fasciste .... 99
a . I compiti . 99 5 . I soggetti
.. 101 y. L’ordinamento.
103 XI. Il Comitato intersindacale ....
104 a- I compiti .
104 0 . I soggetti . 105 Y-
L'ordinamento. 105 XII. OU Uffici di
Collocamento 105 tt . I compiti .
105 0 . I soggetti .
105 y. L’ordinamento. 106
XIII. L'Ente Opere Assistenziali 106
a- I compiti . 106 g. I soggetti
. 106 y. L’ordinamento.
106 XIV. L'Opera Universitaria ....
107 a. I compiti .
107 0 . I soggetti . 107 y.
L’ordinamento. 107 XV. Il Comitato
olimpionico nazionale italiano 108 a. I
compiti . 108 0 . I soggetti .
* 108 y. L’ordinamento.
109 Di alcune considerazioni sul P. N. E.
. * * 109 La
legislazione richiamata .... . . .
113 DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SO¬
CIALI RELATIVE ALLE CONDIZIONI GENERALI DI VITA DEL CITTADINO.116
XVIII Ordinamento
sodale dello Stato fascista Capitolo Secondo LE
ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FORMA¬ ZIONE FISICO-MILITARE E ALLA
PREPARAZIONE PROFESSONALE-NAZIONALE DEL CITTADINO . . 119-167
Preliminari . 119 Capo I - La legislazione inerente al nucleo
familiare per la formazione fisico-militare del cittadino .
121 S 1. Per sopperire alla insufficienza relativa dei mezzi
econo¬ mici della famìglia e sostituirla nella vacanza di alcune
sue funzioni. 121 § 2. Per integrare l’inadeguatezza assoluta di
alcuni mezzi della famiglia. 122 Appendice al Capo
I L’OPERA NAZIONALE PER LA PROTEZIONE DELLA MA¬ TERNITÀ’ E
DELL’INFANZIA.122-189 I. L’origine, la natura e la funzione sociale
deU’.O.N.M.I. , . 122 II. I compiti . 129 a- Per
l’integrazione e il coordinamento dell’azione svolta da altri enti
o istituti o da privati. 130 3 - Pev la vigilanza e il controllo
delle singole istituzioni di assistenza. 131 Per la
propaganda e la vigilanza suU’applieazione delle leggi e dei regolamenti
riguardanti l'assistenza materna e infantile. 132 III. I
soggetti . . 133 IV. L’ordinamento . 135 Dì alcune
considerazioni suli’O. N. M. 1 . 137 La legislazione richiamata.
140 Capo II - La legislazione inerente all’istruzione e alla
forma¬ zione professionale del cittadino . 142 § 1. Per
garantire l’istruzione professionale del cittadino sino al 14° anno
di età. 143 § 2. Per favorire e incrementare l’istruzione
professionale Capo III - La legislazione inerente all’educazione e
alla forma¬ zione fisica, premilitare, morale e nazionale del cittadino
149 Appendice al Capo III L’OPERA NAZIONALE BALILLA PER
L’ASSISTENZA E L’EDUCAZIONE FISICA E MORALE DELLA GIO¬ VENTÙ’
.150-164
Indice-Sommario XIX I. L’origine, la natura e la
funzione somale dell’.O.N.B. . . 150 II. I compiti . 155
III. I soggetti .. 160 IV. L’ordinamento . 161 Di
alcune considerazioni sull’O.N.B. 162 La legislazione richiamata.
164 DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SO¬ CIALI
RELATIVE ALLA FORMAZIONE FISICO-MI¬ LITARE E ALLA PREPARAZIONE
PROFESSIONALE- NAZIONALE DEL CITTADINO. 166 Capitolo
Teszo LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FASE DI
PRODUTTIVITÀ’ DEL CITTADINO.189-100 Preliminari . 169
Capo I * La- legislazione inerente all’azione sociale attuata
dalle associazioni professionali ....... 172. § 1. Per
garantire l’azione sociale da attuarsi direttamente dai sindacati .
174 § 2. Per assicurare l’azione sociale da attuarsi dai
sindacati a mezzo di speciali istituzioni. 175
Appendice al § 2 del Capo 1 IL PATRONATO NAZIONALE PER
L’ASSISTENZA SO¬ CIALE .’ - • 176-183 I. L'origine, la natura
e la funzione sociale del P.N.A.S. . . 176 II. / compiti .
179 IH. I soggetti . 181 IV. L’ordinamento . 181
Di alcune considerazioni sul P.N.A.S. 182 La legislazione
richiamata. 183 Capo II - La legislazione inerente all’azione
sociale attuata. dalle corporazioni . 183 § 1. Per
garantire il produttore obiettivamente e subiettiva- mente di
fronte alle condizioni del lavoro. 184 § 2. Per tutelare i
reciproci rapporti fra i produttori nella loro dualità di datori di
lavoro e di prestatori d’opera . 186 § 3. Per favorire ii
perfezionamento e l'elevazione professio¬ nale del produttore. 187
XX
Ordinamento sociale dello Stato fascista- capo III - La
legislazione inerente alla conservazione dello spirito nazionale e della
preparazione fisico-militare del produttore . 188 DI ALCUNE
CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SO¬ CIALI RELATIVE ALLA FASE DI
PRODUTTIVITÀ’ DEL CITTADINO. 189 Capitolo Quarto
LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AL PERIODO DI
RIPOSO-VECCHIAIA DEL CITTADINO .... 191-105 Preliminari .
191 Capo I - La legislazione inerente all’obbligo delle garanzie
pre¬ videnziali per la fase di riposo-vecchiaia . . . 193
Capo II - La legislazione inerente a speciali interventi statuali
a favore del vecchio bisognoso ....... 194 DI ALCUNE
CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI 'SO- CIALI RELATIVE AL PERIODO DI
RIPOSO-VEC¬ CHIAIA DEL CITTADINO. 194 Capitolo Quinto
LE ISTITUZIONI RELATIVE AI CITTADINI CHE HAN¬ NO BENEMERITATO DALLO
STATO .... 197-203 Preliminari . 197 Capo I - La
legislazione inerente alle benemerenze collettive 198 Capo II - La
legislazione inerente alle benemerenze individuali 200 DI ALCUNE
CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SO¬ CIALI RELATIVE AI CITTADINI
BENEMERITI . . 202 Capitolo Sesto LE ISTITUZIONI
SOCIALI RELATIVE AI CITTADINI ■ MINORATI NON RISANABILI E NON
RIEDUCABILI 205-210 Preliminari . 205 Capo I - La
legislazione inerente ai minorati assolutamente non produttori .
208 Indice-Sommario
XXI Capo II - La legislazione inerente ni minorati
relativamente non produttori . 200 DI ALCUNE
CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI RE¬ LATIVE AI CITTADINI MINORATI NON
RISANA¬ BILI E NON INEDUCABILI. 209 * PARTE
TERZA LA POSIZIONE E I RAPPORTI DI RELAZIONE DEL CITTADINO
NEL NUOVO ORDINAMENTO SOCIALE Di alcune considerazioni preliminari
...... 213 Capitolo Primo LA POLITICA SOCIALE PER IL
CITTADINO DALLA NA¬ SCITA ALLA MAGGIORE ETÀ’.215-236 Capo I -
L’anione previdenziale e assistenziale dello Stato sino al quinto
anno . 216 § l. Per la costituzione della famiglia. 215
§ 2. Per la esistenza e l’incremento della famiglia . . 217 §
3. Per la donna gestante. 218 § 4. Per li cittadino neonato .
218 A. Per Viilegittimo e l’esposto ....... 210 B. Per
l’orfano. 220 § 5. Per iì cittadino infante.. 220 Di
alcune considerazioni sull’azione previdenziale e assisten¬ ziale dello
Stato sino al quinto anno. 221 Capo II - L’azione previdenziale e
assistenziale dello Stato dal sesto al quattordicesimo anno .
223 § 1. Per la formazione e lo sviluppo fisico, militare,
morale e nazionale. 223 § 2. Per la formazione
intellettuale e professionale . 225 Di alcune considerazioni sull’azione
previdenziale e assisten¬ ziale dello Stato dal sesto al quattordicesimo
anno . . 228 Capo III - L’azione previdenziale e assistenziale
dello Stato dal quindicesimo al ventunesimo anno . 229
xxn Ordinamento sociale dello Stato
fascista § 1. Per il cittadino elle studia. 230 § 2.
Per il cittadino che lavora. 233 Di alcune considera «ioni
sull’azione previdenziale e assisten¬ ziale dello Stato dal quindicesimo
al ventunesimo anno 235 Capitolo Secondo DA POLITICA
SOCIALE PER IL CITTADINO PRODUT¬ TORE . 237-251 Preliminari .
237 Capo I - L’anione previdenziale e assistenziale dello Stato
per il cittadino ohe è produttore . 239 Di alcune
considerazioni. 245 Capo II - L’azione previdenziale e
assistenziale dello Stato per la cittadina che è produttrice
.247 § 1. Per la cittadina sposa e madre. 248 § 2. Per
la cittadina lavoratrice 249 Di alcune considerazioni sull’azione
previdenziale e assi¬ stenziale dello Stato per la cittadina che è
produttrice 250 Capo III - L’azione previdenziale e assistenziale
dello Stato per la famiglia e i suoi membri . 251
Capitolo Terzo LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO A RIPOSO
. 253-254 Capitolo Quarto LA POLITICA SOCIALE PER IL
CITTADINO BENEME¬ RITO . 255 Capitolo Quinto LA
POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO MINORATO NON RISANABILE E NON
RIEDUCABILE . . . 257-258
In dioe-Sommario XXIII PARTE QUARTA
LA POLITICA SOCIALE DELLO STATO FASCISTA PER GLI ITALIANI
ALL’ESTERO Di alcune considerazioni preliminari. 261
Capitolo Primo DELL’AZIONE SVOLTA DIRETTAMENTE DALLO
STATO ATTRAVERSO AI SUOI ORGANI. 269-274 Capo I - Per
la riorganizzazione, il potenziamento e l’esten¬ sione della rete
consolare . 269 Capo II - Per i cittadini che emigrano . 270
Capo III - Per gli italiani all’estero . 272 Capitolo
Secondo DELL’AZIONE SVOLTA MEDIANTE LA STIPULAZIONE DI
CONVENZIONI BILATERALI E PLURILATERALI E MEDIANTE L'OPERA DELL’O.I.L.
275-305 Capo 1 - Le convenzioni bilaterali e plurilaterali ....
275 Capo II - Le convenzioni intemazionali, le raccomandazioni
e le risoluzioni dell'O.I.L . 280 La legislazione
richiamata. 294 DI ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI - - • ™ CAMERATI,
Niccolò Giani apparteneva alla categoria dei mistici per i quali è bello vivere
se la vita è nobilmente spesa ma è più bello morire se la vita è donata
all'Idea. Arnaldo Mussolini fu il suo Maestro: da Arnaldo im parò che prima di
agire e costruire è necessario ele varsi, purificare il proprio spirito, temprare
il proprio carattere; allora soltanto si potrà essere certi che l'azione sarà
feconda e l'edificio sicuro. Da Arnaldo imparò che per conoscere, giudicare e
guidare gli al tri è prima indispensabile conoscere bene se stessi, punire
inesorabilmente i propri difetti, affinare inces santemente le proprie virtù:
allora soltanto si potrà aspirare all'onore del comando. Da Arnaldo imparò che
solo il sacrificio può suscitare le opere grandi e buone e distruggere le cose
piccole e vili. Ciò che —7 non costa non vale; ciò che non procura
fatica e sof ferenza non dura; quanto è al di fuori di noi non conta; gli
onori, le cariche, le ricchezze sono effimere e ca duche cose. Quello che
importa è quanto è dentro di noi, perchè è nostro e nessuno potrà mai portarcelo
via, neanche a strapparci la carne viva di dosso. Es sere se stessi in ogni
momento, rimanere se stessi sempre: ecco la più grande conquista degli uomini.
Uomo di fede Un uomo di fede fu Niccolò Giani. E la sua fede era di quelle che
non vacillano mai, di quelle che restano intatte nella buona e nella cattiva
sorte e che traggono anzi dalle difficoltà e dalle sfortune un più profondo
contenuto e sempre nuovi motivi. La sua fede era di quelle alte cui fonti
cristalline attingono le intelligenze chiare e gli animi trasparenti degli
uomini puri i quali sanno che se si vuole raggiungere l'ultima cima, mol te
vette bisogna scalare e talvolta anche scendere da alcune per risalire su aifre
vette più alte ancora. In 8 i Giani la fede nasceva da un inesausto
tormento spi rituale, da un'ansia incontenibile di elevazione e di conquista
per divenire, come dice il Poeta, «cara gioia sopra ia quale ogni virtù sì
fonda ». Egli credeva in Dio, nel Dio di noi Italiani fascisti e cattoiici a
cui dobbiamo non soltanto il dono misterioso della vita ma anche il privilegio
di averci chiamati a continuare la missione di civiltà e di giustizia che la
gente nostra svolge nel mondo da più di due millenni. Egli credeva nella
dottrina politica enunciata da Mussolini, scaturita dall'azione, alimentata
dalla fede, consacrata dal sa crificio e nella sua possibilità di instaurare
un nuovo sistema di vita, di educare gli uomini a una visione vasta ed umana
delle cose, di creare un nuovo tipo di civiltà italiana, ed europea. Credeva in
Mussolini perchè lo considerava l'uomo della Provvidenza, l'e sponente di una
razza eletta, il fondatore di una ci viltà universale, il protagonista e
l'artefice di una nuòva storia, il condottiero di giovani generazioni, il DUCE,
a cui non occorre chiedere prima di iniziare la marcia dove ci porta e quando
si arriverà perchè dal giorno in cui un destino fortunato (o pose alla testa —9
‘1 del suo popolo, la meta era già nei suoi occhi e la vittoria nel
suo pugno. Credeva nei giovani nati e cresciuti col sorgere del Fascismo,
educati alla severa scuola del Partito e li voleva rivoluzionari nello spirito
e nel sangue, gene rosi ed audaci, pronti alla lotta e alla rinunzia. Sogna
va una classe dirigente che sapesse dimostrare con l'esempio, nelle opere e nel
sacrificio, di essere de gna del nostro grande popolo e del nostro grande
Capo; una classe dirigente fatta di uomini integrali, forti della loro
indipendenza morale — la sola ric chezza umana che non abbia un valore
misurabile in denaro — e dotati di tutte le virtù spirituali, intellet tuali e
fisiche che sono indispensabili per poter eser citare con dignità e con
efficacia la missione dei co mando. Concepiva la famiglia nel senso più
tradizio nalmente nostro; amava cioè la sana numerosa fami glia italiana,
ricca di onestà e prodiga di figli, sboc ciata dall'amore tra l'uomo che vive
lavorando o com battendo-per la Patria e la donna che nel piccolo gran de
regno della casa vive nella serena ed operosa attesa del ritorno di lui; e se
l'uomo non tornerà la 10 — donna lo piangerà senza lacrime perchè
egli sopravvi va nella fierezza dei figli, I quali continueranno, nella luce
del suo esempio, l'opera sua. Credeva nella Patria come ne « la più pura, la
più grande, la più umana delle realtà », amava la Patria « più della propria
anima ». Tutto per la Patria: fu la sua consegna. Niente per lui valeva qualche
cosa se non serviva alla Patria. Perchè la Patria è tutto e tutti; sè e gli
altri; le generazioni che furono, che sono e saran no; la storia di ieri, di
oggi e di domani. La Patria è la sintesi di tutte le più nobili aspirazioni.
Essa è fatta di uomini da rendere sempre più degni e di territori da fare
sempre più vasti. Per essa si lavora, si soffre, si spera; per essa si
combatte, si vince o si muore. Giornalista della Rivoluzione e Maestro dei
giovani Niccolò Giani fu un giornalista della Rivoluzione. Egli intendeva il
giornalismo come una scuola di vita, come uno strumento di educazione e di
formazione. Dalle agili colonne del suo giornale, la «Cronaca Preal- — 11
■^ . " T T r pina », e da quelle della sua rivista « Dottrina Fasci
sta » si battè accanitamente per la creazione di un giornalismo rivoluzionario,
dinamico, coraggioso, un giornalismo che fosse in grado di svolgere una fun
zione costruttiva di divulgazione, di propulsione e di controllo, un
giornalismo che fosse degno di essere considerato un'arma affilata della
Rivoluzione. Ma soprattutto maestro dei giovani egli fu. All'Inse gnamento si
era consacrato con il religioso fervore con il quale soleva dedicarsi a tutte
le attività rivolte ai giovani. All'Ateneo di Pavia, al Centro di prepara
zione politica, alla Scuola di Mistica Fascista egli portò il contributo della
sua beila cultura fatta di conoscen za e di azione, illuminata dalla fede,
riscaldata dal sentimento, Alla Scuola di Mistica diede la parte mi gliore di
se stesso. «Tutto quello che di buono e di meritevole è stato fatto dalla
Scuola — ha detto Vito Mussolini, nostro Presidente — proviene unicamente da
lui. Bisognerà ricordarlo sempre e presentarlo co me un mirabile esempio ai
giovani che in lui potranno vedere l'espressione più sublime di obbedienza ai
comandamenti del Duce ». Era il migliore tra noi: il più
limpido, ii più generoso, ii più puro. Delia nostra mistica fede fu l'aifiere
più ardilo e i'apostolo più acceso. Egli voieva che dalia nostra Scuoia
uscissero ì missionari, i portatori del no stro credo politico e fu egli
stesso il più tenace e il più convinto assertore dei principi che sono a fonda
mento deiia nostra dottrina. La Scuola sorse con lui per la volontà di un mani-
poio di credenti che egli chiamava i «disperati del Fascismo », così come gli
squadristi un tempo amava no chiamarsi « fascisti arrabbiati ». Aii'inizio la
Scuola fu un'attività de! Guf milanese; divenne quindi un'attività di tutti i
Gruppi Fascisti Uni versitari: oggi si è imposta al rispetto e ail'atten-
zione di tutti i fascisti. La sua opera è rivolta ai gio vani, ma la sua
azione è seguita ed amata anche dai camerati della vecchia guardia che vedono
con in tima gioia esaltate e rinnovate ogni giorno, dagli al lievi della
Scuola, le due più preziose virtù dello squa drismo: la fedeltà e la
intransigenza. I camerati della vecchia guardia milanese sanno che il, nome di
Niccolò Giani è legato alla riapertura — 13 del Covo di Via Paolo
da Cannobio, prima sede del « Popolo d'Italia », prima trincea del Fascismo,
che il Duce ha voluto affidare in gelosa custodia ai giovani della Scuola di
Mistica perchè le giovani generazioni, accostandosi alle sorgenti genuine delia
nostra Ri voluzione, cogliessero, dall'umile grandezza delle ori gini, la
poesia e il fermento delia vigilia. Niccolò Giani fu soprattutto un fedele ed
un in transigente. Taluni potrebbero chiamarlo un fanatico, ma solo I fanatici
sanno dare movimento col sangue «alla ruota sonante della storia». Il suo
spirito si ribellava a qualunque forma di com promesso; sul terreno della fede
non ammetteva pat teggiamenti; il bello, il buono, il vero sono da un lato della
barricata; dall'altra parte c'è il brutto, il male, la meschinità. Mi piace di
ricordarlo ai Convegno di Mistica del febbraio 1940: eravamo alla vigilia delia
nostra guer ra di liberazione e c'era in tutti noi una febbrile im pazienza
di decisione. Il tema del Convegno era bru ciante: «Perchè siamo dei
mistici?». I problemi del- 14 — l'inteiligenza e deila cultura
furono esaminati al lume della fede; i poveri dì fede furono sbaragliati e
Giani dichiarò guerra a viso aperto a tutti gli spiriti troppo raziocinanti,
agli innamorati della ricerca fredda e del ragionamento calcolatore. La
dottrina che conquista è quella che sorge dalla fede e non quella che discende
dalla indagine arida ed oziosa; la cultura che costruisce è quella che pene
tra e trasforma e non quella che resta gelida ed inerte. li Convegno si svolse
in un'atmosfera di fuoco e la risposta al tema che fu oggetto dei nostri
appassionati dibattiti fu data dallo stesso Giani: « Fascismo uguale a spirito,
uguale a mistica, uguale a combattimento, uguale a vittoria. Perchè credere non
si può se non si è mistici, combattere non si può se non si crede, e vincere
non si può se non si combatte ». Fu in quel Convegno, ò giovani camerati della
Scuola di Mistica, che i giovani della generazione del Litto rio affermarono
solennemente il loro diritto al combat timento, — 15 Soldato dì
Mussolini Niccolò Giani fu tra i primi a partire. C'era in lui la
preoccupazione morbosa di stabilire coi fatti una coe renza perfetta tra il
pensiero e l'azione. Aveva già partecipalo come volontario alla guerra per la
con quista dell'Impero, aveva chiesto ripetutamente di partire per la Spagna e
non gli era stato concesso; finalmente sopraggiungeva la nuova prova lungamente
attesa. Chi lo vide tenente degli alpini al Fronte Occidentale lo ricorda come
un esempio di disciplina e di ardi mento. Ma la parentesi fu troppo breve:
tornò insod disfatto, Andò in Africa settentrionale come corrispon dente di
guerra del «Popolo d'Italia»; ma quando seppe che il suo reggimento era già sul
fronte greco chiese di raggiungerlo. Non poteva vivere lontano dai suoi alpini,
gli sembrava un tradimento. Partì per non tornare. Tre volte si offrì per
azioni rischiose, tre volte fu appagato, la terza volta fu l'ul- 16
tima. I suoi uomini lo adoravano; con lui sarebbero andati dovunque:
potenza insuperabile dell'esempio! Andò con un manipolo di 25 alpini a
raggiungere una vetta lontana per compiere una ricognizione sulle po sizioni
del nemico; assolse il suo compito felicemente e rapidamente, ma proseguì
oltre: il suo programma era un altro. Aveva incontrato poco prima, lungo il
cammino, un camerata di Milano e gli aveva affidato l'incarico di salutare per
lui tutti gli amici di Mistica e di comunicare loro che egli era partito per
un'impresa della quale si sarebbe dovuto' parlare. Mantenne la promessa. Alla
testa dei suoi alpini raggiunse un'altra vetta, sulla quale alta sfolgorava la
luce della gloria, e a bombe a mano assalì un presidio greco. Circon dato,
lottò eroicamente, fino a quando una pallottola ' gli recise la gola, gli
spezzò la vita, soffocò il canto della sua giovinezza. Così cadde Niccolò
Giani. Egli è morto come era vissuto, non per sè ma per gli altri, Ètriste non
potergli più vivere accanto, non poter più rinfrescare il nostro spirito alia
polla purissima della sua fede; ma egli 17 ha chiuso la sua vita
terrena in modo degno di luì, Arnaldo gli aveva insegnato che i! segreto della
vita è tutto qui; saper vivere, saper morire, nel modo più degno. Niccolò Giani
ha voluto insegnare ai giovani della sua generazione come deve vìvere e come sa
morire un italiano di Mussolini. La nostra Scuola, o camerati di Mistica, non
lo onora col pianto che egli non approverebbe. Il nostro ciglio è asciutto
anche se il cuore in questo momento acce lera il ritmo dei suoi palpiti. Ma
noi sentiamo che non un vuoto egli ha lasciato nelle nostre file, li suo
spirito inquieto è con noi, dinanzi a noi, oggi come non mai, ad additarci la
strada che conduce alla vittoria, ad ammonirci che il suo tormento deve essere
anche il nostro tormento, la sua ansia anche la nostra ansia, il suo amore
anche il nostro amore, oggi, domani, sempre. E noi sentiamo che Arnaldo, il suo
ed il nostro Mae stro, lo ha accolto nell'altra esistenza, accanto al suo
figlio prediletto e agli altri Martiri delia nostra Scuola, come il migliore
dei suoi discepoli. Il mito di Roma contro Si guardi Ro- il mito di Jehova in
ma repubblicana. Catone, Cicerone, Quale è il suo Tacito, Giovenale ideale? Ce
lo di- e negli Imperatori ce Marco Porcio Catorie nel suo libro « De Agri
cultura » laddove scrive che i romani « quando lodavano un uomo dabbene,
15 lo chiamavano buon agricoltore, buon colono. E con ciò si
riteneva di dare la maggiore lode a colui che così veniva chiamato ». E ciò per
chè « dalla classe degli agricoltori nascono gli uo mini più forti e i soldati
più valorosi... e coloro che si dedicano a tale occupazione non concepi scono
cattivi propositi ». Queste parole, questo saggio romano le scrive va più di
150 anni avanti Cristo, cioè, esattamen te, nello stesso periodo in cui Roma
combatteva l’ultima e definitiva partita con la semita Carta gine. Ma, a
questo proposito, ci si è mai chiesto perchè poi Cartagine era delendam, perchè
Ro ma s’era fissata ili questo mito della distruzione totale della città di
Annibaie? La risposta è una sola : la lotta tra le due rivali infatti non era
solo politica ed economica : era ben di più : era lotta di civiltà, di sistema
di vita. Roma rurale, Ro ma gerarchica, Roma guerriera ed eroica com batteva
anche la Cartagine dei mercanti e della demagogia. Ecco perchè non è strano,
ma, anzi, logico, necessario addirittura, che l’uomo che in Senato terminava i
suoi discorsi col noto « cete- rum censeo Carthaginem delendam esse » fosse lo
stesso che nel suo libro poneva l’ideale ro mano nella gente nata dai campi,
cresciuta in mezzo alle bellezze e alle forze della terra, tem prata nelle
lotte aperte e solari della natura. Più di un secolo dopo, un altro grande roma
no, che gli ebrei aveva conosciuto perchè uno di 16 essi, Apollonio
Molone, come ci dice il giudeo Lazare, aveva avuto per maestro : Cicerone, tuo
nerà anche lui contro la loro mentalità. « Il tenere testa alla turba giudaica
che spesso schiamazza nelle riunioni popolari e farlo nel l’interesse della
Repubblica è prova di saldi prin cipi », diceva infatti Cicerone rivolto a
Lelio, cinquanta anni prima di Cristo, nella sua orazio ne « Pro Fiacco ». E
nel suo « De Officiis » (II, 89) si legge questo aneddoto che dice anche ai
sordi in quale dispregio avessero i romani i traf ficanti di denaro. Ecco
infatti come Cicerone rac conta che Catone rispondesse a chi lo interroga va
sul miglior modo di amministrare i propri beni : « Bene pascere ». E in quale
altro modo? fu richiesto a Catone. « Salis bene pascere » fu la risposta. E
poi? « Arare » egli disse ancora. «£ che ne pensi del prestare ad usura?» cioè
del prestare denaro a interesse. Rispose Catone : « E tu che ne pensi
dell’uccidere un uomo? ». Come, quindi, i romani, con mentalità siffat ta,
avrebbero potuto, non dico apprezzare, ma solo riconoscere la mentalità
ebraica? E se è vero che nel 160 avanti Cristo con l’Ambasciata di Giuda
Maccabeo si iniziano i primi rapporti di plomatici tra Roma e Gerusalemme, se
è vero che nel 143 e nel 139 seguono altre ambasciate, se è vero che Giulio
Cesare e Ottaviano li tolle rano, è altrettanto vero che gli ebrei anziché
essere grati e devoti allo stato romano ricambia- 17 2 rio con
disordini e con tradimenti la generosità dei Cesari, al punto che Claudio, da
un decreto di tolleranza passa alla loro espulsione e ciò per chè, come
testimoniano numerosi scrittori lati ni — da Persio a Ovidio, da Svetonio a
Plinio, da Tacito a Giovenale — « gli Ebrei conside rano come profano tutto ciò
che da noi è consi derato sacro » (cfr. Tacito, Hist.; V, 4, 5); per chè «
essi hanno un culto particolare, leggi par ticolari, disprezzano le leggi
romane » (cfr. Gio venale, Im. Lat.; XIV, 96, 104). Colle generazioni questo
contrasto di civiltà e questa antitesi di istituzioni si acuiscono. È così che
si arriva alla spedizione di Tito : all’assedio e alla distruzione di
Gerusalemme. E in tal mo do, due secoli dopo Cartagine, anche sull’or
goglioso regno di Giudea passa l’aratro romano e viene cosparso il sale. Così
quei giudei che pretendevano di essere il popolo eletto e che per invidia di
capi e per in comprensione ingenerosa di popolo avevano tra dito e condannato
nostro Signore Gesù Cristo; quegli eredi del Profeta che smentirono la profe zia
compiuta, furono dispersi per il mondo. La profezia del Golgota ebbe in tal
modo realizza zione per mano di Tito, di quel Tito, il cui arco, forse per
imperscrutabile volontà di quel Dio che egli inconsciamente servì, s’aderge
ancora intatto contro il cielo eterno di Roma, quasi a testimonia re e
ammonire le genti e il mondo intero della giu- 18 stizia e della
verità che promanano dai sette colli sacrati all’Impero del Littorio e alla
Chiesa di Cristo.Niccolò Giani. Giani. Keywords: implicature mistica, mistico,
il mistico – la mistica del liberalismo – la mistica del comunismo – la mistica
della democrazia – la mistica del socialismo – filosofia politica – dottrina
liberale – dottrina comunista – dottrina democratica – dottrina socialista --.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756746927/in/dateposted-public/
Grice e Giani – la radice italica del melodramma -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I love Giani;
for one, he was less fanatic than Nietzsche, even if it is Nietzsche’s
fanaticism that attracts Strawson! For one Giani is more careful: if ‘music’
comes from the muses, which are Apollonian, why has Nietzsche to emphasise in a
piece of bad rhetoric, that tragedy has its birth in the ‘spirit’ of “music” –
surely Nietzsche means ‘Dionysian,’ but there’s no ‘music’ in Dionysus, only
noise! Trust an Italian to correct Nietzsche on that point!” -- Appartene ad una famiglia dell'alta
borghesia torinese con spiccate inclinazioni per la musica e per l'arte: lo
zio Giuseppe (Cerano d'Intelvi) fu pittore piuttosto noto, docente
all'Accademia Albertina, così come il figlio di lui Giovanni (Torino). Si
dedica al violino e condusse contemporaneamente gli studi fino alla laurea. Si interessa inoltre al
fermento filosofico di fine Ottocento, a Spencer, ma soprattutto Nietzsche: di
Così parlò Zarathustra eavrebbe in seguito dato una traduzione, a partire dalla
seconda edizione italiana (Torino, Bocca). Si appassiona, inoltre, al teatro
musicale di Wagner, così come altri intellettuali torinesi, e lo
difende. Risale la fondazione, per opera sua e dell'amico editore Bocca,
della Rivista musicale italiana, in cui inizialmente hanno parte preponderante
gli scritti di Giani, soprattutto recensioni sul teatro musicale contemporaneo
e note sui testi poetici da musicare, anche se va probabilmente ascritto a
Giani anche l'editoriale programmatico del primo numero, all'interno di una
rivista che si propone di ospitare scritti musicologici ispirati al metodo
positivistico diffuso tra i due secoli, pur restando aperta all'apporto di
altre correnti filosofiche quali quelle dell'idealismo. In “Per l'arte
aristocratica”, dimostra le doti di polemista che lo avrebbero accompagnato per
tutta la vita: in esso si confuta un giudizio di Torchi e si afferma che la
cosiddetta "arte per l'arte" non solo non è immorale, ma è anzi la
naturale evoluzione e conclusione dello sviluppo storico di questa manifestazione
dello spirito umano. Dedica un saggio al “Nerone” di Boito, che egli da
allora considerò incondizionatamente un maestro: al tempo Boito aveva reso
pubblico il solo testo del Nerone, che venne accolto molto vivacemente e con
alterna fortuna dall'ambiente letterario italiano. La posizione intorno al
Nerone è singolare e indicativa di quali fossero i requisiti che la cerchia di
Giani e Bocca ricercava nell'opera musicale. Questa tragedia farebbe parte del
novero delle tragedie vere, quelle in cui ritmo, suono della parola, gesto,
musica concorrono alla creazione di un che di superiore. Tuttavia, quando la
musica del Nerone fu resa nota postuma, dichiara una certa delusione. Uomo
dalla cultura enciclopedica, versato con competenza anche negli studi di letteratura,
Giani cura L'estetica di Leopardi. Vede inLeopardi il luogo in cui le immagini
della sua poesia si comporrebbero in un universo etico ed estetico coerente.
All'interno della storia della critica leopardiana, pare avvicinabile ora alla
posizione di Croce, di distinzione tra il momento della poesia e il momento
della riflessione, ora a quelle positivistiche. Singolarmente,parla di musica e
dell'analogia tra il ruolo del coro greco e il ruolo del coro nelle Operette
morali solo nella conclusione, benché in termini acuti. Avrebbe
contribuito ad un ulteriore campo degli studi letterari, quello della musica
nel mondo antico. Apparve “Gli spiriti della musica nella tragedia” -- Fin dal
saggio, si richiama alla nota opera di Nietzsche, “La nascita della tragedia
dallo spirito della musica”. Giani non condivide l'opinione di Nietzsche
secondo cui il razionalismo del teatro di Euripide avrebbe spento la portata dionisiaca
della tragedia. La tragedia di Euripide permane ad un livello musicale altissimo.
Per affermare questo ricostruisce il ruolo della musica nei testi tragici sulla
base delle fonti antiche, dedicandosi alle singole parti e forme musicali dei
drammi, sempre attento a sottolineare la valenza estetica complessiva della
tragedia o melodramma, ma nel contempo senza trascurare le posizioni
metodologiche della scuola filologica. Fino ad allora non aveva stretto
profondi legami con i musicisti coevi (eccettuato Boito), si avvicina sempre più
alle compositori. Saluta con favore Bastianelli e Pizzetti, approvandone
principalmente le posizioni estetiche e la ricerca di una certa spiritualità
nella music, tipica dei due esponenti del circolo fiorentino della Voce, ma
prese le distanze ben presto dalle loro prove compositive, in particolare dai
drammi musicali di Pizzetti, che non parvero a opere d'arte totalmente
compiute. Un legame creativo e biografico molto più stretto strinse con Ghedini,
anche per via delle comuni frequentazioni torinesi: per Ghedini, che sta ancora
cercando una personale posizione estetica e anda raggiungendo progressivamente
le conquiste di stile e di linguaggio che lo avrebbero reso famoso, Giani valse
come una sorta di pigmalione, suggerendo testi da musicare per le liriche e
esaminando con occhio critico le composizioni di Ghedini. Giani stesso fu
librettista. Ridusse L'Intrusa di Maeterlinck, musicata da Ghedini ma mai
rappresentata, e scrisse Esther per Pannain.Verso il termine della sua vita, divenne
molto noto in tutta Italia per i suoi scritti di radicale confutazione di Croce.
Non era particolarmente ostile all'idealismo di Croce, anzi considerava la
teoria dell'arte come intuizione una delle chiavi per la valutazione della
creatività anche musicale e teatrale. Tuttavia, a mano a mano che l'estetica di
Croce veniva sistematizzata dal suo stesso autore, ma soprattutto da alcuni
suoi pedestri seguaci mal tollerati dal nostro, attaccò tale concezione con il
bellicoso pseudonimo di Luigi Pagano in La fionda di Davide, criticando che in
essa non vi fosse posto per il lato tecnico e materiale della creazione e che
addirittura la stessa musica non fosse stata debitamente considerata da Croce
al medesimo livello delle altre arti che diedero lustro al passato
italiano. Il posto di Giani nella storia della musicografia è tutto particolare.Pestalozza
vi ha addirittura visto un predecessore della “fenomenologia musicale.”In
realtà, ad un attento esame quantitativo dei suoi scritti, pare essersi
dedicato assai poco a questa o quella musica in particolare, mentre il suo
contributo fu assolutamente preponderante nei temi di estetica musicale.Fu una
voce originale, fuori dal coro, che inizialmente difese il dramma di Wagner,
quindi auspice fermamente all'interno dei testi musicati dai compositori
qualità come la purezza e la letterarietà, infine spronò, pur da lontano, i
compositori ad una libertà adogmatica e ad una ricerca continua di stile e di
linguaggio, rendendoli attenti alla peculiarità della musica, che doveva essere
cosa che egli ripete spessissimo nei suoi scrittila "figuratrice dell'invisibile",
cioè l'elemento che dà corpo alle sensazioni, alle suggestioni, alle fantasie
suscitate dai testi musicati e non immediatamente in essi esplicate. Una
posizione la sua che può essere paragonata a quella del "critico-artista"
teorizzata da Wilde, che Giani ben conosceva: un "critico-artista"
nel senso di ri-creatore dei percorsi attraverso cui la composizione è venuta
alla luce, e ignoti al compositore stesso, ma nei quali quest'ultimo riesce a
identificarsi una volta che il critico li rivela a lui e al mondo. Dispose
per testamento che i suoi libri venissero donati "ad una biblioteca di
piccola Città preferibilmente Pinerolo" e proprio presso la Biblioteca
Civica "Camillo Alliaudi" di Pinerolo ora si trovano, presso il Fondo
che prese il suo nome. Altre saggi: “Per l'arte aristocratica (in
proposito di uno studio di Luigi Torchi), in “Rivista Musicale Italiana”, --
aristocrazia, democrazia, crazia – kratos – il concetto di potere -- Il “Nerone” di Arrigo Boito, in “Rivista
Musicale Italiana”, L'estetica di Leopardi, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di
Anticlo: Gli spiriti della musica nella tragedia greca, in “Rivista Musicale
Italiana”, Milano, Bottega di Poesia, L'amore nel Canzoniere di Francesco
Petrarca, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di Luigi Pagano: La fionda di
Davide. Saggi critici (Boito, Pizzetti, Croce), Torino, Bocca. Dizionario Biografico
degli Italiani Cesare Botto Micca, in morte di Romualdo Giani, in “Rivista
Musicale Italiana”, Annibale Pastore, In memoria,, in “Rivista Musicale
Italiana”, Massimiliano Vajro, “Rivista Musicale Italiana”, Luigi Pestalozza,
Introduzione a «La Rassegna Musicale». Antologia, Luigi Pestalozza, Milano,
Feltrinelli, Guido M. Gatti, Torino musicale del passato, in «Nuova Rivista
Musicale Italiana». Guglielmo Berutto, Il Piemonte e la musica, Torino, in
proprio, ad vocem. Stefano Baldi, “Fotografare l'anima” -- Romualdo Giani e
Giorgio Federico Ghedini, in “Bollettino della Società Storica Pinerolese”, Paolo
Cavallo,La vita, il fondo musicale, le collaborazioni musicologiche e gli
interessi letterari, Pinerolo, Società Storica Pinerolese,. Con contributi di
Casagrande, Baldi, Betta, Cavallo,
Balbo, Fenoglio. GIANI, Romualdo. - Nacque a Torino il 28 febbr. 1868 da
Francesco e da Clementina Guidoni, originari della Valle d'Intelvi.
Laureatosi in giurisprudenza non ancora ventenne, esercitò l'avvocatura
patrocinando esclusivamente cause civili nel settore commerciale; allo stesso
tempo si occupò con continuità di arte e letteratura. Creativo e versatile,
ebbe profonde conoscenze della storia e della tecnica delle diverse arti,
ampliate dai numerosi viaggi effettuati nelle principali città d'arte
europee. Nel 1894 fu tra i fondatori, con l'amico editore G. Bocca, della
Rivista musicale italiana, alla quale collaborò ininterrottamente per
trentasette anni, spesso valendosi di pseudonimi. Esordì sul primo numero
della rivista con la critica "I Medici". Parole e musica di R.
Leoncavallo. Il dramma (Riv. mus. italiana, I [1894], pp. 86-95); sullo stesso
numero diede il via alla rubrica Note sulla poesia per musica(ibid., pp.
141-143, 321-323), ove poneva in luce difetti e pregi dei testi inviati da
autori sconosciuti per dimostrare che la poesia del melodramma era forma
d'arte. Nel 1896, in Per l'arte aristocratica (ibid., III, pp. 92-127),
sostenne una vivace polemica con L. Torchi sull'autonomia dell'arte, alla quale
parteciparono M. Pilo, D. Garoglio, A. Foulliée e altri; il G. volle dimostrare
che la formula "l'arte per l'arte" o "l'arte aristocratica"
non era cosa assurda e immorale, come sostenuto dal Torchi, ma l'ultimo effetto
di un'evoluzione. Nel 1901 pubblicò il saggio critico
Il"Nerone"di A. Boito (Torino 1901; 2a ed. ampliata ibid. 1924; cfr.
Riv. mus. ital., VIII [1901], pp. 861-1006, e XXXI [1924], pp. 199-392), che
gli procurò l'amicizia dell'autore, il quale gli inviò numerose lettere in cui
si dichiarava suo grande ammiratore. Nel volume L'estetica nei
"Pensieri" di G. Leopardi (Torino 1904; 2a ed. ibid. 1928; cfr. Riv.
musicale italiana, XXXV [1928], pp. 226-243) il G. oltre a ricostruire il
pensiero estetico del poeta di Recanati, ne esaminò anche le teorie sull'arte
musicale. Nel 1899, per la "Biblioteca di scienze moderne" del
Bocca, era stato pubblicato Così parlò Zaratustra di F. Nietzsche, tradotto da
E. Weisel; il G., ritenendo la traduzione non fedele all'originale, ne approntò
una nuova versione d'accordo con il Weisel, pubblicata, sempre dal Bocca, nel
1906. Nel 1913, con lo pseudonimo di Anticlo, diede alle stampe lo studio Gli
spiriti della musica nella tragedia greca (Milano 1924; Riv. musicale italiana,
XX, pp. 821-887). Nel 1917, durante il primo conflitto mondiale uscì L'amore
nel Canzoniere di F. Petrarca (Torino 1917; in appendice Nota sul suono e sul
ritmo), considerata dalla critica, forse, la sua opera più riuscita. Il
G. inoltre traduceva per diletto dal latino, soprattutto Tibullo e Orazio, e
dal francese; come poeta pubblicò nel 1920 soltanto due libretti d'opera: Esther
(Riv. musicale italiana, XXVII, pp. 611-648), tragedia lirica in tre atti
ispirata dal testo biblico, mai musicata, sebbene offerta dal G. a I. Pizzetti,
e L'Intrusa (ibid., pp. 340-358), un atto per musica, tratto dal dramma in
prosa di M. Maeterlinck, musicato dapprima da G.F. Ghedini (1921; non
rappresentato), e poi da G. Pannain (1926), che la rappresentò a Genova nel
1940. La pubblicazione dell'articolo Il Vangelo e il
Breviario,celebrazione dell'estetica crociana (in Riv. musicale italiana, XXXII
[1925], pp. 571-598), apparso sotto lo pseudonimo di Luigi Pagano, rappresentò
un attacco all'estetica crociana che diede origine a una polemica col Croce
stesso. Il G., con logica inflessibile, dimostrò infondati alcuni concetti del
filosofo, come l'eccessivo idealismo che considerava la musica estranea ai
fenomeni fisici che la originano e alla tecnica, espressi in Estetica come
scienza dell'espressione e linguistica generale (1902) e nel Breviario di
estetica (1913), opere che il G. ironicamente chiama Vangelo e Breviario. Con
Socrate e la pulce (ibid., XXXIII [1926], pp. 77-102) rispondeva allo scritto
La musica e l'estetica dell'idealismo (ibid., pp. 61-76), in cui il Pannain
assumeva la difesa delle tesi crociane. Questi saggi, compreso quello del
Pannain, furono raccolti in seguito nel volume La fionda di Davide (Torino
1928) insieme con uno studio sul Boito, e la critica a Debora e Jaele di
Pizzetti, giudicata un'opera mancata. Contemporaneamente il G. pubblicava il
Sillabario di estetica (in Riv. musicale italiana, XXXV [1928], pp. 442-453), e
a conclusione della polemica aggiungeva una Nota crociana, nel capitolo terzo
de La fionda di Davide, in cui evidenziava ancora altre contraddizioni nella
teoria del Croce. La polemica si riaprì nel 1929 con lo scritto La favola
dell'aridità(ibid., XXXVI, pp. 311 s.) con il quale il G. insorgeva, in difesa
del Seicento musicale italiano, contro un'affermazione del Croce che definiva
"età di aridità creativa" il secolo compreso tra il 1550 e il 1650;
la rettifica crociana Obiettanti e seccatori non soddisfece il G., che replicò
con Il parto settimello (ibid., XXXVII [1930], pp. 249-254). Il G.
scrisse inoltre numerose recensioni e articoli sulla Rivista musicale italiana
e sulla Rassegna musicale, a cui collaborò dal 1928, spesso sotto gli altri
pseudonimi di H. Giraud e A. Cannella. Il G. morì a Torino il 16 genn.
1931. Oltre agli scritti citati si ricordano: "Savitri"Idillio
drammatico indiano in tre atti di L.A. Villanis. Musica di N. Canti. La poesia,
in Rivista musicale italiana, II (1895), pp. 95-112; Note marginali agli
"Intermezzi critici" di I. Pizzetti, ibid., XXVIII (1921), pp.
677-690;Note Leopardiane, in Campo (Torino), n. 5, 18 dic. 1904; Estetica
nuova, ibid., n. 9, 15 genn. 1905; Per una biografia di Berlioz, ibid., n. 26,
14 maggio 1905; Melodramma e dramma musicale, ibid., n. 37, 30 luglio
1905. Fonti e Bibl.: G. Adler, R. G., Gli spiriti della musica nella
tragedia greca, in Riv. mus. ital., XXXII (1925), pp. 113-115; L. Ronga, In
morte di R. G., ibid., XXXVIII (1931), 1, pp. 115-124; C. Botto Micca, R. G.
(Lo scrittore e il critico), in Il pensiero di Bergamo, VI (1931), 7; A.
Pastore, In memoria di R. G., in Riv. musicale italiana, XLV (1941), pp. 50-53;
M. Vajro, R. G., ibid., LIII (1951), pp. 337-368; A. De Angelis, Diz. dei
musicisti, Roma 1928, pp. 244 s.; Diz. encicl. univ. della musica e dei
musicisti, Le biografie, III, p. 189.Romualdo Giani. Giani. Keywords:
implicatura. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Giani” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giannantoni – la dialettica – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Perugia).
Filosofo. Grice: “I love Giannantoni; for one, he believes, with me, that there
is Athenian dialectic, Roman dialectic, Florentine dialectic and Oxonian
dialectic; like me, he has explored mostly ‘Athenian dialectic,’ and he has
noted that its birth (‘nascita’) is in the ‘dialogo socratico,’ so it should
surprise nobody that I have based my philosophy on the facts of conversation!” Si
laurea a Roma sotto Calogero. In “Il dialogo di Socrate e la dialettica di
Platone” attribuisce a Socrate una concezione molto laica della divinità e
della religiosità («Religiosità, che Socrate, il quale era certamente una
personalità religiosa, intendeva in modo del tutto diverso da come comunemente
era sentita a quell'epoca»). La sua dottrina storico-filosofica si fonda sul
principio che ogni seria riflessione filosofica si debba basare su un'accurata
e rigorosa ricerca filologica delle fonti. Questo spiega l'enorme dispiego di tempo
dedicato all'elaborare la sua opera monumentale, “Reliche di Socrate” (“Socratis
et Socraticorum reliquiae”). Giannantoni ha sempre seguito il criterio di Croce
e Gramsci, secondo cui l'esposizione di un filosofo debba avvenire tramite
l'esame storico cronologico (unita longitudinale) delle sue opere, allo scopo
di prendere consapevolezza dell'evoluzione della dottrina e di separare da
questa ogni sovrapposizione interpretativa personale non adeguatamente basata
sulle fonti. Convinto dell'onestà
intellettuale come valore fondamentale cui deve rifarsi ogni interprete della
storia della filosofia, capace perciò di rinunciare di fronte alla ricostruzione
filologica dei testi anche alle proprie più profonde convinzioni personali. Traccia
un profilo “ideale” dello «storico autentico» della filosofia, che ha il
«dovere di farsi filologo rigoroso per avvicinarsi il più possibile al mondo
del filosofo da lui studiato», ben sapendo che ciò «non basta ancora se non è
accompagnato da una sensibilità filosofica e da una consapevolezza teoretica e
storica insieme. Di qui conclude il fascino di una ricerca che, rendendoci
consapevoli di una grande quantità di problemi altrimenti inavvertiti, termina
in un autentico arricchimento spirituale. Il suo insegnamento è stato
caratterizzato dalla volontà di essere semplice e chiaro nell'espressione del
pensiero considerando questo un dovere morale dell'intellettuale nei confronti
degli altri studiosi. Anche allo scopo
di realizzare una scrittura filosofica quanto più scientificamente precisa, ha
compiuto studi approfonditi sulla logica di Aristotele e sulla storia della
semantica filosofica (teoria del segno). Nella sua vita e nella dottrina si è sempre
impegnato nel mettere in pratica l'insegnamento socratico, così come fece il
suo maestro Calogero: insegnando la conversazione basatio sulla regola d’oro:
il rispetto verso il co-conversazionalista. Cura I Presocratici di Diels e Kranz.
Altre saggi: “La metafisica dei lizii” (Roma, Rai); “Che cosa ha veramente
detto Socrate” (Roma, Ubaldini); Cirenaici (Firenze: Sansoni); “Filosofia
romana” (Napoli: Bibliopolis); “Filosofia italica in eta antica” (Milano: Vallardi);
Le filosofie e le scienze contemporanee, Torino: Loescher, I fondamenti della
logica de’ lizii” (Firenze: La nuova Italia); Le forme classiche / Torino:
Loescher, “Volpe / Roma: Riuniti, Socrate. Tutte le testimonianze: Da
Aristotfane e Senofonte ai Padri cristiani; Bari: Laterza, Aristotele. Opere;
introduzione e indice dei nomi, Roma; Bari: Laterza, Epicuro. Opere, frammenti,
testimonianze sulla sua vita; Bignone;.Bari: Laterza, I presocratici: testimonianze
e frammenti / Bari: Laterza, Profilo di storia della filosofia, Torino: Loescher.
La razionalitàmTorino: Loescher, Socratis et Socraticorum Reliquiae. Collegit,
disposuit, apparatibus notisque instruxit G. Giannantoni, 2Bibliopolis. Anthropine Sophia. Studi di
filologia e storiografia filosofica in memoria di Gabriele Giannantoni; Introduzione
di Francesco Adorno: per Gabriele Giannantoni: un dialogo, Editore Bibliopolis
(collana Elenchos), 2009 Deputati della
V, VI, VII legislatura. Op.cit. Bruno Centrone,
ed.Bibliopolis, Enciclopedia Treccani, Bruno Centrone, Bibliopolis, Edizioni di
filosofia, ILIESI CNR La traduzione dei
Presocratici da parte di Giannantoni è stata criticata da Giovanni Reale
nell'introduzione alla sua nuova traduzione dei Presocratici del 2006, critiche
riportate in due articoli-intervista comparsi sul "Corriere della Sera"
nei quali Giannantoni, di formazione gramsciana
veniva accusato come curatore della "vecchia" edizione laterziana di
avervi perpetrato «una certa manomissione del sapere filosofico», in ossequio
all'ideologia e all’egemonia culturale marxista. Interpretazioni del pensiero
di Socrate#Socrate: l'interpretazione di Giannantoni Guido Calogero La teoria sul
pensiero greco arcaico. Per chi abbia svolto la propria attività di
ricerca o abbia compiuto la propria formazione scientifica nell’ambito della
storiografia filosofica negli anni ’80 e ’90, il nome di Gabriele Giannantoni
(Perugia, 1932 – Roma, 1998) è legato anche al Centro di Studio del Pensiero
Antico (CSPA). dal Consiglio Nazionale delle Ricerche Roma,1 su
richiesta, appunto, di Gabriele Giannantoni – in sostituzione del precedente
Centro di Studio per la Storia della Storiografia Filosofica –, il Centro di
Studio del Pensiero Antico si inserì nel panorama nazionale e internazionale della
ricerca storica come una realtà innovativa e contribuì allo sviluppo di una
disciplina, la storia della filosofia antica, appartenente al duplice contesto
della storiografia filosofica e delle scienze dell’antichità. Il Centro fu
attivo in modo autonomo fino al 2001, quando, a seguito di una riforma che
ridisegnò la rete scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, esso fu
accorpato con il Centro di Studio per il Lessico Intellettuale Europeo per dar
vita all’ Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee
(ILIESI), sotto la direzione di Tullio Gregory.2 L’attività del Centro di
Studio del Pensiero Antico fu inevitabilmente legata al percorso intellettuale
e di ricerca del suo fondatore, benché in modo non esclusivo. In questo breve
profilo si cercherà di rievocare, in primo luogo, i motivi culturali che furono
alla base della costituzione di questa realtà, nonché alcuni modelli
scientifici di riferimento che ne hanno determinato in certa misura la
configurazione e l’attività; in secondo luogo, i contributi originali che il
Centro è stato in grado di fornire all’area disciplinare di propria competenza,
in termini di pubblicazioni, progetti e formazione, sotto la guida di
Giannantoni e di coloro che ne coadiuvarono la direzione. 1 Decreto del
Presidente del CNR. n. 6303, ratificato successivamente da una convenzione tra
il CNR e “La Sapienza”, stipulata il 21 aprile 1983 e confermata dal Presidente
del CNR fino al 2001. Per il testo della convenzione si veda “Elenchos”, 1,
1980, pp. 201-202. 2 Sull’iter di riforma che portò alla nascita dell’Istituto
per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee e per i riferimenti
normativi, si veda Liburdi 2018, p. 49 e ss. Istituito nel 1979 presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “La Sapienza” di
Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico
MOTIVI CULTURALI E MODELLI ISPIRATORI Come accennato, l’attività scientifica
del Centro di Studio del Pensiero Antico fu comprensibilmente orientata da
precise scelte critiche e metodologiche di colui che ne aveva voluto
l’istituzione. Per dare ordine a questo sintetico profilo, credo sia opportuno
riassumere i motivi che ispirarono la promozione di un organo di ricerca mirato
agli studi storici sul pensiero antico, in tre principali indirizzi: in primo
luogo, la possibilità di considerare la storia della filosofia antica come una
disciplina dotata di un proprio specifico (e in certa misura autonomo) profilo
quanto a materia di indagine, arco storico e metodologia; in secondo luogo, la
nascita, o rinascita, dell’interesse verso scuole filosofiche dell’antichità
greca e romana tradizionalmente classificate come minori, in particolare, le
cosiddette scuole socratiche e le scuole ellenistiche, che dalle socratiche
discendono direttamente sotto l’aspetto storico e dottrinale; infine, la
rivisitazione del patrimonio dossografico – cioè del complesso della tradizione
indiretta che ha conservato, per estratti, parafrasi o compendi, il pensiero di
quei filosofi antichi di cui non è giunto a noi né il corpus né una singola
opera completa –. Quest’ultimo indirizzo si inseriva in una tendenza di studi
continentale che fece della dossografia antica una vera e propria categoria
storiografica con risultati particolarmente innovativi. L’interesse portato
alla dossografia, oltre a sostenere gli studi nell’ambito delle filosofie di
derivazione socratica e quelle ellenistiche (delle quali, per l’appunto, non si
è conservato alcun testo d’autore), apriva un percorso di studi a cui
Giannantoni era particolarmente legato e che lo vide impegnato sia come
direttore del Centro che individualmente, e cioè la riconsiderazione di tutta
la dossografia relativa alla filosofia presocratica. Una rapida messa a fuoco
di questi tre indirizzi permetterà di chiarire quali interessi scientifici di
Gabriele Giannantoni abbiano maggiormente pesato sulle strategie generali e
sulle iniziative specifiche del Centro, nonché sulla formazione professionale
che esso ha reso possibile. Quanto al primo indirizzo, la questione del profilo
specifico della storia della filosofia antica presuppose, da parte di
Giannantoni, una approfondita analisi della visione storica che la cultura
filosofica italiana era venuta maturando intorno alla filosofia antica. In questa
analisi, i cui esiti si leggono, non a caso, nell’articolo di apertura della 6
ILIESI digitale Temi e strumenti Francesca Alesse G. Giannantoni e
il Centro di Studio del Pensiero Antico rivista “Elenchos” intitolato La
storiografia idealistica e gli studi sul pensiero antico (“Elenchos”, 1, 1980,
pp. 7-44), svolge un ruolo chiave la rappresentazione che del pensiero antico
seppe dare l’idealismo italiano, specie con Croce, e la sua valutazione
critica. L’idealismo italiano si era infatti distinto per due caratteri, l’uno
teorico, l’altro metodologico, che apparentemente non favorirono lo sviluppo di
una moderna storiografia del pensiero antico. Per un verso, tanto Croce che
Gentile vedevano nella filosofia antica (cioè greca) i limiti di un pensiero oggettivo,
astratto e naturalistico, che mai sarebbe arrivato a concepire la positività
dell’idea di infinito, né quella della soggettività. I punti più alti raggiunti
dalla filosofia teoretica greca, Socrate, Platone, Aristotele, coincidevano
rispettivamente con la delineazione del concetto, o universale astratto, con la
sua separazione dalla realtà sensibile (la teoria delle idee trascendenti e la
scienza come dialettica delle sole idee) e con una logica puramente strumentale
(la sillogistica), alla quale sarebbe mancata la teorizzazione del giudizio
individuale, o giudizio storico,3 nonché la capacità di superare l’astrattezza
e attingere l’atto stesso del pensiero.4 Nella filosofia pratica parimenti i
Greci antichi, pur non mancando di intuizioni profonde, non avrebbero superato
il precettismo e l’empirismo, e la loro etica ingenua non sarebbe mai giunta a
distinguere etica ed economica, morale e diritto, come categorie dello
spirito.5 3 Giannantoni 1980, n. 13, rimanda a Croce 19092, di cui diamo qui i
riferimenti da Croce 1996a, pp. 112-116, 352-356, 396-398. 4 Ciò Giannantoni
ricavava, pur senza riferimenti testuali precisi, sia dagli excursus storici
che possiamo leggere in Gentile 19543, presumibilmente alle pp. 112-113,
123-125, 202-206, e in Gentile 1917, vol. I, pp. 21-32, sia da Gentile 1964. 5
Giannantoni 1980, nn. 14 e 15, rimanda a Croce 19455; si veda Croce 1996, pp.
112-114, 224-225, 367-368, e a Croce 19273, si veda Croce 2007, pp. 164-165.
ILIESI digitale Temi e strumenti 7 Figura 1: copertina di
“Elenchos”, 1, 1980. Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro
di Studio del Pensiero Antico Per l’altro verso, però, l’idealismo formulò una
critica, entro certi limiti giusta e salutare, alla filologia classica – cioè
alla filologia classica moderna sviluppata in Germania nel corso del XIX
secolo, distintasi, tra le altre cose, per una predilezione della cultura greca
rispetto alla latina –, colpevole sostanzialmente di non essere una disciplina
veramente storica. La filologia classica, malgrado i grandi risultati raggiunti
nella costituzione dei testi della letteratura antica, nella revisione della
tradizione bizantina e nelle nuove acquisizioni, si affermò come una procedura
tecnica complessa e molto raffinata ma priva della visione della storicità del
documento, del suo autore, dell’ambiente della sua composizione, nonché del suo
testimone. La questione, che emerse inizialmente nel campo delle edizioni
letterarie,6 non è meno complessa per quelle filosofiche: i testi della
filosofia antica richiedono anche una comprensione dei contenuti teorici e
pretendono di essere inquadrati in sistemi di pensiero il cui senso trascende
il ripristino del testo, o quanto meno se ne distingue in data misura. Questo
fu il nodo che si dovette sciogliere perché si potesse cominciare a delineare
una storia della filosofia antica che includesse tanto la capacità di fornire
edizioni affidabili sotto il profilo testuale, quanto quella di storicizzare i
documenti, cioè di comprenderne i contenuti alla luce di coordinate culturali
congrue con le epoche di appartenenza. La storiografia idealistica è dunque
imputata da Giannantoni di evidenti limiti interpretativi del pensiero antico,
come fu ben presto mostrato, ad esempio, dalle due celebri monografie di
Rodolfo Mondolfo sull’infinito nel pensiero greco e sul soggetto umano
nell’antichità,7 che smentivano l’idea di un connaturato e irreparabile
oggettivismo della filosofia greca. Tuttavia l’idealismo ha fornito
un’importante lezione e soprattutto ha indicato con chiarezza un ostacolo da
superare: 6 In particolare, la critica crociana a cui Giannantoni fa
riferimento (1980, p. 18 s., n. 11) prese le mosse da edizioni di testi poetici
e si volse contro la “mera filologia” e la Kulturgeschichte che, nella pretesa
di restituire il senso del testo letterario, non apportavano comprensione né
storica né concettuale. Cfr. ad esempio la recensione alla monografia del 1950
di Ettore Romagnoli su Aristofane e che si può leggere in Croce 2003, pp.
97-107. Dice Giannantoni al riguardo (p. 19): “...il problema del rapporto tra
filologia e poesia, tra filologia e storiografia, tra filologia e filosofia sta
al centro dell’elaborazione dell’idealismo italiano”. Giannantoni probabilmente
pensava anche alle considerazioni gentiliane intorno al “filologismo” che
affligge la storia e ostacola la costituzione di una storia della filosofia, in
Gentile 19543, pp. 132-134. 7 Mondolfo 1933; Mondolfo 1958. 8 ILIESI digitale
Temi e strumenti Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di
Studio del Pensiero Antico Tracciando nel primo dei due volumi in onore di B.
Croce per il suo 80° compleanno, quello che è tuttora l’unico panorama
complessivo degli studi di filosofia antica nel cinquantennio 1896-1946, Guido
Calogero non ritenne di dover prendere in considerazione né Croce stesso né
Gentile (e neppure De Ruggiero) quali interpreti del pensiero antico; né altri
ne hanno trattato in modo approfondito (mentre studi importanti esistono sulle
loro interpretazioni di altri periodi della storia del pensiero) ... la ragione
... è da ricercare in una persistente separazione, non solo concettuale, ma
anche di organizzazione degli studi, che lo stesso idealismo ha contribuito non
poco a consolidare, tra considerazione filosofica, ricostruzione storica e indagine
filologica. Gli studi di filosofia antica hanno infatti sofferto in modo
particolare di una vera e propria scissione tra quelli che erano considerati i
compiti esclusivi del filologo e quelle che erano considerate le competenze
dello storico e del filosofo: con la conseguenza che questi studi sono potuti
apparire troppo filologici ... ad alcuni e ad altri, all’opposto, troppo
filosofici per entrare di pieno diritto nell’ambito di ciò che si era soliti
chiamare la “scienza dell’antichità”.8 Quando Giannantoni scriveva queste
parole (cioè nel 1980), era persuaso che la scissione non fosse superata e
fosse causa, oltre che di una durevole influenza idealistica, anche di un
pregiudizio nei rispetti della filologia, malgrado i grandi progressi e le
messe a punto di tanta prestigiosa filologia classica italiana.9 Stante,
quindi, una situazione di progresso “zoppicante”, per così dire, degli studi
storiografici italiani sulla filosofia antica, Giannantoni nutrì l’aspirazione
di delimitare un preciso terreno metodologico cogliendo la preziosa occasione
che il Consiglio Nazionale delle Ricerche gli offriva. Il secondo indirizzo è
quello che, almeno a prima vista, rivela maggiormente la stretta relazione tra
il percorso scientifico individuale di Giannantoni e lo spettro di interessi
messi in campo da quanti hanno operato nel o col Centro, a cominciare dai suoi
allievi. Tanto più che l’attenzione rivolta non solo a Socrate ma alle
tradizioni socratiche ed ellenistiche non è del tutto indipendente dalla
questione dell’impatto dell’idealismo italiano sulla fortuna della storiografia
filosofica dell’antichità. Il giudizio crociano sui limiti delle filosofie di
Socrate, Platone e Aristotele, ad esempio, diventa un vero e proprio
deprezzamento delle tradizioni “minori”.10 Ed è appena necessario 8 Giannantoni
1980, pp. 7-8. Il riferimento a Calogero è da intendersi a Calogero 1950, pp.
43-59. 9 Si veda al riguardo il chiarimento di Giannantoni relativo all’opera
di Giorgio Pasquali, che pervenne ad un’unità di filologia e storia come unità
di metodo, non di contenuti, e che si caratterizzò tramite uno storicismo della
filologia classica, profondamente diverso dallo storicismo idealistico: questo,
inteso come riconoscimento nella storia e nella cultura di figure e “categorie”
del pensiero e dello spirito, quello, inteso come intima connessione tra le
rigorose tecniche filologiche e la conoscenza storica (cfr. 1980, p. 37). 10
Cfr. Croce 19455, p. 201: “... col considerare principalmente il contrasto
delle passioni verso la volontà razionale sorsero le scuole opposte dei cinici
e cirenaici, ILIESI digitale Temi e strumenti 9 Francesca Alesse
G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico ricordare che la
figura di Socrate, a cui deve farsi risalire il terreno di ricerca costituito
dalle scuole socratiche e buona parte di quello attinente alle tradizioni
ellenistiche, fu al centro di importanti riflessioni teoretiche e
storiografiche di Guido Calogero,11 che di Giannantoni fu il maestro. Abbiamo
poi vari segni di un’interazione di tendenze di studio comuni a più scuole
anche fuori dell’Italia. L’interesse per le tradizioni dette “minori”, tali
cioè in quanto paragonate alle filosofie di Platone e Aristotele e, in più,
conservate solo tramite tradizione indiretta, si manifesta già alla fine degli
anni ’40 con studi seminali sui Sofisti, su alcuni discepoli di Socrate, in
particolare Antistene di Atene e Aristippo di Cirene, sulla tradizione
scettica.12 Proprio ad Aristippo di Cirene e alla sua scuola Giannantoni dedica
la sua prima importante opera scientifica (Giannantoni 1958). In essa si
profilano le problematiche, filologiche e storiografiche prima ancora che
concettuali, relative alla intricata questione della eredità socratica:
l’edizione critica di un corpus proveniente da molti e diversi testimoni; la
possibilità di dirimere le fonti storicamente attendibili dalla ritrattistica
aneddotica; la contestualizzazione del filosofo all’interno di un milieu
composito in cui si intrecciano le influenze della Sofistica e della retorica
classica e il magistero socratico. stoici ed epicurei e altrettali; ma le
dottrine di tutte coteste scuole, se serbano qualche valore empirico come
precetti di vita più o meno convenienti a individui, classi e tempi
determinati, non ne presentano alcuno o scarsissimo, esaminate in quanto
concetti filosofici; e cinici e cirenaici, stoici ed epicurei, piuttosto che
filosofi sembrano monaci, seguaci di questa o quella regola”. Sulle “scuole
socratiche minori” cfr. anche il giudizio, meno sommario, di Gentile 1964, pp.
141-177. 11 Com’è molto noto, Socrate occupò un ruolo centrale nella personale
riflessione teorica di Guido Calogero, che elaborò la sua “filosofia del
dialogo” esattamente sul modello del Socrate dei dialoghi platonici, nel quale
il filosofo italiano vide la prima formulazione di un’istanza intellettuale e
morale – il dialogo, appunto, contrapposto al “logo” conclusivo e assertivo –
destinata a far giustizia della pretesa di fondare l’etica sulla epistemologia
e sulla metafisica, e che sarebbe stata anche alla base della moderna
concezione dello stato liberale e di diritto. Ma Socrate fu anche al centro di
importanti lavori storiografici di Calogero, alcuni dei quali aprirono la
strada alla ricerca della posterità del magistero socratico nel pensiero
tardo-ellenistico e cristiano. Una visuale critica diversa da quella di
Giannantoni, ma in linea con la percezione del ruolo capitale svolto da Socrate
nella storia del pensiero antico. Mi limito su tutto ciò a rimandare a
Giannantoni 1987 e a Brancacci 2017. 12 Per limitarsi alle opere principali:
Untersteiner 1949, con moltissime riedizioni; Dal Pra 1950; Humbert 1967;
Mannebach 1961; Decleva Caizzi 1966; Patzer 1970. 10 ILIESI digitale Temi e
strumenti Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di
Studio del Pensiero Antico Questi elementi appaiono, nella storiografia e nella
filologia europea degli anni ’70, sempre più determinanti per la comprensione
delle dottrine di personalità come Aristippo, Antistene di Atene, Euclide di
Megara, Eschine di Sfetto. In più, il superamento della Quellenforschung
tradizionale e l’approfondimento dei contenuti filosofici aprirono nuove
possibilità di delineare il percorso che dalle scuole socratiche della seconda
metà del IV secolo a.C. porta alle principali tendenze ellenistiche, il
Giardino, la Stoa, il Peripato post- aristotelico, la scepsi pirroniana ed
accademica. A questo complesso terreno di ricerca è dedicata una iniziativa che
precede l’istituzione del Centro di Studio del Pensiero Antico benché sempre
sostenuta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche: il convegno “Scuole
socratiche minori e filosofia ellenistica”, organizzato nel 1976 dal Centro di
Studio per la Storia della Storiografia (la cui direzione era stata affidata
allo stesso Giannantoni), e i cui atti furono pubblicati nel 1977 dalla casa
editrice il Mulino di Bologna. Le relazioni presentate al Convegno del 1976,
mirate ad una ricognizione dello stato documentario delle filosofie
riconducibili a Socrate o ad uno dei suoi discepoli, e dei rapporti concettuali
tra queste tradizioni e le filosofie ellenistiche e di età imperiale,13 furono
aperte dalla comunicazione dello stesso Giannantoni sul tema Per un’edizione
delle fonti relative alle scuole socratiche minori, nella quale lo studioso
esponeva i risultati di un già lungo percorso di ricerca, ma ancora lontano,
nel 1976, dalla sua conclusione. In questa relazione vengono messe a fuoco le
13 Cambiano 1977; Celluprica 1977; Sillitti 1977; Decleva Caizzi 1977; Ioppolo
1977; Brancacci 1977; Donini 1977; Isnardi Parente 1977; Repici 1977. ILIESI
digitale Temi e strumenti 11 Figura 2: copertina di G. Giannantoni,
I Cirenaici. Raccolta delle fonti antiche, traduzione e studio introduttivo,
Firenze, 1958. Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di
Studio del Pensiero Antico peculiarità e la notevole problematicità,
soprattutto sotto il profilo filologico, di una edizione di testi filosofici e
di molti autori. Emerge da questo breve testo non solo uno stato dell’arte ma
un criterio programmatico che non considera sufficienti, benché certamente
necessarie, le sole competenze della filologia classica, ma pretende una
sensibilità storica e una capacità di comprensione teorica che gli sforzi della
Altertumswissenschaft tradizionale non avevano sempre garantito. L’edizione di
testi filosofici di trasmissione indiretta non può limitarsi alla costituzione
del testo e alla redazione di apparati critici da cui si desuma il meticoloso
lavoro di collazione dell’editore, ma deve tener conto dei contesti storici e
problematici nei quali sono vissuti tanto il filosofo quanto il suo testimone.
Inoltre, un’edizione che sia, in più, una silloge di testi relativi a (e non
provenienti da) molti filosofi, comporta di andare oltre la natura estrinseca14
della singola testimonianza (epoca e ambiente del testimone, distanza
cronologica dall’autore, genere letterario della fonte, parametri stilistici,
etc.) e di individuare alcune strutture di pensiero che, in un lasso di tempo
abbastanza lungo, si facciano riconoscere per caratteri salienti e durevoli e,
al contempo, riflettano le condizioni storiche che ne determinano la
specificità (secondo i dettami dello storicismo), diventando pagine e capitoli
di una lunghissima storia culturale; si configurino, cioè, come tradizioni: Il
fatto è che a proposito di una raccolta di testi che riguardano uno o più
filosofi, emerge molto più nettamente che in altri casi l’impossibilità di
considerare la testimonianza antica come un dato puramente oggettivo, e quindi
la necessità di storicizzarla fino in fondo: in realtà essa deve essere
considerata come un capitolo di una vera e propria storia della cultura durata
all’incirca un millennio, e perciò da ricondurre di volta in volta al suo tempo
e alle tendenze storicamente determinate che la produssero: parleremmo di un
Diogene irreale e mai esistito se pensassimo di poter adoperare come
ingredienti mescolabili a piacere Epitteto e Dione Crisostomo, Luciano e
Giuliano l’Apostata, un padre della chiesa e le epistole apocrife che vanno sotto
il nome del cinico.15 Il terzo indirizzo, relativo alla dossografia, è quello
che presenta, almeno in apparenza, un maggiore tecnicismo, perché volto alle
problematiche ecdotiche ed interpretative attinenti allo studio di 14 Sulla
cosiddetta filologia “esterna”, sul ruolo da essa svolto nelle edizioni
filosofiche e sui suoi limiti, si veda Giannantoni 1980, p. 15, a proposito
dell’opera di Girolamo Vitelli, la cui importanza per la storia della filosofia
antica è legata specialmente alle edizioni critiche dei commenti aristotelici
di Giovanni Filopono. 15 Giannantoni 1977, p. 22. 12 ILIESI digitale Temi e
strumenti Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio
del Pensiero Antico dottrine riportate da testimoni spesso assai lontani, per
cronologia ed orientamento intellettuale, dagli autori di cui si vuole
conoscere il pensiero. D’altra parte, la dossografia si è rivelata un capitolo
importantissimo di quella millenaria storia culturale che costituisce il
terreno di indagine della storia della filosofia antica. Non si potrebbe ancora
oggi redigere una storia della storiografia filosofica dell’antichità senza
iniziare non solo dalle grandi raccolte di testi e frammenti allestite dalla
filologia ottocentesca e comparse nei primi anni del XX secolo (le raccolte di
Usener,16 Diels,17 Arnim,18 per citare degli esempi), ma anche dalla prima
grande opera di analisi e comparazione dei testimoni, i Doxographi Graeci di
Hermann Diels;19 come è altrettanto vero che non si può oggi fare a meno dei
più recenti e sistematici contributi all’analisi della dossografia filosofica,
cioè gli Aëtiana di Jaap Mansfeld e David Runia.20 I più importanti progetti
editoriali varati negli ultimi decenni, inoltre, si sono strettamente legati
alla problematica della dossografia e all’analisi dei testimoni, a lato di
quelle condotte sugli autori e sulle tradizioni dottrinali. Allo studio di
autori di grande notorietà e impatto della tradizione culturale antica, ai
quali si deve gran parte della conoscenza dei filosofi precedenti, come
Cicerone e Plutarco, si è venuta affiancando una sempre maggiore familiarità
con testimoni meno noti ma che hanno rivelato un’importanza fondamentale, come
Filodemo, Diogene Laerzio, Sesto Empirico, Galeno, Giovanni Stobeo. L’indirizzo
dossografico fu quindi un segno della tempestività e della sensibilità di
Gabriele Giannantoni nei rispetti di un terreno di ricerca che si veniva
imponendo in ambito internazionale, e che di fatto contribuì alla dimensione
internazionale dello stesso Centro, la cui attività progettuale e congressuale
fu in buona misura dedicata alla dossografia di epoca tardo ellenistica ed
imperiale. Si può far rientrare in questo ultimo indirizzo anche una linea di
attività di studi la cui ragione storiografica fu oggetto di un vivacissimo 16
Usener 1887. 17 Diels 1903. 18 Arnim 1903. 19 Diels 1879. 20 Mansfeld-Runia
1997; Mansfeld-Runia 2009; Mansfeld-Runia 2010. È appena necessario ricordare
che le parole stesse “doxographus”, “doxographia”, sono coniate da Hermann
Diels. Sulla dossografia e sul suo sviluppo come categoria
filologico-storiografica, cfr. Mansfeld 1998, rist. in Mansfeld-Runia 2010,
Mansfeld 2002, rist. in Mansfeld-Runia 2010. ILIESI digitale Temi e strumenti
13 Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del
Pensiero Antico dibattito e che è nota come la questione delle dottrine non
scritte di Platone. Sorta nell’accademia tedesca, in particolare a Tübingen, da
un’ipotesi schleiermacheriana, la questione degli agrapha dogmata consisteva,
molto in breve, nella convinzione che Platone avesse teorizzato una dottrina
dei principi (Uno e Molteplice), della quale non resta traccia nei suoi scritti
– perché oggetto di pura trasmissione orale all’interno dell’Accademia antica –
ma solo sparsi indizi in pagine aristoteliche. Alla nascita, per così dire, del
Centro, Giannantoni invitò Konrad Gaiser, ordinario di filologia classica
all’Università di Tübingen e uno dei maggiori sostenitori di questa ipotesi, a
tenere una lezione presso la Sapienza sul tema La teoria dei principi in
Platone, il cui testo venne pubblicato nel primo numero della rivista
“Elenchos”.21 Tuttavia, il punto che merita attenzione in questa sede è che la
questione delle dottrine non scritte di Platone fu, oltre che un tema rilevante
per se stesso, anche un “pretesto” per riconsiderare Aristotele come testimone
egli stesso del passato filosofico, più precisamente per le cosiddette
filosofie presocratiche. Com’è noto, Aristotele può essere considerato se non
il primo testimone in assoluto delle precedenti tradizioni di pensiero,
certamente il primo testimone che ne offre una informazione organizzata secondo
criteri espositivi dettati dalle proprie esigenze filosofiche e che hanno
inevitabilmente condizionato la visione storiografica moderna. Per quanto
apparisse improprio, naturalmente, definire Aristotele un dossografo, il
riesame della sua testimonianza della filosofia precedente, anch’essa una
tradizione indiretta, apparve a Giannantoni una linea d’azione congrua con
quelle relative alle scuole socratiche e le filosofie ellenistiche, ancorché
meno visibile tra i risultati delle ricerche del Centro. A conclusione di
questo primo paragrafo, ricordiamo che l’istituzione del Centro di Studio del
Pensiero Antico non fu del tutto priva di modelli in Italia e fuori e che con
alcuni di essi si instaurò una costante collaborazione. L’esempio più
immediato, sia sotto il profilo tematico e scientifico, che sotto quello del
funzionamento istituzionale, fu il – Léon Robin, una unità di ricerca del 21
Gaiser 1980. 14 ILIESI digitale Temi e strumenti Centre de Recherches sur
la Pensée Antique Centre National de la Recherche Scientifique
(CNRS), ma operante all’interno e sotto l’egida Francesca Alesse
G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico dell’Université
Paris-Sorbonne (perciò definito anche Unité Mixte de Recherche, o UMR),
in modo non troppo dissimile dai Centri di Studio del CNR istituiti in
regime di convenzione con i vari Atenei italiani. La collaborazione con
questo Centro si focalizzò sulle tematiche socratiche e dette luogo al
ripetuto scambio di studiosi tra le due sedi nel biennio 1994-1995 nell’ambito
del programma di ricerca “Socrate e la storia del pensiero antico: rottura o
continuità?”; i contributi pubblicati nel 1997 sotto il titolo di Lezioni
socratiche, a cura di furono Gabriele Giannantoni e Michel Narcy,
per l’Editore Bibliopolis di Napoli. Un’altra importante istituzione
scientifica a cui Giannantoni guardò con particolare attenzione e con cui
intrecciò stretti rapporti scientifici nonché di cordiale amicizia è
stata senz’altro il Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri
Ercolanesi, oggi intitolato a Marcello Gigante, che ne fu il fondatore
nel 1969. I motivi di tale collaborazione erano dettati ovviamente
dall’interesse intrinseco per la grande opera editoriale a cui il Centro
fondato da Gigante era votato. La pubblicazione delle nuove edizioni
critiche dei papiri reperiti nel sito ercolanese offriva alla comunità
scientifica un patrimonio inestimabile per la conoscenza
dell’Epicureismo, della tradizione socratica, dello Stoicismo. Ma furono
anche ragioni metodologiche a sancire un sodalizio importante, che si
concretizzò in varie iniziative e pubblicazioni cui parteciparono entrambi
i Centri: i testi ercolanesi, com’è molto noto, costituiscono un
materiale che permette di arricchire enormemente la conoscenza di molte
importanti tradizioni filosofiche e letterarie, a condizione di possedere
un complesso di conoscenze e tecniche interpretative che difficilmente
possono trovarsi nella medesima personalità e che però vanno
applicate contestualmente. In altre parole, l’esperienza collaborativa
tra questi due Centri, forti, l’uno, di una formazione propriamente
storica e filosofica, l’altro, di alte competenze filologiche, contribuì
in modo significativo a costituire quella storiografia della filosofia
antica che aveva, almeno per la cultura accademica italiana dei primi
decenni del ’900, faticato ad assumere uno statuto proprio. ILIESI
digitale Temi e strumenti 15 Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro
di Studio del Pensiero Antico L’ATTIVITÀ DI RICERCA DEL CENTRO E I SUOI
RISULTATI: I PROGETTI, I CONGRESSI, LA FORMAZIONE Quanto detto nel precedente
paragrafo trova un riflesso, diretto o indiretto, nelle attività di ricerca del
Centro, nonché nelle sue pubblicazioni. L’interesse per il consolidamento della
storia della filosofia antica come disciplina autonoma, dotata cioè di un suo
impianto metodologico, oltre che di un preciso confine cronologico, viene
perseguito tramite l’attività progettuale, congressuale e editoriale, di cui si
dà qui una descrizione sintetica. Vale però la pena di ricordare, prima di
tutto, una iniziativa promossa da Giannantoni dopo l’istituzione del Centro, in
conformità di un indirizzo dell’organo direttivo della rivista “Elenchos”, e
dedicata alla problematica storiografica: Nelle riunioni del Comitato direttivo
della rivista “Elenchos” è emersa più volte l’opportunità di aprire una
discussione sul metodo o, meglio, sui metodi attuali della storiografia
filosofica relativa al pensiero antico. Si è pensato perciò di cominciare con
una “tavola rotonda”, chiamando a parteciparvi esponenti di orientamenti
diversi e significativi, ai quali è stato chiesto di intervenire liberamente su
tre questioni principali: 1) se ha senso parlare ancora di una storia della
filosofia (e quindi anche di una storia della filosofia antica) come disciplina
a se stante e in sé autonoma; 2) quali innovazioni si possono riconoscere
all’ampliarsi e al differenziarsi delle impostazioni teoriche che sono sottese
ai vari approcci metodici alla storia del pensiero antico; 3) quale è il
contributo che viene, una volta tramontato il vecchio mito classicistico,
dall’applicazione di categorie elaborate dalle “scienze umane”.22 Alla tavola
rotonda parteciparono Enrico Berti, Mario Vegetti, Carlo Augusto Viano, e lo
stesso Giannantoni, ciascuno portando un contributo molto peculiare e
strettamente conforme al proprio orientamento intellettuale. L’intervento di
Giannantoni rispecchia le riflessioni condotte qualche anno prima e pubblicate
nel già citato articolo di apertura della Rivista (La storiografica
idealistica), di cui ripropone le premesse problematiche e a cui aggiunge
precise prese di posizioni sulla specificità della storia della filosofia
antica e sul modo di salvaguardarla: ... senza perdere di vista il fatto che lo
scopo principale (scil. dello storico della filosofia antica) resta la
comprensione dei testi che ci trasmettono il pensiero antico, ritengo
necessario rivendicare l’imprescindibilità di una rigorosa e metodica
impostazione filologica, anche se tale impostazione non può non venire
assumendo sempre più, essa stessa, una fisionomia storica: quella della storia
degli studi ... ciò dovrebbe indurre a uscire da un tradizionale isolamento e a
promuovere una 22 Giannantoni 1983, p. 147. 16 ILIESI digitale Temi e
strumenti Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio
del Pensiero Antico organizzazione del lavoro diversa e meno diffidente verso i
sussidi che la tecnologia moderna può offrire. In ogni caso, la storia degli
studi è ormai elemento costitutivo di ogni indagine che voglia avere un minimo
di serietà, non solo per le conoscenze che ha acquisito ma anche per le
divergenze che ha proposto. L’alternativa a questa impostazione è o l’arbitrio
nella scelta dei riferimenti o l’illusione di un ritorno alla “lettura diretta”
dei testi.23 In queste parole possiamo rintracciare ad un tempo la finalità
della costituzione del Centro e la visione di Giannantoni del modo di operare
storiografico: più che il cenno alle nuove tecnologie e più che l’esortazione
ad abbandonare l’isolamento, sicuramente importanti l’uno e l’altra, conta
sottolineare, a mio parere, il richiamo alla storia degli studi come parte
integrante della storia della filosofia, in particolare della filosofia antica,
affidata in larghissima misura alla tradizione indiretta. La “serietà”, cioè la
plausibilità dei risultati della ricerca storico-filosofica sono messi a rischio
dalla “illusione” di poter leggere (e capire) le parole del filosofo, specie se
antico, senza gli strumenti della conoscenza filologica, linguistica e
culturale nel senso più lato, conoscenza cui si perviene ricostruendo, ove sia
possibile, anche una storia intelligente delle letture altrui. Uscire
dall’“isolamento” è, allora, non solo la cooperazione tra colleghi ad un
progetto scientifico unitario, ma anche la conoscenza e la valutazione delle
migliori offerte interpretative che di un testo e del suo contesto siano state
date entro un certo arco di tempo. 23 Giannantoni 1983, pp. 182-183.
ILIESI digitale Temi e strumenti 17 Francesca Alesse G. Giannantoni
e il Centro di Studio del Pensiero Antico Sia nelle azioni istituzionali, che
investirono e coinvolsero il complesso delle risorse del Centro, incluse le
relazioni stabilite con il mondo universitario, sia nelle attività di ricerca
individuali, un ruolo primario fu senz’altro svolto dalle tradizioni
ellenistiche e dall’analisi della letteratura dossografica. Già nel 1980, il
Centro organizza un convegno sullo scetticismo antico,24 e tra il 1982 e il
1986 coopera strettamente con l’Università degli Studi di Pavia e in
particolare con Mario Vegetti, ordinario di Storia della filosofia antica di
quella Università, e con i suoi più stretti collaboratori, sostenendo
l’organizzazione di due importanti convegni: “La scienza ellenistica” (Pavia,
1982)25 e “ 1986).26 Ancora alla filosofia ellenistica è dedicata l’importante
pubblicazione dei Proceedings del quarto simposio internazionale sulla
filosofia ellenistica, che vide tra i suoi partecipanti esperti di caratura
internazionale, alcuni di stretta collaborazione con il Centro stesso.27
Figura 3: copertina del primo volume di Lo scetticismo antico, Atti del
convegno, a cura di G. Giannantoni, Napoli, 1981. Le opere psicologiche
di Galeno” (Pavia, 10-12 settembre 14-16 aprile 24 25 26 27 18
ILIESI digitale Temi e strumenti Giannantoni 1981.
Giannantoni-Vegetti 1985. Manuli-Vegetti 1988. Barnes-Mignucci 1988.
Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico
Carattere sistematico ebbe anche la linea d’azione dedicata allo studio della
dossografia. Il Centro organizza, nel 1985, il congresso internazionale
sull’opera del biografo di età imperiale Diogene Laerzio (“Diogene Laerzio
storico del pensiero antico”, Napoli-Amalfi, 30 settembre-3 ottobre 198528) e,
nel 1991, il congresso internazionale sull’opera del medico scettico di età
imperiale Sesto Empirico (“Sesto Empirico e il pensiero antico”, Sestri
Levante, 28 maggio-1 giugno 199129). Si delinea in entrambi gli eventi un’unica
prospettiva, grazie alla quale l’oggetto dell’indagine storiografica è, per
così dire, duplice e contestuale: l’autore, cioè il filosofo il cui pensiero è oggetto
di trasmissione da parte di un testimone, e il testimone stesso, la sua epoca,
il suo orientamento, nonché la struttura formale della sua testimonianza,
struttura che rivela assai spesso una tesaurizzazione delle informazioni
attraverso i differenti metodi per la loro esposizione. Così, mentre l’opera di
Diogene Laerzio, che già da lungo tempo aveva attirato l’attenzione della
filologia classica, conserva una concezione ampia del genere biografico,
restituendo non solo informazioni biografiche e dottrinali dei singoli filosofi
nonché cataloghi d’autore, ma anche specifici schemi espositivi presi a
prestito dalla letteratura storica (il più caratteristico è senz’altro quello
delle “successioni”), l’opera di Sesto Empirico mostra le conseguenze sul piano
storiografico di un modello propriamente concettuale, la diaphonia. Un altro
forte sodalizio, quello con il Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri
Ercolanesi di Marcello Gigante, permise di allestire negli anni subito
successivi un grande congresso internazionale sul tema “L’Epicureismo greco e
romano” (Napoli-Anacapri, 19-26 ILIESI digitale Temi e strumenti 19
Figura 4: copertina di Diogene Laerzio storico del pensiero antico, Atti
del congresso, “Elenchos”, 7, 1986. 28 Atti pubblicati nel volume 7
dell’annata 1986 della rivista “Elenchos”. 29 Atti pubblicati nel volume 13
dell’annata 1992 della rivista “Elenchos”. Francesca Alesse G.
Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico maggio 1993),30 un evento
di ampio spettro tematico e cronologico all’interno del quale poterono
cimentarsi papirologi e papirologi ercolanesi, filologi classici, paleografi ed
epigrafisti, storici, storici della letteratura e della poesia greca e romana
e, ovviamente, storici della filosofia antica. Proprio di questo incontro fu il
suo carattere transdisciplinare e, per quel che attiene alle attività in corso
presso il Centro, la messa alla prova di molte ipotesi di lavoro anche
individuali sulla relazione tra l’Epicureismo e le rilevanti tradizioni (le scuole
socratiche, la Stoa, la scepsi accademica e pirroniana) che impegnavano in
quegli anni sia Giannantoni in prima persona che il suo gruppo di lavoro
operante presso la Sapienza e il Centro. Tra gli ultimi impegni di Giannantoni
in qualità di direttore del Centro ci fu l’organizzazione di due altri
convegni: “ “Empedocle e la cultura della Sicilia antica. Illustrazione di un
frammento inedito della sua opera” (Agrigento, 4-6 settembre 1997).32 Il primo
raccolse un gruppo consistente di esperti della cultura greco- romana e fu un
raro esperimento di indagine lessicale da parte del Centro, volto a delineare
l’area semantica dell’affezione (emozione, sentimento, malattia) nelle diverse
manifestazioni della cultura classica antica, dalla letteratura, dal teatro e
dall’arte figurativa, alla filosofia e alla medicina. Il secondo convegno fu un
altro esempio del modo in cui Giannantoni intendeva inserire la vita
scientifica del Centro all’interno di una rete di relazioni istituzionali,
oltre che scientifiche e accademiche, perché il convegno, motivato dalla 30
Giannantoni-Gigante 1996. 31 Atti pubblicati nel volume 16/1 dell’annata 1995
della rivista “Elenchos”. 32 Atti pubblicati nel volume 19/2 dell’annata 1998
della rivista “Elenchos”. 20 ILIESI digitale Temi e strumenti
Figura 5: copertina del primo volume di Epicureismo greco e romano, Atti
del congresso, a cura di G. Giannantoni e M. Gigante, Napoli, 1992. Il
concetto di pathos nella cultura antica” (Taormina, 1-4 giugno
1994);31 Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di
Studio del Pensiero Antico recente scoperta del Papiro di Strasburgo contenente
una porzione del poema empedocleo, fu organizzato in collaborazione con la
sovrintendenza dei beni archeologici di Agrigento. Esso inoltre doveva essere
una prima tappa di un più ampio progetto dedicato alle tradizioni culturali e
filosofiche della Sicilia e della Magna Grecia, e che non vide la luce per la
scomparsa dello stesso Giannantoni. *** Sarebbe un errore pensare che le
strategie e i progetti del Centro avessero come unici interlocutori le
istituzioni accademiche italiane e straniere. Certamente, uno degli obiettivi
di Giannantoni era quello di costituire un piccolo ma vivace e solido bacino
collettore degli interessi intorno al pensiero antico, e tali interessi erano,
di fatto, collocati nelle Università e organizzati secondo i modi della
didattica e della formazione universitarie. Ma il Centro partecipò anche alla
realizzazione di una delle maggiori iniziative che il Consiglio Nazionale delle
Ricerche abbia dedicato al settore delle scienze umane, e cioè il progetto
strategico intitolato “Il Sistema Mediterraneo. Radici Storiche e Culturali e
Specificità Nazionali”.33 Questo grande progetto fu articolato in cinque
linee di indagine, la prima delle quali dedicata al mondo antico, in
particolare greco- romano.34 Fu in questo contesto che Giannantoni, oltre
a scrivere il saggio La tradizione culturale greca in Magna Grecia e
Sicilia, apparso nel 2002 nel volume che raccoglieva i risultati delle attività
promosse dal progetto,35 maturò l’idea di una linea di attività, cui si è
fatto cenno, dedicata alle tradizioni filosofiche della Magna Grecia e
della Sicilia, linea che avrebbe dovuto raccogliere e mettere a frutto le
metodologie sperimentate nella più generale attività del Centro 33 Il
Progetto Strategico, svoltosi negli anni 1995-2000 e coordinato da Antonello
Folco Biagini fu varato nel 1994 dal 34 “ 35 Biagini 2002. ILIESI digitale Temi
e strumenti 21 Comitato Nazionale di Consulenza del CNR per le
Scienze Storiche, Filosofiche e Filologiche, allo scopo di convogliare tutte le
competenze rappresentate ed espresse dalla rete scientifica costituita dai
Centri di Studio e dagli Istituti afferenti al Comitato stesso, in una grande
area di interesse, appunto il “Mediterraneo”. Al fondo della decisione del
Comitato era la convinzione che il Mediterraneo costituisse non un’entità
identitaria ma un complesso “sistema” di realtà molteplici, tradizionalmente
oggetto di indagine da parte di settori disciplinari indipendenti. Si trattava
perciò di conferire unità strategica e di metodo ad una naturale e
fisiologica molteplicità di fenomeni culturali. Origine e incontri di
culture nell’antichità”. Francesca Alesse G. Giannantoni e il
Centro di Studio del Pensiero Antico (studio della dossografia e delle
tradizioni indirette). Rivisse, in questo progetto non realizzato,
l’antico interesse di Giannantoni per la trasmissione delle cosiddette
tradizioni presocratiche, molte delle quali per l’appunto fiorite nelle
aree magnogreche (l’Eleatismo, il Pitagorismo, Empedocle, Gorgia di
Leontini), e per il ruolo svolto in tale trasmissione da Platone e
Aristotele. A questo più antico arco cronologico, si sarebbe poi unito il
costante interesse per l’Epicureismo, nella forma storica
dell’Epicureismo campano. Vale la pena ricordare, infine, l’attività
formativa che il Centro riuscì a svolgere, facilitata, come è facile
comprendere, dalla posizione accademica di Giannantoni. Il Centro di Studio
del Pensiero Antico si formò infatti raccogliendo i suoi allievi, che si
unirono ai ricercatori già in forza presso il precedente Centro di Studio
per la Storia della Storiografia Filosofica. L’attività progettuale, inoltre,
non si limitava alla sola attività di pianificazione scientifica e ancor meno
alla sola organizzazione dei convegni, ma prevedeva lavori continuativi di
studio collettivo e di confronto sulle tematiche di principale interesse e di
rilevanza strategica. I maggiori convegni venivano quindi preceduti
da seminari propedeutici sulle dossografie antiche, sull’opera di Diogene
Laerzio e su quella di Sesto Empirico, e su quest’ultimo autore, anzi, si
svolse un seminario aperto anche ai dottorandi di ricerca della Sapienza.
Nell’ambito del progetto strategico “Mediterraneo” e quindi della linea
di ricerca sul Mediterraneo antico, il Centro ottenne dal Comitato di
Consulenza per le Scienze Storiche, Filosofiche e Filologiche tre borse
di studio (1995-1996). 22 ILIESI digitale Temi e strumenti Francesca
Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico LE
PUBBLICAZIONI DEL CENTRO Un discorso a parte merita l’attività editoriale
a cui il Centro riuscì a dar vita. Due furono le iniziative editoriali,
strettamente coerenti con l’idea programmatica che ispirò la costituzione
del Centro: la serie “Elenchos. Collana di testi e studi sul pensiero
antico”, e il periodico “Elenchos. Rivista di studi sul pensiero antico”.
La scelta del medesimo nome per le due iniziative si spiegava facilmente
in riferimento all’orientamento intellettuale ed al bagaglio culturale
dello stesso Giannantoni, che riteneva la discussione, il confronto
(elenchos, appunto), in primo luogo, uno dei lasciti più significativi
della cultura filosofica antica, quello che maggiormente ha contribuito
alla formazione della coscienza moderna. Ma in secondo luogo, e secondo
un’angolatura più tecnica, Giannantoni vedeva nella discussione, intesa
come analisi critica, il metodo per eccellenza dello studio del testo filosofico
antico e della dottrina in esso contenuta, come avevano mostrano i primi
autori di una nascente “storia della filosofia” ancora in forma di
dossografia, Platone e soprattutto, com’è assai noto, Aristotele. In
omaggio dunque, all’ideale dialogico trasmesso dal magistero di Guido
Calogero, l’elenchos fu, nei limiti del possibile, il contrassegno delle
ricerche realizzate o promosse dal Centro e divenne il nome delle due
pubblicazioni, entrambe affidate alla casa editrice napoletana
Bibliopolis, Edizioni di Filosofia e Scienza, di Francesco del
Franco. La collana era destinata in larga misura, benché non
esclusivamente, a premiare le ricerche individuali, le quali dovevano
concretarsi in studi monografici, edizioni di testi e strumenti per la
ricerca. Non deve stupire che in questa sede ci si limiti a mettere in
primo piano l’opera Socratis et Socraticorum Reliquiae, collegit,
disposuit apparatibus notisque instruxit Gabriele Giannantoni, 1990, 4
voll. Frutto di una ricerca individuale più che trentennale, preparato da
molte precedenti pubblicazioni, questa edizione delle testimonianze
relative a Socrate e alle scuole socratiche, corredata di apparati
critici e note di commento (e senza traduzione, secondo la prassi
dell’austera filologia classica moderna), rappresentò la più importante
espressione degli interessi tematici e dei principi metodologici che
caratterizzarono il Centro. Basterebbe infatti considerare i volumi
usciti nella medesima collana “Elenchos” votati alle tradizioni
socratiche, alle scuole ellenistiche, alla dossografia e alle edizioni di
ILIESI digitale Temi e strumenti 23 Francesca Alesse G. Giannantoni e il
Centro di Studio del Pensiero Antico testi e frammenti di autori
ancora poco studiati, per apprezzare l’impatto delle ricerche
di Giannantoni su tutto il gruppo di ulteriori interessi e accolse studi
accademica. ricerca del Centro.36 Naturalmente la collana non
fu preclusa ad critici su tematiche di grande rilevanza nell’ambito
del platonismo e dell’aristotelismo e delle filosofie della tarda
antichità,37 promuovendo in tal modo uno scambio costante con la
più ampia comunità Quanto alla rivista, è forse opportuno
rimandare direttamente alla Presentazione che Giannantoni Figura 6:
copertina del primo volume di G. Giannantoni, Socratis et Socraticorum
Reliquiae, Napoli, 1990. antepose al primo fascicolo: essa fa molto
ben intendere tanto la relazione essenziale tra il programma scientifico
del Centro e il periodico che di quel programma doveva essere lo
strumento di diffusione; quanto l’apertura al dibattito scientifico che
la rivista (e quindi il Centro stesso) si prefiggeva; quanto, infine, la
tempestività di un’operazione culturale che il Consiglio Nazionale delle
Ricerche ebbe la sagacia di sostenere: Questa rivista ... intende dare
attuazione ad uno dei punti programmatici contenuti nella convenzione stipulata
tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l’Università di Roma, e che sta
alla base del neocostituito Centro di Studio del Pensiero Antico ... essa non
è, tuttavia, in senso stretto espressione soltanto di questo Centro: al
contrario, chi ha la responsabilità di dirigerla intende farne uno strumento di
studio e di ricerca aperto alle collaborazioni più ampie, un punto di incontro
e di confronto e un’occasione a disposizione sia di studiosi già affermati sia
di giovani ricercatori ... Questa rivista è l’unica dedicata interamente al
pensiero antico che si pubblichi in Italia38 e perciò essa non può non proporsi
anche un compito di promozione di questi 36 I titoli della collana
“Elenchos”, corredati da schede riassuntive, sono consultabili al sito web
dell’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle idee
http://www.iliesi.cnr.it/pubblicazioni.shtml 37 Mi limito a citare il grande
progetto di traduzione e commento della Repubblica di Platone, promosso e
diretto da Mario Vegetti, e i cui primi tre volumi furono stampati quando
Giannantoni era ancora in vita: Vegetti 1998, 2000, 2003, 2005, 2007. 38 Questa
situazione è rimasta invariata fino al 2007, e cioè fino alla comparsa della
rivista “Antiquorum Philosophia”, edita da Fabrizio Serra Editore, Roma-Pisa, e
diretta da Giuseppe Cambiano. 24 ILIESI digitale Temi e strumenti
Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico
studi ... Ma essa si propone anche uno scopo più ambizioso; se è vero, come è
vero, che la storia del pensiero antico è un campo in cui debbono potersi
incontrare ... gli apporti e le problematiche della storiografia filosofica e
del metodo filologico; e se è vero, come è vero, che tanto la storiografia
filosofica quanto il metodo filologico attraversano ... una fase di
ripensamento critico molto profondo dei propri presupposti e delle proprie
certezze, allora ad una rivista come questa spetta, in primo luogo, il compito
di proporsi come sede di verifica di discipline diverse e di modi diversi di
affrontare lo studio del pensiero antico e di aprire le sue pagine ... anche a
contributi che per la conoscenza del pensiero antico possono venirci da storici
dell’antichità, filologi classici, studiosi delle lingue e delle
letterature classiche, archeologi, papirologi ... Per questi motivi di
fondo – oltre e più che per la sua origine istituzionale – questa rivista si
caratterizza per l’unità del campo di ricerca, non per l’unità
dell’orientamento interpretativo ...39 CONCLUSIONI: LA PERMANENZA DI UN
PATRIMONIO E L’ATTUALITÀ DI UN METODO In accordo con gli obiettivi enunciati
nella Presentazione della rivista “Elenchos” e nel protocollo che lo istituiva,
il Centro di Studio del Pensiero Antico si dotò di un consiglio scientifico che
affiancò Gabriele Giannantoni nella direzione del Centro e delle pubblicazioni
che esso produsse, il quale contò tra i propri membri eminenti storici della
filosofia, quali Francesco Adorno, Enrico Berti, Giovanni Reale, Carlo Augusto
Viano, Anna Maria Ioppolo, Aldo Brancacci e Vincenza Celluprica, nonché
eminenti filologi classici e storici della letteratura greca quali Marcello
Gigante e Luigi Enrico Rossi. Il Centro poté disporre di sufficienti risorse e
di una struttura organizzativa40 che gli 39 “Elenchos”, 1, 1980, pp. 3-4. 40
Fecero parte del Centro in qualità di ricercatori inquadrati nei ruoli del
Consiglio Nazionale delle Ricerche: Barbara Faes (direttrice del Centro nel
1999), Gigliola Caporali, Stefano Garroni, Vincenza Celluprica (direttrice del
Centro per il biennio 2000-2001 e poi responsabile della linea relativa al
pensiero antico nell’ILIESI fino al 2005), Lucina Ferraria, Aldo Brancacci (poi
docente presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”), Bruno Centrone
(poi docente presso l’Università degli Studi di Pisa), Francesca Alesse, Maria
Cristina Dalfino, Luca Simeoni, Riccardo Chiaradonna (poi docente presso
l’Università degli Studi di Roma Tre). Collaborarono in modo istituzionale e
continuativo con il Centro Anna Maria Ioppolo (Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”), Luciana Repici (Università degli Studi di Torino); Giuseppina
Santese (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”); Giovanna Sillitti
(Università degli Studi di Roma “La Sapienza”); Carmela Baffioni (Università
degli Studi di Napoli l’Orientale); Emidio Spinelli (Università degli Studi di
Roma “La Sapienza”) e Francesco Aronadio (Università degli Studi di Roma “Tor
Vergata”). Molti sono stati i giovani che, nel corso della loro formazione post
lauream sono venuti in contatto con Gabriele Giannantoni e con il Centro,
lavorando fattivamente alla redazione di “Elenchos” o adoperandosi in attività
editoriali e scientifiche in senso proprio. Tra questi mi è gradito ricordare
Rosa Maria Piccione (Università degli Studi di Torino), Michele Alessandrelli
(ILIESI-CNR), Diana Quarantotto (Sapienza Università di Roma), Francesco
Fronterotta (Sapienza Università di Roma), Adriano ILIESI digitale Temi e
strumenti 25 Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio
del Pensiero Antico consentirono di diventare un organismo collettore di
attività di ricerca nel campo dell’edizione critica e dell’interpretazione dei
testi della filosofia antica, fino al 2001. Chi scrive non crede che
l’esperienza acquisita nei poco più che vent’anni di vita del Centro sia andata
perduta né dimenticata. Quando, nel 2001, nacque l’Istituto per il Lessico
Intellettuale Europeo e Storia delle Idee, al suo interno fu garantita la
prosecuzione e l’autonomia delle indagini relative alla storia della filosofia
antica, per esplicito volere di Tullio Gregory che del nuovo Istituto fu il
primo direttore. Queste indagini confluirono in una linea progettuale
denominata prima “Storia del pensiero filosofico- scientifico e della
terminologia della cultura mediterranea greco-latina, ebraica e araba” e
successivamente “ Il pensiero filosofico nel mondo antico: testi e
studi”.41 L’impegno principale della linea fu rappresentato da una serie
di progetti che in parte proseguivano le tematiche di studio e le
strategie cooperative del Centro di Studio del Pensiero Antico, e in
parte introducevano nuove tipologie di analisi, connesse alle tecnologie
digitali. La continuità culturale fu inoltre garantita dal mantenimento
delle due pubblicazioni, la collana “Elenchos” e la rivista “Elenchos”.
Da questa permanenza delle ricerche sul pensiero antico nella nuova
realtà istituzionale si deve ricavare non solo e non tanto l’attualità di
una disciplina (che si è comunque stabilizzata nel mondo accademico con
la benefica diffusione di cattedre e centri di insegnamento, in Italia e
fuori), quanto piuttosto l’attualità di un metodo di lavoro. Questo
metodo di lavoro, che potrebbe descriversi, un po’ aulicamente, come un
nuovo diatribein socratico, cioè come la capacità di discutere in
modo competente con i “morti” prima che con i vivi, rispecchia
abbastanza bene la disposizione intellettuale e comportamentale di
Gabriele Giannantoni, uomo tanto pacato nelle discussioni con i
contemporanei, quanto fermo nelle sue strategie di ricerca sul mondo
antico. Gioè, Matteo Nucci, Mariacarolina Santoro, Francesca Gambetti e
Cristina Cunsolo (a quest’ultima si deve l’allestimento della bibliografia
ragionata digitale Le tradizioni filosofiche e culturali greche della Magna
Grecia e della Sicilia antica, ora in fase di aggiornamento ad opera di
Francesca Gambetti). 41 A questa linea, diretta da Vincenza Celluprica fino al
2005, fanno riferimento i ricercatori già operanti nel Centro, a cui si
aggiunge, dal 2010, Silvia M. Chiodi, specialista in storia delle religioni del
mondo antico e del Vicino Oriente. 26 ILIESI digitale Temi e strumenti
Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico
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= Platone. La Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis, Vol. IV
(Libro V). Vegetti 2003 = Platone. La Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli,
Bibliopolis, Vol. V (Libri VI-VII). Vegetti 2005 = Platone. La Repubblica,
traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis, Vol. VI (Libri VIII-IX). Vegetti 2007
= Platone. La Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis, Vol. VII
(Libro X). e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario e commento a
cura di Mario e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario Vegetti,
Napoli, Bibliopolis, Vol. VII (Libro X). a BS’l RATTO
<Ia 1 Bollettino (ti Filologia Classica Anno XXIV. - Fase. 2-3-1 -
Agosto-Setteiiibre-Ottobre 1917 X II 6xi|iòvtov di Soorate
— Como già nei tempi antichi, cosi anello più tardi il 3 r.|iàviov di
Socrate lui sempre suscitato il più vivo inte¬ resso ed è rimasto lino ai
giorni nostri oggetto di studio. Ma, per quanto sia stato scritto attorno
ad essa e per quanto no sia stata ago- volata la compronsione por merito
di Seliloiormacher e dei suoi suc¬ cessori, non si può dire clic si sia
linoni riusciti a trovare una spie¬ gazione soddisfacente di questo
fenomeno, che fu una dèlio cause dèlia tragica fine del grande
pensatore. Le fonti, alle quali dobbiamo attingere nella nostra
ricerca, sono, come si sa', gli scritti di Platone o di Senofonte. Ma.qui
ci troviamo subito di fronte ad una questione molto discussa c cioè;
quale dei due autori sia rispetto alla dottrina socratica il più
attendibile. Poiché i rapporti di Platono o di Senofonte si contraddicono
riguardo allo ma¬ nifestazioni del Satpdviov di Socrato in un modo assai
pronunciato, è chiaro che dalla decisione alla quale arriviamo rispetto a
questo divario, deliba infine dipendere la soluzione del problema.
1 > m ,to che nel diciottesimo secolo si fece strada il parere del
leib- niziuno Brucfecr, secondo il quale gli scritti di Senofonte
sarebbero per lo studio del socratismo i più veritieri, parere che ha
avuto fino ad oggi i suoi fautori. Di quest’opinione è in linea generalo
anche Hegel (IJ. 1|S. principio del secolo passato però, Schleiermacher (2)
ed altri insistettero che por la valutazione della dottrina socratica
do vesso tenersi maggior conto delle opere di Platone. Di fronte a
queste due correnti lo Zollerai sogni un indirizzo, elio possiamo
chiamare intermediario. Senza entraro in particolari, si può dire che,
sebbene gli atti attorno a questo divario non siano ancora chiusi,
diventa sem¬ pre più salda la convinzione, che senza uno studio profondo
di Platone una comprensione del socratismo non è possibile (-1). Ma con
ciò il no¬ stro quesito non è ancora risolto. Secondo Platone
il Sxigóvwv agisce in modo esclusivamente inibitorio, esso non è mai
incitativo. Secondo Senofonte, però, funziona nei due modi. Si è, è vero,
creduto che la contraddizione tra lo due versioni fosse soltanto
apparente, perchè, se il «aigóviov non inibiva Socrate nel 6uo fare, ciò
equivaleva, si è detto, ad un'atrcrmaziono nel senso «C.
(1) G. W. F. Hegel, Vorl. ti. d. Gesch. d. l'Ii tfp s. Il, 2* ed., p. 69,
1812. (2) F. Schleiermacher, Abkdl. kad. su Berlin, 1818, p. 50
seg. (3) E. Zm.i.ER, Die Philosophie hen li, 1, t* '.al., p. 91
seg., p. 131 Mg. 1869. (4) Cfr. G. Zuocantb,
Socrate, pòrte prima, 1909.
35 ISOLI,ETTI NO L>1 FILOLOGIA CLASSICA di un
ordine positivo. In verità, però, mi sembra, che la diversità venga con
una talo interpretazione soltanto celata, ma non eliminata, perchè in
realtà le differenze tra i rapporti doi due autori sono do¬ vute a
processi psichici in sè diversi. Corto, se qualcuno mi dice, ad es. : non
andare via ! quosto equivale praticamente al comando positivo: rosta ! Ma
con ciò la cosa non è fluita. So io non distolgo qualcheduno, che devo
guidaro, da una azione, che egli è in procinto di compiere, do, è vero,
con ciò il mio consentimento al suo proposito, ma la sua azione scaturì
da motivi sorti nella sua coscienza e prosegue secondo leggi psichiche. E
so, in un altro caso, lo freno con un semplice: no! senza però dargli
altri ordini positivi, io non permetto che egli ese¬ guisca quello che
stava per fare, ma con ciò non gli indico ancora quanto devo in sua vece
intraprendere. Il suo agiro dipende di nuovo unicamente da lui o si
sviluppa ancora da motivi che sorgono in lui stesso. Ma so gli dico: fa
cosi ! allora lo sottopongo in senso positivo ad una volontà non sua o lo
faccio compiere un’azione, i cui motivi sorsero nella mia coscienza e non
nella sua. Egli diventa lo strumento del volere di un’altra persona, e,
se consideriamo il fatto dal lato etico, la responsabilità per lo
conseguenze di una tale azione cado in questo caso interamente su di rao
o per nulla su di lui. Non occorrono altri esempi : in fondo la diversità
doi due rapporti si riduco presso a poco al caso citato. Secondo
Senofonte, Socrate riceve anche ordini positivi dalla divinità, egli
compie quindi azioni, che non furono da lui deciso, secondo Platone mai.
Ogni sua azione procedo, secondo Platone, in se¬ guito a motivi, che
appartengono alla sua propria coscienza, ed è sem¬ pre la sua volontà che
lo fa agiro anche dopo che egli ha abbandonato, per l'intorvonto del
Baijióvwv, una decisione presa. Como si vede, la differenza non si
lascia eliminare. Per quanto si corchi di celarla, essa riappare sempre.
Mi sembra quindi più savio di riconoscerla. Ma ciò facondo ammettiamo
anche che una dello due versioni non può essere esatta e cho si deve
decidere, quale delle due si abbia da riconoscere come vera.
Delle opero cho portano il nome di Senofonte, V Apologia viene oggi
quasi da tutti riconosciuta apocrifa. Per ciò non ne teniamo conto. Degli
altri suoi scritti sono per noi importanti i Memorabili ed il Con¬ vito.
Faccio qui osservare che, dopo un esame della rispettiva lette¬ ratura o
specialmente in base agli studi dello Schonkl(l), sono arri¬ vato alla
conclusione cho per il nostro problema soltanto i passi Meni. 1, 1, 2
segg., Meni. I, 4, 15 segg. o Conv. 8, 5 sono con tutta sicurezza da
considerarsi come autentici. Per talo ragione lasciamo da parte in questa
breve nota i passi : Mem. IV, 3, 12, IV, 8, 1 o IV, 8, 5. Dalle
opero cho vanno sotto il nome di Platone e che trattano del Saipóviov
escludiamo il Teagete, perchè oggi generalmente ritenuto apo¬ lli
K. Schenkl, Xenophont. Studien. Sitzungsber. d. K. Akad. d. Wiss . i zu
Wien, 1875, 1876. BOLLETTINO DI FILOLOGIA
CLASSICA 36 orilo. L’autenticità dell'A Icibinde 1 è
fortemente messa in dubbio, lo accettiamo con riserva. Non posso
decidermi di respingere 1 Fall frane, malgrado lo obiezioni di Ueborwog
(I). Dogli altri scritti platonici limino per noi valore VApologià,
YEutidemo, il Tediato, il Fedro e la Repubblica. Senza entrare rpii
noi particolari della questiono, (pialo sia I ordino cronologico delle
opere di Platone, dobbiamo intenderci sull'epoca in cui fu scritta Y
Apologia, perchè questo lavoro ci dà la più esatta in- i rmazione intorno
al Saipiviov di Socrate. La maggior parto dogli stu- .dcigi — c ciò è per
noi importante — fa salirò l’origine di quest o- pcra ad un’epoca non
molto distante dalla condanna o dalla morte del illusolo, l’orsino autori
elio sono del parere clic Platone 1 abbia scritta a Megara, ammettono con
ciò (dio questo importante documento ap¬ partiene al suo primo periodo di
attivila, scientifica. Allo stesso risul¬ tato giunse Lutoslawski per
mezzo del suo metodo stilometrico. Quan¬ tunque si debba riconoscere
l’unilateralità di questo metodo e per •quanto sarebbe arrischiato di
fondarci unicamente su di esso, ci co- -stringono nondimeno ragioni
psicologiche di non negargli ogni valore. Alla questione esposta si
connetto quost’altra, cioè, so nell’Apologià .di Platone si tratti di una
fedele riproduzione di quanto Socrate real¬ mente disse davanti al
tribunale di Atene, o se si tratti soltanto di una riproduzione piu o
meno fedele del contenuto dei suoi discorsi. La prima opinione è quella
di Schleiermacher (2), della seconda è Stcinhart (3), elio vede
nell’Apologià un'opera d'arte, in cui lo spirito -socratico o quello di
Platone si trovano armonicamente fusi insieme. Ambedue le opinioni hanno
avuto i loro fautori. Considerazioni psico¬ logiche mi hanno condotto
nelle duo questioni accennato a con' inzioni che risultano da quanto
seguo. Come si vuol spiegare l'influenza che quest'opera ha sempre
eser¬ citata sui più grandi spiriti della razza umana, o come si
potrebbo comprendere la elevazione morale clic ognuno devo provare in
sè, quando vi si abbandona senza pregiudizio, so non si ammette che
essa suscita nel lettore la convinzione di sentire la parola viva di Socrate
stesso ? Quale valore potrebbo avere questo scritto, se si volesse con¬
siderarlo unicamente come una creazione d'arto, come una descrizione
dell’ideale platonico? In questo caso dovremmo bensì inchinarci da¬ vanti
all’autore quale artista, ma in fondo avremmo cosi un Socrate come
Platono avrebbo desiderato che egli fosso, ma non come real¬ mente era.
Non stava in Socrato piuttosto la verità incorporata da¬ vanti ad Atene
decadente, davanti alla stessa Atene che egli aveva conosciuta nello
splendore del periodo di Pericle? Non era quest uomo un idealo morale di
una tale grandezza elio ogni tentativo di idealiz¬ zarlo maggiormente
doveva necessariamente rimpicciolì rio ? .y ■ ' ' V
v- V / f.'O- ;!£■ : S
% (1) P. Ueberweg, Unters. fi. d. Echtheit u.
Zeitfolge piatoli. Schriflen , ,p. 201, 250, 1861. (2) F.
Schle i rum ache R, Plalons Werke, I, 2, 3* ed. p. 128, 1835. (3)
H. MQli.er e K. Stf.inhart, Plalons sàmmtl. Werke, li, p. 216, 1851.
— 3 — 37 BOLLETTINO DI FILOLOGIA
CLASSICA Per quali ragioni poi l 'Apologia non fu scritta in forma
di dialogo? Nessuna introduzione, nessuna descrizione dello scenario,
nessun nesso tra i singoli discorsi, nessun accenno a circostanze
secondarie inter¬ rompono l'azione in questo meraviglioso documento. Non
dovremo con¬ venire che soltanto forti motivi psicologici indussero
l’autore ad esporre cosi lo sviluppo del processo? Non si dimentichi
neppure quanto di¬ versamente Socrate parla della morte ne\\'Apologia e
nel Fedone, la qual opera, senza alcun dubbio, fu scritta molto più
tardi. Nell’yfpo/ofna è in verità Socrate stesso che parla, mentre nel
Fedone è Platone che motto, entro la cornice della realtà storica, la
propria convinzione in bocca al suo amato maestro. Vi sono poi
altri fatti psicologici da rilevare. Ricordiamo che Platone ascoltava un
maestro, che aveva seguito con tutto l'ardore del suo en¬ tusiasmo
giovanile per lunghi anni, e dal quale emanava un lascino che faceva
dimenticare a lui come ad altri giovani greci la figura di Sileno clic
nascondeva il vero essere del grande innovatore. Ricordiamo clic Platone
era penetrato nello spirito della dottrina socratica come nessun altro e
clic egli solo è stato capace di salvarla interamente per la filosofia
occidentale. Gli orano quindi lamiliari tutti i partico¬ lari esteriori
che sono caratteristici por ogni personalità umana o senza i quali non
possiamo neppure rappresentarcela. Conosceva esattamente il timbro e la
cadenza della sua voce, il suo vocabolario, il suo perio¬ dare, i suoi
movimenti mimici e pantomimici, in breve tutti i numerosi fattori clic,
secondo la leggo della fusione psichica, cooperano a lar sorgere in noi
l’immagine di una persona a noi nota c che, tutti quanti, esercitano la
loro influenza dormito la riproduzione di un suo discorso. È
inoltro cosa saputa che ogni riproduzione di un discorso riesce tanto più
fedele, quanto piu l'attenzione rimaneva tosa, quanto mag¬ giore era
l’interesse che l'oratore suscitava in chi l'ascoltava. Si può immaginano
un’attènzione piu concentrata elio nel caso presente? Figuriamoci
lo stato d’animo del giovano Platone, che pende dalle labbra del suo
maestro e che appercepisce attivamente ogni parola da lui pronunciata; ridestiamo
nella nostra immaginazione l’uragano di emozioni che lo travolge, le
fluttuazioni della sua anima tra la spe¬ ranza ed il timore, tra
l'ammirazione della grandezza sovrumana che si palesa e lo schianto per
la certezza della perdita irrimediabile, e si dovrà convenire elio
l’organismo umano forse non sopporterebbe tali stati d’animo una seconda
volta. Sappiamo che emozioni come queste non passano facilmente, ma (die
tornano sempre in nuovo on¬ dato. Sappiamo inoltro che nessun moto
d'animo rimane senza espres¬ sione o elio lo singolo persone a questo
riguardo si comportano diver¬ samente. Anche l’anima dell’artista lui le
sue reazioni ed ogni artista le ha a seconda dell’arto, alla quale dedicò
la sua vita. Ora, anche Pla¬ tone era artista o come tale non potevano
rimaner mute lesile emo¬ zioni. Ma egli era anello scienziato, uno
scolaro, anzi Io scolaro per eccellenza, ili quoH'uomo che durante una
lunga vita non aveva ccr- BOLLETTINO DI FILOLOGIA
CLASSICA :i8 rato altro ohe la verità. Oli era
impossibile di rinchiudere in se ciò clic aveva vissuto quel giorno.
Cosi, appena può, prende lo stile por dare uno slogo all'emozione olia lo
soffoca. li se il suo stato non diede luogo a fenomeni precisamente
nllucinnttfri, nondimeno tutto ciò che aveva visto e sentito, torna a
vivere in lui, conio per il poeta vivono ed agiscalo lo persone croato
dalla sua fantasia. Cosi, io penso, nacque VApologia platonica.
Essa non è un rapporto stonogralico, perché è certo olle anche questa riproduzione
doveva su¬ bire quei cambiamenti che, secondo i risultati della
trattazione speri¬ mentale. hanno luogo in tutti i processi riproduttivi.
Perciò non ogni parola ebbe il suo posto originario, un pensiero avrà
avuto un'espres¬ sione un po' più breve, un altro una l'orma un po' più
lunga, eco., ma quanto al resto il documento è. come per il contenuto,
cosi puro pol¬ la forma tanto fedele, quanto, data la mente Idi un
Platone, era uma¬ namente possibile. Con ciò ho esposto II mio punto di
vista rispetto allo due questioni sovracconnatc. No risulta che dobbiamo
fondarci nella nostra ricerca4U/-quanto viene riferito in quest'opera
intorno al &ti- póviov di Socrate. Aggiungo die gli accenni contenuti
negli altri scritti di Platone non contraddicono in alcun modo i dati
precisi dell’Apologià. Per quanto concerno lo opero di Senofonte
che ci interessano, bi¬ sogna ricordare che esse furono scritte parecchi
anni dopo la morto di Socrate, o die in esse i.on veniamo mai informati
intorno al feno¬ meno da Socrate stesso. Desideroso di dimostrare
l'innocenza del grande filosofo, come puro la ingiustizia dell’accusa c
della condanna, Senofouto metto, convinto, beninteso, di scrivere la
verità, il Saipòvcov di Socrate in relazione colla fedo popolare nello
divinazioni. Ciò non può sorpren¬ dere, quando si pensa all'abuso che il
popolo di qucH'epoea, già invaso dallo scetticismo, fece dei divinatori,
c quando si tiene presente elio Souofontc non ora filosofo, ma uomo
politico. Per questa ragione non dove recar meraviglia, se Senofonte non
aveva compreso ciò che era nuovo ed essenziale nella concezione socratica
del fenomeno. In Meni. I, I, 2 è detto clic la divinità (vi
Saipòviov) dava segni a Socrate ed in I, 4 viono aggiunto elio egli comunicava
tali messaggi a quelli clic lo ci re urlavano o elio aveva loro predetto
ciò che dove¬ vano faro e ciò elio non dovevano l'aro, come puro elio
quelli elio se¬ guivano questi consigli ne ebbero vantaggi, mentre gli
altri elio non li seguivano, dovevano poi pentirsene. Meni.
1, 4 contiene il noto colloquio con Aristodemo. In 4, 11 Socrate domanda
ad Aristodemo, clic cosa gli dei dovessero l'aro per convin¬ cerlo elio
si curavano anche di lui. A ciò Aristodemo, alludendo al S-x.aó e.'j'i.
risponde, un po' ironicamente, che dovevano mandargli dei consiglieri per
fargli sapere quello elio doveva faro e non fare, corno Socrate
pretendeva che fosse il caso spo. In Cono. 8, 5 Socrate non aveva
affatto parlato del suo Sxtgtìvwv o non no parla neppure in seguito.
Antistuno, però, gli fa il rimprovero, come se egli se no servisse per
trarsi d'impiccio. 5 39 BOLLETTINO
DI FILOLOGIA CLASSICA È evidente che, se non avessimo lo
rispettivo, opere platoniche, il ixigiviov di Socrate sarebbe rimasto per
sompro un fenomeno inespli¬ cabile. D'altra parte però le comunicazioni
di Senofonte sono di grande valore, in (pianto che fanno vedere il modo
in cui in Atene si giudi¬ cava questo fonomono, ivi assai
conosciuto. Dall' Apologia ili Piatone apprendiamo che Socrate
disse nel suo primo discorso (Apoi. 31 c-d), che egli non si era occupato
di altari politici, perchè succedeva qualche cosa di divino o di demonico
(Dstov r. -/.od Sxqidvtov) in lui, che dai tompi della sua fanciullezza
(è-/. r.x'.Sif) vi era stata in lui una corta voce (qxov^ vi?) la quale,
ogni volta che gli so¬ pravveniva, l’aveva trattenuto da qualche cosa, ma
che non l’aveva mai spinto a qualsiasi azione. Nel terzo discorso (40
a-c) Socrate spiega, come la solita divinazione (r, siioSHtà poi prmxi))
l’avesse nel passato sovento fermato, trattandosi anche di coso molto
piccole (jiàvu érti opi- xpotg), ma che il segno di Dio (vi r.ù 9-soO
a^pstov) non gli era soprav¬ venuto durante tutto il giorno c neppure
durante tutto il suo parlare, mentre durante altri discorsi l'aveva
spesso frenato. Dice ancoraché la morte non poteva essere un male per
lui, perché nel caso contrario il solito segno (vò e!i»9-ò; a^pAv/J
l'avrebbe cortamente trattenuto nel parlare. Alla fine di questo
discoi-so (41 <1) ripeto che il morire doveva ora essere per lui la
miglior cosa, perché altrimenti il segno (vo oij- pstov) l'avrebbe
avvertito. Gli altri scritti di, Platone, dei quali dobbiamo tener
conto, non pos¬ sono naturalmente iù avere il valore storico, elio
abbiamo attribuito all’Apologià, ma siccome i rispettivi passi, corno fu
già detto, non sono menomamente in contraddizione con quolli dell'
Apologia, essi hanno certamente un fondamento storico. In ogni modo
illustrano, come Pla¬ tone vuole che il Sxwdvwv di Socrate venga
inteso. Nell'Atò/drtde I (103 a) l’autore si servo del fenomeno per
iniziare il dialogo. Socrate dice ad Alcibiade di non meravigliarsi, se
da tanti anni non gli avesse più parlato, perchè un ostacolo di natura
non umana, ma demonica (oùx ivD-piójiswv, àX/.i vi Sxipdviov ivawttopx)
gliene aveva impedito. ììo\VEulifrone (3 b) questo domanda a
Socrate, su che cosa Meleto abbisi l'ondato la sua accusa. Socrate dico
che Meleto gli rimprovera di introdurre nuovi dei c di non credere negli
antichi. E Eutifrono gli risponde di aver capito ora, che è perchè
Socrate parla sempre del suo Sxtpóviov. Noi Teetelo (150
c-151 a) Socrate parla della sua maieutica e dico che molti discepoli
l'avevano abbandonato, perchè, non comprendendo la sua arto, lo tenevano
in poco conto. Egli aggiunge che, se tali giovi¬ netti tornavano da lui,
il ìoupóviov (ti yiyvò|ìevóv poi Sxqwviov) gli impe¬ diva di accoglierne
alcuni, mentre ad altri non era contrario e che questi facevano di nuovo
progressi. Nell 'Entidemo (272 o), un dialogo, in cui Platone fa
vedere tutto il vuoto ed il poricolo dell'arte solistica, Critono prega
Socrate di BOLLETTINO DI FILOLOGIA
CLASSICA 40 parlargli di duo solisti. Socrato
consento o dico clic il giorno innanzi ora stato seduto noi liceo od in
procinto di andarsene, quando gli ora sopravvenuto il solito sogno
demonico (tò siwà-ò: ay iuCcv tò ìaqiòvt'vv}. Poreiù ora rimasto seduto o
tosto quei duo, cioè Kutidemo e Dioniso- doro orano entrati.
Noi Fedro (241 a-d) Platone ha già oltrepassato di molto il
socialismo puro e semplice, come risulta dalla spiegazione elio dà
dell’anima o dello ideo. Dopo una meravigliosa descrizione del paesaggio
vediamo corno Socrato o Fodro si coricano sulla sponda dell’Ilisso
nell'omhra di un albero. Socrato ticno il discorso sul bel ragazzo che
aveva avuto molti amanti. Fedro vorrebbe clic continuasse su questo tema,
ma So¬ crate gli risponde che, in procinto di attravorsare il fiume, gli
era so¬ pravvenuto il solito segno demonico (tò ìxqiòvtòv t= usci tò
siiottòs aijgEìovl, gli era parso di sentire una corta voce (za{ tivx
cpiovijv iìi-a aòTò!M=v àzoùoai), elio lo impediva di andare via prima di
essersi purificato da un peccato commesso contro la divinità. Dice ancora
che egli deve essere veramente un divinatore, ma soltanto per ciò elio
riguarda lui stesso, e continuando rileva dm la sua divinazione
rassomiglia all'arte di quelli che leggono c scrivono male, perché anche
questi possono ser¬ virsene soltanto per i propri bisogni. Con ciò egli
passa man mano agli splendidi discorsi elio tutti conoscono. — Platone si
serve in que¬ st'opera con arte line del ìaqiòviov in modo similo a
quello in cui so n'è servito ncll’AHbiado e neU’Eutidcmo. Egli introduce
il fenomeno per rendere possibili i discorsi che seguono.
Nella Repubblica (VI, 496 c) Socrato dice elio il segno demonico
(tò ìaqiòviov ovjiietovJ non era stato concesso a nessuno prima di lui o
quasi a nessuno. So analizziamo più da vicino il problema,
vediamo che esso rac¬ chiudo in sé tre problemi clic dobbiamo risolvere
l’uno dopo l'altro. S’impone prima di tutto il quesito, corno mai Socrate
abbia potuto -chiamare il fenomeno in questione tò ìaqiòviov. A questo si
connette l’altro, cioè di sapere che cosa Socrate stesso abbia realmente
inteso per questo termine. In terzo luogo dobbiamo corcare, come la
psicologia empirica moderna possa spiogare questo fatto. II primo quesito
e, fino ad un certo punto, anemie il secondo fanno parte della psicologia
dei popoli, mentre il terzo appartiene esclusivamente alla psicologia
indi¬ viduale. I. Il significato del ìaqiòviov di Socrate dal
punto di vista della psi¬ cologia dei popoli. — 11 concetto del demone è
sorto da primitive ve¬ dute attorno all’anima. Esso ha avuto poi un lungo
sviluppo, duranto il quale, sotto l’influenza di rappresentazioni
magiche, subisce molte trasformazioni e acquista varie forme. All’epoca
in cui appare l’eroe, questi 'lue concetti si fondano man mano in una
rappresentazione to- talo, nella quale il concetto del demone perde il
suo carattere imper¬ sonale, mentre l’eroe acquista dolio qualità
sovrumane. Cosi nasce il panteismo. Importante è però in tutto questo
sviluppo, che la rappre- 53 BOLLETTINO L)1 FILOLOGIA
CLASSICA sontazione ilei demono non si perdo dopo la formazione
degli dei pa¬ gani o elio corto qualità ili questi ultimi vengono
attribuite anche ai demoni. Per ciò accado olio lu coscienza popolare non
distinguo sempre nettamente tra dei e demoni. Nella Grecia il concetto
del demone, sotto l'influenza della poesia e della filosofia, subisce poi
un’altra modifica¬ zione, in quanto i demoni vengono considerati come
esseri elio stanno tra gli dei o gli uomini. Si confronti a questo
proposito la descrizione deH'origino dell'Eros nel Convito di Platone
(802 dj, come pure il primo discorso di Socrate nel .['Apologià platonica
(27 c). Dal punto di vista della psicologia dei popoli si può diro
elio col «aipóviov di Socrate il concetto del demono torni nell'anima
umana, nella quale, per motivi psicologici e per processi di
oggettivazione, è nato, vi ritorna filosoficamente trasformato ed
eticamente purificato (1). E caratteristico per tutto questo sviluppo
elio Socrate nel Convito di Senofonte chiama l'anima umana un santuario
dell’Eros (Vili, 1). , 2. Come intende Soci'de il suo 8*i|lòviov ?
— Prendo le mosse da un punto ilei primo discorso AoW Apologia di Platone
e precisamente dal punto, ove Socrate invita Meleto a spiegare esattamente,
se egli nella sua accusa intenda di diro clic Socrate non creda negli dei
dello Stato, o so egli voglia addirittura accusarlo di ateismo. Quando
Meleto an¬ nuisco a questNiltima interpretazione, l’accusato corea di far
vedere l'assurdità dell'assorziono, dimostrando dapprima che, chi crede
in qual¬ che cosa di demonico, devo necessariamente riconoscere
l'esistenza ili demoni. E quando Meleto devo nuovamente ammettere che i
demoni sono figli di doi, la partila è ila Scorato quasi vinta. Comesi
può ere- dorè all’esistenza di tigli dogli dei, egli conclude, senza
credere con ciò anche a quella degli dei stessi ? Difatti, i giudici elio
lo ritenevano colpevole, erano in piccola maggioranza. Se
prendiamo questo passo insieme con quanto Socrate dice ancora ilei suo
2xi|ióvtov o del suo concetto della divinità, abbiamo in mano la chiave
per la sua concezione del fenomeno. Faccio qui ancora notare che intendo
il termini vó ìzciivtov nelle opere di Platone, secondo l'os- sorvaziono
dello Schlcierinacher (2), nel senso di un aggettivo. Dico questo per
respingere l'opinione che Sperate abbia creduto in uno spe¬ ciale spirito
custode. Socrate scoglio il termine iò Saupòviov in conformità alla
fedo popo¬ lare. Come i demoni, secondo questa, stanno tra dei o uomini e
ven- .,gono detti persino ilei, perchè da dei generati, cosi anche il
demonico in lui è generato dalla divinità. Per questo lo chiama anche tó
3-iCov, il divino. Il nesso psicologico mi sembra qui evidente. Abbiamo
qual¬ cosa di s'inilo nella designazione del suo metodo, il quale egli
credeva puro impostogli dalla divinità (Teeteto 150, o). Come a baso di
tutte (1) Clr. W. Wu.ndt, m/terpsi/eholOjfie li, 2, p, 3iìS. 19 ni;
Clemente der VSt/cerpsi/chol., p. 313. 1912. (21 Op. cd., p.
309. — Cfr. puro B. E. Uaonaiihtks, The Ctnssical Retitelo, XXVIII, ri,
p. 185. 1911. — 8 — BOLLETTINO DI
FILOLOGIA CLASSICA 54 lo azioni di Socrate sta il
bisogno etico della cortezza(1), cosi egli è assolutamente certo che in
casi, in cui la propria ragione lo lascia in asso, una volontà divina lo
trattiene in ogni circostanza, piccola o grande, dolla vita, quando è in
pericolo di non agire giustamente, cioè di non compiere la sua missione.
In questa cortezza, che forma una parte della sua fedo religiosa, sta la
giustificazione otica dolla ironia, colla quale egli lancia l'accusa
indietro sull’avversario. Ma oltre ad essere qualche cosa di divino, il
demonico in Socrate è poi anche qualche cosa di umano, perché si produce
nell’anima umana o diventa sua pro¬ prietà, cioè un oracolo interiore.
Per ciò il demonico stava veramente, come il demone della mitologia, in
mezzo tra il divino e l'umano. Si aggiunga elio Socrate ora in fondo
persuaso che prima di lui questo dono non era stato posseduto da nessun
altro mortale. Ecco ciò che vi ha di nuovo nella concezione socratica
della divinazione, di fronte a quella della fede popolare. Como dalla
Repubblica di Piatone, questo fatto risulta anche dalle superbe parole,
colle quali Socrate si esprime sul suo valore davanti ai suoi giudici
(Apoi. 31 a-38c). Tali parole può pronunciare un ammalato di mente, che
si deve compatire, ma quando escono dalla bocca di un Socrate, sono
l'espressione di una pro¬ fonda convinzione religiosa, che deve scuotere
chiunque miri a tini etici. Importante è per la fede di Socrate che egli
non cerca di scol¬ parsi in quanto al non credere negli dei dello Stato,
ma solo in quanto al sospetto di avere delle convinzioni ateistiche
(Apoi. 35d). Por quanto concorno la teologia socratica, elio al
pari della sua etica doveva rimanere ili carattere pratico, anziché
sistematico (2), è importante ricordare che Socrate trovò nella sua
naz.iono il poli¬ teismo ellenico, corno Cristo trovò nella sua il
monoteismo giudaico. Socrate era, come ogni essere umauo, un tiglio del
suo tempo. Educato in (inolia religione ogli si riteneva, come Cristo,
esteriormente legato allo prescrizioni religioso in vigore. Come prendeva
sul serio la mas¬ sima di Delfo: conosci le stesso, cosi rispettava
l'altra di ubbidire alle leggi. L’ultima parola del filosofo morente era
la raccomandazione di non dimenticare il sacrificio dovuto ad Esculapio
(Fedone. 118), e poco prima aveva domandata all'uomo, elio gli portava il
calice fatale, se ora permesso di farne una libazione. In questo modo
Socrate non rag¬ giunse l'altezza dolla dottrina del Nazareno, ma si
avvicina ad essa, perchè sulla*larga base della religione popolare si
eleva, quale sintesi della sua conoscenza, la fedo in un Dio unico, al
quale si deve ubbi¬ dire più che non agli uomini (Apoi. 29 d) c di cui
egli si credeva un apostolo (Apoi. 31 a). Socrate è tolcrautc verso la
fede della moltitu¬ dine, ma il suo Dio è l’intelletto che governa
l’universo e per il quale non trova neppure un nome, un Dio onnisciente
ed onnipresente, che (1) A. Labriola, Socrate. Nuova edizione a
cura di B. Croce, p. 5, 35, 76, 80 seg., 86 seg., 88 sei;., 150 si>g.,
176, 274 seg. 1909. (2) Cfr. A. Labriola, op. cit., p. 151, 155, 179
segg., 250 segg., 271 segg. 55
BOLLETTINO DI FILOLOGIA CLASSICA si cura ilei Leno di tutti gli
nomini (Sonof., Meni. I, 4). Tutte le sue pratiche religioso sono in
fondo rivolto n quest'unico Dio senza nomo, clic si rivela agli uomini in
molti modi. Con una espressione di ledo in questo Dio onnisciente, si
chiudo ì'Apntoi/ia platonica(l). Tenendosi presente questo concetto della
divinità, si comprendo la sua incrolla¬ bile fede nel S»tpóvtov come in
una rivelazione della medesima. Il l'atto che il plurale oi '.Hol
si trova in Platono come in Senofonte accanto al sì neolaro 6 tei?
potrebbe destare il sospotto elio Sorrato accanto all'intelletto
universale abbia ammesso ancora dolio altro forme divino. Ma ciò è escluso.
Egli sceglie il plurale in modo simile come, per es., nella Genesi il
plurale Eloliim sta por il singolare della di¬ vinità. Non è qui il luogo
ili entrare in altri particolari. Ricordo sol¬ tanto elio troviamo
precedenti in Senofane e che audio Anassagora aveva già riconosciuto un
unico principio immateriale che tutto or¬ dina secondo lini. Cho Socrate
abbia conosciuta l'opera di Anassagora, apprendiamo direttamente da
Platone (Fedone. U7). Non ho bisogno di rilevare che, con quanto fu
esposto, sono sen¬ z’altro respinte le opinioni di Lèi ut o di altri, cho
considerano Socrate come un ammalato di mente, come pure il parere di Dii
l’rel, che mette il Sxqidvtov di Socrate in relazione collo proprio
teorie mistiche (2). 3. // 8r.pó/tov di Sacrale dal punto di vista
detta psicologia empirica moderna. — So teniamo conto di tutti i fatti
che Platone ci presenta, è evidente che nel «atpivtov di Socrate si
tratti ili un processo che ap¬ partiene al campo delle inibizioni
psichiche. Naturalmente non può trattarsi qui di una inibizione nel senso
della dottrina intcllcttuuli- tstica di Horbart. Ciò che nel nostro caso
è inibitorio, non appartiene all'atto al contenuto oggettivabile della
coscienza umana, ma si trova piuttosto dalla parte puramente soggettiva
di essa, cioè da quella dei sentimenti. Da questo punto di vista dobbiamo
cercare di risolvere il problema. L’inibizione procede da un sentimento
totale, che si forma in base ad un numero più o meno grande di intensivi
sentimenti par¬ ziali, legati ad clementi rappresentativi che rimangono
al limito della coscienza e che non giungono all’appercezione. Con questo
è inteso, che non può trattarsi nel caso di Socrate, come è stalo
ripetutamento affermato, di processi allucinatoci (3). Nel fatto che
l’inibizione parte da un sentimento, al quale non corrisponde un
contenuto oggettivo, sta la ragione, perchè Socrato non può fare alcuna
indicazione precisa (l) Cfr. pure (I. /Cuccanti:, op. cit., pirte
IV, c«p. XIII. tX) F. I.ÉIX'T, L)it itóiiion de Si,croie ni. 1 4556. — C.
Du Prel, Ine Ma¬ stiti d. alt. (ìrieclien, p. 121 seg. 1.333. E
caratteristico che Du Prel l'accia uso ilei Teapele , benché riconosca
che questo non sia un'opera di Platone. d) Cile Platone colla frase
nel Fedro “ xxt -iva ipiovijv £So;a xùxcàsv ày.ofkJx: „ non vuol alludere
ad una allucinazione, dimostra con molta chiarezza anche lo Cuccante (op.
cit., p. 372). Si aggiunga che. se il Szqicvtcv di Socrate avesse tale
origine, questo si rileverebbe in tutti i rispettivi racconti platonici, ciò
che non è assolutamente il caso. - 10 —
BOLLETTINO DI FILOLOGIA CLASSICA 56 intorno al
fenomeno, ma (leve in casi, in cui non lo chiama semplice¬ mente il
demonico o il divino, contentarsi di termini metaforici. Parla, ad es.,
di una voce, come oggi si usa il termine “ voce della coscienza,,. Questo
sentimento, sorto dapprima per via associativa, viene poi atti¬ vamente
appercopito e, riferito alla divinità, acquista il carattere di un motivo
imperativo che, coll'intensità di una forza morale, lo co¬ stringe ad
abbandonare un'intenzione presa. Dal fatto cho l’inibizione viene da
Socrate creduta un segno divino, si comprendo elio in lui non possono mai
nascere dei dubbi, come accadrebbe con altro persone. Non vi è mai in un
tal caso una lotta tra motivi in lui, mai alcun conflitto tra doveri.
Appena egli s'accorge dell’inibizione, è assoluta¬ mente sicuro di aver
avuto trasmesso un divino “No,.. Cosi la rifles¬ sione o la fedo nel suo
Sztjióv»/diventano i principi fondamentali, che lo guidano nella sua
intera attività filosòfica ed etica. In ultima analisi si tratta
qui di un fatto psichico clic si verifica in ogni coscienza normale più o
meno frequentemente, benché molte per¬ sone non lo osservino o non si
lascino da esso frenare. Di James Stuart Mill ci viene riferito elio egli
osservò il fenomeno in se stesso molto intensamente (1). A me molte
persone hanno dotto di aver notato in sè tali inibizioni sentimentali.
Siccome Socrate ci informa che egli aveva osservato il fenomeno spesso in
sè dai tempi della sua fanciul¬ lezza, non è escluso che vi sia stata in
lui por lo sviluppo di esso una certa disposizione. Ma d'altra parto si
devo ricordare (dio egli per tempo si abituò a fare molto sul serio
l'esame di se stesso o cho il fenomeno era una parte integrale della sua
fede religiosa. Dal momento cho egli era corto cho il sentimento
inibitorio era una rivelazione divina, questa convinzione doveva dominare
tutta l’anima sua. Dato questo continuo autoesame in connessione collo
sviluppo (lolla sua convinzione teolo¬ gica, si comprendo, come dovesse
entrare in giuoco un principio che governa ogni vita psichica, cioè
quello dell’esercizio. L’ininterrotto esercizio doveva renderlo capaco di
riconoscere l'inibizione di ogni grado appena sorta e di afferrarla
coll'attenzione. Si aggiunga (die la coscienziosità colla quale cercò
continuamente di compiere la sua mis¬ sione, e colla quale mirava sempre
ai medesimi lini, doveva renderlo straordinariamente sensibile o
facilitare la formazione di tali senti¬ menti. Cosi si spiega il
frequente ripetersi del fenomeno in tutto lo sue azioni. Io credo clic,
con quanto fu esposto, siano trovati i punti principali «he debbono
guidarci nella spiegazione psicologica del Sacgóviov di Socrate. Tornerò
sull’argomento in un lavoro più esteso, ed in questo sarà tenuto conto
delle opinioni di altri autori più di quanto mi è stato possibile di fare
in questa breve comunicazione. (1) G. Zuccante, op. cit., p. 378.
JL ~jt e 3 Federico Kiesow. — 11 —
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2016 https://archive.org/details/b24876057
5 SOCRATE
ET VoAmour Grec ♦
SOCRATE ET IPAmour Grec ( Socrates sanctus
naiSepaatrjs ) D1SSERT ATlON DE Jean-Matthias
GESNER Traduite en Francais pour la premiere fois Texte Latin
en regard Par Alcide BONNEAU PARIS
Isidore LISEUX , Editeur Rue Bonaparte, n° 2 I 877
^ Qt-FA-TE: f <rv / /hio nT .• T'pn iA /^ /
( / a_) AVANT-PROPOS jegg^arean-Matthias
Gesner, 1’auteurde «JgE cette curieuse dissertation, est I S&fe
l un erudit Allemand du xvm e sie- cle, dont les travaux ne sont pas
tres- connus en France. On lui doit d’excel- lentes etudes sur les
Scriptores rei rus- ticce , une Chrestomathie de Ciceron, une
Chrestomathie Grecque , des Lexi- ques, une traduction Latine des
ceu- vres de Lucien, des editions de Pline le jeune, de
Claudien, de Quintilien, de Rutilius Lupus et autres anciens
a VI AVANT-PROPOS rheteurs, toutcs
enrichies de notes sa- vantes et de longs prolegomenes; plus, un
nombre formidable de dissertations sur toutes sortes de sujets, Opuscula
di- versi argumenti (Breslau, 1743-45, 8 vol, in-8°), parmi
lesquelles son Socrates sanctus pce der asta tire forcement l’oeil
par la bizarrerie de son titre. Cette bizarrerie a valu au livre sa
no- toriete, et en meme temps lui a fait grand tort. Beaucoup de
gens, entre autres Voltaire, malheureusement pour 1 ’erudit
Tudesque, n’ont pas ete au dela, et iis ont construit sur cette minee
donnee un ouvrage tout entier de leur fantaisie, a 1 ’extreme
desavantage du pauvre Gesner. D’autres ont cru Voltaire sur parole
et sont arrives au meme resultat. C’est Larcher, THelleniste,
qui le pre- mier chez nous mit en lumiere cet opus- cule, dans son
Supplemenl & THistoire universelle de labbe Bapn (1767, in-8°),
en le citant parmi les ouvragcs a con- AVANT-PROPOS
VII sulter sur le proces de Socrate ; il se contenta d’en
faire mention, sans meme traduire ni expliquer le titre, ne s’ima-
ginant pas qu’on put s’y meprendre, et qu’un homme tel que Gesner fut
suppose capable d’une indecente apologie. Vol- taire, dont le vif et
alerte esprit se plai- sait a effleurer les surfaces, sans presque
jamais approfondir, ne connaissait sans doute pas Gesner et certainement
n’avait pas lu son Socrates. Le Supplement a VHistoire nniverselle
n’etait d 7 ailleurs qu une refutation tres-savante, quoique un peu
lourde, de son Introduction a 1'Essai sur les maeurs , publiee d^abord
a part et sous le pseudonyme de 1’abbe Bazin; quelques critiques
justes qu’on y rencontre le mirent de mauvaise humeur , et, battu
sur divers points d’erudition, il chercha une occasion de dauber
Larcher, a cote du sujet, selon son habitude. Il crut la trouver
dans le livre etrange qu’il supposa, d’aprcs le titre cite qu’il
inter- VIII AVANT-PROPOS pretait mal,
s’indigna de ce qu’on osait donner comme faisantautoritedesimons-
trueuses elucubrations (le monstrueux n’etait que dans ce qu’il
imaginait), et tantot sous le pseudonyme d’Orbilius, tantot sous
celui de M Ilc Bazin ( Defense de mon oncle, un de ses pamphlets), il
ne cessa de poursuivre la-dessus de ses bro- cards son inoflensif
adversaire. Tres- content d’avoir leve ce lievre, il a meme
reproduit son assertion plus que hasardee dans le plus populaire de ses
ouvrages ; on la trouve en note de 1’article Amour socratique , du
Dictionnaire philosophi- que. « Un ecrivain moderne, nomme Larcher,
repetiteur de college, dans un libelle rempli d’erreurs en tout genre
et de la critique la plus grossiere, ose citer je ne sais quel
bouquin dans lequel on appelle Socrate Sanctus pcderastes ; So-
crate saint b ! Il n’a pas ete suivi dans ces horrcurs par 1’abbe
Foucher. » Larcher avait trop beau jeu pour ne
AVANT-PROPOS IX pas repliquer. II le fit dans sa
Repons e . la Defense de mon oncle (1767, in-8°), opuscule rare,
reimprime a la suite du Supplement a 1’Histoire universelle : «
Vous m’attribuez , dit-il a Voltaire, votre infame et infidele traduction
du titre d’une dissertation de feu M. Gesnera Je n’ai point traduit
le titre de cette dis- sertation ; il ne pouvait se prendre que
dans un sens tres-honnete, mais il etait reserve a M lle Bazin et a
Orbilius de lui en donner un infame. Cela ne vous suf- fisait-il
pas? Fallait-il encore me 1 ’im- puter? » Pour qui avait suivi
toutes les phases de la discussion, Larcher et Gesner etaient
innocentes; Voltaire restait convaincu d’avoir note dfinfamie un livre
sans le connaitre. Mais ces temps sont loin ; per- sonne
aujourd’hui ne lit Larcher pour son plaisir, et le Dictionnaire philoso-
phique est dans toutes les mains. Voila pourquoi on croit generalement
que Ges~ X AVANT-PROPOS ner a developpe
le plus scabreux des pa- radoxes et fait une apologie en regie d’un
vice honteux. Nous pourrions citer au moins un de ceux qui, se fiant a
Voltaire, ont propage 1’erreur mise par lui en cir- culation, et
affirme que cette dissertation n’est qu’un tissu d’invectives ; mais
nous ne voulons faire de la peine a personne. Gesner,
ecrivain des plus doctes et plus estime encore pour son caractere
que pour son savoir, professeur de Belles- Lettres a TUniversite de
Goettingue, puis bibliothecaire de cette universite, ne pou- vait
ecrire qu’une defense de Socrate, une refutation des calomnies dont on
a obscurci sa memoire, et que la langue a attachees a son nora
d’une maniere en quelque sorte indelebile par les mots de
socratisme et d 'amour socratique. Inquiet et tourmente, comme il
1’assure, de voir peser sur le pere de la Philosophie de si
indignes soup9ons, il a voulu remonter aux sources, compulser tout le
dossier AVANT-PROPOS XI et reviser le
proces sur les pieces memes. II l'a fait d’une facon non moins
inge- nieuse que savante dans cette disserta- tion lue a 1
’Academie de Goettingue en fevrier 1752, recueillie dans les Memoires
de cette academie (t. II, p. 1), dans les Opuscula diversi argumenti de 1
’auteur et tiree a part en 1769 (Utrecht, in-8°). C’est cette
derniere edition que nous avons suivie pour la reimprimer et la
tra- duire, ce qui n’avait jamais ete fait en Francais, ni
probablement dans aucune autre langue. Gesner a-t-il reussi a dis-
culper entierement Socrate? Nous l’es- perons; mais nous etions de son
avis avant d 7 avoir lu son livre, et, ccmme per- sonne ne 1’ignore,
c’est surtout chez ceux qui pensent comme lui qu’un auteur, si bon
dialecticien qu’il soit, porte la con- viction. Les esprits mal faits qui
incli- nent a 1’opinion contraire, et ceux-la seront toujours
difficiles a persuader, persisteront peut-etre a trouver singulier
XII AVANT-PROPOS que Platon, interprete de
Socrate, ait si souvent parle de 1’amour; qu’il ait con- sacre
trois de ses plus beaux dialogues, le Lysis , le Phedre et le Banquet , a
cette brulante passion; qu’il l’ait tant de fois soumise aux
analyses les plus delicates, expliquee par les conceptions les plus
sublimes, les mythes les plus poetiques, et que jamais, sauf un moment,
dans l’admirable episode de Diotime du Ban- quet , il ne soit
question de la femme. Alcide Bonneau. UEDITEUR
AU LECTEUR [TIRE DE l’eDITION D’UTRECHT, 1 768] es
hommes illustres, ceux qui sont regardes comme tels non-seulement
par la posterite, mais par leurs contemporains, ceux surtout dont
le plus grand eclat consiste precisement dans leur vertu, sont
souvent accuses, sur les plus legers indices, de quelques travers,
sinon de defauts plus graves; et c’est la un travers
EDITOR L. S. iros illustres, et non a posteris solis
sed coaevis tales habitos , eos maxime quorum praecipua laus
virtutis est , vitii alicujus nedum criminis gravioris suspicari levibus
ar- gumentis, vitium id quidem non leve : reos agere et condemnare
crimen et piaculum ; in Christiano homine, in homine , in barbaro.
Quanta istorum ignominia, tanta est gloria piorum virornm qui
versantur in probrosis his XIV l’editeur
qui Iui-meme ne manque pas de gravite. Se faire a la fois
1’accusateur et le juge, c’est une chose criminelle, un sacrilege,
qu’il s’agisse d’un Chretien, ou seulement d’un homme, meme d’un
paien. L’ignominie de ceux-la rehausse d’autant la gloire des
hommes pieux qui s’appli- quent a repousser ces odieuses attaques.
On peut le dire de Gesner, ce savant illus- tre, du petit nombre de ceux
qui depas- sant par la science tous leurs contempo- rains, font
encore plus estimer en eux les qualites du coeur que celles de 1’esprit
; c’est un honneur pour lui d’avoir pris en main la cause de
Socrate, et un plus grand peut-etre pour Socrate d’avoir dte le
Client de Gesner. II nous a paru bon de recueillir dans
une edition nouvelle cet ouvrage de faible conatibus coercendis.
Gesnero, illustri nomini , e numero paucorum illorum qui cum
eruditione coaevos possint excellere, animi dotibus quam ingenii
celebrari malunt, incertum an honori sit caussam Socratis egisse, magis
quam Socrati Gesnerum habuisse patronum. Visum fuit ,
memoriam brevis operae sed auro contra noti carae nova editione colere.
Docuit vir praeclarus , scripto quidem, quam inani co- natu virtus
summi hominis sollicitata fuerit ab obscuris obtrectatoribus , qui non
solent deesse virtuti. Docuit autem exemplo, pertinere ad AU
LECTEUR XV dimension, mais qui ne serait pas
trop cher paye au poids de For. Son excellent auteur nous y montre,
la plume a la main, 1’inanite des efforts diriges contre un sage
par ces obscurs detracteurs qui ne man- quent jamais a lavertu; il nous
fait voir aussi, par son exemple, qu’il appartient a tout honnete
homme de defendre la cause des gens de bien. II nous enseigne
surtout avec quel soin et avec quelle erudition il est besoin
d’ecrire dans de telles matieres, ou l’on ne doit rien avancer qu’apres
un examen scrupuleux. Profite donc, lecteur, de ce travail,
plus utile qu’il ne le semblerait au premier abord; et si, par ignorance
ou par trop forte credulite, tu as rejetd loin de toi les ecrits
Socratiques, reprends-les maintenant et garde-les avec amour. Il nous
sera per- bonos omnes bonorum virorum caussam : tum et
illud, in primis, ubi ejus modi res agitur, accu- rate et docte
scribendum esse, nec arripi quid- piam absque subtili examine, et
benevolo illo , debere. Fruere, Lector , labore utiliori quam
decet : et si imprudentius forte abjeceris Socraticas char- tas
nimium credulus, abi continuo et in sinu eas reconde. Integrum erit
culpare qui Socratem citant, tibi convenisset laudari Davidem et
Sa- lomonem : sed patiamur , bonum et pauperem Socratem . , placide
subridentem , sereno vultu , xvi l’editeur au lecteur mis
a notre tour de mettre en accusation ceux qui font un crime a Socrate de
ce qu'ils trouveraient admirable s’il s’agissait de David et de
Salomon ; mais laissons le bon et pauvre Philosophe s’interposer
dou- cement avec son placide sourire, son tran- quille visage, et
s’ecrier : Moi aussi, Vertu, je t’ai honoree, Deesse ! Quant
a ceux qui blameront cette apolo- gie, non comme excessive, grands
dieux, car que pourrait-on dire de trop sur So- crate ? mais comme
inconvenante et depla- cee, qirils prennent garde de tomber dans Todieux
de cette populace Portugaise tou- jours prete, sinon a lapider ou a
bruler, du moins a exorciser a force de signes de croix traces d’un
doigt tremblant, le teme- raire qui oserait croire que la Bienheu-
reuse Vierge Marie etait une Juive. leniter interponere, Et ego
te, Virtus ! colui Deam, Quibus fastidium movent elogia,
justa Di boni! quid enim de Socrate dici nimium potest? sed quce
magis opportune forsatn collocari potuis- sent, videant ne in odium id
evadat, quale est plebis Lusitanae, si non rogum parantis aut la-
pides, saltim tremente digito averruncas cruces describentis, si quis
auserit credere, B. Virginem Judaeam fuisse.
SOCRATE ET UaAmour Grec IO. MATTHI.
GESNERI V. C. Socrates SANCTUS T/E D E T{A STA
t nihil tam alte vel natura , vel virtus , vel fortuna constituit,
in quo non vel deprehendatur ali- quid labis et vitii , vel vires
suas experia- tur maledica invidia , cujus vocibus boni etiam viri
abripi se ad suspicandum certe non nunquam patiuntur : ita mirum
non est , neque excelsam Socratis gloriam
Socrate ET L’qAMOU% g%ec 1 n’est rien de
place si haut par la nature, la vertu ou la fortune, qui n’ait ses
taches ou ses inv perfections, ou que 1’envie ne s’efforce
d’atteindre, cette medisante envie dont les clameurs poussent 1’homme de
bien lui-meme a soupconner le mal : c’est pourquoi nous nc devons
point nous 4 SOCRATE obtrectatoribus suis carnis
se. Ac de Anyti Melitique criminibus, quibus op- pressus est vir
innocens , et, si forte vani- tatis aut nugarum et cavillationum
pos- tulatus, et Scurrae nomine traductus est (i), in prcesenti non
erimus soliciti. Unum crimen est, quod, varie jactatum, et plus
semel non sine specie in scenam reduc- tum scepe me solicitum habuit,
Fuerit ne impuro ac detestabili puerorum amori deditus? Hoc enim si
verum sit, actum est profecto de virtute viri, indignus est cujus
cum honore nomen usurpetur. 2. Postulatum esse hujus turpitudinis,
negari non potest. Mittimus , quae de adolescentia viri ad libidinem
proclivi (i) Factum id esse a Zenone Epicureo, prodidit Cic.
de Nat. Deor. i, C. 34, ubi vid. Davis. ET L’AMOUR GREC
5 etonner que lagloire si haute de Socrate ait eu,
elle aussi, ses detracteurs. Tou- tefois nous ne voulons ni parier ici
des accusations d’Anytus et de Melitus sous lesquelles succomba son
innocence, ni nous inquieter de savoir si ce grand homine a ete
incrimine de vanite, de mensonge et de sophisme, affuble du surnom
de Bouffon[i). Une seule accu- sation m’a souvent tourmente ; c’est
celle qui, sans cesse discutee, a toujours ete remise en avant, non sans
apparence de justesse: Socrate etait-il adonne d l’impur et
detestable amour des jeanes gargons ? Si cela est vrai, c’en est fait
des- ormais de la vertu de cet homme ; c’est un indigne, lui dont
on ne prononce le nom qu’avec respect. 2. Qu’il ait ete
accuse de cette turpi- tude, le fait est certain. Negligeons ce que
Porphyre, d’apres Theodoret [De la (i) Comme le fait PEpicurien
Zenon, au dire de Ci- c6ron {De Natura Deorum , i) ; consuit,
la-dessus J. Davies. i . 6
SOCRATE Porphyrius apud Theodoretum [Graecar, affect. cur.
ser. 4 pr.) memorat : nam ibidem additur , illum c-ojo^ xat oioayrj
xouxou? a^aviaat xou; xurcous, impressas ve- luti notas libidinum studio
ac doctrina abolevisse (1). Neque valde huc faciunt , quce ex eodem
Porphyrio , qui Aristo- xeno auctore usus sit, idem Theodore- tus
(Serm. 12 p. iy5, 8) memorat, par- tim quod ad adolescendam primam
viri, de qua nobis sermo non est, pertinent , partim quod Archelaus
Anaxagorae dis- cipulus, honestus amator (spaax 7 ]$) ipsius fuit.
Ejusdem generis est, quod Cyrillus (contra Julia. 6, p. 186, D) ex eodem
Porphyrio (in Historia Philosopha , libro olim deperdito) refert ,
Socratem -po; xr ( v twv aopootatwv yp7jatv acpo Spdxspov p.sv
sivac, aoizov os p.rj -poasTvat. t\ yap xaT;Ya[j.sxaT;, vj xat?
•/.oivat; y prjaQat fj-ovat?. Fuisse ad res venereas aliquantum
vehementem, sed injuriam abfuisse, qui vel uxoribus solis, vel
(1) Conf. quae in fra de mali equi Socratici notis dicentur. §
18. et l’amour grec 7 cure des prejuges des Grecs ,
Disc. iv), raconte de sa jeunesse, laquelle aurait ete encline au
libertinage ; 1’auteur ajoute, en effet, au meme endroit qu’il
parvint a effacer en lui, par Venergie de sa volonte \ jusqu’aux traces
meme des passions (i). Ne nous occupons pas non plus de ce que le
meme Theodoret (Discours xn) emprunte encore a Por- phyre, qui
lui-meme suivait Aristoxene, c’est-a-dire de ce qui se rapporte a
la premiere jeunesse de Socrate (elle n’est pas en cause), et a ce
disciple d’Anaxa- goras, Archelaus, qui aurait ete, en tout bien
tout honneur, un ami fervent (!pa<j-r]s) du philosophe. A la meme
cate- gorie appartient ce que S. Cyrille [Contre Jidien, 6) a
extrait de YHistoire philosophi que de Porphyre, livre aujour-
d’hui perdu : a savoir que Socrate et ait violemment pousse aux choscs de
ia- mour, mais qiiil s’abstint de faire tort a (i) Voyez ce
que l’on dit plus bas des marques du « mauvais cheval Socratique. »
8 SOCRATE (quam diu caelebs esset)
communibus uteretur. Nondum quidquam ex Por- phyrio vel Aristoxeno,
quem ille aucto- rem sequitur, allatum est de horribili scelere,
Pcederastia : quod praetermissu- rus non erat, qui satis hic in
Philosophice parentem iniquus est, Cyrillus. Decla- mat igitur
praeter rem Socrates alter (Hist. Eccles. 3, 23, p. i gj, D), cum ita
de Porphyrio narrat, IIopcpupio; xou xopu^aio- xaxoa xoiv
<piXoao<ptov, Scoxpaxous, xov [3''ov oietu- psv £v ifi
YsypaixpiEvr] auxai <piA oaoow toxopta, xai xoiauxa Tuept auxou
ypa^a;xaxdXi7TEv, oia av p.7]xs MeTaxo;, p.r[x£ v Avuxo; oi jpa^aixsvoi
Swxpaxrjv ItTictv e-zyjiprjGxv, ita traductum, ait, a Porphyrio
Socratem, talia de viro scripta, quae neque accusatores ipsius Anytus
et Melitus dicere in ipsum ausi sint. Acci- pimus, quod negat
objectam in judicio turpitudinem talem Socrati, quo nempe argumento
constet, famam viri hac tum macula caruisse. Sed nec a Porphyrio
plura aut turpiora his memorata, quae jam vidimus, satis illud argumento
est , quod iniqui Socratis glorice homines, 9
ET L’AMOUR GREC personne, en riusant jamais que de ses
propres femmes ou , durant son celibat, des femmes qui apparticnnent a
tout le monde. Nulle part, soit chez Porphyre, soit chez Aristoxene
que Porphyre co- piait, il n'est rien allegue de cet horrible crime
: Pederastie ! II ne Paurait point passe sous silence, ce Cyrille si
injuste envers lepore de la Philosophie. IPautre Socrate ( Histoire
ecclesiastique, m, 23 ) avance donc une insigne faussete lors-
qu’il dit : « Porphyre a compose la vie de Socrate, le coryphee des
philosophes, d’apres les histoires ecrites sur lui ; et il nous a
transmis, d Vaide de ces docu- ments, des choses si monstrueuses que
les accusateurs de Socrate, Anytus et Meli - tus, n’ont pas meme
ose' les lui reprocher. » Retenons seulement de ceci Taveu qu’on
n’en fit pas un grief a Socrate, lors du jugement public, ce qui ressort
de la phrase elle-meme, et que cette tache fut alors epargneeT a sa
renommee. Mais Porphyre n’a pas rapporte autre chose ou des choses
plus monstrueuses que ce IO SOCRATE
Cyrillus ac Theodoretus, non plura pro- tulere, quibus fuerant haud dubie
cau- sam suam , si res facultatem dedisset, ornaturi.
3. Nempe nec Aristophanes , qui cor- ruptce ad impietatem et calumniandi
ar- tem juventutis accusat in Nubibus Socra- tem . hujus criminis
ullam mentionem facit , non omissurus profecto , si illud
adhaerescere posse putasset. Nec forte quisquam est ex omni antiquitate
remo- tiore illa, et temporibus Philosophi pro- pinqua . , serius
et severus accusator hujus criminis. Lusit inter posteriores, pro
petulanti illo ingenio suo, Lucianus (de CEco, ita enim potius dicendus
erat ille libellus quam de Domo, c. 4 , T. 3, p. ig 2 , 83) cum
accusat Socratem, qui non erubuerit advocare Musas, virgines,
cuvsaojjiva; ia -aiBepaama, ut audirent illos de puerorum amore sermones.
At- qui illi sermones, uti mox videbimus. ET l/AMOUR GREC 1
I que nous venons de dire ; nous en trou- vons la preuve en
ce que S. Cyrille et Theodoret, deux detracteurs de Socrate, n’en
ont souffle mot, et qu’ils n’auraient pas manque d’en orner leurs
diatribes si la chose eut ete possible. 3 . En second lieu,
Aristophane qui, dans ses Nuees , represente Socrate comme un
corrupteur de la jeunesse, comme faisant de 1’imposture un
enseignement, n’a pas davantage mentionne cette accu- sation;
l’aurait-il omise, si elle eut pu s’appliquer a Thomme qu’il bafouait?
II n’y a enfin personne, si l’on prend des temoins dans cette
antiquite reculee ou dans les temps voisins du Philosophe, qui se
presente comme un accusateur serieux et digne de foi. Plus tard
seule- ment Lucien, entraine par sa verve moqueuse (dans 1’opuscule
que l’on tra- duit ordinairement De Domo et qu’il vaudrait mieux
traduire De CEco , chap. iv), reprocha a Socrate de n’avoir pas
rougi d ; invoquer les Muses, des 12 SOCRATE
reprehendant vehementer amorem : re- spicit enim ad Phcedrum
Platonis (p. 340 , G) de quo dedita opera dicendum erit. Qua ? in
Amoribus (c. 24. To. 2. p. 424 , go) in Socraticum amorem
Platonicum- que vel a Luciano, vel quicunque auctor est, jocose et
per calumniam dicuntur, ea ad ipsum illum locum diluisse me
arbitror . 4. Sed veterum criminationes Maxi- mus Tyrius (
Dissertat . 2S. 26. et 27 al. g. 10. 11) refutavit, ut non videatur
opus esse aliquid addi : cum praesertim tanto magis et agnoscant
innocentiam Socratis, et illud crimen ab illo depel- lant ut hujus,
ita paullo superioris aitatis homines, quo magis virum ex aequalium
ac paullo juniorum de illo scriptis ut cognoscere possent, cuique
contigit. Quin ne consultum quidem judicarem veterem litem
resuscitare , nisi viderem, nuper et l’amour grec i3
vierges, pour leur faire dcouter ces fa- mcnx discours sur Vamour
des jeunes gargons. Mais ces discours, comme nous allons le voir,
blament fortement cette sorte d’amour; Lucien fait, en effet,
allusion au Phedre de Platon dont nous aurons a nous occuper. Ce que Fon
dit debamourSocratiqueet Platonique dans les Amonrs , que ces
dialogues soient de Lucien ou de tout autre, n’est qu’une
plaisanterie ou une mechancete, comme je\ l’ai demontre en temps et lieu
(i). 4. Maxime de Tyr ( Dissertations 25 , 26 et 27) a
d’ailleurs refute toutes les ac- cusations portees a ce sujet par les
an- ciens, etilserait inutile d’y rien ajouter. Le meilleur argument,
c’est que ceux qui ont le mieux reconnu Tinnocence de Socrate et
repousse loin de lui avec le plus de force 1’accusation infame,
sont les hommes de la generation qui a imme- (1) Dans ses
notes sur Lucien, dont il a fait une edition et une traduction Latine
tres-estimees. (Note du Traducteur.) H
SOCRATE fuisse, et esse hodie homines eruditos, et bonos
viros, qui pravam de patre illo Philosophia ? opinionem conceperint,
quo- rum non pono nomina, quia mihi non cum ullo homine certamen
esse volo, sed cum opinione ea, quam praeterquam quod falsam puto,
etiam virtuti noxiam , praeter consilium quidem bonorum viro- rum,
humanitati certe adversam esse, arbitror. 5. Qui autem fieri
potuit, ut homines neque indocti neque maligni in sinistram
falsamque de Socrate opinionem incide- rint? ut apologia vir sanctus opus
habeat? Praeter naturalem illam -/.axor{0£tav nos- tram, quae imis
velut medullis fixa , et superbiae illius nostrae nixa radicibus.
et l’amour grec i5 diatement suivi la sienne. Or, ce
sont les contemporains et leurs successeurs immediats qui peuvent
le mieux juger un homme, en pleine connaissance de tout ce qu’on
aecrit sur lui. Je n’aurais donc pas songe a ressusciter cette vieille
que- relle si je n’avais vu naguere, et tout recemment encore, des
hommes instruits, vertueux, concevoir la plus mauvaise opinion de
ce pere de la Philosophie ; je ne dirai pas leurs noms, ne voulant
me prendre corps a corps avec personne, mais seulement avec une
opinion que je considere comme sans fondement, nuisible a la vertu,
et, contrairemcnt a 1’avis de ces gens de bien, defavorable a
1’humanite tout entiere. 5. Comment donc a-t-il pu se faire
que des personnages qui ne p£chent ni par ignorance ni par mechancete,
aient concu de Socrate une opinion si facheuse et si fausse?
Pourquoi cet homme veri- tablement saint a-t-il besoin d’etre de-
fendu? En dehors de cette maligni te i6 SOCRATE
inter ultima vitia eradicatur, ceterasque ex genere morum rationes,
conveniunt hic alia qucedam , quce facilem errandi occasionem
praebent. Magna pars docto- rum etiam hominum legendi laborem
fugit, legendi uno tenore, continuata attentione , totos veterum
scriptorum libros; sed satis habet decerpere quce- dam, in quce
primum incurrere oculi, aut, quod deterius frequentius que idem,
repetere ab aliis excerpta, et e media nonnunquam sermonum velut
compage evulsa, de quorum sic sententia non facile sit judicare.
Platonis libri , unde pleraque Socratica peti hodie necesse est,
multos arcent ob Atticum illud sermonis genus, breve et acutum,
floridum praeterea, ac semipoeticum, ipsamque disserendi ratio- nem
subtiliorem scepe, quam ut mediocri attentione, non acutissimi homines illam
statim adsequantur. Nec licet , ut adhuc res est, ad interpretes
confugere ; qui quoties vel nihil dicant, vel alia omnia dicant,
vix sine invidia licet commemo- rare. Et tamen nisi attente legas, et
to- ET L.’AMOUR GREC '7 naturelle qui
reste fixee jusqu’au fond de nos moelles, qui se fortifie de notre
or- gueil et qui ne s’arrache qidavec les der- niers defauts, outre
encore diverses rai- sons tirees de nos mceurs, il a fallu pour
cela un concours de circonstances pro- pres a faciliter 1’erreur. La
plupart des gens instruits eux-memes evitent la fa- tigue de lire
dans leur entier, avec une attention soutenue, tous les livres
ecrits par les Anciens ; on a plus tot fait de choisir quelques
passages, les premiers qui tombent sous les yeux, ou, ce qui est bien
pire, de s'en tenir aux passages choisis par d’autres, a des fragments
de- taches de 1’ensemble et dont il est par consequent difficile
d’apprecier le sens veritable. C’est ce qui arrive des livres de
Platon, d’ou il nous faut aujourd’hui tirer toutc la doctrine Socratique
; iis embarrassent bon nornbre de lecteurs par leur style trop
Attique, raffine et aiguise, fleuri pourtant et semi-poetique, par
ces controverses si subtiles souvent que, si 1’attention se relache,
1’esprit le i8 SOCRATE tos legas
dialogos, et qua scripti sunt lingua legas, non est ut de sententia
illorum, h. e. quam tribuat Plato sen- tentiam Socrati, recte judices.
Quare mirum non est, si multi refugiant lectio- nem ita laboriosam
; et illis veluti spinis a familiari tractatione eorum librorum
deterreantur . 6. Denique si quid etiam tribuatur a Platone
Socrati, tamen, si illud Xeno- phontis narrationi repugnet, non
dubi- taverim equidem, fidem potius adhibere Grylli filio, memor
illius, quod narrat Laertius 3, 35, Socratem , cum Lysin Platonis
legisset, dixisse , to; tzoXKx uoj ET l/AMOUR GREC 19
plus eclaire n’cn suit pas aisemcnt le fil. Et il serait inutile,
dans le cas present, de recourir aux annotateurs ; ou iis ne disent
rien, ou iis disent tout autre chose que ce qu’il faudrait ; on ne
peut s’empecher de leur en faire un re- proche. Cependant, amoins de lire
avec un soin scrupuleux tous les dialogues de Platon et de les iire
dans la langue meme ou iis ont ete ecrits, il n’est pas possible de
juger saineinent de leur doctrine, c’est-a-dire de la doctrine que
Platon attribue a Socrate. Il n’est donc pas sur- prenant que
nombre de gens reculent devant une si laborieuse lecture et soient
rebutes, comme par des epines, du commerce familier de ces livres.
6. Enfin il faut dire que si Platon at- tribue a Socrate une
maniere de voir contredite par la narration de Xenophon, il n’y a
pas a hesiter : c’est a Xenophon qu’il faut se fier, si l’on se souvient
du mot rapporte par Diogene de Laerte (ui, 35). Socrate, apres
avoir lu le Lysis 20 SOCRATE xaxe^uBeO’
6 veavfoxo; ; Quam multa de me mentitur adolescens! Tanto magis hoc
memorabile est , quod ille Dialogus ita scriptus est, ut non modo tanquam
per- sona colloquens inducatur Socrates, sed tanquam, qui ipsum
illum dialogum scripserit. Ceterum quia hic sumus, hoc breviter
indicamus, amatorium quidem esse hunc libellum , sed nihil habere
pu- dendum ne Platoni quidem. Argumen- tum hoc est : Queritur
Lysidis amator Hippothales, ab illo se non amari ; So- crates
ostendit, si velit amari, non adu- landum esse puero, sic enim
futurum superbiorem ; sed illi potius ostenden- dum, quibus rebus
indigeat, et quam parum in ipso sit boni (i). Deinde dela- bitur in
disputationem, Quis proprie amicus sit vocandus? et, In quo insit
natura amicitia’ ? plenam illam quidem cavillationum , sed praeclararum
etiam de amicitia sententiarum. Ceterum tri- (i) Sic nempe
ipse solebat Socrates in potestatem quasi suam redigere adolescentulos,
de quo que- rentem audiemus Alcibiadem. § 3~. ET L’AMOUR
GREC 2 I de Platon, se serait ecrie : « Comme
ce jenne homme invente souvent ce qu’il me fait dire! » Le mot est
d’autant plus remarquable que, dans ce dialogue, So- crate
estpresente non comme un simple interlocuteur, mais comme s’il
avait ecrit lui-meme tout le morceau. Pen- dant quenous y sommes,
disons brieve- ment que cetouvrage roule sur 1’amour, mais qu’il
n’y a rien dont put rougir Platon lui-meme. Voici le sujet : Hip-
pothales, qui aime Lysis, se plaint de ne pas en etre aime; Socrate lui
demontre que s’il veut 1’etre, il ne faut pas qu’il fiatte ce jeune
homme, ce qui le rendrait plus orgueilleux encore ; il vaut mieux
qu’il lui represente tout ce qui lui man- que et le peu de bonnes
qualites quhl possede (i). On discute ensuite ces ques- tions : Qui
est digne d’etre appele un ve- ritable ami? et, Quelle est la nature
de Tamitie? Controverse pleine, il est vrai, (i) C’est ainsi
que Socrate avait en effet coutumc d’assujettir les jeunes gens & son
autorite, et nous voyons Alcibiade s’en plaindre. § 37.
22 SOCRATE bui a Platone colloquentibus, de
quibus ipsi non cogitarint, vetus observatio est , de qua vid.
Athenaeus Deipnos. i, i / ad fin. p. 5 o 5 . Qiio dialogorum more
se excusat, etiam Varroni in Academico- rum dedicatione Tullius.
Neque ausim Platonis ipsius, junioris praesertim, pa- trocinium
suscipere de mollioribus versi- culis, quos Apulejus servavit
(Apol. p. 279 sq.) et Laertius Diogenes ( 3 , 2g) : de quibus modo
in neutram partem dis- puto, causamque Platonis a Socratis causa
hac in re sejungo. 7. Quaecunque vero cum aliqua specie
testimonia Platonis contra Socratem pro- feruntur, ea cum ex Phaedro,
nescio quam bona semper fide, corrupte quidem et perverse non
nunquam, depromi vi- deam, propter ea pretium opera* putavi,
ET L’AMOUR GREC 23 de futilites, mais aussi de
remarquables definitions dePamitie. C ; est uneobserva- tion qui a
ete faite depuis longtemps, que Platon attribue a ses
interlocuteurs des idees qu’ils n’ont jamais eues : on peut
consulter la-dessus Athenee ( Dei - pnosophistes i, ii). Ciceron, qui
avait le meme defaut, s’en excuse sur le genre meme du dialogue ,
dans son envoi des Academiques a Varron. Je n’ose pas non plus
defendre Platon du reproche d’avoir commis, surtout dans sa jeunesse,
des vers badins tels que ceux que nous ont conserves Apulee (dans
son Apologie) et Diogene de Laerte (m, 29); vieux ou jeune, jen’ai
pas affaire a lui et je separe completement sa cause de celle de
So- crate. 7. Entrelesdiverstemoignages fournis par
lui, ceux que Ton peut alleguer con- tre Socrate avec quelque apparence
de justesse sont tires du Phedre ; pas tou- jours bien
scrupuleusement et quelque- fois a 1’aide d’alterations ou de
contre- 24 SOCRATE non semel totum illum
dialogum attento animo perlegere , et uno quidem tenore , et lingua
sua, ne quid eorum me falleret, qua • saepe fraudi esse viris doctis,
modo dicebam. Ac spero non ingratum fore aliis, quorum rationes non
ferunt tam longam solicitamque operam, si hic pos- sint brevi
studio cognoscere velut oecono- miam illius libri et argumentum,
inde- que de toto consilio vel Platonis vel Socratis arbitrari.
Concedamus enim, ne abuti videamur illa, quam modo propo- suimus
observatione, Socratis hic veram sententiam bona fide a Platone
proponi. 8 . Ac primo illud meminerimus, So- cratem hic (p.
340, E) introduci senem, tantum non decrepitum, quem facile ju-
venis Phaedrus viribus superet. Jam fingitur Phaedrus audisse Lysiam
dispu- tantem, magis obsequendum gratifican- dumque esse non
amanti, quam amanti : camque orationem Socrati prcelegere ET
L AM0UR GREC 25 sens. Cest ce qui m’a engage a
lire attentivement ce dialogue, et plutot deux fois qu’une, dans
son entier, et dans le Grec, afin d’echapper a ces chances d’er-
reur dont j’ai parle plus haut et qui font trebucher les plus doctes. II
sera peut-etre interessant, je 1’espere, pour ceux dont 1’esprit
repugnerai-t a une besogne si longue et si difficile, de connaitre
sans grande etude le sujet et pour ainsi dire 1’economie de ce
livre, et de pouvoir apprecier toute la theorie de Platon ou de
Socrate. Nous admettrons, pour ne pas abuser de la reserve faite par
nous plus haut, que la doctrine de Socrate a ete ici exposee de
bonne foi par Platon. 8. Rappelons d’abord que Socrate y est
presente comme un vieillard, non pas tout a fait tombe en
decrepitude, mais qu’un jeune homme, comme Phe- dre, peut maitriser
aisement. Phedre ra- conte qu’il a entendu Lysias discourir sur
cette question : Un jeune homme doit-il avoir plus de facilite et de
com- 3 SOCRATE 2b (a p. 338
, C. ad 33 g, G). Reprehendit hanc Lysiae orationem , cante quidem
et multa cum ironia Socrates , et meliora se audisse ait , quae
dicere illum amabilis- sime cogit Phcedrus. Incipit hic a Musa- rum
invocatione (p. 340 , G) quam calum- niatur, ut modo dicebamus 3 ),
Lu- cianus : cum sit nihil in ea oratione non virginum auribus
dignissimum. Orditur a definitione Amoris (p. 341, D) quem vocat
cupiditatem , quae incitate feratur ad voluptatem ■ pulchritudinis, et
inde, quam mala res, quam noxia sit, ostendit (ad p. 342, F) et claudit
hexametro : A'j-/.ol aova oi^ouV, ojq ~aToa epAouVjtv 1 r’ 1
! |Sf/aTra’.. Ut cordi agna lupo est, puerum sic ardet
amator. 9. Bene ista , et Musis faventibus. Sed subito, At
Amor tamen Deus est, inquit , et palinodiam parat , quae incipit (p. 3 43
. ET LAMOUR GREC 2 7 plaisance pour
celui qui ne 1’aime pasque pour celui qui Faime ardemment ? II lit
ensuite ce discours a Socrate. Celui-ci, avec beaucoup de finesse et
ddronie, trouve a blamer dans la composition oratoire de Lysias et
pretend qu'il a en- tendu dire la-dessus autrefois de bien plus
belles choses; Phedre le conjure de les lui rapporter. Socrate debute
alors par cette invocation aux Muses que Lu- cien a calomniee,
comme nous le disions plus haut, car il n’y a rien dans tout le
discours qui ne soit parfaitement digne des oreilles chastes. II commence
par la definition de 1’amour, qu’il appelle un desir violemment
entraine vers le plaisir que promet la beaute ; il enumere en-
suite les ecarts auxquels il peut pousser et conclut parcet hexametre
: Comme le loup aivic Vagneau , ainsi Vamoureux [cherit
le jeune garcon. 9. Voila qui est bien, grace aux Muses. Mais
aussitot : L’ Amonr est cependant un Dieu, s’ecrie-t-il ; et il
entrcprend une 28 SOCRATE F) ab eo, uti
dicat, non ideo amorem damnandum fuisse, quod sit furor ; esse enim
furorem etiam bonum aliquem : ipsam [jLavTixrjv 5. divinatoriam
facultatem esse a verbo [i-aiveaOai dictam , velut quan- dam
[j.avi/7]v s. furiosam. Talis furoris plura genera enarrat , in his etiam
ponit amorem, cumque (p. 344, C ) magnae felicitatis causa tum
amantis cum amati datum his esse divinitus, conatur osten- dere. Ad
eam demonstrationem sumit primo hanc propositionem. Omnem ani- mam
esse immortalem, quam inde pro- bat (quam bene vel male , nunc non
dis- putamus) quod principium motus sui in se habeat.
1 0 . Deinde similem ait animam no- stram, etiam antequam ea in corpus
ve- niat, bigae alatae cum suo auriga. Alte- rum hujus biga 3 equum
bonum ponit et tractabilem (ibid. E), malum alterum ac
refractarium. Sic coelestia spatia ingre- diuntur ista • cum suo auriga
bigce, et ET l’aMOUR GREC 2(J palinodic en declarant
tout d’abord que 1’amour n'est pas condamnable en soi, qu’il estun
delire, et que dans tout delire il y a quelque chose de bon ; que
fxavnxr], la divination, derive du mot (jiodveaGai, comme qui
dirait [xavtxr), c’est-a-dire folle. II compte diverses especes de
delires parmi lesquelles il place 1’amour, et il s’efforce de montrer que
c’est un present divin fait a bhomme pour le plus grand bonheur de
celu*i qui aime et de celui qui est aime. Sa demonstration s’appuie
sur cette proposition premiere: Tonte dme est immortelle, dont il tire
la preuve (bien ou mal, ce n’est pas notre affaire) de ce qu’elle a
en soi le principe de son mouvement. io. Il compare ensuite
notre ame, avant qu’elle ne vienne habiter un corps, a un attelage
aile, compose de deux chevaux et d’un cocher. L’un des chevaux est
excellent et docile ; 1’autre, d’un mauvais naturel et retif.
L’attelage parcourt ainsi les espaces celestes, avec 3
. 3o SOCRATE Deorum aliquem secutce
(Socratis anima Jovem , p. 846 , D) ea spatia permeant. In hoc
volatu et illa equorum dissimilium dissensione, alia; quidem anima;
retinent alas, et ad sublimia feruntur, contem- plantur que ea
etiam, qua; extra supre- mum coeli orbem sunt (p. 345 , B). Alia;,
qua; partim in altum elata; viderunt plu- ra, partim ab equo illo
refractario impe- dita; ac retractae, pauciora ; ruptisque per
illam equorum in diversa tendentium luctam pennis atque amissis, cadunt,
et in corpora humana veniunt. 1 1 . Harum, pro gradu
cognitionis illius et inspectionis rerum coelestium diverso, novem
classes constituit (ibid. F). Qua plurimum veritatis et rerum
coeles- tium vidit anima, ea inseritur semini, e quo nascatur
aliquis sapientias, pulchri, doctrinas, et amoris studiosus, st?
yovfjV et l’amour grec 3 I son cochcr, et s’elance a
la suite de l’un des douze dieux ( 1 ’ame de Socrate sui- vait
Jupiter). Dans cette course a travers les espaces et malgre la lutte des
deux chevaux, si dissemblables, quelques ames parviennent a garder
leurs ailes, voya- gent dans les regions etherees et con- templent
meme ce qui est au dela de la voute du ciel. Les autres, parfois
em- portees jusqu'aux plus hautes regions, parfois retenues et
embarrassees par le cheval retif, n’arrivent qu’a connaitre une
partie des mysteres ; dans cette lutte des chevaux qui tirent en sens
inverse, elles brisent et perdent leurs ailes ; ces ames tombent
alors sur terre et sont emprisonneesdans les corps des hommes.
1 1 . Suivant le degre de connaissance qu'elles ont atteint dans la
contempla- tion des essences, Socrate divise en neuf classes ces
ames dechues. Celle qui a per9u le plus de verite et de choses
sublimes, vient animer le germe d’ou naitra un homme tont entier consacre
au 32 SOCRATE avopo? ycV7]ao[j.c'vO’j ?
oiXoao^ou, 7) <pt\oxaXou, tj fi.ouaixou Ttvos, x at spamxoy. Secundi
fastigii anima animabit regem, legibus, bello, imperio, potentem :
tertiae classis anima civitatis familiaeque regendae et rei fa-
ciendae peritum : quartae, laboris aman- tem eundemque in exercendis
sanan- disve versantem corporibus : quinti ordinis animae vitam
habebunt in vati- cinando, aut in castimoniis initiisque
mysteriorum occupatam : sexti, poetas : septimi, geometras aut fabros :
octavi sophistas aut cum factione populares : noni denique
animabunt tyrannidis cu- pidos. Multa hic nec injucunda de hoc
ordine , de his vitee generibus, disputandi occasio : sed maneamus in
argumento nostro. 12 . Ha’ omnes anima?, cum morte
dis- cesserunt a corporibus, in locum vel pce- 33
ET L’AMOUR GREC culte de la sagesse, de la beaute , de
la Science et de Vamour ; Vdme du second degre vivra dans le corps
d’un roi juste , belliqueux et capable de commandere celle du
troisieme fonnera un homme habile a administrer sa famille, sa cite
ou la chose publique ; celle du quatrieme un athldte laborieux ou un
medecin, tous deux occupes soit d exercer le corps humain , soit d
le guerir ; les ames de la cinquibme classe passeront leur vie ,
soit d predire 1’avenir, soit d initier aux abstinences et aux mysteres
; celles de la sixieme former ont des poetes ; celles de la
septieme , des laboureurs ou des ou- vriers,- celles de la huitieme, des
sophistes ou des chefs de factions populaires ; celles de la
neuvidme, enfin, des tyrans. Ce serait peut-etre 1 ’occasion de
dispu- ter, et non sans agrement, des rangs assignes a ces ames et
de leur genre de vie : mais restons dans notre sujet. 1
2.Toutes ces ames,quandle trepas les a separees du corps, parviennent au
sejour SOCRATE 34 narum vel pr cerni orum
perveniunt, et mille exactis annis, accipiunt potesta- tem eligendi
sibi nova corpora , vitas novas, sive hominum sive bestiarum . Quce
anima ter sibi, exactis millenis illis annis, primam istam sedulo
philoso- phantis, sive pueros cum philosophia amantis, vitam
delegerit (p. 3g5, G) tou <ptXocrocprjaavto; aooXc. 05, r]
"atospaaxrJcjavTO; [j.£xa <ptXoao<p''a;, ea, absoluta ista ter
mille annorum periodo , pennas denuo accipit, quibus ut ante tolli,
deum aliquem sequi, contemplari coelestia , queat : cum reli-
quarum octo classium animae, non nisi decies mille annorum periodo
absoluta, in primam illam conditionem restituan- tur. Hoc ipsum
quod primam et felicis- simam classem Paederastarum philoso- phantium
constituit, quod tantum prae- mium illis, compendium septies mille
annorum, tribuit Mythi hujus s. Allego- ria ? auctor, sive Socrates fuit,
sive Pla- to ; hoc ipsum igitur jam satis monere nos poterat, non
posse hic sermonem esse de re ita turpi , quam fuisse illud, cujus
ET LaMOUR GREC 35 des peines et des recompenses, et
au bout de mille annees, recoivent la permission de choisir de
nouveaux corps, soitd’hom- mes soit de betes, et de vivre de nou-
velles vies. L’ame qui, durant trois revo- lutions de mille annees, trois
fois de suite a choisi Texistence d’un homme quicultive sincerement
la philosophie, ou qui aime les jeunes gens d'un amour
philosophique , a 1’expiration de cette triple periode, recouvre les
ailes qidelle possedait autrefois et peut, comme au- paravant,
suivre l’un des dieux et con- templer les essences celestes. Les
huit autres classes ne retournent a cette con- dition premiere
qu’apres une revolution de dix mille annees. Ainsi la premiere
classe et la plus heureuse est celle des philosophes amis des jeunes
gens, et l’in- venteur de ce mythe ou allegorie, que ce soit
Socrate ou Platon, la favorise d’une exemption de sept mille annees
: cela seul nous avertit assez qu’il ne peut etre question ici de ce
vice infame dont on accuse Socrate et que d’ailleurs les
36 SOCRATE postulatur Socrates, ipsis etiam
legibus Atticis, paullo post ostendemus : sed ma- gis hoc
apparebit, si quis ea, qu ce sequun- tur, apud Platonem paullo
attentius considerare mecum voluerit. i 3 . Intelligentia
hominum , ex pluribus rebus sensu perceptis collecta, nihil est
aliud, quam recordatio illorum, quae anima in illo volatu suo coelesti
viderat, quae sola verum illud ens sunt (t 6 ov-co; ov, p. 346, A).
Haec intelligentia maxima est in illa prima philo sophantium paede-
rastarum classe : haec ipsa est, ob quam alas soli recipiunt, quibus
volatum illum coelestem, deorumque comitatum tentant : prae qua
terrena hcec, et sensus externos ferientia, ita negligunt, ut male
sani aliis et furiosi videantur, icocpa -/.ivouvts?, quos commotos
s. commotce mentis vocat Horatius (Serm. 2, 3 , 2og et 278), cum re
vera divino quodam spiritu agi- tentur, svOouaux^oviss, qui illos semper
ad coelestem illam pulchritudinem revocet, quam in priore volatu
viderant. ET L AMOUR GREC 87 lois Athenicnnes
reprimaient, comme je le demontrerai tout a 1’heure ; cela de-
viendra plus evident encore pour qui voudra bien examiner
attentivement avec moi ce qui suit dans Platon. i3.
L’intelligence humaine est formce de la reunion des idees percues a
l’aide des sensations, et les idees ne sont rien autre chose que
les reminiscences de ce que 1’ame a vu anterieurement dans son vol
celeste, c’est-a-dire des essences veritables. Or 1’intelligence la plus
com- plete appartient a la premiere classe, a celle des philosophes
amis zeles des jeunes gens, et c’est pourquoi seuls iis recouvrent
les ailes a 1’aide desquelles iis pourront essayer de nouveau de
par- courir le ciel et suivre le cortege des dieux. Detaches des
soins terrestres et de tout ce qui frappe les organes, iis pas-
sent pour des insenses et des hommes en delire, -apa/ivoSvis?, de ceux
qu’Horace appelle des fren^tiqucs, des esprits trou- bles, tandis
que vraiment ce sont des en- 4 38
SOCRATE 14. Haec pulchritudo , qucc inest in sensu, <ppov
7 ]<m (p. 846, E), in mentis qua vult et intelligit prostantia, si ita
in oculos, ut alia quce videri his possunt, incideret , ad
mirabiles sui amores exci- tatura esset. Jam pulchritudo sola
corpo- rum, hanc (Aotpav habet, hoc velut fatum, et conditionem ,
uti subeat oculos, ut amo- rem moveat. Hinc ponamus ipsa verba , ut
existimare melius ac certius de tota re possint etiam, quibus ad manus non
est Plato ipse, vel magnum volumen de pluteo promere non lubet. c O
piv oOv pu] vsoxeXt];, ■Jj otscpQappivos, oux otjiiog evOevOs Exstas
©s'psxat 7ip6; auxo xo xaXXo;, Ostopisvo; a3xou xrjv xrjoE
smavupiiav. waxs ou as'6sxat 7rpoaopojv, aXX’ 7]3ov^ 7:apaoou;,
zBzpdtTzodog vo ptco (Batvstv S7Ct- y stpsT xat 7iat8oa7EOpstv. xal u6pst
x:poao|j.tXaiv, ou os'ootxsv ou 8’ ata/uvsxai IIAPA ‘I^TXIIN ( 1 )
(1) Notabile est, Platoni etiam de Ijcgib. r . ET LAMOUR
GREC 3y thousiastes, agites comme d’un transport divin, qui
les attire sans cesse vers cette beaute celeste precedemment
entrevue par eux dans leur vol. 14. Cette beaute, dont
Pessence reside dans un sens particulier, la sagesse, source de la
volonte et de 1’intelligence, s’il etait donne a l’oeil de 1’apercevoir,
comme toutes les autres choses visi - bles, elle nous exciterait a
d’admirables amours. Mais c’est seulement la beaute corporelle,
telle est sa necessite fatale et sa nature, qui frappe les yeux et nous
porte a 1’amour. Ici nous placerons le texte meme afin que ceux qui
n’ont point Pla- ton sous la main ou qui ne se soucient pas de
tirer du rayon un gros volume, puissent se faire une opinion en
toute p. 56g, E. hanc turpitudinem appsvwv np 6? appevag, Ij
OrjXsTwv xpog OrjXsix;, to ITAPA •bTSIN To'X[j.7)p.a appellari. Non
igitur Plato- nem , vel Socratem adeo, feriunt divina illa ful-
mina Pauli Rom. /, 26 . sq., ut neque ea, qua ? in idolatriam
vibrantur. 40 SOCRATE f,5ov7]v 0 -W.ojv.
'0 8e apttteXrj?, 6 twv xdxe TroXuGcapojv, oxav OsoEtSsg r.poaioTzov'
t07), -/.aX- Xo; eu [j.E[j.vr ( [x£vov rj uva ac;o$fj.axo ios'av —
oj? Geov a£'6sxai. Hcec ita verto, Hic ergo, qui non est nuper illis
mysteriis coeles- tibus in illo volatu animarum initiatus, aut,
initiatus cum esset, corruptus est, non celeriter, ut oportebat, hinc, ab
hac corporea, non vera, pulchritudine, illuc fertur ad ipsam veram,
coelestem pul- chritudinem, cujus hic videt nomen, umbram ,
similitudinem : itaque neque inter adspiciendum eam, divinum quid-
dam colit : sed libidini se tradens, qua- drupedis ritu inscendere
formosum co- natur, et genitale semen profundere, et cum contumelia
(vid. ad §. 18) congres- sus formoso corpori , non veretur, nec
erubescit PRXETER NATURAM libidi- nem persequi. At ille nuper
initiatus, qui multa eorum quae tum videbat , contemplatus est, ubi
vultum divino similem conspexit, qui pulchritudinem illam veram
bene imitetur, aut incor- poream quandam illius speciem, verbo ,
ET L’AMOUR GREC 41 certitudc. « L’homme qui n’a
pas un « souvenir recent de son initiation aux « mysteres, ou qui,
recemment initie, « s’est laisse depraver, ne s’eleve pas fa- «
cilement, comme il faudrait, de cette « beaute corporelle, qui n’est pas
la « vraie, a cette beaute celeste, absolue, « dont il ne rencontre
ici-bas que le nom, « 1’ombre, la ressemblance ; en 1’aper- «
cevant il n’y respecte rien de divin. « Entraine par la volupte, il se
precipite, « comme une brute, sur 1’objet de ses « desirs, ne
cherche qu’a genitale semen « profundere et, outrageant ce beau «
corps qu ? il etreint, il n’a pas honte, il « ne rougit pas de poursuivre
un plaisir « contre nature ( 1 ). Au contraire, l’hom- « me, encore
plein des saints mysteres « qu’il a longtemps contemples autrefois,
(1) 11 est remarquable que Platon, meme dans ses Lois, appelle
crime contre nature le commerce hon- teux marium cum maribus, et
feminarum cum fe- minis. Les foudres de Saint Paul ( Ep . aux Rom.
1. 26) n’atteignent donc ni Platon ni Socrate, pas plus que celles
qu’il lance contre 1’idolatrie. 42 SOCRATE
virtutem speciosam : — Dei instar colit. i5. Deinde
enarrat pheenomena quae- dam hujus sancti et philosophici amoris ,
similia, ex parte Venerei, et quomodo illa ' alce, quas amiserat anima ,
hinc de novo crescant, sub Allegoria perpetua describit, qua nihil
aliud tandem indicat , quam enthusiasmum quendam , et injec- tam
divinitus philosopho cupiditatem versandi cum pulchris, h. e. ingenio
vel forma potentibus, adolescentulis : quos nempe captabat
Socrates, qui sciret , cum facilius sit formare ad sapientiam et
virtutem hanc aetatem, tum hos esse, a quibus futura civitatis fortuna
pendeat. Hinc est quod se venari pulchros non dis- simulabat (vid.
Protagora > principium , frustra reprehensum Cyrillo contra
Julia, i, 6, p. i8j, A), quod Xenophon- tem baculo etiam transverso
objecto et l’amour grec q'3 « en presence d’un visage
presque divin « ou d’un corps dont les formes lui rap- it pellent
1’essence de la beaute, c’est-a- « dire 1’essence de la vertu, adore
comme « en presence de la divinite. » i5. Platon retrace
ensuite quelques- uns des phenornenes de ce saint et phi-
losophique amour, parfois peu different de l’autre; il montre aussi
comment re- poussent les ailes autrefois perdues par rame. C’est
une allegorie perpetuelle dont la conclusion est que le philosophe
con^oit, par une sorte de grace divine, le plus fervent desir de vivre au
milicu des beaux adolescents distingues par la perfection de leurs
formes ou par leurs dispositions naturelles. C’est ceux-la, en
effet, que Socrate ambitionnait de gagner , sachant qu’il est facile, a
cet age, de les tourner au bien et a la vertu, et que c’est d’eux
que dependent les futurs des- tins de la Republique. II appelait
cela prendre les beaux garcons dans ses filets (voyez la-dcssus le
commencement du. 44 SOCRATE velut
exceptum, sibi adjunxit (Diog. Laert. 2, 48). Ipsum illud hinc est , quod
gymnasia , conviviaque et deambulatio- nes, quoscunque denique juvenum
coetus, sequebatur, quod ludos et jocos non refu- giebat, quod se
plane communem illis faciebat , nec irrideri aut peti maledic- tis
refugiens. Ipsa illa ironia perpetua, quod doceri se velle simularet ,
certe dis- cendi causa disputare , ut accessum ad Sophistas illi
dabat , ita adolescentulo- rum super bulae de se opinioni et
praeci- pitantiae blandiri videbatur. Sed perga- mus Platonis
Mython enarrare. 16. Philosophi illi amatores pulchro- rum
non indiscretim omnes amant , sed (p. Sdy, C) quem quisque in illo
coelesti volatu Deum secutus est , ejus Dei si- milem sibi quaerit
amasium; qui Jovem , ut Socrates, Jovialem (Auvov x wa), Martia-
lem vero qui Martem, et sic Junonios. ET L AMOUR GREC
45 Protagoras , blame a tort par Saint Cy- rille), et il se
fit de la sorte un disciple de Xenophon qu’il arreta en lui barrant
le passage avec son baton. Voila pour- quoi aussi il frequentait les
gymnases, les banquets, les promenades, tous les lieux de reunion
des jeunes gens, ne fuyait ni les jeux ni les badinages, s’en-
tretenait avec tous et s’inquietait peu de preter a rire aux medisants.
Cette ironie perpetuelle grace a laquelle il feignait toujours de
vouloir apprendre, pour mieux enseigner, lui donnait acces au- pres
des Sophistes et flattait aussi la suf- fisance et la presomption de la
jeunesse. Mais achevons d’exposer le Mythe de Platon.
16. Ces philosophes amoureux des beaux garcons ne s’attachent pas
indis- tinctement a tous ; selon le dieu quhls accompagnaient dans
les espaces etheres, chacun d’eux choisit parmi les anciens
suivants du meme dieu celui qu’il doit aimcr. L’ame qui etait, comme
celle de SOCRATE 46 Bacchicos ,
Apollineos : et talem ubi in- ventum amare coeperint , faciunt omnia
, uti Deo illi, quem ipsi secuti sunt, et cu- jus jam similitudinem
quandam in ipso deprehenderunt, sibique adeo , reddant quam
similimum. Ita Socrates, Jovis in illo volatu satelles, quaerit Joviales,
ama- tores natura sapientiae, et natos ad im- perandum. Hactenus
ergo bene res ha- bet, sancti tales Paederaslce, J elices qui sic
amantur. / 7 . Sed nec dissimulanda sunt quae sequuntur apud
Platonem. Redit Socrates (p. 3 -lj, F) ad superiorem illum de Ani-
ma Mythum (’§. 10), quam triplicis na- turae ponit scilicet. Sunt vellit
equi duo, est auriga. Equorum alter bonus, sanus, verecundus,
gloria • amator , qui sine pla- gis, sola ratione auriga regitur :
pravus alter, qui multum ac temere una aufera- ET L AMOUR
GREC 47 Socrate, dans le cortegc de Jupiter, re-
cherche un suivant de Jupiter, et ainsi des autres qui avaient choisi
Mars, ou Junon, ou Bacchus ou Apollon. Des qu’ils Pont trouve, iis
s’efforcent de rendre celui qu’ils aiment semblable a ce dieu dont
iis retrouvent en eux-memes le caractere. Ainsi Socrate, satellite
de Jupiter, recherchait pour les cherir ceux qui avaient aussi
suivi ce dieu, c’est-a- dire ceux qui, par nature, etaient portes a
la sagesse et a la domination. Jusqu’ici tout va bien ; de tels
Pederastes sont de vrais saints, et bien heureux ceux qui sont
aimes de la sorte ! 17. Mais il ne faut pas dissimuler ce qui
vient apres dans Platon. Socrate re- tourne au precedent Mythe de
hame qu’il a coniparee aux triples forces reu- nies de deux chevaux
et d’un cocher. L’un des chevaux est bon, sam, plein de retenue et
d’emulation ; le cocher le di- rige, sans avoir besoin du fouet et
par la seule persuasion : 1’autre est mechant SOCRATE
48 tur , (impetu alieno potius feratur , smo judicio)
dura ac brevi cervice, simus, nigri coloris, glaucis oculis, suffusus
san- guine, petulantia contumeliaque gau- dens, hirsutus circa
aures, surdus, fla- gello ac stimulis vix tandem concedens. Operet
? pretium videtur mali equi notas etiam Gra } ce ponere : cxoXt 65, ~oXu;
eixrj a'j[j. 7 :scpopr]|j.^vo?, xpaTEpauyrjv, ( 3 payuipayrjXo?,
aipLOTCpoacoro;, [xsXayypa);, yAauxop.p.a“0?, oepat- [xo;, u6p ew; xal
aXa^oveiac staTpo?, zept coxa Xaaco; , xwipog , gaartyt p.S7a xdvxpwv
[xdy.; UTEclXOJV . r<S\ Apposui Graeca , ut facilius
judi- cari possit , probabilisne sit conjectura, in quam incidi ,
dum in hac equi mali de- scriptione versor. Nempe, aut vehemen- ter
fallor, aut memorat hic Socrates non tam equi mali proprie dicti signa,
quam sui corporis formam, quatenus vitiosum inde ingenium
colligebat physiognomon ille Zopyrus. Hic enim , ut est apud Ci-
ceronem (de Fato c. 5), Stupidum esse Socratem dixit et bardum, —
addidit ET L ; AMOUR GREC 49 et s’emporte facilement,
sans raison au- cune (c 7 est-a-dire qu’il semble dirige plu- tot
par une force exterieure que par son propre jugement); il a 1’encolure
courte et dure, les naseaux apiatis a la maniere du singe, le poil
noir, les yeux glauques le sang le tourmente et il est toujours en
rut et en querelles ; il a, de plus, les oreilles velues, il est
insensible a tout et n 7 obeit qu’a peine au fouet et a 1’aiguil-
lon. Il est necessaire de transcrire, dans le texte Grec, ces marques
particulieres du mauvais cheval. 18. J’ai cite le texte afin
qu’on puisse decider si la conjecture que me suggere cette
description du cheval retif a quel- que vraisemblance. Ou je me
trompe fort, ou Socrate ici retrace moins les ca- racteres d 7 un
cheval defectueux que son propre portrait, dans lequel le physio-
nomiste Zopyre trouvait les indices d’un naturel vicieux. Zopyre, au dire
de Ciceron (Du Destin , chap. v) pretendait en effet que Socrate
etait lourd et stu~ DO SOCRATE etiam
mulierosum. Illud de stupore con- venire cum Homzne xpaTepau/7)v et
(3payuxpa- mox declarabitur : quod muliero- sum dicebat, illud cum
G6psa Ixatpop con- gruit : novimus enim quos uSp-.sxa; tum dixerit
Graecia ( i ). Porro illud aipio-pd- aw-ov plane pertinet ad notationem
Socra- tis, in quo cum deridetur a Critobulo (2), tum ipse suaviter
sibi illudit, et in eo patulisque non modo deorsum sed in hori-
qontem naribus, non minus quam in ocu- lis ultra frontem eminentibus, et
labio- (1) Unum ponamus exemplum e libello, quipree manu est,
Aristotelis Physignom. c. ult. p. / 18 1, E. 01 (Jisya cpcnvotjvxs;
papuxovov, OSpiaxa^. Ava- tpspexat £~1 xoj; ovoj;. Physiognomones e
simili- tudine vocis asinina: argumentum ducunt ad libi- dinem
asininam. Conf. § 14, it. 32 . (2) Xenoph. Sympos. c. 4, § /p,
Socrates ad Critobulum, formee sua: jactatorem, x; xoDxo ; w? yap
/a! Ip.o 0 ' zaXXtcjjv wv xauxa v.oxt.xCv.c,, Quid istuc? quasi me quoque
pulchrior esses, ita gloriaris. Ad qua: Critobulus , Nrj Ata, rj Ttavxcov
SsiX7jvwv xmv sv aaxupixoh; alaytaxo; av eVtjv . Nisi te for-
mosior essem, ait, essem Sileuorum, qui in Satyri- cis fabulis in scenam
veniunt, turpissimus. ET L t AMOUR GREC 5i
pide; il aurait ajoute : adonrtd anx plai- sirs veneriens. Pource
qui est dela lour- deur, cela concorde avec 1’encolure courte et
dure ; adonne anx plaisirs ve- neriens, repond a &'6peto; ItaTpo;.
Nous savons, en effet, quels etaient ceux que les Grecs appelaient
uSpiatat' (i). Quant a la face simiesque, cette designation s’ap-
plique parfaitement au portrait de So- crate ; il y a fait lui-meme
agreablement allusion en repondant aux moqueries de Critobule ( 2
). Il avoue que toute sa beaute consiste en un nez epate et me- nafant
le ciel, en des yeux saillants et (1) Contentons-nous d’un seul
exemple tird du livre que nous avons sous la main , le De Physiognomia
, d’Aristote : Ceux qui ont la voix forte et grave sont
&6picrcai, par similitude avec Vane. De ce que la voix £tait bruyante
comme celle de l’ane, les phy- sionomistes conci uaient qu’on devait
avoir le tempe- rament lascif de cet animal. (2) Xenophon
(Banquet, ch. IV, 19). Socrate dit il Critobule, qui vante sa propre
beautd : « Quoi donc ? Tu crois etre plus beau que moi ? » Critobule lui
repond : « Si je n’etais plus beau que toi,je serais le plus affreux de
ces Silenes que Von voit paraitre dans les drames salyriques. »
5 2 SOCRATE rum tumore molli , pulchritudinem
suam prcedicat (Xenoph. Sympos? c. 5) sicut in Platonis Convivio
(vid. §. 35) Sileni s. Satyri formam Alcibiades illi tribuit : et
in Tlieceteti Platonici principio Theo- dorus negat pulchrum esse
Thecetetum, cum sit Socrati similis, tQ te cijxo-rjta xat to s£w
twv o[j.[j.aTtov, naso simo et eminen- tibus oculis, licet minus quam
Socrates utraque re sit notabilis. Nempe hcec si- gna cum
haberentur, et naturales quae- dam notce, hominis libidinosi,
iracundi et stupidi, non negabat illud Socrates, verum eo majoris
faciendam esse Philo- sophiam ostendebat, quee tantum contra
vitiosam naturam valeret. iy. Quoniam hic sumus, non
injucun- dum forte fuerit lectoribus nostris in rem quasi
preesentem ire, et ex artis, qualis tum erat, praeceptis, Zopyri
judi- cium defendere. Vix autem opus est admoneri lectores, non hoc
agi, Num veri aliquid sit in ea arte? Num ipso ET L ? AMOUR
GREC 53 des levres gonflees comme un abces ; de
meme dans le Banquet de Platon, Alci- biade compare son masque a celui
de Silene ou d’un satyre, et au commence- ment du Theatdte , l’un
des interlocu- teurs, Theodore, refuse toute grace a Theatete en
disant qu’il ressemble a So- crate, qu’il est camard et que les
yeux lui sortent de la tete ; que pour etre chez lui moins
apparents que chez le maitre, ces defauts n’ensontpas moins
sensibles. Socrate ne niait pas d’ailleurs que ces particularites
physiques n’indiquassent un homme lascif, violent et d’un esprit
paresseux ; il en concluait seulement en faveur de la Philosophie qui parvient
a dompter un si vicieux naturel. 19. Pendant que nous y
sommes, il ne deplaira peut-etre pas au lecteur d’aller plus au
fond sur ce chapitre et de de- fendre les idees de Zopyre, idees
basees sur des regles alors acceptees. Il nes’agit pas de savoir si
cette Science est sure ; est-ce que 1 ’excmplc meme de Socrate
SOCRATE 54 etiam Socratis exemplo ea
refellatur, et vanitatis convincatur? sed hoc modo , quod dixi,
Utrum Zopyrus ex arte, et ut oportebat, judicium de illo tulerit?
Exstat in operibus Aristotelis libellus, <J>uaioyvoj[juxa
inscriptus, quo superiorum hujus artis consultorum collegisse prae-
cepta videtur . Hinc ea, quee ad formam Socratis, qua ? ad equi hujus
mythici na- turam pertinent , huc transferamus. 2 0 . Igitur
(c. 3, p. 1 1 j3, B) inter ’Avai- c07j- ou hoc est stupidi , et sensu
communi pene carentis signa sunt ~'x nepl tov auysv a aap'/.oj07)
7.ocl G'j[j.7ZB7zXsj[isva x a\ auvo£ 0 £|j.£va, Ea quas adjacent collo
carnosa, com- plexa et colligata, itemque cervix crassa, XGxytjkoq
-ayjj;. Et (c. 6. p. I Ij8, C) Oi? Ta "£p\ ta; xXeTBoc;
aug~£pi~£cppaY(x£va £<ruv, avodaQiyroL. Nonne totidem fere
verbis Ciceronianus Zopyrus? Stupidum esse Socratem, et bardum quod
jugula con- cava non haberet, obstructas eas partes et obturatas.
Alia adhuc mala signifeat ista conformatio. Olc xpd.yrj.oc r.ayyc
xai 55 ET L’AMOUR GREC ne temoigne pas du
contraire ? Mais Zopyre en a-t-il tire, en ce qui concerne notre
Philosophe, un pronostic judi- cieux ? II y a dans les oeuvres d’Aristote
un opuscule intitule Physionomiques ou ce philosophe parait avoir
recueilli les regles admises avant lui par les habiles. Nous
transcrirons celles qui se rappor- tent au portrait de Socrate et au
carac- tere de son cheval mythique. 20. D ? apres Aristote
(chap. m), les in- dices d’un esprit lourd et presque prive du sens
commun sont le gonflement des chairs qui avoisinent le cou, leur
engor- gement et leur replelion- ce qu’il con- firme en disant au
chapitre vi : « C’cst un signe de betise que d’ avoir 1 ’cncolure
epaisse. » Zopyre, dans Ciceron, n’ex- prime-t-il pas la meme idee?
Socrate, dit-il, etait lourd et stupide, parce quii navait pas le
cou bien degage, que ces parties etaient cheq lui comme engorgees
et obstruees. Cette conformation indi- que cncore bien d’autrcs dcfauts :
la 56 SOCRATE TzlioK, 0 o 1 uo£i 8 e!'s,
Crassa et plena cervix iracundos signat, exemplo taurorum : Ol? 8s
[Bpayjj; ayav, irdfi ouXoi, Brevis nimium quibus est, ii sunt homines
insidiosi, lu- porum instar. Talem modo vidimus illum malum equum,
xpaxepauyeva et [Bpa- yuxpayjiXov. Talem nisi fallor se indicat
Socrates, aut potius talem significat Plato Socratem, a natura
fuisse. 21. Videamus reliqua. Equus malus Socratis est — sp\
xa wxa ).asto;, hirsutus circa aures. Libidinosi, Xayvou, apud
Aristotelem ( c . 3 extr. p. 1174, C) o t xpdxoupot oaa$T?, densa pilis
i. e. hirsuta tempora. Deinde (c. 6. p. 1174, C) oi xa yecXrj “aysa
eyovxe; puopoi — avacpdpexai £7ii xou; ovou;. Physiognomones
crassa labia stultitiae characterem faciunt, ob simili- tudinem
asinorum. Quid de se Socrates (Xenoph. 1. c.) in ludicra cum
pulchro Critobulo contentione? Ata 76 r.ayla. syeiv xa ylCkt], oux
otst xa\ [xaXaxaSxspdv oou 'iyv.v xo csfX7]p.a; Propter labia crassa suum
putat osculum mollius. Et, v Eotxa syw xaxa xov et l’amour
grec 5 7 nuque epaisse et charnue denote un homme violent,
par similitudo avec le taure au ; ceux qui l’ont trop courte sont
ruses, par similitude avec le loup. Or, cette indication, 1’encolure
epaisse et courte, figure parmi les marques du mauvais cheval. Si
je ne me trompe Socrate avoue qu’il etait bati de la sorte, ou
plutot c’est ainsi que le depeint Platon. 21 . Voyons le reste. Le
mauvais che- val Socratique a les oreilles velues : Aris- tote
designe comme libertins ceux qui ont du poil jusques sur les tempes.
De plus, les physionomistes notent les grosses levres comme un
indice de betise, par similitude avec 1’ane. Or que lisons- nons
dans la plaisante discussion (Xeno- phon, 1 ) de Socrate avec Critobule?
— « A cause de ses l&vres charnues il pense que son baiser est
plus sensuel », et plus loin : « Je te par ais avoir, 6 Critobule,
une bouche plus difforme que celle de Vane, avec ces bourrelets qui me
tienncnt lieu de levres. » 58 SOCRATE
aov Xoyov x at Ttov Ovojv aiayiov to GTOu.a lysiv, turpius os quam
habent asini illum mollem labiorum tumorem habere tibi, o Critobule
, videor. 22 . Simus fuit, ut vidimus, Socrates : at|jio-po'ato7:o;
est malus equus. Quid Phy- siognomones, atque adeo Zopyrus ? Si
fides Aristoteli (c. 6. p. iiyg, B.) 01 G'|j.7jV Eyovts; piva, Xayvor
avacpspezai i~\ tou; iXa^ou;, Simi sunt libidinosi, exemplo
cervorum. Patulas quoque versus nares suas, qu£e possint odores
undecunque oblatos excipere, laudat sipojv Socrates Xenophonteus ,
pra ? Critobuli naribus humo obversis. Ot ;xev yao ao\ (xuxT7jpE;
ei; yrjv opcSat, ol 8’ eijloi ava“£"tavTat, wgte tx; T:av~o0£v
oGua; izpoa ov/yOou. At Physio- gnomones ( I . C.), 0:; o! p.uxT7jp£$
ava"E^"a- pL^vot, OupiojoEi;, Iracundi sunt, quorum
patula? nares, quod in ira diffundi so- lent. Iracundum valde a natura
fuisse Socratem, non soli credamus Cy r rillo, quamvis Porphyrium
auctorem laudat , qui ab Aristoxeno se illud dicat acce - ET
LAMOUR GREC 59 22. Socrate, nous le savons, etait
ca- mard ; son mauvais cheval a les naseaux ecrases du singe. Quel
indice en tirent les physionomistes et Zopyre ? Aristote dit : «
Les camards sont lascifs, par simi - litude avec le cerf ». Socrate
declare quii a les narines lar gement ouvertes , comme pour
subodorer de toutes parts les parfums. Jaime mieux cela, dit-il,
que d’avoir, comme Critobule , un ne^ penche vers le sol. Mais d’apres
les phy- sionomistes, c’est 1’indice d’un tempera- ment porte a la
colere. Que Socrate ait etedun naturel violent, nous ne nous en
rapporterons pas la-dessus seulement a Saint Cyrille, quoique son
temoignage soit corrobore de ceux de Porphyre etd’A- ristoxene et
qu’il dise en propres termes : « Socrate etait devenu si irritable
qu’il ne pouvait moderer ni ses paroles ni ses 6o
SOCRATE pisse, ’'Ote <pXe-/0e't7] utzo zou TrdOou;
toutou [de ira sermo est) ostvrjv etvat xr ( v aayr][jLO(Hjvr)v •
ouoevo; yap ouxe ovopiato; azoa^saOat oSxe -payjj.ato;, Eo importunitatis
progressum , ut nullo neque verbo neque opere absti- neret : sed
ipsi de se credamus Socrati, qui tam gravi ac molesto sibi, quam
fuit Xanthippe, patientia ? et mansuetudinis gymnasio opus fuisse,
fassus sit apud Xenophontem [Sympos. 2, 10 ) BouXo'|ievo;,
dv0pco7tot; y prjoOat jcat opuXe Tv, Tauxrjv x&ttj- ptat, sii eloco;,
oxt, et lauxrjv 'j"Otaco, PAAIQS TOIS TE AAAOIS 'AIIASIN, avOptfaoic
auveaouat, Quam ferre si posset, facilis esset cum aliis omnibus
conversatio. 23 . Unum superest : e^^OaXpto; erat Socrates.
Itaque ita jocabundus disputat cum pulchro Critobulo, ut cum primo
convenisset, Pulchras esse res , quatenus respondeant consilio, propter
quod ha- bentur ; roget eum , Cujus rei gratia ha- beamus oculos?
eoque, ut necesse erat , respondente, Ad videndum, inferat , Suos
ergo pulchriores esse, qui Sta zo ET CaMOUR GREC
6i actions ». Croyons-en Socrate lui-meme; dans le Banquet
de Xenophon , il avoue que le caractere acariatre de Xanthippe fut
pour lui la meilleure ecole de pa- tience et de douceur; que par la suite
il lui fut plus facile de supporter la con- tradici ion.
23 . Il ne reste plus qu’une chose : So- crate avait les yeux
saillants. Il dispute la-dessus agreablement avee le beau Cri-
tobule, et le fait convenir d’abord que toute chose est belle pourvu
qu’elle re- ponde au but en vue duquel elle existe. Il lui demande
alors : Pourquoi faire avons-nous des yeux ? — Pour voir, re- pond
naturellement Critobule. — E/i bien alors , dit Socrate, mes yeux sont
les plus beaux de tous, car iis me sortent de la 62
SOCRATE £7it-oXatot sivat, quod emineant, non ea
modo, quas exadversum sint videant, sed etiam quae a latere. Et cum
diceretur , secundum hmc pulcherrime oculatum (euo^OaXjj-GTa-ov : )
animal esse cancrum, id ipsum affirmat. Jam Physiognomon
Aristoteles (c. 6. p. i ijg, D) "Oaoi i£6z>- OaXjjiot, inquit ,
aS&vepoi, Fatui sunt, quibus oculi eminent : rationem petit ab
judicio quodam decoris et convenientia ■ naturali , et ab
similitudine asinorum. Male de horum gente meritus est Stagirita :
quce videtur ex hoc prcesertim libello contraxisse infamiam illam , qua
ab eo inde tempore, et Platonis quibusdam dictis, onerata est :
honestum superiori cetate animal, cujus majestatem, ut Var- roniano
verbo utamur, (de R. R. 2, 5, 4) adhuc agnoscebat Homerus. De hac
re adjicietur potius huic disputationi quoddam corollarium, quam ut longius
digrediamur a Socrate. ET L’AMOUR GREC 63
tete, si bien que je puis voir non-seule- ment devant moi, mais
& droite et d gaiiche. Son interlocuteur lui repond qu’a ce
compte les crabes ont de tres- beaux yeux, et Socrate affirme que
c’est parfaitement vrai. Or, d’apres Aristote, les yeux saillants
sont 1’indice de la sot- tise; il tire ce pronostic de certains
rap- ports naturels de convenance, de syme- trie, et de la
ressemblance que ces yeux offrent avec ceux des anes. Le philosophe
de Stagyre a par la bien mal merite de cette race inoffensive, et ce doit
etre a partir de ce petit traite qu’il acquit le mauvais renoni
confirme depuis par Platon lui-meme. L’ane, cet honnete animal,
etait mieux apprecie des genera- tions precedentes, et Homere se plaisait,
suivant le mot de Varron, a lui recon- naitre de la majeste. Nous ferons
de cela un corollaire a cette dissertation pour ne pas trop nous
eloigner presentement de Socrate (i). (i) Gesner a «Jcrit un
appendice intitulc De antiqua SOCRATE 64
24. Nempe tempus est, ut videamus, quorsum evadat ille de bono et
malo equo Myihus. Ad conspectum pulchri (p. 34 j, F) bonus ille
quidem aurigee obsequitur, contineri se patitur, malo alteri ,
quantum potest reluctatur. Simile certamen est in pulchro, qui amatur
: repugnat malo isti equo bonus illius jugalis, hic enim est (p.
348 , G) 6 [xo'£u£, et ipse auriga adeo repugnat [aet’ dtSous xat
Xdyou, cum pudore et recta ratione. Si ergo ita vincant meliora, et ad
vitam ordinatam, quae eadem philosophia est, ducant illum currum,
beatam et concor- dem hic vitam agunt continentes se, et decus suum
tuentes, syxpatcTs auroiv xat xdajjuot ovtss, in servitutem redacto
illo equo, cui vitiositas animae inerat; in li- bertatem asserto
eo, cui virtus. Tandem vero alati ac leves denuo facti, sic de tri-
bus illis certaminibus (de quibus §. 12) asinorum honestate,
imprime i la suite du Socrates sanctus pcederasta ; il ne nous a pas
sembl£ otfrir assez d’interet pour Ctre traduit. (Note Ju Traduc-
teur.) ET L’AMOUR GREC 65 24. II est
temps de voir ou il veut en venir avec son Mythe du bon et du mau-
vais cheval. A Taspect de la beaute, ie coursier docile obeit au cocher
et se laisse contenir; il resiste de toutes ses forces a son mauvais
compagnon. L/objet aime est lui-meme en proie aunesemblablelutte ;
son bon cheval se defend contre les ten- tatives de son mauvais compagnon
d’at- telage, que de plus le cocher s’efforce de contenir par la
pudeur et la raison. Si les meilleurs instincts remportent la
victoire et conduisent le char dans les chemins de la vie rangee,
cest-d-dire de la philoso- phie, les deux amant s vivent dans le
bon- heur et bunion, maitres d’ eux-memes et regles dans leurs
mceurs : iis ont dompte le mauvais cheval, qui repre- sente le
vice, et affranchi 1’autre qui re- presente la vertu. Recouvrant enfin
leurs t ailes et leur legbrete primitives , iis sor- tent
vainqueurs de ces trois luttes vrai- ment Olympiques dont nous avons
parle plus haut. Socrate peut donc dire*sans hesitation que ccux
qui se prescrvcnt. 66 SOCkATE vere
Olympicis, unum vicerunt. Absque hcesitatione igitur beatissimos esse
dicit, qui se puros et castos ab amore Venereo servaverint.
25. At nunc sequitur apud Platonem, in quo defendere illum ,
Platonem, in- quam, nam Socratis causam hic segre- gandum putamus
(vid. 6) paullo diffi- cilius est; tacuisset enim forte sapientius
: sed non iniquum (i) excusare. Nempe his, quee modo prolata sunt,
subjungit, quee non scripta equidem malim : sed pono, ne quid
dissimulasse videar, ne parum bona fide egisse. Quam vero caute,
quam suspensa velut manu illud ulcus tractet, videre opera? pretium est.
Eav’ os 8tatT7) <popzi7Ui)~ipx ~z xat A<I>IAO— cptXoTtjxu)
8s yprfacjvzx'., -i/' av ~oj ev uiOat; sitivi a)xA7) dasXsta Tci>
axoXaTCto ajTOtv Gno- JXiytco XaSovTE, xa\ tjrjya; xopojpo-j;
aovaya- yovTE et; toeutov, tf ( v u ~6 :wv -oXX oiv [xaxaot-
fi) Multum certe facilior causa Platonis, quam alicujus Beneventani Episcopi
: aut aliorum, quos vrxterco sciens. ET L'AMOUR GREC
67 purs et chastes, de 1’amour Venerien, jouissent de la plus
grande beatitude. 25. Ce qui suit, chez Platon, est un peu
plus difficile a expliquer; chez Pla- ton, disons-nous, car ici nous
croyons devoir separer sa cause de celle de So- crate; evidemment
il aurait mieux fait de se taire , mais il n’cst pas impossible de
l’excuser (i). A ces choses sublimes que nous venons de transcrire, il
en ajoute d’autres que j’aimerais mieux lui voir passer sous
silence; je les exposerai cependant, de peur de paraitre rien
dissi- muler et manquer un peu de bonne foi. Il faut ici donner le
texte pour qu’on ( 1 ) Son cas est en effet moins grave que celui
de certain eveque de Bdnevent et de quelques autres que je ne veux
pas nommer. — (L’auteur fait ici allusion a 1’archeveque Giovanni .delia
Casa et a son fameux Capitolo dei forno ; mais il ne 1’avait
probablement pas lu, et il se meprend, comme bien d’autres, surle
sens de ce celebre petit poeme. — Note du Traduc- te ur.)
68 SOCRATE cTr;v atpeotv £tXcTr ( v ~t /ai
Ste^pa^avxo x x X. Si vero vitam vivant LICENTIOREM et A
PHILOSOPHIA ALIENAM, ean- demque ambitiosam, forte aliqua in
ebrietate aut qua alia negligentia depre- hensas INCAUTAS animas equi
illi uiriusque amatoris indomiti, eodem con- ducant, et sic illam
quce beata vulgo vi- detur electionem faciant, et (turpe illud
facimts) peragant : eoque peracto per re- liquum tempus utantur quidem
(illa voluptate ) sed raro, quippe qui non omnino deliberata mente
(sed deprehensi velut incauti ) hoc agant — etiam hi praemium non
parvum amatorii illius furoris (non Venerei, de quo modo dic- tum,
sed philosophi , de quo §. i3) aufe- runt : in tenebras enim illas et
illud sub terram iter non veniunt, etc. ET L'AMOUR GREC
69 voie avec quelle prudence et sans ap- puyer la main, il
decouvre cet ulcere de la civilisation Grecque. — « S’ils embr as-
sent , dit-il, nn genre de vie moins austdre, etrangbre a la Philosophie
et livree aux passions desordonnees , il arrivera quau milieu de
Vivresse ou de quelque autre etourderie les coursiers indomptes
sur- prendront leurs ames et les meneront l’un et l’ autre au meme
but,' iis prendront alors le parti de faire ce en quoi , selon le
vul- gaire , consiste le supreme bonheur et (c’est la le crime
infame) satisferont leurs desirs. Dans la suite , iis
renouvelleront leurs jouissances , mais rarement, parce qxCelles ne
sont pas approuvdes de l’dme entiSre et qu’ils agissent comme par
sur- prise et sans defense. C’est pourquoi ce qu’il y a encore
d’excellent dans leur amour (le pur amour pliilosophique et non le
desir Venerien) recevra plus tard sa recompcnse ; iis niront pas, aprds
leur mort, dans ces tenebres et par ces routcs souterraines,..,
etc. » yo SOCRATE 26. Apertum est his,
qui et sermonem Platonis intelligunt, et non ultro qucerunt
crimina, non illum prcemium constituere pceder astice turpi, non
Philosophice genus facere flagitiosum puerorum amorem : sed summam
c.ulpce esse hanc , quod di- cat, si qui coelestis illius
pulchritudinis, quam in volatu illo suo viderint, deside- rio icti,
etiam pulchros amant, et dum arctius eos complectantur, liberius cum
iis versentur, etiam ad turpe facinus ab ebrietate, certe ex improviso,
incauti, proster deliberatam voluntatem, abri- piantur, id quod
ipsis contingat ob genus vivendi licentius atque a Philosophia
alie- num, iis tamen prodesse primum illud7'io- biliusque
philosophandi propositum, ut non cum reliquis ad inferos mittantur,
et ad poenarum locum (vid. §. 12) non cogantur post ternas millenorum
anno- rum periodos , septem alias subire ete sed facilius alas ut
recipiant, quibus evo- lare ad coelestia, deum aliquem sequi du- cem
possint. Hactenus reprehendat Pla- tonem, si quis volet, non ut
laudatorem et l’amour grec 7 1 26. II est bien clair,
pour qui veut comprendre Platon et ne cherche pas de griefs de son
plein gre, qu J il n’assigne pas cette recompense aux fauteurs du
vice honteux, qu’il ne fait pas de 1’igno- minieux amour masculin un
attribut special des Philosophes. On voit, au con- traire, combicn
il blame ceux qui, les yeux encore eblouis de cette beaute ce-
leste entrevue par eux dans leur vol an- terieur, con^oivent des desirs
pour la beaute terrestre, recherchent les jeunes garcons, et a
force de les embrasser etroi- tement, devivre familierement avec
eux, se trouvent entraines a 1 ’improviste, au milieu de livresse,
par surprise et sans que leur volonte y ait part, a conimettre
l’acte immonde; cela leur arrive, parce qu’ils ont adopte un genre de vie
trop libre et qu’ils negligent la Philosophie. Iis tirent cependant
ce profit, de s’etre d’abord propose pour but cette noble Science,
qu’ils ne sont pas relegues aux enfers avec tous les autres hommes ;
apres une revolution de trois mille annees, iis
SOCRATE 7 2 Pcederastice, sed ut clementem nimis
, lentumque adeo castigatorem : qui prae- sertim in aliis peccatis
severum satis ac durum se praebuerit (1 ). 27 . Sed , si
cequi esse volumus, si de nostris religionum doctoribus ecquos ex-
periri judices, videamus etiam , quid dici pro ratione illa Platonis
possit , quid pro Socrate, quatenus et ipse non horribili flagello
sectari vitia id genus solebat. Distinguamus legislatoris personam
et Philosophi. Legibus Atheniensium primo antiquissimis illis a
Cecrope , sanctitas (1) Bona pars libri De re publica decimi in
eo consumitur, ut a"apat~r]Tou?, a^apa[xu0rjTOU?, implacabiles
sacrificiis Deos, ostendant. Vid. pras. a p. 6 72 extr. et conf. qua:
collegit Davis. ad Gic. de Legib. 2. c. j 6 . p. i 3 j ET
L’AMOUR GREC 78 n’ont pas a en su.bir sept mille autres; iis
recouvrent plus vite leurs ailes et peu- vent s’elancer vers les spheres
celestes, a la suite d’un des douze dieux. Que l’on reproche donc a
Platon, si l’on veut, non pas de s’etre fait 1’apologiste de la
Pede- rastie, mais d’avoir ete trop clement, de ne pas chatier
assez ferme, lui surtout qui pour de moindres fautes se montre si
dur et si severe (i), 27. Mais soyons equitables; prenons
d’honnetes gens pour juges de nos Phi- losophes, voyons ce que l’on peut
dire en faveur de Platon ou de Socrate, et jusqu’a quel point ce
dernier a vraiment neglige de flageller le vice en question. II
faut distinguer le legislateur du Phi- losophe. Les plus anciennes lois
Athe- niennes, celles de Cecrops, proclamaient la saintete du
mariage. La loi de Dracon ( 1 ) II emploie la majeure partie du X®
livre de sa Republique a montrer que les dieux sont insatiables de
sacrifices. Comparez avec ce qu’a <5crit Davies sur le Tr ciite des
lois , de Cicerrr.i. 7 74 SOCRATE
matrimoniorum constituta : Draconis lex capite plectebat adulteros
: Solon li- beram faciebat marito potestatem sta- tuendi in
adulterum in facto deprehen- sum , quidquid liberet. Itaque mirum
fuerit si masculam libidinem non punis- sent. 28. Sed bene
habet : supersunt monu- menta Solonis hac etiam de re legum,
diligenter collecta a Sam. Petito (de Le- gibus Att. 6, 5 et in
Commentario p. 468 sqq.) prcesertim ex vEschinis in Timarchum (a p.
186 edit. Aurei. Al- lobr. 1607. /•) et Demosthenis contra
Androtionem (a p. 421) orationibus : unde hoc constat, qui vi vel persuasione
ingenuum corrupisset, produxissetve, gravissima poena (quce ad ultimum
sup- plicium corruptoris et productoris, in- terdum etiam corrupti,
poterat progre- di) affectum esse. Qui illam patiendi pro mercede
turpitudinem admisisset, si effugisset poenam aliam, illi neque
lice- bat inter novem Archontas esse, neque ET LAMOUR GREC 7
5 punissait de mort les adulteres; Solon laissait la faculte
au mari, dans le cas de flagrant delit, de se faire justice comme
il 1’entendrait. II serait bien surprenant que ces deux legislateurs
fussent muets a l’egard de Tamour masculin. 28. Mais nous
avons mieux ; il reste des lois portees par Solon sur la matiere
divers fragments precieusement recueillis par Samuel Petit (voy. ses Lois
attiques et le Commentaire dont il a accompagne cet ouvrage); ii
les a surtout tires du Discours contre Timarque, d’Eschine, et du
Discours contre Androtion, de Demos- thene. Il y est dit : Quiconque,
memesans violence, aura debauche ou prostitue un homme de condition
libre sera passible de la peine la plus rigoureuse. — (Le cha-
timent pouvait etre la mort, dans l’un comme dans Tautre cas, et pour le
liber- tin, comme pour savictime.) — C elui qui se sera prostitue
pour de l’argent, s’il echappe a toute autre peine, ne pourra ni
SOCRATE 76 fungi sacerdotio, neque syndicum
creari, neque ullum magistratum vel intra vel extra urbem, neque
sortito neque suf- fragiis, capere, neque pro Praecone s. oratore
mitti usquam, neque sententiam dicere unquam, neque in templa
publica intrare, neque in pompa coronata et ip- sum coronari, neque
intra sacros fori cancellos (evto; twv t rj; ayopa? TteptppavTT]-
P’'wv) ingredi. Si quis vero damnatus im- pudicitiae quidquam horum fecisset,
ca- pital erat. 0avato> r7)[j.'oua0w sunt verba legis ab As
schine recitata. Plura huc transferri opus non est , cum rarum esse
Petiti opus desierit. Summa capita habet etiam in Themide Attica ( 1 , 6)
Meur- sius. 2 q. Utrum seynpcr valuerint istce le-
ges? annon eas perruperit interdum au- ET L AMOUR GREC
77 etre l’un des neu f archontes , ni remplir aucune
fonction sacerdotale , ni etre nomme delegue d’une ville ; il lui est
interdii d’exercer aucune magistrature, soit en dedans , soit en
dehors de la cite , quii ait et e designe par le sort ou par les
suffrages de ses concitoyens ; d’etre en- voyd nulle part comme Herault,
ou comme orateur ; de prononcer aucune sentence ; de penetrer dans
les temples publics; de faire partie des processions et d’y porter
une couronne sur la tetc; de franchir ienceinte sacree de l’Agora.
Qiiiconque, deja condamne pour fait de prostitutiori , fera ou
acceptera de faire une de ces choses sera puni de mort. Puni de
mort, tel est le texte meme de la loi lue par Eschine. II est
inutile d’en transcrire ici davantage, car Touvrage de Samuel Petit
est loin d’etre rare ; Meursius en a meme donne, dans sa Themis Attique,
les cha- pitres importants. 29. Ces prescriptions
eurent-elles tou- jours force de loi? Ne purent-elles etre
SOCRATE 7 8 dacia , astus subterfugerit ,
eluserint rhetores? annon ipsa poenarum gravitas impunitati
occasionem non nunquam de- derit? an non professce impudicitiae ho-
minis utriusque sexus, libidinum publica- rum victimce, toleratce sint?
An denique poetce non multa saepe impudenter scrip- serint,
fecerint? jam non quceritur. Uti- nam non avxtxatrjyopia quadam
repellere possent veteres Attici cujuscunque vel sec- tae vel
cetatis homines, si qui acerbius ex- probrare iis velint, quce de
Comicorum pe- tulantia sublegerunt illi apud Athenaeum (i3, 8 p.
601 ) Deipnosophistce, et quae colligere ex illa parentum cura apud
Platonem (Conviv. p. 3ig, E), Pceda- gogos constituentium suis filiis,
qui ne quidem colloqui suis cum amatoribus (turpibus nimirum et
flagitiosis) eos pa- tiantur : e. i. g. a. 3o. Ceterum
severitate legum eo ma- gis opus erat, quod obtentum fiagitiis
et l’amour grec 79 enfreintes par les audacicux,
adroitemcnt tournees par les gens ruses, eludees par les avocats ?
La rigueur du chatiment ne favorisa-t-elle pas elle-meme Timpunite
? Est-ce qu’on ne tolera pas des prostitues de profession, victimes
de 1’incontinence publique et remplissant le role de l’un et
1’autre sexe ? Les poetes n’ont-ils pas ef- frontement deerit ces
turpitudes, ne les ont-ils pas mises en action sur la scene ? Cela
ne fait aucun doute. Plut au ciel que les Atheniens de nfimporte
quelle secte et de quelle epoque ne pussent re- tourner Taccusation
a ceux qui leur re- procheraient trop vertement ces horreurs
etalees par les poetes comiques et recueil- lies par les Deipnosophistes
d’Athenee, ou ce qu’on peut induire de 1’inquietude des peres de
famille confiant leurs fils, d’apres Platon, a des precepteurs severes,
pour les empecher de s’entretenir avec leurs amis, — des amis
infames et detestables. 3o. Les lois devaient etre d’autant
plus severes, que les coutumes de la Grece 8o
SOCRATE non nunquam praeberet (ut nempe res sancta ? prope
omnes , ut ipsce populorum sceculorumque pene omnium religiones ,
atque ceremonice) ille puerorum amor , castus , legitimus, sanctus, quo
tanquam potentissimo virtutis cum bellicce tum civilis incitamento
utebantur qucedam Grcecorum respublicce : quarum legisla- tores,
cum viderent, ignava fere esse virtutis prcecepta, firmis licet nixa
de- monstrationibus, nisi ea affectu quodam et tanquam spiritu
animentur, nisi ev0ou- aiaajxou quoddam genus accedat, quo acti
homines et commoda sua , et jacturas, et salutem, et pericula et tormenta
contem- nerent. Hinc excogitata et in usum civitatis recepta sunt
splendida ista et efficacissima remedia, Religio, Pudor, Amor
patrice, Gloria, res quondam po- tentissimce, quod ex illarum effectibus
judicare pronum est: nunc prceclara quo- rundam, qui sibi Philosophi
videntur, opera fere ad inanium vocabulorum stre- pitus relata, et,
dum relata sunt, etiam redacta. ET l’aM0UR GREC
8i ( comme toutes les choses saintes, comme les cultes et
les ceremonies religieuses de presque tous les peuples et de tous
les temps) donnaient plus de facilite a la depravation. La fervente
amitie entre jeunes gens, Tamitie chaste, legitime, sa- cree, etait
favorisee, dans les republiques de la Grece, comme le plus energique
stimulant du courage militaire et des ver- tus civiles. Leurs
legislateurs savaient bien que ni la vertu ni le courage ne s'in-
culquent a 1’aide de demonstrations, si bonnes qu’elles soient ; que
1’homme est naturellement faible a moins qu’il ne soit pousse par
la passion et par 1’orgueil ou entraine par cette espece
d’enthousiasme qui lui fait mepriser les aises de la vie, la
fortune, la vie elle-meme, et affronter les perils et les supplices.
C’est pourquoi l’on mettait en jeu, dans Torganisme de la cite, ces
heroiques et sublimes mobiles, la Re- ligion, 1’Honneur, 1’Amour de la
patrie, la Gloire, mobiles autrefois bien puis- sants, comme nous
pouvonsen juger par ce qu’ils firent accomplir; aujourd’hui,
82 SOCRATE 3 i . In illis igitur rei publicce bene
ge- renda? incitamentis, an instrumentis? erat Amor ille
adolescentulorum tum in- ter se, tum inter ipsos et natu majores :
inde illa sacra Amantium cohors The- bis, et Cretensium. Quanta illius
vis esset, et quam metuendus esset miles amator, svOouatwv, et ab
Amore simul atque a Marte bacchans, occurenti in prcelio hosti, ita
enarrat 2E liantis (H. V. 3 , g) ut IvOo-jatav et furere ipse prope
videatur. Idem (c. io et 12) Laconica qucedam circa eam disciplina? publica?
partem instituta commemorat : V. G. ab illis multatum esse virum
alioquin bonum, ea de causa , quod nullum ha- bere juniorem, quem
amando sui si- milem, et per hunc forte etiam alios, redderet :
itemque peccantis adoles- centuli virum amatorem punitum , cui
83 ET l/AMOUR GREC grace a de certains
Philosophes, ou soi- disant tels, ces grandes choses ne sont plus
que de vains mots, creux et vides, dont le sens s’affaiblit a mesure
qu’on en abuse. 3 1 . Ainsi, 1’Amour des jeunes gens, soit
entre eux-raemes, soit entre eux et leurs ames , etait favorise partout
en Grece , pour le bien de la chose publique ; voila ce qui donna
naissance a la cohorte sa- cree des Amants , chez les Thebains et
chez les Cretois. Quel etait le courage de ces sortes de soldats, quelle
etait la ter- reur qu’ils inspiraient, lorsqu’ils rencon- traient
Tennemi, ivres a la fois d’amour et de sang : c’est ce que Elien nous a
fait connaitre, en partageant, pour nous les mieux depeindre, leur
impetuosite et leur fureur. II nous indique aussi qu’il y avait
quelque chose de semblable dans les institutions de Sparte ; un
Lacede- monien fut mis a 1’amende , quoique excellent citoyen, pour
avoir neglige d’ai- mer quelque compagnon plus jeune que lui, a qui
il aurait inculque ses vertus et SOCRATE 84
nempe illius imputari vitia posse cen serent. 32 .
Etiam illud Laconicum narrat , so- litos ibi adolescentulos petere ab
ama- toribus , viris nempe bonis ac fortibus , stareveTv auTot ?,
ut se adflarent. Interpreta- tur illud verbum , Laconibus proprium,
sElianus per epav, amare : idem factum ab Hesychio V. sp.-v£ Tjj-ou, et
epa, eia7cver. Multa similia ad utrumque Hesychii locum viri docti
, post Meursium (Mis- cell. Lac. 3 , 6 ) sed nihil, unde ratio ap-
pellationis queat intelligi. Nec satisfacit, quod refert, non probat
Eustathius (ad Odyss. A, 36 1 p. 1743 et ad E, 478 p. 240, 38 )
EtarevElxai yap tpaat, t 7j? pLOp^? ti /at x i); wpa;, inspirari aliquid
fornice et pulchritudinis. Hcec enim Laconicce se- veritati parum
conveniunt, si fides anti- quis, ipsique adeo JEliano in ipso illo,
de quo agimus , loco. Srap-ctaTT)? epio; ata- ET LAMOUR GREC
85 qui eut ete capable, a son tour, de les
transmettre a d’autres. Lorsqu’un jeune homme commettait une faute, les
Spar- tiates punissaientson intime ami, comme responsable des
vices qu’il lui tolerait. / 32. Elien rapporte encore
cette autre coutume de Sparte, que les jeunes gens exigeaient de
ceux dont iis etaient aimes, toujours choisis parmi les meilleurs et
les plus braves, ut se adflarent. II explique le verbe ekjttvs Tv (
adflare ), propre aux La- coniens, par cet autre : spav (aimer), et
He- sychius de meme aux mots EpjcvEtgou, ipS et eiu7iveT. Divers
savants ont accueilli cette interpretation, a 1’exemple de
Meursius; mais je n’ai rien compris aux raisons qu’ils en donnent.
Je ne suis pas davan- tage satisfait de Tassertion emise, sans
preuve, par Eustathe, dans son commen- taire des chants IV e et V e de
YOdyssee : a Les inspires (i) sont guides dans leur (i) On
appelait indifTeremment ItaKVETxat, ii a- 7UvrjXa' (inspires) ou spacjiat
(amants) ces couples 8 86 SOCRATE
ypov oux otosv x. t. X. Spartanus amor turpe nihil quidquam novit.
Sive enim ausus fuerit adolescentulus pati turpia (upo-v uzoaeivat)
sive amator facere (£»|Bp6 oat) neutri quidem Spartee manere pro-
fuerit : aut enim patria privarentur, aut vita ipsa. Quare illud ela-vetv
s. s[j.7ivsTv, illos £ta7iVTjXa;, quos eosdem aixa? vocat
Eustathius (Hesych. afcav, s-aTpov) ab in- spirando s. adspirando divino
quodam spiritu, dictos arbitror , unde afflati, ut
7rveuu.atocpo'poi quidam et svOouaiwvTsc, divi- no quodam furore perciti
, ruerent. Hic est ille furor, quem supra i3) tetigi- mus, et de
quo plura sunt in Platonis Phcedro (p. 344, A. 346, A. 352, E).
Nempe spiritum 7iveSp.a quum dicebant an- tiqui, non rem illi tantum
cogitantem in- dicabant, sed rem subtilem, magna ean- dem movendi
et agendi vi praeditam, etc. de friires d’armes , si terribles dans
les batailles. 'Etcnvelv (ad/lare) peut se traduire positivement
par meter les souffles ou metaphoriquement par avoir des aspirations
communes. ( Note du Tra- ducteur.) ET l’aMOUR GREC 87
choix par la beaute et 1’elegance corpo- relle. » Cela me parait
peu convenir a cette severite Laconienne dont temoi- gnent tous les
anciens et Elien lui-meme, a Tendroit en question : « On ignorait a
Sparte ce que detait que les impures amours. Si quelque jeune homme eut
ose se prostituer , ou prendre 1’autre role, il lui eut mal reussi
de rester d Sparte; il y allait pour lui de Vexilou de la mort. »
C’est ce qui me fait croire que ces inspires , designes aussi sous les
noms de compa- gnons, freres d’armes, par Eustathe et par
Hesychius, etaient ainsi appeles du souffle ou de Tesprit en quelque
sorte divin qui les animait, lorsqu’ilsse ruaient sur l’ennemi
comme transportes d’une fureur plus qu’humaine. Nous avons deja parle
de cette espece de delire, dont il est si souvent question dans le Phedre
de Platon. Il convient en effet de remarquer que les anciens
n’entendaient pas comme nous par esprit une faculte intellectuelle,
mais une essence subtile, douee d’une grande forcc de mouvement et d’action.
88 SOCRATE 33. Non vagatur hcec extra oleas
ora- tio. Cum enim fuerit , quod, adhuc proba- tum est, in Grcecia
r.aiozptxizv.a. quaedam honestissima, et sancta adeo , qua ad
virtu- tem, bellicam praesertim , et quidquid pul- chrum est, incitari
homines crederentur, cum nomina spojvuo?, Ipaaxou, raioapaaxou,
itemque spwuivoy, -atot/.wv, et similia tur- pitudinem nondum haberent :
cum illud raiSspaaxsTv res esset adeo honesta, ut quem ad modum
capital Romae erat servo, si militarat, ita Solonis lege multaretur
quinquaginta plagis publice, qui servus eXsuOspou 7ra'oo; spav, amare
liberum pue- rum, auderet : haec ita se cum haberent omnia, nemo
jam debet mirari, adoles- centulorum esse amorem professum So-
cratem, fecisse illum, quae ante (§. i5) dicta sunt, eaque scripsisse
tanquam So- cratis dicta Platonem, quae ex Phaedro commemoravimus .
Quod mitior est vel Plato, vel ipse adeo Socrates, (si quis ei
tribuat, non satis ille quidem aequa ratio- ne, quidquid apud Platonem ex
ipsius persona dictum ponitur) in hos etiam quos ET L’AMOUR
GREC 89 33. Cette digression ne nous a pas eloigne de notre
sujet. Puisqu’il existait en Grece , comme nous venons de le
prouver, une jcatBspao-rfta tres-honnete , sainte, on peut dire, et
reputee propre a pousser les hommes au bien et a la vertu, surtout
a la vertu guerriere; puisque les mots d’amants, d’amis, de
7tad>epa<jTcu et de 7:aioi7.wv n’avaient rien de honteux ;
puisqu’il etait meme si honorable de se livrer a cette zcaSspaardtix, que
la loi de Solon punissait de cinquante coups de fouet, subis en
pleine place publique, tout esclave qui aurait ose aimer un jeune
homme de condition libre; puisque tout cela est irrefutable, personne ne
doit s’e- tonner que Socrate ait professe 1’amour des j eunes gens,
qu’il ait lui-meme eprouve cet amour et agi en consequence; que
Platon nous ait transmis, comme l’ex- pression des doctrines de Socrate,
ce que nous avons cite du Phedre. Sans doute Platon ou, si l’on
veut, Socrate, quoiqu’il ne soit pas equitable de lui attribuer
tout ce que son disciple lui fait dire, se montre
SOCRATE 90 mala libido ad turpitudinem
transversos abripuit 25 . 26) illud primo hanc rationem , ut
innuimus , habuit , quod nec legislatorem hic, neque publicum
accusa- torem ageret ; sed Philosophum , sed amatorem, amicum certe
quidem, qui non metu pcence deterrere a turpitudine homines, sed
virtutis amore revocare a peccato vellet. Deinde erant forte,
quibus parcendum erat, juvenes a vitiis ejus- modi non plane puri,
Alcibiades , Critias , alii, 9[Xox''[j.o) illi quidem sed eadem
«popti- ■/Mxipcc et dcfikoaofM otattr) yprjaajxsvoi (vid. §. 25 )
quos abscisse nimis ab omni fructu Philosophice, ab omni ad virtutem
reditu excludere velle, et sic plane a se et a virtute segregare,
non erat consilii. Non instituam hic comparationes, quce invi- diam
habere possunt : sed illud addam unum, si forte aliquid veri sit ineo,
quod de liberiori Socratis adolescentia dictum est /'§. 2) : si non
mendax historia , e qua refert Origenes contra Celsum , qui su-
periorem vitee conditionem primis Chris- ti discipulis objecerat (l. 1.
p. 5 o. pr.) ET L AMOUR GREC 9 1 beaucoup
trop clement envers ceux qu’un infame desir pousse a Tacte honteux.
Son excuse, nous Tavons deja dit, c’est que ce n’est pas ici un
accusateur public ou un legislateur qui parle, c’est un Philosophe,
un ami, un amant, et il essaye non de detourner les hommes du vice en les
ef- frayant par la menaee des chatiments, rnais de les dissuader
d’une faute en leur inculquant Tamour de la vertu. II y avait
d’ailleurs peut-etre autour de lui des jeunes gens qui n’etaient pas
irreprocha- bles et envers lesquels il ne fallait pas se
montrertrop dur, un Alcibiade, un Cri- tias, d’autres encore, pleins de
fougue, adonnes a une vielicencieuse et etrangere a la sagesse; les
priver de quelques-uns des benefices de la philosophie, c’eut ete
leur fermer toute voie de retour au bien, les eloigner de la personne du
maitre et par consequent de la vertu. Je ne cherche pas a faire des
comparaisons qui pour- raient sembler malseantes; je veux ce-
pendant rapporter un fait, vrai ou faux, qui a traita la jeunesse un tant
soit peu SOCRATE 9 2 Phcedonem e lupanari
traductum ad Philosophiam a Socrate : quid facere illum oportebat
in hac disputatione? 34. Nihil igitur est in Phcedro , quod
urgeat Socratem : si quid incautius dic- tum sit , illa Platonis culpa
fuerit : quam- quam si universam circumstantiam , ut a nobis
ostensa est , quis consideret , etiam hunc accusare , vel non excusare,
ini- quum videtur. De Convivio Platonis jam non opus est multis
disputare. Distin- guat mihi aliquis personas loquentes : ad
universam libelli descriptionem, quam vocamus CEconomian, ad
Allegorian denique ab amore Venereo ductam , ac translatam ad
animos, quorum lenonem se et obstetricem ferebat Socrates : ad
hcec, inquam , mihi attendat aliquis, et et l’amour grec q3
dereglee de Socrate. C'est Origene qui le raconte dans son traite
contre Celse. Celse reprochait aux premiers disciples du Christ
d’avoir ete tires de conditions abjectes; Origene repondit que
Socrate avait bien tire Phedon d’un mauvais lieu pour le convertir
a la Philosophie. J e vous demande un peu ce que ce Phedon venait
faire dans la discussion. 34. On ne rencontre donc rien dans
le Phedre qui puisse incriminer Socrate; s’il y a ca et la quelques
paroles imprudentes, c’est la faute de Platon. Encore, si l’on
examine bien toutes les circonstances, comme nous 1’avons fait, il serait
injuste, tout en blamant Platon, de ne pas lui trouver d’excuse.
Nous ne nous etendrons pas longuernent sur son Banquet. Que l’on
distingue bien les uns des autres les interlocuteurs, que Fon fasse
attention a 1’ensemble du dialogue, a ce que nous appelons
1’economie de 1’ouvrage, que Fon analyse enfin cette allegorie
tirce de 1’amour physique, puis appliquee aux 94
SOCRATE mirabor, si quid ibi sit , unde Jiagitio ipsi
praesidium, vel crimini in Socratem jactato firmamentum peti possit. Sed
est in illo libro, quod maxime ad defenden- dum a Socrate fagitium
pertinet, quod ut magis pateat, tota ultimee partis, et velut actus
postremi fabulae illius convi- valis, CEconomia proponenda est, e qua
ipsa appareat, velle pro veris haberi Pla- tonem, qua ’ in Alcibiadis
personam con- jecta de Socrate dicuntur. 35. Ebrius nempe
Alcibiades ad eum finem, ut neque pedes officium faciant,
comissator supervenit potantibus apud Agathonem Socrati ceterisque. Hic,
ex lege compotationis , dextrum sibi accum- bentem Socratem laudare
jussus, obse- quitur cum professione ebrietatis, ut tamen (p. 332,
G) vera se dicturum con- firmet et redargui petat , si quid mentia-
tur. Ac primo sub imagine quadam lau- et i/amour grec 9 5
idees, dont Socrate se donnait comme l’entremetteur et Taccoucheur,
et je serai bien surpris si 1’on y decouvre quoi que ce soit en
faveur du vice infame ou a 1’appui de 1’accusation portee contre
So- crate. On pourra y puiser, au contraire, les meilleurs
arguments pour l’en defen- dre ; mais il est necessaire d’exposer
ici toute 1’ordonnance de la derniere partie, ou plutot du dernier
acte de ce dialogue, ou il est clair que Platon veut nous faire
tenir comme vrai ce qu’il a place, tou- chant Socrate, dans la bouche
d’Alci- biade. 35. Alcibiade arrive a la fin du festin
dans un tel etat d’ivresse que ses pieds refusent de le porter; il veut
prendre sa part de plaisir avec Socrate et les autres, en train de
boire chez Agathon. La, par suite d’une convention adoptee entre
les convives, il est force de faire 1’eloge de Socrate, assis a sa
droite, et demande de 1’indulgence, en se fondant sur ce qu’il est
ivre ; il affirme pourtant qu’il ne SOCRATE 96
daturus Socratem , cum Sileno aliquo (Conf. §. 18 J nominatim cum
Satyro Marsya , tibicine , illum comparat, cujus figura, ex ligno,
edolata ruditer atque deformi, utebantur artifices pro theca, quce
intus haberet pulcherrimum aliquem Mercuriolum (p. 333, F) : scilicet
in corpore deformi habitare animam pul- cherrimam demonstrat : et
esse tibicini Marsyce similem Socratem, ob illam vim demulcendi
animos, cui resisti non posset. 36. Deinde narrat, cum eundem
pul- chrorum sectatorem quendam ct capta- torem videret, se, qui
fiduciam fornice haberet, sperasse, si pellicere virum ad amorem
sui (venereum nempe) posset, eique se prceberet obsequiosum,
impetra- turum se ab illo admirabilem illam ar- tem, et ablaturum,
quce Socrates sciret, omnia. Hinc narrat verbis quidem ho- nestis
modestisque , ct tamen venia ante ET LAMOUR GREC
97 dira que la verite et exige, s’il se trompe, qu’on lui
donne un dementi. II com- mence, pour louer Socrate, par le com-
parer a ces grossieres figures de bois representant Silene ou le satyre
Mar- t syas, le joueur de flute, sculptees sans travail et sans
art, dont les statuaires se servaient comme de gaines, et qui rece-
laient a 1’interieur quelque joli petit Mer- cure ; ainsi, dit-il, dans
un corps difforme peut habiter une belle ame; de plus, So- crate
ressemble au joueur de flute Mar- syas en ce qu’il a, pour charmer, une
force a laquelle nui n’est en etat de resister. 36. II
raconte ensuite que le voyant s’attacher a la poursuite des beaux
ado- lescents et s’efforcer de les prendre dans ses filets, plein
de confiance en sa beaute parfaite, il avait essaye de lui inspirer
de 1’amour, comptant bien qu’avec un peu de complaisance pour ses
desirs il obtien- drait de lui qu’il lui communiquat son admirable
science, et qu'il gagnerait a cela tous les talents de Socrate.
Alcibiade 9 SOCRATE 98
exorata ebrietati , et pro? fatus (p. 334 , C) uti servi aliique
profani aures obtu- rent (zuXa<; 7: avo [xEyaXai xot; walv £7ri0E<?0s)
quam varie, et quibus veluti gradibus, frustra continentiam Socratis,
temperan- tiamquefrecte fortitudinis hic nomen adji- cit) tentarit.
Summam facit hanc, (p. 334 , G) ut Deos Deasque testes faciat, se
cum totam noctem sub eadem veste cum Socrate jacuisset, non aliter
ab illo, quam ut filium a patre, aut a fratre majori frater
deberet, surrexisse. Itaque se frustratum spei esse in homine, quem
hac sola forte parte capi posse putasset. 3y. Enumeratis deinde
aliis Socratis virtutibus, bellica prcesertim , qua sibi etiam
vitam servarit, addit, non se tan- tum contumelia tali ab eo affectum ,
sed Charmiden etiam , Euthydemum et et l’amour grec gg
place ici , mais en termes honnetes et mesures, quoiqu’il se soit
excuse sur son ivresse et qu'il ait recommande aux es- claves et
aux profanes de se boucher les oreilles, le recit des gradations
savantes et de tous les stratagemes vainement mis en oeuvre par lui
pour induire en tenta- tion la continence, la temperance ou plu-
tot, comme il le dit fort justement, l’he- roique fermete de Socrate. II
conclut en disant : Je prends les dieux et les deesses d temoin
quapres avoir repose toute une nuit d cote de Socrate, et sous le
meme m ante au , je me levai d'aupres de lui tel que je serais
sorti du lit de mon pere ou de mon frere aine. Ainsi, le seul point
par lequel il croyait que cet homme fut accessible avait tout a fait
trompe ses esperances. 37. Apres avoir ensuite enumere
les autres vertus de Socrate et appuye sur sa valeur guerriere, a
laquelle il etait lui- meme redevable de la vie, il ajoute qu’il
n’est pas le seul, du reste, a qui Socrate 100
SOCRATE alios multos, quos ille amoris simulatione deceptos
in potestatem suam redegerit , ou? oiito; s^aTCatojv w; IpaartT)?,
Tuatoty.a piaXXov autos -/.aOiaTa-ai avi’ epaotou. Nempe adu-
labantur vulgo amatores , certe qui turpe quid spectarent , pueris
aetatula sua et illa ipsa adulatione superbientibus. Alia ratio
Socratica , quae etiam supra (§. 6) in Lysidis argumento declarata est.
Sua- vissima sunt reliqua in Symposio Plato- nis : eo autem
referuntur omnia , ut in- telligamus Socratis hanc fuisse consue-
tudinem . , pulchrorum amorem uti prae se ferret , cum illis suaviter et
amice ut versaretur, ut virtutis illos amore im- pleret , reliqua
omnia non tanti esse os- tenderet , in quibus valde sibi elaboran-
dum vir sapiens existimaret. 38. Sanctus ergo Paederasta Socrates
, et foedissimi , si quod usquam est , crimi- ET L AMOUR
GREC 101 ait fait un tel affront; que pareille chose est
arrivee a Charmis, a Euthydeme et a bien d’autres qu’il avait feint
d’aimer tendrement, pour mieux les asservir et les diriger. Les
amis vulgaires, ceux sur- tout qui esperaient de honteuses com-
plaisances, se faisaient les flatteurs des jeunes garcons, et ceux-ci
n’en etaient que plus fiers de leur beaute. Autre etait la methode
Socratique, comme nous l’a- vons montre plus haut en exposant le
sujet du Lysis. Ce qui suit, dans le Ban- quet de Platon, est charmant ;
tout aboutit a nous montrer que telle etait la coutume de Socrate
de rechercher les bonnes gra- ces des jeunes gens que distinguait
un exteneur gracieux, et de vivre avec eux dans une douce et
agreable intimite, afin de leur faire aimer la vertu; ce point
obtenu, il jugeait facile de leur donner les autres qualites qu’un sage
doit s'ap- pliquer a acquerir. 38. Ainsi, Socrate n’avait
pour la jeu- nesse qu’un amour chaste ; il etait pur du 9
- I 02 SOCRATE nis expers : a quo etiam
alios avocare studuit , quod Critice exemplo docet Xenophon, ejus,
qui post in triginta tyrannis fuit , quem Euthydemi pudori
insidiari cum sentiret , utxov ti Tiaay eiv dixit, suillo more prurire,
eaque re ini- micitias hominis factiosi et potentis sibi contraxit;
quibus carere poterat , nisi potius fuisset officium. 3g.
Sed admonet me Xenophon de crimine alterius illo quidem generis, et
multo, ut in malis, tolerabiliore : quod tamen ipsum etiam in illo
adhaerescere, quantum in me est, non patiar. Accusa- tur, ut
naturalis quidem , sed malce ta- men libidinis suasor et leno
quidam, propter ea quce referuntur in Xenophon- tis Convivio (c. 7
et g). Sed nec ibi quid- quam est, cujus bonum Socratem, aut illius
amicos pudere debeat. Spectacula exhibentur convivis mirabilia ,
partim ET LAMOUR GREC io3 vice infame
entre tous. Bien mieux, il s’efiforcad’en detourner lesautres,
comme Xenophon nous 1’apprend par 1’exemple de Critias. Ce disciple
de Socrate, devenu par la suite l'un des Trente tyrans, avait voulu
attenter a la pudeur d’Euthydeme ; lorsque son ancien maitre Bapprit : II
a le prurit du porc{ i), s’ecria-t-il ; paroles qui lui attir£rent
1’animosite d’un homme puissant et redoutable, ce qu’il lui eut ete
facile d’eviter, s’il n’avait mieux aime faire son devoir.
3g. Mais Xenophon me fait songer a une autre accusation qui a ete
egalement portee contre Socrate ; quoique moins grave, elle n’en
est pas moins facheuse, et je l’en disculperai de toutes mes
forces. On lui reproche, a 1’occasion d’un inci- dent rapporte par
Xenophon, dans son Banquet , d’avoir excite ses disciples a la
debauche, ce qui serait pernicieux encore, (i) Concupiscit ad
Euthydemum se affricare quemadmodum porcelli solent ad saxa (Xeno-
phon, Memorabilia). 1 04 SOCRATE etiam
periculosa , et horrorem quendam spectantibus moventia , inter
districtos gladios corpora saltu jactantium , aut in figuli rota
circumacta scribentium le- gentiumque. Non placent ea Socrati, qui
aptius convivio spectaculum putat ipyjln- Gat r.poc, tov auXov
T/rJijiaTa, Iv oi; Xapixe; ts •/.a't Qpat, xa\ Niifxcpat ypstaovtai, ad
tibiam edi motus et saltationes, eo habitu, quo Gratiae, Horae,
Nymphae a pictoribus exhibentur. Forte suspectum alicui fuit
hoc quod Gratice nuda; pingi solent. Sed huic sus- picioni repugnat
, quod dicitur Ariadne illa saltatrix w; vop-sr, xcy.ocju.rjU.svr,,
sponsce autem profecto apud Grcecos nudce esse ET L AMOUR GREC
105 bien qu’i.1 s’agisse ici de plaisirs confor- mes au vceu
de la nature, et de s’etre fait, en quelque sorte, entremetteur. II n’y
a rien, dans ce passage, dont doivent rougir 1’honnete Socrate et
ses amis. Des mimes viennent d’executer devant les convives toutes
sortes d’exercices extraordinaires, quelques-uns tres-dangereux et
propres a donner le frisson aux spectateurs; on a vu les uns
presenter leurs poitrines, en sautant, a des pointes d’epees rangees
en file ; d’autres lire ou ecrire enfermes dans une roue de potier
mise en mouvement. Ces exercices deplaisent a Socrate ; il pense
qu’il serait plus convenable, au milieu d’un festin, de voir des
danseuses executer des poses, au son de la Jlute, sous le costume
que les pcintres pretent d’ ordinaire aux Graces, aux Heures et aux
Nymphes. Cela a pu paraitre suspect parce qu’on a coutume de
representer les Graces toutes nues. Mais ce soupcon ne repose sur
rien, car la danseuse qui parut alors, habillee en nymphe, representait
SOCRATE I Ob non solebant : nymphae in insectis
ab eo ipso dicta?, quod involuta? sunt. Gra- tias decenter vestitas
contemplari licet in Grcecis monimentis apud Montfauc. Ant. Expl.
To. i Tab. iog ad p. ij6. Movit forte eum, qui primus crimen hinc
excerpsit Socrati, a/r^a-coiv appel- latio, qua? inter alia ad turpes
figu- ras refertur , quales olim Philcenidis et Elephantidis
commendatas libellis fuisse constat (i), ut hic ejusmodi impudens
spectaculum suspicaretur . Sed tum inter- jecta de amore disputatio ( 2 )
(c. 8) tum ipsa perfectio exsecutioque consilii (c. g) suspicionem
illam eximunt. Aguntur Ariadnes et Bacchi nuptice,sed illa ut in
scenam nihil veniat, pra?ter oscula et (1) De quibus Spanhem. de
usu et Praest. numism. Diss. i 3 . p. 522 . sq. Hic ay 7 jfi a est
omnis gestus saltantium blandus, minax, derisor. Vid. Lucia. de Saltat,
c. 18. T. 2 p. 278 in primis c, 36 . extr. (2) Apertior,
simpliciorque , et incautior adeo Xenophontis de his rebus oratio , quam
Plato- nica : sed cujus summa eodem pertineat, uti ab impura
libidine ad sanctam animorum conjunc- tionem homines revocentur.
F.T L^AMOUR GREC IO7 Ariadne, et les Grecs ne
permettaient pas le nu dans les roles de femmes mariees.
D’ailleurs, certains insectes imparfaits sont appeles nymphes pre-
cisement parce qu’ils sont enveloppes. On peut voir aussi, dans
YAntiquite' ex- pliquee de Montfaucon, que les Grecs, meme sur
leurs monuments, figuraient les Graces decemment vetues. Celui qui
le premier a lance contre Socrate cette accusation s’est peut-etre
effarouche du mot pose, qui, entre autres, est applique a des
images obscenes, du genre de celles qu’on rencontrait dans les livres de
Phi- laenis et d’Elephantis (i); il a soupfonne Socrate d’avoir reclame
un spectacle lu- brique. Or, ladiscussion surTarnour qui intervient
alors ( 2 ), 1’execution et l’ache- (1) Spanheim (De prostantia et
usu numisma- tum antiquorum) parle de tout cela. On appelait poses
toute esp6ce de geste lascif, provocant ou railleur, des mimes. ('Comparez
Lucien, De la Danse, ch. XVIII.) (2) Le dialogue de Xenophon
est bien plus franc, bien plus simple et bien moins circonspCct que
celui de Platon ; tous les deux d’ail!eurs vont au meme
io8 SOCRATE amplexus , cetera reservantur postsce-
niis (i). but, qui est de detourner les hommes des plaisirs
les plus impurs et de les rapprocher dans une sainte communion des
ames. (r) Tales saltationes s. repraesentationes etiam pars
sacrorum erant. Apud Lucia. in Pseudom. c. 38 . To. 2 p. 244 xsXsx7]'v
xtva cuvtaxaxat Alexander , xai SaStyta?, xat tepocpavxta; — In his
mysteriis et sacris etiam est KoptoviSo? yapto; cum Apolline — item
riooaXstpiOU xai pLTjTpo; AXs^avSpou yauo; — denique SsXrJvr^ xai
AXs^avBpou spto? — Alexander ut Endymion alter xaOsuSwv exsixo sv xw
piato — cptXrjtxaxa xs eytyvovxo xat ~£pt~Xoxa\, st 8s ar t r.
oXXat iqaav at 8a8ss, xay’ av xt xat xwv utco xoXtcou sjxpaxxsxo.
Apposui locum , quia hic etiam 7t$pt7tXoxa'i, et tamen nihil
obscenum. ET l’aMOUR GREC IO9 vernent immediat du
divertissement qu’il avait demande, enlevent toute force a cette
conjecture. Les mimes representent les noces d’Ariadne et de Bacchus :
mais on ne voit rien de plus sur la scene que des baisers et des
etreintes amoureuses ; le reste se passe derriere le rideau (i).
( 1 ) Ces sortes de danses et de reprdsentations faisaient partie
des Myst6res. Dans lM lexander seu Pseudomantis, de Lucien, on voit
Alexandre, in- troduit comme nouvel initii, passer par les 6preuves
du dadouque et de l’hi<5rophante. Parmi les scenes religieuses
auxquelles cette initiation donne lieu figurent : les noces d’Apollon et
de Coronis, celles de Podalirius et de la mere dAlexandre, enfin
les amours d’Alexandre et de la Lune. « Alexandre, comme un autre
Endymion, etait couchd au milieu du theatre; on dchangeait des caresses
et des bai- sers. S’il n’y avait pas eu D des torches en quan-
tite, peut-etre bien qu’il se fut laiss6 entrainer a faire qucedam earum
quce sub veste Jieri solent. » Cest un peu ldger ; cependant il n’y a
rien la de bien obscene. — Gesner aurait du citer Lucien plus
complete- ment ; ce passage du Pseudomantis offre un tableau de
genre exquis : « Alexandre, comme un autre Endymion, etait couche au
milieu du thdatre, faisant semblant de dormir. II tombait de la voute,
comme du ciel, une certaine Rutilia, tr£s-jolie, qui jouait le role
de la Lune et qui dtait la femme d’un intendant de 1'einpereur. Elie
aimait vraiment Alexandre et 10 I IO
SOCRATE 40 . Finem et effectum negotii ita indi- cat
Xenophon : teXo; 0 i ol <jup.7ioToci ’.oovte; T:ept6e6Xr]xdT:a; ts
aXXrjXou c xai oj; et; euvrjv aTr-.ovTa:, 01 (j.r,v ayauoi yaixetv
£zw[xvuaav, 01 oe ysyap-rixoTec, ava 6 xvc£; Ijci xou; ? 3 C 7 COUS, a-rj-
Xauvov Tipo; xa; lauxujv yuvaTxa;, otim; xojxojv xuy otsv . Tandem post
blanditias quasdam , verecundas, maritales, complexi se invi- cem
sponsus et sponsa , i. e. manibus implexis, vel brachiis mutuo cervici
im- positis, vel tergo circumjectis , velut cubitum discedunt : ab
hoc spectaculo incalescentes , et ut paullo ante dicebat,
av£7iTEpo)|jiivoi (vid. no. ad §. i5) convivae caelibes dejerant, se
ducturos esse uxo- res ; mariti autem equis conscensis domos festinant,
ut simili voluptate et ipsi fruantur. Utinam vero e spectaculis et
theatris hodie ita discederetur ! utinam Socratis hac parte disciplinam
sequeren- tur publicarum Voluptatum Tribuni. Talia spectacula edere
debebant Romani eu 6tait aimee. Sous les yeux de son propre mari,
iis echangeaient des caresses et des baisers » (Note du
Traducteur.) ET L’AMOUR GREC l I I 40.
Xenophon indique de la maniere suivante la fin et les resultats de
l’his- toire. Apres toutes sortes de caresses honnetes et
maritales, les deux epoux se tenant embrasses, c’est-a-dire, je
pense, les mains entrelacees ou les bras pas- ses mutuellement soit
autour du cou, soit autour de la taille, s’eloignerent comme pour
aller se coucher. Echauffes par ce spectacle et se sentant de
furieu- ses demangeaisons, comme s’il leur pous- sait des ailes ,
les convives encore celiba- taires /irent le serment de ne pas
tarder a prendre femme ; les maris monthrent a cheval et se
haterent de regagner le lo- gis, pour gouter d leur tour de sem-
blables voluptes. Plut au ciel qu’aujour- d’hui on quittat les spectacles
et les theatres dans de si bonnes intentions ! plut au ciel que
cette partie de la disci- pline Socratique fut pratiquee par les
ediles preposes aux plaisirs publics ! Ce sont de tels divertissements
qu’auraient du decreter les empereurs Romains, sou- cieux d’exciter
toutes les classes au ma- I 1 2 SOCRATE
principes , cum de maritandis ordinibus , et sobole Romana augenda soliciti
erant : talia conveniebant nuper Lutetia ? et Gal- lice adeo
universae, quum Ducis Burgtin- dice natalem nuptiis mille puellarum
celebrarent : talia magnam Britanniam , si quid veri habent quorundam
qucerelce, Swiftiance praesertim , quas eo loco protu- lit , ubi de
abrogando clero disputat : aut eorum , qui hodie peregrinos invitandos
, supplendi populi causa . et civitate donan- dos , censent.
41. Nempe incidit aetas Socratis in ea tempora, ubi civium
paucitate laborabat exhausta bellis Persicis et Peloponnesia- cis
Attica , cui etiam lege matrimoniali obviam ire, et afferre remedium ,
conati esse dicuntur. Debemus notitiam hujus legis ipsi Socrati,
quatenus nulla forte illius mentio extaret hodie, nisi de dua- bus
Philosophi uxoribus jam olim dispu- tatum esset. Res cum queestioni. de
qua et l’amour GREC 1 I 3 riage ct d’accroitre la
posterite de Re- mus : iis auraient convenu naguere a la ville de
Paris et a la France entiere lorsqu’on feta la naissance du duc de
Bourgogne en mariant un millier de jeunes falles; iis auraient bien fait
Faf- faire de la Grande-Bretagne, s'il y a quelque chose de vrai
dans ces plaintes dont Swift surtout s’est fait l’e'cho et qui
reclamaient 1’abolition du celibat despre- tres; iis conviendraient encore
a ces pays ou l’on attire les etrangers en leur conferant les
droits civiques pour sup- pleer au petit nombre d'habitants.
41. Socrate vivait a une epoque ou 1 ’Attique, epuisee par les
guerres des Perses et du Peloponese, souffrait de ne plus avoir
qu'une population clair-se- mee ; on dit menae que les Atheniens
s’ef- forcerent de remedier a cet etat de choses par une nouvelle
loi touchant lesmaria- ges. Nousdevons 1’unique renseignement que
l’on ait sur cette loi a Socrate , car il n’en subsisterait aujourd’hui
aucune IO. >4 SOCRATE
agimus conjuncta sit , illam , quam brevi- ter jieri potest , expediemus.
Duas So- crati uxores vulgo tribui videmus, Xan- thippen e qua
Lamproclem susceperit, et Myrto , Sophronisci atque Menexeni
matrem. In hoc conveniunt Cyrillus ( contra Julia. I. 6. p. 186, D) et
Theo- doretus (Grcecar. Affect. curat, ser. 6 p. ij4, 40) ac
Diogenes Laertius (2, 26). Porro de Xanthippe Cyrillus ex Por-
phyrio, 7tspi7tXa-/.asav XaQstv, clanculum in ipsius amplexus venisse ;
quod plane repugnat Platoni et Xenophonti, qui nullius conjugis
prceter Xanthippen , jus- tam uxorem , mentionem faciunt : tum
Theodoreto, qui tamen ipse quoque sua debere ait Porphyrio, sed non
tantum pro TCspiTt^axetaav XaOsTv habet 7:po<j-XaxeTcjav Xa6sTv,
induxisse priori uxori, ut pereat illa secreti , et furti amatorii notio
: sed etiam addit, solitas esse eas mulieres in- ter se depugnare,
deinde pace facta con- junctim impetum facere in Socratem ideo ,
quod is bella illarum non dirime- ret : hunc vero utrumque genus pugna:
• et l’amour GREC I I b mention sans la controverse
autrefois agitee au sujet de ses deux femmes. Comme cette question
tient a notre su- jet, nous la discuterons bridvement. On donne
communcment a Socrate deux femmes : Xantippe, dont il eut un de ses
fils, Lamprocles, et Myrto, la mere de Sophronisque et de Menexene. S.
Cy- rille, Theodoret et Diogene de Laerte sont tous les trois
d’accord la-dessus. Mais S. Cyrille, empruntant ce detail a
Porphyre, dit de Xantippe que son ma- riage avec Socrate fut clandestin,
qu’elle se cachait pour 1’embrasser, ce qui con- tredit absolument
Xenophon et Platon, puisqu’ils ne parient d’aucune autre femme que
de Xantippe, epouse legitime de Socrate. Theodoret, qui lui aussi
dit tenir de Porphyre ses renseignements, change 7iepi7tXoaEiaav
XaOsTv en npovnXxxsT- aav XafleTv et declare ainsi que Socrate
introduisit Xantippe chez sa premi^re femme, ce qui ruine toute cette
histoire de mariage secret, et de furtifs baisers ; bien mieux, il
ajoutc que ces deux me- SOCRATE 1 16 cum
risu speci are consuevisse. Utri fi dem habebimus? 42. Sed
nondum est finis discordia- rum. Theodoretum si audimus , induxit
Xanthippen suce jam Myrto Socrates : sed Laertius negat convenire inter
auc- tores , utram prius duxerit. Idem ait , simul ambas habuisse
Socratem , a qui- busdam esse traditum. In hac sententia etiam fuit
auctor Dialogi Halcyon , qui inter primos Lucianeos editur , in cujus
fine Socrates dicat , se Halcyonis amo- rem in maritum suis conjugibus
Xan- thippee et Myrto prcedicaturum esse. Antiqua porro esse illa
relatio memora- tur Callisthenis , Demetri Phalerei , Sa- tyri
Peripatetici , Aristoxeni Musici , ET L’AMOUR GREC I I 7
geres se battaient continuellement, puis la paix faite, tombaient a
poings fermes sur le pauvre Philosophe, en lui repro- chant de ne
les avoir pas separees: pour lui, il restait simple spectateur du
com- bat et voyait donner ou recevait lui- meme les coups en
souriant. A qui faut- il s’en rapporter, de S. Cyrille ou de
Theodoret? 42. Et nous ne sommes pas au bout de la querelle.
Dapres Theodoret, So- crate epousa Xantippe, dtant deja marie a
Myrto; mais Diogene de Laerte af- firme que les auteurs ne sont pas d’ac-
cord et qu’on ne sait qui des deux il epousa la premiere. Il dit aussi
qu’il les eut toutes les deux ensemble, et sur quelles autorites
repose cette assertion. Elie a ete accueillie par 1’auteur du dia-
logue intitule Alcyon, imprime en tete de ceux de Lucien; on y voit
Socrate proposer en exemple a ses deux femmes, Xantippe et Myrto,
1’amour d’Alcyon pour son mari. Plutarque (Vie d’Aris-
ii8 SOCRATE Hieronymi Rhodii, apud Plutarchum
(vita Aristid. extr.) qui ceteris narrandi auctorem fuisse ait
Aristotelem in libro de nobilitate, (rapi s-jyevsia;) qui tamen
liber an sit Aristotelis, Plutarchus dubi- tat : narrant autem ita,
Aristidis neptim Myrto, vidua cum esset et paupercula, domum ductam
a Socrate, eique cohabi- tasse, licet aliam uxorem habenti .
43. At non licebat a Cecrope inde Athenis plure s una habere uxores.
Qui sit igitur, ut neque Comici exprobrarint, neque Accusatores
objecerint digamian Socrati ? Hic nobis narrant Athenaeus et
Laertius legem, latam supplenda 1 multi- tudinis civium causa. Exstabat
Athenceo prodente ipsum decretum a Rhodio Hie- ronymo conservatum,
wax' si-eivat xai ouo ET 1/aMOUR GREC I i q tide)
rapporte que cettc opinion etait ancienne, et qu ; elle fut partagee
par Callisthene, Demetrius de Phalere, Sa- tyrus le peripateticien,
Aristoxene le musicien et Hieronyme de Rhodes; Athenee dit de son
cote qu’ils Tavaient tous puisee dans le Traite de la No- blesse d
Aristote, livre dont cependant Plutarque doute qu’Aristote soit l’au-
teur. Tous racontent que- Myrto, pe- tite-fille d Aristide, etant veuve
et se trouvant dans une extreme pauvrete, fut recueillie par
Socrate dans sa maison et qu’il cohabita avec elle, quoiquhl fut
deja marie. 4 J - Les vieilles lois de Cecrops inter-
disaient cependant a Athenes les doubles unions. Pourquoi donc ni les
poetes co- miques, ni les accusateurs de Socrate ne lui ont-ils
reproche ou oppose ce cas de bigamie ? Cest a ce propos qu’A.thenee
et Diogene de Laerte nous parient de cette loi nouvelle_, edictee,
disent-ils, dans le but d’accroitre le nombre des citoyens.
120 SOCRATE 'systv yuvatxa; tov [3o'jaojj.£vov.
Secundum haec male accusaretur Socrates, qui et legi paruerit de
augenda sobole Attica , et Aristidis progeniem viduitate et pauper-
tate extrema liberaverit. V 44. Verum enim vero totum
hoc de duabus Socratis uxoribus , quin de lege maritali etiam
falsum esse , prcesertim ex dissensu commemorato , itemque ex
Platonis et Xenophontis silentio arguit Bentleius (1). Et habet , quantum
est de monogamia Socratis, magnum auctorem Pancetium, quem laudat
Plutarchus, qui cum retulisset eam quce modo proposita est de Myrto
narrationem, satis illam refutatam ait a Panaetio : cujus si opus
hodie extaret, facilior forte hodie esset causa Socratis, quem tamen a
turpi pue- (/) In Dissertat, de Phalaridis et exteror.
Epistolis, § / 3 , p. /06 5 9 9. ET l’aMOUR GREC 12 1
Athenee s’avance jusqida dire qu’il y avait un decret, conserve par
Hieronyme de Rhodes, et ainsi concu : « 11 est per- mis d’avoir
jusqua deux femmes. » Si cela est vrai, on accuserait mal a propos
Socrate, qui n’aurait fait qu’obeir a la loi portee en vue de repeupler
1’Attique, et qui de plus aurait sauve du veuvage et de la mis&re
la petite-fille d’Aristide. 44. Mais vraiment Phistoire des
deux femmes, tout aussi bien que celle de la loi matrimoniale,
paraissent en- tachees de faussete a Bentley (1); il se fonde
surtout sur le desaccord que nous avons signale et tire une grande
preuve du silence de Platon et de Xenophon. Nous avons, pour ce qui
est de la mono- gamie de Socrate, une excellente auto- rite,
Pantetius, dont Plutarque fait le plus bel eloge; apres avoir rapporte
ce que nous avons dit de Myrto, il ajoute que cettefable a ete
suffisamment refutee ( 1 ) Dissertation sur les Epitres de Phalaris
, Themistocle, Sacrale et Euripide (1697, iu-8"). I
22 SOCRATE rorum amore, et a lenocinio turpi , et
a libidinosa digamia, vel sic satis libera- tum esse confido.
123 ET L AMOUR GREC par Panaetius. Si
nous possedions son livre, la cause de Socrate serait aujour- d’hui
plus facile a defendre; je pense cependant avoir prouve qu’il ne fut ni
un corrupteur de la jeunesse, ni un provocateur a la debauche, ni un
bi- game libertin. TABLE DES MATIERES
Alcibiade; ses avances repouss^es par Socrate, p. 97-99.
Ame, comparde par Pla- ton a un attelage ai!6, p. 29, 47-65 ;
— clas- sification des ames suivant le degrd de connaissances
acquises avant la vie, p. 3 1 - 3 5 . Amour
philosophique, p. 35 , 43; — raisons qui dirigent les choix
dans cette sorte d’a- mour, p. 45-47; — les impuretes ou il
peut s’egarer, p. 69. Analyse du Lysis, dialo- gue de
Platon, p. 21; — du Phedre, p. 23 - 29; — du Banquet, p. 95
et suiv. Beaute morale et Beaute physique, p. 39-41.
Bigamie; Socrate eut-il deux femmes? p. 1 1 3 et suiv.; — la
bigamie etait-elle autorisde en Grece ? p. 1 19.
Cohorte sacree des amants, a Thebes et en Crete, p. 83
. Inspires; couples d’amis, p. 85 - 87 - Minies ;
leurs exercices et poses plastiques, p. io 5 . riaiospaatsta,
le mot et la chose pouvaient etre pris en bonne part,
chez les Grecs, p. 89. Peines portees par les Grecs contre
les infa- mes, p. 75. Pronostics tirds par les
physionomistes de la voix forte et grave, p. 5 1 ; — de
lencolure courte, p. 55 ; — des oreilles velues, p. 57 ;
— des grosses levres, p. 5 q; — du nez ca- mard, p. 59; —
des yeux saillants, p. 61. Representations mytho-
logiques et divertisse- ments dans les festius, p. 105-109 ; — dans
les mysteres, p. 109 (note); — effets singuliers pro-
duits parfois sur les convives par ces re- pr^sentations, p.
m. Socrate; motifs ordi- naires des accusations portees
contre lui, p. 1 5 — 1 7 ; — pourquoi il recherchait les
beaux garcons, p. 43 ; — son portrait physique, p. 49 et
suiv. Socrate l’ Ecclesiasti- que ; comment il a ac-
cuse, sans preuves, So- crate le Philosophe, p. 9. Sparte ;
coutume rappor- t6e par Elien, p. 85 ; — les amours impures y
etaient ignorees, p. 8.7. Paris. — Imp. Motteroz, 3 i, rue du
Dragon. Gabriele Giannantoni. Giannantoni. Keywords: la dialettica,
dialettica, Epicuro a Roma, Calogero, il principio dialogo, Lucrezio, Cicerone.
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannantoni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758022139/in/dateposted-public/
Grice e Giannetti – corpuscolarismo – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Albiano di
Magra). Filosofo. Grice: “I like Giannetti; for one, he is the only philosopher
I know whose first name is ‘Pascasio.’ He taught at Pisa, but not in the tower
– Oddly, while he is from Tuscany, there is a street (‘via’) in La Spezia named
after him!” – Grice: “His logic was considered heretic, at least by the duke,
who diligently expelled him from any obligation of teaching!” – Insegna a Pisa.
Quando lascio la cattedra, gli successe Grandi.
Di formazione galileiana, fu un acceso nemico dei Gesuiti. Sollecitato da Grandi,
che lo aveva anche introdotto a Newton, cura Galilei (Firenze). Rimosso da Pisa
da Cosimo III de' Medici, vi fece rientro alla morte di quest'ultimo. NC. Preti, Dizionario Biografico degli
Italiani, Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica
e moderna Lunigiana, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 54, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. PASCASIO GIANNETTI Essendo Pascasio
Giannetti tra'maestri più singolari di filosofia e di medicina dell' Universi
tàdiPisa,quantoonoreaquelloStudio recasse non si può dire. Costui ebbea quelle
scienze pro clive natura, e tanta forza e vivacità d'ingegno > che a
sermonare e discorrere di materie mediche efilosofichepareanatoaposta.Fu
e'diAlbiano di Lunigiana, e divenne lettore in detta Univer sità nel 1682 ; e
così bene in cattedra sue dottri ne tratto, che per lo più savio discepolo del
M a r chetti e del Bellini, cattedranti nobilissimi, tutti lo conoscevano.
Nulla ignoto eragli di quanto G a lileo e Gassendo aveansi
ritrovato, e sostenitore acerrimo fu della filosofia corpusculare. Per ques
stoguerra eterna pareva intimata avesse a tutti li Peripatetici e Scolastici
ostinati; che ligii si di chiaravano agli antichi sistemi, quali adesso ricor
dansi appenanelle scu ole de'monasteri. Per lo che il Giannetti futenuto per
uno de'più arditi e co raggiosisostenitori degli insegnamenti novelli e assai
molesto riuscì a'superstiziosifilosofanti, ma in particolar modo ai Gesuiti i
quali, potendo al loramoltissimopressoCosmo IIIde'Medici,fece ro in grave
sospetto cadere di errori di religione il Giannetti non solo, ma quasi tutta la
Pisana Università. Per tale cagione , sendo state forti let tere scritte e minaccevoli
ai professori con ordi nare,chenon volevasifilosofiademocratica,ilGian netti,
cui sapea benissimo delle persecuzioni altrui schermirsi e rintuzzare le
dicerie degli imperiti con la dotta e mordace sua lingua, difese con trion fo
la causa per iscrittura,nè mai digua proposta sentenza cesso. Finalmente
costretto nel 1706 di mutarcattedraedileggeremedicina,non ostan te filosofava
su i nuovi sistemi anche interpretan do gliaforismid'Ippocrate e di Galeno,e
men tre con eloquio squisito e con pompa di erudizio ne le materie mediche
spiegavà,senza punto de nigrare alla gravità della scienza e del loco ; l' al
trui cabale e leggerezze con vaghi scherzi e argu ti motti derideva. Moltissimo
ancora si adoperò in fisiciani sperimenti e nelle savie cure di Michela gnolo
Tilli per ogni maniera di lode famoso : nè mezzanamente sidistinse insieme con
lo Zambes cari di Pontremoli suo collega a sperienze fare nti lissime su le
terme del territorio Pisano e Luriena se,che servirono ad ambeduni di grande
merito. Intra le altre fece minute prove su l'acqua salsa di Monzone di
Lunigiana, e trovolla più efficace di quella del Tettuccio di Valdi Nievole, e
poteró 183 Viri Paschasii Giannelli Albianeusis Philosoph. et
Medicin, in Pisau. Acudem . Professoris logeniiacumine eloquen.et ingenua
philosoph. libert. Quam difficillimis temporib, fere solus inter Acadlem.
retinuit ConcesseratAun.S. MDCCXXXXII. Thomas Perelliuspraecept.et Amico DI
PIER CARLO VASOLI Io non posso tacere di aver molte cose rica vato diquesto
librodalle fạtiche e dagli scritti di questo Pier Carlo Vasoli di Fivizzano, il
quale sembra avesse in mente d'illustrare sua patria , e però non deggio
scordarmi di retribuirlo di grata inemoria, tanto più che molto distinto riuscì
nel la medicina e buon coltivatore della poesia. Q u e
stouomoerudito,comeraccontaincertosuoEr bariolo Lunense m . s., avendo studiato
prima a Bolognae poiaPisaallascuoladelcelebreMar cello Malpighi, dove si
dottorò verso la fine del 184 si estrarre il sale catartico a guisa di
quel d' In ghilterra , se non venisse incautamente adulterata. Benespesso
Pascasio dilettavasi d'investigare le azioni è i consigři degli uomini più che
i segreti dellanatura,equasi Epicuro con aspreparoleab batteva i vizi ele
inezie altrui. Mente profonda mostrò in tutto, ma poca industria: e vivendosi
fino alla vecchiezza, dopo 57 anni di lettura in quella Università, nel 1742
morì in una villetta che avea a Capannoli su quel di Pisa, e sepolto
nellachiesadiquellaterra,fugliperTommaso Pe relli suo scolare messo questo
marmo sopra il se polcro, riferito ancora da inonsignor Fabroni in sua stor.
dell'Univ. Pis. tom . 3. dove parla del Giannetti: = Pijs Manibus et Memoriae
aeternae Cum paucisaetatis suae comparandi Obiit Octuagenario major in proxima
Villula In quam post impetratam a docendo vacationem D. S. O. M. P. GIANNETTI,
Pascasio. - Nacque, da Polidoro, ad Albiano Magra di Aulla in Lunigiana, il 2
ag. 1661. Avviato agli studi filosofici, li coltivò, insieme con quelli
medici, presso l'Università di Pisa, dove era ben viva la tradizione galileiana
e, in fisica e in medicina, era ben rappresentata la corrente
meccanico-corpuscolarista. Fu il gruppo di docenti formatisi alla scuola di
G.A. Borelli a istradarlo verso questa tradizione concettuale; soprattutto A.
Marchetti, L. Bellini e D. Zerilli lo introdussero allo studio delle opere,
oltre che di Galilei, di Gassendi e del Borelli. Parallelamente, il G. attinse
da G. Del Papa gli stimoli di un diverso indirizzo, anch'esso presente
nell'ateneo pisano, teso a far convivere, soprattutto in campo medico, il
galileismo con esigenze di ordine pratico. Laureatosi il 30 maggio 1682
in filosofia e medicina (promotore fu il Del Papa), il G. ottenne nello stesso
anno la lettura di logica, che conservò fino al 1686, per passare poi a quella
di filosofia naturale. Il suo magistero, argutamente antiaristotelico e
apertamente atomistico, dovette risultare piuttosto efficace. Quando, verso il
1690, si delineò una reazione generale della Chiesa contro quelle
interpretazioni dello sperimentalismo considerate arbitrarie e potenzialmente
eversive dell'ortodossia religiosa, a causa dei possibili esiti
materialistico-libertini, il G. fu direttamente coinvolto. Nell'ottobre 1691,
insieme con altri sei lettori pisani, si vide intimare dall'auditore F.M.
Sergrifi di non insegnare la filosofia atomistica. Per nulla intimidito, a
detta di A. Fabroni, il G. alimentò le polemiche che seguirono con un libello,
oggi perduto, in difesa dei lettori ammoniti. Poca sorpresa dovette quindi destare
tra i contemporanei il provvedimento, preso dal governo di Cosimo III nel 1706,
di trasferire il G. alla lettura di medicina teorica, mitigato dal permesso di
tenere lezioni domiciliari di filosofia. Come lettore di questa
disciplina medica, il G. mostrò di voler tenere aperti spiragli per un discorso
"moderno". Lesse gli Aforismid'Ippocrate, proclamandosi così seguace
dell'indirizzo che privilegiava la pratica clinica sulle questioni di teoria
medica, ma nel commentarli continuò a seguire i novatori. In particolare,
a quanto sembra, già in questa fase i motivi galileiano-gassendiani si erano
venuti in lui incrociando con motivi della dottrina newtoniana. Da questa aveva
recepito la tesi della struttura porosa della materia, che, attraverso
l'ipotesi dei diversi ordini di combinazione dei corpuscoli, è assunta come
matrice delle qualità macroscopiche dei corpi. È probabile che una delle fonti
attraverso le quali il G. venne a conoscenza della teoria newtoniana sia stata
il padre camaldolese G. Grandi, suo buon amico (Ortes ci riferisce che il
Grandi "solea frequentemente conversare" nella casa del G.), ma, a
differenza del Grandi, il G. non dovette essere pienamente in grado di
coglierne l'impalcatura matematica, tanto da ritenerla conciliabile con la distinzione
gassendiana tra punto matematico e punto fisico. All'inizio del secondo
decennio del XVIII secolo il G., insieme con B. Bresciani, G. Averani e altri,
fu coinvolto dal Grandi nella preparazione della seconda edizione delle Opere
di Galilei (Firenze 1718). Più tardi, alla metà degli anni Venti, il suo nome
venne fatto in alternativa a quello del Grandi quale autore di un libretto
pseudonimo (Q. Lucii Alphei Diacrisis in secundam editionem Philosophiae
novo-antiquae r.p. Thomae Cevae cum notis Ianii Valerii Pansii, Augustoduni
1724), che segnò una nuova occasione di scontro tra i novatori pisani e i
gesuiti del collegio di Firenze. Il libretto, nato come replica alla
prefazione del gesuita M. Dalla Briga al poemetto Philosophia nova-antiqua (Florentiae
1723), del confratello T. Ceva, fornisce una descrizione caricaturale delle
forme di opposizione allo sperimentalismo che, a detta dell'autore, circolavano
nel collegio fiorentino. Non è chiaro se sia da collegarsi a questa
polemica il basso profilo assunto dal G. nel quarto decennio del secolo. La
relazione sullo stato dello Studio che G. Cerati presentò ai nuovi governanti
nel maggio 1738, ci informa che "già da alcuni anni" il G., pur
retribuito, aveva interrotto le lezioni pubbliche e si limitava a dare
privatamente lezioni di filosofia. Il Cerati attribuiva ciò a non meglio
precisate "indisposizioni del corpo", ma l'Ortes attesta che il G.
godette per tutta la vita di ottima salute. Priva di riscontri è la notizia di
una sua adesione alla loggia massonica fondata a Firenze nel 1733, loggia che
però sicuramente accolse un buon numero di suoi allievi. Il G. morì a
Capannoli, presso Pisa, il 28 giugno 1742. Quelle che sembrano essere le
sue uniche opere a noi giunte si trovano a Firenze, Bibl. Riccardiana, ms. 3098
(Tractatus phisici iuxta recentiorum opinionem conscripti a Paschasio
Giannetto) e a Pisa, Bibl. universitaria, ms. 177 (Philosophiae tractatus,
datato 1714). Fonti e Bibl.: Per la collaborazione del G. all'edizione
fiorentina del 1718 delle Opere del Galilei vedi le lettere di T. Buonaventuri
a G. Grandi, Pisa, Bibl. universitaria, Carteggio Grandi, 85, passim; sei
lettere del G. al Grandi e alcune note di argomento fisico ibid., 92, cc.
19r-28v; Acta graduum Academiae Pisanae, II, a cura di G. Volpi, Pisa 1979, p.
549; G. Ortes, Vita del padre Guido Grandi, Venezia 1744, pp. 111-113, 133,
157; G.A. De Soria, Raccolta di opere inedite, Livorno 1773, pp. 190-192; A.
Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, III, Pisis 1795, pp. 410-413; F. Sbigoli,
Tommaso Crudeli e i primi framassoni in Firenze, Milano 1884, p. 71; N.
Carranza, Monsignor Gaspare Cerati provveditore dell'Università di Pisa nel
Settecento delle riforme, Pisa 1974, pp. 85, 338, 362; Storia dell'Università
di Pisa, Pisa 1993, pp. 143, 153 s., 520; M.A. Morelli, Per una storia di
Andrea Bonducci, Roma 1996, pp. 14 s., 166 s., 230; Id., A Livorno nel
Settecento, Livorno 1997, pp. 23, 62, 79.Pascasio Giannetti. Gianetti.
Keywords: corpuscolarismo, implicature corpuscolare, Isaaco Newton, Galilei,
Grandi, Giannetti -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannetti: implicatura
corpuscolare – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757992274/in/dateposted-public/
Giannetta search – another time?
Grice e
Giannone – la terza Roma – e l’implicatura ligure – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Ischitella). Filosofo. Grice: “Giannone is an interesting
philosopher. He philosophised on the ‘citta terrena,’ which is a back-fromation
from ‘celestial city,’ and by which he meant Rome! – Then he compared men – in
their collectivity, to apes, even if ingenious ones!” “Non solo i corpi, ma, quel che è più, anche
le anime, i cuori e gli spiriti de' sudditi si sottoposero a' suoi piedi e
strinse fra ceppi e catene.” Esponente di spicco dell'Illuinismo italiano, discendente
da una famiglia di avvocati (anche se il padre era uno speziale), lasciò il
paese natale per intraprendere gli studi a Napoli. Si laurea entrando ben
presto in contatto con filosofi vicini a Vico. Fu praticante presso Argento,
che disponeva di una vasta biblioteca, la frequentazione della quale fu
essenziale per la sua formazione. I suoi interessi non si limitarono
soltanto al diritto ed alla filosofia, appassionandosi anche agli studi storici
e dedicandosi alla stesura della sua opera storica più conosciuta Dell'istoria
civile del regno di Napoli, che gli causò tuttavia numerosi problemi con la
Chiesa per il suo contenuto. Costretto a riparare a Vienna, ottenne
protezione e sovvenzioni da Carlo VI, il che gli permise di proseguire
indisturbato i suoi studi filosofici. Il suo tentativo di rientrare in
patria fu ostacolato dalla Chiesa, nonostante i buoni uffici dell'arcivescovo
di Napoli recatosi a Vienna per convincerlo a tornare a Napoli. Fu costretto a
trasferirsi a Venezia dove, apprezzatissimo dall'ambiente culturale della città,
rifiutò sia la cattedra a Padova, sia un posto di consulente giuridico presso
la Serenissima. Il governo della Repubblica lo espulse, dopo averlo
sottoposto a stretti controlli spionistici, per questioni inerenti alle sue
idee sul diritto marittimo e nonostante la sua autodifesa con il trattato
Lettera intorno al dominio del Mare Adriatico. Dopo aver vagato per
l'Italia (Ferrara, Modena, Milano e Torino), giunse a Ginevra, dove compose un
altro lavoro dal forte sapore anticlericale “Il Triregno: il regno terreno, il
regno celeste, e il regno papale, che gli costò nuovamente la persecuzione
delle alte sfere ecclesiastiche culminate con la sua cattura in un villaggio
della Savoia, ove fu attirato con un tranello. Rimasto nelle prigioni
sabaude, fu costretto a firmare un atto di abiura che non gli valse tuttavia la
libertà. Fu tenuto prigioniero nella fortezza di Ceva, dove scrisse alcuni dei
suoi componimenti più famosi. Trasferito alla prigione del mastio della
Cittadella di Torino. +“Dell'istoria civile del regno di Napoli” ebbe enorme
fortuna mentre la Chiesa ne avversò le tesi ponendola all'Indice dei libri
proibiti, comminando al filosofo una scomunica la quale obbligava Giannone a
riparare all'estero. I temi trattati nell'Istoria, sviluppati su precisi
riferimenti giuridici, forniscono una lucida descrizione dello stato di degrado
civile del Regno di Napoli, attribuendone le cause all'influenza preponderante
della Curia romana. Auspica in primis con quest'opera, «il rischiaramento delle
nostre leggi patrie e dei nostri propri istituti e costumi». Nel
Triregno, opera aspramente avversata anch'essa dagli ambienti ecclesiastici, presenta
la religione secondo un prospetto evolutivo: la Chiesa, col suo "regno
papale", si contrappone al "regno terreno" degli Ebrei ma anche
a quello "celeste" idealizzato dal Cristianesimo e il superamento del
male, che lo Stato Pontificio così incarna, si realizzerà soltanto attraverso
un cambiamento di rotta deciso, mediante ulteriore consapevolezza individuale
raggiunta dall'uomo nel corso della sua vicenda Storica. Indi teorizza uno
Stato laico capace di sottomettere l'istituzione papale, anche mediante un'espropriazione
dei beni materiali del clero. La Chiesa porta avanti una forma di negazione di
quella libertà individuale che deve essere posta come fondamento giuridico e
sociale. Al filosofo sono intestati vari istituti scolastici, tra cui lo
storico Liceo classico Pietro Giannone di Caserta, quello di Benevento, quello
di Foggia, e quello di San Marco in Lamis.
Nel Capitolo settimo della Storia della colonna infame, Manzoni dedica
al Giannone ampio spazio elencandone i numerosissimi plagi e gli errori che anche
Voltaire gli rimprovera. Inizia paragonandolo a Muratori e indicandolo come
"scrittore più rinomato di lui", poi aggiunge un lungo elenco (e
raffronto) delle opere plagiate e degli autori, tra cui Nani, Sarpi, Parrino,
Bufferio, Costanzo e Summonte: "...e chissà quali altri furti non
osservati di costui potrebbe scoprire chi ne facesse ricerca". E conclude
che se non si sa se fosse "pigrizia o sterilità di mente", fu certo
"raro il coraggio". Altre opera: Autobiografia: i suoi tempi,
la sua prigionia, appendici, note e documenti inediti, Augusto Pierantoni,
Roma, E. Perino, I discorsi storici sopra gli Annali di Tito Livio, Apologia
dei teologi scolastici Istoria del pontificato di Gregorio Magno, “L'Ape
ingegnosa” “Istoria civile del Regno di Napoli. 1, Napoli, Giovanni Gravier); Pietro
Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 2, Napoli, Giovanni Gravier, Pietro
Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 3, Napoli, Giovanni Gravier, Pietro
Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 4, Napoli, Giovanni Gravier, Pietro
Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 5, Napoli, Giovanni Gravier, aprile. Note
Pietro Giannone, Istoria civile del regno di Napoli, Capolago,
Tipografia Elvetica, l Ibidem, note da 80 a 89 Fausto Nicolini, La fortuna di Pietro
Giannone: ricerche bibliografiche, Bari, Laterza, Marini, Il giannonismo (Bari,
Laterza). Vigezzi, PGiannone riformatore e storico. Milano, Feltrinelli, 1Giannoniana:
autografi, manoscritti e documenti della fortuna di Giannone, Sergio Bertelli,
Milano-Napoli, Ricciardi, Giuseppe Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa
di Giannone., Milano-Napoli, Ricciardi, Mannarino, Le mille favole degli
antichi. Ebraismo e cultura europea nel pensiero religioso di Giannone,
Firenze, Le Lettere, Giuseppe Ricuperati, La città terrena di Pietro Giannone:
un itinerario tra crisi della coscienza europea e illuminismo radicale,
Firenze, Olschki, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Vita scritta da lui medesimo, Feltrinelli, testo in versione digitale
della Biblioteca Italiana, 2003.//filosofico.net/giannone.htm. De'Liguri
duri e forti:loro estensioneinItalia;e come sopra tutti gli altri popoli
tenesseró esercitati i Romani nella disciplinamilitare,sicchèfosserogliultimiad
essersog. giogati. Livio in più occasioni parlando de'liguri,confessa che niuna
provincia esercitò cotanto i romani nella virtù e disciplina m i litare, quanto
la Liguria, poichè dura nelle armi , bellicosa amica di fatiche e di travagli,
e di riposo impazienle , nelle sueguerrenon
tostoerada’romanivintachesorgevapiùani mosaefortediprima:ishostis,velutnatus ad
continendam inter magnorum intervalla bellorum romanis militarem discipli nam ,
erat : nec alia provincia militem magis ad virtutem acue
bat(1).Nonabitavanoiliguri(eciòanche contribuivaalla loro bellicosa indole) in
luoghi piani ed ameni e sotto tempe r a t o e m o l l e c l i m a , il q u a l
e a v e s s e p o t u t o r e n d e r e s i m i l i a s è gli abitatori ; m a
all'incontro occupando essi quella occidental parte d'Italiache ha per confine
laGalliaNarbonense,vivendo in regioni montuose aspre ed inaccessibili, e per le
angustie delle vie acconce a tendere aguali ed insidie; non temevano di
numerosi eserciti, nè d'istromenti bellici , nè di macchine o d'altri apparati
militari, difendendoli il suolo e l'arduità de'loro siti.E perciò essi
militavano senza molto apparecchio mi cidiale:nihil,dice Livio,præter arma
etviros,omnem spem inarmis habentes,erat, Gli antichi liguri erano divisi di
qua e di là delle alpi e d e l l ' a p p e n n i n o in m o l t i p o p o l i o
s i e n o c o m u n i t à , n o n a l t r i m e n t i di ciòche si èdeltodegli
antichi etruschi, ed occupavano va stissime regioni. Le alpimarittime e gran
parte delle medi terraneeeranodaessipopolate.Dilà dellealpiipiù celebri furono
i liguri salii, i deceali e gli oxibi ; di qua furono i
vedianzi,ivagienni,glistatielli,imagelli,gli eburiati, (1)Dec.
IV,lib.9,inprinc. 265 > 266 i veliati , i tigulii,
gl'ingauni , i salassi , i libici, i lau riniedaltri.Livio,oltrequestipopolida
Pliniorapportati fa menzione di altri liguri posti di qua dell'appennino chia
mati Apuani, i quali vinsero i romani e debellarono un eser cito consolare
sotto Q. Marzin console , e nota che il luogo della sconfitta fino a'suoi tempi
chiamavasi perciò il campo Marziano:famemoriaancora dialtriliguridilàdell'appen
nino ch'egli chiama ligurifrisinati. Questi popoli aveano più città o vichi,
dove dimoravano ciascuno nel proprio distretto ; e fra le città son da
considerarsi alcune antiche ed illustri le quali, secondo la divisione
dell'Italia fatta poi da Augusto in undici regioni, formavan parte della XI.
Nella Liguria rivoltaal mare inferiorediquà delfiume Varo, che divide l'Italia
dalla Gallia Narbonense , la prima città marit
timaches'incontravaerade'ligurivedianzi chiamata Cime lion. Prossima a questa i
massiliesi edificarono Nicea , oggi detta Nizza, alle radici delle alpi
marittime, non lontana dalle foci del fiume Varo, che poi crebbe dalle ruine di
Cimelio , cittàantichissima,la quale ebbe vescovi prima che da Costan tino
Magno fosse stata la religione cristiana fatta ricevere nel l'imperio.
Rimangono ancora le vestigia de'suoi ruderi ed il nome di Cimelio: l'anticasua
cattedra fu unita a quella di Nicea, la quale non si appartiene già al la
Gallia Narbonense , siccomealcunicredeltero,ma secondoPlinio,Tolomeoedaltri
geografi antichi, alla nostra Italia, c o m e quella che è costrutta di qua del
fiume Varo.Antipoli fondata pure da'massiliesi si appartienealla
GalliaNarbonense,perchèerettadilàdelfiume: essa lungo tempo fu sotto i
massiliesi loro fondatori, ed ora sotto ire di Francia è chiamata Antibo.
Appresso Nicea nel mar li gustico siegue Monaco detta dagli antichi Porto di
Ercole, indi AlbioInlemelio,Albingauno,Savona,Genua,Porto Delfino Tigulia, e
più in dentro Segesta città de'liguri tigulii. Chiude questo confine il fiume
Macra che da questa parte divide la Liguria dall'Etruria. 9 > > ?
Dall'altra parte mediterranea ove si erge l'appennino ,ampio monte il quale con
gioghi perpetui e continuali fino allo stretto Siciliano divide l'Italia per
mezzo , avevano i liguri di qua e di l à d e l m o n t e m e d e s i m o 'n o b
i l i s s i m e c i t t à ; e s p e c i a l m e n t e d a u n >
lalo del Po Libarna , Dertona , Iria , Barderate , Industria , Polentia,
Potentia, Valentia,ed Augusta de'liguri vagienni. Quest'ultima città posta alle
radici delle Alpi Cozie , non molto lontana dal monte Vesulo d'onde ilPo ha sua
origine, fu dappoi resa colonia de'romani. Non ci rimane ora di essa alcun ve
stigio, ma insua vece surse al luogo stesso ne'secoli da noi men lontani la
città di Saluzzo sede un tempo di principi e capo del famoso 'marchesato di
Saluzzo , la quale in fine da
GiulioImeritòesserdecoratadelladignitàepiscopale.Ma sopra queste s'innalzarono
nella Liguria tre città non meno antiche che illustri,Alba Pompeia,Asta,ed Aqui
cittàde'liguristatielli. Alba posta nella Liguria montuosa presso l'Appennino
nellarivadelfiume Tanarofudagliantichigeografichiamata Pompeia, e per
distinguerla da Alba degli Elvii posta nella Gallia Narbonense, e per aver
quella G. Pompeo rifatta e la sciati ivi vestigi di sua memoria e beneficenza.
Ebbe vescovi antichissimi,poichè rapportasi ilprimo tra questi essere stato
nell'anno 350 S. Dionigi discepolo di S. Eusebio, poi innal zato alla cattedra
di Milano. E ne'secoli men remoti vi se dettero due uomini insigni che
laillustrarono, uno per la pru denza civile,e fu Lazarino Fieschi de'Conti di
Lavagna , al quale la regina di Napoli Giovanna contessa di Provenza nel 1350
commiseilgovernodelPiemonte,daluiquindiammi nistratoconsomma
lodeecommendazione;l'altropersapienza é somma dottrina ed erudizione, qual fu
il famoso Girolamo Vida,quelchiarissimopoetalatinochecilasciò l'incompara
bilesuaCristeideedisuoidottidialoghiDe Republica. Acqui posta alla riva della
Bormida in quella parte del Piemonte di là del Tanaro ,la quale Monferrato oggi
si ap pella, fa edificatada’liguri statielli popoli potentissimi della
267 > Asla posta nella Liguria mediterranea non lontana dal Tanaro
furesacoloniade'romani,edun tempofuseded’unodeglian tichi duchi longobardi.
Ebbe anch'essa antichissimi vescovi,i quali quando l'imperio di Occidente passò
a'germani , furono dagli imperatori molto favoriti ed a sommi onori innalzati;
e non poco splendore recò a quella città aver seduto nella sua cat tedra
vescovileilfamoso Panigarola,chiaroalmondo eloquenza e per tanti monumenti che
lasciò di sua dottrina. > per lasua montuosa Liguria. Fu detta
Acqui dalle acque calde che quivi scaturiscono assai salutifere , siccome oltre
la testimonianza diPlinio,l'istessaesperienza dimostra:efuchiamataAcqui
de'liguri statielli, per distinguerla dalla Acqui sestia de' Salii posta nella
provincia Narbonense . Fu anche sede di uno de'Duchi longobardi; ma la sua
cattedra non è cotanto an tica quanto le due precedenti come quella che prende
sua ori gine da'longobardi che furonoi primi ad erigerla. I liguri si
stendevano anche di là del Po , é molte città le
qualisecondoladivisioned'ItaliafattadaAugusto sono col locate nella XI regione
alle radici delle Alpi , anche da'liguri traggon l'origine. Le prime che
s'incontrano sono Vibiforo e Secusia, oggi detta Susa , le quali furon poi
mutate in due colonie romane.Anche Torino Plinio fa derivare dall'antica
stirpede’liguri;antiquaLigurum stirpe,egliscrisse(1)edisse il vero, poichè
coloro che la fan derivare da'massiliesi , sica come Nicea ed Antipoli, vengono
a togliere a questa città molto della sua antichità. Non è dubbio che i liguri
sieno popoli d'Italiatantoantichi,chediessinon sisal'origine,onde sicredono
indigeni del paese, nè mischiati con altrefore stiere nazioni , non altrimenti
che Tacito credette de' ger mani : all'incontro de'massiliesi si sa l'origine
ed il tempo nel quale profughi dalla Focide navigando nel mare inferiore e
cercando nuove sedi,si fermarorro ne'lidi della Gallia Nar bonense innanzi
detta Bracata. Ciò avvenne , secondo la te stimonianza di Livio (2), mentre in
Roma regnava Tarquinio Prisco,quando laprima voltaigallipassaronoleAlpi,iquali
dopo aver soccorso i massiliesi contro i salii che impedivano loro lo sbarco,
se ne calaron pe' monti Taurini dalle Alpi Giulie nell'Insubria , discacciandone
gli etruschi. Livio stesso ri ferisce che a'medesimi tempi i salluvii avendo
passate le Alpi , si posarono intorno al fiume Ticino vicino a ’ liguri levi ,
anticagenteed indigenadique'luoghi.Salluvii, e'dice,qui, præter antiquam gentem
Levos ligures, incolentes citra Ticinum amnem , expulere. Se dunque i liguri,
chiamati da Livio gente antiea, quando i massiliesi poser piede nella Gallia
Narbo (1)Lib.III,cap.17. (2 ) D e c , 1, lib . 5 . > > > 268
> nense tenevano questi luoghi ; più antica sarà l'origine di T
o rino derivandola da’liguriche da'massiliesi,iqualisiccome molti e molti anni
dappoi che furono stabiliti in Massiglia fon darono Antipoli e Nicea , molto
maggior tempo appresso avreb ber dovuto fondare Torino più lungi che quelle.Si
aggiunge che quando Anoibale calò per le Alpi in Italia , secondo rapporta
Livio (1),Torino eragià metropoli degli antichi popoli Taurini,i quali
reggendosi per se slessi aveano allora mossa guerra agl’in
subri,ericusaronol'amiciziadiAnnibalecontrastandogli corag giosamente il passo,
che egli sforzò a gran fatica.Inoltre Livio stesso rende testimonianza che la
prima volta in cui i romani ? mosser guerra a’liguri fu per occasione che
questi depredavano i campi di Nicea e di Antipoli , ciltà de'massiliesi soci
de’ro mani ,e non già i campi di Torino, la qual città perciò non era
de'massiliesi, ma abitata da’ liguri taurini. Furono questi popoli chiamati
Tauriniche dieder nome alla città, siccome i monti a piè de'quali essa è posta
furono anche detti Taurini, a cagione che dagli antichi i gioghi de *monti
erano chiamati Tauri per la figura che sogliono avere simili a'dorsi o alle
schiene di tori, ond'è che quel celebre monte che divide la Siria dal rimanente
dell'Asia fu chiamato Tauro sic come alcuni altri popoli presso Plinio ed altri
antichi geografi son chiamati anch'essi Taurini specialmente nella Scizia, per
chè abitano presso i monti anticamente appellati Tauri. Ri dottipoiquesti
popoliliguri sottolasoggezionede'romani, Augusto ingrandi la città, che perciò
venne poi detta Augusta Taurinorum , non altrimenti che Lutetia Parisiorum
da'parisii popoli della Gallia Lugdunense che l'abitavano. Ebbero i liguri
salassi anche in questa XI regione un'altra città, chiamata da Strabone ,
Plinio, Tolomeo ed Antonino Augusta Prætoria (ora detta Aosta) per distinguerla
dall'altra Augusla de'liguri vagienni già menzionata : è posta frà le due facce
delle Alpi Graie e Pennine . Furon le prime dette da' greci Graie per lo
passaggio di Ercole (nisi de Hercule fabulis crederelibet,comesaviamentedicePlinio),eleseconde
(sic c o m e v o l g a r m e n t e si c r e d e v a ) d a l p a s s a g g i o d
i A n n i b a l e c o ' s u o i 269 ! > (1)Dec. III,lib.1.
cartaginesifuronchiamatePoenine,secondoavvisòanchePlinio, benchèLivione
dubiti.Checchèsiadiciò,èda osservarsi che da questa Augusta Prætoria , essendo
per la sua situazione laprima cittàd'Italia,gliantichigeometriprendevanlamisura
della lunghezza di questo nostro paese , tirando una linea per Capua fino a
Reggio, ultima città sullo stretto siciliano (1). Fu dessa ancora città famosa
ed illustre a'tempi de're longo bardi, quando questi tennero il regno
d'Italia.Ad Eporedia , città posta nella stessa regione all'imbocco della Valle
Augustana edalleradicidelleAlpi,oggi dellaIvrea,Pliniodà,senon così
anticaorigine,nulladimenounaassaipiù illustre,scrivendo che fu da”romani
fondata per impulso degli dei, secondo che
da'librisibillinierastatolormostrato:Oppidum Eporediam,
e'dice,SybillinislibrisaPopuloRomano condijussum(2).Fu antica colonia romana ,e
perciò cotanto memorata da Cicerone, Strabone, Tacilo e da altri romani
scrittori. Vercelli anche secondo Plinio dee riconoscere la sua origine
da'liguri sallii poichè egli scrive: Vercelle Libicorum ex Salliis ortæ. E se
dobbiamo prestar fede al vecchio Catone, Novara anche da’li guri ebbe origine,
quantunque in ciò Plinio discordi, facendola derivare da' vocontii popoli della
Gallia Narbonense. Questa era l'aptica Liguria che occupava tutta quella gran
parte d'Italia occidentale, la quale poscia dal tempo che cangia emuta
inomi,ilinguaggi,icostumi,iconfinietutto,sorti altre divisioni e nuovi domini .
Furon poi queste regioni chia
mateLanga,Monferrato,l'Astegiana,Piemontesuperiore,Mar chesato di Saluzzo,
Piemonte inferiore ovvero tratto Torinese, Canavese,ValleAugustana,Vercellese e
Biellese.Molti tra vagli i romani sopportarono per sottoporre tanti popoli
liguri, poichè questi duri nelle armi e difesi da'luoghi inaccessibili si
mantenner liberi, nè prima degli ultimi tempi della romana repubblica furono ad
essa soltomessi. I romani cominciarono a sperimenlarli nelle armi dopo che si
erangiàresiformidabili inItaliaedaltrove,dopocheebbervinto Pirro re di Epiro e
lui costretto a ritirarsi nel suo regno , e dopo che nella prima guerra punica
il console C. Lutazio diede > ! (1) Plin., Hist. nat.lib. II , cap. 5.
(2)Plin.lib.I,cap.17. 270 a'cartaginesi quella terribile rotta
nelle isole agale, per la quale costoro furono forzati a chieder pace a'romani.
Allora , finita questaguerra,ivincitoricominciaronoamuovere learmicontro i
liguri intorno alla metà del sesto secolo di Roma . Livio , n e l l a s e c o n
d a s u a d e c a , s e g u e n d o il s u o c o s t u m e , n e a v r e b b e
certamentefattoconoscereleminute circostanze,ma questa deca interamente ci
manca .L. Floro nell’Epitome ne rammenta ilprincipio dicendo: Adversus
ligurestuncprimum exercitus promotus est. Ma da altri scrittori romani e da ciò
che Livio stesso scrisse nella III e IV deca,lequali per buona sorte ciri
mangono , è facile il conoscere che fin qui i romani non profittarono niente
sopra i liguri, poichè è anche fuor di dubbio che nel principio della seconda
guerra punica quando Anni bale passòleAlpi,iliguri gli
prestaronoaiutocontroiromani; e Livio nel primo libro della III deca parra, che
col loro fa. vore prese Annibale per insidie due questori romani con due
tribuni de'soldati e cinque figliuoli de'sanniti dell'ordine eque stre.Nè dopo
scacciatoAnnibaled'Italiasiperderonodianimo, sicchè non tenessero continuamente
esercitati i romani nelle a r m i . D e c l i n a n d o il s e s t o s e c o l
o d i R o m a , a m b i d u e i c o n s o l i C. Flaminio contro i liguri
frisinati ed apuani (i quali scor r e v a n o f i n o n e ' c a m p i P i s a n
i e B o l o g n e s i ), e M . E m i l i o c o n t r o glialtriliguridiqua
dell'Appennino, furono destinati con due eserciti consolari a soggiogarli: e
sebbene ciò avessero i consoli menato ad esecuzione, non mancaron quelli di
risorger poi più animosi e forti che prima , sicchè fu d'uopo nel s e
guenteannoa'successoriconsoliQ. MarzioePostumio,dopoche questi sispacciarono
dalle inquisizioni de'baccanali, riprender la guerra , la quale a Q. Marzio
riusci pur troppo infelice , poichè colto ilsuo esercito da'liguri
apuanifraluoghistreltie dificili,fudissipatoinguisache,siccomescriveLivio(1),qua
tuormilliamilitumamissa,etlegiunissecundæsignatria,undecim vexilla sociorum ac
Latini nominis in potestatem hostium venerunt, et arma multa,quæ quia
impedimento fugientibusper silvestres semitas erant, passim jactabantur: prius
sequendi Ligures finem quam fugæ Romani fecerunt. Marzio fuggi dunque col
residuo (1)Dec.IV,lib.9. - 271
delsuoesercito:nonlamen,soggiunge Livio,obliterarefa mam
reimalegestepotuit;nam saltus,undeeumLiguresfu gaverant,Martiusestappellatus.Nè
minorifuronoglisforzi ne'seguenti anni de'consoli successori, Sempronio che
pugnò contro iliguri apuani ed Ap.Claudio controiliguriingauni.
Inbreve,diceLivio(1),eragiàridottoincostume"non de
cretarsia'consolialtraprovinciasenon quellade'ligurionde erano quelli spesso
intenti a formare nuove legioni per poter abbattere sì valorosi inimici;laqual
cosa non ebbe effetto se non sotto L. Emilio Paolo il quale (essendogli stata
proro gata la consolare potestà) con potente esercito spedito contro i liguri
ingauni ottenne su questi piena viltoria, siccome più tardi M. Bebio l'ottenne
su’liguri apuani .E finalmente soltanto verso la fine del secolo, insieme con
gl'istri, co' galli cisalpini e con le genti alpine, furono i liguri sottomessi
a'romani (2): de’liguri in fatti primieramente trionfo C. Claudio console
l'apno 578 , e ne'posteriori anni furono quelli poscia del tutto
debellati(3).Di questa costanzaedabitode'liguriallefatiche della milizia ed a
soffrire patimenti e disagi, ben si accorse A n n i b a l e , il q u a l e p a
s s a t e l e A l p i , n e l l e s u e p r i m e p u g n e c o n tro i romani,
più che in altro popolo e più che ne'cartaginesi stessi,poseogni
fiduciane'liguride'quali sivalse.E quando profugo da Cartagine ricovrossisotto
Antioco re della Siria, il q u a l e a l l o r a a v e a g u e r r a c o ’ r o
m a n i , il p i ù s a n o c o n s i g l i o c h e a quel principe pole dare,
siccome Livio scrisse (4), fu che dovesse attaccare in due parti i romani
dividendo in due classi lanumerosasuaarmata,eduna,dellaqualefossestato An tioco
stesso il comandante e l'ammiraglio, diriger nella Grecia per discacciarne i
romani , l'altra, dellả quale egli stesso A n nibale sarebbe stato il capitano
supremo , dopo avere stretta lega co'cartaginesi, con le navi di questi inviare
nel mar li gustico; poichè pensava che sbarcata la sua gente nella Li guria,
egli fidando mollo nel coraggio e valore de'liguri osti nati difensori della
loro libertà contro i romani , bene avrebbe . 272 (1)Dec. IV,lib.10,inprinc.
(2)Dec. IV,lib.10,et Dec. V, lib.2. (3)Florus Epit.,lib.7,Dec. V. (4)Dec. IV.
> 273 . potuto unendo le armi liguri alle sue portar nuova
formidabil guerra in Italia e porre nuovo assedio fino alle mura di Roma
istessa ; m a quello stolto e vano re non appigliandosi a questo sano consiglio
e volendo piuttosto seguire leadulazionide'suoi
propricapitani,die'cagionealletantesue perditeesconfitte ed alla sua totale
rovina. Ma riguardandosia'secolipiùanoivicini,non dovrà ta cersi un pregio che
rese la ligure provincia assai più gloriosa di quante mai possano vantarsi di
essere state avventurose madri di eroi e di semidei. Si celebrano cotanto
presso i greci e le nazioni tutte del mondo Alcide , Bacco ed Ulisse per le
lunghe loro peregrinazioni, per aver debellato i mostri ,
verteignoteterreescorsiincognitimari.Ma Ercolestesso Chi fu colui che rese
isegni diErcolefavolavile a'naviganti industri? Chi fu colui che rese
navigabili quelli che prima erano inaccessibili ed ignoti mari, e fece palesi
ai noi regni non meno sconosciuli che vasti ? Chi fu colui che spiegando le
fortunate sue antenne ad un nuovo polo , oscurò la fama di Alcide e di Bacco ,
se non il ligure Colombo ? Quanto ben gli si adattano, e con quanta maggiore
proprietà e ragione con vengono à lui quelle lodi che Lucrezio diede al suo
Epicuro , e che dal nostro incomparabile Torquato assai più acconcia mente
furono attribuite al coraggio ed alla grandezza d'animo del Colombo, quando di
lui canto : Unuom dellaLiguriaavràardimento All'incognito corso esporsi in
prima: Nè ilminaccevol fremito del vento, Nè l'inospitomar,nèildubbioclima, Nè
s'altro di periglio o di spavento Più grave e formidabile or si stima, Faran
che il generoso entro a'divieti D'Abila angusti l'alta mente accheti (1).
(1)Ger.lib.c.XV. GIANNONE, Pietro. - Nacque il 7 maggio 1676 a Ischitella
(Foggia), piccolo centro del Gargano, da Scipione (1646-1725), speziale, e
Lucrezia Micaglia (1653-1709). Ebbe quattro fratelli: Francesca (n. 1680),
Vittoria (1685-1735), Carlo (1688-1755) e Teresa (n. 1691). Dopo aver
compiuto i primi studi sotto la guida dell'arciprete del paese, Gaetano Serra,
dal 1691 il G. studiò per due anni filosofia con un frate francescano. Fu
inizialmente destinato allo stato ecclesiastico, ma la famiglia mutò parere e ai
primi di marzo del 1694 il G. si trasferì a Napoli, dove, grazie all'aiuto del
prozio materno, Carlo Sabatelli, iniziò a studiare diritto presso il
procuratore Giovan Battista Comparelli. Nel 1696 divenne allievo di Domenico
Aulisio, sotto la cui guida studiò diritto civile e canonico; iniziò poi gli
studi storici nella Biblioteca Brancacciana e in quella del cardinale Gerolamo
Seripando. Negli stessi anni il poeta leccese Filippo De Angelis lo introdusse
alla filosofia di P. Gassendi e ai classici latini, greci e italiani.
Laureatosi il 4 sett. 1698 all'Università di Napoli, dallo stesso anno il G.
iniziò a frequentare (anche se marginalmente) l'Accademia di Medinacoeli, in
cui conobbe alcune delle maggiori figure della cultura napoletana, fra cui il
giurista e poeta Nicola Capasso, il medico Luca Antonio Porzio, il filosofo
Gregorio Caloprese e il medico Nicola Cirillo sotto il cui influsso abbandonò
la filosofia gassendiana per abbracciare quella di Cartesio. Morto
improvvisamente il Sabatelli nel 1700, il G. iniziò l'attività d'avvocato,
conducendo il suo apprendistato presso Giovanni Musto, ma, insoddisfatto della
sistemazione, si trasferì (su consiglio di don Giovanni Spinelli, che già lo
aveva presentato all'Aulisio) presso Gaetano Argento. Per la formazione
culturale del G. l'incontro con Argento si rivelò fondamentale, poiché a casa
di questo, dal 1702, iniziò a riunirsi l'Accademia de' Saggi, che, proseguendo
l'esperienza della Medinacoeli, riuniva un gruppo di giovani giuristi destinati
a divenire il nerbo del governo napoletano durante il viceregno austriaco. Fu
in quell'Accademia che maturò il progetto d'una nuova storia del Regno, cui il
G. diede il suo contributo iniziando a lavorare all'Istoria civile del Regno di
Napoli. Grazie alla sua attività di avvocato, il G. si garantì un agiato
tenore di vita che gli permise di chiamare a Napoli il fratello minore Carlo e
l'ormai anziano padre. Il G. aveva nel frattempo iniziato una relazione con la
popolana Elisabetta Angela Castelli, da cui ebbe due figli: Giovanni (1715) e
Carmina Fortunata (1721). Anno decisivo per la sua carriera forense fu il 1715,
quando divenne avvocato dei cittadini di San Pietro in Lama in una causa
intentata contro il vescovo di Lecce Fabrizio Pignatelli intorno alla questione
delle decime. In risposta a due allegazioni di Nicola D'Afflitto, avvocato del
vescovo, il G. pubblicò la scrittura Per li possessori degli oliveti nel feudo
di San Pietro in Lama contro monsignor vescovo di Lecce barone di quel feudo
intorno all'esazione delle decime dell'olive, cui seguì, l'anno successivo, il
Ristretto delle ragioni de' possessori degli oliveti. Tali testi, per la
marcata e aperta adesione alle più avanzate tematiche giurisdizionaliste e per
gli ampi riferimenti che il G. faceva alla storia del Regno, provocarono una
forte e vivace discussione e possono considerarsi i suoi primi importanti
lavori. Molto scalpore suscitò nel 1719 la causa in difesa del nipote
dell'Aulisio, Nicolò Ferrara, arrestato due anni prima con l'accusa di avere avvelenato
lo zio. Vinta la causa, come compenso il G. ottenne dal suo assistito i
manoscritti dell'Aulisio, di alcuni dei quali avrebbe poi curato l'edizione.
Nel 1718 a Napoli il G. aveva pubblicato intanto, sotto lo pseudonimo di Giano
Perontino (anagramma del nome del G.), la Lettera scritta da Giano Perontino ad
un suo amico che lo richiedea onde avvenisse che nelle due cime del Vesuvio in
quella che butta fiamme ed è più bassa la neve lungamente si conservi e
nell'altra ch'è alquanto più alta e intera non duri che pochi giorni. Il breve
scritto era frutto degli interessi scientifici che il G. aveva coltivato sin
dal suo arrivo a Napoli (riscontrabili in tutte le opere sino a quelle del
carcere) e dai quali, come avrebbe affermato nell'autobiografia, s'era dovuto
allontanare perché assorbito dagli studi giuridici e storici. Infatti il
G., pur impiegando gran parte del suo tempo nell'attività forense, lavorava
alacremente all'Istoria civile. Fu proprio per potervi attendere con più
tranquillità che, nel 1718, comprò e restaurò una villa presso Posillipo, detta
Dueporte perché si riteneva fosse appartenuta ai fratelli Giovan Battista e
Niccolò Della Porta. Nei cinque anni successivi la stesura dell'Istoria lo
assorbì sempre di più, tanto che i suoi continui ritiri a Dueporte gli valsero
l'ironico soprannome di "solitario Piero". Alla fine del 1720,
l'Istoria civile era ormai pressoché completata; il G. fece allora trasferire
la tipografia di Nicolò Naso nella villa che il suo amico Ottavio Vitagliano
aveva a Posillipo, vicino a Dueporte, e all'inizio del 1721 cominciò la stampa.
Poiché, nonostante l'istruzione ricevuta, era più avvezzo al linguaggio
giuridico (e al dialetto napoletano) che non all'italiano letterario, il G.
chiese allora all'amico Francesco Mela di rileggere l'opera, volgendola, ove
necessario, in buon italiano. Nel marzo 1723 l'Istoria civile del Regno di
Napoli vedeva finalmente la luce, in un'edizione di 1100 esemplari (1000 in
carta ordinaria e 100 in carta reale). Scritta con lo scopo principale
di difendere i diritti e le prerogative dello Stato contro la Curia romana,
l'Istoria civile non intendeva tanto apportare nuovi contributi documentari
alla storia del Regno, quanto offrirne una nuova interpretazione, esaminandone
l'evoluzione dalla disgregazione dell'Impero romano sino al Viceregno
austriaco. Il G. non raccolse (se non per i primi libri) la
documentazione direttamente dalle fonti, ma organizzò quella reperibile in
altre opere, in particolare nell'Istoria del Regno di Napoli di A. Di Costanzo
(L'Aquila, Cacchi, 1581), nell'Historia della città e Regno di Napoli di G.A.
Summonte (Napoli 1601-43), nella Historia della Repubblica veneta di B. Nani
(Venezia 1662) e nel Teatro eroico e politico de' governi de' viceré del Regno
di Napoli di D. Parrino (Napoli 1692-94). Il procedimento gli causò, in
seguito, l'accusa di plagio da parte di A. Manzoni nel capitolo VII della
Storia della colonna infame, e poi da tutta la storiografia neoguelfa,
rappresentata, tra gli altri, da G. Bonacci e C. Caristia. Il giudizio non
coglieva l'importanza dell'Istoria civile, che non stava nella ricostruzione
erudita degli eventi del Regno, ma nell'affermazione del principio
dell'autonomia dello Stato. In effetti, se dagli storici napoletani il G.
traeva le notizie necessarie, i modelli storiografici erano però altri,
italiani ed europei. Fra i primi Guicciardini, Sarpi e, soprattutto, il
Machiavelli delle Istorie fiorentine: come quest'ultimo aveva attribuito alla
Chiesa la responsabilità di avere impedito ai Longobardi la realizzazione in
Italia di un forte regno nazionale, così il G. accusava Roma di avere troncato
lo sviluppo dello Stato napoletano, distruggendo l'esperienza normanno-sveva
con la chiamata di Carlo d'Angiò. L'avversione nei confronti degli Angioini è
uno dei temi ricorrenti dell'Istoria civile: alla dinastia francese il G.
imputava di avere diminuito il potere regio, accresciuto quello baronale, ma
soprattutto di aver riconosciuto giuridicamente il Regno come feudo della
Chiesa. A causa di tale acquiescenza verso il Papato, il Meridione avrebbe
consumato il proprio distacco dal resto d'Italia, dove invece le dinastie
regnanti contrastavano apertamente le pretese di Roma. Fra i modelli stranieri
che avevano ispirato il G. erano J.-A. de Thou e U. Grozio, da cui il G.
riprendeva la rivalutazione dei barbari, e in particolare dei Longobardi, visti
come signori nazionali, nemici di Roma e di Bisanzio. Tanto il G. era avverso
agli Angioini quanto mostrava simpatia per gli Aragonesi, i quali, pur fra
incertezze e contraddizioni, avevano tentato di restituire al Regno l'autonomia
dell'epoca normanno-sveva. Con il dominio spagnolo si era concluso tale
tentativo e per questo il G. era fortemente critico verso Madrid,
sottolineandone la politica di sfruttamento nei confronti del Regno. L'Istoria
civile si concludeva con le pagine dedicate al dominio austriaco, nel quale il
ceto civile riponeva le proprie speranze. L'Istoria era dunque un'opera
collettiva, non perché scritta a più mani - come malignamente sostenevano i
nemici del G. -, ma in quanto "opera che raccoglieva e organizzava le
esigenze del ceto civile" (Ricuperati, 1970, p. 163). Con l'Istoria civile
il G. si era proposto di analizzare le ragioni del potere della Chiesa
nell'Italia meridionale e in vista di ciò aveva dedicato ampio spazio all'epoca
longobarda (l'unica per cui il G. ricorresse direttamente alle fonti). Per
dimostrare soprusi e sopraffazioni della Chiesa sul Regno, il G. ricostruiva
l'evoluzione politica del Papato, respingendone implicitamente l'origine
divina; questo atteggiamento verso la religione, interpretata in chiave
esclusivamente politica, rendeva l'Istoriaun'opera del tutto nuova nel panorama
storiografico europeo ma motivava anche l'ostilità di Roma verso il Giannone.
Il 17 marzo 1723 il Consiglio municipale di Napoli (gli Eletti) concesse al G.
una regalia di 195 ducati e lo nominò avvocato generale della città. Mentre
copie dell'Istoria erano inviate a Vienna, a Napoli divampavano le polemiche.
Le autorità ecclesiastiche protestarono perché l'opera non aveva ottenuto la
licenza del tribunale vescovile (il G., in effetti, non l'aveva chiesta,
ritenendola superflua poiché riteneva che l'opera non trattasse argomenti di
giurisdizione ecclesiastica) e alcuni religiosi iniziarono a tenere prediche
contro il Giannone. In seguito a ciò, il potere civile mutò atteggiamento: il
viceré austriaco Friedrich Michael von Althann, che alla fine del 1722 aveva
concesso al G. la licenza necessaria per la pubblicazione dell'opera, il 12
aprile, in una riunione del Consiglio del Collaterale, biasimò apertamente gli
Eletti, i quali, peraltro, sin dal 7 aprile avevano congelato i provvedimenti a
favore del G., nominando una commissione per valutare l'opera. Nello stesso
tempo, il Collaterale ordinò la sospensione delle prediche contro il G. e la
vendita dell'Istoria. La situazione volse al peggio al momento del rito
di s. Gennaro: poiché il sangue tardava a sciogliersi, il clero napoletano
cominciò a sostenere che il santo fosse adirato con i Napoletani per la
pubblicazione dell'Istoria civile. Contro il G. si diffusero allora in tutta la
città poesie e libelli (diversi dei quali sono oggi conservati in un codice
della Biblioteca nazionale di Napoli), mentre la curia arcivescovile si preparava
a scomunicare l'opera. Ormai era a rischio la stessa vita del G., il quale,
spinto anche dagli amici, decise di recarsi a Vienna per chiedere la protezione
dell'imperatore Carlo VI. Dopo alcune esitazioni, il 1° maggio il G. lasciò
Napoli per quella che sperava una breve assenza e che, invece, sarebbe stata
una partenza senza ritorno. Raggiunta in incognito Manfredonia, da lì si
trasferì a Barletta, riparando per alcuni giorni in una villa del fratello di
Niccolò Fraggianni; nel frattempo a Napoli il sangue di s. Gennaro si
scioglieva. Trovata una nave su cui imbarcarsi, il 25 maggio 1723 era a
Trieste, il 27 a Lubiana e ai primi di giugno giungeva a Vienna. In
questa città il G. prese subito contatto con alcuni esponenti della numerosa
comunità italiana, fra cui Alessandro Riccardi, Niccolò Forlosia e il medico e
bibliotecario di corte Pio Niccolò Garelli, che portò una copia dell'Istoria
all'imperatore Carlo VI. Nel frattempo, venuto a conoscenza della scomunica
lanciatagli dalla curia arcivescovile di Napoli e della messa all'Indice
dell'Istoria civile (1° luglio), il G. ricominciò a scrivere. Dapprima ritornò
sul trattato Del concubinato de' Romani ritenuto nell'Impero dopo la
conversione alla fede di Cristo, già iniziato a Napoli, poi scrisse due nuovi
trattati: De' rimedi contro le proposizioni de' libri che si decretano in Roma
e della potestà de' principi in non farle valere ne' loro Stati e De' rimedi
contro le scommuniche invalide e delle potestà de' principi intorno a' modi di
farle cassare ed abolire (che confluì nell'Apologia dell'Istoria civile). Negli
ultimi mesi dell'anno la posizione del G. sembrò migliorare. Il 22 ottobre, in
seguito alle pressioni viennesi, la scomunica fu revocata e in dicembre il G.
ottenne udienza da Carlo VI, che l'anno seguente gli concesse una pensione
annuale "sopra i diritti della Secreteria di Sicilia". Egli non
riuscì, però, a ottenere un incarico ufficiale che, come aveva sperato, gli
permettesse di tornare a Napoli in una posizione sicura. Decise quindi di fermarsi
a Vienna e nel 1726 si stabilì nel palazzo della baronessa Therese
Leichsenhoffen von Linzwal, con la sorella minore della quale, Ernestine, aveva
stretto una forte amicizia. Nel frattempo, in Italia apparivano diverse
confutazioni dell'Istoria civile. Nel 1724 fu pubblicata a Roma l'Apologia di
quanto l'arcivescovo di Sorrento ha praticato cogli economi de' beni
ecclesiastici della sua diocesidell'arcivescovo Filippo Anastasio. In risposta
Ottavio Ignazio Vitagliano pubblicò a Napoli, nel 1727, una Difesa della real
giurisdizione intorno a' regi diritti su la chiesa collegiata appellata di S.
Maria della Cattolica della città di Reggio, in cui, pur volendo difendere il
G., finiva invece con il criticarlo. Il G. fu allora costretto a reagire con un
proprio testo, diffuso a Napoli in forma manoscritta. Nel 1728 apparvero a Roma
le Riflessioni morali e teologiche sopra l'Istoria civile del Regno di
Napolidel gesuita Giuseppe Sanfelice: rispetto all'opera dell'Anastasio si
trattava di un lavoro ben più articolato e problematico, tanto che il G. in un
primo tempo aveva deciso di non replicare, ma durante la villeggiatura a
Perchtoldsdorf (nei dintorni di Vienna) scrisse la Professione di fede. L'opera
conobbe una vasta fortuna, testimoniata da un'imponente circolazione
manoscritta, e segnò la definitiva rottura con la Chiesa cattolica. Un'altra
Risposta del G. fece seguito alla pubblicazione delle Annotazioni critiche
sopra il nono libro dell'Istoria civile di Napoli(Napoli 1732) del padre
Sebastiano Paoli, scritte con l'aiuto dell'erudito e antiquario Matteo Egizio,
esponente della parte più moderata del giurisdizionalismo napoletano, non
disposta a seguire la lezione del Giannone. Fallite le speranze di
ottenere un incarico a Vienna, il G. riprese l'attività forense; oltre a
diverse allegazioni per clienti viennesi e napoletani, nel 1725 scrisse il
Ragionamento per il signor don Leopoldo Pilati, in cui difendeva i diritti di
quest'ultimo alla nomina (poi non avvenuta) a vescovo di Trento dopo la morte
di Giovanni Benedetto Gentilotti e, nell'autunno del 1727, il trattato De' veri
e legittimi titoli delle reali preminenze che i re di Sicilia esercitano nel
Tribunale detto della Monarchia, sulla complessa questione del Tribunale della
Monarchia di Sicilia. Al 1731 risalgono due lavori di rilievo: la Breve
relazione de' Consigli e dicasteri della città di Vienna, commissionatagli dal
reggente Domenico Castelli, e le Ragioni per le quali si dimostra che
l'arcivescovado beneventano… sia… sottoposto al regio exequatur, come tutti gli
altri arcivescovadi del Regno, opera scritta su incarico della Città di
Napoli. Nel frattempo, con l'apparizione della traduzione inglese
dell'Istoria civile (The civil history of the Kingdom of Naples, London
1729-31) iniziava la fortuna europea del G. e dell'Istoria. Sin dal 1728 il G.
aveva cominciato a corrispondere regolarmente con gli eruditi tedeschi Siegmund
Liebe e Johann Burckard Mencke, e con il figlio di questo, Friedrich Otto,
iniziando la collaborazione agli Acta eruditorum Lipsensium. Nel 1729 scrisse
la Dissertazione intorno il vero senso della iscrizione "Perdam Babillonis
nomen" posta in una moneta di Lodovico XII re di Francia, da alcuni
creduta coniata in Napoli l'anno 1502, che, tradotta in latino, uscì a Londra
nel 1733 in un'edizione degli Historiarum sui temporis libri XXIV di J.-A. de
Thou. All'inizio degli anni Trenta, il G. era ormai un intellettuale inserito
nel contesto europeo, per i rapporti di collaborazione stretti con esponenti
della cultura inglese e tedesca e per la sua conoscenza, maturata in quel
periodo, delle opere che meglio rappresentavano quelle culture. In tal senso,
un ruolo fondamentale aveva avuto la frequentazione con il principe Eugenio di
Savoia, nella cui ricchissima biblioteca il G. aveva letto i più importanti
testi del pensiero libertino e radicale europeo. Da queste sue fertili
frequentazioni nei primi anni dell'esilio viennese derivò il progetto della sua
opera principale, il Triregno, iniziata nell'estate del 1731, durante una
villeggiatura a Medeling, e le cui prime due parti erano quasi terminate due
anni più tardi, nel 1733. Il Triregno si articola in tre parti: nella
prima, il Regno terreno, il G. studia la religione ebraica e sottolinea come in
essa non si conoscesse un aldilà, in quanto al popolo ebraico si prometteva
esclusivamente il dominio sugli altri popoli senza alcun riferimento a mondi
ultraterreni. Quello che Dio aveva promesso all'uomo nella Genesi era, dunque,
esclusivamente un regno terreno. Nel successivo Regno celeste l'attenzione del
G. si sposta al cristianesimo delle origini: studiando i testi neotestamentari,
mette in evidenza come fosse stato il cristianesimo a introdurre l'idea di un
mondo ultraterreno cui i fedeli erano destinati dopo essere stati giudicati sulla
base delle loro azioni mondane. Il Regno papale, l'ultima parte, riprende il
discorso iniziato nell'Istoria civile sulle origini del potere del Papato: dopo
i primi secoli vissuti in conformità con l'insegnamento evangelico, i
pontefici, approfittando della decadenza del potere imperiale dopo Costantino,
costituirono il loro Regno sul principio della superiorità rispetto agli Stati
mondani. Nella composizione del Triregnoconcorrevano diverse tradizioni:
la fondamentale esperienza del libertinismo erudito, con cui il G. era entrato
in contatto negli anni della sua prima formazione napoletana, per influenza
dell'Aulisio, dal quale il G. comprese l'importanza della storia ebraica. Molti
temi delle Scuole sacre - l'opera di Aulisio uscita postuma nel 1723, pochi
mesi dopo l'Istoria civile - ricomparivano, infatti, nel Triregno, filtrati
dalle conoscenze acquisite a Vienna: la storiografia protestante tedesca
(particolarmente evidente nel Regno celeste, dove forte è l'influenza delle
Origines, sive Antiquitates ecclesiasticae di Joseph Bingham e delle
Observationes sacrae di Salomon Deyling) e, soprattutto, il deismo europeo
postspinoziano. In questo senso importante era stato il rapporto con gli
scritti di John Toland (in particolare le Lettere a Serena, Origines Iudaicae e
Nazarenus), dai quali il G. trasse la tesi secondo cui gli ebrei credevano
nella mortalità dell'anima e non avevano idea di un mondo ultraterreno, e con
la storiografia che con questi si era misurata criticamente (come le Vindiciae
antiquae Christianorum disciplinae del luterano Johann Laurenz Mosheim).
Il Triregno non era, peraltro, del tutto slegato dall'Istoria civile. La
matrice giurisdizionalista era evidente soprattutto nell'incompiuto Regno
papale, dove il G. riprendeva il problema delle origini del potere
ecclesiastico, affrontandolo, però, con gli strumenti della storiografia
protestante: non più "istoria civile" del Regno di Napoli, ma di
tutto l'Occidente cristiano. Di qui la persecuzione che la Curia romana mosse
contro di lui, riuscendo, infine, non solo a farlo arrestare, ma a entrare
anche in possesso dell'autografo del Triregno. Si impedì così la
pubblicazione dell'opera, ma non ne fu, tuttavia, impedita completamente la
diffusione, che avvenne grazie a un apografo (probabilmente uscito dagli
archivi romani in cui l'originale era custodito). Nel secondo Settecento
diversi codici del Triregnocircolarono in Italia e in Europa, e negli anni
Sessanta sembrò addirittura imminente una sua pubblicazione, poi non avvenuta,
ad Amsterdam. La conquista del Regno di Napoli a opera di Carlo di
Borbone determinò la dispersione della comunità napoletana di Vienna.
Ritenendo, con ragione, che fosse in pericolo la sua pensione, basata su
rendite siciliane, anche il G. decise, allora, di partire. Lasciò Vienna il 28
ag. 1734, e giunse a Venezia il 14 settembre. Doveva essere solo un punto di
passaggio sulla via per Napoli, ma le autorità borboniche gli rifiutarono il
passaporto, temendo che un suo ritorno avrebbe compromesso le trattative per il
riconoscimento papale del nuovo sovrano. L'ambiente culturale veneziano si
rivelò, comunque, ricco di stimoli per il G., che strinse amicizia con il
senatore Angelo Pisani, con il principe milanese Alessandro Teodoro Trivulzio,
con l'abate Antonio Conti, con l'avvocato Giuseppe Terzi e con il libraio
Francesco Pitteri. Con quest'ultimo, in particolare, si accordò per una nuova
edizione dell'Istoria civile, per la quale approntò, come quinto tomo,
quell'Apologia dell'Istoria civile cui lavorava da tempo e in cui confluirono i
tre trattati composti a Vienna. In realtà, anche a Venezia il G. non mancava
certo di nemici. Poco dopo il suo arrivo, Domenico Pasqualigo gli aveva offerto
la cattedra di diritto civile all'Università di Padova, ma la Curia romana era riuscita
a fare sospendere l'offerta. Nello stesso tempo, il nunzio a Venezia, Iacopo
Oddi, faceva pressioni sul governo della Serenissima perché il G. fosse
cacciato e consegnato alle autorità pontificie. Per screditare il G. venne
diffusa la voce che egli avesse criticato la Repubblica veneziana in alcune
pagine dell'Istoria civile, obbligandolo così a difendersi: la Risposta a tale
accusa confluì anch'essa nell'Apologiadell'Istoria civile. Alla fine del marzo
1735 il G. si stabilì nell'abitazione del Pisani e un mese più tardi fu
raggiunto a Venezia dal figlio Giovanni, che aveva lasciato a Napoli dodici
anni prima. Riprese, allora, la stesura del Triregno, discutendone con i suoi
amici veneziani. Fu nella villa del Pisani a Rovere di Crè (presso Rovigo) che,
nel luglio 1735, il G. scrisse la Prefazione al Triregno. Anche questa volta,
tuttavia, la tranquillità doveva rivelarsi effimera. Dopo oltre un anno
di complesse manovre sotterranee, il nunzio ottenne il risultato sperato: la
notte del 13 sett. 1735, poco dopo aver lasciato, insieme con l'abate Conti, la
casa dell'avvocato Terzi, il G. fu catturato da agenti del S. Uffizio, caricato
a forza su un'imbarcazione e abbandonato nel Ferrarese, in territorio
pontificio. Riuscì quindi fortunosamente a raggiungere Modena e vi restò
nascosto per circa un mese, sotto il falso nome di Antonio Rinaldi, protetto,
fra gli altri, anche da L.A. Muratori. Iniziò, allora, la stesura del
Ragguaglio dell'improvviso e violento ratto praticato in Venezia ad istigazione
de' gesuiti e della corte di Roma. Raggiunto, infine, dal figlio, il G. si recò
a Milano, allora occupata dalle truppe sabaude, dove sperava nell'aiuto della
famiglia del principe Trivulzio. Il 16 nov. 1735 fu ricevuto dal marchese
Giorgio Olivazzi, gran cancelliere, il quale gli consigliò di scrivere a Carlo
Vincenzo Ferrero marchese d'Ormea, ministro di Carlo Emanuele III di Savoia,
per offrirsi come storico di corte. Quel che Olivazzi non poteva sapere era che
l'Ormea s'era già accordato con il cardinale Alessandro Albani, offrendogli
l'arresto del G. come contropartita per la concessione di un concordato
favorevole allo Stato sabaudo al fine di chiudere lo scontro - aperto un
ventennio prima da Vittorio Amedeo II - fra Torino e Roma. Da Torino partì
quindi l'ordine di arresto del G., che però nel frattempo aveva già lasciato
Milano per la capitale sabauda. Non considerando più gli Stati italiani un
rifugio sicuro dopo l'esperienza veneziana, il G. aveva deciso di andare a
Ginevra, dove era in contatto con l'editore Marc-Michel Bousquet (che sin dal
1729 aveva annunciato la sua intenzione di pubblicare una traduzione francese
dell'Istoria civile). Mentre dava l'ordine di arrestarlo a Milano, l'Ormea non
poteva immaginare che il G. fosse proprio a Torino, dove si fermò il 27 e il 28
nov. 1735. Giunse a Ginevra il 5 dicembre, dove, pur rifiutando di convertirsi
al calvinismo, strinse amicizia con i teologi protestanti Jean-Alphonse
Turretini e Jacob Vernet. A causa delle sue precarie condizioni
economiche, decise di pubblicare la traduzione francese dell'Istoria civile,
per la quale s'era accordato già da tempo con il Bousquet. Questi, però, aveva
sciolto proprio allora la sua società con lo stampatore J.-A. Pellissari, e si
era trasferito in Olanda. Fu solo grazie all'aiuto di Vernet che il G. poté
trovare un nuovo finanziatore nel libraio Jacques Barillot, ma, quando,
all'inizio del marzo 1736, tutto era pronto per la nuova edizione dell'Istoria,
il G. fu attirato fraudolentemente in territorio sabaudo e arrestato. Sin
dal 10 dic. 1735 il marchese d'Ormea aveva dato disposizioni per l'arresto al
governatore della Savoia, conte Giuseppe Piccon della Perosa. La trama del
rapimento è stata raccontata dal G. stesso, nella sua autobiografia, in pagine
esemplari per chiarezza e drammaticità. A Ginevra egli aveva preso alloggio
presso il sarto Charles Chénevé, da tempo amico di un doganiere sabaudo, tale
Giuseppe Gastaldi, il cui fratello era aiutante di campo del conte Piccon.
Dapprima Gastaldi si guadagnò la simpatia di Giovanni, il figlio del G.,
invitandolo spesso a Vésenaz (il piccolo centro savoiardo di fronte a Ginevra,
dov'era la dogana) insieme con Chénevé. In questo modo egli venne a conoscenza
dei movimenti del G. a Ginevra, informandone Piccon. Dopo aver rifiutato gli
inviti del Gastaldi per tutto l'inverno, il G. accettò di assistere alla messa
della domenica delle Palme nella chiesa di Vésenaz. Sabato 24 marzo 1736 si
trasferì con il figlio a casa di Gastaldi. Questi, presi con sé alcuni soldati,
irruppe di notte nella stanza del G. e arrestò lui e il figlio; il giorno dopo,
Gastaldi si mise in marcia verso Chambéry. Il G. racconta la gioia del
doganiere il quale, tenendo in mano un suo ritratto (probabilmente una copia
dell'incisione fatta a Vienna da Jacob Sedelmayer) andava di paese in paese
urlando di aver catturato "un grand'uomo". Giunto a Chambéry la
sera del 26 marzo 1736, Gastaldi consegnò i prigionieri al conte Piccon, il
quale, il 7 aprile, ne dispose il trasferimento nella fortezza di Miolans,
tradizionalmente deputata ad accogliere i prigionieri di Stato (quarant'anni
dopo vi sarebbe stato rinchiuso anche il marchese de Sade). Ricevuta notizia
dell'arresto, l'Ormea ne informò il cardinale Albani, al quale riferì anche
l'intenzione di Carlo Emanuele III di non inviare il G. a Roma, ma di
impegnarsi a tenerlo in carcere "perpetuamente". Per quanto la corte
di Roma avrebbe preferito giudicare direttamente il G., il 5 maggio Clemente
XII ringraziò il sovrano sabaudo per l'arresto del "sedizioso". Ormea
e Albani si accordavano, intanto, perché il G. fosse processato dal S. Uffizio
piemontese e costretto ad abiurare. Durante la sua prigionia a Miolans
(aprile 1736 - settembre 1737) il G. scrisse l'autobiografia (Vita di Pietro
Giannone scritta da lui medesimo) e iniziò, aiutato dal figlio, una prima
versione dei Discorsi sopra gli Annali di Tito Livio, un'opera che intendeva
offrire a Carlo Emanuele III per l'educazione del principe di Piemonte, il
futuro Vittorio Amedeo III. Nello stesso periodo l'Ormea riuscì, grazie al
conte Piccon e ad altri agenti sabaudi, a entrare in possesso dei manoscritti
delle opere del G. (compreso quello del Triregno), che, dopo esser stati
esaminati da Giovanni Antonio Palazzi, abate di Selve, bibliotecario e storico
di corte, furono inviati a Roma. Il 15 sett. 1737 il G., separato dal figlio
Giovanni (che fece ritorno a Napoli), fu trasferito a Torino (nelle carceri di
Porta Po, prima, e nella cittadella, poi). Qui fu affidato alla cura spirituale
del padre filippino Giovan Battista Prever. Nel marzo del 1738 prestò formale
abiura dei suoi errori di fronte al vicario inquisitoriale, Alfieri di
Magliano. Il testo dell'abiura non era quello che la Curia romana si
attendeva, tanto che - contrariamente alla prima intenzione - si decise di non
renderlo pubblico. A convincere il G. ad abiurare era stata la speranza di
poter tornare presto in libertà, ma il 15 giugno 1738 fu trasferito al forte di
Ceva, dove sarebbe rimasto sei anni. Le istruzioni impartite al conte Giuseppe
Amedeo De Magistris, governatore del forte, erano per la migliore sistemazione
possibile nel castello (il G. fu rinchiuso nella prigione detta "la
speranza": due stanze e un anticamera interamente rivestite in legno e
chiuse da una porta di pietra). Gli era permessa qualche ora d'aria al giorno
(purché non parlasse con nessuno, tranne il governatore e il confessore del
forte) e poteva leggere e scrivere (purché le sue opere non uscissero da Ceva
se non per Torino). Nei sei anni di prigionia cebana il G. terminò i Discorsi
sopra gli Annali di Tito Livio (conclusi nel maggio 1738) e scrisse altre tre
opere: l'Apologia de' teologi scolastici (1739-41), l'Istoria del pontificato
di s. Gregorio Magno(1741-42) e L'ape ingegnosa (1743-44). In esse
riaffioravano molti temi del Triregno, soprattutto nell'Apologia de' teologi
scolastici - dove l'autorità dei Padri della Chiesa era sottoposta a una vera e
propria demolizione -, e nell'Istoria del pontificato di s. Gregorio Magno.
Quest'ultima, inizialmente concepita come conclusione dell'Apologia, era una
vera e propria prosecuzione del Triregno, nel cui Regno papale una vasta parte
doveva essere dedicata a tale pontefice. Temi tipici degli autori libertini, in
particolare del Toland, grazie a un sapiente uso della Naturalis historiadi
Plinio il Vecchio, tornavano anche nelle pagine dell'Ape ingegnosa, vasto e
complesso zibaldone, come recita il titolo, di "varie osservazioni sopra
le opere di natura e dell'arte", denso di spunti autobiografici.
Nonostante la prigionia, la fortuna europea del G. continuava: nel 1738 ad
Amsterdam era apparsa la traduzione francese dei libri sulla "politia
ecclesiastica" (Anecdotes ecclésiastiques contenant la police et la
discipline de l'Église chrétienne depuis son établissement jusqu'au XIe siècle),
nel 1742 l'intera Istoria civile era stata tradotta in francese da C.-G. Loys
de Bochat e G. Bentivoglio e pubblicata a Ginevra (ma con la falsa indicazione
dell'Aja). Mentre a Torino la diffusione delle opere giannoniane preoccupava le
autorità ecclesiastiche, a Ceva il G. entrava in contatto con esponenti della
nobiltà locale, che lo incaricarono della stesura di alcune allegazioni
forensi. Nell'estate del 1744, a causa dell'avanzata delle truppe
franco-spagnole, allora impegnate contro il Piemonte nella Guerra di
successione austriaca, il G. fu trasferito a Torino, dove giunse il 3
settembre. In un primo tempo le condizioni della prigionia nella cittadella si
rivelarono assai più dure: il governatore Ercole Tomaso Roero di Cortanze non
aveva avuto, come invece il De Magistris, ordini particolari per il
prigioniero, il cui trattamento non fu inizialmente dissimile a quello
riservato ai molti prigionieri che affluivano nella capitale da tutto il
Piemonte. La situazione fu aggravata dalla morte del marchese d'Ormea (maggio
1745), tanto che il 14 maggio 1746 il G. inviò al sovrano un lungo e disperato
memoriale sul proprio stato e sulle angherie cui lo sottoponeva il maggiore
della cittadella, il conte Giovan Battista Caramelli. Da allora le condizioni della
sua detenzione migliorarono sensibilmente. Il suo ritorno a Torino non era
passato inosservato; in pochi mesi il G. entrò in relazione con personaggi
della corte e della cultura, come i bibliotecari dell'Università Paolo Ricolvi
e Antonio Rivautella, e, soprattutto, con il residente inglese, Arthur
Villettes, il quale gli fece avere diversi libri della propria biblioteca,
grazie ai quali, oltre a quelli avuti dalla Biblioteca reale tramite Roero di
Cortanze, il G. poté aggiungere nuovi capitoli all'Apologia de' teologi
scolastici e iniziare una nuova versione, rimasta incompiuta, dei Discorsi. Il
nuovo interesse destato dal G. suscitò la reazione delle autorità
ecclesiastiche: il nunzio a Torino, mons. Ludovico Merlini, protestò presso il
sovrano, il quale gli assicurò che le condizioni del prigioniero sarebbero
divenute più severe. In realtà il G. continuò a scrivere e a
ricevere libri da Villettes e da Roero di Cortanze sino alla morte,
sopraggiunta il 17 marzo 1748. Il desiderio del G., formulato in una
lettera all'Ormea nel marzo 1741, che sulla sua tomba fosse posta un'iscrizione
da lui appositamente composta non fu esaudito: il suo corpo fu sepolto nella
fossa comune dei prigionieri della chiesa di S. Barbara, all'interno della
cittadella. La chiesa fu distrutta intorno al 1860. Opere: Opere di
Pietro Giannone, a cura di S. Bertelli - G. Ricuperati, Milano-Napoli 1971 (con
un'accuratissima bibliografia), in cui sono comprese la Vitascritta da se
medesimo, pagine scelte dell'Istoria civile, del Triregno, del Ragguaglio del
ratto, delle altre opere del carcere e alcune lettere; Istoria civile, a cura
di A. Marongiu, Milano 1970; Triregno, a cura di A. Parente, Bari 1940; Dopo la
"Giannoniana": problemi di edizione, nuovi reperimenti di fonti e
l'introduzione perduta del "Triregno", a cura di G. Ricuperati, in
L'Europa fra Illuminismo e Restaurazione.Studi in onore di Furio Diaz, a cura
di P. Alatri, Roma 1993, pp. 43-88; un manoscritto del Ragguaglio del ratto è
stato pubblicato in Un testo inedito di P. G., a cura di A. Denis, in Archivio
storico italiano, CLIII (1995), 4, pp. 709-761. Delle altre opere del carcere
l'unica sinora pubblicata in edizione critica è L'ape ingegnosa, overo Raccolta
di varie osservazioni sopra le opere di natura e dell'arte, a cura di A.
Merlotti, Roma 1993 (con bibliografia dal 1971, pp. CXVII-CXXI). Per le
lettere: P. Giannone, Epistolario, a cura di P. Minervino, Fasano 1983; Lettere
autografe, a cura di P. Minervino, ibid. 1990 (in entrambi i casi l'edizione
non è del tutto affidabile, cfr. la rec. di G. Di Rienzo, in Bollettino
storico-bibliogr. subalpino, XCI [1993], 1, pp. 317-322). Fonti e Bibl.:
Arch. di Stato di Torino, Biblioteca antica, Manoscritti di Giannone(inventario
a cura di G. Ricuperati, Le carte torinesi di P. G., in Memorie dell'Acc. delle
scienze di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche, s. 4, IV
[1962]): nel 1992 il fondo è stato arricchito da documenti autografi del G., in
gran parte relativi ai periodi austriaco e veneziano; F. Nicolini, Gli scritti
e la fortuna di P. Giannone. Ricerche bibliografiche, Bari 1913; L. Marini, P.
G. e il giannonismo a Napoli nel Settecento, Bari 1950; B. Vigezzi, P. G.
riformatore e storico, Milano 1961; S. Bertelli, Giannoniana. Autografi,
manoscritti e documenti della fortuna di P. G., Napoli 1968; G. Ricuperati,
L'esperienza civile e religiosa di P. G., Milano-Napoli 1970; G. e il suo
tempo, a cura di R. Ajello, Napoli 1980; A. Merlotti, Settecento e
"Risorgimento ghibellino": Giuseppe Ferrari lettore di P. G., in
Annali della Fondazione Einaudi, XXVIII (1993), pp. 301-358; Id., Negli archivi
del Re. La lettura negata delle opere di G. nel Piemonte sabaudo (1748-1848),
in Riv. stor. italiana, CVII (1995), 2, pp. 332-386; G. Ricuperati, P. G.: an
itinerary in European free-thinking, in Transactions of the Ninth International
Congress on the Enlightenment, Oxford 1996, pp. 242-245; H. Trevor-Roper, P. G.
and Great Britain, in The Historical Journal, XXXIX (1996), 3, pp. 657-675; A.
Hook, La "Storia civile del Regno di Napoli" di P. G., il
giacobitismo e l'Illuminismo scozzese, in Ricerche storiche, XXVIII (1998), pp.
391-402; L. Mannarino, Le mille favole degli antichi. Ebraismo e cultura
europea nel pensiero religioso di P. G., Firenze 1999.Grice: “One good thing
about the Roman Church (you know, there’s a Jewish Church, too) is Giannone –
he was rendered an ‘impious’ by the Church and imprisoned to death. This
allowed him to philosophise on the Liguri – and he did!” Pietro Giannone. Giannone.
Keywords: la terza Roma, autobiografia, ego-grafia – Vico, Giannone, Genovesi –
Liguria – commento su Livio – regno terreno, regno celeste, regno papale --.
Storia di roma antica -- giannonismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannone”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690283554/in/photolist-2mKGdrq
Grice e
Gioberti – del bello – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino).
Filosofo. Grice: “I like Gioberti; he published ‘Del bene, del bello,’
suggesting they are etymologically connected, and they are: BONUS alternates
with BENE in Roman, and the dimintuvie, BENETULUS, gives ‘bellus’ – So the
Roman implicature is that the ‘bello’ is a ‘little’ ‘bene’ – or gracious,
comfortable, and proportionate, rather than having to do with ‘bene’ itself. –
“like bene” – and affectionate diminutive, one hopes!” – Laureato, e parzialmente
influenzato da Mazzini, lo scopo principale della sua vita divenne l'unificazione
dell'Italia sotto un unico regime: la sua emancipazione, non solo dai signori
stranieri, ma anche da concetti reputati alieni al suo genio e sprezzanti del
primato morale e civile degli italiani. Questo primato era associato alla
supremazia del Papa, anche se inteso in un modo più letterario che
politico. Carlo Alberto di Savoia lo nomina suo cappellano. La sua
popolarità e l'influenza in campo privato, tuttavia, erano ragioni sufficienti
per il partito della corona per costringerlo all'esilio; non era uno di loro e
non poteva dipendervi. Sapendo questo, si ritirò dal suo incarico ma fu arrestato
con l'accusa di complotto e bandito dal Regno sabaudo senza processo. Andò a
Parigi e Bruxelles per insegnare filosofia. Nonostante ciò, trovò il tempo per
filosofare con particolare riferimento al suo paese e alla sua posizione.
Essendo stata dichiarata un'amnistia da Carlo Alberto, divenne libero di tornare in patria. Al suo
ritorno a Torino, fu ricevuto con il più grande entusiasmo. Rifiutò la dignità
di senatore che Carlo Alberto gli aveva offerto, preferendo rappresentare la
sua città natale nella Camera dei deputati, della quale fu presto eletto presidente.
Cadde il governo. Il re nominò Gioberti nuovo presidente del Consiglio. Il suo
governo terminò. Con la salita al trono di Vittorio Emanuele II lla sua vita
politica giunse alla fine. Ebbe un posto nel consiglio dei ministri, anche se
senza portafoglio, ma un diverbio irriconciliabile non tardò a maturare. Fu
allontanato da Torino con l'affidamento di una missione diplomatica a Parigi,
da cui non fece più ritorno. Rifiutò la pensione che gli era stata offerta e
ogni promozione ecclesiastica, visse in povertà e passò il resto dei suoi
giorni a Bruxelles, dove si trasferì dedicandosi agli studi filosofici. I primi
due licei istituiti a Torino celebrarono uno l'opera diplomatica di Cavour (il
Liceo classico Cavour) e l'altro il pensiero, anche politico, di Gioberti (il
Liceo classico Vincenzo Gioberti). Gli scritti sono più importanti della
sua carriera politica; come le speculazioni di Rosmini-Serbati, contro cui
scrisse, sono state definite l'ultima propaggine del pensiero medievale. Anche
il sistema di Gioberti, conosciuto come “ontologismo”, più nello specifico
nelle sue più importanti opere iniziali, non è connesso con le moderne scuole
di pensiero. Mostra un'armonia con la fede che spinse Victor Cousin a sostenere
che la filosofia italiana era ancora fra i lacci della teologia e che Gioberti
non e un filosofo. Il metodo per lui è uno strumento sintetico,
soggettivo e psicologico. Ricostruisce, come afferma, l'ontologia e comincia
con la formula ideale, per cui l'Ens crea l'esistente ex nihilo. Dio è l'unico
ente Ens. Tutto il resto sono pure esistenze. Dio è l'origine di tutta la
conoscenza umana (le idee), che è una e diciamo che si rispecchia in Dio
stesso. È intuita direttamente dalla ragione, ma per essere utile vi si deve
riflettere, e questo avviene tramite i mezzi del linguaggio. Una conoscenza
dell'ente e delle esistenze (concrete, non astratte) e le loro relazioni
reciproche, sono necessarie per l'inizio della filosofia. Gioberti è, da
un certo punto di vista, un platonico. Identifica la religione con la civiltà e
nel suo trattato Del primato morale e civile degli Italiani giunge alla conclusione
che la chiesa è l'asse su cui il benessere della vita umana si fonda. In questo
afferma che l'idea della supremazia dell'Italia, apportata dalla restaurazione
del papato come dominio morale, è fondata sulla religione e sull'opinione
pubblica. Tale opera e la base teorica del neoguelfismo. In “Rinnovamento e
Protologia” si dice che abbia spostato il suo campo sull'influenza degli
eventi. La sua prima opera aveva una ragione personale per la sua
esistenza. Un amico, avendo molti dubbi e sfortune per la realtà della
rivelazione e della vita futura, lo ispirò alla stesura de “La teorica del
sovrannaturale”. Dopo questa, sono
passati in rapida successione dei trattati filosofici. La “Teorica” è seguita
dalla “Filosofia”, dove afferma le ragioni per richiedere un nuovo metodo e una
nuova terminologia. Qui riporta la dottrina per cui la religione è la diretta
espressione dell'idea in questa vita ed è un unicum con la vera civiltà nella
storia. La Civiltà è una tendenza alla perfezione mediata e condizionata, alla
quale la religione è il completamento finale se portato a termine. È la fine
del secondo ciclo espresso dalla seconda formula, l'ente redime gli
esistenti. I saggi “Del bello” e “Del buono hanno” seguito
l'introduzione. Del primato morale e civile degl'Italiani e Prolegomeni sulla
stessa e a breve trionfante esposizione dei Gesuiti, Il Gesuita moderno,
pubblicato clandestinamente a Losanna da Bonamici, ha senza dubbio accelerato
il trasferimento di ruolo dalle mani religiose a quelle civili. È stata la
popolarità di queste opere semi-politiche, aumentata da altri articoli politici
occasionali e dal suo Rinnovamento civile d'Italia, che lo ha portato ad essere
acclamato con entusiasmo al ritorno nel suo paese natio. Tutte queste opere
sono state perfettamente ortodosse e hanno contribuito ad attirare l'attenzione
del clero liberale nel movimento che è sfociato, sin dai suoi tempi,
nell'unificazione italiana. I Gesuiti, tuttavia, si sono raduttorno al Papa più
fermamente dopo il suo ritorno a Roma e alla fine gli scritti di Gioberti
furono messi all'indice. I resti delle sue opere, specialmente “La filosofia
della rivelazione” e la Prolologia espongono i suoi punti di vista maturi in
molte parti. Tutti gli scritti giobertiani, tra cui quelli lasciati nei
manoscritti, sono stati pubblicati daMassari (Torino). Il Ministero dei beni
culturali ha affidato la redazione dell'edizione nazionale all'Istituto di
Studi Filosofici "Enrico Castelli", presso l'Università La Sapienza di
Roma. Altre opera: Prolegomeni del Primato morale e civile degli italiani,
Enrico Castelli; Primato morale e civile degli italiani, Ugo Redanò; Introduzione
allo studio della filosofia, Alessandro Cortese; Teorica del sovrannaturale,
Alessandro Cortese; Del rinnovamento civile d'Italia; Vincenzo Gioberti, Del
rinnovamento civile d'Italia, Del rinnovamento civile d'Italia, Scrittori
d'Italia Bari, Laterza. Cfr. lettera di V. Gioberti a G. Leopardi in Scritti vari inediti di Giacomo Leopardi
dalle carte napoletane, Firenze, Successori Le Monnier. Gioberti visse in Rue
des marais S. Germain, hotel du Pont des Arts n° 3. In lingua latina: "dal nulla", vedi
anche la locuzione Ex nihilo nihil fit di Lucrezio. Antonio, su Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Istituto Castelli-Roma
in. Anteprima disponibile su Anteprima della II edizione disponibile su
books.google. Giuseppe Massari, Vita di
Gioberti, Firenze, Antonio Rosmini Serbati, Gioberti e il panteismo, Milano, Spaventa,
La Filosofia di Gioberti, Napoli, Achille Mauri, Della vita e delle opere di
Gioberti, Genova, Giuseppe Prisco, Gioberti e l'ontologismo, Napoli, Pietro
Luciani, Gioberti e la filosofia nuova italiana, Napoli, Domenico Berti,
Di Gioberti, Firenze, Giorgio Rumi, Gioberti,
Bologna, Il mulino, Mario Sancipriano, Gioberti: progetti etico-politici nel Risorgimento,
Roma, Studium, Francesco Traniello, Da
Gioberti a Moro: percorsi di una cultura politica, Milano, Angeli, Gianluca
Cuozzo, Rivelazione ed ermeneutica. Un'interpretazione di Gioberti, Milano,
Mursia, Mustè, La scienza ideale. Filosofia e politica in Gioberti, Soveria
Mannelli, Rubbettino, Mustè, Il governo federativo, Roma, Gangemi, Alessio
Leggiero, Il Gioberti Frainteso. Sulle tracce della condanna, Roma, Aracne, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Il
contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Gioberti attuale – Il Popolo d’Italia -- Non
bisogna cedere alla facile tentazione erudita di dare troppi precursori al
fascismo, come si è fatto da taluno in questi ultimi tempi. Il fascismo ha
molti precursori e e non ne ha nessuno. Non ne ha nessuno se alla parola «
precursore » si dà un significato strettissimo o letterale, ne ha molti se la
stessa parola viene interpretata in un senso più lato. ln quest'ultima
categorià può esser posto Vincenzo Gioberti. Ecco un autore che appare oggi «
attuale » più di quanto non fosse fra il 1840 e il 1850 o anche semplicemente
venti anni fa. Ci sono nelle pagine dei suoi libri notazioni, istruzioni,
moniti, previsioni che il tempo ha confermato. Si vuole oggi, dal fascismo, una
gioventù studiosa, che sia forte nel corpo come nello spirito. Or ecco come il
Gioberti, a proposito della necessità dell'educazione fisica giovanile, si
esprimeva nel suo Primato: « I giovani indurino il corpo avvezzandolo al sole,
allenandolo alla corsa e ai ginnici esercizì, rompendolo alle operose veglie e alle
utili fatiche, costringendolo a nutrirsi di cibi frugali, a posare su dura
coltrice e assoggettandolo in ogni cosa allo imperio dell'animo, il quale col
domare i sensi; si rende libero e franco e si dispone ai nobili affetti, ai
vasti e magnifici pensieri ». Il fascismo ha battuto sempre in breccia certi
persistenti snobismi linguaioli, che sono ormai superstiti soltanto in piccoli
gruppi. Vedete come Gioberti flagellava gli esotismi del tempo che facevano
preferire le lingue straniere all'italiana, l'abietto « forestierume », come,
con parola di scherno supremo, diceva il Gioberti: « Riscuotano dunque se
stessi da ogni ombra di forestierume, non solo nelle cose gravi ma anco nelle
leggere, perché queste concorrono a informare il costume, che in opera di mutazioni
morali è la somma del tutto. E non lieve faccenda, ma gravissima e
importantissima è la lingua nazionale così per la stretta ed intima congiuntura
dei pensieri con le voci, onde gli uni tanto valgono quanto l'espressione che
li veste (dal che segue che le parole non sono pur parole, ma eziandio cose)
come perché essendo ·la favella lo specchio più compito e più vivo delle
specialità morali e intellettive di un popolo, chi la trascura e disprezza non
può essere veramente libero, né aver cara l'indipendenza e la libertà della
patria. Perciò indizio grave di servilità e di declinazione civile e prova non
dubbia di poco amore verso il luogo natìo, è il trasandare la propria loquela e
il vezzo di parlare o di scrivere senza bisogno di lingua forestiera. Tale
indegno costume è altresì basso e vile! ». Pochi scrittori hanno, più del
grande pensatore torinese, posto in rilievo la somma importanza della lingua
nella vita di un popolo e i pericoli insiti nel trascurarla o avvilirla.
L'ostracismo che il regime ha dato agli eccessivi dialçttismi e ai tentativi di
creare su basi regionali delle letterature dialettali, trova la sua più alta
giustificazione in questo superbo brano ,di prosa giobertiana. E da ricordare
che il Gioberti definisce la italiana come « la più bella delle lingue vive ».
« Lo stile, dice Giorgio Buffon, è l'uomo; lo stile e la lingua, dico io, sono
il cittadino. La lingua e la nazionalità procedono di pari passo, perché quella
è uno dei principi fattivi e dei caratteri principali di questa, anzi il più
intimo e fondamentale di tutti, come il più spirituale, quando la
consanguineità e la coabitanza poco servirebbero ad unire i popoli unigeneri e
compaesani, senza il vincolo morale della comune favella. E però il Giordani
insegna che "la vita interiore e la pubblica di un popolo si sentono nella
sua lingua", la quale "è l'effige vera e viva, il ritratto di tutte
le mutazioni successive, la più chiara e indubitata storia dei costumi di
qualunque nazione e quasi un amplissimo specchio in cui mira ciascuno
l'immagine ·della mente di tutto e tutti di ciascuno". E il Leopardi non
dubitò di affermare che "la lingua e l'uomo e le nazioni per poco non sono
la stessa cosa" ». Parole queste che non saranno mai abbastanza meditate.
Quanto alla missione di Roma nella storia italiana e in quella europea e
universale, ecco alcune citazioni di Gioberti che hanno un sapore attualissimo.
« Il genio orientale affine a quello dell'Italia, se non altro perché Roma fu
una volta e sarà forse di nuovo un giorno, se posso così esprimermi, l'oriente
dell'Oriente ». « Roma in effetto, nel bene come nel male, nei tempi antichi
come nei moderni, è arbitra suprema e norma delle genti italiche ». La figura
di Gioberti, quale filosofo e patriota, ci è giunta un poco deformata dalle
polemiche del tempo. Ma bastano le citazioni di cui sopra per far vedere che la
portata educatrice del pensiero giobertiano, non è diminuita con le vicende del
tempo. Gioberti è « attuale », anche e soprattutto oggi, nell'Italia del
Littorio. The next day in “Il Popolo d’Italia” by Scrittore Fascista. Ancora
Gioberti (Pubblicato in « Il Popolo d'Italia », 11 febbraio 1934) di Scrittore fascista La prosa giobectiana è ricca di parole
asprigne, saporose e di neologismi indovinati. Si incontrano parole come
queste: schifiltà, infemminire nell'ozio, forestierume, perennare, sfasciume,
smanceroso, attillature, disviticchiare, mollizie, delicature, uomini
faticanti, laicocrazia, fogliettisti, ecc. Ma più importanti sono sempre i
pensieri del filosofo torinese. In tutte le questioni egli ha un punto di
vista, che rappresentando le verità fondamentali, vale, oggi, come nel 1850.
Ecco con quali termini il Gioberti stabilisce i compiti e i doveri di
un'aristocrazia degna di questo nome. Si tratta dell'educazione da impartire ai
figli degli aristocratici. « Imprimano in essi la semplicità dei modi, la
grandezza dell'animo, l'austerità del costume, la tolleranza nelle fatiche, la
fermezza nelle risoluzioni, J'intrepidità nei pericoli, la generosità nei
travagli; li assuefacciano a contentarsi del poco, a fuggire gli agi e le
pompe, a tenersi per depositari anziché padroni della loro ampia fortuna, come
di un tesoro da dispensarsi in opere di beneficenza e in imprese di utilità
pubblica ». Nel Gioberti si trova l'incentivo e la giustificazione delle opere
di ripristino archeologico, alle quali il regime si è particolarmente
consacrato, non soltanto a Roma, ma in ogni parte d'Italia. Se Vincenzo
Gioberti potesse vedere lo spettacolo meraviglioso della Roma di oggi, dovrebbe
fare constatazioni diverse da quelle del suo tempo. Gli scavi, la esumazione e
la restaurazione degli antichi monumenti, non giovano soltanto a documentare al
mondo la nostra gloriosa storia trimillenaria, ma sono anche fonti di
ricchezza, per il richiamo che essi esercitano su tutte le ·genti del mondo
civile. Le poche decine di milioni spese per creare quei capolavori che sono la
via dell'Impero, la via dei Trionfi, la via del Mare, sono già stati recuperati
almeno cento volte, attraverso l'affluire ìnces.sante degli stranieri. Ma
Gioberti insisteva sul lato educativo e morale delle ricerche archeologiche
così esprimendosi: « Egli è doloroso a pensare che così pochi siano al dl
d'oggi gli italiani solleciti di conoscere e studiare le patrie rovine e che
tale inchiesta si abbandoni, come inutile, all'ozio erudito di qualche
antiquario. L'archeologia non meno della filologia, ben !ungi dall'essere una
scienza sterile e morta, è viva e fecondissima, perché oltre a rinnovare il
passato, giova a preparare l'avvenire delle nazioni. Imperocché la risurre2ione
erudita dei monumenti nazionali porta seco il ristauro delle idee patrie,
congiunge le età trascorse colle future, serve di tessera esterna e di taglia
ricordatrice ai popoli risorgituri, destandone ed alimentandone le speranze
colla voglia e con l'esca delle memorie ». Tutta la storia d'Italia passa in
rapide sintesi potenti nelle meditazioni di Gioberti. I periodi di grandezza e
di miseria, gli alti e bassi del nostro popolo, trovano nel Gioberti un indagatore
e un illustratore vigoroso e penetrante. Egli « sente » la storia e come
s'inorgoglisce parlando dei periodi di splendore, è amaro e violento quando
trae a descrivere le epoche di decadenza. Nella citazione che segue sono
condensati tre secoli della nostra storia, i quali dal punto di vista politico
sono stati oscuri, perché furono secoli di divisione e di servitù. « Le ultime
faville di virtù e di carità patria perirono in Italia colla repubblica di
Firenze; spenta la quale dalla truce e schifosa progenie dei secondi Medici,
l'ingegno secolaresco, costretto a menar vita privata ed umbratile, non ebbe
più altro campo dove esercitarsi che quello degli studi: in cui rifulsero
ancora tre sommi laici, il Tasso, il Galilei, il Vico, che nel culto della sapienza
poetica, naturale, filosofica, andarono innanzi a tutti, e risposero in un
certo modo alla triade clericale e monachile del Bruno, del Campanella e del
Sarpi. Ma il rinnovamento del ceto civile nella penisola e la creazione
dell'Italia laicale è dovuta a Vittorio Alfieri, che, nuovo Dante, fu il vero
secolarizzatore del genio italico nell'età più vicina e diede agli spiriti quel
forte impulso che ancora dura e porterà quando che sia i suoi frutti ». Questa
profezia del Primato si è avverata. L'impulso dato da Alfieri diede i suoi
frutti col Risorgimento. Dopo una eclissi, tale impulso è lo stesso che scatenò
il maggio radioso del '15 e la marcia di ottobre del '22. È l'impulso che fece
vincere la guerra e trionfare la rivoluzione. Non ancora un secolo è passato e
già queste parole del Primato giobertiano fiammeggiano nei cuori delle
generazioni littorie. « Italiani - diceva Gioberti - qualunque siano le vostre
miserie, ricordatevi che siete nati principi e destinati a regnare moralmente
sul mondo! ». GIOBERTI, Vincenzo. - Nacque a Torino il 5 apr. 1801 da Giuseppe,
impiegato, e da Marianna Capra. Un dissesto finanziario del padre, morto
prematuramente, rese molto precarie le condizioni economiche della famiglia.
Formatosi nelle scuole dei padri oratoriani, rivelò precoci interessi per la
letteratura e per gli studi filosofici e teologici, e annoverò tra i suoi
maestri e guide spirituali G.G. Sineo, poi ricordato come "il solo vero
prete moderno" che avesse incontrato. Tuttavia il G. fu essenzialmente un
autodidatta, che, nonostante la malferma salute, si dedicò con inaudita
intensità alle più disparate letture, toccando anche il settore linguistico,
storico, naturalistico, geografico, politico (con una precoce passione per N.
Machiavelli), e lasciandone traccia in una congerie sterminata di appunti e di
pensieri: in uno dei quali rivelava di essere stato "reso anti-monarchico
dalla lettura dell'Alfieri, irreligioso, ma per poco, da Rousseau, pirronista
dagli altri filosofi" (Meditazionifilosofiche inedite, p. 45). Tali
frammenti provano come il giovanissimo G. accumulasse una rilevante cultura
filosofica, in parte di tipo manualistico, ma in parte notevole ricavata da
letture di prima mano (sebbene non sempre nella lingua originale) concernenti
in special modo le opere di Platone, s. Agostino, F. Bacon, J.-B. Bossuet, G.
Vico, G.W. von Leibniz, N. de Malebranche, G.S. Gerdil, J.-J. Rousseau e I.
Kant. Quest'ultimo, unitamente alla "scuola scozzese" di Th. Reid,
appariva al G. il filosofo che aveva riportato "nel campo
dell'osservazione quel principio pensante, che molti aveano a tal segno obliato
da confonderlo coi sensi e colla materia" (ibid., p. 167). Alla linea di
pensiero che il G. definiva allora idealistica si affiancò il confronto
ravvicinato, ma costellato di dissensi, con il tradizionalismo cattolico di J.
de Maistre, L.-G.-A. de Bonald, F.-A.-R. de Chateaubriand, P.-S. Ballanche e
delle prime opere di F.-R. de La Mennais. È da osservare che il G. conosceva
bene il francese, appreso dalla madre, e, ovviamente, il latino, ma non il
greco, mentre nel 1821 aveva iniziato, senza però approfondirlo, lo studio
dell'ebraico e del tedesco. In linea generale, prevalse nel giovane
G. un orientamento eclettico, considerato peculiare dei "cristiani
filosofi" e apertamente professato in opposizione allo "spirito
esclusivo" dei sistemi, pur in un quadro teorico segnato dalla polemica
antisensistica e dalla ricerca, non priva di momenti laceranti, di un punto di
equilibrio tra una persistente venatura scettica e l'ancoraggio, punteggiato
peraltro da corrosivi spunti anticlericali, alla religione cattolica, assunta
come deposito di verità oggettive, attingibili per via razionale solo in
maniera parziale e frammentaria. Oltre che sul piano teoretico, la necessità
della rivelazione cristiana s'imponeva per il giovane G. sul piano pratico e
politico, essendo "una religione rivelata e positiva l'organo
indispensabile della morale nella società", ovvero anche
"un'obbligazione sociale", chiamata a integrare "il mantenimento
e l'accrescimento dei diritti", indicati come fine della politica. La
ragionevolezza dell'adesione alle verità dogmatiche della fede cattolica,
tenute distinte da quanto nella società religiosa vi è di accidentale e di
transeunte, sostituiva, nel giovane G., l'idea di religione naturale d'impronta
deistica, facendo salvi, da un lato, il principio di una rivelazione
soprannaturale depositata nella Chiesa cattolica e, dall'altro, il concetto di
un suo progressivo dispiegamento nella storia umana. Membro dell'accademia
ecclesiastica fondata dal Sineo e di quella dall'abate L. Solaro, il G. risentì
dell'impronta - probabiliorista in campo morale e cautamente giurisdizionalista
in campo ecclesiastico - della facoltà teologica torinese, da cui trasse
alimento il suo vivace antigesuitismo. Addottorato in teologia il 9 genn. 1823,
fu aggregato alla facoltà teologica l'11 ag. 1825, con la discussione di tre
tesi: De Deo et naturali religione, notevole per la padronanza della relativa
letteratura sei-settecentesca, De antiquo foedere, De christiana religione et
theologicis virtutibus, la cui edizione accademica restò per quattordici anni
l'unica opera del G. data alle stampe. Poco prima, il 19 marzo 1825, era stato
ordinato sacerdote, dopo che la curia torinese e forse lo stesso arcivescovo C.
Chiaverotti erano intervenuti per vincere la sua ritrosia all'ordinazione. Nel
gennaio 1826 fu nominato cappellano di corte con uno stipendio annuo di 480
lire. Notevoli zone d'ombra caratterizzano la fase successiva della sua
biografia. La stessa renitenza del G. a tradurre in pubblicazioni l'immenso
materiale accumulato, nonostante la notorietà acquisita negli ambienti colti e
l'attività svolta in alcuni circoli filosofici e letterari, appare indicativa
sia di una persistente fluidità del suo pensiero, sia della percezione di un
sempre più chiuso clima intellettuale e politico, che il G. tendeva ad
attribuire, sul fronte ecclesiastico, alle mene dei gesuiti e della
"frateria" - da lui personalmente contrastati in occasione della vicenda
che aveva coinvolto il teologo G.M. Dettori, allontanato dalla cattedra
universitaria nel 1829 con l'accusa di giansenismo - e, sul versante politico,
all'involuzione autoritaria del governo sabaudo. Tra il 1826 e il 1833 la
riflessione del G. sui rapporti tra religione e filosofia e tra religione e
vita sociale seguì un percorso non lineare. Ne sono documento eloquente le
lettere indirizzate a G. Leopardi (personalmente conosciuto nel 1828 a Firenze,
durante un viaggio per l'Italia in cui il G. ebbe modo di incontrare anche A.
Manzoni), le lettere al giovane amico e discepolo C. Verga e una lettura
accademica sull'accordo della religione cattolica coi progressi della società
civile (Ricordi biografici e carteggio, a cura di G. Massari, I, pp. 116-126).
Scrivendo al Leopardi da Torino il 2 apr. 1830, il G. confessava di aver
professato nel passato "un puro teismo", e di aver mutato idea in
seguito a nuove indagini sulla "verità del Cristianesimo (e quindi del
Cattolicismo che è la sola forma invariabile di quello) come sistema dottrinale
e come fatto storico", e di essere approdato a una "adesione intima,
schietta, profonda alla religione cattolica", che gli aveva consentito di
vincere "i fastidi, le amaritudini, i terrori, la malinconia" che fin
allora lo avevano tormentato (Epistolario, I, pp. 41-44). Due anni dopo, reduce
dall'aver "letto a furia" Le mie prigioni di S. Pellico, scriveva al
Verga una lettera in cui, opposto "il cristianesimo di Silvio" a
quello dei gesuiti, dei "nemici della filosofia e della civiltà",
rivelava di essere divenuto assertore di una religione filosofica: cioè di una
religione "immedesimata" e non solo conciliata con la filosofia,
fondamento di una morale austera, "ispiratrice di azioni grandi e generose,
e dell'oblio di se medesimo per intendere unicamente al bene della patria"
(ibid., pp. 131-133). Nei primi anni Trenta, anche in seguito alla
lettura del Nuovo saggio sull'origine delle idee di A. Rosmini Serbati, il G.
enunciò in modo più stringente e sistematico l'idea di una diretta connessione
tra risorgimento filosofico e risorgimento nazionale, appellandosi a una
tradizione filosofica autoctona, dispiegata genealogicamente da Pitagora al
Rosmini, attraverso la scuola eleatica, la patristica latina, l'umanesimo e G.
Vico (lettera a C. Verga, 23 dic. 1831, ibid., pp. 69-73). Dichiarandosi
continuatore di questa linea ideale, il G. manifestò una speciale consonanza
con il pensiero di Giordano Bruno, facendo a più riprese, in parallelo con
l'evoluzione delle proprie idee politiche, professione di panteismo. Tale
collegamento è attestato da una lunga lettera, scritta probabilmente nella
primavera-estate del 1833 ai compilatori della Giovine Italia e ivi pubblicata
sotto lo pseudonimo di Demofilo nel 1834. Il G. vi esaltava il panteismo come
la sola filosofia "destinata a fiorire un giorno col voto unanime dei
buoni ingegni", affermando di avvertire nelle dottrine politiche
professate dai mazziniani "un'applicazione di questi dettati" (ibid.,
II, pp. 5-25; cfr. anche lettera al Verga del 9 apr. 1833, ibid., I, pp.
167-172). La lettera, ripubblicata con intenti antigiobertiani nel 1849 non da
G. Mazzini, come a lungo si credette, ma probabilmente da C. Cattaneo, col
titolo Della repubblica e del cristianesimo, era rivelatrice di una
radicalizzazione delle convinzioni del G., coinvolto in una serie di vicende
destinate a mutare il corso della sua esistenza: vi si proclamava la necessità
di una religione civile finalizzata alla liberazione dei popoli, ma,
contemporaneamente, l'impossibilità di dar vita a "una religione veramente
nuova […], tanto che i filosofi, e gli uomini universalmente cominciano a
persuadersi, che fuori del Cristianesimo non v'ha religione"; e vi si
accennava a una lettura escatologica, ma non solo ultraterrena, dell'idea
cristiana di salvezza e di redenzione, implicante una sua dilatazione dalla
sfera individuale a quella sociale, prefigurata nella promessa di un regno
"da aspettarsi eziandio in questo mondo". Nell'accezione giobertiana,
ispirata ora a un messianismo politico-sociale in vesti cristiane cui non erano
estranei gli echi delle dottrine sansimoniane, il motto mazziniano "Dio e
il popolo" diventava così il presupposto di una "cristianità
novella", l'annunzio di un'epoca imminente in cui "Iddio sarà umanato
non nel figliuolo dell'uomo, ma nel popolo", e destinato non alla croce,
ma a un "regno stabile, a una pace perpetua, all'immortalità e alla
gloria". L'abito di prudenza e di riservatezza adottato dal G.
non impedì che le sue idee destassero diffusi sospetti di ateismo anche presso
i suoi superiori. Ciò lo indusse il 9 maggio 1833 a lasciare la carica di
cappellano e a rinunciare al relativo stipendio. Nel frattempo si era affiliato
a una società segreta, detta dei Circoli, e poi ad altra associazione
patriottica di dubbia identificazione, forse i Veri Italiani; non sembra che
mai entrasse nella Giovine Italia, sebbene coltivasse intimi rapporti con
alcuni suoi affiliati, come l'abate P. Pallia. In seguito a delazione, fu
quindi coinvolto nella repressione prodotta in Piemonte dalla scoperta della
congiura mazziniana del 1833, arrestato con pesantissime accuse il 31 maggio e
tenuto in carcere, senza processo, fino al settembre. Qui lo raggiunse un
provvedimento immediatamente esecutivo che lo esiliava senza permettergli di
incontrare alcuno dei suoi amici. Per poco più di un anno, dall'ottobre
1833 alla fine del 1834, il G. visse a Parigi in una situazione assai precaria,
che lo induceva ad autorappresentarsi nei panni di uno "sdottorato" e
uno "spretato" (era privo di celebret per la messa), di uno che aveva
"perduto tutto". Nonostante le relazioni intrecciate con i molti
italiani insediati stabilmente o temporaneamente nella capitale francese, come
il matematico G. Libri, A. Peyron, T. Mamiani, C. Botta, e con esponenti di
primo piano del mondo accademico francese, come V. Cousin e J.-J. Champollion,
visse in relativo isolamento, in una città che considerava il "microcosmo
d'Europa" ma non amava, ascoltando le lezioni accademiche di C. Fauriel e
di Th.-S. Jouffroy, impartendo per vivere lezioni private d'italiano e
progettando, senza realizzarli, lavori di argomento filosofico o di polemica
politica sulla sanguinosa repressione seguita alla congiura del 1833 e al
tentativo mazziniano del 1834. Nella febbrile atmosfera intellettuale della
monarchia di luglio il G. avvertì come sintomi di una crisi epocale, ma senza
condividerne appieno i contenuti, i messaggi di rinnovamento sociale espressi
dalla tarda scuola sansimoniana, da Ph.-J.-B. Buchez, dalle Paroles d'un
croyant di F.-R. de La Mennais. Lo scenario parigino, che gli appariva
connotato dalla totale estinzione del culto e della pratica cattolica, fornì
nuovo alimento alla venatura apocalittica del suo pensiero, che gli faceva
presagire come prossima la "fine del mondo; ma del mondo antico, donde
sorgerà il nuovo", nel quale "gli ordini morali di Cristo"
sarebbero diventati "gli ordini civili delle nazioni", compenetrando
lo Stato sino a produrre "una società di uomini, retta da sé medesima,
sotto la legge universale, una, libera, fiorente, morigerata, santa, ed
esprimente la concordia del cielo colla terra" (lettera all'abate P. Unia,
14 maggio 1834, ibid., I, pp. 134-139). Per altro verso, si approfondiva sino a
divenire inconciliabile il dissenso del G. nei riguardi della linea mazziniana
e verso i movimenti insurrezionali, cui attribuiva la responsabilità di aver
"impedita o spenta una metà almeno di quel civile progresso che altrimenti
or sarebbe in Italia". Ne discendeva un caldo invito, rivolto ai suoi
numerosi corrispondenti piemontesi, all'accorta prudenza e a un lavoro di lunga
lena finalizzato a un apostolato politico basato sull'aperta propaganda delle
idee patriottiche. Dall'insieme delle posizioni giobertiane dell'esilio
parigino trasparivano una sostanziale sfiducia nel grado di maturazione
raggiunto dalla coscienza nazionale del popolo italiano, "languido, diviso
e inerte", un'attenuazione delle antecedenti pregiudiziali repubblicane e
l'abbandono delle convinzioni panteistiche. Sul piano politico, il G.
inquadrava ora la questione nazionale nella riapertura, ritenuta certa, del
ciclo rivoluzionario in Francia e nella susseguente esplosione di una guerra
europea, condizioni determinanti della liberazione dell'Italia dall'Austria e
della cacciata definitiva dei "nostri tiranni". Nel dicembre
1834 accettò, anche per ragioni economiche, l'offerta di assumere
l'insegnamento di storia e filosofia nel collegio fondato a Bruxelles da P.
Gaggia (un ex sacerdote italiano convertitosi al protestantesimo), che ospitava
un centinaio di giovani cattolici ed evangelici. Forse anche in relazione alla
più pacata atmosfera politica del Belgio, dove i cattolici erano parte attiva
del sistema costituzionale sortito dalla rivoluzione del 1830, il G. proseguì
nella revisione ideologica già profilatasi nel periodo parigino, prospettando
più lucidamente che nel passato un'esigenza di conciliazione, che non
implicasse identificazione, tra dogmatica religiosa e idee filosofiche e tra
ordine soprannaturale e ordine civile. Dichiarava in proposito che, mentre in
precedenza aveva immedesimato i dogmi cristiani colle idee, ora li disgiungeva,
evitando di ridurre il cristianesimo a una simbolica filosofia, ma
considerandolo invece "il compimento della filosofia medesima" (a
P.D. Pinelli, 15 apr. 1835, ibid., II, pp. 239-243). Ne conseguì la decisione
di produrre finalmente delle opere a stampa. Ai primi del 1838 vide infatti la
luce a Bruxelles una sua "dissertazione religiosa" intitolata Teorica
del soprannaturale, o sia Discorso sulle convenienze della religione rivelata
colla mente umana e col progresso civile delle nazioni, composta in poco più di
un mese sul finire del 1837 e stampata a spese dell'autore; cui seguirono, in
rapida successione, l'Introduzione allo studio della filosofia (Bruxelles
1839-40), che ebbe una circolazione superiore a quella, inizialmente
limitatissima, della Teorica, sebbene di entrambe le opere venisse interdetta
l'introduzione nel Regno sardo; la Lettre sur les doctrines philosophiques et politiques
de m. de Lamennais (dapprima anonima, nel Supplement à la Gazette de France
dell'8 genn. 1841, poi con firma e con titolo leggermente mutato a
Parigi-Lovanio, 1841); il saggio Del bello, composto come voce
dell'Enciclopedia italiana e dizionario della conversazione (Venezia) diretta
da A.F. Falconetti, e pubblicato anche come volume a sé nell'autunno del 1841,
prima opera del G. edita in Italia, che doveva essere seguita da un altro testo
destinato alla stessa sede, Del buono, uscito invece in forma autonoma a
Bruxelles nel 1843; e le dieci lettere Degli errori filosofici di Antonio
Rosmini (Bruxelles 1841; la seconda edizione, del 1843-44, portava a 12 il
numero delle lettere e comprendeva altri scritti giobertiani). Nella
Teorica il G. faceva i conti con il proprio antecedente itinerario
intellettuale e con le tendenze filosofico-religiose del suo tempo. L'opera,
imperniata sull'analisi delle relazioni tra ordine religioso e ordine civile
osservate sotto un'angolatura gnoseologica, etica e storica, aveva come
principale obiettivo polemico la riduzione monistica della sfera religiosa a
quella civile o viceversa, operata, secondo il G., dalle teorie razionalistiche
e panteistiche, dal "cristianesimo politico" dei sansimoniani alla
Buchez, dal tradizionalismo antimoderno di Maistre, Bonald e del primo La
Mennais. Dalle dottrine tradizionalistiche, tuttavia, il G. prendeva,
rielaborandola, l'idea di una rivelazione primitiva cui veniva fatta risalire
sia l'attivazione (mediante il dono soprannaturale del linguaggio) della
facoltà di conoscere e di volere e quindi l'origine della civiltà, sia
l'infusione nella mente umana di verità sovraintellegibili, percepite come
misteri, analizzabili razionalmente solo per via analogica, e fondanti l'ordine
religioso. Ne discendeva una storia parallela, basata sul principio di
distinzione e di interrelazione, della civiltà e della rivelazione religiosa,
anch'essa rappresentata come progressiva, fino al suo compimento nella
rivelazione cristiana, custodita integralmente e infallibilmente dalla Chiesa
cattolica. Il tracciato di questo duplice cammino era per il G. contrassegnato
dal progressivo incremento del ruolo della religione come "causa e
stromento" di civiltà, e dal graduale accostamento degli ordini politici
al modello di società organizzata costituito dalla Chiesa (visibile tra l'altro
nell'applicazione alla sfera politica del sistema elettivo proprio degli ordini
ecclesiastici). Emergevano pertanto dalle pagine della Teorica i lineamenti di
una rilettura cattolica della genesi della civiltà moderna, in opposizione alla
tesi delle sue origini protestanti, e una riaffermazione del primato della
religione sulla civiltà e della Chiesa sullo Stato, che si traduceva nella
confutazione dei sistemi politici, assoluti o democratici che fossero, i quali
implicassero una subordinazione della religione alla volontà del sovrano. Si
trattava, in definitiva, di un'apologia del cattolicesimo in senso civile, che
nello scorcio conclusivo dell'opera assumeva una marcata impronta nazionale.
Tale impronta era ancora più forte nell'Introduzione allo studio della
filosofia. L'opera era infatti imperniata sull'idea che toccasse all'Italia,
dopo un lungo periodo di oscuramento della sua tradizione filosofica
determinato dalla perdita dell'"indipendenza civile", promuovere la
restaurazione della "vera filosofia", scomparsa dall'orizzonte
europeo in seguito all'espulsione dell'"idea di Dio dallo scibile
umano", e porre rimedio agli effetti devastanti prodotti sul piano
politico dalla diffusione di falsi principî filosofici, generatori delle due
contrapposte tirannidi prevalenti nel mondo moderno, quella dei despoti e
quella del popoli, dipendenti "dallo stesso principio, e aventi uno scopo
unico, cioè il predominio della forza sul diritto". L'Introduzione
intendeva porre le basi di un organico sistema filosofico (inteso in senso
molto estensivo), in grado di contrapporsi alle deviazioni psicologistiche,
soggettivistiche o panteistiche della filosofia moderna generate
principalmente, sul piano speculativo, dal pensiero e dal metodo analitico di
Cartesio e, su quello religioso, dalla Riforma: un sistema imperniato
sull'Idea, intesa, a suo dire, in un'accezione totalmente diversa da quella
utilizzata dai sensisti, dagli idéologues e dai panteisti moderni (tra cui
G.W.F. Hegel), e analoga invece a quella platonica e malebranchiana. Il
riferimento all'Idea, intuita dalla mente umana come oggetto reale e in atto
che esiste indipendentemente dal soggetto, cioè come Ente o principio
ontologico e non solo gnoseologico, si realizza nel giudizio sintetico a priori
o formula ideale "l'Ente crea l'esistente", che pone nell'atto
creativo l'origine del mondo, e da cui scaturisce, in ragione dell'identica
matrice della realtà generata e del pensiero, l'intera enciclopedia filosofica
sul piano speculativo. Il principio contenuto nella formula ideale si esplica
infatti in un secondo ciclo creativo che procede, a differenza del primo,
dall'esistente all'Ente, e del quale è partecipe, come causa seconda, l'azione dell'uomo
in quanto dotato di intelligenza e di libero arbitrio, che lo rende "in un
certo modo creatore" e simile a Dio. Mentre il primo ciclo è il principale
oggetto dell'ontologia, scienza dei principî, il secondo ciclo, nel quale si
esplica la "vita attiva", è l'oggetto dell'etica, scienza dei
fini. Tra le molteplici applicazioni della formula ideale abbozzate
nell'Introduzione assumevano un rilievo particolare quella concernente il
rapporto tra religione e civiltà secondo lo schema relazionale già profilato
nella Teorica, e quella riguardante la sfera della sovranità. In argomento il
G., ponendo nell'Idea l'origine della sovranità, ne confutava sia il fondamento
contrattualistico (visto come prodotto delle deviazioni soggettivistiche e
sensistiche della filosofia moderna), sia l'identificazione con il potere
assoluto di un principe. Definendo la sovranità come un processo discendente
dall'Idea, ma nello stesso tempo partecipativo, il G. perveniva alla
enunciazione di una formula politica (modellata sulla formula ideale), per la
quale "il sovrano fa il popolo" ma "il popolo diventa
sovrano", mediante "la trasformazione lenta, graduata e sicura del
Demo in patriziato". Ciò si traduceva in un'apologia della monarchia
civile o rappresentativa generata dal cristianesimo e già prefigurata negli
ordinamenti medievali, vista come sintesi tra un potere tradizionale e
un'"aristocrazia elettiva" chiamata a estendersi col progredire
dell'incivilimento. Inoltre, distinguendo il diritto sovrano dal diritto del
principe, il G. finiva per recuperare come "unico giure assoluto,
essenziale, irrepugnabile" l'idea di sovranità nazionale, trasferendo alla
nazione (una volta istituita come corpo politico) il carattere di primazia che
i fautori dell'assolutismo attribuivano al principe: sino a proclamare non solo
il diritto di resistenza nei confronti del principe assoluto, ma financo, in
casi estremi, la legittimità della rivoluzione. Il progetto di cui
la Teorica e l'Introduzionecostituivano una prima cornice speculativa era sintetizzato
in una lettera a T. Mamiani del 15 ott. 1840 (Epistolario, III, pp. 66-69),
dove il G. esprimeva la convinzione che il solo modo di giovare all'Italia
fosse quello di "creare una scuola di libertà temperata, morale,
religiosa, italiana, una scuola di civiltà tanto aliena dal sentire dei
demagoghi quanto da quello dei despoti"; indicava l'obiettivo di far della
religione "una insegna nazionale" immedesimandola "col genio
dell'Italia, come nazione", facendone "una di quelle idee madri che
seggono in cima al pensiero degli uomini e signoreggiano ogni parte del vivere
civile". Con l'aggiunta che, distinguendo "nella religione cattolica
la credenza dall'istituzione" e insistendo sulla seconda, non sarebbe
stato difficile convincere gli increduli che "il cattolicesimo, anche
umanamente considerato, sia il migliore degli istituti religiosi
possibili". Un programma di così ambiziosa portata prefigurava un
disegno in qualche misura egemonico sul piano culturale e induceva il G. non
solo a entrare in diretta polemica con le opere di autorevoli esponenti del
coevo pensiero europeo, come Cousin (in uno scritto concepito come appendice
dell'Introduzione, ma pubblicato inizialmente a parte, a Bruxelles nel 1840, le
Considerazioni sopra le dottrine religiose di Vittorio Cousin), e come
Lamennais (in un opuscolo duramente critico verso le sue ultime opere
filosofiche e politiche), ma soprattutto a competere con l'altro pensatore
italiano, Rosmini, che aveva intrapreso a propria volta, con intenti non meno
ambiziosi, un programma di edificazione di una filosofia cristiana capace di
misurarsi con il pensiero moderno. Il dissenso nei suoi confronti si era già
manifestato nell'Introduzione, dove alla dottrina rosminiana dell'Essere ideale
era mossa la critica di perdurante e invalicabile psicologismo e perciò di
soggettivismo e finanche di sensismo mascherato. Tale iniziale dissenso si
tradusse in acre e prolungata polemica, specialmente in ragione dei successivi
interventi dei seguaci del Rosmini, come M. Tarditi, l'abate L. Gastaldi,
futuro arcivescovo di Torino, G. di Cavour, secondo i quali le tesi giobertiane
menavano dritto al panteismo. Il G. ribatté colpo su colpo, incominciando dalla
già citata alluvionale opera Degli errori filosofici di A. Rosmini, importante
soprattutto per il fatto che l'autore vi tracciava il processo teorico
attraverso cui era pervenuto alla formula ideale. Nella polemica il G. fu
affiancato e sostenuto dai suoi amici e seguaci, come P. De Rossi di Santarosa,
mentre risultò vano l'intervento pacificatore di N. Tommaseo. Nella
primavera del 1843, sempre a Bruxelles, il G. diede alle stampe l'opera che
doveva dargli la celebrità, Del primato morale e civile degli Italiani, tirato
nella prima edizione in 1500 esemplari. Concepito inizialmente come
"un'operetta di non molte pagine", "un discorsetto non solo sul
Papa ma sull'Italia", il Primato divenne strada facendo un ponderoso
lavoro in due grossi volumi, la cui scrittura, iniziata nel 1842, procedette in
parallelo con la stampa fino al maggio dell'anno successivo. L'opera,
dalla struttura sovrabbondante e magmatica, colma di formule apodittiche e di
scarti lessicali, aveva tuttavia un suo asse portante nel tentativo di definire
i caratteri originali e permanenti della nazionalità italiana sintetizzati in
quello che il G. chiamava "genio nazionale". Plasmato da fattori
naturali, come il sito geografico e la feconda mescolanza di stirpi pelasgiche
ed etrusche, connotato dalla preminenza di elementi sacerdotali e
aristocratici, dotato di un suo particolare "genio federativo"
espresso dalla "società di popoli" realizzata dalla repubblica romana
(poi tralignata in signoria imperiale), riflesso culturalmente da
un'ininterrotta tradizione filosofica autoctona, il genio italico aveva
trovato, secondo il G., una sua configurazione effettivamente nazionale per
opera del Papato, che lungo il Medioevo gli aveva dato stabile forma avviando
la traduzione in "ordini civili" dei dettati religiosi e morali del
cristianesimo. Il tratto costitutivo della nazione italiana veniva così
reperito in un principio ideale, convalidato tuttavia da fattori naturali di
tipo etnico e confermato dalla storia: nell'essere l'Italia "nazione
religiosa per eccellenza", dotata di un primato religioso determinato dal
trapianto in Roma dell'Evangelo e dall'elezione provvidenziale della sede
romana a sede apostolica, che si riverberava in un primato dell'Italia
nell'ordine morale e civile, da cui traeva il carattere di "creatrice,
conservatrice e redentrice" della civiltà europea. Il ruolo o la missione
religioso-civile, che faceva degli Italiani "il nuovo Israele" e
dell'Italia una "nazione sacerdotale", veniva perciò raffigurato dal
G. come indivisibile da quello del Papato: il quale, mediante l'esercizio della
potestà civile connaturata alla sua primazia religiosa, non solo aveva
costituito la nazionalità italiana, ma le aveva altresì impresso i tratti suoi
propri di nazione guelfa. Per converso, il declino della potestà civile dei
pontefici, iniziato nel tardo Medioevo e culminato nell'Età moderna, si era
tradotto nella decadenza, nell'asservimento politico, nella subordinazione
culturale dell'Italia e nella frammentazione politico-religiosa dell'Europa. Il
risorgimento italiano, concepito dal G. sullo sfondo di una riunificazione religiosa
europea, veniva dunque a raccordarsi strettamente con la restaurazione della
"scaduta potestà civile del Papa in modo conforme e proporzionato
all'indole e ai bisogni del secolo". Tale formula conteneva il nocciolo
della tesi centrale del Primato: posto che, secondo il G., l'esercizio della
potestà civile pontificia, perno della più ampia potestà civile della Chiesa,
era per sua natura suscettibile di assumere modalità variabili in relazione al
cammino della civiltà in senso secolare, essa era chiamata a evolversi in
maniera vieppiù adeguata alla propria originaria legittimazione religiosa e
alla progressiva acquisizione di "indipendenza civile" e di
"capacità nazionale" da parte dei popoli, assumendo le forme
preminenti della forza morale, della persuasione, dell'influenza pacifica e
pacificatrice. L'itinerario della potestà civile pontificia tracciato dal G.
procedeva dunque dalla "dittatura", consona alle età barbariche,
verso un "potere arbitrale", delimitato dal fatto di non "avere
alcun effetto civile che non sia consentito alla libera [cioè liberamente]
dalle parti gareggianti e deliberanti". Si realizzava così la saldatura
tra la restaurazione-riforma del potere civile del Papato e il Risorgimento
italiano: nel senso che la ridefinizione del primo avrebbe reso possibile
l'esercizio effettivo da parte del pontefice del ruolo, mai assunto nel
passato, di capo civile della nazione sotto forma presidenziale (o dogale) - un
ruolo, dunque, istituzionale, analogo ma più forte di quello arbitrale -, e la
contemporanea trasformazione in unità "nazionale e politica" della
preesistente, ma virtuale, unità italiana senza che ne venissero toccati i
legittimi poteri dei sovrani. Quest'ultimo aspetto costituiva un altro
snodo del Primato, che consentiva al G. di tracciare una via consensuale,
pacifica e aliena da fratture rivoluzionarie per la costruzione dello Stato
nazionale. Scartate come estranee alla natura e alla storia del genio italico
le forme del dispotismo e della democrazia "demagogica" fondata
sull'idea della sovranità popolare, e assumendo come punto di riferimento il
riformismo settecentesco, in specie di Pietro Leopoldo e di Benedetto XIV, il
G. raffigurava l'erigenda entità politica nazionale come una confederazione dei
maggiori Stati italiani, retti a monarchia "consultiva" sotto la
presidenza moderatrice del pontefice elettivo. La formula della monarchia
consultativa veniva preferita a quella della monarchia rappresentativa per il
fatto di non frammentare la sovranità, e di permettere ugualmente ai sovrani di
governare secondo il voto della nazione, raccolto e filtrato da un corpo
vitalizio di "veri ottimati" tratto da un'aristocrazia selezionata
dal merito e dall'ingegno più che dal sangue nobiliare, agente come canale di
collegamento con l'opinione pubblica. Un'attenzione particolare era dedicata
dal Primato al potere dell'opinione negli Stati moderni, alle condizioni
necessarie del suo sviluppo, al ruolo che il clero era chiamato a esercitarvi
nel rispetto del "principio sacrosanto della libertà delle
coscienze", alla funzione modernizzatrice delle élitesintellettuali.
L'utopia della confederazione italiana (tale la definiva lo stesso G.) si
traduceva in una forma politica composita, che richiamava in certa misura
l'ordinamento ecclesiastico, caratterizzata dalla presidenza conciliatrice del
pontefice, da un insieme di "aristocrazie civili e consultative, ciascuna
sotto un capo ereditario investito del supremo comando", e finalizzata
all'unione, all'indipendenza e alla realizzazione della libertà civile, tenuta
distinta da quella politica, cioè costituzionale. Scritto come libro
"moderatissimo" per non "irritare gli animi" e consentirgli
di circolare per tutta la penisola (il che accadde, nonostante gli interdetti
dell'Austria e il divieto di smercio nello Stato pontificio), con l'esplicita
intenzione di raccogliere i più ampi consensi, il Primato lasciava
deliberatamente da parte argomenti di più immediata rilevanza politica, che
pure il G. affermava di aver originariamente previsto, quali il predominio
dell'Austria o la laicizzazione del governo dello Stato pontificio. Il
Primatosegnava inoltre un ripiegamento rispetto ad alcune delle tesi sviluppate
nell'Introduzioneallo studio della filosofia e conteneva positivi apprezzamenti
nei riguardi della Compagnia di Gesù. Accolto con favore in ambienti laici ed
ecclesiastici, compresi quelli gesuitici, ma stroncato da G. Ferrari nel quadro
della polemica antigiobertiana che percorreva il suo saggio La philosophie
catholique en Italie (uscito in due puntate sulla Revue des deux mondes nel
marzo-maggio 1844, cui il G. rispose con una lettera pubblicata in appendice
alla seconda edizione di Degli errori filosofici di A. Rosmini), il libro
contribuì in modo rilevante alla formazione dell'opinione nazionale, pur a
prezzo o forse in ragione delle sue reticenze e dissimulazioni, trovando una
naturale collocazione nel contesto del riformismo moderato degli anni Quaranta,
specialmente in Piemonte, grazie anche all'apologia, presente in certe sue
pagine, della missione nazionale riservata allo Stato sabaudo sotto il profilo
militare, e all'esaltazione del riformismo carloalbertino: temi subito ripresi
e sviluppati, in senso più marcatamente sabaudista ma anche meno proclive
all'idea del primato italiano, nelle Speranze degli Italiani di C. Balbo (che
sul finire del 1844 ebbe parte principale nella nomina del G. a socio nazionale
non residente dell'Accademia delle scienze di Torino). Di segno opposto furono
le accoglienze riservate al Primato da G. Mazzini e dai neoghibellini. La prima
edizione del Primato - la cui lettura era resa ancora più ardua dalla mancanza
di un indice analitico - andò rapidamente esaurita, e il G. provvide tra il
1844 e il 1845 ad allestirne una seconda corretta, stampata dallo stesso
tipografo belga, e comprendente un lungo testo introduttivo, che venne tirato a
parte in 2000 copie col titolo di Prolegomeni del Primato. Qui il G.
abbandonava alcune delle originarie cautele, con un pronunciamento a favore
della monarchia rappresentativa e con un'acre denuncia degli orientamenti
settari attivi nella Chiesa e identificati in particolare nell'Ordine gesuitico
o, per meglio dire, nel "gesuitismo" inteso come categoria morale
contrapposta al "cattolicismo" e incompatibile con la civiltà moderna
e i suoi valori nazionali. Ciò innescava un'aspra controversia, destinata ad
aggravarsi e a prolungarsi nel tempo, con eminenti scrittori della Compagnia,
segnatamente con F. Pellico, fratello di Silvio, e C.M. Curci, non senza il
sostegno e l'incoraggiamento del padre generale J. Roothaan. I
Prolegomeni segnavano una prima sterzata rispetto alle tonalità ecumeniche del
Primato, e il riaffiorare nel G. di una virulenta vena polemica che trovò un
successivo sfogo nella pubblicazione del Gesuita moderno, apparso a Losanna nel
1846-47. Una parte non trascurabile nella vicenda ebbe il passaggio del G. da
Bruxelles a Parigi (1845), reso possibile dall'autonomia finanziaria
assicuratagli dalla buona riuscita della sottoscrizione promossa a Torino da
P.D. Pinelli per una nuova edizione delle sue opere complete. A Parigi, ove
rinsaldò l'amicizia con G. Massari (divenuto nel frattempo suo discepolo e
ammiratore), il G. si trovò nel pieno dello scontro sulle scuole delle
congregazioni e nel cuore delle controversie sulla Compagnia di Gesù innescate
dai corsi tenuti al Collège de France da E. Quinet e da J. Michelet.
Soprattutto, suscitò grande eco nell'animo del G., che ne avrebbe tratto a più
riprese corrosivi spunti antigesuitici, il coinvolgimento della Compagnia nei
coevi conflitti politico-religiosi della Svizzera, sfociati poi nella guerra
del Sonderbund. Impostato come una replica alle critiche dei padri
Pellico e Curci, Il gesuita moderno si trasformò strada facendo in un
farraginoso lavoro in cinque volumi (l'ultimo dei quali di documenti) scritto
dal G. in uno stato di tensione e di inquietudine che lo induceva a sospettare
di una sistematica opera di spionaggio messo in atto da emissari della
Compagnia nei suoi confronti. L'opera era un concentrato di argomenti antigesuitici
ricavati dalla storia e collegati dall'idea dominante già abbozzata nei
Prolegomeni: la radicale e irrimediabile ostilità dello spirito gesuitico, in
quanto pervaso da misticismo, lassismo morale e autoritarismo, a un
cattolicesimo civile, ispiratore del movimento nazionale. Nel rappresentare il
gesuitismo come il principale e più subdolo nemico del Risorgimento, il G.
prendeva anche in considerazione, in un'appendice al quinto volume, le tesi
enunciate dal p. L. Taparelli d'Azeglio nel saggio Della nazionalità (1846),
dove si affermava non essere l'indipendenza politica un attributo necessario
della nazionalità, e veniva definito inammissibile il perseguimento di uno
Stato nazionale se in conflitto con i diritti dei sovrani. Il G. vi
contrapponeva un'idea di nazionalità come "creatrice di diritti",
fattore sostanziale e incoercibile di identità di un popolo, in tal modo
proclamando non solo l'incomponibile divaricazione tra due idee di nazionalità,
ma anche prendendo definitivo congedo dalle sfumature legittimistiche del
Primato. Gli eccessi polemici del Gesuita moderno, singolarmente
contrastanti con la moderazione del Primato, gli valsero un'accoglienza
controversa e suscitarono non poche critiche anche da parte di cattolici
liberali come Balbo, Rosmini e Tommaseo; ma assicurarono ulteriore udienza e
popolarità all'autore e un'ampia circolazione, superiore a quella del Primato,
all'opera, che non era stata interdetta dalla censura ecclesiastica ed era
venuta a cadere in una fase in cui il vento antigesuitico spirava forte negli
Stati europei (la seconda edizione, del 1847, fu tirata in 12.000 copie).
I cambiamenti avvenuti nella Chiesa e nella situazione italiana con l'elezione
di Pio IX e l'accelerazione del movimento riformatore, gli atteggiamenti assai
cauti, se non riguardosi, del nuovo papa, già lettore del Primato, nei
confronti del G., e, viceversa, il moltiplicarsi delle critiche al Gesuita
modernoin Italia e più ancora in Francia, specialmente per mano dell'archeologo
Ch. Lenormant, indussero il G., sul finire del 1847, a porre mano a un nuovo
lavoro, l'Apologia del libro intitolato "Il gesuita moderno", con
alcune considerazioni intorno al Risorgimento italiano (Bruxelles e Livorno
1848). Qui la rinnovata battaglia contro il gesuitismo, estesa ora al partito
francese dei "laici ipercattolici" capeggiato da Ch. de Montalembert,
veniva a connettersi più direttamente con i progressi compiuti nel frattempo
dal movimento nazionale e interpretati dal G. come una totale convalida delle proprie
tesi. Sennonché, tra l'inizio della stesura e della stampa, progredita assai
lentamente, e la conclusione del lavoro, compiuto nell'aprile 1848, erano
intervenuti il sovvertimento della scena politica europea con la rivoluzione
parigina del febbraio (direttamente osservata e idealmente difesa dal G.), la
concessione degli statuti da parte dei maggiori sovrani italiani, la
rivoluzione di Vienna e la crisi dell'Impero austriaco, l'insurrezione
milanese, l'avvio della guerra in Italia. Inoltre la Compagnia di Gesù era
stata espulsa da molti Stati, tra cui quello sabaudo, tanto da far pensare al
G. che i gesuiti, dei quali aveva auspicato in lettere private l'espulsione,
fossero "morti politicamente", pur continuando a sopravvivere "i
loro spiriti". Tutto questo impose un rifacimento del capitolo finale
dell'opera, più legato all'attualità, e la stesura di un lungo proemio, datato
Parigi 8 apr. 1848, in cui i fatti italiani, a partire dalla rivoluzione
siciliana del gennaio, entravano prepotentemente nella sua analisi, rendendo il
libro ancor più eterogeneo nei suoi contenuti e il suo titolo ancor più
inadeguato, ma accrescendone pure di molto l'interesse. L'opera vide finalmente
la luce, in quattro edizioni quasi contemporanee, quando il G. era ormai
ritornato a Torino. Molteplici elementi imprimevano all'Apologiail tono
di un manifesto programmatico, in linea con i numerosi interventi avviati dal
G. su alcuni giornali liberali come la Patria di Firenze, l'Italia di Pisa, il
Risorgimento e soprattutto la Concordia di Torino, diretta da L. Valerio: in
primo luogo, l'esaltazione, condotta con toni volutamente forzati, dell'azione
riformatrice di Pio IX, nel quale il G. indicava l'incarnazione provvidenziale
del pontefice da lui stesso preconizzato, guida del Risorgimento nazionale
interpretato come "un evento religioso, europeo, universale",
promotore di "una rivoluzione fondamentale negli ordini umani del
cattolicesimo" e di una metamorfosi del Papato da "aristocratico e
monarcale" a "popolano e democratico come nelle sue origini"; in
secondo luogo, la perorazione per la sollecita creazione di un regno
costituzionale dell'Alta Italia sotto la dinastia dei Savoia, accompagnata
dalla confutazione dei programmi municipalisti e repubblicani. Per altro verso,
l'Apologia portò allo scoperto, sotto la sollecitazione degli eventi, venature
del pensiero giobertiano in precedenza tenute in ombra, riflettendone gli
approdi più recenti. Il libro era tutto attraversato dal tema della democrazia,
non tanto intesa come ordinamento politico, ma quale prorompente e benefica
"rivoluzione, che per la mole, l'estensione, la natura, l'importanza, la
durata, non si può comparare a niuna di quelle che la precedettero, la quale
avrà per ultimo esito di conferire al popolo la piena signoria delle cose
umane"; rivalutava, rifacendosi alle opere di A. de Lamartine e di J.
Michelet, l'opera dei giacobini nella Rivoluzione francese; assegnava a meta
conclusiva del movimento nazionale, dopo la necessaria fase federativa, la
costituzione di uno Stato unitario, accennando a una sua futura trasformazione
in senso repubblicano; individuava il solo modo di perpetuare la monarchia
pontificia in una riforma costituzionale dello Stato della Chiesa, che
consentisse al papa, in quanto principe temporale, di regnare senza governare e
di realizzare la "separazione assoluta del governo spirituale dal
temporale". Quando rientrò a Torino, il 29 apr. 1848, dopo oltre
quattordici anni di esilio e accolto da entusiastiche manifestazioni, il G. era
reduce da una prima cocente delusione politica, determinata dall'annuncio
confidenziale, pervenutogli a Parigi e seguito da immediata smentita, della sua
nomina a ministro dell'Istruzione nel gabinetto Balbo, fatta cadere dal veto di
Carlo Alberto, che gli era e gli restò ostilissimo. In compenso, in un collegio
torinese e in uno genovese era appena stato eletto a sua insaputa alla Camera
subalpina, che alla metà di maggio lo proclamò proprio presidente. Fino alla
fine di luglio, tuttavia, il G. non mise piede in Parlamento, perché ai primi
di maggio, accompagnato da don G. Baracco, già era partito per una lunga
peregrinazione politica, che lo avrebbe portato a Milano (dove ebbe un incontro
col Mazzini), al quartier generale piemontese di Sommacampagna (dove fu
ricevuto da Carlo Alberto), poi, attraverso la Lombardia e l'Emilia, a Genova,
a Livorno, a Roma (dove soggiornò due settimane e fu ricevuto in tre diverse
udienze da Pio IX), e infine, per l'Umbria e le Marche, a Bologna e a Firenze,
donde rientrò, via Genova, nella capitale sabauda. Il viaggio per l'Italia,
avvenuto in una fase in cui la guerra federale contro l'Austria aveva ricevuto
un colpo letale dall'allocuzione di Pio IX il 29 aprile - il cui significato il
G. tentò invano di minimizzare - e dalla reazione borbonica di maggio, fu tanto
indicativo dei vertici raggiunti dalla popolarità del G., ovunque fatto oggetto
di accoglienze trionfali e talora deliranti, e tanto ricco d'incontri con i più
vari circoli politici, quanto povero di durevoli risultati. Nel corso di tale viaggio,
affrontato con lena missionaria, il G. propagandò fervidamente alcune
idee-guida: in nome della concordia nazionale combatté a spada tratta le
ipotesi repubblicane di ogni genere, i movimenti da lui tacciati di
municipalismo, i progetti per un'assemblea costituente, che finì tuttavia per
ritenere inevitabile e non pericolosa a certe condizioni; invocò il pronto
accoglimento dei voti di unione al Regno sabaudo del Lombardo-Veneto e la
proclamazione di un forte regno dell'Italia settentrionale; tentò con la
medesima energia di rilanciare la soluzione federale, contro i riaffioranti
particolarismi statali e dinastici, non esclusi quelli del Piemonte; si adoperò
per un consolidamento del sistema costituzionale a Roma, utilizzando anche i
propri rapporti di amicizia con il ministro T. Mamiani. Analoghi
programmi il G. sostenne durante la breve vita del gabinetto Casati, al quale
fu aggregato dal 29 luglio, giusto all'indomani del disastro di Custoza, in
qualità di ministro senza portafoglio e poi dell'Istruzione, facendosi
personalmente promotore della missione del Rosmini presso Pio IX, finalizzata
alla stipulazione di un trattato confederale e di un nuovo concordato. Ma la
firma dell'armistizio Salasco (9 ag. 1848) e l'interruzione della guerra con l'Austria
lo colsero di sorpresa. Di fronte alla svolta che portò alle dimissioni del
governo Casati, il G. abbracciò posizioni assai impopolari presso i moderati,
dapprima avversando e poi perorando una richiesta di aiuto militare alla
Repubblica francese, combattendo a spada tratta la richiesta di una mediazione
diplomatica franco-inglese, schierandosi per una ripresa della guerra in una
cornice federativa quanto mai inattuale. Le ombrosità e le ambizioni del G.,
che aspirava alla presidenza del Consiglio, ebbero modo di tradursi in aperto
dissenso politico in occasione della formazione del governo presieduto da C.
Alfieri di Sostegno (poi da E. Perrone di San Martino), che pure includeva tre
amici del G. come il Pinelli, in posizione preminente, F. Merlo e Santarosa. Al
nuovo ministero il G. dichiarò guerra aperta con un opuscolo dai toni
aggressivi, I due programmi del ministero Sostegno (Torino 1848). Accusato il
nuovo governo di spirito municipalista, cioè di disinteresse per le sorti degli
altri Stati italiani, il G., che aveva lasciato il seggio parlamentare in
occasione della sua nomina ministeriale, tentò, facendo appello all'opinione
pubblica nazionale, di promuovere una politica alternativa basata sull'idea di
una Costituente federativa con mandato limitato, da contrapporre sia
all'inerzia del governo piemontese in carica, sia ai programmi di Costituente
agitati dai gruppi democratici radicali. Fu quindi coinvolto nella fondazione
della Società nazionale per la confederazione italiana, che tenne in ottobre a
Torino il suo primo e unico congresso. Preceduto da un suo infiammato indirizzo
"ai popoli italici" (dov'erano tra l'altro adombrati gli irreparabili
guasti religiosi di un eventuale "funesto scisma d'Italia e di Roma")
e aperto da un discorso introduttivo in cui il G. denunciò le colpe dei
"repubblicani pratici" e le "disorbitanze dei democratici
schietti e dei comunisti", il congresso si concluse con la faticosa
elaborazione di un progetto di Costituente federativa e con la proclamazione
del carattere irrevocabile della fusione delle regioni settentrionali nel Regno
dell'Alta Italia. Rieletto alla Camera nella tornata suppletiva del 30
settembre e nuovamente asceso alla presidenza dell'Assemblea, dopo le
dimissioni del governo da lui accanitamente avversato il G. ebbe a metà
dicembre l'incarico di presiedere il nuovo ministero, in cui assunse anche il
dicastero degli Esteri. Salito alla presidenza del Consiglio non più come
simbolo di unità e di concordia ma come esponente di maggior spicco dell'opposizione,
nel discorso programmatico del 16 dicembre definì il proprio ministero con
l'appellativo di democratico, cioè, come disse, volto a innalzare la plebe
"a dignità di popolo", a serbare rigidamente l'uguaglianza dei
cittadini di fronte alla legge comune, a provvedere agli interessi delle
province, con implicito riferimento alla difficile situazione genovese, a
"corredare il principato d'istituzioni popolane, accordando con gli
spiriti di queste i civili provvedimenti"; manifestò inoltre l'intenzione
di riprendere la guerra interrotta, di promuovere una Costituente federativa
italiana, e proclamò il diritto degli Stati italiani - di fatto, il diritto
dello Stato sabaudo, cui attribuiva apertamente una funzione egemonica - di
intervenire negli altri Stati della penisola per evitare sommovimenti
rivoluzionari o interventi militari stranieri. Il G. s'inoltrò pertanto in una
politica nazionale alquanto avventurosa, seppur coerente con il principio,
carico di valore ideale ma povero di forza normativa e da lui ribadito in
documenti ufficiali, per il quale egli affermava la sussistenza di un diritto
della nazionalità, preminente sulle vigenti istituzioni politiche e imperativo
nelle relazioni tra gli Stati italiani. Venne così progettando invii di truppe
sarde nei punti critici della penisola e si propose come indesiderato mediatore
tra i sovrani italiani e i loro popoli. Del tutto vani si rivelarono i suoi
insistiti tentativi di intermediazione tra Pio IX, rifugiatosi a Gaeta, e la
commissione provvisoria di governo di Roma, intesi a ricondurre il pontefice
nel suo Stato con l'appoggio di truppe piemontesi subordinato al mantenimento
degli ordini costituzionali; e volti nel contempo a impedire l'ingresso del
Mazzini in Roma e la convocazione della Costituente italiana. Sul finire
dell'anno il G. chiese e ottenne dal sovrano lo scioglimento della Camera e
l'indizione per il 22 genn. 1849 di nuove elezioni, che videro il suo personale
successo in dieci collegi del Regno, ma produssero un'Assemblea decisamente
sbilanciata sulla Sinistra democratica. Poco attento agli equilibri
parlamentari, che considerava con un certo disdegno, abbandonate le velleità di
convincere Ferdinando di Borbone e gli indipendentisti siciliani ad affidare
alla Costituente federativa la composizione del loro prolungato conflitto,
s'addentrò in un'avventura militare che doveva riuscirgli fatale. Dopo aver
lungamente tentato, grazie anche ai suoi buoni rapporti con G. Montanelli, di
indurre il governo democratico toscano a più moderati consigli circa i
ventilati progetti di Assemblea costituente, posto di fronte alla traduzione di
tali progetti in legge operativa e alla successiva fuga di Leopoldo II, il G.
predispose in gran segretezza un intervento armato piemontese in Toscana, per
riportare il granduca sul trono preservando il sistema costituzionale. La
conoscenza del disegno, rivolto contro un governo di orientamento marcatamente
democratico, e degli atti compiuti per realizzarlo, provocò la sollevazione del
Parlamento sardo, una frattura profonda nella compagine ministeriale e le
dimissioni del presidente del Consiglio, accolte di buon grado il 21 febbraio
dal sovrano, pronto a sostituirlo con il generale A. Chiodo. Per sostenere le
ragioni della propria politica, invisa ormai alla maggioranza dei gruppi
parlamentari di ogni orientamento, il G. dette vita, in marzo, a un giornale
politico, il Saggiatore, sul quale intervenne il 17 marzo per invocare l'unità
degli spiriti in occasione della ripresa della guerra con l'Austria, da lui
perorata ma ora altamente disapprovata per i modi in cui era avvenuta. Dopo
Novara l'abdicazione di Carlo Alberto e l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele
II, il G., su invito del Pinelli, accettò di entrare come ministro senza
portafoglio nel nuovo gabinetto presieduto da G. De Launay, nonostante il solco
profondo che lo divideva dal primo ministro e dai suoi orientamenti
conservatori, e di assumere l'incarico di inviato straordinario del Regno sardo
a Parigi. L'indeterminatezza del compito affidatogli e gli atti poco amichevoli
compiuti dal governo piemontese nei suoi confron ti non appena giunto a
destinazione, indicavano che il vero significato della missione era quello di
togliere di mezzo l'incomodo personaggio, anche per favorire le trattative di
pace con l'Austria. Il G., che aveva preso a tessere relazioni con vari
personaggi della vita politica francese e inglese, tra cui A. de Tocqueville,
reagì con la consueta irruenza, troncò ogni rapporto ufficiale con il Regno
sardo dimettendosi da deputato, da ministro e da inviato straordinario,
manifestò a chiare lettere il suo pessimismo sulla situazione italiana,
espresse il suo distacco dal Piemonte anche con la decisione di restituire le
somme pervenutegli per l'edizione delle sue opere, e si ritirò in un secondo, volontario
esilio. Si aprì per il G. un altro periodo operosissimo sul piano
intellettuale e di riflessione, non certo distaccata, sugli eventi di cui era
stato protagonista. Nella corrispondenza privata, tutta intessuta di
riferimenti alla situazione italiana, francese ed europea, ebbe modo di
reagire, con sarcasmo misto ad amarezza, alla condanna comminata il 30 maggio
1849 dalla congregazione dell'Indice al suo Gesuita moderno, adottando
pubblicamente la linea del silenzio anziché quella della sottomissione. Sul
piano politico espresse a più riprese la convinzione che le idee repubblicane,
colorate di socialismo, fossero in fase di inarrestabile ascesa, affermando, in
una lettera del 1851, di vedere all'opera una Provvidenza tinta di rosso
"perché ordina tutto al trionfo vicino o lontano di questo colore".
Si dichiarava altresì fautore di un ordinamento scolastico saldamente nelle
mani dello Stato, in quanto promotore e responsabile dell'"educazione
nazionale", della gratuità dell'istruzione primaria, dell'assistenza
pubblica ai vecchi, agli ammalati e "alla povertà che non trova da
lavorare". Mentre nella primavera del 1851 usciva a Capolago, per
iniziativa e con un'introduzione del Massari, una raccolta di lettere,
interventi e discorsi dalla fine del 1847 all'inizio del 1849, con il titolo di
Operette politiche, il G. riprese in mano i propri lavori di argomento
filosofico e religioso, editi e inediti, ma soprattutto si dedicò alacremente
alla stesura di una nuova opera di ampio respiro che volle si stampasse a
Parigi sotto la sua sorveglianza, pur affidandone la pubblicazione all'editore
torinese Bocca: era Del rinnovamento civile d'Italia, che vide la luce nel
novembre del 1851, in due volumi, il secondo dei quali contenente anche una
nutrita parte documentaria. Il Rinnovamento si presentava come una
riflessione politica che, prendendo spunto dalla ricostruzione critica e
storica degli eventi del '48, affrontava il tema generale delle mutate
condizioni interne e internazionali in cui l'unificazione nazionale avrebbe
ripreso il suo cammino. Il libro proclamava la fine della fase del Risorgimento
e l'inizio della fase del rinnovamento, concepito come parte integrante
"di un moto comune a quasi tutta l'Europa": il primo si era mosso
nella logica di una trasformazione graduale delle cose, il secondo avrebbe
assunto "aspetto e qualità di rivoluzione"; il primo era stato
movimento autonomo, governato dalle condizioni dell'Italia, il secondo sarebbe
dipeso "in gran parte dai fatti esterni"; il primo aveva dovuto
limitarsi all'obiettivo di un sistema federale "perché non ve n'era altro
possibile", il secondo non poteva escludere una possibile, e benefica,
accelerazione storica verso l'unificazione politica. Su questa falsariga il G.
affrontava dettagliatamente, traendo lezione dagli errori che a suo giudizio
erano stati commessi da tutte le forze nazionali, una serie di argomenti di
grande impegno: l'insostenibilità del potere temporale dei papi, "la
maggiore anticaglia superstite dell'età nostra", dannoso all'Italia,
all'Europa e soprattutto al cattolicesimo come causa di subordinazione del
Papato alle forze della reazione interne ed esterne; il posto e la natura del
partito conservatore e del partito democratico nella "politica
nazionale"; le condizioni alle quali il Piemonte, "il paese più
scarso di spiriti italici", dominato da una classe politica di patrizi e
di avvocati "inclinati al municipalismo", guidato da una dinastia
"stata finora impropizia all'ingegno, aristocratica e municipale", e
nondimeno l'unico ad aver preservato gli ordinamenti costituzionali, poteva
svolgere quel ruolo egemonico su scala nazionale che solo avrebbe salvato la
monarchia sabauda da un fatale declino. Un argomento che l'autore adduceva a
convalida delle proprie tesi, e che, diversamente dal Primato, implicava
l'attribuzione al Regno sardo di un ruolo anche morale (pur rimanendo una
futura "Roma laicale e civile […] il principio ideale della risurrezione
italica"), era la politica ecclesiastica inaugurata dalle leggi Siccardi:
un passo verso la "separazione assoluta tra le due giurisdizioni", la
temporale e la spirituale, costituente "la prima base della libertà
religiosa, che tanto è cara ai popoli civili", cornice necessaria alla
formazione di un clero "liberale e sapiente", capace di purgare la
religione "dagli errori e dagli abusi che la guastano". Ma il
Rinnovamento era pure un discorso di "scienza civile", secondo la
definizione giobertiana, intessuto di riferimenti a Machiavelli, ma condotto
sulla base dei "bisogni principali dell'età nostra, il predominio del
pensiero, l'autonomia delle nazioni e il riscatto della plebe": a
soddisfare i quali il G. poneva come condizioni l'esistenza di governi liberi,
la costituzione di Stati a misura nazionale, il funzionamento di ordini civili atti
a promuovere l'innalzamento della plebe a popolo. Per tale aspetto una funzione
determinante veniva attribuita, da un lato, all'"ingegno", cioè alle
élites intellettuali, chiamate a imprimere unità e coesione alla "sciolta
moltitudine", e a impedire che sotto il simulacro della democrazia
trionfasse invece la demagogia dei numeri e delle masse; dall'altro lato, alle
riforme economiche, "unico riparo al comunismo politico", se volte a
ripartire e a regolare le ricchezze (anche con l'imposta progressiva) e non a
inaridire le sue fonti. Il Rinnovamento, percorso tra l'altro da fremiti
antiborghesi, rifletteva una visione del movimento nazionale quale luogo
d'incontro e d'interazione tra le "aristocrazie dell'ingegno", tratte
dal popolo e da questo riconosciute, e le plebi anelanti al proprio riscatto
sociale, garantite da una monarchia non solo costituzionale, ma anche
schiettamente popolare. Nel pubblicare il Rinnovamento il G. era convinto
che l'opera sarebbe incorsa nell'interdetto della Chiesa; quando apprese che il
S. Uffizio, con decreto del 14 genn. 1852, aveva condannato tutte le sue opere,
in qualunque lingua pubblicate, si consolò col rilevare che, "involgendo
nella proscrizione anche quegli scritti che furono conosciuti da tutti per
irreprensibili", si erano meglio manifestati il puntiglio di Pio IX e la
vendetta dei gesuiti. I pesanti giudizi su figure eminenti della classe
politica subalpina di cui il Rinnovamentoera cosparso, provocarono una tempesta
di polemiche, cui il G. rispose con due opuscoli del 1852, il primo dei quali
conteneva una risposta (che non cambiava, ma semmai aggravava la sostanza di
quei giudizi) alle risentite reazioni di U. Rattazzi, di F.A. Gualterio e del
generale G. Dabormida; il secondo intitolato Ultima replica ai municipali,
aveva soprattutto di mira il Pinelli e C. Bon Compagni, schieratosi a difesa
del vecchio amico del G. e ormai divenuto uno dei suoi bersagli preferiti, il
quale si era ammalato gravemente nel bel mezzo della diatriba. La morte del
Pinelli, sopravvenuta quando già l'opuscolo era stampato, creò grande imbarazzo
al G., che stese a tamburo battente un Preambolo in cui rendeva giustizia sul
piano personale alla figura del defunto, decidendo in seguito, dopo vari
tentennamenti, di far distruggere le oltre 1200 copie già stampate dell'Ultima
replica - di cui restò un solo esemplare - e di mettere in circolazione
esclusivamente il Preambolo (Parigi e Torino 1852). Fu l'ultima opera
edita lui vivente: in assoluta solitudine il G. morì infatti improvvisamente,
nel suo modesto appartamento di Parigi, il 26 ott. 1852. Tra le sue carte
rimase una mole imponente di frammenti manoscritti e di opere incompiute e
inedite, costituenti nel loro insieme una specie di continente sommerso, non
meno rilevante, per la conoscenza del suo pensiero, degli scritti da lui dati
alle stampe. Questo materiale manoscritto fu in parte pubblicato postumo, con
scarso rigore, dal Massari che, nel quadro di un'edizione delle opere inedite
giobertiane, di cui uscirono a Torino 10 volumi, diede alle stampe nel 1856 i
frammenti Della riforma cattolica della Chiesa e la Filosofia della
Rivelazione, seguiti nel 1857 dalla Protologia, forse la maggior opera
filosofica del G. maturo, che ne aveva incominciato la stesura negli anni
Quaranta. Nel 1910, a cura di E. Solmi, furono editi, con criteri non meno
discutibili, i frammenti della Libertà cattolica e della Teorica della mente
umana, insieme con il dialogo Rosmini e i rosminiani. In seguito La riforma
cattolica e La libertà cattolica furono ripubblicate, in modo più corretto, da
G. Balsamo Crivelli nel 1924, e da G. Bonafede, insieme con la Filosofia della
Rivelazione, nel 1977 e, lo stesso anno, nell'edizione nazionale delle opere,
da C. Vasale. Appartenenti per la maggior parte alla produzione che il G. aveva
definito "acroamatica", le opere postume, pur nel loro stato di
incompiutezza, rivelano un G. che si confrontava in maniera più diretta con la
critica della religione sviluppata dalla cultura primo-ottocentesca, anche
nelle sue espressioni radicali. L'obiettivo di questi lavori era la
dimostrazione dell'adeguatezza del cattolicesimo, liberato dalle sue
deformazioni temporalistiche, autoritarie e "iper-mistiche", nel
rispondere ai bisogni intellettuali e morali dell'uomo moderno. A questo fine
il G. assumeva come fondamento del suo rinnovato discorso religioso-filosofico
la nozione cattolica di tradizione, facendone il criterio ermeneutico
dell'evoluzione storica delle forme religiose e dello sviluppo del
cristianesimo in senso secolare. Ne derivava un'interpretazione molto audace
per la sua epoca del rapporto tra libertà e autorità in materia religiosa e, in
generale, della dogmatica cattolica. Tali opere dimostrano che il pensiero
giobertiano in materia religiosa si era vieppiù spostato dall'asse della
riforma ecclesiastica o politica a quella della riforma religiosa. Ciò spiega
anche la riscoperta del G. in epoca modernistica; senza trascurare tuttavia che
una parte molto consistente della cultura dell'Ottocento e del Novecento si è
misurata con l'eredità giobertiana, dall'idealismo al federalismo (specialmente
meridionale), dal gentilianesimo al nazionalismo e quindi al fascismo, dal
popolarismo di L. Sturzo alla cultura democratico-cristiana. Fonti e
Bibl.: La principale raccolta di manoscritti giobertiani è quella giunta dopo
varie vicende in possesso della Bibl. civica di Torino, che li conserva in 55
voll., 54 dei quali rilegati nel 1912 in maniera alquanto arbitraria e
classificati in un indice sommario: si tratta di carte che il G. aveva con sé
al momento della morte, riguardanti i frammenti miscellanei giovanili, appunti
ed estratti di lavoro, e gli autografi delle opere più tardive, pubblicate
postume. Alla stessa biblioteca sono anche pervenute una parte della biblioteca
personale del G. (il cui principale nucleo fu peraltro venduto all'incanto dopo
la sua morte), poche decine di sue lettere autografe e circa 2500 lettere di
corrispondenti, il cui indice è stato pubblicato nel 1928 col titolo Le carte
giobertiane della Bibl. civica di Torino da G. Balsamo Crivelli, al quale
risale anche La fortuna postuma delle carte e dei manoscritti di V. G. ora
depositati nella Bibl. civica di Torino, in Il Risorgimento italiano, IX
(1916), pp. 665-694; cfr. anche P.A. Menzio, Cenni sulle carte e sui
manoscritti giobertiani, in Atti della R. Accad. delle scienze di Torino, LI
(1915-16), pp. 659-675. Manoscritti autografi riguardanti Il Rinnovamento sono
conservati nella Bibl. nazionale di Napoli e presso l'Istituto per la storia
del Risorgimento italiano di Roma, quasi integralmente pubblicati a cura di L.
Quattrocchi nel III volume (Inediti) del Rinnovamento, ed. nazionale, Roma
1969. L'Epistolario, a cura di G. Gentile - G. Balsamo Crivelli, I-XI,
Firenze 1927-37, è lungi dall'essere esaustivo; le lettere sono riprese, salvo
rari casi, da precedenti edizioni a stampa come: V. Gioberti, Ricordi
biografici e carteggio, a cura di G. Massari, I-III, Torino 1860-63; Il
Piemonte nel 1850-51-52. Lettere di V. Gioberti e G. Pallavicino, a cura di
B.E. Maineri, Milano 1875; D. Berti, Di V. G. riformatore politico e ministro
con sue lettere inedite a P. Riberi e G. Baracco, Firenze 1881; Lettere inedite
di V. Gioberti e saggio di una bibliografia dell'epistolario, a cura di G.
Gentile, Palermo 1910; Lettere di V. Gioberti a P.D. Pinelli, a cura di V.
Cian, Torino 1913; G. - Massari. Carteggio (1838-52), a cura di G. Balsamo
Crivelli, Torino 1920; Carteggio Lambruschini - Gioberti, a cura di A. Gambaro,
in Levana, III (1924), pp. 277-409. Un numero cospicuo di lettere al G. fu
pubblicato col titolo di Carteggio di V. Gioberti, I-VI, Roma 1935-38, in
un'edizione che comprende lettere di P.D. Pinelli (a cura di V. Cian), di I.
Petitti di Roreto (a cura di A. Colombo), di G. Baracco (a cura di L. Madaro),
di G. Bertinatti (a cura di A. Colombo), di "illustri italiani" e di
"illustri stranieri", a cura di L. Madaro. L'Edizione nazionale delle
opere edite e inedite, avviata nel 1938 con la riedizione dei Prolegomeni del
Primato, a cura di E. Castelli e affidata nel tempo a tre editori diversi, è
giunta al vol. XXXVIII, con il secondo tomo dei Pensieri numerati, a cura di G.
Bonafede, Padova 1995: comprende ormai tutte le principali opere del G.,
pubblicate con criteri non omogenei. Materiale giobertiano continua peraltro a
venire alla luce: per es., Appunti inediti di V. Gioberti su R. Cartesio. La
storia della filosofia, a cura di E. Bocca - G. Tognon, Firenze 1981. Le
principali bibliografie giobertiane sono quelle di A. Bruers, G., Roma 1924,
che comprende circa 1400 titoli, fino al 1923, e di G. Talamo, in Bibliografia
dell'età del Risorgimentoin onore di A.M. Ghisalberti, I, Roma 1971, pp.
168-172. Tra le voci enciclopediche: G., V., di G. Saitta, in Enc. Italiana,
XVII; di L. Stefanini, in Enc. Cattolica, VI; di C. Mazzantini, in Enc.
Filosofica, III; di F. Traniello, in Dict. d'hist. et de géogr.
ecclésiastiques, XX. Per una sintesi delle interpretazioni: G. Bonafede, G. e
la critica, Palermo 1950. Tra le opere più recenti: E. Passerin d'Entrèves,
Ideologie del Risorgimento, in Storia della letteratura italiana (Garzanti),
VII, L'Ottocento, Milano 1969, pp. 333-364; A. Del Noce, Gentile e la poligonia
giobertiana, in Giornale critico della filosofia italiana, IL (1969), pp.
222-285; G. Derossi, La teorica giobertiana del linguaggio come dono divino e
il suo significato storico e speculativo, Milano 1970; F. Traniello,
Cattolicesimo conciliatorista. Religione e cultura nella tradizione rosminiana
lombardo-piemontese (1825-1870), Milano 1970, pp. 31-51 e passim; E. Pignoloni,
G. e il pensiero moderno, in Rivista rosminiana, LXIV (1970), pp. 155-175,
231-247; LXV (1971), pp. 4-23; Id., Le postume giobertiane nel giudizio della
critica, ibid., LXV (1971), pp. 167-186; G. Martina, Pio IX (1846-1850), Roma
1974, pp. 64-70, 180-189 e passim; C. Vasale, L'ultimo G. fra politica e
filosofia. Appunti sulle origini ottocentesche dell'ideologia in Italia, in
Storia e politica, XV (1976), pp. 201-261; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, II,
Roma-Bari 1977, pp. 238-245, 338-341, 362-368 e passim; A. Galimberti, G.,
Gentile, Rosmini, in Giornale critico della filosofia italiana, LVIII (1978),
pp. 172-187; C. Vasale, Riforma e rivoluzione nel G. postumo, in Storia e
politica, XVIII (1979), pp. 395-441, 621-665; A. Rigobello, V. G., in Christliche
Philosophie im katholischen Denken des 19. und 20. Jahrhunderts, a cura di E.
Coreth, I, Graz-Wien-Köln 1987, pp. 619-642; S. La Salvia, Il moderatismo in
Italia, in Istituzioni e ideologie in Italia e in Germania tra le rivoluzioni,
a cura di U. Corsini - R. Lill, Bologna 1987, pp. 169-310; F. Traniello, La
polemica G. - Taparelli sull'idea di nazione e sul rapporto tra religione e
nazionalità, in Id., Da G. a Moro. Percorsi di una cultura politica, Milano
1990, pp. 43-62; Id., Il cattolicesimo riformato di V. G., in Storia illustrata
di Torino, a cura di V. Castronovo, Milano 1992, IV, pp. 1101-1120; G.P.
Romagnani, V. G., A. Chiodo, G. De Launay, M. d'Azeglio, Roma 1992; C. Vasale,
Il significato del federalismo giobertiano nella storia d'Italia, in Stato
unitario e federalismo nel pensiero cattolico del Risorgimento, a cura di G.
Pellegrino, Stresa-Milazzo 1994, pp. 215-245; L. Pesce, Peyron e i suoi
corrispondenti. Da un carteggio inedito, Treviso 1997, pp. 457-471 e passim; G.
Rumi, G., Bologna 1999; G. Cuozzo, Rivelazione ed ermeneutica.
Un'interpretazione del pensiero filosofico di V. G. alla luce delle opere
postume, Milano 1999. INDICE LIBRO PRIMO. INTRODUZIONE. Cap. 5. La
sovrintelligenza Sezione seconda.ConceTTO,METODO E DIVISIONE DELLA FILOSOFIA
(Dommatismo) Sezione prima .COSTRUZIONE DEL PRIMO TERMINE DELLA FORMOLA (l'Ente
). CAP. 1. Definizione del Primo.Distinzione del Primo psicologi c o e d e l P
r i m o o n t o l o g i c o . Il P r i m o f i l o s o f i c o CAP. 2. Il Primo
filosofico S I.Caratteristica del Primo filosofico Giobertiano.Po l e m i c a c
o n t r o R o s m i n i . p a g . 1 3 2 - 1 5 8 - ) . II . Il P r i
moèl'Entereale.Cosasialarealtà.Giob.nonar riva a dirlo chiaramente. Difello e
pregio del suo concello della reallà (del concreto:unità del positi 55-72 72-99
vo e del negativo).pag.158-164. CAP. 3. Deduzione della realià dell'Ente dal
concetto dell'Ente. 164-185 D. I. Dal giudizio l'Ente è non si deduce la realtà
del. 126-185 1 2 6 - 1 3 1 131-16% 3 1 CAP. 1. L'intuito . pag . 1-99 . O
ľ Ente. Sicontradiceall'ontologismo.- Sicon 100-119 Sezionc prima.LA CONOSCENZA
CAP . 2. La riflessione psicologica CAP. 3. La riflessione ontologica
Cap.4.Laparola. . 3-14 14-20 21-55 LIBRO SECONDO.COSTRUZIONE DELLA FORMOLA
IDEALE fondelarealtàcolpuroesserepag.165-170.- .II.
Personificazione dell'Ente pag. 170-178.- S .III. Abbozzo della vera via di
dedurre la realtà dell'Ente. Realtàosussistenza= intelligibilitàoidealità.Giob.
non adempiequestaesigenza.pag.179-184.-Con . . 186-264 Cap.1.RelazionetraEnte
edEsistente.Processoaprioriea posteriori.(Causa ed Effetto) . II.Prova
dell'intuito (Identità dei due ordini ,onlo logico e psicologico.Verità
dell'atto creativo).pag. 206-246. - S.III. L'intuito come prova dell'atto
creativo.Dommatismo.Gioberti,Platone,Schelling ed Hegel.pag. 216-220. CAP. 3.
Prove indirelte dell'intuito 248-253.- $. I. Lo spirito è produzione di sè
stesso.pag. 253-260. – S. III.Intuito dell'intuito.
$.II.Falsoconcellodellalibertàenecessilàdel pen 242-247 CAP. 4. Conseguenze
della dottrina dell'intuito. 540 . 198-220
S.1.OntologismoePsicologismo.pag.200-206.- S. S.I.Epilogo:mancanza
didialettica.pag.272-274- o 272-282 CAP. 2. L'intuito come conoscenza dell'atto
creativo . .248-264 $.I. L'intuito immediato è la conoscenza empirica.pag.
CAP.1.Epilogo.Confusione del(primo)pensabile edel(pri mo )conoscibile. .
266-272 Cap. 2. Falso concello del pensiero speculativo 189-198 265-311 . .
220-247 S. I. Duplice ordine psicologico: intuitivo e riflessivo. chiusione di
tutta questa Sezione pag.184-185. Sezione seconda.COSTRUZIONE DEL SECONDO E
TERZO TERMINE DELLA FORMOLA . Gioberti e Rosmini.Insussistenza delle ragioni re
c a t e d a G i o b e r t i p e r d i f e n d e r e il p r i m o o r d i n e c
o m e condizione del secondo : il concetto dell'infinito condizione del
concelto del finito (concello dell'Ente condizione del concetto
dell'esistente).La relazione ei suoi termini. L'ordine intuitivo come
cognizione nonèchelascienza.pag.220-234.- S.I.Nuova instanza di Gioberti:
concello del Necessario e del contingente. pag.235-241.- $.III,L'intuito del
l'atto creativo è lo stesso processo a posteriori pag. pag.260-264. Sezione (
il N o o ) . terza,L'INTUITOSPECULATIVO O IL PENSIERO PURO
$.I.Prima prova delloSpinozismogiobertiano.pag. Cap. 5. Epilogo sulla
identità e differenza tra Spinoza e Gio berti. Sezione
terza,L'INTELLIGIBILITA'. $ . I.Identilà di crcazione e illustrazione.La vera i
m m a 372-381 381-390 397-415 324 349 . 541 LIBRO TERZO.CONTENUTO DELLA
FORMOLA 324-333.- $.II.Seconda S. III.Si considera di nuovo
l'intuilo.Caralleristica. (Contenutodell'altocreativo)(Dio-Quantilà). 350-390
CAP. I. Caralleri dello Spinozismo:loro contradizione.Concello
generaledelladifferenzatraSpinozaeGioberti. 350-356 Cap.2. Anticipazionedelconcello
diDiocomerelazioneasso lula.Confradizione. Doppio concello dell'esislenic
(ediDio) CAP . 3. Dio Quantità. Lo spirito : contradizione. La vera dili
356-364 collà . Cap. 4. Soluzione: Dio come Sviluppo. (Prima di Kant e dopo
364-372 Kant) nenza.Difetto delloSpinozismo.Doppia intelligibi. lità delle
cose.pag.398-402.- S.II.Difficoltà con tro la immanenza nel sensibile.Paragone
della co " gnizione colla visione.Meccanismo nello spirito.Con cello dello
spirito (del conoscere ).Kant; l'empirismo. prova. pag. 333-344. - 306-311
siero.pag.274-279. S.III.Confusionedell'lilea CAP.1.
FalsoSpinozismo(Diosemplicesostanza,noncausa).317-323 CAP. 2. Vero Spinozismo
(Diosostanza causa). 317-349 e della rappresentazione.pag.279-282. CAP. 3.
Relazione del pensiero puro coll'esperienza . 283-300
CAP.4.IlNoopassivoèilsenso 301-306 CAP, 5. L'Innatismo . IDELAE (Spinozismo).
Sezioneprima.SPINOZISMO(forma dell'alto creali vo:meccanismo) pag.344-349.
Sezione secondo.DIFFERENZA TRA GIOBERTI E SPINOZA. . .[ CAP. 1. Intelligibile assoluto
CAP.2. Intelligibile relativo.Fondamento dellasoluzionedel problema 391-415
391-397 Gioberti riunisce idue difetti.pag.403-411.- S.III.
Rispostaalla difficoltàprecedente,everoconcetto
dell'intelligibilerelativo.pag.411-415. LIBRO QUARTO .COGNIZIONE DELLA REALTÀ
DE CORPI, E ORIGINE DELLE IDEE, COME PROVE INDIRETTE DELLA FORMOLA .PASSAGGIO
AL MISTICISMO. Sezioneprima.COGNIZIONEDELLAREALTA'DE'CORPI. .420-467 Cap. 1.
Gioberti non ammette la prova,ma l'inluito della realtà dei corpi . .
426-429.S.II.Ragioni del realismopag.429.- S. III.Necessità di un principio
superiore: cos'è. Galluppi:criticatodaGioberti.pag.430-437– ). IV.Certezza e
verità.Fede e Scienza.Certezza e ve denza metafisica,efisica.Critica.
pag.456-467. Sezione seconda.Origine delle idee.pag.
precedenti,especialmentediRosmini.La generazio 483-489.S II.La dipendenza
logica.a )Distinzione delSovrintelligibile edell'Intelligibile.Significato
econseguenzadiquestadistinzione.b)Ragionee So C a p . 2 . I d e a l i s m
o e R e a l i s m o ( i m p e r f e t t i ): i d e a l i s m o a s s o l u t o
; certezzaedevidenza .. . . . 420-425 .425-443 9. Ragioni dell'idealismo;e suo
difello.Rosmini.pag. . . . 468-538 Cap. 1. Significato generale della
quistione.Critica de'filosofi . .479-526 S. I. Distinzione de'concelli in
assoluti e relativi.pag. . .468-479 ritàdelmondo pag.437-443. CAP. 3. Dottrina
propria di Gioberti sulla cognizione de'corpi; 542 e certezza ed evidenza di
questa cognizione ..444-467 . 1. 1. Significato e difficoltà del problema . 2.
solu zione:l'Individuazione (creazione:creareèindivi d u a r e ) . G i o b . p
o n e b e n e il p r o b l e m a , m a n o n l o r i
solve.Anzifaimpossibileogni soluzione;incono scibilità dell'alto creativo nella
sua essenza.Perples silàdiGioberti3.Critica.pag.444-456– $.II. Certezza
dellacognizione de'corpi.1. Distinzione della certezza in fisica e metafisica.
2. L'evidenza come fondamento della certezza in generale.3. Evi ne ideale
(analisi e sintesi )pag. CAP. 2. La produzione ideale giobertiana : attività sintetica
ori ginaria. Critica di questa dottrina vraragione ( Ente cd
Essenza ); dipendenza logica e generazione.Contradizioni.Doppio
sovrintelligibile: Unità delle delerminazioni razionali , e Trinilà divi
na.c)L'ldea come pura ragione o unilà delle deter minazioni razionali.
Moltiplicilà astralla e unilà a stratla ( pura sintesi o dipendenza logica,e
pura a nalisi ).Vera unità: unità della sintesi e dell'analisi;
lamoltiplicitàcome momento dell'unità;unità- pro cessoassoluto.pag.489-509.
-S.Ill.Larelazione del concello relativo coll'Ente ( creazione ). a ) D u e
ipotesi:generazione,e creazione.Risultato ;assur dilà dell'allo creativo come
punto di passaggio tra l'Ente e l'esistente.La creazione è l'aulogenesi dello
spirito. b).La creazione è in sè generazione. Conse guenze di questa
dolirina pag.509-526. C A P . 3. Risultato generale deila doitrina di Gioberti
sulla p r o duzioneideale.— PassaggioalMisticismo Elenco di Opere di
Vincenzo Gioberti possedute dalla Biblioteca Nazionale di Torino (*) De Deo et
naturali religione, de antiquo foedere, etc. Taurini, Bianco, 1825, in-8°.
Teoricadelsovrannaturale.Brusselle,Hayez,1838,in-8°. La stessa. Torino, Ferrerò
e Franco, 1849, in-8°. La stessa. Accresciuta d’un discorso preliminare e
inedito intorno alle calunnie di un nuovo critico. Capolago, Tip. Elvetica,
1850, 2 tomi in 1 voi., in-8°. Degli errori filosofici di Antonio Rosmini.
Brusselle, Hayez, 1841, in-8°. La stessa. Brusselle, Meline, 1843, 3 voi.
in-8°. La stessa. Capolago, Tip. Elvetica, 1846, 3 voi. in-8°. Del primato
morale e civile degli Italiani. Brusselle, Meline, 1843, 2 voi. in-8°. (i)
Elenco favorito con gentile premura al Comitato Editore dal Prefetto della
Biblioteca Nazionale Cav. Avv. Francesco Carta. 284 La stessa.
Capolago, Tip. Elvetica, 1846, 5 voi. in-16°. Prolegomeni del primato morale e
civile degli Italiani. Brusselle, Meline, 1846, in-12°.
Introduzioneallostudiodellafilosofia.Brusselle,Hayez, 1840, 2 tomi in 3 voi.,
in-8°. Lastessa.Secondaediz.,Brusselle,Meline,1844,4vo¬ lumi in-8°
Considerazioni sopra le dottrine religiose di Vittorio Cousin. Brusselle,
Meline, 1844, in-8°. Il Gesuita moderno. Losanna, Bonamici, 1846, 5 vo¬ lumi
in-8°. Lastessa. Torino, Fontana, 1848, 5 tomi in 3 voi., in-8°.
Lastessa.Capolago,Tip.Elvetica,1847,7voi.in-16\ Apologia del libro intitolato «
Il Gesuita moderno », con alcune considerazioni intorno al risorgimento
italiano. Parteprima.Parigi,Renouard,1848,in-8\ DelBuono.Brusselle,
Meline,1843,in-8°: La stessa. Capolago, Tip. Elvetica, 1845, in-16°. Essai sur
le Beau, ou éléments de philosophie esthétique, traduìtde l’italien par Joseph
Bertinatti. Brusselle, Meline, 1843, in-8°. Del Bello. Firenze, Bucci, 1845,
in-8°. Allocuzione di un filosofo cattolico a Pio IX. Torino, 1847,
in-12°. 285 Discorso pronunziato nell’adunanza generale per l’aper¬
tura del Congresso nazionale federativo la sera del 15 ot¬
tobre1848nelTeatroNazionale.Torino, G.PombaeC., 1848, in-8°.
IdueprogrammidelMinisteroSostegno.Torino,Fontana, 1848, in-8°. Antiprimato
papale e l’automatismo romano distrutto dal
VangeloedaiSantiPadri.Torino,1850,in-16°. Lettre sur les doctrines
philosophiques et Politiques de Lamennais.Capolago,Tip.Elvetica,1850,in-8°.
Delrinnovamentociviled’Italia.Parigi, Crapelet,1851, 2 voi. in-8°. Operette
politiche. In « Documenti della guerra santa d’Italia », voi. VII. Capolago,
Tip. Elvetica, 1851. Preambolo dell’ultima replica ai Municipali. Parigi, Mar-
tinet, 1852, in-8°. Risposta a Urbano Rattazzi. Sopra alcune avvertenze di
Filippo Gualterio. Al Generale Dabormida. Torino, Ferrerò e Franco, 1852,
in-8°. Della filosofia e della rivelazione, pubblicata per cura di
GiuseppeMassari.Torino,ErediBotta,1856,in-8°. Pensieri e giudizi sulla
letteratura italiana e straniera, raccolti ed ordinati da Filippo Ugolini. Firenze,
Barbèra, 1856, in-12°. Della protologia, pubblicata per cura di G. Massari.
Torino, Eredi Botta, 1857, 2 voi. in~8°. 286 Profezie politiche
intorno agli odierni avvenimenti d'Italia. Torino, 1859, in~l2°. Pensieri,
Miscellanee. Torino, Eredi Botta, 1859, 2 voi. in-8°. Ricordi biografici e
carteggio, raccolti per cura di Giu¬ seppe Massari. Torino, Eredi Botta,
1860-62, 2 vo- lumi, in-8°. Studi filologici desunti da manoscritti di lui
autografi ed mediti fatti di pubblica ragione per cura dell’avvo¬ catoDomenicoFissore.Torino,Tip.Torinese,1867,
in-8u gr. Una lettera a Terenzio Mamiani in data del 28 maggio 1834,
pubblicatadaVincenzoDiGiovanni.Roma,Tip.delle Terme, di a. Balbi, 1894, in-8°.
Lettera sugli errori politico-religiosi di Lamennais. Vincenzo Gioberti e
Giordano Bruno. Due lettere inedite, pubblicatedaG.0.Molineri.Torino,
L.Kourt:eC. 1889, in-8°. Vincenzo Gioberti e Giorgio Paìlavicino. Lettere per
cura di B. K. Maineri. (Piemonte (II) negli anni 1850-51-52).
Milano,FratelliRechiedei,1875,in-l&'. METAFISICA PREAMBOLO. ONTOLOGIA
PARAGRAFO 1. Dell'Enle, come concreto e reale. PARAGRAFO 2. Dell'Ente, come
astratto ed ideale, CATEGORIA I. 86 CATEGORIA 4 . 104 PARAGRAPO . I. Dell'atto
creativo. TEOLOGIA RAZIONALE-PARTE GENERALE. PARTE SPECIALE : 143 velazione e
della Civiltà colla Reli . 161 'ART. 3. D. Primo Storico CATEGORIA 2. 91 100
CATEGORIA 6 . PARAGRAFO. 2. Del tempo e dello spazio. C A P . II. Delle
convenienze della ragione colla R i COSMOLOGIA PARTE GENERALE, 3& 120
ivi LOGICA fato,della fortuna e del destino,dell'ac cidente e della
necessità. PARTE SPECIALE Della sovrintelligenza e del desiderio PARTE
GENERALE. PARTE SPECIALE Della diffinizione e della divisione. 269 271 ART. 5.
Del metodo. PARTE SPECIALE 284 , 253 pag. 193 • 204 221 227 234 gressisti
, 110230 * 233 ART. 1. ART,2. PARAGRAFO 2. Della volontà umana . 212 218
PSICOLOGIA PARTE GENERALE. CAP. II. Dellefacoltàdellospiritoumano. ART. 4. Det
raziocinio e delle sue forme esteriori. 273 A r t . 6 . Dell'arte critica. 9 C
A P . I. Del 1. Ciclo generativo e Cosmogonico ART. 3, della forzacosmica.. 216
• 26 278 266 ART . i. Della proprietà delle parole. . C A P , I. Delle
proprietà dell'uomo . ART. 1 Art. 2. ART. 2. 280 ART. 3. Dei giudiziie
delleproposizioni. FINE DELL'INDICE.E SOMMARIO ITRE ULTIMI ANNI DI VITA,E LE
OPERE POSTUME Prima di esporre la filosofia acroamatica si compie il ritratto
della vita dell'autore- Giobertisiritiranellavitaprivata- come eiparla disè
stesso cercadirompereognilegamenonpurecolGoverno, macogliuomini-comesostienelavita–
lapovertàdiluidàoccasione adunattogenerosodelRosmini—
pertenersiprontoastampareal cuna opera utile all'Italia non vuole dettare un
Discorso sull'Alfie ri- qualieranoicasiimprovisichepoteanoindurloastampare—
perchè opinava più probabile che la repubblica francese non ca desse — concetto
che egli avea di Luigi Napoleone - i n che fu fal laceilsuo
giudiziosullaFrancia— nellametà del51 pone inlucc il Rinnovamenlo – intento di
questo libro : sua convenienza e diffe renzacolPrimato– censuratuttietuttocoll'intendimentochefae
cia pro nell'avvenire - - -rottura col Pinelli e coi municipali - pole
micaconesi— mortedelPinelli--sibrucianolecopiedel'opu
scoloUltimareplicaaimunicipali— l'autorelascialapoliticaeri volge il suo animo
tutto al le opere nuove da pubblicare — forse la
troppatensionedimenteglinocque- morteimprovisaedoloreuni versale—
quantodannofuallascienzaeallareligione– vocazione
diGiobertinonmancataperlamorteintempestiva— leoperepostu me– quando furono
scritteprimaodopoil48?- ilconcettoeil titolo di esse furon suggerito dalle
circostanze o ne sono indipen denti?–
Tuttociòcheoraèstampatoappartenevaadessesecondo l'intendimento dell'autore ? -
- c quale fu quest intendimento ? - gli scritti postumi sono solo l'apparecchio
e imateriali delle opere che volevadarealaluce-
ildisegnoperòv'apparisce:qual'èdesso?- CAPITOLO PRIMO ragioni
che rendono difficile a cogliere la connessione e la verita della dottrina
contenuta nei detti scritti---apparente antinomia di cssa dottrina -come ho proceduto
io per afferrarne l'unità e la germanaintenzione
inqualformamisonrisolutodiesporla-fu
benecheilMassaricurasselapubblicazionediessiscritti– pote
vanoperòesseremeglioordinatidariuscirepiùintelligibili– ladot trina del
Gioberti è più difficile di quella dell'Hegel. CAPITOLO SECONDO PRELIMINARI La
filosofia acroamatica non è contraddittoria all'essoterica , ma solo tanto
diversa - nesso tra l'una e l'altra — differenze della cognizione
direttaospontaneadelRosmini,edelCousindalpensiero imma nentedelGioberti
Doppiostatodelpensieroumano caratteri dellostatoriflessivoedellostatoimmanente–
l'intuitodell'ente differisce da quello dell'esistente — in che consiste la
strellezza spe cialedell'enteintelligibilecolpensieroimmanente -comel'attività
dello spirito coesiste coll'Ente senza che questo sia subbiettivato condizioni
proprie dello stato immanente - si rimuove una obbiezio nc-dell'attivitàumana
-suodoppiostatoedifferenzedell'unostato dal l'altro- - della personalità — l a
penetrazione del pensiero nello slalo immanente è diversa dalla compenetrazione
dello stato successivo triplice proprietà del pensiero immanente analoga a tre
momenti dell'ente- lospiritosebbeneunapersonanelpensieroimmanente non
subbicttivizza la cognizione - l'ordine psicologico è proprio della
riflessione:suofondamentoontologico– anchepropriodellarifles sione è l'ordine
cronologico - che fa il tempo -- onde nasce il ripie gamento della intuizione
sovra se stessa— falso modo d'intendere la visioneideale
cheèlavitaanterioredescrittadaPlatonenelFe d r o - d i f f i c o l t à d i c o
g l i e r e il p e n s i e r o i m m a n e n t e - - - l a d i s t i n z i o n
e b e n nelladellaintuizionedallariflessionecorreggeladottrinaplatonica-
obiezione del Grote - come vi si risponde - - dei giudizii – doppio giul.
dizioobiettivo- lospiritoescedallostatoimmanente coll'affermare
eglil'Ente-comesiafferrailpensicroimmanente- delmodocome 502 3.42
possediamo le idee - le quali nascono per via didisgregazione, non di
generazione— deigiudiziianaliticiesintetici- sichiarisceundub bio-delraziocinio
dellafilosofia:suadefinizione--filosofiaprima qual'è;sua
distinzionedall'ontologia-obiezione contro laProtologia: risposta
-dellacircuminsessionedeiveri:suaradice -criteriodelve ro - onde nasce
l'evidenza e la certezza scientifica— che è un siste m a scientifico - in che
senso i principii dipendono e sono illustrati dalle conseguenze — le une non
sono affatto eguali in valore agli al
tri--dell'ipotesi,deipostulati,edegliassiomi- seiprincipiisono astratti , onde
si trae la concretezza , senza di che la scienza non avrebbevalore?-
IlPrimodellascienzaèlaFormola ideale-c0 me siprova che è ilPrimo -mutua
collegazione e dipendenza delle verità secondarie e primato relativo della
formola -- l'unità scienti fica deve salire e fondamentarsi nell'unità ideale
trasparente all'in tuito - il processo non fa la scienza perfetta - questa
risulta dalla in tima
unionedellacognizioneriflessivacollaintuitiva--dell'Ultimo della scienza – la
parola è il passaggio dal pensiero inimanente al s u c cessivo - onde si cava
la necessità della parola per l'uso del pensiero riflesso - origine del
linguaggio : tre opinioni - - -sentenza dell'aulo re-
comepuòdirsicheilsegnodellinguaggioèunitoal'Idea unità della dottrina di
Gioberti su questa materia . CAPITOLO TERZO DOTTRINA DELL'ENTE C o m e l'unità
e semplicità di Dio si accorda colla moltiplicità degli a l tributi -
dell'unione dei contraddittorii in Dio - - trasformazione dia
letticadeidiviniattributi— Hegelcontuttiipanteisticonfondeil
processopsicologicocol'ontologico-l'antropomorfismoéopera del
l'imaginazionenondellaragione dellafuturizionedivina-Iddioè insieme
sovrintelligibile e intelligibile- negatività di Dio- come co
nosciamol'Assoluto?— Dioèpersonale:obiezioni,risposte— Dio produttività
infinita-lapotenzialitàel'attualitàsonodiverseinDio enellecreature-
Dioèliberoenecessario- èbuono- l'esistenza di Dio è verità intuitiva pel
pensiero immanente , dimostrativa pel 503 43-94 504 DOTTRINA
DELLA CREAZIONE L'ideadicreazioneportasecoperduerispettil'ideadinulla—delcan
95-124 successivo- laprovadimostrativamiglioretraggesidallanozione
dell'infinito- processoprotologicoedesplicativodelleattribuzioni dell'Ente -
attribuzioni esterne ed interne- doppia eptate - dell'in
finito;onden'abbiamol'idea- èdeterminato;mas'intendenonsi comprendedella
presunzione divina dell'infinito potenziale nel suo atto — antinomie
rislessive:ipanteisti frantendono l'idea dell'infi nito - assurdità
dell'infinito nunerico - distinzione dell'infinito pos sibile o potenziale
dall'attuale - due infiniti: ilrelativo e l'assoluto dell'infinito
aritmeticomonadico. giamento-l'atlocreativoèunoinsè anchenell'estrinsecoéper
fetto-puossiconsiderarepertrerispetticomeinfinito– l'infinità potenziale del
finitosuppone ilpossesso attuale,benchè finito, del l'infinitàattuale-incheconsistesiffattopossesso—
l'attocreativo intervieneintutto— ècausachel'unitàdell'Ideasisparpagliain
molteidee- igenerisonovari-lavarietàspecificadellecosede riva dalla maggiore o
minore intensità dell'atto creativo CAPITOLO QUARTO zioneèdivisioneemoltiplicazione-
rispettoall'esistentel'attocrea tiyo è sintetico e analitico - differenza della
causalità finita dall'in finita-cheèilcronotopo--suaunità-
comedall'unitàdell'istante edelpuntosibiforcailtempoelospazio—
l'intervalloèuno-5e nesidelcronotopo- doppiovaloredelpuntoedell'istante-
dell'in ternitàedell'esternità- l'unitàdelcontinuosirappresentainordine
lospazioeiltempohannouncentro al discreto sotto tre aspetti— del passato ,
sintesi del continuo e del discreto nei modi del tempo -- del presente e del
futuro- l'eternità non cresce — doppio continuo , attualeepotenziale
-infinitazionedelcronotopo-inchesensoilmon do è cterno - ogni epoca e stato
mondiale è una palingenesia verso il p a s s a t o , e u n a c r e a z i o n e
v e r s o l ' a v v e n i r e - il c r o n o t o p o e l ' u n i v e r
soinfinitisonorealicomeintelligibili– l'indivisibilitàdelcronotopo dal pensiero
colto dal Kant- del pensiero divino e umano-- interio la crea
DOTTRINA DELL'ESISTENTE debbonsidiresull'esistente- questosomigliaall'entepereffettodella
creazione- incheconsistel'improntadell'entecheportainsèl'esi stente
diversosensodatodall'autoreallevocimetessiemimesi quale è il senso che in
quest'opera si dà alla prima -- distinzione dellapotenzaedell'atto-
metessipotenziale,intermedia,eattuale l a m i m e s i - e s s e n z i a l e a l
l e f o r z e c r e a t e è il c o n c r e a r e e il g e n e r a r e : prove-
carattere del primo momento dello sviluppo dinamico -- due 64 125-166 505
Difficoltà di esporre la materia-nesso delle cose dette con quelle che
ritàeesterioritàdelpensieroumano irrazionalitàdelvero nella s u a c o n c r e t
e z z a - c o m e il p e n s i e r o u m a n o c o n o s c e il c o n t i n u o
- l ' i m manenzadell'eternodatocidalpensiero— l'estensioneeladurata esprimono
ilimitidell'esistente — Dialettica;ildiverso,ladualità,
lamoltiplicitàappartengonoall'essenzadellacreazione- incheversa
ladialetticaeondetraeilnome duedialettiche:realeeideale che forma il moto o
vita dialettica- la dialettica consta di due m o menti,sebbene sembra che
constidi tre- glieterogenei,cioè idi versi ed opposti,non sono
contraddittorii---differenza della eteroge neità dalla contraddizione –secondo
un certo rispetto l'eterogeneità
èinDio-l'opposizioneriguardailnegativodellecose- ilcontrap
postoèdiversodall'opposizione- glieterogeneiimportanogliomoge
neieviceversa-cheèilterzoarmonicoodialettico come mai il conflitto dialettico
pruduce l'armonia — uell'unione dell'omogeneo ed eterogeneo quale prevale— ciò
che è l'opposto in natura è l'antino mianellascienza–
dellaantinomiarealeedell'apparente– della guerra-
lapolemicaèlaguerranell'ordinedelpensiero- delloscet ticismo - lo scetticismo
obbiettivo non è sofistico -che sono l'errore e la colpa - due periodi distinti
della storia della filosofia - - -divisione
eriunioneèilprocessouniversaleedialettico- diversitàdiprocesso
delladialetticadell'Enteediquelladell'esistente dellaschemato logia - - -della
sofistica - - - il moltiplice e il conflitto son ridotto ad unità ed armonia
mediante la mediazione dell'infinito. CAPITOLO QUINTO 1
ciclidellavirtùconcreativadelleesistenze realtàd'unaintelli
gibilitàrelativa- ilsensibileèlafugadell'intelligibilerelativoda
sèstesso,lasuamoltiplicazione,diversificazioneerottura-prove causa percuil'intelligibilecreatosimanifestacomesolosensibile
negliordinideltempo differenzadellanostradottrinadaquelladei sensisti — nozioni
che racchiude l'idea del sensibile- la successiva distruzioneerinnovazione
delle forme sensibilièilnisusdiessoa diventareintelligibili- ilsensibileconsisteessenzialmentenelare
lazione tra l'uomo intelligente e la natura intelligibile - del sensibile
interno ed esterno - se il sensibile può o no conoscersi- si chiarisce
ilsignificatodellaparolasensibile- ilsensibileschiettononsipuò pensare- prova che
la sensazione non è lacognizione- qual'èl'og getto della cognizione del
sensibile - - come si risolve l’antinomia ap
parenteditrovareinescogitabileilsensibileepurepoterlopensare la dottrina nostra
è la sintesi delle diverse dottrine precedenti Galluppi,Rosmini,Platone-
nelladottrinadiGiobertinonbisogna confondere l'intelligibile
assoluto,l'intelligibilerelativoeilsensi bile- la teorica dell'intelligibile
relativo non annienta ilsovrintelli gibile—
siviendivisandopiùparticolarmentelamimesi—mimesi prevalente-esteriorità,apparenza,fenomeno,conflitto,passaggio,
metamorfosi-la gerarchiamimeticadeglienticonsistenellavarietà
deigradiconativi-sinotanoiprincipali dellaluce-lamaggiore intelligibilità nella
natura corporea si manifesta mediante la finalità , dell'uomo;ilcorpo,chiloforma
—delsonnoedeisogni—l'istinto l'anima e il corpo in parte diversi , in parte uni
- doppio stato del la vita;latenteeinanilesta—duevitedell'uomo-
dellepassioni:la gloria,lamalinconia,lanoia- facoltàdell'animo:ilsenso,l'imagi
nazione,lamemoria,laragione— lescoperteeitrovatiapparten gono allo sviluppo
metessico del Cosmo -- che cosa è la scienza- lo spirito creato è l'anima del
mondo , lo spirito uniano è l'anima della lerra-
gl'intelligibiliintelligentirelativinonsonogiàdellosteso generedue
speciedimentalità -cheèilpensiero- inchesifonda l'identitàdelmondo-
metessiprevalente:suadefinizione-doppia u n i t à , la d i v i n a d e l l ' a
t t o c r e a t i v o , e l ' u n i t à m e t e s s i c a e c o n c r e a t i v
a dellarelazione;essasovrastaaiterminichelacostituiscono- due relazioni--natura
speciale della relazione che corre tra l'Ente e l'esi 506
CAPITOLO SESTO DECORSO DELL'ESISTENTE Del progresso : che n'è il tipo e
il principio – il progresso considerato 167-250 507 stente— l'azione
finita è reciproca , quindi inseparabile dalla passio
no:l'unitàloroèlarelazione,larelazioneinfinitaè unamla rela
zioneèilveraceassoluto cherappresentalarelazione essaè l'appicco del finito
coll'infinito - riscontro del vero col mondo - le relazioni sono nelle
cose,enon solo nello spiritonostro,enella mente divina -- falsità della
dottrina dell'Hegel che pone l'assoluto e il concreto nelle sole relazioni - la
specie non è un'astrattezza la specie non è l'idea specifica-metessicamente non
si distingue il tutto dalle parti- come raffigurarci la concretezza della
potenza - dellecontagionimoraliemateriali- l'armoniadellamimesierumpe
sempreerisiedesostanzialmentenellametessiiniziale diversità della metessi
mimetica dalla finale -dell'implicazione e dell'inter nitàdellecose-
qual'èilprogressometessico- v'èunapermanenza metessica di ciò che passa
mimeticamente- Idea,metessie mimesi -
ilpassaggiodellamimesiècreazioneeannientamente- accordodi dueopinioniopposte-
trecondizionimondiali— vanitàdellecose umane inquantopassanoesiannullano-
delladottrinadiProtago ra- scienzamimeticaemetessica--Comemaiilrealepuòrassomi
gliarsiall'ideale?- Comemaiilfinito,ilrelativoecontingentepuò
rassomigliareilnecessario,l'assolutol'infinito? Comemailecose materiali possono
rassomigliare il pensiero ? in riguardo alla metessi iniziale, alla mimesi ,e
alla metessi linale lamimesièprogressivaneiparticolari,soloregressivanel genera
le- ilregressoèleggedelprogresso– l'andamentocosmicosial terna di progressi e
di regressi— la vita è la sintesi e il dialettismo del progresso e del
regressoma conferma di ciò si trova nell'esame
dell'uomo,dellareligione,dell'arteedellascienza- ilprogressoquan do è passato
diventa regresso - accordo dei progressisti e dei regres sisti-delaperiodicità–
ècircolareeregressivadisuanatura— ha luogo nelle parti dell'universo, non nel
tutto - la forza rallenta 508
tricenecessariaallasocietàcomeallanatura seilprogressosia reale o apparente ---
la periodicità perfetta è sola apparente - corso migliorativodituttol'universo-
ilprogresso nascedall'intreccio deltempocollospazio-
Individuoegenere--processoestrinseco dell'atto creativo- l'evoluzione è nelle
idee , nella metessi , non già nell'Idea—checosaèlagenerazione-
essenzialeallagenerazione è l'idea di specie, la quale non è astratta soltanto-
la generazione è l'estrinsecazione più viva della metessi specifica delle
cose,eap partieneallamimesi -dellasessualità—dov'èilprincipiogenerativo se
nello sperma o nell'uovo- della donna e dell'uomo - la sessualità
riscontratacolladialettica dellafemminilitàedellavirilità–del conjugio —
dell'individuo compiuto e in che consiste la sua essenza e valore --
l'individuo e l'Idea sono nell'ordine attuale idue estre midellarealtà—
influenzadelpensieroneglieffettidellagenera zione la generazione e la
nutrizione sono le principali azioni tantodelcorpoquantodellospirito—
altreconsonanzetrailcorpo e l'anima - del psicologismo e dell'ontologismo -
come ci può essere concretamente insegnata l'attinenza del genere
coll'individuo -due classi d'individui- - se l'individuo è sparito dinanzi alle
masse - che cosaèlaplebe- relazionedell'ingegnocollamoltitudine -comepuò
affermarsi che nell'ingegno v’abbia qualcosa del divino - Dell'amo r e , d o v
' è il s u o t i p o , e q u a l e n ' è l ' e s s e n z a - l ' a m o r e a s
s o l u t o e i n finito è l'identità --ch'è l'amore rispetto all'esistente
nello stato m i mctico dell'amoreattivoedelpassivo- delpuroe corrollo Ca gione
dello scisma tra l'amor del cuore e quello dei sensi — che è
l'idealedell'amore--delmaritaggio- deldivorzio– l'amorecorro
traidissimiliarmonici-universalitàdell'amore--parenteladell'amo
recolBelloecolBuono--delBelo--originedelmalc- duemorale, p a r t i c o l a r e
e u n i v e r s a l e – o t t i m i s m o r e l a t i v o n o n a s s o l u t o
- il m a l morale è impossibile nell'etica divina e universale - l'antinomia a
p parente della natura seco stessa si risolve mediante la necessità de gli
ordini --contraddizione della natura nello stato presente --dell'in felicità
umana--scopodellavitaterrestre--della virtùedellalibertà umana—
l'uomoèpotenzialmenteonnispecie,puòsalireescendere nella gerarchia cosmica - la
giustizia cosmica procede per ragione geometrica - dell'abito- è verso l'anima
ciò che l'accrescimento e > 509 la nutrizione verso il
corpo - la virtù è sforzo , è la trasformazione dellamimesiinmetessi-ed
ilsagrifiziodell'individuoalaspecie- La Società ha un fondamento metessico e
idealee logico-lapolizia è una metessi iniziale - la polizia dell'uomo comincia
coi primi prin cipii della sua vita— individualità e polizia principiano e
crescono di conserva--unitàdinamichedellanostraspecie– divisionedelgenere
umanoingenericheespecifiche– dellanazionalitànaturaleearti ficiale-
lamisuradell'ampliazionedell'unitàèiltermometrodella civiltà-doppiaunificazionedeipopoli--autorità
morale— ilpotere sovrano è fontalmente l'Idea— formazione primordiale della
socie tà- unitàprogressivadeivaricetidellasocietà— dellaplebeedel l'ingegno -
intento della riforma politica moderna - nel mondo tutto èordinatoallosvolgimentodelpensiero—
ciòcheaccadeorainEu ropa è in certa guisa una ripetizione di ciò che accadde in
Grecia dellademagogia:dominiodellaRussia —unitàsovrannazionale- unità
intermediatralasovrannazionaleelanazionale- l'egemoniamo dernadoverisiede-delPrimato,assolutoerelativo-
alcunititoli del primato italiano- il Cielo che rappresenta alla mente umana -
della causa e dell'effetto negli ordini finiti- attinenza della terra col c i e
l o - i v a r i m o n d i f a n n o u n s o l o u n i v e r s o - il m o n d o
n o n è s o l o u n aggregato, ma un aggregante - da che è prodotto
l'individualità nei corpi- gerarchiadegliesseri--dellaNuidità
-ilprincipioeilfine si somigliano e differiscono - della materia in astratto e
in concreto -- lapotenzagenerativaessenzialeaogniforzacreata- dellapreesi
stenzadeigermi--dellaleggecentripetainorganogenia- ilcentri fugismo non è la
stessa cosa dell'ipotesi della preesistenza dei ger mi
—laforzaprimitivaquandoerumpenell'attocominciacolladualità
ocollamoltiplicità?-gradidellaforzacreatauniversalmente- dei cinque gran regni
della natura - della mutazione delle specie- sunto delladottrinadell'autore-
dueleggidell'esistente:leggedietero geneità,eleggediomogeneità— dellapolarità–
infinitonumerico solo possibile nello stato di metessi - due soluzioni di esso
- infinito aritmeticomonadico - l'infinitoèilsovrannaturale-due errorisul
mondodell'ottimismo— infinitàpotenzialedellacreatura -delfu infinito e del sarà
infinito. 251-349 510 mo 343-370 CAPITOLO SETTIMO
SECONDO CICLO CREATIVO Palingenesia Del secondo ciclo creativo ; ritorno
del'esistente al l'ente – è solo per approssimazione -- la creazione non ebbe
prima, perchè fu un Pri ilsecondociclocreativoèumanoedivino- comeilprincipio e
il fine sono finiti e infiniti -- che cosa è specificatamente la palia
genesia--come siamcerticheesiste– lapalingenesiaèobietiva
esubiettiva,cosmicaeindividuale— delprogressorelativoedel
progressoassolutodellecose comesideeintenderechelostato
palingenesiacosiamentalitàpura— dellamorte– dell'immortali tà--l'esistenzaeinamissibile-
lamorteèunsaltoegradosecondo chesiguardaildiscretooilcontinuo—
futuritàparticolaredel l'anima— la palingenesia consiste nell'acquistare la
coscienza che nonsiha- èilcolmodellacoscienza– duepresunzionidel'infi
nitopotenziale– delliberoarbitrio- ilprocessopalingenesiacoè
unprocessogenerativo- due metamorfosi:mondaneeoltramonda ne–
obiezionecontrolarealtàdellapalingenesia:risposta– igno riamol'avvenire–
haancheunabasenell'esperienza--nelapa lingenesial'internitàsaràesternata- divarioerassomiglianzatrala
cosmogoniaelapalingenesia- inchesensolanegazionedell'im mortalità umana è vera
- unità dello stato palingenesiaco - comuni
cazionedell'intelligenzaedell'amorecoll'infinito dellafelicitàe
beatitudineassoluta-l'uomonellapalingenesiaopera- ideadelpro
gressopalingenesiaco– larivelazionepalingenesiacanonescluderà ogni elemento
misterioso. CAPITOLO OTTAVO RELAZIONE DELLA PROTOLOGIA COLLA RIVELAZIONE Il
Gioberti prima cercò verificare psicologicamente l'idea di mistero
poisiproposedimostrarlaontologicamente infineporgerneuna 511 prova
universaleeprotologica- lametessièilsovrannaturale- unione dialettica del
naturale e sovrannaturale nell'atto creatico - ilsovrannaturale
èuniversale;ènelprincipionelmezzo enel fiue- la natura senza la sovrannatura è
in contraddizione seco stessa- la dottrina del nostro autore toglie
l'opposizione tra il naturalismo e il sovrannaturalismoesagerati-
ilsovrannaturaledell'ordineattuale è la metessi anticipata nel seno della
mimesi -nel sovrannaturale e nelsovrintelligibilev'haunelementonaturaleeintelligibile~-due
spe ciedisovrannaturale— differenzatrailsovrannaturaleel'oltrena
turale--ideadellareligione- religioneperfettaèlarivelata— ari velazione è
l'apice della cognizione- necessaria ad accordare la ri flessionecoll'intuito
duerivelazioni- larivelazioneimmanenteè virtuale— la potenza primitiva delle
due rivelazioni è l'intuito- la rivelazione sovrannaturale spiega le potenze
dell'intuito rimase in fecondepermancodiparolaacconcia-
larivelazioneesterioredi vieneinteriore- treconseguenzcimportanti-
intentodelGioberti- nel suo sistema la ragione e la fede entrano l'una
nell'altra – l'idea d e l
l'infinitoèilvincolotrailsovrintelligibileel'intelligibile- essenzadel
mistero:misteriteologici,antropologici,e teoantropologici- imi
steririvelatinonsonoeffetto,ma principiodiragione-esempidella
feconditàrazionaledeimisteririvelati- ilmisteropertieneallara gione e la supera
ad un tempo — tre membri della formola, tre es
senze,tremisteri-veradottrinadelGioberti- nellavitaterrenail sovrintelligibile
non diventa mai intelligibile- il vero sovrintelligi bilenoniscema-
delmiracolo:sesipensa,èpossibile-checosa èilmiracolo-
ogniprodigioimportaunfattoobbiettivoeunfatto
subbiettivo--ilmiracoloeladisposizioneeattitudineacrederlo si corrispondononell'unitàmetessica-
ilfattomiracolosononènelco smo,ma nellapalingenesia- imiracolidecrescono—
lanatura(mi mesi ) e mito e simbolo del sovrannaturale (metessi, palingenesia)
il cristianesimo importa un nuovo atto creativo, ciò come avviene ? - perchè si
tralasciano di esporre partitamente i dogmi religiosi attinenze della
rivelazione colla scienza,e della religione colla filo sofia 371-399
CAPITOLO NONO CONCLUSIONE DELL'OPERA Perchè mi son risoluto a tessere
questa conclusione-- il lettore non ri - 512 cordando più le cose lette
negli altri volumi non avrebbe potuto giudi care quest'ultimo - m'è piaciuto
altresi di dare uno sguardo su tutto ciòdamepensatoescritto—
occasionedell'opera- caratteredela maggiorpartedegliegeliani—come
èdeltatoillibrodelprof.Spa ventasullafilosofiadiGioberti- lemieConsiderazioni—
suiaspra menteripreso- soliloquio- neiprimivolumimostraiunpo'diri sentimento -
l'esposizione della seconda parte si fa con modi dice voliallascienza-
checosamihafattoperseverarelungamentein questa opera , perchè l'idea di essa
non si era prima incarnata l'Italia al la stregua della filosofia dominante
oltrealpi - perchè era nomala terra dei morti— lotta interiore del pensiero di
Gioberti ragione del suo tardi stampare— la lotta cessa nel 1835 : creazione
d'unanuovadottrina--lacuipellegrinitàstanelnessodellareligione collafilosofia
-perquattroannisecostessoesaminalabontàeve rità del nuovo sistema - tre stadi
del suo processo intellettuale- le
nazionicoesistonoinsiemecsigiovanoscambievolmente- lanuova
vitad'Italianecessariaalprogressoumano- ciòchehannocompiuto nel mondo i
Francesi e i Tedeschi — difetto della civiltà da essi pro dotta—
scopodellarinascenzaitalica— caratteredellavitaitaliana dall'AlfieriaGioberti
nelqualeciòcheeravirtualeeastratto divieneconcretoeeffettivo—
chiudeunepocaenecominciaun'al tra - medesimezza dell'idea individuale che
costituisce l'eccellenza di Gioberti coll'idea sostanziale che costituisce
ilgenio nuovo na zionale - rifà in sè tutto il processo anteriore dello spirito
u m a n o quando acquistò il suo spirito intera coscienza di se medesimo - sti
mò che iconcetti natigli in mente erano stati indirizzali ad un alto
linedallaProvvidenza– siapparecchiaadeseguireildisegnodivi no- moto
dall'individuo alla nazione e alla specie- come nel divul gare la sua dottrina
e farla fruttare si mostrasse tradizionale e n o vatore ad un tempo
--procedette per l'antagonismo degli estremi per 1 l 513 meglio far
spiccare l'armonia del mezzo—dissimulò una parte del suo pensiero -- la
filosofia la religione e la nazionalità italica sono unite e connesse
subbiettivamente e obbiettivamente mosse dal l'idea al fatto, dai
principi al metodo di esposizione -carattere delle
opereessotericheedelleacroamatiche- Giobertipossedevauna dottrina ben divisata e
armonica , di cui avea piena consapevolezza – ciòsinegadaicritici-
sidiscutelalorosentenza -sigiungeaduna conclusionc lutta opposto alla loro con
solo l'esame dei fat ti -- si cerca allrcsi la dottrina intrinsecamente e
logicamente e si ha lo stessorisultamento, perchéquasituttiicriticihanfranteso
trinadiGioberti- ilmedesimo ladot è accaduto al Prof. Spaventa - qua
l'èilconcellonuovoch'ioneporgo- essoèstatoignotofin'ora; nelle scuole d'Italia
s'è insegnato solo la parte essoterica- di questa ècontrappostol'Hegelianismo-
venutoiltempochesistudiaecol liva la parte acroamatica che contenendo la
sintesi ed armonia di questoediquella,delpresenteedelpassato apre la via alla
spe culazioneavvenire- nellacontroversiaintornoaGiobertibisogna
separarelatesistorica,dallafilosofica— caratterichedistinguono, la dottrina di
Gioberti da quella di Hegel , e il moto civile d'Italia daquellodiGermania-
solol'Italiahaoggiunaveramissionestori ca,ilcuidelineamento
trovasidegliscrittideltorinese—riscontri tra le parti in cui fu divisa la
dottrina c i vari periodi del rinnova - mentonazionale–
comel'egemoniapiemontesehaprodottoisuoi frutti, così li produrrà il Primato –
il primato è tutt'uno colla riu novazione del pensiero italiano- ogni nazione
ha da natura un sito intellettivo- - che dee cavare dal suo l'Italia- oggello
della scienza sulural'idealitàinfinita– riformareligiosacnuovavitadelcattoli
cismo - senza una filosofia e leologia infinitesimale ogni ristorazione
religiosaèindarno-provailrecentemotodiGermania- ilDöllin ger non ha ragione di
biasimare gli italiani- i vecchi cattolici sono oppostosofisticodeiGesuiti–
quindicontinuanolasofisticareli giosa che travaglia la nostra età-diseltano
d'una teologia veramente nuova e proporzionata al bisogno- mentre coi loro
ciechi colpi con tro il papismo gesuitico ne han mostrato più che mai la
necessità— senza di quella non si può distinguere l'essenziale dall'accessorio
nella religione, nè accordare ildivino coll'umano-carattere della 63
nuovateologia- modocomedeeprocederelariformacattolica- l'entratura di
essa appartiene al laicato,e in ispezieltà all'italiano così lagerarchia non
sarà annientata,nè scossa,ma condotta a ri formarsidasè—
ilmoloitalicoristabiliràperfezionatal'unitàmora le e civile d'Europa – esso
perciò è indirizzato ad una meta più alta diquellaacuiègiuntalaGermania—
iforestierimalintendonoe mal giudicano l'Italia ; in parte ne han colpa i
fautori della coltura tedesca
-ragionedell'imitazionetedescatranoi--devecessareedar luogo alla produzione
paesana nell'ordine dei pensieri ,dei senti menti e delle azioni.La teorica
della conoscenza nel Gioberti . Esposizione e critica.
In uno degli ultimi scritti, — certo V ultimo scritto filosofico, —
pubblicato pochi mesi prima di chiudere la sua lunga e intensa operosità,
Antonio Rosmini, discorrendo della necessità speculativa di tener
distinta nell' essere la forma ideale dalla reale, usciva in queste
solenni parole: ' L'esperienza tuttavia e la storia della fi- losofìa
dimostrano, che e' è una somma diMcoltà a distinguere e mantenere
costantenftnte distinta nella mente la forma ideale ed obbiettiva
dell'essere, dalla forma reale, e me ne somministrò non ha guati la prova
quel facondo e immaginoso scrittore che diede a me biasimo e mala voce
d'aver proposta e stabilita una tale distinzione, dettando tre volumi col
titolo de' miei errori. Laonde con tutto lo zelo e la fidanza egli si
pose di contro a me, quasi abbarrandomi il passo, e si dichiarò perfetto
realista: incolpando gli stessi scolastici realisti, di non essere stati
tali abbastanza, ec- cetto alcuni pochi. Ma pace a quell'anima ardente: e
torniamo alla storia *) ,. Si sa che gli avvenimenti politici
del quarant' otto avevano rav- vicinato i due grandi avversar], smorzato
perfin le ire implacate e sospettose del torinese, che faceva pubblica
ammenda della vivacità frequente delle sue polemiche, dichiarando che,
appena conosciuto di persona il Rosmini, aveva cominciato anche lui
" a venerare ') RoiKiNi, Ariat. esposto ed esaminato,
Torino, 1857, pre&z. p. 36. La prefazione di quest'opera postuma era
Btnta pubblicata dal Bosmìnì Hteeao nella Riviìta contemporanea di
Torino, au, ir, voi. II, fase. 17» e 18', decembre 1854 egenoaio 1855;
riprodotta poi nella Poliantea Caffo^ca di Hilauo, an. IV, 1855.
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con tutta Italia tanta sapienza e tanta virtù , ^). — Quanto al Ko-
smini, benché l' animo suo non si fosse mai inasprito, i fatti del ' 48
lo conciliarono di più col Gioberti, e non è questo il luogo dì ricordare
le belle prove da lui date de' suoi sentimenti verso il filosofo esule
per la seconda volta '), e poi quando fa morto, e quando prima, nel ' 49,
ebbe a G-aeta a difenderne calorosamente la fama a l' ing^no contro le insinuazioni
e le malignazioni d' un gran gesuita ^). Ebbene, tutto ciò e
il tempo corso in mezzo e il cammino in- tanto fatto nella scienza, non
lo rimossero fino al termine, come s' è visto dall' ultimo suo scritto
dianzi citato, dalla posizione già tenuta di contro al Gioberti. E
questi, dal canto suo, ìn quel di- scorso che premise alla seconda
edizione della sua Teorica del sovrannaturale, e che si può considerare
come Y ultima sua scrit- tura di genere puramente filosofico, rimaneva
anche lui al suo posto, nonostante l' om^gio quivi reso alle virtù e alla
sapienza dell' av-_ versarlo; poiché scrìveva: *U Rosmini ed io siamo
d'accordo nel recare alla riflessione la possibilità dell'errore, e il
suo rimedio all'intuito che la precede. Ma dissentiamo intorno al contenuto
di tale intuito ; il quale al parere dell' illustre Roveretano, non ci
poi^e che un ente astratto, iniziale, destituito di sussistenza ;
laddove, al ')■ Discorso preliminare tìiU 2' Bàìz.ifiìla
Teorica del sovran7iaturide(i850] I, ^ n. Vedi pure ciò ohe, quasi nel
tempo atesBo, ne scriveva nobìlmeate nel Rinnovamento àvUs, lib. I, cap.
XIII; ediz. Napoli, Morano, 1864, 1, 285 e aegg. !) Vedi quel che
HCTisae Q. Uassuii, nella bua Bitiista pdiHca del 15 luglio 1855 nel
Cimento di Torino (voi. VL B. 3", p. 86) commemoiando il Ro- smini.
Sono due pagine dimenticate, e che hanno tuttavia molta importansa per le
opinioni politiche e per la biografia del Rosmini; T. pure Tommaseo, A.
Ro- smini, (in Rimala Contemporanea dal 1855, voi. IV) §. 28,
') H Liberatore. — Chi fu presente al colloquio e ne scriveva poi a
Baff. De Ceaare.attesta che le parole «eloquenti dette dalBosmini in
quella occasione lìaHciiono il più autorevole e più meraviglioso elogio
del Gtiobeiti >. Tedi Db CssAaB, Dopo la wndanna del S. Uffi,ziOt in
N. Antologìa, 16 luglio 1888, p. 205. .dbyGoosle
348 G. Gentile mio, ci dà un concreto effettivo, che
nel primo de' suoi termini è assoluto e apodittico. Or qual'è il miglior
fondamento del vero? ^ l'astratto o il concreto? T insusaistente o
il reale? l'incoato o l'as- l soluto?, '). I due
filosofi, adunque, compiono la loro carriera filosofica con opposta
sentenza intomo al principio della loro dottrina, nonostante la polemica
vigorosa per dottrina e dialettica che s' era in propo- sito dibattuta;
talché si direbbe che essa non abbia avuta nessuna efficacia sulle
dottrine de' due filosofi. Questo però è appunto quello che ci rimane
ancor da vedere. f~^ Come il Rosmini abbia introdotto V. Gioberti
nel campo della ' moderna filosofia, cioè della filosofia kantiana,
l'abhiam veduto e dimostrato nel terzo capitolo della prima parte del
presente studio; coachiudendo, che già nella Teorica del sovrannaturale
egli ci ap- parisce sì un rosminiano, ma un rosminiano il quale vuole
andare avanti al Rosmini. Neil' opera che seguì immediatamente
dopo, V Introduzione aUo studio della Filosofia, si delinea ben
nettamente la nuova posizione speculativa del Gioberti ; e si vede quali
essen- ziali modificazioni, secondo lui, debbono subire le dottrine del
filo- sofo roveretano. Ma prima di studiare cotali
modificazioni, vediamo come si muove in questa nuova opera il pensiero
dell'autore. / La concezione della storia filosofica qui è l'es^erazloae
di quella donde sì rifa nel Nuovo Saggio il Rosmini; ma certamente è
mo- dellata sovra di essa. Pel Rosmini, come s'è notato, v'ha
sistemi che peccano per eccesso e sistemi che peccano per difetto di
apriori nella spiegazione del fatto del conoscere : da una parte falsi
idea- *) Op. cit, I, 2K. Cfr. Errori filoaqfiei di A.
Bosmini, II, 126-134. — L'ultima parola venunente à nel Rmnovat>ieato
civile, dove al lib. n, oap. 7*, (voi. II, pag. 191), è detto ancora uoa
volta « Cosi, per cagion d'esempio, il divorzio introdotto da un chiaro
nostro psicologo tra il reale e l'ideale, non si puA comporre stando nei
termini della psicologia sola; e se si muove da questo dato pei salir più
alto, si riesce di necessità al panteismo dell'Hegel e de' suoi seguaci
>. DigitizcdbyGOOgle Jtosmitii e
Gioberti 249 iiami, e dall'altra falsi empirismi. Ma
nell'idealismo, oltre l'errore di ammettere più elementi a priori che non
ne siano richiesti a quella spiegazione (Platone, Aristotele, Leibniz)
può esservi un più grave difetto : quello di far soggettivo, come avviene
in Kant, Va priori ricercato in seno alla conoscenza, la quale, se vuol
essere vera e certa, dev'essere invece oggettiva. Onde pel Rosmini Ì
sistemi sbagliati si riducono al postutto al sensismo o all'idealismo
sog- gettivo, cfae è una specie di scetticismo mascherato ; dacché il
pla- tonismo, a parte l'eccesso dell' a priori che va corretto, trova
grazia appo lui per l'assoluta separazione posta fra cotesto a priori e
il soggetto umano che conosce. E contro il sensismo e l' idealismo
soggettivo e si può dire (poiché pel Rosmini il senso era la fa- coltà
soggettiva per eccellenza) in genere, contro il soggettivismo ei si
proponeva di scendere in campo col Numo Saggio. Contro questo
soggettivismo insorge parimenti la filoso&a del Gioberti; il quale
raddoppiando d'ardore per le dottrine platoniche riconosciute pure in
fondo al contenuto filosofico delle dottrine cristiane, tutti gli opposti
sistemi involge in una comune condanna con quel sensismo, che ormai,
quando usciva il suo libro, era già morto e sepolto cosi in Italia come
in Francia; talché dimostrare sensistica una teorica, era lo stesso che
averla giudicata senza appello. E sensistica, a parere del
Gioberti, è tutta la filosofia moderna in Europa; a cominciare da Renato
Cartesio; il quale, del resto, non fece se non applicare alla filosofia
il metodo che aveva già fatto ben trista prova con Lutero, nella
Protesta, proclamando la j intimità autonoma della fede religiosa. .
-J Cartesio sensista? " Parrà strano, scrive il Gioberti, a
dire che il sensismo sia conforme ai principii cartesiani, e che il
Locke, il Condillac, il Diderot, con tutta la loro numerosa ed infelice
pro- genie, siano figliuoli legittimi del Descartes; quando questi
pre- tese nlle sue dottrine un teismo purissimo al sembiante, e
volle stabilire sopra uua salda base la spiritualità degli animi
umani. Ma il teismo del Descartes é puerilmente paralogistico. Il suo
dubbio .dbyGoosle 250 Q. OmHk
metodico e assoluto, e il riporre eh' egli fa nel fatto del senso
in- timo la base di tutto lo scibile, conducono necessariamente
alla negazione di ogni realtà materiale e sensibile , *). E che altro
è il sensismo? ' Spogliato dalle contraddizioni de' suoi partigiani,
e ridotto al suo vero essere dalla logica severa di Davide Hume,
riuscendo a un giuoco aubbiettivo dello spirito, che, rimossa ogni
realtà, è costretto s trastullarsi colle apparenze, è propriamente
scettico e si manifesta come l' ultimo esito di ogni dottrina, che
_, metta nel sentimeuto dell'animo proprio i princlpii del sapere .
*). 1 II Descartes, adunque, è uu sensista, e a lui si deve tutta
la serie di errori di cui è iutessuta la storia della filosofia
moderna ; egli è l'iniziatore, purtroppo, fortunato del moderno sensismo
psi- cologico, poiché pone come principio della filosofia un fatto,
che come tale non può essere se non un sensibile ^). Insomma
il Locke e il Gondillac sono cartesiani. " Né rileva che i
successori di Locke facciano caso della sensazione sola, e non del
sentimento interiore, imperocché questo e quello convengono nell'essere
forme sensitive, destituite di obbiettività assoluta , *). \ Il
Gioberti, insomma, intendeva parlare di soggettivismo, e di- COTa
sensismo, che è pure una direzione speculativa molto diversa. La colpa
bensì non è propriamente sua, perchè risale al Galluppi ; il quale nella
sua teoria della sensazione (che qui il Gioberti ripete) aveva con essa
confusa la percezione o rappresentazione e la coscienza, introducendo nel
seno stesso di quella le distinzioni che sorgono ')
Introdwi., lìb. 1, c&p. l" (ediE. di Firenze, Poligrafia italiana,
1846) I, m. ») Ibid., p. m-12. 3) «... E
certameiite la seoteiiEa ; io penso, dunqm sono, equivale a questa: io
sento di oaeere pensante ... e più concisamente : io sento, dunque sono . .
. n pensiero conosciuto per via della liflesaione, ò un meco fatto della
coscienia, cbe appartiene al senso interiore; onde il Cartesianismo che
muove da quella, colloca in un fenomeno della facoltà sensitiva la base
della scienza >. Tntrod., lib. I, oap. 3" (n, T7 e segg.).
*) Op. àt., n, 78. n DiBiiizMb,
Google Rosmini e Qioberti 2&1 invece per
cotesti fatti ulteriori della psiche '). Del resto, il Gio- berti risente
presto l' iDcooTeuiente che deriva dal fare un sensista delio stesso
Cartesio, pel quale il fatto della coscienza, invece che un sensibile
(donde, secondo il Gioberti, stesso non può derivarsi mai l'essere) era
una cosa stessa con l'essere, e quindi noD un semplice principio
psicologico '), ma una inscindibile unità del prin- cipio psicologico e
dell' ontol<^Ìco, che se fosse stata fecondata, avrebbe già fatto
procedere di molto la filosofia moderna. Infatti, quando ai accinge a
classificare tutte le scuole filosofiche figliate dal sensismo
cartesiano, comprendendo nella seconda categoria i se- guaci del
lochiamo, egli è costretto a porre &a i caratteri di questo * il
ripudio della ontologia cartesiana, come ripugnante ai principii e al
metodo del Descartes, e troppo simile all'antica, dichiarata dal francese
filosofo insuMciente e buttata fra le ciarpe ; e l'ommis- sione e lo
sfratto implicito e tacito di ogni ontologia , '). E già da questa
medesima classificazione de' sistemi resulta cbiaro che il nemico preso
di mira è precisamente quello stesso del Rosmini: cioè il soggettivismo,
il falso so^ettìvismo, che ri- pete le sue origini da Cartesio, anzi {ed
ecco l'intreccio significan- tissimo della filosofia eterodossa con la
falsa filosofia!) da Lutero. Nelle cinque categorie, in cui dovrebbesi,
secondo il Gioberti, par- tire tutta la storia della filosofia moderna,
così vengono distribuiti i vai^ indirizzi: nella 1" Cartesio e la
sua scuola: nella 2' Locke; nella 3' Spinoza, i panteisti tedeschi e in
parte Giorgio Berheley^; ') Eppure il Gioberti stesao aveva
combattuta questa teorica galluppiaaa, nella n. 3* della Teorica (II, 319
e segg.) imputando al filosofo di Tropea < di Bveie considerato come
semplice e indivisibile ciù che è ancora composto, Bocomunando per tal
modo elsmenti svariatisaimi con una sola voce >. *) < Il
paicologiamo ed il BcnHÌaino sono identici : l' uno è il Henstsma ap-
plicato al metodo, l'altro è il psicologismo adattato ai principii »- —
Introd., I. 30 (il, 83 e eegg.)- Gtt- p. 83 e segg. e 3^ e segg. Ha <
Cartesio è sen- sista nei principii e nel metodo * p. 83. 3)
Op. cit., voi. Sf p. 85. .dbyGoosle 252
a. Gentile nella i* Kant e i sensisti francesi dal Condillac in poi
*) ; ' infine nell'ultima classe si debbono collocare gli scettici
assoluti, che giunsero al dubbio universale, mediante i principii del
sensismo, aiutati da una logica s^^ce ed inesorabile; ... il cui principe
è Davide Hume , *). CapOTolgimenti, come si vede, ce n'è piti
d' uno; e come va che il Gioberti confonde il fenomenismo del Berkeley
con l'idealismo assoluto di Fichte, dì Schelling e di Hegel, e
l'idealismo trascenden- tale di Kant col sensismo di CondillacPEcco:
secondo lui, " l'asso- luto dei filosofi tedeschi non è l'idea
schietta, ma bensì l'idea mista di elementi sensitivi, e per dir meglio
un concetto, un astratto, un fantasma, frammescolato di elementi ideali ,
(p. 85); insomma è un assoluto fantasticato dalla mente umana ; e cosi il
Kant con- verrebbe coi sensisti ' nel dare alla cognizione la proprietà
del senso, facendone una facoltà aubbiettiva, e quindi considerando
il vero, come relativo , (p, 86). — È chiaro che la causa della con-
fosione nel primo e nel secondo caso è la medesima; per Gioberti, r a
priori di Kant e de' suoi successori è falso perchè contraddit- torio: è
posto come a priori, perchè necessario ed universale; e intanto lo si fa
subbiettivo, e quindi particolare all'individuo che conosce, e come esso
contingente. Questa falsa maniera d' intendere il nuovo
soggettivismo, che cominciava con la teoria della sintesi a priori dal
negare definiti- vamente quello scetticismo, cui fin allora il
so^ettivismo era sempre stato come equivalente, — è un'eredità che il
Gioberti raccoglie dal Rosmini, e rivolge subito, come or ora vedremo,
contro di lui. E già si può dire, che l'avesse raccolta nella
Teorica del so- vrannaturale, quando, a proposito dell'eclettismo francese,
aveva ') E petcbè esclndecne ì materìaliati del aec. XVIII,
le cui open, come ricorda opportunamente il Imnge, precedettero i libri e
le dottrine del Con- dillao? ') Op. dt, p. 86.
.dbyGoosle Bosmim e Oioberti 253 parlato
dì un * razionalismo imperfetto , che consente col sensismo ' nel
so^ettivare interamente e parzialmente la conoscenza „ ^), e meglio
altrove, discorrendo dell' egoismo psicologicor cui avreb- bero
appartenuto Cartesio, Reid e Kant, e del quale * l'egoismo ontologico
metafisico di un celebre filosofo tedesco, che im sima r ente stesso
coll'esistenza individuale, sarebbe la nect conseguenza , *).
I! Gioberti, invero, come il Rosmini, non conosce altn gettìvismo
che il falso antropometrismo individualistico goreo, il soggettivismo,
che il Rosmini combatteva in Em. Pel soggettivismo, a parer del Oioberti,
tot capita, tot senti donde, secondo il principio di Lutero, tanti
cristianesimi cristàani, e ' tante filosofìe quanti sono i filosofanti,
se et Descartes, rinnovatore della verità subbiettiva, immaginata
di già e da Protagora , ^. Di guisa che è un errore, dice Ìl I^
paragonare la riforma cartesiana a quella socratica ; avendo 8 presentito
la teorica delle idee assolute, che venne poscia es] da Platone, e
dovendosi quindi interpetrare il suo vvia^i • quasi — contempla e studia
te stesso nella idea divina. In breve: la salvezza della scienza è
nel platonismo, nella razione dell'idea dal soggetto, nella oggettività
della conos E si deve anche far forza alla storia e in Socrate trovare
PI se in Socrate si vuol trovare un principio di sana filosofia,
menti del maestro di Platone non si fa che una ripetizione d tagora, come
sono Cartesio e Kant, — il famoso " sofista i nisberga , !
Questa falsa interpetrazione della storia, in gran parte
fondamentalmente rosminiana, non pone del resto, il Oioberti bene egli
sei creda, fuori del criticismo kantiano, come non ne escluso il Rosmini.
Ed è davvero curioso a vedere il gran ') NotaXH; n, 329.
*) Nota XVn i n. 338. ») Introd., I, 3»; H, 76.
.dbyGoosle 354 Q. Gentik glìere invano che
tutti i filosofi italiani della prima metà del secolo fanno tra loro,
accusandosi TicendeTolmente di kantismo e di so^ettivismo, intanto che
ognun d'essi, senza accoi^erseae, vi rimane impigliato. Galluppì accusa
Rosmini; Testa, Galluppi e Rosmini; De Grazia, Galluppi e Rosmini
egualmente; Gioberti e Mamiani, Rosmini; e questi, il Gioberti. — Così,
il Rosmini era persuaso che tutta la sua attività filosofica fosse una
guerra con- tinua contro il sensismo e il soggettivismo. Ebbene, vien
fuori Ìl Gioberti a proclamare che ancora il sensismo è la dottrina
filo- sofica predominante in Europa; dacché non tutti i razionalisti
si potesser dire immuni dal comun vizio, avendosi a distinguere uu
razionalismo ontologico e un razionalismo psicologico; ìl secondo de'
quali separa bensì, come non fa il sensismo, l' intelligenza dal senso,
ma a quella non dà altro fondamento che il soggetto, lo stesso
fondamento, in fine, del senso, senza perciò poter conferire alla
cognizione veruna certezza oggettiva. E in questo razionalismo
psicologico o psicologismo, che vogliasi dire, con Kant e Reid e Stewart,
va, secondo il Gioberti, annoverato anche il Rosmini, non correndo alcun
mezzo possibile Ira Io psicologismo e l'ontologi- smo, che anche lui, il
roveretano, rifiuta; sebbene né il filosofo italiano né i due Scozzesi
possano propriamente rientrare nel quadro della quÌntnplÌG«
classificazione del sensismo cartesiano, ossia della moderna
filosofia. '"~ Oi certo il falso criterio onde il Rosmini aveva
delineato una storia della filosofia, passato al Gioberti, era agevole
rivolgerlo contro lo stesso Rosmini. Sennonché, quel che importa rilevare
è l'esigenza che l'uno e l'altro afiFermavano, ribellandosi a quel
cotale soggettivismo, in cerca di uno stabile e certo oggettivismo. Il
Rosmini, come s' è veduto, vuole introdurre nella cognizione un elemento
necessario ed universale, che sia veramente tale, e dì cui ammette un
intuito costitutivo dell'intelletto, un intuito che, secondo una critica
n^ionevole, devesì interpetrare come una sem- plice aflfermazìone della
universalità e necessità (trascendenza, e quindi — pare — opposizione
all'individuo contingente) AeWa^Hori Digitizcdby
Google Rosmini e Gioberti 255 della cognìzioDe.
E il Gioberti prende la stessa posizione di contro all'empirismo, pur
senza ripetere una critica che era stata fatta, ma accettandone benal il
resultato. ' Oggi si tiene per certo, egli scrive nell'
Introduzione, che il Toler derivare con Locke i concetti razionali dalla
sensazione e dalla riflessione, ovvero col Condillac e co' suoi seguaci,
dalla sen- sazione sola, è un assunto d'impossibile riuscimento; e che,
sì come il necessario non può nascere dal contingente, né l' oggetto'
dal soggetto (ecco l'unica concezione rosminiana d'oc/petto e
soggetto: oggetto = necessario: soggetto = contìngente), così i sensibili
od este- riori non possono partorire l'intelligibile , •). — Pel Gioberti
la questione stessa dell'origine dell' intelligibile, di cotesta idea,
in- volge una repugnanza; giacché, essendo essa oggetto immediato
ed eterno, come necessario ed universale della cognizione, non ha nn
principio né una genesi. Potevasi senza dubbio osservare al- l' autore,
che appunto la definizione stessa che egli dà della idea, inchìnde il
teorema, che gli avversarj volevan dimostrato. Comunque ciò sìa,
egli ammette bensì un' altra questione, che è la vera questione della
ideologia rosminiana ; la quale è volta a indiare " se derivando la
cognizione dell'Idea da una facoltà spe- ciale, che dicesi mente o
intelletto o ragione, ella è acquisita od in- genita; cioè, se l'uomo può
su^atere, eziandio pure un piccolissimo spazio di tempo, come spirito
pensante, ed esercitare la facoltà cogi- tativa, senz'avere l'Idea
presente; e quindi ne va in cerca e se la procaccia; ovvero, se ella gli
apparisce simultaneamente col primo esercizio della mente, tantoché il
menomo atto pensatìvo e l'Idea siano inseparabili , *). E tal quistione,
che brevemente si può espri- mere, se l'Idea sia o no innata (nel senso
kantiano di forma si- multanea alla esperienza) ei la risolve
affermativamente, come il Rosmini, dichiarando che a suo avviso ( * per
rispetto nostro , ) non si può assegnare altra origine all'Idea, che
l'origine medesima dell' esercizio intellettivo.
«)Iiib. I, oap. 3»j n, 6. *) le .dbyGoosle
■m 266 O. Gentile Questa
apparizione dell'Idea simultanea al primo esercizio della mente
corrisponde per l'appunto a quello che il Rosmini avrebbe detto
propriamente nozione ■■) dell'idea dell'essere. Anche pel Gio- berti
cotesta nozione è la stessa intelligibilità, la evidenza stessa; anche
per lui " non arguisce nulla di subbiettivo, oè risulta dalla
struttura dello spirito umano, secondo i canoni della filosofia cri- tica
, *) ; anche per lui è " l' ometto della cognizione razionale in se
stesso, aggiuntovi però una relazione al nostro conoscimento , *).
L' intuito di cotesta idea è dal Gioberti stabilito con breve di-
samina del procedimento del conoscere, e benché egli non se ne rimetta al
Rosmini, è chiaro che psicologicamente la lacuna, che egli stesso poi
riconobbe in questa parte della sua teorica, devesi alla grande efficacia
esercitata sulla sua mente dallo studio di Ro- smini ; talché, scrivendo
quasi di getto, come fece, l' Introduzione, non avrà pensato che ci
volesse molta discussione a solidare già muorevasi la
mente iegazione del conoscere. nella esposizione,
del Ione fece il Massari nel un'ipotesi, la
quale, per l' indirizzo per cui ^ sua, era assolutamente necessaria alla
spie Si accorse di poi del mancamento ; e lo v resto tanto
piaciutali, che AeW Introdtizio Progresso di I^apoli, quando già l'
intrapresa polemica col Rosmini cominciava a fargli guardare più
attentamente ogni parte della costruzione filosofica, cui aveva posto
mano. B al Massari, ai 17 giugno del 42, scriveva: "Ho riletto quel
poco che ho detto del- l'intuito iLviW Introduzione e l'ho trovato ancor
più scarso che non credevo; tanto che la critica che vi ho fatta di non
esservi steso davvantaggio e con nu^giore precisione su questo punto
manca affatto di fondamento , *) ; e a' 20 lugho tornava a scrivergli : *
Non ') < Nozione io chiamo un'idea considerata sotto
questa relazione, in quanto doè ella mi serve, a rendermi note le cose
>; Bosuini, Prindpj di acietua mo- rale, in Optre, ed. Bstelli, TX, 2
n. ») Inirod., I. 3"; II, 8. ') Ibid., p. 5.
*) Cart, n, 375. Il MAasÀBi aveva fatto una analisi dell' Introduzione (
la 1* ohe ne faue fatta in Italia) in tie puntate del Frogreeso del
i841. Digitizcdby Google Bosmmi e
Gioberti 257 è come vi ho detto che uDa iBcuoa, proreniente dal mio
testo del- l' Introduzione; ODde può parere che l'intuito sia una facoltà
mi- steriosa conforme all'inspirazione dei mistici; laddove no la
cognizioae umana e ordinaria, spogliata però del repli riflessivo. L'ho
definito, credo, nel libro degli i/rrori , '). - questa definizione
dell'intuito corrisponde evidentemente i trina già esposta del Rosmini,
che l'intuito dell'idea si rit un lavorio riflessivo sulla cognizione
ordinaria, mediante cesso d' astrazione. Nel Gioberti non s'
incontra una teoria compiuta del f noscitivo, come si trova nel Bosmini.
Ma qualche accennc qua e là, basta a dimostrarci che, sebbene l'autore
sia de che la psicologia, per dirla con la parola sua, non debb
fondamento né propedeutica alla ontologìa, della quale egli trattare
specialmente, tuttavia l' ideologia rosminiana giace alla sua dottrina.
Egli ammette un' ' attività intima e s< sima, che rampolla dall'unità
sostanziale deWanimo, e con primo raggia intorno a sé le molteplici
potenze, donde na varie modificazioni di esso animo , *); ripetizione,
anzi de d'un punto del rosminianismo, da noi già messo in rilii
L'intelletto, la facoltà dell'intuito secondo il Rosmini, presso il
Gioberti una " energia contemplativa „ che venir meno, ossia non può
cessar d' intuire il suo termine, se durre,in grazia di quell'unità
sostanziale dello spirito, la ce simultanea dell'esercizio deliamente^);
come nel Rosmii •) Cart, n, 381 e aegg.
^Infrod., I, 2° (1, 135). Animo dice il Gioberti; per castigatezz
tuna di lingua, lovece di anima, spirito. ') < Tutte le potenze
dell' aaimo amano esseDdo collegate inBieme dosi a vicenda, è
inverosimile il aupporre che l'energia contemplat ▼eoir meno, «enza che
le altre facoltà a proporzione se ne riaentan cap. 5° (1, 138). Altrove
dice che t l'intelletto è ti mezzo, con cui I prende la manifestazione
naturale del verbo ■; 1, 2° (1, 196). Ma egli no a questo propoailo, una
terminologia costante. .dbyGoosle 258 G.
Gentile dell'intelletto vedemmo esser necessario non solo alla
costituzione dell'intelletto, ma anche, per l'unità del soggetto, a tutta
la fun- zione del conoscere. Né pel Gioberti l' intuito ha un
valore diverso da quello indi- cato nella teoria del filosofo roveretano;
come sarà agevole accor- gersene esaminando con la brevità necessaria la
teoria giobertìana della riflessione. L'iatuito rosminiano
vedemmo essere non vera e propria cogni- rjone, ma condizione di ogni
conoscenza, e però un vero a priori kantiano, una pura forma dell' intelletto,
che come tale distruggeva l'antica concezione di oggetto opposto e
separato dal soggetto, — avendo dimostrato che il nuovo oggetto non
esisteva per sé, fuor della sintesi, essenzialmente soggettiva, co' dati
offerti dal senso ed elaborati nel soggetto. E il Gioberti scrive: 'Egli
è vero che l'in- tuito diretto della mente non basta a fare la scienza,
ma ci vuol di pili quella ridessione che ho denominata ontologica
dall'obbietto in cui ella si adopera. La quale arreca nel suo oggetto
quella di- stinzione, chiarezza e delineazione mentale, che senza
alterarne r intima natura, lo fanno scendere, per così dire, dalla sua
altezza inaccessibile, e accomodarsi all'umana apprensiva... Se
l'intuito fosse solo, l'uomo assorbito dall'idea non potrebbe conoscerla,
perchè ogni conoscenza importa la compenetrazione del proprio intuito, e
la coscienza di noi medesimi , ; vale a dire la coscienza dell'intuito e
la coscienza del soggetto, che in fondo sono una me- desima coscienza;
dacché, anche pel Gioberti, l'intuito è costitutivo del soggetto, e non
v'ha soggetto senza l'intuizione immanente dell'Idea. Sicché l' intuito
giobertiano neanch'esso fornisce una ef- fettiva conoscenza, ne è bensì
anch'esso la pura condizione, la pura forma a priori, la quale ha
bisogno, come qui dice l' autore, della riflessione *).
Orbene, che è questa riflessione, e qual'è l'ufficio suo? Essa
*) «La riflesBione pertanto dee accompagnue l'intuito primitivo
>; I, 30, (H 107). DigiiizMb, Google
'l, Bosmim e Gioberti 259 è come un
intuito secODdario, cioè un replicamento cosciente del- l'atto
coatemplativo della Idea; ma, appuoto perchè cosciente, non è più puro
intuito, non è più condizione, ma atto di coscienza: essa è già
coscienza. — La riflessione importa quindi una determinazione soggettiva
e però una modificazione pur soggettiva; poiché l'intuito è vago e
indeterminato, mentre ogni atto di conoscenza è essen- zialmente
determinazione ed unità; elementi che all'intuito non possono essere aggiunti
dall'oggetto suo, che non ha in sé né de- terminazione, . né principio
veruno di determinazione. ' Nel primo intuito la cognizione è vaga,
indeterminata, confusa, si disperge, si sparpaglia in varie parti, senza
che lo spirito possa fermarla, appropriarsela veramente, e averne
distinta coscienza... L'intuito secondario, cioè la rimessione,
chiarifica l'Idea, determinandola; e la determina, unificandola, cioè
comunicandole quella unità finita, che è propria, non già di essa Idea,
ma dello spirito creato , *). La riflessione, adunque, si deve
considerare come una funzione determinatrìce dell'intuito, o vogliam dire
dell'» priori; funzione fondata sull' unità del soggetto, di
quell'attività intima e sempli- cissima, che dianzi rilevammo. — Ma in
che modo avviene la de- terminazione? " Ciò succede, mediante
l'uniOne mirabile dell'Idea colla parola. La parola ferma e circoscrive
l'Idea , ^); unione mira- bile e ' misteriosa ,, donde s'inizia la
conoscenza, come lo era quella percezione intellettiva, per la quale Rosmini
faceva sviluppare l'atto del conoscere; ma unione necessaria, unione,
come s'è visto, senza la quale non v'ha umana conoscenza^). E
alla percezione intellettiva l'atto prodotto per la riflessione si
riconnette anche per la natura della parola, che si sostituisce in esso
alla sensazione rosminiana. Il Gioberti infatti, definendo la
») Introd., I, 3°, (II, 11). «) Op. cit, l. e. 3)
iLa parola, easendo il priocipio determinativo dell'Idea à altreai una
condizione neoeBjacia della esistenza e della certezza rlfleasiva» I, 3°;
n, 12. >dby Google jm^-
2d0 0. Gentile parola, come ogni segno, per un
sensibile, osserva: * Se adunque ella BÌ richiede per ripensare l'Idea,
ne segue che il sensibile è neces- sario per poter riflettere e conoscere
distintamente l'intelligibile •). II cbe consuona con la doppia natura
dell'uomo composto di corpo e d'animo, e annulla quel falso
spiritualismo, che vorrebbe con- siderar gli organi e i sensi, come un
accessorio e un accidente della nostra natura „ . Sulle quali parole è
bene cbe meditino quanti sono che l'intuito giobertiano sogliono appaiare
con quello del Malebranche. Anche il Gioberti, come il Rosmini fa ricorso
al sen- sibile e Io ritiene necessario alla formazione dell'Idea; e il
senso anche lui fa costitutivo dell' oi^anismo unico dello spirito.
Sennonché, sulla natura di questo nuovo sensibile proposto dal
Gioberti solvono varie difficoltà, sulle quali non è pcasibile sor-
volare, volendo fornire una idea non troppo manchevole della sua teorica
della cognizione. Vedemmo altrove (part. I, cap. 3") come già
fin nelle Miscel- lanee, che sono sì prezioso documento della formazione
della mente del Gioberti, si accettasse e si lodasse la teoria bonaldiana
del lin- ' S^^SS^°- ^^^ 1"' nsll^ Introduzione è detto: ' Parecchi
scrittori mo- derni assai noti, fra' quali il Bonald merita un luogo
particolare, hanno avvertita la necessità del linguaggio per l'esercizio
del pen- siero , *}. Ed è senza dubbio dal Bonald eh' egli ha mutuato la
sua dottrina, che ha, pel modo come sorse, una grave ragione
storica. È noto che l' empirismo inglese e il sensismo francese sì
pro- ponevano di spiegare il linguaggio umano, come una invenzione
dell'uomo, Tommaso Reid per primo, (poiché le profonde intui- zioni del
Vico passarono inosservate), nelle sue Ricerche stdl' in- tendimento
(1763), dimostrò che il linguaggio nel suo più ampio ') Cfr.
Teor. Sovr-, II, 35 < Senaa la contezia di qualche aenaibile, le idee
non aorebbeia acceBsibili alla mente nostra*. Teoria che bÌ conferma e ai
de- fiaiace meglio nella Protoloffia, per la qaale cfr. i Inoghi dUti
dallo Spàtbhti., nella FUoa. di Oiob., p. 53 n. *j Introd.,
nota S' del voi. II, p. 213. Digitizcdby Google
Bosmini e Qioberti 261 significato è naturale prima che
artificiale. Definiva egli Ìl lin- guaggio, — definizione, ai badi,
espressamente citata e accolta dal nostro Gioberti, '■) — ' tutti i segni
onde gli uomini fanno uso per comunicarsi reciprocamente i loro pensieri,
le loro conoscenze, le loro intenzioni, i loro disegni e i loro desiderj
, *}. Pel Reid v' ba due specie di lingu^gio : un linguaggio naturale,
formato da quei vocaboli, che non hanno un significato convenzionale, ma
ne hanno uno che tutti intendono naturalmente e per istinto; e un
linguaggio artificiale, costituito dei vocaboli non aventi altra
significazione se non quella attribuita loro convenzionalmente dagli
uomini. Che vi sia un lii^uaggio naturale è innegabile: e l'attestala
sopravvi- venza stessa di esso al linguaggio artificiale: le modulazioni
della voce, ì gesti, i tratti del viso o la fisonomia, — mezzi tutti
onde l'uomo esprime naturalmente i pensieri, — sono per l'appunto le
tre classi alle quali riduce il Reid tutti gli elementi di cotesto
lin- guaggio. Ora è ovvio dedurre, siccome fa appunto il
filosofo scozzese, che il linguaggio artificiale presuppone ÌI naturale,
senza di cui gli uomini non avrebbero potuto intendersi per convenire nei
signi- ficati di quei vocaboli onde resulta Ìl loro linguaggio
artificiale. Di modo che se, come vuole l'empirismo, il linguaggio fosse
dovuto solver per un'invenzione umana, come la scrittura o la
stampa, tutte le nazioni, dice il Beid, sarebbero ancora mute, come i
bruti. Né meno stringente è la critica dal Bonald opposta alla
teo- rica del Gondillac ') nelle sue Eicerche filosofiche. Secondo il
Bonald il linguaggio ci è dato primitivamente con la prima
conoscenza; a causa della necessaria simultaneità della idea con la sua
espras- *) < Le parole sono i segni principkli, ma non i soli
Bagni, come sa oiaaouuo; tntti i sentimeati sodo veri segni deUe cose,
secondo la bella e profonda dottrina di Tommaso Eeid >; Introd., nota
l' al voi. II, p. 211. *) Rech. sur V entendemenf humain, trad.
Jouffro;, oliap. IV, sect. 2 in OtMvres (Paria 1828), H, 88.
') Combatte la teoria com'era stata formulata da) CoDdiUac; ma tiene
por conto delld OBservazioni di Hobbe» di Locke e di tutti i
Bensisti. Digitizcdby Google aione (espressione,
si noti, anche semplicemente * mentale « )■ S contro i sostenitori
dell'opposta sentenza, osserva che essi comin- ciano dal supporre, contro
ogni autorità ed ogni ragione, l'uomo in uno stato primitivo bruto e
insociale, e a tal grado di barbarie, da essere perfino privato della
facoltà di conoscere e comunicare i proprj pensieri, per attribuirgli
nello stesso stato i pensieri, i sen- timenti, le affezioni, le
intenzioni, i bisogni, Io spirito d' invenzione e d'industria dell'uomo
sociale e civilizzato , '). Lo critica del Bonald è in fondo
identica a quella del Reid. Si presuppone nell'uomo sfornito tuttavia del
linguaggio, cbe gli tocca inventare, qualità o attitudini necessarie
all'invenzione; le quali non possono non equivalere al possesso del
linguaggio che vien negato, comecché in una forma primordiale e
naturalmente rozza. E questa ingenua teoria del vecchio empirismo che
fon- dava la società io un contratto, la religione su un arbitrio
dì legislatori, e Ìl linguaggio in una invenzione convenzionale, è
stata anche in quest' ultimo campo, sconfitta dalla moderna scienza
della linguistica comparata; la quale se tra Max MuUer e il Witney
discorda intorno alia necessità delle relazioni che intercedono fra il
pensiero e la parola, ha però definitivamente e concordemente stabilito
che il linguaggio è un fatto speciale, primitivo e naturale dell'uomo,
non essendovi alcuna società, per quanto barbara e selvaggia, che non ne
sia fornita; del pari che la sociologia e la scienza delle religioni
comparate hanno provato l' originarietà, cioè l'apriorismo, del fatto
sociale e del religioso. Ed è appunto merito della scuola teologica
francese, come osserva giustamente il Janet ^), di aver dimostrato contro
i filo- sofi francesi del sec. XVTII la vanità delle teorie intorno
all'o- rigine fattizia e riflessa di tutti i fatti i più importanti
dell'uomo sociale. Al Bonald poi spetta particolarmente la lode per quel
che è del linguaf^io; e a lui specialmente volgeremo l'attenzione, giacché
') lUeherches phiioaophiquea, ohap. Il, in Oeuvres ( Paria 1858 )
p. 107. *) La ph&os. de LamtnnaU, p. 18.
Digitizcdby Google Bosmini e Oioberii 263
egli connette questa teorìa con quella della rivelazione neceasaria
per l'umana conoscenza, siccome fece tra noi il Oiobeiii. II
Bonald, con l' Histoire comparée del Degerando alla mano, rileva che la
filosofia non è riuscita peranco a fissare un punto fermo, un criterio
sicuro di certezza e di verità, anzi per tutti i sistemi è finita nello
scetticismo e nel soggettivismo; e si chiede quindi se non fosse
possibile " trovare nei fatti sociali un fonda- mento alle dottrine
filosofiche piìl solido di quello che s' è cercato fin qui nelle opinioni
personali , ') ; e questo fondamento gli pare appunto di trovarlo nel
linguaggio, che, dimostrato non potersi in- ventare dagli uomini, deve
(non essendovi, secondo lui, altra via) essere stato comunicato da Dio
alla società umana, e in questa appresa via via dagli individui.
Si direbbe che il criterio del Bonald riesce sottosopra a quello
altrove rilevato dal Lamennais; che questa parola, che possiamo accettare
come saldo fondamento di certezza, data da Dio all'umano consorzio, è
precisamente la rivelazione. Ma quel che v'ha di ori- ginale nel Bonald,
e prova che il Gioberti ne dipende io modo spe- ciale, è la teoria della
parola coma atto o strumento necessario del pensiero; vale a dire che,
dato che il linguaggio, tutto il linguaggio aia rivelazione divina, il pensiero
dì cui il Bonald dice che la parola è il corpo, è esso stesso tutto una
rivelazione, cioè ha tutto per se stesso un fondamento di certezza
obbiettiva o sovrumana, nel senso di universale. La quale è appunto la
teoria del Gioberti, che ammette bensì una conservazione, ma anche
una alterazione della forraola ( = contenuto della rivelazione, coni'
è contenuto dell' intuito) ; e fa che il pensiero che rimane, anche
al- teratasi la rivelazione, possa tuttavia cogliere il vero. Di
guisa che la rivelazione (l'elemento sensibile della conoscenza) non è
ac- cidentale ed esterno al pensiero, ma necesaario e quindi
costitutivo di esso ; sicché, essendo il pensiero un fatto, cotesto
elemento sen- sibile, ne dipende e gli è strettamente connesso.
*) BecA., p. 42.- .dbyGoosle 264 O.
Gentile Questa rivelazione, adunque, ha ud valore tutto speciale,
in quanto è qualcosa d' intrìnseco al pensiero stesso, tale perciò
che il ricorrervi non sia per quello un esautorarsi o uà apprendere
dal di fuori, ma bensì uno sviluppare se stesso; laddove, presso il
Ijameanais del Saggio suW Indifferenza, il pensiero infermo per se
medesimo e incapace d' attingere il vero, si dee abbandonare, quasi per
chiederle conforto, alla rivelazione esteriore. Pel Gioberti la rivelazione
va cercata nella vita stessa del pensiero, equivalendo alla parola, che è
tale a sua volta, che senza di essa, come aveva osservato il Bonald, il
pensiero non esisterebbe. Chi rigetta la rivelazione, viene a rigettare
secondo il Gioberti, la parola, ossia lo strumento necessario alla
cognizione riflessiva dell'Idea; epperò non può attinger questa, senza la
quale — lo vedemmo già eoi Kosmini — il pensiero cessa di essere '■). La
necessità dì questo è pertanto la stessa necessità della rivelazione,
considerata unica- mente per rispetto a quell' ufììcio che dee compiere
nel fatto della conoscenza. Sennonché, cosi considerata, a
che si riduce la rivelazione? Essa ci deve offrire la parola, ossia i
segni delle cose, Ìl dato sensibile che circoscrive l'idea dell'essere e
le dà attuale esistenza di cono- scere; e, come dice l'autore, ' una
successione di sensibili, per cui essa Idea rivela se medesima all'
intuito riflessivo dello spirito umano, e compie l'intuito diretto, che li
porge da sé *). Non è del nostro tema trattare ampiamente di questo
punto della filosofia del Gioberti, che richiederebbe una troppo lunga
di- samina. E bisognerebbe sovrattutto discuterla, — come in parte
ha fatto, da quel gran maestro che era, lo Spaventa — nelle opere
postume, una delle quali è appunto dedicata alla filosofia della
') B il QiOBBBTi dice: «Il ripudio assoluto della tradizione religiosa
e Bcientifica si trae dietro neceasariacoente quello della parola. Ora,
siccome l'aiuto della parola è neceaaarìo per conoscere riflessivamente
l'Idea, chi lo rifiuta dee eziandio dismetteie e gittar da sé ogni
cognizione ideale. Ha tolta l' Idea, che rimane? Nulla ».-- /«(roA, I.
3»; II, 51. ») Op. «(., I, 3"; n, 107.
.dbyGoosle Sosmini e Gioberti 265
rivelazione. Ma esse furono tutte scritte dopo la polemica col Elo-
amÌDÌ, e sarebbe perciò inopportuno il prenderle come un punto di
partenza, volendo discorrer di quella. Gì basta notare, che nella
stessa Introduzione la teoria della parola va messa in relazione con le
dottrine del Reid e del Bonald, dalle quali deriva, e co' principj
rosminiani già adottati nella Teo- rica del soEiannaturale ; che deve
intendersi {secondo la distinzione di parola naturale e artificiale, ripetuta
dallo stesso Gioberti) '), come parola naturale, cioè come segno della
cosa, o sua rappre- senlanions, il che corrisponde appuntino alla teoria
rosminiana della sensazione, per la quale si determina e circoscrive
l'ente indeter- minato. Infatti, secondo il Gioberti, la parola
artificiale non può esprimere se non le idee già espresse, e presuppone
quindi la pa- rola naturale, la rappresentazione *). Ora, se
anche pel Gioberti ogni concetto si forma per una de- terminazione che si
fa per la parola dell' essere indeterminato del- l'intuito, ciò avviene,
come s'è visto, per opera della riflessione; la quale richiamerebbe
perciò, secondo s'è pur notato, la percezione intellettiva del Rosmini. —
Ma il Gioberti, come ha mutato la parola, ha mutato anche, o crede d'aver
mutato, il concetto. Alla sua fìlo- 'J 4 La potenza dell'intuito
per attuarsi ha d'uopo della parola, cioè del sensibile! La parola è di
due specie: naturale e artificiale. Questo è il lin- guaggio elle non può
eaprimere che le idee già espresse. Il linguaggio del- l'arte è sempre
una traduzione del linguaggio della natura; è verso di esso db che la
scrittura verso In parola artificiale >. Kioi d. Rivela):., Toriao,
Botta, i8o6, p. 89. ') Meglio potremmo solidare questa
interpetrazione discutendo le difficoltà che fa insorgere la teoria della
parola cori com' è esposta uell' Introduzùtne, o prima facie par che
quivi debba intendersi, esaminando la critica fattane dal Tbsta nelle sue
Considerazioni aopra l' InlrodtiziorK aUo st. ddla JHo*. di V. Q.,
Piacenza, Del Majno, 1845, part. n, p. 32 e segg. Ma non ist htc locus.
Con la critica del Testa consuona in alcuni punti quella di V. Db Gbaziì,
ne' suoi Discorsi au la logica di Hegel e su la Filos. speculativa { Napoli,
Tip. de' Gemelli, 1350) 2' rass.; e mutuata dal Testa pare l'obbiezione che
il critico calabrese muove all'ipotesi dell'intuito (iTÌ,p. 100) nel
Gioberti. .dbyGoosle ^^T1
aee O. Gentile sofìa, che per la spi^azìone della conosceoza
ha bisogno del fatto della rivelazione egli coutrappone la filosofla
eterodossa, la quale, rifìutaodo lo strumento della rivelazione, non può
ammettere una riflessione che rifaccia T intuito e conduca perciò al
possesso del- l'Idea; e deve quindi rinunciare alla Idea, appigliandosi
alla per- cezione del sensibile, il quale può essere l'oggetto del senso
esterno, come dell'interno, ossìa materiale ed estrinseco, o spirituale
ed intrinsepo. Donde, doppia eterodossia, sensismo da una parte e
psi- cologismo dall'altra; e in ambo i casi ' la sostituzione del
sensi- bile all'intelligibile, come principio, onde muove la filosofia ,
'); ossia un metodo il quale, come vedemmo, conduce direttamente al
soggettivismo, allo scetticismo, al nullismo, dacché è vano lo sforzo dei
sensisti e de' psicologisti, di trarre dal sensibile l'in-
telligibile. La filosolia eterodossa, dunque, ammette bensì anch'
essa la riflessione; ma la sua rifiessione si differenzia essenzialmente
dalla riflessione della filosofìa ortodossa, in quanto, non servendosi
di quel mezzo che solo mette in grado di tornare, dopo il primo in-
tuito, fìno al termine di questo, si deve necessariamente fermare al
fatto della mente (per parlare dello psicologismo che c'inte- ressa) e
rimaner quindi semplice riflessione psicologica, in luogo di pervenire
all'Ente intuito immediatamente e farsi, come dovrebbe, ontologica.
' Lo strumento, onde lo spirito umano si vale in psicologia, è la
riflessione psicologica, per cui il pensiero si ripiega sovra se stessO;
e afferma, non già la propria sostanza, ma le proprie ope- razioni
solamente. All'incontro nell'ontologia lo strumento è la contemplazione,
la quale si divide in due parti, cioè in uu intuito primitivo, diretto,
immediato, e in un intuito riflesso, che chiamar si può riflessione
contemplativa e ontologica , >). Cosicché la ri- flessione psicologica
è una operazione semplice ; l' ontologica una ') Introd., I,
3"; II, Bi e segg. *) Introd., I, 3»; II, 104 e aegg.
DigitizcdbyGOOgle Boamini e Gioberti 267
operaziooe duplice; quella si esercita sopra il prodotto soggettivo
di una precedente operazione (l'intuito)-; questa sopra l'oggetto stesso
della operazione precedente, che rifa maturandola. Si potrebbe dire
perciò, che la riflessione ontologica sia la stessa riflessione
psicologica aggiuntavi la ripetizione dell'intuito. Infatti *
nell'ontologia lo spirito, ripensando, si rifa sull'oggetto imme- diato
dell'intuito stesso.. . Ma, egli è vero che nella riflessione contemplativa
•}, la mente rivolgendosi all'oggetto ideale, si ripiega pure di
necessità sull' intuito proprio, che lo apprende direttamente ; onde il
tenor psicologico del rìpensare accompagna sempre l'altro modo di
riflettere; tuttavia queste due operazioni, benché simul- tanee, sono
distinte, perchè hanno il loro termine in uu oggetto di- verso ,
*). Una critica non molto difficile qui può sorgere conti'o
questa dottrina della riflessione ontologica. Se l'intuito lascia uno
stato speciale nella mente, un fatto, tal che sia possibile coglierlo
con la riflessione psicologica, due casi si posson dare: o in esso
v'ha uno specchio fedele dell'oggetto proprio dell'intuito, e allora
la riflessione psicologica è fondamento di una conoscenza oggettiva
per eccellenza, e non soggettiva, come pretende il Gioberti; o non si
riflette affatto (ovvero, che è lo stesso, non si riflette fedelmente) il
termine dell' intuito, e in tal caso questo primo intuito è per-
fettamente inutile. Il dilemma ci pare senza uscita. La riflessione
ontologica del Gioberti sarebbe davvero un secondo intuito, se potesse
traspor- tare la determinazione sopravvenuta con la parola (dato
sensìbile) dall'interno del soggetto, dove interviene, nello stesso
oggetto; il che è impossibile, perchè secondo la sua teoria la parola è
un sen- sibile. E perchè dovrebbe potervela trasportare,
cotesta determina- *) Cobi è par detta dal Oìobei-ti la
riflesBione ontologica; mentre la psico- logica è pur detta osservaHva
(p. 105). «) latroduz.. l, 3", II, 104.
.dbyGoosle 868 G. Qmiile zionep Perchè,
avvenendo la determinazione nella riflessione, es- sendo questa
ontologica, il sensibile, principio della determinazione, dovrebbe
ripensarsi coli' intelligibile, e come questo (poiché si tratta di un secondo
intuito), fuori del soggetto; il che, ripetiamo, è im- possibile.
Di certo la riflessione ontologica è l' espressione, benché non
esatta, d'una giusta esigenza del pensiero, come or ora vedremo; ma
contrapposta, com'è dal Gioberti, a una riflessione psicologica, fallisce
al suo scopo, non potendo sfuggire alle conseguenze dello accennato
dilemma. Sennonché, il Gioberti ci dice: ' La rifles- sione psicologica
non ha per termine diretto il pensiero, come pen- siero, ma il pensiero
come sensibile intemo, cioè come atto dello spirito, e quindi non
riguarda direttamente l'Intelligibile, che si congiunge col pensiero e lo
illustra. Egli è vero che la riflessione del psicologo si connette per
indiretto coli' Intelligibile ; ma cì6 non prova nulla in favore dei
psicologisti; imperocché non ne partecipa, se non mediante quell'intuito
mentale, che, al parer mio, è il vero e necessario strumento dell'
ontologo , •}• L'equivoco qui è evidente: la riflessione
psicologica non coglie il pensiero come pensiero, cioè in quanto intuisce
l'Idea^, ma lo coglie, secondo Gioberti, come un sensibile intemo ;
dunque la riflessione ontologica non fa altro che cogliere il pensiero
come pensiero. Ora, se la riflessione psicologica presuppone
anch'essa un intuito, e (poiché, parlando contro il psicologismo, il
Gioberti si riferisce specialmente al Rosmini) un intuito, che, come
vedemmo nella esposizione della teorica rosminiana, è costitutivo del
pensiero, é ») Introi., I, 3» i U, 109. ') Nella FUoB.
iella Uivdaz., il Qioberti scrive : < Una meate aeiiEa idee, e in
igtato di tavola rasa perfetta è una contraddizione. La facoltà con cui
la meate creata afferra questa rivelaiione [la riveUsioae imuaQente,
virtuale, che diventerà attuala pei opera della riflessione; v. ivi, p.
87] che fa, la sua assensa, è l'intuito»; p. 88 Né pia uè raeao di ci6
che dell'intuito aveva detto il Rosmini!
DigitizcdbyGOOgle ■^ ■»- -w'-
Rosmini e QvAerii 369 la sua propria essenza, — come può fare
a ritornare sovra un pensiero ehe non siasi già appropriato
l'Intelligibile, e Io abbia ancora fiiori di sé, e sia ancora in atto
d'intuirlo? Insomma sì può concepire un intuito immediato
dell'Intelligibile come essenza del pensiero, che pur lasci il pensiero
sempre al puro stato di tcAida rasa, sempre in atto di guardare
l'Intelligibile, senza mai vederìo? Il pensiero pel Rosmini intanto è
pensiero, in quanto ha un intelletto costituito dall'intuito
dell'intelligibile; non può quindi riflettersi su se stesso, senza
trovare in sé non già Ìl semplice atto astratto dell'intuito, ma sì
l'atto concreto, ossia l'atto terminante nell'Intelligibile: la forma, in
una parola, dell'intelletto. E l'equi- voco propriamente consiste in ciò
: nel concepire l' intuito imme- diato come una pura dualità; dove, al
pari della visione corporea, da cui immaginosamente è desunta, non può
essere se non un'unità sintetica, di soggetto ed oggetto. L' intuito ond'
è fornito l' intel- letto è una nozione, in cui Ìl soggetto e l'oggetto,
come nel pro- dotto della sensazione, sono affatto indistinti. Ora se la
nozione è qualcosa di perfettamente uno, ripiegandosi sovra di essa, lo
spi- rito non può non coglierne il contenuto, che è per l'appunto
l'Intel- ligibile. — SI' equivoco si fa manifesto quando l' autore
soggiunge che questo scambiamento di metodi (psicologico ed ontologico)
gli ' riesce un trovato cosi bello, come l'assunto di chi adoperasse
le dita e le orecchie, per apprender la luce e distinguere ì colori
in essa racchiusi „ (p. 105). Qui sì immaginano la luce e ì colori
come oggetti o segni esterni e indipendenti dell'organismo sensi- tivo,
in che si rappresentano; per modo che a noi, sapendoli lì ad aspettare di
esser da noi sentiti, sia dato scegliere lo strumento più acconcio alla
bisogna. Laddove fìa dal 1834, quando fu pub- blicato il celebre Manuale
di fisiologia di Giovanni Mailer, si sa da tutti che non v'ha nulla di
più falso. Quello che not sentiamo e diciamo luce e colori, non è se non
per la nostra sensazione e nella nostra sensazione. Ma il Oioberti
ignorava questo concetto della soggettività della sensazione, comecché
avesse già appreso dagli scozzesi quella teoria della percezione
esteriore, per la quale ve- .dbyGoosle
270 ^ 0. Oentile nivano per sempre seppellite le vecchie idee
imniagiiii, che solo la leggerezza filosofica di Ippolito Taine doveva
più tardi esumare nella sua haldanzosa quanto vana guerriglia contro la
filosofia classica francese in genere, e per questo punto contro il
Royer- Collard >). Or, come è uno shaglio credere che il
colore che diciamo di vedere con l'occhio, sia fuori dell'occhio, talché
se si avesse modo di riflettere sulla visione, si rifletterebbe sul
semplice atto del ve- derlo, ma non propriamente sul colore; così
soltanto un equivoco può far pensare che nella nozione rosminiana fornita
dall' intuito dell'Intelligibile, non siavi altroché l'atto dell'intuire;
di guisa che la riflessione sovra di essa pervenga soltanto indirettamente
all'oggetto, sul quale cotesto atto si esercita. L'oggetto qui è una cosa
stessa con l' atto, siccome vedemmo altrove discorrendo dell'intuito;
oggetto ed atto sono una cosa sola nell'intuito in- tellettivo, che è
atto insieme e forma dì esso, secondo la teoria del Rosmini.
E questa è la vera ragione che il Tarditi avrebbe dovuto op- porre
al Gioberti, per dimostrargli infondata, come tentò di fare nella prima e
nella seconda delle sue famose lettere, la distinzione fra le due riflessioni
psicologica ed ontologica *). Le quali si po- ') Convengo
pienamente nella controcritica oppostagli dal Janet nel primo de' suoi
scrìtti en La crke phUoaopMques, Paris, 1865, p. 26 e segg. Li teoria
scczzcBe toRlienda l'inutile intermediario dell'immagine tra l'oggetto sensibile
e il soggetto sensitivo, fece di certo un primo passo verso quell'unità
del tatto della sensazione, che non poteva d'altronde concepirai senza i
nuovi prin- cipj del kantismo, di cui giustamente la psicologia genetica
tedesca si con- sidera come un fedele compimento. — Vedi in proposito gli
scritti del TabÌktino in Giom Napdet. di FUob. e Lett. del 1880 e 81 e
del Cm*p- PELLi, ivi. QnelH del primo bqu pure raccolti nei Saggi
fUoeofici, Napoli, Morano, 1885, pp. 37-128. — Dopo la pubblicazione di
quwto votame il Chiappelli tornò sull'argomento nella Filosofiti delle
Scude Italiane, voi. XXSI (1885), in un art. sulle Attinenze fra il
criticiamo kantiano e la pri- coloffia inglese e tedesca. ')
« Siccome, osservava il Tarditi, noi non possiamo riflettere su ne»aa
DigitizcdbyGOOgle Rosmini e Gioberti 271
trebberò ira loro distinguere solamente pel dÌTerso oggetto (e a
questo soltanto s'è appellato come a ragion distintiva in un passo deìV
Introduzione già citato il Gioberti); talché se l'una noa ha, né può
avere un oggetto diverao dall' altra, è chiaro che la distin- zione non
possa più farsi. n Gioberti, veramente, negava più tardi che la
distinzione si desuma soltanto dall' oggetto ; e voleva che si fondi
anche sul metodo {Errori, I, 151 e segg.); e dava sulla voce al Tarditi,
che ciò non aveva saputo vedere •). Ma come sosteneva la sua sen-
tenza ? ' La diversità dei metodi in ogni ordine di ricerche
consiste . . . in quella del veicolo, che si dee scegliere per conseguire
l'oggetto ricercato; e la natura del veicolo è determinata da quella
dell'og- getto medesimo, considerata non in sé semplicemente, ma
nelle sue attinenze con le facoltà e le condizioni del cercatore , *).
E più in là: ' Il punto, a cui si vuol giungere, determina
l'indirizzo che si dee tenere; l'intervallo che s'ha da correre, insegna
le ope- razioni da farsi, per superare gli ostacoli e toccare la mèta ,
'). Ora^ senza dire dei caratteri differenziali che il Gioberti poi
indica nei due processi che vuol distinti, basta notare che la sua
deduzione avrebbe un valore soltanto nel caso eh' ei avesse dimo- strato
essere realmente distinti i due pretesi oggetti di riflessione, poiché, a
confessione dello stesso Gioberti, la natura del metodo oggetto
se Doa quanto da noi o intuito se ideale, o percepito se reftle; pad la
riflesBÌoDe passare egualmente dall' oggetto atl' intuito, e dn questo a
quello; anzi ta rìfleasioue sull'intuito non puA essero completa,
imparziale, quale s'ad- dice al filosofa, se non coasidera l'intuito, e
nel soggetto di cui è atto, e nel- V oggetto in cui termina, e dal quale
Sformalo*; Leti, d'un Sosminiano, Z\ p. 38 ; e si riferisce alla teorìa
della rytesiione filosofica del Rosmini ; cfr. p. S e segg. Or se si distìngue
e separa, come fa il Tarditi, atta da oggetto, il Gioberti ha cagione. H
vero è ohe essi non sono afiatto distinti. ') Leti, eit, I,
19-20. •) Errori. I, 153. 3) Op. eit., I, .158.
.dbyGoosle 272 G. Omtile è
determinata dalla natura dell' oggetto. Contro il Tarditi che ammetteva
un atto di intuire distinto attualmente da un oggetto intuito, egli aveva
ragione; perchè se vi sono due termini di di- versa natura, noi non
possiamo giungere a ciascuno di essi con un medesimo processo. Ma
conviene prima provare quella distin- zione di atto e di oggetto
nell'intuito; la quale è, pift che altro, presupposta dal nostro
autore. E peccando il suo ragionamento di una siffatta petizion
di principio, né potendosi altrimenti che per astrazione
distinguere r atto dall' oggetto, il Gioberti non può dire nemmeno che la
re- plicazione dell'intuito, cioè la riflessione, si differenzi! per
l'oggetto e pel metodo; poiché il metodo potrebbe esser diverso solo
allof che fosse differente l' ometto. E se il metodo trae i suoi
caratteri specifici dall'oggetto, e se l'oggetto è uno e inscindibile,
come si può distinguere una riflessione psicologica e una riflessione
onto- logica? Il pensiero non si può riflettere se non sopra
di sé, come pensiero; e siccome è costituito tale dall'intuito
dell'essere, che gli dà l'idea dì questo, la riflessione non può non
comprendere direttamente questa idea dell' essere, che è oggetto dell'
intuito. Che se l'intuito si considera nel suo intimo e profondo signi-
ficato, secondo la critica da noi fattane, cioè io quanto esprime
l'oggettività vera (non la falsa oggettività fantasticata, con la im-
maginaria opposizione, a risolver la quale # ricercato l'intuito), e però
la vera soggettività, vedasi quanta ragione più si abbia di volere una
riflessione che, a differenza della riflessione suU' intuito, faccia
riflettere lo spirito sullo stesso oggetto dell'intuito. — E a questo
punto noi volevamo arrivare. — Perchè Gioberti distingue una riflessione
ontologica dalla riflessione dei psicologisti ? Qnesta, egli dice, si
ferma a un fatto dello spirito ; quella ci conduce fino allo stesso
oggetto ; e quella è però da preferirsi, se si vuole evitare il
soggettivismo. Or si veda che fedele rosminiano è fin nell'afferma- zione
di questa esigenza il Gioberti ! La critica sbagliata Fatta dal Kosmini
delle forme kantiane, ecco che egli la rivolge una seconda
DigitizcdbyGOOglc Jìosmini 6 QwberH 27
Tolta contro il Rosmini medesimo. Gioberti, infatti, si accorge (
l'intuito rosminiano è una pura e semplice forma dell'intellet ne più né
meno delle forme di Kant; se ne accorge e gli pare, dìei l'insegnamento
del Itosmini, di vedersi risorgere innanzi il fosco fs tasma del
soggettivismo. Quindi non gli basta un intuito, coi bastava al Iio3mÌDÌ,
onde salvare l'oggettività, cioèl'universal e la necessità della scienza,
e gliene vogliono due, un doppio ìntu intuito riflesso o secondario, o
veramente una riflessione oni logica. Bisogna davvero che questa Idea
stia fuori del soggel umano, stia da sé, e bisogna cbe si vada sempre
fino a lei, ti per un semplice intuito (potenza o virtualità di
conoscere), vi per un intuito riflesso, reale ed effettivo
conoscere. Ma il guajo è che se l'intuito, l'intuito scempio, sul
quale esercita la " riflessione eunuca , ^) del Rosmini, è un
semplice s< sibilo interno, o meglio, un semplice dato soggettivo (che
pel G: berti quel termine ha questo significato) — opperò
individuali contingente, — non c'è modo di provare che non sia un
sempl dato soggettivo anche lo stesso intuito doppio, che gli si vuol
( stituire. À rigor di logica, infatti, la critica stessa che il
Qiobe muove al Rosmini, si può muovere a lui, e si può continuare
l'infinito contro chi intenda l'oggettività, cioè l'universalitì
necessità delle forme di cognizione, come opposizione al sogge
conoscitore. Giacché l' intuito è sempre la stessa operazione, ed i plica
sempre la medesima relazione tra soggetto ed oggetto, che si eserciti una
sola volta, sia che si eserciti due volte, riflessione ontologica rifa
l'intuito circoscrìvendone l'oggetto dato sensibile, offerto dalla
parola. Ora, se il prìmo^intuito i era bastato a cogliere
l'intelligibile, perchè e come deve potè cogliere il secondo ? — L'aveva
evolto, dirà il Gioberti; ma appui perciò bisogna ripeterlo, quando si
vuol predicare del dato sensil quella intelligibilità, e formare il
concetto. — Ma anche a v' ha risposta; cioè, l'intuito non è, come s' è
visto un precedei *) Errori, I, 144.
.dbyGoosle -^?5^" 274 G.
Gentile cronologico della percezione intellettiva, dell'atto (che
il Gioberti dice riflessione) della determinazione dell'Idea, del
differenzia- mento della primitiva identità. E se non precede
cronologicamente, come non deve, né può, poiché non v'ha l'identico senza
la diffe- renza, né l'universale fuori del particolare, né l'uno fuori
del vario, é falso i! concetto d'un replìcamento dell'intuito nella
percezione intellettiva o nella riflessione; perchè il replicaraento
presuppor- rebbe l'intuito come un precedente anche cronologico, oltre
che logico ; con che si tornerebbe al vecchio concetto dell' a
priori. La riflessione ontologica, adunque, non può intendersi come
in- tuito riflesso, cioè come doppio intuito, nonostante l' esigenza
che r Intelligibile aia intuito nell' occasione stessa della percezione
sen- sitiva, oltre che solo; per la semplice ragione che da solo non è
mai intuito, se non come presupposto logico, come un quid trascendente
il fatto della conoscenza. D'altronde, il secondo intuito che si com-
prende in cotesta riflessione ontologica, non è né più né meno che una
ripetizione del primo ; talché, insuMciente il primo, non pub non essere,
e il Gioberti non dice perchè né come non debba es- sere insufficiente il
secondo, E perciò, rifiutato il primo, egli non aveva nessuna ragione di
tenersi contento al secondo, come aveva avuto torto, a fil di logica, il
Rosmini, rifiutando le forme kan- tiane, a contentarsi di quel suo primo
intuito. Ma come l'errore del Rosmini risguardava la sua interpetrazione
di Kant, ma non, ci pare, la sua teorica, ed anzi era prova, come s' è
più volte notato, delia buona esigenza da lui avvertita di una perfetta
universalità e necessità nel conoscere; così, con la sua teoria della
riflessione ontologica, il Gioberti, se crede a torto di correggere il
"Rosmini e con esso anche il Kant, dimostra anche lui di avere avuto
il giusto concetto dei bisogni essenziali della scienza. E v'
ha di più nel Gioberti. Questi sente più forte una esigenza, che non si
può dire sia stata trascurata dal Rosmini, comecché in lui non sembrasse
pienamente soddisfatta ; vale a dire l' esigenza dell' unità non pure
come compimento della dualità della sintesi, ma altresì come sua base,
fondamento ed inìzio. Digitizcdby Google
Rosmmi e Oioberti 275 Infatti, con la riflessione ontologica
8Ì ritrae la differenza nel seno stesso delU identità; perchè la parola,
principio determina- tivo, aiceome è una rivelazione dell'Idea, così è
strumento di quella riflessione, che risale fino all'Idea stessa, a guisa
d'un quadro, in cui s' incornicia la vaga Idea sconfinata, tanto per
lasciarsi vedere dal finito spìrito umano. Ma quadro e Idea sono una
medesima cosa; tanto che la parola è detta rivelazione dell'Idea, ed è
propria- mente parola dell' Idea medesima. Sicché la differenza qui
scatu- risce dal fondo stesso dell'identità, dall'Idea; e la funzione
dello spirito, per cui si apprende insieme l' identico e il diverso, è
pre- cisamente la riflessione ontologica, che si rifa dal centro
stesso dell' identico ; laddove, secondo il Gioberti, la riflessione
psicologica non si rifaceva se non dall' atto stesso dell'intuito di
cotesto iden- tico, cioè da un fatto sensibile, epperò da un diverso; il
quale, d'al- tronde, se pure era un identico relativamente all' ordine
dei cono- scibili, non conteneva però in sé il principio della
differenza. Il Gioberti, adunque, senza riuscire a dimostrare l' insufficienza
della riflessione rosminiana, con la critica di questa e col volervi
sostituire una riflessione più compiuta, mirava a porre su più solido
fondamento la oggettività del conoscere, e a giustificare più sicu-
ramente quella vera sintesi a priori che per questa via accettava,
attraverso il Rosmini, da Em. Kant; fondandola su quell'unità indis-
solubile di identico e di diverso, di uno e di moltepUce, di uni- versale
e di particolare, di necessario e di contingente, nella quale è la vita e
la spiegazione del pensiero e del mondo ; unità, del resto, di cui sentì
pure il bisogno Rosmini, come in parte s'è visto e meglio si vedrà nel
capitolo ohe s^ue. E per conchiudere intanto su questo punto,
diremo che la ri- flessione ontologica non è una operazione differente
dalla riflessione psicologica, che il Gioberti attribuisce al Rosmini;
non potendone differire pel metodo, poiché non ne differisce per
l'oggetto, e non potendo per questo differirne, poiché non esiste quella
duplicità di c^getto, che è presupposta dal Gioberti, e che ne sarebbe
condi- zione necessaria e sufficiente. L'immediatezza dell'intuito,
come .dbyGoosle 378 0. OmHle
forma del conosoere, esclude essa appunto ogni distinzione tra atto
d'intuire e oggetto intuito, siccome distrugge l'opposizione, che pur
presuppone col suo letterale significato, fra soggetto ed oggetto. Della
proprietà delle parole. 1: La parola , prima che fosse scrilla,è parlata : la
parola parlata fu inventata da Dio,come abbiamo detto di sopra,elascritlurafuun
trovatodell'uomo,einspeciedel sacerdozio , secondo l'opinione del Gioberti, La
parola artificiale, come espressione dell'Idea, non è già ilVerbo ereatore, m a
l'immagine del Verbo, cioè il vero Verbo dellamente umana;e
quindiilveromedialoreidealetra lo spirito e l'Idea.Se adunque lo spirito
contempla l'Idea a traverso della parola, egli è chiaro, che la parola dee
yelare appena e non coprire l'Idea,come terso cristallo corpi sottostanti ;
quindi ella dee essere trasparente, e in ciò consiste la sua semplicità e
perfezione, Dalla sempli cilà dellaparola nasce la proprietàdellevoci,lapuritàe
l'eleganza dei vocaboli ; le quali doli della parola si tra yasano nelle
frasi,che esprimono l'unione armonica delle yuci mediante i concetti ; e per
via delle frasiriverberano quindi nello stile, e generano la bellezza del
discorso. I m perocchè il discorso è bello allora quando le voci,le frasi, e
quindi lo stile che ne deriva, sono semplici,proprie, pure ed eleganti. Infatti
la parola è semplice, quando vela a p pena ilconcetto,e non lo copre dinanzi
all'occhio della mente, nel qual caso la parola è per l'opposto materialé, e
oscura.L a parola è propria , se è un ritratto fedele del concetto che esprime
; ed è sempre tale , ogniqualvolta 266 linguaggio ; della precisione dei
concetti mediante le dif finizioni ,e della loro partizione mediante le
divisioni dell'organismo dei concelti mediante i giudizii ; delle pruove delle
verità seconde mediante i raziocinii';.e in fine del processo della mente
secondo il lenore obbieltivo delle idee mediante ilmetodo. Ma poichè in
tuttequeste operazioni della mente si può cadere inerrore,ogni qual volta non
si fa buon uso dei canoni logici e dellaloro applicazione , quindi entra
innanzi la critica a giudicar dell'uso che si è fatto dei canoni logicali ,
mediante il giudicatorio supremo dei principii che sovraslano alle stes.
seleggi.Diche noidividiamoluttalamateriadiquesto capitolo in tanti distinti
articoli . ART. 1. conserva la suasemplicità. Quando la parola è
propria mantiene a capello la corrispondenza perfetta tra l'Idea e il suo segno
sensibile, se ella siguilica l' Idea increata, cioè l'Ente ;'e se ella esprime
l'idea creata,cioè l'esistente è anche propria , oġniqualvolta conserva la
corrispon. denza tra lamimesi e lametessi.Quindi è,che la lingua primitiva, la
quale ebbe due parti, l'una divina,e l'altra umana, fu eminentemente propria ;
imperocchè la parte divina di quella lingua consisiente nella rivelazione dei
verbi originali manteóne,perchè divina,la corrispondenza tra l'Idea e il
segno,e la parte umana,consistente nel l'invenzione dei nomi primilivi,mantenne
ancora la cor rispondenza tra la mimesi e la metessi , perchè A d a m o
pernominare isensibilicoiloroproprii nomi, lidedusse dagl' intelligibili, cioè
dalla loro radice melessica. Quindi è,ancora , che nelladivisione delle lingue
avvenuta pel fatto diBabelen,on re,che non abbia più o meno perdule e guaste
molte pri. milive sue forme ; che non costi di n o m i e verbi anomali,
eteroclili, difettivi, e di molte altre irregolarità di linguag gio , sicchè
ogni lingua compare una rovinadel primitivo idioma. Quindi è finalmente,che gli
scrillori autichiper che erano studiosissimi della proprietà delle voci c dello
stile (onde le loro distinzioni dei varii generi di stile,te nué, mezzano,
sublime ) perciò sono appellati classici, e sono isoli che abbianobuona
scuola,cioè ispirano e pro ducono altri scrittorigrandi. 267 2. Abbiamo
detto che dalla proprietà nasce la purità l'cleganza e la bellezza della lingua
e dello stile;e quindi del discorso.E infattilavoce proprio nella lingua
italiana importa il concelto di identità, cioè della medesimezza di una cosa
con seco stessa:importa pureilpossessoche una cosa ha di sè medesima,perchè la
cosaposseduta èquasi parte è in certo modo faltura eziandio del possidente.
Quindi il vocabolo proprietà è spesso sinonimo di m e desimezia ;cosìl' amor
proprio è l'amor di sè; è desso an, cora sinonimo di possessione ; così gli
attributi specifici di una cosa,iqualine sono leproprietà,sono la cosa stessa,
perchè le qualià e i modi degli esseri sono la sostanza m o
dificata,valquantodirelamimesidella metessi.Adunque
laproprietàdelparlarealtronon èchelacorrispondenza della mimesi colla melessi
del discorso; la quale corrispoc 3. M a se la proprietà del linguaggio
è la fonte di tulti i pregi del parlare e dello scrivere, la improprielà del
parlare poi è una delle cause principali degli errori ontologici e logici, che
producono la declinazionedellafilosofia,como avvertimino nella prima parte di
questo corso. L'errore in generale altro non è che lo sviamento dell'intelletto
nella cognizione della verità ; e come tale si distingue dall'igno, ranza , la
quale non importa la cognizione alterata del vero,ma bensìla privazione
assolutadella cognizione,E poichè al vero si oppone il falso; perciò siccome il
vero si gnisica, in quanto è desso l'essere, così il falso n o n si goifica,
secondo la bella espressione del Tasso, perchè € desso ilnon essere 268
denza costituisce la dialettica del linguaggio, e quindi la improprietà ne è la
sofistica. Ora la purità delparlare i m porta la sua pulitezza, la quale è una
speciedi proprietà; imperocchè la pulitezza,mostrando la cosa nella sua forma
nativa, fa che la cosa sia identica a se stessa, yalquantodire che l'apparenza risponda
allasostanza"; ilche importa in altri termini che la cosa abbia possesso
di sè medesima. E poichè la politezza importa la scelta di ciò che costiluisce
l'orpamento degli oggelti maleriali; cosi nella lingua l'ele ganza è
inseparabile dalla purità delle voei.E siccome alla pulitezza si oppone
l'immondezza, che illaidisce edeforma gli oggetti, così all'eleganza si oppone
la vanità che li al. teraedeformacome sefosseunamaschera straniera:al.
treltanto succede nella lingua e nello stile.Dalla stessa fonte della proprietà
e semplicità del linguaggio scaturisce la bellezza dello stile e del
discorso.Imperocchè quando il lin guaggio vela appena e non appanna l'idea o il
concetto, se ne rende allora ilritratto fedele, come abbiamo detto di sopra ;
nel quale caso l'idea increata o creata manifesta n a turalmente e senza
ostacolo la sua luce diretta o riflessa n e l l a p a r o l a . O r a il b e l
l o e s s e n d o l o s p l e n d o r e d e l l ' i n t e l l i . gibile, sia
assoluto,sia relativo, che sirivela a trayerso il sensibile, cosi quando la
parola è semplice e propria, è a n cora bella necessariamente ; e quindi la
bellezza del di scorso in sè raccoglie tulle le qualilà della parola e dello
stile, cioè la semplicila e la propriela , la purità e l'ele ganza. > c i o
è il n u l l a c h e n o n h a , n è p u ò a . vere virtù di significare. Ora
le cause degli errori sirie ducono a due principali, onde le altre derivano,
cioè ally 269 l i m i t a z i o n e d e l l ' u o m o , e q u i n d
i d e l l e s u e f a c o l t à , e a l l' a l terazione della parola,come
espressione dell'Idea;ben'in leso però, che anche questa seconda dipende dalla
prima , siccome dicemmo nella prima parte di questa Istituzione. Dalla
limitazione dell'uomo e delle sue facoltà nacque lo sviamento del libero
arbitrio in ordine alla legge, e quindi l'esistenza del male morale ; il quale
fu cagione delmale intelletsuale, inquanto fucagione del predominio del sen
sibilesuil'intelligibilee dellepassioni sullaragione,onde deriva l'alterazione
dell' Idea, e quindi l'esistenza del'l e r rore.Ma
qualunquesia,diceilGioberti,lacausadellacor ruzione egli è indubitalo, che in
origine l'alterarsi dell'Idea è congiunto equasi coetaneo a
quellodellaparola;laddove in appresso,e nelcommercio tradizionale,ildisordine
tra passa nei pensieri dai segni ; sicchè l'improprietà della parola è la
causa, e l'errore èl'effetto. Imperocchè,quando Ja parola è impropria , siccome
ella non mantiene più la perfettacorrispondenzatra l'Ideaeilsegnochelaesprime,
cosi i concetti ideali sono travisati dai concetti sensibili in. chiusi nella
parola, e l'Idea viene adulterala dalla metafora o dalla etimologia . Nel quale
caso i concelti ideali si c o r rompono proporzionatamente,se giả , come
avvertimmo altrove,una nuovarivelazione, o un magisterioesteriore, organato
dall'Idea istessa , ñón impedisce tali corruzioni della parola, serbando
incorrolta quellagenuina e originale corrispondenza fral'Ideà eilsuo segno
esteriore.Idea gtnerale dell'opera, e tua diritieue in due libri. — La tloria
delle religioni appar- tiene a snella della Blotofia. — Si ritolrono alcune
obbieiioni in contrario. — Perpe- tuità della Blotofia. — Del metodo critico
aegailo dall’ autore nelle rirerebe aloriebe. — Si liepolide ai nemici delle
eonpilatìoni. — Del metodo dottrinale, oaaerralo dall' auto- re; perebd egli
anteponga la. linloti all’ analisi. — Cenni sopra nn’ opera precedente.—
Prorotsione cattolica dell’ autore. — RUpoala a ehi te aoeuta di eiaer troppo
ratlolico. •— La moderazione' nelle dottrine non è oggi di moda. — Via {utile e
compendiosa, per giungere alla gloria. <—In che senso l’ antere sìa sago del
progresso. —Sua pro- trata, intorno alle persone generalmente; agli scritlori
risi ed ai morti, in itpeeio. — Di Giorgio Byron. — Dei sentimenti , che
mosiero l' auloro a scrirere. — Contro la sella degP Italogalli. — Funesti
influssi della Francia. — Della eterodosna moderna in generale, e della
filosofia germanica in particolare. — Gl’Italiani debbono filosofare da sé. —
Dello stile filosofico. — Importanza della lingua in ordine alle cose. — {.odi
ifi An- tonio Cesari. — Contro i cattisi amatori d’idee. — Dei parolai. —
Contro la barbarie dello scrirere, che domina in Italia. — Della cbiaretxa,
bresild, semplicità, precisione, c purezza del dettalo. — Esempi italiani di
elocuzione filosofica perfette. — Del modo, con cui si può inoorar nella
lingua. — Scusa dell' autore , intorno alla lingua e allo alile da lui
adoperato. — Eaorlazioue ai giorani italiani. — L’Iililà della sera filosofia.
— Elsa non dee sparenlare i buoni goreroi, né i buoni principi. — Sua
opportunità, Gioberti Inlrud. Voi. I. 21 Digitized by Google r lG-2
per ristorare la religione. — La Gloa^fia dee cucre collìfaU specialmente dai
cbicrici. — Lodi del chiericato italiano. - Del sacerdoiio frnncese ; sua
antica dottrina, e suo virtù io ogni tempo. — Del modo, eoo <ui li coltivano
le lettere da oleum chierìci franoesi. ~Della parlecipasìonc dei chierici olla
vita sociulo» —Della liberti cattolica nel culto delle dottrine. » Che il clero
catiolico dee essere emìnenle anche nelle scìen* se profun<’, per sortire
picnamt nte rt-netlo del suo o>ini^te/io. — Di certe sette politi* che, che
nocciono alla religione. ~ Dei ti elogi laici, che ioondcAO la Francia: loro
tracotanza. ^ Al'eanza della filosofia colla religione. La dottrina cattolica é
la sola dottrina religiosa, che abbia un valore acientifico. — Come la novità
si accordi coli*anti« chità nello cose filosoticlic. — Si concbiude, esortando
gl* lioliaui a I. barare le sc cuse ipecuialve dai nuovi barbari. LIBRO PRIMO.
DELLE DOTTBLNE C.4P1T0L0 PU1.M0 Della dcelinaztone delle scienze spcculalive in
generale. Cunirapposlo fra- lo sla o fìorcnle delle matetnatiche e fi*ichr, e
lo s(|uallure della fihtsofìa ai ili nostri. » Sue cagioni gencr-chc. —
Cobsidenuioui a <ju sia propos to sul'o stalo delia filosofia nelle varie
parli d'Europa. —D.vario, che corre Ira le duii'ine fiancesi o U’de.-che, nato
dalle loro diverse attinenze colla religione. — Di Renalo Descartes. ^ 1
semi'li moderni sono suoi d’srepoli assai piu legiilmi del Malebranche, e di
altri antichi cartisiani. Dd panteismo germanico; temperalo dalle tr iduioni
religiosa: l*idea «i è oscurata, non eslin a del tutto. ^ Di Emanuele Kant.
Perelié t Tedeschi prot<‘Slanti furono io filosofia più a ioni dall'
eaipielà, che i Francesi rallo(ici. ^ Dtver* sita d«‘ir ingegno spcculat vo,
presso i Francesi e i Tedeschi. — Se ne cerca la causa nella storia, e nelle
origÌr>i di queste due nazirni. — Delia tilosofia inglese : sue difie* n’nte
dalla francese, e dalli germanica. — Dei fìloSvfi ftaìiaiii del secolo
quiiidcciao, c del seguente. — Di Glambaitisla Vico : sue lodi. ~ Epiio{:o d.-I
quadro. CAPITOLO SECONDO. Della dedinazione degli eludi specidatici, in ordine
al soggetto. lufeiiurilà speculaliia e rnoralo dei popoli modcToi, verso gli
antichi. — La no-a speciale dciruoQio moJeroo è Ir frivoUzza. — La cagione di
questo vizio è la debolezza della faiol.à volihva. — Inlluruza dtl voli re
nella cogoiziouv, e oelf ingegno delP uomo. — La modioiriià letteraria dui
moderni nasce dalle hggcrizza dei loto animi. — Esempi S 2»S * Digitized by
Googic es»e bi chiude il capitolo. . - Note. Aula prima. Siti diltflanti
tpleoJ Jì c Itiili, elle h fanno Ja m.eilri. 71 1 1 ptincipii dal Ufi 2^ 3. V
5. 6. T. 8. 9^ 10. 11. 12. 13. 11. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. Clw il
inftoilo El<w>fict> »i J>e di durre dai principi!, e non I metodo.
Il ig. Coiaio «.elude la «tiri» delle religioni da quella dtlU Bloiplia. Del
cullo reciproco de’ moderni Rfillofi ff.nceii. Di una iKioea Enciclopedia.
Sopr. OD* «poitigi. recefllo di Giorgio Djroa. 117 l'i. 1 lit 125 125 129 i6.
13t) 131 132 ii, i6. IM ii, Ai nemici delle wItiglieMf. Sullo lingua e luU'
eluguenia francese. Sul primato della Fraocia. L'.terodomia modarna non i fono
ancora al «uo fine. Della periiia di Paolo Luigi Cuarier nella lingua a negli
icrillori italiani, Paw dal Letiinj; mila lobrielA « ammauralega degli antichi
tceitlofi. Sull'uli-iU dei buoni giiirnali «ccletiailici. Pmm del Leibnu «olla
libertà cattolica dcKii «eritteri, Querela del tig. Cousin eoutro il clero
ffauceee. P«Mu del Leibnii contro i dùaipatori delle antiche dotUine. Sull'
apoilaiia lU alconi prelati ruwù Delle cagioni della H>rorma. Che la
tinceritA di Renato Denartei nel proretiani cattolico è per lo meno dubbia.- Il
Malebranche non è earleeiano intorno al primo principio dellalua filoaoCa. 143
Clia il «ig. Coutin ha ao concetto mollo ineaatio dello Spinci.Mio. 144 Pawo
del Courier tuH'iitiulo aotTilo dei moderni. 1^ ^ ; iò 5, 163 rcceoli e
ìuliani di una Tolontà forte : Napoleooet e Vittorio Alfieri. — Lodi deli’
Al> fieli. — La fursa della volontà dipende in gran parte dall* educasioae.
^ Cbe co a sia r educatione. — Saa oeceuilA. — Delle varie forme, che prese 1’
educazione, tecoodo il ccM’to dei tempi e la varieii di'! popoli. — Po pubblica
presso gli antichi ; qoasi pub- bloa nei basti tempi. » OelP opera dei chierici
nell' iostitusione dei giovani. —> L’cdu* catione diveone pnvate, piesso i
moderni. —Cagioni di ciò: false teorirlie in politica e IO pedagogia, inglesi e
francesi. — Di G angiacomo Rousseau. — Errori del suo Emito. — Delle doUrìne
poi tieba snlla liberti dell' ednratione. — Falsili loro. L’e* ducaaioQ^ manca
quasi alTatto nello stato presente di Europa. » Difetti dei metodi vi* genti
dell* insegnare. L’ias«gnameoto pubblico dee < ssere uno, forte, e
dipendente dal* lo stalo. — Frivolezza dell' insegoamenlo cattedratico, quale
si usa oggidì nei paesi più civili. » Dei giornali. — Diretti, e danni dei
giornali, come per lo piò si scrìvono in Francia. *— Nuocono al'e lettere e al
e sciente dalia parte di chi scrive, e di chi leg* ge. — Necessità dell’
iniìtiiuzione pubblica, e di un supremo poto<e educativo. — Quella non
lìpugna ai costumi, oè questa alla libertà politica dei moderni. —> Che M»sa
sia r iagfgiiu spccuUtivu. — D<2 tla setta dei sofisti moderni, e deg'ì
artefici di parole. ^ Quàlìià loto. — Si chiamano a rtssrgoa le prìneipai diti
diU’ ingegno sfeeulativo, e con Digìtized by Google 23. 24. 25. 26.
27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. Pano d«l Leibnii tull’abbierion» morale JcrU onioi
moderni. Sulla patria di Napoleone. Pano dfl tig. Cuusin mila balta«lia di
Waterloo. Pel gioiliiio, che il tilt. Villeoiain ha recato mll' AlCeii. Sugli
errori della pueriiia. ^ Sull* uUbU di tre clasii di gioroali. Soll’aliBio Jei
generali. Lodi di alcuni illmiri eruditi fraaceii. Pano del Malebraoche augi’
iugegni friToli. In che modo il genio naiionale poeta imprimere la ma forma
nelle icieate «peculatiee. Sull' indola morale, e lugli ulUnii UUmli del
Goèlhc. Itt 143 . 149 1^ 152 132 138TAVOLA. E SOMMARIO Diuu.
Pag- SCDU bill' iCTOKI. Le lodi d'ililia nim
sana oggi pericolose per la sua modcslio. — Sano opportune, e perchè. —
Scopo del preienle dilcorsa. — L'aifluiui di CMO non t per ilcaa Ter»
iiigiiiriUD agli tlnnieri. — L* doUriiu del primalo itili IBO è
necetMtfai per rÙHltun- ziuie delle sci une flloMBclie neita
pcniioli. PASTE nanu. Dell' Hlonooiia uwlnUi e rdtlin
In genere. — Di qidia cbe con. peti (He uDoni in paiticoUrc — Lt isdice
dell' tiatononùi è neDi virtù creatrice, — L'Italia è anlmMina
peraccdiema; rau- lonomia i la boM della mi* nMggionma. — DeOnitionE del
pri- mato italiano in noiTerale,— La petùxria per It ina poitora è
il centro monte del nondo civile. — Convenienu geogniGehe dell'
lUUa coir India e colla HeMpoUmia. -^-La religione b flprtndpal /
S)ndimeiito.del primato italiano. — II principio calttdieo è Ime- panbile
dal genio narionile d'Italia. — Opinione dei ghibellini e del flloioll nominali
a questo propoaiUi, e aun falsiln. — Del Hachiavelli , del Sarpi e <li
Amalitii ih ìlmcm. — Ln xt» iIiiL- Irina naiionnle d'Italia i quella dei
rufIIì e dei realisti. — ì!,s\iii- cattolicismo e dall' Italia. —
L'Italia è la nniiuuc creatrice: Suo ing^DO inventivo, c sul) liuiilà
delle sue opere. - Essa c pure la naiione redentrice degli altri popoli,
e non puA essere redenta 440 T1V0L& E
SOnARIO per open loro. —I papi non (nrono !■ caoM della
divisione iT ita- lia, and lì mottnrono benemeriti In ogni tempo ddroniU
iu- liana ed enropea. — ObUeiionl e liipoile. — .Dei don nemici
perpetui dellt penisela. — Fati perpelui e glorie di Roma in ósni tempo.
— L'Italia non dee invidiare alle altre Milani la gran- dena e la potenia
disgiunte dalla gìnitliia. — Vino a qual segno i coiHiuisU e II dominio
temporale dell' antieo imperio romano ' sinno stati legitUini.— Gmdeiie
supcnliti della modema BÓma. — Della PMpapnda c ddle mitiioni. — Puagone
del SiTerlo e dd Boonaparte.— L^Iialia/itaempTB la più co9inopoK(Ìca
delle nanoni. — li auo principato si Tonda Mrratlutto nella
religione, j la quale di sua natura suvrasla a ogui cosa umnoa. — L'
Italia tal ' in si lultc le cuii<ii£i<iiii ilei ^un nai
limale c politica risorgimento, \ sema ricorrere «Ilo somniossc
iiilcsthie, alle imitaiioai e inva- j sioni Farcsilere. — Dell' umane
ÌUliaoa. — Essa non può uUenersi colio rivoluiioiii, — [l principio dcU'
unità il.iliani è il Pajia; il quale jiiiii unilìenrc h penisola, mediante
una confeclemiinne ilc'suui principi, — Vanlnggi di una lega ilaliana. —
Il governo folemlivo è connalurale all' llalia, e il pili imturale ili
lutti i goterni. — Danni della centralità cccessita. — La sicoreiia e
la prosperità d'iLalia non sì possono conseguire altrimenti che con
un' alleaniB italica. — 1 lUrcslieri non possono impedire i]uett'
alleanza, e non che opporvisì , debbono deiideratlo. — Semi dell' autore
se entra a iliscorrcrc ili caie dì stato. — L'opinione nasce Ida
pìccoli principii , ma dee essere edncato dai senno della ni- liane, —
Dna province (oprattutlo debbom cooperare a ^TOfjr l'opim'aue
Hi-iriiiatì"imieiiVTlnnii « ti Piwnnnl>. _ ^Bìj^^ )jj \f Itoma
pei popoli, e sua imparzialità fra i pedali ed i prindpi. — I L'onilA
italica sareblie di grande utilità ■iWti religione cattolica , .
loro'genio. — Deli.i (]d.s;i ili S^ii.iia e luili. — .l[lincnzc c
cor- risponderne delle famiglie regnatrid tugl' incrementi civili
dei popoli. — itrfi^ nnn^^ ^pip rtr il Piemonte, n delle sorti c he
le Mno^reDiral|e ^\]f Ptnuy^fjm. — Delta concordia fra T'popoli 0 i
principi italiani. — D difetto di osa ta la cauta TAVOLA E
SOMMARIO principale del c)iM:atlinicnla d' Italia. — Errore
ili chi .illribuÌKe tal decadi nHMi lo nib qualità della stirpe o alla
religione. — ti'in- ■ forlunia ilcgl' llaliaiii aiiehe pur quvsta parte
iiarque dai fores- tieri. — Frincipii di risurgiiiienlo nel secalo
passala , e rili^nu cìtIIì (alte dai ptiaeipi ooslrali. — Inlerratte
dgfla rivolaiioiKi rranceM , ora è il tempo opporUum di ripigiUrte. —
Necessitai di ordinare la pubblici opìaione. — Dne modi con cni quesla ai
ap- I>alc9a ; lit parola dei tmi e la alampa. — Della monarehia
con- ■ullatiia, e del Consiglio civile. — La Btarapa non dee essere
MTva , iiv liceniiusa. — La sala via per evitare amenduc gli ccccs^ , ilà
neir affidarne l'iodlriuo a un caniiglio censorio". — nella
iniportwii* della iiuapa per la civUU. — UtlliU della signoria indivlH p«
riRmnata gli siali. — Si esortai» I prineipi ilaliani a toDdare l'amona
d' Italia.— Del dirello delle rìibnne nriii lane a leniate in Italia ,
dorante il secolo scorso. — Decli- ii.ii e siitcessiva del genio
iiaiiunale della penisola. — Iliscre- iiiiiiii: 111 uiieslo genio da
quello dei Francesi. — Critica del galli- canìsmo. — Di Benigna Bassuel :
censura riverente dell' ing^u e itelle opere di qncslo gran teologo. —1
II sacardoiia primflivo eUw dna poteri, l'ODO reHgloM e l'alln drile. —
Pormola so- ciale : La («roonui* erta MÌl gli ordini civili, — U
ncerdoiio è il Primo politico. — Ciisto rinnovA a compimenlo il
sacerdoiio primigenio. — Necessità del potere civile nel sacerdoiio
cria- liiino. — ( Lode dei Gesuiti del Paiaguai. — Il polerc civile
della Chiesa non toglie la dislùuione, che corre rra lo «lato civile e
il lacerdoiio. — Dea toma, par mi pam il poleniàTile dal Mce^
doxio, cioè la dillaliaa e failiitralo, canispondenli ai due cfcU civili
delle nazioni. — Legittimiti della dittatura ejerdiala dai Poniclici del
medio evo. — Il ciclo dittatorio Gniscc quando c |jerioilo della
dtilti'i lefulare il'lulia <■ crKiirops, — Dell'arbì- tr.ilo,
iraliiiso ilal sacerdoitn. — Il l'.ipa c l'unico [iiiocip io dell'
guerra. — La dittatura pontiScale non lurna inulìle in alcun
TAVOLA E SOMMARIO Icinpo ; MU applicaiiane presenle e
foUin. — 11 I^pa è U prin- cipio dell' anioDe d' lUlia. — Il polcn civile
del Mnrdouo non è contrario ali* ipirìlualiU e HnUU dclb rai indole e del
suo ■nìtuslerìD. -I Del (HtiiHiiùnm. — Crilict de'snoi prÌDcipii
in- tono tU* cotUluiiom della Cb'ma e al dogma caUolico. — Dei
doveri delle varie ciani dei dUadini, in ordine all'aoioDe d'IU' lia,
-/Danni cbe nascono dalle dottrine esagerate di libertii. —
Esortaiioneagli esuli ilalìaiii. —- Del dcbilo che linririu gl'llnliani
gli adalatoridei pririi'ipi. — l>i^i wihili, -- M ji.il ri/Min i'
i!i[licil- menle srilabilc nelle soeiclà civili. — Due specie iJi
palriilalo; fendala t civile. — U primo è im^nevole, Oioesto e vitupe-
ralo. — 0 secondo pnì euer lodevole e ntik, quando venga ac- compagnalo
da eerte condiuoni. — I cattivi nobili tono la rovina delle nontrcbie. —
Dei chierici secolari. — In che modo essi pouano partecipare alle cose
politiche. — I^i del chicrieala Italiano. — Perch6 l' episcopato dì
alcune province cattoliche sia stalo Ulvolla per l'addielro men
ragguardevole degli altri ordini derieali. —(Del frati. — Apologia del
m(MMchÌ«no. — Suoi benefiri rÌq)«llo alla drilU etirqiei. — Quando
traligna ai miri rìfonnare, non abolire. — Dd moMchlinwwientalee
delPocci- dcntale. — Como ijueila si poiH rendere fmtluoio al nodro
inri- vilimento. — Danni che nascono dai diìoiirì degeneri. — In
cbs modo irrati possano influire salutarmeate nella politica ecotqM
rare ai progresai civili. — Essi debbono mettere ndl' opinione il
precipuo fondamento della loro vHa. — D colto ddle iciauie e dèlie
lettere in generale, ma i^edalinenie della aiosoBa, ddia po- litica e
dell'istoria si addice al loro minislerìo. — La scienia ideale i
inoiiaslìca [ter ecccllcnia. — Esurlaiionc ai venerandi alunni dei
chiu;lru ilaliaiio. — Della digniu'i clericale. — Gli ec- ctcsiaslici
debbunu guardarsi cautamenle dall' impicciolire o avvi- lire le co» della
rclìgiuiic. — Si uLbiclla che Ì popoli moderni sono men grandi degli
antichi. — Risposta. — Ddla lollerann cristiana. — Perche nei tempi
addietro violala In alcuni paeii- — Tali viotaiioDÌ non si possono
imputare alla Cbieta cattolica. — TAVOLA E tìOMMAniO
Delk àoleeiia, |)ru(1enia e risi:rva clericali: nel dtspularr a
nei conversare. — Si rancluitc moslrando che il risorgimento
d'ilalia I non pai iver luogo , sa non ri rimetlono in onora gl'ingegni
pri- I vileglati, e non «i soUrae rindiiiuo delle cose ri TOlgo
degli j nomini oiediocrì. nn HL TONO PIIMO.
S&SlOSS La riflessione ontologica ferma, circoscrive,
determina , chia- rifica l’Idea, cioè Dio: ma nella parola si rannicchia,
s'incarna, si compie l’ Idea : la parola porge l’idea cosi rannicchiata ed
incorni- ciata ed incarnata e compiuta alla riflessione. Qui covano , pare ,
molte contraddizioni. Se la riflessione, che chiarifica e ferma l'Idea; qual
bisogno ch’essa Idea si rannicchi c si restringa nella parola? qual bisogno che
la parola compia l’Idea, se la riflessione arreca distinzione, chiarezza,
delineazione nella medesima? Se quel che fa la parola, fa la riflessione
altresì, una delle due è superflua: am- metter l’una c l'altra, è metter luna
in contraddizione dell’altra : supporre cioè che l’una non basti, senza
l'altra, a ciò a che basta veramente. Mavia: prendiamol’una e l’altra
perdelerminalricidel- l'Idea, cioè di Dio. 11 Gioberti diceva che nell'intuito
l’uomo è as- sorbito dall’Idea, non la conosce neppure. Siccome dall'altra
parte diceva eziandio, che « lo spirito trova se stesso in Dio e il mon- do in
se medesimo »; ne viene che anche la riflessione è in Dio as- sorbita collo
spirito : che il mondo lo è pure: e col mondo la pa- rola, parte di esso. In
cotale assorbimento dell'uomo, della rifles- sione, della parola ; assorbimento
che toglie ogni cognizione , non è assurdo c contraddittorio il dire che la
riflessione e la parola , o tulle due insieme, servano a svegliare lo spirito
assopito , esse assopite; servano a chiarire e determinare, esse confuse e
indeter- minate nella universale confusione ed indeterminazione del Ciclo e
della terra, del Creatore c delle creature ? n) Inlrod. li. p. 136-137. b) lìti
pillilo rhe li'ga. e) Errori l. p. 201. Digitized by Google ) 55
Cosa sarebbe l'intuito Gioberliano ? a) la visione -di I)io crean- te; cioè
della natura divina, dell’atto creativo, de’ termini di code- sto atto. Cos'è
la parola? un segno creato b). L’intuito dunque do- vrebbe pure vedere la
parola: la parola sarebbe parte della formu- la, intuita per natura da tutti
gli uomini; chi* l'Ente creante non può essere veduto senza gli effetti del suo
operare. Ma se nell’og- getto dell’intuito è la parola, è la riflessione
altresì, come cosa creata anch’essa; se l’Idea col creare illustra c), e quindi
deter- mina; illustra la parola altresì e la riflessione. Ecco nuova contrad-
dizione e circolo nel dire che la riflessione e la parola servono a delincare
all’intuito ciò ch’egli ha ad oggetto delincalo dalla natu- ra: illustrare ciò
onde vengono esse illustrate. La quale contraddizione o circolo risulta da
molte altre sen- tenze del Giebcrli applicabili al proposito presente. Sentenza
sua è. di frequente, che i sensibili sono per sè inconoscibili; e solo per
l’intelligibile, cioè per l’Idea, siano conosciuti. « L’apprensione sen- si
sitiva non è un elemento intellettivo » </). 11 sensibile non può « essere
pensalo altrimenti, che nell’intelligibile » r) « L’intelli- « gibile rischiara
appunto i sensibili, perché li produce, come l’En- « te e i sensibili sono
illustrali dall' Intelligibile, perché ne deri- « vano, come esistenze » Avca
detto prima « l’Eute è altresì « l’Intelligibile, c le esistenze sono i
sensibili ». Le creature so- no per sè inintelligibili, nè s’intendono che « in
virtù dcU’intcl- g Errori i. p. 56. h) Errori li. p. 141. v) Ivi p. 163. l) Ivi
p. 159-160. m) lntrod. ii. p. 14. n) Errori n. p. 45. un vero sensibile >.
Errori i. p. 257. g) « Il sensibile è subbiedivo è inconosci- f). « ligibililà
assoluta » n bile di sua natura » A): « è per se stesso inconoscibile e sub- ii
bieltivo, non intellettuale, nè obbiettivo,. è rispetto alla nostra co- se
gnizione un pretto nulla » i). « L'intelligibile (l’Idea, l’Ente) ii inonda lo
spirito di un continuo chiarore, e gli rende conosci- li bili tutte le cose »
l). Ora « La parola come ogni segno, è un , <i sensibile » m). Dunque per sé
inconoscibile-, inintelligibile. Solo l’Idea, l’Intelligibile la rischiara, la
illustra, la Ja intelligibile all’uomo. « Tanto è lungi, che la parola provi
l'Idea razionale, che anzi que- ll sta dimostra l'autorità di quella. » n). «
Questa (la parola) e la a) Dico sarebbe, perché il Gioberti stesso Io distrugge
in mille maniere, come vedemmo, e vediamo rontimitinenle. t) Siccome it
sensibile appartiene alla categoria delle esistenze, e queste pro- cedono
dall'atto creativo, la parola b di tua natura un effetto della c reazione.
L’idea -« crea «I segno che l’esprime . Primato, il. p. 15. e) Errori li. p.
352-353. ri) lntrod. n. p, 165. e) Ivi p. 166. f) Ivi p. 562. Qui de» esserci
corso errore di stampa, o nella sostituzione deila voce Iati ad esistenti; o
nella punteggiatura. Perche l'Eulc non deriva dall'Intelligi- bile come
esistenza. Dovrà leggersi, crrdo, il periodo: « I.’ Intelligibile rischiara ap-
« punto i sensibili, perché li produce, come l’Ènte; e i sensibili ccc. »
Digitized by Google 56 « riflessione stessa ripugnano, se non sono
antivenute o guidate da « un lume intellettivo, da cui, (e non dalla parola che
per se stcs- « sa 6 un mero sensibile) l’evidenza e la certezza provengono »
a). Come pertanto può dirsi che la parola « si richiede per ripensare « l’Idea
»; che « il sensibile è necessario per poter riflettere, e « conoscere
distintamente l'intelligibile »? b). Una cosa inconosci- bile per sé, non
conoscibile che per l’Idea; come potrà servire ad illustrare, a chinrirc
l’Idea, da cui riceve lutto il chiarore che pos- siede? L'idea illumina la
parola; la parola illumina l’Idea? Non v’ha circolo qui c contraddizione? Che
se amiamo trarne Inora qualciin'aitra, il modo non man- ca. Il Gioberti scrive
talora, che « l’idea, incarnandosi in una for- * ma sensata, scade sempre dalla
propria altezza » c). L’idea dun- que, se s'incarnasse nella parola, veramente
scadrebbe secondo quel testo; perderebbe di sua perfezione. Come può stare
pertanto che la parola, determini, illustri l'Idea, la compia, cioè la
perfezioni? come può stare che l’Idea per compiersi c perfezionarsi s'incarni
in un sensibile, che la guasta e la rende imperfetta ? La parola ch’è detta in
un luogo dal Gioberti « un sensibile in « cui s'incarna Vintelligihile »;
diventa in un altro « una copia mon- « diale, contingente e linita del modello
divino, necessario e infi- « nilo, c un individuamenlo dell’idea eterna » d).
Siccome questo modello c idea eterna è l'Intelligibile stesso, Dio; quindi la
parola è una copia, un individuamenlo di Dio nel quale s’incarna Dio. E notate,
che « tante sorti di parole create si trovano, quante sono « le specie della
esistenza »; una parola matematica meccanica ed idraulica, che sono i numeri ,
le figure, i movimenti; una parola fisica, cioè i fenomeni di natura; una
parola estetica c sono i ti- pi fantastici; una parola storica, c sono i fatti
transitori o perma- nenti degli uomini, gli eventi ed i monumenti; una parola
sovran- naturale, e sono gli avvenimenti ffrodigiosi e sensibili; una parola
liturgica « ordita di emblemi e simboli; c infine una parola grani- li
malicale, parlata c scritta, ma per se stessa arbitraria , c però « diversa
dalle specie anteriori, che sono tutte naturali e) la (piale « serve ad
esprimere i concetti dell’animo e quindi a tradurre ogni « altro genere di
favella » /). Di tutte pertanto le cose create dee dirsi ciò che della parola
grammaticale: sono sensibili in cui s'in- carna Iddio; sono altrettanti
individuamenti di lui; che lo compio- no, lo determinano, lo fermano, lo
circoscrivono, lo illustrano: quan- tunque siffatta incarnazione lo umilii
veramente , sconci. a) Errori i. p. 208. b) Inlvofl. u. ii. li. e) Ges. Moti,
tv: p. li. d) Prima!-» li. p. 10. e) Anche la parola sovrtwnnfurtile ? fi Ivi.
lo abbassi , lo r Digitized by Google 57 Nasce però curiosità di
sapere, perchè mai nella parola s’in» carni l'Intelligibile; ina nou « in
quanto rispleude aU’intuilo ><: *ib- bene « in quanto riverbera (cioè
ridette) sulla riflessione » in quel punto famoso di contatto che lega Dio
coll’uomo ? La riflessione, si è detto, che mediante la parola circoscriveva ,
compiva l’idea o) ; quindi la parola preceder dovrebbe la riflessione. Ma se la
parola contiene l’Idea in quanto riflette mila riflessione dell'uomo ; la ri-
flessione sarà preceduta alla parola: così la riflessione va innanzi alla
parola; e la parola va innauzi alla riflessione nella stesso tem- po. Eccoci di
nuovo ucU’uno via uno. Se la dottrina della riflessione determinatrice e
illustratrice deU'iuluito fosse vera, dovrebbe dirsi che la riflessione guida
per mano l'intuito, lo signoreggia. Or bene di ciò fa le risa il Gio- berti
contro i psicologisti: « lo aveva credulo finora che la cecità « sia la causa principale
per cui non si scorgouo gli oggetti: ora « siccome l'intuito, non che esser
cieco, è la fonte della risiane, e v la riflessione non cede, se non in quanto
partecipa alla luce intui- « tira, dovremmo dire, alla stregua dei
psicologisti, che tocca al « cieco il guidar per mano, non mica gli altri
ciechi, (il che sa- « rebbe già degno di considerazione), ma chi 6 veggente in
mo- ie do perfetto; cosa per vero singolarissima ». h) Bene slà. Ma quel- li
l’Ontologo, che pone per una parte l'intuito del Sole stesso Eter- no Divino; e
immagina dall’altra una riflessione e un inondo di pa- role che sono necessarie
a determinare, fermare, ed illustrare il so- le, da che sono esse creale ed
illustrate; quegli è che s'introniBtte di far guidare i veggenti perfettissimamcnle
da’ ciechi; che si pensa di accendere il sole di mezzogiorno colle tenebre
della mezzanotte. 11 Gioberti consuona al Rosmini nel riconoscere la necessità
della parola per la riflessione. Differisce però dal medesimo nel- l’asscgnarne
la ragione : per dir meglio: il Rosmini ne dà ragione, ('impossibilità di
spiegar altrimenti la formazione delle idee astrai- le: il Gioberti non ne
porge nessuna, c). Imperocché non sembra- mi prova quel dire che « il punto
indivisibile , di cui abbiamo « discorso di sopra, » (il punto che lega Dio e
l’uomo combacian- tisi), « non può esser termine del ripiegamento riflessivo,
se non ve- « stendo una forma sensibile. E siccome non è sensibile per se stes-
ti so, siccome versa in una mera relazione intelligibile, l’unico mo- ti ilo,
con cui possa rendersi sensato, consiste nell'incorporazione « mentale d) di un
segno, cioè della parola » e). Ma perchè quel o) I.a rbiama perciò . un
semplice insinimentn necessario per mettere la ri- flessione in commercio colf
intuito »; Errori i. p. 200, « Strumento riflessilo * p. 215. « Semplice segno
insidine male » p. 2t9. » stimolo per mi rumineia «I al- « luorsi (l'iiniiiio
umano), e il polline ette lo feconda »; Primato, II. p. 15: « occs- • sione,
cagione, inslrnnirntale del lero ». Necessità della parola. Bello p. 137. 6)
Introd. il. p. 134. e) Rosmini, S. Saggio, sezione V. p. 2. e. 4. a. I. Filo».
Polii. Voi. p. 151-153. d) Incorporazione spirituale. c) Errori i. p. 201.
Digitized by Google 58 punto, rhY' puro relaziono intelligibile, ohe anzi
è la cagnizinne, ro- llio vedemmo , perché « non può esser termine del
ripiegamento « riflessivo, se non vestendo una forma sensibile, se non renden-
ti dosi sensato, se non incorporandosi in un segno »? Il Gioberti noi dice.
Altri osserverà nondimeno che non solo noi dice ma nem- meno può dirlo nel suo
sistema: che perciò é impossibile al Gio- berti di provare la necessità della
parola. Egli afferma, che « l’uo- « ino nou può meglio nel suo stalo attuale
riflettere senza parola, « che favellar senza lingua, vedere senz’occhi, c
pensare senza cor- « vello. Senza il linguaggio l'uomo ha ragione; ma non uso
di ra- ti gione, ha la riflessione in potenza, non in atto » a). Il che dice
essere « applicazione speciale ili una legge generale dello spirito. La qual
legge si è, che la riflessione universalmente non si può cser- « citare, se non
mediante il concorso del sensibile coirintelligibile » l). Ora di quale dell»*
due riflessioni, già distinte da lui, parla il no- stro autore? Dell’ontologica:
perchè dell’altra confessa che « il sen- sibile è l’oggetto medesimo dell'alto
riflesso, onde la parola non en- ti Ira necessariamente nel suo esercizio, se
non in quanto tal ri- ti flessione si connette colla riflessione ontologica;
imperocché il sen- " sibilo per essere pensato non ha d’uopo di un altro
sensibile, che « lo vesta e lo rappresenti » c). lo nè ammetto nè ripudio tale
ra- gione: ma l'ammette il Gioberti certamente. Dunque a sola la ri- flessione
ontologica è la parola necessaria. Perché? perchè « in os- ti sa il sensibile
non è somministrato daH'oggello dell’operazione « il quale è il stdo
intelligibile i d). Sla codesto e falso: è falso che oggetto dell’ ontologica
riflessione sia il solo intelligibile, se- condo il Gioberti. Non ci ha egli
appreso che « la riflessione on- « tologica, tramezzando fra le due altre
operazioni (intuito e rides- ti sione psicologica), abbraccia congiuntamente il
soggetto e l 'oggetto « c li contempla con un allo unico? » c); che nella
riflessione Oli- ti tologica lo spirito si ripiega sovra di sé in quel punto
indivisi- « bile, in cui il soggetto tocca l’oggetto , c abbraccia quindi l’og-
« getto medesimo , come intuito dal soggetto? » f). Dunque non è
l'intelligibile solo, l’oggetto della riflessione ontologica; ma è il soggetto
eziandio, cioè il sensibile, oggetto della psicologica. Ma se questo non ha ili
bisogno di sensibile, di parola, per essere ripen- salo; se non n'ha bisogno l’
intelligibile, Dio, intelligibile per se stes- so: come n'avrà bisogno il punto
in che si congiungono si legano si toccano si combaciano Dio e l’uomo ? l’nione
di due termini, l’uno intelligibile per sé, l’altro per l'intelligibile, unione
di' è relazione intelligibile', perchè avrà d'uopo di sensibili, di segni, ad
esser og- getto di riflessione ? n’ Krrnri i. p. '20 fi. JThi|I. 201). r\ hi p.
ini. di Iti. e Krrori t. p. 136, [) Iti p. 201. ,. Digitized by
Google 59 Che se « prima di credere alla parola, bisogna intenderla
» a); la parola a nulla servirà se non in quanto sia già in quel punto, unione,
unità, eh e la cognizione. £ se altronde la cognizione dovrà esser vestila
della parola , per diventar riflessione ; la veste dovrà insieme essere il
vestito, perché riflessione si ottenga, cioè cogni- zione vera , come la chiama
il Gioberti. Questa è una di quelle « soluzioni ed avvertenze » di cui non v’
ha « il menomo vesti- li gio » in altri sistemi prima del Giobcrliano li). Il
che niuno vorrà negareDella unicertalilà ecientifica dellafarmolu ideale.
Aimcoio punto. Prtamiolo. — L* formolo roiionale dee contenere I* organismo
degli eie- menti ideali.—Per conoscere questa organizzazione, bisogna
riscontrare essa forinola 1 coll albero enciclopedico.^-L’enciclopedia si
compone di tre parti , filosofia, fisica e matematica, cko corrispondono alle
tre membra della iormola.—Della filosofia in ispe- cicr si stende per tutta la
formolo.—Dell* ontologia, psicologia , logica, etica e ma- tematica ; come si
connettano coi rari termini di quella. — Tavola rappresentativa deiralbero
enciclopedico, conforme alC organismo ideale.—Spiegazione generica del- la
tavola. —Dello scienza ideale. —Della teologia rivelata e della
filosofia.—Princi- pato universale della prima.—Maggioranza della seconda sulle
altre scienze. — Primato dell'ontologia fra le varie discipline filosofiche ;
necessario, acciò queste siano in fio- re. —Della teologia universale. . 7
Digitized by Google Articolo secondo. Delia matematica. — La
matematica tiene un lnogo mezzano tra la fi- losofìa e |a fìsica —Insufficienza
della filosofia moderna, per dare una teorica soddi- sfacente del tempo c dello
spazio. — Dichiarazione di queste due idee, c dell* oggetto loro, mediante la
forinola ideale. 14 Articolo terzo. Della logica e (Iella morale. —Queste due
scienze hanno ciò di comu- ne, che appartengono al termine medio della formolo.
—Della logica in particolare, c delle varie sue parti — Dell* etica in
ispccicr. — Dei due cicli creativi, e dei loro riscontri. — Convenienze, che
corrono fra loro. — Della legge morale. — Dell* impe- rativo. — Del dovere, e
del diritto. — Dei tre momenti dell’ imperativo. — Del mal morale, e del mal
fisico, che ne conseguita. —Della pena eterna. 17 Articolo quarto. Della
cosmologia. — Versa nel terzo membro della formolo. — Dei duo cicli generativi.
—- Varie sintesi, di Cui si compongono. — Dell' ordine dell* universo. — Del
concetto teleologico. — L* idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo.
26 Articolo quinto. DelCestetica. —Del sublime e del bello, t-Delle varie loro
specie, e del modo in cui si connettono colla formolo. —Del inaraviglioso. 29
Articolo sesto. Della politica. — La politica moderna deriva dal psicologismo
cartesia- no. — Quindi i suoi tizi. — Gli stateti odierni, non hanno veri
principii, perché man- cano della cognizione ideale. — 1 difetti della teorica
hanno luogo del pari nella pratica. —La civiltà moderna dee fondarsi su quella
dei bassi tempi. —Dell* apof- tegma del Machiavelli, che le instituzioni si
debbono filirare veto i loro principii. —In che senso sia vero..—Benefici
influssi del Papato nella civiltà delle nazioni.— Di Cesare, institufore della
tirannide imperiale. — Connessila della licenza colle dottrine di Lutero e del
Descartes. — Della idealità delle nazioni. — L* Idea é fonte del diritto.
—Attinenze del dovere col diritto, c delle varie specie loro. —Della sovranità.
— La sovranità assoluta è 1* Idea. — Della sovranità relativa c ministeriale. —
Non si trova in separato nel governo o nel popolo. —La società non è d’
instituzione umana, ma divina. —Cosi anche il potere sovrano. —Due doti
essenziali di questo potere , intorno al modo, con cui si tramanda e perpetua
di generazione in generazione. — For- inola della politica. —Assurdità del
suffragio universale. —La capacità dee,accompa- gnare il potere sovrano; ma non
basta a costituirlo. — Il potere sovrano dee essere indi- pendente dai sudditi.
—La perfezione della sovranità consisto nell* unioqe del potere tradizionale
colla sufficienza elettiva. — Il sovrano non può mai farsi da sé in nessun ca-
so. — Ogni potere sovrano è divino. — Inviolabilità del potere sovrano. — Delle
rivolu- zioni, e dello con’rarivoluzioni: che cosa si debba intendere sotto
questi nomi. —Laverà rivoluzione, essendo 1* attentato contro una sovranità
legittima, è sempre, illecita. — Lo stato politico di un popolo dee
corrispondere a’ suoi ordini primitivi c anticati. —La mo- narchia é necessaria
al di d* oggi alla libortà europea. — L' investitura della sovranità in una
famiglia é inviolabile, corno il dominio privato. — Il potere ereditario, c la
capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. — Conformità
della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all* inviolabilità del
potere sovrano. —1 fautori del- la licenza invertono la formula politica. 31
Asticolo settimo. Epilogo. —L* idea divina ó la suprema forinola
enciclopedica'. — Universalità dell’ idea divina. — L* ontologismo non é un
metodo ipotetico, corno quello dei psicologisti. — Iddio è 1* Intelligibile: é
1* alfa e 1* omega della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea
divina nelle varie parti della filosofìa. Si Digitized by Google
CAPITOLO SESTO. Dtll'a conservazione dellaforinola ideale. La
conservazione della forinola è opera della rivelazione. — Definizione di
questa. — Suoi diversi periodi. — La confusione della filosofia colla religione
nocquc in ogni tempo ab- la scienza ideale. —Analogia dei moderni razionalisti
cogli antichi —Del razionali- amo teologico fiorente al di d’oggi. — Si divide
in due parti. — Suoi fondatori. La cri- tica storica dei ra/ionalisti pecca per
difetto di canonica. —Il razionalismo confondo insieme i rari ordini di fatti e
di veri. — Sua vecchiezza. — Dei Doceti. — Il raziona- lismo è un vero
naturalismo, i— Del sovrannaturale : sua definizione. — Necessità di esso, per
l’ integrità dell’ Idea. — Possibilità e convenienza morale del miracolo. —
Universalità dell’ ordino sovrannaturale. — L’Idea cristiana è universale, come
l'Idea della ragione. — Nullità sintetica o filosofica dei moderni
razionalisti. — Il Cristianesi- mo é la religione universale. — Non si può
mettere in ischicra cogli altri culti. — Sua singolarità. —Le false religioni
non distruggono l’ universalità del Cristianesimo. — Accordo di questo colla
civiltà crescente di ogni tempo. -—Si confuta una sentenza del- lo Strausse. —
Le false religioni sono lo sole, che debbano temere dei progressi civili. — Il
Cristianesimo sovrasta, e non Sottostà alla coltura più squisita. — La civiltà
moder- na, che lo combatte, è una barbarie attillata Delle prove interne della
.rivelazione. — Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. — La Chiesa è la parola
esterna dell’ Idea. — La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione dell'
Idea, chfe vi è rappresentata. — O- scurità della Bibbia in alcune parti. — Sua
mirabile semplicità, e sua differenza dai la- vori sincrctici dell' ingegno
umano. — Concorso c predominio delle prove esterne od interne della
rivelazione, secondo le varie ragioni. — Della inspirazione dei libri sacri. —
Sua definizione, natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni dei
razionali- sti. — L’ ermeneutica di questi si fonda in un falso metodo. —
Etnografia della rivela- zione. — Della predestinazione degl’ individuile dei
popoli. — Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. Dei popoli giapctici
: loro divario dai Semiti. — Delle na- zioni madri. — Degl’Israeliti;
conservatori dell’Idea perfetta, prima di Cristo. — Dei fati -del popolo ebreo.
— Della scienza acroamatica ed essoterica. — Fondamento natu- rale, o
universalità di questa distinzione. — Della ordinazione civile e religiosa
degl' Israe- liti. — Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza
secreta, acroamatica c tra- dizionale. — Ragioni, in cui si fondava questa
'distinzione presso il popolo eletto. — Il Cristianesimo rese essoterica la
scienza acroamatica degl' Israeliti. — L’alternativa dcl- racroaraatismo c dclf
essoterismo èia sola variazione, che si trovi nella storia dell' Idea rivelata.
— Perchè Mosé non abbia insegnata espressamente i’ immortalità degli animi
umani. — Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia e il dogma
della ri- surrezione. — Del sensismo proprio dei razionalisti.’— Falsità del
loro metodo nel cer- care 1’ origine delle idee e delle credenze. — Attinenze
reciproche della dottrina esso- terica. — Differenze, che correvano, per questo
rispetto, fra gl' Israeliti c i Gentili. — Del fìguralismo ebraico. — Non è un
trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. — Falso concetto dato dal sig.
Salvador delle iustituzioni mosaichc. — La furinola idea- le e il telegramma ,
erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl* Israeliti. Gl
• 203 Digitized by Google CAPITOLO SETTIMO. Dell' alterazione
dellaformolo ideale. La barbarie non fu lo stato primitivo dogli uomini.*—La
storia delle religioni tion comincia dal sensismo, — Per quali cagioni
diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primitiva. —Vicende
civili delle nazioni. —Del patriarcato. —- Dello stato castale : sua origine. —
Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. — Genio religioso delle società
costituite sotto 1’ imperio ieratico. —'I sacerdoti autori principali della
civiltà risorgente. —Effetti salutari della loro influenza nelle colonie
antiche e moderne. —Il sacerdozio conservò le reliquie dell’ antica dottrina
acroamatica ; fondò 1* essoterica. — In che modo la mitologia .é la simbolica
potessero esser- opera della moltitudine. — La riforma ieratica dell’
acroamatismo produsse la filosofìa. — Vari indirizzi della fi- losofìa
gentilesca.—Riscontri . dell’antico c del nuovo paganesimo. —Vari gradi, per
cui passò l' alterazione della forinola ideale', oscurità, confusione,
dimezzamento e disorga- nazione.— Cagioni dell’ alteramente : predominio del
senso e della fantasia; influenza del linguaggio sull’idea, e dell’ essoterismo
sull’ acroamatismo ; dispersione dei popoli, perdita dell’unità universale. —
Del culto dei fetissi. Di un doppio moto contrario, re- gressivo e progressivo,
delle instituzioni religiose.—Esempi.—Quattro epoche della co- gnizione ideale:
intuitiva, immaginativa, sensitiva e oslrattiva.-»-Se nel vario e succes- sivo
alterarsi della forinola, si mantengano i suoi tre membri, e come? Tavola delle
trasformazioniontologichedellafòrmolaideale, corrispondentiaivaristatipsicolo-
gici dello spirito umano. —Dichiarazione della tavola. —Dell’ epoca intuitiva;
corno 1' uomo ne sia scaduto. —Il mal morale consisto nella negazione del
secondo ciclo crea- tivo.— Dei mezzi sovrannaturali per conservare lo stato
intuitivo. —L'essoterismo fu l’oc- casione della perdita di esso. — Dell’ epoca
immaginativa. — Del naturalismo fanta- stico c dell’ cinanatismo propri di
questa epoca. — Indole poco scientifica dell’ ema- natismo. — Sua forinola. —w
Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. — Dottrina dinamica degli
cmanatisti. — Della loro dualità primordiale, e delle dualità successive. —
Dell’ androginismo , e delle dee madri ; loro connessione coll’ emanati- smo. I
fautori di questo sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. — Del
Kincrctisino emanatistico. — Dei due cicli di tal dottrina: 1’ emanazione. *—
Del ciclo remanativo: sua natura. —Corrompe la morale, c introduce il
pessimismo. —Delle varie età cosmiche, secondo i miti di molti popoli Gentili.
— come 1’ ottimismo c il pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli
em&ftatisti. —Degli aratori, della teofanie o logofanie permanenti e
successive, e delle apoteosi. —Come il sovrintelli- gibile si trovi alterato
fra queste favole. —Del politeismo; nato dall’ emanatismo. Sua indole, e sue
varie forine. —Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscen- za della
unità ideale. — Dell’ idolatria : sua natura. — Del panteismo: ò una riforma
ieratica dell’ emanatismo. —Il panteismo scientifico non potè essere il primo
sistema nella via dell’ errore. — 1/ emanatismo e il panteismo sono
sostanzialmente una mede- sima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e
poetica, l’altro sotto una forma scientifica. —Proprietà speciali del
panteismo. —Universalità del panteismo nel re* gnu dell’ errore. —Tutti i falsi
sistemi vi si riferiscono. —Qual sorta di progresso possa avero Terrore. —Varie
forme del panteismo* —Della condizione del sacerdozio i —— 201 Digitized
by Google dopo la rovina dello stato castale. —Dei Misteri, da cui
uscì la filosofia laicale.— Dell’ateismo. —Questo sistema non potò essere
anteriore al secondo periodo della fi- losofia secolaresca. —Si rigetta l!
opinione di un ateismo indico antichissimo —Del sovrintelligibile. —Serbato in
parte dai sacerdoti, o perduto affatto da' laici filosofan- ti, salvoclié dalle
tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia e della Grecia. —Dei tentati- vi
antichi c moderni, per riedificare umanamente il sovrintelligibile. —Si
conchiude, accomando brevemente il tenia del secondo libro NOTE. IQS Nota prima.
Sulle denominazioni moderne dell* Io e del Me. 159 , 160 16.1 164 I6l> &
Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. 166 Errori
di un giornalista francese sull’ amor di Dio. IL IL ÌL L IL Del tempo e dello
spazio, secondo il processo ontologico. Passi del Leibniz e del Malebranche sul
tempo e sullo spazio. Della importanza, che la religione dà alla vita
temporale. Degli attributi divini ontologicamente considerati. 7j IL £. liL LL
14. 15. Ifii 12. 18. liL 11L 2Qi 2 1 . 22. 23. 24. 25. 26. 22. 21L Influenza
della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell'aziono umana. 172.
Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. IL Sull*infinità del mondo. 173
Sugli assiomi di finalità o di causalità. 174 Se l'abolizione della schiavitù e
del servaggio si debba attribuire al Cristia- nesimo? Sull’origine della
sovranità in alcuni casi particolari. Dell'orgoglio civile. Sui diversi modi,
con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. L'idea di Dio non è solamente
negativa. I7(i 112 178 179 IL 180 18J bit. Sulla voce rivelazione. Di varie
spezie del razionalismo teologico. Dei miracoli posteriori allo stabilimento
del Cristianesimo. Passo del Malebranche sull’idealità del Cristianesimo. Passo
del Leibniz sulla rivelazione. . Sulla credenza antichissima dei Samaritani
nella risurrezione dei morti. Si esamina la dottrina filosofica dello
Schleiermacher c dello Strausse sull’ esi- stenza degli angeli. I razionalisti
confondono la dottrina acroamatica colla essoterica. Sul fatto di Babele. . Del
sincretismo dei falsi culli, doma, mito e simbolo zendico, ISci culti barbari
l’ Idea è esclusa dalla religione, c non dalla scienza umana. 19^ Gioberti.
Iniroduz. Voi. III. ‘Hi * « IL 1112 IL IL * 182 184- Jb. 18J Digitized by
Google 206 29. 30. 31. 32. 33. 1/antropomorfismo e il psicologismo
essoterico. 194 Del panteismo di Ulrico Zuinglio. 195 Passi dello Spinoza
conformi alle dottrine del razionalismo teologico. 19ti Sul psicologismo degli
eretici. Ib. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col
psicologismo e col fa- talismo.DELLA DECLIAAZIOSE DAGLI SITUI SPECl'LATIV I, I*
OHUISE ALL' UGGETTO. Della Idea. — È primitiva, indimostrabile, evidente, e
certa per sé stessa. — Necessità della parola . per determinare c ripensare
l'Idea. — 1 progressi della cognizione ideale rispondono alla per- fezione
dello strumento, con cui si lavora, cioè della parola. — Il linguaggio fu
inventato dall' Idea, clic parlò sè stessa. — 1/ evi- denza c la certezza
riflessiva abbisognano della parola. — Il sen- sibile è necessario per poter
ripensare l’intelligibile. — L'Idea è l’unità organica, la forza motrice, e la
legge governatriec del genere umano. — L'Idea è l’anima delle anime, l'anima
della società universale. — Ella può oscurarsi, ma non ispegnersi affatto. —
Del suo primo oscuramento, e degli effetti, clic ne seguirono. — Perdita dell’
unità ideale , c morte morale del genere umano. — Diversità delle stirpi. —
Dell’ instaurazione sovrannaturale dell’ unità primitiva. — Del genere umano
secondo l'elezione, sostituito al genere umano, secondo la natura. — La Chiesa
è la riordinazionc elettiva c successiva del genere umano. — Vicende storiche
della Chiesa. — Colla perdita dell’ unità ideale venne meno al genere umano la
sua infallibilità,chepassònellaChiesa.—Quandoil genereumano riacquisterà questo
privilegio. — Chi è fuori della Chiesa, è fuori del genere umano. —
Composizione organica della Chiesa. — La , Digitized by Google 474
TAVOLA E SOMMARIO. Chiesa c conservatrice e propagalrice dell’ Idea : unisce il
prin- cipio della quiete a quello del molo. — Delle forinole definitive della
Chiesa. — Della scienza ideale, razionale e rivelata. — Attinenze reciproche di
queste due parti. — La scienza razio- nale, o sia la filosofia, si distingue in
due grandi epoche, ciascuna delle quali corrisponde a una rivelazione. — Il
nesso fra la rivelazione e la filosofia è la tradizione. — I.’ alteramente
della tradizione, e quindi della verità, fu nella sua origine una confusione
delle lingue. — L* effetto di questa confusione fu il gentilesimo. —
L’organizzazione ecclesiastica è la sola via, con cui si possa conservare
intatta la tradizione. — Della Chiesa giudaica, c della sua diversità dalla
cristiana. — La filosofia gentilesca avea colla rivelazione primitiva una relazione
diversa da quella, che corre tra la filosofia cristiana c la rivelazione evan-
gelica. — Due tradizioni, religiosa c scientifica. — Due classi di sistemi
filosofici; gli uni tradizionali e ortodossi; gli altri anli- tradizionali ed
eterodossi. — I primi suddividonsi in progressivi,
cregressivi.—Qualitàprincipali,percuii sistemieterodossisi distinguono dagli
ortodossi. — La filosofia ortodossa è perpetua. — Vari modi, con cui i sistemi
eterodossi possono rompere il filo della tradizione. —Tre.età della filosofia
cristiana. —Dell’età moderna.—Delpsicologismo: definizionediesso,edell'onto-
logismo, che gli è contrario. — Il psicologismo è l'eterodos- sia moderna delle
scienze filosofiche. — Renato Descartes è il suo fondatore ; gran matematico ,
meschinissimo filosofo. — Paralogismi puerili del suo metodo. — Presunzione
intollerabile del suo assunto e delle sue promesse. — Cagioni, per cui il Car-
tesianismo invalse, ed ebbe una certa voga. — Due dottrine c due letterature in
cospetto P una dell’altra, tra il secolo decimoquiuto c il sedicesimo. — Abusi
e disordini, che allora regnavano. — Necessità di una riforma’ cattolica. — Tre
riforme eterodosse ; due religiose, la terza filosofica. — Il tedesco Lutero, e
l'italiano ocino, autori delle due prime; il francese Descartes, della terza. —
Vizi della Scolastica, che prepararono gli errori più moderni. — Analogia del
metodo protestante col metodo cartesiano. — Il Descartes non liberò la
filosofìa, come oggi si crede, ma la ridusse Digitized by Google TAVOLA E
SOMMARIO. WS in scrvilu. —Contraddizioni ridicole della sua dottrina. —Il
Descartes non somiglia a Socrate pel metodo, ne a Platone per la
teoricadelleideeinnate.—Vizidelpronunziatocartesiano: io pento, dunque tono. —
Il sensismo nc è la conseguenza. — Assur- dità del sensismo. — Il predominio
del sensismo ha impicciolita — la filosofia moderna. — Danni recati da esso
agli studi storici. — La religione è la chiave della storia. — La filosofia
nata dal ('.ar- tesianismo si divide in cinque scuole. — Del razionalismo
psico- logico diverso dall’ ontologico. — Due classi di filosofi francesi. — Di
alcuni eclettici francesi in particolare. — Si annoverano i diversi vizi e
inconvenienti dell' eclettismo, e quelli del psicolo- gismo. — Obbiezioni dei
psicologisti : risposta. — Del senso ontologico. — L'ontologismo è conforme
all’ indole e al processo del Cristianesimo. — llicpilogazioue delle cose dette
in questo capitolo. CAPITOLO QUARTO. (IELLA FOIJIOLA IDEALI. I Che cosa
s’intende per forinola ideale. — Metodo, che l’autore si propone di tenere in
questa ricerca. — Del Primo psicologico ontologico c filosofico. Il Primo
filosofico abbraccia i due altri. — Varie dottrine sul Primo psicologico e
ontologico. — Teorica di Antonio Rosmini intorno al concetto dell’ente
consideralo, come Primo psicologico : si riduce a quattro capi. — Critica del
sistema rosminiano : il Primo filosofico è l’Ente reale. — L'Ente reale è
astratto e concreto, generale e particolare, individuale e universale nello
stesso tempo. — La filosofia moderna erra spesso, mutando il concreto in
astratto. — Vari generi di astrazione c di compo- — sizione. — Il Primo
filosofico contiene un giudizio. — Doti spe- ciali di questo giudizio : 1°
consta di un solo concetto, che si replica su se stesso ; 2° è obbiettivo,
autonomo e divino, vale a dire, che il giudicante è identico al giudicalo. — Il
giudizio di- ,- 476 TAVOLA E SOMMARIO, vino essendo il primo anello
della filosofia, questa è una scienza divina e non umana nel suo principio. — Il
giudizio divino, con- tenuto nel Primo filosofico , non basta a costituire la
forinola ideale. — Ricerca di un altro concetto per compiere la formola. —
Della nozione di esistenza : analisi del concetto e della parola. — Egli è
impossibile il salire logicamente dal concetto dell’ esis- tenza a quello dell'
Ente. — Bisogna adunque discendere dal con- cetto dell' Ente a quello di
esistenza.— Necessità di un concetto in- termedio per effettuar questo transito
nel processo discensivo. — L’idea di creazione è il legame tra le due altre. —
Obbiezioni controdiessa: risposta.—IIprocessopsicologicocorrispondeall’
^ontologico. — Lo spirito umano è spettatore continuo, diretto e immediato
della creazione. — L'idea di creazione contiene un fatto primitivo c divino,
che è il primo anello delle scienze fisiche e psicologiche; quindi tutta l’
umana enciclopedia è divina nel suo principio. — Compimento della formola
ideale. —- Altro giudizio contenuto in essa formola. — Distinzione c
inseparabilità psico- logica dell’Ente e dell’esistente. — Del vero ideale e
del fatto ideale.—Obbiezionecontroil nostroprocessoideale:risposta. — Dell’
organismo ideale. — Problemi metafisici, che non si pos- sono risolvere , se
non colla nostra formola , e ne confermano la verità. — 1° Del necessario c del
contingente. — 2“ Dell’ intelli- gibile. — 3° Dell’ esistenza dei corpi. —
Cattivo metodo di molti filosofi nel combattere l’idealismo. — 1° Dell’
individuazione. — !i° Dell’ evidenza c della certezza. — Possibilità del
miracolo provata a priori. — Nuove obbiezioni contro la formula ideale :
risposta. — 6° Dell’ origine delle idee. — Vari sistemi dei filosofi su questo
punto. — Critica della dottrina rosiniuiana, che tulle le idee nascano da
quella dell’Ente, per via di generazione. Esposizione sommaria della nostra
dottrina sull’origine delle idee : si riduce a tre capi. — Convenienza della
nostra dottrina con un pronunzialo del Vico. — 7° Dei giudizi analitici c
sinte- tici. — Esposizione della nostra dottrina sulle varie classi di giu-
dizi sintetici. — 8° Della natura del raziocinio. — Cenni su altre quislioni,
che si attengono alla nostra formola. — L’aver dis- messa o trascurata l’idea
di creazione è la causa principale degli ^ — Digitized by Google
TAVOLA E SOMMARIO. 477 orrori filosofici. — Vane promesse ilei moderni
eclettici, c flebo- — lezza della filosofia presente. — Per ristorarla, bisogna
abolire il psicologismo. — Il Cristianesimo rinnovò la forinola ideale. — Ili
santo Agostino : sue lodi : fondò la scienza ideale. — Della scienza ideale
cattolica : sue prerogative. — Degli Scolastici : loro difetti. — Del
nominalismo e sua influenza sinistra nel rea- lismo. — In che consista il
perfetto realismo. — Si critica il principio fondamentale di Cartesio colla
scorta della formola ideale. — Di Benedetto Spinoza. — Tre epoche della
filosofia te- desca. — L’ontologismo dei panteisti tedeschi è solo apparente. —
Critica del loro sistema. — Vizi del panteismo in generale. — Convenienze del
panteismo coll' eterodossia religiosa, e in ispecie colle opinioni ilei
protestanti, c con quelle degli Ebrei, dopo la divina abrogazione del loro
culto. 1 44» prima.. II. 4. 9. 0. 7. 8. 9. 10. 11 . 12. 13. 11 . 19. 10. Le
sensazioni sono segni delle cose. Passo del Leibniz sul nesso del pensiero
colla parola. 279 Sulla base ontologica della veracità. 281 Indivisibilità
morale ilei Papa c della Chiesa. 282 Sullamutabilitàdelvero,secondoi panteisti.
283 Sulla universalità logica dell’errore. 285 Passo dello Spinoza sull’
ontologismo. 283 Passo del sig. Cousin sul psicologismo del Descartes. 28(1
Giudizio del Leibniz su Cartesio c sulla sua dottrina. 287 Del valore del
Descartes nelle scienze fisiche. 28S Parere di Cartesio sulla speculativa dei
matematici. 292 Passo del Mcujot su Cartesio. Ih. Dei furti letterari del Descartes.
293 Esame dello scetticismo cartesiano. 293 Passo dell' Aucillon sullo stile
del Descartes. 29!) Della presunzione e dell’ arroganza del Descartes. 300
NOTE. 277 Digitized by Google 478 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24.
23. 26. 27- 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 33. 36. 37. 38. 39. 40. 41. TAVOLA E
SOMMARIO. ^ Sopra una sentenza del Vico. .706 A che e (Trito i capi della
Riforma scemassero il sovrin- telligibile rivelalo. 307 Che gl’italiani hanno
l’ingegno scultorio. Ib. Divario tra i Sociniani e i moderni razionalisti. Ib.
Esamedell’opinionediCartesiointornoalsuorogito. 308 Sul IVo di Lutero. 328 Sul
circolo vizioso del Descartes. 329 Esame dell’opinione cartesiana, che Iddio
possa mu- tare le essenze delle cose. 333 Vera idea della filosofia socratica c
platonica. 314 Sulle idee innate del Descartes. 343 Sopra una sentenza del
Thomas. 316 Passo del Leibniz sul Cogito di Cartesio. 317 Il secolo attuale
continua il precedente. Ib. Passo dello Stewart sulle sciocchezze dei filosofi.
348 Passo del sig. Cousin sugli studi forti. Ib. Sulla religione di Napoleone.
349 Critica di due opinioni del sig. Jouffroy. 331 Il sig. Cousin non conosce
il sistema del Malebranche. 361 Quando nacque la filosofia moderna , secondo il
sig. Cousin. 366 Dell’ ontologismo cristiano. 367 Vari passi del Malebranche
sulla visione ideale. 369 Si esamina la dottrina del Rosmini sulla visione
ideale. 377 Capitolo primo. L’ente ideale del Rosmini è insussis- tente, benché
non sia subbiellivo. Capitolo secondo. L’ente ideale del Rosmini è obbiet- tivo
c assoluto, benché si distingua da Dio. Tassi di san Bonaventura c di Gersonc
sulla visione ideale. 444 Medesimezza del concreto c dell’astratto,
dell'indivi- dualeedelgeneralenell’ordinedellecoseassolute. 132 Passi del
Malebranche e ilei Leibniz sull’ eloquio ideale. •* 433 Digitized by
Google TAVOLA E SOMMARIO. 479 42. Sulla confusione dell’ essere
coll’ esistere. 4556 13. / l’asso del Vico sul divario, che corre fra le voci
44. 43. 16. 47. 48. 49. 30. 31. 32. 33. I I essere ed esistere, e sull’ uso
improprio, che ne fa il Descartes. tb. Passi del Descartes, in cui questo
filosofo sinonimo l ’ essere coll’ esistere. 437 Sulla voce esistenze adoperata
nella formula. 439 Sulle nozioni del necessario, del possibile, del con-
tingente, e sui principii, che ne derivano. Ib. Della dualità ideale. 462 Passo
del Malebranche sulla impossibilità di di- mostrare l’esistenza dei corpi. 463
Sulle convenienze del sistema cartesiano collo Spi- nozisrno. 464 Passo del
Leibniz sullo stesso proposito. 468 Sopra due obbiezioni del Paulus contro il
sistema dello Spinoza. Ib. Cenno sulle tradizioni panteistiche dei Rabbini. 471
Di una opinione dell' Hegel tolta dal Leibniz.DELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA
DELI A FORMULA IDEALE. Articolo primo. Preambolo. — La forinola razionale dee
contenere l'organismo degli clementi ideali. — l’er conoscere questa orga-
nizzazione, bisogna riscontrare essa forinola coll'albero enciclo- pedico. —
L'enciclopedia si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e matematica, che
corrispondono alle tre membra della forinola. — Della filosofia in ispecie : si
stende per tutta la forinola. — Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c
inaleinatica ; coinè si connettano coi vari termini di quella. — Tarala
rappresenlalira dell’ albero enciclopedico, confórme all’ organismo ideale. —
Spiegazione generica della tavola. — Della scienza ideale. — Della teologia
rivelata e della filosofia. — Principato universale della prima. — Maggioranza
della seconda sulle altre scienze. — Pri- mato dell’ontologia fra le varie
discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore. — Della
teologia universale. I Articolo secondo. Della malemalica. — La inatcmalica
tiene un luogo mezzano tra la filosofia c la fisica.— Insufficienza della filo-
sofia moderna, per dare una teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. —
Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola
ideale. 17 Articolo terzo. Della logica c della morale. — Queste due scienze
hannociòdicomune,cheappartengonoal terminemediodella Digifeed by Google
400 TAVOLA E SOMMARIO. forinola. — Della logica in particolare, e delle
varie sue parti. — Dell’ etica in ispccie. — Dei due cicli creativi, e dei loro
riscon- tri. — Convenienze, ebe corrono fra loro. — Della legge morale. — Dell’
imperativo. — Del dovere, e del diritto. — Dei tre mo- menti dell’ imperativo.
— Del mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. — Della pena eterna. 23
Articolo qlarto. Della cosmologia. — Versa nel terzo membro della forinola. — Dei
due cicli generativi. — Varie sintesi, di cui si compongono. — Dell’ordine
dell’ universo — Del concetto te- leologico. — L’ idea di fine ci è
somministrata dal ciclo creativo. 43 Articolo qlirto. Dell' estetica. — Del
sublime e del bello. — Delle varie loro specie, c del modo, in cui si
connettono colla for- inola. — Del maraviglioso. 32 Articolo sesto. Della
politica. — La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. —Quindi i
suoi vizi. —Gli statisti odierni non hanno veri principii, perchè mancano della
cogni- zione ideale. — I difetti della teorica hanno luogo del pari nella
pratica. — Del governo rappresentativo. — Originato dal Cristia- nesimo;
vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. — Due sistemi dilibertàpolitica:
l’unoeterodosso,cl’altroortodosso.—Suc- cessione storica del sistema ortodosso.
— La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine recenti c sorelle. —
Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. — La civiltà moderna dee
fondarsi su quella dei liassi tempi. — Dell’ apoftegma del Ma-
chiavelli,chele«istituzionisidebbonoritirareversoi loroprin- cipii. — In che
senso sia vero, — Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni. —
Danni fatti alla medesima dall’ Imperio. — Di Cesare, institutore della tirannide
imperiale. — Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine di Lutero
e del Des- cartes. — Della idealità delle nazioni. — L’ Idea è fonte del di-
ritto. — Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. — Della
sovranità. — La sovranità assoluta è l’Idea. — Della sovranità relativa e
ministeriale. — Non si trova in sepa- rato nel governo o nel popolo. — La
società non è d’ «istituzione umana, ma divina. — liosì anche il potere
sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si
tramanda Digitized by Google TAVOLA E SOMMARIO. 461 c perpetua di
generazione in generazione. — Forinola della poli- tica. — l.a Immissione della
sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. —
Se tutti i cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del
suffragio uni- versale. — l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma
non basta a costituirlo. — Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai
sudditi. — l.a perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere
tradizionale colla sufficienza elettiva. —Dei due cicli generativi della
politica. — 11 sovrano non può inai farsi da se in nessun caso. — Della
distribuzione della sovranità fra i cittadini. — Ogni potere sovrano è divino.
— Nello stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno
opochissimiindividui,nèpareggialafratullii cittadini.—In- violabilità del
potere sovrano. — Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni:
checosasidebbaintenderesottoquestinomi.— La vera rivoluzione, essendo
l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. — La vera
contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. — Lo stato
politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. —
La mo- narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. — L'inves-
titura della sovranità in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. — È
inviolabile, come il dominio privato. — Il potere ereditario, e la capacità
elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. — Delle corti. —
Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all’
inviolabilità del potere sovrano. — 1 fautori della licenza c del dispotismo
invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali. !56
Articolo settimo. Epilogo. — L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica.
— Universalità dell’ idea divina. — L’ontologismo non è un metodo ipotetico,
come quello dei psicologisti. — Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e l’omega
della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie
parti della filo- sofia. 144 Digitized by Google r 402 TAVOLA E
SOMMARIO. CAPITOLO SESTO. de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La
conservazione della forinola è opera della rivelazione. — Defini- zione di
questa. — Suoi diversi periodi. — La confusione della filosofia colla religione
nocque in ogni tempo alla scienza ideale. — Analogia dei moderni razionalisti
cogli antichi. — Del razio- nalismo teologico fiorente al di d’oggi. —Si divide
in due parti. — Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per
di- fetto di canonica. — Il razionalismo confonde insieme i vari or- dini di
fatti e di veri. — Sua vecchiezza. — Dei Doceti. — Il razionalismoèunveronaturalismo.—Delsovrannaturale:
sua definizione. — Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. — Pos-
sibilità e convenienza morale del miracolo. — Universalità dell’ ordine
sovrannaturale. — L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. —
Nullità sintetica c filosofica dei moderni razionalisti. — Il Cristianesimo è
la religione universale. — Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. —
Sua singolarità. — Le false religioni non distruggono l’universalità del
Cristiane- simo. — Accordo di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. —
Si confuta una sentenza dello Strausse. — Le false religioni sono le sole, che
debbano temere dei progressi civili. — Il Cris- tianesimo sovrasta, e non
sottoslà alla coltura più squisita. — La civiltà moderna, che lo combatte, è
una barbarie attillata. — Delle prove interne della rivelazione. — Sua
medesimezza coll’ Idea perfetta. — La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. —
La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione deli’ Idea, che vi è
rappresentata. — Oscurità della Bibbia in alcune parti. — Sua mirabile
semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ in- gegno umano. —
Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo
le varie ragioni. — Della inspi- razione dei libri sacri. — Sua definizione,
natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. — L’
ermeneutica Digitized by Google TAVOLA E SOMMARIO. 463 di questi si
fonda in un falso metodo. — Etnografia della rivela- zione. — Della predestinazione
degl’ individui c dei popoli. — Eccellenza delle nazioni e delle lingue
semitiche. — Dei popoli giapetici : loro divario dai Semiti. — Delle nazioni
madri. — Degl’ Israeliti ; conservatori dell' Idea perfetta, prima di Cristo. —
Dei fati del popolo ebreo. — Della scienza acroamatica ed esso- terica. —
Fondamento naturale, e universalità di questa distin- zione.—Della ordinazione
civile e religiosa degl’ Israeliti. — Oltre la dottrina pubblica, essi avevano
una scienza secreta, acroamatica e tradizionale. — Ragioni, in cui si fondava
questa distinzione presso il popolo eletto. — Il Cristianesimo rese esso-
terica la scienza acroamatica degl’ Israeliti. — L’ alternativa dell’
acroamatismo e dell' essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella
storia dell’ Idea rivelata. — Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente
l’ immortalità degli animi umani.—Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro
angelologia, e il dogma della ri- surrezione. — Del sensismo proprio dei
razionalisti. — Falsità del loro metodo nel cercare l’origine delle idee e
delle credenze. — Attinenze reciproche della dottrina essoterica. — Differenze,
che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. — Del
figuralismo ebraico. — Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. —
Falso concetto dato dal sig. Salvador delle institu- zioni mosaiche. — I,a
formola ideale e il letragramma, erano il nesso della scienza acroamatica ed
essoterica presso gl’ Israeliti. 1ì>5 CAPITOLO SETTIMO. OEll’ ALTERAZIONE
(IELLA EOREOLA IDEALE. lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. —
La storia delle religioni non comincia dal sensismo. — Per quali cagioni
diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primi- tiva. —
Vicende civili delle nazioni. — Cinque forme successive di stato e di
reggimento politico. — Anomalie storiche nell’ effet- Digitìzed by Google
404 TAVOLA E SOMMARIO. luazione di esse. — Del patriarcato. — Dello stato
castale : sua origine. — Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. — Genio
religioso delle società costituite sotto l'imperio ieratico. — I sacerdoti
autori principali della civiltà risorgente. — Effetti salutari della loro
influenza nelle colonie antiche e moderne. — Il sacerdozio conservò le reliquie
dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. — In che modo la mitologia
e la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. — La riforma ieratica
dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. — Vari indirizzi della filoso- fìa
gentilesca. — Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo. — Vari gradi, per
cui passò l’alterazione della formola ideale : oscurità , confusione ,
dimezzamento e disorganazione. — Ca- gioni dell' alteramente : predominio del
senso e della fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo
sull' acroa- matismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’ unità
universale. — Del culto dei felissi. — Di un doppio moto contrario, regres-
sivo e progressivo, delle instituzioni religiose. —Esempi. —
Quattroepochedellacognizioneideale: intuitiva,immaginativa, sensitiva e
astrattiva. — Se nel vario e successivo alterarsi della formola, si mantengano
i suoi tre membri, c come?— Tavola delle trasformazioni ontologiche della
formolo ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici dello spirito umano. —
Dichiarazione della tavola. — Dell'epoca intuitiva; come l’uomo ne sia sca-
duto. — Il mal morale consiste nella negazione del secondo ciclo creativo. —
Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo. — L’essoterismo
fu l’occasione della perdita di esso. — Dell’ epoca immaginativa. — Del
naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. —Indole poco
scientifica dell’ emanatismo. — Sua formola. — Due sorti d’ emanatismo :
psicologico e cosmologico. — Dottrina dinamica degli emanatisti. — Della loro
dualità primordiale, c delle dualità successive. — Dell’ androginismo, e delle
dee madri ; loro connessione coll’ ema- natismo. — I fautori di questo sistema
confondono la teogonia colla cosmogonia. — Del sincretismo emanatistico. — Dei
due cicliditaldottrina: l’emanazione.—Delcicloremanativo: sua natura. —
Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. — ; Digitized by
Google TAVOLA F. SOMMARIO. 16S Pelle varie età cosmiche, secondo i
inili di molti popoli Gentili. — Come l’ ottimismo e il pessimismo si accozzino
insieme nel sistema degli emanalisti. —Degli «talari, delle teofanie o logo-
fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. — Come il sovrin - telligibile
si trovi alterato fra queste favole. — Del politeismo; nato dall'emanatismo. —
Sua indole, e sue varie forme. — Tutti i
popolipoliteisticonservanounareminiscenzadellaunitàideale. — Dell' idolatria :
sua natura. — Pel panteismo : è una riforma ieratica dell’ einanatismo. — Il
panteismo scientifico non poli- essere il primo sistema nella via dell’ errore.
— L’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno
sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. —
Proprietà speciali del panteismo. — Universalità del panteismo nel regno
dell’errore. — Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. — Qual sorta di
progresso possa avere Terrore, — Varie forme del panteismo. — Della condizione
del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. — Dei Misteri, da cui usci
la filosofia laicale. — Dell’ ateismo. — Questo sistema non potè es- sere
anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. — Si rigetta l’
opinione di un ateismo indico antichissimo. — Pel so- vrintelligibile. —
Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti,
salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della Grecia. — Pei
tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il sovrintelligibile.
— Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo libro. 239 NOTE.
Nota prima. Sulle denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. 379 2. 3. ut. Del
tempo c dello spazio, secondo il processo ontolo- gico. 380 Tassi del Leibniz e
del Malebranche sul tempo e sullo spazio. 30 380 Digitized by Google
ICO 4. 8. G. 7. 8. 9. 10. 11. 13. 13. 14. 18. 16. r* i* p £ 2L. 22. 23.
24. 28. 2G. 37. 28. TAVOLA E SOMMARIO. Della importanza, che la religione dà
alla vita tempo- rale. .188 Degli attributi divini ontologicamente considerati.
190 Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. .191
Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. 393 influenza della colpa
primitiva in tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. 405 Dei vari
sistemi sulla natura delle esistenze. 4M Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli assiomi
di finalità e di causalilà. 407 Del traffico degli schiavi negli Stali Uniti.
412 Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire al
Cristianesimo? 413 Sull’ origine della sovranità in alcuni casi particolari.
410 Dell’ orgoglio civile. 418 Sui diversi modi, con cui si può dimostrare
l’esistenza di Dio. 430 L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih. Sulla voce
ritelazionc. 423 Di varie spezie del razionalismo teologico. 424 miracoli
posteriori Dei allo stabilimento del Cristiane- 433 simo. Passo del Malehranchc
sull'idealità del Cristianesimo. 429 l’asso del Leibniz sulla rivelazione. 430
Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. 431
Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’
esistenza degli angeli. Ib. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea
colla essoterica. 444 Sul fatto di Babele. Ib. Del sincretismo dei falsi culti,
-toma, mito e simbolo zcndico. 445 Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla
religione, e non Digitized by Google TAVOLA E SOMMARIO. 467
L’antropomorfismo è il psicologismo essoterico. 446 Del panteismo ili Ulrico
Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del raziona- lismo
teologico. Sul psicologismo degli eretici. Convenienze della dottrina pclagiana
col sensismo, col psicologismo e col fatalismo. 4SI 4SS AMDELIA LNIAERSALITA
SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE. Articolo primo. Preambolo. — La forinola
razionale dee contenere l'organismo degli clementi ideali. — l’er conoscere
questa orga- nizzazione, bisogna riscontrare essa forinola coll'albero enciclo-
pedico. — L'enciclopedia si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e
matematica, che corrispondono alle tre membra della forinola. — Della filosofia
in ispecie : si stende per tutta la forinola. — Dell’ ontologia, psicologia,
logica, elica c inaleinatica ; coinè si connettano coi vari termini di quella.
— Tarala rappresenlalira dell’ albero enciclopedico, confórme all’ organismo
ideale. — Spiegazione generica della tavola. — Della scienza ideale. — Della
teologia rivelata e della filosofia. — Principato universale della prima. —
Maggioranza della seconda sulle altre scienze. — Pri- mato dell’ontologia fra
le varie discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore. —
Della teologia universale. I Articolo secondo. Della malemalica. — La
inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la filosofia c la fisica.— Insufficienza
della filo- sofia moderna, per dare una teorica soddisfacente del tempo e dello
spazio. — Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la
furinola ideale. 17 Articolo terzo. Della logica c della morale. — Queste due
scienze hannociòdicomune,cheappartengonoal terminemediodella Digifeed by
Google 400 TAVOLA E SOMMARIO. forinola. — Della logica in
particolare, e delle varie sue parti. — Dell’ etica in ispccie. — Dei due cicli
creativi, e dei loro riscon- tri. — Convenienze, ebe corrono fra loro. — Della
legge morale. — Dell’ imperativo. — Del dovere, e del diritto. — Dei tre mo-
menti dell’ imperativo. — Del mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita.
— Della pena eterna. 23 Articolo qlarto. Della cosmologia. — Versa nel terzo
membro della forinola. — Dei due cicli generativi. — Varie sintesi, di cui si
compongono. — Dell’ordine dell’ universo — Del concetto te- leologico. — L’
idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. 43 Articolo qlirto. Dell'
estetica. — Del sublime e del bello. — Delle varie loro specie, c del modo, in
cui si connettono colla for- inola. — Del maraviglioso. 32 Articolo sesto.
Della politica. — La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano.
—Quindi i suoi vizi. —Gli statisti odierni non hanno veri principii, perchè
mancano della cogni- zione ideale. — I difetti della teorica hanno luogo del
pari nella pratica. — Del governo rappresentativo. — Originato dal Cristia-
nesimo; vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. — Due sistemi
dilibertàpolitica: l’unoeterodosso,cl’altroortodosso.—Suc- cessione storica del
sistema ortodosso. — La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine
recenti c sorelle. — Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. — La
civiltà moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. — Dell’ apoftegma del
Ma- chiavelli,chele«istituzionisidebbonoritirareversoi loroprin- cipii. — In
che senso sia vero, — Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni.
— Danni fatti alla medesima dall’ Imperio. — Di Cesare, institutore della
tirannide imperiale. — Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine
di Lutero e del Des- cartes. — Della idealità delle nazioni. — L’ Idea è fonte
del di- ritto. — Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. —
Della sovranità. — La sovranità assoluta è l’Idea. — Della sovranità relativa e
ministeriale. — Non si trova in sepa- rato nel governo o nel popolo. — La
società non è d’ «istituzione umana, ma divina. — liosì anche il potere
sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si
tramanda Digitized by Google TAVOLA E SOMMARIO. 461 c perpetua di
generazione in generazione. — Forinola della poli- tica. — l.a Immissione della
sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. —
Se tutti i cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del
suffragio uni- versale. — l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma
non basta a costituirlo. — Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai
sudditi. — l.a perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere
tradizionale colla sufficienza elettiva. —Dei due cicli generativi della
politica. — 11 sovrano non può inai farsi da se in nessun caso. — Della
distribuzione della sovranità fra i cittadini. — Ogni potere sovrano è divino.
— Nello stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno
opochissimiindividui,nèpareggialafratullii cittadini.—In- violabilità del
potere sovrano. — Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni:
checosasidebbaintenderesottoquestinomi.— La vera rivoluzione, essendo
l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. — La vera
contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. — Lo stato
politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. —
La mo- narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. — L'inves-
titura della sovranità in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. — È
inviolabile, come il dominio privato. — Il potere ereditario, e la capacità
elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. — Delle corti. —
Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all’
inviolabilità del potere sovrano. — 1 fautori della licenza c del dispotismo
invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali. !56
Articolo settimo. Epilogo. — L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica.
— Universalità dell’ idea divina. — L’ontologismo non è un metodo ipotetico,
come quello dei psicologisti. — Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e l’omega
della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie
parti della filo- sofia. 144 Digitized by Google r 402 TAVOLA E
SOMMARIO. CAPITOLO SESTO. de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La
conservazione della forinola è opera della rivelazione. — Defini- zione di
questa. — Suoi diversi periodi. — La confusione della filosofia colla religione
nocque in ogni tempo alla scienza ideale. — Analogia dei moderni razionalisti
cogli antichi. — Del razio- nalismo teologico fiorente al di d’oggi. —Si divide
in due parti. — Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per
di- fetto di canonica. — Il razionalismo confonde insieme i vari or- dini di
fatti e di veri. — Sua vecchiezza. — Dei Doceti. — Il
razionalismoèunveronaturalismo.—Delsovrannaturale: sua definizione. — Necessità
di esso, per l’integrità dell’ Idea. — Pos- sibilità e convenienza morale del
miracolo. — Universalità dell’ ordine sovrannaturale. — L’Idea cristiana è
universale, come l’Idea della ragione. — Nullità sintetica c filosofica dei
moderni razionalisti. — Il Cristianesimo è la religione universale. — Non si
può mettere in ischiera cogli altri culti. — Sua singolarità. — Le false
religioni non distruggono l’universalità del Cristiane- simo. — Accordo di
questo colla civiltà crescente di ogni tempo. — Si confuta una sentenza dello
Strausse. — Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi
civili. — Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più
squisita. — La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. —
Delle prove interne della rivelazione. — Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. —
La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. — La divinità della Bibbia risulta
dalla perfezione deli’ Idea, che vi è rappresentata. — Oscurità della Bibbia in
alcune parti. — Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici
dell’ in- gegno umano. — Concorso c predominio delle prove esterne od interne
della rivelazione, secondo le varie ragioni. — Della inspi- razione dei libri
sacri. — Sua definizione, natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni
dei razionalisti. — L’ ermeneutica Digitized by Google TAVOLA E
SOMMARIO. 463 di questi si fonda in un falso metodo. — Etnografia della rivela-
zione. — Della predestinazione degl’ individui c dei popoli. — Eccellenza delle
nazioni e delle lingue semitiche. — Dei popoli giapetici : loro divario dai
Semiti. — Delle nazioni madri. — Degl’ Israeliti ; conservatori dell' Idea
perfetta, prima di Cristo. — Dei fati del popolo ebreo. — Della scienza
acroamatica ed esso- terica. — Fondamento naturale, e universalità di questa
distin- zione.—Della ordinazione civile e religiosa degl’ Israeliti. — Oltre la
dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica e
tradizionale. — Ragioni, in cui si fondava questa distinzione presso il popolo
eletto. — Il Cristianesimo rese esso- terica la scienza acroamatica degl’
Israeliti. — L’ alternativa dell’ acroamatismo e dell' essoterismo è la sola
variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea rivelata. — Perchè Mosè non
abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli animi umani.—Gli Ebrei non
tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il dogma della ri- surrezione. —
Del sensismo proprio dei razionalisti. — Falsità del loro metodo nel cercare
l’origine delle idee e delle credenze. — Attinenze reciproche della dottrina
essoterica. — Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti
e i Gentili. — Del figuralismo ebraico. — Non è un trovato recente degl’
Israeliti ellenisti. — Falso concetto dato dal sig. Salvador delle institu-
zioni mosaiche. — I,a formola ideale e il letragramma, erano il nesso della
scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti. 1ì>5 CAPITOLO
SETTIMO. OEll’ ALTERAZIONE (IELLA EOREOLA IDEALE. lai barbarie non fu lo stato
primitivo degli uomini. — La storia delle religioni non comincia dal sensismo.
— Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura
primi- tiva. — Vicende civili delle nazioni. — Cinque forme successive di stato
e di reggimento politico. — Anomalie storiche nell’ effet- Digitìzed by
Google 404 TAVOLA E SOMMARIO. luazione di esse. — Del patriarcato. —
Dello stato castale : sua origine. — Del predominio dei sacerdoti : sua
legittimità. — Genio religioso delle società costituite sotto l'imperio
ieratico. — I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. — Effetti
salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. — Il sacerdozio
conservò le reliquie dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. — In
che modo la mitologia e la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine.
— La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. — Vari
indirizzi della filoso- fìa gentilesca. — Riscontri dell' antico e del nuovo
paganesimo. — Vari gradi, per cui passò l’alterazione della formola ideale : oscurità
, confusione , dimezzamento e disorganazione. — Ca- gioni dell' alteramente :
predominio del senso e della fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c
dell’ essoterismo sull' acroa- matismo ; dispersione dei popoli, e perdita
dell’ unità universale. — Del culto dei felissi. — Di un doppio moto contrario,
regres- sivo e progressivo, delle instituzioni religiose. —Esempi. —
Quattroepochedellacognizioneideale: intuitiva,immaginativa, sensitiva e
astrattiva. — Se nel vario e successivo alterarsi della formola, si mantengano
i suoi tre membri, c come?— Tavola delle trasformazioni ontologiche della
formolo ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici dello spirito umano. —
Dichiarazione della tavola. — Dell'epoca intuitiva; come l’uomo ne sia sca-
duto. — Il mal morale consiste nella negazione del secondo ciclo creativo. —
Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo. — L’essoterismo
fu l’occasione della perdita di esso. — Dell’ epoca immaginativa. — Del
naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. —Indole poco
scientifica dell’ emanatismo. — Sua formola. — Due sorti d’ emanatismo :
psicologico e cosmologico. — Dottrina dinamica degli emanatisti. — Della loro
dualità primordiale, c delle dualità successive. — Dell’ androginismo, e delle
dee madri ; loro connessione coll’ ema- natismo. — I fautori di questo sistema
confondono la teogonia colla cosmogonia. — Del sincretismo emanatistico. — Dei
due cicliditaldottrina: l’emanazione.—Delcicloremanativo: sua natura. — Corrompe
la morale, e introduce il pessimismo. — ; Digitized by Google
TAVOLA F. SOMMARIO. 16S Pelle varie età cosmiche, secondo i inili di
molti popoli Gentili. — Come l’ ottimismo e il pessimismo si accozzino insieme
nel sistema degli emanalisti. —Degli «talari, delle teofanie o logo- fanie
permanenti e successive, e delle apoteosi. — Come il sovrin - telligibile si
trovi alterato fra queste favole. — Del politeismo; nato dall'emanatismo. — Sua
indole, e sue varie forme. — Tutti i popolipoliteisticonservanounareminiscenzadellaunitàideale.
— Dell' idolatria : sua natura. — Pel panteismo : è una riforma ieratica dell’
einanatismo. — Il panteismo scientifico non poli- essere il primo sistema nella
via dell’ errore. — L’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una
medesima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto
una forma scientifica. — Proprietà speciali del panteismo. — Universalità del
panteismo nel regno dell’errore. — Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. —
Qual sorta di progresso possa avere Terrore, — Varie forme del panteismo. —
Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. — Dei
Misteri, da cui usci la filosofia laicale. — Dell’ ateismo. — Questo sistema
non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. —
Si rigetta l’ opinione di un ateismo indico antichissimo. — Pel so-
vrintelligibile. — Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici
filosofanti, salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della
Grecia. — Pei tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il
sovrintelligibile. — Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo
libro. 239 NOTE. Nota prima. Sulle denominazioni moderne dell’ lo c del Ile.
379 2. 3. ut. Del tempo c dello spazio, secondo il processo ontolo- gico. 380
Tassi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio. 30 380 Digitized
by Google ICO 4. 8. G. 7. 8. 9. 10. 11. 13. 13. 14. 18. 16. r* i* p
£ 2L. 22. 23. 24. 28. 2G. 37. 28. TAVOLA E SOMMARIO. Della importanza, che la
religione dà alla vita tempo- rale. .188 Degli attributi divini ontologicamente
considerati. 190 Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti
umani. .191 Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. 393 influenza
della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. 405
Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. 4M Sull’ infinità del mondo. 406
Sugli assiomi di finalità e di causalilà. 407 Del traffico degli schiavi negli
Stali Uniti. 412 Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba
attribuire al Cristianesimo? 413 Sull’ origine della sovranità in alcuni casi
particolari. 410 Dell’ orgoglio civile. 418 Sui diversi modi, con cui si può
dimostrare l’esistenza di Dio. 430 L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih.
Sulla voce ritelazionc. 423 Di varie spezie del razionalismo teologico. 424
miracoli posteriori Dei allo stabilimento del Cristiane- 433 simo. Passo del
Malehranchc sull'idealità del Cristianesimo. 429 l’asso del Leibniz sulla
rivelazione. 430 Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella ri-
surrezione dei morti. 431 Si esamina la dottrina filosofica dello
Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza degli angeli. Ib. 1
razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla essoterica. 444 Sul fatto
di Babele. Ib. Del sincretismo dei falsi culti, -toma, mito e simbolo zcndico.
445 Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e non Digitized by
Google TAVOLA E SOMMARIO. 467 L’antropomorfismo è il psicologismo
essoterico. 446 Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza
conformi alle dottrine del raziona- lismo teologico. Sul psicologismo degli
eretici. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e
col fatalismo. 4SI 4SS AMDELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE.
Articolo primo. Preambolo. — La forinola razionale dee contenere l'organismo
degli clementi ideali. — l’er conoscere questa orga- nizzazione, bisogna
riscontrare essa forinola coll'albero enciclo- pedico. — L'enciclopedia si
compone di tre parti, filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle
tre membra della forinola. — Della filosofia in ispecie : si stende per tutta
la forinola. — Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ;
coinè si connettano coi vari termini di quella. — Tarala rappresenlalira dell’
albero enciclopedico, confórme all’ organismo ideale. — Spiegazione generica
della tavola. — Della scienza ideale. — Della teologia rivelata e della
filosofia. — Principato universale della prima. — Maggioranza della seconda
sulle altre scienze. — Pri- mato dell’ontologia fra le varie discipline
fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore. — Della teologia
universale. I Articolo secondo. Della malemalica. — La inatcmalica tiene un
luogo mezzano tra la filosofia c la fisica.— Insufficienza della filo- sofia
moderna, per dare una teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. —
Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola
ideale. 17 Articolo terzo. Della logica c della morale. — Queste due scienze
hannociòdicomune,cheappartengonoal terminemediodella Digifeed by Google
400 TAVOLA E SOMMARIO. forinola. — Della logica in particolare, e delle
varie sue parti. — Dell’ etica in ispccie. — Dei due cicli creativi, e dei loro
riscon- tri. — Convenienze, ebe corrono fra loro. — Della legge morale. — Dell’
imperativo. — Del dovere, e del diritto. — Dei tre mo- menti dell’ imperativo.
— Del mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. — Della pena eterna. 23
Articolo qlarto. Della cosmologia. — Versa nel terzo membro della forinola. —
Dei due cicli generativi. — Varie sintesi, di cui si compongono. — Dell’ordine
dell’ universo — Del concetto te- leologico. — L’ idea di fine ci è
somministrata dal ciclo creativo. 43 Articolo qlirto. Dell' estetica. — Del
sublime e del bello. — Delle varie loro specie, c del modo, in cui si
connettono colla for- inola. — Del maraviglioso. 32 Articolo sesto. Della
politica. — La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. —Quindi i
suoi vizi. —Gli statisti odierni non hanno veri principii, perchè mancano della
cogni- zione ideale. — I difetti della teorica hanno luogo del pari nella
pratica. — Del governo rappresentativo. — Originato dal Cristia- nesimo; vizialo
dall’eresia e dai cattivi filosofi. — Due sistemi dilibertàpolitica:
l’unoeterodosso,cl’altroortodosso.—Suc- cessione storica del sistema ortodosso.
— La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine recenti c sorelle. —
Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. — La civiltà moderna dee
fondarsi su quella dei liassi tempi. — Dell’ apoftegma del Ma-
chiavelli,chele«istituzionisidebbonoritirareversoi loroprin- cipii. — In che
senso sia vero, — Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni. —
Danni fatti alla medesima dall’ Imperio. — Di Cesare, institutore della
tirannide imperiale. — Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine
di Lutero e del Des- cartes. — Della idealità delle nazioni. — L’ Idea è fonte
del di- ritto. — Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. —
Della sovranità. — La sovranità assoluta è l’Idea. — Della sovranità relativa e
ministeriale. — Non si trova in sepa- rato nel governo o nel popolo. — La
società non è d’ «istituzione umana, ma divina. — liosì anche il potere
sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si
tramanda Digitized by Google TAVOLA E SOMMARIO. 461 c perpetua di
generazione in generazione. — Forinola della poli- tica. — l.a Immissione della
sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. —
Se tutti i cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del
suffragio uni- versale. — l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma
non basta a costituirlo. — Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai
sudditi. — l.a perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere
tradizionale colla sufficienza elettiva. —Dei due cicli generativi della
politica. — 11 sovrano non può inai farsi da se in nessun caso. — Della
distribuzione della sovranità fra i cittadini. — Ogni potere sovrano è divino.
— Nello stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno
opochissimiindividui,nèpareggialafratullii cittadini.—In- violabilità del
potere sovrano. — Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni:
checosasidebbaintenderesottoquestinomi.— La vera rivoluzione, essendo
l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. — La vera
contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. — Lo stato
politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. —
La mo- narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. — L'inves-
titura della sovranità in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. — È
inviolabile, come il dominio privato. — Il potere ereditario, e la capacità
elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. — Delle corti. —
Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all’
inviolabilità del potere sovrano. — 1 fautori della licenza c del dispotismo
invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali. !56
Articolo settimo. Epilogo. — L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica.
— Universalità dell’ idea divina. — L’ontologismo non è un metodo ipotetico,
come quello dei psicologisti. — Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e l’omega
della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie
parti della filo- sofia. 144 Digitized by Google r 402 TAVOLA E SOMMARIO.
CAPITOLO SESTO. de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La conservazione
della forinola è opera della rivelazione. — Defini- zione di questa. — Suoi
diversi periodi. — La confusione della filosofia colla religione nocque in ogni
tempo alla scienza ideale. — Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi. —
Del razio- nalismo teologico fiorente al di d’oggi. —Si divide in due parti. —
Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di- fetto di
canonica. — Il razionalismo confonde insieme i vari or- dini di fatti e di
veri. — Sua vecchiezza. — Dei Doceti. — Il
razionalismoèunveronaturalismo.—Delsovrannaturale: sua definizione. — Necessità
di esso, per l’integrità dell’ Idea. — Pos- sibilità e convenienza morale del
miracolo. — Universalità dell’ ordine sovrannaturale. — L’Idea cristiana è
universale, come l’Idea della ragione. — Nullità sintetica c filosofica dei
moderni razionalisti. — Il Cristianesimo è la religione universale. — Non si
può mettere in ischiera cogli altri culti. — Sua singolarità. — Le false
religioni non distruggono l’universalità del Cristiane- simo. — Accordo di
questo colla civiltà crescente di ogni tempo. — Si confuta una sentenza dello
Strausse. — Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi
civili. — Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più
squisita. — La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. —
Delle prove interne della rivelazione. — Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. —
La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. — La divinità della Bibbia risulta
dalla perfezione deli’ Idea, che vi è rappresentata. — Oscurità della Bibbia in
alcune parti. — Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici
dell’ in- gegno umano. — Concorso c predominio delle prove esterne od interne
della rivelazione, secondo le varie ragioni. — Della inspi- razione dei libri
sacri. — Sua definizione, natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni
dei razionalisti. — L’ ermeneutica Digitized by Google TAVOLA E
SOMMARIO. 463 di questi si fonda in un falso metodo. — Etnografia della rivela-
zione. — Della predestinazione degl’ individui c dei popoli. — Eccellenza delle
nazioni e delle lingue semitiche. — Dei popoli giapetici : loro divario dai
Semiti. — Delle nazioni madri. — Degl’ Israeliti ; conservatori dell' Idea
perfetta, prima di Cristo. — Dei fati del popolo ebreo. — Della scienza
acroamatica ed esso- terica. — Fondamento naturale, e universalità di questa
distin- zione.—Della ordinazione civile e religiosa degl’ Israeliti. — Oltre la
dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica e
tradizionale. — Ragioni, in cui si fondava questa distinzione presso il popolo
eletto. — Il Cristianesimo rese esso- terica la scienza acroamatica degl’
Israeliti. — L’ alternativa dell’ acroamatismo e dell' essoterismo è la sola
variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea rivelata. — Perchè Mosè non
abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli animi umani.—Gli Ebrei non
tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il dogma della ri- surrezione. —
Del sensismo proprio dei razionalisti. — Falsità del loro metodo nel cercare
l’origine delle idee e delle credenze. — Attinenze reciproche della dottrina
essoterica. — Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti
e i Gentili. — Del figuralismo ebraico. — Non è un trovato recente degl’
Israeliti ellenisti. — Falso concetto dato dal sig. Salvador delle institu-
zioni mosaiche. — I,a formola ideale e il letragramma, erano il nesso della
scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti. 1ì>5 CAPITOLO
SETTIMO. OEll’ ALTERAZIONE (IELLA EOREOLA IDEALE. lai barbarie non fu lo stato
primitivo degli uomini. — La storia delle religioni non comincia dal sensismo.
— Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura
primi- tiva. — Vicende civili delle nazioni. — Cinque forme successive di stato
e di reggimento politico. — Anomalie storiche nell’ effet- Digitìzed by
Google 404 TAVOLA E SOMMARIO. luazione di esse. — Del patriarcato. —
Dello stato castale : sua origine. — Del predominio dei sacerdoti : sua
legittimità. — Genio religioso delle società costituite sotto l'imperio
ieratico. — I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. — Effetti
salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. — Il sacerdozio
conservò le reliquie dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. — In
che modo la mitologia e la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine.
— La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. — Vari
indirizzi della filoso- fìa gentilesca. — Riscontri dell' antico e del nuovo
paganesimo. — Vari gradi, per cui passò l’alterazione della formola ideale :
oscurità , confusione , dimezzamento e disorganazione. — Ca- gioni dell' alteramente
: predominio del senso e della fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c
dell’ essoterismo sull' acroa- matismo ; dispersione dei popoli, e perdita
dell’ unità universale. — Del culto dei felissi. — Di un doppio moto contrario,
regres- sivo e progressivo, delle instituzioni religiose. —Esempi. —
Quattroepochedellacognizioneideale: intuitiva,immaginativa, sensitiva e
astrattiva. — Se nel vario e successivo alterarsi della formola, si mantengano
i suoi tre membri, c come?— Tavola delle trasformazioni ontologiche della
formolo ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici dello spirito umano. —
Dichiarazione della tavola. — Dell'epoca intuitiva; come l’uomo ne sia sca-
duto. — Il mal morale consiste nella negazione del secondo ciclo creativo. — Dei
mezzi sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo. — L’essoterismo fu
l’occasione della perdita di esso. — Dell’ epoca immaginativa. — Del
naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. —Indole poco
scientifica dell’ emanatismo. — Sua formola. — Due sorti d’ emanatismo :
psicologico e cosmologico. — Dottrina dinamica degli emanatisti. — Della loro
dualità primordiale, c delle dualità successive. — Dell’ androginismo, e delle
dee madri ; loro connessione coll’ ema- natismo. — I fautori di questo sistema
confondono la teogonia colla cosmogonia. — Del sincretismo emanatistico. — Dei
due cicliditaldottrina: l’emanazione.—Delcicloremanativo: sua natura. —
Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. — ; Digitized by Google
TAVOLA F. SOMMARIO. 16S Pelle varie età cosmiche, secondo i inili di
molti popoli Gentili. — Come l’ ottimismo e il pessimismo si accozzino insieme
nel sistema degli emanalisti. —Degli «talari, delle teofanie o logo- fanie
permanenti e successive, e delle apoteosi. — Come il sovrin - telligibile si
trovi alterato fra queste favole. — Del politeismo; nato dall'emanatismo. — Sua
indole, e sue varie forme. — Tutti i
popolipoliteisticonservanounareminiscenzadellaunitàideale. — Dell' idolatria :
sua natura. — Pel panteismo : è una riforma ieratica dell’ einanatismo. — Il
panteismo scientifico non poli- essere il primo sistema nella via dell’ errore.
— L’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno
sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. —
Proprietà speciali del panteismo. — Universalità del panteismo nel regno
dell’errore. — Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. — Qual sorta di
progresso possa avere Terrore, — Varie forme del panteismo. — Della condizione
del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. — Dei Misteri, da cui usci
la filosofia laicale. — Dell’ ateismo. — Questo sistema non potè es- sere
anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. — Si rigetta l’
opinione di un ateismo indico antichissimo. — Pel so- vrintelligibile. —
Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti,
salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della Grecia. — Pei
tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il sovrintelligibile.
— Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo libro. 239 NOTE.
Nota prima. Sulle denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. 379 2. 3. ut. Del
tempo c dello spazio, secondo il processo ontolo- gico. 380 Tassi del Leibniz e
del Malebranche sul tempo e sullo spazio. 30 380 Digitized by Google
ICO 4. 8. G. 7. 8. 9. 10. 11. 13. 13. 14. 18. 16. r* i* p £ 2L. 22. 23.
24. 28. 2G. 37. 28. TAVOLA E SOMMARIO. Della importanza, che la religione dà
alla vita tempo- rale. .188 Degli attributi divini ontologicamente considerati.
190 Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. .191
Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. 393 influenza della colpa
primitiva in tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. 405 Dei vari
sistemi sulla natura delle esistenze. 4M Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli
assiomi di finalità e di causalilà. 407 Del traffico degli schiavi negli Stali
Uniti. 412 Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire
al Cristianesimo? 413 Sull’ origine della sovranità in alcuni casi particolari.
410 Dell’ orgoglio civile. 418 Sui diversi modi, con cui si può dimostrare
l’esistenza di Dio. 430 L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih. Sulla voce
ritelazionc. 423 Di varie spezie del razionalismo teologico. 424 miracoli
posteriori Dei allo stabilimento del Cristiane- 433 simo. Passo del Malehranchc
sull'idealità del Cristianesimo. 429 l’asso del Leibniz sulla rivelazione. 430
Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. 431
Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’
esistenza degli angeli. Ib. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea
colla essoterica. 444 Sul fatto di Babele. Ib. Del sincretismo dei falsi culti,
-toma, mito e simbolo zcndico. 445 Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla
religione, e non Digitized by Google TAVOLA E SOMMARIO. 467
L’antropomorfismo è il psicologismo essoterico. 446 Del panteismo ili Ulrico
Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del raziona- lismo
teologico. Sul psicologismo degli eretici. Convenienze della dottrina pclagiana
col sensismo, col psicologismo e col fatalismo. 4SI 4SS AMDELLE CONVENIENZE
DELLA FORIOLA IDEALE COLLA RELIGIONE RIVELATA. Scusa dell’ autore. — Il
sovrintelligibile e il sovrannaturale sono i due perni della religione. —
Analisi del primo. — Si escludono le false origini, che si possono assegnare al
concetto, che Io rap- presenta. — Della sovrintelligenza. — In che consista la
natura speciale di questa facolti. — Sua analogia coll’istinto. — Del sen-
timento, che l’uomo ha delle sue potenze non esplicate. — Defi- nizione delia
sovrintelligenza. — Come il concetto negativo del sovrintelligibile nasca da
questa facoltà. — Obbiettività del so- vrintelligibile ; adombrata dalla
filosofia orientale. — Analogia del sovrintelligibile col numeno di Emanuele
Kant : sbaglio del criticismo. — Dei sovrintelligibili naturali. — Attinenze
del so- vrintelligibile cogl’ intelligibili. — Come il sovrintelligibile debba
essere riconosciuto e rispettato dalla filosofia. — Dei sovrintelli- gibili
rivelati. — Loro importanza, e armonia coi dogmi razio- nali. — I
sovrintelligibili della rivelazione hanno un margine indeterminato. — Del
sovrannaturale. — In che consista, e sue attinenze colla formula. — Connessione
del suo concetto colla magia dei popoli pagani. — Varie spezie di
sovrannaturale. — Necessità dell’ idea di sovrannaturale per la filosofia della
storia : sua importanza per la filosofia in genere. — Il sovrannaturale
appartiene al secondo ciclo creativo : sue relazioni con esso. — Dimostrazione
a priori della realtà dell' ordine sovrannaturale. — L’ alterazione di quest'
ordine costituisce il regresso. — Della 484 TAVOLA E SOMMARIO.
forinola sovrannaturale : sua corrispondenza colla razionale. — Del ciclo
cristiano : sua risoluzione. — Della Chiesa ; com' ella sia il perno dell’
incivilimento. — Del sincretismo delle sette cris- tiane eterodosse, e della
idolatria rinnovala per opera loro. — Confutazione di un passo del sig. Guizot
sull’ unità religiosa. — Della superstizione : in che consista. — Del processo
a priori della fede cattolica. — Due cicli rivelativi corrispondenti ai due
cicli creativi. — Necessità della fede per ben filosofare. — La fede sola
colloca l’uomo nel suo stato naturale. —Ragionevolezza della disciplina
cattolica. — L’ educazione ideale è impossibile fuori di essa. — Lo scetticismo
esclude la vera grandezza, anche umana, dell’ ingegno. — La fede è libera, e in
ciò consiste il suo merito.—Tredotidellafedecattolica, utilissimeall'uomoeal
filosofo. — Efficacia di questa virtù, per avvalorare l' ingegno on- tologico.
— Quanto all’ abito ontologico conferisca la credenza del sovrannaturale. —
Tutte le virtù teologali influiscono profit- tevolmente nell’ uomo pensante e
operatore. — Della vera misti- cità, e sue differenze dalla falsa. — Empietà
dell’ autonomia razionale. — Necessità della fede per la conservazione dei
princi- pii ideali. — L’ incredulità moderna è la cagione precipua della
debolezza degli animi c degl’ingegni. — Utilità dei misteri in genere per
l’abito filosofico. — Si considerano, per questo ris- petto, alcuni misteri in
particolare. — Della predestinazione, e della eternità delle pene. — Della
inviolabilità scientifica della teologia. — Di certi novellini teologi, e della
temerità loro. — L’invenzione nelle cose ideali è impossibile. — Della
giovinezza perpetua del Cristianesimo cattolico. — Di una certa classe di
gementi, che credono morta o moriente la religione : si combat- tono i loro
timori. — Della larghezza dell’ Idea cattolica : sua utilità per le scienze in
generale. — Necessità della filosofia per far fiorire la teologia, come scienza
— La teologia e la filosofia hanno bisogno l’una dell’altra. — Delle cagioni,
per cui la teo- logia cattolica c scaduta dal suo antico splendore. — Il clero
cat- tolico dee essere un concilio di sapienti. — Dee coltivare special- mente
le scienze filosofiche. — Dell’ acroamatismo ieratico, ch'egli si dee proporre.
— I laici, che coltivano la filosofia, debbono Digitized by Google
TAVOLA E SOMMARIO. 435 incominciare una nuova era razionale, sotto la
sovranità intellet- tiva della Chiesa. — La filosofia eterodossa, che regnò
finora, è morta per sempre. — Si concbiude il capitolo e il primo libro,
esortando gl' Italiani a intraprendere l’ instaurazione delle scienze
speculative. 2. 5. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 1S. 13. Sulla voce essenza. 15I
Del sovrintelligibile presso i filosofi eterodossi. 161 Attinenze del
sovrannaturale col sovrintelligibile. 16£ Del sovrannaturale iniziale c finale
del Cristianesimo. 16i Del sovrannaturale transitorio o continuo. 1615 Su
alcuni passi del sig. Guizot. 166 Sopra un cenno teologico del sig. Nisard. 175
Sul fatto morale della giustificazione. 174 Sulle varie epoche filosofiche
della storia. 176 Delle idee pure. 178 Sul valore teologico dei razionalisti
tedeschi. 179 Il decadimento della filosofia prova la verità del cat-
tolicismo.Grice: “Italians find it harder than the Germans to conceal their
nationalism. Hegel is studied everywhere, but Gioberti is felt to be TOO
Italian, and he is. There are not two sentences in Gioberti that do not mention
Italy! Hegel could philosophise on being (the absolute being is the King of
Prussia) – but philosophers elsewhere took his remarks in a generalized way,
not a German way. Unlike with Gioberti, who cannot hide his ‘italianita’. The
fact that Mussolini wrote on him did not help. And that, along with Gentile,
and the Italian mainstream intelligentsia, the Italian risorgimento is only a
stone’s throw away from Fascism!” Grice: “Lorenzo Giusso, whom I like, wrote a
bio of Gioberti which I thought the best, it’s in Vita e Pensiero, and in the
series, “UOMINI DEL RISORGIMENTO” Gives him sense!” -- Vincenzo Gioberti. Gioberti.
Keywords: del bello, estetico, il bello, metessi, implicatura metessica –
mimesi – Plato on mimesis and metexis, protologia, ontologismo, statua
all’aperto, Milano – nella serie uomini del risorgimento, bruno, gentile. -- Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Gioberti,"
per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757919514/in/datetaken/
Grice e
Gioia – filosofia ad uso de’ giovanetti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Piacenza).
Filosofo. Grice: “I joked with the maxim, ‘be polite’ – surely it’s difficult
to make that universalisable into the conversational categoric imperative (‘be
helpful conversationally) – but apparently Italians are less Kantian than I
thought!” -- Grice: “I love Gioia; he is like me, an economist when it comes to
pragmatics – see my principle of ECONOMY of rational effort; I studied
thoroughly his fascinating account about the origin of language, before I
ventured with my pritological progressions!” Dopo gli studi nel Collegio
Alberoni veste l'abito talare, mantenendo tuttavia un orientamento di pensiero
tutt'altro che ortodosso tanto in filosofia, per l'influenza dell'utilitarismo
di JBentham, dell'empirismo di Locke e
del sensismo di Condillac, quanto in teologia per l'influenza del pensiero
di Giansenio. Il suo interesse si rivolge ben presto anche alle questioni
politiche. Vince il concorso bandito dalla Società di Pubblica Istruzione di
Milano sul tema "Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità
d'Italia", alla quale partecipano 52 concorrenti. La sua dissertazione, in
cui sostiene la tesi di un'Italia libera, repubblicana, retta da istituzioni
democratiche e basata su comuni elementi geografici, linguistici, storici e
culturali, prefigura, come la maggioranza di quelle presentate, l'unità
italiana, benché questa tesi non sia gradita ai francesi che in quel periodo
occupano il nord Italia. La notizia del premio ricevuto gli giunge però in
carcere. Nel frattempo è stato arrestato con l'accusa di aver celebrato a scopo
di lucro più di una messa al giorno, anche se sono in realtà le sue idee
politiche giacobine a renderlo inviso all'autorità. Viene scarcerato grazie,
forse, alle pressioni di Bonaparte, e ripara a Milano. Il Trattato di
Campoformio, con la cessione di Venezia ad Austria da parte della Francia in
cambio del riconoscimento austriaco della Repubblica Cisalpina, lo spinge però
ben presto a diventare oppositore della Francia. Dopo aver rinunciato al
sacerdozio, si impegna nella professione giornalistica fonda "Il Giornale
filosofico politico", stroncato dalla rigida censura austriaca per le
posizioni sempre più apertamente patriottiche che Gioja vi sostiene. Dalle
colonne del "Giornale Filosofico Politico" scrive una lettera aperta
al duca Ferdinando d'Asburgo-Este, in cui denuncia i danni patiti in carcere.
Bonaparte viene sconfitto dalle truppe austriache nella Battaglia di Novi
Ligure e Gioia viene arrestato nuovamente dagli austriaci, per essere scarcerato
in seguito alla vittoria francese a Marengo. Viene nominato storiografo
della Repubblica Cisalpina: l'anno successivo pubblica "Sul commercio de'
commestibili e caro prezzo del vitto", ispirato dai tumulti per il rincaro
del pane, e "Il Nuovo Galateo". Viene rimosso dalla carica per le
polemiche seguite alla pubblicazione e alla difesa del suo trattato
"Teoria civile e penale del divorzio, ossia necessità, cause, nuova
maniera d'organizzarla" L'apprezzamento per i suoi solidi e
realistici studi di economia e di statistica, ai quali sono prevalentemente
rivolti il suo interesse e la sua attività, gli valgono però la nomina alla
direzione del nascente Ufficio di Statistica: in questa veste inizia una
febbrile attività fatta di studi corredati da tabelle, quadri sinottici,
raffronti demografici, causa di nuove ed accese polemiche e della rimozione
dall'incarico. Tale attività gli rese uno dei primi studiosi ad applicare i
concetti di Statistica alla gestione economica dei conti pubblici (ad esempio
per le tasse, gabelle, e così via). Grazie alle sue conoscenze statistiche
ed economiche elabora concetti fortemente innovativi per l’epoca che ne fanno
il precursore del moderno dibattito giuridico in materia di risarcimento del
danno alla persona con una concezione che supera la questione
patrimoniale. Notissima in medicina legale la sua regola del calzolaio,
che anticipa il concetto di riduzione della capacità lavorativa
specifica: "...un calzolaio, per esempio, eseguisce due scarpe e un
quarto al giorno; voi avete indebolito la sua mano che non riesce più che a
fare una scarpa; voi gli dovete dare il valore di una fattura di una scarpa e
un quarto moltiplicato per il numero dei giorni che gli restano di vita, meno i
giorni festivi..". E ancora, seppur meno noti, concetti
come: "Ne' casi d'indebolimento o distruzione di forze industri,
considerando il soddisfacimento come uguale al lucro giornaliero diminuito
o distrutto, moltiplicato per la rimanente vita utile dell'offeso, noi restiamo
molto al di sotto del valore reale, giacché una forza umana può essere
riguardata come Mezzo di sussistenza Mezzo di godimento Mezzo di bellezza Mezzo
di difesa Filosofia della Statistica (libro originale) “Rendendo
paralitico, per es., l'altrui braccio destro o la mano, voi togliete al musico
il mezzo con cui si procura il vitto divertendo gli altri, al proprietario il
mezzo con cui si sottrae alla noia divertendo se stesso, alla donna il mezzo
con cui gestisce e porge con grazia, a chiunque il mezzo con cui si schernisce
da mali eventuali difendendosi". Si tratta di principi rivoluzionari
per l’epoca, forse frutto di quel particolare mix di cultura che deriva dalla
sua formazione che inizia da sacerdote e approda a concezioni rivoluzionarie; è
il primo che riesce a prefigurare nell’uomo non solo una sorta di macchina che
produce reddito, ma anche un soggetto che attraverso il lavoro realizza la
propria personalità. In Italia oltre un secolo e mezzo dopo, negli anni
’80 del novecento, in sede giuridica inizierà il dibattito sul superamento del
risarcimento del mero danno patrimoniale per tener conto degli aspetti
relazionali e dinamici della persona riassunti nel concetto di danno biologico.
Sul filone di queste tematiche gli veniva intestata a Pisa un'ssociazione
scientifica medico giuridica che raccoglie giuristi, medici legali e
assicuratori. Il "Nuovo Galateo" Testo fondamentale nella
storia dei Galatei, il "Nuovo Galateo" di Gioja fu scritto per
contribuire alla civilizzazione del popolo della Repubblica Cisalpina. Il testo
conosce ben tre edizioni. La prima si sofferma in particolar modo sulla
definizione laica di "pulitezza" – cf. Grice, ‘be polite’ -- intesa
come ramo della civilizzazione, arte di modellare la persona e le azioni, i
sentimenti, i discorsi in modo da rendere gli altri contenti di noi e di loro
stessi. È divisa in tre parti: "Pulitezza dell'uomo privato",
"Pulitezza dell'uomo cittadino", "Pulitezza dell'uomo di
mondo". Nella seconda edizione, Gioja ridimensiona il concetto di
"pulitezza" come l'arte di modellare la persona, le azioni, i
sentimenti, i discorsi in modo da procurarsi l'altrui stima ed affezione. La
vecchia ripartizione è sostituita da: "Pulitezza Generale",
"Pulitezza Particolare", "Pulitezza Speciale". Nella
terza edizione risale, a differenza dell'edizioni precedenti, enfatizza
l'importanza del concetto di "ragione sociale", considerato
dall'autore il fondamento etico del galateo che avrebbe portato felicità e pace
sociale mediante le buone maniere. Fu membro della Loggia massonica "Reale
Amalia Agusta" di Brescia, che prese il nome dalla moglie del principe
Eugenio di Beauharnais, primo Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia. A lui è
intestata la loggia N. 1114 di Piacenza all’obbedienza del Grande Oriente
d’Italia. Crollato il dominio napoleonica, Gioja produce le sue opere maggiori:
il "Nuovo prospetto delle scienze economiche”; il trattato "Del
Merito e delle Ricompense"; "Sulle manifatture nazionali";
"L'ideologia". Gli ultimi tre libri vengono messi all'Indice e il suo
fecondo lavoro è interrotto da un nuovo arresto per aver cospirato contro
l'Austria partecipando alla setta carbonara dei "Federati".
Dopo quest'ultima peripezia, nonostante i sospetti da parte del governo
austriaco, ha finalmente davanti a sé qualche anno di serenità e compone la sua
ultima opera, "La filosofia della statistica.” Nel cimitero della Mojazza
fra tante ossa ignorate dormono senza fasto di mausoleo le ceneri di Melchiorre
Gioia. Prende il suo nome il Liceo Classico di Piacenza. Rosmini, suo avversario
in politica come in religione, lo accusò di pretendere di proporre un codice
morale, fondato su principi palesemente opportunistici, mentre con disinvoltura
richiedeva sussidi e regali dai titolari del potere politico per elogiarne le
benemerenze nelle proprie pubblicazioni periodiche, e lo dichiara pubblicamente
un "ciarlatano". Altre opera: Del merito e delle
ricompense, 2, Filadelfia, s.n.,
Riflessioni sulla rivoluzione. Scritti politici, Nuovo Galateo, Il Nuovo
prospetto delle scienze economiche, Distribuzione delle ricchezze, Milano,
presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, Melchiorre Gioia, Produzione delle
ricchezze, 2, Milano, presso Gio.
Pirotta in santa Radegonda, Consumo delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta
in santa Radegonda, Melchiorre Gioia, Azione governativa sulla produzione,
distribuzione, consumo delle ricchezze,
2, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, Sulle manifatture
nazionali, Dell'ingiuria, dei danni, del
soddisfacimento e relative basi di stima avanti i tribunali civili.
L’Ideologia. Filosofia della statistica. Note: Francesca Sofia nel Dizionario
Biografico degli Italiani. Ettore Rota
nella Enciclopedia Italiana, Cfr. Solmi, L'idea dell'unità italiana nell'età di
Napoleone in Rassegna storica del Risorgimento, Fonte: Francesca Sofia,
Dizionario Biografico degli Italiani, rTreccani L'Enciclopedia Italiana,
riferimenti in. Vittorio Gnocchini,
L'Italia dei Liberi Muratori,Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, Ignazio Cantù,
Milano, nei tempi antico, di mezzo e moderno: Studiato nelle sue vie;
passeggiate storiche, Antonio Saltini, Maria Teresa Salomoni, Stefano Rossi,
Via Emilia. Percorsi inusuali fra i comuni dell'antica strada consolare, Il
Sole, Barucci, Il pensiero economico di Gioia, Milano, Giuffre, Manlio
Paganella, Alle origini dell'unità d'Italia: il progetto
politico-costituzionale di Gioia, Milano, Ares,Dizionario Biografico degli
Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Nicola Pionetti,
Melchiorre Gioia: il progetto politico per un'Italia unita e repubblicana,
Piacenza, EdizioniLir,. Luisa Tasca, Galatei. Buone maniere e cultura borghese
nell'Italia dell'Ottocento, Firenze, Le Lettere, Gioia (metropolitana di
Milano). Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. MEnciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Melchiorre Gioia, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. fare alcun
cangiamentosenza indebolirla. Egli previene così i suoi lettori contro ogni
idea di riforma, e svolge nel loro avimo un timor macchinale cootro ogoi
innovazione delle leggi. In generale tutte le metafore, i paragoni, le parziali
analogie,lesomiglianze superficiali non possono far breccia che nell'animo del
volgo;agli occhi del filosofo i paragoni non sono ragioni; essi possono
schiarire una proposizione , provarla mai. CAPO VII. Parlare. Abbiamo veduto
che le macchine sono utili e necessarie al chimico, i telescopiall'astronomo, i
disegni al meccanico, le figure al geometra. Le parole sono forse egualmente
utili, egualmente necessarie all'esercizio del pensiero? Tre oggetti simili mi
si presentano facilmente allo spi rito, dice Condillac; se passo al quarto,
sono obbligato, per maggior facilità, d'immaginare due oggetti da una parte,
due dall'altra ; se voglio fissarne sei, fa duopo che li distribuisca due a
due, o tre a tre; crescendo questi oggetti, la mia vista si confonde, io non
posso più numerarli.Al contrario, se dopo d'averne considerato uno gli unisco
un altro, e a questa unione appongo il nome due; se a questi aggiungo un
terzo,ed allanuova unione appongo ilnome tre,ecosi di seguito, caratterizzando
con parole distinte ogni aumento progressivo d'unità, arriverò ad annoverare
moltissimi oggetti facilmente. Alla stessa maniera,se ogoi volta che voglio
pensare ad una persona,sono costretto a richiamarmi ad una ad una tutte le sue
qualità, onde non confonderla con un'altra , Le note tracciate sulle
carte di musica rappresentano i suoni che si eseguiscono daglistrumenti; le
parole pronun ciate o scritte rappresentano le idee che si piagono bel l'animo.
1 mi troverò nel massimo imbarazzo.Siano,a cagione d'esem pio,come
segue,lequalitàd'una persona: Fisiche= Sessomaschile,anni20,capellibiondi,
fronte alta, cigli biondi, occhi neri, naso lungo, bocca grande, meoto
prominente,marca nera sulla guancia destra, mano sinistra storpia,piede destro
zoppo,linguaggio balbettante, accento francese. Morali=
Melanconia,dissolutezza,mancanzaallepro messe, viltà,abitudine alla menzogoa,
jocostanza .... Civili= Patria,Rodez inFrancia,condizione,awmo gliato,
professione, possidente... Se la mia attenzione deve afferrare tutte queste
idee alla volta, si troverà insufficiente al bisogno; molto maggiore si farà la
difficoltà, se per pensare nel tempo stesso ad altra persona , sono costretto a
schierarmi avanti alla mente con egual melodo tutte le qualità che la
caratterizzano. Se al contrario chiamo la prima Pietro, la seconda Paolo ,
potrò facilmente richiamarmi l'una e l'altra, distinguerle tra di loro,
paragonar!e insieme.... Queste parole sono poi ancora più necessarie,allorchè
si vogliono esprimere le qualità comuni a molti oggetti, a cagiode d'esempio,
le qualità che si trovano in tutti gli u o miniod intuttiglianimali,ilchecostituisceleideeastratte,
come sidissedisopra,ovveroallorchèsivoglionoesprimere gli oggetti creati dalla
nostra mente, come le idee di gloria, d'iofamia , di virtù, di vizio ...
Sebbene quando pronuncio le parole uomo , animale. non mi si schiarino alla
mente tutte le idee elementari che bo unito a queste parole , cionnonostante ne
veggo il 140 TEORIA DELLA SENSAZIONE porto, ne seolo le differenze, ne
scorgo le somiglianze, alla stessa'maniera che sebbene pronunciando i numeri
100,000 e 10,000 non vegga le unità che li compongono , so però che l'uoo sta
all'altro come 100 a 10, ovvero come to a 1, e conoscendo la maniera con cui
questi dumeri sono stati formali,posso,ogni voltache voglio,separarne
lemaggiori masse , scendere alle minori , per arrivare alle minime e fi.
palmente agli elementi.Supponete che per isbaglio qualcuno invece di dire che
1000 è decuplo di100 ,dica che 100 ė decuplo di 1000 ; ben tosto l'abitudine
chenoi abbiamo acquistata d'attribuire a queste parole certe relazioni tra di
esse,agisce sulloro suono, e cifa scorgere all'istante l'as surdità
dell'accennata proposizione. Il linguaggio si è per rap 141 noi
come quelle traccie che il piede del viaggiatore imprime sull'arena di un vasto
deserto, le quali lo guidano, quand'egli voglia,al punto doode parti. Le parole
che nella loro origine eranonomi propri, diveonero insensibimente nomi
appellativi. Può in conse guenza accadere in forza delle associazioni ideali e
sentimen taliche uo nome generalerichiami uno degli individui ai quali s'applica.
Ma lungi che ciò sia necessario alla forza del raziocinio, è sempre una
circostanza che tende ad illu derci.Si può paragonare uno spirito che ragiooa
ad un giu d i c e c h e d e v e d e c i d e r e t r a c o n t e n d e n t i. S
e i l g i u d i c e n o n conosce se non le loro relazioni al processo,s' egli
ignora i loro pomi , s'egli li designa per lettere dell'alfabeto o pe’no mi
fittizidiTizio,Cajo,Sempronio,eglièquasinecessaria mente imparziale.Cosi in una
serie di ragiopanenti noi cor riamo medo rischio diviolare le regole della
logica,allorchè la nostra attenzione si fissa sui semplici segni,e quando l'im
maginazione, presentandoci oggetti individuali, non esercita sulnostro giudizio
la sua influenza e non viene a sedurci con accidentali associaziooi. Le parole
facilitano vie maggiormente l'esercizio del pen siero, 1.° Quando il loro suono
imita il suono della cosa espressa , come sono le parole belato,
cigolio,scricchiolare. Anche le parole tracotante, orgoglioso, baldanzoso ....
colle vocali piese rinfiancate dalle acconce consonanti,e colla moltiplicità
delle sillabe spirano una cerla audacia di suono analoga all'indole
dell'oggelto che esprimono ; 2.° Quando accennano l'uso o la proprietà della
cosa indicata; cosi Fieberrinde o scorza della febbre nel linguag gio tedesco,
che accenna l'uso e laproprielà di questo ve getabile , é preferibile alla
parola Quin-quina. Per la stessa r a g i o n e l e p a r o l e c u i il n u o v
o s t i l e i n d i c a v a i m e s i n e l l ' a n n o , avevano più pregi che
quelle dell'antico: fiorile ossia il mese d e ' f i o r i, v e n d e m m i a t
o r e o s s i a il m e s e d e l l a v e n d e m m i a , e r a n o nomi ben più
espressivi che maggio e oltobre.... ATTENZIONE ERAZIOCINIO. Al contrario,
allorchè si dà il nome di Pino del Nord al'alberoprezioso
chetuttelenazionimarittimeriguardano come migliore per le alberature , si fa
supporre che questi bei pininon possono crescere s e donne'climi glaciali,
mentre trovansi nella Lituania,in altre provincie più meri dionali, in quelle
stesse i cui fiumi corrono verso il Mar Nero. La parola Gallo
d'India rammentando che questo ani male è natio d'America, fu ignolo ai Romani
, venne uel l'Europa oel 16.° secolo, è per più titoli preferibile all'insi
gnificante parola pollo. Coquetterie infrancese(civetteria)rappresentaalvivo
ilcarattere d'una donna galante, che tiene a bada mille amanti,a guisa d’no
gallo che vezzeggia cento galline ad un tempo (1). Al contrario allorchè gli
antichi chimici ci parlavano del fegalo di zolfo, del butirro d antimonio dei
fiori di zinco .... spingevano il pensiero sopra immagini non applicabili agli
oggettiche volevano iudicare; 3.° Quando le parole serbano tra di esse un cerlo
rap porto costante,come leparole quaranta,cinquanta, sessan ta,sellanta,Ollanta,novanta,ciascuna
dellequaliavendo la stessa desinenza , è formata dalla moltiplicazione del fat.
comune dieci, ne'numeri naturali quattro, cinque, sei....dello stesso ordine
progressivo de numeri nalurali. Siano i nomi delle nuove misure Myriametro
uoilà di Kilometro unità di Ectometro unità di (2) L'influenza del linguaggio
sulle operazioni del pensiero si scorge sulla nazione chinese ; la quale , a
fronte delle altre incivilite, 142 TEORIA DELLA SENSAZIONE 0.01 di metro
Centimetro unità di 0.001 di metro Si vede che dalla massima alla minima misura
v'è una pro. gressione decrescente che segue la stessa legge, di modo che
essendo data una di esse, si possooo ritrovare le prece deotie
lesusseguenti.Alcontrarioleantichemisuredipo sla,lega,lesa,pertica,passogeometrico,passo
ordinario, braccio,auna,piede,pollice,linea,punto....non es sendocrescentio
decrescentinellastessaproporzione,D00 aveodo tra di esse rapportocomune,
confondono la m e m o ria ( V. p. 80 , 81 ), e colla notizia d'una di esse non
si può giungere alla cognizione d'alcun'altra;dicasi lo stesso dellealtremisure
ede'pesi puovi ed antichi,calcolati iprimi in ragione decupla e costante, i
secondi senza nessuna ra gione graduata e regolare (2). (1) Cesarolti. tore
Decimetro unità di 0.1 di metro Metro upità di 10 metri 10,000 metri 1,000
metri Decametro 100 metri unità di ATTENZIONE E RAZIOCINIO. 143
diritla,ne avrò ildoppio in questa.Dimando qual è il u nunero de'gettoni che
avevo da principio in ciascuoa 6 mano? « Qui si banno due condizioni note, o ,
per parlare « come i malematici, due dati; l'uno, che se fo passare 6 un
gellone dalla diritta alla sinistra , ne avrò egual o u u mero in ambe le mani
; l'altro che se lo fo passare dalla « sinistra alla diritta, ne avrò il doppio
in questa. Ora roi «vedete,che,s'eglièpossibiletrovareilnumero ch'iovi u
dimando , ciò non può farsi, se non osservando le rela « zioni che haono i dati
fra loro; e comprendete che tali « relazioni saranno più o meno sensibili,
secondo che i dali « saranno espressi in un modo più o meno semplice. quan u do
le si toglie un gellone , è eguale a quello che avete u nella sinistra, quando
a lei se ne aggiunge uno , esprime « reste il primo dato con molte parole. Dite
dunque più ubrevemente:ilnumero dellavostradestra,scemalod'una unità,è uguale a
quello della sinistrapiù un'unilà;ov « vero:ilnumero della destra meno un'unità
è uguale a si può dire quasi barbara, sottomessa ai pregiudizi più assurdi, sta
zionaria da più secoli,altesa l'imperfezione della sua lingua.Mentre le nostre
liogue d'occidente e le più belle d'oriente riproducono lulle leparole con un
solo numero di lettere diversamente combinate , nella lingua chinese, quasi
ciascuna parola ha il suo segno partico lare; lo studio della scrittura esige
quindi un tempo infinito. L'in certezza e l'indeterminazione del senso delle
parole passando a vi cenda dal linguaggio orale alla scrittura,dalla scrittura
al linguaggio orale, producono una confusione da cui i più dotii possono appena
schermirsi colla più grande fatica.Egli è evidente che siffattalingua non è
buona che a perpetuare l'infanzia d'un popolo , desaligando seoza 'frutto le
forze degli spiriti più distinti, ed offuscando nella loro sorgente ipriini
Jampi della ragione. Gioja. Elein, di filosofia. « Se voi diceste : il numero
che avete nella destra 4. Acciò il discorso faciliti l'esempio del
pensiero,è necessario che sia minimo il numero delle parole,invariabile
l'oggetto indicato,precisata, ovunque è possibile, la quantità · trarrò
l'esempio da Condillac: isAvendode'gelloninellemiemani,senefo passar « uno
dalla mano dirilla alla sinistra, ne avrò tanti nell'una « quanti nell'altra; e
se nefo passar uno dalla sinistra alla « Non si tratta d’indovinare codesto
qumero , facendo « delle supposizioni ; bisogna trovarlo ragionando e passando
« dal cognito all'incognito per uoa serie di giudizi. 11 quello
della sinistra più un'unità ; o infine ancor più bre «vemevle:ladestraweno
unoegualeallasinistrapiùuno. pio in questa. Dunque il numero della mia sinistra
sce malo d'una unità è la metà di quello della destra accre « sciuto d'una
unità; e per conseguenza esprimerete il se « condo dato dicendo : il numero
della vostra mano diritta « accresciuto d'una unità è uguale a due volte quello
della 6 vostra sioistra scemato d'una unità. « Tradurrete questa espressione in
un'altra più sem “ plice , se direte : la destra accresciuta d'un'unità è
uguale « a due sinistre scemate ciascuna d'uu’unità ; e giungerele “ a questa
espressione la più semplice di tutte : la dirilla « più uno uguale a due
sinistre meno due. Ecco dunque le « espressioni, alle quali abbiamo ridotti i
dati : u Questa sorta d'espressioni chiamasi equazioni in m a «tematica.Sono
compostediduemembriuguali.Ladirilla u m e n o u n o è il p r i m o m e m b r o
d e l l a p r i m a e q u a z i o n e : l a « sinistra più uno, il secondo. «
Le quantità incognite sono inescolate alle cognite in 6 ciascuno di questi
membri. Le cogoite sono meno uno più uno , meno due : le incognite sono la
diritla e la sini “ sira, coo cui espriaiete idue numeri che andate cercando. «
Finchè le cognite e le incognite sono cosi mescolate w in ogni membro delle
equazioni,non è possibile risolvere u ilproblema.Ma nou v'è bisogno d'un grande
sforzo du « riflessione per osservare, che se vba un mezzo di traspor “ tare
lequantità d'un membro all'altro, senza alterare « l'eguaglianza che passa tra
loro, possiano , bon lasciando « in un membro che una sola delle due incogaite;
sepa “ l'arla dalle cognite, colle quali è mescolala. Questo mezzo si preseula
da sè stesso; perchè se la « diritlameno uno è uguale alla sinistra più uno,
duoque 144 TEORIA DELLA SENSAZIONE « Per tal guisa di traduzione in
traduzione arriviamo « alla più semplice espressione del primo dato. Ora quanto
« più abbreviarete il vostro discorso, più si ravvicioeranno « le vostre idee,e
quanto più saraono vicine, più vi sarà « facile di conoscere tutte le loro
relazioni. Ci resla a tral * tare il secondo dato come il primo , e bisogna
tradurlo u nella più semplice espressione. « Per la seconda condizione del
problema, s’io fo pas “ sare un geltone dalla sioistra alla diritta, ne avrò il
dop « La diritta meno uno uguale alla sinistra più uno. « La dirilta più uno
uguale a due sioislre meno due. ATTENZIONE E 'RAZIOCINIO. 145 « La
diritta uguale alla sinistra più due. « La diritta uguale a due sinistre meno
tre. « li primo membro di queste due equazioni è laslessa quantità; la dirilta;
e vedete che conoscerete questa quan lità, quando conoscerete il valore del
secondo membro e dell'altra equazione. Ma ilsecoodo membro « della prima è
uguale al secondo della seconda , poiché « sono uguali l'uno é o altro alla
stessa quantità espressa “ dalla dritta; duoque potete formare questa terza
equa u ziove: « La sinistra più due uguale a due sinistre meno tre. « Due più
tre uguale a due sinistre meno una sinistra. « Due più treuguale ad una
sinistra. “ Cinque ugualead una sinistra. « Il problema è sciolto. Avete
scoperto che il numero de'geltooi che ho nella mano sinistraè cioque.Nelle equa
u zioni , la diritta uguale alla sinistra più due , la diritla uguale a due
sinistre meno tre, troverete che sette è il nu 6 Inero chc ho vella diritta.
Ora questi due numeri cioque 6 e sette,soddisfanno alle coodizioni del
problema. quando un problema è così facile,come quello scioltopur 6 ora, essa
ne abbisogna maggiormeote, quando iproblemi 66 65 56 dell'una « la
diritla jolera sarà uguale alla sinistra più due: e se la
“dirittapiùunoèugualeadue sinistremeno due,dun « que la diritta sola sarà uguale
a due sinistre meno tre: « Sostituirete dunque alle due prime le due seguenti
equa zioni. 6.Allora non vi resta che una incognita, la sinistra, e a ne
conoscerele il valore , quando l'avrete separata, vale a » dire,falte passare
tutte lecogoite dalla stessa parte. Di - rete dunque Voi vedete sensibilmente
in queslo esempio come la asemplicitàdelle espressionifacilitailraciocinio,ecom
ú prevdele che se l'analisi ha bisogno di tal linguaggio sono complicati. Così
il vantaggio dell'analisi nelle male 6 m a t i c h e n a s c e u n i c a m e n
t e d a l p a r l a r e s s e il l i n g u a g g i o p i ù “ semplice.Una
leggiera idea dell'algebra basterà per farlo 6 ipleadere » (1). (1) « In questa
lingua non si ha bisogno di parole. Il più si «esprimecolseguoto,ilmeno cou--;iuguaglianzacon
« siindicaou le quantitá con lellere o citre:Ý , per es.,sarà ilnu 6 mero
de'geltoni che ho nella destra, e Y quello della sinistra. e Non
sarà fuoridi proposito l'osservare che non alla sola semplicità del linguaggio,
come pretende Coodillac , sonodebitricidellaloroperfezionelematematiche,ma
anche 1.o alla prudenza de'loro seguaci, la quale consiste nel rite nersi nei
limiti delle sensazioni e loro rapporti; 2. all'inva
riabilitàde’rapportitraglioggettidaessichiamatiad esa m e ; 3.o alla
possibilità di sottomettere le loro conclusioni alle verificazioni de'sepsi e
degli strumenti. Cominciamo dal 1.°:esistono degli oggetti estesi;ecco la
sensazione: glioggetti estesi possono misurarsi gli uni per gli altri; ecco
l'osservazione che produce la geometria. L'es. senza dell'estensione, gli
elementi che la compongono, s o n o indagini che i matematici abbandonano agli
oziosi metafisici, e quindi non si espongono ai loro errori. Dite lo stesso
delle altre quantità esaminate dai matematici. a « Cosi X – 1 = Y to 1,
significa che il numero de'gettoni che ho « nella destra, scemato d'un'unità è
uguale a quelloche ho nella asinistra,accresciutod'un'unità,e X41 =2Y
-2,significache « ilnumero della mia destra accresciuto d'un'unità è uguale due
volte a quello della mia sinistra diminuito di due vuità.Ï due dati « del
nostro ploblema sono dunque rinchiusi in queste equazioni: 5Y •FinalmentedaX =
Y+ 2,caviamoX = 5 to 2= X = 2 Y - capiamo egnalıneote X = 10 146 TEORIA
DELLA SENSAZIONE 2. « X fo 1 = 2 Y - 2 che diventano, separando l'incogoitadel
primo membro “Y +2= 2Y - 3 a che diventano successivamente 9 6X uX 2.Y -3 «
De'due ultimi menibri di queste equazioni facciamo 662 2Y "2*3=2Y-Y “2of3=
Y lamatematicanonvisonocircolipiùomeno ro tondi, linee più o meno
perpendicolari,superficie più o meno quadrate , la misura di tutti i triangoli
è uguale alla base moltiplicata per la metà dell'altezza....E quando un
rapporto come quello del diametro alla circonferenza,
cagiond'esempio,nonpuòessereespressoconesattezza i matematici continuano ad
essereesatii,additando la quan tità relativa all'uso che se ne debbe fare, e
che i seosi più 6X – 1 = Y to 1 66 Y+2 0 7;cda 3 ATTENZIONE E
RAZIOCINIO. 147 fini non potrebbero additare con precisione maggiore.I m a
tematici non dicono,ilcircolo sirassomiglia al triangolo come un oratore dirà,
l'uomo si rassomiglia al lione, e sarà costretto a lunga circonlocuzione per
fissare la specie di ras somiglianza ch'egli annunzia, CAPO VIII.
Allasorpresadeve succedereinciascunolapersuasione divedereun
essereinteramentesimilealui,essendosimili le forme e i moti esteriori (pag. 25
, 26 ). Infatti meolre it selvaggio A,acagioned'esempio,staccaun frattodalvi
cino albero, il selvaggio B , che si ricorda d'avere fatto più
vollelostesso,spintodallafame,conchiudecheA èmosso (1) I tre antecedenti
riflessi dimostrano falsal'asserzionedi Con dillac, cioè che « le matematiche
non bando sulle altre scienze altro «'vantaggio che di possedere una migliore
lingua,e che si procure “ rebbe a queste uguale simplicità e certezza , se si
sapesse dar loro « de'segnisimili».Languedu Calcul,pag 7,8,218.
Continuazione dello stesso argomento. 3.° Le ideematematiche possono essere
rese esteriori, cioè visibili, palpabili, misurabili, in una parola sono suscel
tibilid'esseregiudicatedai sensiedaglistrumenti.Coll'ajuto delle cifre e delle
figure tracciale sulla tavolta,o rappre sentate da corpi solidi,iconcetti
matematici compariscono rivestiti di forme visibili per chi ha gli occhi ,
tangibili per chi ne è privo. L'espressione dei rapporti di quantità è sol
tomessa ad una verificazione sensibile, facile, immediata ; n i s s u n o h a f
i n o r a o s a t o r i g e t t a r e il g i u d i z i o d ' u n a b i l a n c
i a , o sospettare l'imparzialità d'una tesa, o la veracità del gra fomeiro ...
(1). 9 1. Cenno sull'origine delle lingue. Colla scorta de'principii esposti
nell'antecedente sezione, ci sarà agevole cosa il seguire i filosofi nelle
congetture con cui spiegarono l'origine delle lingue. Si suppongano due selvaggi
A e B che s'incontrano la prima volta. Il primo sentimento che si svolgerà oel
loro animo,sarà lasorpresa sempre figliadella novilà. ! Queste
conclusioni si rinforzano in ragione de'movimenti e delle azioni che ciascuno
eseguisce, perchè a queste azioni sono associate idee e sentimenti uguali. B
inteude dunque le azioni di A , leggeodo nel proprio animo e consultando la
propria memoria. A intende le azioni di B per gli stessi motivi ; si può dire
che l'uno è specchio all'altro. B accorgendosi che comprende le azioni di A
,conchiude che A comprende le sue. B compresii sentimenti di A ,vedeodogli
eseguire certe azioni;eglicercherà di far comprendere isuoi,ripetendo le
azionistesse:ecco illinguaggio de'gesti. I sentimenti da comunicarsi o
riguardano oggetti esterni presenti o lontani, ovvero riguardano gli interni
sensi del l'animo. Allorchè l'oggetto è presente, gli occhi direlti verso di
esso,ildito che loaccenna,labacchettachelolocca,il corpo che si slancia verso
di esso o se ne allontana , for mano tutto ildizionario della lingua:questi
segni possono essere chiamati indicatori. Allorchè si tratta d'oggetti lontani
, per esempio , d'un animale che si riuscì ad uccidere, o d'un altro da cui si
fu morsi,ilselvaggio ne ripete l'accento,l'urlo,ilgrido,e ne esprime cogli
atteggiamenti delle mani, delle braccia, della testa le forme piùrimarchevoli.
Questi segni possono essere chiamati imitatori. Il rumore prodotto da un
torrente che precipita, da un monte che scoscende, dal vento che fischia,
148 TEORIA DELLA SENSAZIONE da uguale sentimento. A porta alla bocca il frutto
e lo m a stica; B rammentando ilpiacere che provò mangiandolo, con chiude che A
lo prova ugualmente. Ad improvviso rumore A sospende l'operazione del mangiare,
alza il capo immota col guardo fisso dal lato donde proviene il romore ed in
attodi chi tende l'orecchio; B colpilo dallo stesso rumore e dagli atti di A ,
sente sorpresa e timore , e conchiude che A è sorpreso e intimorito.Cessato il
rumore, A riprende tranquillamente l'operazione del mangiare; la calma che suc
cede nell'animo di B gli dice che A si è calinato. Dopo questa scoperta il
bisogno reciproco di comuni. carsi a vicenda i propri sentimenti sembra
naturale , perchè è naturale la reciproca debolezza e comuni i pericoli. I due
selvaggi intendendosi reciprocamente, possono sperareun ajuto ne'loro bisogni,
un sollievo de loro dolori, una difesa contro gli assalti delle beslie
feroci, ATTENZIONE E RAZIOCINIO. 149 I segni indicatori, imitatori,
figurati, divengono triplice canale dicomunicazione pe'sentimenti e leidee in
forza delle leggi d'associazione. Classificando gli elementi di questo
linguaggio secondo la natura de materiali che servono a formarlo, se ne distin
gueranno tre specie, i gesti, le parole, la scrittura sim bolica. (1) La storia
antica ricorda spesso l'uso de'simboli anche presso nazioni già uscite dalla
barbarie e sopratutto pressole nazioni orien tali. Dario essendosi inoltrato
nel territorio della Scizia colla sua ar mata,ricevettedalredegliSciti un messo
che,senza parlare,gli daltuonochescoppia. ilcantodegliuccelli,gliaccenti
delle passioni sono altretanti suoni che il selvaggio ripete per farneiolendere
l'oggetlo ad ogni momento di bisogno,ac compagnandoliperlopiùcoigesti. Se91
Allorché sitratta di esprimere i propri bisogni, i pro pri timori,in somma le
affezioni che von simostrano ai sensi, il selvaggio ripete dapprima quelle
attitudini del corpo c h e le a c c o m p a g n a n o ; p e r e s e m p i o , B
v e d e o d o il l u o g o o v e rimase spaventato , ripeterà i gridi e i moti
dello spavento , accidA nonsiespoogaaldaonocuifuespostoeglistesso. Un sordo e
muto volendo indicarci,che fu calpestato da un cavallo, esprime dapprima con
ambe le mani,il moto preci pitoso de'piedi del cavallo, quindi accenna
ilproprio corpo c h e c a d e s u l s u o l o ; p o s c i a r i p e t e il m o
t o d e l c a v a l l o , e s c o r r e colle mani le varie parti del corpo
nelle quali fu calpestato. Dopo i segni esterni che accompaguano gli affetti,
il sel vaggio,aguisade'sordie muti,coglielasomiglianzache scorge tra i
sentimeoti dell'animo e le qualità de'corpi esterni, e si serve di queste per
indicare quelli; per es., le passioni vive s'assomigliano alla fiamma, il loro
contrasto allatempesta,la loro calma a cielo sereno,l'animo dubbioso a due mani
che pesano due corpi...; ecco i gesti simbo lici e figurati. La prima specie
comprende le azioni e le attitudini del corpo impiegate per imitare le forme e
i moti degli oggetti esteriori;la seconda , gli accenti della voce con cui si
ripe tono i gridi degli animali, e i suoni che accompagnano il moto degli
esseri inanimati ; la terza, la pittura che si farà soventi sulla sabbia ,
sulla corteccia degli alberi, od altro , sia degli oggetti che si vuole
indicare ,sia delle azioni che vi si riferiscono (1). I suoni della
voce altrondee le articolazioni che gli ac compagnano , possono, sia per sè
stessi, sia per la loro c o m binazione, presentare colleidee molteanalogie che
non col piscono a prima vista, ma che sono facilmente sentite ed avidamente
accolte dalle società che si pregiano di dire molte cose nel ininimo tempo, e
colla minima fatica possi bile. Il linguaggio articolato dovette dunque
arricchirsi di giorno in giorno. L'invenzione delle parole indicatrici de
generi e delle specie,impossibile aspiegarsi agiudizio di Rousseau, sem bra
facilissima, giacchè se un albero particolare A in dato luogoe tempo fu
iodicato colla parola albero, è cosa natu. rale che la stessa parola venisse
applicata ad un albero sia m i l e , q u i n d i a d u n t e r z o , a d u n q
u a r t o . . . . C o s i c c h è si per mancanza d'altra parola che io forza
della legge d'aoa. logia (pag. 24 e 25)il nome proprio dovette divenire no me
appellativo. Si giunse finalmente a far uso di segoi affatto arbitrari e vi si
giunse in due maniere; dapprima per la degenera zione successiva del linguaggio
primitivo e imitatore, poscia per convenzioni espresse. dodicipezziilcadavere,e
glispedi alle dodici tribù di I s r a e l e , i n t e n d e n d o c o s i d i r
e n d e r e c o m u n e a d e s s e il s u o d o l o r e , e chiamarle alla
vendetta. Il suo linguaggio fu inteso e il suo desiderio soddisfatto:la tribù
di Beniamino fu sterminata. 150 TEORIA DELLA SENSAZIONR De'gesti non si
può fare grande uso nelle tenebre de con persone alquanto distavti;la scritlura
simbolica,benchè più perfetta de'gesti e permanente, soggiace agli stessi in
convenienti, oltre di essere più difficile: al contrario gli accentidella
voce,pronti,facili,variabiliintuttelemaniere, pon tolgono dall'occupazione chi
ne fa uso, e lasciano il potere di parlare e diagire; queste ragioni fecero
prevalere i suoni articolati. De'dotti laboriosi hanno spiegato come la lingua
pri mitiva alterata dal tempo, dallamischianza del popolo, e da diverse altre
cause, si trasformò nelle nostre liogue moderne ; presentóun uccello, un
sorcio, una rana e cinque freccie; col quale simbolo il re voleva dire che se i
Persiani non fuggivano come gli
uccelli,nonsinascondevanointerracomeisorci,nonsisommer. gevano nell'acqua come
lerane,cadrebberovittimedellefrecciedegli Scili Il Levila d'Efraim volendo
vendicare la morte della sua sposa , ne fece ATTENZIONE E
RAZIOCINIO. 151 e come questa alterazione seguendo un corso differente nei
differenti paesi, rese le lingue sì dissimili tra di loro. Quanto alle
convenzioni che furono fatte,non è neces sario molto schiarimento. Si osservò
che le parole non erano segni d'idee e di sentimenti, se non perchè gli uomini
ac consentivano a prestar loro lo stesso senso. Allorchè dunque conveone esprimere
delle idee nuove, pulla si trovò di più semplice che d'intendersi per scerre
loro una parola. Questa convenzione, formata dapprima tra di quelli che avevano
più pressante bisogno di designare questa idea, divenne in seguito comune agli
altri. Ciascuna arte, ciascuna scieoza presentò le sue parole alla società , e
lingue particolari. I segni arbitrari dovettero laloro forzasolamente alla
doppia abitudine di quelli che gli impiegano e di quelli a cui si dirigono. S
2. Cause de'diversi sensi associati alle stesse parole. II Queste azioni,questi
segni esteriori,che il ragazzo imita, sono uniti (nella mente di quelli che gli
servono di m o dello)a deisentimenti;questi sentimentilosonoadalcune idee ; i
sentimenti e le idee a suoni articolati. Il ragazzo imita dapprima i movimenti,
ripete poscia i suoniarticolatio leparole,acagione d'esempio,padre, madre,
vizio, virtù, religione, demonio .... Il ragazzo non ha bisogno
d'inventare i segni artificiali delle idee; egli gli impara soltanto; ciò che
per gli antichi fu un lungo sforzodi genio, non è per lui che un esercizio
meccanico della memoria . Bentosto il ragazzo deve provare un principio disenti
mento , ridendo all'altrui riso, piangendo all'altrui pianto, fremendo
all'altrui fremilo ... benchè ne igoori la causa. Ma
l'idea,s'ellaesiste,essendosemprelapiùdiffi cile, la più lontana, la meno
interessante a conoscersi, il ragazzo èimitatore come lascimia (pag.41).Gli a l
t r u i m o t i , i g e s t i , l ' a c c e n t o , P a r i a , il t o n o , t
u t t i g l i a t t esteriori lo colpiscono nei primi anni della sua vita e d o
c cupano la sua attenzione;egli è spinto ad imitare ed arió petere tutto ciò
che vede, ed isuoi organi mobili cootrag. gonol'abitudinedimolte azioni,priache
ilpensierosia capace di penetrarne lo scopo e d'osservarne ilmotivo (ins
ginocchiarsi,fareilsegnodella croce,piegarela fronte, giungere le mani ,
levarsi il cappello, fuggire nelle tenebre, baciar l'altrui mano , fare
inchini.... ) La ripetizione frequente diquesti suoni,gesti,sentimenti
gli unisce con stretti nodi e taliche quando i suoni vengono a
colpirel'orecchio o sipresentano alla memoria,spingono gli organi motori ai
gestirelativi, e il sistema sensibile agli associati sentimenti.Questa è la
cagione per cui esempi ripe tuti, antiche abitudini forzano la maggior parte
degli uomini ad ammirare , fremere, tremare,sdegnarsi, passionarsi in tutti
imodi al suono delleparole le più insignificanti,le più va ghe , le più vuote
d'idee, e che appunto per la violenza dei sentimenti associati si sottraggono
alla apalisi. Conviene a n che osservare che più le parole sono confuse ed
oscure, più piacciono e soddisfanno il gusto degli ignoranti (1). Queste
ragioni ci spiegano il motivo per cui le stesse cose fanno impressioni diverse,
secondo che sono pronunciate in una lingua o in un'altra. Si osservò , dice
Rayoal , che i Giudei stabiliti in gran numero alla Giamaica si facevano giuoco
d'ingannare itribunali di giustizia.Un magstrato so spettò che tale disordine
potesse provenire d a ciò che la B i b
bia,su'dicuidovevanogiurare,eratradottainidioma in glese;fu quindi decretato
che per l'avenire iGiudeigiure. rebbero sul testo ebraico.Dopo
questaprecauzione glisper giuri divendero infinitamente più rari.Per simile
motivo A u gustolasciòsussislereeademmagistratuum vocabula,acciò ilpopolo
conchiudesse che sussisteva ancora la repubblica, s u s s i s t e n d o i n o m
i d e l l e s u e m a g i s t r a t u r e , e il r i s p e t t o m a c chioale
eccitato neglianimi popolari dalle parole si,fis sasse sulle nuove cariche che
ritenevano le antiche denomi nazioni. (1) Nel 1666 trovandosi Leibnizio a
Nuremberg seppe che ri era in quella città,una compagnia di chimici , che col
più profondo se greto travagliavano alla ricerca
dellapietrafilosofica.'Ildesideriod'en t r a r v i, g l i s u g g e r i o y ' i
d e a c h e p r o d u s s e l ' e f f e t t o b r a m a t o ; e g l i e s t r a
s s e dagli antichi alchimisti una serie di frasi oscure , la cui unione for
mava una lettera più oscura ancora e non intesada luistesso.Questa lettera
divenne un titolo peressere accolto: Leibnizio, tanto più a m mirato quanto
meno inteso, fu riconosciuto addetto esegretariodella società.Bailly, Éloge de
Leibnitz. 152 TEORIA DELLA SENSAZIONE ragazzo o non la verifica che
tardi, come l'idea di padre, o non la verifica che in parte, come quella di
vizio, o,non la verifica mai nè può verificarla, come l'idea di demonio ,
magia,angelo,fortuna esimili. Per eguale ragione, allorchè le idee
più belle e più su blimi vengono tradotte in lingua usuale,bassa, plebea, per
dono parte di quel pregio che conservano in una lingua an tica o straniera.
Quella specie di spregio che si attacca agli usi volgari e quella specie di
rispetto che va unito alle lin gue morte od estere, sembra comunicarsi all'idea
e degra darla a'nostri occhi o sublimarla. L'indeterminazione del linguaggio
più in morale e legi slazione ha luogo,cbe nelle arti e nella storia
naturale:gli oggetti di queste sono verificabili e misurabili coi sepsie cogli
strumenti , quindi le stesse parole risvegliano in tutti presso a poco lestesse
idee:al contrario gli oggetti morali non essendo verificabili con eguale
precisione, restano nella nebbia della fantasia; le parole, da cui vengono
indicati, partecipano della loro oscurità ed incostanza,eper lopiù risvegliano
idee diverse nelle diverse teste in ragione delle circostanze in cui
furonoapprese (V.pag.27-29).Pre tendere che le slesse parole ( principalmente
se trattasi di cose morali)risveglinointuttele stesseidee,eglièpre tendere che
quando è mezzo giorno a Milano sia mezzo giorno dappertutto. Nei giardini
d'Epicuro la parola virtù risvegliava idee ridenti e piacevoli; sotto i portici
di Zenone, idee fosche e melanconiche. Legge significava la volontà di lutti
per un Greco , la volontà d'un solo per un Persiano. le indicava per l'addietro
un despota sciolto da ogni legge, attualmente quest'idea è più limitata , ed ha
diversi signifi, cati a L o n d r a , A m s t e r d a m , C o p e n h a g u e.
Libertà nella m e n t e del filosofo indica la somma delle azioni non vincolate
dalla Jegge;nellamentedel volgo,lafacoltàd'invadereibeni de'ricchi e di far
nulla. Il massimo danno dall'indetermina zione delle parole si fa sentire
ne'trattati tra,le nazioni, in cui la loro ambiguità diviene,causa o pretesto
di guerre, nei codici criminali in cui l'oscurità d'una frase estende Barbi.
trio del giudice a danno dell'innocente ( ),ne?contratti, nei codici civili,
nelle tariffe daziarie, in cui l'incertezza d'un'e spressiooe è fonte di mille
liti tra i cittadini, e vessazioni al (1) Havvi alla China noa legge che
condanna a morte quegli che non mostra sufficiente rispetto alsovrano. Comparve
un giorno nella gazzetta della Corte un aneddoto non raccontato con perfetta
esaltezza : il redattore fu arrestato, e i tribunali décisero'che mentire nelle
gaz zelte della corte era non mostrare sufficiente rispetto al sovrano , quindi
il redattore fu messo a morte, ATTENZIONE E AAZIOCINIO.“ 153
commercio. La divisione uniforme del regno in dipartimenti, distretti,
cantoni,comuni, l'uniformità de'pesi, inisure, monete , gli stessi libri nelle
università , la stessa educazione ne'licei.... lendono a dare alle parole la
stessa significa zione, a diminuire le dispute, e quindi una somma noo de.
finibile di coilisioni sociali. Oltre l'indeterminazione del linguaggio
proveniente dal modo con cui l'impariamo e dalla natura dell'oggello che
esprime,bisogna dire che in ogni lingua non v'baquasi una parola che
rappreseoti sola una idea chiaro-distinla da se stessa;lutte prendono sensidiversi
dal posto che occupano nel discorso,dalle parole che le seguono o le precedono,
dall'accento, dal gesto, dagli atti che le accompagnano. La medesima parola
unita ad alcune ti mostra un dato espelto d'idee,uo
altro,sesicollegaconaltre;piùavanti,piùin dietro le ne farà vedere dei diversi;
detta con un tuono as severante, ha un senso; con un tuono di meraviglia, un
allro; con irrisione, un terzo; con inlerrogazione, un quar to.
..cosicchèsipotrebbeassomigliareleparoleaicolori delle peone d'un colombo, che
variano secondo ilmoto del s o l e , d e l c o l o m b o , 'd e l l ' o s s e r
v a l o r e . Sono quindi quovi,footi d'errori i diversi sensi che le stesse
parole esprimono passando da un ordine di cose ad un altro. Un oratore, dopo
avere esaltato i nomi di molti personaggi illustri dell'antichità, si dirige
così a'suoi udi iori:ingrati chenoisiamo!noi cilngniamo della brevita della
vita, mentreiè innostro polere di renderci immortali. Egli è evidente che
questa argomentazione confonde due m a niere di vivere che sono distiolissime e
diverse. : Lo stesso difetto sifa vedere nella seguente massima di Rousseau
:.... se la natura ci ha destinati ad essere sani, l'uomo che medita è
un'animale depravato. Perchè questa sentenza fosse'vera,converrebbe provare che
il primo ed unico destino dell'uomo è di essere sano ; che la virtù consiste
nella sanità, e che la meditazione è in compatibile coi buoni costumi. Allora
un dollo sarà un es sere depravato come ilsoldato che espone la sua sanità e la
sua vita in difesa della patria : si potrà dire che ogni a m malato è uno
scellerato,un mostro; che un monco è un 154 TEORIA DELLA SENSAZIONE Sano
è qui'addiettivo del corpo,e significa uno stato fisico; depravalo è addiettivo
dell'auimo,e significa uno stalo morale. ATTENZIONE ERAZIOCINIO.
157 animale depravalo, avendoci la natura destinati ad essere sani come ci ha
destinati ad avere due braccia ... Aliro esempio. Bernardin de Saint Pierre
vuole che as. solutamente sibandisca l'emulazione dallescuolepubbliche; e per provarech'ella
è inutile,argomenta così: Analizziamo questo argomento: l'emulazione per im
parare la lezione, per fare dei temi, per studiare le scienze è inutile
ugualmente che per giocare, bere, mangiare. L'e mulazione è dunque da una parte
e dell'altra la ripetizione della stessa inutilità, e per conseguenza si devono
ritrovare pelll'un caso e nell'altro le medesime cause di questa dop pia
inutilità. Le funzioni dell'animo non son esse egualmente natu r a l i, e g u a
l m e n t e a g g r a d e v o l i c h e q u e l l e d e l c o r p o ? - - E g u
a l mente naturali? lo rispondo di no , se per naturali inten desi necessarie
ed imperiose. Egualmente aggradevoli ? Q u e stoèpossibile,ma
lacausasirifondenelpiacered'essere applaudito, ammirato, ricompensato; quindi
l'autore non s'accorge che coi buoni effetti dell'emulazione lepla di pro varne
l'inutilità. Finalmente l'interesse, la mala fede, le passioni lulle a b u s a
n o d e l l e p a r o l e , p e r c i ò , a l d i r e d i P a r i n i , il m e
r c a n t e è « Pronto inventor di lusinghicre fole 6 E liberal di forastieri
nomi 6'A merci che non mnaivarcaro imonti. уоро campagna,come sono
necessarie talvolta per farli stu diare? Questa piccolapopolazione ha forse
immaginato delle astuzie, e inventati degli artifizi per allungare gli studi, e
per ottenere un tema più difficile? 1 Ho io avulo bisogno nell'infanzia di
sorpassare i miei compagni nel bere, mangiare, passeggiare, e per corvi pia
cere?E perchèèeglislatonecessariocheimparassiasor passarline'mieistudi,pertrovarcidilello?Non
hoiopo. tulo instruirmi a parlare e ragionare senza emulazioni ? Le funzioni
dell'animo non son esse egualmente naturali, «gual mente aggradevoli che quelle
nel corpo? Ora l'emulazione è inutile oel bere e nel mangiare , per che queste
operazioni sono comandate dal più pressante,dal più imperioso
de'bisogoi,l'awore della vita;ma quantivi e conciliano la santità e la
grassezza coll'inerzia e l'ignoranza ? Gli scolari temono forse tanto le
ricreazioni quanto temono la dieta? Sono mai state necessarie le mi nacce ed i
castighi per condurli al refettorio o farli partire per la Cromwel,
per coprire le sue viste atobiziose col manto della religione,aveva dato alla
maggior parte de'suoi reg. gimentiinomi deisantidelTestamentoVecchio.Cromwel,
dice uno scrittoreanonimo di quel tempo,ha ballulo illam buro in tutto
ilVecchio Testamento; sipuò imparare la ge nealogia del nostro Salvatore dai
nomi de'suoi reggimenti. Il commissario di guerra non aveva altra lista che
ilprimo ca pitolo di S. Matteo. In tutti itempi, in tutte le religioni,in
tuttiipartili,ilfanatismo,ilquale non sipiccò mai diequità, diede a quelli che
voleva perdere, non i nowi che merita vano,ma inoai che potevano loro
nuocere.Socrate,che depurando le idee superstiziose, le conduceva all'unità di
D i o , r i c e v e t t e il t i t o l o d ' a l e o d a i s a c e r d o t i d
i C e r e r e : e m p i o chiamavasi presso gli Egiziani chi von adorava un
gatto,un bueourcoccodrillo;sidava daiCartaginesilostessoti
toloachiabborrivailsacrifiziodelleumane vittime.Ne'pri mi secoli della chiesa i
Pagani davano a lutti i Cristiani il nome di Giudei, sforzandosi direuderli
odiosi non potendo dimostrarlı irragionevoli. Alla China i nostri missionari
che diffondeodo lareligione di Cristo diminuiscono ilconcorso ai tempii
de'falsi idoli, e quindi i proventi de'sacerdoti, ven gono da questi dipinti
come ribelli ed accusati di congiura coutro loStato.Le espressioni odiose sono
uo'arma troppo favorevolealla calunnia perchè ella non s'affretti a farne uso.
Egli è sempre un vantaggio l'avere pronta una parola di sprezzo per
caralterizzare i torti che si riaproverano ai propri avversari. Con una di
queste parole si prova lutto, si risponde a tutto, si difende la propria
opinione, si distrugge l'altrui....APascal,che contantasagacitàsvelònellesue
lettere provinciali la corruzione della morale gesuitica, fu ri sposto ch'egli
era quattordici volte eretico. Gli uomini saggi si guarderaono sempre dalle
espressioni dipartito ed esclu sive, e che traggono seco idee accessorie
infinitamente varia bili e talvolta cootrarie. Essi dirapoo, a cagione
d'esempio, questa legge è conforme all'interesse pubblico,elo prove r'anno
svolgendo la somma de'beni di cui è feconda , ma non diranno , per es., questa
legge è conforme al principio della monarchia o della democrazia, giacchè se vi
sono delle persone nelle cui teste queste parole risvegliano idee d'appro
vazione, ve ne sono altre nelle quali succede tulto l'opposto ; quindi se i due
partiti si mettono alle prese, la disputa non finirà che colla stanchezza
de'combattenti, e per cominciare 156 TEORIA DELLA SENSAZIONE
ATTENZIONE E RAZIOCINIO. 157 CAPO IX. Combinare od inventare. La ninfa
della tignuola d'acqua che si trova ne'nostri fiumi, dice Darwin , e la quale
s’involge in cerle casucce di paglia, di sabbia, di gusci,s a ben far si che
questa sua abi lazione sia alla ad equilibrarsi coll'acqua ; e perciò quando
èsoverchiamentepesante,viaggiungeun bocconcellodipa 'gliaodilegno,equando
troppoleggiere,unpezzellodi grossa rena. il vero esame, converrà
rinunciare a queste parole appas sionate ed esclusive, per calcolare gli
effetti della legge in bene e in male. Osservano gli storici che nel corso
della guerra del P e loponneso successe taletrambusto nelleidee e ne'priocipii,
che le parole più usuali cambiarono di senso; si diede il nome
didabbenaggineallabuonafede,didestrezzaalladu plicità, di debolezza alla
prudenza, di pusillanimità alla m o derazione, mentre i tratti d'audacia e di
violenza passavano per slaoci d'animo forte e di zelo ardente per la causa pub.
blica. Una tale coofusione del linguaggio è forse uno de'sin tomi più
caratteristicidella depravazione d'un popolo.Jo altri tempi si può offendere
lavirtù; ciò non ostante se ne riconosceancoralasua autorità,quando lesiassegnano
de'limiti; ma quando si giunge sido a spogliarla del suo nome, ella perde i
suoi diritti al trono, e il vizio se ne im. padronisce e vi si asside
tranquillamente. Per capire ciò che succede allora in una nazione, basterà
osservare ciò che succede nelle società de'viziosi e scellerati. I ladri, gli
ag. gressori , i monetari falsi, i contrabandieri si formano un linguaggio o uo
gergo tutto proprio che confonde tutte le idee di vizio e di virtù. Uniti da
sentimenti uniformi, volendo vendicarsi dell'opinione pubblica che li rispioge
da sè, si compiacciono ad affrontarla; quindi nel loro dizionario sono escluse
tutte le impressioni del rossore, alterati i sentimenti del giusto e
dell'ingiusto, associate idee scherzevoli ad atti criminosi e nefandi. Una vespa,
continua lo stesso scrittore, aveva colla una mosca grossa quasi com'era ella
medesima. Posi le ginocchia a terraper meglio osservare,evidiche
ellaseparòlacoda e la tesla da quella parle del corpo a cui sono annesse
le ale. Prese ella quindinelle zampe questa porzione di mosca, e
s'alzò con essa dal terreno circa due piedi, ma un venti cello leggiere
scuotendo le ale della mosca,fece capovolgere l'animale nell'aria, ed egli
scese ancora colla sua preda a lerra. Osservai allora distintamenle che colla
bocca letagliò primieramente un'ala, e poi l'altra, e quindifuggi via non più
molestata dal vento. Questi due animalelti,che sanno disporre le cose in modo ,
ossia ritrovare mezzi tali da oltenere il fine bramalo, ci danno le prime idee
dell'arte di combinare o invenlare. Duhamel osservò che il felore delle sale
degli spedali cresceva, avvicinandosi al soffitto; egli immaginò quindi uo
ventilatore che facendo comunicarequesta parte delle sale con l'aria esteriore,
caccia laria guasta. La combinazione di Dubamel oon suppone nella disposizione
dei mezzi più cognizionidiquelledellatigauolaedellavespa:ma ilfine ottenuto
essendo molto vantaggioso all'umanità, la combi nazione è più pregevole ; il
pregio di questa combinazione cresce, se siriflette ch'ella è applicabile ad
altri oggetli, a cagione d'esempio,ai vascelli in mare. lo fatti vi sono delle
combinazioni saggissime profondis, sime , e che suppongono infinita destrezza
nell'esecuzione; ma siccome non arrecano alcun vantaggio,non hanno alcun pregio
agli occhi del saggio. Boverick,meccanico d'uva de, strezza e d’upa
perseveranza prodigiosa, fabbricò una catena di duecento anelli che col suo
catenaccio e la sua chiave pesava circa un terzo di grano. Questa calena era
destinata ad iocatenare una pulce.Egli fece una carrozza che s'apriva e si
chiudeva a inolla, era tratla da sei cavalli, portava quattro persone e due
lacchè,era condolia da un cocchiere, ai piedi del quale stava assiso un cane, e
il lutto veniva strascioato da una pulce esercitata a questo travaglio.L'in.
venzione e l'esecuzione di questa macchina puerile fanno desiderare che
Boverick avesse impiegalo meglio i suoi la- lenti.Grice: “”Si suppongano due
selvaggi” – exactly my way of proceeding. Gioia has a lot of sense. An
engraving’s caption has it: ‘statistico e filosofo’ – And I like the fact that
like Socrates he did ‘elementi di filosofia ad uso de’ giovanetti’!” -- Melchiorre
Gioia, Melchiorre Gioja. Gioia. Keywords: filosofia ad uso de’ giovanetti, galateo,
pulitezza, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gioia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758072475/in/dateposted-public/
Grice e
Giorello – il libertino – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Milano). Filosofo. – Grice: “I like
Giorello: he philosophises on evil and good – the devil wrestles with the angel
– but also on Mickey Mouse that he calls ‘topolino’ – “la filosofia del
topolino” – and perhaps ore exotically for us Oxonians, on ‘la filosofia di Tex,’
a ‘fiumetto’ of 1948!” –Si laurea a Milano sotto Geymonat). Insegna a Milano. Membro
de la Società Italiana di Logica” e de la Societa Italiana di Filosofia della
Scienza. Giorello divise i suoi interessi tra lo studio di critica e crescita
della conoscenza con particolare riferimento alle discipline fisico-matematiche
e l'analisi dei vari modelli di convivenza politica. Dalle sue prime ricerche
in filosofia e storia della matematica, i suoi interessi si erano poi ampliati
verso le tematiche del cambiamento scientifico e delle relazioni tra scienza,
etica e politica. La sua visione politica e di stampo liberal democratico e si
ispira, tra gli altri, a Mill. Si occupa anche di storia della scienza in
particolare le dispute novecentesche sul "metodo"e di storia delle
matematiche (“Lo spettro e il libertino”). Cura “Sulla libertà” di Mill. Ateo,
filosofa in “Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo.” Altre opere: Opere
Filosofia della matematica, Milano, L’nfinito, Milano, UNICOPLI, Lo spettro e
il libertino. Teologia, matematica, libero pensiero, Milano, A. Mondadori, Le ragioni della scienza, Roma-Bari, Laterza,Filosofia
della scienza, Milano, Jaca Book, Le stanze della ricerca, Milano, Mazzotta, Europa
universitas. sull'impresa scientifica europea, Milano, Feltrinelli, La filosofia
della scienza, Milano, R.C.S. libri & grandi opere, Quale Dio per la
sinistra? Note su democrazia e violenza, Milano, UNICOPLI, La filosofia della
scienza, Roma-Bari, Laterza, “Lo specchio del reame: riflessioni sulla
comunicazione: Longo, Epistemologia applicata. Percorsi filosofici, e Milano,
CUEM, I volti del tempo, e Milano, Bompiani,
Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del mito, Milano, Cortina, Di nessuna chiesa. La libertà del laico,
Milano, Cortina, Dove fede e ragione si incontrano?, con Bruno Forte, Cinisello
Balsamo, San Paolo, La libertà della vita, Milano, Cortina, Il decalogo. I dieci comandamenti commentati
dai filosofi, II, Non nominare il nome di Dio invano, Milano, Albo Versorio, Giulio
Giorello relatore al convegno internazionale "Science for Peace",
Milano, La scienza tra le nuvole. Da Pippo Newton a Mr Fantastic, Milano,
Cortina, Kos. Rivista di medicina, cultura e scienze umane, 4: Dio, Patria e Famiglia, Milano, Editrice
San Raffaele, Libertà. Un manifesto per credenti e non credenti, Milano, Bompiani,
Il peso politico della Chiesa, Cinisello
Balsamo, San Paolo, Viaggio intorno all'Evoluzione, Mascella, Zikkurat Edizioni
& Lab, Harsanyi visto da Giorello, Milano, Luiss University press, Lo
scimmione intelligente. Dio, natura e libertà, Milano, Rizzoli, Ricerca e
carità. Due voci a confronto su scienza e solidarietà, Milano, Editrice San
Raffaele, Introduzione a Apostolos
Doxiadis e Christos H. Papadimitriou, Logicomix, Parma, Guanda, Lussuria. La passione della conoscenza,
Bologna, Il Mulino,. Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo, Milano, Longanesi,.
Il tradimento. In politica, in amore e non solo, Milano, Longanesi,. Premio
Nazionale Rhegium Julii Saggistica. La filosofia di Topolino, Parma, Guanda,. Noi che abbiamo l'animo libero. Quando Amleto
incontra Cleopatra, Milano, Longanesi, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. CULTURAAddio
a Giulio Giorello, filosofo della scienza e difensore della libertàBy Vincenzo
VillarosaPosted on 16 Giugno 2020 È morto all’età di 75 anni il filosofo Giulio
Giorello, per le conseguenze dell’influenza da COVID-19, dopo aver trascorso
due mesi di degenza in ospedale ed essere stato dimesso alla metà di maggio.
Successore del maestro Ludovico Geymonat alla cattedra di Filosofia della
Scienza dell’Università Statale di Milano, il 12 giugno scorso il filosofo
aveva sposato la compagna Roberta Pelachin. Il Premier Giuseppe Conte lo ha
ricordato, in un messaggio sui social, come un pensatore che ha saputo
riflettere sui rapporti tra etica, politica e religione. Nato a Milano
nel 1945, Giorello si laureò in Filosofia alla fine degli anni Sessanta e in
Matematica, qualche anno dopo, seguendo la tradizione antifascista e marxista
del maestro Geymonat e il difficile tentativo di contrastare le divisioni tra
pensiero scientifico e umanistico. In seguito, fu docente di Meccanica
razionale all’Università di Pavia e poi alla Facoltà di Scienze presso
l’Università di Catania, a quella di Scienze naturali all’Università
dell’Insubria e, infine, al Politecnico di Milano. L’accademico milanese
fu presidente della SILFS (Società italiana di Logica e Filosofia della
scienza), ma i suoi studi spaziavano dalla mitologia all’antropologia e alla psicologia
evolutiva fino alla bioetica e alle neuroscienze. Uno tra i più bravi
epistemologi italiani, insomma, capace di unire il rigore per gli studi sul
metodo della scienza alle riflessioni sull’ambiente sociale e politico nel
quale si muove la ricerca scientifica. Accanto all’attenzione per le
discipline fisico-matematiche e all’accrescimento della conoscenza scientifica,
Giulio Giorello analizzava le modalità complesse e contraddittorie della
convivenza sociale e politica. Sulla scia del pensiero del filosofo John Stuart
Mill – di cui aveva curato l’edizione italiana dell’opera Sulla libertà, nel
1981 –, scrisse, in particolare, pagine illuminanti sulla natura, i limiti e la
possibile difesa della libertà umana. La sua instancabile attività di saggista
era basata su un’approfondita conoscenza della produzione saggistica e del
dibattito internazionale intorno al discorso scientifico. La testimonianza di
questa ricchezza culturale è rintracciabile nella preziosa direzione editoriale
della collana Scienza e idee per Raffaello Cortina Editore e nella capacità di
divulgazione espressa, tra l’altro, nella collaborazione alle pagine culturali
del giornale Corriere della Sera. Tra le opere di saggistica, ricordiamo
Filosofia della scienza (Jaca Book, 1992) e due contributi recenti di
divulgazione scientifica come La filosofia della scienza nel XX secolo (con
Donald Gillies, Laterza, 2010) e La matematica della natura (con Vincenzo
Barone, Il Mulino, 2016). Nelle opere Di nessuna chiesa. La libertà del laico (Cortina,
2005) e Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo (Longanesi, 2010), infine,
Giorello parlò del valore della laicità in maniera antidogmatica e rispettosa
della visione del mondo dei credenti. La curiosità intellettuale e la
personalità liberale del filosofo e matematico milanese si espresse anche
nell’interesse sul rapporto tra la cultura definita alta e quella popolare
presente, ad esempio, nel mondo dei fumetti. Il suo saggio pop su La filosofia
di Topolino (con Ilaria Cozzaglio, Guanda, 2013) ne è una divertente ma non
banale rappresentazione. La perdita di Giorello toglie alla scena
italiana e internazionale uno dei più attenti conoscitori dell’articolato
cammino della filosofia e del sapere scientifico e, allo stesso tempo, un
difensore delle libertà individuali e collettive, senza le quali non è
possibile alcun accrescimento e consolidamento del patrimonio culturale
dell’umanità. RELATED TOPICS:FILOSOFIA, LETTERATURA, PRIMA-PAGINA,
SOCIETÀIndice 0. Introduzione... p.7 1. Il paradigma dei sette vizi capitali
nel Medioevo... p.11 1.1. Il settenario... p.11 1.2. Il vizio della lussuria...
p.12 1.2.1. Origine e delineazione del vizio nel Medioevo... p.12 1.2.2. Vizio
del corpo... p.13 1.2.3. Vizio dell anima... p.15 1.2.4. I coniugati e la
lussuria. «Se non riescono a contenersi si sposino, meglio sposarsi che ardere
(I Cor. 7,9)»... p.17 2. La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno...
p.19 3. La lussuria come potere nel Canto V dell Inferno... p.31 4. La lussuria
come piacere e dolore nel Canto V dell Inferno... p.44 5. La lussuria come
filosofia nel Canto V dell Inferno... p.52 6. La lussuria come inganno e come
sovversione nel Canto V dell Inferno... p.61 7. La lussuria nel Canto V dell
Inferno: conclusione... p.66 Bibliografia... p.70 0. Introduzione Non v è
dubbio che fra gli insegnamenti che Dante può riservare agli uomini del terzo
millennio ci sia anche quello di puntare su un solo profondo amore al centro di
tutta un esistenza, persistente anche oltre la soglia della morte, capace di rinnovare
la vita di una persona, di orientarla al meglio. Come afferma Emilio Pasquini
nel suo libro Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, la
lettura della Divina Commedia dantesca si mostra rilevante anche nel terzo
millennio. Ovviamente, un opera di qualche secolo fa rischia di non essere più
adatta alle generazioni contemporanee. Ogni epoca conosce tendenze critiche
differenti per quanto riguarda la Commedia, ogni generazione [ ] legge il suo
Dante 2, e quindi, come lo pone Renzi, siamo prigionieri anche noi del nostro
tempo 3. Pasquini segnala che, di tutti gli episodi della Commedia, soprattutto
quello di Paolo e Francesca risulta molto interessante per i lettori di oggi 4.
L amore-passione che forma il nucleo della storia continua a intrigare.
Rappresenta una delle idee riguardanti l uomo tra cui Dante, in un modo
meraviglioso, stabilisce legami nei suoi versi. Quelle connessioni creano la
celebre feconda ricchezza di Dante, la quale fa sì che tanto all epoca (quando
si trattava della fede, della relazione tra Creatore e creatura) quanto oggi
(ormai importa la nostra coscienza etica) si scoprono delle idee sorprendenti e
chiarificatrici nell opera 5. Accanto a questo, la storia dei due lussuriosi
illustra pure la persuasione [di Dante] della presenza, nella vita di ognuno,
di un gesto decisivo che sanziona la sorte eterna dell uomo [ ]. Oggi,
asserisce Pasquini, una simile prospettiva riguarda (e riguarderà in futuro),
su un piano totalmente terreno, le scelte radicali che decidono il corso di un
esistenza, le svolte cruciali che imprimono alla vita di un individuo una
precisa e irreversibile direzione, decidendo del suo destino in terra 6. 2
Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia,
Paravia, Bruno Mondadori Editori, 2001, pp.257. 3 Lorenzo Renzi, Le conseguenze
di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.12. 4
Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit.,
pp.259. 5 Ibidem, pp.269. 6 Ibidem, pp.275. 7 Introduzione Si può
aggiungere che, in generale, la ricerca della sapientia mundis del giovane
Dante s inserisce perfettamente nella visione contemporanea del mondo, la quale
è completamente fissata sull acquisizione di nuove conoscenze e su uno sviluppo
personale completo. Parallelamente, si rivela adatto alla società di oggi l
avvertimento di Dante adulto che tale ricerca deve essere interrotta quando
rischia di condurre non alla magnanimità ma alla folia. 7 D altronde, Inglese
segnala che il carattere realistico del poema, dei suoi personaggi e delle sue
scene illustra che Dante utilizza il mondo terreno come una metafora dell
oltremondo, l altro mondo è reso sensibile e leggibile con le forme del nostro
mondo 8. Anche questo aspetto della Commedia fa sì che i lettori di oggi
possono capire abbastanza facilmente il mondo sotterraneo evocato dal poeta. La
conoscenza del mondo, inoltre, stabilisce il legame tra il commento di Pasquini
e quello del filosofo Giulio Giorello, la cui teoria riguardante la lussuria
non concorda con la visione cristiana del fenomeno, esposta nel primo capitolo
della presente tesi. Ne risulta che la lussuria, dal punto di vista cristiano,
si presenta come un fenomeno disprezzabile. Si tratta di una caratteristica
umana da combattere e da eliminare. Il filosofo, invece, adotta un punto di
vista molto differente nella sua recente monografia Lussuria. La passione della
conoscenza 9. Propone un analisi molto originale del vizio, mirata a provocare,
nel ventunesimo secolo, una sensazione di liberazione nel lettore della
letteratura d ispirazione cristiana sul soggetto. Giorello considera la
lussuria non solo come un peccato, ma anche, e in primo luogo, come una
libertà: E per ciò [la lussuria] può costituire il nucleo di una società aperta
e libertaria, insofferente di qualsiasi costellazione di dogmi stabiliti 10.
Anche se il concetto centrale della tesi vi è inquadrato in un contesto
quotidiano, universale e laico, non viene trascurato il significato cristiano
del termine. L autore approfondisce il concetto di lussuria descrivendo come il
desiderio lussurioso può manifestarsi in varie forme: parla della lussuria come
potere, come filosofia, come inganno Andando al fondo della nozione di
lussuria, stabilisce delle relazioni significative tra vari testi, autori e
concetti. 7 Ibidem, pp.271-273. 8 Giorgio Inglese, premessa, in Commedia.
Inferno di Dante Alighieri, Roma, Carocci editore, 2007, pp.9. 9 Giulio
Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, il Mulino, Bologna, 2010. 10
Ibidem, risvolto della sopraccoperta. 8 Introduzione A mio giudizio la
lettura del Canto V dell Inferno dantesco nell ottica proposta da Giorello può
offrirmi, e con me a tutti i lettori del capolavoro di Dante Alighieri, una
lettura fresca e interessante di questi versi già ampiamente commentati. Vorrei
dimostrare che le sue idee nuove permettono di attualizzare questa parte del
testo dantesco anzi, tutta la Commedia- e di agganciarlo alla società del
ventunesimo secolo (cf. Pasquini, cf. supra). Tutte le manifestazioni della
lussuria contemplate dal filosofo verranno applicate al Canto V, poiché i suoi
ragionamenti permettono di gettare nuova luce sul testo dantesco e di
presentarlo a una società diventata quasi completamente laica, nella quale la
religione cristiana è diventata un vago ricordo di altri tempi, un fenomeno
soltanto latente (cf. supra). Anche nel libro di Giorello l aspetto religioso
della lussuria non è quello più importante, ma è sempre presente in modo
velato. Ciò significa che predomina la ricchezza rappresentata dalle varie
manifestazioni del concetto denominato lussuria, a scapito della visione
cristiana del fenomeno, la quale predica la restrizione di questo vizio. Tutto
ciò spiega perché i concetti delimitati da Giorello, in combinazione con
commenti da parte di Pasquini, mi faranno da filo conduttore per redigere la
presente tesi. L accostamento evidenzierà paralleli e complementi interessanti.
Dato che il mio scopo è l elaborazione di una nuova analisi della lussuria nel
celebre Canto V prendendo come guide alcuni studiosi contemporanei, l aggiunta
di pensieri e di ragionamenti provenienti dal libro Le conseguenze di un bacio.
L episodio di Francesca nella Commedia di Dante di Lorenzo Renzi arricchirà
ancora l esposizione, tra l altro la parte nella quale si tratta della
colpevolezza o dell innocenza di Paolo e Francesca. Renzi, nel suo libro, vuole
reagire sia alla retrocessione di Francesca in generale, sia all interesse
privilegiato mostrato dai critici per la tirata lirica di Francesca 11. L
autore specifica che l episodio di Francesca forma, infatti, una metonimia
della Commedia, cioè la parte per il tutto: [ ] drammatizza e presenta in
exemplo la palinodia di Dante, il suo abbandono degli errori giovanili, del
mondo dell amore terreno e della sua poesia (lo Stil novo), per cominciare l
ascensione. Riferendosi a Paolo Valesio, afferma però anche che il personaggio
di Francesca si rivela tanto intrigante che la palinodia rischia di diventare
il suo contrario, una palinodia della 11 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un
bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.12. 9
Introduzione palinodia: una nuova esaltazione dell amore terreno 12. Accanto al
riferimento a Valesi il testo di Renzi offre ancora molte informazioni sorprendenti
riguardanti altri autori e commentatori. Giorgio Inglese, poi, è il quarto
critico principale che sarà evocato. Il suo commento all Inferno mi ha
procurato vari elementi chiarificatori, distinguendo, nella Commedia, una
struttura e una poesia, per esempio, o puntando sull importanza, nel Canto V,
di contrasti forti. Anche lui si mostra un difensore di una dantistica del
terzo millennio. La maturità della disciplina ( la quantità [dei studi] è ormai
misurabile solo con i mezzi dell elettronica ) non implica però stagnazione, e
lo dimostra bene, per quanto riguarda la Commedia, proprio la vitalità del
genere commento 13. In ogni capitolo della presente tesi, una nozione
filosofica evidenziata nel libro già citato di Giorello si trova alla base
delle idee sviluppate nel capitolo relativo. A quei ragionamenti s intrecciano
varie riflessioni dalla parte di Pasquini, Renzi, Inglese e alcuni altri
commentatori. 12 Ibidem, pp.7-8. 13 Giorgio Inglese, premessa, in Commedia.
Inferno di Dante A lighieri, cit., pp.12. 10 1. Il paradigma dei
sette vizi capitali nel Medioevo Come capitolo introduttivo presenterò un
resoconto generale del paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo, incluso
un attenzione particolare per la storia del vizio della lussuria. Baserò questa
visione d insieme sul volume I sette vizi capitali: storia dei peccati nel
Medioevo di Carla Casagrande e Silvana Vecchio, pubblicato dalle Edizioni
Einaudi nel 2000. 1.1. Il settenario Anzitutto si deve segnalare che il sistema
dei vizi capitali non è un invenzione di un individuo. Si tratta piuttosto di
una raccolta di idee che si è sviluppata attraverso secoli, continenti e
persone diversi; di un enorme enciclopedia nella quale si trova di tutto, un
efficace schema classificatorio per parlare [...] del mondo 14. Un topos, per
così dire. Una volta che il paradigma aveva ottenuto la sua forma definitiva,
ben circoscritta, ha avuto un successo immenso, tanto presso i chierici quanto
presso i laici. Si potrebbe dire che, per quanto riguarda l Occidente, la
storia medievale di questi sette vizi inizia con gli scritti di tre
ecclesiastici: Evagrio Pontico, Giovanni Cassiano e Gregorio Magno. Cassiano (V
secolo), avendo delineato nelle sue opere l insieme delle teorie del suo
maestro Pontico sui sette vizi capitali, ha scritto una delle opere più
significative per la cultura tanto religiosa quanto laica del Medioevo. Fino al
XV secolo, il settenario dei vizi capitali, al quale Cassiano ed Pontico
attraverso gli scritti del suo allievo- ha contribuito, ha avuto grande
successo. Dante, quindi, ha vissuto in un epoca che accordava molto importanza
all idea dei sette vizi capitali. Si deve specificare che tanto Pontico quanto
Cassiano distinguono otto vizi capitali, al posto di sette: gola, lussuria,
avarizia, tristezza, ira, accidia, vanagloria e superbia (elenco tratto dall
opera di Casagrande e Vecchio). Magno, nella sua opera Moralia in Job (fine VI
secolo), ne distingue sette; non menziona più l invidia come vizio capitale.
Anche Moralia in Job costituisce un opera di notevole importanza per la cultura
medievale: è molto più di un 14 C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi
capitali: storia dei peccati nel Medioevo, Torino, Einaudi, 2000, pp.xvi.
11 Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo commento: esegesi,
teologia, etica si mescolano a comporre un disegno di larghissimo respiro 15.
Il paradigma dei vizi capitali porta, naturalmente, l impronta dell ambito nel
quale è stato lavorato, cioè l impronta della società monastica non solo quella
occidentale. Infatti, Cassiano aveva apportato all Occidente conoscenze
orientali egiziane, siriane-, adottate dalla cultura monastica orientale,
raccolta nell Egitto. Anche il suo maestro, Pontico, aveva imparato molto sui
vizi capitali in quel crogiolo culturale che fu Alessandria d Egitto alla fine
del IV secolo 16, e nelle sue riflessioni, idee della filosofia occidentale si
sono confuse con questa sapienza proveniente dall Oriente. Di più, le idee
rappresentate dai sette vizi capitali risalgono, infatti, alle difficoltà
proprie alla vita nel monastero: Per i monaci essi rappresentano gli ostacoli
da superare lungo il cammino di perfezione al quale si sono votati, in una
continua battaglia contro se stessi e contro quel mondo che si sono lasciati
alle spalle 17. Detto questo, si può inquadrare la nascita e lo sviluppo del
settenario, almeno per quanto riguarda il Medioevo. In quello che segue
tratterò più in dettaglio la storia medievale di uno dei vizi capitali, cioè di
quello che costituisce il nucleo centrale della mia tesi: la lussuria. 1.2. Il
vizio della lussuria 1.2.1. Origine e delineazione del vizio nel Medioevo Non
solo il cristianesimo ha trattato il desiderio sessuale con diffidenza. Già
nella cultura pagana, gli individui si sfidavano da persone che riconoscevano
apertamente di sentire tali voglie. La religione cristiana si è adeguata molto
abilmente a queste preoccupazioni, riunendole in un vizio capitale chiamato
lussuria. Denominando così sentimenti vari e irrequieti, la fede calma, crea
ordine nel mondo, nella società, nella vita particolare di ogni persona che si
riallaccia alla tradizione cristiana. Diventa molto attraente in questo modo.
Lo sviluppo di paradigmi simili contribuisce alla popolarità di una concezione
di vita, tanto di visioni di tipo religioso come di concezioni pagani. 15
Ibidem, pp.xi. 16 Ibidem, pp.xii. 17 Ibidem, pp.xv. 12 Il paradigma dei
sette vizi capitali nel Medioevo Cassiano descrive la lussuria, situandola nell
ambito della natura propria agli uomini, come un vizio intrinseco, come un
aspetto essenziale della specie umana. Magno monaco e papa-, anzi, pone che
essa sarebbe un attività tutto naturale del corpo, che, per di più, sarebbe
intento da Dio. Da un punto di vista laico (nel senso di ateistico), si vede
apparire, in questo discorso, una concezione molto moderna della sessualità
umana. Rimanendo nel contesto cristiano, il papa, sviluppando una tale visione,
crea infatti un idea che spiana la via per la lussuria: se forma un desiderio
proprio all uomo tanto naturale quanto il bisogno di mangiare e di bere, non si
può evocare più niente per intimargli l alt. Ma, a dire il vero, la visione
della lussuria divisa in modo più ampio durante i secoli medievali è quella
ideata da Agostino. Secondo lui, l elemento chiave che trasforma la sessualità
dell uomo in un attività peccaminosa, sarebbe stato il peccato originale. Prima
della ribellione di Eva e Adamo contro Dio, i due primi esseri umani sarebbero
stati i padroni assoluti dei loro organi sessuali, presenti per rassicurare la
procreazione della specie umana. Dopo, invece, come punizione reciproca per la
loro disubbidienza a Dio, queste parti dei loro corpi diventano insubordinati,
non li possono più controllare. Anzi, sono quegli organi del corpo a poter
dominare l anima dell essere umano. Lì si ritrova il primo vero aspetto della
pena imposta ad Adamo ed Eva. La seconda è rappresentata da una conseguenza
irrimediabile del fatto che si sta parlando dell attività responsabile per la
generazione: l uomo trasmette quel peccato di padre in figlio, per l eternità.
Per forza, i figli nascono peccatori. Nonostante il fatto che la visione
agostiniana della lussuria era molto diffusa durante il Medioevo, si comincia
già a rivederla nel XII secolo. Si osserva infatti un processo di desessualizzazione
del peccato originale 18. Implica l accettazione della concupiscenza come una
delle conseguenze del peccato originale, non come l effetto principale di
questo. Tuttavia, la sessualità non viene tolta dall ambito peccaminoso nel
quale era stata introdotta: La natura era ormai inevitabilmente corrotta 19.
1.2.2. Vizio del corpo Cassiano attribuisce alla lussuria (denominata, in un
primo momento, la fornicazione), tutto come alla gola, lo statuto di vizio
carnale, un vizio cioè che implica 18 Ibidem, pp.151. 19 Ivi. 13 Il
paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo necessariamente la
partecipazione del corpo 20. Rivendica non solo la cooperazione degli organi
sessuali, ma pure quella di tutti gli organi legati alle esperienze sensoriali:
gli occhi, le orecchie, il naso, la bocca e le mani. La lussuria, infatti, si
presenta come il solo vizio capitale che coinvolge ognuno dei cinque sensi. Nel
Medioevo, la collaborazione tanto versatile del corpo umano alla fornicazione
approda all idea che questo corpo non solo partecipa allo svolgimento del
vizio, ma ne subisce anche le conseguenze. Quelle, naturalmente si tratta di
conseguenze di atti peccatori-, non appaiono sotto forme agrevoli: terribili
mali di testa che i medici non sanno come curare, progressiva perdita delle
forze, vita breve e, su tutto, l immonda malattia che attraverso piaghe
ripugnanti e maleodoranti consuma lentamente ma inesorabilmente il corpo, la
lebbra 21. Per di più, il debole corpo umano è inestricabilmente connesso con
il vizio della fornicazione: senza la presenza di un corpo, non si può
manifestare la lussuria. Il vizio rivendica la sussistenza della carne umana
per poter apparire. Si tratta quindi di un peccato intrinseco al fisico umano.
A dire il vero, la lussuria non tocca a qualsiasi corpo. Si ritrova
essenzialmente in fisici maschili. Questo aspetto della fisionomia della
fornicazione non deve sorprendere: si parla di un peccato il quale carattere ed
essenza sono stati messi a punto negli monasteri abitati da ecclesiastici
maschili (fra le altre i padri fondatori del settenario dei vizi 22 : Pontico,
Cassiano e Magno). A lungo, le donne non entravano nel discorso sulla
fornicazione, tranne come oggetti degli impulsi lussuriosi maschili. Non
vengono mai considerate capaci di intervenire come iniziatrici per quanto
riguarda questo peccato. La femmina, invece, ritenuta un essere più debole che
il maschio, era creduta molto suscettibile delle avance peccatori esibite dal
suo corrispondente maschile. Inoltre, l insieme di gioielli, profumi, tenute
ecc. (l ornatus, come scrivono Casagrande e Vecchio) che mette l accento sull
eleganza femminile si considerava un tutto che serviva essenzialmente a rendere
i corpi delle donne ancora più attraenti e, di conseguenza, più sensibili ai suggerimenti
lussuriosi dalla parte dei maschi. Peraldo descrive le donne che si vestono e
si truccano per andare a ballare tramite una metafora memorabile: [sono 20
Ibidem, pp.152. 21 Ibidem, pp.153. 22 Ibidem, pp.155. 14 Il paradigma dei
sette vizi capitali nel Medioevo come] un esercito di soldatesse del Diavolo
che si prepara a dare battaglia per strappare a Dio l anima degli uomini 23.
Quindi, nonostante il fatto che le donne non possono esibirsi come istigatrici
del vizio della lussuria, sono consapevoli degli effetti che hanno i loro
fisici sui loro complementi, si avvalgono di queste loro qualità, e così,
inconsapevolmente, incitano negli uomini gli impulsi che li portarono ad atti
lussuriosi. 1.2.3. Vizio dell anima Fin qui, la lussuria è stata dipinta come
un vizio essenzialmente corporale. A dire il vero, la sua origine non è
soltanto carnale, ma si trova nell interiorità più profonda dell anima umana.
Proprio i monaci abitanti dell ambito nel quale è cresciuta l idea del vizio
capitale abbordata- hanno (tra l altro) riconosciuto che il nucleo della
fornicazione sarebbe di natura spirituale. Nel vangelo secondo Matteo si può
leggere una frase che non lascia adito ad alcun dubbio: Chiunque guarda una
donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore (Mt. 5,
28) 24. Ma questa idea non implica che il corpo non potesse essere lussurioso.
Inserisce piuttosto una fase intermedia nell insieme di fasi propri all azione
peccaminosa. In primo luogo nascono le idee lussuriose nell anima dell uomo; in
seguito si osserva che, da questi pensieri, sorge una specie di corpo virtuale
(questa costituisce quindi la tappa alla quale si riferisce nella sentenza
evangelica); infine l atto adultero si svolge per quanto riguarda il corpo
reale, di carne e ossa. A proposito della nozione di carne, si dovrebbe ancora
specificare la differenza, quanto al peccato della lussuria, tra carne e corpo,
vale a dire: quando l anima cessa di pensare, immaginare, ricordare,
assecondare, ascoltare, in una parola servire il corpo, il corpo cessa di
essere carne, oggetto e strumento di quel desiderio eccessivo e disordinato che
ha colpito l uomo dopo il peccato originale, per tornare a essere solo corpo,
un aggregato di materia che garantisce la vita dell individuo 25. 23 Ibidem,
pp.157. 24 Il nuovo testamento, a cura di Giuliano Vigini, revisione di Rinaldo
Fabris, Milano, Paoline Editoriale Libri, 2000, pp.47. 25 C. Casagrande, S.
Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, cit., pp.160.
15 Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo Si potrebbe dire,
dunque, che, riguardo alla fornicazione, non ci entra il corpo umano vero e
proprio, ma un suo equivalente virtuale, come l hanno formulato Casagrande e
Vecchio. In effetti, già nell ottica agostiniana della lussuria è inclusa l
idea che gli impulsi concupiscenti corporali, da soli, non costituiscono
sensazioni peccaminose. È precisamente la condiscendenza dell anima alle
pulsioni carnali che trasforma queste ultime in impulsi peccatori. In seguito,
si deve segnalare, in questo capitolo, il punto di vista piuttosto sorprendente
di Pietro Abelardo (XII secolo) sul vizio capitale della lussuria, soprattutto
per quanto riguarda la relazione tra anima e corpo. Abelardo sosteneva che
tanto la concupiscenza quanto l atto sessuale e i compiacimenti che lo
accompagnano avevano fatto parte della natura dell uomo a partire dal peccato
originale. Affermava che l elemento vizioso stava solamente nella transigenza
dell anima umana al corpo (carne, infatti) corrispondente. Con questa teoria,
Abelardo sviluppa, a dire il vero, una concezione molto moderna della
sessualità umana. Non per niente le sue asserzioni hanno provocato moltissime
reazioni alla sua epoca. La notevole importanza dell anima in quest ambito viene
confermata dalle conseguenze che ha il vizio della lussuria non solo per il
fisico dell uomo ma anche, e specialmente, per la sua anima immortale. La
fornicazione corrompe il corpo umano, lo rende impuro e infangato; ma è ancora
molto più dannosa all anima: una volta imbrattata da questo peccato, lo spirito
dell essere umano, debilitato e confuso, incoerente, è sull orlo della rovina.
Si tratta di un vizio talmente onnicomprensivo che abbraccia tutti i livelli e
strati dello spirito; si espande in tutti gli angoli della mente. Il
danneggiamento dell anima dalla lussuria si rivela incontestabilmente il più
grave nell indebolimento della ragione, componente più nobile e preziosa dello
spirito umano. Mina il potere della capacità più eccezionale dell uomo, cioè la
potenza di dominare tutti i suoi sentimenti, emozioni e impulsi facendo appello
alla ragione. In effetti, non solo la Chiesa si preoccupava dalla decadenza
della ragione sotto l influsso di attività sessuali. Prima della tradizione
cristiana, un ampia tradizione pagana aveva cercato di offrire uno sfogo a
simili preoccupazioni. In questo modo, ha potuto crescere, fra le altre prima
in ambito pagano, poi in contesto cristiano-, l idea che l intelligenza
concetto concepito come positivo- dovrebbe essere capace di mettere l uomo
nella 16 Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo possibilità di
controllare gli impulsi carnali concepiti come negativi. Dato che gli ultimi
avvicinavano l essere umano dall animale, il contrasto tra questi di una parte,
e la nobiltà incontestabile della ragione umana d altra parte, si rivelava
grandissimo. Se è vero che tale opposizione si presentava palesemente in
contesto scientifico, per dirlo così intellettuale, filosofico ecc.-, la sua
importanza per la vita quotidiana dell uomo medio è inequivocabile, visto la
funzione [della ragione] di garantire la misura, la compostezza, l equilibrio
nella vita di ciascun individuo 26. Trasposto in ambito letterario, il dualismo
fra la ragione e gli stimoli carnali, e, più in particolare, la follia nella
quale può sfociare la vittoria riportata dalla carne alla ragione, s
impadronisce dei protagonisti dei romanzi cortesi. Il fenomeno rappresenta il
culmine assoluto dell incostanza confusa che può essere provocata in varie misure
dalla lussuria. 1.2.4. I coniugati e la lussuria. Se non sanno vivere in
continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere (I Cor. 7,9) 27 Tra tutte
le persone che non scelgono la castità come cura della lussuria, i coniugati
formano un gruppo speciale. Il matrimonio, in effetti, non elimina la lussuria,
ma nella misura in cui vieta tutti i rapporti extraconiugali e limita quelli
coniugali [a quelli che servono alla procreazione e quelli che sono necessari
per soddisfare le sensazioni concupiscenti dei coniughi ed evitare, in questo
modo, che commettono il peccato della fornicazione], la contiene e la riduce
28. La storia del concetto di matrimonio, per quanto riguarda il vizio della
lussuria, si rivela alquanto complicata. In primo luogo si deve segnalare che
la ragione per la quale certi cristiani propendevano per la castità e non per
il matrimonio consisteva nel fatto che il matrimonio limitava solamente la
lussuria; non poteva escluderla. Ma, allo stesso tempo, questo fatto veniva
anche rivendicato dai credenti che volevano proteggersi dalla lussuria: il
matrimonio, dopo tutto, delimitava la portata del vizio. Poi, Agostino aggiunge
che considera l unione coniugale un bene, certamente inferiore a quello della
castità, ma comunque un bene, e questo non solo per la procreazione dei figli
26 Ibidem, pp.167. 27 Il nuovo testamento, cit., pp.603. 28 C. Casagrande, S.
Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, cit., pp.172.
17 Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo ma anche per la
società naturale che l unione tra i due sessi comporta 29. Di più, pone che Dio
avrebbe previsto l unione carnale tra gli uomini e i loro complementi femminili
prima del peccato originale, visto che entrambi i sessi erano già dotati di
organi sessuali chiaramente visibili e differenti prima che Eva ed Adamo
disubbidivano a Dio. Il peccato non sta dunque nel coito [...] ma nell uso che
gli uomini [...] ne fanno. 30 Queste idee agostiniane sono state molto diffuse
durante tutto il Medioevo. Finalmente, si deve ancora segnalare che il legame
stabilito tra il vizio della lussuria e il matrimonio fa sì che il peccato si
estende dall essere umano individuale alla comunità intera. Può corrompere
tutta una società; non si tratta più di un vizio dannoso alla vita e all anima
di una singola persona, a tal punto che minaccia tutta la specie umana. Da
questo punto di vista, il peccato occupa una posizione particolare, anzi unica
nel settenario dei vizi capitali. 29 Ibidem, pp.173. 30 Ivi. 18 2. La
lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno Nella sua esposizione sulla
lussuria come potenza (o impotenza) Giorello asserisce che la lussuria [ ] è
mescolanza di tutte le cose del mondo, rotture d ordine, spezzatura 31. Nel
caso di Paolo e Francesca, di certo, la lussuria è stata responsabile di una
rottura dell ordine quotidiano, anzi, dell ordine del mondo come i due
innamorati lo conoscevano. La spezzatura della loro realtà viene causata
direttamente dalla potenza (cioè, dalla potenza nel senso filosofico della parola:
potenza come volontà) che costituisce una parte essenziale del desiderio
lussurioso che sperimentano. Dal momento in cui cedono alla loro volontà
lussuriosa, Francesca, consapevolmente, abbandona suo marito, pone fine al suo
matrimonio. Nel v. 107 Caìn attende chi a vita ci spense 32 il nome di
Gianciotto è taciuto per disprezzo, non certo per femminile riserbo 33. Neanche
Paolo può più tornare indietro; la relazione tra lui e suo fratello è
irrimediabilmente danneggiata. Il bacio dei due lussuriosi segna un passaggio
chiave nella loro storia lussuriosa. Dopo una fase di dubbi e di disperazione,
è arrivato il momento in cui decidono di rinunciare a tutto quello che è
familiare, e di perdersi in un avventura della quale sanno che gli porterà sia
la felicità assoluta sia la perdizione. La tragica combinazione di tenerezza e
di rovina è illustrata dal v. 106 Amor condusse noi ad una morte 34 : la prima
e l ultima parola del verso si rispondono fonicamente AMOR condusse noi ad una
MORte. Inglese chiarisce che, in questo modo, il verso s iscrive nella lunga
tradizione di una diffusa paretimologia (Federigo dall Ambra, son. Amor che
tutte cose: Amor da savi quasi A! mor si spone ). Per di più, la parola morte,
nel Canto V dell Inferno, conclude la serie di proposizioni principali il cui
soggetto è Amore 35. In questo senso, la lussuria si presenta come una
mescolanza di tutte le cose del mondo: ogni diritto ha il suo rovescio. Di
rado, la realtà nella quale vivono gli esseri umani offre una gioia senza che,
contemporaneamente, appaia anche qualcosa che tempera questo sentimento. È un
dato che si manifesta in modo particolarmente chiaro in situazioni 31 Giulio
Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.23. 32 Dante
Alighieri, Commedia. Inferno, revisione del testo e commento di Giorgio
Inglese, Roma, Carocci editore, 2007, pp.90. 33 Giorgio Inglese, commento al
testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Roma, Carocci editore, 2007,
pp.90. 34 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.90. 35 Giorgio Inglese,
commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.90.
19 La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno lussuriose. Paolo e
Francesca propendono non solo per la felicità (lussuriosa) ma anche per l
aspetto penoso che essa implica. Da quanto appena enunciato risulta che la
dimensione della lussuria identificata come la volontà forma una caratteristica
fondamentale del fenomeno. Se manca una forte volontà, non si può parlare di
lussuria. È appunto dalla volontà umana che procede il desiderio di qualcosa.
Dal testo di Giorello emerge che il desiderio an sich deve, infatti,
considerarsi come essenzialmente lussurioso. Nel caso di Paolo e Francesca, si
tratta del desiderio dell altro. Dante presta molta attenzione all espressione
di tale potenza. È probabilmente una delle più belle manifestazioni dello
spirito umano: unica, forte, ma anche tragica. Forse la bellezza risiede,
appunto, nella tragicità. Quello che un essere umano può realizzare grazie alla
volontà commuove solo quando si mescola con altre caratteristiche come, in
questo caso, il tragico. Il desiderio umano, giudicato lussurioso per
definizione, è presente nel Canto V non solo nella decisione presa da Paolo e
Francesca. Ci troviamo nella prima parte dell Inferno, cioè all inizio del
viaggio sotterraneo di Dante personaggio. E siccome Dante parla, infatti, di
ognuno di noi, ci troviamo all inizio del viaggio che ogni peccatore potrebbe
desiderare, un giorno. Anche lui sperimenta un forte desiderio. Si trova sulla
via della perdizione, e vuole ritrovare la retta via. Vuole andare verso la
luce divina, è in cerca di una direzione nella sua vita. Questa aspirazione
predomina su tutto il suo essere, come il desiderio di Francesca domina su
Paolo e vice versa. Inoltre, Giorello pone che la laicizzazione è la lussuria
dell emancipazione dalla soggezione alla natura e/o alla divinità emancipazione
che costituisce la premessa di una società politica matura 36. Secondo me, l
autore suggerisce che l assunto che la laicizzazione sia un processo lussurioso
sarebbe ovviamente consono alla visione cristiana della lussuria che la
considera un vizio capitale. Classificare la laicizzazione tra le varie forme
in cui può manifestarsi la lussuria le conferirebbe lo statuto di un azione peccaminosa.
L idea principale che vuol esprimere il filosofo in questa frase, però, è che
il desiderio umano di venir liberati dall assoggettamento a un potere superiore
si rivela lussurioso, poiché si tratta di un desiderio. Dante personaggio,
tuttavia, desidera di esser assorbito completamente dalla luce divina del Dio
cristiano. E aspira alla stessa sorte per tutti i suoi contemporanei. L
opposizione 36 Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit.,
pp.26. 20 La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno tra la
volontà evocata da Giorello e quella di Dante personaggio illustra il punto di
vista del filosofo sulla lussuria. Che il carattere di un fenomeno sia o non
sia lussurioso non dipende dalla sua religiosità o laicità. Uno degli aspetti
essenziali della lussuria è la forza immensa della potenza umana che fa sì che
la lussuria può esistere. Oltre a ciò, l autore menziona che la lussuria
istituisce il nesso tra conoscenza e oblio 37. L aspetto della lussuria che è
analizzato e commentato in questo capitolo, la potenza, costituisce la forza
che spinge un essere umano ad avere curiosità e a cercare risposte alle proprie
domande. In questo senso, forma, infatti, l anello che lega l ignoranza e la
conoscenza. Dante personaggio vuole conoscere il mondo sotterraneo, e desidera
sapere se e come si può salvare. Dalla sua curiosità, quindi dalla sua volontà,
sorgerà la comprensione dei fenomeni che vuole capire. Si può pure trasformare
la conoscenza in oblio per il tramite della lussuria. Una volta che la
conoscenza è ottenuta, è possibile che essa provochi l oblio di altri fatti
conosciuti nell essere umano che la ottiene, com è illustrato dall epopea
mesopotamica la Saga di Gilgames alla quale si riferisce Giorello. Nel Canto V,
tuttavia, si osserva il contrario. Quello che era conosciuto nel passato non è
dimenticato, come pone appunto Francesca dopo che Dante le ha chiesto di
raccontare come lei e Paolo si sono rivelati i sentimenti amorosi reciproci: E
quella a me: Nessun maggior dolore/che ricordarsi del tempo felice/nella
miseria: e ciò sa l tuo dottore. Chiaramente, i due lussuriosi si ricordano
benissimo quello che sapevano prima del momento in cui la loro volontà di
conoscere li ha messi sulla via della perdizione, cioè, prima del momento in
cui si baciavano e s appropriavano la conoscenza dell altro. Anzi, in questo
passo, Dante autore utilizza letteralmente il verbo conoscere: Ma, s a conoscer
la prima radice/del nostro amor tu hai cotanto affetto/dirò come colui che
piange e dice 38. Ciò illustra l importanza ardente del significato del
termine. Per di più, Giorello pone che la potenza della dea [Venere] è
quotidiana [ ], non solo eccezionale 39. Si potrebbe sostenere, quindi, che la
caratteristica della lussuria rappresentata da questa volontà incredibilmente
potente non si manifesta unicamente in situazioni o momenti eccezionali.
Costituisce una forza sempre presente nell essere 37 Ibidem, pp.28. 38 Dante
Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.91-92. 39 Giulio Giorello, Lussuria. La
passione della conoscenza, cit., pp.35. 21 La lussuria come potenza nel
Canto V dell Inferno umano, gli appartiene. Non sarebbe capace di liberarsi da
essa, se lo volesse. Questo, però, gli è connaturale: si tratta di una parte
dello spirito umano troppo essenziale. Senza di essa non sarebbe più un uomo.
Per di più, rappresenta un impulso troppo gradevole. All uomo piace
infinitamente provare una tale energia dentro di se. Gli dà l idea che
potrebbe, infatti, realizzare il progetto che ha in mente, che potrebbe trovare
la risposta alla sua domanda. Gli dà il coraggio necessario per dare ascolto ai
sentimenti che lo sopraffanno e per arrischiarsi in una ricerca o una
situazione che possibilmente finirà male. È questo il momento in cui la volontà
lussuriosa, quotidiana, alleggiando, diventa eccezionale. Questo momento
speciale si osserva pure nella storia di Paolo e Francesca. Dopo un lungo tempo
di voler esser insieme (da solo), arriva quel punto in cui il desiderio di
Paolo di sapere come sarebbe di trovarsi nelle braccia della donna amata,
diventa troppo forte. La bacia. Un momento riempito in modo molto eccezionale
di volontà lussuriosa. Giorello menziona anche che la dea Venere (e quindi la
lussuria) può rivelarsi maestra di inganno 40. Certo, nel Canto V, si osservano
delle azioni ingannevoli: Francesca tradisce suo marito, Paolo suo fratello.
All aspetto ingannevole della lussuria, però, sarà dedicato un altro capitolo
della presente tesi. Ciò che colpisce nelle pagine sulla lussuria come potenza
in Lussuria. Passione della conoscenza, e che potrebbe dar luogo a una
riflessione interessante, è un idea che deduce da un testo di Agostino, Città
di Dio. Secondo Giorello si può capire da quest opera che, secondo Agostino, la
fiacchezza della nostra volontà (contrapposta alla forza di quella divina) sia
ben peggio [ ] di qualsiasi fisica impotentia coeundi 41 perché nell ordine
naturale l anima è anteposta al corpo. Agostino descrive la lotta della
passione [il corpo] e della volontà [l anima] parlando della lussuria,
affermando che esiste almeno l imperfezione della passione nei confronti della
pienezza della volontà 42. Ciò pone l accento sul valore più grande della forza
mentale che è la volontà dell uomo a paragone del suo corpo fisico. Rileva la
preziosità e la versatilità della potenza, la quale è valutata non solo dai
fedeli cristiani ma anche da laici. Si potrebbe sostenere, quindi, che si
tratta di un punto di vista comune e, di conseguenza, unificatore. L unione d
idee 40 Ibidem, pp.36. 41 Ibidem, pp.39-40. 42 Agostino, Città di Dio,
Introduzione, traduzione, note e apparati di Luigi Alici, Milano, Bompiani,
2001, pp.684-685. 22 La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno
cristiane e laiche (nel senso di provenienti dagli antichi) si ritrova, appunto,
nella Commedia dantesca. A mio giudizio questa fusione è una delle
caratteristiche più meravigliose dell opera. Si rivela in modo splendido nel
passo su Paolo e Francesca. La ricchezza del Canto V proviene, tra l altro,
dall enumerazione dei nomi di Semiramide, Cleopatra, Tristano, e di tutti gli
altri personaggi lussuriosi della mitologia classica menzionati dalla guida di
Dante, Virgilio. Inglese spiega che sono donne antiche e cavalieri (v. 71):
insomma, l intero mondo del romanzo epico-amoroso, che aveva, di fatto,
connesso in un ciclo unico Troianorum Romanorumque gesta et Arturi regis
ambages [ avventure ] pulcerrime (Dve I x 2) 43. La loro apparizione conferisce
un atmosfera unica all Inferno cristiano. Evocano la grandezza delle storie
antiche di alcune coppie famosissime. Risulta dai versi quanto sono care a
Dante, tutto come la sua fede. Il ricordo della disperazione, dell amore e
della perdizione caratteristico di queste storie si mescola, nel Canto V, ai
sentimenti (simili) di Paolo, Francesca e Dante. Per quanto riguarda quella
relazione emotiva triangolare tra Dante, Paolo e Francesca, si può segnalare
che la sua forza emozionale è ancora aumentata dal fatto che, per Francesca, la
visita del pellegrino forma un opportunità unica per confessarsi (dal punto di
vista dei colpevolisti di Renzi) o per comunicare e quindi rendere immortale la
sua tragica storia d amore (secondo la visione dei giustificazionisti di Renzi,
cf. infra). Inglese afferma che gli incontri fra il P. [Dante personaggio] e i
dannati si presentano come un momento affatto eccezionale nello svolgersi (che
non ha però vero svolgimento) della pena di questi ultimi [ ]: per un motivo
superiore ossia, per l edificazione del P. e poi dei viventi che leggeranno il
resoconto del viaggio la Provvidenza suscita in alcuni dannati un estremo atto
di personalità (v. 84) [ vegnon per l aere, dal voler portate 44 ]. Sul piano
poetico, ciò si traduce in una forte drammatizzazione degli episodi: Francesca,
per esempio, non avrà mai un altra occasione di confessarsi, di dare forma
verbale al proprio tormento 45. 43 Giorgio Inglese, commento al testo in
Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.87. 44 Dante Alighieri,
Commedia. Inferno, cit., pp.88. 45 Giorgio Inglese, commento al testo in
Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.89. 23 La lussuria come
potenza nel Canto V dell Inferno Da quello che precede, risulta che un estremo
atto di personalità implica una volontà potente, dato che la volontà
costituisce una parte essenziale dell essere umano. Si potrebbe dire che, con l
ultima frase, Inglese si presenta come un colpevolista, poiché dare forma
verbale al proprio tormento può significare dare forma verbale al suo peccato e
al modo in cui lo strazio della punizione infernale la tortura. La seconda
parte della frase di Inglese, però, potrebbe anche essere interpretata come
dare forma verbale al modo in cui entrambi il ricordo del tempo d i dolci
sospiri 46 e quello della fine tragica della sua storia d amore la tormentano.
Allora, per quanto riguarda Francesca, Inglese si presenterebbe non solo come
un colpevolista, ma anche come un giustificazionista. Ritornando alle donne
antiche e cavalieri, Renzi asserisce quanto segue: Se ci sarà ancora una
critica letteraria dedita a leggere con attenzione i testi, qualcuno noterà,
per esempio, che la pietà di Dante per Francesca, primo segno della sua
partecipazione emotiva alla storia di Francesca, seguita poi dallo svenimento,
era già cominciata al v. 72 e si riferiva alle donne antiche e cavalieri, dunque
a tutti quei fantasmi letterari che prima sono definiti peccator carnali.
Dunque Dante non solidarizza solo con Francesca. 47 Mentre Virgilio annovera
nome dopo nome, Dante personaggio sente come, nel suo cuore, cresce la
compassione. Ascoltando la sua guida, diventa sempre più commosso, triste e
silenzioso per tutto quell amore disperato, perso. Anche lui ha amato e perso
la persona amata. Pasquini pone che non si ha soltanto il dramma cruento dei
due giovani amanti riminesi; c è anche il dramma interiore di Dante che si
sente personalmente coinvolto in quella tragedia 48. Questo dramma interiore
che sperimenta il pellegrino di fronte alla tragedia romagnola si spiega,
secondo Pasquini, dall atto d accusa di Beatrice nel Purgatorio (cf. infra).
Qualcosa di Francesca ritorna in Dante e nel suo personale traviamento, sotto
la spinta del rigoroso atto d accusa cui lo sottopone Beatrice; il che spiega
con chiarezza, quasi completandolo, il suo turbamento che non è solo pietà di
fronte alla tragedia romagnola. 49 46 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit.,
pp.91. 47 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca
nella Commedia di Dante, cit., pp.11-12. 48 Emilio Pasquini, Dante e le figure
del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.259. 49 Ibidem, pp.262. 24
La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno Secondo Pierre-Louis Ginguené
(1748-1815), autore di Histoire littéraire d Italie, non è stato il Dante
filosofo e teologo che si rivela in altri passi della Commedia che ha scritto l
episodio di Paolo e Francesca, ma è stato il Dante innamorato di Beatrice. 50
In questo senso, il Canto V parla da Enea e Didone, Tristano e Isotta, Paolo e
Francesca, e pure di Dante stesso. Di conseguenza, tratta anche di ognuno di
noi, poiché il passaggio di Dante personaggio attraverso l inferno, il
purgatorio e il paradiso celeste rappresenta il viaggio simbolico di ogni
peccatore che desidera ritrovare la retta via. Ginguené, per di più, non
evidenzia la pietà di Dante, ma nota che la pena in fondo, se non è mite, è la
più piccola fra tutte quelle previste dal poeta 51. Renzi spiega come questo
non sembra una grande osservazione, ma la riprenderanno, in genere senza
conoscersi l uno con l altro, molti critici, da Foscolo [Discorso sul testo
della Commedia 52 ] a Teodolinda Barolini [Dante and Cavalcanti (On Making
Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its Lyric Context 53 ]. E ci
aggiunge: Bruno Nardi [Filosofia dell amore nei rimatori italiani nel Duecento
e in altri 54 ], che era l unico che di queste cose se ne intendeva davvero, ha
notato che, tra i peccatori nella carne, Dante ha punito i golosi più
gravemente dei lussuriosi, invertendo l ordine di San Tommaso 55. Forma un
argomento che sostiene la tesi di Ginguené secondo la quale l unico vero autore
dell episodio di Francesca sarebbe stato il Dante amante di Beatrice, e
certamente non il Dante teologo. Anche per Francesco De Sanctis (in Francesca
da Rimini 56 ) e per Benedetto Croce (La poesia di Dante 57 ), segnala Renzi,
Dante, come teologo e come cristiano, disapprova i peccati dei lussuriosi.
Inglese definisce la pietà di Dante ( pietà mi giunse e fu quasi 50
Pierre-Louis Ginguené, Histoire littéraire d Italie, citato da Lorenzo Renzi in
Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante,
cit., pp.134. 51 Ibidem, pp.135. 52 Ugo Foscolo, Discorso sul testo della
Commedia, in Id., Studi su Dante, a cura di Giovanni Da Pozzo, Firenze, Le
Monnier, 1979, pp.175-573. 53 Teodolinda Barolini, Dante and Cavalcanti (On Making
Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its Lyric Context, in Dante
studies, 116, 1998, pp.31-63. 54 Bruno Nardi, Filosofia dell amore nei rimatori
italiani nel Duecento e in altri, in Id., Dante e la cultura medievale, Bari,
Laterza, 1929, pp.1-88, il passo che interessa con i riferimenti a san Tommaso
è alle pp.81-82. 55 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di
Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.135. 56 Francesco De Sanctis,
Francesca da Rimini, in Id., Lezioni e saggi su Dante, a cura di Sergio
Romagnoli, Torino, Einaudi, 1967, pp.633-652. 57 Benedetto Croce, La poesia di
Dante, Bari, Laterza, 1966, pp.73-75. 25 La lussuria come potenza nel
Canto V dell Inferno smarrito 58 ) un profondo turbamento in cui sono fusi l
orrore per il peccato e il dolore per l umanità peccatrice giustamente punita
59. Per De Sanctis e per Croce, da un punto di vista emozionale, invece, Dante
non condanna i lussuriosi. Croce sottolinea pure il potere estasiante che ha
avuto il libro narrando la storia di Lancillotto e Ginevra sui due peccatori.
Asserisce però che Dante, al contrario di altri poeti, riesce a rompere e a
superare l incantesimo dolce dell amore. Così, afferma Renzi, il critico
italiano è riuscito a ottenere un momento di sovrano equilibrio nella storia
della critica [della Commedia], e in particolare dello scontro tra colpevolisti
[quelli che considerano Francesca una peccatrice integralmente responsabile
delle vicende] e giustificazionisti [quelli che si fanno paladino della donna]
60. D altronde, per quanto riguarda la colpevolezza o l innocenza di Francesca,
Inglese segnala che la donna, affermando che Amor, ch al cor gentil ratto s
apprende 61, da un punto di vista psicologico si rivela sincera, ma che, nella
prospettiva etica del poema, [è] obiettivamente falsa poiché Amore [è] sempre
soggetto delle azioni determinanti [ prese costui della bella persona/che mi fu
tolta: e l modo ancor m offende./amor, ch a nullo amato amar perdona/mi prese
del costui piacer sì forte/che, come vedi, ancor non m abandona./amor condusse
noi ad una morte ] 62. Da quest angolatura, infatti, tutte le due ipotesi
(tanto quello della colpevolezza quanto quello dell innocenza di Francesca)
rientrano nelle possibilità. Si può considerare Amore come il vero colpevole, o
giudicare che la donna si è arresa a lui, caso in cui lei si rivela
responsabile per le vicende. Secondo Inglese, l aggettivo leggieri che si trova
nel v. 75 e paion sì al vento esser leggieri 63 farebbe parte di un idea
esclusivamente poetica (e quindi non strutturale) che vuole dimostrare, al
lettore, il peso carnale del peccato d amore. Tutto come questo formerebbe un
suggerimento puramente poetico, Francesca, nella poesia, vive come anima
tormentata dalla passione d amore, mentre dalla struttura è dannata per
adulterio incestuoso 64. Quindi, quello che De Sanctis e Croce attribuiscono a
Dante teologo e 58 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.87. 59 Giorgio
Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit.,
pp.87. 60 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca
nella Commedia di Dante, cit., pp.144. 61 Dante Alighieri, Commedia. Inferno,
cit., pp.89. 62 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di
Dante Alighieri, cit., pp.89. 63 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit.,
pp.87. 64 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante
Alighieri, cit., pp.87. 26La storia di Giulio Giorello In
Articoli04-08-2020di Marco Ciardi Dopo la scomparsa di Giulio Giorello, ho
letto molti ricordi a lui dedicati. Uno dei migliori è senz’altro quello di
Vincenzo Barone, che compare nelle pagine di questo numero di Query . Ringrazio
sentitamente Enzo per avere accettato di scriverlo. image Io vorrei
contribuire alla memoria del nostro grande studioso (e amico) sottolineando
soltanto uno tra i molti suoi meriti. Giulio era anche un ottimo storico della
scienza e delle idee. Tale merito gli è stato riconosciuto da uno
dei maestri del Novecento in questo settore, Paolo Rossi Monti (il cui nome
ricorre spesso in questa rubrica e al quale è stato dedicato il primo numero di
“Parastoria”, su Query n. 9, ormai otto anni fa). Recensendo uno dei tanti
bellissimi libri di Giorello, Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del Mito
(2004), Rossi scriveva: «Giorello è stato, da giovane, allievo di Ludovico
Geymonat. Insegna (e si è prevalentemente occupato di) filosofia della scienza.
Attualmente è anche Presidente della Società Italiana di logica e filosofia
delle scienze. Come il suo libro dimostra, non solo utilizza una grandissima
quantità e varietà di testi, ma anche conosce come pochi (e minutamente) la
storia e i luoghi dell’Inghilterra e, più ancora, dell’Irlanda. Giorello è del
tutto consapevole del fatto che il suo libro è una sorta di labirinto. Dentro
quel labirinto (che ha una struttura geometrica) egli conduce (a volte
trascina) il lettore. Le avventure di idee hanno la strana (per alcuni
insopportabile) caratteristica di essere un po’ avventurose: di portare molto
lontano dall’idea che la filosofia abbia il compito di mettere ordine nel
mondo, di trasformarlo (come diceva il mio antico maestro Antonio Banfi) in
“una linda casetta”. Una parte consistente della filosofia italiana sembra
impegnata a confrontare accuratamente fra loro i testi di cinque o sei
rispettabili filosofi di lingua inglese, a commentarli, a commentare i
risultati del confronto, a polemizzare con gli altri commentatori tentando, nel
più dei casi, arzigogolate mediazioni fra tesi contrapposte. Di una cosa non mi
pare lecito dubitare: Giulio Giorello non fa parte della vasta, soporifera e
innocua schiera degli oscuri e instancabili “roditori accademici”».[1]
L’espressione “roditori accademici” era un rimando a quanto scritto sul
tema da Paul K. Feyerabend,[2] un pensatore con cui Rossi ha spesso
polemizzato, ma per il quale nutriva profonda stima.[3] E che anche Giorello,
non a caso, come ha ricordato Barone, ben conosceva. Sua la prefazione
all’edizione italiana di Against method. Outline of an anarchistic theory of
knowledge, edito in originale nel 1975, e pubblicato da Feltrinelli nel
1979.[4] Rossi citava spesso, con orgoglio, che il suo libro che
compendiava decenni di ricerche sui rapporti tra scienza e magia, Il tempo dei
maghi. Rinascimento e modernità (2006), fosse uscito nella collana “Scienza e
idee” diretta da Giorello per Raffello Cortina.[5] Perché sapeva quanto Giulio
avesse chiaro cosa significasse fare storia della scienza, come ricordava
nell’analisi del libro di Enrico Bellone, Molte nature. Saggio sull’evoluzione
culturale (2008): «La parola chiave del processo storico – come nota Giulio
Giorello nella brillante prefazione che ha scritto per questo libro – è
imprevedibilità. Accade infatti spesso nel presente (ed è accaduto spesso nel
passato) che gli scienziati siano stati costretti a “vedere” cose diverse da
quelle che avrebbero invece dovuto scorgere sulla base delle proprie credenze
personali».[6] Come ci ha ricordato Barone, Giulio Giorello era
laureato sia in filosofia che in matematica. Per questo motivo, come aveva
presente Paolo Rossi, Giorello non ha mai pensato che il semplice fatto di
essere scienziati equivalga, per coloro che svolgono tale professione, ad una
autorizzazione «a parlare di testi che non hanno letto, a prendere posizioni su
questioni che non conoscono, ad esprimere opinioni su problemi che non hanno
mai avvicinato».[7] Del resto, già oltre un secolo fa il matematico Paul
Tannery, uno dei padri fondatori della storia della scienza come disciplina
specifica, affermava che «per essere un buono storico non basta essere
scienziato. Bisogna prima di tutto volersi dedicare alla storia, cioè averne il
gusto; bisogna sviluppare in sé il senso storico che è essenzialmente
differente da quello scientifico; bisogna infine acquisire una serie di
conoscenze particolari, di ausilio indispensabile per lo storico, che sono
invece del tutto inutili allo scienziato che si interessa solo al progresso
della scienza».[8] Anche per questo, Giorello era un fautore delle
collaborazioni. Come quella (tra le innumervoli) con il fisico Elio Sindoni,
che ha portato alla realizzazione dell’affascinante Un mondo di mondi. Alla
ricerca della vita intelligente nell’Universo(2016), dove Giulio, nella parte
storica di sua competenza, mostra (anche in questo caso) una conoscenza
approfondita e raffinata degli argomenti trattati. Mostrando, ad esempio, in
nome di quella “imprevedibilità” alla quale si accennava poco fa, come il
“romanziere” Jules Verne avesse, sul tema dell'abitabilità dei mondi, idee
molto più chiare e precise dello “scienziato” Camille Flammarion.[9]
Del rapporto tra “le due culture” Giorello ha sempre preso il meglio (non
dimentichiamo che il celebre testo di Charles P. Snow sull’argomento fu
introdotto in Italia dalla prefazione di Ludovico Geymonat). Ed era consapevole
del ruolo decisivo della scuola nello sviluppare un processo di apprendimento
diverso rispetto a quello tradizionale: «C’è soprattutto da vincere la
scommessa circa “l’avvenire delle nostre scuole”, come direbbe Friedrich Nietzsche.
Chi guarda attentamente alle grandi svolte del pensiero scientifico e alla
stessa innovazione tecnologica non può non constatare come gli aspetti più
creativi abbiano travolto qualsiasi steccato disciplinare. Valeva ieri per le
dottrine di Copernico o per quelle di Darwin, vale oggi per le frontiere della
cosmologia o per quelle della biologia, per non dire dell’informatica e
dell’alta tecnologia. Potremmo dilungarci su non pochi esempi di virtuose
contaminazioni nelle scienze come nelle lettere. Ma ci limitiamo qui a
ricordare che la separazione delle culture è l’effetto più deplorevole
dell’atteggiamento che concepisce le acquisizioni dell’avventura umana come
entità fisse, sospese nel cielo platonico delle idee.»[10] Perciò Giulio
(sempre utilizzando le parole di Paolo Rossi) provava «una invincibile
ripugnanza» per «gli elenchi di scoperte e di ritrovamenti tecnici, per le
sfilate di risultati eternamente veri e di errori eternamente falsi».[11]
Ancora Giorello: «Cosa c’è di meglio per qualsiasi creazione dello spirito
umano che venire utilizzata, contestata, magari stravolta in un dibattito (come
è appunto quello scientifico), in cui in linea di principio nessuna opinione è
immune da critica o revisione? L’ospitalità che la scienza offre a qualsiasi
“straniero” (ricordiamoci delle parole di Milton) è di questo tipo. Non c’è
miglior rispetto che quello che prende forma nelle modalità del conflitto».[12]
Grazie di tutto, Giulio Note 1) P. Rossi. 2018. A mio
non modesto parere. Le recensioni sul “Sole-24 ore”, a cura di R. Bondì e M.
Rossi Monti. Bologna: Il Mulino, pp. 224-225. 2) P.K. Feyerabend. 1981. La
scienza in una società libera. Feltrinelli: Milano, p. 213. 3) P. Rossi. 1999.
Paul K. Feyerabend: un ricordo e una riflessione, in Un altro presente. Saggi
sulla storia della filosofia.Bologna: Il Mulino, pp. 161-167. 4) P.K.
Feyerabend. 1979. Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della
conoscenza (1975). Prefazione di G. Giorello. Milano: Feltrinelli. 5) Cfr. ad
esempio, P. Rossi. 2018. A mio non modesto parere, cit., p. 259. 6) Ivi, p.
389. 7) P. Rossi. 1999. Ci sono molti Galilei?in Un altro presente, cit. p.
134. 8) P. Tannery. 1904. De l'histoire générale des sciences, in “Revue de
Synthèse”, 7, n. 12, p. 3. 9) G. Giorello. 2016. Flammarion, lo “scienziato”,
sconfitto da Verne, il romanziere, in Un mondo di mondi. Alla ricerca della
vita intelligente nell'Universo. Milano: Raffaello Cortina Editore, pp. 62-68.
10) G. Giorello. 2005. Per una Repubblica delle Scienze e delle Lettere, in Le
due culture, a cura di A. Lanni. Venezia: Marsilio, pp. 116-117. 11) P. Rossi.
1967. Considerazioni conclusive, in Atti del Convegno sui problemi metodologici
di storia della scienza. Firenze: Barbera, p. 182. 12) G. Giorello. 2005. Per
una Repubblica delle Scienze e delle Lettere, cit., p. 118.Grice: “The
etymology of libertine ruins it! – or ruins the concept. A slave liberated,
being of a low class condition, would be criticized for his excesses of
freedom!” Giulio Giorello. Giorello. Keywords: il libertino, implicatura
speculativa – specchio e il reame: la communicazione -- “il fantasma e il
desiderio” “lo spettro e il libertino” “lo specchio del reame” – “il libertino”
“lo scimmione intelligente” lo specchio di Narciso, Bruno, Leopardi-- -- -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giorello” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756347867/in/dateposted-public/
Grice e Giorgi – l’implicatura di Bacco – filosofia
italiana – filosofia leccese -- Luigi Speranza (Cavallino).
Filosofo. Si laurea a Perugia con Givone con “L’estetico” --. studia con Seppilli
e Arcangeli Studia etnomusicologia della “Grecìa salentina”, rivalutando i brani
in "grico". Altre opere: “Pizzica e rinascita”, La Gazzetta del
Mezzogiorno”. Cura “La danza delle spade e la tarantella. Insegna a Lecce. “Le
strade che portano al Subasio passando dal Salento” (Ed. Del Grifo, Lecce), “Tarantismo
e rinascita: i riti musicali e coreutici della pizzica-pizzica e della
tarantella” (Lecce, Argo); “La danza delle spade e la tarantella: saggio
musicologico, etnografico e archeologico sui riti di medicina” (Argo, Lecce). “Pizzica-Pizzica,
la musica della rinascita. La tarantella del tarantismo e la sua resurrezione:
struttura musicale, stato dell'arte e neotarantismo” (Lecce, Pensa MultiMedia);
“L'estetica della tarantella: pizzica, mito e ritmo, Congedo Editore, Galatina);
“Pizzica e tarantismo: la carne del mito dall'etnomusicologia all'estetica
musicale, Galatina, Edit Santoro); “Il tarantismo come mito: dagli errori di De
Martino alla rivalutazione del pensiero mitico, Galatina, Congedo); “Il mito
del tarantismo: dalla terra del rimorso alla terra della rinascita, Galatina,
Congedo); “I poeti del vino, Galatina, Congedo); “La pizzica, la taranta e il
vino: il pensiero armonico, Galatina, Congedo, “La rinascita della pizzica,
Galatina, Congedo); Husserl e la Krisis,
3ª in “Segni e comprensione”, Milano); Il francescanesimo tra idealità e
storicità, 3ª in “Segni e comprensione”, Porzincula (S.Maria degli Angeli); “Il
canto popolare salentino, in Convegno Di Studi Demologici Salentini, Copertino.
F. Noviello e D. Severino, Capone, Cavallino Pierpaolo De Giorgi, Il tarantismo
secondo Schneider: nuove prospettive di ricerca, in, Quarant'anni dopo De
Martino: il tarantismo, Atti del Convegno, Galatina, La iatromusica carne del
mito: la pizzica pizzica tra etnomusicologia ed estetica musicale, in, Mito e
tarantismo Pellegrino, Pensa MultiMedia, Lecce, La pizzica pizzica immensa
risorsa culturale del Sud, in, Terra salentina: i Sud e le loro arti, materiali
del Convegno di Arnesano, La Stamperia, Leverano, Pierpaolo De Giorgi, “Il
ritorno di Dioniso” a proposito di un libro diPellegrino, in “Segni e comprensione”,
Fra aborigeni e tarantismo, in, Settimana di promozione culturale pugliese C.
Minichiello, Pensa MultiMedia, Lecce, Le tradizioni popolari nei disegni di
Nino Severino, greco, Copertino, Diario di bordo, in, La czarda e il vento:
antologia di autori salentini, G. Conte, Congedo Pierpaolo De Giorgi, Poesia
sintetica, in, Il cuore di Amleto: testi, grafiche e fotografie di autori
contemporanei salentini e ungheresi, nota introduttiva di G. Conte, traduzioni
di F. Baranyi e A. Menenti, Veszprém, Pierpaolo De Giorgi, I fogli, in “L'Immaginazione”;
Chiedendo e schiodando, La vita amico è l'arte dell'incontro e Maestà delle
volte, in Omaggio al Salento, Torgraf, Galatina, In marcia di pace verso Assisi
e Trilogia del molto e ben comunicare, in
Omaggio a Maglie cuore del Salento, Torgraf, Galatina, Fantastica
pizzica, in, Salentopoesia, festival nazionale di poesia con musica e danza,
Gallipoli, Conte, Lecce, Gheriglio in disegno e preghiera, in, Salentopoesia, festival nazionale di poesia con musica e danza,
Lecce, 5Conte, Lecce, Isola nel Trasimeno,
in, Salentopoesia, festival nazionale di poesia con musica e danza, Monteroni,
Conte, Lecce, Pierpaolo De Giorgi, S'è cambiato il mondo? e Leggeri Cieli da
Leggere, in Luigi Marzo: mostra di pittura, Spello, catalogo, Spello, Lascio un
cielo di luce cinica, in Sulle ali di Pegaso senza mai cadere. Marzo: mostra di
pittura, Città della Pieve, Tipografia Pievese, Città della Pieve 1998.
Discografia Album Fantastica Pizzica (MCDiscoexpress) Pizzica e Trance
(MCDiscoexpress) Pizzica e Rinascita (CDSorriso) Il tempo della taranta: pizzica
d'autore (CDDrim) 5Pizzica grica: to paleo cerò (CDPlanet Music Studio) Pizzica
e RinascitaRistampa (CDC&M) Taranta Taranta (CDIrma records). La pizzica la
taranta e il vino. Il pensiero armonico – Pierpaolo De Giorgi 4 Gennaio
2022 G.B. Il libro è stato pubblicato la prima volta nel
corso del 2010 e dopo undici anni riteniamo particolarmente ricordarlo per la
sua attualità culturale. Pierpaolo De Giorgi, peraltro, è socio della nostra
ASSOCIAZIONE APSEC e collaboratore di questa nostra rivista. “La ricerca
innovativa e serrata compiuta da Pierpaolo De Giorgi, in tanti anni di impegno
nelle acque agitate dell’etnomusicologia e dell’estetica, approda finalmente al
porto sicuro dello studio La pizzica, la taranta e il vino: il pensiero
armonico. Accade allora che scoperte e sorprese, esposte con cura
e rigore scientifico, si susseguano qui continuamente e senza soluzione di continuità,
offrendo una concezione finalmente reale del tarantismo e della sua musica
terapeutica, la pizzica pizzica, come pure del decisivo ruolo simbolico e
religioso del vino nella civiltà mediterranea. Sono esperienze direttamente
connesse con quelle antecedenti del dio Dioniso, il nume più significativo
della Magna Grecia e dei territori da essa influenzati, archetipo dell’adesione
entusiastica alla vita, della reciprocità e del dialogo. Tramite
Dioniso, nella musica e nella danza, come pure nel vino e nell’ebbrezza, l’uomo
recupera il contatto con le radici più profonde dell’essere, che si manifestano
armoniche, duali e complementari. Per questo i simboli della taranta, della
pizzica pizzica e del vino sono rimedi psicologici che restituiscono l’armonia
perduta e che si pongono come un’efficace risorsa anche oggi, per costruire un
nuovo umanesimo. Sono simboli mitici, che collaborano con quelli della festa e
del rito, e vengono prodotti da un soggetto collettivo. Devono essere
considerati come arte tradizionale, alla stessa stregua dell’arte individuale.
Nel delineare i confini di queste concezioni, De Giorgi rimedita il brillante
ma non del tutto sufficiente “pensiero meridiano” di Nietzsche, di Camus e di
Cassano. In Puglia, come in gran parte del mediterraneo, “il
pensiero armonico” è il pensiero della rinascita e della misura, valori
indispensabili anche oggi per un corretto cammino della coscienza verso la
comprensione di se stessa e dell’uomo verso la propria natura divina.”
Indice CAPITOLO I IL PENSIERO ARMONICO E LA RICERCA IN PUGLIA La Puglia e il
pensiero armonico Il mare, l’armonia degli opposti e la luce mediterranea Il
pensiero armonico come incontro di mythos e di logos Le radici elleniche della
tradizione pugliese Archeologia e storia. Etnomusicologia ed estetica della
tarantella La ricerca comparativa sui brindisi e le analogie con la pizzica
pizzica Il mito e il pensiero armonico del Mediterraneo nella contemporaneità
L’ambivalenza del mito e la misura armonica La misura armonica e il cristianesimo
Monoteismo e panteismo Noi e i miti del tarantismo e del labirinto. Verso un
nuovo umanesimo CAPITOLO II I BRINDISI E LA PIZZICA PIZZICA COME SIMBOLI
DI RINASCITA I brindisi e la pizzica pizzica come simboli di rinascita in
Puglia La festa e il pensiero mitico della rinascita La forza estetica di
un’arte speciale del leccese, la pizzica pizzica Pizzica pizzica, tarantella e
bellezza L’umanesimo mediterraneo e la bellezza mitica della pizzica pizzica e
della tarantella Le civiltà del vino e l’ambiente poetico tradizionale della
Puglia I brindisi, la tradizione popolare e il soggetto collettivo La ricerca
etnomusicologica ed estetica e i brindisi tradizionali Il ritmo armonico della
pizzica pizzica e la gestione delle contraddizioni – La cumbersazione e i
brindisi CAPITOLO III IL TEMPO CICLICO, LA RIVOLTA COLLETTIVA E IL
PENSIERO ARMONICO TRA ARTE E MITO Il tarantismo come rito di rinascita e il
tempo ciclico come attività psichica collettiva di rivolta Nietzsche, l’eterno
ritorno e il recupero del pensiero arcaico del Mediterraneo – Le analogie
dello Zarathustra con il tarantismo La vita come conoscenza: grandezza e
miseria di Nietzsche. – L’eterno ritorno dell’identico e l’eterno ritorno
dell’analogo Gli errori di De Martino e le intuizioni di Camus. La rivolta come
lotta contro il negativo e come affermazione dell’essere e della vita I
brindisi, la pizzica pizzica e il rito del tarantismo come affermazioni della
vita – La ierogamia e la rinascita I simboli della rivolta e
dell’inversione terapeutica Il ruolo di inversione della pizzica tarantata:
mito, ritmo e analogia La pizzica scherma di Torrepaduli e la rivolta mitica I
risultati dell’analisi etnomusicologica: la biritmìa simbolica. La pizzica
pizzica come analogon della dynamis armonica universale CAPITOLO IV
PENSIERO ARMONICO E SOGGETTO COLLETTIVO Il ritorno al cielo del Sud e i
fraintendimenti di Nietzsche. Dioniso e il pensiero armonico L’aióresis
dionisiaca e la Processione dei Misteri di Taranto. – Il mare come
simbolo armonico e come terapia L’intenzionalità collettiva: il teatro tragico
del tarantismo e la tragedia greca Il tempo ciclico e la Magna Mater:
l’evoluzione della coscienza La Grecia e il governo rituale degli archetipi.
Pizzica pizzica e labirinto I brindisi tradizionali e la pizzica pizzica come
arte tradizionale collettiva L’arte collettiva tradizionale come arte del mito.
L’umanesimo della misura CAPITOLO V IL SIMPOSIO, I BRINDISI E L’UMANESIMO
DELLA MISURA La tradizione pugliese e il simposio greco e magnogreco Il brindisi
e il simposio L’ethos del vino come armonia degli opposti La sperimentazione
del divino e l’etica della misura Il pensiero armonico, l’agape e il rischio
della dismisura La sublimazione del simposio La dismisura e la degenerazione
del simposio CAPITOLO VI L’EMERSIONE DEL PENSIERO ARMONICO DALLA RICERCA
E DALLA COMPARAZIONE La danza, le uova e le corna come simboli simposiali di
rinascita Il gesto dionisiaco delle corna nelle musiche e nelle danze della
rinascita I saperi tradizionali dell’equilibrio mensurale del pensiero
armonico: il ritmo e la benedizione La città di Brindisi, l’origine del nome
brindisi e il Bacco in Toscana La cena della spillazione Il porto di Brindisi e
le corna rituali come simbolo di rinascita. Il brindisi di Dioniso e di Semole
come benedizione Indice dei nomi Iconografìa comparativa Lecce
Tarantula. Antropologia simbolo e iniziazione dalla Tradizione alla
Contemporaneità Incontri culturaliINCONTRI CULTURALI Tarantula. Antropologia
simbolo e iniziazione dalla Tradizione alla Contemporaneità Da Ernesto De
Martino ad oggi la Pizzica Salentina, la Taranta e tutto quel mondo che attorno
ad essa ruota in maniera spettacolare e folklorico, in realtà nasconde studi e
tradizioni che affondano le loro radici in un passato lontano. In una prospettiva
più ampia si può dire che in Europa c'è un luogo che da qualche tempo a questa
parte ha espresso una incredibile sequenza di suoni, stili, artisti,
esperimenti e contaminazioni culturali. Questo luogo è il Salento. La Terra del
Rimorso - come la definì Ernesto de Martino - si è trasformata nella Terra
dello spettacolo delle tradizioni. Riportando con forza la cultura popolare,
l'attenzione per le radici, al centro dell'immaginario giovanile e del consumo
pop, il Salento si è rivelata una meta a cui non si può rinunciare. A cinquanta
anni dal viaggio della troupe di Ernesto de Martino nel Salento, quei luoghi si
sono trasformati in altro, dimenticando l’Oltre. Negli ultimi vent'anni il
Salento è stato spettatore della nascita delle dance hall del Sud Sound System,
e dell'irruzione sulla scena della pizzica, sottratta da un lato al folklore,
dall'altro all'accademia sino poi al più grande world music festival del mondo,
la Notte della Taranta. Degli aspetti antropologici dell’argomento e di quelli
iniziatici, simbolici ed esoterici se ne occuperanno Maurizio Nocera e
Pierpaolo De Giorgi in un incontro dibattito senza precedenti Mail
Presidente Ass. Thorah – piscopo.grazia@libero.it Biografie
relatori Pierpaolo De Giorgi, laureato in Filosofia, è etnomusicologo,
filosofo, musicista e poeta. Ha fondato e guida “I Tamburellisti di
Torrepaduli”, con i quali ha suonato in Italia e in tutto il mondo, provocando
la nascita-rinascita del genere musicale pizzica. Ha inciso sette dischi, che
hanno venduto più di centomila copie, scrivendone i testi poetici e le musiche.
Sue liriche sono state tradotte in greco e in ungherese. Assieme al pittore
Luigi Marzo, ha pubblicato il noto volume Le strade che portano al Subasio
passando dal Salento (Del Grifo 1991). Ha tradotto in italiano La danza delle
spade e la tarantella di Marius Schneider (Argo, 1999) e ha pubblicato numerosi
volumi di ricerca, tra i quali Tarantismo e rinascita (Argo, 1999), L’estetica
della tarantella (Congedo 2004), Pizzica e tarantismo (Edit Santoro, 2005), I
poeti del vino (Congedo 2007), Il mito del tarantismo (Congedo, 2008), La
pizzica, la taranta e il vino: il pensiero armonico (Congedo 2010), La
rinascita della pizzica: testi, poesia e storia dei Tamburellisti di
Torrepaduli. La via della Taranta (Congedo 2012) che riformulano radicalmente
le indagini sul tarantismo e sulla tarantella iatromusicale. Maurizio
Nocera - “Maurizio Nocera (classe 1947) … è un eccellente rappresentante di
quella genia … di intellettuali militanti, che sono sempre di meno, oggi, in
giro. “Impegnato” dalla punta delle (consumate) scarpe fino alla radice dei
(pochi) capelli, infaticabile viaggiatore, talent scout, esploratore di mondi
diversi, inguaribile sognatore, gran parlatore, insegnante, politologo,
promoter culturale, contastorie, indefesso ricercatore e divulgatore di patrie
memorie, bibliofilo, collezionista, scrittore, salentino al cento per cento
eppure cittadino del mondo, giornalista, poeta, saggista, storico, critico
letterario, editore.” (Paolo Vincenti, Io e Maurizio Nocera, in
http://spigolaturesalentine.wordpress.co
m/2010/07/03/spigolautori-maurizio-nocer a/). Maurizio Nocera è segretario
provinciale dell'ANPI di Lecce.Grice: “Giorgi is not an Italian philosopher; he
is a Leccese philosopher. You have to be Leccese to be a Leccese philosopher,
and only a Leccese philosopher will NOT appropriate TARANTA – as Martino did –
misunderstanding it – The idea of Nietzsche on Bacco is all very well, but
Giorgi notes that you have to have the Leccese experience to understand all
this”. Pierpaolo De Giorgi. Giorgi. Keywords: l’implicatura di Bacco, il
ritorno di Dioniso; mito. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giorgi” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756207767/in/datetaken/
Grice e
Giorgi – fiducia nella fiducia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vernole).
Filosofo. Grice: “Giorgi discovered a
phenomenon I often overlooked: meta-trust: ‘la fiducia nella fiducia e, alla
Parsons, la fiducia di ego con alter, e alter con ego. Grice: “I love Giorgi,
for various reasons; unlike Sir Geoffrey Warnock, or me, who base our Kantian-type
morality on trust, Giorgi recognises a very apt distinction between trust and
‘meta-trust’ – fiduccia nella fiduccia: fiduccia nell’altro!” Insegna a
Salento. Si laurea a Roma con “il giuridico e il deontico” – Fonda il Centro
Studi sul Rischio a Lecce. Studia i sistemi sociali. Altre opera: “Sociologia
del diritto” Manuale di diritto del lavoro e legislazione sociale” “Azione e
imputazione” “La società”; “Diritto e legittimazione” “Mondi della società” o,
con Stefano Magnolo” “Filosofia del diritto” “Futuri passati” Fiducia è
un meccanismo, un dispositivo di riduzione della complessità. Fiducia non è un
valore positivo dell'agire o dell'esperienza; non rappresenta una preferenza
rispetto al suo opposto, non ha valore morale di preferibilità. Fiducia e
sfiducia sono grandezze non convertibili. Dare fiducia ad altri o suscitare
fiducia in altri non sono qualità morali, disposizioni buone, né preferibili o
migliori in assoluto. Il riscontro della loro preferibilità è la situazione, la
conferma della validità dell'orientamento alla fiducia può essere reperita solo
nella dimensione temporale, l'accertamento dell'opportunità può essere dato
solo dal futuro. La funzione della fiducia, infatti, si dispiega nella tensione
fra presente e futuro. In questa tensione si proietta nel presente il dramma
dell'incertezza e il rischio del non sapere. Il sapere, infatti, esclude il
rischio e rende inutile la fiducia. Il non sapere, invece, impone al singolo,
al sistema personale o sociale, la necessità di reperire un dispositivo di
assorbimento dell'incertezza che rischia di paralizzare l'agire. Il problema,
allora, è il tempo; lo spazio di questo tempo è il presente, una estensione
temporale della cui durata ci si rende conto soltanto quando è finita, cioè
quando è già diventata un passato. Lo spazio della fiducia è questo. Solo in
questo spazio si può avere fiducia. In esso cioè si può costruire, sviluppare,
mettere alla prova quella inevitabile avventura che è l'anticipazione delle
aspettative dell'altro. Fiducia non è altro che questa anticipazione che
orienta l'agire e l'esperire. Ma è un'avventura del presente che anticipa il
futuro nella rappresentazione di colui che ha fiducia, perché si serve solo
delle risorse di una propria prestazione effettuata in anticipo e costruita su
una propria rappresentazione del mondo. Una risorsa esterna, una certezza,
renderebbe inutile dare fiducia [...]. La fiducia costituisce una mediazione
tra la complessità del mondo e l'attualità dell'esperienza. Una mediazione drammatica,
rischiosa, che si sostiene sul sapere di non sapere, che produce da sé le
risorse che investe e con le quali si espone al futuro anticipandolo e
all'altro rappresentandosi le sue aspettative [...]. Fiducia non è affidamento
all'altro. Fiducia non è il racconto dell'altro. Non ci sarebbe il dramma, non
ci sarebbe neppure la possibilità di raccontare l'altro, se fiducia avesse a
che fare immediatamente con l'altro. Fiducia ha a che fare con la propria
rappresentazione dell'altro; essa è affidamento alle proprie aspettative
dell'altro. Fiducia è esposizione del sé. Fiducia è abbandono al sé, per questo
c'è il rischio, il dramma, la tensione. (R. De Giorgi, Presentazione
dell'edizione italiana, in N. Luhmann, La fiducia, Bologna, il Mulino, Riferimenti
Bibliografici - P. Berger, T. Luckmann, La realtà come costruzione
sociale, Bologna, 1969;* - N. Luhmann, Illuminismo sociologico, Milano, 1983;*
- A. Schütz, La fenomenologia del mondo sociale, Bologna, 1974.*La semantica
del rischio Decisione razionale e azione sociale Raffaele De Giorgi
Docente di Filosofia del diritto - Università di Lecce venerdì 22 gennaio
1999 - 17,30 Centro Culturale. Sulla situazione delle scienze sociali Se
si osserva il panorama delle scienze sociali oggi, si può affermare che esse
sono alla ricerca di temi attuali riferiti alla società, ma che per questo non
dispongono ancora di una struttura teorica adeguata, in particolare non sono
pervenute ancora a una adeguata descrizione della società moderna. Le
discussioni teoriche vengono effettuate in relazione ad autori, in particolare
in relazione a classici. Questo comporta, nel modo di porre i problemi, la
presenza di un sovraccarico di vecchie prospettive e l’implicito orientamento
ad una società che in virtù del suo ottimismo sul progresso aveva raggiunto i
suoi limiti, ma poteva tener presente solo in misura limitata le conseguenze
della società moderna e le poteva trattare solo come problemi della
distribuzione del benessere. Le acquisizioni alle quali si è pervenuti sono date
da un atteggiamento scettico verso l’organizzazione e la razionalità (M. Weber)
o da una critica della struttura di classe della società moderna. Di queste
acquisizioni vive ancora oggi la discussione teorica. La società moderna
ha reso urgenti problemi completamente diversi: il problema dell’ecologia, il
problema delle conseguenze che derivano dalle nuove tecnologie, dalla ricerca
biologica e genetica: ma anche il problema delle conseguenze legate a
determinate politiche di investimento o quello relativo al rapporto tra uso del
denaro per fini speculativi o per fini produttivi. Si tratta solo di alcuni
indici degli ambiti problematici con i quali continuamente si confronta la
società contemporanea e rispetto ai quali la soglia di attenzione, e quindi di
preoccupazione, sembra essere più alta. Negli anni più recenti è sembrato
che la scienza sociale riuscisse ad andare oltre la discussione sui classici:
si è elaborato così un orientamento problematico che può essere descritto
mediante concetti quali complessità, problemi del controllo e guida,
possibilità dell’azione ed altri ancora. Così la società viene descritta dalla
prospettiva dell’agire politico e quindi dalla prospettiva della
pianificazione, la quale ha davanti a sé campi di realtà altamente complessi,
in cui tutte le azioni scatenano “conseguenze perverse” e producono problemi
che danno motivo a nuove forme dell’agire. Tuttavia anche questa discussione ha
raggiunto in modo incontestabile i suoi limiti, non dispone di potenziale
esplicativo dell’agire reale e ripropone ormai solo l’originaria formulazione
dei problemi. All’ottimismo del progresso si è sostituita la paura del futuro,
all’ansia della pianificazione e del controllo, la rassegnazione verso le
conseguenze perverse dell’agire che, non potendo essere previste, vengono rese
oggetto di analisi empirica: un motivo ulteriore per considerare il presente
con disappunto e per tentare di risolvere mediante il ricorso alla morale ciò
che sembrava impossibile risolvere mediante la razionalità. Non si
può affatto prevedere che nel prossimo futuro la scienza sociale riuscirà a
colmare il deficit teorico che la caratterizza e a pervenire ad una convincente
descrizione della società moderna. E’ possibile però isolare temi speciali, che
in questa direzione sono fruttuosi e possono essere utilizzati perché le
ricerche si concentrino su di essi. Il tema rischio può costituire un tema
cosiffatto. Esso è un tema nuovo rispetto alla discussione sui classici e
mantiene considerevole distanza rispetto alle teorie sulla decisione razionale
o sulla pianificazione razionale. Esso attualizza la dimensione del tempo, una
dimensione centrale per la società moderna da tutte le prospettive. Esso
altresì ha particolare riferimento rispetto ai temi che nell’opinione pubblica
hanno acquistato un significato considerevole e che, gradualmente, diventano
dominanti. Esso ha quindi tutte le chances di fornire un contributo rilevante
alla comprensione delle condizioni sociali nelle quali oggi inevitabilmente
viviamo e delle quali in un qualunque modo dobbiamo tener conto. 2. Stato
della ricerca. Negli ultimi vent’anni il tema rischio ha stimolato una
mole immensa di ricerche ed ha raccolto una letteratura che ormai non è più
possibile controllare. Nella letteratura meno recente il tema si è sviluppato
prevalentemente sotto la voce: insicurezza. La ricerca però si è concentrata su
alcuni punti cruciali e non è pervenuta all’elaborazione di una chiara
concettualità teoretica. Da una parte è dato di trovare ricerche sulla
valutazione delle conseguenze prodotte dalle nuove tecnologie; queste ricerche
presentano ramificazioni molto concrete: ad esempio la valutazione degli
effetti cancerogeni che derivano da alcuni prodotti chimici o la valutazione
delle possibilità che si verifichino eventi particolarmente improbabili ed
insieme altamente catastrofici. Questa letteratura è orientata nel senso delle
teorie della casualità o nel senso della statistica: essa ha prodotto a sua
volta altra letteratura che si occupa della posizione e del ruolo degli esperti
rispetto alla politica e che di conseguenza individua una perdita di prestigio
e di credibilità della scienza e degli esperti nelle diverse tecnologie,
qualora questi, sotto la pressione e l’urgenza delle decisioni siano costretti
a rendere manifeste le loro insicurezze o le controversie interne alla scienza
stessa. Si tratta di una letteratura e di un insieme di ricerche
che tematizzano i problemi della sicurezza rispetto a situazioni di pericolo
oggettivo, ma che non riguardano la prospettiva di chi, nell’agire concreto,
deve decidere se rischiare o non rischiare e a quali costi. Accanto
a queste ricerche è dato di trovarne altre che sono orientate in misura
crescente in senso psicologico e che indagano i modi in cui i singoli si comportano
in situazioni di rischio. Risultato di queste ricerche è una distinzione di
variabili che influenzano il comportamento, come ad esempio l’influsso della
fiducia di sé o del controllo di sé sulla disponibilità di colui che agisce
verso il rischio. Un altro orientamento di ricerca si occupa dei
deficit di razionalità e degli “errori” statistici che è possibile individuare
nel comportamento decisionale quotidiano. La disponibilità al rischio dipende,
secondo queste ricerche, non da ultimo dal modo in cui colui che decide pone il
problema col quale deve misurarsi. Questi orientamenti ai quali si
sostiene la ricerca sul rischio permettono di comprendere perché gli esperti
che si occupano della percezione e valutazione del rischio e delle strategie
del suo trattamento, siano essenzialmente studiosi di scienze naturali, di
statistica, di economia (in particolare per i settori relativi alle teorie
della scelta razionale, del calcolo dell’utilità, ecc.) o di psicologia.
Persino il tema “comunicazione sul rischio” viene trattato da specialisti che
hanno questa formazione. La sociologia si è occupata fino ad ora
prevalentemente degli aspetti limitati dei nuovi movimenti che si formano nella
società a seguito della accresciuta percezione del rischio. La scienza politica
ha manifestato scarsa attenzione per i problemi che derivano dal fatto che le
questioni legate al rischio sovraccaricano gli interessi politici. Accanto alla
medicina si è stabilizzata un’etica che si occupa dei modi in cui la morale
dovrebbe affrontare questioni che sembrano sottrarsi al calcolo
razionale. Nonostante la sua ampiezza, l’attuale ricerca sul rischio non
riesce a pervenire a risultati utili sia alla descrizione dell’agire
decisionale che alla determinazione di possibilità ulteriori degli stessi
ambiti decisionali, perché è legata da vincoli che derivano dal modo stesso in
cui il problema del rischio viene tematizzato. Questi vincoli sono definiti dai
modelli derivati dalle teorie della decisione razionale e dalle teorie
psicologico-individualistiche. 3. Integrazione teorica. Tanto
dal panorama delle ricerche quanto dall’eterogeneità dei diversi approcci
scaturisce un considerevole bisogno di integrazione teorica. Le prestazioni
innovative che è possibile effettuare in rapporto allo stato attuale della
ricerca dipendono dal fatto che si riesca ad elaborare e a rendere disponibile
una concettualità teorica capace di rendere possibili questi riferimenti.
Il concetto di rischio è stato definito essenzialmente in relazione agli ambiti
della relazione razionale, per così dire, come concetto per la elaborazione dei
problemi del calcolo razionale. Da qui derivano considerevoli difficoltà di
delimitarne significato e contenuto. Nella letteratura si scambiano e si
utilizzano come equivalenti e fungibili con il concetto di rischio formulazioni
quali pericolo, danger, hazard, insicurezza e simili. Proprio per questo, sul
piano metodologico è necessario mettere in chiaro nel contesto di quali
distinzioni il rischio acquista il suo contenuto e significato proprio.
La distinzione tra rischio e sicurezza sembra inutilizzabile. Sicurezza in
quanto opposta a rischio, indica solo un posto vuoto che non può certo essere
riempito empiricamente. Sicurezza, nello schema rischio-sicurezza, indica solo
un concetto riflessivo: esso esibisce solo la posizione dalla quale tutte le
decisioni possono essere analizzate dal punto di vista del loro rischio.
Sicurezza, in questo senso, universalizza solo la coscienza del rischio;
d’altra parte non è un caso se, a partire dal XVII secolo, tematiche della
sicurezza e tematiche del rischio si sviluppano insieme. Per questo
sarebbe necessario provare se sia possibile intendere il concetto di rischio
utilizzando le prospettive fornite dalla teoria attributiva. Nel generale
contesto di una insicurezza rispetto al futuro e di un danno possibile, si
potrebbe parlare di rischio quando un qualche danno venga imputato ad una
decisione, cioè quando questo danno debba essere trattato come conseguenza di
una decisione (o da colui che decide o da altri). Il concetto opposto sarebbe
allora il concetto di pericolo, che è applicabile quando danni possibili
vengano imputati all’esterno. Una tale concettualizzazione permetterebbe di
utilizzare la problematica dell’attribuzione che si è rivelata fruttuosa e
saldamente sperimentata. La concettualizzazione proposta dà insieme
plausibilità al fatto che nella società moderna la maggiore coscienza del
rischio sia correlata all’accrescimento delle possibilità di decisione.
Riferimenti Bibliografici - Ulrich Beck, Risikogesellschaft. Auf
dem Weg in eine andere Moderne, Frankfurt a.M., 1986;* - Ulrich Beck (Ed.),
Politik in der Risikogesellschaft. Essays und Analysen, Frankfurt a.M., 1991; -
Vincent T. Covello, J. Mumpower, Environmental Impact Assessment, Technology
Assessment, and Risk Analysis, NATO ASI Series, Berlin-Heidelberg, 1985; - Mary
Douglas, Come percepiamo il pericolo. Antropologia del rischio, Milano, 1992;*
- Mary Douglas, Aaron Wildavsky, Risk and Culture. An Essay on the Selection of
Technological and Environmental Dangers, California UP, 1983;* - Adalbert
Evers, Helga Nowotny (Eds), Über den Umgang mit Unsicherheit. Die Entdeckung
der Gestaltbarkeit von Gesellschaft, Frankfurt a.M., 1987; - Anthony Giddens,
The Consequences of Modernity, Stanford UP, 1990;* - Alois Hahn, Willy H.
Eirmbter, Rüdiger Jacob, Le Sida: savoir ordinaire et insécurité, «Actes de la
recherche en sciences sociales», 104, pp. 81-89, 1994; - Toru Hijikata, Armin
Nassehi (Eds), Riskante Strategien. Beiträge zur Soziologie des Risikos,
Opladen, 1997; - B.B. Johnson, Vincent A. Covello (Eds), The Social and
Cultural Construction of Risk, Dordrecht, 1987; - Franz-Xaver Kaufmann,
Sicherheit als soziologisches und sozialpolitisches Problem. Eine Untersuchung
zu einer Wertidee hochdifferenzierter Gesellschaften, Stuttgart, 1970; -
Roswita Königswieser, Matthias Haller, Peter Maas, Heinz Jarmai (Eds),
Risiko-Dialog, Köln, 1996; - Georg Krücken, Risikotransformation. Die
politische Regulierung technisch-ökologischer Gefahren in der
Risikogesellschaft, Opladen, 1997; - Niklas Luhmann, Sociologia del rischio,
Milano, 1996;* - Charles Perrow, Normal Accidents. Living with High-Risk
Technologies, New York, 1984; - Aaron Wildavsky, Searching for Safety, New
Brunswick-London, 1988. (*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono
disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito
presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della
conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.Grice: “Giorgi understands
trustworthiness perfectly. However, he does not seem to care to provide a moral
background for it, which is okay with me, since being trustworthy and expecting
others to be trustworthy is what an honest chap does! It’s different with
PERJURY, and Giorgi has shed light on the notion of legitimacy – an oath of
trustworthiness becomes a LEGAL BOND – not just moral. It is however better to
consider the moral trustworthiness as PRIOR conceptually to the legal
trustworthiness – even if conceptual priority can go both ways. EPISTEMICALLY,
to have a law that condemns perjury may be the best way NOT to have faith in
faith (fiducia nella fiducia) but PRESUPPOSE that the other has a moral-legal
bond to be trustworthy. The perjury figure in Roman law has to be considered
historically, since if there was something the Italians are good at is Roman
law!” -- Raffaele De Giorgi. Giorgi. Keywords: fiducia nella fiducia, il giuridico,
il deontico, imputazione, azione, fiduzia nella fiducia. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Giorgi” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757844030/in/dateposted-public/
Grice e
Giovanni – la civetta di Minerva – filosofia italiana – Luigi Speranza Napoli).
Filosofo. Grice: “The Italians love
‘divenire’ as in ‘being and becoming’ – but if I say Mary is becoming a
princess, ain’t Mary being?” Grice: “I like Giovanni; only in Italy, you write
an essay on Marx on cooperation and on Kelsen; and then of course an Italian
philosopher HAS to philosophise on Vico: ‘divvenire della ragione,’ Giovanni
calls what I would call a critique of conversational reason!” Ha aderito
successivamente alla Rosa nel Pugno. Simpatizzò
per la monarchia e l'11 giugno 1946 fu tra coloro che presero parte agli
scontri che causarono la strage di via Medina; in seguito avrebbe spiegato la
sua partecipazione con queste parole: “Già leggevo Hegel ero monarchico perché
credevo all'unita dello Stato.” “Scappai quando la situazione s'incanaglì». Si
laurea a Napoli con la tesi “Vico: natura e ius.” Insegna a Bari. Direttore di “Il Centauro. Rivista di
filosofia". Altre saggi: “L'esperienza come oggettivazione: alle origini
della scienza”; “Il concetto di classe sociale in Cicerone”; “La borghesia
italiana”; “Il concetto di prassi”; “Marx dopo Marx” (cf. Luigi Speranza, “Grice dopo Grice.”
Impilcature: Not Grice! --; “La nottola di Minerva”; -- il guffo di Minerva –
la civetta di Minerva -- “Dopo il comunismo”; il comune -- “L'ambigua potenza
dell'Europa”; “Da un secolo all'altro: politica e istituzioni” – istituzione
istituzionalismo istituismo “La filosofia e l'Europa”; “Sul partito
democratico. Aristocrazia, democrazia crazia cratos concetto di potere -- -- Opinioni
a confronto”; “A destra tutta. Dove si è persa la sinistra?” “Elogio della
sovranità politica, -- il sovrano – lo stato sovrano – Machiavelli -- Editoriale scientifica, “Le Forme e la storia.
Scritti in onore di Giovanni, Napoli, Bibliopolis, La parabola di Giovanni. Il dibattito
Un saggio di de Giovanni paragona Severino al filosofo del fascismo. Ma a tutte
le sue obiezioni è possibile rispondere È Gentile il profeta della civiltà
tecnica Ne rende possibile il dominio planetario. Eppure la legge del divenire
è eterna di EMANUELE SEVERINO Giovanni Gentile fu assassinato per- ché era la
voce più autorevole e con- vincente del fascismo. Ep- pure la sua filosofia è
la ne- gazione più radicale di ciò che il fascismo ha inteso essere. Non solo.
Essa è tra le forme più potenti — non è esagerato dire la più potente — del
pen- siero del nostro tempo. Di tale potenza lo stesso Lenin si era accorto —
forse gli assassini di Gen- tile non lo sapevano neppure. Tanto meno lo sa la
cultura filosofica oggi dominante, che mai rico- noscerebbe a un italiano un
così alto rilievo. Non solo. Contrariamente agli stereotipi che vedono in
Gentile un avversario della scienza, l’attuali- smo gentiliano è l’autentica
filosofia della civiltà della tecnica: rende possibile il dominio planeta- rio
della tecno-scienza, ancora frenato dai valori della tradizione. Altrove ho
mostrato il fonda- mento di queste affermazioni. Il recente libro di Biagio de
Giovanni Disputa sul divenire. Gentile e Severino (Editoriale Scientifica,
2013) è un grande e suggestivo contributo al loro approfon- dimento — come
d’altronde c’era da attendersi dalla statura culturale e sociale dell’autore.
Va facendosi largo nel mondo la convinzione che l’uomo non possa mai
raggiungere una verità assolutamente innegabile; che, prima o poi, ogni verità
siffatta resti travolta da altri modi di pensa- re, da altri costumi, cioè si
trasformi, muoia: di- venga. Travolta, anche la certezza che esistano le cose
che ci stanno attorno; essa è innegabile solo fino a che esse non vanno
distrutte: era innegabi- le solo provvisoriamente. Esser convinti dell’ine- sistenza
di ogni verità assoluta è quindi, insieme, esser convinti dell’inesistenza di
ogni Essere im- mutabile ed eterno. «Dio è morto», si dice. La negazione di
ogni verità assoluta e innega- bile non investe dunque l’esistenza del divenire
del mondo. Anzi, proprio perché si fa largo la convinzione che il divenire di
ogni cosa e di ogni stato sia assolutamente innegabile (ed eterno), proprio per
questo è inevitabile che ci si convinca dell’impossibilità di ogni altro
innegabile e di ogni altro eterno. Gentile lo mostra nel modo più rigoroso
(mentre il fascismo, come ogni assoluti- smo politico, intendeva essere la
configurazione inamovibile dello Stato). Ma è appunto per quell’estremo rigore
che de Giovanni rileva, a ragione, l’incolmabile contra- sto tra il pensiero di
Gentile e il tema centrale dei miei scritti, l’affermazione cioè che la verità
asso- lutamente innegabile esiste e che tutto ciò che esiste (nel presente, nel
passato, nel futuro) è eterno, ossia non esiste alcunché che esca dal proprio
esser stato nulla e che sia travolto nel nulla. Certo, la più sconcertante
delle affermazio- ni. Che però de Giovanni considera fondata con altrettanto
rigore. Infatti, mi sembra, egli è inte-ressato al contrasto Gentile-Severino
perché vede in ogni forma di contrasto una conferma della propria prospettiva
di fondo, per la quale l’esi- stenza umana è, da ultimo, un contrasto insana-
bile tra il desiderio dell’uomo, finito, di esser sal- vato dall’Infinito e la
problematicità del rapporto finito-Infinito. Quindi, a suo avviso, per quanto
rigorose possano essere la posizione filosofica di Gentile e la mia, ci
dev’essere in entrambe un vi- zio o più vizi di fondo che non possono venir
estirpati. Attraverso una finissima procedura in- terpretativa de Giovanni lo
fa capire rivolgendo domande, obiezioni sotto forma di domande. So- prattutto a
me. Provo a rispondere ad una soltan- to. In modo adeguato risponderò in altra
sede. Ma prima rivolgo anch’io una domanda a de Giovanni. La sua prospettiva —
qui sopra richia- mata in modo molto sommario — intende essere una verità
assolutamente innegabile o una pro- posta dove non si esclude che la verità
innegabile esista da qualche parte? Propendo per la prima alternativa. Mi
sembra infatti che anche per de Giovanni l’unica verità indiscutibile sia la
«stori- cità» del reale, cioè il divenire che travolge ogni altra presunta
verità. La sua distanza da Gentile tende così a vanificarsi nonostante le
obiezioni, che a questo punto hanno un carattere subordi- nato. E infatti de
Giovanni mi chiede se non ci sia «qualcosa di ineluttabile» «nella condizione
mortale dell’uomo», se la morte non sia «la prova inconfutabile»,
l’«irrefutabile cogenza» che «l’ente uomo nasce dal nulla e va nel nulla» — e
anzi, lasciando da parte il domandare, afferma che il mio discorso «si scontra
con il fatto che l’uomo muore» (pp. 83-84, corsivo mio). Il conte- sto in cui
de Giovanni avanza queste domande- affermazioni è incommensurabilmente lontano
dall’ingenuità con cui a volte queste domande mi vengono rivolte. Ma in questa
sede può essere opportuno richiamare — ancora una volta — che i miei scritti,
ovviamente, non hanno mai negato che l’uomo muoia e come muoia e resti il suo
ca- davere, ma hanno sempre negato che la nascita dell’uomo e delle cose sia un
venire dal nulla e che la morte sia un andare nel nulla; e lo negano perché
mostrano che questo andirivieni non è un «fatto». Provo a chiarire. Che il
dolore, l’agonia, la morte dell’uomo (e il perire dei viventi e delle cose) sia
un «fatto» si- gnifica che se ne fa esperienza. Certo: si fa espe- rienza
dell’orrore della morte — che è sempre la morte altrui. Ma chi crede che la
morte sia un an- dare nel nulla non crede (è impossibile che cre- da) che
l’uomo vada nel nulla ma, insieme, conti- nui ad essere un «fatto» che
appartiene al conte- nuto dell’esperienza: gli appartenga nello stesso modo in
cui gli apparteneva prima di annientar- si. Nell’esperienza rimane il ricordo
di coloro che sono andati nel nulla, e il ricordo è un «fatto»; ma non rimane
il fatto in cui consisteva il loro es- ser vivi, non si fa più esperienza del
loro esser stati vivi. Chi, dunque, crede che la morte sia an nientamento crede
che — pur avendo avuto espe- rienza dell’agonia e del cadavere — ciò che è di-
ventato niente sia diventato anche qualcosa che non appartiene più
all’esperienza, che non è un fatto. Ma allora è impossibile che l’esperienza
mostri che sorte abbia avuto ciò che è uscito dall’espe- rienza, e quindi
mostri che esso è diventato nien- te. Di questa sorte l’esperienza non può che
tace- re. Cioè l’annientamento non può essere un «fat- to». (E se il cadavere
viene bruciato e, come si di- ce, «diventa cenere»; allora anch’esso, come
tutta la vita passata di chi è morto, esce dall’esperienza —anche se ne rimane
il ricordo. Daccapo: che es- so, diventando cenere, sia diventato niente non
può essere l’esperienza ad attestarlo). Ci si convince dunque che la morte è
annienta- mento non sulla base dell’esperienza, ma sulla ba- se di teorie più o
meno consistenti. All’inizio i vivi si fermano atterriti di fronte alle
configurazioni orrende della morte dei loro simili e restano col- piti dalla
loro assenza; i morti non ritornano, vivi, come invece il sole torna a
risplendere al mattino. Anche su questa base, quando si fa avanti la rifles-
sione filosofica sul nulla, si pensa che ciò che non ritorna sia diventato
niente e si crede di sperimen-tarne l’annientamento. Gentile sta al culmine di
tale fede e, con la propria «teoria generale dello spirito», dimostra nel modo
più radicale l’impos- sibilità di ogni realtà esterna all’esperienza, sì che
l’uscire dall’esperienza è per ciò stesso l’andare nel niente. Ma, appunto, si
tratta di una dimostra- zione, di una «teoria», non della constatazione di un
fatto. Dunque, la sconcertante affermazione, al cen- tro dei miei scritti, che
tutto ciò che esiste è eter- no, non è un «paradosso» che «si scontra» con
l’esperienza, cioè «con il fatto che l’uomo muo- re». All’opposto, a scontrasi
con l’esperienza sono coloro che — affermando la sua capacità di atte- stare
l’annientamento degli uomini e delle cose — vedono in essa ciò che in essa non
c’è e non può esserci. Sono molti, moltissimi? Non importa. An- che quando
qualcuno ebbe a mostrare che è la Terra a girare attorno al sole e non
viceversa, tutti gli altri lo negavano, sconcertati. A questo punto de Giovanni
deve mostrare per- ché (una volta escluso lo «scontro con il fatto») non
accetta la fondazione che di quella sconcer- tante affermazione ho indicato nei
miei scritti. At- tendo. Ma anche tutte le altre sue domande atten- dono la mia
risposta.Il tramonto del principe: "Fin dall'inizio della sua attività
Biagio de Giovanni ha accompagnato al suo discorso teorico e politico una
notevole attività di carattere storico-filosofico. Si può dire, anzi, che per
certi versi questi sono tre aspetti di una medesima ricerca che, secondo una
tipica 'tradizione' italiana, ha intrecciato, in modo consapevole, filosofia,
storiografia e politica. Ma questa è una considerazione preliminare, di
carattere generale. Ciò che distingue la posizione di de Giovanni è il modo con
cui ha istituito questo intreccio - il suo 'punto di vista' - e i risultati che
è riuscito a conseguire." (dalla prefazione di Michele Ciliberto). Con una
postfazione sulla storia de "Il centauro" di Dario GentiliBiagio di
Giovanni. Giovanni. Keywords: essere/divenire – dall’essere al divenire -- divenire
della ragione conversazionale: Vico, Hegel, Marx, nottola di Minerva; monarchia
– stato -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giovanni: il divennire della ragione
conversazionale” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e
Giraldi – filosofia italiana – filosofia ligure -- Luigi Speranza (Ventimiglia).
Filosofo. Grice: “Only a Ligurian philosopher would philosophise on Hegel’s
real logic and lobsters!” -- Grice: Grice: “One good thing about Giraldi is
that he is from Ventimiglia and moved to Noli – the most charming corners of
Italy!” – Grice: “Giraldi calls his position ‘romatnic essentialism;’ having
born in Ventmiglia he would, wouldn’t he?”“I like Giraldi; nobody in England
would dare write “The son of Peter Pan,” but Giraldi, otherwise known as the
author of ‘Essenzialismo,’ did write ‘Il figlio di Pinocchio’”! Il padre di
Giovanni Giraldi, originario di Dolceacqua e di estrazione contadina, dopo il
servizio militare riuscì la scalata del successo al Casinò di Monte Carlo,
affermandosi anche come uomo di grande saggezza e religiosità. La madre invece
era originaria di Ventimiglia, dove Giraldi stesso nacque e trascorse la sua
infanzia. Sebbene la famiglia fosse benestante, egli soffriva per la grande
conflittualità interna, continuamente vessato dalla sorella maggiore che non
esitava ad usare violenza nei suoi confronti, mentre la madre non faceva parola
con il padre di quanto assisteva. Racconta che in questo periodo riusciva a
trovare pace solo in chiesa. Con una
bugia astuta riuscì a scappare di casa, entrando in un collegio, dunque l'anno
successivo si trasferì in un altro collegio di Roma, ove tuttavia non riuscì a
trovare la tranquillità sperata. Riuscì a compiere studi classici a Roma,
iscrivendosi poi all'Università. Non frequenta le lezioni delle materie
filosofiche curricolari, ma studia per conto proprio. Tuttavia sigue abbastanza
regolarmente le lezioni di Ponzo, anche se non era materia d'esame. Si laurea e
presta servizio militare durante la seconda guerra mondiale. Si laurea in
filosofia discutendo molto animatamente la tesi con Spirito, il quale ironizzò sulle sue pretese
di "fare una nuova filosofia". Insegna a Milano. Partendo dalla
teoria gentiliana, che vede in tutto una “mediazione”, e da quella di Consentino,
che sostiene al contrario la totale "immediatezza", afferma che anche
l'atto puro, in quanto nuovo e spontaneo, non può che nascere senza alcuna
mediazione, quindi è l'equivalente dell'immediatezza, o del sentire puro. Pertanto
prova a risolvere le contraddizioni di entrambe le posizioni in una sintesi
hegeliana che possa superare sia il “divenirismo,” sia il coscienzialismo
antidivenirista. La soluzione è che l'immediatezza sarebbe sostanziata di
mediazione, e viceversa.L'immediatezza è così colma di mediazione, perché senza
di essa sarebbe cieca e una mediazione senza una immediatezza sarebbe nulla.
Inoltre, per avere una identità distinguibile, si dovrebbe avere già dentro di
sé quanto necessario per identificarsi e per distinguersi. In Etica del sentiment, ancorando il
principio morale proprio alla sfera sentimentale, si focalizza sul sentimento
di libertà e propone nuove argomentazioni alla tesi di derivazione stoica del
sentirsi responsabili, pur entro un tutto già dato. In Gnoseologia del
Sentimento, parte proprio dalla
posizione del Consentino per ripercorrere gli itinerari di una filosofia
dell'essere indiveniente e per affrontare gli aspetti dinamici e volontaristici
dell'Io. In Filosofia giuridica espone la concezione di diritto naturale quale
sentimento fondamentale giuridico, condizione trascendentale di ogni diritto
positive. Pertanto il diritto naturale non sarebbe un codice sovrapponibile ad
altri codici, ma la precondizione che permette alle leggi positive di essere
leggi e non atti religiosi, estetici, scientifici o di altro tipo. Si occupa anche
della riflessione su temi politici. L'opera Storiografia come rettorica tende
ad inquadrare l'unitarietà artistica e scientifica della ricostruzione storica,
coerentemente con la tesi di Cicerone della historia opus oratorum maxime e con
quella aristotelica dell'entimema, in altre parole quel sillogismo retorico che
si differenzia da quello della necessità. In Epistemologia invoca una
"demitizzazione" anche delle teorie cosmologiche e scientifiche più
accreditate (l'evoluzionismo, la teoria del Big Bang, la meccanica quantistica),
poiché tenderebbero pure esse a cadere in paralogismi e contraddizioni logiche,
nonostante gli apprezzabili sforzi a riferirsi alla filosofia da parte di
alcuni notevoli scienziati. Ad esempio nota che anche i migliori epistemologi
che irridono il concetto di sostanza, di fatto, riferiscono i dati sperimentali
ad una sottintesa sostanza soggiacente. In numerose opere dedicate alla
religione, analizzata nelle molteplici forme di spiritualità, avanza la tesi
che il proprium della religione sia la soteriologia, quindi non tanto il
contenuto di una dottrina, ma la speranza di salvazione dal negativo della vita
e della morte. Il principio cardine diventa dunque la speranza, e non più la
fede, che viene ricondotta ad un ruolo funzionale alla realizzazione della salvezza. L'analisi della religiosità tenta perciò di
emanciparsi dagli usuali preconcetti filosofici: se alla religione è stato
assegnato per oggetto l'uomo immediatamente e Dio mediatamente, alla teologia
Dio si dà immediatamente e l'uomo mediatamente. Altresì in Immortalità
dell'anima mostra come sia improponibile lo sforzo di svincolare l'unità del
Pensiero con la determinazione individualizzata della persona. Il Dizionario di
Estetica e Linguistica generale, con alcune integrazioni filologiche presenti
in alcune successive pubblicazioni, alcune in Sistematica, si distingue anche
per l'attenzione dedicata all'estetica e sulle concezioni dei primitivi
"di ieri e di oggi". La proposta
avanzata per una filosofia della scelta e decisione si apre con una riflessione
sul dogmatismo e l'agnosticismo, dalle quali l'autore vuole prendere le
distanza. Non si considera dogmatico, perché il suo metodo gli consente di
aderire ad un'idea solamente dopo la caduta di ogni riserva, ma ciò non lo
porta neppure ad approdare ad una concezione scettica né agnostica, in quanto
la non possibilità di dimostrare (ad esempio l'immortalità, la vita
ultraterrena o l'esistenza di Dio) non equivale ad affermare la loro non
esistenza. Tra le numerose acquisizioni
che lo difenderebbero dalle accuse incrociate di scetticismo e agnosticismo enumera
la consapevolezza di un patrimonio di verità circa le possibilità di pensiero;
la ricchezza dell'atto di conoscenza anche nelle forme meno esplicate;
l'emancipazione dalla divisione del conoscere in intuizioni e concetto,
sensazione e concetto; la pretestuosità di coloro che esigono una purezza del
conoscere senza inquinamenti sentimentali; le aporie di una scienza
oggettivante e insieme soggettivante al massimo e dell'arte che, mentre il
mondo odierno nega il reale, si riferisce continuamente ad essa,
particolarmente nella negazione. Non
potendosi dare una irruzione nel trascendente, è tuttavia possibile affermare
la vasta pregnanza del trascendentale, in altre parole di un terreno comune per
l'esperienza e il pensiero. Si considera pertanto idealista, nel senso che non
esiste pensiero senza pensiero, spirito senza spirito, “ideato” (significato) senza
“ideante” (significans). Tuttavia, differentemente dalle posizioni di Gentili,
non crede che affatto il pensiero sia liquido, tutt'altro; proprio perché
l'idea diventa comune, e in essa il Pensiero trova la sua pace, occorre una
verità fondamentalmente ferma, non mobilizzabile. Da questi presupposti sorge
così una debita attenzione per la scelta e la decisione. Distinguendo le scelte apparenti, che sono
totalmente arbitrarie, da quelle reali, quando al termine dell'analisi si opera
con un atto di buona volontà, una decisione autentica ci si trova di fronte ad
un bivio metafisico: impossibilità di afferrare la realtà dei tre nominati
reali (Dio, Anima e Mondo) e impossibilità di negarli. Sorge appunto la
decisione autentica, cui si arriva solamente secondo una corretta formulazione
di intenti e seguendo una fine immanente ad ogni forma di scelta.
Aristotelicamente e anche kantianamente la causa finale riveste una primaria
importanza. Se ogni uomo sceglie per sé, nessuna scelta avrebbe una portata
teoretica di cogenza, ma aprirebbe le vie della libertà vera, dalla quale ne
derivano conseguenze radicali e speculazioni abissali a partire da una
decisione, che può essere quella dell'anima unica immortale, o quella del
pensiero che viene ad essere dopo la materia, o la non esistenza di Dio. Ciò
permetterebbe anche di evitare il depauperamento culturale, con una
rivitalizzazione delle esperienze antiche.
La decisione personale propende per una concezione dell'anima unitaria,
di stampo aristotelico. Se l'immortalità naturale di tomistica memoria è da lui
considerata "la più materialistica, e più grezza", preferisce pensare
ad una immortalità conseguita, oppure chiesta a Chi può donarla e concessa a
chi la chiede. Sul mondo reale fisico resta una indecisione, ma propende verso
un residuo di natura mentale, una sorta di noumeno mentale sulla scia di Kant e
Galluppi oltre il grande telone dei fenomeni. In questo caso però occorrerebbe
rapportarlo ad una mente divina, perché parlare di mondo senza Dio non avrebbe
connotazioni filosofiche. Infine, riguardo l'esistenza di Dio, punto in cui la
scelta diviene decisione pura, egli tende a negare la validità delle dimostrazioni,
pur scorgendo in esse una bella prova della potenza della mente umana. La
conclusione non è però la non esistenza di Dio, ma la non dimostrazione della
sua esistenza. Chi ammette l'esistenza
di Dio, tuttavia, deve assumere la radicalità di tale affermazione
"guardando il mondo dagli occhi di Dio" e non facendo etsi deus non
daretur. Chi prendesse la scelta teistica dovrebbe tacersi per sempre e
rinunciare ad intenderlo. Giraldi mette in risalto anche la Volontà,
definendola potenza fattiva dell'Idea, e constatandone il carattere
generativo-spermatico, per collocare in una prospettiva differente il vitalismo
dell'élan vital bergsoniano e della Wille di Schopenhauer. Questo permette di
pensare l'Idea non solo quale conoscenza filosofica, ma anche negli aspetti
attivi, vitali e di sentimento. Ad essere eroicamente divini non sono pertanto
solo i pochi giunti al massime vette di autocoscienza teoretica, ma anche gli
umili che vivono inconsapevoli della propria dignità divina, folgoranti però di
una autocoscienza morale. Bàrel Dal
punto di vista poetico, l'opera principale di Giovanni Giraldi è il Bàrel,
iniziato negli anni trenta e sorto dall'ispirazione di un progetto di Papini
esposto nell'autobiografia Un uomo finito per un poema apocalittico, mai
scritto. Altri spunti furono la lettura di Lord of the World di Robert Hugh
Benson e dell'Apocalisse. Il primo dei
tre volumi di cui si compone il Bàrel, terminato in versi nel 1937, fu
presentato a Eugenio Giovannetti de Il Giornale d'Italia, che propose come titolo
Il Dio Eroico. Gli anni seguenti, segnati dalla Seconda Guerra Mondiale, furono
l'occasione per trasporlo in prosa. Questa versione, appena terminata la
guerra, fu proposta a vari editori ma che per una serie di sfortunate
coincidenzeMondadori non disponeva della carta, e dopo alcuni anni, quando la
carta è disponibile, cambia idea sulla pubblicazione; la casa editrice Api di
Mazzucchelli nel frattempo fallìl'idea di pubblicazione venne temporaneamente
accantonata. Nel frattempo alcuni versi furono pubblicati frammentariamente. Il
1964 fu l'anno del riordino delle due versioni in un unico libro che contenesse
sia versi, sia prosa, in uno spiccato pluristilismo sperimentale. La
pubblicazione avverrà, in tre libri, tra gli anni sessanta e gli anni settanta
sotto lo pseudonimo I. Tanarda e poi in raccolte unitarie successive. Il tema è insolito e il contenuto, con
riferimenti religiosi e culturali di ogni tipo, non è di semplice
accessibilità. Se il primo libro può essere collocato in un momento simbolico dell'arte,
il secondo è classico e il terzo romantico, nei canoni dell'estetica hegeliana.
Nel primo, Apocalisse grande, il protagonista Bàrel sovrappone le passioni alle
idee; nel secondo, La cerca di Barel, ritorna in proporzioni umane e nel terzo,
La morte degli dèi, scende negli abissi vertiginosi del Pensiero, che la poesia
tenta di inseguire. È stato tradotto anche in lingua francese dalla poetessa e
latinista Geneviève Immè dell'Pau. Saggi: “Organon Philosophicum”, Ironia,
morale, educazione, Gheroni, Torino, “Etica del sentimento” Filosofia dell'Unicità, Gnoseologia del sentimento,
Pergamena, La filosofia giuridica, Filosofia dell'Unicità, Milano “Filosofia
della religione”. Filosofia dell'Unicità, Epistemologia. Una nostra riforma
della Logica Hegeliana, Pergamena, La Metafisica. Pergamena, Iesous Eléutheros.
La liberazione di Gesù: lettera sistematica ai miei figli, Pergamena Dizionario
di Estetica, Pergamena Studi successivi anel periodico Sistematica. Res
Publica. Educazione civica, Pergamena Res Publica. Teoria dell'Ineguaglianza,
Pergamena Nel Pleròma. Da Dio alla Materia, Pergamena Storiografia come
rettorica. Autobiografia come filosofia, Pergamena Memoriale Ambrosiano e
Memoriale Italico, Pergamena Dio, Pergamena
Estetica della Musica, Pergamena scon Colloquia Edizioni. Meditazioni
Hegeliane, Editrice, Meditazioni Platoniche, Pergamena Capitoli sulla Scienza
Moderna, Pergamena L'immortalità dell'anima, Pergamena Ricerche filosofiche La
filosofia del sentimento di A. Consentino, in Quaderni, Milano, Rabelais e
l'educazione del principe, Viola, Milano; ora in Paideia grande. Un mistico
bergamasco: Sisto Cucchi, Secomandi, Amiel Morale, Saggiatore, Torino,
L'educazione dei ciechi, Armando Roma, Società e Stato da Spedalieri a Marx,
Pergamena L'estetica italiana nella prima metà del secolo XX: figure e problemi.,
Nistri-Lischi, Pisa, Storia della pedagogia, Armando Roma "le edizioni successive alla X sono state
scempiate da interventi dell'Editoreriporta Giraldi in Sistematica). Il
pensiero politico tra Ottocento e Novecento, Pergamena, Adolfo Ferrière.
Psicologia, attivismo, religione, Armando Roma, Giuseppe Lomabardo Radice tra
poesia e pedagogia, Armando Roma, Gentile. Filosofo dell'educazione Pensatore
politico Riformatore della Scuola, Armando Roma Raffaello Lambruschini. Armando
Roma, Silvio Tissi filosofo dell'ironia, Pergamena Moralistica francese,
Pergamena Saggi su Francesco di Sales, il Quietismo, La Rochefoucault, Prevost.
Filosofi teoretici e Morali, Pergamena saggi su Condillac, Senancour, Rensi,
Hume, Camus, Barié, Galli, Lazzarini, Castelli, Capitini. Gramsci e altri miti,
Pergamena Storia della filosofia, Trevisini Milano L'Italia nella dittatura e
nella non democrazia, Pergamena Paideia Grande, Pergamena Rabelais, Rosmini,
Boncompagni, Gentile. Storia del Liberalismo nel sec. XX, Pergamena Riviste
Moltissimi saggi e studi di politica, religione, filosofia, filologia e critica
sono stati pubblicati nelle seguenti riviste fondate da Giraldi stesso: L'Idea Liberale, Sistematica, attiva sino al.
Filologia Giovanni Michele Alberto Carrara, De fato et fortuna. Tipografia A.
Ronda, Milano, Studi sul Rinascimento,
Pergamena Saggi su: Seneca e la filologia; Petrarca viaggiatore; Leonardo da
Vinci scrittore; Le fonti del Pontano lirico; Gli errori di Dante Alighieri in
un poema umanistico inedito; Il Rinaldo di T. Tasso; Il T. Tasso corregge il
Floridante; Rime inedite di Cecco d'Ascoli. G. M. A. Carrara, Pergamena, G. M. A. Carrara, Armiranda.
Inedito umanistico, Pergamena Commedia inedita, testo latino e traduzione G. M.
A. Carrara, III, De choreis Musarum,
Pergamena Testo sistematico latino. Segue un Saggio monografico sull'umanista.
G. M. A. Carrara, Sermones objurgatorii, Pergamena Sui tragici greci. Da mio
diario filologico, Pergamena Filologia. Teoria e saggi, Pergamena Su Dante con
verità, Pergamena Il Manzoni, in Sistematica, Pergamena Gesù, Pergamena Poesia
e prosa d'arte Collana dei "Tredici". La Scala, novelle e poesie; Mutarsio,
Torino Bàrel. I. Apocalisse grande, La cerca di Bàrel, La morte degli dèi; Pergamena
Hendecasyllabi aliaque scripta, Pergamena L'aragosta. Romanzo Ligure, Pergamena
Il figlio di Pinocchio, Pergamena Fratelli Frilli, Il dono delle Muse. Cento novelle, Pergamena Quadri
Intemelii, Pergamena Miniature. Codex aureus, Codex recens. Codex quadraticus,
Pergamena Cento tavole, alcune con testi latini parzialmente editi in
Hendecasyllabi. Il Codex recens presenta soggetti del Bàrel; il Codex aureus è
a soggetto libero e vario; il Codex quadraticus comprende le figure degli
scacchi. Con rubriche annesse che spiegano tempi, temi, tecniche. Pergamene Musa
latina, Pergamena Il ramo d'oro, Pergamena Scritti in Italiano, Latino,
Francese, Romanesco, Biblico. Profili di gente nel mio tempo, Pergamena
Splendido novellare, Pergamena Cento racconti e novelle. Musis amicus,
Pergamena Versi e prose in Latino. Mimì o E tutto è amore, Pergamena Sorridono
i gigli. Liriche e restauro filologico di Saffo, Pergamena Tevere amico,
Pergamena, Pedagogia e Filosofia esposte nel dialetto Romanesco da un popolano
di Trastevere. Paradiso, Pergamena Editrice, Faust mediterraneo, Pergamena
Editrice, Atlantidos persis, Pergamena Editrice, François Villon, Il
Testamento, traduzione e saggio critico Giovanni Giraldi, Pergamena Editrice, Amitiés
françaises, Pergamena Editrice, Nel Sublime, Pergamena Il mio Ponente,
Pergamena Letture belle, Pergamena Piero Pastorino, Pinocchio, un figlio nato
da una bugia, in La Repubblica, sez. Genova. Docente universitario a Milano di
Storia generale della filosofia, è stato ripetutamente consulente all'Accademia
di Svezia per il conferimento dei Nobel per la letteratura. Ha al suo attivo un
dizionario di estetica e linguistica, una storia della pedagogia e ha scritto
novelle raccolte in due volumi. Vive a Noli, di cui è cittadino onorario. Piotr
Zygulski, Filosofo liberale, in Termometro Politico. Giraldi4. Pierre-Philippe
Druet, Silvio Tissi, filosofo dell'ironia, Revue Philosophique de Louvain, John Dudley, Sui tragici greci. Dal mio diario
filologico, Revue Philosophique de Louvain, Da "Autobiografia come
filosofia" (Milano) e pagine integrative in Sistematica, Milano,
Pergamena, Angelo Grimaldi, Illuministi inglesi e francesi, in Disegno storico
del costituzionalismo moderno, Roma, Armando, Giancarlo Ottaviani, La scuola
del Risorgimento. la scuola italiana Roma, Armando, G. Semerano, La favola
dell'indo-europeo, Milano, Paravia Bruno Mondadori. Grice: “Giraldi is obsessed
with ‘essenza’, which is a coinage by Cicero – essentia, meaning essentially
nothing!” Grice: “Giraldi, who defended
Gentile, rightly, as a ‘pensatore politico’ – was obsessed with idealism – his
essentialism was supposed to supersede it, but he spends some time analysing
the situation in Italy with idealism, ‘a la catedra – but is dead – he refers
to Croce, Gentile, and the roots of
idealism in Vico, Sanctis, and Spaventa --.” Giovanni Battista Giraldi. Giovanni
Giraldi. Giraldi. Keywords. essenzialismo, essenzialismo romantico, storia
della filosofia romana, etica del sentimento, autobiografia come filosofia, mio
ponente, filosofia ligure, ‘l’aragosta’ – romanzo ligure -- Riviera di ponente,
nel pleroma: da dio alla materia, gentile, filosofo politico -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giraldi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757510024/in/dateposted-public/
Grice e Girgenti – la metrica del filosofo –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Girgenti).
Filosofo. Grice: Ritter thinks Girgenti is related to the Velia – and Pareto to
the Crotone – so it’s amazing that Bruto never liked those three Greeks of the
Athenian embassy seeing that most pre-Platonic philosophy came from Magna
Grecia, that is, Italy! Some must have remained in the genes!” -- Grice: “I
like Girgenti; obviously Mussolini didn’t!” Grice: “I love Girgenti – he
philosophised in verse, not prosa – rhyme being unexistant, it was all about
the metre – he talks of ‘amicizia,’ which is none other than Love that unites
all things! And then he fell in the Etna!” “Mussolini thought it was rude of
the Girgentians to call their land ‘Girgenti,’ so he formulated a self-referential
‘decretto’: “From now on, Girgentians shall be called Agrigentians.’” Peano
objected: “Your decree is self-contradictory or invokes a vicious regressus ad
infiniutum!” -- filosofo italiano. Siceliota. Nacque da una famiglia antica, nobile
e ricca di Girgenti.Come suo padre Metone, che ebbe un ruolo importante
nell'allontanamento del tiranno Trasideo, egli partecipò alla vita politica
della città, schierandosi dalla parte dei democratici e contribuendo al
rovesciamento dell'oligarchia formatasi all'indomani della fine della
tirannide, un governo chiamato dei "Mille". La tradizione gli attribuisce uno spirito severo
verso gli aristocratici. Dai suoi nemici fu poi esiliato nel Peloponneso. Tra i
suoi discepoli vi fu anche Gorgia. Successivamente Empedocle abolì anche
l'assemblea dei Mille, costituita per la durata di tre anni, sì che non solo
appartenne ai ricchi, ma anche a quelli che avevano sentimenti democratici. Anche Timeo nell'undicesimo e nel dodicesimo
libro - spesso infatti fa menzione di lui - dice che Empedocle sembra aver
avuto pensieri contrari al suo atteggiamento politico. E cita quel luogo dove
appare vanitoso ed egoista. Dice infatti: 'Salve: io tra di voi dio immortale,
non più mortale mi aggiro'. Etc. Nel tempo in cui dimorava in Olimpia, era
ritenuto degno di maggiore attenzione, sì che di nessun altro nelle
conversazioni si faceva una menzione pari a quella di Empedocle. In un tempo
posteriore, quando Girgenti era in balìa delle contese civili, si opposero al
suo ritorno i discendenti dei suoi nemici; onde si rifugiò nel Peloponneso ed
ivi morì. Si iscrisse alla Scuola di Crotone, divenendo allievo di Telauge, il
figlio di Pitagora. Seguì la dieta pitagorica e rifiutò i sacrifici cruenti. Secondo
la leggenda, dopo una vittoria olimpica alla corsa dei carri, per attenersi
all'usanza secondo cui il vincitore doveva sacrificare un bue, ne fece
fabbricare uno di mirra, incenso ed aromi, e lo distribuì secondo la
tradizione. Secondo altri seguì gli insegnamenti di Brontino e di
Epicarpo. La sua oratoria brillante, la sua conoscenza approfondita della
natura, e la reputazione dei suoi poteri meravigliosi, tra cui la guarigione
delle malattie, e il poter scongiurare le epidemie, hanno prodotto molti miti e
storie che circondano il suo nome. coppiata una pestilenza fra gli abitanti di
Selinunte per il fetore derivante dal vicino fiume, sì che essi stessi perivano
e le donne soffrivano nel partorire, pensò allora di portare in quel luogo a
proprie spese le acque di altri due fiumi di quelli vicini. Con questa mistione
le acque divennero dolci. Così cessa la pestilenza e mentre i Selinuntini
banchettavano presso il fiume, apparve Empedocle; essi balzarono, gli si
prostrarono e lo pregarono come un dio. Volle poi confermare quest'opinione di
sé e si lanciò nel fuoco. Si diceva che fosse un mago e capace di controllare
le tempeste, e lui stesso, nella sua famosa poesia Le purificazioni sembra avesse
affermato di avere miracolosi poteri, compresa la distruzione del male, e il
controllo di vento e pioggia. I sicelioti lo veneravano come profeta e
gli attribuivano numerosi miracoli. Le numerose testimonianze che
riguardano la sua biografia sono alquanto discordanti e non consentono di
attribuire un'identità precisa alla sua figura. A conferma di ciò sono le
numerose leggende sul suo conto. I suoi amici e discepoli raccontano ad esempio
che alla morte, essendo amato dagli dèi, fu assunto in cielo. Mentre Eraclide
Pontico, Luciano di Samosata e Diogene Laerzio sostengono che si suicidò gettandosi
nel cratere dell'Etna. Il vulcano avrebbe eruttato, dopo qualche istante, uno
dei suoi famosi sandali di bronzo.In realtà non sappiamo neanche se sia morto in
patria o forse nel Peloponneso. Si afferma che visse fino all'età di 109. Una
biografia di Empedocle scritta da Xanto, suo contemporaneo, è andata perduta. A
Empedocle la tradizione attribuisce numerose opere, fra cui anche alcuni
trattati – sulla medicina, sulla politica e sulle guerre persiane – e tragedie.
A noi sono giunti però solo frammenti dei due poemi: “Sulla natura” e “Purificazioni”.
Di “Sulla natura”, di carattere cosmologico e naturalistico, sono rimasti circa
400 frammenti. Delle “Purificazione”, di carattere teologico e mistico, abbiamo
poco meno di un centinaio. Il timore di Girgenti appare fin dalle prime righe
di “Sulla natura”. “O dèi, stornate dalla mia lingua follia di argomenti,
e da sante labbra fate sgorgare una limpida sorgente, e a te, musa agognata, o
vergine dalle candide braccia, io mi rivolgo. Ciò che spetta agli effimeri
ascoltare, tu porta, guidando avanti il carro ben governato dell'amore devoto.
Ma non ti turbi il cogliere fiori di nobile gloria fra i mortali con un
discorso, ricolmo di santità, che sia ardimentoso; e allora tu giunga leggera
alla vetta della saggezza. La filosofia di Empedocle si presenta come un tentativo
di combinazione sintetica delle precedenti dottrine ioniche, pitagoriche,
eraclitee e parmenidee. Distingue la realtà che ci circonda, mutevole, dagli Quattro
elementi primi, immutabili, che la compongono. Chiama tali elementi
"radici", non nate ed eternamente uguali e afferma che sono in tutto solo quattro,
associando ognuno di essi a un particolare dio, sulla base di concezioni
orfiche e misteriche proprie dei riti iniziatici allora in uso presso la
Sicilia. I quattro elementi (e i rispettivi dèi associati) dunque sono:
fuoco (Giove), aria (sua moglie, Era), terra (Edoneo), ed acqua (Nesti). L'unione
delle quattro radici (Giove-Era-Edoneo-Nesti) determina la nascita di una cosa.
Si tratta perciò dell’ *apparente* nascita di una cosa, dal momento che
l'Essere (le quattro radici) non si crea. “Ma un'altra cosa ti dirò: non vi è
nascita di nessuna cosa. Solo c'è mescolanza.” In questo modo, i primi principi si empiono
così dell'essenza e del soffio vitale del potere divino. In Empedocle, Amore
(Φιλότης) e la «natura divina che tutto unisce e genera la vita. Are, o Marte, e
il dio del conflitto. Per Empedocle, l'uomo, essendo di origine divina,
raggiunge la vera felicità che quando si riune alla compagnia di Deo. Accanto
alle quattro "radici", e motore del loro divenire nei molteplici cose
della realtà, si pongono due ulteriori principi: Amore ed Odio (Discordia,
Contesa). Amore ha la caratteristica di "legare", "congiungere",
"avvincere" («Amore che avvince.” L’Odio ha la qualità di
"separare", "dividere" mediante la
"contesa". Così Amore
nel suo stato di completezza è lo Sfero, immobile, uguale a se stesso e
infinito. Amore è Dio e le quattro "radici" le sue
"membra", e quando Odio distrugge lo Sfero, tutte, l'una dopo
l'altra, fremevano le membra del dio. Infatti sotto l'azione dell'Odio, presente
alla periferia dello Sfero, le quattro radici si separano dallo Sfero perfetto
e beante, dando origine al cosmo e alle sue creature viventi. Prima bi-sessuate
e poi sotto l'azione determinante di Odio, si differenziano ulteriormente in
maschi e non-maschi, e ancora in esseri mostruosi e infine in membra isolate. Alla
fine di questo ciclo, Amore riprende l'iniziativa e dalle membra isolate,
nascono esseri mostruosi e a loro volta maschi e non-maschi, poi esseri bi-sessuati
che finiscono per riunirsi, con le quattro radici che li compongono, nello
Sfero. Nelle Purificazioni, sostiene la metempsicosi, affermando l'esistenza di
una legge di natura che fa scontare agli uomini le proprie colpe attraverso una
serie continua di nascite, tramite cui l'anima, di origine divina, trasmigra da
un essere vivente all'altro. In questo poema gli esseri viventi, parti
costitutive dello Sfero di Amore divengono dèmoni errando nel cosmo. “È
vaticinio della Necessità, antico decreto degli dèi ed eterno, suggellato da
vasti giuramenti: se qualcuno criminosamente contamina le sue mani con un
delitto o se qualcuno per la Contes abbia peccato giurando un falso giuramento,
i demoni che hanno avuto in sorte una vita longeva, tre volte diecimila
stagioni lontano dai beati vadano errando nascendo sotto ogni forma di creatura
mortale nel corso del tempo mutando i penosi sentieri della vita. L'impeto
dell'etere invero li spinge nel mare, il mare li rigetta sul suolo terrestre,
la terra nei raggi del sole splendente, che a sua volta li getta nei vortici
dell'etere: ogni elemento li accoglie da un altro, ma tutti li odiano. Anch'io
sono uno di questi, esule dal dio e vagante per aver dato fiducia alla furente
Contesa.” L'Amore non interviene nella storia delle peregrinazioni del demone decaduto?
Con ogni probabilità, è l'Amore stesso che ci parla in questo frammento.
L'"io" dei due ultimi versi è l'autore del poema. Ma è anche, se
andiamo più a fondo, l'Amore. I demoni esiliati lontano dagli dèi saranno
allora dei frammenti espulsi dalla massa centrale dell'Amore e condannati a
errare tra i corpi cosmici sotto l'influenza separatrice del suo nemico, la
Discordia. Quando le parti dell'Amore che sono i demoni si riuniscono
nell'unità immobile della sfera, il mondo stesso diviene un essere vivente. Sotto l'influenza di Amore il mondo stesso si
trasforma in dio. Questa concezione conduce al rifiuto assoluto dei sacrifici,
poiché in ogni essere vivente vi è un'anima umana, che sta compiendo il suo
ciclo di reincarnazione. Se nel corso di questo ciclo l'anima si è comportata
secondo giustizia, al termine potrà tornare nella sua condizione divina. Dal
che, come Pitagora, anche a Empedocle ripugnano i sacrifici animali e
l'alimentazione carnea. “Onde, uccidendoli e nutrendoci delle loro carni,
commetteremo ingiustizia ed empietà, come se uccidessimo dei consanguinei; di
qui la loro esortazione ad astenersi dagli esseri animali e la loro
affermazione che commettono ingiustizia quegli uomini «che arrossano l'altare
con il caldo sangue dei beati», ed Empedocle dice in qualche luogo: Non
cesserete dall'uccisione che ha un'eco funesta? Non vedete che vi divorate
reciprocamente per la cecità della mente?” “Il padre sollevato l'amato figlio,
che ha mutato aspetto, lo immola pregando, grande stolto! e sono in imbarazzo
coloro che sacrificano l'implorante; ma quello sordo ai clamori dopo averlo
immolato prepara l'infausto banchetto nella casa. E allo stesso modo il figlio
prendendo il padre e i fanciulli la madre dopo averne strappata la vita mangiano
le loro carni.” Rispetto alla sua precedente opera vi sono delle contraddizioni
che è stato difficile per i suoi esegeti conciliare. Ad esempio, ad una visione
naturalistica del poema Sulla natura si contrappone la teoria della
reincarnazione delle Purificazioni: nel primo scritto l'anima è anche detta
mortale, mentre è definita immortale nel secondo. C'è chi ha spiegato tali
incongruenze con la versatilità di Empedocle, scienziato e profeta al tempo stesso,
medico e taumaturgo. C'è invece chi ha ipotizzato una paternità diversa delle
due opera. Uno dei busti ritrovati nella Villa dei Papiri a Ercolano,
identificato dapprima come Eraclito, solo più recentemente con Empedocle. Lo
stile di Empedocle viene lodato dagli antichi. “Dicantur ei quos physikoús
Graeci nominant eidem poetae, quoniam Empedocles physicus egregium poema
fecerit» «Siano pure detti poeti anche coloro che i greci chiamano fisici,
dal momento che il fisico Empedocle scrisse un poema egregio» (Cicerone,
De Oratore 1, 217) «padre della retorica» (Aristotele fr. 1, 9, 65)
Lucrezio (De rerum natura 727 ss.) lo prende addirittura come modello.
Renan lo definisce «uomo di multiforme ingegno, mezzo Newton e mezzo
Cagliostro» Gli viene intitolato il Regio Liceo Classico di Girgenti, dove studiarono,
fra gli altri, Pirandello e Camilleri. Secondo le discordanti fonti sulla
vita di Empedocle la cronologia andrebbe fissata tra il 484-1 e il 424-1.Cfr.
Gabriele Giannantoni, I presocratici. Roma-Bari). Secondo Bignone (“Empedocle”,
Torino) Empedocle sarebbe vissuto tra il 492 a.C. e il 432 a.C. Anche Robin
ritiene che la sua vita sembra sia scorsa tra il primo decennio del secolo V e
il 430 circa. Schiefsky ritiene che Empedocle sia nato nel 490 a.C. e morto nel
430 a.C. Platone, Parmenide, 127 B
Platone, Parmenide, 127 C.
Diogene Laerzio, VIII. 51 Diogene
Laerzio, VIII. 73. Timeo, ap. Diogene
Laerzio, VIII. 64, comp. 65, 66.
Aristotele ap. Diogene Laerzio, VIII. 63; cfr. Timeo, ap. Diogene Laerzio,
66, 76. Diogene Laerzio, VIII, 66,
67. Mannucci, La cena di Pitagora,
Carocci editore. Satiro, ap. Diogene Laerzio, VIII. 78; Timeo, ap. Diogene
Laerzio, 67. Diogene Laerzio, VIII. 60,
70, 69. Plutarco, de Curios. Princ.,
Adv. Colote, Plinio, HN XXXVI. 27, e altri.
Così nella letteratura antica, come riferisce Bertrand Russel nella sua
Storia della filosofia occidentale, citando un poeta anonimo: «Grande Empedocle
che, l'anima ardente, saltò in Etna, ed è stato arrostito intero». Diogene Laerzio, VIII. 67, 69, 70, 71;
Orazio, ad Pison. 464, ecc. Ippoboto riferisce che egli, levatosi, si diresse
all'Etna e, giunto ai crateri di fuoco, vi si lanciò e scomparve, volendo
confermare la fama che correva intorno a lui, che era diventato dio.
Successivamente fu riconosciuta la verità, poiché uno dei suoi calzari fu
rilanciato in alto. Infatti, egli era solito usare calzari di bronzo.”
(Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, 8.68-69). Cfr. anche Eraclide Pontico, fr.
83 Wehrli. “E questo tutto abbrustolito chi è? - Empedocle. Si può sapere
perché ti gettasti nel cratere dell'Etna? Per un eccesso di malinconia. No: per
orgoglio, per sparire dal mondo e farti credere un dio. Ma il fuoco rigettò una
scarpa e il trucco fu scoperto. (Luciano di Samosata, I dialoghi). Timeo ci
attesta esser lui finito di morte naturale. Dicono alcuni che trovandosi egli
in Messina a cagion di una festa sia ivi caduto da un carro, e rottasi la
coscia, sia morto. Credono altri che in mare naufragasse: altri che si fosse strangolato
da sé. Scinà, Memorie sulla vita e filosofia d'Empedocle gergentino, GERENTI –
no GIRGENTI -- ed. Lo Bianco, Palermo – empedocle gergentino -- Apollonio, ap.
Diogene Laerzio, VIII. 52, comp. 74, 73.
Wolfgang Haase, 2, Principat; 36, Philosophie, Wissenschaften, Technik
6, Philosophie (Doxographica [Forts.]), ed. Walter de Gruyter, Franco Volpi,
Dizionario delle opere filosofiche, Bruno Mondadori). Jori, Empedocle in
Dizionario delle opere filosofiche, Milano, Bruno Mondadori. Avverte infatti il
Jaeger. Dobbiamo guardarci dal prendere per pura metafora poetica l'espressione
della religiosità che lo trattiene dal seguire sino in fondo i predecessori
troppo sicuri di sé.” Cardin, Empedocle, in Enciclopedia filosofica, Milano, Bompiani,
Reale, Storia della filosofia greca e romana, vol.1 p.213 D-K 31 B 7.
D-K 31 B 17 Kingsley, Misteri e
magia nella filosofia antica. Empedocle e la tradizione pitagorica, Il Saggiatore,
In corrispondenza con le quattro primarie anti-tesi del caldo (fuoco), del
freddo (aria), dell'asciutto (terra), e dell'umido (acqua). Le quattro radici di
Empedocle risultano essere poi i quattro elementi di Aristotele e Tolomeo. Edoneo è un appellativo proprio del dio degli inferi
Ade, cfr. in tal senso Esiodo Teogonia, 913; o anche inno omerico A
Demetra. Forse si riferisce a Persefone;
per una dotta riflessione su questo nome, certamente un teonimo poco
conosciuto, si rimanda a Gallavotti in Empedocle, Poema fisico e lustrale,
Milano, Mondadori/Lorenzo Valla. Secondo Empedocle (B 62; 63) i due sessi (maschi,
non-maschi) furono determinati dalla separazione di creature "di natura
integra", che si erano a loro volta evolute da forma di vita più
primitive. Un papiro di recente ritrovamento, contenente aforismi di Empedocle,
ha consentito tuttavia di integrare le due versioni, portando a ritenerle
complementari. Le due opere, quindi, farebbero forse parte di uno stesso
trattato o poema filosofico. In tempi più recenti, è stata avanzata l'ipotesi
che si tratti di Empedocle gergentino. Tale proposta trova conforto sia nella
notizia di Diogene Laerzio in merito alla folta chioma del personaggio sia alla
specifica collocazione del bronzo all'interno della villa dove faceva pendant
con il bronzo raffigurante Pitagora (inv. 5607), che fu suo maestro» (Museo
archeologico Nazionale di Napoli. “Sulle
origini”. Ne conservavamo trecentocinquanta versi.”Martin ha consegnato
complessivi settantaquattro esametri dei quali venticinque coincidono con
quelli già posseduti. “Ma da ogni parte
è uguale a se stesso, e ovunque senza confini, lo sfero rotondo che gioisce di
avvolgente solitudine.» (Empedocle, D-K 31 B 28, Poema fisico e Lustrale,
Milano, Mondadori, 1975. Tonelli, Empedocle di Agrigento. Frammenti e
testimonianze. “Origini,” “Purificazioni,” con i frammenti del papiro di
Strasburgo” (Milano: Bompiani). Bignone, Empedocle. Studio critico, traduzione
e commento delle Testimonianze e dei Frammenti, ristampa, Roma, L'Erma di
Bretschneider, [Torino: Bocca]. Colli, Empedocle, Pisa, La Goliardica, Traglia,
“Studi sulla lingua di Empedocle” Bari, Adriatica, Bodrero, “Il principio
dell’amore nella filosofia d’ Empedocle” Roma, G. Bretschneider, La lingua di
Empedocle, Bari, Levante, Volpi, Empedocle: i suoi misteri rivelati in una
biblioteca, 13 novembre 1996. Empedocle
di Agrigento (PDF), su Università di Milano,1.
Filosofi: Empedocle, scoperto papiro a Strasburgo. Per gli studiosi è
l'unica testimonianza diretta, Strasburgo, Adnkronos, Pigliando il nostro
Empedocle a trattar le cose naturali, cui sopra d'oga ' altro in tendea, ebbe
egli a sdegno di seguir set ta e maestro. E come egli era franco di animo, e
grande d'ingegno; così immagi nò giusta la moda de' tempi, e l' usanza de'
filosofi un sistema novello. Questo di vulgato gli acquistò tal fama, ch'emulo
ei divenne per gloria e per sapere de' fisici più famosi di sua età Democrito e
Anassa gora. I Greci di fatto accolsero con ammi razione i suoi belli poemi; e
chi vennero poi ricordarono con onore Empedocle e i pensamenti di lui. Incerta
fra tanto, manca, é corrotta è venuta la sua dottrina sino a noi. Man cate per
l'ingiuria de' tempi le opere del nostro Gergentino, chi ha voluto conoscer ne
lo spirito, è stato costretto di rintrac 6 ciarlo presso gli storici
dell'antica filosofia. I quali non ebbero affatto cura di notare il vincolo,
con cui destramente iva quegli legando i suoi pensieri. Anzi costoro così
disparati li rapportano, che si possan te nere non altrimenti che rottami, da'
quali non si pud il disegno ricavar dell'edifizio, cui prima apparteneano. Però
eglino non che han male e tortamente fatto conoscere Ja fisica d'Empedocle; ma
nè pur bene e dirittamente apprezzare la forza e la virtir della sua mente.
Giacchè l'eccellenza de' sistemi è riposta nell' union delle parti, che si
rispondon tra loro; e da questo le. game si misura l'ingegno di chi l'hanno
inventato. Empedocle inoltre scrisse in versi, e ‘abbellì le sue idee, come
fanno i poeti. Per lo che pigliando alcuni letteralmente le finzioni della sua
fantasia gli apposero o pinioni assurde e grossolane. Illusi altri dal le
immagini poetiche, che per lo più sono equivoche, travidero; e più presto ci
tra mandarono le loro illusioni, che i pensa - 7 menti del nostro filosofo.
Varie di fatto so. no le forme, sotto cui ci presentano Em pedocle gli antichi
e i moderni scrittori. Ora egli è dualista, e ora è scettico: ora pla tonizza
', e or favoleggia: e non ha gnari fu, non so come, anche gridato qual pre
cursore di Newton (1 ). Sicchè Empedocle, tra biasimato, lodato, e sfigurato, è
stato sempre mal conosciuto, e sempre calunniato. Volendo adunque richiamare in
luce la filosofia di lui, ho cercato e raccolto i frammenti de' suoi poemi, che
per avvene. tura ci restano, e sparsi qua e là si leg gono presso diversi
scrittori. Coll ' ajuto di questi, che sono gli onorati avanzi della sua vera
fisica, son ito raccapezzando pri e poi restituendo la sua filosofia, Per chè
tra le opinioni, che gli storici appon gono ad Empedocle, ho quelle scelto, che
ben s'adattano, e naturalmente si legano colle idee, le quali si traggono da?
fram menti di lui, e le altre rigettato, che a queste si disdicono, o ne sono
contrarie. Ho fatto in somma ciò, che suol praticara ma 8 si da chi 'voglioso
di restaurare un'antica statua o colonna raccoglie e mette insieme que' pezzi,,
che tra loro s' incastrano, e ben si connettono. Questo metodo che stimerà
diritto chiunque non è privo di senno, deve specialmente poter convenire ad
Empedocle. Poichè Aristotile ci atte sta: colui più che altro fisico della sua
età, aver detto delle cose, ch' eran tra loro ben legate e concordi (2 ). Ho
quin di fatto ogni sforzo per richiamare alla sua purezza e integrità la
dottrina del nostro filosofo quando da lui stesso, quando dall' autorità degli
antichi scrittori, sempre met. tendo in accordo le idee, che si traggono da
questi e da quello. Però non è da ma ravigliare, se con sì fatto accorgimento,
ab. bia liberato il nostro fisico di non poche assurdità, e se mi sia venuto
fatto d'ab bozzare almeno il vero sistema di lui. La prima origine, e i primi
elementi delle cose, sono, per quanto pare, fuori la sfera del nostro
intelletto, perchè oltre: passano la sfera de' nostri sentimenti. Pure. i Greci,
cominciando da Talete, s' occupa ron tutti in si fatta vana ricerca, e tutti si
smarrirono. Alcuni degli Jonici coll'acqua, altri coll' aria, altri col fuoco
formaron le cose, e fabbricarono presto l'universo. Non così piacque a
Parmenide, e a Pittagora. Costoro, lasciato il mondo materiale, come indegno
delle loro meditazioni, si misero per strade diverse in un mondo astratto ed
intellettuale. Parmenide spiritualizzò l'u nico elemento degli Jonici; e pose
unica, e terna, immutabile sostanza. Uno è tutto, dicea egli, e tutto è uno;
sicchè le mu tazioni della materia non altro eran per lui', che modi e semplici
apparenze. Pit tagora dal mondo materiale rifuggi alla Geo metria. E se bene
questa scienza non fos che un parto della nostra mente; pú re l’ehbe quegli,
non si sa come, per lo modello, e 'l vero esemplar dell'universo. Però nella
Geometria leggeya i rapporti e le proporzioni, che debbono aver le co se,
ch'eran materiali; e vide nell'unità i primi e veri principj de' corpi. Furon
gli se 8 b 10 ingegni presi da prima di maraviglia così pel filosofo di Flea,
come per quello di Samos; e corsero tutti a ' loro insegnamen ti. Ma stanchi di
poi di contemplare un mondo o metafisico, o geometrico, ritor narono
naturalmente alla materia; e nac que la filosofia corpuscolare. I primi a far
questo ritorno furono Empedocle; Anassagora; Leucippo e Demo crito. Costoro
calando dal mondo di Pit tagora alla materia materializzarono le u nità di
costui. Atomi chiamarono Leucip po e Democrito i principj delle cose (3 );
particelle simili Anassagora; ed Empedocle col nome li distinse di elementi
degli ele menti (4). Ma in verità i loro principi altro non erano, che le unità
di Pittago ra fatte materiali, espresse e indicate con vocaboli diversi.
Democrito lasciò a suoi atomi l'indi visibilità, di cui le unità di Pittagora
eran fornite nello stato suo intellettuale. Questa stessa indivisibilità
secondo alcuni, negd al le parti simili Anassagora. Differente dall' uno e
dall'altro fu per Aristotile l'opinio. ne d’Empedocle (5 ). Costui cercò nella
materia le sue unità, e dividendo e sud dividendo i corpi giunse a quelle moleco
le, che più non si potean dividere. Ma dove i sensi mancarono, suppli colla ra
gione, e proseguendo la division delle mo. lecole col suo pensiero, s'accorse
potersi queste sempre pit di nuovo dividere. Ven ne però affermando che i suoi
elementi de gli elementi eran divisibili; ma solo colla mente non gia col fatto.
Distinse, così di cendo, le unità di Pittagora dalle sue, ch'eran materiali; e
provvida in bel mo do alla durata della natura '. Perchè essen do i principi
delle cose incapaci, secondo lui, d'ogni fisica alterazione, quelle deb bono
sempre durare come al presente sono: Tennero tutti tre que' fisici non che per
cosa assurda, ma impossibile, la crea: zione dal nulla. Ne venne loro in mente,
come ad alcuni indi piacque, di supporre la materia nuda d'ogni qualità. Chiama
vano essi la materia senza forma, e senza 3 b 2 12 qualità ciò che non è (6):
Ciò ch'è, dicea Empedocle, è impossibile venire da quello, che non è (7 ). Ma
diverse furon le quali tà, ch ' attribuiron costoro alle loro unità secondo che
diversamente riguardò ciascun di essi i corpi e la natura. Anagsagora ebbe le
sue particelle non altrimenti che briccioli minutissimi, ma simili in propieta
a corpi, ch'eran destinati a formare. E come varj sono i corpi e differenti le
lor propietà; così yarie e differenti pose in corrispondenza le qualità delle
sue particelle. Per lo che tras portò egli le qualità delle masse a' fram menti
di esse, e,e ristandosi alle apparenze ricayò, come suol dirsi, da grande in
pic colo. Gli atomi per Democrito erano al contrario tutti della stessa natura;
e solo differiyan tra loro per sito, ordine, e fi gura. Idea, che ben si
conviene alla sem plicità della natura; la quale con pochi mezzi suol produrre
fenomeni, che sono pressochè infiniti, attesa la lor varietà, la lor
moltitudine. Empedocle, ciò non o stante, rigettò il pensier di Democrito; e 13
or 1 volendo spiegare la varietà materiale, de? corpi, piglio, com ' egli dovea,
e genno consiglio dall'esperienza.. Gli Jonici addensando o rarefacendo acqua,
or l'aria, or l'aria insieme e ' l fuoco, diedero forma e qualità a ' cor pi
dell'universo. Da questi e dal loro me: todo si dilungo il nostro fisico.
Studiava egli i corpi, e separandone le particelle cer cava prima, e
raccoglieva poi i loro com. ponenti. Però in luogo di fingere, ritro vava ne'
corpi i loro elementi; nè i corpi a capriccio componea alla maniera degli Jo
nici, na li analizzava come fanno i chi. niici. Le sue esperienze, furono egli
è ve. ro, incerte e imperfette, come si leggono ne' versi di lui. Perchè
dirizzandosi per una via non ancora usata nelle fisiche ri. cerche, mancava
d'ajuti e di stromenti; massime che la fisica era allora metafisica e bambina.
Ma ciò non pertanto que' pri mi e rozzi saggi del nostro Empedocle so no da
stimarsi un chiaro testimonio del suo metodo, ch'era tutto pratico e sperimen.
14 tale. Coll'ajuto in fatti delle sue esperien ze agginnse, a giudizio d'
Aristotile ', la terra all' aria, all' acqua, al fuoco, e ' l primo stabilì la
dottrina de' quattro ele menti (8 ). Quattro, dicea egli, son le radici di ogni
cosa: Giove, Giunone, Plu tone e, Nesti, figurando, sotto questi sim, boli il
fuoco, la terra, l ' aria,, ee l'acqua '. Per lo che nella sua fisica le unità
mate riali eran le parti, che diconsi integranti de quattro elementi; e questi
le costituen ti di tutti i corpi, che si trovano in na tura, Sebbene il fisico
di Gergenti avesse di stinto l' aria, l'acqua e la terra per le diverse lor
qualità '; pure in riguardo al fuoco l'ebbe e' tutte tre, come se state fossero
d' unica e medesima natura. Le particelle dell'aria e dell'acqua tendono,
secondo lui ', a condensarsi, come fa la terra. E al contrario credea Empedocle
es sere propietà del fuoco d'assottigliare, se parare, e levare ogni solidezza
alle parti celle dell' aria e dell' acqua. Di fatto fu C 1 15 sua opinione che
la luna si condensò a ca gione del fuoco, che da essa si partì, non altrimenti
che avviene nell'acqua, quando si riduce in gelo (9 ). E se il fuoco indu. ra i
corpi umidi, e vetrifica talvolta i so lidi, ciò accade per Empedocle, perchè
scioglie e separa l'aria e l' acqua in quel li dimoranti (10 ). Gli elementi
dunque aria e acqua sarebbero stati solidi, se la forza dissolvente del calore
portato non l' avesse alla liquidità, che lor si conviene Non conobbe, egli è
vero, così pensando, qualunque corpo per via del fuoco poter pigliare, passare,
ritornare allo stato soli do, o liquido, o aerifornie; ma giunse a comprendere
l'aria e l'acqua dovere al fuoco la loro fluidità. Questa verità, che in tempi
più felici avrebbe potuto gene rarne tant' altre, fu allor qual baleno in notte
huja, che illumina in un attimo, poi l' oscurità lascia più grande. Tal veri ta
o affatto non fu avvertita, o punto non fu ben compresa da’ filosofi d' allora.
Ari stotile si lagna d’Empedocle, come di chi e 16 avesse usato de quattro
elementi, non al trimenti che fossero stati due; contando quegli per uno i tre,
che questi avea real. mente diviso aria, terra, é acqua (11 ). Anzi chi furon
dopo (quasi Empedocle non già quattro, nia un solo elemento avesse stabilito
nella sua filosofia ) si diedero fal samente a credere il fuoco essere stato te
nuto dal nostro fisico per lo principio, da cui ogni cosa veniva, e in cui ogni
cosa doveasi risolvere (12 ). Ma comunque ciò, sia, egli è certo, da che.
Empedocle manifestò quattro po ter essere gli elementi delle cose, tutti
abbracciarono la sua opinione. Di leggieri ciascun' s'avvide l'aria, l'acqua,
la terra il fuoco aver gran parte nella composizio ne de' corpi, e ne'
cangiamenti più notabi li, che avvengono nel nostro globo e nel la nostra
atmosfera '. Di fatto non più a capriccio come prima si solea, s' accrebbe o
diminui il numero degli elementi, e tol ta ogn'instabilità tra le scuole,
comune fu, e ferma rimase la sentenza de' quattro ele 17 Conta area la dem fial
menti. Sicchè su questa dottrina, qual ferma base, venendo assai dopo a posare
la moderna fisica; questa Empedocle ricono scere deve', e lui onorare qual suo
capo e fondatore. Hanno le scienze, come ogni cosa umana i lor giri, e le loro
vicende, che si distinguono da' metodi, dalle opi. nioni, dalle verità, ed
eziandio dagli er rori che son dominanti. La fisica nella sua infanzia nise tra
gli elementi l' aria, l' acqua, il fuoco, la terra. Questi, non ha guari, ha
gia scomposto la chimica. Altri ne sostituiranno i nostri posteri, ch' al
presente non si conoscon da noi. Ma niuno negherà la debita lode al nostro fi
losofo, che fondo il primo periodo della fisica colla dottrina de' quattro
elementi, e regoló i primi debolissimi passi dello spiri to umano nello studio
non che vasto ma difficile delle cose naturali. - Più alto senno, e più forza
d'in, gogno mostrò Empedocle, quando si mise a cercar le forze, che mettono in
movie mento la materia e gli elementi. Si fatta 2, D i leta plaža matukio ered ܐܐ F
Table tol fue ele 8 1 ricerca, siccome molto ardua, non era sta. ta sin allora
impresa d'alcuno. Anassago ra, attese le sue particelle prive di moto e di vita,
non sapendo altro che specola re, ricorse a Dio; e colla forza onnipoten te di
lui agitò e sospinse le sue parti si mili, o loro impresse quel moto, che que.
ste naturalmente non aveano. Fece costui, come chi a muover la macchina, in
luogo di peso, o di molla, cerca la man dell' artefice. Però Aristotilo contro
lui si sde gna, e giustamente il rampogna (13 ). Ba sto a Democrito di fornire
il moto a' suoi atomi, nè curò di saper come e d'onde quello venisse. Al più
facilitò il movimen to immaginando un voto, ove ogni sorta d'atomi avesse
potuto agevolmente dime narsi; e particolarmente attribuendo agli atomi del
fuoco la figura sferica, come quella, che avesse questi potuto render atti a
scorrere e sdrucciolare. Ma Empe docle fu il primo al dir d' Aristotile, che
con molto senno in natura conobbe due come cagioni del moto degli ele St &
© S forze C 19 menti (14). Una di quelle chiamò amo. re, amicizia, concordia, o
l'altra come contraria o lio, inimicizia, lite. L'amore d'Empedocle non è quel
del la favola, di Parmenide, d' Esiodo, o d ' altri fabbri di cosmogonia. Era
forse per costoro un principio attivo che vivificava 1 universo. Ma questa era
un'idea, vaga, generale, e nulla utile alla fisica. Non è così l'amicizia
d'Empedocle. La quale è una forza, fornita di particolari propietà, e tanto
intriseca alla materia, quanto si stima da noi la sua gravità. In virtù di sì
fatto amore le particelle simili tendono a unirsi tra loro, e congiungendosi
forma no a mano a mano le masse. Masse che vie più van sempre crescendo; perchè
la maggiore sempre ne trae a se la minore, e l'una all'altra infallibilmente s'
unisce. Aria, diceva Einpedocle, si aggiunge ud aria, etere a etere, fuoco a
fuoco in mo do che il minore al maggiore s’ accoppia. Sospinte del pari dall '
amore le particelle di natura diversa tendono a unirsi tra lo C 2 E ro, e
compongono gli aggregati colla loro unione. L'amore in somma unisce la ma teria
si fattamente, che se in natura si gnoreggiasse la sua sola forza diverrebbe l'
universo unica męssa, unica sfera (15 ). Perchè è propietà peculiare dell '
amicizia di ridurre le cose, che son più, a una so la. La forza quindi per
Empedocle simbo leggiata dall' amore, amicizia, e concordia non è se non quella
stessa, che oggi da' Chimici si chiama affinità. L'odio, non altrimenti che
l'amore, è parimente intriseco agli elementi de' cor pi, ma le qualità d'uno
son del tutto op poste a quelle dell'altro. Tende l'inimis cizia a disunir le
particelle congiunte; scio gliendo le masse, e scomponendo gli ag gregati. E'
singolar propietà di quella ri durre l ' uno in più: tal che se l'universo
fosse una sola massa e unica sfera, que sio in forza dell'odio si dovrebbe
tutto quan: to sciogliere in minutissimi briccioli. Odio in somma, inimicizia,
lite per Empedocle son e valgono forza dissolvente, o 1 tutt'uno 21 repulsiva.
Di fatto chiamava egli anche il fuoco inimicizia; perchè questa come quel lo
distrugge e separa ogni cosa (16 ). Dą ambidue queste forze tra loro op poste,
d'ailinità una, e dissolvente l' al tra, significate dall' amore e dall'odio,
il nostro Empedocle ne ricava il moto ne' cor pi. L'amicizia sollecita gli
elementi all' u nione tra lor l' avvicina, e nell' avvicinarli tra loro
parimente li muove. L'inimicizia all'incontro cospinge le molecole unite, so
spintele a poco a poco le stacca, staccate le del pari le muove. Forze adunque
so no l'amore, e l'odio del nostro fisico; co me quelle che avvicinando o
respingendo gli elementi cagionano lor movimento. Fors ze ch'egualmente son
chimiche, conie quel le, che uniscono e separano; compongono e scompongono i
corpi in natura. Ma co me furono esse adombrate sotto le forme morali d'amore e
odio, di lite e concora dia; sono state mal comprese e capriccio samente
interpetrate. Alcuni videro in quel. le due forze la divinità e la materia (17):
22 altri: l'ordine e'l disordine; il bene e ' l male (13 ): chi la luce e le
tenebre; chi l' Oromaze e l'Arimanio de' Persiani, o altre cose simili (19).
Tanto egli è vero, che il suo linguaggio, come poetico, ha recato ingiu ria a'
suoi pensamenti e alla sua filosofia. L'amore e l' odio, siccome dice il no
stro fisico, han que signorie; ma alternan ti e separate tra loro. Comincia
l'impero dell'odio, quando finisce quiel dell'amore, e declinando la signoria
dell' inimicizia, l' amicizia ritorna a' suoi primieri onori. E come una
sifatta vicenda non ha mai fi ne; così costante si mantiene il movimen to in
natura, e gli elementi in eterno s' uniscono e separano. Esprime egli tal con
tin: io e scambievole impero dell'odio e dell' aniore coll'immagine, e
somiglianza d'un cerchio, che si revolve. Perché il cerchio la periodi finiti,
che all'infinito si posso no rinovare. Ma tolte le voci d'impero e signoria,
che son propie della poetica, si potrebbe il pensiero d'Empedocle raſfigura re
nella vicenda delle forze, mercè la qua. 23 bene i ebre; chi ni, oabe ero, chei
ell'aur Onn '. le i pianeti si'movono. In questi or preva le la forza
centripeta e viene a farsi mag. gior la centrifuga; or prevale la centrifu ga,
e viene a farsi maggior la centripeta. Sicchè alternativamente prevalendo le
due forze centrali, i pianeti s' accostano e dis costano dal sole, e
costantemente si mo vono nelle loro orbite ellittiche. Tale dellº amicizia, e
inimicizia d'Empedocle. Come gli elementi s' uniscono; comincia a preva ler l'
inimicizia, che tende a separar le cose unite. E come gli elementi dividonsi;
principia a superar l'amicizia, che tende a unir le separate. Per lo che
ambidue sempre operano, e si a vicenda prevalgono, che gli estremi dell'odio
occupa l'amore, e l' inimicizia que' dell' amicizia. Giusta questa legge
Empedocle fa e ternaniente operar l'amore e l'odio. Così, e ' dice, comanda o
il füto, o la necessi tà, o l'antico giuramento degli Dei. Ma il fato del
nostro filosofo non è quello de. gli Stoici, o degli Eleatici. Egli null’ al
tro indica colla parola necessità, che l'ins etarr Itale ம் care
PA umpert 2. la que 24 tima natura di
quelle due forze. Siccome eterna ei reputava la materia, ed eterne le forze, da
cui essa era animata; così l ' amore e l'odio volea dover sempre e ne
cessariamente operare. Gli elementi secon do lui o son separati, e ſrettolosa
corre l ' amicizia a unirli; o sono uniti, e impa ziente va l'inimicizia a
separarli. Se per poco lascerebbe l' una o l ' altra di congiun gere le cose
separate, o segregar le con giunte, l'amore e l'odio, mutata natura, non
sarebbero più nè odio, nè amore. E' quindi pel nostro fisico così necessaria
l'e terna vicenda delle due forze, come invin cibile si stima il decreto del
fato e della necessità. Il fato adunque nel dizionaria del nostro filosofo
altro non significa, che l' intima indole, e l'immutabile natura delle due
forze senza più. Però a torto Aristotile riprende lui, come chi avesse
introdotto nela la fisica il fato é la necessità (20 ). Posti questi principj
va Empedocle squa dernando il suo sistema, qual poeta, qua si collocato su d'un
eminenza, di la con 25 ta; ON ie. Sasa templando la natura dichiara agli uomini
le sublimi lezioni di sua filosofia. Nulla, egli dice, manca, nulla ridonda
nell'us niverso; perchè la quantità della materia nè cresce nè manca. Tutto
nasce, tutto muore, tutto in altra forma trasformato ri sorge, L'accozzamento
di parti, che son disgiunte, n'è la nascita; e la separazion di quelle, che
sono accozzate, n'è la morte, La natura quindi null altro è, che ” se parazione
e miscuglio. Essa è eterna; per che l'amore e l'odio sempre fa e disfà, strugge
e compone. Mancherà il presente ordine di cose, sorgerà subito un altro. Questo
distrutto, di nuovo, e sotto altra, guisa si verrà a formare. Così senz' alcuna
fer posa uno in un altro ordine successivamena te, e sempre sarà permutato. Nè
per que: sti continui giri si cangia la natura, ne ha od te luogo o confusione,
o simmetria. La materia non è stata, nè sarà mai senza moto. La natura è stata
sempre qual sempre sarà: cioè amore e odio, separazione e union d' elementi.
Cosi parlava Empedocle nel suo d ali 200 € c). och eta, Jade 26 poema sulla
natura, o per dir meglio cosi egli smentì anzi tempo chi dopo lui dovean
supporre aver lui voluto il caos immagina to sol da' poeti (21 ). Lo stato di
confu sione e di caos pel nostro fisico, o non è stato, nè sarà mai, o sempre
egli è stato e sarà. La natura quella è ora, ch'è sta ta, e sempre sarà:
miscuglio e separazio ne: amicizia e inimicizia: nascita e morte. Passando
Empedocle d'una in un ' al tra idea strettamente legava i suoi pensie ri.
Siccome la materia è tutta divisa ne' quattro elementi; così i corpi per lui
eran composti presso a poco de'medesimi. Ma perchè ciò nulla ostante quelli tra
lor son tutti diversi; quindi andava ricercando in che, e.come si differisser
tra loro. Tal difie renza ei rinvenne con gran perspicacia nella njaniera
diversa, con cui gli elementi com binansi. Però non è nè l'aria, nè l'acqua, nè
la terra, nè ' l fuoco che distingue le co se; ma la misurata lor mescolanza;
in bre. ve, la proporzione in cui trovansi due o piti di quelli componenti.
Rappresentando da € st CL T 1 C 27 c2003 de poeta le sue idee ch'eran fisiche,
dicea: i dipintori mischiano colori diversi, e col mi schio di questi van
figurando uomini, pian te, fabbriche, uccelli, e anche gli stessi Dei. Non
altrimenti fa la natura. Ha el la, come quattro colori, che sono i quat tro
elementi, e va coll ' accozzare un poco di questo, di quello, e quell' altro
forman do uomini, piante, animali, donne leg giadre, e chiarissimi Dei. Tutto
lo studio d'Empedocle era quel di scomporre i corpi, e scomponendoli cercava la
ragione, in cui stavan tra loro le parti componenti. Per chè era persuaso, che
la loro varietà veni va, ed era tutta riposta nella varia pro porzion degli
elementi. Aristotile che am mira un sì bel pensamento da ad Empedo cle il vanto
d'aver lui il primo conosciuto una tal verità (22 ). Non si può quindi negare
il metodo d’Empedocle, come quel lo, che volea l'analisi de' corpi, esser chi
mico; chimiche esser le forze amore e os dio, che inprimean moto alla materia;
e chimica esser tutta la sua fisica; perchè tra lai arch nemt 22 نماز کی P.;
Det ue opad ando de d 2 28 P ch for pa me pre me an CO fondata sulla proporzion
delle parti, che compongono i corpi pressochè infiniti della natura. Può ora
essere a chiunque manifesto Empedocle il primo aver delineato il siste. ma
dinamico, che oggidi leva tanto rumo re in Alemagna. Pone questo sistema al
cune sostanze semplici e primitive, che col le loro diverse combinazioni
producono la varietà de'corpi. Questo stesso fece Empe docle ammettendo i primi
elementi, e com binandoli in varia e differente lor propor zione, Forze
attrattive e repulsive vogliono i Dinamici; ed Empedocle immaginò affini tà e
forza dissolvente, o sia odio e amo re. Che se quegli a spiegare gli stati e i
volumi de' corpi si fondano sul contrasto e rapporto, in cui si tiene la forza
attratti va colla repulsiva; anche Empedocle dicea, che l'inimicizia sta
appiattata nelle parti de' corpi pronta a vincer l'amicizia nel tem po
opportuno. Ma io non mi maraviglio punto di tal corrispondenza tra Dinamici e
il nostro fisico. Gli uomini gireranno sem at c ) in D gi ti 29 pre nella
stessa orbita, e torneranno sem pre a riunirsi nelle medesime ipotesi ogni qual
volta, che si aggireranno sì oggetti, che illustrar non si possono con
osservazio. ni, e co' fatti. Perchè limitate essendo le forze del nostro
spirito, limitato sarà del pari il numero delle sue combinazioni. ' I metafisici
di fatto sogliono ricondurre sem. pre in iscena più o meno vaghe, più o meno
adornate le opinioni medesime. Gli antichi vollero rappresentar l'essenza de'
corpi. Però Democrito immagind il sistema atomistico; Empedocle il dinamico.
Oggi, che alcuni han pensato di tentar lo stesso, in Francia è risalito in alto
il sistema di Democrito, e quel d'Empedocle in Aloma gna. Dobbiamo persuaderci
una volta che le scienze s' accrescono non già colle nostre opinioni, che sono
semplici fantasmi della nostra mente, ma coll' esservare, ed espri mere co'
nostri pensieri i fatti e le consue. tudini della natura. Questo metodo per
avventura non era ignoto in quella stagione in Gergenti. An 30 [ a crone
l'amico d'Empiedocle, poste giù le ipotesi, fondava la medicina sull'esperien
za, e fu capo della setta empirica. Il no stro fisico cercava e stabiliva la
varietà de' corpi cercando e stabilendo la proporzion de' lor componenti. Ma i
tempi imprimono nel nostro spirito la lor forma, il lor caratte re, le loro
opinioni; operando su noi non altrimenti dell' aria la qual si respira. Non è
quindi da maravigliare se Empedo cle s'occupò, come allor si facea, su i
principi delle cose, e sulla generazion dell' universo. Il romanzo della
nascita del mondo era in que' tempi un'introduzione, che si stimava necessaria
alla fisica. Niuno affat to potea meritare il titolo di sapiente, se non prima
avesse ordito la sua cosmogonia. Quindi i filosofi cominciavano allora i lor
poemi dalla creazione del mondo; molto più, che a ciò fare non dovean perdere
gran tempo, nè durar molta fatica. Le loro cosmogonie erano un lavoro più di
fan tasia, che di ragione. Si fatti lavori me 31. glio che cosmogonie potevan
chiamarsi ro manzi, in cui i paragoni tenendo luogo di raziocini affermiare è
lo stesso che dimostra re; e le capricciose finzioni si scambiano come opere
della natura. Empedocle dun que al par degli altri intese alla formazion dell'
universo; svolgendo e dichiarando l' impero della sua inventata amicizia. Diede
prima nascita all'etere, indi al fuoco, poi alla terra. Da questa trasse
l'acqua, l'a ria, l'atmosfera; indi le piante, gli uomi, ni, e gli animali (23
). Pose più diligen za e più tempo a formar dalla terra; ma per opera
dell'amore il genere umano. Rimescolando gli uomini colle piante, e co gli
animali, tenne costoro come unica ma teria, in cui tutti si fossero contenuti
qua si in ischizzo, ma senza che distinta aves ser presentato la irma,
leggiadria, e ata titudine delle loro membra. Queste a po co a poco ideò egli
essersi sviluppate, ed esserne venute fuori delle immagini, prive di noto e di
vita, simili alle pitture, ale le statue. Nella terza generazione di poi 32
furon distinti i maschi dalle femmine. Nel. la quarta s' ebbero degli uomini,
che na. scono gli uni dagli altri; perché, distinto il sesso, si mosse il
carnale appetito (24). Le piante secondo lui fitte restarono in ter ra per
trarne l'alimento; e gli animali qua e la si divisero per cercare un abituro
con veniente alla loro natura (25 ). Queste co se sconce, incredibili, e
simiglianti sognò il nostro fisico, che dovrebbero passarsi sot to silenzio, se
non giovasse d'accennarle per dare șin' utile lezione allo spirito uma no. Il
quale ardito, com ' egli è, malgrado gli assai folgoranti brillantissimi lumi
non che della religione, ma della moderna de parata filosofia, a dì nostri va
sempre fi sicando geogonie e cosmogonie. Darwin di fatto adottò gli errori del
nostro Empedocle, e certamente da lui ebbe a trarre l'idea della successiva
perfezione, e a grado a grado del regno animale. L'uno e l'altro fece nascere i
vegetabili prima degli anima li nel tempo e nello stato, che le cose e rano
imperfette. Entrambi del pari segna 33 # rono gli animali essersi a poco a poco
svie luppati, e aver tratto tratto acquistato quel. la perfezione, di cui
oggidi son forniti. Vogliono tutti due, che dal principio i ses si fossero
stati confusi si negli animali che negli uomini. Ambidue affermano che l '
universo giunse al grado di sua perfezione, allorchè separati i sessi nacquero
gli ani mali gli uni dagli altri. Darwin in somma dice unica essere stata la
specie dei fila menti', che diede origine a tutti i corpi, che sono organizzati
(26). E parimente fu opinione d'Empedocle, che unica fu la pasta, da cui
vennero vegetabili, animac li, uomini, e Dei (27). Tanto egli è ve ro, che i
nostri pensatori sempre, o al men per lo più copiano, e s ' arrogano le
speculazioni degli antichi. Nella cosmogonia d'Empedocle sicco me a chiunque è
maniſesto, non intervie ne, ne opera alcuna cosa la Divinità. Ma così pensando,
intendea egli di recarle 0 nore più presto che ingiuria. Avendo egli ' la
materia, come allor si pensava, per co 34 I sa vilissima, temeva che la
sapienza si fos se bruttata, se avessé preso a ordinare co se, che son del
tutto materiali. Per lo che a intendere la formazione dell'universo, lasciata
la mente divina, invocò il caso, e commise gli elementi in poter della for:
tuna. In sì fatti grossolani sciocchissimi er rori s' imbatte chi stoltamente,
e senza una precedente saggia e matura riflessio ne, vuol togliere il supremo
artefice dal la fabbrica del mondo. Il caso, fantasti cano essi, siccome
racchiude in se tutte le combinazioni possibili ad avvenire; così tra le molte,
e assai e infinite, che son mo struose, quelle poche ancora contiene, che son
regolari. Infinite, dicea Empedocle, sono state le forme, che ha preso teria ',
e senza numero le combinazioni de. gli elementi. Ma queste si son succedute
senz' alcuna. posa sin dall'eternità, e forse non han potuto durare perchè
prive so no state di regola e simmetria. Dopo tan. te é tante strane vicende,
gli elementi in fine, conchiude egli, essersi disposti in la ma 35 quell'ordine,
che il mondo ritiene, e da tutti con ragione, s ' ammira. Dal caso a dunque
Empedocle formò l'universo. Al caso attribui egli quel, che privativamente è
sol propio della sapienza, e dell'infinito potere d'un esser supremo. Da un
acci dente sogna egli essersi condotto il presen te ordine, ma dopo lungo,
vario, e suc cessivo disordine. Queste idee và Empedocle adornandh colla sua
fantasia vivace, e poetica. Figir ra egli mani, piedi, gambe, busti, oc chi,
braccia, spalle, teste di animali, di uomini, che tra lor misti é confusi si
por tan qua e là únendosi- senza regola, e sen za misura. Ora egli vede petti
senza spalı le; teste senza cervici; e fronti prive d' occhi. Or egli osserva
piedi congiunti a colli, occhi a spalle, teste å gambe, di ta a fronti, e altre
irregolari unioni. Quando immagina egli de' tori in volto u e uomini colla
testa di bue; e quando nota nell'uomo l'impronta della pecora ', e in questa
quella dell'uomo. Em mano e 2 36 1 1 a i pedocle in somma finge, trasfornia, è
com pone mille e mille specie di mostri, che per lui una volta furono, e di
quando in quando appariscono. Ma dopo forme si sconce é fuor di natura dispone
egli ca guialmente quelle membra nelle proporzio ni, e misure che al presente
veggiamo. Che maraviglia è dunque, ei conchiude, che dopo tanta varietà di
mostri sieno a sorte venute le belle e ben disposte mac chine degli uomini e
degli animali? In tal modo si sforzava il nostro fisico di render credibile ciò
ch'è falsissimo; facendo come chi gli occhi s'acceca per meglio e più
chiaramente vedere, Ma i suoi sforzi tutti quanti gli tornarono vani. Non cape
ne capirà in intelletto umano, che il mondo il quale spira ordine, sapienza, e
nia, sia l'opera del cieco, e dello stolto accidente. Ciascuna parte d'un
essere forma un sistema; un sistema formano tutte le sue parti; un sistema
tutti gli esseri, che tra loro legati corrispondono tutti al gran di fi armo 37
c scuna, segno dell'universo. I moti varj e multi plici de corpi celesti son
regolati da poche e semplicissime leggi; le quali nascono e de rivano da unica
propietà della materia. Se dunque ogni sistema indica combinazione, e questa
suppone disegno e architetto; chi contemplando la fabbrica dell'universo, ch '
è un grande e maraviglioso sistema in cia. e in tutte le sue parti, potrà non
ammirar la mente di chi seppe non che idearlo, má farlo? Se il mondo è così per
fetto, qual dovrebbe essere, se fosse l'o pera d'un supremo fattore; se
l'universo non mostra in ciascuna sua parte, avvegna chè minima, alcun segno o
piccolo o lon. tano di casualità; chi senza empietà o stol. tezza, potrà
riconoscerlo per opera del ca. so e non della mente d'un Dio? Ma senza più
travagliarci a dimostrar cid ch'è chiarissimo; l'esistenza d'un som. mo fattore,
oltre all'essere scritta nell' ani. mo nostro, si.legge ne' cieli, e a noi per
viene da ogn'angolo della terra. Da che Anassagora disse agli uomini la mente
di l 38 SO vina con singolar magistero è giusta leggi invariabili, áver
ordinato la materia, niu. no vi fu, che nol consentisse. Il popolo d'Atene alzò
allora un tempio a Dio, qual supremo fabbro degli esseri, e onorò quel filosofo
del soprannome di mente. Anzi la ragione del volgo ha vinto in cið, e vincerà
sempre i lunghi ragionamen ti di qualunque filosofo. Il volgo non lo rigetta
con orrore le cavillazioni degli atei, che tentano invano negar l'esistenza
d'un eterno fattore, ma poco o nulla cura altresì le speculazioni di que'
sapienti, che vogliono dimostrarla. E in vero tal verità alla classe appartiene,
attesa la somma evi denza, di quelle che sdegnan le pruove, e che si possono
guastar più tosto che ras sodare co' lunghi e sottili raziocinj d'una filosofia
illuminata. Empedocle e Democrito sebbene fossero stati superati da Anassagora,
perchè non già una mente divina, ma il caso avesser posto, come autor
dell'universo; pure son degnissimi d'onore per i loro metodi, o bel 39 osta k..
** dias li pensamenti nelle fisiche discipline. Poté Democrito per sua
particolar virtù concepi re egli il primo un sistema meccanico del mondo,
fondato sulle propietà de' corpi, o sulle leggi del niovimento. Valse Empedo.
cle per forza di sua mente a immaginare anch'egli il primo un sistema chimico
dell' universo, che posando su i quattro elemen ti, è regolato da forze, e
sottoposto alle leg. gi dell'affinità. Ambidue tennero in onor l'esperienza,
che certo e naturalmente con duce alla scoperta della verità. Se chi do po lor
filosofarono, fossero stati poco più sensati; avrebber dovuto mettersi dietro
la loro scorta, e collegare insienre i modi chi mici d'Empedocle e i meccanici
di Demo: crito. Si sarebbe allora abbreviato il corso degli errori, e
anticipato il principio di quella filosofia naturale, che fa tant' onore a '
nioderni. Ma le sette smarrirono i filoso fanti d' allora, e costrinser costoro
tanto più a errare, quanto più essi s' attennero alla metafisica, e si
scostarono dall'esperi. mentare e asservare. Dovettero scorrer piů Dice? 17
bile su 40 secoli, perchè venisse in grande stato lo studio della natura.
S'apparteneva veramen te a'nostri tempi, che congiunte chimica e meccanica
avesser portato la fisica a quel grado d'altezza, in cui oggi si trova. Ma è
sempre da confessarsi Empedocle e De. mocrito aver gettato i primi semi di que'
vantaggi, che cal favore del tenipe la fi. sica ha oggi ottenuto. Le opinioni
d’Empedocle sų gli ele menti, e sull'origine delle cose, se non son vere,
almeno non sono ingiuriose nè al la sua mente, nè alla sua filosofia. Splen
dono tra gli abbacinamenti chiari i lampi d'ingegno, e un metodo sopra ogn'
altro riluce, che l'avrebbe guidato alle più bel, se gli errori de' tempi non
gliel' avessero contrastato. Ma non è così, quando il nostro filosofo alle cose
si rivol ge, che trattan d'Astronomia. I suoi sen timenti su gli astri sono
altrettanti assurdi. Empedocle il fisico pare altr' uomo, e tut. to diverso da
Empedocle astronomo. Tal differenza, che veramente è notabile, se 1 le scoperte,
41 non m'inganno, nasce da ciò, che la sua fisica si trae in gran parte da'
frammenti de' poemi di lui; là dove le sue opinioni astronomiche ci vengon
quasi tutte dagli Storici degli antichi filosofi. ' Non senza ra gione quindi
si può sospettare, che i suoi pensieri non sono strani e deformi, quan do egli
stesso l'annunzia; e al contrario pajono sconci ee mostruosi,, allorchè altri
parlano in vece di lui. E ' maggiore tal congettura, qualor si considera que
com pilatori essere stati grossissimi delle cose a stronomiche. Costoro
affastellano in confu 90 le opinioni de ' filosofi, e o abbreviando le mozzano,
o interpolando le allungano, o pure in qualunque altra manieria, senz' alcuno
intendimento, ogni cosa deformando's le alterano. Non è quindi duro a com
prendersi, gli storici del nostro filosofo, tra per l'imperizia delle cose del
cielo, e per l'espressioni di lui, ch'eran tutte fi gurate e poetiche, averne
contraffatto la sua astronomia. Non si negan con ciò gli errori, in cui egli
per avventura avesse po f 42. tuto cadere. So benissimo l' astronomia dei Greci,
sfornita.com'era in que' tempi d ' osservazioni, ridursi, tolto il nascere o
trae montar d' alcune stelle, a una raccolta d' antiche tradizioni, o di
opinioni bizzarre. Si conviene pure Empedocle aver potuto di: re il movimento
del Sole essere stato da prima più lento, che a' suoi tempi non e. ra. Si
concede altresi aver lui potuto opi nare l'asse della terra aver pigliato una
po sizione all' Eclittica inclinata, che prima non avea: (usanza de' cosmogoni
acconciare a lor talento le parti dell'universo, e condur le allo stato, in cui
ne' suoi tempi si trora no ). Ma non si può affatto credere, Empe docle aver
tenuto i tropici quasi due mura glie, cui giunto il Sole, essere stato stretto
a torcere il suo cammino; e aver segnato și fatti circoli non altrimenti che
due confi. ni, che impediscono il Sole camminando verso i poli d'oltrepassare
il suo termine. Chiamò egli que circoli con linguaggio fi. gurato i confini del
Sole; perchè a quel li il Sole giungendo par che il suo cam, 1 43 mino rivolga.
In breve intese egli indica re l'obbliquità dell'eclittica, e segnar lo spazio
in cui il Sole fornisce l'anquo ap parente suo corso. Giacchè l'anno si com
putava allora da’ solstizj, i quali dall'om bre osservar comodamente si possono
coll? ajuto dell'ago. Con tali e simili sconcezze si è guastata l ' astronomia
d’Empedocle; Però se tra per difetto di memorie di lui, e per ignoranza degli
storici, ė, ben diff cile d' indagar ciò ch' Empedocle penso sul. le cose del
cielo; è assai più difficile sa per, ciò ch'egli non disse, e a torto a lui
appongon gli storici, Temendo gli Ateniesi, che la terra fosse stata
un'abitazione mal soda, furon solleciti della sua stabilità. Provvidero e glino
alla propią sicurezza, e a quella del genere umano: ma colla sola fantasia a
modo del volgo. S'appresentarono la ter ra in forma d'un monte, le cui barbe
vanno a profondare e perdersi negli ultimi lontani confini dello spazio.
Assegnarono ina sieme alla terra già divenuta nionte il suo f 2 44 co vertice
di forma rotonda; e quivi loc:arono ferma sicura l'abitazione degli uomini. A
mente dunque di quel popolo il Sole e gli astri non givan mai sotto la terra,
che nol poteano; ma spuntavano e tramonta vano girando intorno intorno a quel
verti. ce. Questa opinione, che in Atene era un pubblico dogma, non si potea
contra star da filosofi senza grave lor danno. Il popolo pigliava alto sdegno
di chi osava sen tirne in contrario, e contro lui si scaglia va, come contro
chi avesse tentato di som. muover la terra é perdere a capriccio.il genere
umano. I filosofi d'allora tra per che adularan la plebe, come chi più che gli
altri soglion fuggire i pericoli; o per ehe su ' ciò nulla dissimili dal volgo
crede van lo stesso; non mai vi fu alcuno, che avesse ardito negare il monte,
le radici, il vertice, e la finta figura della terra. Non cosi fece il nostro
filosofo, che molto perito nelle cose naturali, anche da Sici lia si scaglid
contro sì fatta sentenza. Ri dea egli del monte, delle radici, del ver 45
tice.e aspramente ripiglio, Xenofane, che avea per immensa la profondità della
ter ra (28 ). Chi, dicea Empedocle, tali co se divulgano, o poco veggono, o
nulla san. no dell'universo.; Altri e lontani da quelli del volgo fu. rono i
sentimenti d' Empedocle intorno al la terra. Fu opinione di lui, che fuoco
bruciasse nel centro di questa. I sassi i dirupi, gli scogli, ei riguardò come
sco rie, che la virtù di quel fuoco avea in alto levato. L'acque, che sorgon
terma li, quelle sono, a suo credere, che sotter ra scorrendo piglian calore
dal quel mede simo fuoco (29 ). Empedocle in somma im maginò sin d'allora
l'ipotesi del fuoco cen. brale, che Buffon, non è guari, più bel la e vistosa
ha richiamato alla luce. Pensavano gli Jonici, che la terra sospinta dal
vortice che occupava tutta la sfera, era stata condotta nel centro di ques sta.
Ma non sapeano essi comprendere, come quella, sfornita d' appoggio, ben li
brata si stesse nel punto di mezzo. Timi 1 46 di quindi i filosofi al par del
volgo, ne dilatavan la base, e tormentando i loro ingegni si sforzavan di
sostenerla colle ipo: tesi. Talete avvisò la terra restar sospesa nell'aria,
non altrimenti che un galleggian te sull'acqua, Democrito e Anassagora ne
fecero la base non che larga, ma conca va; aifinchè l' aria quivi sotto
racchiusa la potesse sostentar con sodezza. Parmenide credette sostenerla col
principio della ra gion sufficiente. La terra a suo pensare stava nel centro,
perchè non avea ragio ne, che la portasse per questo più tosto, che per quel
verso, Ma il nostro fisico si dilung) da co storo, e con altri principj prese a
spiegar sie la stabilita. L'acqua nella cosmogonia di lui s' era separata dalla
terra per l'im peto del giro, che questa facea (30 ). Pe. rò la terra nel suo
sistema rotaya. Rota va del pari secondo lui il cielo; è altra differenza non
pose nella rotazion dell' una e dell' altro, che nella velocità, Minore la
yolea nella terra, che stava nel centro; 47 1 rola, ando il cla colo come star
galo raal Po maggiore nel cielo, che in giri smisurati si volgea. Da cid
appunto egli ne trasse e perchè quella stesse in aria sen za cadere. Se girate,
egli dicea, con pre stezza una secchia; l'acqua non cadrà, ancorchè nel girarsi
si tenga capovolta (31 ). Tal è nella sfera i La conversion celerissi ma del
cielo vince ogni peso e ritiene la terra. Al moto dunque del cielo egli in
catenava la posizion della terra nel cen. tro, il suo rotare, e lo starne, Si
sihar rì, egli è vero, in quella spiegazione al par degli altri; perchè allor
s'ignorava la gravità della terra esser diretta al suo cen. tro. Ma il suo
metodo di ridurre più fe nomeni a un solo, e ripescare ne' fatti la ragione di
quelli, è molto degno di lode. Dall'esperienza della secchia, che pre stamente
si volge, han preso argomento chi son portati per l'antichità, aver co nosciuto
il nostro filosofo la forza centrifu. ga, Ma a pensar giusto, ignorandosi allos
ra le leggi del moto, niuno ebbe, nè as ver potea l'idea vera e matematica di
quel, 1 ajd a $ permas 30, ho murah ento: 48 d he Te la forza. Egli è vero
essersi saputo in que' tempi, e da Empedocle essersi ben dimo strato la
velocità del girare impedir la ca duta de' gravi. Ma questo era fatto, non
forza, e più esempio, che principio. Eran sì lontani Empedocle e gli antichi di
cono scer quella forza, che presso loro fu fer ma e costante opinione, i corpi
a cagion di circolazione avvicinarsi al centro se pe santi, fuggir dal centro
se leggieri (32 ). Ma se'a lui si può contrastare la co gnizion della forza
centrifuga, gli si deve certamente quella concedere della rotazion della terra.
Opinione era questa comune presso noi ne' tempi greci, e propia in ve rità
della nostra Sicilia · Giacchè Ecfanto e Iceta la divulgarono in Siracusa; ma
sin da tempi antichissimi Empedocle l' insegno nella nostra Gergenti. Avea il
nostro Astronomo il Sole e le Stelle, come se fossero della stessa natura.
Opinava egli quello e queste esser di fuo co (33 ). Ma non perciò è da credere,
ch ' ei tenesse la luce per eguale o simile al R te te e 1 49 1 fuoco terrestré.
Non sapendo egli qual fose se la natura della luce, che per altro è ignota
anche a noi, tenea il Sole come una massa ignita, che lanciava nella sua sfera
le sottili sue particelle (34). Queste ei credea, che dal Sole si moveano, e
pro gressivamente propagandosi giungeano agli occhi. La luce, dicea, va prima
nel mez zo, e poi perviene sino a noi (35 ). An ticipava così la scoperta
bellissima della pro pagazione della luce, che i Satelliti di Gio ve doveano in
tempi avvenire rivelare a Roemero. La vide, egli è vero, coll' in telletto, e
senza ridurla a fatto, la lascið nel posto di semplice opinione. Ma nel tempo
de' sogni e dell'ipotesi è degna cer to d'ammirazione quella opinione, che
coll' andar de' tempi è stata condotta al grado eminente di fisica verità.
L'emission della luce fu l'ipotesi, ch' allor tenne Empedocle', e cui oggi s'
acco stano chi non vogliono vaneggiar per no velle bizzarie. Questa a dì nostri
d ' alcu ni è rigettata, e in que' tempi era ancor مه 50: contrastata.
L'ipotesi che il Sole quanti raggi manda, altrettanti ne perde, fece al lora, e
ha fatto oggi credere a parecchi, ch ' egli raggi mandando, e raggi perden do
sì gradatamente impoverirà di luce, che collo scorrer de' secoli giungerà sino
a spe. gnersi. Newton all'incontro dimostra in sensibile essere stata la
perdita della luce solare dal principio delle cose sino a noi. Anzi egli quasi
sforzandosi d'assicurar la luce alle future generazioni, cerca di sup plir la
massa solare con quella delle co mete. Le quali attratte dal Sole, quan do nel
suo giro sono vicinissime a lui, e su lui cadendo, colla loro materia vanno a risarcire
la perdita diurna delle particel. le solari. Ma Empedocle in un modo, che se
non sarà forse il più vero, è certamente assai più ingegnoso, s' industrið
provedero alla durata del Sole. Siccome i raggi lan. ciati dal Sole son poi
riflessi dalla terra; cosà egli pensd, che quelli dopo la rifles, sion
concentrandosi, ritornano al Sole (36). 51 Però questi per riflessione acquista
quel, che per enuission perde; e atteso un sì fat to circolo durerà sempre lo
splendore del Sole. Empedocle quindi potė ben dire la luce essere al presente
una riflessione di quella che fu una volta lanciata dal Sole: Ma i compilatori
dell'antica filosofia non capirono i sensi del nostro filosofo. Credette ro
essi due essere i Soli d'Empedocle, uno invisibile, visibile l' altro, che
collocati in due opposti emisferi si guardavan tra lo ro. La terra, eglino
dissero, riflette al se condo i raggi invisibili lanciati dal primo; e quello
poi in forma di luce li rimanda alla terra (37). Ecco con quali sconcez ze
quegli storici guastarono i divisamenti del nostro filosofo sull' emission
della luce. Non meno speziosa fu la difficoltà, che s'oppose a Empedocle ne'
suoi tempi contro la succesiva propagazion della luce. Siccome nel tempo che la
luce viene a noi, il Sole si move; così l'occhio astretto a seguire la direzion
della luce, vedrà il Sole in un punto, in cui fu, e poi non g 52 è più.
Empedocle a rispondere, non prese scampo nella prodigiosa velocità della luce,
o in qualche sottigliezza, cui i fabbri di si stemi soglion rifuggire. Non è il
Sole, ei di cea, ma la terra che in ventiquattro ore si volge: La terra' dunque
nel rotare s’im hatte ne' raggi solari, ed essa prolungan doli va a trovare il
Sole nel punto, in cui egli sta. Non si potrebbe di certo a di nostri in
miglior forma rispondere a chi in quel modo vclesse attaccar l ' emissione e
successiva propagazion della luce (38 ). • Empedocle ebbe la Luna come opaca,
perchè frapponendosi tra il Sole e la ter ra cagiona l' ecclisse. Plutarco a
lui so lo (39), mettendo in non cale tutti gli altri, da il vanto d' aver
divolgato la Lu. na essere un corpo privo affatto di luce, che riflette i soli
raggi solari. La chiarez za della Luna' ei chiamava non che dolce e bénigna, ma
insieme straniera. Una lu ce straniera, dicea Empedocle qual poeta, circola
intorno alla 'terra (40). Ma Empe docle ebbe la disgrazia d' aver avuto gua 53
stato ogni suo sentimento. Achille Tazio dall' epiteto di straniera dato alla
luce lunare da Empedocle, ricavo, non so come, il medesi mo aver tenuto la Luna
qual pezzo svelto dal Sole. Ma buon per noi che ci sia re stato il verso
d'Empedocle, che smentisca l'interpetrazione di Tazio (41 ): Anassagora per
dare una misura del So le riferì la grandezza di quest' astro al solo
Peloponneso. Il nostro filosofo fu il primo, cui venne in pensiero di comparar
Sole e Luna tra loro. Egli credea che il Sole fosse stato più della Luna
distante dalla terra so pra due volte (42). Ciò non ostante affermo quello
essere stato assai più grande di que sta; sebbene ambidue fossero appariti
dello stesso diametro (43 ). In somma l'ineguale distanza fu per lui certo
argomento della lo ro diversa grandezza. Parrà ad alcuno ciò essere stata cosa
di lieve momento; e pure fu un passo, e un avanzamento che allora fece la
scienza del cielo. Giacchè niun altro prima d'Empedocle, ed egli fu e il solo e
il primo, che insegnò gli astri lontani 54. doverci comparire piccoli più de'
vicini. E gli pure fu il primo che pose in confronto tra lor gli astri non solo,
ma i loro diame tri. Dopo hui in fatti prima Eudosso misu rò i diametri apparenti
della Luna e del Sole; e poi cominciarono i Greci a stabili re i periodi
lunisolari, da cui nacque, e s’ avanzò l'astronomia de' medesimi. Si potrebbe
quì aggiungere a formar tutto il quadro dell'astronomia del nostro fi losofo,
aver lui forse conosciuto che la Luna rotando intorno a se stessa si mova circa
la terra. Ma punto non conviene dar a Empe docle una gloria o dubbia o sospetta
(44). Basta aver levato a suoi pensieri astronomici quella ruggine, di cui li
bruttò l'imperi zia di quegli storici. Appresso l' onorano al cuni qual autore
d'un poema sulla sfera in cui si descrive, secondo l'uso de' tem pi il nascere
e ' l tramontar d' alcune stel le. Ma i critici illuminati han quello come
opera d'ignoto autore e non di lui (45 ). Io non discordo da loro; anzi
confesso non essere stato Empedocle intento a osservare, 1 55 1 come si
conviene nell' astronomia. In quell' età si costruiva il cielo da' filosofi non
si osservava. Era quella la stagione della fan tasia, delle opinioni, e
dell'ipotesi, che suol sempre precedere l' altra, che porta seco il raziocinio,
l'osservazione, la veri tà. Però non è poca la gloria d’Empedo cle nell' aver
conosciuto la ' successiva pro pagazion della luce, la rotazion della ter ra,
l'opacità della Luna, è scostandosi dalle volgari stravaganze nell' aver compa
rato il primo le masse tra loro della Lu na e del Sole. Se non può egli quindi
emulare Timocari e Aristillo, Ipparco e Tolomeo, che nella Greca astronomia fu
ron chiarissimi; pure non è da negare lui aver saputo delle cose del cielo
assai più che la sua età non portava. Vennero quel. li assai dopo, e in tempi
assai più illu minati e felici; e non è maraviglia, che questi fossero stati di
quello migliori. Una fiaccola più o meno brilla, quanto più o meno pura è l '
aria, in cui brucia. Dal cielo tornando alla terra non più 56 & troviamo il
nostro filosofo, che immagina l' origin delle cose; ma che studia e in terpetra
con senno la natura. La prima verità, che c'insegna, non già ragionando ma
coll'esperienza, è il peso e la molla dell' aria. Mette egli in opera in
difetto di macchine e di strumenti la clessidra, che s'usava allora da' nostri
come orolo gio a misurare il tempo. Avea questa la sua figura conica; la base
forata a guisa di minutissimo vaglio; e il collo lungo che stringendosi sempre
più andava a fi nire in un sottil bucolino. Si tenea allora la clessidra col
collo all'ingiù; e l'acqua, di cui era piena, lentamente gocciolando misurava
le ore. Questa appunto fu la macchina d'Empedocle, che nelle sue ma ini diventò
indice e misura di fisiche verità. Introduce ei da poeta una donzella, che
trastullando colla clessidra la vuol en piere d'acqua. Ne tura essa l'orifizio
col le dita, e postane la base all' ingiù, cala quella verticalmente in un
fonte. Entra allora l'acqua per la base forata; ma per SC ay is ce 9 in C 57
quanto la donzella prema, e travagli, la clessidra non si può mai empiere tutta.
Stanca finalmente la verginella, alza le di ta, con cui chiudea quell'orifizio;
ed ec co l'acqua che sale, e giunge alla cima. Proposta l' esperienza,
Empedocle ne' suoi versi ne soggiunge lo spiegamento. L' aria, dice egli, che
sta racchiusa nella cavità della clessidra, colla sua molla, resiste all' acqua,
e la ripara di venire all'in su. Ma appena la donzella alza, le dita, l'aria e
sce, e però l'acqua non più impedita dall' aria sale, e tutta empie la
clessidra. In altro modo ci presenta ei la don zella. Finge egli che questa
volti la cles sidra; e allora un altra prova egli ci reca del peso e della
molla dell' aria. Chiude es. sa colla mano il bucolin della clessidra, questa
piena d'acqua volge colla base all' in giù; affinchè l'acqua tutta fuori si ver
si. Ma non senza sua sorpresa s' accorge che l'acqua, lungi di cadere da ’
forellini della base, si ferma: Alza ella quindi la mano con fretta; ed ecco
l'acqua goccio h 58 re il a lare, e a poco a poco cadendo tutta fuori versarsi.
Dichiarato il primo, ſu agevole a Em pedocle spiegare il secondo esperimento.
L' acqua, dicea egli, si sforza d' uscire da' fo. rami della base. Ma l'aria
sottoposta si resiste colla sua molla, che venga a vince peso dell' acqua.
Subito che la don zella alza la mano, l'aria di sopra preme l'acqua sottoposta;
e questa, ajutata dall' aria soprastante, vince ogni restistenza, o vien fuori.
Con tali esperienze, delle propietà dell' aria mostrava egli e il peso, e la
molla. Ciò nulla ostante furon quelle nell'età d'ap presso poste ingiuriosamente
in obblio. Se noti fossero stati al rinascer delle scienze gli esperimenti d '
Empedocle, non si sareb be certo levato tanto grido per l'invenzion del
barometro. Ivi il mercurio sta sospeso dalla forza dell'aria, come l'acqua sta
so spesa entro la clessidra dalla forza egual. mente dell'aria. Si fatte
esperienze, che oggi son volgari, allora erano rade e uti € 59 lissime alla
fisica. Smarriti i Greci in que? tempi o dalla lor fantasia, o dalla lor me
tafisica, non pigliavan cura nè d ' esperien. ze, nè d'osservazioni; e privi di
fatti, co storo eran pur privi di scienza · Ne' versi d'Empedocle quindi il
principio si trova, e la nascita dirò così della fisica; perchè ivi si trovano
i primi esperimenti. Democrito al par d'Empedocle piglia va anch'egli allora la
via de' fatti: sebene ambidue ne fossero stati presto raggiunti dal divino
Ippocrate. Sicché questi tre som mi uomini cercarono allor di fondare un epoca
novella nella Greca filosofia, sfor zandosi di condurre gl'ingegni a studiar la
natura coll' esperienza, e colla osservazio ne. Ma tal metodo, ch'è lento,
ostenta to, non potea esser gradito a Greci, che impazienti erano e caldi; e
però da pochi fu pregiato ed impreso. Sebbene Empedocle avesse posto ogni
studio nello sperimentare; pure fu solo in Sicilia, senza stromenti,
nell'infanzia dela la fisica. Ne si creda Democrito, e Ippo h 2 60 crate
avergli potuto giovare, essendo e co lui di region lontanissima e questi de
tempi d'appresso. Pochi eran quindi i fat, ti, che potea egli raccogliere. I
medesimi non gli eran mica bastevoli all' uopo, ch' era assai vasto, e che
giusta l'usanza de tempi abbracciava tutta la natura. Di che veniva, ch'egli
spesso era costretto a suppli re il difetto de' fatti; e ciò il fece con assai
sagacità e senno: cui nercè l'arte inventò del congetturare. Questa non gia che
fosse stata da lui ridotta in canoni come si svol presso noi, che in ogni cosa
abbondiamo di regole; ma intriseca si tro va, e quasi nascosta ne' suoi
ragionamen ti. Anzi io credo non potersi in miglior modo rilevar l'artifizio
del suo metodo, che descrivendo l'andamento del suo spi rito; allor quando
pigliò ei a comparare i vegetabili agli animali. Furon tanti, e di tal momento
i rapporti, con cui egli quel li a questi lego, che giunse a scoprir del, le
verita, che son degne non che di ricor, F S a 8 danza, ma di stupore. 62 Il
seme, il sesso, la generazione, la nutrizione, la traspirazion de’ vegetabili
fu. rono i varii sorprendenti oggetti su cui fil filo s'applicò la sua mente.
Da prima avverte. Empedocle comune essere il fine assegnato dalla natura 'e
agli animali e a ' vegetabili. Un animale, o una pianta, egli dioe, voglion
produrre animali, o piante simili a se (46). Questo fu messo da lui come base
delle sue illazioni, e co nie fermo segnale d'un punto, da cui egli partendosi
non s' avesse potuto mica smarri re nel proceder più oltre nelle sue nuove
scoperte. Soggiunge egli appresso: come l' animale viene dall'uovo, così la
pianta dal seme (47). Attesi questi fatti comincia o ' specolando a filosofarvi,
e da quelli guidato va con franchezza formando le sue conget ture. Se l'uovo e
il seme, egli prosegue, comune hanno il fine, ch' è la produzio ne; debbono
l'uno e l'altro colla stessa attitudine, e col medesimo impeto tendere al
medesimo fine (48 ). Da sì fatto fine ad ambi comune egli argomenta, come da 62
un indice, comune dover essere la natura del seme e dell' uovo. Ma Empedocle
forse à tal indizio si ferma? Nullameno. Egli torna di nuovo a fatti, mette in
opera da capo osservazioni; e si sforza rintracciar co. sì la natura dell' uno
e dell'altro. Empedocle tirando avanti la sua stes sa traccia, trova e
distingue sì nell' uovo che nel seme, non che germe, ma materia che il germe
nutrisce. L'animaletto fin, chè non nasce, o la pianticella finchè non
abbarbica ', traggono alimento da quella, Non è già, aver lui conosciuto le
foglie seminali; o aver lui detto la placenta u terina portar nutrimento all'
embrione per via del funicolo umbilicare. Egli non al tro conobbe, che due
esser debbano nell' uovo e nel senię le parti principali e muni: il germe e i
cotiledoni, che l'ali mento preparano alla pianticella, o all’em. brione, o nel
seme, o nell' uovo. Il nostro fisico quindi più non distinse dirò così ani mali
da piante. Ebhe egli il seme qual uovo de vegetabili; e chiamò le piante col CO
63 soprannome d ' ovipare (49 ). Ecco avere Em. pedocle svelato agli uomini
assai prima d’Ar véo tutto ciò, che nasce', non d ' altro pro venir che
dall'uovo. Teofrasto infatti, e A ristotile (50 ) a Empedocle solo attribuiscon
la gloria della scoperta di tal verità, e gliela dan come propria. La fatica d
' Arvéo, fu egli è vero, utilissima all'avanzamento del le scienze, e degna di
tutta la lode. Ma egli pubblicando di nuovo lo stesso ritrova mento d'
Empedocle, null' altro fece che as sodar vie più colle prove ogni cosa nascer
dall'uovo. Chi adesso non giudicherà mag. gior l'eccellenza dell'ingegno di chi
colla mente va congetturando ciò, che del tutto s’ è ignorato in preterito, e
prevede ciò che sarà da scoprirsi in futuro? Il nostro fisico, guidato com'
egli era dall' induzione, spinse più oltre i suoi ra gionamenti'. Affermd le
piante al par de gli animali dover essere tutte fornite di ses so. Conosciutosi
da lui il seme null' altro esser che uovo, come l'uovo si feconda per l' union
del maschio colla femina; co $ 64 sì argomentò egli del pari il seme per la
mescolanza di que' sessi doversi fecondare. Franco ' quindi e sagace stabili
egli il pri mo, ed egli il primo distinse il sesso ma schile e feminile in ogni
vegetabile. Non si dubita prima di lui essersi conosciuti ma schi e femine tra
' vegetabili: ma ciò soltan to attribuivasi a palme, fichi, canape, pi stacchi.
Però dal nostro fisico prende ori gine il sistema, su cui oggi posa tutta la
Botanica. Egli è vero non aver lui allora ne cercato, nè mostrato gli organi
genita li nelle piante, come poi han fatto con grande studio i moderni; ma ciò
facea e gli sempre col ragionare, e quelli vedea dirò così, coll' intelletto.
Nella testa de' grand' uomini, come dotati d'una specie di tatto pella verità,
la forza delle con getture si sostituisce talvolta all' evidenza de ' fatti.
Facea Empedocle a guisa d'un gran dipintore, che solo abbozza il quadro con
poche, ma pennellate maestre; e la scia poi agli altri la cura di compirne il
disegno, di colorirlo, e abbellirlo. Arveo 65 definì tutto nascer dall'uovo:
Zalunziaski, Millington, Camerario, Vaillant prima, e poi Linnéo mostrarono il
sesso nelle piante. Ma costoro tutti quanti assodaron la dottri na, e compiron
l'idea tracciata dal nostro Gergentino. In verità non è poca la glo ria che a
costui torna nell' aver lui il pri mo schizzato degli originali, che di mano in
mano col favore del tempo si van tro vando in natura. Contemplare Empedocle,
che conget tura è uno spettacolo degno d'un filosofo. Ora egli scorto
dall'analogia supera tutti i suoi contemporanei', e più oltre proce dendo va
diritto a trovare altre belle ve rità. Ora privo di fatti, non ostante il vi.
gor di sua mente, tentoni cammina incer to tra verità, ed errore. Conobbe egli
il sesso sol nelle piante. Ma altro non pote va egli conoscere, attese le poche
anzi le rade verità solamente allor note. Quante altre osservazioni, quante
altre verita gli mancarono? Ignoto era allora l'antere, e gli stigmi esser gli
organi genitali delle pian i 06 cer te, e questi trovarsi ne' fiori. Niun sapea
il polline portato da venti aderire allo sti gma per via dell'umore, che in
questo si stà. Chi aveva allora osservato la Passiflo ra, la Graziola; e ' l
Tulipano, che come agitati d'estro venereo, erranti van cando la polvere, che
loro fecondi? Chi s'era accorto, in que' tempi la Valisneria, e l'altre piante
acquatiche sul punto de’ loro amori alzar lo stigma dall? acque, per accoglier
cupide, e aperte la polvere de' loro maschi? Non è però da recar mara viglia,
se nell'ignoranza di tali fatti non seppe Empedocle comprendere, come le pian.
te, che fitte stan sulla terra, si potesser congiungere per far la lor
generazione a guisa degli animali. Ma tenne egli come cosa non che non dubbia,
ma certissima, e l'induzione già gliel' aveva indicato, che il seme per
l'unione si feconda della fe mina col maschio. Però egli, posti in cia scuna
pianta, come sullo stesso talamo, quasi marito, e moglie, disse tutte le pian.
te dover essere ermafrodite (51). Fil que: 67 sto, egli è vero, un errore;
perchè in al cune piante i due sessi son del tutto se parati, e distinti. Ma
altresì, egli è vero, la più parte delle piante alla classe ap partenersi
dell'ermafrodite; oltr'a quelle, che sono androgine, e poligame. Empedocle
appresso, il mistero passo a indagare della generazion de’ vegetabili, con
quella confrontandola degli animali. Gran cose in prima osò egli dire sul la
generazione animalesca. ' Immaginò egli starsi divise ne' liquor seminali
de’due ses si particelle analoghe al corpo d'ogni ani male. S'ideò egli queste
nella unirsi, e l'embrion formare del corpo or ganizzato (52 ). Il carnale
appetito egli ri pose in quelle particelle, che, separato trovandosi nel
maschio e nella femina, ten. dono naturalmente a unirsi. Ad abbondan za de' due
semi la cagione ei riferisce del parto o doppio, o triplo; e a scarsezza o
disordine degli stessi la nascita d'ogni sor ta di mostri. La prole secondo lui
al pa dre o alla madre somiglia in proporzione generazione i 2. 68 del più o
men prevalere del liquor semi nale quando della femina, quando del ma schio. La
ragione inoltre crede lui dare della sterilità delle mule, che all' angustia
attribuisce e obbliquita de canali della loro figura (53 ). Varie spiegazioni
va in com ma egli fantasticando, che io piglierei ros sore di chiamar sogni, se
chi han tratta to della generazione, non avessero sinora sognato al pari di lui.
Le molecole orga niche di Buffon, i vermi spermatici di Le wenoek, l'uova di
Bonnet e,di Haller, il filamento nervoso di Darwin, non sono clie ipotesi più o
meno, false o tutte immagi narie. La fantasia inoltre, che tutte domi le umane,
s' avvide Empedocle, poter avere anch'essa una parte nella ge nerazione.
Ricordava ei delle donne, che aveaito dato in luce bainbini simili a sta. tue o
pitture, cui quelle, essendo gravi. de, aveano a caso fisamente guardato (54 ).
Opinò egli quindi la fantasia della femin na, non altrimenti del tornitore sul
legro, na cose 69 2oho da ede lidt? po 12.06 maa Potere dar forma, e
simiglianza al feto. Non inancan.oggi, chi credono poter più operare l'
immaginazione del padre che alle quella della madre. Ma niun disconviene, ato
quasi secondo il linguaggio d ' Empedoc!e, che la fantasia o della femmina o del
nia schio, giunge talvolta a tratteggiar, dirò cosi, le membra, e la fisonomia
della pro le nel ventre della madre. Da si fatte cose, stabilitasi. anzi tem po
da Empedocle la famosa analogia tra' vegetabili, e animali, trasse egli, e cona
chiuse del tutto eguale a questi duver es sere la generaztone di quelli. Ne men
dissimigliante tra loro, disse Empedocle, dover essere la nutrizione de gli uni
e degli altri. I vegetabili e gli a nimali dicea il nostro filosofo, gli
alimenti scompongono, e quel traggon da éssi, ch' è conveniente e accomodato
alla loro na turá (55 ). Ciò egli credea farsi in ambi due per via
dell'affinità insieme e de' pori. Dell'affinità cosi egli parlava. Siccome le
cose amare all'amare si uniscono, le dol UD Eury 7 Pizze,the is on sullink 70
ei de 1 dis Tec cer ci alle dolci; ogni sinile in somma al suo simile: cosi gli
esseri organizzati quel pren dono dagli alimenti, che lor si confa, e può
nutrire ciascuna delle propie parti. Chiaro fu eziandio il suo parlare de' po
ri. La nutrizione, egli è certo, separarsi e dividersi negli animali, e ne'
vegetabili per mezzo de' pori, che son differenti in dia metro (56). Le
particelle, dette nutribi li, è certo altresì non potere indistinta mente
entrare per qualunque di quelli: ma ciascuna insinuarsi nell' orifizio di que'
bucolini, ch'è analogo alla propia gran dezza. Un vino, egli dice, è diverso da
un altro, attesa la differenza non che del terreno ma della stirpe (57 ). Ecco
come par, che il nostro filosofo avesse voluto vie più assodar la sua opinione
della forza dell' affinità, e de' pori, massime su i vegeta bili (ch'è poi
propietà d'ogni corpo orga nizzato ) i quali giusta la propia organiz zazione
han da quelli preparato gli ali menti, e si rendon capaci di saporé diver so. A
senno dunque d'Empedocle la nu se su red nog Ila ti co re со ali 71 Fari
trizione si opera tra per l'affinità, e la ti que varia ampiezza de ' pori per
canali diversi, ce e va svariatamente, ma sempre in pari re preciproco modo,
vigore é aumento porgendo agli organi diversi sien de' vegetabili, sien degli
animali Empedocle frattanto, il modo volendo indicare, con cui la nutrizione si
sparge e dividesi fra gli organi diversi, abbiam noi veduto essersi rifuggito all'
affinità, ch'è certamene un'ipotesi. Ma che maraviglia; se dopo la serie di
tanti secoli da questo suo pensare non sono mica iti lontani pa recchi pur tra’
moderni? Grande in verità e diligentissima è stata oggidì la fatica de nostri
fisiologi nell'indagare i fenomeni del la nutrizione, Gli hanno essi ridotto a
' fat, ti, o a leggi generali, che son propie e comuni a tutti i corpi
organizzati. Nè pu re eglino han trascurato di trovare nella contrattilità
organica la forza, con cui gli alimenti son trasportati in canali opportuni non
sol negli animali, ma eziandio ne've getabili sino all'alto delle propie foglie.
Ma TX, ام د ገን muito 73 con tutto cið o nulla o poco si sono essi avanzati
nell'additar la maniera, con cui si fa la nutrizione per gli organi diversi.
Non si nega oggi darsi da' più a varii organi, una specie di gusto, cui mercè
quel suc chino, e tirino, che a ciascuno in partico lar si conviene. Ma poi tal
fatto pensa mento mostra forse esser del tutto falso il ritrovato d'Empedocle?
E' troppo vero, cho la natura yince in molte cose, e vincera sempre ogni nostra
speculazione e fatica e da filosofi per lo più non si recano, cho sole
congetture, ed ipotesi, Fattisi vedere eguali da Empedocle i rapporti degli
animali co' vegetabili nel se nie e sesso, nel generarsi e nutrirsi, non re.
stava altro a lui che applicarsi sulla tra spirazione comune ad entrambi.
Conobbe egli, che gli uni e gli altri per via de' pori similmente traspirano, e
quella parte degli alimenti tramandano che loro è su perflua. Alla
traspirazione di fatto attribuì costui o il perdersi dagli alberi nella fred da
stagione, o il serbarsi quelle foglie, che 1 73 1 dalla natura, non a caso, ma
particolar mente sono ordinate al traspirare e al nu trir delle piante. I primi,
ei disse, tra spiran molto in estate, e spossati levan le foglie in
autunno. I secondi traspiran po co in estate, e robusti ritengon le foglie in
inverno. Fondava egli la copia o scarsez za del lor traspirare sull' ineguale
diame tro, e contraria posizion de' lor pori. Gli uni a suo giudizio hanno
larghi i pori del le radici, angústi quelli de' rami. Gli al tri all'opposto
angusti i pori delle radici, larghi quelli de' rami. Però i primi più,
succhiando, e men traspirando non levan le foglie. I secondi men succhiando e
più traspirando perdon le foglie (58 ). Se una si fatta posizione di pori, che
immagind il nostro fisico, fosse stata confermata dalle osservazioni, avrebbe
sin d'allora egli sciola to un problema, che non poco fastidio grandissimo
stento ha recato a ' moderni. Era rizio comune a quell' età organizzare ad
arbitrio gli esseri della natura a fin di. poterne presto dichiarare i fenomeni.
Egli k e. 0 1 è vero non esser mancati a di nostri, chi abbian conosciuto e
distinto ne' vegetabili non meno di quattro specie di pori (59 ); Ma chi ha
potuto, o con qual microscopio potrà mai rinvenire, che a ' pori o larghi o
stretti delle radici corrispondano a rove scio quelli de' rami? Pur tuttavia a
Empe. docle in parte siam noi debitori della ragio. ne, che mostra il come
dagli alberi cadan le foglie. La famosa traspirazione ne' vege tabili, da lui
allora scoperta, scioglie og gi a noi con somma nostra ammirazione o senza
nostra molta fatica un sì bel pro blema. Ognun vede le foglie cader più pre sto,
quando la state è più calda. Ognun pur vede gli alberi robusti più de' deboli
più tardi svestirsi di foglie. Anzi ognun vede altresì quegli alberi in inverno
rite ner le foglie, che poco traspirano. I 100 derni al più han distinto le
foglie, che cadono in pezzi da quelle, che intere si staccano, secondo che
l'une o l'altre sono al tronco diversamente attaccate. Costoro 75 di più son
giunti a conoscere, che alcuno foglie cadono intere, prima che le nuovo dalle
lor gemme si svolgano, e altre ristan no finchè non ispuntin le nuove (60). Da
ciò essi han tratto, che quegli alberi, i quali gettan le foglie dopo lo
spuntar del le gemme, debbon mostrarsi verdeggianti in inverno. E che
all'incontro quegli altri, i quali gettan le foglie pria dello spuntar delle
gemme, debbon vedersi nudi nella stege sa stagione (61 ): Che perciò? i nostri
fisiologi forse san. no oggi della caduta delle foglie dagli al beri assai più
di quel, che ne seppe al. lora il nostro filosofo? Abbian quanto si vo glia
convenuto oggi i moderni le foglie tra. spirar più quanto più abbondano di
pori. Abbiano quanto si voglia pure costoro af fermata la copia o della
traspirazione o de' succhi si travagliar le foglie, e i lor vasi ostruire, che
finiscan di vegetare, muoja no, e cadano. Eziandio ne abbiano essi inferito
tutti gli alberi dovere perder le fos glie, chi in Autunno, chi in Primavera.
Ma k 2 26 de 60 fu NI tal differenza non è se non perchè le fo glie di quelli
più, e le foglie di questi meno' traspirano, e l'une servon più, l' altre meno
alla nutrizion delle piante? E non è questa la grande scoperta appunto d'
Empedocle, e che forma uno de' suoi gran di elogi? Il pigliare i vegetabili e
gli animali au mento dal calore, il goder di gioventù, il cadere in malattia,
il giungere alla vecchiez za, sono altresì que' tratti di simiglianza perfetta,
che il nostro fisico andava a quel. li aggiungendo. Nè lascid ei di notare, che
i vegetabili al par degli animali si muv vano, resistano, si raddrizzino (62 ).
Gran de com' egli era di mente, e degno d' in. terpetrar la natura, talmente s’
ingegna va di legare il primo con poche o comu ni leggi i due regni, che paion
tanto di stanti e discordi tra loro, il vegetabile e l' animale. Gli antichi
presero maraviglia di questo specolazioni di lui, e si ne restaron convinti,
che si sforzarono aggiungervi qual che cosa del loro, Empedocle aveva già 0 PE
C te 77 detto, che il seme senza più è nella ter ra ciò, che il feto nell'utero
(63 ) ed egli no procedendo più oltre' non ebbero a schi fo affermare la pianta
essere un animale fitto in terra per le radici, e l'animale una pianta, che
cammina. I moderni poi non han tralasciato punto di assai profittar de pensamenti
d' Empedocle, cui mercè tira ta avanti la traccia e allungati, diciam.co sì, i
suoi stessi passi, sono iti scoprendo nuovi rapporti, che agli attimali legan
le piante. Le piante dormire come gli anima li; respirare coni'essi; avere i
lor muli; pro. pagarsi i polpi al par delle piante; esservi animali (che son
quei, che vivono attacca ti alle pietre ) che cercano la luce e vergo essa
rivolgonsi, come appunto fanno le pian te: questi e simiglianti sono i grandi
ogo getti, su cui i moderni profittando d' Em pedocle si sono fissati. Ciò non
ostante 90 no tante, e di tal momento le differen ze, che separano gli
animali da' vegetabili, che non è stato possibile di ridurli in tut. to giusta
la pretesa d'Empedocle alle me 78 desime leggi. Pare soltanto che nel presen te
stato delle nostre cognizioni tutto con corra a dimostrare aver la natura
espresso e racchiuso dirò così quasi sotto unica fore mola il gran fenomeno
della nuova produ. zione de' corpi organizzati. Questa appun to cercò, e questa
rinvenne il nostro fisi co. Perchè distinse il sesso nelle piante, e conobbe il
seme non esser altro che uovo: e affermò apertamente le piante, come gli
animali, dover essere ovipare. Tali meditazioni d'Empedocle su gli esseri
organizzati', in difetto d'oga' altra pruova, basterebbero sole a indicare la
for, za, e l'eccellenza del suo intendimento. Dovea egli supplir la mancanza
de' fatti, inventar de' metodi per non ismarrirsi, ras. sodare i
suoi pensieri incatenandoli, anti veder congetturando, Operazioni, che vo
gliono tutte ostinazione, sagacità; avvedi mento. Tal è la condizione dell'
umana natnra, che la nostra mente non può senza stento riflettere, ragionare,
scorrer le dub bie vie delle fisiche ricerche. No creda al 7.9 cuno, ch ' ei
qual poeta, o cosmogono aves se ravvisato quelle somiglianze tra i vege tabili
e gli animali più colla fantasia che colla ragione. La fantasia crea non isco
pre; finge non ragiona; abbellisce non in catena; e se talora connette, i suoi
lega mi sono immaginari e non reali. Molti fu rono i cosmogoni tra gli antichi,
Ma Em. pedocle solamente s' addita come chi com prese in egual modo operarsi la
generazio ne negli animali e ne' vegetabili. Fu egli è vero intento a legare
questi a quegli esse ri, come suol farsi dalla fantasia, che cor ca e ritrova
più le somiglianze delle cose che le lor differenze. Ma ciò avvenne dal metodo,
con cui il nostro Gergentino aju tava la sua mente, ch' altro non era, nè esser
poteą nella sua età, che quel dell' analogia. La quale, siccome essa suole,
argomentando da cose simili, potea soltana to condurlo, a veder somiglianze. Se
dun que Empedocle col favor dell' analogia pro pose congetture, che poi si son
trovate ve re dalle nostre osservazioni, e ben da dir 80 si ch' egli fu nobile
di monte, robusto ne suoi raziocinj, e di gran sentimento nelle cose naturali.,
Un altro e più vasto teatro s' apre o rą di altre e nuove specolazioni, Empedo
cle, posti da parte e vegetabili e bruti, staccò l’ Uomo dagli esseri
organizzati, con cui l'avea egli sin allora confuso. Prese costui a considerar
l’ Uomo solo e isolato non che in metafisica e morale, ma in pa recchie fisiche
scienze. Rivolse ei le sue prime indagini alla fisica dell'Uomo, cui i
corpuscolisti con gran cura in quel tema po attendeano. Empedocle, Anagsagora,
De mocrito scrissero sulla natura; ebbero tutti tre il soprannome di fisici: e
tutti tre ten tarono di svolgere l'economia, giusta cui vive, si muove, si
regola la macchina u mana. Fu forse un tale studio sull' uomo che sopra
ogn'altro lor distinse dagli altri filosofi. I quali, senza più, aveano fino
allora quello riguardato come un soggetto soltanto metafisico, o morale, o
politico. Ma ' le fisiche ricerche d'Empedocle 81 sull’ Uomo trapassarono di
gran lunga quel le di Democrito e d’Anassagora. Perchè, sagace, com'egli era,
si mise in investigazio ni non prima tentate d'altri, e utilissime. Tanti
furono i punti di vista, sotto cui e' prese a contemplare il corpo umano; e al
trettante può dirsi essere state le scienze, cui diede principio il vigor di
sua mente. Egli il primo applicò la chimica ', e sie a nalisi al corpo umano;
segnd le prime li nee d'anatomia: fece sforzi se non sempre efficaci, sempre
almen generosi a gettare i fondamenti della fisiologia dell' Uomo:: Il sistema
d'Empedocle sulla natura fu chimico; così chimiche del pari furono le sue prime
ricerche sull'uomo. Comincio egli a esaminar questo nelle sue parti, e quanto
più allor si potèa, ne imprese an cora l'analisi. La carne, ei dicea è coma
posta di parti eguali di ciascun de' quattro elementi. Di due parti eguali di
fuoco e di terra sono formati i nervi, e le unghie son similmente nervi
raffreddati dall'aria (64). Otto furon le parti, ch'ei distinse nelle os 1 82
sa: due di terra, altrettante di acqua, e quattro di fuoco (65). Se non si
corresse un qualche pericolo di travedere, chi non direbbe aver lui trovato
l'ossa abbondare di fuoco, perchè abbondan di fosforo? Ma che che ne sia, non
v'ha dubbio, aver lui dato principio con sì fatte analisi a un novello rano di
chimica · Ramo, che dopo Empedocle fu del tutto posto in non cale: ma che oggi,
attesa la sua grand' utiltà con ardor si coltiva, e che va sempre più
smisuratamente crescendo sotto il nome di chimica de corpi organizzati:
Erasistrato, Herofilo, Serapione fu ron tra ' Greci, che s ' applicarono con
som mo studio all' Anatomia. Ma innanzi a co storo, vinti gli errori della
religione e de' tempi, aveano cominciato a coltivarla De mocrito in Abdera, ed
Empedocle in Ger genti. Descrive quest'ultimo la spina del dorso, e tienla,
come di fatto è, non ' altri menti che la carena del corpo umano (66 ).
Distingue egli di più inspirazione da espi razione mostra i canali per cui si
re r 83 spira dalle narici (67 ). Ricerca egli inti ne l'organo del sentire, e
trapassando il neato uditorio, discopre quella parte dell' udito, che attesa la
sua forma torta e spi rale, chiamò egli allora, e chiamasi anco ra la
chiocciola (68 ). Questo è il poco a vanzo delle sue cognizioni anatomiche, che
per sorte sono arrivate sino a noi. Ma que sto stesso poco mostra il suo gran
sapere in questa scienza. Un gran pezzo di capi tello o di bảse', il rottape d
' una colon na, o pilastro, bastan sovente a indicar e la magnificenza di un
edificio, e la perizia di un architetto. La sola scoverta della chiocciola
dimostra assai meglio, che non fecero ' gli antichi scrittori', essersi il
nostro filosofo molto avanzato nelle cose anatomi che. Questa situata in luogo
riposto dell' udito non si potea discoprir certamente se non da chi fosse stato
molto prima versa - to e perito nelle materie anatomiche. M eno scarse son
le notizie delle fun. zioni della vita e de' sensi dell’ Uomo: e che per
fortuna ci restano della fisiologia d'Empedocle. 1 84:; Il sangue umano, come
ciascun sa, sempre alto, e sempre allo stesso modo co stanțe mantiene il calore.
Ippocrate pien di maraviglia l'attribuì a cagione sovrana turale e divina.
Empedocle all'opposto eb be il calore, come cosa ingenita e conna turale al
sangue medesimo. In cid a lui s'accostarono ne' tempi d'appresso Aristoti le,
Galeno, e tanti altri, Ma egli fu il primo, che a formare un sistema, trasse
dal calore del sangue, come da prima ca gione, una spiegazione non già vera, ma
certo artificiosa, delle funzioni della vita. Le regolate, pulsazioni delle
arterie a véano gia indicato al nostro filosofo, che il muove nelle vene. Ma
igno ta era a lui ', come ignota fu all'antichi tà,, la circolazione del sangue.
Però in ve ce di questa suppose egli in quel fluido un movimento d'oscillazione.
Il sangue, ei dicea, occupa parte, e non tutta la ca vità delle vene, e in
queste va quello giul $ u continuatamente oscillando (69). La for: che lo
stesso agita, era secondo lui il sangue si za 85 calore:. e questo essendo
ingenito al san. gue costante ne mantiene e l'oscillazione e il moto. A tal
movimento legò il nostro filoso fo la respirazione, altra operazion della vi ta.
Quando il sangue, ei dicea, va giù verso il fondo de' vasi, l'aria tosto s '
insi nua ne' sottili prominenti meati delle vene, ed entrando occupa quel vano,
che nell' andare si lascia in queste da quello. Ne perciò egli aggiungea l'
aria quivị restarsi: perchè il sangue, secondo Empedocle, spin to dal calore, e
su tornando, preme dolce mente quella, e fuori la caccia col suo ri tornare (70).
Accade, seguiva egli a dire, ciò che nella clessidra si osserva (71 ).."
Ivi l' aria respinge l'acqua, o da questa quella è re spinta. Non altrimenti
nella respirazione l' aria esce o entra secondo che il sangue si porta o giù o
su nelle vene. Però all'an dare o venire del sangue risponde alter nando il
venire o andare dell'aria. Ques sta forma, entrando, l ' inspirazione; ilscen.
86. do 'l' espirazione e nell’unal e nell' altra è riposto giusta il suo
sistema il respirare d'ognuno. L'aria, che nella respirazione esce ed entra
nelle vene toglie al sangue a giu dizio d'Empedocle una porzion di calore. Ciò
indusse gli antichi medici, che abbrac ciarono tal sua opinjone, a curar
coll'aria fresca e matutina i ' morbi d'eccesivo 'calo re. Il respirar dunque
cagionava secondo il nostro filosofo diminuzion di calore. Da ciò anch'egli
iuferiva la necessità, che strin. ge gli animali a dormire. Il sonno in fat ti
egli diceva; null' altro essere, che dimi nuzion di calore. (72 ). In quella
parte quindi di fisiologia d ' Empedocle che riguarda le funzioni vitali, il
sonno vien dal respirare, e questo dall' oscillazione del sangue. Sicchè sonno,
spirazion, movimento di sangue tra lor son connessi, e tutti quanti a un tempo
dal calore provengono. Nel calore in somma e' pose la cagione di vita e di moto.
La morte (73 ), egli dicea, è privazion di ca re 87 lore però riguardava sonno
come.egli il principio di morte. Giacchè questa, a suo credere, è privazione, e
quello diminu zion di calore. Tali principj di medicina, ch'eran teorici,
guidavano lui eziandio nel la pratica. A quel piccol' calore., da noi già
osservato, che ritenea la donna Ger gentina caduta in asfissia (24) conobbe
Empedocle, ch'ella era ancor capace dell' aiuto della medicina. Tanto egli è
vero, che la sua pratica era alla sua teorica con corde, e questa per
l'andamento naturale del suo spirito era legata tutta e formava un sistema. Ecco
in qual povero stato erano allo ra l' anatomia, e la fisiologia, la fisica in
breve del corpo umano. Nuda era questa di fatti, e piena d'errori, e d'ipotesi.
Ma tale è la condizione delle fisiche discipline: Nascono esse imbecilli, a
stento s'accresco no, e vanno non di rado alla verità per la via degli errori.
A chi allor poteva vee nire in mente, che l'aria nel respirare' in luogo di
toglier calore, ñe porga al san 88 ana? gue e ne porga gran copia? Come potea
Empedocle anticipar specolando in que di tante yerità, che suppongono la
cognizion di tante altre, e d'un immenso numero di fatti, che allora
ignoravansi? Segnd e gli quindi, non v'ha alcun dubbio, po che e imperfette
linee di chimica, d' tomia; di fisiologia del corpo umano. Ma tali schizzi,
avvegnachè informi, ma co me primi, e originali, son titoli degnissimi di sua
gloria, e gli concedono un sublime posto d'onore nella storia delle scienze.
Appartiene a nobilissimi ingegni (i quali sono ben pochi ), di mostrare almen
da lon tano quelle scienze, ch'al dir di Bacone son da supplirsi, e che del
tutto s'igno rano. Empedocle fece ancor di più. Dino to egli la chiniica del
corpo umano, analiz zando gli ossi e la carne; accennò l'ana tomia discoprendo
la chiocciola; indicò la fisiologia legando al calore, come a un sol fatto, le
principali funzioni della vita. Su periore e' quindi al suo secolo non avrebbe
certamente lasciato ad altri la gloria d' ac 8 89 crescere queste utili scienze.
Ma nol poté, come chi privo fu di stromenti, e di tut. ti que' mezzi non solo
opportuni ma ancor necessari a ridurre in effetto i nuovi e và. sti disegni,
che a ora a ora a lui sugge riva il suo genio, Ma se non ebbe Empe docle la
fortuna di accrescerlo tutte, ebbe quella di stabilir meglio la fisiologia e
get tare lui il primo le basi di quell' altra parto d' essa, che riguarda i
sensi dell' uomo, Andavano i Corpuscolisti indagando 80 pra d'ogn'altro nella
lor fisiologia come i nostri organi avessero potuto sentir gli oga getti che,
son fuori di noi. Credevan co storo tutti i corpi venire in ogn’ istante in
alterazione, cangiare, ed esalare particel le sottili, e invisibili. Eran
queste, sécon do loro, trasportate dall'aria, dall' acqua, dal fuoco su nostri
organi, e ivi adatta te eccitavan le sensazioni di que'corpi, da quali esse
spiccavansi. Piacque quindi a costoro le sensazioni null' altro essere, che
impressioni eccitate negli organi da particel m go le, che si parton dagli
oggetti, di cui quel le son, come quasi le immagini. Empedocle intanto non
dissenti mica da loro. Ma il suo spirito, come quello che non erane certo, non
se ne mostrava del tutto convinto. Messosi costui quindi a esaminare i sensi a
uno a uno, adatto a ciascun di loro la sua propia e particolare spiegazione.
Fece egli così un'analisi de' sensi e sensazioni più profonda, che sin ' al
lora non s'era punto fatta d'alcuno. Ma quel ch'è più aperto egli dimostrò non
es ser lui punto ne' suoi pensamenti nè se. guace, nè schiavo delle comuni e
dominan ti opinioni. Giacchè egli nel chiarir questo o quel senso ora abbandona
i corpuscoli, or recali innanzi, o ora aggiunge agli stes si qualche nuovo
argomento. Trattando Empedocle dell' odorato, e del gusto non altro mette in
opera, ch'e salazioni, e corpuscoli. Questi, agli dice, trasportati dall'aria s
' acconciano a ' pori del naso, e muovono il sentir dell' odorato. I cani, ei
soggiunge, cosi e non altrimenti 91 indagan futando l'orme della fiera, Che se
il catarro, dice egli di più, irrigidisce le narici; allora i pori di questo
tosto s ' alterano, si respira a stento, e l'odor non si sente (75 ). Tratta
egli appresso dell'udito, e la sciati e pori, e corpuscoli, piglia dall'ana
tomia il suo nuovo argomento. L'udito, ei dice, nasce dalla battitura dell'
aria nel la parte dell'orecchia, la quale a guisa di chiocciola è torta in giro,
stando essa so spesa dentro, e come un sonaglio percossa. L'anatomia, ch'era
allor grossolana piccol conforto a lui porse nel dichiarare la vista. Conobbe
Empedocle un de' tre umori, ch'è l' aqueo, e qualche membra na, senza più, di
quelle, che coprono il globo visivo. Però sfornito dell' ajuto dell' anatomia
era egli dubbio e incerto. Em pedocle nondimeno giunse a comprendere dover la
luce avere gran parte nella visio ne degli occhi. Ma come, e perchè, per quanto
si fosse ei travagliato, nol potè af fatto conoscere. 1 m 2 92 Suppone il
nostro filosofo entro dell' occhio, non che, acqua, ma luce, che chia ma fuoco
nativo. L'una, e l'altra a suo credere, ivi stanno in tal quantità, che per lo
più sono ineguali. Così egli distingue gli occhi azzurri da' neri. Iprimi egli
af ferma abbondar di fuoco, scarseggiare d ' acqua; là dove i secondi esser
poveri di fuoco s ricchissimi d’aequa (76). Però ei soggiunge gli uni mal
veggon di notte per difetto di acqua; e gli altri veggon male di giorno per
iscarsezza di fuoco (77). Ma sía o poca, ó molta la luce che stanzia
nell'occhio, ei la riguarda qual lu me dentro una lanterna. Lo splendore del
lume, ei dice., fuori della lanterna si span de, e nella notte ci guida. Così i
raggi di luce fuori dell' occhio si spargono,.e ci di mostran gli oggetti.
Empedocle talora aga giunge a raggi della luce i corpuscoli. I raggi secondo
lui, che dall'occhio si lancia no, prima s' imbattono nelle particelle, che si
spiccan da corpi. Poi raggi e corpusco li si congiungono giusta il medesimo: e
93 insiene congiunti si portano all'occhio, e muovono il senso visivo (78).
Aristotile disapprova tali pensamenti d'Empedocle. La visione degli ocohi, egli
dice, è da riſerirsi solamente all'acqua, e niente al fuoco (79 ). Nella storia
dello spirito umano accade sovente, che un er rore un altro ne " caccia, e
' l falso al falso di mano in mano succeda. Aristotile oltrº a ciò rimprovera
il nostro filosofo, che dub. bio egli e incerto abbia, fatto cagion del vedere
ora i raggi uniti a' corpuscoli, e.o ra i soli corpuscoli (80). Ma in ciò sem
bra Aristotile a torto riprendere Empedocle. Non sapea persuadersi il nostro
Gergen tino, che totalmente passiva fosse la se de del senso visivo. Non potea
egli inol tre comprendere, che niuna parte avesse la luce nel gran magistero
del nostro vedere. Incerto restò quindi di se, di sue idee, e delle spiegazioni
volgari; ma tale incertez. za o quanto onore a lui reca ! Dubitar del le
opinioni, che son false, e in voga, è il primo ma più difficil passo, che si
può fare verso del vero. 94 La fisiologia, che va a di nostri spa ziando per
tutte le scienze, comunica ezian. dio colla metafisica e colla morale. Quest'
unione, ch'è il frutto naturale dell'avan zamento delle scienze, fu dirò così
presen tita dal nostro Gergentino. E di fatto sul la sodissima base della
fisiologia cercò egli stabilire si l'una, che l' altra. Da che Pittagora, e
Parmenide ab bandonarono i priini la testimonianza de' sensi, come ingannevole,
i Greci tenzona chi contro la ragione, chi contro i sensi. Questi, è quella
vennero quindi in discredito: 6 sorsero intanto i sofisti, e gli scettici.
Socrate, Ippocrate', e altri di si mil sorte tentaron conciliar la ragione co '
sensi. Ma vani furono i loro sforzi. Duro la gran lite durante la Greca
filosofia. La stessa rinacque al rinascer tra noi delle scienze. Di nuovo si
pugnò allor quando contro i sensi, quando contro la ragione; e di nuovo si
giunse allo scetticismo. Ma nggi simili dispute sono già state bandite da noi;
e si terran lontane, finchè lo studio rono, 95 delle fisiche, e delle
Matematiche avrà in Europa stato, e onore. Ne' tempi d'Empedocle la scuola d '
Eléa orgogliosa facea ogni sforzo ad atter rare i sensi, e a inalzar la ragione.
Cid ch'è, dicevan gli Eleatici, è unico, eter no, immutabile. E come i sensi ci
mostra no il multiplo, il mortale, il mutabile; co sì essi c' ingannano. Però
conchiudean co storo la ragione poter sola conoscere cid, che è, ed essa
solamente decidere della realtà delle cose. Contro i medesimi entrarono in
lizza i corpuscolisti. Questi disdegnando lo sotti. gliezze di quella scuola,
fisici com'erano, difesero i sensi, senza annullar la ragione. Anagsagora con
sottile avvedimento distinse le particelle simili da ' loro composti; Demo
crito gli atomi da' loro aggregati: ed Enia pedocle gli elementi dalle lor
combinazioni. Particelle simili, atomi, elementi, dicean costoro, sono eterni,
immutabili. Non son tali le combinazioni, gli aggregati, i com posti, che
mancano, e cangiano. Questi 96 si conoscon da’sēnsi, quelli dalla ragione.
Eglino quindi tolsero ogni contrasto tra' sen si, e ragione: assegnando a
questa, e a quelli due provincie del tutto separate, e distinte. I corpi, come
composti, operano a senno d'Empedocle, e di Democrito su i nostri organi, che
sono del pari composti. Eccitano quelli le nostre sensazioni; ma queste a parer
d' entrambi non son tali, che i corpi, La'scuola di Jonia avea tal mente
confuso le sensazioni cogli oggetti, che scambiava questi con quelle, e tenea
le" une, non altrimenti, che immagini fe delissime degli altri. Non così
pensarono i Corpuscolisti. Questi separarono, dirò co si, le sensazioni dagli
oggetti, che le ca gionano; è muovono, ed ebbero quelle, come soli, e semplici
modi, quali di fatto sono, del nostro sentire. Il bianco o il ne ro, il caldo o
il freddo, l'amaro o il dol ce esistono, diceano essi, ne' nostri organi, nelle
nostre sensazioni, e non già negli ogo getti. Costoro quindi solean chiamare co
1 97 1. eglia gnizioni, di apparenza, e di opinione, e non gia di verità, e di
realtà quelle, che si traggon da' sensi. Ma non perciò credea Empedocle, co me
alcuni vogliono, le nostre sensazioni es sere immaginarie. Cangiano queste,
vero, secondo che a lui piaeque, come can gia lo stato de' corpi, o come s’
înmuta la disposizione degli organi. Ma vero, e reale è altresì il sentimento,
che si desta da' cor pi. Tal' è della sua dottrina, al pari di quella di Newton
intorno a colori. Vege giamo ne' corpi o rosso, o giallo. Ma ne i raggi di luce,
che percuoton l'occhio, sono o rossi o gialli; ne' rossi ne' gialli so no i
corpi, che que' raggi colorano. Il ros ò il giallo è in somma nell'occhio, e
nell'impressione, che in esso fanno i rag gi di luce: Così a creder d'Empedocle
le sensazioni sono reali. Ma le medesime non rappresentan mai le qualità, che
ne' corpi appariscono; null'altro essendo, che altret tanti modi del nostro
sentire, Diversa da quella de sensi, credeano SO, n 98. E 1. i corpuscolisti,
esser la via, con cui s'ac quista da noi la conoscenza degli elemen ti, o degli
atomi. Questi non si poteano secondo loro, come semplici, conoscer da' sensi,
che sono composti. Ogni simile, era antico assioma, non si può conoscere, non
col suo simile. Però Democrito ed Empedocle, tolta a' sensi la cognizione de'
sempliei, la riservarono all'anima. Per questo l'anima, giusta Democrito, era
for mata d'atomi; e secondo Empedocle degli elementi, ma uniti alle due forze
di amo. re, e di odio. Colla terra, dicea il Ger gentino, veggiamo la terra, r
acqua coll' acqua, l ' aria coll' dria, il fuoco col fuo co; e coll' odio e
l'amore altresì l' odio, e l'amore: Empedocle portava, dove potea, l'oc chio
alla fisica costruzione del corpo uma mo, e dava alle sue opinioni una veduta
anatomica. Credetto ei di veder nel cuo. re umano un centro, diciam così, di
siste ma; e ivi egli pose la sede dell'anima. Ma come Empedocle in tutto, e
sempre 99 era concorde a sestesso, cosi loco quella particolarmente nel sangue,
che asperger e bagna il cuore dell' uomo (81 ). Perchè ripostosi da lui il
principio e di moto, e di vita nel calore del sangue, li ancor e gli dovea
ripor l’anima; Era questa dota ta, a suo credere, di sentimento al pari de'
sensi. Ma ambidue ricevevano le loro impressioni: l'anima dagli elementi i sen
si dalle combinazioni. L' una acquistava la cognizione delle cose eterne, e
immutabili, e gli altri la notizia delle mortali, e mu tabili. I corpi esterni
in somma oporavan sulla macchina dell' uomo in due modi di versi: come elementi
sull'anima, come com binazioni su i sensi: e quella & questi e ran passivi.
Nacque da ciò, che Protagora, lo scoo ' lar di Democrito, portð opinione:
l'intel letto altro non esser che la facoltà di sen è nelle sensazioni stare
ogni cogni zione, e scienza: Per questo Crizia, qua si accostandosi al nostro
filosofo, affermo, pensare esser lo stesso che il sentire tire, e 1 ni 2.' 100
anima stanziarsi nel sangue. Ma Empedo. çle non si fermè quì al par di costoro:
passò molto innanzi. A parte dell' anima, che conosce gli elementi, un altra ne
sup pose egli entro noi, che è destinata a ver sarsi nella contemplazion delle
cose intellet. tuali e divine. Iddio secondo lui, non è una combi nazione a
guisa de corpi; ne un unità ma teriale cone son gli elementi. Dio, egli dice,
non ha forma nè membra umane; non si può veder cogli occhi, nè toccar col. le
mani. Iddio è santa mente, Costui non si può render colle parole, e muove l'uni
verso co' suoi veloci pensieri. Iddio in sostan za per lus è mente, e la sua
vita è il pensare. Così il nostro filosofo abbandona va la compagnia di
Domocrito, e le cose materiali: per tornare a Pittagora, e alle cose,
intellettuali. ins. L'anima dunque, destinata da Em. pedocle a conoscer cose
spirituali, e divine, dovea essere, e fu per lui altresì senza dubbio
spirituale, e divina. Questa proce. 101 dea, secondo che dicevano Empedocle, e
i Pittagorici, da Dio, ed era particella del la sostanza divina. Se ne
appresentavano essi la ġenerazione sotto varie immagini: or di fiaccola, che
tante altre ne accende; or d'idea che tante altre no genera; or di parola, che
trasmette à chi ascolta, la ragion di chi parla: o di cose simili, che sarebbe
lungo il ridirle: Però paghi que' filosofi di esse agevolmente popolarono il
mondo d' innumerabili spiriti, che tutti e. ran partecipi della natura divina.
Di questa classe prese dirò così il nos,. stro filosofo le anime spirituali. Le
due a: nime, quindi annesse da lui nel corpo dell' uomo forman la primaria base
di sua me tafisica dottriną. Una egli sostenne essero immateriale, materiale l'
altra, ' quella ese sere immortale ed eterna, e questa mori re insieme col
corpo: la primą versarsi in contemplazion di cose intellettuali, e astrat te; e
la seconda in cognizione di elemen ti, e di due forze odio, e amore.. Ma non
mancherà çerto, cui si fatta 102 opinion di dire anime in ciascun corpo di o
gn' uomo semibri del tutto strana, e inde gna della gravità d'un filosofo: Ma
chi al tresì avea ' manifestato allora, é chi fin' og. gi ci ha detto cose più
vere, o più sapien. ti sull' union dell'anima col corpo, e sul reciproco loro
influsso, e commercio? Chi presi di boria, annullato lo spirito, tutto riducono
a macchina. Protagora volea, che giudicare, e ragionare fosse la stessa
facol. tà del sentire. Ma questa è un'empietà; una mattezza. Tal la dimostrano
l' unità del pensiero, e l'attività del ragionare dell' uomo. Taglián costoro,
come suol dirsi, non isciolgono il nodo. Chi presi d' entusias mo, annullato
dirò così il sistema organi co, tutto l' uomo riducono a spirito. Stahl volea,
che l'anima sola operava tutte quan te le funzioni del corpo. Ma questa è u• na
falsità, e una follia. Talla dimostra: no i movimenti involontarj, e organici.
Vo glion costoro, como suol dirsi, occultare il sol colla rete. Chi poco più
'ragionevoli, pigliata una via di mozzo, vollero.combi. 103 nare ambidue le
forze dell'anima, e del corpo. Leibnitz volea un'armonia prestabi lita, cui
mercè lo spirito segua ne' pensie ri, voleri i moti del corpo, cui quegli è congiunto:
Ma questa è una ciancia, è una fola più complicata della cosa stessa, che si
vuole spiegare.. Lo spirito umano in somma ha immaginato tante ipotesi su ciò,
tanto più, o meno bizzarre, quanto più o meno son le. teste scaldate di tutti
filosofi. Nè vi è inoltre mai stata ipotesi, che tosto non sia stata accolta, e
non ab hia avuto assai partigiani: tanto vale quel la specie di prestigio, che
la novità ope ra sull’intendimento dell'uomo ! Qual ma raviglia dunque, ch’
Empedocle abbia sup posto in ogni corpo due anime? Non fu egli certo nè tanto
delirante, quanto Pro tagora, tutto macchina; nè tanto immagi nario quanto
Ştahl, tutto spirito; nè cost fantastico qual Leibnitz tutto armonia pri
initiva. Dichiarò egli a. rincontro della falsa dottrina di Protagora, che le
idee spirituali non procedono dal sentire. Svi 104 luppò anzi tempo contro
Stahl le funzioni de' nostri organi, e quelle della vita con fisiologiche
ipotesi non di rado fondate sull' anatomia.. Prevenne Empedocle alla fine l'
erroneo sisteina di Leibnitz, e i sensi, dis se, e le sensazioni esser capaci
di eccitar nell'anima la ricordanza di ciò, che prinia el!a sa, e poscia., atteso
il contatto colla materia, la stessa del tutto dimentica. Non è quindi
Empedocle colla ipotesi delle due anime o men ragionevole, o più strano di
tutti i filosofanti, che sono stati finora. E ' da confessare che il problema
intorno alla reciproca azion dell'anima sul corpo forse appartenga alla classe
di quelli, che vincono qualunque intendimento dell' uo-. mo. Però non si sono
recate da noi, ne' si recheran per lo innanzi, che ipotesi, e sogni, che il
tempo, il quale suol confer mare i soli, e veri giudizi della natura andrà a
mano a mano struggendo. Non è già, che queste due anime', che noi leggiamo
presso molti degli antichi, e sopra ogn'altro' de' Pittagorici, sieno da 105 na,
prendersi secondo la lettera. Intendean co storo distinguere il sensibile e
l'intellettuale: due maniere di facoltà, che sono entro l' uomo. Ma adombrarono
essi, come ' era u sanza d'allora, sotto vive impagini quelle facoltà, o,
diciam cosi, fecero le medesime divenire persona. Empedocle di fatto secon do
la testimonianza di Sesto Empirico d ' ambidue quelle facoltà compose la sola
ra. gione. Questa, egli dice; è in parte uma in parte divina, e porta il nome
di retta ragione (82 ). Perchè questa corrego ge gli errori de'sensi, e può
sola discer nere il vero dal falso. Tanto egli è vero che le due anime
d'Empedocle, non rape presentavano, che la facoltà sensibile e la facoltà
intellettuale, e ambidue faceano u. na cosa sola. Chi potrà or tolerare
Empedocle cole locato tra la classe de' filosofi scettici (83). Egli non mai
affermd essere inutile, o va« na la testimonianza de' sensi. Apzi i sensi, egli
disse, mostrarci i rapporti, che han. no i corpi, e tra loro, e coll' individuo
d'. 106 ognuno. I sensi, egli disse del pari, sve. gliare nelle intellettuali
facoltà le idee spi rituali, e, astratte. Al più al più diffida va Empedocle
de' giudizi de' sensi, che so vente sogliono esser fallaci, o ingannevoli. Però
egli volle, che i medesimi fossero sta. ti guidati unicamente dalla retta
ragione. Questa potea solo a sentimento di lui discer nére il falso dal vero.
Forse, dicea ai suoi tempi Cicerone parlando d'Empedocle, costui ci acceca, e
ci priva de' sensi; allor quan do egli crede, che non fosse in essi gran forza
per giudicar di cose, che sieno sot toposte agli stessi (84)? Par, egli è vero,
Empedocle degli e lementi trattando, quali esseri semplici, ga gliardamente
scatenarsi contro de'sensi. Par lui scatenarsi altresi contro gli stessi, allor
ehé, dirizzandosi al suo amico Pausania, e con lui trattando dell'amore e dell'
odio, ambidue forze immutabili, gli avverte a non fidarsi.de' sensi, e a
guardar le cose non già cogli occhi del corpo, ma con que' della mente. Pare
eziandio finalmente, giue 107 sta cid, che., Cicerone ine dice, lui andare in
furia, contro i medesimi gridando: niuna cosa poter noi nè veder, nè sentir,
ne.co noscere (85 ): Ma altri, che questi 'argomenti ci vo gliono a definire
come scettico il nostro fi losofo. Chi è intento a esperienze e ad a nalisi;
chi cerca con somina cura de' fat ti; chi da questi tenta d'investigare l'ope
razioni della natura sotto la guida dell' a nalogia: certamente non sa, nè può
esse re scettico. I fisici potranno non prender cura di cose spirituali, e
astratte; ma non mai l'esistenza negar di que' corpi, le cui propietà con
ardore cercano, e la cui in dole con diligenza studiano. L' espres sioni quindi
di quelle parole, non v'è dubbio ' dover valutarsi secondo e il pen sare, e il
parlare di quella stagione. Si chiamava allora pero, e ciò che è; quel ch' è
eterno, e immutabile, o sia quello, che sotto i sensi non cade: Però Empedo cle
a ragione parlando di elementi, e di farze, come quelli, che sono eterni e im 0
2. 108 1 mutabili, rigettd affatto i sensi: @ niuna cosa noi, disse, mercè loro
potere o ve dere, o sentire, o conoscere. Fra tanto, chi il crederebbe? che nel
volersi definire il carattere, o la dottrina d'uno stesso soggetto, si passi
anche da' gran filosofi da uno all' altro estremo del tutto contrario. Anche i
grandi uomini tal. volta precipitano i loro giudizi, e nel pre: cipitarli
·traveggono. E' cosa da farci stor: dire il sapere, che la dove alcuni filosofi
dichiaravano scettico Empedocle; altri all! opposto avessero lui materialista
definito, Aristotile, e altri con lui tacciano di ma: terialismo il nostro
Gergentino. Nel siste ma d'Empedocle il pensare, dico Aristoti le, lo stesso
val che il sentire; ogni nostra cogaizione viene dalle sensazioni: e con que:
ste quella s' accresce (86). Ma questo stesso è altresì una calunnia. Passivi
sono, 4. senno d'Empedocle, i nostri sepsi; pas siva è parimenté una di quelle
due ani me, ch'egli suppone materiale entro noi. Pero la nostra scienza, disse
egli, accre. 109 scersi colle nostre sensazioni. Ma dall' una anima e
dall'altra, dalle facoltà cioè sen. sibile, e intellettuale, si forma, come a
lui piacque, quella ragiono, che noi già abbiamo osservato. Questa, secondo
'lui, pesa, compara, giudica: in breve ragiona. Due sono i principj, giusta gli
avanzi di sua filosofia, cui mercè la ragione rettifica i giudizi de' sensi.
Primo: il nulla viene unicamente dal nulla. Secondo: il simile si può solamente
conoscer col simile. La ra gione quindi secondo lui, riferisce le sens sazioni
a tali, e ad altri principj (se pur altri ne avesse ammesso costui ), o coll'
ajuto di questi quella ci mostra il roro. @ il falso. Poteva, cio posto, tal
essere lui, qual co lo dipinge Aristotile, un materia. lista? Chi ammette
principi di conoscere; di giudicare, assoluti, non ricavati da' sen. si, eterni,
immutabili non può affatto cre dere, che il pensare lo stesso sia che il
sentire, nè punto può essere imputato co stui di materialismo. Non v'è uomo,
quanto si voglia grana. de, che non abbia i suoi nei; e anche i gran genj sono
soggetti sovente a censure. Si dice d’Empedocle in metafisica non essere stato
lui originale. Convien forse ora smen tire tal voce? Nulla meno. Si bisogna
esse re ingenuo; nè l'amor di colui, ehe si loda dee sì impaniarci, che ci
debba far supera: re l'amore del.vero. Si confessi pure Em. pedocle, al par de'
corpuscolisti, in metafi sica non essere stato mai originale. Empe docle qnal
allievo de' pitta gorici, e degli e leatici non seppe abbandonar punto le idee
da lui apprese in ambidue quelle scuole. La stessa venerazione egli ritenne,
che ave van costoro verso i principj astratti, Si diparti egli sol da' medesimi
(e co si avvicinossi alle scuole contrarie ' ) nel non aver lui rigettato del
tutto la testimonian za de sensi. Egli in que' dì si sforzo di sedare colla sua
nuova dottrina l'accesa pu gna di que', che litigavano chi contro del, la
ragione, chi contro de' sensi. Combind egli, e mirabilmente congiunse i sensi
cola la ragione, a questa, e a quelli assegno 111 - uffizj, e diritti separati
e distinti: e sen za nulla scemare dalla realtà di nostre sen sazioni, gran
forza, e autorità diede a prin. cipj generali; e astratti: Tutti i corpusco
listi furono in quella stagione eziandio, chi più, chi meno concordi al nostro
filosofo; e tutti egualmente in metafica tennero le parti di conciliatori tra i
due partiti allor dominanti. Tal'è la natura dello spirito u mano. Fatica egli
senza stancarsi, e riflet te anche sino al cavillo, quando è sospin to
dall'ardor del partito, e dall' amor del sistema ! Ma poi stanco ei di meditare,
o pugnare, cerca la quiete, e 'l riposo; e componendo insieme le opinioni
contrarie si lusinga d'aver trovato gia il vero. Avven ne allora in somma ciò,
che la storia filo sofica ci presenta a ogni passo. Sempre dall'urto. di due
opposti sistemi n' è il ter zo spuntato, che li ha conciliato, giunto. Anzi
quando molti in contrasto so no i sistemi; allora è appunto, che sorgon gli
ecclettici, che scegliendo opinioni, or da un partigiano, orda un altro, tutti
con accozzano i partiti tra loro, e li riducono & uno. Sarebbe tempo ora
mai di volgerci dalla metafisica alla morale d'Empedocle. Ma portatesi assai
più avanti da lui le sue ricerche, e le sue vedute sull'anima, di storna noi
pure per ora d'imprender tal via. La fisica (abbiam noi osservato espo nendo la
dottrina d’Empedocle ), essere stata quella scienza, in cui ei sopra ognº altro
si distinse, e cui mercè alto ha so nato, e sonerà eternamente il nome di
lui. Mà nello studio della natura quello, che più l'allettava, e cui
principalmente egli intendeva, era la contemplazione de' corpi organizzati.
Riferi egli da prima (sic. come abbiam noi pure os servato ), gli a.
nimali a ' vegetabili, e da questi portando le sue specolazioni sull' uomo
giunse sino alla metafisica. Dall' uomo poi tornò Em pedocle ad ambidue quegli
oggetti quasi al le sue considerazioni primjere,e domesti che · Ando egli
indagando, se i vegetabili fossero stati provveduti di gentimento, e se 113 gli
animali e vegetabili fossero stati tutti due al par dell'uomo forniti di anima.
Si fatta investigazione non fu punto difficile al nostro filosofo, come chi
piglia va l'analogia per sua guida. I corpi non organizzati, egli dicea, nulla
hañ di comu ne co' vegetabili; perd se quelli son privi di senso, questi
all'incontro nę debbono esser partecipi. I vegetabili all'opposto, ei
sogglungea, molto aver di comune cogli a nimali (87 ). Ambidue han tra loro
comu. ni le primarie funzioni vitali: son dotati di sesso, si nutriscono,
crescono, traspira ban gioventù, han yeochiezza, han no indozzamenti, malattie,
sanità, nasco no, muojono. Però se gli animali son for niti di sentimento,
anche i vegetabili in ciò debbono essere a quelli compagni. Fu quindi sua
opinione essere gli alberi, 6 le piante capaci di tristezza, di gaudio, di
voluttà, di dolore, di desiderio, di sde gno; e di ogn'altro animalesco
appetito (88). Anzi spingendo egli più oltre la forza di sua analogia, posti
eguali i fisici rapporti > P 114 1 tra l'uomo, e gli animali, e tra questi e
i vegetabili, fu di parere, che l' avere un'anima materiale non fosse un
privilegio sol conceduto all' umana natura, ma comu ne eziandio a tutti quanti
i corpi organiz zati. Anima quindi, e sentimento egli die de, non che agli
animali; ma anima e sentimento altresì a ' vegetabili, e a ogni sorte d'erbe, e
di piante (89 ). Anima e sentimento diede Empedocle a ' vegetabili ! fiori che
si rattristano; erbe che si adirano; pianto, che ' o si rallegra no o piangono
! Quanti, non che qual fan. tastico piglieranno il nostro filosofo, ma ne
rideranno ancora al sentirlo? Ma non rideranno certo, chi più sag. gi e più
istrutti, non ignorano punto, che anche i Democriti, gli Anassagori, i Pla toni
abbracciaron si fatta sentenza (90 ). La quale non è già, che faccia a lui ono
re, perchè, abbia in cið avuto e compagni, e seguaci così solenni filosofi. Ciò
sarebbe un argomento d'autorità, che nulla, o po co conchiuderebbe in suo pro:
perchè filo-, 115 sofi ' ancor di gran nome stan sottoposti a errori grossolani,
e massicci. E' che la co sa non è in se stessa sì strana; come a pri ma vista
apparisce. L'anima materiale da que' gran filosofi negli animali, e vegetabi li
ammesza, in sostanza altro non era, che la fisica sensibilità de' moderni.
Questa vole van costoro, che fosse ne' vegetabili tal qua le tra gli animali si
trova: In virtù di que sta ', credevan gli stessi, i vegetabili al par degli
animali ésser capaci d'amore, odio, e d'ogn' altro animalesco appetito. Empe
docle in breve, e que gran filosofi ebbero e uomini, e bruti, e vegetabili come
do tati di senso, e la fisica lor sensibilità chia marono anima. Chi adesso
potrà dirittaa mente riprendere Empedocle? Di poi non vi sono a di nostri de '
fi siologisti famosi, che nelle piante trovano senso d' umido, di secco, di
caldo, di fred do, di luce, di tenebre; perchè non po che di quelle chiudono o
aprono i loro pe tali atteso il freddo o il caldo, il secco o l' umido, il lune
o lo scuro? Non vi soa P 2 116 no del pari quelli, che veggon nelle pian. te,
chi il senso del tatto, come nella sen sitiva; chi quel dell' amore, come nella
valisneria, chi una specie di gusto nell'e. stremità d'ogni radice, cui mercè
questa sceglio, e trae quella nutrizione, che si con. viene a ciascuna? Non son
finalmente o Darwin e le Metherie, che van cercando, é credono d'aver già
trovato ne' vegetabili e senso, o sensorio? Qual assurdo egli è dunque, se
Empedocle, che ne' suoi con cetti abbracciava tutta la natura, abbia u. nito
insieme tutti i corpi organizzati per via della fisica sensibilità, che credea
essere a quelli comtine? La natura, non v'è dub bio, aver distinto, e separato
il vegetabile dall' anirnale con differenze, e caratteri ben contrassegnati, e
rivissimi. Ma l' estendere la sensibilità dagli animali sino alle piante è una
idea grande, bella, e degna di un sommo filosofo. Non v'è, chi a prima vi sta
non ne debba restar preso, e non bra mi trovar vera quella, che vera sin ora
non è. 117 Ma comunque ciò sia, una cosa ' solit è verissima, Empedocle aver
riguardato i corpi organici in un aspetto diverso di quel, che fece Pittagora,
o i filosofi prima di lui. Costoro non ebbero nè pure in pen siero di
considerar le piante, di bruti, come dotati di sentimento, e di anima,
Empedocle fu il primo, almen tra pittagori ci, a pensare in tal modo. Egli fu,
cho ebbe e uomini, e bruti, e piante, quali esseri congiunti tra loro dalla
sensibilità, come quasi comune strettissimo vincolo, o che suppose in tutti un'
anima materiala egualmente. Però egli fu anche il primo, che strinse l'uomo
colle piante, o co ' brus ti ad alquanti sognati doveri, che nasco Ro da quella
ideata parentela, con cui e gli legò quello con questi. Ecco ora come chiaro si
vede su qual base vada a poggiar la morale d'Empedo cle. Sulla fisica fondo ei
la sua, metafisia ca, e su quella fondd egli ancora gran parte di quest'altra
scienza. Con si fatte vedute costui pubblico due gran poemi sul. Ii8 la natura
il primo, e gulle purgazioni il secondo. In questo Empedocle stabilì la sua
etiça; in quello la fisica: ma fece precede re il primo al secondo, come
argomento pri mario della sua raffinata morale. La morale d'Empedocle fu in
verità nel suo fondo la stessa di Pittagora. Pu re lni citano gli antichi
scrittori, come chi. avesse alterato la prima antica dottrina di quel sommo
filosofo, e i tempi di lui ad ditano come la seconda epoca del pittago ricisino.
Ma ciò avvenne, perchè Empedo cle, aggiustata la morale di Pittagora a suo modo,
e conforme al suo fisico pensa rė gi scostò al quanto dagl' insegnamenti di lui.
La colpa degli spiriti; una diversa maniera di metémpsicosi: l'astinenza di
qualche sorta di cibo, furono in tutto le gran novità, ch'egli introdusse nel
corpo della morale di quello. Tra queste come principale, e primaria è da
reputarsi l'o pinion della colpa degli spiriti. Non d ' al tra fonte, che da
questa, qual prima ca. il.119 gione, il nostro filosofo fece dipendere la
metempsicosi e le purificazioni, che sono i due çardini della morale
pittagorica. Fu opinione d'Empedocle, che varj spiriti, mentre menavano yita
beata, avesser pec: cato. Però a cagion di delitto, si credet te da lui, quelli,
scacciati dal cielo, e pri vi degli onori divini, essere stati così astret ti
ad espiare i lor falli. Esuli, erranti, ra minghi, egli diceva, vanno lungi dal
cie lo per trenta mila anni, e pagan vagando il fio meritato del propio loro
delitto. L' etere quindi, e' soggiungea, precipita gli spiriti nel mare, il
mare sulla terra gli sbalza, la terra gli sospinge nell'aria, l ' aria sino
all' etere gl' inalza. A quelli sų giù sospinti perciò, e quà e la circolando
risospinti, oyunque era d'uopo in mare, in aria, in terra vivere in miseria e
in lutto. Tali spiriti, secondo che piacque a costui, andavan successivamente
informan do varj corpi, e questi appunto erano le infelici anime degli uomini.
Queste quindi 120 ta stavano in pena delle lor colpe racchius e ne' corpi; i
corpi eran le prigioni delle ani me, e la matempsicosi, di cui Empedocle formo
il primo cardine di sua morale, giu ata il parer del medesimo, era una pena
delle stesse, ch'aveano prima fallato. Di si fatta reità delle anime che ragion
fa della metempsicosi, non si trova vestigio alcuno presso que' filosofi, che
furono in nanti d ' Empedocle. Questa per la prima volta si legge ne' versi di
lui. Ai suoi tem pi fu, che la medesima divenne comune, o volgare: e Platono
dopo fu quello, che l' abbelli sopra ogn' altro. Pero da Empe docle comincia
una nuova età del pittago ricismo; perchè da lui comincia l'opinione della
fallenza delle anime, qual base e ra gione della trasmigrazion delle stesse.
Egli è vero, la metempsicosi, comu ne a pittagorici, essere stata antichissima
presso gli Egizi (91 ). Non si dubita ne anche aver costoro diviso in più
periodi il tempo della trasmigrazion dalle anime, assegnato a ciascuno la durata
di tre mila 121 anni. In ogni periodo, credeano i medesi mi ogni anima,
informato prima solamen te il corpo di un uomo, andar poi tratto tratto
passando non più ne' corpi d' altri uomini, ma di qualunque animale,. che abita
o l' aria, o il mare, o la terra. E' vero altresì tal dottrina essere stata
dall' Egitto portata da Pittagora presso de' Gre ci (92 ). Non si dubita nè
pure i Greci filosofi coll' andar del tempo averla molto alterata. Altri
restrinsero la metempsicosi ai soli corpi umani, altri pari agli Egizj ľ1°.
estesero dagli uomini ai bruti. Vi fu pa. rimente, chi disse que periodi esseri
tre, chi dieci, chi nove. Nè mancavan di quei, che ridussėro la durata d'ogni
periodo da tre mila a soli mille anni. Empedocle fra tanto afferind il nume ro
di que' periodi esser dieci, e la durata di ciascuno di tre mila anni. Ma l '
anime secondo lui migravano in ognuno di que' periodi in ogni sola volta nel
corpo d'un uomo, e in tutto il resto a ' finire il cir colo di ciascun degli
stessi, andavano mion 122 1 che ne' bruti, ma eziandio nelle piante. Fui
fanciullo, dicea Empedocle, fui don zella, augello, albero, pesce. Chi è or,
che non vegga esser questa un altra delle alterazioni recate da costui alla
metempsi cosi di Pittagora, e degli Egiziani? Questi la voleano solamente negli
uomini, o ne' bruti. Empedocle agli uomini, e a ' bruti aggiunse la
trasmigrazione ancor nelle pian te (93 ): Ma non si creda mica, che tale ag
giunta d'Empedocle alla dottrina della me tempsicosi di Pittagora, e degli
Egiziani, fosse stata in lui l'opera del capriccio, o del caso. Sarebbe cid
indegno di un nuo vo, ' e original pensatore. Chi si risovviene del fisico
sistema del primo, conosce che si dovea far certamente quest' alterazione
notabile alla metempsicosi del secondo, Gia si sa aver avuto Empedocle le
piante, al par degli animali, dotate di sentimento, o d'anima materiale. Ma non
così aveano pensato nè Pittagora, nè gli Egiziani. Pero quegli fece passar le
anime e dagli uomi 1 123 ni, e da bruti alle piante, e questi cre dean, che le
anime migrassero dagli uo mini nel corpo solamente de' bruti. Le a mirne in
somma in forza del sistema d ' Em. pedocle, dovean circolare informando tutti
que' corpi, che in qualunque maniera fos. sero stati organizzati. Ecco le due
novità recate dal nostro filosofo alla morale di Pittagora, ma novi tà ben
legate tra loro qual cagione ad ef fetto. Alla colpa delle anime aggiunse Em.
pedocle la metempsicosi, come al delitto va compagna la pena. Ma quel ch'è più,
a questa e a quella unite insieme andò egli pure legando la demonologia:
articolo fon damentale della teologia de' pagani. i Vedea egli quasi ingeniti
all' uomo i semi si della virtù, che del vizio. Allor si pensava lo spirito '
tendere naturalmente à cose spirituali ed eterne, e la materia al le materiali
e caduche. Credette ei quin di i semi della virtù nascer nell' uomo dall' anima,
e gli altri del vizio nascere in lui della materia. Ma l'anima, a suo pre q 2
12-1 dere, chiusa nel corpo, restava contamina. ta dalla materia, e. però era
sospinta assai più verso il male, che il bene. Oimè, di cea egli, come è misero,
come. è infelice il genere umano. A quali guai, a qua li pianti non è ei
sottoposto Queste due tendenze dell'uonio al be: ne, e, al mal fare raffigurò
Empedocle, giu. sta il costume di quell'età, sotto le imma gini di due opposti
genj. Due, egli disse, sono i genj, che quali direttori delle azio ni degli
uomini, accompagnano ciascun uo « mo in tutto il corso della vita d ' ognuno di
loro. Buono è l'uno, l'altro è malva gio. Il primo guida, o conforta lui alla
virtù; il secondo spinge e conduce il me desimo al vizio (94). Ma ambidue
questi genj non indicavano, che questa stessa dop pia tendenza. Pure tutto il
volgo allora venne nel credere, che ciascun uomo dal nascere al morire fosse'
stato realmente as. sistito da un genio buono, e da un altro malvagio. Tanto
egli è vero, che le im magini, sotto cui adombravano gli antichi 125 >
filosofi le loro specolazioni, fossero state ca gioni di superstizione, e di
errori. L'uomo non solo ha tendenze al be ne e al male, ma è capace altresì d'
ope. rar l' uno, o l'altro. Quante virtù, e quanti vizi di fatto ei mette in
pratica ! Ma questi stessi ebbe la bizzaria Empedoc cle di designare sotto la
figura di genj. Singolari, non cho speciosi furono i nomi, con cui egli
distinse i demoni, che rap presentavano i vizi, ' e le sfrenate passioni degli
uomini, De nomi di Chtonia, d' He liope, d ' Asafia, di Nemerte, o di parec shi
altri ne sjamo debitori a Plutarco (95). Singolari eziandio, non che speciosi,
esser dovettero i nomi, con cui distinse lo stesso l'opposta classe di genj,
che rappresenta vano le virtù, e le passioni imbrigliate de gli uomini, Mą il
tempo, che rode ogni cosa, non ha fatto quelli pervenir sino a noi. Pure è
sfuggita da sifatta ingiuria la nominazione, con cui Empedocle appel 10. le
virtù, felice prodotto, delle regolate passioni. I pittagorici furono usi
chiamare 126 il mondo spelonca, ed Empedocle, qual pittagorico, chiamò le virtù,
e passioni virtuose ' potestà conducitrici delle anime: quasi giunte nel mondo,
come in un an tro (96 ). Il popolo, che in ogni cosa vede portenti, e finge de'
genj, accolse quasi revelazione venuta dal cielo, la de monologia del nostro
filosofo. Gli antichi scrittori, pari al volgo, non compresero nè pure il vero
intentimento di lui. Que sti però dipinsero Empedocle, come chi avesse popilato
l'intero universo di demo nj, e attribuito a virtù de' genj ogni ope razion di
natura. Ma questa stessa dottrina de' genj fu il fondamento della magia, e
teurgia fa mosa d'Empeclocle. Questa, in que' tempi cra un metodo di purificar
le anime col favore degli Dei benefici, che dovean con dir quelle all'unione
con Dio. Gli Dei bendici non eran che virtù astratte deifi. cate da lui: è
nella pratica delle sante o pere era riposto tutto il culto di quelli. Credea
egli, non poter le anime ritornare 1 27 agli onori divini, da cui erat cadute,
che coll' ajuto di quegli Dei, perchè credeva altreşi non potersi quelle
inalzare a Dio, che coll' esercizio delle sante virtù. La teur gia in somma
d'Empedocle fu un retto, e diritto nietodo di purificar le anime colle opere
buone. Sembra cosa veramente incredibile che uomini abbandonati al debile filo
della pro pia imbecille ragione, e privi di qualunque superior lume di
rivelazione divina, avessero potuto architettare un piano di quasi per fetta
morale. Non fu gia la metempsicosi quella, che giusta i pittagorici avesse po
tuto purificar le anime. Questa non era purificazione e virtù, ma pena dovuta
al. delitto. Questa non si poteva in alcuna an corchè menomisssima parte, o
abbreviare, o alterare. Esser questa un decreto divis no, essere un santo
giuramento si spaccia va a tutti da Empedocle. Ciascun anima avvegnachè
virtuosa, e purissima (così és. si pensavano ) non potea unirsi a Dio, se non
compiti i periodi, e il tempo tutto di esilin. 128 Le purificazioni altro
cardine della mo rale d’Empedocle eran propiamente, secon do tutti i
Pittagorici, le sule, che a poco a poco lavavan le anime, e toglievan loro in
quel tempo, che informavano i corpi umani, ogni macchia, di cui le medesime
potevano essere dalla materia bruttate. Pur gate poi le sozzure, e finiti i
periodi tut ti del bando, allora era, che le anime già nette, secondo che allar
si credeva, fos sero agli antichi onori tornate, e alla vita divina... I sagri
riti poi, lo studio delle scien ze, la pratica della virtù erano i tre mo di di
purificazione inventati all' uopo da que' sommi filosofi. Sembra à prima vista
o superfluo o inutile essere stato il primo di questi mo di, e tutti gli
augusti riti, e quelle ceri-, monie solenni, che si metteano in opera al lor da
Teurgici. Ma si poteva scuotere, e infiammare altrimenti l'immaginazione de gli
uomini, affinchè questa si fosse resa docile agl' insegnamenti della virtù?
L'110 { 129 - mo materiale si solleva dal mondo materia le merce cose eziandio
materiali. Le ceri. monie, ei riti sono i soli, che colle san. te immagini
níuovono i sensi, e astraendo li dalle cose impure alle pure gli inalza no. I
riti sono il verace linguaggio de sen si, che efficacemente parlando destano la
fantasia. A questa è sol conceduto ' creare tra il mondo materiale l'altro
spirituale: Disadatto pure si crederà forse essere stato lo studio delle
scienze a purificar le anime. Ma non è egli questo, che aliena lo spirito: dai
vizi, che l'introduce alle co se intelligibili; e che sveglia in lui le idee
immateriali e celesti? Non è egli vero al tresì l'anima, esercitata nelle cose
dell' in telletto, districarsi da' fantasmi del corpo, e. dalle false opinioni
del volgo? Era certa mente un ridicolo sogno quello de pittago rici, che collo
studio delle severe discipli ne fosse tornata alle nostr' anime la mé. moria
delle cose divine. Ma certamente all' opposto è un dogma incontrastabile,. che
tanto più la nostra mente si allontana dal r 130 > la materia e dagli
appetiti carnali, quan to più la medesima s' aggira sulla contem. plazione o
de' principj delle cose, o delle matematiche, o elogn'altra scienza. Ma in
verità e uso di riti, e studio di scienze, e ogni qualunque altra cosa, che
avessero potuto specolare gli antichi, sa rebbe lor tornata inutile, ne sarebbe
mai giunta a purificar nè meno da lungi le a nime, se a tutto ciò non avessero
costoro accoppiato del pari la pratica della virtù. Questo in fine dovea essere
il bersaglio, cui dovean dirizzarsi que' grandi filosofi: o questo l'ultimo e
principal metodo di pu rificazione. Non si può infatti ne pure ideare quanto
studio avessero posto costoro ad astenersi da ogni ancorchè minimo fal lo.
Tutti quanti (tranne il loro raffinato orgoglio, e la loro squisita 'boria e
super bia ) furono del tutto.virtuosi. Di e nota te si recavan essi sopra se
stessi, scrupo losamente ogni lor fatto esaminando, e c gni movimento del
propio loro cuore. In estimabile era la diligenza, ch' essi adope 131 rzano a
nettar d'ogni ruggine l'animo lo ro, e a far bene ogni cosa. Tutta la vita į
medesimi spendevano in contemplare oggetti spirituali, e. in praticar virtù, e
que pre cetti, che si leggono scritti ne' versi dorati. Si crederebbe quì
finito il lavoro della loro morale, Pure come eglino avevano que sta diviso in
due parti, così alla purifica zione aggiunsero altresì la perfezione (97 ). Non
bastò a Pittagora l' essersi lusingato, che l'anima, mercè la prima si fosse e
mondata da vizi, e separata dalla materia, e liberata quasi dal vincolo, che la
ren deva prigione. Volle di più immaginarsi, che l' anima, mercè la seconda già
prima purificata, si fosse poi inalzata a Dio, o ripigliati gli antichi abiti,
e forma, si fos se confusa colla divinità medesima. Le ar nine in somma, che
secondo Pittagora ed Empedocle, erano di loro natura divi ne, ma contaminate
dalla colpa e mate ria ', dovean prima purificarsi, e poi sì per fezionarsi,
che fossero state degne di tor nare a Dio, e agli onori primieri. Però l' 132
immacolato, e innocente viver d'Empedo cle obbligo lui a spacciarsi qual Dio, e
a promettere ai puri, e perfetti la Divinità come premio. Sin quì Empedocle, e
Pittagora furon d'accordo, e quegli fece uno con questo. L' essere stata comune
l ' opinione tra loro nel principio, da cui la purificazione, e perfezione
avesse avuto sua origine, non fece punto discrepar l'uno dall'altro, Cre deano
ambidue le anime tutte degli uomi ni, e tutti gli spiriti altresì formare uni
ca, e sola famiglia con Dio. Là poi, ove i sistemi loro non furon punto
d'accordo si fatti filosofi furon del tutto discordi. Em. pedocle, altrimenti
che Pittagora, riguardo uomini, bruti, piante come unica famiglia. Non è più
quindi da far sorpresa, se si ve de ora entrare in iscena una terza novità
d'Empedocle, come riforma alla moral di Pittagora. Se si vuol prestar fede ad
Aristotile ad Aristosseno, e Teofrasto, Pittagora e i Pittagorici della prima
età uccidevano, ec. 133 cettine i bovi destinati ai lavori, ogni sor ta
d'animali, e tranne i loro cuori e ma trici ne mangiavan le carni: s '
astenevan solamente da' pesci. Empedocle all'incontro fu il primo che proibì
affatto qualunque uso di carne; e riputò sacrilegio l'uccidere quale che si
fosse animale. Non veggo, dicea egli, perchè alcuni animali debbano serbarsi in
vita, e altri all'incontro si pog sano uccidere. Una è la legge per tutti, é
questa è pubblica per tutta la terra. Vedeva costui in tutti gli esseri organiz
zati, facendone un sol corpo morale, quasi unica é sola farniglia, Perd non
sapeva egli scorgere differenza notabile tra uomini, e bruti. Smanioso egli
quindi si scaglia con tro chi avesse sagrificato in que' tempi vit. time agli
Dei, che' attesa la metempsicosi, potevano per lo più esser uomini sottom bra
di bruti. Cessate, gridava Empedocle, o crudeli, di fare strage, e lordarvi di
san gue: Pazzo il padre, che sotto altra sem. bianza scanna il propio figliuolo,
e vane preghiere disperge all'aria e al vento. Stol i 134 ti non veggono, che
divorando le fumanti sanguinose carni di animali le menbra pa. rimente divorano
de' lor padri, figliuoli, o congiunti. Si riderebbe oggi la presente età del:
la severità d'Empedocle, e si reputerà cer tamente stravagante la sua pietà
verso i bruti. Ma ad altro, e più nobil fine ten devan le idee del nostro
filosofo. L'uomo è in mezzo a' suoi simili, e l' amore è il principale anello,
che dee le garlo cogli altri. L'amor verso i simili è il principale dovere di
un uomo di società: e la pieta n'è la base. Ma questa non si potrà avere
giammai, se non campeggia e dilatasi sopra tutti gli oggetti, che circon dano
lui. Se l'uomo deve avere pietà ver 80 gli uomini, uop' è non che estenderla,
mia cominciarla da' bruti. Qualor ' si eser-: citasse ferocia contro i
medesimi, agevol mente il reo costume l'andrebbe portando ancor contro gli
uomini. Anche tra noi, se non può recarsi a effetto sì fatta proibizio. ne di
scannar gli animali, sempre egli 1 135 vero, che debbasi tener come parte di e
ducazione gentile, quella d'insinuare ne gli animi ancor teneri de' giovani la
pietà verso i bruti. Non son dunque da ripren, dersi, così tentoni, gli antichi
filosofi per quegli insegnamenti, che oggi, mutate le usa nze, ci sembrano
stolti. La proibizio. ne ch' Empedocle diede a' suoi scolari d ' uccidere gli
animali, e cibarsene, ebbe in mira non sol di non essere crudeli, e feroci
cogli altri; ma di dispor loro ad amarsi l ' un l'altro a vicenda, e nelle
disgrazie scam. bievolmente aiutarsi. Egli non senza sotti le avvedimento si
sforzò così in persona de? suoi compatriotti svegliare allora in tutta la
generazione degli uomini quell'attitudine, che porta loro a prender parte nell'
altrui traversie: attitudine, che di sua natura è debole, languida, spesso
sopita, e quasi sempre soffogata, ed estinta. Però Empc docle a ingentilir gli
animi umani, e rasla dolcire i costumi degli uomini, volle che questi non si
avessero bruttato le mani del sangue, né avessero mangiato le carni de' 136
bruti. Chi è beniguo co ' bruti non può certo negare agli uoinini amore, pietà,
cor tesia, frattellanza. Pittagora nulla conse guente a' suoi stabiliti
principj della metem psicosi, trascurando quasi tutti gli anima li, ſecesi
soltanto scrupolo, e proibi, che si fosse recata alcuna ingiuria alle piante,
che non fossero state nocevoli. Ma Empe docle fece molto più, e' meglio assai
di Pittagora. Egli dotate prima quelle di sen timento, proibi poi che si fosse
fatto loro del male: ailinchè non si fossero avvezza ti gli uomini ad offendere
esseri forniti di sensi e di organi. Fu in somma intendi mento di lui in tutte
le maniere, quasi tirando tutte le linee a un centro, stabili re tra gli uomini
fratellanza e amicizia Però fu, sollecito ei d ' ordinare, che oltre agli
animali, si avesse avuto compassione sin anche alle stesse piante.. Sarebbe
stata finalmente non che man. chevole, ma mulla la morale d'Empedocle, s' egli
non avesse presentato o un premio, una pena agli osservanti, o violatori de'
737 ciò, precetti da lui stabiliti. La speranza del premio, e il timor della
pena, interni po. tentissimi stimoli dell'animo umano, inco raggiano i buoni a
operar la. virtù, spa ventano i mali a praticare il vizio. E' ben ragionevole
quindi, ch ' Empe docle avesse pigliato una via come stabili re e premio', e
pena, sì alla virtù, che al vizio: e il fece appunto combinando al par de
pittagorici, colla dottrina della metempsicosi. Il tempo di tre mila anni di
ciascuno de' dieci periodi di essa non era destinato da Empedocle a far cir
colare sempre le anime da un corpo in un altro. Le anime in ogni giro di tre
mila anni informavano secondo lui e vegetabili, e bruti. Di poi andavano esse
in ultimo E luogo ad avvivare il corpo di un uomo. questo finalmente morto,
passavan quelle ad abitare un luogo o di gaudio o di lutto secondochè le
medesime avessero o bene, o male operato. Quivi doveano esse restare, finchè
finito avessero il primo periodo di tre mila anni. Dovean le medesime torna. S
138 To appresso a cominciare il secondo di al tri tre mila anni, passando
tratto tratto ne corpi: d' altri bruti, di altre piante, o finalmente di altri
uomini. Così successiva mente doveano esse fare in tutto il corso degli interi
dieci periodi: e cosi le medesi mo doveano essere o premiato, o punite in
ciascuno di essi. Ma al finire di tutti i dieci circoli quelle anime, ch'eran
tenaci ne' vizi, giusta Empedocle, bandite dal cie. lo, eran dannate in mezzo
alle tenebre, e in un continuo lutto, o un eterno suppli zio. Le altre poi, che
virtuose al compir di quo' circoli si fossero trovate belle e det. te secondo
lui, si portavano all'etere puro, e collocate in mezzo alla luce, sedcano in vi
a mensa coi forti Danai, in eterno go dimiento, nell' unione con Dio. Tutto ciò
si raccoglie da ' versi d ' Empedocle. Così pur si pensava da' pittagorici di
Sicilia; nè al trimenti si canto da Pindaro nelle sue odi dirette a Gerone, e
Terone (98 ). Ecco tutto, il quadro compito della intera mora le d'Empedocle.
139 Egli è senz' alcun dubbio, essere stata questa assai raffinata, e, molto
diversa da quella del volgo. E ' cosa da recar mara. viglia l'osservare, com '
essa in tempi assai caliginosi, fosse stata tanto bene architetta ta, cosi
brillante, e del tutto diretta a ri. pulire il costume, a liberar l'uonio, quan
to più s' avesse potuto dai vizi, e a nobi litar l'anima e la mente di lui. Cid
nulla ostante ella ha eziandio i suoi gran difetti. L'essere stata la stessa
riservata ai soli sapienti, e ai soli iniziati ne fu il principale. Quel
sistema d'Etica, che non è fatto per tutti gli uomini, non può esser giusto,
santo, verace. Tutti quan. ti gli uomini sono astretti agli stessi doveri, e a
una sola virtù, Si può considerare, & gli è certo, la scuola pittagorica,
qual.ce nobio, é i pittagorici quali religiosi dell' antica Grecia. Ma
l'orgoglio guastava le loro azioni, rendea yane le loro fatiche, avvelenava
ogni loro virtù. Pure è sem pre da reputarsi degno di lode il nostro filosofo,
che osservantissimo de' precetti pit § 2 110 tagorici non ebbe difficoltà di
manifestarli, e divolgarli nel suo poema delle parilica zioni per solo e
semplice amore di onestà, e di virtù, Empedocle, tranne la super bia, radice
infetta dell' operare d'ogni an tico filosofo, è da celebrarsi, come quel lo,
che ornato di cortesia, amante degli uomini, e virtuoso, avesse aspirato sempre
a perfezionar molto se stesso. Ma gli onori, che si rendono a' tra passati; le
lodi, di cui s' onora la memo ria de gran genj, non possono nè recar loro
diletto, che più non sono, nè tocca re il lor cenere, che affatto è privo di
senso. Tutti i loro elogi, come quelli, che eccitano l'orgoglio e la vanità de'
viventi, noi guardano e a noi son diretti. Siam noi, che dagli omaggi, che si
tributano a quelli, prendiamo speranza di poter forse nieritare la stessa
gloria, e acquistar la fa na stessa presso le generazioni avvenire. Del nome
d'Empedocle fu una volta ne è oggi, e ne sarà sempre piena la ter,. La
filosofia di lui fu tenuta assai in 141 pregio presso tutta l'antichità tra
Greci e Latini (99). Quella occupa tal sublime posto di onore nella storia
delle scienze, ch' Empedocle si può dir, che appartenga a tutte le più colte
nazioni. La Sicilia fra tanto è la sola che a giusta ragione lui vanta: qual
suo. Felice quel suolo, beato quel clima, cho dà il natale a' grandi uomini !
La memoria e la fama loro è un fecondissimo germe, che in ogni età ne desta l'
emulazione, e ne riproduce il sapere. Tal dovrebbe essere a noi il dolce nome
d'Empedocle, caro alla yirtù, caro alle lettere. Anatomia, fisiologia, chimica
de cor pi organizzati possono lui chiamare padre inventore. L' essersi ridotta
la materia a quattro elementi; l' essersi trovate due for ze in natura di
repulsione, di affinità; 1" essersi intrapreso il metodo di fisiche espe.
rienze, la terra n'è a lui debitrice. La scoperta della chiocciola; della
successiva propagazion della luce; del peso e della molla dell' aria; del
nutrirsi, del traspira* e 142 re, dell'essere ovipare le pianto al par de gli
animali son cose tutte propie di lui. Divolgati appena sì fatti suoi
ritrovamenti, tosto si rese celebre il suo nome in tutta la Grecia, ed egli uno
de' concorrenti di venne tra Anassagora e Democrito, La gloria d'Empedocle, che
in gran parte è ancor nostra, ci dee infiammare a battere lo stesso sentiero.
La Sicilia è la stessa oggi, ch'era allora ai tempi d'Em pedocle. Ella in
ogn'angolo, e in tutta quanta la sua superficie presenta a' nostri occhi
oggetti sempre degni di nostre filoso fiche ricerche. Piante d'ogni sorte,
acque d'ogni specie ', minerali d'ogni genere, e i più distinti volcani
esistono nel nostro suolo. Il Fisico, il Chinico, il Botanico lo storico
naturale trova ovunque ampia materia d'appagar le sue brame. E ' no stra somma
vergogna il vedere oggi, che vengan tra noi gli stranieri a insegnare a noi le
cose nostre. Si saran forse cam. biati il cielo, il clima, la terra, che un di
furono ne' tempi de' nostri antichi filo 1 143 sofi? 0 pur saran venuti meno
gli inge gni tra noi? Non sono eglino i Siciliani dotati ancora o d' acume
nello specolare, e di prontezza nel riflettere, e di pre stezza nell' eseguire,
che loro hanno in o gni tempo distinto? La Sicilia una volta e. mula della
Grecia in ogni genere di colo tura non potrà anche a di ‘ nostri con correre e
gareggiar nelle scienze colle più polite nazioni? Si pigli dunque orgoglio
dell' aggiustata idea di nostra antica grandezza. Questo, scossa l'inerzia, ci
sarà di stimo. lo ad una nuova carriera da imprendere. La fatica è l'unica via,
che conduce al sa pere, e questa ci porta, certamente alla fama. Si desti
quindi in ciascuno di noi la virtuosa imitazione d’Empedocle, e si co minci la
grand'opera con ardore e franchez za. Un felice evento coronerà allora ogni
nostro travaglio: la posterità ricorderà noi collo stesso onore, con cui pieni
d'ammi razione noi ricordiamo Empedocle. Empedocle non che fu eccellente filo
sofo: ma fu del pari profondo politico. Si 144 ciliani, non andate quà là ad
apprender ta pini da questo e da quello ordini civili, e fogge di governo.
Guardate i maestosi avanzi delle nostre antiche città;specchia. tevi su li
nostri passati famosi legislatori; richiamate alla memoria i fatti chiarissimi,
non che della nostra Greca Sicilia, ma del la vita d'Empedocle. Così tratto
tratto di verrete atti a maneggiar le cose pubbliche, e ben presto vi sarà tra
voi politica non cabala, libertà non licenza '. Empedocle, convinti un dì i
nobili di Gergenti di peculato, atterrò ivi la lor si gnoria: Non è disdicevole
quindi l'imma ginarcelo, ch'egli colla stessa voce gli ota timati così riprenda
di nostra età. Finito è il tempo, in cui usurpata un ingiusta franchigia de'
pubblici dazj, generosi offri vate al Re il denaro del popolo, a fine e di
ottener da quello nuove insopportabi li prerogative, e di stringer questo vie
più nuove insoffribili catene. Finito è il tempo in cui macchinando l'esenzion
delle taglie, scaricavate gran parte del pubblico con 145 peso sulle città
immediatamente al Re sotto poste a fine di disertar qrieste, e di rau nare
schiavi in gran copia nelle terre a voi immediatamente soggette. Finito è il
tem po, in cui voi assumendo la voce e qualità di nazione, che non avevate,
minacciosi vi rivolgevate contro del trono per non paga re, e taglieggiare il
popolo ogni tre anni. Già il Principe si è congiunto col popolo. ' Gia la voce
del Re, ch'è quella dell'ins tera nazione, è divenuta oggi più imperio, sa
insieme e sicura. Essa ha già rivelato il grande arcano del vostro tirannico
impe ro essere stato riposto nell'aver voi voluto fin'ora poco o nulla soffrire
de’ dazj, e far li tutti a carico andare della povera gen te. Chi di voi potrà
or tolerare con ani mo tranquillo tra vecchi debitori dello sta to non altri
nonni leggersi che i vostri, e de' vostri antenati? Chi sarà tanto scelleras to,
che rivelando il falso, voglia occulta re l'immensa estensione de' suoi ricchi
fon di; affinchè a danno del meschino e del povero, pagasse egli quanto meno si
possa 2 t 140 Chi sarà cosi ribaldo, che voglia sgravar d ' imposta la terra,
unica e sola sorgente di ricchezza in Sicilia, per istrappare con mano rapace
qualche misero tozzo dalla bocca faa melica dello stanco e affannato
agricoltore? Şe cið han fatto i vostri maggiori, sono essi stati i più tristi
nemici, anzi i più crudeli tiranni dell' infelice Sicilia. Si appartiene ora a
voi lavar le macchie di quelli, e onorar voi stessi, contribuendo alla pubblica
feli cità col pagarsi prontamente da voi a pro porzione della vostra opulenza,
Ma Empedocle dovrebbero avere ezian dio qual modello non che i nobili, chi
presi del fantasma di democrazia vo lessero condurre a sfrenatezza la plebe.
Quante altre cose possiamo noi idearci a ver potuto lui dire, a costoro ! Egli
poten do in Gergenti stabilire un governo collo cato tutto nella potestà del
popolo, af fatto nol volle. A' popolari uni costui gli ottimati in quella città;
e teniperò così gli uni cogli altri. L'equilibrio de' poteri, con cui
s'amministrano le cose pubbliche, è la ma 147 solida base, su cui dee riposare,
volendo si e florido e durevole, il presente gover no. L'equilibrio morale, non
altrimenti che il fisico, viene da contrarietà ed egua glianza di forze. Il
popolo ' non deve mai essere. -oppresso, ma all'incontro non dee ne pure essere
costui un oppressore. Se la sua forza sbilancia, lo stato andrà tutto a
soqquadro, e ruinerà senza meno. La ven detta piglierà allora il nome di forza,
di senno il delirio, di libertà la licenza. I poteri legislativo, giudiziario,
esecutivo si debbono a vicenda venerazione e rispetto; tutti debbono riunirsi,
e cospirare a un sol centro: e se per caso ne sia uno avvalla dee tosto
corrersi con mano presta a rialzarlo. Quanto è difficile mantenere og gi in
Sicilia un sl fatto equilibrio ! Appe na vi basterebbe un Empedocle. Egli ad
assodar vie più la novella for ma di governo stabilita da lui nella sua patria,
ebbe in fin l' accorgimento di pian. tarla sulla pubblica coltura, e sul pub
blico civile costume. Qual sublime lezio to, t 2 148 è un sogno, zione ella è
questa da adottarsi da' nostri legislatori d'oggidi, se vogliono eternare, più
che si può, il presente governo stabi lito di fresco. Un impero assoluto si può
fondare tra selvaggi e tra barbari, e vien prosperando in mezzo a gente
corrotta. Ma è un delirio il pretender fer mo un governo costituzionale senza
nè col tura nè costume per base. Nello stato, in cui è il nostro suolo, non
potrà certamente portare la novella libera costituzione senza che fosse prima
quello preparato e divelto. Voglia Iddio che i nostri, posti giù l'e goismo, le
false massime, gl ' impeti, glodj imprendessero a imitare Empedocle, e i nostri
antichi felicissimi tempi. Ma se i Siciliani tutti debbon trarre qualche utile
insegnamento dal nostro filo sofo; i Gergentini massime ne dovrebbero emular la
virtù. La patria de' grand ' uomi ni è quella su cui sfolgora, riflette e va a
concentrarsi, la gloria di loro. Si dovreb bero ricordare i Gergentini, ch '
essi prin cipalmente a Empedocle son debitori d'esa 149 ser tanto chiari, e
così famosi nella nostra sicola storia. Si dovrebbero eglino pur ri cordare,
che vicino a que' tempi, che vis sita oggi lo straniero, e sopra lo stesso suo.
lo, che calcano i Gergentini 'medesimi, det tò allora Empedocle a Gorgia
l'eleganti, avvegnachè prime lezioni di Rettorica. Gli stessi quindi a
ripigliare in loro l'antico u sato splendore dovrebbero richiamare tra loro e
le fisiche e le matematiche discipli ne, e ogn'altra amena e polita lettera
tura. Allor si potranno i Gergentini glo riare a ragione d' aver prodotto, e
dato la culla a Empedocle. Così eglino saran vera mente degni concittadini di
lui. Ne altri menti si potranno lusingare gli stessi di far risorger tra loro
il verace spirito d' Empe docle, e di poter quivi dire allo straniero. Dell'
eccelsa sua mente i sacri versi Cantansi d'ogn'intorno, e vi s'impara Si dotte
invenzioni, e si preclare Che credibil non par, ch'egli d'umana Progenie fosse.
1 PRUOVE E ANNOTAZIONI A L LA TERZA MEMORIA. 153 PRUOVE E ANNOTAZIONI A L
I A TERZA MEMORIA. > Il n'est pas ) Freret raffigura l'attrazione e re
pulsione di Newton nell'amore e odio d ' Empedocle. E però dice besoin d'un
long discours pour montrer que le fond du systeme Newtonien, dé pouillé de
l'appareil et du détail de ses cal. culs se réduit a celui d ' Empedocle, Hi
stoire de l'Académie Royale Des Inscripti ons et belles lettres T. 18 Memoires
p. 102. (2 ) Και γαρ ονπερ οιηθαη λεγειν αν τις μα. λιστα ομολογουμένως αυτω.
Εμπεδοκλης και TYTO TAUTO TETOVIE „ Empedocle, di cui al cuno potrebbe portare
opinione aver, detto sopra di ogn'altro cose tra loro e a se stes so concordi;
egli cadde nel medesimo in 60veniente Arist. Metaph. 1. 3 cap. 4 il • 54 πος
και 8το! O (3 ) Arist. de Coelo 1.3 cap. 4 Λευκίπι και Δημοκρίτος Αβδερίτης
φασι είναι τα πρωτα μεγεθη πληθ. μεν απαρα και μεγεθα δε αδιαιρετα τροπον γαρ
τινα παντα τα οντα ποικσιν αριθμους και εξ αριθ. μων • και γαρ ει μη σαφως
δηλεσιν ομως τετο βελονται λεγαν, Leucippo e Democri to dicono le prime
grandezze essere infini te di numero, ma indivisibili. Essi in cer to modo
fanno gli esseri o numeri, o da' numeri. E se ben non lo mostrano chiu ro; pure
questo vogliono dire. » (4) Εμπεδοκλης περι ελαχιστα εφη προ των τεσσαρων
στοιχειων θραυσματα ελαχιστα οιονα στοιχεία προ των στοιχεων ομοιομερη και Empe
docle prima de' quattro elementi supponeva de minimi bricioli, ch'erano non
altrimen ti che gli elementi degli elementi, e par ti simili Stob. Εcl. Phys.
1. 1 p. 33. Ε più chiaramente Plutarco de Pl. Ph. dice οιονα στοιχεια των
στοιχείων »και elementi degli elementi. (5 ) Ει δε στήσεται που διαλυσις ητοι
ατος μον εσται το σωμα εν ω ισταται η διαίρετον μεν ι 155 8 μεν του διαι
εθησομενον εδε ποτε καθαπερ εoικεν Εμπεδοκλης βελεσθαι λέγειν. » Se lo
scioglinzento delle parti si fermerà in qual che luogo, domando: o il corpo in
củi ri starà è indivisibile, o è divisibile; ma in alcun tempo mai non si potrà
dividere, co me pare ch ' Empedocle abbia voluto dire, Arist. de Coelo l. 3.
cap. 6. Sicchè Empe docle ammettea la divisibilità col pensiero non già col
fatto. (6) Era un assioma presso gli antichi εκ τε μη οντος μηδεν γινεσθαι
nulla farse da ciò che non è, Presso i Greci dev significava ciò ch ' esiste e
il under ciò che non è. Epicuro talvolta piglia il des per corpo e il under per
yoto. Ma diverso era il significato dell' del ov. Empedocle ed Anassago ra
chiamavano Oy la materia dotata di qualità sensibili. E Democrito ed Epicuro la
materia fornita di figura. Al contrario i primi due indicavano col un oy la
mate ria priva di qualità, e i secondi la mates. ria senza figura. Di fatto
Aristotile de GV e 156 gener. et corrupt. 1. 1 cap. 3 dice εστι γη το ον, το δε
μη ον υλη της γης και πυρος ωσαύτως. L Latini tradussero il δεν per res o
corpus il jend Ev per nihil o vacuum. E come non aveano parole corrisponden ti
all' oy e' un or; cosi l'indicarono colle stesse parole res et nihil. E ' nato
da ciò un equivoco nell' intendere i Greci. Questi non solo dissero nulla farsi
da nulla; ia tal volta alcuni di loro pensarono niuna cosa, che ha qualità,
poter venire dalla materia priva di qualità. (8) Απαντα γαρ κακείνος (Σμκεδοκλής
) ταυτα ομολογήσας, ότι εκ τε μη ιοντος αμηχα • γον εστι γενεσθαι και
Concedendo Empedocle tutte le cose medesime,.e che sia impossi bile venire un
essere fornito di qualità de ciò, che ne è privo je Arist. de Xenophane Zenone
et Gorgia. (8) Εμπεδοκλης δε τα τετταρα προς τους ειρημενοις γην προσθας
τεταρτον και Empedoclc disse esser quattro gli elementi, aggiungen do la terra
per quarto a’tre già detti Aristot. Metaph. 1. 1 cap. 3. 157 (9 ) Σεληνην δε
φησι συστηναι καθ' εαυτην εκ τα απολειφθεντος αερος υπο τα πυρος • τατον γαρ
παγηναι καθαπερ την χαλαζαν. La lu πα, dice Empedocle, essersi condensata da se
a cagione dall'aria, che fu abbando nata dal fuoco; perciocchè questa 'si
con densò a guisa di grandine Euseb. Praep. Evang. I. 1. cap. 5. Lo stesso
dice Plut. de Pl. Ph. Origen. Phylosoph. etc. (10) I sassi e gli scogli sulla
terra so no stati giusta Empedocle formati dalla forza del fuoco. Plut. de
primo frigid. Ne per altra ragione credea il nostro filosofo, chę i cieli
siensi formati in guisa di çri stallo, che per l'azione del fuoco. Plut. de
Plac. Philos. (11 ) Ως εν υλης « δ λεγομενα στοιχα τετταρα πρωτος (Εμπεδοκλης ),
απεν. και μεν χρηται γε τετταρσιν αλλ ως δυσιν ουσι μονοις. πυρι μεν καθ' αυτο
τοις δε αντικειμένοις ως Em. μια φυσα γη τε και αερι και υδατι, pedocle fu il
prinio che affermò quattro ese ser gli elementi nella materia. Nondime no di
questi non fu egli uso come se fos 158 } νω sero ' quattro, ma due soli. Mette
il fuoco per se ', e' come al fuoco opposte l'acqua, ' la terra, l'aria, quasi
avessero. queste uni ca natura.,, Aristot. Metaph. 1. 1 cap. 4. (12 ) Origen.
Phylosoph. cap. 3. Clem. Alex. Strom. (13 ) Αναξαγορας μηχανη χρηται τω προς
την κοσμοπίλαν » Anassagora usa della mente nella sua cosmogonia non altrimen
ti che d'una macchina Arist. Metaph. 1. 1 Cap. 4. (14 ) Πολλαχου γουν αυτω (Εκπεδοκλα
) η μεν φιλια διακρινει το δε νεικος συγκρινα • μεν γαρ ε ! ς τα στοιχεία
διαστήται το παν υπο τ8 14κας τότε το πυρ «ς συγκρίνεται και των αλλων στοιχων
εκαστον, οταν δε παντα υπο της φιλιας συνιωσιν ας το εν αναγκαίον εξ εκαστε τα
μορια διακρίνεσθαι παλιν. Εμπεδοκλης μεν 89 παρα τ8ς προτερον πρωτος ταυτην την
ατίας διελων εισενεγκεν ου μιαν ποιήσας την της κινη σεως αρχη, αλλ' έτερας τε
και εναντιας. Non di rado presso d'Empedocle l'amicizia sepa ra; e l'inimicizia
unisce. Imperocchè quan. do per l'inimicizia l'universo si scioglie ne • OTULY
159 gli elementi; allora il fuoco si unisce, e al par del fuoco, ciascuno degli
altri elemen ii. Quando poi per via dell ' amicizia tutti gli elementi si
uniscono; allora è di ne cessità che le parti di ciascun elemento si separino.
Però Empedocle fu il primo, che superiore agli altri più antichi di lui, divi
dendo questa causa, intro lusse non un solo, ma piii e contrarj principj di
movimento: l'anticizia cioè e l' inimicizia Arist. Me taph, I. i cap. 4. L '
vero che qui Aristo tile cerca di cogliere in assurdo il nostro
Empedocle"; perchè cerca di mostrare che l' amicizia talvolta separa, e
l'inimicizia ta lora unisce. Ma ciò non di meno confes sa che giusta Empedocle
l'amicizia e l'ini. micizia eran due principj di moto. E in ciò loda il n'ostro
filosofo, e l ' inalza so pra tutti que' ch'erano stati prima di lui. (15 )
Molti sono i versi d' Empedocle che lo pruovano, che noi rapporteremo ne' fram
menti di lui. Ma Aristotile lo dice chia. rissimo. Es un evný to vemos ev Tols
peyuceo σιν, εν αν ην απαντα ως φησιν (Εμπεδοκλης ) 160,, Se non fosse l '
inimicizia inerente alle cose, tutte queste non farebbero che uno come dice lo
stesso Empedocle,, Aristot. Metaph. 1. 3. cap. 4. Simplicio inoltre de Coelo l.
1 Com. 29,, rapporta che giusta Empedocle è propietà dell'amicizia ridurre
tutto in una sfera lovely o zipov (16 ) (Εμπεδοκλης ) το μεν πυρ κκκος καιλο.
μενον προσαγορευων και Empedocle chiamo il fuoco lité perniciosa Plut. de primo
fri gido. E lo stesso Plutarco ne soggiunge la ragione: Giacchè il fuoco ha la
facoltà di dividere e separare. (17 ) Clem. Alexand. ad gentes cap. 5. (18 )
Aristot. Metaphys. 1. 1 cap. 4. (19) Plut. de Isid. et Osirid. Wolf. de Manich.
ante Man. S. 30 Bayle Dict. Art. Xenoph. (20 ) Aristotile" riferendo l. 3
taph. l'opinione d'Empedocle sul circolo pe renne delle cose in virtù delle due
forze amicizia e inimicizia si lagna del nostro filosofo, che introduce la
necessità senza recare alcima cagione della necessità ws ay. 1 cap. 4 Me. 161
αγκαιον μεν ον μεταβαλλεινκαι αιτίαν δ ' εξ ενο αγκής εδεμιαν δηλοι. (21 )
Brukero T. 1 p. 2 1. 2 cap. 10 Sect. 2. de discipulis Pythagorae. Moshem. nelle
note a Cudwort. (22) Αρχη η φυσις μαλλον της υλης. εγί άχου δηπου αυτη και
Εμπεδοκλης περίπιπτα αγομενος υπ' αυτης της αληθεας, και την εσι. αν, και την
φυσιν αναγκαζεται φαναι τον λογον ειναι: οιον οστουν αποδιδους τι εστιν. ετε
γάρ εν τι των στοιχεων λεγει αυτο ατε δυο ή τρια ατε παντα αλλα λογος της
μιξεως αυτων etc. Il principio delle cose è più presto la nä tura che la
materia delle cose.. Empedocle tirato dalla forza stessa della verità spesso è
costretto di confessare che la sostanza e la natura altro non sia che la
ragione o proporzione: ' come fa allorchè ei dice coså šia.l osso. Poichè dice
che l'osso non cen ga da questo o du quel elemento', nè da due elementi, nè da
tre, nè da tutti, ma dalla ragione in cui questi nell' osso si stan. no ec. is
Arist. de par. Animae l. 1. cap. E poi lo stesso Aristotile soggiunge che 1 362
2 i filosofi prima d Empedocle non fecerd lo stesso perchè non soleano definire
ciò che fosse la cosa astion de to. pen en San τ8ς προγενέστερες επί τον τροπον
τέτον, το τι ην αναι, και το ορισασθαι την ασιαν εκ OTI My •:- (23) Plut. de
Plac. 1. ì cap. 6 Gal. Hist. Ph. (24) Plut. de Plac. Ph. 1. 5 cap. 19 Gal. ibid.
(25) Plut. de Plac. Ph. 1. 5 cap. 19 Arist. de Resp. cap. 14 etc. Credea Em
pedocle che gli animali, subito che nacque ro dalla terra, si divisero e
portarono in luoghi convenienti al loro temperamento. Que' che abbondavan di
fuoco o nell' ac qua o nell'aria. Gli altri ch'erano più gravi, abitarono la
terra ec. (26) Darwin Zoonomia. Vol. 3 Sez, 39 cap. 4 ediz. di Milano, (27) La
massa tutta del seme, che noz mostrava alcuna forma, o figura chiama va
Empedocle. 8ioques che potrebbe significa. re tutta la natura organica secondo
Simpl. 163 1 de Phy. aud. 1, 2. Com. 68 pag. 134 ediz. di Aldo: (28 ) Aristotile
l. 2 de Coelo cap. 8 par lando dell opinione di Xenofane che credea la terra
infinita estendere sino alſ infinito le sue radici, soggiunge do
xakt.Eptidoxing ετως επεπλήξεν Per lo che Empedoche co si lo sferzò, e
soggiunge i versi d' Empe docle, che noi rapporteremo 'ne' frammenti di lui.
(29) Ταυτι δε τα εμφανη κρημνες και σκο: πελες και πετρας και Εμπεδοκλης μεν
υπο τα πυ ρος οιεται το εν βαθει της γης εσταται και ανε χεσθαι. Empedocle è
d'opinione che que sti sassi, questi scogli, questi dirupi, che sono agli occhi
di tutti, sieno stati inalza ti dal fuoco che sta nelle profondità dela la
terra „ Plut. de primo frigido, Quare quaedam aquae caleant", quae dam
etiam ferveant in tantum, ut non pog sint esse usui nisi aut in aperto evanuere,
aut mixtura frigidae intepuere, plures causae redduntur. Empedocles existimat
ignibus, quos multis locis terrà opertos tegit, aquam ! X 2 164 calescere, si
subjecti sunt solo per quod aquis transcursus est. Facere solemus dracones et
miliaria, et complures formas, in quibus gere tenui fistulas struimus per
declive cir. cumdatas; ut saepe eundem ignem ambiens aqua per tantum fluat
spatii quantum ef. ficiendo calori sat est. Frigida itaque in trat, effluit
calida. Idem sub terra Em. pedocles existimat fieri. Seneca Quest. Nat. i. 3. (3ο)
Την γην εξ ης αγαν περίσφεγγομενης τη ρυμη της περιφοράς αναβλυσαι το υδωρ la
terra, da cui, come fu condensata, per l'impeto della girazione spicciò l' ac
qμα 15 Ρlut. de ΡΙ. Ρh. 1. 2 cap. 6. (31 ). Οτι δε μενα (γη ) ζητεσι την αιτίαν
και λέγεσιν οι μεν τυτον τον τρόπον, οτι το πλα τος και το μεγεθος αυτης αιτιον,
οι δε ωσ: περ Εμπεδοκλης την τε κραγε φοραν κυκλω περιθεασαν και θαττον
φερομενην την της γης φοραν κωλυειν καθαπερ το εν τοις κυαθοις υ δωρ και και
γαρ τατο κυκλω το κυαθε φερομείς πολλάκις κατω τα χαλκά γινομενον ομως ου
φερεται κατω πεφυκος φερεσθαι δια την αυτην 165 Citidy, 99 Alcuni cercano il
perchè la ter ra stia ferma nel mezzo, e dicono esserne cagione la sua
grandezza e larghezza, Al tri poi, siccome Empedocle, son di pare re, che il
cielo girando più velocemente del. la terra sia la cagione, per cui la terra
non cada nello stesso modo, che avviene allac qua nel calice. Poichè seben
questo si giri e stia col fondo su, e il labro all' in giù; pure l' acqua, che
di sua natura tende al basso, non cache per la ragione medesima della girazione,,
Arist. de Coelo l. 2 cap. 13. (32 ) Plut. de fac. in orbe Lunae, (33 ) Plut. de
Pl. Ph. 1, 2. cap. 13 Laert. in Emp. (34 ) Arist. de anima 1, 2 cap. 2. (35)
Καθαπερ Εμπεδοκλής φησιν, αφικνειο σθαι προτερον το απο τα ηλιο φως ας το μετα
ξυ πριν προς την οψιν, η επί την γην, δοξα δ ' ευλογως συμβαινειν Empedocle
dice che la luce, la quale viene dal Sole prinra giunge nel mezzo, e poi
all'occhio ed aļla terra. Il che pare che accada con buona ragio ne » s. Arist.
de sensų et sensili cap. 6. 166 tor. (36 ) Empedocle in prima avea il Sole per
una gran massa ignita' non già per una rijlessione di un altro sole šíecome
attesta Laerz, in Emp. Era in secondo opinione di Empedocle che il simile si va
sempre ad u nire al suo simile. Però venne a lui na turale il dire che la luce
lanciata dal So. le, dopo d' essersi riflettuta sulla terra, nasse di nuovo ad
unirsi al Sole, e poi di nuovo movendosi da quest' astro, tornasse a
risplendere. Per altro Plutarco stesso aper. tamente dice de Pyth. orac.. che
la luce del Sole secondo Empedocle risplende di nuovo αυθις ανταυγαν • (37 )
Plut. de Pl. Ph. Gal. Hist. Ph. Stobeo Ecl. Phys. e tunti altri, appongono ad
Empedocle l' opinione di due Soli, che si riguardavano, de quali l'uno mandava
rag gi invisibili e l'altra visibili ec. (38) Empédocle, sans recourir á l’in
stanatneité de cette émission ou á sa pro digieuse velocité disoit que cette
objection se roit vraie, si le soleil lui même étoit en mouvement; mais que la
terre tournant au 167 tour de son axe, venoit au devant, du ra yon, et voyoit
l'astre dans sa prolonga tion. On ne répondroit pas mieux aujourd hui a cette
objection, si quelqu'un la pro posoit contre la propagation successive de la
lumière et son emission. Montucla. Hist. des Mathematiques Tom. 1 P. i lib. 3
pag. 142. (39) Απολείπεται τοινυν το τα Εμπεδοκλεος ανακλάσει τιγί τα ηλια προς
την σεληνην γεγες; σθαι τον ενταύθα φωτος οιον απ' αυτης οθεν 80's. Jequor de
deep porn Resta dunque co me vera la sentenza d'Empedocle. Però la luce lunare
non è nè calda nè assai splen. Plut. de fac in orb. Lunae. (40 ) Est - il rien
de plus juste que ce vers, dont voici la traduction litterale de Greg en latin
circulare circa terram yolvitur a lienum lumen dit- il en parlant de lo lu ne?
Achille Tatius en tire une preuve qu' Empedocle a regardé cette planéte comme
un morceau détaché du soleil. Il n'a pas conçu que cet alienum lumen vouloit
dire lumière empruntée, ce qui est très-confor me a la verité. Montucla Hist.
des Math. dida,, 168 Tom. 1 p. 1 1. 3 pag. 111. (41 ) Isag. in Arat. (42 ).
Empedocles plus duplo lunam dia stare censet a terra quam a sole. Galen. Hist.
Ph. Plut. de Pl. Ph. (4.3 ) Και τον μεν ήλιον φησι πυρος αθροισο μα μεγα και
σεληνης μαζω » Empedocle di. ce il Sole essere una gran massa di fuoco più
grande della Luna Laert. in Emp. (44) Plutarco de ' fac. in orbe Lunae, afferma
che la Luna al dir d'Empedocle giraya a simiglianza d'una ruota: Ora in que'
tempi si esprimea la rùvoluzione d'un corpo intorno al propio asse sotto la
figura ra d'una rủota, Cosi di fatto indicarono Seleuco d'Eritrea, Heraclide di
Ponto, Eco fanto di Siracusa, il movimento della tere ra intorno al propio asse.
Per altro i Pit tagorici sapeano che la Luna girando in torno alla terra çi
presenta sempre lo stes so emisfero. Il che come ciascun sa non può aver luogo,
se la Luna girando intor no la terra ſon rotasse intorno al propio asse: Sicché
è da credersi cl’Empedocle non 169 ou esse ignorato questo movimento della Lu
na. Ma come Plutarco non ne fa che un sol cenno, che può essere equivoco; cosi
io non ho creduto di doverlo affermare come sicura opinione d'Empedocle. (45)
Fabricio Bibl. Graeca T. (46) Arist. de plant. 1. cap. (47 ) Arist. nel med.
luogo. (48) Arist. nel med, luogo. (49 ) Τα δε σπερματα παντων εχ τινα τροφην
εν αυτός και συναποτίκτεται τη αρχή καθαπερ εν τοις ωοίς. η και κακως
Εμπεδοκλης αρήκε φασκων ωοτοκαν μακρα δενδρα Ogni semè contiene in sè qualche
cosa d' alimen to uñitaniente al principio che genera, sic come è nell' uovo.
Per lo che Empedocle disse bene che gli eccelsi alberi sono ovipa ri Theofrasto
1. i cap. ' 7 de Caus. Plant. Και τατο καλως λεγει Εμπεδοκλης ποιησάς: Ούτω δ '
ωοτοκεί μικρα δενδρα πρωτον ελαίας •. Το τε γαρ ωον κυημα εστι, και εκ τινος
αυτα γίγνεται το ζωον, το δε λοιπον, τροφη τα σπερ ματος, και εκ μερες γιγνεται
το φύομενον, το δε λοιπον τροφη γιγνεται το βλαστω και τη y 170 pión en xpern »
Questo ben disse Emperor cle affermando, che i piccoli alberi ezian dio sono
ovipari. Poichè da una parte dell' uovo nasce l'animale, e dal resto si fa la
nutrizione di questo. Nello stesso modo ac cade nel seme. Da una parte si formá
la pianticella, ed il resto serve per nutrirla Arist. de Gen. anim. l. i cap.
23. (50) Arist, de Gen. anim. I. 1 cap. 18 & lib. cap. 6. Theofrasto 1. i
cap. z de Caus. Plant. Indi è che Malpighi aper: tamente dice Plantarum ova
esse semina vetus est Empedoclis dogma. Anat. Plant. pag. 92 * 93. In questi
ultimi tempi Young è stato il primo a dire che le piante ven gono, dal seme.
Rozier journ. de Phys. Auril. 1789 p. 241 e Bonnet Deur. v. 5 p. 256 ha
dimostrato l'analogia del seme coll' uovo. (51) ο δε μαλιστα και κυρίως εστι ζη
= τητεoν εν ταυτη τη επίσημη τετο οστιν » όπερ ειπεν Εμπεδοκλής ηγουν α
ευρίσκεται εν τοις φύτοις γενος θηλυ και γένος αρρεν και ει εστιν ειδος
κεκραμενον εκ τετων των δυο γενών και Cio 171 she in questa scienza sia sopra
d'ogn' al tro, e propiamente da ricercare, lo disse Em pedocle: cioè se nelle
piante si ritrovi il sesso maschile e feminile, e se questi due sessi sien in
quelle mischiati ed uniti,, Arist. de Pl. 1. cap. 2. Per lo che è da ripu.
ţarsi particolar opinione d'Empedocle, quel, la del sesso nelle piante, e che
queste fos sero state ermafrodite. Si legga lo stesso Aristotile de Pl. I. i
cap. 1. Haaly 005 - λομεν ζητειν πότερον ευρισκονται ταυτα τα δυο γενή
κεκραμενα εν τοις φυτοις ως απεν Εμπε doxninis:,, Dobbiamo ricercare se i dųe
ses si nelle piante sien mischiati, come vuole Empedocle. » (52) Empedocles
quidem divulsa esse so bolis membra aiebat, ut in faeminae alia alia in maris
semine continerentur, atquo inde oriri animalibus venerei complexus ap..
petentiam, dum partes illae inter se di stractae conjungi atque uniri
concupiscunt. Galen. de semine 1., 2. cap. 3. Si legga parimente Aristot. de
Gener, ànim. l, i cap. 18, 172 (53) Plutarco de plac. Ph. 1. 5 cap. & 10 12
Arist. de Gener. anim. 1. 2 cap. 8. (54) Εμπεδοκλης τη κατα συλληψιν φαντα. σια
της γυναικος μορφουσθαι τα βρεφη και πολ: λακις γαρ εικονων και αδριαντων
ηρασθησαν γυναίκες και ομοία τετοις απετέκον. » Empe docle dice che dalla
fantasia della donna piglia forma îl feto. Poichè spesso le don ne hanno la lor
prole partorito simile a statue o. a immagini, che hanno amato Plut. de Pl. Ph.
I. 5 ' cap. 12, (55 ) Plut. de Pl. Ph. 1. 5. cap. 27. (56 ) Tutta la dottrina d
Empedocle, siccome in appresso diremo, era fondata su i pori, e sugli effluvj,
che si spiccano secondo lui da' corpi, o per quelli s'intro ducono, (57 ) Plut.
de Pl. Ph. I. 5. cap. 26. (58) Frondes amittere quibus aestatis ca. lor humorem
ahsumpserit; semper fronde re quae majorem succi copiain habent, ut laurum,
oleam, palmam 4 Hist. Ph. Gal. Lo stesso dice Plut. de Pl. Ph. l. 5 cap. 26.
173 Plutarco Symp. 1. 2. Si propone la questione, perchè l' ellera conserva le
fo glie, e gli altri alberi le perdono. Ei ri sponde con Empedocle per la
disposizione de* pori. Perche τοις δε φυλλoφoυσιν εκ έστι για μανοτητα των αγω
και στενότητα των κάτω πι:,, ρων, οταν οι μεν επίπεμπωσιν οι δε φυλαττω σιν,
αλλ' ολίγον αθρουν λαβόντες εκχέωσιν ωσ. περ εν αγδηροις τισιν ουχ ομαλοις » »
A quel le piante, le cui foglie cadono į alimen to on basta a cagion della
rarità de? pori superiori, e della strettezza degl inferiori. Poichè per questi
pori s’ introduce poco ali mento, e per quelli molto se ne dissipa. Indi è che
quel poco che hanno ritratto tosto lo perdono. Avyiene ciò che suole ac cadere
negli attignitoi, che sono inegual mente forați. (59) Flore française troisieme
edition par MM. de La Marck et Decandolle T. pag. 67. (60 ) Floré française
ibid. pag. 86. (61 ) Flore francaise ibid. pag. 108 (62) Plut. de Pl. Ph. 1. 5
cap. 26 Gal. Hist. Ph. 3 174 (63) Galeno Hist. Ph. Plut. de Pl. Ph. 1. 5 cap.
26. (64) Ρlut. de Pl. Ph. 1. 5 cap. 22 Gal. Hist. Ph. (65) Plut. ' nel med.
luogo. (66) Gal. Hist. Ph. Plat. de Pl. Ph. (67 ) Ρlut. de ΡΙ.. Ρh. 1. 4 cap.
22. (68 ) Ρlut. de ΡΙ. Ρh. 1. 4 cap. 16 Gal. Hist. Ph. (69 ) Arist. de
Respirat. cap. z (70 ) Arist. 'de Respirat. cap. 7 Gal. Hist. Ph. (71) Arist,
de, Resp. cap. 7 Plut. de PI. Ph. 1. 4 cap. 22. (72 ) Pluit. de ΡΙ. Ρh. 1. 5
cap. 24. (73 ) Plut. nel med. luogo. Gal. Hist. Ph. (74) Si vegga la niemoria
seconda sulla Vita d ' Eimpedocle T. 1 pag. 132. (75) Ρlut. de Pl. Ph. 1. 4
Cap. 17 • (76) Τα μεν γλαυκα πυρωδη καθαπερ Εμ. πεδοκλής φησι τα δε μελανoμματα
πλεον υδατος εχιν η πυρος. » Che gli occhi az zurri, come dice Empedocle,
abbondano di fuoco, ed i rieri abbiano più d ' acqua che 175 di fuoco, Arist.
de gener. An 1. 5 cap. i. (77 ) Τα μεν ημερας εκ οξυ βλεπεις τα γλαυκα. δι
ενδιαν υδατος. θατερα δε νυκτωρ δι ενδααν πυρός και che gli occhi azzurri non
veggano bene di giorno per difetto d' ac qua, ed i neri di notte per difetto di
fuo: εο, Arist. de Gen. an. 1. 5 cap. 1. (78) Gal. Ηist. Ph. Ρlut. de P. Ph. 1.
4 Cap, 13. (79 ) Ειπερ μη πυρος την οψιν θετεον αλλ' υδατος πασαν,, Perclie la
visione non e d ' attribuirsi al fuoco, ma tutta all'acqua » Arist. de Gen.
anim. 1..5. cap. (80 ) Arist. de sensu et sénsili l. 1.cap. 2. (81 ) Empedocles
animum esse censet cor di suffusum sanguinem. ' Cic. Tusc. quaest. 1. 1 cap. 9
e Ρlut. de ΡΙ. Ρh. 1. 4 cap. 5. Εν τη τα αιματος συστασε. (82 ) Αλλοι δε ήσαν
οι λεγοντες κατα Εμ " πεδοκλεα πριτηριον αγαι της αληθεας και τας
αισθησεις αλλα τον ορθον λογον και τα δε ορθα λογα τον μεν τίνα θαον υπαρχειν
τον δε αν - θρωπινον. ων τον μεν θαον ανεξοισθον ειναι. τον δε ανθρωπινον
εξοισθαν. Ci sono stao 1 O 176 ti alcuni, che han dettò con Empedocle esé sere
il criterio della verità non già i sensi, ma la retta ragione. Questa poi
essere in parte umana e in parte divina: la prima potersi da noi manifestare, e
l'altra nòi, Sext: Emp. adv. Log. 1. 7 p. 396. (83 ) Hụezio Debolezza dello
spiritous mano.. (84) Furere tibi Empedocles videtur: at mihi dignissimum rebus
iis ', de quibus lo quitur sonum fundere. Num. ergo is ex. caecat nos, aut
orbat sensibus, si parum magnam vim censet in iis esse ad ea, quae sub eos
subjecta sunt, judicanda? Cic. Lu cullus c. 23. (85) Empedocles quidem, ut
interdum mi hi furere videatur, abstrusa esse omnia, ni hil nos sentire, nihil
cernere, nihil omni quale sit, posse reperire. Cic. Lucullus c. 5, (86 )
Αρχαίοι το φρονων και το αισθανεσθαι ταυτον αναι φασιν ωσπερ και Εμπεδοκλης (δη
01.,, Gli antichi, come disse Empedocle, vogliono che sia lo stesso sentire,
che ra 177 € 2. gionare. Arist. de anima, l. 3. cap. 3. (87 ) Arist. de Plant...1.
11. cap. 1 (88 ) Αναξαγορας μεν και Εμπεδοκλης επί θυμια ταυτα κινεισθαι
λεγουσιν αισθανεσθαι τε και λυπεισθαι » Anassagora ed Empedo cle dicono che le piante
sien mosse da de. siderio, da tristezza, e da voluttà, Arist, de P1. 1. 1 Cap 1.
(89 ) Αναξαγοράς δε και ο Δημοκρίτος και ο Εμπεδοκλής και νουν και γνωσιν εχεις
απον τα φυτα Anässagora, Democrito, ed Em pedocle dissero le piante esser
fornite di men te e di cognizione », Arist. de Pl. l. 1 cap. 1. Ρlut. de Plac.
Ph. 1. 5 cap. 26. (90) Arist. de.ΡΙ. 1. 1 cap. 1 Ρlut. de P. Ph. 1. 5 cap. 26.
(91) Πρωτοι δε και τονδε τον λογον Αιγυ πτιοι ασι αποντές, ως ανθρωπα ψυχη αθα
γατος εστι. τα σωματος δε καταφθινοντος ες αλλο ζωον αια γενομενον εσδυεται.
επεαν δε περιελθη παντα τα χερσαια και τα θαλασσια και τα πτηνα, αυτις ες
ανθρωπό σωμα γινομες γον εσβυνειν. την περιαλησιν δε αυτή γίνεσθαι εν
τρισχιλίοισι ετεσι. Sono gli Egizi i pri Z 178 ηι. mi che dicono l'anima essere
immortale; ma che 'morto il corpo va questa sempre informando un altro animale;
dimodochè dopo d' esser passata per tutti gli animali o terrestri, o marini, o
aerei torna di nuo ro ad informare il corpo d'un uomo. Que sto giro compie l
anima in tre mila an Herod. Euterp. 1. 2 cap. 123. (92 ) Τατω λογω ασι οι
Ελληνων εχρησαντο οι μεν προτερον οι δε υστερον, ως ιδιω εωυτων εοντι. των εγω
αδως τα ονοματα και γραφω. Tra Greci alcuni prima alcuni dopo han divulgato' la
metempsicosi degli Egizi come opinione propria. E di quelli non vo. glio
scrivere i nomi; ancorche mi sieno, co Herod. 1. 2 cap. 123. (93 ) Sext. Emp.
adν.. Math. 1. 8. (94) Ου γαρ ωσ. ο Μεγανδρος φησιν απαντι δαιμων ανδρι
συμπαράστατα ' ευθυς γενομεγω μυσταγωγος τα βιε αγαθος, αλλα μαλλον ως
Εμπεδοκλης διτται τιγες εκαστον ημων γενομες γον παραλαμβαγεσι και καταρχoνται
μοίραι κα! d'alluoves.,, Non è da credere come dice Menandro, che a ciascun di
noi, come ea gniti, 170 gli nasce, assista un genio buono condut tor di tutta
la vita, ma piuttosto è da te nersi l'opinione d'Empedocle, il quale di che
ciascuno di noi dal punto della na scita è preso e governato da due genj e da
due. fati Plut. de anim. tranquill. E sog giunge lo stesso Plutarco che co'
nomi de gen; si esprimono σπερματα των παθων i se mi, delle passioni. (95 )
Plut. de animi tranq. (96) Αφ ων οίμαι ορμώμενοι και οι πυθα: γορεοι και μετα
τατος Πλατων αντρον και στην λαιον τον κοσμον απεφηναντο. παρα τε γαρ Εμπεδοκλα
αι ψυχοπομποι δυναμας λεγεσιν Ηλυθομεν τοδ ' υπ' αντρον υποστεγον E da queste
cose, siccome io stino i Pittagorici, e Platone dopo costoro, pre sero
occasione di chiamar questo mondo an tro e spelonca. Poichè presso Empedocle le
potestà conducitrici delle anime dicono: che siano finalmente giunte sotto
quest' aniro coperto; Porph. de Ant. Nymph. p. 9 ed. Van - Goens. (97 ) Clem,
Αlex. Strom. 1. 2. Stob. Εcl. 180 Eth. cap. 3. Jambl. Portrep. cap. g Hierocl.
in Com. Scheffer de Secta Italica. (98) Pindaro nella prima ode olimpica
dirizzata a Gerone; dopo: d' aver descritto il supplizio di Tantalo, che chiama
atau λαμον βιον εμποσομοχθον vita priva do gni ajuto e perpetuamente laboriosa
» 'sog giunge „ questo supplizio forma il quarto dopo d' averne sofferto altri
tre » Mesta Tpl. ων τεταρτον πονον. Non si puo comprendere a prima vista, come
questo quarto suppli zio fosse stato perpetuo. Ma ciò è intera mente dichiarato
nella seconda ode. olim pica diretta a Terone Gergentino. Quivi e gli dice:
que', che dopo d'esser dimorati tre volte nella terra e nell'inferno ocou do
ετολμησαν ες τρις εκατερωθι μειγαντες: seppero contener ľanimo loro nella
pratica della virtil, arriveranno per la via di Giove al la regia di Saturno,
dove laure dell' O. ceano spirano dolcemente attorno le isole fortunate, e
splendono i fiori d'oro. vede quindi dal confronto di queste due o. di, che la
metempsicosi giusta Pindaro con Si 181 sisteva in tre articoli: iº che l'anima
del lo stesso uomo informava tre volte corpi u mani, che ' v'era un intervallo
tra la morte e'l rinascimento in cui i giusti go deano di felicità, e i malvagi
eran puni ti, 3º che le anime perseveranti nella giu stizia per tutto il corso
delle tre vite umia ne, andavano poi. cogli eroi nell'impero di Saturno; e
quelle, che s' erano mac chiate di colpe in quello stesso tempo, an davano in
fine a soffrire un supplizio eter πο: απαλαμον βιον εμπεδoμοχθον. Gli sco
liasti stessi di Pindaro, non altriinenti che noi abbiamo fatto ', lo
dichiarano: uno di essi dice υπεραγαν μεχρι τριτης μετεμψυχοσέως Ev 8 %a740015
Tols peeport „ sostennero (le a nime ) sino alla terza metempsicosi nell' uno e
nell'altro luogo cioè a dire nel la terra e nell' inferno. Ora trina di Pindaro
pare che allora fosse sta ta conosciuta da' soli sapienti. Poichè dopo che il
poeir avea esposta la triplice trasmi grazione soggiunge lo tengo sotto il mio
gomito e dentro la faretra delle sette vo: questa dot 182 lanti, il cui fischio
si sente dal solo sa piente. Ma la moltitudine ha lisogno d' interpetri ες δε
το παν ερμηνεων χατιζα. Η saggio è colui che conosce la natura, gli altri, che
įmparano da lui, sono loquaci nxo Root Taivajaworick e come i corvi inutilmente
gracchiano. Per lo che pare, che Pindaro s'astenea di parlar chiaramente per
non ri velare al volgo il dogma pittagorico della metempsicosi, ed opponea la
furgawcola o loquacità del profano al silenzio del pit tagorico. (99) Tutti gli
antichi fanno onorata men zione della filosofia d'Empedocle. Lascian do stare
Aristotile e Teofrasto, noi sappia. mo da Laerzio l. 10 Sect. 25 ch' Herma co
l'epicureo la espose in 24 libri moto - λικων περι Εμπεδοκλεας: Τra Iatini poί
α parte di Lucrezio e di Cicerone, che ne fan sommi elogi, siano avvertiti da
Cicerone me. desinio che si era stato un Sallustio, il quale area trattato la
filosofia d'Empedocle nel la stessa guisa, che avea fatto Lucrezio per quella
di Epicuro. Tria per quanto si rac 183 coglie dalle parole di Cicerone quell'
auto re non era riuscito cosi bene, come Lucre. zio. Lucretii poemata, ut
scribis, ita sunt multis luminibus ingenii: multae tamen ar. tis. Sed cum
veneris, virum te putabo, si Sallustji Empedoclea legeris; hominem non putabo,
cioè a dire se potrai sostener ne la lettura ti 'stimerò invitto e paziente. ma
privo di senso. Cic. Ep. ad Q.fr. 1. 2. Non che Plutarco ne' tempi d'appres. 80,
ma tutti gli scrittori ecclesiastici ricor dano con lode Empedocle ed i suoi
pensu. menti. Vi ha un luogo di Temistio nell orazione 12 all' Imperator
Gioviano, in cui egli loda quest' imperadore per la lege ge da esso lui
stabilita circa la libertà del la religione. In questo luogo ei dice agar σθαι
μεν εν και τις αλλες το νομο προσηκ4 τον θαοτατον Αυτοκρατορα και μαλιστα δε
οίς ουκ εφιασι μονον την ελευθερίαν, αλλα και τις θεσμες εξηγείται και
φαυλοτερον Εμπεδοκλεας και Ma All Excave te Teals. Varia è stata l'
interpetrazione di piu autori intorno a que ste parole, e principalmente per
l'Empe 184 parere che docle, di cui fa menzione Temistio. Al cuni hanno sognato
un altro Empedocle di verso e posteriore al nostro. Petavio, non si sa come,
crede, che sotto il nome d' Empeclocle abbia quegli voluto significare G. C.
Petit è di per Empedocle s'inten la un cinico chiamato Peregrino. Nè marican di
quei, che credono essere stato rcfurrito in quel luogo S. Policarpo marti re.
Iru biti gl'inteipetri Casaubono in not. ad M. Anton, pas 87 è stato a giudizio
di Fabricio Bibl. Graec. T. 8 p. 56, corui che meglio l'hi interpetrato.
AgarIsi Mesy XV x2. Toń andy (ita malo quam tos are 285, quod tamen ferri
potest, nec' senten tiae, quam volumus, repugnat ), 78 roles.po: σηκ ή τον
θιοτατον Αυτοκρατορα μαλιστα δε οίς (idest τετων vel εκεινων οις ) εκ εφιησι Ꭸporgy etc., Degnissimo è l '
imperadore di ammirazione e di venerazione non che per le cose, che in quella
legge si contengono, ma sopra di ogn'altro e per la libertà del la religione, e
perchè spiega quelle leggi, che sono state da Dio dettate, con perizia 185 non
minore di quella, per · Giove, che non fece quell'antico Empedocle., Di che si
vede, ch'era tanta e tale la stima, in cui allora si tenea il nostro filosofo,
che ad esso si comparava l ' Imperadore Gioviniano, allorchè si volea lodare.
Abulfarage presso gli Arabi, secondo che dice Fabric. Bibl. Graec. T. 1 p. 474
loda Empedocle, come chi avea ottimamen te conosciuto gli attributi divini.
Finalmente la filosofia d'Empedocle è stata vinovata da Campanella, da Magna.
no o Maignano. Fahr. Bib. Graec. nel me desimo luogo. Per lo che si vede
chiarissimo quanto male Orazio conoscea il nostro filosofo; allorchè disse. Ep.
12 !. 1 v. 20. Empedocles; an Stertinii deliret acumen. a a 187 MEMORIA
QUARTA Su i Franmenti delle opere di Empedocle Gergentino. ROM nico è l' oggetto
di questa ultima mes moria: presentare a un colpo d'occhio tute ti accozzati
gli avanzi delle opere d'Empe. docle. Egli ne detò molte, e quasi tutte,
com'era usanza in que' di, le scrisse in versi.. Pure niun poema di lui è
venuto sino à noi, e pochi sono i frammenti, che di questi ci restano L'inno ad
Apollo, e 'l poema de' Persiani, furono, lui morto, bruciati. Il poema sulla
sfera si reputa oggi opera d'incerto autore, Del suo discorso sulla medicina
non ce n ' è restato nè anche vestigio: anzi ignorasi, se questo fosse stato
scritto in versi secon do Laerzio, o pure in prosa secondo Sui da. I frammenti
in somma delle opere d' Empedocle, che da noi si conoscono, ri guardano e fan
parte di due famosi poe e non sia. a, a 2 188 ni: l' uno sulle purgazioni,
l'altro sulla natura. Il primo fu intitolato a Gergen tini; il secondo a
Pausania il medico el amico di lui. La raccolta quindi de' fram menti de' versi
d' Empedocle, di cui qui si parla, appartiene soltanto a questi due gran poemi.
Piü Eruditi, e tuti di gran nome assai prima, e in varj tempi praticaron lo
stesso. Errico Stefano no pubblicò il pri mo non pochi nel suo Ibro della
poesia fi. losofica. Giovanni Alberto Fabricio prese appresso il pensiero
d'ampliar la raccolta di Stefano; e giusta il Mosenio quegli mol to l'accrebbe.
Ma ogni fatica di lui, co me attesta il Reimaro, tornò vana; perchè morto
Fabricio si perderono i suoi origina li,, e il pubblico non potè coglierne il
frut. to. Van - Goens di poi nell'edizione, ch ' ei fece del libro della Groita
delle Ninfe di Porfirio, manifestò aver già raunato più di trecento versi
d'Empedocle, e promiso al più presto di recarli in luce. Avea, se condo ch'
attesta egli stesso, tratto gran pro 189 1 da' manoscritti che si conservano
nella libre ria di Leyden, e invitato tutti i dotti ad aiutarlo in si fatio
travaglio. Ma punto non si sa, se abbia o nò costui pubblica to la raccolta de'
versi del nostro filosofo, giusta la promessa di lui nel 1765 sotto titolo di
raccolta Empedoclea. E' sempre una singolar disgrazia il non potere profittar
delle fatiche degli uomini grandi. Le nostre librerie een prive non che di
manoscritti, ma scarseggiano ancora di libri. Non ci è venuto fatto di ritroe'
vare in esse nè pure lo stesso Errico Ste fano della poesia filosofica. Però,
mancan. ti gli aiuti, si è ito sù giù rifrustando an tichi scrittori per
cogliere or uno or due e di rado o sei, o dieci' o più versi di Emperlocle, che
sparsi si leggono in que sto, e in quell'altro. Fatica assai penosa, e ' tanto
più dura, quanto ha obbligato a durar quello stento, che farebbe chi il pri mo
si mettesse ad imprenderla, senza la spe. ranza di poter acquistare la gloria
debita a chi il primo l'avesse intrapreso. Unico 190 > conforto ne fu un
Simplicio dell'edizione d' Aldo, trovato nella libreria de' PP. Tea tini di
Palermo (giacchè questi ne' suoi co. mentari d ' Aristotile rapporta molti
versi d ' Empedocle ). Da questo libro furon tratti non pochi de' versi d '
Empedocle, che si tro van messi insieme. in quest'ultima parte. Ma il medesimo
disgraziatamente fu ruba. to in quella libreria. Però non fu conco duto di
potersi più riscontrare i versi rac colti col testo; e si è dovuto, congetturan,
do quasi tentoni, quando supplir qualche parola a caso tralasciata, quando
correg gere alcuni versi, che per la prima volta erano stati o male lètti, o
falsamente scrit ti. Si è detto tutto ciò non perchè s' am. bisca lode di
questa qualunque siesi fati ca; ma perchè se ne abbia anticipato come patimento.
In altri paesi d'Europa la race colta de' versi d' Empedocle o gia è stata
egregiamente recata in pubblico; o se non è stata ancor fatta, si potrà
certamente fare e più abbondante, e più corretta, e più dotta, che non è questa.
Non è quin 191 di la stessa da considerarsi come un ope. ra perfetta, o degna
degli sguardi de' Dot ti. Si desidera soltanto, che si tenga la medesima, come
un annotazione, con cui si provano i pensamenti d' Empedocle espo sti nella
terza Memoria. Ma comunque ciò sia egli è certo, che i versi d'Empedocle
smentiscono coloro, che portano opinione lui essere stato o di niú no o di poco
valore in poetica. Si fondan costoro sopra Plutarco (1 ), il quale dice
Empedocle avere ornato col metro i suoi discorsi per evitare l'umiltà della
prosa. Ma non si accorgono aver loro o mal inte so o sinistramente interpetrato
Plutarco, il quale pretese sol definire, che sia stata di dascalica la maniera
poetica del nostro fie losofo. Questa, come quella, ehe tratta e di filosofia,
e di precetti sdegna le finzio. ni e l'invenzione, in cui il pregio, il bel lo,
e la natura consiste d'ogni poesia. Per rò quegli disse, ch'Empedocle avea
preso (1 ) De Aud. Poet. 192 dalla poesia, senza più, e la pompa, e il meiro.
Questo stesso avea già gran tempo prima annunziato Aristotilo, che fu non che
savio ma di gran sentimento nelle co se poetiche. Egli, a distinguer la poesia
d' Omero da quella d'Empedocle, affermò i uno e l'altro, tranne il metro, nulla
tra loro aver di comune. Perché Omero era un Poeta, com’ei diee, ed Empedocle
un fisiologo (1 ). Ma se Empedocle, qual didascalico, non merita é nome e lode,
che si convie ne a poeta, non si pao negare aver lui necupato in que' dì il
primo luogo tra di dascalici, Aristotile di fatto non seppe in miglior modo
contrassegnare la differenza tra la vera poesia e la didascalica, che
comparando tra loro il più gran poeta e il più eccellente didascalico; Omero ed
Em pedocle. Nè altrimenti si pensò ne ' tempi d' appresso. Cicerone chiama
egregio il poe (1 ) De Poet. cap. 1. 793 ma d'Empedocle sulla natura (1 ). Anzi
mettendo egli a confronto i versi di Par menide, di Xenofane, e d' Empedocle,
che furon tutti tre poeti didascalici, dice aper tamente, che più belli ed
eleganti erano i versi del nostro filosofo (2 ). Che se poi mancasse ogn'altro
argomento ad apprez zare il merito di lui, sarebbe certamente bastevole il
sapere i poemi d'Empedocle es sersi cantati ne' pubblici giuochi di Grecia.
Ognun sa, che questa, piena allora di gu sto, e severa nel gindicare, non
concedea tali onori se non a soli grandiuomini. Nel resto ciascuno su cið, o
del raffinamento del la poetica d'Empedocle, ne può da ise giu dicare. Il solo
leggere i frammenti, che ci sono restati, basta a far che chiunque ne resti
persuaso e convinto. Il dialetto de' Siciliani e de' Pittagorici era comune; e
questo appunto era il Dori co. Pure Empedocle avvegnache fosse stato (1 ) Lib.
1 de Orat. (2 ) Acad. Quaest. l. 4. Ъь 194 o Siciliano e Pittagorico, non mise
in opera, che il dialetto Jonico, coine quello, ch'era tra Greci poeti il più
polito e gentile. Fu inoltre la musa d? Empedocle dolcissima. E. gli ne' suoi
versi non sol si servì di quel dialetto, ma nel farli scelse le parole più
dolci e sonore. Platone, parlando d ' Era clito, d'Empedocle, dice che le muse
di quello eran più dure, e le altre di questo più molli (1 ) ancorchè l' uno e
l'altro aves sero usato il dialetto medesimo degli Jonj Plutarco stesso poi non
lascia di notare, che gli epiteti apposti da Empedocle non erano, come per lo
più esser ' sogliono ne' poeti, di puro ornamento, ma esprimeano la natura
delle cose (2 ). Ne cita egli di fatto l'aggiunto dato da Empedocle a Ve. nere
qual datrice di vita; il sempre verdeg: giante dato all'alloro; l'abbondante di
san gue adattato al fegato: e altri simiglianti. Anzi il medesimo Plutarco da a
Empedocle (1 ) Plut. in Sophista. (2 ) Plut. Sympos. l. 6 Erotic. 195 il vanto
d' aver meglio e più: destramento usato d'aleuni epiteti d'Omero (1): Ne reca '
egli in pruova l'aggiunto d'agglome rator di nubi, che questi attribuisce a Gio
ve, e quegli all' aria, e l'altro di difena SOF del corpo, che Omero dà allo
seudo, ed Empedocle all'anima. Ma perchè più dilungarci in rapporta: re antichi
testimonj su cið? I franımenti stessi d ' Empedocle chiaro ci mostrano l' éc
cellenza della sua poesia. Basta dirsi aver lui tenuto Omero per modello nelle
sue o pere poetiche. Le voci, le frasi, le me taforé, la giacitura delle parole,
le desi nenze de' versi son le medesime in quello, che in questo. Si può quindi
dir con ra gione l'apparenza de' suoi versi, e la sein bianza de' suoi poemi
essere stata tutta di Omero. Oltre che riluce in lui una viva cità nelle
immagini, e una novità sin" nel le stesse parole. Moltissimi sugi epitéti
ed espressivi e leggiadri non si trovano in al (1 ) Plut. Symp, l. 6. bb 2 196
cun altro poeta: 1. pesci, per tacer d i tant altri, " sono chiamati
da lui quando nutriti, quando abitatori dell'acqua; gli uccelli cimbe volanti;
gli Dei ' di lunghissi. mi secoli. Anzi Aristotile nella sua poeti ca indica
come una metafora assai bella, e allora nuova, quella con cui Empedocle
esprime la vecchiaja; chiamandola l'occa. so della vita. Chiunque poi legge
nelle sue opere la descrizione della natura; " che qual pittore con
quattro colori, fa tutte le co se con quattro elementi; o l' altra della
visione, che comparata a una lucerna, fa le sue funzioni; o quella della
clessidra, o cose simiglianti ', non gli potrà certo ne gare il pregio, che si
conviene a vaga e bella fantasia. Per lo che da' framinenti d' Empedocle si
prende quel diletto, che pigliar si suole guardando i rottami d'una qualche
nostra Greca Sicola anticaglia. Nel mettersi insieme si fatti frammen, ti si
sono in prima distinti i versi, che appartengono al poema della natura, da.
quelli, che fan parte dell'altro sulle pur 197 1 lande prezi Foce cck que nal
elle gazioni. Ciò non è riuscito punto difficile, Perchè il primo tratta di
cose fisiche, e 'l secondo di cose morali. In quello d'ordi nario, perchè
diretto al colo Pausania i verbi si trovano in singolare. In questo all'oppesto
perchè indirizzato ' a Gergenti ni, i verbi si leggono in plurale. Perd e dalla
sintassi e dalla materia è stato age vole il se parare i frammenti d'un poema
da quelli dell'altro. Si sa oltr'a ciò il poema d'Empedo cle sulla natura esser.
diviso in tre libri. Molti stenti ha costato il congetturare qua li sieno stati
trà versi, che ci restano, quel li che appartengono o al primo, o al se condo,
o al terzo, In çiò fare è stato di mestieri ricercare se per avventura gli
scrit tori, che ne riferiscono i frammenti, aba biano citato il libro. Talora
d' alcuni ver si, che certamente si sa dalla testimonian za degli scrittori
doversi collocare in uno de' tre libri, si è rilevata la materia, che in
ciascuno di essi trattavasi dal no stro Gergentino, Stabilita poi la materia la
ni che ung en. he da ur. 198 stato ben facile il riferire allo stesso li bro
tutti que' frammenti, che si versano sullo stesso soggetto. Ma non di rado con
frontando i frammenti tra loro si è trova to, che alcuni finiscono con versi,
che son principio di altri. Con tale studio quindi e simigliante artifizio si è
cercato di collo care o prima, o dopo alcuni frammenti, che sono dello stesso
libro. Nel resto sarà meglio il tutto giustificato nelle note, e l' ordine con
cui sono rapportati i frammen ti, e l'autore, da cui sono stati ricavati e
l'intelligenza, con cui sono stati interpe trati '. Fra tanto se questo
qualunque siesi lavoro non sarà stimato degno di lode, po trà almeno, meritare,
nell' emenda de dete ti il perdono del pubblico. RACCOLTA D E FRAMM ENTI. 200
ΠΕΡΙ ΦΥΣΕΩΣ βιβλ. α. Παυσανία συ δε κλυθι δαίφρονος Αγχίτου υιε (1 ). Εστί
αναγκης χρημα θεων σφραγισμα παλαιον Αϊδιον πλατεεσσι κατεσφραγισμενον ορκοις (2
) Τεσσαρα των παντων ριζωματα πρωτον ακους Ζευς αργής, ηρητε φερεσβιος η
αίσθωγευς Νηστις θ' ' δακρυοις τεγγα κρενωμα βρoταον Των δε συνερχομενων εξ
εσχατων ιστατο νακος (3 ) Διπλ' ερεω: τοτε γαρ εν αυξηθη μονον ειναι Εκ πλεονων
τοτε δ ' αυ διεφυ πλέον εξ ενος ειναι Δοιη δε θνητων γενεσις δοιη και απολαψις
Την μεν γαρ παντων συνοδος τικτατ’ ολεκτιτε Ηδε παλιν διαφυαμενών θρυφθασα γε
δρυπτα Και ταυτ αλλασσοντα διαμπερες εποτε λήγα 201 DELLA NATURA Lib. I.
Pausania figliuol del saggio Anchito Tu ciò, ch ' io dico, attentamente ascolta
E' volere del Fato, è degli Dei Decreto antico, che ab eterno fue Segnato con
solenni giuramenti. Il bianco Giove, la vital Giunone, E Pluto, e Nesti, che
piangendo irriga I canali dell'uom, son d'ogni cosa, Odimi in prima, le quattro
radici. Ma come quelli tra di lor s'accozzano Dall' ultimo confin sorge la lite.
Dųe son le cose, ch' a narrarti io prendo: Ora l'uno dal più risulta, ed ora
Nasce dall' uno il più: cosa mortale Doppio ha nascimento, e doppia ha morte.
Genera, e strugge l ' union del tutto; E questa sciolta, torna pur di nuovo CC
20 2 Αλλοτε μεν φιλοτητί συνερχομεν ’ ας εν απαντα Αλλοτε αυ διχα παντα
φορεμενα νακεος εχθα Εισοκες αν συμφωντα το παν υπενερθε γενητα. Ουτως η μεν εν
εκ πλεογων μεμαθηκε φυέσθαι Η δε παλιν διαφυγτος ενος πλεον εκτελεθεσ: Τη μεν
γίγνονται τε και και σφισιν εμπεδος αιων Η δε διαλλασσονται διαμπερες αποτε
ληγει Ταυτη α εν εασσιν ακινητα κατα κυκλoν. Αλλ' αγέ μυθον κλυθι - μεθη γαρ
τοι φρεγας αυξ Ως γαρ και πριν ειπα πιφασκων πειρατα μυθων Διπλ’ ερεω: τοτε μεν
γαρ εν αυξηθη μονον ειναι Εκ πλεονων τοτε δ' αυ διεφυ πλεον εξ ενος αναι Πυρ
και υδωρ και γαια και κερος απλετον υψος Νικοστ' αλομενον διχα των αταλαντον
εκαστον Και φιλοτης εν τοισιν ιση μηκοστε πλατοστε Την συν νω δερκε μη δ '
ομμασιν ησο τεθηπως Ητις και θνητοισι νομιζεται εμφυτος αρθροίς Tητε
φιλαφρονεας ιδ ' ομοιϊα εργα τελεσι Γιθοσυνην καλεοντες επωνυμον ιδ "
αφροδιτην Την στις μετ ' οτοίσιν ελίσσομενην δεδαηκε. Θνητος ανηρ συ δ' ακ8ε
λογων στoλoν εκ απατηλον Ταυτα γαρ ισα τε παντα και ηλικα γενναν εατσι Τιμης δ'
αλλης αλλο μεδα παρα δ ' ήθος εκαστω Εν δε μερά κρατεεσι περίπλομενοιο χρονοιο.
Και προς τους ατ' αρ' επιγιγεται δ ' απολήγα 203 Ogni cosa, ch' è nata, a
separarsi. Tutto alterna cosť, e così dura Eternamente: ed ora in un si accozza
Per la virtù dell' amicizia, ed ora Per l'odio della lite si sparpaglia, Standosi
in aria, finchè non si unisca, Cosi l'uno dal più nascer costuma. Cosi dall' un
già nato il più rinasce. Entrambi han vita; ma la lor durata Non è mai stabil.
Perchè l' uno e l'altro Alterna, e l'alternar non ha mai fine Sopra di un
cerchio eternamente gira. Ma tu il mio parlare attento ascolta, Che lo spesso
sentire, e risentire La mente aguzza. Come pria ti dissi Raccogliendo la somma
del discorso Due son le cose, ch'a 'narrarti io prendo. Ora l'uno dal più si
forma, ed ora Nasce dall' uno il piii; ch'è terra, e fuoco, και ed aria
d'un'immensa altezza, Oltre di questi, che tra lor son pari, Havi lite dannosa,
ed amicizia, Ch'ha per lungo, e per largo egual misura.?' u colla mente la
contempla. Invano Ed acqua, CC 2 304 Η Ειτε γαρ εφθαροντο διαμπερες εκετ ’ αν
καισαν. Τατο δ ' επαυξησε το παν τι κε; και ποθεν ελθον; Πη δε κεν απολοιτο
επει των δ ' δεν ερημον; Αλλ ' αυτ ’ εστιν ταυτα διαλληλων δε θεοντα Γινεται
αλλοτε αλλα διηνεκες αιεν ομοια (4). 205 Stupidi gli occhi sopra dessa fisi.
Questa d'ogni mortal nelle giunture Si vuole innata, e chi n'han senso in mente
Fanno, comº essa fa, opre leggiadre. Di Venere col nome o d'allegrezza La
chiamano, sebben finor niuno Seppe indicare dentro a quali cose Si aggirasse
involuta. O tu niortale, Ascolta i detti, che non son fallaci: L'amicizia, e la
lite sono eguali, Hanno la stessa età, l' origin stessa Sol con diverso onor l
' una sull'altra Impera, e piglia, com'è lor costume, Il comando a vicenda al
fin del tempo, Scritto a ciascuna dal voler del fato. Nulla viene oltr' a ciò,
ch' ancor non è Nulla di quel, che è, desser finisce; Se pur finisse., riaver
non mai Potrebbe in alcun tempo l'esistenza. Doy ' andrebbe a perir, se non
v'ha luogo Di ciò solingo, ch'al presente esiste? E se quel', che non è, ora
venisse D ' onde verrebbe? e che? come potrebbe Accrescer questo tutto, s' egli
è tutto?? 206 ! 3. • Επι νεικος μεν ενερτατον ικετο βενθος Δινης εν δε μεση
φιλοτης στροφαλιγγα γένηται Εν τη δη ταδε παντα συνερχεται εν μονον είναι Ουκ
αφαρ αλλα θελυμμα συνισταμεν αλλοθεν αλλο Των δε μισγομενων χειτ' εθνεα μυρια
θνητων Πολλα δ' αμικτ ’ εστηκε κερασσαμένoίσιν εναλλαξ Οσσ ' ετι νεικος ερυκς
μεταρσίον • 8 γαρ αμεμτώς Το παν εξέστηκεν επ ' εσχατα τερματα κυκλα Αλλα τα
μεν τ ' εμιμνε μελεων τα δε τ ’ εξεβεβηκεν Οσσον δ ' αιεν υπεκπροθεει τοσον
αιεν επηει Η επιφρων φιλοτης αμεμπτως αμβροτος ορμη Αιψα δε θνητ’ εφυοντο τα
πριν μαθον αθανατ’ είναι Ζωρα δε τα πριν ακρητα διαλλαξαντα κελευθες Των δε τε
μισγομενων χειτ' εθνεα μυρία θνητων EΠαγτ οιαις ιδεησιν αρηροτα θαυμα ιδεθαι (5)
207 Sempre dunque le cose son le stesse, Si mischian, si separano, a vicenda
Movendosi tra lor, e nascon sempre Novelle forme, ma tra lor simili. Avea la
lite già toccato il fine Ultimo del girar, quando amicizia Del cerchio, in cui
si volge, al centro arriva. Tutte le cose allor vanno ad unirsi Per fare l'un;
ma a poco a poco il fanno, Base a base di quà di là giungendo. Dagli elementi,
che tra lor si mischiano Razza infinita di mortali nasce. Ma in mezzo a que',
che s'accozzar, vi furo Altri, che ' ncontro senzı alcun miscuglio Restaron
puri; perchè lite ancora In alto li tenea Piena di colpa Ella com'è, voleva il
tutto scisso Sull' estremo confin del cerchio trarre. Però de' membri, alcuni
fuor spuntaro, Ed altri nò. Ma quanto innanzi corre Sempre la lite, tanto
sempre è pronta L ' amicizia a venir saggia, divina, Nuda di colpe, d'
immortale forza > 208 Σ Η δε χθων τατοισιν ιση συνεχυρσε μαλιστα Ηφαιστω τ '
ομβρωτε και αθερι παμφανοωντι Κυπριδος ορμησθεισα τελειοις εν λιμενεσσιν Ειτ '
ολίγον μειζων ειτα πλεον εστιν ελασσων Ίων αιματ’ εγένοντο και αλλης ειδεα
σαρκος (6). Η δε χθων επικαιρος εν ευτυκτοις χοανοισι Τα δυο των οκτω μερεων
λαχε νηστιδος αιγλης Τεσσαρα δ ' ηφαιστοιο. Τα δ ' οστεα λευκα γένοντο Αρμογιης
κολλησιν αρηροτα θεσπεσιηθεν (7 ). 209 E nascer ecco, e divenir nascendo Della
morte alla falee sottoposti Que', che prima sapean esserne immuni, E mutando
sentier trovarsi misti Que', che puri eran pria senza miscuglio. Formasi in
somma dalle cose miste Un numero infinito di mortali, Che d'ogni specie son,
d'ogni figura, Si, ch'a vederli è certo maraviglia. Ne'porti estremi della
bella Dea Giunse la Terra là dov' ogni cosa Or di massa crescendo, ed or
mancando Il più meno si fa, e 'l meno più. Ivi la Terra in parte egual
s'avvenne All' aria trasparente, al fuoco, all'acqua, E da tale union indi
formossi Qualunque specie di carne, e di sangue. Quando la terra era d'amor
sospinta In pevere ben salde a sorte trasse Dell'otto parti, d' acqua chiara
due, Quattro di fuoco: e per divin volere Col glutin d'armonia tutte s'uniro:
dd διο Βελιον μεν θερμoν οραν και λαμπρον απαντη Αμβροτα γ οσσ ' εδεται και
αργέτι δευεται αυγη Ομβρον δ ' εν πασι νιφρεντα τε ριγηλοντε Εν δ ' αιης
προρεεσι θελυμγα τε και στερεωμα. Εν δε κοτω διαμορφα και αν διχα παντα
πελονται Συν δ εβη εν φιλοτητι και αλληλοισι ποθκται. Εκ τετων γαρ παντ' ην
οσσα τε εστι και εσται Δενδρατο βεβλαστηκε και ανερες ηδε γυναικες Θηρεστ’
οιωνοίτε και υδατο θρεμμονες ιχθυς Και τι θεοι δολιχαιωνες τιμησι Φεριστοι και
Αυτα γαρ εστι ταυτα δι αλληλων θεοντα Γινεται αλλείωτα (8 ), 1 911 E l'ossa
bianche furon tosto fatte. Da per tutto si vede il Sol, che desta Calore, e
lancia della luce i raggi, E quegli ancor, che senza morte sono, Quasi da fame
o pur da sete spinti, L'aria ricercar bianco splendente. Puossi ovunque veder
l'acqua; che in neve: Talòr si muta, e facilmente gela: o pur la terra, da cui
vengon fuori Le salde cose. Quando impera lira Tutto è biforme, ed ogni cosa è
scissa, Ma regnando amicizia il tutto corre Pronto ad unirsi, e l'una all'
altra cosa Per interno desir s'abbraccia, e stringe. Tutto viene da quelli, e
per l'amore, Ciò, che fu, cid, che è, ciò che sard, Germogliaro cosi alberi, e
piante Nacquero maschi, e donne, e fiere, e uccelli, E pesci ancor, che son
d'acqua nutriti; O pur gli Dei di secoli lunghissimi Chiari per gl' inni, e per
gli onor prestanti. Sempre in somma le cose soil le stesse, Sempre tra loro han
moto, e cangian forma. d d 2 212 Ως δ ' oπoταν γραφεες αναθηματα ποικιλλωσιν
Ανερεσ αμφί τεχνης υπο μη τινος δεδαωτες Οιτ ' επει καιν μαρψωσι πολυχροα
φαρμακα χερσι Αρμονια μιξαντε τα μιν πλεω αλλα και ελασσω. Εκ των αδεα πασ'
εναλίγκιά πορσυνέσι Δενδρεάτε κτιζοντες και ανερας nde γυναίκας Θηρας τ’ οιωνες
τε και υδατο θρέμμονες ιχθυς Και τε θεες δολιχαιωνας τιμησι φεριςτες Ουτω μη σ
' απατα φρενα ως νυ κεν αλλοθεν «να Θνητων οσσα γε δηλα γεγαασιν εσπετα πηγήν.
ταυτ ' ισθί θεα παρα μυθον ακουσας (9 Αλλα τορώς Εν δε μερα κρατεεσι
περίπλομενοίο κυκλοίο Χα, φθιγει ας αλληλα και αυξεται εν μέρει αισης Αυτα γαρ
εστι ταυτα οι αλληλων δε θεοντα Γιγοντα ανθρωποιτε και αλλων εθνέα θνητων:
Αλλοτε μεν φιλοτητα συνερχομεν ασ ενα κοσμου 213 Qual dipintor nell'arte sua
perito Sa' i quadri variar, che la pietate Del tempio alle colonne, appende in
dono A santi numi. Egli con man piglian do Ora più, ora men di questo, è quello
Colore, insiem con ' armonia li vmischia, E poi con essi va pingendo immagini
Che son del tutto simili agli oggetti: Uomini, donne, fiere, uccelli, e piante;.
Ed i pesci, che son đ 0 pur gli Dii di secoli lunghissimi Chiari per glinni, e
per gli onor prestanti; Cosi la mente certo non s'inganna Dº ogni nato mortal
qualora dice Esserne fonte sol quegli elementi. Tu.ciò, che ho detto, tieni pur
per fermo. Di tutto il nascer sai, fuorchè di Dio, Sul quale il mio parlar non
è diretto. acqua nutriti Or l'amicizia, ed or la lite impera Del cerchio intorno
rivolgendo i passi, E luña e l'altra, come vuole il fatoo Manca a vicenda, ed a
vicenda sorge. Sempre le stesse son, sempre alternando 214 Αλλοτε δ ' αυ διχ'
εκάστα φορεμενα νικεος εχθα Εισοκεν αν συμφωντα το παν υπεγερθα γενηται. Ουτως
η μεν εν εκ πλεονων μεμαθηκε φνεσθαι Η δε πάλιν διαφωντος ενος πλεον εκτελεθεσι.
Τη μεν γίνονται και και σφισιν εμπεδος αιων Η δε τα διαλλάσσοντα διαμπερές δαμα
λογια Ταυτη αιεν εασσιν ακινητα κατα κυκλος (1ο). Σ Τεσσαρα των παντων ριζωματα
πρωτον ακα! Πυρ και υδωρ και γαιαν η αιθερος απλετον υψος Εκ γαρ των οσατ' ην
οσατ ' εσσεται οσσα τ ' εσσι(11 Αυταρ επε μεγα νεικος ενι μελεεσσιν ετρέφθασε
Ες τίμαστ' ανορεσε τελιoμενοιο χρονοιο Ο σφιν αμοιβαιος πλατεος παρεληλατο ορκα
(12 ) 15 Si muovono. Deil' uom la razza nasce, Tant' altre razze di mortali han
vita. Talor per amicizia in ordin bello Tutto si unisce; ma talor per stizza Di
lite il tutto si separa, è stassi Sospeso in alto, finchè non s'unisca. Cosi
l'uno dal più nascer costuma. Così dall' un già nato il più rinasce. Entrambi
han vita, ma la lor durata Non è mai stabil. Perchè l'uno, e l' altro Alterna,
e l'alternar non ha mai fine Sopra d'un cerchio eternamente gira. Quattro,
figliuol d'Anchito, in prima ascolta Son radici di tutto: il fuoco, e l'acqua,
La terra, e l ' aer d'un immensa altezza; Perchè da questi sol viene, e deriva
Ciò, che fu ', ciò, che è, ciò, che sard. Dopo, che lite, la gran lite ascosa
Era stata ne' membri, il tempo scorso, Agli onori salt. Perchè l'impero
Alternar si dovea, com'era scritto Con solenne, ed eterno giuramento. 256 Αρτια
μεν γαρ αυτα εαυτων παντα μερέσσιν Ηλεκτωρτε Χθωντε και κρανος ηδε θαλασσα Οσσα
Φιν εν θνητοίσιν αποπλ.αχθεκτα πεφυκέν. Ως δ ' αυτως οσα κρασιν' επαρκεα μαλλον
εασσιν Αλληλοις εστερνται ομοιωθεντ' αφροδιτη. Εχθρα πλειστον επ', αλληλων
διεχεσι μαλιστα Γεννητε κρασατε και αδεσιν εκμακτρισι Παντη συγγίγεσθαι αηθεα
και μαλα λυγρα Νακεσ γεννηθεντα οτι σφισι γεννας οργα (13 ),. Αλλο δε τοι ερεω
• φυσις αδενος εστιν απαντων Θνητων εδε τις ολομενα θανατοιο τελευτη Αλλα μογον
μιξις τε διαλλαξις τε μιγεντων Εστι. φυσις δε βρoτοις ονομαζεται ανθρωποισι (14)
Οι δ ' οτε δε κατα φωτα μιγεν φως αιθερι κυρα Η κατα θηρων αγροτέρων γενος και
κατα θαμνων Ηε κατα οιωνων τοτε μεν τα δε φασι γενεσθαι 217 Tutto è perfetto,
perchè tutto ha pari Íl numer delle parti, che il compone. Tal è la Terra, il
Sole, il Cielo, il Marc E tutto quel, che tra mortali errando Miste ha le parti
giusta sua natura. Ciò, che ridonda poi al lor miscuglio Da Venere s ' unisce
al suo simile, Giacchè le cose simiglianti forte S'aman tra lor. Na spesso le
divide L'inimicizia. Nascon quindi mostri Strani assai per la stirpe., e per la
tempra, E per le forme, ch' hanno in loro impresse; Perchè la lite li produce
allora Ch' appetiscon le cose il generare. Un altra cosa a dichiararti io
prendo: Nulla ha natura, nè mortale ha morte, Che danno arrechi. Perch' è sol
miscuglio, E delle cose miste è scioglimento Ciò, che natura gli uomini
chiamaro. Quando a caso nell'aria s'imbatte Il miscuglio, che fa dell' uom la
razza, O quella degli uccelli, o delle piante, 218 Ευτε ο αποκριθωσι τα δ ' αυ
δυσδαιμονα ποτμαν Ειναι καλεσιν (15 ). Βιβλ. β. Νυν δ ' αγε πως ανδρωντε
πολυκλαυτωντε γυναικων Εννυχιες ορπηκας ανήγαγε κρίνομενον πυρ Των δε κλυθ'.8
γαρ μυθος αποσκοπος εδ' αδας μων Ουλοφυες μεν πρωτα τυποι χθονος εξανατελλον
Αμφοτερων υδατοστε και αδεος αι σαν εχοντες τετ' ανέπεμπε θελον προς ομοίον
ευεσθα Ουτε τυπω μελεων ερατον δεμας εμφαινοντες Ουτ’ ενοπην ετ ' αυ επιχωριον
ανδρασι, ηουν (16 ) Πυρ μεν Πολλα μεν αμφιπροσωπα και αμφιστερνα φυέσθαι Βεγενη
ανδροπρωρα τα δ ' εμπαλιν εξανατέλλας Ανδροφυη βεκρανα μεμιγμεγα τη μεν υπ
ανδρων Τη γυναικοφυη σκιεροις ήσκημενα γυιοις (17). 219 O de' bruti selvaggi,
allor si dice Che nascon essi; e quando si discioglie Il miscuglio di lor, ch'
han trista morte, Lib. II. Come nel separarsi il fuoco trasse De' maschi i
germi oscuri, e delle donne, Che piungon molto, odimi, che 'l dire Rozzo non è,
nè fuor sen va del segno. Perfetti in prima dalla terra i tipi Spuntaron tutti.
Ma siccome il fuoco Su n'esulò il suo simil -bramando, Restaron quelli sol
umide forme, e l'immago per lor parti aventi. Però nel tipo de' lor membri
ancora Non mostravan ľamabili fattezze Del corpo, non ancor l'organ di voce, Nè
la natia degli uomini favella. L'acqua, Nascon de' mostri con due facce, o
petti.. Bovi son questi con umano volto, Comini quelli con bovina testa,
D'opachi membri son forniti, e tutti e e 2 2 20 Η μεν πολλαι κορσαι αγαυχενες
εβλαστησαν Οφθαλμοι δε επλασθησαν γαρ πτωχοί μετωπων (18 Βραχιονες γυμνοι χωρίς
μορφονται γε. ωμων (19). Τατον μεν βρoτεων μελεων αριδαιαστον ογκον • Αλλοτε
μεν φιλοτητα συνερχομεν' ας εν απαντα Για το σωμα λελογχε βια θαλέθοντος εν
ακμή. Αλλοτε δ ' αυτε κακησι διατμηθοντ ’ εριδεσσιν Πλαζεται ανδιχο εκαστα περι
ρηγμινι βιοιο. Ως αυτως θαμνοισι και ιχθυσιν, υδρομελαθροις Θηρσιτ’
οραμελεεσσιν ιδε πτεροβασμισι κυμβας (20 Σδε δ αναπνα παντα και εκπγ: πασι
λιφαιμο ! Σαρμων συριγγες πυματον κατα σωμα τετανται Και σφιν επιστομίοις
πυκνοις τετρηντα αλοξι Ριγων εσχατα τερθρα διαμπερες. ωστε φαγον μεν Σ 221
L'han di maschio, e di donna insiem confusi Sorsero teste senz' aver cervici.
Privi di fronte furon fatti gli occhi. Nude le braccia senza spalle fatte, I
membri umani giaccion tutti in massa Bella, e vistosa. Per anior talvolta S'
uniscono tra loro, e corpo a caso Nel fior si forma della verde etate.
All'opposto talor spiccansi i membri Per trista lite, e quà e là d' intorno
Alla spiaggia di vita erran divisi. Apvien ciò pure agli alberi, alle fiere Che
montanine son, a pesci ancora Abitator dell acqua, ed agli uccelli Che solcan l
' aria coll ' alate cimbe Ecco nel respirar come da tutti L' aer dentro si tira,
é fuor si manda, Delle vene i canali si propagano Agli estremi del corpo, e
metton capo Delle nari ne' solchi, in cui le punte 2 2 2 Σ Kευθαν αιθερι δ
ευπορίαν διο οισι τετμησθαι Ενδεν επαθ οποτ.ν μεν επαίζη τερεν αμα Αιθαρ
παφλαζων καταϊσσεται οίδματι μαργω. Ευτε δ ' αναθρησκ 4 πμλιν εκπν: 1. ωσπερ
οταν πας Κλεψυδρας παιζοσα δι ευποτρος καλκoιο Ευτε μεν αυλα πορθμον επ' ευκαδα
χερι θισα Εις υ2τος βαπτητι τερεν δεις αργυφεοιο Ουδε γ' ες αγγος ετ’ ομβρος
εσέρχεται αλλα μιν εργ ! Αερος όγκος εσωθι πεσων επί τρηματα πυκνα Σισοκ α τ
οστεγασι πυκνον ρέον. αυταρ επάτα Πνευματος ελλειποντος εσέρχεται αισιμων υδωρ.
Ως γ' αυτως οθ' υδωρ μεν εχω κατα βενθεα καλκα Πορθμα χωσθέντος βρoτεί » χροι
ηδε πορο! ο Αιθήρ δ' εκτος εσω λελιημενος ομβρον ερυκα Αμφι πυλας ισθμοιο
δυσηχεος ακρα κρατύνων Εισοκε χέρι μεθ, τοτε δ' αυ παλιν εμπαλιν και πριν
Πνεύματος εμπίπτοντος υπεκθι αισιμον υδωρ - Ως δ' αυτως τερέν αιμα
κλαδισσομενον δια γυιων Οπποτέ μεν παλινoρσον επαιν5 μυχονδε Θατερον ευθυ, ρεμα
κατερχεται οι ματι θυον Ευτε δ' αναθρων Α4 παλίν ειπν.4 ισον οπισσα (21). 223
Hanno sturate, Ma di sangue in parte Sono que tubi, e non del tutto pienii.
Però calando giù s'occulta il sangue, E lascia all ' aer libera ed apertit
Dell'entrata lu vir per le bouciucce. Avvien cosi, che quando il sangue molle
In gil si lancii nell'interno, tosto L'aria, che ferve, con sue vacue bolle
Entra con furia. E quando poi balzando Ritorna il sangue, torna fuor di nuovo
Uscendo l'aria. Guarda quà donzella Intenta a trastullare colla clessidra Di
facil bronzo, ch'al martello regge. Empier d'acqua la vuol: perciò ne tura
Colla sua bella man prima la bocca Dell'orifizio, e quindi per la base Di
spessi forellin tutta bucata L'immerge in mezzo della limpid' acqua. in questa
intanto dentro non penétra Perché l'aria racchiusa nella clessidra Sovrastando
a' forami con la molla L ' acqua preme, sospinge, ed allontana. Che se appena
riapre la donzella Il già chiuso orifizio, di repente Ως δ ' οτε τις προοδον
νοεων ωπλίσσάτο λυχνον Χειμεριην δια νυκτα πυρος σέλας αιθομελοιο 225 L'aria
sen fugge; e come questa manca L'acqua fatale, che presiede all' ore, Ch'entrar
pria non potea, entra nel vaso. La clessidra è già piena: or la donzella In
altra guisa guarda là, che gioca. Ella con man turandone la bocca Dalla base
forata vuol che cada L' acqua fatale, di cui quella è zeppa. Ma cupido d '
entrar laer di fuori Quasi forte confin l ' acqua ritiene Intorno á forellini
gorgogliante. Se quella poi leva la mano, allora All'opposto di pria laer di
sopra Cadendo all ' acqua ý giù la manda, è questa Per gli forami della base
gronda. Tal è del sangue, che colante scorre Per le membra. Se presto si ritira
Affollandosi in dentro, allor di colpo Schiumosa l' aria con vigor rientra. Poi
quel ratto s' avanza, e questa fuori Esce coil passo egual retrocedendo. Come
d'inwerno per l'oscura notte Chi prende a viaggiar prima prepara - ff 226 Αγας
παντοίων ανεμων λαμπτηρας αμοργός Οιτ ' ανεμων μεν πνευμα διασκιανασι αεντων
Φως δ ' εξω διαθρωσκον οσον ταγαωτερον ηεν Λαμπεσκεν κατα βηλον αταρεσι
ακτινεσσιν. Ως δε τον εν μηνιγξιν εεργμενον ωγυγίον πυρ Λεπτησιν οθονησιν
εχευατο κακλοπα κερης Αι δ ' υδατος μεν βενθος απεστεγον αμφινααντος Πυρ δ '
εξω διαθρωσκον οσον τανάωτερον Μεν (22) U Βιβλ. και Ου τοσε τι θεος εστιν και
τοτε και τοδε Ουκ έστιν πελασθαι εν οφθαλμοίσιν εφικτος Ημετέροις η χέρσι λαβαν
υπερτε μέγιστη Πειθες ανθρώποισιν αμαξιτος ας φρεγα πιπτα. Ου μεν γαρ βροτεη
κεφαλη κατα γυια κεκασθα Οι μεν απαι γωτων γε δυο κλαδοι ασσεσιν (227
Lampade,.e lume di un ardente fiamma, E poi li mette dentro una lanterna, Che
da venti difenda la fiammella; Perchè di questi come van spirando Disperge il
soffio. Ma di fuor si lancia La luce, intanto, e quanto più si estende, Tanto
illumina più presso la struda Corai di notte vincitor non vinti; Cosi il
naturale antico fuoco, Che la pupilla circolure irradia, Stassi dell' occhio in
le membrane chiuso Sottili al par di vel, che dall ' umore, Il quale in copia
dall' intorno scorre Tutto il difendon. Ma di là movendo Quanto più lungi puà
fuori sį spande. Lib. III: 1 Nè questo, o quello, nè quell' altro è Dio, A noi
cogli occhi non è mai concesso Di poterlo veder, nè colle mani Di poterlo
trattar: che della mente Esser suole la via grande, e comune, Per cui persuasion
entra nell' uomo. 228 Οι ποσες και θοα γουνα παι μηδεα λαχνηεντα Αλλα Φρην ιερη
και αθεσφατος επλετο μενον, Φροντισι κοσμον άπαντα καταϊσσεσα θοησιν (23 ) ΠΕΡΙ
ΦΥΣΕΩΣ. Ει δ ' αγε νυν λεξω πρωθ ηλιον αρχην Εξ ων δη εγενοντο τα νυν εσoρωμεγα
παντα Ταράτε και ποντος πολυκυμων ηδ' υγρος αηρ Τιταν η δ αθηρ σφιγγων περί
κυκλoν απαντα (24) 229 Iddio non è di mortal capo ornato, Che su membri
s'estolle. A lui sul dorso Non spiegansi i due rami. Egli non have Ginocchia,
che al cammin ci fan veloci. Egli piedi non ha, nè quelle parti Che vergogna, e
lanugine ricopre. E mente sol, è sacra mente Iddio, Ch'esprimer non si può da
nostra lingua: In un istante tutta la natura Col veloce pensier ricerca, e
scorre. DELLA NATURA. V B R SI Che non si sa a quale de tre Libri appartengono.
Dirotti in prima co' mięi versi d' onde Ebbe origine il Sole, e d'onde
ogn'altro Che noi veggiam; l ' ondoso mar, la terra L'aria, che nel suo sen
chiude, e raccoglie Ogni umido vapor, la luce, e letere Che tutto cinge, e
tutto intorno avvolge. 23ο Πως και δενδρεα μακρα και ειναλιοί καμασκνες (25 )
Ειπερ, απαρονα γης τε βαθη και δαψιλος αθηρ Ως δια πολλων δη γλωσσης ρηθεντα
ματαιως Εκκέχυται στοματων ολιγον τε παντος ιδόντων (26) Ουδε τι τα παντος
κεγεον πελα ουδε περισσον (27 ) Ως γλυκυ μεν γλυκυ μαρπτε πικρον δ ' επι πικρον
Ορέσες οξυ ο επ ' οξυ εβη θερμον δ εποχευετο θερμος (28): Γνους οτι παντων «
σιν απορροια οσσ ' εγένοντο (29) Kευθεα θηριων μελεων μυκτηρσιν ερευνων (3ο)
Ούτω γαρ συνεχυρσε θεων τοτε πολλακι δ ' αλ λος (31). 23 In qual maniera furon
pria formati E gli arbor alti, ed į marini pesci. Per la lingua di molti invan
discorre La terra, e l ' Eter non dver con fine Quella nelle radici e questo in
alto. Ciò la bocca di color si sparge per Che nulla, o poco sanno, e guardan
lungi Colla veduta corta d'una spanna » Vacuo non c'è, e nulla pur ridonda; U
Dolce a dolce s' unisce, ed all' amaro Corre l'amaro, e l'aspro all aspro vanne,
E verso il caldo si conduce il caldo. Ogni corpo, ch ' esiste, il dei sapere,
Vibra lungi da se parti vaganti, Fiutando indaga le ferine tane, Tale in quel
punto s’intoppò correndo Ma in altra guisa per lo più s' avviene 233 οπη
συγεκυρσεν απαντα (35). Η δ ' αυ φλοξ ιλααρα μινυνθαδικαις τυχε γαιης (33 )
Κυπρίοδος εν παλαμης πλασέως τοιηστε τυχοντα (34 ) Τη δε μεν ιοτητι τυχης
πεφρονήκεν απαντα (35 ) (Και καθ' οσον μεν αρμοτατα συγκυρσε πεσοντα(36) Αλλα
οπως αν τυχη (37 ) ΓIαντα γαρ εξακης πελειζετο γυια θεσιο (38) Και δα παρ’ ο δη
καλαν έστιν ακουσαι (39) Ενθ' ουτ' ηελιοιο διειδετο ωκεα γυια (40) Αρμογιης
πυκίγως κρυφα εστηρικτα (41 ) Σφαιρος κυκλοτερης μοί1 περίγ 19 εκων (42 ) 237
Dove ogni cosa s' imbatte i Fiamma lunare s' incont Insiem con Terra, che Nelle
man di Ciprigna cost Col parer di fortuna al tutto intese In quanto a caso
s'accordar tra loro Nell'incontrarsi Ma come sorte volle Tutte di mano in man
le membra scosse Furon del Dio Ciò, che è bello convien, che si ripeta Le
pronte membra non vedeano il Sole Salde in occulto d' armonia fur fatte In
tonda sfera stretto quasi il tuttó 234 Αυξα δε χθων μεν σφετέρος γενος αθερα δ
', αι: θηρ (43 ). Κατα το μαζων εμιγνυτο δαιμονι δαμων (44). Αιθηρ μακρησι κατα
χθονα δυετο ριζας (45 ). Οινος απο φλοιου πελεται σαπεν εν ξυλω υδωρ (46) Αλλα
διεσπασθαι μελεως φυσις ή μεν εν ανδρος Η γ ' εν γυναικος (47 ). Μηνος εν
ογδοατα δεκάτη που επλετο λευκον (48) Ως δ ' οτ’ οπος γαλα λευκών εγομφώσει και
εδη - σεν (49). Ουτω δε ωοτοκει μικρα δενδρα πρωτον ελαιας (5ο ) Νυκτα δε γαια
τιθησιν υφισταμενη φαεισσι (51 ) 235 Lieto dell'unità solingo gode: > Aria
ad aria s ' aggiunge, e terra a terra; Il minore al maggior spirto s' unisce:
Della terra le barbe aer penetra; L'acqua scomposta sotto la corteccia Vino
diventa, Della prole le membra stan dis ise Parte nel maschio, e parte nella
femina, Al giorno dieci dell' ottaro mese Nelle poppe si forma il bianco latte.
Come gaglio rappiglia il bianco latte, Cosi da prima partoriscon l'uovo Gli
arbor non alti della verde uliva Luce impedendo fa la terra notte. an 2 236
Ήλιος οξυβελης ηδε ιλαϊρα σεληνη (52 ). απέσκεδασε.αυγας Ες γαμαν καθυπερθεν
απεσκιφωσε δε γαιης Τοσσον οσοντ ’ ευρος γλαυκωσιδος επλετο μηνης (53. Гщи ру
тар уцау апожариву детi * Uдор Ηερι δε ηερα διον ατάρ πυρι πυρ αιδηλον Στοργην
δε,στοργη κακος δε τε νεικεί λυγρω (54). Παντα γαρ ισθι φρονησιν εχαν και
σωματος αισαν(53 Λιματος εν πελαγεσι τετραμμενα αντιθρωντος Τη τε νοημα μαλιστα
κικλεσκεται ανθρωποισιν Αιμα γαρ ανθρωπους περι καρδιον εστι νοημα (56). Προς
παρεον γαρ μητες αεξεται ανθρωποισι (57 ). οθεν σφισιν ας Και το φρογαν αλλοια
παριστατα (58 ). 1. 237 Dolce è la Luna, e durdeggiante il Sole. Disperge i
raggi sulla Terra, e sopra Tant è la luce, che le fura, quanto Il disco è largo
della glauca Luna. Terra veggiam con terra, acqua con acqua, Aer divin con aere,
e lucente Fuoco con fuoco, e con amore ' amore, E veggian lite con dannosa lite.
Uomini, bruti e piante ben lo sai Han tutii mente, e parte di ragione, Stassi
la mente dove più ridonda II sangue, che su giù sempre si muove, Perchè dal
sangue, che circonda il core Il pensiero nell' uom sua forza prende; Il pensare
dell' uom cresce e al presente Però il pensare sempre a lui diverse Mostra le
cose. 238 Ενδ ' εχυθη καθαροισι τα δε τελετουσι γυναικες Ψυχεος αντιασαντα (59
). Νηπιοι και γαρ σφιν δολιχοφρονες ασι μεριμνα Οι δε γενεσθαι παρος εκ εον
ελπιζασιν Ητοι καταθνησκαν τε και εξολλυσθαι απαντη (6ο ), Αλλα κακοίς μεν
καρτα πελ4 κρατ€8 σιν απιστών, Ως δε παρ' η ιετερης κελεται πιστωματα μεσης
Γναθη διατμεζεντα ενι σπλαγχνοισι λογοιο (61 ) Ταυτα τριχες και φυλλα και
οιωνων πτερα πυκνα Και λεπίδες γιγνονται επί στιβαροισι μελεσσιν (62 ) αυταρ
ελικος οξυβελας νωτοισι δ ' ακανθι επιπεφρικασι (63 ). Της δαφνης των φυλλων
απο παμπαν εχεσθαι (64) 239 Col solito calor si forma il maschio Ma se l'utero
poi s'affredda a caso La famina ne vien. Stolti non lungi col pensier veggendo
Prendon lusinga di poter esistere Ciò, che innanzi non fu, o quel, ch'esiste
Potersi in tutto struggere, e perire. Il malvagio non crede, e non cedendo Alla
forza del ver, trionfo meni, Ma cosi detta, e vuole, che tu creda La nostra
musa. Tu dentro l'interno I detti scissi, ne penétra il senso. Della stessa
natura sono i peli, Degli arbori le frondi, e degli uugelli Le fulte piume, o
pur le squame sparse De' pesci sopra la ben soda carne. Ed il riccio marin, a cui
le spine Acute gli si arricciano sul dorso, Dalle foglie d' allor la man
ritieni 240 Τετο μεν εν κογχασι θαλασσονομοις βαρυνωτοις Και μην κηρυκαντε
λιθορρινων χελυωντε Ενθ οψε χθονα χρωτος υπερτατα ναιεταεσαν (65) Βυσσω δε
γλαυκης κροκο καταμισγεται (66). Φυλος αμουσον άγουσα πολυστερεων καμασκηνων(67
κορυφας ετεράς ετεραισι προσαπτων Μυθων μητε λεγαν ατραπον μιαν (68). Νυκτος
ερκμαιης αλαωπιδος (69). Αλφιτον υδατι κολλησας (7ο). θαλλαν Καρπων αφθονιισι
κατ ηερα παντ εγιαυτον (71 ). Ουδε τις ην κανοισιν Αρης θεος, ουδε Κυδοιμος
Ουδε Ζευς Βασιλευς, ονδε Κρονος, ουδε Ποσειδων Αλλα Κπρις Βασιλαα. 241 Del mar
le conche di pesante dorso, Il murice riguarda, e le testuggini Che son coperte
di petrose scaglie: Bene in questi aninai veder tu puoi Come del corpo sta la
terrợ in cima. Si mischia al bisso il fior del croco azzurro. La goffa turba
de' fecondi pesci Guidando Somma a sonima giungendo del discorso Per diversi
sentier prender cammino Della solinga tenebrosa notte Coll acqua unendo la
farina d'orzo. Germoglian ricchi di lor frutta in tutte Le stagioni dell'anno
in mezzo all' aria. Marte non han qual Nume, nè Minerva Del tumulto guerriero
eccitatrice: A Nettuno, a Saturno, Giove il rege hh ) 242 Την οιν' ευσεβεεσσιν
αγαλμασιν ιλασκονται Γραπτοις δε ζωοισι, μυροισι τε δαδαλεοδμοις, Σμυρνης τ'
ακρητου θυσιαις λιβανου τε θυωσους Ξουθων τε σπονδας μελιτων ριπτοντες ες ουδας
(72 Στανωποι μεν γαρ παλαμαι κατα για κέχυνται Πολλα δε σαλεμπη α τατ ’
αμβλυνεσι μεριμνας Παυρον δε ζωησι βια μερος αθροισαντος Ωκυμοροι καπνοίo δικην
αρθεντες απεπταν. Αυτο μονον πασθεντες οτω προσεκυρσεν εκαστος Παντος
ελαυνομενοι και το δε ολον ευχεται ευρειν Ουτως ατ’ επιδερκτα τα δ' ανδρασιν ετ
' επακιστα Ουτε νοω περιληπτα (73). ή και συ 80 επα ωο " ελιασθης
Πευσεαι.ε πλεον γε βροτάη μητις ορωρε (74). 243 Negano omaggio; e prestan solo
il culto A Venere Regina, che sdegnata Placan con santi simulacri, e pinti
Animali, e con mille odor, che l'arte Ingegnosa travaglia, o co' profumi Di
pura mirra, e d'incenso spirante Soave odore, e fanle sagrifizio Sopra la terra
il biondo miel spargendo. In parte angusta delle membra è sparsa La nostra
mente. Abbonda pur la cispa Ch' ottenebra il pensier, e ne' viventi Poch'è la
porzioni di vital forza, Che qual fumo sen fugge, allorchè morte Di repente ei
fura. E quindi ognuno, D' ogni parte sospinto, sol di quello, Cui per sorte s'
avvien, resta sicuro. Altero intanto di trovar presume Tutto, e saper ciò, che
non puossi ancora Nè veder, nè sentir, nè colla mente Comprendere dall ' uom.
Giacchè vagando in guisa tal ti scosti Prendi consiglio da ragion; che l'uomo
hh 2 244 Αλλα θεοι των μεν μανιην αποτρεψατε γλωσσης Εκ δ ' οσιων στοματων,
καθαρην οχετευσατε πηγην Και σε πολυμνηστη λευκο λενε παρθενε μεσα Αντομαι ων
θεμις εστιν εφημερoισιν ακ84ν Πεμπε παρ' ευσεβιης ελασσ' ευημιoν αρμα Μηδε σεγ
ευδοξοιο βιησεται ανθεα τιμης Προς θνατων αγελεσθαι εφ ω ' οσιη πλεον απον
Θαρσα και τοτε δη σοφιης επ ακροισι θοαζη Αλλα γαρ αθρεα πας παλαμη πη δηλον
εκαστον Μητε τιν οψιν εχων πιστει πλεον η κατ’ ακτην Η ακοην εριδαπών υπερ
τρανωματα γλωσσης Μητε τι των αλλων οποση πορος εστι νοησαι Γυιων πιστην ερυκε
γορα θ ' η δηλον εκαστον (75). 245 Col suo saper più oltre non s'inalza. Dalla
lor lingua, santi numi, tale Furor cacciate, e dalle vostre bocche La purissima
vena in lor sgorgate. Te Verginella bianchibraccia musa, Cui più corteggian
disiosi amanti, Te prego attente a porgermi l'orecchie A fin di quello udir,
che lice all ' uomo, E come te non pungerà la gloria Fiori a coglier d'onor
presso i mortali, Perciò più cose ti potrò svelare. Ma agitando i destrier
docili al freno Porta da Religion lontano il carro. Prendi fidanzı: andrai
ratta a sedere Di sapienza allor sull’ alta cima. Colla ragion contempla il
tutto, e vedi Ciascuna cosa chiarų si, che certa Ti si dimostri. Ne maggior la
fede Presta al senso di vista, che all' udito; Nè all'orecchio, che raccoglie i
suoni Credi più della lingua, che discopre Le cose. Nè all'una più, ch'
all'altra Credi di quelle vie, per cui ci viene 246 Πεση Φαρμακα και οσσα
γεγασι κακών και γηραος αλκας ετα μενω σοι εγω κρανεω ταδε παντα. Παυσις δ '
ακαματων ανεμων μενος οιτ' επι γαιαν Ορνόμενοι πνοιαισι καταφθινυθουσιν αρουραν
Και παλιν ην και εθελησθα παλιντονα πνευματ' επαξές Θησεις δ ' εξ ομβροια
κελαινα καιριον αυχμον Ανθρωποις θησας δε εξ αυχι8οίο θεραου Ρευματα
δενδρεοθρεπτα τα δ' εν θερι αησαντα Αξας δ ' εξ αΐδαο καταφθίμενου μενος ανδρος
(76). 247 La notizia de' corpi, ed il pensare. De' sensi in somma poni giù la
fede: Ti sia guida ragion, onde discerna In ogni cosa chiaramente il vero.
Quanti i rimedi fugator de' morbi, Come vecchiezza si conforti, udrai. Che
tutto a te io solamente suelo, De' venti infaticabili frenare L'ira saprai; che
con furor piombando Sopra la terra, col soffiare, i campi Guastano tutti; o pur
se n'hai piacere Concitar li potrai, se son tranquilli. Saprai d'inverno tra
procelle scure Produr di state il lucido sereno, O pur nel fitto della secca
state Produr le piogge, che nutriscon gli alberi, E del caldo l'ardor tempran
movendo Aure soavi. Giungerà tua forza Sin dall'inferno a richiamar gli estinti.
248 ΠΕΡΙ ΚΑΘΑΡΜΩΝ. Ω Φιλοι οι μεγα αστυ κατα ζανθου Ακραγαντος Ναιετ ακρην
πολεως αγαθων μεληδεμονες εργων χαιρετ. εγω δ υμιν θεος αμβροτος ουκ ετι θνητος
ΓΙωλευμα μετα πασι τετιμένος ωσπερ εοικε Ταινίας τε περιστεπτος στεφεσιν τε
θαλαιης Τοισιν αμ’ ευτ ’ αν ικωμα ες αστεα τηλεθοωντα Ανδρασι ηδε γυναιξι
σεβιζομαι. οι δ ' αμ' εποντα Μυριοί εξερεοντες σπη προς κερδος αναρπος Οι μεν
μαντοσυνεών κεχρημενοι οι δε τι νουσων Παντοίων επυθοντο κλύειν ευηκέα βαξιν
(77). Αλλα τι τοις δ ' επικειμ' ωσει μέγα χρημα τι πραση σών Ει θνητων περιειμι
πολυφθορεων ανθρωπων; (78 ). 249. DELLE PURGAZIONI. Salvete, o miei diletti,
abitatori Dell' alta rocca, e della gran cittate, Che del biondo Acragante
bagnan l’acque. Salvete, o cari, cui virtute è cura. Immortale sori Dio, nè
qual mortale Sto più tra voi, d'onor, siccom'è giusto, Pieno fra tutti.
Allorchè cinto il capo Di larghe bende, e di festanti serti Io porto il piè
sulle città fiorenti, Corrono, e maschi, e donne a darmi culto. E mille, e
mille, che là van col passo Dove dritto il sentier li mena al lucro, Ali
s'affollan d'intorno nel cammino: E mi seguono ancor quelli, che intenti Stansi
a svelar dell'avvenir gli arcani, Ed altri, che saper bramano l'arte Sagace di
guarir qualunque morbo. Ma perchè mi dilungo tali cose Nel riferire, quasichè
d'eccelse Gesta pur si trattasse, se vincendo Ogni mortal, sopra di lor
m’inalzo? ii 25ο Σ Εστι δε αναγκης χρημα θεων ψηφισμα παλαιον Ευτε τις
αμπλακιησι φονω φιλα γυια μιανη Δαιμονες οιτε μακραιωνος λελογχασι βιοιο Τρις
μιν μυριας ωρας απο μακαρων αλαλησθαι Την και εγω νυν αμι φυγας θεοθεν και
αλήτις Νακεί μαινομεγω πισυνoς (79). Αιθεριων μεν γαρ σφε μενος ποντον δε
διωκεα Ποντος δ ' ες χθονος ουδας ανεπτυσε γαιαδες αυ γας Ηελία ακαμαντος οδ '
αιθερος εμβαλε δινας Αλλος δ ' εξ αλλε δεχεται στυγερσι δε παντες (8ο αγα
λοιμωγατε και σκοτος ηλεσκέσις (81). 251 be E ' volere del fato, è degli Dei
Decreto antico, che s'alcun peccando Di quegli spirti, che sortiron vita
Lunghissima, lordò le proprie mini Quasi di sangue, sia costui cacciato Lungi
dall' alte sedi, in cui beata Vivon, vita gli Dei, e vada errante In репа del
fallir tapino in terra, Finché ritorni primavera ai campi Tre volte dieci mila;
ed un di questi Io son, ch' ora dal Ciel men vo lontano Vagando quà, e là esul
ramigo, Solo in poter di furibonda lite. } L'aria gli spirti, che falliro,
caccia In mar con forza, il mar li getta in terra, La terra li rigetta su
lanciando Del sole infaticabile ne' raggi, D ' aria nel turbo il sole infin gli
scaglia. L'un dopo l'altro van cosi girando, E tutti traggan pien di duolo i
giorni. Van per gli prati, e per lo scuro erranti ii 2 252 Ενθα φόνoστε κοτοστε
και αλλων εθνεα κηρων (82 ) Κλαυσα τε και κοκυσα ιδων ασυγηθεα χωρον (83 ) Ω
πoπoι η δειλον θνητων γενος ω δυσανολβον Οιων εξ εριδων εκ τε στoναγων εγεγεσθε
(84). Εξ οιης τιμης και οι μηκεος ολβα (85). Εκ μεν γαρ ζωων ετιθεα νεκρα «δε'
αμκβων (86) Σαρκων αλλογνωτί περιστελλασα χιτωνε Και μεταμπεχασα τας ψυχας (87).
Ηλυθομεν του ' νπ ' αντρον υποστεγον (88). Ηδη γαρ ποτ' εγω γενομενην κεροστε
κορητε Θαμνοστ’ οιωνοστε και εν αλι ελλοπος ιχθυς (89). Εν θηρσι δε λεοντες
οραλεχεες χαμαιεύναι Γιγονται σαν ναι εγι δενδρεσιν ηύκομοισιν (go ). 253 Ivi
la stragge, e l'ira, ivi tant' altri Mali hanno sede. Insolito abitar vedendo
piansi. Ah ! La razza mortal quant' è meschina ! Quanto infelice ! Quali
affanni, e liti Siete nati a soffrir ! Da quale onor son misero caduto, Da qual
grandezza di felicitate, Da vita a morte son, forma mutando L'alme involgendo,
e quasi ricoprendo Della straniera veste delle carni. inIn quest'antro coperto
al fin siam giunti. Fanciullo io fui un di, donzella, uccello, Albero, e senza
voce in mar fui pesce, Qual sopra ogn'animal s'alza il Leone Giacente in terra,
abitator de monti 254 Εν9 ' ησαν χθονιητε και Ηλιοπη ταναίτις Δηρίς θ '
αιματοεσσα και αρμονίη ιμερωπις Καλλιστω τ’ αισχρητε θοωσατε Δαναητε Νημερτης
τεροεσσα. μελαγκαρπος Ασαφια (91 ) Ξεινων αιδοιοι λίμενες κακοτητος απαροι (92).
2 φιλοι οιδα μεν εν οτ ' αληθαη παρα μυθους, Oυς εγω εξερεω, μαλα δ' αργαλειτε
τετυκται Ανδρωση και δυσζηλος επι φρενα πιστέος ορμη (93) Ουκ αν ανηρ τοιαυτα
σοφος Φρεσι μαιτεύσατο Ως όφρα μεν τε βιωσι το δε βιοτον καλεσιν Τοφρα μεν εν
εστι και σφι παρα δειγα και εσθλα Πριν δε παγασαι βροτοι λυθεντες τ ’ εδεν αρ'
εισιν(94 Αλλα το μεν παντων νομημον δια τ’ ευρυμέδοντος 255 Tal su gli arbor
fronduti il lauro eccelle. Chtonia gº era là con Eliope Di larghi occhi, e la
cruenta Deri Con armonia, piena d'amor, nel volto. Vera del par Thoòsa, e
Deinèa E la turpe Callisto, e insiem l'amabile Nemerte, ed Asafia, che il tutto
oscura O Gergentini di mal fürè ignari Degno porto d'onor degli stranieri. Io,
mici cari, so ben ', che nel mio dire Stassi la verità dentro nascosa, Ala
della fe la forza l'uom travaglia E pena, e dispiacer gli reca in mente. Saggio
non v'è, che possa con sua mente Pensar, che l'uomo mentre vive questa, Che
chiaman vita, esista solo, e colga E beni, e mali; si che l'uomo nulla Sia
prima il nascimento, e dopo morte. Ma questa legge pubblicata a tutti 156 '.
Αιθερος ηνεκεός τετατα δια τ ' απλέτε αυγης (95). Ου παυσεσθε Φονοιο δυσηχεος';
8κ εσoρατε Αλληλες δαπτόντες ακηδεμησι νοοιο;. Μορφήν δ ' αλλαξαντα πατηρ φιλον
υιόν αερας Σφαζα επευχομενος μεγα νηπιος και οι δε πορευντα Λισσομενοι θυοντες
οδ ' ανηκοστος ομοκλεων Σφαξας εν μεγαροισι κακης αλεγυνατο δαχτα Ως δ ' αυτως
πατερ' υιος ελων και μητερα παιδες Θυμoν απορραισαγτα. φιλας κατα σαρκας εδεσι
(96) 4. Oιμοι οτ’ και προσθεν με διωλεσε νηλεές ημας Πριν σχετλι’ εργα περι
χειλεσι μητισασθα ! (97 ) 257 Dell' aria si distende per l'immenso Splendore, e
l'alta region dell Etere Che per lunghezza, e per larghezza è vasto.? Ancor si
sparge per le vostre mani IL sangue gorgogliante degli animai? Ah non vedete
colla mente piena Di sprezzo, che sbranandovi, a vicenda Vi diorate? E che
mutata forma Il padre alzando il suo caro figliuolo Lo scanna, e pazzo grandi
cose prega Tutti color, che sacrifizj fanno, Sen van supplici orando; ma
quest'altro Nell'atto di scannar gridi mandando D' udirsi indegni, in segno di
minaccia Malvagio in casa desinar prepara. Cosi talora avvien, che danno morte
Il figlio al padre, ed alla madre i figli, E questa, e quel fucendo privi
d'anima Le care in cibo ne trangugian carni. Perchè crudele il di ah non mi
spense Prima, ch'avessi fatto il gran peccato D' appor tal cibo sopra le mie
labbra ! kk 558 Ταυρων δ ' ακρίτοισι φονοις και δευετο βωμος Αλλα μυσος τετ '
εσκεν εν ανθρωποισι μεγιστον Θυμoν απορρασαντας εεδμεναι ηϊα γυια (98 ). Τοι
γαρ τοι χαλεπησιν αλυοντες καιστησιν Ου ποτε δαλαιων αγιων λεωφησετε θυμον (99).
Ολβιος ος θαων πραπιδων εκτησατο πλετον Διαλος δω σκοτοεσσα θεων περι δοξα
μεμπλε (ιοο) Εις δε τελος μαντάστε και να τοπολοι και 1ητροι Και προμοι
ανθρωποισιν επιχθονίοισι πίλονται Ενθεν αναβλαστασιν θεοι τιμηση φεριστοι (101
). Αθανατους αλλοισιν ομεστιοι αυτοτραπεζοι Ανδρομεων αχεων αποκληροι εοντες
απειροι (102). 259 Non macchiava l'altar sangue innocente De’ tori un di. Ma
sommo allor misfatto Dagli uomin si credea privar dell' anima Gli animai, e
divorarne i membri in cibo. Chi dalla colpa, che da se molesta, E ' tormentato,
non avrà nell' animo Mai requie al suo misero dolore. Felice è quegli, che
possiede i beni Della mente divina, ed infelice E' quel, che male degli Di
pensando Ne porta tenebrosa opinione. 7 I vati infine, ed i cantor degl' inni I
medici, ed i forti capitani, Che de' terrestri uomini son guida Ivi rinascon Dü
d'onor prestanti. Nella stessa magion, a mensa stessa Stando cogli altri Dii,
d'ogni vicenda D'ogni umarło dolor futti già privi. kk 2 16ο Ην δε τις.ν
κανοισιν ανηρ περιωσια αθως Ος δη μηκιστον τραπιδων έκτησατο πλετον Παντοίων τε
μάλιστα σοφων επικράνος έργων Οπποτε γαρ πασησι ορεξατο πραπιδεσσι Ραγε των
οντων παντων λευσεσκεν εκαστα Και τε δεκ ' ανθρωπων και τ' ακoσιν αιωνεσσι (103)
ΕΠΙΓΡΑΜΜΑΤΑ Περι Ακρωνος • Ακρον ιατρον Ακρων ακραγαντινον πατρος ακρου Κρυπτα
κρημνος ακρος πατριδος ακροτατης Τιγες δε το δευτερον στιχον ουτω προφέρονται
Ακροτατης κορυφής τυμβως ακρος κατεχα (104) 261 5 Tra quelli o'era l' uom sopra
d'ogn ' altro Eccelso nel saper, che della mente L' altissimo tesor chiudea.nel
seno. Egli pieno d'amor tutti indagava De' sapienti i fatti, e le scoperte
Dotte di lor. E quando del suo spirto Ogni forza intendeva, ad una ad una Tutte
schierate le cose reali In dieci o venti secoli abbracciando Rapidamente col
pensier vedea. EPIGRAMMI INTORNO AD ACRONE. L'alto di gran saper medico Acrone,
Nato dun alto padre in Agrigento Alta, rupe tien alta per sepolcro Della sua
patria posto in alta cima. Alcuni leggono così il secondo verso Alta tomba
ritien sull' alta cima аба. Περι Παυσαγικς Παυσαγι: ιητρον επωνυμον Αγχίτου
υιον Φωτ’ Ασκλεπιαδης πατρις εθρεψε Γελα Ος πολλούς μογεροίσι μαρανομένους
κεματοισι Φωτας ατέστρεψαν Φερσεφονης αδυτων (1ο5).. Δειλοί πανδειλοι κυαμας
απο χειρος, εχεσθαι, Ισον τοι κυαμες τρωγειν κεφαλασθα τοκων (106 ) Ναν μα τον
αμετερας σοφίας ευρoντα τετρακτην Παγον αεγνας φυσεως ριζωμα τ' εχεσαν (107).
263 Di Pausania. Il medico che nomasi Pausania E' d' Anchito figliuol', è
discendente Degli Asclepiadi, ed ha per patria Gela, Che lo nutri. Costui molti
languenti I'er penosi malor dalle segrete Di Persefone stanze a forza trasse.
Versi d' incerto Autore attribuiti da alcuni ad Empedocle. Scostate, o miseri,
del tutto in felici Dalle fave la mun: mangiar di queste Egli è privare i
genitor del capo. Giuro per quel, che nella nostra scuola Scoperse il qucttro,
che racchiude il forte, E la radice eterna di natura. ANNOTAZIONI ALLA R A O
COITA D E FRAMMENTI. ANNOTAZIONI ALLA RACCOLTA D E FRA MM EN TI. (1 ) Questo
verso si trova presso Laerz. 1. 8 in Emp. Egli dice ny de o lavraylas spwjeevas
αυτε, ω δη και τα περι φυσεως προσπεφωνηκεν Pausania era amato da Empedocle, e
que sti gli intitolò il suo poema sulla ' natura E siccome questo verso forma
la dedica; cosi si è collocato il primo. La frase per quanto pare è Omerica
come si può vedere Iliad. 11 V. 450 Iliad. 1: V. 451. (2 ) Presso Simplicio de
Phys. aud. l. 8 p. 272 ediz. d'Aldo. Perchè questi due ver si si suppongono
dagli altri, che li seguono, si son collocati prima. Per altro Plut. de exil.
afferma che cosi cominciava la filosofia d'Empedocle. (3 ) IL 2. 3 verso son
rapportati da Laerz. 11 2 263 che se 1. 8 in Emp. I primi tre da Sext. Emp.
adv: Phys. 1. ģ, da Plut. de Pl. Ph. l. 1 cap. Tutti quattro poi da Stobeo Ecl.
Phys. 1. i p. 26. Questi si sono premessi per la ragio ne ch'esprimono i
quattro elementi, che sono base di tutta la filosofia d'Empedocle. Si conviene
da tutti che sotto Giove è in: dicato il fuoco, e da Nesti l'acqua, condo
Vossio de Idol. 1. 2. cap. 7 e Fabricio nelle note à Sesto Empirico deriva da
yalay fluere. Vi è solo un disparere tra gli Scitiori per gli due simboli.
Giunone e Plutone. Pois chè secondo Cic. de Nat. Deor. l. 2.cap. 26 Plut. l. 1.
cap. 3. de Pl. Ph. Macrob. Satur. l i cap. 15, da Giunone è espressa l'aria; ed
al contrario giusta Athen. Apol. 22. Achill. Tazio in Arat. Laert. I. 8 in Emp.
Stobeo Ecl. Phys. 1. i Heracl. Allegaz, Omeriche,p. 443., -sotto il simbolo di
Giunone è indicata la terra. E però per questi Plutone era la• ria, e per
quelli la terra. Aïd oyeus in luogo di aïdris Om. 11. 20 V. 61. Esiod. Theog.
v. 913. Hpn epoßios Omer. Hyinn. in matr. o. mnium '. Nella traduzione si è
formato GIOTATO 2 per tmesi. 269 9 col. (4 ) Di questi versi il 7 e l'8 sono
riferi ti da Laerz. in Emp. I. 8. Stobeo Ecl. Phys. 1. 1 p: 26. Dal 10 sino al
15 si trovano presso · Arist. Natur. Auscult. l. 8 cap. 1. Il. 22 presso Ciem.
Alex. Strom. I. 5., ed il 21 e 22 presso Plut. Amat. Tutti poi eccetto il g e'l
10 sono rapportati da Simplicio de Phys. Aud. I. 1 p. 34 ediz. d'Aldo. Siccliè
si è supplito il 10 con Aristotile, e'l lo stesso Simplicio come si vedrà alla (10
). Questi versi che sono al numero di 36 fan parte del primo libro della natura.
Poichè lo stesso Simplicio dice chiaramente sy 7pUTW TO φυσικών.99 και nel
primo libro delle cose fisiche I versi 3, 4, 5 pajono d ' essere un'imi,
täzione d'Omero. II. 6.v., 146, e 149. Il 5 portá P&T Th, ma si è cangiato
in.dpuntu come più confacente al senso. Nel 6 in luo go di xdcepecei dinge si è
posto 8T0T€ anges.co me Omero. Il. -10. V. 164. Nel z la paro la Qiaotati
amicizia non significa in verità che ainore, siccome fa Omero. Il. 6 v. 161 c
in quasi tutta l'ariade che dice QLXOTNTO felgympia rab. Dal 7 al 12 sembra di
essere una sem 270 * plice imitazione d' Esiodo nella Theog. Poichè Empedocle
mette in contrasto l'amore e lo dio come Esiodo fa colla notte e'l giorno. Ne’
versi 6, 13 e 32 si trova la parola ' deau Trepes. collocata nello stesso modo
che suol fa re Opiero. Il. 10 v. 325 e 331. II. 12 v. 398. II. 19 v. 272. Odys.
4 V. 209. Odys. 7. v. 96. Odys. 10 v. 38. Odys.. 14 v. 11. Sicchè pare che
l'orecchio d Empedocle era educato al suono de' versi Omerici, Nel verso 14
aloy Euroly alla maniera d'Omero. Il. 1 v. 290. Nel 16 reipata pewIwon siccome
0. mero παρατα τεχνης. Nel 20 1 ’ αταλαντον co me Il. 15 v. 302. Nel 21 è da
dirsi che intanto, l'amicizia sia di lunghezza e larghez za eguale, in quanto i
corpi possono risulta re da parti eguali de quattro elementi. Al meno questa
interpetrazione pare più confa cente al suo sistema; se non si vuole abbrac
ciare quella, che deriva dal pittagoricismo, per cui il numero quattro era il
più perfetto. Nel 22 100. TEINTWS per attonito e Omerico. II. 4 v. 246. Nel 24
cina poves's dovrebbe esser nominativo giusta la Grammatica. Na si v. 271
lasciato in accusativo; perchè gli Attici alcuna, volta, coře si vede presso
Aristof. in avibus, sogliono usare l'accusativo in luogo del nomi nativo.
L'epye texti si trova spesso in Omero e in Esiodo: cosi Odys. 7 V. 272.Esiod.
Theog. V, 89. Il 25 è simile a quello dell' Iliad. 9 v. 558, e pile d'ogni
altro ad Esiod. Theog. v. 595. Nel 27 laratnaon è d ' Omero. II. 1 v. 526. Nel
30 il Trepiadojevolo è pari mente adattato al tempo e all'anno presso Omero'.
Odys. iv. 16 ed Esiod. Opera v. ' 384. Nel 31 si osserva l'id atoange in fi. ne
del verso come in Omero. Il. 6 v. 149. (5) I versi 12 e 13 si trovano presso
Arist, Poet. cap. 25, e Ateneo lib. 10 p. 424. Tutti poi sono rapportati da
Simplicio de Phys. aud. 1. i'p. 7 d' Aldo. Essi sono stati posti nel primo
libro del poema; perchè Simplicio li riferice come quelli che precedeano altri,
che da lui sono notati per versi del primo lix bro προ τετων των επων • Nel
verso 7 è 11 si è scritto a Jey.TTW5 in luogo di queuent Ews come si legge in
Sims plicio. Nel 10 si trova vtsupper feri ch'è d' 272 Omero II. 9 V. 502,
Nell'ultimo, si ha l espressione Jaunese idiogui ch ' è comune presso Omero ed
Esiodo: cosi Il. 18 v. 83. Odys. 13 v. 108. De scụto Herc. v. 140 ', ed in
tanti altri lunghi dell' uno e dell'altro poe ta. Teocrito nell' Idyl.. 17 v.
77. non è dif ficile che avesse imitato Empedocle, dicendo egli εθνεα μυρια
φωτων α εinmiglianzα di quel che dice il nostro poeta nel 8 verso e nel 14, (6
).Simplic. de. Phys. aud. I. 1 p. 7. Quer sti versi sono quegli stessi innanzi
a' quali di ce Simplicio ch' erun collocati quelli della na: ta (5 )..... L'
epiteto Truji Payowymi è Omerico. II. 8 v. 320 e 435. Orfeo nell'inno all'
etere, chiama l ' etere dotepo@ eyzes (7 ) I primi tre' versi sono presso
Arist. de anima li i càp. 7, e tutti presso Simp. de Phys. aud. I. 2 p. 66 Aldo.
Simplicio af ferma che appartengano al primo libro d' Em. pedocle λεγει εν
πρωτω. Ε come sono dello stesso tenore della nota (6); cosi si sono si tuati
vicino a quelli. Nel 1 verso επικαιρος in luogo di επίκρανος 273 è d'Omero. II.
1 v. 572, e il v. 572, e il xoayolai é ' Esiod. Theog. v. 865. Nel 3 l’ oGTEL
deuxa è parimente d ' Esiod. Theog. v. 540, e 557 e d'Omero. Il. 24 v. 793. (8
) I primi due versi si trovano presso Plut. de primo frigid., e il 7, 8, 9
presso Arist. de gen. et corrupt. Tutti presso Simpl. de Phys aud. l. 1 p. 8, e
nella pag. 34 sono pre ceduti da due seguenti versi. 1 እእእ. αγε
των δ * οαρων προτερων επί μαρτυρα δερκεί Ει τι και εν προτερoισι λιποξυλον
επλετο μορφη • 1 Di questi due versi non si sa che voglia dire quel Altofurov
legno pingue: Perchè pa-. re ch? Empedocle voglia rapportarsi a' prece: denti
colloquj dove forse v'era qualche for. ma Altrotuloy. Si è cercato di
sostituire Action Yugov, ma neppure s intende. Però si sono trascurati nel
testo questi due versi. Nel 3 verso si legge presso Plut. Svopa EVTA xep ply a
negyté, ch? è spiegato tenebroso, ed crribile. Ma come non si sa ď' onde poss m
m 274 sa derivare played soy si è sostituito plyndor, che più si conviene
all'acqua. Indi è che si è scritto VIOOEYTA,xoh pigns.ovte. E' vero che il vero
so diventa spondaico; ma gli epiteti dell' ac qua sono più confacenti alla sua
natura, e corrispondono più all'intendimento d'Empedo cle, che in questi versi
vuol dare i caratteri di ciascuno dei quattro elementi, siccome at testa
Simplicio de Phys. aud. - p. 7. Nel 4 προρε8σι θελυμνα τη luogo di προθελυμνα.
It' 9 vi 537. Il 5 verso è simile a quello d. Omero. Il. 18 v. 511, ilil 7 al
v. 70. Il. e al. v. 38 d' Esiod. Theog., e l'8 al v. 163 Odys. 15. Nel 9, e 10
l ' epiteto de' pesci υδατοθρεμμονες, e quello degli Dei δο. arxay wres sono
tutti due propj d'Empedocle; giacchè non si leggono presso altro poeta. Il
Tlpenoi Ospirtoi pare che sia preso dal v. 494 1 11. 9 • (9 ) Simplic. de Phys.
aud. 1. 1 p. 34. Egli li rapporta dopo quelli della nota (8) e dice, che
Empedocle li soggiunge in esempio. Non v'è quindi dubbio, che debbono essere
collocati nel primo libro, e dopo di quelli. Vi 275 si trovano alcuni versi
ripetuti alla maniera Omerica, e nel g versa ľws YÜ XEV come nel v. 749 Il. 11,
e nel v. 11 della Theog. d' Esiod. Nel 10 si e mutato l'acheta in fore, e nell'
11 vi si troνα μυθον ακεσας nel miodo stesso d'Omero II. 7 v. 54. Odys. 2 z v:
560, (19 ) Simplic. de Phys. aud. l. 1. Costui, dopo d' avere rapportato i
versi delle note (8) • (9 ) 80ggiunge και ολιγον δε προελθων αυθις Çnti. Però
si son collocati dopo, e come ap partenenti al primo libro. Il 7 di questi ver
si è quello stesso, ch ' è stato inserito da 9 nes versi della notą (4). (11)
Il 2 verso si trova presso Plut. net lib. de adulat. et amici discrimine: il
terzo presso Aristot. Metaph. 1. 3. cap. 4.- Tutti tre presso Clem. Alex. Strom.
I. 6. Il secondo verso, si rapporta d'alcuni ne: pos nilov ufos, ma Empedocle
nel 19 della nota (4) dice c7 NETOV, e per altro pare più armonioso ed Omerico.
Questi versi, come quel li, che indicano i quattro clementi ', non si possono
collocare che nel primo libro. m m 2 276 ! (12 ) Arist. Metaph. l. 3 cap. 4.
Simplic. de Phys. ' aud. 1. 6 p. 272. Plutaroo nel lib. de Reip. geć. praecept.
vi allude dicen da τιμας ονομαζω κατ' Εμπεδοκλεα. Questi ver si non possono
appartenere, che al primo li bro; perchè in esso dichiara Empedocle le due
forze amicizia e lite. (13 ) Simp. 1. i de Phys. aud. p. 34. La parola aprice
del primo versa può significare pari di numero, perfetto, ed adatto. Si è
tradotta pari; perciocchè si è trovato che i corpi, di cui Empedocle enumera le
parti de gli elementi, da cui quelli son composti, non sono che di numero pari.
Cosi l'ossa di oi to parti nota (7 ), la carne di parti eguali de quattro
elementi nota (6 ) et.. (14 ) Arist. de Gen. et Corrupt. l. i cap. 1, e De
Xenoph. Gorg., at Zenon. Plut. de Pl. Ph. l. 1 e adv. Golot. Si sono collocati
nel primo libro perchè Plutarco dice chiaramente de Pl. Ph. l. i λεγα δε ετως
και των πρώτων φυσικών και Anno de Tol spaced è modo turto ď Omero II. 1 v.
797. Odys. 11 V. 453. Odys. 10 2: 7 V. 495 ec. L'a.JavaTolo TEMBUTn è d' Esiod.
in Scuto Herc., ' e nell'ultimo verso Bpomois "QvIpomolol è maniera greca
che spesso si tra, va presso Omero ed Esiodo che dicono Bpotox ardpa. Il Duris
nel principio come opposto a 76 deutn pare che indicasse la nascita. Ma co me
in fine significa natura si è lasciato cob. la sua propia significazione di
natura. (15 ) Plut. adv. Colot. Questi versi, come si vede dalla materia, sono
una continuazio ne di que' della nota antecedente. Si sospetta che questi versi
fossero sta ti alterati da qualche copista. Vi si osserva ows per uomo in
genere neutro, che suol esa sere presso i Greci di genere maschile. (16 )
Simpl. de Phys. aud. 1, 2, pag. 85 Aldo. E siccome queg!i dice « TOTO'S AS T8
Εμπεδοκλεας εν τω δευτερη των φυσικών προ της ανδριων και γυναικιων σωμάτων
διαρθρωσεως TAUTU TC ETn, Empedocle nel secondo libro delle cose fisiche canta
questi versi prima di parlare della formazione e articolazione de' corpi de
maschi e delle femine Non vi ha 278 quindi alcun dubbio, che questi versi fan
par te del secondo libro, e che il soggetto di que. sto libro si versa sulla
nascita degli uomini, e de' corpi de' maschi e delle femine. Però è, che tutti
i versi che riguardano la formazio ne degli uomini, e de' loro membri, e delle
parti del corpo umano e loro funzioni sono stati da noi posti nel secondo libro.
IL 3 verso è un'imitazione d'Omero nel v. 157 dell' Iliad. 4, 810Quais secondo
Simpli cio esprime la massa tutta, del seme, che an cora' non indicava la forma
de' membri. (17 ) Aeliano de Nat. anim. I. 16 cap. 29. Le forme descritte in
questi versi sono ricor date da tutti gli antichi scrittori come singo lari.
Cosi Arist. Nat. ausc. l. 2. cap. 8. Es se non poterono durare, perchè non eran
tra loro convenienti. Di quando in quando ne na. sconto de' simili, e questi
sono i mostri.: (18) Simpl. de coelo 1. 2. Arist. de coel. 1. 3 cap. 2. De Gen.
I. i cap. i8. Isaac. Tzetze in Comm. ad Lycophr. Epi vax65 • (19 ) Simpl. de
coelo l. 2. (20 ) Simpl. de Phys. aud. 1. 8 p. 258 279 Aldo. Nel terzo verso si
è spiegato pngjely! al la maniera d'Omero Il. 1. v. 437. Nel 6 e nel 7 - sono
da notarsi ud poplene Opols, opsta μελεσσι, € πτεροβαμμoσι κυμβας clie sono ma
niere originali d' Empedocle. (21 ) Aristot. de respir. cap. 7. Questo è il più
bel frammento d'Empedocle, e forse l ' avanzo più, venerando dell'antica fisica,
in cui non solo si spiegà da Empedocle il modo a suo credere del nostro
respirare, ma si di mostra eziandio il peso, e la molla dell' a. ria. Egli è
stato tradotto per quanto si può letteralmente, e solamente si è ito aggiungen.
do talora la forma della clessidra, senza di che non si avrebbe potuto
chiaramente com prendere Il coros del 4 verso corrisponde al cruor de’latini.
Il. 16 y. 162. Chi si conosce – Omero può accorgersi come va adattando Em.
pedocle tutte le parole e frasi d'Omero nel 5. sino all ': 8 verso. Lo stesso
WTTEL OTAY Trays è ď Omero nel v. 362 Il. 15.. L'EPOMBAEOS, che Omero applica
ail' acqua'. Ili 16 v. 174, Empedocle l'adatta alla duttilità del bronzo 200
Verso. It all'acqua, nel 9 TEPEY Ejedes dell' 11 è d' 0. mero Il. 14 v. 406.
L'autap ETHTU nel 15 è forma parimente Omerica Il. 11 V. 304 Odys. l. 9 v. 371
ec. L'ayrilor ud wp nel 16 si trova applicato al giorno in Oniero, e qui che
non può esser fatale se non per che nella clessidra è destinata a notare le ore
che scorrono. Nel 18 verso Bpotew Xpor presso Esiod. Opera è preso per umano
corpo, qui per la mano. Nel 20 ilil duonysos è applica to alla guerra. Il. v.
395 ec. Da Empedocle si acconcia al gorgogliamento dell'acqua (22 ) Arist. de
sensu et sensili lib. i cap. Nel 2 verso σελας πυρος αθομενοιo e d ' Omero. Il.
9 v. 559. Il. 10 v.. 246. II. 11 v. 219. II. 6 v. 282 ec. Il 24uepiny νυκτα e
simile all' αμβροσιην δια νυκτα d' O mero. Il. 2. v. 57. Nel 3 si trova apopg85
ch'e' una metafora, quasi che le lanterne di fendendo il lume da venti se li
succhiassero; giacchè quopges vuol dire succhianti. Il mayo Town dyepewr Odys.
5 v. 293 e 304. Nel 4 verso il divanid ve si aeyrwy si trova in Omero Il. 5 v.
526. Nel 5 ci ha un epiteto de' 2. Nel dia 282 indomiti; per raggi ch ' è molto
ardito UTCpert chè non sono vinti dalla notte. La stessa pa rola walioruto nel
i verso per preparare è Omerica. Il. il v. 86 '. In quanto poi alla costruzione
delle lanterne è da dirsi, che for se allora erano di corno trasparente. (23 )
Il i e gli ultimi due versi presso Giov. Tzetze Chil. 5 p. 382. Il 2 presso
Theod. de Curat. Graec. l. 1. IlIl 22,, 3, e 4 pres SO Clem. Aless. Strom. 1.
5. Dal 5 sino all ' ultimo presso lo stesso Giov. Tzetze Chil. 13 p. 476. Gli
ultimi due versi sono anche rap portati da Chalcid. in Tim. Pl. Essi sono sta
ti tutti disposti nell' ordine, in cui sono no tati, che sembra non esser
disconveniente, e fanno certamente parte del lib. 3. Poichè Tzetze nella Chil.
7 p. 382 nel rapportarli soggiunge Εμπεδοκλης τω τιτω των φυσικων δεικ: VUOY
TIS ' N. sold togey το θεα κατ' επ'ος ετω λεγων. 9, Empedocle nel terzo libro
delle cose fisiche. volendo indicare quale sia la sostanza di Dio dice cosi Il
pendea nel senso in cui qui lo pigliu Empedocle è comune ad Omero nell' Odissea
n n. 282 o ad Esiodo nella Theng. (24) Clem. Alex. Strom. 1. 5. Il. 1 ver so
manca d'un piede, e si potrebbe compiere leggenda Ει ο αγε τοι μεν εγω λεξω. Vi
si os serva poi la stessa maniera d Oniero nell ' ap porre degli epiteti al
mare, all'aria, aile tere. (25) Athen. Dipnosoph. 1. 8 p. 334. Il devd pece
pecupce è d'Omero. Il. 9 v. 537. Lo stesso Athen. nel medesimo luogo attesta
che tutti i pesci da Empedocle furon chiamati zce paglves. (26 ) Aristot. 1. 2
de coelo cap. 8 e De Xenoph. Zenon, et Gorg. Gli ultimi due versi presso Clem.
Aless. Strom. 1. 6. (27 ) Plut. de Pl. Ph. I. i cap. 18. Theo dort. de mater.
et mundo Serm. 4 p. 1080. (28) Plut. Symp. l. 4 quaest. 1. Macro bio Saturn. l.
7 p. 521. E siccome in Plut. si leggono alterati; cosi sono stati correlti con
Macrobio. (29 ) Plut. quaest. Nat. p. 916. (30 ) Plut. quaest. Nat. p. 917, et
de Curiosit. Alcuni leggono Keuuata, altri rappese. (283 ra, ma si è sostituito
xeu-ged, che pare più acconcio al senso dell'autore (31 ) Arist. Nat. Auscult.
1.? cap. 4, e De Part, Anim. I. i cap. 1, Simpl. I. Phys. (32 ) Simpl. de Phys.
and. I. 2 p. 73. (33 ) Simpl. 1. 2 de Ph. aud. p. 23. L' epiteto de incepa come
dice ' Hesichio' è propio d' Empedocle.; ed il polyurgadins d'Omero II. 1 v.
352, (34) Simpl. l. 2 de Phys. aud. p. 74 Aldo. (35) Simpl. 1. 2 nel med. luog.
(36) Simpl. 1., nel med. luog. (37) Simpl. 1. 2 de Ph. aud. p. 73. (38 ) Simpl.
l. 8 de Ph. aud. p. 272. (39 ) Plut. in l. non posse suaviter vivi jut. xta
epicuri decreta. (40 ) Simpl. de Ph. aud. l. 8 p. 272. (41 ) Simpl. nel med.
luog. (42 ) Simpl. nel med. luog. (43) Arist. de Gen. et Corrupt. l. i cap. 6. (44)
Simpl. de coelo Com. 21. p. 88. (45 ) Arist. de Gener. et Corrupt. 1. i cap. 6.
La frase zgova dupsyo, presso Omero Il. 6 y. 411. nn 2 284 (46) Plut. quaest.
Nat. p. 916. (47 ) Arist. de Gener. anim. 1..1 cap. 18. (48) Arist. de Gener.
anim. I. 4 cap. 1. (49) Plut. nel lib. de Amic. multitud. (50) Arist. de Gener.
anim. 1. i cap. 23. Alcuni leggono μακρα δενδρεα. (51 ) Plut. quaest. Platon.
p. 1006.4. (52 ) Plut. de fac. in orbe lunae dove in luogo d' ožupeans è da
leggersi očußeans e in vece di naiyo Iraupe come si è rapportato nel. la nota
(35). (53) Plut. de fac. in orbe lunae. Questi versi sono stati corretti da
Xilandro. (54) Arist. Metaph. l. 3 cap. 4 de anim, 1. i cap. 2. Sesto Emp. adv.
Gram. l. i cap. 13 e adv. Log. l. 7 Chalc. in Tim. cap. 21 p. 131. Pare che in
questi versi Empedocle abbia imitato Omera Il. 13 v. 31, e Il. 16 v. 215. Il
tip apo ndoy Omerico. Il. 2 v. 455. L'epiteto della lite rugpw, che da Omero si
adatta alla vecchiaja, e talora alla ferita ec. è situato in fine del verso
come in Omero II. 5 v. 153, e Il. 10. v. 79. Il. 16 v. 393 ec. 285 3. (55 )
Sext. Emp. adv. logic. l. - 8 p. 512. (56) Stobéo Ecl. Plys. l. 1 p. 131. L'
última verso è anche rapportato da Chalcid. in Tim. Pl. p. 29,, ed è un
imitazione di quello d' Esiodo nella Theog. 7 spe pezy 750" T δες, περι δε
εστι νοημα • (57 ) Aristot. de anima 1. 3 сар. (58) Aristot. de anima" nel
med. luog. (59 ) Aristot. de Gener. 1. i cap. 13. (60) Plut. adv. Colot. (61 )
Clem. Alex. Strom. l. 5 Theodor. de curat. aegritud. Ethnic. Acciaolus Theod,
interpres I. i contra Graecos. (62 ) Arist. Meteorol. l. 4 cap. 9, atspao TURVO
è d ' Omero. Il. 11 y. 454, e otißola pous pedeerol è d ' Esiodo opera v. 148. (63
) Plut. Symp. 1. i cap. 3. Deve lege gersi andyl. (64 ) Plut. Symp. 1. 3.
quaest. 1. (65) Plut. Symp. I.,1 quaest. 2, e nel lib. de fac. in orbe lunae. (66)
Put. de Orac defectu. Per finire il verso si è supplito nella traduzione artos.
(67 ) Plut. Simp. I.? quaest. 10, 286. (68) Plut. de Orac. defect: (69) Plut.
Simp. 1. 8 quaest. 3. (70) Arist. Poet. cap. 25 c Meteor. l. 4. 71) Theophr. de
Caus. Plant. 1. i cap. 14. (72 ) Athen. Dipnosoph. l. 8 p. 365. Que sti versi
si son collocati come appartenenti al poema 'della natura; perchè parlano di Ve
nere, che indica l'amicizia. Vi si trova il Soydan codpots parola composta da
Empedocle, che non si legge in altro poeta. Si dee lege gere Κυπρις nel testo, e
non Kπρις. (73 ) Sesto Emp. adv. Log. 1.? Gli ul. timi due versi sono anche
rapportati da Plut. nel 1. de áud. Peet. Nel 2 yerso Scalig. legge suve ETEITA,
ed Erric. Stef. dely ETECL; ma ne' MSS. si trova SaneM.T, Si è quindi
conservata, come sta ne' MSS., e si è ritratta da dep @ os che più s' adatta al
senso dell'autore. Questi versi unitamente agli altri delle note (24) e (75 )
sono riferiti da Sesto Emp. come quelli, che con poche interruzioni si suc
vedono. E come Empedocle si dirizza ad un solo, ch'è Pausania;' cosi tutti fan
parte del 287 Chil. 1, pra poema sulla natura, (74) Sesto Emp. adv. Log. l. 2 (75
) Sesto Emp. nel med. luog. (70) Laerz. in Emp. 1. 8. Joan. Tzetze I versi 3, 4,
5 sono anche pres. so Clen). Alex. Strom. 1. 6. Nel 5 si legge d' alcuni
παλιγτιτα c d' altri παλιντινα; mα da Casaub. si vuole raditova, e fondasi so
Suida. Nell'ultimo verso è da notare che il sanare gl' infermi si esprime,
presso gli an tichi avastne dall'inferno. Plut. in amat. Horaz. l. 2 Sat. 1 V.
82. (77 ) Laerz. l. 8 in Emp. I versi 3 € 4 si trovano presso Sesto Emp. adv.
Gramm. 1. i cap. 13, e presso Philost. Vit. Apoll. Se condo Laerzio cosi
Empedocle avea dato prin. cipio al suo poema delle purgazioni cvcpzopese νός
των καθαρμων φησίν. (78) Sesto Emp. adv. Gram. I. 1 e Laerz. in Emp. 1. ' 8.
Sesto Empirico mette questi due versi dopo quelli della nota (77 ) e soge.
giunge nas nary. Sicchè icon c'è dubbio che appartengano alle purgazioni. (79)
Plut. de exil. I. 2, e l'ultimo meza 288 zo verso è presso Hierocle in aur.
carm., il quale lo ' rapporta unitamente al penultimo ως Εμπεδοκλης Φυσι ο
Πυθαγοραος • (80) I primi tre versi presso Plut. nel lib. de vit. aere alieno,
e tutti quattro presso lo stesso Plut. de Isid. et Osir., e presso Eusebio. (81
) Hierocl. in aur. carm. (82) Hierocl. in aur. carm. (83 ) Clem. Alex. Strom.
1. 3. (84) Clem. Alex. Strom. I. 3 0 70xO1 peegee herdos Il. 1 v. 254. (85)
Clem. ' Alex, Strom. I. 3. (86) Clem. Alex. nel med. luog. (87 ) Stob. Ecl.
Phys. 1. i. (88 ) Porph. de Antr. Nymph. Ediz. di Van - Gcens p. 9. (89 ) Clem.
" Alex. Strom. 1. 5 Origen, Phy losophumera. Phil. in V. Apoll. Athen.
Dipn. In luogo di do7Os, che è un epiteto dato da Esiodo e da Poeti Greci al
pesce, presso d' al.cuni si legge eurupos. A prima vista pare che l' epiteto
ignito non abbia luogo; mu ove si voglia riflettere che giusta Empedocle, gli
ani mali molto caldi cercarono l'acqua, ed ivi 289 soggiornarono, si può
comprendere in qual senso abbia potuto adattare al pesce l ' epiteto Europos. (90)
Eliano de Nat. anim. I. 12 cap. 7. Questi versi appartengono al poema delle pur
gazioni. Perchè Eliano nel rapportarli soggiun ge λεγει δε και Εμπεδοκλης την
αριστην αναι με: τοικησιν την τα ανθρωπου ει μεν ας ζωον η ληξις αυτην μεταγαγα
λεοντα γινεσθαι και δε ας φυτον dadyny. » Empedocle dice che ottima sia da
stimarsi la trasmigrazione dell'uomo, se do vendo passare in un bruto la sorte
lo porta nel corpo del leone, e se in una pianta lo porta nell' alloro L'
epiteto ηύκομοισιν Ο. mnerico. (91 ) Plut. de animi tranquill. L'epiteto
έροέσσα e d' Esiodo che dice Θαλιη εροεσσα και ma non s' intende quello di
μελαγκαρπος che vuol dire produttrice di frutti neri che Empe docle adatta ad
Asafia o sia al genio dell' oscurità. Giovanni Tzetze Chil. 12 dice Ecco
πεδοκλης προ παντωντε φιλοσοφος ο μέγας • γα γαρ την ασαφα αν μελαγκορον
υπαρχαν ως κελαινωπας τον θυμον ο Σοφοκλης που λεγα 25 * Ο Ο 290 SO • Empedocle
filosofo, grande sopra d'ogn'al tro, chiama Asafia o sia l'oscurità di nera
pupilla conie Sofocle dice l'animo di nero via In sostanza poi vuol qui
indicare Em pedocle quello che noi diciamo animo cupo, che tutto è coperto, e
tutto fa con riserva. (92 ) Diod. Sic. Bibl. Hist. 1. 13 p. 204. (93) Clem.
Alex. Strom. 1. 5. (94) Plut. adv. Colot. L'ultimo verso è stato corretto da
Giov. Clerc. Bibl. Choisie Tom. 1. (95) Arist. Rhet. l. i cap. 13. Si son
collocati in questo poema delle purgazioni; perchè Aristotile dice che
riguardano la proi bizione d uccidere gli animali. xoy ws EyeTedo κλης λεγα
περι τε μη κτιγαν το εμψυχσν. τετο γαρ τισι μεν δικαιον τισι δε και δικαιον. »
Co me dice Empedocle parlando della proibizione d' uccidere qualunque animale.
Poichè que sto non può essere giusto per alcuni e per al tri nò L' epiteto
supurtedortos é d' Omero e quello d'atletoy è d ' Esiodo. (98 ) Sesto Empir.
adv. Phys. I. 9 p. 580. Plut. de Superst. Nel 5 verso l'entBTT05 si 291 è
tradotto per indegno d'essere udito come půs letterale. Na potrebbe avere due
altri sensi cioè: da non essere compreso, o pure come colui, che è pieno di
Qyaxer 116 che vuol dire contumacia, o inobbedienza; perchè senza di ciò non si
ritrae un senso che sembra ragio nevole. Nel 6 a legurato d'apra è d' Omero
nell' Odys. 13 v. 23. (97 ) Porphyr. de non necandis ad epulan dum animalibus l.
2 pag. 137 ediz. di Lio ne 0285dic epga per scelleraggini è d'Omero Odys. 14 v.
83. (98 ) Porphyr. de non necandis ad epul. anim. I. 2 pag. 131. Il primo verso
somiglia a quello ď Omero Il. 24 v. 69. Alcuni leg, gono appatolor in luogo d '
cxpitolob. (99 ) Clem. Alex. exhortat. ad gentes. Awe Q10ste Odys. 11 v. 460. (100
) Clem. Alex. Strom. I. 5. (101 ) Clem. Alex. Strom. I. 4 Bpotol o pu. re ardpes
sain horlon. Il. 1 v. 266, e 273. (102 ) Clem. Alex, Strom. 1. 5. Questi due
versi sono stati corrotti. Nel primo verso Sca. ligero legge fyte TPUDEGcus in
luogo d' AUTOTA. OO 2 292 che non FIG. In verità questa seconda maniera cor
risponde meglio all'opertio. Nel secondo leg ge Ευγιες ανδρειων αχεων αποκηροι
ατειρεις. dla ad altri è piaciuto all' aydpelwy di sostituire l' and pouleur
ch'è più adatto e pie Omerico; all' електро! ľ Anouampor ch'è anche più ragione
vole; ed in fine all ατειρείς I'' ατηρείς si sa donde possa derivare. Si
potrebbe dire più presto artelpon. Vi sono poi di quei che in luogo di amewn
leggong amoywy; dimodochè spiegano coi forti achivi. (103 ) I primi due versi
sono presso Laerz. 1. 8 in Emp., e tutti si leggono presso Janibl. de Vit. Pyth.
p. 54. Questi versi si sono col locati nel poenia delle purgazioni; perchè in
questo poema Empedocle dichiara la morale pittagorica. (104) Presso Suida voce
Axpwr e Laerz. I. 8. in Emp. Questo epigramma, come dicono e Suida e Laerzio, è
diretto a punzecchiare Acrone, che domanda a la grazia di ergere un gran
monumento a suo padre in un luo. go alto della città di Gergenti. Empedocle va
scherzando.col nome di Acrone e la parola 293 acron che in Greco significa alto
e altezza. Ma questo scherzo non si può rendere nel no stro linguaggio. (105)
Laerz. in Emp. I. 8 & Towvoploy indi ca nome conveniente alla cosa. Perchè
liquo gavin in greco può significare che fa cessar i mali, e i dolori. Perciò
Empedocle scherza col nome del suo amico. (106) Questi due versi s'
attribuiscono dit Aulo Gellio Noct. Att. 1. 4 cap. 11 ad Em pedocle, e da altri
ad Orfeo. Ma in verità so no della scuola pittagorica. Si legga Didym. 1. 2.
Geoponicon cap. 35. Varii sono i sen timenti degli Scrittori sulla proibizione,
che facea la scuola Pittagorica, di mangiar del le fuve. Secondo alcuni, perchè
non sono sa lutari, e secondo altri perchè sono simili agli organi della
generazione. Di fatto Gellio dice che l'astinenza delle fave era un simbolo,
eon cui si volea indicare da Empedocle l'a ' stinenza delle cose veneree. (107
) Questi versi esprimono il giuramen to che si facea nella scuola Pittagorica.
Si leggono presso Jambl, de vit. Pyth. p. 125, 294 Ma non semhrano d'esser
d'Empedocle cosi perchè non corrispondono allo stile del nostro poeta, come
ancora perchè vi si osserva il dia. letto dor ico, che non mai egii usò ne'
suoi poemi. ROMA BIBLIOTECA 295 Note mancanti nel Tomo I. pag. 67. MEMORIA
SECONDA. (121 ) Απηρεν ασ Κροτωνα της Ιταλίας και κακοι τομές θες τοις
Ιταλιωταις εδοξασθη συν τοις μας θεματας και οι περι τας τριακοσίες οντες
ωκoνoμαν αριστα τα πολιτικα ωστε σχεδον αριστοκρατίας αναι την πολιτααν και
Pittagora si porto in Cro tona d'Italia; ed ivi dando leggi agľ Italias ni fu
egli in onore unitamente a' suoi disce poli. Trecento de' quali amministravano
otti mamente le cose politiche, si che quella re pubblica era di posta a
governo di ottimati, Laerz. in Pythag. (122 ) La persecuzione della scuola
pitta gorica nacque da ciò, giusta Jamblico nella Vita di Pittagora cap. 35,
che i pittagorici allontanavano il popolo dalle magistrature, e da' pubblici
consigli, e voleano essi soli, come sapienti, regolar le cose pubbliche.Grice:
“If people call William of Ockham, Surrey, Occam, I shall call Empedocles of
Agrigentum Agrigentum, or Agrigento simpliciter in the vulgar.” Vide “Italic
Griceians”While in the New World, ‘Grecian philosophy’ is believed to have
happened ‘in Greece,’ Grice was amused that ‘most happened in Italy!’ Empedocle
da Girgenti – Keywords: Girgenti -- Refs.: Luigi
Speranza, "Grice ed Empedocle," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51675742458/in/photolist-2mKFrQ6-2mLGZ47-2mKzDys-2mKucE2-2mKCPCw-2mKfijf-2mJrUpx-2mJpEUu-2mJorPw-2mJjky4-2mJorPB-2mJpFM6-2mJpFT8-2mJpFSS-2mJorQD-2mJpFN8-2mJorMs-2mJorSc-2mJrUsP-2mJjku6-2mJjkwA-2mJjkwk-2mJrUok-2mJsW8r-2mJjkyK-2mJrUqu-2mJorRW-2mJpFQn-2mJpFNP-2mJorQi-2mJpFTZ-2mJrUso-2mJpFPv-2mJjkub-2mJpFM1-2mJrUqK-2mJrUr6-2mJjkvJ-2mJpFSM-2mJrUqz-2mJrUqE-2mJsWcj-2mJrUsU-2mJrUoa-2mJpFLK-2mJrUn3-2mJjkvt-2mJorKZ-2mJpFNt-2mJq2uE
Grice e
Girgenti – la parola che non s’incatena – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo. Grice: “I love Girgenti
for many reasons! For one, he has edited Boezio ‘as he is’! – then he has
elaborated on Socratic irony, a concept that needs some elucidation, if ever
one did! Also, he has edited the ‘logica retorica’ of Cicero, which is
welcome!”Frequenta gli studi classici a Palermo, sotto Brighina, Franchina,
Armetta, Mirabelli e Puglisi) e poi si è trasferito a Milano sotto Bontadini,
Bausola, Melchiorre e Giussani. Si laurea sotto Reale con “Platonismo e Cristianesimo
in San Giustino Martire” – Studia “Porfirio tra henologia e ontologia
riproponendo la questione degli universali come origine del "pensiero
forte". Insegna a Milano I suoi studi sono concentrati sul rapporto tra
filosofia greco-romana e Cristianesimo, e in particolare nell'influenza che il
platonismo ha esercitato sui Padri della Chiesa. Per analizzare questo tema,
applica due categorie ermeneutiche: la "storia del’effetto" e la
"fusione dell’orizzonte”. Secondo la storia dell’effeto, la Patristica latina
deve essere considerata una fase importante della storia del platonismo antico,
che fa da tramite rispetto alla filosofia medioevale. Secondo la fusione
dell’orizzonte, il rapporto tra platonismo e Cristianesimo deve essere
analizzato superando due opposte posizioni: la "praeparatio
evangelica" di Eusebio di Cesarea, secondo cui la filosofia pre-cristiana
sarebbe stata di per sé una preparazione al Cristianesimo e la
"Ellenizzazione del cristianesimo" di Adolf von Harnack, secondo cui
nell'incontro con la filosofia, il Cristianesimo avrebbe smarrito la vocazione
originaria (e dovrebbe pertanto “de-“ellenizzarsi, de-filosofarsi). Una
posizione mediana potrebbe contribuire a superare le rigidità del cristianesimo
cattolico e le chiusure del cristianesimo protestante non-cattolico. Saggi:
“Porfirio: catalogo ragionato” (Vita e Pensiero, Milano); “Giustino Martire, il
primo cristiano platonico” Vita e Pensiero, Milano); “Porfirio, Vita e Pensiero,
Milano); Porfirio, Laterza, Roma-Bari; “Platone, G. Girgenti, Rusconi, Milano,
Incontri con Gadamer, G. Girgenti, Bompiani, Milano “Platone” G. Girgenti,
Bompiani, Milano; Atene e Gerusalemme. Una fusione di orizzonti, Il Prato,
Padova; Il bue squartato e altri macelli. La dolce filosofia, libro-intervista
con Sossio Giametta, Mursia, Milano. G. Giorello, Corriere della Sera, 1ºScheda
biografica, curriculum e nel sito
dell'Università Vita-Salute San Raffaele, su unisr. Selezione di
pubblicazioni Porfirio negli ultimi cinquant’anni. Bibliografia
sistematica e ragionata della letteratura primaria e secondaria riguardante il
pensiero porfiriano e i suoi influssi storici, presentazione di G. Reale, Vita
e Pensiero, Milano, Porfirio, Isagoge, prefazione, introduzione, traduzione e
apparati di G. Girgenti, testo greco a fronte, versione latina di Severino
Boezio in appendice, Rusconi, Milano, nuova edizione Bompiani, Giustino
Martire, il primo cristiano platonico. Con in appendice “Atti del Martirio di
San Giustino”. Presentazione di C. Moreschini, Vita e Pensiero, Milano,
Giustino, Apologie. Prima Apologia per i Cristiani ad Antonino il Pio. Seconda
Apologia per i Cristiani al Senato Romano. Prologo al “Dialogo con Trifone”,
introduzione, traduzione e apparati di G. Girgenti, testo greco a fronte,
Rusconi, Milano, Aristotele, Poetica, introduzione, traduzione, note e sommari
analitici di D. Pesce, revisione del testo, aggiornamento bibliografico, parole
chiave e indici di G. Girgenti, testo greco a fronte, Rusconi, Milano, Porfirio,
Sentenze sugli intellegibili, prefazione, introduzione, traduzione e apparati
di G. Girgenti, con in appendice la versione latina di Marsilio Ficino,
Rusconi, Milano. G. Girgenti, Il pensiero forte di Porfirio. Mediazione tra
henologia platonica e ontologia aristotelica, introduzione di G. Reale, Vita e
Pensiero, Milano, Porfirio, Storia della
Filosofia (frammenti), a cura di A. R. Sodano e G. Girgenti, Rusconi, Milano, Introduzione
a Porfirio, “I filosofi”, Laterza, Roma-Bari, La nuova interpretazione di
Platone. Un dialogo di Hans-Georg Gadamer con la Scuola di Tubinga e Milano e
altri studiosi (Tubinga), introduzione di H.G. Gadamer, prefazione, traduzione
e note di G. Girgenti, Rusconi, Milano, nuova edizione ampliata: Platone tra
oralità e scrittura, Bompiani, Milano, Porfirio, Vita di Pitagora, monografia
introduttiva e analisi filologica, traduzione e note di A. R. Sodano, saggio
preliminare e interpretazione filosofica, notizia biografica, parole chiave e
indici di G. Girgenti, in appendice la versione araba di Ibn Abi Usabi’a, testo
greco e arabo a fronte, Rusconi, Milano, J. Patocka, Socrate. Lezioni di
filosofia antica, introduzione, apparati e bibliografia di G. Girgenti,
traduzione di M. Cajtham l, testo ceco a fronte, Rusconi, Milano, nuova edizione: Bompiani, Milano, K. Wojtyla,
Persona e Atto, a cura di G. Reale e T. Styczen, revisione della traduzione
italiana e apparati a cura di G. Girgenti e P. Mikulska, testo polacco a
fronte, Rusconi, Milano, nuova edizione: Bompiani, Milano, Struttura dell’anima
dell’anima secondo Agostino e presupposti neoplatonici, in: Autori vari,
Coscienza. Storia e percorsi di un concetto, Donzelli, Roma, Der Begriff der
Verantwortung in der Welt der Antike und des Christentums, in K. Götz – J.
Seifert (Hg.), Verantwortung in Wirtschaft und Gesellschaft, Rainer Hampp
Verlag, München; J. Seifert, Ritornare a Platone. La fenomenologia
realista come riforma critica della dottrina platonica delle idee, in appendice
un testo inedito su Platone di A. Reinach, prefazione e traduzione di G.
Girgenti, Vita e Pensiero, Milano, Autori vari, Incontri con Hans-Georg
Gadamer, edizione italiana a cura di G. Girgenti, Bompiani, Milano, Porfirio
nel vegetarianesimo antico, “Bollettino Filosofico: Dipartimento di Filosofia
dell’Università della Calabria”, Due fonti neoplatoniche indirette di Cusano:
Porfirio e Giamblico, in AA. VV., Nicolaus Cusanus zwischen Deutschland und
Italien Beiträge eines deutsch-italienischen Symposions in der Villa Vigoni vom
(Veröffentlichungen des Grabmann-Instituts, Bd. 48), hrsg von Martin Thurner,
Akademie Verlag Berlin, Plotino, Enneadi, traduzione di R. Radice. Saggio
introduttivo, prefazioni e note di commento di G. Reale. Porfirio, Vita di
Plotino, a cura di G. Girgenti, “I Meridiani. Classici dello Spirito”, Arnoldo
Mondadori Editore, Milano K. Wojtyla,
Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche e saggi integrativi, a
cura di G. Reale e T. Styczen, apparati e indici di G. Girgenti, Bompiani, Milano
2003. Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei filosofi. Commentaria in Porphyrium a se
translatum (editio secunda). Boethius Georg Schepps Samuel
Brandt University of Leipzig European Social Fund
Saxony Gregory Crane Jouve OCR-ed, corrected and
encoded the text Greta Franzini Project Manager
(University of Leipzig) Simona Stoyanova Project
Assistant (University of Leipzig) Bruce Robertson Technical Advisor
(Mount Allison University) Uvius Fonticola Technical
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Leipzig stoa0058.stoa007.opp-lat3.xml Available under a Creative
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University of Leipzig Germany Georg Schepps
Samuel Brandt Boethius Vienna
Leipzig Tempsky Freytag 1906
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Architecture. Latin p. 46
Secundus hic arreptae expositionis labor nostrae seriem translationis
expediet, in qua quidem uereor ne subierim fidi interpretis culpam, cum uerhum
uerbo expressum comparatum- que reddiderim, cuius incepti ratio est quod in his
scriptis in quibus rerum cognitio quaeritur, non luculentae orationis
lepos, sed incorrupta ueritas exprimenda est. quocirca mul- tum profecisse
uideor, si philosophiae libris Latina oratione compositis per integerrimae
translationis sinceritatem nihil in Graecorum litteris amplius desideretur, et
quoniam humanis animis excellentissimum bonum philosophiae comparatum est,
ANICII. MALLII. SEVERINI. BOECII. IN YSAGOGAS PORPHIRII. A SE TRANSLATA
EDITIONIS SECVNDĘ LIBER PRIMVS INCIPIT- P; BOETII EXPOSITIO SCDA IN
YSAGOG. E; BOETII COMMENTA IN ISAGOGAS G; INCIP COMENTV BOETII, in
isagogis porphirii; Expos Scda L; COMENTV BOECII IN ISAGOGAS
R; inscriptione carent CFHNS (nisi quod in FH recens quaedam est),
item e codd. Isagogen tantum a Boethio translatam continentibus ΛΣ
; ISAGOGAE PORPHYRII TRANSLATAE DE GRECO IN LATINVM A VICTORINO ORATORE (sic)
ΓΦ ; INCIP LIBER YSAGOGARVM (HΥS- \ ) POR- PHYRII (I
pro Y Π ) AII ,- Icipidt isagoge porphyrii (m.
poster.) Ψ; de titulo operis cf. Prolegomena
6 fidi—reddiderim] cf. Horat. Ars poet. 133. 11—13] cf. Cic. Acad. post.
I 3,12. 6 fędi C foedi Hm1N infidi
FGm1 7 uerbo] e uerbo N 8 incoepti CEGHPRS 10
corrupta Em1Sm1 incorruptae Em2 (e in mg. add.
sed del .) Lm1 11 uidebor brm 13 graecis
Lm2 ut uia et filo quodam procedat oratio, ex animae ipsius effi-
cientiis ordiendum est. triplex omnino animae uis in uegetandis corporibus
deprehenditur, quarum una quidem uitam corpori subministrat, ut nascendo
crescat alendoque subsistat, alia uero sentiendi iudicium praebet, tertia ui
mentis et ratione subnixa est. quarum quidem primae id officium est, ut
creandis, nutriendis alendisque corporibus praesto sit, nullum uero rati-
onis praestet sensusue iudicium. haec autem est herbarum atque arborum et
quicquid terrae radicitus adfixum tenetur, secunda uero composita atque
coniuncta est ac primam sibi sumens et in partem constituens uarium de
rebus capere potest ac multiforme iudicium. omne enim animal quod sensu uiget,
idem et nascitur et nutritur et alitur, sensus uero diuersi sunt et usque ad
quinarium numerum crescunt, itaque quicquid tantum alitur, non etiam sentit,
quicquid uero sentire potest, ei prima quoque animae uis, nascendi
scilicet atque nutriendi, probatur esse subiecta. quibus uero sensus adest, non
tantum eas rerum capiunt formas quibus sensibili corpore feriuntur praesente,
sed abscedente quoque sensu sensibili- busque sepositis cognitarum sensu
formarum imagines tenent memoriamque conficiunt, et prout quodque animal
ualet, lon- gius breuiusque custodit, sed eas imaginationes confusas atque
ineuidentes sumunt, ut nihil ex earum coniunctione ac compo- 1 uia et
filo quodam] CEm2H (uia fort. ras. ex uiae), uiae et
filo quodam N uiae (s. l. R) ex filo quodam
EmIGPR edd . uiae ( ex uia S ) ex quodam filo LS uiae (
s. l . filo m1 ) quodam F ratio CEmIGLRS ex]
ab Hm1NP efficienti Em1 efficientis Fa. c . 3 post
uitam add . solum CFHP solam N corporis
GNRL a.r.Sa.r . 5 rationis FGRS 6 procreandis CHNP 7
nutriendisque ( om . alendis) EL sit s. l. Gm2Nm2 9
terra CN 10 ac] ad FSm1 at LSm2 et
G 11 rebus] quibus GRS de rebus de quibus L 12
poterit E post iudicium add . capit E (sed del.) L, s. l. m2
in HRS 13 et nutritur om. CHP, s. l . nutritur (om. et)
Lm2 14 ita CHR 16 poterit E quoque prima
FGm2H 19 praesente ante feriuntur FHN praesentes CHm1N abscedente]
Em2FGHmINESa.r . absente CEm1Hm2LPSp.r . 20 re- positis GR 22
imagines FHN 23 ante sumunt add. sic brm
sitione efficere possint, atque idcirco meminisse quidem possunt, nec aeque
omnia, admissa uero obliuione memoriam recolli- gere ac reuocare non possunt,
futuri uero his nulla cognitio est. sed uis animae tertia, quae secum priores
alendi ac sen- tiendi trahit hisque uelut famulis atque oboedientibus
utitur, eadem tota in ratione constituta est eaque uel in rerum prae- sentium
firmissima conceptione uel in absentium intellegentia uel in ignotarum
inquisitione uersatur. haec tantum humano generi praesto est, quae non solum
sensus iraaginationesque perfectas et non inconditas capit, sed etiam
pleno actu intel- legentiae quod imaginatio suggessit, explicat atque
confirmat, itaque, ut dictum est, huic diuinae naturae non ea tantum cognitione
sufficiunt quae subiecta sensibus comprehendit, uerum etiam et insensibilibus
imaginatione concepta et absen- tibus rebus nomina indere potest et quod
intellegentiae ratione comprehendit, uocabulorura quoque positionibus aperit,
illud quoque ei naturae proprium est, ut per ea quae sibi nota sunt ignota
uestiget et non solum unum quodque an sit, sed quid sit etiam et quale sit nec
non cur sit, optet agnoscere, quam triplicis animae uim sola, ut dictum
est, hominum natura sor- tita est. cuius animae uis intellegentiae motibus non
caret, quia in his quattuor propriae uim rationis exercet, aut enim aliquid an
sit inquirit aut si esse constiterit, quid sit addubitat, quodsi etiam
utriusque scientiam ratione possidet, quale sit 2 admissa] CR
amissa EFGm1NP amissam Gm2LS, ras. et s. l. ex
admissam H memoriam om. FGR, s. l. Sm2 , memoria H
3 hiis F , sic saepe cogitatio CNm2 4 animae
uis CEL 5 ante trahit add . uires brm 6 ea
CHm1N est ante constituta CEGS , om. R 7 con- tentione
EGm1Sm1 contemplatione R, m2 in GLS 8 in s. l. Gm1PmS
, del. Lm2 ignotorum Hm1N 9 imaginationes
EN 11 conformat Gm2Pm2 13 cognitione] in cognitione
FHNP 14 et] ex Em1HN sensibilibus CEm1Hp. c. Nm2
sensibus Ha. c. Nm1 ante imaginatione add .
sibi E (del. m2) NPSm2 imaginatione] in agnitione
Gm1Sm1 agnitione Gm2R post concepta add. nomina Hm1,
idem post rebus s. l. m2 17 sint E 19 optat
LR 22 quia] qua Gm1 atque EHm1Pm1 24
scientiam post ratione E sententiam Hm1
pos- sedit FRS unum quodque uestigat atque in eo cetera
accidentium momenta perquirit, quibus cognitis cur ita sit quaeritur et ratione
nihilo minus uestigatur. Cum igitur hic actus sit humani animi, ut
semper aut in <rerum> praesentium comprehensione aut in absentium
intel- p. 47 legentia aut in ignotarum inquisitione | atque
inuentione uer- setur, duo sunt in quibus omnem operam uis animae ratio- cinantis
inpendit, unum quidem, ut rerum naturas certa inqui- sitionis ratione
cognoscat, alterum uero, ut ad scientiam prius ueniat quod post grauitas
moralis exerceat, quibus inquirendis permulta esse necesse est, quae
uestigantem animum a recti itinere non minimum progressione deducant, ut in
multis euenit Epicuro, qui atomis mundum consistere putat et honestum uoluptate
metitur, hoc autem idcirco huic atque aliis accidisse manifestum est, quoniam
per imperitiam disputandi quicquid ratiocinatione comprehenderant, hoc in
res quoque ipsas euenire arbitrabantur, hic uero magnus est error; neque enim
sese ut in numeris, ita etiam in ratiocinationibus habet, in numeris enim
quicquid in digitis recte computantis euenerit, id sine dubio in res quoque
ipsas necesse est euenire, ut si ex calculo centum esse contigerit,
centum quoque res illi numero sub- iectas esse necesse est. hoc uero non aeque
in disputatione seruatur; neque enim quicquid sermonum decursus
inuenerit, 4 aut om. CNR, s. l. Gm2Sm2 5 rerum add. edd.
post praesentium, ante Brandt; cf. p. 137, 6 6
ignotorum Gm2Hm1Lm2N ante in- uentione s. l. in Hm2 8
inpendat FPSa.c . naturam FHm1N certa inquisitionis]
Gm2H certae inquisitionis FNP inquisitionis certa CELm2 , om.
certa Gm1Lm1RS (fort. recte) 10 quod] eius quod r exer- cet
Hm1 12 minimum ante non E minime FSm1
diducant FGm2 13 atbomis plerique codd . consistere in
mg. Hm2 constare CFP, post er . ł consistere C honestam
Em1P honestatem F 14 uoluptate om. F uoluptatera
CEHm2 (te* m1) LNR, add . corporis L (del. m2) R, s. l. Gm2,
ante uol. edd . mentitur CEGHPRSm1 hoc] haec
H 16 racione CN comprehenderent m1 in
EHN 17 nero] ergo H maximus E error est
CFHNP post sese add . res FR , s. l. Pm2 19 digitos
CEFN id natura quoque fixura tenetur, quare necesse erat eos falli
qui abiecta scientia disputandi de rerum natura perquirerent, nisi enim prius
ad scientiam uenerit quae ratiocinatio ueram teneat disputandi semitam, quae
ueri similem, et agnoscere quae fida, quae possit esse suspecta, rerum
incorrupta ueritas ex ratiocinatione non potest inueniri. cum igitur ueteres
saepe multis lapsi erroribus falsa quaedam et sibimet contraria in disputatione
colligerent atque id fieri inpossibile uideretur, ut de eadem re contraria
conclusione facta utraque essent uera quae sibi dissentiens ratiocinatio
conclusisset, cuique ratiocinationi credi oporteret, esset ambiguum, uisum est
prius disputationis ipsius ueram atque integram considerare naturam, qua cognita
tum illud quoque quod per disputationem inueniretur, an uere comprehensum
esset, posset intellegi, hinc igitur profecta est logicae peritia
disciplinae, quae disputandi modos atque ipsas ratiocinationes internoscendi
uias parat, ut quae ratiocinatio nunc quidem falsa, nunc autem uera sit, quae
uero semper falsa, quae numquam falsa, possit agnosci, huius autem uis duplex
esse perpenditur, una quidem in inueniendo, altera in iudicando. quod
Marcus etiam Tullius in eo libro cui Topica titulus est, euidenter expressit
dicens; Cum omnis ratio diligens disserendi duas habeat partes, unam inue-
niendi, alteram iudicandi, utriusque princeps, ut mihi quidem uidetur,
Aristoteles fuit. Stoici 20 Tullius] Top. 2, 6 s. 1
ante natura add . in HLSpr, s. l. Pm2 3 post nisi
add . quis r prius enim E 4 disputandi om. GRS ad
ueri similem s. l . ał que ueri se similem agnouerit
Hm2 et agnoscere] FSm1 ( om . et) et agnouerit EGLPRSm2
( om . et) edd. ut ex hoc delectia rationum que- amus agnoscere Hm1, s. l
. ał et agnouerint quae fida et reliqua m2 ut ex diligentia
rationum queamus ( ex quaeramus C ) agnoscere CN 7 et
sibimet] sibimet C sibi et EGRS 9 post re s. l .
si Cm1? 10 cuique) CHm1N cuiue cett . 13
tunc FHNPm1R post an add . id R, s. l. Gm2Lm2, 2 litt.
er. C 15 ipsis ratiotinationibus Hm2 16 ante internoscendi
add. et brm uiam CFHN 19 inneniendi et iudicandi ( om .
in) Hm2 24 quidem uidetur] FHNPCic . uidetur quidem GRS
quidem om. CEL autem in altera elaborauerunt; iudicandi enim
uias diligenter persecuti sunt ea scientia quam διαλεκτικήν appellant,
inueniendi artem, quae τοπική dicitur quaeque ad usum potior erat
et ordine naturae certe prior, totam reliquerunt, nos autem quoniam in
utraque summa utilitas est et utram- que, si erit otium, persequi cogitamus, ab
ea quae prima est, ordiemur, cum igitur tantus huius considera- tionis fructus
sit, danda est huic tam sollertissimae disci- plinae tota mentis intentio, ut
primis firmati in disputandi ueritate uestigiis facile ad rerum ipsarum
certam comprehen- sionem uenire possimus. Et quoniam qui sit ortus
logicae disciplinae praediximus, reliquum uidetur adiungere, an omnino pars
quaedam sit philosophiae an ut quibusdam placet, supellex atque instru-
mentum, per quod philosophia cognitionem rerum naturamque deprehendat, cuius
quidem rei has e contrario uideo esse sen- tentias. hi enim qui partem
philosophiae putant logicam con- siderationem, his fere argumentis utuntur,
dicentes philoso- phiam indubitanter habere partes speculatiuam atque
actiuam. de hac tertia rationali quaeritur an sit in parte ponenda, sed
eam quoque partem esse philosophiae non potest dubitari, nam sicut de
naturalibus ceterisque sub speculatiua positis solius philosophiae uestigatio
est itemque de moralibus ac 2 uias] ENPCic.p, om. cett. codd .,
uiam brm ea scientia] Pm1Cic . eam scientiam EPm2
edd. eam scilicet scientiam CN artem et scientiam FSm2
scientiam GHLRSm1 3 διαλεκτικήν ] Cic. dialecticen
CFGHL- NPm2RS dialecticam E dialectica Pm1 τοπική
] Cic . topice Gm2LNS topica CEFGm1HPR 4 quaeque]
quae et Cic . 5 prior] prior est GLa.c.RS 6 in—est et]
CN Cic., s. l. Pm2, om. cett. codd., Boethius etiam in comment. in Cic. Top.
lib. I p. 1047 D haec uerba respicit 8 prima] prior Cic .
ordiemur] EHm1NCic . ordiamur CGHm2LPRS ordinamus
F 13 quid FHm1NPp.c . quod a.c . 14 ante reliquum
add . esse GHP pars sit quaedam GN quaedam pars sit
L 18 hii EHL 20 ante habere add .
duas L m 1860 21 post rationali add . uel
orationali EFGH (del. m2) RS (del. mS) id est logica L
( s. l. m2) edd. ad an s. l . si Cm2 24
inuestigatio L reliquis quae sub actiuam partem cadunt, sola
philosophia perpendit, ita quoque de hac parte tractatus, id est de his quae
logicae subiecta sunt, sola philosophia iudicat. quodsi speculatiua atque
actiua idcirco philosophiae partes sunt, quia de his philosophia sola
pertractat, propter eandem causam erit logica philosophiae pars, quoniam
philosophiae soli haec dis- putandi materia subiecta est. iam uero inquiunt :
cum in his tribus philosophia uersetur cumque actiuam et speculatiuam
consideratio|nem subiecta discernant, quod illa de rerum naturis, p.
48 haec de moribus quaerit, non dubium est quin logica disci- plina
a naturali atque morali suae materiae proprietate di- stincta sit. est enim
logicae tractatus de propositionibus atque syllogismis et ceteris huiusmodi,
quod neque ea quae non de oratione, sed de rebus speculatur neque actiua pars,
quae de moribus inuigilat, aeque praestare potest, quodsi in his tribus,
id est speculatiua, actiua atque rationali, philosophia consistit, quae proprio
triplicique a se fine disiuncta sunt, cum specula- tiua et actiua philosophia
partes esse dicuntur, non dubium est quin rationalis quoque philosophia pars
esse conuincatur. qui uero non partem, sed philosophiae instrumentum
putant, haec fere afferant argumenta, non esse inquiunt similem logicae finem
speculatiuae atque actiuae partis extremo, utraque enim illarum ad suum proprium
terminum spectat, ut speculatiua 2 tractat Ep.r.FR, m2 in GLP
3 diiudicat CHm2 5 sola philo- sophia CFN
pertractet Em1 tractat Hm1 7 iam] tam R
ita FL 9 sublectas discernat Em2 10 dubium non
est CEL non est dubium F 11 a om. LS, s. l. Gm2Pm2,
postea add. R disiuncta (iunc in ras. m1? ) R 12 est
enim] etenim GLRS post tractatus add. est LR, s. l. Pm2
14 orationibus E ratione Lm1, add . est L 17 sint
Rm1, ex sit Sm2 cumque H (q. er .)
Lm2N 18 et] atque EFNP philosophiae pbr dicantur
Lm2N non est dubium EFHNP 21 haec—argumenta del.
G asserunt ( ss in ras. m1? ) C similem om. GR,
post finem s. l. Sm2, ad similem s. l. ł proprium
Pm2 22 ante speculatiuae add . sed R, s. l.
Gm2Lm2 extremum E (u ex a uel o m2 ) GL
(um ex am m2 ) Pm2RSm1 23 proprium suum C ut] ita
ut brm quidem rerum cognitionem, actiua uero mores atque
instituta perficiat, neque altera refertur ad alteram, logicae uero finis esse
non potest absolutus, sed quodammodo cum reliquis duabus partibus colligatus
atque constrictus est. quid enim est in logica disciplina quod suo merito
debeat optari, nisi quod propter inuestigationem rerum huius effectio
artis inuenta est? scire enim quemadmodum argumentatio concludatur uel quae uera
sit, quae ueri similis, ad hoc scilicet tendit, ut uel ad rerum cognitionem
referatur haec scientia rationum uel ad inuenienda ea quae in exercitium
moralitatis adducta beatitu- dinem pariunt. atque ideo quoniam
speculatiuae atque actiuae suus certusque finis est, logicae autem ad duas
reliquas partes refertur extremum, manifestum est non eam esse philosophiae
partem, sed potius instrumentum, sunt uero plura quae ex alterutra parte
dicantur, quorum nos ea quae dicta sunt strictim notasse sufficiat. Hanc
litem uero tali ratione dis- cernimus. nihil quippe dicimus impedire, ut eadem
logica partis uice simul instrumentique fungatur officio, quoniam enim ipsa
suum retinet finem isque finis a sola philosophia, consideratur, pars
philosophiae esse ponenda est, quoniam uero finis ille logicae quem sola
speculatur philosophia, ad alias eius partes suam operam pollicetur,
instrumentum esse philosophiae non negamus; est autem finis logicae inuentio
iudiciumque rati- onum. quod scilicet non esse mirum uidebitur, quod eadem
pars, eadem quoddam ponitur instrumentum, si ad partes corporis animum
reducamus, quibus et fit aliquid, ut his quasi quibusdam instrumentis utamur,
et in toto tamen corpore par- tium obtinent locum, manus enim ad tractandum,
oculi ad 1 rerum] Em2H(in mg. m1?) Lm2 edd., post
cognitionem add . rerum s. l. Pm2Sm2, add . naturalium rerum
F, s. l. Gm2, om. cett . 2ad alteram] de altera Em2 3 non potest
esse FGN 4 est om. C 5 aptari FGm1Hm1Pm2R 6
affectio EFHLm2Pm1Bm1 8 intendit F 9 rationum
scientia CLP 10 mortalitatis bm 11 parant Ea.c .
pariant Hm1 15 alterutra] utraque EP, add. post
alterutra H, del. m2 ante dicta add . supra EP, s. l.
Lm2 18 enim] nero CFHN 21 ei F 24 uidetur
Em1FGm2LNPm2 28 optineant Fp.c.S uidendum, ceteraeque
corporis partes proprium quoddam uidentur habere officium, quod tamen si ad
totius utilitatem corporis referatur, instrumenta quaedam corporis esse
deprehenduntur quae etiam partes esse nullus abnuerit, ita quoque logica
disciplina pars quidem philosophiae est, quoniam eius philo- sophia sola
magistra est, supellex uero, quod per eam inqui- sita philosophiae ueritas
uestigatur. Sed quoniam, quantum mihi quoque breuitas succincta
largita est, ortum logicae et quid ipsa logica esset explicui, nunc de eo
nobis libro pauca dicenda sunt quem in praesens sumpsimus exponendum, titulo
enim proponit Porphyrius intro- ductionem se in Aristotelis Praedicamenta
conscribere, quid uero ualeat haec introductio uel ad quid lectoris animum praeparet,
breuiter explicabo. Aristoteles enim librum qui De decem praedicamentis
inscribitur hac intentione composuit, ut infinitas rerum diuersitates quae sub
scientiam cadere non possent, paucitate generum comprehenderet, atque ita quod
per incomprehensibilem multitudinem sub disciplinam uenire non poterat, per
generum, ut dictum est, paucitatem animo fieret scientiaeque subiectum.
decem igitur genera rerum esse omnium considerauit, id est unam substantiam et
accidentia nouem, quae sunt qualitas, quantitas, relatio, ubi, quando, facere
et pati, situs, habere, quae quoniam genera essent su- prema et quibus nullum
aliud superponi genus posset, omnem necesse est multitudinem rerum horum
decem generum spe- 1 quoddam] quod Em1 (aliquod m2
) G 2 utilitatem post corporis EG, ante
totius L 4 quas FSm2 5 quidem post philosophiae
H quaedam L 6 uero] uero est L 8 quoque om.
L quidem edd . ueritas Cm1N succincta]
CNPSm2 sua mora EFGHR sua mota Sm1 succincta suam
moram L 9 ortum om . L et de ortu CNF quod CF
est G explicaui CELm2PRS 11 titulum CHm1N
13 lectoris s. l. Gm2, post animum CN, post
praeparet H. om. E 14 paret EFGNRS 15 scribitur
EGRSm1 17 ita quod s. l. Gm2 (itaque m1) Rm2 quod
( om . ita) s. l. Sm2 20 decem] in decem C 23 et
om. FLNP situm habere CRa.c . situm esse habere Gm1S 24
genus superponi H possit Ea.c.FGm1NPRS 25 ante horum
add. per s, l. Pm2, ante species CFLR. s. l. Gm2Sm2
cies inueniri. quae quidem genera a se omnibus differentiis distributa
sunt nec quicquam uidentur habere commune nisi p 49 tantum nomen,
quoniam omnia | esse praedicantur. quippe sub- stantia est, qualitas est,
quantitas est, et de aliis omnibus ‘est’ uerbum communiter praedicatur, sed non
est eorum communis una substantia uel natura, sed tantum nomen. itaque
decem genera ab Aristotele reperta omnibus a se differentiis distributa sunt.
sed quae aliquibus differentiis disiunguntur, necesse est ut habeant proprium
quiddam quod ea in singu- larem solitariamque uindicet formam. non est autem
idem proprium quod accidens. accidentia enim et uenire et abesse possunt,
propria ita sunt insita, ut absque his quorum sunt propria, esse non possint.
quae cum ita sint cumque Aristo- teles decem rerum genera repperisset, quae uel
intellegendo mens caperet uel loquendo disputator efferret - quicquid
enim intellectu capimus, id ad alterum sermone uulgamus —, euenit ut ad horum
decem praedicamentorum intellegentiam quinque harum rerum tractatus incurreret,
scilicet generis, speciei, differentiae, proprii, accidentis. generis quidem,
quoniam oportet ante praediscere quid sit genus, ut decem illa quae
Aristoteles ceteris anteposuit rebus, genera esse possimus agnoscere, speciei
uero cognitio plurimum ualet, ut quae cuiusque generis sit species, possit
agnosci. si enim quid sit species intellegimus, nihil impediti errore turbamur.
fieri enim potest, ut per speciei inscientiam saepe quantitatis species
in relatione ponamus et cuiuslibet primi generis species alteri
cui- 4 omnibus aliis FHLN 9 quoddam S 10
uendicet HLP uindicent ( ent in ras.) S
constituat CN 11 euenire FGm2R (om. et) abire NP 12
propria ita] propria enim ita H proprietates EGm1S propria
uero ita edd . insitae EGm1S 14 uel om. FP 16
cupimus E alterutrum FPm2S 19 ante
accidentis add . atque FHNP et L 21 inter-
posuit m1 in EGS superposuit Em2NP praeposuit
FGm2 possemus FN 22 cognitio post ualet
LP 24 impedito (uel in- ) Ca.c.EGm1HNS impedit
R turbari CS 25 inscitiam F 26 cuilibet]
cuiuslibet Gm1N,a.r. in EFS libet generi subdamus atque ita
fiat permixta rerum atque indiscreta confusio; quod ne accidat, quae sit natura
speciei ante noscendum est. nec uero in hoc tantum prodest speciei cognoscenda
natura, ne priorum generum species inuicem per- mutemus, uerum etiam ut
in eodem quolibet genere proximas species generi nouerimus eligere, ut ne
substantiae mox animal dicamus esse speciem potius quam corpus aut corporis
homi- nem potius quam animatum corpus, at uero differentiarum scientia in his
maximum retinet locum, qui enim omnino qualitatem a substantia uel cetera
a se genera distare cogno- scimus, nisi eorum differentias uiderimus? quomodo
autem discernere eorum differentias possumus, si quid ipsa sit diffe- rentia nesciamus?
nec hunc solum nobis inscientia differentiae offundit errorem, uerum etiam
specierum quoque tollit omne iudicium. nam omnes species differentiae
informant, ignorata differentia species quoque necesse est ignorari, quomodo
uero fieri potest, ut quamlibet differentiam possimus agnoscere, si omnino quae
sit nominis huius significatio nesciamus? iam nero proprii tantus usus est, ut
Aristoteles quoque singulorum praedicamentorum propria perquisiuerit.
quae propria esse quis deprehenderit, antequam quid omnino sit proprium discat?
nec in his tantum propriis haec cognitio ualet quae singulis nomi- nibus
efferuntur, ut hominis risibile, uerum etiam in his quae in locum definitionis
adhibentur, omnia enim propria rem subrectam quodam termino descriptionis
includunt, quod suo quoque loco 25 suo loco] lib. IV c. 15 s.
1 generis Gm1REa.r.Sa.r . fiet CH fit N
permixtio FHm2LNP 4 primorum FNP 5 in om. CERS,
s. l. Gm2 6 ante generi add . cuilibet brm
7 aut—corpus om. E, s. l. Gm2Sm2 8 corpus om. FP , del.
Hm2 9 qui] quomodo Ep.c.HPp.c.R 11 nouerimus R
quo- modo—ignorari (16) in inf. mg. Em2 autem] nero
E(m2) 14 offundit] E (m2) Pm1 obfundit Hm2 diffundit
Gm1 effundit cett.; cf. p. 159,16 15 informant
differentiae brm 16 quomodo] qui FNP uero om.
G 18 huius nominis FNP 20 perquisierit R quis
esse FR 21 deprehen- derit in ras. E
deprehenderet Np.c . deprehendet ( ex -it) P 22 proprii
Gm2N post singulis add . tantum FHLNP 24 subiecto
EGm1RS oportunius commemorabo, accidentis quoque cognitio quantum
afferat, quis dubitare queat, cum uideat inter decem praedica- menta nouem
accidentis naturas? quae quomodo accidentia esse putabimus, si omnino quid sit
accidens ignoremus, cum praesertim nec differentiarum nec proprii scientia nota
sit, nisi accidentis naturam firmissima consideratione teneamus? fieri
enim potest, ut differentiae loco uel proprii per inscientiam accidens
apponatur, quod esse uitiosissimum etiam definitiones probant, quae cum ipsae ex
differentiis constent et fiant unius cuiusque definitiones propriae, accidens
tamen non uidentur admittere. Cum igitur Aristoteles rerum genera
collegisset, quae nimirum diuersas sub se species continerent, quae species
nuraquam diuersae forent, nisi differentiis segregarentur, cum- que omnia in
substantiam atque accidens, accidens uero in alia nouem praedicamenta soluisset
cumque aliquorum praedi- camentorum fere sit propria persecutus, de his
ipsis quidem praedicamentis docuit, quid uero esset genus, quid species, quid
differentia, quid illud accidens, de quo nunc dicendum est, uel quid proprium,
uelut nota praeteriit, ne igitur ad Praedicamenta Aristotelis uenientes, quid
significaret unum p. 50 quodque eorum quae superius dicta sunt
ignora|rent, hunc librum Porphyrius de earum quinque rerum cognitione per-
scripsit, quo perspecto et considerato quid unum quodque eorum quae supra
praeposuit designaret, facilior intellectus ea quae ab Aristotele proponerentur
addisceret. Haec quidem intentio est huius libri, quem Porphyrius
ad introductionem Praedicamentorum se conscripsisse ipsa, ut 1
opportunius NR post accidentis add . teneri L ,
post naturas (3) tenere HN 3 quonam modo
FHLNP 5 tota EN, m1 in GPS 6 te- nemus C 7
insciciarn FN 11 ante rerum add . decem
cod. Monac. 4621 brm, recte? 15 nouem om. S edd., s. l.
Em2Gm2 16 fere om. EFGS, er. H 18 nunc om. GRS
est dicendum CL 21. 24 eo- rum delendum esse coni. Engelhrecht
23 quo] ut CHLNP inspecto FNP perfecto EGm1 24
eorum] cod. Monac. 4621 ( om . quae), om. codd. nostri
proposuit FP proposui H posuit NR 25 ab om. ENR
praeponerentur CHm2NR 27 ipse L ita F
dictum est, tituli inscriptione signauit, sed licet ad hoc unum huius
libri referatur intentio, non tamen simplex eius utilitas est, uerum multiplex
et in maxima quaeque diffusa est. quam idem Porphyrius in principio huius libri
commemorat dicens; Cum sit necessarium, Chrysaori, et ad eam quae
est apud Aristotelem praedicamentorum doctri- nam, nosse quid genus sit et quid
differentia quid- que species et quid proprium et quid apcidens, et ad
definitionum adsignationem et omnino ad ea quae in diuisione uel
demonstratione sunt, utili hac istarum rerum speculatione, compendiosam tibi
traditionem faciens temptabo breuiter uelut introductionis modo ea quae ab
antiquis dicta sunt adgredi altioribus quidem quaestionibus abstinens,
simpliciores uero mediocriter coniec- tan s. Utilitas huius libri
quadrifariam spargitur, namque ad illud etiam ad quod eius dirigitur intentio,
magno legentibus usui 5—16] Porph. p. 1, 3—9 (Boeth. p. 25, 2—9
Busse). 2 eius utilitas est] FGm2 (in mg. add.) HP
utilitas eius est in mg. add. Em2 est eius utilitas s. l.
add. Lm2 eius est utilitas N, om, RS; est tamen simplex eius utilitas
C 3 uerum in mg. Em2 sed GLS sed et R
multiplex et in mg. Em2, s. l. Sm2 est er. uid. E
5 ante Cura add . PROLOGVS RS, de inscript. codicum
Isagogen tantum con- tinent. cf. ad initium libri Chrysaori] G
chrisaori EHNPa.c . Γ ( s. l . menanti) Ώμ2ΣΦ
chrysaoni S chrisarori ( uel cris- uel chriss-,1
CFLPp.c . R lATl m1 *! (-oui) ante et add. te C (er.)
FLNA (del.) Σ , s. l . scil, te E 6
ante praedicamentorum add . X Δ 7 sit genus L A
et om . Φ quidue N 8 pr . et s. l. E,
om . A 9 diffinitionem Em1 \ m2 , in -nes,
hoc in -num mut. F 10 in] ad FHP , ante
in er . ad uid. C diuisionem Ca.r.FHNP T a.r . A a.r .
Q uel] et N et ad FHP uel in ΔΣΦ
demonstrationem Ca.r . (-ne ras. ex -ne ut uid .)
FHNP F a.r. A a.r .(b utili] edd . utilia codd . 11
hac] HP , s. l. Sm2 hanc CLNΤ ΛΙIΣΦ , del .
Δ , om . EFGRS speculationem CEa.r.Hm2L A a.r .
ΑΦ , in -num corr. Σ compendiosa ras. ex
-sa C A 12 traditione ( uel -cione) CLΝ Φ , ras.
ex -nem HT A 14 altioribus] ab altioribus A 17
quadrifaria S ante ad add . et EGP , s. l.
L 18 etiam om . G est et ad cetera, quae cum extra
intentionem sint, non tamen minor ex his legentibus utilitas comparatur, est
enim per hoc corpusculum et praedicamentorum facilis cognitio et defini- tionum
integra adsignatio et diuisionum recta perspectio et demonstrationum
ueracissima conclusio, quae res quanto diffi- ciles atque arduae sunt,
tanto perspicaciorem studiosioremque animum lectoris expectant. dicendum uero
est quod in omni- bus libris euenit. nam primum si quae sit intentio
cognoscatur, quanta quoque utilitas inde prouenire possit expenditur et licet
extra multa, ut fit, huiusmodi librum sequantur, tamen illam proxime
utilitatem uidetur habere, ad quod eius refertur intentio, ipso libro quem
sumpsimus exponente, cum eius intentio sit ad Praedicamenta intellectum facilem
comparandi, non dubium quin haec eius principalis probetur utilitas, licet non
minores sint comites definitio, diuisio ac demonstratio, quorum nobis
quaedam hic principia suggeruntur, sensus uero totus huiusmodi est : ‘cum sit,
inquit, utilis generis, speciei, differentiae, proprii accidentisque cognitio
ad Praedicamenta Aristotelis eiusque doctrinam, ad definitionum etiam adsigna-
tionem, ad diuisionem et demonstrationem, quae sit harum rerum utilis
überrimaque cognitio, compendiosam, inquit, tra- 2 utilitas
legentibus FHP 3 opusculum CEp.r.FGm2HLN, recte ? cf. p. 149,
3 4 integra om. ER, s. l. Gm2Sm2 recta] perfecta CFGm2-
Hm1N 8 post libris add . his HNP hoc
R , s. l , sed exters. G sit] est H 9 id
est (add. Lm2) perpenditur Em2Lm2 10 ante huius-
modi add . in CE (del.) G (del. m2) N librum] LPm2RSm2,
om. Hm1 , libros FGm1Sm1, s. l. Hm2 , libro CE (del.) Gm2NPm1
sequntur ( uel sec-) R, m1 in EGS 11 uidentur FH
ad quod] aliquod Cm1 ad quam FGm2Pm2 eius] eorum
FGm2HPm1 12 ante ipso add . ut (s. l. est Lm2) in
hoc CFHLNP, s. l . ut in Em2 hoc Gm2 ex-
ponendum CE (dum in er . te?) FHLNP ( ex
-dus m1 exponere m2 ) Sm1 post cum s. l .
enim Hm2 13 praeparandi H 14 ante dubium
add . est FHNP , s. l. Gm2, post s. l. L 15 minoris
CGm1N 16 nobis om. C hic quaedam C
principalia NSm1 17 huiusmodi totus EG 19 eamque
Hm1Sm1 20 ad om. C, s. l. Gm2 , et FHN et ad
P et] ac H, om. CFNP , et ad edd . demonstrationemque CN
demonstrationum- que FP quae] quia Lm2R, om. CFNP 21
traditione ras. ex -nē H ditionem faciens ea quae
ab antiquis large ac diffuse dicta sunt, temptabo breuiter aperire’, neque enim
esset compendiosa, nisi totum opus breuitate constringeret et quoniam intro-
ductionem scribebat, ‘altiores, inquit, quaestiones sponte refn- giam,
simpliciores uero mediocriter coniectabo’, id est sim- pliciorum quaestionum
obscuritates habita in eis quadam coniecturae ratiocinatione tractabo. Tota
quidem sententia huiusce prooemii talis est, quae et utilitate überrima et
facilitate incipientis animo blandiatur, sed dicendum uidetur quidnam
celet amplius altitudo sermonum, necessarium in Latino sermone, sicut in
Graeco άναγκαΐον , plura significat, diuersa enim significatione Marcus
Tullius dicit necessarium suum esse aliquem atque nos, cum nobis necessarium
esse dicimus ad forum descendere, qua in uoce quaedam utilitas
significatur. alia quoque significatio est qua dicimus solem necessarium esse
moueri, id est necesse esse, et illa quidem prima significatio praetermittenda
est, omnino enim ab eo necessario quod hic Porphyrius ponit aliena est. hae
uero duae huiusmodi sunt, ut inter se certare uideantur quae huius loci
obtineat significationem, in quo dicit Porphyrius; Cum sit necessarium,
Chrysaori; namque, ut dictum est, neces- 12 Marcus Tullius] cf. infra
apparatum. 2 enim om. E 3 corpus HNPm1 4
refugio EGR 5 simplicium Gm2LPm2 6 eas
EFGm1HNSm1 7 ad quidem s. l. autem
Gm2 8 prohemii EPS uberrima <sit> Brandt 9
animum EGLm2Pm2R uidetur om. ERS, s. l. Gm2 11 ΑΝΑ Γ
ΑΙΟΝ uel ANAKAION uel sim. codd . ANA IT CION ł
ANAKAION C 12 etenim F ad Marcus Tullius in mg .
Marcus enim tullius pro fundanio inquit descripsistine eius neces- sarium id
est adiutorem danium ( leg . fundanium) add. Hm2, ex Mario Victorino De
defin., Boeth. p. 906 B, haustum, Cic. IV 3 p. 236 frg. 6 Mueller 13
aliquod C aliquid Hm1NPm2 nos] Hm1Pp.e.Sm1
nostrum cett.; an nostrum est scribendum ? ante cum add .
ut EG (del. m2) HLm2P uel F nos Hm2 14
dicamus L 16 post , esse] esset F est
Hm1LNP 18 uero om . N ergo F 21
Chrysaori] CEm1 chrisaori uel eris- uel
crys- uel crisar- uel sim. cett . necessarium] harum
E ( s. l . duarum necessitatum m2 ) Gm1S necessarium
harum F sarium et utilitatem significat et necessitatem,
uidentur autem huic loco utraque congruere, nam et summe utile est ad ea
p. 51 quae superius dicta sunt, de genere et specie | et ceteris
disputare, et summa est necessitas, quia nisi sint haec ante praecognita, illa
ad quae ista praeparantur, non possunt cognosci, nam neque praeter generis
uel speciei cognitionem praedicamenta discuntur nec definitio genus relinquit
et differentiam, et in ceteris quam sit utilis iste tractatus, cum de diuisione
et demonstratione disputabitur, apparebit, sed quamquam necesse sit haec
quinque de quibus hic disputandum est, prius ad cognitionem uenire quam
ea quibus illa praeparantur, non tamen ea significatione hic a Porphyrio
positum est qua neces- sitatem significari uellet ac non potius utilitatem,
ipsa enim oratio contextusque sermonum id clarissima intellegentiae ratione
significat, neque enim quisquam ita utitur ratione, ut aliquam
necessitatem referri dicat ad aliud, necessitas enim per se est, utilitas uero
semper ad id quod utile est refertur, ut hic quoque, ait enim Cum sit
necessarium, Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem praedicamen- torum
doctrinam, si igitur hoc necessarium utile intel- legamus et id nomine
ipso uertamus dicentes : cum sit utile. Chrysaori, et ad eam quae est apud
Aristotelem praedicamen- 1 et om. R, del. CGm2 significans R
ante necessitatem add . altera R, s. l. Gm2 4
necessitas est E quia om. NS sint post
haec F, post praecognita H 5 agnosci CN
post cognosci add . quae (om. E) praedicamenta dicuntur
CEGL (in sup. mg. m2) PR cognitiones (del. et s. l . quae
add. m2) praedicamentarum (rum del. m2 ) dicuntur S
nam—discuntur om. GRS, in sup. mg. Lm2 nam—cognitionem in mg.
Em1?, reliqua om . 7 nec] sed istis cognitis nec C sed nec S
neque N 10 sit] erit Em2GLm1RS 13 significare
FN 15 utatur Sm1 oratione CHm1N 16 aliud]
aliquid CHm1N 17 post se add . quiddam
CFHPN, s. l. Em2Lm2 , quidem edd . quod] ad quod NP defertur
Gm1Lm1RS 18 enim om . C Chrysaori] eaedem fere quae
p. 147, set 149, 21 in codd. scripturae 19 et] te et L
20 post doctrinam add . nosse quid genus sit C
nosse quid sit genus et cetera in mg. Lm2 22 Chrysaori] ut
18 et om . EFGS te et L doctri- nam praedicamentorum
C torum doctrinam, nosse quid genus sit et cetera, recte se habebit
ordo sermonum; sin uero id ad ‘necesse’ permutetur atque dicamus : cum sit
necesse, Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem praedicamentorum
doctrinam, nosse quid genus sit et cetera, rectae intellegentiae sermonum
ordo non conuenit. quocirca hic diutius immorandum non est. quamquam enim sit
summa necessitas his ignoratis non posse ad ea ad quae hic tractatus intenditur
perueniri, non tamen de necessi- tate hic dictum est necessarium, sed potius de
utilitate. Nunc uero, licet idem superius dictum sit, tamen
breuiter quid ad praedicamenta generis, speciei, differentiae, proprii
atque accidentis prosit agnitio, disputemus. Aristoteles enim in Praedicamentis
decem genera constituit rerum quae de cunctis aliis praedicarentur, ut quicquid
ad significationem uenire posset, id si integram significationem teneret,
cuilibet eorum subiceretur generi de quibus Aristoteles tractat in eo libro qui
De decem praedicamentis inscribitur, hoc ipsum uero referri ad aliquid uelut ad
genus tale est, quale si quis spe- ciem supponat generi, hoc uero neque praeter
cognitionem speciei ullo modo fieri potest nec uero ipsae species quid
sint uel cuius magis sint possunt perspici nisi earum differentiae
cognoscantur, sed differentiarum natura incognita, quae unius 1 recte—sermonum]
recte intellegentiae sermonum ordo conuenit CLP (ex 5)
2 uero] autem C 3 atque] itaque FN ut CLH (in
ras.) Chry- saori] ut p . 150, 18 4 est] sit GLRS
nosse—sit om. EH 5 ordo ante sermonum E
7 post his s. l. quinque Lm2 pr.
(sic) ad om. G , in mg. Em1? 8 tractatus hic
H intendit L peruenire Lm1S 9 ante
hic add . solummodo F 10 nunc] nam F 11 quod
EN 12 possit Lm2 cognitio R 15 possit
Fa.c.LS 16 Aristoteles delend. esse coni. Brandt eo om.
E 17 De om. NS , de s. l. Lm2 uero s. l. Gm2
18 post , ad om. GRS, s. l. Em2Lm2P qui S 19
neque er . L nec N post
cognitionem add. generis neque praeter cognitio- nem CFHP
(in mg. m2) generis nec E (s. l. m1?)N, s. l.
generis et Lm2 20 nullo Lm2 neque F 21
magis] modi CEm2 (in aliis m1) Hm1Pp.c. (corr. m1?)
modo N possint S possumus Gm1Lm2
possemus m1 possimus E perspici] scire EGm1
(sciri m2 ) L agnosci RS cuiusque speciei
sint differentiae, modis omnibus ignorabitur, quare sciendum est quoniam, si de
generibus Aristoteles tractat in Praedicamentis, et generum natura cognoscenda
est, cuius cognitionem speciei quoque comitatur agnitio, sed hoc cognito, quid
sit differentia non potest ignorari, quamquam in eodem libro plura sint
ad quae nisi maximam peritiam et generis et speciei et differentiae lector
attulerit, nullus omnino intellectus patebit, ut cum ipse Aristoteles dicit :
diuersorum generum et non subalternatim positorum diuersae secundum species et
differentiae sunt, quod his ignoratis intellegi inpossibile est. sed idem
Aristoteles proprium unius cuiusque praedicamenti diligentissima inquisitione
uestigat, ut cum substantiae proprium post multa dicit esse quod idem numero
contrariorum susceptibile sit, uel rursus quantitatis, quod in ea sola aequale
atque inaequale dicatur, qualitatis etiam, quod per eam simile et dis-
simile aliud alii esse proponimus, et in ceteris eodem modo, ut quae sit
proprietas contrarii, quae secundum relationem oppositionis, quae priuationis
et habitus, quae affirmationis et 8—10] Aristot. Categ. c. 3, p. l b , 16
s. 13 s.] ibid. c. 5, p. 4 a , 10 s. 15 s. (dicatur)] ibid. c. 6, p. 6 a , 26
s. 16 s.] ibid. c. 8, p. 11 a , 15—19. 18 (quae sit)—153, 1 (negationis)] ibid.
c. 10. 1 sit differentia S 5 non potest s. l. Gm2
quamquam] cum F 6 et generis—differentiae post attulerit
E 8 pateat EGLRS dicit] Brandt dicat codd. edd.;
cf. 13. p. 154, 14. 21. 153, 2. 6 10 post secundum add
. se EGL (del.) ES, er. uid. H et om. CN, del. Lm2, er. uid.
H; cf. Aristot. Cat. c. 3 τών Ιτέρων γενών καί μή ΰπ’ αλληλα
τεταγμένων ετεροι τω εΤδεε κο· αϊ διαοοραί et Boethii
interpretat. In Categ. Arist. p. 177 A (om. se) quid GRS 11
possibile EG ( post est signum interrogat.) RS
propria FHNP 14 ante numero s. l. cum
E 15 aequum Em1FGLm1RS; cf. p. 153, 17 atque] aut N 16
dicitur FHLm2P et dissimile] F uel dissimile s. l. Em2
aut dissimile s. l . Gm2Pm1? , om. cett.; cf. Aristot. Cat. c
. 9 Τ ών μέν ouv είρημένων — τό ομοιον χα) άνο'μοιον —
αοτήν et Boethii interpretat, p. 259 A (simile et dissimile,)
17 aliis DGPm1RS ( s in ras); cf. Aristot, ibid . έτέρω
, Boeth. ibid . alteri 18 post relationem add .
contrarii Em1, del. et s. l . ut sapientia stulticiae m2
negationis, in quibus ita tractat tamquam iam peritis scienti- busque
quae sit proprietatis natura; quam si quis ignorat, frustra ea quae de his
disputantur adgreditur. iam uero illud manifestum est, quod accidens maximum
praedicamentorum obtineat locum, quod proprio nomine nouem praedicamenta
circumdat. Et ad praedicamenta quidem quanta sit huius libri
utilitas ex his manifestum est. quod uero ait et ad definitionum adsignationem,
facile cognosci potest, si prius substantiae rationum diuisio fiat,
substantiae ratio alia quidem in descrip- tione ponitur, alia uero in
definitione, sed ea quae in descrip- tione est, pro|prietatem quandam colligit
eius rei cuius sub- p. 52 stantiae rationem prodit, ac non modo
proprietate id quod monstrat informat, uerum etiam ipsa fit proprium, quod
in definitionem quoque uenire necesse est; si quis enim quan- titatis
rationem reddere uelit, dicat licebit; quantitas est secundum quam aequale
atque inaequale dicitur, sicut igitur proprietatem quidem quantitatis in
ratione posuit quantitatis et ipsa tota ratio ipsius quantitatis propria est,
ita descriptio et proprietatem colligit et propria fit ipsa descriptio,
definitio uero ipsa quidem propria non colligit, sed ipsa quoque fit propria, definitio
namque substantiam monstrat, genus differen- tiis iungit et ea quae per se sunt
communia atque multorum in unum redigens uni speciei quam definit reddit
aequalia. ita igitur ad descriptionem utilis est proprii cognitio,
quoniam sola proprietas in descriptione colligitur et ipsa fit propria sicut
definitio quoque, ad definitionem uero genus, quod primum 1 ita om.
RS, s. l. m2 in EGL tamquam iam] quasi C 5 optinet
FHm1LmSN obtineat ante praedicamentorum E 7 libri
huius CGLRS ; cf. p. 155, 14. 17. 156, 8 utilitas]
brm intentio codd . 10 post substantiae add .
uero F, s. l . enim Lm2 16 ante dicat s. l . sc.
ut Lm2 20 proprietates CFHNP ipsa] ita G 22
nam qui Gm2Lm1 (namque qui m2 ) S 26 proprietas
sola CLP sola proprietas sola FGm1S 27 ad sicut
s. l . ł sic Em2 uero s. l . Hm2 quod om
. F quidem R ponitur, et species, ad quam genus
illud aptatur, et differentiae, quibus iunctis cum genere species definitur,
sed si cui haec pressiora quam expositionis modus postulat uidebuntur, eum hoc
scire conuenit, nos, ut in prima editione dictum est, hanc expositionem nostro
reseruasse iudicio, ut ad intellegentiam simplicem huius libri editio
prima sufficiat, ad interiorem uero speculationem confirmatis paene iam scientia
nec in singulis uocabulis rerum haerentibus haec posterior colloquatur.
Ad diuisionem uero faciendam tam hic liber est utilis, ut praeter earum
scientiam rerum de quibus in hac libri serie disputatur, casu fiat potius
quam ratione partitio, hoc autem manifestum erit, si diuisionem ipsam
diuidamus, id est si nomen ipsum diuisionis in ea quae significat partiamur,
est namque diuisio generis in species, ut cum dicimus ‘coloris aliud est album,
aliud nigrum, aliud uero medium’, rursus diuisio est, quotiens uox plura
significans aperitur et quam multa sint quae ab ea significantur ostenditur, ut
si quis dicat ‘nomen canis plura significat, et hunc, latrabilem quadrupedem
que et caeleste sidus et marinam bestiam’, quae omnia a se definitione
disiuncta sunt, diuidi autem dicitur et quotiens totum in partes proprias
separatur, ut cum dicimus ‘domus aliud sunt fundamenta, aliud parietes, aliud
tectum’, et haec quidem triplex diuisio secundum se partitio nuncupatur, est
autem 4] in prima editione nihil eiusmodi. 1 post
ponitur add . utile est CN, post species s. l . utilis
est Lm2 et species—aptatur in mg. Em2Gm2 illud
genus C 3 eum om. E , s. l. Gm2 , ei R 4
uti FGLRSm1 5 reseruasse] CPm2 edd . reser- uare E (
-re in ras .) FGm2HNPm1 (ante reseruare add . se
m1, del. m2) reseruantes Gm1S seruantes Lm1
seruare m2 reseruantes sumus R 8 colloquatur] m1
in GLS eloquatur CEm2 (in ras.) HN collocatur Em1R
, m2 in GLS edd . loquatur FP 9 utilis est LP 10
rerum om. E 12 post . si om. EG, s. l. Sm2
13 ante partiamur s. l . si E partia- tur
Gm1 14 aliud est] CEp.c.R edd . aliud esse Ea.c.GHLPS
esse aliud FN 15 rursum CEGNPm1R est s. l. Sm2 ,
ante diuisio FHNP , et ante rursus et post
diuisio R 16 quam] quod EG a.c . (quae p.c .)
LRS sunt CFLNPa.c . 18 quadripedemque Sm1 20
distincta FHm1NP 23 partitio] separatio EGLm1Pm1RS
alia quae secundum accidens dicitur, ea quoque fit tripliciter, aut cum
accidens in subiecta diuidimus, ut cum dico ‘bonorum alia sunt in animo, alia
in corpore’, uel rursus cum subiectum in accidentia, ut ‘corporum alia sunt
alba, alia nigra, alia medii coloris’, rursus cum accidens in accidentia
separamus, ut cum dicimus ‘liquentium alia sunt alba, alia nigra, alia medii
coloris’, et rursus ‘alborum alia sunt dura, alia liquentia, quaedam mollia’,
cum igitur ita omnis sit diuisio aut secundum se aut per accidens, utraque uero
partitio tripliciter fiat cum- que in superiore secundum se triplici
partitione sit una diui- sionis forma genus in species separare, id neque
praeter generum scientiam fieri ullo modo potest neque uero praeter
differentiarum, quas necesse est in specierum diuisione sumi, manifestum est
igitur, quanta utilitas huius libri ad hanc diuisionem sit quae primo
aditu genus ac species et differentias tractat, secunda uero ea diuisio quae
est secundum se in uocis significantias, nec haec quidem ab huius libri
utilitate discreta est. uno enim modo cognosci poterit, utrum uox cuius diui-
sionem facere quaerimus, aequiuoca esse uideatur an genus, si ea quae
significat definiantur, et si ea quae sub communi nomine sunt, definitione
clauduntur, species esse necesse est, et illud commune eorum genus, quodsi illa
quae proposita 3 sunt alia H uel] aut brm rursum
FS 4 corporalium Ca.c.Hm1N 5 rursum F 6
liquentia Ea.c.Gm1 8 fit G sit ante omnis F
, post diuisio N 9 accidentia S 10 superiori
Sm2 11 sepa- rare om. EN 12 possit Em2 uero om. C
post praeter s. l . scientiam Sm2 16 ea del. L, er.
uid. P ante quae add . est N (om. post
quae] P (er. uid.) secundum—significantias] FHN
uocis post significantias C se et in
om cett . 18 uno] nullo F quo m2 in HLP enim]
quidem N 20 si] nisi FLm2Pm2 significant
CNPm2 et (om. si, ) in ros. Hm2 si et RS
(et s. l. m2 ) si om. EL, s. l. Gm2Pm2 , etenim L (ex et m2)
Pm1 communi nomine] CEm2 (in ras.) FHNP (nomine s. l.
m2 ) communione cett. 21 sunt del. L, s. l. Pm2 ante
definitione add . una FHL (del. m2) R, s. l. Em2Pm2
diffinitione s. l. Gm2 claudantur EGLRS 22 earum
ES post genus s. l . necesse est Gm2 praeposita
EGPS uox designat, non possunt una definitione concludi, nemo
dubitat quin illa uox sit aequiuoca neque ita sit communis his de quibus praedicatur
ut genus, quandoquidem ea quae sub se posita significat, secundum commune nomen
non possunt una definitione comprehendi, si igitur ex definitione
manifestum fit quid genus sit, quid uero nomen aequiuocum, definitio uero
per genera differentiasque discurrit, quisquamne dubitare potest aeque in hac
diuisionis forma plurimum huius libri auctoritatem ualere? illa uero secundum
se diuisio quae est totius in partes, quemadmodum discernitur ac non
potius p. 53 generis in species diuisio esse putabitur, nisi sint
genus |et species et differentiae earumque uis ante disciplinae ratione
tractata? cur enim non quisquam dicat domus species potius esse quam partes
fundamenta, parietes et tectum? sed cum occurrit generis nomen in una quaque
specie totum posse con- gruere, totius uero in una quaque parte sua nomen
conuenire non posse, manifestum fit aliam diuisionem esse generis in species,
aliam totius in partes, conuenire autem nomen generis singulis speciebus
ostenditur per id, quod et homo et equus singuli animalia nuncupantur, neque
tectum uero neque parietes aut fundamenta singillatim domus nomine
appellari solent, sed 1 concludi om ., nemo—comprehendi
(5) in inf. mg. Gm1? nemo—ita sit in ras. Em2 2
uox—communis] uox non (non er. L, om. S ) sit communis Gm1 uel 2
Lm1Sm1, post uox add . sit aequiuoca neque (non, sed del. G )
ita ( om. G etiam S ) s. l. Gm2 uel alia Sm2, in mg.
Lm2 3 ante his add . de E (er.) G (del. m2) ES
his s. l. Lm2 4 post posita s. l. sunt Hm2 non
possunt] definiri ( uel diff-j (-ri ex -re Cm2 ) non
possunt ( add . neq. Cm1, er. et una add. m2 ) nec
CFN 6 fit] H est C sit cett . 8 aeque]
etiam CFHm1NPSm1 9 auctorem GR utilitatem Lm2 10
discernetur Hm2 (fort. recte) discernatur N ac]
et FHNP 11 esse om. R, ante diuisio FN
sit FSm1 sunt G et] ac R 12 earum
quauis ELR, m2 in GHPS , earum quis Fm1 quamuis ( om .
earum,) m2 ; cf. p. 157, 3 13 quisque CFHR esse
potius FNR 14 dum F 15 quaque om. FN 17
sit ELRm1 (est m2 ) S 19 id om . RS,
s. l. Em2Gm2 singula CEa.r. (ut uid.) GLPm1 singularis
Sa.c . singu- laque R 20 aut] ac FHLNP neque
S 21 singulatim CNR appel- lari] nuncupari FHLNP
cum fuerint iunctae partes, tunc recte totius nomen excipiunt, de ea uero
diuisione quae secundum accidens fit, nullus ignorat quin incognito accidenti
incognitaque ui generis ac differen- tiarum facile euenire possit, ut accidens
ita in subiecta soluatur quasi genus in species, et postremo omnem hunc
ordinem partitionis foedissime permiscebit inscientia. Et quoniam
quid hic liber ad diuisionem prosit osten- dimus, nunc.de demonstratione
dicemus, ne per ardua atque difficilia haereat qui in tanta hac disciplina
uigilantissimo in- genio et sollertissimo labore sudauerit. fit enim
demonstratio, id est alicuius quaesitae rei certa rationis collectio, ex ante
cognitis naturaliter, ex conuenientibus, ex primis, ex causa, ex neces- sariis,
ex per se inhaerentibus, sed genera speciebus propriis priora naturaliter sunt;
ex generibus enim species fluunt, item species sub se positis uel
speciebus uel indiuiduis priores naturaliter esse manifestum est. quae uero
priora sunt, ea et praenoscuntur et notiora sunt sequentibus naturaliter,
duobus enim modis primum aliquid et notum dicitur, secundum nos scilicet et
secundum naturam, nobis enim illa magis cognita sunt quae sunt proxima,
ut indiuidua, dehinc species, postremo genera, at uero natura conuerso modo ea
sunt magis cognita quae nobis minime proxima, atque ideo quamlibet se longius
1 tunc er. C accipiunt F 3 incognita m1 in
GRS accidente CN accidentia, del . a
EGm2Rm2 accidenti—differentiarum in mg ., ante facile
add . ea accidentia, sed del. E incognitaque—differentia- rum
om. GR cognitaque (sic) ut generis ac differentiarum Sm1,
del. m2 4 soluamus FHNP 5 postremum HP hunc
ante omnem L, post ordinem R 6 inscitia FHN
7 quid hic liber) FGm1NP quid liber hic Em2HL hic quid
liber Gm2 liber quid hic Em1R liber hic quid S; quid ad
diuisionem hic liber C 8 ne—haereat] rem perarduam atque difficilem
illi etiam FN ; ne et - in in difficil ** ia
et hereat in ras. C 9 hereat s. l. Sm2
etiam m1 tota CFN 11 alicuius om. CL 13
priora propriis C 15 pr . uel om. L, del. Pm2 19
enim] uero N 21 natura] Ea.c.GR naturae
Ep.c.FHLPS secundum naturam CN; cf. Boeth . Post. Analyt.
Aristot. interpret. lib. I c. II p. 714 B non enim idem est natura prius
et ad nos prius neque notius natura et nobis notius. 22 quantumlibet
Em2 quantolibet Pm2 a nobis genera protulerint, tanto
magis erunt lucida et natura- liter nota, differentiae uero substantiales illae
sunt quas per se inesse his rebus quae demonstrantur agnoscimus, praecedere
autem debet generum ac differentiarum cognitio, ut in una quaque disciplina
quae sint eius rei quae demonstratur con- uenientia principia, possit
intellegi, necessaria uero esse ea ipsa quae genera et differentias dicimus,
nullus dubitat qui speciem sine genere et differentia intellegit essq non
posse, genera uero et differentiae sunt causae specierum. idcirco enim species
sunt, quia genera earum et differentiae sunt quae in syllogismis posita
demonstratiuis non rei solum, uerum con- clusionis etiam causae sunt, quod
postremi Resolutorii locu- pletius dicent. Cum igitur perutile sit
et definitione quodlibet illud circum- scribere et diuisione dissoluere et
demonstrationibus comprobare, haec autem praeter earum rerum scientiam de
quibus in hoc libro disputabitur, neque intellegi neque exerceri ualeant, quis
umquam poterit dubitare quin hic liber maximum totius logicae adiumentum sit,
praeter quem cetera quae in ea magnam uim tenent, nullum doctrinae aditum
praebent? Sed meminit Porphyrina introductionem aese conscribere
neque ultra quam institutionis modus est, formam tractatus egreditur, ait enim
‘se altiorum quaestionum nodis abstinere, 1 protulerunt FLR
praetulerint N 2 substantiales] substantiae uel E 3
inesse post rebus C esse, del . in E
4 in om. C, s. l. Sm2 6 possint Hm1P 7 ante
genera add. et LP 8 intellegit in mg . Cm2, post
esse in ras. N 9 causae sunt FHL sunt om. R
causa G 11 demonstrantibus EFGLPm1RS; cf. Boeth. ibid. c. VI
p. 718 D de- monstratiuus syllogismus 12 postremis L in ( s.
l .) postremis Pm2 postremo EFGPm1RS resolutoriis
L resolutarii F resoluturi RS resoluituri
G resolutius ac E 13 dicemus EGLPm1RS 15 demon-
stratione N 16 in om. FGPR, s. l. Hm2S 17
ualeant] m2 in EHLS ualent CEm1F (n del .)
GHm1NP (n in ras .) RSm1 22 nec N 23 egre-
ditur] CF (aegr-) HNPm1 aggreditur L egredi
EGRS aggredi Pm2 altioribus FN nodis om
. Cm1Sm1 modis FNRa.c., s. l. Cm2, in mg. Sm2 simplices
uero mediocri coniectura perstringere’, quae uero sint altiores quaestiones
quas se differre promittit, ita proponit : Mox, inquit, de generibus ac
speciebus illud quidem, siue subsistunt siue in solis nudisque
intellectibus posita sunt siue subsistentia corporalia sunt an incor-
poralia et utrum separata a sensibilibus an in sensi- bilibus posita et circa
ea constantia, dicere recusabo, altissimum enim est huiusmodi negotium et
maioris egens inquisitionis. Altiores,. inquit, quaestiones
praetereo, ne eis intempestiue lectoris animo ingestis initia eius
priraitiasque perturbem, sed ne omnino faceret neglegentem, ut nihil
praeterquam quod ipse dixisset, lector amplius putaret occultum, id ipsum cuius
exequi quaestionem se differre promisit, addidit, ut de his minime
obscure penitusque tractando nec le|ctori quicquam p. 54
obscuritatis offunderet et tamen scientia roboratus quid quaeri iure posset
agnosceret, sunt autem quaestiones quas sese reti- 3—9] Porph. p. 1, 9—14
(Boeth, p. 25, 10—14). 8 altissimum— negotium] Abaelardus, Epistolae, Opp. I p.
5 ed. Cousin. 1 simpliciores L praestringere
G perscribere CFN 2 sunt N 3 inquit om
. Ω ac] et ΗΝ Ω post quidem add .
quod EG (del.) Sm2 quae m1 4 subsistant L
nudisque] nudis purisqne Ω ; Porph. p. 1, 10 έν
μο'να'.ς ψιλοΐς έπινοίαϊς 5 substantia Em1 sunt ante corporalia
Σ , post incorporalia Δ sint LR A m2 , ras
. ex sunt II 6 separat R a sensibilibus om. Gm1
(s. l. m2) Sm1 (cf. proxima), ras. ex ab insensi- bilibus \ m2; om
. Porph. p. 1,12 ab CEa.r . A m1 A m1 an in
sensibilibus posita et] FG (posita s. l. m2 ) LR
Ψ an in sensibilibus (a sensibilibus m2 ) et S an ipsis
sensibilibus (posita om .) iuncta (in mg.) et ( om .
II) Γ , s. l . Π m2 et ( cetera om .) CEHPm1 h m1
(s. l. an et in sensi- bilibus posita m2 ) A m1 ( in mg . an
sensibilibus iuncta m2 ) Φ an (cet. om.)
NPm2 Σ 7 consistentia CHF A m1 8
enim—negotium] FHLP Q ( sed est enim A ) Abaelard
. negotium ante est CEGRS enim est negotium huius
modo (sic) N; Porph. p. 1, 13 βαθύτατης οϊοης τής
τοιοΰτης πραγματείας 10 ante eis add .
in, sed del. E 11 primitiaque R per- turbent
FN 12 neglegentiam Gm1P praeter (s. l.)
quam C praeter id quam L 13 putasset C 14
exequi quaestionem] exeeutionem ( uel eis-) EGHm1LRS 15
penitus Em1FG ne L 16 effunderet Ca.c.EGLNR
infunderet Cp.c.FS ; cf. p. 145, 14 17 possit C a.c.
Fa.c . se N cere promittit, et perutiles et secretae et
temptatae quidem a doctis uiris nec a pluribus dissolutae, quarum prima est
huius- modi. omne quod intellegit animus aut id quod est in rerum natura
constitutum, intellectu concipit et sibimet ratione de- scribit aut id quod non
est, uacua sibi imaginatione depingit. ergo intellectus generis et
ceterorum cuiusmodi sit quaeritur, utrumne ita intellegamus species et genera
ut ea quae sunt et ex quibus uerum capimus intellectum, an nosmet ipsi nos
ludimus, cum ea quae non sunt, animi nobis cassa cogitatione formamus, quod si
esse quidem constiterit et ab his quae sunt, intellectum concipi
dixerimus, tunc alia maior ac diffi- cilior quaestio dubitationem parit, cum
discernendi atque intel- legendi generis ipsius naturam summa difficultas
ostenditur, nam quoniam omne quod est, aut corporeum aut incorporeum esse
necesse est, genus et species in aliquo horum esse opor- tebit. quale
erit igitur id quod genus dicitur, utrumne cor- poreum an uero incorporeum?
neque enim quid sit diligenter intenditur, nisi in quo horum poni debeat
agnoscatur, sed neque cura haec soluta fuerit quaestio, omne excludetur ambi-
guum. subest enim aliquid quod, si incorporalia esse genus ac species
dicantur, obsideat intellegentiam atque detineat exsolui postulans, utrum circa
corpora ipsa subsistant an et praeter corpora subsistentiae incorporales esse
uideantur. duae quippe incorporeorum formae sunt, ut alia praeter corpora
esse 1 promisit C 2 doctissimis P 4
statutum L discribit E 5 id s. l. C 8
capiamus C ipsi nos] ipsos FR ipsos ** (-os
ex i m2 ) S ipsi Hm1 nos s. l.
m2 9 eludimus Hm2 cogitatione] imaginatione F 11
intellectu ras. ex -tu E ac] et R 12
parat FHm1PRS discer- nendae atque intellegendae.. naturae
EFGHNRS 13 natura L osten- datur N 16 utrum
FHm1NP 17 an] aut ex ut F uero om. N
19 excluditur Cm2GHp.c.LPRS 20 aliquid quod] alia quae (que N
) FN aliud ( ex aliquid] quod E esse
post species FHL , om. N 21 ac] et H
intellegentiam atque] animum intelligentiamqne F intellegen-
tiamque N 22 ipsa corpora EFGHN et om. CFHLN
(fort. recte) , del. Pm2 23 subsistentia Ca.c.Gm2L
substantiae Cp.c.FN (s. l . ł subsistentes) incorporalia Gm2L
possint et separata a corporibus in sua incorporalitate perdurent, ut
deus, mens, anima, alia uero cum sint incorporea, tamen praeter corpora esse
non possint, ut linea nel superficies uel numerus uel singulae qualitates, quas
tametsi incorporeas esse pronuntiamus, quod tribus spatiis minime
distendantur, tamen ita in corporibus sunt, ut ab his diuelli nequeant aut
separari aut, si a corporibus separata sint, nullo modo permaneant, quas licet
quaestiones arduum sit ipso interim Porphyrio renuente dissoluere, tamen
adgrediar, ut nec anxium lectoris animum relinquam nec ipse in his quae
praeter muneris sus- cepti seriem sunt, tempus operamque consumam, primum
quidem pauca sub quaestionis ambiguitate proponam, post uero eundem
dubitationis nodum absoluere atque explicare temptabo. Genera et species aut
sunt atque subsistunt aut intellectu et sola cogitatione formantur, sed
genera et species esse non possunt, hoc autem ex his intellegitur, omne enim
quod commune est uno tempore pluribus, id unum esse non poterit; multorum enim
est quod commune est, praesertim cum una eademque res in multis uno tempore
tota sit. quantaecumque enim sunt species, in omnibus genus unum est, non
quod de eo singulae species quasi partes aliquas carpant, sed singulae uno
tempore totum genus habent, quo fit ut totum genus in pluribus singulis uno
tempore positum unum esse non possit; neque enim fieri potest ut, cum in
pluribus totum uno sit tempore, in semet ipso sit unum 1 a om. CS,
s. l. Em2 corporalitate ELS 3 possunt ELNPR 4
tamenetsi Ca.c . (tam ras. ex tam) L tam si
Em1 tamensi GRS 5 quod] eo quod L tamen om.
G tam N 6 uti EGLPa.r.RS ante diuelli add. aut Hm1,
del. m2 7 a om. ERS , s. l. Gm2 separatae
ex -ta H 8 quaestiones licet FHLPN 9
rennuente Ca.r.Ga.c.LNS ut] ita ut R 13 dubietatis
L exsoluere CF 14 atque] et EGLPRS 15 solo ( s.
l. Pm2 ) et FHNP 17 uno tempore pluribus] multorum uno
tempore N 18 est ( s. l. m2 ) enim G 19 tota sit]
transit F 20 est unum Fm2H 21 non, s. l . quod S
, ut non CHm1N 22 carpunt RS capiant F
participant Nm1 habeant Hm2Lm2P 24 possunt
F possint S enim om. FN. del. L 25 unoque
Gm2 sit uno FHN tempore in mg. Gm2 numero,
quod si ita est, unum quiddam genus esse non poterit, quo fit ut omnino nihil
sit; omne enim quod est, idcirco est, quia unum est. et de specie idem conuenit
dici, quodsi est quidem genus ac species, sed multiplex neque unum numero, non
erit ultimum genus, sed habebit aliud super- positum genus, quod illam
multiplicitatem unius sui nominis uocabulo includat, ut enim plura animalia,
quoniam habent quiddam simile, eadem tamen non sunt, idcirco eorum genera
perquiruntur, ita quoque quoniam genus, quod in pluribus est atque ideo
multiplex, habet sui similitudinem, quod genus est, non est uero unum,
quoniam in pluribus est, eius generis quoque genus aliud quaerendum est, cumque
fuerit inuentum, eadem ratione quae superius dicta est, rursus genus tertium
uestigatur. itaque in infinitum ratio procedat necesse est, cum nullus
disciplinae terminus occurrat, quodsi unum quiddam numero genus est,
commune multorum esse non poterit, una enim res si communis est, aut partibus
communis est et non iam tota communis, sed partes eius propriae singulorum, aut
in usus habentium etiam per tempora transit, ut sit commune p. 55
ut seruus communis uel equus, aut uno ] tempore omnibus commune fit, non
tamen ut eorum quibus commune est, sub- stantiam constituat, ut est theatrum
uel spectaculum aliquod, quod spectantibus omnibus commune est. genus uero
secundum nullum horum modum commune esse speciebus potest; nara 1 numero]
in numero NR quoddam FS quodque N quidem
R 5 ad ultimum s. l . maximum E super se
(se s. l. G ) positum GR 6 sui] LP edd . ui cett
. ( post nominis F ) hominis R 7 uocabulo] HLP
edd., om. cett . concludat H concludit Lm1 includat
m2 includit R 12 requirendum F perquirendum
N 13 ratio Hm1N tertium genus CL 14
nestigabitur FH nestigabit N 15 quodsi] quod NR
quiddam] quoddem (sic) R 17 si communis] sic omnis F quae
com- munis CN si om. R post post , communis est
add . ut puteus et (uel H ) fons CHNP (del. m2) , in mg. E,
s. l. Lm2 18 proprie CFLNR post singulorum
add . sunt HP , s. l. Lm2 , post sunt s. l . ut
puteus et fons Pm2 19 habent G etiam om.
FNP iam LS 21 sit NP ( ras. ex fit)
est R ita commune esse debet, ut et totum sit in singulis et
uno tempore et eorum quorum commune est, constituere ualeat et formare
substantiam, quocirca si neque unum est, quoniam commune est, neque multa,
quoniam eius quoque multitudinis genus aliud inquirendum est, uidebitur
genus omnino non esse, idemque de ceteris intellegendum est. quodsi tantum
intel- lectibus genera et species ceteraque capiuntur, cum omnis intellectus
aut ex re fiat subiecta, ut sese res habet aut ut sese res non habet nam ex
nullo subiecto fieri intellectus non potest —, si generis et speciei ceterorumque
intellectus ex re subiecta ueniat, ita ut sese res ipsa habet quae intel-
legitur, iam non tantum in intellectu posita sunt, sed in rerum etiam ueritate
consistunt, et rursus quaerendum est quae sit eorum natura, quod superior
quaestio uestigabat. quodsi ex re quidem generis ceterorumque sumitur
intellectus neque ita ut sese res habet quae intellectui subiecta est, uanum
necesse est esse intellectum qui ex re quidem sumitur, non tamen ita ut sese
res habet; id est enim falsum quod aliter atque res est intellegitur, sic
igitur, quoniam genus ac species nec sunt nec cum intelleguntur, uerus
eorum est intellectus, non est ambiguum quin omnis haec sit deponenda de his
quinque pro- positis disputandi cura, quandoquidem neque de ea re quae
sit 1 sit] s. l. Lm1? brm, om. cett . 2 post tempore
add. sit Np, s. l . Em2 3 conformare N
substantias FHNP ante si add. et Hm1 , del.
m2 ad quoniam s. l . quod Hm2 4 multiplex m2 in
CEGP,Lm1 8 habeat N aut—habet in mg. Gm2 ut
s. l. Lm2Sm2 9 habeat N , post add . nanus est intellectus
(Intellectus otn. brm ) qui de nullo subiecto capitur in mg. Lm2,
s. l. Rm1? brm intellectus post potest
C 11 ipsa res HLN 12 pr . in om. ENR , s.
l. F 13 etiam om. CL 14 uestigabit Lm2 inuestigabat
F 17 esse post intellectum F , post
uanniu N , om . R 18 enim falsum est CKNP
est om . H , er . L enim om. R 19
si CNPS, m1 in GHL , nec R
igitur—intelleguntur om . R quoniam om. CN ac] et
S neque FHN quae Sm1 20 neque FH
cum om. GLPS s. l. add. E, sed del . uerus] nec uerus GLR
earum HN est eorum CL non] neque N 22
fit Lm2 neque de ea de qua uerum aliquid intellegi proferriue
possit, inquiritur. Haec quidem est ad praesens de propositis quaestio;
quam nos Alexandro consentientes hac ratiocinatione soluemus. non enim necesse
esse dicimus omnem intellectum qui ex subiecto quidem fit, non tamen ut
sese ipsum subiectum habet, falsum et uacuum uideri. in his enim solis falsa
opinio ac non potius intellegentia est quae per compositionem fiunt. si enim
quis componat atque coniungat intellectu id quod natura iungi non patitur,
illud falsum esse nullus ignorat, ut si quis equum atque hominem iungat
imaginatione atque effigiet Cen- taurum. quodsi hoc per diuisionem et per
abstractionem fiat, non quidem ita res sese habet, ut intellectus est,
intellectus tamen ille minime falsus est; sunt enim plura quae in aliis esse
suum habent, ex quibus aut omnino separari non possunt aut, si separata
fuerint, nulla ratione subsistunt. atque ut hoc nobis in peruagato exemplo
manifestum sit, linea in corpore quidem est aliquid et id quod est, corpori
debet, hoc est esse suum per corpus retinet, quod docetur ita : si enim
separata sit a corpore, non subsistit; quis enim umquam sensu ullo
separatam a corpore lineam cepit? sed animus cum confusas res permixtasque in
se a sensibus cepit, eas propria ui et 4 Alexandro] testimonia Simplicii
in Categ. Aristot. p. 50 a , 45 ss., Dexippi p. 50 b 15—31 (= p. 45,
12—28 Busse), Dauidis p. 51 b , 10 ss. (Brandis) adfert Prantl, Gesch. d.
Logik im Abendlande I 623 n. 24. 6 sit CEFH (ex
fit ) NPR ante ut add . ita FN , s. l. Gm2Pm2
habeat FHm1NP 7 post uideri add . ut si quis
dicat lineam esse cum longitudine sine latitudine non est omnino falsum
F 8 compositionem] conjunctionem EGLPRS, recte? 9
quisquam HP quisque N ponat H intellectu] in
intellectu F id om. N 10 patiatur NR
11 pr . atque] aut N efficiet L ( c ex g
m2) efficiat CF effigiat Sa.c . 12 haec E
ad abstractionera s. l . ł (??)positionem Lm2 ł
abscisionem Pm2 fit R 13 ita post res
C, om. R 14 ille] ipse R 16 ut s. l. Cm2, del. Lm2
, post hoc F 17 ad peruagato s. l . ł
uulgato Pm2 18 hoc om. F est om. ELS, s. l. Gm2 ,
et F 19 ante docetur add . et CHNP, in mg.
Lm2 20 a om. ERS, s. l. Gm2 21 anima Em1Gm1Pm2Sm1
22 post permixtasque add . corporibus brm
capit C eas in mg. Hm2 cogitatione distinguit,
omnes enim huiusmodi res incorporeas in corporibus esse suum habentes sensus
cum ipsis nobis corporibus tradit, at nero animus, cui potestas est et
disiuncta componere et composita resoluere, quae a sensibus confusa et
corporibus coniuncta traduntur, ita distinguit, ut incorpoream naturam per se
ac sine corporibus in quibus est concreta, specnletur et uideat. diuersae enim
proprietates sunt incorpo- reorum corporibus permixtorum, etsi separentur a
corpore, genera ergo et species ceteraque uel in incorporeis rebus uel in
his quae sunt corporea, reperiuntur. et si ea in rebus incor- poreis inuenit
animus, habet ilico incorporeum generis intel- lectum, si uero corporalium
rerum genera speciesque perspexerit, aufert, ut solet, a corporibus
incorporeorum naturam et solam puramque ut in se ipsa forma est contuetur, ita
haec cum accipit animus permixta corporibus, incorporalia diuidens spe-
culatur atque considerat, nemo ergo dicat falso nos lineam cogitare, quoniam
ita eam mente capimus quasi praeter corpora sit, cum praeter corpora esse non
possit, non enim omnis qui ex subiectis rebus capitur intellectus aliter quam
sese ipsae res habent, falsas esse putandus est, sed, ut superius
dictum 20 superius] p. 164, 8. 2 corpore EGLRS 3
at nero om. C animi ( om . cui) R et om. GRS, s.
l. Lm2 post disiuncta add . ut equum et hominem quae iungi non
patitur natura, post composita add . ut corpus et lineam
et (sic) disiungi natura non patitur R 4 a s.l. m2 in
EGLS 5 ante incorpoream add . in FLNS 7 et]
ut S sunt proprietates CLR , add. ut equum et cetera R
8 ante corporibus add. et C etiamsi R et, s. l.
si Cm2F separarentur F (ra s. l.) R separantur Lm1N 9
ergo om. FN, del. Lm2 , uero H, s. l. Lm2 corporeis
Cm1GHLPa.c.R 10 incorporeis] corporeis Cm1 11 animus
inuenit FHNP post ilico add . ibi F, s. l. Gm2 , add .
quo E, sed del . 12 incorporalium Em1 speciesque] et species
esse F prospexerit HR 14 ante haec add .
et H (del. m2) N, s. l. Cm2 animus cum accipit F 15
accepit Pm1S animus accipit C post incorporalia add
. ea CHm2LPN diuisa Gm2 16 desiderat Em1Ga.c .
falso ante dicat F falsam CGm1Lm1 (
post nosl NRS 17 capiamus Cm2N 19 sese om.
F ipsae om . H , s. l. Em2 , ipsa F
est, ille quidem qui hoc in compositione facit falsus est, ut cum p.
56 hominem atque equum | iungens putat esse Centaurum, qui uero id in
diuisionibus et abstractionibus assumptionibusque ab his rebus in quibus sunt
efficit, non modo falsus non est, uerura etiam solus id quod in proprietate
uerum est inuenire potest. sunt igitur huiusmodi res in corporalibus
atque in sensibilibus, intelleguntur autem praeter sensibilia, ut eorum natura
per- spici et proprietas ualeat comprehendi, quocirca cum genera et species
cogitantur, tunc ex singulis in quibus sunt eorum similitudo colligitur ut ex
singulis hominibus inter se dissi- milibus humanitatis similitudo, quae
similitudo cogitata animo ueraciterque perspecta fit species; quarum specierum
rursus diuersarum similitudo considerata, quae nisi in ipsis speciebus aut in earum
indiuiduis esse non potest, efficit genus, itaque haec sunt quidem in
singularibus, cogitantur uero uniuersalia nihilque aliud species esse
putanda est nisi cogitatio collecta ex indiuiduorum dissimilium numero
substantiali similitudine, genus uero cogitatio collecta ex specierum
similitudine, sed haec similitudo cum in singularibus est, fit sensibilis, cum
in uniuersalibus, fit intellegibilis, eodemque modo cum sensibilis est,
in singularibus permanet, cum intellegitur, fit uniuersalis. subsistunt ergo circa
sensibilia, intelleguntur autem praeter corpora, neque enim interclusum est ut
duae res eodem in subiecto sint ratione diuersae, ut linea curua atque caua,
quae 1 cõpositionem GHR facit post hoc
H 2 quia Gm1R quod Sm2 3 id om. N, s. l.
Em2H , post diuisionibus F assumptionibus Em1Gm1P
atque assumptionibus CL 5 post solus add .
intellectus F , scil, intellectas s. l. Lm2 6
corporibus FHN post sensibilibus add .
rebus CHLNP 8 ante genera add . et CFS ; et
species et genera R 11 post pr . simili- tudo add .
colligitur N , scil, colligitur s. l. Hm2Sm2 cognita
Cm1F cognita uel cogitata N 12 ueraciter Lm2N
perfecta Em1NP sit FN 13 in om. C 14
earum] Pp.c. (corr. m1?) eorum cett . 17 substantiarum
R 18 collecta cogitatio Cm1LP 22 autem] tamen R
23 eadem Em1Gm1Ha.c . eidem Gm2Lm1 fin eodem m2 )
PR e * dem (sic) S in ante subiecto s. l.,
post eodem er. uid. C, om. EGLPRS 24 sint om. L concaua
Cm2N cauata Lm1 res cum diuersis definitionibus
terminentur diuersusque earum intellectus sit, semper tamen in eodem subiecto
reperiuntur; eadem enim linea caua, eadem curua est. ita quoque generibus et
speciebus, id est singularitati et uniuersalitati, unum quidem subiectum
est, sed alio modo uniuersale est, cum cogitatur, alio singulare, cum sentitur
in rebus his in quibus esse suum habet. His igitur terminatis omnis, ut
arbitror, quaestio dissoluta est. ipsa enim genera et species subsistunt quidem
alio modo, intelleguntur uero alio, et sunt incorporalia, sed
sensibilibus iuncta subsistunt in sensibilibus, intelleguntur uero ut per semet
ipsa subsistentia ac non in aliis esse suum habentia, sed Plato genera et
species ceteraque non modo intellegi uniuersalia, uerum etiam esse atque praeter
corpora subsistere putat, Aristoteles uero intellegi quidem incorporalia
atque uniuersalia, sed subsistere in sensibilibus putat; quorum diiudicare
sententias aptum esse non duxi, altioris enim est philosophiae, idcirco uero
studiosius Aristotelis sententiam executi sumus, non quod eam maxime
probaremus, sed quod hic liber ad Praedicamenta conscriptus est, quorum
Aristoteles est auctor. Illud uero quemadmodum de his ac de
propo- sitis probabiliter antiqui tractauerunt et horum ma- xime Peripatetici,
tibi nunc temptabo monstrare. Praetermissis his quaestionibus quas
altiores esse praedixit, 21—23] Porph. p. 1, 14—16 (Boeth. p. 25,
14—16). 1 earum] HPp.c.(corr. m1?) eorum cett . 3
enim om. LP quippe P, s. l. Lm2 concaua
Cm2N eadcmque FLRS 6 post singulare add .
est R, s. l. Sm2 9 post , alio] alio modo LR
10 post uero s. l . praeter corpora Pm2 11
subsistentia in ras. E substantia GSm1 13 ante
esse s. l . ea E praeter s. l. Cm2 15
ante sensibilibus add . ipsis G 16 dixi Lp.c.Sa.c
. 17 uero s. l. Cm2 20 auctor est CLP est om.
G 21 ante lemma ISTORIA add. S, sic ( uel
HIST-) ante omnia paene lemmata uero] autem Σ post, de
om. E 22 pro- babiliter] λογιχώτίρον Porph. p. 1,
15 tractauerint Cp c . GH X m1 23 monstrare
(demonstrare N ) temptabo FLN 24 ante
Praetermissis add . EXPOSITIO S, sic paene ubique ante explicat,
lemmatum Missis Sm1 exoptat mediocrem introductorii
operis tractatum, sed ne haec ipsa sibi harum quaestionum omissio uitio
daretur, apposuit quemadmodum de propositis tractaturus est, ex quorumque hoc
opus auctoritate subnixus adgrediatur, ante denuntiat, cum mediocritatem quidem
tractatus promittit detracta obscuri- tatis difficultate, animum lectoris
inuitat, ut uero adquiescat ac sileat ad id quod dicturus est, Peripateticorum
auctoritate confirmat, atque ideo ait de his, id est de generibus et spe-
ciebus, de quibus superiores intulerat quaestiones, ac de pro- positis, id est
de differentiis, propriis atque accidentibus, sese probabiliter
disputaturum, probabiliter autem ait ‘ueri similiter’, quod Graeci
λογικώς uel Ινδόξως dicunt, saepe enim et apud
Aristotelem λογικώς ‘ueri similiter’ ac ‘probabi- liter’ dictum
inuenimus et apud Boethum et apud Alexan- drum. Porphyrius quoque ipse in
multis hac significatione hoc usus est uerbo, quod nos scilicet in
translatione, quod ait λογικώς , ita interpretari ut ‘rationabiliter’
diceremus omisimus, longe enim melior ac uerior significatio ea uisa est, ut
pro- babiliter sese dicere promitteret, id est non praeter opini- onem
ingredientium atque lectorum, quod introductionis est proprium, nam cum
ab imperitorum hominum mentibus doc- trinae secretum altioris abhorreat, talis
esse introductio debet, p. 57 ut praeter opinionem ingredijentium
non sit. atque ideo melius 1 haec om. S 2 harum que
LS horumque Gm1 quaestionum] insti- tutionum
Gm1Lm1RS omissi Em1 omisso Lm1Sm1 amissio F 3
est s. l. Em2 , esset Gm1 ex] et FHN , s. l. (om
. ex) Em2 quo- rum FHN 4 subnisus EGm1Sm1
aggreditur EGLPRS 8 et] ac R 10 de] R, om. cett .
11 post ait add . id est C 12 λογιχώς
uel ένδόξως ] edd., ante λογιχώς add .
uel CGLPR ; ΛΟΓ ΙΚΟΟ uel ΛΩΓΙ- ΚΩΟ
uel alia sim. codd .; ΕΝ ΔΩ ΧΟΝ C, sim. Η endo ΧΩ Ο E
ΕΝ ΑΟΓΩ Ο S, alia uarie cett . 13 et om. GR est S
λογιχώς ] S , in cett. eadem fere quae 12
14 Boethum] b boetum p boethon Em2GNS
(recte?) boeton CEm1PR boethion F
bethon H boetoton Lm1 boeten m2 Boethum
(-tium m)rm 16 uerbo usus est CEGLRS 17 λογιχώς
] item ut 13 , λογικώτερον edd . 19
se L *mitteret, s. l . pro Cm2 23 ingredientium
opinionem C non ante praeter CEG ( corr. m2
) L atque ideo] ergo Gm1 (atque ita m2 )
LPm1RS melius probabiliter quam om. R, s. l. Gm2Sm2
probabiliter quam rationabiliter, ut nobis uidetur, inter- pretati sumus,
antiquos autem ait de eisdem disputasse rebus, sed <se< eorum illum
maxime tractatum insequi quem Peri- patetici Aristotele duce reliquerint, ut
tota disputatio ad Praedicamenta conneniat. 2 eisdem]
E (eis in ras .) hisdem cett . disputasse post
rebus C , ante de eisdem L , disputare N 3
se post illum add . brm , post sed
Brandt sequi CEm2HN 4 reliquerint] Gm1HPp.r .
relinquerint FSm1P a.r . relinquerent. R a. r.Sm2
reliquerunt CEGmSLNRp.r . EXPLICIT (CΟΜ- MENTARIORV add . C ,
COMENTORVM add. F , COMTV PLOLOGI, sic, add . S) LIB. I. INCIPIT
(LIB. add. F ) II.(INCIPIT. om. R ) CEFGPRS ( uariis cum
scripturis compendiisque), subscriptio deest in HLN Quaeri
in expositionum principiis solet, cur unum quodque ceteris in disputationis
ordine praeponatur, uelut nunc in genere dubitari potest, cur genus speciei,
differentiae, pro- prio accidentique praetulerit; de eo enim primitus
tractat, respondebimus itaque iure factum uideri; omne enim quod
uniuersale est, intra semet ipsum cetera concludit, ipsum uero non clauditur,
maioris itaque meriti est ac principalis naturae quod ita cetera cohercet, ut
ipsum naturae magnitudine nequeat ab aliis contineri, genus igitur et species
intra se positas habet et earum differentias propriaque, nihilo minus
etiam accidentia, atque ita de genere inchoandum fuit, quod cetera naturae suae
magnitudine cohercet et continet, praeterea illa semper priora putanda sunt
quae si auferat quis, cetera perimuntur, illa posteriora quibus positis ea quae
ceterorum substantiam perficiunt, consequuntur, ut in genere et ceteris,
nam si animal auferas, quod est hominis genus, homo quoque, quod species est,
et rationale, quod differentia, et risibile, quod proprium, et grammaticum,
quod accidens, non manebit et 2 ante Quaeri codd. et p exhibent
idem lemma (sine inscript.) quod p. 171,10 habent, om. brm expositione
CGm1L expositionis S prin- cipii CGm1L 3
dispositionis N 5 praetulerat C tractat in ras .,
s. l . scil, conamur Em2 tractare Em1Sm1 6
respondemus F 8 clu- ditur (i ex e m2 )
S naturae] naturae suae F 10 igitur] itaque C
et om . CN 11 etiam minus HS 12 etiam om.
R etiam et C ita] idcirco CE (in ras.) HLm2NP
ideo F inchoandum fuit] erat incho- andum FHNP 13
ante cetera add . et L natura suae magnitudinis FHN
coerceat et contineat Lm2 14 priora] propria LS
aufert Ca.c . 19 ante proprium add . est P, s. l.
Lm2 post gram- maticum add . esse FHP, s. l. Em2
post accidens add. est FP , ante N interemptum
genus cuncta consumit, si uero hominem esse constituas uel grammaticum uel
rationale uel risibile, animal quoque esse necesse est. siue enim homo est,
animal est, siue rationale, siue risibile, siue grammaticum, ab animalis
substantia non recedit, sublato igitur genere et cetera con- sumuntur, positis
ceteris sequitur genus; prior est igitur natura generis, posterior ceterorum,
iure est igitur in dispu- tatione praepositura. Sed quoniam generis
nomen multa significat hoc - est enim quod ait : Videtur autem neque
genus neque spe- cies simpliciter dici; ubi enim non est simplex dictio, illic
multiplex significatio est —, prius huius nominis significationes discernit ac
separat, ut de qua significatione generis tractaturus est, sub oculis ponat,
sed cum neque genus neque species neque differentia nec proprium nec
accidens significatione simplici sint, cur de his tantum duobus, genere inquam ac
specie, dixit non simpliciter dici, cum proprium, differentia atque accidens
ipsa quoque sint significatione multiplici? dicen- dum est quoniam longitudinem
uitans tantum speciem nomi- nauit eamque idcirco, ne solum genus
significationis esse multi- plicis putaretur, enumerat autem primam quidem
generis signi- ficationem hoc modo; Genus enim dicitur et
aliquorum quodammodo se habentium ad unum aliquid et ad seinuicem
collectio, 10 s.] Porph. p. 1, 18 (Boeth. p. 26, 1). 23—p. 172. 5] Porph.
p. 1, 18—23 (Boeth. p. 26, 1—8). 1 esse om. P 2
post grammaticum add . esse FHP , s. l. Em2 3
esse post est Gm2L , om. EGmIRS, post esse add .
constituas EP , s. l. Lm2 alt . est] sit FHNP 5 et
om. FHNR consummantur S 9 enim est L 10
ante Videtur add . INCIPIT Δ DE GENERE ΓΔΛΠ2Φ
Incipit diffinicio generis Ψ m. post., om. cett . autem
om. HN 12 est significatio C 13 tractatus R 14
est] sit P oculos HN neque genus om. C
15 pr . nec FHP neque proprium neque N 16
simplicia G (a add. m1 uel 2) LSm2 ac] et C 17 non] nec
G 18 atque om. C 19 est om. G 20 solem Gm1
21 quidem om. C 24 ad] et ad S aliquod EN P
IIS aliquem in ras . Cm2 , fort . aliquid
m1 secundum quam significationem Romanorum dicitur genus ab unius
scilicet habitudine, dico autem Romuli, et multitudinis habentium aliquo modo
ad inuicem eam quae ab illo est cognationem secundum diuisio- nem ab aliis
generibus dictae.| p. 58 Una, inquit, generis significatio
est quae in multitudinem uenit a quolibet uno principium trahens, ad quem
scilicet ita illa multitudo coniuncta est, ut ad se inuicem per eiusdem unius
principium copulata sit, ut cum Romanorum dicitur genus; multitudo enim
Romanorum ab uno Romulo uocabulum trahens et ipsi Romulo et ad se inuicem
quasi quadam nominis hereditate coniuncta est. eadem enim quae a Romulo
societas descendit, Romanos inter se omnes uno generis nomine deuin- cit et
colligat, uidetur autem secuisse hanc generis signifi- cationem in duas partes,
cum copulatiuam coniunctionem admiscuit dicens; genus dicitur et
aliquorum quodam- modo se habentium ad unum aliquid et ad se inuicem collectio,
tamquam et illud genus dicatur ad unum se aliquo modo habere et hoc rursus
genus dicatur, quod ad se inuicem unius generis significatione coniuncti sint.
hoc uero minime; eadem enim a quolibet uno propagata societas et ad illum
qui princeps est generis, totam multitudinem refert et ipsam 1
significationem] diffinitionem Φ romanura Cm1G 2
scilicet om. Porph. p. 1, 20 3 ante inuicem add .
se L (s. l. m2) brm Busse; cf. p. 173, 12 4 eam quae]
eamque CR 5 dictae] Hm1Lm2R \ m2 W dictam cett.;
cf. p. 173, 14 et Porph. p. 1, 23 ( τού πλήθοος_ ) κεκλιμένοι» 7
uno om. FGRS, s. l. Em2 , unum H; cf. 21 ad quem s. l .
ał quod Lm2 8 est coniuncta F 9 dicitur—Romanorum
in mg. E, s. l. Gm2, uerba multitudo enim Romanorum del. Lm2
11 post trahens add . sit E (del.) G (del. m2), s. l.
Lm2 12 ea E (ras. ex eadem ) FHN ab CEH 14
colligit CFPm2RS alligat L 16 genus om . H,
s. l. N dicitur] edd., om. H dici cett. (s. l. N)
17 ad] et ad S aliquod N 18 collectionem FH
aliquo modo om. EGRS 19 rursus post genus C
rursum S dicatur—generis om. GRSm1 dicatur unius
generis s. l. m2 20 coniunctiua EGR coniuncta Sm2
sint] NS sunt CFHLP , om. EGR post minime
add . est LPm2 22 refert—multitudinem om. EGSm1, s. l. m2
(sed praefert ) inter se multitudinem uno generis nomine
conectit et continet. quocirca non est putandus diuisionem fecisse, sed omne
quic- quid in hac generis significatione intellegendum fuit, aperuisse. ordo
autem uerborum ita sese habet — qui est hyperbaton intellegendus —:
‘genus enim dicitur et aliquorum ad unum se aliquo modo habentium collectio et
ad se inuicem aliquo modo habentium’ — rursus ‘collectio’ subaudienda; est enim
zeugma —, cuius significationis adiecit exemplum : secundum quam
significationem Romanorum dicitur genus ab unius scilicet habitudine,
dico autem Romuli, et multitudinis rursus habitudine habentium aliquo modo ad
inuicem cognationem, eam scilicet quae ab illo est, id est Romulo, secundum
diuisionem ab aliis generibus dictae, scilicet multitudinis. haec enim
multitudo aliquo modo ad unum et ad se inuicem habens genus dicta est, ut
ab aliis discerneretur, ut Romanorum genus ab Atheniensium ceterorumque
separatur, ut sit integer uerborum ordo : ‘genus enim dicitur et aliquorum
collectio ad unum se quodammodo habentium et ad se inuicem, secundum quam
significationem Romanorum dicitur genus ab unius scilicet habitudine,
dico autem Romuli, et multitudinis secundum diuisionem ab aliis generibus
dictae, habentium scilicet hominum aliquo modo ad inuicem eam quae ab illo est,
id est Romulo, cognatio- 1 nomine] EGLRS uinculo CFHN
nomine uel uinculo P 4 se FHNP qui om. ER, s. l. Gm2Sm2
6 pr . sese L 7 ante collectio s. l . et ( ut uid
.) C subaudiendo N , post sub. add .
est LR, ante s. l. Pm2 8 zeuma EFGHPS 14 dictam
EGm1Lm1PSm2 haec enim multitudo om . ERS, s. l. Gm2
aliquo modo om . FP, ante add . et C, post add . se P
(del. m1?), s. l. Gm2H 15 post unum s. l .
aliquid Gm2 post habens add . cognationem Pm2 edd . 17
separetur Fa.c.N separaretur CFp.c.HLm1 sit] sic
H (sit post uerborum,) P (sit post
ordo,) sic sit F ; integer sit C ; ordo uerborum, post repet
. sit N 18 collectio om. E 20 ab] ad F
habitudinem F , post repetit uerba post . aliquo— exemplum
(6—8) G 22 dictam CEGm1Lm1Sm2 post habentium add .
se Lm2P 23 id est om. S, in quo post cognationem locus
p. 172, 4—13 secundum—deuincit et collegit (sic) repetitus (5 dicta
est, 12 ea script.) nem.’ Atque haec hactenus;
nunc de secunda generis signi- ficatione dicendum est. Dicitur
autem et aliter rursus genus, quod est unius cuiusque generationis principium
uel ab eo qui genuit uel a loco in quo quis genitus est. sic enim Orestem
quidem dicimus a Tantalo habere genus, Hyllum autem ab Hercule, et rursus
Pindarum qui- dem Thebanum esse genere, Platonem uero Athenien- sem; etenim
patria principium est unius cuiusque generationis, quemadmodum et pater. haec
autem uide- tur promptissima esse significatio; Romani enim sunt qui ex
genere descendunt Romuli, et Cecropidae, qui a Cecrope, et horum proximi.
Quattuor omnino sunt principia quae unum quodque prin- cipaliter
efficiunt. est enim una causa quae effectiua dicitur, uelut pater filii,
est alia quae materialis, uelut lapides domus, tertia forma, uelut hominis
rationabilitas, quarta, quam ob rem, uelut pugnae uictoria. duae uero sunt quae
per accidens unius 3—13] Porph. p. 1, 23—2, 7 (Boeth. p. 26, 8—16).
4 generationis om . A , in ras. C quae Gm1
ll m1 5 a loco] ab eo loco CEGLRS; Porph. p. 2, 1
άπ6 τού τόποα sic ex si Cm2 enim in
ras. Cm2 6 oresthē C oresten LN ΣΝΑΣΦ
horestem FH T dicemus S genus habere F 7 Hyllum]
Gm1 yllum m2 illum ( ad quod s. l . tan- talum A
m2 ) cett . autem om. G 8 ante Thebanum add
. dicimus 2 9 principium] Porph. p. 2,4 αρχή τις
; cf. infra p. 178, 17 10 et] Ν Ψ (er. uid.) brm,
s. l . Δ , om. cett. Busse; Porph. p. 2, 5 καί
om. codd. quidam (habet M) ; cf. p. 176, 1 11 esse om.
H sunt om. EFG- ΗΝS ΑΑΣ , s. l. Lm2 , in mg . U
m2 dicuntur edd.; Porph. p. 2, 6 λέγονται ; cf.
p. 176, 7 12 cecropides Σ 13 a Cecrope] cecropis Ea.c .
(a cecropis p.c .) G (cae- m1 ci- m2
) R ex genere descendunt cecropis LS ΑΑΣ , s. l.
Em2 ( om . cecropis), fort. ex p. 176, 8 ; Porph. Κ εκροπίδαι
ol άπό Κέκροπος eorum HL A , in ras . 2 14 efficiunt
principaliter H 16 filii] et filius Em1FGLPRS post
materialis add . dicitur FPR 17 ante forma
add . a R, s. l. Sm2, ras. in E uelut * (i er
.) C quam] NS, om. R , quae cett., fort. recte ob
rem s. l. Rm2 18 pugnae uictoria] N pugna
uictoriae cett . duo CNP accidentes Ea.c.GHm1 (
in mg . ał accidentialiter m2 ) Lm1RSm2 accidentis
m1 cuiusque dicuntur esse principia, locus scilicet ac tempus.
quoniam enim omne quod nascitur uel fit, in loco ac tempore est, quicquid loco uel
tempore natum factumue fuerit, eum locum uel id tempus accidenter dicitur
habere principium. horum omnium in hac secunda generis significatione duo
quae- dam ex alterutris assumit, quae ad significationem generis uidebuntur
accommoda, ex his quidem quae principalia sunt, effectiuum, | ex his uero quae
accidentia, locum. ait enim ‘genus p. 59 dicitur et a quo quis
genitus est’, quod est effectiua princi- palium causa, ‘et in quo quis
loco est procreatus’, quae est accidens causa principii. itaque haec secunda
significatio duo continet, eum a quo quis procreatus est, et locum in quo quis
editus, ut exempla quoque demonstrant. Orestem enim dicimus a Tantalo genus
ducere; Tantalus quippe Pelopem, Pelops Atreum, Atreus Agamemnonem,
Agamemnon genuit Orestem. itaque a procreatione genus hoc dictum est. at uero
Pindarum dicimus esse Thebanum, scilicet quoniam Thebis editus tale generis
nomen accepit. sed quoniam diuersum est illud, a quo quis procreatus est,
locusque in quo quis editus, uidetur diuersa esse generis significatio
procreantis et loci, quam in secunda scilicet parte enumerans unam fecit. sed
ne uideretur duplex, per similitudinem coniunxit dicens : etenim patria
principium est unius cuiusque generationis, 2 uel in ras. E
et C 3 quicquid ex quo quid Cm2, ante add . et F,
post add . enim L 4 accidentaliter CLN
accidentialiter EGPSm2; cf. indicem Meiseri 5 ex alterutris duo
quaedam FP 6 consumit S sunt Cm1H sumit
Cm2, s. l. N generis significationem H 7 uidebantur
LPRS uideantur EG accommodata R post quidem
add . causis codd., om. unus F, del. Hm2 8 ante
effectiuum add . sumit H accidentalia N 9 dici
CFNP et om. C, s. l. Lm2 quisque CGRS 10 loco
procreatus est L procreatus est loco N quod
GKS 13 editus] editus est FHNP post quoque add .
ipsa FHP, s. l. Lm2 oresten LN , item 16 14
pelopen E 15 agamemnonen EG (-men) 17 quoniam]
quia FHN ante Thebis s. l. a Hm2? 18 editus] editus
est CL accipit C est om. G 19
pr. quisque R editus] editus est NP (est s.
l. m2 ) 22 post uideretur add . tamen EP, s. l.
Lm2 adiunxit FN 23 patria s. l. Cm2, in mg. F
generati Em1 generis RSm1 quemadmodum et pater.
sed quoniam in significationibus euenit fere, ut sit aliquid quod intellectui
significatae rei pro- pinquius esse uideatur, quoniam duas generis apposuit
signi- ficationes, multitudinis scilicet et procreantis, cui generis nomen
conuenientius aptetur, iudicat atque discernit dicens hanc esse
promptissimam generis significationem quae a procreante deducta sit; hi enim
maxime Cecropidae sunt qui a Cecrope descendunt, hi Romani, qui a Romulo. quae
cum ita sint, confundi rursus generis significationes uidentur. si enim hi sunt
maxime Romani qui a Romulo originem trahunt, et haec significatio illa
est quae a procreante deducitur, ubi est reliqua, quam primam quoque
enumerauit, quae est ‘mul- titudinis ad unum et ad se inuicem quodammodo se
habentium collectio’? sed acutius intuentibus plurimae admodum diffe- rentiae
sunt. aliud est enim a quolibet primo procreante genus ducere, aliud unum
genus esse plurimorum. illud enim et per rectam sanguinis lineam fieri potest
et non in multa diffundi, ut si per unicos familia descendat, huic enim
aptabitur secunda illa generis significatio, quae a procreante deducitur; prima
uero illa non nisi in multitudine consistit. illud quoque est, quod prima
procreationis principium non requirit, sed, ut ipse ait, sufficit aliquo modo
se habere ad id unde huiusmodi generis principium sumitur, secunda uero
significatio nullam uim nisi procreante sortitur. item in illa primae
significationis multitudine huius secundae particularitas continetur, ut
in 2 fere] saepe C (ante euenit ) LNPm2S
intellectu G signi- ficandae FRSm2 propinquis
F propinquus Gm1PR propinquum N 3
quoniamque Em2HLm2P, post quoniam add . qui Sm1, del.
m2 4 generi EGH (s er .) 6 esse om. G 7
ducta R cecropides R 8 Cecrope] cecropede
FR (-ide) post Romulo add . descendunt N 9
significationes generis C 11 ducitur Lm1 15 est
s. l. F, post enim CL enim om. N aliquolibet ( om
. a) G 16 deducere CLm1 et om. N 18
si s. l. Lm2, del. Sm2 per—descendat] puer unicus familiam distendat
Cm1FHN aptatur N 21 est] est intellegendum C
primae Hm2 24 <a> procreante Engelbrecht
prima EGHLm1RS Romanorum genere Scipiadarum genus; nam cum
sint Romani, Scipiadae sunt. quoniam enim ad Romulum et ad ceteros Romanos
secundum Romuli habitudinem iuncti sunt, Romani sunt, Scipiadae uero dicuntur
ad secundam generis significa- tionem, quia eorum familiae Scipio et
sanguinis principium fuit. Et prius quidem appellatum est genus
unius cuius- que generationis principium, dehinc etiam multitudo eorum qui sunt
ab uno principio, ut a Romulo; namque diuidentes et ab aliis separantes
dicebamus omnem illam collectionem esse Romanorum genus. Sensus
facilis et expeditus, si tamen ambiguitas una sol- uatur. cum enim prius
multitudinis significationem retulerit ad generis nomen, post autem ad
procreationis initium, nunc contrario modo illam prius a se enumeratam
significationem dicere uidetur quae est procreationis, illam uero posteriorem
quae est multitudinis; quod contrarium uideri potest, si quis ad ordinem
superius digestae disputationis aspexerit. sed hic non de se loquitur, sed de
humani consuetudine sermonis, in quo prius eam significationem generis
fuisse dicit quae a procreante sit tracta, accedente uero aetate loquendi usu
nomen generis etiam ad multitudinem habentem se quodam- modo ad aliquem fuisse translatum,
hoc uero idcirco, quoniam 7—11] Porph. p. 2, 7—10 (Boeth. p. 26,
16—19). 1 nam] natura CFL 2 scipiades HNP ante
pr. ad add . et FHNP , s. l. Em2Lm2 post, ad om.
L 4 scipiades N 5 quia] quod E et om. NP,
s. l. Cm2 8 generationis in ras. Cm2 generis PR 9
nam- que ( sic etiam B Bussii )] om . ΛΦ , add. Hm2 \
m2 nam 2 quam edd. Busse; Porph. p. 2, 8 το
πλήθ-ος—δ 10 post aliis add . generibus F ,
s. l. Lm2 11 collationem Λ collectionem post
esse HP ; romanorum esse collectionem F 12 post
facilis s. l . est Lm2Pm2 facile ( om . et) FN
expeditur FNPa.c . 13 retulerat F retulit R
14 post , ad om. FHNR, s. l. Sm2 post nunc s. l .
autem Lm2 15 prius] posterius CLm2NP numeratam
N 16 post uidetur add . priorem CGLNP 18
perspexerit C 21 loquendique CN et (s. l.
m1?) loquendi H 23 ante hoc s. l .
dicit Lm1?, post idcirco in mg . dixit Pm2 superius
dixerat : haec enim uidetur promptissima esse significatio, ut ab hac, id est
secunda, quam promptissimam significationem esse dixit, illa quoque nuncupata
uideretur, quae est multitudinis. prius enim genus inter homines appel- latum
est quod quis a generante deduceret, post autem factum est, ut per
loquendi usum etiam multitudinis ad aliquem p. 60 quodammo|do se habentis
genus diceretur propter diuisionem scilicet gentium, ut esset inter eas nominis
societatisque discretio. His igitur expletis uenit ad tertium genus
quod inter philosophos tractatur cuiusque ad dialecticam facultatem multus
usus est. horum quippe generum historia magis uel poesis tractat exordium,
tertium uero genus apud philosophos con- sideratur. de quo hoc modo loquitur
: Aliter autem rursus genus dicitur cui supponitur species, ad
horum fortasse similitudinem dictum. et- enim principium quoddam est
huiusmodi genus earum quae sub ipso sunt specierum, uidetur etiam multi-
tudinem continere omnem quae sub eo est. Duplicem significationem
generis supra posuit, nunc tertiam monstrare contendit, hanc autem ad superiorum
similitudinem 1 superius] p. 174, 10. 14—18] Porph. p. 2, 10—13 (Boeth.
p. 26, 19—23). 1 enim] autem p. 174 , 10 2 secundum
GR a (s. l.) secunda E 5 quis Cm2
prius m1 7 duceretur Cm1 diuisiones
EFHLm2NP 8 esset] est (s. l.) et E has
FH 9 expeditis N ad om. F 10 cuius CF
multus post usus Lm1R , multum G 11 poesi
Cm1 13 hoc] 2 litt. er. C 14 genus ante
rursus Λ , post dicitur Φ cui—genus (16)
om. N, quod indicatur uoce usque addita (dicitur usque
earum); sic ( saepe etiam usque ad) paene constanter in
N aliisque codd. ubi mediae lemmatum partes omissae sunt 15 ab..
similitudine GL \ m2 \Z 16 eorum A m2 A
earum—specierum] Porph. p. 2, 12 τών δφ’ lauto 17
ipso om . h m1 se m2Lp.c. \HA> sunt add.
Gm2 \ m2 uideturque brm Busse; Porph . xai SoxeT xai
etiam] enim F autem Δ 18 omnem] 2 ( h m1 ß m1 )
omnium CEGLPRS h m2 U m2 earum FHN, s. l. post omnium
Lm2 sub eo est] PA m1 AU m1 ST est Φ sub eo
(ipso F \ m2 se Lm2 ) sunt (est E, s. l. G )
specierum EFGHLNPp.c . (sunt eo sub a.c .) RS \ m2 U m2
sunt sub eo specierum C; cf. Porph. p. 2,12 s . 19 pro- posuit edd
. 20 superiorem FLm1Pm1 dictam esse arbitratur. superius
autem dictae significationes sunt una quidem, cum nomen generis quadam
principii anti- quitate ad se iunctam multitudinem contineret, alia uero, cum
genus ab uno quoque procreante duceretur, quod eorum quae procreantur
principium est. cum igitur sint superius duae generis propositae significationes,
tertium nunc addit de quo inter philosophos sermo est, illud scilicet cui sup-
ponitur species, quod idcirco genus uocatum esse sub opinionis credit ambiguo,
quoniam habet aliquam similitudinem supe- riorum. nam sicut illud genus
quod ad multitudinem dicitur, uno suo nomine multitudinem claudit, ita etiam
genus plurimas species cohercet et continet. item ut genus illud quod secun-
dum procreationem dicitur, principium quoddam est eorum quae ab ipso
procreantur, ita genus speciebus suis est prin- cipium. ergo quoniam
utrisque est simile, idcirco nomen quoque generis etiam in hac significatione a
superioribus mutuatum esse ueri simile est. Tripliciter igitur cum
genus dicatur, de tertio apud philosophos sermo est; quod etiam describentes
adsi- 18—p. 180, 3] Porph. p. 2, 14—17 (Boeth. p. 26, 24—27, 2).
1 dictam esse arbitratur] ut dictum est GRS autem om.
C, s. l. Lm2, del. Pm2 dictae] duae Lm1, ante sunt s. l
. dictae m2 , duae ex dictae H (ras.) Sm2, ante
dictae s. l. Pm2, ante sunt edd., post R 2 quidem
om. C cum in mg. Cm2 quae m1N quadam om.
EFG quandam H qua RSm1 antiquitatem H
3 ad se iunctam] CLm2 ad se et adiunctam HN ad se
iniunctam Sm1 ab uno quoque iniunctam R adiunctam
cett.; cf. p. 177, 2 continet Cm1 (corr. in mg. m2) Nm2
aliam G 4 deduceretur E 5 qui P 6
tertiam et qua F 7 post scilicet add
. genus F, s. l. Sm2 8 ante opinionis add . suae
N, post CHLP, s. l. Em1?, in mg. Sm2 se m1 9 creditur
Ca.r.FR 10 a multitudine Ep.c.FHN 11 suo] sub C
(nomine sub uno) FHNPm2 , ex suo EL ita in mg.
Cm2, s. l. Nm2 13 est] esse EGLm2RS 14 post
suis add . constat FHN, post genus s. l. Em2 est]
CLm1P esse cett . 15 idcirco] id C nomen
post generis FHNP, post quoque L 16 in hac
etiam FHN hanc significationem CP 18 cum
genus—sit (p. 180, 2) om. N dicitur S A m1 /AS 19
etiam] etiam et R gnauerunt genus esse dicentes quod de
pluribus et differentibus specie in eo quod quid sit praedicatur, ut
animal. Iure tertium genus philosophi ad disputationem sumunt; hoc
enim solum est quod substantiam monstrat, cetera uero aut unde quid
existat aut quemadmodum a ceteris hominibus in unam quasi populi formam
diuidatur ostendunt. nam illud quod multitudinem continet genus, illius
multitudinis quam continet substantiam non demonstrat, sed tantum uno nomine
collectionem populi facit, ut ab alterius generis populo segre- getur.
item illud quod secundum procreationem dictum est, non rei procreatae
substantiam monstrat, sed tantum quod eius fuerit procreationis initium. at
uero genus id cui sup- ponitur species, ad speciem accommodatum speciei
substantiam informat. et quia inter philosophos haec maxima est quaestio,
quid unum quodque sit — tunc enim unum quodque scire uidemur, quando quid sit
agnoscimus —, idcirco reiectis ceteris de hoc genere quam maxime apud
philosophos sermo est, quod etiam describentes adsignauerunt ea descrip- tione
quam subter annexuit. diligenter uero ait describentes, non definientes;
definitio enim fit ex genere, genus autem aliud genus habere non poterit. idque
obscurius est quam ut primo aditu dictum pateat. fieri autem potest ut res
quae 1 esse ante genus Pm1, post dicentes
Σ et om. F 2 differentiis R quid]
iterum quod P praedicetur Γ 3 ut animal om
. ΑΣ 5 est solum enim CN enim est solum FP
6 existit E (it in ras .) GLPS existet
Sm1 extitit HN <multitudo> a Brandt 7 una...
forma EGRS diuidantur G ostendit EGLPm1S 8
multitudinis] multi- tudinem G 12 procreantis Nm1 13
atque G 14 ad speciem om. N ad differentiam
Cm2FLm1Pm2 edd . 15 quaestio est FHN 16 unum om. EGRS
enim] etenim FN quodque unum G 17 uidemur]
debemus E (in ras.) GPm1RS, post uidemur add . uel
debemus Hm1 del. m2 post reiectis add . quia non
demonstrant substantiam L temptatis temporum Sm1, del.
m2 19 post quod add . genus EPm1, del. m2
20 ait ex aut Em1 addit m2NP addidit
F 21 ex] de H 23 dictum om. FH dictu GLS
autem] enim FNP alii genus sit, alii generi supponatur, non
quasi genus, sed tamquam species sub alio collocata. unde non in eo quod genus
est, supponi alicui potest, sed cum supponitur, ilico species fit. quae cum ita
sint, ostenditur genus ipsum in eo quod genus est, genus habere non posse.
si igitur uoluisset genus definitione concludere, nullo modo potuisset; genus
enim aliud quod ei posset praeponere, non haberet, atque idcirco descriptionem
ait esse factam, non definitionem. descriptio uero est, ut in priore uolumine
dictum est, ex proprietatibus infor- matio quaedam rei et tamquam
coloribus quibusdam depictio, cum enim plu|ra in unum conuenerint, ita ut omnia
simul rei p. 61 cui applicantur aequentur, nisi ex genere uel
differentiis haec collectio fiat, descriptio nuncupatur. est igitur descriptio
generis haec : genus est quod de pluribus et differen- tibus specie in eo
quod quid sit praedicatur. tria haec requiruntur in genere, ut de pluribus
praedicetur, ut de specie differentibus, ut in eo quod quid sit. de qua re
quoniam ipse posterius latius disputat, nos breuiter huius rei intellegentiam
significemus exemplo. sit enim nobis in forma generis animal. id de
aliquibus sine dubio praedicatur, homine scilicet, equo, boue et ceteris. sed
haec plura sunt. animal igitur de pluribus praedicatur, homo uero, equus atque
bos talia sunt, ut a se discrepent, nec qualibet mediocri re, sed tota specie,
id est tota forma suae substantiae. de quibus dicitur animal; homo enim
et equus et bos animalia nuncupantur. praedicatur ergo animal de pluribus specie
differentibus. sed quonam modo fit 9 in priore uolumine] cf. p. 42, 8—43,
6 potius quam p. 153, 10 ss.; cf. Proleg. adn. 7. 1 genere G
post supponatur add . sed cum (alii add. P ) subponi- tur (
uel sup-) CFHN, s. l. Pm2 non—potest (3) del. E 2
col- locatur CFHNPm2 non] enim EF 7 ei (eius HN )
aliud quod HNPm1RS possit EGS 9 priori LN
ex om. GHS, s. l. Em2Lm2 11 plurima L plura post
unum C 16 post . ut om. FG 18 late E (in
ras.) FHP, ecte ? 19 exemplo] hoc modo CLP 20 prae- dicetur
CEGPm1RS ante equo add . et FHLN, er. P 21 boue] et
boue L et er. uid. C 22 a] ad Lm1S 23
mediocri re] medio- critate H 24 forma tota E (del. tota) G
26 fit om. G haec praedicatio? non enim quicquid
interrogaueris, mox ani- mal respondetur : non enim si quantus sit homo
interrogaueris, ‘animal’ respondebitur, ut opinor; hoc enim ad quantitatem
pertinet, non ad substantiam. item si ‘qualis’ interroges, ne huic quidem
responsio conuenit animalis, ceterisque omnibus inter- rogationibus hanc
animalis responsionem ineptam atque inu- tilem semper esse reperies, nisi ei
tantum apta est quae quid sit interroget. interrogantibus enim nobis quid sit
homo, quid sit equus, quid sit bos, ‘animalia’ respondebitur. ita nomen
animalis ad interrogationem ‘quid sit’ de homine, equo atque boue ac de
ceteris praedicatur, unde fit ut animal praedicetur de pluribus specie
differentibus in eo quod quid sit. et quo- niam generis haec definitio est,
animal hominis, equi, bouis genus esse necesse est. omne autem genus aliud est
quod in semet ipso atque in re intellegitur, aliud quod alterius prae-
dicatione. sua enim proprietas ipsum esse constituit, ad alte- rum relatio
genus facit, ut ipsum animal, si eius substantiam quaeras, dicam substantiam esse
animatam atque sensibilem. haec igitur definitio rem monstrat per se sicut est,
non tam- quam referatur ad aliud. at uero cum dicimus animal genus esse,
non, ut arbitror, tunc de re ipsa hoc dicimus, sed de ea relatione qua potest
animal ad ceterorum quae sibi subiecta 2 non] num FHN
rogaueris Cm1GS 3 ante animal add . mox F
respondetur F ut] non FHN 4 post
qualis add . sit FHNP, s. l. Em2, s. l . homo sit Lm2
interroges] Em1Lm1P roges cett . nec CG
haec CSm2 id m1 hic FN 5
interrogantibus EG 6 ineptam] CFHNPp.c.Lm2
idiotam E (s. l. i . inertem m2) GLm1 (s. l. inpro-
priam m1?) Pa.c.S Hilgard idiotam uel ineptam R
idiotae Engelbrecht 7 nisi] ni C 8 interrogat
Em2HN enim] autem F post . quid] quidque R 9 sit
om. E animal C item EGLm1PRS 11 ac] et
R 13 ante bouis add . atque FHNP 14 genus
autem C 15 ante alterius add . ad
CEm2HN praedicationem Em1PSm1 edd., post add . refertur Pm2
edd . 18 dicas Lm2 21 esse om. EGRS, s. l. Lm2 re
om. EGR, s. l. Sm2 post hoc add . nomen C, s. l .
Em2Pm2, ante FHNS de del. L, s. l. Pm2 22 relatione in
ras . E ratione GLPm1R sunt praedicationem
referri. itaque character est quidam ac forma generis in eo quod referri
praedicatione ad eas res potest, quae cum sint plures et specie differentes, in
earum tamen substantia praedicatur. Huius autem definitionis
rationem per exempla subiecit dicens : Eorum enim quae
praedicantur, alia quidem de uno dicuntur solo, sicut indiuidua ut Socrates et
hic et hoc, alia uero de pluribus, quemadmodum genera et species et
differentiae et propria et accidentia com- muniter, sed non proprie alicui. est
autem genus qui- dem ut animal, species uero ut homo, differentia autem ut
rationale, proprium ut risibile, accidens ut album, nigrum, sedere.
Omnium quae praedicantur quolibet modo, facit Porphyrius diuisionem
idcirco, ut ab reliquis omnibus praedicationem generis seiungat ac separet, hoc
modo. omnium, inquit, quae praedicantur, alia de singularitate, alia de
pluralitate dicuntur. 7—14] Porph. p. 2, 17—22 (Boeth. p. 27, 2—7).
1 post itaque add . ut P, s. l. Lm2 est om.
R, post generis F quiddam Ea.r.G quidem
CNPm1 2 praedicatione post res C 3 eo- rum
CGNS, m1 in ELP 4 tantum E substantiam NR , -a
ex -a CS; cf. p. 187, 11. 18 5 autem om. C, in mg.
Lm2 8 indiuiduum C indibus ( s. l . indiuidua Em2 )
diabus (a, ex e E ) EG ut Socrates— hoc om.
CLNP ,—risibile (13) om. E (in mg . sicut socrates et hic et hoc)
GH ut] sicut Em2 (in mg.) RS ΑΣ et hic et hec et hoc
F 9 uero om. CFLNPR autem Σ
quemadmodum—risibile (13) om. CL ( sed uerba est autem
11 —sedere 14 exhibet p. 184 , 14) NP ut genera, om. reliqua
usque accidens (13) F 10 differentia Sm1
m1 pro- prium Γ 11 sed] et ΛΣ
proprie] L (p. 184, 14) R Ψ propria ΓΑΑΠ ( ras.
ex -ae) 2 (a in ras .) Φ ( post
alicui); Porph. p. 2, 20 ιδίως est— risibile om.
R est—sedere (14) om. S 12 uero s. l . Δ m2 Φ
m2 13 ante accidens add . ut CL ut] id
est CLm2P uel E et R; Porph. 2,22
otov 14 ante nigrum add. et R
16 a LPS 17 post separet add . et (F) id
facit FHN, s. l. Em2 18 pr . alia] alia quidem
FHN alia de singularitate om. G, s. l. Em2, post
pluralitate CLm1 post . alia] alia uero FHNS dicuntur]
praedicantur post singularitate FHN de singularitate
uero, inquit, praedicantur quaecumque unum quodlibet habent subiectum de quo
dici possint, ut ea quibus singula subiecta sunt indiuidua, ut Socrates, Plato,
ut hoc album quod in hac proposita niue est, ut hoc scamnum in quo nunc
sedemus, non omne scamnum – hoc enim uniuersale est —, sed hoc quod nunc
suppositum est, nec album quod in niue est — uniuersale est enim album et nix
—, sed hoc album quod in hac niue nunc esse conspicitur; hoc enim non potest de
quolibet alio albo praedicari quod in hac niue est, quia ad singularitatem
deductum est atque ad indiuiduam formam constrictum est indiuidui
participatione. alia uero sunt quae de pluribus praedicantur, ut genera,
species, differentiae et propria et accidentia communiter, p. 62
sed non proprie alicui. | genera quidem de pluribus praedi- cantur speciebus
suis, species uero de pluribus praedicantur indiuiduis; homo enim, quod
est animalis species, plures sub se homines habet de quibus appellari possit.
item equus, qui sub animali est loco speciei, plurimos habet indiuiduos equos
de quibus praedicetur. differentia uero ipsa quoque de pluri- bus speciebus
dici potest, ut rationale de homine ac de deo corporibusque caelestibus,
quae, sicut Platoni placet, animata sunt et ratione uigentia. proprium item
etsi de una specie praedicatur, de multis tamen indiuiduis dicitur, quae sub
conuenienti specie collocantur, ut risibile de Platone, Socrate et ceteris
indiuiduis quae homini supponuntur. accidens etiam 1 uero om.
FHN 2 possunt CLm1 3 ante Plato add . ut
FH, s. l. Lm2 et N edd . 4 quod] ut F ut] et
N 6 sed] sed et F 7 niui Gm2Sm1 enim est FL
8 niui Sm1, item 9 9 hac] alia EFGR (a.c.ut uid. ac
p.c.) Sm1 10 post , ad om. GHLR, s. l. Em2Nm2 , in
FSm2 14 propriae FGa.c.Sm1 propria CHLN post
alicui uerba lemmatis p. 183, 11—14 est autem—sedere add.
L 15 plurimis FN 16 post indiuiduis add .
suis CFHP 17 qui] quod FHN 19 praedicatur
FHN 20 potest dici E 21 quae om. R, s. l. Sm2 q.
er. N 22 item] autem Lm2P specie om. C 23
tamen ante de H 25 post indiuiduis
add . dicitur CLP, s. l. Hm2 hominibus EG homini
* ( b. ? er.) L supponantur Em1GS
supponuntur ante homini C de multis dicitur; album enim
et nigrum de multis omnino dici potest quae a se genere specieque seiuncta
sunt. sedere etiam de multis dicitur; homo enim sedet, simia sedet, aues
quoque, quorum species longe diuersae sunt. accidens autem quoniam
communiter accidens esse potest et proprie alicui, idcirco determinauit dicens
et accidentia communiter, sed non proprie alicui. quae enim proprie alicui
accidunt, indi- uidua fiunt et de uno tantum ualentia praedicari, ea quae
communiter accipiuntur, de pluribus dici queunt. ut enim de niue dictum
est, illud album quod in hac subiecta niue est, non est communiter accidens,
sed proprie huic niui quae oculis ostensionique subiecta est. itaque ex eo quod
commu- niter praedicari poterat — de multis enim album dici potest, ut albus
homo, albus equus, alba nix —, factum est, ut de una tantum niue
praedicari illud album possit cuius partici- patione ipsum quoque factum est
singulare. omnino autem omnia genera uel species uel differentiae uel propria
uel acci- dentia, si per semet ipsa speculemur in eo quod genera uel species
uel differentiae uel propria uel accidentia sunt, mani- festum est
quoniam de pluribus praedicantur. at si ea in his speculemur in quibus sunt, ut
secundum subiecta eorum formam et substantiam metiamur, euenit ut ex
pluralitate praedicationis ad singularitatem uideantur adduci. animal
enim, 3 enim om. C et (s. l. m2) enim
L sedit CN simia] post sedet FH et simia
R aues] auis N set et aues F sedet auis
H 4 quo- que om. FN , uero L quarum Lm1
post sunt s. l . sedent Pm2 scil, sedent
Sm2 5 ante communiter add . et FHN, s. l.
Em2Pm2 7 propria HN pr . alicui om. GLR quae s.
l. Sm2 cum E (s. l. m2)FH enim proprie s. l.
Em2Sm2 propria N accidunt ali- cui E 8 ea quae] et
quae E ea quidem quae N eademque cum P et
cum F cum H 9 queunt om. Em1G, s. l. Sm2
possunt E m2 Pm1 (potest m2 ) R 10 niui
Sm1 niue est subiecta HL niui Sm1 nunc
G 12 ostensione GRS ita * (q. er .) C
ita quoque Sm2, ad itaque s. l . quoque Hm2 15
niui GSm1 17 differentias CE (s in er . e?)
GL 20 quoniam] quod G 21 ut] et FN subiectam CEGH
a.r.Lm1PSm2 22 substantiamque ( om . et) FHNP metiantur
E mentiamur Ca.r.Sa.c . eueniet HN pluritate
Gm1P quod genus est, de pluribus praedicatur, sed cum hoc animal in
Socrate consideramus — Socrates enim animal est —, ipsum animal fit indiuiduum,
quoniam Socrates est indiuiduus ac singularis. item homo de pluribus quidem hominibus
praedi- catur, sed si illam humanitatem quae in Socrate est indiuiduo
consideremus, fit indiuidua, quoniam Socrates ipse indiuiduus est ac
singularis. item differentia ut rationale de pluribus dici potest, sed in
Socrate indiuidua est. risibile etiam cum de pluribus hominibus praedicetur, in
Socrate fit unicum. communiter quoque accidens, ut album, cum de pluribus
dici possit, in uno quoque singulari perspectum indiuiduum est. Fieri autem
potuit commodior diuisio hoc modo. eorum quae dicuntur, alia quidem ad singularitatem
praedicantur, alia ad pluralitatem, eorum uero quae de pluribus praedicantur,
alia secundum substantiam praedicantur, alia secundum acci- dens. eorum
quae secundum substantiam praedicantur, alia in eo quod quid sit dicuntur, alia
in eo quod quale sit, in eo quod quid sit quidem, genus ac species, in eo quod
quale sit, differentia. item eorum quae in eo quod quid sit praedi- cantur,
alia de speciebus praedicantur pluribus, alia minime; de speciebus
pluribus praedicantur genera, de nullis uero species. eorum autem quae secundum
accidens praedicantur, alia quidem sunt quae de pluribus praedicantur, ut
accidentia, 1 plurimis R 5 si s. l. Lm2Sm2
quae et est om. F est— indiuidua in mg. Cm2
7 est post singularis E 9 hominibus om. FN praedicatur
CEGL (ante hominibus) Pm1RS dici possit N in Socrate
om. ER unica Em1GS unicam Lm1 unita R 10
cum s. l. Em2Sm2 11 possit dici E singulari] singulari
corpore CFHN perspectum] CE (in ras.) FH, m2 in LPS
perspecta Lm1 a.c . (perfecta m1p.c .) R perfectam
Pm1Sm1 profecto ( alt . o in ras .) N profecto
perfecta G in- diuidua EGLm1RS 12 ante
eorum add . ut GRS, del. EL 13 dicun- tur] praedicantur
Pm2 praedicantur] dicuntur L ( ex dicantur m2
) P 14 plurimis R praedicantur] dicuntur N
17 pr . quod—differentia (19) in ras. Em2 post , in
eo—differentia (19) om. GR 19 iterum FN 20 pluribus
(plurimis H ) praedicantur FHN 21 post speciebus
add . quidem FHNP pluribus om. GRS, s. l. Lm2, post
praedicantur Em1Fm1 23 post pluribus add .
speciebus CFHN, s. l. Em2 alia quae de uno tantum, ut
propria. Posset autem fieri etiam huiusmodi diuisio. eorum quae praedicantur,
alia de singulis praedicantur, alia de pluribus. eorum quae de plu- ribus, alia
in eo quod quid sit, alia in eo quod quale sit praedicantur. eorum quae
in eo quod quid sit, alia de diffe- rentibus specie dicuntur, ut genera, alia
minime, ut species, eorum autem quae in eo quod quale sit de pluribus prae-
dicantur, alia quidem de differentibus specie praedicantur, ut differentiae et
accidentia, alia de una tantum specie, ut propria. eorum uero quae de
differentibus specie in eo quod quale sit praedicantur, alia quidem in
substantia praedicantur, ut diffe- rentiae, alia in communiter euenientibus, ut
accidentia. et per hanc diuisionem quinque harum rerum definitiones colligi
possunt hoc modo. genus est quod | de pluribus specie differen- p.
63 tibus in eo quod quid sit praedicatur. species est quod de
pluribus minime specie differentibus in eo quod quid sit praedicatur.
differentia est quod de pluribus specie differentibus in eo quod quale sit in
substantia praedicatur. proprium est quod de una tantum specie in eo quod quale
sit non in sub- stantia praedicatur. accidens est quod de pluribus specie
differentibus in eo quod quale sit non in substantia praedicatur. 1
quae om. FN una C (s. l. add . specie ) FHN
possit FRS potest N 2 etiam om. LP 4
post pr . sit add . praedicantur CFHNP, s.l. Lm2 6 specie]
speciebus Ea.r.FLNPS 7 autem in mg. E, s. l. Lm2 9
accidentia et differentiae C post accidentia add .
communiter Pm2 edd . 10 uero om. GRS, in mg.
Em2Lm2 quae in mg. Em2 de differentibus specie om.
GLRS, in mg . de specie differentibus Em2 de om . C 11
substantiam RSa.r . 12 conuenientibus Pm2 13 de- finitiones]
diuisiones FHm1 14 specie differentibus hic F, post quid
sit (15) cett.; cf. proxima et p. 193, 1 15 est] autem
E 18 substan- tiam R proprium—praedicatur (20)] om. GR,
in mg. Em2 proprium (uero s. l. add. Lm2 ) est quod de pluribus
minime specie differentibus in eo quod quale ait (sit s. l. Lm2 ) non in
substantia praedicatur LPm2 non in substantiam praedicatur
Sm1, del. m2, in sup. mg . ( ante non inse- renda ) haec
proprium est quod de pluribus specie minime differentibus, deinde pauca
uerba, quorum extremum <praedi>cat<ur>, cum mg.
abscisa, sequuntur uerba accidens est (20) —praedicatur (21)
, m2 20 ante specie add . et CE (del.)
GLP Et nos quidem has diuisiones fecimus, ut omnia a semet ipsis
separaremus, Porphyrio uero alia fuit intentio. non enim omnia nunc a semet
ipsis disiungere festinabat, sed tantum ut cetera a generis forma et
proprietate separaret. idcirco diuisit quidem omnia quae praedicantur aut in ea
quae de singulis praedicantur, aut in ea quae de pluribus, ea uero quae
de pluribus praedicantur, aut genera esse dixit aut species aut cetera,
horumque exempla subiciens adiungit : Ab his ergo quae de uno solo
praedicantur, diffe- runt genera eo quod de pluribus adsignata praedi-
centur, ab his autem quae de pluribus, ab speciebus quidem, quoniam species
etsi de pluribus praedican- tur, sed non de differentibus specie, sed numero;
homo enim cum sit species, de Socrate et Platone praedicatur, qui non specie
differunt a se inuicem, sed numero, animal uero cum genus sit, de homine
et boue et equo praedicatur, qui differunt a se inui- cem et specie quoque, non
numero solo. a proprio uero differt genus, quoniam proprium quidem de una sola
specie, cuius est proprium, praedicatur et de his quae sub una specie
sunt indiuiduis, quemadmodum 9—p. 189, 16] Porph. p. 2, 22—3, 14 (Boeth.
p. 27, 8—28, 7). 2 separemus GNRm1Sm1 porphirii
Lm1 fuit alia CN 4 forma generis H separet
NPa.c.Sm1 ante idcirco add . hic FRS 5 diuisit s.
l. Em2 separauit m1 quidem s. l. R, ante
diuisit L 6 praedicarentur FHLm2Pm2 plurimis
Em1Lm2 uero] autem C 7 plurimis FGm2N
praedicarentur FHLm2 8 horum F 9 Ab om. GHP, s.
l. ER ergo] uero H praedicarentur N 10 prae-
dicantur Em1GLm2PRSm2 Busse 11 ab his—accidens (p. 189, 14)
] Ω , om. cett., sed in S particulae lemmatis plerumque
HISTORIA (cf. ad p. 167, 21) inscriptae uariis locis expositionis p. 189,
17—193, 16 insertae sunt, item particulae quaedam in L; quorum locorum
lectiones hic pro- ponentur post . ab] Ω (etiam B
Bussii) a edd. Busse 12 post quidem add .
differunt genera Γ praedicatur ΛΣ 13 sed non] sed
om . Σ non tamen H m2 ‘i’ 14 Platone] de platone
A 16 sit genus Σ 17 boue] de boue Γ 18 et
om. ΓΦ non] Porph. p. 3, 1 aX\’ οΰχί
solum edd. cum Porph . τώ άριθ·μώ μόνον 20 hiis Φ
21 una om. Porph. p. 3, 3 risibile de homine solo et de
particularibus homini- bus, genus autem non de una specie praedicatur, sed de
pluribus et differentibus specie. a differentia uero et ab his quae communiter
sunt accidentibus differt genus, quoniam etsi de pluribus et
differentibus spe- cie praedicantur differentiae et communiter acciden- tia,
sed non in eo quod quid sit praedicantur, sed in eo quod quale quid sit.
interrogantibus enim nobis illud de quo praedicantur haec, non in eo quod
quid sit dicimus praedicari, sed magis in eo quod quale sit. interroganti
enim qualis est homo, dicimus ratio- nalis, et in eo quod qualis est coruus,
dicimus quo- niam niger. est autem rationale quidem differentia, nigrum uero
accidens. quando autem quid est homo interrogamur, animal respondemus;
erat autem homi- nis genus animal. Nunc genus a ceteris omnibus
quae quolibet modo praedi- 3 specie s. l . Γ , om.
optimi codd. Porph. p. 3,5, delend. uid. Bussio 5 locum
quoniam—animal (16) post genus p. 193, 18 add. LS
etiamsi LS sΠ*ΙΓ specie differentibus ΛΣ ; Porph. p. 3,
6 διαφερόντων τψ ειόει 6 differentia Lm2S 7 sed
non] Δ ( ad sed s. l . id est tamen m1? )
Π ( ad sed s. l . uel tamen m1? ) A Busse
tamen non LS ΤΣΦ non tamen Ψ edd.; Porph. p. 3,
8 άλλ’ οόκ , cf. supra p. 188, 13, infra 190, 12 7
sit om. L sed in eo quod quale quid sit] codd. cum Porph. p.
3, 8 codicib. Lm2Mm2 άλλ’ έν τψ όποιον τ£ έστιν , delend.
uid. Bussio 8 quid om. S Φ interrogantibus—sit (11) om
. Φ ad interrogantibus s. l . uel interrogati Δ
nobis] LS A m2 Ii (del. m2) Busse nos A m1
(enim post nos,) Ψ , om . ΓΔ2 ( decst
Φ ); Porph. p. 3, 8 έρωτησάντων γάρ ήμών
uel τινών codd . 9 post illud s. l .
quomodo (m1?) uel de quo (m2) Δ haec
s. l. Lm2 10 post quale add . quid Π (del.
m2) Ψ m Busse, om . LS VM pbr, om. etiam p. 194, 7 (cf. p.
195, 4. 196, 8. 15) , aliquid s. l . Λ ( deest Φ
); Porph. p. 3, 10 έν τψ ποιόν τί έατιν 11
interroganti] ΑΣ a.r . Ψ interrogantibus S interrogati
cett.; Porph. p, 3, 10 έν γάρ τψ έρωταν 12. dicimus] Π
m2 ΣΨ , om . Φ , dicitur cett.; Porph. p. 3, 11
οομέν 14 autem om. N quid est] quidem FN
qui Gm1, s. l . est m2 quod est L 15 interrogamus
P A , m1 in EGR Z interrogemus S erat]
RS, m1 in Ρ ΔΛ , est 1 erit cett.; Porph. p. 3, 13
vjv genus ho- minis Σ cantur separare contendit
hoc modo. quoniam enim genus de pluribus praedicatur, statim differt ab his
quidem quae de uno tantum praedicantur quaeque unum quodlibet habent indiui-
duum ac singulare sublectum; sed haec differentia generis ab his quae de uno
praedicantur, communis ei est cum ceteris, id est specie, differentia,
proprio atque accidenti idcirco, quo- niam ipsa quoque de pluribus
praedicantur. horum igitur sin- gulorum differentias a genere colligit, ut
solum intellegendum genus quale sit sub animi deducat aspectum, dicens : ab his
autem quae de pluribus praedicantur, differt genus, ab speciebus quidem
primum, quoniam species etsi de pluribus praedicantur, non tamen de
differentibus specie, sed numero. species enim sub se plurimas species habere
non poterit, alioquin genus, non species appellaretur. p. 64 si
enim genus est quod de pluribus specie | differentibus in eo quod quid
sit praedicatur, cum species de pluribus dicatur et in eo quod quid sit, huic
si adiciatur ut de specie differenti- bus praedicetur, speciei forma transit in
generis; id quoque exemplo intellegi fas est. homo enim praedicatur de Socrate,
Platone et ceteris quae a se non specie disiuncta sunt, sicut homo atque
equus, sed numero : quod quidem habet dubitationem quid sit hoc quod dicitur
numero differre. numero enim differre aliquid uidebitur quotiens numerus
a 2 quidem om. CHN qui G, ex quae Lm2
3 post praedicantur add . ut socrates et hic et hoc H
quae CN 5 uno] uno solo LS est ei L
est om. CEHN 6 post specie add . et FHP, s.
l. Lm2 accidente Lm2Pm1N 9 aspectum deducat E
ab] CL (s. l.) NSm2, om. cett . 10 autem] enim P post
pluribus add . id est ( add . specie, sed del. E ) ab
his quae ( haec s. l. E ) de pluribus Em2GPRS 11 a R
primum om. S, s. l. Lm2; deest p. 188, 12 12 praedicatur
S non tamen] sed non S de om. FHNP 15
plurimis Em2GPRS 16 plurimis EGR dicatur] praedicetur
C praedicatur edd . 19 fas est] placet HNPm1 post
enim s. l . cum sit species Em2Pm2 (ex p. 188,14) quod est
species Lm2 20 et ceteris del. E qui Ep. c .
disiuncta ( ad quod s. l . differunt)—equus del. E 21
post equus add . uel bos LP 23 differre (in mg.
H) post aliquid FHLN aliquis GS quoties
(-cies) EPRS numero differt, ut grex boum qui fortasse
continet triginta boues, differt numero ab alio boum grege, si centum in se
contineat boues; in eo enim quod grex est, non differunt, in eo quod boues, ne
eo quidem : numero igitur differunt, quod illi plures, illi uero sunt
pauciores. quomodo igitur So- crates et Plato specie non differunt, sed numero,
cum et So- crates unus sit et Plato unus, unitas uero numero ab unitate non
differat? sed ita intellegendum quod dictum est numero differentibus, id est in
numerando differentibus, hoc est dum numerantur differentibus. cum enim
dicimus ‘hic Socrates est, hic Plato’, duas fecimus unitates, ac si digito
tangamus dicentes ‘hic unus est’ de Socrate, rursus de Platone ‘hic unus est’,
non eadem unitas in Socrate numerata est quae in Pla- tone. alioquin posset
fieri ut secundo tacto Socrate Plato etiam monstraretur. quod non fit.
nisi enim tetigeris Socratem uel mente uel digito itemque tetigeris Platonem,
non facies duos, dum numerantur. ergo differunt quae sunt numero dif- ferentia.
cum igitur species de numero differentibus, non de specie praedicetur, genus de
pluribus et differentibus specie dicitur, ut de boue, de equo et de
ceteris quae a se specie inuicem differunt, non numero solo. tribus enim modis
unum quodque uel differre ab aliquo dicitur uel alicui idem esse, 3
continet EGLRS differt C, add . neque CP, s. l. Hm2, s.
l . nec Lm2 4 ne—differunt] H ( post quidem
del . haec m2 ) N igitur om. EG nec in eo
(recte?) quidem differunt. Igitur numero differunt L non nisi
quidem numero. Igitur differunt numero F non nisi (eo add. S,
sed del .) quidem numero differunt RS Numero igitur (Igitur
numero C ) differunt, cet . om. CP 5 quomodo] quo
R igitur] uero C 6 specie—Plato om. F 7 pr
. unum PS 8 differt CEm2NPR post intellegendum
add . est CL 10 dum] cum F 12 ante
rursus s. l . et S 14 possit FLRS posset
fieri in mg. Cm2 ut] in Cm2Em2G tactu socrates
Em1G 15 ante etiam add . et ( sed et
in etiam del. uid. E ) EG demonstraretur LP 19 speciebus
CFHN post genus s. l . quoque Lm2 et om.
Em1 ( s. l . et de m2 ) R specie differentibus
EF 20 pr . de om. CL et om. FH de s.
l. Em2Lm2 ceterisque quae F inuicem specie FN
genere, specie, numero. quaecumque igitur genere eadem sunt, non necesse
est eadem esse specie, ut si eadem sint genere, differant specie. si uero eadem
sint specie, genere quoque eadem esse necesse est, ut cum homo atque equus idem
sint genere — uterque enim animal nuncupatur —, differunt specie, quoniam
alia est hominis species, alia equi. Socrates uero atque Plato cum idem sint
specie, idem quoque sunt genere; utrique enim et sub hominis et sub animalis
praedicatione ponuntur. si quid uero uel genere uel specie idem sit, non
necesse est idem esse numero, quod si idem sit numero, idem et specie et
genere esse necesse est; ut Socrates et Plato, cum et genere animalis et specie
hominis idem sint, numero tamen reperiun- tur esse disiuncti. gladius uero
atque ensis idem sunt numero, nihil enim omnino aliud est ensis quam gladius,
sed nec specie diuersi sunt, utrumque enim gladius est, nec genere,
utrumque enim instrumentum est, quod est gladii genus. quoniam igitur homo, bos
atque equus, de quibus animal praedicatur, specie differunt, numero ergo etiam
eos differre necesse est. idcirco hoc plus habet genus ab specie, quod de
specie differentibus praedicatur. nam si integram generis defi- nitionem
demus, dabimus hoc modo : genus est quod de plu- 1 ante
genere add . id est P, s. l. Hm2Lm2 genere—esse specie
om. EGRS numero] et numero C 2 esse post specie
C, ante eadem FH ut si—differant specie om. FHNPm1
, in mg. add., sed del. m2 genere—eadem sint om. C 3
sunt F 4 est] esse ( idem ante necesse ) GSm1
sunt EFGKHm1NRSm1 5 animalia FHN nuncupantur
FHNS differentia Hm1N 6 species om. FG, ante
est C 7 uterqne EGLPRS, recte? 8 et om. CP
sub hominis et om. GLRS, s. l. Em2Pm2 post , sub om. C
ponitur Lm2Sm2 9 sit] sint S sunt Fm1 (in mg .
est m2) Nm1 10 quod si—necesse est post disiuncti (13)
transpos. et 13 enim pro uero scr. brm 12 tamen]
tantum CLm1 15 diuersi * (s er.) , om ,
sunt C est gladius FN 16 ad instrumentum
s. l . bellicum Em2 17 bos ante homo EG
atque bos post equus FN 18 ergo om. FHNP, del.
Cm1? Lm1? Sm2 etiam s. l. Lm1? 19 ante id-
circo add . et F, s. l. Sm2 ab specie om. EGLS
a R de] a R ab CEGLS 20 post
specie s. l . quidem L definitionem ( uel diff-)
generis FHNP 21 dabimus om. EG ( add . dicimus
post modo) RS, s. l. Lm2, post modo C ribus
specie et numero differentibus in eo quod quid sit prae- dicatur, at uero
speciei sic : species est quod de pluribus numero differentibus in eo quod quid
sit praedicatur. A proprio uero differt genus, quoniam proprium quidem de
una sola specie, cuius est proprium, praedicatur et de his quae sub una specie
sunt indiuiduis. proprium semper uni speciei adesse potest neque eam relinquit
nec transit ad aliam, atque idcirco proprium nuncupatum est, ut risibile hominis;
itaque et de ea specie cuius est proprium praedicatur et de his
indiuiduis quae sub illa sunt specie, ut risibile de homine dicitur et de
Socrate et Platone et ceteris quae sub hominis nomine continentur. genus uero
non de una tantum specie, ut dictum est, sed de pluribus. differt igitur genus
a proprio eo quod de pluribus speciebus praedi- catur, cum proprium de
una tantum de qua dicitur appelletur et de his quae sub illa sunt indiuiduis. A
differentia uero et ab his quae communiter sunt accidentibus differt genus.
differentiae atque accidentis discrepantiam a genere una separatione concludit.
omnino enim quia haec in eo quod quid sit minime praedicantur, eo ipso
segregantur a genere; nam in ceteris quidem propinqua sunt generi, nam et
1 specie—differentibus] specie non (non Lm2 s. l. et R et cum
cett. P ) numero solo (solo s. l. Lm2, om. P ) differentibus
LPR 2 plurimis S 3 in—sit om. HN 4 proprium]
prius S proprium—praedicatur] pro- prium praedicatur et de una sola
specie C quidem—est proprium om . G, s. l. Em2
quidem om. etiam S 6 post proprium add .
uero N enim brm 7 uni om. GS, post speciei
E (s. l. m2) HR 9 post hominis add . est edd . 11
et] ut RS de om. FN, s. l. Pm2 Platone] de
platone G et ceteris] ceterisque FHNP 12 qui
Em2 13 ut s. l. Hm2Pm2 de om. N plurimis
CEm1GNR, add . et differentibus specie S, in mg. Pm2 ( om . specie)
14 praedicetur Lm2P 15 post tantum s. l .
specie Lm2 appellatur FHm1NR 17 sunt accidentibus]
accidunt HN 18 genus] cf. ad p. 189, 5; post locum p. 189,
5—16 uerba Quare—praedicantur p. 194, 20 s. add.
L discrepantia FL 19 separatione del. et s. l .
diffinitione Em2, post separatione add . uel
definitione Hm1, del. m2 20 sint Em2HN 21 in] CL
(s. l. m2) N, om. cett . de pluribus praedicantur et de specie
differentibus, sed non p. 65 in eo quod quid sit. si quis enim |
interroget : qualis est homo? respondetur rationalis, quod est differentia; si
quis : qualis est coruus? dicitur niger, quod est accidens. si autem interroges
: quid est homo? animal respondebitur, quod est genus. quod uero ait :
haec non in eo quod quid sit dicimus praedi- cari, sed magis in eo quod quale
sit, hoc magis quaesti- oni occurrit huiusmodi. Aristoteles enim differentias
in sub- stantia putat oportere praedicari. quod autem in substantia
praedicatur, hoc rem de qua praedicatur, non quale sit, sed quid sit
ostendit. unde non uidetur differentia in eo quod quale sit praedicari, sed
potius in eo quod quid sit. sed sol- uitur hoc modo. differentia enim ita
substantiam demonstrat, ut circa substantiam qualitatem determinet, id est
substanti- alem proferat qualitatem. quod ergo dictum est magis, tale est
tamquam si diceret : uidetur quidem substantiam significare atque idcirco in eo
quod quid sit praedicari, sed magis illud est uerius, quia tametsi substantiam
monstret, tamen in eo quod quale sit praedicatur. Quare de pluribus
praedicari diuidit genus ab his quae de uno solo eorum quae sunt
indiuidua praedi- cantur, differentibus uero specie separat ab his quae
20—p. 195, 5| Porph. p. 3, 14—19 (Boeth. p. 28, 7—13). 1
plurimis FH 3 respondebitur R rationabilis N
quis om. R, post s. l . scil. (om. brm) interroget
Hm2brm post , est om. HN 4 dicetur FHN interrogetis
N 9 autem] uero FHN 10 qualis Cm2FHP 16 tamquam]
ac F 20 uerba Quare—praedicantur (21) et p. 193,
18 et hic ( hic om . praedicatur) habet L, eadem iam ante lemma
add. S predicari ex preditur Pm2 genus
diuidit hic L hiis F 21 sola F
eorum—accidentibus ( p.195, 3 )] Ω , in sup. mg . non sunt
indiuidua (21) — accidentibus add. Lm2? dicuntur ut indiuidua quae
de una solummodo substantia dicuntur R, om. cett. codd . eorum quae sunt
indiuidua om. p. 193, 18 L eorum om. L (hic)
A 22 ante differentibus add . de ΓΛΦ ;
differentibus—quibus praedicantur (195, 5) post colligamus p.
196,1 inseruit S, itaque uerba quae (195, 3) —quibus praedicantur
(195, 5) et illic et hic habet separatur Φ , in mg .
genus add . Γ sicut species praedicantur uel sicut
propria; in eo autem quod quid sit praedicari diuidit a differentiis et
communiter accidentibus, quae non in eo quod quid sit, sed in eo quod quale sit
uel quodammodo se habens praedicantur de quibus praedicantur.
Tria esse diximus quae significationem hanc tertiam generis informarent,
id est de pluribus praedicari, de specie differenti- bus et in eo quod quid
sit. quae singulae partes genus a ceteris quae quomodolibet praedicantur
distribuunt ac secer- nunt, quod ipse breuiter colligens dicit; id enim
quod de pluribus praedicatur, genus ab his diuidit quae de uno tan- tum
praedicantur indiuiduo. indiuiduum autem pluribus dici- tur modis. dicitur
indiuiduum quod omnino secari non potest, ut unitas uel mens; dicitur indiuiduum
quod ob soliditatem diuidi nequit, ut adamans; dicitur indiuiduum cuius
praedicatio in reliqua similia non conuenit, ut Socrates : nam cum illi sint
ceteri homines similes, non conuenit proprietas et praedi- catio Socratis in
ceteris. ergo ab his quae de uno tantum praedicantur, genus differt eo quod de
pluribus praedicatur. restant igitur quattuor, species et proprium,
differentia et acci- 6 diximus] p. 181, 15. 2 diuiditur
Φ , s. l . genus add. Lm2 differentibus S 3
ante quae add . et CEGP quae om. R
non om. S (hic) quod] quia R 4 post . sit]
Σ est cett; cf. p. 196, 8 quodammodo in ras. Em2
quod ad modum CG quemadmodum LP quod a modo
R quomodo Ψ edd. Busse ; Porph. p. 3, 19
πώς ; cf. supra p. 128, 10 5 praedicantur om .
ΓΦ ante de quibus add . de his S ( ad p.
194, 22 ) ab his Σ his A hiis Φ de quibus
praedicantur] S (ad p. 194, 22) ΓΛ (de s. l
.) 2Φ , om. cett . 7 informant FHm1N post, de]
Hm2LPm2, om, CEGNRS , sed FHm1Pm1; cf. p. 181, 16 8 et om.
R 9 quolibet modo CL (modo s. l. m2 ) N quo *** libet
(libe er. uid .) F praedicatur GPm1 10 col-
ligens breuiter EGS 12 dicitur pluribus C 13 non potest
secari CFN 14 indiuiduum—dicitur (15) om. G 15
adamas HLm1P (-as ras. ex -ans), amans R 18
ceteros NP 20 igitur] ergo FP dif- ferentiae EHa.c.NP,
ante add . et H, s. l. Lm2 dens, quorum a genere differentias
colligamus. singulis igitur differentiis ab his rebus segregabitur genus. ea
quidem dif- ferentia qua de specie differentibus genus dicitur, separat ab his
quae sicut species praedicantur uel sicut propria. species enim omnino de nulla
specie dicitur, proprium uero de una tantum specie praedicatur atque ideo
non de specie differenti- bus. item genus a differentia et accidenti differt,
quod in eo quod quid sit praedicatur; illa enim in eo quod quale sit
appellantur, ut dictum est. itaque genus quidem ab his quae de uno praedicantur
differt in quantitate praedicationis, ab speciebus uero et proprio in subiectorum
natura, quoniam genus de specie differentibus dicitur, proprium uero et species
minime. item genus in qualitate praedicationis a differentia accidentique
diuiditur. qualitas enim praedicationis quaedam est uel in eo quod quid sit uel
in eo quod quale sit praedicari. Nihil igitur neque superfluum
neque minus con- tinet generis dicta descriptio. Omnis descriptio
uel definitio debet ei quod definitur aequari. si enim definitio definito non
sit aequalis et si quidem maior sit, etiam quaedam alia continebit et non
necesse est ut semper definiti substantiam monstret; si minor, ad omnem
definitionem 16 s.] Porph. p. 3, 19 s. (Boeth. p. 28, 13 s.)
1 quarum Cm1Lm1 colligamus ante differentias
C colligemus (e ex i) H; cf. ad p. 194, 22 2 ea
quidem—dicitur om. S 3 post differentibus add .
praedicari edd . separat ab his] FLm1R dum separat ab
his S differt ab his CN differt (s. l. Em2) ab
(a L ) specie et proprio HP , s. l. Lm2
(seperat—propria [4] del. Lm2, om. P), s. l . et ab his add .
Hm2, om. EG separatur ab his edd.; cf. p. 194, 20 4
praedicantur post propria H 5 nulla] nulla alia
LS 8 enim] uero FHN 10 a LNR 13 ab
FHP (b er .) 15 praedicare GR 16 Nihil ex
Nil Pm1? pr . neque om . ΛΛΠΣΨ Porph. p. 3, 19
Busse, del . Γ m2 17 genus F dicta om. E, s. l
. Σ , post descriptio G locus Porph. p. 3, 19 s.
plenior est (cf . τής έννοιας , quod deest ap. Boeth.) 18
Omnis descriptio in mg. Em2 (in contextu ras.), om. GR, s. l. Sm2
post Omnis add . enim L, s. l. Sm2, post debet C
(er.) EGR 19 definito om. FPS et om. CFN 21
definitio ( uel diff) Ca.r.N post si s. l . sit
L definitio C definiti ( uel diff-) Em2HN
substantiae non peruenit. omnia enim quae maiora sunt, de minoribus
praedicantur, ut animal de homine, minora uero de maioribus minime; nemo enim
uere dicere potest ‘omne animal homo est’. atque idcirco si sibi praedicatio
conuertenda est, aequalis oportebit sit. id autem fieri potest, si neque
super- fluum quicquam habet neque di|minutum, ut in ea ipsa generis p.
66 descriptione. dictum est enim esse genus quod de pluribus specie
differentibus in eo quod quid sit praedicetur, quae descriptio cum genere
conuerti potest, ut dicamus quicquid de pluribus specie differentibus in
eo quod quid sit praedicetur, id esse genus. quodsi conuerti potest, ut ait,
nec plus neque minus continet generis facta descriptio. 1
substantiam CEm2 4 pr . est om. C 5
oporteat EGHL ( a del .) PRS ante sit add .
ut E (in ras. m2) FLNPR, s. l. Cm2Hm2 6 habeat R
diminutiuum Em1 7 enim est G esse s. l. Em2L,
post genus Pm2 8 praedicatur Em2FNa.c . 9
post ut s. l . si Lm2 quicquid] quod
EGLm1RS 10 praedicatur Em2 11 conuerti potest] * (ñ er .)
con- uertitur C conuertitur. est F conuerti (non
del .) potest S neque— neque FLm2P nec—nec HLm1
neque—nec N 12 continet s. l. Nm2 Sm2, om. F,
post generis CEGL facta] dicta p. 196, 17 ANICII
MANLII (MALLII G ) SEVERINI BOETII V. C. ET I LL EXCONS. ORD. PATRICII
IN ISAGOGAS (YSAGOG. E ) PORPHYRII ID EST INTRODVCTIONEM
(introductiones C ) A SE TRANSLATAS EDITI- ONIS SECVNDAE COMMENTARIVS
SECVNDVS EXPLIC. (commen- tum in secdo lib. explic. C, post
PORPHYRII add . SCDE EXPOSITIO- NIS LIB. II. EXPLICIT E ) INCIPIT
LIBER TERTIVS C ( pleraque litt. minusc. scr .) GE (
uariis cum scripturis compendiisque ); sede trans- lationis comtarius expł
incip lib IΙI. L ; EXPL COMMENTARIVS. II. INCIPIT LIB TERTIVS. S; EXPLIC
COMENTORV LIBER SCDS. INCIPIT TERTIVS N·, EXPLICIT LIBER SECDS. INCIPIT LIBER
TERTIVS (TERCIVS LIBER P ) FP ; INCIPIT LIBER TERTIVS R
; subscriptio deest in H Superior de genere disputatio
uideatur forsitan omnem etiam speciei consumpsisse tractatum. nam cum genus ad
aliquid praedicetur, id est ad speciem, cognosci natura generis non potest, si
speciei quae sit intellegentia nesciatur. sed quoniam diuersa est in suis
naturis eorum consideratio atque discretio, diuersa in permixtis, idcirco sicut
singula in prooemio proposuit, ita diuidere cuncta persequitur. ac primum post
generis disputationem de specie tractat. de qua quidem dubitari potest. si enim
haec fuit ratio praeponendi generis reliquis omnibus, quod naturae suae
magnitudine cetera con- tineret, non aequum erat speciem differentiae in ordine
trac- tatus anteponere, quod differentia speciem contineret, cura praesertim
differentiae ipsas species informent. prius autem est quod informat quam id
quod eius informatione perficitur. posterior igitur est species a
differentia, prius igitur de dif- ferentia tractandum fuit. etenim prooemio
etiam consentiret, in quo eum ordinem collocauit quem naturalis ordo suggessit,
dicens utile esse nosse quid genus sit et quid differentia. huic respondendum
est quaestioni, quoniam omnia quaecumque 19 dicens] p. 147, 5. 7. 148,
17. 2 uidetur CGHL, ras. ex uideatur PS 3
sumpsisse CHN 5 ne- scitur FHm1 7 mixtis
Fa.c.Lm1 8 posuit H diuidere ante ita G, post
cuncta CLP , diuise HNa.c . prosequitur Gm1PR 10 pro-
ponendi CFNR genus R 12 nonne Em2FHPSm2 ante
aequum add . et HP, s. l. Em2 speciei differentiam
EFHLm2P; cf. p. 239, 9 13 obtineret CLm1 14 ipsae CNP
est s. l. Gm2Lm2 15 informet E 16 post
Em1GLm1RS igitur] ergo C a om. CRS, er. L 17 ut
enim N ut CH etiam om. CF 18
post quo add . prius CN eam ordine CFN quam
CFN 19 post dicens add . ubi ait E 20
ante huic add . sed E ad aliquid praedicantur,
substantiam semper ex oppositis sumunt. ut igitur non potest esse pater, nisi
sit filius, nec filius, nisi praecedat pater, alteriusque nomen pendet ex
altero, ita etiam in genere ac specie uidere licet. species quippe nisi
generis non est rursusque genus esse non potest, nisi referatur ad speciem; nec
uero substantiae quaedam aut res absolutae esse putandae sunt genus ac species,
ut superius quoque dictum est, sed quicquid illud est quod in naturae
proprietate consistat, id tunc fit genus ac species, cum uel ad inferiora
uel ad superiora referatur. quorum ergo relatio alterutrum constituit, eorum
continens factus est iure tractatus : De specie igitur inchoans ait
hoc modo. Species autem dicitur quidem et de unius cuiusque forma,
secundum quam dictum est : ‘primum quidem species digna imperio’. dicitur
autem species et ea quae est sub adsignato genere, secundum quam sole- mus
dicere hominem quidem speciem animalis, cum sit genus animal, album autem
coloris speciem, trian- gulum uero figurae speciem. Sicut generis
supra significationes distinxit aequiuocas, ita idem in specie facit dicens non
esse speciei simplicem signi- ficationem. et ponit quidem duas, longe autem
plures esse 7 superius] cf. p. 158, 3 ss. 180, 23 ss. 13—19] Porph. p. 3,
21— 4,4 (Boeth. p. 28, 15—21). 20 supra] p. 171, 9 ss. 1
positis Gm1Sm1 3 nomen] non Ea.c.Ga.c . 4 uideri
EP 8 in om. R 9 consistit CLNPSm2 constat
Em1 tum R ac] et H 10 referuntur FLm1
referantur NS refertur Pm2R 11 continuus CN
12 ante De add . sed CH , m1 in LRS , si
E de ex sed Sm2 sed del. Lm2Rm2
13 ante Species inscriptio DE SPECIE (EXPLICIT DE
GENERE. INCIPIT DE SPECIE Ψ ) additur in 11
et om. L 14 primum] G edd . primi L primis
Sm1 priami cett. Busse; Porph. p. 4, 1 πρώτον piv είδος
άξιον τυραννίδος (Eurip. Aeol. frg. 15, 2 N.) ; cf . quemlibet
illum infra p. 200, 22 15 post digna add .
est HNPR AAΦ , s. l. LSm2, edd. Busse; om. Porph. post et ras., s.
l . etiam Γ 17 qui- dem om. N, post add . esse FR, s.
l. L , esse post speciem s. l. Pm2 cum—animal om.
S 18 autem om. Ε ΑΣ 20 ita om. HN
manifestum est, quas idcirco praeteriit, ne lectoris animum prolixitate
confunderet. dicit autem primum quidem speciem uocari unius cuiusque formam,
quae ex accidentium congre- p. 67 gatione perficitur. cautissime
autem dictum est unius|cuius- que, hoc enim secundum accidens dicitur. quae
enim uni cuique indiuiduo forma est, ea non ex substantiali quadam forma
species, sed ex accidentibus uenit. alia est enim sub- stantialis formae
species quae humanitas nuncupatur, eaque non est quasi supposita animali, sed
tamquam ipsa qualitas substantiam monstrans; haec enim et ab hac diuersa est
quae unius cuiusque corpori accidenter insita est, et ab ea quae genus
deducit in partes. postremumque plura sunt quae cum eadem sint, diuersis tamen
modis ad aliud atque aliud relata intelleguntur, ut hanc ipsam humanitatem in
eo quod ipsa est si perspexeris, species est eaque substantialem
determinat qualitatem; si sub animali eam intellegendo locaueris, deducit
animalis in sese participationem separaturque a ceteris ani- malibus ac fit
generis species. quodsi unius cuiusque proprie- tatem consideres, id est quam
uirilis uultus, quam firmus incessus ceteraque quibus indiuidua conformantur et
quodam- modo depinguntur, haec est accidens species secundum quam dicimus
quemlibet illum imperio esse aptum propter formae 1 praeterit
CEGLPR 2 primo FHNP 3 formam] CN figuram
cett 5 haec GL ( s. l. add . species m2 )
RSm1 uni om. EGRS 6 ea om. HN 7 ante
species (specie H ) add . ac CHN ex om. CH
8 forma, s. l . species (m. 2) E pr . quae] sed quae E
eaque] ea quae EFGH Lm1Sm2 9 post sed
add . est brm, post qualitas S 11 unius cuiusque
corpori] CNPm2R in (s. l. Lm2) unius cuiusque (in
add. Lm1, del. m2 ) corpore ( ex -ri Lm2 ) FHLPm1 unius
cuiusque (in s. l. Sm2 ) corpore EGS accidentaliter
CLm2P sita FHLm1 si ita Na.c . ea] hac F 12
postremoque CNPm2 (recte?) postremo quoque Rm1
postremum quae Rm2S postremum H 13 sunt FH post
atque add . ad CHR 14 in- telligantur LRm1 15
si post humanitatem FHN respexeris N eaque]
Cm1N ea quae cett . determinet R 16 eam om. GPRS
(recte?) , s. l. Em2 17 se Lm1N 18 species
generis C 20 informantur LPm2 21 accidentalis
Lm2Pm2 22 quamlibet FLm1 quodlibet Sm2
illum om. CHLNP illud RS eximiam dignitatem. huic
aliam adiungit speciei significationem, id est eam quam supponimus generi. nos
uero triplicem speciei significationem esse subicimus, unam quidem substantiae
quali- tatem, aliam cuiuslibet indiuidui propriam formam, tertiam de qua
nunc loquitur, quae sub genere collocatur. creden- dum uero est propter
obscuritatem eius quam nos adie- cimus, quia nimirum altiorem atque eruditiorem
quaereret intellectum, ea tacita praetermissaque ceteras edidisse. cuius quidem
speciei haec exempla subiecit, ut hominem quidem animalis speciem, album
autem coloris, triangulum uero figurae; haec enim omnia species nuncupantur
eorum quae sunt genera, animal quidem hominis, albi autem color, trianguli figura.
Quodsi etiam genus adsignantes speciei meminimus dicentes quod de
pluribus et differentibus specie in eo quod quid sit praedicatur, et
speciem dicimus id quod sub genere est. Dudum cum generis
descriptionem adsignaret, in generis definitione speciei nomen iniecit dicens
id esse genus quod de pluribus specie differentibus in eo quod quid ait
prae- dicaretur, ut scilicet per speciei nomen definiret genus. nunc uero
cum speciem definire contendat, generis utitur nuncupatione dicens speciem esse
quae sub genere ponatur. 13—16] Porph. p. 4, 4—7 (Boeth. p. 28, 21—23).
18 (dicens)—20] p. 180, 1 s. 3 subiecimus CLN
substantialem FLm2Bm2 4 indiuiduam G 5 collocatur
(-catur in ras. m2) E colligatur GLm2 (colligitur
m1 ) Rm1s 6 est] est quod EPRS 7 quia] quae CN
quaerit C quaeret Hm1N 8 praetermissa quae
Em1Sa.c . praetermissa Rm1 dedisse Gm1 edidisset
R, ante edid. add . ipsum r 9 ut] et
EGLm1Ra.c.S 11 eorum quae] CFHN earum quae EGR
earumque LPS 12 trianguli figura] Lm1 figura
trianguli Pm2 forma trianguli HNPm1 trianguli
forma cett.; fort , trianguli >uero>; cf. 10. 199, 19
13 Quodsi] Quid sit FPm1 (Quod sit m2 ) Quod CL
Sic Λ2 signantes F 14 et om. F, s. l. R 15
sit om. ERS praedicatur—quid sit (19) om. N id s.
l. Hm2 16 quod sub assignato genere ponitur (est p ) edd.,
Porph. p. 4, 6 το όπό τό άποοοθ-έν γένος 19 et
differentibus p. 180, 1 20 genus definiret C 21 nunc]
nam Cm1 cui quidem dicto illa quaestio iure uidetur opponi.
omnis enim definitio rem declarare debet quam definitio concludit, eamque
apertiorem reddere quam suo nomine monstrabatur. ex notioribus igitur fieri
oportet definitionem quam res illa sit quae definitur. cum igitur per speciei
nomen describeret uel definiret genus, abusus est uocabulo speciei uelut
notiore quam generis atque ita ex notioribus descripsit genus. nunc uero cum
speciem uellet termino descriptionis includere, generis utitur nomine rerumque
conuertit notionem, ut in generis quidem sit notius speciei uocabulum, in
speciei autem descrip- tione sit notius generis, quod fieri nequit. si
enim generis uocabulum notius est quam speciei, in definitione generis speciei
nomine uti non debuit. quodsi speciei nomen facilius intellegitur quam generis,
in definitione speciei nomen generis non fuit apponendum. cui quaestioni
occurrit dicens : Nosse autem oportet <quod>, quoniam et
genus ali- cuius est genus et species alicuius est species, idcirco necesse est
et in utrorumque rationibus ntrisque uti. Omnia quaecumque ad
aliquid praedicantur, ex his de quibus praedicantur, substantiam sortiuntur;
quodsi definitio unius cuiusque substantiae proprietatem debet ostendere,
iure ex alterutro fit descriptio in his quae inuicem referuntur. ergo quoniam
genus speciei genus est et substantiam suam et 16—18] Porph. p. 4, 7—9
(Boeth. p. 28, 23—29, 1). 2 post , definitione ( uel
diff-) CHNPm2 claudit C nec concludit F 3
monstrabat E (-bat ex -batur? m2 ) R
5 sit] est FHN 6 notiorem FR 8 uelit FHNPm1
9 conuertit] uidetur conuertere CHLm2P genere R
10 post quidem add . descriptione CFHLN, in mg. Em2,
fort. recte autem] quidem C uero FHNP 11
sit om. G pr . genus FH 16 autem om. Porph . quod
add. edd.; Porph. p. 4, 7 είϊέναι χρή ότι, έπεί χτλ .
17 pr . est om. FN, s. l . Λ , ante
alicuius Σ idcirco in utrisque necesse est utrorumque rationibus
uti Σ 18 et] hoc N om . FPSA S neutrorumque
Em1 utrasque Em1 utriusque Λ 20 post
definitio add . uel descriptio CFHNP, s. l. Em2Lm2 22
ante inuicem add . ad CL, s. l. Pm2 , ad se F, s. l.
Rm2 23 ante substantiam add . in FHm1, del. m2
post , et om. F, s. l. Hm2Sm2 uocabulum genus ab specie
sumit, in definitione generis speciei nomen est aduocandum, quoniam uero
species id quod est sumit ex genere, nomen generis in speciei descriptione non
fuit relinquendum. quoniam uero diuersae sunt specierum qualitates —
aliae enim sunt species, quae et genera esse possunt, aliae, quae in sola
speciei | permanent proprietate neque p. 68 in naturam generis
transeunt —, idcirco multiplicem speciei definitionem dedit dicens :
Adsignant ergo et sic speciem : species est quod ponitur sub
genere et de quo genus in eo quod quid sit praedicatur. amplius autem sic
quoque : species est quod de pluribus et differentibus numero in eo quod quid
sit praedicatur. sed haec quidem adsignatio specialissimae est et quae solum
species est, aliae uero erunt etiam non specialissimarum.
Tribus speciem definitionibus informauit, quarum quidem duae omni speciei
conueniunt omnesque quae quolibet modo species appellantur, sua conclusione
determinant, tertia uero non ita. cum enim duae sint specierum formae, una
quidem, cum species alicuius aliquando etiam alterius genus esse potest,
altera, cum tantum species est neque in formam generis 9—15] Porph. p. 4,
9—14 (Boeth. p. 29, 2—7). 1 genus om. H generis
FLS ab om. F a NR, s. l. Hm2 specie s. l .
Hm2 species F definitionem ( uel diff-)
FGHP 2 pr . est] fuit Lm2 ( post aduocandum)
Pm2 3 descriptione] definitione ( uel diff-) CFHLm2N
diffinicione uel descripcione P 4 relinquendum] omittendum
FHN uero post sunt H 8 reddit FN 9
ergo] uero PLm2 autem Σ et er. Λ speciem
sic F quae CNR h m1 (quo m2 ) ΛΣ 10 quo]
EGHLm2Pm1 > qua cett . 11 amplius—praedicatur
(13) om. L 12 et om . S ac EGRS 13
post praedicatur add . ut homo equs (sic) bos et asinus
et cetera C 14 specialissimae] ΧΨρ (-me) specialissima
cett. codd. brm ; Porph. p. 4, 12 aΰτη μέν ή άπόδοσις τού
εΐδιχωχάτου άν εΐη et om . FHR, s. l. Pm2, del. Sm2
sola C 17 omnis G 18 determinan- tur Hm2
19 post ita s. l . est Hm2 sint om. Em1
sunt CEm2GR ante specierum add . species
Cm1, del. m2 20 post cum s. l . sit Lm2 ,
post aliquando EP (del. m1?), post species
s. l . scil. sit N transit, priores quidem duae, illa
scilicet in qua dictum est id esse speciem quod sub genere ponitur, et rursus
in qua dictum est id esse speciem de quo genus in eo quod quid sit praedicatur,
omni speciei conueniunt. id enim tantum hae definitiones monstrant quod sub
genere ponitur. nam et ea quae dicit id esse speciem quod sub genere
ponitur. eam uim significat speciei qua refertur ad genus, et ea quae dicit id
esse speciem de quo genus in eo quod quid sit praedicatur, eam rursus
significat speciei formam quam retinet ex generis praedicatione. idem est autem
et poni sub genere et de eo praedicari genus, sicut idem est supponi
generi et ei genus praeponi. quodsi omnis species sub genere collocatur, mani-
festum est omnem speciem hoc ambitu descriptionis includi. sed tertia definitio
de ea tantum specie loquitur quae numquam genus est et quae solum species
restat. haec autem species ea est quae de differentibus specie minime praedicatur.
nam si id habet genus plus ab specie, quod de differentibus specie praedicatur,
si qua species praedicetur quidem de subiectis, sed non de specie
differentibus, ea solum erit superioris generis species, subiectorum uero non
erit genus. igitur praedicatio ea quam species habet ad subiecta, si
talis sit, ut de differen- tibus specie non praedicetur, distinguit eam ab his
speciebus 2 ponitur—genere (5) om. N rursum CR 3
quo] Schepss qua codd. et edd.; cf. p. 203, 10 4
praedicaretur EGLRS praedicetur edd . 5 ponuntur
Cm2HN 6 speciem om. Sm1 species m2G post
eam add . tantum FHNP, s. l. Lm2 7 qua] CNP
quae cett . 8 quo] p Schepss qua codd. brm; cf. 3
genus s. l. Em2, ante add . species G praedicetur
FHLm2NP praedicaretur S 9 speciei om. C 10
est post autem E (s. l. m2) R supponi EFGHLRS 11
generi] genere CGm1 12 omnes (sed collocatur )
ELN 13 post est add . autem CEGL (del. m2) S
(del. m2) 15 est om. EGS, ante genus ΗR , fit
L per- stat E ( pers in ras.) HNa.c . 17 habet
ante plus FH, post N, plus post habet
L a RS 18 si qua species om. N praedicetur om.
N praedicatur Em1HSm2 post subiectis add . Species uero
differentibus numero N 19 de om. N 21 de—non] non
differentibus specie N 22 ante distinguit add .
sed hanc terciam, sed del. E, post add . enim, sed del. RS
quae genera esse possunt et monstrat eam solum speciem esse nec generis
praedicationem tenere. illa igitur tertia de- scriptio speciei quae magis
species ac specialissima dicitur, definitur hoc modo : species est quod de
pluribus numero differentibus in eo quod quid sit praedicatur, ut homo;
praedicatur enim de Cicerone ac Demosthene et ceteris qui a se, ut dictum est,
non specie, sed numero discrepant. Ex tribus igitur definitionibus duae
quidem et specialis- simis et non specialissimis aptae sunt, haec uero tertia
solam ultimam speciem claudit. ut autem id apertius liqueat, rem paulo
altius orditur eamque congruis inlustrat exemplis : Planum autem
erit quod dicitur hoc modo. in uno quoque praedicamento sunt quaedam
generalissima et rursus alia specialissima et inter generalissima et
specialissima sunt alia. est autem generalissimum quidem super quod nullum
ultra aliud sit superueniens genus, specialissimum autem, post quod non erit
alia inferior species, inter generalissimum autem et spe- cialissimum et genera
et species sunt eadem, ad aliud 7 ut dictum est] p. 188, 13 ss. 12—p.
206, 18] Porph. p. 4, 14— 5,1 (Boeth. p. 29, 7—30, 2). 1 et
(s. l. m2) monstrabat S monstratque FHNP
solam Sm2 3 speciei] solum species est N
speciei—species ac] quae (s. l. m2) solum * species magisque
(in ras.) species H 4 hoc modo in mg. Hm2
ante species add . Dicitur enim FHP et
differentibus numero p. 203, 12 6 Cicerone] socrate N
post ac add . de R 8 duae—claudit] C (om. pr .
et) E (in ras. m2) FH (solum) LNP duabus quidem et specialis-
simas et non specialissimas species claudit GR una quidem et
specialis- simam et non specialis ultimam speciem claudit Sm1, del. et in
mg. corr. m2 (apte sunt post duae quidem,) 10 id
om. LR rem om. EGS, s. l. Pm2, post orditur Lm2
12 in uno quoque—solum species (p. 206, 17) ] RS Q , om. cett
. 14 rursum Γ et inter—alia om. RS 15 sunt om . T
m1, in mg. scil. sunt ut corpus m2 , est ut uid .
Δ 16 super— ultra] ultra quod nullum RS ultra nullum
ΓΦ 17 specialissima R quod] quam RS 18
autem om . Γ 19 ante et genera add .
alia p alia sunt quae brm; Porph. p. 4, 19 άλλα,
α ν,α'ι γένη quidem et ad aliud sumpta. Sit autem in uno
prae- dicamento manifestum quod dicitur. substantia est quidem et ipsa genus.
sub hac autem est corpus, sub corpore uero animatum corpus, sub quo animal, sub
animali uero rationale animal, sub quo homo, sub ho- p. 69 mine
uero Socrates et Plato et qui|sunt particulares homines. sed horum substantia
quidem generalissi- mum est et quod genus sit solum, homo uero specia- lissimum
et quod species solum sit, corpus uero species quidem est substantiae. genus
uero corporis animati; et animatum corpus species quidem est corporis,
genus uero animalis. animal autem species quidem est cor- poris animati, genus
uero animalis rationalis, sed rationale animal species quidem est animalis,
genus autem hominis, homo uero species quidem est rationalis animalis,
non autem etiam genus particularium homi- num, sed solum species. et omne quod
ante indiuidua proximum est, species erit solum, non etiam genus.
Praediximus ab Aristotele decem praedicamenta esse dis- 19 Praediximus]
p. 151, 12. 1 quidem post eadem R 5
ad om . Λ , s. l. R T uno] uno quoque R A
(quoque er .) Φ , ad uno s. l . isto A m2 2
est quidem] R ΓΦ est quiddam ( repet , est S ) cett . 3
est post corpus S, om . Φ 5 uero] RST
iI (s. l. m2) Φ , om . ΛΛΣΊ
Busse; Porph. p. 4. 23 δέ 6 uero] codd. nostri,
om. Busse; Porph. p. 4, 24 δέ post , et om.
RS 7 eorum RS generalissimum] codd. PQ (non L) Bussii
edd . genera- lissima codd. nostri; Porph. p. 4, 25 τό γινικώτατον
8 uero om. R 9 ante et add . est 2
pr . specie R 10 est om . 2 , s. l .
Δ 11 et] sed et brm, recte ut uid.; Porph. p. 4, 27
αλλά καί est om. R 12 animal autem] rursus animal
brm; Porph. p. 4, 28 κάλιν δέ to ζώον 13 uero] ΓΔ
(s. l. m2) Π*!' , om. cett . animalis] Δ
(s. l. m2) ΣΊ ’ ( post ratio- nalis). om. cett.;
Porph. p. 4, 29 γένος δέ τού λογικού ζώου 14 animal—
est om. R 15 autem] uero RS 16 autem del .
h m2 genus etiam R 17 et om. CEGP indiuiduum
F 18 est s. l. E erit CGR solum species
erit LS erit solum species E solum species est
CR solum speciem non etiam genus esse liquet G 19
Praedicimus R, add. etiam L posita, quae idcirco
praedicamenta uocauerit, quoniam de ceteris omnibus praedicantur. quicquid uero
de alio praedicatur, si non potuerit praedicatio conuerti, maior est res illa
quae praedicatur ab ea de qua praedicatur. itaque haec praedicamenta
maxima rerum omnium, quoniam de omnibus praedicantur, ostensa sunt. in uno quoque
igitur horum praedicamentorum quaedam generalissima sunt genera et est longa
series spe- cierum atque a maximo decursus ad minima. et illa quidem quae de
ceteris praedicantur ut genera neque ullis aliis sup- ponuntur ut
species, generalissima genera nuncupantur, idcirco quia his nullum aliud
superponitur genus, infima uero quae de nullis speciebus dicuntur,
specialissimae species appellantur, idcirco quoniam integrum cuiuslibet rei
uocabulum illa sus- cipiunt quae pura inmixtaque in ea de qua quaeritur
proprie- tate sunt constituta. at quoniam species id quod species est ex
eo habet nomen, quia supponitur generi, ipsa erit simplex species, si ita
generi supponatur, ut nullis aliis differentiis praeponatur ut genus. species
enim quae sic supponitur alii, ut alii praeponatur, non est simplex species,
sed habet quan- dam generis admixtionem, illa uero species quae ita
supponitur generi, ut minime speciebus aliis praeponatur, illa solum spe- cies
simplexque est species atque idcirco et maxime species et specialissima
nuncupatur. inter genera igitur quae sunt generalissima et species quae
specialissimae sunt, in medio 1 uocauit Lp.c.P dicuntur
N 3 poterit CNSm1 res om. E, sed ras .,
ratio R 4 post , praedicatur] dicitur HNP 5
maxime Em1G a.c . 7 quaedam] quae CFHN genera om. CN,
ante sunt F et om . CHN 8 maximis
CFHNPm2 11 quia] quoniam HN 14 inper- mixtaque
Em2HPm2 intermixtaque NPm1 de qua s. l. Sm2 de
quo R quae E (ex alia uoce) N 15 at] ut CFN
quod] quoniam E 16 nomen om. FN quia] quoniam
F 17 aliis om. C 18 ante alii add .
generi CL (del. m2), post s. l. P 19 simplex om. GRS, s. l
. Em2Lm2 22 atque idcirco maxime (-ma H ) species est
(est om. H ) in mg. Hm1?, s. l. Lm2 ante species add .
est P, post C, s. l. Lm2 24 specialissima EGSm1
sunt om. EG, s. l. Pm2, post quae L sunt quaedam
quae superioribus quidem collata species sunt, inferioribus uero genera. haec
subalterna genera nuncupantur, quod ita sunt genera, ut alterum sub altero collocetur.
quod igitur genus solum est, id dicitur generalissimum genus, quae uero ita
sunt genera, ut esse species possint, uel ita species, ut sint genera
nonnumquam, subalterna genera uel species appellantur. quod uero ita est
species, ut alii genus esse non possit, specialissima species dicitur.
His igitur cognitis sumamus praedicamenti unius exem- plum, ut ab eo in
ceteris quoque praedicamentis atque in ceteris speciebus in uno filo
atque ordine quid eueniat possit agnosci. substantia igitur generalissimum
genus est; haec enim de cunctis aliis praedicatur. ac primum huius species
duae, corporeum, incorporeum; nam et quod corporeum est, substantia dicitur et
item quod incorporeum est, substantia praedicatur. sub corporeo uero
animatum atque inanimatum corpus ponitur, sub animato corpore animal ponitur;
nam si sensibile adicias animato corpori, animal facis, reliqua uero pars, id
est species, continet animatum insensibile corpus. sub animali autem rationale
atque inrationale, sub rationali homo atque deus; nam si rationali
mortale subieceris, hominem feceris, si inmortale, deum, deum uero corporeum;
hunc enim mundum ueteres deum uocabant et Iouis eum appellatione 1
quidem om. EG collata] FHm1NPm2 collatae Cm2EGHm2
( add . e, sed exters .) Lm2 collocata Pm1
collocatae Cm1Lm1RS (in ras.) sunt species CLR 2 haec]
et C nominantur FHNP 3 alterutrum Ea.r.Pm1
alterutro Pm2 5 ita s. l. Em2Lm2, ante ut C
6 ut sint—est species (7) s. l. Em2 9 igitur] ergo E
11 ante in add . ut Lm2Pm2 uno quoque
Em2H (quoq. del. m1 ?) PRS quod Ea.c .
GLm2Pm1R 14 duae om. HN sunt add. C,s.l. Pm2,
ante duae L post pr . corporeum add . et C, s. l. Pm2 ,
atque FHN 15 ante post . substantia add . et ES
(del) , ex R 17 sub animato—ponitur om. R post . poni- tur]
collocatur FHNP 18 adicies RS 19 inanimatum
Cm1Lm2NPm2S (in s. l. minus cert .), post add . et s.
l. Pm2 20 post rationali add . autem L 22
feceris om. GRS, s. l. Em2 , scil. fecisti ( ante hominem) s.
l. Sm2 constituis L post uero s. l . dico Lm2,
post corporeum Sm2 23 deum ueteres LN
dignati sunt deumque solem ceteraque caelestia corpora, quae animata esse
cum Plato, tum plurimus doctorum chorus arbitratus est. sub homine uero
indiuidui singularesque homines ut Plato, Cato, Cicero et ceteri, quorum
numerum pluralitas infinita non recipit. cuius rei subiecta descriptio
sub oculos ponat exemplum. | substantia p. 70 corporea
| incorporea corpus animatum | inanimatum animatum corpus sensibile |
insensibile animal rationale | inrationale rationale animal mortale | inmortale
homo Plato | Cicero Cato Superius posita descriptio omnem ordinem
a generalissimo us- que ad indiuidua praedicationis ostendit. in qua quidem
substantia generalissimum dicitur genus, quoniam praeposita est omnibus,
nulli uero ipsa supponitur, et solum genus propter eandem scilicet causam, homo
autem species solum, quoniam Plato, 1 dignati sunt] designauerunt
Em2 deum quoque HLm2P 2 cum] tum Em2F
platone Lm2PSm1 tunc CGLSm1 4 cato om. C,
ante plato L , tito N 5 oculis CFP 6
ponit Lm1 figuram supra de- pictam exhibent P (est altera de duabus ipsa
quoque a m1 facta, prior minus dilucida est), nisi quod ad pr . animal
add . sensibile et rationale post post . animal pos.,
et E, in quo ordo nominum cato plato cicero est, simillima est in
G, sed extrema pars homo—Cicero deest, et in H, nomina tamen
socrates plato cicero sunt; in S uoces mediae tantum substantia—homo
extant, sub uoce homo unum nomen est FVLCO GONCŁ, (explicare non
potuimus); figura deest in CFLNR, in F post ponat exemplum est
SVBSTANTIA 8 ad om. H, s. l. Em2 indiuiduum FLN in qua]
et E 10 uero] ergo H Cato et Cicero, quibus est
ipsa praeposita, non differunt specie, sed numero tantum. corporeum uero, quod
secundum a sub- stantia collocatur, et species esse probatur et genus,
substantiae species, genus animati. at uero animatum genus est animalis,
corporei species. est enim animatum genus sensibilis, animatum uero sensibile
animal est; ipsum igitur animatum propter pro- priam differentiam, quod est
sensibile, recte genus esse dicitur animalis. animal uero rationalis genus est
et rationale mor- talis. cumque rationale mortale nihil sit aliud nisi homo,
rationale fit animalis species, hominis genus. homo uero ipse Platonis,
Catonis, Ciceronis non erit, ut dictum est, genus, sed est solum species. nec
solum differentiae rationalis species est homo, uerum etiam Platonis et Catonis
ceterorumque species appellatur, propter diuersam scilicet causam. nam
rationalis idcirco est species, quoniam rationale per mortale atque
inmortale diuiditur, cum sit homo mortale. idem nero homo species est Platonis
atque ceterorum; forma enim eorum omnium homo erit substantialis atque ultima
similitudo. est autem communis omnium regula eas esse species specialis- simas
quae supra sola indiuidua collocantur, ut homo, equus, coruus — sed non
auis; auium enim multae sunt species, sed hae tantum species esse dicuntur —,
quorum subiecta ita sibi sunt consimilia, ut substantialem differentiam habere
non possint. in omni autem hac dispositione priora genera cum inferioribus
coniunguntur, ut posteriores efficiant species; nam 1 Cato] tito
N et om. P, s. l. Lm2 5 corporis FN enim]
autem CLSm2 6 ipsum post igitur FL (s. l. m2),
om. EGRS propter] praeter H 7 quae ER 8
post rationale add . est genus R, s. l . scil. genus
L 11 Catonis om. CLN titonis N ante
Ciceronis add . et CFHP 12 species est solum C 13
catonis et platonis CL platonis titonis N 15
post rationalis add . homo G 16 homo om.
EGLS 17 atque] et C eorum enim E 18 erit]
est FHNP 19 ante om- nium add . et R
post regula add . est EG esse ante
eas FNS (s. l. m2), om. EGR 21 enim] uero CEGLRS
22 haec Gm1NR hee P species om. E
quarum Em2FSm2 sibi om. R 24 dis- putatione
F 25 iunguntur CLm1 coniungantur m2
efficiunt Fa.c.Sm1 efficiat m2 ut sit corpus
substantia, cum corporalitate coniungitur et est substantia corporea corpus.
item ut sit animatum, corporeum atque substantia animato copulatur et est
animatum substantia corporea habens animam. item ut sit sensibile, eidem tria
illa superiora iunguntur. nam quod est sensibile, tantum est, quantum
substantia corporea animata retinens sensum, quod totum animal est. item
superiora omnia rationi iuncta effi- ciunt rationale postremumque hominem
superiora omnia nihilo minus terminant; est enim homo substantia corporea,
animata, sensibilis, rationalis, mortalis. nos uero definitionem hominis
reddimus dicentes animal rationale, mortale, in animali scilicet includentes et
substantiam et corporeum et animatum atque sensibile. et in ceteris quidem
speciebus atque generibus ad hunc modum uel genera diuiduntur uel species
describuntur. Quemadmodum igitur substantia, cum suprema sit, eo quod
nihil sit supra eam, genus erat generalis- simum, sic et homo, cum sit species
post quam non sit alia species neque aliquid eorum quae possunt diuidi, sed
solum indiuiduorum| — indiuiduum enim est p. 71 Socrates et
Plato —, species erit sola et ultima species 15—p. 212, 18] Porph. p. 5,
1—16 (Boeth. p. 30, 2—20). 4 eadem H idem
ex eidem Lm2 6 retinet CN habens L 7
ratio- nali Pm2 coniuncta HL efficiuntur
Ea.r.GS 8 postremoque CHNP (recte?) postremum (-mo L )
uero LS 11 inter mortale et in animali add
. quia animal includit[ur] in se et substantiam et corporeum et animatum atque
sensibile R 12 atque] et H 14 describuntur] dis-
tribuuntur FN 15 cum] R (sed ante breuis ras.)
fi quae cum cett . (quae del. et in mg. scr .
parentesis 5 m2 ); an quae scribend .? suprema om. S
summa G 16 eo quod] et A a.c . nihil] nullum N SA
sit om. F, s. l . Λ , est post eam Λ2
erat] RSm1 erit m2F sit P est cett.
codd . edd. Busse; Porph. p. 5, 2 ήν 17 sic et—species
dicitur (p. 212, 15) ] RS Q , om. cett . et] etiam RS
ΤΦ , glossa ut uid. ad et in Π 18 alia]
aliqua RS; add . inferior ΔΛΠΣ*Ρ Busse, post
species Γ , om. RS Φ edd. Porph. p. 5, 3 aliud
R 19 post diuidi add . in species edd., recte ut
uid., etiam Bussio placet; Porph. p. 5, 3 χών χέμνεοΟαι ουναμένων εις
είδη post indiuiduorum add . species R
20 post Plato add . et hoc album brm, fort. recte;
Porph. p. 5, 4 xat χοοχι χό λεοχόν solum R
solam S et, ut dictum est, specialissima. quae uero sunt in
medio, eorum quidem quae supra ipsa sunt, erunt species, eorum uero quae post
ipsa sunt, genera. quare haec quidem habent duas habitudines, eam quae est ad
superiora, secundum quam species ipsorum esse dicuntur, et eam quae est
ad posteriora, secundum quam genera ipsorum esse dicuntur. extrema uero unam
habent habitudinem. nam et generalissimum ad ea quidem quae posteriora sunt,
habet habitudinem, cum genus sit omnium id quod est supremum, eam uero
quae est ad superiora, non habet, cum sit supre- mum et primum principium,
specialissimum autem unam habet habitudinem, eam quae est ad superiora, quorum
est species, eam uero quae est ad posteriora, non diuersam habet, sed etiam
indiuiduorum species dicitur, sed species quidem indiuiduorum uelut ea
continens, species autem superiorum, uelut quae ab eis contineatur.
2 ipsa om. R, post sunt Γ species erunt RS;
Porph. p. 5, 6 είη αν εϊδη 3 uero—sunt om. S, s. l .
autem quae sunt sub se erunt m2 uero] autem RSm2
V<]?} fort. recte post ipsa] sub ipsis R 4
duas habent ΔΛ2 Busse; Porph. p. 5, 7 έχει Sio
σχέσεις habentes S 7 dicuntur esse R extremae
(-me) Sm1 h m1 A2 m2 b 8 habent unam Δ et generalissimum] id
quod generalissimum est RS; Porph. p. 5, 9 το τε γάρ
γενιχώτατον 9 habet] habet unam Δ 10 genus post
omnium R, post sit S Σ id] hic R ea
R 11 post uero add . habitudi- nem Γ non
habet hic om., post principium add . non habet habitudi-
nem R, add . et (ut diximus) supra quod non est aliud superueniens
genus edd. cum Porph. p. 5,12 12 ante
specialissimum add . et brm Busse, fort. recte, om.
codd. (etiam LPQ Bussii); Porph. p. 5, 12 «ύ τί> είδιχώτατον
δέ specialissimam R T m1 specialissima S autem]
etiam brm 13 eam om. RS 14 posteriora] inferiora
RS 511 , recte ? 15 non diuersam] Sm1 edd . quorum diuersam A
m1 non ( del. uel om . diuersam,) Sm2 A m2 et cett.
Busse; Porph. p. 5, 14 oi% άλλοίαν species dicitur—indiuiduorum om.
FHN , sed—indiuiduorum om. CT 16 qui- dem om . Σ
, post add . dicitur edd.; codd. quidam Porph. p. 5,15
λέγεται eam N 17 post continens add . est
Σ autem] uero L 18 his NR illis F
contineantur CEm2H continetur N Ω ( sed corr . K
m2 , ex -entur II m2 ) Ex proportione speciei
nomen et generis ostendit. nam ut genus, quoniam non habet genus supra se,
generalissimum genus dicitur, ut substantia, ita species, quoniam non habet sub
se speciem, sed indiuidua, specialissima species dicitur, ut homo. quid
est autem species non habere? his praeesse quae neque in dissimilia diuidi
possunt, ut genera diuiduntur, neque in similia secantur, ut species. quae uero
inter genera generalissima speciesque specialissimas constituta sunt, ea et
species et genera nuncupantur, quoniam et ipsa aliis suppo- nuntur et his
alia subiciuntur, quorum uel in dissimilia uel in similia possit esse partitio.
cumque duae sint habitudines et quasi comparationes oppositae, quae in omnibus
generibus speciebusque uersentur, una quidem quae ad superiora respi- ciat, ut
specierum, quae suis generibus supponuntur, alia uero quae ad inferiora,
ut generum, cum speciebus propriis praeponuntur, generalissima quidem genera
unam tantum reti- nent habitudinem, eam scilicet quae inferiora complectitur,
illam uero quae ad praeposita comparatur, non habent. gene- ralissimum enim
genus nulli supponitur. item species specia- lissima unam possidet
habitudinem, per quam scilicet ad sola genera comparatur, illam uero quae ad
inferiora committitur, non habet; nullis enim speciebus ipsa praeponitur. at
uero quae subalterna sunt genera, utraque habitudine funguntur. 1
propositione FPm1 et om. N, del. Sm2 , etiam FL 2
super F se om. CN, s, l. Lm2 4 species
specialissima FHN 5 speciem Lm2 post habere add .
nisi ( ex 2 al. litt. m2 ) L hoc est N id est R,
inseruit Pm1? 6 possint ESm2 7 ante
neque add . sed P, del. m1?, s. l· Lm2 quae—constituta]
specialissimae constitutae, cet. om. EGRS 8 ea et] illae
(illa L ) uero EGLRS 9 et om. FP quoniam]
quae EGLm1R subponantur S 10 subiciantur S pr .
uel om. EGR, s. l. Lm2 uel in similia om. EGRS 11
possint EGLm1S possunt R paratio Cm1
partitiones EGLa.r.RS cumque—comparationes om. EGRS, in mg.
Lm2 duo Cm1 sunt NPa.c . 12 subpositae CHm1Lm1N,
om. F 13 uersantur EGL 16 una Cm1 retinent
ante tantum H retinet R habent N 18
illam—comparatur (21) om. S habet G, m1 in CEH 19 genus
enim H nullis F 23 quae] illa quae F
utramque habitudinem G nam et illam possident quae ad
superiora respicit, quoniam quae subalterna sunt, habent superpositum genus, et
illam quae de inferioribus praedicatur; habent enim subalterna genera
suppositas species, ut corporeum ad substantiam quidem eam retinet habitudinem
qua potest poni sub genere, ad ani- matum uero eam qua potest de specie
praedicari. specialis- simae uero species licet ipsae indiuiduis praeponantur,
tamen praepositi habitudinem non habebunt, idcirco quoniam illa quae speciei
ultimae supponuntur, talia sunt, ut quantum ad substantiam unum quiddam sint
non habentia substantialem differentiam, sed accidentibus efficitur, ut
numero saltem distare uideantur, ut paene dici possit et pluribus praeesse
speciem et quodammodo nulli omnino esse praepositam. nam cum species
substantiam monstret unam, quae omnium indi- uiduorum sub specie positorum
substantia sit, quodammodo nulli praeposita est, si ad substantiam quis
uelit aspicere. at si accidentia quis consideret, plures de quibus praedicetur
species fiunt, non substantiae diuersitate, sed accidentium multitudine. itaque
fit ut genus quidem semper plurimas sub 1 ad illam
et quae s. l . ał illud et ał quod L ad
om. CGHLPS quoniam quae] quantum que S 2 post sunt
add . genera P, s. l. Lm2 3 praedicantur Hm1Sm1 4
superpositas Hm1 5 qu * a (i er .) C poni
potest E 6 quae EHm1LPN specie] speciebus R 7
prae- ponuntur Hm1Pm1 8 subpositi E habent
EP habebit Gm2 9 ul- tima EGLm1S ad substantiam]
substantia F 10 quidem GLm2S non] nec FHLm2NP
habentia] Em2 habentes CEm1GL (es ex al. litt. m2
) PS habentem R habent FHN 11
post sed s. l . scii, ex Hm1? accidentibus del.
et s. l . ał accidentalem Hm2 uel al ., acci- dentalem, s. l . ał
accidentibus Lm1, s. l . Nam accidentibus m2 saltim
Lm2NPR 12 possint EFGLRS et] nec F, m1 in HLN 13
species EGL ( es in er . em? m2 ) Pm1RS
esse om. FHN praepositae EGLRSm2 (-tum m1 ) nam
cum—praeposita est (16) in sup. mg. Lm2 14 monstraret
HPm1 monstrat RS unam, quae] S unaque CFHNP
( ras. ex -que) unam quamque EGR unam * L 15
substantiae GLR sit s. l. ante substantia Pm2,
om. EGLR , est S ante quodammodo add. fit HN, post
nulli C, om . est (16) CHN 16 ad om. EGPRS 17
ac GR praedicatur EGLRS se habeat species; de
differentibus enim specie praedicatur, differentia uero nisi pluralitati non
conuenit. at uero species etiam uni aliquando indiuiduo praeesse potest. si
enim unus, ut perhibetur, est phoenix, phoenicis species de uno tantum
indiuiduo praedicatur; solis etiam species unum solem intel- legitur habere
subiectum. ita nullam multitudinem | species p. 72 per se continet,
cum etiam si unum sit tantum indiuiduum, speciei tamen non pereat intellectus;
quibusdam enim suis quasi similibus partibus praeest. ut si aeris uirgulam
diuidas, secundum id quod aes dicitur, idem et partes esse intellegitur
et totum. idcirco dictum est speciem, licet sit indiuiduis praeposita, unam
tamen habitudinem possidere, unam scilicet qua species est. quoniam enim
praepositis subditur, species nuncupatur, et est superiorum species tamquam
subiecta inferiorum quoque species, idcirco quoniam eorum substantiam
monstrat. speciem uero substantiam nuncupamus, nec ita est species substantia
indiuiduorum, quemadmodum speciei genus; illud enim pars substantiae est, ut
animalis homo. reliquae enim partes rationale sunt atque mortale, homo uero
Socratis atque Ciceronis tota substantia est; nulla enim additur dif-
ferentia substantialis ad hominem, ut Socrates fiat aut Cicero, 1 de
differentibus enim] quod de differentibus CL 2 ni C 4
est post unus FHP, post phoenix N 5
solem] EGPpr solum cett. codd . bm; cf. p. 218. 3. 219,
17 . 7 cum om. S ut CFN tantum om . ENRS;
cf.p. 219,11 post indiuiduum add . unius generis G 8
tamen om. C perit Sm2, add . sensus et F 9
post uirgulam add . in partes suas (suas partes P ) id est
(id est om. F ) aeneas particulas (particulas om. F , aeneas
uirgulas, sed del. L ) CFHLN, in mg. Pm2 10 in-
telliguntur H 12 possidet FN unam] illam L
eam unam F 13 ante qua s. l . in Sm2
14 nuncupatur] nominatur FHN 16 demonstrat CEGLP est
om. S, post species in ras. N , esset F 17 substantia
(ia ex ie F ) ante species FNa.c.RS,
post indiuiduorum C 18 ani- malis homo] EGLm1
homo animalis Sm2P animal hominis CLm2Sm1 hominis
animal FH (inis in ras. m2 et post animal 2 litt.
er .) NR 19 etenim R sunt om. EGR post
mortale add . adduntur ( om. N ) animali ad diffiniendam substantiam
hominis N edd . uero om. CFGLRS sicut additur animali
rationale atque mortale, ut homo integra definitione claudatur. idcirco igitur
species specialissima tantum species est atque hanc solam possidet habitudinem
ad superiora quidem, quoniam ab his continetur, ad inferiora uero, quoniam
eorum substantiam format et continet. Determinant ergo
generalissimum ita, quod cum genus sit, non est species, et rursus, supra quod
non erit aliud superueniens genus, specialissimum uero, quod cum sit species,
non est genus et quod cum sit species, numquam diuiditur in species et quod
de pluribus et differentibus numero in eo quod quid sit praedicatur. ea
uero quae in medio sunt extremorum, subalterna uocant genera et species, et
unum quodque ipsorum speciem esse et genus ponunt, ad aliud qui- dem et ad
aliud sumpta. ea uero quae sunt ante spe- cialissima usque ad
generalissimum ascendentia, et genera dicuntur et species et subalterna genera,
ut Agamemnon Atrides et Pelopides et Tantalides et ultimum Iouis.
Posteaquam naturam generum ac specierum diuersitatemque monstrauit, eorum
ordinem definitionis descriptionisque com- memorat. ac primum quidem
generalissimi generis terminum 6-19] Porph. p. 5, 17—6, 3 (Boeth. p. 30,
21—31, 7). 1 rationalis atque mortalis N 3 possidet]
optinet P 6 post deter- minant add .
philosophi C ergo om. CN enim EGLm1 <t>
p.c.; Porph. p. 5, 17 τοίνον ita om. CGHP,
s. l. Em2 A m2 quod] quoniam S 7 sit genus NR et
rursus—genera ut (17) ] LRS ii , om. cett . rursum
S 8 erit] LRS T est cett.; Porph. p. 5, 18 οΰχ αν
ειη 9 pr . quod] quae S h a.c . post. quod—et quod (10)
om. L 10 diuidatur S 11 et] et de L 13
uocant] Λ2Φ uocantur cett. edd. Busse; Porph. p. 5, 21
χολοΰσι 14 ipso eorum S speciem] Brandt
species codd. Busse ponunt] A m2 U m2 , e coni. scr.
Busse , ponuntur T m1 possunt m2 cum
cett .; species esse potest et genus edd.; Porph. p. 5, 22
xal έχαοτον αδτών είδος είναι xal γένος τίθενται 17 post ,
et om. R ut om. FS 18 et om. CEG pelides F
post . et om. C 19 ultimo F 20 Post ** quam
CL diuersitatem GLm1R , -que in ras. E, er. P
inducit, id esse generalissimum genus quod cum ipsum genus sit, non habet
superpositum genus, hoc est speciem non esse, et rursus, supra quod non erit
aliud superueniens genus. si enim haberet aliud genus, minime ipsum
generalissimum uocaretur. specialissima uero species hoc modo : quod cum
sit species, non est genus, ex opposito, quoniam opposita ex oppo- sitis
describuntur interdum. nam quoniam praepositio opposita est suppositioni, genus
autem praeponitur, species uero sup- ponitur, si idcirco erit primum genus,
quia ita superponitur, ut minime supponatur, idcirco erit ultima species,
quia ita supponitur, ut praeponi non possit, oppositorum igitur recte ex
oppositis facta est definitio. Est alia rursus descriptio : quod cum sit
species, numquam diuidatur in species, id est genus esse non possit. si enim
omne genus specierum genus est, si quid non diuiditur in species, genus
esse non poterit. Est rursus alia definitio : quod de pluribus et differentibus
numero in eo quod quid sit praedicatur. de qua definitione saepe est superius
demonstratum. nunc 18 saepe superius] p. 188, 12. 190, 11 ss. 203, 11.
205, 4. 1 inducit] RSm1 indicit Em1
indicat GLa.c. dicit CEm2FHLp.c. NPSm2
inducit dicens brm indicat dicens p id om. EGRS,
s. l. Lm2 3 non om. EGRS, s. l. Lm2 superueniens om.
EGRS, s. l. Lm2 si—genus om. EGRS, in mg. sup. Lm2 5
uocetur EGLm1Sm2; post inlatus est locus p. 219,14—220,
3 quoniam ridere—exemplam in EGL, quoniam irridere
(sic) —praedicatur p. 219, 15 (qui locus tamen infra quoque extat) in
S specialissima—idcirco erit (10) in ras. C post modo
add. describitur edd. 6 opposito] opposita F
opposito est H; post add. Quia sicut genus (genus
in mg. F ) generalissimum est cui non aliud genus superponitur, ita et species
specialissima nuncupatur, cui alia species non subponitur (superponitur F
) et utrumque ex opposito dicitur alterius sicut pater ex opposito dicitur
filii F, in inf, mg. cum nota d(esunt) h(aec) Hm1?
opposita om. EGR, s. l. Sm2 7 quoniam om. EN 9 si
er. E sed La.c, Pm2 11 ante ut add.
rursus RS ut praeponi non possit] ut minime praeponatur CFHN
(in mg. add. m2) oppositorum om. EGLRS recte om.
C 13 quod] Lm1 edd. quae cett. ante
numquam add. quae CGHm1, del. m2 diuiditur
CLRSm1 14 est om. C possit] posse CFN
potest edd . 16 potest EGLRS Est] et FHNS
et om. N illud attendendum est. si, ut paulo superius dictum
est, speciei unum indiuiduum potest esse subiectum, ut phoenici atomum suum, ut
soli corpus hoc lucidum, ut mundo uel lunae, quorum species singulis suis
indiuiduis superponuntur, qui conuenit dicere speciem esse quae de pluribus
numero differentibus in eo quod quid sit praedicatur? sunt enim quaedam
quae de numero differentibus minime dicuntur, ut phoenix, sol, luna, mundus.
sed de his illa ratio est de qua etiam superius pauca reddidimus, quae paululum
inflexa commodissime nodum quae- p. 73 stionis absoluit. | omnia enim
quae sub speciebus specialissimis sunt, siue infinita sint siue finito
numero constituta siue ad singularitatem deducantur, dum est aliquod indiuiduum,
semper species permanebit neque indiuiduorum deminutione, dum quodlibet unum
maneat, species consumitur. ut enim dictum est, tametsi plura sint indiuidua,
substantiales differentias non habebunt. id uero in genere dici non
conuenit, quod his praeest quae substantiali a se differentia disgregata sunt;
praeest enim speciebus quae diuersis differentiis informantur. 1 paulo
superius. 8 superius] p. 215, 2 ss. 1 est om. G, s. l.
Lm1 si, ut] sicut FGPSm1 sic La.c. supra RS
3 suam S solis F mundi FR, add. hoc inane
spacium s. l. Lm2, post lunae in mg. et hoc
immane spacium quod uidemus P quo- rum] quae Lm1 4
indiuiduis om. EGRS post superponuntur add . quod si ita est ut species
de uno quolibet indiuiduo praedicetur (praedicatur P ) ut de phoenice
(phe- P ) P edd. qui] quomodo Hm2LP 6
praedicetur L 8 mundus om. EGRS, s. l. Lm2 illa
his EG ratio est om. EG 9 paulum N inplexa
( uel im-) EHm1LP nodum ras. ex modum EN 10
sub] suis EGS in suis R specialissima
GPm1RS 11 sint] sunt CHa.c.Lm1R finita CHm2N 12
deducuntur Lm2R adducuntur P, add. ut fenix uel
sol R aliquid FL semper—deminutione om. EGRS, in
mg. Lm2 semper s. l. Pm1?, post species N, om. L (m2)
13 deminutione] C diminutione cett. dum om.
S si EGLm1R 14 ante consumitur add.
non EGL (del. m2) RS ut] quod EGLRS 15
tamenetsi G tamen si RS sunt F ante
substantiales add. si G, s. l. Sm2, ras. in E 16 id
uero om. EG quod L idcirco id R id
circo Sm1 , circo del. m2 18 ante speciebus
s. l. genus E si igitur earum una perierit et ad
unitatem speciei reducta sit ratio, genus esse non poterit, quia de
differentibus specie praedicatur. non ita in speciebus. si enim omnium
indiuidu- orum natura consumpta sit et ad unius singularitatem indi-
uidui superpositae speciei praedicatio peruenerit, est tamen species ac
permanet. talia enim sunt illa quae pereunt ac desunt, quale est id quod
permansit et subiacet. quod uero dicimus de pluribus numero differentibus speciem
praedicari, duobus id recte explicabitur modis, uno quidem, quia multo
plures sunt species quae de numerosis indiuiduis praedicantur, quam hae quibus
unum tantum indiuiduum uidetur esse sup- positum, dehinc hoc, quia multa
secundum potestatem dicuntur, cum actu non semper ita sint, ut risibilis homo
dicitur, etiamsi minime rideat, quoniam ridere potest. ita igitur species
de numero differentibus praedicatur; nihilo enim minus phoenix de pluribus
phoenicibus praedicaretur, si plures essent, quam nunc, quando unus esse
perhibetur. item solis species de hoc uno sole quem nouimus, nunc dicitur, at
si animo plures soles et cogitatione fingantur, nihilo minus de pluribus
solibus indiuiduis nomen solis quam de hoc uno praedicabitur. idcirco
igitur species de pluribus numero differentibus dicitur praedicari, cum sint
aliquae quae de singulis indiuiduis appellentur. Illa uero quae subalterna
uocantur ita definiri queunt : subalternum 1 eorum EFGLm1RS
redacta EGLPm2RS edd. 2 de om. E 3 si enim] nam
si EGLRS 5 suppositae LNR superposita S
uene- rit EGLRS 6 alia EGLa.c.RS ante sunt s.
l. non E 7 quale] quam EGLa.c.RS et] ac
CFHNP 8 de numero pluribus Ca.c. numero de pluribus
p.c. 9 excusatur EGLRS quidem uno EG multo
om. FN, s. l. H 11 hae om. ER hee C eae
H ea N ante qui- bus add. e CR, er. uid.
E tantum om. S suppositum esse RS 12 dehinc]
deinde EGLRS hoc om. FHNS 13 semper om. CFH
14 etiamsi—praedicatur om. F de loco quoniam ridere eqs. in
EGLS cf. ad p. 217 , 5 igitur] etiam E 15 nihil
EGLPRS 16 phoenicibus om. F 17 ita (a in ras. m2) E
hoc om. S, post uno F 18 ac EGR ante
animo s. l. in Pm2 19 cogitationes Ca.c.F
ante de add. enim EG 20 praedicatur
EGLRS 22 appellantur FHN genus est quod et genus esse
poterit et species, ad eumque modum est ut in familiis, quae procreant et
procreantur, ut etiam subiectum monstrat exemplum : ut Agamemnon Atri- des et
Pelopides et Tantalides et ultimum Iouis. Atreus enim Pelopis filius tamquam eiusdem
species quasi Agamemnonis genus est. item Agamemnon Pelopides et Tan-
talides, cum Pelops ad Tantalum comparatus Tantalusque ad Iouem quasi species
itemque Tantalus ad Pelopem, Pelops ad Atreum tamquam genera esse uideantur,
cum Iuppiter ueluti sit horum generalissimum genus. Sed in familiis
quidem plerumque ad unum redu- cuntur principium, uerbi gratia ad Iouem, in
generibus autem et speciebus non se sic habet. neque enim est commune unum
genus omnium ens nec omnia eiusdem generis sunt secundum unum supremum genus,
quem- admodum dicit Aristoteles. sed sint posita, quemad- 11-221,
7] Porph. p. 6, 3—11 (Boeth. p. 31, 7—17). 16 Ari- stoteles] Metaph. II, 3, p.
998 b , 22. 1 et om. RS et genus om. EG ad—ut]
CG ( ut om.) Hm2 ad eumque ( et ad eum N) modum
sunt ut Hm1N ad eumque ( eum que * L
eundem Pm2 ) modum qui (s. l. Lm2, part. in ras. Pm2)
est (s. l. Pm2) LP ad eum modum qui est EFR
ad eum ( eum del. m2, post que eu er.)
modum, in ras. quae est m2 S 4 et Tantalides—Iouis]
Lm2Pm2 (om. et Tantalides ) R edd., post species
(5) Lm1S, om. cett. 5 quasi] quae si Sm1, del. m2, ante add.
et F, s. l. Pm2 , est R 6 Agamem- nonis] tamen his ( is
R) EGLm1R tamen non his Sm1, del. m2 genus est del.
Sm2 est om. P ante Pelopides add. non
E atrides non ( non del. m2) L 7 comparatus] (
s in ras. m2) H comparatur ( cõ- ) cett Tantalusque] ut
tantalus quae G 8 idemque CP idem N 9
Atreum] creontum EG creontem Lm1 tareontum
S tamquam] quasi EGLR quae S uelut HP
11 reducuntur ante ad N, post reducuntur
add. omnes L, s. l. Pm2; reducunt coni. Busse; cf. p.
224, 19 reduci; Porph. p. 6, 3
άναγουοι 12 ad om. EGRS A 13 speciebus] in
speciebus R sic se ΝΣ habetur EG neque—dicerentur
(p. 221, 5) ] RS Q , om. cett. enim om.
R 14 neque Busse 15 sunt generis Γ 16 sunt
\ m2 2 ; Porph. p. 6, 6 χείοθ·ω quemadmodum om.
S, add. dictum est edd., idem post Praedicamentis h m2
W m2 (cf. p. 224, 19); om. Porph. p. 6, 7 modum in
Praedicamentis, prima decem genera quasi prima decem principia; uel si omnia
quis entia uocet, aequiuoce, inquit, nuncupabit, non uniuoce. si enim unum
esset commune omnium genus ens, uniuoce entia dicerentur; cum uero decem
sint prima, com- munio secundum nomen est solum, non etiam secun- dum rationem,
quae secundum nomen est. Cum de subalternis generibus diceret,
familiae cuiusdam posuit exemplum, quae ab Agamemnone peruenit ad Iouem,
quem quidem pro numinis reuerentia ultimum posuit. quantum enim ad ueteres
theologos, refertur Iuppiter ad Saturnum, Saturnus ad Caelum, Caelus uero ad
antiquissimum Ophionem ducitur, cuius Ophionis nullum principium est. ne igitur
quod in familiis est, id in rebus quoque esse credatur, ut res omnes possint
ad unum sui nominis redire principium, idcirco deter- minat hoc in generibus ac
speciebus esse non posse; neque enim sicut familiae cuiuslibet, ita etiam
omnium rerum unum esse principium potest. fuere enim qui hac opinione
tenerentur, ut rerum omnium quae sunt unum putarent esse genus quod ens
nuncupant, | tractum ab eo quod dicimus ‘est’; omnia enim p. 74
3 inquit] sententia, non uerba Aristotelis. 1 quasi in
ras. Σ sic A m1 sicut Ψ 2 prima
om. Γ , post decem Π 2 uocat A m1 II
3 nuncupauit S, in ras. ex -bit Γ 4 genus omnium
Busse entia uniuoce R post uniuoce add.
omnia edd. cum Porph. p. 6, 9 πάντα 5 uero]
autem Γ enim ΔΔΣΦ ; Porph. p. 6, 10 δέ
sunt FH prima] principia Lm1 prima genera
m2P (genera s. l. m2 ), prima principia N ΓΣ 7
ante rationem ( ante nomen E ) add. definitionis
( uel diff-) ELRS Q , om. Porph. p. 6, 11 quam E
post est add . solum CHN 8 Cum] Quoniam
CLm1NS Quoniam (del. m2) cum H di- cens
CLm1N dicit in ras. S cuius Pm1 cuiusque
F eiusdem R 9 ponit Sm2 ab om. F, s. l.
Gm2 10 nominis EGLS nomini R 11 ad ueteres]
aduertere Sm1 aduertisse CEFGLm2P aduertit se R
referantur Hm1N 12 caelium ( uel ce-) LPm2RS
zethum F zechum N Caelus] Hm2 caelius ( uel
ce-) LPm2Sm2 celium R caelum CEGHm1Pm1Sm1
zetus F zehus N othionem F ( sed ophionis)
14 esse ( Pm2 est m1 ) quoque FHNP 15 ante
sui exters. uid. proprii E 17 familia H 19 ut]
et Fa.c.S ut et N 20 est] esse S sunt
et de omnibus esse praedicatur. itaque et substantia est et qualitas est
itemque quantitas ceteraque esse dicuntur; nec de his aliquid tractaretur, nisi
haec quae praedicamenta dicun- tur, esse constaret. quae cum ita sint, ultimum
omnium genus ens esse posuerunt, scilicet quod de omnibus praedicaretur.
ab eo autem quod dicimus ‘est’ participium inflectentes Graeco quidem
sermone Sv Latine ens appellauerunt. sed Aristoteles sapientissimus
rerum cognitor reclamat huic sententiae nec ad unum res omnes putat duci posse
primordium, sed decem esse genera in rebus, quae cum a semet ipsis diuersa
sint, tum ad nullum commune principium reducantur. haec autem decem
genera statuit substantiam, qualitatem, quantitatem, ad aliquid, ubi, quando,
situm, facere, pati, habere. quod uero occurrebat quoniam de his omnibus esse
praedicaretur — omnia enim quae superius enumerata sunt genera, esse dicuntur
—, ita discussit ac reppulit dicens non omne commune nomen communem etiam
formare substantiam nec ex eo debere genus esse commune arbitrari, quod de
aliquibus nomen commune praedicaretur. quibus enim definitio communis nominis
con- uenit, illa communis nominis iure species iudicabuntur et communi
illo uocabulo uniuoce praedicantur, quibus uero non conuenit, uox his communis
tantum est, nulla uero substantia. id autem manifestius declaratur exemplis hoc
modo. animal hominis atque equi genus esse praedicamus; demus igitur
1 post. et om. EGRS, s. l. Lm2 2 cetera C 3
de] in GLm1RS 5 esse om. EGRS, s. l. Lm2 6 autem
s. l. L enim C est] esse FS principium EG,
m1 in LPS inflectentes post quidem N 7
quidem ante Graeco R ante sermone add.
de P, s. l. L post Latine add. autem FHN, s. l. Pm2 8
prudentissimus FNP rerum] principiorum EGLm1Pm1RS 9
omnes ante res C, om. EGRS, s. l. Lm2 dici
FGm1Pm2 10 ad FHNRm1 ipso Em1GPm1S ipsa FHN
ipsos Rm1 sunt CLm1R edd. 11 reducuntur
EFGLm2RPm1S 15 nu- merata CEGL innumerata S 16
repulit CEFHRP 17 eo debere] eodem uere (e re add. S )
EGSm1 18 post arbitrari add. debet E
19 praedicatur E praedicetur FHNP nominis
communis FN 22 his uox FHNP 23 manifestis
FLp.c. 24 praedicatur S dicamus CHN
animalis definitionem, quae est substantia animata sensibilis; hanc si ad
hominem reducamus, erit homo substantia animata sensibilis, nec ulla falsitate
definitio maculatur. rursus si ad equum, erit equus substantia animata
sensibilis; id quoque uerum est. conuenit igitur haec definitio et
animali, quod commune est homini atque equo, et eidem equo atque homini, quae
species ponuntur animalis. ex quo fit ut homo atque equus utraque animalia
uniuoce nuncupentur. at si quis hominem pictum hominemque uiuum communi
animalis nomine nuncu- pauerit, definiat si libet animal hoc modo, substantiam
ani- matam esse atque sensibilem. sed haec definitio ei quidem homini qui uiuus
est conuenit, ei uero qui pictus est, minime; neque enim est animata
substantia. igitur homini uiuo atque picto, quibus communis nominis definitio,
id est animalis, non potest conuenire, non est animal commune genus, sed
tantum commune uocabulum diciturque hoc nomen animalis in uiuo homine atque
picto non genus, sed uox plura signi- ficans; uox autem plura significans
aequiuoca nuncupatur, sicut uox ea quae genus ostendit, uniuoca dicitur. itaque
id quod dicitur ens, etsi de omnibus dicitur praedicamentis, quoniam
tamen nulla eius definitio inueniri potest quae omnibus prae- dicamentis possit
aptari, idcirco non dicitur uniuoce de prae- dicamentis, id est ut genus, sed
aequiuoce, id est ut uox plura significans. Conuincitur etiam hac quoque
ratione id quod dicimus, ens praedicamentorum genus esse non posse.
2 hanc] uel hanc E 3 facultate Em1 4 equus] equi
CFPm2 5 definitio ( uel diff-) haec FHN 6 homini] et homini
CNP atque] et, FHNPR eidem] CEm2FH a.r.NPR
idem Em1GHp.r.Lm1S eadem Lm2brm ea eidem p
8 animalis EGLa.c. una uoce E nun- cupantur
C nominentur FHN 9 uiuum] uerum EGLm1PRS 10 si libet]
scilicet CHm1N animal om. E 12 uero] FHP, om. S ,
quidem cett. 13 est post substantia LP 16 dicitur
quae Em1Sm1 dicitur quod LSm2 dicitur quia
CFN 17 genus] genus est FN uox—significans om.
CEGP, s. l. Lm2Sm2 18 autem] enim RS ante
aequiuoca add. quae CEGP nuncupantur GS 19
ita ELm1 23 id est om. CFN ut genus om. F
24 quoque om. N unius enim rei duo genera esse non possunt,
nisi alterum alteri subiciatur, ut hominis genus est animal atque animatum, cum
animal animato uelut species supponatur. at si duo sint sibimet ita aequalia,
ut numquam alterum alteri supponatur, haec utraque eiusdem speciei genera esse
non possunt. ens igitur atque unum neutrum neutri supponitur; neque enim
unius dicere possumus genus ens nec eius quod dicimus ens, unum. nam quod
dicimus ens, unum est et quod unum dicitur, ens est; genus autem et species
sibi minime conuertuntur. si igitur praedicatur ens de omnibus praedicamentis,
praedicatur etiam unum. nam substantia unum est, qualitas unum est,
quantitas unum est ceteraque ad hunc modum. si igitur, quoniam esse de omnibus
praedicatur, omnium genus erit, et unum, quoniam de omnibus praedicatur, erit
omnium genus. sed unum atque ens, ut demonstratum est, minime alterum
alteri praeponitur; duo igitur aequalia singulorum praedica- mentorum genera
sunt, quod fieri non potest. cum haec igitur ita sint, id Porphyrius
determinauit dicens non ita in rebus, ut in familiis omnia ad unum principium
posse reduci nec omnium rerum commune esse genus posse, ut Aristoteli
pla- cet; sed sint posita, inquit, quemadmodum in Praedi- p.
75 camentis dictum est, prima decem ge|nera quasi decem prima principia,
scilicet ut nulla interim ratio perquiratur, sed auctoritati Aristotelis
concedentes haec decem genera nulli 3 ac R sint
post aequalia pos. RS, repet. FL (s. l. m2) P 4 sibi-
metque ( quae F) FLm2Pm1 ita s. l. Lm2 5
ante haec add . aequa C , sed del . eidem
Pm2 eius S 6 neutris Em1 8 pr . unum
post nec, om . post ens H dicitur om.
S dicimus Rbrm 13 esse] ens Lm2P post omnibus
add . his CP, in mg. Hm2, add . praedicamentis (s. l. m2)
his L post erit add . ens CHN et unum—omnium
genus om. R 15 sed] si in ras. Em2 ut om. FH 16
praeponi FH 17 hoc Ea.c. edd . 18 sit edd . 19
deduci LS duci Em1 20 genus ante esse CFN,
post posse S poterit F 21 sint] FHm1
sunt cett . 23 prima om. N, post principia R
ut om. EGS 24 auctoritate Em1Hm1 ad auctoritatem FN
accedentes CFNS alii generi esse credamus subiecta, quae si
quis entia nuncupat, aequiuoce nuncupabit, non uniuoce; neque enim una eorum
omnium secundum commune nomen definitio poterit adhiberi. quae res facit, ut
non uniuoce de his aliquid praedicetur. si enim uniuoce praedicaretur,
genus esset eorum commune nomen quod de omnibus praedicaretur; at si genus
esset, definitio generis conueniret in species. quod quia non fit, com- mune
his id quod dicimus ens, uocabulum est uocis signi- ficatione, non ratione
substantiae. Decem quidem generalissima sunt, specialissima uero
in numero quidem quodam sunt, non tamen infi- nito, indiuidua autem quae sunt
post specialissima, infinita sunt. quapropter usque ad specialissima a
generalissimis descendentem iubet Plato quiescere, descendere autem per
media diuidentem specificis differentiis; infinita, inquit, relinquenda sunt;
neque enim horum posse fieri disciplinam. 10—17] Porph. p. 6,
11—16 (Boeth. p. 31, 17—32, 1). 14 Plato] Phileb. p. 16 C. Polit, p. 262 A—C.
Sophist. p. 266 A. B adfert Busse. 1 entia nuncupat] ERS
(-pet), etiam entia nuncupat N ab ens entia nuncupat (-pet
Lm2 ) CGL etiam nuncupat (nuncupat post ens P )
ab ens entia HP entia nuncupat ens F 2 nuncupabit (-uit
FHN ) post uniuoce FHNP , nuntiauit S
unam—definitionem ( uel diff-) poterit adhibere FHN 3 nomen
ex non Em2G 5 esse Hm1, add . ens s. l . L,
ante esset P eorum om. CN, post commune
L 6 nomen in mg. Hm2, del. Lm2 ens CH(in
mg.) Lm2 ( s. l. ante eorum) N 7 con- uenerit
Em1 8 his om. GS 10 sunt om. S 11 in numero
om . Δ quodam] quaedam Pm1 sunt om., post
indiuidua add . est S tam C infinito] Fp. c
. (finito a.c .) Hm2S TNtt p.c . Φ in infinito Hm1N W
a.c . indefinito C ( ras. ex -tio) EGL a.c . (in
indefinito et ał definito corr. m1 ) PR kIPV
(in er .) 12 indiuidua—quiescere) LRS Q , om. cett . 13 sunt
infinita LRS Busse; cf. p. 226, 22 a om. R 15
ante descendere post usque (cf. ad p. 178, 14)
add. ad id CHP diuidentem per me- dia Γ 16
ante infinita add . indiuidua uero Δ , sed del., post
add . uero ΓΦ 17 enim s. l. L, del . Γ
horum] N ii ( ante add . et ΛΦ , er. uid . Γ
, post add . indiuiduorum Γ ) eorum cett.; Porph. p. 6,
16 τούτων disciplina Cm1 Quoniam specierum
nosse naturam ad sectionem generum pertinet quoniamque scientia infinita esse
non potest — nullus enim intellectus infinita circumdat —, idcirco de
multitudine generum, specierum atque indiuiduorum rectissima ratione
persequitur dicens supremorum generum numerum notum — decem enim
praedicamenta ab Aristotele esse reperta quae rebus omnibus generis loco
praeferenda sint —, species uero multo plures esse quam genera. nam cum decem
suprema sint genera cumque uni generi non una, sed multae species supponantur
proximaeque species supremis generibus subalterna sint genera usque dum
ad ultimas species descendatur, nimirum unius generis multas species esse
necesse est utrobique dif- fusas, specialissimas uero multo plures esse quam
subalterna, quoniam per multitudinem generum subalternorum ad specia- lissimas
descenditur species. quas multo plures esse quam genera subalterna hoc
maxime ostenditur, quod inferiores sunt; semper enim genera in plura subiecta
diuiduntur. decem uero generum species multo plures quam unius existere
manifestum est, uerum tamen etsi plures sunt, certo tamen numero con- tinentur;
quem facile si quis discutiat omniumque generum species persequatur,
possit agnoscere. indiuidua uero quae sub una quaque sunt specie, infinita sunt
uel quod tam multa 1 generis EGLRS, recte? 2 scienti GRS
scienti alicui Lm2 5 su- premorum] supra horum EG, m1 in LPS
ante numerum add . esse FHNP, post notum L
6 post reperta s. l . commemorat Em2 7 gene-
ris om. R, post loco L , generum S sunt
CFH (ras. corr.) NPRSm2 8 nam cum—genera om. EGRS
9 sunt FLP (ras. corr.) 11 sint post genera
C sunt F 13 subalternas FH (s in ras. m2) N, ante
sub. add . genera PS, s. l. Lm2 16 hoc] in hoc F
inferiora FHm1Lm2NP 17 semper enim genera] FHN semper
si genera Cm1 semper enim sub- alterna (genera subalterna P
) Cm2 (part. in mg.) P et semper subalterna genera RS
et (om. G) semper subalterna EGL plurima N
18 ge- neris G unius] generis unius R species unius
generis Lm1 19 sint L compraehenduntur L 21
prosequatur NR 22 species G specie ante
sunt FHLNR tam] FHN ea EGLPRS tam ea
C sunt diuersisque locis posita, ut scientia numeroque includi
comprehendique non possint, uel quod in generatione et cor- ruptione posita
nunc quidem incipiunt esse, nunc uero desinunt. atque idcirco suprema quidem
genera et subalterna et species eas quae specialissimae nuncupantur,
quoniam finitae sunt numero, potest scientiae terminus includere, indiuidua
uero nullo modo. idcirco igitur Plato a magis generibus usque ad magis species
id est specialissimas praecipiebat facere secti- onem; per ea enim quae finita
essent numero, iubebat descen- dere diuidentem, ubi autem ad indiuidua
ueniretur, standum esse suadebat, ne, quod natura non ferret, infinita
colligeret. ita uero genera in species diuidi comprobabat, ut specificis
differentiis soluerentur. de specificis autem differentiis melius in eo titulo
ubi de differentia disputatur, ac largius disseremus. hic enim hoc tantum
dixisse sufficiat, eas esse specificas dif- ferentias quibus species
informantur, ut rationale uel mortale hominis. cum igitur diuidimus animal,
rationali atque inratio- nali, mortali inmortalique separamus. <hoc ergo>
ceteraque genera talibus differentiis quae subiectas species informent,
Plato censuit esse diuidenda usque dum ad specialissima 13 de
specificis—disputatur] lib. IV c. 8. 1 sint EFGHp.r . (
ex sunt) LPRS numeroque] FHN in unum
EGLm1 (numero m2 ) RS numeroque in unum CP
concludi LS 3 uero) ex quidem uero P recepit
Brandt , quidem CEGLRS, om. FHN; cf. p. 223, 12 5 easque ( om .
quae,) LR specialissime GS 7 igitur om. C magis
a EGLPRS usque ad magis species] FHN magis om. C
quam a speciebus cett . 8 id est] e ut uid. er. C
specialissimas] CFHN a ( add. L ) specialissimis cett.; cf.
p. 225, 13 9 essent] sunt FN 10 diuidentem] diuisionem
EGHm1 (diuisorem m2 ) Lm1PRS 11 nec HN 12
comprobat ELm1 (probabat m2 ) R ut et
soluerentur om . EGPm1 (s. l. m2) RS post ut add .
in edd . 13 autem om. EGLPm1 (uero m2 ) RS
14 de om. FG differentiis CS a.c . 16 rationabile
E uel om. ERS et Lm1 17 ante
rationali et inrationali add . in Em2 rationale atque
inrationale ( uel irr-) EGN p.c.RS 18 mortali om
. N mortale EGLPS inmortaleque EGNp.c.PRS ;
mortale (sic) ac (s. l.) inmortali L 18 hoc
ergo add. Brandt , cetera <quo>que Engelbrecht
separabimus FHN separauimus R 19 informant
Fa.c.Lm1NR ueniretur, dehinc consistere nec infinita sequi, quoniam
indi- uiduorum numquam esset nec disciplina nec numerus.
Descendentibus igitur ad specialissima necesse est diuidentem per multitudinem
ire, ascendentibus uero ad generalissima necesse est colligere multi-
p. 76 tu|dinem. collectiuum enim multorum in unam natu- ram species est
et magis id quod genus est, particularia uero et singularia e contrario in
multitudinem semper diuidunt quod unum est; participatione enim speciei plures
homines unus, particularibus autem unus et communis plures; diuisiuum est
enim semper quod singulare est, collectiuum autem et adunatiuum quod commune
est. Diuidere est in multitudinem quod unum fuerat ante dis-
soluere, omnisque diuisio e contrario compositionem coniunc- tionemque
meditatur. quod enim, cum sit unum, dispertiendo diuiditur, id ipsum ex
pluribus rursus partibus adunando componitur. ut igitur superius dictum est,
indiuiduorum qui- dem similitudinem species colligunt, specierum uero genera :
similitudo uero nihil est aliud nisi quaedam unitas qualitatis. ergo
substantialem similitudinem indiuiduorum species colli- gere manifestum est,
substantialem uero similitudinem spe- cierum genera contrahunt et ad se ipsa
reducunt. rursus 3—13] Porph. p. 6, 16—23 (Boeth. p. 32, 1—8). 9
participa- tione—11 plures] Abaelardus, Theolog. christ., II p. 486 ed. Cousin.
18 superius] p. 166, 8 ss. 3 ante igitur add .
illis L necesse—singulare est (12) om. N 4 ire
ante per L T ascendentibus—plures (11) ] Ω ,
om. cett . 6 post multitudinem excidisse in unum
coni. Busse ( cum Porph. p. 6, 18 e’:; εν ), add. edd .
8 e contrario—semper] Γ edd. cum Porph. p. 6, 20 semper
in multitudinem e contrario cett. codd. Busse 9 est unum Φ 10
unus, unus autem et communis particularibus plures Abaelard . 11
commune P a.c . communes Φ enim post est FS Φ ,
om. CELR , ante est cett . 12 est om. E 14 est]
enim C est enim L in om. G , s. l.
Lm2 15 post dissoluere add . est C 17
plurimis F 19 uero] ergo CEGLm1RS 20 nisi] ni
C generis adunationem differentiae in species distribuunt, spe-
cieique adunationem in singulares indiuiduasque personas accidentia partiuntur.
cum igitur haec ita sint, necesse est semper cum a genere descendis ad speciem,
diuidendo semper facere multitudinem, cum uero ab speciebus ascendis ad genera,
componendo colligere et plura quae in specierum differentiis fuerant
similitudine qualitatis adunare. in speciebus etiam idem considerari potest. ut
enim ipsae indiuidua, quae sunt infinita, una similitudine substantiali
colligunt. ita indiuidua speciem propria infinitate distribuunt. omnia
enim indi- uidua disgregatiua sunt et diuisiua, species uero et genera
collectiua, species quidem indiuiduorum collectiua atque adu- natiua, specierum
uero genera, ut ita dicendum sit : genus quidem species distribuunt et species
ab indiuiduis in multi- tudinem deducuntur, rursus autem genus quidem
multas species colligit, species autem particularem singularemque multitudinem
ad singularitatis deducit unitatem. igitur plus genus adunatiuum est quam
species. species namque sola indiuidua colligit, genus uero tam species quam
ipsarum quo- que specierum indiuiduas contrahit singularesque personas.
sed in hoc conuenienti utitur exemplo dicens quoniam partici- patione speciei,
id est hominis, Cato, Plato et Cicero pluresque reliqui homines unus, id est
milia hominum 1 post generis s. l . ergo E
species] specie G speciem Lm1 2 ante
indiuiduasque s. l . in Hm2 3 haec igitur LNP 4
species ELm2R 5 a ELS ad ( tamen speciebus)
G 6 et om . EGLPRS plures EFGLPm1RS
quae ante fuerant EGLPRS 7 fuerint S
simili- tudinum (-nem Pm2 ) qualitates ( ex -tis Pm2) EFGLPRS
ante adunare add . et EGLPR 8 poterit Lm2 ante
ipsae add . species N, post in mg. Cm1? ipsae]
Cm2H ipsa cett . 9 unam similitudinem substantialem
EFGLRS 10 propriam infinite ( uel -tae, -tate H )
EGHLPRS 12 post adunatiua add . est CGH
(in mg. m1?) Lm2 NPm2 13 specierum uero genera s. l. Hm2
14 distribuit EGRS 15 ducuntur EGHN 17 ducit
HN 19 cum species tum N 20 indiuidua EGHLPRS 21
participationi G 23 post unus add . est
Hm2 in eo quod sunt homines, unus homo est; at uero unus homo, qui
specialis est, si ad hominum multitudinem qui sub ipso sunt consideretur,
plures fiunt. ita et plures homines in spe- ciali homine unus est et specialis
unus in pluribus infinitus. sic igitur quod singulare quidem est, diuisiuum
est, quod uero commune, quoniam multorum unum est, ut genus ac species,
collectiuum atque adunatiuum. Adsignato autem genere et specie,
quid est utrumque, et genere quidem uno, speciebus uero pluribus — semper enim
in plures species diuisio generisest —, genus quidem semper de specie
prae- dicatur et omnia superiora de inferioribus, species autem neque de
proximo sibi genere neque de supe- rioribus; neque enim conuertitur. oportet
autem aut aequa de aequis praedicari, ut hinnibile de equo, aut maiora de
minoribus, ut animal de homine, minora uero de maioribus minime; neque enim
ani- mal dices esse hominem, quemadmodum hominem dices esse animal. de quibus
autem species prae- 8-231, 19] Porph. p. 6, 24—7, 21 (Boeth. p. 32, 9—33,
4). 1 est. ut et 3 fiunt, ita r 2 pr
. qui] quamuis FNm1 post . quae EPR 3 et] ut Cm1
4 unus est] unum est ał (haec del. m2) unus est C post . unus]
unus est LS infinitis CLm1 diffinitus R 5
quidem om. FN diuisum Em1 diuisuum N quod]
quia quod, s. l . est G 6 uero commune] FS
commune uero Cm1 ( post uero add . est m2 )
HN commune est uero LPm2R commune est numero
EGPm1 ac] et R ad Em2GLPm1 8 Assignati
Pm1 quid est] FHPm2 \ m1 quide CNRS quid
sit Π m2 xV edd . quod est cett. Busse; cf . sunt
p. 236, 14 9 utrum- que—uno] CEGHPm1 (quidem ex
quodem) RS h m2 W m2 xP utrumqae quodque sit genus unum (unum genus
N ) FN & m1 AZΦ utrumque et (et om . L Π ) cum
(cumque Π ) sit genus unum LPm2 il m1 utrumque unum
Γ species uero plurimae FLNPm2 TΔ m1 Λ2Φ ; ad utrumque—
pluribus cf. Porph. p. 7, 1 11 genus—indiuiduis (p. 231, 16)
] RS Q , om. cett . speciebus R 14 autem] Porph.
p. 7, 4 γάρ 15 aut] RS edd., om .
Ω Busse; Porph. p. 7, 4 ή aequis] aequo R
ignibile R 17 uero] autem S post minime add .
praedicantur Γ 18. 19 utroque loco dices]
RS dicis Ω edd. Busse; Porph. p. 7, 7
ειποις άν dicatur, de his necessario et speciei genus prae-
dicabitur et generis genus usque ad generalissi- mum; si enim uerum est
Socratem hominem dicere, hominem autem animal, animal uero substantiam,|
uerum est et Socratem animal dicere atque sub- p. 77 stantiam.
semper igitur superioribus de infe- rioribus praedicatis species quidem de
indiuiduo praedicabitur, genus autem et de specie et de indi- uiduo,
generalissimum autem et de genere et de generibus, si plura sint media et
subalterna, et de specie et de indiuiduo. dicitur enim generalis- simum quidem
de omnibus sub se generibus spe- ciebusque et de indiuiduis, genus autem quod
ante specialissimum est, de omnibus specialissimis et de indiuiduis,
solum autem species de omnibus indiuiduis, indiuiduum autem de uno solo parti-
culari. indiuiduum autem dicitur Socrates et hoc album et hic ueniens, ut
Sophronisci filius, si solus ei sit Socrates filius. Breuiter
quaecumque superius dicta sunt commemorat hoc modo. cum, inquit, adsignauerimus
quid sit genus et quid species, cumque suis ea definitionibus comprehenderimus
docuerimusque unum genus semper in plurimas species solui, 2
generalissima Sm2 (specialissimum m1 ) ΓΛΛ 3
enim] autem S 4 autem] uero Λ uero] autem Δ
5 et Socratem animal] A m2 A m2 ( om . et,) Ψ hominem
et (et om , AA ) animal Α m1 Α m1 Φ et hominem ani-
mal RS Σ et ( om . II ) socratem et (et om . Γ )
hominem ( del . Γ m2 ) et ( om . T ) animal ΓΠ ; cf.
Porph. p. 7, 11 6 igitur] RS enim Ω ; Porph. p.
7, 12 οΰν superioribus] superiora RS TA a.c . 7
praedicantur RS VA a.c . species] et species R
indiuiduo] cod. Q. Bussii brm indiuiduis RS Q ( ante
add. eius Σ ); Porph,. p. 7, 13 τοΰ άτο’μοο
10 sunt RS m2 p.c subalterna] de subalternis
A 11 enim] autem S 13 et de om. R de om.
S 14 de] Ω cum Porph. p. 7, 17 et de
RS 15 pr . de om. S post . de] et de R 17 autem]
enim N TAΛΣ ; Porph. p. 7, 19 ie 18 album]
aliud T m1 (et illud m2 ) A m1 ut] et Ν ΤΑ
m2 ΑΣ 19 socrates sit CEGLPRS; Porph. p. 7, 21 εΤη
Σινγ,ράτης 20 quae FHN 21 et om. R illud,
inquit, adiungimus quoniam omnia superiora de inferio- ribus praedicantur,
inferiora uero de superioribus minime. et ea quae sunt utilia de praedicationis
modo rite pertractat. ostendit autem genus in plurimas species semper solui ad-
signata generis definitione. quod enim de pluribus rebus specie
iffdiertenbus in eo quod quid sit praedicaretur, esse definiuit genus. nihil
autem sunt plurimae res specie differentes nisi plurimae species; de quibus
autem praedicatur genus, in ea ipsa dissoluitur. ostensum est igitur ex
definitionis adsigna- tione unius generis esse species plures. quae cum ita
sint, genus quidem de specie praedicatur, species uero de indiuiduis
omniaque superiora de inferioribus, inferiora de superioribus nullo modo. id
quare eueniat paucis absoluam. quae superiora sunt, substantialiter ea genera
esse praediximus, qua uero sunt genera, ampliora sunt quam una quaeque species.
neque enim in plurima diuideretur genus, nisi ab una quaque specie maius
existeret. id cum ita sit, nomen generis toti conuenit speciei; non enim
coaequatur solum speciei generis magnitudo, uerum etiam speciem superuadit.
idcirco igitur omnis homo animal est, quoniam intra animalis uocabulum et homo
et cetera continentur. at uero nullus dixerit : omne animal homo est; non
enim peruenit ad totum animal hominis nomen, quia, cum sit minus, nullo modo
generis uocabulo coaequatur. itaque quae maiora sunt, de minoribus praedicantur,
quae minora, non conuertuntur, ut de maioribus praedicentur. at uero si
qua sint aequalia, ea secundum naturae parilitatem conuerti necesse est, ut
hinnibile atque equus, quoniam ita sibimet 1 quoniam] quod S
2 uero om. ES 4 ante genus add . unum FHNPR, in
mg. Cm2, recte? 5 definitio ( uel diff-) Ea.c.GLPm1S 6
esse] et esse R definiuit] designauit Sm1 10
ante esse add . semper FHNP 13 id cur HN
idcirco F 14 ea add. Em2 quae L ( s.
l. illa) PS 15 quaque E quoque S 17
toti] totum non R 18 post enim repet . non
R 21 cetera] cicero F cetera animalia G 23
itemque Lm1S 24 post post . quae s. l . uero
Hm2 26 sunt FHLN pari- tatem EGLp.c.RS 27
ignibile R ita] si ita H coaequantur, ut neque
equus non sit hinnibilis neque quod sit hinnibile, non sit equus. fit ergo ut
omne hinnibile equus sit et omnis equus hinnibilis. quae cum ita sint, ea quae
superiora sunt, non modo de sibi proximis inferioribus prae- dicantur,
uerum etiam de inferiorum inferioribus. nam si illud recipitur, ut ea quae
superiora sunt, de inferioribus praedi- centur, inferiorum inferiora
superioribus multo magis infe- riora sunt, uelut substantia praedicatur de
animali, quod est inferius; sed animali inferius est homo, praedicabitur
igitur etiam substantia de homine. rursus Socrates inferius est homine,
praedicabitur igitur substantia de Socrate. ita- que species quidem de
indiuiduis praedicantur, genera uero et de speciebus et de indiuiduis. quod
conuerti non po- test; nam neque indiuidua de speciebus aut generibus
prae- dicantur nec species de generibus. ita fit ut genus quod est
generalissimum, de omnibus subalternis generibus praedi- cari et de speciebus
et de indiuiduis possit. de ipso nihil. ultimum uero genus id est quod ante specialissimas
species collocatur et de solis speciebus specialissimis dici potest,
species uero de indiuiduis, ut dictum est, indiuidua autem de singulis
praedicantur, ut Socrates et Plato, eaque maxime sunt 1 non om. brm
post sit (si R ) add . nisi CH (s. l. m2) LNPS
ni R inhinnibilis EG nec FN quid CF
2 pr . sit om. S post . sit] est CEGLm1RS ; non sit om.
brm; post add . nisi CLNPRS , s. l. Hm2 ergo om.
H enim F sit equus FHNP 3 hinnibile N, post
hinn. add . sit L, ante P 4 sunt om. S, ante
superiora EGP sibi om. H 5 si om. S, s. l.
Hm1? 8 uelut om. LS ut C 9 pr . est
s. l. Lm2 post . est s. l. Gm2 praedicatur
CELm2RS 10 etiam om. FG 11 ante de add .
et EGLR ita R 13 de speciebus] hic desinit cod.
F 14 aut] ac R 15 itaque CHNP quod est]
quidem CP quidem est R 16 post
praedicari add . potest L (s. l.) m1 possit m2 N
17 possit om. N potest L post ipso add .
uero HNPR, s. l. Cm2Lm2 18 uero] autem L id est]
CHm2NS id est autem est Hm1 id autem est EGLa.c . (id
est autem ut uid. p.c .) RP ante om. EGR, s. l.
Pm1? 19 collocat EGR et om. HN 20
post uero add . quae post indiuiduis add . dici
potest R autem] enim Lm1 21 ea quae maximae
G p. 78 indiuidua quae sub ostensionem | indicationemque
digiti cadunt, ut hoc scamnum, hic ueniens atque quae ex aliqua proprie
accidentium designantur nota, ut, si quis Socratem significa- tione uelit
ostendere, non dicat ‘Socrates’, ne sit alius qui forte hoc nomine nuncupetur,
sed dicat ‘Sophronisci filius’, si unicus Sophronisco fuit. indiuidua
enim maxime ostendi queunt, si uel tacito nomine sensui ipsi oculorum digito
tac- tuue monstrentur, uel ex aliquo accidenti significentur uel nomine
proprio, si solus illud adeptus est nomen, uel ex parentibus, si illorum est
unicus filius, uel ex quolibet alio accidenti singularitas demonstratur,
eo quod ad esse unam praedicationem habeat eiusque dictio non transeat ad
alterum, sicut generis quidem ad species, specierum uero ad indiuidua.
Indiuidua ergo dicuntur huiusmodi, quoniam ex proprietatibus consistit
unum quodque eorum, quarum collectio numquam in alio eadem erit. Socratis
enim proprietates numquam in alio quolibet erunt 14—p. 235, 4] Porph. p.
7, 21—27 (Boeth. p. 33, 4—10). 1 ostensione EGPS
ostentationem HN indicationeque EGPS indaga-
tionemque N 2 ante hic (is ex hic E
) add . ut CEGR et L atque quae]
Hm2LNP atque EGHm1 atque ea quae S eaque quae
CR propria CH proprietate R 4 qui post
forte HP 5 forte ante alius N 6
Sophronisci LNRS; cf . ei p. 231, 19 7 quaeant R
si uel ex siue Lm2 sensu GL ( ante add .
siue) P ( ras. ex -sui) R ipso
Cm1LPm1R tactuque H tactu uel R 8
monstrantur R accidenti significentur uel om. EGR
accidente N ante uel add . id est CH (del.
m2) Lm2NP 9 nomine om. EGR , post proprio S
illud om . S, del. Lm2 10 post uel add .
si HR, s. l. Lm2 11 demonstretur S eo quod in
ras. Cm2 eaque H (que add. m2, post er . quod)
N ea quae P; post quod add . accidentia in mg.
Cm2 de (s. l.) accidenti in con - textu , ał eo
quod accidentia in mg. L ad esse unam] unam ad sese C
ad sese unam HN ad se unam L (s. l. et in mg . de se
a.c.) P 12 habeat] EGHm2Lp.c.PRS habet
Cm1Hm1La.c.N habeant Cm2L in mg . dictio]
praedicatio CNSp.c . transit CHNR 13 species] m2 in CH
(in mg.) P, La.c . specierum cett . 16 quarum—pluribus (p. 235, 3)
] R il , om. cett . quarum] Π m2 Ψ quorum cett .
in alio post eadem s. l . \ m2 in alium R,
post alio add . quolibet 2 particularium, hae
uero quae sunt hominis, dico autem eius qui est communis, proprietates erunt
eaedem in pluribus, magis autem in omnibus particu- laribus hominibus in eo
quod homines sunt. Quoniam superius indiuiduum appellauit, huius
nominis rationem conatur ostendere. ea enim sola diuiduntur quae pluribus
communia sunt; his enim unum quodque diuiditur quorum est commune quorumque
naturam ac similitudinem continet. illa uero in quae commune diuiditur,
communi natura participant proprietasque communis rei his quibus com-
munis est conuenit. at uero indiuiduorum proprietas nulli communis est.
Socratis enim proprietas, si fuit caluus, simus, propenso aluo ceterisque
corporis lineamentis aut morum institutione aut forma uocis, non conueniebat in
alterum; hae enim proprietates quae ex accidentibus ei obuenerant eiusque
formam figuramque coniunxerant, in nullum alium conueniebant. cuius autem
proprietates in nullum alium conueniunt, eius proprietates nulli poterunt esse
communes, cuius autem pro- prietas nulli communis est, nihil est quod eius
proprietate participet. quod uero tale est, ut proprietate eius nihil
parti- 1 post particularium add . eaedem edd
. cum Porph. p. 7, 24 haec Δ eae Φ
post hominis s. l . proprietates Δ dico—communis
om. R 2 proprietates er . Λ proprietatis Γ
3 eadem Δ m1 2 pr . in] et in Γ post . in]
et in ΓΛ m2 Φ omnibus om. S 4 in om .
Φ post sunt add . continentur (ex p. 236, 7)
R 6 ostendere conatur C 7 <in> his brm
quodque unum Cm1 quibus EGLPRS edd . 10 participan- tur
R post . communi ( om . est) Gm1 11 proprietas om. E
proprietates Gm1 12 caluus, simus] caluissimus EGHm1
(caluus uel simus m2 ) Lm1PR 13 perpenso ESp.c .
albo Em1 (caluitio m2 ) G uentre N
cor- poris linea del., sed lin. er., s. l . corruptus Hm2
liniamentis CEG LNPm2S 14 post institutione
add . probatus EP, s. l. Lm2 uocis] Cm1EGPRS uocisue
sono Cm2HLm2 (uocis uel sonus m1 ) N con-
ueniebant EGm1Hm1P haec G 16 in nullo alio
EGHLm1PS 17 cuius—conueniunt om. EGLRS cuius] eius
P autem] uero N ita- que P in nullum—eius
om. P post eius add . itaque N igitur L 18
poterant EGL potuerunt ex poterunt P
potuerant R autem om. LS 19 proprietatem EGLRS
proprietate * (s er .) H 20 proprietatem
EGH LPRS nihil] nulli Lm2P participat
ER cipet, diuidi in ea quae non participant, non potest; recte
igitur haec quorum proprietas in alium non conuenit, indi- uidua nuncupantur.
at uero hominis proprietas, id est spe- cialis, conuenit et in Socratem et in
Platonem et in ceteros, quorum proprietates ex accidentibus uenientes in
quemlibet alium singularem nulla ratione conueniunt. Continetur
igitur indiuiduum quidem sub spe- cie, species autem sub genere. totum enim
quiddam est genus, indiuiduum autem pars, species uero et totum et pars, sed
pars quidem alterius, totum autem non alterius, sed aliis; partibus enim totum
est. De genere quidem et specie et quid generalissimum et quid
specialissimum et quae genera eadem et spe- cies sunt, quae etiam indiuidua, et
quot modis genus et species dicitur, sufficienter dictum est. Hic
retractat omnia breuiter quae supra latius absoluit dicens indiuiduum ab specie
contineri, species uero ipsas a genere, huiusque causam reddens ait : omne enim
genus totum est, indiuiduum pars. totum enim genus in eo quod genus est,
continet, tametsi species esse potest; totum enim non ut genus species
est, sed ut ea quae supponitur generi. genus igitur in eo quod genus est, totum
est speciebus, semper enim continet eas. at uero indiuiduum pars semper est,
num- 7—15] Porph. p. 7, 27—8, 6 (Boeth. p. 33, 10—17). 2
proprietates Em1NR conueniunt N 4 pr . et
om. C secund . in om. S tert . in om. HNP 5 uenientes ex
accidentibus C ex accidente (om . uenientes ) EGLm1RS 7
Continetur om. R (cf. ad p. 235, 4) con- tinentur A m2 K m1
Z quidem om . Φ est quidem Δ 8 totum—indi-
uidua (14) ] R Q , om. cett . 9 pars—uero] pars est species
autem Δ 10 pr . totum] totum est ΛΦ 11 sed in aliis, in
partibus edd. cum Porph. p. 8, 2 12 quod ΛΣ 13 et quid
specialissimum om . A quod A2 14 sint. R
ΓΛΙIΣ; cf. p. 237, 15 quod GS tot Pm1
modis om. S 15 dicatur N ΥΔΛΠΦΨ , s. l. add . Σ
; cf. p. 237, 19 16 Hic om. NR, s. l. Hm2 17
teneri C ipsas om. E ipsa Cm1 18
huiusce Lm2 19 pars om. E genus enim Cm1
(ante genus s. l . totum m2) HN 20 totum] tum
Hm1 tunc Ν enim] autem S 23 est ante
semper CN pars post est LS quam enim
ipsum aliquid sua proprietate concludit. species uero et totum est et pars,
pars quidem generis, totum uero indiuiduis. et cum pars est, ad singularitatem
refertur, cum totum, ad pluralitatem. quoniam enim unum genus pluribus 5
speciebus superest, una quaelibet species pars est generis, id est unius,
quoniam autem species pluribus indiuiduis | praeest, p. 79 non est
uni indiuiduo totum, sed plurimis. idcirco enim totum dicitur, quia plura
continet et cohercet. nam ut pars sit ali- quid, una ipsa unius pars esse
poterit, ut uero totum sit, unum ipsum unius totum esse non poterit.
idcirco alterius quidem pars est species, aliis uero totum. Et de
genere quidem et specie dictum est et quid sit gene- ralissimum genus, quoniam
id cui nullum aliud superponitur genus, et quid specialissima species, quoniam
ea cui species nulla supponitur, et quae genera eadem sunt, eadem et
species, scilicet subalterna quibus aliquid superponitur, aliquid uero supponitur,
quae etiam indiuidua, ea scilicet quorum pro- prietates alteri nequeunt
conuenire, et quot modis genus uel species dicitur, genus quidem aut in
multitudine aut in pro- creatione aut in participatione substantiae,
species uero aut ex figura aut ex generis suppositione, sufficienter dictum
est. quibus absolutis modum uoluminis terminabo, ut quarti area libri
differentiae reseruetur. 2 ante post . pars add .
et C , post er . que L totum in mg. Cm2 uero
om. HN autem C (in mg. add. m2) L quidem S 3
indiuidui Cm1NS et] sed CHN post post . cum add .
uero R 4 quoniam] quod L 7 plu- ribus
HLm2NS 9 unum ipsum brm 12 Et] sed in er . et
Lm2 specie] de specie EG 13 post id add .
est P, s. l. Em2 14 quod C specialissimum ( om . species,]
HN nulla species NR 15 superponitur (ras. corr.
E) nulla EG eadem s. l. Lm2 16 supponitur
HR aliquid uero supponitur om. ENR, in mg. Cm2 17 ea
om. EGLPRS 18 non queunt G quod Em1GN quod
quot R 20 aut in partici- patione s. l. Gm2 post
substantiae add . aut ex figura S consistit edd . uero
aut] autem N 21 figura] genere S ex om. E
est om. S 22 post area s. l . ubi discutiamus
ea Em2 23 ante subscriptionem initium libri IV usque ad p.
239, 6 iniecta scriptum, post subscrip - tionem E
ANICII MANLII (MALLII G ) SEVERINI BOETII (BOECII G ) V. C. ET I LL
. EXCONS (EXC. E ) ORD. PATRICII IN ISAGOGEN (YSAGOGAS E )
PORPHYRII (PORPHIRII E ) ID EST INTRODVCTIONE A SE TRANSLATAE (ID
eqs. om ., SCDAE E ) EDITIONIS LIB. III. EXPL. INCIP. LIB. IIII. EG
; EXPLICIT LIBER TERTIVS. (LIB. IIII. EXPLICIT L ) INCIPIT (LIBER
add. LS ) QVAR- TVS L (add. mS) NPRS (uariis cum.
compendiis) ; LIBER QVARTVS C; subscriptio deest in H
De differentia disputanti non aeque illud debet occur- rere quod in
generis specieique tractatu de collocationis ordine quaerebatur. illic enim
meminimus inquisitum, cur esset omni- bus praepositum genus, ut id primum
ad disputationem ueniret, cur post genus species esset iniecta, nunc uero superuacuum
est dicere, cur post speciem differentia sumpta sit, cum illud iam fuerit
inquisitum, cur non ante speciem collocata sit. quodsi mirum uidebatur speciem
differentiae in disputationis loco fuisse praepositam, quod differentia
continentior et magis amplior esset specie, quid est quod possit quisque
mirari, si eandem differentiam ante proprium atque accidens collocauerit, cum
proprium unius semper sit speciei, ut posterius demon- strabitur, accidens uero
exteriorem quandam ostendat naturam nec omnino in substantia praedicetur,
differentia uero utrumque contineat, et de pluribus speciebus et in substantia
praedicari? sed haec hactenus, nunc ad ipsa Porphyrii uerba ueniamus.
Differentia nero communiter et proprie et magis 3 quod—inquisitum]
p. 170, 2 ss. 198, 10 ss. 18—p. 240, 13] Porph. p. 8, 8—17 (Boeth. p. 33,
18—34, 7). 2 De differentia] Differentiae E
Differentia G Differentiam La.c . disputanti] in
disputando CEGLm1N non aeque illud] non illud quoque C
3 quod] ut HN collationis Cm1HN 4 quaerebatur]
hic desinit cod. S 11 ante specie add . ea
EG ab HL est quod om. GR ( post quid
add .interrgatiue) s. l. Lm2 , sit Em1 sit quod m2
an quisquam? ad quisque add . iure possit
Em2 12 post eandem add . iure E, s. l. Lm2
13 sit unius speciei semper C unius sit semper speciei
R unius semper speciei sit N 15 substantiam NR 16
substantiam Em1 18 ante Differentia
inscriptio DE ( om . Ψ ) DIF- FERENTIA additur in
2 et magis proprie in mg. Cm2? proprie dicitur.
communiter quidem differre alterum ab altero dicitur, quod alteritate quadam
differt quo- cumque modo uel a se ipso uel ab alio. differt enim Socrates a
Platone alteritate et ipse a se uel puero uel iam uiro et faciente aliquid uel
quiescente et semper in aliquo modo habendi alteritatibus. proprie autem
differre alterum ab altero dicitur, quando inse- parabili accidenti ab altero
differt. inseparabile uero accidens est ut nasi curuitas, caecitas oculorum,
cicatrix, cum ex uulnere obcalluerit. magis proprie differre alterum ab
altero dicitur, quando specifica differentia distiterit, quemadmodum homo ab
equo p. 80 specifica differentia differt rationali qualitate.
| Tribus modis aliud ab alio distare praediximus, genere. specie,
numero, in quibus omnibus aut secundum substantiales quasdam differentias
alia res distat ab alia aut secundum accidentes. nam quae genere uel specie
distant, substantia- libus quibusdam differentiis disgregata sunt, idcirco
quoniam genera et species quibusdam differentiis informantur. nam quod homo ab
arbore genere distat, animalis sensibilis qua- litas in eo differentiam
facit. addita enim sensibilis qualitas 14 praediximus] p. 191, 21.
1 dicitur] λεγέσ&ω Porph. p. 8, 8; cf .
nuncupatur infra p. 241, 18 communiter—distiterit (12)
] R Q , om. cett . 2 ab om . A , s. l . Γ 3
ipso om. R 4 pr . a om. R X puero] a puero
ΣΦ 5 uiro] a uiro Φ et] R T uel cett.;
Porph. p. 8, 11 χοιί aliquod S 6 habendi] habendi se Φ
; Porph. p. 8, 12 τού πώς εχειν 7 ab om .
ΔΛΣ quandam R 8 accidente R ; post add .
alterum edd. cum Porph. p. 8, 13 ab om . Σ 10
coaluerit Σ m2 post proprie add . autem ΓΔ (fort.
recte) uero Φ ; Porph. p. 8, 15 hi 11
ab om . ΛΣ 12 destiterit TX m1 AZ quem-
admodum—differt del. Lm1? 13 differentia om. Ν Σ
ante rationali add . id est CEGL, s. l . Hm2 A
m1? rationabili CEGLPR 14 ab] LP, om. cett . 17
accidens CEm2 accidentales Lm2 18 disgregata— quibusdam
om. N, s. l. R 19 post quibusdam add .
substantialibus Hm2 edd.,recte? ad informantur s. l.
disregantur N 21 ea Hm1Lm2NP animato animal
facit, eidem detracta facit animatum atque insensibile, quod uirgulta sunt.
igitur homo atque arbor genere differunt — utraque enim sub animalis genere
poni non possunt —, differentia sensibili secundum genus discrepant, quae unius
ex propositis tantum genus, id est hominis informat, ut dictum est. illa
uero quae specie distant manifestum est quod ipsa quoque differentiis
substantialibus discrepant, ut homo atque equus differentiis substantialibus
discrepant, rationabilitate atque inrationabilitate. ea uero quae indiuidua
sunt et solo numero discrepant, solis accidentibus distant. haec autem
sunt uel separabilia uel inseparabilia, separabilia quidem, ut moueri, dormire;
distat enim alius ab alio, quod ille somno prematur, bic uigilet. distat item
inseparabilibus accidentibus, quod hic staturae sit longioris, hic minimae.
Quae cum ita sint, in ter- narium numerum has differentiarum diuersitates
Porphyrius colligit hisque ipse nomina quibus post utatur, apponit dicens :
omnis differentia uel communiter uel proprie uel magis proprie nuncupatur,
communiter quidem eam dif- ferentiam sumens quae quodlibet accidens monstret,
quae in quadam alteritate consistit, ut si Plato a Socrate differat, quod
ille sedeat, hic ambulet, uel quod ille sit senex, hic 5 ut dictnm est]
p. 208, 17 ss. 1 eiusdem E et idem G
eadem L inanimatum L , in- er. EP; cf. p. 208, 14 ss .
2 post arbor add . quae H (linea del., sed
lin. er.) L (del. m1) N 3 animali ( om . genere) N 4
ante differentia add . sed ex E nam brm, post s.
l . igitur Pm2 5 praepositis CLm1N positis Em1, s. l .
homine et arbore Lm2Em2 6 distant specie C quod
om. CHN 7 dis- crepare CHN ut—discrepant om. EGL, s. l.
R 8 discrepant om. C 9 post
inrationabilitate add . distant L 10 sunt add. Lm2, in
mg. Pm2 13 distant Hm1Pm2 distet L distat
enim E 14 sit om. R, ante staturae HN staturae
sit post longioris L minimae] Ppr
minime cett. codd. bm 16 isque EG ipsis C post
utatur] postulatur EGR 17 propria Ca.c.L 18
propria L differentiam eam HNP a differentia (om.
eam) E 19 ad sumens s. l . exordium Em2
monstraret EGLm1 (demonstraret m2 ) R 20 ut si]
uti EGLm1 (uti si m2 ) R a om. CGR, s. l.
Lm1?Pm2 differt ex -rat E 21 sit om.
C est EGL (s. l.) R iuuenis. a se ipso etiam saepe
aliquis differre potest, ut si nunc quidem faciat aliquid, cum ante quieuerit,
uel si nunc adulescens iam factus sit, cum prius tenera uixisset infantia.
communes autem differentiae nuncupatae sunt, quoniam nullius propriae esse
possunt differentiae, sed separabilia accidentia sola significant. nam et
stare et sedere et facere aliquid ac non facere multorum atque adeo omnium et
separabilia esse accidentia manifestum est. quibus si qui differunt, communibus
differentiis distare dicuntur. praeterea puerum esse atque adule- scentem uel
senem, ea quoque separabilia sunt accidentia. nam ex pueritia ad
adulescentiam atque hinc ad senectutem, ab hac denique ad decrepitam usque
aetatem naturae ipsius necessitate progredimur. illud forsitan sit dubitabile
de unius cuiusque forma corporis, an ullo modo separari queat. sed ea quoque
est separabilis, nullius enim diuturna ac stabilis forma per- durat.
idcirco nec peregrinus pater relictum domi puerum, si adulescentem redux
uiderit, possit agnoscere; forma enim semper quae ante fuerat, permutatur atque
ipsa alteritas qua distamus ab altero, semper diuersa est. Constat igitur hanc
communem differentiam separabilibus maxime accidentibus applicari,
propria uero est quae inseparabilia significat acci- dentia. ea huiusmodi sunt,
ut si quis caecis nascatur oculis, si quis incuruo naso; dum enim adest nasus atque
oculi, ille caecus, ille erit semper incuruus. atque haec per naturam. sunt
uero alia quae per accidens corporibus fiunt, ut si cui uulnus 1
post differre add . quidem L 2 cum ante in mg.
Cm2 nunc si C 3 iam er. L, post nunc
N 5 proprie CL sed] CLm2NP , om. EG , et
R quae HLm1 separabiles E, post add . enim Lm1,
del. m2 6 pr . et om. P ac] et HNP 7
ideo EGL post omnium add- sunt edd . et om.
H esse om. G, post accidentia EL ; separabilium esse
accidentium N 8 si om . N quid EG qua
R 9 discuntur E 10 ante separabilia add .
ueraciter R 14 eo Lm1 15 est separabilis] est
separabilis forma PR separabilis forma est EGL nullius—per- durat
om. GR, in mg. Cm2, s. l. Pm2 ac stabilis] et stabilis C ( ut
uid .) N ac stabili P estimabilis E 18
alteritas ipsa EG 19 altera EGLm2R 22 nascetur
Em1 24 ante erit add . etiam R semper
om. C inflictum cicatrice fuerit obductum, haec si obcalluerit,
pro- priam differentiam facit; distabit enim alter ab altero, quod hic
cicatricem habeat, ille uero minime. postremoque in his omnibus uel
separabilibus accidentibus uel inseparabilibus alia sunt naturaliter
accidentia, alia extrinsecus, naturaliter quidem ut pueritia uel iuuentus et
totius conformatio corporis, sic caeci oculi et curuitas nasi. et superiora
quidem exempla separabilis accidentis per naturam sunt, posteriora uero inse-
parabilis. item extrinsecus uel ambulare uel currere; id enim non natura,
sed sola affert uoluntas, natura uero posse tan- tum dedit, non etiam facere.
atque haec sunt separabilis acci- dentis extrinsecus uenientis exempla, illa
uero inseparabilis, ut si qua cicatrix obducta uulneri obcalluerit. Magis
propriae autem differentiae praedicantur, quae non accidens, sed sub-
stantiam formant, ut hominis rationabilitas; differt enim homo a ceteris, quod
rationalis est uel quod mortalis. | hae sunt p. 81 igitur magis
propriae, quae monstrant unius cuiusque sub- stantiam. nam si illae quidem
idcirco communes dicuntur, quia separabiles atque omnium sunt, aliae autem
propriae, quoniam separari non possunt, quamuis sint in accidentium
numero, illae iuro magis propriae praedicantur, quae non modo a subiecto
separari non possunt, uerum subiecti ipsius speciem substantiamque perficiunt.
ex his igitur tribus differentiarum diuersitatibus, id est communibus, propriis
ac magis propriis, fiunt secundum genus uel speciem uel numerum
discrepantiae. nam ex communibus et propriis secundum numerum distantiae
nascuntur, ex magis propriis uero secundum genus ac speciem. 1 ante
cicatrice add . si H 6 uel om. C formatio
HNPm2 sic] HPm1 (et si m2 ) Rm1
(sieque m2 ) si EGLm1 (sique m2 ) tum CN
9 post currere add . sunt E 10 uoluptas
L 11 at Em1 atqui m2 separabilis sunt C 13
uulneris Lm2P autem propriae La.c.R 14 substantia
Cm1 15 informant Pm2, recte? 16 a om. HN rationa-
bilis EGLPR post mortalis add . est C hae]
Hp.r.L haec cett . sunt igitur] enim sunt H 20 quoniam]
quod R 22 ab G post ipsius add . suis Em1,
del. m2 23 tribus igitur CG 24 ac s. l. Em2 , et
CR Uniuersaliter ergo omnis differentia alteratum facit cuilibet
adueniens, sed ea quae est communiter et proprie, alteratum facit, illa autem quae
est magis proprie, aliud. differentiarum enim aliae quidem alte- ratum faciunt,
aliae uero aliud. illae quidem quae faciunt aliud, specificae uocantur,
illae uero quae alteratum, simpliciter differentiae. animali enim dif- ferentia
adueniens rationalis aliud fecit et speciem animalis fecit, illa uero quae est
mouendi, alteratum solum a quiescente fecit; quare haec quidem aliud,
illa uero alteratum solum fecit. Omnis differentia alterius ab
altero distantiam facit. sed haec uel est communis et continens uel cum quodam
proprio et magis proprio differentiarum modo. quare quicquid qualibet ratione
ab alio diuersum est, alteratum esse dicitur. si uero accesserit illi
diuersitati ut etiam specifica quadam differentia sit diuersum, non alteratum
solum, uerum etiam aliud esse praedicatur. alteratio igitur continens est,
aliud uero intra alterationis spatium continetur; nam et quod aliud est, alte-
ratum est, sed non omne quod alteratum est, aliud dici potest. itaque si
accidentibus aliquibus fuerit facta diuersitas, alteratum 1—11] Porph. p.
8, 17—9, 2 (Boeth. p. 34, 7—15). 1 ergo] uero CEGR; Porph. p.
8, 17 osv alterum E h m2 A 2 sed ea—quiescente
fecit (10) ] Ω , om. cett . ea quae est eqs. ]
cum cod. A Porph. p. 8, 18, cett. α: μέν—κοιοϋσιν, a: 81 άλλο
3 alterum Δ , item 4 autem] uero ΔΣΦ 7
altera Φ* enim] autem A a.c . 8 ratio- nale 2
facit ΓΣΦ item 9; Porph. p. 9, 1 ίποίησεν
et speciem animalis fecit om. codd. quidam Porph., deleri uult Busse
10 faci(??) ΓΔ m2 ΣΦ qua * ( (??) ? er.) re *
C qua in re (si add. GLm1, s. l . siqui- dem m2 )
EGL 11 ille Gm1 illae Δ solum om. EG, s. l.
Cm2 , solum modo P fecit] ΔΛ , om. P, facit
cett.; Porph. p. 9, 2 έποίηοιν 13 uel est] L uel
ex EG est uel N, om . est CR, om . uel HP
(ante est add . quidem ) communi EG
continenti E ( -ti * ) G cum om. N, s. l. Em2 eo
m1 14 proprio] proximo GR, post proprio add . uel ma-
ximo P 18 inter Gm1 19 nam et] Hm1NR igitur
et EG igitur omne ( et add. C) CHm2L 21
erit HN quidem effectum est, quoniam quidem quolibet modo uel
ex quibuslibet differentiis considerata diuersitas alterationem facit
intellegi, aliud uero non fit, nisi substantiali differentia alterum ab altero
fuerit dissociatum. itaque communes et propriae differentiae, quoniam
accidentium, ut dictum est, sunt, solum efficiunt alteratum, aliud uero minime,
magis propriae autem, quoniam substantiam tenent et in subiecti forma
praedicantur, non modo alteratum, quod est commune uel substantiali uel
accidenti differentiae, sed etiam aliud faciunt, quod ea sola retinet
differentia quae substantiam continet formamque sub- iecti. atque hae quidem
differentiae quae faciunt aliud, speci- ficae nuncupantur idcirco, quod ipsae
efficiunt speciem; quam cum substantialibus differentiis informauerint, faciunt
ab aliis ita esse diuersam, ut non alterata solum sit, uerum etiam tota
alia praedicetur. itaque fit huiusmodi diuisio, differentiarum ut aliae
alteratum faciant, aliae nero aliud. et illae quidem quae faciunt alteratum,
simpliciter puro nomine differentiae nuncupantur, illae uero quae aliud,
specificae differentiae prae- dicantur. atque ut planius liqueat quid sit
alteratum, quid aliud, tali describuntur termino uel declarantur exemplo
: aliud est quod tota speciei ratione diuersum est, ut equus ab homine, quoniam
rationalis differentia animali adueniens hominem fecit aliudque eum quam equum
esse constituit. item si unus homo sedeat, alter assistat, non efficietur homo
diuersus ab homine, sed eos alteratio sola disiungit, ut eum qui assistit
ab eo qui 5 ut dictum est] p. 242, 4 ss. 19 ss. 1 post
, quidem om. HNP, del. Lm2 uel ex quibuslibet om. H
2 ad differentiis s. l . uel diuersitatibus Rm1 ? 7
formam N 9 accidentali Hm2NPm2 facit EGLP 10
quae er. C 11 hee P 12 ipsae om. EGLR 14
alteratum E (in ras. m2) P alterum GLR 15 aliud
R sit E 16 ut om. EH faciunt HNR
facient Em2 facie m1 20 describantur Em1 21
ratione specie (sic) E ab om. EGL, s. l. HP 22
facit HLNPm1 23 esse] est Em1 ita R
itaque N 24 effi- citur N efficiatur (ur add. m2
) P sedet faciat alteratum. item si ille sit nigris oculis,
ille caesiis, nihil, quantum ad formam humanitatis attinet, permutatum est. ita
secundum has differentias alteratio sola consistit. at si equus quidem iaceat,
homo uero ambulet, et aliud est equus ab homine et alteratum, dupliciter quidem
alteratum, semel uero aliud. alteratum est enim, uel quod omnino specie
diuer- sum est — et est aliud; omne enim aliud, ut dictum est, etiam alteratum
est —, uel quod accidentibus distat, quod ille iaceat, hic ambulet, semel uero
est aliud, quod rationabili p, 82 atque inrationabili differentiis
dis|gregatur, quae specificae sunt et substantiales dicuntur. est igitur
alteratum quod ab alio qualibet ratione diuersum est. Secundum igitur
aliud facientes diuisiones fiunt a generibus in species et definitiones
adsignantur, quae sunt ex genere et huiusmodi differentiis, secundum
autem eas quae solum alteratum faciunt, alteratio sola consistit et aliquo modo
se habendi permutationes. Quoniam in principio operis huius
generis, speciei, differen- 13—17] Porph. p. 9, 2—6 (Boeth. p. 34,
15—19). 18 in prin- cipio o. h.] p. 147, 5. 1 facit
Em1G item om. EGR, in mg. Hm2, s. l. Lm2 si om. EGL,
post ille R, in mg. Hm2 post . ille] iste N
caesius La.c . (ce-) Pm1 caecis N cecus
C 3 item in ras. L post has add . quo- que HNP,
s. l. Lm2 sola s. l. Em2 ut GN 4 uero om.
E 5 ab] de P pr . alterum GLm1 6 post
uero add . est C enim om . H (quidem
add. post est ) N, ante est CGPR 7 enim om. G 8
distet R 9 iacet HLm1N ambulat H rationali
atque inrationali HLm2R 10 differentia N segregatur
CR specificae sunt] differentiae specificae C 13 post
facientes add . differentias edd., om. codd. cum cod. C Porph. p.
9,3 et Dauide commentatore p. 177, 23 (Busse); post add . et edd. cum
Porph . τέ 14 quae—faciunt (16) ] L Q , om. cett
. 15 ante sunt add . definitiones Γ definitiones
scilicet Δ et] ex Δ m2 16 ante
alteratio add . at CG alteratio sola consistit] ai έτερότητες
μο'νον συνί- ατανται Porph. p. 9, 5 17 et] in
CEGLR ad Δ ; Porph. v.at aliquo modo]
aliquando Γ se add. Em2 habentis R
habentibus EGLm1 permutatione R permutationibus CEGLm2
18 huius om. EGR, ante operis s. l. Lm2 specieique
EGLNPR; cf. p. 148, 17 tiae, proprii accidentisque notitiam ad
diuisionem atque ad definitionem utilem esse praedixit, idcirco nunc
differentiarum ipsarum facta diuisione easdem partitur et segregat, quaenam
differentiae diuisionibus ac definitionibus accommodentur, quae uero
minime. quoniam igitur diuisio generis ita in species facienda est, ut illae a
se species omni substantiae ratione diuersae sint, idcirco non probat
assumendas esse eas ad diui- sionem differentias quae uel separabilis uel
inseparabilis acci- dentis significationem tenent, idcirco quoniam, ut dictum
est, solum faciunt alteratum, aliud uero perficere et informare non
possunt. inutiles igitur sunt ad diuisionem hae differentiae quae faciunt
alteratum. segregandae igitur sunt communes et propriae a generis diuisione,
illae assumendae tantum quae sunt magis propriae. illae enim faciunt aliud,
quod generis diuisio uidetur exposcere. ad definitionem quoque eaedem
magis propriae plurimum ualent, communes et propriae uelut inutiles
segregantur; communes enim et propriae, quo- niam accidens diuersi generis
ferunt, nihil substantiae ratione conformant, definitio uero omnis substantiam
conatur ostendere. specificae uero differentiae illae sunt quae, ut
superius dictum est, speciem informant substantiamque perficiunt; hae sunt
magis propriae. eaedem igitur sicut in diuisionem, ita etiam in definitionem
assumuntur. ut enim dictum est, eaedem diffe- 9 ut dictum est] cf. p.
244, 2. 245, 4 (et p. 242, 19—21). 20 supe- rius] p. 245, 11. 23 ut enim dictum
est] infra p. 253, 12 ss. 258, 9 ss. 260, 6 ss. 2 definitionem]
defensionem G utile E 4 ac definitionibus om
. EG 5 diuisio igitur E 7 eas ante
assumendas P, ante esse HN diuisiones NRm1
8 uel inseparabilis om. EGR 9 idcirco—faciunt] uel eas differentias
quae faciunt (faciant R ) EGL (del. m2) R 10 aliud—
alteratum (12) om. EGR 14 aliud faciunt C 15 definitionem]
diui- sionem Cm1EGLm1 eadem Em1G 16 plurimum om.
EG post ualent add . nam EGL (del. m2) P 17
uelut—propriae om. EGR enim om. CH 18 proferunt
Lm2Pm2 procedent m1 praecedunt N a.c . 19 informant
N 21 hee CP haec E 22 eaedemque C
eadem Em1GL diuisione GN, add . generis GL
etiam om. HN et P 23 diffinitione N ut
enim—sumuntur om. edd . rentiae nunc quidem constitutiuae ad
definitionem specierum sumuntur, nunc diuisiuae ad partitionem generis
accommodantur. ita igitur cum diuisiuae sunt generis, aliud constituunt, in
substantiae uero definitione speciei informationem faciunt, cumque magis
propriae et aliud faciant et specificae sint, eo quidem quo aliud
faciunt, diuisionibus aptae sunt, eo uero quo speciem informant, definitionibus
accommodatae sunt. communes autem et propriae quoniam neque aliud faciunt, sed
alteratum, neque omnino substantiam monstrant, aeque a diuisione ut a
definitione disiunctae sunt. A superioribus ergo rursus inchoanti
dicendum est differentiarum alias quidem esse separabiles, alias uero inseparabiles.
moueri enim et quiescere et sanum esse et aegrum et quaecumque his proxima
sunt, separabilia sunt, at uero aquilum esse uel simum uel rationale uel
inrationale inseparabilia. inseparabilium autem aliae quidem sunt per se,
aliae 11—249, 4] Porph. p. 9, 7—14 (Boeth. p. 34, 20—35, 6).
2 assumuntur Ea.c . partitionem] coparationem N 3
ita—faciunt (4) in mg. sup. Hm2 Ita igitur cum diuisio generis
aliud quaerat. substantia uero speciei informationem Hm1, eadem uerba
loco ita—faciunt adiungit N Ita igitur cum ad diuisionem
generis aliud querant. aliud uero ad speciei informacionem faciunt
Hm3 3 diuisiuae] CHm2LN (priore loco) Pm1
diuisione EG ad diuisionem Hm3R diuisio Hm1N
(post. l) Pm1 sunt] CHm2LN (pr. l.), om. EGHm1 et 3 N (post. l.) R,
s. l. Pm2 constituunt] CHm2N (pr. l.) Pm2 quaerat Hm1N
(post. l.) Pm1 quaerant ( uel que-,) Hm3R quam
erat EG constituunt quam erat L in substantiae uero
definitione] CHm2LN (pr. l.) Pm2 in substantia uero
Pm1R substantia uero EGHm1N (post. l.) aliud uero
Hm3 4 post uero add . ad Hm3 faciunt
om. EHm1N (post. l.) 5 pr. et om. HN, s. l. Pm2
faciunt Lm1Pm1 et] ac C eo] in eo N 6
quidem om. L quod HLm1NP (d er .) uero] modo
N 7 quod HRm1 9 sed] sub G monstrat
CGm1 11 ergo om . H uero N 2 ; Porph. p. 9,
7 ouv rursus om. H 12 aliae... aliae h
m1 separabiles esse Φ 13 alias uero—perceptibile (p.
249, 2) om. C moueri—perceptibile] R Ω , om. cett . 14
ante quaecumque s. l . omnia Λ 15 at—inseparabilia
in sup. mg . h m2 acylum ΓΦ acilum ΛΣ ,
sim. p. 249, 3.250, 20. al . 16 post inseparabilia add . sunt
PAS<P edd. Busse, om.R h cum Porph. p. 9,10 uero
per accidens; nam rationale per se inest homini et mortale et disciplinae esse
perceptibile, at nero aquilum esse uel simum secundum accidens et non per
se. Superius differentias triplici diuisione partitus est dicens
aut communes esse aut proprias aut magis proprias, dehinc easdem alia diuisione
in duas secuit partes dicens has quidem aliud facere, illas uero alteratum.
nunc tertiam earum quidem facit diuisionem dicens alias esse separabiles, alias
inse- parabiles, posse autem de uno quoque cuius multae sunt dif-
ferentiae, plurimas fieri diuisiones ex ipsa differentiarum natura manifestum
est. nam si omnis diuisio differentiis distribuitur, quorum multae sunt
differentiae, multas etiam diuisiones esse necesse est. fit autem ut animal
diuidatur quidem hoc modo : animalis alia quidem sunt rationabilia, alia
inrationabilia, item alia mortalia, alia inmortalia; item alia pedes habentia,
alia minime; rursus alia herbis uescentia, alia carnibus, alia semi- nibus. ita
nihil mirum uideri debet, si multiplex differentiae est facta partitio. ac
primum quidem cum in ternarium nume- rum differentiae membra secuisset,
communes et proprias et magis proprias nuncupauit. secunda uero diuisio
communes et proprias intra nomen alteratum | facientis inclusit, magis
proprias p. 83 uero intra aliud facientis. haec nero tertia
diuisio, quae ait dif- ferentiarum alias esse separabiles, alias inseparabil
es, 5 Superius... dicens aut eqs.] p. 239, 18. 7 dicens has eqs.| p. 244,
2. 2 perceptibile] ΦΨ perceptibilem cett . ( in
mg . capacem T ) 3 uel] et Γ simium P post
accidens add . est Γ , s. l. Lm2, ras. in E et
om. Ν ΑΣ 4 post se add. est P 5
differentia R 7 dicens in mg. Hm2 8 earum quid
R earundem CN quidem post pr . alias C
9 post post , alias add . uero C 14 animal] in animali
quod H diuiditur H quidem ante
diuidatur Lp, om. brm 15 animalium N edd . quidem
post sunt NP, om. H rationalia alia inrationalia
H 18 item P 20 post secuisset add .
ait HP aut CN et magis—et proprias om. EG
21 nun- cupari H nuncupauerit LPR 22 facientes
CNPm1 propria R proprium Em1GLp.c . 23 facientes
CN qua CLNRm1 unam quidem ex alteratum facientibus
separabilibus differentiis adiungit, ceteras uero intra inseparabilis
differentiae uocabulum claudit. una quidem ex alteratum facientibus. id est
propria differentia, et reliqua quae aliud facere demonstrata est, id est magis
propria, inseparabiles differentiae esse dicuntur. quarum subdiuisio fit.
inseparabilium differentiarum aliae sunt per se, aliae secundum accidens, per
se quidem magis pro- priae, secundum accidens uero propriae. per se autem
aliquid inesse dicitur quod alicuius substantiam informat. si enim idcirco
quaelibet species est, quoniam substantiali differentia constituitur,
illa differentia per se subiecto adest neque per accidens aut per quodlibet
aliud medium, sed sui praesentia speciem quam tuetur informat, ut hominem
rationabilitas. homini enim huiusmodi differentia per se inest, idcirco enim
homo est, quia ei rationabilitas adest; quae si discesserit, species
hominis non manebit. et has quidem quae substanti- ales sunt, inseparabiles
esse nullus ignorat; separari enim a subiecto non poterunt, nisi interempta sit
natura subiecti. secundum accidens nero inseparabiles differentiae sunt hae
quae propriae nuncupantur, ut aquilum esse uel simum; quae idcirco per
accidens nuncupantur, quoniam iam constitutae speciei extrinsecus accidunt
nihil subiecti substantiae commo- dantes. Illae igitur quae per se
sunt, in substantiae 24—p. 251, 14] Porph. p. 9, 14—23 (Boeth. p. 35,
6—17). 1 ex om. EG, in inf. mg. L alteratum
post facientibus R, om. G post facientibus add . id est
communem L (in inf. mg.) P 2 adiungit] ponit La.c .
cetera R ceterasque Lm2 alteram C 3
una ras. ex una C quidem] quidem fit G
quippe HN 4 et om. G, s. l. E 5 inseparabilis
E esse om. G 6 post quarum add .
quidem Lp ita brm post aliae add . enim
EGL 8 inesse aliud ( ex aliquid m2 ) L 11 neque]
non Lm2R, ante neque add . quae Hm2 12
post medium add . quae sunt propria Hm1, del. m2 13
rationalitas H, item 15 15 ei s. l. Hm2 16 quidem
eas (sic) C 17 nullus esse C 18 nisi] ni EG 20
proprie CN aquilum] cf. p. 248, 15 22 accedunt
Hm1N subiecto Hm1 subiectae Lm1N
(-te) 24 Igitur illae C in om . N
ratione accipiuntur et faciunt aliud, illae uero quae secundum accidens,
nec in substantiae ratione dicuntur nec faciunt aliud, sed alteratum. et illae
quidem quae per se sunt, non suscipiunt magis et minus, illae uero quae
per accidens, uel si inse- parabiles sint, intentionem recipiunt et remissi-
onem; nam neque genus magis aut minus praedi- catur de eo cuius fuerit genus,
neque generis dif- ferentiae, secundum quas diuiditur; ipsae enim sunt
quae unius cuiusque rationem complent, esse autem uni cuique unum et idem neque
intentionem neque remissionem suscipiens est, aquilum autem esse uel simum uel
coloratum aliquo modo et intenditur et remittitur. Differentiis
rite partitis earum inter se distantiam monstrat atque unam quidem repetit quam
superius dixit. cum enim tres esse dixisset differentias, communes, proprias,
magis pro- prias, alteratum facere dixit proprias, sicut etiam communes, aliud
minime, sed hoc solis magis propriis reseruauit. nunc igitur idem repetit
dicens quoniam inseparabiles differentiae quae substantiam monstrant, id est
quae per se subiectis speciebus insunt easque perficiunt, aliud faciunt, illae
uero 16. 252, 3 superius] p. 244, 1 ss. 1 rationem GR
h suscipiuntur Lm2 percipiuntur Φ aliud]
illud E illae—suscipiens est (12) ] Ω , om. cett
. 3 dicuntur] accipiuntur Φ (ex 1); Porph. p. 9, 16
λαμβάνονχαι uel παραλαμβάνοντα codd .,
λέγονται Dauid comment. p. 184, 16 alteratum] alterum
W- m1 et om . Γ 4 quidem om . Λ
uero Γ 5 uero quae] quidem Γ si om .
Φ 6 sunt ΔΣΦ brm Busse; Porph. p. 9, 18 v.dv—Jaw
7 aut] Λ Busse et cett. codd. edd. (cf. 4);
Porph. p. 9, 19 ή cod. M m;
cett . 9 ipsae] otuxat Porph. p. 9, 20 10
post rationem add . id est diffinitionem Φ 11
neque—remissionem cum Porph. p. 9, 21 cod. Μ , ooxe ανεσιν οντε
έπίχασιν cett . 12 aquilum] cf. ad p. 248, 15
autem om. P 13 pr . uel] et Γ colorari
Em1 et om. CLR 14 et] uel R 17 esse post
dixisset HNP, ante tres P 18 alteratum—proprias]
proprias alte- ratum facere dixit HNP 19 post
aliud add . uero HNPR, s. l. Lm2 quae sunt propriae, id
est secundum accidens inseparabiles differentiae, neque in substantia insunt
nec aliud faciunt, sed tantum, ut superius dictum est, alteratum. item alia distantia
est earum differentiarum quae secundum substantiam sunt, ab his quae secundum
accidens, quoniam quae substantiam mon- strant, intendi aut remitti non
possunt, quae uero sunt secun- dum accidens, et intentione crescunt et
remissione decrescunt. id autem probatur hoc modo. uni cuique rei esse suum
neque crescere neque deminui potest; nam qui homo est, humanitatis suae nec
crementa potest nec detrimenta suscipere. nam neque ipse a se plus aut
minus hodie uel quolibet alio tempore homo esse potest nec homo rursus ab alio
homine plus homo potest esse uel animal. utrique enim aequaliter animalia,
aequaliter homines esse dicuntur. quodsi uni cuique esse suum nec cremento
ampliari potest nec inminutione decrescere, quod per id facile monstrari
potest, quoniam quae genera sunt uel species, nulla intentione uel remissione
uariantur, non est dubium quin differentiae quoque, quae unius cuiusque speciei
substantiam formant, nec remissionis detrimenta suscipiant nec intentionis
augmenta. itaque substantiales differentiae neque intentionem neque
remissionem suscipiunt. huius causa haec est. quoniam esse uni cuique unum et
idem est, et p. 84 intentionem re|missionemue non suscipit huius
exemplum. genus 2 nec N substantiam N sunt
EN neque edd . 4 est] L (s. l. m2) P edd., om.
cett . sunt om. E 5 secundum accidens quo- niam quae om.
EGP 6 ante intendi add . quae EGP post pos-
sunt add . secundum (s. l. E) accidens EGP
sunt om. CHL 7 in- tentione] intensione Pm2 edd., item 17—p.
253, 6 9 deminui] Pm1 minui L (ex diminui
m2) N diminui cett . quia C 10 decrementa Em1G edd . 11
uel] aut L 12 neque N 13 uterque P aequa-
liter—dicuntur] aequaliter corporales. aequaliter animati. aequaliter ho- mines
esse dicuntur H, eadem uerba loco aequaliter—dicuntur adiungit
sic utrique enim aequaliter eqs. N 15 ampliorari
EGLPm1 17 ante non s. l . et ob hoc Em2 19
informant Pm2 21 suscipient N cuius HNP
22 post unum add . est L 23 remissionemque
N post exemplum add. sit Lm1 edd. (ante
huius distinctio) , est Lm2, s. l. Hm2 enim dici non
potest plus minusue cuilibet genus; omnibus enim genus aequaliter superponitur.
differentiae quoque quae diuidunt genus et informant speciem, quoniam speciei
essentiam complent, nec intentionem recipiunt nec remissionem. quae uero
secundum accidens differentiae sunt inseparabiles, ut aquilum esse uel simum
uel coloratum aliquo modo, et inten- tionem suscipiunt et remissionem. fieri
enim potest ut hic paulo sit nigrior, hic uero amplius simus, ille minus
aquilus, at uero quod non omnes homines aequaliter rationales mor-
talesque sint, nec specierum nec differentiarum natura uidetur admittere.
Cum igitur tres species differentiae consi- derentur et cum hae quidem
sint separabiles, illae uero inseparabiles, et rursus inseparabilium cum
hae quidem sint per se, illae uero per accidens, rursus earum quae sunt per se
differentiarum aliae quidem sunt secundum quas diuidimus ge- nera in species,
aliae uero secundum quas ea quae diuisa sunt specificantur, ut cum per se
differen- tiae omnes huiusmodi sint, animati et inanimati, 12—p.
254, 8] Porph. p. 9, 24-10, 8 (Boeth. p. 35, 18—36, 6). 16 differentiarum—19
specificantur] Abaelardus, Introduct. ad theolog., II p. 94.
1 post cuilibet add . esse L edd . 2 quae
om. GPR, del. Hm1? 3 formant CEGLm1R species
Lm2NP 3 ante quoniam add . quae EGHLPR
essentiam] substantiam N 4 ante quae add.
ill<a>e G 6 aquilum] cf. ad p. 248, 15
colorari EG 8 nigrior sit HNP hic— aquilus] hic uero
minus hic magis acilus ille autem minus hic amplius simus illo uero minus
E amplius simus] amplissimus G, add . sit L aquilus]
ut 6 9 non quod R ut non HNPm1 quoniam non m2
ratio- nabiles ELm2P 12 considerantur Λ m2 ( in er .
-entur) 2 13 haec EG illae—sensibilis (p. 254, 5)
om. CEG 14 et—sensibilis (ibid.) om. HLNP 16
rursus—sensibilis (ibid.) om. R per se sunt Λ2Φ 17
quidem om . Λ2 18 ea] ΓΔΨΨ edd . haec
ΛII2 20 animatum et inanimatum sensibile et insensibile rationale et
inrationale mortale et inmortale h m1 animati—insensibilis] Porph.
p. 10, 4 εμψύχου και αίαβητικου ante sint
add . animalis edd. cum Porph . τοϋ ζώου quattuor
et (20—p. 254, 2) om . 2 sensibilis et insensibilis,
rationalis et inrationalis, mortalis et inmortalis, ea quidem quae est animati
et sensibilis differentia. constitutiua est substan- tiae animalis — est enim
animal substantia ani- mata sensibilis —, ea uero quae est mortalis et
inmortalis differentia et rationalis et inrationalis, diuisiuae sunt animalis
differentiae; per eas enim genera in species diuidimus. Fit nunc
differentiarum plena et suprema diuisio, quae est huiusmodi. differentiarum
aliae sunt separabiles, aliae inse- parabiles, inseparabilium aliae sunt
secundum accidens, aliae substantiales. substantialium aliae sunt diuisibiles
generis, aliae coustitutiuae specierum. quod uero ait : cum igitur tres species
differentiae considerentur, ad hoc retulit, quod in prima differentiarum
diuisione partim eas communes esse, partim proprias, partim magis
proprias dixit, quas rursus tres differentias alias separabiles esse
monstrauit, alias inseparabiles, separabiles quidem communes, inseparabiles
uero proprias ac magis proprias. inseparabilium uero fecit diuisionem dicens
alias esse secundum accidens, quae propriae nuncupantur, magis proprias
uero secundum substantiam considerari. earum uero quae secundum substantiam
sunt, subdiuisionem facit, quod 3 constituta T m1 4
post animata add . et ΓΛ Busse, om . ΔΠΣΦΨ
Porph. (p. 10, 6) edd . 5 ea] he ex e Rm2 est]
sunt R 6 diffe- rentia om . CEGPR et om
. CLR \\ rationabilis et inrationabilis (rac- et irrac-
P ) Lm2P 7 diuisi Em1 diuisae GPm1
has HP; Porph. p. 10, 8 St’ αΰτών 8 genera in] L
(s. l. m2) ΓΔΠ . (in mg. m2) Ψ
Porph., om. cett . 11 post inseparabilium add.
uero C 12 generis om. EGR, in mg. Lm2 15
post esse add . dixit HNP dicit R 16
dixit om. HPR, s. l. Em2 rursum H 17 alias insepa-
rabiles esse (esse om. N ) monstrauit HNP 18 ac] et
HN 20 acci- dens] se EG(er.), s. l. Pm2, add . substantiam
Em1 alias (alia E ) se- cundum substantiam considerari G
edd., in mg. Em2, s. l . alias secun- dum Pm2, post
considerari add . et illas esse secundum accidens edd.
quae—considerari om. E post quae s. l . uero secundum
accidens Pm2 propria C proprias Pm2
nuncupari Pm2 21 eorum (sic) uero quae secundum
substantiam s. l. add. Em2 22 post quae
add. et C aliae earum genus diuidant, aliae speciem
informent. ad cuius rei facilem cognitionem illa tertii libri specierum
generumque dispositio transcribatur. sitque primum substantia, sub hac
corporeum atque incorporeum, sub corporeo animatum atque inanimatum, sub
animato sensibile atque insensibile, sub quo animal, sub animali rationale
atque inrationale, sub rationali mor- tale atque inmortale et sub mortali
species hominis, quae solis deinceps indiuiduis praeponatur. in hac igitur
diuisione omnes hae differentiae specificae nuncupantur, generum enim
specierum- que differentiae sunt, sed generum quidem diuisiuae, specierum
autem constitutiuae. id autem probatur hoc modo. substantiam quippe corporei
atque incorporei differentiae partiuntur, cor- poreum uero animati atque
inanimati, animatum sensibilis atque insensibilis. ita igitur genera
substantiales differentiae partiuntur et dicuntur generum diuisiuae. at
uero si eaedem differentiae quae a genere descendentes genus diuidunt, colli-
gantur et in unum quae possunt iungi copulentur, species informatur. nam cum
animal species sit substantiae — omnia enim superiora de inferioribus
praedicantur et quicquid inferius fuerit, species erit etiam superioris
—, animatum tamen atque 2 illa tertii libri.. dispositio] p. 208, 12 ss.
1 diuidunt N diuident R informant CNR, add .
atque construant H atque constituunt (-ant ex
-ent P ) NP, s. l. Lm2 (ex p. 256, 3) at
E 2 facilitatem G cognitionem om. EG illa
s. l. Hm2 3 trans- feratur Hm1N; post transcribatur spatium
ad inscribendam figuram ut uid. relictum in EG sub] ubi E
hoc Em1GLm1R 4 atque incorporeum in mg. Em2 sub
corporeo om. GR, in mg Em2, s. l. Lm2 6 animal sub om.
E sub animali om. GR 6 rationabile E 7 et
om. HN, del. Em2 12 patiuntur Em1G corporeum—partiun-
tur (15) om. Em1, in mg . corporeum ( ex corpore m3
)—inanimati (ani- matum autem s. l. add. m3 ) sensibilis—partiuntur
add. m2 13 ani- matum om. G, post add . autem Em3
enim Lm1, del. m2 , et er. N 14 post
insensibilis add . partiuntur CL substantialis Gm1Pm2
15 si del. Lm2, post si del . et R heaedem
P (dem er .) R (h del .) hae HN 16
quae post descendentes L 17 in ex al. litt. Em2 18
informantur EHN informant part. ras. ex informatur
Lm2 fit E sensibile quae sunt differentiae, si
referantur ad genera, diui- siuae sunt, constitutiuae uero fiunt animalis
eiusque sub- stantiam formant atque constituunt definitionemque conformant, ut
sit animal substantia animata sensibilis, substantia quidem genus, animatum uero
atque sensibile eiusdem differentiae consti- p. 85 tutiuae. | item
animal rationabilitas atque inrationabilitas diuidit, mortali etiam atque
inmortali diuiditur, sed iuncta rationabilitas atque mortalitas, quae animalis
diuisiuae fuerant, fiunt homi- nis constitutiuae eiusque perficiunt speciem
atque omnem eius rationem definitionis informant atque perficiunt. at si
inrationabilitas cum mortalitate iungatur, fiet equus aut quod- libet animal,
quod ratione non utitur, rationabilitas uero atque inmortalitas copulatae del
substantiam informant. ita eaedem differentiae cum referuntur ad genera,
diuisiuae generum fiunt, si uero ad inferiores species considerentur, informant
species earumque substantiam conuenienti copulatione constituunt. In hoc
quaesitum est, quemadmodum dicerentur esse hae diffe- 1 post
sunt add . eiusdem P (s. l. m2) edd . diuisiua Em1G
2 post sunt s. l . si ad speciem Lm2Pm2
uero om. N, del. Pm1?, s. l. Hm2Rm2 fiunt s. l. Rm2 3
definitionemque] diuisionemque EG formant Hm1 4 quidem]
uero N 5 ante genus add. eiusdem CN , post add .
est s. l. LPm2 ante differentiae add . generis GP, post
add . diuisiuae R post constitutiuae add . animalis R,
s. l . speciei animalis Lm2 6 rationabilitas—diuiditur]
P rationalitas atque inrationalitas diuidit mortalitas ( ex
inmortali m2 ) etiam atque inmortalitas ( ex inmor- tali m2 )
diuidit ** · H rationabilitas atque irrationabilitas mortale atque
inmortale diuidit C rationale atque inrationale (diuidunt
add. N ) mortale atque (et N ) inmortale diuidit (diuidit om. N
) NR inrationabile (inratio- nale L ) atque inmortale
diuiditur EGLm1, in mg. ante atque add . irracionale. mortale
etiam atque m2 rationabilitas atque irrationabilitas, mortalitas
atque immortalitas diuidit brm 7 rationalitas E 8
diuisiua Em1GLm1R 9 constitutiua GLm1R eiusque]
hominisque HNP nominis (del. Lm2) eiusque
EGL 10 atque perficiunt s. l. Rm2 11 irrationalitas
EP mortali Lm2Pm1 fiat G aut] atque L
12 rationalitas HP 13 inmortalitas] inrationabilitas R
dei om. G , post substantiam E (s. l. m2) L
formant HN item HL 14 di- uisae E 17
esse om. C eae EGR heae P rentiae
specierum constitutiuae, cum inrationabilis differentia atque inmortalis nullam
speciem uideantur efficere. respondemus primum quidem placere Aristoteli
caelestia corpora animata non esse; quod uero animatum non sit, animal esse non
posse; 5 quod uero non sit animal, nec rationale esse concedi. sed eadem
corpora propter simplicitatem et perpetuitatem motus aeterna esse confirmat.
est igitur aliquid quod ex duabus his diffe- rentiis conficiatur, inrationabili
scilicet atque inmortali. quodsi magis cedendum Platoni est et caelestia
corpora animata esse credendum, nullum quidem his differentiis potest
esse subiectum — quicquid enim inrationabile est corruptioni sub- iacens et
generationi, inmortale esse non poterit —, sed tamen hae differentiae, quoniam
substantialium differentiarum in numero sunt, si iungi ullo modo potuissent, earum
naturam et speciem quoque possent efficere. atque ut intellegatur, quae
sit haec potentia efficiendae substantiae specieique formandae, respiciamus ad
proprias atque communes, quae tametsi iun- gantur, speciem substantiam que
nulla ratione constituunt. si quis enim loquatur ambulans, quae sunt duae
communes dif- ferentiae, uel si albus ac longus, num idcirco isdem eius
sub- stantia constituitur? minime. cur? quia non eiusdem sunt generis, quae
alicuius possint constituere et conformare sub- 3—7 Aristoteli] cf. De
caelo II 12, p. 292 a , 18 ss.; ed. Didot IV part. II p. 38 a , frg. 24 (Cic.
de nat. deor. II 15, 42 cum locis ab Heitzio adlatis). 9 Platoni] Tim. p. 38 E.
39 E ss.; cf. supra p. 209, 2. 1 species G inrationalis
CEGP differentiae E 5 concedit Lm1N 7 est]
esse CN, ad est s. l . ał esset L aliud
G 8 con- ficeretur H, s. l. ( add . ał) ad
conficiatur L irrationali Lm2P 9 ac- cedendum
CN (ac er .) H (ac in ras. m2 ),
concedendum edd . est platoni CN et om. C 10
credendum om. CN 11 inrationale (irr- P ) HP 13
ante substantialium add . in CHN, post diff. om.
CHNR 16 efficientiae G 17 tametsi] etsi C etiam
(si er. H ) etsi H ( in mg . ł tametsi m2 )
NP 19 loquitur HN 20 sit H num ex
non Rm2 isdem] NP eisdem (ei in ras. m2 ) L
hisdem cett., post s. l . differentiis add. Em2 21
ante cur add . id HNP, s. l. Lm2 eius EG
sunt ante eiusdem N, post generis L 22
possunt NP con- firmare Em1GRm1 stantiam. ita
igitur hae, id est inrationale atque inmortale, etiamsi subiectum aliquod
habere non possunt, possent tamen substantiam efficere, si ullo modo iungi
copularique potuissent, praeterea inrationale iunctum cum mortali substantiam
pecudis facit : est igitur constitutiua inrationalis differentia, item
inmor- tale ac rationale coniuncta efficiunt deum : est igitur inmortale
quod speciem formet, quodsi inter se iungi nequeunt, non idcirco quod in natura
earum est, abrogatur. Sed hae quidem quae diuisiuae sunt
differentiae generum, completiuae fiunt et constitutiuae speci- erum;
diuiditur enim animal rationali et inrationali differentia et rursus mortali et
inmortali differentia, sed ea quae est rationalis differentia et mortalis, con-
stitutiuae fiunt hominis, rationalis uero et inmor- talis del, illae uero quae
sunt inrationalis et mor- talis, inrationabilium animalium, sic etiam et
supremae substantiae cum diuisiua sit animati et inanimati dif- ferentia et
sensibilis et insensibilis, animata et sen- sibilis congregatae ad substantiam
animal perfecerunt. 9—19] Porph. p. 10, 9—17 (Boeth. p. 36,
7—15). 2 aliquod om. C aliquid LP
possunt—substantiam] possent tamen substantiam possent C 4
mortale EGPm1 5 irrationabilis NP ita R 6
coniunctae HN 8 eorum edd . 9 haec CL heae
P 10 generum om. EG fiant Cm1Em1G sunt
Σ 11 diuiditur—insensibilis (18) ] 2 , om. cett .
12 pr . et—differentia om. 2 , add. X
m2 13 ea... differentia] Porph. p. 10, 12 ai... διαοοραί
rationalis.. mortalis cum cod . M Porph., cett . τοΰ 6-νητοδ
καί τού λογικού 14 fiunt] definiunt Δ m1 ΙΛΣ hominem Δ
m1 ΑΣ 15 dni in ras. 2 , add . sunt et angeli Δ ,
sed del., ante dei add. angeli et Π m2 , sed
del.; codd. Porph. p. 10,13 aut θεού aut
άγγέλοο quae sunt add . X m2 post
mortalis add . constitutiuae sunt Γ 16 inratio- nalium
X m2 \ m1 , add . sunt Φ etiam] enim Φ supremae
substan- tiae] T m2 (suae substantiae m1 ) X m 2
(superna substantia m1 ) suprema substantia cett. codd. edd. Busse;
cf. Porph. p. 36, 12 et infra p. 259, 23 18 animatum EGR
sensibile E (le in ras .) R 19 congregata
ER perficerent G perficiunt in ras . 2 post
perfecerunt add . animata uero et insensibilis perfecerunt plantam
edd. cum Porph. p. 10, 17, om . Boethius etiam in commentario
Geminum differentiarum usum esse demonstrat, unum qui- dem quo genera
diuiduntur, alium uero quo species infor- mantur; neque enim hoc solum
differentiae faciunt, ut genera partiantur, uerum etiam dum genera diuidunt, species
in quas genera deducuntur efficiunt, itaque quae diuisiuae sunt gene-
rum, fiunt constitutiuae specierum, huiusque rei illud exemplum est quod ipse
subiecit; animalis quippe differentiae sunt diui- siuae rationale atque
inrationale, mortale atque inmortale; his enim praedicatio diuiditur animalis,
omne enim quod animal est, aut rationale aut inrationale aut mortale aut
inmortale est. sed istae differentiae quae diuidunt genus quod est animal,
speciei substantiam formamqne constituunt, nam cum sit homo animal, efficitur
rationali mortalique differentiis, quae dudum animal partiebantur, item cum sit
equus animal, inrationali mortalique differentiis constitui|tur, quae
dudum animal diui- p. 86 debant. deus autem cum sit animal, ut de
sole dicamus, ratio- nali inmortalique efficitur differentiis, quas diuidere
genus habita partitio paulo ante monstrauit. sed hic, ut diximus, deum
corporeum intellegi oportet, ut solem et caelum ceteraque huiusmodi, quae
cum animata et rationabilia Plato esse con- firmat, tum in deorum uocabulum
antiquitatis ueneratione probantur assumpta, de primo quoque genere, id est
substantia demonstrantur uenire. nam cum eius diuisiuae sint differentiae
18 ut diximus] p. 208, 22 ss. 20 Plato] cf. p. 257, 9. 2 aliud
EHm1Rm2 alio m1 uero om. R 4 partiuntur
GPm1 diuidendo N 5 deducantur HN dicuntur
R diuiduntur C (uid in er . duc? m2 ) diuisae
Em1Gm2HR 6 huius C rei om. EGR s. l. Lm2 7 ipse] ille
R diuisae Em1Gm2 8 mortale atque inmortale om. EGR, in
mg. Lm2 9 quod animal est] animal HNR 10 pr . aut
om. R post rationale add . est HN 11 est om.
HR quod] hoc C 13 post efficitur add. ab
his EPm1, del. m2, s. l. Lm2 post differentiis add .
constituitur Cm1, del. m2 14 partiebantur] diuidebant Lm1R 15
diuidebant] parciebantur R 16 ut] si CH, in ros. N, recte?;
cf.p. 208, 22 20 confirmet C (et in ras. m2 )
HLm2N 22 substantiam Em1 23 demonstrantur] idem
monstratur HN idem (super ras. Cm2, s. l. Pm2)
demonstrantur Cm1Pm1, alt . n del. Cm2Pm2 euenire
HNPm2, add. s. l . differentiae Lm2 diuisae Em1Pm1
sunt EHm1 animatum atque inanimatum, sensibile atque
insensibile, iunctae differentiae sensibilis atque animati efficiunt substantiam
ani- matam atque sensibilem, quod est animal, iure igitur dictum est, quae
diuisiuae sunt differentiae generum, easdem esse con- stitutiuas
specierum. Quoniam ergo eaedem aliquo modo quidem accep- tae fiunt
constitutiuae, aliquo modo autem diuisiuae, specificae omnes uocantur. et his
maxime opus est ad diuisiones generum et definitiones, sed non his quae
secundum accidens inseparabiles sunt, nec magis his quae sunt
separabiles. Omnes a genere differentias procedentes genus ipsum a quo
procedunt, diuidere nullus ignorat, ipsae autem quae diuidunt genus, si ad
posteriores species applicentur, informant substantias easque perficiunt,
eaedem igitur sunt constitutiuae specierum, eaedem diuisibiles generum,
alio tamen modo atque alio consideratae, ut si ad genus relatae quidem in
contrariam diuisionem spectentur, diuisibiles generis inueniuntur, si uero
iunctae aliquid efficere possint, specierum constitutiuae sunt, quae cum ita
sint, hae differentiae quae genus diuidunt, rectis- sime diuisiuae
nominantur - quae enim constituunt speciem, specificae sunt, sed constituunt
speciem hae differentiae quae 6—11] Porph. p. 10, 18—21 (Boeth. p. 36,
15—19). 4 post constitutiuas add . et
completiuas C completinasque HNP (ex p.
258,10) 6 ergo] igitur P needem uel heedem
hic et 15. 16. p. 261, 1 codd. quidam alio P ( ras. ex
aliquo,) Γ (o in ras .) quidem] ΓΔΛΙIΨ , om.
cett.; Porph. p. 10, 18 μεν 7 aliquo—inseparabiles sunt
(10) ] Ω , om. cett . alio ras. ex aliquo ut uid
. Γ autem modo Φ autem add . 5 m2 10
sunt inseparabiles Γ his om . Γ 12 post
Omnes add . enim R 13 quo] quibus EGR
procedent Em1 15 post sub- stantias s. l .
earum L eas substantiasque (quae N ) HNR sunt
igitur HL 16 post eaedem add . sunt
LR 19 sint CHPRm1 21 diui- siuae] specificae Lm2
nominantur] nuncupantur HΡΝ enim om. C post
speciem add . eaedem speciem faciunt, quae uero speciem faciunt
CHN sunt generis diuisiuae - eaedemque sunt specierum constitu-
tiuae. quare iure quae generum diuisiuae sunt et quae spe- cierum
constitutiuae, specificae nuncupantur, has igitur in diuisione generis et in
definitione specierum accipi oportere manifestum est. quoniam enim
diuisiuae sunt, per eas diuidi oportet genus, quoniam autem constitutiuae, per
eas species definiri; quibus enim unum quodque constituitur, isdem etiam
definitur, constituitur autem species per differentias generis diuisiuas, quae
sunt specificae, iure igitur specificae solae et in generis diuisione et
in specierum definitione ponuntur, et de specificis quidem haec ratio est, de
his autem quae uel separabilia uel inseparabilia continent accidentia, nihil in
generum diuisione uel definitione specierum poterit assumi, idcirco quoniam
quae diuisibiles sunt, substantiam generis diuidunt, et quae constitutiuae
sunt, substantiam speciei con- stituunt. quae uero sunt inseparabilia
accidentia, nullius sub- stantiam informant, unde fit ut multo minus
separabilia acci- dentia ad diuisiones generum uel specierum definitiones
accommodentur; omnino enim dissimiles sunt substantialibus differentiis,
nam inseparabilia accidentia hoc fortasse habent commune cum specificis, hoc
est substantialibus differentiis, quod aeque subiectum non relinquunt, sicut
nec specificae differentiae, separabilia autem accidentia ne hoc quidem; sepa-
1 diuisae Gm1 eaedemque] H (hee-) NP
eaedem C igitur eaedem (eaedem s. l. Lm2 ) quae (que E
) sunt EGLR constitutiuae specie- rum C 2
quare—constitutiuae om. EGLR quare iure] iure igitur P
4 diuisionem HLm2P et] uel R definitionem (uel
diff-) HL ( s. l . ał constitutione] P diuisione
Em1 6 eius Em1 7 post definiri add .
oportet CN, s. l . (scil. add. E ) EL quibus—definitur
om. EGLR, in mg. Pm2 hisdem CHN 9 solae s. l. Em2
10 post , in om. HN 12 continent] concedunt EG, s. l .
uel faciunt Gm1? 13 post uel add . in
L 16 sub- stantiam] HN, om. Em1 , speciem CGLm1R (post
informant) s. l. Em2 , speciei substantiam Lm2P edd . 17 formant
H multo om. C 18 ad diuisiones—accidentia (20) in inf.
mg. Gm2 definitiones] diuisiones Em1G 19 ante
substantialibus add . a HN, recte? 22 ante quod
add. id H (linea del., sed linea er. uid.) N ad quod
aeque s. l. ał quod hae similiter L sic G
(ut er .) L (ut del. m2) 23 ne] nec LN rari
enim possunt, nec tantum potestate et mentis ratiocinatione, sed actus etiam
praesentia, et omnino ueniendi uel discedendi uarietatibus permutantur.
Quas etiam determinantes dicunt : differentia est qua abundat species a
genere, homo enim ab animali plus habet rationale et mortale : animal
enim neque ipsum nihil horum est nam unde habebunt species differentias? neque
enim omnes oppositas habet - nam in eodem simul habebunt opposita —. sed,
quemadmodum probant, potestate quidem omnes habet sub se differentias,
actu uero nullam, ac sic neque ex his quae non sunt, aliquid fit neque opposita
circa idem sunt. Specificas differentias definitione concludit
dicens substan- p. 87 tiales differentias a quibusdam tali
descriptionis ratione finiri : differentia specifica est qua abundat
species a genere, sit enim genus animal, species homo : habet igitur homo dif-
ferentias in se, quae eum constituunt, rationale atque mortale; omnis enim
species constitutiuas formae suae differentias in se retinet nec praeter illas
esse potest, quarum congregatione perfecta est. si igitur animal quidem
solum genus est, homo uero est animal rationale mortale, plus habet homo ab
animali id quod rationale est atque mortale, quo igitur abundat species
4—13] Porph. p. 10, 22—11, 6 (Boeth. p. 36, 20—37, 5). 1 nec]
non brm 4 Quae h m1 dicuntur A m1 est
add . \ m2 5 que Em1 quae Ga.c . abundant
(ha- G ) Em1G a om. N ho- mo—-nullam (11) ]
R Q , om. cett . ab om . ΓΦ 6 enim] enim tamen
R autem A 7 horum nihil Γ 8 enim om .
Φ , add . & m2 , autem er . T : Porph.
p. 11, 3 ούτε ίί ; enim pro autem; cf. ad p. 16,
15; an autem ( cf. T ) Boethius scripsit ?
opposita R habet] habent cett . codd. et
edd . 9 nam] nec R habebit Φ ( post opposita),
non habe- bunt Δ 11 habet] P p.c . Φ*Γ
habent cett . ac sic om. N sic ex si
Em2G 12 hiis Φ sint Sa.c . opposita] ex oppositis
quae R h m1 13 circa idem sunt] Porph. p. 11, 6
&pa περί τό αΰτο εσται 15 diffiniri Pm2R 19
constitutiuae Em1GLp.c.Rm1 in se om. C 22 est
uero E 23 id] id est EGP a genere, id est quo
superat genus et quo plus habet a genere, hoc est specifica differentia, sed
huic definitioni quae- dam quaestio uidetur occurrere habens principium ex
duabus per se propositionibus notis, una quidem, quoniam duo con- traria
in eodem esse non possunt, alia uero, quoniam ex nihilo nihil fit. nam neque
contraria pati sese possunt, ut in eodem simul sint, nec aliquid ex nihilo
fieri potest; omne enim quod fit, habet aliquid unde effici possit atque
formari, quae pro- positiones talem faciunt quaestionem, dictum est
differentiam esse id qua plus haberet species a genere, quid igitur?
dicen- dum est genus eas differentias quas habent species, non habere? et unde
habebit species differentias quas genus non habet? nisi enim sit unde ueniant,
differentiae in speciem uenire non possunt, quodsi genus quidem has
differentias non habet, species autem habet, uidentur ex nihilo
differentiae in speciem conuenisse et factum esse aliquid ex nihilo, quod fieri
non posse superius dicta propositio monstrauit. quod si differentias omnes
genus continet, differentiae autem in contraria dissol- uuntur, fiet ut
rationabilitatem atque inrationabilitatem, mor- talitatem atque inmortalitatem
simul habeat animal, quod est genus, et erunt in eodem bina contraria, quod
fieri non potest, neque enim sicut in corpore solet esse alia pars alba, alia
nigra, ita fieri in genere potest; genus enim per se conside- ratum partes non
habet, nisi ad species referatur, quicquid igitur habet, non partibus,
sed tota sui magnitudine retinebit, nec illud dubium est, quin in partibus suis
genus habeat 1 post , quo] quod Em1 (quid m2
) GHm1R a om. H 2 hoc—dif- ferentia om. C
huic] hunc Em1N 4 per se ante notis brm
unam GHa.r. 5 aliam C (sic) Ha.r. post quoniam
add . quidem C 6 sit C nec N 10 id
om. R qua] quod GHLm1P; cf. p. 270, 12 dicen- dumne
Lm2 11 genus ante non habere HNP habent]
habet Lm2 12 habet] habebit CEGLm1, in mg. Rm2 (om. m1)
13 ueniunt R 15 uidetur GLm1P differentia
EGL ( ex -tiasj P 16 esse] est CLP aliquando
Em1 18 contrarium HLm2NPm1 contrario R 19
mortali- tatem atque inmortalitatem] CNP, s. l. Lm2, om. cett . 22
esse post alba N, post alia P 25
detinebit N 26 in] HNP, s. l. Lm2, om. cett .
contrarietates, ut animal in homine rationabilitatem, in boue contrarium.
sed nunc non de speciebus quaerimus, de quibus constat, sed an ipsum per se
genus eas differentias quas habent species, habere possit atque intra suae
substantiae ambitum continere, hanc igitur quaestionem tali ratione dis-
soluimus. potest quaelibet illa res id quod est non esse, sed alio modo esse,
alio uero non esse, ut Socrates cum stat, et sedet et non sedet, sedet quidem
potestate, actu uero non sedet. cum enim stat, manifestum est eum non agere
sessi- onem, sed potius standi inmobilitatem. sed rursus cum stat, sedet,
non quia iam sedet, sed quia sedere potest; ita actu quidem non sedet,
potestate uero sedet. et ouum animal est et non est animal. non est quidem
animal actu, adhuc namque ouum est nec ad animalis processit uiuificationem,
sed idem tamen est animal potestate, quia potest effici animal, cum
formam ac spiritum uiuificationis acceperit. ita igitur genus et habet has
differentias et non habet, non habet quidem actu, sed habet potestate. si enim
ipsum per se animal consideretur, differentias non habebit, si autem ad species
reducatur, habere potest, sed distributim atque ut eius speciebus separarim
nihil possit euenire contrarium. ita ipsum genus si per se consi-
1 post homine s. l . habet E, post
rationabilitatem Lm2 2 nunc om. EGR, s. l. Lm2 4 suae
intra C 6 quaelibet illa res] HLm2NPm1 quaelibet
res ( res s. l. E) CEPm2 quidlibet Lm1R quodlibet
G 7 alio uero non esse om. Hm1, s. l . alio non esse m2
8 secund . sedet om. CEGR 9 enim om. CEGLPm1 (s. l .
autem m2) R sessione G 10 mobilita- tem
CEGLm1P mobilitate N cum stat in constat
mut . ERm2 13 actu om. EG 14 neque CL
ad om. E animal G animalis quidem L 16
spiritum] speciem CHR genus et] ELm2NP et genus
et H genus CGLm1R 17 non habet quidem—potestate] habet
quidem potestate sed non habet ( habet om. C) actu
CEm2P habet quidem actu sed non habet potestate Em1G 18
consideretur] quis (s. l.) consideret E 19 autem]
enim R reducat E 20 distributim] HLm2PRm2
distri- butum CN distribute EGLm1 distributam Rm1
atque—contrarium] atque in species separatum ( separatim H)
ut nihil possit esse ( euenire H) contrarium CHN, add.
locum atque ut eius—contrarium C nihil] et nihil G 21
si ipsum genus HN deretur, differentiis caret; quod si ad
species referatur, per distributas species uel in partibus suis contraria
retinebit, atque ita nec ex nihilo uenerunt differentiae quas genus retinet
potestate nec utraque contraria in eodem sunt, cum contrarias
differentias in eo quod dicitur genus, actu non habet, inpos- sibilitas enim
eius propositionis quae dicit contraria in eodem esse non posse, in eo
consistit quod contraria actu in eodem esse non possunt, nam potestate et non
actu duo contraria in eodem esse nihil impedit, quae uero nos contraria
diximus, Porphyrius opposita nuncupauit. est enim genus contrarii
oppositum : omnia enim contraria, si sibimet ipsis considerantur, opposita
sunt. Definiunt autem eam et hoc modo : differentia est quod de
pluribus et differentibus specie in eo quod quale sit praedicatur;
rationale enim et mortale de homine | praedicatum in eo quod quale quiddam est
p. 88 homo dicitur, sed non in eo quod quid est. quid est enim homo
interrogatis nobis conueniens est dicere animal, quale autem animal inquisiti,
quoniam ratio- nale et mortale est, conuenienter adsignabimus.
Tres sunt interrogationes ad quas genus, species, differentia, proprium
atque accidens respondetur, haec autem sunt : quid 13—20] Porph. p. 11,
7—12 (Boeth. p. 37, 6-12). 1 species] differentias H 2
uel om. Lm1 uelut HLm2 sin eo] id HN
quot E 7 actu ante contraria H, post eodem
CLN in eodem esse—in eodem om. EG 8 post non
possunt add . quantum ad genus potestate solum, quantum ad species actu
et potestate Rm2 9 nil L contraria nos C 11
si om. HN, s. l. Cm2 si in semet Lm2P
considerentur CLm2 12 sunt om. HN 13 autem om.
H enim C et om. CEGHNP 2 , ante eam 4
; Porph. p. 11, 7 xo; όντως 14 quae EP
de om. C et om. CEGLIR; Porph. xat ; cf.
infra p. 267, 1 15 ra- tionale—animal (19) ] R Q , om.
cett . 16 praedicatur T a.c. m1 quid- dam om.
ΓΦ 18 homo om. R ΔΦ , s. l . scil, homo \ m2 ;
Porph. p. 11, 10 6 άνθρωπος 19 post post ,
animal add . sit C, ante EG inquisiti] Porph. p. 11,
11 πυνθανομενων 20 et om. CEGLR; Porph. p. 11, 12
xac est om. HNR, s. l . 2 m2 assignauimus E
assignamus G 22 hae Hp.r.LR edd . heede m P
sit, quale sit, quomodo se habeat, nam si quis interroget : quid est
Socrates? responderi per genus ac speciem conuenit aut animal aut homo, si quis
quomodo se habeat Socrates interroget, iure accidens respondebitur, id est aut
sedet aut legit aut cetera, si quis uero qualis sit Socrates interroget,
aut differentia aut proprium aut accidens respondebitur, id est uel rationalis
uel risibilis uel caluus. sed in proprio quidem illa est obseruatio, quod illud
proprium dici potest quod de una specie praedicatur, accidens uero tale est
quod qualitatem designet quae non substantiam significet, differentia uero
talis est quae substantiam demonstret, interrogati igitur qualis una
quaeque res sit, si uolumus reddere substantiae qualitatem, differentiam
praedicamus, quae differentia numquam de una tantum specie praedicatur, ut
mortale uel rationale, sed de pluribus, quod igitur de pluribus speciebus inter
se differen- tibus praedicatur ad eam interrogationem, quae quale sit id
de quo quaeritur interrogat, ea est differentia cuius talem posuit definitionem
: differentia est quod de pluribus 1 se om. G, s. l. E
habet CEGLR 2 per om. H ac N 3 pr .
aut] ut CHm1N post , aut] ut Hm1N habet R, post habeat
del . se habet G 4 iure—legit] differentia aut legit G
aut differentiam * ut (a er.) legit E differentia respondetur
(respondetur etiam R ) id est aut sedet aut legit Lm1 5 aut]
et HLm1NP quale H 6 proprio aut accidenti
EGR respondebitur] CLm2P respondebit EGR
respondetur HLm1N 7 pr . uel om. LN uel risibilis
uel caluus] Lm1 edd . uel mortalis uel caluus CHLmSN uel
mortalis uel alicuius EGR uel mor- talis uel saluus uel
caluus Pm1 uel mortalis uel risibilis uel caluus m2 10 quae
non—demonstret] Differentia uero talis est (haec om. L) quae
(que ELm1 atque m2 ) non substantiam significet (-cat
Lm1, add. m1 Differentia uero talis est quae substantiam significat,
del. m2 ). Differentia uero talis est quae (non add., sed del. E )
substantiam demonstret (at Lm1 ) EGL post significet in
mg. Proprium uero est quod non sub- standam significat H 11
quae] quia R demonstrat CLm1 inter- roganti R
( ex -tis] quale R 12 constantiae G 13 numquam]
non C tantum de una C 14 sed om. EG, s. l.
Lm2 15 quod] quod- si R 16 ad praedicatur
in mg . respondetur E 18 pluribus—differen- tibus] cf. p.
265, 14 specie differentibus in eo quod quale sit praltdicatur;
cuius definitionis causam rationemque pertractans ait; Rebus enim
ex materia et forma constantibus uel ad similitudinem rtfateriae et formae
constituti- onem habentibus, quemadmodum statua ex materia est aeris,
forma autem figura, sic et homo communis et specialis ex materia quidem
similiter consistit genere, ex forma autem differentia, totum autem hoc animal
rationale mortale homo est, quemadmodum illic statua. Dixit
superius differentias esse quae in qualitate speciei praedicarentur, nunc autem
causas exequitur, cur speciei qua- litas differentia sit. omnes, inquit, res
uel ex materia formaque consistunt uel ad similitudinem materiae atque formae
sub- stantiam sortiuntur, ex materia quidem formaque subsistunt
3—10] Porph. p. 11, 12—17 (Boeth. p. 37, 12-17). 1 post
quale add . quid Lm2(in ras.) E (sed er.) Rm1, del. m2, add .
quid post sit s. l. Hm2 4 post
similitudinem add . proportionemque LNRQ ( in mg . nempe
communionem Γ ); om. Porph. p. 11, 13 et) ac ΓΔΙΙΨ- ,
om . L Α2Φ formae] A m2 HI!1- speciei CEGHNPR h
m1 specieique L Λ2Φ formae speciei er. uid . Γ ;
cf. Porph. et infra 13 ss . 5 quem- admodum—differentia (8) ] LR Q
, om. cett. post materia add . quidem edd., recte ut
uid.; Porph. p. 11, 14 μέν 6 aeris] et (s. l. m2)
aere (in ras. m2) Ψ forma] ex ( in al. litt.
xV m2 ) forma L xV brm Busse; Porph .
εΐϊοος post figura haec Proportionale autem (enim Φ ) dicitur (est
Σ ) quod proportionem omnium specierum teneat (tenet Σ ) id est
communionem omnium partium uel (et T ) specierum quae diuidi (diui- dendo
Rhm1 diuidendae Th m2 \l m1 2'l> ) ex ea (eo ΣΣ ) contingunt
(con- tingant R ) per (del. Σ ) differentiam figuras ΓΠ
m2 diffe- rentiam figuras \ ) add . LR T m1 h m1 ΑΠΣΦ ,
om . Ψ , del . T m2 \ m2 7 simi- liter]
Busse similiter proportionaliter LR ll m1 similiter
proportionaliterquc ΓΔΙ m2 Φ'Ρρ proportionaliter 2 brm; cf.
Porph. p. 11, 15 8 ante genere add . in Γ m2 (ex
m1 ) L Σ toto Ga.c . 9 ratione E ante
mortale add . et CEGHLPR, om . N Q cum Porph. p.
11, 16 homo est om. N , ex homine Δ m2 11
differentiam HN 12 praedicaretur HN causis Em1
post cur add . autem Hm1, del. m2 qualitas
speciei H 13 omnis ELm2N uel om. EGR 14
consistit Ea.c.HLm2 subsistit N 15 sortitur
HLm2N ex om. CEGR formaque] et forma P
omnia quaecumque sunt corporalia; nisi enim sit subiectum corpus quod
suscipiat formam, nihil omnino esse potest, si enim lapides non fuissent, muri
parietesque non essent, si lignum non fuisset, omnino nec mensa quidem, quae ex
ligni materia est, esse potuisset, igitur supposita materia ac prae-
iacente cum in ipsam figura superuenerit, fit quaelibet illa res corporea ex
materia formaque subsistens, ut Achillis statua ex aeris materia et ipsius
Achillis figura perficitur, atque ea quidem quae corporea sunt, manifestum est
ex materia for- maque subsistere, ea uero quae sunt incorporalia, ad
simili- tudinem materiae atque formae habent suppositas priores
antiquioresque naturas, super quas differentiae uenientes effi- ciunt aliquid
quod eodem modo sicut corpus tamquam ex materia ac figura consistere uideatur,
ut in genere ac specie additis generi differentiis species effecta est. ut
igitur est in Achillis statua aes quidem materia, forma uero Achillis
qua- litas et quaedam figura, ex quibus efficitur Achillis statua, quae
subiecta sensibus capitur, ita etiam in specie, quod est homo, materia quidem
eius genus est, quod est animal, cui superueniens qualitas rationalis animal
rationale, id est speciem fecit, igitur speciei materia quaedam est
genus, forma uero et quasi qualitas differentia, quod est igitur in statua aes,
hoc est in specie genus, quod in statua figura conformans, id in specie
differentia, quod in statua ipsa statua, quae ex aere 2 potest]
putem G putemus R 4 nec om. Gm1 ne
EGm2L 5 ma- teria est] fit materia HNP ante igitur add
. si E , sed del . 6 in om. R ipsa ER
figuram Hm1La.r . peruenerit HN 9 corpo- ralia
HNP ex om. C 11 prioris Em1G 12
antiquiorisque G 13 tamquam om. CLP, del. Hm2 ex]
ea GL (in ras. m2) R 14 materia ac figura] brm materia
(in ras. Lm2) forma ac figura (ac figura del. Lm2 ) LP forma
ac figura CEGHRp figura ac forma N 15 generi] generis
EG 16 aes—statua (17) om. N materiae G 17 et quae-
dam—statua] CH, om. Lm1 ( in mg . et quaedam figura m2
) P statua (cet. om.) EGR 18 quod] quae edd . 22
et om. EGR, s. l. Lm2 quali- tatis R igitur est
(est s. l. Pm2 ) HNP 23 figura] forma N 24
post quod add . est igitur Pm2 figuraque conformatur,
id in specie ipsa species, quae ex genere differentiaque coniungitur. quodsi
materia quidem speciei genus est, forma autem differentia, omnis uero forma
qualitas est, iure omnis differentia qualitas appellatur, quae cum ita
sint, iure in eo quod quale sit interrogantibus respondetur. Describunt
autem huiusmodi differentias et hoc modo: differentia est quod) aptum natum est
diuidere p. 89 quae sub eodem sunt genere; rationale enim et in-
rationale hominem et equum, quae sub eodem sunt genere, quod est animal,
diuidunt. Haec quidem definitio cum sit usitata atque ante oculos
exposita, eam tamen plenius dilucideque declarauit. omnes enim differentiae
idcirco differentiae nuncupantur, quia species a se differre faciunt, quas unum
genus includit, ut homo atque equus propriis discrepant differentiis; nam
sicut homo animal est, ita etiam equus, ergo secundum genus nullo modo
distant. 6—10] Porph. p. 11, 18—20 (Boeth. p. 37, 18—38, 1).
1 formatur CHNP 2 quidem] quaedam CHLm2PR 3
autem] nero N uero] ergo Lm1 autem N
qualitas] HNPm1 qualia CEGLR uel qualis s. l.
Pm2 5 ante respondetur excidisse differentia
coni. Brandt 6 post autem add . et L (del.) R;
Porph. p. 11, 18 post 8e add . *αί cod.
B differentias] Em2GHPm1 xV differentiam CLPm2
ΓΛΑΙIΣΦ differentia Em1NR; Porph ,. τάς τοιούτας
διαφοράς et] LPR i , om. cett.; Porph. *a\ οοτως 7
qua CG actum R natura] HL (del. m2)
ΓΑΛΠΦ om. cett.; Porph. p. 11, 19 πεφοχος;
cf. infra p. 272, 5—9. 275, 12 8 ante quae add. ea Γ2 ,
s. l. A m2 , del. m. al. , illa s. l. Δ
m2 genere sunt ΣΑΨ rationale—sunt genere om. EG 9
et equum] equnmque C 10 diuidit L 11 cum—oculos
in mg. E sit usitata] sita sit situr (sic) Em1 ita sit
m2 situ sit sita G ante om. HNR, s. l. Lm2 oculis
HN 12 post exposita add. superius R ea GNR
plenius dilucideque declarauit] (claruit Em1Gm1 ) CEm2Gm2
plenius dilucideque declarauit L plenius lucidinsque
declarauit Hm2 plenius dilucidiusque claruit R exempli
insuper luce declarauit ( ex decla- ruit N ) NP plenius
dilucideque exempli insuper luce declarauit Hm1 exempli insuper
luce reserauit edd . 13 species ase differre] specie ( ex
specierum, sequ. rasura ) differentiam E species in aere
differentiam G species ase differentiae Lm1 14 a]
ad R concludit N 15 nam in ras. Lm2
sed EG quae igitur secundum genus minime discrepant, ea
differentiis distribuuntur, additum enim rationale quidem homini, inratio- nale
uero equo equus atque homo, quae sub eodem fuerant genere, distribuuntur et
discrepant, additis scilicet differentiis. Adsignant autem etiam
hoc modo : differentia est qua differunt a se singula; nam secundum genus
non differunt, sumus enim mortalia animalia et nos et inrationabilia, sed
additum rationabile separauit nos ab illis, et rationabiles sumus et nos et
dii, sed mortale adpositum disiunxit nos ab illis. Vitiosa ratione
et non sana quod uult explicat definitio quorundam. id enim esse dicunt
differentiam qua una quaeque res ab alia distet, in qua definitione nihil
interest quod ita dixit an ita concluserit : differentia est id quod est
differentia, etenim differentiae nomine in eiusdem differentiae usus est
5—10] Porph. p. 11, 21—12, 1 (Boeth. p. 38, 1—5). 2
describuntur EG 3 post equo distinguunt edd.,
post equus expec- tatur igitur’ Schepps , additum
eqs. nominatiuum absolut . (cf. indicem Meiseri) interpretatur
Brandt qui Lm2P 5 autem om . \, del.
Lm2 A. m2 etiam om. H etiam et Λ eam et Ν Σ
; Porph. p. 11, 21 St καί 6 qua] Porph.
διαφορά έσχιν δχψ διαφέρει έκασχα; ‘an quo?’ Busse, sed cf.
infra p. 271, 1.7. 18. 272, 17 . 6 nam—ab illis (9) ] LR Q ,
om. cett. post nam add . homo et equus cum Porph. edd. (cf.
etiam infra p. 271, 9. 12, sed etiam supra p. 269, 9) , etiam
Bussio homo atque equus addendum uid . 7 enim] autem Γ
8 inrationalia ( uel irr-) R ?ΓΠ (in ras.)
ros. ex -bilia Δ sed—illis (9) om.
R ratio- nabile] p.r rationale \ a.r. et cett .
separauit] disiunxit ΓΦ 9 et] CHP, s. l. er. uid.
Δ , om. cett . rationabiles] L \ m1 2 rationale
CP rationales cett., add . enim ΕGΗ ΑίΙΦΨ ; codd.
Porph. aut λογικοί aut λογικά sumus om.
CEGHP; Porph . έσμέν et nos om. E et om. N
di C dei ut uid . 2 sed—ab illis om.
EG 11 ante Vitiosa in ras. Haec E
ratione] L edd., om. cett. (recte?), in ras . est E et
om. G sane E (in ras.) NP explicans HNP non
(s. l. m2) explicat L 12 id] cf. p. 263, 10 13
aliis R distat HN differt P 14
dixerit Lm2P an] utrum R concluderit L
concludat EGR id quod est om. E ante differentia
add . ipsa ER differentia om. G 15 etenim om. EGR
differentiae nomine] qua differt una res ab alia, id est id quod est
differentia est differentia. Differentiae nomine fid est—nomine in ras.
m2) E in—definitione] usus in eius diffinitione N
definitione dicens : differentia est qua differunt a se singula, quodsi
adhuc differentia nescitur, nisi definitione clarescat, differre quoque quid
sit qui poterimus agnoscere? ita nihil amplius attulit ad agnitionem qui
differentiae nomine in eiusdem usus est definitione, est autem communis
et uaga nec includens substantiales differentias, sed quaslibet etiam
accidentes hoc modo : differentia est qua a se differunt singula; quae enim
genere eadem sunt, differentia discrepant, ut cum homo atque equus idem sint in
animalis genere, quoniam utraque sunt animalia, differunt tamen
differentia rationali, et cum dii atque homines sub rationalitate sint positi, differunt
mortalitate, rationale igitur hominis ad equum differentia est, mortale hominis
ad deum, atque hoc quidem modo substantiales differentiae colliguntur, quodsi
Socrates sedeat, Plato uero ambulet, erit differentia ambulatio uel
sessio, quae substantialis non est. namque istam quoque dif- ferentiam
definitio uidetur includere, cum dicit : differentia est qua differunt singula;
quocumque enim Socrates a Platone distiterit nullo autem alio distare nisi
accidentibus potest —, id erit differentia secundum superioris terminum
definitionis, quam rem scilicet uiderunt etiam hi qui definitionis huius uagum
communemque finem reprehendentes certae con- clusionis terminum
subiecerunt. 2 nesciatur Lm2 (non noscitur m1) P
definitione] in definitione N 3 qui] LN quomodo CEGPR
qui * (d er.) H possemus EG possi- mus
R 4 ita om. EGR cognitionem NPm2, post
agnitionem add. a cogitatione Hm1, del. m2, s. l. uel
cognitione m2, del. m. al. set om. EG 7
accidentales Lm2Pm2 9 sunt EGHLm1R in om.
GNR 11 et om. EGR rationabilitate CGLm1
rationale N sunt CEGLm1R 12 positi] post EG post
differunt add. tamen L rationabile L 13
est om. C 15 ambulatio uel om. EG, s. l. Lm2 16
nam HLm1 ista E 18 quo EGHm1 post
differunt add. a se R cumque EG
quoque Rm1 quocumque modo P post enim s. l.
modo Lm2 19 de- stiterit CEm1HPRm2 distauerit m1
post alio s. l. modo Em2 ac- cidentibus] ex
accidentibus P Interius autem perscrutantes de differentia
dicunt, non quodlibet eorum quae sub eodem sunt genere diuidentium esse
differentiam, sed quod ad esse conducit et quod eius quod est esse rei pars
est; neque enim quod aptum natum est nauigare erit homi- nis differentia,
etsi proprium sit hominis, dicimus enim ‘animalium haec quidem apta nata sunt
ad naui- gandum, illa uero minime’, diuidentes ab aliis, sed aptum natum esse
ad nauigandum non erat comple- tiuum substantiae nec eius pars, sed aptitudo
quae- dam eius est, idcirco, quoniam non est talis quales sunt quae specificae
dicuntur differentiae, erunt igitur specificae differentiae quaecumque alteram
faciunt speciem et quaecumque in eo quod quale est acci- piuntur. — Et de
differentiis quidem ista sufficiunt. Sensus propositionis huiusmodi
est. quoniam superius dixit determinasse quosdam differentiam esse qua a se
singula dis- p. 90 creparent, ait alios diligentius de differentia
| perscrutantes non 1—15] Porph. p. 12, 1-11 (Boeth. p. 38, 6—17). 1
perscrutantes] EGHP perscrutantes et speculantes cett.;
Porph. p. 12, 1 προσεξεργοζόμενοι de differentia]
CH (linea del., sed lin. er.) Σ differentiam cett. edd.
Busse; Porph. p. 12, 1 τά περί τής διαφοράς 2 non] non
solum R , quodlibet] quod habet ELm1 h m1 X , post
quod- libet er. habet 23 diuidentium esse
om. X , s. l. Lm2 sed quod— dicuntur differentiae
(12) ] LR Q , om. cett. 5 aptum] actu R
natum om. LR; Porph. p. 12, 4 τδ πεφοχέναι πλεΐν 6
dicimus] Porph. p. 12, 5 εΐποιμεν γάρ dv , unde
dicemus coni. Brandt, cf. supra p. 230, 18. 19; infra 12
erunt ειεν άν ; p. 234, 16. (erit). 17. 235, 2
(erunt) 7 ani- malia A acta Rm1 nata om. LR
8 aliis] illis A 9 actum Rm1 natum om. R
est R erit h m2 10 neque Busse 11 est
om. R quoniam om. LR 12 quae om. Φ
igitur] ergo L 13 alteram— quaecumque om. H 14 et]
ea EG quale in er. quid ut uid. Hm2
quid EG post est add. esse EG accipiunt EG
15 Et—sufficiunt om. N Et om. CEGP; Porph. 12,11
Καί de om. EG A diffe- rentiis] Porph.
περί μίν διαφοράς quidem om. H sufficiant CL X
m2; Porph. άρχει 18 alios] ilico
EGLa.c. ilico alios P de differentia] differentiam
CLm1P fuisse arbitratos recte esse superius propositam
definitionem, neque enim omnia quaecumque sub eodem posita genere dif- ferre
faciunt, differentiae hae de quibus nunc tractatur, id est specificae, numerari
queunt, plura enim sunt quae ita diuidunt species sub uno genere positas,
ut tamen eorum substantiam minime conforment, quia non uidentur esse differentiae
speci- ficae nisi illae tantum quae ad id quod est esse proficiunt et quae in
definitionis alicuius parte ponuntur, hae autem sunt ut rationale hominis, nam
et substantiam hominis conformat et ad esse hominis proficit et
definitionis eius pars est. ergo nisi ad id quod est esse conducit et eius quod
est esse rei pars sit, specifica differentia nullo modo poterit nuncupari, quid
est autem esse rei? nihil est aliud nisi definitio, uni cuique enim rei
interrogatae ‘quid est?’ si quis quod est esse monstrare uoluierit,
definitionem dicit, ergo si qua definitionis pars fuerit, eius erit pars quae
unius cuiusque rei quid esse sit designet, definitio est quidem quae quid una
quaeque res 1 positam EG 2 posita] posita sunt EGL post
genere add. quae Lm1, del. m2 3 differentiae—id est om.
CN hae om. H id est om. R, er. uid. H, s. l. Lm2
4 nominari HLm2NR 5 earum H 6 quia] quae CH
specificae ante esse H, post N 7 proficiant R et
quae] eaeque G eae quae Em1, del. m2, etiam proxima
in—ponuntur del. m2 8 in del. Lm2, om. P diffinitiones
N definitionibus EGLm1 aliqua N partes EGLP
post ponuntur add. ut mortalis rationalis Em1, del. m2
hae] ea EGLm2P 9 et s. l. Lm2 et ad G con-
format—hominis om. EG 11 conducat EHm2Lm2N et eius—pars
sit] N et eius quod ( add. quid Rm1, del. m2 , quidem
ex quid Hm2 , del. m3 ) est esse rei pars sit (est Hm1)
HR et eius rei quod est (est del. Lm2 ) esse pars est (est
om. Lm1, s. l. sit m2) CL et eius quod quidem esse rei pars
est P eius rei quod quidem (aliquid add. E) EG 13
esse om. G, ante autem H nihil del. Em2
est s. l. Lm2Rm2 esse E (del. m2) G unius
cuiusque R 14 interrogatae] ad inter- rogationem CHN
quis] quid Lm2 quod] id quod CHNP 15 qua] quid
CHN 16 post eius s. l. rei Lm2 quae]
quod HLm1N quid] quod N sit esse L esse
fit G est esse Hm1N 17 designat Lm2P
significet Hm1N est quidem] enim est HN quae quid]
quia N sit, ostendit ac profert, demonstraturque quid uni
cuique rei sit esse per definitionis adsignationem. illae uero differentiae
quae non ad substantiam conducunt, sed quoddam quasi extrin- secus accidens
afferunt, specificae non dicuntur, licet sub eodem genere positas species
faciant discrepare, ut si quis hominis atque equi hanc differentiam
dicat, aptum esse ad nauigandum. homo enim aptus est ad nauigandum, equus uero
minime, et cum sit equus atque homo sub eodem genere animalis, addita
differentia ‘aptum esse ad nauigandum’ equum distinxit ab homine, sed aptum
esse ad nauigandum non est huiusmodi, quale quod possit hominis formare
substantiam, sed tantum quandam quodammodo aptitudinem monstrat et ad faciendum
aliquid uel non faciendum oportunitatem. idcirco ergo speci- fica differentia
esse non dicitur, quo fit ut non omnis diffe- rentia quae sub eodem genere
positas species distribuit, spe- cifica esse possit, sed ea tantum quae
ad substantiam speciei proficit et quae in parte definitionis accipitur,
concludit igitur esse specificas differentias quae alteras a se species faciunt
per differentias substantiales, nam si uni cuique id est esse quodcumque
substantialiter fuerit, quaecumque differentiae substantialiter diuersae
sunt, illas species quibus adsunt, omni substantia faciunt alteras ac
discrepantes, atque hae in defini- tionis parte sumuntur, nam si definitio
substantiam monstrat 1 ostendit om. E ostenditur
N ac er. E, om. N profert om. N demonstratque
CLm1 quid] quod Lm1Pm1R quidem quid N 2 per
om. EGR, in mg. Lm2 assignatione EG 3 ad om. EΡ quasi
om. EGPR 5 faciant om. EG facient CLm1Rm1 7 homo
enim (autem LR )—equus] HLNR hominem equum (cet, om.)
CEGP 10 esse ad—sed tantum (11) om. EG 11 quale om.
EGR, del. Lm2 ante quod (quid P ) add. per
L (del. m2), s. l. Pm2 post substantiam add.
sicut rationale quae est substantialis qualitas C 12
habitudinem Hm1 13 opportunitatem CR differentia
specifica C 18 ante esse add. eas
HΝΡ, s. l. Lm2 quae—differentias om. EGR ad faciunt s.
l. 1 informant Lm2 19 differentias ex
distantias Lm2 idem est ( in ras. m2 ) esse
H idem esse est R 21 sint Hm1 omnes
EGP 22 substantias P substantiae Hm1 substantiae
ratione N et substantiales differentiae species efficiunt,
substantiales dif- ferentiae erunt partes definitionum.
Proprium uero quadrifariam diuidunt. nam et id quod soli alicui speciei
accidit, etsi non omni, ut ho- mini medicum esse uel geometrem, et quod omni
accidit, etsi non soli, quemadmodum homini esse bipedem, et quod soli et omni
et aliquando, ut homini in senectute canescere, quartum uero, in quo
concur- rit et soli et omni et semper, quemadmodum homini esse risibile,
nam etsi non semper rideat, tamen risi- bile dicitur, non quod iam rideat, sed
quod aptus natus sit; hoc autem ei semper est naturale et equo hinnibile, haec
autem proprie propria perhibent esse, 3—p. 276, 2] Porph. p. 12, 12—22
(Boeth. p. 38, 18—39, 9). 1 et om. EG, s. l. Pm2 2
erunt post partes Lm2 sunt m1 sunt
post definitionum CGR, s. l. Em2 3 DE PROPRIO om. H, add.
Lm2 EXPLICIT DE DIFFEREN. (DIFFERENTIIS Ψ ) INCIPIT DE PRO-
PRIO 2<F 4 et s. l. C 5 hominem R h m1 A
6 uelut H geo- metram CEm1G edd. Busse et quod—perhibent
esse (14) ] LR ( locum hic om., p. 277, 7
post adest inserit ) Ω , om. cett. omni]
Porph. p. 12, 14 παντί—τφ εϊδει 7 etsij et
R T m1 ante homini add. et R 8
homini] Porph. p. 12, 16 όνΟ-ρώπψ παντί , unde
homini omni coni. Busse 9 post uero add.
est Φ in quo concurrit et del., in mg. conuenit T
m2 10 hominem R Σ 11 risibilem R ΓΣΦ ; Porph. p.
12, 17 ώς τψ άνθρώπψ τό γελαστιχόν non semper rideat] L
Σ non rideat ΓΑ non ridet ( hic ut uid. s. l.
semper add., sed er. \ ) R AIIΨΨ semper non
rideat Busse non rideat semper edd.; Porph. p. 12, 18
χαν γάρ μή γελά αεί risibile tamen L Λ edd.
Busse; Porph. άλλα γελαστιχο'ν 12 iam] semper Σ
edd.; Porph. p. 12, 19 άεί , cod. Mm2 ί)Bη
rideat—natus sit om. Φ 13 sit natus R, add.
ad ridendum R ΓΑ ridere Σ , ante sed
add. ridendum Φ ; om. Porph. semper ei est
naturale L semper est ei naturale Γ ei semper naturale
est Σ ante et add. ut (om. etiam B Bussii)
edd. Busse ; Porph. p. 12, 20 ώς , om. cod. A 14
autem] Porph. 81 xai , om. xai
cod. A proprie—esse] L Λ (esse s. l. m2 )
Σ (esse om. ), proprie domi- nanterque (nominantur T m2 )
propria perhibentur (perhibentur del. Γ m2 ) ΓΦ
proprie nominantur (nominant Π ) propria R ΔΙΙ uere dicuntur
propria Ψ ; Porph. χυρίως ΐßιά φασιν
quoniam etiam conuertuntur. quicquid enim equus, hinnibile, et quicquid
hinnibile, equus. Superius dictum est omnia propria ex accidentium
genere descendere, quicquid enim de aliquo praedicatur, aut substan- tiam
informat aut secundum accidens inest. nihil uero est quod cuiuslibet rei
substantiam monstret nisi genus, species et differentia, genus quidem et
differentia speciei, species uero indiuiduorum. quicquid ergo reliquum est, in
accidentium numero ponitur, sed quoniam ipsa accidentia habent inter se aliquam
differentiam, idcirco alia quidem propria, alia priore p. 91 atque
antiquiore nomine accidentia nun|cupantur. et de acci- dentibus paulo post,
nunc de propriis, quae quadrifariam diui- duntur, non tamquam genus aliquod proprium
in quattuor species diuidi secarique possit, sed hoc quod ait diuidunt, ita
intellegendum est, tamquam si diceret ‘nuncupant’, id est propria
quadrifariam dicunt, cuius quadrifariae appellationis significationes enumerat,
ut quae sit conueniens et congrua nuncupatio proprietatis ostendat, dicit ergo
proprium accidens quod ita uni speciei adest, ut tamen nullo modo coaequetur
ei, sed infra subsistat ac maneat, ut hominis dicitur pro- prium medicum
esse, idcirco quoniam nulli alii inesse ani- 3 superius eqs.] fort. p.
186, 12—187, 1. 1 enim equus om. N equus—equus]
CEGHNP U ( sed add. et si homo, risibile, si risibile, homo
est] cum Porph. p. 12, 21, post pr. equus add. et
R A est et L est etiam est et (sic) Φ
equus est et hinnibile est (est s. l. F\ m2 ) et quicquid
hinnibile equus est ΓΔ est equus est hinni- bile et quicquid est
hinnibile est equus ( quattuor est s. l. m2 ) Ψ equus
est hinnibile et quicquid hinnibile est equus est et si homo est risibile est
et risibile homo est 2 4 alio N 6 ante
species add. et Lm1, del. m2 7 et om. R
genus—diiferentia om. EGR, s. l. Hm2 11 ante antiquiore
add. in ER 12 nunc ex nam Hm2
quadrifarie N in quadrifariam (-um GP ) EGP
diuidunt H (ur er. ) P (ur del. m2 ) 13
aliquid CPm1 14 ait om. E ( in mg. dicitur
m2 ) G est R diuiduntur EG 15 nuncu-
pantur EGR 16 proprie CEm1G propriam ut uid.
Pm1 propriam m2 dicuntur EGHm1La.c.NR
quadrifariam C 18 proprietas Ea.c. (proprii p.c.
) G dicitur CEHLa.c. (corr. m1 et 2) P ergo om.
C proprium s. l. Cm2 primum m1 20 ei
ante nullo HN ac] et HNP dicimus HN
malium potest, nec illud adtendimus, an hoc de omni homine praedicari
possit, sed illud tantum, quod de nullo alio nisi de homine dici potest medicum
esse, et haec quidem signifi- catio proprii dicitur inesse soli, etsi non omni;
soli enim speciei, etsi non omni coaequatur, ut medicina soli quidem
inest homini, sed non omnibus hominibus ad scientiam ad- est. Aliud proprium
est quod huic e contrario dicitur omni, etsi non soli; quod huiusmodi est, ut
omnem quidem speciem contineat eamque transcendat, et quoniam quidem
nihil est sublectae speciei quod illo proprio non utatur, dicimus omni,
quoniam uero transcendit in alias, dicimus non soli : hoc huiusmodi est quale
homini esse bipedem, proprium est enim homini esse bipedem, omnis enim homo
bipes est etiamsi non solus, aues enim bipedes sunt, geminae igitur
significationes proprii quae superius dictae sunt, habent aliquid minus, prima
quidem quia non omni, secunda uero quia non soli, quas si iungimus, facimus
omni et soli, sed demimus aliquid secundum tempus, si ei adiciatur aliquando,
ut sit haec tertia proprii nuncupatio ‘omni et soli, sed aliquando’, ut
est in senectute canescere uel in iuuentute pubescere; omni enim homini adest
in iuuentute pubescere, in senectute canescere, et soli, pubescere enim solius
hominis est, sed ali- 1 hoc om. EG homini EN 2
quod] quia HN nisi de homine post esse N 3
medicus Hm1N 4 inesse] CP, s. l. Hm2Lm2, om.
EGR inest N etiamsi Em2 (et m1
) Hm1LR 5 etiamsi EHm1L ( repet, post
inest) PR coaequetur Em2Hm1 ante medicina add.
homini H (del. m2) LNR 6 homini om.
NR, s. l. Hm2 adest] adesse potest CLN potest esse H;
de R cf. ad p. 275, 6 7 est ante aliud HN, post
CG, om. E 8 etiamsi HLNR quid HN 10 quod
illo—non soli in inf. mg. Em2 post dicimus
add. enim C 11 aliis Em2G 12 hoc] id
N post quale add. est s. l. Hm2, post
homini CG 13 hominis R, post homini add.
proprium Em2 enim in mg. Em2 14 etiamsi—geminae
om. EGR 17 sed Hm2 si m1
demimus] HN deminus Cm1 i demimus ί
deest minus m2 dempsimus R dedimus Em1
(addimus m2 ) G deest minus LP 18 eis
HLP ei post adiciatur N 19 omni et soli] et soli
et omni C sed] si G 21 post. in] et in
HN 22 est hominis HN quando, neque enim omni tempore,
sed in sola tantum iuuen- tute. haec igitur determinatio proprii in eo quidem
modo quod omni et soli inest, absoluta est, sed ex eo minuit aliquid uel
contrahit, cum dicimus aliquando, quod si auferamus, fit pro- prii integra
simplexque significatio hoc modo : proprium est quod omni et soli et
semper adest, omni autem et soli speciei et semper intellegendum est ut homini
risibile, equo hinnibile; omnis enim et solus homo risibilis est et semper.
neque illud nos ulla dubitatione perturbet, quod semper homo non rideat; non
enim ridere est proprium hominis, sed esse risibile, quod non in actu,
sed in potestate consistit, ergo etiamsi non rideat, quia ridere tamen posse
soli et omni homini semper adesse dicitur, conuenienter proprium nuncupatur,
nam si actus separatur ab specie, potestas nulla ratione disiungitur.
Quattuor igitur significationes proprii dixit, nam prima quidem,
quando accidens ita subiectae speciei adest, ut soli ei adsit, etiamsi non
omni, ut homini medicina; secunda uero, 1 in om. EGR, s. l. L,
post tantnm P tamen L post iunentnte add.
pubescit N 2 post proprii add. integra
simplexque significatio GHP (del. m1? ex 5) in eo—fit proprii
(4) om. R modo om. N, del. Lm2 3 inest om.
EG est Lm1 minus La.c. minui N
minuens P aliquid uel] atque significationem in ras.
Em2 uel] CNP et GL, om. ΕH 4 quod] quam
N 5 simplexque] et simplex HLNR proprii R 6 soli
et omni N secund. et om. GLR, s. l. Pm2
omni autem—intellegendum est om. Rbrm 7 et semper om. EGR,
del. Lm2, s. l. Hm2Pm2 intellegendum est del. et s. l.
adest scr. Hm2, in mg. quod soli et omni adest m. al. 8
post. et om. EGPR post semper add.
similiter et equus hinnibile brm 9 illud Hm2 enim
Hm1N 10 proprium est NPR sed] si est R esse
del. Lm2 est R 11 sed] si R 12 si non rideat
etiam C quia om. N, s. l. Hm2 tamen om. R
autem HN possit La.c.N potest Em2 post
omni add. adsit H (del. m2) adest N
13 ante semper s. l. et Hm2 semper om. R
ante conuenienter add. et H (er.) L (del. m2) NP
14 si] etsi Hm1Lm1N separetur Em2 a C 15
proprii om. EG nam prima] unam CHm1 (primam m2) N
nam (s. l.) primam P 17 homini medicina] hominem esse
medicum C secundam CHN; in mg . ał. se- cunda autem cum omni
accidit etsi non soli ut homini esse bipedem add. L uero]
autem CL (in mg.) cum soli quidem non adest, omni uero semper
adiungitur, ut homini esse bipedem; tertia uero, cum omni et soli, sed ali-
quando, ut omni homini in iuuentute pubescere; quarta, cum omni et soli et
semper adest, ut esse risibile, atque ideo cetera quidem conuerti non
possunt : neque enim coaequatur quod soli, sed non omni speciei adest, species
quidem de ipso dici potest, ipsum uero de specie minime, qui enim medicus est,
potest dici homo, homo uero qui est, medicus esse non dicitur, rursus quod ita
est alii proprium, ut omni adsit etiamsi non soli, ipsum quidem de specie
praedicari potest, species uero de eo minime, nam bipes praedicari de homine
potest, homo uero de bipede nullo modo, rursus quod ita adest, ut omni et soli,
sed aliquando adsit, quoniam de tem- pore habet aliquid deminutum nec
simpliciter semper adest, reciprocari non poterit, possumus enim dicere
‘omnis qui pubescit homo est’, non ‘omnis homo pubescit’: potest enim minime ad
iuuentutem uenire atque ideo nec pubescere; nisi forte non sit pubescere
hominis proprium, sed in iuuentute pubescere, aut, etiam cum nondum est in
iuuentute aut etiam praeteriit, tamen sit ei proprium non tale quale tunc
fieri possit, cum praeter iuuen- tutem est, sed quale cum in iuuentute
consistit, atque ideo hoc 1 cum] quae N soli—adiungitur
del. Hm2 omni accidit etsi non soli CHm2L semper s. l.
Hm2 2 hominem C tertiam CHN soli et omni
N 3 omnio m. LNR homini om. N quartam CG
(sic) HN 4 post. et om. EG, add. Pm2 inest
CHm1N ideo om. E adeo HLR 5 coaequantur HN
6 quodj quia cum Hm1N non omni sed soli N sed] si
R 7 qui enim—dici homo om. EGR 8 homo dici C
9 ad alii s. l. a t illud L, post add. una
pars R 11 de homine praedicari C 13 adest
ex est Em2 distat Hm1 assit ex
sit Hm2 14 diminutum EN nec] et Hm1 16 non]
non tamen dicimus L homo] qui est homo L qui homo est
(qui et est s. l. m2) H 18 ante sed
add. solummodo Hm2, ante in CN, post post.
pubescere L aut] Hm2La.c.Pm2 ut
EGHm1Lp.c.Pm1R autem CN 19 cum] Hm1NR quod
CEGHm2LP etiam s. l. Hm2 iam Em1 20 sit] adsit
CHN ei om. G fieri om. C, in ras. Lm2 fieri
possit del., est s. l. scr. Hm2 potest
L (in ras. m2) P est C 21 post
quale add. tunc fieri potest (posset CHLm1N) CH (s. l. m2)
LNP quod non in omne tempus tenditur, etiamsi tale est, ut
omni p. 92 speciei adsit, quod ta|men in tempus aliquod differatur,
integrum atque absolutum proprium esse non dicitur, quartum est quod ita alicui
adest, ut et solam teneat speciem et omni adsit et absolutum sit a temporis
condicione, ut risibile quod a supe- riore plurimum distat; nam qui
risibilis est, semper ridere potest, rursus qui potest in iuuentute pubescere,
cum ipsa iuuentus non sit semper, non ei adest semper ut in iuuentute pubescat,
haec autem quarta proprii significatio quoniam nulla temporis definitione
constringitur, absoluta est atque ideo etiam conuertitur et de se inuicem
proprium atque species praedicantur; homo enim risibilis est et risibile
homo. Accidens uero est quod adest et abest praeter sub-
iecti corruptionem, diuiditur autem in duo, in separa- bile et in
inseparabile, namque dormire est separabile accidens, nigrum uero esse
inseparabiliter coruo et Aethiopi accidit, potest autem subintellegi et coruus
albus et Aethiops amittens colorem praeter subiecti corruptionem, definitur
autem sic quoque; accidens est 13—p. 281, 7] Porph. p. 12, 23—13, 8
(Boeth. p. 39, 10—21). 1 quod] quia HN 2 speciei]
tempori EGR aliquid C 4 alicui om. EG, del.
Hm2 ali R alii Lm1 pr. et om. EGLR
post. et] ut La.c.R 5 post. a s. l.
Hm2 6 qui ex quod Lm2 7 ante
cum add. sed CH (del. m2) NP, s. l. Lm2 8 adest]
est EGR in iuuentute deleri uult Hilgard 9 quoniam]
quam EGLm2P 10 definitio ( uel difd–) EGLm2R
constringit EG 11 et de se] et ideo de se P de se
om. R De specie EG 12 risibile C et om.
EGHR 13 inscript. om. HL K ACCIDENTE ΝR ΔΣ
14 uero om. A 15 diuiditur—sub- sistens (p. 281,
3) ] LR Q , om. cett. duobus L 16 in om.
Φ nam A Busse 19 amittens colorem] A
m1 T" nitens colore c ett. edd. Busse; Porph. p. 13,
2 άποβαλών τήν χροιάν; cf. supra p. 101, 13
corruptionem subiecti LR ϋίΓΦ ; codd. Porph.
φθοράς aut ante τοΰ υποκειμένου aut
post; cf. infra p. 281, 17. 282, 3. 8 20 definitur]
Porph. p. 13, 3 ορίζονται quod contingit eidem esse et
non esse, uel quod neque genus neque differentia neque species neque pro-
prium, semper autem est in subiecto subsistens. Omnibus igitur
determinatis quae proposita sunt, dico autem genere, specie, differentia,
proprio, acci- denti, dicendum est quae eis communia adsint et quae
propria. Quouiam, ut superius dictum est, quae de aliquo praedi- cantur,
uel substantialiter uel accidentaliter dicuntur cumque ea quae
substantialiter praedicantur, eius de quo dicuntur substantiam definitionemque
contineant et sint eo antiquiora atque maiora, quod ex substantialibus
praedicatis efficiuntur, cum ea quae substantialiter dicuntur pereunt, necesse
est ut simul etiam ea interimantur quorum naturam substantiamque
formabant, quae cum ita sint, necesse est ut quae accidenter dicuntur, quoniam
substantiam minime informant, et adesse et abesse possint praeter subiecti
corruptionem, ea enim tan- tum cum absunt subiectum corrumpere poterunt, quae
effi- ciunt atque conformant quae sunt substantialia, quae uero 8
superius] p. 276, 4. 1 contigit - R A ante pr. esse
add. et R, s. l. \ m2; om. Porph. p. 13, 4 post.
et] uel L ( post uel littera er. ) edd.; Porph.
η , codd. CM nat 2 post genus
s. l. est A m2 neque species neque differentia ΔΔΣ edd.
Busse; Porph. οοτε διαφορά οϋτε είδος post
proprium add. sit LR 3 consistens Λ 4
praeposita Δ m1 5 dico—accidenti om. Γ
propria Φ proprio et L ΔΑΣ accidente H et
accidenti L A m2 (et accidente m1 ) ΛΣ de
accidenti EG 6 eis] his CHP hiis Φ uel
his R , om. EG; Porph. p. 13, 7
αΰτοϊς adsint] sint R sunt L Λ m1 ηιΙΧΣ ;
Porph. πρδσεοτιν et om. G 7 post
propria add. EXPLICIT DE GENERE SPECIE DIF- FERENTIA PROPRIO
ACCIDENTE Σ 8 ut om. EG alio CEGR 9
accidentialiter CP accidenter HR dicuntur] praedicantur
R cum EG 11 definitione EG maiora atque
antiquiora C 12 quod] quia R substantialiter CN
efficitur CHm2LN 13 cumque N , post cum s.
l. accidenter E intireunt P 15 an
informabant? acci- dentaliter Lm2 16 et om. EGR, s. l.
Lm2 abesse et adesse H 17 possunt N tantum
enim C 18 perrumpere E potuerunt LR 19
informant HN non efficiunt substantiam, ut accidentia, ea cum
adsunt uel absunt, nec informant substantiam nec corrumpunt, est igitur
accidens quod adest et abest praeter subiecti corruptionem, id autem diuiditur
in duas partes, accidentis enim aliud est separabile, aliud inseparabile,
separabile quidem dormire, sedere, inseparabile uero ut Aethiopi atque
coruo color niger. in qua re talis oritur dubitatio. ita enim est definitum :
accidens est quod adesse et abesse possit praeter subiecti corruptionem. idem
tamen accidens aliquando inseparabile dicitur; quod si inseparabile est, abesse
non poterit, frustra igitur positum est accidens esse quod adesse et
abesse possit, cum sint quaedam accidentia quae a subiecto non ualeant
separari, sed fit saepe ut quae actu disiungi non ualeant, mente et cogitatione
sepa- rentur. sed si animi ratione disiunctae qualitates a subiectis non ea
perimunt, sed in sua substantia permanent atque per- durant, accidentes
esse intelleguntur, age igitur, quoniam Aethiopi color niger auferri non potest,
animo eum atque cogitatione separemus, erit igitur color albus Aethiopi, num
idcirco species consumpta sit? minime, item etiam coruus, si ab eo colorem
nigrum imaginatione separemus, permanet tamen auis nec interit species,
ergo quod dictum est et adesse et abesse, non re, sed animo intellegendum est.
alioquin et sub- stantialia, quae omnino separari non possunt, si animo et
cogi- tatione disiungimus, ut si ab homine rationabilitatem auferamus 1
cum—absunt] uel cum adsunt uel cum absunt H uel cum absunt uel cum
adsunt N cum uel (uel s. l. m2 ) absunt uel adsunt L;
ante assunt (sic) add. uel P 3 ante
adest add. et P 4 dinidunt EGLR
accidens edd. aliud est enim H 5 ante
dormire add. ut brm 6 ut om. HR edd. 7
dubietas CEG (recte?) post. est add. Hm2 8 et]
uel N potest CL 9 dicit EG 11 abesse-et
adesse E 12 ab CRm1 14 animi] hac C 15
eas EGN permaneant G ac R 16 acciden-
ter CG intellegantur Em1 igitur] enim HN 17
eum om. G, ante separemus C , uero E atque]
et HLNPR 18 num ex non Rm2 19 consumptae
(consumpta R ) sunt EGLR edd. ita CEP 20
imagine EGR 21 interiit Lm1PR pr. et om. EGR, s. l. Lm2
22 et om. CEG 23 si] saepe Hm1LNP 2t
rationalitatem P — quam licet actu separare non possumus,
tamen animi imaginatione disiungimus —, statim perit hominis species, quod idem
in accidentibus non fit: sublato enim accidenti cogitatione species manet. Est
alia quoque accidentis defi- ni|tio ceterorum omnium priuatione, ut id
dicatur esse acci- p. 93 dens quod neque genus sit neque species
nec differentia nec proprium; quae definitio plurimum uaga est ualdeque
communis. sic enim etiam genus definiri potest, quod neque species neque
differentia nec proprium sit nec accidens, eodemque modo species ac
differentia et proprium, cum autem eadem simili- tudine definitionis plura
definiri queant, non est terminans et circumclusa descriptio, praesertim cum
longe sit a definitionis integritate seiunctum quod cuiuslibet rei formam
aliarum rerum negatione demonstrat. Quibus omnibus expeditis, id
est genere, specie, differentia. proprio atque accidenti, descriptisque eorum
terminis quantum postulabat institutionis breuitas, ea ipsa communiter pertrac-
tanda persequitur, ut quas inter se habeant differentias haec quinque, de
quibus superius disputatum est, quas uero com- muniones, mediocri
consideratione demonstret, ut non solum 1 separari EG
possimus EL post tamen add. si L, s. l. Hm2Pm2
2 imaginatione] cogitatione N statimque C (q. er.
) H (q. del. m2) N periit PR 3 item
CHm1 sit EN (ut uid.) sublata EGR enim s.
l. Cm2 accidenti om. EGR, post cogitatione N 4
ante cogitatione er. et C quoque om. EGP
(sic) accidentis om. C, post definitio R 5
ad priuatione s. l. quae fit per priuantiam Em2
id om. EG dicat EGR 6 fit C neque differentia
neque proprium LNR 8 enim om. NR nec ( ante
differentia) CH 9 neque NR sit om. L,
post accidens R neque N 10 proprio
HPm1 11 plurima L queunt EGLm1R termino
Ep.c.R et om. EGR 12 ab LR ac G 13
negatione rerum E 14 demonstret N 15 post
genere add. quidem CP 16 ante proprio
add. et H ante quantum add. et PR, s. l.
Lm2 17 post breuitas repet. expeditis
PR, s. l. Em2 pertractanda om. C
retractanda HNP 18 ante quas s. l.
quia Em2 19 de quibus om. E disputandum G
quas nero] quasue CL quid ipsa sint, uerum etiam quemadmodum
inter se compa- rentur, appareat. 1 quid] H, m2 in CLP
quod NPm1 quae Cm1EGLm1R compa- rantur E 2
ANICII MALLII SEVERINI BOETII ( BOETI E) V. C.ET I LL .
(EXINI sic E ) EXCONS. ORDINAR. PATRICII IN ISAGOGAS PORPHYRII (
Y ex I Gm2) ID EST INTRODVCTIONEM IN CATE- GORIAS A SE
TRANSLA. (sic EG) EDITIONIS SECVNDAE LIBER IIII. EXPL. (
EXPLICIT’ E) . INCIPIT LIBER V. EG ; EXPLICIT LIBER (
LIBER om. C) QVARTVS. INCIPIT LIBER ( LIBER om.
HN) QVINTVS CHLNP, add. DE COMMVNIBVS GENRIS. DIFFER. SPEC.
ACCID. ET PROPI N ; EXPLICIT LIBER QVARTVS R
Expeditis per se omnibus quae proposuit et quantum in unius cuiusque
consideratione poterat, ad scientiae terminum breuiter adductis nunc iam non de
singulorum natura, id est uel generis uel differentiae uel speciei uel
proprii uel acci- dentis, sed de ad se inuicem relatione pertractat, nam qui
communiones ac differentias rerum colligit, non ut sunt per se res illae
considerat, sed ut ad alias comparentur, id autem duplici modo, uel
similitudine, dum communitates sectatur, uel dissimilitudine, dum
differentias, quae cum ita sint, nos quoque, ut adhuc fecimus, propter
planiorem intellectum philosophi uestigia persequentes ordiemur de his
communio- nibus quae adsunt generi et speciei et differentiae uel proprio et
accidenti. Commune quidem omnibus est de pluribus praedi-
15—p. 286, 18] Porph. p. 13, 9-21 (Boeth. p. 40, 1—16). 3
cuiuscumqne C considerationem Ea.r.G 4 id est om.
N, add. Rm2 5 pr . uel om. P secund. uel]
et P 6 nam quia R namque Hm1N 7 sunt. om.
C 8 ille GLNP, post illae s. l. sint Cm2
ut om. R ad s. l. LRm2 post alias add.
qualiter CHPR, s. l. Lm2 comparantur EGHm2, recte? cf.p. 284,
1 post autem s. l. fit Cm2L, in mg. Em2,
post duplici s. l. Pm2 9 dum—dum om. EG sectatur]
retractat R retractantur L (n del., s. l. a
i sectatur] P 10 differentiae La.c.P uel
differentia EG 11 ad adhuc s. l. id est
(uel G ) hac tenus EGm2 12 his] his omnibus R
communibus EGR 13 utrumque et om.
EGLR uel om. R et NP 14 et] uel EGL
atque R 15 ante Commune add. inscriptionem
DE COMMVNIBVS GENERIS (ET add. ΔΠ ] SPECIEI DIFFERENTIAE
PROPRII ET ACCIDENTIS ΛΠ Busse, N in subscript.
libri IV cum alio ordine uerborum, DE HIS (HIIS Φ ) COMMVNIBVS QVAE
ASSVNT (sunt A ) GENERI ET SPECIEI (ET SPECIEI om. T )
ET DIFFERENTIAE ET PROPRIO ET ACCIDENTI (accidenti proprio et
differentiae A ) ΓΑ (litt. minusc.) Φ ,
INCIP. DE EORV COMVNIBVS 2 DE COMMVNITATIB; OMNIVM. *i'
, inscript. om. CEGHLPR cari, sed genus quidem de
speciebus et de indiuiduis, et differentia similiter, species autem de his quae
sub ipsa sunt indiuiduis, at uero proprium et de specie cuius est proprium et
de his quae sub specie sunt indiuiduis, accidens autem et de speciebus et de
indi- uiduis. namque animal de equis et bobus [et canibus] praedicatur,
quae sunt species, et de hoc equo et de hoc boue, quae sunt indiuidua,
inrationale uero et de equis et de bobus praedicatur et de his qui sunt par-
ticulares, species autem, ut homo, solum de his qui sunt particulares praedicatur,
proprium autem, quod est risibile, et de homine et de his qui sunt particu-
lares, nigrum autem et de specie coruorum et de his qui sunt particulares, quod
est accidens inseparabile, et moueri de homine et de equo, quod est
accidens separabile, sed principaliter quidem de indiuiduis, secundum
posteriorem uero rationem de his quae continent indiuidua.
Antequam singulorum ad unum quodque habitudinem tractet, illam prius respicit
quam omnes ad se inuicem habere uide- 1 sed—separabile (16) om. HNP
post. de om. R 2 autem] quidem Δ hiis Φ
, item 4 3 post indiuiduis s. l.
praedicatur Em2 at uero —separabile (16) om. CEG at
uero—indiuiduis (5) om. Σ · 4 de his om.R 5
post. de om. R 6 bubus Lm1 A bobis R, ante
add. de L T de bobus Busse et canibus cum Porph.
p. 13, 14 om. edd., delend. uid. Bussio 7 praedicatur post
species R pr. (sic) de om. R 8 inrationabile
L et om. Porph. p. 13, 15; ante et add.
similiter R 9 de om. R bubus RLm1 A
praedicatur s. l. \ m2 (dicitur m1 ),
post particulares Λ2 quae L TA 10 quae R
ΓΑ 11 particularia R, add. homines L 4ΛΦ ; om.
Porph. p. 13, 16 proprium—particulares (12) om. R
quod est] otov Porph. p. 13, 17 12
pr. et om. L ΆΣ Busse (casu ut uid., cf.
eius adnot. ad Porph. p. 13, 17 v-ai ),
add. \ m2 13 pr. et om. Busse; Porph. p.
13, 18 τοΰ τε εΐδοος 14 qui] quae R 15 de
homine—equo post separabile R 16 sed om.
Π Σ post principaliter add. accidens
praedicatur Φ , s. l. accidens Lm2 17
secundum—rationem] secundo uero (cet. om.) N ΛΣΦ ;
secundo etiam T m1 ; uero post secundum
C posteriore E ratione E orationem Λ
ante de add. et edd. cum Porph. p. 13, 21
18 post indiuidua add. speciebus N Σ 20
uidentur RG antur. haec est autem una communio quae
pro|positarum p. 94 quinque rerum numerum pluralitate praedicationis
includit; omnia enim de pluribus praedicantur, in hoc ergo sibi cuncta
communicant, nam et genus de pluribus praedicatur, itemque species ac
differentia et proprium et accidens, quae cum ita sint, est eorum una atque
indiscreta communio de pluribus praedicari, disgregat autem ipsam de pluribus
praedicationem, quemadmodum in singulis fiat, quod unum quodque proposi- torum
de quibus pluribus praedicetur ostendit, ait enim genus quidem de
pluribus praedicari, id est speciebus ac specierum indiuiduis, ut animal
praedicatur de homine atque equo ac de his indiuiduis quae sub homine sunt
atque sub equo, item genus praedicatur de differentiis specierum atque id iure.
quoniam enim species differentiae informant, cum genus de speciebus
praedicetur, consequens est ut etiam de his dicatur quae specierum substantiam
formamque efficiunt, quo fit ut genus etiam de differentiis praedicetur ac non
de una, sed de pluribus; dicitur enim quod rationabile est, esse animal et
rursus quod inrationabile est, esse animal, ita genus de spe- ciebus ac
differentiis praedicatur ac de his quae sub ipsis sunt indiuiduis. differentia
uero de speciebus dicitur pluribus ac de earum indiuiduis, ut inrationabile et
de equo praedicatur ac boue, quae sunt plures species, et de his quae sub ipsis
sunt indiuiduis eodem modo dicitur; nam quod de uniuersali praedicatur,
praedicatur et de indiuiduo. quodsi differentia de speciebus dicitur,
praedicabitur etiam de eiusdem speciei sub- 1 praepositarum HN
5 post. et] atque R 7 autem] ut est E 8
quod] ut Em2P et quod La.c. et ut p.c., ante
quod s. l. in eo Hm2 praepositorum HN 9
ostendat ELm2P 10 id est om. HNR, er. G 11 atque] et
CL equo ac de om. EG ac] atque CL et
R 12 de om. L, s. l. Cm2 qui EGP post. sub om.
LNP 14 enim del. E 15 praedicatur HN 16
perliciunt HNP 18 rationale EGHNP 19 quod om. R,
in ras. E, quoniam GLm1 inrationale HNP est
om. R 21 differentiae... dicuntur R 22 inrationale ( uel
irr-) Em2 (rationabile m1) HLm2NP 23 bouej de
boue N et de] deque EG 25 et ante praedicatur
C 26 praedicatur C etiam om. EN iectis.
species uero de suis tantum indiuiduis praedicatur; neque enim fieri potest, ut
quae species est ultima quaeque uere species ac magis species nuncupatur, haec
alias deducatur in species, quod si ita est, sola post speciem indiuidua
restant, iure igitur species de suis tantum indiuiduis praedicantur, ut
homo de Socrate, Platone, Cicerone et ceteris, proprium item de specie
praedicatur cuius est proprium, neque enim esset proprium alicuius, si de alio
diceretur; de quo enim una quaeque res ‘et soli et omni et semper’ dicitur, eiusdem
pro- prium esse monstratur. quae cum ita sint, proprium de specie
dicitur, ut risibile de homine; omnis enim homo risibilis est. dicitur etiam de
indiuiduis speciei de qua praedicatur; est enim Socrates, Plato et Cicero
risibilis, accidens uero et de speciebus pluribus dicitur et de diuersarum
specierum indi- uiduis. dicuntur enim coruus atque Aethiops nigri et hic
cor- uus et hic Aethiops, qui sunt indiuidui, nigri secundum nigre- dinis
qualitatem uocantur. atque hoc quidem est accidens inseparabile, sed multo
magis separabilia accidentia pluribus inhaerescunt, ut moueri homini et boui —
uterque enim moue- tur —, et rursus ea quae sub homine sunt atque boue
indiuidua, moueri saepe praedicantur. sed aduertendum est auctore Por-
phyrio quod ea quae accidentia sunt, principaliter quidem de his dicuntur in
quibus sunt indiuiduis, secundo uero loco ad uniuersalia indiuiduorum
referuntur, atque ita praedicatio 1 praedicabitur CLP 3
uero C 5 praedicatur Cm1EGLRm2 7 esse E 8
nisi HPR, ex si CLm2 aliquo CHP ante
diceretur add. non R, s. l. Lm2 9 pr.
et om. EGHN secund. et om. G tert. et om. EG,
del. Lm2, s. l. Pm2; ad et—semper cf. p. 275,10 12 etiam]
autem HPm1 13 Plato] et piato N et om. CEG
risibiles CH et om. EGLP 14 pluribus om. CN
dicitur om. H, post indiuiduis s. l. scil,
praedicatur m2 specierum om. HN 15 dicuntur in
ras. Hm2 dicitur GNR niger NR
et om. EGHN 16 et om. EG post nigri
add. autem R, s. l. Lm2 19 et om. EG 20 et
om. CEGP 21 mouere Ea.c.Gm2 actore
Ea.c.R 23 post dicuntur add. nam non subsistunt praeter
haec quibus adsunt et nulli prius acci- dunt quam indiuiduis R
24 post uniuersalia add. ad speciem G
superiorum redditur, ut quoniam nigredo singulis coruis adest, dicitur
adesse coruo. nam quia omnia particularia qualitas ista accidentis nigredinis
inficit, idcirco eam de specie quoque praedicamus dicentes coruum, ipsam
speciem, nigrum esse. In quibus omnibus mirum uideri potest, cur
genus de proprio praedicari non dixerit nec uero speciem de eodem proprio nec
differentiam de proprio, sed tantum genus quidem de speciebus ac differentiis,
differentiam uero de speciebus atque indiuiduis, speciem de indiuiduis,
proprium de specie atque indiuiduis, accidens de speciebus atque
indiuiduis. fieri enim potest ut quae maioris praedicationis sint, ea de
cunctis minoribus praedi- centur, et quae aequalia sunt, sibimet conuertuntur,
eoque fit ut genus de differentiis, de speciebus, de propriis, de acci-
dentibus praedicetur, ut cum dicimus ‘quod rationale est, animal est’,
genus de differentia, ‘quod homo est, animal est’, genus de specie, ‘quod
risibile est, animal est,’ genus de proprio, ‘quod nigrum est’, si forte coruum
uel Aethiopem demonstremus, ‘animal est,’ genus de accidenti praedicamus,
rursus ‘quod homo est, rationale est’, differentia de specie, 1
superiorum] E ( s. l. id est specierum) GP
superioribus cett. sub- teriorura superioribus brm
ut—dicitur om. EG 2 post coruo s. l.
speciali Lm2 3 nigredinis accidentis C infecit
HLm1 eam] eamdem Lm2Pm2 (it eadem m1 ) eadem
EG eo Rm1 ea m2 de om. P 4 ipsum
specie EGPRm2 post ipsam add. scilicet C
nigram C 5 omnibus s. l. Cm2 6 utroque loco
neque R 7 differentias R 8 atque Rbrm et
de p differentiis] indiuiduis pr cum p. 286, 1, differentiis
<atque indiuiduis> coni. Brandt; cf. p. 287,12—21
differentias HLPR 9 proprium de specie atque indiuiduis om.
H 11 maiores praedicationes EGR sunt Ca.c. (ras.
i ex u) Pm2R ea s. l. L eadem C
eaedem ( om. de G ) eae Pm1 hae ER cunctis]
dictis EGR 12 et om. EG conuertuntur ]
Em1GLm1Rm2 (conuertentur m1 ) conuertantur CEm2HL
m2NP ad eoque s. l. i ideo G
fit] quale sit EG 13 pr. de] et de HNP
secund. de om. R et de HLNP tert. de
om. E et HNPR et de L quart. de]
et NP et de HL atque R 14 praedicatur
EG rationabile CEGLm1NR 15 animal est] sit animal E (
ad sit s. l. pro est) GLR de s. l. EGm2L
post differentia add. praedicatur GP (del. m1?),
s. l. Lm2, s. l. praedicari Em2 16 eat genus om.
G 18 accidente R 19 rationabile Em1G post specie
add. praedicatur G ‘quod risibile est, rationale est,’
differentia de proprio, ‘quod nigrum est, rationale est’, si Aethiopem
demonstremus, dif- ferentia de accidenti; item ‘quod risibile est, homo est’,
spe- p. 95 cies de proprio, ‘quod nigrum est, homo|est,’ si
Aethiopem designemus, species de accidenti, qua in re etiam ‘quod nigrum
est, risibile est’ in Aethiopis demonstratione ut proprium de accidenti
praedicatur. conuerti autem ad totum accidens potest, ut quoniam in indiuiduis
singulorum esse proponitur, idcirco de superioribus etiam praedicetur, ut
quoniam Socrates animal est, rationalis est, risibilis est et homo est, cumque
in Socrate sit caluitium, quod est accidens, praedicetur idem accidens de
animali, de rationali, de risibili, de homine, ut accidens de quattuor reliquis
praedicetur. sed horum profundior quaestio est nec ad soluendum satis est temporis,
hoc tantum ingredi- entium intellegentia expectet, quod alia quidem recto
ordine praedicantur, alia uero obliquo, quoniam moueri hominem rectum
est, id quod mouetur hominem esse conuersa locutione proponitur, quocirca
rectam Porphyrius in omnibus propositi- onem sumpsit, quodsi quis uim
praedicationis et solutionis adtenderit in singulis praedicationibus comparans,
eas quidem 1 differentiam HR 3 accidentia G post
item add. quod rationale est homo est species de differentia Hm1,
del. m2 speciem ELm2PR, item 5 6 ut om. R,
del. ELm2 post proprium s. l. etiam Pm2,
post accidenti N, s. l. Cm2 7 praedicetur
CHLm1NPm2 ad om. N, s. l. Cm2 8 ut ex
et Hm2 in] N, s. l. m2 in EHP, om. cett. praeponitur
Ca.c.EGHLNR 9 praedicatur CHLNR ante animal add.
et HN 10 ante rationalis add. et HNP,
s. l. Cm1? rationabile Lm1 ante risibilis add.
et HNPR, s. l. Cm1? Lm2 risibile Cm1EGLm1 et (s. l.
m1?) homo est post rationalis est C et
om. EG 11 praedicatur CHLm2NP 12 secund.
de om. CEGR tert. de om. R quart. de om. C
ut] et CHN 13 praedicatur CHN 14 dis- soluendum
N 15 expectet idem quod spectet 16 quoniam] nam HLm2NP
moueri post hominem Cm2Pm2 17 moneatur N 18
ante proponitur s.l. non Hm2 proportionem
EL 19 uim quis EGLR uim om. Hm1, ante
adtenderit s. l. m2 praedicatae H praedictae
Lm2Pm2 et solutionis] CN solutionisque L
solutionis Gm1Hm2 (locutionis m1 ), s. l. add.
Pm2 so- lutione Gm2R solue (sic) E 20 attenderit
in ras. Em2 ostenderit R prolationes quae rectae sunt,
inueniet a Porphyrio esse enu- meratas, eas uero quae conuerso ordine
praedicantur, fuisse sepositas. Commune est autem generi et
differentiae con- tinentia specierum. continet enim et differentia
species, etsi non omnes quot genera, rationale enim etiamsi non continet ea
quae sunt inratio· nabilia quemadmodum animal, sed continet homi- nem et
deum, quae sunt species, et quaecumque praedicantur de genere ut genera, et de
his quae sub ipso sunt speciebus praedicantur, et quae- cumque de differentia
praedicantur ut differen- tiae, et de ea quae ex ipsa est specie
praedicabun- tur. nam cum sit genus animal, non solum de eo praedicantur
ut genera substantia et animatum, sed etiam de his quae sunt sub animali
speciebus 4—p. 292, 10] Porph. p. 13, 22—14, 12 (Boeth. p. 40, 17—41,
12). 1 esse om. GN, add. Hm2 enumeratas] N
numeratas cett. 2 prae- dicantur] proferuntur HN 3
positas Gm1Hm1 suppositas Pm2 4 de
Porph. cf. ad p. 103, 7 5 Communis Σ , m1 in EH \
est om. E Porph. (p. 13, 33) Busse, post autem
N 6 continet—sunt (p. 292, 8)] LR Q , om. cett. 7
etiamsi ΔΣ quod i m1 quas A m2R 8
enim om. R, 8. l. Δ inrationalia 2Φ ,
add. ut genus codd. praeter R Σ , om. etiam
Porph. p. 14,2, delend. uid. Bussio 9 sed] tamen brm 10 deum]
angelum R angelum et deum L; Porph. cod. A θεόν
, cett. άγγελον 11 genera] Σ genus cett.
Busse (sed genera probare uid.); cf. ut genera 16. p.
293, 20 , ut differentiae 13; Porph. p. 14,3 όσα τε
ν,ατηγορεΐται του γένους ώς γένους et] eadem in ras. A
m2 12 et] Z p, s. l. A m2, om. cett.
(aliter er. T ) Busse item brm; cf. ad
13 quaecumque] Lm2R Z quaeque cett. 13 de
differentia] differentiae Lm1 A differentia R ΓΦ ;
cf. ut differentiae p. 294, 1; Porph. p. 14,4 όσα τε
τής διαφοράς ώς διαφοράς 14 ex] sub L \ et
R; Porph. έξ praedicantur Γ 15 genus sit
ΔΛΣ 16 praedicatur R ut om. edd. genera] L
Z Busse genus cett. codd., om. edd.; cf. p. 394, 3—5;
Porph. p. 14,5 γένους... ώς γένους αατηγορεΐται ή
ουσία 17 sunt om. L animalis Δ omnibus
praedicantur haec usque ad indiuidua. cumque sit differentia rationalis,
praedicatur de ea ut differentia id quod est ratione uti, non solum autem de eo
quod est rationale, sed etiam de his quae sunt sub rationali speciebus
praedicabitur ratione uti. commune autem est et perempto ge- nere uel
differentia simul perimi quae sub ipsis sunt; quemadmodum enim si non sit animal,
non est equus neque homo, ita si non sit rationale, nullum erit animal quod
utatur ratione. Post eam quae cunctis adesse uisa est communitatem,
sin- gulorum ad se similitudines ac dissimilitudines quaerit, et quoniam inter
quinque proposita genus ac differentia uniuer- salioris praedicationis sunt,
siquidem genus species continet ac differentias, differentiae uero species
continent neque ab his ullo modo continentur, primum generis ac
differentiarum similitudines colligit, ac primam quidem ponit hanc, dicit enim
commune esse generi ac differentiae, ut species claudant; 1
praedicatur LR ante haec add. et s. l. Lm2, in
mg. Γ , post haec Λ haec del.
\ m2 2 rationalis] codd. (etiam Bussii LQ
rational, in P uox paene tota euanuit ) rationale edd. Busse;
Porph. p. 14,7 διαφοράς τε οόσης τής τοΰ λογιχοΰ ; cf. infra
p. 293, 14 rationalis diffe- rentia; 295, 11 sub rationali
differentia, unde rationalis nominatiuum potius
intellegas quam cum Porph. genetiuum praedicantur Φ 3 eo
coni. Busse non] et non L *l> 4 autem] ΓΦ , s.
l. Km2, om. cett.; Porph. p. 14, 8 δε 5
ante sunt s. l. sub ipsa \ m2 sub rationabili-
bus h m1, del. m2 post rationali add. animali ΠΦ
, s. l. Lm2 praedi- catur ΓΔΛΣΦ a.c.; Porph. p.
14, 9 χατηγορηθήσετοι 6 ante ratione add.
id quod est s. l. & m2 W m2 Busse id quod
potest LR post com- mune s. l. illis Γ est
autem Φ ante perempto add. hoc
Λ genere] Porph. p. 14, 10 ή τοΰ γένους ,
om. η cod. Μ 8 enim] Σ , s. l.
Ψ m2 , om. cett.; Porph. p. 14,11 γάρ sit]
est CEGHP 9 ita] sic L ac b m1 \ 12 ad se]
ad esse EGP et om. CEG, s. l. Pm2, del. Lm2 13 generis
ac differentiae CN uniuersaliores praedicationes CEGNP
14 ante species add. et LR 15 nec
N 16 ac] et N 17 primum LNP hanc] hanc
communionem H 18 commune] hoc commune H
communionem LR ac] et CGLP concludant HN
nam sicut genus sub se habet species, ita etiam differentia, tametsi non
tantas quot habet genus, etenim genus quoniam differentiam etiam claudit et non
unam tantum sub se diffe- rentiam cohercet ac retinet, plures necesse est
habeat sub se species, quam quaelibet una earum differentiarum quas
claudit, ut animal praedicatur de rationabili et inrationabili. quodsi ita est,
praedicabitur et de his quae sub rationali sunt positae speciebus et de his
quae sub inrationali. est ergo commune animali et rationali, id est generi et
differentiae, quod sicut genus de homine et de deo praedicatur, ita etiam
rationale, quod est differentia, de deo ac de homine dicitur, sed non in tantum
haec praedicatio funditur quantum animalis, id est generis, animal enim non de
deo solum atque homine, sed de equo et boue praedicatur, ad quae rationalis
differentia non peruenit. sed quandocumque deum supponimus animali,
secun- dum eam opinionem facimus quae solem stellasque atque hunc totum mundum
animatum esse confirmat, quos etiam deorum nomine, ut saepe dictum est,
appellauerunt. Secunda item communio est generis ac differentiae, quoniam quaecumque
praedicantur de | genere ut genera, eadem de his quae sub p. 96
ipso sunt speciebus praedicantur; ad hanc similitudinem 15 quandocumque — 18
appellauerunt] Abaelardus, Introduct. ad theolog., II 34. 376. 18 saepe] p.
208, 22. 259, 19. 1 habeat Lm2 differentiae
EGR 2 post. genus om. EGR, post quoniam Cm1,
corr. m2 3 differentias CHm1L etiam del. Lm2, om.
N et om. EG, s. l. Lm2 tantum om. H, s. l. Lm2 4
ante plures add. sed EGL adhibeat R
ut habeat L 5 quas om. L quam EGHPm1R 6
rationali CHLN inrationali ( uel irt-) HLN 7 ra-
tionabili Cm1EGm2P 8 inrationabili ( uel irr-,)
CEGNP commune est, post s. l. ergo C ; ergo om.
EG, add. Pm2 10 et de deo om. EG rationabile CEGR
11 in om. LN 12 haec om. EG 14 rationabilis
R 16 opinionem] CHNPm2 Abaelard. propositionem
EGLPm1R qua EGLm1P solem] coelum Abaelard. 17
confirmant EGLm1 confirmet N 20 de genere
praedicantur C post eadem add. et L 21
ipso] genere H ad hanc similitudinem om. EGR; ante
ad s. l. et Pm2 quaecumque de differentia
praedicantur ut differentiae, et de his quae sub differentia sunt ut
differentiae praedicantur, cuius sententiae talis est expositio, sunt plura
quae de generibus praedicantur ut genera, ut de animali dicitur animatum,
dicitur substantia, atque haec ut genera, haec igitur praedicantur et de
his quae sub animali sunt, ut genera rursus; nam hominis et animatum et
substantia genus est, sicut ante fuerat ani- malis. item in ipsis differentiis
quaedam differentiae inueniun- tur quae de ipsis differentiis praedicantur, ut
de rationali duae differentiae dicuntur, quod enim rationale est, utitur
ratione uel habet rationem, aliud est autem uti ratione, aliud habere
rationem, ut aliud est habere sensum, aliud uti sensu, habet quippe sensum et
dormiens, sed minime utitur, ita quoque dormiens habet rationem, sed minime
utitur, ergo ipsius ratio- nabilitatis quaedam differentia est ratione uti, sed
sub ratio- nabilitate homo positus est; praedicatur igitur de homine ratione
uti ut quaedam differentia, differt enim a ceteris animalibus homo, quia
ratione utitur, demonstratum igitur est quia sicut ea quae de genere
praedicantur, dicuntur de generi subiectis, ita etiam ea quae de differentia
praedicantur, dicuntur de his quae differentiae supponuntur. Tertium
commune est quod 1 ante quaecumque add. et
EGL(del. m2), er. uid. C quaeque GPR praedicantur om.
EGR, post ut differentiae H ut differentiae om. EG post
differentiae add. eadem quoque L, post de his P
(om. et), eadem s. l. Nm2 2 post sub
add. ipsa NR sunt ante sub H ut
differentiae om. H, s. l. Nm2 ut differentia EG 4
post. dicitur om. L 5 ante substantia add.
et LPm2 6 rursus ante ut GR, post L 7 antea
fuerat H ante fuerant (n s. l. m2) L fuerant ante
R 8 quae- dam s. l. Cm2 9 praedicentur Cm2
ut om. HN 11 autem habere rationem aliud uti ratione
NR. 12 ut om. H sicut N est om. H 13 sed
minime utitur om. N sed—dormiens om. EGPE, del. Lm2
ita—rationem in sup. mg. Nm2 15 sed om. EG, s. l. Pm2
16 positus est homo R esse ( om. est EGP est
ex esse Lm2 esse del. Pm2 ) praedicatur. Igitur
EGLP 17 ut om. EG, s. l. Cm2 post diffe- rentia
add. est EGP a] L, om. cett. 18 homo
ante ceteris H est igitur HLN quia] quod
CL 19 post. generum EGLm2P 20 post
his add. quoque HN 21 post Tertium
add. uero P, s. l. Lm2 quod] quia C sicut
absumptis generibus species interimuntur, ita absumptis differentiis species de
quibus differentiae praedicantur, intereunt, commune enim est hoc, uniuersalium
in substantia pereuntium perire subiecta. sed prima communio demonstrauit
genera de speciebus praedicari, sicut etiam differentias, propter hanc
igitur similitudinem si auferantur genera, species pereunt, sicut etiam species
perire necesse est quae sub differentiis sunt, si uniuersales earum
differentiae consumantur, cuius exemplum est : si enim auferas animal, hominem
atque equum sustuleris, quae sunt species positae sub animali, si auferas
rationale, hominem deumque sustuleris, qui sunt sub rationali diffe- rentia
collecti. Et de communitatibus quidem hactenus, nunc de generis et differentiae
dissimilitudine perpendit. Proprium autem generis est de
pluribus prae- dicari quam differentia et species et proprium et accidens;
animal enim de homine et equo et aue et serpente, quadrupes uero de solis
quattuor pedes habentibus, homo uero de solis indiuiduis et hin- nibile
de equo et de his qui sunt particulares, et 14—297, 2] Porph. p. 14,
13—15, 8 (Boeth. p. 41, 13—42, 14). 1 sicut—ita om. EG
consumptis ( post ita) Pm2 6 igitur] qui- dem E
sicut] sic GHm2LN 7 species etiam HNP 10 quae]
quia H qui ex quia Nm2 12 collocati
HNP, recte? cf. 10. p. 300, 18 Et om. CEGP, del. Lm2 13
perpendet G 14 PROPRIO C PRO- PRIIS post
DIFFERENTIAE L GENERI R DE PROPRIIS EORVM
(EORVNDEM Ψ ) Ρ Ψ ; de Porph. cf. ad p. 105, 16 15
autem om ·. ΓΦ generi LNR A ; cf. infra p. 297,
15. 16 s. 299, 17. 300, 23. 301,10. (13) 302,11 est ante
generis s. l. A , om . Σ , om. Porph. p.
14,14 16 ante quam add . magis L (er.)
A (del. m2) differentiae EGHLPm1R ; Porph.
p. 14, 15 ή διαφορά et species—differentia (p. 296, 21)
] LR ii , om. cett . et proprium] propriumque A 17 de
equo et (de add. \ ) homine ΔΑ 18
post uero add . uidetur ΓΦ , m1 in L ΔΑ , del.
m2; om. Porph. p. 14, 17 solis om. R 20 ante equo
add . solo edd. cum Porph. p. 14, 18 μόνον , fort.
recte post , de om. R, s. l. Lm2 accidens similiter de
paucioribus, oportet autem differentias accipere quibus diuiditur genus, non
eas quae complent substantiam generis, amplius genus continet differentiam
potestate; animalis enim hoc quidem rationale est, illud uero inratio-
nale. amplius genera quidem priora sunt his quae sunt sub se positae
differentiis, propter quod simul quidem eas auferunt, non autem simul aufe-
runtur; sublato enim animali aufertur rationale et inrationale. differentiae
uero non auferunt genus; nam si omnes interimantur, tamen substan- tia
animata sensibilis subintellegitur, quae est animal, amplius genus quidem in eo
quod quid est, differentia uero in eo quod quale quiddam est, quemadmodum
dictum est, praedicatur, amplius genus quidem unum est secundum unam quamque
speciem, ut hominis id quod est animal, differen- tiae uero plurimae, ut
rationale, mortale, mentis et disciplinae perceptibile, quibus ab aliis
differt, et genus quidem consimile est materiae, formae uero differentia,
cum autem sint et alia communia 1 autem om . Σ
enim Lm1 4 continet genus LR; Porph. p. 14, 20 τό
γένος περιέχει 5 enim om. 2 uero A m1
est in mq. Lm2 6 quidem genera Lm1R priora om.
L 7 sub se ante sunt L, post positae R
positis ΓΛΦ , m1 in L Λ2 8 quidem om. L, ante
simul R auferunt] h m1 V aufert cett.; Porph. p. 14,
22 ( τα γέν-r ) σοναναιρεΐ οΰτός aufe- runtur] A m1
W aufertur cett.; Porph. p. 14, 23 σοναναιρεϊται
9 aufertur rationale—aufernnt genus om. R 11 si] etiamsi brm
cum Porph. p. 15, 1 καν ; fort. etsi scribendum
tamen om . Σ , s. l. A m2 A m2 12 sensi-
bili R subintellegitur] Φ subintellegitur potest
R subintellegi potest cett.; Porph. p. 15, 2
επινοείται quod Δ Busse; Porph . οϋσια...ήτις ήν
τό ζψον 14 uero om. L quiddam om. R quid
edd . est om. LR TΛΦ 15 quemadmodum] sicut
LR est dictum Λ Busse 16 quidem genus hA m1
Z est unum LR 17 ante hominis add.
est edd. Busse; om. Porph. p. 15, 4 18 plures brm cum
Porph. p. 15, 5 πλείοος ; cf. infra p. 301, 21; post
plurimae add . sunt ΑΣ Busse; om. Porph. p. 15, 5
mentis 5 m2 risus m1 20 cum simile R 21
autem Cp.c . haec a.c . et om. G et propria
generis et differentiae, nunc ista suf- ficiant. | Proprium quidem
quid sit, conuenienti atque integro uoca- p. 97 bulo definitum est. sed
per abusionem illa etiam propria quorumlibet dicuntur quae in una quaque
re ab aliis continent differentiam, licet cum aliis sint ea ipsa communia, per
se quippe proprium est homini quod ei omni et soli et semper adest, ut
risibilitas, per usurpatam uero locutionem etiam proprium hominis
rationabilitas dicitur non per se proprium, quippe quod ei cum deorum est
natura commune, sed homini rationabilitas proprium dicitur ad discretionem pecudis,
quod rationale non est; id uero propter hanc causam, quoniam id proprium unius
cuiusque dicitur quod habet suum, quo igitur quis ab alio differt, proprium
eius non absurda usurpatione praedicatur, sed nunc quod dicit proprium
generis esse de pluribus praedicari quam cetera quattuor, id ipsum generis tale
proprium est, quale per se proprium dici solet, id est quod semper <et>
omni et soli adsit generi, generi enim soli adest, ut differentia, specie,
proprio, accidenti überius atque affluentius praedicetur, sed de his
differentiis, speciebus, pro- priis atque accidentibus id dici potest quae sub
quolibet 1 proprii P et] ac EGP nunc om.
Porph. p. 15, 8 suf- ficiunt Λ m1 2 ; Porph . άρκείτω ταϋτα
, cod. B apxet τοααδτα 3 quidem] autem C quod
R 5 in una quaque re] CLP re om. N una
quaque E una quaeque G unam quamque HR 6
differenda EGLm1 7 omni et soli] et soli et omni C
pr. et s. l. Lm2 post , et om. EG 10
post ei add . quoque HNP 12 rationabile HR
post uero add. fit L , s. l. Pm2 14 aliquo
Lm2 differat Cm2Hm1N 15 nunc om. EG , post
quod C 17 tale ante quale P est proprium LP
post , est om. CN 18 et add. brm adest C
generi enim in mg. Hm2 enim] uero C autem L
19 post ut add . et H (del. m2) N et
specie HLN et proprio HLR et (atque R )
accidente HLm1 (-ti m2 ) NR 20 affluentius]
CHNPm2 fluentius Lm1 , s. l . ł lucidius m2 cluentius
E ( s. l . habundantius] Pm1 licentius G
luculentius R de] e R speciebus post
differentiis pos. Brandt, ante codd. pr, om. bm et propriis
CHLN 21 atque om. P genere sunt, id est differentiae
quidem quae quodlibet diuidunt genus, species uero quae diuisibilibus generis
differentiis infor- matur, proprium autem illius speciei quae sub illo genere
est quod differentiis est diuisum, accidentiaque quae his hae- reant indiuiduis
quae sub ea specie sunt quam designatum genus includit, hoc facilius
exempla declarant, sit enim genus animal, quadrupes ac bipes differentiae sub
animalis positae continentia, homo atque equus species sub eodem genere
constitutae, risibile atque hinnibile propria earundem spe- cierum, uelox uero
uel bellator accidentia quae his indiuiduis accidunt quae sub speciebus
equi atque hominis continentur : animal igitur, quod est genus, praedicatur et
de quadrupede et bipede, quae sunt differentiae, quadrupes uero de bipede non
dicitur, sed tantum de his animalibus quae quattuor pedes habent; plus igitur
praedicatur genus quam differentia, rursus homo de Platone ac Socrate
praedicatur, animal uero non modo de hominibus indiuiduis, uerum etiam de
ceteris inratio- nabilibus indiuiduis dicitur; plus igitur genus quam species
praedicatur, sed cum sit proprium hinnibile equi speciei cum- 1
differentiae] CNp differentias EG, m1 in HLP de (om.
HPR) dif- ferentiis m2 in HLP, Rbrm quidem om. B, ante
add . sunt C, post N genus diuidunt HN 2
speciebus Hm2Lm2 specie Pm2brm diuisi- bilis
Hm1Pm1R ( add . est), dissimilis E ( add . est) G,
ad diuisibilibus in mg. ał quae diuisiuis Lm2, sed cf.
p. 254, 12 ante generis add est ERm2, add . sunt,
post et (del. m2) P informantur CLm2 3 pro-
prio m2 in HLP (ante s. l. de add.) brm post autem add . quod
est EGP (del. m2) illi Lm1 4 diuisiuum Lm1
diuiditur ( om . est; N accidentiaque] CEGHm1Lm1
accidentia quoque Pm1 (de accidentibus quoque m2 )
accidentia Rp accidensque N accidentibusque
Hm2Lm2brm quae] quod N hereat N haerent Pm2
edd . 5 sint G 10 uelox— bellator] HNP (uel om. ,
et s. l. m2 ), uelox uero dux uel bellator C uelox uero uel
bellator dux L uelox uero bellator dux EG ferax
uerox (sic) ( s. l . equus m2 ) bellator dux R 11
accidant H accidencia Pm1 12 et om. EGP 13
et bipede] HNP, om. R bipede C de bipede
EGLm1 et de bipede m2 quadrupedes G 14 his
om. GR, s. l. Cm2Lm2 16 ac] et P post praedicatur add .
et ceteris HNP 17 hominis C (s in er. b.? m2
) GHm1N 19 sed—praedicetur om. EG hinnibile
ante proprium N, om. LR simile H equi om.
H que genus quam species überius praedicetur, praedicatio quo- que
generis proprii supergreditur praedicationem, accidens quoque etsi pluribus
inesse potest, tamen saepe genere con- tractius inuenitur, ut bellator non
proprie nisi homo dicitur, ut uelocitas in paucis animalibus inuenitur.
quo fit, ut genus differentia, specie, proprio et accidentibus amplius
praedice- tur. Atque haec est una proprietas generis quae genus ab aliis
omnibus disiungat ac separet, oportet autem, inquit, nunc eas differentias
intellegere quibus diuiditur genus, non quibus informatur, illae enim
quibus informatur genus, plus quam ipsum genus sine dubio praedicantur, ut
animatum et corpo- reum ultra animal tenditur, cum sint differentiae animalis,
sed non diuisiuae, sed potius constitutiuae; omnia enim superiora de
inferioribus praedicantur, quae uero de inferioribus praedi- cantur neque
conuerti possunt, haec ab eis quae inferiora sunt amplius praedicantur.
Post hoc aliud proprium generis ostendit quo ab his differentiis quae sub
eodem sunt positae, segregatur, omne enim genus continet differentias
potestate, differentia uero genus non potest continere, animal enim
rationale atque inra- tionale continet potestate; neque enim inrationabilitas
neque rationabilitas animal poterit continere, potestate autem ait continere
animal differentias quia, ut superius dictum est, 23 superius] p. 264,
16. 1 praedicatur Cm1R 3 inesse] inest C
ante saepe add . semper uel Hm1, del. m2 contractius
genere H inneniri C 5 pr. ut er. uid.
C, om. HPm1 et LN, s. l. Pm2 6 ante
differentia add . et Hm2LN ante specie add . et
HL et de N ante proprio add. et HL et de
N et om. E accidente R 8 inquit om. N, del.
Hm2 10 post informatur add . genus C
illae—informatur om. EGLR, post praedicantur (11) add . Ipsae enim
diffe- rentiae a quibus informatur genus Lm1, ante plus quam
transpos. m2 illae enim] nam illae P ante plus add .
nam GR 11 sine dubio om. HN et om. EG 12
tendit EG ? tenduntur R sunt H 15 ab om.
H 18 eodem] eo HN eodem genere C segregetur
HN 20 rationabile ELm2P atque om. EGR, s. l. Pm2
inrationale om. EGPm1R inrationabile Lm2, s. l. Pm2 21
inrationalitas neque rationalitas HN 22 poterunt CHLP
23 post differentias add . proprias CL (del. m2), ante
HNP genus quidem omnes sub se habet differentias potestate, actu
uero minime, ex quo fit ut alia proprietas oriatur, sublato enim genere perit
differentia, ueluti sublato animali interimitur rationabilitas, quod est
differentia, at si rationale interimas, inrationale animal manet, sed obici
potest : quid? si utrasque differentias simul abstulero, num poterit
remanere genus? dicimus : potest, unum quodque enim non ex his de quibus
praedicatur, sed ex his ex quibus efficitur, substantiam sumit, itaque fit ut
genus sublatis diuisiuis differentiis permanere possit, dum tamen maneant illae
quae ipsius generis formam substantiamque constituunt, quoniam enim
animal animata p. 98 atque sensibilis differentiae constijtuunt, hae si
maneant atque iungantur, perire animal non potest, licet ea pereant de quibus
animal praedicatur, rationale scilicet atque inrationale. unum quodque enim, ut
dictum est, ex his substantiae proprietatem sumit ex quibus efficitur, non
ab his de quibus praedicatur, amplius si utrasque differentias genus potestate
continet, ipsum per se neutram earum intra se positam collocatamque con-
cludit. quodsi actu quidem eas non continet, sed potestate, actu etiam ab his
poterit separari; hoc ipsum enim, potestate eas continere, id erat actu
non continere, genus uero, quod quaslibet differentias actu non continet, actu
ab eisdem etiam separatur. Kursus aliud est proprium generis, quod ex
pro- 1 omne GR 2 alia ut EGP 4 rationalitas
HN at om. EGR rationabile CLm1R 5
inrationale om. EG inrationabile Lm1R quod
CEGLP qui R 6 post abstulero add. rationales et
inrationales E num] non EGLm1P 7 dicimus] sed dici
EP de quibus—his in mg. Hm2 8 post , ex]
de P 9 itaque] atque GR atque ita C atque
ideo EP 10 post tamen add . earum P
illa C ( a. in er . ae m2 ) N quod E
11 quoniam—constituunt in mg. inf. Em2 animati Cm2LR 12
differentia HN differendis Pm1 haec C (c er.)
EGHN manent E 15 dictam est] diximus C
17 ante ipsum s. l. tunc Hm2 18 neutra
G neutrum R positum collocatumque LPm1R 20 etiam]
quidem E post poterit add . genus EG post
enim add . quod est R, s. l. Pm2 21 erit Lm2R
quod] quae E 23 eat om. ENR prietate praedicationis
agnoscitur, omne enim genus ad inter- rogationem ‘quid est unum quodque?’
responderi conuenit, ut animal in eo quod quid est de homine praedicatur,
differentia uero minime, sed in eo quod quale sit; omnis enim differentia
in qualitate consistit, sed hoc proprium tale est quale supe- rius diximus, non
per se, sed secundum alicuius differentiam dictum, alioquin commune est hoc
generi cum specie, ut in eo quod quid sit praedicetur, sed quia hoc genus a
differentia discrepat, quoniam differentia quidem in eo quod quale est,
genus uero in eo quod quid est praedicatur, generis proprium dicitur non per
se, sed ad differentiae comparationem, et in omnibus reliquis eandem rationem
conueniet speculari; quod- cumque enim ita generi proprium dicitur, ut nulli
sit alii commune, sed tantum hoc habeat genus ut omne genus et semper, id
secundum se proprium nuncupatur, quicquid uero cum quolibet alio commune est,
id non per se, sed ad alterius differentiam proprium dicitur. Alia rursus
generis et diffe- rentiae separatio est, quod genus quidem speciei unum semper
adest, scilicet proximum plura - enim possunt esse superiora, uelut
hominis animal atque substantia, sed proximum eiusdem hominis animal tantum —,
differentiae uero plures uni speciei 5 superius] p. 297, 9.
1 post agnoscitur add . Omne enim genus ei proprietate
cognoscitur praedicationis P, in inf. mg. Lm2 generis E
2 quid est] quidem E quidem quid est HN unum om.
E respondere CLR 4 sit] est HN 7 hoc
ex huic Em2 8 ac G 9 est] sit N 11 et om.
EG 12 conuenit CHNP 13 generis Pm2 alii sit
C 14 tamen E habeat—semper] Cm2Hm1N habeat genus
et omne genus et (et om . Lm2R ) semper Cm1Hm2Lm2R
habeat omne genus semper EG habeat genus omne semper
Lm1 genus hoc (del. m2) haheat omne genus (genus omne
m2 ) et (s. l. m2) semper P 15 se om. CN ,
illud Cm2 (s. l.) id H post proprium add .
dicitur quod per se proprium CHN 16 ad om. C, in mg.
Hm2 17 pr . differentia C 18 est om. HNR ,
s. l. E uni R 19 proximum Cp. c . proprium a. c .
ad plura in mg. genera Lm2 , enim genera
P 20 ante animal s. l . sed genus Cm2 21
post speciei add. semper adsunt E adesse
poterunt, ut rationale atque mortale homini, itaque fit definitio ex uno quidem
genere, sed pluribus differentiis, ut hominis animal rationale mortale. Rursus
alia discretio est, quod genus quidem quasi subiecti locum tenet, differentia
uero formae, ita ut illud sit materia quaedam quae figuram suscipiat,
haec uero sit forma quae superueniens speciei sub- stantiam rationemque
perficiat. Idcirco uero pluribus diffe- rentiis a genere differentiam
segregauit, quia haec maxime generis quandam similitudinem contineat, quia est
uniuersalis et praeter genus inter ceteras maxima, sed cum alia plura
communia pluraque propria generis inter se ac differentiae ualeant inueniri,
nunc, inquit, ista sufficiant, satis est enim ad discretionem quaslibet
differentias assumere, etiamsi non quae dici possunt omnia colligantur.
Genus autem et species commune quidem ha- bent de pluribus,
quemadmodum dictum est, prae- dicari. sumatur autem species ut species et non
etiam ut genus, si fuerit idem et species et genus. 15—303, 3] Porph. p.
15, 9—13 (Boeth. p. 42, 15—20). 1 adesse—mortale om.
EGR ut om. HN ut homini C Hominis itaque
C hominis, itaque P 2 ante pluribus add .
de Lm2 3 post rationale add. atque
edd . est om. HNR 4 quidem om. C 5 ita ut om.
EGLm1 ut m2 quaedam om. EG, s. l. Lm2, ante
materia P quae om. R, s. 1. Cm1? quod Em1 6
suscipiens Lm1R 7 uero om. EGLR 8 differentias
CEGHm1Pm1 9 continet EGLPR 10 et om. N praeter]
post HPm1 maxima inter ceteras H in N
cetera Lm1Pm2 edd . maximi G maximae Pm1 12
nunc—sufficiant] HLNR (recte? an ex p. 297, 1?) ista inquit
sufficiunt GP sufficiunt inquit ista C ista quidem
sufficiunt E 14 non post omnia E (s. l.) p, ante
brm colliguntur Hm1R 15 ET SPECIEI] SPECIEIQVE C; de Porph.
cf. ad p. 102, 7 17 de pluribus om. G 18 sumatur—prae- dicantur
(p. 303, 2)] LR Q , om. cett . autem] autem et L ΛΛΦ ; Porph.
p. 15, 11 11 et om . ΓΔ sed RΣ
19 ut add . \ m2 pr . et] L cum Porph. p. 15,12, om. codd.
cett. edd. Busse genus et species Ε Σ commune autem his
est et priora esse eorum de quibus praedicantur, et totum quiddam esse utrum
que. Generis et speciei enumerat tria communia, unum quidem,
de pluribus praedicari; genus enim et species de pluribus praedicantur, sed
genus de speciebus, ut dictum est, species uero de indiuiduis. sed nunc de illa
specie loquitur quae tantum species est. id est quae non etiam genus est, sed
ultima species, quodsi talem speciem ponamus quae etiam genus esse
potest, ac de ea dicamus quoniam commune habet cum genere de pluribus
praedicari, nihil interest an ita dica- mus, ipsum genus id secum habere
commune de pluribus praedicari, talis enim species quae non est solum species,
ea etiam genus est. Est autem commune his quoque quod utra- que priora
sunt his de quibus praedicantur, omne enim quod de aliquibus praedicatur, si
recto, ut dictum est superius, ordine dicatur, prius est his de quibus
praedicatur. Praeterea est illis hoc etiam commune, quod genus ac species totum
sunt eorum quae intra suum ambitum continent et cohercent; omnium enim specierum
totum est genus et omnium indi- ui|duorum totum species, aeque enim genus et
species aduna- p. 99 tiua sunt plurimorum, quod uero multorum
adunatiuum est, id eorum quae ad unitatis formam reducit, recte dicitur
totum. 16 superius] p. 290, 15 ss. 1 est om.
L priora] propria La.c. Tk a.c A m1 2 esse] est C
5 ante genus add. et H (er.) N 6 post
genus add . quidem L 8 est, sed] est ut est H ut
est N 12 secum] H (cum in ras. m2 )
LR secundo CEGNPm2 (-da m1 ) de pluribus—commune
(14) post praedicantur (15) E 13 quod E 14
his commune HN 15 omne—-praedicatur (16) in mg. Hm2 17
dicatur] praedicatur CN his] de his G 18 etiam
hoc N eorum sunt C 20 genus est NR et]
ut Hm1 21 ante species add. est CNP, post E (in
ras.) H 23 quod E re- ducuntur Ca.c.N
Differt autem eo quod genus quidem continet spe- cies sub se, species
uero continentur et non continent genera; in pluribus enim genus quam species
est. genera enim praeiacere oportet et formata specificis differentiis
perficere species; unde et priora sunt naturaliter genera et simul
interimentia, sed quae non simul interimantur. et species quidem cum sit, est
et genus, genus uero cum sit, non omnino erit et species. et genera quidem
uniuoce de speciebus praedi- cantur, species uero de generibus minime,
amplius genera quidem abundant earum quae sub ipsis sunt specierum continentia,
species uero a generibus abun- dant propriis differentiis. amplius neque
species fiet umquam generalissimum neque genus specialissimum.
Expeditis communibus generis ac speciei nunc de eorum discretione
pertractat. differre enim dicit genus ab specie, quoniam genus continet
species, ut animal hominem, species 1—15] Porph. p. 15, 14—24 (Boeth. p.
42, 21—43, 10). 1 PROPRIO H DIFFERENTIIS C; de Porph. cf. ad
p. 105, 16 2 Differunt ENR edd.; Porph. p. 15, 15
διαφέρει post autem add . genus a
specie Φ continet quidem N 3 sub se er. uid
. 5 , s. l. 2 m2, ante species (2) ΓΦ
; Porph. p. 15, 15 περιέχει τά είδη species s. l.
Gm2 continetur C A continetur a genere Γ ; Porph
. τα δέ είδη περιέχεται et om. EG continet C
ΑΦ 4 in pluribus—differentiis (14) ] LR Q , om. cett .
enim] quidem S ; Porph. p. 15, 16 ετι τά γένη
5 ante oportet s. l . et 5 m2 et s. l
. 5 m2 , hic om., sed ante perficere pos. LR h m1
(del. m2) A ; Porph. p. 15, 17 ν.α'ι
διαμορφωθ-έντα 7 sed] si R 9 est] Porph. p. 15, 19
πάντως εστι; exciditne omnino ? pr .
et om . LR I , s. l . A m2 ; Porph. p. 15,
19 εστι και γένος post . et] A (del.
m2) Φ cum Porph. p. 15, 20, om. cett. edd. Busse
10 uniuoce quidem AAS ; Porph. τά μέν γένη de
speciebus] Porph. p. 15, 21 των δφ’ έοοτά ειδών 12
quidem genera L s m2 i\Y . Busse; Porph. τά μέν
γένη sunt (s. l. L) sub ipsis LR; Porph. p. 15,
22 των όπ’ αΰτά ειδών 13 a om . ΓΦ ab
A m1 , del. m2 14 fiet post umquam C
fit HN 15 neque genus specialissimum om. H
post genus add . fiet CEGR fiet umquam
ΑΑΣ fiet species L; Porph. 15, 24 ούτε τδ γένος
ειδικάιτατον 16 ac] et CE 17 differt GR a
HLNR 18 pr . speciem HN uero non continet genera;
neque enim homo de animali prae- dicatur. itaque fit ut species quidem
contineantur a generibus, numquam uero contineant genera, omne enim quod
amplius praedicatur, illius est continens quod minus dicitur, quodsi
genus amplius praedicatur quam species, necesse est ut spe- cies quidem
contineatur a genere, genus uero speciei nullo ambitu praedicationis
includatur, huius autem ratio est quo- niam genus semper suscipiens
differentiam speciem facit, hoc est, genus quod habebat latissimam
praedicationem, coartatum differentia et contractum speciem facit; omnino
enim generi iuncta differentia speciem reddit et ex uniuersalitate atque
latissima praedicatione in angustum speciei terminum con- trahit. animal enim,
cuius praedicatio per se longe lateque diffusa est, si arripiat rationalis
differentiam, si etiam mortalis, deminuit atque contrahit in unum hominis
speciem, unde fit ut minor sit semper species quam genus atque ideo conti-
neatur, sed non contineat, sublatoque genere auferatur et spe- cies; si enim
totum auferas, pars non erit, quodsi species auferatur, genus manet, ueluti cum
animal sustuleris, interi- mitur etiam homo, si hominem auferas, animal
restat, haec etiam causa est, ut genus de specie uniuoce praedicetur, id est ut
species suscipiat definitionem generis et nomen, sed 1 continent HN
enim om. C 6 contineantur NR speciei om. R
specie Cm1 in specie Lp.c . species N post
nullo add . modo EGHPR, s. l. Lm2 7 includitur
EGLm1P includat N post autem s. l.
rei Cm2 8 semper om. HN species N hoc—facit
(10) om. EG 9 est s. l. C, om. HN, del. Pm2 habet
Lm2Pm2 coartatum ex coapta- tum Lm2, in mg . ał
coaptata ipsa diffinitio et contracta speciem facit m1
coaptata Hm2P apta Cm1 (aptata m2 )
Hm1N 10 et] LR, s. l. Pm2 , om. CHN (de EG cf. ad S) contracta Lm2
omni Hm2Lm2 11 et om. G, s. l. ELm2 atque] et EHNPR 12 post praedicatione add.
generis CNP, s. l. Lm2 speciem EG contrahitur Hm2 14 differen- tia C (
ras. ex -ã) R etsi etiam E et s. l., del. si etiam Lm2,
et R 15 diminuit EHLPR ; diminuitur atque contrahitur
N unam C (am in ras. m2 ) Hm2NR 16
continentur sed non continent N 17 et om. EGR 19
remanet C cum] si P 21 est causa C 22
generis et nomen] et generis nomen E et nomen generis N
generis nomen R non e conuerso. definitionem quippe speciei
genus suscipere non uidetur; substantiam enim priorum inferiora suscipiunt, si
enim definias animal et dicas substantiam esse animatam atque sensibilem aut si
praedices de homine ‘animal’, uerum dixeris, si etiam animalis definitionem de
homine praedicaueris dicasque hominem esse substantiam animatam atque
sensi- bilem, nihil fuerit in propositione falsi, sed si hominis defini- tionem
reddas ‘animal rationale mortale’, ea animali non con- ueniunt; neque enim quod
animal est, id dici poterit animal rationale mortale, fit igitur, ut sicut
species generis nomen suscipit, ita etiam capiat definitionem, et sicut
genus nomen speciei non suscipit, ita nec eiusdem definitione monstretur, sed
cuius nomen et definitio de aliquo praedicatur, id uniuoce dicitur, cum igitur
generis et nomen et definitio de specie praedicetur, genus de specie uniuoce
dicitur, quoniam uero speciei de genere. neque nomen neque definitio
praedicatur, non conuertitur uniuoca praedicatio. Differunt genera <ab>
speciebus hoc quoque modo, quod genera superuadunt species suas aliarum continentia
specierum, species uero genera dif- ferentiarum pluralitate, animal enim, quod
est genus, superuadit hominem, quod est species, quia non hominem solum
continet, uerum etiam bouem, equum aliasque species, quas suae spatio
praedicationis includit, species uero, ut homo, superuadit genus, ut animal,
multitudine differentiarum, nam quod actu genus 1 e conuerso] est
(om. R) conuersio EGLPR 2 non er. H sub- stantiae
EGLm2 (-tia m1 ) PR enim priorum] enim proprium
EGP diffinitionem ( om . en. pr .) R 3 et om.
CHNP 4 aut] brm at CHLNP, om. EGR 5
definitione E 7 nil C fuerat Cm1 fueris
HN falsi] mentitus HN sed] quod CHN hominis
definitionem om. EGR hominis rationem L 8 addas
EGR, post si ( om . reddas,) add. P , reddas addas L pr .
animali Ea.c.LR animal est G conuenit CNPa.c. 9
ante quod add. id HNPR, s. l. Lm2 id dici] EGLa.r.P
dici Lp.r.R idcirco dici HN id circo id dici
C 11 et om. EG 12 defini- tionem ( uel diff-) monstret
EGR 14 pr . et om. CEG, s. l. Lm2 15 praedicatur
E uniuoce de specie C 17 a add. brm , ab
Brandt 18 modo om. NR 19 continentia aliarum C 21
quod] quae N non s. l Cm2 22 equum bouem HN 24
namque quod Lp.c . non habet rationale uel mortale — nullas
quippe actu genus retinet | differentias —, easdem species suae substantiae
inhae- p .100 rentes atque insitas tenet, homo enim rationalis est
atque mortalis, quod genus minime est; animal enim neque mortale est per
se neque rationale, quodsi genus quidem plus unam continet speciem, at uero
species multis differentiis infor mantur, superat quidem genus speciem
continentia specierum species uero uincit genus differentiarum pluralitate.
Illa quoque est differentia, quod genus quoniam omnium primum est,
numquam in tantum descendere poterit, ut fiat ultimum, species uero, quae
cunctis est inferior, in tantum ascendere non poterit, ut suprema omnium fiat;
numquam igitur nec species generalissimum fiet nec genus specialissimum. Sed ex
his quae dictae sunt differentiae aliae sunt quae genus ab specie
propriae coniunctaeque disterminant, aliae uero quae non solum genus ab specie,
uerum etiam a ceteris diducunt ac disterminant, neque in his tantum
differentiae quae sunt dictae, uerum etiam in ceteris considerentur oportet, si
proprie normam quaerimus discretionis agnoscere. 1 uel om.
R 4 mortale] rationale CHN 5 rationale] R
inratio- nale CHN per se rationale EGLP unam continet
speciem] EG (unam s. l. m2 ) Lm1 quam unam
continet speciem Lm2R una continet (continet una C )
specie CHNP 6 species uero ( om . at) C informa-
tur Lm1Pm1 7 species G 9 quoniam] quod Hm2
11 in tantum ascendere non] numquam in tantum ascendere LNR 12
nec... nec] et... et Hm1N et... nec C, pr . nec om.
P 14 ex his om. EG, s. l. Lm2 sunt om. E
differentiarum CN differentiis R genus s. l.
Cm2 a R 15 proprie coniuncteque ( ras. ex -teque
Η ) HΝR (recte?) propriaeque G coniunctaeque om.
EG 16 ab] a R diducunt] Em2R deducunt cett.
distinguunt ac deducunt ( om . disterminant] HN 17 neque (et quae
non CHN, s. l . ał quae L ) in his tantum differentiis quae sunt
dictae ( L quae sunt dicta G quae dictae sunt CHNP quid
sint in ras. E ) uerum etiam in ceteris (add. quoque HLm1N, del.
Lm2 ) considerentur oportet CEGHLNP neque in his tantum oportet
considerare differentias quae sunt dicta uerum etiam in ceteris oportet R
; differentiae scr. Brandt ; neque enim in (de bm ) his tantum
oportet (oportet om. p ) differentiis quae sunt dictae, uerum etiam in ceteris
considerare (considerari oportet p ) edd. 18 propriae
CEGLP 19 discretionis quaerimus HR Generis autem
et proprii commune quidem est sequi species - nam si homo est, animal est, et
si homo est, risibile est et - aequaliter praedicari genus de specie- bus et
proprium de his quae illo participant; aequaliter enim et homo et bos
animal et Cato et Cicero risibile, commune autem et uniuoce praedicari genus de
pro- priis speciebus et proprium quorum est proprium. Tria interim
generis ac proprii dicit esse communia, quorum primum illud est, - quoniam ita
genus sequitur species ut proprium, posita enim specie necesse est
intellegi genus ac proprium; neutrum enim species proprias derelinquit, nam si
homo est, animal est, si homo est, risibile est; ita quemad- modum genus, sic
proprium ab ea specie cuius est proprium, non recedit. Illud quoque, quod
aequalis est generis partici- patio, sicut etiam proprii, omne enim genus
aequaliter specie- bus participatur, proprium uero indiuiduis omnibus aequaliter
adhaerescit, manifestum uero est participationem e?se generis aequalem; neque
enim plus homo animal est quam equos 1—8] Porph. p. 16, 1-7 (Boeth. p.
43, 11—17). 1 COMMVNITATIBVS Ψ ; de Porph. cf. ad p.
102, 7 2 Genus Em1Gm1 consequi Pm1 3 nam—risibile
(6) ] LR Q , om. cett. pr . est s. l. h m2
5 illo] sub illo R participant] continentur R , add.
indiuiduis edd. cum plerisque codd. Porph. p. 16, 4 6 post
animal add. est ΓΦ , om. Porph. p. 16, 5 et Cato et
Cicero] Porph . xat Άνοτος και Μέληχος post risibile add.
est Φ 7 autem et] autem CEGP autem est (est s. l
. h m2 ) et (om. R) R h autem his Ψ
autem hiis et Φ his (s. l. m2) autem et Γ ;
Porph. p. 16, 6 δέ καί speciebus propriis R
8 post pr . proprium add . de his Ν Σ , s. l. de
propriis Gm2 10 illud est primum R 11 post
proprium add. quoque CH (del. m2) N ac]
et C 13 si] et si HN risibilis EGHNP
15 post quoque add. est commune R, s. l. Lm2 , s. l . scil,
commune est Hm2 a genere (generis Hm2 ) participatio
est HN 16 proprii] a proprio Hm1N ante
speciebus add . a H ab L (del. m2) NB, post add .
suis R 17 parti- cipat ** (ur er .) E 18
adheret N participatione EGR generi E ( ex
genere m2 ) R 19 aequale EG aequale
proprium R, post aequa- lem add. s. l . et proprii Lm2,
in mg . et proprium Pm2 atque bos, sed in eo quod sunt
animalia, aequaliter animalis, id est generis ad se uocabulum trahunt. Cato
etiam et Cicero aequaliter risibiles sunt, etiamsi aequaliter non rideant; in
eo enim quod apti ad ridendum sunt, dici risibiles possunt, non quod iam
rideant, aequaliter ergo ea quae sub genere sunt, suscipiunt genus, sicut ea
quae sub propriis, propria. Tertium illud, quod sicut genus de speciebus propriis
uniuoce praedi- catur, ita etiam proprium de sua specie uniuoce dicitur, genus
enim quoniam substantiam speciei continet, non modo eius nomen de specie,
uerum etiam definitio praedicatur, pro- prium uero quia speciem non relinquit
eamque semper sequitur nec in aliam speciem transgreditur nec infra subsistit,
defi- nitionem quoque propriam speciebus tradit; cuius enim nomen uni tantum
conuenit speciei cui coaequatur, dubitari non potest quin eius quoque
definitio speciei conueniat. quo fit ut sicut genus de speciebus, ita proprium
de sua specie uniuoce praedicetur. Differt autem, quoniam genus
quidem prius est, posterius uero proprium; oportet enim esse animal,
dehinc diuidi differentiis et propriis, et genus qui- 18—p. 310, 13]
Porph. p. 16, 8—18 (Boeth. p. 43, 18—44, 11). 1 eo] eodem
HLm2NR 2 ad se om. EGR, s. l. Lm2 etiam om. H
et om. R 3 pr . aequaliter om. C 6
suscipiant Em1Lm1 genera EGLPm2 gen. ante
suscipiunt HNP 7 illud] illud commune est G quid
Cm1 9 enim om. E nomen eius C 11 quia om.
EGLP derelinquit Lm2P eamque] eique HN ei
quae R ea quae Pm1 ae- quatur Pm2 12
definitio (diff-) ELm2 (diffinitione m1 ) Pm1 definitio
enim R 13 proprium Ea.r.R proprii Ep.r.L (
ras. ex propriis,) P traditur EGLm2Pm1 14 cui] uel
ei C eique HNPm2 (cuique m1 ), et (del.
m2) cui L aequatur L 18 De proprietatibus Δ
; de Porph. cf. ad p. 105, 16 GENERIS ET PROPRII] EORVM P PROPRII]
SPECIEI L 19 Differunt C edd . autem om. N autem genus et
proprium LR Δ2 ; Porph. p. 16, 9 Διαφέρει δέ δτι τό μίν γένος
quidem om. HNR est om. H 20 oportet—interimunt
genera (p. 310, 10) ] LR Q , om. cett . 21 pr .
et om. L dem de pluribus speciebus praedicatur, proprium uero
de una sola specie cuius est proprium, et proprium qui- dem conuersim
praedicatur de eo cuius est proprium, genus uero de nullo conuersim
praedicatur, nam neque si animal est, homo est, neque si animal est,
risi- bile est; sin uero homo est, risibile est, et e conuerso amplius
proprium omni speciei inest cuius est pro- prium, et soli et semper, genus uero
omni quidem speciei cuius fuerit genus, et semper, non autem soli, amplius
species quidem interemptae non simul inter- p.101 imunt|genera,
propria uero interempta simul in- terimunt ea quorum sunt propria, et bis
quorum sunt propria interemptis et ipsa simul interimuntur. Rursus tale
proprium sumit, quod ad alterius comparationem proprium nuncupetur, dicit enim
proprium esse generis prius esse quam propria, oportet enim prius esse
genus, quod ueluti materia differentiis supponatur, uenientibusque differentiis
fieri speciem, cum quibus propria nascuntur, si igitur prius est 1
praedicatur] R A m2 n edd . praedicari cett. codd.
Busse (propriis, et genus distinguit, sed cf. 16
oportet et p. 311, 9 Rursus differt); Porph- p. 16, 11
κατηγορεΐται 2 una sola] Porph. ενός , cod. C add
. μόνοο est om. Φ 6 si R homo
est] homo et ΔΑΠΨ (et er .), homo, et Busse homo
est (est s. l. m2 ) et L; Porph. p. 16, 13 et δέ
άνθρωπος et e conuerso] et conuerso L h m1 et conuersim si
risibile est homo est R si risibile est homo est 2 ;
Porph. p. 16, 14 καί εμπαλιν , add. ei γελαστικόν,
άνθρωπος cod. C 8 et soli] TA m2 et uni Δ
m1 ΑΣ et uni et soli LR ΠΦΨ ; Porph. p. 16, 15
καί μόνψ speciei quidem 2 9 post
speciei add . inest LR TA ( s. l .) ΠΦΦ-
(in mg. m2) edd. Busse, om . Δ2 cum Porph . soli]
Porph. p. 16,16 και μόνω 10 species s. l. L
propria brm cum Porph . interempta Φ interimuntur
HL 11 post genera add. quorum sunt species
A propria] genera brm Busse (in adn.) cum Porph. p. 16, 17
interimuntur HΡ 12 ea om . Η ΤΦ species brm
cum Porph . quarum brm et his— interemptis om. EG et]
quare edd., Porph. p. 16, 18 ώστε καί 13 in-
teremptis ante et his CP et ipsa] et ipsa etiam
propria Φ ipsa propria 2 interimuntur simul CGLR
ad 10—13 cf. p. 312, 13 ss . 14 Rursus om. EG, s. l. Pm2 , sed R
ad om. H, s. l. Pm2 comparatione HPm1 15
nuncupatur Cm2Em2Ga.c.N 16 pr . esse om. N, s. l.
Pm2 uelut N 18 species Lm2 nascantur
N genus quam differentiae, prius etiam differentiae quam species et
speciebus propria coaequantur, non est dubium quin pro- pria generibus
posteriora sint, ac per hoc quod dictum est, proprium esse generis prius esse
quam propria, commune est hoc generi cum differentia, differentiae enim
species conformantes priores considerantur esse quam propria, siquidem
speciebus ipsis priores sunt, quas propria ratione determinant, sed ut dictum
est, hoc proprium ad differentiam proprii intellegendum est, non quale superius
per se proprium constitutum est. Rursus differt genus a proprio, quod
genus quidem de pluribus praedicatur speciebus, proprium uero minime; nam neque
genus est, nisi plures ex se species proferat, nec proprium, si alteri cuilibet
speciei possit esse commune, fit igitur ut genus quidem plurimas sub se species
habeat, ut animal hominem atque equum, proprium uero unam tantum, sicut
risibile hominem. Quo fit ut illa quoque differentia nascatur : genus enim
praedicatur quidem de speciebus, ipsum uero in nulla praedicatione supponitur,
proprium uero et species alterna praedicatione mutantur, fit enim praedicatio
aut a maioribus ad minora aut ab aequalibus ad aequalia, genus igitur,
quod maius est, de speciebus omnibus praedicatur, species uero, quoniam minores
sunt, de generibus non dicuntur, ut animal de homine dicitur, homo uero de
animali nullo modo praedi- catur. at uero proprium, quoniam speciei aequale
est, aeque 1 etiam] enim Lm2 2et om. EG et
si H 4 est hoc] HL (hoc del. m2 ) N
est et hoc C esse Pm1 et hoc est m2
est EGR 5 diffe- rentia] differentiis CHN
differentiae om. EG enim s. l. Cm2, post species
EG informantes prius N 6 considerentur Hm1R
esse s. l . Cm2 7 quam G 8 hoc om.
EGR 10 a om. NR quod] quo- niam L de] a
C 12 proferet Lm2 14 species sub se C 16 quoque
del. Em2, post add . proprietas (s. l. Lm2) ex GL, s. l.
Pm2 nascan- tur Ep.c . 17 de speeiebus quidem C
ipsis CN in om. CN 19 mutuantur La.c.Pm2
praedicatio om. EGR, s. l. Lm2 20 quod] quoniam E (in ros.)
Gm2 21 est s. l. Em2 praedicabitur N 22
minora CEGLm2P praedicatur atque supponitur, ut risibile de
homine dicitur - omnis enim homo risibilis est —, eodemque conuertitur modo;
omne enim risibile homo est. Differt etiam proprium a genere, quod proprium uni
et omni et semper speciei adest, genus uero ex his duo quidem retinet, in uno
uero diuersum est. nam speciebus suis et semper adest et omnibus, non
uero solis; hoc enim haeret propriis, quod singulas tantum species continent,
hoc generibus, quod plures. igitur propria quidem singulas optinent species,
genera uero non singulas, adest igitur proprium uni soli speciei et semper et
omni, genus uero omni quidem et semper, sed non soli, ut risibile homini
soli, ani- mal uero eidem homini, - sed non soli; praeest enim ceteris, quae
inrationabilia nuncupamus. Praeterea si auferatur genus, species interimuntur
nam si non sit animal, non erit homo —, si auferas species, non interimitur
genus; nam si non sit homo, animal non peribit, species uero et propria
quoniam sunt aequalia, alterna sese uice consumunt; nam si non sit risibile,
homo non erit, si homo non sit, risibile non manebit, consumunt igitur genera
sub se positas species, non uero ab his inuicem consumuntur, species uero et
proprium inuicem perimuntur et perimunt. 1 supponitur]
(sub- HP ) CHm2Lp.c.P praeponitur cett., recte? 2
enim om. C locus risibilis est—quidem speciebus (p. 315, 7)
bis in E scriptus, pag. 229—231 (E I ), ubi deletus est, et p. 232—234 (E II
) 3 etiam om. R, del. Lm1 , enim m2 autem etiam
H a genere pro- prium C a om. R 4 speciei
s. l. Hm2 5 uero] quidem E I qui- dem duo CNB , om .
quidem E I 7 haeret propriis] E III GL
haeret (ł inerit m2 ) tantum propriis P erat (erit R )
tantum propriis (proprii N ) esse CNR heret propriis uel
aliter hoc enim erat tantum H; ad haeret cf. p. 298, 4
tantum species—quidem singulas om. E I tan- tum del. Lm2, s.
l. Pm2 , post species NR 8 continerent CHm2
con- tineret N contineant Pm2 10 soli///// E
I solius E II G 11 sed] et HN soli homini
NP 13 inrationalia H auferamus EGLPR 14 interi-
mantur L erit] est N 19 sub se positas] sibi (om.
H) suppositas HN 21 perimuntur] consumuntur Lm2
perimunt] perimuntur Lm2 pereunt HNPm2
Generis uero et accidentis commune est de pluri- bus, quemadmodum dictum
est, praedicari, siue separa- bilium sit siue inseparabilium; etenim moueri
de pluribus et nigrum de coruis et de hominibus Aethio- pibus et
aliquibus inanimatis. Nihil est quod inter cetera ita sit a generis
ratione dis- iunctum, sicut est accidens, nam cum genus cuiuslibet sub-
stantiam monstret, accidens uero a substantia longe disiunctum sit et
extrinsecus ueniens, nihil fere notius commune potest habere cum genere quam de
pluribus praedicari, genus enim de pluribus praedicatur speciebus, accidens
uero de pluribus non modo speciebus, uerum etiam generibus animatis atque
inanimatis, ut nigrum dicitur de rationabili homine, de inra- tionabili
coruo et de inanijmato hebeno, album etiam de cygnoj p. 102 et
marmore, moneri de homine, de equo et de stellis ac de sagitta, quae sunt
separabilis accidentis exempla. 1—6] Porph. p. 16, 19—17, 2
(Boeth. p. 44, 12—16). 1 GENERIBVS ACCIDENTIBVS E I
E II m1 ACCIDENTI R de Porph. cf. ad p. 102,
7 2 Commune uero est generis et accidentis 2 Generi N
Generibus E I accidentibus E I m1 3
praedicari ante quemadmodum L siue—pluribus et] LR Q , om.
cett . separabile 2 m1 4 sit] sit accidens 2
inseparabile 2 m1 5 post et om. R de
om . E II HNR ΑΦ , recte? homine E III
omnibus L A ( ras. ex hominibus) hominibus om. brm, delend.
uid. Bussio; cf. p. 116, 5. 123, 22. 131, 2 homine Aethiope; Porph. p.
17, 1 κατά κοράκων καί Αίθ·ιοπων aethiopus EIII et (et de G, del. m2 )
aethiopibus GPm2 T2 6 ante aliquibus add. de Gm2 in
animis E I , ante inanimatis add . naturis H
(del. m2), post CN , praedicari Γ ( in mg . praedicatur) Φ
; Porph. καί tivmv άψΰχων 7 in ceteris E
III GLm1P 9 a om. R 10 uere GR uero
ha- bere potest C 11 enim] uero C 14 rationabile
E III a. c. Gm1 rationali HNP post homine
add . et N irrationali HNP 15 ebeno E III 16
marmore] de marmore P post homine add . et
N 17 sagitta] CHLm1NPm1 (sagittis m2 ) agitatis E
III GR edd . ał de agitatis scil, rebus id est mobilibus
Lm2 Differt autem genus ab accidenti, quoniam genus ante
species est, accidentia uero speciebus posteriora sunt; nam si etiam
inseparabile sumatur accidens, sed tamen prius est illud cui accidit quam
accidens, et genere quidem quae participant, aequaliter partici- pant,
accidenti uero non aequaliter; intentionem enim et remissionem suscipit
accidentium participatio, generum uero minime, et accidentia quidem in indi-
uiduis principaliter subsistunt, genera uero et species naturaliter
priora sunt indiuiduis substantiis, et genera quidem in eo quod quid sit praedicantur
de bis quae sub ipsis sunt, accidentia uero in eo quod quale aliquid sit uel
quomodo se habeat unum quod- que; qualis est enim Aethiops interrogatus
dices ‘niger’, et quemadmodum se Socrates habeat, dices quoniam sedet uel
ambulat. 1—17] Porph. p. 17, 3-13 (Boeth. p. 44, 17—45, 9).
1 PROPRIIS] DIFFERENTIA C; de Porph. cf. ad p. 105, 16 QVID
INTER GENVS ET ACCIDENS SIT Φ (ex p. 116, 10) 2
genus s. l. Hm2 ab om . HRE III Δ
accidenti] Δ accidente cett . 3 speciem ΧΦ
posteriora ante speciebus C inferiora XA m1 AS 4
nam—unum quodque (14) ] LR Q , om. cett . si etiam] etsi
etiam ΓΦ sed om . Γ si Σ 5 prius]
plus S 6 genere] A m2 Busse genera
cett. codd. edd . quae] quibus A m1 aeque Δ 7
accidenti] p Busse accidentia codd. brm; ad 5 et— 7 cf.
Porph. p. 17, 6 s. et infra p. 315, 12—14 enim om. L in mg: figuram
quandam habet Δ , aliam (cf. ad p. 320,17)
Γ 9 uero om. R in om . Γ Busse,
s. l . Rm2 A m2 K ; cf. p. 315, 21; Porph. p. 17, 9 έπΐ
τών άτομων 10 nero om . Δ 11 post
naturaliter add. non principaliter LR AΑΦ ; om. Porph.
p. 17, 9 12 sit] est LR A ante de
add. et, sed del. ΓΔ 13 hiis Φ
14 ante quale add. et R sit] cod. Q
Bussii edd . est cett. codd . quomodo om. R quodammodo
A m2 se s. l. A m2 habet A m1 15
eat ante aethiops ΔΑ , post HΝ ΤΣΦ enim om.
L interrogatur Φ dices] LRT dicis cett.
codd. edd. Busse, cf. p. 317, 15 respondebimus; Porph. p. 17,
12 έρεΐς 16 quo- modo Δ habeat ante
socrates A habet ΗR Φ dices] K m2
dicis cett. codd. edd. Busse, cf. p. 317, 16 dicemus; Porph
. έρείς 17 ambulet La.c.N Differentiam generis et
accidentis hanc primam proponit, quod genus quidem ante species sit, quippe
quod materiae loco est et differentiis informatum species gignit, at uero
accidens post species inuenitur. oportet enim prius esse cui aliquid
accidat, post uero ipsum accidens superuenire; nam si subiectum non sit quod
suscipiat, accidens esse non poterit, quodsi genus quidem speciebus subiectum
est nec possunt esse species, nisi eis genus ueluti materia supponatur, acci-
dentia uero esse non possunt, nisi eis species supponantur. manifestum
est genus quidem esse ante species, accidentia uero post species. Rursus alia
differentia, quoniam genus neque intentionem neque remissionem suscipere
potest, quo fit ut quae participant genere, aequaliter eius nomen defini-
tionemque suscipiant; omnes enim homines aequaliter animalia sunt
eodemque modo equi, nec non inter se homo atque equus et cetera animalia
comparata aeque animalia praedicantur, accidentis uero participatio et
intenditur et remittitur, inuenies enim quemlibet paulo diutius ambulantem,
paulo amplius nigrum et in ipsis Aethiopibus considerabis omnes non aeque
nigro colore obductos. Alia quoque differentia est, quoniam omne accidens in
indiuiduis principaliter subsistit, genera uero et species indiuiduis priora
sunt; nisi enim singuli corui 1 et accidentis] ab accidentibus
HN ponit C 2 pr. quod] quid C
quoniam (del. m2) quod E II 4 post
esse add . aliquid P, s. l. Lm2 5 si—sit] nisi sit
subiectum HN nisi subiectum sit R 6 quid
Cm1 potest H 7 speciei HN est] sit N nec]
non CEGLP 8 uelut CEGLP uel R
supponitur C 9 supponatur ( uel subp-) EGH 10
ante manifestum add . nam EGLP 11 post
Rursus add . uero C post alia add . est CGP
13 generi CEGP 15 eodem EHLR 18 paulo amplius nigrum paulo
diutius ambulantem HN post ambulantem add . et LR 19
et] et si (si s. l, Lm2 ) LR si EGP omnis
GLm2R aequa nigredine coloris (coloris del. Lm2 ) HLNP
20 obductus EGLm1R , post obd. add . esse C
est EGLR est om. HN 21 in om. CG
genera—priora sunt] C species uero et genera indiuiduis priora sunt
HLm1N genera uero speciebus et indiuiduis priora sunt GP
genera nero et speciebus et indiuiduis posteriora sunt Lm2 genera
indiuiduis priora sunt E et indiuiduis posteriora sunt R 22
singulariter EGPR nigredine infecti essent, comi species
nigra esse minime dicere- tur. ita fit ut accidentia post indiuidua esse
uideantur. nam si prius est id cui aliquid accidit quam illud quod accidit, nop
est dubium prius esse indiuidua, posterius uero accidens, genera uero et
species supra indiuidua considerantur; hoc idcirco, quoniam de his
omnibus praedicantur eorumque sub- stantiam propria praedicatione constituunt,
sed dici potest genera quoque ipsa et species posteriora indiuiduis inueniri;
nam nisi sint singuli homines singulique equi, hominis atque equi species esse
non possunt, et nisi singulae species sint, eorum genus animal esse non
poterit, sed meminisse debemus superius dictum esse genus non ex his sumere
substantiam de quibus praedicatur, sed de eo potius, quod differentiis con-
stitutiuis eorum substantia formaque perficitur, itaque si genus quidem
diuisiuis differentiis interemptis non perimitur, sed manet in his quae
eius constitutiuae sunt eiusque formam definitionemque perficiunt, cumque
differentiae diuisiuae generis speciebus sint priores — ipsae enim species conformant
atque constituunt —, non est dubium quin genus etiam pereuntibus speciebus
possit in propria manere substantia, idem de spe- ciebus dictum sit;
species enim superioribus differentiis, non posterioribus indiuiduis
informantur, quae cum ita sint, species quoque ante indiuidua subsistunt,
accidentia uero nisi sint 12 superius] p. 300, 7—16. 1
essent in ras. Lm2 , sunt N sint R 2 esse
om. EGR 4 indiui- duum CHN 5 super CN 8 genera]
de genere R quoque om. R quaeque EGP
ipsa om. EGPR et species] atque species (specie R )
LR specieaque N 9 nam nisi] nisi enim EGR nara
nisi enim (enim del. m2 ) C homines—nisi singulae (10)
in mg. Em2 homi- nes EN 10 et om. EG
singulis E singuli G singulares Lm2R 11
eorumque Lm2 earum brm 12 ex del ., his om.
E 13 de eo] eo Hm1N ex eis Hm2 de eis
Lm2 quod del. Hm2, er. L , quo GPR 14 eorum om.
Lm1 eius R edd . quae eius Hm2 de quibus eius Lm2
substantiam formamque perficiunt Hm2 normaque N 15
diuisiuae ( post differentiae N ) differentiae interemptae non
perimunt HLN 16 eius- que] quae eius C quaeque
eius EGP 17 speciebus generis LNR 20 permanere
Lm2R 23 quaeque EG quibus accidant, esse non possunt,
nullis uero prius accidunt quam indiuiduis; haec enim generationi et
corru|ptioni sup- p, 103· posita uariis semper accidentibus permutantur.
Illam quoque adnumerat differentiam quae est superius dicta, quod genus
quidem, quia rem demonstrat et de substantia praedicatur, in eo quod quid est
dicitur, accidens uero in eo quod quale est aut in eo quod quomodo sese habet
res. nam si qualitatem interroges, accidens respondebitur, ut si qualis est
coruus, ‘niger’, si quomodo sese habeat, aliud rursus accidens, aut
‘sedet’ aut ‘uolat’ aut ‘crocitat’. nam cum accidens in nouem praedicamenta
diuidatur, qualitatem, quantitatem, ad aliquid, ubi, quando, situm, habitum,
facere, pati, cetera quidem omnia in ‘quomodo se habeat’ interrogatione
ponuntur, qualitas uero in qualitatis sciscitatione responderi solet. nam si
interrogemur qualis est Aethiops, respondebimus accidens, id est ‘niger’,
si quomodo se habeat Socrates, tunc dicemus aut ‘sedet’ aut ‘ambulat’ aut
superiorum aliquid accidentium. Genus uero quo ab aliis quattuor
differat, dictum 4 superius] p. 189, 4 ss. 195, 1 ss. 18—p. 319, 14]
Porph. p. 17, 14—18, 9 (Boeth. p. 45, 10—46, 9). 1 pr.
accidunt Lm1 accident N prius post accidunt
C 2 post indi- uiduis add. quia indiuidna prima sunt quantum
ad praedicationem P, in mg. Lm2 4 adnumera ( ann- G)
EG annumerant Hm1 dicta est superius R est sepius
(corr. m2) dicta C sepius (corr. Hm2) dicta
est HN 5 quidem om. EGR 6 dicitur om. N, s. l.
Hm2 post uero add. aut P 7se H post habet
add. res CLm1, del. m2 9se EGHN habet
Clm1 aliud rursus accidens] aliud uero accidens rursus C aut
uolat aut sedet HLN 10 croccit Hm1 groccitat N,
post add . egrotat P nam] at EGLm1 ac (ut uid.)
R 12 quanto Em1 quan- tum G situm habitum
quando C post omnia add. id est VIIII Hm1, del.
m2 13 habeant Ep.c. Lm2P interrogationem EGR 14 inter-
rogemur] C edd. (cf.p. 314, 15) interrogemus cett., recte?
cf.p. 58, ss. 99, 23 15 respondemus HNR 16 dicimus EHLRbrm
17 aliquod ELa.c.N 18 uero] uerus Pa.c. ergo CHL
(in ras. m2) R Φ enim A ; Porph. p. 17, 14
uiv ουν quod EGPm1Rm1 T<l> ab] ΔΣΨ ,
s. l. Il m2, om. cett. quattuor om. G, s. l.
Δ m2 est. contingit autem etiam unum quodque aliorum differre
ab aliis quattuor, ut cum quinque quidem sint, unum quodque autem ab aliis
quattuor differat, quater quinque, uiginti fiant omnes differentiae, sed semper
posterioribus enumeratis et secundis quidem una differentia superatis,
prop(??)terea quia iam sumpta est, tertiis uero duabus, quartis uero tribus, quintis
uero quattuor, decem omnes fiunt, quattuor, tres, duae, una. genus enim differt
a differentia et specie et pro- prio et accidenti; quattuor igitur sunt omnes
diffe- rentiae. differentia uero quo differat a genere dictum est, quando
quo differret genus ab ea dicebatur; relinquitur igitur quo differat ab specie
et proprio et accidenti dicere, et fiunt tres. rursus species quo 1
contingit—ad accidens (p. 319,12) ] LR Q , om. cett. contigit
R A m1 Y m1 2 aliis om. Porph. p. 17, 15 quidem om. L K
Busse; Porph. μεν 3 post sint
add. res L unum quodque autem] il m2 xP p
Busse unum autem Β ΤΜΙ m1 Σ una autem L ΑΦ et
unumquodque brm; Porph. p. 17, 16 ίνος ϊέ εκάοτοο
aliis om. Porph. differt Δ 4 uiginti del.
A , pos t XX add. uel quinquies quattuor
Rm1 quater V. XX uel del. et post fiant add.
uiginti m2 fient ΑΑ m1 Φ fuerint Γ
post differentiae add. sed non sic se res ( res
om. p) habet edd. cum Porph. p. 17, 17 άλλ’ οοχ οδτως
εχει set om. Γ 6 superatis] subtractis
ΓΦ (ex substr- ) quia] quoniam L A
Busse sumpta] subtracta Γ 7 uero] autem LR
T<l' duobus R 8 omnes om. L post fiunt
add. differentiae Γ (s. l.) Π m2 edd. Busse
(sed om. etiam eius codd. LP) cum Porph. p. 17, 20 9 enim] autem
Γ a om. Σ , s. l. A m2 et specie et proprio] a
specie a pro- prio R specie proprio Σ 10 et
om. Σ accidente R Σ igitur quatuor R
differentiae omnes La.c. generis differentiae R; Porph. p.
17, 22 at διοφοραί 11 quo om. R differat]
La.c. ( a del.) Σ differret R differt
cett. a om. R 12 quo] quid L A Busse
quod m1, om. A ; ubi quo est (hic et 11.
13. 14. 319, 1. 2. 3. 5. 7 bis), Porphyrius π-j
scripsit (p. 17, 23 et 22. 24. 25. 26 bis. 18, 1. 2. 3. 4)
differret] LR Ψ (alt. r s. l.) differre Λ
differt ΓΙIΣΦ 13 igitur] ergo 2 quod R A
differt A a.c. ab Brandt a LR il , s. l. A
m2, om. cett. et om. Β ΤΑΣ a L 14 accidente
R ΓΔ2Φ post tres add. differentiae Λ ( ei
fiunt tres differentiae. rursus in mg. m2) 11 m2 (
species m1) Γ ( rursus differentiae pos.)
Busse (cum duobus suis codd.), om. cett. codd. edd. Porph. p. 17, 25 quidem
quo ΓΔ2Φ ; Porph. π-jj έν quidem differat a
differentia dictum est, quando quo differret differentia ab specie, dicebatur;
quo autem differat species a genere, dictum est, quando quo differret genus ab
specie dicebatur; reliquum est igitur, ut quo differat a proprio et
accidenti dicatur. duae igitur etiam istae sunt differentiae. proprium autem
quo differat ab accidenti relinquitur; nam quo ab specie et differentia et
genere differat, praedictum est in illorum ad ipsum differentia. quattuor
igitur sumptis generis ad alia differentiis, tribus uero dif- ferentiae,
duabus autem speciei, una autem proprii ad accidens, decem erunt omnes, quarum
quattuor, quae erant generis ad reliqua, superius demonstraui- mus.
Quoniam differentias atque communitates generis ad diffe- rentiam, ad
speciem, ad proprium atque accidens persecutus est, idem quoque ad ceteras
facere contendens praedicit, quot omnes differentiae possint esse quae inter se
comparatis com- 1 differt R A quo] quid A
Russe quod Lm1 \ 2 differret] Lm2 Rm2 Aß p.c. tfl
p.c. differet Lm1Rm Uα a. c. ΦΨ a.c. differt Δ2
differtur Γ differentia ab specie] ΓΦΨ ( sed
a, scr. ab Brandt), a (s. l. A m2)
specie (s. l. et add. Δ m2) differentia ΔΔΣ
edd. Busse species a ( et Ώ ) differen- tia
L H differentia ab ea R; Porph. p. 17, 26 ή διαφορά τού
είδους quod A m1 3 differat] L differt
cett. (ex differet V ) a om. R ϋϊ quo] quid
Δ Busse quod A 4 differret] L yAIW
differet R Φ differt ΓΑ2 4 ab specie] Γ a
specie L ΔIΙΔΦΦ specie 2 ab ea R 5
differt R, add. species ΓΑΠΨΨ , s. l. Lm2; om. Porph.
p. 18, 2 a om. 2 accidenti] L acci-
dente cett. dicitur R 6 igitur om.
2 7 autem om. R, s. l. h m2 ab om.
Σ accidenti] edd. accidente codd. fort.
relinquetur; cf. Porph. p. 18, 3 χαταλειφθήσεται 8
ab Brandt a ΓΦ , om. cett. pr. et om.
R differet Λ m1 differret m2 differt A m1 2
, s. l. proprium add. Lm2 dic- tum Σ 9
differentia ante ad ipsum Σ differentiis Β ΓΑΦ ;
Porph. p. 18, 5 ... διαφορά 11 pr. autem] uero A
ad accidens] et accidentis ΓΔ«ι7ΠΦ ; Porph. p. 18, 7
πρός τδ σορβεβηχος 13 erant] erunt N reliqua] N
Λm1ίΣΦΨ reliquas cett. (in mg. ad aliquas T m2); Porph.
p. 18, 8 πρός τά άλλα 16 utrumque ad om. NR 17
idem quoque] idemque Lm1NR ad cetera C de ceteris
HLN praedicit om. R nunc dicit H 18 possunt
CHLm1N commissisque N mixtisque rebus his quae supra
propositae sunt efficiantur. sunt autem uiginti. nam cum quinque sint res, una
quaeque res earum si a quattuor aliis differat, quinquies quater, uiginti differentiae
fiunt, quod appositarum litterarum manifestatur exemplo. sint quinque res
ueluti quinque litterae A B C D E. differat igitur A quidem ab aliis
quattuor, id est B C D E, fient quattuor differentiae. rursus B differat ab
aliis quattuor, id est A C D E, erunt rursus quattuor; quae superioribus
iunctae octo coniungunt. C uero tertia ab reliquis differt quattuor, scilicet A
B D E; quae quattuor differentiae supe- rioribus octo copulatae duodecim
reddunt. quarta D reliquis quattuor comparetur differatque ab eisdem, id est A
B C E, fient igitur rursus quattuor; quae superioribus duodecim ap- positae
sedecim copulant. quodsi ultima E ab aliis quattuor differat, scilicet A B C D,
fient aliae quattuor differentiae; quae compositae prioribus uiginti perficiunt.
et sit quidem p.104] huiusmodi descriptio : | 1
positae EHLNP efficiuntur HN 2 ante
una add. et HLNPR res om. HN 3 si om.
HN a om. R uiginti om. E 4 fiant Rm2
5 uel E 6 aliis] reliquis HN 7 fiant R
differt Ha.c.LN aliis] reliquis L 8 id est om.
HN 9 ab] codd. reliquis] aliis L 11 ante
reliquis add. si L, s. l. Pm2 12 differatque] differat
aeque EGP ( differt m2) R eis GHNPm1R 13
fiunt N fiant R igitur om. HN post
quattuor add. differentiae HN 15 fiant R
faciat L faciet HN aliae om. H alias
LN differentias HLN 16 superi- oribus C et sit
quidem] CGP et quidem sit R et sic (ex si
) quidem est E quarum ( quorum LN) quidem
sit HLN 17 discriptio C figu- ram om. G (duae lineae uacuae)
Hm1N, supra depictam dedimus ex E, eandem uarie exornatam habent R (post
uerba quattuor differentiae supra 7) Γ (in
mg ad locum p. 314, 7 ss.), litteras tantum omissis lineis Quae cum
ita sint, in generibus quoque et speciebus et ceteris idem considerabitur.
erunt ergo quattuor differentiae, quibus genus a differentia, specie, proprio
accidentique dis- iungitur; aliae rursus quattuor, quibus differentia a
genere, specie, proprio atque accidenti discrepat; rursus quattuor spe-
ciei ad genus ac differentiam, proprium atque accidens; quat- tuor etiam
proprii ad genus, differentiam, speciem atque acci- dens; quattuor insuper
accidentis ad genus, differentiam, spe- ciem atque proprium. quae coniunctae
omnes uiginti explicant diflferentias. sed hoc, si ad numeri referatur
naturam compara- tionisque alternationem; nam si ad ipsas differentiarum
naturas uigilans lector aspiciat, easdem saepe differentias inueniet sumptas.
quo enim genus differt a differentia, eodem differentia distat a genere, et quo
differentia distat ab specie, eodem species a differentia disgregatur, et
in ceteris eodem modo. in hac igitur dispositione differentiarum, quam supra
disposui, easdem saepius adnumeraui. atque si differentiarum similitudines
detrahamus, decem fiunt omnino differentiae, quas ad prae- sentem tractatum
uelut diuersas atque dissimiles oportet assu- mere. age enim differat
genus a differentia, specie, proprio in mg. sup. add. Hm2, quaternas
litteras ( B C D E cett.) infra singulis litteris A cett.
positas quadratis inclusas exhibet L; in C in mg. (litt. minusc.) hae duae
figurae sunt, quarum posterior spectat ad p. 321, 20 ss. 323, 9 ss:
in P figura est per quinque ob- longa deorsum continuata, quorum primum
hic proponitur : 3 ab CEGHP accidentique] atque
accidenti ( -te N) HN 4 dif- ferentiae G ab
CEGHNP 6 ac om. N ad LP 10 post
hoc add. fiet E (s. l. m2) fit H (s. l. m2)
niget L (in mg.) R 13 adsumptas R differat
C 14 ab] a R 17 saepius om. EGPR, s. l. Cm2, post
ad- numeraui L adnumerauit Cm2GP atque) EGP
at CR itaque HLN si om. N
multitudines, s. l. ał similitudines L 18 fient
edd. atque accidenti, quattuor differentiis, quas supra iam
diximus. item sumamus differentiam, distabit haec a genere primum, dehinc ab
specie, proprio atque accident. sed quo discrepet a genere, iam superius
explicatum est, cum diceremus quo genus a differentia discreparet.
detracta igitur hac comparatione, quoniam supra commemorata est, relinquuntur
tres distantiae quibus differentia ab specie, proprio accidentique disiungitur;
quae iunctae cum superioribus quattuor septem differentias reddunt. post hanc
species si sumatur, quattuor quidem eius essent differentiae secundum
numeri diuersitatem, cum ad genus, differentiam, proprium atque accidens
comparatur, sed priores duae comparationes iam dictae sunt. nam quo species
differat a genere tunc dictum est, cum quid genus differret ab specie
dicebamus, quid uero species a differentia distet commemo- ratum est, cum
differentiae ab specie dissimilitudines redde- remus. quibus detractis duae
supersunt integrae atque intactae speciei ad proprium atque accidens
discrepantiae; quae iunctae cum septem nouem differentias copulant. proprii
uero si ad numerum differentiae considerentur, quattuor erunt, scilicet
ad genus, differentiam, speciem atque accidens comparati, quarum quidem
tres superiores differentiae iam dictae sunt. nam quid proprium distet a
genere, tunc dictum est, cum quid genus a proprio distaret ostendimus, rursus
quid proprium a differentia discrepet, in colligenda distantia differentiae
propriique superius 1 accidente N 3 ab] HN
a cett. accidente HN quod L dis- crepet]
distet HN 5 hac igitur C 6 distantiae]
differentiae L 7 a LN accidenti C accidenteque
H disiungitur ante ab specie C 8 reddunt
differentiae C 9 sumatur] mutatur E 11 ante
differentiam add. et HLNP ante proprium add.
et P cõpararetur C cõparantur N 12
differat post genere EN 13 a om. EGHNP
differret] GLm2Pm2R differet ΕLm1 differat
HNPm1 differt C ad speciem R ad specie
C 15 ab specie] CG a specie EHLm2NP ad
speciem Lm1R 17 post speciei add. id
est EGP 18 differentias copulant] complent differen- tias
C 20 comparatae Ep.c. (ex-ti) GHm2PR quorum EGLm1R 21
quod C 22 proprium—cum quid om. EGR distaret a pro-
prio H demonstratum est, quid uero proprium distet ab specie,
tunc expositura est, cum quid species distaret a proprio dicebatur. restat
igitur una differentia proprii ad accidens, quae superio- ribus iuncta decem
differentias claudit. accidentis nero ad cetera possent quidem esse
quattuor, nisi iam omnes proba- rentur esse consumptae. nam quid differat uel
genus uel dif- ferentia uel species uel proprium ab accidenti, supra mon-
stratum est, nec sunt diuersae differentiae accidentis ad cetera quam ceterorum
ad accidens. itaque fit, ut cum sit quinque rerum numerus, si prima
assumatur, quattuor fiant differentiae, si secunda, tres, uincanturque secundae
rei ad ceteras difte– rentiae a prima ad ceteras una tantum distantia; nam cum
prima habuerit quattuor, secunda retinet tres. tertia uero si sumatur, duas
habebit differentias, quae uincantur a primis quattuor differentiis
duabus; quarta si sumatur, unam habebit differentiam, quae uincitur a primis
quattuor differentiis tribus, quinta uero quoniam nullam omnino habebit
differentiam nouam, totis quattuor a prima differentiis superatur. atque hoc
nume- rorum gradu quidem usque ad denarium numerum tenditur : quattuor,
tres, duae, una, ut generis quidem quattuor, diffe- rentiae uero tres, speciei
duae, proprii una, | accidentis nullap p. 105 sit. et primae quidem
generis comparationes quattuor nouas tenent differentias, secundae uero
differentiae comparationes 1 uero om. EGR a EGLR
2 cum] quando R 5 cetera] extera Cm1 6 differret
H differet N 7 accidente CHN monstrauimus
H 8 ante diuersae add. plus R, s. l.
Lm2 10 ad prima s. l. ł una res Hm2
sumatur HN fient C 11 uincanturque] C (pr.
n om.) Lm1 (iungantur m2) N, m2 in HPR ( iungenturque
Rm1) , uincantur EGHm1Pm1 12 primis L 13 habuerat
C habeat Lm2NP retineat Lm2 14 diffe- rentias
habebit C uincuntur Lm1R 15 duabus (s. l.
E) differentiis EHN post duabus add. distantiis
GR post quarta add. nero R, s. l. autem Pm2
16 post tribus add. subdistantiis E
distantiis G 17 habet HL 18 primis brm hoc]
ex hoc HLN numeri HN 19 gradus HLm1N
quidam HN 20 post post. quattuor add. sint
CHm2L (del. m2) P sunt Hm1N 22 sit] Rbrm
est CEGLP, om. HN et om. EGR quidem s. l. Em2L,
post generis C 23 teneant HLm1NR tres nouas
tenent; una enim superius adnumerata est, uincitur autem a primis quattuor
nouis differentiis una tantum. speciei uero tertia comparatio duas tantum habet
differentias nouas, duas quippe superius adnumeratas agnoscimus, et uincitur
a quattuor primis duabus tantum differentiis nouis. proprium uero unam
retineat nouam, quoniam tres habet superius ad- numeratas, uincaturque a prima
nouis tribus differentiis, quinti uero accidentis comparationes quoniam nullam
retinent nouam differentiam, totis quattuor a primis generis
transcendantur. atque ad hunc modum ex uiginti differentiis secundum
numerum decem secundum dissimilitudinem contrahuntur. ut tamen has secundum
dissimilitudinem differentias non in quinario tan- tum numero, uerum in ceteris
notas habere possimus, talis dabitur regula quae plenam differentiarum
dissimilitudinem in qualibet numeri pluralitate reperiat. propositarum enim
rerum numero si unum dempseris atque id quod dempto uno relin- quitur, in totam
summam numeri multiplicaueris, eius quod ex multiplicatione factum est dimidium
coaequabitur ei plura- litati quam propositarum rerum differentiae continebunt.
sint igitur res quattuor A B C D; his aufero unum, fiunt tres; has igitur
quater multiplico, fient duodecim; horum dimidium 1 teneant
HLm1NR ten. post nouas CR adnumera
(tamen eat ) C uincitur autem] et uincatur HLm1 ( et
del., uincitur m2) N 2 nouis quattuor primis HN 4
adnumeratas om., in mg. enumeratas G uin- catur
Lm1 uincantur HN uincuntur C 6 ante
unam add. tantum L, post EGPR retinet Lm2Pm2
edd. 7 uincanturque N uincatur qua re EG uincitur
haec R uinciturque edd. quinta N 8
comparatio Lm2N retinet HLN, post nouam HN
9 primis] CLPH a.r. primi EGHp.r.NR
transcendentur Lm2 transcendatur N transgrediantur
C transcenduntur edd. 11 tamen er. uid. E
non G (etiam post diffe- rentias est non ) 13 uerum] uerum
etiam C ceteris quoque brm notas] Lm1N
notis CEGHm2 ( totas m1) Lm2PR 15 reperiat] pariat
Cm2Hm1N 17 post numeri add. si CHP
simul EG 18 ei om. EGN 19 sunt Lm1R 20
igitur] ergo CEN fiant LR 21 hos EGLPR post
igitur add. si N tres H per totam
summam R multiplica C multipli- cato E
fiunt HN fiant R post horum add. si
L teneo, sex erunt. tot igitur erunt differentiae inter se rebus
quattuor comparatis : A quippe ad B et C et D tres retinet differentias, rursus
B ad C et D duas, C uero ad D unam; quae iunctae senarium numerum complent.
atque hanc quidem regulam simpliciter ac sine demonstratione nunc dedisse
suffi- ciat, in Praedicamentorum uero expositione ratio quoque cur ita sit
explicabitur. Commune ergo differentiae et speciei est
aequaliter participari; homine enim aequaliter participant par- ticulares
homines et rationali differentia. commune uero est et semper adesse his quae
participant; sem- per enim Socrates rationalis et semper Socrates homo.
Dictum est saepius ea quae substantiam formant, nec remissione
contrahi nec intentione produci; uni cuique enim id quod est, unum atque idem
est. quodsi differentia spe- cierum substantiam monstret, species uero
indiuiduorum, aequa- liter utraque ab intentione et remissione seiuncta sunt;
quo 6 in Praedicamentorum expositione] p. 272 C. B—l3] Porph. p. 18,
10—14 (Boeth. p. 46, 10—14). 14 saepius] cf. infra. 1 teneo]
sumo N sumo tenens ( tenens del. m2) H si
(ex sumo m2) teneo L pr. erunt ante
sex N, s. l. Hm2 post. erunt ante igitur ( ergo
H) HL 2 detinet HN 4 complent numerum H 5 dedisse
nunc HN 8 DIFFERENTIAE ET SPECIEI] plerique codd. fort. ex 9
sumptum, om. Δ , SPECIEI ET DIFFERENTIAE Γ2Φ , r ecte ut
aid.; Porph. p. 18, 10 Περί τής κοινωνίας τής διαφοράς καί τοΰ
είδοος , cod. Μ Περί κοινών είδους καί διαφοράς 9
est add. Hm2 10 homine—parti- cipant (12) ] LR Q , om.
cett. homini R T a.c. hominem L \ 11 ratio- nalem
differentiam L \ , post differentia add. nam omnes homines
aequa- liter homines sunt et aequaliter rationales Σ 12 et
del. uid. Δ , om. Ψ his adesse LR <t>
post quae add. eorum ΓΔΠΦ 13 enim om. R
rationabilis CEGPR U Busse, add. est ΓΔΦ , s.
l. A m2 14 saepius i. e. p. 250, 24 ss. 314, 5 ss. ;
saepe de duobus locis etiam p. 293, 18 dictum; superius P,
fort. recte, cf. ad p. 317, 4. 337, 8 17 monstrat HLNP 18
utraeque CP seiunctae CGPR fit ut aequaliter participentur.
omnes enim indiuidui mortales aeque sunt atque rationales sicut homines. nam si
idem est ‘esse’ homini quod est ‘esse rationale’, cum omnes homines aeque sint
homines, necesse est ut sint aequaliter rationales. Aliud quoque commune habent
quoniam ita differentiae sui partici- pantia non relinquunt ut species.
semper enim Socrates rationalis est—Socrates enim rationabilitate participat —,
semper homo est, quia scilicet humanitate participat. ut igitur differentiae
sui participantia non relinquunt, ita species his quae ea parti- cipant, semper
adiuncta est. Proprium autem differentiae quidem est in eo
quod quale sit praedicari, speciei uero in eo quod quid est : nam et si homo
uelut qualitas accipiatur, non sim- 11— p. 327, 16] Porph. p. 18, 15—19,
3 (Boeth. p. 46, 15-47, 11). 1 mortales—sicut homines] (
sunt ex sint Lm2, add. homines Lm1, del.
m2, sunt del. Pm2; atque Lm1Pm2 et HLm2Pm1;
sicut del. et sunt scr. Pm2) HLP aeque mortales atque
rationabiles sunt ut homines C aeque (s. l. m2)
mortales (ex -lis m2) sunt atque rationabilis
(sic) sunt (part. ras. ex sicut m2) homines
E mortales sunt atque ( atque sint N) rationales sicut
homines NR mortalis atque rationabilis sicut homines G
2 nam—homines (4) om. N idem est] E ( est in mg.)
HR idẽ CL id est ( ẽ G) GP est del.
Lm2 3 esse post ration. EL, repetit. post ration.
P, om. CH rationali R rationalis Lm1
rationabile G rationa- bili E rationabilis Lm2P
5 ante commune add. est H habent om.
HR, s. l. EL ( n del. m2) differentia R 6
relinquit R relinquent Pm1 derelinquunt Lm1
rationabilis EG 7 rationabilitati CGP
rationalitate HN post semper add. enim G 8
quia ex qua Em2 humanitati EGLP
differentia HLNR 9 relinquit HLNR par- ticipent
E 11 SPECIEI ET DIFFERENTIAE ( DIFFERENTIIS E) ΕG ΤΖΦ , recte
ut uid. , DE PROPRIIS EORVM ( EORYNDEM Ψ ) Ρ Ψ ; Porph. p.
18, 15 Περί τής διαφοράς τού εϊδοος και τής διαφοράς , cod.
Μ Περί τών ιδίων ειδοος και διαφοράς 12 autem om. Η
uero C Q quod ex quid C 13 species
EGHNP uero om. H autem Busse eo quod] quo
Γ est] sit R 14 nam—generationem (p. 327, 15) ]
LR Q , om. cett. accipitur A m1 non] R ΓΔΈ
cum Porph. p. 18, 17 hic non L non hic A m2 H
Busse non sic Λ m1 Σ non homo Φ pliciter
erit qualitas, sed secundum id quod generi aduenientes differentiae eam
constituerunt. amplius differentia quidem in pluribus saepe speciebus con-
sideratur, quemadmodum quadrupes in pluribus ani- malibus specie
differentibus, species uero in solis his quae sub specie sunt indiuiduis est.
amplius diffe- rentia prima eat ab ea specie quae est secundum ipsam; simul
enim ablatura rationale interimit homi- nem, homo uero interemptus non aufert
rationale, cum sit deus. amplius differentia quidem componitur cum alia
differentia — rationale enim et mortale compositum est in substantia hominis —,
species uero speciei non componitur, ut gignat aliam aliquam speciem; qui- dam
enim | equus cuidam asino permiscetur ad muli p. 106
generationem, equus autem simpliciter asino num- quam conueniens
perficiet mulum. Expositis communitatibus quantum ad institutionem per-
tinebat differentiae et speciei, eorundem nunc dissimilitudines colligit dicens
quoniam differunt, quod species in eo quod quid sit praedicatur, differentia
uero in eo quod quale sit. huic differentiae poterat occurri. nam si humanitas
ipsa, quae species est, qualitas quaedam est, cur dicatur species in eo quod
quid sit praedicari, cum propter quandam suae naturae 1 sed] id
(del.) R 3 considerantur Δ 4 pluribus] Porph. p. 18,
20 πλείστων , cod. B πλειόνων 6 specie] una
specie R Γ ( sunt ante specie ) ΛΨ ; Porph.
p. 18, 21 άκο το είδος 7 prima ante
differentia Δ prior edd.fort· recte cum Porph.
κροτέρα; cf. p. 328, 32 superioris ab ea] et
Γ ab ea—ipsam] ab ea quae est secundum se specie 2 8
post ipsam add. differentiam Δ (del.
m2) Λ 10 deus] angelus LR ponitur Δ
12 sub- stantiam edd. cum Porph. p. 19, 1 εις οπδστοσιν
speciei] specie R 13 aliquam ante aliam T\A
, post speciem 2 14 equus] asinus Σ
asinae Φ equae Σ 15 equus] asinus 2
autem om. N enim C ΔΛ2 asinae Pm2 conueniens
numquam 2 16 mulum perficiet CEG perfici ad mulum
R 17 Positis N instructionem H 18 eorum L
earundem edd.; cf. indicem Meiseri s. neutrum 20 differentiae
C uero om. CGP autem R post sit add.
qua inter se differunt differentia et species Hm1, del. m2 21 huic]
nunc G differentia G 22 dicitur CLm2
praedicatur GR proprietatem quaedam qualitas esse uideatur?
huic respondemus, quia differentia solum qualitas est, humanitas uero non est
solum qualitas, sed tantum qualitate perficitur. differentia enim superueniens
generi speciem fecit; ergo genus quadam differentiae qualitate formatum est, ut
procederet in speciem, species uero ipsa, qualis quidem est, secundum
differentiam illius quae est pura ac simplex qualitas, qua scilicet perficitur
et conformatur, qualitas uero ipsa pura simplexque nullo modo est, sed ex
qualitatibus effecta substantia. itaque iure diffe- rentia, quae pure ac
simpliciter qualitas est, in eo quod quale est sciscitantibus
respondetur, species uero in eo quod quid sit, licet ipsa quoque quaedam
qualitas sit non simplex, sed aliis qualitatibus informata. Rursus illa quoque
differentia est, quia plures sub se species differentia continet, species uero
tantum indiuiduis praesunt. rationabilitas enim et hominem claudit et
deum, quadrupes equum, bouem, canem et cetera, homo uero solos indiuiduos.
atque in aliis speciebus eadem ratio est. idcirco enim definitiones quoque
secutae sunt, ut differentia uocaretur quod in pluribus specie differentibus in
eo quod quale sit praedicatur, species uero quod de pluribus numero
differentibus in eo quod quid sit praedicatur. Ideo etiam superioris naturae
sunt differentiae, quoniam continentes sunt specierum. nam si quis auferat
differentiam, speciem 1 respondebimus G 3 tantum om.
EG solum, s. l. ał tantum L 4 facit
CLN 5 formatum est s. l. Gm2 6 ad qualis s.
l. ł quali- tas Hm2 post quidem add. non
EGP (del. m2), in mg. Hm2 9 post sed s. l.
hec L iure itaque C 11 species—quid sit in mg.
Gm2 12 sit] est HN, add. iure respondetur CG (in mg.
m2) LP 13 rursum E, add. differentiae et speciei
C illa om. E ipsa CGP post quoque
add. his HN differentia est] differunt in ras. E est
om. P in hoc a specie distat G 15 uero om. CEGP
rationalitas HΝ 16 post quadrupes add.
enim P, s. l. Lm2 canem om. C camelum R 17
sola indiuidua Lm2R 19 pr. in] de Pm2 20
praedicetur HLN species—praedicatur om. E 21 praedicatur]
dicatur GHLPm1 22 post differentiae add.
quam species CLP speciebus N post quoniam
add. enim HLN 23 sunt ( erunt L) post
specierum EGL, ante conti- nentes R nam om. LR,
post quis s. l. enim Lm2 quoque sustulerit,
ut si quis auferat rationabilitatem, hominem deumque consumpserit, si uero
hominem tollat, rationabilitas manet in speciebus reliquis constituta. est
igitur differentiae specieique distantia quod una differentia plures species
con- tinere potest, species uero nullo modo. Alia rursus est differentia,
quoniam ex pluribus differentiis una saepe species iungitur, ex pluribus
speciobus nulla speciei substantia copu- latur. iunctis enim differentiis
mortali ac rationali factus est homo, iunctis uero speciebus nulla umquam
species infor- matur. quodsi quis occurrat dicens quoniam permixtus
asino- equus efficit mulum, non recte dixerit. indiuidua enim indi- uiduis
iuncta indiuidua rursus alia fortasse perficiunt, ipse uero equus simpliciter,
id est uniuersaliter, et asinus uniuer- saliter neque permisceri possunt neque
aliquid, si cogitatione misceantur, efficiunt, constat igitur
differentias quidem plurimas ad unius speciei substantiam conuenire, species
uero in alterius speciei naturam nullo modo posse congruere.
Differentia uero et proprium commune quidem habent aequaliter
participari ab his quae eorum par- ticipant; aequaliter enim rationalia
rationalia sunt et risibilia risibilia. et semper et omni adesse com-
18—p. 330, 4] Porph. p. 19, 4—9 (Boeth. p. 47, 12—19). 1
rationalitatem HN 2 aero] quis R rationalitas
HLa.c.N 3 est om. CEGP 4 specieqne R et species
C distant C distantia est EGP species]
significationes Em1 5 differentia est C 6 saepe
om. EGR post pluribus add. uero R 8 enim]
etiam Lm1 igitur Lm2Pm1 10 asinae HLm2 11
perficit GP 12 perficiant Lm1R 14 nec.. nec
C neque permisceri possunt om. EGR neque aliquid] non
aliquid EGR cogi- tatione si HN 18 COMMVNIBVS] d e
Porph. cf. ad p. 102, 7 20 par- ticipari] praedicari L ab
his—dicitur (p. 330, 2) ] LR Q , om. cett. ab om.
Σ , del. A m2 21 post enim s. l. quae T m2
rationalia rationalia] Tk m2 <t>W m2 edd. rationalia rationabilia
Π rationalia A2<V m1 rationabilia LR & m1
rationabilia rationabilia Busse sunt om. R, s. l. h
m2 22 et er. uid. Δ post. risibilia om. LR
\2 , post add. sunt codd., om. L cum Porph. p. 19, 6
mune utriusque est. si enim curtetur qui est bipes, sed ad id quod natum
est semper dicitur; nam et risibile in eo quod natum est habet id quod est
semper, sed non in eo quod semper rideat. Nunc differentiae
propriique communia continua ratione per- -sequitur. commune enim dicit
esse proprio ac differentiae quod aequaliter participantur — aeque enim omnes
homines rationa- biles sunt, aeque risibiles —, illud, quia substantiam
monstrat, istud, quia est aequum proprium speciei et subiectam speciem non
relinquit. Aliud etiam his commune subiungit : aequa- liter enim semper
differentia subiectis adest ut proprium; semper enim homines rationabiles sunt,
ut semper quoque risibiles. sed obici poterat non semper esse bipedem hominem,
cum sit bipes differentia, si unius pedis perfectione curtetur. quam tali modo
soluimus quaestionem. propria et differentiae non in eo quod semper
habeantur, sed in eo quod semper naturaliter haberi possunt, semper dicuntur
adesse subiectis. 1 utrisque ΓΛΣΦ si] sine R ΓΦ
qui est] quies R quidem L A post bipes add.
non substantiam ( substantia ΑΦ ) perimit (
perimitur Ψ ) L ΑΨ Busse (in adn. deleri mauult) , non substantia
perit ( peribit Σ ) ΓΠΣΦ p , om. Rbrm, Porph. p.
19, 8, Boeth. in comment. 2 sed] ta- men R ad id quod] ad
quod L AΠ (post est repet. ad id )
Σ Busse ad id ad quod Ψ , ad id post
est h m1 post est add. habet et id quod est L
A (del. m2) 2 , ‘fortasse id quod est recipiendum’
Russe : Porph. p. 19, 8 αλλά πρός το πεοοχένοι το (
το om. Μ) άει λέγεται nam -om. R 3 in eo]
eo EGLR A m1 ad C 72 id Ρ Π ad id
*F aliquod N habet id quod est semper] C ( id s.
l. m1?) L hA ( "habet—est del. m2), pro id
exhib. hoc H et id Σ , est om. N habet
semper Ρ Π habet EG semper dicitur ΓΦΨ , om.
R 4 sed—rideat] in om. C, in mg. Hm2, in quod semper
rideat EG non quod semper rideat R Ψ ; Porph. έπε'ι ναι
τό γελαστικόν τώ πεφυχέναι έχει τό αεί, άλλ' ο όχι τώ γελάν άει 6 enim]
autem Lm2P dicitur CEGR proprii C 7
rationales Cm2ELm2P 8 atque NR 9 istud] illud
EGHN (add. risibilis ) P aequum om. H aeque EG,
recte? propriae EGLPR et om. EG ac N
subiectam om. C subiectum EGPm1 10 reliquit
ELa.c. etiam his] hic etiam HN 11 subiectis s. l.
Gm2 12 rationales Cm2HN 15 ante propria
add. et HNP (del. m2), s. l. Lm2 propriae CEGPm2
proprii R et om. CE, del. Pm2 16 post in]
ex HN si enim quis curtetur pede, nihil attinet ad naturam,
sicut nihil ad detrahendum proprium ualet, si homo non rideat. haec enim non in
eo quod adsint, sed in eo quod per naturam adesse possint, semper adesse |
dicuntur. ipsum enim semper; p. 107 non actu esse dicimus,
sed natura. numquam enim fieri potest, ut per naturae ipsius proprietatem non
semper homo bipes sit, etiamsi potest fieri, ut pede curtetur, etiam si
deminuto pede sit natus; in his enim non speciei atque substantiae, sed
nascenti indiuiduo derogatur. Proprium autem differentiae
est quoniam haec qui- dem de pluribus speciebus dicitur saepe, ut rationale de
homine et de deo, proprium uero de una sola spe- cie, cuius est proprium. et
differentia quidem illis est consequens quorum est differentia, sed non
con- uertitur, propria uero conuersim praedicantur quorum sunt propria, idcirco
quoniam conuertuntur. Distat a proprio differentia, quia
differentia plurimas species 10—17] Porph. p. 19, 10—15 (Boeth. p. 48,
1—7). 1 curtetur quis N nil C attinet
s. l. Lm2, post naturam R 2 ad om. EG ualet
om. EGR 3 pr. in om. CEH, s. l. Lm2Pm2 , ab Gm1,
del. m2 post. in om. EGNP, s. l. Lm2 4 possunt HN
dicuntur semper adesse R 5 actum... naturam E
umquam Ea.c.G 7 potest om. EG, post fieri L ,
postea (om. fieri ut ) HN pede] HLm1N ambo
pede Em1GR utroque pede Em2Lm2P; ambobus curtetur pedi-
bus C ante etiam (om. C) add. uel CL (s. l. m2)
R diminuto CEGLPR 8 pede om. C sit natus]
nascatur C 10 de inscript. ap. Porphyr. cf. ad p. 105,
16 11 autem] uero Δ quoniam] quod ΓΦ 12 saepe—
conuertitur (15) ] LR Q , om. cett. saepe om. Lm1R,
ante dicitur Lm22 ; Porph. p. 19, 11 λέγεται
πολλά*ις rationabile R 13 post , de] A ,
om. cett.; cf. Porph. p. 19, 12 et infra p. 332, 3 deo] ii
angelo R deo et angelo L; cf. Porph. p. 19, 12 adn.
ante proprium add. et Δ uero om. R de
una] L 4 m2 4' in una R ΓΔ m1 ΠΣ una Φ ;
Porph. έφ’ ένός post specie add.
dicitur Δ 16 post praedicantur add. de his
Δ (s. l. m2) edd. ex his Σ hiis Φ ,
om. Porph. p. 19, 14 18 post. diffe- rentia om. C
plurimis R plures L pluribus EG speciebus
Em2GR claudit ac de his omnibus praedicatur, proprium uero uni
tantum speciei cui iungitur adaequatur. rationale enim de homine atque de deo,
quadrupes de equo et ceteris animalibus, risibile uero unam tantum tenet
speciem, id est hominem. unde fit ut differentia semper speciem consequatur,
species uero differentiam minime. proprium uero ac species alternis sese
uicibus aequa praedicatione comitantur. sequi uero dicitur, quotiens quolibet
prius nominato posterius reliquum conuenit nuncupari, ut si dicam ‘omnis homo
rationabilis est’, prius hominem, posterius apposui differentiam; sequitur ergo
dif- ferentia speciem. at si conuertam nomina dicamque ‘omne rationabile
homo est’, propositio non tenet ueritatem; igitur species differentiam nulla
ratione comitatur. proprium uero et species quia conuerti possunt, mutuo se
secuntur : omnis homo risibilis est et omne risibile homo est.
Differentiae autem et accidenti commune quidem est de pluribus dici,
commune uero ad ea quae sunt 16—p. 333, 3] Porph. p. 19, 16—19 (Boeth. p.
48, 8—12). 1 clauditur EGRm2 claude his (sic)
ml 2 cui iungitur] coniungitur Lm1N, add. et L
rationabile CGLPR 3 pr. de om. CH, er. L
post deo add. praedicatur R, s. l. Lm2 post
quadrupes add. uero R et ceteris] ceteris E
ceterisqne GP 6 ac] et E 7 aeque G R ( -(??)e )
comitentur HN comitatur ex commitetur Rm2
sequi] si quid EGPm1 8 quotiens om. EG, s. 1. Pm2 qualibet
re ( re s. l. Pm2) prius nominata HLNPm2R
reliquam HLm2NPm2 reliqua Lm1Rm2 uero qua
m1 9 rationalis Cm2HN est om. N 10
posterius ex prius Em2 opposui EG
posui Lm1R ergo] enim E 11 at] et Hm1
nomina] ut (in ras. Lm2) prius differentiam nominem HNP, in
mg. Lm2 12 rationale HN propositi CG proposita
oratio in ras. E 13 nulla ratione differentiam C
proprium—secantur in mg. sup. Hm2 14 sequuntur PRm2
sequntur E ante omnis add. ut L, post add.
enim HNP 15 et om. EG, s. l. Lm2 est om. R
16 ACCI- DENTIS ET DIFFERENTIAE E ΕΤ] uel P
ACCIDENTI C de in- script. ap. Porphyr. cf. ad p. 102, 7 17
accidentis Cm2 il commune— adesse om. N 18 post
uero add. est Ρ ΑΠ Busse, om. Porph. p. 19, 18
inseparabilia accidentia, semper et omnibus adesse; bipes enim semper
adest omnibus coruis et nigrum esse similiter. Duo quidem
differentiae et accidentis communia proponit, quorum unum separabilibus
et inseparabilibus accidentibus cum differentia commune est, ab altero uero
separabile acci- dens segregatur. tantum uero inseparabile secundo communi
concluditur. est enim commune differentiae cum omnibus acci- dentibus de
pluribus praedicari; nam et separabilia et inse- parabilia accidentia
sicut differentia de pluribus speciebus et indiuiduis praedicantur, ut bipes de
coruo atque cygno et de his indiuiduis quae sub coruo et cygno sunt,
nuncupatur. item de eodem coruo atque cygno album et nigrum, quae sunt
inseparabilia accidentia, praedicantur. ambulare enim uel stare, dormire
ac uigilare de eisdem dicimus, quae sunt acci- dentia separabilia, reliqua uero
communitas ea tantum acci- dentia uidetur includere quae sunt inseparabilia.
nam sicut differentia somper subiectis speciebus adhaerescit, ita etiam
inseparabilia accidentia numquam uidentur deserere subiectum. ut enim
bipes, quod est differentia, numquam coruorum spe- ciem derelinquit, ita nec
nigrum, quod accidens inseparabile est. differentia enim idcirco non relinquit
subiectum, quoniam eius substantiam complet ac perficit, accidens uero
huiusmodi, 1 post semper add. in eodem
genere P omni R; Porph. p. 19, 18 παντί
post omnibus add. hominibus et L hominibus
Λ (del. m2) 2 nigrum esse] ΓΛ»ηίΨ nigris (
nigros Hm2) esse EGHm1 nigredo esse L
nigrum adest \A m2 nigrum CNΡR ΙΙΣΦ Russe; Porph. p.
19, 19 τότε μέλαν είναι (sic Μ, μέλασιν
είναι Βm2 μέλαν eett.) 4 quaedam HΝ et]
atque ΗΝ 5 sepa- rabilibus om. G, s. l. Em2 6 uero]
autem E 7 uero] enim R, recte? post inseparabile
add. accidens L accidens cum inseparabilibus differentiis in
mg. Hm2 secunda communione HLP 10 differentiae CEGLm2P
11 et de his—cygno om. H, —cygno sunt om. EGR 12
nuncupantur G praedicatur uel nuncupatur C 14 praedicantur—separabilia
(16) om. N enim s. l. C etiam H 15 isdem
CPm2 hisdem ER dicitur LP 17 post
inseparabilia add. accidentia C 19 accidentia
inseparabilia HN de- serere uidentur C 20 corui
N 21 est inseparabile C 22 subiectum non relinquit
C derelinquit Lm1 23 post huiusmodi
add. est edd. quia non potest separari; neque enim
possit esse accidens inseparabile, si subiectum aliquando relinquit.
Differunt autem quoniam differentia quidem con- tinet et non
continetur — continet enim rationabi- litas hominem —, accidentia uero
quodam quidem modo continent eo quod in pluribus sunt, quodam uero modo
continentur eo quod non unius accidentis sus- ceptibilia sunt subiecta, sed
plurimorum, et differen- tia quidem inintentibilis est et inremissibilis,
acci- dentia uero magis et minus recipiunt. et inpermixtae quidem sunt
contrariae differentiae, mixta uero con- traria accidentia.
Huiusmodi quidem communiones et proprietates dif- ferentiae et ceterorum sunt,
species uero quo quidem p. 108 differat a genere et differen|tia, dictum
est in eo quod dicebamus, quo genus differret a ceteris et quo dif- ferentia
differret a ceteris. Post differentiae et accidentis redditas
communitates nunc de eorum differentiis tractat. ac primum quidem talem
proponit. 3—18] Porph. p. 19, 20—20, 10 (Boeth. p. 48, 13—49, 4).
1 post. posset Lm1 potest HLm2NPR
post accidens repet. esse G , 3 uel 4 litt.
er. L 2 reliquerit H relinqueret N 3 ACCIDENTIS
ET DIFFERENTIAE Γ EARVNDEM C EORYNDEM E de inscript.
ap. Poiphyr. ef. ad p. 105, 16 4 Different Cm1 Differt L
ΣΐΑηιΐ m1 Φ post autem add. differentia ab
accidenti Γ 5 et om. GHP continet— sunt (15)
] LR il , om. cett. enim] autem L rationalitas ΓΑ
a.c. Π2ΦΨ 6 quidem om. Δ2 7 sint L ΓΔΛΠΦ»ιί
m1 | ·uero post modo Ψ , del. ΓΦ
(ut uid.) 9 sint A 10 intentibilis ΓΣ
Busse inintensibilis edd.; Porph. p. 20, 4
άνεπίτατος; ef. Roensch, Collect. phil. p. 299 12 post
uero add. sunt ΛΦ 14 Huiuscemodi Δ 15
quod EGR quidem om. 2 quidam
Em2G 16 a om. EGH 2 differentiae E est om.
C 17 quo] quod R A m1 differet R differt
CEGP 2 a om. ΕGΗΡR ΤΠ,ΣΦ quod EGR is m1 18
differet R differat L A differt G 2 a
om. EGHR TWZ 19 reddit has E communicantes Rm1
communiones m2 20 primam HN quidem om. HN
tale C differentia, inquit, omnis speciem continet.
rationabilitas enim continet hominem, quoniam plus rationabilitas quam species,
id est homo, praedicatur : supergressa enim substantiam hominis in deum usque
diffunditur. accidentia uero aliquando quidem continent, aliquando
continentur. continent quidem, quia quodlibet unum accidens speciebus adesse
pluribus con- sueuit, ut album cygno et lapidi, nigrum coruo, Aethiopi atque
hebeno, continentur uero, quoniam plura accidentia uni accidunt speciei, ut
uideatur illa species plurima accidentia continere. cum enim Aethiopi
accidit ut sit niger, accidit ut sit simus, ut crispus, quae cuncta sunt
accidentia Aethiopis, species, quod est homo, omnia quae habet intra se plurima
accidentia uidetur includere. huic occurri potest : quoniam differentiae quoque
aliquo modo continentur, aliquo modo continent, ut rationabilitas
continet hominem—plus enim quam de homine praedicatur —, continetur quoque ab
homine, quia non solum hanc differentiam homo continet, uerum etiam mortalem.
re- spondebimus : omnia quaecumque substantialiter de pluribus praedicantur, ab
his de quibus dicuntur non poterunt conti- neri; quo fit ut differentiae
quidem non contineantur ab specie, etsi sint differentiae plures quae speciem
forment. accidentia uero continentur, quoniam accidentia speciei substantiam
nulla praedicatione constituunt; nam nec proprie uniuersalia dicuntur 1
omnis speciem] species R rationalitas HNP 2
rationalitas HNP 3 substantia N 4 aliquando—aliquando]
aliquo modo quid N 7 ante lapidi s. l.
pario Em2 post nigrum add. ut CEGLP, ante edd.
ante Aethiopi add. et E 8 continentur uero]
HLm2NP continentur- que cett. 9 plura HN 10 enim]
etenim N ad simus s. l. naribus pressis E
12 ex quod part. ras. quae Cm2 quod est]
quidẽ G ante intra add. et E plurima om.
EGH 13 occurri] opponi HN 14 pr. aliquo modo]
aliquando EGLm2P post. aliquo modo om. N aliquando
Em2Lm2P 15 rationalitas H 17 homo] nomen hominis HN
mortale edd. respondemus HN respondebimus contra
haec GLPR 18 praedicantur de pluribus C 20 a
R 21 sunt H differentiae om. HN speciem
forment] CEGP speciem formant Lm(??) ( informent m2
hrm) N formant speciem H informant speciem R 22
con- tineantur HN 23 ad constituunt in mg. ał
subsistunt Hm2 accidentia, cum de speciebus pluribus
dicuntur, differentiae uero maxime. quae enim quorumlibet uniuersalia sunt, ea
neoesee est eorum quorum sunt uniuersalia, etiam substantiam continere. qno fit
ut quia differentiae substantiam monstrant, intentione ac remissione careant —
una enim quaeque substantia neque contrahi neque remitti potest —, at
uero accidentia quoniam nullam constitutionem substantiae profitentur,
intentione cre- scunt et remissione decrescunt. Illa quoque eorum est dif-
ferentia, quod differentiae contrariae permisceri, ut ex his fiat aliquid, non
queunt, accidentia uero contraria miscentur et quaedam medietas ex
alterutra contrarietate coniungitur. ex rationabili enim et inrationabili nihil
in unum iungi potest, ex albo uero et nigro coniunctis fit aliquis medius
color. Expositis igitur distantiis differentiae ad cetera restat
de specie dicere, cuius quidem differentias ad genus ante colle- gimus,
cum generis ad speciem differentias dicebamus. eiusdem etiam speciei distantias
ad differentiam diximus, cum differentiae ad species dissimilitudines
monstrabamus. restat igitur speciem proprii et accidentium communioni
coniungere, tum differentia segregare. Speciei autem et proprii
commune est de se intri- cem praedicari; nam si homo, risibile est, et si
risi- 21—p. 337, 4] Porph. p. 20, 11—15 (Boeth. p. 49, 5—10).
1 pluribus speciebus HN 2 maximae EH, add.
dicuntur uniuersalia et ( et om. R) proprie Lm2 (in
mg.) R 4 ut om. CG, s. l. Lm2 5 una quaeque enim HNR 6
quoniam] quia E 7 profitentur] monstrant R ante
intentione add. et HN 9 his] se C 10
misceantur N permiscen- tur R et] ut C 11
coniunguntur LN fiat C 12 rationali C ( bi
s. l. er.) HN inrationali HN in unum] L in
om. cett.; cf. indicem Meiseri s. unus 13 post color s. l. ut
uenetns Pm2 15 ad genus— differentias om. EG 16
dicebamus] diximus EGP 17 diximus] dice- bamus C 19
proprio HLm1NP accidenti Lm1 accidenti tum
HPm2 accidentique (om. et ) N communione
HLm1NP tunc R 20 disgre- gare N 21 de
inscript. ap. Porph. cf. ad p. 102, 7 23 nam—dictum est (p. 337, 4)
] LR Q , om. cett. post homo add. est ΔΣ ,
s. l. A m2 et si] ΔΕΈ et L ΓΛΠΦ ita
et R post risibile add. est ΔΣΨ bile,
homo est – risibile uero quoniam secundum id quod natum est sumi oportet, saepe
iam dictum est —; aequaliter enim sunt species his quae eorum partici- pant et
propria quorum sunt propria. Commune, inquit, habent propria atque
species ad se ipsa praedicationes habere conuersas. nam sicut species de
proprio, ita proprium de specie praedicatur; namque ut est homo risi- bilis,
ita risibile homo est; idque iam saepius dictum esse commemorat. cuius
communitatis rationem subdidit, eam scilicet, quia aequaliter species
indiuiduis participantur, sicut eadem propria his quorum sunt propria. quae
ratio non uidetur ad conuersionem praedicationis accommoda, sed potius ad illam
aliam similitudinem, quia sicut species aequaliter indiuiduis participantur,
ita etiam propria; aeque enim Socrates et Plato homines sunt, sicut etiam
risibiles. itaque tamquam aliam communionem debemus accipere quod est additum :
aequaliter enim sunt species his quae eorum participant et pro- pria quorum
sunt propria. an magis intellegendum est hoc modo dictum, tamquam si diceret
‘aequalia enim sunt species et propria’? nam quia species eorum sunt
species quae spe- ciebus ipsis participant, et propria eorum propria
quae|pro- p.109 priis participant, proprium atque species
aequaliter utrisque sunt, id est neque species superuadit ea quae specie
parti- 8 saepius] cf. infra. 1 est om. R ante
secundum add. et A (s. l.) Busse, om. Porph. p.
20, 13 id om. J! 2 natum] Porph. p. 20,
14 κατά τό πεοοχέναι γελάν sumi oportet] LR
dicitur Q ; Porph. ληπτεον 3 sunt om.
Φ , post spe- cies P earum R, ex
eorum ut uid. 5 m2 7 ita—est homo in mg. Hm2
praedicamus EGHm2P p.c.R namque om. N nam R
8 ita homo risibile est E ita est risibile homo R iam]
etiam C saepius] HN superius cett. (recte?);
cf. saepe 2, et ad p. 317, 4. 325, 14 10 qua CGLP
eadem] eodem modo E 11 ratio] puto Em2 12 accommo-
data edd. 13 qua CGEm1P ante indiuiduis
add. ab HNR, s. l. Lm2 14 participatur H 18
ac Lp,c.Pm2 est om. C 19 aequa- liter N 20
post propria add. quorum sunt propria C 21 et
propria— atque species] atque proprium species N 23
post. speciei EGLP cipant, neque propria superuadunt ea
quae propriis participant. cumque haec propria specierum sint. propria, species
ac pro- pria aequalia esse necesse est atque inuicem praedicari.
Differt autem species a proprio, quoniam species quidem potest et aliis
genus esse, proprium uero et aliarum specierum esse inpossibile est. et species
quidem ante subsistit quam proprium, proprium uero postea fit in specie;
oportet enim hominem esse, ut sit risibile. amplius species quidem semper actu
adest subiecto, proprium uero aliquando potestate; homo enim semper actu
est Socrates, non uero semper ridet, quamuis sit natus semper risibilis.
amplius quorum termini differentes, et ipsa sunt differentia; est autem speciei
quidem sub genere esse et de plu- 4—p. 339, 3] Porph. p. 20, 16—21, 3
(Boeth. p. 49, 11—50, 2). 14 quorum—differentia] Abaelardus II, Introduct. ad
theolog. p. 94; Theo- log. christ. p. 488; De unit, et trinit. diuina p. 58
Stoelzle. 1 nec CELN 2 haec om. LN, del. uid.
E sunt EHa.c.N, add. et CE (del.) GH (del.) P (del.
m2) propriis (post sint ) E (del.) G proprii
Ha.c. 4 DE PROPRIETATIBVS Δ DE DIFFERENTIA C; de Porph.
cf. ad p. 105, 16 5 a om. GHLNR, s. l. Pm2 il m2 6 et
om R SΣ ; Porph. p. 20, 17 cod. BM χαί proprium—praedicari
(p. 339, 2) ] LR Q , om. cett. et om. Porph. 9
post R Σ post enim add. ante L
ut] Porph. p. 20, 20 Ινα xai ( Voti om. cod.
M) ut sit s. l. \ m2 11 potestate] Porph. p. 20,
21 xol δονάμε: 12 enim] uero L est om. R
non uero semper] ΔΛΠΨ edd. Busse non semper autem
Γ2Φ semper autem non LR; Porph. p. 20, 22 γελά δέ oix
αεί ; cf. infra p. 340, 4 13 quamquam (uel quan-
) L ΓΦ natura in ras. A m2 14 termini]
definitiones (uel diff- ) LR ΓΦ , ad termini s.
l. ł diffinitiones \ m2 differentes] ΓΑ differentes
sunt Δ»ιίΠ2Φ differunt LR s m2 ii} ; Porph. p. 20, 23
ων οί οροί διάφοροι ; quo- rum termini, id est diffinitiones ( id
est diff. om. p. 94) sunt differentes ( sunt
differentiae p. 488) , ipsa quoque sunt differentia Abaelard.
15 spe- cies R, post speciei s. l. diffinicio A
m2 quidem] R T\ m2 (in ras.) Ψ brm Busse in adn.,
semper \ m1 (ut uid.) All/ p Busse in contextu , esse semper
L quidam terminus Σ ; quidem sub genere semper esse Φ
ante sub add. et L A Busse; Porph.
εατιν δέ ειδοος uev το οπδ τό γένος είνα: ribus et
differentibus numero in eo quod quid est praedicari et cetera huiusmodi,
proprii uero quod est soli et semper et omni adesse. Primam
proprii et speciei differentiam dicit quoniam species potest aliquando in
alias species deriuari, id est potest esse genus, ut animal, cum sit species
animati, potest esse hominis genus. sed nunc non de his speciebus loquitur quae
sunt specialissimae, atque hunc confundere uidetur errorem, quod cum de his
speciebus dicere proposuerit quae essent ultimae, nunc de his quae sunt
subalternae et saepe locum generis optineant disserit. propria uero nullo modo
esse genera possunt, quoniam specialissimis adaequantur; quae quoniam genera
esse non queunt, nec propria quae sibi sunt aequalia, genera esse permittuntur.
Rursus species semper ante subsistit quam proprium—nisi enim sit homo,
risibile esse non poterit —, et cum ista simul sint, tamen substantiae
cogitatio praecedit proprii rationem. omne enim proprium in accidentis genere
collocatur, eo uero differt ab accidenti, quia circa omnem solam quamlibet unam
speciem uim propriae praedicationis continet. quodsi pviores sunt
substantiae quam accidentia, species uero substantia est, proprium uero
accidens, non est dubium quin prior sit species, proprium uero posterius. Dis-
1 est] sit 2 edd.; cf. p. 340, 13. 341, 22 2
praedicari] Porph. p. 21, 2 ■κατηγορούμενον είναι post
huiusmodi add. praedicari I m1, del. m2 pro- prium
R quod est om. ΓΦΨ , del. \ m2;Porph. τό
μονω προοείνα;. 3 soli et omni et semper Λ semper et soli et
omni 2 scilicet semper et omni Gm1, ante scilicet
in mg. sali et semper m2 4 ad dicit s.
l. dicunt Έ 5 diriuari EGNPR 7 specialissimae
sunt H 8 hunc s. l. L nunc N hinc
C hic Em2 uidetur confundere C 9 essent]
sunt L 11 genera s. l. Lm2, ante esse HRS
13 non queunt] nequeunt L non pos- sunt NR 14
permiitunt C ( ur er.) N species—subsistit] species est
semper ante C 15 homo sit LPR 16 ista] ita
CLa.c. 18 uero] Brandt enim codd. edd.
accidente CNR quia] quod L 19 speciem om. H
propriae del. Lm2 20 post continet add.
accidens autem quando continet, ad multas species potest diffundi EL. (in
mg. inf. m2) Pbrm 21 accidens—proprium uero om. R 22 uero
om. EG, s. l. Pm2 Decernuntur GHLP Disterminantur
E cernuntur etiam species a propriis actus potestatisque natura;
species enim actu semper indiuiduis adest, propria uero ali- quotiens actu,
potestate autem semper. Socrates enim et Plato actu sunt homines, non uero
semper actu rident, sed risibiles esse dicuntur, quia tametsi non rideant,
ridere tamen poterunt. natura itaque species et proprium semper subiectis
adest, sed actu species, proprium uero non semper actu, uelut dictum est. At
rursus quoniam definitio substantiam monstrat, quorum diuersae sunt
definitiones, diuersas necesse est esse substantias; speciei uero et proprii
diuersae sunt definitio- nes, diuersae sunt igitur substantiae. est autem
speciei definitio esse sub genere et de pluribus numero differentibus in eo
quod quid sit praedicari; quam superius frequenter expositam nunc iterare non
opus est. proprium uero non ita : definitur : proprium est quod uni et omni et
semper speciei adest. quodsi definitiones diuersae sunt, non est dubium
spe- ciem ac proprium secundum naturae suae terminos discrepare.
Speciei uero et accidentis commune quidem est de pluribus praedicari;
rarae uero aliae sunt communi-20 18—p. 341, 2] Porph. p. 21, 4-7 (Boeth.
p. 50, 3—6). 1 species om. EHP, s. l. Lm2, ante
etiam G a propriis in ras. Lm2, a (om. R)
proprio Pm2R actu CHLm1N 2 post uero
add. non semper ( actu s. l. add. Lm2) sed EGLPR
3 actu om. EG, del. R, s. l. Lm2 autem semper om. EGR
4 ante sunt add. semper N 5 quia om.
HN, s. l. Lm2 tametsi] etiamsi C potuerunt N pos-
sunt R non (del. E) poterunt EG 6
ante species add. e(??) R, ras. L ad- est]
adsunt H 7 uelut] ut NR 9 diuersas—definitiones
(10) om. N 11 igitur—speciei] substantiae igitur. est speciei autem
H substantiae— de pluribus in mg. inf. Gm2 speciei definitio]
diffinitio speciei spe- cies C 12 sub genere esse HΝ 14
opus non H ita definitur, om. non Hbrm, er.
E; ita, <sed> definitur Brandt, cf. p. 347, 4 15 spe-
ciei om. H 18 de inscript. ap. Porph. cf. ad p. 102, 7
19 uero] autem H est quidem C 20 sunt aliae
HRT tates propterea, quoniam quam plurimum a se distant accidens et
id cui accidit. Speciei atque accidentis similitudinem communem
dicit de pluribus praedicari; de pluribus enim dicitur species, sicut et
accidens. raras uero dicit esse alias eorum communiones idcirco, quoniam longe
diuersum est id quod accidit et cui accidit. cui enim accidit, subiectum est
atque suppositum, quod uero accidit, superpositum est atque aduenientis
naturae. item quod supponitur substantia est, quod uero uelut accidens
praedicatur, extrinsecus uenit. quae omnia multam eius quod est subiectum et
eius quod est accidens differentiam faciunt. tamen inueniri etiam aliae possunt
speciei et accidentis inse- parabilis communitates, ut semper adesse subiectis
— aeque enim homo singulis hominibus | semper adest et inseparabilia p.
110 accidentia singulis indiuiduis praesto sunt —, et quod sicut
spe- cies de his quae indiuidua continet, aeque de pluribus accidentia
indiuiduis praedicantur; nam homo de Socrate et Platone, nigrum uero atque
album de pluribus coruis et cygnis quibus accidit nuncupatur.
Propria uero utriusque sunt, speciei quidem in eo quod quid est
praedicari de his quorum est species, 20—p. 342, 15] Porph. p. 21, 8—19
(Boeth. p. 50, 7—20). 1 quam om. ΗL ΣΑΛ'Ψ (recte?), s.
l. Π m2 , quem R qui (ut uid.) N; Porph. p. 21,
6 itXststov distant ante a se Δ
(s. l. m2) A , a se om. N 2 ante
accidens add. et Γ id om. 12 , s. l.
Pm2 , hoc Σ ; Porph. p. 21, 7 *a\ το m οομβέβηχβν
accidunt Em1P 3 atque] et HL accidens Έ
dicit om. E, s. l. Lm2Pm2 de s. l. Lm2 5 dicit
alias, post er. esse uid. C 7 atque] et H 8
est om. EGHP adueniens EPm1 accidentis N 11
et eius] eius est E 12 possunt) sunt E insepa-
rabiles Cm1GP 13 subiectis semper adesse HN post
adesse add. possunt E 15 sicut] L (s. l. m2)
Rbrm, om. cett. codd. p 16 conti- nent H ante
accidentia add. ut CH 17 praedicatur G
et om. EGHPR 20 ET om. R de inscript. ap. Porph. cf. ad p.
105, 16 21 in] et C 22 est] sunt Hm1 sit Σ
praedicare EGm1P , praedi- catur 2 de his om.
Σ hiis Φ quorum—in eo] in eo accidentis autem quorum
est species Φ accidentis autem in eo quod quale quiddam est
uel aliquo modo se habens; et unam quamque substantiam una quidem specie
participare, pluribus autem acci- dentibus et separabilibus et inseparabilibus;
et spe- cies quidem ante subintellegi quam accidentia, uel si sint
inseparabilia — oportet enim esse subiectum, ut illi aliquid accidat —,
accidentia uero posterioris generis sunt et aduenticiae naturae. et speciei
quidem participatio aequaliter est, accidentis uero, uel si inseparabile sit,
non aequaliter; Aethiops enim alio Aethiope habebit colorem uel intentum
amplius uel remissum secundum nigredinem. Restat igitur de proprio
et accidenti dicere; quo enim proprium ab specie et differentia et genere
differt, dictum est. Quod nunc proprium speciei et accidentis se
exequi polli- cetur, tale proprium intellegendum est quod, ut superius dictum
est, ad comparationem dicitur differentium rerum. species enim in eo quod quid
est praedicatur, accidens uero in eo quod quale est. qua differentia non ab
accidentibus solis species 2 unam quamque—4 inseparabilibus] Abaelardns
II, Introduci. ad theolog. p. 89; Theolog. christ. p. 479. 17 superius] p. 297,
9. 301, 5. 1 quale] quale est N quidem CEm1
quidam m2 uel—habens om. CEGHN 2 aliquo modo]
quomodo ΓΦ ; Porph. p. 21, 10 πώς ; cf. supra
p.128, 10 adn. et—nigredinem (12) ] LR Q , om. cett. 3
unam R qui- dem om. Abaelard. participari L ΓΔΣ
a.c. Φ praedicari \ m1 autem] uero L Abaelard. 4
tert. et om. Γ 5 post quidem add.
sane L ΓΛ (s. l. m2) ΙIΣΦ Busse, om. R ΛΨ cum
Porph. p. 21, 12 post subintel- legi add. potest
Lpr possunt bm; Porph. w\ τά piv είδη
προεπινοεΐται uel om. Φ ad uel
si s. l. etiamsi K m2 6 inseparabilibus R 8
generis om. R aduentiuae R 9 aequalis Λ
accidens L T m1 A m1 10 alio Aethiope] Porph. p. 21, 16
ΑίίΚοπος 13 accidente HNR ΔΣ , ante er. de
P 14 enim] etiam H a] cod. Q Bussii (om. cett.) edd. (cf.p.
344, 9), ab scr. Brandt speciei Ca.r.EGR et
om. CEGHPR differen- tiae GR 15 differt om. L
differat ΦΣ distat R est dictum H, add. in
illorum differentiis ad ipsum 2 18 dicatur R 20
est om. GP, post add. praedicatur H discernitur,
uerum etiam a differentiis ac propriis, nec solum species ab eisdem, uerum
etiam genus. praeterea quod species in eo quod quid est praedicatur, accidens
uero in eo quod quomodo sese habeat, id quoque commune est cum genere;
genus quippe ab accidenti in eo quod quid est et quomodo se habeat
praedicatione diuiditur. Item unam quamque substantiam una uidetur species
continere, ut Socratem homo, atque ideo Socrati una tantum propinquitas est
species hominis. rursus indiuiduo equo una species equi est proxima,
itemque in ceteris; uni cuique enim substantiae una species praeest. at
uero uni cuique substantiae non unum accidens iungitur; uni cuique enim
substantiae plura semper accidentia super- ueniunt, ut Socrati quod caluus,
quod simus, quod glaucus, quod propenso uentre, et in aliis quidem substantiis
de numero accidentium idem conuenit. Dehinc semper ante accidentia
species intelleguntur. nisi enim sit homo cui accidat aliquid, accidens esse
non poterit, et nisi sit quaelibet substantia cui accidens possit adiungi,
accidens non erit. omnis autem sub- stantia propria specie continetur. recte
igitur prius species, accidentia uero posterius intelleguntur;
posterioris enim sunt, ut ait, generis et aduenticiae naturae. nam quae
substantiam non informant, recte aduenticiae naturae esse dicuntur et
posterioris generis; his enim substantiis adsunt quae ante dif- ferentiis
informatae sunt. Rursus quoniam species substantiam 1 decernitur
Rm2 ac s. l. Lm2 a EGH et a P 3
praedicatur post species H quod om. E, s. l.
Gm2 4 se EP habet LR id—habeat (6) om.
R est commune H post est add. speciei
L (s. l. m2) brm 5 accidenti] edd.
accidente codd. quod om. E 8 propinquitate
EPm1 propinqua L species est LR 9 est equi
H item H 10 una—substantiae in mg. Hm2 13 quod
simus om. C 15 accidentium ex accommodantium Hm2
post conuenit add. dicere R ante om. C 16
accidit CHLNPR, recte? 18 autem del. Lm2 enim
P 20 uero om. R, in mg. Lm2 posterius] postremo R
enim] uero CE 21 generis ut ait CR nam quae] nam
Rm1 namque EG nam quia CN 22 ante
recte add. ideo EGL (s. l. m2) P (del. m2) esse
om. H monstrat, substantia uero, ut dictum est, intentione ac
remis- sione caret, speciei participatio intentionem remissionemque non
suscipit. accidens uero uel si inseparabile sit, potest inten- tionis
remissionisque cremento et detrimento uariari, ut ipsum inseparabile accidens
quod Aethiopibus inest, nigredo. potest enim quibusdam talis adesse, ut
sit fuscis proxima, aliis uero talis, ut sit nigerrima. Restat
nunc proprii communiones ac differentias persequi. sed quo proprium differat a
genere uel specie uel differentia. superius demonstratum est, cum quid genus
uel species uel differentia a proprio distaret ostendimus. nunc reliqua
ad com- munitatem uel differentiam consideratio est, quid proprium accidentibus
aut iungat aut segreget. Commune autem proprii et
inseparabilis accidentis est quod praeter ea numquam constant illa in
quibus considerantur; quemadmodum enim praeter risibile non subsistit homo, ita
nec praeter nigredinem sub- 14—p. 345, 2] Porph. p. 21, 20-22, 3 (Boeth.
p, 51. 1—6). 1 demonstrat H ac] et H 2
remissionemque] ac remissionem H 3 si s. l. CLm2 4
in (del. m2) incremento H decremento R edd.
uti R ita E 5 ante nigredo add.
ut Hm1N id est s. l. Hm2 6 fu- scis] La.c.
edd. fuscus Lp.c. et cett. aliis uero] edd. uero
aliis codd. ( uero s. l. Lm2) 8 post
proprii add. et accidentis N ac] ad EGLm1 9
quo] Cm2 (part. ras. corr.) quod Cm1EGLm1NPR quid
HLm2; cf. p. 342, 13 10 quid] quod N quicquid E
uel differentia uel species H 11 a s. l. Lm2 12 uel]
et N quod E quae Hm2LR 13 iungit
EGHm1LPm1R segregat LPR separet N 14 ACCIDEN-
TIS] Porph. p. 21, 20 cod. Μ σομβεβηχοτος , cett.
τοδ άχωρίστοο σομβεβη- αότος ; de Porph. cf. etiam ad p. 102,
7 16 est post commune L, ante accidentis AA
m1 accidentis inseparabilis est m2 praeter ea] prop-
terea Φ constant] CH Busse (coll. p. 159, 7)
consistant EGNPR h m1 A p.c. W edd. consistunt L
A a. c. 112Φ consistent r\ m2 illa
post quibus N 17 quemadmodum—Aethiops (p. 345, 1)
] LR Q , om. cett. 18 ita om. 2 , s.
l. A m2 subsistit] non subsistit A m2; Porph. p. 22,
1 ΰποσταίη dv sistit Aethiops, et quemadmodum semper et
omni adest proprium, sic et inseparabile accidens. Quoniam
proprium semper adest speciebus nec eas ullo p. 111 modo relinquit
quoniamque inseparabile accidens a subiecto non potest segregari, hoc
illis inter se uidetur esse commune, quod ea in quibus insunt, praeter propria
uel inseparabilia accidentia esse non possint. inseparabilia uero accidentia
com- parat, quoniam, ut in specie dictum est, rarissimae sunt speciei atque
accidentis similitudines. quocirca multo magis proprii atque accidentis
communitates difficile reperiuntur. accidens enim in contrarium diuidi solet,
in separabile accidens atque in inseparabile, quae uero sub genere in
contrarium diuiduntur, ea nullo alio nisi tantum generis praedicatione
participant. quodsi proprium inseparabile quoddam accidens est, a
separabili accidenti plurimum differt, atque ideo nullas proprii et
separa- bilis accidentis similitudines quaerit. sed quia ipsum proprium certis
quibusdam causis ab inseparabilibus accidentibus differt, horum et communitates
inueniri possunt et inter se differentiae. quarum una quidem ea est quam
superius exposuimus, secunda uero quoniam sicut proprium semper et omni
speciei adest, ita etiam inseparabile accidens; nam sicut risibile omni homini
et semper adest, ita etiam nigredo omni coruo et semper adiuncta est.
8 ut in specie dictum est] p, 340. 20. 1 et omni om.
H et om. R; Porph. p. 22, 2 παντι και άεί 2
sic om. P sicut C et om. R 3 semper
om. H 4 quodque Hm1 5 inter se post commune
H 6 ea in] eam (m del. m2) H insunt] sunt R, add.
ipsa propria et inseparabilia accidentia sunt E (del. et s. l.
glosa est scr. m2) L (in mg. m2, om. sunt) P (om. sunt)
uel] et LNR 7 possunt EHLm2NP uero s. l. Cm2
ante comparat s. l. proprio Cm2, post s. l. scil.
proprio L 8 sunt post accidentis H 10
ante accidens add. scilicet E 11 enim] uero
R 12 sub genere om HΝΡ, del. Lm2 14 quiddam CL
quoddam post est H 16 simili-
tudines—accidentibus in mg. Em2 17 causis om. EG
rationibus Lm2PR 18 differentiae] dissentiae uel differentiae
H 19 est ea H 21 post accidens add.
est H 22 et semper om. H et semper adest s. l.
Gm2 post. et] N edd., om. cett. Differt autem
quoniam proprium uni soli speciei adest, quemadmodum risibile homini,
inseparabile uero accidens, ut nigrum, non solum Aethiopi, sed etiam coruo
adest et carboni et hebeno et quibusdam aliis. quare proprium conuersim
praedicatur de eo cuius est proprium et est aequaliter, inseparabile autem
accidens conuersim non praedicatur. et pro- priorum quidem aequaliter est
participatio, acciden- tium uero haec quidem magis, illa uero minus.
Sunt quidem etiam aliae communitates uel proprie- tates eorum quae dicta
sunt, sed sufficiunt etiam haec ad discretionem eorum communitatisque
traditionem. Proprii atque accidentis prima quidem differentia est
quia proprium semper de una tantum specie dicitur, accidens uero minime,
sed eius praedicatio in plurimas diuersi generis sub- stantias speciesque
diffunditur. risibile enim de nullo alio nisi de homine praedicatur, nigrum
uero, quod est inseparabile quibusdam accidens, tam coruo quam Aethiopi, quae
diuersa sunt specie, tum coruo atque hebeno, quae differunt generi- bus,
non tantum specie, praesto est. quo fit ut propriis quidem 1—13] Porph.
p. 22, 4—13 (Boeth. p. 51, 7—17). 1 PROPRII ET ACCIDENTIS] CP
W , item Porph. p. 22, 4 cod. M ( των αυτών plerique
cett. ), ACCIDENTIS ET PROPRII cett., nisi quod EORV II
EORVNDEM Ψ ; de Porph. cf. etiam ad p. 105, 16 2 Dif-
ferunt CG ΔΣΦ ; Porph. p. 22, 5 διενήνοχεν
proprium om. Σ 3 risi- bili N
inseparabile—minus (10) ] LR Q , om. cett. 4 soli
L A‘l> 5 etiam] aeque R hebeno plerique codd., item
20. p. 347, 7 6 proprium est ΓΦ 7 post.
est] ΓΔ (del. uid.) ΙΙΣΦΨ cum Porph.
p. 22, 8, om. LR A Busse 8 autem] uero ΔΛ Busse
conuersim non] nec conuersim A proprii R A m2 2
proprium uero Φ 9 aequaliter] R 2 , coni. Busse ,
aequalis cett.; Porph. p. 22, 9 και τών μέν ιδίων έπίτης ή
μετοχή 10 hae Δ 11 uel] Porph. p. 22, 11 τέ
καί 12 earum C dictae CEGHP hae N
et R 13 traditionem ex distractionem E
contradictionem Gm1 14 est om. H 16 praedicatio
eius H 17 species Cm1 19 diuersae HLNPm2
diuisae m1 20 speciei H (ante sunt) N
tunc R nec non Lm1 sed tum m2 21 tantum
specie] uni tantum speciei P conuersio aequa seruetur, in
accidentibus uero minime. quoniam enim propria in singulis esse possunt atque
omnes continent, species conuerso ordine praedicantur; nam quod risibile est.
homo est, et quod homo, risibile. nigrum uero non ita, sed ipsum quidem
de his praedicari potest quibus inest, illa uero ad huius praedicationem
conuerti retrahique non possunt; nigrum enim de carbone. hebeno, homine atque
coruo prae- dicatur, haec uero de nigro minime, nam quae plurima con- tinent,
de his quae continent praedicari possunt, ea uero quae continentur, de
sese continentibus nullo modo nuncupantur. Rur- sus proprium quidem aequaliter
participatur, accidens remis- sionibus atque intentionibus permutatur. omnis
enim homo aeque risibilis est, Aethiops uero non aequaliter niger est, sed, ut
dictum est. alius quidem paulo minus alius uero taeterrimus
inuenitur. Et de proprii quidem atque accidentis differentiis satis
dictum est. restabat uero accidentis ad cetera communiones proprie- tatesque
explicare, sed iam superius adnumeratae sunt, cum generis, differentiae,
speciei et proprii ad accidens similitudines ac differentias
adsignauimus. fortasse autem his institutus animus et sollertior factus alias
praeter eas quas nunc diximus com- munitates uel differentias quinque rerum
quae superius sunt positae reperiet, sed ad discretionem atque eorum
similitudines comparandas ea fere quae sunt dicta sufficiunt. nos etiam,
quoniam promissi operis portum tenemus atque huius libri seriem primo quidem ab
rhetore Victorino, post uero a nobis 1 conseruetur (con s. l. m2 )
aequa conuersio H 2 esse presunt (pre- sunt del. m2) H
esse Lm1 esse habent Lm2R 4 post post.
homo add. est CLR post risibile add.
est LPR 5 quibus] in quibus R 7 ante
hebeno add. de H, er. uid. L 9 continentur HN 11
proprium post quidem H (s. l. m2) quidem om.
G 12 permittatur E 15 deter- rimus CLN 16 proprii
* (s er.) HL differentiis om. G proprietate
E 17 accidens G 18 replicare EGLPR iam]
etiam EG enumeratae La.c. 19 speciei] et speciei
NR ad accidens] et accidentis Em1La.c.R 20 his om.
NR 23 ante eorum add. ad EGLPR 24
sufficiant HR 26 ab in a mut. ut uid. C Latina
oratione conuersam gemina expositione patefecimus, hic terminum longo statuimus
operi continenti quinque rerum dis- putationem et ad Praedicamenta
seruanti. 1 conuersa ELm1 2 continenti om.
C quinque] V L (in ras. m1?) edd., om. cett. 3 et om.
C seruienti brm ANICII MALLII SEVERINI BOETII LIBER QVINTVS
EXPLICIT SECVNDI SVPER YSAGOGAS COMMENTI P ; FINIT. EXPLICIT EDITIONIS
SECVNDAE COMMENTARIORV LIBER QVINTVS FELICITER. AMEN (er. uid.) DEO
GRATIAS C ; ANICII MANLII SEVERINI POETII (sic) ILLV- STRIS
CONSVLIS EXPLICIT LIBER L ; ANICII. MANLII. SEVERINI. BOETII. (A. M. S.
B. N ) V. C. ET ILL. (I LL S. N ) EXCONS. (EXCS N ) ORD.
PATRICII. (ΈΧC.—PATR. om. G) IN ISAGOGAS (YS- EG)
PORPHYRII (I pro Y N) IDE. INTRODVCTIONES (-NE
E) IN CATE- GORIAS (KATH- N) A SE (om. N)
TRANSLATAS. (-TĘ E , IDE— TRANSL. om. G) EDITIONIS
(EDΙCΤ- E , AED- N) SCDĘ LIBER V (QVINTVS N)
EXPLICIT EGN, add. TIBI PAX. AMEN. E ; QVINQVAE (sic)
FIT OPTATVS HIC FINIS ISAGOGARV R; subscriptione caret H, item e codd.
Isagogen tantum a Boethio translatam continentibus ΓΛΣΦΊ’ (nisi
quod in Φ recens quaedam est); post
traditionem p. 346, 13 habent EXPLIC. LIB. HISAGOGARV
PORPHIRII Δ , EXPLICIT Π. gradatimfoliacontrahit.Videturhæcnonminusdilatatio ne,contra
ionesfoliorumhonoraresolem,quamhominesgenarumgestu,moru labiorum.No
folumuero'inplantis,quæueftigiumhabentuitæ,fedetiaminlapidibusaspicerelicet,imitations,
& participationemquandamluminumsupernorum,quemadmodumhelicislapisradijsaureisso
laresradiosimitatur.lapisautem ,quiuocaturcælioculus,uelsolisoculus,figuram
habetfimilēpu
pillæoculi,atqsexmediapupillaemicatradius.lapisquoqueselenitus,idestlunaris,figuralung
cornicularisimilis,quadamsuimutationelunaremfequiturmotum.Lapisdeindeheliofelenus,id
estsolaris,lunarisózimitaturquodãmodocongreffum
folis,&lunæ,figuratcscolore.Sicdiuinornm omniaplenafunt, terrenaquidemcælestium,
cæleftiauerosupercælestium p,roceditæquilibetor d o r e r u m u s o a d u l t i
m u m . Q u æ e n i m s u p e r o r d i n e m r e r ü c o l l i g ū c u r i n u
n o , h æ c d e i n c e p s dilatan
turindescendendo,ubialiæanimæsubnuminibusalñsordinantur.Deinde&
animaliafuntsolana multa,uelutleones,& galli, numiniscuiusdamsolarisprofuanaturaparticipes,
undemirum est,quantum inferioraineodem
ordinecedantsuperioribus,quamuismagnitudine,potentias n o n c e d a n t. h i n
c f e r u n t g a l l u m t i m e r i å l e o n e q u a m p l u r i m u m ,
& q u a f i c o l i . c u i u s r e i c a u s a m a m a tería, sensuueassignarenonpossumus,sedsolumabordinissupernicontemplatione.
quoni amuidelicetpræsentiafolarisuirtutisconuenitgaltomagisquamleoni:quod&
indeappare 1928 Marfil. Ficin.in InterpreteMarsilioFicinoFlorentino.
Vemadmodum amatoresabipsapulchritudine,quæcircasensumapparet,addiuinam
paulatimpulchritudinemrationeprogrediuntur:fic& sacerdotesantiqui,cùmconli,
derarentinrebusnaturalibuscognacionemquandamcompassionemç;aliorumadalia
&manifestorum aduiresoccultas,& omniainomnibusinuenirent,facrameorumscien
quicquidest,pulchrumeft,&bonum
eft.etiamsiindecorporissequaturincommodum.Corpus enim nonparshominis, fedinftrumentum:instrumentiuero'malumnonpertinetadutentem.
Quomododifferantduohæc,fcilicetfecundumfeipfum,& quaipsum.
Ietioneseiusmodi,fcilicetsecundum feipsum,& quaipsum
,etiamapudAristotelemdistin, D g u u n t u r . Q u o d e n i m s e c u n d u m
s e i p s u m a l i c u i c o m p e t i t , p o t e s t e i n o n c o m p e t e
r e p r i m o. Quodautemquaipsumconuenispræterid,quodconuenit,secundumseipfumeciam
primo
competitei,atqueadæquatur.Pulchrumigitur,ficommensurationisanimæcausaest,atq;obhoc
ipsumdiciturpulchrum,efficito,utmeliusinanimadomineturdeceriori,perficitąnos,&
animæ deformitatempurgat:hacipfarationebonum est, nonquidemperaccidens,fedquarationepul.
chrum .fienim qua pulchrum estcommensuratum ,eft& bonum.Bonãenim estmensura
cercéquá pulchrum est,exiftit& bonum.Similiter turpe,qua turpe,malum est.N
a m qua curpe eft,informe est qui 1
quiagallus,quafiquibufdáhymnisapplauditfurgentisoli,&
quafiaduocat,quãdoexantipodum mediocæloadnosdeflectitur,& quando
nonnullisolaresangeliapparueruntformiseiusmodi p r æ d i c i , a r c f, c u m i
p f i i n s e f i n e f o r m a e s s e n t, n o b i s t a m e n , q u i f o r
m a t i s u m u s , o c c u r r e r e f o r m a t i. N o nunquam tione.
Quæfecundumfefuntincorporea,nonlocalicerpræsentiacorporibus,adsunt
eis,quotiescunqueuolunt, adillauergentia, atquedeclinantià,quatenusuidelicetnaturaliteradea
uergunt,arqueinclinantur. Sed enim cum nonadfintlocaliaconditionecorporibus,habitudine
quadam
eisadfunt.Quæfecundumsesuntincorporea,certenonpersubstantiam,&peressentiam
corporibusadsunt.Non enim
corporibuscómifcentur.ueruntamenexipsainclinatione,quasimo
mentouisquædamsubfiftitindecomunicataiam propinquacorporibus.Ipsanamqinclinatiose.
cundamquandamuimsubstituítcorporibusiampropinquam. mæ,fecundữcorporafuntdiuisibiles.Nonomne,quodagitinaliudappropinquatione,&ta
&ufacit,quodfacit,fedetiam qupæropinquarido,&
tangendofaciuntaliquidfecundumaccidens, nonutunturpropinquirate.Animacorporialligaturconuersionequadam
adpassionesprouenien resacorpore.Rursum
foluiturquatenusacorporenihilpatitur.Quodnaturaligauit,hoc&ipsa
naturasoluit.Rursusquodconciliauitanima,hoc& animadirimit.Naturaquidem
corpusinanimadeuincit,animaueroseipsamincorpore.Quamobrem natura corpusab anima
separaczanimaueroseipsam àcorporesegregat, saclia usmodi .Qui 1 Proc.De
Sacrif.& Magia. 1929 ICOR bada mler : in: no.N enlos ur,but aliano compiz
quider Locum siuecausisadintelligibilianosducentibus. MARSILIO FICINO
INTERPRETE. Denatura,e alligatione,o solutioneanime.
Nimaquidemmediüquiddameftintereffentiam indiuiduam,arqueessentiamueracorpora A
diuisibilem.Intellectusautem essentiaest,indiuiduafolum
.Sedqualitates,materialesqfor lael,ea 703 ncense garia 1,fiu ucent oxd zateni
XOM etiam dæmones nisisuntsolares leoninafronte.quibuscum
gallusoböceretur,repente disparuerunt.Quodquidemindeprocedit,semperquæineodem
ordineconstitutainferiorafunt, reuerentursuperiora:quemadmodum
plerişintuentesuirorumimaginesdiuinorum,hocipsoas.
pe&uuererisolentturpealiquidperpretare.Vtautemsummatimdicam,aliaadreuolucionessolis
correuoluuntur,ficutplantæ,quasdiximus:aliafiguramsolariumradiorumquodammodoimitan
tur, utpalma,dactylus:aliaigneamsolisnaturam,utlaurus:aliaaliudquiddam uideresanelicetpro
prietates,quxcolligunturinsole,passimdistribucasinsequentib.insolariordineconstitutis,scilicet
angelis,dæmonibus,animis,animalibus,plantisatque
lapidibus.Quocircasacerdotijueterisautho resàrebusapparentibussuperiorum
uiriumcultumadinuenerunt,dum aliamiscerent,aliapurifi c a r e n t. M i s c e b
a n t a u t e m p l u r a i n u i c e m , q u i a u i d e b a n t f i m p l i c
i a n o n n u l l a m h a b e r e n u m i n i s p r o
prieratem,nontamenfingulatim,sufficientemadnuminisiliusaduocationem.Quamobrem
ipfa multorum comixtioneattrahebantsupernosinfluxus: acßquodipficomponendounumexmul
tisconficiebant,assimilabantipfiuni,quodestsupermulta,constituebantæftatuasexmaterñismul
tispermixtas:odoresquoqcompositoscolligentes:arceinunum diuinafymbola,reddentesísun
um tale,qualediuinumexiftitsecundum
effentiam,comprehendens,uidelicetuiresquamplurimas. Quorum
quidemdiuisiounamquamg debilitauit,mixtiouerorestituitinexemplarisideam.Non
nunquam ueroherbauna,uellapisunus,addiuinumsufficitopus.SufficicenimCnebison,ideftcar
duus,ad fubitam numinis alicuius aparacionem ,ad custodiam uerò laurus.Raccinum
,ideftgenus
uirgultispinosum,cepa,squilla,corallus,adamas,laspis,fedadpræsagiumcortalpæ,adpurificatio.
nem uerosulfur,&atosmarina.Ergosacerdotespermutuam rerumcognationem,compassionem'.
conducebant inunum,perrepugnantiam expellebantpurificantes,cum
oportebat,sulfure,atque
asphalto,idestbitumine,aquaaspergentesmarina,purificatenimsulfurquidempropterodorisa
cumen,aquaueromarinapropterigneamportionem,& animaliadrjsindeorum
cultucongruaad hibebant,cxtera'tsimiliter.Quamobrem
abës,atoßsimilibusrecipientesprimumpotentiasdemo num
,cognouerunt,uideliceceasesseproximasrebus.actionibus
naturalibus:atq;perhæcnatura lia,quibus
propinquantinpræsentiamconuocarunt.Deindeàdæmonibusadipfasdeorumuires
actiones&processerunt,partimquidemdocentibusdæmonibusaddiscentes,partim
ueroindustria propriainterpretantesconuenienciafymbola,inpropriam
deorumintelligentiamascendentes, a c d e n i q p o f t h a b i t i s n a t u r
a l i b u s r e b u s, a c t i o n i b u s q u e , a c m a g n a e x p a r t e
d æ m o n i b u s in d e o r u m feconfortium receperunt. PORPHYRIVS DE
OCCASIONIBVS, Denaturacorporeorum,atqueincorporeorum.
Mnecorpuseftinloco,nullumuerocorum ,quæfecundūsesuntincorporea,uelaliquid tale,
estinloco.Quæ secundumsesuntincorporea,eoipso, quodpræstantiusestomni
corpore,atqueloco,ubiquesunt,nondistantiquidem,sedindiuiduaquadam condi USCE
inuss sdina labor Pt,imi adns aberi is,fip liol Sicdi liatiei ,unto 10,p Omnia
MMM $ Omniaquodammodosuntinomnibusproconditionecorum,quibusinfunt.
On fimiliteromniainomnibusintelligimus,sedpropriesehabetadomniauniuscuíused
sentia:intellectuquidem
intelle&ualiter,inanimauero'rationaliter:inplantisseminarie,in
corporibusimaginariè:ineodem (quodhisomnibussuperiuseft,modoquodamfuper
intellectuali,atquesuperessentiali. essentiæ,aliatandem naturx supe
rioris,aliaanimæ,aliaintele&ualis:uiuuntenim&
ila:etfinullumeorum,quæabiplisexi ftunt,uirameisfimilemsorciatur.
aliaueropartimquidemfle&tunturadila,partimetiamnonflestuntur.aliacandem
folumde flectunturadgenituras,neqzinterimadsereflectuntur. p e r , e d u c e r
e. A n i m a q u i d é h a b e t o m n i u m r a t i o n e s . A g i t a u t ē
s e c u n d ã e a s ,u e l a b a l i o a d e x peditionemeiusmodiprouocata,uelipfafeipfamintusconuertensadrationes,&
cum abaliopro uocatur,tanquamadexternacommititintroducerefensus:cum
uero'ingredicurinseipsam,adintel
ligentiasperuenit:necigitursensusextraimaginationemfunt,necß,utdixeritaliquis,intelligence
quatenus competuntanimali Animaeftimmortalis.
ANimaeftessenciainextensa,immaterialis,immortalis,in'yitahabenteaseipsauiuere,arosese
fimiliterpossidente. Passioanimæ,atquecorporisestlongediuersa.
Liudestpaticorpora,aliudincorporea.passioenim corporụm cum
transmutationecötingit passiouero'animęestaccommodatioquædam,'&affe&ioadremipfam,&a&ioquædã,nullo
modofimiliscalefationi,frigefactioniącorporum,quamobrem sipassiocorporū,cũtrans
mutatione fit,dicendum eftomnia incorporea essepassionisexpertia.Quæ enim
a'materia,corporf busipfeparatasuntadu,eadempermanent:quæueromateriæcorporibus
propinquant,ipsaqui d e m n o ns u n t p a s s i u a , s e d i l l a , i n q u
i b u s h æ c a p p a r e n t , p a t i u n t u r , q u á d o e n i m a n i m a
l s e n d t , a n i m a quidam fimilis esseuideturharmoniæ cuidam separatæ ex
seipsam chordas mouenti cötemperatas Corpusaữrsimileharmonię,quæ
inseparabilisinestchordis,fedcausamouendieffeuideturanimal
proptereaquodfitanimatū, quodquidemsimileeftmufico,exeoquodfitcõcinnum
,corporaueros quæperpassionesensualempulfantur,fimiliacontemperatischordisapparent.Etenim
ibinonhar m o n i c a q u i d é s e p a r a t a p a t i t u r , f e d c h o r d
a . & m o u e t f a n e m u f i c u s p i p f a m , q u æ s i b i i n e f t
,h a r m o n i ā: newtamenchordarationemusicamouereturetiam
,fiuelletmusicus,nifiharmoniaipsaiddixit. nataestquemadmodum corpora,sed
fecundum nudam ad corporapriuationem .Quãobrenihil
prohibetinterila,aliaquidemesseessentia,aliauerònonessentia:&
aliarursusantecorpora,alia ueròunacumcorporibus:itemaliaacorporibusseparata,aliauerònonseparata.Prætereaaliasecun
dum
sesubfiftentia,aliaueroalijs,utsintindigentia:aliadeniqa&tionibus,uitisfexfemobilibuse
adem ,sedaliauitis,&qualibusa&tionibusquodammodo
permutata,nempefecundumnegatione corum ,quæ ipfanon sunt,non secundum
assistentiameorum ,quæ sunt, appellatur.
PussionesmaterieprimeassignatesimiliteràPlotino.
Ateriaepropriaapudantiquoshæcfuntincorporeaquidem,diuerfaenimeftàcorporibus,
prætereauitæexpers,negintelle&tus,neckanima,nequealiquidfecundum seuiuens.Itêin,
formis,permutabilis,infinita,impotens.Quapropternec ens,feduerum nõens,imagomol
lisapparens, quoniãqd primo estinmole,eftipfum impotens,itéappetitio
fubfiftentia.& ftansno instacuprætereafempinseapparens,tum paruum,rum magnữ,tūminus,tūmagis,tūdeficiens,cī
excedens,quoduefiatfemp,maneatuerònunquã,nec tamen aufugere
potens,quippecútotius entisfitdefectus.Quamobrēquicqd
pmittat,mentitur:aciimagnūappareant,interimeuadirparo
uũ,quafienimludusquidãeftinnõensaufugiés,Fugaenimeiusnófitloco,seddūabencedeficis,
Quamobren M 1930 Marsil. Ficin.in
infummiseftunitascumuirtute:ininfimismultitudocumdebilitate.
Ncorporeæfubftantiædescendentesquidemdijudicentur,atqßinsingulapotentiædefe&umul
tiplicantur, adscendentesautemutuntur,atæfimulrecurruntinunumcopiapoteftatis.
Quegenerant,partimconuertunturadgenita,partimminimè.
Mne,quodsuaessentiagenerat,aliquidsedeteriusgenerat,atqomnegenitüadgenitorina O
curaconuertitur,eorumuero,quægenerant,aliaquidēnullomodoconuertunturadgenitas
Sensus,imaginatio,memoria intelligentia. Emorianonestimaginationüconferuatio
quædã,ámdtāmpastwintorspobaristalevias'spoluéwata,
sedeftipfaspropofitiones,fiueproductionesina&um
corū,quæmedicatuseftanimusnu :nec rurfusabsq inftrumentorum sensualium
passionesuntfenfus, lic& intelligentiænon abfqimaginatione,nisianalogaconditiofit:quemadmodumfiguraconse
quensquiddam
estadanimalsensuale,ficphantasmaaliquidconsequensadintelligentiamanima
intelligentisinanimali. 1 N Despeciebusuite. On
solumincorporib.æquiuocaconditioest,sedipsaetiãuitamultipliciterprædicatur
eftenimuitaplantæ,animalisalia:aliarursusintellectualis Alia IN N > M
Dedifferentijsincorporeorum.
Pfaincorporeorīappellationõfecundumcommunicatēunius,eiusdemişgeneris,siccognomi.
quamobremquæineasuntimagines,insuntindeteriorirursusimagine,quemadmodüinspeculo
idquodalibilitumeft,apparetalibi,&ipsumspeculumplenumeseuidetur,nihilqzhabet,dumom
nia uidetur habere.
funt,autnonfunt,quappternullacorūpaticur:quodempatienseft,nonoportetitafehabere,
fedefetale,ütalterariqueat,atointeriminqualitatibus eorī,quaeingrediuntur,ficásinferuntpas
fionem.Eiñamos
quodinestalterationonaqualibecaccidit,nexigicurimaceriapacítur.Nāsecun dum
feipfam
qualitatisestexpers,nesprorsusformx,quaefuntinca,ingrediences;uicissim'sexe,
untes,fedpassioficcircacompofitum,&uniuselseincomposicioneconfiftit,hocenim
incontrarijs uiribus& qualitatib.ingredientiữzinferentiumąpassioneperfeuerareinfubfiftendouidetur.Quá
o b r e m e a q u o r u um i u e r e e f t a b e x t e r n i s , n e c a s c i
p l i s , n i m i r u m & u i u e r e , & n o n u i u e r e p a t i p o
f l u n t. S e d e a , q u o r u m e s s e i n u i t a c o n f i f t i t, p a s
s i o n i s e x p e r t e , n e c e f f a r i u m e f t p e r m a n e r e s e c
u n d u um i t a m , quemadmodūuitäuacuitaticonuenit& non pac,quarenus&
uitæuacuicas.Icaqficutpermutari, acpaticöpofitoexmateria,forma
côtingit,ideftcorpori,neqstamenidmateriæ accidic,ficujuere,
areinterire,patiofecundumhocipfum incompofitum
exanima,corporeæperspicitur,neqstamé animæidcontingit,quoniam
animanoneftaliquidexuita,& nonuitaconflatum,seduicafolum
constatquippe,cumfimplexessenciafit,ipfaqsanimæ ratiofitnaturaipfasemouens.
Omnisintellectuseftomniformis.
Ntelle&ualisesentiaficinpartibuseftconfimilis,ut&
inparticulariquolibetintelle&u,uniuer soosintelle&ufintentia:fedintele&u
quidem uniuerfaliendaeciam particulariauniuersalifint
ratione:inparticulariautčincellectueciāmiuniuersaliafimulacosparticulariasintconditionequa
dam particulari: Omnisuitaincorporeaquocunq;mütetur,permanetimmortalis.
Nuicisincorporeispcessusmanentibusprioribusinsefirmisefficiuntur,dūnihilfuiõdunt,neos
pmutantadsubstantiâinferiorib.exhibendam,quappternedquæindesubfiftūccũaliquagdi
tioneueltráfmutationesubsistûr,nechoc
qdēefficitur,ficutgeneratiointeritus,gmutationisą
particeps,ingéciaigitur,&incorruptibiliafuntaroingčitæ,incorrupcx'ssecīdūhocipfumeffecta.
Quomodointelligaturquodeftfuperiusintelectus
uigilantiãmultadicatur,fedperfomnūipsum
cognitioeius,peritia'oshabetur,fimilinãque f i m i l e c o g n o s c i f o l e
t, q u o n i ã o m n i s c o g n i t i o , a s s i m i l a t i o q u æ d á e f
t a d h o c i p f u m, q d c o g n o f c i t u r. ens
uelutfalsamconcipimuspassionecă,
ingentemuidelicetili,quidigrediturextraseipsum,ipfeenimquisquequemadmodumexistenter
deftuere,atokperseipfumpoteftreduciadipfumnonensentesuperius,ficabence,sepsipfodigres
diensiam traducituradnonens,quodentisipfiuseftcasusatqzruinia.
Substantiaincorporeaestubicunqueuult.
Aturacorporisnihilimpedit,quinquodfecundum feincorporeum
eft,ficubicung,&quò modocunque.Sicucenimcorporiincomprehensibileest,quodmoliseftexpers,
nihilą adip Porphyr de Occasionib. 1931 Quidpatiatur,quidnon.
Afsionescircaidfuntomnes,circaqdaccidit&interitus.Víaenim
adinteritãeftadmissiopas
fionis,acohuiusestinterirecuiuseftpaci.Incerireaūcincorporeūnullű,sedquædãinterilaaur
Animaquiapereffentiameftuita,nonmoritur.
yIrcaessentiam,cuiusefeconfifticinuita,&
cuiuspassionesuitaquædãfunt,nimirum& morg
inqualialiquauitauersatur,noninpriuationeuitæfimultota.Quoniamneqspassio,seuuita
est omnino, illicadnon uiuendum ,iplaqzillicacciditorbitas. .
Silloquodeftmentesuperius,perintelligentiamquidem multa dicuntur:considerantur
D temuacuitatequadăintelligentiæ intelligentiameliore;quemadmodum
dedormienteper NonensauteftfuperiusenteutDeus,aütinferiuscummateria.
Vodnonensdicitur,auciplínosmachinamurab ipsoentealiquandoseparaci,autsuperin
telligimus,dum enspossidemus.quapropterfiseparamurabente,ensipsumnon superine
telligimusnon enssuperensipsum,fediamnon N
sumpertiner:sicincorporeoipsum,quodmollediftenditur,nonficobftaculum &
quafinon acec,nequeenim quod incorporeum eftlocalicondicionequo uulc
discurritlocusenim cum mole
simulexiftit,neqsrurfuscorporumlimitibuscoercecur,quodenimquomodocūqiiacetinmole,in
angustumcohiberipoteft,& conditionelocalitransmutacionemagere, quodaucemestamole,mag
nitudine
prorsusexemptū,hocabójs,quæfuntinmole.continerinonpoteft,a'motuşilocaliper
manetliberum.Igiturqualiquadam,certaquedisposicionereperituribi,ubicunquedisponitur,lo.
cointereatumubique,tumnusquam
simulexiftens,quapropterqualiquadamcertaqueaffe&ione uelsupercælum
,uelinpartemundiquadam apprehenditur:quandoueroinaliquamundipàřecte n e t u r
,n o n o c u l i s q u i d e m a f p i c i t u r, s e d e x o p e r i b u s e i
u s p r æ s e n c i a s u a fit h o m i n i b u s m a n i f e s t a s
Substantiaincorporeinullocorporecohibetur,fedproducitescamincorporeperquamse
corporiapplicát.
Vodeftincorpóreū,liquandoincorporecomprehendatur,nonopuseftutitaconcludatur, Q
quemadmoduminparcoferæclauduntur,nullumnamquecorpuspoteftipsumficinfeco
-hibere,nequeficutüterliquoremaliquemtrahit,&
cohibet,autfacum,fedoportetipsum ia nd C TO MmM 4 13. fubftituere cavite
Vniaersalescausenonconuertunturadefe&tus,fedeosadfeconuertunt. V l l
a s u b s t a n t i a r u m , q u æ u n i u e r f æ s u n t, a t æ p e r f e c
t æ a d f u a m c o n u e r t i t u r g e n i c u r ă . O m n e s
autéperfe&tæsubftantiæadgenerantiarediguntur, & idquidemadcorpusufo
mundanum. 1. Quomododifferenterestubiq;DeusintelleĀus,animas Euseftubiq
,quianusquamintelle&usest:ubiq etiã,quianufquam anima.deníqueubiqet EX
PORPHYRIO DE AB ftinentiaanimalium. . quinetiamcognoscitipsum,quod in
feest,naturaliterperpetuo uigilans, atquefom/ num,quohicopprimitur,deprehendit.
Cuinonsaneeducationem,nutritionemque trademus consentancã,tūhuius locinaturæ
,tum suiipsiuscognitioni conuenientem,
Beatitudononeftdiuinorumcognitio,feduitadiuina.
Eatanobiscontemplationonestuerborum accumulatio,disciplinarūquemultitudo,quemad
Bmodum aliquisforteputauerit:nequeenim
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1932 Marsil. Ficin -in
substitucreuiresabipsainseipsumunioneextramanantes,quibusdescendenscorporiaplícatur,co
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corpusperineffabilēquandāsuiipsiusimpleturextenfioné,quamobrénõaliud adem
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Quodquidemcūsitperfe&umadanimāestreda&um,animam
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funtpoft ipsum.Suiueròipfiuseftfolum,ficutest,atqueuult.Intelle&usautem
inDeoquidemubica eft,fedineis, quæfuntpoftipsum ,existirnusquapariter, &ubiqueanimatandeminincele&tu,acor
Deo ,fimilitereftubiq ,incorporeuero'ubiqeftfimul & nusquá.Corpusaūt&
inanima,& inintels lectu , & in D e o , omnia profe & o cūentia,t u
m non entia ex D e o sunt,& ideonec tamēipfeDeus eft,cum entia,tum
nonentia,necexistitineis.Sienimessetduntaxatubiq ipfequidéomnia,& in o m n
i b u s e s s e t. A t q u o n i a m e f t , & n u s q u ã , o m n i a s a
n e p e r i p s u m f i u n c f i u n t á ž r u r s u s i n i p f o , q n i a m
ipfeexistitubios:diuersarursusabipfo,quoniãipsenusqua.Similiterintele&usubicexistens,atqs
n u s q u ã , c a u s a e f t a n i m a r ã , a n i m a s æ s e q u e n t i ū
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i n cisexistic:quoniamuidelicetnon folum
ubiqueest,eorumque,quæfuntpoftipsum,sed&nusquã.
Rursusanimanequecorpuseft,nequeestincorpore,fedcausacorporis,quoniam dum ubiq
eftper corpussimuleft,&incorporenusquam
,processusdeniquniuersiinilluddefinit,quodnec ubiqfi mui, nequenusquamesseualet,sedalternisquibusdamuicibusutriusquefitparticeps.
Giustino (filosofo) filosofo e martire cristiano Lingua Segui Modifica Nota
disambigua.svg Disambiguazione – "Giustino martire" rimanda qui. Se
stai cercando altri martiri con questo nome, vedi San Giustino. San Giustino
Justin filozof.jpg Icona russa di san Giustino Padre della Chiesa e
martire Nascita Flavia
Neapolis, 100 MorteRoma, 163/167 Venerato daTutte le Chiese che ammettono il
culto dei santi Santuario principaleCollegiata di San Silvestro Papa, Fabrica
di Roma (VT) Ricorrenza1º giugno, 14 aprile (1882–1968) Attributi palma,
libro Patrono difilosofi Giustino, conosciuto come Giustino martire o Giustino
filosofo (Flavia Neapolis, 100 – Roma, 163/167), è stato un martire cristiano,
filosofo e apologeta di lingua greca e latina, autore del Dialogo con Trifone,
della Prima apologia dei cristiani e della Seconda apologia dei cristiani. A lui
dobbiamo anche la più antica descrizione del rito eucaristico.
Iustini Philosophi et martyris Opera, 1636 Fu uno dei primi filosofi
cristiani, e venerato come santo e Padre della Chiesa dai cattolici e dagli
ortodossi. La memoria si celebra il 1º giugno. La Chiesa Cattolica
lo considera anche santo patronodei filosofi insieme a Caterina d'Alessandria,
pur non essendo nessuno dei due nel novero dei Dottori della Chiesa.
BiografiaModifica Giustino, che spesso si dichiarava in verità samaritano,
visto il suo nome e il nome di suo padre - Bacheio - sembra piuttosto di
origini latine o greche. La sua famiglia probabilmente si era stabilita da poco
in Palestina, al seguito degli eserciti romani che qualche anno prima avevano
sconfitto gli Ebrei e distrutto il Tempio di Gerusalemme. Come
riferisce Giustino stesso nel Dialogo con Trifone, venne educato nel paganesimo
ed ebbe un'ottima educazione che lo portò ad approfondire i problemi che gli
stavano più a cuore, quelli riguardanti la filosofia. Racconta che la sua
smania di verità lo portò a frequentare molte scuole filosofiche. Presso gli
stoicinon trovò giovamento, in quanto il problema di Dio, per questa filosofia,
non era essenziale. Poi frequentò la scuola peripatetica, ma anche presso
questi filosofi non trovò quanto cercava. Si recò presso un filosofo pitagorico
che lo sollecitò dunque ad approfondire le arti della musica, dell'astronomia e
della geometria. Ma Giustino, troppo concentrato nel voler raggiungere la
"verità" e la "conoscenza di Dio", reputava tempo sprecato
il soffermarsi su tali materie. Approdo al platonismoModifica Da
ultimo frequentò una scuola platonica; un maestro di questa filosofia era da
poco giunto nel suo paese e presso questa corrente filosofica trovò quanto
credeva di cercare. «Le conoscenze delle realtà incorporee e la contemplazione
delle Idee eccitava la mia mente...», dice Giustino. Si convinse che questo lo
avrebbe portato presto alla "visione di Dio", che considerava essere
lo scopo della filosofia. Decise di ritirarsi in solitudine lontano dalla
città, ma in questo luogo appartato, secondo quanto racconta nel prologo del
Dialogo con Trifone, incontra un anziano, con cui inizia un serrato dialogo,
incentrato su Dio e su cosa fare della propria vita. Dopo aver dichiarato all'anziano
la sua idea di Dio «Ciò che è sempre uguale a sé stesso e che è causa di
esistenza per tutte le altre realtà, questo è Dio», l'anziano lo porta a
ragionare su di un aspetto che forse a Giustino era sfuggito: come possono i
filosofi elaborare da soli un pensiero corretto su Dio se non l'hanno né visto
né udito? E porta il giovane a meditare sulle persone considerate "gradite
a Dio" e dallo stesso "illuminate", i Profeti, che nel tempo
avevano parlato di Dio e "profetizzato in Suo nome", in particolare
la "venuta del Figlio nel mondo" e la possibilità "attraverso di
Lui" di avere una "vera conoscenza del divino".[1]
Conversione al cristianesimoModifica Dopo questa esperienza, Giustino si
converte al Cristianesimo e per tutto il resto della sua vita educherà i
discepoli, utilizzando gli stessi schemi usati dalle altre scuole filosofiche.
Oltre a questo incontro, che fu decisivo per la sua conversione, Giustino
indica anche un altro fatto che lo rinfrancava nella fede: «Infatti io stesso,
che mi ritenevo soddisfatto delle dottrine di Platone, sentendo che i cristiani
erano accusati ma vedendoli impavidi dinanzi alla morte ed a tutti i tormenti
ritenuti terribili, mi convincevo che era impossibile che essi vivessero nel
vizio e nella concupiscenza». Giustino viaggiò molto, andò a Roma
una prima volta e quando ritornò vi aprì una scuola filosofica a impronta
cristiana, i suoi insegnamenti insistevano molto sui fondamenti razionali della
fede cristiana. Questo approccio, molto diverso da quelli tradizionali, suscitò
numerose controversie sia con gli stessi cristiani sia con alcuni filosofi,
specialmente con Crescenzio il cinico. La sua fede lo porterà a
subire una morte violenta. Fu condannato a morte da Giunio Rustico che era
prefetto di Roma e amico dell'imperatore Marco Aurelio, fra il 163 e il 167,
con queste parole: «Coloro che si sono rifiutati di sacrificare
agli dèi e di sottomettersi all'editto dell'imperatore, siano flagellati e
condotti al supplizio della pena capitale, secondo le vigenti leggi.» Di
questo processo esiste ancora il verbale: Martyrium SS.Justini et sociorum VI.
Giustino venne decapitato assieme a sei dei suoi discepoli, Caritone e sua
sorella Carito, Evelpisto di Cappadocia, Gerace di Frigia (schiavo della corte
imperiale), Peone e Liberiano. Le sue reliquie furono traslate da
Roma il 22 settembre 1791, e si trovano attualmente sotto l'altare maggiore
della Collegiata di San Silvestro Papa a Fabrica di Roma, in provincia di
Viterbo.[2] Giustino fu il primo di una serie di autori cristiani che
intravide in Eraclito, Socrate, Platone e negli stoicidegli autori
precristiani, precursori del Cristo e da esso ispirati.[3] Anche lo Spirito
Santo è identificato con Dio stesso. A suo avviso, la nozione trinitaria fu
introdotta già dal platonismo.[4] A Giustino si deve la più antica
descrizione della liturgia eucaristica. Egli fu il primo ad utilizzare la
terminologia filosofica nel pensiero cristiano ed a tentare di conciliare fede
e ragione. Si schierò duramente contro la religione pagana ed i suoi miti
mentre privilegiò l'incontro con il pensiero filosofico. La figura
di Giustino attrasse l'attenzione di Lev Tolstojil quale nel 1874 dedicò al
santo cristiano una breve agiografia, Vita e passione di Giustino filosofo martire[5].
OpereModifica Dialogo con Trifone, Edizioni Paoline, Milano 1988. Le due
apologie, Edizioni Paoline, Milano 2004. ( LA ) [Opere], Parisiis, apud Carolum
Morellum typographum regium, via Iacobaea ad insigne Fontis, 1636. Il Dialogo
con Trifone, la Prima apologia dei cristiani e la Seconda apologia dei
cristiani, ci sono pervenute in un manoscritto del 1364, conservato a
Parigi.[6] La Prima apologia dei cristianiModifica «Io, Giustino, di
Prisco, figlio di Baccheio, nativi di Flavia Neapoli, città della Siria di
Palestina, ho composto questo discorso e questa supplica, in difesa degli
uomini di ogni stirpe ingiustamente odiati e perseguitati, io che sono uno di
loro.» (Apologia Prima, I, 2) La Prima apologia dei cristiani è
indirizzata all'imperatore Antonino Pio e al Senato romano. In essa compare un
tema che sarà ampiamente sviluppato dall'apologetica cristiana, cioè la critica
della prassi diffusa presso i tribunali romani, per la quale il solo fatto di
appartenere alla religione cristiana era motivo sufficiente di condanna.
Giustino inoltre polemizza con i pagani riguardo ad alcune contraddizioni
interne alla società romana, per esempio fa notare come, mentre i cristiani
sono condannati a morte perché ritenuti atei, vari filosofi greci e latini
sostengono apertamente l'ateismo senza conseguenze. Interessante,
poi, è il fatto che Giustino citi abbondantemente vari brani dei vangeli
sinottici per esporre le dottrine cristiane; ancor più notevoli sono i
tentativi dell'apologeta per convincere i pagani della verità del Cristianesimo
attraverso le citazioni di autori classici sia di filosofia (come Socrate e
Platone) che di mitologia (come Omero e la Sibilla) che vengono accostati a
brani dei vangeli o dell'Antico Testamento. «Sia la Sibilla sia Istaspe
profetarono la distruzione, attraverso il fuoco, di ciò che è
corruttibile. I filosofi chiamati Stoici insegnano che anche Dio
stesso si dissolve nel fuoco, ed affermano che il mondo, dopo una
trasformazione, risorgerà. [...] Se dunque noi sosteniamo alcune
teorie simili ai poeti ed ai filosofi da voi onorati [...] perché siamo
ingiustamente odiati più di tutti? Quando diciamo che tutto è stato
ordinato e prodotto da Dio, sembreremo sostenere una dottrina di Platone;
quando parliamo di distruzione nel fuoco, quella degli Stoici; quando diciamo
che le anime degli iniqui sono punitemantenendo la sensibilità anche dopo la
morte, e che le anime dei buoni, liberate dalle pene, vivono felici, sembreremo
sostenere le stesse teorie di poeti e di filosofi [...] Quando noi
diciamo che il Logos, che è il primogenito di Dio,[7] Gesù Cristo il nostro
Maestro, è stato generato senza connubio, e che è stato crocifisso ed è morto
e, risorto, è salito al cielo, non portiamo alcuna novità rispetto a quelli
che, presso di voi, sono chiamati figli di Zeus. Voi sapete infatti
di quanti figli di Zeus parlino gli scrittori onorati da voi: Ermete, il Logos
[...]; Asclepio, che [...] ascese al cielo; Dioniso, che fu dilaniato; Eracle,
che si gettò nel fuoco [...] e Bellerofonte, che di tra gli uomini ascese con
il cavallo Pegaso. Se poi, come abbiamo affermato sopra, noi
affermiamo che Egli è stato generato da Dio come Logos di Dio stesso, in modo
speciale e fuori dalla normale generazione, questa concezione è comune alla
vostra, quando dite che Ermete è il Logos messaggero di Zeus. Se
poi qualcuno ci rimproverasse il fatto che Egli fu crocifisso anche questo è
comune ai figli di Zeus annoverati prima, i quali, secondo voi, furono soggetti
a sofferenze. [...] Se poi diciamo che è stato generato da una
vergine, anche questo sia per voi un elemento comune con Perseo.
Quando affermiamo che Egli ha risanato zoppi e paralitici ed infelici
dalla nascita, e che ha resuscitato dei morti, anche in queste affermazioni appariremo
concordare con le azioni che la tradizione attribuisce ad Asclepio.»
(Apologia Prima, XX-XXII) L'opera si conclude con una petizione che contiene
una lettera dell'imperatore Adriano,[8] la quale serve a Giustino per mostrare
come anche un'autorità imperiale era del parere di giudicare i cristiani in
base alle loro azioni e non in base a dei pregiudizi; ed una lettera
dell'Imperatore Marco Aurelio e del "Miracolo della pioggia" durante
le guerre marcomanniche.[9] Il Dialogo con TrifoneModifica «La filosofia
in effetti è il più grande dei beni e il più prezioso agli occhi di Dio,
l'unico che a lui ci conduce e a lui ci unisce, e sono davvero uomini di Dio
coloro che han volto l'animo alla filosofia [...]» (Dialogo con
Trifone[10]) Oltre alle già citate Prima apologia dei cristiani (grecoἈπολογία
πρώτη ὑπὲρ Χριστιανῶν πρὸς Ἀντωνῖνον τὸν Εὐσεβῆ; latino Apologia prima pro
Christianis ad Antoninum Pium) e Seconda apologia dei cristiani(greco Ἀπολογία
δευτέρα ὑπὲρ τῶν Χριστιανῶν πρὸς τὴν Ρωμαίων σύγκλητον, latino Apologia secunda
pro Christianis ad Senatum Romanum), Giustino scrisse il Dialogo con Trifone
(greco Πρὸς τρυφῶνα Ἰουδαῖον διάλογος, latino Cum Tryphone Judueo Dialogus),
opera dedicata a un certo Marco Pompeo. Il tema è il confronto con il
giudaismo, con il quale i cristiani avevano in comune l'Antico Testamento, un
terreno utile per un dialogo. Si tratta di un dibattito che si svolge ad Efeso
nell'arco di due giorni e vede protagonisti Giustino e Trifone, nel quale è
stata individuata da alcuni storici la personalità di un rabbino realmente
esistito. Lo scopo di questo dialogo è mostrare la verità del cristianesimo,
rispondendo alle principali obiezioni mosse dagli ambienti giudaici. In
particolare, Giustino vuole dimostrare che il culto di Gesù non mette in discussione
il monoteismo e che le profezie descritte nell'Antico Testamento si siano
avverate con l'avvento di Cristo. Il dialogo assume toni sempre rispettosi e
amichevoli e non si conclude, com'era consuetudine per gli scritti cristiani,
con la richiesta da parte del giudeo del battesimo. A tal proposito, alcuni
studiosi si sono chiesti se effettivamente le motivazioni portate avanti da
Giustino in questo dialogo fossero valide a convertire un giudeo. Sembra
piuttosto verosimile, invece, che quest'opera sia una risposta di Giustino ai
dubbi che i cristiani stessi del tempo nutrivano verso la loro fede.
L'opera presenta anche un prologo, in cui Giustino racconta di un suo
incontro con un vecchio saggio che lo introdusse al cristianesimo.[11] Giustino
lo interroga tra l'altro sulla dottrina, da lui professata, della
trasmigrazione delle anime anche dentro corpi animali, esposta nel Timeo
platonico. L'interlocutore gli risponde che una tale possibilità non avrebbe
senso, perché non darebbe nessuna reminiscenza delle colpe passate e quindi
neppure la capacità di pentirsi.[12] In secondo luogo, il vegliardo passa a
confutare la dottrina dell'immortalità dell'anima.[13] Note Modifica ^
Philippe Bobichon, "Filiation divine du Christ et filiation divine des
chrétiens dans les écrits de Justin Martyr" in P. de Navascués Benlloch,
M. Crespo Losada, A. Sáez Gutiérrez (dir.), Filiación. Cultura pagana, religión
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online ^ La reliquia di San Giustino Martire ( PDF ), su parrocchiafabrica.it.
^ Étienne Gilson, La filosofia nel Medioevo, BUR saggi, p.17, OCLC 1088865057 ^
Giuseppe Girgenti, Giustino Martire: il primo cristiano platonico : con in
appendice "Atti del martirio di San Giustino", Pubblicazioni del
Centro di Ricerche di Metafisica, Platonismo e filosofia patristica, n. 7,
Milano, Vita e pensiero, 1995, p. 108, OCLC 1014519733. URL consultato il 19
novembre 2020. ^ Lev Tolstoj, «Vita e passione di Giustino filosofo martire».
In: Lev Tolstòj, Tutti i racconti, a cura di Igor Sibaldi, Milano: Mondadori,
Vol. I, pp. 808-810, Collana I Meridiani, III ed., aprile 1998, ISBN
88-04-34454-7 ^ Philippe Bobichon, "Œuvres de Justin Martyr : Le manuscrit
de Londres (Musei Britannici Loan 36/13) apographon du manuscrit de Paris
(Parisinus Graecus 450)", Scriptorium 57/2 (2004), pp. 157-172 art. online
^ Francesco Barbaro, Apologia seconda di S. Giustino filosofo e martire in
favor de' Cristiani al Senato romano traduzione dal greco nell'italiano pubblicata
in occasione che mette fine alla sua quaresimale predicazione l'anno 1814.,
Treviso, Tipografia Trento, 1812, p. 29. URL consultato il 19 novembre 2020.
Citazione. Essendo manifesto da tutte l'opere di san Giustino, ch'egli ben
sapeva e confessava l'equalità del Verbo col Padre... ^ ( EN ) Lettera di
Adriano. ^ ( EN ) Lettera di Marco Aurelio al Senato. ^ Cit. in Jacques
Liébaert, Michel Spanneut, Antonio Zani, Introduzione generale allo studio dei
Padri della Chiesa, Queriniana, Brescia 1998, p. 47. ISBN 88-399-0101-9. ^
Giuseppe Visonà, introduzione a Saint Justin, Dialogo con Trifone, Paoline,
1988. ^ Étienne Gilson, La filosofia nel Medioevo, BUR Rizzoli.Saggi, n. 5, 6ª
edizione, Milano, BUR Rizzoli, marzo 2019, pp. 14,12, OCLC 1088865057. ^
Giuseppe Girgenti, Giustino Martire: il primo cristiano platonico, Vita e
Pensiero, 1995, p. 124. BibliografiaModifica Mario Niccoli, GIUSTINO, santo, in
Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1933.
Modifica su Wikidata Arthur J. Bellinzoni, The Sayings of Jesus in the Writings
of Justin Martyr, Leiden, Brill, 1967. Philippe Bobichon, Dialogue avec
Tryphon, édition critique. Editions universitaires de Fribourg, 2003, Vol. I:
Introduction, Texte grec, Traduction ; Vol. II: Commentaires, Appendices,
Indices Étienne Gilson, La Philosophie au Moyen Âge. Des origines patristiques
a la fin du XIV siècle, Payot, Paris 1952 (trad. it. La filosofia nel Medioevo.
Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo, La Nuova Italia, Scandicci
1997). Johannes Quasten. Patrologia, Marietti, 1987, vol. I, pagine 175-194.
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su Giustino tenuta durante l'Udienza generale di mercoledì 21 marzo 2007 Opera
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Portale Cristianesimo Portale Filosofia Ultima modifica 4
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Chiesa Taziano il Siro teologo e filosofo siro Filosofia cristiana
WikipediaGiuseppe Girgenti. Girgenti. Keywords: la parola che non s’incatena, Giustino
martire, la traduzione di Boezio delle Categorie di Porfirio, traduzione di
Marsilio Ficino delle sentenze sugl’intelligibili di Porfirio, henologia
platonica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Girgenti” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757051548/in/dateposted-public/
Grice e
Girotti – la curva – la filosofia nella storia d’Italia – il caso Gentile -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Adria). Filosofo. Grice: “I like
Girotti; for one, he has explored the idea of ‘beauty,’ which Sibley should,
but did not!” Si laurea a Padova, sotto Santinello e Berti. Pubblica
“Filosofia” (La Scuola, Brescia). Pubblica: “Gouhier e la sua storia storica
della filosofia” (Unipress, Padova). “Comunicazione filosofica” “Società
Filosofica Italiana.” Altre saggi: “Aristotele, dal platonismo all’autonomi” (Polaris,
Faenza); “Modelli di razionalità nella filosofia”, Sapere, Padova; Discorso sui
metodi, Pensa, Lecce; Medioevo vs oggi: tra tabula rasa e innatismo, Sapere,
Padova; Riforma Gelmini e filosofia Sapere, Padova; Essere e volere, Pensa
multimedia, Lecce; Siamo completamente liberi di volere ciò che vogliamo?, Il Giardino
dei Pensieri, Bologna); Bellezza e responsabilità, Diogene Multimedia, Bologna;
Cercasi anima disperatamente, Diogene Multimedia, Bologna; Giovanni Gentile;
Diogene Multimedia, Bologna); “Il fico proibito dell’Eden e la giustificazione
del male, Diogene Bologna; Un viaggio intorno all’io: Da Atene a Delfi
dialogando, Diogene, Bologna; Sul permesso di morire, Diogene Bologna; Comunità
di ricerca, Gouhier in Enciclopedia Filosofica Bompiani, La collana si chiama Briciole di Filosofia “una
storia storica che si fermi all’esibizione dei dati diventa semplice una ‘cronaca’;
infatti, nel momento in cui si espone la filosofia di Grice, per poter
abbracciare l'oggettività si dovrebbe rimanere all’interno di un'asettica descrizione,
quella che Girotti definisce como “fenomenologia dello spirito metafisico.”Girotti
distingue “la fenomenologia” (come metodo) e “lo spirito metafisico” (come
oggetto). Seguendo il metodo della fenomenologia, il filosofo-storiografo
sarebbe invitato a fermarsi alla lettura del dato per descrivere ciò che esso
mostra. Seguendo “lo spirito metafisico”, il filosofo- storiografo ritroverebbe
l'”oggetto” (topico) della sua ricerca, cioè il “fatto spirituale.” È su questo “fatto spirituale” che Girotti
refina Gouhier in quanto trova che Gouhier, quando ha messo le vesti dello “storico”
della “storia storica” della filosofia, sia scivolato in una loro descrizione
bergsoniana, ammessa anche da Gouhier. Cf. Grice on the longitudinal history of
philosophy. “We should treat those who are dead and great as if they were great
and living – it’s a matter of introjecting into his shoes, or sandals!” -- “La
distillazione filosofica” GENTILE , Giovanni. - Nacque a
Castelvetrano, provincia di Trapani, il 29 maggio 1875, ottavo di dieci
fratelli, due dei quali erano già morti quando egli vide la luce. Suo padre,
che si chiamava anche lui Giovanni, era farmacista; sua madre, Teresa Curti,
maestra elementare. Da quel poco, o non molto, di autobiografico che,
sempre restio alla confidenza e all'effusione dell'animo, pur si deduce dagli
scritti e, in particolare, dai carteggi con i suoi maestri pisani, Donato Jaja
e Alessandro D'Ancona, risulta che il rapporto con i genitori fu intenso,
nutrito di forti affetti; sebbene, per altro verso, travagliato, a causa
soprattutto, oltre che della morte del fratello Gaetano, delle disavventure
professionali del padre. Le quali derivarono dal forte e alquanto anarchico
convincimento di non dover sottostare, nella gestione della farmacia di cui era
proprietario e titolare, alle nuove regole introdotte dalla legge sanitaria
emanata dal governo di F. Crispi; e dalla sua decisione di chiudere perciò la
farmacia, che si trovava a Campobello, e ritirarsi con la famiglia nella vicina
Castelvetrano, quindi di riaprirla, nel 1897, tornando da solo là dove quella
si trovava e subendo un nuovo processo per il reiterato suo rifiuto di
sottostare alle nuove regole. È probabile che nell'animo sensibile, e più
impressionabile forse di quanto il G. fosse disposto ad ammettere, del
giovinetto che intanto attendeva agli studi scolastici, si formassero, nei
confronti della terra siciliana, ossia di un luogo così fortemente segnato da
dolori e umiliazioni, sentimenti contrastanti. Non che per le sofferenze che
involontariamente aveva inflitto al padre, egli prendesse allora a odiare, o
anche soltanto a disistimare, il siciliano Crispi, al quale sempre invece
guardò come a un grande personaggio, l'unico degno di rappresentare sul serio,
nella decadente Italia di fine secolo, lo spirito autentico del Risorgimento,
nelle cui battaglie era stato protagonista. Ma nei confronti della
piccola, e pur amata, patria siciliana, i suoi sentimenti furono in effetti
misti; e abbastanza presto si sublimarono, assumendo forma intellettuale, in
quelli che, se lo si legge con attenzione, si colgono al fondo del libro che, quando
era professore a Pisa e insegnava dalla cattedra che era stata del suo maestro
Jaja, egli dedicò a Il tramonto della cultura siciliana (Bologna 1918). Libro
singolare, in effetti; che, riboccante di passione e di affetti, concerne un
"tramonto" atteso e auspicato di "cose" che, profondamente
radicate nella storia e nelle tradizioni dell'isola, meritavano, a suo
giudizio, di "tramontare" per sempre risolvendosi in assai più ampio
e comprensivo orizzonte di pensieri e di cultura. Nella Sicilia
"moderna", con poche eccezioni, il G. non coglieva infatti se non
materialismo, illuminismo astratto, anticlericalismo estrinseco, e niente
romanticismo, niente idealismo, nessun serio sentimento della vita vissuta nel
segno di più alte idealità. E con questi "caratteri" spiegava le
difficoltà che l'isola aveva opposto al Risorgimento nazionale e, quindi, alla
vera cultura idealistica. Quando perciò, divenuto nel 1906 professore di storia
della filosofia nell'Università di Palermo, il G. dette inizio all'insegnamento
che doveva condurlo alla prima sistemazione del suo pensiero nell'idealismo
attuale, c'era nel suo impegno filosofico qualcosa di missionario, quasi che
nel fondo di sé sentisse di operare in partibus infidelium e il suo compito
consistesse nel riscattare nel suo idealismo gli assai diversi principî ai
quali la Sicilia era rimasta ferma. Nell'isola il G. non rimase se non il
tempo necessario al conseguimento dei primi traguardi scolastici; e quando,
finalmente, ottenuta, nel 1893, un anno prima della naturale scadenza, la
licenza liceale presso il liceo Ximenes di Trapani, fu ammesso, avendo vinto il
relativo concorso, a frequentare la Scuola normale superiore di Pisa, era uno
studente critico bensì di molti aspetti della cultura siciliana quello che approdava
alla sponda toscana, ma recante tuttavia in sé non pochi segni di quella. Il
positivismo che, colorandosi sotto l'influsso di R. Schiattarella di
materialismo e anticlericalismo, largamente dominava la cultura siciliana non
era passato sul suo animo e sulla sua mente senza lasciare qualche traccia; e
se non vi era passato intero, in parte almeno vi era passato: il che spiega
l'intransigenza con la quale, compiuta la sua più autentica formazione alla
scuola pisana dello Jaja, egli si impegnò a cancellarne, nel suo pensiero, ogni
possibile traccia. Nel componimento scolastico consacrato a U. Foscolo
con il quale ottenne la licenza liceale colpiscono in effetti le due tonalità
che lo caratterizzano: quella civile, che sarebbe poi rimasta, attraverso la trasfigurazione
risorgimentale, al centro dei suoi sentimenti e interessi, e l'altra,
antiromantica, appresa alla scuola del suo professore di italiano, V.
Pappalardo, e ribadita attraverso lo studio della Storia della letteratura
italiana di P. Emiliani Giudici. E si può e si deve, del resto, andare anche
oltre. Fu forse allora, infatti, negli anni in cui fu studente in Sicilia, che
il G. venne positivamente in contatto con la questione del "fatto";
che certo, nel corso del suo pensiero, subì, rispetto al punto di partenza,
trasformazioni così profonde da rendere questo quasi irriconoscibile nel
risultato conseguito. Quasi, tuttavia, e non del tutto: perché, assunto nella
prospettiva dell'atto, il "fatto" è bensì l'astratto che quello,
l'atto, perennemente supera conseguendo e conquistando la sua concretezza, ma,
oltre a esser anche la sua "determinatezza", si rivela altresì, nel
processo costitutivo dell'atto, indispensabile e necessario: con la conseguenza
che, nell'idealismo attuale, la sua è bensì una morte, caratterizzata tuttavia
nel senso, piuttosto, della "trasfigurazione". Non s'insisterà
mai abbastanza sull'importanza che, proprio per queste ragioni, la Scuola
normale ebbe, con i professori che vi insegnavano, lo Jaja e il D'Ancona, in
primo luogo, ma anche A. Crivellucci, nella formazione del giovane allievo
siciliano. E ai professori debbono aggiungersi i compagni che egli allora
v'incontrò, G. Volpe e F. Pintor, U. Congedo, A. Salza, G. Lombardo
Radice. Anche qui, per altro, avrebbe torto chi semplicemente ritenesse
che al fuoco dell'idealismo professato dallo Jaja il G. bruciasse ogni scoria
positivista e rapidamente acquistasse la fisionomia che in seguito sarebbe
stata la sua. È vero invece che la dicotomia determinatasi in lui quando, in
Sicilia, per un verso si accendeva di entusiasmo per il Foscolo e i valori
civili da lui rappresentati e per un altro si piegava al culto reverente dei
fatti, in qualche modo si ripropose anche a Pisa. Ed egli dovette subirla anche
qui perché alla filosofia senza storia né arte che gli veniva insegnata da Jaja
corrispondevano la storia e la letteratura senza filosofia che gli provenivano
dall'esempio di D'Ancona e di Crivellucci. Il che, naturalmente, non deve
sorprendere, perché a predominare, anche a Pisa, era allora il positivismo con
il congiunto metodo storico; e con il suo idealismo di derivazione spaventiana
Jaja costituiva, in quell'ambiente, piuttosto l'eccezione che non la
regola. La produzione scientifica in cui, senza abbandonare la rivista
Helios, che si pubblicava in Sicilia, a Castelvetrano, e alla quale seguitò
infatti a non far mancare la sua collaborazione, allora si impegnò appare
nettamente scissa fra l'erudizione pura, da una parte, e la filosofia,
altrettanto pura, da un'altra (anche se, nel ricercare e commentare i testi di
quest'ultima, il giovane G. mostrava chiari i segni del metodo che aveva
appreso dal D'Ancona e dal Crivellucci, e che dette del resto chiara prova di
sé nella dissertazione accademica Delle commedie di Antonfrancesco Grazzini,
detto il Lasca, pubblicata negli Annali della Scuola normale superiore di Pisa,
XII [1897]). Le cose più notevoli uscite tuttavia dalla sua penna a conclusione
del suo periodo pisano sono, com'è noto, la tesi su Rosmini e Gioberti (1898),
discussa con Jaja e quindi, discussa anch'essa con quest'ultimo, la più breve
indagine su La filosofia di Marx (1899). Di questi due libri, il primo
costituisce il documento, altrettanto precoce che maturo, di un'indagine
condotta nel segno di Bertrando Spaventa e della sua idea relativa alla
relazione intercorrente fra il pensiero italiano e quello europeo, fra A.
Rosmini e V. Gioberti, da una parte, I. Kant e G.W.F. Hegel da un'altra. Il
secondo è invece il documento della capacità dimostrata dal giovane studioso di
cogliere il carattere, che a lui sembrava nel fondo idealistico, della
filosofia di K. Marx, e altresì di entrare con autorevolezza in uno dei
dibattiti - quello concernente la "crisi" del marxismo - fra i più
vivi che allora si accendessero nella cultura dell'Europa contemporanea.
Lo studio dedicato a Rosmini e Gioberti, e alla loro polemica fu steso per il
conseguimento della laurea in filosofia, che il G. ottenne nel luglio del 1897
con il massimo dei voti e il diritto alla stampa. Quello dedicato a Marx fu
composto per la tesi di abilitazione all'insegnamento che egli conseguì l'anno
successivo e gli dette la possibilità di un ulteriore periodo di
perfezionamento da trascorrere presso l'Istituto di studi superiori di Firenze,
dove fu per un anno e dove ebbe modo di entrare in contatto con gli illustri
professori che allora vi insegnavano e che, fra gli altri, si chiamavano P.
Villari, G. Vitelli, P. Rajna. Fra questi era anche il professore di filosofia,
il neokantiano F. Tocco, con il quale i rapporti non furono né semplici né
facili, ma con il quale comunque conseguì un nuovo titolo, discutendo una tesi
sulla filosofia italiana del periodo che da A. Genovesi va fino a P. Galluppi,
e che poi divenne un volume, pubblicato, nelle edizioni de La Critica, da
Benedetto Croce (Dal Genovesi al Galluppi: ricerche storiche, Napoli
1903). Fu, anche quello trascorso a Firenze, un periodo importante; e se
il rapporto con il Tocco fu, malgrado asprezze e incomprensioni, proficuo
perché lo mise comunque in contatto con un Kant diverso da quello di Bertrando
Spaventa mediatogli dall'insegnamento di Jaja; se quello con Villari fu
alquanto burrascoso, dei grandi filologi, classico il primo, romanzo il
secondo, Vitelli e Rajna dovette conservare per sempre un grato ricordo, se è
vero che ancora negli ultimi anni progettò di ristampare, del secondo, il libro
su Le fonti dell'Orlando furioso, ossia uno dei monumenti più insigni della
vecchia scuola del metodo storico. Con l'anno trascorso a Firenze,
nell'estate 1898 i suoi Lehrjahre avevano termine; e gli anni che seguirono
furono non facili; anzi decisamente difficili, perché l'esigenza per lui
imperiosa di trovare un lavoro, e perciò un posto nell'insegnamento medio, era
pari a quella che egli avvertiva non meno viva e urgente di non interrompere
gli studi filosofici, nei quali aveva già realizzato un'impresa notevole, con
quei tre lavori, così ricchi di dottrina e di idee. Ma l'esigenza di proseguire
senza nocive interruzioni la intrapresa carriera dello studioso implicava
l'altra che l'eventuale sede non fosse dispersa nella lontana provincia
meridionale e lontana perciò dai centri vivi della cultura nazionale, dalle
università e dalla biblioteche. E la preoccupazione principale del G. fu
allora, in particolar modo, di non essere costretto a far ritorno nell'isola
dalla quale era partito anni innanzi: sì che quando, nell'ottobre 1898, ebbe la
sede di Campobasso, con l'incarico di filosofia al liceo Mario Pagano, non poté
dirsene del tutto scontento, perché di lì poteva raggiungere di tanto in tanto
Napoli, dove la frequentazione del filosofo hegeliano S. Maturi, professore al
liceo Umberto e, sopra tutto, di Benedetto Croce, con il quale era entrato in
contatto quando ancora era studente del terz'anno, largamente lo compensavano
dalla solitudine alla quale era invece, per il resto del tempo,
costretto. Del resto, non fu quello di Campobasso un periodo che si
protrasse nel tempo. E già nel novembre 1900 la fortuna girò in suo favore,
perché il G. poté ottenere un posto presso il liceo Vittorio Emanuele di
Napoli: il che gli dette la possibilità di rendere veramente intrinseci i
legami intellettuali con Croce, ossia con il già illustre studioso che, in
quello stesso anno, concluso il periodo degli studi soltanto eruditi, giunto al
termine della discussione intrapresa con i testi di Marx e dei marxisti, era
tornato alla filosofia e aveva dato all'estetica la sua prima
sistemazione. A ragione, e del resto non è un'osservazione peregrina, è
stato detto che, se senza Croce non s'intende il G., altrettanto è vero per
l'inverso. Ma ancor meglio potrebbe dirsi e ripetersi che, se si prescindesse
dalla collaborazione, stretta, intensa e anche conflittuale, che subito si
stabilì fra il libero studioso Benedetto Croce e il giovane ex normalista
siciliano, poco o niente si capirebbe della cultura italiana che nel bene
(secondo alcuni), nel male (secondo altri) per circa mezzo secolo fu dominata
dalle loro personalità e dalle loro opere, spesso intrecciate le une alle altre
nel segno prima della concordia discors e poi dell'aperta polemica. È difficile
decidere chi fra i due, se il più vecchio o il più giovane, giovasse all'altro
nella forma più decisiva. E forse, posta così, la questione è posta male,
perché, se è vero che dal G. Croce ricevette impulsi a cogliere nel pensiero
che si veniva formando in lui le difficoltà che ne nascevano e ad affrontarle
nel segno dell'unità, se è vero, d'altra parte, che la collaborazione prestata
dal giovane studioso alla formazione della "filosofia dello spirito"
non avvenne senza che egli ne traesse grande giovamento per le tante idee con
le quali veniva in contatto e la non comune dottrina storica e letteraria con
il cui carattere venivano al mondo, anche è vero che in questi
"bilanci" del dare e dell'avere c'è sempre qualcosa di angusto, di
gretto, di meschino: e conviene perciò, dalle parole "generali",
passare di volta in volta ai "fatti" determinati. Sta comunque
di fatto che, mentre il carteggio fra i due si faceva tanto intenso e frequente
che non c'era, si può dire, giorno senza che uno scambio intervenisse a
proporre osservazioni, suggerimenti, informazioni e, magari, contrasti; mentre
l'amicizia si approfondiva nella collaborazione, la diversa indole dei due
ingegni ne riusciva non soffocata, ma in qualche modo persino potenziata. E,
come si è detto, c'erano, meno infrequenti di quanto non si pensi, anche i
contrasti, anche le polemiche, garbate, amichevoli, ma ferme. Se, per
esempio, nella questione concernente il materialismo storico (una filosofia,
per il G., e non, come per Croce, un semplice "canone empirico": una
filosofia della storia, fondata per altro sullo scambio del trascendentale e
dell'empirico), il dissenso rimase senza soluzione, la discussione, che in
buona parte si svolse per lettera, su "forma" e "contenuto"
nell'estetica condusse i due filosofi a un accordo sempre più stretto; e anche
qui è, non solo alquanto meschino, ma sopra tutto difficile chiedersi, e quindi
rispondere al quesito, se a condurre il gioco fosse piuttosto il G., o se
invece fosse Croce che, via via che veniva impadronendosi dell'intero
territorio dell'estetica, suggeriva il tema e controllava lo svolgimento.
Intanto, nel 1903, la realizzazione del progetto di una rivista letteraria,
storica e filosofica, che si chiamò La Critica (il primo numero uscì il 20
gennaio), dette a Croce, e al G., lo strumento attraverso il quale la loro
collaborazione potesse rendersi visibile e concreta in risultati specifici,
attraendo altresì su di sé, fra consensi e dissensi, l'attenzione del mondo
culturale italiano e non soltanto italiano, perché l'anno precedente era uscita
la prima edizione dell'Estetica crociana e il successo travolgente del libro,
andato al di là di ogni previsione, non poteva non ripercuotere sulla rivista appena
agli inizi la sua positività. La Critica divenne così, velocemente, un
severo luogo di ricerche, di studi, e anche, spesso, di impietosi esami
critici; e, con il diverso accento caratterizzante lo stile del direttore e del
suo principale collaboratore, svolse un'opera della quale sarebbe vano voler
disconoscere l'importanza. L'oggetto della "critica" era costituito
dalla cultura positivistica, che era bensì in declino quando la rivista iniziò
la sua battaglia, ma non tanto, tuttavia, che se quell'urto violento e
sistematico non si fosse prodotto, avrebbe trovato così presto la via della sua
risoluzione. Al contrario, si direbbe: perché, malgrado la non eccelsa qualità
dei suoi pensatori, e certa loro tendenza a dividersi fra un alquanto volgare
materialismo e vacue accensioni mistiche e "spiritualistiche", il
positivismo aveva, nella sua forma di "metodo storico", non soltanto
prodotto alcune opere egregie e importanti, ma era penetrato in profondità
nella cultura e nel costume dei professori e della classe dirigente del paese.
E "positivista" era in sostanza il pensiero democratico e altresì,
malgrado il marxismo, quello socialista; positivisti altresì, con maggiore o
minore intensità, erano stati, e per qualche tratto ancora erano, gli stessi
Croce e G., che in quella tradizione, e non in un'altra, avevano compiuto i
primi passi. Con la conseguenza che quella loro battaglia antipositivistica,
esaltata, enfatizzata e mitizzata da alcuni, deprezzata e magari deplorata da
altri, fu, con le sue luci e le sue ombre, anche una battaglia che giorno dopo
giorno i due filosofi amici condussero contro quel loro "sé stesso"
che di essere emendato nel senso della nuova filosofia avesse avuto necessità.
E molte cose della vecchia "fede" certamente furono lasciate cadere,
che qui non occorre elencare. Ma alcune no; e, per fare qualche esempio, certo
si deve anche alla severa disciplina erudita appresa alla scuola dei maestri
del metodo storico se, come nessun altro ai suoi tempi, Croce esplorò gli
angoli più riposti della "regione" seicentesca, e, nel 1911, scrisse
il saggio su La novella di Andreuccio da Perugia (Bari), e il G. non disdegnò
le minute ricerche rinascimentali che sottese e affiancò ai grandi quadri
d'insieme, e rievocò le ombre dei suoi maestri toscani per scrivere il bel
libro dedicato a Gino Capponi e la cultura toscana nel secolo decimonono
(1922). Il soggiorno a Napoli fu, nel rapporto con Croce, quale non
poteva non essere: importante, fondamentale perché ebbe per conseguenza di
renderlo sempre più stretto, sempre più profondo e, perciò, più stimolante. Il
che, trattandosi del rapporto di due pensatori che in quello impegnavano la
parte più delicata del loro essere, significa altresì che, per ciò stesso che
toccava il profondo, scopriva le differenze mentre celebrava le affinità e
persino le identità, e potenzialmente conteneva in sé il germe del suo
rovesciamento nell'inimicizia. La polemica sul marxismo contribuì a far meglio
conoscere a entrambi le rispettive, e diverse, fisionomie intellettuali; e i
due ne uscirono, sebbene avessero ciascuno mantenuto il proprio punto di vista,
rafforzati nell'amicizia. Ma nel 1907 la polemica epistolare, e rimasta perciò
privata, sulla questione della filosofia e della storia della filosofia, aveva
già, sotterraneamente, impresso qualche preoccupante vibrazione alla struttura
portante dell'edificio; perché a Croce, sebbene avesse alla fine dato il suo
consenso alla tesi del G., era anche sembrato di cogliervi qualche tratto di
vecchio hegelismo, il cui Idealtypus era rappresentato allora a Napoli da S.
Maturi; e questo il G. non l'aveva gradito. L'amicizia per allora rimase
salda, e anzi, via via, si approfondì, perché in realtà non solo la filosofia e
la scienza riguardava, ma anche le cose dell'anima e dell'esistenza, che nella
battaglia culturale non potevano, del resto, non essere coinvolte. E poiché
nella Critica il G. sistematicamente svolgeva il compito che si era assunto di
ricostruire le origini della filosofia contemporanea in Italia e intanto, al
margine, scriveva note e recensioni per lo più molto polemiche nell'atto stesso
in cui, su un altro fronte, conduceva la sua aspra battaglia, in nome della
filosofia che non può non essere immanentismo assoluto, contro quello che
perciò sembrava a lui l'equivoco del modernismo cattolico: delle eventuali
dispute che intanto i due filosofi svolgessero in privato la rivista non
risentì e non mostrò il segno. La collaborazione che essi vi svolgevano e
realizzavano fu perciò, per anni e anni, vista e avvertita come se i due
fossero quasi una sola persona che, di volta in volta, faceva prevalere il
rigore filosofico e l'eleganza letteraria, nutrita anch'essa di rigore. Si
aggiunga che allora, fra il 1902 e il 1909, Croce fu impegnato, fuori della
Critica, nella costruzione della Filosofia come scienza dello spirito; e che,
per parte sua, mentre svolgeva il suo lavoro e si impegnava a seguire i
progressi filosofici del suo amico, sul piano teoretico il G. mostrò in quei
primi anni la tendenza a restare in disparte. Avvertiva, e in una lettera
del 1908 inviata al Maturi lo scrisse anche in modo esplicito, che se avesse
dovuto esprimere intero il pensiero che intanto gli urgeva dentro con Croce
sarebbe giunto allo scontro, e avrebbe dovuto combatterlo. Sapeva, o riteneva di
sapere, che, svolto con rigore, il tratto spaventiano del suo pensiero avrebbe
dato luogo a conseguenze diverse da quelle che Croce stava allora ricavando
dalle sue premesse, e sistemando nei suoi libri; e della migliore qualità
filosofica di quelle era altrettanto convinto come della necessità che per
allora non convenisse mettere in crisi una collaborazione dalla quale frutti
copiosi la cultura italiana poteva ancora attendersi. Del resto, la cautela del
G. e la sua decisione di lavorare per, e non contro, l'alleanza con Croce non
potevano esser tali da impedire che, talvolta anche in pubblico, sebbene non
dichiarate, le differenze emergessero; e fu quel che puntualmente avvenne già
nel 1903, quando il G. scrisse (e per allora non pubblicò) la prolusione al suo
corso libero di filosofia teoretica nell'Università di Napoli. Da Napoli,
dove nell'insieme trascorse un sereno periodo (il 9 maggio 1901 aveva sposato
Erminia Nudi, una giovane maestra conosciuta a Campobasso), quasi per intero
consacrato all'insegnamento - nel 1902 aveva ottenuto la libera docenza che
esercitava nel corso libero di filosofia teoretica presso l'Università e dal
1904 aveva assunto anche un incarico di filosofia e pedagogia presso l'Istituto
superiore di magistero Suor Orsola Benincasa -, alla riflessione filosofica,
allo studio, nel 1906 il G. passò a Palermo, perché nel frattempo - dopo che un
primo concorso per la filosofia teoretica lo aveva visto soccombere per
l'ostilità dimostratagli da Tocco, e anche a causa della debole difesa fattane
da A. Labriola, gravemente ammalato e quasi impossibilitato a parlare - aveva
vinto la cattedra di storia della filosofia per quella Università. Così, senza
averlo sul serio desiderato, era di nuovo approdato alla sponda siciliana; e
meno che mai lo aveva desiderato Croce, che non solo vedeva interrotta una
consuetudine di vita, di collaborazione e di lavoro che doveva a ogni costo
essere difesa, ma anche temeva che il nuovo ambiente potesse distrarre in vario
modo l'amico e, sotto diversi punti di vista, allontanarlo da lui. Il
timore di Croce non aveva allora nessun altro fondamento che sé stesso e
l'intuizione di cui si alimentava. Era infatti qualcosa come una congettura,
una supposizione. Ma la congettura, la supposizione, e il timore, non si rivelarono
tuttavia per intero infondati; perché, come forse era inevitabile, nel nuovo
ambiente il G. non poteva non ottenere la posizione preminente e da
protagonista che non solo il prestigio di cui godeva, ma anche e sopra tutto la
forte personalità della quale era dotato, non potevano non assicurargli. La sua
posizione divenne preminente nell'Università e, quindi, nella Biblioteca
filosofica che, per le iniziative di G. Amato Pojero che ne aveva la cura
principale, divenne un centro vivo di dibattiti, nel quale l'idealismo attuale
definì per la prima volta sé stesso e vide la luce. Anticipato in modo più che
parziale con il breve saggio che nel 1909 il G. dedicò a Le forme assolute
dello spirito e, senza presentarlo in altra sede, incluse nel volume su Il
modernismo e i rapporti tra religione e filosofia (1909) come sua ideale
premessa (e conclusione), l'idealismo attuale trovò la sua prima espressione
nella memoria, letta presso la Biblioteca filosofica nel dicembre del 1911, su
L'atto del pensare come atto puro (Palermo 1912), quindi nell'altra su Il
metodo dell'immanenza, e ancora nelle pagine consacrate a La riforma della
dialettica hegeliana (1913) e a Bertrando Spaventa che l'aveva avviata, nonché
nel Sommario di pedagogia come scienza filosofica, il cui primo volume (1913)
contiene in effetti una sorta di teoria generale dello spirito sotto specie
pedagogica. Un volume, questo, che quando lo lesse in bozze Croce giudicò
con qualche severità, perché gli parve che non solo il G. si fosse espresso con
nettezza contro la possibilità che tra le forme dello spirito potesse darsi la
"distinzione", ma anche che, senza nominarlo e perciò con tanta
maggiore asprezza, avesse polemizzato proprio con lui che nella distinzione
aveva fatto e stava facendo consistere il criterio supremo dell'intelligenza
della realtà. Da queste dichiarazioni di autonomia e di indipendenza, che,
implicitamente (ma in modo per altro trasparente), contenevano qualcosa come
una sfida, Croce non poteva non essere preoccupato; e tanto più in quanto il
senso di indipendenza e di autonomia era confermato da quel che scrivevano gli
allievi siciliani del G.: V. Fazio-Allmayer e A. Omodeo, A. Saitta e F.
Albeggiani; e anche G. De Ruggiero, che siciliano e residente in Sicilia non
era, ma attualista sì, anzi ultrattualista, come ci teneva a dichiararsi e come
aveva del resto dimostrato con la memoria, pubblicata anch'essa nell'Annuario
della Biblioteca filosofica, su La scienza come esperienza assoluta
(1913). La pubblicazione degli scritti attualisti del G. e le varie
manifestazioni che allora innegabilmente si ebbero del formarsi di una
"scuola" che in quella forma d'idealismo riconosceva l'unica rigorosa
e, perciò, possibile, non potevano non provocare prima o poi la reazione di Croce.
Il quale aveva bensì, fra il 1908 e il 1909, fatto il possibile perché il G.
tornasse a Napoli come professore nell'Università, convinto che in tal modo la
collaborazione sarebbe tornata alle vecchie forme senza le perturbazioni
provocate dalla "scuola" e dagli spiriti non sempre positivi che, in
effetti, vi si formano o tendono a formarvisi. Ma il suo tentativo non ebbe,
com'è noto, successo, perché forti e insormontabili furono le resistenze che
l'ambiente accademico napoletano dimostrò all'accettazione della sua proposta.
E così accadde che, persa quella battaglia nella quale aveva speso molto del
suo prestigio e delle sue energie, quando una grave sciagura privata gli dette
il senso che tutto ormai, nella sua vita dovesse giungere all'estremo
chiarimento, Croce decidesse di rendere pubblico il "dissidio"
filosofico che lo divideva dall'idealismo attuale; e scrisse, per la Voce di G.
Prezzolini, un articolo in forma di lettera (ottobre 1913), nel quale i termini
del dissenso erano definiti con amichevole fermezza. La scelta della Voce
significava, nelle intenzioni crociane, che la disputa non riguardava
LaCritica, ossia il luogo della loro comune opera culturale; e si svolgeva, per
così dire, al margine di questa. Ma la decisione di mettere in piazza il loro
dissenso ferì in modo particolare il G.: anche se, decisa nella sostanza e
orientata non a sanare, bensì a ulteriormente precisare, il dissenso, la
replica che anche lui affidò alla Voce, si presentasse come la risposta
amichevole a un'amichevole richiesta di chiarimenti teoretici. Il dissenso era
comunque stato dichiarato; e non mancò di suscitare molta impressione: tanto
più che, replicando a sua volta (dicembre 1913), con fermezza, Croce prese atto
di un divario che concerneva non la periferia, ma il centro stesso delle loro
filosofie. Il periodo siciliano fu comunque fecondo di molto lavoro. E
oltre ad aver gettato le basi dell'idealismo attuale, il G. svolse infatti e
approfondì alcuni essenziali aspetti della scolastica e del Rinascimento; e
scrisse di G. Bruno, di Bernardino Telesio, di G. Vico, mentre la
collaborazione alla Criticacontinuava con il consueto ritmo e, dopo la tempesta
teoretica del 1913, nei rapporti con Croce era tornata la calma. Deve anzi
dirsi che, malgrado varie traversie di natura familiare e qualche apprensione
per la sua salute, fu quello un periodo nella sostanza sereno, sebbene non
possa escludersi che egli lo considerasse provvisorio e in cuor suo non
desiderasse una sede diversa e migliore. Quando infatti, nel 1913, a Napoli e a
Roma si liberarono due cattedre, la prima università fu subito scartata, perché
vivo era ancora il ricordo della sconfitta patitavi quattro anni prima, ma la
seconda no; e fu invece presa in seria considerazione. Il G. riteneva infatti
che l'opposizione di G. Barzellotti, titolare della cattedra di storia della
filosofia, potesse essere in qualche modo aggirata e vinta. Ma il calcolo
risultò errato: a Roma per allora non fu chiamato; e dopo un tentativo,
esperito senza troppa convinzione, di essere chiamato a Torino, città molto
amata da Croce, che non avrebbe visto male un suo trasferimento colà, ma assai
meno da lui, che la considerava lontana, fredda ed estranea ai suoi gusti e
alle sue abitudini, scelse infine di andare a Pisa, dove sarebbe succeduto a D.
Jaja e, con l'atmosfera della giovinezza, anche avrebbe ritrovato la Scuola
normale, luogo e fonte inesausta di cari e intensi ricordi. A Pisa tornò
con un piglio e una convinzione ben diversi da quelli con i quali vi era
approdato, giovane e sperduto studente siciliano, tanti anni prima. Vi approdò
con il piglio del pensatore che, ormai sicuro di sé e delle sue forze, sente di
dover svolgere una missione non solo filosofica, ma anche, lato sensu, civile e
politica. La forte accentuazione teoretica che nei precedenti anni aveva
conferito alle sue pagine, anche di storia della filosofia, non aveva mai
spento in lui, se mai aveva rafforzata, la convinzione spaventiana che
ricostruire la filosofia italiana nella sua storia significasse in realtà
contribuire, con le armi della cultura, alla prosecuzione del Risorgimento,
riaccenderne negli animi la consapevolezza, battersi contro la corruzione
letteraria che in Italia si era per secoli fatalmente intrecciata con lo
splendore delle arti. Egli faceva insomma vibrare e risuonare un corda che a
Jaja era rimasta sostanzialmente estranea, ma non a D'Ancona, ebreo e fervente
patriota risorgimentale, e nemmeno, nei suoi modi particolari, al Crivellucci.
Del resto, la prolusione pisana è del 1914; e con gli avvenimenti che lo
caratterizzarono e con quelli che ne sarebbero seguiti, quell'anno fatale
avrebbe ben presto provveduto a trasformare dal di dentro atteggiamenti,
abitudini, costumi, ad accelerare il ritmo delle passioni, talvolta in
superficie, altre volte in profondità, a rendere esplicito e visibile quel che
per l'innanzi fosse rimasto chiuso nel segreto delle coscienze. A Pisa,
per altro, il G. non stette a lungo, perché già nel 1918 egli passava
all'Università di Roma per ricoprirvi la cattedra di storia della filosofia,
dalla quale, sempre nella stessa Università, sarebbe passato, nel 1925, a
quella di filosofia teoretica, lasciata libera da Bernardino Varisco. Ma,
a parte le passioni e anche le incertezze e le angosce politiche che li
caratterizzarono, quelli pisani furono anni importanti: per i risultati
filosofici innanzi tutto, che il G. vi conseguì. Fu allora, infatti, che, dopo
averne offerto un primo saggio nel Sommario di pedagogia, e quindi nelle
memorie palermitane, egli procedette senz'altro a tracciare le linee della
Teoria generale dello spirito come atto puro, nata dalla scuola nel 1916 e
pubblicata la prima volta quello stesso anno: così come dalla scuola nacquero
in quel medesimo tempo i Fondamenti della filosofia del diritto, nei quali,
espressione suprema dell'unità, e unità esso stesso, l'atto era indagato nella
sua dimensione, oltre che teoretica, pratica, senza che fra l'una e l'altra
potesse operarsi la distinzione per la quale, in Croce, i distinti erano i
distinti. Ma a Pisa il G. avviò anche la composizione del Sistema di logica
come teoria del conoscere, la sua opera in ogni senso più rilevante: della
quale scrisse il primo volume che, nato anch'esso dalla scuola, vide la luce
nel 1917 e dovette attendere fino al 1923 per avere il suo compimento nel
secondo volume, dedicato alla logica del concreto. Agli anni di Pisa
appartiene anche, con sicurezza, Il tramonto della cultura siciliana, un libro
del quale si è già avuto modo di accennare come presenti un duplice carattere,
di condanna della cultura siciliana positivistica, materialistica e, deteriori
sensu, illuministica; e di speranza: la speranza che nel segno dell'idealismo
attuale, nato nell'isola per virtù di un siciliano, quella si riscattasse ed
entrasse a pieno titolo nella civiltà moderna. Gli anni pisani furono
quelli del primo conflitto mondiale, di quel dramma, anzi di quella tragedia,
dopo la cui conclusione niente sarebbe più stato come prima. Il G. li visse con
passione, fra esaltazioni e depressioni, come ogni altro italiano del suo ceto,
della sua condizione e della sua cultura; ma anche con il sempre più netto
convincimento che, all'inizio, non era stato scevro di dubbi anche forti, che
quella di entrare in guerra a fianco della Francia e della Gran Bretagna contro
gli Imperi centrali fosse stata una giusta decisione, una sorta di chiamata del
destino risorgimentale della nazione. Il G. non era nazionalista, e meno che
mai era disposto a vedere nell'evento bellico la manifestazione delle forze
sanamente irrazionali che spezzano l'ordine stabilito dalla logica,
sconvolgendo i suoi concetti. Dalle deteriori manifestazioni di misticismo e
vario sensualismo, così frequenti allora nella "cultura" italiana e
non soltanto italiana, si tenne sempre discosto. Ma quando gli indugi diplomatici
furono rotti e la guerra fu dichiarata, egli scoprì in sé l'interventista che
all'inizio non era stato, e progressivamente venne intensificando e
attualizzando le critiche che nei confronti dell'Italia e dell'assetto politico
e morale che si era dato dopo la conclusione del Risorgimento erano già in lui,
allo stato potenziale e, in qualche caso, più che potenziale. Le essenzializzò
e attualizzò perché, senza con ciò diventare nazionalista e seguitando anzi a
oppugnare ogni idea della nazione che attingesse a concezioni naturalistiche o,
peggio, razzistiche, il suo principio, gli parve tuttavia che la prova
terribile alla quale l'Italia aveva deciso di sottoporsi richiedeva che di lì
in avanti i piccoli pensieri cedessero a pensieri grandi e che quel che s'era
ottenuto sui campi di battaglia non fosse poi amministrato dai politici di
sempre, maestri non di drammi, ma di mediocri commedie. Di qui, anche in
questo campo così pericolosamente esposto ai venti violenti delle passioni,
delle "cupidigie", per dirla con il poeta, e dei "brividi",
la ragione profonda dell'ulteriore distacco che allora, giorno dopo giorno, si
venne compiendo da Croce. Il quale, come si sa, non solo era stato contrario
alla guerra, condividendo le realistiche preoccupazioni di G. Giolitti e di
quanti, come lui, erano persuasi che, vinta o persa, la guerra avrebbe comunque
rappresentato per l'Italia un troppo grave rischio. Ma anche aveva dichiarato
che avrebbe considerato una grave onta per il popolo italiano se all'improvviso
i suoi governanti avessero stracciati i trattati e si fossero schierati dalla
parte di coloro contro i quali avrebbero, semmai, dovuto combattere. Anche nei
confronti della guerra che, quando fu dichiarata, li vide entrambi consapevoli
che il loro posto non potesse essere se non quello che l'Italia aveva scelto
per sé, l'atteggiamento dei due filosofi fu, nella sostanza, assai diverso. E
Croce considerava la guerra alla stregua di un evento irresistibile della
natura, ne vedeva la trama violentemente economica e utilitaria, così che
sempre il suo monito fu che non si sottomettesse alla sua particolare logica la
logica dei superiori valori della verità e della cultura, del pensiero e
dell'arte. Diverso fu, invece l'atteggiamento del Gentile. Senza che perciò
si inducesse a passare il segno e a "farsi", come Croce diceva,
"l'animo di guerra", egli la considerò tuttavia come una grande
occasione rigeneratrice, come un evento assoluto, recante in sé il segno di una
tal quale superiore provvidenzialità. Mentre Croce confidava, o quanto meno
sperava, che nell'Europa di domani il meglio dell'Europa di ieri fosse
conservato e potenziato, e nella religione degli studi, nella civiltà dei
rapporti intellettuali, nell'universalità delle idee, gli odi nazionali si
placassero e depurassero, il G. inclinava viceversa, lui che nazionalista non
era mai stato e nemmeno a rigore era diventato, verso i toni dell'esaltazione
nazionale. E fu allora che, per la forza di queste sue convinzioni e passioni,
si preparò la sua futura adesione al fascismo, nel quale, mettendo come fra
parentesi le molte cose che certo non appartenevano al suo costume, egli
credette di scorgere, e in questo convincimento fu poi irremovibile, lo
strumento del riscatto "risorgimentale" dell'Italia. Il sistema
filosofico che fino a quel punto il G. aveva elaborato negli scritti dei quali
qui sopra si è detto era per intero incentrato su questo concetto: che, come la
filosofia antica e quella medievale e moderna (che non riusciva perciò a esser
tale), era rimasta ferma, anche nelle sue dimensioni idealistiche, a un
concetto intellettualistico e soltanto descrittivo del concetto, del soggetto e
della sua attività, con la conseguenza che il concetto non era autoconcetto, e
cioè la sua eterna autogenerazione e autoproduzione, nell'idealismo invece, che
per questa ragione meritava di essere definito "attuale", questo
proprio avveniva. E il concetto era autoconcetto, il soggetto, soggetto, e non
concetto (astratto) del soggetto: non era una sorta di res naturalis che il
concetto appunto si limiti a contemplare, a descrivere nel suo astratto
organismo logico, e non a produrre nell'atto del suo atto. Di qui la tesi,
caratteristica di questo idealismo, che nella sua concretezza e attualità,
l'atto non può trascendere il suo atto, questa trascendenza dell'atto non
potendo essere se non, essa stessa, atto; e l'altra tesi secondo cui la teoria
che dell'atto intendesse darsi è perciò una teoria vera (secondo il G.) ma
astratta: una teoria astratta del concreto (vero anch'esso, naturalmente: e a
fortiori). E di qui l'interna, forte tensione di questa filosofia; che, per un
verso (e sopra tutto nelle sue prime formulazioni) era orientata a svalutare e
criticare ogni teoria che, in quanto soltanto contemplativa e descrittiva, fosse
perciò incapace di cogliere l'atto se non come un "fatto", e dunque
come il suo opposto, falsità ed errore, se l'atto era viceversa verità e
concretezza. Ma per un verso (e questo accade sopra tutto nel secondo volume
del Sistema di logica, non senza che per tale via il G. provasse a rispondere
al rilievo di ineffabilità e misticismo rivoltogli da Croce fin dal 1913) la
questione dell'astratto e del fatto assumeva un altro volto, e l'atto era bensì
celebrato nella sua non obiettivabile attualità, ma il fatto e l'astratto gli
si rivelavano a loro volta indispensabili, erano (per dirla in modo tecnico) il
suo opposto, ma anche il suo diverso, un grado attraverso il quale, sia pure
dissolvendolo, il concreto era, nel e per il suo costituirsi, costretto a idealmente
passare. Il punto critico di questa filosofia sta qui: nel suo essere, non,
come tante volte si è detto, misticismo e indistinzione, ma nel porsi come una
sintesi, attuale e intrascendibile, di opposti, senza poter rinunziare - donde
l'ambiguità - a trattare gli opposti come "gradi", e cioè come
"diversi" o "distinti": nell'essere insomma una teoria
dell'unità che in eterno supera la distinzione, e della distinzione che,
proprio perché è in eterno superata, non può veramente uscire dal quadro e si
rivela come la condizione insostituibile della sua possibilità. Verità
del concreto, dunque: ma anche dell'astratto; che nelle opere del secondo
attualismo, e cioè nel Sistema di logica e oltre, si rivela non, quale
all'inizio era, come natura, immobilità, impenetrabile assenza di coscienza, ma
come circolo e mediazione, punto semovente che parte da sé e per fare ritorno a
sé: come circolo, e perché no, dunque, come esso stesso logo concreto? Come
logo concreto; e perché no, dunque, come logo astratto, se questo è mediazione
e coscienza, e niente più di questo il logo concreto può essere? A Pisa,
negli anni della Grande Guerra, il G. rivelò a sé stesso la passione politica
che gli stava dentro come assopita; e assunse perciò una dimensione che non era
più soltanto quella del professore che parla dalla cattedra e magari fa
conferenze, ma era bensì quella dell'"intellettuale" militante, che
si rivela al grande pubblico attraverso i giornali quotidiani. Ai quali in
effetti, assumendo una consuetudine che avrebbe, con diversa intensità (nel
tempo), mantenuta fino alla fine della sua vita, il G. allora prese a
collaborare: tanto che quando, a guerra finita, raccolse in un volume che
intitolò Guerra e fede (Napoli 1919) quanto aveva scritto durante il suo corso,
il libro risultò tutt'altro che smilzo, e comunque più consistente di quello
che lo seguì, e nel quale, con il titolo Dopo la vittoria (Roma 1920), sistemò
gli articoli composti nei due anni iniziali dell'agitato, inquieto, drammatico
dopoguerra. Un periodo, quest'ultimo, nel quale sempre più decisamente il G.
cercò la sua parte e venne via via inasprendo la sua posizione, perché l'idea
natagli nei passati anni, durante le sue meditazioni sulla storia d'Italia e
sulla fatale dicotomia che nell'età del Rinascimento si era prodotta fra lo
splendore artistico e la decadenza politica e morale, quest'idea doveva ora
essere messa alla prova della realtà, doveva diventare uno strumento forte e
tagliente di lotta e di azione politica. Il che implicava che, pur seguitando a
dichiararsi liberale, sempre più egli sentiva di doversi opporre al liberalismo
quale si era riflesso nel costume politico italiano, nella degenerazione dei
metodi parlamentari, nell'arte del compromesso e del perenne rinvio delle
decisioni: un'arte nella quale maestro insuperabile gli sembrava fosse il
Giolitti, che per lui fu allora non il ministro, come G. Salvemini l'aveva in
precedenza definito, della "malavita", ma l'artista di ogni cosa che
fosse mediocre, si contentasse della mediocrità e rinunziasse a volare alto nei
cieli della grande politica. Furono, questi, mesi drammatici, che egli
visse in uno stato d'animo teso e agitato, e nel segno di un'attività senza
soste, che dette a tratti l'impressione di essersi risolta in frenetico attivismo.
Che certo non si placò quando nel 1920 Croce fu chiamato da Giolitti a
ricoprire nel governo la carica di ministro dell'Istruzione pubblica e dette la
sua opera alla riforma della scuola media e introdusse sia l'esame di Stato,
sia l'insegnamento della religione. Alle cose della scuola il G. aveva, per
parte sua, cominciato a interessarsi da molto tempo: ossia fin da quando,
giovane professore nel liceo di Campobasso, s'era reso conto di quante
manchevolezze l'affliggessero. E poi nel 1913 aveva pubblicato il Sommario di
pedagogia, così che a giusto titolo era, in quel campo, considerato
un'autorità; che, divenuto ministro, Croce non tardò a riconoscere, chiamandolo
a presiedere "la commissione per lo studio dell'autonomia universitaria e
dell'esame di Stato", nonché "a far parte di quella per la riforma
dei programmi presieduta da Vitelli", nominandolo commissario
dell'Istituto femminile superiore di magistero di Roma e confermandolo, nel
1921, nel Consiglio superiore dell'istruzione pubblica (Turi, p. 294). A
Croce, del resto, il G. non fece mancare il suo appoggio, pieno e
incondizionato. Almeno nei risultati da raggiungere, e nelle conseguenze che
occorreva trarre da alcune generali premesse, i due filosofi amici concordavano
senza riserve. E nel sostenere, per esempio, la tesi che la religione dovesse
costituire materia d'insegnamento, il suo pensiero non differiva da quello di
Croce se non per il "modo" e per la diversa posizione che alla
religione egli riserva nel sistema dello spirito. La sua idea era insomma che,
come per pervenire alla pienezza del suo sé nella filosofia, lo spirito passa
attraverso le fasi ideali, e contrapposte, dell'arte (soggetto) e della
religione (oggetto), così anche nella scuola questo ritmo dovesse trovare una
sorta di trascrizione temporale o fenomenologica, quasi che, per giungere alla
filosofia, anche lì si dovesse percorrere la regione del mito di cui le
religioni s'interessano. Ma la religione della quale il progetto ministeriale
prevedeva l'insegnamento era quella cristiana e cattolica, la più perfetta, per
il G., di tutte le religioni quando, appunto, proprio nella forma assunta dal
cattolicesimo la si fosse considerata. Era, questa, della perfezione cattolica,
un'idea che il G. aveva sostenuto quando, nei primi anni del secolo
vigorosamente aveva polemizzato con i modernisti cattolici. E, per questo
riguardo (oltre che per quello concernente la struttura dello spirito), il suo
accordo con Croce era piuttosto sulle conclusioni che non sul
"metodo". Che è poi quello stesso che si dà a vedere nell'idea che
presiedette all'introduzione dell'esame di Stato, perché se, nel propugnarlo,
il G. vi implicava il concetto secondo cui in esso lo Stato realizzava una
delle dimensioni della sua "eticità", Croce non vi vedeva se non uno
strumento di controllo e a questa luce ne interpretava la necessità. La
cosa più singolare fu allora che, nell'atto in cui più stretto si rivelava il
legame dei due filosofi impegnati in una importante impresa pratica, il loro
dissenso filosofico tornò invece a farsi acuto e a complicarsi con quello
politico generale, perché nei confronti del fascismo la reazione di Croce fu
bensì, agli inizi, cauta e anche esitante, ma certo in quel movimento egli non
vide nemmeno una piccola parte delle idealità che il G. riteneva gli fossero
intrinseche e immanenti. Del resto, nel 1920, dopo due anni che era
salito sulla cattedra romana, il G. fondò, assumendone la direzione, il
Giornale critico della filosofia italiana: una rivista di sola filosofia che
anche per questo suo carattere non si contrapponeva in ogni senso alla Critica,
ma in un certo senso sì, anche perché nella nuova rivista gli scolari che
subito si erano stretti intorno al nuovo professore, e in lui vedevano il sole
della filosofia mondiale, riconobbero l'organo della scuola. E questo, come si
sa, era il punto che Croce meno apprezzava ed era disposto a perdonare.
Il momento decisivo della vita del G. venne quando, caduto il governo del
Giolitti nel quale Croce aveva ricoperto l'incarico di ministro, e succedutogli
uno presieduto da I. Bonomi con O.M. Corbino all'Istruzione pubblica, egli ebbe
modo di riflettere sulle mille difficoltà che dal mondo politico e parlamentare
sempre sarebbero state opposte a ogni tentativo che si fosse fatto d'introdurre
nella scuola una seria riforma. La disistima che, in linea generale, già da
molto tempo il G. nutriva nei confronti della classe dirigente italiana trovava
così, nella recente esperienza fatta quando Croce era al governo con Giolitti,
nuovo alimento. E può ben darsi che anche da questo egli fosse indotto a
guardare con sempre più grande favore al movimento fascista e a considerare con
politica indulgenza la violenza e le illegalità di cui nutriva la sua
azione. I documenti necessari a rendere certezza questa, che è solo una
congettura, mancano, che si sappia. Ma non è improbabile che, appunto,
riflettendo sulle recenti esperienze, il G. allora si persuadesse che, nella
questione della scuola come, in generale, in quella concernente il governo del
paese, il regime parlamentare dovesse cedere il campo a un sistema politico
diverso, fondato sulla rapidità delle decisioni e sulla forza necessaria a
tradurle nella realtà. E altresì deve aggiungersi che, nel pensare così e
nell'orientare in questa direzione le sue scelte politiche, come molti altri
egli fu forse tratto in inganno dalla scarsa esperienza che, nel complesso,
aveva non solo della politica, ma anche della storia; che, se gli fosse stata
meglio nota, gli avrebbe con ogni probabilità in segnato che la politica è
un'arte difficile, complessa e insidiosa, non in quanto si svolga in un
Parlamento e da questo attenda il consenso, ma perché è politica, e ha a che
fare con le passioni e gli interessi, nonché con il loro governo. Come
che sia, l'occasione di mettere alla prova i convincimenti che via via gli si
erano formati dentro venne quando, avendo ricevuto dal sovrano l'incarico di
formare il suo governo, che succedeva così a quello per breve tempo presieduto
da L. Facta, Benito Mussolini scelse infine come ministro della Pubblica
Istruzione proprio il Gentile. È stato detto da taluni che, entrando in quel
governo come indipendente e soltanto per le sue competenze non politiche ma
tecniche, il G. accettava da Mussolini quel che avrebbe benissimo potuto
accettare da Giolitti e da chiunque gli avesse offerto un'analoga occasione.
Ma, sebbene egli non avesse ancora dichiarato il suo consenso esplicito al
fascismo, e fascista ancora non potesse perciò essere detto, è pur vero che
quel che pensava di Giolitti e della tradizionale classe politica italiana non
gli avrebbe forse consentito di collaborare nel governo con uomini per i quali
nutriva disprezzo, e non stima. Nel governo in cui entrava il G. poteva infatti
contare sugli ampi poteri che, nel dargli fiducia, il Parlamento aveva concesso
a Mussolini, che governò infatti soprattutto con i decreti legge e con facilità
poteva aggirare le opposizioni; e di questo, che considerava un vantaggio, egli
si giovò con larghezza e altrettanta fermezza, perché, appunto, al governo era
andato con l'idea di realizzare comunque la riforma; e a realizzarla era
deciso. Non è possibile, in poco spazio, raccontare le vicende complesse
e intricate alle quali il progetto gentiliano della riforma dette luogo. E
basteranno due rilievi: uno rivolto a ricordare la struttura a cui la riforma
tendeva e alla quale infine mise capo, l'altro diretto a rievocare le fiere
critiche che essa suscitò, non solo nel mondo politico, ma anche in quello
della scuola. La struttura della scuola riformata prevedeva una scuola
elementare obbligatoria per tutti, nella quale il senso della tradizione
nazionale, della religione e della letteratura tenessero il centro e
costituissero il criterio per la formazione del giovane, al quale certo non
sarebbero mancate le nozioni elementari dell'aritmetica e della scienza.
Accanto al ginnasio-liceo, destinato a formare le future élites dirigenti e,
comunque, gli strati più alti della popolazione, la scuola riformata prevedeva
quattro indirizzi fondamentali a cui, come ha scritto S. Romano,
corrispondevano "quattro distinti ruoli sociali" (p. 174); e altresì
prevedeva che l'educazione impartita nelle elementari sarebbe stata completata,
per i figli del popolo, con tre anni di complementare, mentre una scuola industriale
e tecnico-commerciale, integrata da un istituto tecnico per chi avesse inteso
proseguire nello studio, avrebbe corrisposto alle esigenze formative di queste
professioni, insieme con una scuola magistrale, proseguibile in un magistero
universitario, per certe parti analogo alla facoltà di lettere e
filosofia. Le critiche che a questo modello di scuola, qui sommariamente
descritto, furono rivolte posero subito in rilievo il carattere conservatore,
statico e anche classista di una struttura a cui faceva in effetti riscontro
l'idea di una società immodificabile nei suoi equilibri politici ed economici.
E forti furono subito, da parte di non pochi, le riserve avanzate circa il
ruolo riservato al ginnasio-liceo, nel quale lo studio delle due lingue
classiche, il latino e il greco, prevaleva su quello delle lingue moderne e,
nel complesso, la parte riservata alle lettere appariva rispetto a quella fatta
alle scienze naturali, predominante. Si aggiungano le critiche rivolte
all'abbinamento, nel liceo, della filosofia e della storia, e anche della
matematica e della fisica; e sopra tutto al primo, che sconvolgeva antiche
abitudini sia degli storici, sia dei filosofi, alquanto astrattamente dedotto
da una teoria e che in concreto non aveva, e non ebbe, il potere di rendere filosofi
gli storici, e storici i filosofi. E infine non si dimentichi che la riforma
non piacque a molti cattolici, scontenti del potere che lo Stato veniva a
esercitare sulle scuole private, e a non pochi laici, scontenti essi pure che
la religione cattolica fosse diventata materia obbligatoria per tutti i giovani
cittadini dello Stato italiano. Accanto alle molte critiche, occorre
tuttavia anche ricordare e sottolineare che la riforma gentiliana nasceva da
una visione coerentemente unitaria, e certo non era la veste di Arlecchino che
altrimenti (e come poi è accaduto) avrebbe rischiato di essere: tante idee di
diversa provenienza mal combinate e peggio tenute insieme dallo spirito
deteriore del compromesso politico. Per quanto concerne il rilievo (certo non
infondato) di elitismo e persino di classismo, conviene dimenticare il
"nodo" che, per parafrasare Dante, tiene al di qua di ogni
ragionevole traguardo chi, ripugnando all'idea di fare delle classi economiche
più forti le vere destinatarie dell'alta cultura, intesa perciò come strumento
di conservazione e di trasmissione del potere, con alquanta semplicità di
spirito ritenga che la difficile questione si risolva col
"democratizzare" la cultura, ossia con l'estenderne l'ambito e
abbassarne il livello. L'esigenza che il G. (e questo non può essere negato)
cercava di realizzare, e che per alcuni versi si traduceva in istituti
didattici inadeguati, era diretta a far entrare nelle menti che
"cultura" significa, in primo luogo, la grande difficoltà che
s'incontra nel tentativo che si faccia di conseguirla: un tentativo che va a
buon segno soltanto se ci si impegna nell'acquisizione degli strumenti tecnici,
storici, linguistici, filosofici, scientifici, senza i quali il mondo del
sapere non dischiude i suoi tesori. Ma qui, su questo difficile problema, che
tende a tornare insoluto dinanzi a chi pur lavori nel tentativo di risolverlo,
occorre non insistere. Nel maggio 1923, all'apparenza con una decisione
improvvisa, che non fu comunicata se non a Mussolini, che doveva essere
informato, e della quale nemmeno Croce fu messo al corrente, il G. si iscriveva
al Partito nazionale fascista. E sulle ragioni che lo indussero, mentre era
ministro, a compiere questo passo, che certo non era privo di gravi
conseguenze, si è molto discusso; e da alcuni si è avanzata l'ipotesi che a
prendere questa decisione, che rese contenti i suoi allievi romani, ma non
altri che ne rimasero invece alquanto sgomenti, egli fosse indotto da due
diverse, ma convergenti, persuasioni. La prima, che quello fosse
l'esito necessario non tanto dell'idealismo attuale, che con il fascismo in
quanto tale poco aveva in comune, quanto piuttosto della riflessione da lui
condotta nei passati anni sulla storia d'Italia e sulla possibilità che ora il
fascismo aveva nelle mani di reintegrarne in unità le secolari scissioni e
lacerazioni, la politica imbelle e la letteratura vuota, compiendo il
Risorgimento. L'altra, immediatamente pratica e politica, che la riforma
sarebbe stata meglio difesa, e altrimenti non potesse esserlo, se il liberale
che egli era, ed era considerato, avesse mostrato di condividere senza riserve
la convinzione mussoliniana e fascista e avesse così posto termine, o almeno un
freno, alle critiche che gli si muovevano e alle diffidenze da cui era
circondato. In ogni caso, il passo che doveva decidere il destino del G.
era compiuto. Ed è quanto meno dubbio che, se lo compì anche per salvare la
riforma dalle forze che l'avversavano e minacciavano di impedirne l'attuazione,
quel passo servisse veramente allo scopo. I mesi che precedettero l'assassinio
di G. Matteotti, avvenuto il 10 giugno 1924 e che videro quattro giorni dopo le
sue dimissioni dal governo, furono drammaticamente segnati da gravi difficoltà,
a superare le quali non bastarono né il tattico appoggio datogli dal capo del
governo, né gli inviti alla resistenza provenienti dai suoi scolari e amici
romani, né il sostegno deciso di Croce che, malgrado il sempre più netto
incrinarsi dei loro rapporti e la frattura che entrambi sapevano, in cuor loro,
inevitabile, non glielo fece mancare e, nella sua impresa di ministro, lo
sostenne. Le dimissioni dal governo non furono un atto di autonomia, di
distacco dal fascismo che si era macchiato di un gravissimo delitto, di
opposizione alla sua politica. Furono, infatti, da lui motivate con pure
ragioni di opportunità politica e nell'interesse sia del governo, sia di colui
che lo presiedeva: ossia con l'argomento secondo cui le opposizioni delle quali
la sua riforma era da tempo l'oggetto potessero diventare un pretesto per
colpire Mussolini o avessero comunque, pretesto o no, a indebolire la posizione
politica di lui che, all'improvviso, era venuto a trovarsi in una situazione
obiettivamente molto difficile. Accusato apertamente dalle opposizioni di
essere il responsabile e il materiale mandante del delitto, Mussolini era
allora non solo in pericolo, ma sembrava altresì aver perduto la sicurezza e la
spregiudicatezza che, in momenti non altrettanto gravi, erano sembrate la dote
precipua del suo essere un politico nuovo, estraneo alle astuzie deteriori e
alle infinite mediazioni della prassi parlamentare. E, proprio perché
sull'indecisione dimostrata da Mussolini egli ebbe allora, in lettere private,
a formulare critiche precise - nonché il timore che quello smarrisse la via e
naufragasse -, proprio per questo il proposito di rendergli il più possibile
sgombro di ostacoli il cammino dovette sembrargli l'unico che un seguace fedele
dovesse preoccuparsi di tradurre in comportamenti conseguenti. Al fascismo,
dunque, con quel gesto il G. non tolse il suo consenso, ma piuttosto lo rinnovò
in un momento in cui non mancarono, fra i suoi allievi, quelli che, delusi
dall'indecisione mussoliniana, lo esortavano a prender lui la guida effettiva,
e cioè politica, del fascismo in crisi. Furono quelle settimane drammatiche,
perché, oltre gli elementi obiettivi che rendevano tale la crisi, a coloro che,
nel campo fascista, lo spingevano verso posizioni estreme si contrapponevano
gli amici che, o antifascisti o in via di diventar tali, gli davano il
consiglio opposto: non di rimanere nel partito di Mussolini, ma, decisamente,
di uscirne, mettendo in salvo una volta per tutte il suo "nome
onorato". Drammatiche sono, in questo senso, le lettere che allora gli scrissero
G. Lombardo Radice, collaboratore fedele e amico fraterno, e A. Omodeo, uno
degli allievi prediletti della scuola palermitana. Furono giorni, settimane,
mesi molto difficili anche perché il dissidio con Croce, che, come si è detto,
mai si era sul serio ricomposto e, come il fuoco la cenere, sempre aveva
seguitato a sottendere i loro rapporti, giunse allora, finalmente, alla sua
definitiva espressione. E quali, a determinare la rottura che in sostanza si
consumò alla fine dell'ottobre 1924, possano essere stati gli episodi e le
circostanze specifiche, sta di fatto che era la logica delle cose a rendere
grave ogni episodio, ogni circostanza che, se tale logica non fosse appunto
stata così forte e imperiosa, avrebbero, con ogni probabilità, potuto avere un
esito diverso. Sulle ragioni profonde che la determinarono e misero fine
a un sodalizio durato quasi trent'anni, molte cose si dissero allora, molte
sono state dette poi, quando parve che il distacco cronologico consentisse la
serenità necessaria alla formulazione del giudizio. E questa non è la sede dove
la questione possa essere analizzata in ciascuno dei suoi aspetti, filosofici,
politici, psicologici; e si può ben dire che, per quanto attiene al suo
concreto e determinato delinearsi e decidersi nel tardo autunno del 1924, essa
risulti definita dalle due lettere che il G. e Croce si scambiarono: essendo
tuttavia quest'ultimo che, di fronte alla dolorosa meraviglia espressa
dall'altro nell'apprendere che certi suoi comportamenti avevano seriamente
messo in pericolo la prosecuzione, non solo del loro sodalizio scientifico, ma,
addirittura, della loro amicizia, obiettò che al dissidio mentale nel quale da
tempo si trovavano se n'era aggiunto un altro, di natura pratica e politica; e
che le cose dovevano perciò fare il loro corso necessario, fino alle estreme
conseguenze. Le dimissioni che il G. presentò e che Mussolini accettò,
nominando al suo posto il liberale, e grande amico di Croce, A. Casati,
segnarono nella sua vita una svolta importante. Nella sua vita, s'intende dire,
pubblica e politica; e non nei suoi sentimenti e convincimenti politici che, a
quanto risulta, fino all'ultimo dei suoi giorni rimasero quelli che nel 1923 lo
avevano indotto a chiedere la tessera del partito fascista. Non nei sentimenti
e nei convincimenti, dunque. Ma nella vita pubblica e politica, sì. Al governo
infatti il G. non tornò più. E alla politica del paese partecipò bensì, nei
primi tempi, come presidente della Commissione dei quindici (divenuta poi dei
diciotto), il cui compito fu di svolgere una revisione costituzionale in senso
autoritario dello Stato. Partecipò bensì come vicepresidente del Consiglio
superiore della pubblica istruzione: una carica importante, questa, che gli
consentiva di vegliare sull'integrità della riforma, proteggendola da quanti
avevano interesse a intervenirvi per alterarla e stravolgerla. Ma, intesa in
senso stretto, dalla politica, in sostanza, egli allora uscì. E la sua
partecipazione alla vita del regime fascista si realizzò nelle istituzioni
culturali (per esempio, l'Istituto nazionale fascista di cultura, poi di
cultura fascista) delle quali ebbe la cura e che presiedette; e se nei giornali
e nelle riviste politiche alle quali normalmente collaborava non perse
occasione per dire il suo parere su ciò che più da vicino lo toccava,
l'argomento prescelto fu quasi sempre culturale, anche se mai egli mancò di
collocarlo nel quadro costituito della sua fede fascista e della sua fedeltà al
regime mussoliniano. Almeno su due episodi occorre tuttavia, non essendo
possibile in questa sede un più largo discorso, soffermarsi. E di questi uno
era bensì di natura anche filosofica e culturale, perché implicava in modo
preminente l'idea che da anni ormai egli aveva elaborato della filosofia e
dello Stato che, identico alla filosofia, rappresenta il vertice stesso
dell'autocoscienza; ma anche era di natura politica, e persino diplomatica,
coinvolgendo direttamente l'azione del governo e del suo capo. Si allude al
concordato con la S. Sede dell'11 febbr. 1929. E il G. lo avversò in un
pubblico discorso, che non ebbe conseguenze pratiche perché sulla via
concordataria Mussolini era deciso ad andare fino in fondo, e l'opposizione del
filosofo formalmente rientrò: sebbene quell'episodio dovesse seguitare ad agire
dentro di lui che, forse anche per questo, quasi volesse rinverdire dentro di
sé quel gesto di autonomia non andato a segno, per tutta la vita polemizzò con
i filosofi cattolici e, in modo particolare, con gli ambienti dell'Università
cattolica del S. Cuore di Milano, in primis con padre A. Gemelli, che egli
trattò con la mano rude che riservava a certe sue battaglie culturali e
filosofiche. L'altro episodio è costituito dalla battaglia che egli
sostenne perché ai professori universitari fosse imposto il giuramento di
fedeltà al regime fascista. E a parte le modalità con le quali e attraverso le
quali si svolse; a parte il nesso con le vicende della replica che, per
iniziativa di G. Amendola, e a nome di tanti e tanti intellettuali, Croce dette
al Manifesto degli intellettuali fascisti redatto dal G.; a parte le tragiche
ferite che questa imposizione apriva nella coscienza di tanti che innanzi a sé
videro o la prospettiva della miseria o quella dell'abdicazione ai dettami
dell'etica, c'è qualcosa che a questo riguardo merita di essere notato. E
questo è il singolare concetto della "concordia" a cui, com'era
accaduto persino nei giorni cupi della crisi aperta dell'assassinio Matteotti
(e come ancora sarebbe accaduto vent'anni dopo nei mesi della Repubblica sociale),
anche in quel caso il G. si appellò per sostenere che, se l'opposizione resa
evidente e, anzi, drammatizzata dal conflitto dei due manifesti, il suo e
quello di Croce, fosse stata superata da un formale atto di fedeltà al regime,
l'unità sarebbe stata ristabilita e nessuna discriminazione avrebbe più avuto
alcuna ragione d'essere nei confronti di dissenzienti che non erano, ormai, più
tali. E la cosa singolare è che, nell'argomentare così, non solo egli mostrava
di credere che, se il giuramento fosse stato dato, le ragioni del dissidio
politico che ai suoi occhi lo aveva reso necessario sarebbero venute meno; ma
addirittura riteneva che potesse essere e definirsi unità autentica quella che
fosse stata conseguita per la via della coercizione e non per quella, da lui
tante volte definita come l'unica possibile, della libertà, mediante la quale
lo spirito costituisce sé stesso. Quella dell'Enciclopedia Italiana fu
l'impresa alla quale, fra il 1925 e il 1943, il G. dedicò la parte più viva
della sua energia di grande organizzatore culturale. La parte più viva, e anche
la più grande, la più impegnata e costante, quella con la quale il suo
"tutto" quasi per intero giunse a coincidere. Quasi per intero;
perché, accanto all'opera dell'Enciclopedia, occorre non dimenticare l'altro
grande suo impegno, che fu costituito dalla Scuola normale superiore di Pisa,
della quale fu, dal 1928, commissario, quindi, dal 1932, direttore, e che nella
sua stessa persona difese, nel 1935, dall'attacco mosso da C.M. De Vecchi di
Val Cismon che, divenuto ministro dell'Educazione nazionale (gennaio 1935), gli
mostrò intera la sua ostilità, giungendo anche a destituirlo (giugno 1936). Il
provvedimento del ministro fu presto ritirato perché, sollecitato dal G., nella
controversia intervenne direttamente il capo del governo, che rimise al suo
posto il filosofo; che poté così continuare la sua opera di potenziamento e di
ammodernamento della Scuola, e rendere assai più agevole il soggiorno, e
migliori le condizioni di studio, agli studenti interni. Dai quali, sopra tutto
negli anni Trenta e Quaranta, dovette sopportare non poche manifestazioni di
antifascismo, perché, fra La Sapienza e la Normale, per opera di alcuni giovani
professori, e in primo luogo di G. Calogero, Pisa era diventata un centro assai
vivo di opposizione al regime fascista. Il consenso del quale questo
aveva goduto fin verso la metà degli anni Trenta era andato impallidendo
quando, con la guerra di Spagna e poi, nel 1938, con le leggi razziali, si ebbe
netta l'impressione che l'allineamento alla Germania nazionalsocialista avrebbe
avuto per conseguenza la tragedia di una seconda guerra europea e mondiale. E,
ancora una volta, il G. si trovò a dover affrontare un conflitto, difficile e
penoso, con i giovani che, direttamente o no, erano anche suoi allievi e non
poco, comunque, avevano ricevuto da lui. Le testimonianze, scritte e anche
orali, che rimangono di quegli anni pisani dicono di un suo atteggiamento
incerto fra paternalismo e autoritarismo, fra benevole indulgenze e improvvise
durezze. Un atteggiamento, questo, tipico di un uomo generoso e, nello stesso
tempo, incapace di comprendere le ragioni del dissenso; e che, su un piano di
ben altra drammaticità, si ripeté quando, avendo accolto e cercato di
"sistemare" alcuni intellettuali tedeschi che, dopo il 1933, avevano
dovuto lasciare la loro terra perché ebrei (P.O. Kristeller, K. Löwith, N.
Rubinstein, per citarne solo tre), la medesima questione gli si presentò, per
gli ebrei italiani, in seguito alla promulgazione delle già ricordate leggi
razziali del 1938. Anche in questo caso, infatti, quanto fu benevolo e
comprensivo nei confronti dei perseguitati, altrettanto il suo atteggiamento fu
debole nei confronti di chi di quella persecuzione si era reso responsabile. E
se niente egli disse in quegli anni in difesa di provvedimenti che non potevano
non ripugnargli profondamente, in pubblico non se ne dissociò. Ma si
diceva dell'Enciclopedia, nell'organizzare la quale, nel dirigerla,
nell'avviarla alla sua realizzazione, il G. seppe altresì formare, nella sede
romana di piazza Paganica, un luogo di lavoro affatto particolare, segnato in
profondità dalla sua energia, ma anche dal suo vivo senso della libertà della
scienza, che in sostanza, tenendosi in difficile equilibrio fra il censore
ecclesiastico e quello politico, egli seppe per lo più garantire agli studiosi
che vi collaboravano e che, se non certo in maggioranza, in buon numero erano
antifascisti o non fascisti. Si pensi, per fare qualche nome, a G. De
Sanctis, che all'Enciclopedia seguitò a collaborare anche dopo che, per non
aver voluto prestare il giuramento di fedeltà al regime, aveva dovuto
rinunziare alla cattedra romana. Si pensi a G. Calogero, a W. Giusti, a U. La
Malfa, a C. Antoni, e ad altri che, se, come si è detto, non erano propriamente
ostili al fascismo, nemmeno gli erano amici incondizionati; e qui si possono,
per esempio, fare i nomi di F. Chabod, di E. Sestan, di W. Maturi. A
proposito dell'Enciclopedia sono state poste, tra le altre, due questioni: se il
G. la concepisse come un grande monumento, fascista, da innalzare al fascismo,
o se da questa idea si tenesse tanto lontano quanto per contro era convinto che
quello dovesse essere un monumento italiano, frutto e documento dell'unica,
ossia della più alta, cultura italiana; e, inoltre, se l'Enciclopedia, quale il
G. la concepì e disegnò, abbia patito la conseguenza della chiusura e
dell'angustia della cultura idealistica e fosse perciò poco disposta a
concedere alle scienze naturali, fisiche e matematiche, lo spazio che queste
avrebbero richiesto e, beninteso, meritato. Alla prima deve rispondersi che,
certo, nata in quegli anni e resa possibile dal fascismo, l'Enciclopedia
appartiene al numero delle opere che allora si produssero. Ma
"fascista" non fu nella concezione, perché esplicitamente il G.
sostenne il suo carattere in primo luogo scientifico, culturale e non politico.
E "fascista" non fu nel contenuto, perché, oltre a essere
"scritta" da molti che fascisti non erano, e anzi al regime erano
avversi, anche gli studiosi che aderivano al regime vi scrissero per lo più da
studiosi e non da fascisti. Sì che, al riguardo, occorre distinguere e
mantenere le distinzioni: aggiungendo (e con questo si passa all'altra
questione) che, come non fu fascista nella concezione, così nemmeno fu
"idealistica" nel senso vulgato, per il quale si dice
"idealismo" e s'intende qualcosa come un oltraggio recato alla
scienza. In realtà, come accanto a studiosi idealisti tanti altri vi scrissero
che idealisti non erano affatto, così non sarebbe giusto dire che in generale
le scienze vi fossero depresse, e che le relative voci non fossero affidate a
studiosi di provato e, spesso, di grande valore. Il lavoro svolto nelle
Università di Roma e di Pisa, l'Enciclopedia, e quindi l'Università Bocconi di
Milano, l'Istituto per il Medio e l'Estremo Oriente, il Centro nazionale di
studi manzoniani (di cui il G. era stato nominato commissario nel 1937, e che
fu affidato alle cure sapienti di M. Barbi e del suo collaboratore F.
Ghisalberti) non resero però meno intensa la sua attività di studioso. Certo,
dopo il 1920-21, venne meno nel G. la possibilità e, con questa, anche
l'interesse, di coltivare la ricerca storica nelle forme che questa aveva
assunto, presso di lui, negli anni precedenti. Ma nel 1931, rielaborazione di
un corso tenuto nel 1927-28 nell'Università di Roma, dove (come già si è
ricordato) era succeduto al Varisco sulla cattedra di filosofia teoretica, il
G. pubblicava La filosofia dell'arte, documento di aspra polemica anticrociana,
ma anche, nello stesso tempo, rielaborazione dell'idealismo attuale dal punto
di vista del sentimento, interpretato ora come una sorta di grande Grundakkord,
presentante tratti di essenzialità e precategorialità della stessa vita
spirituale. E quindi pubblicava l'Introduzione alla filosofia (1933), raccolta
di scritti concernenti l'esame dei concetti fondamentali della filosofia,
studiati e prospettati dal punto di vista conseguito dall'idealismo attuale. E
senza la pretesa di ricordare tutti i tanti scritti, spesso di varia occasione,
che egli allora compose e con i quali fu presente nel dibattito e nella vita
culturale del paese, converrà tuttavia far menzione degli scritti dedicati ai
poeti, e cioè, in pratica, a Dante (La profezia di Dante, Roma 1933; Il canto
VI del Purgatorio, Firenze 1940), a Manzoni e infine a Leopardi, il più amato,
e quello altresì al quale dette forse il contributo, in questo campo della
critica letteraria, più notevole (Manzoni e Leopardi, Milano 1928;
Commemorazione di G. Leopardi, Roma 1937; Poesia e filosofia di G. Leopardi,
Firenze 1939). Se la si osserva dall'alto, e la si scruta nel non breve
periodo seguito alle battaglie per la riforma della scuola, contro il
concordato, per l'istituzione del giuramento da imporre ai professori delle
università, la vita del G. sembra, come si è detto, svolgersi prevalentemente
all'interno delle istituzioni culturali delle quali ebbe la cura. E qui, fra le
luci e le ombre di queste molteplici attività, che lo condussero anche
all'acquisto nel 1936 della casa editrice Sansoni, si ha quasi l'impressione
che il personaggio sfugga a una definizione; che, malgrado la sua spesso
ingombrante presenza, ci fosse in lui qualcosa di segreto, di irriducibile, con
il quale egli era forse il primo a non voler prendere, fino in fondo,
contatto. L'uomo era orgoglioso, sicuro di sé: tollerante, come si è
detto, ma anche deciso e prepotente. E non avrebbe mai consentito che qualcuno
spingesse, o provasse a spingere, lo sguardo per andare al di là di quella spessa
corazza attivistica, dietro la quale si muovevano forse più cose di quante
amici, nemici, egli stesso supponessero. Mentre impediva che altri penetrasse
nel suo animo, non era certo lui quello che fosse disposto ad aprirlo perché
egli stesso vi guardasse dentro. Un contributo gentiliano alla
"critica" di sé stesso sembra, francamente inconcepibile. Non senza
perciò che un moto di stupore si determinasse nell'ambito di chi vi conduceva
qualche ricerca, dal suo archivio sono emersi alcuni inediti dedicati alla
questione della morte, ossia a un tema, per il teorico dell'idealismo attuale,
insidioso fin quasi al limite dello "scandalo" (filosofico). Da
qualche altro indizio documentario può desumersi che se la fedeltà che lo
legava al fascismo non venne meno e intatta rimase l'ammirazione per Mussolini
e inconcussa la fiducia in lui, nei confronti del razzistico nazionalsocialismo
il G. mostrò tutt'altro che inclinazione o simpatia. Il che peraltro non gli
impedì di accettare senza discussione alcuna la guerra che, scoppiata nel
settembre 1939, coinvolse tragicamente, nel giugno del successivo anno, anche
l'Italia. Nei tre anni successivi, dal 10 giugno 1940 all'8 sett. 1943 - in
quei tre anni così gravi di disastri, di distruzioni, di sconfitte, e anche di
dolorosi lutti familiari, mentre il nesso che aveva unito le coscienze alla
patria si spezzava, perché la difesa di questa non s'identificava più, per
molti, con la difesa della libertà, da vent'anni perduta -, in questi tre anni
il G. scelse il silenzio; che fu rotto solo in poche occasioni: nel 1942,
quando esaltò in un articolo il Giappone guerriero, che, nei modi noti era
entrato in guerra attaccando gli Stati Uniti d'America; e quindi con il famoso
discorso agli Italiani del 24 giugno 1943. È difficile dire come, dentro
di sé, il G. valutasse il dissenso politico sempre più vivo nei confronti del
regime, e che egli non poteva non cogliere nei giovani con i quali, a Roma e a
Pisa, aveva frequente contatto: anche se è indiscutibile che di quel dissenso,
di quell'avversione, del progressivo distacco dal fascismo di molti che pure in
questo avevano creduto e riposto speranze, egli non partecipò, chiuso nel suo
sentimento di fedeltà come in una fortezza della quale convenisse non
abbassare, bensì, piuttosto, tenere ben alzati i ponti levatoi. Fu
questa, come si sa, la ragione per la quale egli accettò l'invito rivoltogli
dal segretario del partito fascista, C. Scorza, di pronunziare dal Campidoglio
un discorso che si rivolgesse agli Italiani, impegnati nella terribile prova
della guerra e che, da qualche settimana avevano ormai il nemico in casa,
fortemente attestato nella terra siciliana. Accettò l'invito che altri,
interpellati prima di lui, avevano declinato. Salì sul Campidoglio, e pronunziò
il suo discorso, che alcuni lodarono per il coraggio che aveva dimostrato e per
il rischio al quale aveva in tal modo esposto la sua persona, e altri invece
fortemente deplorarono e criticarono, cogliendovi come il segno della sua
perdizione, del suo ribadito essersi reso estraneo a quel suo più profondo
"sé stesso" dal quale non pochi avevano tratto una lezione di
libertà. Certo, con quel suo discorso, così teso, così eloquente e così,
politicamente, ingenuo, il G. mostrò intero il dramma, anzi rivelò la tragedia
nella quale, forse al di là della sua stessa consapevolezza, si
dibatteva. Poi vennero il 25 luglio, la caduta di Mussolini e del
fascismo, le umiliazioni che egli dovette subire quando il suo antico
segretario al ministero della Pubblica Istruzione, L. Severi, divenuto a sua
volta ministro nel governo formato da P. Badoglio, rese, senza alcuna seria
ragione, pubbliche tre lettere che gli erano state da lui privatamente
indirizzate a proposito, sopra tutto, di questioni concernenti la Scuola
normale superiore di Pisa. Il che provocò giudizi aspri su di lui sia da parte
dei fascisti che lo ritennero pronto a mettersi al servizio dei nuovi
governanti, sia da parte di non pochi antifascisti uniti ai primi, in questo
caso, da un non diverso giudizio. Poi venne l'8 settembre, la cui notizia
il G. apprese mentre si trovava a Roma, dove si era recato uno o due giorni
prima, per affari personali, da Troghi, un piccolo paese sito a pochi
chilometri da Firenze, nel quale, in una casa di campagna messa a disposizione
sua e della sua famiglia dall'amico G. Casoni, aveva trascorso i mesi estivi,
occupato a scrivere Genesi e struttura della società, il suo ultimo libro,
estremo frutto di un corso di lezioni tenute all'Università di Roma. E le
settimane successive furono quelle in cui, liberato Mussolini, e formatosi, con
la proclamazione della Repubblica sociale, un governo fascista con sede a Salò,
egli ricevette, tramite C.A. Biggini, divenuto ministro dell'Educazione
nazionale, l'invito a recarsi al Nord per un incontro con il capo del governo,
il "vecchio amico" al quale, ancora una volta, non poté non concedere
quel che quello gli chiedeva. Così fu nominato presidente dell'Accademia
d'Italia, trasferita da Roma a Firenze, dove fu sistemata a palazzo Serristori.
E qui, dopo che il "commovente" incontro con il "vecchio
amico" Mussolini aveva come riacceso in lui il desiderio di non starsene
in disparte e, invece, di combattere la sua ultima battaglia, egli riprese il
lavoro, cercando di riorganizzare l'Accademia e lavorando con i pochi soci che
vi si recavano, assumendo la direzione della Nuova Antologia, cercando di
riprendere contatti, e rapporti, per avviare nuove imprese. Ridette vita e
autonomia, e questa è una circostanza singolare, la cui genesi richiederebbe
qualche studio e attenzione, all'Accademia dei Lincei che infine era stata in
parte assorbita nell'Accademia d'Italia, e quindi soppressa. E riprese ancora a
collaborare ai giornali, perché, mentre gli eserciti alleati risalivano la
penisola e alla guerra che investiva le città e le campagne un'altra si
aggiungeva, di Italiani contro Italiani, gli sembrò che non si potesse non far
di nuovo risuonare il tema della concordia e dell'unità. Era un suo
vecchio tema, una sua convinzione tenace che, nel livido e tragico teatro che
era allora l'Italia, fu qual era stata durante la crisi seguita all'assassinio
di Matteotti, e quindi al tempo del giuramento fascista imposto ai professori
universitari, anche se, risuonando nella solitudine e nel gelo che circondavano
la sua persona, il suo accento risultasse ancora più livido, ancora più
tragico. Il G. riprese quel tema nel fosco crepuscolo dell'Italia fascista,
forte lui della convinzione che gli Italiani sarebbero tornati a esistere come
soggetti politici solo se fossero retroceduti al di qua delle ideologie e qui,
in questo luogo ideale, avessero ritrovato la loro unità e identità di
Italiani. Era una convinzione nutrita di illusione; e che fosse tale, si
comprende non solo se le sue parole siano ripensate nel clima di quel tragico
inverno, ma anche se si riflette sullo scambio logico sul quale, ancora una
volta, si fondavano, e che si rivela non appena si consideri che per un verso
sembrava che la conciliazione, la concordia, la ritrovata unità e identità
dovessero realizzarsi in un luogo ideale, irraggiungibile dalle ideologie, dal
fascismo, dunque, e dall'antifascismo, mentre per un altro era la Repubblica
sociale a rappresentare, nel segno dell'italianità, quel luogo ideale.
Ancora una volta le diverse componenti della sua anima, quelle che, nel loro
contrasto, conferiscono alla sua personalità un'inconfondibile dimensione
tragica, urtarono violentemente l'una contro l'altra. E la fedeltà mantenuta
usque ad mortem al fascismo si accompagnò alla protesta che egli più volte elevò
contro le atrocità alle quali intanto si dava luogo, da parte dei fascisti, con
torture, uccisioni, gravi violenze. La sua morte, avvenuta per mano di un
commando partigiano comunista, che lo attese nei pressi della Villa Montalto al
Salviatino, sulle colline di Firenze dalla parte di Fiesole, nella tarda
mattina del 15 apr. 1944, al suo ritorno a casa dopo la mattina trascorsa al
lavoro a palazzo Serristori, fu perciò anch'essa una morte violenta. E suscitò
molta emozione, anche fra coloro che lo avevano combattuto e mai avevano
perdonato a lui, filosofo dell'atto e della sua assoluta libertà, la scelta
fascista, cui era rimasto fedele. Due domande, semplici, ovvie e
altrettanto inevitabili, si pongono, e sono state poste, a proposito della sua
ultima scelta politica e sulle ragioni che determinarono la decisione di
ucciderlo. E la risposta non è, per quanto concerne la seconda, altrettanto
semplice di quella che può e deve darsi alla prima. Alla Repubblica sociale il
G. aderì per le ragioni da lui stesso addotte; perché si trattava non di
scegliere di nuovo, ma di ribadire, nel momento del supremo pericolo, la scelta
fatta vent'anni innanzi. E non c'era calcolo politico che bastasse a mettere in
crisi questa decisione, perché l'intero universo si concentra e vive nell'atto
puro, e quel che resta fuori non è se non calcolo, astuzia: ossia, a rigore,
niente. Alla seconda domanda rispondere si potrà in modo adeguato quando nuovi
documenti interverranno a far luce nelle molte zone oscure che tuttora impediscono
di vedere tutta la verità; che emergerà quando e se emergerà: e allora si vedrà
fino a che punto nella decisione di uccidere il G. che aveva rinnovato il suo
legame con il fascismo e con Mussolini siano entrate anche valutazioni
politiche non direttamente note a quanti, sulla collina fiorentina, spezzarono
il filo della sua vita. Qui basterà ricordare che nella chiesa di S. Croce, in
Firenze, il nome del G. indica, sul pavimento, il luogo della sua
sepoltura. Opere. Le opere complete del G., raccolte via via durante la
vita dell'autore, prima da Laterza (Bari), poi da Treves-Tumminelli (Milano e
Roma), quindi da Sansoni (Firenze), furono riprogettate e stampate dopo la
morte del G. e la fine della guerra mondiale da questo medesimo editore, al
quale subentrò negli ultimi anni, ma senza alcuna mutazione di veste
tipografica e di caratteri, l'editrice Le Lettere, sempre di Firenze.
L'edizione definitiva rispetta fondamentalmente le partizioni già previste dal
G., e cioè: I, Opere sistematiche; II, Opere storiche; III, Opere varie alle
quali due si aggiungono, una IV, Frammenti, e una V, Epistolari. A queste
cinque partizioni si è unita di recente, una VI di Scritti inediti e vari,
nella quale sono apparsi fin qui Eraclito. Vita e frammenti (con il facsimile del
manoscritto della traduzione di H. Diels), a cura di H.A. Cavallera, premessa
di F. Adorno, Firenze 1996, e La filosofia della storia. Saggi e inediti, a
cura di A. Schinaia, premessa di E. Garin, ibid. 1996. A parte questi due
ultimi, i volumi fin qui pubblicati delle Opere complete sono quarantanove,
perché ancora in preparazione risulta il XXIX, dedicato a B. Spaventa; e
aumenteranno, negli anni a venire, nella sezione comprendente i Carteggi,
alcuni dei quali sono già in lavorazione, come quello con G. Calogero, a cura
di C. Farnetti, e l'altro con G. Chiavacci, a cura di M. Simoncelli.
Qui converrà ricordare in quanto inserite nel testo della voce le
principali opere del G.: Rosmini e Gioberti, Pisa 1898; La filosofia di Marx,
ibid. 1899; Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia, Bari 1909; I
problemi della scolastica e il pensiero italiano, ibid. 1913; La riforma della
dialettica hegeliana, Messina 1913; Sommario di pedagogia come scienza
filosofica, I, Pedagogia generale, Bari 1913; II, Didattica, ibid. 1914; Teoria
generale dello spirito come atto puro, Pisa 1916; I fondamenti della filosofia
del diritto, ibid. 1916; Sistema di logica come teoria del conoscere, I, La
logica dell'astratto, ibid. 1917; II, La logica del concreto, Bari 1923; Le
origini della filosofia contemporanea in Italia, I-IV, Messina 1917-23; Gino
Capponi e la cultura toscana nel secolo decimonono, Firenze 1922; La filosofia
dell'arte, Milano 1931; Introduzione alla filosofia, ibid. 1933; Genesi e
struttura della società, Firenze 1944. Fra i carteggi, quello con
Croce, comprendente le sole lettere del G., è raccolto in Lettere a B. Croce,
I-V, a cura di S. Giannantoni, Firenze 1972-90 (il testo di riferimento è B.
Croce, Lettere a Giovanni Gentile, a cura di A. Croce, con introd. di G. Sasso,
Milano 1980). Ma sono anche usciti: G. Gentile - D. Jaja, Carteggio, a cura di
M. Sandirocco, I-II, Firenze 1969; G. Gentile - A. Omodeo, Carteggio, a cura di
S. Giannantoni, ibid. 1974; G. Gentile - S. Maturi, Carteggio, a cura di A.
Schinaia, ibid. 1987; G. Gentile - F. Pintor, Carteggio, a cura di E.
Campochiaro, ibid. 1993. Fonti e Bibl.: Tre sono le biografie fin qui
dedicate al G.: M. Di Lalla, Vita di G. G., Firenze 1975; S. Romano, G. G.: la
filosofia al potere, Milano 1984; G. Turi, G. G.: una biografia, Firenze 1995.
Si aggiungano i ricordi e le testimonianze di B. Gentile: G. G.: dal Discorso
agli Italiani alla morte (24 giugno 1943 - 15 aprile 1944), Firenze 1954;
Ricordi e affetti, Firenze 1988. Sulla uccisione del G., v. L. Canfora, La
sentenza. C. Marchesi e G. G., Palermo 1985, dove si troverà l'indicazione
della precedente bibliografia relativa a questa pagina non ancora
definitivamente scritta. Cfr. anche G. Sasso, La fedeltà e l'esperimento,
Bologna 1993, pp. 73-117. La bibliografia sul G. è assai ampia: per gli scritti
del G. ci si deve ancora servire della Bibliografia degli scritti di G. G., a
cura di V.A. Bellezza, in G. G.: la vita e il pensiero, III, Firenze 1950, e
anche di Il pensiero di G. Gentile. Atti del Convegno 1976-1977, Roma 1977, II,
pp. 903-1011. Per gli scritti dal 1980 al 1993, si veda: S. Bonechi, B. Croce -
G. G.: bibliografia 1980-1993, in Giornale critico della filosofia italiana,
LXXV (1994), pp. 632-660. In questo ambito per un primo orientamento si può
innanzi tutto cercar di distinguere fra quanto di e sul G. è stato scritto dai
principali discepoli delle sue due scuole, la palermitana e la romana, e cioè
da V. Fazio-Allmayer, da A. Omodeo, F. Albeggiani, il giovane G. De Ruggiero, e
quindi U. Spirito, A. e L. Volpicelli, G. Calogero, G. Chiavacci, lo stesso A.
Carlini, ecc. in ciascuna delle loro opere, e quanto invece al pensatore
siciliano è stato dedicato con esplicita intenzione storiografica. Non sempre
agevole da rispettare, la distinzione può tuttavia essere di qualche utilità; e
qui si indicheranno gli scritti appartenenti alla seconda classe (mentre per la
storia "filosofica" dell'attualismo, può vedersi A. Negri, G. G.,
I-II, Firenze 1975; cfr. anche A. Lo Schiavo, Introduzione a G., Bari 1974).
Sono, innanzi tutto, da tener presenti gli studi raccolti nei quattordici
volumi della serie G. G.: la vita e il pensiero, Firenze 1948-72. Si veda
quindi: G. De Ruggiero, La filosofia contemporanea, Bari 1912; U. Spirito, Il
nuovo idealismo italiano, Roma 1923; Id., L'idealismo italiano e i suoi
critici, Firenze 1930; V. La Via, L'idealismo attuale di G. G., Trani 1925; F.
De Sarlo, G. e Croce. Lettere filosofiche di un superato, Firenze 1925; G.
Calogero, Il neohegelismo nel pensiero contemporaneo, in Nuova Antologia, 16
ag. 1930, pp. 3-20; R.W. Holmes, The idealism of G. G., New York 1937; P.
Carabellese, L'idealismo italiano, Roma 1938; A. Guzzo, Sguardi sulla filosofia
contemporanea, Roma 1940; M. Ciardo, Un fallito tentativo di riforma dello
hegelismo: l'idealismo attuale, Bari 1949; E. Garin, Cronache di filosofia
italiana (1900-1943), Bari 1955; H.S. Harris, The special philosophy of G. G.,
Urbana, IL, 1960; A. Guzzo, Cinquant'anni di esperienza idealistica in Italia,
Padova 1964; U. Spirito, G. G., Firenze 1969; A. Del Noce, Il suicidio della
rivoluzione, Milano 1978; V.A. Bellezza, La problematica gentiliana della
storia, Roma 1983; A. Del Noce, G. G.: per una interpretazione filosofica della
storia contemporanea, Bologna 1990; A. Negri, L'inquietudine del divenire. G.
G., Firenze 1992; G. Sasso, Filosofia e idealismo, II, G. G., Napoli 1995.Armando
Girotti. Girotti. Keywords: la curva, la curva della bellezza, la linea, la
linea della bellezza, storia storica, non filosofica – unita longitudinale –
longamiranza, distillizione filosofica – Gentile, il Gentile di Girotti. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Girotti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51755915192/in/dateposted-public/
Grice e
Giudice – l’implicatura di Bruno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo. Grice: Grice: “Giudice amply proves my trust in the worth of the
longitudinal unity of philosophy, for Giudice has unearthed some philosophical
minutiae in Bruno – like his tract to Sir Philip Sidney on ‘Atteone,’ which are
jewels of implicature!” -- “For Italian philosophy, Bruno is interesting: it’s
not all saints like Aquinas; they had hereetics, too – and usually the heretics
had a better philosophical background – into what the Italians called the
lovely ‘hermetic tradition’ – we used to have one at Oxford in pre-lib days!”
-- Grice: “If I am a Griceian, Giudice is a Brunoian – the Italians prefer
‘brunista’ or ‘bruniano,’ but I follow Katz is respecting the full surname – if
it is ‘bruno,’ you add things, you don’t substract things!” Essential Italian philosopherwho has studied in depth
the origin of philosophy in the Eleatic school. Guido del Giudice (Napoli), filosofo. Si
laurea a Napoli e studia Bruno e la filosofia del rinascimento. Fonda la
Societa Giordano Bruno. Altre opera: “Bruno” (Marotta e Cafiero Editori,
Napoli); “La coincidenza degli opposti” (Di Renzo Editore, Roma); “Bruno,
Rabelais e Apollonio di Tiana, Di Renzo Editore, Roma); “Due Orazioni. Oratio
Valedictoria e Oratio Consolatoria, Di Renzo Editore, Roma, “La disputa di
Cambrai. Camoeracensis acrotismus, Di Renzo Editore, Roma); “Il Dio dei
Geometri” quattro dialoghi, Di Renzo Editore, Roma); “Somma dei termini
metafisici”; “Tra alchimisti e Rosacroce, Di Renzo Editore,Roma, “Io dirò la
verità. Intervista a Giordano Bruno, Di Renzo Editore, Roma, “Contro i
matematici, Di Renzo Editore, Roma, “Il profeta dell'universo finite” – “Epistole
latine, Fondazione Mario Luzi,. Scintille d'infinito” (Di Renzo Editore). BRUNO,
Giordano (Philippus Brunus Nolanus; Iordanus Brunus Nolanus, il Nolano). -
Nacque a Nola, nel Regno di Napoli, nel gennaio o febbraio 1548, figlio di
Giovanni Bruno, uomo d'arme, e di Fraulisa Savolino: fu battezzato con il nome
Filippo. Della città natale, dove trascorse l'infanzia e iniziò i primi studi,
conservò poi sempre un ricordo nostalgico. Nel 1562 si recò a Napoli per
studiare lettere, logica e dialettica: in quello Studio ebbe come maestri il
Sarnese (Giovan Vincenzo Colle), filosofo di tendenze averroiste, e fra'
Teofilo da Vairano, agostiniano, da lui ricordato in seguito con sincera
ammirazione. La lettura di uno scritto di Pietro Ravennate suscitò fin da
allora in lui l'interesse per la mnemotecnica. Il 15 luglio 1565, a
diciassette anni compiuti e con una incipiente formazione laica, entrò come chierico
nel convento napoletano di S. Domenico Maggiore, dove assunse il nome Giordano
(forse in onore del domenicano fra' Giordano Crispo, maestro allo Studio) e
quel nome ritenne poi sempre, salvo che per una breve parentesi. Mal
compatibile, per carattere e prima formazione, con la regola conventuale, tra
il 1566 e il 1567 incorse nelle prime infrazioni per aver spregiato il culto di
Maria, nonché quello dei santi (una denuncia contro di lui venne allora
stracciata dal maestro dei novizi). Con cautela va accolta la notizia da
lui in seguito fornita (Doc. parigini, V) di un invito a Roma per mostrare la
propria abilità mnemonica a Pio V (viaggio che lo Spampanato pone tra il 1568 e
il 1569):va però notato che allo stesso pontefice il B. dichiarò di aver
dedicato L'arca di Noè,operetta smarrita di argomento morale (Dialoghi
italiani, p. 842). Ordinato suddiacono (principio del 1570) e poi diacono
(principio del 1571), venne consacrato sacerdote dopo aver compiuto i
ventiquattro anni, e celebrò la prima messa nella chiesa del convento
domenicano di S. Bartolomeo a Campagna, presso Salerno. Nella seconda metà del
1572, dopo aver soggiornato in altri conventi del Napoletano, fece ritorno allo
Studio di S. Domenico Maggiore in Napoli come studente formale di teologia: il
curriculum quadriennale comprendeva un corso speculativo (prima e terza parte
della Summa tomista) e un corso morale (seconda parte della Summa,alternabile
con il quarto libro delle Sentenze di Pietro Lombardo esposte da fra' Giovanni
Capreolo). È da ritenere che il B. abbia superato gli esami annuali, e nel
luglio 1575 quelli di licenza, per cui sostenne le tesi "Verum est
quicquid dicit D. Thomas in Summa contra Gentiles" e "Verum est
quicquid dicit Magister Sententiarum" (Doc.parigini, II). Tali studi,
se da una parte suscitarono in lui una non mai smentita ammirazione per l'opera
di s. Tommaso, d'altra parte dovettero ingenerargli quel fastidio per "les
subtilitez des scholastiques, des Sacrements et mesmement de
l'Eucharistie" (Doc. parigini,II), con il conseguente disinteresse per la
problematica teologica manifestato in seguito nelle proprie opere come pure,
più tardi, in sede processuale. Fin dagli anni conventuali mostrò per contro
interesse per opere estranee al curriculum, nonché decisamente vietate, quali i
"libri delle opere di S. Grisostomo e di S. Ieronimo con li scolii di
Erasmo" (Doc. veneti, XIII).Ciò che, unitamente all'espressione dei propri
dubbi circa il dogma della Trinità durante una discussione sulla eresia ariana,
portò all'istruzione di un processo a suo carico da parte del padre provinciale
(con l'occasione venne ricostruito anche il precedente atto d'accusa già
distrutto): in una scrittura smarrita inviata a Roma egli doveva figurare come
sospetto di eresia. Mentre il processo veniva iniziato, il B. non esitò
ad abbandonare il convento e la città, probabilmente nel febbraio 1576, e nello
stesso mese dové giungere a Roma, dove prese alloggio nel convento di S. Maria
sopra Minerva, confidando forse che il proprio caso passasse ignorato tra i
disordini che turbavano la città. Egli stesso venne però coinvolto in tali
disordini e imputato di "aver gettato in Tevere chi l'accusò, o chi
credette lui che l'avesse accusato a l'inquisizione" (Doc. veneti, I):
imputazione infondata (come è mostrato dal mancato riferimento ad essa nelle
successive vicende processuali), con tutto che un secondo processo contro di
lui venne istruito nel 1576 dall'Ordine dei predicatori. Dopo i primi mesi di
quell'anno, saputo che i propri libri erasmiani erano stati rintracciati a
Napoli, il B., deposto l'abito, abbandonò Roma, raggiunse Genova (circa 15
aprile) e si trattenne a Noli fino al principio del 1577 "insegnando la
grammatica a figliuoli e leggendo la Sfera a certi gentilomini" (Doc.
veneti, IX). Da Noli passò a Savona e quindi a Torino; di lì, non avendovi
trovato "trattenimento a sua satisfazione", si recò a Venezia, dove
si trattenne non più di due mesi, facendovi stampare, allo scopo di guadagnare
qualcosa, "un certo libretto intitolato De' segni de' tempi", da lui
fatto esaminare dal domenicano Remigio Nannini: opera pur questa smarrita. A
Padova fu persuaso da alcuni domenicani a indossare l'abito pur quando non
avesse voluto rientrare nell'Ordine: ciò che il B. fece dopo essersi recato,
per Brescia, a Bergamo. Toccata Milano, nel 1578 lasciò l'Italia attraverso la
Savoia, diretto a Lione: giunto a Chambéry e avvertito dai domenicani locali
dell'ostilità che avrebbe incontrato nella regione, si trasferì a Ginevra, dove
fin dal 1552 una comunità evangelica italiana era stata fondata dal marchese
Gian Galeazzo Caracciolo di Vico. A Ginevra, dimesso nuovamente l'abito,
il B. si guadagnò da vivere come correttore di bozze tipografiche. Risulta
tuttavia che egli aderì formalmente al calvinismo, come provato non tanto dalla
immatricolazione universitaria autografa del 20 maggio 1579, quanto da un
processo per diffamazione ai danni del titolare di filosofia Antoine de la
Faye, istruito contro di lui dal concistoro nell'agosto 1579: il giorno 13 il
B. venne riconosciuto colpevole e virtualmente scomunicato. Dopo un debole
tentativo di difesa, egli si riconobbe colpevole, pregò di essere riammesso
alla cena, e il giorno 27 venne prosciolto dalla scomunica. Tale episodio (che
avrebbe lasciato tracce durevoli nelle sue opere mediante la propria polemica
anticalvinista) determinò la sua partenza da Ginevra. Recatosi questa
volta a Lione, non avendovi trovato modo di sostentarsi, vi si trattenne solo
un mese (forse tra il settembre e l'ottobre 1579) e si recò quindi a Tolosa,
che era proprio in quel tempo uno dei baluardi della ortodossia cattolica: ciò
che dimostra la portata della sua reazione anticalvinista, confermata anche dal
tentativo che allora fece di ottenere l'assoluzione da un padre gesuita. La
mancata assoluzione, "per esser apostata" (Doc. veneti, XII), non gli
impedì di essere invitato "a legger a diversi scolari la Sfera, la qual
lesse con altre lezioni de filosofia forse sei mesi" (Doc. veneti, IX),
nonché di conseguire il titolo di magister artium: ed ottenere per concorso il
posto allora vacante di lettore ordinario di filosofia: onde lesse, "doi
anni continui, il testo de Aristotele De anima ed altre lezioni de
filosofia". Da accenni fatti più tardi dallo stesso B., è dato inferire
che il suo insegnamento incluse lezioni di fisica, matematica e lulliane.
Risale a quest'epoca la composizione della Clavis magna, trattato
mnemotecnico-lulliano rimasto inedito e smarrito. Nell'estate del 1581 si
delineò una ripresa della lotta tra cattolici e ugonotti, e il B. dové lasciare
Tolosa "a causa delle guerre civili" (Doc. veneti, IX). Trasferitosi
a Parigi, vi intraprese "una lezion straordinaria", cioè un corso di
trenta lezioni su altrettanti "attributi divini, tolti da S. Tommaso dalla
prima parte", che alcuni vogliono costituisse l'operetta inedita e
smarrita "di Dio, per la deduzion di certi suoi predicati universali"
(Doc. veneti, I). A Parigi non poté accettare un lettorato ordinario per
l'obbligo - che, come apostata, non volle assumersi - di frequentare la messa;
tuttavia conseguì tale rinomanza mediante il lettorato straordinario, che, come
ebbe a dichiarare egli stesso, "il re Enrico terzo mi fece chiamare un
giorno, ricercandomi se la memoria che avevo e che professava, era naturale o
pur per arte magica; al qual diedi sodisfazione; e con quello che li dissi e
feci provare a lui medesimo, conobbe che non era per arte magica ma per
scienza" (Doc. veneti, IX): episodio che ben si comprende tenendo conto
del fatto che la corte francese era frequentata da intellettuali come J. D. du
Perron e Pontus de Tyard di cui sono noti gli interessi per il sapere
enciclopedico e l'arte della memoria come strumenti per un piano di riforma
culturale. Tuttavia i rapporti del B. con la corte - che sarebbero durati, direttamente
o indirettamente, per circa un quinquennio - si spiegano altresì sul piano
ideologico-politico, ove si tenga conto dell'analogia tra l'equidistanza
bruniana dal rigorismo cattolico e da quello protestante, e la posizione
mediana dei politiques, che controllavano la corte, tra l'estremismo cattolico
dei ligueurs e quello protestante degli ugonotti. Durante questo primo
soggiorno parigino apparvero a stampa le prime operette bruniane a noi
pervenute: il Deumbris idearumcon raggiunta dell'Arsmemoriae, opera
mnemotecnica e lulliana stampata da E. Gourbin nel 1582, dal B. dedicata ad
Enrico III, il quale "con questa occasione lo fece lettor straordinario e
provisionato" (Doc. veneti, IX: egli venne cioè a far parte del gruppo dei
lecteurs royaux, tendenzialmente contrari al conformismo aristotelico della
Sorbonne); seguì, nello stesso anno, il Cantus circaeus, operetta mnemotecnica
stampata da E. Gilles e dedicata, per conto del B., da J. Regnault a Henri
d'Angoulême, fratello naturale del re, essendo il B. stesso "gravioribus
negociis intentus" (Opera, II, 1, p. 182); quindi il De compendiosa
architectura et complemento Artis Lullii (Gourbin, 1582) dedicata dal B.
all'ambasciatore veneto Giovanni Moro. La prima parte del De umbris
rielabora materiale lulliano e mnemotecnico ai fini di una ricerca gnoseologica
che presuppone, platonicamente, una corrispondenza tra mondo fisico e mondo
ideale; la seconda e terza parte costituiscono un manuale mnemotecnico per cui
il B. attinge in particolare al ravennate (l'impostazione didascalica è ripresa
nell'Ars memoriae, in cui elementi della tradizione astrologico-ermetica si
inseriscono nella elaborazione lulliana e mnemotecnica, fermo restando
l'intento gnoseologico). Il Cantus circaeus, in due dialoghi, presenta un'applicazione
concreta dell'ars esposta nel De umbris, non senza un'intenzione satirica che
sarà poi sviluppata nello Spaccio. Il De compendiosa architecturarielabora gli
elementi tecnici del lullismo allo scopo di offrire uno strumento gnoseologico
per cui l'ordine universale risulta riflesso nello schema simbolico.
Nell'agosto del 1582 il B. terminava la composizione dell'unica sua commedia,
il Candelaio, stampata prima della fine dell'anno (anteriormente forse al De
compendiosaarchitectura) da Guillaume Julien figlio. Sul frontespizio l'autore
si definiva "Academico di nulla Academia, detto il Fastidito, in tristitia
hilaris, in hilaritate tristis. Il Candelaio, scritto in un volgare
popolaresco ricco di napoletanismi plebei, ma non senza echi della tradizione
burlesca rinascimentale (Aretino, Berni, ecc.) accanto a moduli parodici della
retorica classica, riflette sul piano morale il momento di rottura con
l'Ordine, né è da escludere che la composizione ne fosse stata iniziata prima
dell'allontanamento dall'Italia. Dedicata Alla signora Morgana B., personaggio
napoletano di non sicura identificazione, la commedia, di ambientazione appunto
napoletana - la cui azione si svolge nel 1576, "vicino al seggio di
Nilo" - investe satiricamente "tre materie principali" e
"l'amor di Bonifacio, l'alchimia di Bartolomeo e la pedanteria di
Manfurio", in una sorta di applicazione alla vita morale del principio
bruniano della corrispondenza e identificazione dei distinti nell'uno. Fin
dalle pagine preliminari si notano del resto motivi che, riallacciandosi alla
base teoretica dell'elaborazione lulliana e mnemotecnica delle operette latine,
anticipano alcuni presupposti dei più tardi dialoghi filosofici ("Il tempo
tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla s'annichila; è un solo che
non può mutarsi..."). Dalla dedica del Candelaio si sono desunti due
titoli di presunte opere smarrite del B. (Gli pensier gai e Il troncod'acqua
viva), mentre nell'atto I, scena II, si trova citata un'ottava ("Don'a' rapidi
fiumi in su ritorno") di un "poema" inedito e smarrito, cui
appartiene forse anche l'ottava "Convien ch'il sol, donde parte,
raggiri" citata tre anni dopo negli Eroici furori. Il 28 marzo 1583
l'ambasciatore inglese a Parigi, H. Cobham, inviava un preoccupato messaggio al
primo segretario del Regno d'Inghilterra, F. Walsingham, informandolo
dell'intenzione del B. di passare in Inghilterra: la preoccupazione concerneva
l'ambigua posizione bruniana in fatto di religione. L'arrivo del B. in
Inghilterra, con lettere di raccomandazione di Enrico III per il proprio
ambasciatore presso Elisabetta - il tollerante Michel de Castelnau (cui era
affidato il compito delicato di sostenere la causa di Maria di Scozia presso la
regina) -, è da porre nell'aprile. Da una parte il B. poté essere indotto a
lasciare Parigi "per li tumulti che nacquero" (Doc. veneti, IX) - o
più esattamente per il delinearsi di quella reazione cattolica che due anni più
tardi avrebbe indotto il re a revocare gli editti di pacificazione con i protestanti
-; d'altra parte non è da escludere che il suo viaggio in Inghilterra potesse
rientrare in un piano dei moderati francesi inteso a mobilitare la corrente
politique inglese ai fini di una distensione politico-religiosa in Europa. Ma
non è certo da trascurare la personale urgenza bruniana per una sua
affermazione sul piano accademico-speculativo dopo i tentativi compiuti a
Tolosa e a Parigi. Al suo arrivo in Inghilterra il B. prese dimora nella
casa del Castelnau, a Butcher Row, dove "non faceva altro, se non che
stava per suo gentilomo" (Doc.veneti, IX). Tra il 10 e il 13 giugno 1583
fece una prima visita a Oxford, al seguito del conte palatino polacco Alberto
Laski: in tale occasione, pur non facendo parte degli oratori designati,
sostenne un pubblico dibattito con i dottori oxoniensi, in particolare con il
teologo John Underhill, richiamandosi alla logica aristotelica in polemica con
le posizioni ramiste. Rientrato a Londra, è da ritenere che indirizzasse allora
la sua pomposa lettera Ad excellentissimum Oxoniensis Academiae
Procancellarium,clarissimos doctores atque celeberrimos magistros (allegata ad
alcuni esemplari della Explicatio triginta sigillorum), con la quale faceva
istanza per l'ottenimento di una lettura a Oxford. Sebbene dai registri
universitari non risulti che il B. abbia tenuto un corso formale in quella
sede, la sua stessa testimonianza di avervi tenuto "pubbliche letture, e
quelle de immortalitate animae, e quelle de quintuplici sphaera" (Dialoghi
italiani, p. 134: vedi Doc. parigini, I, e Opera, II, 2, p. 232), risulta
confermata dalla pur ostile testimonianza di George Abbot (cfr. McNulty), il
futuro arcivescovo di Canterbury, allora membro del Balliol College, da cui si
apprende che, dopo la prima visita a Oxford, il B. vi tornò nel corso della
stessa estate e vi iniziò un corso in latino sostenendo, tra l'altro, la teoria
copernicana del movimento della Terra e della immobilità dei cieli: anticipando
quindi pubblicamente quanto da lui elaborato nei dialoghi londinesi stampati
l'anno seguente. Così il B. come l'Abbot concordano nell'affermare che tale
corso venne interrotto per pressioni esterne (stando all'Abbot, il medico
Martin Culpepper, guardiano di New College, e Tobie Matthew, decano di Christ
Church, avrebbero rilevato un plagio bruniano nei confronti del ficiniano De
vita coelitus comparanda: ciò che può essere inteso con riferimento ai prestiti
ficiniani nella terminologia bruniana). Interrotto il corso dopo la terza
lezione, rientrò a Londra, presso il Castelnau, ribadendo il proprio atteggiamento
antiaccademico, in direzione quindi antiaristotelica e insieme
antiumanistica. A Londra il B. condusse la propria polemica culturale e
speculativa sia in discussioni nell'ambito dei circoli paraccademici di corte,
sia mediante la divulgazione a stampa delle proprie teorie già respinte dal
pubblico universitario inglese. La prima opera pubblicata a Londra, nel 1583, è
un volumetto contenente l'Ars reminiscendi, l'Explicatio triginta sigillorum
(preceduta in alcuni esemplari dalla già citata lettera agli Oxoniensi) e il
Sigillus sigillorum. Solo per l'Explicatio e per la lettera è possibile
precisare l'officina tipografica, che è quella di John Charlewood, dalla quale
sarebbero uscite tutte le rimanenti opere londinesi. L'Ars reminiscendi
è, con lievi varianti, una riproduzione dell'ultima parte del Cantus circaeus.
Gli scritti che seguono portano la dedica all'ambasciatore francese, con parole
di riconoscenza per la familiare ospitalità. L'elencazione dei "triginta
sigilli" mostra che questi rappresentano la sintesi formale dei segni
ovvero ombre delle cose e delle idee. Dalla Triginta sigillorum explicatio
appare manifesto il presupposto gnoseologico del complesso simbolismo
mnemotecnico bruniano. Nel Sigillus sigillorum si manifesta la fede del B.
nell'unità del processo conoscitivo, cui corrisponde, sul piano ontologico, la
fondamentale unità dell'universo. Alla innegabile utilizzazione di elementi
propri alla tradizione platonico-alchimistica, fa qui riscontro l'assenza di
preoccupazioni e tendenze d'ordine mistico-religioso: il carattere
"speculativo" del Sigillusfa di quest'opera il legittimo antecedente
della serie dialogica italiana. Il 14 febbraio del 1584, mercoledì delle
Ceneri, il B. venne invitato a illustrare la propria teoria sul moto della
Terra nella "onorata stanza" di sir Fulke Greville, a Whitehall, in
compagnia di Giovanni Florio e del medico gallese Matthew Gwinne, essendo
presenti due dottori oxoniensi sostenitori del sistema geocentrico e un
cavaliere di nome Brown (in sede processuale tale riunione venne dichiarata
come avvenuta invece in casa del Castelnau). La conversazione degenerò presto
in un diverbio causato dalla intolleranza dei due dottori oxoniensi: sdegnato,
il B. si licenziò dall'ospite e di lì a qualche giorno iniziò la stesura della
Cena de le Ceneri (stampata nello stesso anno). Tramite il resoconto
della sfortunata discussione, il B. enuncia in questi dialoghi la propria
cosmografia: movendo dall'eliocentrismo copernicano, egli approda
intuitivamente a una concezione originale dell'universo che per molti rispetti
sembra anticipare i postulati della scienza moderna. Già prima dell'arrivo del
B. in Inghilterra, la corrente scientifica distaccatasi dalle università e
sostenuta dalla corte elisabettiana (Robert Recorde, John Dee, John Field,
Thomas Digges) aveva mostrato un certo interesse per le teorie copernicane: è
in questa corrente appunto che si inserisce ormai l'attività inglese del B.,
sia per le istanze "scientifiche" (elaborazione di una moderna teoria
astronomica), sia per quelle letterarie (ripudio del latino e adozione del
volgare per trattazioni scientifico-speculative) e perfino politiche (adesione
alla moderata fazione puritana capeggiata da Robert Dudley, conte di Leicester,
nei contrasti tra questo e il tesoriere elisabettiano William Cecil: ciò che ci
è rivelato dal confronto tra la prima e la seconda redazione del dialogo II
della Cena). Suddivisa in cinque dialoghi, dedicati all'ambasciatore
francese, la Cena è in sostanza un'opera cosmografica che, se da una parte
contrasta il geocentrismo aristotelico e tolemaico, d'altra parte trascende
l'eliocentrismo copernicano con l'affermazione della pluralità dei mondi
nell'universo infinito (non senza la suggestione implicita della definizione
ermetica di Dio, come sfera infinita il cui centro è ovunque e la cui
circonferenza non si trova in alcun luogo): sul piano teologico ne deriva
l'affermazione dell'infinito effetto della causa infinita, nonché
l'interpretazione prammatica di quei passi delle Scritture che concordano con
la concezione vulgata dell'universo. L'impostazione polemica dell'opera
investe, nel dialogo II, tutti gli strati della contemporanea società inglese
mediante una rappresentazione vivacemente realistica. Il B., pur adottando la
forma dialogica della tradizione speculativa rinascimentale, la piega alle
esigenze della propria polemica, accostandosi non di rado alla maniera parodica
della tradizione aretiniana: onde non manca la satira della pedanteria
grammaticale oltre che di quella peripatetica. Gli attacchi contenuti
nella Cena alla università di Oxford e alla società inglese suscitarono una
forte reazione negli ambienti accademici e cittadini: reazione che coincise con
una serie di offese, anche materiali, del pubblico londinese contro gli addetti
all'ambasciata francese e contro, la stessa sede diplomatica. Nell'emozione del
momento il B. poté ritenersi oggetto diretto di quella reazione anticattolica:
è certo tuttavia che la pubblicazione della Cena gli fece perdere molte di quelle
simpatie che era riuscito ad accattivarsi a Londra. Di qui l'esigenza di
premettere ai già composti quattro dialoghi speculativi De la causa, principio
et uno, un dialogo "apologetico" che si risolse però,
caratteristicamente, in un ribadimento della propria polemica, salvo un
riconoscimento esplicito della validità della tradizione speculativa oxoniense
anteriore alla Riforma e la lode di alcuni personaggi conosciuti a Oxford (in
particolare Martin Culpepper e Tobie Matthew). La pubblicazione dei nuovi dialoghi,
dedicati anch'essi al Castelnau, seguì di poco quella della Cena. Il
primo dialogo della Causa si distingue dai rimanenti quattro anche per i
diversi interlocutori (tra questi "Elitropio" è G. Florio, mentre
"Armesso" sembra identificabile con M. Gwinne); notevole, tra gli
interlocutori dei rimanenti dialoghi, lo scozzese Alexander Dicson
"Arelio" (nativo di Errol), discepolo londinese del B. e autore di
un'opera mnemotecnica, De umbra rationis et iudicii (1584) ispirata al De
umbris bruniano: l'opera era stata attaccata da William Perkins, ramista di
Cambridge, il quale non mancò di accomunare i nomi del B. e del Dicson nella
sua riprovazione del metodo mnemonico classico considerato in opposizione a
quello ramista. La presenza di questo interlocutore, insieme con l'attacco
frontale a Ramo nel dialogo III, può valere a farci considerare la Causa come
opera di letteratura militante nell'ambito della contemporanea polemica ramista
(per l'aspetto politico non va dimenticato che l'attività del Dicson era in
linea con il programma politique). I quattro dialoghi più propriamente
speculativi della Causa concernono la definizione dei tre termini enunciati nel
titolo: "causa" e "principio" sono intesi, rispettivamente,
come la "forma" e la "materia" che, indissolubilmente
unite, costituiscono l'"uno", cioè il "tutto". Movendo
dalla critica dei postulati della tradizione aristotelica, e non senza ricorso
alle formulazioni di stampo neoplatonico ed ermetico, il B. giunge in tal modo
a fornire una originale base teoretica alla propria cosmologia già in parte
enunciata nella Cena e di lì a poco elaborata nei dialoghi De l'infinito.
Il motivo della satira antipedantesca si accentua nella Causa con una aderenza
polemica alle posizioni culturali delle due università inglesi. Il ritmo
serrato con cui alla pubblicazione della Cena e della Causa seguì, sempre nel
1584, quella dei dialoghi De l'infinito, universo e mondi e dello Spaccio de la
bestia trionfante si spiega tenendo conto del fatto che già nell'estate del 1583
il B. doveva aver elaborato buona parte del materiale confluito poi nei tre
dialoghi cosmologici. Anche l'Infinito porta la dedica al Castelnau, mentre lo
Spaccio è dedicato a sir Philip Sidney, nipote del Leicester, mostrandoci in
tal modo la portata dei contatti letterari, oltre che politici, dal B. avuti in
Inghilterra. Nei cinque dialoghi De l'infinito, in polemica con la fisica
aristotelica, il B. rigetta la teoria della divisibilità all'infinito e
ribadisce la propria teoria della infinità dell'universo e della pluralità dei
mondi. In questa opera risulta enunciato il pensiero bruniano sul rapporto tra
filosofia e religione conforme alla teoria averroista esposta dal Pomponazzi.
Tra gli interlocutori figura Girolamo Fracastoro, tracce delle cui dottrine
sono reperibili nel dialogo III; discutibile rimane l'identificazione di
"Albertino" con Alberigo Gentili (dal B. certamente incontrato a
Oxford): potrebbe trattarsi invece di personaggio nolano. La nuova
concezione dell'universo esposta nei tre dialoghi cosmologici si riflette sul
piano etico con la trilogia dei dialoghi tradizionalmente definiti
"morali", a cominciare dallo Spaccio, il cui tono satirico ravviva
un'invenzione che risale, letterariamente, ai dialoghi "piacevoli" di
Niccolò Franco. Lo Spaccio espone un piano di riforma morale che implica
la critica all'etica cristiana delle Chiese riformate non meno che di quella
cattolica, in nome di un attivismo umanistico contrapposto al tradizionale
umanesimo misticheggiante e retorico. L'ispirazione acristiana dell'etica
bruniana sembra trovare conferma nella critica - metaforicamente condotta -
della duplice natura della persona del Cristo. Non è escluso che questa opera
sia da identificare con il Purgatorio de l'inferno,titolo fornito dal B. nella
Cena. Le allusioni politiche contenute nello Spaccio sono compatibili con
l'orientamento brumano favorevole ai politiques e che risale al suo soggiorno
parigino: c'è chi pur oggi continua a ritenere che la "bestia
trionfante" spodestata nello Spaccio sia da identificare con
l'intransigente Sisto V. Ma, a parte la cronologia, sembrerebbe contrastare
all'interpretazione il quadro tracciato nella Cabala del cavallo pegaseo, con
l'aggiunta dell'Asino cillenico (pubbl. 1585), in cui l'"asino", identificabile
con la "bestia" dello Spaccio, riassume il suo posto nel cielo: né
sembra possibile supporre che la Cabala sia posteriore al 21 sett. 1585, data
della bolla con cui Sisto V scomunicò il re di Navarra. Al di là del
possibile significato politico-religioso, la Cabala interessa sia per
l'accentuata satira morale rispetto allo Spaccio,sia per gli spunti speculativi
(quali il problema del rapporto tra le anime individuali e l'anima universale,
risolventesi nella negazione dell'assoluta individualità delle anime) che
valgono a meglio illuminare questa fase del pensiero bruniano. L'operetta
è scherzosamente dedicata a un personaggio nolano, don Sabatino Savolino, della
stessa famiglia materna del B. cui pure appartiene l'interlocutore
"Saulino" presente già nello Spaccio. Il B.ebbe a dichiarare in
seguito, di aver soppresso questa opera in quanto non piacque al volgo e ai
sapienti "propter sinistrum sensum": essa è infatti la più rara tra
le superstiti opere a stampa di Bruno. Il soggiorno inglese del B. non poteva
concludersi in maniera più degna che con la pubblicazione dei dialoghi De gli
eroici furori (1585), dedicati al Sidney, in cui risultano poeticamente
esaltati i principî fondamentali della filosofia bruniana esposti nei tre
dialoghi cosmologici, mentre vi si sviluppa e precisa la portata della satira
morale contenuta nei due dialoghi etici. I dieci dialoghi De gli eroici
furori hanno come tema il conseguimento della consapevolezza dell'unione con
l'Uno infinito da parte dell'anima umana. La terminologia di estrazione
ficiniana (risalente a Platone, Plotino, Dionigi l'Areopagita, lamblico,
Proclo, ecc.) rischia di far perdere di vista il carattere "naturale e
fisico" del discorso bruniano, quale dall'autore stesso enunciato nella
dedicatoria. La stessa adozione dei moduli platonici ("ente, vero e buono
son presi per medesimo significante circa medesima cosa significata") va
in realtà ricondotta a una sfera etica in cui si risolve ogni apparente residuo
di trascendenza: infatti "le cause e principii motivi" sono
"intrinseci" e la "divina luce è sempre presente";
"ogni contrarietà si riduce a l'amicizia", "le cose alte si
fanno basse, e le basse dovegnono alte". Notevole nei Furori
l'esposizione della poetica bruniana che, movendo dalla critica delle poetiche
rinascimentali nella loro interpretazione normativa della poetica aristotelica,
approda a una concezione della poesia come letteratura applicata: di qui il
ripudio della tradizione lirica petrarchesca, pur nell'adozione prammatica di
rime intonate al gusto del tardo petrarchismo (ivi inclusi prestiti dal
Tansillo e dalla Cecaria di M. A. Epicuro). Gli interlocutori sono tutti
nolani, ovvero, come il Tansillo, amici della famiglia del Bruno. Notevole,
come dato biografico dell'infanzia, la presenza di due figure femminili:
Laodamia e Giulia. Nell'ottobre del 1585 il B. rientrava in Francia al
seguito dell'ambasciatore Castelnau: il quale ai primi di novembre si trovava
già a Parigi; durante il viaggio la comitiva era stata vittima di una grassazione.
Al suo rientro a Parigi il B. veniva a trovare un clima politico mutato (nel
luglio Enrico III aveva revocato gli editti di pacificazione e nel settembre
era stata pubblicata la bolla contro il re di Navarra): di qui forse il suo
tentativo infruttuoso "de ritornar nella religione" (Doc. veneti,
XII) tramite il nunzio apostolico Girolamo Ragazzoni. Dedicò al filonavarrese
P. Del Bene, abate di Belleville, la Figuratio Aristotelici physici auditus
(1586), esposizione mnemonico-mitologica del pensiero aristotelico; entrò in
contatto con gli italiani di Parigi, tra i quali Giovanni Botero, stringendo
amicizia con Iacopo Corbinelli che lo definì "piacevol compagnietto,
epicuro per la vita" (cfr. Yates), e dal 6 dic. 1585 prese a frequentare
l'abbazia di St. Victor, dove quel giorno prese a prestito l'edizione di
Lucrezio curata da H. van Giffen e confidò al bibliotecario Guillaume Cotin (il
cui diario ci conserva le notizie fornitegli dal B.) l'intenzione di pubblicare
l'Arbor philosophorum, del quale nulla sappiamo a parte il titolo
lulliano. Due episodi clamorosi neutralizzarono in quel tempo il residuo
d'appoggio in cui il B. poteva ancora sperare presso il partito politique. Dopo
aver assistito a una pubblica dimostrazione del compasso di riduzione inventato
dal geometra salernitano Fabrizio Mordente, uomo senza lettere, il B.
acconsentì a divulgare in latino la scoperta - parendogli atta a dimostrare il
limite fisico della divisibilità, conforme alla propria incipiente monadologia
-: pubblicò infatti, prima del 14 apr. 1586, i Dialogi duo de Fabricii
Mordentis Salernitani prope divina adinventione (seguiti dall'Insomnium),
presso P. Chevillot: opera ambiguamente laudatoria che irritò il Mordente, alla
cui polemica verbale il B. rispose con i sarcastici dialoghi Idiota triumphans
e De somnii interpretatione,dedicati al Del Bene e fatti stampare prima del 6
giugno insieme con i due precedenti dialoghi mordentiani. Il B. veniva così ad
attaccare apertamente un cattolico fautore dei Guisa, reclamando per sé l'ormai
vacillante protezione politique. Atale imprudenza si aggiunse una disputa dal
B. tenuta il 28 maggio al Collège de Cambrai, in presenza dei lecteurs royaux,
sulla base di Centum et viginti articuli de naturaet mundo adversus
peripateticos: programma da lui fatto stampare sotto il nome del discepolo J.
Hennequin. Secondo il Cotin il B. non avrebbe preso la parola, neppur dopo che
allo Hennequin ebbe risposto R. Callier, giovane avvocato politique (il B.
venne dunque sconfessato dal suo stesso partito), e, riconosciutosi battuto,
avrebbe abbandonato Parigi. Secondo Corbinelli, il B. "s'andò con Dio per
paura di qualche affronto, tanto haveva lavato il capo al povero
Aristotele", mentre il Mordente decideva di ricorrere al Guisa.
Lasciata Parigi, il B. giunse in Germania nel giugno 1586;toccata Magonza e
Wiesbaden, il 25 luglio veniva immatricolato all'università di Marburgo come
"theologiae doctor romanensis" (Doc. tedeschi, I). L'insegnamento
bruniano si dovette mostrare incompatibile con l'aristotelismo ramista di
quella università: gli fu infatti negato il permesso di leggere pubblicamente;
a una protesta formale il B. fece seguire le proprie dimissioni. Nella stessa
estate passò a Wittenberg, nella cui università venne introdotto da A. Gentili
e immatricolato (20 agosto) come "doctor italus" (Doc.
tedeschi,II).Per circa due anni poté insegnare indisturbato (lesse, tra
l'altro, l'Organon di Aristotele) e fece stampare il De lampade combinatoria
lulliana (1587) - commentario dell'Arsmagna - cui premise una lettera alle
autorità accademiche mostrandosi riconoscente per la liberale accoglienza.
Seguì la pubblicazione del De progressu et lampade venatoria logicorum, sorta
di compendio della Topica aristotelica, dedicato a G. Mylins, cancelliere
dell'università. Allo stesso anno risale il suo corso privato sulla Rhetorica
adAlexandrum (pubbl. post. da H. Alstedt: Artificium perorandi, Francofurti
1612), come il frammento delle Animadversiones circa lampadem lullianam e la
Lampas triginta statuarum, amplificazione dell'Arsmagna lulliana (post.: negli
Opera: 1890, 1891), con cui si conclude la trilogia delle "lampade".
L'anno seguente, per i tipi di Zaccaria Cratone, uscì nella stessa città una
seconda edizione dei Centum et viginti articuli (ridotti a ottanta, con le relative
rationes), con un discorso apologetico di J. Hennequin: Iordani Bruni Nolani
Camoeracensis Acrotismus. Allostesso periodo, sembra, risalgono i commentari
aristotelici ai primi cinque libri della Fisica, al De generatione et
corruptione e al quarto libro Meteorologicon (pubblicati negli Opera postumi:
Libri physicorum Aristotelis explanati, 1891). L'8 marzo 1588 ilB. si
accomiatava dall'università con una Oratio valedictoria stampata dal Cratone:
va notato che il vecchio duca Augusto era morto prima dell'arrivo del B., e che
il successore Cristiano I favorì progressivamente il calvinismo, giungendo a
proibire, nel 1588, ogni polemica a questo contraria; di qui la rinnovata
precarietà della posizione di Bruno. Partito da Wittenberg, il B. giunse
a Praga nella primavera del 1588e vi si trattenne fino al principio
dell'autunno, attrattovi forse dal mecenatismo dell'imperatore Rodolfo II, il
cui cattolicesimo moderato poté sembrargli incoraggiante; non sappiamo comunque
se fu registrato all'università. A Praga il B. ripubblicò, presso G. Nigrinus,
il De lampade combinatoria R. Lullii preceduto dal De lulliano specierum
scrutinio: nuovo commentario dell'Arsmagna dedicato all'ambasciatore spagnolo
don Guglielmo de Haro; con dedica all'imperatore, presso G. Daczicenus, gli
Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque
philosophos, in cui riprendeva la propria polemica contro l'interpretazione
meccanica della natura (già anticipata nei dialoghi mordentiani e poi svolta
nel De minimo):notevole, nella dedicatoria, la dichiarazione della religio
bruniana, interpretabile come teoria della tolleranza religiosa e
speculativa. Ricevuta in dono dall'imperatore la somma di "trecento
talari" (Doc. veneti, IX), al principio d'autunno del 1588 ilB. si recò a
Helmstedt, attrattovi dalla "Academia Iulia" (fondata dal duca
protestante Giulio di Brunswick), dove fu registrato il 13 genn. 1589, e dove
il 1º luglio lesse l'Oratio consolatoria (stampata da Iacobus Lucius) per la
morte del duca avvenuta il 3 maggio. Il B. fu remunerato dal nuovo duca, Enrico
Giulio, con "ottanta scudi de quelle parti" (Doc. veneti, IX), ma non
gli mancarono seri fastidi: fu infatti scomunicato dal sovrintendente della
locale Chiesa luterana, Gilbert Voët, per motivi che il B. definì di natura
privata in una sua lettera di protesta alle autorità accademiche, ma che
avranno avuto giustificazione formale per sospetto filocalvinismo (è comunque
significativo che alla originaria scomunica cattolica e a quella calvinista
ginevrina si aggiungesse ora la scomunica luterana). Il B. rimase tuttavia
nella città fino almeno all'aprile 1590. Durante l'anno e mezzo ivi trascorso
lavorò alle opere poi stampate a Francoforte e compose il gruppo di opere
"magiche" stampate postume negli Opera (1891), De magia e Theses de
magia (concernenti la magia naturale), De magia mathematica (parzialmente
tuttora inedita nel "codice di Mosca"), De rerum principiis et
elementis et causis;trattati tutti che tendono a dimostrare la possibilità
dell'utilizzazione pratica delle forze naturali occulte. Il 10 aprile
intervenne a una disputa tenuta dal dottor Heidenreich e il 13 - avendo
riscossi a Wolfenbüttel 50 fiorini assegnatigli dal duca - si accomiatò
dall'università con l'intenzione di passare per Magdeburgo (dove risiedeva W.
Zeileisen, zio del discepolo norimberghese Girolamo Besler, di cui si era
servito come copista) allo scopo di farvi stampare qualcosa di suo in onore del
duca. La partenza fu ritardata fin oltre il 22: ed è probabile che il B. si recasse
direttamente a Francoforte sul Meno (allo scopo di farvi stampare la trilogia
poetica latina, sua opera di maggior rilievo dopo i dialoghi londinesi), dove
giunse al più tardi nel giugno. Il 2 luglio il Senato della città rigettò una
sua richiesta di poter alloggiare presso lo stampatore J. Wechel, il quale
tuttavia gli procurò alloggio presso il convento dei carmelitani. Il B. attese
soprattutto alla pubblicazione dei tre poemi: i Detriplici minimo et mensura...
libri V e il De monade, numero et figura liber unito ai De innumerabilibus,
immenso et infigurabili... libri octo, opere dedicate al duca di Brunswick, per
le quali il B. curò la stampa e intagliò i legni, salvo che per l'ultimo foglio
del De minimo a causa di un repentino allontanamento dalla città (per cui la
dedica relativa fu composta dal Wechel). Stampati con la data del 1591, ilDe
minimo fu posto in vendita nella primavera; il De monade con il De
immenso,nell'autunno. Nei poemi francofortesi - composti alla maniera di
Lucrezio - il B. sviluppa in senso decisamente atomistico la propria concezione
della materia già esposta nei dialoghi londinesi. Nel De minimo sicontiene la
definizione dell'atomo bruniano: pars ultimadella materia, minimum fisico
assoluto, sostrato di tutti i corpi, impenetrabile. La discontinuità degli
atomi lascia aperto il problema dello spazio tramezzante (con tutto che il B.
riconosce l'esigenza di una materia che "agglutina" gli atomi). Se
l'"atomo" è l'elemento materiale insecabile, il "minimo" è
l'essere o la figura minima in un dato genere, mentre la "monade" è
l'unità di un genere determinato: l'atomo, che è di forma sferica, è anche
minimo e monade. Gli atomi sono infiniti essendo infinita la materia. In tale
concezione non v'è posto per una forza esteriore che regoli o determini le
combinazioni materiali. Nel De monade il B. dà una spiegazione aritmologica
delle diverse qualità degli oggetti sensibili, i cui elementi vengono mossi -
come già sostenuto nella Causa rispetto alla materia infinita - da un principio
intrinseco. Così l'atomismo dei poemi francofortesi si riallaccia all'animismo
dei dialoghi londinesi, dei quali il De immenso riprende esplicitamente
l'esposizione cosmologica, con una aderenza a tratti letterale (tanto che il
Fiorentino fu indotto a riportare al periodo inglese l'inizio della
composizione del poema). In quest'ultimo il B. ripercorre il cammino della
propria speculazione, rinnovandone la polemica contro la fisica aristotelica e
ribadendone il superamento intuitivo dell'eliocentrismo copernicano.
Applicato l'ordine di estradizione del Senato francofortese poco prima del 13
febbr. 1591, il B. riparò a Zurigo, dove tenne lezioni di filosofia scolastica
raccolte e pubblicate poi da Raphael Egli (la Summa terminorum metaphysicorum a
Zurigo nel 1595; la Summa con la Praxis descensus seu applicatio entis a
Marburgo nel 1609). Ritornato per breve tempo a Francoforte, il B. pubblicò
presso il Wechel i De imaginum,signorum,et idearum compositione ad omnia
inventionum,dispositionum et memoriae genera libri tres (1591), dedicati a J.
H. Heinzel, patrizio di Augusta da lui conosciuto a Zurigo. Durante il secondo
soggiorno francofortese il B. fu raggiunto da lettere del patrizio veneziano
Giovanni Mocenigo, il quale, letto il De minimo, lo invitava a Venezia affinché
gli "insegnasse l'arte della memoria ed inventiva" (Doc. veneti
VIII). Il B. giunse a Venezia prima della fine d'agosto del 1591. I
motivi soggettivi dell'imprudente rientro in Italia sono stati variamente
definiti: imponderabile è la componente nostalgica, mentre è ormai da escludere
il proposito di una azione di riforma religiosa con l'ausilio delle proprie
nozioni magiche (con tutto che l'accessione del Borbone al trono di Francia e
la presenza del mite Gregorio XIV sul soglio pontificio ravvivavano allora le
speranze conciliatrici in Europa); sul piano contingente, più che
dell'occasionale invito del Mocenigo, va tenuto conto delle aspirazioni
magistrali dal B. non mai dimesse nel corso dei suoi soggiorni francesi,
inglese e tedesco. Infatti, soffermatosi qualche giorno a Venezia "a
camera locanda" (Doc. veneti, VII), il B. proseguì per Padova, dove già si
trovava al principio di settembre e dove si trattenne, con brevi interruzioni,
per almeno tre mesi. Qui impartì lezioni "a certi scolari tedeschi",
tra i quali sarà da includere Girolamo Besler, che era allora procuratore degli
studenti tedeschi (il Besler gli trascrisse, tra il 1º settembre e il 21
ottobre, la Lampas triginta statuarum composta nel 1587, il De vinculis in
genere, abbozzato l'anno precedente, e il non bruniano De sigillis Hermetis,
inedito e smarrito). All'insegnamento patavino vanno riferite le Praelectiones
geometricae e l'Ars deformationum, lezioni, rinvenute solo nel 1962, in cui il
B. illustra geometricamente postulati ed enunciazioni del De minimo. L'attività
del B. a Padova induce a ritenere che, con l'appoggio del Besler, egli mirasse
alla vacante cattedra di matematica, che fu assegnata l'anno seguente a
Galileo. Rivelatosi infruttuoso l'insegnamento padovano, al principio
dell'inverno il B. si trasferì a Venezia, prendendo dimora, almeno dal marzo
1592, in contrada S. Samuele, presso il Mocenigo. Incominciò a frequentare il
"ridotto" Morosini, sul Canal Grande, dove, in un clima di
"civile e libera creanza", si disputava di cose che avevano "per
fine la cognizione della verità" (F. Micanzio, Vita di Paolo Sarpi, Leida
1646). Verso la metà di maggio 1592, nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo,
confidò al domenicano fra' Domenico da Nocera il proprio desiderio di "quetarsi"
e di comporre un libro da offrire al neoeletto Clemente VIII, con lo scopo
ultimo di trasferirsi a Roma, ed ivi "accapare forsi alcuna lettura"
(Doc. veneti, X): programma illusorio, suggeritogli forse dalla politica papale
e dalla contemporanea esperienza di Francesco Patrizi. Il 21 maggio, allo scopo
di far stampare a Francoforte alcune sue opere, inedite e smarrite, "delle
sette arte liberali e sette altre inventive, e dedicar queste... al Papa"
(Doc. veneti, XVII), il B. chiese licenza al Mocenigo. Costui, deluso
dall'insegnamento ricevuto, la notte del 22lo fece arrestare dai suoi e il
giorn 23 presentò una denuncia per eresia (allegando tre libri a stampa del B.
e l'autografo della smarrita operetta "di Dio, per la deduzion di certi
suoi predicati universali", nonché i nomi di due contesti: i librai G. B.
Ciotti e G. Britano) all'inquisitore veneto fra' Gabriele da Saluzzo: la sera
stessa il B. veniva prelevato dagli sbirri e condotto alle carceri di S.
Domenico di Castello. Si apriva così la fase veneta del processo, che si doveva
concludere nove mesi dopo con la sua estradizione a Roma. Gli episodi
principali del processo veneto sono i seguenti: 25 maggio 1592: seconda
denuncia del Mocenigo; 29 maggio: terza denuncia (il B. era complessivamente
accusato di disprezzare le religioni, di non ammettere la "distinzione in
Dio di persone", di avere opinioni blasfeme sul Cristo, di non
credere alla transustanziazione, di sostenere che il mondo è eterno e che vi
sono mondi infiniti, di credere alla metempsicosi, di attendere all'arte
divinatoria e magica, di negare la verginità di Maria, di disprezzare i dottori
della Chiesa, di ritenere che i peccati non vengano puniti, di essere già stato
processato a Roma, di indulgere al peccato della carne); 26maggio:
interrogatorio dei contesti (favorevoli al B.) e primo costituto del B.; 30
maggio: secondo costituto e ulteriore accusa (di aver soggiornato in paesi di
eretici vivendo alla loro maniera); 2, 3 e 4 giugno: interrogatorio sui capi
d'accusa (a proposito dei propri libri il B. dichiarò: "io ho sempre
diffinito filosoficamente e secondo li principii e lume naturale, non avendo
riguardo principal a quel che secondo la fede deve essere tenuto...", Doc.
veneti, XI); 23 giugno: interrogatorio di Andrea Morosini e seconda deposizione
del Ciotti (favorevoli al B.); 30 luglio: ultimo costituto veneto del B.
(ammissione di dubbi marginali già dichiarati e sottomissione al tribunale) e
trasmissione del processo al card. di Santa Severina, inquisitore supremo in
Roma (il quale già prima dell'ultimo costituto interferiva nella causa);
12settembre: richiesta formale di avocazione della causa a Roma; 17 settembre:
consenso del tribunale veneto; 28settembre: trasmissione della richiesta romana
al Collegio presieduto dal doge; 3 ottobre: parere sfavorevole del Collegio
trasmesso al Senato; comunicata a Roma la risposta negativa; 22 dicembre:
rinnovata richiesta al Collegio motivata con precedenti; 9 genn. 1593:
comunicazione a Roma dell'approvazione del Senato.Il 19 febbr. 1593 il B.
usciva dal carcere veneziano e, fatto salpare per Ancona, il giorno 27 faceva
ingresso nel carcere del S . Uffizio di Roma da cui, dopo lungo e intermittente
processo, sarebbe uscito sette anni più tardi per subire l'orrendo
supplizio. Gli episodi noti e salienti del processo romano sono così
riassumibili: estate 1593: nuova grave denuncia da parte di fra' Celestino da
Verona, concarcerato a Venezia (imputazione di aver sostenuto che Cristo peccò
mortalmente, che l'inferno non esiste, che Caino fu migliore di Abele, che Mosè
era un mago e inventò la legge, che i profeti furono uomini astuti e ben
meritarono la morte, che i dogmi della Chiesa sono infondati, che il culto dei
santi è riprovevole, che il breviario è opera indegna; di aver bestemmiato; di
aver intenzioni sovversive ove fosse costretto a rientrare nell'Ordine);
interrogagatorio a Venezia dei contesti fra' Giulio da Salò, Francesco Vaia,
Matteo de Silvestris (attenuazione delle responsabilità bruniane e nuova
accusa: l'avere in spregio le sante reliquie); interrogatorio del conteste
Francesco Graziano (ribadimento della credenza bruniana nella pluralità dei
mondi e nuova accusa: riprovazione del culto delle immagini). Prima della fine
del 1593:otto costituti bruniani (dall'ottavo al quindicesimo dell'intero
processo) e conclusione del processo offensivo. Il B. mantenne la linea
difensiva già adottata a Venezia (attenuò la portata dei dubbi circa la
Trinità, disponendosi ad accettare il dogma; negò le accuse circa l'inferno,
Cristo, i propositi sovversivi, l'ateismo, le manifestazioni blasfeme; precisò
il significato di "magia" con riferimento a Mosè, e la propria
opinione, ritenuta "filosoficamente" e ipoteticamente, circa la
metempsicosi; negò l'opinione attribuitagli circa Caino, e precisò quella
relativa alla pluralità dei mondi; negò le pratiche superstiziose, precisando
il proprio interesse per l'astrologia). Gennaio-marzo 1594: a Venezia, esami
ripetitivi dei testi (Mocenigo, Ciotti, Graziano, De Silvestris): confermate
nel complesso le precedenti deposizioni, solo la sospetta integrità dei testi
poté far differire la conclusione del processo; giugno: supplemento di denuncia
da parte del Mocenigo (accusa di aver irriso il papa nel Cantus circaeus);
estate 1594: sedicesimo costituto (il B. si difese sull'ultima accusa, su
quella relativa ai Magi, e forse anche sull'altra relativa alla verginità di
Maria; sporse denunce contro il Graziano e Francesco Maria Vialardi
concarcerato a Roma); 20 dicembre: il B. presentò una difesa scritta, non pervenutaci.
Il 16 febbraio 1595si stabilì che una lista dei libri bruniani fosse presentata
al papa. Tra il maggio 1594 e i primi del 1595 il B. fu raggiunto nel
carcere da Francesco Pucci, Tommaso Campanella e Cola Antonio Stigliola. Il 18
sett. 1596 la Congregazione stabilì una commissione con lo scopo di censurare
le proposizioni eretiche contenute nei libri. Il 24 marzo 1597 il B. fu
ammonito di abbandonare la sua teoria della pluralità dei mondi; si stabilì
inoltre che egli fosse interrogato stricte (forse con applicazione della
tortura): ciò che avvenne con il diciassettesimo costituto, circa la Trinità e
l'incarnazione (il B. precisò il carattere speculativo dei dubbi passati),
nonché la pluralità dei mondi (che il B. persistette a sostenere). Nel corso
del 1597 ebbe luogo, forse oralmente, la risposta del B. alle censure, otto
delle quali sono rilevabili dal Sommario del processo: "circa rerum
generationem"; circa il principio che a causa infinita debba corrispondere
effetto infinito; circa il rapporto tra anima universale e anima individuale;
circa il principio che nulla si genera e nulla si corrompe; circa il moto della
terra; circa la definizione degli astri come angeli; circa l'attribuzione di
un'anima sensitiva e razionale alla terra; circa l'affermazione che l'anima non
è forma del corpo umano (due altre censure, rilevabili da una lettera di K.
Schopp [Doc. romani, XXX], concernono l'identificazione dello Spirito Santo con
l'animamundi, e la credenza nei preadamiti). Il 18 gennaio del 1599, a istanza
di Roberto Bellarmino, venivano sottoposte al B., per la sua dichiarazione di
abiura, otto proposizioni eretiche (ci è nota la prima, "de haeresi
Novatiana", e la settima, estratta dal De la causa, "ubi tractat an
anima sit in corpore sicut nauta in navi"). Il 15 febbraio (ventesimo
costituto) il B. si dichiarò disposto all'abiura incondizionata; ma il 24agosto
tornò a manifestare esitazioni sulla prima e la settima. Il 9 settembre, in
mancanza della prova giuridica della colpevolezza, i consultori si dichiararono
in favore dell'applicazione della tortura, che tuttavia non fu approvata da
Clemente VIII. Il 10 settembre il B. si dichiarò disposto all'abiura (21º
costituto), ma il 16, con un memoriale al papa, rimetteva in discussione le
proposizioni incriminate. Intanto al S. Uffizio di Vercelli perveniva una terza
delazione (dovuta, sembra, a un reduce dall'Inghilterra) con cui il B. era di
nuovo accusato di irriverenza verso il papa (lo Spaccio) e di aver lasciato
fama di ateo in Inghilterra. Settembre-ottobre 1599: il tribunale ordinò il
termine di quaranta giorni per il riconoscimento degli errori. Il 21 dicembre
(ventiduesimo costituto) il B. rifiutava la ritrattazione: vano fu l'intervento
del generale e del procuratore dei domenicani. Il 20 genn. 1600il papa ordinò
che il B. fosse sentenziato come eretico formale, impenitente e pertinace, e
consegnato al braccio secolare. Un estremo memoriale del B. al pontefice venne
aperto ma non letto dal tribunale. L'8 febbr. 1600 il B. veniva condotto
dal carcere del S. Uffizio al palazzo del cardinale Madruzzi, in piazza Navona,
dove la sentenza gli fu letta pubblicamente. Delle trenta o più imputazioni
contenute nella sentenza, risultano accertate quelle concernenti la
transustanziazione, la verginità di Maria, la vita eretica, lo Spaccio, la
pluralità dei mondi, la metempsicosi, l'anima umana, l'eternità del mondo,
Mosè, le Sacre Scritture, i preadamiti, Cristo, i profeti e gli apostoli.
Riconosciuto "eretico impenitente pertinace ed ostinato" (Doc.
romani, XXVI), il B. era condannato alla degradazione dagli ordini,
all'espulsione dal foro ecclesiastico e a essere consegnato alla corte secolare
per la debita punizione; i suoi libri dovevano essere bruciati in piazza S.
Pietro e le opere tutte incluse nell'Indice. Il B. ascoltò in ginocchio la
sentenza; quindi, levatosi in piedi, esclamò rivolto ai giudici: "Maiori
forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam" (Doc. romani,
XXX). Trasferito al carcere di Tor di Nona, e visitato ancora nei giorni seguenti
da teologi e confortatori, la mattina del giovedì 17 febbraio fu condotto a
Campo di Fiori, dove, "spogliato nudo e legato a un palo, fu bruciato vivo
(Doc. romani, XXIX). La portata speculativa della vicenda bruniana è
implicita nella storia del moderno pensiero europeo; per il lato culturale e
biografico, pur dopo ricerche secolari, quella vicenda è tuttora al vaglio
della filologia contemporanea. Fonti e Bibl.: Per la biografia bruniana
le fonti sono costituite dalle opere e da una serie di documenti coevi.
Edizioni complete delle opere: Iordani Bruni Nolani Opera Latine Conscripta:
Facsimile - Neudruck der Ausgabe von Fiorentino,Tocco und anderen,Neapel und
Florenz,1879-1891. Drei Bände in acht Teilen,Stuttgart-Bad Cannstatt 1962 (da
integrare con le seguenti pubblicazioni: V. P. Zubov, Rukopisnoe nasledie
Džordano Bruno,"MoskovskijKodeks" Gosudarstvennoj Biblioteki SSSR im.
V. I. Lenina, in Zapiski Otdela rukopisej, Moskva 1950, n. II, pp. 164-182; G.
Bruno, Due dialoghi sconosciuti e due dialoghi noti: "Idiota
triumphans", "De somnii interpretatione", "Mordentiu",
"De Mordentii circino", a cura di G. Aquilecchia, Roma 1957, con
Errata-corrige stampate a parte; Id., "Praelectiones geometricae" e
"Ars deformationum": Testi inediti, a cura di G. Aquilecchia, Roma
1964); Le opere italiane di G. B., a cura di P. de Lagarde, Gottinga 1888 (ma
1889), edizione paradiplomatica, per le opere italiane in edizione moderna: G.
Bruno, Candelaio: commedia, a cura di V. Spampanato, Bari 1923; Id., Dialoghi italiani:
"Dialoghi metafisici" e "Dialoghi morali" nuovamente
ristampati con note da G. Gentile, a cura di G. Aquilecchia, Firenze 1958; Id.,
Lacena de le ceneri, a cura di G. Aquilecchia, Torino 1955 (da tenere presente
R. Tissoni, Sulla redazione definitiva della "Cena de le ceneri", in
Giorn. stor. della letter. ital., CXXXVI [1959], pp. 558-563). Pregevoli le
sillogi antologiche in Opere di G. B. e di Tommaso Campanella, a cura di A.
Guzzo e R. Amerio, Milano - Napoli 1956, e in Scritti scelti di G. B. e di T.
Campanella, a cura di L. Firpo, Torino 1968. I documenti coevi in V.
Spampanato, Documenti della vita di G. B., Firenze 1933, suddivisi in sei
sezioni: I. Documenti napoletani, II. Documenti ginevrini, III.Documenti
parigini, IV. Documenti tedeschi, V.Documenti veneti, VI, Documenti romani (da
integrare con O. Elton, Modern Studies,London 1907, p. 334; G. Harvey,
Marginalia, a cura di G. G. Moore Smith, Stratford-upon-Avon 1913, p. 156; Chr.
Sigwart, Kleine Schriften, I, Freiburg i. B. 1899, p. 120; A. Mercati,
Ilsommario del processo di G. B., Città del Vaticano 1942; L. Firpo, Ilprocesso
di G. B., Napoli 1949; F. A. Yates, G. B.: some new documents, in Revue
internationale de philosophie, XVI [1951], 2, pp. 174-199; G. Aquilecchia, Un
autografo sconosciuto di G. B., in Giorn. stor. della letter. ital., CXXXIV
[1957], pp. 333-338; Id., Un nuovo documento del processo di G. B., ibid.,
CXXXVI [1959], pp. 91-96; R. McNulty, B. at Oxford, in Renaissance News,
XIII[1960], pp. 300-305; A. Nowicki, Un autografo inedito di G. B. in Polonia,
in Atti dell'Accademia di scienze morali e politiche... in Napoli, LXXVII
[1967], pp. 262-268; Id., Una poesia "Ad Iordanum: Brunum", in La
Ragione, LII [1970], 4, p. 2; J. Korzan, Praski Kra̢g humanistów wokóù Giordana
Bruna, in Euhemer, LXXI-LXXII [1969], 1-2, pp. 81-93). La biografia più
estesa, sebbene in parte invecchiata, rimane quella di V. Spampanato, Vita di
G. B. con documenti editi e inediti,Messina 1921. Biografie sintetiche recenti
sono dovute a E. Garin, B., Roma-Milano 1966, e a G. Aquilecchia, G. B., Roma
1971, da cui dipende la presente "voce". La bibliografia
bruniana è vastissima: fino al 1950 va fatto riferimento a V. Salvestrini,
Bibliografia di G. B. (1582-1950), a cura di L. Firpo, Firenze 1958: opera
monumentale di inestimabile utilità, aggiornata poi essenzialmente, Quanto ai
titoli, fino ai primi mesi del 1970 con l'appendice bibliografica alla citata
monografia di G. Aquilecchia. A questi due strumenti si fa qui riferimento,
rispettivamente, per opere critiche di tradizionale autorità (F. Tocco, E.
Troilo, G. Gentile, E. Namer, E. Garin, A. Corsano, ecc.), e per studi più
recenti, che propongono un ridimensionamento della problematica bruniana
conforme a diverse metodologie (N. Badaloni, P.-H. Michel, F. A. Yates, A. K.
Gorfunkel', A. Nowicki, F. Papi, ecc.).Guido del Giudice. Giudice. Refs.: Luigi Speranza, "Grice,
del Giudice, e la filosofia greco-romana," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Keywords: l’implicatura di
Giudice, universe finite, infinito, geometrici, alchimisti, matematici –
rinascimento – scintilla d’infinito” -- Refs: Luigi Speranza, “Grice e Giudice:
implicatura e scintilla” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685227726/in/photolist-2mRmv36-2mRfyWo-2mQHwBB-2mQ81kz-2mPyn68-2mPoRfW-2mN35cA-2mLKtaD-2mPu6xB-2mLH24C-2mPYoE5-2mKfivY-2mJqjKS-2mJq2uE-2mGnP2f-E4u3XA-Bq6mau-Bq5PrV
Grice e
Giudice – l’implicatura di Telesio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucera).
Filosofo. Grice: “Riccardo del Giudice is a philosopher; he wrote an essay on
Telesio.” Allievo e collaboratore di Gentile,
si laurea in filosofia, rivelando i suoi vasti e solidi interessi culturali,
che, insieme ad una rara volontà di studio e ad una seria attività politica
formarono il suo principale merito. Apprezzato per le doti oratorie e
l'accuratezza nella scrittura, fu parlamentare di chiara fama nella Camera dei Deputati. Di profonda ed esemplare
preparazione filosofica. Insegna a Roma. Del Giudice Riccardo Lucera (Foggia)
1900 lug. 16 - Roma 1985 feb. 16 Intestazioni: Del Giudice, Riccardo,
filosofo, sindacalista, politico, SIUSA. Iscrittosi al movimento nazionalista mentre
frequenta nell'ateneo romano i corsi di Gentile. Si tessera al Partito
fascista, del quale apprezza l'interesse per le questioni sindacali. E' appunto
nell'organizzazione fascista dei lavoratori, diretta da Rossoni, che muove i
primi passi nella politica militante. Nominato responsabile dei sindacati in
provincia di Foggia, distinguendosi per la dura opposizione nei confronti
dell'apparato del Pnf guidato dal conservatore Giuseppe Caradonna. Espulso dal
partito viene nominato da Rossoni Segretario della Federazione sindacale di
Torino. Passato nella Federazione di Bari si oppone allo
"sbloccamento" dei sindacati. Si occupa di studi sulla legislazione
del lavoro e sul corporativismo, partecipando attivamente alle riunioni del
Consiglio nazionale delle corporazioni e viene nominato Presidente della
Confederazione fascista dei lavoratori del commercio. Dopo una intensa attività
nel settore sindacale - celebri le sue polemiche con Spirito sul rapporto tra
sindacato e corporazione - è nominato Sottosegretario al Ministero
dell'educazione nazionale, allora retto da Giuseppe Bottai. Si occupa
soprattutto di sviluppare i rapporti tra la scuola e il mondo del lavoro,
seguendo le indicazioni contenute nella Carta della scuola di Bottai. Lasciato
il ministero in seguito alla sostituzione del ministro Bottai con Biggini, è
nominato Presidente dell'Ente Nazionale per l'Oganizzazione Scientifica del
lavoro (Enios). Non aderisce alla Rsi e viene arrestato dagl’alleati e inviato
nel campo di concentramento di Padula dove scrive le "Memorie".
Epurato dall'insegnamento universitario, vi ritorna come docente prima di
Diritto della navigazione, poi di Diritto del lavoro, presso l'ateneo
romano. Complessi archivistici prodotti: Del Giudice Riccardo
(fondo) Bibliografia: G. PARLATO, Il sindacalismo fascista. IDalla
"grande crisi" alla caduta del regime, Roma, Bonacci. 1989 G.
PARLATO, Riccardo Del Giudice: dal sindacato al governo, Roma, Fondazione Ugo
Spirito, G. PARLATO, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato,
Bologna, Il Mulino. Wikipedia Ricerca Sindacalismo fascista Lingua Segui
Modifica Ulteriori informazioni La neutralità di questa voce o sezione sugli
argomenti fascismo e politica è stata messa in dubbio. Con sindacalismo
fascista si intende quel settore del sindacalismo improntato sui principi della
dottrina fascista del lavoro. Storia Modifica
Filippo Corridoni con Benito Mussolini durante una manifestazione interventista
del 1915 a Milano. I primordiModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Sindacalismo rivoluzionario. Fontana sulla cui
lapide marmorea era scolpito il discorso che Benito Mussolini pronunciò il 20
marzo 1919 presso lo stabilimento di Dalmine, in occasione dell'autogestione
operaia. Il sindacalismo fascista ha i suoi primordi nel magma del movimentismo
sindacale dei primi due decenni del XX secolo: in particolare esso trova i suoi
riferimenti culturali prima nella componente rivoluzionaria del sindacalismo
socialista, che portò alla dirigenza del partito diversi esponenti e Benito
Mussolini alla direzione dell'Avanti!, poi nelle sezioni più agguerrite del
sindacalismo interventista, in particolare l'attivissima sezione milanese retta
da Filippo Corridoni, nate in seno all'Unione Sindacale Italiana[1]ma da cui
saranno espulse già nel 1915, per incompatibilità con i principi
antimilitaristi e antistatalisti dell'USI[2]. Numerosi, pur con alcuni bassi,
sono gli scioperi, le manifestazioni di piazza, gli scontri ed i comizi cui
parteciparono Mussolini ed i dirigenti del fascismo a fianco, o anche in
qualità stessa, di sindacalisti rivoluzionari.[3] «In Italia non sarà
possibile nessuna forma di sindacalismo fino a quando il Partito Socialistanon
sarà abbattuto.» (Filippo Corridoni a Curzio Malaparte a Milano poco
prima di partire per il Carso, giugno 1915[4]) Un altro forte legame fu, dal
1915-1916 e fino al 1919-1920, quello con la Unione Italiana del Lavoro
(UIL)[5], da essi creata e di ispirazione sindacalista rivoluzionaria, diretta
inizialmente da Edmondo Rossoni.[6] La nuova formazione sindacale, nel fermento
dell'interventismo nei confronti della Grande Guerra, tentò di operare una
prima sintesi all'interno dell'immenso magma rivoluzionario italiano,
combattuto ormai da anni tra le esigenze sociali e quelle nazionaliste del
popolo. In particolare si verificò una congiunzione con le teorie di
imperialismo operaiodi Enrico Corradini (Associazione Nazionalista Italiana) e
lo sviluppo del produttivismo nazionale, grazie anche al Popolo d'Italia di Benito
Mussolini[7], pervenendo all'idea non tanto di negare la lotta di classe per
difendere gli interessi di categoria, quanto di ricomporli tutti all'interno
del comune interesse superiore nazionale. Al suo interno la UIL portava però
già i sintomi di quella che fu una battaglia destinata a concludersi più tardi,
durante il sindacalismo fascista vero e proprio: quella tra la visione di un
sindacalismo legato all'azione politica, appoggiata principalmente da Edmondo
Rossoni, e quella "indipendentista" di Alceste De Ambris.[6][8]
Primo sfogo di queste evoluzioni avvenne il 16 marzo 1919 al Dalmine, dove si
verificò la prima occupazionecon autogestione operaia della storia italiana,
organizzata dai sindacalisti rivoluzionari. Il fatto eclatante che destò scalpore
fu però soprattutto la continuazione della produzione, d'accordo con l'ottica
produttivista che aveva acquisito il movimento: gli operai autorganizzati
continuarono infatti il lavoro, issando sulla fabbrica il tricolore
nazionale.[9][10] Due giorni dopo lo stesso Mussolini fu in visita agli
stabilimenti: «Voi oscuri lavoratori del Dalmine, avete aperto
l'orizzonte. È il lavoro che parla in voi, non il dogma idiota o la chiesa
intollerante, anche se rossa, è il lavoro che ha consacrato nelle trincee il
suo diritto a non essere più fatica, miseria o disperazione, perché deve
diventare gioia, orgoglio, creazione, conquista di uomini liberi nella patria
libera e grande oltre i confini» (Benito Mussolini, Discorso del Dalmine,
20 marzo 1919, in "Tutti i discorsi - anno 1919") In un primo momento
la posizione di De Ambris e della sua UIL fu la più apprezzata da Mussolini,
aprendo nel periodo 1919-1920 una forte convergenza tra i due, con il secondo
che sostenne apertamente la UIL dalle colonne de Il Popolo d'Italia[11] ed il
primo che dette un apporto considerevole al programma dei Fasci Italiani di
Combattimento, costituiti il 23 marzo 1919 e dai quali prenderà spunto il
fascismo durante la fase governativa.[12] Il nucleo iniziale Modifica Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento
in dettaglio: Sansepolcrismoe Squadrismo. Benito Mussolini a Dalmine con
gli operai dello stabilimento autogestito. Dino Grandi. È da questo
connubio che, infatti, si costituisce in maniera strutturata il sindacalismo fascista,
i cui protagonisti, dapprima immersi nei movimenti sindacalisti di varia
estrazione sopra descritti, andarono a creare l'ossatura del nuovo movimento
insieme agli interventisti futuristi, ad Arditi e reduci di guerra,
nazionalisti e squadristi.[12] Fra i maggiori esponenti di questo
"sindacalismo squadrista", che affiancò i sindacalisti
"puri", a cavallo tra gli anni dieci e venti Italo Balbo, Michele
Bianchi, Gino Baroncini ma, soprattutto, Dino Grandi e lo squadrismo bolognese
vicino agli ambienti de "L'Assalto", portatori di uno dei più genuini
tratti del fascismo di sinistra, basato particolarmente (a Bologna) sulle
rivendicazioni contadine, l'allargamento della piccola proprietà agricola ed al
concetto de "la terra a chi la lavora".[13] Alla fine del 1920
l'armonia tra sindacalismo rivoluzionario e fascismo sansepolcrista si spezzò
quando, in conseguenza della grave sconfitta elettorale della fine del 1919,
Mussolini operò la strategia della virata a destra per aprirsi maggiori spazi
politici e, staccandoli dalla UIL, creò i Sindacati economici, che nel gennaio
1922 diventeranno poi la Confederazione nazionale delle corporazioni
sindacalifasciste dirette da Rossoni.[14] La crisi tra i due movimenti si
attuò essenzialmente sul nodo della concezione del rapporto tra economia e
politica. Da una parte il fascismo, che riteneva fondamentale che ogni dinamica
attraverso la nazione sia controllata dallo Stato, dall'altra i sindacalisti
rivoluzionari, che vedevano questa posizione come antitetica ai propri canoni
libertari ed autonomisti[15], concependo la nazione come identità e sostanza
storica di un popolo, ma lo Stato come sistema di potere di una classe
esclusiva.[16] «Il sindacalismo rivoluzionario, portando il suo
contributo decisivo alla determinazione dell'Italia per l'intervento nella
guerra, salvò l'onore dei lavoratori italiani e gettò le premesse in virtù
delle quali l'organizzazione del lavoro è oggi, su piede di uguaglianza con
tutte le altre forze economiche, elemento fondamentale dello Stato Corporativo.
In questo senso soltanto può essere affermata la derivazione del movimento
sindacale fascista dal vecchio sindacalismo rivoluzionario.» (Tullio
Masotti[17]) Rossoni e la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali
fasciste Modifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Confederazione nazionale delle corporazioni
sindacali. Edmondo Rossoni. I quadrumviri e Benito Mussolini(da
sinistra a destra: Emilio De Bono, Michele Bianchi, Mussolini, Cesare Maria De
Vecchi e Italo Balbo). Il primo, il terzo ed il quinto furono sindacalisti. Nel
gennaio 1922 si tenne il I Convegno sindacale di Bologna, in cui si
scontrarono le due visioni principali, già emerse in passato, riguardanti il
grado di dipendenza dei sindacati nei confronti della politica e, in questo
caso, del neocostituito Partito Nazionale Fascista (PNF). Si scontrarono quindi
la visione "autonomista" di Edmondo Rossoni e di Dino Grandi e quella
"politica" di Massimo Rocca e Michele Bianchi, tra le quali sarà
vincente la seconda[18]. A Bologna vennero inoltre affermati i principi
basilari della politica corporativa, con la conferma del superamento della
lotta di classe nei confronti della collaborazione e dell'interesse nazionale
su quello individuale o di settore, e la nascita della Confederazione nazionale
delle corporazioni sindacali[1], una nuova formazione antisocialista ed
anticattolica, costituita nella forma di sindacati autonomi formati da cinque
Corporazioni suddivise per categorie lavorative e non ancora (lo saranno nel
1934) sindacati misti lavoratori-datori di lavoro. Come nel sindacalismo
rivoluzionario, inoltre, le corporazioni dovevano riunire tutte le attività
professionali che identificavano la loro "elevazione morale e economica
(...) con il dovere imprescindibile del cittadino verso la
Nazione".[11] «La nazione, sintesi superiore di tutti i valori
materiali e spirituali della razza, è al di sopra degli individui, dei gruppi e
delle classi. Individui, gruppi e classi sono gli strumenti di cui la nazione
si serve per migliorare le proprie condizioni. Gli interessi individuali e di
gruppo acquistano legittimità a condizione che si realizzino nell'ambito dei
superiori interessi nazionali.» (Articolo 4 della Carta dei principi delle
corporazioni[19]) Sulla Confederazione si svilupparono polemiche anche negli
ambienti del sindacalismo internazionale: la sinistra operaia internazionale,
in sede di Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), contestava il titolo
alla rappresentanza operaia alle corporazioni fasciste e, quindi, la
possibilità di partecipare all'assemblea. La polemica non venne però accettata,
e l'ILO permise alle Corporazioni di partecipare alle sedute senza interruzioni
nel rinnovo del mandato.[20] In sede congressuale Rossoni dichiarò
l'esistenza di una linea di continuità tra il sindacalismo rivoluzionario, il
sindacalismo fascista ed il corporativismo: per il sindacalismo fascista,
infatti, l'ultimo era legato al primo sia per il comune intendimento del
concetto di "rivoluzione" che, al di là dell'aspetto della rivolta
popolare, in ambito lavorativo ritenevano rivestisse il significato di
"sopravvento di superiori capacità produttive"; inoltre, ugualmente,
avevano l'obbiettivo di innalzare il "proletario" (nell'accezione
negativa del termine) al rango di "lavoratore" inserito a pieno
titolo nella vita nazionale.[21] «Il sindacalismo deve essere nazionale
ma non può essere nazionale per metà: esso deve comprendere capitale e lavoro
(...) e sostituire al vecchio termine proletariato, quello di lavoratore ed
all'altro, di padrone, la parola dirigente, che più alta, più intellettuale,
più grande.» (Edmondo Rossoni, 18 gennaio 1926, Congresso dei Sindacati
intellettuali fascisti.[22]) Nei mesi successivi, in concomitanza con il
termine del biennio rosso e l'avanzata dell'offensiva militare del fascismo
imperniata sulle squadre d'azione, ebbe luogo lo sfondamento politico in campo
sindacale, con il passaggio di interi settori operai dalle strutture del
Partito Socialista Italiano e della CGdL al fascismo. Tanto che, nell'estate
del 1922, la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali contava
800.000 iscritti.[23] Ciò evidenziava il successo dei progetti di Rossoni, che
aveva pensato di creare da una parte una base contadina potente ed affidabile
che appoggiasse e facesse da riserva strategica allo squadrismo, dall'altra di
fare del sindacalismo una delle pietre angolari dello Stato fascista.[24]
Con la Marcia su Roma, l'affermazione del sindacalismo fascista fu quasi definitiva[25]
e l'inizio della costruzione del nuovo Stato portò quindi una relativa
tranquillità nell'ambiente del sindacalismo stesso che, con il termine degli
scontri e delle tensioni politiche, poté incentrarsi sul proprio sviluppo
culturale e la propria evoluzione politica.[1] Emondo Rossoni così ne spiega
definizione e scopo principale: «(...) la salvaguardia della salute
spirituale del popolo (...) Sindacato vuol dire: unione di interessi omogenei.
Sindacalismo: azione che deve disciplinare e tutelare gli interessi omogenei
(...) Noi rivendichiamo la concezione italiana del Sindacalismo alle
corporazioni italianissime che sono nate ancor prima che la parola
'sindacalismo' fosse pronunciata.» (Edmondo Rossoni, La Marcia su Roma e
il compito dei sindacati, Napoli, 1922[26]) Caratteristiche principali, che
evidenziavano la differenza del sindacalismo fascista rispetto a quello
socialista, furono anche la mancanza di dogmatismo, teologismo e perseguimento
di finalità remote, come ad esempio il prefiggersi in anticipo un determinato
tipo di obbiettivo finale, come il tipo di economia da instaurare, ma tentando
sempre di adeguarsi alla realtà del mondo.[27] Questo clima non portò
fine al dibattito interno, che anzi aumentò decisamente, tanto che gli stessi
vecchi sindacalisti rivoluzionari come Edmondo Rossoni, Agostino Lanzillo,
Sergio Panunzio e Angelo Oliviero Olivetti, discutevano e si dividevano spesso
e volentieri tra loro.[28] In tutti però[29] un'evoluzione era avvenuta: il
sindacalismo non era più considerato propulsore del libero mercato ma, aderendo
al concetto di nazione come unità organica d'intenti, ritenevano che il
sindacato - come gli imprenditori - dovesse trovare il suo limite nel superiore
interesse della patria, rigettando il concetto di libero mercato stesso e
giungendo al tal punto da definire che "la nazione è il più grande
sindacato".[30] Le prime forti tensioni con i conservatori ed il
padronatoModifica Roberto Farinacci nel 1925. Renato Ricci con la
sua squadra d'azione carrarese impegnata a S. Terenzio nello sgombero delle
macerie del forte di Falconara 1922 Immediatamente dopo l'apice della Marcia su
Roma si accese però lo scontro tra il fascismo di sinistra ed i settori più
conservatori dello Stato. Tra il 1921 ed il 1923 avvennero alcuni episodi
chiave: la creazione dei gruppi di competenza,[31] da parte di Massimo
Rocca, limitanti lo spazio sindacale della Confederazione nazionale delle
corporazioni sindacali[32]; il tentativo di bloccare il corporativismo da parte
di Confindustria e Confagricoltura, contrapposti alla minaccia di Rossoni di
assalti, scontri ed occupazione delle fabbriche da parte dei lavoratori
fascisti[32]; l'appoggio diretto al sindacalismo fascista da parte di tutta la
sinistra fascista nazionale, compresi Michele Bianchi e Roberto Farinacci[33];
il lancio del sindacalismo integrale (1923) da parte di Rossoni, che puntava ad
inglobare nelle corporazioni Confindustria e Confagricoltura (ossia le
rappresentanze sindacali dei datori di lavoro)[34]; la creazione della
Federazione italiana dei sindacati agricoltori (FISA) e della Corporazione
dell'Industria e del Commercio da parte di Rossoni; i primi tentativi di
trasformare le organizzazioni sindacali da associazioni di fatto in organi di
diritto pubblico da parte di Armando Casalini[35]; il patto siglato tra
Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali e Confindustria nel
dicembre del 1923 a Palazzo Chigi, in ottica di limitazione dei conflitti di
classe[13]. «(Sia il Capitale sia il Lavoro, ndr) devono essere disciplinati.
L'appetito all'infinito è malefico e assurdo. Per queste ragioni il
sindacalismo fascista è per la collaborazione (...) ma con gli industriali che
si impuntano e dicono comandiamo noi, occorre lottare decisamente per dare ai
lavoratori il posto degno nella vita della nazione» (Edmondo Rossoni,
adunata al Teatro Regio di Torino, 16 gennaio 1926[36]) In questo periodo di
tensioni tra industriali e sindacati fascisti, difficile per l'attecchimento
della collaborazione di classe vagheggiata dal fascismo per il mondo del
lavoro, assurgono agli onori del sindacalismo fascista le personalità di Mario
Gianpaoli, sindacalista e federale del PNF di Milano, e di Domenico Bagnasco,
segretario dei sindacati fascisti di Torino. Organizzatore e combattente di
piazza, Bagnasco fu deciso a prendere di petto gli industriali, accusando il
padronato di "spietata intransigenza antioperaia". Spesso i
sindacalisti fascisti di questo periodo pagarono con la fine della propria
carriera politica l'attivismo sfrenato, a causa di un fascismo ancora non
abbastanza forte da poter far fronte ad uno scontro con la grande industria,
appoggiata dai molti uomini del precedente regime ancora posizionati nelle
istituzioni dello Stato. Essi ebbero però il merito di infondere risolutezza in
molti sindacalisti di periferia.[37] La seconda fase del sindacalismo
fascistaModifica Monumento a Luigi Razza. Enrico Corradini. Si
entra quindi in quella che viene chiamata "la seconda fase del
sindacalismo fascista"[38], durante la quale il sindacalismo e tutte le
componenti della sinistra fascista tornarono all'attivismo ed alla tensione del
periodo rivoluzionario. Sergio Panunzio ricominciò a tuonare a favore della
ripresa dell'anima rivoluzionaria del fascismo e del recupero del programma del
'19[39], esprimendosi per la creazione di una Camera sindacale e del lavoro e
di un Senato politico.[40] Nel febbraio 1924 cadde la Confagricoltura,
inglobata dalla fascista Federazione italiana sindacati agricoli, riunendo in
un'unica corporazione i lavoratori con i grandi e piccoli proprietari
agricoli.[34] Il nuovo spostamento a sinistra dello schieramento
fascista, questa volta apertamente appoggiato da Mussolini stesso, portò ad un
conseguente irrigidimento degli industriali sulle tradizionali posizioni
reazionarie, decretando l'inizio di un'escalation. Si verificò quindi anche la
ripresa militante dello squadrismo in appoggio all'azione sindacale fascista,
dando luogo ad un'ondata di scioperi su tutto il territorio nazionale, i più
infuocati dei quali in Valdarno, Lunigiana e ad Orbetello. In Valdarno lo
sciopero venne organizzato dal dirigente Bramante Cucini, seguace di Sergio
Panunzio, e finanziato direttamente dai Comuni amministrati dal Partito
Nazionale Fascistae da uno stanziamento apposito del Direttorio generale del
PNF, con la pubblica approvazione di Mussolini.[41] Al termine dello sciopero
si ebbe perfino la nomina statale di una commissione straordinaria di
lavoratori per gestire le miniere, destando comprensibile spavento tra il
padronato.[42] Nel novembre del 1924 si tenne a Roma il II Congresso
nazionale delle corporazioni. Qui venne messa momentaneamente da parte la
strada della collaborazione di classe, per riprendere quella della lotta in
difesa dell'unità dei lavoratori e dell'istituzionalizzazione delle
corporazioni, quest'ultimo aspetto chiesto a gran voce durante tutto il
congresso dalla maggioranza degli esponenti, soprattutto quelli rappresentanti
i sindacati agricoli provinciali, come Mario Racheli.[32] «Nei riflessi
della politica economica non v'è chi non afferri l'utilità nazionale di rendere
responsabili le organizzazioni sindacali e di creare discipline contrattuali
garantite dalla legge.» (Edmondo Rossoni, intervento al II Congresso
nazionale delle corporazioni.[43]) In questo quadro ha luogo, come in altri
casi era avvenuto, un'avversione crescente nei confronti dell'inerzia e
dell'inattivismo di Mussolini verso la situazione generale, legato alla fase ed
alle operazioni di consolidamento del potere del fascismo all'interno della
formazione statale. Ciò generò, in diversi casi, il concepimento e la presa di
decisioni autonome da parte dei capisquadra, dei leader sindacali e dell'ala
movimentista[44][45] e la messa in evidenza della natura anticapitalista che permeava
il fascismo provinciale nei confronti di quello cittadino, dove il movimentismo
si scontrava coi circoli conservatori. Questa natura emerse visibilmente e
prepotentemente con lo sciopero carrarese organizzato da Renato Ricci, capo
delle squadre d'azione della Lunigiana. In tale frangente lo sciopero fascista
(autunno-inverno del 1924) portò ad una radicalizzazione estrema dello scontro
con "i baroni del marmo", imperanti nel carrarese, da portare
all'occupazione ed all'autogestione delle cave e delle industrie di
lavorazione, ma soprattutto (dato che lo sciopero non si risolse con una vera e
propria vittoria) a divenire una delle cause fondamentali della nascita di una
corrente di dissidenti all'interno del fascismo "ufficiale".[46][47]
Il 3 gennaio 1925 ha luogo il discorso alla Camera con cui Mussolini si prende
carico della responsabilità politica della vicenda Matteotti. L'8 gennaio
il Direttorio delle corporazioni e quello del Partito Nazionale Fascista si
riuniscono congiuntamente studiando una serie di problemi da risolvere per
valorizzare il ruolo delle classi lavoratrici ed il loro inserimento a pieno
titolo nella vita nazionale, producendo poi un ordine del giorno in cui si
autorizzavano i sindacati fascisti a ricorrere alla "lotta economica"
contro industriali e capitalisti, rei di "colpevole incomprensione"
dei fini e della prospettiva sociale e nazionale del fascismo. Ciò determina,
insieme all'entusiasmo per l'intransigenza insita nel discorso di Mussolini,
l'instaurazione di un clima da "seconda ondata", rimettendo
nuovamente in moto la rivoluzione da sinistra e accendendo nuovamente
l'entusiasmo del fascismo movimentista.[32] Nel marzo del 1925 avviene
quindi l'ultima grande azione di forza della Confederazione nazionale delle
corporazioni sindacali, che scavalcò le vertenze sindacali in corso tra la O.M.
di Brescia e la FIOMindicendo uno sciopero a sorpresa, scatenato da una serie
di multe e licenziamenti inflitti agli operai fascisti che, per protesta,
abbandonarono i posti di lavoro. Le agitazioni ottennero l'appoggio di Roberto
Farinacci, in quel periodo segretario nazionale del Partito, e, di contrasto,
gli appelli alla moderazione di Mussolini, che consigliò cautela a Rossoni per
non ripetere le vittorie di Pirro degli scioperi valdarnesi e carraresi.[32]Le
agitazioni dei metallurgici riuscirono però ad allargarsi fino a Milano, dove
gli operai socialisti e comunisti vennero invitati ad aderire; le attività di
contestazione cominciarono poi ad interessare anche carovita ed altri argomenti,
estendendosi a tutta la Lombardia ed assumendo, soprattutto con il
sindacalfascista Luigi Razza caratteri indipendenti dal governo e di aperta
minaccia e violenza nei confronti degli industriali, terrorizzati dalla
possibilità di combinazioni politiche unitarie impreviste.[48] Dopo lunghe
trattative le agitazioni rientrarono, decretando un grosso insuccesso per gli
industriali, che dovettero fare buone concessioni, sebbene non totali, agli
operai tramite i sindacati fascisti, e l'emarginazione completa della FIOM, i
cui rappresentati si spostarono in massa nelle Corporazioni.[1] «Per ben
tre anni l'esistenza di un sindacalismo fascista, cioè di un movimento
sindacale guidato da fascisti e orientato verso le idee del fascismo, fu
ostinatamente negata. Ci voleva, per dissuggellare gli occhi dei ciechi
volontari e fanatici, il fatto clamoroso: lo sciopero che mettesse in campo le
forze sindacali del fascismo e che desse in pari tempo allo stesso sindacalismo
fascista una più risoluta nozione della sua forza e delle sue possibilità di
azione.» (Benito Mussolini, Fascismo e sindacalismo, a seguito degli
scioperi metallurgici organizzati dai sindacati fascisti in Nord
Italia[27][49]) Altro commento che rivela il momento infuocato fu quello di
Corradini, sindacalista nazionale: «Il superamento del socialismo, non la
dispersione, non la distruzione dell'opera socialista. Questo è buono
affermare, in occasione dello sciopero dei sindacati fascisti (...) Vi è fra
socialismo e fascismo un nesso storico, oso dire una continuazione storica
(...) Il fascismo supera il socialismo, ma raccoglie i buoni frutti dell'opera
socialista e secondo la sua propria legge, quando occorra, tale opera
continua» (Enrico Corradini, su Il Popolo d'Italia[41]) La trasformazione
in organi di diritto pubblicoModifica Edmondo Rossoni in Piazza del
Popolo (Roma) annuncia la promulgazione della Carta del Lavoro. Ugo
Spirito. La conseguenza principale di questi avvenimenti furono però gli
accordi di Palazzo Vidoni (2 ottobre 1925), in cui venne riconosciuto dalla
Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali e da Confindustria la
reciproca esclusività di rappresentanza di lavoratori e datori di lavoro, con
l'impegno al conseguimento prioritario dell'interesse nazionale.[1] Va
però evidenziata soprattutto la legge del 3 aprile 1926: con questa legge
vennero infatti, tra l'altro, realizzata l'istituzionalizzazione dei sindacati
fascisti e legalizzato il loro monopolio per la rappresentanza dei lavoratori
con la nascita della contrattazione collettiva del lavoro. Ciò andava a
significare che le Corporazioni divennero organi di diritto pubblico
dell'amministrazione statale, con "funzioni di conciliazione, di
coordinamento ed organizzazione della produzione". All'interno di questa
legge era inoltre presente l'articolo 42, che prevedeva una direzione comune
tra le associazioni di categoria delle due parti, contenendo in nuce il
progetto corporativo a sindacato misto che verrà realizzato negli anni
trenta.[50] Dopo questa vittoria, per Rossoni si ebbe la redazione della
Carta del Lavoro (1927), testo fondamentale della politica sociale fascista in
ottica di eliminazione della dicotomia tra le classi sociali[51] ma, dall'anno
successivo, con Farinacci non più alla segreteria nazionale del PNF, ebbero
sfogo gli attacchi alla Conferenza nazionale delle corporazioni sindacali, che
venne smembrata dai circoli conservatori (novembre 1928), capeggiati da
Giuseppe Bottai (sottosegretario al Ministero delle corporazioni) ed Augusto
Turati(nuovo segretario del partito), in sei separate confederazioni di
sindacati, facendo diminuire il potere contrattuale dell'organismo,
disperdendolo in strutture più piccole e limitate.[52] Il secondo
Convegno di Studi sindacali e corporativiModifica Nel periodo che intercorse da
questo momento alla legge del 5 febbraio 1934, istitutiva delle corporazioni,
si ebbe uno blocco totale dell'azione nel settore, in cui intervenne
positivamente soltanto il II Convegno di Studi sindacali e corporativi,
tenutosi a Ferrara nel maggio del 1932, nel quale emerse il concetto di
corporazione proprietaria proposta da Ugo Spirito[53], nei confronti della
quale il sindacalismo fascista si trovò su posizioni contrastanti a causa di un
arroccamento di tipo ideologico: rimasti su posizioni classiste nel passaggio
dal socialismo eterodosso al fascismo, molti degli esponenti pre-rivoluzionari
del sindacalismo fascista (Lanzillo, Giampaoli, Bagnasco, ecc.) videro il
progetto di annullare il sindacalismo nel corporativismo come un progetto reazionario,
rimanendo ancorati alla concezione della lotta di classe come uno scontro
benefico per gli interessi individuali e nazionali.[54] L'incapacità di
accettare la proposta di Spirito da parte dei primi sindacalisti fascisti, ma
anche i "nuovi" come Luigi Razza e Pietro Capoferri, fu dovuta quindi
essenzialmente al rigetto totale della visione statalista che andava formandosi
nel fascismo ed al cui finalismo erano sempre stati avversi: per loro "la
corporazione è il sindacato, e dire Stato corporativo è come dire Stato
sindacale"[54][55] L'esaurimento del sindacalismo fascista nelle
CorporazioniModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Corporativismo. Sede dell'Opera Nazionale Dopolavoro. Nel 1934
viene approvata la creazione dello Stato corporativo che, con le nomine
dall'alto al posto delle cariche elettive e l'abolizione (fino al 1939) del
fiduciario di fabbrica, aveva dato tra l'altro alle corporazioni, divenute veri
e propri sindacati formati dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di
lavoro ed istituzionalizzati nello Stato, la facoltà di stipulare i contratti
collettivi di lavoro.[27][56] In ogni caso il cambiamento di assetto
istituzionale e la rivoluzione nel mondo del lavoro, non pregiudicarono i risultati
effettivi che il sindacalismo fascista aveva ottenuto negli anni. Tra le più
importanti si possono elencare: ferie pagate; indennità di licenziamento;
conservazione del posto in caso di malattia; divieto di licenziamento in caso
di maternità; assegni familiari; diffusione delle casse mutue aziendali;
assistenza sociale dell'Opera Nazionale Dopolavoro(ad es. centri ricreativi,
viaggi collettivi a prezzo simbolico, manifestazioni teatrali, etc).[50] Il 21
aprile 1930 fu Mussolini stesso a rivendicare alle corporazioni la funzione di
esaurire in sé il compito del sindacalismo fascista, superando ed andando oltre
al sindacalismo stesso, inserendosi nel solco della Rivoluzione continua:
«È nella corporazione che il sindacalismo fascista trova infatti la sua meta.
Il sindacalismo, di ogni scuola, ha un decorso che potrebbe dirsi comune, salvo
i metodi: s'incomincia con l'educazione dei singoli alla vita associativa; si
continua con la stipulazione dei contratti collettivi; si attua la solidarietà
assistenziale o mutualistica; si perfeziona l'abilità professionale. Ma mentre
il sindacalismo socialista, per la strada della lotta di classe, sfocia sul
terreno politico, avente a programma finale la soppressione della proprietà
privata e dell'iniziativa individuale, il sindacalismo fascista, attraverso la
collaborazione di classe, sbocca nella corporazione, che tale collaborazione
deve rendere sistematica e armonica, salvaguardando la proprietà, ma elevandola
a funzione sociale, rispettando l'iniziativa individuale, ma nell'ambito della
vita e dell'economia della Nazione. Il sindacalismo non può essere fine a sé
stesso: o si esaurisce nel socialismo politico o nella corporazione fascista. È
solo nella corporazione che si realizza l'unità economica nei suoi diversi elementi:
capitale, lavoro, tecnica; è solo attraverso la corporazione, cioè attraverso
la collaborazione di tutte le forze convergenti a un solo fine, che la vitalità
del sindacalismo è assicurata.» (Benito Mussolini, discorso inaugurale
del Consiglio Nazionale delle corporazioni[57]) Maggiori esponenti ed
ispiratori Modifica
Filippo Corridoni Enrico Corradini Alceste De Ambris Sergio Panunzio Angelo
Oliviero Olivetti Ottavio Dinale Agostino Lanzillo Dino Grandi Luigi Fontanelli
Riccardo Del Giudice Michele Bianchi Gino Baroncini Tullio Cianetti Edmondo
Rossoni Luigi Razza Mario Racheli Domenico Bagnasco Bramante Cucini Pietro
Capoferri Giuseppe Landi Alcide Aimi RivisteModifica La Stirpe Il Lavoro
Fascista (poi organo ufficiale del Partito Fascista Repubblicano) Il Lavoro
d'Italia Cultura Sindacale Rivista del Lavoro L'Idea Sindacalista Il Lavoro I
Problemi del Lavoro NoteModifica ^ a b c d e Francesco Perfetti, Il
sindacalismo fascista. Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo
(1919-1930), vol. 1, Bonacci, Roma, 1988. ^ Breve storia dell'Usi di Ugo Fedeli
^ Ivano Granata, La nascita del sindacato fascista. L'esperienza di Milano, De
Donato, Bari, 1981. ^ Curzio Malaparte e Edda Ronchi Suckert, Malaparte, vol.
1, Ponte delle Grazie, 1991. ^ operante tra il 1918 ed il 1925 e senza legami
con la UIL attuale. ^ a b Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati
fascisti, Roma e Bari, 1974; ristampa Firenze, La Nuova Italia, 1990. ISBN
88-221-0774-8 ^ Nel cui sottotitolo cambiava, in questo periodo, la dicitura da
quotidiano socialista in quotidiano dei produttori ^ Francesco Perfetti, Dal
sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, Bonacci, Roma, 1984. ^ Renzo de
Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, 2005. ^ Filippo Corridoni
(a cura di Andrea Benzi), ...come per andare più avanti ancora - gli scritti,
Milano, Seb, 2001 ^ a b Simonetta Falasca Zamponi, Lo spettacolo del fascismo,
Rubbettino, Roma, 2003. ^ a b Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario,
Torino, Einaudi, 2005. ^ a b Renzo De Felice, Mussolini il fascista, I, La
conquista del potere. 1921-1925, Torino, Einaudi, 2005. ^ Italo Mario Sacco,
Storia del sindacalismo, Torino, 1947. ^ Angelo Olivero Olivetti Dal
sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, op. cit., p. 72-73 ^ Francesco
Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, Roma, Bonacci,
1984. ^ in Corridoni, Casa editrice Carnaro, Milano, 1932, pag. 76 ^ Anche per
via del cambiamento di schieramento di Grandi: Renzo De Felice, Mussolini il
fascista, I, La conquista del potere. 1921-1925, Torino, Einaudi, 2005. ^
Carmen Haider, Capital and Labour under Fascism, Columbia University Press, New
York, 1930. ^ R. Allio, La polemica Joubaux-Rossoni e la rappresentanza delle
corporazioni fasciste nell'ILO, "Storia contemporanea", Bologna,
1973, anno IV, n. 3 ^ Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,
Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale (1870-1925), Feltrinelli,
Milano, 2001 ^ "Il Giornale d'Italia", 19 gennaio 1926; "Il
Mondo", 19 gennaio 1926. ^ Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario,
Torino, Einaudi, 2005. ^ Ferdinando Cordova, Uomini e volti del fascismo,
Bulzoni, Roma, 1980. ^ Ancora forti rimanevano i sindacati socialisti (CGdL) e
comunisti soprattutto tra metallurgici e metalmeccanici del nord-ovest e lo
rimarranno fino allo sciopero fascista della OM di Brescia, espansosi poi in
tutto il nord Italia, del 1925. In Luca Leonello Rimbotti, Il Fascismo di
sinistra, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 1989. ^ Le idee della ricostruzione.
Discorsi sul sindacalismo fascista, Bemporad, Firenze, 1924. ^ a b c Edoardo e
Duilio Susmel, Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze. ^ Giuseppe
Parlato, Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla vigilia dello Stato
corporativo (1930-1943), Bonacci, Roma, 1989. ^ Con l'eccezione di Lanzillo,
che continuò pericolosamente a portare avanti idee liberiste anche durante il
regime. ^ Angelo Oliviero Olivetti, Bolscevismo, comunismo e sindacalismo,
Editrice Rivista Nazionale, Milano, 1919. ^ Deliberazione congiunta del 6
luglio 1922 del PNF e del Gruppo parlamentare del partito ^ a b c d e
Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, 1974. ^
Espressosi esplicitamente, in particolare, nella seduta del Gran Consiglio del
Fascismo del 15 marzo 1923, occupatasi dell'analisi dei problemi sindacali. In
questo ambito Michele Bianchi definì "dittatoriale" la
"procedura introdotta dal sindacalismo fascista", mentre il
sindacalista nazionale Maraviglia ribadì che "la doppia organizzazione,
cioè quella dei datori di lavoro e quella dei lavoratori, allontana ogni
pericolo che anche il Fascismo, per le pressioni e l'influenza delle
organizzazioni sindacali, possa diventare un partito di classe". In
Claudio Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, Milano, 1972. ^ a b
Francesca Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti, Firenze, 2000. ^ Luca
Leonello Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Edizioni Settimo Sigillo, Roma,
1989 ^ Corriere della Sera, 18 gennaio 1926 ^ AA. VV., Uomini e volti del
fascismo, Bulzoni, Roma, 1980. ^ "(...) contrassegnata da un parziale
ritorno alla teoria e alla pratica del conflitto di classe", in Adrian
Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Laterza,
Bari, 1974 ^ "Il fascismo è una dottrina, una fede, una civiltà nuova.
Riemerge ora l'anima rivoluzionaria del Fascismo. Il Fascismo deve
immediatamente tornare, non per opportunismo, ma per necessità storica, al
programma del '19 (...) L'anima del Fascismo è, ricordiamolo sempre, il Sindacalismo
Nazionale, la cui formula Mussolini lanciò prima del 1918, prima di Vittorio
Veneto". In Sergio Panunzio, La méta del Fascismo, in Il Popolo d'Italia,
22 giugno 1924 ^ Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma,
1953. ^ a b Claudio Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, Milano,
1972. ^ Il Mondo, 1924 ^ Rossoni stava, nel suo intervento, illustrando le
future battaglie del sindacalismo fascista sui contratti collettivi di lavoro.
In Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, 1974. ^
"In questo periodo - fine '24 - continuarono ad affiorare, in seno al
sindacalismo fascista, tendenze centrifughe verso Mussolini e il partito, la
cui sorte pareva a molti gravemente compromessa" in Alberto Acquarone, La
politica sindacale del fascismo ^ Alberto Aquarone e Maurizio Vernassa, Il
regime fascista, Il Mulino, Bologna, 1974. ^ Che rientrò poi in breve tempo
nell'alveo della sinistra fascista ufficiale. ^ Sandro Setta, Renato Ricci:
dallo squadrismo alla Repubblica sociale italiana, Il Mulino, 1986. ^ Bruno
Uva, La nascita dello stato corporativo e sindacale fascista, Carucci,
Assisi-Roma, 1974. ^ Gerarchia n° 5, maggio 1925 ^ a b Alberto Acquarone,
L'organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino, 1965. ^ R. Arata,
Decennale della Carta del Lavoro - Sul piano dell'Impero, su
"L'Italia", Milano, 21 aprile 1937 ^ Renzo De Felice, Mussolini il
fascista. Vol. 2: L'organizzazione dello Stato fascista (1925-1929), Einaudi,
2008. ^ Ugo Spirito, Memorie di un incosciente, Rusconi, Milano, 1977. ^ a b
Silvio Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra - La dottrina corporativa di
Ugo Spirito, Firenze, in Belfagor, anno XXVI, 1971 ^ Giuseppe Parlato, Ugo
Spirito e il sindacalismo fascista, in AA. VV., Il pensiero di Ugo Spirito,
vol. 1, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1988. ^ Luca Leonello
Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 1989. ^
Edoardo e Duilio Susmel Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze.
BibliografiaModifica Testi in lingua italianaModifica AA. VV., Uomini e volti
del fascismo, Bulzoni, Roma, 1980. Critica Fascista, antologia a cura di De
Rosa e Malgeri, Landi, San Giovanni Valdarno, 1980. Alberto Aquarone, La
politica sindacale del fascismo. Alberto Aquarone e Maurizio Vernassa (a cura
di), Il regime fascista, Il Mulino, Bologna, 1974. Alberto Aquarone,
L'organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino, 1965. R. Allio, La
polemica Joubaux-Rossoni e la rappresentanza delle Corporazioni fasciste
nell'ILO, "Storia contemporanea", Bologna, 1973. Annali della
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Marginalismo e socialismo nell'Italia
liberale (1870-1925), Feltrinelli, Milano, 2001. Giorgio Bocca, Mussolini
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ISBN 88-221-0774-8 Renzo De Felice, Mussolini il fascista. Vol. 1: La conquista
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2005. Renzo De Felice, Autobiografia del fascismo. Antologia di testi fascisti,
1919-1945, Bergamo, Minerva italica, 1978. Emilio Gentile, Le origini
dell'ideologia fascista, Laterza, Bari. 1975. Ivano Granata, La nascita del
sindacato fascista. L'esperienza di Milano, De Donato, Bari, 1981. Silvio
Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra - La dottrina corporativa di Ugo
Spirito, Firenze, in Belfagor, anno XXVI, 1971. Adrian Lyttelton, La conquista
del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Laterza, Bari, 1974. Giuseppe
Parlato, La sinistra fascista: storia di un progetto mancato, Il Mulino, 2008.
Giuseppe Parlato, Ugo Spirito e il sindacalismo fascista, in AA. VV., Il
pensiero di Ugo Spirito, vol. 1, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma,
1988. Giuseppe Parlato, Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla
caduta del regime (1930-1943), vol. 2, Bonacci, Roma, 1989. Francesco Perfetti,
Il sindacalismo fascista. Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo
(1919-1930), vol. 1, Bonacci, Roma, 1988. Francesco Perfetti, Dal sindacalismo
rivoluzionario al corporativismo, Bonacci, Roma, 1984. Italo Mario Sacco,
Storia del sindacalismo, Torino, 1947. Gaetano Salvemini, Scritti sul fascismo,
Vol. 3, Feltrinelli, 1961. Claudio Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista,
Mursia, Milano, 1972. Sandro Setta, Renato Ricci: dallo squadrismo alla
Repubblica sociale italiana, Il Mulino, 1986. Edoardo e Duilio Susmel, Opera
Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze. Francesca Tacchi, Storia
illustrata del fascismo, Giunti, Firenze, 2000. Attilio Tamaro, Venti anni di
storia, Editrice Tiber, Roma, 1953. Simonetta Falasca Zamponi, Lo spettacolo
del fascismo, Rubbettino, Roma, 2003. Testi in lingua stranieraModifica (EN)
Carmen Haider, Capital and Labour under Fascism, Columbia University Press, New
York, 1930. (EN) G. Lowell Field, The Syndacal and Corporative Institutions of
Italian Fascism, Columbia University Press, New York, 1938. (EN) David D.
Roberts, The Syndacalist Tradition and Italian Fascism, University of North
Carolina Press, Chapel Hill, 1979. Voci correlateModifica Camera dei fasci e
delle corporazioni Carta del Lavoro Corporativismo Corporazione proprietaria
Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali Collaborazione di classe
Fasci Italiani di Combattimento Interventismo Leggi fascistissime Politica
economica fascista Politica sociale (fascismo) Dalmine Rivoluzione fascista
Squadrismo Sindacalismo rivoluzionario Sindacato fascista dei giornalisti
Controllo di autoritàThesaurusBNCF 36490 Portale Fascismo
Portale Politica Portale Storia d'Italia Ultima modifica 2
mesi fa di Tytire PAGINE CORRELATE Edmondo Rossoni sindacalista, giornalista e
politico italiano Angelo Oliviero Olivetti politico, politologo e
giornalista italiano Confederazione nazionale delle corporazioni
sindacali WikipediaRiccardo Del Giudice. Giudice. Keywords: l’implicatura di
Telesio, Telesio, polemica con Spirito su la distinzione tra sindacato e
corporazione, le corporazione nell aroma papale, I diritti dello stato
pontificio, il diritto della navegazione, contratto, gentile, la scuola al
lavoro – ‘dottrina e prassi corporativa” -- – la tesi di telesio – consiglio nazionale
delle corporazioni. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giudice: l’implicatura di Telesio” -- The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51755870847/in/dateposted-public/
Grice e
Giudice – corpi ed espressioni – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi
Speranza (Antillo). Filosofo. Grice:
“Giudice has written an essay that poses a conceptual query for Austin’s
conceptual query. It’s “Sull pudore” – “But do we have that in ordinary
language?”” – Grice: “Giudice has also written on more standard forms of
philosophy of language, and Nietzsche.” Dopo aver espletato studi classici si
laurea con la tesi “Ideologia e Sociologia” -- Ricercatore all'Istituto di
Filosofia di Messina. Direttore della collana "Filosofia Teoretica". Altre
saggi: “La Nuova Filosofia, Messina, Sortino “Il discorso filosofico” “Gli echi
del corpo” Verona,Paniere, “Il lessico di Nietzsche” Roma, Armando, Nietzscheana.
Esercizi di lettura, Messina, Alfa, “Il tribunale filosofico” I simboli delle
cose più alte, Fedeltà alla terra, Profili della contemporaneità, Cosenza,
Pellegrini, “Stare insieme” Cosenza, Pellegrini, La filosofia del finito,
Cosenza, Pellegrini, Gl’echi, Cosenza, Pellegrini Editore, Il corpo e l'espressione,
Cosenza, Pellegrini, Scritti di filosofia ed etica, Cosenza, Pellegrini, Emozioni
e cognitività: Un approccio fisiologico, Cosenza, Pellegrini Sul pudore -- Sul
pudore e sull'osceno, Cosenza, Pellegrini Breve documento sulla "nuova
filosofia", Cosenza, Pellegrini, Scritti di filosofia ed etica, Cosenza,
Pellegrini, Su Messina e altri scritti, Cosenza, Pellegrini, Morelli, Puoi
fidarti di te, Milano, Mondadori, Battaglia, Storia e cultura in Popper,
Cosenza, L. Pellegrino, Battaglia, Guicciardini tra scienza etica e politica,
Cosenza, L. Pellegrino,, varie Giovanni
Coglitore, Kant: cristianesimo come impegno morale, in Il contributo, L'Espresso, Studi etno-antropologici e
sociologici,. Fisiologia branca della biologia che studia il
funzionamento degli organismi viventi Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg
Disambiguazione – "Fisiologo" rimanda qui. Se stai cercando l'omonimo
trattato antico, vedi Il Fisiologo. La fisiologia (dal greco φύσις, physis,
'natura', e λόγος, logos, 'discorso', quindi 'studio dei fenomeni naturali') è
la branca della biologia che studia il funzionamento degli organismi
viventi[1], analizzando i principi chimico-fisici del funzionamento degli
esseri viventi, siano essi mono o pluricellulari, animali o vegetali.
L'Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, un'importante prima tappa nello
studio della fisiologia. È detta "condizione fisiologica" lo stato in
cui si verificano le normali funzioni corporee, mentre una condizione
patologica è caratterizzata da anomalie che si traducono in malattie.[2]. Data
l'estensione del campo di studi, la fisiologia si divide, fra gli altri, in
fisiologia animale, fisiologia vegetale, fisiologia cellulare, fisiologia
microbica, batterica e virale.[3] Il Premio Nobel per la Fisiologia o la
Medicina è assegnato dall'Accademia reale svedese delle scienzea coloro che
raggiungono risultati significativi in questa disciplina. StoriaModifica
Claude Bernard e i suoi aiutanti. Olio su tela di Leon-Augus Wellcome. I primi
studi fisiologici risalgono alle antiche civiltà dell'India e all'Egitto,[4][5]
dove venivano condotti insieme agli studi anatomici, senza l'utilizzo della
dissezione o della vivisezione.[6] Lo studio della fisiologia umana come
campo medico risale almeno al 420 a.C. ai tempi di Ippocrate, noto come il
padre della medicina.[7] Ippocrate incorpora questa scienza alla sua teoria
degli umori, che si basa su quattro sostanze fondamentali: terra, acqua, aria e
fuoco; associate ad un corrispondente humor (bile nera, flegma, sangue e bile
gialla, rispettivamente). Ippocrate nota alcune connessioni emotive ai quattro
umori, che Claudio Galeno avrebbe poi ripreso nei suoi studi. Il pensiero
criticodi Aristotele e la sua teoria sulla correlazione tra struttura e
funzione ha segnato l'inizio dello studio della fisiologia nella Grecia antica.
Come Ippocrate, Aristotele riprende la teoria umorale, che per lui consisteva
in quattro qualità primarie: caldo, freddo, umido e secco.[8] Claudio Galeno è
stato il primo ad utilizzare degli esperimenti per sondare le funzioni del
corpo. A differenza di Ippocrate, però, Galeno sostiene che gli squilibri
umorali siano situati in organi specifici, o nell'intero corpo.[9] Galeno ha
poi introdotto la nozione di temperamento: sanguigno corrisponde al sangue; il
flemmatico è legato al catarro; la bile gialla è collegata alla collera; e la
bile nera corrisponde alla malinconia. Galeno afferma che il corpo umano è
composto da tre sistemi collegati: il cervello e i nervi, responsabili dei
pensieri e sensazioni; il cuore e le arterie, che danno la vita; e il fegato
con le vene, che sono collegati alla nutrizione e la crescita.[9] Galeno è
anche il fondatore della fisiologia sperimentale.[10] Per i successivi 1.400
anni, la fisiologia galenica influenza l'intera medicina.[9] Jean Fernel
(1497-1558), un medico francese, ha introdotto per primo il termine
"fisiologia".[11] Nel 1820, il fisiologo francese Henri
Milne-Edwardsintroduce il concetto di divisione fisiologica del lavoro, che ha
permesso di "confrontare e studiare le cose viventi come se fossero
macchine create dall'industria dell'uomo". Ispirato dal lavoro di Adam
Smith, Milne-Edwards ha scritto che il "corpo di tutti gli esseri viventi,
animali o piante, assomiglia ad una fabbrica ... in cui gli organi,
paragonabili ai lavoratori, lavorano incessantemente per produrre i fenomeni
che costituiscono la vita dell'individuo." Negli organismi più differenziati,
il lavoro può essere ripartito tra diversi strumenti o sistemi (chiamati da lui
appareils).[12] Nel 1858, Joseph Lister studia le cause della
coagulazione del sangue e l'infiammazione. Le sue scoperte portano
all'implemento di antisettici in sala operatoria, con conseguente diminuzione
del tasso di mortalità degli interventi chirurgici.[2][13] Nel XIX
secolo, la conoscenza fisiologica ha iniziato a crescere ad un ritmo rapido, in
particolare nel 1838, grazie alla teoria cellulare di Matthias Schleiden e
Theodor Schwann, nella quale si afferma per la prima volta che gli organismi
sono costituiti da unità chiamate celle. Le scoperte di Claude Bernard
(1813-1878) hanno portato al concetto di milieu interieur(ambiente interno),
che sarà poi ripreso e definito "omeostasi" dal fisiologo americano
Walter B. Cannonnel 1929. Con omeostasi, Cannon intendeva "il mantenimento
di stati stazionari nel corpo e i processi fisiologici con cui sono
regolati."[14] In altre parole, la capacità dell'organismo di regolare
l'ambiente interno. Va notato che, William Beaumont è stato il primo americano
ad utilizzare l'applicazione pratica della fisiologia. I fisiologi del
XIX secolo come Michael Foster, Max Verworn, e Alfred Binet, sulla base delle
idee di Haeckel, elaborano il concetto di fisiologia generale, una scienza
unificata che studia le cellule,[15]ribattezzata biologia cellulare nel 900.
Nel XX secolo, i biologi iniziano ad interessarsi agli organismi diversi dagli
esseri umani, e nascono i campi della fisiologia comparata ed
ecofisiologia.[16] Più di recente, la fisiologia evolutiva è diventata un
sotto-disciplina distinta.[17] DescrizioneModifica La fisiologia opera su
diversi livelli, occupandosi sia dei meccanismi di base a livello molecolare
sia di funzioni di cellule e organi, come pure dell'integrazione delle funzioni
d'organo negli organismi complessi. A seconda dell'ambito
specialistico, la fisiologia si avvale delle conoscenze di numerose discipline,
oltre alle già citate chimica e fisica, alcune branche della biologia quali:
biochimica, biologia molecolare, anatomia, citologia e istologia e costituisce
anche la base fondamentale per numerose discipline mediche quali la patologia,
la farmacologia e la tossicologia. Esistono diversi metodi per classificare
la fisiologia[18] In base al taxon: Fisiologia animale: studia i fenomeni
e i meccanismi associati alle funzioni degli animali. Fisiologia vegetale:
studia i fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni dei vegetali.
Fisiologia umana: studia i fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni
degli esseri umani Fisiologia microbica e virale. In base al livello di
organizzazione: Fisiologia cellulare: studia i meccanismi associati al
funzionamento delle cellule e le loro interazioni con l'ambiente. Fisiologia
molecolare: studia i fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni delle
molecole Neurofisiologia: studia il funzionamento del sistema nervoso sia a
livello cellulare che sistemico Fisiologia sistemica Fisiologia ecologica
Fisiologia integrativa In base ai processi che causano variazioni fisiologiche:
Fisiologia ambientale: studia le reazioni e l'adattamento dell'organismo
sottoposto a differenti ambienti (temperatura, altitudine, inquinamento,
ecc..). Fisiologia patologica: studia le modificazioni delle funzioni in
seguito ad una patologia. Fisiologia dello sviluppo: studia i meccanismi e le
fasi che conducono un organismo alla maturità riproduttiva. In base agli
obiettivi finali della ricerca: Fisiologia applicata: studia la capacità umana
d'interagire con l'ambiente esterno. Fisiologia comparata: studia le
somiglianze e le differenze delle diverse specie animali. Fisiologia
dell'esercizio: studia i meccanismi che interessano l'attività motoria e
sportiva e come migliorare le prestazioni con l'allenamento. NoteModifica ^
Prosser, C. Ladd (1991).Comparative Animal Physiology, ambientale Environmental
and Metabolic Animal Physiology(4 ° ed.).Hoboken, NJ: Wiley-Liss.pp. 1-12.ISBN
0-471-85767-X ^ a b ( EN ) Introduction to Physiology: History And Scope, in
Medical News Today. URL consultato il 26 maggio 2017. ^ Hall, John
(2011).Guyton e Hall Manuale di fisiologia medica(12 ° ed.).Philadelphia, Pa .:
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P.M. Principles of Animal Physiology, second edition. Pearson/Benjamin
Cummings. Boston, MA, 2008. Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote
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studia la vita Storia della biologia Equilibrio idro-salino WikipediaSanti
Lo Giudice. Giudice. Keywords: corpi ed espressioni, corpo, espressione,
pudore, osceno, l’osceno nella Roma antica, l’osceno nella italia antica, fisiologia,
fisiologico, natura -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Giudice: corpi ed espressioni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756657916/in/dateposted-public/
Grice e
Giuliano – filosofia italiana – Luigi Speranza – Grice:
“When I think Giuliano, I think Donizetti – and Poliuto’s lions!” -- Flavio
Claudio Giuliano (in latino: Flavius Claudius Iulianus; Costantinopoli),
filosofo. L’ultimo sovrano dichiaratamente pagano, che tenta, senza successo,
di riformare e di restaurare la religione romana dopo che essa era caduta in
decadenza di fronte alla diffusione del cristianesimo. Giuliano. Keywords:
pagano, ennico, prima Roma, terza Roma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Giuliano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/23245055244/in/photolist-2mQzBiv-2mQxzwE-2mQjVch-2mPQGvz-2mPC6Zb-2mN36eA-2mLLZRD-2mLNi1Z-2mLznXk-2mKC3nj-2mKk6t5-2mKgN49-2mJ4GHU-Bq5Z5y-CfbuaM-Bm5FTy-BUPaNy-B24BWv-nup62f-ncSD5f-mMFu8i-mPMvEo-mMFf9t-mMFixn-mMFtDV-mMFsxp-mMH8r5-mMQAmK-mPMhv7-mMFmrM-my8CQ1-mwcBH4-mwc4Gc-mwc6XV-mwcxz4-mwctYM-mwdQhS
Grice e
Giussani – dell’amicizia – il comune,
fraternita, liberazione -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Desio).
Filosofo. Grice: “I like Giussiani; of course at Oxford he would be a no-no,
being a Catholic; but he understands the pragmatics of conversation!” Ricevette
la prima introduzione dalla madre Angelina Gelosa, operaia tessile; il padre
Beniamino, disegnatore e intagliatore, era un socialista. Entra nel
seminario diocesano San Pietro Martire di Seveso dove frequenta i primi quattro
anni di ginnasio. Si trasferì a Venegono Inferiore, nella sede principale del
seminario dove frequenta l'ultimo anno di ginnasio, i tre anni del liceo e dove
svolse i successivi studi di filosofia. Ebbe come docenti, fra gli altri,
Colombo, Corti, Carlo, e Figini. In quella sede conobbe i compagni di studio Manfredini
e Biffi. Si interessò di Leopardi e delle chiese ortodosse. Il 26 maggio
1945 Giussani, ventitreenne, ricevette l'ordinazione sacerdotale dal cardinale
Ildefonso Schuster. Dopo l'ordinazione, rimase nel seminario di Venegono
come insegnante e si specializzò nello studio della teologia orientale (specie
sugli slavofili), della teologia protestante e della motivazione razionale
dell'adesione alla Chiesa. Lascia l'insegnamento in seminario per quello
nelle scuole superiori. Inizia l'insegnamento della religione nelle scuole
superiori a Milano dove fu suo alunno Giorello. Le riunioni di suoi studenti si
tennero con il nome di Gioventù Studentesca (GS), che fonda insieme a Ricci e
che fece parte dell'Azione Cattolica. Inizia anche un'attività
pubblicistica volta a porre attenzione sulla questione educativa. Redasse la
voce "Educazione" per l'Enciclopedia Cattolica. Sotto Colombo continuò gli studi di teologia
protestante per i quali soggiornò per cinque mesi negli Stati Uniti. Ottenne la
cattedra di Introduzione alla Teologia a Milano.:Lo Spirito Santo ha suscitato
nella Chiesa, attraverso di lui, un Movimento, il vostro, che testimoniasse la
bellezza di essere cristiani in un'epoca in cui andava diffondendosi l'opinione
che il cristianesimo fosse qualcosa di faticoso e di opprimente da vivere. Giussani
s'impegnò allora a ridestare nei giovani l'amore verso Cristo "Via, Verità
e Vita", ripetendo che solo Lui è la strada verso la realizzazione dei
desideri più profondi del cuore dell'uomo, e che Cristo non ci salva a dispetto
della nostra umanità, ma attraverso di essa. Il movimento da lui creato prese
il nome di Comunione e Liberazione; ne assunse la guida presiedendone il
consiglio generale. Il Pontificio Consiglio per i Laici riconobbe la
Fraternità di Comunione e Liberazione e Giussani ne guidò la Diaconia
Centrale. Contribuì alla costituzione della Fondazione Banco Alimentare.
Fra le sue numerose opere vi è la trilogia del Per Corso, redatta a partire
dagli appunti delle lezioni di religione che aveva tenuto negli anni cinquanta
al liceo Berchet e in seguito all'Università Cattolica. L'opera, pubblicata in
successive edizioni prima da Jaca e poi da Rizzoli, è composta da “Il senso
religioso, All'origine della pretesa cristiana e Perché la Chiesa. Propone la
concezione della fede e dell'esperienza cristiana come incontro con Cristo
attraverso la Chiesa cattolica. La fede è un «riconoscere una Presenza» ed
occupa ogni singolo spazio della vita individuale (i rapporti umani, l'esperienza
lavorativa, la vita sociale e politica). Da ciò nasce anche una critica alla
ragione illuminista. L'idea della ragione come principale strumento offerto
all'uomo nel rapporto con la realtà e della fede come metodo di conoscenza sono
le premesse metodologiche per un'analisi dell'esperienza religiosa. Dopo
la morte, sono stati dedicati a Giussani: Desio: nel paese natale di
Giussani, la piazza retrostante il municipio e un monumento opera di Cristina
Mariani a Milano: parcoGiussani, in predenza parco Solari Trivolzio: il
piazzale adibito all'accoglienza delle auto dei pellegrini alla chiesa
parrocchiale che ospita le spoglie di San Riccardo Pampuri. Finale Ligure:
l'ultimo tratto del sentiero che porta all'antica chiesa di San Lorenzo di
Varigotti: lì si tennero alcuni dei primi incontri di Comunione e Liberazione,
che ancora si chiamava Gioventù Studentesca Castronno (VA): un largo presso la
rotatoria all'uscita dell'Autostrada dei laghi. Ascoli Piceno: la scuola
primaria e dell'infanzia "Giussani". Portofino: la piazzetta del faro
Kampala (Uganda): la scuola secondaria Giussani Pozzolengo: il parco comunale
adiacente al castello San Leo: un basso-rilievo in bronzo, opera dell'artista
riminese Ceccarellia, sulla facciata del convento di Sant'Igne Rimini: la
rotonda davanti al Palacongressi, nei pressi dell'area della demolita Fiera
dove si sono svolte le prime edizioni del Meeting per l'amicizia fra i popoli Chiavari:
un tratto del lungoporto Verona: i giardini presso ponte Garibaldi a Borgo
Trento Cinisello Balsamo: un largo urbano nei pressi del comune Segrate: il
centro sportivo della frazione di Redecesio Strade comunali sono state
intitolate a don Giussani a Cagliari, Morrovalle, Rapallo, Treviglio, Mestre,
ecc. La maggior parte delle opere deriva dalla trascrizione di dialoghi,
conversazioni e lezioni svolte in pubblico durante raduni, convegni, esercizi
spirituali. I suoi libri sono stati pubblicati dall'editore milanese Jaca. Rizzoli
ha iniziato a rieditare i testi di Giussani in nuove edizioni aggiornate dotate
spesso di un nuovo apparato di note e di nuovi contenuti editoriali e a volte
con titoli diversi. Rizzoli ha anche pubblicato le opere inedited e volumi
antologici di conversazioni precedentemente disponibili sotto forma di
fascicoli pro manuscripto o di redazionali per varie riviste. Volumi di inediti
o di riedizioni di testi sono poi usciti
anche per altri editori, tra i quali Marietti,
San Paolo, SEI, Piemme e Messaggero di Sant'Antonio. Trascrizioni di conversazioni
e lezioni nel corso di incontri con i responsabili di Comunione e Liberazione,
di esercizi spirituali e di incontri con appartenenti ai Memores Domini sono
state di norma pubblicate come inserti redazionali o allegate come fascicoletti
nelle riviste Tracce (precedentemente nota come CL-Littere Communionis, organo
ufficiale del movimento), Il Sabato e 30 giorni nella Chiesa e nel mondo. Un
gran numero di questi testi è stato poi pubblicato in volumi antologici.
-- è iniziata la catalogazione sistematica dei testi e degli scritti di
Giussani. Giussani Scritti, curato dalla Fraternità di Comunione e Liberazione,
inizia la pubblicazione di schede riassuntive dei testi. Ha diretto la collana
editoriale I libri dello spirito cristiano per la Biblioteca Universale
Rizzoli. La collana e poi sostituita da un'analoga iniziativa sotto il nome di
Biblioteca della spirito cristiano, ha pubblicato titoli scelti fra quelli che
più hanno segnato l'esperienza di Giussani e di Comunione e Liberazione. Ha
diretto la collana discografica Spirto gentil, CD musicali di «introduzione
alla musica» con allegato un booklet di norma contenente una nota introduttiva
di Giussani, una scheda storica sui compositori o sui musicisti e una guida
all'ascolto. Saggi: “Il senso religioso: all'origine della pretesa cristiana,
Perché la Chiesa e Il rischio educativo. “Il senso religioso, Jaca, Reinhold
Niebuhr, Jaca Teologia protestante, La Scuola Cattolica, Jaca Marietti, “L'impegno
del cristiano nel mondo, Jaca, Tracce di esperienza e appunti di metodo
cristiano, Jaca Dalla liturgia vissuta: una testimonianza, Jaca, San Paolo, Il
rischio educativo, Jaca, SEI, Rizzoli, Tracce d'esperienza cristiana, Jaca Decisione
per l'esistenza, Jaca L'alleanza, Jaca Il senso della nascita, colloquio con Testori,
BUR Rizzoli, Moralità: memoria e desiderio, Jaca, Alla ricerca del volto umano,
Jaca Rizzoli, Pregare, illustrazioni di Marina
Molino, Jaca La fede e le sue immagini, illustrazioni di Marina Molino, Jaca La
coscienza religiosa nell'uomo moderno, Jaca, Il senso religioso, PerCorso, Jaca Rizzoli, All'origine
della pretesa Cristiana, Jaca Rizzoli, Perché la Chiesa, Jaca, Rizzoli, Un
avvenimento di vita, cioè una storia, EDITIl Sabato L'avvenimento cristiano,
BUR Rizzoli, Il senso di Dio e l'uomo moderno, BUR Rizzoli, Si può vivere così?,
BUR Rizzoli, Rizzoli Il PerCorso, Jaca, Opere: Jaca Book, Il tempo e il tempio,
BUR Rizzoli, Realtà e giovinezza: la sfida, SEI; Rizzoli, Il cammino al vero è
un'esperienza, SEI, Rizzoli, Le mie letture, Rizzoli, Si può (veramente?!) vivere
così?, BUR Rizzoli, Porta la speranza, Marietti Riconoscere una presenza, San
Paolo, Lettere di fede e di amicizia a Majo, San Paolo, Generare tracce nella
storia del mondo, con Alberto e Prades, Rizzoli, L'uomo e il suo destino,
Marietti Scuola di Religione, SEI, L'io, il potere, le opere, Marietti Tutta la
terra desidera il Tuo volto, San Paolo, Che cos'è l'uomo perché te ne curi?,
San Paolo, Avvenimento di libertà, Marietti L'opera del movimento. La
Fraternità di Comunione e Liberazione, San Paolo, Il miracolo dell'ospitalità,
Piemme,Il Santo Rosario, San Paolo, Egli solo è. Via Crucis, San Paolo, La
libertà di Dio, Marietti, Come si diventa cristiani, Marietti La familiarità
con Cristo, San Paolo, Vivere intensamente il reale, La Scuola,. Spirto gentil,
BUR Rizzoli,. Cristo compagnia di Dio all'uomo, EMessaggero Padova, Collana
Quasi Tischreden "Tu" (o dell'amicizia), BUR Rizzoli, Vivendo nella
carne, BUR Rizzoli, L'attrattiva Gesù, BUR Rizzoli, L'auto-coscienza del cosmo,
BUR Rizzoli, Affezione e dimora, BUR Rizzoli, Dal temperamento un metodo, BUR
Rizzoli, Una presenza che cambia, BUR Rizzoli, Collana L'Equipe Dall'utopia
alla presenza BUR Rizzoli, Certi di
alcune grandi cose, BUR Rizzoli, Uomini senza patria BUR Rizzoli, Qui e ora BUR
Rizzoli, “L'io rinasce in un incontro” BUR Rizzoli, Ciò che abbiamo di più
caro, BUR Rizzoli, Un evento reale nella vita dell'uomo BUR Rizzoli, In cammino
BUR Rizzoli, Collana Cristianesimo alla prova Una strana compagnia, BUR
Rizzoli, La convenienza umana della fede, BUR Rizzoli, La verità nasce dalla
carne, BUR Rizzoli, Un avvenimento nella vita dell'uomo, BUR Rizzoli, Interviste Comunione e Liberazione.
Interviste Robi Ronza, Milano, Jaca Book, Un caffè in compagnia. Conversazioni
sul presente e sul destino, colloqui conFarina, Milano, Rizzoli. Il fondatore: Comunione
e Liberazione. Camisasca "C’altro Sessantotto", da "L'Osservatore
Romano" ORIGINE, in Banco Alimentare, Elemedia S.p.A.Area Internet, Il
mistero di don Giussani. Rivelato dai suoi scritti, su chiesa.espresso.repubblica.
Oggi l'addio a don Giussani Il Tirreno, in ArchivioIl Tirreno. Società Coop.
Edit. Nuovo Mondo Via Porpora, Milano Tracce , «Cristo è veramente tutto, è il
compiersi dell’umano», su tracce. Repubblica » politica » Milano, i funerali di
Don Giussani, su repubblica Milano, profanata la tomba di don Giussani,
Corriere della Sera su corriere. Chiesta l'apertura della causa di
beatificazione e canonizzazione, in Tracce, Società Coop. Edit. Nuovo Mondo, Passo
avanti verso la beatificazione di don Giussani, in Tempi, Società Coop. Edit.
Nuovo Mondo, Savorana, Don Luigi Giussani, fondatore di CL, nominato
monsignore, in Avvenire, Don Giussani: vince il premio della cultura cattolica,
in Adnkronos, Mia giovinezza, in Tracce, Coop. Editoriale Nuovo Mondo, Premio
Isimbardi Città metropolitana di Milano.Tettamanzi, La famiglia a scuola, in
Tracce, Coop. Editoriale Nuovo Mondo, La Festa dello StatutoEdizione Sigilli
longobardi, su Consiglio Regionale della Lombardia. Desio, rinasce il monumento
per don Giussani a dieci anni dalla scomparsa, in Il Cottadino, Il parco Solari sarà dedicato a Giussani, in
Il Giornale, Tornielli, Don Giussani nel solco di San Pampuri, in La Provincia
Pavese, Finale: intitolazione strada a Giussani, in Savona News, Castronno, intitolata a Don Giussani la
nuova rotonda, in Varese News, Emidio Cagnucci, al musicista ascolano
intitolata una scuola, in il Quotidiano,Francesca Nacini, Don Giussani «faro»
di Portofino, in Il Giornale, Uganda. La Luigi Giussani High School inaugurata
a Kampala tra i canti delle donne del Meeting Point, su AVSI, 1Pozzolengo, raid
vandalici nei parchi, in qui Brescia, Un bassorilievo per don Giussani a San Leo,
in Rimini Today, Rotatoria del Palacongressi dedicata a Don Luigi Giussani, in
Altarimini, Chiavari, lungoporto don Giussani per il fondatore di Cl, in Il
Secolo XIX, In Borgo Trento giardini intitolati al fondatore di CL, in Verona
Notte, Melati, Jaca Santa editrice della rivoluzione, in Il Venerdì di
Repubblica, Gruppo Editoriale L'Espresso SpA, Le opere di Comunione e Liberazione. Chi siamo, su Giussani
Scritti, Fraternità di Comunione e Liberazione. Collana I libri dello spirito cristiano, Comunione
e Liberazione. Collana musicale Spirto gentil, di Comunione e Liberazione. Bosco,
Giussani, Torino, Elledici, Guy Bedouelle; Graziano Borgonovo; Olivier Clément;
Antonio Olinto; Julien Ries, Gli uomini vivi si incontrano: scritti per
Giussani, Milanok, Camisasca, Comunione e Liberazione: Le origini Cinisello
Balsamo, Edizioni San Paolo, Massimo Camisasca, Comunione e Liberazione: La
ripresa, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo,Elisa Buzzi, Scola, Un pensiero
sorgivo, Marietti DPerillo, Caro Giussani. Dieci anni di lettere a un padre, Piemme,
Camisasca, Comunione e Liberazione: Il riconoscimento, Appendice, Cinisello
Balsamo, Edizioni San Paolo, Farina, Giussani. Vita di un amico, Piemme, Farina, Maestri. Incontri e dialoghi sul senso
della vita, Piemme, Ceglie, Giussani. Una religione per l'uomo, 1ª ed., Cantagalli,
AGamba, Allargare la ragione, Vita e Pensiero, Massimo Camisasca, Giussani. La
sua esperienza dell'uomo e di Dio,Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo,Savorana,
Vita di don Giussani, Milano, Rizzoli Editore, Savorana, Un'attrattiva che
muove, 1ª ed., Milano, BUR Saggi, Scholz-Zappa, Giussani e Guardini. Una lettura
originale, Milano, Jaca Book, Marta Busani, Gioventù studentesca. Storia di un
movimento cattolico dalla ricostruzione alla contestazione, Roma, Edizioni
Studium, Massimo Camisasca, L'avventura di Gioventù Studentesca, fotografie di
Elio Ciol, Milano, Mondadori Electa, G. Paximadi, E. Prato, R. Roux e A.
Tombolini, Giussani. Il percorso teologico e l'apertura ecumenica, Siena, Cantagalli
Eupress FTL. Scritti di Giussani, su Giussani
Scritti, Fraternità di Comunione e Liberazione. Giussani su Comunione e
Liberazione, Fraternità di Comunione e Liberazione. Luigi Giovanni Giussani. Giussiani.
Keywords: dell’amicizia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giussani” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756555485/in/photolist-2mRxSLV-2mJe9QJ
Grice e
Giusso – gl’eroi – filosofia fascista -- il mistico dell’azione -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I like Giusso: he has explored
philosophers from his country like Leopardi and Bruno, and tdhe whole
‘tradizione ermetica nella filosofia italiana,’ but also French – Bergson – and
especially “Dutch,” i. e. Deutsche or tedesca – Spengler, and Nietsche – All
very Italian!” Nato in una famiglia aristocratica, dal conte Antonio Giusso e
da Maria Imperiali d'Afflitto. La sua maturazione culturale avvenne in un
terreno fertile, costituito da un ambiente familiare che aveva contribuito allo
sviluppo non solo culturale della città (il nonno, Girolamo Giusso, uno dei
fondatori del quartiere Bagnoli, ne era stato sindaco). Si laurea in filosofia
a Napoli sotto Aliotta. Seguì con passione l'attualismo gentiliano e proprio il
suo carattere passionale lo portò anche nel campo filosofico ad un tipo di
critica "scenografica", così come fu definita. Le sue
"frizioni" con Croce, inizialmente orientate su temi politici,
presero più tardi una forma "sotterranea", genericamente orientata
contro l'idealism. Giusso si richiamava al fatalismo di Leopardi, al demiurgo
di Nietzsche, allo storicismo di Dilthey, al nichilismo dello Spengler: e a
causa di quest'ultimo, oltre che per la sua interpretazione della Scienza nuova
vichiana (che si attirò una severa recensione dello stesso Croce, Giusso fu
criticato dall'ambiente crociano. Giusso critico e storico delle idee
s'identificava con la visione della vita di autori che sentiva a lui vicini per
temperamento ed interessi come Bruno, Vico (dall'analisi degli scritti del
quale nacque l'infastidita reazione di Croce), Giacomo, Bacchelli, Barilli,
Papini, Soffici, Palazzeschi, Borgese, Gozzano, che molto ispirò la sua
composizione poetica Don Giovanni ammalato. I suoi Tafferugli a Montecavallo
meriterebbero forse di essere più conosciuti. Tra le due guerre, egli partecipò
all'atmosfera culturale della Napoli segnata dal cenacolo di Croce, da cui
molto presto si distaccò (comeTilgher, che egli difese e mostrò di apprezzare)
assumendo posizioni "eretiche" e ispirandosi piuttosto a un ideale di
vitalismo romantico che risulta evidente dai numerosi autori e dalle molte
opere cui dedicò la sua attenzione: in particolare in una fase iniziale, Spengler
e Nietzsche. Intelligenza precoce, prima
di intraprendere l'insegnamento universitario che lo avrebbe allontanato da
Napoli portandolo ad insegnare Filosofia a Bologna, Pisa, e Cagliari, Giusso
avviò una copiosa pubblicazione di articoli, collaborando con numerosi
quotidiani icome Il Popolo d'Italia, Il Secolo, Il Mattino, Il Resto del
Carlino, ed ancora il Giornale, Il Tempo, Il Messaggero, La Gazzetta di
Sicilia, La Stampa ed altri ancora.
Giornali questi dove fu autore di elzeviri, volti alla diffusione dei
più diversi aspetti della cultura europea e alla conoscenza dei suoi principali
esponenti, soprattutto scrittori. Nel dopoguerra, superati i miti
dell'irrazionalismo e dell'energia vitalistica, si riavvicinò alla fede
Cristiana. Era sua intenzione realizzare una revisione del pensiero italiano
dal Rinascimento all'età barocca, approfondendo in particolare lo studio e
l'interpretazione dell'umanesimo, inteso come vasto tentativo sincretistico
volto a ravvicinare la filosofia della Roma antica e quello cristiano. In chiave revisionista rispetto alla
tradizione laica si era avvicinato anche alla figura di Bruno. Di ritorno da un
viaggio nella sua adorata Spagna morì a A Napoli gli venne intitolata una
strada. Saggi: “Le dittature
democratiche dell'Italia” (Milano, Alpes); “Leopardi” (Napoli, Guida); “Idealismo
e prospettivismo” (Napoli, Guida); “Leopardi e le sue due ideologie” (Firenze,
Sansoni); Spengler, Roma, società anonima La nuova antologia, Cadenze di
Sigismondo nella Torre, Modena, Guanda); “Vico fra l'Umanesimo e l'Occasionalismo”
(Roma, Perrella); “La visione della vita” (Napoli, R. Ricciardi); “Elegie del
torso della saggezza mutilata, Milano, Corbaccio); “Il viandante e le statue:
saggi sulla letteratura contemporanea, Roma, Cremonese); “Lo storicismo, Milano,
Bocca, Gioberti, Milano, A. Garzanti, L'anima e il cosmo, Milano, Bocca, “La tradizione ermetica nella filosofia
italiana” (Milano, Bocca); Due scritti sul nazionalsocialismo, Roma, Settimo
Sigillo, Quaderno, Napoli, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa,.
Tafferugli a Montecavallo, La Finestra, Lavis, Il fascismo e Benedetto Croce, "Gerarchia",
"La Critica", rist. in Nuove
pagine sparse, Panteismo e magia in Bruno (Sassari, Scienze e filosofia in
Bruno, Napoli Roma,Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Corriere della sera, La Fiera letteraria, Giornale di
metafisica, F. Bruno,Italia che scrive, Filiasi Carcano, in Logos, IE. Falqui,
Di noi contemporanei, Firenze 1940, ad indicem; G. Villaroel, Gente di ieri e
di oggi, Bologna, ad indicem; L. Fiumi, Giunta a Parnaso, Bergamo 1954, ad
indicem; G. Artieri, Romantico napoletano, in Il Tempo, R. Maran, L. G. e la
ricerca d'un sistema, in Sophia, A. Spaini, Ricordo di L. G., in Il Messaggero,
1° febbr. 1960; G. Toffanin, Nuova Antologia, Boni Fellini, L'Osservatore politico
letterario, Diz. della letteratura mondiale, Enciclopedia Italiana, Dizionario
biografico degli italiano. L’Illuminismo oscuro Lorenzo Giusso,
autore e studioso multidisciplinare, ha lasciato ai posteri una sterminata
produzione intellettuale, tenuta tuttavia troppo poco in considerazione dal
mondo accademico contemporaneo. Stefano Chemelli 10 articoli
Lorenzo Giusso fu studioso di filosofia. Recinto riduttivo si dirà, ma per lui
invece parco multiforme. Ispanista, germanista, francesista. Nato a Napoli il
25 giugno 1900, allievo di Aliotta e Battaglia è precoce critico letterario, si
laurea nel 1924, ottiene la libera docenza in Filosofia teoretica e morale ma
insegna anche letteratura italiana e francese, storia delle religioni, lingua e
letteratura spagnola in diversificate sedi europee. “Tafferugli a Montecavallo”
pubblicato da Cappelli nel 1955, uno studio sul barocco romano e il Bernini,
“La tradizione ermetica nella filosofia italiana”, le straordinarie
conversazioni radiofoniche di “Autoritratto spagnolo” sono appena un accenno a
una sterminata produzione redatta nel breve arco di cinquantasette anni.
Sodale di Unamuno e Ortega con i quali ha condiviso amabili conversari, Giusso
si è occupato a fondo di Goethe, Leopardi, Stendhal, Nietzsche, Dostoevskij,
Freud, Dilthey, Simmel, Bergson Gioberti, Vico, Bruno. Inoltre fu di Spengler
uno dei primissimi esegeti italiani. Dotato di una conversazione che incantava
anche il grande Edoardo, complice in gustosi siparietti nei quali De Filippo si
trasformava in spettatore, basterebbero le pagine dedicate al Bernini per
intuire la rabdomantica agilità di scrittura sempre corroborata da una cultura
che poteva reggere l’impulso filologico di un Croce. Nel 1927 dona un’analisi
storica poderosa in “Le dittature democratiche dell’Italia”, dal 1876
all’ascesa del fascismo, seguito dalla prima raccolta di scritti letterari che
ne connotano le capacità di “viandante” nei diversi giardini del sapere; “Il
ritorno di Faust” è del 1929, “Figure di Capri” del 1931, a ruota seguono le
pagine sopra Freud, Ortega, Dostoevskij, e soprattutto lo studio su
Leopardi. Copia de "La tradizione ermetica nella filosofia
italiana"Copia de “La tradizione ermetica nella filosofia italiana”
Stendhal e Nietzsche non escludono l’impegno anche poetico che troverà sfogo in
tre raccolte che molto dicono del Giusso più segreto (“Musica in piazza”,
“Cadenze di Sigismondo nella torre”, “Elegie del torso della saggezza
mutilata”). “Spengler e la dottrina degli universali formali” restituisce in
forma autonoma un approfondimento più volte ripreso da Giusso nel decennio dei
trenta che costituisce la decade dell’approfondimento filosofico più intenso
(Dilthey e Ortega tra gli altri…) e preparatorio al grande volume “Filosofia e
immagine cosmica” del 1942 dedicato a Gentile. Due traduzioni spagnole
coinvolgeranno gli studi di Giusso rivolte a Vico ma sarebbe urgente dare
attenzione alla tradizione ermetica, magari per scoprire che Eugenio Garin l’ha
sicuramente letta e ripresa molto più tardi. “Kulturkritiker universale”
lo definì il giovane Piero Buscaroli, allievo devoto a Bologna quando Giusso strabiliava
un manipolo di arditi fuoricorso in Estetica e Letteratura spagnola, che mai
avrebbero rinunciato alle sue esibizioni in diretta presso l’Alma Mater
bolognese, fugacemente ospitati. Un grande romantico della ispecie dei
Kleist, degli Hoederlin, dei Novalis però, poeta dei talami dissacrati che
trova negli articoli, nelle corrispondenze, nei taccuini di viaggio infinite
suggestioni, il tono di un Giusso confidenziale e descrittivo vicino al lettore
non specialista ma disposto a calarsi nell’ambiente e nell’aria, nella luce
chiara e tersa di un respiro curioso sino al dettaglio minuto. Filosofia
ed imagine cosmica (1942)Filosofia ed immagine cosmica (1942) Pubblicati
recentemente i quaderni spagnoli dalla Università Benincasa, sono ancora inedite
le pagine tedesche e austriache, ma esistono anche reportage francesi, nei
quali uomini e cose sbalzano con la modestia e la versatilità del carattere e
la magnificenza della scrittura. La vita di ognuno non elide né la circostanza
né l’astrazione, Giusso è uno dei protagonisti del teatro del mondo che abbiamo
ignorato, noi italiani, lui, molto napoletano, ma già europeo, ben oltre
l’amatissima Spagna. Un europeo immerso nella musica delle lingue (francese,
spagnolo, tedesco…), in Vico e Spengler. Adriano Tilgher, Corrado Alvaro,
Giuseppe Toffanin, furono amici veri, fidati, ammirati di un uomo al quale era
sconosciuta l’invidia e al contrario era profferta a piene mani una generosa e
prodiga liberalità in nome di una poetica propensione al dialogo di un sapere
trasversale, comunicativo e incantato nella magia della parola libera,
circostanziata, esatta. Una studiosa di letteratura italiana ha affermato
che il più bel libro di Giusso è il quaderno spagnolo, ed ha pure aggiunto che
quaderno spagnolo e autoritratto spagnolo coincidono. Alberto Spaini, ma pure
Piero Buscaroli che con Maria Giulia Rispoli del Galdo Giusso sono stati tra i
conoscitori più profondi di Lorenzo Giusso, difficilmente concorderebbero. Le
pagine spagnole, tedesche, austriache servono a entrare nel mondo giussiano,
consentono di accedere a una dimensione della cultura che non conosce
omologazioni di sorta, schieramenti, posizionamenti di rendita. Permettono di
sorridere a fronte di un esteta armato solo di una generosità speciale: cogliendo
l’anima dell’umanità in una minuzia necessaria a ritrovare un sentiero
precario, attraverso il quale condurre a una visione più ampia, senza
dimenticare la poesia della vita. Gioberti come uomo del risorgimento – serie:
Uomini del risorgimento. “U=Il fascismo di Benedetto Croce” Gerarchia – “Croce
contro Croce” – da Critica fascista – “Gentile, mistico dell’azione, tratto da
“Il lavoro d’Italia” – “Gentile, “La Nazione” . GIUSSO, Lorenzo. -
Nacque a Napoli, il 25 giugno 1899, in una famiglia aristocratica, dal conte
Antonio e da Maria Imperiali d'Afflitto. La sua maturazione culturale avvenne
in un terreno fertile, costituito da un ambiente familiare che aveva
contribuito allo sviluppo non solo culturale della città (il nonno, Girolamo
Giusso, ne era stato sindaco). Tra il 1917 e il 1924 gli studi del G.
presso l'Università di Napoli (dove fu allievo, fra gli altri, di A. Aliotta),
coronati dalla laurea in lettere e filosofia, si svilupparono in molteplici
direzioni. Pur destinato a diventare prevalentemente filosofo e storico
della filosofia, i suoi non dilettanteschi interessi spaziarono dalla
letteratura alla musica, dalla pittura alla filosofia, secondo un percorso
eclettico ed estroso, fondato sull'istinto piuttosto che sul metodo, che lo
portò a una conoscenza approfondita ed estesissima nei settori più
diversi. Tra le due guerre, egli partecipò all'atmosfera culturale della
Napoli segnata dal cenacolo di B. Croce, da cui molto presto si distaccò (come
A. Tilgher, che egli mostrò di apprezzare) assumendo posizioni
"eretiche" e ispirandosi piuttosto a un ideale di vitalismo romantico
che risulta evidente dai numerosi autori e dalle molte opere cui dedicò la sua
attenzione: in particolare, in una fase iniziale, O. Spengler e F. Nietzsche.
Intelligenza precoce, prima di intraprendere l'insegnamento universitario, che
lo avrebbe allontanato da Napoli, il G. avviò una copiosa pubblicazione di
articoli, collaborando con numerosi quotidiani italiani come autore di
elzeviri, volti alla diffusione dei più diversi aspetti della cultura europea e
alla conoscenza dei suoi principali esponenti, soprattutto scrittori.
L'attività giornalistica si sviluppò particolarmente negli anni Venti, quando
il G., ancora molto giovane, iniziò a collaborare con L'Idea nazionale, Il
Popolo d'Italia e Il Secolo, quindi con Il Mattino, come critico letterario; fu
poi autore di articoli di viaggio, per il Corriere della sera, e tenne un
"Diario critico" per Il Resto del Carlino, pubblicando nel corso
degli anni sulla terza pagina di molti quotidiani italiani (Il Giornale, Il
Tempo, Il Messaggero, La Gazzetta di Sicilia, La Stampa e altri ancora), anche
se il lavoro propriamente giornalistico rallentò quando prevalse quello
universitario. Nel 1936 ottenne la libera docenza in filosofia teoretica
a Napoli, dove l'anno successivo insegnò filosofia morale; le principali tappe
del suo percorso universitario - molteplice anche per le numerose discipline di
cui si occupò - furono: Cagliari, dove dal 1938 al 1943 insegnò come professore
incaricato, ricoprendo, secondo un percorso abbastanza inconsueto e irregolare,
le cattedre di filosofia teoretica, letteratura italiana e francese, storia
delle religioni; quindi, Bologna, dove, sempre come incaricato, insegnò lingua
e letteratura spagnola, infine Pisa. La carriera universitaria del G. non si
limitò, comunque, all'Italia: insegnò letteratura italiana a Monaco, a Nizza, a
Breslavia, a Debreczen in Ungheria, a Madrid, dove fu "accademico
d'onore", e a Barcellona. Proprio al ritorno da un viaggio in terra
spagnola venne colpito dalla malattia che lo avrebbe condotto alla morte.
Il G. morì a Roma l'11 apr. 1957. Oltre all'attività come giornalista e
saggista, il G. aveva pubblicato anche alcune raccolte di poesie: Musica in
piazza (Napoli 1930) e Don Giovanni ammalato (ibid. 1932), una rifusione,
accresciuta, del primo volume; Cadenze di Sigismondo nella torre, Modena 1939;
e, infine, Elegie del torso della saggezza mutilata, Milano 1941: d'intonazione
prossima ai crepuscolari le prime, percorse dal senso di una discrepanza tra la
piattezza della vita quale ci è data e il desiderio di viverla in modo più
libero e pieno; maggiormente legate all'estetismo dannunziano, e insieme non
dimentiche del clima d'avanguardia in cui era avvenuta la prima formazione del
G., le ultime due. Saggista acuto, ottimo conversatore, spirito brillante
e fortemente antiaccademico, caratterizzato da un sapere enciclopedico, il G.
non si legò ad alcuna scelta politica, non appartenne a nessuna scuola di
pensiero e non ebbe maestri diretti né discepoli. Dal suo asistematico sforzo
di interpretazione della cultura moderna non si può trarre una dottrina
unitaria ma soltanto il profilo di un cammino variegato e intenso, che trae
origine dalla ricerca di una visione totale dell'esistenza nel fondamentale
intento di realizzare un ideale di vita, problema con cui il G. non smise mai
di misurarsi, secondo una prospettiva antirazionalista (e implicitamente
antidealista). Allontanatosi molto presto, come si è detto, dal crocianesimo
imperante nell'ambiente napoletano, il primo interesse del giovane G. fu per i
protagonisti dell'irrazionalismo e del vitalismo eroico, e per il pessimismo
cosmico di G. Leopardi (Il ritorno di Faust, Napoli 1929; Leopardi, Stendhal,
Nietzsche, ibid. 1933; Tre profili: Dostoevskij, Freud, Ortega y Gasset, ibid.
1933; Leopardi e le sue due ideologie, Firenze 1935); in tempi diversi riunì in
raccolte i ritratti degli autori e dei personaggi che più lo avevano
interessato (Il viandante e le statue. Saggi sulla letteratura contemporanea,
s. 1, Milano 1929; s. 2, Roma 1942). Nell'ambito di una ricerca più
propriamente filosofica, i principali autori di riferimento del G. - che
costituirono anche l'oggetto dei suoi studi - furono W. Dilthey (Dilthey e la
filosofia come visione della vita, Napoli 1940; Dilthey, Simmel, Spengler,
Milano 1944); i già ricordati Nietzsche (Nietzsche, Napoli 1936), Spengler
(Spengler e la dottrina degli universali formali, Napoli 1935), e J. Ortega y
Gasset. Il rapporto tra razionalismo e irrazionalismo (e il superamento
della loro opposizione) e quello tra scienza e filosofia e vita sono il tema di
fondo di quella che probabilmente rimane una delle sue opere più significative,
Filosofia ed imagine cosmica (Roma 1940), in cui, in diretto riferimento a G.
Vico (si veda anche: G.B. Vico tra umanesimo e occasionalismo, Roma 1940; La
filosofia di G.B. Vico e l'età barocca, ibid. 1943), egli delinea una
genealogia della filosofia, e in generale dell'attività razionale, a partire dalle
istanze vitali e concrete dell'uomo. In Vico, secondo il G., non c'è una
filosofia intesa come ontologia e come organo di un conoscere razionale perché
i sistemi filosofici riflettono il tentativo di appropriazione verbale del
mondo in rapporto a un'originaria intuizione cosmica, così come le scienze e le
tecniche non procedono da una razionalità astratta ma dai bisogni dell'uomo
sociale, rimandando a un sentimento che è espressione del primitivo legame, non
specificamente conoscitivo, che unisce uomo e mondo. Nel dopoguerra,
approfondendo questa tematica e superati i miti dell'irrazionalismo e
dell'energia vitalistica, il G. si riavvicinò alla fede cristiana; era sua
intenzione realizzare una revisione della storia del pensiero italiano dal Rinascimento
all'età barocca, approfondendo in particolare lo studio e l'interpretazione
dell'umanesimo, inteso come vasto tentativo sincretistico volto a ravvicinare
il pensiero dell'antichità greco-romana e quello cristiano. In chiave
revisionista rispetto alla tradizione laica si era avvicinato anche alla figura
di G. Bruno (Scienza e filosofia in Giordano Bruno, Napoli-Roma 1955).
Tra le opere del G., oltre a quelle già citate, si ricordano: Le dittature
democratiche d'Italia, Milano 1927; Idealismo e prospettivismo, Napoli 1934; Lo
storicismo tedesco: l'anima e il cosmo, Roma 1947; Bergson, Milano 1948;
Vincenzo Gioberti, ibid. 1948; Spagna e antispagna: saggisti e moralisti
spagnoli, Mazara del Vallo 1952; La tradizione ermetica nella filosofia
italiana, Trapani 1955; Tafferugli a Montecavallo, Bologna, 1955; Origene e il
Rinascimento, Roma 1957; postumo: Autoritratto spagnolo, a cura di A. Spaini,
Torino 1959. Fonti e Bibl.: Necr. in Corriere della sera, 12 apr. 1957;
La Fiera letteraria, 21 apr. 1957; Giornale di metafisica, XI (1957), 5, p.
634; F. Bruno, L. G., in Italia che scrive, IV (1934); P. Filiasi Carcano, in
Logos, II (1940); E. Falqui, Di noi contemporanei, Firenze 1940, ad indicem; G.
Villaroel, Gente di ieri e di oggi, Bologna 1954, ad indicem; L. Fiumi, Giunta
a Parnaso, Bergamo 1954, ad indicem; G. Artieri, Romantico napoletano, in Il
Tempo, 11 maggio 1957; R. Maran, L. G. e la ricerca d'un sistema, in Sophia,
XXV (1958), 3-4, pp. 265-267; A. Spaini, Ricordo di L. G., in Il Messaggero, 1°
febbr. 1960; G. Toffanin, G. e Ortega, in Nuova Antologia, ottobre 1960, pp.
262 ss.; P. Boni Fellini, G. dieci anni dopo, in L'Osservatore politico
letterario, giugno 1967; Diz. della letteratura mondiale del '900, sub voce.
Panteismo tipo di teismo Lingua Segui Modifica Il panteismo (πάν (pán) =
tutto e θεός (theós) = Dio, vuol dire letteralmente "Dio è Tutto" e
"Tutto è Dio") è una visione del reale per cui ogni cosa è permeata
da un Dio immanente o per cui l'Universo o la natura sono equivalenti a Dio
(Deus sive Natura). Definizioni più dettagliate tendono ad enfatizzare
l'idea che la legge naturale, l'esistenza e l'universo (la somma di tutto ciò
che è e che sarà) siano rappresentati nel principio teologico di un 'dio'
astratto piuttosto che una o più divinità personificate di qualsiasi tipo.
Questa è la caratteristica chiave che distingue il panteismo dal panenteismo e
dal pandeismo. Ne deriva che molte religioni, pur reclamando elementi
panteistici, sono in realtà per natura più panenteiste e pandeiste. Michael
Levine, nel suo libro Panteismo, lo definisce «una concezione non-teistica
della divinità».[1] In senso lato, con "panteismo" si intende ogni
dottrina filosofica che identifichi Dio con il mondo o con il principio che lo
regge. Per l'esattezza, il concetto di Dio-Uno-Tutto si presenta in due
versioni: quella "cosmistica", la quale afferma "Dio è nel
Tutto", e quella "acosmistica" (il termine è di Hegel), la quale
afferma "Il Tutto è in Dio". Nel primo caso, come nello stoicismo,
Dio impregna e pervade l'universo in ogni sua parte; nel secondo caso, come
nello spinozismo, l'universo in ogni sua parte rifluisce e si scioglie in Dio,
quale Uno-Tutto. Storia del panteismoModifica Il termine
"panteista" (dal quale la parola "panteismo" è derivata) fu
usato propriamente per la prima volta dal filosofo irlandese John Toland nella
sua opera Socinianism Truly Stated, by a pantheist, del 1705. Comunque, il
concetto era stato discusso già al tempo dei filosofi della Grecia antica, da
Talete, Parmenide ed Eraclito. I presupposti ebraici del panteismo possono
essere ricercati nella Torah stessa, nel racconto della Genesi e nei suoi primi
materiali profetici, nei quali chiaramente gli "atti di natura" (come
inondazioni, tempeste, vulcani, etc.) sono tutti identificati come "la
mano di Dio" attraverso idiomi di personificazione, così spiegando gli
aperti riferimenti al concetto, sia nel Nuovo Testamento, che nella letteratura
cabalistica. Nel 1785 sorse una consistente controversia tra Friedrich
Heinrich Jacobi e Moses Mendelssohn, che infine coinvolse molte importanti
persone del tempo. Jacobi affermava che il panteismo di Lessing era
materialistico, per il fatto che considerava tutta la natura e Dio come una
sola sostanza estesa. Per Jacobi, esso non era altro che il risultato della
devozione alla ragione, tipicamente illuminista, che avrebbe condotto
all'ateismo. Mendelssohn espresse il suo disaccordo, asserendo che il panteismo
era teistico. Il Panteismo di EraclitoModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Eraclito. Il panteismo è un
componente della dottrina del filosofo greco Eraclito, secondo cui il divino è
in tutte le cose ed è identico al mondo nella sua interezza. Questa concezione
porta a identificare il divino con l'Universo, facendolo divenire quindi
l'Unità di tutti i contrari, il Fuoco generatore. Il Dio-tutto di
Eraclito ha in sé tutte le cose ed è una realtà eterna. Eraclito sembra rifarsi
alla teoria della cosmologia ciclica, poiché la sua concezione della realtà è
simile a un insieme di fasi alterne: un ciclo distruttivo-produttivo, che verrà
sviluppato in seguito dagli Stoici. Il Panteismo degli StoiciModifica
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Stoicismo. Il panteismo stoico è una delle più
compiute espressioni di esso, dove Dio è la ragione e l'intelligenza che lo
determina e lo permea. Il Dio stoico, quindi, non si identifica con l'universo,
ma lo permea come suo fondamento e ragion d'essere. Il Panteismo di
PlotinoModifica Si è parlato spesso impropriamente di panteismo in Plotino. In
realtà, secondo Plotino, Dio non è solo immanente, ma anche trascendente. Come
ha evidenziato anche Giovanni Reale, l'Uno, il Dio plotiniano, pur permeando di
sé ogni realtà, ne è superiore. Plotino dice infatti chiaramente che l'Uno, «in
quanto principio di tutto, non è il tutto». Con questa affermazione egli sembra
prendere in contropiede, quasi le prevedesse, le interpretazioni
immanentistiche e panteiste del suo pensiero. Il Panteismo di BrunoModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Giordano Bruno.
La visione di Bruno può essere considerata un panteismo del Dio-Infinità ed ha
alcuni caratteri del panpsichismo. Nella filosofia di Giordano Bruno, i cinque
dialoghi del De la causa, principio et uno intendono stabilire i princìpi della
realtà naturale. Forma universale del mondo è l'anima del mondo, la cui
prima e principale facoltà è l'intelletto universale, il quale «empie il tutto,
illumina l'universo e indirizza la natura a produrre le sue specie». La
materia è il secondo principio della natura, dalla quale ogni cosa è formata:
«come nell'arte, variandosi in infinito le forme, è sempre una materia medesima
che persevera sotto quella, come la forma dell'albore è una forma di tronco,
poi di trave, poi di tavolo, poi di sgabello, e così via discorrendo,
tuttavolta l'esser legno sempre persevera; non altrimenti nella natura,
variandosi in infinito e succedendo l'una all'altra le forme, è sempre una
medesma la materia». Discende da questa considerazione l'elemento
fondamentale della filosofia bruniana: tutta la vita è materia, materia
infinita. Nella sua concezione, anche la Terra è dotata di anima. Egli in
De l'infinito, universo e mondi scrive: «Io dico Dio tutto
infinito, perché da sé esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno ed
infinito; e dico Dio totalmente infinito, perché tutto lui è in tutto il mondo,
ed in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinità
dell'universo, la quale è totalmente in tutto, e non in queste parti (se pur,
referendosi all'infinito, possono esser chiamate parti) che noi possiamo
comprendere in quello.» (G. Bruno, Dialoghi metafisici, Firenze, Sansoni
1985, p. 382) Il Panteismo di SpinozaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Baruch Spinozae Monismo panteistico. La tesi
centrale del pensiero di Baruch Spinoza è l'identificazione panteistica o,
meglio, immanentistica di Dio con la Natura (Deus sive Natura) ed in essa
convergono i temi ed i motivi appartenenti alle tradizioni culturali più
disparate, la teologia giudaica, la filosofia ellenistica, la filosofia
neoplatonica-naturalistica del Rinascimento, il razionalismocartesiano ed il
pensiero arabo, ed infine le sfumature di Thomas Hobbes. Spinoza
concepisce un Dio coniugato con l'unità e la necessità e perciò:
«Dio, ossia la sostanza che consta di infiniti attributi, ciascuno dei
quali esprime un'essenza eterna ed infinita, esiste necessariamente. Se lo
neghi, concepisci, se è possibile, che Dio non esista. Dunque (per l'As.7) la
sua essenza non implica l'esistenza. Ma questo (per la Prop.7) è assurdo:
dunque Dio esiste necessariamente.» (B. Spinoza, Etica, Roma, Editori
Riuniti 2004, p.94) Ne consegue la dimostrazione di ciò che Dio è:
«Tutto ciò che è, è in Dio: Dio però non si può dire cosa contingente.
Infatti esiste necessariamente, e non in modo contingente. Inoltre, i modi
della divina natura sono seguiti da essa anche necessariamente e non in modo
contingente e ciò o in quanto si considera la divina natura assolutamente
oppure in quanto la si considera determinata ad agire in un certo modo.
Inoltre, di questi modi Dio è causa non soltanto perché semplicemente esistono
in quanto li si considera determinati a fare qualcosa. Poiché se non sono
determinati da Dio, è impossibile e non contingente che determinino se stessi;
e al contrario se sono determinati da Dio, è impossibile, e non contingente,
che rendano se stessi indeterminati. Per cui tutte le cose sono determinate dalla
necessità della divina natura non soltanto ad esistere, ma anche ad esistere e
agire in un certo modo, e non si dà nulla di contingente.» (B. Spinoza,
Etica, cit., p. 110) Questa concezione fa sì che il Dio di Spinoza (ma non meno
quello degli Stoici), per qualche filosofo contemporaneo, risulti
essenzialmente un impersonale Dio-Necessità, contrapponibile al Dio-Volontà
come persona divina tipica dei monoteismi. DescrizioneModifica Tipi di
panteismoModifica Si possono distinguere tre gruppi di panteisti:
panteismo classico, che si esprime attraverso l'immanente Dio del Giudaismo,
Induismo, Monismo, neopaganesimo e delle dottrine New Age, generalmente
considerando Dio come personificazione o manifestazione cosmica; panteismo
biblico, che è espresso negli scritti della Bibbia; panteismo naturalistico,
basato sulle, relativamente recenti, visioni di Baruch Spinoza (che potrebbe
essere stato influenzato dal panteismo biblico) e John Toland (che coniò il
termine "panteismo"), così come sulle influenze contemporanee. La
maggioranza delle persone che possono identificarsi come "panteiste"
appartengono al tipo classico (come gli Indù, i Sufi, gli Unitaristi, i
neopagani, i seguaci della New Age, etc), mentre molte persone che identificano
se stesse come panteiste (non essendo membri di un'altra religione)
appartengono al tipo naturalista. La divisione tra le tre branche del panteismo
non sono completamente chiare in tutte le situazioni, rimanendo dei punti di
controversia nei circoli panteisti. I panteisti classici generalmente accettano
la dottrina religiosa secondo cui ci sarebbe una base spirituale per tutta la
realtà; mentre i panteisti naturalisti generalmente non concordano, piuttosto
intendendo il mondo in termini più naturalistici. La confusione tra i concetti
di panteismo e ateismo è un problema antico in linguistica. Gli antichi romani
si riferivano ai primi cristiani come atei e le spiegazioni di questo fenomeno
semantico possono variare. Metodi di spiegazioneModifica Una
caratteristica spesso citata del panteismo è che ogni essere umano, essendo
parte dell'universo o della natura, è parte di Dio. Uno dei problemi discussi
dai panteisti è come possa esistere il libero arbitrio in un contesto simile.
In risposta, qualche volta è data la seguente analogia (particolarmente dai
panteisti classici): "stai a Dio come una tua singola cellula sta a
te". L'analogia sostiene anche che, sebbene una cellula possa essere
cosciente del suo ambiente e abbia persino qualche scelta (libero arbitrio) tra
giusto e sbagliato (uccidere un batterio, divenire cancerogena o non fare
semplicemente niente), ha presumibilmente una comprensione limitata dell'essere
più grande, di cui fa parte. Un altro modo di comprendere questo tipo di
relazione è tramite la frase indù tat tvam asi - "quello che sei", in
cui l'anima/essenza umana o Ātmanè intesa medesima di Dio o Brahman. Nel
contesto indù, si crede che il singolo debba essere liberato attraverso
l'illuminazione (moksha), in modo da sperimentare e capire pienamente questa
relazione: la parte diventa non dissimile dal tutto. Non tutti i
panteisti accettano l'idea del libero arbitrio, dato che il determinismo è
largamente diffuso, particolarmente presso i panteisti naturalistici. Sebbene
le interpretazioni individuali del panteismo possano suggerire certe
implicazioni per la natura e l'esistenza del libero arbitrio e/o determinismo,
il panteismo non implica il requisito di credere in entrambi. Comunque, il
problema è largamente discusso ed è presente in molte altre religioni e filosofie.
DibattitoModifica Alcuni sostengono che il panteismo è poco più che una
ridefinizione della parola "Dio" per definire "esistenza",
"vita" o "realtà". Molti panteisti direbbero che, se fosse
così, un tale cambiamento nel modo in cui pensiamo a queste idee servirebbe a
creare una nuova e potenzialmente più perspicace concezione sia dell'esistenza,
che di Dio. Forse il più significativo dibattito all'interno della
comunità panteistica è quello riguardante la natura di Dio. Il panteismo
classico crede in un Dio personale, cosciente e onnisciente e vede questo Dio
come unificante di tutte le vere religioni. Il panteismo naturalistico crede
invece in un Universo non cosciente e non senziente che, sebbene sacro e
meraviglioso, è visto come un Dio in senso non tradizionale e non
personale. I punti di vista compresi all'interno della comunità panteista
sono necessariamente diversi, ma l'idea centrale, che vede l'Universo come
un'unità onnicomprensiva e la sacralità sia della natura che delle sue leggi, è
comune. Alcuni panteisti sostengono, inoltre, un fine comune di natura e uomo,
sebbene altri rifiutino l'idea di un fine e vedano l'esistenza come esistente
di per sé. Concetti panteistici nella religioneModifica InduismoModifica
È generalmente riconosciuto che i testi religiosi indù sono i più antichi
conosciuti in letteratura contenenti idee panteistiche.[2] Nella teologia indù,
Brahman è la realtà infinita, immutabile, immanente e trascendente che è il
Divino Terreno di tutte le cose nell'Universo e che è anche la somma totale di
tutte le cose che sono, sono state e saranno. Questa idea di panteismo è
rintracciabile in alcuni testi più antichi come i Veda e gli Upanishad e nella
più tarda filosofia Advaita. Tutti i Mahāvākya degli Upanishad, in un modo o
nell'altro, sembrano indicare l'unità del modo con Brahman. Chāndogya
Upanishad dice "Tutto in questo Universo in realtà è Brahman; da lui esso
procede; all'interno di lui è dissolto; in lui respira, così lasciate che
ognuno lo adori tranquillamente". Inoltre dice: "Tutto l'Universo è
Brahman, da Brahman a una zolla di terra. Brahman è la causa efficiente e
materiale del mondo. Egli è il vasaio da cui si forma il vaso; egli è la creta
con il quale è fabbricato. Tutto proviene da Lui, senza perdita o diminuzione
della fonte, come la luce irradiata dal sole. Ogni cosa è unita entro Lui
ancora, come le bolle che esplodono si uniscono all'aria, come i fiumi sfociano
negli oceani. Tutto proviene e ritorna a Lui, come la tela di un ragno è
fabbricata e ritratta dal ragno stesso."[3] Negli inni del Rig Veda, una
traccia di pensiero panteista può essere riconosciuta nel libro decimo
(10-121). Questa concezione di Dio lo vede come l'unità, con gli dei
personali e individuali aspetto dell'Unico, sebbene differenti divinità siano
viste da diversi fedeli come particolarmente adatte alle loro preghiere. Come
il sole emana raggi di luce che provengono dalla stessa fonte, lo stesso
avviene dagli sfaccettati aspetti di Dio emanati da Brahman, come più colori
dallo stesso prisma. Il Vedānta, specificatamente l'Advaita, è una branca della
filosofia indù che pone grande accento su questa materia. Molti aderente
vedantici sono monistio "non-dualisti, vedendo le molteplici
manifestazioni di un solo Dio o della fonte dell'essere, una visione che è
spesso considerata dai non induisti come politeista. Il panteismo è la
componente chiave della filosofia Advaita. Altre suddivisione dei Vedanta non
sostengono in maniera peculiare le stesse istanze. Per esempio, la scuola
Dvaita di Madhvacharya ritiene che Brahman sia il Dio esterno personale Vishnu,
laddove invece le scuole Rāmānuja sposano il Panenteismo.
EbraismoModifica Il senso radicalmente immanente del divino nella mistica
ebraica (Kabbalah) si ritiene abbia ispirato la formulazione del panteismo da
parte di Spinoza. Nonostante ciò, la teoria di Spinoza non è stata recepita
dall'Ebraismo ortodosso. D'altro canto, Schopenhauer sosteneva che il panteismo
spinoziano fosse una conseguenza della lettura di Nicolas Malebranche da parte
del filosofo olandese: Malebranche insegna che tutto ciò che osserviamo è in
Dio stesso. Ciò equivale a voler spiegare qualcosa di ignoto mediante qualcosa
di ancor più oscuro. Inoltre, secondo Malebranche noi non solo vediamo tutto in
Dio, ma Dio è anche l'unica attività, sicché le cause fisiche sono mere
occasionalità (Ricerca della verità, Libro VI, seconda parte, cap. 3.). E così
qui rinveniamo essenzialmente il panteismo di Spinoza che pare abbia appreso
più da Malebranche che da Descartes. (Schopenhauer, Parerga e paralipomena,
Vol. I, "Schizzo di una storia della teoria dell'ideale e del
reale"). Inoltre, Israel ben Eliezer, fondatore dello Chassidismo, aveva
un senso mistico del divino che può essere definito come Panenteismo.
Secondo l'ebraismo biblico l'origine dell'Universo si è basata sulla Torah
(legge) della natura. Pertanto la Torah originale non è rinvenibile negli
scritti di Mosè, bensì nella natura stessa. "Interpretare" la Torah
della natura equivale ad "interpretare" la Torah della rivelazione e
teoricamente alla fin fine coincideranno l'una con l'altra [come si dimostra ad
esempio con la scoperta del Big Bang nel 1965]. L'ortodossia rabbinica
considerando questa posizione come una discrepanza, allo scopo di porre la
Torah scritta al di sopra di quella data per prima in natura, ha sostenuto che
la Torah scritta precedette la creazione, infatti a partire dalla Torah scritta
che Dio "ha parlato" nella creazione. Questa posizione non è accolta
dai panteisti biblici. Maimonide, benché Ortodosso, nei suoi scritti
sulla riconciliazione fra le sacre scritture e la scienza, accolse l'opinione
dell'equivalenza fra la Torah della natura e la Torah delle scritture e trovò
la sua logica come inevitabile. Queste tesi, senza dubbio, servirono da sfondo
per lo sviluppo delle teorie di Baruch Spinoza. CristianesimoModifica Vi
è un certo numero di tradizioni minori nell'ambito della storia del
Cristianesimo secondo le quali le origini del loro credo panteistico sono da
rintracciare nel Nuovo Testamento ed in altre correlate tradizioni
ecclesiastiche. La diversità di questo punto di vista è rintracciabile a
partire dai primi Quaccheri sino ai successivi Unitaristi e fino ad arrivare
alle stesse principali denominazioni del cattolicesimo tradizionale e del
protestantesimo liberale. Altre fonti includono la Teologia del
processo, la Spiritualità della Creazione, i Fratelli del libero spirito, altri
ancora ne sostengono la presenza fra gli Gnostici. Tale idea ha avuto, per
qualche tempo, aderenti in vari segmenti del Cristianesimo. Alcuni
Cristiani considerano la Trinità in questo significato: lo Spirito Santo tiene
insieme l'Universo e personifica se stesso come il Padre, che a sua volta
personifica se stesso come il Figlio dentro questo Universo (ciò significa che
il Padre è al di fuori dell'Universo, del Tempo e dello Spazio). Secondo altri,
lo Spirito Santo è consapevole e utilizzabile e per questo è usato da Dio per
benedire la gente con i Doni dello Spirito Santo. Tutti i poteri sovrannaturali
si ritiene che siano possibili anche dal binomio Universo/Spirito Santo.
I panteisti di religione cristiana asseriscono che l'origine del loro credo è
rintracciabile nelle Sacre Scritture, nel Vecchio Testamento come nel Nuovo ed
attenuano le difficoltà che i teologi della Chiesa Apostolica Romana hanno
sempre cercato di "risolvere" nei concili sul tema della Trinità e
della Natura di Cristo come il Verbo (solo il panteismo fornisce una
formulazione per il Cristo come "Verbo" di Dio e per l'unità del Monoteismo).
Il parificare nella Bibbia Dio agli atti della natura e la definizione di Dio
data nello stesso Nuovo Testamento forniscono un persuasivo richiamo verso
questo sistema di credenze. I panteisti cristiani sostengono che la
definizione cattolica di Dio fu pesantemente influenzata da fonti non bibliche,
tra queste in particolar modo il Neo-Platonismo, che consideravano Dio come
qualcosa che "esiste" fuori dalla "esistenza", pertanto la
definizione di "Dio" si riferiva ad un qualcosa "che non
esiste", cioè, ad un Dio non-esistente. È proprio questa basilare
definizione neo-platonica di non-esistenza che i panteisti cristiani ritengono
biasimevole e contraria alle scritture. Agostino rigettò il panteismo per
i seguenti motivi: Ma c'è un motivo che, al di là di ogni passione
polemica, deve indurre uomini intelligenti o comunque siano, perché
all'occorrenza non si richiede un'alta intelligenza, a fare una riflessione. Se
Dio è la mente del mondo e se il mondo è come un corpo a questa mente, sicché è
un solo vivente composto di mente e di corpo ed esso è Dio che contiene in se
stesso tutte le cose come in un grembo della natura; se inoltre dalla sua
anima, da cui ha vita tutto l'universo sensibile, vengono derivate la vita e
l'anima di tutti i viventi secondo le varie specie, non rimane nulla che non
sia parte di Dio. Ma se questa è la loro tesi, tutti possono capire l'empietà e
la irreligiosità che ne conseguono. Qualsiasi cosa si pesti, si pesterebbe una
parte di Dio; nell'uccidere qualsiasi animale, si ucciderebbe una parte di Dio.
Non voglio dir tutte le cose che possono balzare al pensiero. Non è possibile
dirle senza vergogna.[4] come pure: Riguardo allo stesso animale
ragionevole, cioè l'uomo, la cosa più banale è ritenere che una parte divina
prende le botte quando le prende un fanciullo. E soltanto un pazzo può
sopportare che le parti divine divengano dissolute, ingiuste, empie e in
definitiva degne di condanna. Infine perché il dio si arrabbierebbe con coloro
che non lo onorano se sono le sue parti a non onorarlo?[5] Nel Vangelo secondo
Tommaso (considerato apocrifodai Cristiani), Gesù disse: Io sono la Luce:
quella che sta sopra ogni cosa; io sono il Tutto: il Tutto è uscito da me e il
Tutto è ritornato in me. Fendi il legno, e io sono là; solleva la pietra e là
mi troverai.[6] Tuttavia questa è un'affermazione dell'onnipresenza di Dio, non
in senso panteistico, ma in armonia con l'insegnamento che ogni apparenza
fenomenica è riflesso della luce divina. Islam Modifica
Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento religione non cita
le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. La maggioranza dei
Musulmani condanna il concetto di panteismo e lo considera come un insegnamento
non-Islamico. Tuttavia, il Sufismo è ritenuto dai musulmani contenere
insegnamenti panteistici. Il Sufismo può essere suddiviso nelle seguenti
categorie: Sufismo originario - Sincretico: Mescola insieme dottrine e
concetti dell'Islam con credenze e pratiche religiose locali dei paesi
Orientali e Occidentali. Lo si pratica in paesi non-Islamici. Sufismo ḥadīth -
Tradizionale: è l'Islam con un'enfasi sulle forme ortodosse della spiritualità
e del misticismo Islamico. Essenzialmente ortodosso e considerato
prevalentemente come una subcultura nei paesi Islamici. Sunniti o Sciiti.
Sufismo Coranico - Coranico: Si attiene strettamente a quanto scritto nel
Corano compreso il profetismo e non accetta i più recenti ḥadīth come
altrettanto ispirati dalla tradizione. È considerato non-ortodosso o come una
forma di neo-ortodossia ed è praticato soprattutto nell'occidente islamico. Ha
subito influenze dal concetto di riforma e restaurazione del Protestantesimo.
Né il Sunnismoné il Sciismo sono da considerare come forme di ḥadīth. Il
concetto di Panteismo si può rinvenire in ciascuno dei suddetti tipi di
Sufismo, a differenza della maggioranza ortodossa dell'Islam, esso è molto
diverso ed accentua l'esperienza e la conoscenza spirituale personale ed
individuale. Le fonti dell'interpretazione panteistica differirebbero a seconda
della tradizione cui fanno capo. Il Sufismo originario risentirebbe ovviamente
dei testi orientali, il Sufismo ḥadīth sarebbe influenzato dagli studiosi
Islamici del regno del Solimano, il Sufismo Coranico vedrebbe lo stesso Corano
come la continua rivelazione e la personificazione linguistica è interpretata
in modo coerente con i profeti biblici. La maggioranza dei Musulmani Ismailiti
è panteista, o per essere più precisi, Panenteista. Gli scritti di Seth e
il PanteismoModifica Il concetto di Panteismo è parte integrante di molte delle
credenze religiose e delle filosofie della New Age; la sua differenza rispetto
al panenteismo è sostenuta in modo specifico negli scritti di Seth come
presentati dalla medium Jane Roberts (1929-1984). Seth, l'"entità"
cui da voce la Roberts, diceva che Dio è formato di energia mentale, e questa
energia mentale è la sostanza che dà vita a tutti gli esseri e a tutte le cose;
la coscienza di Dio è veicolata da questa energia, per cui la coscienza di Dio
è onnipresente. Seth spesso si riferiva a Dio come a "Tutto ciò che
è" e diceva che "Tutte le facce appartengono a Dio". Seth
descriveva Dio come una forma contenente tutti gli individui al suo interno;
inoltre aggiungeva che Dio si conosce come è, ma anche si conosce come ciascun
individuo. Tuttavia, questo insegnamento ha molto in comune con il correlato
concetto di panenteismo, dato che pone in risalto la personificazione di Dio e
quindi si trasforma in un teismo. Altre religioniModifica Molti elementi
panteistici sono presenti in alcune forme di Buddismo, Neopaganesimo, e
Teosofiainsieme a molte variabili denominazioni. Si veda anche la Neopagana
Gaia e la Church of All Worlds. Molti Universalisti si considerano
panteisti. Il filosofo Paul Carus si definiva "un ateista che ama
Dio". Egli criticò ogni forma di monismo che cercava l'unità del mondo non
nell'unità della verità bensì nella unicità di una logica supposizione di idee.
Carus definiva tali concetti come "henismo". Il Taoismo propugna una
visione panteistica. Il "Tao" potrebbe essere paragonato al
"Deus-sive-Natura" di Spinoza. Concetti connessiModifica
PanenteismoModifica Il Panteismo e il panenteismo presentano aspetti comuni ma
non coincidono: il primo vede l'universo pieno di Dio il secondo lo vede come
parte di Dio. Filosoficamente, però, i due concetti sono ben distinti. Mentre
per il panteismo Dio è sinonimo della natura, per il panenteismo, invece, Dio è
superiore alla natura e la include. È la ragione per cui Hegel definiva quello
spinoziano un panteismo acosmistico (senza mondo). Per alcuni tale
distinzione è inutile, mentre altri la considerano un significativo punto di
divisione. Molte delle maggiori fedi descritte come panteistiche potrebbero
essere descritte anche come panenteistiche, al contrario ciò non è possibile
per il panteismo naturalistico (perché non considera Dio come superiore alla
sola natura). Per esempio, elementi appartenenti al panenteismo ed al panteismo
si rinvengono nell'Induismo. Certe interpretazioni dei testi Bhagavad Gita e
Shri Rudram Chamakam sostengono questo punto di vista. Cosmismo Modifica Magnifying glass icon
mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Cosmismo e World Brain. Ulteriori informazioni
Questa voce o sezione sull'argomento filosofia è priva o carente di note e
riferimenti bibliografici puntuali. Mentre questo termine è raramente usato, e
molto spesso è solo un sinonimo di Panteismo, l'insolita filosofia da esso
indicata è stata utilizzata in modo piuttosto differente, ma in ogni caso con
essa si vuole esprimere il concetto che Dio è un qualcosa creato dalla mente
umana, forse rappresenta uno stadio finale della evoluzione dell'uomo,
raggiunto attraverso la pianificazione sociale, l'eugenetica e altre forme di
ingegneria genetica. H. G. Wells diede vita a una forma di cosmismo, che
denominò World Brain ("Cervello mondiale"), rifacendosi a un saggio
da lui pubblicato nel 1937, in cui viene tra l'altro descritta la creazione di
una biblioteca-enciclopedia. Tale idea venne ripresa nel libro God the
Invisible King,[7] in cui l'autore consiglia all'umanità di istituire un
sistema socialista, strutturandolo sui dati statistici sociali ed eugenetici,
sull'istruzione e l'eugenetica, in modo che un giorno idealmente possa essere
alla pari e possibilmente anche fondersi con la stessa divinità panteista, e
anche in alcuni paragrafi di Outline of History, che richiamavano tali credenze
dell'autore e le sue ricerche sull'insegnamento di Gesù e di Buddha. Queste
idee vengono riprese nel suo libro Shape of Things to Come e nel film da esso
tratto nel 1936 Things to Come; in essi viene descritta l'umanità che,
sopravvivendo ad una guerra apocalittica e a un prolungato periodo Feudale, si
unisce per dar vita ad una utopia collettivista. In Israele, il Cosmismo
è stato oggetto di studio da parte di Mordekhay Nesiyahu, uno dei primi
ideologi del Movimento Laburista Israeliano e docente presso l'Università di
Beit Berl. Secondo questo autore Dio è qualcosa che non esisteva prima
dell'uomo, ma era una entità secolare. Infatti fu la ricostruzione del Tempio
di Gerusalemme ad avere un ruolo nell'"invenzione" di questa
entità. Nel XX secolo, lo statunitense William Luther Pierce, un
nazionalista bianco iscritto nel Partito Nazista Americano e, a sua volta,
fondatore del movimento Alleanza Nazionale, utilizzò il termine
"Cosmismo". Per Pierce (così come per Wells), Dio sarebbe il
risultato finale dell'eugenetica e dell'igiene razziale (Si veda: Nazismo,
Francis Galton e Teosofia). La "Noosfera" descritta da Vladimir
Vernadsky e da Pierre Teilhard de Chardin potrebbe essere considerata come la
descrizione di una divinità Cosmistica, come anche la coscienza collettiva di
Émile Durkheim e l'inconscio collettivo di Carl Gustav Jung. Arthur C.
Clarke fa un possibile riferimento alla Noosfera Cosmista nel suo libro del
1953 Childhood's End (tradotto in italiano con il titolo Le guide del
tramonto), riferendosi ad essa come la "Overmind", una mente alveare
interstellare. PandeismoModifica Il Pandeismo è una specie di
Panteismo che include una forma di Deismo, sostenendo che l'Universo è identico
a Dio, ma anche che Dio precedentemente fu una forza cosciente e senziente
ovvero una entità che progettò e creò l'Universo. Diventando l'Universo, Dio
divenne inconscio e non senziente. A parte questa distinzione (e la possibilità
che l'Universo un giorno ritornerà ad essere Dio), le credenze Pandeistiche
sono identiche a quelle del Panteismo. EticaModifica Secondo
Schopenhauer, nel panteismo non vi è etica. Il panteismo, nel suo complesso,
naufragherebbe a fronte delle inevitabili esigenze etiche e quindi non avrebbe
risposte sul male e sulle sofferenze del mondo. Se il mondo è una teofania,
allora ogni cosa fatta dagli uomini, ed anche dagli animali, è da considerarsi
parimenti divina ed eccellente; niente può essere giudicato più censurabile e
più meritevole rispetto ad ogni altra cosa; quindi non vi è etica. (Il mondo
come volontà e rappresentazione, Vol. II, Cap. XLVII) Tuttavia, alcuni
panteisti sostengono che il punto di vista panteista è molto più etico, evidenziando
che ogni danno arrecato all'altro è come fare male a se stessi, perché arrecare
danno ad uno è come arrecare danno a tutti. Ciò che è bene e ciò che è male non
dipende da qualcosa al di fuori di noi, ma è il risultato di come ci
rapportiamo gli uni con gli altri. Il fare bene non si deve basare sulla paura
di una punizione da parte di Dio, bensì deve scaturire da un reciproco di tutti
verso tutto. Le forme tradizionali e le varie definizioni di panteismo,
comunque, rinviano ai loro testi sacri e ai loro maestri per le definizioni di
ordine etico. NoteModifica ^ ( EN ) Michael P. Levine, Pantheism: A
Non-Theistic Concept of Deity, Londra e New York, Routledge, 1994. Trad.
italiana Il Panteismo. Una concezione non-teistica della divinità, Genova,
ECIG, 1995, ISBN 88-7545-671-2. ^ Constance E. Plumptre, General Sketch of the
History of Pantheism, Londra, W. W. Gibbings, 1878, vol. 1, p. 29. ^ Chandogya
Upanishad 3-14 traduzione di Monier-Williams ^ La Città di Dio, Libro 4, Cap.
12. ^ La Città di Dio, Libro 4, Cap. 13. ^ Testo del Vangelo secondo Tommaso ^
God the Invisible King Voci correlateModifica Dio Monismo Monoteismo Teismo
Deismo Pandeismo Panenteismo Naturalismo (filosofia) Panpsichismo Panteismo
naturalistico Panteismo classico Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote
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esterniModifica panteismo, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 2009. Modifica su Wikidata ( EN ) Panteismo, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN )
Panteismo, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su
Wikidata ( EN ) William Mander, Pantheism, in Edward N. Zalta (a cura di),
Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and
Information (CSLI), Università di Stanford. Giuseppe Tanzella-Nitti, Panteismo
del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, su disf.org. Controllo di
autoritàThesaurus BNCF 29848 · LCCN( EN ) sh85097492 · GND ( DE ) 4173188-8
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Monismo (religione) Panenteismo scuola filosofica Panteismo naturalistico
Wikipedia Lorenzo Giusso. Giusso. Keywords: gl’eroi, il vico di giusso, la
tradizione ermetica nella filosofia italiana, nazionalsocialismo, bruno,
panteismo, leopardi, occasionalismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giusso” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756533855/in/dateposted-public/
Grice e
Givone – fanes – filosofia italiana – Luigi Speranza -- Givone
(Buronzo). Filosofo. Grice: “I like
Givone, especially his two essays on ‘eros’: ‘eros and ethos’ and the more
controversial, ‘eros and knowledge.’ Si laurea Torino sotto Pareyson. Insegnato
a Perugia, Torino e Firenze. Alcuni suoi lavori riguardano la poetica e
l’estetica all’ombra del nichilismo. Da questa riflessione nasce anche la sua
ricerca sulla “Storia naturale del nulla” -- e sulle implicazioni sullo tragico. In sua
estetica e forte è ancora il richiamo filosofico. Il malinconico, ‘l’ibrido – Saggi:
“La storia della filosofia secondo Kant” (Milano, Mursia); “Hybris e malinconia:
Studi sulle poetiche del Novecento” (Milano, Mursia); “William Blake. Arte e religione,
Milano, Mursia, “Ermeneutica e romanticismo, Milano, Mursia, Dostoevskij e la
filosofia, Roma, Laterza, Storia dell'estetica, Roma, Laterza, Disincanto del
mondo e il tragico, Milano, Il Saggiatore, La questione romantica, Roma, Laterza, Storia del
nulla, Roma, Laterza, Favola delle cose ultime, Torino, Einaudi, Eros/ethos,
Torino, Einaudi, Nel nome di un dio barbaro, Torino, Einaudi, Prima lezione di estetica, Roma, Laterza, Il
bibliotecario di Leibniz. Torino, Einaudi, Non c'è più tempo, Torino, Einaudi, Metafisica
della peste. Colpa e destino, Torino, Einaudi, Luce d'addio. Dialoghi
dell'amore ferito, Firenze, Olschki, Sull'infinito,
il Mulino, Pantragismo. Treccani. Grice: “I like Givone; he philosophises on
‘eros,’ but fails to notice that for Butler there’s self-love and other love;
instead, Givone prefers to contrast ‘eros’ with ‘ethos’!” “His ramblings on
Phanes are fun, though!” – Grice: “Not satisfied with metaphysics, Givone goes
to criticize Marinetti’s hybris, or superbia, i. e. lack of moderation. His
ottimismo notably contrasts with the decadentismo of the croposcolaristi. Futurismo
movimento artistico, culturale, musicale e letterario italiano Lingua Segui
Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri
significati, vedi Futurismo (disambigua). Ulteriori informazioni Questa voce o
sezione sull'argomento arte è priva o carente di note e riferimenti bibliografici
puntuali. Il Futurismo è stato un movimento letterario, culturale, artistico e
musicale italiano dell'inizio del XX secolo[1], nonché una delle prime
avanguardieeuropee. Ebbe influenza su movimenti affini che si svilupparono in
altri paesi d'Europa, in Russia, Francia, negli Stati Uniti d'America e in
Asia. I futuristi esplorarono ogni forma di espressione: la pittura, la
scultura, la letteratura (poesia) al teatro, la musica, l'architettura, la
danza, la fotografia, il cinema e persino la gastronomia. La denominazione del
movimento si deve al poeta italiano Filippo Tommaso Marinetti[1].
Umberto Boccioni La città che sale, bozzetto, 1910 Museum of Modern Art,
New York OriginiIl manifesto del Futurismo pubblicato su Le Figaro del 20 febbraio
1909 (qui evidenziato in giallo) Il Futurismo nasce in Italia, in un periodo di
notevole fase evolutiva dove tutto il mondo dell'arte e della cultura era
stimolato da numerosi fattori determinanti: le guerre, la trasformazione
sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici e le nuove scoperte
tecnologichee di comunicazione, come il telegrafo senza fili, la radio, gli
aeroplani e le prime cineprese; tutti fattori che arrivarono a cambiare
completamente la percezione delle distanze e del tempo, "avvicinando"
fra loro i continenti, creando nuove connessioni. Il XX secolo era quindi
invaso da un nuovo vento, che portava una nuova realtà: la velocità. I
futuristi intendevano idealmente "bruciare i musei e le biblioteche"
in modo da non avere più rapporti con il passato per concentrarsi così sul
dinamico presente; tutto questo, come è ovvio, in senso ideologico. Le catene
di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le automobili aumentavano ogni
giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luci artificiali, si avvertiva
questa nuova sensazione di futuro[1] e velocità sia nel tempo impiegato per
produrre o arrivare a una destinazione, sia nei nuovi spazi che potevano essere
percorsi, sia nelle nuove possibilità di comunicazione.[2] Gino
Severini racconta che quando venne in contatto con Marinetti per decidere se
aderire o meno al Futurismo parlò anche con Amedeo Modigliani, che egli avrebbe
voluto nel gruppo, ma il pittore declinò l'offerta perché come scrisse:
«Queste manifestazioni non gli andavano, il complementarismo congenito lo
fece ridere, e con ragione, perciò invece di aderire mi sconsigliò di mettermi
in quelle storie; ma io avevo troppa affezione fraterna per Boccioni, inoltre
ero, e sono sempre stato pronto ad accettare l'avventura […]» (Gino Severini,
Vita di un pittore) Primo Futurismo «Compagni! Noi vi dichiariamo che il
trionfante progresso delle scienze ha determinato nell'umanità mutamenti tanto
profondi, da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi,
noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro…» (dal Manifesto dei
pittori futuristi, febbraio 1910) Una scazzottata futurista A seguito di una
serie di articoli critici di Ardengo Sofficisu La Voce vi fu una reazione
violenta dei futuristi: Marinetti, Boccioni e Carrà raggiunsero Soffici a
Firenze e lo aggredirono mentre sedeva al caffè delle "Giubbe Rosse"
in compagnia dell'amico Medardo Rosso. Ne nacque una grande pubblicità e un
grande tumulto rinnovatosi alla sera, alla stazione di Santa Maria Novella,
quando Soffici, accompagnato dagli amici Giuseppe Prezzolini, Scipio Slataper e
Alberto Spaini, volle rendere la contropartita. «Fu una vera
spedizione punitiva, che mi fu raccontata da Boccioni e, più tardi, da Soffici.
I futuristi appena arrivati a Firenze vanno al Caffè delle Giubbe Rosse, dove
sapevano di trovare Soffici, Papini, Prezzolini, Slataper, e tutti redattori
della Voce. Boccioni domanda ad un cameriere: «Chi è Soffici?»;
sull'indicazione ottenuta si avvicina Soffici e senza spiegazioni gli appioppa
un paio di schiaffoni; Soffici per niente smontato si alza risponde con una
scarica di pugni. Parapiglia generale, tavole seggiole per terra, bicchieri
rotti e questurini che portano tutti al commissariato. Per fortuna caddero in
un commissario intelligente che capisce con chi aveva a che fare; visto che
Soffici e quelli della Voce non volevano far querela d'aggressione, li rimandò
tutti fuori come se niente fosse stato. I futuristi, vendicate le ingiurie,
andarono alla stazione dove un treno, pressappoco a quell'ora, doveva
riportarli a Milano. Ma quelli della Voce, malgrado si fossero ben difesi, non
erano contenti affatto, perciò si recarono in fretta anch'essi alla stazione.
Mentre il treno stava per arrivare ebbe luogo un altro incontro, e un altro
violento pugilato, che, per poco, faceva restare a piedi futuristi. Ma fecero
in tempo a prendere il treno, un po' ammaccati, ma soddisfatti.» (Gino
Severini, Vita di un pittore) Nel Manifesto Futurista (1909), pubblicato
inizialmente in vari giornali italiani (la Tavola Rotonda di Napoli, la
Gazzetta dell'Emilia di Bologna, la Gazzetta di Mantovae L'Arena di Verona) e,
definitivamente, due settimane dopo sul quotidiano francese Le Figaro il 20
febbraio 1909[3], Filippo Tommaso Marinetti espose i principi-base del movimento.
Poco tempo dopo a Milano nel febbraio 1910 i pittori Umberto Boccioni, Carlo
Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini e Luigi Russolo firmarono il Manifesto dei
pittori futuristi e nell'aprile dello stesso anno il Manifesto tecnico della
pittura futurista[4]. Nei manifesti si esaltava la tecnica e si dichiarava una
fiducia illimitata nel progresso, si decretava la fine delle vecchie ideologie
(bollate con l'etichetta di "passatismo", tra cui figura anche il
Parsifal di Wagner, che a partire dal 1914 cominciò a essere rappresentato nei
teatri d'Europa). Si esaltavano inoltre il dinamismo, la velocità, l'industria,
il militarismo, il nazionalismo e la guerra, che veniva definita come
"sola igiene del mondo". Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni
e Severini a Parigi per l'inaugurazione della prima mostra del 1912 La prima
importante esposizione futurista si tenne a Parigi presso la galleria
Bernheim-Jeune dal 5 al 24 febbraio 1912. All'inaugurazione della mostra erano
presenti Marinetti, Boccioni, Carrà, Severini e Russolo. L'accoglienza iniziale
fu fredda, ma nelle settimane successive il movimento suscitò un certo
interesse divenendo presto oggetto di attenzioni internazionali tanto da
favorire la riproposizione della mostra anche in altre città europee come Berlino[5].
La riconciliazione con i futuristi avvenne in seguito, grazie alla mediazione
dell'amico Aldo Palazzeschi. Nel 1913 infatti, Soffici e Papini uscendo da La
Vocedecisero di fondare la rivista Lacerba appoggiando così il movimento
futurista[6]. Alla morte di Umberto Boccioni nel 1916, Carrà e Severini
si ritrovarono in una fase di evoluzione verso la pittura cubista, di
conseguenza il gruppo milanese si sciolse spostando la sede del movimento da
Milano a Roma, con la conseguente nascita del "secondo
Futurismo". Secondo FuturismoIn prima fila Depero, Marinetti e
Cangiullo nel 1924 con panciotti "futuristi" Il secondo Futurismo fu
sostanzialmente diviso in due fasi. La prima andava dal 1918, due anni dopo la
morte di Umberto Boccioni, al 1928 e fu caratterizzata da un forte legame con
la cultura post-cubista e costruttivista; la seconda invece, dal 1929 al 1939,
fu molto più legata alle idee del surrealismo. Di questa corrente - che si
concluse attraverso il cosiddetto "terzo Futurismo", portando anche
all'epilogo del Futurismo stesso - fecero parte molti pittori fra cui Fillia
(Luigi Colombo), Enrico Prampolini, Filiberto Sbardella[7], Nicolay
Diulgheroff, Wladimiro Tulli ma anche Mario Sironi, Ardengo Soffici, Ottone
Rosai, Carlo Vittorio Testi e la moglie Fides Stagni.[8] Se la prima fase
del Futurismo fu caratterizzata da un'ideologia guerrafondaia e fanatica (in
pieno contrasto con altre avanguardie) ma spesso anche anarchica, la seconda
stagione ebbe un effettivo legame con il regime fascista, nel senso che
abbracciò gli stilemi della comunicazione governativa dell'epoca e si valse di
speciali favori. I futuristi di sinistra, generalmente meno noti nel
panorama culturale italiano dell'epoca, comunque, costituirono quella parte del
Futurismo collocata politicamente su posizioni vicine all'anarchismo e al
bolscevismo anche quando il movimento con i suoi fondatori e personaggi
ritenuti principali fu fagocitato dal fascismo. Anche se la gerarchia
fascista riservò ai futuristi coevi una sottovalutazione talvolta sprezzante,
l'osservazione dei principi autoritaristici e la poetica interventista del
Futurismo furono quasi sempre presenti negli artisti del gruppo, fino a che
alcuni di questi non abbracciarono altri movimenti e presero le distanze dall'ideologia
fascista (Carlo Carrà, ad esempio, abbracciò la metafisica). Altri ancora, come
il giovane pittore maceratese Wladimiro Tulli, mantennero costantemente un
approccio giocoso e libertario, che poco aveva a che fare con l'estetica
fascista, anche nelle successive esperienze di pittura informale.[9]
Futurismo russoNatalia Goncharova Il ciclista, 1913 Museo russo, San
Pietroburgo Manifesto futurista di Marinetti era stato pubblicato a San
Pietroburgo appena un mese dopo l'uscita su Le Figaro, e già negli anni 1911 e
1912 Natal'ja Sergeevna Gončarova e Michail Fëdorovič Larionov, che in patria
verrà definito il "padre del Futurismo russo", furono i concreti
iniziatori del movimento in Russia. Nel 1913 il pittore Kazimir
Severinovič Malevič, il compositore Michail Matjušin e lo scrittore Aleksej
Eliseevič Kručënych redassero il manifesto del Primo congresso Futurista russo.
Al movimento, conosciuto anche come Cubofuturismo o Raggismo, aderirono
personalità come il poeta e drammaturgo Vladimir Vladimirovič
Majakovskij. Nel gennaio 1914 Marinetti stesso si recò a Mosca. Dal
movimento d'avanguardia futurista nacquero negli anni immediatamente precedenti
la rivoluzione del 1917 due importanti avanguardie artistiche, il
Costruttivismo e il Suprematismo. L'attenzione che i giornali e il pubblico
dedicarono a Marinetti fu enorme, ma non ci fu la stessa attenzione da parte
dei futuristi russi, alcuni dei quali tentarono anche di ostacolare la visita
di Marinetti. Altri invece, come Sersenevič, furono più ospitali e cordiali. Il
temperamento e le declamazioni di Marinetti riscossero successo ovunque; ma
Marinetti tentò invano di chiamare i futuristi russi ad unire le forze con i
futuristi italiani, perché i maggiori poeti russi, Chlebnikov, Livsič,
Majakovskij e anche il regista Larionov criticarono Marinetti.[senza fonte]
L'ultima "mostra futurista" si tenne nel 1915 a Pietrogrado. In
Russia il movimento non fu caratterizzato dal bellicismo come quello dei
futuristi italiani, criticato da Majakovskij, ma fu accompagnato da un'utopica
idea di pace e libertà, sia individuale (dell'artista), sia collettiva (del
mondo), che si sarebbe concluso con l'adesione di una parte del gruppo al
bolscevismo. Dopo la rivoluzione d'ottobre molti futuristi confluirono nel
cubismo e nell'astrattismo. Futurismo francese In Francia il Futurismo
non si organizzò mai come movimento, ma ebbe almeno due nomi degni di nota:
Guillaume Apollinaire e Valentine de Saint-Point. Apollinaire scrisse il
manifesto L'antitradition futuriste(29 giugno 1913), pubblicato su Lacerba solo
il 25 settembre dopo le aggiunte e le correzioni di Marinetti. I successivi
Calligrammes (1918) rivelano la chiara influenza del paroliberismo futurista
sul poeta francese. Valentine de Saint Point, nipote di Lamartine, scrisse
il Manifesto della donna futurista, (1912) con il sottotitolo “Risposta a F. T.
Marinetti”, in un volantino pubblicato simultaneamente a Parigi e a Milano. Del
1913 è il Manifesto futurista della lussuria. Orientamenti artistici
Nelle opere futuriste è quasi sempre costante la ricerca del dinamismo; cioè il
soggetto non appare mai fermo, ma in movimento: ad esempio, per loro un cavallo
in movimento non ha quattro gambe, ne ha venti. Così la simultaneità della
visione diventa il tratto principale dei quadri futuristi; lo spettatore non
guarda passivamente l'oggetto statico, ma ne è come avvolto, testimone di
un'azione rappresentata durante il suo svolgimento. Per rendere l'idea
del moto nelle arti visive tradizionali, immobili per costituzione, il Futurismo
si serve, nella pittura e nella scultura, principalmente delle “linee-forza”;
poiché la linea agisce psicologicamente sull'osservatore con significato
direzionale, essa, collocandosi in varie posizioni, supera la sua essenza di
semplice segmento e diventa “forza” centrifuga e centripeta, mentre oggetti,
colori e piani si sospingono in una catena di “contrasti simultanei”,
determinando la resa del “dinamismo universale”. PitturaJoseph Stella
Battle of Lights, Coney Island, Mardi Gras, 1913-14 Yale University Art Gallery
Nel 1910 a Milano i giovani artisti d'Italia avevano pubblicato i manifesti
sulla pittura futurista. Boccioni si occupò principalmente del dinamismo
plastico e sintetico e del superamento del cubismo, mentre Balla passò dallo
studio delle vibrazioni luminose (divisionismo) alla rappresentazione sintetica
del moto[10]. Nel 1912 Boccioni, Carrà e Russolo esposero a Milano le prime
opere futuriste alla "Mostra d'arte libera" nella fabbrica
Ricordi. Il Futurismo diede il meglio di sé nelle espressioni artistiche
legate alla pittura, al mosaico e alla scultura, mentre le opere letterarie e
teatrali, ma anche architettoniche, non ebbero la stessa immediata capacità
espressiva. Le radici del fermento che portò alla declinazione del Futurismo
nell'arte si possono riconoscere, artisticamente parlando, già nella
Scapigliatura - corrente tipicamente milanese e borghese della seconda metà
dell'Ottocento - laddove il Futurismo distoglie con disprezzo l'attenzione
dalla raffinata borghesia per concentrarsi sulla rivoluzione industriale, sulle
fabbriche. Dal punto di vista stilistico il Futurismo - in particolare
quello boccioniano - si basa sui concetti del divisionismo che però riesce ad
adattare per esprimere al meglio gli amati concetti di velocità e di
simultaneità: è grazie ad artisti come Giovanni Segantini e Pellizza da Volpedo
che, pochi anni dopo, il futurista Umberto Boccioni poté realizzare dipinti
come La città che sale. Opera futurista di Emma Marpillero Corradi
Dal punto di vista concettuale, il Futurismo naturalmente non ignora i principi
cubisti di scomposizione della forma secondo piani visivi e rappresentazione di
essi sulla tela. Cubista è senz'altro la tecnica che prevede di suddividere la
superficie pittorica in tanti piani che registrino ognuno una diversa
prospettiva spaziale. Tuttavia, mentre per il cubismo la scomposizione rende
possibile una visione del soggetto fermo lungo una quarta dimensione
esclusivamente spaziale (il pittore ruota intorno al soggetto fermo cogliendone
ogni aspetto), il Futurismo utilizza la scomposizione per rendere la dimensione
temporale, il movimento. Altrettanto interessanti sono i rapporti
stilistici tra il Futurismo boccioniano e il cubismo orfico di Robert
Delaunay. Non mancarono relazioni complesse tra i futuristi italiani e i
più importanti esponenti delle avanguardie russe e tedesche.[11]
Equiparare, infine, la ricerca futurista dell'attimo con quella impressionista,
come è stato fatto in passato, è ormai considerato profondamente errato. Se è
vero infatti che gli impressionisti fecero dell'"attimalità" il
nucleo della loro ricerca - loro scopo era fermare sulla tela un istante
luminoso, unico e irripetibile - la ricerca futurista si muoveva in senso quasi
opposto: suo scopo era rappresentare sulla tela non un istante di movimento ma
il movimento stesso, nel suo svolgersi nello spazio e nel suo impatto
emozionale. Come conseguenza dell'"estetica della velocità",
nelle opere futuriste a prevalere è l'elemento dinamico: il movimento coinvolge
infatti l'oggetto e lo spazio in cui esso si muove. Il dinamismo dei treni,
degli aeroplani (Aeropittura), delle masse multicolori e polifoniche e delle
azioni quotidiane (del cane che scodinzola andando a spasso con la padrona,
della bimba che corre sul terrazzo, delle ballerine) è sottolineato da colori e
pennellate che mettano in evidenza le spinte propulsive delle forme. La
costruzione può essere composta da linee spezzate, spigolose e veloci, ma anche
da pennellate lineari, intense e fluide se il moto è più armonioso. Tra
gli epigoni più interessanti del Futurismo, l'avanguardia russa del raggismo e
del costruttivismo. Le tecniche pittoriche futuriste sono state riassunte nei
due manifesti sulla pittura dei primi mesi del 1912. Due tra i principali
esponenti del movimento pittorico, Umberto Boccioni e Giacomo Balla, furono
presenti anche nella scultura. La pittura di Boccioni è stata definita
"simbolica": il dipinto La città che sale (1910), per esempio, è una
chiara metafora del progresso, dettato dal titolo e dalle scene di cantiere
edile sullo sfondo, esemplificate nella loro vorticosa crescita dalla potenza
del cavallo imbizzarrito, un vortice di materia che si scompone per piani. Se
Boccioni è simbolico, Balla è fotografico e analitico. Ancora legato a principi
cubisti, non è raro che realizzi sequenze fotogrammetriche di una scena, per
rendere il movimento, piuttosto che affidarsi a impetuosi vortici di pittura: è
il caso del posato Bambina che corre al balcone (1912). SculturaUmberto
Boccioni Forme uniche della continuità nello spazio, 1913 New York, Museum of
Modern Art L'artista futurista più attivo nel campo della scultura è Umberto
Boccioni, la cui ricerca pittorica corre sempre parallela a quella
plastica. Nel 1912, lo stesso Boccioni pubblica il Manifesto tecnico
della scultura futurista. Punto di arrivo di questa ricerca può essere
considerato Forme uniche della continuità nello spazio, del 1913: l'immagine,
applicando le dichiarazioni poetiche di Boccioni stesso, è tutt'uno con lo
spazio circostante, dilatandosi, contraendosi, frammentandosi e accogliendolo
in sé stessa. Anche in L'Antigrazioso o La madre, immediatamente
precedente, sono presenti parametri scultorei simili a Forme uniche nella
continuità dello spazio, ma con ancora non risolti alcuni problemi di
plasticità derivanti da influssi naturalistici. MosaicLa tecnica del
mosaico, basata sull'utilizzo di tessere ceramiche e vitree, si è prestata
molto bene a esprimere i modi e il dinamismo intesi dall'arte futurista.
Enrico Prampolini e Fillia eseguono l'importante mosaico dedicato al tema delle
Comunicazioniall'interno della torre del Palazzo delle Poste di La Spezia
(1933). Alcuni anni più tardi Gino Severini esegue altri mosaici per le
Poste di Alessandria. La tradizione musiva di Ravenna continua con mosaici
futuristi di autori vari (Palazzo del Mutilato, fine anni quaranta).
ArchitetturaMagnifying glass icon mgx2.svg. Lo stesso argomento in dettaglio:
Architettura futurista. «Il problema dell'architettura moderna non è un problema
di rimaneggiamento lineare. Non si tratta di dover trovare nuove sagome, nuove
marginature di finestre e di porte, di sostituire colonne, pilastri, mensole
con cariatidi, mosconi, rane (…): ma di creare di sana pianta la casanuova,
costruita tesoreggiando ogni risorsa della scienza e della tecnica…»
(Antonio Sant'Elia, dal Messaggio posto a prefazione della mostra del gruppo
Nuove Tendenze del 1914) Antonio Sant'Elia, una veduta prospettica della
Città Nuova. 1914 Sant'Elia, Casa a Gradinate la Città Nuova. 1914
Arnaldo Dell'Ira lampada "a grattacielo", 1929 Giuseppe
Pettazzi Stazione di servizio "Fiat Tagliero", 1938 Asmara Nel
1912 Antonio Sant'Elia, che divenne l'architetto più rappresentativo del
movimento, era ancora distante dai futuristi ed era piuttosto legato nel
movimento del cosiddetto Stile floreale. In quegli stessi anni a Milanoera
attivo Giuseppe Sommaruga e questi sembra che avesse esercitato una grande
influenza sulla formazione del Sant'Elia, infatti, per esempio, molti elementi dinamici
del futurista furono anticipati nel Grand Hotel Campo dei Fiori di
Varese[12]. All'inizio del 1914 Sant'Elia pubblicò il Manifesto
dell'Architettura futurista, dove esponeva i principi di questa corrente. Al
centro dell'attenzione c'è la città, vista come simbolo della dinamicità e
della modernità. Tutti i progetti creati da Sant'Elia si riferiscono a città
del futuro: in contrapposizione all'architettura tradizionale, vista come
inadeguata, le città idealizzatedagli architetti futuristi hanno come
caratteristica fondamentale il movimento, i trasporti e le grandi strutture. I
futuristi, infatti, compresero immediatamente il ruolo centrale che i trasporti
avrebbero assunto successivamente nella vita delle città. Nei progetti di
questo periodo si cercavano sviluppi e scopi di questa novità. L'utopia
futurista è una città in perenne mutamento, agile e mobile in ogni sua parte,
un continuo cantiere in costruzione, e la casa futurista allo stesso modo è
impregnata di dinamicità. Anche l'utilizzo di linee ellittiche e oblique
simboleggia questo rifiuto della staticità per una maggior dinamicità dei
progetti futuristi, privi di una simmetriaclassicamente intesa. Le teorie
futuriste sull'architettura erano principalmente ideologiche ed erano espressione
di un atteggiamento intellettualistico ma senza riferimenti a metodi formali e
tecnici, tuttavia anticiparono i grandi temi e le visioni dell'architettura e
della città che saranno proprie del Movimento Moderno[13]. A causa della
guerra e dopo la morte di Boccioni e Sant'Elia il movimento futurista in Italia
perse il suo slancio. Dopo il 1919 l'originaria proposta futurista dei primi
tempi fu raccolta piuttosto dai costruttivisti russi. Il movimento razionalista
italiano cercherà di proporre gli scenari della Città Nuova delle utopie
futuriste ma il regime fascista smorzerà questi tentativi privilegiando un
monumentalismo legato alla tradizione classicista. Lo stesso avvenne in Unione
Sovietica con il sopravvento del regime totalitario. Tra i grandi esponenti
dell'architettura da ricordare Mario Chiattone, che visse con Sant'Elia a
Milano, condividendone le linee teoriche e sviluppando straordinarie visioni di
città del futuro, prima di trasferirsi in Svizzera e abbandonare la militanza.
E infine Virgilio Marchi, che operò anche come scenografo. Al Secondo
Futurismo appartengono le architetture di Angiolo Mazzoni, autore di notevoli
edifici postali e ferroviari, ancora oggi validamente in funzione in diverse
città italiane. CeramicaPer le sue possibilità espressive, anche la
ceramica interessa il movimento futurista. In particolare i ceramisti dell'ISIA
espressero lavori in sintonia con il nuovo movimento. Il 7 settembre 1938 sulla
Gazzetta del Popolo a firma Filippo Tommaso Marinetti e di Tullio d'Albisola viene
pubblicato il Manifesto futurista della Ceramica e Aereoceramica. Fin dal 1925
il centro propulsore della ceramica futurista italiana fu Albissola
Marina. Musica Modifica In campo musicale gli unici rappresentanti di
rilievo furono Francesco Balilla Pratella e Luigi Russolo, pittore, musicista e
scrittore, autore del saggio L'arte dei rumori pubblicato nel 1916. L'arte dei
rumori è considerata da alcuni autori uno dei testi più importanti e influenti
nell'estetica musicale del XX secolo.[14] A Russolo si deve l'invenzione
dell'Intonarumori, uno strumento che usava per mettere in pratica la sua teoria
del rumorismo, ovvero di una musica nella quale ai suoni dovevano essere
sostituiti i rumori. Essi erano formati da generatori di suoni acustici che permettevano
di controllare la dinamica e il volume. Letteratura Modifica Da
sinistra: Aldo Palazzeschi, Carlo Carrà, Giovanni Papini, Umberto Boccioni,
Filippo Tommaso Marinetti, 1914 Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso
argomento in dettaglio: Letteratura futurista e Filippo Tommaso Marinetti. A
fine gennaio 1909 Filippo Tommaso Marinetti inviava il Manifesto del Futurismo
ai principali giornali italiani, ma è la pubblicazione su Le Figaro il 20
febbraio 1909a garantirgli risonanza europea. Nel 1912, sulla rivista
fiorentina "Lacerba", comparve il "Manifesto tecnico della
letteratura futurista"[15]. Del 1914 è il volume Zang Tumb Tumb, miglior
esempio delle futuriste Parole in libertà. Poesia. I poeti futuristi si
riuniranno attorno alla rivista Poesiafondata da Marinetti qualche anno prima.
Nei componimenti si trova generalmente l'esaltazione del futuro e delle
sensazioni forti associate alla velocità e alla guerra. Gli esponenti più noti,
oltre al Marinetti, sono: Aldo Palazzeschi, autore della raccolta poetica
L'incendiario[16] (che include "La fontana malata", "E
lasciatemi divertire" e "La passeggiata"); Ardengo Soffici,
autore di Bif& ZF + 18 = Simultaneità – Chimismi lirici; Paolo Buzzi,
autore di Aeroplani. Canti alati. Anche Salvatore Quasimodo aderì, in gioventù,
al Futurismo (ricordiamo la sua poesia "Sera d'estate")[17]. A un
successivo momento del Futurismo marinettiano appartiene l'Aeropoesia.
TeatroModifica Magnifying glass icon mgx2.svLo stesso argomento in dettaglio:
Teatro futurista. I futuristi perseguirono la rifondazione del concetto stesso
di comunicazione teatrale. Promossero un teatro «sintetico, atecnico, dinamico,
simultaneo, autonomo, alogico e irreale», dove « è stupido» non ribellarsi al
pregiudizio della teatralità, soddisfare la primitività delle folle, curarsi
della verosimiglianza, voler spiegare con una logica minuziosa tutto ciò che si
rappresenta, sottostare alle imposizioni del crescendo, della preparazione e
del massimo effetto alla fine, lasciare imporre alla propria genialità il peso
di una tecnica che tutti possono acquisire, rinunciare «al dinamico salto nel
vuoto della creazione totale». I futuristi, infatti, possedettero una
«invincibile ripugnanza» per il lavoro studiato a tavolino, a priori,
sostenendo l'improvvisazione, il teatro come «serbatoio inesauribile di
ispirazioni». «Tutto è teatrale quando ha valore» (Il teatro
futurista sintetico di Marinetti, Settimelli e Corra[18]) Il teatro futurista
promosse anche la commedia e la farsa, anziché la tragedia, o il dramma
borghese. Tuttavia, nelle serate futuriste, non era inusuale vedere il pubblico
adirato a causa di spettacoli fatti di azioni deliranti. Le cronache dell'epoca
riportano notizie relative agli attori futuristi che sfuggono all'ira degli
spettatori, spesso provocata ad arte secondo gli intenti espressi nel Manifesto
futurista del teatro di varietà. CinemaMagnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Cinema futurista. Nel 1916 venne pubblicato il
Manifesto della Cinematografia futurista, firmato da Filippo Marinetti, Bruno
Corra, Arnaldo Ginna, Giacomo Balla, Remo Chiti ed Emilio Settimelli, che
sosteneva come il cinema fosse "per natura" arte futurista, grazie
alla mancanza di un passato e di tradizioni. Essi non apprezzavano il cinema
narrativo "passatissimo", cercando invece un cinema fatto di
"viaggi, cacce e guerre", all'insegna di uno spettacolo
"antigrazioso, deformatore, impressionista, sintetico, dinamico,
parolibero". Nelle loro parole c'è tutto un entusiasmo verso la ricerca di
un linguaggio nuovo slegato dall'estetica tradizionale, che era percepita come
un retaggio vecchio. I futuristi, per allontanare il cinema dal passato,
ripudiavano tutto ciò che era convenzionalmente accettato come affascinante e
bellissimo dalla borghesia, usando quindi come soggetti figure distorte (che
verranno riprese anche dall'espressionismo tedesco come manifestazione della
perdita di speranza della popolazione dopo la prima guerra mondiale), colori
forti ecc. Molte opere cinematografiche futuriste sono andate perdute durante
la guerra, tra cui Vita futurista, pellicola nella quale alcuni uomini
disturbavano e poi scappavano velocemente alcuni turisti nei bar di
Firenze. Tra le opere rinvenute di questo movimento, ci è pervenuta la
tragedia Tahïs del 1916 di Bargaglia e la romantica Amor pedestre del 1914 del
comico Marcel Fabre, nel quale viene proposta una relazione non corrisposta
tutta raccontata inquadrando i protagonisti dal ginocchio in giù (cortometraggi
rintracciabili su YouTube). Gastronomia Magnifying glass icon mgx2.svg Lo
stesso argomento in dettaglio: Cucina futurista. Grazie alla completezza di
questo movimento, ne venne influenzata anche la gastronomia. Nel 1914 il cuoco
francese Jules Maincave aderì al Futurismo, proponendo quindi l'accostamento di
nuovi sapori ed elementi fino ad allora "separati senza serio
fondamento". Questo comprendeva accostamenti come filetto di montone e
salsa di gamberi, noce di vitello e assenzio, banana e groviera, aringa e
gelatinadi fragola. Il 20 gennaio 1931 Marinetti pubblicò il Manifesto
della cucina futurista sulla rivista Comoedia. Secondo Marinetti bisognava
eliminare la pastasciutta, così come forchetta e coltello e condimenti
tradizionali, e incoraggiare l'accostamento ai piatti di musiche, poesie e
profumi. Scrive Marinetti: «(...) vi annuncio il prossimo
lanciamento della cucina futurista per il rinnovamento totale del sistema
alimentare italiano, da rendere al più presto adatto alle necessità dei nuovi
sforzi eroici e dinamici imposti dalla razza. La cucina futurista sarà liberata
dalla vecchia ossessione del volume e del peso e avrà, per uno dei suoi
principi, l'abolizione della pastasciutta. La pastasciutta, per quanto gradita
al palato, è una vivanda passatista perché appesantisce, abbrutisce, illude
sulla sua capacità nutritiva, rende scettici, lenti, pessimisti. È d'altra
parte patriottico favorire in sostituzione il riso.» Nel suo tempo È
normale che il Futurismo, nascendo in un'epoca di transizione, abbia avuto
molteplici contraddizioni. All'immobilismo scolastico e accademico ereditato
dalle "tre corone" della poesia decadente (Carducci, Pascoli e
D'Annunzio) i futuristi oppongono la dinamicità, la demolizione all'armonia, e
alla raffinatezza contrappongono il disordine delle parole. Gli elementi
suddetti richiamano alle caratteristiche del Futurismo più importanti[19]: esse
rientrano appieno nello spirito culturale della belle époque che precedette lo
scoppio della Prima Guerra Mondiale. Secondo i futuristi, questi poeti devono
essere completamente rinnegati perché incarnano esattamente i quattro
ingredienti intellettuali che il Futurismo vuole abolire: la poesia
morbosa e nostalgica; il sentimento romantico; l'ossessione della lussuria; la
passione per il passato. In contraddizione con il Futurismo è stata anche la
corrente crepuscolare. Infatti il crepuscolarismo, nonostante condivida con il
Futurismo l'idea di interartisticità, ha però una concezione della vita
completamente diversa: i futuristi inneggiano alle innovazioni, i crepuscolari
sono avversi a una modernità che aliena l'individuo i futuristi sono
prepotenti, dinamici, chiassosi, i crepuscolari assumono toni dimessi, pacifici
e malinconici i futuristi esaltano il caos e le attività delle grandi città, i
crepuscolari amano l'intimità, le "piccole cose di pessimo gusto",
gli affetti familiari e una vita tranquilla i futuristi sono sempre protesi
verso un "domani" esaltante, i crepuscolari guardano al passato e
alle piccole cose quotidiane. Scultura futurista esposta a Milano
in Piazzetta Reale per il centenario del movimento Nelle arti figurative invece
si presenta il confronto con le altre avanguardie, Cubismo, Astrattismo, Dada,
Surrealismo, Metafisica, ognuna delle quali caratterizzata da propri temi e
propri linguaggi espressivi. L'opera futurista è in evidente contrasto per
alcuni temi con molte delle altre avanguardie sebbene condividano tutte
l'intuizione di trasmettere attraverso l'arte un impulso di trasformazione
della società e di rinnovamento. Aspetto specifico del Futurismo è quello di
non limitare la propria azione alle espressioni artistiche (come il Cubismo o
la Metafisica), ma di prospettare la re-invenzione dell'intera vita, in ogni
suo aspetto (e uno dei manifesti maggiormente rilevanti fu infatti "Ricostruzione
futurista dell'universo" di Balla e Depero). Tra i contemporanei dei
futuristi che criticarono il movimento ricordiamo Giandante X, che nel 1929, a
Milano, all'apertura dei festeggiamenti per il ventennale del Futurismo,
contestò apertamente Filippo Tommaso Marinetti, sostenendo che "l’uomo si
deve affrancare dalla macchina ed è un errore lasciare sussistere lo scombinato
movimento artistico"[20]. Nella critica del dopoguerra Il Futurismo
ha influenzato tutta l'arte d'avanguardia del Novecento. Gli artisti futuristi
che sopravvissero alla morte di Marinetti (21 dicembre del 1944) e alla seconda
guerra mondiale caddero in disgrazia come tutto il Futurismo, con l'accusa di
aver fiancheggiato il fascismo. Nel secondo Novecento nuovi studi di Luciano
De Maria, Mario Verdone, Enrico Crispolti, Maurizio Calvesi, Claudia Salaris,
Giordano Bruno Guerri hanno parzialmente corretto l'accusa di collusione
fascista, rilanciando l'interesse artistico-sociale verso il futurismo. Studi
sul futurismo di sinistra (i contatti con gli ambienti anarchici, e persino
comunisti) mostravano contemporaneamente che l'avanguardia futurista italiana
era stata troppo sommariamente giudicata. Nel corso del tempo diverse
sono state le esposizioni riguardanti il Futurismo. Di indubbia rilevanza è
stata quella del 2009 presso il Palazzo Reale di Milano per il centenario del
movimento. La mostra si intitolava Futurismo 1909-2009
Velocità+Arte+Azione[21]. Nel 2014, il Futurismo italiano, con una grande
esposizione retrospettiva fino al 1944 al Guggenheim Museum di New York a cura
di Vivien Greene[22], è tornato alla ribalta internazionale. Il centenario del
Futurismo ha anche contribuito al rilancio internazionale degli studi sulle
artiste del Futurismo e sulla visione della donna nel Movimento. Nel 2018
è stato pubblicato il Manifesto del Fumetto Futurista redatto da Massimo Bonura
e uno dei primi, se non il primo, fumetti futuristi programmatici, cioè
seguente esplicitamente uno schema scritto e definito, dal titolo "Il brutto
anatroccolo. Ma che Wow!!" di Claudio S. Gnoffo, a significare
l'importanza che il movimento futurista ha avuto come influenza nel delineare
nuovi stili d'arte di rottura e sperimentali.[23] Principali esponenti
del futurisModifica Futuristi italiani Filippo Tommaso Marinetti Enrico
Allimandi Adone Asinari Franco Asinari Antonio Asturi Fedele Azari Roberto Iras
Baldessari Giacomo Balla Enzo Benedetto Umberto Boccioni Vittorio Bodini Uberto
Bonetti Oswaldo Bot, pseudonimo di Osvaldo Barbieri Anton Giulio Bragaglia
Alessandro Bruschetti Paolo Buzzi Francesco Cangiullo Benedetta Cappa Mario
Carli Enrico Carmassi Sebastiano Carta Carlo Carrà Gianni Carramusa Giuseppe
Caselli Riccardo Castagnedi Enrico Cavacchioli Arturo Ciacelli Remo Chiti Primo
Conti Vittorio Corona Bruno Corra, pseudonimo di Bruno Ginanni Corradini Tullio
Crali Auro D'Alba, pseudonimo di Umberto Bottone Giulio D'Anna Luigi De Giudici
Mino Delle Site Fortunato Depero Gerardo Dottori Leonardo Dudreville Carlo Erba
Julius Evola Farfa, pseudonimo di Vittorio Osvaldo Tommasini Fillia, pseudonimo
di Luigi Enrico Colombo Luciano Folgore Gesualdo Manzella Frontini Achille Funi
Ivanhoe Gambini Giacomo Giardina Arnaldo Ginna, pseudonimo di Arnaldo Ginanni
Corradini Giovanni Governato Corrado Govoni Guglielmo Jannelli Giovanni
Korompay Krimer Mimì Maria Lazzaro Escodamè, pseudonimo di Michele Leskovic
Osvaldo Licini Gian Pietro Lucini Alberto Magnelli Vincenzo Mai Enzo Mainardi
Giorgio Michetti Antonio Marasco Oreste Marchesi Emma Marpillero Pino Masnata
Silvio Mix Sante Monachesi Marisa Mori Bruno Munari Benito Mussolini Emilio
Notte Renzo Novatore, pseudonimo di Abele Ricieri Ferrari Nello Voltolina Pippo
Oriani Nino Oxilia Ivo Pannaggi Giovanni Papini Luigi Pepe Diaz Osvaldo Peruzzi
Vittorio Piscopo Enrico Prampolini Francesco Balilla Pratella Giuseppe Preziosi
Salvatore Quasimodo Renato Righetti Romolo Romani Ottone Rosai Pippo Rizzo
Angelo Rognoni Umberto Luigi Ronco Mino Rosso Luigi Russolo Bruno Giordano
Sanzin Alberto Sartoris Antonio Sant'Elia Filiberto Sbardella Gino Severini
Ardengo Soffici Fides Stagni Tato (Guglielmo Sansoni) Mario Sironi Fides Stagni
Joseph Stella Mario Sturani Italo Tavolato Geppo Tedeschi Thayaht, pseudonimo
di Ernesto Michahelles Wladimiro Tulli Giuseppe Ungaretti Vann'Antò Ruggero
Vasari Lucio Venna, pseudonimo di Giuseppe Landsmann Mario Mirko Vucetich
Futuristi russi Makov Černichov Velimir Chlebnikov Natal'ja Sergeevna Gončarova
Michail Larionov Vladimir Majakovskij Kazimir Severinovič Malevič Aleksandr
Rodčenko Aleksej Kručënych Futuristi ucraini Davyd, Mykola, Volodymyr Burljuk
Futuristi francesi Robert Delaunay Marcel Duchamp Paul Fort Fernand Léger Jules
Maincave Georges Bernanos Guillaume Apollinaire Futuristi cechi Růžena Zátková
Futuristi ungheresi Béla Kádár Lajos
Kassák Hugó Scheiber Futuristi portoghesi Fernando Pessoa, divulgò aspetti del
movimento attraverso le riviste Orpheu (1915) e Portugal Futurista (1917)
Guilherme de Santa-Rita, pittore, ideatore della rivista Portugal Futurista
(1917) Futuristi spagnoli Joan Salvat-Papasseit Futuristi brasiliani Oswald de
Andrade Futuristi argentini Alberto Hidalgo Emilio Pettoruti Principali
manifesti Manifesto del futurismo, (Pubblicato da "Le Figaro" il 20
febbraio 1909), Marinetti Uccidiamo il Chiaro di luna, (aprile 1909), Marinetti
Manifesto dei Pittori futuristi, (11 febbraio 1910), Boccioni, Carrà, Russolo,
Balla e Severini La pittura futurista - Manifesto tecnico, (11 aprile 1910),
Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini Contro Venezia passatista, (27
aprile 1910), Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo Manifesto dei drammaturghi
futuristi, (11 gennaio 1911), Marinetti Manifesto dei Musicisti futuristi, (11
gennaio 1911), Pratella La musica futurista-Manifesto tecnico, (29 marzo 1911),
Pratella Manifesto della Donna futurista, (25 marzo 1912), Valentine de
Saint-Point Manifesto della Scultura futurista, (11 aprile 1912), Boccioni
Manifesto tecnico della letteratura futurista, (11 maggio 1912), Marinetti
L'arte dei Rumori, (11 marzo 1913), Russolo Distruzione della sintassi.
L'immaginazione senza fili e le Parole in libertà, (11 maggio 1913), Marinetti
L'Antitradizione futurista, (29 giugno 1913), Guillaume Apollinaire La pittura
dei suoni, rumori e odori, (11 agosto 1913), Carrà Il Teatro di Varietà, (1º
ottobre 1913), Marinetti Il controdolore, (29 dicembre 1913), Palazzeschi
Pittura e scultura futuriste, (1914), Boccioni Manifesto dell'Architettura
futurista, (1914), Sant'Elia Il teatro futurista sintetico, (1915), Corra,
Settimelli, Marinetti La ricostruzione futurista dell'universo, (1915), Balla,
Depero La Scenografia futurista, (1915), Prampolini Manifesto del cinema
futurista, (1916), Marinetti, Corra, Settimelli Manifesto della danza
futurista, (1917), Marinetti Manifesto dell'Aeropittura futurista, (1929)
Manifesto della Fotografia futurista, (16 aprile 1930, Tato (pseudonimo di
Guglielmo Sansoni), Filippo Tommaso Marinetti Manifesto della cucina futurista,
(1931), Marinetti. Manifesto futurista della Ceramica e Aereoceramica(1938),
Filippo Tommaso Marinetti e Tullio d'Albisola Opere principali Pittura Umberto
Boccioni, Tre donne (1909-1910); Umberto Boccioni, La città che sale
(1910-1911); Carlo Carrà, Notturno a Piazza Beccaria (1910); Umberto Boccioni,
La risata (1911); Umberto Boccioni, Stati d'animo, gli addii (1911); Carlo
Carrà, I funerali dell'anarchico Galli (1911); Umberto Boccioni, Materia
(1912); Giacomo Balla, Ragazza che corre al balcone (1912); Giacomo Balla,
Dinamismo di un cane al guinzaglio(1912); Giacomo Balla, Lampada ad arco
(1911); Umberto Boccioni, Elasticità (1912); Gino Severini, La chahuteause
(1912); Luigi Russolo, Dinamismo di un'automobile (1912-1913); Carlo Carrà,
Cavaliere rosso (1913); Giacomo Balla, Automobile + velocità + luce (1913).
Gino Severini, Ballerina in blu (1913); Fortunato Depero, I Cavalieri. ^ a b c Futurismo, in Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 14
novembre 2014. ^ Il pensiero futurista si richiama evidentemente a varie
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"superuomo" (oltreuomo) di Friedrich Nietzsche, l'anarchismo di Max
Stirner, la "violenza" di Georges Sorel (Considerazioni sulla
violenza), lo slancio vitale di Henri Bergson(cfr. "Futurismo"
nell'Enciclopedia "Il Sapere", De Agostini editore). ^ arengario.it,
http://www.arengario.it/futurismo/_pdf/specimen-2011-tonini-manifesti.pdf. ^ In
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InternetCulturale.it. URL consultato il 14 novembre 2014. ^ Davide Mauro,
Elapsus - Gino Severini, frammenti di vita parigina, su www.elapsus.it. URL
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pp. 68-69, per le tavole del Fumetto Futurista di Claudio S. Gnoffo si vedano
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futurismo.org LA VERA STORIA DEL FUTURISMO, la parola a Gesualdo Manzella
Frontini Il "Discorso contro i Veneziani" di Marinetti, su
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originale il 7 ottobre 2007). Il Cerchio: Rivista di Cultura con
particolari approfondimenti sul Futurismo, su cerchionapoli.it. "Luigi
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temi principali del mio libro, intitolato “Eros ethos”: la contraddizione, la
violenza, la domanda di salvezza, che è poi la domanda di senso, il silenzio di
Dio. Ma, effettivamente, questi temi fanno da sfondo, perché “ Eros ethos”,
questo nesso su cui dobbiamo riflettere, riguarda piuttosto le cose prossime
che non le cose ultime come la domanda di senso, la domanda che appunto ruota
interamente intorno a ciò che era al principio. Che cos’era il principio? Era
il senso, era il logos, o non era piuttosto come Nice, in modo sprezzante, ma
anche polemico e profondo, ebbe a dire: “ in principio era il non senso”? Ecco,
cos’ hanno a che fare queste domande sulle cose ultime con le cose prossime?
Eros ethos: che cosa c’è di più prossimo alle esperienze che noi facciamo, che
questa? Esperienza erotica ed esperienza etica. Questo è il quadro, questo è
l’orizzonte problematico dentro il quale vorrei insieme con voi procedere per
alcuni passi, e allora incomincerei col dire che, davvero, la domanda da cui
partire è la domanda sull’origine: una domanda che ai non filosofi può sembrare
di scarsa rilevanza. Perché la domanda sull’origine? E che cosa vuol dire
domanda sull’origine? Vuol dire, se la vogliamo tradurre, interrogarsi sul da
dove veniamo, da dove il male, la violenza che patiamo. “Unde malum?” questa è
la domanda sull’origine. Ma a questa domanda sull’origine, così perentoria e
così grave di implicazioni, come risponde il pensiero contemporaneo? Il
pensiero contemporaneo risponde rimovendola, come se non esistesse, meglio come
se non la potessimo, né la dovessimo porre. E questo perché? Perché alla
domanda ha già risposto la scienza. Sappiamo da dove veniamo, di chi siamo
figli: siamo figli del caos, e se è vero che leggi che possono essere accertate
scientificamente governano questo caos, del caos noi siamo figli, o, se non del
caos, di quel suo riflesso che è il caso. Siamo figli del caso. La violenza è
un fatto. Certo che c’è violenza nel mondo, ma c’è come c’è quell’ultimo
orizzonte che non possiamo trascendere. Ci appartiene la violenza, è in noi,
sempre di nuovo la evochiamo, basta un niente ed ecco esplode, come se un fondo
sub umano ci abitasse, come se da questa brutalità naturale noi provenissimo,
come se appunto questo fondo sub umano, questa brutalità naturale, sempre
pronta ad esplodere, costituisse un orizzonte intrascendibile. Non è forse vero
che veniamo di lì, non ci dice la scienza che veniamo dalla “selva antiqua?”
Dallo stato di natura? E che cos’è lo stato di natura se non lo stato in cui la
violenza ci fa simili, anzi identici, a quegli esseri che abitano la natura e
l’abitano inconsapevolmente, producendo la violenza appunto come produzione
inconsapevole di quella volontà di vivere che abita tutti gli esseri naturali?
Sembra essere questa la grande parola della filosofia moderna e poi
contemporanea, perchè troviamo in essa quasi un vero e proprio ritornello: il
risalimento all’origine è precluso, la filosofia pensa a partire da una
situazione, da un trovarsi ad essere in un certo modo, a partire da cui soltanto
il pensiero è pensiero. Che cosa significa risalire alle origini, ipotizzare
fondamenti ultimi? Tutto questo appartiene all’ontoteologia cioè alla pretesa
appunto di ragionare ricostruendo il fondamento, la ragione ultima di tutte le
cose, in una parola l’origine, quell’origine che non è, o meglio non è se non
nella forma che ci è data, e di cui noi facciamo esperienza sapendo di essere
quello che siamo, ossia esseri naturali che dallo stato di natura provengono e
che nello stato di natura trovano una sorta di ultimo orizzonte, di estremo
confine intrascendibile, assolutamente intrascendibile. Da questo punto di
vista abbiamo la parola di Hobbes da una parte( lo stato di natura), e la
parola di Rousseau dall’altra( lo stato di natura come 1 stato di
pura violenza che si tratta di controllare attraverso un patto, i cui
contraenti autolimitano la propria libertà in nome del controllo di ciò che è
dato: lo stato di natura). Da una parte Hobbes( il Leviatano), e dall’altra
Rousseau dicono la stessa cosa anche se sembrerebbero dire due cose
completamente diverse. Che cosa dice Rousseau? Dice che lo stato di natura non
è il regno del Leviatano, il regno della violenza, è il regno della gioia, è il
regno della libertà, è il regno della giustizia. Eppure dicono la stessa cosa.
Che cosa? Dicono che quello, lo stato di natura, è un orizzonte che non
possiamo trascendere. Lì ci troviamo a vivere. Che questo stato di natura sia
uno stato di violenza, o che questo stato di natura sia uno stato tornando nel
quale noi ci liberiamo dalla violenza stessa, in definitiva è la stessa cosa,
perché è questo stato, questa condizione intrascendibile, e non possiamo
affacciarci, per così dire, sulla soglia, su questo stesso orizzonte, e
guardare al di là e chiederci: “ Ma noi da dove veniamo? Chi ci ha gettati
qui?” O nella lotta o nella gioia edenica: domanda senza senso. Risalire non è
possibile. L’orizzonte è chiuso. La violenza non è nient’altro che questo,
quella violenza di cui ci parlano anche le cronache, ma che noi conosciamo
anzitutto in noi stessi, perciò della violenza non resta che prendere atto come
qualche cosa che è connaturato, stato di natura appunto, e che non ci resta che
controllare. Sempre di nuovo l’uomo ricade nella violenza, sempre di nuovo
l’uomo deve, se non liberarsene totalmente, elaborare delle strategie di
controllo. Auschwitz non deve più accadere e invece è accaduto e probabilmente
sempre di nuovo accadrà. Questo lo sappiamo, lo sappiamo nei nostri giorni
violentissimi, crudelissimi. Su questo non possiamo chiudere gli occhi: sul
fatto che Auschwitz sempre di nuovo accade, che sempre di nuovo l’uomo cade
dentro quello stato di natura dal quale proviene e dal quale non può evadere.
E’ la parola più dura della filosofia contemporanea, nascosta spesso dentro
strategie di pensiero molto sofisticate, molto raffinate, ma che questo dicono:
l’intrascendibilità della nostra provenienza, dell’orizzonte dal quale
proveniamo, tanto è vero che sempre di nuovo cadiamo dentro a questo orizzonte.
Difficile immaginare, appunto, una risposta più cupamente ateistica e
nichilistica di questa, ma anche più vera, con una sua verità che sembrerebbe
difficilmente controvertibile. Non è forse vero che la violenza è in noi, che
veniamo di lì? Non ci dice la scienza che in noi ci sono forze che se non
teniamo sotto controllo fanno di noi, di chiunque di noi, il peggiore dei
delinquenti, e che ciascuno ha in sé questa virtualità negativa e terribile?
Ciascuno di noi. Lo vediamo, non solo per le guerre, ma per i casi che la vita
ci mette sotto gli occhi: gli adolescenti che uccidono i genitori, il mobbing
tra le persone, questo bisogno di farsi reciprocamente male, che cos’è questo
se non una radice? Maligna, ma nello stesso tempo naturale, maligna, ma in
questa prospettiva senza nessuna ascendenza teologica, perché appunto è lo
stato di natura dal quale proveniamo, dentro il quale sempre di nuovo ricadiamo
in quanto l’orizzonte è intrascendibile. Che questo sia detto nei termini di
Hobbes, o sia detto nei termini di Rousseau, che a partire da Hobbes si
elaborino teorie dello stato come strumento, il solo che l’uomo ha per tenere
sotto controllo la violenza, che a partire da Rousseau si elaborino invece
teorie della emancipazione, della liberazione, del ritorno alla natura, però questo
ci dice l’intrascendibilità dello stato di natura. E’ una tesi che ha mille
sfaccettature naturalmente, ma molto forte. A questa tesi della
intrascendibilità radicale dello stato di natura io credo ci sia una sola
obiezione, ma forte, altrettanto forte che la tesi stessa. E questa obiezione è
che la violenza dell’uomo sull’uomo, quella violenza che fa dell’uomo un bruto,
che lo ricaccia sempre di nuovo nella brutalità dello stato di natura, questa
violenza è sempre qualche cosa di più, è sempre qualche cosa di meno che
espressione dello stato di natura. Questa è la vera obiezione. E cioè, che
cos’è? E’ cosa umana. La violenza fatta dall’uomo non è infatti assolutamente
assimilabile alla violenza fatta dall’animale, da una tigre, da un leone
feroce. La ferocia che emerge, che affiora, e che trasforma un essere umano in
un animale 2 è altra cosa, non è vero che trasforma l’essere umano
in animale ( questo è un modo di dire assolutamente sviante, falsificante,
anche se sembra corrispondere all’esperienza che ciascuno di noi fa ), questa
violenza è altra cosa, perché la violenza dell’uomo ha, per così dire, un
segno, una segnatura, quella signatura rerum di cui parlavano gli alchimisti
che la vedevano nelle cose stesse, quasi le cose fossero portatrici di simboli
entrando in contatto con l’uomo. Ecco, la stessa cosa vale per la violenza
umana: essa ha una segnatura che ne fa qualcosa di altro rispetto alla violenza
dell’animale, di radicalmente altro, di ontologicamente altro. Perché la
violenza dell’uomo non è assimilabile a quella dell’animale? Perché la violenza
dell’uomo ha qualcosa come un valore aggiunto, e il valore aggiunto è quello
che ci mette l’uomo stesso. Pensate all’uomo, al soldato che uccide, deve
farlo, lo fa per difendersi, pensate alla violenza che esplode in una
situazione apparentemente normale: sempre c’è qualche cosa di più e di diverso
che l’espressione di una aggressività volta a raggiungere uno scopo, raggiunto
il quale la stessa violenza, per così dire, ritorna in una quiete, in una pace,
la pace del leone che ha divorato la gazzella e si ritrova in pace con sé
stesso e con la natura. La violenza dell’uomo, quale che sia, giustificata o
non giustificata, ( ma appunto la parola giustificazione è povera) , sempre ha
questo valore aggiunto: e il soldato sente il bisogno, ahimè, spesso di
sottolineare questo valore aggiunto , irridendo il nemico. Questo è
nell’Iliade, come nella cronaca di oggi, di ieri e dell’altro ieri.
Nell’Iliade, quando Achille strazia il cadavere di Ettore, sente il bisogno di
straziarlo sotto le mura di Ilio, sotto gli occhi delle persone care: ecco quel
di più, ecco ciò che fa della violenza umana qualche cosa di radicalmente
umano. Nel soldato che aggredisce e umilia l’aggredito, il vinto, il nemico
vinto, stuprando la sua donna, per esempio, non c’è mai una pura e semplice
espressione pulsionale di qualche cosa, come un bisogno bestiale o animalesco,
c’è invece il desiderio di segnare ( parlavo prima di segnatura, di valore
simbolico) , c’è il bisogno di umiliare, c’è, in altre parole, l’impossibilità
di ricadere nella quiete della violenza che ha raggiunto il suo scopo. Allora,
se la violenza dell’uomo non è assimilabile alla violenza della natura, se
questo valore aggiunto fa sì che la violenza dell’uomo riveli una sua
irriducibilità all’ordine naturale delle cose, allora non è vero che lo stato
di natura non può essere trasceso, non è vero che non è possibile affacciarsi
sull’ultimo orizzonte e chiedersi: “ Ma da dove vengo io?” Allora non basta
dire: “ Io vengo da lì, cioè dalla natura e dalla sua brutalità, io vengo da un
altrove”. E’ una contraddizione, perché, se vogliamo dirla con una formula
filosofica, la intrascendibilità dello stato di natura chiede di essere
trascesa. Il riconoscimento che di lì vengo, che sono impastato di quella
pasta, che sono fatto di quel fango, che in me agiscono forze brutali,
bestiali, non basta. Non basta perché quelle forze dicono non soltanto la mia
provenienza dallo stato di natura, ma da un al di là, che non so che cosa sia,
che la filosofia non può dire naturalmente, ma deve cercare. Non mi basta
riconoscermi parte della natura, perché questo mio riconoscimento fa cenno, sia
pure nella forma della contraddizione, ad un altrove, come se io fossi caduto,
come se io di là venissi, e come se soltanto questo movimento potesse spiegare
il valore aggiunto che è nella violenza. Ho fatto due esempi, di due grandi
filosofi della modernità, Hobbes e Rousseau, i teorici della intrascendibilità
dello stato di natura. Farò altri due esempi di grandi filosofi della modernità
i quali sostengono quello verso cui sto cercando di condurvi e cioè che
l’intrascendibilità dello stato di natura è contraddittoria. Certo l’uomo, con
le sue categorie, con i suoi concetti, con ciò di cui dispone, non può uscire
dall’orizzonte in cui è venuto a trovarsi, ma patisce, soffre, vive questo suo
trovarsi in un orizzonte che è come un carcere per lui, appunto come un essere
cacciato lì dentro. Diceva Pascal: “ Io mi guardo intorno, e tutto è
confusione, un orribile caos, cerco Dio, ma Dio tace ( il silenzio di Dio), e
non solo Dio tace, ma tutto è terribilmente silenzioso, e il silenzio degli
spazi infiniti è eterno. Che cosa mi resta, se voglio in questo orribile
3 caos muovermi e sopravvivere? Che cosa mi resta da fare? Prendere
atto che le cose stanno così, seguire le leggi del mio paese. Già, ma le leggi
del tuo paese sono esattamente l’opposto delle leggi del paese accanto. Che
fare? Questa è appunto la prova del caos in cui versiamo. Ma il mio sovrano mi
ha ordinato di uccidere quello che sta al di là del fiume. E perché? Perché sta
al di là del fiume. Ma è una ragione questa? Eppure lo devo fare, perché, se
non mi attenessi alle leggi del mio paese, cadrei in un disordine ancora più
grande, non vivrei più”. L’abbiamo visto: l’unica forma di sopravvivenza è
quella garantita dall’accettazione dello status quo. Dice: “ Ma io mi guardo
intorno. Questo è giusto, che cosa è sbagliato? Nulla è giusto, nulla è
sbagliato, tutto lo è. E infatti non c’è atto, non c’è gesto, non c’è
comportamento umano, anche il più abietto, che non abbia trovato il suo altare.
Sull’altare è stato messo l’incesto, sull’altare è stato messo l’omicidio,
sull’altare è stato messo il furto, e così via. Un orribile caos, è quello nel
quale l’uomo naturaliter viene a trovarsi: intrascendibilità dello stato di
natura”. Ecco allora la contraddizione, ecco il passo in più che fa Pascal:
l’intrascendibilità dello stato di natura è inaccettabile, l’intrascendibilità
dello stato di natura non può essere vissuta se non come una condanna, e quale
maggiore condanna che quella di chi vede che ogni atto, anche il più nefasto,
il più delittuoso, ha trovato il suo altare? Quale condanna peggiore di chi
constata che è costretto a compiere atti profondamente ingiusti e tuttavia
giustificati? “ Vai, uccidi”. “ Perché?” “Perché il tuo sovrano te lo ordina”.
Ed è giusto così, o meglio giustificato così, pena un disordine ancora
maggiore. Questa è una realtà che non si può non accettare, una realtà che ci
dice il nostro essere vincolati ad essa, l’intrascendibilità dello stato di
natura, ma una realtà nello stesso tempo vissuta come iniqua, come
inaccettabile: non la posso che accettare, ma è inaccettabile. Ecco la
contraddizione, e se volessimo dirla filosoficamente, dovremmo dire:
“l’intrascendibilità dello stato di natura impone il suo trascendimento”. Da
dove vengo io? Da quale paradiso perduto, se soffro così tanto all’interno di
una situazione per la quale non vedo via d’uscita? L’intrascendibilità chiede
di essere trascesa. Qui la filosofia deve tacere, la filosofia non può che
aprirsi ad una dimensione altra. E’ una risposta, come vedete, ben diversa da
quella di Hobbes, ed anche da quella di Rousseau. Nasce da Pascal una filosofia
religiosa, laddove da Hobbes e da Rousseau nasce una filosofia irreligiosa. Le
fedi private dell’uno e dell’altro non sono più in questione, ma è
profondamente irreligiosa una filosofia che dice: “ La violenza c’è e non resta
che tenerla sotto controllo. Noi non possiamo guardare al di là”. E’ una
filosofia profondamente irreligiosa quella che dice che la violenza c’è perché
c’è la società. Togliamo questo elemento storico sociale, che inquina, con gli
apparati repressivi che la società mette in atto, liberiamoci da tutto ciò, e
ritroviamo quella gioia che è lo stato originario dell’uomo: filosofia, in
entrambi i casi, con tutte le loro propaggini, da Rousseau a Marcuse, oppure da
Hobbes a Smith, filosofia profondamente irreligiosa quella
dell’intrascendibilità dello stato di natura, laddove è filosofia profondamente
religiosa quella di un Pascal che dalla stessa intrascendibilità ricava,
attraverso la contraddizione, l’idea di non poter non trascendere. Anche Vico,
che viene spesso interpretato, e giustamente, come il padre dello storicismo,
ma è anzitutto teologo cristiano, dice la stessa cosa, cent’anni dopo Pascal, e
la dice attraverso l’idea che la menzogna in cui l’uomo si trova a vivere sia
l’illusione che “ omnia Iovis plena” , che gli alberi siano dei, che tutto gli
parli, che l’universo sia animato da presenze. Se un fulmine cade nella selva
antiqua e apre la radura e l’ uomo si illude che un dio gli abbia parlato, non
è vero, è un’illusione, è pura idolatria credere che lì si sia avuta una
epifania, e tuttavia questa che è la condizione idolatrica che l’uomo non può
trascendere. Vico dice: “ Cos’è più vero? Lo stato di natura, dove l’uomo è e
non è se non cacciatore e preda? Oppure lo stato di cultura?” Quello stato di
cultura che l’uomo costruisce in base ad una simulazione, cioè in base ad una
menzogna, illudendosi che gli dei gli abbiano parlato e 4 sulla
base di questo messaggio, di questa rivelazione, costruisce appunto le
istituzioni, le famiglie, gli stati, la cultura, insomma. Che cos’è più vero?
E’ il puro e semplice abitare la natura come l’abitano i bruti, brutalità dello
stato di natura, oppure è, attraverso la finzione, diventare uomini? Accedere
ad una verità propriamente umana? Anche lì, attraverso la contraddizione,
l’uomo è costretto a vedere nella natura una sorta di deiezione, di caduta. Da
dove? La filosofia non lo dice, lo dice la rivelazione. Come vedete queste sono
ipotesi molto diverse, opzioni filosofiche che sono alla radice del mondo
moderno. Voi vi chiederete: “ Tutto questo che cosa c’entra con Eros ethos?”
C’entra perché c’entra la contraddizione. E’ la contraddizione che dobbiamo
cercare, che dobbiamo interrogare, per capire appunto se noi siamo consegnati
ad un destino umano e soltanto umano o se invece questa stessa umanità del
nostro destino impone un trascendimento della condizione nella quale ci
troviamo: dobbiamo cercare l’origine, ciò che è in principio ma anche ciò che
è, per dirla con sant’Agostino, “intimior intimo meo”, più intimo a me stesso
di quanto non lo sia io a me. Come sappiamo, Agostino identificava Dio con
questo movimento, con l’intimior intimo meo: è Dio che è più intimo a me di
quanto io non lo sia a me stesso. Potremmo, parafrasando Agostino, vedere
precisamente nel nodo di contraddizione che nello stesso tempo lega e separa eros
ethos qualche cosa che può essere definito negli stessi termini. Che eros ed
ethos si contraddicano, o meglio si oppongano( l’opposizione e la
contraddizione sono due cose diverse) lo so bene, che eros ed ethos si
oppongano è cosa abbastanza ovvia. Che cosa indica eros se non l’immediatezza,
diciamo pure la gioia di vivere, quella gioia di vivere che non ammette
ostacoli di nessun tipo, che chiede soltanto di essere espressa? Eros i Greci,
e non soltanto i Greci, lo presentavano come un fanciullo, la divina innocenza,
eros come espansione vitale, o per dirla con Kierkegaard come vita immediata,
vita che non dà ragione di sé, e noi diremmo oggi ( figli volenti o nolenti,
tutti figli di Freud ) “vita pulsionale”, e le pulsioni sono le pulsioni, il
bene e il male appartengono ad un altro ordine, ad un’altra dimensione. Ethos è
il contrario. Ethos è il “Tu devi”. Ethos è la serietà della vita. Ethos è il
dover rispondere di tutto nei confronti di tutti, o quanto meno di sé nei
confronti di coloro coi quali si è stretto un patto. Quale opposizione maggiore
che quella tra eros ed ethos? Tra l’immediatezza e la mediazione? Tra la libera
e gioiosa espansione di sé che non dà ragione, perché è quello che è, è vita
immediata, tra la gioia, se vogliamo dire così, e la serietà della vita, ossia
il “Tu devi”, questo sì e questo no, perché tu devi rispondere di te nei
confronti di tutti gli altri? Ma appunto siamo ancora sul piano
dell’opposizione, non ancora della contraddizione. Per scorgere la
contraddizione dobbiamo renderci conto che c’è dissidio, cioè c’è intima
opposizione sia in eros, sia in ethos. Ed è solo a partire da un’analisi
separata delle due forme di esperienza, esperienza erotica ed esperienza etica,
che capiremo come l’opposizione diventi una vera e propria contraddizione e
capiremo come la contraddizione che abita in ciò che è “intimior intimo meo”,
così prossimo a noi da costituire davvero la nostra anima, la nostra carne ( e
che cosa se non eros ed ethos? ), come la contraddizione sia proprio in questa prossimità.
Ma lo scopriremo appunto esaminando separatamente le due forme. Perché c’è
opposizione in eros? L’abbiamo definito come gioioso, libero, come espressione
di una vitalità che non conosce ostacoli. Non è forse vero che eros è
trasgressione? Ma non carichiamo subito questa parola di un significato morale:
no, siamo prima, siamo al di qua della morale. Parliamo dunque di trasgressione
nel senso letterale del termine, nel senso di una spinta, di un movimento teso
a rompere tutti i vincoli. Quindi siamo ancora sul piano di una fenomenologia
che non chiama in causa la morale. Eros è questo transgredior, questo superare
il limite che eros stesso pone a sé stesso per essere quello che è. Cosa
c’entra la morale con eros, se eros è questo? Come è pensabile un intimo
dissidio di eros con eros? I Greci lo hanno pensato. Quando ci troviamo di
fronte a queste difficoltà, definita filosoficamente la categoria, 5
sembrerebbe non si dovesse più procedere oltre, invece sappiamo che
l’esperienza erotica è molto più complessa, che non è questa pura e semplice,
come qualcuno vorrebbe, espressione pulsionale di sé che non dà ragione di sé,
bensì un’esperienza terribilmente complessa. E allora come la mettiamo? La
filosofia ci dice che è trasgressione, movimento libero verso la liberazione da
tutti i vincoli. Il mito, e di nuovo la religione, ci dice che è cosa molto,
molto più complessa. E come avevano rappresentato questa complessità i Greci?
Attraverso i miti, come sappiamo. I miti sono questo: servono a dire delle cose
che la filosofia non riesce a dire, o che il linguaggio comune non riesce a
dire. Ci sono tanti miti nella cultura greca che parlano di eros, infiniti, ma
non soltanto nella cultura greca, anche in quella indiana, anche in tante
altre. Ma alcuni in particolare: intanto quello che identifica eros con Fanes
Protogono. Chi è Fanes Protogono? Fanes Protogono è qualcuno, qualche cosa che
viene prima della stessa formazione del mondo, e quindi del costituirsi di
figure archetipiche nel mondo che sono gli dei; Fanes ( “ fainetai”) è questa
accensione originale che fa sì che il mondo, che era, secondo il mito di Fanes
Protogono, tutto raccolto in un nucleo simile ad un punto ( pensate a quale
profondità di intuizione erano arrivati i Greci), per questa improvvisa
accensione si spacchi, si scinda come sotto una spinta, una forza assolutamente
sorgiva, che non è governata da figure archetipiche, dagli dei, ma che è
assolutamente iniziale. Questa realtà tutta compressa, tutta compresa in un
unico punto, per così dire a seguito di questa cosiddetta accensione, esplode,
e questa esplosione dà luogo alla terra e al cielo, perciò la terra e il cielo,
a partire da questa esplosione, non potranno che sempre di nuovo cercare di
ricongiungersi. Urano e Gea, il cielo e la terra, originariamente uniti, a
seguito della esplosione cercano di ricongiungersi, grazie a eros, Fanes
Protogono, cioè il principio primo, il principio originariamente generatore,
che è la luce. Eros è questa accensione, questa forza ricongiungente dei due. Dentro
questo mito che cosa scopriamo? Il carattere assolutamente non morale di eros.
Eros è quello che è, non è neppure un dio, è luce, è manifestazione, è pura
forza esondante, quella pura forza esondante che ciascuno di noi prova in sé,
nelle varie forme in cui eros si manifesta, che, come sapevano i Greci, sono
infinite. Basta leggere il Simposio per capire come Platone sapesse delle varie
forme di eros. Ma che cosa accade? Accade qualche cosa di tremendo, il tremendo
che è in eros: accade che nel momento in cui la terra e il cielo si scindono in
due, in una sorta di mattino del mondo nasce Afrodite che è la dea dell’amore,
che è la dea, a seguito di questa vicenda, chiamata a incarnare, a
personificare, la forza originariamente creatrice. Ma chi è Afrodite? E’ la dea
della doppiezza, e i poeti greci così l’ hanno descritta: è la dea della
felicità, della gioia, della gioia di vivere che non dà ragioni di sé, è la dea
al di là del bene e del male, è la dea al di qua del bene e del male. Ma
Afrodite è anche la dea che nasconde il tremendo da cui proviene, tanto è vero
che lo stesso mito greco ci parla di questo mattino del mondo: e cosa c’è di
più bello che il sorgere di Afrodite dalla spuma del mare, che cosa c’è di più
innocente, di più incantevole? E tuttavia quella spuma del mare è memoria di un
atto di sangue: la spuma del mare è il sangue stilato, e anzi sangue- liquido
seminale, stilato dal sesso di Urano, castrato dal suo stesso figlio. Capite
che cosa dicono i Greci? Che cosa tiene insieme nell’idea di eros l’uomo greco?
Gli opposti: l’innocenza, la perfezione in quanto è l’emergere della vita da sé
stessa, la vita che non dà ragione di sé, la vita che è quello che è, al di là
del bene e del male, tuttavia su uno sfondo cupo di sangue. Il fanciullo innocente
è nello stesso tempo colui che ha memoria del tremendum, con buona pace dei
teorici, quanti sono oggi, delle emancipazioni a buon mercato: “Liberatevi dai
tabù, abbandonatevi!” Tutte cose belle, per carità, non voglio dire che non ci
si debba anche liberare dai tabù, però le cose sono un po’ più complicate: la
liberazione( tesi) è necessaria, e tuttavia sta a fronte( antitesi) di qualche
cosa come gli orrori delle origini. Quando ci si interroga sul fatto, sul
rapporto eros e violenza, per esempio, perché chiudere gli occhi di fronte a
6 questa che è realtà umana, più che umana? Bisogna pensare come
hanno pensato i Greci, o come hanno pensato gli Indiani in modo forse meno
cupo, in modo meno metafisico, ma altrettanto espressivo, con la figura della
donna che volge lo sguardo, dell’amante che raggiunge l’amato ( che è un tema
iconografico di molta arte indiana, di molta arte erotica dell’India ), della
donna che si butta nel fiume per raggiungere l’amato, ma volge lo sguardo, e
questo sguardo è pieno di malinconia per tutto ciò che lascia: siamo fatti di
una irriducibile doppiezza, ci dice il mito. Certo che è necessario gettarsi,
raggiungere l’amato, ma non ci è dato di farlo ( è la dinamica della
trasgressione ), se non volgendo lo sguardo verso tutto ciò che abbiamo perso,
che stiamo perdendo, che potrebbe essere la rottura del patto. E questo che
cosa vuol dire? Vuol dire che eros, l’innocenza stessa, in modo del tutto
contraddittorio, si lega al suo contrario, a qualcosa come la colpa: ecco come
eros è portatore di una contraddizione. Ma lo stesso vale per ethos. Ethos è in
sé stesso contraddittorio, e sono ancora una volta i Greci che ci dicono
questo. Della profondità del mito greco si era accorto Aristotele, per primo,
che io sappia, quando, guardando al mito, ha scoperto che la parola greca ethos
( da cui etica, naturalmente, ) si dice in due modi, o meglio si dice in un
modo solo ma si scrive in due ( è una anomalia del Greco che forse non ha altri
esempi così clamorosi ): ethos in greco si scrive con la ipsilon, e con la eta,
e se scritta con la ipsilon vuol dire una cosa, se scritta con la eta vuol dire
un’altra cosa, o meglio, vuol dire la stessa cosa , ma un po’ diversa . Se
scritta con la eta , ethos fa riferimento alla dimora, alla casa. E allora che
cos’è ethos? Ethos è la convenzione, sono gli usi, i costumi, le abitudini, da
cui abitus, le virtù, come abiti che indossiamo che ci portano a compiere certe
cose, a comportarci in un certo modo. Ma perché ci comportiamo in un certo
modo? Perché siamo stati educati, perché abbiamo accolto in noi, essendo stati
accolti da una comunità e cioè dalla casa anzitutto, quelle leggi, quei
comportamenti, quel modo di vedere, che è proprio di ethos con la eta. Qui a
essere privilegiato è il riferimento al sentire comune, alla comunità: ethos
come appartenenza ad una comunità, che mi impone di non pensare tanto a me
stesso quanto agli altri, di riconoscermi all’interno di una tradizione e così
via. Ma se io lo scrivo con la ipsilon, allora vuol dire carattere, che
appartiene a me, è solo mio : l’ethos è il mio demone, è qualche cosa che mi
dice: “ Tu devi fare questo”. “No”. “ Ma sei contraddetto da tutti, non è
accettabile che tu non faccia questo, la società ti condanna”. “ Che mi
importa, lo devo fare, perché so, ma in base a quale sapere?” “In base ad un
sapere demonico, cioè che non dà ragioni di sé. Sapere di cui io mi faccio
carico, costi quello che costi”. Guai se ethos fosse solo sapere demonico, se
fosse solo carattere, perché allora l’etica sarebbe una cosa terribile, sarebbe
cosa tragica, darebbe luogo a scontri senza fine, senza un terzo che faccia da
medio, se è giusto quello che io sento giusto. L’io, la coscienza: se ethos
fosse solo questo sarebbe terribile. Ma guai se ethos fosse soltanto quell’altro:
abitudine, tradizione, leggi e così via. Facciamo il caso che la società alla
quale appartengo, nella quale mi riconosco, mi condanni legalmente e in base a
dei principi riconosciuti come giusti, mi condanni per esempio a essere
deportato. Immaginate un’ etica che sia soltanto etica pubblica, un’ etica
della tradizione condivisa, immaginate di togliere a me o a chi per me il
diritto di dire no, anche se la società alla quale appartengo mi condanna, di
rivolgermi al mio Dio, per invocarlo, o per bestemmiarlo, dicendo:” Non è
giusto”. Non dimentichiamo mai Auschwitz, ma non dimentichiamo mai che tutto
quello che è accaduto in quegli anni è accaduto legalmente: le deportazioni
erano leggi dello stato tedesco, non si tratta di qualcosa avvenuto nascostamente,
bensì di leggi dello stato tedesco. L’etica che fosse soltanto l’etica, la casa
della comunità di appartenenza, della polis, dello stato, potrebbe non essere
un’etica a sua volta monca, terribilmente manchevole? Già, ma come fanno a
stare insieme ethos ed ethos, ethos con la eta e ethos con la ipsilon? Come far
stare insieme le leggi della pietà, per esempio, come sa bene Antigone, e le
leggi 7 della città? Le leggi di coloro che stanno sotto la luce
del sole e le leggi sotterranee, degli dei, che stanno sotto? Contraddizione,
la contraddizione di ethos. Voi direte, ma che cosa c’entra questo discorso con
la violenza? E’ lo stesso discorso. In che senso? Abbiamo visto, e mi avvio
alla conclusione, come la violenza sia un dato di natura, anzi, è la natura che
è in noi, è uno stato, tanto è vero che si parla di stato di natura: è
quell’emergere di forze oscure, che ci riportano al luogo da cui proveniamo,
che è la selva. E’ la linea maestra del pensiero moderno e contemporaneo, e
abbiamo visto che non basta dire questo. Le cose non stanno così, perché qui
c’è una contraddizione . La contraddizione è sollevata dalla affermazione che
la violenza dell’uomo sull’uomo è sì qualche cosa che lo accomuna alla bestia
feroce, ma nello stesso tempo è qualche cosa che lo rende irriducibilmente
diverso dalla bestia feroce. La violenza è sì cosa che implica la non
trascendibilità dello stato di natura, ma questa non può che essere vissuta
come condanna che implica il trascendimento. Lo stato di natura è uno stato che
io posso pensare solo come stato di gettatezza, avrebbe detto Heidegger.
Senonché per Heidegger la gettatezza, la deiezione, il mio trovarmi come
gettato in questo mondo, non ha più né capo né coda, non ha più un da dove sono
gettato e un verso dove vado. E in questo senso Heidegger in fondo resta
all’interno della tradizione tipicamente moderna che ritiene intrascendibile
questo stato. Non così là dove questo stato venga vissuto, venga letto, nel suo
valore simbolico. Lo dice bene Pascal: “ Tutto è simbolo, quella natura
caotica, così confusa, non fa che ricordarmi che questo non può essere il mio
mondo, è il mio mondo e per viverci lo devo accettare, e tra questo mondo, e
l’infinito, e l’assoluto, un abisso mi separa: non c’è verso, filosoficamente, di
costruire un ponte tra il qui e ora, il qui di leggi contraddittorie, e
l’origine. Tuttavia, in questo mondo io vivo come uno straniero, come uno che è
stato gettato da un altrove, la cui chiave la possiede non la filosofia ma la
religione: la caduta, il peccato originale.” Lo stesso discorso vale per la
contraddizione, il rapporto contraddittorio di eros ed ethos. Noi vorremmo
potere riferirci, così come nel caso della violenza ci siamo riferiti, a
qualche cosa di ultimo, qui riferirci a qualche cosa di primo, eros ethos, di
prossimo, di propriamente nostro a cui ancorarci, vorremmo poterlo fare. E che
cosa se non ancorarci a eros, se non ancorarci a ethos? E’ esperienza che tutti
fanno, se pure in forme molto diverse: l’esperienza che vorremmo gioiosa di eros
e seria di ethos, e lì restare, restare in questa prossimità, in questa
intimità di noi con noi stessi, in definitiva rassicurante. Eros è la gioia: “
Abbandonati”; ethos è il dovere: “ Rispetta”. Già, ma questa intimità, di noi
con noi stessi, è contraddittoria, ovvero “intimior intimo meo”. Nel punto in
cui noi ci troviamo più intimi con noi stessi, noi siamo per così dire
scavalcati, trascesi da un movimento che fa cenno a qualche cosa che è
assolutamente altro rispetto a questa pretesa di raccoglierci in una certezza,
la certezza di eros e la certezza di ethos. Tanto è vero che non solo eros ed
ethos stanno tra loro in opposizione, ma è una opposizione contraddittoria
perché il dissidio è sia nella forma dell’esperienza erotica, sia nella forma
dell’esperienza etica. “Intimior intimo meo”: qui davvero varrebbe la pena di
parafrasare Agostino, e ricordare che nel momento in cui io sono più prossimo a
me stesso in realtà sono infinitamente lontano, sono per così dire costretto a
trascendere, trascendere me stesso.Sergio Givone. Givone. Keywords: phanes, eros/ethos;
phanes protogono, convito di platone, pareyson. storia naturale dell nulla,
unelongated history of negation; Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Givone” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51755894963/in/dateposted-public/
Grice e
Gobetti – il partito liberale italiano – il partito socialista italiano –
filosofi contro il regime -- (Torino). Filosofo. Grice: “Italian philosophy
is political in a way pinko Oxonian one ain’t: Gobetti is the exception that
DISproves the rule!” -- “Lo Stato non professa un'etica, ma esercita un'azione
politica.” (La Rivoluzione Liberale.) Considerato un degno erede della
tradizione filosofico-politica post-illuminista e liberale che aveva guidato
molte delle migliori menti dell'Italia dal Risorgimento fino a poco tempo
prima, purtuttavia di stampo profondamente sociale e sensibile alle istanze del
socialismo e di conseguenza alle rivendicazioni del movimento operaio, fondò e
diresse le riviste Energie Nove, La Rivoluzione liberale e Il Baretti, dando
fondamentali contributi alla vita politica e culturale, prima che le sue
condizioni di salute, aggravate dalle aggressioni subite, ne provocassero la
morte prematura a nemmeno 25 anni durante l'esilio francese. Gaetano Salvemini
«Era alto e sottile, disdegnava l'eleganza della persona, portava occhiali a
stanghetta, da modesto studioso: i lunghi capelli arruffati dai riflessi rossi
gli ombreggiavano la fronte. (Levi, in «Introduzione agli Scritti politici di
Gobetti»,). Figlio unico di Giovanni Battista, commerciante, e di Angela
Canuto, una «piccola donna bruna e tonda, gentile e modesta, capace tuttavia
non solo di grande abnegazione per il figlio unico che adorava, ma anche di
strenuo lavoro e di sagace giudizio». I suoi genitori, originari entrambi di
Andezeno, avevano aperto nel capoluogo piemontese una drogheria nella centrale
via XX Settembre. “Mio padre e mia madre avevano un piccolo commercio.
Lavoravano diciotto ore al giorno. Il mio avvenire era il loro pensiero
dominante. L'impegno del loro lavoro era di arricchire permettersi e
permettermi una vita dignitosa. In quanto a me pensavano di dovermi dare
un'istruzione, quella che essi non avevano potuto avere.” Dopo gli studi
elementari presso la scuola Giacinto Pacchiotti, s'iscrive al ginnasio Cesare
Balbo: scrive di sé di quegli anni, in terza persona, che «gli pesava
un'amarezza, uno sconforto, che nei ragazzi di dodici anni segnano inquietudini
fruttuose. Si vedeva troppo poco stimato, troppo solo, troppo malsicuro del
domani. Aveva dei dubbi strani sulle sue stesse attitudini. Un'adolescenza che
s'ispirava a motivi così integrali doveva dargli una tragica forza. Trasferitosi
poi presso il liceo classicoVincenzo Gioberti, dove conosce Prospero, sua
futura moglie, ha per professori Cosmo e Giuliano, un gentiliano che collabora
alla rivista L'Unità Salvemini. Questi
gli ispira quei sentimenti di patriottismo e di interventismo democratico che
sono propri del Salvemini, spingendolo ad anticipare di un anno l'esame di
maturità per poter così andare, libero da impegni, volontario nella prima
guerra mondiale. Luigi Einaudi La guerra è ormai conclusa s'iscrive a Torino,
la stessa che egli aveva già frequentato, ancora liceale, per seguirvi alcuni
corsi di filosofia. Tra i suoi insegnanti vi sono Einaudi, da cui «rafforza il
suo primitivo, spontaneo anti-statalismo, in cui s'incontrano liberalismo,
liberismo e quello stesso libertarismo che gli è congeniale --, Farinelli,
Mosca, Prato, Ruffini e Solari, con il quale sosterrà la tesi di laurea, “La
filosofia politica di VAlfieri. Non solo: a settembre aveva scritto
all'amica Ada di aver deciso di fondare un periodico che s'occuperà di filosofia,
questioni sociali è fatto di soli giovani si tratta di opera di intensificazione
di cultura e di azione e tutti i giovani devono aiutarla. Esce il primo numero
del quindicinale “Energie Nove” nel quale scrive di voler «ortare una fresca
onda di spiritualità nella gretta cultura di oggi non c'è mai momento inopportuno
per lavorare seriamente. Ispirata alle
idee liberali di Einaudi, è vicina all'Unità di Salvemini, del quale riporta,
nel secondo numero, l'aspra critica alla classe dirigente. L'Italia ha vinto.
Ma se avesse avuto una classe dirigente meno incolta, più consapevole delle sue
tradizioni e dei suoi doveri, meno avida moralmente, l'Italia avrebbe vinto
assai prima e assai meglio. È finita o sta per finire una guerra. Ne comincia
un'altra. Più lunga, più aspra, più spietata. L'altra «guerra più lunga e
spietata è quella della riforma del Paese, una riforma che dev'essere, nelle sue
intenzioni Gobetti, innanzi tutto culturale e morale, e per la quale occorre
serietà e intensità al lavoro secondo i motivi di quellidealismo militante che
ha animato La Voce di Prezzolini, altro nume ispiratorei. Era doveroso
partecipare in prima persona al dibattito politico e intellettuale
contemporaneo. Levi, in «Introduzione agli Scritti politici di Piero Gobetti. Sospende
la pubblicazione della rivista per poter partecipare, a Firenze, al I Congresso
degli Unitari, i sostenitori della rivista di Salvemini, della quale egli è
fondatore e rappresentante del Gruppo torinese. Può così conoscere di
persona l'intellettuale pugliese e ne è entusiasta. “Salvemini è un
genio.” “Me lo immaginavo proprio così. L'uomo che sviscerale questioni, che la
fa smettere agli importuni e ti presenta tutte le soluzioni in due minuti,
definitive.” “Un'altra persona di cui sono entusiasta è Prezzolini, franco, semplice,
pratico.” “Editore propriamente come lo pensavo io.” “L'editore più intelligente
d'Italia.” A seguito del Congresso, gli Unitari fondano la Lega democratica per
il rinnovamento della politica nazionale, una formazione politica che non
riuscirà nemmeno a presentarsi alle elezioni e avrà vita breve. Alle elezioni
politiche dell'anno seguente, Salvemini si candiderà con successoin una
formazione di ex-combattenti. Salvemini deve aver compreso le qualità di
Gobetti se arriva a offrirgli la direzione de L'Unità, una proposta che però,
lascia cadere. Non si sente pronto per tanto impegno, come scrive nel suo
diario: “Com'è vasta la cultura che devo conquistare!” E non basta conquistare
il vecchio. Sono giovane e devo anche produrre, creare quel po' che si può
creare. Ho tutta la vita davanti per sedermi in campagna, davanti al camino, a
mangiare pane e noci. Ho una responsabilità. Devo espormi in prima persona.
Perciò faccio la rivista. Voglio impormi nel lavoro». E s'impone un piano di
studi. “Gentile, ciò che non conosco ancora, rileggerò Croce avvierò lo studio
del Marxismo. Per ora non mi preme. Basta che mi formi un'idea generale di Marx
e della critica marxista (Sorel, Labriola, ecc.). “D'altra parte studio il
bolscevismo, minutamente». Un suo grande ispiratore fu certamente il socialista
Jaurès. Il primo numero di Energie Nove Queste note sembrano
riflettere anche la polemica che, appena riprese le pubblicazioni, Energie Nove
aveva avuto con L'Ordine Nuovo al tempo sprezzantemente definito dallo stesso
Gobetti un «giornaletto torinese di propaganda» di Togliatti, che aveva accusato
Gobetti di idealismo astratto, e di Gramsci, che aveva definito velleitaria la
Lega democratica, un ricettario per cucinare la lepre alla cacciatora senza la
leper. Ora ivi è il segno di un'inquietudine nuova, provocatagli
dall'esperienza della rivoluzione russa e dallo sviluppo del movimento operaio,
molto attivo a Torino. Pubblica due numeri unici sul socialismo, conosce
personalmente Gramsci, stimandolo e venendone apprezzato, del quale pubblica un
articolo, studia il russo con la fidanzata Ada insieme curano “Il figlio
dell'uomo” di Andreev, pubblicato dall'editore Sonzogno ed scrive, criticando
la politica sviluppata da d'Annunzio in forma di retorica, che la politica oggi
deve essere realizzata come forma di educazione. La simpatia che io provo per
Trotzchi [sic] e Lenin sta nel fatto che essi in un certo modo sono riusciti a
realizzare questo valore. Sebbene restio a sposarla (emblematica fu la risposta
«Grazie, non fumo…»), nella considerazione del rapporto con la fidanzata si
rivela anche la sua profonda maturità e serietà morale: Ho dovuto rifarmi un
senso morale, un senso della vita forte a sedici anni, in gran parte a
diciassette, e siccome me lo son fatto pensando a lei, gliene sarò grato
sempre. Una fanciulla come io la sognavo sola poteva darmi un senso immediato
di elevazione. Ho creduto in lei e la amo tanto perché mi fa credere ancora
adesso. La rivista Energie Nove cessa le pubblicazioni. Sentivo bisogno di
maggiore raccoglimento e pensavo una elaborazione politica assolutamente nuova,
le cui linee mi apparvero di fatto nel settembre al tempo dell'occupazione
delle fabbriche. Devo la mia rinnovazione dell'esperienza salveminiana al
movimento dei comunisti torinesi da una parte (vivi di un concreto spirito
marxista) e dall'altra agli studi sul Risorgimento e sulla rivoluzione russa
che ero venuto compiendo in quel tempo», e in giugno si consuma anche il
distacco con la Lega democratica degli amici di Salvemini. Continua le
traduzioni dal russo ed intraprende quelle dal francese dei modernisti Blondel
e Laberthonnière lo studio sulla filosofia di quest'ultimo gli è suggerito da Solarie
cerca di rintracciare le radici del Risorgimento italiano studiando la cultura
piemontese del Sette-Ottocento. Io seguo con simpatia gli sforzi degli
operai che realmente costruiscono un ordine nuovo. Non sento in me la forza di
seguirli nell'opera loro, almeno per ora. Ma mi par di vedere che a poco a poco
si chiarisca e si imposti la più grande battaglia del secolo. Allora il mio
posto sarebbe dalla parte che ha più religiosità e spirito di sacrificio.
(Piero Gobetti, lettera ad Ada Prospero). Quando, ai primi di settembre, la
FIAT e le altre maggiori fabbriche torinesi sono occupate dagli operai, Gobetti
scrive: Qui siamo in piena rivoluzione. Io seguo con simpatia gli sforzi degli
operai che realmente costruiscono un mondo nuovo il mio posto sarebbe
necessariamente dalla parte che ha più religiosità e volontà di sacrificio. La
rivoluzione si pone oggi in tutto il suo carattere religioso. Si tratta di un
vero e proprio grande tentativo di realizzare non il collettivismo ma una
organizzazione del lavoro in cui gli operai o almeno i migliori di essi siano
quel che sono oggi gli industriali». Si tratta, a suo avviso, di una
rivoluzione che se non rinnoverà gli uomini, e perciò neanche la nazione, potrà
almeno rinnovare lo Stato, creando una nuova classe dirigente: «si può
rinnovare lo Stato solo se la nazione ha in sé certe energie (come ora appunto
accade) che improvvisamente da oscure si fanno chiare e acquistano possibilità
e volontà di espansione». La presa di distanza dall'azione politica di
Salveminila sua ammirazione personale nei suoi confronti resterà comunque
intattaè ora piena: gli rimprovera, come scriverà pochi anni dopo, diintendere l'azione
politica unicamente come «una questione di morale e di educazione»: il suo
«moralismo solenne, mentre costituisce il suo più intimo fascino, appare il segreto
delle sue debolezze, La sua concezione razionalista si risolve in un'azione di
illuminismo e di propagandismo, che può riuscire utile a una società di
cultura, non a un partito». Prosegue i suoi studi sul Risorgimento e
sulla Russia, terminando in ottobre La Russia dei Soviet: è la volontà di
comprendere funzioni e limiti di due esperienze rivoluzionarie, al cui centro è
sempre il problema della formazione della classe politica che diriga un Paese e
dei suoi rapporti con la popolazione. Ne conclude che il Risorgimento non può
considerarsi un'esperienza rivoluzionaria, dal momento che i dirigenti politici
che espresse rimasero estranei rispetto al popolo, diversamente dalla
rivoluzione sovietica che, a suo avviso, ha espresso dirigenti come Lenin e
Trotskij, che non sono soltanto dei bolscevichi, ma «uomini d'azioni che hanno
destato un popolo e gli vanno ricreando un'anima» e, del resto, la creazione
dal basso di un nuovo Stato, nel quale il popolo abbia fiducia proprio in
quanto avvertito come opera propria, «è essenzialmente un'affermazione di
liberalismo» Sono concetti ripresi in un articolo pubblicato su
L'Educazione nazionale, il Discorso ai collaboratori di Energie Nove, nel quale
individua nel movimento operaio un «valore nazionale»: la novità, venuta dalla
Russia e che sembra farsi strada anche in Italia, consiste nel fatto che «il
popolo diventa Stato. Nessun pregiudizio del nostro passato ci può impedire la
visione del miracolo. Questo non avrebbero fatto i liberali, questo non possono
fare dei marxisti. Il movimento operaio è un'affermazione che ha trasceso tutte
le premesse. È il primo movimento laico d'Italia. È la libertà che
s'instaura». Il suo avvicinamento alle posizioni dei giovani comunisti
dell'Ordine Nuovo ha anche il concreto effetto di una collaborazione e Gobetti
diventa il critico teatrale della rivista. A luglio, a Torino, deve assolvere
gli obblighi di leva: «la vita militare è la consacrazione di tutti gli egoismi
e di tutte le meschinità la meccanicità pervade ogni forma di vita; tutto si
riduce a elemento, a vegetazione. La caserma è l'antitesi del pensiero. Esce il
primo numero della sua nuova rivista settimanale, La Rivoluzione liberale, in
cui collaboreranno spesso anche Fortunato, Gramsci e Sturzo: l'obiettivo, come
indicato nell'Avviso ai lettori, è pur sempre quello di Energie Nove, ossia di
formare una classe politica nuova ma, ora si aggiunge, che sia cosciente delle
esigenze sociali nascenti dalla partecipazione del popolo alla vita dello Stato.
E poiché l'Unità di Salvemini ha cessato le pubblicazioni, La Rivoluzione Liberale
intende proseguire quegli sforzi di riorganizzazione morale che nell'Unità si
avvertirono. E nel Manifesto inaugurale espone il programma della rivista. La
Rivoluzione Liberale pone come base storica di giudizio una visione integrale e
rigorosa del nostro Risorgimento; contro l'astrattismo dei demagoghi e dei
falsi realisti esamina i problemi presenti nella loro genesi e nelle loro
relazioni con gli elementi tradizionali della vita italiana; e inverando le
formule empirico-tradizionaliste del liberismo classico all'inglese, afferma
una coscienza moderna dello Stato, che prenda in considerazione anche i più
sottili, ma non di certo trascurabili, trapassamenti dialettici della storia. Vi
pubblica la Storia dei comunisti torinesi scritta da un liberale e a maggio
dedica un numero intero all'emergente movimento fascista. Il mese successivo
consegue la laurea e, l'anno seguente, pubblicherà la sua tesi sull'Alfieri. E vivamente
colpito dagli scritti del patriota e federalista italiano Cattaneo, del quale è
uscita in quei giorni un'antologia curata da Salvemini, che egli incontra a
Torino. Su Cattaneo ci siamo intesi, egli è assai vicino alle idee che gli ho
espresso. Su Cattaneo scrive un articolo sull'Ordine Nuovo sono i giorni della
devastazione fascista della sede della rivista comunista firmandosi Giuseppe
Baretti: rappresentante della critica del processo unitario risorgimentale,
Cattaneo fu emarginato dalla classe dirigente moderata. Eppure Cattaneo avversò
non l'unità, ma l'illusione di risolvere con il mito dell'unità tutti i
problemi che invece si potevano intendere soltanto nella loro specifica realtà
autonoma, regionale senza atteggiarsi a profeta, senza l'enfasi dell'apostolo,
capì che il fondare una nazione non era impresa di letterati entusiasti, cercò
nelle tradizioni un linguaggio di serietà, un ammaestramento di cautela. E lo
condannarono alla solitudine e all'impopolarità, e diedero a lui, uomo positivo
e realista, un ufficio di Cassandra, predicante al deserto. Favorito
dall'inerzia dei Savoia e dalla complicità dei dirigenti liberali, il fascismo
procede alla conquista del potere e Gobetti non s'illude che con esso si possa
venire a compromessi e lo si possa acquistare alla causa democratica. Scrive
L'elogio della ghigliottina: bisogna sperare «che i tiranni siano tiranni, che
la reazione sia reazione, che ci sia chi abbia il coraggio di levare la
ghigliottina, che si mantengano le posizioni fino in fondo. Chiediamo le
frustate, perché qualcuno si svegli, chiediamo il boia, perché si possa veder
chiaro» e che «noi siamo come la dura scorza di una noce: proteggeremo i nostri
ideali dalla sopraffazione con tutte le nostre forze e fin quando possibile».
Sposa Prospero: vanno ad abitare nella sua casa natale di via XX Settembre 60,
che diviene anche la sede della casa editrice che egli fonda, col suo nome: la Gobetti
editore, che pubblicherà, in poco più di due anni, oltre cento titoli. In
qualità d'editore, Gobetti porta in Italia, traducendoli, alcuni dei libri e
degli autori simbolo del pensiero liberale classico, come Mill. È tra i primi a pubblicare i libri di Einaudi
ed è lui a pubblicare la prima edizione di Ossi di seppia, una delle più famose
raccolte di poesia di Montale. I libri editi furono in molti casi dati alle
fiamme o comunque distrutti sotto il fascismo e, per questo motivo, sono in
molti casi introvabili, come il volume dedicato al socialista Matteotti, di cui
esistono pochissime copie. Tutti i suoi libri riportano in copertina un
motto liberale, scritto in greco antico in modo circolare, che recita
testualmente "Cosa ho a che fare io con gli schiavi?". Gobetti e Prospero
si trasferiranno poi in via Fabro 6, attuale sede del Centro di studi a lui
intitolato. E arrestato perché sospetto di appartenenza a gruppi sovversivi che
complottano contro lo Stato. Rilasciato cinque giorni dopo, subisce un nuovo
arresto, provocando un'interrogazione parlamentare alla quale il governo
risponde che era stato redattore dell'Ordine Nuovo di Torino, giornale anti-nazionale;
la rivista che egli dirige, conduce da tempo una campagna contro le istituzioni
e il governo fascista; il prefetto si è perciò sentito in diritto di far
operare una perquisizione e il fermo di Gobetti per misure di ordine
pubblico». Gobetti replica con una lettera ai giornali, ribadendo la sua
funzione di oppositore del fascismo, e aggiunge, nei libri stampati dalle sue
edizioni, il motto «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Dopo aver preso le
distanze dal Prezzolini, che ha scelto il disimpegno di fronte al fascismo,
rinnega anche il suo originario gentilismo. Gentile è incapace di dar ragione
di ogni fatto politico, nel suo semplicismo pratico la filosofia gentiliana
mostra caratteristicamente i suoi limiti e la nessuna aderenza al reale. Le
tematiche liberali maggiormente sentite trovano una prima e ultima sistemazione
in La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, frutto
maturo delle esperienze giornalistiche precedenti, dato alle stampe. L'opera è
divisa in quattro parti: L'eredità del Risorgimento, La lotta politica in
Italia, La critica liberale, Il fascismo. La fretta con cui vuol dare alle
stampe questo saggio di lucida analisi politica gli impedisce di curare bene le
parti marginali. Così succede che "L'eredità del Risorgimento"
venga solo abbozzata: «Il problema italiano non è di autorità, ma di autonomia:
l'assenza di una vita libera fu attraverso i secoli l'ostacolo fondamentale per
la creazione di una classe dirigente, per il formarsi di un'attività economica
moderna e di una classe tecnica progredita. Un Risorgimento calato dall'alto,
che di popolare non aveva nulla. La sfida era riempire di liberalità le
istituzioni liberali formalmente create. Nel primo dopoguerra assiste a
qualcosa di assolutamente nuovo: la nascita dei partiti di massa (Partito
Popolare Italiano e Partito Comunista d’Italia saranno una prima versione dei
due partiti più importanti della cosiddetta Prima Repubblica. Ma questo non
basta. Per anni la lotta politica non riuscì a dare la misura della lotta
sociale. Una cosa erano le questioni politiche, un'altra le esigenze sociali,
ma queste «non possono essere separate dalla politica al pari di come un felino
astuto non si ciberà del formaggio ma ne farà da esca per il topo». La seconda
parte si divide in sei capitoli. Ciascun capitolo è un fattore della lotta
politica: sono presenti liberali e democratici, popolari (sviluppate le figure
di Toniolo, Meda e Sturzo), socialisti, comunisti (grande spazio dato a Antonio
Gramsci), nazionalisti (emblematico il pensiero di Alfredo Rocco) e repubblicani. La
terza parte è il cuore pulsante del saggio: una proposta concreta per fare
politica senza dimenticare la società. La lotta di classe è per Gobetti
strumento di formazione di una nuova élite, una via di rinnovamento popolare.
Insomma, la lotta politica deve essere lotta sociale. In politica
ecclesiastica, si rifà alla pregiudiziale cavouriana della laicità, come
necessità da mantenere (cosa che verrà invece negata dai Patti Lateranensi).
Per la discussione sulle modalità d'elezione, è convinto fautore della proporzionale. Il
collegio uni-nominale aveva corrotto il rappresentante in tribuno. Solo
con la proporzionale gli interessi si organizzano, così che l'economia venga
elaborata dalla politica. Di grandissima attualità è la parte dedicata al
problema dei contribuenti. Il contribuente italiano paga bestemmiando lo Stato.
Non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana.
L'imposta gli è imposta. Una rivoluzione di contribuenti in Italia in queste
condizioni non è possibile per la semplice ragione che non esistono
contribuenti. Era quindi necessario per lui raggiungere una maggiore maturità
economica e sociale. Il popolo doveva comprendere l'importanza di contribuire
nello Stato, e imparare il valore dell'onestà. Per questo richiama attenzione
sul problema scolastico. In un mondo fatto per grossa parte da analfabeti o
semi--analfabeti, la questione era fondamentale. Manca un numero sufficiente di
maestri, perciò si sarebbe dovuto mobilitare chiunque in grado di saper
insegnare (anche preti, massoni, bolscevichi e così via). La questione
non evita di trattare l'aspetto economico. Contro il parassitismo pensa che
fosse utile tagliare stipendi e investimenti, così da distinguere la vocazione
all'insegnamento dalla vocazione al parassitare. In politica estera prospetta
un ruolo importante per l'Italia a Versailles. E convinto della possibilità di
ottenere un buon accordo attraverso una mediazione. Nella quarta ed ultima
parte vi è una rapida esposizione del perché si oppone con ogni mezzo al fascismo.
Si è detto che per l'autore la lotta sociale deve essere portata in Parlamento
e dar vita a una lotta politica efficiente ed efficace. Mussolini invece
fece in modo da soffocare la lotta politica, quando questa più di ogni altra
cosa era necessaria all'Italia. Così il Duce e «l'eroe rappresentativo di
questa stanchezza e di questa aspirazione di riposo» che si esplicava nel
tacito consenso della popolazione allo sradicamento di ogni lotta politica
nella nazione. In modo profetico, da esperto conoscitore del pensiero di Hegel
qual era, prevede e mette in guardia delle conseguenze della concessione del
potere a Mussolini secondo le dinamiche della dialettica “servo-signore”
ipotizzando una guerra civile imminente. Il saggio è fortemente militante.
Nella nota a conclusion, è chiaro: cerca collaboratori, non lettori. vuole la
"rivoluzione liberale", cioè un nuovo liberalismo; nutre una forte
avversione per il fascismo, anche perché non è qualcosa di nuovo ma, anzi, il
risultato ottenuto da coloro che hanno governato l'Italia: è quindi una
condanna della vecchia classe dirigente liberale. Il fascismo nasce
dall'invadenza del cattolicesimo e dalla demagogia dell'Italia liberale: Fascismo
come autobiografia della nazione, il fascismo è, insomma, solo l'incancrenirsi
dei mali tradizionali della società italiana. La società tradizionale
italiana re-agisce sostenendo una forza conservatrice come quella del fascismo,
anche se in realtà qualcosa di buono nell'Italia del primo dopo-guerra vi era
stato: il proletariato (soprattutto quello torinese) che tenta di assumere su
di sé la responsabilità di mutare lo stato delle cose. La borghesia ha perso
ogni funzione propositiva. La borghersia è una classe parassitaria che si è
adagiata e aspetta tutto dallo Stato. Si blocca così ogni istanza di
rinnovamento. La funzione liberale e libertaria è assunta dal proletariato. Le
considerazioni politiche di risentono della sua opinione sulla storia italiana,
in “Risorgimento senza eroi” Gobetti descrive questo periodo come un'epopea
patriottarda di cui simbolo è Mazzini (tante parole, pochi fatti): al
Risorgimento sono mancati il pragmatismo e il realismo. Ci sono due eroi
nel Risorgimento e sono Cattaneo e Cavour, due figure assai distanti tra loro
ma accomunabili per il loro pragmatismo: Cattaneo gli piace a per la sua
volontà di operare, per la capacità di propugnare istanze pragmatiche e vuote
di retorica. Cavour è uomo che media per raggiungere degli obiettivi, ha mire
di lungo periodo. Il Risorgimento di Cattaneo è sconfitto, ma non quello di
Cavour. Entrambi, però, hanno instillato nella società italiana lo spirito
della competizione e l'ideale di assunzione di responsabilità. La società
italiana si regge su ruoli e cariche già predefiniti, è statica e stagnante: il
proletariato, però, si ribella a ciò, rifugge situazioni già prestabilite per
costruire una società nuova in cui ciascuno sarà libero di esprimersi. La
persecuzione, l'esilio e la morte. Si reca in Francia, a Parigi e poi a Palermo,
per incontrare alcuni amici conosciuti durante il recente viaggio di nozze. I
suoi spostamenti sono seguiti dalla polizia italiana e, Mussolini telegrafa al
prefetto di Torino, Palmieri: “Mi si riferisce che noto Gobetti sia stato
recentemente a Parigi e che oggi sia a Palermo. Prego informarmi e vigilare per
rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore di governo.” Il
prefetto obbedisce. Viene percosso, la sua abitazione perquisita e le sue carte
sequestrate. Come scrive a Lussu, la polizia sospetta che egli intrattenga
rapporti in Italia e all'estero per organizzare le forze antif-asciste. È
il giorno che precede la scomparsa di Matteotti, il cui corpo verrà ritrovato
solo in agosto, ma subito si ha la certezza che si tratti di un omicidio
perpetrato da sicari fascisti. Ne traccia un profile. Non ostenta presunzioni
teoriche: dichiara candidamente di non aver tempo per risolvere i problemi
filosofici perché doveva studiare i bilanci e rivedere i conti degli amministratori
socialisti vide nascere nel Polesine il movimento fascista come schiavismo
agrario, come cortigianeria servile degli spostati verso chi li paga; come
medievale crudeltà e torbido oscurantismo Sente che per combattere utilmente il fascismo
nel campo politico occorre opporgli esempi di dignità con resistenza tenace.
Farne una questione di carattere, di intransigenza, di rigorismo. Auspica,
dalle colonne della sua rivista, la formazione di "Gruppi della
Rivoluzione Liberale", formati da uomini di tutti i partiti anti-fascisti,
che combattano il fascismo, questo fenomeno politico che trae i motivi del suo
successo e della sua conservazione dalla creazione di «un esercito di parassiti
dello Stato». Occorre, a questo scopo, formare un'economia moderna con
un'industria libera da ogni protezionism e da ogni paternalismo di Stato e con una
classe proletaria politicamente intransigente aiutare i partiti seri e moderni
a liberarsi dei costumi giolittiani. La guerra al fascismo è questione di
maturità storica, politica, economica. Questi articoli e quello in cui accusa
il deputato fascista, grande invalido di guerra, Delcroix, di manovre
parlamentari definite aborti morali, provocano il sequestro della rivista ed
una violenta aggressione da parte di uno squadrone fascista. Persino un
articolo di Fiore contro il criminale fascista Dumini, apparso su La Rivoluzione
Liberale, fornisce il pretesto al prefetto di Torino di sequestrare la rivista.
Con Fiore e conDorso pubblica un Appello ai meridionali e con il Saluto
all'altro Parlamento appoggia l'iniziativa aventiniana, dalla quale si aspetta
un'opposizione intransigente e un esempio di rinnovamento dei costumi
parlamentari italiani. Fonda una nuova rivista, Il Baretti, alla quale
collaborano, tra gli altri, Monti, Sapegno, Croce e Montale. Come La
Rivoluzione Liberale è dedicata a temi storico-politici, così la nuova rivista
vuole essere riservata alla critica letteraria e all'estetica. Il riferimento a
Baretti, letterato italiano vissuto a lungo all'estero, e alla sua Frusta
letteraria, esempio di polemica vivace e irriverente, sottintende, scrive nel
numero d'esordio, «una volontà di coerenza con le tradizioni di battaglia
contro culture e letterature costrette nei limiti della provincia, chiuse dalle
frontiere di dogmi angusti e di piccole patrie». In ossequio alle
direttive mussoliniane, proseguono i sequestri della sua rivista. Rimedieremo
ai sequestri rifacendo l'edizione, scrive Gobetti e anche quel numero viene sequestrato
con il pretesto di scritti diffamatori dei poteri dello Stato e tendenti a screditare
le forze nazionali. Cura La Libertà di Mill, con la prefazione di Einaudi, il
quale scrive che quando, per fiaccare la voce dei ribelli, si assevera dai
dominatori la unanimità del consenso, giova rileggere i grandi libri sulla
libertà. Anche produrre citazioni di scrittori del passato che non collimino
col pensiero del Regime può essere tendenzioso e perciò provocare il sequestro
della rivista. E arrestato Salvemini, che ha pubblicato sul foglio clandestino
Non Mollare l'articolo Mussolini il mandante. Altri sequestri de La Rivoluzione
Liberale avvengono. Un periodo di serenità per Piero e la moglie Ada che
aspetta un bambino è rappresentato da un viaggio a Parigi e a Londra. A Parigi
pensa di stabilire una sua casa editrice: «Credo che solo da Parigi, solo in
francese, solo con la solidarietà dello spirito francese un italiano possa fare
con utilità un'opera pratica di intelligenza europea. S'intende senza
chauvinisme francese. D'altra parte, intende ancora rimanere in Italia. Rimarrò
in Italia fino all'ultimo. Sono deciso a non fare l'esule. A metà agosto fanno ritorno a Torino e è
nuovamente vittima dei pestaggi squadristi, ma è ancora intenzionato a rimanere
in Italia. Bisogna amare l'Italia con orgoglio di europei e con l'austera
passione dell'esule in patria, scrive nell'articolo Lettera a Parigi, per
capire con quale serena tristezza e inesorabile volontà di sacrificio noi
viviamo nella presente realtà fascista. Le nostre malattie e le nostre crisi di
coscienza non possiamo curarle che noi. Dobbiamo trovare da soli la nostra
giustizia. E questa è la nostra dignità di anti-fascisti. Per essere europei
dobbiamo su questo argomento sembrare, comunque la parola ci disgusti,
nazionalisti. Poiché i ripetuti
sequestri a nulla hanno valso, e che il periodico in parola, sotto l'aspetto di
critiche e di discussioni politiche, economiche, morali e religiose, che
vorrebbero assurgere ad affermazioni e sviluppi di principi dottrinari, mira in
realtà, con irriverenti richiami, alla menomazione delle Istituzioni
Monarchiche, della Chiesa, dei Poteri dello Stato, danneggiando il prestigio
nazionale, e nel complesso può dar motivo a reazioni pericolose per l'ordine
pubblico, persistendo in violazioni sempre più gravi ai vigenti decreti sulla
stampa», il prefetto d'Adamo diffida «il Direttore responsabile del periodico
La Rivoluzione Liberale, ai sensi e per
gli effetti di cui all'art.” ad adeguarsi alle direttive del Regime e poiché
l'8 novembre la rivista disattende l'ordine, il prefetto ingiunge la cessazione
definitiva delle pubblicazioni e la soppressione della stessa casa editrice per
attività nettamente anti-nazionale. D'ora in avanti sarò palesatamente costretto
all'infelice dissenso. La libertà d'opinione è stata soppressa come una rete che
viene sradicata: senza possibilità di dialogare sono destinato ad essere
sopraffatto. A cosa serve più, ora, fare finta? Gobetti, che ora soffre anche
di scompensi cardiaci,
provocati o aggravati dalle violenze subite, pensa di lasciare l'Italia per
proseguire in Francia l'attività editoriale. Nasce a Torino il figlio Paolo, che
durante la seconda guerra mondiale diventerà partigiano e poi giornalista per
l'Unità, oltreché storico del cinema. Scrive una lettera a Fortunato. Parto per
Parigi dove farò l'editore francese, ossia il mio mestiere che in Italia mi è
interdetto. A Parigi non intendo fare del libellismo, o della polemica
spicciola come i granduchi spodestati di Russia; vorrei fare un'opera di
cultura, nel senso del liberalismo europeo e della democrazia moderna. Parte da
solo per Parigi. Alla stazione di Genova viene a salutarlo Montale. Si ammala di una bronchite, che
esacerba gravemente i suoi problemi cardiaci. Trasportato in una clinica di
Neuilly-sur-Seine, vi muore assistito da Fausto, Nitti, Prezzolini e Emery. È
sepolto nel cimitero parigino di Père-Lachaise. Saggi:“La filosofia
politica di Alfieri” (Torino, Gobetti); “La frusta teatrale, Milano, Corbaccio,
Felice Casorati. Pittore, Torino, Gobetti, “Dal bolscevismo al fascismo: note
di cultura politica” (Torino, Gobetti); Il teatro di Enrico Pea, in Enrico Pea,
Rosa di Sion, Torino, Gobetti, Matteotti, Torino, Gobetti, Postfazione di M. Scavino,
Edizioni di Storia e Letteratura, col titolo Per Matteotti. Un ritratto, Il
Melangolo, Genova, “La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia,
Bologna, Cappelli, Opere edite e
inedited; “Risorgimento senza eroi” “Piemonte nel Risorgimento, Torino,
Baretti, Paradosso dello spirito russo, Torino, Baretti, Opera critica “Arte,
religione, filosofia, Torino, Baretti, Teatro, letteratura, storia, Torino,
Baretti, Scritti attuali, Roma,
Capriotti, Coscienza liberale e classe operaia, P. Spriano, Torino, Einaudi, Opere
complete, Scritti politici, P. Spriano, Torino, Einaudi, Scritti storici, letterari e filosofici, Spriano,
Torino, Einaudi, Critica teatrale, Guazzotti e Gobetti, Torino, Einaudi, L'editore
ideale. Frammenti autobiografici con iconografia, F. Antonicelli, Milano,
All'insegna del pesce d'oro, Energie nove, Torino, Bottega d'Erasmo, Baretti, Torino,
Bottega d'Erasmo, Lettere dalla Sicilia, nota di G. Chimirri, introduzione di N.
Sapegno, Palermo, Nuova editrice meridionale, Nella tua breve esistenza. Lettere on Ada
Gobetti, E. Perona, Collana NUE Torino, Einaudi, Collana Piccola Biblioteca. Nuova
serie, Einaudi, Con animo di liberale. Gobetti e i popolari. Carteggi Bartolo
Gariglio, Milano, F. Angeli, Dizionario delle idee, Bucchi, Roma, Riuniti, Antifascismo
etico. Elogio dell'intransigenza, M. Gervasoni, Milano, M&B Publishing,
Carteggio Ersilia Alessandrone Perona, Torino, Einaudi, Che ho a che fare io
con i servi? Zibaldone politico, Reggio Emilia, Aliberti, Il giornalista arido Articoli Collana Classici
idel giornalismo, Torino, Aragno, Carteggio Ersilia Alessandrone Perona, Torino,
Einaudi,, Biografia di Gobetti M. Brosio, Riflessioni su Gobetti, Gobetti, L'editore
ideale, P. Gobetti, L'editore ideale, c N. Bobbio, Italia fedele. Il mondo di
Gobetti, Nella tua breve esistenza. Lettere Gobetti, Energie Nove, Lettera ad Ada Prospero, Nella tua breve
esistenza, Diario, L'editore ideale, Carlo
Levi, in «Introduzione agli Scritti politici Togliatti, I parassiti della
cultura, in «L'Ordine Nuovo», Gramsci, Contributi a una nuova dottrina dello stato
e del colpo di stato, in «L'Ordine Nuovo», Nella tua breve esistenza, cAlberto
Cabella, Elogio della libertà. Torino, Il Punto, L'editore ideale, Gobetti,
Rivoluzione liberale, Nella tua breve esistenza, Gobetti, La Rivoluzione
liberale, in «Scritti politici», Scritti politici, Nella tua breve esistenza, Manifesto della
Rivoluzione Liberale, Nella tua breve esistenza,
La rivoluzione Liberale, Elogio della Ghigliottina, Dizionario Biografico degli Italiani La Rivoluzione Liberale, I miei conti con
l'idealismo attuale, Gobetti, La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica
in Italia, C. Levi, in «Introduzione agli Scritti politici di Gobetti», La
Rivoluzione Liberale, Gruppi della Rivoluzione Liberale, La Rivoluzione
Liberale, Come combattere il fascismo, A. Colombo, Hutchings, Gobetti, GOBETTI
AND MATTEOTTI, Il Politico, In, La
cultura francese nelle riviste e nelle iniziative editoriali di Gobetti, Lettera
ad Prospero, Basso, Anderlini, Le riviste di Gobetti, Feltrinelli, Prezzolini,
Gobetti e «La Voce», Firenze, Sansoni, M. Brosio, Riflessioni su Piero Gobetti,
Quaderni della Gioventù liberale italiana di Torino, G. Bergami, Guida
bibliografica degli scritti, Collana Opere diGobetti, Torino, Einaudi, P.
Spriano, Gramsci e Gobetti, Torino, Einaudi, A. Carlino, Politica e dialettica
in Gobetti, Lecce, Milella, P. Bagnoli, Gobetti.
Cultura e politica di un liberale del Novecento, Firenze, Passigli, U. Morra di
Lavriano, Vita, pref. di N. Bobbio,
Torino, Tipografico, Gobetti e la Francia, Milano, Franco Angeli, Luigi
Anderlini, Gobetti critico, in Letteratura italiana. I critici, Milano,
Marzorati, Gobetti e gl’intellettuali del Sud, Napoli, Bibliopolis, G. De
Marzi, Gobetti e Croce, Urbino, Quattroventi, A. Cabella, Elogio della libertà. Torino, Il
Punto, Marco Gervasoni, L'intellettuale come eroe. Piero Gobetti e le culture
del Novecento, Firenze, La Nuova Italia, Bagnoli, Il metodo della libertà. tra eresia e rivoluzione, Reggio Emilia,
Diabasis, Gariglio, Progettare il postfascismo. Gobetti e i cattolici, Milano,
Franco Angeli, Virgilio, Gobetti. La cultura etico-politica del primo Novecento
tra consonanze e concordanze leopardiane, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, Angelo
Fabrizi, «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Gobetti e Alfieri, Firenze,
Società Editrice Fiorentina, Flavio Aliquò Mazzei, Piero Gobetti. Profilo di un
rivoluzionario liberale, Firenze, Pugliese, B. Gariglio, L'autunno delle libertà Lettere
ad Ada in morte di Gobetti, Torino, Bollati, Erba, Piero Gobetti, in Intellettuali
laici nel '900 italiano, Padova, Grasso, Ciampanella, Senza illusioni e senza
ottimismi. Prospettive e limiti di una rivoluzione liberale, Roma, Aracne, Socialismo
liberale Liberalismo socialeSalvemini Amendola Croce AlfieriMatteotti Il Baretti
La Rivoluzione liberale. Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Opere di Centro Studi Piero
Gobetti, su centrogobetti. «La Rivoluzione Liberale» Gobetti, Il liberalismo in
Italia, G. Iacchini, Quando la libertà è rivoluzionaria: Piero Gobetti, su
radicalsocialismo. La casa di Gobetti in via XX Settembre a Torino, su
multimedia lastampa. Piero Gobetti. Gobetti. Keywords: implicatura. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Gobetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51700266277/in/photolist-2mQBLt7-2mPGkBm-2mPvJmk-2mLznXk-2mLDpWX-2mKNNqN-2mKDGhr-2mKk6t5-2mPHbXQ
Gobbo -- Federico
Gobbo – esperantista -- He has collaborated with philosophers.
Grice e
Gonnella – filosofia del diritto romano – filosofia romana – Luigi Speranza
(Bari). Grice: “Like Foucault, and a few English philosophers who explored the
conceptual intricacies of the ‘justification’ of punishment, Gonnella’s oeuvre
is brilliant!” Saggi: “Il diritto (non) ci salverà, Il Manifesto, Detenuti stranieri in Italia. Norme, numeri e
diritti, Scientifica,. Carceri. I confini della dignità, Jaca, La tortura in
Italia, Derive Approdi,. Jailhouse Rock, cento musicisti dietro le sbarre,
Arcana,. Il carcere spiegato ai ragazzi, Il Manifesto, Patrie galere, Carocci, Sviluppo
urbano e criminale, a Roma, Sinnos, Il
collasso delle carceri italiane. Sotto la lente degli ispettori europei, Sapere
Consiglio d'Europa, Bisogna aver visto. Il carcere nella riflessione degl’anti-fascisti,
Edizioni dell’Asino,. I paradossi del diritto. Scritti in omaggio a Resta, Roma
TrE-Press, Giustizia e carceri secondo
papa Francesco, Jaca,. Onorare gli impegni. L'Italia e le norme contro la
tortura, Sinnos, Inchiesta sulle carceri italiane, Carocci, Il Carcere
trasparente. Primo rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione, Castelvecchi.
Patrizio Gonnella. Gonnella. Keywords: filosofia del diritto romano, sanction,
punishment. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gonella” – The Swimming-Pool
Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756498175/in/dateposted-public/
Grice e
Goretti – la coazione istituzionale – filosofia fascista -- filosofia italiana
– Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Si laurea a Torino sotto Solari. Fequenta
Milano, dove incontra Martinetti. Segretario delCongresso Nazionale di
Filosofia, organizzato dalla Società filosofica italiana. Il Congresso è sciolto
dalle autorità dopo appena due giorni. Firmano la lettera di protesta
indirizzata al rettore Luigi Mangiagalli, nel quale si "protesta in nome
della libertà degli studi e della tradizione italiana contro un atto di
violenza che impedisce l'esercizio della discussione filosofica.” Al momento
del giuramento di fedeltà, necessario per entrare nella carriera universitaria
o per proseguirla, si rifiuta e resta così al di fuori della carriera
accademica; svolge attività professionale a Milano, e collabora alla
"Rivista di filosofia" (anche quale componente del comitato
direttivo). Frequenta Palazzo Fossati in Via Ciro Menotti a Milano. In
prossimità della morte, Martinetti lascia la sua biblioteca privata in legato a
Ruffini, Solari e Goretti. La Biblioteca verrà poi conferita dai rispettivi
eredi alla "Fondazione Piero Martinetti per gli studi di storia filosofica
" di Torino; oggi nel palazzo presso la Biblioteca della Facoltà di Filosofia. Goretti
è riammesso nel mondo universitario e assume per concorso la cattedra di
Filosofia del diritto; insegna all'Ferrara fino alla morte. Il Comune di
Ferrara ha intitolato una via a Cesare Goretti,
"filosofopatriota". L'animale come soggetto di diritto
Prolifico filosofo del diritto, autore di scritti su Kant, Sorel, Bradley, cura
Špir, Bradley, Green), a Goretti si deve il primo intervento che qualifica
l'animale come “soggetto di diritto”. Martinetti pubblica “L’animo del
animale” in cui aveva sottolineato che il animale possede intelletto e
coscienza e, in generale, un animo, come emergeva dagli lo studio dello “atteggiamento, gesto, la
fisionomia.” Questo animo e vita animale è “forse estremamente diversa e
lontana” da quella del homo sapiens” ma “ha anch'essa la carattere della
coscienza e non può essere ridotta ad un semplice meccanismo fisiologico. Goretti
va oltre, fino ad affermare che l’ animalee vero e proprio un “*soggetto*
(“soggetoodi diritto” e che l'animale ha una “coscienza giuridica” e una
percezione del giuridico. In tal modo, anticipa tematiche proprie della
bioetica e dell'etologia. Nonostante l'originalità e l'innovatività delle posizioni
assunte, il suo manifesto non ha avuto fortuna ed è stato del tutto trascurato
dal dibattito animalista e negli studi di etologia. Come non possiamo
negare all'animale in modo sia pure crepuscolare l'uso della categoria della
causalità, così non possiamo escludere che l'animale partecipando al nostro
mondo non abbia un senso di quello che può essere la proprietà e l'obbligazione.
Casi innumerevoli dimostrano come un cane e custode geloso della proprietà del
suo padrone e come ne compartecipa all'uso. Dve operare in esso questa visione
della realtà esteriore come cosa propria, che nell’homo sapinens arriva alle
costruzioni raffinate dei giuristi. È assurdo pensare che l'animale che rende
un servizio al suo padrone che lo mantiene agisca soltanto istintivamente. Deve
pure sentire in sé in modo sensibile questo rapporto di servizi resi e
scambiati – cf. Grice, lo scambio conversazionale --. Naturalmente l'animale
non potrà arrivare al concetto di ciò che è la proprietà e l'obbligazione.
Basta che dimostri di fare uso di questi principî che in lui operano ancora in
modo osensibile.» (“ L’animale quale soggetto – e soggeto di diritto”). Nella
filosofia del diritto si individuano tre teorie dell'"istituzionalità nel
giuridico": istitutismo: teoria del diritto quale insieme di istitutito e
concepito come una sorta di azione co-ordinata, costituente un equilibrio
tipico e costante di finalità che si fissa in un complesso di mezzi, una costruzione.
Per l istituzionalismo la istituzione (Romano, Hauriou). neo-istituzionalismo:
il diritto è rappresentato da un “fatto” istituzionale (McCormick, Weinberger).
Saggi: “La forma giuridica” (Isis, Milano); “Il sentimento giuridico” (Solco",
Città di Castello); “I fondamenti del diritto” (Lombarda, Milano); “Liberalismo”
(Pirola, Milano); “Norma giuridica, atto giuridico” (Bianciardi, Lodi); “Istituto
giuridico” (Bianciardi, Lodi); “Norma giuridica” (Milani, Padova); "Rivista
di filosofia", L'animale, soggetto, e soggeto di diritto, "Rivista di
filosofia", Recensione di Schmitt, Die Diktatur. Von den Anfängen des
modernen Souveränitätsgedankens bis zum proletarischen Klassenkampf,
Duncher & Humblot, München-Leipzig, "Rivista di Filosofia", Recensione di R. Smend, Verfassung und
Verfassungsrecht, "Rivista di Filosofia", Introduzione a A. Spir, La
giustizia, Lombarda, Milano, Il saggio politico sulla costituzione del
Württenberg, "Rivista di filosofia", “Legge e norma, "Rivista di
filosofia", La filosofia pratica W. Schuppe, "Rivista di
filosofia", “F. H. Bradley, "Rivista
di filosofia", “La conoscenza etica, "Rivista di filosofia", “L'idea
di patria”, "Rivista di filosofia", L'idealismo rappresentativo”,
"Rivista di filosofia", Recensione di Calamandrei, Elogio dei giudici
scritto da un avvocato, in "Rivista di filosofia", La metafisica della
conoscenza, "Rivista di filosofia", Il dolore nel pessimismo di A. Spir, "Rivista
di filosofia", L’individualità, "Rivista di filosofia", Il saintsimonismo,
"Rivista di filosofia", Diritti e doveri giuridici in relazione alla
norma giuridica, "Archivio della Cultura italiana", L'istituzione
dell'eforato in Sparta, "Archivio della Cultura italiana", “La valutazione
tecnica della realtà, "Archivio della Cultura italiana", Martinetti, "Archivio
della Cultura italiana", L'impiego delle categorie o dei concetti puri ed
il valore della co-azione e inter-azione -- e dei postulati nella filosofia
giuridica” "Annali della Ferrara",
Recensione di Candian, Avvocatura, Milano, in "Annali della Ferrara", Il
liberalismo, "Rivista internazionale di filosofia del diritto", L’istituzione
in senso tecnico ed l’istituto giuridico nel realismo"Annali della
Ferrara", “Equità, "Scritti giuridici
in onore di Carnelutti", Filosofia
e teoria generale del diritto, Milani, Padova, L'umanesimo critico di France,
"Rivista di filosofia del diritto", Recensione di Erzbach,
"Rivista trimestrale di diritto e procedura civile", Rileggendo il
Filomusi Guelfi, "Rivista internazionale di filosofia del diritto", La
filosofia di Martinetti, "Memorie dell'Accademia delle Scienze
dell'Istituto di Bologna. Classe di Scienze Morali", Bologna, Considerazioni
critiche sul diritto sociale, "Annali della Ferrara", Scienze Giuridiche. L’acquisto ideale nella filosofia giuridica di
Kant, "Rivista di filosofia del diritto", Sulla sociologia della
diada e del gruppo sociale”. "Scritti di sociologia e politica in onore di
Sturzo", Zanichelli, Bologna, Isu
luigisturzo, Scritti su Cesare Goretti Gioele Solari, Recensione, "Rivista
di filosofia", N. Bobbio, "Rivista internazionale di filosofia del
diritto", G. Roccia, Filosofia e
realizzazione spirituale” "Rivista internazionale di filosofia del
diritto", Orecchia, voce “Goretti” della Enciclopedia filosofica, Venezia-Roma, Istituto per la Collaborazione
culturale, Goretti, in Orecchia, Maestri italiani di filosofia del diritto, Bulzoni,
Roma, Castignone, I diritti animali: la prospettiva utilitaristica,
"Materiali per una storia della cultura giuridica", D'Agostino, I
diritti degl’animali, "Rivista internazionale di filosofia del
diritto", Pocar, Gli animali non umani, Laterza, Roma-Bari, Martinetti,
Pietà verso gl’animali (Alessandro Di Chiara), Il melangolo, Genova, Lucia,
Goretti e la bioetica e l'etologia, "Annuario di itinerari
filosofici", "Piacere, dolore, senso", Mimesis, Milano, Lorini,
Atti giuridici istituzionali, in Lorini, L’atto giuridico, Adriatica, Bari, Paolo
Di Lucia, Filosofia del diritto, Raffaello Cortina Milano); Colombo, La
filosofia come soteriologia: l'avventura spirituale e intellettuale di Martinetti,
Vita e Pensiero, Milano, C. Galli, Schmitt nella cultura italiana. Storia,
bilancio, prospettive di una presenza problematica, "Storicamente", G.
Lorini, Due a priori del diritto: l'a priori del giuridico”; Fenomenologia del
diritto. Adolf Reinach, Mimesis, Milano,
A. Pisanò, Diritti de-umanizzati:
animali, ambiente, generazioni future, specie umana, Giuffrè, Milano, Lettera, Martinetti
e Goretti a L. Mangiagalli in Martinetti Lettere Firenze, Massimo Mori, Rivista
di filosofia, -- "Segni e comprensione", Brixia Sacra. Memorie
storiche della Diocesi di Brescia, Solari, Fossati, Necrologio, "Rivista di
filosofia", Colombo, La filosofia come soteriologia: l'avventura
spirituale e intellettuale di
Martinetti, Vita e Pensiero, Milano, Luigi FossatiArchivi del Garda, in
Archivi del Garda. Paolo Di Lucia, Filosofia del diritto, Raffaello Cortina editore,
Milano, Attilio Pisanò, Diritti deumanizzati: animali, ambiente, generazioni
future, specie umana, Giuffrè, Milano, P. Martinetti, La psiche degli animali
in Saggi e discorsi, Paravia, Torino, ore in Pietà verso gli animali
(Alessandro De Chiara), Il Melangolo, Genova); “L'animale come soggetto di
diritto, in Rivista di filosofia, per estratto in P. Di Lucia, Filosofia del
diritto, Raffaello Cortina, Milano, P. Di Lucia, Filosofia del diritto,
Raffaello Cortina editore, Milano, A. Pisanò, Diritti deumanizzati: animali,
ambiente, generazioni future, specie umana, Giuffrè, Milano, “Istitutismo” è un
neologismo coniato da Piovani, Mobilità, sistematicità, istituzionalità della
lingua e del diritto, Giuffré, Milano, cfr. G. Lorini, Dimensioni giuridiche
dell'istituzionale, Milani, Padova, Lorini, “La dimensione giuridica
dell'istituzionale, Milani, Padova, Cosa resta dell'istituzionalismo, “L'ircocervo”,
L.
Glazel, “Tetracotomomia dell’ istituzionale” in R. Renard, "Saggi
in ricordo di Tanzi", Giuffré, Milano, M. Brutti, Alcuni usi del concetto
di struttura nella conoscenza giuridica, "Quaderni fiorentini per la
storia del pensiero giuridico", McCormick/Weinberger, Il diritto come
istituzione, M. La Torre, Milano, M. Torre, “Norma, l’istituzionale, il valore:
Per una teoria istituzionalistica del diritto, Bari. Il pensiero filosofico di
Cesare Goretti non è comprensibile se ricondotto solamente al suo aspetto
giuridico1, brillantemente espresso all’interno dei suoi Fondamenti del diritto
(Goretti 1930), ma necessita di un approfondimento che tocchi ogni ambito
speculativo della filosofia. Questo lavoro, quindi, pur mantenendo fermo il
fine di una delucidazione dei principi filosofici posti alla base della sua
concezione del diritto, fornirà un excursus preliminare sugli aspetti più
importanti del suo pensiero, conducendo il lettore all'interno del formalismo
gnoseologico kantiano, del volontarismo di Schopenhauer e dell’idealismo di
matrice britannica, esortando ulteriori approfondimenti su un autore il quale,
attraverso il proprio rigore morale (Goretti, così come il suo maestro Piero
Martinetti, risulta tra i non firmatari del 1 Un richiamo in nota al contesto
storico nel quale la filosofia del diritto di Goretti si sviluppa risulta
tuttavia necessario. Essa si inserisce all'interno di quell’indirizzo, chiamato
‘istituzionalismo’, che identifica nell’istituzione il fulcro attorno al quale
si crea e si espande la vita associata. Inaugurato con gli studi di Maurice Hauriou
in Francia e Santi Romano in Italia, esso si pone in netta contrapposizione con
la teoria normativista di Kelsen. Il particolare interesse di Goretti per
l’idealismo di matrice anglosassone conferisce però al suo giuridicismo
filosofico un taglio innovativo rispetto, ad esempio, al più celebre
istituzionalismo di Santi Romano, tanto da poterlo considerare come
‘istitutismo’. 160 Politics. Rivista di Studi
Politici n. 10, 2/2018 giuramento di fedeltà al fascismo del ‘31) ha dimostrato
l’autonomia dello spirito rispetto alla contingenza degli avvenimenti storici.
Nella trattazione delle sue opere non verrà seguito un ordine cronologico, ma
una sistematica ricostruzione della sua dottrina. Questo è il motivo per il
quale La metafisica della conoscenza in Thomas Hill Green (Goretti 1936) e
l’Introduzione alla sua Etica (Goretti 1925) rappresentano un punto di partenza
necessario per la successiva analisi del suo pensiero. È dunque dalle origini,
dall’aspetto gnoseologico, che questo lavoro prenderà le mosse, ed è proprio da
uno spunto, fornito dall’incompletezza della soluzione alla Ding an sich
kantiana fornita da Green, che Goretti elaborerà il suo impianto filosofico.
L’esigenza di ricongiungere forma e materia, di collegare il fenomeno con il
noumeno, ha condotto la filosofia, da Kant in poi, verso la strada di un
idealismo monistico. Quello che Goretti compie, invece, consiste in un’elegante
risoluzione del problema, la quale, pur non rinunciando al principio monistico,
mette al sicuro il formalismo kantiano da eventuali ricadute metafisiche. Per
fare ciò, egli si avvale del concetto di volontà elaborato da Schopenhauer,
evitando le sue derive pessimistiche e avvalorando il principio morale
delineato da Green. Quanto fin qui solamente accennato mette dunque in luce
l’aspetto poliedrico del pensiero di Goretti, in grado di spaziare tra gli
autori e i campi della filosofia più disparati, mantenendo comunque quel rigore
logico ed espositivo che lo rendono un autore unico nel suo genere. 1. Fenomeno
e relazione: da Kant a Green La filosofia di Green, come sottolinea Goretti,
rappresenta una fusione del pensiero critico di Kant e di Fichte (Goretti 1936,
97), una sintesi degli studi portati avanti a partire dalla sua Introduction to
Hume’s Treatise of Human Nature, contenuta all’interno dei Collected Works
(Green 1885-1888). Anche se i suoi Prolegomena to Ethics (1883), tradotti in
italiano dallo stesso Goretti (Green 1925), vengono di frequente considerati
come la «concezione definitiva dell’autore» (Goretti 1936, 98), portando spesso
ed erroneamente a giudicare la sua gnoseologia prettamente metafisica, la sua
capacità di analisi è riuscita ad andare ben oltre l’empirismo e il
razionalismo precedenti. È per questa ragione, dunque, che Goretti tornerà,
molto tempo dopo aver tradotto l’opera del Green, a dedicare ulteriori studi
volti a precisare e confutare alcune delle conclusioni avanzate dal filosofo
britannico. Attraverso un’accurata scomposizione del suo apparato
epistemologico, Goretti riesce a salvare l’apparente e vuoto formalismo
kantiano, che il Green aveva così ardentemente tentato di eliminare. La teoria
della conoscenza di Green si fonda sulle osservazioni kantiane inerenti
l’esistenza di una coscienza, in grado di unificare e sistematizzare i dati
dell’esperienza, considerati, fino ad allora, come unica realtà possibile. Per
Kant, ribadisce Goretti, è La volontà formale e il valore della norma
giuridica in Cesare Goretti solo grazie alla natura del nostro spirito che
l’esigenza unificatrice, chiamata con il nome di appercezione trascendentale,
si manifesta (Goretti 1936, 99). L’esperienza, dunque, rappresenta il complesso
di unificazioni che il nostro spirito pone in essere sulla molteplicità del
sensibile. Da ciò, la celebre distinzione kantiana tra prodotto della natura e
prodotto dell’intelletto, che porta la filosofia verso un «Umänderung der
Denkart» (Kant 1919, 24). Tutto ciò che possiamo conoscere è derivabile dalla
nostra esperienza, mentre la realtà, ciò che è posto al di fuori del mondo sensibile,
non può essere conosciuto, il che equivale ad affermarne il suo carattere a
priori, in quanto strumento inconoscibile atto a conoscere. È proprio su questo
punto, tuttavia, che Kant incontra le maggiori difficoltà. Tentando di superare
le aporie humeane, pone in essere quella distinzione tra fenomeno e cosa in sé
che occuperà gran parte della speculazione filosofica successiva. Nel tentativo
di fornire una risposta adeguata a questo dilemma, senza rientrare all’interno
delle conclusioni delineate dall’idealismo tedesco, si inserisce l’opera di
Green. Come sottolineato da Goretti, Green adopera un linguaggio differente
rispetto a quello utilizzato da Kant, il quale, secondo Green stesso, gli
permetterebbe di eludere il problema relativo alla cosa in sé. Egli
sostituisce, continua Goretti, la locuzione kantiana phenomena con quella di
relations. Per mezzo di questa distinzione, Green è convinto di poter esprimere
in maniera più marcata la facoltà unificatrice dello spirito, evitando così di
cadere all’interno delle problematiche del razionalismo kantiano. L’errore di
Kant, sottolinea Green, è rinvenibile proprio nella separazione che egli opera
tra natura formaliter spectata e natura materialiter spectata. Questo errore
non è altro che un refuso dell’empirismo lockeano, rinvenibile in Kant
attraverso l’espressione «Macht zwar der Verstand die Natur, aber er schafft
sie nicht» (Selsam 1930, 2). Come sostiene Green: If phenomena, as materialiter
spectata, have such another nature, it will follow [...] that there is no
ground for that conviction of there being some unity and totality in things,
from which the quest for knowledge proceeds. The cosmos of our experience, and
the order of things-in-themselves, will be two wholly unrelated worlds (Green
1883, § 39). Se si vuole considerare la materia, continua Green, dobbiamo
prendere in considerazione l’esistenza di forze che generano il loro movimento
comprese nella rappresentazione del fenomeno stesso (Goretti 1936, 100-101). Il
divenire, dunque, diventa veicolo attraverso il quale la realtà spirituale si
manifesta, una molteplicità con la quale il nostro spirito limitato coglie
l’unità. Esso rappresenta, per Green, il processo causale della molteplicità
stessa e non un prodotto della realtà assoluta. Alessandro Dividus 161
162 Politics. Rivista di Studi Politici n. 10, 2/2018 La posizione di Green è
molto particolare. Egli rinnega l’esistenza di due elementi distinti, forma e
materia, ma al tempo stesso, non ricade nella sintesi degli opposti sviluppata da
Hegel. Le cose che noi osserviamo non sono scisse e frammentarie, ma rivelano
l’esistenza di un assoluto che non si muove seguendo un movimento dialettico.
La realtà, secondo Green, è una progressione di gradi di relazione e per questo
motivo non può in alcun modo trovarsi fuori dallo spazio e dal tempo. La
molteplicità delle relazioni, dunque, assume per Green il significato di
qualità dello spirito, che il nostro Io attribuisce alle cose, ma che non si
trova nelle cose stesse (Goretti 1936, 108). Queste conclusioni, sottolinea
Goretti, sono per Green il modo di superare il dibattito intorno alla
distinzione lockeana tra qualità primarie e qualità secondarie. Mentre, per i
sostenitori dell’empirismo, la differenza tra qualità sussiste su di un piano
sostanziale, cioè appartenente alla natura delle cose, per Green, invece, essa
è puramente graduale. L’unica diversità che le caratterizza consiste
nell’apparente priorità temporale che le prime dimostrano nel manifestarsi.
Questo evento è dovuto, spiega Green, alla predominanza dell’elemento formale
rispetto a quello empirico. Ogni relazione, dunque, è per Green una qualità. Il
centro della realtà rimane sempre l’Io, ma l’elemento formale che Kant non era
riuscito ad eliminare viene sostituito da gradi di relazione. Queste
affermazioni sono avvalorate ancor più da Green attraverso la distinzione tra
giudizi sintetici e giudizi analitici. Utilizzando l’enunciato kantiano “ogni
corpo è esteso”, non ci troviamo di fronte ad un giudizio analitico, come Kant
suppone, data la presenza del predicato all’interno del soggetto, ma come per
il secondo enunciato “ogni corpo è pesante”, stiamo attribuendo al soggetto un
grado di relazione meno complesso rispetto al secondo (Green 1886, §§ 69-72).
La mera intuizione delle categorie di spazio e tempo non è sufficiente per
cogliere la distinzione tra diversi giudizi. Lo spazio offre solamente la
concezione di una figura, ma non di un corpo. Secondo Green, dunque, Kant
confonde il concetto di corpo con quello di figura. La conclusione di Green,
riporta Goretti, «è che ogni giudizio presuppone una sintesi che si può
scomporre in una analisi di relazioni, analisi che può portare ad ulteriori
sintesi» (Goretti 1936, 112). Ogni relazione è dunque un grado di realtà
maggiore o minore rispetto all’unità che essa contribuisce a formare
all'interno della nostra conoscenza. Quanto finora brevemente riportato mette
in luce l’atteggiamento critico di Green rispetto alle problematiche formali
espresse dalla filosofia kantiana. Naturalmente, quanto emerso rispecchia solo
una minima parte del pensiero greeniano, in questa sede appositamente
riassunto, ma fornisce gli strumenti necessari per comprendere il punto di
partenza attraverso il quale Goretti ripartirà per formulare la sua teoria.
Come sostiene Goretti «Non si può certo affermare che Green abbia sempre
esattamente compreso la filosofia di Kant» (Goretti 1936, 113). Le critiche che
Goretti muove nei La volontà formale e il valore della norma giuridica in
Cesare Goretti confronti del filosofo britannico riguardano proprio il suo
tentativo di eliminare, senza risolvere, il formalismo kantiano, ricadendo in
quella struttura monistica della quale già Fichte aveva tracciato le linee.
Secondo Goretti, la concezione metafisica di Green è prettamente religiosa
(Goretti 1936, 115; cfr. Seth 1887), in quanto ogni fenomeno, o relazione, è
per lui un riverbero dell’assoluto che non si esaurisce nella sua apparenza.
Così facendo, continua Goretti, Green non si accorge di aver identificato
l’assoluto stesso con la molteplicità delle sue relazioni, senza mettere in
conto la possibilità che un grado di realtà inferiore, rispetto ad uno
superiore, possa rappresentare solamente una negazione, un’apparenza
dell’assoluto (Goretti 1936, 115). Il dibattito sull’aspetto monistico, o meno,
della filosofia di Green è ovviamente molto ampio (vedi Tyler 2003) e le teorie
le più disparate. Il percorso tracciato dalle sue tesi trova il suo naturale
sviluppo nelle dottrine del Bradley, il quale riduce le relazioni stesse a provvisorie
apparenze riproponendo, ancora una volta, l’ombra di una realtà intellegibile
(Goretti 1933). Ma Goretti percorre una strada diversa, in qualche modo
innovativa rispetto al senso comune. Egli si serve di Schopenhauer per
liberarsi del rapporto dualistico tra realtà assoluta e materia, senza però
rinunciare alla categoria formale elaborata da Kant2. 2. Il concetto di volontà
in Cesare Goretti Secondo Goretti, l’unico ad aver intuito veramente cosa la
materia rappresenti è Schopenhauer (Goretti 1936, 105). Nella sua opera più
famosa, Die Welt als Wille und Vorstellung (1819), Schopenhauer definisce la
materia come apparenza sensibile della volontà. Questa volontà non è altro che
una forza che tende ad affermarsi e realizzarsi. Essa non è più semplice materia
inerte, come in Aristotele, ma forza, voluntas. Questa forza si oppone alla
conoscenza tanto da tramutarsi in una noluntas, mettendo in moto quel processo
che ci permette di conoscere le vere fattezze del reale, pur non rinunciando al
dualismo tra realtà fenomenica e realtà assoluta. La volontà di conoscere,
quindi, rischiara l’oscurità della materia e rende il mondo reale accessibile
all’uomo. Green aveva intuito questo principio attraverso la definizione di
dover essere e il suo concetto di moral will, ma non era riuscito, sostiene
Goretti, a renderlo completo. È con Schopenhauer, quindi, che la concezione
volontaristica acquista finalmente forma. 2 La strada percorsa da Goretti
risulta alquanto particolare poiché, pur rimanendo all’interno dei canoni
dell'idealismo (una sorta di idealismo religioso ispirato in Goretti dallo
studio delle opere del filosofo russo Afrikan Spir e del suo amico a maestro
Piero Martinetti), non ne segue la normale evoluzione tracciata da Fichte e
conclusasi con Hegel, della quale Croce e Gentile sono stati, in Italia, i due
massimi, seppur sotto molti aspetti critici, rappresentanti. Alessandro Dividus
163 164 Politics. Rivista di Studi Politici n. 10, 2/2018 Tuttavia,
Goretti diverge dalla definizione di voluntas fornita da Schopenhauer. Per il
filosofo tedesco la volontà si manifesta come impulso, energia, pura forza
cieca, in quanto posseduta anche dalla materia, che sussiste al di fuori della
forma dello spazio e del tempo ed è, quindi, indistruttibile ed eterna. Essa è
energia senza causa (Abbagnano 1923). La sua ragione può essere ricercata solo
nella sua manifestazione fenomenica, ma non nella volontà in sé. Per Goretti,
invece, la volontà non è energia senza un fine, ma è un collegamento tra mezzi
e fini. Essa ubbidisce alla categoria della finalità, mira a fini prescelti,
segue degli schemi prestabiliti (Roccia 1955, 6). La realtà esteriore, secondo
Goretti, rappresenta il complesso dei mezzi, gli oggetti e la materia che la
volontà utilizza per realizzarsi, per liberarsi e, quindi, per perseguire il
suo fine. La realtà limita il nostro egoismo, nel senso che pone al nostro
volere dei punti di orientamento comuni. Quando l’uomo cerca di prendere
possesso della realtà che lo circonda, non sorge in lui la visione di una
realtà trascendente, ma lo schema di un’esigenza unitaria, che è la stessa
limitazione del nostro egoismo (Goretti 1930, 75). La volontà, dunque, segue
degli schemi prestabiliti, creando una sintesi tra il nostro volere e una parte
della realtà esteriore. Nel volere del singolo si manifesta la sua propensione
verso l’assoluto. Al principio del divenire, dunque, Goretti riabilita e
sostituisce quel dualismo tra fenomeno e realtà che aveva messo in crisi la
filosofia di Kant. Con la sua concezione di volontà, inoltre, Goretti non solo
si allontana dal pensiero di Schopenhauer, ma trova anche il modo per rendere
possibile l’esistenza di una categoria formale della conoscenza. Come nel
collegamento tra mezzi e fini, la volontà guida la relazione immediata tra il
soggetto e l’oggetto, tentando di far prevalere il suo dominio sulle cose e
mettendo in mostra l’aspetto egoistico del suo movimento. Ma la volontà è
prerogativa di ciascuno e non si esplica solamente attraverso un individuo
determinato. Essa, dunque, incontra sul suo cammino gli atti volitivi di altri
soggetti. È grazie al contatto della volontà individuale con la realtà esterna
che l’egoismo nasce e scopre la sua ragion d’essere. La realtà pone dei limiti
all’assoluto tendere della volontà, alla sua brama unitaria, e circoscrive i
limiti delle differenti personalità individuali. La limitazione dell’egoismo è
dovuta proprio all’esigenza unitaria della volontà ed esso non è altro che il
prodotto della volontà stessa. In questo modo, Goretti è adesso in grado di
giustificare l’aspetto formale della volontà. Essa non è più forza cieca che
tende verso l’assoluto, ma, data la sua propensione unitaria, è forza costretta
a percorrere determinate direzioni: l’una conduce al dominio delle cose
(l’aspetto finalistico della volontà, cioè l’appropriazione del tutto),
l’altra, invece, porta al godimento delle cose che dipendono dalla volontà
degli altri (ciò che pone un freno alla categoria egoistica). Come riporta il
Roccia: La volontà formale e il valore della norma giuridica in Cesare
Goretti Questi schemi, queste direzioni sono preordinate: non derivano cioè
dalla nostra esperienza, bensì sono esse medesime condizioni dell’esperienza: o
noi consideriamo il mondo esterno come un complesso di cose capaci di un possesso
immediato o noi lo consideriamo come un complesso di cose il cui godimento
dipende dall’attività di un altro soggetto (Roccia 1955, 7). L’aspetto formale
della volontà, per Goretti, non solo è in grado di riconciliare forma e
materia, fenomeno e realtà, ma è anche capace di fornire una risposta alla
problematica morale riguardante la finalità dell’azione. Se per i sostenitori
di una morale comune, come Kant o Green, l’azione del singolo deve essere
orientata verso un bene collettivo, un fine cioè che non tenga solamente conto
del concreto sviluppo del singolo, ma che rispetti l’insieme nel suo complesso,
per la corrente dell’utilitarismo, invece, l’azione morale deve prediligere
l’aspetto individuale, in primis, e solo in seguito condurre ad un accrescimento
del benessere comune. Quello che Goretti mette in risalto, invece, è l’aspetto
etico dell’egoismo. La sua è una posizione che si concilia perfettamente con
entrambe e richiama alla memoria le parole di Spinoza. Per lui, così come per
Goretti, il principio dell’utilità aveva un grande valore. Esso costituiva il
primo grado della ragione, in quanto essa opera sulla natura empirica dell’uomo
e ne mette in luce il suo carattere finito. L’utilità costringe il singolo a
ripiegare su se stesso e «a sentire tutta l’ostilità della nostra limitatezza»
(Goretti 1927, 238). È per questo motivo che la volontà, avendo fini egoistici
ma mezzi comuni, è costretta a limitare la sua azione sulla base di un accordo
sociale. La volontà, dunque, genera e limita l’egoismo, rendendo di fatto
l’utile come un primo passo verso l’etico. L’essere ragionevoli, quindi, il
perseguire la propria volontà, non rappresenta altro che una manifestazione del
fine ultimo dell’uomo, il quale, a sua volta, si caratterizza come aspetto
formale non solo della conoscenza, ma anche dell’appropriazione del reale. Date
queste premesse, è adesso possibile per Goretti enunciare la sua personale
interpretazione del diritto. Le condizioni a priori della conoscenza,
riabilitate del loro carattere formale, vengono trasposte da Goretti
all’interno della costituzione del diritto, nel campo cioè delle relazioni
umane. Quello di Goretti, quindi, si presenta come un idealismo volontaristico,
che non pretende «dedurre dalla volontà il diritto e tutto il diritto, intende
solo cercare nella volontà stessa le condizioni che rendono possibile il
diritto» (Roccia 1955, 7). Ci troviamo, dunque, di fronte a una tipologia di
diritto differente rispetto a quella di matrice kantiana, poiché non rende la
giuridicità stessa un elemento formale, ma identifica solamente alcuni schemi
preordinati verso i quali la volontà deve dirigersi e attraverso i quali,
grazie alla facoltà giuridica del reale, riesce a concretizzarsi. Solo il Green
era riuscito a intuire il principio fondante del diritto, cioè la sua capacità
strumentale di permettere una completa realizzazione Alessandro Dividus
165 166 Politics. Rivista di Studi Politici n. 10, 2/2018 dell’individuo
nella società. Ma egli aveva eliminato ogni residuo di carattere formale all’interno
della sua teoria, svilendo così la prerogativa finalistica della volontà.
Quella di Goretti, quindi, rappresenta una perfetta sintesi dei due autori, che
gli permetterà non solo di fornire una più completa riflessione sull’aspetto
filosofico della norma, ma anche di ampliare il diritto stesso ad un gruppo
sempre più ampio. 3. Il carattere strumentale del diritto La volontà deve
realizzare fini dettati dalla ragione e non dati della sensibilità. Solo
l’essere ragionevole è fine a se stesso. Ma per raggiungere un fine bisogna
possedere un mezzo, uno strumento. Questo strumento è il diritto, l’unico in
grado di ricongiungere il dover essere con la realtà fenomenica e fornire i
mezzi esterni per la realizzazione morale (Goretti 1922, 16-17). Il diritto è
quindi un mezzo, ciò che rende l’azione conforme al dovere. Esso è preordinato
da fini. Kant derivava il diritto dal dovere, mentre Green sottolineava come
l’uno non potesse esistere senza l’altro. In entrambi, però, il dovere
ricopriva un ruolo primario, qualcosa che, una volta realizzato nella sua
totalità, avrebbe reso vacuo il significato stesso del diritto. Per Goretti,
invece, il diritto è sì uno strumento, ma uno strumento che non nasce con lo
scopo di servire il dover essere, bensì è prodotto della realtà stessa che il
dover essere riscopre. Mezzi e fini sono presenti nel mondo reale e offerti a
chiunque possieda le capacità necessarie per farli propri. Queste possibilità
di possesso, come le chiama Goretti, non forniscono alcun contenuto storico e mutabile,
ma indicano solamente le linee guida attraverso le quali il nostro volere si
esplica (Goretti 1930). È grazie al tentativo di dominio del reale, che gli
schemi giuridici si manifestano. Essi rappresentano il collegamento diretto tra
volontà ed esteriorità, regolando aprioristicamente lo spazio giuridico nel
quale l’individuo si muove. Anche i Romani, sottolinea Goretti, avevano intuito
la realtà empirica degli schemi giuridici. Quando essi distinguevano le res in
mobiles, immobiles e semoventes non facevano altro che prendere coscienza della
distinzione esistente tra diritti reali, diritti di obbligazione e diritti di
asservimento (Goretti 1930, 90-91; cfr. Goretti 1922). La volontà, d’altronde,
non può che realizzarsi attraverso un rapporto tra il proprio volere e
l’oggetto desiderato (diritto reale), tra il proprio volere e l’attività di un
terzo dal quale si pretende una certa prestazione (diritto di obbligazione) e,
infine, tra il proprio volere e l’asservimento di tutta, o parte, della personalità
esteriore altrui (diritto di asservimento). Questa triplice ripartizione,
continua Goretti, esaurisce tutte le potenzialità «di sfruttamento e di dominio
della realtà esteriore» (Goretti 1930, 89). Come per Kant, nella teoria della
conoscenza, lo schematismo aveva reso possibile unificare le intuizioni
sensibili all’interno delle categorie, così per Goretti, in campo giuridico,
esso permette di riconoscere le tappe obbligate che la realtà empirica La
volontà formale e il valore della norma giuridica in Cesare Goretti fornisce al
nostro volere. Si potrebbe obbiettare una presunta arbitrarietà nella
tripartizione schematica effettuata dal Goretti, chiedendo come mai la volontà
si esaurisca solamente attraverso questi schemi e non altri. Ma al perché questi
schemi siano solamente tre, Goretti risponde: «L’uomo fin ad ora non ha altri
modi di sfruttamento della realtà esteriore; altra prova del valore intuitivo
degli schemi. [...] La realtà intuitiva non me ne fornisce altri allo stato
attuale del nostro sviluppo organico» (Goretti 1930, 104). La nostra stessa
esperienza e storia degli istituti giuridici, continua Goretti, dimostra il
ruolo che i concetti di proprietà e obbligazione rivestono. Essi sono generici,
originari, intuitivi e solo in seguito acquistano una valutazione razionale
della realtà alla quale l’uomo fornisce un contenuto etico e, quindi,
arbitrario. Essi, tende ancora a sottolineare Goretti, possiedono una natura
puramente intuitiva e ciò non esclude che la logica giuridica possa trarne concetti
giuridici corrispondenti, come la compravendita, il mandato, la proprietà ecc.
(Goretti 1930, 95). Non bisogna confondere il concetto della proprietà e
dell’obbligazione, che hanno un proprio contenuto storico e concreto, con lo
schema dell’impossessamento e dell’obbligazione, che rappresenta il loro
carattere intuitivo. Come afferma Goretti: Si dice: è il concetto di proprietà
il prius logico, l’antecedente che rende possibile allo spirito l’impossessarsi
della realtà. Al contrario è questo impossessarsi che permette l’elaborazione
del concetto di proprietà. In questo impossessarsi vi è un atto che deve
spiegarsi; e la spiegazione consiste nel fatto che il nostro egoismo, il nostro
volere si muove diversamente a seconda dello spazio. Il volere ubbidisce alla
categoria della finalità come l’intelletto a quella della causalità (Goretti
1930, 95-96). La nostra esigenza razionale, quindi, prende forma sensibile
attraverso questi schemi giuridici, condizione dei rispettivi istituti
giuridici. Per mezzo di questo atto intuitivo della realtà esteriore, il nostro
egoismo viene limitato e obbligato a prendere determinate direzioni comuni,
facendo trapelare una prima forma di unificazione dei voleri, di volontà
comune. Essa appare inizialmente come complesso di mezzi per le nostre
volizioni personali, ma lascia intuire la portata limitata di tali mezzi e,
dunque, la loro comune origine. Questo passaggio, dice Goretti, è una normale
conseguenza della visione unitaria della realtà da parte dei singoli, i quali
tendono a polarizzare la propria volontà intorno a un ideale condiviso,
acquisendo la consapevolezza della necessaria condivisione dei mezzi esteriori
(Goretti 1930, 113). Si sviluppa così la coscienza di quell’elemento
costituente il diritto: il principio di uguaglianza. Non si tratta, sostiene
Goretti, di un’uguaglianza di diritti e doveri, di un livellamento dei valori
individuali, ma di un’uguaglianza della nostra personalità di fronte alla
realtà esteriore: «È la posizione del nostro volere di fronte alle direzioni
che la realtà esteriore ci offre» (Goretti 1930, 113). L’umanità, dunque, non è
il risultato della somma di tutti gli individui, ma è l’idea Alessandro Dividus
167 168 Politics. Rivista di Studi Politici n. 10, 2/2018 alla quale il
singolo, in quanto essere razionale, partecipa. Così, ad esempio, l’idea della
proprietà originaria non rappresenta il complesso delle singole proprietà, ma è
il riconoscimento del diritto che l’umanità intera ha di impossessarsi della
realtà esteriore (Goretti 1930, 116). Senza il riconoscimento di questo
diritto, comune a tutti, non sarebbe possibile il conseguente riconoscimento
dei diritti dell’individualità, dell’egoismo. 4. Gli istituti giuridici e lo
Stato Quanto fino ad ora esposto mostra solamente la necessità degli schemi
giuridici per la creazione di un ponte tra realtà spirituale e realtà
fenomenica, mettendo in luce un’esigenza di volontà comune dettata dalla
comunione dei mezzi e dei fini. Gli schemi giuridici, tuttavia, non sono che la
base razionale, a priori, grazie alla quale poter dedurre l’esistenza dei
diversi istituti giuridici. Gli schemi rappresentano quindi le condizioni
formali che ne costituiscono la loro possibilità. Mentre il carattere
strumentale del diritto aveva sottolineato la necessità di una comunione di
mezzi, la storia del diritto stesso, e quindi la sua rappresentazione empirica
formalizzata nell’istituto giuridico, fa emergere le caratteristiche costanti
delle finalità umane. Gli istituti giuridici non sono che il riverbero di una
comunione di mezzi, i quali contengono, però, vere e proprie finalità concrete
(Goretti 1930, 204). Del resto, se non esistesse una comunione di mezzi, non
sarebbe possibile parlare di finalità condivise. Queste finalità, ovviamente,
non sono identiche in ciascuno, in quanto l’istituto giuridico non fa altro che
porre in essere scopi immediati coordinati gli uni con gli altri, ma convergono
tutte, sostiene Goretti, verso un punto di equilibrio: I moventi di ogni
singola persona che partecipa ad un atto, ad un negozio giuridico rimangono
sempre qualche cosa di irriducibilmente soggettivo, ma lo scopo dell’uno
diventa una funzione di quello dell’altro, i due scopi devono farsi equilibrio
intorno ad un punto comune (Goretti 1930, 204). Il fatto che una finalità presupponga
un movente individuale, non esclude la possibilità che la finalità di un
singolo possa incrociarsi con quella di un altro. Questo equilibrio di finalità
dà vita a differenti figure giuridiche, non deducibili a priori dai nostri
schemi, ma lasciate in balìa degli eventi storico-sociali. Ma il carattere
formale dei nostri schemi, e quindi dei nostri mezzi, giustifica la creazione
uniforme e costante degli istituti, e dunque dei nostri equilibri finali.
Pertanto, dalle diverse finalità umane è possibile derivare aprioristicamente
la figura giuridica della compravendita, che si richiama allo schema giuridico
dell’obbligazione. Non è, dunque, il lavoro speculativo del giurista che crea
le forme degli istituti giuridici, ma è la realtà sociale stessa. Essi La
volontà formale e il valore della norma giuridica in Cesare Goretti non sono
altro che realtà fenomenica, svelata dalla volontà individuale che si muove nel
mondo empirico attraverso le sue forme schematiche. Le istituzioni sociali, di
conseguenza, sono il risultato di un punto comune di equilibrio formatosi e
consolidatosi, nel tempo, intorno a un complesso di finalità umane.
L’ineludibilità di simili conclusioni, sostiene Goretti, può essere
ulteriormente avvalorata attraverso un esempio. Se esaminassimo il caso della
compravendita, ci troveremmo di fronte a due differenti finalità: quelle del
venditore, da una parte, e quelle del compratore, dall’altra. Naturalmente,
continua Goretti, queste finalità appaiono inizialmente diverse, ma il loro
punto di equilibrio è riscontrabile proprio negli asservimenti reciproci
esistenti nel fatto di vendere e di comprare, nei quali le finalità dell’uno si
incrociano con quelle dell’altro. Questo elemento comune è derivabile dallo
schema dell’obbligazione, per mezzo del quale le caratteristiche comuni delle
finalità tendono a convergere. Nel caso dei diritti reali, ad esempio, è la
fruizione della cosa da parte di un singolo, e dunque la sua finalità, che
tende a escludere l’uso del medesimo oggetto da parte di un terzo, facendo
arrestare la sua finalità di fronte al possesso del soggetto iniziale. Questo
arresto, continua Goretti, mostra già di per sé l’esistenza di un equilibrio
dei fini, ed è proprio questo equilibrio che rende possibile la formazione
degli istituti giuridici. Ciò che rende dunque costante nel tempo l’esistenza
di determinati istituti è proprio l’uniformità delle nostre forme e dei nostri
bisogni. Ecco come, quindi, da un accenno di volontà comune e di unificazione
di finalità, espresse nella forma dei singoli istituti giuridici, si assiste a
un progressivo ampliamento del principio di solidarietà sociale, che limita
automaticamente il nostro originario egoismo. Si passa, gradualmente, da
un’unificazione di finalità e bisogni elementari a un’unificazione più elevata
di natura spirituale. Questo è un fenomeno, dice Goretti, «storicamente
accertabile e inoppugnabile» (Goretti 1930, 218). L’egoismo si asserve così,
senza negarsi, a un criterio di uniformità, dando vita a unità sempre più
grandi e mostrando all’umanità il cammino della giustizia. Si potrebbe
sottolineare l’incoerenza pratica di tali affermazioni, mostrando le derive
violente ed ingiuste che molte istituzioni hanno posto in essere, ma simili
mostruosità sono solamente deformazioni storiche di suddette istituzioni, le
quali, in sé, non posseggono nessun concetto di giusto ed ingiusto, ma
rappresentano solamente un grado di realizzazione della volontà comune, ad uopo
strumentalizzata da egoismi irrazionali. Ma in che forma empirica si realizza
questa volontà comune, secondo il Goretti? La sua risposta è molto chiara: «Il
diritto come tale non può culminare nello Stato» (Goretti 1930, 228). Quella
che ad Hegel appare come la rappresentazione e lo stadio più completo della
volontà individuale, è invece per Goretti un’indebita ingerenza dell’egoismo
collettivo nei confronti di quello soggettivo, una volontà di potenza che non
ubbidisce a esigenze razionali, ma ad un mero potenziamento di se stessa,
tradendo quell’esigenza prettamente unitaria tipica della dialettica hegeliana.
Come Alessandro Dividus 169 170 Politics. Rivista di Studi Politici n.
10, 2/2018 all’interno della società civile si manifestano una molteplicità di
individualità e gruppi in contrasto tra loro, così anche lo Stato, non essendo
altro che un gruppo più ampio, non potrà rappresentare la realizzazione della
volontà comune, poiché anch’esso tenderà al conflitto con Stati terzi. Il suo
ruolo è, così per Goretti come lo era stato per il Green, puramente pratico,
nel senso di garante del rispetto del diritto e della potenzialità di sviluppo
della volontà comune. Lo Stato appare come la rappresentazione finale della
sovranità, politica e giuridica, ma essa è pura illusione. In ogni sovranità vi
è sempre un riverbero di ordinamento giuridico ideale, che non si esaurisce
nella sua forma storico-sociale, ma è assoluta spontaneità dei rapporti che
l’uomo instaura tra schemi e istituti. Lo Stato, nel suo processo evolutivo,
non rappresenta altro che un irrigidimento della volontà comune nel suo
percorso fenomenologico. Conclusioni Quanto esposto rappresenta una parte
dell’importantissimo contributo del Goretti nel campo della filosofia, che
tocca aspetti gnoseologici, giuridici e politici, mostrando il suo carattere
poliedrico e critico, senza però rinunciare al suo rigore logico. Le sue
intuizioni sono rimaste purtroppo vittime degli sfortunati eventi storici che
hanno accompagnato tutta la sua esistenza, lasciando ai più sconosciuta la sua
eredità intellettuale. Di non minore importanza, inoltre, è l’impegno che egli
ha dedicato in difesa dei diritti degli animali, per il quale si rimanda
all’articolo L'animale quale soggetto di diritto (Goretti 1928), che si
concilia perfettamente con la sua personale concezione del diritto e che
anticipa, in gran parte, molte delle speculazioni attuali sul tema. Ma lo scopo
di questo lavoro, data la limitatezza del contributo, non è stato quello di
approfondire ogni aspetto del suo pensiero, bensì di mostrare la profonda
capacità argomentativa di questo autore, il quale offre numerosi spunti in
altrettanto numerosi ambiti della filosofia. Oltre ad essere stato, in Italia,
il primo vero studioso e l’unico traduttore dell’opera del Green, Goretti ne ha
saputo cogliere la vera intuizione, proponendo una propria visione della
volontà, la quale rappresenta una geniale sintesi tra idealismo e razionalismo,
quasi come un proseguo degli studi, involontariamente interrotti, ai quali il
Green aveva dato origine. La riabilitazione, poi, del formalismo kantiano,
segnata da una propria interpretazione della volontà di Schopenhauer, mette in
evidenza un percorso innovativo rispetto al naturale interesse degli studiosi
successivi, il che conferma ulteriormente la necessità di riscoprire un autore
tanto grande quanto sfortunato. Bibliografia La volontà formale e il
valore della norma giuridica in Cesare Goretti Abbagnano, Nicola. 1923. Le
sorgenti razionali del pensiero. Napoli: Perrella. Bradley, Andrew Cecil. 1906.
Prolegomena to Ethics by the late Thomas Hill Green. Oxford: Oxford Clarendon
Press. Goretti, Cesare. 1922. Il carattere formale della filosofia giuridica
kantiana. Milano: Casa Editrice Isis. Goretti, Cesare. 1927. “Il trattato
politico di Spinoza.” Rivista di Filosofia XVIII, 3: 235- 247. Goretti, Cesare.
1928. “L’animale quale soggetto di diritto.” Rivista di Filosofia XIX, 4:
348-369. Goretti, Cesare. 1930. I fondamenti del diritto. Milano: Libreria
Editrice Lombarda. Goretti, Cesare. 1932. “Sulla distinzione fra legge e
norma.” Rivista di Filosofia XXIII, 2: 125-135. Goretti, Cesare. 1933. “Il
valore della filosofia di F. H. Bradley. Apparenza e Realtà.” Rivista di
Filosofia XXIV, 4: 332-352. Goretti, Cesare. 1935. “L'idea di patria.” Rivista
di Filosofia XXVI, 1: 66-82. Goretti, Cesare. 1936. “La metafisica della
conoscenza in Thomas Hill Green.” Rivista di Filosofia XVIII, 2: 97-117.
Goretti, Cesare. 1941. “L’istituzione dell’eforato.” Archivio della cultura
italiana III, 4: 251-264. Goretti, Cesare. 1951. Il pensiero filosofico di
Piero Martinetti. Bologna: Cooperativa Tipografica Azzoguidi. Green, Thomas
Hill. 1925. Etica. “L’istituzionale e una co-struzione, una sorta di
inter-azione, o co-azione co-ordinata, co-stitutente un equilibrio tipico o
co-stante di finalita che si fissa in un com-plesso di mezzi”. “Casi
innumerevoli dimostrano come il cane (o altro uomo) sia custde geloso della
proprieta del suo padrone e come ne compartecipi all’uso. Oscuramente deve
operare in esso questa visione della realta esteriore come cosa PROPRIA, che
nell’uomo civile U1 arriva alle costruzione raffinate dei giuristi. E assurdo
pensare che l’animale o l’uomo O2 che rende un servizio al suo padrene che lo
mantiene agisca soltanto istintivamente. Deve pure sentire in se per quantto
oscuramente e in modo sensible questo rapport di servizi resi e SCAMBIATI.
Naturalmente l’U2 o l’animale non potra arrivare al concetto di ci oche e la
proprieta, l’obbligazione. Basta cche dimostri esterioremente di fare uso di
questi principi che in lui operano ancora in modo oscuro e sensibile.” Cesare
Goretti. Grice: “I like Goretti: I rather casually referred to ‘the institution
of a decision’ as the end of a conversational exchange – notably involving
buletic conversational moves; Goretti makes a whole system out of this. His
example is his conversation with his dog: ‘Surely my dog knows that he is
providing me a service – guarding my territory – and he is rightly deemed as a
‘subject’ in my exchange with him – as we ‘institute a decision’ that there is
a reciprocity involved.” Goretti. Keywords: “the institution of decisions” --
l’istituzionale, A. C. Bradley, La massima d’equita; “segni e comprensione” il
concetto di patria, eforato—co-azione, co-operazione -- diada. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Goretti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51755508026/in/dateposted-public/
Grice e
Gori – la filosofia di cabaret -- l’eroe e la falce – filosofia italiana – filosofia
futurista -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “My favourite Gori are “L’eroe e la
falce” and “Il mantello d’Arlecchino” – nothing can be italianita with that!”. Saggi:
“Il mantello di Arlecchino (Roma); “Il libbro rosso de la guerra” (Roma); “Le bruttezze
della Divina Commedia” (Alatri); “Le bellezze della Divina Commedia” (Milano);
“Estetica dell'irrazionale” (Milano); “Il mulino della luna (Milano) “L'irrazionale”;
“Filosofia ed estetica”, “Sistema di una nuova scienza del bello; “Il bello” – “L'eroe
e la falce” -- Scorcio architettonico di letteratura europea dalle origini ai
nostri giorni, Cagliostro (Milano); Il teatro contemporaneo e le sue correnti
caratteristiche di pensiero e di vita nelle varie nazioni (Torino); L'oca
azzurra (Roma); Il grande amore (Firenze); Scenografia. La tradizione e la rivoluzione
contemporanea (Roma); Il grottesco (Milano).
P.D. Giovanelli, Gino Gori. L'irrazionale e il teatro, Roma, Bulzoni, U.
Piscopo, Gino Gori, in E. Godoli, Dizionario del futurismo, Firenze); Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Rassegna
della produzione teatrale e delle nuove tendenze del teatro italiano e mondiale
a cavallo tra il finire dell'800 e i primi decenni del '900. Partendo dalla
riforma dell'opera lirica di Wagner e dalla sua teoria dell'opera d'arte
totale, Gori passa a discorrere di Maeterlinck, Andreev, del teatro dell'Anima
di Schuré e Claudel, del teatro dell'esteriorismo (D'Annunzio, Wilde, Péladan,
Erdös), del teatro cinese e giapponese, di Tagore, Tolstoj, Gorkij, dell'Espressionismo,
di Shaw, di Ibsen, del teatro borghese, del teatro dialettale italiano, del
teatro delle nazioni europee minori (discorre anche del teatro dell'Islanda o
della Lituania o della Bulgaria), delle forme rudimentarie del teatro presso i
popoli selvaggi. Gino Gori (Roma, 1876-Sant'Ilario Ligure, 1952), poeta,
drammaturgo e critico letterario romano fiancheggiatore del Futurismo, aprì a
Roma il famoso Cabaret del Diavolo, realizzato da Fortunato Depero. "Nel
gennaio del 1921 Depero è protagonista con una grande mostra personale tenuta a
Palazzo Cova di Milano, che in seguito viene trasferita da Bragaglia a Roma,
dove nel settembre dello stesso anno, su incarico di Gino Gori, inizia i lavori
di allestimento del Cabaret del Diavolo, una sorta di bolgia dantesca
frequentata da futuristi, dadaisti, anarchici ed artisti in genere. Per il
cabaret, strutturato lungo un percorso discendente (a ritroso)
Paradiso-Purgatorio-Inferno, Depero realizzò tutto l'arredo e le decorazioni
murali. L'inaugurazione avvenne nell'aprile del 1922 ma, passato il primo
momento di gloria, i tempi si fecero difficili e il locale fu chiuso, e con
esso distrutto anche tutto il lavoro di Depero". (cfr. Catalogo mostra
Fortunato Depero, Fondazione Palazzo Bricherasio). Letterature moderne. Studi
diretti da Arturo Farinelli. Cammarota, Futurismo, Il Futurismo
applicato ai cabaret» «C’è stato in questi giorni, qui a Roma, un
improvviso e molteplice sboccio d’arte futurista: il futurismo applicato al
cabaret»,[26] annotava all’inizio degli anni Venti Massimo Bontempelli, che in
quel periodo simpatizzava con il Futurismo e da poco aveva rifiutato le opere
scritte prima della guerra. Fra il 1921 e il 1923, venivano infatti inaugurati
nella capitale diversi locali decorati dai futuristi, tutti situati nel centro
della città. Iniziava la serie, nel ’21, il Bal Tic Tac, situato in via Milano,
i cui ambienti considerati distrutti per oltre mezzo secolo, sono stati
recentemente ritrovati durante il restauro del palazzo. Alle sale, arredi e
lampade del cabaret aveva lavorato Balla: era «un grandioso locale per balli
notturni futuristicamente decorato», nel quale «per la prima volta, apparve
realizzata la nuova arte decorativa futurista. Forza, dinamismo, giocondità,
italianità, originalità» commentava il periodico Il Futurismo.[27] Per il
lavoro, ha ricordato la figlia dell’artista, Elica, Balla era stato contattato
da Vinicio Paladini, altro avanguardista della cerchia romana, in quegli anni
in procinto di lanciare con Ivo Pannaggi il movimento Immaginista.[28] Nel
1922, nei sotterranei dell’Hotel Élite et des Etrangers in Via Basilicata 13,
era stato aperto il Cabaret del Diavolo, uno dei più stravaganti ritrovi romani
di proprietà di Gino Gori, il quale intendeva farne il punto di incontro di
scrittori, pittori e intellettuali e aveva puntato sulla creatività di Depero,
chiamandolo a decorarne e ad arredarne gli interni. Le tre sale, denominate
Inferno, Purgatorio e Paradiso, avevano ognuna una specificità cromatica e
tipologica: i mobili del Paradiso, ad esempio, erano azzurri, quelli del
Purgatorio verdi e quelli dell’Inferno rossi. L’illuminazione era
bianco-rosa-azzurrina con immagini di angeli e cherubini nel Paradiso,
bianco-verde con una coorte di anime verdi nel Purgatorio, e rossa con diavoli e
dannati avvolti dalle fiamme nell’Inferno. Il locale era sede della Brigata
degli Indiavolati, composta da poeti e artisti. Nello stesso anno Balla,
che aveva anche decorato la sua celebre casa-galleria aperta al pubblico di Via
Nicolò Porpora 2 (poi seguita dall’altrettanto celebre abitazione di Via
Oslavia 34 b), realizzava il soffitto luminoso della sala futurista della nuova
sede allestita da Virgilio Marchi della Casa d’Arte di Bragaglia, trasferitasi
da Via Condotti 18 in Via degli Avignonesi 8. Nei locali ricavati nei
sotterranei dei Palazzi Tittoni e Vassalli che conservavano le terme pubbliche
romane di Settimio Severo, nel 1923 Bragaglia affiancava alla galleria anche il
Teatro degli Indipendenti per il quale Virgilio Marchi aveva realizzato il ridotto
e il bar: qui, per otto dense stagioni, Anton Giulio sperimentò la sua ‘riforma
teatrale’ e le sue idee di rinnovamento delle tecnica scenica mediante
l’introduzione di nuovi elementi quali una regia sperimentale, una recitazione
innovativa e una scenografia ‘cromatica’. Nel teatro vennero messi in scena
gran parte dei testi d’avanguardia italiani e stranieri prodotti in quegli anni
dagli artisti più vari, da Jarry ad Apollinaire, dai Futuristi agli
Immaginisti: nel 1921, la vecchia sede della Casa d’Arte aveva ospitato anche
la mostra di opere dadaiste facente parte della Grande Stagione Dada Romana che
aveva messo in programma esposizioni, declamazioni, esecuzioni di musiche
dadaiste e una conferenza di Evola su Tzara nell’Aula Magna dell’Università.
l testo di Braibanti è precedente rispetto a quelli di Kaiser e Bachtin,
risale al 1951, non può quindi giovarsi delle ricerche dei due autori ma, per
le sue finalità, la sorte del grottesco nella storia dell’arte è di importanza
relativa. Conosceva e cita altrove il testo di Gino Gori sul grottesco
nell’arte, ne apprezza l’impresa ma coglie i limiti della riduzione dello
spirito del grottesco all’ambito dell’artistico. Il luogo privilegiato del
grottesco è la vita, lo spazio interindividuale è dove si dispiegano le sue
epifanie. GORI GINO. Il teatro contemporaneo e le sue correnti
caratteristiche di pensiero e di vita nelle varie nazioni. Torino, Fratelli
Bocca, 1924. In-8°, pp. (4), 282, (2), brossura editoriale con titolo in rosso
e nero entro bordura ornamentale anch'essa in bicromia. Gore al dorso. Una
piccola mancanza al margine superiore del piatto posteriore. Bella copia in
barbe e a fogli chiusi. Prima edizione. Rassegna della produzione teatrale e
delle nuove tendenze del teatro italiano e mondiale a cavallo tra il finire
dell'800 e i primi decenni del '900. Partendo dalla riforma dell'opera
lirica di Wagner e dalla sua teoria dell'opera d'arte totale, Gori passa
a discorrere di Maeterlinck, Andreev, del "teatro dell'Anima" di
Schuré e Claudel, del teatro dell'"esteriorismo" (D'Annunzio, Wilde,
Péladan, Erdös), del teatro cinese e giapponese, di Tagore, Tolstoj, Gorkij,
dell'Espressionismo, di Shaw, di Ibsen, del teatro borghese, del teatro
dialettale italiano, del teatro delle nazioni europee minori (discorre anche
del teatro dell'Islanda o della Lituania o della Bulgaria), delle "forme
rudimentarie" del teatro presso i popoli selvaggi. Gino Gori (Roma,
1876-Sant'Ilario Ligure, 1952), poeta, drammaturgo e critico letterario romano
fiancheggiatore del Futurismo, aprì a Roma il famoso Cabaret del Diavolo,
realizzato da Fortunato Depero. (cfr. Catalogo mostra Fortunato Depero,
Fondazione Palazzo Bricherasio). Letterature moderne. Studi diretti da Arturo
Farinelli. Cammarota, Futurismo, 248.2 GORI GINO. L'irrazionale. Volume primo.
Filosofia ed estetica. Sistema di una nuova scienza del bello. Volume secondo.
L'eroe e la falce. Scorcio architettonico di letteratura europea dalle origini
ai nostri giorni. Foligno, Campitelli, 1924. 2 voll. in-8° (200135mm), pp. XI;
182, (2); 183-550, (4) [paginazione continua]; brossure editoriali.
Bell'esemplare in parte intonso. Prima edizione e primo migliaio di questo
importante saggio di estetica suggestionato dalla poetica futurista GORI,
Gino. - Nacque a Roma, il 7 luglio 1876, da Vincenzo Guglielmo e Giovanna
Santi. Terminato il liceo, si laureò dapprima in giurisprudenza, iscrivendosi
poi a medicina, senza tuttavia nutrire particolare interesse neppure per questo
indirizzo di studi. Egli si sentiva piuttosto attratto dalla letteratura, dalla
filosofia e, in particolare, dal teatro, di cui prese a scrivere fin dai primi
anni del nuovo secolo. Collaboratore di vari giornali e riviste - tra cui
il Don Chisciotte, il Capitan Fracassa, La Vita, La Patria, il Don Marzio,
L'Ora, Il Tirso, di cui fu redattore capo nel 1912-13, Aprutium di Teramo, Noi
e il mondo, mensile illustrato de La Tribuna di Roma -, si fece presto la fama
di critico militante severo e intransigente. Amico di Trilussa e suo
ammiratore, compose poesie e canovacci teatrali in romanesco.
Anticlericale e massone, allo scoppio della Grande Guerra fu interventista e
irredentista. Nel primo dopoguerra e negli anni successivi prese a sostenere la
cultura modernista e il teatro sperimentale, gestendo il cabaret dell'hôtel
Majestic, di cui era proprietario. Viaggiò molto sia in Europa (Francia,
Spagna, Germania, Russia) sia in America (Messico, California). Il 30 nov. 1929
sposò Giulia Massobrio, vedova di G. Volante. Dopo il matrimonio il G. lasciò
Roma, interrompendo l'intensa attività letteraria cui si era dedicato, e si
trasferì a Chianciano, dove comprò e gestì l'albergo Excelsior. Sempre a
Chianciano fondò e diresse il periodico Il Giornale dell'albergatore.
Intellettuale e poligrafo - fu infatti poeta, romanziere, filosofo con
particolare attenzione all'estetica, saggista, critico militante, studioso di
teatro - il G., finché si dedicò ad attività culturali, si adoperò
principalmente a sostenere e diffondere, nell'Italia del primo Novecento, un
clima e un gusto più avanzati e moderni; i suoi maggiori e più significativi
contributi, tutti concentrati nel corso degli anni Venti, riguardano le teorie
e le pratiche poste a fondamento del processo di rinnovamento del teatro
contemporaneo. Dopo gli studi giuridici e di medicina, il G. aveva
provveduto a darsi una solida e rigorosa preparazione letteraria e filosofica,
coniugando l'educazione sui classici con un'informazione puntuale e aggiornata
sugli orientamenti e sugli esiti più attuali della poesia, della critica, della
narrativa, dell'editoria a livello nazionale ed europeo. Insofferente, come
molti suoi coetanei, nei confronti dei contenuti e dei metodi del positivismo e
degli indirizzi storico-filologici, fu convinto seguace dell'idealismo di B.
Croce e della rinascita dell'interesse per la critica di F. De Sanctis; la sua
attenzione si estese, da Croce e dai crociani, anche agli intellettuali che
dialogavano con Croce dall'esterno dell'idealismo. Di questa sua
posizione egli rende conto in Il mantello di Arlecchino (Roma 1914 [ma 1913]),
sostanziosa silloge ricca di indicazioni e di suggestioni critiche, in cui
traccia il panorama della letteratura italiana della belle époque. Se De
Sanctis e Croce forniscono modelli e suggerimenti, tuttavia il lavoro critico
del G. non è inteso come applicazione pedissequa della dottrina dei maestri:
egli integra, rilegge, propone nuove osservazioni. A complemento di questo
lavoro è poi allegato un esaustivo tracciato dell'attività editoriale in
Italia. Di umori nazionalisti e interventisti è intrisa la sua prima
raccolta di versi in dialetto romanesco, Er libbro rosso de la guera (Roma
1915; che contiene anche il canovaccio teatrale in dialetto Le maschere de la
guera, pp. 3-21) mentre, per Trieste italiana e contro il mondo tedesco, il G.
pubblicò in Aprutium(IV [1915], f. 8), una canzone, Sorella nostra!,
celebrativa della latinità assunta a valore contro la barbarie del "duro
settentrione". Fu, comunque, la Grande Guerra a far maturare in lui un
processo di piena conversione al moderno, inteso quale gusto, mimesi
linguistica, diegesi e strumentazione di idee e di stili fondati sul
nuovo. Si avvicinò a F.T. Marinetti, di cui tra i primi aveva dato un
profilo essenziale e pertinente (ne Il mantello di Arlecchino, pp. 193-211), e
ne divenne amico, ma corresse anche il giudizio nei confronti dei futuristi,
che nell'anteguerra egli aveva adeguato, sulla scorta di G. Papini, a
"marinettiani" (ibid., pp. 213-223), tra i quali, invece, venne
distinguendo posizioni diverse, sostenendo soprattutto alcuni di essi, come R.
Vasari, L. Folgore ed E. Prampolini. Meditò attentamente sul teatro di L.
Pirandello, si entusiasmò per il teatro del colore di A. Ricciardi, strinse
amicizia con i Bragaglia, con V. Orazi, con M. Bontempelli. Fu soprattutto
l'ispirazione poetica a farsi nel G. più avvolgente e convinta: la parola, che
nelle sue composizioni d'anteguerra si risolveva in veicolo di denunzia, di
argomentazione e di persuasione, o di descrizioni realistiche (vedi Er libbro
rosso de la guera), acquistò nuove sfumature, più allusive, e si dispose su
tramature in cui si riscontrano riflessi di G. Pascoli, di G. Gozzano, di C.
Govoni, di A. Palazzeschi, raggiungendo talora esito felice, come nelle tre
liriche Alla stazione, Ogni giorno così e Limbo, apparse in Le foglie
dell'orologio (Roma s.d.), poi riproposte con diverso titolo in Il grande amore
(Firenze 1926). In quest'ultima silloge, accanto alle tre citate,
figurano nuove composizioni, ispirate al realismo magico di Bontempelli (Sembra
una favola!, A teatro, Le tre vecchine, Orgoglio); e, di fatto, l'avvicinamento
a Bontempelli, sia sul versante saggistico-estetologico sia su quello poetico,
era iniziato da tempo: già la raccolta Il mulino della luna (Milano 1924; di
cui si ricordano in particolare Come un cipresso notturno, L'oca azzurra,
L'isola lontana, Pierrots, Si parte, Con la rete dei pensieri, È passato il re,
L'automa nella pioggia, Annunciazione, Epilogo), posta cronologicamente fra le
due summenzionate, poggiava sostanzialmente su una griglia di suggerimenti
metafisico-surreali ascrivibili all'ambito ideale di Bontempelli e ai suoi
immediati dintorni. Non altrettanto positivo e più scontato l'esito
raggiunto dal G. nel romanzo e nella novella (per lo più inediti) con l'eccezione
di L'oca azzurra (Roma 1925) - che riprende titolo e immagini della lirica de
Il mulino della luna, intrisa di un umorismo alla Folgore e di un magismo che
rinvia nuovamente a Bontempelli - e di Coriandoli, una raccolta, appunto
inedita, di novelle. Ma gli interventi più interessanti del G. sono
quelli legati al discorso critico sul teatro, riguardo al quale egli concordava
con avanguardisti e sperimentali sull'ineludibilità del rinnovamento delle sue
pratiche, delle sue strategie e dell'idea stessa su cui esso si costituisce. A
tal fine, si impegnò innanzitutto concretamente, fondando e gestendo in proprio
un laboratorio teatrale posto sotto il segno di un "antigrazioso"
irritante e provocatorio; infatti, nel 1921, a Roma, con un anno di anticipo
sul teatro degli Indipendenti di A.G. Bragaglia, egli aveva fondato e preso a
dirigere quel cabaret, La Bottega del diavolo, sito all'interno dell'hôtel
Élite et des étrangers, poi Majestic, di sua proprietà. Dell'albergo
erano frequentatori e gratuitamente ospiti numerosi futuristi, tra cui
Marinetti, giornalisti e scrittori; negli scantinati, detti
l'"inferno", arredati con mobili e manufatti realizzati da F. Depero,
da Prampolini e da altri, e decorati con immagini di diavoli danzanti, armati
di forconi e pronti a scaraventare nelle fiamme i dannati, si davano ogni
sabato spettacoli futuristi e modernisti. Ai programmi, e alla loro
realizzazione, presiedeva una commissione di esperti e primi attori, tra cui
erano lo stesso G., nel ruolo di Minosse, Trilussa quale Lucifero, Folgore come
Cerbero, e Bontempelli come Barbariccia (per una dettagliata testimonianza sul
cabaret, che andò avanti fino al 1927, si veda Un covo di diavoli nella Roma di
40 anni fa, in Il Tempo, 19 apr. 1967). Dietro la facciata di questo
underground ante litteram, il G. andava maturando la sua riflessione sul
rapporto tra teatro e corporeità, dionisismo, vitalismo, e sulla necessità di
accelerare il processo di rivitalizzazione e risignificazione del teatro stesso
e delle attività collegate. A monte di tale riflessione specificamente
orientata sul teatro, si collocavano i due volumi del saggio L'irrazionale (I,
Filosofia ed estetica. Sistema di una nuova scienza del bello; II, L'eroe e la
falce. Scorcio architettonico di letteratura europea dalle origini ai nostri
giorni, Foligno 1924), che s'inseriscono, con ogni evidenza, nel quadro
generale dell'avanguardia internazionale, impegnata a riconsiderare i
fondamenti dell'arte e dell'estetica nella chiave del notturno,
dell'inquietante, dell'anamorfico. Viceversa il discorso specifico sul
teatro s'innerva in tre opere successive: Il teatro contemporaneo e le sue
correnti caratteristiche di pensiero e di vita nelle varie nazioni
(Torino-Milano-Roma 1924), che si propone di indagare sui nuovi linguaggi del
teatro nelle sue varie manifestazioni nazionali; Scenografia. La tradizione e
la rivoluzione contemporanea (Roma 1926), in cui il G. esamina, tramite lo
specifico della scenografia, le vie attraverso le quali si possa raggiungere e
comunicare la realtà "che si trova di là dall'apparenza" (p. 210), e
come si possa darne una rappresentazione, interrogandosi su intuizioni e
tentativi di alcuni tra i nomi più significativi della storia del teatro
moderno - a partire da R. Wagner e proseguendo con G. Craig, A. Appia, V.
Mejerchol´d - ma soprattutto dando conto delle esperienze del "teatro
della sorpresa" futurista - di Vasari in particolare (L'angoscia delle
macchine, Milano 1925), ma anche di Prampolini, V. Marchi, Folgore, oltre che
del "teatro del colore" di A. Ricciardi e del laboratorio di A.G.
Bragaglia -, e studiando le esperienze futuriste del dinamismo plastico, della
simultaneità e della sintesi. Seguì infine Il grottesco nell'arte e nella
letteratura (ibid. 1927), in cui, riproponendo anche alcuni studi di prima
della guerra (sul grottesco nell'Inferno di Dante, sulla maschera turca di
Karagöz), il G. approfondisce soprattutto lo studio sul teatro futurista
italiano nella chiave del grottesco e del fantastico (in particolare, E.
Cavacchioli, L. Chiarelli, L. Antonelli). Al termine dell'intensa
stagione intellettuale degli anni Venti, convinto di essere stato sfruttato e
trascurato dalla cultura ufficiale, il G. si appartò, allontanandosi da Roma,
senza tuttavia smettere di studiare e di scrivere: lasciò quindi numerosi
scritti inediti conservati presso gli eredi. Nel secondo dopoguerra, il
G. si stabilì in una località di mare, Sant'Ilario Ligure (Genova), dove morì
il 24 dic. 1952. Tra le opere del G., oltre a quelle citate nel testo, si
ricordano: per la narrativa: Cagliostro(Milano 1925); per la saggistica: Le
bruttezze della Divina Commedia (Alatri 1920); Le bellezze della Divina
Commedia (Milano s.d. [ma 1921]); Studi di estetica dell'irrazionale(ibid. s.d.
[ma 1921]). Fonti e Bibl.: M. Verdone, Teatro del tempo futurista, Roma
1969, pp. 274-276 e passim; Id., Prosa e critica futurista, Milano 1973, pp.
314-317, 339; P.D. Giovanelli, G. G.: l'irrazionale e il teatro, Roma 1978; U.
Piscopo, G. G., in Dizionario del futurismo, a cura di E. Godoli, Firenze 2001,
sub voce.Gino Gori. Keywords: l’eroe e la falce, bello, eroe, falce,
irrazionale, mantello dell’arlecchino –
bellezza, futurismo – Refs: Luigi Speranza, “Grice e Gori” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701334178/in/photolist-2mR9Kz4-2mPAWP1-2mN35cA-2mLKeCe-2mLP3hz-2mLERpq-2mKMuu9-2mKC3nj-2mKCMei-2mJ3q6x-FNptwK-ESZ2oh-ESYzUw-ETfeER-FGy1TZ-ETbJX6-ETbpBn-FEfv5Y-FGxVqp-ETe2Ut-FGCKMg-ETbawt-FohZR5-FNqpZT-FNpoR2-jkKjmQ-jrB3iu-nFTbv2-nHuSHb
Grice e Gramsci – contro Croce – partito socialista
italiano – il comune – l’elite – Mosca -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Ales). Filosofo. Grice: “Some Italians don’t consider Gramsci
Italian on account of the fact that Gramsci is not an Italian last name!” Fu
tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia, divenendone esponente di primo
piano e segretario, ma venne ristretto dal regime fascista nel carcere di Turi.
In seguito al grave deterioramento delle sue condizioni di salute, ottenne la
libertà condizionata e fu ricoverato in clinica, dove trascorse gli ultimi anni
di vita. Considerato uno dei più importanti pensatori del XX secolo, nei
suoi scritti, tra i più originali della tradizione filosofica marxista,
analizza la struttura culturale e politica di Italia. Elaborò in particolare il
concetto di egemonia, secondo il quale le classi dominanti impongono i propri
valori politici, intellettuali e morali a tutta la società, con l'obiettivo di
saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso da tutte le
classi sociali, comprese quelle subalterne. Gli antenati paterni derano
originari della città di Gramshi in Albania, e potrebbero essere giunti in
Italia durante la diaspora albanese causata dall'invasione turca. Documenti
d'archivio attestano che nel Settecento il trisavolo Gennaro Gramsci, sposato
con Domenica Blajotta, possedeva a Plataci, comunità ‘’arbëreshë’’ del
distretto di Castrovillari, delle terre poi ereditate da Nicola Gramsci. Questi
sposò Maria Francesca Fabbricatore, e dal loro matrimonio nacque a Plataci
Gennaro Gramsci, che intraprese la carriera militare nella gendarmeria del
Regno di Napoli e, quando era di stanza a Gaeta, sposò Teresa Gonzales, figlia
di un avvocato napoletano. Il loro secondo figlio fu Francesco, il padre di
Antonio Gramsci. Le origini albanesi erano conosciute dallo stesso Gramsci,
che tuttavia le immaginava più recenti, come scriverà alla cognata Tatiana
Schucht dal carcere di Turi: «o stesso non ho alcuna razza; mio padre è di
origine albanese (la famiglia scappò dall'Epiro durante la guerra del 1821, ma
si italianizzò rapidamente). Tuttavia la mia cultura è italiana,
fondamentalmente questo è il mio mondo; non mi sono mai accorto di essere
dilaniato tra due mondi. L'essere io oriundo albanese non fu messo in giuoco
perché anche Crispi era albanese, educato in un collegio albanese.” Ghilarza:
casa museo Antonio Gramsci Francesco era studente in legge quando morì il
padre; dovendo trovare subito un lavoro, partì per la Sardegna per impiegarsi
nell'Ufficio del registro di Ghilarza. In questo paese, che allora contava
circa 2.200 abitanti, conobbe Marcias, figlia di un esattore delle imposte e
proprietario di alcune terre. La sposò malgrado l'opposizione dei familiari,
rimasti in Campania, che consideravano i Marcias una famiglia di rango
inferiore alla propria dal punto di vista sociale e culturale: Giuseppina aveva
studiato fino alla terza elementare. Dal matrimonio nascerà Gennaro e, dopo che
Francesco Gramsci fu trasferito da Ghilarza ad Ales, Grazietta ed Emma. Gramsci
nasce secondo il registro delle nascite dello stato civile del comune e
registrato con i nomi di Antonio, Francesco. Scondo il registro dei battesimi
della parrocchia di San Pietro nasce il giorno dopo, e viene registrato con i nomi di Antonio,
Sebastiano, Francesco. Il padre fu trasferito, come gerente dell'Ufficio
del Registro, a Sorgono e qui nacquero gli altri figli, Mario, Teresina, e
Carlo. Antonio si ammala del morbo di Pott, una tubercolosi ossea che in pochi
anni gli deformò la colonna vertebrale e gli impedì una normale crescita:
adulto, non supererà il metro e mezzo di altezza; i genitori pensavano che la
sua deformità fosse la conseguenza di una caduta e anche Antonio rimase
convinto di quella spiegazione. Ebbe sempre una salute delicate. Soffrendo di
emorragie e convulsioni, fu dato per spacciato dai medici, tanto che la madre
comprò la bara e il vestito per la sepoltura. Il padre Francesco fu
arrestato, con l'accusa di peculato, concussione e falsità in atti, e venne
condannato al minimo della pena con l'attenuante del «lieve valore»: 5 anni, 8
mesi e 22 giorni di carcere, da scontare a Gaeta. Priva del sostegno dello
stipendio del padre, la famiglia trascorse anni di estrema miseria, che la
madre affrontò vendendo la sua parte di eredità, tenendo a pensione il
veterinario del paese e guadagnando qualche soldo cucendo camicie. Proprio
per le sue delicate condizioni di salute Gramsci comincia a frequentare la
scuola elementare soltanto a sette anni: la concluse ncon il massimo dei voti,
ma la situazione familiare non gli permise di iscriversi al ginnasio. Già
dall'estate precedente aveva iniziato a dare il suo contributo all'economia
domestica lavorando 10 ore al giorno nell'Ufficio del catasto di Ghilarza per 9
lire al mese l'equivalente di un chilo di pane al giornos muovendo «registri
che pesavano più di me e molte notti piangevo di nascosto perché mi doleva
tutto il corpo». Grazie a un'amnistia, il padre anticipò di tre mesi la
fine della sua pena: inizialmente guadagnò qualcosa come segretario in
un'assicurazione agricola, poi, riabilitato, fece il patrocinante in conciliatura
e infine fu riassunto come scrivano nel vecchio Ufficio del catasto, dove
lavorò per il resto della sua vita. Così, pur affrontando gli abituali
sacrifici, i genitori poterono iscrivere il quindicenne Antonio nel Ginnasio cdi
Santu Lussurgiu, «un piccolo ginnasio in cui tre sedicenti professori
sbrigavano, con molta faccia tosta, tutto l'insegnamento delle cinque
classi». Con tale preparazione un poco avventurosa, riuscì tuttavia a
prendere la licenza ginnasiale a Oristano e a iscriversi al Liceo classico
Giovanni Maria Dettori di Cagliari, stando a pensione, prima in un appartamento
in via Principe Amedeo 24, poi, l'anno dopo, in corso Vittorio Emanuele 149,
insieme con il fratello Gennaro, il quale, terminato il servizio di leva a
Torino, lavorava per cento lire al mese in una fabbrica di ghiaccio del
capoluogo sardo. La modesta preparazione ricevuta nel ginnasio si fece
sentire, perché inizialmente Gramsci nelle diverse materie ottenne appena la
sufficienza, ma riuscì a recuperare in fretta: del resto, leggere e studiare
erano i suoi impegni costanti. Non si concedeva distrazioni, non soltanto
perché avrebbe potuto permettersele solo con grandi sacrifici, ma anche perché
l'unico vestito che possedeva, per lo più liso, non lo incoraggiava a frequentare
né gli amici, né i locali pubblici. A scuola, mostrò uno spiccato interesse per
le discipline umanistiche e per lo studio della storia, anche perché il cattivo
insegnamento ricevuto in matematica gli fece perdere l'interesse per la
materia. Nel frattempo, il giovane Gramsci, iniziò a seguire le vicende
politiche. Il fratello Gennaro, che era tornato in Sardegna militante
socialista, divenne cassiere della Camera del lavoro e segretario della sezione
socialista di Cagliari: «Una grande quantità di materiale propagandistico,
libri, giornali, opuscoli, finiva a casa. Nino, che il più delle volte passava
le sere chiuso in casa senza neanche un'uscita di pochi momenti, ci metteva
poco a leggere quei libri e quei giornali». Leggeva anche i romanzi popolari di
Carolina Invernizio, di Barrili e quelli di Deledda, ma questi ultimi non li
apprezzava, considerando folkloristica la visione che della Sardegna aveva la
scrittrice sarda; leggeva Il Marzocco e La Voce di Prezzolini, Papini, Emilio Cecchi «ma in cima
alle sue raccomandazioni, quando mi chiedeva di ritagliare gli articoli e di
custodirli nella cartella, stavano sempre Croce e Salvemini». Alla fine
della seconda classe liceale, alla cattedra di lettere italiane del Liceo salì Garzia,
radicale e anticlericale, direttore de L'Unione Sarda, quotidiano legato alle
istanze sarde, rappresentate, in Parlamento da Cocco-Ortu, allora impegnato in
una dura opposizione al ministero di Luigi Luzzatti. Gramsci instaurò con il
Garzia un buon rapporto, che andava oltre il naturale discepolato: invitato
ogni tanto a visitare la redazione del giornale, ricevette la tessera di
giornalista, con l'invito a «inviare tutte le notizie di pubblico interesse. Ebbe
la soddisfazione di vedersi stampato il suo primo scritto pubblico, venticinque
righe di cronaca ironica su un fatto avvenuto nel paese di Aidomaggiore.
In un tema dell'ultimo anno di liceo, che ci è conservato, Gramsci scriveva,
tra l'altro, che «Le guerre sono fatte per il commercio, non per la civiltà la
Rivoluzione francese ha abbattuto molti privilegi, ha sollevato molti oppressi;
ma non ha fatto che sostituire una classe all'altra nel dominio. Però ha
lasciato un grande ammaestramento: che i privilegi e le differenze sociali,
essendo prodotto della società e non della natura, possono essere sorpassate».
La sua concezione socialista, qui chiaramente espressa, va unita, in questo
periodo, all'adesione all'indipendentismo sardo, nel quale egli esprimeva,
insieme con la denuncia delle condizioni di arretratezza dell'isola e delle
disuguaglianze sociali, l'ostilità verso le classi privilegiate del continente,
fra le quali venivano compresi, secondo una polemica mentalità di origine
contadina, gli stessi operai, concepiti come una corporazione elitaria fra i
lavoratori salariati. Poco dopo Gramsci conoscerà da vicino la realtà
operaia di una grande città del Nord: il
conseguimento della licenza liceale con una buona votazione tutti otto e un
nove in italianogli prospetta la possibilità di continuare gli studi all'Università.
Il Collegio Carlo Alberto di Torino bandì un concorso, riservato a tutti gli
studenti poveri licenziati dai Licei del Regno, offrendo 39 borse di studio,
ciascuna equivalente a 70 lire al mese per 10 mesi, per poter frequentare Torino.
Fu uno dei due studenti di Cagliari ammessi a sostenere gli esami a
Torino. «Partii per Torino come se fossi in stato di sonnambulismo. Avevo
55 lire in tasca; avevo speso 45 lire per il viaggio in terza classe delle 100
avute da casa». Conclude gli esami: li supera classificandosi nono; al secondo
posto è uno studente genovese venuto da Sassari, Palmiro Togliatti. Si
iscrive alla Facoltà di Lettere, ma le settanta lire al mese non bastano
nemmeno per le spese di prima necessità: oltre alle tasse universitarie, deve
pagare venticinque lire al mese per l'affitto della stanza di Lungo Dora
Firenze 57, nel popolare quartiere di Porta Palazzo, e il costo della luce,
della pulizia della biancheria, della carta e dell'inchiostro, e ci sono i
pasti«non meno di due lire alla più modesta trattoria»e la legna e il carbone
per il riscaldamento: privo anche di un cappotto, «la preoccupazione del freddo
non mi permette di studiare, perché o passeggio nella camera per scaldarmi i
piedi oppure devo stare imbacuccato perché non riesco a sostenere la prima
gelata». Sono frequenti le richieste di denaro alla famiglia che però, da parte
sua, non se la passava di certo molto meglio. L'Università degli Studi di
Torino vantava professori di alto livello e di diversa formazione: Luigi
Einaudi, Ruffini, Manzini, Toesca, Loria, Solari e poi Bartoli, che si legò di
amicizia con Gramsci, come fece anche l'incaricato di letteratura italiana Cosmo, contro il quale indirizzò però un
articolo violentemente polemico. Anni dopo, durante la dura esperienza in
carcere, continuò comunque a ricordarlo con simpatia«serbo del Cosmo un ricordo
pieno di affetto e direi di venerazione era e credo sia tuttora di una grande
sincerità e dirittura morale con molte striature di quella ingenuità nativa che
è propria dei grandi eruditi e studiosi»ricordando anche che, con questi e con
molti altri intellettuali dei primi quindici anni del secolo, malgrado
divergenze di varia natura, egli avesse questo in comune: «partecipavamo in
tutto o in parte al movimento di riforma morale e intellettuale promosso in
Italia da Benedetto Croce, il cui primo punto era questo, che l'uomo moderno
può e deve vivere senza religione rivelata o positiva o mitologica o come altro
si vuol dire. Questo punto anche oggi mi pare il maggior contributo alla
cultura mondiale che abbiano dato gli intellettuali moderni italiani. Si
ritrovò a casa per le elezioni politiche, dopo la fine della guerra italo-turca
contro l'Impero ottomano per la conquista della Libia; votavano per la prima
volta anche gli analfabeti, ma la corruzione e le intimidazioni erano le stesse
delle elezioni precedenti. In Sardegna, il timore che l'allargamento della base
elettorale favorisse i socialisti portò al blocco delle candidature di tutte le
forze politiche contro i candidati socialisti, indicati come il comune nemico
da battere. In quest'obiettivo, "sardisti" e "non-sardisti"
si trovarono d'accordo e deposero le vecchie polemiche. Gramsci scrisse di
quest'esperienza elettorale al compagno di studi Tasca, dirigente socialista torinese,
il quale affermò che Gramsci «era stato molto colpito dalla trasformazione
prodotta in quell'ambiente dalla partecipazione delle masse contadine alle
elezioni, benché non sapessero e non potessero ancora servirsi per conto loro
della nuova arma. Fu questo spettacolo, e la meditazione su di esso, che fece
definitivamente di Gramsci un socialista». Tornò a Torino, andando ad
affittare una stanza all'ultimo piano del palazzo di via San Massimo 14, oggi
Monumento nazionale; dovrebbe datarsi a questo periodo la sua iscrizione al
Partito socialista. Si trovò in ritardo con gli esami, con il rischio di
perdere il contributo della borsa di studio, a causa di «una forma di anemia
cerebrale che mi toglie la memoria, che mi devasta il cervello, che mi fa impazzire
ora per ora, senza che mi riesca di trovare requie né passeggiando, né disteso
sul letto, né disteso per terra a rotolarmi in certi momenti come un
furibondo». Riconosciuto «afflitto da grave nevrosi» gli fu concesso di
recuperare gli esami nella sessione di primavera. Prese anche lezioni di filosofia
da Pastore, il quale scrisse poi che «il suo orientamento era originalmente
crociano ma già mordeva il freno e non sapeva ancora come e perché staccarsi voleva
rendersi conto del processo formativo della cultura agli scopi della
rivoluzione come fa il pensare a far agire come le idee diventano forze
pratiche». Gramsci stesso scriverà di aver sentito anche la necessità di
«superare un modo di vivere e di pensare arretrato, come quello che era proprio
di un sardo del principio del secolo, per appropriarsi un modo di vivere e di
pensare non più regionale e da villaggio, ma nazionale» ma anche «di provocare
nella classe operaia il superamento di quel provincialismo alla rovescia della
palla di piombo come il Sud Italia e generalmente considerato nel Nord che
aveva le sue profonde radici nella tradizione riformistica e corporativa del
movimento socialista». L'iscrizione al partito gli permise di superare in parte
un lungo periodo di solitudine: ora frequentava i giovani compagni di partito,
fra i quali erano Tasca, Togliatti, Terracini. “Uscivamo spesso dalle riunioni
di partito mentre gli ultimi nottambuli si fermavano a sogguardarci continuavamo
le nostre discussioni, intramezzandole di propositi feroci, di scroscianti
risate, di galoppate nel regno dell'impossibile e del sogno». Nell'Italia che
ha dichiarato la propria neutralità nella Prima guerra mondiale in
corsoneutralità affermata anche dal Partito socialistascrive per la prima volta
sul settimanale socialista torinese Il Grido del Popolo l'articolo Neutralità
attiva e operante in risposta a quello apparso il 18 ottobre sull'Avanti! di
Mussolini Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante, senza
però poter comprendere quale svolta politica stesse preparando l'allora
importante e popolare esponente socialista. Sostenne quello che sarà, senza che lo sapesse ancora,
il suo ultimo esame all'Università; il suo impegno politico si fece crescente
con l'entrata in guerra dell'Italia e con il suo ingresso nella redazione
torinese dell'Avanti!. Trascorse gran parte delle sue giornate all'ultimo
piano nel palazzo dell'Alleanza Cooperativa Torinese al numero 12 di corso
Siccardi (oggi Galileo Ferraris), dove, in tre stanze, erano situate la sezione
giovanile del partito socialista e le redazioni de Il Grido del Popolo e del
foglio piemontese dell'Avanti!, che comprendeva la rubrica della cronaca
torinese, Sotto la Mole; in entrambi i giornali Gramsci pubblicava di tutto,
dai commenti sulla situazione interna ed estera agli interventi sulla vita di
partito, dagli articoli di polemica politica alle note di costume, dalle
recensioni dei libri alla critica teatrale. Dirà più tardi di aver scritto in
dieci anni di giornalismo «tante righe da poter costituire quindici o venti
volumi di quattrocento pagine, ma esse erano scritte alla giornata e dovevano
morire dopo la giornata» e di aver contribuito «molto prima di Tilgher» a
rendere popolare il teatro di Pirandello: «ho scritto sul Pirandello tanto da
mettere insieme un volumetto di duecento pagine e allora le mie affermazioni
erano originali e senza esempio: Pirandello era o sopportato amabilmente o
apertamente deriso». Della commedia di Pirandello Pensaci, Giacomino! scrisse
che «è tutto uno sfogo di virtuosismo, di abilità letteraria, di luccichii
discorsivi. I tre atti corrono su un solo binario. I personaggi sono oggetto di
fotografia piuttosto che di approfondimento psicologico: sono ritratti nella
loro esteriorità più che in una intima ricreazione del loro essere morale. È
questa del resto la caratteristica dell'arte di Luigi Pirandello, che coglie
della vita la smorfia, più che il sorriso, il ridicolo, più che il comico: che
osserva la vita con l'occhio fisico del letterato, più che con l'occhio
simpatico dell'uomo artista e la deforma per un'abitudine ironica che è
l'abitudine professionale più che visione sincera e spontanea», mentre
considerò Liolà «il prodotto migliore
dell'energia letteraria di Luigi Pirandello. In esso il Pirandello è riuscito a
spogliarsi delle sue abitudini retoriche. Il Pirandello è un umorista per
partito preso troppo spesso la prima intuizione dei suoi lavori viene a
sommergersi in una palude retorica di una moralità inconsciamente predicatoria,
e di molta verbosità inutile». Il fu Mattia Pascal, secondo Gramsci, è
una sorta di prima stesura del Liolà che, liberato dalla zavorra moralistica
della vita, si è rinnovato diventando una pura rappresentazione, «una farsa che
si riattacca ai drammi satireschi della Grecia antica, e che ha il suo
corrispondente pittorico nell'arte figurativa vascolare è una vita ingenua, rudemente sincera una
efflorescenza di paganesimo naturalistico, per il quale la vita, tutta la vita
è bella, il lavoro è un'opera lieta, e la fecondità irresistibile prorompe da
tutta la materia organica». Severo fu invece il giudizio sul Così è (se
vi pare): dalla tesi pseudo-logistica che la verità in sé non esista,
Pirandello «non ha saputo trarre dramma e neppure motivo a rappresentazione
viva e artistica di caratteri, di persone vive che abbiano un significato
fantastico, se non logico. I tre atti di Pirandello sono un semplice fatto di
letteratura [puro e semplice aggregato di parole che non creano né una verità
né un'immagine il vero dramma l'autore l'ha solo adombrato, l'ha accennato: è
nei due pseudopazzi che non rappresentano però la loro vera vita, l'intima
necessità dei loro atteggiamenti esteriori, ma sono presentati come pedine
della dimostrazione logica». Rivolgendosi ai giovani, scrisse da solo il
numero unico del giornale dei giovani socialisti La Città future. Qui mostra la
sua intransigenza politica, la sua ironia, anche contro i socialisti
riformisti, il fastidio verso ogni espressione retorica ma anche la sua
formazione idealistica, i suoi debiti culturali nei confronti di Croce,
superiori perfino a quelli dovuti a Marx: «in quel tempo»scriverà«il concetto
di unità di teoria e pratica, di filosofia e politica, non era chiaro in me e
io ero tendenzialmente crociano». Lo zar di Russia Nicola II è facilmente
rovesciato da pochi giorni di manifestazioni popolari, per lo più spontanee,
che chiedono pane e la fine dell'autocrazia: viene instaurato un moderato
governo liberale e, insieme, si ricostituiscono i Soviet, forme di rappresentanza
su base popolare già creati nella precedente Rivoluzione russa del 1905; le
notizie giungono in Italia parziali e confuse: i quotidiani «borghesi»
sostengono che si tratta dell'avviamento di un processo di democratizzazione in
Russia, sull'esempio della grande Rivoluzione francese, mentre Gramsci è
convinto che «la rivoluzione russa è un atto proletario ed essa naturalmente
deve sfociare nel regime socialista i
rivoluzionari socialisti non possono essere giacobini: essi in Russia hanno
solo attualmente il compito di controllare che gli organismi borghesi non facciano
essi del giacobinismo». Con il ritorno in Russia di Lenin, che pone subito il
problema della pace immediata e della consegna del potere ai Soviet, la lotta
politica si radicalizza. Gramsci è convinto che Lenin abbia «suscitato energie
che più non morranno. Egli e i suoi compagni bolscevichi sono persuasi che sia
possibile in ogni momento realizzare il socialismo». Gramsci nega
esplicitamente la necessità dell'esistenza di condizioni obiettive affinché una
rivoluzione trionfi, quando scrive che i bolscevichi «sono nutriti di pensiero
marxista. Sono rivoluzionari, non evoluzionisti. E il pensiero rivoluzionario
nega il tempo come fattore di progresso. Nega che tutte le esperienze
intermedie tra la concezione del socialismo e la sua realizzazione debbano
avere nel tempo e nello spazio una riprova assoluta e integrale». È
l'anticipazione dell'articolo, più famoso, che scriverà subito dopo la notizia
del successo della Rivoluzione d'ottobre. Anche in Italia la guerra
interminabile, costata già centinaia di migliaia di morti e di mutilati, la
penuria dei generi alimentari, la sconfitta di Caporetto e la stessa eco
provocata dalla rivoluzione russa portarono a insofferenze che a Torino
sfociarono in un'autentica sommossa spontanea duramente repressa dal governo:
oltre 50 morti, più di duecento feriti, la città dichiarata zona di guerra con
la conseguente applicazione della legge marziale, arresti a catena che
colpirono non solo i diretti responsabili ma, indiscriminatamente, anche gli
elementi politici d'opposizione e segnatamente l'intero nucleo della sezione
socialista, con l'accusa di istigazione alla rivoluzione. In conseguenza
dell'emergenza venutasi a creare, la direzione della Sezione socialista torinese
venne assunta da un comitato di dodici persone, del quale fece parte anche
Gramsci, il quale rimane l'unico redattore de Il Grido del Popolo che cesserà
le pubblicazioni. I bolscevichi avevano preso il potere in Russia ma per
settimane in Europa giunsero solo notizie deformate, confuse e censurate,
finché l'edizione nazionale dell'Avanti! uscì con un editoriale dal titolo La
rivoluzione contro il Capitale, firmato da Gramsci: «La rivoluzione dei
bolscevichi è materiata di ideologia più che di fatti essa è la rivoluzione
contro il Capitale di Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei
borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale
necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un'era
capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale prima che il
proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni
di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti
hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia
avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni
del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non
sono «marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una
dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il
pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del
pensiero idealistico italiano e tedesco, che in Marx si era contaminato di
incrostazioni positivistiche e naturalistiche». In realtà Marx, almeno negli
ultimi anni, non aveva escluso che un Paese arretrato potesse giungere al
socialismo saltando fasi di sviluppo capitalistico: ma qui interessa rilevare
tanto la visione di Gramsci ancora idealistica, volontaristica, dell'azione
politica, quanto la critica che di fatto Gramsci rivolgeva ai dirigenti
socialisti europei, e italiani in particolare, di concepire lo sviluppo storico
in modo meccanicistico. Finita la guerra e usciti dal carcere i dirigenti
torinesi del partito, Gramsci lavorò unicamente all'edizione piemontese
dell'Avanti!, che allora si stampava in via Arcivescovado 3, insieme con alcuni
giovani colleghi: Giuseppe Amoretti, Alfonso Leonetti, Mario Montagnana, Felice
Platone; ma egli e altri giovani socialisti torinesi, come Tasca, Togliatti e
Terracini, intendevano ormai esprimere, dopo l'esperienza della rivoluzione
russa, esigenze nuove nell'attività politica, che non sentivano rappresentate
dalla Direzione nazionale del partito: «L'unico sentimento che ci unisse, in
quelle nostre riunioni, era quello suscitato da una vaga passione di una vaga
cultura proletaria; volevamo fare, fare, fare; ci sentivamo angustiati, senza
un orientamento, tuffati nell'ardente vita di quei mesi dopo l'armistizio,
quando pareva immediato il cataclisma della società italiana». Uscì il primo
numero dell'Ordine nuovo con Gramsci segretario di redazione e animatore della
rivista. La rivista ebbe un avvio incerto: all'inizio «il programma fu
l'assenza di un programma concreto, per una vana e vaga aspirazione ai problemi
concreti nessuna idea centrale, nessuna organizzazione intima del materiale
letterario pubblicato» Tasca intendeva farne una pubblicazione culturale: «per
"cultura" intendeva "ricordare", non intendeva
"pensare", e intendeva "ricordare" cose fruste, cose
logore, la paccottiglia del pensiero operaio fu una rassegna di cultura
astratta, di informazione astratta, con la tendenza a pubblicare novelline
orripilanti e xilografie bene intenzionate; ecco cosa fu l'Ordine nuovo nei
suoi primi numeri». Gramsci intendeva invece definirlo su posizioni nettamente
operaistiche, ponendo all'ordine del giorno la necessità d'introdurre nelle
fabbriche italiane nuove forme di potere operaio, i consigli di fabbrica,
sull'esempio dei Soviet russi: «Ordimmo, io e Togliatti, un colpo di Stato
redazionale; il problema delle commissioni interne fu impostato esplicitamente
nel n. 7 della rassegna il problema dello sviluppo della commissione interna
divenne problema centrale, divenne l'idea dell'Ordine nuovo; era esso posto
come problema fondamentale della rivoluzione operaia, era il problema della
"libertà" proletaria. L'Ordine nuovo divenne, per noi e per quanti ci
seguivano, "il giornale dei Consigli di fabbrica"; gli operai amarono
l'Ordine nuovo perché negli articoli del giornale ritrovavano una parte di se
stessi, la parte migliore di se stessi; perché sentivano gli articoli
dell'Ordine nuovo pervasi dallo stesso loro spirito di ricerca interiore:
"Come possiamo diventar liberi? Come possiamo diventare noi stessi?".
Perché gli articoli dell'Ordine nuovo non erano fredde architetture
intellettuali, ma sgorgavano dalla discussione nostra con gli operai migliori,
elaboravano sentimenti, volontà, passioni reali». Diversamente dalle
Commissioni interne, già esistenti all'interno dalle fabbriche, che venivano
elette soltanto dagli operai iscritti ai diversi sindacati, i Consigli dovevano
essere eletti indistintamente da tutti gli operai e avrebbero dovuto, nel
progetto degli ordinovisti, non tanto occuparsi dei consueti problemi
sindacali, ma porsi problemi politici, fino al problema della stessa
organizzazione, della gestione operaia della fabbrica, sostituendosi al
capitalista: nel s, alla FIAT furono eletti i primi Consigli. La
Confindustria, nella sua Conferenza nazionale, espresse chiaramente «la
necessità che la borghesia del lavoro attinga in se stessa il mezzo per
un'energica azione contro deviazioni e illusioni» e il 20 marzo i tre maggiori
industriali torinesi, Olivetti, De Benedetti e Agnelli fecero presente al
prefetto Taddei la loro volontà di ricorrere all'arma della serrata delle
fabbriche contro «l'indisciplina e le continue esorbitanti pretese degli
operai». Così quando in occasione di una controversia sindacale nelle Industrie
Metallurgiche tre membri delle commissioni interne furono licenziati e gli
operai protestarono con lo sciopero, l'Associazione degli industriali
metalmeccanici rispose il 29 marzo con la serrata di tutte le fabbriche
torinesi. La lotta si estese fino allo sciopero generale proclamato a Torino e in alcune province piemontesi, mentre il
governo presidiava il capoluogo con migliaia di soldati. I tentativi degli
ordinovisti di allargare la protesta, se non in tutta l'Italia, almeno nei
maggiori centri industriali del paese, fallì e alla fine d'aprile gli operai
furono costretti a riprendere il lavoro senza avere ottenuto nulla. Lo
sciopero fallì per la resistenza degli industriali ma anche per l'isolamento in
cui la Camera del Lavoro, controllata dai socialisti riformisti, contrari alla
costituzione dei Consigli operai, e lo stesso Partito socialista lasciarono i
lavoratori torinesi; l'8 maggio Gramsci pubblicò sull'Ordine Nuovo una sua
relazione, approvata dalla Federazione torinese, che denunciava l'inefficienza
e l'inerzia del Partito. Dopo aver sostenuto che era matura la trasformazione
dell'«ordine attuale di produzione e di distribuzione» in un nuovo ordine che
desse «alla classe degli operai industriali e agricoli il potere di iniziativa
nella produzione», alla quale si opponevano gli industriali e i proprietari
terrieri, appoggiati dallo Stato, Gramsci rilevava che «le forze operaie e
contadine mancano di coordinamento e di concentrazione rivoluzionaria perché
gli organismi direttivi del Partito socialista hanno rivelato di non
comprendere assolutamente nulla della fase di sviluppo che la storia nazionale
e internazionale attraversa nell'attuale periodo il Partito socialista assiste
da spettatore allo svolgersi degli eventi, non ha mai un'opinione sua da
esprimere non lancia parole d'ordine che possano essere raccolte dalle masse,
dare un indirizzo generale, unificare e concentrare l'azione rivoluzionaria il
Partito socialista è rimasto, anche dopo il Congresso di Bologna, un mero
partito parlamentare, che si mantiene immobile entro i limiti angusti della
democrazia borghese». Il numero dell'11 dicembre 1920 Rilevò la
mancanza di omogeneità nella composizione del partito, in cui continuavano a
essere presenti riformisti e «opportunisti», contrari agli indirizzi della III
Internazionale. Non solo: «mentre la maggioranza rivoluzionaria del partito non
ha avuto una espressione del suo pensiero e un esecutore della sua volontà
nella direzione e nel giornale, gli elementi opportunisti invece si sono
fortemente organizzati e hanno sfruttato il prestigio e l'autorità del Partito
per consolidare le loro posizioni parlamentari e sindacali se il Partito non
realizza l'unità e la simultaneità degli sforzi, se il Partito si rivela un
mero organismo burocratico, senza anima e senza volontà, la classe operaia
istintivamente tende a costituirsi un altro partito e si sposta verso tendenze
anarchiche ». Il Partito socialista non svolge alcuna funzione di
educazione e di spiegazione di quanto sta avvenendo nella scena internazionale,
dalla quale esso è assente, non partecipando nemmeno alle riunioni
dell'Internazionale comunista, le cui tesi non sono riportate nell'Avanti!.
Analogamente, le edizioni socialiste non stampano le pubblicazioni comuniste:
«valga per tutte il volume di Lenin Stato e rivoluzione». Occorre pertanto,
secondo Gramsci, che il Partito socialista acquisti «una sua figura precisa e
distinta: da partito parlamentare piccolo borghese deve diventare il partito
del proletariato rivoluzionario che lotta per l'avvenire della società
comunista i non comunisti rivoluzionari devono essere eliminati dal Partito ogni
avvenimento della vita proletaria nazionale e internazionale deve essere immediatamente
commentata per trarne argomenti di propaganda comunista e di educazione delle
coscienze rivoluzionarie le sezioni devono promuovere in tutte le fabbriche,
nei sindacati, nelle cooperative, nelle caserme la costituzione di gruppi
comunisti l'esistenza di un Partito comunista coeso e fortemente disciplinato
[.è la condizione fondamentale e indispensabile per tentare qualsiasi
esperimento di Soviet il Partito deve lanciare un manifesto nel quale la
conquista rivoluzionaria del potere politico sia posta in modo esplicito ». La
risoluzione dell'Internazionale comunista che chiedeva ai partiti socialisti
l'allontanamento dei riformisti, venne disattesa dal Partito Socialista
Italiano. Infatti, a dispetto dell'approvazione e dell'avallo ottenuto dagli
ordinovisti da parte di Lenin nel corso del II Congresso dell'Internazionale, alla
quale il PSI aveva aderito con il congresso di Bologna tenuto nell'ottobre del
1919, i vecchi dirigenti del partito erano riluttanti di fronte alla svolta
politica e sociale realizzatasi nel dopoguerra. In Italia, le
rivendicazioni salariali, rese necessarie dall'elevato indice d'inflazione, non
trovavano accoglienza presso gli industriali. Il 30 agosto 1920, a Milano, a seguito
della serrata dell'Alfa Romeo, 300 fabbriche furono occupate dagli operai: la
FIOM appoggiò l'iniziativa, ordinando l'occupazione di tutte le fabbriche
metalmeccaniche d'Italia, con la speranza che una tale, estrema iniziativa
provocasse l'intervento del governo a favore di una soluzione delle trattative.
All'inizio di settembre tutte le maggiori fabbriche d'Italia erano occupate da
mezzo milione di operai, parte dei quali armati, sia pure in modo rudimentale;
alla FIAT di Torino, tuttavia, ci fu una novità: dell'ufficio di Giovanni
Agnelli prese possesso l'operaio comunista Giovanni Parodi e i Consigli di
fabbrica decisero di continuare la produzione, per dimostrare che una grande
fabbrica poteva funzionare anche in assenza del proprietario. Giovanni
Giolitti Di fronte alla neutralità del governo Giolitti e alla decisione della
Confindustria di non cedere, il 10 settembre, nell'assemblea milanese che vide
riuniti i dirigenti del Partito socialista e della Camera del Lavoro, questi
ultimi si dimisero lasciando la gestione della difficile situazione al Partito,
che tuttavia non aveva alcuna intenzione di prolungare l'agitazione: la
proposta estrema dell'allargamento delle occupazioni a tutte le fabbriche del
paese e alle campagne fu respinta dalla maggioranza dei rappresentanti. Un
accordo salariale raggiunto con la mediazione di Giolitti pose termine, alla
fine di settembre, alle occupazioni delle fabbriche. Quell'esperienza
dimostrò tanto la mancanza di una strategia dei dirigenti socialisti quanto l'impreparazione
degli stessi operai a iniziative rivoluzionarie, per le quali occorrevano
organizzazione e disciplina. In previsione del prossimo XVII Congresso del
Partito socialista, Gramsci scrisse che «la costituzione del Partito comunista
crea le condizioni per intensificare e approfondire l'opera nostra: liberati
dal peso morto degli scettici, dei chiacchieroni, degli irresponsabili,
liberati dall'assillo di dover continuamente, nel seno del Partito, lottare
contro i riformisti e gli opportunisti, di dover sventare le loro insidie, di
dover analizzare e criticare i loro atteggiamenti equivoci e la loro
fraseologia pseudo-rivoluzionaria, noi potremo dedicarci interamente al lavoro
positivo, all'espansione del nostro programma di rinnovamento, di organizzazione,
di risveglio delle coscienze e delle volontà». NSi riunì a Milano il
gruppo favorevole alla costituzione di un partito comunista e Amadeo Bordiga,
Luigi Repossi, Bruno Fortichiari, Gramsci, Nicola Bombacci, Francesco Misiano e
Umberto Terracini costituirono il Comitato provvisorio della frazione comunista
del Partito Socialista. La fondazione del Partito comunista Il
congresso di Livorno La scissione si realizzò, nel Teatro San Marco di Livorno,
con la nascita del «Partito Comunista d'Italia, sezione italiana
dell'Internazionale». Il comitato centrale fu composto dagli astensionisti
(Amadeo Bordiga, Ruggero Grieco, Giovanni Parodi, Cesare Sessa, Ludovico Tarsia
e Bruno Fortichiari), dagli ex-massimalisti (Nicola Bombacci, Ambrogio Belloni,
Egidio Gennari, Francesco Misiano, Anselmo Marabini, Luigi Repossi e Luigi
Polano) e dagli ordinovisti Gramsci e Terracini. Diresse l'Ordine nuovo,
divenuto ora uno dei quotidiani comunisti insieme con Il Lavoratore di Trieste
e Il Comunista di Roma, quest'ultimo diretto da Togliatti. Non venne eletto
deputato alle elezioni: Gramsci non ha capacità oratorie, è ancora giovane e
anche la sua conformazione fisica non lo agevola nell'apprezzamento di molti
elettori. Alla fine di maggio partì per Mosca, designato a rappresentare
il Partito italiano nell'esecutivo dell'Internazionale comunista. Vi arrivò già
malato e nell'estate fu ricoverato in un sanatorio per malattie nervose di
Mosca. Qui conobbe una degente russa, Eugenia Schucht, membro del Partito, figlia
di Apollon Schucht, dirigente del Pcus e amico personale di Lenin, che aveva
vissuto alcuni anni in Italia e, attraverso di lei, la sorella Giulia (Julka) che, violinista, aveva abitato diversi anni a
Roma diplomandosi al Conservatorio Santa Cecilia. Giulia, ventiseienne, è
bella, alta, ha un aspetto romantico; Gramsci ne è conquistato: ricorderà «il
primo giorno che non osavo entrare nella tua stanza perché mi avevi intimidito al
giorno che sei partita a piedi e io ti ho accompagnato fino alla grande strada
attraverso la foresta e sono rimasto tanto tempo fermo per vederti allontanare
tutta sola, col tuo carico da viandante, per la grande strada, verso il mondo
grande e terribile ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi
hai dato l'amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso
cattivo e torbido. E quell'immagine di
lei, viandante in un mondo grande e terribile, con il suo senso doloroso di
distacco, ritornerà ancora dal carcere: «Ricordi quando sei ripartita dal bosco
d'argento ti ho accompagnata fino all'orlo della strada maestra e sono rimasto
a lungo a vederti allontanare così ti vedo sempre mentre ti allontani a passi
brevi, col violino in una mano e nell'altra la tua borsa da viaggio, così
pittoresca». Si sposano e avranno due figli, Delio e Giuliano. Il figlio di
quest'ultimo porta il nome del nonno, vive a Mosca e pratica la musica
medievale. Giulia membro della OGPU, il servizio di Sicurezza sovietico. La
moglie di Gramsci e i figli Delio e Giuliano A differenza di Bordiga, tutto
inteso a salvaguardare la «purezza» programmatica del partito, e perciò
contrario a qualunque iniziativa al di fuori della dittatura del proletariato,
Gramsci guardava anche a obiettivi democratici, intermedi, raggiungibili utilizzando
le contraddizioni presenti negli strati sociali e le forze che potevano
rappresentare elementi di rottura, come il movimento sindacale cattolico di
Guido Miglioli e l'intellettualità progressista liberale di cui Piero Gobetti è
allora tra i maggiori rappresentanti. Tuttavia nei suoi scritti fino al 1926
ribadisce che l'obiettivo finale era la eliminazione dello stato borghese e la
dittatura del proletariato e anche nei suoi scritti successivi non si
riscontrano critiche al regime sovietico. Nel III Congresso
dell'Internazionale comunista, di fronte al riflusso dell'ondata rivoluzionaria
rappresentata dalle sconfitte delle esperienze comuniste in Germania e in
Ungheria, si decise la tattica del fronte unito con la socialdemocrazia.
Bordiga e la maggioranza dei dirigenti comunisti italiani si oppose, elaborando
le Tesi di Roma, base programmatica del II Congresso del Partito, tenuto a Roma.
Gramsci vi aderì ma scrisse di aver «accettato le tesi di Amadeo perché esse
erano presentate come una opinione per il Quarto Congresso [dell'Internazionale
comunista] e non come un indirizzo di azione. Ritenevamo di mantenere così
unito il partito attorno al suo nucleo fondamentale, pensavamo che si potesse
fare ad Amadeo questa concessione senza nuove crisi e nuove minacce di
scissione nel seno del nostro movimento». Nel IV Congresso dell'Internazionale,
di fronte all'avvento al potere di Mussolini, ai delegati comunisti italiani fu
posta con ancora maggior forza la necessità di fondersi con corrente socialista
degli internazionalisti, capeggiata da Giacinto Menotti Serrati, e di
costituire un nuovo Esecutivo, mettendo in minoranza Bordiga, sempre contrario
a ogni accordo. Lo stesso Bordiga fu arrestato al suo rientro in Italia nel
febbraio 1923 e, in settembre, a Milano, furono incarcerati anche i
rappresentanti del nuovo Esecutivo: Gramsci restò così il massimo dirigente del
Partito e si trasferì a Vienna per seguire più da vicino la situazione
italiana. Fu allora che egli ritenne necessario rompere con la politica di
Bordiga: «Il suo stesso carattere inflessibile e tenace fino all'assurdo ci
obbliga a prospettarci il problema di costruire il partito ed il centro di esso
anche senza di lui e contro di lui. Penso che sulle quistioni di principio non
dobbiamo più fare compromessi come nel passato: vale meglio la polemica chiara,
leale, fino in fondo, che giova al partito e lo prepara ad ogni evenienza». Uscì
a Milano il primo numero del nuovo quotidiano comunista l'Unità e dal primo
marzo la nuova serie del quindicinale l'Ordine nuovo. Il titolo del giornale,
da lui scelto, venne giustificato dalla necessità dell'«unità di tutta la
classe operaia intorno al partito, unità degli operai e dei contadini, unità
del Nord e del Mezzogiorno, unità di tutto il popolo italiano nella lotta
contro il fascismo».Alle elezioni venne eletto deputato al parlamento, potendo
così rientrare a Roma, protetto dall'immunità parlamentare. Quello stesso mese,
nei dintorni di Como, si tenne un convegno illegale dei dirigenti delle
Federazioni comuniste italiane: pubblicamente, si fingevano dipendenti di
un'azienda milanese in gita turistica, con tanto di pubblici discorsi fascisti
e inni a Mussolini, mentre, a parte, discutevano dei problemi del
partito. Nel convegno si affrontò il «caso Bordiga», il quale aveva
rifiutato la candidatura al Parlamento, era in rotta con la maggioranza
dell'Internazionale e rifiutava ogni azione politica comune con le altre forze
politiche di sinistra. Delle tre mozioni presentate, che rispecchiavano le tre
correnti in seno al Partito, la corrente di destra di Tasca, di centro di
Gramsci e Togliatti, e di sinistra di Bordiga, questa raccolse l'adesione della
grande maggioranza dei delegati, confermando la notevole importanza di cui il
rivoluzionario napoletano godeva nel Partito. Il 10 giugno un gruppo di
fascisti rapì e uccise il deputato socialista Giacomo Matteotti; sembrò allora
che il fascismo stesse per crollare per l'indignazione morale che in quei
giorni percorse il Paese, ma non fu così; l'opposizione parlamentare scelse la
linea sterile di abbandonare il Parlamento, dando luogo alla cosiddetta
Secessione dell'Aventino: i liberali speravano in un appoggio della Monarchia,
che non venne, i cattolici erano ostili tanto ai fascisti che ai socialisti e
questi ultimi erano ostili a tutti, comunisti compresi. Gramsci avanzò al
«Comitato dei sedici»il nucleo dirigente dei gruppi aventinianila proposta di proclamare
lo sciopero generale che però fu respinta; i comunisti uscirono allora dal
«Comitato delle opposizioni» aventiniane il quale, secondo Gramsci, non aveva
alcuna volontà di agire: ha una «paura incredibile che noi prendessimo la mano
e quindi manovra per costringerci ad abbandonare la riunione». Giacomo
Matteotti Malgrado le divisioni dell'opposizione antifascista, Gramsci credeva
che la caduta del regime fosse imminente: «Il regime fascista muore perché non
solo non è riuscito ad arrestare, ma anzi ha contribuito ad accelerare la crisi
delle classi medie iniziatasi dopo la guerra. L'aspetto economico di questa
crisi consiste nella rovina della piccola e media azienda il monopolio del
credito, il regime fiscale, la legislazione sugli affitti hanno stritolato la
piccola impresa commerciale e industriale: un vero e proprio passaggio di
ricchezza si è verificato dalla piccola e media alla grande borghesia. L'apparato
industriale ristretto ha potuto salvarsi dal completo sfacelo solo per un
abbassamento del livello di vita della classe operaia premuta dalla diminuzione
dei salari, dall'aumento della giornata di lavoro. La disgregazione sociale e
politica del regime fascista ha avuto la sua piena manifestazione di massa
nelle elezioni del 6 aprile. Il fascismo è stato messo nettamente in minoranza
nella zona industrial. Le elezioni del 6 aprile segnarono l'inizio di quella
ondata democratica che culminò nei giorni immediatamente successivi all'assassinio
dell'on. Matteotti le opposizioni avevano acquistato dopo le elezioni
un'importanza politica enorme; l'agitazione da esse condotta nei giornali e nel
Parlamento per discutere e negare la legittimità del governo fascista si
ripercuoteva nel seno dello stesso Partito nazionale fascista, incrinava la
maggioranza parlamentare. Di qui l'inaudita campagna di minacce contro le
opposizioni e l'assassinio del deputato unitario”. “Il delitto Matteotti dette
la prova provata che il Partito fascista non riuscirà mai a diventare un
normale partito di governo, che Mussolini non possiede dello statista e del
dittatore altro che alcune pittoresche pose esteriori; egli non è un elemento
della vita nazionale, è un fenomeno di folklore paesano, destinato a passare
alla storia nell'ordine delle diverse maschere provinciali italiane, più che
nell'ordine dei Cromwell, dei Bolívar, dei Garibaldi». S'ingannava, perché
l'inerzia dell'opposizione non riuscì a dare alternative del blocco sociale in
cui la piccola borghesia teme il «salto nel buio» della caduta del regime e i
fascisti riprendono coraggio e ricominciano le violenze squadriste: in una
delle tante viene aggredito anche Gobetti. E dopo il 12 settembre, quando il
militante comunista Giovanni Corvi uccide in un tram il deputato fascista
Armando Casalini, per vendicare la morte di Matteotti, la repressione
s'inasprisce. Il 20 ottobre Gramsci propose vanamente che l'opposizione
aventiniana si costituisca in «Antiparlamento», in modo da segnare nettamente
la distanza e svuotare di significato un Parlamento di soli fascisti; ipartì
per la Sardegna, per intervenire al Congresso regionale del partito e per
rivedere i famigliari. Il 6 novembre si congedò dalla madre, che non avrebbe più
rivisto. Il deputato comunista Repossi rientrò in Parlamento, dove sedevano
solo i deputati fascisti e i loro alleati, per commemorare Matteotti a nome di
tutto il suo partito; il 26 vi rientrò anche tutto il gruppo parlamentare
comunista, a segnare l'inutilità dell'esperienza aventiniana. Il quotidiano di
Giovanni Amendola Il Mondo pubblicò le dichiarazioni di Cesare Rossi, già capo
ufficio stampa di Mussolini, a proposito del delitto Matteotti: «Tutto quanto è
successo è avvenuto sempre per la volontà diretta o per l'approvazione o per la
complicità del duce» e Mussolini, in un discorso rimasto famoso, a confermare
quella testimonianza, dichiara alla Camera dei deputati di assumersi «la
responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto», dando il
via a una nuova azione repressiva. In febbraio Gramsci andò a Mosca, per
stare con la moglie e conoscere finalmente il figlio Delio. Tornato in Italia a
maggio, il 16 tenne il suo primoe unicodiscorso in Parlamento, davanti all'ex
compagno di partito Mussolini, ora Primo ministro, che aveva descritto l'anno
prima come un capo che «è divinizzato, è dichiarato infallibile, è preconizzato
organizzatore e ispiratore di un rinato Sacro Romano Impero. Conosciamo quel
viso: conosciamo quel roteare degli occhi nelle orbite che nel passato
dovevano, con la loro ferocia meccanica, far venire i vermi alla borghesia e
oggi al proletariato. Conosciamo quel pugno sempre chiuso alla minaccia.
Mussolini è il tipo concentrato del piccolo-borghese italiano, rabbioso, feroce
impasto di tutti i detriti lasciati sul suolo nazionale da vari secoli di
dominazione degli stranieri e dei preti: non poteva essere il capo del
proletariato; divenne il dittatore della borghesia, che ama le facce feroci
quando ridiventa borbonica». Con il pretesto di colpire la Massoneria, il
governo aveva predisposto un disegno di legge per disciplinare l'attività di
associazioni, enti e istituti: continuamente interrotto, Gramsci respinse il
pretesto che il governo si era dato, «perché la Massoneria passerà in massa al
Partito fascista e ne costituirà una tendenza, è chiaro che con questa legge
voi sperate di impedire lo sviluppo di grandi organizzazioni operaie e
contadine». E ironizzando: «Qualche fascista ricorda ancora nebulosamente
gli insegnamenti dei suoi vecchi maestri, di quando era rivoluzionario e
socialista, e crede che una classe non possa rimanere tale permanentemente e
svilupparsi fino alla conquista del potere, senza che essa abbia un partito e
un'organizzazione che ne riassuma la parte migliore e più cosciente. C'è
qualcosa di vero, in questa torbida perversione degli insegnamenti
marxisti». Concluse: «Voi potete conquistare lo Stato, potete modificare
i codici, potete cercar di impedire alle organizzazioni di esistere nella forma
in cui sono esistite fino adesso ma non potete prevalere sulle condizioni
obbiettive in cui siete costretti a muovervi. Voi non farete che costringere il
proletariato a ricercare un indirizzo diverso da quello fin oggi più diffuso
nel campo dell'organizzazione di massa. Ciò noi vogliamo dire al proletariato e
alle masse contadine italiane, da questa tribuna: che le forze rivoluzionarie
italiane non si lasceranno schiantare, il vostro torbido sogno non riuscirà a
realizzarsi». Si svolse clandestinamente a Lione il III Congresso del
Partito. Vi parteciparono 70 delegati, con tutti i maggiori responsabili,
Bordiga, Gramsci, Tasca, Togliatti, Grieco, Leonetti, Scoccimarro: vi era anche
Serrati, che aveva lasciato da poco il Partito socialista di cui era stato a
lungo dirigente di primo piano. Assisteva, a nome dell'Internazionale, Jules
Humbert-Droz. Gramsci presentò le Tesi congressuali elaborate insieme con
Togliatti. Con un capitalismo debole e l'agricoltura base dell'economia
nazionale, in Italia si assiste al compromesso fra industriali del Nord e
proprietari fondiari del Sud, ai danni degli interessi generali della
maggioranza della popolazione. Il proletariato, in quanto forza sociale
omogenea e organizzata rispetto alla piccola borghesia urbana e rurale, che ha
interessi differenziati, viene visto, nelle Tesi, «come l'unico elemento che
per la sua natura ha una funzione unificatrice e coordinatrice di tutta la
società.» Secondo Gramsci il fascismo non è, come invece ritiene Bordiga,
l'espressione di tutta la classe dominante, ma è il frutto politico della
piccola borghesia urbana e della reazione degli agrari che ha consegnato il
potere alla grande borghesia, e la sua tendenza imperialistica è l'espressione
della necessità, da parte delle classi industriali e agrarie, «di trovare fuori
del campo nazionale gli elementi per la risoluzione della crisi della società
italiana» che tuttavia permette, per la sua natura oppressiva e reazionaria,
una soluzione rivoluzionaria delle contraddizioni sociali e politiche; le due
forze sociali idonee a dar luogo a questa soluzione sono il proletariato del
Nord e i contadini del Mezzogiorno. A questo scopo, il Partito andrà
bolscevizzato, ossia organizzato per cellule di fabbrica caratterizzate da una
"disciplina di ferro" negando al suo interno la possibilità
dell'esistenza delle frazioni. Il Congresso approvò le Tesi a grande
maggioranza (oltre il 90%) ed elesse il Comitato centrale con Gramsci segretario
del Partito. Da allora, la sinistra comunista di Bordiga non ebbe più un ruolo
influente nel Partito. Le Tesi di Lione, realizzate da Gramsci, ribadirono con
una certa durezza le posizioni del Pcd’I «la socialdemocrazia sebbene abbia
ancora la sua base sociale, per gran parte, nel proletariato per quanto
riguarda la sua ideologia e la sua funzione politica cui adempie, deve essere
considerata non come un'ala destra del movimento operaio, ma come un'ala
sinistra della borghesia e come tale deve essere smascherata». In questa
relazione venne sviluppata la cosiddetta bolscevizzazione del partito: «spetti
al partito russo una funzione predominante e direttiva nella costruzione di una
Internazionale communista. La organizzazione di un partito bolscevico deve
essere, in ogni momento della vita del partito, una organizzazione
centralizzata, diretta dal Comitato centrale non solo a parole, ma nei fatti.
Una disciplina proletaria di ferro deve regnare nelle sue file. La
centralizzazione e la compattezza del partito esigono che non esistano nel suo
seno gruppi organizzati i quali assumano carattere di frazione. Un partito
bolscevico si differenzia per questo profondamente dai partiti
socialdemocratici».Tornato a Romada via Vesalio si era trasferito in via
Morgagniebbe il tempo di passare alcuni mesi con la famigliala moglie Giulia e
il piccolo Delio, oltre alle cognate Eugenia e Tatianache abitano tuttavia in
un altro appartamento, in via Trapani: le squadre fasciste, superato da tempo
lo smarrimento provocato dal delitto Matteotti, avevano piena libertà d'azione
e non era prudente coinvolgere i familiari in loro possibili aggressioni; a
Firenze, era stato ucciso l'ex-deputato socialista Gaetano Pilati, la stessa
casa di Gramsci era stata messa a soqquadro dalla polizia il 20 ottobre. Mentre
gli esponenti dell'opposizione antifascista prendevano la via dell'emigrazione
Gobetti, che muore ia Parigi, in conseguenza delle bastonate squadriste,
Amendola, Salveminiun processo farsa condannava a una pena simbolica gli
assassini di Matteotti, difesi dal capo-squadrista Roberto Farinacci. La
moglie Giulia, che aspettava il secondo figlio Giuliano, lasciò l'Italia e il
mese dopo fu la volta della cognata Eugenia a tornare a Mosca con il figlio
Delio: Gramsci non l'avrebbe più rivisto. Giustino Fortunato
Elaborando temi già affrontati nelle Tesi di Lione, in settembre Gramsci iniziò
a scrivere un saggio sulla questione meridionale, intitolato Alcuni temi sulla
quistione meridionale, in cui analizzò il periodo dello sviluppo politico
italiano dal 1894, anno dei moti dei contadini siciliani, seguito nel 1898
dall'insurrezione di Milano repressa a cannonate dal governo Di Rudinì. Secondo
Gramsci, la borghesia italiana, impersonata politicamente da Giovanni Giolitti,
di fronte all'insofferenza delle classi emarginate dei contadini meridionali e
degli operai del Nord, piuttosto che allearsi con le forze agrarie, cosa che
avrebbe dovuto comportare una politica di libero scambio e di bassi prezzi
industriali, scelse di favorire il blocco industriale-operaio, con la
conseguente scelta del protezionismo doganale, unita a concessione di libertà
sindacali. Di fronte alla persistenza dell'opposizione operaia,
manifestatasi anche contro i dirigenti socialisti riformisti, Giolitti cercò un
accordo con i contadini cattolici del Centro-Nord. Il problema è allora di
perseguire una politica di opposizione che rompa l'alleanza
borghesia-contadini, facendo convergere questi ultimi in un'alleanza con la
classe operaia. La società meridionale, secondo Gramsci, è costituita da
tre classi fondamentali: braccianti e contadini poveri, politicamente
inconsapevoli; piccoli e medi contadini, che non lavorano la terra ma dalla
quale ricavano un reddito che permette loro di vivere in città, spesso come
impiegati statali: costoro disprezzano e temono il lavoratore della terra, e
fanno da intermediari al consenso fra i contadini poveri e la terza classe,
costituita dai grandi proprietari terrieri, i quali a loro volta contribuiscono
alla formazione dell'intellettualità nazionale, con personalità del valore di Croce
e di Fortunato e sono, con quelli, i principali e più raffinati sostenitori
della conservazione di questo blocco agrario. Croce e Fortunato sono, per
Gramsci, «i reazionari più operosi della penisola», «le chiavi di volta del
sistema meridionale e, in un certo senso, sono le due più grandi figure della
reazione italiana». Per poter spezzare questo blocco occorrerebbe la formazione
di un ceto di intellettuali medi che interrompa il flusso del consenso fra le
due classi estreme, favorendo così l'alleanza dei contadini poveri con il
proletariato urbano. Tuttavia Gramsci non aveva un'opinione positiva sui contadini,
scrisse: «Il solo organizzatore possibile della massa contadina meridionale è
l'operaio industriale, rappresentato dal nostro partito» «Non ho mai voluto
mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a
stare in prigione vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non
potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta
devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro
onore e la loro dignità di uomini» (Antonio Gramsci, Lettera alla madre)
In Unione Sovietica è in corso la lotta fra la maggioranza di Stalin e Bucharin
e la minoranza di sinistra del Partito comunista, guidata da Trotskij, Zinov'ev
e Kamenev, che critica la politica della NEP, la quale favorisce i contadini
ricchi a svantaggio degli operai, e la rinuncia alla rivoluzione socialista
mondiale attraverso la costruzione del «socialismo in un solo paese» che
porterebbe all'involuzione del movimento rivoluzionario. Il dissidio, che porta
all'esclusione di Zinov'ev dall'Ufficio politico del Partito sovietico, si era
fatto sempre più aspro con la costituzione in frazione della minoranza e si era
esteso anche all'interno del Partito comunista tedesco, provocando una
scissione. Il New York Times, forse su ispirazione di Trotsky, pubblicava il
testamento di Lenin, con i suoi noti rilievi sul carattere di Stalin e sul
pericolo rappresentato dal troppo potere che la carica di segretario del
Partito gli concedeva. Su incarico dell'Ufficio politico, Gramsci scrisse a
metà ottobre una lettera al Comitato centrale del Partito sovietico. Egli si
mostra preoccupato per l'acutezza delle polemiche che potrebbero portare a una
scissione che «può avere le più gravi ripercussioni, non solo se la minoranza
di opposizione non accetta con la massima lealtà i principi fondamentali della
disciplina rivoluzionaria di Partito, ma anche se essa, nel condurre la sua
lotta, oltrepassa certi limiti che sono superiori a tutte le democrazie
formali». Riconosciuto ai dirigenti sovietici il merito di essere stati
«l'elemento organizzatore e propulsore delle forze rivoluzionarie di tutti i
paesi», li rimprovera di star «distruggendo l'opera vostra, voi degradate e
correte il rischio di annullare la funzione dirigente che il partito comunista
dell'URSS aveva conquistato per l'impulso di Lenin: ci pare che la passione
violenta delle quistioni russe vi faccia perdere di vista gli aspetti
internazionali delle quistioni russe stesse, vi faccia dimenticare che i vostri
doveri di militanti russi possono e debbono essere adempiuti solo nel quadro
degli interessi del proletariato internazionale. Nel merito del fondamento del
contrastola contraddizione di un proletariato formalmente «dominante» in URSS,
ma in condizioni economiche molto inferiori alla classe «dominata»Gramsci
appoggia la posizione della maggioranza, rilevando che «è facile fare della
demagogia su questo terreno ed è difficile non farla quando la quistione è
stata messa nei termini dello spirito corporativo e non in quelli del
leninismo, della dottrina dell'egemonia del proletariato è in questo elemento
la radice degli errori del blocco delle opposizioni e l'origine dei pericoli
latenti che nella sua attività sono contenuti. Nella ideologia e nella pratica
del blocco delle opposizioni rinasce in pieno tutta la tradizione della
socialdemocrazia e del sindacalismo che ha impedito finora al proletariato
occidentale di organizzarsi in classe dirigente». Gramsci concludeva
esortando all'unità: «I compagni Zinov'ev, Trockij, Kamenev hanno contribuito
potentemente a educarci per la rivoluzione sono stati tra i nostri maestri. A
loro specialmente ci rivolgiamo come ai maggiori responsabili dell'attuale
situazione perché vogliamo essere sicuri che la maggioranza del comitato
centrale del partito comunista dell'URSS non intenda stravincere nella lotta e
sia disposta a evitare le misure eccessive. L'untà del nostro partito fratello
di Russia è necessaria per lo sviluppo e il trionfo delle forze rivoluzionarie
mondiali; a questa necessità ogni comunista e internazionalista deve essere
disposto a fare maggiori sacrifizi. I danni di un errore compiuto dal partito
unito sono facilmente superabili; i danni di una scissione o di una prolungata
condizione di scissione latente possono essere irreparabili e mortali». Togliatti,
allora a Mosca quale rappresentante italiano all'Internazionale, criticò le
ultime considerazioni che ripartivano, seppure in modo diseguale, le
responsabilità delle due fazioni, credendo ancora nella illusoria possibilità
di una compattezza del gruppo dirigente sovietico: a suo avviso, invece, «d'ora
in poi l'unità della vecchia guardia leninista non sarà più o sarà assai
difficilmente realizzata in modo continuo». Non ci sarà tempo e occasione per
approfondire la questione: lo stesso giorno in cui il Comitato centrale
comunista doveva riunirsi clandestinamente a Genova, Mussolini subì a Bologna
un attentato senza conseguenze personali, che provoca una tale pressione
poliziesca da far fallire il convegno. L'attentato Zamboni costituì il pretesto
per l'eliminazione degli ultimi, minimi residui di democrazia: il governo
sciolse i partiti politici di opposizione e soppresse la libertà di stampa. L'8
novembre, in violazione dell'immunità parlamentare, Gramsci venne arrestato
nella sua casa e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. Il giorno successivo fu
dichiarato decaduto, insieme agli altri deputati aventiniani. Dopo un periodo
di confino a Ustica, dove ritrovò, tra gli altri, Bordiga, fu detenuto nel
carcere milanese di San Vittore. Qui ricevette, in agosto, la visita del
fratello Mario, le cui scelte politiche erano state opposte alle suegià
federale di Varese, ora si occupava di commercioe, soprattutto, quella della
cognata Tatiana, la persona che si manterrà sempre, per quanto possibile, in
contatto con lui. L'istruttoria andò per le lunghe, perché vi erano difficoltà
a montare su di lui accuse credibili: fu anche fatto avvicinare da due agenti
provocatoriprima un tale Dante Romani e poi un certo Corrado Melanima senza
successo. Il processo a ventidue imputati comunisti, fra i quali Umberto
Terracini, Mauro Scoccimarro e Giovanni Roveda, iniziò finalmente a Roma;
Mussolini aveva istituito il Tribunale Speciale Fascista. Presidente è un
generale, Saporiti, giurati sono cinque consoli della milizia fascista,
relatore l'avvocato Buccafurri e accusatore l'avvocato Isgrò, tutti in
uniforme; intorno all'aula, «un doppio cordone di militi in elmetto nero, il
pugnale sul fianco ed i moschetti con la baionetta in canna» Gramsci è accusato
di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e
incitamento all'odio di classe. Il pubblico ministero Isgrò concluse la sua
requisitoria con una frase rimasta famosa: «Bisogna impedire a questo cervello
di funzionare per venti anni»; e infatti Gramsci venne condannato a venti anni,
quattro mesi e cinque giorni di reclusione. Raggiunse il carcere di Turi, in
provincia di Bari. Fin da quando si trovava in carcere a Milano, era
intenzionato a occuparsi «intensamente e sistematicamente di qualche soggetto»
che lo «assorbisse e centralizzasse la sua vita interiore». Il detenuto 7.047
ottenne finalmente l'occorrente per scrivere e iniziò la stesura dei suoi
Quaderni del carcere. Il primo quaderno si apre proprio con una bozza di 16
argomenti, alcuni dei quali saranno abbandonati, altri inseriti e altri ancora
svolti solo in parte. Caratteristico era il suo modo di lavorare. Quasi tutti i
giorni, per alcune ore, camminando all'interno della cella, rifletteva sulle
frasi da scrivere e poi si chinava sul tavolino, scrivendo senza sedersi, un
ginocchio appoggiato sullo sgabello, per riprendere a camminare e a pensare. A
fare da tramite tra Gramsci e il mondo esterno, e in particolare con Sraffa e
tramite questi col Pcus e il PCd'I, fu la cognata Tatiana Schucht, essendo la
moglie di Gramsci tornata in Unione Sovietica. Intanto, il Congresso
dell'Internazionale comunista, tenutosi a Mosca aveva stabilito l'impossibilità
di accordi con la social-democrazia, che veniva anzi assimilata allo stesso
fascismo. Era la tesi di Stalin il quale, liquidata l'opposizione di Trockij,
eliminava anche l'influenza di Bucharin che, già suo alleato contro la sinistra
di Trockij, era rimasto il suo principale oppositore da destra. Al nuovo
orientamento dell'Internazionale, riaffermato nel X Plenum del Comitato esecutivo
ndovevano adeguarsi i Partiti nazionali, espellendo, se necessario, i
dissidenti. Il Partito comunista d'Italia si adeguò alle scelte
dell'Internazionale, espellendo Angelo Tasca in settembre e in successione, ma
con l'accusa di trotskismo, prima, iBordiga, poi, ifu la volta di Leonetti,
Tresso e Ravazzoli. Teneva, durante l'ora d'aria, dei
"colloqui-lezioni" con i compagni di partito: non esistono dirette
testimonianze delle opinioni espresse da Gramsci riguardo alla «svolta»
politica del movimento comunista, ma può costituire un indiretto riferimento un
rapporto che un suo compagno di carcere, Athos Lisa, amnistiato, inviò subito al
Centro estero comunista. Secondo quella relazione, riferì la teoria della
necessità dell'alleanza fra operai del Nord e contadini meridionali che già
stava elaborando nei suoi Quaderni: «L'azione per la conquista degli alleati
diviene per il proletariato cosa estremamente delicata e difficile. D'altra
parte, senza la conquista di questi alleati, è precluso al proletariato ogni
serio movimento rivoluzionario». Qui s'intende che il proletariatola classe
operaiadebba allearsi con i contadini e la piccola borghesia: «Se si tiene
conto delle particolari condizioni nei limiti delle quali va visto il grado di
sviluppo politico degli strati contadini e piccoli borghesi in Italia, è facile
comprendere come la conquista di questi strati sociali comporti per il partito
una particolare azione. La lotta per la conquista diretta del potere è un passo
al quale questi strati sociali potranno solo accedere per gradi il primo passo
attraverso il quale bisogna condurre questi strati sociali è quello che li
porti a pronunciarsi sul problema istituzionale e costituzionale. L'inutilità
della Monarchia è ormai compresa da tutti i lavoratori a questo obiettivo deve
improntarsi la tattica del partito senza tema di apparire poco rivoluzionario.
Deve fare sua prima degli altri partiti in lotta contro il fascismo la parola
d'ordine della Costituente». Ma l'azione del partito «deve essere intesa a
svalutare tutti i programmi di riforma pacifica dimostrando alla classe
lavoratrice come la sola soluzione possibile in Italia risieda nella
rivoluzione proletaria». La richiesta di una Costituente, e dunque di
un'iniziativa politica che si ponesse obiettivi intermedi, avrebbe comportato
necessariamente una convergenza, per quanto temporanea, con altre forze
antifasciste, e se è difficile considerare tale linea politica come «social-democratica»,
durante le discussioni nel cortile del carcere qualche suo compagno arrivò a
sostenere che egli era ormai fuori del Partito comunista. Probabilmente le
reazioni di alcuni erano esasperate dal clima di detenzione» ma certo le
posizioni dovevano apparire in contrasto con la linea politica indicata in
quegli anni dal Partito comunista. È in questo periodo chevenne a contatto con
Pertini, esponente del PSI e detenuto anch'egli alla Casa Penale di Turi. I
due, nonostante i pensieri politici differenti, divennero grandi amici e
Pertini, anche dopo la scarcerazione, ricordò spesso nei suoi discorsi il
compagno di prigionia e le tristi condizioni di salute che lo stroncavano. Gramsci,
oltre al morbo di Pott di cui soffriva fin dall'infanzia, fu colpito da
arteriosclerosi e poté così ottenere una cella individuale; cercò di reagire alla
detenzione studiando ed elaborando le proprie riflessioni politiche,
filosofiche e storiche, tuttavia le condizioni di salute continuarono a
peggiorare e in agosto ebbe un'improvvisa e grave emorragia. Anche la
moglie, in Russia, era sofferente di una seria forma di depressione e rare
erano le sue lettere al marito che, all'oscuro dei motivi dei suoi lunghi
silenzi, sentiva crescere intorno a sé il senso di un opprimente isolamento.
Scriveva alla cognata: Non credere che il sentimento di essere personalmente
isolato mi getti nella disperazione io non ho mai sentito il bisogno di un
apporto esteriore di forze morali per vivere fortemente la mia vita tanto meno
oggi, quando sento che le mie forze volitive hanno acquistato un più alto grado
di concretezza e di validità. Ma mentre nel passato mi sentivo quasi orgoglioso
di sentirmi isolato, ora invece sento tutta la meschinità, l'aridità, la
grettezza di una vita che sia esclusivamente volontà. Quando la madre morì, i
familiari preferirono non informarlo. Ebbe una seconda grave crisi, con
allucinazioni e deliri. Si riprese a fatica, senza farsi illusioni sul suo
immediato futuro. Fino a qualche tempo fa io ero, per così dire, pessimista con
l'intelligenza e ottimista con la volontà. Oggi non penso più così. Ciò non
vuol dire che abbia deciso di arrendermi, per così dire. Ma significa che non
vedo più nessuna uscita concreta e non posso più contare su nessuna riserva di
forze». Eppure lo stesso codice penale dell'epoca, all'art. 176, prevedeva la
concessione della libertà condizionata ai carcerati in gravi condizioni di
salute. A Parigi si costituì un comitato, di cui fecero parte, fra gli altri,
Rolland e Barbusse, per ottenere la liberazione sua e di altri detenuti politici,
ma venne trasferito nell'infermeria del carcere di Civitavecchia e poi nella
clinica del dottor Cusumano a Formia, sorvegliato in camera e all'esterno. Mussolini
accolse finalmente la richiesta di libertà condizionata, ma Gramsci non rimase
libero nei suoi movimenti, tanto che gli fu impedito di andare a curarsi
altrove, perché il governo temeva una sua fuga all'estero; solo il poté essere
trasferito nella clinica "Quisisana" di Roma, dove giunse in gravi
condizioni, poiché oltre al morbo di Pott e all'arteriosclerosi soffriva di
ipertensione e di gotta. Passò dalla libertà condizionata alla piena
libertà, ma era ormai in gravissime condizioni: morì di emorragia cerebrale,
nella stessa clinica Quisisana. Il giorno seguente la cremazione si svolsero i
funerali, cui parteciparono soltanto il fratello Carlo e la cognata Tatiana. Le
ceneri, inumate nel cimitero del Verano, furono trasferite nel Cimitero
acattolico di Roma, nel Campo Cestio. I 33 Quaderni del carcere, non destinati
da Gramsci alla pubblicazione, contengono riflessioni e appunti elaborati
durante la reclusione. Furono definitivamente interrotti a causa della gravità
delle sue condizioni di salute. Furono numerati, senza tener conto della loro
cronologia, dalla cognata Schucht, che li affidò all'Ambasciata sovietica a Roma
da dove furono inviati a Mosca e, successivamente, conseg Palmiro Togliatti. Dopo
la fine della guerra i Quaderni, curati dal dirigente comunista Platone sotto
la supervisione di Togliatti, furono pubblicati dall'editore Einaudi unitamente
alle sue Lettere dal carcere indirizzate ai familiarii n sei volumi, ordinati
per argomenti omogenei, con i titoli “Il materialismo storico e la filosofia di
Croce”; “Gli intellettuali e l'organizzazione
della cultura”; “Il Risorgimento”; “Note sul Machiavelli, sulla politica e
sullo Stato moderno”; “Letteratura e vita nazionale”; “Passato e
presente”. I Quaderni furono pubblicati
Valentino Gerratana secondo l'ordine cronologico della loro elaborazione. Sono
stati raccolti in volume anche tutti gli articoli scritti da Gramsci
nell'Avanti!, ne Il Grido del Popolo e ne L'Ordine Nuovo. Conquistare la
maggioranza politica di un Paese vuol dire che le forze sociali, che di tale
maggioranza sono espressione, dirigono la politica di quel determinato paese e
dominano le forze sociali che a tale politica si oppongono: significa ottenere
l'egemonia. Vi è distinzione fra direzione egemonia intellettuale e
morale e dominio esercizio della forza repressive. Un gruppo sociale è
dominante dei gruppi avversari che tende a liquidare o a sottomettere anche con
la forza armata, ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale
può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo
(è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere. Dopo,
quando esercita il potere ed anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa
dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente. La crisi dell'egemonia
si manifesta quando, anche mantenendo il proprio dominio, le classi sociali politicamente
dominanti non riescono più a essere dirigenti di tutte le classi sociali, non
riuscendo più a risolvere i problemi di tutta la collettività e a imporre la
propria concezione del mondo. A quel punto, la classe sociale sub-alterna, se
riesce a indicare concrete soluzioni ai problemi lasciati irrisolti dalla
classe dominante, può diventare dirigente e, allargando la propria concezione
del mondo anche ad altri strati sociali, può creare un nuovo «blocco sociale»,
cioè una nuova alleanza di forze sociali, divenendo “egemone.” Il cambiamento
dell'esercizio dell'egemonia è un momento rivoluzionario che inizialmente
avviene a livello della sovra-struttura in senso marxiano, ossia politico,
culturale, ideale, morale –, ma poi trapassa nella società nel suo complesso
investendo anche la struttura economica, e dunque tutto il «blocco storico»,
termine che indica l'insieme della struttura e della sovra-struttura, ossia i
rapporti sociali di produzione e i loro riflessi ideologici. Analizzando
la storia di Italia e il Risorgimento in particolare, rileva che la classe
popolare non trova un proprio spazio politico e una propria identità, poiché la
politica dei liberali di Cavour concepì l'unità nazionale come un allargamento
dello Stato piemontese e del patrimonio della dinastia, non come movimento
nazionale dal basso, ma come conquista regia. Rritiene che l'azione della
borghesia avrebbe potuto assumere un carattere rivoluzionario se avesse
acquisito l'appoggio di vaste masse popolari, in particolare dei contadini, che
costituivano la maggioranza della popolazione. Il limite della rivoluzione
borghese in Italia consistette nel non essere capeggiata da un partito
giacobino, come in Francia, dove le campagne, appoggiando la Rivoluzione,
furono decisive per la sconfitta delle forze della reazione aristocratica.
Il partito politico italiano allora più avanzato fu il “Partito d'Azione” di
Mazzini e Garibaldi, che non seppe impostare il problema dell'alleanza delle
forze borghesi progressive con la classe contadina. Garibaldi in Sicilia
distribuì le terre demaniali ai contadini, ma gli stessi garibaldini repressero
le rivolte contadine contro i baroni latifondisti. Per conquistare l'egemonia
contro i moderati guidati dal liberale Cavour, il “Partito d'Azione” avrebbe dovuto
legarsi alle masse rurali, specialmente meridionali, essere giacobino specialmente
per il contenuto economico-sociale. Il collegamento delle diverse classi rurali
che si realizza in un blocco reazionario attraverso i diversi ceti
intellettuali legittimisti-clericali poteva essere dissolto per addivenire ad
una nuova formazione liberale-nazionale solo se si faceva forza in due
direzioni: sui contadini di base, accettandone le rivendicazione di base e
sugli intellettuali degli strati medi e inferiori». Al contrario, i cavourriani
liberali seppero mettersi alla testa della rivoluzione borghese, assorbendo
tanto i radicali che una parte dei loro stessi avversari. Questo avvenne perché
i moderati cavourriani ebbero un rapporto organico con i loro intellettuali che
erano proprietari terrieri e dirigenti industriali come i politici che essi
rappresentavano. Le masse popolari restarono passive nel raggiunto compromesso
fra i capitalisti del Nord e i latifondisti del Sud. Il Piemonte assunse
la funzione di classe dirigente, anche se esistevano altri nuclei di classe
dirigente favorevoli all'unificazione. Questi nuclei non volevano dirigere
nessuno, cioè non volevano accordare i loro interessi e aspirazioni con gli
interessi e aspirazioni di altri gruppi. Volevano dominare, non dirigere e
ancora. Volevano che dominassero i loro interessi, non le loro persone, cioè
volevano che una forza nuova, indipendente da ogni compromesso e condizione,
divenisse arbitra della Nazione: questa forza fu il Piemonte, che ebbe una funzione
paragonabile a quella di un partito. Questo fatto è della massima importanza
per il concetto di “rivoluzione passive”, che cioè non un gruppo sociale sia il
dirigente di altri gruppi, ma che uno stato, sia pure limitato come potenza,
sia il dirigente del gruppo che di esso dovrebbe essere dirigente e possa porre
a disposizione di questo un esercito e una forza politica-diplomatica. Che uno
Stato si sostituisca ai gruppi sociali locali nel dirigere la lotta di
rinnovamento è uno dei casi in cui si ha la funzione di “dominio” e non di
dirigenza di questi gruppi: dittatura senza egemonia. Il concetto di “egemonia”
si distingue da quello di “dittatura”. La dittatura uesta è solo dominio,
quella è capacità di direzione. Non prese mai posizione contro la “dittatura
del proletariato” né espresse critiche significative al regime sovietico in
Russia. Le classi subalterne Gustave Courbet, Lo spaccapietre Le
classi subaltern esotto proletariato, proletariato urbano, rurale e anche parte
della piccola borghesianon sono unificate e la loro unificazione avviene solo
quando giungono a dirigere lo stato, altrimenti svolgono una funzione
discontinua e disgregata nella storia della società civile dei singoli stati,
subendo l'iniziativa dei gruppi dominanti anche quando ad essi si
ribellano. Il "blocco sociale", l'alleanza politica di classi
sociali diverse, formato, in Italia, da industriali, proprietari terrieri,
classi medie, parte della piccola borghesia, non è omogeneo, essendo
attraversato da interessi divergenti, ma una politica opportuna, una cultura e
un'ideologia o un sistema di ideologie impediscono che quei contrasti di
interessi, permanenti anche quando siano latenti, esplodano provocando la crisi
dell'ideologia dominante e la conseguente crisi politica dell'intero sistema di
potere. In Italia, l'esercizio dell'egemonia delle classi dominanti è ed
è stata parziale. Tra le forze che contribuiscono alla conservazione di tale
blocco sociale è la Chiesa, che si batte per mantenere l'unione dottrinale tra
fedeli colti e incolti, tra intellettuali e semplici, tra dominanti e dominati,
in modo da evitare fratture irrimediabili che tuttavia esistono e che essa non
è in realtà in grado di sanare, ma solo di controllare. La Chiesa è sempre
stata la più tenace nella lotta per impedire che ufficialmente si formino due
religioni, quella degli intellettuali e quella delle anime semplici, una lotta
che ha fatto risaltare la capacità organizzatrice nella sfera della cultura del
clero che ha dato derte soddisfazioni alle esigenze della scienza e della
filosofia, ma con un ritmo così lento e metodico che le mutazioni non sono
percepite dalla massa dei semplici, sebbene esse appaiano
"rivoluzionarie" e demagogiche agli "integralisti" ».Anche
la dominante cultura d'impronta idealistica, esercitata dalle scuole
filosofiche di Croce e Gentile, non ha «saputo creare una unità ideologica tra
il basso e l'alto, tra i semplici e gli intellettuali, tanto che essa, anche se
ha sempre considerato la religione una mitologia, non ha nemmeno «entato di
costruire una concezione che potesse sostituire la religione nell'educazione
infantile, e questi pedagogisti, pur essendo non religiosi, non confessionali e
atei, concedono l'insegnamento della religione perché la religione è la
filosofia dell'infanzia dell'umanità, che si rinnova in ogni infanzia non
metaforica. La cultura laica dominante utilizza la religione proprio perché non
si pone il problema di elevare le classi popolari al livello di quelle
dominanti ma, al contrario, intende mantenerle in una posizione di sub-alternità.
Le classi dominanti hanno derubricato a “folklore” la cultura della classe sub-alterna.
Annota nel I Quaderno, che il “folklore”
non deve essere concepito come una bizzarria, una stranezza, una cosa ridicola,
una cosa tutt'al più pittoresca; ma deve essere concepito come una cosa molto seria
e da prendere sul serio, e va studiato in quanto «oncezione del mondo e della
vita di certi strati della società determi tempo e nello spazio, cioè del
popolo inteso come l'insieme della classi strumentale e sub-alterna di ogni
forma di società finora esistita». È dunque necessario mutare lo spirito delle
ricerche folkloriche, oltre che approfondirle ed estenderle. La frattura tra
gli intellettuali e i semplici può essere sanata da quella politica che non
tende a mantenere i semplici nella loro filosofia primitiva del senso comune,
ma invece a condurli a una concezione superiore della vita. L'azione politica
realizzata dalla «filosofia della prassi» così chiama il marxismo, non solo per
l'esigenza di celare quanto scrive alla repressiva censura carceraria opponendosi
alle culture dominanti della Chiesa e dell'idealismo, può condurre i subalterni
a una superiore concezione della vita. Se afferma l'esigenza del contatto tra
intellettuali e semplici non è per limitare l'attività scientifica e per
mantenere una unità al basso livello delle masse, ma appunto per costruire un
blocco intellettuale e morale che renda politicamente possibile un progresso
intellettuale di massa e non solo di scarsi gruppi intellettuali. La via che
conduce all'egemonia del proletariato passa dunque per una riforma culturale e
morale della società. Tuttavia l'uomo attivo di massa, cioè la classe
operaia, non è, in generale, consapevole né della funzione che può svolgere né
della sua condizione reale di sub-ordinazione, Il proletariat non ha una chiara
coscienza di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma.
La sua coscienza anzi può essere in contrasto col suo operare. Esso opera
praticamente e nello stesso tempo ha una coscienza ereditata dal passato,
accolta per lo più in modo acritico. La reale comprensione di sé avviene attraverso
una lotta di egemonie politiche, di direzioni contrastanti, prima nel campo
dell'etica, poi della politica per giungere a una elaborazione superiore della
propria concezione del reale. La coscienza politica, cioè l'essere parte di una
determinata forza egemonica, è la prima fase per una ulteriore e progressiva
auto-coscienza dove teoria e pratica finalmente si unificano. Ma auto-coscienza
significa creazione di un gruppo di intellettuali, organici alla classe, perché
per distinguersi e rendersi indipendenti occorre organizzarsi, e non esiste
organizzazione senza intellettuali, uno strato di persone specializzate
nell'elaborazione concettuale e filosofica. Già Machiavelli indica nei moderni
Stati unitari europei l'esperienza che l'Italia avrebbe dovuto far propria per
superare la drammatica crisi emersa nelle guerre che devastarono la penisola
dalla fine del Quattrocento. “Il Principe” di Machiavelli non esisteva nella
realtà storica, non si presentava al popolo italiano con caratteri di
immediatezza obiettiva. E una pura astrazione dottrinaria, il simbolo del capo,
del condottiero ideale. Ma gli elementi passionali, mitici si riassumono e diventano
vivi nella conclusione, nell'invocazione di un principe realmente esistente. In
Italia non si ebbe una monarchia assoluta che unificasse la nazione perché
dalla dissoluzione della borghesia comunale si creò una situazione interna
economico-corporativa, politicamente la peggiore delle forme di società
feudale, la forma meno progressiva e più stagnante. Mancò sempre, e non poteva
costituirsi, una forza giacobina efficiente, la forza appunto che a Francia ha
suscitato e organizzato la volontà collettiva nazional-popolare e ha fondato lo
stato moderno. A questa forza progressiva si oppose in Italia la «borghesia
rurale, eredità di parassitismo lasciata ai tempi moderni dallo sfacelo, come
classe, della borghesia comunale. Forze progressive sono i gruppi sociali
urbani con un determinato livello di cultura politica, ma non sarà possibile la
formazione di una volontà collettiva nazionale-popolare, se le grandi masse dei
contadini lavoratori non irrompono simultaneamente nella vita politica. Ciò
intendeva Machiavelli attraverso la riforma della milizia, ciò fecero i
giacobini nella Rivoluzione francese. In questa comprensione è da identificare
un giacobinismo precoce del Machiavelli, il germe, più o meno fecondo, della
sua concezione della rivoluzione nazionale. Modernamente, il Principe invocato
dal Machiavelli non può essere un individuo reale, concreto, ma un organismo e
questo organismo è già dato dallo sviluppo storico ed è il partito politico: la
prima cellula in cui si riassumono dei germi di volontà collettiva che tendono
a divenire universali e totali. Il partito è l'organizzatore di una riforma
intellettuale e morale, che concretamente si manifesta con un programma di riforma
economica, divenendo così la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione
di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume. Perché un partito esista, e
diventi storicamente necessario, devono confluire in esso tre elementi
fondamentali. Primo, un elemento diffuso, di uomini comuni, medi, la cui
partecipazione è offerta dalla disciplina e dalla fedeltà, non dallo spirito
creativo ed altamente organizzativo essi sono una forza in quanto c'è chi li
centralizza, organizza, disciplina, ma in assenza di questa forza coesiva si
sparpaglierebbero e si annullerebbero in un pulviscolo impotente. Secondo, L'elemento
coesivo principale dotato di forza altamente coesiva, centralizzatrice e
disciplinatrice e anche, anzi forse per questo, inventiva da solo questo
elemento non formerebbe un partito, tuttavia lo formerebbe più che il primo
elemento considerato. Si parla di capitani senza esercito, ma in realtà è più
facile formare un esercito che formare dei capitani». Terzo, Un elemento medio,
che articoli il primo col secondo elemento, che li metta a contatto, non solo
fisico, ma morale e intellettuale. Gramsci negli scritti compresi ribadì i
principi espressi dalla Terza Internazionale, insistendo sulla disciplina
ferrea del partito e contestando qualsiasi forma di frazionismo. Socialisti e
sindacalisti venivano pesantemente criticati e messi sullo stesso piano del
regime fascista. Tutti gli uomini sono intellettuali, dal momento che non
c'è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale. Nn
si può separare l'homo faber dall'homo sapiens, in quanto, indipendentemente
della sua professione specifica, ognuno è a suo modo un filosofo, un artista,
un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole
linea di condotta morale, ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione
dell’ intellettuale. Storicamente si
formano particolari categorie di intellettuali, specialmente in connessione coi
gruppi sociali più importanti e subiscono elaborazioni più estese e complesse
in connessione col gruppo sociale dominante. Un gruppo sociale che tende
all'egemonia lotta per l'assimilazione e la conquista ideologica degli intellettuali
tradizionali tanto più rapida ed efficace quanto più il gruppo dato elabora
simultaneamente i propri intellettuali organici. L'intellettuale tradizionale è
il letterato, il filosofo, l'artista e perciò i giornalisti, che ritengono di
essere letterati, filosofi, artisti, ritengono anche di essere i veri
intellettuali, mentre modernamente è la formazione tecnica a formare la base
del nuovo tipo di intellettuale, un costruttore, organizzatore, persuasorema
non assolutamente il vecchio oratore, formatosi sullo studio dell'eloquenza motrice
esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni il quale deve giungere dalla
tecnica-lavoro alla tecnica-scienza e alla concezione umanistica storica, senza
la quale si rimane specialista e non si diventa dirigente. Il gruppo sociale
emergente, che lotta per conquistare l'egemonia politica, tende a conquistare
alla propria ideologia l'intellettuale tradizionale mentre, nello stesso tempo,
forma i propri intellettuali organici. L'organicità degli intellettuali si
misura con la maggiore o minore connessione con il gruppo sociale cui essi
fanno riferimento. Essi operano tanto nella società civilel'insieme degli
organismi privati in cui si dibattono e si diffondono le ideologie necessarie
all'acquisizione del consenso, apparentemente dato spontaneamente dalle grandi
masse della popolazione alle scelte del gruppo sociale dominante quanto nella
società politica, dove si esercita il dominio diretto o di comando che si
esprime nello Stato e nel governo giuridico. Gli intellettuali sono così i
commessi del gruppo dominante per l'esercizio delle funzioni sub-alterne
dell'egemonia sociale e del governo politico, cioè, primo, del consenso
spontaneo dato dalle grandi masse della popolazione all'indirizzo impresso alla
vita sociale dal gruppo fondamentale dominante; secondo, dell'apparato di
coercizione statale che assicura legalmente la disciplina di quei gruppi che
non consentono. Come lo Stato, nella società politica, tende a unificare gli
intellettuali tradizionali con quelli organici, così nella società civile il
partito politico, ancor più compiutamente e organicamente dello Stato, elabora i
propri componenti, elementi di un gruppo sociale nato e sviluppatosi come
economico, fino a farli diventare intellettuali politici qualificati,
dirigenti, organizzatori di tutte le attività e le funzioni inerenti
all'organico sviluppo di una società integrale, civile e politica. Il compito
della riforma intellettuale e morale non potrà che essere ancora degli
intellettuali organici, non cristallizzati, che la determineranno e
organizzeranno, adeguando la cultura anche alle sue funzioni pratiche,
addivenendo a una nuova organizzazione della cultura. Il partito comunista si
pone come sintesi attiva di questo processo: intellettuale collettivo di
avanguardia, la direzione politica di classe lotterà per l'egemonia. Il partito
comunista, per Gramsci, è intellettuale collettivo; e l'intellettuale comunista
è organico alla classe e dunque a questo collettivo perché fa parte del blocco
storico-sociale che deve costruire il nuovo mondo. Pur essendo sempre
stati legati alle classi dominanti, ottenendone spesso onori e prestigio, gli
intellettuali italiani non si sono mai sentiti organici, hanno sempre
rifiutato, in nome di un loro astratto cosmopolitismo, ogni legame con il
popolo, del quale non hanno mai voluto riconoscere le esigenze né interpretare
i bisogni culturali. In molte linguein russo, in tedesco, in franceseil
significato dei termini «nazionale» e «popolare» coincidono: «in Italia, il
termine nazionale ha un significato molto ristretto ideologicamente e in ogni
caso non coincide con popolare, perché in Italia gli intellettuali sono lontani
dal popolo, cioè dalla nazione e sono invece legati a una tradizione di casta,
che non è mai stata rotta da un forte movimento popolare o nazionale dal basso:
la tradizione è libresca e astratta e l'intellettuale tipico moderno si sente
più legato ad Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese
o siciliano. Si è assistito a un fiorire della letteratura popolare, dai
romanzi di appendice del Sue o di Ponson du Terrail, ad Alexandre Dumas, ai
racconti polizieschi inglesi e americani; con maggior dignità artistica, alle
opere del Chesterton e di Dickens, a quelle di Victor Hugo, di Émile Zola e di
Honoré de Balzac, fino ai capolavori di Dostoevskij e di Tolstoj. Nulla di
tutto questo in Italia. In Italia, la letteratura non si è diffusa e non è
stata popolare, per la mancanza di un blocco nazionale intellettuale e morale
tanto che l'elemento intellettuale italiano è avvertito come “più straniero
degli stranieri stessi”. Fa eccezione,
per Gramsci, il melodrama verista (“Cavalleria rusticana”, “Pagliacci”), che ha
tenuto in qualche modo in Italia il ruolo nazionale-popolare sostenuto altrove
dalla letteratura. Il pubblico icerca la sua letteratura all'estero perché la sente
più sua di quella italiana: è questa la dimostrazione del distacco, in Italia,
fra pubblico e scrittori. Ogni popolo ha la sua letteratura, ma essa può venirgli
da un altro popolo può essere subordinato all'egemonia intellettuale e morale
di altri popoli. È questo spesso il paradosso più stridente per molte tendenze
monopolistiche di carattere nazionalistico e repressivo: che mentre si
costruiscono piani grandiosi di egemonia, non ci si accorge di essere oggetto
di una egemonia straniera. Così come, mentre si fanno piani imperialistici, in
realtà si è oggetto di altri imperialism.. Hanno fallito nel compito di
elaborare la coscienza morale del popolo, non diffondendo in esso un moderno
umanesimo. La insufficienza dell’intelletuale è «uno degli indizi più
espressivi dell'intima rottura che esiste tra la religione e il popolo. Questo
si trova in uno stato miserrimo di indifferentismo e di assenza di una vivace
vita spirituale. La religione è rimasta allo stato di superstizione l'Italia
popolare è ancora nelle condizioni create immediatamente dalla Contro-Riforma.
La religione, tutt'al più, si è combinata col folclore pagano ed è rimasta in
questo stadio. Sono rimaste famose le note di Gramsci sul Manzoni: lo scrittore
più autorevole, più studiato nelle scuole e probabilmente il più popolare, è una
dimostrazione del carattere elitista della letteratura italiana. Ecco le parole
dai Quaderni del carcere, confrontandolo con Tolstoj. Il carattere
aristocratico di Manzoni appare dal compatimento scherzoso verso le figure di
uomini del popolo (ciò che non appare in Tolstoj), come fra Galdino (in
confronto di frate Cristoforo), il sarto, Renzo, Agnese, Perpetua, la stessa
Lucia i popolani, per Manzoni, non hanno vita interiore, non hanno personalità
morale profonda; essi sono animali. Manzoni è benevolo verso di loro proprio
della benevolenza di una società di protezione di animali niente dello spirito
popolare di Tolstoi, cioè dello spirito evangelico del cristianesimo primitivo.
L'atteggiamento di Manzoni verso i suoi popolani è l'atteggiamento della Chiesa
Cattolica verso il popolo: di condiscendente benevolenza, non di immediatezza
umana vede con occhio severo tutto il popolo, mentre vede con occhio severo i
più di coloro che non sono popolo; egli trova magnanimità, alti pensieri,
grandi sentimenti, solo in alcuni della classe alta, in nessuno del popolo non
c'è popolano che non venga preso in giro e canzonato. Vita interiore hanno solo
i signori: fra Cristoforo, il Borromeo, l'Innominato, lo stesso don Rodrigo il
suo atteggiamento verso il popolo e elitista ed aristocratico. Una classe che
muova alla conquista dell'egemonia non può non creare una nuova cultura, che è
essa stessa espressione di una nuova vita morale, un nuovo modo di vedere e
rappresentare la realtà; naturalmente, non si possono creare artificialmente
artisti che interpretino questo nuovo mondo culturale, ma «un nuovo gruppo
sociale che entra nella vita storica con atteggiamento egemonico, con una
sicurezza di sé che prima non aveva, non può non suscitare dal suo seno
personalità che prima non avrebbero trovato una forza sufficiente per esprimersi
compiutamente. Intanto, nella creazione di una nuova cultura, è parte la
critica della civiltà letteraria presente, e vede nella critica svolta da Sanctis
un esempio privilegiato. La critica di Sanctis è militante, non frigidamente
estetica, è la critica di un periodo di lotte culturali, di contrasti tra
concezioni della vita antagonistiche. Le analisi del contenuto, la critica
della struttura delle opere, cioè della coerenza logica e storica-attuale delle
masse di sentimenti rappresentati artisticamente, sono legate a questa lotta
culturale: proprio in ciò pare consista la profonda umanità e l'umanesimo di Sanctis.
Piace sentire in lui il fervore appassionato dell'uomo di parte che ha saldi
convincimenti morali e politici e non li nasconde. Sanctis opera nel periodo
risorgimentale, in cui si lotta per creare una nuova cultura: di qui la
differenza con Croce, che vive sì gli stessi motivi culturali, ma nel periodo
della loro affermazione, per cui la passione e il fervore romantico si sono
composti nella serenità superiore e nell'indulgenza piena di bonomia. Quando
poi quei valori culturali, così affermatisi, sono messi in discussione, allora
in Croce sub-entra una fase in cui la serenità e l'indulgenza s'incrinano e
affiora l'acrimonia e la collera a stento repressa: fase difensiva non
aggressiva e fervida, e pertanto non confrontabile con quella di Sanctis. Una
critica letteraria marxistica può avere nel critico campano un esempio, dal
momento che essa deve fondere, come Sanctis fece, la critica estetica con la
lotta per una cultura nuova, criticando il costume, i sentimenti e le ideologie
espresse nella storia della letteratura, individuandone le radici nella società
in cui quegli scrittori si trovavano a operare. Non a caso, progettava
nei suoi Quaderni un saggio che intendeva intitolare «I nipotini di padre Bresciani»,
dal nome di Bresciani, tra i fondatori e direttore della rivista La Civiltà
Cattolica e scrittore di romanzi popolari d'impronta reazionaria; uno di essi,
L'ebreo di Verona, fu stroncato in un famoso saggio di Sanctis. I nipotini di padre Bresciani sono gli
intellettuali e i letterati contemporanei portatori di una ideologia reazionaria
con un «carattere tendenzioso e propagandistico apertamente confessato». Fra i
«nipotini»individua, oltre a molti scrittori ormai dimenticati, Antonio
Beltramelli, Ugo Ojetti, la codardia intellettuale dell'uomo supera ogni misura
normale, Panzini, Bellonci, Bontempelli, Fracchia, Baratono -- l'agnosticismo
del Baratono non è altro che vigliaccheria morale e civile -- teorizza solo la
propria impotenza estetica e filosofica e la propria coniglieria – Bacchelli --
nel Bacchelli c'è molto brescianesimo, non solo politico-sociale, ma anche
letterario: la Ronda fu una manifestazione di gesuitismo artistico -- Salvator
Gotta --di Salvator Gotta si può dire ciò che il Carducci scrisse del
Rapisardi: Oremus sull'altare e flatulenze in sagrestia; tutta la sua
produzione letteraria è brescianesca», Ungaretti. La vecchia generazione
degli intellettuali è fallita (Papini, Prezzolini, Soffici, ecc.) ma ha avuto
una giovinezza. La generazione attuale non ha neanche questa età delle
brillanti promesse, Rosa, Angioletti, Malaparte, ecc.). Asini brutti anche da
piccoletti. Croce, il più autorevole intellettuale dell'epoca, da alla
borghesia italiana gli strumenti culturali più raffinati per delimitare i
confini fra gli intellettuali e la cultura italiana, da una parte, e il
movimento operaio e socialista dall'altra; è allora necessario mostrare e
combattere la sua funzione di maggior rappresentante dell'egemonia culturale
che il blocco sociale dominante esercita nei confronti del movimento operaio
italiano. Come tale, Croce combatte il marxismo, cercando di negarne validità
nell'elemento che egli individua come decisivo: quello dell'economia. Il Capitale
di Marx sarebbe per Croce un'opera di morale e non di scienza, un tentativo di
dimostrare che la società capitalistica è immorale, diversamente dalla
comunista, in cui si realizzerebbe la piena moralità umana e sociale. La non-scientificità
dell'opera maggiore di Marx sarebbe dimostrata dal concetto del “plusvalore.” Per
Croce, solo da un punto di vista morale si può parlare di “plusvalore” rispetto
al “valore”, legittimo concetto economico. Questa critica del Croce è in
realtà un semplice sofisma. Il “plusvalore” è esso stesso valore, è la
differenza tra il valore delle merci prodotte dal lavoratore e il valore della
forza-lavoro del lavoratore stesso. Del resto, la teoria del valore di Marx
deriva direttamente da quella dell'economista liberale Ricardo la cui teoria
del valore-lavoro non sollevò nessuno scandalo quando fu espressa, perché
allora non rappresentava nessun pericolo, appariva solo, come era, una
constatazione puramente oggettiva e scientifica. Il valore polemico e di
educazione morale e politica, pur senza perdere la sua oggettività, dove acquistarla
solo con la Economia critica. La filosofia crociana si qualifica come
storicismo, ossia, seguendo Vico, la realtà è storia e tutto ciò che esiste è
necessariamente storico ma, conformemente alla natura idealistica della sua
filosofia, la storia è storia dello Spirito, dunque storia speculativa, di astrazionistoria
della libertà, della cultura, del progresso non è la storia concreta delle
nazioni e delle classi. La storia speculativa può essere considerata come un
ritorno, in forme letterarie rese più scaltre e meno ingenue dallo sviluppo
della capacità critica, a modi di storia già caduti in discredito come vuoti e
retorici e registrati in diversi libri dello stesso Croce. La storia
etico-politica, in quanto prescinde dal concetto di blocco storico, in cui
contenuto economico-sociale e forma etico-politica si identificano
concretamente nella ricostruzione dei vari periodi storici, è niente altro che
una presentazione polemica di filosofemi più o meno interessanti, ma non è
storia la storia di Croce rappresenta figure disossate, senza scheletro, dalle
carni flaccide e cascanti anche sotto il belletto delle veneri letterarie dello
scrittore. L'operazione conservatrice di Croce storico fa il paio con quella di
Croce filosofo. Se la dialettica dell'idealista Hegel era una dialettica dei
contrariuno svolgimento della storia che procede per contraddizioni la
dialettica crociana è una dialettica dei distinti: commutare la contraddizione
in distinzione significa operare un'attenuazione, se non un annullamento dei
contrasti che nella storia, e dunque nelle società, si presentano. Tale
operazione si manifesta nelle opere storiche di Croce. La sua Storia d'Europa,
iniziando e tagliando fuori il periodo della Rivoluzione francese e quello
napoleonico, non è altro che un frammento di storia, l'aspetto passivo della
grande rivoluzione che si iniziò in Francia nel 1789, traboccò nel resto
d'Europa con le armate repubblicane e napoleoniche, dando una potente spallata
ai vecchi regimi e determinandone non il crollo immediato come in Francia, ma
la corrosione riformistica che durò fino al 1870. Analoga è l'operazione
operata dal Croce nella sua Storia d'Italia la quale affronta unicamente il
periodo del consolidamento del regime dell'Italia unita e si «prescinde dal
momento della lotta, dal momento in cui si elaborano e radunano e schierano le
forze in contrasto in cui un sistema etico-politico si dissolve e un altro si
elabora in cui un sistema di rapporti sociali si sconnette e decade e un altro
sistema sorge e si afferma, e invece Croce assume placidamente come storia il
momento dell'espansione culturale o etico-politico. Gramsci, fin dagli anni
universitari, fu un deciso oppositore di quella concezione fatalistica e
positivistica del marxismo, presente nel vecchio partito socialista, per la
quale il capitalismo necessariamente era destinato a crollare da sé, facendo
posto a una società socialista. Questa concezione mascherava l'impotenza
politica del partito della classe subalterna, incapace di prendere l'iniziativa
per la conquista dell'egemonia. Anche il manuale del bolscevico russo Nikolaj
Bucharin, eLa teoria del materialismo storico manuale popolare di sociologia,
si colloca nel filone positivistico. La sociologia è stata un tentativo di
creare un metodo della scienza storico-politica, in dipendenza di un sistema filosofico
già elaborato, il positivismo evoluzionistico è diventata la filosofia dei non
filosofi, un tentativo di descrivere e classificare schematicamente i fatti
storici, secondo criteri costruiti sul modello delle scienze naturali. La
sociologia è dunque un tentativo di ricavare sperimentalmente le leggi di
evoluzione della società umana in modo da prevedere l'avvenire con la stessa
certezza con cui si prevede che da una ghianda si svilupperà una quercia.
L'evoluzionismo volgare è alla base della sociologia che non può conoscere il
principio dialettico col passaggio dalla quantità alla qualità, passaggio che
turba ogni evoluzione e ogni legge di uniformità intesa in senso volgarmente
evoluzionistico. La comprensione della realtà come sviluppo della storia umana
è solo possibile utilizzando la dialettica marxiana della quale non vi è
traccia nel Manuale del Bucharin perché essa coglie tanto il senso delle
vicende umane quanto la loro provvisorietà, la loro storicità determinata dalla
prassi, dall'azione politica che trasforma le società. Le società non si
trasformano da sé. Già Marx aveva rilevato come nessuna società si ponga
compiti per la cui soluzione non esistano già le condizioni almeno in via di
apparizione né essa si dissolve, se prima non ha svolto tutte le forme di vita
che le sono implicite. Il rivoluzionario si pone il problema di individuare
esattamente i rapporti tra struttura e sovrastruttura per giungere a una
corretta analisi delle forze che operano nella storia di un determinato
periodo. L'azione politica rivoluzionaria, la prassi, è anche catarsi che segna
l passaggio dal momento meramente economico (o egoistico-passionale) al momento
etico-politico cioè l'elaborazione superiore della struttura in super-struttura
nella coscienza degli uomini. Ciò significa anche il passaggio dall'oggettivo
al soggettivo e dalla necessità alla libertà. La struttura, da forza esteriore
che schiaccia l'uomo, lo assimila a sé, lo rende passivo, si trasforma in mezzo
di libertà, in strumento per creare una nuova forma etico-politica, in origine
di nuove iniziative. La fissazione del momento catartico diventa così il punto di partenza di tutta la filosofia
della prassi; il processo catartico coincide con la catena di sintesi che sono
risultate dallo svolgimento dialettico. La dialettica è dunque strumento di
indagine storica, che supera la visione naturalistica e meccanicistica della
realtà, è unione di teoria e prassi, di conoscenza e azione. La dialettica è dottrina
della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della scienza della
politica e può essere compresa solo concependo il marxismo come una filosofia
integrale e originale che inizia una nuova fase nella storia e nello sviluppo
mondiale in quanto supera (e superando ne include in sé gli elementi vitali)
sia l'idealismo che il materialismo tradizionali espressione delle vecchie
società. Se la filosofia della prassi [il marxismo] non è pensata che
subordinatamente a un'altra filosofia, non si può concepire la nuova
dialettica, nella quale appunto quel superamento si effettua e si esprime. Il
vecchio materialismo è metafisica; per il senso comune la realtà oggettiva,
esistente indipendentemente dall'uomo, è un ovvio assioma, confortato
dall'affermazione della religione per la quale il mondo, creato da Dio, si
trova già dato di fronte a noi. Ma va rifiutata «la concezione della realtà
oggettiva del mondo esterno nella sua forma più triviale e acritica» dal
momento che «a questa può essere mossa l'obbiezione di misticismo». Se noi
conosciamo la realtà in quanto uomini, ed essendo noi stessi un divenire
storico, anche la conoscenza e la realtà stessa sono un divenire. Come
potrebbe esistere un'oggettività extrastorica ed extraumana e chi giudicherà di
tale oggettività? La formulazione di Engels che l'unità del mondo consiste
nella sua materialità dimostrata dal lungo e laborioso sviluppo della filosofia
e delle scienze naturali contiene appunto il germe della concezione giusta,
perché si ricorre alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva. Oggettivo
significa sempre umanamente oggettivo, ciò che può corrispondere esattamente a storicamente
soggettivo. L'uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per
tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario;
ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle
contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono
la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie. C'è
dunque una lotta per l'oggettività (per liberarsi dalle ideologie parziali e
fallaci) e questa lotta è la stessa lotta per l'unificazione culturale del
genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano spirito non è un punto di partenza
ma di arrivo, l'insieme delle soprastrutture in divenire verso l'unificazione
concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario». La
formazione linguistica di Antonio Gramsci inizia durante gli anni universitari
a Torino con la frequentazione delle lezioni di Bartoli. Gramsci apprende che
la lingua è un prodotto “sociale" e che non può essere studiata senza
tenere conto della storia generale: ciò vuol dire che non è possibile comprendere
i mutamenti di una lingua senza riflettere sui mutamenti sociali, culturali e
politici della popolazione che la parla. È stato notato che fece aderire le
teorie apprese da Bartoli alle letture filosofiche che lo formarono
politicamente; in primo luogo all'Ideologia Tedesca di Marx, dove Marx afferma
che il tessco, come la coscienza dei tedesci, appartiene alla sfera degli
istituti sovra-strutturali, cioè al mondo dell'organizzazione politica e
giuridica della società. Le più interessanti riflessioni linguistiche
gramsciane sono contenute nei Quaderni del carcere e riguardano da una parte la
questione delle lingue in Italia, ovvero lo studio delle ragioni che hanno reso
difficile la diffusione di una lingua per la nazione o tutta la poppolazione,
dall'altra il tema dell'insegnamento linguistico nelle scuole primarie.
Soprattutto il secondo tema è di fondamentale importanza per Gramsci, perché
riguarda direttamente il riscatto culturale delle grandi masse popolari e la
creazione di uno spirito nazionale in grado di superare ogni forma di
particolarismo regionale. I Quaderni del carcere sono costellati in
maniera asistematica di molte note dedicate a problemi di caratteri
linguistico; queste note tracciano una vera e propria storia della lingua
italiana e racchiudono le riflessioni di Gramsci in merito alla cosiddetta
questione della lingua in Italia. Questo tipo di argomento si riallaccia a un
altro importante tema dei Quaderni ovvero lo studio delle responsabilità degli
intellettuali italiani per la formazione di uno spirito nazionale unitario. A
tal proposito Gramsci scrive: «mi pare che, intesa la lingua come elemento
della cultura e quindi della storia generale e come manifestazione precipua
della nazionalità e popolarità degli intellettuali, questo studio non sia ozioso
e puramente erudito». Nell'affrontare una ricostruzione storica delle vicende
linguistiche italiane Gramsci cerca dei termini di confronto con altri paesi
europei come la Francia: mentre in Francia il volgare viene usato per la prima
volta nella storia per redigere un documento ufficiale di carattere
politico-istituzionale, in Italia il volgare appare per la registrazione di
documenti privati legati al commercio o a questioni giuridiche:
«l'origine della differenziazione storica tra Italia e Francia si può trovare
testimoniata nel giuramento di Strasburgo, cioè nel fatto che il popolo
partecipa attivamente alla storia (il popolo-esercito) diventando il garante
dell'osservanza dei trattati tra i discendenti di Carlo Magno; il
popolo-esercito garantisce giurando in volgare, cioè introduce nella storia
nazionale la sua lingua, assumendo una funzione politica di primo piano,
presentandosi come volontà collettiva, come elemento di una democrazia
nazionale. Questo fatto demagogico dei Carolingi di appellarsi al popolo nella
loro politica estera è molto significativo per comprendere lo sviluppo della
storia francese e la funzione che vi ebbe la monarchia come fattore nazionale.
In Italia i primi documenti di volgare sono dei giuramenti individuali per
fissare la proprietà su certe terre dei conventi, o hanno un carattere
antipopolare («Traite, traite, fili de le putte»).» (Quaderni del
carcere, V. Gerratana, Torino, Einaudi) In Francia i gruppi dirigenti si
rendono conto dell'importanza del popolo negli affari di Stato: la demagogia di
cui parla Gramsci è da intendere, oltre che come strumento di propaganda, anche
come un nuovo atteggiamento politico in grado di crearsi «una propria civiltà
statale integrale», in cui si stabilisce un rapporto diretto tra governati e
governanti: il popolo diventa testimone di un fatto storico legittimato dal suo
giuramento. Ricorda nei suoi appunti come in Italia l'uso del volgare si
diffonda con l'avvento dell'età comunale, non solo per la redazione di
documenti privati, tipo atti notarili o giuramenti, ma anche per la creazione
di opere letterarie: in particolare, il volgare toscano, lingua della
borghesia, ottiene un certo successo anche nelle altre regioni. Firenze
esercita una egemonia culturale, connessa alla sua egemonia commerciale e
finanziaria. Bonifazio VIII dice che i fiorentini sono il quinto elemento del
mondo. C'è uno sviluppo linguistico unitario dal basso, dal popolo alle persone
colte, rinforzato dai grandi scrittori fiorentini e toscani. Dopo la decadenza
di Firenze, l'italiano diventa sempre più la lingua di una casta chiusa, senza
contatto vivo con una parlata storica.” Da questo momento si verifica una
cristallizzazione della lingua. I promotori del nuovo volgare, provenienti
dalla borghesia, non scrivono più nella lingua della loro classe d'origine perché
con essa non intrattengono più nessun rapporto, nella visione di Gramsci essi
“vengono assorbiti dalle classi reazionarie, dalle corti, non sono letterati
borghesi, ma aulici.” In questo senso, vede sciupata l'occasione di una
diffusione graduale del volgare toscano su scala nazionale, occasione
compromessa soprattutto dalla frammentazione politica della penisola e dal
carattere “elitario” del ceto intellettuale italianio. Affronta con maggior
vigore la questione delle lingue in relazione al periodo post-unitario. Nella
seconda metà dell'Ottocento, lo stato e per gran parte “dialettofono”, mentre
la lingua della nazione venne usata solo a livello letterario e come lingua
delle istituzioni. La scarsa diffusione di una lingua per la nazione testimonia
la frammentazione politica e culturale della popolazione italiana. Questo
fenomeno venne avvertito come un problema politico, soprattutto da molti
intellettuali di tendenze democratiche come Manzoni. Nella sua ricostruzione
storica Gramsci scrive che “anche la questione delle lingue posta da Manzoni riflette questo problema, il problema
della unità intellettuale e morale della nazione e dello stato, ricercato
nell'unità della lingua.” Eppure, sebbene Gramsci riconosca al Manzoni di aver
compreso la questione linguistica italiana come una questione politica e
sociale, si distingue da lui nel modo di interpretare la risoluzione del problema. Durante
il suo apprendistato glottologico presso Bartoli a Torino ha modo di
confrontare le posizioni del Manzoni con quelle di Ascoli, del “Archivio Glottologico.”
Mentre Manzoni prevede la diffusione di una lingua per la nazione sul modello
fiorentino imposta per decreto statale e per mezzo di maestri di scuola di
origine toscana, Ascoli concepiva la nascita di una lingua nazionale come il
frutto di un'unificazione culturale prima ancora che linguistica. Secondo
Ascoli l'unità culturale e linguistica, prima di tutto, deve avere un centro
irradiante, cioè un determinato 'municipio' in cui si concentrano e da cui
provengono gli elementi essenziali della vita nazionale: beni di consumo,
stimoli culturali, mode, ritrovati della tecnica, istituti statali e giuridici,
ecc. Se quel dato municipio riuscirà a stabilire un primato politico, economico
e culturale su tutta la nazione, riuscirà anche a diffondere, per conseguenza,
il suo particolare idioma. Per Ascoli, una lingua nazionale altro non può e non
deve essere, se non l'idioma vivo di una data città. Deve cioè per ogni parte
coincidere con l'idioma spontaneamente parlato dagli abitatori contemporanei di
quel dato municipio, che per questo capo viene a farsi principe, o quasi
stromento livellatore, dell'intiera nazione. Ascoli, nel suo Proemio, prende la
Francia come esempio per avvalorare la sua tesi. Infatti, l'unità linguistica
di Francia corrisponde all'egemonia politico-culturale di Parigi. La Francia
attinge da Parigi la unità della sua favella, perché Parigi è il gran crogiuolo
in cui si è fusa e si fonde l'intelligenza della Francia intera. Dal
vertiginoso movimento del municipio parigino parte ogni impulso dell'universa
civiltà francese. Viene da Parigi il nome, perché da Parigi vien la cosa. E la
Francia avendo in questo municipio l'unità assorbente del suo pensiero, vi ha
naturalmente pur quella dell'animo suo; e non solo studia e lavora, ma si
commuove, e in pianto e in riso, così come la metropoli vuole. E quindi è
necessariamente dell'intiera Francia l'intiera favella di Parigi. Gramsci
ricalca la lezione ascoliana nei suoi Quaderni. Poiché il processo di
formazione, di diffusione, e di sviluppo di una lingua nazionale unitaria
avviene attraverso tutto un complesso di processi molecolari, è utile avere
consapevolezza di tutto il processo nel suo complesso, per essere in grado di
intervenire attivamente in esso col massimo di risultato. Questo intervento non
bisogna considerarlo come decisivo e immaginare che i fini proposti saranno
tutti raggiunti nei loro particolari, che cioè si otterrà una determinata
lingua unitaria. Si otterrà una lingua unitaria, se essa è una necessità e l'intervento
organizzato accelera i tempi del processo già esistente. Quale sia per essere
questa lingua non si può prevedere e stabilire. Alla nota Focolai di
irradiazione linguistiche nella tradizione e di un conformismo nazionale linguistico
nelle grandi masse, compila un elenco di tutti gli strumenti utili alla diffusione
di una lingua unitaria. Primo, La scuola. Secondo, i giornali. Terzo, gli scrittori d'arte e quelli popolari.
Quarto, il teatro e il cinematografo sonoro. Quinto, la radio. Sesto, le riunioni
pubbliche di ogni genere, comprese quelle religiose. Settimo, I rapporti di ‘conversazione’
tra i vari strati della popolazione più colti e meno colti. Ottavo, i dialetti
locali, intesi in sensi diversi (dai dialetti più localizzati a quelli che
abbracciano complessi regionali più o meno vasti: così il napoletano per
l'Italia meridionale, il palermitano o il catanese per la Sicilia ecc. Al primo
posto di questo elenco troviamo la scuola. Per tradizione, a scuola, gli
insegnanti introducono gli alunni allo studio di una lingua attraverso la
grammatica “normativa”. Gramsci definisce la grammatica normativa come una fase
esemplare, come la sola degna di diventare, organicamente e totalitarmente, la
lingua comune di una nazione, in lotta e in concorrenza con le altre fasi e
tipi o schemi che esistono già. Le riflessioni gramsciane in materia di
grammatica si pongono in netto contrasto con la riforma della scuola realizzata
da Gentile, di basi griceiana. La riforma, in linea con l'impianto idealista
gentiliano, prevede che l'apprendimento della lingua della nazione nelle classi
elementari si basasse su quello chi Gentile chiama la “espressione” viva o parlata
e non sulla grammatical normativa, considerata questa come una disciplina “astratta”
e meccanica. Nell'ottica di Gramsci il metodo apparentemente liberale di
Gentile-Grice, racchiude uno spiccato carattere “classista” o elitist, in
quanto gli scolari appartenenti alle classi sociali più alte sono avvantaggiati
dal fatto che apprendono l'italiano in famiglia, mentre gli scolari del basso
popolo possono contare su una comunicazione familiare realizzata esclusivamente
in “dialetto” --. In questo senso la grammatica normativa si presenta come uno
strumento in grado di livellare le differenze sociali permettendo a tutti la
conoscenza della lingua della nazione. Secondo Gramsci la conoscenza
della lingua della nazione presso le classi sub-alterne è fondamentale per la
loro organizzazione politica. Un proletariato “dialettofono” non può
partecipare alla vita politica di una nazione e non può sperare di crearsi un
ceto intellettuale in grado di competere con i ceti intellettuali tradizionali.
Il dialetto non deve sparire, ma restare funzionali a un tipo di comunicazione
familiare o locale che non può garantire, per cause interne al suo sistema, «la
comunicazione di un contenuto culturale ‘universale’, caratteristico della
nuova cultura esercitata dal proletariato. Gramsci prestò attenzione anche
alla lingua dell’impero romano. Espresse in più occasioni che lo studio del
latino fosse particolarmente utile nella formazione filosofica, in quanto
abituare il filosofo allo studio rigoroso e a pensare storicamente. Contesta il
“nazionalismo” degli studi e criticò ripetutamente gli intellettuali che,
durante la prima guerra mondiale, chiedevano che fossero messe al bando le
edizioni dei testi romani e la grammatica latina compilate da autori tedeschi! Anche
nei Quaderni del carcere si sofferma sulla questione e ribadì l'utilità intrinseca
della antica lingua romana, osservando che e uno strumento importante nella fase
della formazione filosofica nella quale è necessario un insegnamento
"disinteressato", cioè non legato a questioni pratiche. Però,
sottolineò anche che in futuro lo studio delle lingue morte avrebbe dovuto
essere sostituito da altre materie: era un cambiamento difficile, ma
necessario, per promuovere la formazione di un nuovo tipo di intellettuale.Scrisse
nel Quaderno 12: Bisognerà sostituire il latino e il greco come fulcro
della scuola formativa e lo si sostituirà, ma non sarà agevole disporre la
nuova materia o la nuova serie di materie in un ordine didattico che dia
risultati equivalenti di educazione e formazione generale della personalità, partendo
dal fanciullo fino alla soglia della scelta professionale. In questo periodo
infatti lo studio o la parte maggiore dello studio deve essere (e apparire ai
discenti) disinteressato, non avere cioè scopi pratici immediati o troppo
immediati, deve essere formativo, anche se «istruttivo», cioè ricco di nozioni
concrete. Machiavelli influenzò fortemente la teoria dello Stato di
Gramsci. Marx, filosofo, storico, critico dell'economia politica e fondatore
del materialismo storico Engels Lenin, Labriola, primo notevole teorico
marxista italiano, riteneva che la principale caratteristica del marxismo fosse
quella di aver creato uno stretto nesso fra la storia e la filosofia. Sorel —
sindacalista che ha respinto il principio dell'inevitabilità del progresso storico.
Pareto — economista e sociologo italiano (nato a Parigi di madre francese),
noto per la sua teoria sull'interazione fra masse ed élite. Croce — liberale
italiano, filosofo anti-marxista e idealista il cui pensiero fu sottoposto da
Gramsci a critica attenta e approfondita. Pensatori influenzati da Gramsci. Gramscianesimo.
Zackie Achmat Eqbal Ahmad Jalal Al-e-Ahmad, Althusser Perry Anderson, Giulio
Angioni Michael Apple Giovanni Arrighi Zygmunt Bauman Homi K. Bhabha, Gordon
Brown Alberto Burgio, Butler Alex Callinicos Partha Chatterjee Marilena Chauí, Chomsky
Alberto Mario Cirese Hugo Costa Robert W. Cox Alain de Benoist Biagio de Giovanni
Ernesto de Martino, Eco John Fiske, Foucault Paulo Freire, Garin Eugene D.
Genovese Stephen Gill Paul Gottfried Stuart Hall Michael Hardt Chris Harman
David Harvey Hamish Henderson Eric Hobsbawm Samuel Huntington Alfredo Jaar Bob
Jessop, Laclau, Mariátegui, Mouffe, Negri, Nono, Omi, Pasolini, Pigliaru, Pira,
Portantiero, Poulantzas Gyan Prakash William I. Robinson Edward Saïd Ato
Sekyi-Otu Gayatri Chakravorty Spivak, Sraffa Edward Palmer Thompson Giuseppe
Vacca Paolo Virno Cornel West Raymond Williams Howard Winant, Wittgenstein Eric
Wolf Howard Zinn. Gramsci al cinema e in televisione Il delitto Matteotti,
regia di Vancini, Antonio GramsciI giorni del carcere, regia di Fra, Gramsci,
regia di Maielloserie TV, Gramsci, film in forma di rosa, regia di Gabriele
Morleocortometraggio, Gramsci, regia di Emiliano Barbucci, Nel mondo grande e
terribile, regia di Daniele Maggioni, Maria Grazia Perria e Laura Perini. Gramsci
nel teatro Compagno Gramsci, di Maricla Boggio e Franco Cuomo, regia di Maricla
Boggio, Gramsci nella musica Quello lì (compagno Gramsci), canzone di Claudio
Lolli contenuta nell'album Un uomo in crisi. Canzoni di morte. Canzoni di vita,
Piazza Fontana, canzone dei Yu Kung contenuta nell'album Pietre della mia gente
Nino, canzone dei Gang contenuta nell'album Sangue e Cenere () Gramsci, il
teatro e la musica È nota la passione di Gramsci per il teatro e per la musica,
che si può leggere nelle lettere scritte a Tania. Egli ha scritto circa il
melodrama “verdiano” che per lui segnava l’apertura dei teatri al pubblico,
svolgendo una funzione conoscitiva, pedagogica e politica in senso generale.
Per Gramsci l’opera diviene l’arte più popolare e i teatri aperti i luoghi dove
si esercitava parte del conflitto politico. Una frase quasi ironica di
Gramsci da citare, per quanto riguarda l’importanza dell’opera per l’Italia:
“siccome il popolo non è letterato e di letteratura conosce solo il libretto
d'opera ottocentesco, avviene che gli uomini del popolo melodrammatizzino”. Nelle
sue lettere si può leggere anche riguardo alla moda europea del jazz; egli
sostiene che questa musica aveva conquistato uno strato dell’Europa colta e
aveva creato un vero fanatismo: Opere: “Alcuni temi della questione
meridionale, in Lo Stato Operaio, Opere, Lettere dal carcere, Torino, Einaudi, premio
Viareggio, con centodiciannove lettere inedite, I quaderni dal carcere, Il
materialismo storico e la filosofia di Croce” (Torino, Einaudi); “Gli
intellettuali e l'organizzazione della cultura” Torino, Einaudi, Il Risorgimento,
Torino, Einaudi, Note sul Machiavelli sulla politica e sullo stato moderno,
Torino, Einaudi, Letteratura e vita nazionale, Torino, Einaudi,Passato e
presente, Torino, Einaudi, L'Ordine Nuovo. Torino, Einaudi, Scritti giovanili.
Torino, Einaudi, Sotto la mole. Torino, Einaudi, Socialismo e fascismo.
L'Ordine Nuovo, Torino, Einaudi, La costruzione del Partito comunista. Torino,
Einaudi, L'albero del riccio, Milano, Milano-sera, 1Americanismo e fordismo,
Milano, Ed. cooperativa Libro popolare, Ultimo discorso alla Camera. Padova, R.
Guerrini, Antologia popolare degli scritti e delle lettere di Antonio Gramsci,
Roma, Editori Riuniti, Il Vaticano e l'Italia, Roma, Editori Riuniti, Note sulla
situazione italiana, Milano, Rivista storica del socialismo, 2000 pagine di
Gramsci Nel tempo della lotta. Milano, Il Saggiatore, Lettere edite e inedite. Milano,
Il Saggiatore, Elementi di politica, Roma, Editori Riuniti, La formazione
dell'uomo. Scritti di pedagogia, Roma, Editori Riuniti, Scritti politici La
guerra, la rivoluzione russa e i nuovi problemi del socialismo italiano, Roma,
Editori Riuniti, Il Biennio rosso, la crisi del socialismo e la nascita del
Partito comunista, Roma, Editori Riuniti, Il nuovo partito della classe operaia
e il suo programma. La lotta contro il fascismo, Roma, Editori Riuniti, Scritti
Milano, I quaderni de Il corpo, Dibattito sui Consigli di fabbrica, Roma, La
nuova sinistra, Paolo Spriano, Scritti politici, Roma, Editori Riuniti, L'alternativa
pedagogica, Firenze, La nuova Italia, I consigli e la critica operaia alla
produzione, Milano, Servire il popolo, La lotta per l'edificazione del Partito
comunista, Milano, Servire il popolo, Il pensiero di Gramsci, Roma, Editori
Riuniti, Il pensiero filosofico e storiografico di Antonio Gramsci, Palermo,
Palumbo, Resoconto dei lavori del III congresso del P.C.D.I. (Lione), Milano,
Cooperativa editrice distributrice proletaria, Scritti sul sindacato, Milano,
Sapere, Aul fascismo, Roma, Editori Riuniti, Quaderni del carcere Quaderni, Torino,
Einaudi, Quaderni, Torino, Einaudi, 1975. Quaderni, Torino, Einaudi, Apparato
critico, Torino, Einaudi, La rivoluzione italiana, Roma, Newton Compton, Arte e
folclore, Roma, Newton Compton, Scritti Inediti da Il Grido del Popolo e
dall'Avanti. Con una antologia da Il Grido del Popolo, Milano, Moizzi, Ricordi
politici e civili, Pavia,Scritti nella lotta. Dai consigli di fabbrica, alla
fondazione del partito, al Congresso di Lione, Livorno, Edizioni Gramsci, Scritti
sul sindacato, Roma, Nuove edizioni operaie, A Delio e Giuliano, Milano, N. Milano,
I consigli di fabbrica, Milano, Amici
della casa Gramsci di Ghilarza, Centro milanese, Favole di libertà, Firenze,
Vallecchi, Scritti, Cronache torinesi. Torino, Einaudi, La città futura. Torino,
Einaudi, Il nostro Marx. Torino, Einaudi, L'Ordine nuovo, Torino, Einaudi, Nuove
lettere di Antonio Gramsci. Con altre lettere di Piero Sraffa, Roma, Editori
Riuniti, Forse rimarrai lontana.... Lettere a Iulca, Roma, Editori Riuniti, Gramsci al confino di Ustica. Nelle lettere di
Gramsci, di Berti e di Bordiga, Roma, Editori Riuniti, Le sue idee nel nostro
tempo, Milano, l'Unità, Lettere dal carcere, con nuove lettere in parte
inedite, Roma, l'Unità, Il rivoluzionario qualificato. Scritti, Roma, Delotti, Il
giornalismo, Roma, Editori Riuniti, Lettere, Torino, Einaudi, Per una
preparazione ideologica di massa: introduzione al primo corso della scuola
interna di partito, aNapoli, Laboratorio politico, Scritti di economia
politica, Bollati Boringhieri, Torino, Vita attraverso le lettere, Torino,
Einaudi, Disgregazione sociale e
rivoluzione. Scritti sul Mezzogiorno, Napoli, Liguori, Piove, Governo ladro.
Satire e polemiche sul costume degli italiani, Roma, Editori Riuniti, Contro la
legge sulle associazioni segrete, Roma, Manifestolibri, Lettere, Torino,
Einaudi, Le opere, Roma, Editori Riuniti, Critica letteraria e linguistica,
Roma, Lithos, Il lettore in catene. La critica letteraria nei Quaderni, Roma,
Carocci, La nostra città futura. Scritti torinesi,Roma, Carocci, Pensare
l'Italia, Roma, Nuova iniziativa editoriale, Scritti sulla Sardegna. La memoria
familiare, l'analisi della questione sarda, Nuoro, Ilisso, Scritti
rivoluzionari. Dal biennio rosso al Congresso di Lione, O. Micucci, Camerano,
Gwynplaine, Quaderni del carcere. Edizione anastatica dei manoscritti, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana-Cagliari-L'Unione
Sarda, Epistolario, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Epistolario, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Antologia, Antonio A. Santucci,
prefazione di Guido Liguori, Roma, Editori Riuniti university press,. Il teatro
lancia bombe nei cervelli. Articoli, critiche, recensioni, F. Francione,
Mimesis Edizioni. La taglia della storia. Idea e prassi della rivoluzione,
NovaEuropa Edizioni,.Note Luigi Manias, Antonio Sebastiano Francesco
Gramsci, Marmilla Cultura, International Gramsci Society, su international
gramsci society.org. Genealogia dei
Gramsci (JPG), su albanianews. Luigi Manias,
Ma quando è nato Gramsci?, Marmilla Cultura,
Manias, Ales. La sua storia. I suoi problemi, Marmilla Cultura, Così
Gramsci ricordava con ironia l'episodio, nella lettera dal carcere alla cognata
Tatiana, aggiungendo che «una zia sosteneva che ero risuscitato quando lei mi
unse i piedini con l'olio di una lampada dedicata a una Madonna e perciò,
quando mi rifiutavo di compiere gli atti religiosi, mi rimproverava aspramente,
ricordando che alla Madonna dovevo la vita»
«Noi eravamo tutti molto piccoli. Lei dunque doveva anche accudire alla
casa. Trovava il tempo per i lavori di cucito rinunziando al sonno». Così
ricordava quegli anni la sorella Teresina Gramsci, in Fiori, Lettera a Tatiana
Schucht, così scriveva per invitare la cognata a non eccedere nelle sue
preoccupazioni sulla sua vita di carcerato. La lettera prosegue infatti: «Ho
conosciuto quasi sempre solo l'aspetto più brutale della vita e me la sono
sempre cavata, bene o male» Lettera a
Tatiana Schucht, Numerose sono le richieste di denaro al padre: gli scrive di essere «proprio indecente con
questa giacca che ha già due anni ed è spelacchiata e lucida [oggi non sono
andato a scuola perché mi son dovuto risuolare le scarpe» e, il 16 febbraio,
che «per non farvi vergognare non sono uscito di casa per dieci giorni
interi» Fonzo, Testimonianza in Fiori, Testimonianza
della sorella Teresina in Fiori, Fiori, L'articolo è riportato in Fiori, Riportato
in A. Gramsci, Scritti politici Antonio
Gramsci, Dizionario di Storia, Treccani
[«io pensavo allora che bisognava lottare per l'indipendenza nazionale
della regione: "Al mare i continentali". Poi ho conosciuto la classe
operaia di una città industriale e ho capito ciò che realmente significavano le
cose di Marx che avevo letto prima per curiosità intellettuale». Cfr. A.
Gramsci, lettera a Giulia Schucht, in A. Gramsci, Lettere. Gramsci e l'isola
laboratorio, La Nuova Sardegna A.
Gramsci. Lettere. Progettando, in carcere, uno studio di linguistica comparata,
mai realizzato, in una lettera dal carcere dalla cognata Tatiana, ricorda come
«uno dei maggiori "rimorsi" intellettuali della mia vita è il dolore
profondo che ho procurato al mio buon professor Bartoli dell'Torino, il quale
era persuaso essere io l'arcangelo destinato a profligare definitivamente i
"neogrammatici"» della linguistica. Tuttavia già l'economista Amartya
Sen aveva avanzato l'ipotesi che il passaggio ai giochi linguistici di Ludwig
Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche fosse stato ispirato dai Quaderni dal
carcere. Nel suo recente studio Gramsci and Wittgenstein: an intriguing
connection, Pipero ha aggiunto nuovi elementi che dimostrano il collegamento
fra Gramsci e Wittgenstein tramite Sraffa. Infatti il filosofo viennese venne a
conoscenza del Quaderno 29, grazie proprio al suo amico Sraffa che aveva conosciuto
a Cambridge. Lettera dal carcere: in essa Gramsci ricorda ancora un simpatico e
patetico episodio. Dopo la rottura avvenuta a causa di quell'articolo che fece
«piangere come un bambino e stette chiuso in casa il Cosmo per alcuni giorni»,
essi s'incontrarono nel nell'Ambasciata d'Italia a Berlino, dove il professore
era segretario: «il Cosmo mi si precipitò addosso, inondandomi di lacrime e di
barba e dicendo a ogni momento: Tu capisci perché! Tu capisci perché! Era in
preda a una commozione che mi sbalordì, ma mi fece capire quanto dolore gli
avessi procurato nel 1920 e come egli intendesse l'amicizia per i suoi allievi
di scuola» Lettera dal carcere a TSchucht
In Fiori, In A. Gramsci, Scritti
politici, I56-59 Davico12. Lettera dal carcere a Tatiana Schucht Lettera
dal carcere a Tatiana Schucht, Recensione Recensione Recensione Spriano, Note
sulla rivoluzione russa, ne Il Grido del Popolo, in Gramsci, I massimalisti russi, ne Il Grido del Popolo, iSpriano,
La rivoluzione contro il «Capitale», nell'Avanti!, Nella lettera Marx scriveva
a Vera Zasulič che la tipica proprietà comune agricola russa poteva essere
salvata dalla distruzione minacciata dallo sviluppo dei rapporti capitalistici:
«Per salvare la comune russa, occorre una rivoluzione russa. Se la rivoluzione
scoppierà a tempo opportuno, se l'intelligencija concentrerà tutte le forze
«vive del paese» nell'assicurare alla comune agricola un libero spiegamento,
allora la comune ben presto evolverà come elemento di rigenerazione della
società russa e, insieme, di superiorità sui paesi ancora asserviti dal regime
capitalistico». Inoltre, nella prefazione all'edizione russa del Manifesto,Marx
ed Engels avevano scritto che «l'odierna proprietà comune potrà servire di
partenza per una evoluzione comunista». È anche vero, tuttavia, almeno nel caso
della lettera alla Zasulič, che Gramsci all'epoca non poteva conoscerne il
contenuto. (Cfr. Cinella, L'altro Marx, Della Porta Editori, Pisa-Genova, A.
Gramsci, Ordine Nuovo, A. Gramsci, ibidem
Corriere della Sera, Archivio Centrale dello Stato, Min. Int., Dir. Gen.
PS, Ordine Nuovo, 8 maggio 1920, in Scritti politici, IConcluso con un ordine
del giorno che prospettava la conquista violenta del potere e la dittatura del
proletariato Per un rinnovamento del
Partito socialista, ne L’ordine Nuovo, in Gramsci, Lenin, nel suo discorso
all'Internazionale Comunista, invitando a espellere dal partito socialista
l'ala destra riformista, disse che «all'indirizzo dell'Internazionale Comunista
corrisponde l'indirizzo dei militanti dell'Ordine Nuovo e non l'indirizzo
dell'attuale maggioranza dei dirigenti del partito socialista e del loro gruppo
parlamentare». Lenin, Opere, Ordine Nuovo, in Scritti politici, GRAMSCI La
sposa mandata da Lenin Lettera, in A.
Gramsci, Lettere Lettera dal carcere. Un profilo di Antonio Gramsci junior, su
channelingstudio.ru. Su alcune note di
uno sconosciuto bolscevico Vladimir Diogotche sosteneva, fra l'altro, di essere
a conoscenza di un tentativo di rovesciamento della monarchia italiana da parte
di Nitti in accordo con i socialistilo storico Jaroslav Leontiev ha sostenuto nche
la conoscenza tra Gramsci e la Schucht sia stata "pilotata" da Lenin
in persona: cfr. Link archivio del Corriere
Amendola, In Togliatti, In
Togliatti, Lettera di Gramsci a Giulia Schucht, Lettera a Giulia Schucht, La crisi italiana,
ne L’Ordine Nuovo, 1º settembre 1924, in Gramsci, Camera dei Deputati, XXVII
legislatura del Regno d'Italia, "Capo", in L'Ordine Nuovo, pubblicato
successivamente col titolo di Lenin capo rivoluzionario, in l'Unità, «Capo», ne
L’ordine Nuovo, in Gramsci, Anche alle autorità francesi fu nascosto lo
svolgimento del Congresso. Sul III CongressoSpriano, Storia del Partito
comunista italiano, Spriano, Spriano, Spriano, Spriano, Antonio Gramsci, Tesi di Lione,
Lione, Antonio Gramsci, La questione meridionale, Editori Riuniti, «Alcuni temi della quistione meridionale».
Stato operaio, Citato in Rosario
Villari, Il Sud nella Storia d'Italia. Antologia della Questione meridionale,
Roma-Bari, Laterza, Antonio Gramsci, Cinque anni di vita del partito, L'Unità, Fiori, Spriano, Aurelio Lepre, Il
prigioniero. Vita di Antonio Gramsci, Editori Laterza, Bari, La lettera, non
datata, si ritiene sfu pubblicata per la prima volta in Francia da Tasca. Su
tutta la questione della lotta interna nel partito comunista sovietico di
questo periodoSpriano, cit., II, ca 3 e 5
A. Gramsci, Lettere Lettera di Togliatti a Gramsci, Commissione di
assegnazione al confino di Roma, ordinanza dcontro Antonio Gramsci (“Dirigenti
e deputati del PCd'I dichiarati decaduti”). In Pont, Carolini, L'Italia al
confino, Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni
provinciali (ANPPIA/La Pietra), Tornata Camera dei deputati Fiori, In Fiori, Sentenza contro Antonio Gramsci e
altri (“Ricostituzione di partito disciolto, propaganda, cospirazione,
istigazione alla lotta armata ecc.”). In Pont, Carolini, L'Italia dissidente e
antifascista. Le ordinanze, le Sentenze istruttorie e le Sentenze in Camera di
consiglio emesse dal Tribunale speciale fascista contro gli imputati di antifascismo,
Milano (ANPPIA/La Pietra),
Amendola142. Spriano, Lettera a
Tatiana Schucht, Fiori, Fiori, Fiori, Risoluzione
per l'espulsione di Amedeo Bordiga
Fiori, Pubblicato in «Rinascita», In «Rinascita», cit. Dalla biografia di Pertini pubblicata nel
sito web del Circolo Sandro Pertini di Genova: «Chiesi al maresciallo dei
carabinieri che comandava la scorta se poteva dirmi dove mi portavano. Quando questi
fece il nome di Turi me ne rallegrai. Ero contento perché sapevo che là avrei
incontrato Antonio Gramsci, un uomo che avevo sempre ammirato per il suo
coraggio». A Turi incontrai Gramsci in un angolo del cortile dove coltivava
un'aiuola di fiori; era piccolo di statura e con due gobbe: una davanti ed una
di dietro. Mi avvicinai a lui, mi presentai, gli affermai che venivo da Santo
Stefano e che ero onorato di fare la sua conoscenza. Gli davo del lei e lo
chiamavo Onorevole Gramsci. Lui si mise a ridere, dicendomi: "Perché mi dai
del lei? Siamo antifascisti, vittime del Tribunale speciale tutti e due. Io gli
ricordai che per loro, i comunisti, noi eravamo dei social-traditori. Disse di
lasciar stare quella polemica penosa. Ci vedemmo dopo qualche giorno e parlò di
Turati e Treves in maniera che mi sembrò offensiva ed io risposi con durezza.
Il giorno dopo si scusò, dicendo che il suo era un giudizio politico, non aveva
avuto intenzione di offendere le persone, e capiva la mia reazione in favore di
due compagni che si trovavano in Francia. Da allora diventammo buoni amici.
Parlavamo a lungo insieme anche perché era stato isolato dai suoi. Per certi
versi costoro lo consideravano un traditore e chiedevano la sua espulsione dal
partito, come poi fecero anche con Ravera. In cella Gramsci era perseguitato
dai carcerieri. L’ordine di non lasciarlo dormire arrivasse direttamente da
Roma. Io andai dal direttore del carcere a protestare perché i carcerieri, ogni
volta che Gramsci si addormentava, lo svegliavano facendo scorrere sulle sbarre
della finestra dei bastoni, con la scusa di controllare che le sbarre non
fossero state segate per un'evasione. Dissi al direttore che se la situazione
non fosse cambiata, avrei scritto una lettera al ministero. Il risultato fu che
Gramsci, già gravemente malato di tubercolosi poté dormire tranquillo. Le mie
proteste costrinsero il direttore del carcere di Turi a concedere a Gramsci
anche alcuni quaderni, delle matite, un tavolino ed una sedia. Così poterono
nascere i quaderni dal carcere. La mia amicizia mi mise in contrasto con il
direttore del carcere e forse non fu estraneo al mio trasferimento a Pianosa. Lettera
a Tatiana Schucht, Lettera a Tatiana Schucht,
Alla fine degli anni settanta cominciò a circolare la voce secondo la
quale Gramsci in punto di morte si sarebbe convertito alla fede cattolica. Tale
affermazione venne però ritrattata dallo stesso religioso che l’aveva
inavvertitamente messa in circolazione, chiamando a supporto della smentita
l’allora cappellano della clinica Quisisana. Nonostante le chiare
argomentazioni della rettifica, trent’anni dopo la medesima tesi fu riproposta
da un altro sacerdote. Essendo priva di riscontri documentali e di prove
testimoniali, la teoria della conversione di Gramsci non è mai stata avvalorata
dagli storici. Cfr. S.Fio., Gramsci e il sacerdote pentito, La Repubblica,
Il Vaticano: «Gramsci trovò la fede», Il Corriere della Sera, C. Daniele,
Togliatti editore di Gramsci, Carocci, Quaderni del carcere, Il Risorgimento,
Einaudi, Torino, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce Quaderni
del carcere, Quaderni del carcere, ed. Gerratana, Cirese, Baratta, Giulio Angioni, Gramsci e il
folklore come cosa seria, in Fare, dire, sentire. L'identico e il diverso nelle
culture, Il Maestrale, Note sul Machiavelli,
Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, Quaderni del carcere,
cLetteratura e vita nazionale, Il materialismo storico e la filosofia di Croce,
L. Rosiello, Problemi e orientamenti linguistici negli scritti di Antonio
Gramsci, Quaderni dell'Istituto di glottologia di Bologna,A. Gramsci, V. Gerratana,
Torino, Einaudi, A. Gramsci, Quaderni del carcere, V. Gerratana, Torino,
Einaudi, V. Gerratana, Torino, Einaudi, V. Gerratana, Torino, Einaudi, Gramsci,
Gerratana, Torino, Einaudi, G. I. Ascoli, Proemio, AGI, Gramsci, 'Quaderni del
carcere', V. Gerratana, Torino, Einaudi, Quaderni del carcere, V. Gerratana,
Torino, Einaudi, 'Quaderni del carcere', V. Gerratana, Torino, Einaudi, L.
Rosiello, Lingua nazione egemonia, Rinascita Il Contemporaneo, Rapone,
Leonardo, Cinque anni che paiono secoli: Gramsci dal socialismo al comunismo, 1a
ed, Carocci,, Fonzo, Maria Luisa Bosi, Antonio Gramsci, su
scuolalo divecchio. giovannicarpinelli, Gramsci e la musica, su Palomar, La
passione sconosciuta di Gramsci per la musica, in L’Huffington Post. Premio
letterario Viareggio-Rèpaci, Amendola, Storia del Partito comunista italiano Roma,
Editori Riuniti, Perry Anderson, Ambiguità di Gramsci, Bari, Laterza, Giulio
Angioni, Gramsci e il folklore come cosa seria, in Fare, dire, sentire.
L'identico e il diverso nelle culture, Il Maestrale, Francesco Aqueci, Il
Gramsci di un nuovo inizio, Quaderno, Supplemento al n. 19 di «AGON», Rivista Internazionale di Studi
Culturali, Linguistici e Letterari, Francesco Aqueci, Ancora Gramsci, Roma,
Aracne,. Nicola Auciello, Socialismo ed egemonia in Gramsci e Togliatti, Bari,
De Donato, Nicola Badaloni e altri, Attualità di Gramsci, Milano, Il Saggiatore,
Baratta, Antonio Gramsci in contrappunto. Dialoghi col presente, Roma, Carocci,
Bobbio, Saggi su Gramsci, Milano, Feltrinelli, Calamandrei e Calogero, La
conoscenza di Gramsci in Inghilterra. Una lettera di Guido Calogero e una nota
di Franco Calamandrei, in «L'Unità» Mauro Canali, Il tradimento. Gramsci,
Togliatti e la verità negata, Venezia, Marsilio,. Antonio Carrannante, Sull'uso
di 'galantuomo' in Gramsci, in "Studi novecenteschi", Antonio Carrannante, Antonio Gramsci e i
problemi della lingua italiana, in "Belfagor", Iain Chambers, Esercizi di potere. Gramsci,
Said e il postcoloniale, Roma, Meltemi editore, Cirese, Intellettuali,
folklore, istinto di classe, Torino, Einaudi, Marco Clementi, Le ceneri di
Gramsci in Stalinismo e Grande Terrore, Roma, Odradek, Guido Davico Bonino,
Gramsci e il teatro, Torino, Einaudi, Biagio De Giovanni e altri, Egemonia
Stato partito in Gramsci, Roma, Editori Riuniti, D'Orsi, Gramsci. Una nuova
biografia, Torino, Einaudi,. Dubla,Giusto (a cura), Il Gramsci di Turi, Testimonianze
dal carcere, Chimienti editore, Michele Filippini, Gramsci globale. Guida
pratica agli usi di Gramsci nel mondo, Bologna, Odoya,.Giuseppe Fiori, Vita di Gramsci,
Bari, Laterza, Fiori, Gramsci Togliatti Stalin, Roma-Bari, Laterza, Erminio
Fonzo, Il mondo antico negli scritti di Gramsci, Salerno, Paguro, Eugenio
Garin, Con Gramsci, Roma, Editori Riuniti, Valentino Gerratana, Gramsci.
Problemi di metodo, Roma, Editori Riuniti, Noemi Ghetti, Gramsci nel cieco
carcere degli eretici, Roma, L'Asino d'Oro Edizioni, Gramsci jr., La storia di
una famiglia rivoluzionaria, Roma, Editori Riuniti-University Press. Gruppi, Il
concetto di egemonia in Gramsci, Roma, Editori Riuniti, Hobsbawm, Gramsci in
Europa e in America, Roma-Bari, Laterza,Aurelio Lepre, Il prigioniero. Vita di
Antonio Gramsci, Bari, Laterza, Liguori e Voza, Dizionario Gramsciano, Roma,
Carocci, Piparo, “I due carceri di Gramsci”, Donzelli, Roma, Losurdo,Gramsci.
Dal liberalismo al comunismo critico, Roma, Gamberetti editrice, Mario
Alighiero Manacorda, Il principio educativo in Gramsci. Americanismo e
conformismo, Roma, Editori Riuniti, Michele Martelli, Gramsci filosofo della
politica, Milano, Unicopli, Mondolfo, Da Ardigò a Gramsci, Milano, Nuova
Accademia, Raul Mordenti, Gramsci e la rivoluzione necessaria, Roma, Editori
Riuniti University Press, Omar Onnis e Manuelle Mureddu, Illustres. Vita, morte
e miracoli di quaranta personalità sarde, Sestu, Domus de Janas, Paggi, Gramsci
e il moderno principe, Roma, Editori Riuniti, Pastore, Gramsci. Questione
sociale e questione sociologica, Livorno, Belforte, Portelli, Gramsci e il
blocco storico, Bari, Laterza,Rapone, Cinque anni che paiono secoli. Antonio
Gramsci dal socialismo al comunismo, Carocci, Roma, Rossi, Vacca, Gramsci tra
Mussolini e Stalin, Roma, Fazi editore, Angelo Rossi, Gramsci da eretico a
icona. Storia di un "cazzotto nell'occhio", Napoli, Guida editore,.
Angelo Rossi, Gramsci in carcere. L'itinerario dei Quaderni, Napoli, Guida
editore, Santhià, Con Gramsci all'Ordine Nuovo, Roma, Editori Riuniti, Santucci,
Gramsci. Palermo, Sellerio, Spriano, Storia di Torino operaia e socialista,
Torino, Einaudi, Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano,I,
Torino, Einaudi, Spriano, Storia del Partito comunista italiano,II, Torino,
Einaudi, Spriano, Gramsci e Gobetti. Introduzione alla vita e alle opere,
Torino, Einaudi, Paolo Spriano, Gramsci in carcere e il partito, Roma, Editori
Riuniti, Elettra Stamboulis, Gianluca Costantini, Cena con Gramsci, Padova,
Becco Giallo,. Giuseppe Tamburrano, Gramsci: la vita, il pensiero e l'azione,
Bari-Perugia, Lacaita, 1963. Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo
dirigente del Partito comunista italiano Roma, Editori Riuniti, Togliatti,
Scritti su Gramsci, Roma, Editori Riuniti, Vacca, Gramsci e Togliatti, Roma,
Editori Riuniti. Treccani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Casa museo Gramsci a Ghilarza, Fondazione Istituto
Gramsci. Antonio Sebastiano Francesco Gramsci. Antonio Gramsci. Grice: “When
Austin speaks of ‘ordinary language,’ he knows what he is talking about; when
Gentile, Gramsci, and Ascoli, do, they don’t!” -- Grice: “Elites are so
relative; when I came to Oxford, I was regarded as a ‘Midlands scholarship boy’
and thus assigned Corpus; there was no way I would socialise with Hampshire,
Austin, and the others who were philososophising at All Souls on Thursday
evenings – I had just been born on the wrong side of the track. So it was
particularly obtuse for me when Gellner started to criticise me as elitist!
Perhaps he had read too much Gramsci!?” Gramsci. Keywords: “Grice, elite” –
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gramsci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51686162750/in/photolist-2mRi7qi-2mQCrJc-2mQerAd-2mPTNKh-2mPY4jk-2mPTYES-2mPPzb6-2mPWrv4-2mPKvMM-2mN8nen-2mMQbzj-2mLP4Rj-2mLQdrQ-2mKNNqN-2mPsfT9-2mKyErQ-2mKjqrr-2mKk6t5-2mKfNvB-2mKjVho-2mKbfaU
Grice e Gregorio – l’arte grammatica degl’angeli –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo. Da roma -- il grande: Grice: “For one, he is the punning Pope!” Grice: “What WAS Gregorio’s implicatura? A
complex one, since he uses the counterfactual: “si angeli fuessent.” Grice: “In
The Sellars/Yeatman rewrite, the meta-implicata is that you must have read
Bede!” Grice: “Poor Gregorio Magno had to fight with the Lonbards, and the sad
thing is he lost!” -- Grice takes inspiration on Shropshire’s
argument for the immortality of the soul from Gregorio Magno (Dialogo, IV). Figlio
di Gordiano, appartenente all'aristocrazia senatoriale, la classe dominante
dell'antica Roma che mantene prestigio economico e sociale, nonostante la
caduta dell'Impero, e di Silvia, appartenente a una ricca famiglia siciliana. La
sua "ars grammatica" fu limitata e lo stile che denota i suoi scritti
è in linea con quello degli scrittori tardo-antichi. Di questi imita, in
particolare, solo poche figure retoriche come l'anafora ed il gusto
dell'esempio e dell'aneddoto moralizzante. La sua conoscenza del diritto si
centra in Cicerone, da cui riprende anche definizioni e nozioni filosofiche del
stoicismo. Insegna su colle Celio. Secondo la tradizione, mentre Gregorio
attraversava, alla testa della processione, il ponte che collegava l'area del
Vaticano con il resto della città (chiamato allora "Ponte Elio" o
"Ponte di Adriano", oggi Ponte Sant'Angelo), ebbe la visione dell'Arcangelo
Michele che, in cima alla Mole Adriana, rinfoderava la sua spada. La visione
(che secondo alcune fonti fu condivisa da tutti i partecipanti alla
processione) venne interpretata come un “segno” celeste pre-annunciante
l'imminente fine dell'epidemia, cosa che effettivamente avvenne. Da allora i
romani cominciarono a chiamare la Mole Adriana "Castel Sant'Angelo"
e, a ricordo del prodigio, posero più tardi sullo spalto più alto la statua di
un angelo in atto di rinfoderare la spada. Ancora oggi nel Campidoglio è
conservata una pietra circolare con impronte dei piedi che, secondo la
tradizione, sarebbero quelle lasciate da Michele quando si fermò per annunciare
la fine della peste. Vede alcuni giovani schiavi britannici esposti per
la vendita, bellissimi di aspetto e pagani, tanto da aver esclamato,
rammaricato: "Non Angli, ma Angeli dovrebbero esser chiamati…". Comunque in meno di due anni diecimila Angli,
compreso il re del Kent Ethelbert – e la famiglia di Grice -- si
convertirono.Obiettò invece sulla proibizione ai soldati imperiali di diventare
«soldati di Cristo», ovvero di entrare a far parte del clero. Gregorio avrebbe
dettato i suoi canti a un monaco, alternando la dettatura a lunghe pause; il
monaco, incuriosito, avrebbe scostato un lembo del paravento di stoffa che lo
separava dal pontefice, per vedere cosa egli facesse durante i lunghi silenzi,
assistendo così al miracolo di una colomba (che rappresenta naturalmente lo
Spirito Santo), posata su una spalla del papa, che gli dettava a sua volta i canti
all'orecchio. Opere: “Expositio super Cantica canticorum – “Cantico dei
cantici”; “Moralia in Job (Giobbe); “Homiliae in Evangelia”, omelie sui
Vangeli; Homiliae in Hiezechihelem prophetam, oomelie su Ezechiele; A
Sacramentarium Gregorianum con cui riformò il canone della messa, rendendola
più semplice ma più solenne; Antiphonarius centola nuova redazione del libro
dei canti liturgici; Dialoghi; Libro su santi italiani a lui coevi; “San
Benedetto da Norcia” “Sul destino dell'anima” “Su alcune profezie”; “Regula
Pastoralisun manuale per la vita e l'opera dei vescovi e in generale di coloro
che ricoprono il ministero pastorale; Le Epistolaeun registrum,«12 marzoA Roma
presso san Pietro, deposizione di san Gregorio I, papa, detto il grande, la cui
memoria si celebra il 3 settembre, giorno della sua ordinazione.» «3
settembreMemoria di san Gregorio Magno, papa e dottore della Chiesa: dopo avere
intrapreso la vita monastica, svolse l'incarico di legato apostolico a
Costantinopoli; eletto poi in questo giorno alla Sede Romana, sistemò le
questioni terrene e come servo dei servi si prese cura di quelle sacre.”“Si
mostrò vero pastore nel governare la Chiesa, nel soccorrere in ogni modo i
bisognosi, nel favorire la vita monastica e nel consolidare e propagare ovunque
la fede, scrivendo a tal fine celebri libri di morale e di pastorale.”Il
Proprio del santo in rito romano contiene la seguente colletta:[ «Deus, qui
pópulis tuis indulgéntia cónsulis et amóre domináris, da spíritum sapiéntiae,
intercedénte beáto Gregório papa, quibus dedísti régimen disciplínae, ut de
proféctu sanctárum óvium fiant gáudia aetérna pastórum. Per Dominum nostrum
Iesum Christum» La Chiesa di Manduria custodisce un frammento d'osso del
suo braccio destro. La Chiesa di Casola custodita un frammento d'osso della sua
mano destra. G. Pepe, Il Medio Evo barbarico d'Italia, Dizionario Biografico degli ItalianiVolume
59, Roma, Claudio Mareschini, Gregorio Magno e la cultura classica” Gregorio
scrisse di sé «ego quoque tunc urbanam praeturam gerens pariter subscripsi», ma
poiché in una variante del testo praeturam è sostituita da praefecturam, dalle
sue epistole non è possibile sapere con esattezza se fu "prefetto
dell'Urbe" o piuttosto "pretore dell'Urbe". S. Gasperri, Italia longobarda, Laterza, Dialogi,
Roma, Tipografia del Senato, Dizionario biografico degli italiani, Opera Omnia
dal Migne patrologia Latina con indici analitici. Gregorio da Roma – Grice:
“Gregory did not know what those were: ‘angeli,’ his companion answered.
Adamant, Gregory corrected him: “No. They are Anglicans, they are not angels!”
-- The grammatical structure of Latin of the seventh to eighth centuries had
changed in comparison with the Latinitas of the fourth century. Although Bede
builds his argument on the Grammar textbooks of Antiquity, he adopts Gregory
the Great’s directive to subject the grammar rules to the language of the
Scriptures and not to ancient Grammar textbooks. GREGORY THE GREAT, Moralia in
Iob, PL 75, col. 516: ‘quia indignum uehementur existimo, ut uerba caelestis
oraculi restringam sub regulis Donati’ (‘I consider it strongly unworthy to
restrict the words of divine revelation to the rules of Donatus’). Gregory did
NOT write an ‘ars grammatica’ – Bonifacio did! – Gregorio does mention the ‘sub
regulis Donati’ – which is worth transcribing: “sed tam pueriliter istum labi
non indignum fortasse fuit, qui litteras fastidit et pro nugis habet, iisque
studere episcopum, impium et profanum putat – et alibi pene gloriatur se artem
loquendi, quam magisterial disciplinae exterioris insinuant, servare
despexisse, non barbarism confusionem devitare, situs motusque praepositionum,
casusque servare contemnere, quia indignum (inquit) vehementur existimo ut
verba caelestis oraculi restringam sub regulis Donati – quasi vero humani
divinique sermonis leges addiscere et observare, id sit caelestia oracular
subiiere. —Non metacismi collisionem fugio, non barbarism confusionem devito,
situs motusque et praepositionum casus servare contemno, quia indignum
vehementer exisitimo ut verba caelestis oraculi restringam sub regulis Donati –
Non rifuggo dalla collisione del metacismo, non evito la mescolanza di
barbarism, non tengo conto della posizione, degli spostamenti e delle
preposizioni con I casi che esse reggono, perche repute cossa assai indegna
coartare le parole del celeste oracolo entro le regole di Donato – Ep. Miss. C.
5 PL LXXXV, 516 B – Cio che a Gregorio sembra indegno non e l’obbedire alle
regole della grammatica – anche in questo e uomo di disciplina – ma la retorica
di Donato, che teoreizza e prescribe, contro la LIBERTA dell’espresione
originale, il capriccio del maestro – Ructat corde bonum sine lege Donati
verbum – la parola buona erompe dal cuore senza le leggi di Donato. –
sommamente disdicevole assogettare le parole dell’oracolo celeste alle regole
di Donato. L’esegeta del libro di Giobbe non trascura di continuo le norme
grammaticali. Gregorio sa scegliere tra due letture di un medesimo vesetto,
indicare I tropi di paragone e di metonimia, il valore della congiunzione di
coordinarzione, l’etimologia di una parola. Insomma, Gregorio non esclude dall
sua esegesi il iicorso ai metodoi di I spegazione grammaticale classica. Facendo
mostra di una conosenza ostentata della tecnologia grammatical Gregorio si
preoccupa evidentemente di far comprendere che il suo NON-VOLERE non e un
NON-Sapere. It was said a pigeon dictated his Gregorian chants. Not only did he
see the angel land on ponte sant’angelo, but was able to retrieve the stone and
give it to the Campidoglio – he joked on the anglii being potentially angels,
should they were Roman!” – I limite dei arti liberali in Gregorio. Grice: “It
was a good thing for Western civilization that Gregorio could care less about
Greek!” -- Gregorio il Grande, Gregorio
I – Gregorio Magno. Gregorio. Keywords: angeli, ars grammatica – Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Gregorio: implicatura e grammatica” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51755718418/in/dateposted-public/
Grice e Grandi – il
progresso all’infinito della rosa di Grandi -- implicatura infinita – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Cremona). Filosofo. Grice: “I like Grandi – and Grandy – for one,
Grandi (if not Grandy) proves that geometry is a branch of mathematics with his
rose curve – a geniality!” – Figlio di Piero Martire, ricamatore, e Caterina Legati, compì i suoi
primi studi di grammatica sotto la guida di Canneti e poi nel locale Collegio
dei Gesuiti, dove ebbe come maestro Saccheri. Entra nel monastero camaldolese
di Classe in Ravenna, assumendo il nome Guido in sostituzione degli originari
Francesco Lodovico, e qui ritrovò il maestro Canneti. Proseguiti gli studi a Roma e Firenze, insegna
a Firenze. Pubblica “La quadratura del cerchio” “La quadrature dell'iperbole”
al cui interno scopre il paradosso: la somma parziale di una serie (“serie di
Grandi) a segni alterni di numeri può non convergere (serie di Grandi). Divenne
membro della corte presso il granduca di Toscana. Insegna a Pisa. Studia la
curva algebrica da lui chiamata "rodonea" per la forma che ricorda il
rosone delle chiese e fu autore degli Elementi di Geometria di Euclide (Venezia,
Savioni). Fu il primo l’analisi degli infiniti. Saggi: “De infinitis
infinitorum”; “Trattato delle resistenze” (Firenze); “Geometrica demonstratio vivianeorum
problematum” (Firenze, Guiducci); “De infinitis infinitorum, et infinite parvorum
ordinibus disquisitio geometrica” (Pisa, Bindi); “Epistola mathematica de
momento gravium in planis inclinatis” (Lucca, Frediani); “Dialoghi circa la
controversia eccitatagli contro Marchetti” (Lucca, Gaddi); “Prostasis ad
exceptiones clari varignonii libro de infinitis infinitorum ordinibus oppositas
circa magnitudinum plusquam-infinitarum vallisii defensionem et anguli
contactus” (Pisa, Bindi); “Del movimento dell'acque trattato geometrico” (Firenze);
“Relazione delle operazioni fatte circa il padule di Fucecchio” (Lucca, Venturini);
“Trattato delle resistenze” (Firenze, Tartini); “Compendio delle Sezioni
coniche d'Apollonio con aggiunta di nuove proprietà delle medesime sezioni” (Firenze,
Tartini); “Instituzioni Meccaniche” (Firenze, Tartini); “Istituzioni di
aritmetica pratica” (Firenze, Tartini); “Sectionum conicarum synopsis” (Firenze,
Giovannelli); “Idraulici italiani."Rodonea" deriva dal greco Ροδή,
rosa. La curva rodonea è anche chiamata "rosa di Grandi" in suo
onore. G. Ortes, Vita del abate camaldolese, matematico dello Studio Pisano,
Venezia, Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia Italiana,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rodonea Sofisma algebrico Treccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Crusca. Carteggi del padre
camaldolese matematico. Francesco Lodovico Grandi – Grice: “I like Grandi: I
have two ways to deal with ‘mean’: ‘no sneaky intention allowed, including this
– (o) all intentions are open ones, including this one – self-reference; or
‘optimal infinite’ potential infinite/actual infinite – titular versus de
facto. In any case, both are better than pseudo-Schiffer!” Grice: “While I say,
“Schiffer and others,” it should be pointed out that the first to show this
was, of all people, my tutee Strawson – Stampe and Patton came close! (I love
them guys! Patton is a gentleman, and Stampe, too! Both brilliant philosophical
gentlemen, too!” -- In geometria è detta rodonea la curva algebrica o
trascendente il cui grafico è caratterizzato da una serie di avvolgimenti
attorno ad un punto centrale. Nei casi più noti tali avvolgimenti producono
figure a forma di rosone, da cui deriva alla curva il nome rodonea (dal greco
rhódon, ròsa). La curva rodonea è chiamata anche rosa di Grandi da Luigi Guido
Grandi, il matematico che la battezzò e studiò intorno al 1725.
Rodonee ottenute per valori diversi del parametro {\displaystyle \omega
={\frac {n}{d}}} Tartapelago rosaGrandi 04.gif Vari modi per la
costruzione di Rose di Grandi. Animazioni realizzate in MSWLogo[1] La rodonea
si può considerare un caso particolare di ipocicloide. Equazione della
curvaL'equazione delle rodonea in coordinate polari {\displaystyle (\rho
,\theta )}è: {\displaystyle \rho =R\sin \omega \theta }, dove R è un
numero reale positivo che rappresenta la massima distanza della curva dal
centro degli avvolgimenti, e \omega è un numero reale positivo che
determina la forma della curva. È possibile anche scrivere la rodonea come
{\displaystyle \rho =R\cos \omega \theta }, che produce una figura analoga, ma
ruotata di un angolo pari a {\displaystyle {\frac {\pi }{2\omega
}}}radianti. Proprietà Se \omega è un numero intero, la curva ha un
numero finito di avvolgimenti, tutti passanti per l'origine degli assi, che
generano una serie di "petali" componenti la figura a forma di
rosone; il numero dei petali è pari a: \omega , se \omega è
dispari; {\displaystyle 2\omega }, se \omega è pari. Osserviamo che non è
possibile ottenere rose con un numero di petali pari a {\displaystyle 4n+2}.
Per {\displaystyle \omega =1} si ottiene un unico petalo, ovvero una
circonferenza non centrata nell'origine. L'area della superficie
racchiusa dalla curva è pari a {\displaystyle {\frac {\pi R^{2}}{2}}} per k
pari, a {\displaystyle {\frac {\pi R^{2}}{4}}} per k dispari. Se
\omega è un numero razionale {\displaystyle {\frac {n}{d}}}, la curva ha
un numero finito di avvolgimenti, che si intersecano in più punti creando una
serie di petali parzialmente sovrapposti; nella figura a fianco sono
visualizzate le rodonee ottenute per alcuni valori di n e d. Come caso
particolare, per {\displaystyle \omega ={\frac {1}{2}}}, si ottiene il folium
di Dürer. In entrambi i casi precedenti, la curva ottenuta è algebrica;
se invece \omega è un numero irrazionale, la curva è trascendente ed ha
un numero infinito di avvolgimenti che non si chiudono e formano un insieme
denso, passando arbitrariamente vicino a ogni punto del cerchio di raggio
R. Note Giorgio Pietrocola, Curve storiche, Rose di Grandi, su
Tartapelago, Maecla, 2005. URL consultato il 26 aprile 2021.
BibliografiaRhodonea Curves, in The MacTutor History of Mathematics archive,
School of Mathematics and Statistics, University of St Andrews, Scotland. URL
consultato il 16-07-2008. Voci correlate Ipocicloide Figura di Lissajous PAGINE
CORRELATE Sistema di coordinate polari sistema di coordinate
bidimensionale Atomo di idrogeno atomo dell'elemento idrogeno
Metodo simbolico Il progressus in infinitum (in italiano «progresso
all’infinito») o regressus in infinitum («regresso all'infinito») [1], è
un'espressione della filosofia scolastica che indica un modo di argomentare
logicamente, quando, per spiegare qualcosa, si ricorre a un termine, il quale
però rende necessario il rinvio a un nuovo termine, e questo a un ulteriore
termine; e cosi via senza che si possa mai giungere a un punto di spiegazione
ultimo e definitivo. Questo procedimento logico, usato largamente da Aristotele
e dagli scettici, vuole quindi dimostrare l'insufficienza di un'argomentazione.
La differenza tra le due espressioni consiste nel ricercare la causa prima (ad
esempio: causalità ideale platonica) o spiegazione definitiva di una cosa (ad
esempio: causalità naturale aristotelica) procedendo logicamente in avanti
(progressus) o all'indietro (regressus). [2]. Un esempio di un procedimento
logico basato sul regressus in infinitum si ritrova nell'"Argomento del
terzo uomo" di Aristotele. Immanuel Kant (1724-1804) nella settima
sezione della sua Critica della Ragion Pura (1781) chiamava «progressus in
indefinitum» questo "infinito per addizione" che «non ammette nessuna
limitazione se non quella provvisoria che gli può essere assegnata ad ogni suo
passo, prima di procedere al passo successivo». Si tratta di un infinito
irraggiungibile, non potendosi contare effettivamente infiniti numeri
naturali. Per questo motivo Aristotele (384-322 a.C.), affermava
che «il numero è infinito in potenza, ma non in atto». [3] come appare chiaro se
si rappresentano i numeri naturali con una serie di punti equidistanti, che si
susseguono senza fine lungo la retta in una successione infinita discreta nel
senso che tra due elementi consecutivi c'è uno spazio vuoto, da intendersi come
assenza di elementi. Si parla anche di un'infinità numerabile, giacché di
questi infiniti elementi è possibile dire qual è il primo, il secondo, il
terzo, e così via. L’infinito potenziale è perciò un infinito ottenuto
per divisione; «la caratteristica di tale infinito, che Kant chiamava
“regressus in infinitum”, è che esso è interamente contenuto in una totalità
limitata: dividendo all’infinito un segmento in parti sempre più piccole,
risulta evidente che tutti gli elementi della divisione sono in realtà già
assegnati e presenti, prima ancora che la stessa divisione abbia inizio;
appartenendo ad una forma limitata essi non possono sfuggire e non possono che
essere ritrovati durante un processo all’infinito che inevitabilmente li
raggiunge tutti. La differenza tra “progressus in infinitum” e
“regressus in infinitum” secondo Kant sta proprio in questo: nel primo caso gli
elementi vanno cercati al di fuori della totalità parziale, sempre finita, che
non si cessa mai di ottenere; nel secondo essi vanno trovati in un tutto
preesistente.» [4] Note Dizionario internazionale.it ^ Enciclopedia
Treccani alla voce "Regressus in infinitum" ^ Bocconi - Aristotele e
l'infinito ^ Mathesis Portale Filosofia: accedi alle voci di
Wikipedia che trattano di FilosofiaLuigi Guido Grandi. Grandi. Keywords:
infinite implicature – Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Grandi: implicatura
infinita” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685536958/in/photolist-2mKAsyK-2mKCfz1-2mKEPJE-2mKAiSV-2mPvmTf-2mKAuZM-2mKjqrr-2mKiPND-2mKbkhx-2mKiNkD-2mJqjKS-2mJq2uE-2mJd7nN-2mJe9QJ-2mJ4GHU-2mJ3q6x-2mGT6p1-2mGnP2f-FXFiS4-E58e4H-Dw1w1R-DhRHD2-DvhhWW-Bq5Mgn-BDuNmW-2mKgTry-2mEd2LM-G7oMm2-G55xdb-G3tvCn-F7umuM-Ecrffr-CRAGiK-CkaHMd-Ckaz7s-CntuMM-CntseF-CdAEaL-CdDizG-CfWKjF-BFQviK-hSTpSd-mwahJ7-mwao2S-myDwnk-mw96Mi-mw8xSD-mw94r6-mwapBq-jkN2VC
Grice e
Grassi – D’Ovidio a VIco: la metafora inaudita e il concetto di stato in
Machiavelli – filosofia fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Grice: “I like Grassi. He philosophised, like I did, on the
metaphysics of Plato.” Grice: “Grassi has the gift of the gab: ‘metafora
inaudita,’ ‘potenza dell’imagine,’ –“ Grice: “Grassi has mainly explored
Heidegger.” – Grice: “I like Grassi’s general use of ‘imago’ to re-approach
rhetoric!” -- Si laurea a Milano sotto Martinetti. Opere: “Metafisica
platonica” (Laterza, Bari) – cf. A. D. Code on H. P. Grice on the axioms of
metaphysical Platonism --. “Apparire ed essere” (Nuova Italia, Firenze). “Il bello
e l’antico” (Paravia, Torino).“Heidegger e umano – Mann in Heidegger” (Guida,
Napoli). “La preminenza della metafora” (Mucchi, Modena). “La filosofia
dell'umanesimo. Un problema epocale” (Tempi, Napoli). “La follia -- Umanesimo e
retorica” (Mucchi, Modena) “Potenza dell'immagine -- ivalutazione della
retorica” (Guerini, Milano) “La metafora inaudita, -- cf. la lingua inaudita --
Massimo Marassi, Aestetica, Palermo “Potenza della fantasia” Guida, Napoli Filosofare
noetico non metafisico (Congedo, Galatina); “Vico e l'umanesimo” Guerini, Milano
Il dramma della metafora. Ovidio, Massimo Marassi, Tipografica, Roma,“Arte e
mito”La Città del Sole, Napoli, “Retorica come filosofia. La tradizione
umanistica”, Massimo Marassi, La Città del Sole, Napoli; “Tra antropologia,
logica e ontologia”; “l'incidenza di Vico nell'antropologia di Grassi”; “Platone
nell’onto-antropo-logia di Grassi Dizionario Biografico degli Italiani. “La risposta (Antwort) del pensiero è l’origine della
parola (Wort) umana”, M. Heidegger, Poscritto a Che cos’è metafisica?“L’espressione
metaforica è in sé e per sé una risposta all’appello dell’Essere che si impone
qui ed ora, e con il suo carattere immaginifico raggiunge la struttura patetica
dell’esistenza”, E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo: un problema
epocaleAccostandoci ai lavori di Ernesto Grassi possiamo avere, non senza
qualche fondamento, l’impressione di trovarci di fronte ad un grande erudito la
cui ricchezza e minuziosità di esposizione non rende sempre agevole l’attraversamento
di tutte le tappe culturali, oltreché concettuali, toccate. Uno dei motivi di
quello stile grassiano, che si snoda tra meditazione e saggio, come
testimoniano gli ibridi stilistici contenuti in molti suoi contributi, da Assenza
di Mondo a Arte e Mito e Viaggiare ed Errare, può essere rintracciato nella
volontà di portare alla luce le diverse zone dell’umano senza tralasciarne
alcuna. Il movimento di “anabasi” e “catabasi”, dalla superficie al fondale,
dal suolo al sottosuolo, ci restituisce la complessità dei fenomeni culturali
che riguardano l’uomo nella sua interezza e non solo una sua parte più o meno
preponderante. Nella nostra analisi del pensiero di Grassi abbiamo seguito come
filo conduttore il tema dell’onto-antropo-logia che ci appare come una chiave
di lettura adeguata per comprendere la sua proposta umanistica-retorica e
l’idea di ganzer Mensch che la sottende. La nostra scelta interpretativa non
avrà come scopo una ricostruzione storiografica delle diverse tappe del
pensiero e della vita. “La risposta (Antwort) del pensiero è l’origine
della parola (Wort) umana”, M. Heidegger, Poscritto a Che cos’è metafisica?
“L’espressione metaforica è in sé e per sé una risposta all’appello dell’Essere
che si impone qui ed ora, e con il suo carattere immaginifico raggiunge la
struttura patetica dell’esistenza”, E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo: un
problema epocale Accostandoci ai lavori di Ernesto Grassi possiamo avere, non
senza qualche fondamento, l’impressione di trovarci di fronte ad un grande erudito
la cui ricchezza e minuziosità di esposizione non rende sempre agevole
l’attraversamento di tutte le tappe culturali, oltreché concettuali, toccate.
Uno dei motivi di quello stile grassiano, che si snoda tra meditazione e
saggio, come testimoniano gli ibridi stilistici contenuti in molti suoi
contributi, da Assenza di Mondo a Arte e Mito e Viaggiare ed Errare, può essere
rintracciato nella volontà di portare alla luce le diverse zone dell’umano
senza tralasciarne alcuna. Il movimento di “anabasi” e “catabasi”, dalla
superficie al fondale, dal suolo al sottosuolo, ci restituisce la complessità
dei fenomeni culturali che riguardano l’uomo nella sua interezza e non solo una
sua parte più o meno preponderante. Nella nostra analisi del pensiero di Grassi
abbiamo seguito come filo conduttore il tema dell’onto-antropo-logia che ci
appare come una chiave di lettura adeguata per comprendere la sua proposta
umanistica-retorica e l’idea di ganzer Mensch che la sottende. La nostra scelta
interpretativa non avrà come scopo una ricostruzione storiografica delle
diverse tappe del pensiero e della vita dell’autore su cui autorevoli
interpreti si sono diffusamente espressi1. Il coacervo di autori, prospettive e
tematiche, pone in luce i numerosi ambiti toccati dal filosofo:
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 1 Cfr., R. Messori, Le
forme dell’apparire. Estetica, ermeneutica e umanesimo nel pensiero di Ernesto
Grassi, Palermo, Centro Internazionale di studi di estetica, 2001; G. Civati,
Un dialogo sull’umanesimo. Hans-Georg Gadamer e Ernesto Grassi, l’Eubage, Aosta
2003; R. J. Kozljanic, Ernesto Grassi. Leben und Denken, München, Fink, 2003;
W. Büttmeyer, Rettifiche. Laurea, libera docenza e Studia Humanitatis di
Ernesto Grassi, in “Giornale critico della filosofia italiana”, LXXXIX, 2010,
fasc. I, pp. 148-176; Id., Ernesto Grassi. Humanismus zwischen Faschismus und
Nationalsozialismus, München, Alber 2009; J. Sànchez Espillaque, Ernesto Grassi
y la filosofìa del humanismo, Sevilla, Biblioteca Viquiana- Fenix Editora,
2010; S. Limongelli, Il problema dell’umano nella filosofia di Ernesto Grassi,
Vaprio d’Adda, GDS, 2008; Id., La svolta metaforica dell’ontologia
fondamentale, Vaprio d’Adda, GDS, 2009; M. Marassi, Introduzione a E. Grassi, I
primi scritti 1922-1946, La città del Sole, Napoli 2011. ! 4!
mitico/metaforologico, antropologico, filosofico, storia delle idee e storia
della cultura. In questo contesto teorico emerge la centralità del concetto di
Lichtung, il quale consente di comprendere la direzione metaforologica del
pensiero grassiano che nei saggi giovanili si era concentrato maggiormente su
una tematizzazione dell’ontologia fenomenologica. Si tratta di una Lichtung di
evidente sapore heideggeriano che allarga il suo raggio di incidenza sulla cultura
e sulla società trasformandosi nelle vichiane luci della Scienza Nuova. La
nostra attenzione si concentrerà sui temi che accompagnano l’iter grassiano
dall’ontologia alla metaforologia. In questo percorso ovviamente alcuni temi o
spunti resteranno sullo sfondo – come l’agire delle condizioni
storico-politiche (magistralmente ricostruite da Büttemeyer) – e si
privilegeranno quegli autori e quei temi che più ci appaiono attinenti con
l’argomento grassiano che vogliamo mettere in risalto. Dal nostro punto di
vista la prospettiva grassiana va interpretata come il tentativo di approntare
una nuova filosofia, nell’epoca in cui se ne è decretata la morte, che sia
innanzitutto esperienza del mondo e non solamente conoscenza. O meglio: di
conoscenza pur sempre si tratta, il punto di riferimento è pur sempre la
ragione, ma una ragione non classica: una “ragione fantastica”. La svolta
grassiana è verso la fantasia e la metafora2, da una teoria del concetto a una
teoria dell’inconcettualità per usare una ben nota espressione blumenberghiana.
Il filosofo italo-tedesco accoglie in tutta la sua problematicità l’eredità di
quel discorso posto a partire dal Settecento in modo sistematico
all’interrogazione filosofica: il conflitto tra ragione e sentimento che agita
le pagine degli empiristi, dei poeti, della critica kantiana fino alla
tematizzazione husserliana. La questione è ancora una volta quella di
riattivare un rapporto uomo-mondo non intrappolato nella rete di una
soggettività cogitativa o di un’oggettività alla quale adeguarci, attingendo a
un mondo pre-categoriale in cui gli orizzonti della sensibilità e della
razionalità, dell’immediatezza dell’atto e della riflessione che lo struttura
si intersecano. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 2 Sulla
svolta metaforica dell’ontologia fondamentale di Grassi cfr., S. Limongelli, La
svolta metaforica dell’ontologia fondamentale, cit. ! 5! In questo
orizzonte di ricerca dobbiamo compiere atti continui di demitizzazione: una
delle mitologie da sfatare per il filosofo è quella della ratio e dell’atto
dell’io penso di Cartesio, padre del pensiero moderno. Ma tale operazione
decostruttiva, tale filosofia col martello, per usare una ben nota metafora
nietzscheana, non si risolve in una mitizzazione, di segno opposto, della crisi
della ragione, del tramonto della civiltà in cui cultura e civilizzazione si
sono definitivamente separate, con la conseguenza di una dilagante
inautenticità dell’esperienza. Non ritroviamo mai in Grassi una rassegnazione
al declino dell’Occidente, un compiacimento quasi edonistico della dissoluzione
delle categorie, ma sempre una ricerca costante di un Altro inizio del
pensiero. Un inizio che è strettamente correlato alla potenza delle immagini.
Il significato attribuito all’immagine, alla forma, all’eidos3, esemplarmente
condensato nell’aneddoto di Poliziano sulle streghe nelle selve, raccontato
agli studenti in apertura del corso sull’Organon aristotelico4 e ricordato da
Grassi in Potenza dell’immagine, va contestualizzato all’interno della
questione più generale del rapporto tra filosofia e retorica, tra linguaggio
dimostrativo e indicativo già avvertito in maniera problematica dalla
riflessione sofistica gorgiana e di conseguenza platonica. E procedendo a
ritroso, i termini della questione ci conducono sulla strada di un’esatta
definizione della teoria della visione a cui l’eidos rimanda per sua stessa
definizione: “se infatti la forma dimostrativa, come pure quella indicativa,
del discorso hanno le loro radici nella teoria, nella vista, si deve allora
riconoscere che il vedere, la visione, oltrepassa l’ambito del linguaggio e che
l’immagine, l’eidos, giunge in primo piano. Dobbiamo dunque affermare tanto
l’inadeguatezza del linguaggio razionale quanto di quello indicativo, dato che
essi si basano sul vedere quale atto più originario dello stesso linguaggio?”5.
L’immagine si riferisce non solo all’oggetto di cui essa è immagine ma anche al
senso che diviene rappresentazione, una forza di sintesi con caratterizzazioni
qualitative proprie. Husserl ha parlato non
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 3 Grassi usa il termine
immagine nella sua identità con l’eidos come forma, schema e tipo. Cfr. E.
Grassi, Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, Guerini, Milano 1989,
p. 17. 4 Ivi, pp. 15-16. 5 Ivi, p. 17. ! 6! a caso di sintesi
passiva come genesi del simbolico, lezione che Grassi accoglie nel suo
tentativo di ricostruire un intero, una realtà dotata di sensi molteplici e
stratificati, senza il sacrificio di alcuna dimensione dell’esperienza. La
concettualizzazione messa a punto da Grassi dei grandi temi della filosofia,
dell’arte e della letteratura, mostra l’attenzione verso le dimensioni del
mondo storico, delle passioni dell’uomo, delle tradizioni drammatiche, teatrali
e metaforiche dell’Occidente. La luce gettata su questi campi di esperienza
spesso è offuscata dal tono della polemica e della rivendicazione degli ideali
del passato, che spiegano anche l’andamento della pagina grassiana: si tratta
di uno stile sempre mosso da un’inquietudine esistenziale, che si traduce in
un’espressione non sempre pacata e in un linguaggio lineare, ma in una parola
che ora è invettiva, ora icastico assioma. Il linguaggio non raggiunge mai la
trasparenza della deduzione sillogistica o della spiegazione logica,
configurandosi piuttosto come un linguaggio assiomatico e arcaico, che forse
trova una spiegazione nella critica grassiana al deduttivismo logico e ad un
sapere schiavo della mathesis universalis. Il discorso non può prendere che una
piega allusiva e indicativa, propria di un altro modo di relazionarsi alla
realtà. Grassi in qualità di cultore attento delle scienze umane, mostra quella
partecipazione esistenziale ed emotiva ai temi cruciali per l’esistenza
dell’uomo tipica di coloro che esperiscono la filosofia come bios pratico e
teorico, e solo secondariamente come gnoseologia e epistemologia. Dalla sua
prospettiva la ricerca logico-deduttiva urta definitivamente contro
l’indimostrabilità dei principi, tema, questo, che ricorre in gran parte dei
suoi saggi. Ma, allora, qual è la via di accesso a ciò che ci sovrasta e ci
governa? Come esperire l’archè originaria? Non attraverso la ratio si accederà
ai principi, ma attraverso il pathos: un sapere arcaico, un theorein che non si
limita ad usare i principi, ma a rifletterci sopra nel modo giusto. L’essere si
rivela attraverso un vedere che è patire poiché “la passione svela la realtà
del nulla che chiama a decidere, a violare il silenzio dell’abisso svelando il
senso segreto che in esso ci parla”6.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 6 S. Limongelli, La
svolta metaforica dell’ontologia fondamentale, cit., p. 4. ! 7! A
una pars destruens, a cui è dedicato parte del pensiero del filosofo, si
accompagna anche una pars construens, che si concretizza nell’ipotesi
metodologica ed epistemologica del sapere arcaico – che coinvolge tutta la
riflessione riguardo il mito, il pensiero topico, la metaforologia, l’ingenium
e la phantasia. L’apogeo della critica alla deriva razionalistica del pensiero
si colloca nell’individuazione della intima correlazione delle nozioni
aristoteliche di pistis e di episteme. Il filosofo afferma in Significare
Arcaico che “la pistis, intesa come fondamento dell’inspiegabile, perché
fondamento di ogni spiegazione, è propria del mondo originario e, come tale,
solo il mondo della fede è fecondo”7. Per pistis Grassi intende non un’opinione
o una forma di persuasione ma “il modo di realizzarsi in noi dell’originario
che comanda”8. La pistis diviene il fondamento della retorica originaria che ha
carattere ingegnoso e arcaico. Il collegamento istituito tra nous/ingenium e
archè mette in luce la stessa matrice originaria dell’episteme: l’urgenza,
l’impellenza e l’appello dell’essere si svelano attraverso segni indicativi
colti attraverso la passione. Secondo Grassi “ogni discorso dimostrativo
razionale si radica nel discorso arcaico puramente semantico, il quale
scaturisce nella sua immediatezza nell’ambito del nous, dell’ingenium, della
facoltà che realizza la visione dei segni originari che presiedono al mondo
umano”9. Quella che Grassi definisce come noetica è la forma originaria della
filosofia e si configura come a priori trascendentale di ogni dimensione
deduttiva e storica. Il fondamento del reale, del mondo storico e del mondo
umano, è quell’abissale fondamento di ogni fondamento, che, sulla scia
heideggeriana, il pensatore individua sia in Il dramma della metafora, quando
la riflessione si concentra sull’abissale nous passionale, sia in Das Reale als
Leidenschaft. L’aspra critica al deduttivismo, al riduzionismo logico del
pensiero, e alla matematizzazione di ogni discorso, non compromettono tuttavia
lo spessore speculativo della proposta di Grassi che resta
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 7 E. Grassi, Significare
arcaico, in “Archivio di filosofia”, Roma, 1966, p. 490. 8 Ivi, p. 489. 9 Ivi,
p. 491. ! 8! filosofica proprio nell’insistenza della ricerca sul
perché, su una, per quanto miope, visione dell’origine, su un primum esperibile
attraverso segni, indicazioni. La sua prospettiva, che abbiamo scelto di
definire onto-antropo-logica, può essere annoverata all’interno del più ampio
dibattito che anima la filosofia del ‘900: quello che vede incrociarsi i temi
dell’antropologia filosofica con quelli della riflessione sulla retorica. Sullo
sfondo agisce il paradigma dell’incompletezza: l’uomo come animale carente. Il
filosofo, sensibile alla riflessione dei biologi teoretici e degli antropologi
a lui coevi, è convinto che l’uomo sia di fronte ad un paradosso: è
caratterizzato dal punto di vista morfologico, dal punto di vista della sua
dotazione organica, da primitivismi, inadattamenti e non specializzazioni, a
cui fa da contraltare un’apertura al mondo che non lo vincola, come nel caso
degli animali, ad un ambiente preciso; da qui il suo disorientamento e
condizione di estraneità. Per il pensatore “la differenza essenziale tra vita
animale e umana sta nella razionalità di quest’ultima che (contrariamente a
quanto siamo soliti credere) in un primo tempo non segnala una superiorità,
bensì una certa inferiorità dell’uomo di fronte all’animale”10. Tale
inferiorità – il paradigma della carenza – appare in tutta la sua evidenza se
si tiene in considerazione che nell’animale la “regia dei sensi”11 restituisce
il significato immediato dei fenomeni. Il disancoraggio umano da un ambiente
dai contorni definiti e fissi rende l’umo compito a se medesimo, lo sottopone
ad un onere che si concretizza nella riconversione di una condizione deficitaria
in una progettazione di possibilità di conservazione della vita. Nascono la
techne, che “ordina i fenomeni in funzione a fini da realizzare”12, e
l’episteme, che “delimita i fenomeni in funzione a principi, a ragioni”13. La
prassi, l’azione, l’energheia e l’ergon, come compensazione alla struttura
morfologica deficitaria, si configura come trasformazione della natura in mondo
culturale, come umanizzazione
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 10 Ivi, p. 489. 11
Ibidem. 12 Ivi, p. 490. 13 Ibidem. ! 9! dell’ambiente che solo così
diviene mondo. In tale processo antropogenetico per Grassi la retorica occupa
un posto tutto particolare. La retorica diviene la faticosa produzione di
quelle concordanze che subentrano al posto dei codici mancanti. Essa avrà un
doppio ruolo: quello di mostrare come la pistis sia al centro dell’agire umano
e di porre in luce come l’uomo sia contraddistinto da una carenza originaria
che per una sorta di eterogenesi dei fini si rivela essere all’origine di quel
meccanismo antropogenetico che è la fondazione della comunità umana.
All’interno di questa prospettiva la riflessione retorica diviene teoria dei
segni (semata), semiotica, e teoria del senso, semantica arcaica, ben lontana
dalla semiotica formale. Una teoria del segno e del senso per il filosofo
“dovrebbe essere in grado di elevarsi al livello di filosofia in quanto
dottrina dei segni sulla base dei quali si manifesta il lavoro specificamente
umano (ergon anthropinon)”14. La questione linguistica si intreccia con quella
antropologica dell’origine del mondo umano come reazione all’agorafobia
primordiale della Lichtung, la semiosfera da cui si dipartono mondi possibili
dell’umano. Su questo sfondo teorico denso e complesso nella sua ricchezza
tematica si staglia la questione della rivalutazione dell’umanesimo, connessa
alla tematizzazione della co-originarietà di logos e pathos (dove il
trascendentale dell’esperienza è il sostrato patico che va a fondare la stessa
vita cogitativa), e alla critica del moderno. L’interpretazione grassiana
dell’Umanesimo è lontana dai presupposti teorici e metodologici a lui coevi che
privilegiavano il contributo ficiniano nel superamento del pensiero
immaginifico e retorico: lo scopo di Grassi è quello di mostrare come
l’attività filosofica non corrisponda sic et simpliciter con l’attività
razionale e concettuale ma comprenda anche l’attività della fantasia e della
parola figurata. Oltre alle posizioni di Spaventa e Gentile ad essere messa in
discussione è anche la via epistemologica cassireriana15. Si tratta di spostare
i termini della questione sul versante ontologico-
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 14 Id., Retorica come
filosofia. La tradizione umanistica, La città del Sole, Napoli 1997, p. 194. 15
Id., La filosofia dell’umanesimo. Un problema epocale, Tempi Moderni, Napoli
1988, pp. 17-36. ! 10! ermeneutico che si concreta nella
retrodatazione dell’inizio del moderno all’Umanesimo e al Rinascimento – contro
la tesi che individua in Cartesio l’inizio della modernità – in cui emerge la
questione della connessione tra soggetto e oggetto nell’espressione
linguistica. A partire dalla messa in discussione del pregiudizio heideggeriano
nei confronti dell’umanesimo, sia esso considerato come epoca storica ben determinata
o piuttosto come Weltanschauung inautentica, Grassi porta avanti la direzione
della Humanistische Bibliotek per l’editore Fink contribuendo alla
pubblicazione di cinquanta volumi a tema umanistico, come le opere di Petrarca,
Salutati, Valla, Pico. La questione dell’Umanesimo non è ristretta nei confini
della paideia che ha a cuore la rivalutazione della dignità dell’uomo ma ha una
vocazione metafisica e ontologica in quanto aperta al problema dello
svelamento. Come è stato messo in luce dagli interpreti l’attenzione è spostata
verso l’Umanesimo problematico anziché verso quello sistematico, verso la
ricchezza del possibile e non verso l’unilateralità del vero16. Gli autori
prediletti da Grassi mostrano tutti una critica verso gli schemi astratti ed aprioristici
e un’apertura verso la giurisprudenza, la retorica, la religione dei miti e la
politica. La dimensione retorica va considerata secondo il filosofo non come
elocutio ma come inventio: non si tratta di un ornamento edonistico del
discorso, o di una celebrazione epidittica, ma di una vis creatrice che attinge
al polimorfismo del reale: la Weltanschauung “umanistica tutt’altro che
tranquilla, trascura l’ontologia a vantaggio della metamorfosi, che
opportunamente si salda in Grassi alla centralità della metafora, stabilendo
con la topica una tassonomia mobile e con l’ingegno legami dal mandato sempre
provvisorio”17. Il magistero degli umanisti e di Vico, quale ultimo interprete
degli ideali di storicità, della funzione conoscitiva ma anche esistenziale
della fantasia, dell’ingegno e della metafora, consente a Grassi di porre
l’attenzione al momento genetico, aurorale del pensiero, più che alla sua fase
declinante, al suo tramonto. Vichianamente attento alla natura delle cose, che
altro non è che !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 16 Cfr.,
A. Battistini, Vico e l’umanesimo inquieto di Ernesto Grassi, pp. 385-404, in
AA. VV, Studi in memoria di Ernesto Grassi, La Città del Sole, Napoli 1996, p.
387. 17 Ivi, p. 390. ! 11! “nascimento in certi tempi e in certe
guise” (Scienza Nuova, Degnità XIV), Grassi rifugge dagli ideali cartesiani di
chiarezza e distinzione optando per l’opacità dei tropi. In Vico e L’umanesimo
il dualismo di pathos e ragione si concretizza nella dicotomia tra Cartesio e
Vico che divengono le due allegorie del danno e del rimedio per la filosofia
autentica. Cartesio compare quale bersaglio polemico di un discoro che vuole
scardinare l’impostazione razionalista del pensiero. Riconosciamo in questa
impostazione l’agire delle categorie interpretative del maestro degli “anni
mitici”, Heidegger, il quale sottopone l’autore delle Meditazioni all’affilata
mannaia della distruzione ontologica, valutando l’operazione metodica di
separazione tra io e mondo18, tra res cogitans e res extensa un’assurdità. Se
si postula una separazione non ci sarà alcuna possibilità di ricomposizione
della frattura come è possibile leggere in Essere e Tempo ai paragrafi 19-21.
Secondo Heidegger, a partire da Cartesio19avviene nella metafisica un importante
passaggio, quello dalla domanda che chiede che cosa sia l’ente, a quello della
domanda che si pone il problema del fondamento che rende possibile la
comprensione dell’ente. A tale fondamento poi si riconduce – ad esempio ,
nelle suggestive pagine di Il nichilismo europeo – lo sviluppo della tecnica
come estrema propaggine del pensare metafisico, come essenza stessa della
metafisica che è nichilismo. Nella tesi cartesiana ego cogito, ergo sum20,
infatti, Heidegger vede espresso un primato dell’io umano ed una nuova
posizione dell’uomo21, poiché l’uomo diventa subiectum22, il fondamento e la
misura di ogni !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 18
Sull’interpretazione heideggeriana dell’ontologia cartesiana del mondo cfr. M.
Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi, Milano, §§ 19-21. 19 Sull’interpretazione
heideggeriana del pensiero di Cartesio cfr., J. F. Courtine, Les meditations
cartèsiennes de Martin Heidegger, Les ètudes philosophiques 2009/1, n ̊ 88, p.
103-115. 20 È fin troppo nota la tesi cartesiana espressa a mo’ di slogan nel
Discorso sul metodo (CARTESIO, Discorso sul metodo, Paravia, Torino 1990, p.
72). Tale espressione indica la scoperta del soggetto, scoperta che nonostante
l’ergo non ha la caratteristica di un ragionamento discorsivo, bensì quella di
una certezza intuitiva. Il cogito è infatti innanzitutto una esperienza
incontrovertibile, poiché indubitabile e inaggirabile, e poi il principio più
importante della filosofia, come è possibile leggere in Id., I principi della filosofia,
parte I, § 7. Per un approfondimento circa la questione del cogito cfr. G.
Mori, Cartesio, Carocci, Roma 2010, pp. 116-122. 21M. Heidegger, Il nichilismo
europeo, Adelphi, Milano, p. 158. 22 Ivi, p. 168. ! 12! certezza e
verità. “La tradizionale domanda guida della metafisica – che cos’è l’ente – si
trasforma all’inizio della metafisica moderna nella domanda del metodo, della
via per la quale, [...] è cercato qualcosa di assolutamente certo e sicuro”23.
Tale metodo è il cogito e le sue strutture. Grassi fa sua l’impostazione
heideggeriana e afferma che occorre abbandonare l’ipotesi di un inizio
cartesiano del pensiero moderno poiché il vero inizio è quello che include il
pathos all’interno del logos. Egli sostiene che “all’inizio della filosofia moderna
Descartes escluse scientemente la retorica – e le altre materie proprie
dell’educazione umanistica – dalla filosofia come pura ricerca della verità”24.
Il dualismo di dimensione patica e dimensione razionale ha come conseguenza sul
piano teorico una contrapposizione tra il piano individuale, storico e
temporale della retorica e il piano generale, astorico, e svincolato dall’hic
et nunc. Il problema della connessione di pathos e logos, di filosofia critica
e topica, è posto per la prima volta secondo il pensatore in modo teoricamente
articolato nella filosofia vichiana soprattutto nel testo De ratione studiorum
del 1709 del quale Grassi ricostruisce in Vico e l’umanesimo minuziosamente le
tappe della critica del napoletano al razionalismo cartesiano: la pretesa di
partire da un primo vero attraverso il dubbio metodico; esclusione delle verità
seconde; esclusione del verisimile25. Se il primo vero riguarda l’essere e la
catena deduttiva della dottrina della scienza atta a conoscerlo, le verità
seconde pertengono all’ambito delle necessitates umane che spingono l’uomo a
ricercare quei mezzi per sopravvivere essenzialmente tecnico-poietici. Il
metodo critico di impostazione cartesiana trascura in questo modo la sfera
retorica, immaginativa, fantastica, ma anche politica, della vita umana,
ridotta al suo puro aspetto cogitativo. Sebbene il rapporto di Vico con il
cartesianesimo si presenti come un problema storiografico e filosofico
complesso26 si può senz’altro convenire con Grassi sull’opposizione vichiana alla
critica !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 23 Ivi, p. 169.
24 E. Grassi, Vico e l’Umanesimo, Guerini, Milano 1996, p. 25. 25 Ivi. 26 Cfr.
N. Badaloni, Introduzione a G. B. Vico, Feltrinelli, Milano 1961. !
13! cartesiana nel contesto della rivendicazione della priorità della
topica: “giacchè, come l’invenzione degli argomenti precede per natura la
valutazione della loro veridicità, così la dottrina topica dev’essere preposta
a quella critica”27. Non è la deduzione che precede l’inventio, ma al contrario
ogni catena di ragionamento è possibile unicamente sulla base di un
ritrovamento di luoghi28. Si tratta dell’arte “topica che si chiarisce così
come una dottrina dell’invenzione”29 di cui Cicerone e Quintiliano ci hanno
parlato e su cui già Aristotele si pronuncia in Topica in cui a quest’arte è
riconosciuta la capacità di individuare a “quanti e quali oggetti si rivolgono
i discorsi, da quali elementi derivano, e come sia possibile avere tali
discorsi facilmente a disposizione”30. La questione è ancora una volta quella
di tenersi lontani da una visione unilaterale della realtà tenendo conto delle
innumerevoli forme dell’apparire del reale, da interpretare in tutta la sua
ricchezza. La ricerca del vero particolare, circostanziale, storicamente
determinato ci spinge a concordare con Bons riguardo alla centralità dell’idea
di agire situativo31, sullo sfondo del quale si comprende la proposta retorica
grassiana. Si tratta di un agire situativo che alla formula cogito ergo sum
sostituisce la formula coactus sum ergo ago32: non “penso, dunque sono”, ma
“sono costretto, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 27 G.
B. Vico, Sul metodo degli studi del nostro tempo, a cura di A. Suggi,
Postfazione di M. Sanna, ETS, Pisa 2010, cap. III, p. 39. 28 Sulla figura di
Vico in Grassi Cfr. G. Cantillo, Ratio e inventio nell’interpretazione
dell’umanesimo, pp. 371-378, in AA. VV., Studi in memoria di Ernesto Grassi,
cit. ivi, A. Verri, Ernesto Grassi: Linguaggio e civiltà in Vico, pp. 405- 423;
ivi, S. Roic, Vico, Grassi e la metafora, pp. 425-435; A. Battistini, Vico e
l’umanesimo inquieto di E. Grassi, cit.; ivi, A. Pons, Vico e la tradizione
dell’umanesimo retorico nell’interpretazione di Grassi, pp. 437-446; ivi, L.
Amoroso, Vico, Heidegger e la metafisica, pp. 447-470; ivi, J. Vincenzo, La
ripresa grassiana di Vico, l’unità di pietà e sapienza, pp. 471-491. Cfr.,
sull’incidenza dell’interpretazione grassiana di Vico nel panorama degli studi
vichiani contemporanei G. Cacciatore, In dialogo con Vico, Edizioni di Storia e
letteratura, Roma 2015, soprattutto p. 38 nota 5; Id., Verità e filologia.
Prolegomeni ad una teoria critico-storicistica del neoumanesimo, in “Noema”, n.
2, 2011, pp.1-15, http://riviste.unimi.it/index.php/noema; J. M. Sevilla,
Prolegòmenos para una crìtica de la razòn problemàtica. Motivos in Vico y
Ortega, soprattutto il III capitolo, Retòrica como filosofìa. Vico, Heidegger,
Grassi y el problema del humanismo retòrico, pp. 146-227. 29 E. Grassi, Vico e
l’umanesimo, cit., p. 34. 30 Aristotele, Topica, 101 b 3. 31 E. Bons, Il
pensiero di Ernesto Grassi. Una breve sintesi, pp. 75-98, in AA. VV., Studi in
memoria di Ernesto Grassi, cit., p. 81. 32 R. Wisser, Ricordo di Ernesto
Grassi. Arte e mondo, pp. 159-191, in AA. VV., Studi in memoria di Ernesto
Grassi, cit., p. 188. ! 14! quindi agisco”. Proprio la
ricchezza del reale viene salvaguardata in un pensiero topico, ingegnoso capace
di apprendere maggiormente rispetto al pensiero critico tutto confinato all’interno
della catena delle deduzioni. Il nucleo teorico fondamentale è quello di saper
ritrovare le archai, le premesse indeducibili razionalmente, ma a partire dalle
quali soltanto è possibile dare inizio ad una catena di ragionamento esatto. Si
comprende allora l’accostamento ai temi metaforologici che per il filosofo sono
la base del discorso retorico e filosofico33. La metafora è il luogo, lo
spazio-di-tempo- in cui si dà la manifestatività dell’essere e il suo appello.
Poiché l’essere è un Altro di cui l’ente nel suo significato è trasposizione la
parola metaforica sarà l’unica in grado di accogliere l’appello dell’essere34.
Al filosofo non interessa dunque il meccanismo strettamente semiotico di
singole espressioni metaforiche, ma ciò che questo trasferimento nasconde, ciò
a cui supplisce. Su questo sfondo si può comprendere la declinazione
antropologica della retorica in base alla quale quest’ultima si costituisce
come “pensiero che è aperto alla chiamata della concreta situazione di vita”35
in cui la metafora riveste un ruolo particolare. Essa si configura come un
fenomeno cognitivo, un medium attraverso cui il pensiero non solo si articola,
ma su cui si fonda. Seguendo le tappe fondamentali della sua ricerca teoretica
riscontriamo che l’elemento riflessivo – sia esso orientato verso l’attualismo,
sia esso ispirato dalla “metafisica immanente” di Heidegger, sia, infine,
caratterizzato dalla propria originale prospettiva del filosofare noetico non
metafisico – è tutto spostato verso la pratica filosofica nel suo farsi e
compiersi e non verso un astratto razionalismo. Accompagnandosi costantemente
ad una filosofia attenta alla correlazione uomo-essere, mai chiusa in una
dimensione esclusivamente ontologica, Grassi si misura con una continua
operazione di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 33 E.
Grassi, Retorica come filosofia, cit., p. 75. 34 Id., La metafora inaudita,
Aesthetica, Palermo 1990, p. 62. Sul tema della metafora in Grassi cfr., D. Di
Cesare, Metafora e differenza ontologica. Grassi versus Heidegger, pp. 25-48,
in AA. VV., Un filosofo europeo: Ernesto Grassi, Aesthetica, Palermo 1996. 35
W. Veit., Critica radicale della ragione o l’altro rispetto alla ragione: la
sfida della retorica, pp. 99-126, in AA. VV., Studi in memoria di Ernesto Grassi,
cit., p. 113. ! 15! storicizzazione delle strutture del mondo
storico umano: il bello, il buono, il vero, la triade concettuale alla quale il
filosofo riconduce la totalità del mondo storico. L’avventura filosofica di
Grassi mette al centro il soggetto umano e la sua coscienza – la coscienza
temporale umanistica – senza cadere nell’idealismo vecchio e nuovo, né in un
soggettivismo di cartesiana memoria, proprio perché la coscienza per il
pensatore è un compito, uno sforzo e un impegno. Concetti, questi, che
scandiscono i momenti della vita pratica e politica del mondo umano e vanno ad
intrecciarsi con le idee di disancoramento, oggettività e coscienza temporale
umanistica. Il compito, lo sforzo e l’impegno, trattati in forma estesa in Il
reale come passione. L’esperienza della filosofia36 hanno una connotazione
ermeneutica, non solo pratico-politica, poiché permeano anche il processo
dell’interpretazione. La formazione umana – il cuore della retorica grassiana37
– fondata sull’interpretazione, ha carattere esistenziale per il filosofo. Egli
sostiene che tra formazione, interpretazione ed esistenza c’è un’intima
co-appartenenza, come emerge dalle pagine in cui il filosofo afferma che:
“l’interpretazione è il risultato di un ipotetico progetto in cui viene in
seguito verificato se contiene e chiarisce effettivamente tutti gli aspetti e
tutti gli elementi; questo procedimento è l’essenza dell’atto
dell’intelligenza. Poiché l’uomo è un essere aperto al mondo e non dispone di
schemi già pronti, la sua formazione acquista un carattere esistenziale.
Esistere significa sopportare la problematicità del rapporto dell’uomo con se
stesso e con il mondo senza evitare la decisione che è sempre richiesta”38.
L’esistenza interpretante secondo Grassi ha carattere trascendente, dove la
trascendenza è sempre intra-mondana poiché “si fonda sulla necessità di
formare, di portare ad uno schema, ad una forma [...] la teoria della
formazione diventa qui la dottrina della struttura dell’accadere umano alla
luce dell’origine del nostro divenire;
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 36 E. Grassi, I primi
scritti, cit., pp. 995-1029, soprattutto pp. 1022-1024, e Id., Prefazione a Der
tod des Sokrates di Guardini, ivi, pp. 985-989, soprattutto p. 986 37 Id.,
Retorica come filosofia, cit., p. 192. 38 Id., Potenza dell’immagine.
Rivalutazione della retorica, cit., p. 73. ! 16! diventa una
ricerca arcaica, nella misura in cui si riferisce agli schemi fondamentali
(archai) dell’autorealizzazione umana”39. L’analisi grassiana mira a proporre
un’idea di “totalità del fatto umano” il cui pieno sviluppo è obiettivo
dichiarato della sua proposta neo-umanistica. Grassi sostiene che “il fine
degli studi umanistici è il pieno sviluppo di tutte le capacità dell’uomo,
dell’!"#$% &%'"()*%$%”40. Se la coeva concezione del sapere si
concentra solo sul suo aspetto di utilità all’uomo, misconoscendo la diversità
delle fonti dell’esistenza umana (il vero, il buono, il bello) per il filosofo
occorre svoltare verso una scienza che “riconosce che ci sono capacità
differenti, autonome l’una rispetto all’altra e nondimeno appartenenti tutte
quante all’essenza e all’interezza dell’uomo, e che dal loro pieno sviluppo
sorgono le diverse opere dell’uomo”41. Per il filosofo bisogna ammettere che il
sapere, il bello, il buono, non dipendono dall’applicabilità e che “solo
liberando le fonti della vita e rispettando la loro autonomia, sia può
realizzare l’opera complessiva dell’uomo, quella totalità che era anche
l’antico ideale della comunità politica, ossia della comunità umana”42.
L’intima connessione strutturale di pensiero, volontà e passione – in cui
riecheggia la lezione diltheyana appresa durante lo stage tedesco degli anni
giovanili – e la relazione dialettica di continuo scambio tra uomo e mondo circostante
caratterizzano una nuova visione del tempo che non trova più il suo fondamento
nell’a-priori formale della ragione ma nelle concrete e sempre nuove
connessioni che l’uomo istituisce attraverso le espressioni linguistiche,
artistiche, civili, politiche. Tutti i contributi grassiani muovono dal rifiuto
di assolutizzare un’essenza universale dell’umano e dal proposito di rendere
ragione della condizione umana attraverso l’indagine dei possibili punti di
mediazione di ragione e passione, logos e pathos, tramite una ricerca che
potremmo definire !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 39
ivi, p. 74. 40!Id., Prefazione a Die Totenrede des Perikles di Tucidide, pp.
975-983, in Id., I primi scritti, cit., p. 979.! 41!Ibidem.! 42 Ibidem. !
17! fenomenologia storico-ermeneutica – almeno per quanto riguarda gli
scritti tardi come La potenza della fantasia, La potenza dell’immagine,
Heidegger e il problema dell’umanesimo, Retorica come filosofia, La filosofia
dell’umanesimo, Vico e l’umanesimo, La metafora inaudita, Il dramma della
metafora – che fa capo ad un concetto sintetico-trascendentale della fantasia
che si costituisce come strumento indispensabile di mediazione tra l’esperienza
storica e pratica finita e la generalizzazione dei miti, delle metafore. Lungo
questo processo complesso e ricco di articolazioni nel campo della psicoanalisi
(Freud), della letteratura (Eschilo, Sofocle, Euripide, Ovidio, Dante,
Petrarca, Boccaccio, Leopardi, Ungaretti, Poe, Mallarmè, Proust, Wagner,
Hölderlin), dell’antropologia e della biologia teoretica (Scheler, Plessner,
Gehlen, Driesch, Von Uexküll padre e figlio), della retorica (Cicerone,
Quintiliano, Tesauro, Graciàn) e naturalmente della filosofia, avviene quello
slittamento verso una “teoria dell’atto metaforico” che è l’esito della sua
filosofia. La ricerca sulla metafora non si configura semplicemente come una
fenomenologia metaforologica che si limita alla descrizione delle metafore che
ha prodotto la storia umana, ma come una teoria che indaga il plesso
azione-metafora. Si tratta di una teoria che guarda all’energheia metaforica e
al processo del metapherein segnando una distanza netta dall’astrazione
concettuale. Quest’ultima fissa il reale bloccandone il flusso e la vita in una
staticità, cristallizzazione e immobilità, mentre la teoria grassiana pone in
luce l’aspetto arcaico, nel senso di fondativo, dell’atto metaforico che genera
il mondo umano proprio attraverso un atto di trasposizione che agisce su due
livelli: linguistico (linguaggio metaforico); pratico-politico (fondazione
della comunità umana a partire dalla umanizzazione della natura tramite
pratiche di trasposizione di significato). L’accento della riflessione si
sposta dalla ricerca sul perché e sul che cosa alla domanda sul come il reale
si impone alla nostra percezione. Il reale, l’originario, l’essere si impongono
nell’urgenza dell’appello ermeneutico in cui l’ente svela la propria
mutevolezza e l’uomo la propria risposta agli appelli dell’essere. Nel
corrispondere all’appello dell’essere si impone all’attenzione il pathos e la
sua funzione manifestativa:la passione ha infatti carattere di apertura mondana
e il logos, la parola, emergono come “rottura del sacro”, destino della
Menschwerdung. Logos come risposta al silenzio primordiale, quello della ingens
sylva, che dice del fondamento il suo ! 18! essere al contempo puro
apparire e progetto creativo. Il pathos arcaico, luogo del manifestarsi
dell’abissale potere dell’essere, non può che trovare espressione in un logos
lontano dall’astrattismo intellettualistico ma piuttosto vicino all’orizzonte
poetico, che più che essere interpretato come orizzonte letterario è ricompreso
all’interno della filosofia come meditazione esistenziale, pratica concreta di
ricerca del senso. É nel rapporto tra poesia e filosofia che si apre
l’orizzonte di comprensione dell’essere. In Grassi si ravvisa la traccia di un
pensiero “integrale o integrativo”, sottratto alle rigide categorie della
ragione metafisica ma aperto all’irruzione del novum. La ricerca filosofica si
costituisce allora come indagine dei punti di mediazione, di unità e
distinzione delle forme dell’essere. La questione suprema è la domanda sul
luogo e le modalità originarie in cui accade la nostra apprensione della
realtà. Il logos metaforico si scopre come linguaggio originario dell’essere,
come espressione della dualità creativa e patica dell’esperienza
dell’originario. Un’esperienza in cui “la poiesis diventa un momento della
praxis”43, e non un gioco effimero del dire, e la metafora si tramuta nella
“serietà del pensare filosofico”44. “La metafora con il suo carattere
immaginifico e non causale, non concettuale ma ingegnoso, supera il divario che
corre tra la teoria, il concetto universale, e la pratica sempre connessa con
il caso particolare”45. Solo attraverso il dire metaforico si apre, nel
silenzio tragico dell’aperto, quello spazio abitabile dall’uomo.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 43 E. Grassi, La
metafora inaudita: originarietà e paradossia della metafora, in “Quaderni di
italianistica”, Vol. IX, N. 1, 1988, p. 19. 44 Id., La filosofia
dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 178. 45 Ibidem. ! 19!
CAPITOLO I ERNESTO GRASSI: UN BRILLANTE INTERVISTATORE A CACCIA DI FILOSOFI? I.
I. Grassi nel giudizio dei filosofi È il 14 gennaio del 1928 e Karl Jaspers in
una lettera indirizzata a Heidegger scrive: “il messo di questa lettera, il
dottor Grassi di Milano, desidera parlarle di persona. Studia filosofia
tedesca, ha letto il suo libro e ne ha una conoscenza sorprendente –
naturalmente con tutti i fraintendimenti dovuti alle interferenze della
tradizione, ma tuttavia con una buona, stupefacente approssimazione. Credo
che il suo vivace interesse le farà piacere”46. Il 10 febbraio Heidegger
risponde: “Il dottor Grassi mi ha fatto in un primo momento una grande
impressione per via della sua intensità e di una particolare sensibilità. Ma mi
è poi venuto il dubbio che si tratti di una natura giornalistica”47. Anche
Jaspers, poi, si pronuncerà in un modo altrettanto poco benevolo definendo
Grassi un brillante intervistatore ma non di certo un filosofo. Oltre questi
giudizi, in fondo sbrigativi, possiamo ricordare quelli di Guido Calogero, il
quale in riferimento al primo libro di Grassi, Il problema della metafisica
platonica del 1932, pubblicato dall’editore Laterza grazie all’interessamento
di Croce, e dedicato a Heidegger, afferma che egli avrebbe fatto meglio a
scrivere un libro su Heidegger dopo aver studiato Platone invece che scrivere
un libro su Platone dopo aver studiato Heidegger48. Croce scrisse: “insegnante
in Germania, il Grassi si propone il problema di avvicinare e indurre a
concorde collaborazione la filosofia italiana e quella tedesca. I1 problema non
ha consistenza, perché non c’è né la filosofia tedesca né quella italiana, ma
solo la filosofia senza aggettivi, nel cui nome unicamente giova parlare a
italiani, a tedeschi e a ogni altro popolo e individuo”49.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 46 M. Heidegger-K.
Jaspers, Lettere 1920-1963, tr. It. Di A. Iadicicco, Milano Cortina 2009, p.
73. 47 Ivi, pp. 73-74. 48 G. Calogero, Recensione a E. Grassi, Il problema
della metafisica platonica, Bari, 1992, in “Giornale critico della filosofia
italiana”, 1932, 4, XIII, pp. 304-308, p. 308. 49 B. Croce, Pagine sparse, Vol.
III, Laterza, Bari 1960, p. 406. ! 20! E così De Ruggiero,
Vanni-Rovighi, Ottaviano50. Insomma, negli anni in cui il filosofo milanese
ambiziosamente cerca di ritagliarsi un posto nella cerchia degli intellettuali
più prestigiosi dell’epoca i giudizi sulle sue idee non furono troppo
favorevoli: Grassi appare un brillante intervistatore a caccia di filosofi, la
cui opera è da considerare al massimo come “prova cattiva di un ingegno
ottimo”. Ma stanno proprio così le cose? Quanto di vero c’è in queste
affermazioni e quanto, invece, di approssimativo? Un breve ripercorrimento
dell’itinerario speculativo di Grassi almeno fino alla metà degli anni ’40
consentirà di comprendere la plausibilità o meno dei giudizi critici ora
ricordati. I.! II. Le tappe della formazione di Grassi Scrive Grassi in La
filosofia dell’umanesimo. Un problema epocale: “nell’anno 1928 – dopo aver
brevemente assistito ai corsi di M. Scheler e di K. Jaspers – andai a Marburgo
da Heidegger che si dichiarò disposto a seguire il mio lavoro di libera docenza
[...] i luminari dell’università di Friburgo erano Husserl (che teneva il suo
ultimo corso come professore emerito), Heidegger (che aveva assunto la cattedra
di filosofia)”51. È il 1986 e Grassi, ripercorrendo le tappe salienti della
propria autobiografia intellettuale, pensa a quegli anni friburghesi definiti
mitici. Si tratta, infatti, degli anni mitici e indimenticabili delle lezioni
di colui al quale Grassi guarda sempre – nonostante le prese di distanza di
natura politica – come ad un autentico maestro: Heidegger. L’arrivo a Friburgo
del giovane Grassi era stato preceduto da un lungo periplo intellettuale,
oltreché geografico, che ha indotto alcuni interpreti, come Cacciatore a
definire quella di Grassi “filosofia del viaggio”52.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 50 Cfr., G. De Ruggiero,
G., Recensione a E. Grassi, Il problema della metafisica platonica, Bari 1932,
in “La Critica”, 1932, 5, XXX, pp. 375-376. Ottaviano C., Recensione a E. Grassi,
Vom Vorrang des Logos, München 1939, in «Sophia», Napoli 1938, III, pp.
397-399. Vanni-Rovighi S., Recensione a E. Grassi, Vom Vorrang des Logos,
München 1939, in «Rivista di filosofia neo-scolastica», Milano 1940, 4, XXXII,
pp. 309-314. 51 E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale,
cit., p. 20. 52 Sul tema del viaggio e del resoconto di viaggio in Grassi come
fenomeno non meramente odeporico ma innanzitutto cognitivo cfr., G. Cacciatore,
América latina y pensamiento europeo en la “filosofìa del viaje”de Ernesto
Grassi, pp. 79- 91, in Id., El bùho y el còndor. Ensayos entorno a la filosofia
hispanoamericana, ed. e trad. di M. L. Mollo, Planeta Bogotà 2011. “Serìa
entonces un error garrafal esperarse del libro de Grassi [...] elementos meramente
descriptivos o ! 21! Grassi, nativo di Milano (1902-1991), dopo
aver conseguito la laurea in filosofia con Piero Martinetti il 30 giugno del
1925, discutendo una tesi dal titolo L’unità formale della vita e
l’impostazione del problema teologico, trae orientamento decisivo nel suo iter
filosofico dall’incontro con il padre francescano Emilio Chiocchetti, uno dei
primi maestri della neoscolastica milanese aperto al confronto con i temi della
modernità. Autore di un importante volume, La filosofia di Benedetto Croce del
1915, frutto di studi compiuti tra il 1912 e il 1914, Chiocchetti porta avanti
ricerche sui temi del modernismo, del pragmatismo e della gnoseologia e su
autori come Gentile e Vico che affascinano molto il giovane Grassi, i cui primi
lavori apparsi tra il 1922 e il 1925 sulla rivista Rassegna Nazionale, di
stampo nazionalista, conservatore e cattolico53, mostrano idee ispirate al
pensiero del “carissimo ed onorato padre Chiocchetti”54 e a valori liberali e
cattolico-attivisti, come si evince soprattutto dai saggi A proposito di un
cinquantenario, del 1922, dedicato alla figura di Mazzini; Germania, un
resoconto di un viaggio “alla ricerca di idee che affratellino la gioventù
tedesca e italiana”55; I giovani e il partito popolare italiano.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! momentos narrativos de
situaciones, paisajes, modelos de vida, costumbres, mentalidades [...] hay que
leer las pàginas grassianas ante todo como una experiencia personal que
enterpreta el viaje (y la secuencia de sus movimientos: la preparaciòn, la
espera, el acercamiento, el estar y el retornar) como un sìmbolo, como una
metàfora del pensamiento occidental en busca de sus orìgines. Y se trata de una
bùsqueda que se afina y se perfecciona voluntariamente, con la adeguadeza de la
reflexiòn y con la dilataciòn de la perceptiòn, precisamente en la situaciòn
lìmite de una experienza espacio-temporal distinta, de una apropriaciòn
continua de imàgenes inèditas de naturalezas diversas, de olores que nunca se han
sentido, de sensaciones visuales y tàctiles que nunca han sido experimentadas”,
p. 81. Mi permetto di rinviare al mio saggio La hora de Pan en Reisen ohne
Anzukommen. Eine Konfrontation mit Sudamerika de Ernesto Grassi, pp. 323-336,
in A. Scocozza-G. D’Angelo (a cura di), Magister et discipuli: filosofìa,
historia, polìtica y cultura, Penguin Random Hause, Bogotà 2016; Ead.,
Meditazioni sudamericane: la tappa sudamericana dell’onto-antropo-logia di
Ernesto Grassi in cds in “Studi Interculturali”, Trieste, 1, 2017. 53 Proposito
della rivista era quello di collocarsi a metà strada tra i contributi dedicati
unicamente ai settori storici e scientifici e quelli di carattere
politico-religioso: “Cattolici e italiani, pur rispettando sempre le
convinzioni e le credenze altrui, noi coopereremo, per la nostra parte, a
conservare le istituzioni religiose, morali, sociali, civili e politiche
dell’Italia. Le istituzioni religiose, poiché noi cattolici e sincerissimamente
devoti alla Chiesa cattolica, quando sorgano questioni di attinenza tra la
religione e lo stato, pur riconoscendo la necessità che lo stato mantenga i
diritti propri, ci proponiamo di insistere e raccomandare la sacra necessità di
rispettare i diritti della chiesa e delle coscienze: non rispettati i quali, si
offendono o prima o poi anche i diritti della civile società”, La rassegna
nazionale, I, 1879, vol. I, p. 5. 54 E. Grassi, L’impatto con Heidegger, p. 75
in M. M. Olivetti (a cura di), La recezione italiana di Heidegger, pp. 73-82,
Cedam Padova 1989. 55 Id., Germania, in “Rassegna Nazionale”, XLIV, novembre
1922, seconda serie, vol. XXXIX, pp. 100-109 ora contenuta in E. Grassi, I
Primi scritti, cit., p. 18. ! 22! I successivi lavori grassiani, a
partire da Il tragico del 1923 – che espone in nuce nodi concettuali che il
filosofo avrebbe più estesamente tematizzato negli ultimi lavori: La metafora
inaudita e Il dramma della metafora – per proseguire con Scolastica e storia
dello stesso anno e Il pensiero di Machiavelli e l’origine del concetto di Stato
del 1924, mostrano uno slittamento da una concezione negativa del principio di
immanenza ad una considerazione molto positiva del contesto politico, quale
nuovo luogo di emancipazione umana dopo la crisi del primato della
trascendenza. Soprattutto dopo la stesura del saggio su Machiavelli possiamo
riscontrare una “prima svolta” grassiana dovuta con molta probabilità ad
un’analisi dettagliata del pensiero di Croce, Gentile e degli umanisti, primo
fra tutti Dante. Ci sembra convincente l’ipotesi di Messori56 secondo la quale
a partire da questo momento, ossia dal saggio del 1924, l’Umanesimo diviene il
terreno privilegiato della riflessione grassiana, la quale, grazie al pensiero
politico di Machiavelli, riscopre un altro inizio del pensiero moderno, un altro
ingresso alla filosofia, non gnoseologico e teologico, ma unicamente
antropologico. Si tratta di un risultato di grande importanza poiché tra gli
anni Trenta e Quaranta il filosofo milanese mette a tema quell’endiadi
concettuale – il nesso logos-pathos, in cui il pathos appare come a priori
dell’esperienza umana nella sua totalità, e dunque anche del momento cogitativo
– che ritroveremo costantemente espressa e concettualizzata nella successiva
produzione, da Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica del 1970, a
Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale del 1979, a
Retorica come filosofia. La tradizione umanistica del 1980, fino ai testi degli
anni Ottanta, Heidegger e il problema dell’umanesimo (1983), Umanesimo e retorica.
Il problema della follia (1986), La filosofia dell’Umanesimo: un problema
epocale (1986), Vico e l’umanesimo, che raccoglie una serie di saggi pubblicati
singolarmente dal 1969 al 1990. Almeno in questa fase, tuttavia, occorre
sottolineare che la considerazione dell’antropologica umanistica si pone ancora
fortemente come una visione antropocentrica, mentre solo
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 56 R. Messori, Le forme
dell’apparire, cit., soprattutto I cap. ! 23! successivamente all’incontro
con Heidegger e alla scelta del concetto di Lichtung quale filo conduttore del
nuovo approccio all’umanesimo, approccio da noi definibile onto-antropo-logico,
tale visione sarà più orientata verso una tematizzazione del nesso uomo-essere.
In questo periodo Grassi collabora anche con l’informatore bibliografico del
Circolo Filologico milanese, la Rassegna di coltura, fondato nel 1872 e sul
quale pubblica tra il 1925 e il 1927 una serie di contributi dai quali traspare
uno studio di Croce e dell’attualismo gentiliano. Conseguita la laurea nel
1925, incomincia per il pensatore l’ambiziosa avventura europea57, in Francia e
in Germania, alla ricerca di un proprio accesso alla filosofia. In seguito al
soggiorno a Aix en Provence, durante il quale conosce Blondel58, scrive La più
recente attività della filosofia dell’azione in Francia del 1928, in cui la
filosofia dell’azione è considerata come filosofia della trascendenza che non
nega i valori dell’immanenza, ponendosi, piuttosto, come condizione di possibilità
della processuale manifestazione dei valori immanenti, e Il platonismo
cristiano di M. Blondel del 1932, il cui merito sarebbe stato quello di
liberare la metafisica dal presupposto gnoseologistico. È a partire da questo
saggio che si profila quell’avvicinamento all’attualismo che successivamente si
sarebbe coniugato con la questione filosofica heideggeriana59 e che spinge
Grassi ad approfondire la cultura filosofica tedesca.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 57 Ad un peccato di
ambizione si deve, con buona dose di probabilità, l’adesione di Grassi al
partito fascista il 3 maggio del 1933. Secondo la documentata ricostruzione di
Büttemeyer, l’iscrizione al fascio fu fatta per ottenere la tessera senza la
quale non era possibile partecipare ai concorsi in Italia. Cfr., Büttemeyer,
Ernesto Grassi. Humanismus zwischen Faschismus und Nationalsozialismus, cit. 58
Sui rapporti Grassi-Blondel cfr., il lavoro di S. D’Agostino, La metafisica di
Ernesto Grassi tra Platone e Blondel, pp. 275-295, in P. Pagani- S- D’Agostino-
P. Bettineschi (a cura di), La metafisica in Italia tra le due guerre, Istituto
della Enciclopedia italiana, Roma 2012. 59 Cfr., W. Büttmeyer, Rettifiche.
Laurea, libera docenza e “Studia Humanitatis” di Ernesto Grassi, cit., p. 159:
“La prima formazione filosofica di Ernesto Grassi è dovuta a Emilio
Chiocchetti, la cui concezione di una neoscolastica moderata si mostra negli
scritti dell’allievo dal 1922 fin verso il 1925. Mediata da Chiocchetti, vi si
aggiunge la conoscenza dell’estetica di Benedetto Croce (1923) e della sua
gnoseologia (1925) nonché del modello dialettico della storia della filosofia
che si concretizza nell’interpretazione gentiliana del Rinascimento
(1923-1924). Grassi mostra momentaneamente simpatie per Miguel de Unamuno
(1924-1925), per il concetto martinettiano dell’Unità assoluta (1924-1925) e
per la filosofia di Bernardino Varisco (1925-1926), che gli era stato anche
maestro con i suoi lavori; ma essi non esercitano se non un’influenza
marginale. Rimane invece escluso l’attualismo e immanentismo di Giovanni
Gentile: pur avendolo conosciuto nei seminari di Chiocchetti e poi sulle opere,
lo recepisce positivamente soltanto a partire dal 1926, dopo aver già
presentato una ventina di pubblicazioni”. ! 24! Dopo aver
affannosamente girovagato per la penisola italiana in cerca di una propria via
al filosofare Grassi approda finalmente nella terra materna e lì, nella
riflessione heideggeriana, trova un punto di partenza per una Weltanschauung
più ampia rispetto a quella giovanile, ancora troppo influenzata dall’ambiente
neoscolastico. In questi anni pubblica numerosi saggi apparsi sulla “Rivista di
filosofia”: Empirismo e naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea del
1929; Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella filosofia
tedesca contemporanea dello stesso anno, in cui Grassi rimprovera a Husserl la
mancanza di una solida base storico-filosofica, in particolare una superficiale
interpretazione dell’idealismo tedesco e un’assenza di conoscenza della
filosofia italiana, da Spaventa a Gentile, pur riconoscendo alla fenomenologia
il merito di aver trovato uno spazio di riflessione oltre la linea psicologista
e naturalista e storicista. Secondo Grassi “da un canto la scuola neo-kantiana si
era isterilita sui problemi della scienza e sui rapporti astrattamente
concepiti e quindi insolubili, della conoscenza filosofica e scientifica,
naturalizzando le categorie e risolvendole parzialmente nelle leggi naturali.
D’altro canto lo storicismo e la superficiale conoscenza del pensiero di
Dilthey non aveva portato nessun nuovo contributo, cosicché nella generale
crisi e disorientamento, tutti si rifecero a Husserl”60. Insomma, il filosofo
di Prossnitz, in quello che per Grassi è quasi un deserto filosofico –
psicologismo, neokantismo e storicismo –, costituisce un’oasi intellettuale
che, tuttavia, ha molti limiti e non solo di natura storico-filosofica:
l’astrattismo, e la disattenzione per il pensiero pensante a favore del
pensiero pensato, l’incomprensione del pensiero concreto. Per Grassi gli
aspetti negativi sono tali da rendere la filosofia husserliana attiva solo per
lo spazio di vent’anni e cieca a quella concretezza del pensiero e
dell’esistenza che solo Heidegger avrebbe portato alla luce con Essere e Tempo
“realizzando per primo in Germania la critica della fenomenologia di
Husserl”61. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 60 E.
Grassi, Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella filosofia
tedesca contemporanea, in “Rivista di filosofia”, Milano XX, aprile-giugno
1929, n. 2, pp. 129-151, ora in Id., Primi scritti, cit., pp. 186-187. 61 Ivi,
p. 187. ! 25! In questo periodo Grassi opera quella collocazione
della proposta filosofica heideggeriana all’interno della propria formazione
intellettuale, formulando l’ipotesi del possibile incontro tra la teoria
gentiliana dell’atto e la questione del Dasein, quale luogo storico del
disvelamento dell’essere di stampo heideggeriano, che aveva proprio lo scopo di
destrutturare quella categoria di coscienza rappresentativa che dal cogito
cartesiano era rifluita nelle teorie di Kant, Hegel e Husserl. Heidegger
diviene il perno principale attorno al quale gravita l’attenzione filosofica di
Grassi che si concretizza nella stesura del saggio del 1930 Il problema della
metafisica immanente di M. Heidegger e de Il problema del nulla nella filosofia
di M. Heidegger del 1937. Il merito del filosofo di Messkirch sarebbe stato
quello di proporre una visione dell’uomo come Dasein, come esistente, atto
immanente, metafisico e autorealizzantesi62 che amplifica l’interesse per la
concretezza e la fatticità dell’esistenza contro ogni razionalismo e
astrattismo, superando la contrapposizione tra soggetto e oggetto. Intanto
appaiono tra il 1932 e il 1935 i saggi Il problema filosofico del ritorno al
pensiero antico e Paideia e neoumanesimo che riprendono tematiche trattate in
Il problema della metafisica platonica e che mostrano una coniugazione della
proposta filologica di Jaeger con il ripercorrimento teoretico heideggeriano
del pensiero greco nel contesto più generale di un progetto paideutico e
umanistico che recuperasse il senso autentico dell’humanitas attraverso
l’esperienza filosofica della grecità, per Jaeger e Heidegger, e della latinità,
per Grassi. L’incontro tra la proposta jaegeriana e heideggeriana circa il tema
del neoumanesimo si affianca all’altro intreccio, quello tra l’ontologia
fenomenologica ermeneutica di Heidegger e l’attualismo di Gentile. In
Dell’Apparire e dell’essere. Seguito da Linee della filosofia tedesca
contemporanea del 1933, sullo sfondo dell’incontro Heidegger-Gentile sono
espressi alcuni nuclei teorici che avrebbero accompagnato Grassi in tutto il
suo cammino di pensiero: il carattere elenchico del principio di non
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 62 Id., Il problema
della metafisica immanente di M. Heidegger, in “Giornale critico della
filosofia italiana”, Milano- Roma, XI, luglio-agosto 1930, fasc. IV, pp.
288-314, ora in Id., Primi scritti, cit., p. 209. ! 26!
contraddizione, fondamento di ogni dimostrazione ma a sua volta non
dimostrabile; metodo e cogito in Cartesio; concetto di apparenza,
manifestatività ed essere; idea di fondamento. Come abbiamo ricordato
all’inizio, la prima formazione di Grassi fu di carattere neoscolastico, con
un’attenzione particolare alle questioni riguardanti la trascendenza, come
emerge dal saggio La dialettica dell’amore in cui il filosofo milanese afferma
che “il pensiero umano, la filosofia, è condotta dalla propria immanenza verso
la necessità della trascendenza che appunto perciò non può conoscere,
realizzare, creare, ma solo ricevere come una “grazia” proprio nel senso
teologico della parola”63. Un’impostazione di questo tipo spiega anche una
originaria critica dell’immanentismo gentiliano, e della sua scoperta
fondamentale, l’autocoscienza come pura forma, che induce Grassi a porsi come
un fiero oppositore di tutta la filosofia dell’immanenza64. Ma la difesa della
trascendenza messa in campo dalla neoscolastica è avvertita da Grassi come
insufficiente: in questo spazio si innesta la figura di Heidegger che diviene
quasi un antidoto alle carenze della neoscolastica, ma dello stesso
attualismo, che lascia non tematizzata la differenza ontologica tra essere e ente,
nonostante l’acquisizione dell’originario come atto del cogitare nel suo stesso
compiersi o come autorealizzantesi processo esistenziale e non come oggetto del
pensiero. Secondo l’interpretazione di Grassi il superamento gentiliano della
dicotomia soggetto-oggetto attraverso la radicalizzazione dell’esperienza
approda allo stesso risultato husserliano e
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 63 Id., La dialettica
dell’amore. Il dolore di Tristano, in “assegna Nazionale”, Roma, XLVI, dicembre
1924, seconda serie, vol. XLVII, parte I, La richiesta dell’amore, pp. 137-148,
parte II, La sofferenza del Tristano, pp. 148-162; XLVII, febbraio 1925,
seconda serie, vol. XLVIII, parte III, La dialettica del dolore, pp. 101-109,
parte IV, La gioia può spingere alla vita, pp. 109-114 ora in Id., Primi
scritti, cit., p. 122. 64 Ivi, p. 120: “Il concetto di forma pura,
inobiettivabile, è proprio caratteristico della realtà infinita eterna, in
qualsiasi concezione immanente o trascendente del reale, ed è quindi naturale
che il processo di immanenza del pensiero moderno abbia voluto ad esse ridurre
la realtà del divenire umano. Infatti se la realtà nella sua immanenza è pura
forma, fuori di essa non esiste più nulla e quindi è tutta, l’unica realtà fuori
dello spazio e del tempo di ogni concetto di limite perché come pensiero
attuale, concreto, pone esso stesso il tempo e lo spazio e il limite, rimanendo
esso stesso l’unico illimitato. L’autocoscienza come pura forma è certo la più
grande scoperta di tutta la filosofia dell’immanenza e lo è proprio, merito di
Giovanni Gentile. In ogni modo ci teniamo però a definire e a dichiarare a
tutti gli oppositori del sistema immanentista del reale, e quindi a noi stessi,
che questo è proprio il punto di capitale importanza da discutere e da
controbattere”. Per una ricostruzione della presenza di Gentile in Grassi cfr.
R. Messori, Le forme dell’apparire, cit. ! 27! heideggeriano:
quello dell’intenzionalità, della relazione originaria di io e mondo. Una relazione
che non può essere messa da parte o a tema attraverso un processo di epochè65:
l’esperienza dell’oggetto non consente un’oggettivazione dell’esperienza. Lo
spazio di relazione e compromissione tra io e mondo resta uno spazio di
indeterminazione e di esperienza che rende l’atto gentiliano simile alla
nozione di aletheia di Heidegger e che è merito di Grassi aver sottolineato.
Volendo suddividere per comodità, e con tutte le riserve del caso, l’unità di
pensiero di Grassi in tre fasi principali, otteniamo lo schema seguente: la
fase giovanile formativa, dominata dai temi della scolastica cattolica
emergenti nei saggi degli anni Venti66; la fase metafisico-immanente, in cui
abbiamo la correlazione dell’attualismo gentiliano con il contributo
blondeliano della filosofia dell’azione, con quello crociano dell’estetica e
dell’autonomia delle forme dello spirito, e con la metafisica esistenziale
heideggeriana67; la fase matura neo-umanistica68 – i cui nuclei teorici già
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 65 Sottolinea molto bene
questo aspetto Natoli, in S. Natoli, Giovanni Gentile filosofo europeo, Bollati
Boringhiei, Torino, 1989, pp. 27-28: “Gentile attraverso la radicalizzazione
dell’immanenza supera l’opposizione e la separazione astratta di soggetto e
oggetto e attinge a pienamente quel piano dell’intenzionalità che per altre vie
viene guadagnato dalla fenomenologia di Husserl. Ma Gentile si porta oltre
l’orizzonte della fenomenologia. La relazione intenzionale di impianto
fenomenologico, se da un lato supera l’astratta separazione tra soggetto e
oggetto, dall’altro lato ne tiene tuttavia ferma la polarità [...], lo sforzo
della fenomenologia è quello è quello di svuotare l’io dal mondo perché il
mondo appaia nella sua purezza, di svincolare la coscienza dal flusso della
vita per far sì che i contenuti d’esperienza appaiano nella loro pura e
semplice datità. Questo vuol dire andare alle cose. Non così in Gentile. Alle
cose non si va, con esse si è da sempre compromessi. L’attualismo che pure
rigorosamente guadagna il piano dell’intenzionalità si rende tuttavia conto che
essa non è suscettibile di nessuna epochè”. 66 Cfr., E. Grassi, A proposito di
un cinquantenario, pp. 3-8, in Id., I primi scritti, cit.; Id., Germania, ivi,
pp. 9-18; Il tragico, ivi, pp. 27-48; Scolastica e storia, ivi, pp. 49-54; La
dialettica dell’amore, ivi, pp. 89-128; Tilgher e La visione greca della vita,
ivi, pp. 19-22. 67 Cfr., Id., Il pensiero di Machiavelli e l’origine del
concetto di Stato, ivi, pp. 55-86; La più recente attività della filosofia
dell’azione in Francia, ivi, pp. 137-162; Empirismo e naturalismo nella
filosofia tedesca contemporanea, ivi, pp. 163- 179; Sviluppo e significato
della scuola fenomenologica nella filosofia tedesca contemporanea, ivi, pp.
181-202; Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger, ivi, pp.
203-233; Il platonismo cristiano di M. Blondel, ivi, pp. 235-254; Dell’apparire
e dell’essere, ivi, pp. 273-298; Linee della filosofia tedesca contemporanea,
ivi, pp. 299-332; Il problema del logo, ivi, pp. 371-406; Il problema del nulla
nella filosofia di M. Heidegger, ivi, pp. 419-435; La filosofia tedesca e la
tradizione speculativa italiana, ivi, pp. 553-575; I rapporti tra filosofia
tedesca e filosofia italiana, cit., pp. 753-776; Pensieri sul poetico e sul
politico. Due conferenze per determinare la tradizione spirituale italiana,
ivi, pp. 777- 809; L’inizio del pensiero moderno. Della passione e
dell’esperienza dell’originario, ivi, pp. 811-850; Teoria della politica nella
tradizione del rinascimento, ivi, pp. 967-974; Il reale come passione e
l’esperienza della filosofia, ivi, pp. 995-1029; Vom Vorrang des Logos. Das
Problem der Antike in der Auseinandersetzung zwischen italienischer und
deutscher Philosophie, Munchen, Verlag C.H. Beck, 1939. 68 Id., Il problema
filosofico del ritorno al pensiero antico, ivi, pp. 255-271; Paideia e
neo-umanesimo, ivi, pp. 357-369; Filosofia tedesca, filosofia italiana e
l’antichità. Il problema di una tradizione filosofica, ivi, pp. 851-864; Sul
problema ! 28! ritroviamo in alcuni saggi giovanili69 – che declina
la metafisica immanente in una ricerca ricostruttiva dei temi dell’essere, del
logos, del pathos attraverso la lettura dei contributi letterari e filosofici
dell’Umanesimo e del Rinascimento con un’attenzione particolare ai temi della
retorica, della fantasia e dell’ingegno, e della metafora. In tutto il percorso
speculativo emerge la radice dell’avventura speculativa del filosofo: la
“passione per la vita” in cui l’esercizio intellettuale della filosofia diviene
una funzione vitale, un prolungamento della vita stessa, dell’esistenza in
situazione. Il pensare diviene metamorfosi esistenziale, impegno nella
circostanza, ricerca affannosa del senso. Possiamo dare per acquisito, dunque,
che tra gli anni Trenta e Quaranta matura nella riflessione di Grassi
un’ipotesi di accostamento tra attualismo e fenomenologia70 che incide
profondamente sulla successiva analisi dell’apparire dell’originario e della
manifestatività nelle sue diverse forme e che coglie un aspetto critico
paradigmatico che rende i numerosi contributi grassiani non una collezione di
posizioni filosofiche eterogenee, un coacervo di notizie dell’ultima moda
filosofica71, come i giudizi di Jaspers e Heidegger riportati all’inizio
sembravano voler asserire.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! della parola e della
vita individuale. Riflessioni a partire dalla tradizione italiana, ivi, pp.
901-915; Il problema del sublime, ivi, pp. 917-943; Studia humanitatis come
essenza della tradizione spirituale italiana, ivi, pp. 945-950; Del vero e del
verosimile in Vico, ivi, pp. 951-966; 69 Come tenteremo di spiegare nel secondo
capitolo, per l’impostazione del problema neo-umanistico risultano fondamentali
le osservazioni espresse da Grassi nel saggio su Machiavelli del 1924. 70 R.
Messori così riassume l’incrocio grassiano di attualismo e fenomenologia: “le
due filosofie si intersecano su almeno tre punti essenziali [...] rifiutano di
attribuire l’originarietà all’ente, al pensato, di qualsiasi rango esso sia; in
secondo luogo entrambi avvertono la necessità di identificare l’originario con
un processo che, divenendo, si determina. Il primato del logos come atto, che
lo si intenda in senso gnoseologico o ontologico, comporta, in terzo luogo, il
superamento della logica tradizionale e quindi del principio di identità e di
quello correlato di non contraddizione.”, R. Messori, Le forme dell’apparire.
Estetica, ermeneutica e umanesimo nel pensiero di Ernesto Grassi, cit., p. 34.
71 Si sofferma su questo “merito” grassiano Marassi nelle pagine introduttive a
I Primi scritti: “così l’atto è da una parte intrascendibile e dall’altra
inogettivabile, ossia riassume in sé i tratti distintivi della soggettività
kantiano-idealistica e anche quel movimento, non certo conciliabile con la
trascendentalità del soggetto, di donazione-sottrazione assimilabile piuttosto
alla nozione heideggeriana di aletheia. L’atto è questa complessa dinamica che
piega il soggetto al confine del mondo e del suo apparire, lo conduce allo
svelamento dell’origine. Qui mi pare che si inserisca il contributo specifico
di Grassi dopo l’intuizione della convergenza tra l’atto immanente di Gentile e
la trascendenza del Dasein radicata nell’ontologia dell’essere. In altri
termini si potrebbe dire che la sua interpretazione non fosse una semplice
sommatoria di posizioni eterogenee, bensì cogliesse un aspetto critico
paradigmatico”, M. Marassi, Introduzione a E. Grassi, I Primi scritti, cit., p.
44. ! 29! Si impone all’attenzione teorica di Grassi la tematica
della multiformità del reale (metamorphein) e della sua costitutiva
polidimensionalità che affannosamente il filosofo cerca per tutta la vita di
interrogare al di fuori dei parametri tradizionali. La questione “urgente”
diventa quella di cogliere l’essere nell’atto del suo manifestarsi, nell’attimo
arcaico, iniziale e, pertanto, mitico, del puro apparire attraverso un logos
adatto (la metafora). Da un lato il pensiero pensante gentiliano72, dall’altro
la manifestatività dell’essere heideggeriana, consentono a Grassi di guardare
all’idea di fondamento come a quell’originario indeducibile razionalmente che
può essere patito e vissuto nell’esperienza della parola più autenticamente che
in quella del pensiero tradizionalmente inteso. Secondo Grassi “l’originario
non può venire inteso come la svelatezza di un oggetto, ma solo come quella di
un processo; questo processo a sua volta non si rivela che come un
manifestarsi, un distinguere se stesso”73 e proprio per questa identità di
manifestazione e processo, di essere e divenire, è possibile radicare la
trascendenza nell’immanenza, il fondamento nel reale e non in un oltre, ciò che
non è manifesto in ciò che invece lo è. Secondo il filosofo “il processo deve
quindi esser inteso come un auto manifestarsi. È importante notare che la
nostra ricerca dell’essenza della svelatezza non ci permette alcuna distinzione
tra manifestazione ed essere”74. Il punto di partenza è quell’indeducibile
originario che si mostra e si rivela in un metamorfismo e polimorfismo della
realtà che non è un dato semplicemente presente, bensì un divenire storico che
continuamente si distingue,
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 72 Occorre sottolineare
che il pensiero gentiliano dell’atto è a metà strada tra una una impostazione
soggettivo- trascendentale e un’idea di soggetto come Dasein, come puro
evenire, spazio di esperienza, cfr., sul tema S. Natoli, op., cit., p. 90:
“l’attualismo gentiliano si tiene a mezzo tra il soggetto trascendentale e il
Dasein, tra la determinazione positiva e costituente del pensiero e l’atto come
esperienza del puro accadere. In questo tenere il mezzo, l’attualismo finisce
per non occupare né una posizione né l’altra e di fatto viene a trovarsi in uno
spazio di indeterminazione. L’atto infatti se da un lato è ancora inscritto nei
termini della soggettività, sia pure interpretata come attività o come prassi,
dall’altro non può essere mai colto come un fatto, non può mai darsi a modo di
una semplice presenza”. 73 E. Grassi, Il problema del logo, in “Archivio di
filosofia”, Roma, anno VI, aprile-giugno 1936, fascicolo II, pp. 151- 183, ora
in Id., I Primi scritti, cit., p. 376. 74 Ibidem. ! 30! si
differenzia e si scompone in un divenire metamorfico che trova unità nell’esperire
patico ed estatico del Dasein. Appare evidente come sullo sfondo di tale
posizione teorica resta una domanda cruciale: in che modo occorre ripensare il
logos per non ridurre l’essere e la manifestatività ad una realtà monolitica e
cosale? Come superare una concezione oggettivistica e soggettivistica? Si
tratta delle domande che agitano le pagine teoreticamente dense di Il problema
del logo apparso in Archivio di filosofia nel 1936 e in cui Grassi si chiede:
“Se ciò che si manifesta si identifica con l’essere, e se la manifestazione può
solo essere intesa come uno scindersi e distinguersi di sé – giacchè ogni
apparire immediato, oggettivistico è stato già escluso – come deve essere
inteso questo processo? Scindere, distinguere, portare ad unità, sono i vari termini
con cui traduciamo λέγειν, logo. Ma possiamo dire che il logo sia
effettivamente il primo, la ragione e il fondamento di ogni manifestazione,
oppure presuppone esso un momento prelogico? Questo è il problema contro il
quale urtiamo definitivamente”75. L’operazione di accostamento tra l’ontologia
heideggeriana e l’idealismo gentiliano, che ad alcuni interpreti parve una
mossa teorica insostenibile76, è per Grassi la condizione di possibilità per
sviluppare una riflessione intorno all’umanesimo italiano. Proprio l’approccio
a Gentile e a Heidegger, originalmente interpretati attraverso il filtro di una
visione del logos molto ampia e ricca, che sembra talvolta porsi come polarità
antitetica al pathos, talaltra come macrocategoria che ricomprende in sé la
stessa dimensione patica – oscillazione che viene sottolineata con vigore da
alcuni interpreti77 che parlano di un irrisolto dualismo nel pensiero
grassiano, ma che, come vedremo in seguito, si giustifica tenendo conto proprio
della visione complessa e ampia che Grassi ha del reale – offre a Grassi
l’opportunità di delineare un percorso teoretico che guarda al reale,
all’essere e alla manifestatività senza la mediazione gnoseologistica ed
oggettivistica, bensì tramite una pre- !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
75 Ivi, pp. 376-377. 76 Nella Recensione all’articolo di Grassi Il problema del
logo afferma Ottaviano: “dirò subito che la tesi, che cerca di fondare una
interpretazione idealistica del pensiero sostanzialmente realistico di heidegger,
è, in linea assoluta, per mio conto insostenibile”, C. Ottaviano, Recensione a
E. Grassi, Il problema del logo, cit., p. 398. 77 Cfr., la posizione di M.
Marassi in Ernesto Grassi e l’esperienza del fine, in AA. VV, Un filosofo
europeo. Ernesto Grassi, cit., pp. 7-24. ! 31! intelligenza
pre-categoriale fortemente radicata nella dimensione dell’affettività, del
patico e della Stimmung. Emerge così un programma filosofico ambizioso che
giungerà ad una riqualificazione della Romanitas e della cultura
umanistico-rinascimentale non solo italiana, ma mediterranea e latina in senso
lato. Grassi si chiede: “in che senso possiamo affermare che il logo come atto,
come λέγειν, ci schiude la molteplicità degli enti in mezzo ai quali ci
troviamo – e la cui totalità costituisce ciò che chiamiamo mondo – e in che
relazione sta con il sentimento (Stimmung)? È necessario riporre sotto un nuovo
punto di vista tutto il problema della originaria svelatezza dell’essere.
Finora abbiamo dimostrata l’insufficienza della concezione oggettivistica nel
suo aspetto empiristico; ci si impone ora una più precisa e approfondita
determinazione dei vari aspetti e momenti metafisici del logo”78. Tale precisa
e più approfondita determinazione dei molteplici significati del logos avviene
nella metà degli anni Trenta, anni cruciali per la storia d’Europa e per le
vicende personali dello stesso Grassi che, come abbiamo detto sopra, si iscrive
il 3 maggio 1933 al partito fascista79 più per motivi di “opportunismo”
accademico che per convinzione, e in un clima di generale espansione europea
delle ideologie fasciste. Ricordiamo che soltanto dodici professori in quegli
anni rifiutarono di prestare giuramento e che l’esplicito e dichiarato
antifascismo di Croce restava isolato e chiuso nelle mura di palazzo
Filomarino, mentre Gentile raccoglieva intorno a sé il meglio della cultura
storica e filosofica delle nuove generazioni80. In tale contesto bisogna
inquadrare il compito teoretico e culturale che Grassi dava alla sua ricerca di
una rivalutazione della filosofia italiana. Così ritroviamo Grassi a Berlino,
dove dal 1 aprile del 1938 assume il ruolo di professore incaricato di
“filosofia italiana nei suoi rapporti con la filosofia tedesca”. Nei saggi
scritti in questo periodo, da I rapporti tra filosofia tedesca e italiana del
1939 fino a Del Vero e del verosimile in Vico
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 78 E. Grassi, Il
Problema del logo, cit., p. 387. 79 Cfr. la dettagliata ricostruzione di
Büttmeyer in op., cit. 80 Sul rapporto Croce-Gentile sul ruolo della cultura
cfr., G. Cacciatore, Croce e Gentile: la funzione degli intellettuali e l’uso
della storia italiana, pp. 477-492, in A. d’Orsi-F. Chiarotto (a cura di),
Intellettuali. Preistoria, storia e destino di una categoria, Aragno, Torino
2010. ! 32! del 1943, passando per i contributi sul poetico e sul
politico nella riflessione italiana dell’Umanesimo e del Rinascimento, sale in
superficie la questione della parola, indagata, secondo Grassi, dagli umanisti
non con uno spirito antiquario, erudito, storico-filologico, storiografico,
bensì con lo spirito di una lotta per una visione e una costruzione del mondo
storico-sociale, che non è un mondo di pura contemplazione, ma è innanzitutto
una vita activa, in cui i valori del passato greco, che gli umanisti
sostenevano di aver scoperto contro le interpretazioni medievali, potevano
contribuire all’educazione e alla formazione della civiltà. Come ha
sottolineato Cesare Vasoli nell’Introduzione italiana all’opera grassiana Heidegger
e il problema dell’umanesimo: “Grassi considera vero problema centrale
dell’umanesimo italiano non tanto la riscoperta dell’uomo e dei suoi valori
immanenti, quanto piuttosto l’illuminazione del contesto originario,
dell’orizzonte o apertura in cui appaiono l’uomo e il suo mondo [...] dalle
analisi del Grassi, svolte in un ampio arco, da Dante al Boccaccio e al
Salutati, dal Bruni al Vico, emerge un tema costante: la poesia come fondazione
della comunità umana e della storia, svelamento luminoso dell’essere, e –
soprattutto in Vico – principio e ragione della stessa humanitas, con la sua
inquietante presenza storica”81. L’umanesimo è, dunque, interpretato alla luce
dell’esperienza linguistica che caratterizza il mondo umano e della
individuazione dell’apertura primitiva, arcaica e originaria che Grassi
rielabora sulla scorta di quanto Heidegger esprime sul concetto di
Lichtung: si tratta di un neoumanesimo onto- antropo-logico, che, come sarà
esplicitato in seguito, non è un approccio antropologico antropocentrato,
poiché la relazione primaria èquella di uomo e mondo, Dasein e Sein. Lo
slittamento dell’interpretazione dell’umanesimo da un piano
gnoseologico-epistemologico ad uno ermeneutico- ontologico spinge Grassi ad un
più serrato confronto con Heidegger e la sua inappellabile condanna
dell’umanesimo. Heidegger afferma, infatti che “ogni umanismo rimane
metafisico. Nel determinare l’umanità dell’uomo, l’umanismo non solo non si
pone la questione del riferimento dell’essere all’essere umano, ma impedisce
persino che si ponga una simile questione, perché a causa della sua provenienza
metafisica, l’umanismo non la conosce e non la comprende”82.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 81 C. Vasoli,
Introduzione a E. Grassi, Heidegger e il problema dell’umanesimo, Napoli, Guida
1985, pp. 10-11. 82 M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, in Id., Segnavia, a
cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1987, p. 275. ! 33! Tale critica
in Heidegger si collega ad una precisazione della sua filosofia che non ha mai
avuto l’intenzione di essere un esistenzialismo o un umanismo, ma un pensiero
che con uno Schritt zurück, con un passo indietro, rispetto all’umanesimo e
alla metafisica, cerca di proporre il problema dell’essere. Tenendo in
considerazione il tema dell’ultra-metafisica heideggeriana Grassi ha dato una
caratterizzazione per così dire non umanistica (in senso heideggeriano)
dell’umanesimo individuando in esso numerose analogie con il pensiero di
Heidegger. In questo modo, tra un approccio apologetico della modernità ed uno
decostruttivo, quale è quello di Heidegger, secondo il filosofo milanese
l’umanesimo resta schiacciato in un limitato settore storiografico senza anima
propria ma interpretato solo in riferimento ad altre epoche. Grassi si chiede
se sia plausibile una simile posizione o se non si tratti, forse, come già
accaduto per Cassirer, Kristeller, Spaventa, Hegel e altri, di un errore di
prospettiva83. Per tentare di rispondere a queste domande, emerse con vigore
negli anni Quaranta, Grassi impiegherà tutta la sua esistenza. In un importante
testo, apparso in Geistige Überlieferung – l’annuario frutto della
collaborazione con W. F. Otto e K. Reinhardt – L’inizio del pensiero moderno.
Della passione e dell’esperienza dell’originario del 1940, Grassi porta avanti
una vigorosa critica del cogito cartesiano che non tiene conto di quella
passione a partire dalla quale soltanto avviene il theorein che è proprio della
filosofia. Un theorein che non ha una costituzione razionalistica ma è “una
visione puramente indicativa, schematica, immaginifica, che, come tale, opera
opera anche pateticamente e quindi retoricamente”84. A fondamento del pensiero
c’è una necessità esistenziale che non può che rivelarsi e apparire attraverso
l’esperienza della parola poetica e metaforica: unicamente quest’ultima può
rendere conto del polimorfismo ontologico, che non è un fatto85, ma un continuo
divenire, all’appello del quale
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 83 E. Grassi, La
filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., soprattutto il primo
capitolo, Il problema della parola poetica, pp. 31-36. 84 Id., Potenza
dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., pp. 17-18. 85 “L’essenza
della presenzialità immediata – che dovrebbe essere l’essenza della svelatezza
empiristica – non è dunque ciò che è diventato e che si è cristallizzato come
fatto, oggetto, bensì il divenire, il manifestarsi [...] il dato originario,
come immediata presenza di alcunchè, è il divenire, il processo, cioè ciò che
non è ancora diventato, fatto, e in quanto già ! 34! l’uomo è
chiamato a rispondere in modo plurale e non univoco. Grassi afferma che “poiché
il vedere, la visione, insiti nella teoria come fondamento di ogni procedimento
razionale si attuano attraverso [...] una metafora. Allora la metafora, che
ricorre per lo più alle immagini” non va considerata un mezzo solo letterario
ma “è indispensabile per esprimere l’Originario?”86. Oltre alla collaborazione
all’annuario, occorre segnalare anche la progettazione dell’Istituto Studia
Humanitatis in cui la partecipazione degli esponenti della cultura italiana e
tedesca è inquadrata anche alla luce di un intento politico-culturale: quello
di affermare la specificità della Romanitas nei confronti degli ideali del
mondo tedesco privilegiando soprattutto tre ambiti problematici: “in primo
luogo l’antichità nel suo particolare significato per la tradizione italiana.
Inoltre il rinascimento e l’umanesimo [...] infine, una terza questione
riguarda il modo in cui il XIX secolo ha compreso e giudicato l’umanesimo e il
rinascimento”87. Per Grassi fin dall’inizio gli studia humanitatis hanno un
legame con l’agire creativo dell’uomo, che si realizza soprattutto nella
comunità politico-sociale88. A partire dal 1945 Grassi si reca in Svizzera in
cui progetta con Szilasi la collana Überlieferung und Auftrag presso l’editore
Francke di Berna e l’anno successivo incomincia la sua lunga attività di
insegnamento a Monaco e di direzione del Centro Italiano di Studi Umanistici e
Filosofici. In conclusione di questa breve introduzione alle idee
dell’“emigrante con la vocazione per la filosofia”, basti dire che negli anni
densi e intensi dell’apprendistato filosofico tra il 1922 e il 1946 si gettano
le basi di quei grandi temi che percorrono i decenni successivi: la
rivalutazione dell’umanesimo e della latinità come luoghi di riflessione sulla
questione onto-antropo-logica, sul nesso uomo-essere; la centralità del
linguaggio e della parola poetica, del dire metaforico e della
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! svanito, non più
presente. Il dato come oggetto, e quindi come qualcosa di già fatto, non è il
dato, bensì una falsa interpretazione del dato”, E. Grassi, Il Problema del
logo, cit., p. 375. 86 Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della
retorica, cit., p. 18. 87 Id., Studia humanitatis come essenza della tradizione
spirituale italiana, in Studia Humanitatis. Festschrift zur Eröffnung des
Institutes, Veröffentlichungen des Institutes Studia Humanitatis, Berlin,
verlag Helmut Küpper, 1942, pp. 19-32, ora in Id., I Primi scritti, cit., p.
949. 88 Del periodo berlinese ricordiamo anche l’attività editoriale realizzata
con l’appoggio di Helmut Küpper.! ! 35! retorica. La questione è,
ancora una volta, quella di riattivare un rapporto uomo-mondo non intrappolato
nella rete di una soggettività cogitativa o di un’oggettività alla quale
adeguarci, ma di attingere a un mondo pre-categoriale in cui gli orizzonti
della sensibilità e della razionalità, dell’immediatezza dell’atto e della
riflessione che lo struttura si intersecano. Il “neoumanesimo della
complessità” offerto da Grassi può essere concepito come un atto di
demitizzazione: una delle mitologie da sfatare è quella della preminenza della
ratio. Ma tale operazione decostruttiva non si risolve in una mitizzazione, di
segno opposto, della crisi della ragione; del tramonto della civiltà, in cui
cultura e civilizzazione si sono definitivamente separate; del tramonto
dell’uomo che da animale pregnante, passa ad animale carente, diventando,
infine, animale obsoleto e antiquato o, addirittura, come testimoniato dagli
attuali studi post-umanisti, segmento di un processo ibridativo con la techne.
Nei prossimi capitoli cercheremo di ripercorrere le tappe grassiane del
discorso sull’umanesimo che viene a configurarsi come un itinerario
onto-antropo-logico in cui il discorso sull’uomo si intreccia indissolubilmente
con la questione ontologica. Sarà concesso spazio a quegli scritti del periodo
giovanile nella convinzione che solo dall’analisi di quei contributi è
possibile comprendere la ricostruzione storica e speculativa di un umanesimo
gravitante attorno al concetto di Lichtung. Le questioni sollevate da Grassi
costituiscono un contributo fondamentale alla filosofia del Novecento e non possiamo
pensare alle sue riflessioni come a temi da “vagabondaggio filosofico”, come
dai giudizi dei filosofi ricordati all’inizio di questo capitolo sembrava
emergere, ma come l’ennesimo tentativo di ripensare l’uomo a partire dalle
proprie strutture immanenti e dal proprio essere-nel- mondo. ! 36!
CAPITOLO II L PROBLEMA DELL’UOMO TRA UMANESIMO E ANTIUMANESIMO: L’UMANESIMO
CRITICO DI ERNESTO GRASSI. II.! I. Il momento machiavelliano della genesi del
problema dell’umanesimo Uno dei risultati più importanti della indagine
filosofica grassiana portata avanti tra gli anni Trenta e Quaranta è la
scoperta della co-originarietà tra logos e pathos: la dimensione patica
dell’esperienza umana si pone come un a priori dello stesso ambito
cogitativo89. Possiamo rintracciare un doppio binario della ricerca: la critica
al pensiero moderno è condotta, da un lato, attraverso l’individuazione degli
effetti negativi di un divorzio tra logos e pathos, dall’altro, tramite la
ricerca di un certo “luogo” della tradizione culturale umanistico-rinascimentale
che il dibattito storiografico ha sempre ritenuto privo di spessore filosofico,
o almeno non carico di una serie di motivazioni teoriche che Grassi rintraccia.
Secondo il pensatore milanese il “grande rimosso” del pensiero moderno è, di
fatto, un momento epocale: la tradizione ha obliato il valore filosofico e
storico del linguaggio poetico, nel quale egli rintraccia la possibilità di
uscire dal conflitto tra ratio e pathos. Solo fuoriuscendo dal circolo vizioso
di ragione e passione è possibile esperire una dimensione dell’umano nuova ed
autentica. Ma come nasce per Grassi l’esigenza di rinnovare la questione
dell’uomo e del suo rapporto con il mondo? Sappiamo quanto vivo e vigoroso
fosse il problema: lo dimostra la tenacia speculativa che, in qualità di
direttore della Humanistische Bibliothek dell’editore Fink, mostra patrocinando
la pubblicazione di una cinquantina di volumi intorno a temi umanistici, nella
speranza che la conoscenza diretta di Petrarca, Salutati, Valla, Pontano,
Gianfrancesco Pico potessero rendere giustizia ad un’immagine dell’umanesimo
lontana dalle interpretazioni tradizionali. Inoltre, nel 1938
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 89 Affronteremo la
questione del nesso pathos-logos in maniera analitica nel terzo capitolo. !
37! il nostro autore, sotto il patronato dell’Accademia d’Italia,
ha l’incarico di fondare e dirigere l’Istituto Studia Humanitatis a Berlino,
anche grazie all’interessamento di Enrico Castelli. Accanto a questa opera di
edizione e direzione c’è il percorso di ricerca teorica portato avanti per
tutta una vita e che pone Grassi in un confronto serrato con i più noti
interpreti dell’Umanesimo e del Rinascimento e con due autori in particolare
secondo la convinzione di gran parte degli interpreti: Vico e Heidegger, ma noi
vorremmo aggiungere anche Cartesio, Aristotele e Leopardi. Da un lato Cartesio
ha avuto un ruolo centrale nell’analisi grassiana del logos attraverso la
fecondità individuata nei concetti di dubbio e cogito che rivestono
un’importanza fondamentale nell’analisi della Leidenschaft. Dall’altro
Aristotele ha espresso concetti, quali quelli di archè e pistis, che secondo
Grassi gettano luce su un altro percorso possibile per il pensiero: il
filosofare noetico non-metafisico in cui si condensa la proposta retorica del
filosofo tutta gravitante intorno al nesso phantasia-ingenium-metafora che
costituiscono la triade della retorica del significare arcaico. Poi c’è Vico
che appare come l’erede della tradizione umanistica: il De antiquissima e la
Scienza Nuova ci guiderebbero verso un mondo la cui nota dominante è costituita
dalla fantasia e dall’ingegno, che con spirito anti-cartesiano Vico avrebbe
contrapposto alla ratio calcolante e al deduzionismo matematico di Cartesio, in
difesa delle humanae litterae. Lopardi con il concetto di illusione avrebbe
teorizzato una filosofia dell’esistenza in cui il pathos avrebbe raggiunto le
vette di una tematizzazione poetico-filosofica che guida la riflessione verso
il tema del fondamento e dell’antropogenesi. Infine Heidegger si mostra come il
più fiero oppositore dell’Umanesimo e del Rinascimento, trattati alla stregua
di espressioni di una mera antropologia ontica che ha come centro della
riflessione l’ente e non l’essere. Eppure le riflessioni di Heidegger sul
linguaggio e sulla parola poetica, sull’opera d’arte come evento del
disvelamento dell’essere, sono richiamate all’attenzione da Grassi che con
Heidegger va oltre Heidegger compiendo un vero e proprio iter di oltrepassamento,
nel duplice senso di Verwindung (accettazione-approfondimento) e Überwindung
(superamento). Secondo l’interpretazione grassiana, quella di Heidegger sarebbe
una prospettiva che, nonostante la messa in mora della modernità e l’opera
decostruttiva condotta nei riguardi dell’impostazione ! 38!
soggettocentrica, cade preda di quel pregiudizio hegeliano e di tutta la
concezione idealistica dell’umanesimo. Leggiamo in Heidegger e il problema
dell’umanesimo che “Heidegger sottolinea che il termine umanesimo si affermò
per la prima volta al tempo della repubblica romana come equivalente del
termine greco paideia. Per Heidegger è un dato di fatto che ogni umanesimo
principia col definire l’essenza dell’uomo, quindi con una filosofia
antropologica”90. L’umanesimo come mera antropologia è l’equazione posta da
Heidegger che Grassi mette in discussione attraverso un’analisi
storico-filosofica che rintraccia nelle riflessioni sul linguaggio un altro
inizio del pensiero. Benché Heidegger avesse sviluppato una concezione del
linguaggio e della poesia come luoghi del disvelamento dell’essere, la
tradizione poetica degli autori italiani del Quattrocento non era ritenuta
funzionale al discorso relativo alle “circostanze della manifestatività” ma
frettolosamente liquidata in quanto proseguimento della Romanitas, posta da
Heidegger in contrapposizione con l’esperienza greca presocratica. Grassi tenta
di ricostruire con spirito critico-problematico, più che filologico91 in senso
tecnico, la tradizione di quegli autori come Salutati, Valla, Poliziano e
Landino che mostrano una ricchezza del possibile in alternativa
all’unilateralità del vero. Nelle sue analisi, infatti, emerge quella volontà
di far parlare direttamente i testi senza diaframmi, mettendo in evidenza
quella mutevolezza del particolare e del contingente senza prescindere dalla
situazione data. Denunciando i gravi limiti di ogni inerte visione aprioristica
e razionalistica, quegli autori costituiscono per Grassi il polo ineludibile di
una riflessione che è attenta a tutte le dimensioni del
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 90 E. Grassi, Heidegger
e il problema dell’umanesimo, cit., p. 58. 91 Del resto le forzature
storiografiche che talvolta sono presenti nelle riflessioni grassiane sono
state sottolineate da Cesare Vasoli nell’Introduzione all’edizione italiana di
E. Grassi, Heidegger e il problema dell’umanesimo: “Grassi è infatti convinto –
e lo ripete nel modo più esplicito – che la svolta platoneggiante segnata dal
Ficino e la forte ripresa della tradizione aristotelica, nel corso della prima
metà del Cinquecento, siano sostanzialmente estranee alla vera filosofia
umanistica o, almeno, alle sue ragioni e interessi più vitali. Ciò pone,
naturalmente, molti problemi di natura storiografica [...] anche se non può
tacersi che anche il giudizio umanistico sul valore fondante della poesia deve
non poco a tipici loci platonici e che il tema del furor proprio del Ficino (si
pensi soltanto ad alcune notissime pagine del De Amore) ha svolto un ruolo
dominante nell’interpretazione sapienziale della poesia e del suo ruolo di
theologia originaria”, C. Vasoli, Introduzione, pp. 7-16, in E. Grassi,
Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., p. 12; titolo originale Heidegger
and the question of Renaissance Humanism, Center for Medieval and Early
Renaissance Studies, Binghamton, New York 1983. ! 39! pensiero: non
solo la logica e la teologia, ma la giurisprudenza, la mitologia, la politica,
la retorica, la poesia divengono oggetti teorici degni di una riflessione sulle
molteplici forme dell’apparire dell’essere. In tale percorso di rivisitazione
delle tematiche umanistiche Grassi segue itinerari poetici e teatrali, generi,
quali il poema cavalleresco, la lettera familiare, l’elogio, che pongono in
luce un senso della parola poetica lontano da ogni velleità di giungere ad un
significato definitivo, ad una definizione che chiuda la res in un verbum
univoco. Anzi, secondo Grassi è nelle parole, nei verba, nella ricchezza e
complessità di un universo linguistico non chiuso nei ristretti limiti della
logica formale che possiamo attingere la res e i suoi modi di datità, che sono
infiniti, molteplici, contingenti, transeunti. Da ciò deriva che il principale
compito della nuova filosofia umanistica narrata dal filosofo è l’apprensione
del reale non a mezzo “del processo razionale del pensiero che col concetto
(horos) e la definizione (horismos) coglie l’essenza (ousia) degli enti, ed
astraendo dal tempo e dal luogo, ne stabilisce il significato”92; ma attraverso
la parola storica-poetica-metaforica che “è una eikasia (una somiglianza e un
apparire) del significato degli enti come risposta alle esigenze esistenziali
che sorgono nelle diverse situazioni”93. L’attenzione alla polidimensionalità
del reale che si rivela nella polidimensionalità linguistica rende la stessa
opera grassiana non suscettibile di sistematicità: leggere Grassi tentando di
rintracciare nelle sue pagine un’opera sistematica è un approccio inadeguato,
occorre piuttosto seguirlo nelle tracce, nelle indicazioni, nelle pieghe della
meditazione94. Del resto questo è un risultato, più che un
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 92 Id., La filosofia
dell’umanesimo un problema epocale, cit., p. 37. 93 Ivi, p. 146. 94 Secondo
l’interpretazione di D. Pietropaolo l’assenza di sistematicità nella filosofia
di Grassi costituisce un limite, uno “svantaggio considerevole”, ma secondo il
nostro punto di vista si tratta di un riflesso dell’impianto fenomenologico del
metodo seguito da Grassi. Se la realtà è multiforme e sfaccettata anche il modo
di dire tale realtà procederà per aspetti, frammenti segmenti tutti tesi a
mostrare la ricchezza dell’essere. D. Pietropaolo, Grassi, Vico, and the
defense of the Humanist Tradition, in “New Vico Studies”, 1992, X, p. 5.
Opposto il giudizio di A. Battistini secondo il quale quello di Grassi è un
metodo che “rispecchia una ricerca sempre in progress, inappagata, dinamica”,
A. Battistini, Vico e l’umanesimo inquieto di Ernesto Grassi, p. 391, in E.
Hidalgo-Serna-M. Marassi (a cura di), Studi in memoria di Ernesto Grassi, cit.,
pp. 385-404. ! 40! limite, raggiunto dal filosofo in ossequio
all’insegnamento degli umanisti che con la riflessione sulla storicità
dell’esperienza umana che parte da bisogni concreti elaborano quella che è una
rivoluzione epocale ben più importante di altre rivoluzioni culturali:
attraverso la teoria dell’ingegno, che interviene nelle diverse e varie
situazioni, in funzione delle necessitates e dell’hic et nunc, tramite
l’attività analogica, che assurge a meccanismo catalizzatore del sistema
antropo-poietico. Leggiamo in La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale
che “l’umanesimo, non muovendo più dal problema della definizione razionale del
reale, realizza un rovesciamento dei procedimenti del pensiero filosofico ben
più radicale della così detta moderna “rivoluzione copernicana” del pensiero
cartesiano e idealistico”95 e ciò è espresso, dal nostro punto di vista, in
conformità alla generale impostazione onto-antropo-logica del pensiero di Grassi,
che vede nella indagine linguistica e poetica la possibilità di scorgere
quell’appello dell’essere che spinge l’uomo a rispondergli creativamente in
base alle molteplici circostanze esistenziali. In tale contesto l’agire umano
per Grassi “implica la necessità di realizzare non cognizioni astratte di una
metafisica ragionata ma una metafisica metaforica, fantastica ma non arbitraria
perché risposta oggettiva alle urgenze vissute differentemente nelle varie
situazioni”96. Ma torniamo al problema dal quale siamo partiti: come giunge
Grassi alla domanda sull’uomo e sulla correlazione uomo-mondo? Decisivo è stato
l’incontro con il maestro degli “anni mitici di Friburgo”? Oppure dobbiamo
attendere quella che, secondo alcuni interpreti, è la svolta vichiana?
Domandarsi della genesi del problema onto-antropo-logico in Grassi è una
operazione teorica non semplice, poiché si tratta di percorrere un iter in
absentia: il filosofo non usa esplicitamente l’espressione “onto-antropo-logia”
per qualificare la propria riflessione, ma, a dispetto di quest’assenza
terminologica, possiamo riscontrare le tracce – non tanto nascoste – di tale
ambito problematico che si costituisce come l’orizzonte di pre-comprensione
imprescindibile per accedere ai settori teorici toccati dal filosofo di Milano:
retorica, metaforologia, umanesimo. Riferirsi al
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 95 E. Grassi, La
filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 96. 96 E. Grassi, Vico
e Ovidio. Il problema della preminenza della metafora, in “Bollettino del
Centro di Studi Vichiani”, 1992-1993, XXII-XXIII, p. 174. ! 41!
contesto onto-antropo-logico ci consentirà agevolmente di sfatare anche
un’ipoteca storiografica che pesa sul suo pensiero, talvolta preda di un’interpretazione
che lo ritiene mera espressione eclettica o privo di una adeguata articolazione
teoretica97. Grassi affronta i temi dell’Umanesimo e del Rinascimento italiani
già nel 1924 nel saggio Il pensiero di Machiavelli e l’origine del concetto di
Stato apparso sulla rivista Rassegna Nazionale. Ben prima dell’incontro con
Heidegger, ben prima dell’incontro con Vico dunque. In questo saggio Grassi
offre un’interpretazione degli scritti machiavelliani puntando l’attenzione sui
concetti di uomo e umanità, riconoscendo l’importanza decisiva che nella sua
prospettiva onto-antropo-logica assumono le questioni di stato e patria.
L’impostazione teorica che emerge è di stampo idealistico98 e tende a dare
credito ad alcune interpretazioni correnti, quali l’affermazione della dignità
umana come valore immanente; l’incapacità di inquadrare in un sistema
concettuale il pathos della ricerca; la collocazione entro la cornice teorica
della modernità dell’Umanesimo e del Rinascimento. Secondo il filosofo di
Milano ciò che emerge dalle riflessioni di Machiavelli è un principio di
immanenza che permea tutta la riflessione moderna. Grassi afferma che “il
medioevo e il rinascimento - secondo una distinzione larga – nascono come
espressione di due pensieri fondamentalmente distinti: mentre il pensiero
antico, medioevale cercava la razionalità del reale – ossia il principio di
ogni realtà in un principio trascendente, che ci supera – il pensiero moderno –
di cui il rinascimento e l’umanesimo sono la prima affermazione – cerca la razionalità
del reale in un principio immanente, che è in noi”99. Pur accogliendo tale
distinzione tra Medioevo e Rinascimento il filosofo riconosce tuttavia il
limite di un’impostazione di questo genere poiché la realtà storica e
filosofica risulta pur sempre più ricca e complessa di rigidi schemi che non
tengono conto delle mille sfaccettature di correnti di pensiero e di singoli
intellettuali. Emblematico è il caso di Dante che in questo scritto appare
essere !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 97 Cfr.,
l’interpretazione di G. Modica, Oltre Heidegger e Vico. Sulla prospettiva
filosofica di Ernesto Grassi, pp. 77-88, in AA. VV, Un filosofo europeo.
Ernesto Grassi, cit. 98 Cfr., R. Messori, Le forme dell’apparire, cit., in
particolare il terzo capitolo, Umanesimo e modernità, pp. 89-125. 99 E. Grassi,
Il pensiero di Machiavelli e l’origine del concetto di Stato, in Id., Primi
Scritti, cit., p. 55. ! 42! un Giano bifronte, proteso sia verso
l’impostazione classica e medioevale, che rintraccia nell’“essere per essenza –
o per seguire la loro denominazione – Dio – l’essere da cui tutto proviene e in
funzione del quale tutto si distingue e supera il soggetto di cui è origine e
causa”100; sia verso un aspetto proto- moderno che troverà nell’epoca
successiva un dispiegamento considerevole. Secondo Grassi nella concezione
politica di Dante abbiamo un primo embrione della modernità: “la nuova epoca
non si – può – far nascere dal secolo XV, ma molto prima, come ci rivela
l’espressione volgare della Divina Commedia, del Convivio, e il ghibellinismo
di Dante”101. La riflessione della modernità matura sarà contraddistinta da una
serie di elementi che metteranno in crisi l’impostazione medievale ma anche
classica. Contro l’idea che proprio gli umanisti proporranno
nell’auto-interpretazione della propria epoca, secondo Grassi lo stesso
classicismo del Quattrocento e del Cinquecento non è che “semplice scorza con
cui la nuova epoca inviluppava le sue tendenze...fredda cenere sotto cui
troviamo il primo fuoco dello spirito moderno, l’uomo che ricerca e trova se
stesso”102. Nel nuovo contesto culturale la figura di Machiavelli è assunta
come baluardo della costruzione del Rinascimento: nel clima generale della
critica verso i “barbari medievali” alla vis destruens degli umanisti
Machiavelli sa contrapporre una vis construens che si concretizza nella messa a
tema del concetto di patria, del valore dell’individuo e della verità
effettuale che, secondo Grassi, riveste un’importanza massima: “l’affermazione
della verità effettuale è della massima importanza, egli giungerà logicamente
col suo metodo induttivo alla concezione della storia come creazione umana”103.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 100 Ivi, p. 56. 101 Ivi,
p. 58. 102 Ivi, p. 62. 103 Ivi, p. 66. ! 43! La centralità della
nozione machiavelliana di verità effettuale viene posta in correlazione con la
teoria vichiana del verum ipsum factum, secondo cui il verum storico è
conoscibile solo ed unicamente nel factum umano. Il criterio della
convertibilità, che ha una tradizione antica, di ascendenze
giudaico-cristiane104, e che è possibile definire come il vero assioma di Vico,
viene esplicitamente espresso nel De nostri temporis studiorum ratione del
1708. Qui il criterio del verum-factum viene legato all’ambito geometrico:
“pertanto queste cose della fisica, che in forza del procedimento geometrico si
presentano come vere, non sono se non verisimili, e dalla geometria ricevono sì
il procedimento, non la dimostrazione: dimostriamo la geometria perché la
facciamo; se potessimo dimostrare la fisica, la faremmo”105. Vorremmo
sottolineare che il “vichismo” di Machiavelli individuato da Grassi in questo
saggio risente fortemente dell’impostazione crociana. L’inconsapevole vichismo
di Machiavelli o il non voluto machiavellismo di Vico compare in numerose opere
del filosofo di Pescasseroli. U no dei primi riferimenti crociani al
Segretario fiorentino risale a Filosofia della pratica del 1908 in cui Croce,
trattando della categoria dell’utile, e quindi della politica, riconosce
Machiavelli come il capostipite delle dottrine che hanno considerato la
politica come attività indipendente dalla morale e che hanno stabilito dei
precetti “empirici” della “ragion di Stato”. Ma allo stesso tempo osserva che la
questione “se codesti due termini potessero mai tenersi immediatamente
identici”106 è stata indagata da Machiavelli anche se, su tale aspetto, il suo
pensiero è stato lungamente non compreso “non essendosi inteso il valore
spirituale della volontà utilitaria, considerata per sé senza interferenza
della ulteriore determinazione morale”107.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 104 Per una sintesi ben
documentata della storia della teoria del verum-factum prima e dopo Vico cfr.,
M. Martirano, Vero- Fatto, Guida, Napoli, 2007, in particolare i capp., Il
criterio del vero e del fatto prima di Vico, pp. 41-101; e Il criterio del vero
e del fatto dopo Vico, pp. 105-172. 105 G. Vico, Sul metodo degli studi del
nostro tempo, a cura di A. Suggi, Ets, Pisa 2010, pp. 49-51. 106 Croce,
Filosofia della pratica. Economia ed etica, Laterza Editori, Bari, 1945, p.
266. 107 ivi, p. 267. Secondo Croce solo a partire dall’analisi critica di
Francesco De Sanctis si è cominciato a comprendere il carattere complesso della
tesi di Machiavelli e quindi a valorizzare il pensiero del Principe
giustificandolo a dispetto delle condanne provenienti da correnti moraliste.
Nella recensione dell’edizione del Principe curata da Federico Chabod nel 1924,
Croce precisa come sia necessario non tanto affermare che la politica si
identifica con la forza bensì “insistere e mettere bene in chiaro che cosa sia
veramente la forza, e come quella forza, che è la virtus politica, rappresenti
un aspetto, necessario bensì ed eterno, ma un aspetto solo della totalità ed
integralità umana” – B. Croce, “La Critica”, giugno 1924, p. 314. In seguito
nel 1932 in Storia d’Europa nel secolo decimonono ad integrazione la necessità
della virtù nella politica ! 44! Su questo sfondo crociano
l’interpretazione di Grassi pone in luce il nesso di verità effettuale108 e
verum ipsum factum che dischiude una nuova visione del mondo: dire che
“coll’affermazione della verità effettuale, abbiamo veramente l’affermazione
che precorre e già contiene implicitamente il verum ipsum factum di Vico”109,
significa porre nella realtà l’unico valore, identificando valore e realtà,
essere e valore, e ha come conseguenza anche l’adozione di un metodo innovativo
di indagine del reale. L’importanza di questo saggio giovanile è degna di nota
se consideriamo che proprio qui emergono alcune dicotomie concettuali che
ritroveremo nella produzione successiva e che sottolineano quanto già a partire
dagli anni Venti la questione onto-antropologica fosse viva nella riflessione
del filosofo. Risulta evidente allora che la questione onto-antropo-logica, il
problema dell’umanesimo, della correlazione Da-sein e Sein nell’orizzonte della
Lichtung non compare in Grassi solo ed unicamente a partire dall’incontro con
Heidegger o dalla svolta vichiana di un fantomatico “secondo Grassi” ma affiora
già nelle riflessioni sulla “scienza nuova” machiavelliana. La “scienza nuova”
offerta da Machiavelli secondo il pensatore milanese è innanzitutto una scienza
induttiva e non deduttiva, è una intelligenza dei fatti che può realizzarsi
solo abdicando al principio di autorità e all’a-priorismo
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! e la denuncia della mera
attività politica senza responsabilità è lampante: “se alla libertà si toglie
la sua anima morale...si toglie la purezza del fine; se alla disciplina interna
alla quale essa si sottomette spontanea si sostituisce quella della eterna
guida e del comando non rimane se non il fare per fare, il distruggere per il
distruggere...ne vien fuori l’attivismo. Il quale è dunque in questa traduzione
riduzione e triste parodia che in termini materialistici compie di un ideale
etico, sostanzialmente una perversione dell’amore per la libertà” – B. Croce,
Storia d’Europa nel secolo decimonono, Laterza Editori, Bari 1972, p. 300.
Croce risolve in maniera definitiva la questione posta da Machiavelli saldando
assieme l’etica alla politica sia nella sua concezione della storia, sia nella
sua filosofia politica tanto da unire nell’unica opera Etica e politica (1931)
i precetti morali alle riflessioni sulla politica. In questo testo egli cita
Vico come il solo ed autentico successore dell’impostazione di Machiavelli,
ritenendo che i suoi veri prosecutori non sono né coloro che elaborano una
precettistica della “ragion di stato”, né coloro che escludono qualsiasi
commistione tra politica e etica e predicano l’avvento di un regime basato
sulla pura bontà e giustizia, né chi non cerca di risolvere l’antinomia tra
politica e morale ma la relativizza a carattere meramente accidentale della
storia. Vico è ai suoi occhi colui che più di tutti è “pieno del suo spirito,
che egli chiarifica e purifica, integrando il suo concetto della politica e
della storia, componendo le sue aporie, rasserenando il suo pessimismo” – B.
Croce, Etica e politica, Laterza Editori, Bari, 1931, p. 254. 108 L’espressione
verità effettuale compare nel XV capitolo del Principe: “ma sendo l’intento mio
scrivere cosa utile a chi l’intende, mi è parso più conveniente andare drieto
alla verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa”, N.
Machiavelli, Principe, XV, 280 A. Cfr., su questo aspetto V. Raspa, Della
verità effettuale della cosa e del riscontrare le cose. Riflessioni intorno al
XV capitolo del Principe, pp. 152-184, in AA. VV, Machiavelli: immaginazione e
contingenza, a cura di F. Del Lucchese-L. Sartorello-S. Sartorello, Ets, Pisa
2006. 109 E. Grassi, Il pensiero di Machiavelli e l’origine del concetto di
Stato, in Id., Primi scritti 1922-1946, p. 66. ! 45! logico. La grandezza
del segretario fiorentino risiede nella ricostruzione politica del
Rinascimento, che è allo stesso tempo una restituzione alla storia di una
razionalità intrinseca. Ma in che modo è possibile offrire al dominio di Dio o
del caso – la storia – una propria razionalità? La domanda che secondo Grassi
Machiavelli si pone trova nelle pagine del Principe una risposta, l’unica
possibile. Assodato che con il Rinascimento registriamo una rottura, un crollo
dell’impalcatura teorica e pratica del Medioevo, la dissoluzione dei valori
religiosi e l’affermazione della forza dell’individuo, come garantire
l’integrità della vita activa, come riparare la nuova idea di azione umana dal
pericolo di una dispersione irrazionale di energia? Secondo Grassi la stessa
affermazione del soggetto empirico va superata e si supera con Machiavelli:
“l’affermazione del soggetto empirico andava superata e condotta a un concetto
di unità di individualità superiore, ma il problema doveva essere posto negli
unici termini possibili: superare l’individualità empirica per mezzo
dell’affermazione dell’individualità stessa”110. Il problema dell’individualità
si pone come un dato di importanza considerevole per due ordini di ragioni:
innanzitutto l’ascesa del soggetto è individuata come un tratto distintivo
della modernità, sebbene in questo contesto l’autoaffermazione assuma una
valutazione positiva che in seguito perderà, a fronte di una impostazione
teorica che vede nella compagine soggettocentrica della filosofia un aspetto
negativo; poi mostra l’aporia aperta dalla figura di Machiavelli e che
rifluisce nella tematizzazione grassiana successiva: l’aporia tra la componente
irrazionale, quella che successivamente sarà definita patica, e l’esigenza di
un inquadramento razionale e logico. Il Principe ha un valore emblematico e
attesta un tentativo di coniugazione estremamente importante: “l’affermazione
del Principe di Machiavelli è così il passaggio dal concetto dell’Umanesimo,
dell’individualità empirica, a quello di nazione”111. Passaggio, questo, che fa
emergere quanto Machiavelli percepisse “l’irrazionalità in cui si dibatte il
Rinascimento: il contrasto delle varie affermazioni di tirannidi”112 e che
rende la sua opera una !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
110 Ivi, p. 73. 111 Ivi, p. 74. 112 Ivi, p. 76. ! 46! sorta di
“fisica delle forze umane”113. Si tratta di un’aporia che nel Principe si
struttura come tensione tra le antinomie etico-psicologiche e unità del
principe-centauro; e nei Discorsi trova espressione nel contrasto tra il
conflitto socio-politico e l’unità istituzionale. Una contesa che è connotata
positivamente da Machiavelli per il quale le “dissensioni”, i conflitti, non
sono elementi esiziali per la salvaguardia della res publica, ma necessarie e
proficue114. Alla figura di Machiavelli, all’importanza della sua teoria
politica nella ridefinizione dei parametri della modernità umanistica, e
all’impronta innovativa offerta dal suo concetto di verità effettuale al
“cambiamento di paradigma” del Cinquecento, per usare una fortunata espressione
kuhniana, Grassi dedica molta attenzione tra gli anni Venti e Quaranta. Ciò è
testimoniato dalle pagine conclusive del saggio Pensieri sul poetico e sul
politico del 1939, in cui si asserisce che “l’essenza politica di Machiavelli consiste
quindi nell’aver riconosciuto l’urgenza della politica (necessità), il suo
imporsi, come una forma autonoma e in sé indipendente da ogni altra forma del
dischiudersi della realtà [...] questo inarrestabile realizzarsi del politico è
ciò che Machiavelli chiama fortuna, la quale non significa sorte, bensì la
concreta situazione politica in cui sempre ci troviamo”115. Qui viene espresso
quel concetto di costrizione, necessità e coercizione che il reale esercita
sull’essere umano e che è importante richiamare all’attenzione poiché quello di
Nötigung sarà un concetto che ritroveremo in seguito e che andrà a costituire
una delle caratteristiche della onto- antropo-logia di Grassi, la quale ha di
mira l’individuazione dei meccanismi arcaici di antropo-poiesi, dei dispositivi
che sono fortemente radicati nella situazione particolare, nell’Appello
dell’essere e !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 113
Ibidem. 114 Cfr., G. M. Barbuto, Il pensiero politico del Rinascimento,
Carocci, Roma 2008, in particolare le pp. 39-75 dedicate a Machiavelli. 115 E.
Grassi, Pensieri sul poetico e sul politico, in Id., Primi scritti, cit., p.
793. Il saggio appare originariamente in tedesco con il titolo Gedanken zum
Dichterischen und Politischen. Zwei Vorträge zur Bestimmung der geistigen
Tradition Italiens nel 1939 in Schriften für die geistige Überlieferung, Erstes
Heft, herausgegeben von Ernesto Grassi, Berlin, Verlag Helmut Küpper, 1939. Nel
saggio rifluiscono due conferenze, Deutsche Dichtung und die italienische
Tradition des Humanismus, e Politisches und begrifflisches Denken in der
Italienischen Tradition. ! 47! del reale, la cui carica di
estraneità è oltrepassabile solo tramite l’azione concreta e storica che ha
struttura metaforica. L’attività metaforologica ha infatti una connotazione
onto-antropo-logica in Grassi: riguarda l’uomo, riguarda la realtà e
costituisce il modo di darsi delle cose, il nostro modo di essere affetti dal
mondo circostante. Non un orpello linguistico, una fictio retorica, la metafora
è per Grassi un dispositivo antropo-poietico. Come si afferma in Retorica come
filosofia. La tradizione umanistica: “alcuni limitano la funzione della
metafora alla trasposizione di parole, cioè di una parola dal suo proprio campo
ad un altro. Tuttavia, tale trasposizione non può essere compiuta senza
un’intuizione immediata delle somiglianze che appaiono nei diversi campi [...]
la sua funzione è quella di rendere visibile una proprietà comune ai vari
campi. Essa presuppone la visione di qualcosa ancora nascosto [...] ma dobbiamo
andare più a fondo del piano letterario. La metafora sta alla base del nostro
mondo umano. Poiché essa si radica nell’analogia tra cose differenti e fa
immediatamente balzare agli occhi tale analogia, essa contribuisce in modo
fondamentale alla struttura del nostro mondo”116. In conclusione possiamo dare
per acquisito che la lettura di Machiavelli e i saggi dedicati al Segretario
fiorentino e alla politica pongono in luce la fondamentale importanza che in
tale ricostruzione di un nuovo paradigma assume la conoscenza storica del
passato117, il tema della fortuna – la concreta situazione storica – e quello
della virtù – come abilità di commisurarsi alla fatticità dell’esistenza118,
quello dell’autonomia dell’agire politico119. Questi elementi ci dicono che
“non !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 116 Id., Retorica
come filosofia. La tradizione umanistica, cit., p. 76. 117 Id., Francesco
Guicciardini e il concetto della politica nel Rinascimento italiano. Prologo
alla prima edizione tedesca dei Ricordi, pp. 887-900, in Id., Primi scritti,
cit., p. 891. Il saggio appare nel 1942 con il titolo Francesco Guicciardini
und der Begriff der Politik in der italienischen Renaissance. Prolog zur ersten
deutschen Ausgabe der “Ricordi”, in “Europäische Revue”, Stuttgart-Berlin,
XVIII, 1942, n. 3. 118 Id., Teoria della politica nella tradizione del
rinascimento, pp. 967-974, in Id., Primi scritti, cit., p. 971. Il saggio
appare nel 1945 con il titolo Theorie der Politik in der Ueberlieferung der
Renaissance, in “Neue Zürcher Zeitung”, Jahrgang 166, nr. 1016, 30. Juni, 1945,
Morgenausgabe, Blatt 4. 119 Id., Pensieri sul poetico e sul politico. Due
conferenze per determinare la tradizione spirituale italiana, in Id., Primi
scritti, cit., p. 786. ! 48! possiamo sottrarci di fronte
all’occasione, alla circostanza, alla necessità impellente di prendere
posizione nei confronti di ciò che accade. Perciò la nostra situazione si trova
sempre nel mezzo di un aut-aut”120. L’essere in mezzo ad un aut-aut ci
costringe a decidere, a scegliere, ad affrontare il reale come impegno e
compito come Grassi afferma nel 1942 in una lettera-saggio indirizzata allo
“stimatissimo amico” W. F. Otto, Sul problema della parola e della vita
individuale. Riflessioni a partire dalla tradizione italiana, che mostra un
metodo “inattuale” di fare filosofia: si tratta di esercitare la riflessione
con “lettere aperte, denunciando così il carattere particolare di questo
impegno comune, per il quale esso si distingue e deve distinguersi rispetto
alle occupazioni scientifiche”121. Si tratta di quel metodo inattuale, difeso
anche da Husserl, che solo i filosofi autentici possono realizzare nella
consapevolezza di essere “funzionari dell’umanità”, orientati verso un telos
che può trovare concretezza solo nell’esercizio dell’atto filosofico122.
Umanesimo e pseudo-umanesimi: la pars destruens del discorso grassiano. La
riflessione sull’Umanesimo e sul Rinascimento e sul loro spessore filosofico
elaborata da Grassi a metà degli anni Venti e Trenta si concretizza, come
abbiamo visto, nel saggio su Machiavelli proseguendo nelle produzioni
saggistiche successive al 1924. In queste ultime è presente anche un intento di
chiarificazione storiografica e di presa di distanza dalle coeve
interpretazioni della “tradizione epocale”. Riferirsi ad un’epoca
storico-culturale, come quella al centro della riflessione
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 120 Id., Sul problema
della parola e della vita individuale. Riflessioni a partire dalla tradizione
italiana. A Walter F. Otto, pp. 901-915, in Id., Primi scritti, cit., p. 912.
Il saggio appare in tedesco nel 1942 con il titolo Über das Problem des Wortes
und des individuellen Lebens. Erwägungen aus der italienischen Überlieferung.
An Walter F. Otto, in Geistige Überlieferung. Das zweite Jahrbuch, in
Verbindung mit Walter F. Otto und Karl Reinhardt, herausgegeben von Ernesto
Grassi, Berlin, Verlag Helmut Küpper, 1942. 121 Ivi, p. 902. 122 E. Husserl, La
crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. a cura
di Filippini, il Saggiatore, Milano 1960, p. 46, “Noi siamo dunque, e come
potremmo dimenticarlo, nel nostro filosofare, funzionari dell’umanità. La
nostra responsabilità personale per il nostro vero essere di filosofi, nella
nostra vocazione interiore personale, include anche le responsabilità per il
vero essere dell’umanità, che è tale soltanto in quanto orientato verso un
telos, e che se può essere realizzato lo può soltanto attraverso la filosofia.
È possibile di fronte a questo sè esistenziale sfuggire?”. ! 49! di
Grassi, significa innanzitutto prendere in considerazione un “mito
storiografico”123. Inoltre, il concetto grassiano di umanesimo è bivalente:
accanto all’idea di Umanesimo come categoria storiografica limitata ad un
periodo storico circoscritto e ad autori precisi troviamo un concetto di
umanesimo come macro-categoria che comprende una riflessione generale
sull’humanitas. A partire dal grande affresco burckhardtiano del 1860 Die Kultur
der Renaissance in Italien e dal saggio di Jules Michelet del 1855 Histoire de
France au sezième siècle, il mondo moderno e i suoi tratti distintivi sono
stati legati alla riscoperta dell’uomo e del mondo e dei valori immanenti i cui
prodromi erano già presenti nella civiltà italiana del Trecento e del
Quattrocento. Del resto questo era il punto di vista degli stessi umanisti che
per primi parlano di una rinascita della civiltà contro i “barbari medievali”,
che erano barbari non “per avere ignorato i classici, ma per non averli
compresi nella verità della loro situazione storica”124. Posizione, questa, che
importanti cultori di studi medievali contemporanei hanno messo profondamente
in crisi propugnando una rinnovata idea di Medioevo come età della sperimentazione125
e dimostrando l’alto grado di sviluppo intellettuale raggiunto dalla cultura
filosofica e letteraria del Medioevo126, contro un atteggiamento che si è
consolidato anche nell’immaginario collettivo, oltreché in quello filosofico e
storico-culturale: quello che vede nel Medioevo un altrove – sia esso negativo
(la prospettiva umanistica) o positivo (la prospettiva romantica) – o una
premessa. Come ricorda Sergi “nell’altrove negativo ci sono povertà, fame,
pestilenze, disordine politico, soperchierie dei latifondisti sui contadini,
superstizioni del popolo e corruzione del clero. Nell’altrove
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 123 Cfr., per una
discussione particolareggiata delle molteplici interpretazioni dell’umanesimo e
del rinascimento C. Vasoli, Il Rinascimento tra mito e realtà storica, pp.
3-25, in AA. VV, Le filosofie del Rinascimento, a cura di P. C. Pissavino,
Mondadori, Milano, 2002. Cfr., E. Garin, L’umanesimo italiano, Laterza, Roma-
Bari 1964. 124 E. Garin, L’umanesimo italiano, cit., p. 21. 125 Cfr., G. Sergi,
L’idea di medioevo, pp. 3-41, in AA. VV, Storia medievale, Roma 1998; C.
Azzara, Le civiltà del Medioevo, Introduzione, pp. 7-12, Il Muligno, Bologna,
2004. 126 Per un’analisi dettagliata delle interpretazioni dell’antirinascimento
della rivolta dei medievisti, cfr., C. Vasoli, Il rinascimento tra mito e
realtà storica, cit., soprattutto le pp. 18-22. ! 50! positivo ci
sono i tornei, la vita di corte, elfi e fate, cavalieri fedeli e principi
magnanimi. Ma è anche discutibile l’uso del medioevo come generica
premessa”127. Per introdurre il discorso decostruttivo grassiano faremo
riferimento innanzitutto alle interpretazioni messe in discussione dal
pensatore milanese, soffermandoci in particolare sulla figura di Cartesio e
infine sul capo di imputazione principe – Heidegger – e sul significato che la
riflessione sull’umanesimo riveste nell’ambito dell’onto-antropo-logia
grassiana. II. II. Che cos’è l’umanesimo? Grassi parte dal quesito: “che cosa
significa umanesimo?” e risponde individuando la genesi del termine nell’ambito
politico: “questo termine nasce per la prima volta in Italia nel XIV secolo e
lo troviamo negli scritti politici di Coluccio Salutati, il primo segretario
politico di Firenze”128. La domanda è il punto di partenza di un saggio scritto
in occasione di una conferenza tenuta nel 1938 durante la seduta della
Klopstock Gesellschaft a Quedlinburg, Deutsche Dichtung und die italienische
Tradition des Humanismus, rifluito insieme ad un altro saggio, Politisches und
begrifflisches Denken in der Italienischen Tradition, in Gedanken zum
Dichterischen und Politischen. Zwei Vorträge zur Bestimmung der geistigen
Tradition Italiens. Per Grassi durante l’epoca umanistica si esprime per la
prima volta un nuovo atteggiamento dell’uomo verso il mondo, si tratta del
passaggio dall’“uomo greco”, a quello medievale”, per finire con l’“uomo del
Rinascimento”. Una linea evolutiva che può essere condensata nelle note ed
efficaci immagini proposte da Vernant, Le Goff e Garin: la transizione
dall’uomo guerriero di Omero all’uomo politico di Aristotele129, all’homo
viator e penitente130 e all’uomo moderno131.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 127 Cfr., G. Sergi, op.,
cit., p. 5. 128 E. Grassi, Pensieri sul poetico e sul politico. Due conferenze
per determinare la tradizione spirituale italiana, pp. 777- 802, in Id., Primi
Scritti 1922-1946, cit., p. 780. 129 Cfr., J. P. Vernant, Introduzione, in Id.,
(a cura di), L’uomo greco, Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 3-23. 130 Cfr., J. Le
Goff, L’uomo medievale, in Id., (a cura di), L’uomo medievale, Laterza,
Roma-Bari, 2005, pp. 1-38. 131 Cfr., E. Garin, L’uomo del Rinascimento, in Id.,
(a cura di), L’uomo del Rinascimento, Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 1-12.
! 51! Per quanto sia discutibile l’ipotesi grassiana di una frattura così
radicale tra due visioni del mondo occorre sottolineare che egli riproporrà in
tutti i suoi scritti tale dicotomia non tematizzando estesamente la
plausibilità del presunto iato storico-culturale: ovviamente Medioevo e
Rinascimento non sono entità metafisiche e monolitiche chiuse e incomunicabili,
ma soprattutto Medioevo e Antichità greco-romana, spesso da Grassi accomunate
in un disegno sintetico, non sono sovrapponibili nella difesa del principio di
trascendenza. Eppure è lo stesso pensatore a riconoscere lo stato quantomeno
problematico di un’impostazione di questo tipo come è possibile leggere nel
saggio su Machiavelli del 1924, e nelle pagine di Il problema filosofico del
ritorno al pensiero antico del 1932 in cui si afferma: “Il fondamentale schema
che domina il nostro concetto di filosofia antica – e che vive in un modo più o
meno indiscusso anche in Germania – è la contrapposizione del pensiero antico
al pensiero moderno. Pensiero antico, cioè pensiero oggettivistico, pensiero
moderno – come siamo soliti dire – pensiero del soggetto. Sono veramente valide
queste contrapposizioni e il concetto della storia della filosofia che si
radica in esse? La storia della filosofia è veramente un lento progresso nel
quale noi abbiamo un’indiscutibile superiorità sul pensiero antico, oppure non
va essa piuttosto concepita come la realizzazione di un’unica verità che si
attua nella rinnovata posizione delle medesime domande?”132. Tali riserve
espresse con convinzione tuttavia non impediranno a Grassi di assumere una
prospettiva teorica di forte impianto idealistico che pone la questione in
termini di slittamento dall’ipotesi trascendente a quella immanente. Secondo il
filosofo ciò che è in gioco con l’Umanesimo è una questione che da una visione
contraddistinta dall’astrattezza e dall’universalità passa ad una concezione
della finitezza umana in cui il telos è avvertito come un aspetto positivo e
non come una mancanza: “pertanto, in Italia, l’umanesimo doveva nascere
anzitutto come concezione e affermazione politica; perché tutta la storia,
l’arte, la filosofia e la lingua dell’antichità spingevano qui alla
realizzazione di un nuovo mondo storico”133.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 132 “Il fondamentale
schema che domina il nostro concetto di filosofia antica – e che vive in un
modo più o meno indiscusso anche in Germania – è la contrapposizione del
pensiero antico al pensiero moderno. Pensiero antico, cioè pensiero
oggettivistico, pensiero moderno – come siamo soliti dire – pensiero del
soggetto. Sono veramente valide queste contrapposizioni e il concetto della
storia della filosofia che si radica in esse? La storia della filosofia è
veramente un lento progresso nel quale noi abbiamo un’indiscutibile superiorità
sul pensiero antico, oppure non va essa piuttosto concepita come la
realizzazione di un’unica verità che si attua nella rinnovata posizione delle
medesime domande?”, Id., Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico,
pp. 255-271, in Id., Primi scritti, cit., p. 259. 133 Ivi, p. 781. !
52! Infatti, per Grassi lo sviluppo dell’uomo nelle sue estreme
possibilità accade innanzitutto nel contesto, nell’apertura originaria, che è
un’apertura comunitaria, nella quale soltanto l’essere umano può istituire
nessi e relazioni con il contesto circostante, può stare al mondo in una
relazione che è innanzitutto comprendente: si tratta di comprendere e di
cogliere le molteplici forme dell’essere e del suo apparire che ritroviamo soprattutto
nella parola poetica, prima che nella parola logica. La valutazione autentica
dell’Umanesimo sarà possibile allora solo tenendo conto dell’aporia ineludibile
che il problema dell’umano ci pone dinanzi e consentirà di elaborare quel
filosofare noetico non metafisico che tenta di tenere insieme l’ontologia e
l’antropologia senza chiuderle in un orizzonte logico ma immettendole nel mondo
metaforologico: si tratta della coniugazione “inaudita” che Grassi cerca di
realizzare lungo tutto il suo percorso filosofico, dalle riflessioni sulla
manifestatività in Dell’apparire e dell’essere e Il problema del logo degli
anni Trenta, a quelle sulla dimensione patica dell’esperienza dell’originario
in L’inizio del pensiero moderno. Della passione e dell’esperienza
dell’originario e Il reale come passione e l’esperienza della filosofia degli
anni Quaranta, per finire con gli scritti sul valore della metafora e del
pensiero noetico non metafisico. Lo scopo dell’interrogazione sull’umanesimo
come epoca storica determinata e come proposta di una rinnovata visione del
mondo è dominata dall’esigenza di “un indicare a partire dal destino, dalla
necessità entro la quale appaiono gli enti, e non da una loro astratta
definizione. Ora lo studio di questa problematica compete a un sapere
particolare che dobbiamo chiamare ontologia, distinguendola dalla metafisica
tradizionale e intendendo con questo termine il rapporto che lega gli enti in
situazione all’origine comune che li attraversa e perciò insieme li unifica e
differenzia: ontologia non logica ma situazionale”134, ontologia noetica e non
metafisica, e pertanto metaforologica, in cui l’ente appare solo nella parola
umana che costruisce universi di senso. La critica di Grassi si appunta
innanzitutto contro l’assolutizzazione di un aspetto particolare della
filosofia quattro-cinquescentesca: il precorrimento di quegli elementi della
modernità che nell’Umanesimo troverebbero una infanzia primitiva. Tale
posizione se, da un lato, può sembrare a !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
134 Id., Il problema della morte: l’Alcesti di Euripide. Filosofare noetico non
metafisico. Vico, in E. Grassi-E. Hidalgo- Serna, Filosofare noetico non
metafisico. L’Alcesti e il Don Chisciotte, Congedo Editore, 1991, Galatina, p.
30. ! 53! prima vista contraddittoria rispetto all’ipotesi
interpretativa esposta nel saggio del 1924 – in cui la centralità di
Machiavelli è ribadita proprio all’insegna della veste moderna che le
riflessioni del fiorentino assumono – dall’altro, trova una spiegazione se la
critica che va conducendo Grassi a certi luoghi del moderno viene inserita nel
contesto più generale di una messa in questione della supremazia che l’ambito
logico-gnoseologico assume nelle opzioni storiografiche analizzate. Si tratta di
una messa in discussione dello stesso concetto di ragione e di logos, che non
enuncia un congedo dalla ricerca filosofica – che cerca di istituire una
relazione comprendente tra uomo e mondo – per mettersi sulla china
dell’irrazionalismo, ma palesa, al contrario, l’esigenza di costruire o
ritrovare una ragione complessa e ampia nella quale momento patico e logico
trovano una ricomposizione nell’unità dell’esperienza individuale e vissuta. In
Filosofia dell’umanesimo: un problema epocale Grassi passa in rassegna diverse
tappe interpretative rifiutate per una sostanziale misinterpretazione
dell’Umanesimo. Il testo, che si pone in linea di continuità con il saggio
L’inizio del pensiero moderno, ha un primo scoglio da superare. Il macigno che
pesa, intollerabile, sul cuore del filosofo è Heidegger e liberarsi da questo
fardello è il compito verso cui il pensiero di Grassi sarà rivolto sviluppando
le problematiche degli scritti onto- antropo-logici di Grassi: Macht der
Phantasie 1979; Macht des Bildes 1970; Rhetoric as Philosofy 1980; Heidegger
and the question of renaissance Humanismus 1983 e in ultimo aggiungiamo,
sebbene nell’elenco stilato direttamente da Grassi non fosse annoverato135,
Vico e l’Umanesimo136. Quale è l’idea di Umanesimo che Heidegger offre all’attenzione
del suo allievo eterodosso? Prima di rispondere a questa domanda, analizzeremo
di seguito le nove posizioni “inautentiche” proposte da Grassi in La filosofia
dell’umanesimo: un problema epocale. Sullo sfondo della polemica diretta contro
precisi personaggi abbiamo anche la censura al pensiero della filosofia
analitica di cui, almeno in questo
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 135 La filosofia
dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 29. 136 Ovviamente Grassi non
poteva annoverare questa opera perché essa vedrà la pubblicazione nel 1990 in
lingua inglese. Si tratta di una raccolta di saggi che coprono circa due decadi
di riflessione filosofica, dal 1969 al 1985 e che comprendono i testi americani
di Grassi. Cfr, D. P. Verene, Prefazione a E. Grassi, Vico e l’umanesimo, cit.,
pp. 19-24. Il testo è pubblicato in lingua inglese due anni prima con il titolo
Vico and Humanism. Essays on Vico, Heidegger and Rhetoric, Peter Lang
publishing, New York, 1990. ! 54! luogo, Grassi non esplicita i
rappresentati. Più chiarezza è rintracciabile in altri testi, come Retorica
come filosofia. La tradizione umanistica, in cui è esplicito il riferimento
polemico a Wittgenstein, portavoce dell’impostazione scientifica del pensiero e
autore di quel Tractatus logico-philosophicus che riduce il mondo alla triade:
dire, mostrare, tacere137. Come è noto i sette Sätze del Tractatus si chiudono
con la nota proposizione: “ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”138.
Affermazione, questa, da cui traspare per il pensatore italiano un’attenzione
esclusiva al piano denotativo del linguaggio che riduce il logos a tecnica di
formalizzazione, a calcolo scientifico in cui l’uomo e la sua storia
travagliata scompaiono. Afferma Grassi che “è considerato scientifico quel
pensiero che procede nella struttura di un processo razionale, cioè nella sfera
della dimostrazione. Nella teoria logica moderna questa tesi è portata avanti
in modo significativo nel Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein [...]
al di fuori del mondo simbolico del sistema abbiamo solo silenzio e
mistero”139. Dalla prospettiva grassiana nell’orizzonte wittgensteiniano della
filosofia l’unico linguaggio accettabile è quello del calcolo, della
formalizzazione, della logica che esclude dall’orizzonte di significatività la
dimensione retorica del logos ordinario – che esprime il sensus communis – e
del logos patetico della poesia. Eppure Wittgenstein riabilita in qualche modo
il livello connotativo del linguaggio, quella dimensione del mistico e
dell’etico, relegati nel Tractatus nell’ambito del silenzio, attraverso la
riflessione che si condensa nelle Ricerche filosofiche. Grassi non prende in
considerazione la riflessione wittgensteiniana contenuta in questo testo, che
possiamo definire come una sorta di drammatizzazione di una lotta, quella di
Wittgenstein contro se stesso, contro il se stesso di un tempo, quello del
Tractatus. Afferma Wittgenstein che “questo chiedere [il nome degli oggetti] e
il suo correlato, la definizione ostensiva, costituiscono, potremmo dire, un
gioco linguistico a sé. Ciò
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 137 Cfr., L.
Perissinotto, Wittgenstein, Feltrinelli, Milano 2003. 138 L.
Wittgen stein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, tr.
it. di A. G. Conte, Einaudi, Torino 2009, proposizione 7. 139 E. Grassi,
Retorica come filosofia, cit., p. 35. ! 55! vuol dire propriamente:
veniamo educati, addestrati a chiedere “come si chiama questo?” – e a ciò segue
la denominazione dell’oggetto”140. La definizione allora appare come un
particolare gioco linguistico che non si identifica sic et simpliciter con
l’atto originariamente istitutivo del linguaggio. L’origine del gioco
linguistico è una “reazione” sulla base della quale possono innestarsi le forme
più raffinate di linguaggio. Esso inoltre non si origina dalla riflessione ma è
una porzione141 del gioco linguistico. Colpevole142 di aver escluso
“dall’ambito della filosofia le discipline umanistiche (filologia, storia,
poesia e retorica)”143, che non consentono di rendere chiaro e distinto il
linguaggio filosofico ma al contrario lo oscurano, il Cartesio di Grassi
diviene un altro bersaglio polemico. La critica è diretta alle affermazioni
contenute negli scritti cartesiani Regulae ad directionem ingenii (Regola III)
pubblicate postume nel 1701144 e al Discorso sul metodo (I libro) del 1637. La
III regola cartesiana delle Regulae recita: “riguardo agli oggetti da trattare
si deve fare ricerca non di ciò che altri ne abbiano opinato o di ciò che noi
stessi congetturiamo, bensì di ciò che da noi stessi si possa intuire con
chiarezza ed evidenza, e dedurre con certezza; poiché solo così si acquista
scienza”145. Secondo Grassi in questo passo si afferma che il ricorso
all’esempio degli Antiqui è un escamotage del tutto empirico, mnemonico, che
produce storia, mai scienza. Questa si costituisce a un livello differente,
nella trasparenza dell’intrinseca dinamica dei nostri processi cognitivi, come
emerge dalla riflessione matematica. Secondo Grassi l’emarginazione
dell’esperienza, lo svuotamento di senso scientifico della tradizione proposti
da Cartesio sono riconducibili alla generale impostazione che muove dal
paradigma matematico. In questo orizzonte di ricerca è esclusa ogni forma di
congettura probabile, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
140 Id., Ricerche filosofiche, tr. it. di R. Piovesan e M. Trinchero, Einaudi,
Torino 1974, I, § 27. 141 Id., Zettel. Lo spazio segregato della psicologia,
tr. it. di M. Trinchero, Einaudi, Torino 1986, § 391. 142 E. Grassi, La
filosofia dell’Umanesimo: un problema epocale, cit., pp. 31-32. 143 Ivi, p. 31.
144 La stesura delle Regulae risale agli anni compresi tra il 1625 e il 1629.
Sulla questione della datazione delle Regulae cfr., G. Mori, Cartesio, Roma
2010, pp. 37-38. 145 Cartesio, Regole per la guida dell’intelligenza, tr. it.
di G. Galli, in Cartesio, Opere filosofiche, Vol. I, a cura di E. Garin,
Laterza, Roma-Bari, p. 21. ! 56! che pretenda di mescolarsi e
assimilarsi sulla base dell’abitudine a conoscenze certe e evidenti. La stessa
valutazione dei saperi umanistici compare in I principi della filosofia. Qui il
filosofo afferma che “se desideriamo consacrarci seriamente allo studio della
filosofia e alla ricerca di tutte le verità che siamo capaci di conoscere, ci
libereremo in primo luogo di tutti i pregiudizi, e faremo conto di respingere
tutte le opinioni da noi un tempo accolte in nostra credenza, finché non le
abbiamo esaminate da capo. Faremo in seguito una rassegna delle nozioni che
sono in noi, e non raccoglieremo per vere se non quelle che si presenteranno
chiaramente e distintamente al nostro intelletto”146. La scienza, così, è in
ultima analisi tale nella misura in cui si concentra rigorosamente su ciò che
non può essere intaccato dal dubbio. Inoltre, nel primo libro del Discorso,
nell’ambito dell’esposizione del proprio iter autobiografico, Cartesio rende
manifesta l’insoddisfazione verso quei saperi, gli studia humanitatis ai quali
si era tanto dedicato durante gli anni della formazione a La Flèche,
insofferenza dovuta agli inestirpabili dubbi ed errori che quelle discipline
per il loro oggetto e metodo intrinseco non potevano non contenere. La critica
a quei saperi, che spinge Cartesio a dire che leggere i libri antichi è come
viaggiare e conversare con uomini di altri secoli147, dimenticando ciò che
caratterizza il tempo presente, trova il suo esito più compiuto nella difesa
della mathesis universalis, del nuovo metodo, della scienza nuova che unisce
matematica, logica, geometria seguendo lo schema tetravalente di evidenza,
divisione, ordine ed enumerazione. Da questo tipo di impostazione del discorso
filosofico, matematizzante e logicizzante, occorre liberarsi per Grassi che
afferma, con tono polemico in riferimento a Cartesio, che “egli rinfaccia alla
retorica – disciplina fondamentale per gli umanisti – di turbare, influenzando
l’emotività degli uditori, la chiarezza e la coerenza del pensiero razionale,
deduttivo. Egli rifiuta pure la validità del senso comune, giacchè solo il
rigore logico è garanzia del filosofare”148.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 146 Cartesio, I principi
dellafilosofia, p. 64, in Id., Opere, Vol. III, tr. it. a cura di A. Tilgher e
M. Garin, Laterza, Roma- Bari 2005. 147Id., Discorso sul metodo, tr. it. di M.
Garin, in Cartesio, Opere filosofiche, Vol. I, cit., p. 295, “Conversare con
gli uomini di altri tempi è quasi come viaggiare [...] ma se si passa troppo
tempo a viaggiare, si finisce col diventare stranieri nel proprio paese; e
quando si è troppo curiosi delle cose che avvenivano nei secoli passati, si
resta per lo più molto all’oscuro di quel che si fa al giorno d’oggi”. 148 E.
Grassi, La filosofia dell’umanesimo, cit., p. 32. ! 57! Vorremmo
sottolineare tuttavia che il filosofo italiano non tiene conto di una certa
riabilitazione da parte di Cartesio dei concetti di verosimile, tradizione e
pregiudizio nell’ambito della riflessione morale, come si evince dal Discorso,
dai Principi e dalle Passioni dell’anima, oltre che dalla corrispondenza.
Secondo la nostra interpretazione ciò accade per diversi ordini di ragioni:
innanzitutto incide l’impostazione idealistica che Grassi riceve negli anni di
apprendistato alla Cattolica, per cui l’inizio del moderno e la nascita del soggetto
avrebbero in Cartesio un punto di partenza fuori discussione149; inoltre,
l’impostazione heideggeriana che, come è noto, si concentra molto sulla critica
a Cartesio, interpretato come colui che avrebbe compiutamente formalizzato un
passaggio cruciale nella storia della metafisica, quello dalla domanda che
chiede che cosa sia l’ente, a quello della domanda che si pone il problema del
fondamento che rende possibile la comprensione dell’ente. Nella tesi cartesiana
ego cogito, ergo sum, infatti, Heidegger vede espresso un primato dell’io umano
ed una nuova posizione dell’uomo150, poiché l’uomo diventa subiectum151, il
fondamento e la misura di ogni certezza e verità. In Il nichilismo europeo si
asserisce che “la tradizionale domanda guida della metafisica – che cos’è
l’ente – si trasforma all’inizio della metafisica moderna nella domanda del
metodo, della via per la quale, [...] è cercato qualcosa di assolutamente certo
e sicuro”152: tale metodo è il cogito e le sue strutture. Infine la forzatura
grassiana della contrapposizione Cartesio/Vico è finalizzata a delineare una
nuova via d’accesso alla filosofia le cui radici storico-culturali egli
rintraccia nell’Umanesimo di matrice latina e mediterranea in senso lato.
Ritornando a Cartesio e agli aspetti meno teoreticisti del suo pensiero,
tralasciati da Grassi, possiamo prendere come riferimento il significato della
nota metafora della casa153 del Discorso che
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 149 “Devo richiamare
alla mente la situazione filosofica della filosofia italiana negli anni ’20,
periodo in cui compii i miei studi. A quell’epoca la filosofia hegeliana
predominava in Italia grazie a Croce e Gentile ed era stata introdotta fin
dalla fine del XIX secolo da Bertrando Spaventa”, E. Grassi, Retorica come
filosofia. La tradizione umanistica, cit., p. 31. 150 M. Heidegger, Il
nichilismo europeo, tr. it. di F. Volpi, Adelphi, Milano 2003, p. 158. 151 Ivi,
p. 168. 152 Ivi, p. 169. 153 “Prima di cominciare a ricostruire la casa da
abitare, non basta demolirla e provvedersi di materiali e architetti, o
impegnarsi personalmente nell’architettura, e averne tracciato inoltre un
accurato progetto; bisogna essersi procurati un altro alloggio dove si possa
dove si possa stare comodi nel corso dei lavori; allo stesso modo, per non
restare indeciso ! 58! vuole comunicarci la necessità di prendere
delle posizioni in ambito morale: ciò che assolutamente era precluso in sede di
conoscenza, ossia il fare affidamento ai pregiudizi e a ciò che sembra ragionevole
e sensato, seppure privo di certezza assoluta, è consentito in ambito morale:
“tuttavia si deve notare che io non intendo che noi ci serviamo d’una maniera
di dubitare così generale, se non quando cominciamo ad applicarci alla
contemplazione della verità. Poiché è certo che, in quel che riguarda la
condotta della nostra vita, noi siamo obbligati a seguire bene spesso delle
opinioni che non sono che verosimili [...] la ragione vuole che ne scegliamo
una, e che, dopo averla scelta, la seguiamo costantemente, come se l’avessimo
giudicata certissima”154. Il concetto cartesiano di sagesse humaine è
bivalente: ha una valenza teoretica e pratica, e la nozione di bona mens, cui
fanno capo tutte le scienze, è quel sapere del vero e del falso grazie al quale
l’uomo riesce ad orientarsi nella vita. Inoltre già nel cogito abbiamo una
co-determinazione da parte del volere, fattore costituente dell’atto di
giudizio: “con la parola pensiero, io intendo tutto quel che accade in noi
[...] non solo intendere, volere, immaginare, ma anche sentire è qui lo stesso
che pensare”155. Del resto lo stesso Grassi riconosce la portata più ampia del
cogito cartesiano nel contesto dell’analisi del metodo portata avanti nel
saggio Dell’apparire e dell’essere. Il pensatore milanese afferma che “la
metafisica di Cartesio appare in tutta la sua decisiva importanza quando si
tenga presente che cosa egli concretamente intenda con “cogitare”. Pensiero,
cogito, come tutti sappiamo, non è per lui solo atto di distinzione logica, ma
è ogni atto e modificazione del soggetto, di cui l’attività logica non è che un
momento”156. Se l’atto del cogito non è solo un atto logico, ma anche di
sensazione, immaginazione, volontà, per Grassi si profila il problema del
rapporto e della distinzione che passa tra queste forme nel processo di
manifestazione dell’essere157. Ancora più discordante rispetto
all’interpretazione di Cartesio esposta negli scritti maturi è l’affermazione
presente in L’inizio del pensiero moderno. Della passione
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! nelle mie azioni mentre
la ragione mi obbligava ad esserlo nei miei giudizi, e per non smettere perciò
di vivere quanto più felicemente potevo, mi costruii una morale provvisoria,
riconducibile a tre o quattro massime sole”, Cartesio, Discorso, cit., pp.
305-306. 154 Id., I principi della filosofia, cit., p. 22. I corsivi sono
nostri. 155 Ivi, p. 25. 156 E. Grassi, Dell’apparire e dell’essere, cit., p.
289. 157 Ivi. ! 59! e dell’esperienza dell’originario in cui il cogito
– a cui precedentemente già era stato riconosciuto quel carattere
elenchico-costrittivo158 che successivamente andrà a connotare il concetto di
principio del filosofare noetico-non metafisico – è concepito nella sua intima
connessione con il dubbio come espressione dell’urgenza e dell’impellenza
dell’essere. Asserisce il filosofo che il cogito inteso come mentis inspectio
non “significa qui rivolgere lo sguardo a qualcosa di oggettuale; piuttosto il
vedere dell’inspectio coincide con questo soggiacere al dubbio e seguirlo fino
al punto in cui si rivela l’urgenza che in esso si annuncia e che lo rende
possibile [...] di conseguenza anche il cogito, quando si intenda con esso il
compiersi di un dubitare, è espressione di un’urgenza originaria, che si mostra
come il vero fondamento del sapere”159. La posta in gioco che emerge è quella
del riconoscimento della priorità della manifestatività dell’essere quale
fulcro tematico della filosofia. Il reale come punto di partenza della
riflessione comporta una ricerca sul metodo, sulle vie di accesso, che per
Grassi – questa volta non in opposizione ma in linea con Cartesio – ci pone di
fronte ad una molteplicità di forme che sono in un rapporto di intima
co-appartenenza. Nelle riflessioni appena ricordate traspare un’immagine di
Cartesio più articolata rispetto alla semplicistica riduzione caratterizzante
gli scritti tardi che si condensa nella opposizione Vico /Cartesio (pensiero
topico e pensiero critico) e che sorregge anche l’idea grassiana della presenza
di un cartesianesimo razionalistico nella prospettiva hegeliana. Hegel160
avrebbe riproposto una visione dell’umanesimo sostanzialmente negativa e
l’opera che Grassi prende in considerazione è Lezioni di storia della filosofia
in cui l’Umanesimo appare come una filosofia volgarizzatrice e non speculativa,
che non realizza in modo adeguato l’idea ma si ferma all’ambito della fantasia
e dell’arte, e le cui radici ciceroniane, sono fortemente criticate. Secondo il
pensatore milanese “Hegel accusa la filosofia degli autori latini, ai quali fa
riferimento l’Umanesimo, di essere
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 158 Ivi, pp. 286-287.
159 Id., L’inizio del pensiero moderno, in Id., I Primi scritti, cit., pp.
817-818. 160 Id., La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., pp.
32-33. ! 60! volgarizzatrice (eine Populärphilosophie) o non
speculativa. Egli rifiuta la tesi che lo sviluppo del diritto romano abbia un
valore filosofico”161. Nell’ambito della definizione del concetto di filosofia
e delle due sfere affini ad essa, la scienza e la religione, Hegel fa
riferimento alla filosofia popolare: “sembra che vi sia un terzo momento che
congiunge i due suddetti – momento soggettivo e formale della scienza e momento
oggettivo in forma figurata o storica della religione –: cioè la filosofia
popolare. Essa si occupa di argomenti universali, filosofeggia su Dio e sul
mondo [...] però anche questa filosofia dobbiamo lasciarla da parte. Ad essa si
devono ascrivere gli scritti di Cicerone”162. Lo stesso Cicerone, al quale
Montesquieu avrebbe voluto assomigliare163, recentemente definito come
l’esponente dell’umanesimo universalista164 è al centro anche delle riflessioni
dello storico Mommsen – come ricorda Grassi nel catalogo delle interpretazioni
inautentiche dell’umanesimo165 – che lo valuta come “l’impiastricciafogli dallo
stile giornalistico”166. Altra “vittima” degli strali di Grassi è il romanista
Curtius, annoverato tra coloro che riducono il caso della filosofia umanistica
a mero esempio di “esercitazione stilistica”167. Nell’elenco compaiono anche
Cassirer, Apel, Kristeller e Jaeger. Dell’interpretazione di Cassirer per
Grassi è inaccettabile o perlomeno fuorviante il punto di partenza: ricondurre
il pensiero filosofico sotto l’egida del problema della conoscenza non consente
di rintracciare nell’età dell’umanesimo alcuna innovazione
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 161 Ivi, p. 32. 162 G.
W. F. Hegel, Introduzione alla storia della filosofia, introduzione di L.
Pareyson, tr. it. di A. Plebe, Laterza, Roma- Bari 1987, p. 132. 163
Montesquieu, Discorso su Cicerone, in P. Ciaravolo (a cura di), La personalità
filosofica di Marco Tullio Cicerone, Aracne, Roma 2007, pp. 7-8: “il primo,
presso i romani, che ha tolto la filosofia dalle mani dei dotti e l’abbia
liberata dall’intralcio di una lingua straniera. Egli l’ha resa comune a tutti
gli uomini, come la ragione, e nel plauso che ne ha ricevuto i letterati si
sono trovati d’accordo con la gente comune. Io non sono in grado di ammirare
abbastanza la profondità dei suoi ragionamenti in un tempo in cui i saggi non
si distinguevano che per bizzarria dei loro vestiti. Vorrei soltanto che fosse
venuto in un secolo più illuminato e che avesse aiutato a scoprire la verità”.
164 Uso l’espressione di L. Battaglia contenuta in Le virtù moderne di
Cicerone. Appunti sulle Tusculanae disputationes, pp. 157-169, in P. Ciaravolo,
op., cit., p. 157. 165 E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo: un problema
epocale, cit., p. 34. 166 T. Mommsen, Storia antica di Roma antica, Sansoni,
Firenze, 1963, p. 1275. 167 E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo, cit., p.
34. ! 61! significativa168. I testi citati polemicamente da Grassi
sono Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento e Storia della filosofia
moderna. Il filosofo tedesco, di formazione neokantiana, si occupò intensamente
dei problemi matematici e fisici della modernità, e la predilezione per alcuni
autori, quali Galilei, Keplero, Newton, Cartesio, Spinoza e Leibniz, ci fa
comprendere quanto potesse valere nel tragitto filosofico tracciato da Cassirer
il ruolo affidato all’umanesimo. Secondo Grassi per Cassirer “laddove
nell’Umanesimo filologia e filosofia si congiungono, non si giunge nella
filosofia a nessuna vera innovazione nel metodo”169. Se prendiamo in
considerazione il testo Dall’Umanesimo all’Illuminismo, che fu pubblicato
postumo nel 1967 e che raccoglie i contributi cassireriani sulla storia del
pensiero occidentale dall’Umanesimo all’Illuminismo, ci troveremo di fronte a
pagine di considerazione scarsa circa lo spessore filosofico dell’Umanesimo.
Nel saggio La posizione del Ficino nella storia del pensiero – recensione al
libro di Kristeller La filosofia di Marsilio Ficino – Cassirer afferma: “alle
sue origini e per il suo scopo principale l’umanesimo non può dirsi un
movimento filosofico. Tra gli umanisti più noti non troviamo grandi pensatori
veramente indipendenti. Il loro interesse era l’erudizione e la letteratura,
non la filosofia”170. L’unica importanza dell’Umanesimo e del Rinascimento sarebbe
la mutazione della dinamica delle idee171 e lo slittamento dal particolare
all’universale172. In questa fase la riflessione sui principi della conoscenza
non ha trovato ancora un motivo cosciente173 e la filosofia sembra avere una
efficacia limitata174. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
168 E. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, La Nuova
Italia, Firenze 1963. 169 E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo: un problema
epocale, cit., p. 34. 170 E. Cassirer, Il Ficino nella storia del pensiero, in
Id., Dall’Umanesimo all’Illuminismo, a cura di P. O. Kristeller, tr. it. a cura
di f. Federici, La Nuova Italia, Firenze 1995, p. 36. 171 Id., L’originalità
del Rinascimento, in Id., Dall’Umanesimo all’Illuminismo, cit., p. 11. 172 Ivi,
p. 8. 173 Id., Storia della filosofia moderna, Vol. I, Dall’umanesimo alla
scuola cartesiana, Tomo I, La rinascita del problema della conoscenza, tr. it.
di E. Arnaud, Einaudi, Torino 1978, p. 100. 174 Ivi, pp. 97-98. !
62! Sembra trovare una parziale giustificazione allora la critica
grassiana rivolta al pensatore tedesco: Cassirer “preoccupato di rintracciare
nella tradizione umanistica ciò che per lui costituisce l’essenza della
filosofia – ovvero il problema della conoscenza – dovette ammettere di
rilevarne solo poche tracce”175 nell’Umanesimo. Ma si tratta di una critica
solo in parte condivisibile poiché Grassi e Cassirer non sembrano tanto lontani
nella comune attenzione rivolta verso il mondo del simbolico. Nonostante questo
punto di contatto Grassi pone una netta differenza tra la sua teoria di una
logica della fantasia e quella cassireriana delle forme simboliche176. Afferma
Grassi che “sarebbe un errore e un fraintendimento molto grave interpretare
Vico come se la logica della fantasia fosse limitata a una pura logica di forme
simboliche, per esempio nel senso di Ernesto Cassirer”177. Il filosofo tedesco,
in particolare all’interno dell’opera Filosofia delle forme simboliche
(1923-29), analizza la funzione del mito, inteso come originaria “forma di
vita”, essenziale per la scoperta e la comprensione del mondo storico. Le
produzioni mitiche prendono evidentemente origine dall’immaginazione, anche se
il filosofo non si sofferma sulla relazione specifica tra mito e immaginazione,
bensì insiste sulla relazione tra mito e immagine. Quest’ultima ha una funzione
più importante del mero segno in quanto, secondo il filosofo, l’immagine
conterrebbe l’essenza stessa delle cose: “l’immagine, espressione di un
fenomeno, non ha un semplice carattere di rappresentazione, che indica qualcosa
di oggettivo al di là di essa, ma in essa si dà per noi qualcosa di reale, in
essa qualcosa di demonicamente vivente viene colto e posto dinanzi a noi in
piena presenza”178. Dal passo sopra citato emerge la ricerca di una struttura
originaria che permetta la rielaborazione dei processi storici dell’uomo dei
tempi antichi, a partire dalle sue creazioni mitico-simboliche.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 175 E. Grassi, La
filosofia dell’umanesimo, cit., p. 35. 176 Id., La priorità del senso comune e
della fantasia: l’importanza filosofica di Vico oggi, in Id., Vico e
l’umanesimo, cit., p. 56 177 Ivi, pp. 56-57. 178 Cassirer, Filosofia delle
forme simboliche, Arnaud, La nuova Italia, Firenze 1967, p. 30. !
63! Queste strutture non hanno una funzione solamente comunicativa ma
agiscono da mezzo col quale si determina la compiutezza dei loro contenuti. A
partire da questa premessa dobbiamo considerare il mito, la religione, il
linguaggio non come forme di dominio sul mondo, bensì come forme essenziali per
la scoperta del mondo storico dell’uomo. La formazione simbolica costituisce
così il medium tra l’elemento trascendentale e il mondo storico-reale. La
funzione di sintesi, affidata alla formazione simbolica, diviene fondamentale
strumento di concezione della storia che vuole liberarsi da una visione
assolutistica e assoluta o da qualsiasi riduzionismo empirico- descrittivo.
Scrive Cassirer in Saggio sull’uomo: “per semplice che esso possa sembrare,
ogni fatto storico può venire determinato solamente in base ad una preliminare
analisi di simboli. La prima e più immediata materia della conoscenza storica
non è costituita da cose e da avvenimenti, bensì da documenti e monumenti.
Soltanto grazie alla mediazione e con l’introduzione di questi dati simbolici
si può avere una idea della realtà storica, degli avvenimenti e degli uomini
del passato”179. Riprendendo la teoria vichiana del mondo storico come
creazione dell’uomo, aggiunge: “in nessun altro campo, la mente dell’uomo è più
vicina a se stessa che nella storia. Non il mondo fisico, ma il mondo storico è
creato dall’uomo, e dipende dalle sue facoltà [...] Il campo di studio elettivo
dell’uomo non è dunque il mondo matematico né quello fisico, ma il mondo
storico, la società civile. Quel che Vico chiede è una filosofia della civiltà:
una filosofia la quale sveli e spieghi le leggi fondamentali che governano il
corso generale della storia e lo sviluppo della cultura umana”180. Se non
sapessimo che è Cassirer l’autore potremmo pensare che questo passo esce
direttamente dalla penna del Grassi autore di Vico e l’umanesimo. Per entrambi
i filosofi i linguaggi del mito e della fantasia permettono agli studiosi
moderni di comprendere la coscienza storica dell’umanità. Il mito è una forma
comunicativa, espressiva e esplicativa di eventi e fenomeni e va ben oltre una
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 179 Id., Saggio
sull’uomo. Una introduzione alla filosofia della cultura umna, a cura di Carlo
d’Altavilla, Armando, Roma 2009, pp. 296-297. 180 Id., Desartes, Leibniz e
Vico, in Id., Simbolo, mito e cultura, a cura di D. P. Verene, tr. it. di G.
Ferrara, Laterza, Roma- Bari 1981, p. 111-112 ! 64! rappresentazione
illusoria che nasconde il vero stato delle cose. Il Cassirer lettore di Vico
mostra non pochi punti di contatto con Grassi che del filosofo napoletano
sottolinea proprio la priorità di quegli ambiti mitici, poetici, simbolici,
fantastici su cui il filosofo delle forme simboliche a lungo si è soffermato.
Se Grassi esplicitamente menziona la presenza di una logica della fantasia in
Vico – in cui “il concetto fantastico e immaginativo [...] cristallizza un
essere attraverso l’atto dell’ingegno, con una visione diretta di una totalità
pittorica”181 –, Cassirer si riferisce a Vico indicandolo come il creatore di
una logica dell’immaginazione: “l’umanità, secondo lui, non poteva cominciare
con il pensiero astratto e il linguaggio razionale. Dovette passare per lo
stato del linguaggio simbolico, del mito e della poesia. I primi popoli non
avrebbero pensato in concetti ma in immagini poetiche [...] in realtà il mondo
in cui vive sia il poeta che il foggiatore di miti sembra essere lo stesso.
L’uno e l’altro sono dotati dello stesso potere fondamentale, del potere di
personificare. Non possono contemplare nessun oggetto senza dargli una vita
interiore e una forma personalizzata”182. La breve sosta sulla filosofia
cassireriana ci ha consentito di istituire un interessante confronto
Grassi-Cassirer che ha come scopo quello di mettere in luce un comune terreno
di ricerca filosofica sugli ambiti del simbolico, del mitico, del poetico e del
fantastico. Altri due autori inseriti dal filosofo milanese nell’elenco delle
interpretazioni inautentiche dell’umanesimo sono Apel e Jaeger, entrambi
colpevoli di aver misconosciuto l’essenza autentica dell’Umanesimo183. Per il
pensatore italiano Apel “sostiene la tesi che gli umanisti nella loro disamina
della logica scolastica usano un armamentario filosofico poverissimo
sostituendo agli argomenti razionali asserzioni patetiche”184. Infatti Apel
afferma che “da questa programmatica polemica d’un nuovo
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 181 Grassi, Vico e
l’umanesimo, cit., p. 54. 182 Saggio sull’uomo, cit., pp. 266-267. 183 E.
Grassi, La filosofia dell’umanesimo. Un problema epocale, cit., p. 35; Id., Il
problema della metafisica platonica, Laterza, Roma-Bari 1932, p. 209; Id., Il
problema filosofico del ritorno al pensiero antico, in Id., Primi scritti,
cit., 255- 271; Id., Paideia e neoumanesimo, in Id., Primi scritti, cit.,
357-369. 184 Id., La filosofia dell’umanesimo, cit., p. 35. ! 65!
metodo gnoseologico, così come essa è caratteristica dell’epoca
umanistica di passaggio fra scolastica e scienza moderna, non si potrà trarre
una profonda intelligenza della logica formale (una sensibilità per il
formalismo dell’astrazione logica, e quindi per le autentiche acquisizioni
della logica da Aristotele in poi, fece difetto a tutti gli umanisti)”185. Dal
suo canto Jaeger riconduce lo spessore dell’approccio umanista a mera
prosecuzione degli ideali greco-romani186: secondo Jaeger le origini
dell’umanesimo non sono rintracciabili nel pensiero degli umanisti italiani del
Quattrocento. Leggiamo in La filosofia dell’umanesimo che “Jaeger dichiara che
l’Umanesimo è solo la manifestazione di un particolare ideale culturale che ha
per meta la formazione dell’uomo”187. Jaeger, infatti, asserisce in Paideia che
“sin dalle prime tracce che abbiamo dei Greci, troviamo l’uomo al centro del
loro pensiero. Gli dei antropomorfi, il predominio assoluto del problema della
figura umana nella plastica greca e nella pittura stessa; il procedere
conseguente della filosofia dal problema del cosmo a quello dell’uomo, nel quale
culmina con Socrate, Platone ed Aristotele; la poesia, il cui tema
inesauribile, da Omero in poi e per tutti i secoli seguenti, è l’uomo in tutta
la estensione del termine; infine lo Stato greco, di cui comprende la natura
solo chi lo intenda quale plasmatore dell’uomo e di tutta la sua esistenza:
tutti questi sono raggi di un medesimo lume”. E aggiunge che si tratta di
“manifestazioni di un sentimento umanistico della vita, che non trova ulteriori
derivazioni o spiegazioni, e che compenetra ogni creazione dello spirito greco.
I Greci furono così il popolo antropoplasta per eccellenza [...]. Siamo ora in
grado di enunciare più precisamente che cosa costituisca l’originalità dei
Greci [...]. La loro scoperta dell’uomo non è la scoperta dell’Io soggettivo, ma
l’acquisita coscienza della legge universale della natura umana. Il principio
spirituale dei Greci non è l’individualismo, bensì l’umanesimo”188.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 185 K. O. Apel, L’idea
di lingua nella tradizione dell’Umanesimo da Dante a Vico, il Mulino, Bologna
1963, p. 292. 186 W. Jaeger, Paideia. La formazione dell’uomo greco, tr. it. di
L. Emery e A. Setti, Bompiani, Milano 2003. La concezione di Jaeger la paideia
ha un ruolo prepolitico, intendendo l’attività educativa come punto di incontro
tra antichità e presente. Secondo l’esponente del cosiddetto “terzo umanesimo”:
“per l’età moderna, il concetto di umanesimo è legato alla relazione
consapevole della nostra cultura con l’antichità. Ma questa non si fonda, a sua
volta, se non sul fatto che la nostra idea della cultura universale dell’uomo
ha colà, appunto, la sua origine storica. L’umanesimo, in questo senso, è
sostanzialmente una creazione dei Greci”, ivi, p. 517. La paideia greca ha in
effetti caratterizzato, per Jaeger, sia il Cristianesimo che il Rinascimento,
in quanto il fine della stessa era la formazione di una umanità superiore. 187
Grassi, La filosofia dell’umanesimo, cit., p. 35. 188 Ivi, p. 14. I corsivi
sono nostri. ! 66! Infine, nel catalogo grassiano degli
pseudo-umanesimi compare la figura di Kristeller che secondo il pensatore
italiano non avrebbe avuto attenzione per quell’umanesimo non platonico che al
contrario egli cerca in gran parte della sua produzione di mettere in luce.
Afferma Kristeller in Retorica e filosofia dall’antichità al Rinascimento che
“gli umanisti non erano filosofi di professione, e i loro scritti su diversi
argomenti mancano della precisione terminologica e della consistenza logica che
abbiamo il diritto di aspettarci da filosofi di professione [...] in altre
parole, anche se potessimo ricostruire una filosofia coerente per un
determinato umanista, non possiamo trovare una filosofia comune a tutti gli
umanisti, e quindi non è possibile definire il loro contributo in termini di
dottrine specificatamente filosofiche”189. Secondo Grassi Kristeller “al quale
dobbiamo uno studio su Ficino e molte ricerche erudite sull’Umanesimo [...]
valorizza il pensiero umanistico soprattutto nel ripensamento della tradizione
platonica e neoplatonica”190. II. III. Il maestro degli anni mitici di Friburgo
Il confronto grassiano con l’umanesimo non poteva non relazionarsi alla
filosofia di Heidegger che contro l’umanismo si era espresso molte volte. Il
testo La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale è significativamente
dedicato alla memoria di Heidegger eletto da Grassi a suo maestro. Eppure
Heidegger, come ricorda Grassi stesso, “ha negato radicalmente qualsiasi valore
alla filosofia dell’umanesimo. Egli riconosce in tale tradizione l’ideale
romano dell’affermazione dell’homo humanus, nobilitato grazie al concetto di
paideia [...] afferma che la concezione umanistica non coglie l’essenza
dell’uomo”191. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 189 P. O.
Kristeller, Retorica e filosofia dall’antichità al Rinascimento, tr. it. di A.
Gargano, Bibliopolis, Napoli 1991, p. 90. Afferma Kristeller: “Diversamente
dalle arti liberali del primo Medioevo gli Studia humanitatis non includevano
la logica o il Quadrivium (aritmetica, geometria, astronomia e musica), e
diversamente dalle Belle Arti del Settecento gli Studia humanitatis non
comprendevano le arti figurative o la musica, la danza o l’arte dei giardini.
Non comprendevano neppure le materie principali che si insegnavano alle università
del tempo, cioè la teologia, la giurisprudenza o la medicina, o le materie
filosofiche all’infuori dell’etica, cioè la logica, la filosofia naturale o la
metafisica. In altre parole, diversamente da ciò che si è pensato molte volte,
l’umanesimo non costituisce il sapere e pensare intero o completo del
Rinascimento, ma soltanto un suo settore parziale, ben limitato, per quanto
importante. L’umanesimo aveva il suo centro e la sua base negli Studia
humanitatis. Le altre materie del sapere, compresa la filosofia (con
l’eccezione della filosofia morale) avevano un loro sviluppo separato, che era
in parte determinato dalla tradizione medievale, ma che fu poi lentamente
trasformato da osservazioni, problemi e teorie nuove, trasformazione in cui
anche l’umanesimo ebbe la sua parte, ma agendo piú che altro dall’esterno e
indirettamente”, Id., L’umanesimo italiano del Rinascimento e il suo
significato, tr. it. di A. Gargano, Istituto italiano per gli studi filosofici,
Napoli 2005, p. 16. 190 E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo, cit. p. 35. 191
Ivi, pp. 35-36. ! 67! Dedicare un testo sull’umanesimo ad un
anti-umanista sembra un’operazione quantomeno ardita poiché effettivamente
Heidegger appare molto duro nei confronti di una tradizione culturale che
avrebbe meritato, se non un giudizio differente, perlomeno una più attenta
riflessione e analisi. Leggiamo in La filosofia dell’umanesimo: un problema
epocale: “il presente lavoro è dedicato alla memoria di Heidegger che è stato
il mio maestro: anche il mio primo lavoro scientifico, iniziato negli anni
1929-1930 sotto la sua direzione e pubblicato nel 1932 (Il problema della
metafisica platonica) fu dedicato proprio a lui”192. Il magistero filosofico di
Heidegger e la sua negazione dell’importanza speculativa dell’umanesimo
sollecitano nel giovane Grassi tematiche speculative che renderanno possibile
la problematica sviluppata in “Macht der Phantasie (1979), in Macht des Bildes
(1970), e nel volume Rhetoric as Philosophy (1980), ma anzitutto in Heidegger
and the Question of Renaissance Humanismus (1983)”193. In Lettera sull’Umanismo
Heidegger tende a precisare più volte l’aspetto non-umanistico del suo
pensiero, che si configura come un’ontologia fenomenologica ed ermeneutica in
cui l’uomo e il discorso sull’uomo sono funzionali alla ricerca ontologica.
Egli si domanda se si possa qualificare il suo pensiero come umanismo, ma la
risposta è negativa; e non può essere altrimenti se per umanismo si intende
qualcosa di metafisico e di esistenziale. “L’umanismo pensa metafisicamente
[...] esso è esistenzialismo e sostiene la tesi espressa da Sartre: prècisèment
nous sommes sur un plan où il y a seulment des hommes. Se invece si pensa come
in Sein und Zeit, si dovrebbe dire: prècisèment nous sommes sur un plan où il y
a principalement l’Etre”194. La tesi alla quale Heidegger fa riferimento, come
è noto, è espressa dal filosofo francese in L’esistenzialismo è un umanismo195,
ed è inserita nel contesto della metafisica dell’umanismo che
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 192 Ivi, p. 17. 193 Ivi,
p. 29. 194 M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, tr. it. A cura di F. Volpi,
Adelphi, Milano 2008, p. 61. 195J. P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo,
Mursia, Milano 1996, p. 40. ! 68! “non pone l’humanitas dell’uomo
ad un livello abbastanza elevato”196. Una metafisica di questo tipo, che eleva
l’uomo a soggetto despota dell’essere e dell’ente, non riesce, secondo
Heidegger, a comprendere il legame dell’uomo e dell’essere, quell’ηθος che è il
soggiorno dell’uomo197, la radura- Lichtung del mondo. C’è da dire che, stando
all’auto-interpretazione heideggeriana, il suo pensiero non è né umanistico né
inumano. Non è umanistico perché la questione fondamentale del suo pensiero è
l’essere, la Lichtung, l’Ereignis. L’uomo, allora, verrebbe ridotto ad
accidente periferico dell’essere? Umano e inumano sono concetti inadeguati per
un pensiero che vuole andare oltre l’alternativa tra scienza e filosofia.
Queste ultime sono per Heidegger sostanzialmente la stessa cosa. Dopo l’incontro
di Grassi con Heidegger a Todtnauberg, nella Foresta nera si profila quella
tormentata e difficile rottura con il maestro destinata a non ricomporsi. La
connessione istituita da Heidegger tra l’uomo greco e l’uomo tedesco tralascia
l’umanesimo in quanto interpolazione romana- latina tra l’uomo greco e l’uomo
tedesco, erede del greco; valutando negativamente anche il Rinascimento come
renascentia romanitatis. Le radici di questa profonda avversione sono
rintracciabili nel contesto più generale della critica alla metafisica che
Heidegger conduce: “ogni umanismo o si fonda su una metafisica o pone se stesso
a fondamento di una metafisica. È metafisica ogni determinazione dell’essenza
dell’uomo che presuppone già, sia consapevolmente sia inconsapevolmente,
l’interpretazione dell’ente, senza porre la questione della verità dell’essere
[...] nel determinare l’umanità dell’uomo, l’umanismo non solo non si pone la
questione del riferimento dell’essere all’essere umano, ma impedisce persino
che si ponga una simile questione”198. Ogni umanismo in quanto tale è
un’antropologia ontica che muove da un ente senza tenere conto del riferimento
all’essere – il grande impensato della tradizione metafisica occidentale, rea
di un doppio occultamento: il ritrarsi dell’essere (oblio come κρύπτεσθαι);
oblio della ritrazione dell’essere (con l’imporsi della verità dell’ente e solo
dell’ente). Pensare all’umanesimo antropocentrico e non attento
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 196 M. Heidegger,
Lettera sull’umanismo, cit., p. 56. 197 Ivi, p. 90. 198 M. Heidegger, Lettera
sull’umanismo, cit., p. 43. ! 69! al nesso essere-uomo significa
pensare innanzitutto a quell’uomo oggetto dell’orazione pichiana che accende un
dibattito filosofico nel 1487, promosso proprio da Pico della Mirandola199, e
che è dominata dalla centralità dell’uomo all’interno della realtà, peculiarità
riconducibile all’essenza particolare del suo status ontologico. A differenza
degli altri enti l’uomo è quell’ente che non ha una essenza specifica, una
natura propria e definita, chiusa e circoscritta: “l’uomo si fa agendo; l’uomo
è padre a se stesso. L’uomo non ha che una condizione: l’assenza di condizioni,
la libertà”200. Il problema posto da Heidegger circa lo statuto
dell’umanesimo/umanismo non poteva lasciare indifferente Grassi che ritiene
inaccettabili quelle affermazioni e che trova in Heidegger se non proprio un
momento di svolta201, uno spunto teorico importante per il tentativo di
risemantizzazione del concetto di umanesimo. Leggiamo in Heidegger e il
problema dell’umanesimo che “storicamente dobbiamo osservare che la definizione
che Heidegger dà del pensiero occidentale (una metafisica razionale deduttiva
che sorge e si sviluppa esclusivamente dal rapporto tra gli enti e il pensiero,
cioè nel quadro della verità logica) non regge. Nella tradizione umanistica c’è
sempre stata una preoccupazione cruciale circa il problema del disvelamento,
dell’apertura, dove il Da-sein storico può fare la sua apparizione. Per questa
ragione noi dobbiamo rivedere e rivalutare le categorie storiche che ancora
guidano il nostro pensare”202. Occorre precisare, secondo Grassi, che accanto
all’umanesimo ci sono gli pseudo umanesimi: la prospettiva onto-antropo-logica
grassiana ha come scopo teorico proprio la chiarificazione del
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 199 Cfr., E. Garin,
L’umanesimo italiano, cit., p. 135. 200 Ivi, p. 136. 201 Parla di svolta
riguardo all’incidenza di Lettera sull’umanismo di Heidegger nel pensiero di
Grassi D. Di Cesare in Metafora e differenza ontologica. Grassi versus
Heidegger?, in AA. VV., Un filosofo europeo. Ernesto Grassi, cit., p. 25: “la
Lettera rappresenta pure, di riflesso, una svolta per Grassi, non solo nel
confronto con Heidegger, ma anche nel proprio itinerario. La sua attesa è
rimasta delusa: non vi è traccia, nella Lettera, di un ripensamento critico, o
meglio autocritico, sul valore filosofico della tradizione latina e italiana,
di quel che Grassi chiama Umanesimo [...] per Grassi si produce allora una
difficile e tormentata rottura con Heidegger. Destinata a non ricomporsi,
questa rottura costituirà però il vero e proprio avvio non solo e non tanto
della sua originale interpretazione dell’Umanesimo, quanto di un’autonoma
riflessione filosofica che ha al suo centro la metafora”. Dal nostro punto di
vista, l’incontro a Todtnauberg tra Grassi eHeidegger, sebbene significativo,
non costituisce una svolta. La prospettiva della studiosa non tiene conto delle
affermazioni sull’umanesimo espresse da Grassi nella produzione giovanile.
Infatti, la questione dell’umanesimo si pone già a partire dal saggio su
Machiavelli del 1924, come abbiamo cercato di chiarire nel primo capitolo e nel
ventennio che intercorre tra il 1924 e il 1946 Grassi ha già maturato le
coordinate fondamentali del suo itinerario speculativo, in cui certamente
Heidegger riveste un ruolo centrale ma tuttavia non esclusivo. 202 E. Grassi,
Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., p. 38. ! 70!
significato filosofico dell’umanesimo. Non l’umanesimo storico, né quello
politico sono al centro della sua riflessione, ma unicamente lo statuto
speculativo di esso. In Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne lo
studioso afferma: “sia dunque ben chiaro che ogni affermazione umanistica è un
problema anzitutto filosofico e non storico [...] che significato può dunque
oggi avere un umanesimo?”203. Cercare di dare una risposta a questa domanda
spinge Grassi a misurarsi con le questioni della tecnica, del metodo e
dell’oggettività. Si tratta di accenni polemici che egli non discuterà a fondo
e dettagliatamente ma che ci consentono di comprendere quanto fosse viva in lui
la consapevolezza del declino di una visione globale dell’uomo e dell’emergere
del disancoramento dalla realtà che le scienze naturali cercano di ridurre ma
che al contrario contribuiscono ad espandere a dismisura: “qui nelle scienze
singole naturali, nelle quali l’uomo crede di raggiungere l’obiettività, appare
più chiaro che altrove il disancoramento dell’uomo”204. L’approccio scientifico
è per Grassi responsabile di quella trasmutazione del mondo vero in favola, di
una de-realizzazione del reale, in seguito alla quale la realtà, la dimensione
dell’oggettivo svaniscono, divenendo un’astratta costruzione: “la realtà che
invece mediano le scienze naturali è un’astratta costruzione in quanto il
risultato di un interrogare la realtà fenomenica in funzione a principi
presupposti”205. Accanto a questa ricerca tecnico-scientifica dei principi c’è
la ricerca filosofica che dischiude il tempo umano, il suo mondo storico, in
cui motivi etici, politici ed etico religiosi si intrecciano indissolubilmente
in quel contesto originario, nella dimensione pre-teoretica e pre-categoriale
che l’analisi sulla Lichtung mette in luce. II.! IV. La pars construens del
discorso grassiano: il lascito heideggeriano A questo punto abbiamo messo
insieme una serie premesse teoriche che ci consentono di uscire dall’impasse in
cui il coacervo delle interpretazioni analizzate da Grassi ci aveva condotti:
esaminate !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 203 Id., Il
tempo umano. L’umanesimo contro la techne, in AA. VV, Umanesimo e scienza
politica. Atti del convegno internazionale di studi umanistici, a cura di E.
Castelli, Roma- Firenze 1949, p. 202. 204 Ibidem. 205 Ibidem. ! 71!
tutte le posizioni critiche rispetto alla tradizione storica dell’umanesimo
italiano ci è consentito ora di individuare il nucleo attorno al quale la
ricostruzione del suo senso autentico diviene possibile. Il percorso onto-antropo-logico
di Grassi staziona a lungo presso il concetto di Lichtung, e non si tratta di
un semplice omaggio al maestro dei “mitici anni friburghesi”. La
co-appartenenza di umanesimo e Lichtung è fondativa della prospettiva
onto-antropo-logica e costituisce, secondo il nostro punto di vista, il plesso
teorico cardine su cui si innestano le riflessioni che successivamente avremo
modo di analizzare: quella sull’ingegno e la fantasia; quella sulla metafora e
la retorica. Prima di sciogliere i nodi del pensiero grassiano della Lichtung
ripercorriamo brevemente la storia heideggeriana di questo concetto, ciò ci
consentirà di mettere a fuoco lo sfondo su cui si staglia la particolare
declinazione che della Lichtung offre Grassi. II. V La Lichtung in Heidegger Come
ha sottolineato Amoroso quello della Lichtung heideggeriana è un esempio di
etimologia per antifrasi come il latino lucus a non lucendo, dove il lucus, il
boschetto sacro, viene fatto derivare per antifrasi da lucere, perché esso ha
poca luce. La Lichtung ha tre rimandi principali: al luminoso (Licht e lux),
all’oscuro (lucus), e al leggero (Leicht). Con il termine Lichtung non ci
riferiamo ad una espressione metaforica per indicare ciò che si sottrae
all’espressione razionale: siamo di fronte ad un fenomeno di base di cui fanno
parte i domini spaziali e temporali dell’uomo e la sua capacità di creare
corrispondenze ontologiche. Nel pensiero di Heidegger la concettualizzazione
filosofica della Lichtung206 si dipana nell’arco di più di 35 anni di speculazione
filosofica: dal ’27, anno di pubblicazione di Essere e Tempo al ’62, anno di
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 206 Resta ancora aperta
tra i critici la questione di una possibile traduzione efficace del termine che
conservi il senso filosofico originario senza andarne a ledere le relazioni
morfologiche e foniche. Sono note le riserve etimologiche addotte da Cicero
circa la traduzione di Lichtung con radura, che non renderebbe né l’affinità
fonica e verbale con lux e Licht, né quella speculativa di orizzonte
inapparente di ogni apparenza ontica. Altri modi di traduzione italiana come è
noto sono quelli di Chiodi che traduce con illuminazione; di Caracciolo che
rende con radura-luminosa; la traduzione di Vattimo è apertura-slargo; quella
di Mazzarella e Volpi è radura; Amoroso traduce con luco; Marini con chiarita;
Cicero usa il verbo lucare. Cfr., per una ricostruzione dei molteplici
significati del termine Lichtung il fondamentale studio di L. Amoroso,
Lichtung. Leggere Heidegger, Rosenberg&Sellier, Torino 1993. Per una
ricostruzione etimologica dettagliata rimando a V. Cicero, Parole fondamentali
di Heidegger ricorrenti in pensare e poetare, pp. 195-230, in M. Heidegger,
Introduzione alla filosofia. Pensare e poetare, tr. it. di V. Cicero, Bompiani,
Milano 2010. Mi permetto di rinviare al mio Saggio sulla Lichtungsgeschichte in
M. Heidegger, pp. 33-67, in “Atti dell’Accademia di scienze morali e
politiche”, Giannini, Napoli 2015. ! 72! pubblicazione di Tempo ed
Essere, e oltre. Le sue molteplici “apparizioni testuali” hanno sensi e
significati di volta in volta diversi, ma sempre interconnessi e riferiti alla
problematica della ostensione della correlazione e coestensione di Da-Sein,
Sein, e aletheia. Tale correlazione se nella prima fase di pensiero del
filosofo è pensata più a partire dall’esserci e dall’analitica esistenziale,
nella fase tarda, invece, è tematizzata a partire dal legame stesso, da quel
plan di cui si asserisce l’identità con l’essere, come possiamo leggere a
partire da Lettera sull’umanismo207. La Lichtung heideggeriana ha una
articolazione pentavalente: (i) Da- sein, (ii) arte, (iii) mondo-spazio, (iv)
verità e (v) nulla sono i poli con i quali la Lichtung si converte di volta in
volta. (i) Nell’opera del ‘27 la Lichtung appare come Da-sein nel senso di
Erschlossenheit208 con evidente correlazione all’immagine classica del lumen
naturale, dunque alla luce. La caratteristica della non-chiusura o
dell’apertura è correlata all’esserci e alle sue note distintive: la spazialità
propria dell’esserci e la sua gettatezza intramondana – benchè si tratti di
un’intramondanità trascendente in quanto l’uomo non sta mai al modo dell’ente
semplicemente-presente ma esiste, è esposto alla radura dell’essere. Inoltre,
l’Erschlossenheit è convertibile con l’ἀληθεύειν, perché ha una connotazione
duale: aprente e aperta, distinguendosi, pertanto, dalla Entdecktheit, che
contrassegna l’ente difforme dall’esserci. La semplice presenza ha come nota
caratteristica quella di essere uno svelato che non può aprire un mondo di
significati ma che si trova già sempre immerso in una totalità di appagatività.
L’esserci, invece, ha una capacità di apertura che lo rende quell’essere che
può scoprire, mentre la semplice-presenza è l’ente che può essere scoperto. Si
tratta di comprendere il denso senso del Da-sein, che esprime sia il
riferimento dell’essere all’essenza dell’uomo, sia il rapporto essenziale
dell’uomo con l’apertura (il ci) dell’essere come tale.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 207 “Se invece si pensa
come in Sein und Zeit, si dovrebbe dire: prècisèment nous sommes sur un plan où
il ya principalment l’Etre. Ma da dove proviene e che cos’è le plan? L’Etre e
le plan sono lo stesso”, M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, cit., pp. 61-62.
208 L’Erschlossenheit fa la sua comparsa al § 28: “qui e là sono possibili solo
in un “Ci”, cioè solo se esiste un ente che, in quanto essere del Ci, ha aperto
la spazialità. Nel suo essere più proprio questo ente ha il carattere della non
chiusura. L’espressione “Ci” significa appunto questa apertura essenziale.
Attraverso essa, questo ente (l’Esserci) “Ci” è per se stesso in una con
l’esser-ci del mondo [...] che esso sia illuminato significa che è in se stesso
aperto nella radura in quanto essere-nel-mondo, cioè non mediante un altro
ente, ma in modo che esso stesso è la radura”, M. Heidegger, Essere e Tempo,
tr. it., a cura di, Longanesi, Milano, p. 165. ! 73! (ii) La
relazione tra Lichtung e arte emerge in L’origine dell’opera d’arte. Qui il
termine radura è declinato come Offenheit209, come luogo aperto e possibilità
stessa dei fenomeni. In quanto apertura essa è quell’accadere non solo del
diradarsi ma anche del trattenere, dello svelamento e del nascondimento come si
evince dalle pagine sulla lotta tra Welt e Erde o tra luogo e contrada in
L’arte e lo spazio. L’arte ci conduce sul sentiero della verità, essa anzi è la
messa in opera della verità dell’ente, il suo accadere e stanziarsi. Così viene
declinata l’innovazione ontologica di cui è foriera l’opera d’arte: “l’opera
d’arte, nel modo che le è proprio, fa insorger l’essere dell’ente. Nell’opera
accade questo far insorgere, ossia: la verità [...] l’arte è il mettersi in
opera della verità”210. Ciò che insorge è la dimensione ontologica della
Lichtung quale contesto originario di senso. (iii) L’idea di Lichtung come
mondo si collega al principio di manifestatività, ed è frutto della
coniugazione della problematica trascendentale e della dottrina del mondo. L’io
trascendentale e il soggetto mondano risultano coincidenti. Tale
sovrapposizione tenta di superare l’incapsulamento del mondo nella coscienza e
di dare risalto ad una idea di mondo come vero e proprio donatore di senso,
come originaria dimensione costituente. Ciò che consente agli enti di
manifestarsi va rintracciato nelle strutture della mondità e non in quelle del
soggetto. Afferma il filosofo tedesco che “in Essere e Tempo la “cosa” non ha
più il suo luogo nella coscienza, ma nel mondo”211, e ciò perché il mondo è la
condizione di possibilità dell’esperienza, cioè, del rapportarsi dell’esserci
all’ente212, costituendo l’accessibilità dell’ente. Sappiamo dall’analitica
esistenziale che la spazialità dell’esserci è possibile solo sul fondamento
dell’in-essere, insomma non è riconducibile all’ordinaria nozione dello spazio
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 209 Il termine Offenheit
è impiegato soprattutto in riferimento al mondo e alla Lichtung. L’essere
aperto e al contempo aprente contraddistingue la Welt come welten, come
farsi-mondo. Il mondo, infatti, come l’opera d’arte è innanzitutto Stiftung:
istituzione, donazione e fondazione le quali aprono alla dimensione
dell’apparire dell’ente, facendo sì che l’ente “insorga” in quanto essente,
assurgendo a dimensione della donazione di senso. 210 Id., L’origine dell’opera
d’arte, p. 51. 211 Id., Seminari, tr. it. Di M. Bonola, a cura di F. Volpi,
Milano, Adelphi, 1992, p. 158. 212 Cfr., V. Vitiello, Heidegger: il nulla e la
fondazione della storicità. Dalla Überwindung der Metaphysik alla
Daseinsanalyse, Urbino, Argalia, 1976. ! 74! omogeneo naturale213.
Inoltre, risulta impraticabile la deduzione dello spazio dal tempo, poiché
spazio e tempo sono fenomeni originari, anzi, cooriginari. Essi costituiscono
quello Zeit-Raum di cui si parla in Tempo e Essere in relazione all’evento,
all’eventuarsi dell’essere, al suo destinarsi storicamente, al suo essenziarsi
aletico. Il concetto di spazio come lasciare e concedere spazio, mondo e
soggiorno è strettamente connesso al concetto di Lichtung che dirada il luogo
di ogni manifestatività e presenza, ma anche il luogo di ogni assenza e
oscurità, l’aperto per tutto ciò che è presente o assente. (iv) Il legame di
Lichtung e verità si pone con forza in un suggestivo paragrafo di Essere e
Tempo, che reca il significativo titolo di Esserci, apertura e verità214. Qui
Heidegger afferma che un’asserzione è vera innanzitutto perché è apofantica,
ossia è manifestazione dell’ente215. Nell’ambito dell’analitica esistenziale la
verità è connessa ad un concetto di Lichtung da intendere, sia, come
Offenstandigkeit (come uno stare aperto da parte dell’uomo), sia, come
Offenbarkeit (esser- manifesto da parte dell’ente). La grande sfida che si apre
alla riflessione del filosofo tedesco è quella di portare al linguaggio quello
sfondo sul quale si staglia la stessa manifestatività come tale. Si tratta di
quel fondo nascosto e oscuro su cui si pone la luminosità del manifesto e a
partire dal quale possiamo comprendere il discorso sulla non-essenza della verità.
Preminente secondo Heidegger nella dottrina del vero è l’Anwesung, l’atto del
presentarsi della cosa, e non il Wassein, il contenuto essenziale. E proprio
tale separazione tra il contenuto dell’apparire e l’orizzonte dello stesso ha
generato per il filosofo tedesco quel “riferimento al vedere, all’apprensione,
al pensare e !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 213 Ma
soprattutto dall’analitica sappiamo che la spazialità è possibile solo sul
fondamento della temporalità. Nel noto § 70 di Essere e Tempo lo spazio sembra
emergere in netta subordinazione al tempo, alla temporalità
estatico-orizzontale, che sola rende possibile l’entrata dell’esserci nello
spazio. Successivamente, è lo stesso Heidegger ad avvertire l’impossibilità di
continuare a sostenere la posizione espressa in Essere e Tempo: “il tentativo
di ricondurre la spazialità dell’esserci alla temporalità compiuto nel § 70 di
Essere e Tempo non è più sostenibile”, M. Heidegger, Tempo e essere, cit., p.
30. Anche nelle dieci conferenze tenute a Kassel del 1925 Heidegger afferma nel
contesto della disamina di “ciò che è vivo e ciò che è morto” del pensiero
diltheyano che «lo spazio del mondo ambiente non è quello della della
geometria. Esso è essenzialmente determinato dai momenti usuali della vicinanza
e della lontananza [...] non ha dunque la struttura omogenea dello spazio
geometrico», Id., Il lavoro di ricerca di Wilhelm Dilthey e l’attuale lotta per
una visione storica del mondo, cit., pp. 34-35. 214 Il riferimento è al § 44 di
Essere e Tempo. 215 Ivi, pp. 264-265. ! 75! all’asserire”216 della
verità che è caduta sotto il giogo dell’idea, con il conseguente mutamento
della verità in orthotes. (v) L’altro concetto fondamentale intrinsecamente
connesso a quello di Lichtung è quello di nulla, di cui Heidegger parla
soprattutto in Che cos’è metafisica?. Qui il nihil è contraddistinto da una
peculiare relatività e rivelatività. Lichtung e Nichtung divengono sinonimi
perché la peculiare funzione di diradamento della prima, e il ruolo di
annientamento della seconda, vigono entrambi nell’ente e nella sua luminosità,
consentendo ad esso di apparire. Lichtung e Nichtung costituiscono quella
“notte chiara” in cui l’ente appare e il mondo diviene mondo. Nondimeno, radura
e nulla non vengono alla luce alla stregua dell’ente, ma si annunciano in
quella differenza nei confronti dell’ente che appare217. In conclusione di
questa incursione nella teoria della Lichtung heideggeriana possiamo dare per
acquisito che essa si pone come l’inapparente fonte di ogni apparenza ontica.
Si tratta del mero “che c’è”, del fatto, dell’evento. Ma un pensiero così
originario, che nel suo regressus verso l’inizio retrocede verso un
indisponibile e pre-teoretico darsi può ancora edificare? Su quali fondamenta e
a quale scopo? Quale telos l’“uomo della radura” può porsi e come può
orientarsi? !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 216 Id., La
dottrina platonica della verità, in Id., Segnavia, a cura di F. W. Von Hermann
e F. Volpi, Milano, Adelphi, p. 192 217 Se in Essere e Tempo il discorso si
dipana su un piano che è più strettamente analitico-esistenziale, nella
prolusione Che cos’è metafisica (1929) la questione si pone sul terreno
ontologico. Qui il discorso sull’angoscia si inserisce nella cornice tematica
del rapporto tra essere e nulla. In questo caso ad attirare l’attenzione non è
tanto l’Unheimlichkeit – l’esperienza dello spaesamento – propria
dell’angoscia, quanto l’esperienza di Seinsoffenheit – di apertura dell’essere
– della stessa: «solo nella notte chiara del niente dell’angoscia sorge
quell’originaria apertura dell’ente come tale [...] il niente è ciò che rende
possibile l’evidenza dell’ente come tale per l’esserci umano”, M. Heidegger,
Che cos’è metafisica, in Id., Segnavia, cit., pp. 70-71. ! 76! II.
VI. Lichtung, umanesimo, metafisica: la proposta grassiana Queste sono le sfide
che il pensiero heideggeriano pone e che Grassi rimedita in modo originale
coniugando Lichtung e umanesimo. In quell’umanesimo in cui Heidegger intravedeva
un pericolo per l’esperienza autentica dell’originario Grassi individua una
possibilità, anzi la possibilità, la scommessa del filosofare noetico-non
metafisico da sempre bandito dalla riflessione formale e razionalistica.
Afferma il filoso italiano in La metafora inaudita, nel contesto dell’analisi
del linguaggio e del pensiero razionalmente intesi, che “qualsiasi umanesimo –
nel contesto suddetto – che tenti di trascendere il pensiero formale tenendo
conto dei problemi della vita e dell’uomo, deve essere escluso e con esso ogni
elemento patetico, proprio del linguaggio poetico o retorico. Il linguaggio
razionale e scientifico deve necessariamente prescindere dalle passioni
dell’uomo; il suo ideale è quello matematico e il legame del mondo umano con la
razionalità genera il terrore di cadere nel soggettivismo,
nell’arbitrarietà”218. Per il filosofo italiano occorre compiere un movimento
inverso a questa prospettiva e la riflessione sul tema heideggeriano della
Lichtung, connesso all’articolazione umanistica e vichiana del concetto,
rappresenta un tentativo di costruire un nuovo accesso al mondo umano. Per
Grassi quello compiuto da Heidegger è un regressus, un movimento di
retrocessione dal dato al darsi, che tuttavia si arresta all’Es gibt,
all’evento in cui l’esserci è gettato. Nella Lichtung riecheggia quel φύειν
greco, quel generarsi, prodursi, sbocciare, portare a manifestazione,
quell’essere che l’uomo può contemplare, al cospetto del quale sente la
meraviglia e su cui non ha potere. Si tratta del mondo nel quale ci si sente
situati, immersi in una tradizione e in una pre-comprensione, forme, queste, di
mediazione che ci immettono immediatamente nel mondo, in quella modalità
linguistica che induce il filosofo a parlare del linguaggio come casa
dell’essere. Urge tuttavia ripensare l’idea ereditata dal maestro
intraprendendo una analisi teoretica e storica delle prospettive degli
antesignani della teoria della Lichtung che infine approda ad una prospettiva
metaforologica originale che coniuga l’analisi !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
218 E. Grassi, La metafora inaudita, cit., p. 11. ! 77! della
metafora come espressione metaforica con quella della metafora come fenomeno
globale di tipo cognitivo innanzitutto e secondariamente linguistico. Nel
contesto della Lichtungsgeschichte di Grassi emergono in primo piano i temi del
non- nascondimento – la verità come aletheia – e della physis. In Heidegger e
il Problema dell’umanesimo219 dopo aver affrontato l’analisi del concetto
heideggeriano di Lichtung, di Unverborgenheit e di φαινεσθαι, Grassi afferma
che “uno dei problemi centrali dell’umanesimo non è l’uomo, bensì la questione
del contesto originario, dell’orizzonte o apertura in cui appaiono l’uomo e il
suo mondo [...] questi problemi non sono trattati dal pensiero umanistico
mediante un confronto logico speculativo con la metafisica tradizionale, ma
piuttosto in termini di analisi e di interpretazione del linguaggio”220. Da
questo passo emerge la precisa declinazione che Grassi conferisce a tale idea:
si tratta di una declinazione ontologica perché il problema che la Lichtung
heideggeriana pone è, come abbiamo visto, quello del fenomeno di base
dell’evento, della manifestatività, dell’esistenza e dell’appello dell’essere
al quale è chiamato l’uomo. Ma allo stesso tempo emerge anche una nota
linguistica perché l’appello dell’essere che avviene nella dimensione della
Lichtung coinvolge innanzitutto il mondo linguistico dell’uomo. Inoltre, Grassi
rimarca più volte la retrodatazione della concettualizzazione della Lichtung:
interpretata come riflessione sull’evento originario del rapporto uomo-essere
la Lichtung compare già nelle riflessioni umanistiche, soprattutto in quelle
che riguardano il linguaggio. L’idea di Lichtung che Ortega y Gasset, il collega
di corso di Grassi durante gli “anni mitici di Friburgo”221 faceva risalire al
1914222, in realtà è molto più antica per Grassi: precede Heidegger e Ortega di
secoli. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 219 Id.,
Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., pp. 20-21. 220 Ivi, p. 26. I
corsivi sono nostri. 221 Id., La filosofia dell’umanesimo. Un problema epocale,
cit., p. 21. 222 Ortega ha sempre rivendicato la priorità, rispetto a
Heidegger, di alcune intuizioni filosofiche fondamentali: “Ci sono appena uno o
due concetti importanti di Heidegger che non siano preesistenti, talvolta con
un’anteriorità di tredici anni, nei miei libri”, Ortega y Gasset, Lettera a un
tedesco (1932), in Id., Goethe, tr. it. di A. Benvenuti, Medusa, Milano 2003,
pp. 15-48: p. 47, nota 2. I concetti sui quali Ortega, stando alla sua
autointerpretazione, si sarebbe espresso con anticipo rispetto ad Heidegger
sono quelli di essere, verità, cura e lingua. Per una analisi approfondita dei
concetti ora ricordati rimando a G. D’acunto, Ortega critico di Heidegger, pp.
67-78, in “Studi interculturali”, 1/2015 Trieste. Vorremmo richiamare
all’attenzione i passi orteghiani del 1914 in cui si dice sia prefigurato il
concetto heideggeriano di Lichtung, ! 78! Secondo il filosofo
milanese, infatti, il problema della radura risale alle riflessioni
dell’umanesimo italiano: “già dagli inizi degli studi umanistici un secolo fa,
con Burckhardt e Voigt, fino a Cassirer, Gentile e Garin, gli studiosi hanno
costantemente individuato l’essenza dell’umanesimo nella riscoperta dell’uomo e
dei suoi valori immanenti. Questa interpretazione, largamente diffusa, è la
ragione per cui Heidegger [...] si è insistentemente impegnato in polemiche
contro l’umanesimo, considerato alla stregua di un ingenuo antropomorfismo. E
tuttavia uno dei !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! reso
con la metafora della radura nel bosco, e che esprime al contempo l’idea di
verità come αληθεια e non nascondimento. Ortega, già nel 1914, affermava che:
“la verità è caratterizzata da una pura illuminazione subitanea che possiede,
però, solo nell’istante in cui viene scoperta. Per questo il suo nome greco,
aletheia – che in origine ebbe lo stesso significato della parola più tarda
apocalipsis –, vuol dire scoperta, rivelazione, o meglio, svelamento,
toglimento di un velo”, J. Ortega y Gasset, Meditazioni del Chisciotte e altri
saggi, tr. it. a cura di G. Cacciatore e M. L. Mollo, Guida, Napoli 2016, p.
68. In Ortega, dunque, sarebbe presente quella metaforica presente anche in
Heidegger: la radura nel bosco (Lichtung), intesa come il luogo in cui si apre
lo spazio che lascia entrare la luce e la fa giocare con l’oscurità. Secondo
Ortega “il bosco è una natura invisibile – per questo in tutte le lingue il suo
nome conserva un alone di mistero [...] il bosco sfugge allo sguardo [...] il
bosco è sempre un po’ più in là del luogo in cui siamo [...] Ciò che del bosco
si trova davanti a noi in modo immediato è solo un pretesto affinché il resto
rimanga nascosto e distante”, ivi, p. 62-63. Vorremmo sottolineare come
l’importanza della metafora in Ortega non sia legata solo alla sua notevole
capacità di espressione letteraria, a quella volontà di stile mai disgiunta da
una chiara coscienza linguistica, ma abbia una radice filosofica molto forte
nell’estetica del pensatore. In Ortega y Gasset bisogna guardare tra le pieghe
di testi quali Renàn, Ensayo de estètica a manera de pròlogo, Las dos grandes
metàforas, La deshumanizaciòn dela rte per rintracciare un’analisi della
metafora che travalichi l’ambito pittorico e letterario e mostri una componente
filosofico-conoscitiva e una costante preoccupazione antropologica e non solo
estetico-ornamentale della metafora. Questa preoccupazione antropologica si
materializza come è noto nella bella immagine del naufrago a cui la cultura
viene in soccorso come una “zattera”: “la vita è in se stessa e sempre un
naufragio. Naufragare non è affogare. Il povero essere umano, accorgendosi di
affogare negli abissi, agita le braccia per mantenersi a galla. Questo agitare
le braccia, con cui egli reagisce al suo smarrimento, è la cultura: un
movimento natatorio. Quando la cultura è soltanto questo, essa compie la sua
funzione e l’essere umano riemerge dal suo stesso abisso”, J. Ortega y Gasset,
Goethe dal di dentro, in Id., Meditazioni sulla felicità, tr. it., di C. Rocco
e A. Lozano Maneiro, Sugarco, Gallarate, 1994, p. 193. Spostandoci da una
“pragmatica metaforica” orteghiana ad una “teoria sulla metafora” sarà
possibile constatare che il tema della metafora svolge una funzione
fondamentale nell’economia del pensiero orteghiano e umano in generale, poiché
tenta di ancorare il linguaggio alle radici che lo generano. Come leggiamo
nelle pagine di La disumanizzazione dell’arte “ecco così un “tropo” di azione,
una metafora elementare anteriore all’immagine verbale e che si genera
nell’ansia di evitare o eludere la realtà. [...] Ecco l’elusione metaforica”.
J. Ortega y Gasset, La disumanizzazione dell’arte, tr. it. di S. Battaglia, Sossella,
Roma 2005, p. 45. Per il filosofo spagnolo il logos stesso è un’operazione
metaforica: “il logos stesso è un’espressione metaforica [...] così, se quanto
diciamo non coincide esattamente con quanto pensiamo, si deve intendere che
perlomeno lo suggerisce. E tale dire che è suggerire è la metafora”, J. Ortega
y Gasset, La disumanizzazione dell’arte, cit., p. 46. Cfr., G. Cacciatore,
Sulla filosofia spagnola. Saggi e ricerche, Mulino, Bologna 2013 soprattutto il
saggio “La zattera della cultura. Filosofia e crisi in Ortega y Gasset”, pp.
47-77; G. Cacciatore-A. Mascolo (a cura di), La vocazione dell’arciere.
Prospettive critiche sul pensiero di J. Ortega y Gasset, Moretti e Vitali,
Bergamo 2012; F. J. Martìn, Teoria del linguaggio e linguaggio ingegnoso in
Ortega y Gasset, pp. 313-327, in F. Ratto-G. Patella (a cura di), Simbolo,
metafora e linguaggio nella elaborazione filosofico- scientifica e
giuridico-politica, Sestante 2000; G. D’Acunto, Ortega y Gasset: La metafora
come parola esecutiva, pp. 39-51, in “Studi interculturali”, n. 2, 2014; F.
Cambi, La pedagogia e la Bildung in Ortega, in F. Cambi, A. Bugliani, A.
Mariani, Ortega y Gasset e la Bildung. Studi critici, Unicopli, Milano 2007,
pp. 13-66; G. Cacciatore-C. Cantillo (a cura di) Omaggio a Ortega, Guida,
Napoli 2016; mi permetto di rinviare al mio Un intellettuale di vocazione. A
proposito di La vocazione dell’arciere. Prospettive critiche sul pensiero di
Ortega y Gasset, pp. 230-243 in “Studi interculturali”, Trieste 2014; G.
Ferracuti, Il punto di vista crea il panorama: molteplicità di sguardi e
interpretazioni in Ortega y Gasset, pp. 96-118, in “Studi Interculturali”,
Trieste 2015. ! 79! problemi centrali dell’umanesimo non è l’uomo
bensì la questione del contesto originario, dell’orizzonte o apertura in cui
appaiono l’uomo e il suo mondo”223. L’apertura originaria, definita altrove
come l’ursprünglich Rahmen224, al centro delle speculazioni umanistiche
coinvolge i temi del linguaggio, della correlazione tra cosa e pensiero. Oltre
all’approccio logico al nesso tra cosa e pensiero per Grassi abbiamo una
tradizione che si preoccupa del manifestarsi storico dell’ente attraverso il
linguaggio, dell’eventuarsi dell’essere in quel rapporto di co-estensione
ineludibile di essere-pensiero-linguaggio. Ma che cos’è il logos per Grassi?
Può ridursi sic et simpliciter all’ambito della razionalità, del concettuale,
del deducibile? Si tratta unicamente di una polarità irrimediabilmente
antitetica al pathos? Ma soprattutto in che relazione è l’idea di logos con
quella di Lichtung? Come vedremo nel prossimo capitolo in maniera più
dettagliata occorre analizzare i molteplici significati di logos offerti da
Grassi e connetterli con le questioni dell’apparire e della passione
dell’originario per meglio comprendere il significato della Lichtung nel
pensiero del filosofo italiano al di là dell’ipotesi dualista225. Vorremmo
anticipare che nel saggio del 1936 Il problema del logo il filosofo milanese
sembra proporre un’idea di logos completamente opposta alle tesi mature. Ma si
tratta di una contraddizione solo apparente come vedremo poiché l’idea di logos
è inteso in maniera complessa. Ad apparire problematiche sono le affermazioni
del periodo a difficilmente compatibili con quelle del periodo b. -! a:
“l’originario atto della differenza ontologica non è la distinzione di enti
precedentemente dati, bensì l’originario rendere possibile la manifestazione di
una molteplicità in cui concretamente ci si trova e nella quale ci si delimita.
Così il fondamentale carattere della concretezza, cioè il trovarsi in mezzo ad
una molteplicità [...] !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
223 E. Grassi, Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., p. 26. 224 Ibidem.
Cfr., anche la versione tedesca Die Macht der Phantasie. Zur Geschichte
abendländlichen Denkens, Athenäum, Königstein, 1979, p. 240. 225 Parla di
ipotesi dualista M. Marassi, Ernesto Grassi e l’esperienza del fine, in AA.
VV., Un filosofo europeo. Ernesto Grassi, cit., p. 10. Completamente opposto è
il giudizio di Rita Messori che sostiene con fondamento la coappartenenza di
logos e pathos. Cfr., R. Messori, Le forme dell’apparire. Estetica, ermeneutica
e umanesimo nel pensiero di E. Grassi, cit., soprattutto le pp. 66-84. !
80! è radicato nella differenza ontologica, col che si conferma la nostra
originaria tesi della precedenza del logo. La Stimmung, il sentimento, si fonda
dunque nella trascendenza, nella differenza ontologica. Il sentimento non è un
momento alogico o prelogico, bensì un particolare modo del leghein”226. -! b:
“il termine retorico” – che in Grassi indica l’ambito di progettazione del
pathos – “assume un significato essenzialmente nuovo; retorica non è, né può
essere l’arte, la tecnica di una persuasione estrinseca; è piuttosto il
discorso che costituisce la base del pensiero razionale”227. Come conciliare
allora il periodo a -! “si conferma la nostra originaria tesi della precedenza
del logo [...] il sentimento non è un momento alogico o prelogico, bensì un
particolare modo del leghein” con il periodo b? -! “retorica è piuttosto il
discorso che costituisce la base del pensiero razionale” Grassi stesso avverte
durante tutto il suo iter di pensiero la necessità di una ricomposizione di
queste due vie del filosofare tanto che giunge ad affermare che le analisi
svolte sull’umanesimo sono da concepire come “uno sforzo per gettare un ponte
tra logos e pathos”228. A questo punto si impongono una serie di osservazioni:
Grassi non parla in maniera univoca di logos – così come non parlerà in maniera
univoca di retorica – anzi, individua due logoi differenti, o meglio due forme
di logos: una disgiunta dal pathos, l’altra radicata nel pathos. Ed è proprio
sull’opposizione tra un logo inteso secondo una modalità logico-formale e un
logo intrinsecamente legato alla dimensione patica che si può comprendere il
suo pensiero. Abbiamo un significato di logos da interpretare come “processo
del manifestarsi”, in cui si sperimenta un nuovo rapporto di essere e nulla, un
nuovo concetto di identità che non si fonda sulla logica del pensato ma sulla
logica del pensare, dell’atto
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 226 E. Grassi., Il
problema del logo, cit., p. 403. I corsivi sono nostri. 227 Id., Retorica e
filosofia, pubblicato in “Philosophy and Rhetoric, IX, 1976, The Pennsylvania
State University Press, ora in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 97. I corsivi
sono nostri. 228 Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica,
cit., p. 170. ! 81! pensante, che porta a manifestazione. La
lezione heideggeriana di L’essenza del fondamento e di Che cos’è metafisica
coniugata a quella gentiliana della Logica è evidente. Grassi intuisce la
convergenza tra l’atto immanente di Gentile e la trascendenza del Dasein
radicata nell’ontologia dell’essere e forte di questo connubio è in grado di
porre il vero problema che potremmo definire autenticamente fenomenologico229.
La questione che la Lichtung e il nesso logos-pathos pongono in primo piano è
quella dell’individuazione delle vie di accesso all’originario, all’atto
fondativo del reale. Come poter dire e vedere l’inizio, il primo in cui accade
la differenza ontologica tra essere ed ente, tra il puro apparire e ciò che
appare? Come esperire la Lichtung, il coappartenersi di uomo-essere-linguaggio?
Se da un punto di vista teorico l’approccio al tema della Lichtung risulta
connesso strettamente ai temi della manifestatività e dell’essere, al nesso
logos-pathos (poiché l’analisi della Lichtung significa una analisi della
manifestatività dell’essere), da un punto di vista storico-filosofico una
connessione molto interessante risulta essere quella istituita d Grassi tra la
Lichtung heideggeriana e le luci vichiane. Si profila allora una questione ben
più complessa della secca alternativa tra logos e pathos. L’intima coappartenenza
del momento patico e di quello logico determina la forma della manifestatività.
Il tema dell’apparire su cui ci concentreremo nel terzo capitolo è fondamentale
per Grassi e mostra quanto la problematica della Lichtung (espressa in modo esplicito
negli anni della maturità), sia già presente nella produzione giovanile
riguardante i temi dell’essere, dell’apparire, della manifestatività e
dell’esperienza patica dell’originario. II. VII. Lichtung e lucus Come abbiamo
sottolineato in precedenza Heidegger rappresenta un punto di riferimento
centrale all’interno della prospettiva grassiana, sia per quanto riguarda
il valore della parola poetica
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 229 Analizzeremo in modo
approfondito questo aspetto nel prossimo capitolo. ! 82! come
linguaggio originario, sia per il parallelismo istituito tra la Lichtung e le
luci vichiane230. Contro l’impostazione heideggeriana dell’umanismo come
metafisica dell’ente uomo Grassi – a sua volta con categorie ermeneutiche
mutuate dal maestro – individua un’anti-metafisica nelle riflessioni retoriche
degli umanisti. In questo percorso di riabilitazione del pensiero retorico231
latino Vico risulta essere una tappa fondamentale. Leggiamo in Heidegger e il
problema dell’umanesimo che “il problema della verità logica [...] deve essere
sostituito dal problema molto più originario del disvelamento, dal problema
della schiarita (aletheia) nella quale primariamente appare ciò che è,
l’essente. Ciò assegna un nuovo compito alla filosofia: quello di sostenere il
primato e l’originarietà del linguaggio poetico rispetto al linguaggio
razionale; rammentiamo a questo proposito la spiegazione heideggeriana della
Lichtung. La tesi di Heidegger ci riporta a quel pensatore del XVIII secolo con
il quale la tradizione umanistica raggiunge la sua più profonda espressione e
significanza filosofica: Giambattista Vico”232. In Potenza della fantasia. Per
una storia del pensiero occidentale, la questione dell’apparire, della
fantasia, del lavoro e della Lichtung è esplicitamente connessa con la figura
dell’“ultimo umanista”: Vico. Grassi pone il seguente problema: “quando, come e
dove compare per Vico l’esistenza umana come una nuova realtà rispetto alla
natura biologica e vegetativa?”233. La risposta è individuata nella Lichtung.
Il divenire uomo dell’uomo (e la conseguente comparsa del mondo, del cosmo dal
caos originario) è un processo che parte dalla originaria estraneazione
dell’uomo, intesa da Grassi come “angoscia originaria dello smarrirsi nella
foresta primordiale”234 e, passando per le varie tappe storiche dello sviluppo
antropologico, approda all’istituzione della comunità umana mediante la parola.
Questa più che configurarsi come rispecchiamento dell’ente – in tal caso
saremmo di fronte ad una teoria adeguativa della verità e del linguaggio ad
essa connesso !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 230 Cfr.,
L. Amoroso, Vico, Heidegger e la metafisica, pp. 447-470, in AA. VV., Scritti
in memoria di Ernesto Grassi, cit.; Id., Lichtung: leggere Heidegger, it.; J.
M. Sevilla, Prolegòmenos para una crìtica de la razòn problemàtica. Motivos en
Vico y Ortega, cit., pp. 146-173. 231 Cfr., Espillaque, op., cit. 232 Grassi,
Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., p. 35. 233 E. Grassi, Potenza
della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, cit., p. 251. 234 Ivi,
p. 253. ! 83! – assurge ad atto istitutivo del reale, del mondo
umano, mostrando una virtù onto-poietica. “Nella libera decisione di far luce
nella foresta primordiale per fondare il primo luogo umano”235 Grassi
rintraccia l’autentica caratura onto-antropo-logica del discorso vichiano.
Infatti per Grassi la Scienza Nuova vichiana delinea il problema del
disvelamento in cui appare l’uomo e il suo mondo e solo secondariamente
affronta la questione della storicità e dell’antropologia. Soffermiamoci sul
confronto tra la dottrina heideggeriana della Lichtung e la teoria vichiana
delle luci. Nella Scienza Nuova appare la problematica principale del filosofo
napoletano: quella del disvelamento del modo in cui sorgono l’uomo e il suo
mondo attraverso l’interrelazione della parola poetica con lo spazio storico
che tramite l’atto linguistico stesso si istituisce. L’affermazione grassiana
fa perno sul passo vichiano della Scienza nuova in cui la teoria
pre-heideggeriana della Lichtung comparirebbe. In Vico e l’umanesimo il tema
della Lichtung è correlato a quello vichiano della “schiarita della foresta
primordiale”236. Mettere insieme Vico e Heidegger segnatamente al tema della
Lichtung è per Grassi un’operazione che ha come esito un esame della metafisica
in generale e non solo di una metafora, per quanto importante, della filosofia
occidentale. Si tratta di un aspetto di non secondaria importanza. Il gioco
delle analogie tra Vico e Heidegger che possiamo ricostruire – come di fatto è
stato ricostruito magistralmente da Amoroso237 –, per quanto interessante,
rischia di rimanere molto generico se non calato in un orizzonte teorico più
ampio che fa interagire i due autori sul terreno della metafisica. Conscio
della grande distanza che corre tra il tentativo vichiano di una riforma della
metafisica e di quello heideggeriano di un suo superamento, ma nondimeno
consapevole della contrapposizione di entrambi alla “barbarie della riflessione”
e ai trionfi della ratio, Grassi pone l’accento sul tema della Lichtung quale
terreno di confronto tra due autori che alla ritematizzazione di un rapporto
autentico-essere-uomo-linguaggio hanno dedicato gran parte delle proprie opere.
La metafora che !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 235 Ivi,
p. 251. 236 Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 127. 237 Cfr., L. Amoroso, Vico,
Heidegger e la metafisica, pp. 447-470, in AA. VV., Studi in memoria di E.
Grassi, parzialmente modificato in Id., Nastri vichiani, ETS, Pisa 1997, pp.
99-122. ! 84! Grassi eredita dal maestro degli anni mitici di
Friburgo, come abbiamo visto, declina la dimensione della luce con quella
dell’oscurità e la stessa coappartenenza viene rintracciata in Vico. Ovviamente
la metafisica della luce, che è a fondamento della scienza nuova, va intesa nel
senso di un neoplatonismo cristianizzato. Nella metafisica del suo De
Antiquissima Italorum sapientia Vico afferma che la chiarezza del vero è come
quella della luce. Qui la luce vale come metafora della verità metafisica di
Dio e delle sue idee, le forme che l’uomo può vedere solo nel contrasto. “Il
vero metafisico è sommamente luminoso, non è racchiuso da alcun limite, e
pertanto non lo si discerne con nessuna forma: e ciò perché è il principio
infinito di tutte le forme, mentre le cose fisiche, opache, cioè formate e
finite, son quelle in cui vediamo la luce del vero metafisico”238. L’alternanza
di luminosità e opacità va quindi letta nel senso di un neoplatonismo cristianizzato
e non come l’esempio di quell’impensato della tradizione occidentale
contraddistinta da quell’oblio dell’essere di sapore heideggeriano. Perché
dunque Grassi mette insieme Vico e Heidegger – che avrebbe definito Vico un
appartenente alla costituzione onto-teo-logica della metafisica – su un tema
che sembra segnare, invece, una distanza tra loro? La risposta è nel linguaggio
poetico. Per entrambi gli autori – l’uno attento alla Provvidenza; l’altro al
Geschick, quel destino che genera la storia, la Geschichte; l’uno sensibile al
ruolo fondativo della poesia; l’altro alla valutazione del linguaggio poetico
quale casa dell’essere – è significativo il tema della intima co-appartenenza
di luce e oscurità nella analisi della genealogia del mondo umano. Secondo
Grassi “l’unico pensatore che [...] avrebbe potuto aprire la comprensione per
il pensiero di Vico sarebbe stato Heidegger”239 poiché la Lichtung
heideggeriana è molto affine al tema del lucus vichiano. Entrambe le nozioni
rientrano in un pensiero dell’origine storica del mondo dell’uomo che ha natura
innanzitutto linguistica e poetica. Come leggiamo nella Scienza Nuova “le prime
città, quali tutte si fondarono in campi
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 238 G. B. Vico, p. 84,
La metafisica del 1710, Introduzione, trad. commento di A. Corsano, Adriatica
Editrice Bari 1966. Si tenga conto della funzione del raggio di luce della
Dipintura che dall’occhio divino discende sulla figura femminile della
metafisica e si rifrange su Omero, simbolo della poesia e della scoperta dei
caratteri poetici, della sapienza poetica, la vera chiave maestra per intendere
la nuova scienza quella antropologia delle origini del mondo umano e civile.
Cfr., L. Amoroso, Vico, Heidegger e la metafisica cit., p. 115. 239 Grassi,
Vico e l’umanesimo, p. 194. ! 85! colti, sursero con lo stare le
famiglie lunga età ben ritirate e nascoste tra’ sagri orrori de’ boschi
religiosi, i quali si truovano appo tutte le nazioni gentili antiche e,
conl’idea comune a tutte, si dissero dalle genti latine “luci”, ch’erano “terre
bruciate dentro il chiuso de’ boschi”240. Mosso dal convincimento di tale
sorprendente convergenza di temi Grassi sottolinea come la dimensione di
apertura del lucus vichiano analoga a quella della Lichtung heideggeriana mette
in questione il tema dell’origine della storia, del linguaggio, della poesia e
del sacro. Il Vico di Grassi, antropologo delle origini, avrebbe attribuito una
centralità a quella dimensione linguistica, che oggi è divenuta quasi un luogo
comune241. La ricerca antropologica che si diparte dalla analisi del contesto
originario – la Lichtung/lucus – coinvolge la trattazione delle problematiche
linguistiche che in Heidegger si modulano come riflessione sulla poesia e
sull’etimologia e in Vico come etnologia e filologia. La poesia vichiana
secondo Grassi è una mitopoiesi spontanea, nasce come risposta da parte dei
primi uomini allo stato di necessità in cui si trovano e con essa assistiamo
alla genesi del linguaggio, del mito, della religione, del diritto e della
storia. La questione della Lichtung accomuna non solo Vico e Heidegger242, ma
diversi umanisti che si sono interessati alla questione della radura, del
contesto originario all’interno della disamina del valore della parola poetica.
Se la questione della Lichtung aperta da Heidegger rimanda al problema
dell’individuazione e dell’espressione del contesto primordiale e del fenomeno
originario dell’antropo-poiesi allora la suggestione grassiana circa la
possibilità di retrodatare la problematica della Lichtung all’epoca umanistica
non sembra tanto peregrina. Secondo Grassi con Vico abbiamo un distacco dalla
metafisica tradizionale razionalistica e la Scienza Nuova viene a costituire
non una nuova teoria della storia o una scienza antropologica tout court ma la
scienza “del disvelamento originario nel quale appare l’uomo”243. Chi volesse
interpretare !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 240 G. B.
Vico, La Scienza Nuova, a cura di M. Sanna-V. Vitiello, Bompiani, Milano 2012,
p. 795. 241 J. Trabant, La scienza nuova dei segni antichi. La sematologia in
Vico, Laterza, Roma-Bari 1996. 242 E. Grassi, Vico e l’umanesimo, cit., pp.
115-117. 243 Ibidem. ! 86! il pensiero del napoletano come
un’antropologia o una riflessione sulla storia sbaglierebbe poiché “il problema
di Vico è quello del campo in cui l’uomo appare”244. La questione del contesto
originario si declina in Vico come ricerca arcaica del “disvelamento della
foresta primordiale” che altro non è che il problema del fondamento del mondo
umano, identificato nei principi “universali ed eterni” che soggiacciono al
divenire della storia. Nel passo vichiano prima ricordato il filosofo milanese
individua numerosi punti di contatto con la teoria heideggeriana della
Lichtung: l’utilizzo del termine luce; la spaesatezza e l’angoscia originaria
dell’uomo primitivo; l’atto pratico di umanizzazione della natura. In questo
“atto di disboscamento” viene collocato il punto di origine dell’umano e la
fine del “divagamento ferino dentro la gran selva di questa terra”245. Il
passaggio dal ferino all’umano, la transizione dall’uomo all’animale, mette in
moto una potenza straordinaria che viene interiorizzata dalle menti primitive –
i bestioni – che in tal modo umanizzati si avviano verso un percorso faticoso
che va dalla barbarie agli ordini civili. Il significato della luce vichiana è
infatti innanzitutto civile, politico e comunitario. Come sottolinea Carillo
“il lucus diventa in Vico il primo locus, il primo luogo sottratto
all’indeterminatezza dello spazio originario”246. Del termine vichiano luce
Grassi mette in rilievo soprattutto la valenza di interruzione nella frequenza
della selva. Come possiamo leggere in Vico, Marx e Heidegger (1983) “nel
terrore che coglie l’uomo, nell’esperienza della sua alienazione dalla natura,
questi crea e fonda il primo luogo umano nella storicità, il regno della
fantasia e dell’ingegno”247. Nel bosco primordiale – in cui si fa esperienza
dell’alterità della natura – l’uomo crea il luogo della storicità. Appare il
tema del disvelamento e del disoccultamento come punto di partenza per una
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 244 Id., Vico, Marx e
Heidegger, in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 182. 245 G. B. Vico, La Scienza
Nuova, cit., p. 793. 246 G. Carillo, Vico. Origine e genealogia dell’ordine,
Editoriale scientifica, 2000, p. 284. 247 E. Grassi, Vico, Marx e Heidegger,
pp. 173-191, in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 181. ! 87!
ricerca dell’umanità delle origini che non ha solo il significato di indagine
archeologica-filologica ma il senso di una ricerca fenomenologica sui
presupposti del pensiero e sulla possibilità di uscire dalla metafisica. Il
nesso Vico-Heidegger tematizzato da Grassi pone in luce che il concetto
heideggeriano della schiarita, dell’apertura originale in cui gli esseri
appaiono “coincideva con quello di Vico nella Scienza Nuova, in cui appare
sorprendentemente il termine luce, come apertura nella foresta (schiarita nel
bosco), il solo campo in cui gli esseri, la città, il tempio e l’uomo nella sua
umanità, possono apparire”248. Proprio il riferimento al tema dell’apparire e
del disvelamento mostrano la valenza fenomenologica dell’ipotesi interpretativa
grassiana: il tema della Lichtung non è altro che la metafora pretesto per dare
avvio ad un’indagine sulle forme del rivelarsi e dell’apparire della realtà. Al
problema del reale, dell’apparire e della manifestatività, su cui ci
soffermeremo nel prossimo capitolo, egli dedica il già citato Dell’apparire e
dell’essere del 1933 in cui la manifestatività si costituisce non nella
modalità della pura apparenza negativa, ma come luogo in cui l’uomo è colpito
dal reale, ne risulta affetto, ne patisce la presenza non in una condizione di
pura passività, bensì nell’ambito della sua capacità di progettazione e
umanizzazione. L’originario pensiero vichiano del lucus diviene per Grassi un
pensiero epocale poiché “la tesi fondamentale di Vico è che la metafisica non
deve partire né da principi razionali né dal problema degli enti ma dalla
parola che svela la storicità umana”249. L’epocalità della sua filosofia
risiede nel suo carattere anti-razionalistico e fenomenologico. Il filosofo
milanese afferma in G. B. Vico filosofo epocale che “la sua opera – quella di
Vico – è una vera fenomenologia, una descrizione di come a poco a poco appaia
(phainesthai) il reale umano”250. Pur non analizzando le numerose sfaccettature
del termine lucus in Vico – luce civile; senso teologico del termine; nesso
lux-lucus (luce/oscurità); lucus-delucare; Latium/latere251 – Grassi si
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 248 Ivi, p. 177. 249
Id., G. B. Vico filosofo epocale, pp. 193-211, in Id., Vico e l’umanesimo,
cit., pp. 194-195. 250 Ivi, p. 195. 251 Molto interessante risulta la
ricostruzione etimologica di Latium da litibula. Leggiamo in De Constantia
philologiae “donde il nome Latium (Latium unde dictum)? I Romani custodirono
queste altre vestigia di una siffatta antichità. Dai ! 88! sofferma
sul senso ontologico-trascendentale del termine vichiano coniugando in maniera
originale i temi heideggeriani e vichiani in una prospettiva che vuole essere
l’occasione per un ripensamento della filosofia che riconosce la propria
matrice fantastica, ingegnosa, mitica, poetica. Si tratta di un pensiero che
passa “dalla metafisica degli enti a quella dell’agire, della prassi umana”252:
per Grassi occorre partire dalla tematizzazione delle necessitates come fonti
naturali dei mondi umani. Egli definisce l’ingegno – che non esclude mai il
processo razionale – come teoria che “scopre ora e qui similitudini,
connessioni, apre la premessa per un processo razionale, che deduce dalla
scoperta inventiva le conseguenze e quindi costruisce un mondo”253. L’ingenium
è allora l’originaria capacità di vedere il simile ed è la prima risposta a
quelle necessità naturali alle quali l’uomo deve far fronte nel faticoso
percorso di sopravvivenza e di civilizzazione. L’ingegno può essere comparato
per la sua struttura dinamica e multifunzionale a quel processo che gli attuali
studi sull’apprendimento !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
celati accoppiamenti degli eroi, per cui essi andavano in cerca di nascondigli
(latibula) che offrivano i boschi venne la parola Lazio: perché di lì ebbe la
sua prima origine quella gente”, G. B. Vico, Il diritto universale, in Opere
giuridiche, introd. Di N. Badaloni, a cura di P. Cristofolini, Sansoni, Firenze
1974, p. 524. Un’altra connessione degna di nota è quella tra il termine lucus
e l’occhio di Polifemo. Leggiamo in Dissertazioni che i giganti come Polifemo
che “abitavano in spelonche sulle montagne [...] avevano un occhio solo. Ciò fu
inventato da lucus. Infatti per osservare nei boschi da qualche parte il cielo
al fine di prendere auspici, in qualche parte essi diedero la luce ai boschi e
così è vero quello che insegnano i filologi che lucus è detto del luogo in cui
non c’è luce; e tuttavia lucus fu chiamato così da lux, ossia da quella parte
dove c’era la luce”, G. B. Vico, Dissertazioni, in Id., Opere giuridiche, cit.,
p. 830. Per ulteriori approfondimenti sui diversi significati etimologici del
termine vichiano rimando a Gennaro Carillo in Vico. Origine e genealogia
dell’ordine, cit., p. 284 e sgg. L’autore sottolinea come in relazione al
termine lucus “la valenza privilegiata è quella di bosco sacro. Tuttavia in
Vico questa valenza presuppone un lungo percorso disseminato, al solito, di
suggestioni etimologizzanti. Esito di lucere, emettere luce, o di lucesco,
venire alla luce, sorgere, il lucus vichiano è definibile come un’interruzione
nella frequenza della selva. Aprire un lucus equivale ad aprire una falla, uno
slargo, in un viluppo fittissimo che preclude la vista del cielo. É evidente il
senso teologico-civile di questo diradare la selva per poter contemplare, attraverso
uno spiraglio, il cielo onde interpretare i segni divini, ossia trarne gli
auspici. In questo modo il lucus diventa in Vico il primo locus, il primo luogo
sottratto all’indeterminatezza dello spazio originario [...] nel De Costantia
philologiae il nesso tra lucus e lucere sortisce anche un effetto semantico
opposto, denotando assenza di chiarore e visibilità [...] In quest’accezione in
cui la derivazione di lucus dalla luce si ottiene per antifrasi la sacertà del
bosco sacro deriva dal suo essere nascosto [...] di qui la possibilità di
ricondurre il nome Latium alla latenza offerta dai boschi sacri ai primi
abitatori della regione [...] nelle Dissertationes il lucus si combina alla
descrizione dei Ciclopi omerici [...] l’occhio dei Ciclopi non è che la
trasfigurazione poetica del delucare lucos, del far luce nel bosco
diradandolo”. 252 Id., G. B. Vico filosofo epocale, cit., p. 204. 253 Ivi, p.
203. ! 89! definiscono come problem solving254: si parte da una
condizione inizialmente critica: il problema, la necessitas; si approntano
strategie di risoluzione: la risposta alle necessitates; si elabora un pensiero
creativo che scalza la rigidità degli schemi cognitivi classici e mette in moto
la creatività: fantasia/ingegno come facoltà intuitive e ricettive ma allo
stesso tempo attive e creative. L’ingegno – altrove inteso da Grassi nella sua
identità con il nous aristotelico255 – ha come suo primo prodotto il mito che,
come vedremo nell’ultimo capitolo, “costituisce di volta in volta la storicità
delle varie epoche”256. Il mito nel suo carattere sacrale e esemplare, come
universale in funzione del quale “si determina il particolare sotto l’urgenza
che segna il tempo”257, non è inteso solo come praxeos mimesis – racconto
mitologico – ma come origine di un ordine linguistico che non ha natura
razionale: si tratta del linguaggio fantastico che si condensa nella metafora.
La struttura topica dell’ingenium, vichianamente concepito come arte
“d’inventare, di trovare, di invenire”258, produce il mito e allo stesso tempo
quella “locuzione poetica che nasce da necessità di natura”. Grassi sostiene
che “se la poesia come attività ingegnosa è originaria forma per adeguare le
necessità naturali scoprendo similitudini, è essa che trasforma il reale”259.
Emerge da questo passo la vis plastica del logos che per Grassi non è astorico,
razionale, ma sempre attento alle circumstantiae storiche. Allora si comprende
come tale logos include al suo interno tutta una serie di elementi che non
hanno mai trovato spazio all’interno della filosofia. Come possiamo leggere in
La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale: “suoni, segni, atteggiamenti
indicativi, semantici, anche il tacere, acquistano
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 254 Per un’analisi del
problem solving cfr. il classico G. Polya, Come risolvere i problemi di
matematica. Logica ed euristica nel metodo matematico, Feltrinelli, 1983. 255
Cfr., Significare arcaico, cit. 256 Id., G. B. Vico filosofo epocale, cit., p.
199. 257 Ibidem. 258 Ivi, p. 203. 259 Ivi, p. 206. Il corsivo è nostro. !
90! significato esclusivamente nell’originario ambito dell’abissale che
ci riguarda: fuori dell’appello tutto è silenzioso, indeterminato, oscuro come
nella selva senza schiarita, senza radura, senza il palcoscenico per la
storia”260. Solo attraverso la prassi – sia essa linguistico-metaforica;
mitico- politica; pratico-poietica – sorge il mondo, l’Umwelt diviene Welt e si
compie quella Menschwerdung faticosa e incidentata che dall’indeterminato della
ingens sylva trae fuori spazi e tempi di determinazione. II. VIII- L’essere
dalla Gelassenheit all’Arbeit Proprio lo slittamento dalla passività
all’attività insita nell’esperienza umana dell’essere e del contesto originario
– la Lichtung – spinge Grassi a definire tale apprensione del reale non nei
termini di una Gelassenheit dal sapore heideggeriano, di un abbandono agli
“invii dell’essere”, ma in termini di Arbeit, di lavoro – come “mediazione
specifica dell’umano dotata di scopo” – e fondazione etico- politica della
comunità sociale261. All’atto linguistico per eccellenza – la prassi metaforica
– corrisponde dal punto di vista pratico l’atto pratico dell’umanizzazione del
reale che si realizza nel lavoro. Il doppio significato di lavoro (come prassi
e come fondazione politica) mette in luce il processo di umanizzazione del
reale attraverso la prassi lavorativa che si riversa anche nella istituzione
del linguaggio. Per il filosofo l’uomo dispiega la sua essenza nella formazione
(Bildung), nelle risposte “umane, troppo umane” alle urgenze patite del reale e
di un’oggettività individualmente esperita: conseguentemente l’affectio non
viene espulsa dal logos ma si immette nel processo del leghein. Egli affronta
il tema dell’Arbeit nel suo significato politico e poietico in maniera
esplicita confrontando le figure di Vico e Marx. La connessione tra Vico e Marx
si profila come analisi comparativa dei concetti di Arbeit e Phantasie. Si
chiede Grassi se le pratiche umanistiche di opposizione alla filosofia
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 260 Id., La filosofia
dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 197. 261 Cfr., S. Limongelli, Il
problema dell’umano nella filosofia di Ernesto Grassi, cit., pp. 278-281; G.
Petrovic, Marx, lavoro e abbandono. Lettera a Ernesto Grassi, pp. 127-157, in
AA. VV, Studi in memoria di Ernesto Grassi, cit. ! 91! aprioristica
scolastica – con la conseguente attenzione alla giurisprudenza, alla grammatica
e alla retorica – possano essere in definitiva considerate valide e concrete o
ricadano dell’astrattismo medievale: “Tutti questi canoni, che gli umanisti
oppongono alla filosofia aprioristica della scolastica, soddisfano realmente la
loro pretesa di essere concreti? Qui è pertinente l’obiezione del marxismo. La
sorgente originaria del divenire umano si trova nella trasformazione
originaria, e perciò, nella umanizzazione della natura mediante il lavoro. La
giurisprudenza, il linguaggio, la retorica, sono concrete solo in quanto
manifestazioni della storia di classe [...] la storia del lavoro è la storia
dell’evoluzione dell’uomo”262. Grassi analizza dettagliatamente l’idea del
lavoro in Marx, esposta sia nel Capitale sia nei Manoscritti
economico-filosofici, sottolineando quattro aspetti importanti del lavoro: 1-)
il lavoro umano è distinto da quello degli animali poiché è espressione di una
volontà intenzionale e spezza la relazione di immediatezza che secondo Marx
l’animale ha rispetto al mondo circostante: “la sua relazione con ciò che
produce è immediata”263. Per Marx “l’animale fa immediatamente uno con la sua
attività vitale, non si distingue da essa, è essa stessa”264. 2-) La seconda
definizione del lavoro “consiste nel riconoscere che esso rappresenta il
superamento dell’immediatezza, attraverso l’attività creativa. Il processo del
lavoro è un passaggio da ciò che esiste ancora, ed è solo possibile, a ciò che
diviene realtà [...] il lavoro come processo di metabolismo significa
l’appropriazione della natura a favore dell’uomo”265.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 262 E. Grassi, Marxismo,
Umanesimo e problema della fantasia nelle opere di Vico, pp. 69-94, in Vico e
l’umanesimo, cit., p. 83. 263 ivi p. 84. 264 K. Marx-F- Engels, Opere, Editori
Riuniti, Roma 1976, Vol. III, p. 303 265 E. Grassi, Vico e l’umanesimo, cit.,
p. 84. ! 92! 3-) Il lavoro è possibile solo se l’uomo è concepito
come essere libero: “il lavoro può esistere solo a condizione che l’uomo sia
libero. Bisogna intendere la libertà [...] come la facoltà di trasformare la
natura in nuovi sistemi di interrelazione non prefissati per l’uomo”266. 4-) Il
lavoro ha una funzione sociale. Secondo Grassi l’importanza del lavoro come
fattore di umanizzazione e di distanziamento dall’orizzonte dell’animalità è
rintracciabile anche negli umanisti – come l’attenzione agli ambiti della
giurisprudenza, della filologia e della retorica testimoniano – e in Vico, il
cui problema della storia altro non è che il problema del lavoro e della
fantasia. Per il filosofo italiano “il problema che ora sorge è: che cosa Vico
considera come la concreta radice del divenire umano? La risposta indica due
fattori principali e tra loro correlati: il lavoro e la fantasia”267. Il
pensatore milanese analizza le figure di Ercole e Cadmo, entrambi simbolo della
fondazione della società umana, ricordate da Vico nella Scienza Nuova, e la
triplice funzione della fantasia: nella fantasia l’uomo “sperimenta la propria
libertà ed esce dal chiuso mondo della foresta naturale”268; attraverso la
fantasia l’uomo argina la paura e il terrore dell’Aperto e “procede a
costruirsi il proprio ordine, o un adattamento della natura”269 (infatti per il
filosofo la fantasia crea le prime analogie tra i fenomeni, e produce le prime
connessioni e definizioni); l’ultima funzione della fantasia è quella di dare
un significato al lavoro. La costituzione trivalente della fantasia consente di
concepire l’affinità e la distanza tra la critica di Marx all’apriorismo della
filosofia e la critica umanistica all’astrattismo medievale: da un lato emerge
una convergenza degli intenti decostruttivi di entrambi gli approcci,
dall’altro Grassi sottolinea come una teoria del lavoro priva di una
teorizzazione antropologica e filosofica dell’umano
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 266 ivi, p. 85 267 ivi,
p. 86 268 ivi, p. 89 269 Ibidem. ! 93! sia concettualmente monca e
praticamente inutilizzabile. Afferma Grassi che “Marx considera il lavoro –
come il superamento dell’immediato impatto con la natura, come l’adattamento di
essa – l’origine della storia. Se però, tale adattamento nell’interesse
dell’uomo differisce da quello degli animali per il fatto che l’animale lavora
solo per il proprio nutrimento e la conservazione della specie, e in accordo
con i suoi modelli congeniti, allora il problema circa il significato
dell’adattamento della natura da parte dell’uomo non può essere risolto col
dire semplicemente che l’uomo è un essere che media e accomoda, né col
riferimento alla sua attività lavorativa, ma solo chiarendo e definendo lo
scopo specifico di questa mediazione. A meno che non ammettiamo l’urgenza di
questo problema, ci troviamo ridotti a dire che l’animale è un essere molto più
alto dell’uomo”270. In quest’ultimo passo Grassi esprime l’idea secondo la
quale se è vero che il lavoro è il primo atto di umanizzazione ciò è possibile
nella misura in cui non si riduca il lavoro a semplice atto di mediazione – il
metabolismo della natura, il lavoro come fatica, ponos – ma lo si consideri
come atto di mediazione guidato da scopi – il lavoro come ergon, opera. Nel
concetto di lavoro più che della prassi lavorativa occorre tenere conto del
telos che la sorregge: qui si inserisce il discrimine tra uomo e animale.
Secondo il filosofo il lavoro, inteso come adattamento della natura, è solo un
mezzo in vista di uno scopo, la realizzazione umana del mondo in cui la
fantasia rivela il suo ruolo fondativo rispetto al lavoro stesso: solo grazie
alla facoltà di visione delle somiglianze è possibile trasformare ed umanizzare
la natura implementando ordini di realtà e progettando mondi dotati di senso.
L’intima coappartenenze della componente tecnica (lavoro come fatica) e di
quella fondativa-civile (lavoro come opera) risulta decisiva nella concezione
grassiana del labor tutta gravitante attorno al tema della produzione del mondo
storico sociale e dell’umanizzazione della natura: l’uomo, con il suo ingenium
e la sua phantasia “per mezzo del labor – lavoro e fatica – determina il reale
nel suo significato !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 270
Ivi, p. 93. ! 94! umano facendolo assurgere ad opera; solo in tal
modo il reale diventa storico, si umanizza quale opera dell’ingegno”271. Se, da
un lato, allora, il presentarsi della manifestatività rende affetto l’uomo, e,
colpendolo, ne rivela la componente di passività, il suo essere soggetto-a,
tale che l’uomo non può non patire, non può sottrarsi, dall’altro, l’uomo è
quell’ente capace di rispondere, di offrire una risposta attiva mediante il
lavoro. Per Grassi infatti ciò che ci circonda, l’oggettivo, la natura,
l’essere “appare solo nei limiti da noi progettati – e tuttavia – è altrettanto
vero che non dipende da noi come essa appare: essa ha una propria oggettività.
La constatazione di questa oggettività [...] è la risposta che la natura dà
entro i nostri diastema”272. Entro i limiti della nostra progettazione, del
nostro lavoro, della nostra opera – che per Grassi non è un’operazione
soggettivistica e arbitraria, ma rispondente alle circum-stantiae di volta in
volta mutevoli, alle necessitates nelle quali è già da sempre immerso l’uomo –
significa entro i limiti dell’orizzonte della fantasia quale attività
ordinatrice della materia primordiale che per Grassi “ci impedisce di trovare
una qualsiasi unità; essa è materia della facoltà ordinatrice del pensiero”273.
Il tema della determinazione concreta del reale risulta strettamente
intrecciata a quello del lavoro umano nel suo significato ontologico
trascendentale e a quello della fantasia come “attività originaria che scopre
le relazioni sulla base della visione delle somiglianze”274 e non come
“attività che ci presenta qualcosa di irreale”275, come “rappresentazione
dell’irreale, come pura facoltà della finzione,
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 271 E. Grassi, Politica
e religione. La riscoperta della tradizione latina, pp. 33-43, in “Archivio di
filosofia”, Padova 1978, p. 43. Le riflessioni grassiane sul lavoro mostrano
molti punti di contatto con la distinzione arendtiana tra lavoro come ergon e
come ponos presente in Vita activa. 272 Id., L’uomo e l’esperienza
dell’oggettività, Discorso letto alla seduta inaugurale del Congresso per il IV
Centenario della fondazione dell’Università di Lima, in “Archivio di
filosofia”, 1952, p. 68. 273Id., Dell’apparire e dell’essere, cit., p. 279. In relazione
all’attività ordinatrice della selva originaria Grassi in questo saggio parla
di un’attività fantastica in modo duplice: sia come facoltà sensibile – il
significato secondario – sia come attività del lasciar apparire – significato
ontologico-primario in cui si dà la coapparteneza di aisthesis e leghein. 274
Id., Potenza della fantasia, cit., p. 190. 275 Ivi, p. 276. ! 95!
come capacità di mostrare qualcosa di fantastico”276. In questo caso essa è una
ritenzione semplice che si fonda su una dimensione conservativa e combinatoria
delle immagini, senza avere come punto di riferimento il referente reale delle
immagini, ma la libertà e l’arbitrio soggettivo277. La fantasia ontologicamente
intesa, base del linguaggio poetico, insieme al lavoro è capace di istituire il
mondo storico. Per Grassi “la trasformazione della natura, che l’uomo realizza
con lo scopo di liberarsi dai propri bisogni, nasce dunque dall’attività
fantastica ingegnosa”278 che, insieme al senso comune, si ritrova nella teoria
vichiana del lavoro. Il filosofo asserisce in La priorità del senso comune e
della fantasia: l’importanza filosofica di Vico oggi che “il senso comune,
secondo la definizione vichiana, ha lo scopo di fornire all’uomo ciò che gli è
utile e di cui ha bisogno”279 e prosegue chiedendosi “se e come l’ingegno e la
fantasia contribuiscano al senso comune e quale relazione esista fra di
loro”280 visto che per Vico sono a fondamento dell’emergere del mondo umano e
dei suoi bisogni. L’atto di risposta umana ai bisogni originari è il lavoro,
catalizzatore del processo di civilizzazione come le fatiche di Ercole
ricordate nella Scienza Nuova esemplifica. “Le fatiche di Ercole presuppongono
una interpretazione della natura come essa fu prima della sua umanizzazione,
cioè come realtà asservibile all’uomo e presuppongono anche una visione del
successo ottenibile con tale agire. Il lavoro quindi dev’essere concepito come
la funzione di conferire un significato e di far uso del medesimo, mai come
un’attività puramente meccanica o una trasformazione puramente tecnica della
natura, estranea al contesto generale delle funzioni umane”281.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 276 Ivi, p. 191. 277
Cfr., M. Ferraris, L’immaginazione, Il Mulino, Bologna 1996. 278 E. Grassi, Potenza
della fantasia, cit., p. 241. 279 La priorità del senso comune e della
fantasia: l’importanza filosofica di Vico oggi, pubblicato in Vico and
Contemporary Thought, Humanities Oress, New Jersey 1976, ora in Vico e
l’umanesimo, cit., p. 51. 280 Ibidem. 281 Ivi, pp. 51-52. ! 96! Il
labor appare strutturato metaforicamente poiché è un atto di trasposizione di
significato al mondo circostante, la “funzione mediante cui i bisogni umani
vengono soddisfatti”282. La struttura metaforica operante all’interno del
linguaggio poetico secondo Grassi soggiace anche nel lavoro nel quale si
intrecciano il sensus communis – che non “consiste, quindi, in un modo di
pensare popolare o comune”283 – l’ingenium e la phantasia. La connotazione
storico- esistenziale284, più che etica o politica, del lavoro emerge laddove
si presta attenzione al labor come risposta ad un bisogno di decifrazione della
situazione umana e delle sue strutture di esistenza. Secondo l’interpretazione
del filosofo occorre ricostruire una storia pre-marxiana del lavoro
attraversando le tappe della filosofia umanistica. Si chiede il pensatore: “è
possibile trovare nell’umanesimo italiano una teoria del lavoro come fonte
della storia, una teoria del lavoro che simultaneamente comprenda l’importanza
filosofica della giurisprudenza, della filologia e della retorica?”285. Proprio
questa apertura disciplinare che contraddistingue la teoria del lavoro umanista
costituisce per Grassi la dimostrazione che “il problema concernente il
significato del lavoro comporta una rinnovata giustificazione della filosofia”,
che in qualità di meditatio de homini dignitate non può essere ridotta a
“semplice sovrastruttura di una temporanea e storica struttura sociale”286.
Volendo trarre una prima conclusione dalle osservazioni precedenti si può
asserire che nella prospettiva onto- antropo-logica di Grassi assume un ruolo
centrale la relazione fondante dell’Arbeit/labor nella lettura comparativa di
Vico e Marx. Vico, Marx e gli umanisti – ai quali si aggiungerà Heidegger
qualche !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 282 Ivi, p. 51.
283 Ivi, p. 52. 284 Parla di connotazione etica del lavoro in Grassi S.
Limongelli in Il problema dell’umano, cit., p. 277 e sgg. 285 Marxismo,
umanesimo e problema della fantasia nelle opere di Vico, pubblicato
originariamente in Giambattista Vico’s Science of Humanity, the John Hopkins
University Press, Baltimore (Maryland) 1976, ora in Vico e l’umanesimo, cit.,
p. 85. 286 Ivi, p. 93. ! 97! anno dopo287 – concordano nella
critica alla filosofia a priori e al pensiero teoretico contemplativo: il
problema vero della filosofia è quello “delle origini del divenire umano e,
conseguentemente, della sua realtà storica”288. La critica all’impostazione
metafisica del pensiero operata da Marx tuttavia per il filosofo non riesce a
superare lo schema del pensiero tradizionale. Leggiamo in Vico, Marx e
Heidegger che “il rovesciamento della filosofia, che Marx riteneva di aver
compiuto con la sua critica di Hegel, non supera lo schema del pensiero tradizionale
[...], la sfera di un antropologismo”289. Pur ritenendo fondamentale la teoria
dell’alienazione – che “indica l’assenza di radici dell’uomo occidentale”290 –
per delineare una via di accesso autentica all’umano Grassi – sulla scia di
Heidegger –considera poco sostenibile l’identificazione di umanità e socialità
operata da Marx291. Tale identificazione avrebbe come conseguenza la “riduzione
del materialismo a pensiero della tecnica”292. E sappiamo che Grassi accoglie
la lezione heideggeriana per la quale la tecnica è estrema propaggine della
metafisica. Ma occorre andare oltre la “barbarie della riflessione” e qui
interviene Vico che di volta in volta supera, secondo Grassi, i limiti delle
prospettive toriche degli autori – in questo caso Marx e Heidegger – in una
sintesi filosofica che coniuga giurisprudenza, poesia e retorica con le
tematiche del lavoro e della Lichtung. Asserisce il filosofo milanese che “il
lavoro per Vico è un adattamento dell’impatto diretto e immediato con la
natura, un adattamento mediante il quale l’uomo esce dalla natura; e qui egli
sceglie le figure di Ercole e Cadmo come simboli di essa”293.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 287 Cfr., Id., Vico,
Marx e Heidegger, apparso in origine in Vico and Marx. Affinities and
contrasts, Humanities Press, Atlantic Highlands (New Jersey) 1983, ora in Vico
e l’umanesimo, cit., pp. 173-191. 288 Id., Marxismo, umanesimo e problema della
fantasia nelle opere di Vico, cit., p. 92. 289 Id., Vico, Marx e Heidegger,
cit., p. 190. 290 Ivi, p. 189. 291 Ivi, p. 190. 292 Ibidem. 293 Id., Marxismo,
umanesimo e problema della fantasia nelle opere di Vico, cit., p. 86. !
98! L’uso vichiano dell’universale fantastico294 di Ercole – vera e
propria tipologia poetico-simbolica utilizzata ai fini della comprensione delle
origini mitiche della storia dell’umanità –, o meglio degli Ercoli295, è
finalizzato alla rappresentazione della faticosa impresa umana della
costruzione della società il cui mito, narrato nella Scienza nuova, non appare
a Grassi come una concessione al gusto antiquario della ricostruzione erudita
dell’antichità ma come il simbolo “dell’assoggettamento della natura [...] che
porta all’autoaffermazione dell’uomo”296. Secondo Grassi “Vico costruisce la
sua teoria dei generi e degli universali fantastici non mediante l’astrazione,
ma creando, secondo i suoi termini, i ritratti ideali, i caratteri esemplari
[...] così il concetto fantastico cristallizza un essere attraverso un atto
dell’ingegno con una visione diretta di una totalità pittorica. Esso
rappresenta una figura contemporaneamente esemplare e allegorica”297. Tale
logica della fantasia fondata sui generi universali e fantastici assume il
ruolo di primo coordinamento delle idee che ha carattere arcaico, poiché è fondante
rispetto alla razionalità, e immediato, indicativo, semantico. Sullo sfondo
degli universali fantastici si staglia la figura di Ercole che ha non solo il
ruolo di carattere poetico ma quello di fondatore della comunità storica
dell’uomo. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 294 Come
osserva lo studioso di Vico Giuseppe Cacciatore “il ricorso vichiano al genere
fantastico aiuta, dunque, a comprendere quella costitutiva procedura del
pensiero che riduce a generi e a caratteri la molteplicità dispersa delle cose
naturali”, Vico: narrazione storica e narrazione fantastica, pp. 53-70, in Id.,
In dialogo con Vico, cit., p. 65. Recita la Degnità XLIX “queste tre Degnità ne
danno il Principio de’ Caratteri Poetici; i quali costituiscono l’essenza delle
Favole: e la prima dimostra la natural’inclinazione del volgo di fingerle, e
fingerle con decoro: la seconda dimostra, ch’i primi uomini, come fanciulli del
Gener’umano, non essendo capaci di formar’ i generi intelligibili delle cose,
ebbero naturale necessità di fingersi i caratteri poetici, che sono generi, o
universali fantastici da ridurvi, come a certi Modelli, o pure ritratti ideali
tutte le spezie particolari a ciascun suo genere simiglianti”, in Sn 44, in G.
B. Vico, la Scienza Nuova, cit., p. 872. 295 Vico, infatti, nella sua
ricostruzione della complessa trama della cronologia dela storia universale
menziona gli Ercoli, i Bacchi, i Sesostri quali prototipi dei fondatori delle
città che hanno avuto sempre un eroe nella loro genesi. Afferma Vico in SN ’44
che “questa stessa Degnità con l’antecedente, che ne danno prima tanti Giovi,
dappoi tanti Ercoli tralle Nazioni Gentili, oltrechè ne dimostrano, che non si
poterono fondare senza religione, né ingrandire senza virtù: essendono elle ne’
lor’ incominciamenti selvagge, e chiuse”, Sn 44, ivi, p. 871, Degnità XLIII.
Cfr. sul tema dell’Oriente in Vico le condivisibili osservazioni di G.
Cacciatore esposte in Il posto dell’oriente nel pensiero di Vico, pp. 169-178,
in Id., In dialogo con Vico, cit. 296 E. Grassi, Marxismo, umanesimo e problema
della fantasia nelle opere di Vico, cit., p. 86. 297 Id., La priorità del senso
comune e della fantasia: l’importanza filosofica di Vico oggi, cit., p.
54. ! 99! Ercole effettua la trasformazione della natura piegandola
attraverso il lavoro – l’uccisione del leone nemeo – al mondo umano.
L’uccisione del leone nemeo – simbolo della ingens sylva primordiale nella
quale l’uomo erra nel terrore dell’aperto – simboleggia il primo atto di
fondazione della civiltà. Lo stesso Vico nella Spiegazione della Dipintura
afferma che “questa scienza ne’ suoi Principj contempla primieramente Ercole
[...] il quale si truova essere stato il carattere degli Eroi politici”298.
Attraverso la lettura del mito di Ercole Grassi rintraccia in Vico una prima
teorizzazione del tema del lavoro nella sua connessione con l’ingegno, la
fantasia, e il senso comune, da un lato, e con il concetto di Lichtung e con
l’analisi delle strutture dell’esistenza umana, dall’altro. Si chiede il pensatore:
“quando, come e dove compare per Vico l’esistenza umana come una nuova realtà
rispetto alla natura biologica e vegetativa? Nella libera decisione di far luce
nella foresta primordiale per fondare il primo luogo umano”299. Quale
importanza Grassi annetta al ruolo, al contempo storico e
filosofico-speculativo, che svolge, nel complesso del suo itinerario
onto-antropolo-logico, la questione dell’origine dei processi storici
dell’umanità è testimoniato dalla collocazione del tema della Lichtung – che
accomuna Vico e Hiedegger – accanto a quello del lavoro – che vede fianco a
fianco Vico e Marx. Sostiene il filosofo in Vico e l’umanesimo che “secondo
l’opinione di Vico, grazie alla radura aperta nella foresta originaria”,
attraverso il lavoro, “divengono possibili non solo lo spazio o il luogo umani,
ma anche la possibilità di computare il tempo”300. Si intrecciano
indissolubilmente le questioni del disvelamento/Lichtung – la vera “chiave
maestra” della lettura grassiana degli umanisti – quella del lavoro nel suo
significato esistenziale e quella delle strutture dell’esistenza umana. Nella
prospettiva del pensatore milanese è attraverso il lavoro, l’atto di
umanizzazione della natura – il disboscamento
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 298 G. Vico, Sn 44,
cit., p. 786. 299 E. Grassi, Potenza della fantasia, cit., p. 251. 300
Ibidem. ! 100! della selva primordiale – che si apre quello
spazio-di-tempo in cui sorge la storia umana che ha “origini favolose” dicibili
solo attraverso un linguaggio poetico. ! 101! CAPITOLO III LA QUESTIONE
DELLA METAFISICA IMMANENTE IN ERNESTO GRASSI III. I. La struttura
onto-antropo-logica del pensiero di Grassi Come è emerso dalle precedenti
riflessioni sulla rivalutazione dell’umanesimo a partire dal tema della
Lichtung, dell’ursprünglich Rahmen, a venire in primo piano è una densa
concettualizzazione dei temi dell’essere, dell’apparire e della
manifestatività, coniugati ad un’analisi delle strutture dell’esistenza umana.
Nelle considerazioni seguenti intendo richiamare l’attenzione sui concetti ora
ricordati focalizzandomi sulla costituzione onto-antropo-logica della
metafisica immanente o ontologia situazionale301 grassiana e sul nesso
essere-uomo-linguaggio su cui essa si costruisce. Secondo la nostra ipotesi di
ricerca Grassi enuncia importanti riflessioni sparse in diversi saggi che
contribuiscono a corroborare l’idea della presenza di un’analitica
dell’esistenza umana a fondamento delle ricerche svolte sui pensatori umanisti
– e non solo – all’interno del progetto di rivalutazione dell’umanesimo e di
critica alla filosofia intesa come scienza. La questione dell’umanesimo in
Grassi è analizzata da due punti di vista: storico e teoret ico. Egli
afferma l’esigenza di porre la questione dell’essenza della nostra umanità sia
sul terreno speculativo sia su quello storico in un articolo del 1932 su Jaeger
Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico. Secondo Grassi “questa
essenza della natura umana è un problema filosofico e non esiste né può venire
concepita come qualcosa di dato. Ne viene che l’umanesimo [...] può avere il
suo fondamento [...] solo nella rigorosa ricerca filosofica. Il vero umanesimo
deve essere oggi filosofia. Ciò vale non solo speculativamente, ma anche
storicamente”302. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 301 E.
Grassi, Filosofare noetico non metafisico. L’Alcesti e il Don Chisciotte,
Congedo Editore, Lecce, 1991, p. 30. 302 Id., Il problema filosofico del
ritorno al pensiero antico, pp. 255-271, in Id., I primi scritti, cit., p.
258. ! 102! La ricerca grassiana si configura, da un lato, come
riflessione storica sull’umanesimo, in cui la lettura dei testi degli umanisti
ha l’aspetto di una re-interpretazione filologico-speculativa di quel nucleo
essenziale – la Lichtung – venuto ad espressione consapevole con Heidegger.
L’attenzione accordata alla filologia, che per Grassi non si riduce a “una
mediazione delle opere antiche”303 ma è una “scienza sperimentale”, una
meditazione sull’essenza dell’uomo e sulla sua Bildung a partire dal problema
della parola304, conduce verso una dilatazione del periodo storico
dell’umanesimo sia in direzione del passato sia in direzione delle epoche
successive. Entrano così a far parte della tradizione umanistica anche gli
autori della latinità quali Cicerone e Quintiliano; quelli barocchi come
Graciàn, Peregrini e Tesauro; Vico, Leopardi e, in ultimo, lo stesso Heidegger,
il quale ha concettualizzato in forma teoretica densa ed esplicita il tema
della connessione Da-sein/Sein. Dall’altro lato, accanto alla lettura testuale,
affiora un’indagine teoretica sui temi dell’essere, dell’apparire e della
manifestatività e sulle strutture d’essere dell’uomo. Proprio su questi aspetti
ci concentreremo maggiormente in questo capitolo prendendo in considerazione
due gruppi di saggi. La selezione di questi saggi – tutti risalenti al periodo
compreso tra gli anni Trenta e la fine degli anni Cinquanta – è stata guidata
dall’idea di una presenza nel filosofo di un’attenzione alle strutture
dell’esistenza umana, connesse alla questione di quella che potremmo definire
“ontologia !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 303 Id., Il
confronto con la filosofia tedesca in Italia, in Id., I primi scritti, cit.,
pp. 871-886, p. 883. 304 Per Grassi occorre distinguere una pseudo-filologia,
priva di pensiero, ridotta a sterile culto classicista della parola, e una
filologia autentica, che si connota come meditazione sull’uomo e sulla sua
formazione: “come è noto, la tradizione filosofica italiana ha inizio proprio
con l’umanesimo e il rinascimento. Come ho già accennato altrove, il filosofare
italiano non comincia con il problema della verità o del sapere, ma con il
problema della parola in relazione al compito umanistico di mediare la parola
antica, gli scritti antichi, il mondo antico [...] ricordo solo che il compito
umanistico della mediazione della parola antica si realizzò essenzialmente su
un piano estetico, letterario, ossia in relazione alla scoperta e al rinnovato
rapporto con i testi letterari antichi. A ciò, però, si legava al contempo
l’impegno di una formazione dell’uomo tramite la parola, e con il problema
della formazione si affrontava un problema essenzialmente filosofico. Si
stabilì che il significato delle parole che troviamo in un testo non può essere
dedotto dall’esperienza quotidiana o dal nostro sapere, bensì dall’unità del
testo [...] conformemente all’antichità, si riconosceva nella parola l’essenza
dell’uomo, così il formarsi in base alla parola non significava, come oggi per
lo più crediamo, praticare la filologia, bensì sviluppare l’essenza dell’uomo”,
ivi, p. 881. Cfr., anche Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della
retorica, p. 72: “Il processo interpretativo, prima di divenire il metodo delle
moderne scienze scienze naturali, era già da lungo tempo abituale nell’ambito
delle scienze dello spirito. Anche qui si dimostra che il presupposto della
formazione non è tanto la mediazione delle conoscenze, quanto piuttosto lo
sviluppo della capacità interpretativa. Nel dialogo interpretativo con i testi
tramandatici stabiliamo la relazione con la comunità umana del passato e
soltanto in questa e con questa relazione possiamo giungere al nostro proprium,
in quanto siamo esseri storici”. ! 103! fenomenologica semantica” di
Grassi, in cui il tema dell’essere, identificato con quello della
manifestazione e delle forme dell’apparire, è indissolubilmente legato a quello
semantico, come campo dell’esperienza costrittiva dei principi indicato nel
fondamentale saggio Significare Arcaico (1966) in cui è condensato tutto il
valore della proposta retorica grassiana. Solo partendo dall’analisi del
contenuto tematico di questi contributi è possibile una più profonda
comprensione delle indagini grassiane sull’Umanesimo e sul Rinascimento storici
su cui la bibliografia si è concentrata maggiormente. Del gruppo comprendente
Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger (1930), Dell’apparire e
dell’essere (1933), Il problema del logo (1936), Il problema del nulla nella
filosofia di M. Heidegger (1937), L’inizio del pensiero moderno. Della passione
e dell’esperienza dell’originario (1940), Il reale come passione e l’esperienza
della filosofia (1945), saranno selezionati i temi dell’essere, dell’apparire e
della manifestatività, i quali mostrano la volontà grassiana di recuperare
un’esperienza dell’essere che non presupponga la preminenza di una forma
rispetto ad un’altra, e in particolar modo di un a priori gnoseologico, ma che
sia capace di restituire la complessità fenomenologica delle forme dell’apparire.
In questo tentativo Grassi coniuga il tema attualistico gentiliano con
l’estetica crociana e la teoria heideggeriana della differenza ontologica,305
rielaborando tutto alla luce di una rivalutazione della Stimmung, della
Leidenschaft e dell’ambito estetico in generale non come esempio di gnoseologia
inferior o teoria dell’arte ma come fondamento dell’esperienza della
manifestatività dell’essere. Dell’altro gruppo fanno parte i seguenti saggi: Il
tempo umano. L’umanesimo contro la techne (1949), L’uomo e l’esperienza
dell’oggettività (1952), Apocalisse e storia (1954), L’esperienza dell’assenza
di mondo (1955), Mito e arte (1956), Assenza di mondo (1959). In quest’ultimo
gruppo di articoli emergono alcuni concetti fondamentali che trovano un’articolazione
in una analitica !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 305 Per
una ricostruzione dettagliata delle tracce gentiliane, crociane e heideggeriane
nella filosofia di Grassi cfr., Rita Messori, Le forme dell’apparire, cit.,
soprattutto il primo capitolo, Tra filosofia italiana e filosofia tedesca:
l’emergere della questione estetica, pp. 23-61. Cfr., anche M. Marassi,
Introduzione a E. Grassi, I primi scritti, cit., pp. IX-LXXXVII. !
104! esistenziale che mira a svelare le “strutture esistenziali del mondo
del Da-sein”306. Le osservazioni che seguono si focalizzeranno maggiormente sul
fondamento teorico – l’analitica dell’esistenza – che soggiace alla
rivalutazione di Grassi dell’umanesimo. Credo sia plausibile poter collocare la
riflessione grassiana sull’umanesimo sullo sfondo ontologico e fenomenologico
dei saggi giovanili dedicati ai concetti di apparire, essere, manifestatività e
delle idee connesse di disancoramento, angoscia, coscienza temporale
umanistica, oggettività, dismondanizzazione e assenza di mondo. Com’è noto,
Grassi mostra nella sua disamina degli pseudo-umanesimi una insofferenza nei
confronti delle letture storiografiche e teoretiche a lui coeve, a suo avviso
gravate dal pregiudizio idealistico ed hegeliano, rivendicando l’esigenza di
una collocazione del tema onto-antropo-logico sul terreno strettamente
speculativo, teoretico. Nella prospettiva del filosofo “il termine umanesimo è
diventato più che mai polisenso. Si parla di un umanesimo da un punto di vista
storico, si parla di un umanesimo da un punto di vista filosofico, si parla di
un umanesimo da un punto di vista politico [...] sia dunque ben chiaro che ogni
affermazione umanistica è un problema anzitutto filosofico e non storico: si
tratta dunque di delimitare una concezione speculativa dell’uomo che prenda
chiara posizione di fronte ai differenti motivi speculativi nei quali si
rispecchia la nostra attuale coscienza filosofica. Che significato speculativo
può oggi avere un umanesimo?”307. Indagare questo significato speculativo
dell’umano, al di là della polisemia che inevitabilmente lo connota, per Grassi
significa affrontare il problema della reinterpretazione antitradizionale della
filosofia umanistica nella convinzione che la filosofia umanistica abbia costituito
il fulcro e la svolta del pensiero filosofico occidentale, la vera “rivoluzione
copernicana”308. Il compito di questo progetto neoumanistico che già dalla metà
degli anni Venti emerge – a partire dal saggio su Machiavelli analizzato in
precedenza – per rifluire nelle riflessioni filosofiche successive, si articola
come ricerca dell’unità di senso della realtà, come compito preliminare nel
processo di determinazione di una teoria dell’uomo che
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 306!E. Grassi, Potenza
della fantasia, cit., p. 243 e sgg.! 307 Id., Il tempo umano. L’umanesimo
contro la techne, cit., pp. 202-206. I corsivi sono nostri. 308 Id., Potenza
dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., p. 261, “Il rovesciamento
della filosofia, la rivoluzione copernicana, non ha avuto luogo né con
Descartes né con Kant, ma con l’Umanesimo italiano. Ma le conseguenze che
derivano dalla nuova valutazione della fantasia, dell’ingenium, della
preminenza dell’immagine, possono essere discusse solo sulla base di
un’ulteriore ricerca sull’essenza della tradizione umanistica italiana”.
! 105! mantenga l’originaria integrità e unità delle sue strutture
fondamentali. Negli stessi anni in cui i maggiori esponenti dell’antropologia
filosofica del Novecento – Scheler309, Plessner310, Gehlen311 –
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 309 Max Scheler in La
posizione dell’uomo nel cosmo esprime l’idea di uomo attraverso una ricerca
antropologica come scienza fondamentale dell’essenza e delle strutture
essenziali dell’uomo. Esplorare la dimensione umana e la sua posizione nel
cosmo comporta un confronto con le dimensioni della spiritualità del conoscere,
dell’amare, del volere. Per Scheler l’indagine sull’uomo della nuova
antropologia prende le mosse da ciò che è esterno all’uomo per poi indagare e
definire la sua essenza: “è compito di un’antropologia filosofica mostrare
esattamente in che modo scaturiscano dalla struttura fondamentale dell’uomo,
tutti i monopoli, le funzioni e le opere specificamente umani: come la lingua,
la coscienza morale, lo strumento, l’arma, il concetto di giusto e ingiusto, lo
Stato, l’azione di guida, le funzioni espressive delle arti, il mito, la
religione, la scienza, la storicità, la socialità”, M. Scheler, La posizione
dell’uomo nel cosmo, a cura di M. T. Pansera, Roma 1999, p. 186. Scheler
analizza l’impulso affettivo “privo di coscienza, di sensazione e
rappresentazione” che è presente nelle piante e nei gradi più bassi del mondo
organico; l’istinto che è un comportamento teleologico; la memoria associativa
il cui fondamento è il processo del riflesso condizionato, basato sul principio
del successo e dell’errore per cui l’animale compie movimenti di prova in
maniera spontanea ripetendo solo quelli utili; infine l’intelligenza pratica
caratterizzante la facoltà di libera scelta dell’uomo. Il fattore discriminante
fondamentale tra l’uomo e il resto del mondo è costituito dal concetto di
spirito, il Geist che rappresenta la possibilità dell’essere aperto al mondo da
parte dell’uomo e lo svincolarsi dal legame con quanto è organico: “la
caratteristica principale di un essere spirituale consiste nella sua
emancipazione esistenziale da ciò che è organico, nella sua libertà, nella
capacità che esso, o meglio il centro della sua esistenza, ha di svincolarsi
dal potere, dalla pressione, dal legame con quanto è organico, dal legame con
la vita [...] un essere spirituale non più legato alla tendenza e all’ambiente,
ne è libero, e perciò aperto al mondo”, ivi, p. 144. 310 Per Plessner occorre
partire dal concetto di vita che costituisce la “parola chiave di un’intera
epoca”, H. Plessner, I gradi dell’organico, a cura di V. Rasini, Bollati
Boringhieri, Torino 2006, pp. 27-28. All’interno della impostazione
plessneriana l’uomo è contraddistinto dalla sua posizione eccentrica:
l’eccentricità è la disposizione dell’uomo rispetto al mondo nei confronti del
quale si trova de-situato. Plessner, a conclusione di I gradi dell’organico.
Introduzione all’antropologia filosofica, passa in rassegna tre leggi
antropologiche fondamentali: la legge dell’artificialità naturale secondo cui
l’uomo non vive in modo rassicurante nel suo ambiente immediato ma in modo
artificiale, costruendo a partire da una natura una cultura; la legge
dell’immediatezza mediata secondo cui l’uomo si appropria di ciò che gli è dato
in precedenza in modo immediato attraverso forme di mediazioni quali
invenzioni, scoperte, conoscenze; la legge del luogo utopico che afferma che
l’uomo prende le distanze dall’immediatezza e volge il suo sguardo verso un
fondamento assoluto del mondo che in sé non ha alcun fondamento. Egli afferma
che “la sua forma eccentrica spinge l’uomo al perfezionamento, stimola bisogni
che possono essere soddisfatti soltanto mediante un sistema di oggetti
artificiali e insieme imprime loro il marchio della caducità”, ivi, p. 363. 311
Arnold Gehlen si pone sulla linea di ricerca scheleriana elaborando una idea di
uomo nell’opera L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, partendo dai
risultati multidisciplinari delle scienze positive. L’antropologia “elementare”
gehleniana, partendo dagli aspetti più semplici che accomunano l’essere umano
all’animale sottolinea allo stesso tempo la specificità dell’umano che consiste
paradossalmente nella sua indeterminatezza costitutiva: se gli altri viventi
sono contraddistinti da un indice di specializzazione alto come testimoniato
dallo sviluppo della percezione e dall’istinto l’uomo presenta una indigenza
che però stimola latenze di potenzialità più alte, superiori, che rendono
l’uomo autodeterminabile proprio perché indeterminato. Per Gehlen prima di
tutto l’uomo è l’essere determinato all’azione: l’azione sarà il tema chiave
per poter comprendere un essere che agisce sulla natura per trasformarla al
fine di assicurare la sua sopravvivenza. L’uomo è poi distinto dall’animale per
una serie di caratteristiche: la “primitività” del suo corredo organico e
istintuale; la sua “incompiutezza”; la sua “non-specializzazione” organica. Già
Herder aveva tracciato una distinzione tra l’uomo e l’animale che guardava
all’uomo come ad un “essere biologicamente carente”, un “essere manchevole”, un
essere privo persino di un ambiente proprio (Umwelt). Per Gehlen “la
“deficienza organica” e le peculiarità organiche dell’uomo vanno perciò
considerate alla luce dell’idea cardine della “non-specializzazione”: [...]
primitivo è = non specializzato = originario, o in senso ontogenetico
(embrionale) o in quello filogenetico (arcaico). Per specializzazione è da
intendersi la perdita della pienezza delle possibilità esistenti in un organo
non specializzato, a vantaggio del grande sviluppo di alcune di queste
possibilità a spese di altre, cfr., A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo
posto nel mondo, Mimesis, Milano 2010, pp. 127-128. Accettando il paradigma
interpretativo della carenza si pone il problema di coniugare questa non
specializzazione umana con il suo esser collocata all’interno di una catena
biologica evolutiva. La dotazione organica non specializzata dell’uomo e i suoi
primitivismi rendono problematica la sua esistenza che solo grazie all’azione e
alla costitutiva apertura al mondo continua e progredisce. Categoria
fondamentale all’interno ! 106! elaborano le note teorie sull’uomo,
Grassi, forte della sua formazione culturale a metà strada tra filosofia
italiana, filosofia tedesca e francese, sente l’esigenza di indicare
l’insufficienza sia di un approccio scientifico all’uomo sia i limiti di una
impostazione speculativa classica mediata soprattutto dalle letture
heideggeriane di cui abbiamo già detto. Attraverso l’analisi delle teorie degli
esponenti !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
dell’antropologia gehleniana è quella dell’esonero Entlastung che indica la
capacità umana di distaccarsi dagli oneri del mondo esterno. L’esonero
costituisce il primo atto per spezzare il cerchio dell’immediatezza e per
liberarsi dalla pressione dell’hic et nunc: l’uomo deve allontanarsi dalla
pressione dell’immediato interponendo tra lui e il mondo una distanza sempre
maggiore, solo in questo modo può trasformare l’Umwelt, l’ambiente, in un mondo
abitabile, la Welt. ! 107! della biologia teoretica quali
Driesch312, Plessner313, Jacob Von Uexküll314 e Gehlen315, Grassi cerca di
porre in luce gli aspetti negativi che derivano dalla confusione del
“contributo delle scienze con quello della filosofia”316 . Accogliendo la
critica crociana alla perdita di autonomia del filosofo che
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 312 Hans Driesch
(1867-1941) fu un biologo e filosofo tedesco. Egli lavorò a Napoli presso la
stazione zoologica dal 1891 al 1900 e successivamente insegnò a Heidelberg tra
il 1909 e il 1920 Filosofia della natura, in seguito anche a Colonia e Lipsia.
Fu convinto assertore del vitalismo contro la teoria meccanicistica di matrice
darwiniana. Il suo pensiero è diretto verso la valorizzazione del finalismo
della natura e verso il riconoscimento dell’importanza dell’entelechia,
concetto ripreso da Aristotele, interpretata come principio immanente superindividuale.
Tra le opere più importanti ricordiamo Storia del vitalismo (1905), Filosofia
dell’organismo (1909), Corpo e anima (1916), Il problema della libertà (1917),
Metafisica (1924). Di Driesch Grassi mette in luce il neo-vitalismo presente
nelle osservazioni sulla vita organica e l’importanza del concetto di
entelechia esposto dal Driesch in Philosophie des Organischen. Grassi, in
Empirismo e naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea, sostiene che “in
molti ambienti la filosofia rimane concepita sul fondamento delle scienze, cioè
sintesi e classificazione di fatti, ed è perciò stesso incapace di raggiungere
in questa forma un reale valore conoscitivo e metafisico. L’influenza di
concezioni simili si scorge oggi in tutta quella corrente speculativa della
filosofia tedesca contemporanea che ha vivo l’ideale empiristico di una scienza
naturale elaborata in filosofia, filosofia della natura, che in realtà non
diventa che un prospetto empirico di scienze naturali e di arbitrarie ipotesi
naturalistiche. Appartengono a questa corrente di idee il Driesch, o zoologi
come il Plessner – che con osservazioni scientifiche e biologiche tentano di
raggiungere una costruzione metafisica [...] nella sua Philosophie des
Organischen a mezzo dell’analisi dello sviluppo delle forme dell’organismo e
mettendo in luce con osservazioni biologiche l’originalità della vita organica,
egli giunge ad una concezione neovitalistica. Le sue osservazioni biologiche,
la sua teoria dei sistemi equipotenziali, assumono un’importanza scientifica ed
egli concluse che accanto ai fattori fisici e chimici, per spiegare un
organismo, è necessario ammettere un nuovo fattore, che egli chiama
entelechia”, in Id., I primi scritti, cit., pp. 165- 166. Cfr., anche Linee di
filosofia tedesca contemporanea, in Id., I primi scritti, cit., pp. 299-332, in
particolare il primo paragrafo dedicato a Driesch, pp. 299-305. 313 Di Plessner
Grassi evidenzia i limiti strutturali che l’approccio scientifico all’umano
inevitabilmente porta con sé. Egli afferma che “una concezione di una filosofia
fondata sulla scienza la troviamo anche in altri pensatori come Plessner,
scolaro di Driesch e originariamente zoologo, autore di Die Einheit der Sinne.
Grundlinien einer Aistesiologie des Geistes e più recentemente di un altro
volume Die Stufen des Organischen un der Mensch. Einleitung in die
philosophische Antropologie, volumi ai quali l’acuta raccolta di fatti e le
osservazioni scientifiche conferiscono pregio, ma che non raggiungono una
concezione speculativa. Una antropologia non diventa speculazione e
affermazione filosofica se non si nega ogni aspetto ontologico ai gradini della
realtà naturale, rifiutando di considerarli come assolute gerarchie del reale e
risolvendoli nella nuova affermazione della realtà come atto dello spirito,
ivi, p. 168. In questo passo emerge la convinzione grassiana – di evidente
ascendenza gentiliana – del limite strutturale delle coeve antropologie
filosofiche che per diventare autentiche meditazioni sull’uomo devono
collocarsi su uno sfondo filosofico che indaghi la realtà a partire dall’idea
di atto e non di dato. 314 Grassi richiama l’attenzione sul concetto
uexkülliano di cerchio funzionale simbolico e fa riferimento alle sue teorie
sia nel saggio Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger (cit., p.
205) sia più diffusamente in La filosofia como obra humana, pp. 1573-1578 in
Actas del Primer Congreso Nacional de Filosofia, Universidad Nacional de Cuyo,
Buenos Aires, 1950, Tomo III; in Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica,
cit., pp. 62-66 e 151-152; infine in Retorica come filosofia. La tradizione
umanistica, cit., pp. 181-182. 315 Cfr., Id., La potenza dell’immagine.
Rivalutazione della retorica, cit., pp. 67-69. Grassi sottolinea la connessione
istituita da Gehlen tra apertura di mondo e cultura. 316 Id., Il problema della
metafisica immanente di M. Heidegger, In Id., I primi scritti, cit., p. 204. !
108! si è messo a servizio della scienza espressa in Logica317
Grassi asserisce che la concezione bio- metafisica su cui l’empirismo si basa
“si traveste oggi assumendo nuove forme in veste anti- positivistica”318.
L’empirismo va messo da parte, così come gli altri modi di accedere all’umano
che la coeva filosofia tedesca aveva prodotto, poiché non supera “gli schemi del
procedere naturalistico”319 che si avviluppa in “pseudo-concetti che sulle
generalità scientifiche vorrebbero fondare distinzioni filosofiche”320. Il
riferimento polemico è alle correnti neokantiane, allo storicismo diltheyano,
alla fenomenologia husserliana321 incapaci di elevarsi a quella metafisica
esistenziale che solo Heidegger ha portato ad espressione. A questo punto
appare indispensabile soffermarsi, seppur brevemente, sulle figure di Dilthey e
Husserl, la cui conoscenza costituisce una tappa importante per la comprensione
dell’atteggiamento speculativo grassiano. In Il problema della metafisica
immanente di M. Heidegger Grassi mette insieme storicismo, fenomenologia,
metafisica esistenziale e attualismo. Egli afferma che il filosofo di Messkirch
“presenta una speculazione metafisica originale, inverando il tentativo di due
pensatori, l’Husserl e il Dilthey, che alla fine del sec. XIX e al principio
del XX iniziarono il primo tentativo di liberazione dall’empirismo”322. In che
senso si parla di inveramento delle filosofie di Dilthey e Husserl nella
metafisica immanente di Heidegger e come quest’ultima a sua volta radicalizza
l’attualismo323? !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 317 B.
Croce, Logica, Laterza, Bari 1920, p. 264: “perché quando non si tratta d’altro
che di classificare e di sistemare quei risultati, lo scienziato sente a
ragione di non aver bisogno del soccorso dei filosofi”. 318!E. Grassi, Il
problema della metafisica immanente di M. Heidegger, cit., p. 205.! 319!Ibidem.
320 Ibidem. 321 Cfr. sulla critica a neokantismo, storicismo e fenomenologia
gli articoli di indole informativa generale che seguono: Id., Empirismo e
naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea, cit., e Id., Sviluppo e
significato della scuola fenomenologica nella filosofia tedesca contemporanea,
in Id., I primi scritti, cit., 181-202. 322 Id., Il problema della metafisica
immanente di M. Heidegger, cit., p. 209. Cfr., anche le pagine grassiane su
Heidegger del saggio Was ist Existentialismus?, pp. 75-124, in N. Abbagnano,
Philosophie des menschlichen Konflikts. Eine Einführung in den
Existentialismus, Rowohlt, Hamburg 1957, soprattutto pp. 91-97 e 106-114. 323
Già nel saggio del 1929 Sviluppo e significato della scuola fenomenologica
nella filosofia tedesca contemporanea (in Id., Primi scritti, cit., pp.
181-202) Grassi, sviluppando in forma più articolata le poche battute su
Heidegger contenute in Empirismo e naturalismo nella filosofia tedesca
contemporanea (p. 174), afferma quell’identità di problemi tra attualismo !
109! La “meditazione diltheyana” di Grassi si focalizza soprattutto
sui concetti di Lebenzusammenhang, di Weltanschauung e di psicologia324.
Secondo il pensatore milanese Dilthey fu il primo a intravedere il problema della
realtà e della storia come problema della realtà vivente, rivendicando
l’importanza dei sui scritti speculativi e tralasciando quella dei testi a
carattere maggiormente storico325. In Empirismo e naturalismo nella filosofia
tedesca contemporanea (1929) leggiamo che il problema dal quale muove Dilthey,
quello della distinzione tra Geisteswissenschaften e Naturwissenschaften, di
scarsa importanza in sé rileva Grassi, va ricondotto alla più generale
operazione teoretica di ricerca intorno al fondamento spirituale delle scienze
dello spirito individuato in “una scienza di carattere psicologico. Gli
elementi del mondo storico sono gli individui, quindi lo studio di essi e la
descrizione dei vari tipi di vita spirituale diventa la base della comprensione
storica [...] l’esame della struttura della vita dello spirito cerca di
conquistare nella molteplicità di situazioni coesistenti la sua caratteristica
unità”326. La psicologia diltheyana per Grassi ha il merito di ricondurre ogni
concreta realtà storica alla concatenazione vitale dell’atto di coscienza in
cui si realizza il rapporto tra io e mondo. Tuttavia il
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! e ontologia
immanentistica heideggeriana che in Il problema della metafisica immanente di
M. Heidegger del 1930 troverà una articolazione teoretica più approfondita.
Infatti, in Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella filosofia
tedesca contemporanea leggiamo che “Heidegger realizzò una delle più importanti
speculazioni metafisiche immanentistiche ed una delle più rigorose critiche del
tentativo di Husserl. L’interpretazione e o sviluppo attualistico del pensiero
fenomenologico assume un significato storico e teoretico tutto particolare”, p.
198. 324 Per una analisi dettagliata di questi temi diltheyani rimando alle
osservazioni di G. Cacciatore in Scienza e filosofia in Dilthey, 2 Voll.,
Guida, Napoli 1976; Id., Dilthey: connessione psichica e connessione storica,
pp. 211-223, in AA. VV, Una logica per la psicologia, Il Poligrafo, Padova
2003; Id., Vico e Dilthey. La storia dell’esperienza umana come relazione
fondante di conoscere e fare, pp. 17-58, In Id., Storicismo problematico e
metodo critico, Guida, Napoli 1993; cfr., ivi anche Id., Spirito oggettivo e
oggettivazione della vita: Dilthey e Hegel, pp. 105-125; Id., La tipologia
delle visioni del mondo tra critica storica della ragione ed essenza della
filosofia, pp. 153-172; Id., Il fondamento dell’intersoggettività tra Dilthey e
Husserl, pp. 249-287; Id., Ortega y Gasset e Dilthey, pp. 289-318; Id., Vita e
storia tra Zubiri e Dilthey, pp. 177-187, in Id., Saggi di filosofia spagnola.
Saggi e ricerche, Il Mulino, Bologna 2013; Id., Dilthey tra universalismo e
relativismo, pp. 213-230, in Id., Dallo storicismo allo storicismo, ETS, Pisa
2015. 325 “Durante la sua vita i suoi sforzi teoretici passarono quasi
inosservati e anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1911, Dilthey rimase per
alcuni anni completamente dimenticato come filosofo, mentre i suoi lavori
storici venivano molto apprezzati [...] i primi suoi lavori sono tra i più
notevoli della storia e della filosofia dei suoi tempi: l’acutezza delle
indagini, la facoltà ricostruttiva di un’epoca o di una personalità danno ai
suoi saggi grandissimo valore e molti lo considerano come il più grande “Geistesgeschichtsschreiber”
dopo Hegel [...] ma l’importanza e l’interesse che Dilthey desta in seno alla
filosofia tedesca – per cui dobbiamo fermarci in modo particolare sulla sua
figura – è dato non dai suoi lavori storici, ma dai suoi scritti di carattere
speculativo e polemico”, E. Grassi, Empirismo e naturalismo nella filosofia
tedesca contemporanea, cit., pp. 171-172. 326 Ivi, pp. 172-173. !
110! passaggio auspicato dal pensatore milanese da una “teoria dell’atto
di comprensione” ad una “metafisica immanente” rimane incompiuto nel filosofo
tedesco che “non giunse alla chiara coscienza che una volta riconosciuto il
tratto fondamentale del reale nell’atto completo di comprensione, se ne coglie
al tempo stesso il carattere assoluto che impedisce ogni relativismo”327. Così
per il filosofo italiano Dilthey ricade nell’astrattismo di una “tipologia che
prese il posto della filosofia”328, la quale riduce la fondamentale categoria
della Lebenzusammenhang a forme astratte, a classi e tipi e al relativismo329.
Se le riflessioni su Dilthey pongono in luce l’attenzione verso l’esistenza
concreta e le strutture psicologiche che soggiacciono alla costruzione del
mondo storico umano, quelle su Husserl mettono in risalto il tentativo di
riconquistare il rigore alla filosofia – il progetto di una filosofia come
scienza rigorosa – un rigore metodologico, che invera “la psicologia fenomenale
di F. Brentano”330. In Linee della filosofia tedesca contemporanea Grassi
sostiene che “la meta di Husserl fu la conquista di un fondamento assoluto e
universale su cui costruire con sicurezza la ricerca filosofica [...] egli
scorse con chiarezza l’impossibilità di fondare la filosofia sulle scienze”331.
Una critica radicale in questo senso è costituita dalle Ricerche logiche che
tentano di “raggiungere il concetto della logica, della filosofia come scienza
a priori, libera da ogni empirismo”332. Per il filosofo milanese, Husserl
individua il fondamento del reale attraverso la riduzione fenomenologica, la
quale, sospendendo ogni !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
327 Ivi, p. 174. 328 Ibidem. 329 Cfr. sulla critica grassiana al concetto di
tipologia anche, E. Grassi, Linee della filosofia tedesca contemporanea (1933),
pp. 299-332 in Id., I primi scritti, cit., soprattutto le pp. 307-311 e ivi Il
problema del nulla nella filosofia di M. Heidegger, cit., soprattutto pp.
420-421. 330 Cfr., Id., Sviluppo e significato della scuola fenomenologica
nella filosofia tedesca contemporanea, pp. 181-202, in Id., I primi scritti, cit.,
p. 182. 331 Id., Linee della filosofia tedesca contemporanea, cit., pp.
313-314. 332 Ibidem. ! 111! giudizio di esistenza333 – epochè –,
guadagna una certezza indubitabile: “il mondo della coscienza pura coi suoi
vari momenti e significati [...]. Non c’è più il mondo dommaticamente affermato
e poi la sua rappresentazione, ma solo l’immediato essere del mondo come
oggetto ideale della nostra coscienza”334. Questo mondo trascendentale è il
Vorurteil, il quale condiziona ogni nostro giudizio di esistenza e rende
possibile quella scienza fenomenologica che coniuga la ricerca sulle
proposizioni formali della logica con i temi etici ed estetici. Il cuore della
fenomenologia è colto da Grassi nell’andare zu den Sachen selbst tramite la
Wesenschauung. Infatti, sempre in Linee della filosofia tedesca contemporanea,
il filosofo sottolinea come la fenomenologia non sia una metafisica ma “un
metodo a mezzo del quale si isolano degli elementi assoluti, trascendentali,
coi quali ciascuno può e deve costruirsi con rigore scientifico un concetto
della realtà [...] le essenze logiche non possono venirci dimostrate, ma
possono solo mostrarsi per se stesse a mezzo della loro evidenza, chiarezza e
distinzione, immediatezza ultima. La fenomenologia non vuole essere una costruzione,
ma semplicemente un esame intuitivo, uno “schauen” dei concetti [...] coglie
così l’essenza delle cose e pretende di andare direttamente zu den Sachen
selbst”335. I concetti husserliani su cui egli si sofferma maggiormente sono
quelli di epochè, riduzione fenomenologica, Vorurteil, evidenza336. L’analisi
di questi temi, da un lato, sottolinea l’importanza e la fecondità speculativa
della fenomenologia husserliana – poiché seppe con maggior forza contrapporsi
all’empirismo e al naturalismo rispetto allo storicismo diltheyano337 – ma,
dall’altro, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 333 Grassi
riesce a cogliere in poche battute tutto il senso della riflessione
husserliana: “se noi ci manteniamo in un fondamentale e metodico atteggiamento
critico rispetto al reale e cerchiamo di raggiungere un ultimo fondamento sul
quale non sia più possibile esercitare il nostro dubbio, (e che come tale
costituisce la base sicura su cui poggiare ogni altra affermazione o
costruzione), giungiamo al riconoscimento del carattere trascendentale,
assoluto, del pensiero in quanto puro pensato. Sospendendo ogni giudizio di
esistenza, (!)$+,), ci troviamo infatti di fronte ad un mondo di molteplici
significati ideali che hanno un senso solo in quanto sono dati così o così
nella nostra coscienza. Il mondo del pensato come pensato, dell’inteso come
inteso, è l’elemento ed il residuo ultimo su cui non si può più esercitare il
nostro dubbio, come già aveva intravisto Cartesio”, ibidem. 334 Ivi, p. 315.
335 Ivi, p. 316 336 Cfr., V. Costa- E. Franzini- P. Spinicci, La fenomenologia,
Einaudi, Torino 2002. 337 “La posizione di Husserl, come abbiamo visto, è
caratterizzata da una chiara coscienza delle necessità di pensare gli
universali nella loro purezza, sciogliendoli dalle contingenze sociali,
storiche, psicologiche. Sotto questo aspetto il suo ! 112! getta
luce sui limiti intrinseci di ciò che Grassi definisce “positivismo
razionalistico”. La fenomenologia è un positivismo razionalistico poiché riduce
il “dato empirico al suo significato logico razionale, sostituendo al dato di
fatto dell’empirismo il dato del mondo razionale”338. Da qui la definizione di
positivismo razionalistico”339. Sia Dilthey che Husserl – i maggiori esponenti
della filosofia tedesca coeva secondo Grassi – non hanno declinato queste
ricerche in direzione di una metafisica dell’essere come “concreto sviluppo
storico, processo di autorealizzazione immanente”340. Questo inveramento si ha
con Heidegger la cui originalità storica è ricondotta all’interno
dell’orizzonte metafisico e non solo fenomenologico. In Il problema della
metafisica immanente di M. Heidegger Grassi afferma che nel lavoro del
pensatore di Messkirch “confluiscono così in un fecondo superamento gli sforzi
di Husserl e Dilthey: la medesima analisi del Dasein come fondamentale atto di
rapporto e il suo dettagliato sviluppo seguito piano per piano, attraverso le
varie forme di esistenza, non è che un riprendere il tentativo di Dilthey [...]
la ricerca del significato d’essere attraverso la concreta analisi del Dasein è
sufficiente a mostrare un nuovo orientamento della sua fenomenologia”341 che
non ha una componente intuizionistica – sia essa intesa come l’intuizione
eidetica husserliana o nel senso generale irrazionalistico e vitalistico –, ma
si pone come ricerca della concreta storicità dell’esistente: la fenomenologia
diviene Hermeneutik der Faktizität. Solo sulla base di un’analitica
dell’esistenza è possibile porre la questione ontologica e fenomenologica –
dove per fenomenologia dobbiamo intendere l’analisi di stampo hegeliano dei
vari momenti e sviluppi della realtà storica. Grassi afferma che il pensiero di
Heidegger assume una particolare rilevanza per quanto riguarda il problema
metafisico mostrando una certa affinità con i !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
pensiero segnò un momento fondamentale in seno alla filosofia tedesca
contemporanea contrapponendosi con maggiore chiarezza di Dilthey all’empirismo
ed al naturalismo nelle sue più varie forme”, E. Grassi, Linee della filosofia
tedesca contemporanea, cit., p. 323. Cfr., anche le pagine dedicate a Husserl
in E. Grassi, Was ist Existentialismus?, cit., soprattutto le pp. 80-91.
338!Id., Linee della filosofia tedesca contemporanea, cit., p. 323.! 339
Ibidem. 340Id., Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger, cit.,
p. 209. 341 Ivi, p. 223. ! 113! temi dell’attualismo. Il filosofo
italiano sostiene in Il problema della metafisica immanente che “pur essendo
nato da problemi e posizioni speculative completamente lontane dalle premesse
del pensiero immanentistico italiano esso giunge a delle conclusioni che
rivelano un’aspirazione metafisica”342. Il significato e l’importanza di quella
originaria “attualità esistenziale – per cui l’essere si dà precedentemente a
qualsiasi riflessione – il suo superamento ed inveramento della logica astratta
nella logica concreta, e a sua volta la posizione che questa logica concreta ha
in seno ad una metafisica esistenziale” 343 ha un’importanza tutta particolare
per Grassi ed implica una serie di problemi decisivi: proprio in relazione alla
questione della metafisica esistenziale “comincia a delinearsi la precisa
posizione di Heidegger rispetto all’idealismo hegeliano e all’attualismo
idealistico di Gentile”344. Sullo sfondo di quanto appena detto, possiamo
comprendere come nelle analisi grassiane degli anni Trenta siano molto vivi i
temi dell’essere, dell’apparire e della manifestatività, coniugati a quelli
dell’evidenza del fondamento e della ricerca delle strutture esistenziali umane
che si modulano come indagine sui rapporti tra la filosofia attualistica di
Gentile e la metafisica immanente di Heidegger. La coappartenenza di queste
problematiche mette in luce una triplice costituzione del pensiero grassiano:
ontologica, antropologica, logica. Come tenteremo di esporre nel corso della
trattazione, il pensiero di Grassi si configura come riflessione ontologica
perché si muove nell’orizzonte dell’essere e della ricerca del suo senso:
l’essere è inteso alla luce della differenza ontologica (concetto mutuato da
Heidegger) come manifestatività e allo stesso tempo trascendenza, per cui il
piano ontologico che si manifesta in quello ontico – l’ente come ciò che appare
nella sua differenza dall’essere – si sottrae all’orizzonte di pura luminosità
dell’apparire proprio nel suo differire. Attraverso la lezione heideggeriana
Grassi coniuga il problema
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 342 Ivi, pp. 226-227.
343!Ibidem.! 344 Ibidem. ! 114! della trascendenza, così vivo nella
sua formazione iniziale, con quello dell’immanenza presente nella fase
gentiliana della sua riflessione. La centralità di questi temi, in cui
immanenza e trascendenza si co-appartengono, permane anche nelle riflessioni
sulla Lichtung caratterizzanti gli scritti successivi, dove la Lichtung altro
non è che la parola che dice del costitutivo rimandare l’una all’altra di
immanenza e trascendenza, di piano ontico e ontologico. In Heidegger e il
problema dell’umanesimo, ponendo una netta demarcazione tra il proprio modo di
intendere l’umanesimo e l’approccio storiografico consolidato, il filosofo
afferma che “gli studiosi hanno costantemente individuato l’essenza
dell’umanesimo nella riscoperta dell’uomo e dei suoi valori immanenti [...] e
tuttavia uno dei problemi centrali dell’umanesimo non è l’uomo, bensì la
questione del contesto originario, dell’orizzonte o apertura in cui appaiono
l’uomo e il suo mondo”345. Il problema fondamentale dell’umanesimo, che non va
concepito come una forma più o meno larvata di antropologia tout court, è la
problematizzazione del tema della Lichtung, ossia del tema del contesto
originario dell’apparire del mondo, dell’uomo e degli enti, che si declina come
ricerca delle strutture del mondo umano. In questa ricerca grassiana, accanto
all’attenzione all’ambito ontologico, lasciatogli in eredità da Heidegger,
ritroviamo una centralità della dimensione ontica – le concrete Lichtungen –
che dal suo maestro degli “anni mitici” sembra essere stata accantonata a
favore di una concentrazione più sugli aspetti di oblio dell’essere della
filosofia occidentale che non su quelli in cui l’essere si dà in maniera
autentica: se in Heidegger a dominare è l’idea dell’oblio dell’essere, in
Grassi riscontriamo il tentativo di ricostruire una storia dell’evento
autentico dell’essere – da qui l’indagine storico-filosofica sui temi
umanistici. La riflessione di Grassi è poi antropologica perché attenta
all’orizzonte umano a partire dal quale si pone la domanda sul senso
dell’essere: l’universo linguistico e artistico del mondo umano in cui accade
la verità dell’essere. In Heidegger e il problema dell’umanesimo leggiamo che
l’analisi del !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 345 Id.,
Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., p. 26. I corsivi sono nostri. !
115! contesto originario si declina innanzitutto come ricerca
linguistica: “la cosa sorprendente, alla quale di solito non si presta
attenzione, è che questi problemi – contesto originario, orizzonte, Lichtung –
non sono trattati nel pensiero umanistico mediante un confronto logico
speculativo con la metafisica tradizionale, ma piuttosto in termini di analisi
e di interpretazione del linguaggio [...] il problema del linguaggio solleva la
questione fondamentale del rapporto tra parola e oggetto, tra verbum e res.
Oltre a ciò, si fa strada l’idea che solo nella parola e a mezzo della parola
(verbum) la cosa (res) rivela il suo significato”346. Con l’umanesimo, secondo
il filosofo, non ci si interroga più circa la verità logica e il rapporto
logico tra cosa e pensiero, ma a proposito del comparire storico della res a
mezzo del verbum: la questione fondamentale è quella di accedere ad un
linguaggio che sia casa dell’essere e non una sua prigione. Grassi, infatti,
distingue la cosa dall’ente, pone la differenza tra res ed ens: se la
metafisica tradizionale si interroga sulla cosa ridotta ad ente – e per il
pensatore occorre abbandonare l’idea di una metafisica astratta degli enti –
per cui l’unico linguaggio possibile per enunciare i predicati dell’ente è
quello del razionalismo che delimita l’ente entro il perimetro logico
dell’identità, la ricerca linguistica dell’umanesimo, al contrario, è capace di
restituire la ricchezza fenomenologica della cosa, della res, del pragma,
proprio attraverso un linguaggio che ne rispecchi le infinite e variegate
sfaccettature. Secondo l’interpretazione del filosofo italiano non esistono
“cose separate dalle nostre azioni, dai nostri tentativi di trattarle [...]
l’essere-in-sé delle cose ci si manifesta solo nella e attraverso l’azione
umana”347. Occorre quindi riconoscere che “l’oggettività delle cose si rivela
nell’azione, nella e con la praxis”348. Infatti, per il pensatore milanese, la
forma sostantivata pragma esprime l’originario rapporto tra l’oggetto e il suo
manifestarsi come cosa attraverso la praxis umana. Il senso classico
dell’ontologia come logos intorno all’on si tramuta in Grassi in ricerca
dell’unità di logos e on, come discorso sul nesso ontologico. La delucidazione
del nesso logos-on o, per usare i termini
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 346 Ibidem. I corsivi
sono nostri. 347 Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica,
cit., p. 80. 348 Ibidem. ! 116! grassiani, della correlazione di verbum
e res, induce il filosofo ad approfondire i temi della retorica, della
metafora, della fantasia e dell’ingegno, i quali mettono in luce come
l’ontologia grassiana sia un’ontologia dinamica e non statica, nella quale il
processo di manifestazione nel suo stesso apparire storico si mostra per gradi,
scorci, campi, forme dicibili solo attraverso il linguaggio metaforico: poiché
il metapherein – la trasposizione – è la struttura stessa della nostra facoltà
di apprensione della realtà o, per usare un termine caro a Grassi, del nostro
atteggiamento verso il reale. La metafora è l’espressione fluida e mobile del
reale poiché mentre dice rimanda ad altro e in questo modo esprime la perenne
metamorfosi dell’essere. Come possiamo leggere in uno degli ultimi testi del
filosofo, ossia in Il dramma della metafora, “la parola metaforica esprime a un
tempo la struttura fondamentale del continuo mutarsi di ciò che appare e
l’unico modo per identificarla. Essa è anche espressione di un’acutezza, di una
rapidità intimamente collegata con il kairòs, l’istante giusto”349 in cui
possiamo cogliere il carattere metamorfico dell’apparire attraverso la
traslazione del significato. La metafora è proprio questo: “annotazione dei
segni indicativi”350 provenienti dal “colloquio con l’abissale che urge, che
per pochi istanti ci vivifica e che poi ci fa cadere silenti su una sabbiosa
spiaggia [...] senza significato, dalla quale sale l’angoscia perché vivremo
l’indeterminato”351. Attraverso la metafora godiamo “la visione di una
momentanea radura (Lichtung)”352 che mette in campo una riforma della filosofia
non ridotta ad astratta ontologia, ma che “riconosca l’importanza
dell’esperienza storica”353. La riflessione sulla metafora è per Grassi un modo
di superare le falle dell’hòros, del concetto, che è incapace di dire la natura
temporale e metamorfica degli enti che si esprimono nei sempre diversi
significati vitali emergenti nello sforzo interpretativo o semantico. Infatti,
per il pensatore italiano l’interpretazione è possibile solo sulla base di
un’indicazione, da qui !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
349 Id., Il dramma della metafora. Euripide, Eschilo, Sofocle, Ovidio,
L’Officina tipografica, Napoli 1992, p. 165. 350 Ivi, p. 14. 351 Ibidem. 352
Ibidem. I corsivi sono nostri. 353 Ivi, p. 15. ! 117! la preminenza
della semantica rispetto all’ermeneutica, come emerge in Potenza dell’immagine.
Rivalutazione della retorica, su cui ci soffermeremo nell’ultimo capitolo. Egli
asserisce che “l’indicazione (semainein) precede, dunque, l’interpretazione
(hermeneuein), poiché forma la cornice entro la quale possono sorgere delle
dimostrazioni”354; essa è la condizione trascendentale del linguaggio, quel
fondo mitico che appartiene al mondo del sacro e del religioso che non dimostra
ma indica. Il linguaggio semantico è un logos che ostende il fondamento e rompe
quel silenzio primordiale delle cose mute che ci circondano nell’Aperto della
ingens sylva. Accanto a questo logos semantico, che è contraddistinto da una
“chiarezza che non è il risultato di un chiarimento”355, abbiamo il logos
ermeneutico, quello dell’interpretazione che si fonda sul processo della
dimostrazione. Ritornando al nesso metafora-concetto Grassi afferma che a
quest’ultimo “spetta come compito quello di afferrare, comprendere un fenomeno
in riferimento al suo fondamento universale. Il significato di hòros può essere
colto nella sua portata originaria soltanto mediante il verbo orìzo (determino)
che sta alla base di questa parola, la cui radice hor- è identica a quella di
horào (io vedo): io “vedo” qualcosa nella luce del fondamento. La definizione
(horismòs) esprime in tal caso proprio questa visione, ciò che è, ciò che
esiste: in questo modo sfugge a essa per forza di cose ciò che muta in se
stesso, il singolo”356, che è compito della retorica autentica illuminare, in
quanto scienza del particolare e dello storico. Accanto ad una teoria della
metafora, non “più gioco letterario ma originaria, prima forma
dell’ingegno”357, grazie alla quale è possibile porre “la domanda sull’origine
della storicità umana, e dunque sull’essenza dell’uomo”358, si affiancano nella
filosofia grassiana la fantasia e l’ingegno identificati con il nous
aristotelico interpretato alla stregua di “unica espressione delle archai nel
loro !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 354Id., La potenza
dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., p. 84. 355 Ibidem. 356Id.,
Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, cit., p. 222.
357Id., Significare arcaico, in Archivio di filosofia, Roma 1966, pp. 479-495,
p. 494. 358Id., Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero
occidentale, cit., p. 202. ! 118! carattere palesante e
immediatamente indicativo”359, profondamente influenzate dall’analisi heideggeriana
della Einbildungkraft kantiana come “facoltà di darsi le vedute”360. Del resto,
sebbene Grassi non citi nella sua analisi più sistematica della fantasia, ossia
nel testo La potenza della fantasia, la teoria kantiana della Einbildungskraft,
egli conosceva benissimo la lettura offerta da Heidegger della facoltà di
immaginazione kantiana, come emerge dalla citazione di Kant e il problema della
metafisica definito in uno dei primi saggi come il lavoro che più “sembra atto
ad introdurre nel suo pensiero chi non ha famigliarità con la sua
terminologia”361. Possiamo ipotizzare che il mancato riferimento alla teoria
kantiana da parte di Grassi sia dovuto a un’interpretazione del kantismo
sostanzialmente mediata dal filtro neokantiano su cui Grassi si sofferma a più
riprese soprattutto nei primi lavori stesi durante il soggiorno tedesco362. Tra
i neokantiani, dei quali non può che criticare l’impostazione matematizzante,
intellettualistica ed astratta, Grassi riconosce l’importanza di Cassirer che
“ha [...] il merito di essere il più importante storico della filosofia che
questa scuola abbia dato”.363 Oltre al tema linguistico, nell’analisi del mondo
umano, emergono i concetti di disancoramento e angoscia, dalla temporalità
cairologica come struttura di temporalizzazione fondamentale dell’esserci in
cui i tre momenti del tempo si co-appartengono e rendono possibile il
raggiungimento del secondo livello di oggettività: quello della coscienza
temporale umanistica (l’oggettività di primo livello è quella della physis in
quanto diastema), in cui gioca un ruolo fondamentale la decisione come
espressione della storicità del mondo umano e della sua formazione (Bildung),
che in questo modo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
359Id., Significare arcaico, cit., p. 494. 360 Cfr., M. Heidegger, Kant e il
problema della metafisica, Laterza, Roma- Bari, 2004. 361 Cfr., E. Grassi,
Heidegger e il problema della metafisica immanente di M. Heidegger, cit., p.
209. 362 Cfr., le riflessioni sul “ritorno a Kant” contenute in Empirismo e
naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea, cit., soprattutto pp.
164-165; Id., Linee della filosofia tedesca contemporanea, cit., pp. 301-302.
363 Ivi, p. 165. ! 119! acquista un carattere esistenziale. Infatti
“esistere significa sopportare la problematicità del rapporto dell’uomo con se
stesso e con il mondo, senza evitare la decisione richiesta”364. Sul terreno
ontologico dinamico in cui il discorso sull’essere è imprescindibile da un
discorso sulle forme dell’apparire dell’essere – fenomenologia – e sul suo
senso nell’orizzonte umano di esistenza – semantica – si comprende la critica
grassiana alla struttura soggettocentrica e logicista della filosofia. Per il
filosofo “si manifesta sempre la preminenza dell’urgere della passionalità, in
quanto continuamente affiora nell’ambito della contraddizione logica
dell’esperienza che l’essere non si rivela mai completamente nel divenire degli
istanti. È in questo divenire del metaforico traslarsi del reale che viene
passionalmente vissuta la contraddittorietà della logica astratta. Questo ritmo
arcaico del palesarsi e dell’occultarsi non cessa mai, è esso che ordina – nei
limiti di storiche, differenti radure – che appaiono in istanti – i tumulti che
incombono”365. Solo attraverso un’esperienza originaria della filosofia secondo
il pensatore – esperienza preclusa alla logica astratta che è solo un
determinato atteggiamento filosofico e non l’unico – è possibile erigere mura
per difenderci dal “vento del tempo che distrugge la stessa temporalità”366. La
filosofia di Grassi tuttavia non va interpretata come una forma illogica di
irrazionalismo. Anzi ciò che, a nostro avviso, va sottolineato è il valore
logico della sua ricerca che tenta di proporre un concetto complesso di logos
che non esclude il pathos, ma che si rivela nella sua coappartenenza
costitutiva al pathos nell’orizzonte unitario del reale e della sua esperienza.
Sorretta da una simile struttura onto-antropo-logica, la ricerca grassiana mira
a sondare “la legittimità di tutti quegli pseudo-umanesimi che credono di poter
dedurre secondo i canoni delle scienze naturali la realtà dell’uomo”.367 La
messa in discussione dell’impostazione scientifico- naturale del problema
dell’uomo avviene attraverso alcuni concetti fondamentali: disancoramento e
oggettività, angoscia e nulla che, come vedremo, sono strettamente connessi a
quelli di logos, pathos !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
364Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., p. 73.
365Id., Il dramma della metafora, cit., p. 15. I corsivi sono nostri. 366
Ibidem. 367 Id., Heidegger e il problema della metafisica, cit., p. 203.
! 120! e manifestatività. Nelle analisi che seguono, cercheremo di
ridurre ai suoi nodi teoretici essenziali il tragitto onto-antropo-logico del
pensiero grassiano. III. II. Essere, apparire e manifestatività tra logos e
pathos. La fallacia dell’accusa di dualismo Secondo Grassi è possibile fare
esperienza dell’essere non solo attraverso il linguaggio razionale ma
soprattutto tramite la contraddizione. In La preminenza della parola metaforica
egli riprende il tema già affrontato in Heidegger e il problema dell’umanesimo
e analizza il problema dell’essere come fenomeno linguistico e espressione
della contraddizione originaria che caratterizza il mondo. Egli sostiene che
“l’ambito dell’Essere – in funzione del quale parliamo – non è quello della
razionalità nel quale vige il principio di identità ed esclusione della
contraddittorietà: il suo ambito è quello della contraddizione [...] siamo
dunque obbligati a riconoscere che l’Essere preme, si impone, urge
originariamente in un linguaggio non logico”368. Il campo in cui esperiamo
l’essere come evento della contraddizione, ossia come evento della differenza
ontologica, non è quello di una logica che espelle la contraddizione, ma quello
di un logos che include anche il pathos. Occorre soffermarci su quest’ultimo
tema e farlo interagire con quello del logos per mostrare la complessità di
questi due concetti che non attestano un presunto dualismo369 nel filosofo o
una kehre370 tra un “primo Grassi”, dominato dalla questione del logos in pieno
clima !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 368Id., La
preminenza della parola metaforica. Heidegger, Meister Eckhart, Novalis,
Mucchi, Modena, p. 18. 369 Mi riferisco alla posizione di Massimo Marassi del
quale condivido l’interpretazione complessiva del pensiero di Grassi e dal
quale tuttavia mi allontano a proposito del tema del presunto dualismo. Egli
afferma in Ernesto Grassi e l’esperienza del fine che “ancora nei primi scritti
la conoscenza concettuale, accanto a quella patetica, costituiva una forma
particolare di ordinamento della realtà che manteneva una dignità peculiare. È
invece nell’ultima produzione che emerge un’insistenza quasi ossessiva sulla
preminenza del pathos. Ma così, bisogna riconoscerlo, Grassi non tiene fede al
tentativo di superare il dualismo logos-pathos. In effetti egli avrebbe dovuto
ricercare uno sbocco unitario del problema, il solo capace di elidere le difficoltà
del dualismo. Invece è semplicemente passato dalla preminenza della
concettualità a quella del pathos, invertendo il segno del dualismo, ma
restandone prigioniero”, M. Marassi, Ernesto Grassi e l’esperienza del fine,
cit., p. 10. 370 Cfr. la posizione di Limongelli secondo la quale il pensiero
di Grassi va inteso come un vitalismo o esistenzialismo o ontologia dell’agire
storico situativo. Pur accettando parte della ricostruzione del cammino di
pensiero di Grassi – soprattutto le sezioni che mettono in rilievo la presenza
di Nietzsche e Heidegger – non condividiamo la tesi secondo cui in Grassi è
riscontrabile una svolta. Scrive Limongelli in riferimento a Vom Vorrang des
Logos che “tale scritto del Grassi ! 121! attualistico, e un “secondo
Grassi”, sensibile alla tematica linguistico-retorica. Secondo la nostra
analisi, che coniuga la disamina storica delle opere grassiane con l’indagine
teoretica sul tema onto- antropo-logico, nel pensatore milanese il filo
conduttore della ricerca si identifica con l’analisi del mondo umano in tutte
le sue manifestazioni. In questo percorso l’esperienza filosofica, non ridotta
a scienza concettuale, ma vissuta ed esperita come metamorfosi esistenziale e
impegno mondano, si caratterizza come indagine fenomenologica sul “come” il
reale e l’essere ci appaiono nell’orizzonte umano del mondo storico. In questa
ricerca più che il dualismo a emergere è una volontà di ricomporre e non di
riproporre quei dualismi che la tradizione filosofica ha lasciato in eredità
alla riflessione novecentesca come problemi ineludibili: teoria e prassi,
natura e spirito, ragione e passione, immagine e concetto. Nella prospettiva
grassiana “se si parte dal dualismo di immagine e concetto, è impossibile
trovare successivamente un ponte tra i due [...] ora si tratta di riconoscere
una radice comune dell’attività fantastica, metaforica, e di quella razionale –
una radice che fonda in ultima analisi la realtà dell’individuo”371. La
questione grassiana di delineare uno spazio espressivo per dire l’esperienza
dell’originario, del fondamento – la Lichtung – si concretizza nella ricerca di
un’unità complessa che salvaguarda il senso del reale senza chiuderlo nelle
morse della definizione. Proprio per questo non condividiamo la prospettiva di
coloro che leggono il pensiero di Grassi come un passaggio da una preminenza
del logos a una del pathos e, quindi, riconducibile sotto il segno del
dualismo. La “questione uomo”, intrecciandosi strettamente con quella
dell’essere, non può che collocarsi su uno sfondo fenomenologico in cui le
forme dell’apparire dell’uomo e del mondo sono indagate in una sostanziale
unità, quella del reale372. L’ipotesi che muove queste pagine guarda alla
caratterizzazione !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
rappresenta non solo il punto di svolta nel suo pensiero, ma al tempo stesso si
presenta come il manifesto teoretico del suo progetto filosofico futuro”, S.
Limongelli, Il problema dell’umano nella filosofia di Ernesto Grassi, cit., p.
95. 371 E. Grassi, Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero
occidentale, cit., p. 66. 372 Sottolinea con forza questo aspetto unitario e
non dualistico Rita Messori in Le forme dell’apparire. Estetica, ermeneutica e
umanesimo nel pensiero di Ernesto Grassi, cit. Afferma la studiosa che Grassi
lega “pensiero e passione ! 122! complessa di logos e pathos in
Grassi. Ma prima di trattare di questo argomento è necessario soffermarci sul
tema dell’essere e della manifestatività seguendo le tappe del discorso
grassiano al fine di mostrare come nella teoria ontologica, che fa da sfondo a
quella del logos e del pathos, siano da rintracciare i motivi di una
inconsistenza del presunto dualismo grassiano. III. III. Essere e apparire
Secondo l’interpretazione di Grassi l’essere si converte con l’apparire, con la
manifestatività, e non va identificato, come accade nella prospettiva
oggettivistica, con un dato. L’essere si dà solo e unicamente come processo
della manifestazione e per gradi di evidenza e forme distinte. La necessità di
riformulare la questione dell’essere è avvertita dal pensatore a partire dagli
anni di confronto con Gentile, al quale Grassi fa riferimento già nel saggio La
dialettica dell’amore (1924) in cui traspare una posizione anti-immanentista
che poco dopo sarà soppiantata dall’accoglimento della filosofia di Gentile
coniugata all’esistenzialismo heideggeriano. La dialettica dell’amore insieme
al saggio Il tragico, dell’anno precedente, pongono in luce, da un lato, la
centralità dei temi esistenziali del dolore e del tragico come contrassegni
dell’esistenza umana373 – centralità rifluita nei testi degli ultimi anni come
La metafora inaudita e Il dramma della
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! con un duplice nodo: ciò
che fa essere il pensiero è una fondazione di tipo estetico; ciò che fa essere
l’estetico è il suo fondarsi nel logos. Tra logos e pathos vi è dunque un
rapporto di reciproca appartenenza”, ivi, p. 66. 373 In questo saggio Grassi si
autodefinisce ancora come oppositore dell’immanentismo (E. Grassi, La
dialettica dell’amore, pp. 89-128, in Id., I primi scritti, cit, p. 120) e tale
opposizione viene collocata dal pensatore milanese proprio sul terreno
esistenziale. La questione del dolore in questo periodo ancora
anti-immanentista gioca allora un ruolo importante. Essa attesta da un lato
l’attenzione verso la dimensione concreta dell’esistenza che in Grassi emerge
già in questi anni attraverso le letture di autori quali Unamuno, Ibsen,
Shakespeare, Eschilo, Giobbe, dall’altro un primo confronto con l’immanentismo
avvertito ancora come distante dal proprio orizzonte speculativo. Afferma
Grassi in La dialettica dell’amore: “Il dolore assurge a un’importanza senza
pari, è esso l’anima di tutto il divenire della Realtà in quanto ci permette
questo essere una personalità, ossia coscienti e coscienza, che è l’essenza
della nostra umanità in quanto in ciò si innesta la possibilità della libertà
[...]ora al moderno pensiero immanentista che afferma la realtà, considerata
come processo di coscienza, risolve ogni antinomia ed irrazionalità, noi
dobbiamo chiedere che esso risolva anche il problema del dolore”, ivi, pp.
118-119. Il dolore si pone come nota distintiva dell’orizzonte umano e come
limite per ogni filosofia immanentista attestando una trascendenza che ci
sovrasta e che non può essere risolta nell’autocoscienza come forma pura e
sintesi delle opposizioni. ! 123! metafora – tanto che Grassi
giunge ad affermare che “il dolore è in realtà l’anima di tutta la dialettica
del Reale”374. Dall’altro, sottolineano il legame ancora profondo di Grassi con
il concetto di trascendenza, che andrà dapprima sfumandosi con il saggio del
1924 su Machiavelli per poi essere completamente sostituito nei contributi
successivi dall’emergere della questione dell’immanenza. Il mutamento di
prospettiva consumatosi in questo periodo – caratterizzato dalla presenza delle
idee di Chiocchetti, da un avvicinamento a Croce, da un primo confronto con
l’attualismo, che in questa fase appare, in modo evidente, incapace di risolvere
quelle questioni esistenziali già ricordate e di garantire uno spazio di
operatività del trascendente – è evidente se raffrontiamo due passi grassiani
scritti a distanza di pochi anni l’uno dall’altro. Leggiamo in La dialettica
dell’amore che “se la realtà nella sua immanenza è pura forma, fuori di essa
non esiste più nulla e quindi è tutta, l’unica realtà fuori dello spazio e del
tempo di ogni concetto di limite perché come pensiero attuale, concreto, pone
esso stesso il tempo e lo spazio e il limite, rimanendo esso l’unico
illimitato”375. In polemica con l’idea di un’autocoscienza come pura forma
(interpretata dal filosofo come la più grande scoperta di tutta la filosofia
d’immanenza di Giovanni Gentile) Grassi asserisce poco dopo che “in ogni modo
ci teniamo però a definire e a dichiarare a tutti gli oppositori del sistema
immanentista del reale, e quindi a noi stessi, che questo è proprio il punto di
capitale importanza da discutere e da controbattere, che esso proprio
costituisce lo sbocco e l’affermazione alla quale tutto il pensiero moderno
[...] doveva per interna necessità logica giungere, posta la sua premessa”376.
Qui il pensatore si pone in opposizione all’attualismo gentiliano,
all’immanentismo e alla riduzione della realtà alla forma pura dell’autocoscienza,
sottolineando i limiti di una teoria che risolva il dato empirico-individuale,
come quello del dolore e del tragico, nella trasparenza del pensiero che
dissolve ogni contraddizione. Nel novembre del 1928, appena quattro anni dopo
le affermazioni appena ricordate, egli asserisce in una lettera inviata
all’amico Enrico Castelli Gattinara
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 374Ivi, p. 118. 375!Ivi,
pp. 120.121.! 376 Ibidem. ! 124! di Zubiena che la sua posizione
speculativa va senz’altro ricondotta nell’alveo dell’attualismo italiano
gentiliano coniugato all’ontologia di Heidegger, pur riconoscendo il punto di
partenza cattolico della propria formazione filosofica. Scrive Grassi
all’amico: “Durante le mie peregrinazioni germaniche nell’anno scorso ho
trovato in M. Heidegger uno dei più interessanti pensatori contemporanei [...]
il mio filosofare è partito e parte da un desiderio di ripensare il pensiero
cattolico, ma siccome in campo filosofico non valgono le intenzioni ma solo la
conquista realizzata, non posso dare quello che oggi non ho ancora [...] la mia
posizione attuale è il riconoscimento storico dell’attualismo come la forma più
coerente e matura del pensiero moderno. Attraverso lo studio dei classici spero
di giungere a nuovi orizzonti. Di qui ne consegue che anche il mio lavoro sulla
filosofia tedesca è animato da quel riconoscimento dell’attualismo italiano e
concretamente dall’ontologia immanentistica di Heidegger. Eccoti riassunta la
mia posizione”377. Abbiamo posto l’attenzione su questi due passi per far
emergere un aspetto di non secondaria importanza per una comprensione della
questione onto-antropo-logica in Grassi. Durante gli anni della formazione
giovanile la questione ontologica è contraddistinta dalla compresenza della
componente della trascendenza, della realtà del dolore e del tragico,
dell’ontologia heideggeriana e dell’attualismo gentiliano in cui la questione
dell’essere, della Realtà, dell’apparire nella molteplicità delle forme
distinte si intreccia con la dimensione umana, troppo umana dell’esistenza,
tutta votata all’interpretazione del mondo circostante, all’elaborazione di
categorie ermeneutiche che strutturano lo stesso essere del Da-Sein. Si tratta
degli anni in cui il periodo di studio presso Husserl e Heidegger dà i suoi
frutti: il problema grassiano della coniugazione di immanenza e trascendenza si
incontra con quello fenomenologico (declinato in senso heideggeriano) nel
tentativo di guadagnare un concetto di a-priori non gravato dal teoreticismo.
Sebbene Grassi non si autodefinisca mai come fenomenologo, secondo la nostra
interpretazione dei saggi del primo gruppo su di lui agiscono non solo le
esplicitate fonti heideggeriane
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 377 Cfr., l’epistolario
raccolto da M. Simonetta in Un inquieto scolaro di Gentile: Ernesto Grassi, pp.
287-299, in “Idee”, 28/29, Lecce 1995, pp. 292-293. ! 125! e
gentiliane, ma anche la questione fenomenologica husserliana letta attraverso
la versione eretica heideggeriana378.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 378 Di “eresia
heideggeriana in seno alla galassia fenomenologica” parla Vincenzo Costa in La
fenomenologia, cit., in cui si afferma che “la storia del movimento
fenomenologico è senza dubbio segnata dalla rottura che si venne a creare tra
Husserl e Martin Heidegger all’apparizione di Essere e Tempo”, ivi, p. 264. Nel
corso del semestre estivo Prolegomeni alla storia del concetto di tempo (1925)
Heidegger passa in rassegna quelli che a suo avviso sono i concetti
fondamentali della corrente fenomenologica e che, a suo dire, Husserl non
avrebbe radicalizzato, rimanendo impigliato, nonostante l’intenzionalità, nella
dialettica di soggetto-oggetto. Il filosofo di Messkirch sente, infatti, l’esigenza
di una presa di distanza da quella impostazione husserliana che egli vede come
“lacunosa”. L’intenzionalità è una struttura dei vissuti psichici e non “una
teoria della relazione tra psichico e fisico”, M. Heidegger, Prolegomeni alla
storia del concetto di tempo, § 5-B, P. 44. Il concetto di intenzionalità
indica una relazione tra intentio e intentum, tra l’atto e il contenuto
intenzionale. Tale nozione non indica una relazione intenzionale tra un
soggetto e un oggetto, ma tra una intentio e un intentum, ossia tra un atto che
si dirige verso e un ente nel come del suo essere inteso o intenzionato. Tra
loro, per Heidegger, non c’è iato, né diffrazione. Essi sono distinti ma non
eterogenei dal momento che sorgono da un’unica fonte. L’individuazione di questa
fonte unica e comune di atto noetico e contenuto noematico è il luogo in cui
Husserl e Heidegger separano i loro percorsi. Abbiamo detto, infatti, che
l’intenzionalità indica una relazione della coscienza con qualcosa; la
coscienza è sempre un dirigersi verso... su questo punto Heidegger e il suo
maestro Husserl concordano. Ma qual è la radice dell’intenzionalità? Sappiamo
dalle Idee che per il filosofo di Prossnitz dall’epochè fenomenologica, ossia
dalla riduzione, la coscienza risulta quale residuo fenomenologico, come
possiamo leggere al § 33: “Se il mondo intero, inclusi noi stessi con tutto il
nostro cogitare, viene posto fuori circuito, che cosa può ancora rimanere?
[...] la coscienza in se stessa ha un suo essere proprio che non viene toccato nella
sua propria assoluta essenza dalla fenomenologica messa fuori circuito. Essa
quindi rimane come residuo fenomenologico, come una regione dell’essere per
principio peculiare, che può di fatto diventare il campo di una nuova scienza –
della fenomenologia”, E. Husserl, Idee, § 33, PP. 74-76. Da questo passo emerge
con chiarezza che attraverso l’epochè la coscienza emerge in tutta la sua
intenzionalità fungente, per riprendere un’espressione di Crisi,
un’intenzionalità che rende la soggettività trascendentale un’attività
costitutiva e funzionale. La coscienza indica la condizione di possibilità del
mondo e non un pezzo di esso. Per Husserl, secondo Heidegger, “la coscienza,
l’essere immanente, dato in modo assoluto, è ciò in cui si sostituisce ogni
altro ente possibile, in cui esso è autenticamente ciò che è. Assoluto è
l’essere costitutivo. Ogni altro essere in quanto realtà è soltanto in
relazione alla coscienza, cioè relativo ad essa”, M. Heidegger, Prolegomeni
alla storia del concetto di tempo, cit., § 11 C, P. 131. Heidegger tenta di
riguadagnare il terreno dell’intenzionale tramite un’operazione opposta
all’epochè husserliana e cioè attraverso l’analisi del mondo come dimensione
originaria di ogni possibile intentio e intentum, di ogni loro possibile rapporto.
Il mondo non è un correlato di coscienza e l’intenzionalità mette in luce
proprio questo. La seconda scoperta fondamentale della fenomenologia è
l’intuizione categoriale, interpretata da Heidegger come il radicarsi
dell’intenzionalità nell’essere-nel-mondo. Essa consente di pensare la
categoria come dato, come oggetto in carne e ossa. Si afferma, infatti, al § 6
dei Prolegomeni che “la scoperta dell’intuizione categoriale è la prova, in
primo luogo, che c’è un semplice coglimento del categoriale, di quelle entità
nell’ente che si delineano tradizionalmente come categorie [...] in secondo
luogo è soprattutto la prova che questo cogliere è investito nella percezione
quotidiana in ogni esperienza”, ivi, p. 61. L’intuizione categoriale è
presente, cioè, in ogni percezione concreta; inoltre, quest’ultima non è
sufficiente a mostrare in che modo noi ci rapportiamo agli enti in quanto
“l’ente percepito si mostra sempre soltanto in un determinato adombramento”, p.
62. La percezione non è mai adeguata a conoscere completamente l’ente, il quale
si dà solo parzialmente. In altri termini, l’intuizione categoriale permette di
gettare luce sul dato, attraverso la categoria, in un atto unico che ci
permette di identificare un oggetto. Infatti, le sensazioni non permettono
all’ente di apparire nella sua identità oggettuale, esso si presenta come
oggetto unicamente tramite un’eccedenza, costituita appunto dall’intuizione
categoriale. É possibile istituire un parallelo tra il senso dell’intuizione
categoriale di cui si parla nei Prolegomeni e quello dell’intuizione pura
affrontata in Kant e il problema della metafisica se si pensa al fatto che
l’intuizione categoriale, come quella pura, consentono quel darsi dell’oggetto
che secondo Heidegger è reso possibile dalla sintesi a-priori
dell’immaginazione e che ritroveremo in Grassi nei termini di fantasia e
ingegno come modalità di apprensione del reale. La terza scoperta fondamentale
della fenomenologia è il concetto di a-priori. Rispetto all’impostazione
classica che lega l’a-priori alla sfera del soggetto “la fenomenologia –
avverte Heidegger – ha mostrato che l’a-priori non è limitato alla
soggettività”, ivi, pp. 92-93, ma è un titolo dell’essere. Esso non è solo
qualcosa di “immanente che appartiene primariamente alla sfera del soggetto”,
ibidem, e nemmeno qualcosa di “trascendente, che inerisce specificamente alla
realtà”, ibidem. In quanto tale, l’a-priori “diventa esibibile in se stesso in
una semplice intuizione”, ibidem. Questa esibizione intuitiva dell’a-priori,
ossia l’intuizione categoriale/pura e la connessa intenzionalità mettono in
luce come il vero “trascendens puro e semplice” non sia il soggetto, nè
l’oggetto, ma la relazione stessa, l’intenzionalità che è possibile solo in
quella Lichtung che è il mondo. ! 126! Sarebbe un’operazione
forzata includere in seno alla “galassia fenomenologica”, sia pure nella sua
variante eterodossa, anche Grassi. Tuttavia ci pare doveroso sottolineare, al
di là degli esiti e dei metodi di ricerca certamente differenti, una comunanza
di tematiche e di interessi di innegabile evidenza: i temi della
manifestatività, delle forme e dei gradi dell’apparire, dell’immanenza e
dell’evidenza, della critica all’obiettivismo. Infatti, è in questo periodo
fecondo che si impone il ripensamento del tema della manifestatività nella sua
identità con la questione ontologica. In Il problema del logo si afferma che la
ricerca della manifestatività si identifica con la questione dell’essere:
“L’originario vero non può venire inteso come la svelatezza di un oggetto, ma
solo come quella di un processo; questo processo a sua volta non si rivela che
come un manifestarsi, un distinguere se stesso. Se il processo di distinzione
non fosse il primo, non sarebbe possibile passare dal non manifesto a ciò che è
manifesto [...] il processo deve quindi essere inteso come un
auto-manifestarsi. É importante notare che la nostra ricerca dell’essenza della
svelatezza non ci permette alcuna distinzione tra manifestazione ed essere”379.
In questo passo si profila un’idea di essere come processo e automanifestazione
lontana dall’ontologia oggettivistica che riduce l’essere al dato. Comprendere
l’essere è possibile soltanto se lo si identifica con il processo di
manifestazione. L’originario, il fondamento a cui l’antropogenesi è
indissolubilmente correlata, si presenta non come dato ma come processo, atto
della manifestazione. Ciò comporta un’analisi ontologica che Grassi fa partire
da una messa in discussione del concetto oggettivistico dell’essere in quanto
dato inteso come presenzialità immediata. Se la ricerca del vero della
prospettiva empiristica si fonda su una riduzione dell’essere al dato, allora
questa concezione sottintende un’aporia che Grassi prontamente mette in
evidenza: “l’empirismo rinvia all’immediata presenza quando deve legittimare la
propria verità. Soltanto dobbiamo domandarci se il “fatto” come tale, ci porga
veramente l’immediata presenza: ove ciò non avvenisse, ove l’immediata presenza
non fosse racchiusa nel fatto, quella verità, cui l’empirismo si richiama,
sarebbe proprio per esso irraggiungibile”380.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 379 E. Grassi, Il
problema del logo, in Id., I primi Scritti, cit., p. 376. 380 Ivi, p.
374. ! 127! La contraddittorietà del dato in qualità di immediata
presenza mostra come l’originario non possa mai darsi come un dato – poiché in
questo caso sarebbe qualcosa che è già diventato, realizzato – non indicando
ciò che è diventato e che si è cristallizzato come fatto, oggetto, bensì il
divenire, il manifestarsi, ciò che “sta essendo”. L’immediata presenza a cui
l’empirismo si richiama non può essere un fatto o un dato ma il divenire, il
manifestarsi poiché “il presente, l’attuale, non può mai assumere la forma di
un fatto, di qualcosa che è solo in quanto diventato, finito. Il dato, il fatto
presente, nel senso naturalistico- empiristico è una contraddizione in sé,
perché vorrebbe affermare che qualcosa, che è già diventato, sia attualmente
presente [...] l’essenza della presenzialità immediata – che dovrebbe essere
l’essenza della svelatezza empiristica – non è dunque ciò che è diventato e che
si è cristallizzato come fatto, oggetto, bensì il divenire, il
manifestarsi”381. Dalle tesi grassiane sull’essere emerge la presenza di una
teoria metafisica immanente dell’esistente, del Da-sein come attualità
concreta, che coglie l’essere attraverso una facoltà che è sia logica che
patica. Abbiamo visto che l’essere per Grassi non è più un dato empirico o un
concetto trascendente, ma è fondato nell’esistente come attualità,
autorealizzazione originaria e trascendentale, dove l’hic et nunc, il qui e
l’ora dell’autorealizzazione del Da-Sein, rivela la sua intrinseca storicità.
L’essere indica per Grassi “ciò che sta essendo”, quindi un divenire, un
processo che dice della dynamis insita nell’essere. Si tratta, quindi, di
un’ontologia dinamica e non statica, che comporta anche una riforma del sapere,
del linguaggio e del metodo. Pertanto afferma Grassi che “il metodo per il
conseguimento del sapere non può più essere razionale, fondante, in quanto esso
può essere determinato soltanto sul fondamento della risposta alla domanda su
come e attraverso cosa viene originariamente esperito. Un tale pensiero non può
più essere formale, perché si tratta di questo, di rispondere all’appello
dell’essere che ci riguarda, cioè si tratta della domanda in quale
non-nascondimento (Unverborgenheit), in quale schiarita (Klärung) – (le luci,
le radure (Lichtungen) nel bosco di cui parla G. B. Vico) – l’ente – al quale
l’uomo appartiene – appare certamente”382.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 381 Ivi, p. 375. 382
Id., Il colloquio come evento, tr. it. di R. Messori, La Città del Sole, Napoli
2002, p. 81. ! 128! III. IV. Metodo statico e metodo aporetico Al metodo
statico della tradizione filosofica tradizionale, quello che per Grassi mira
alla definizione del concetto che dice della cosa unicamente il suo essere ente
e non la sua polisemia costitutiva, il filosofo contrappone una via di ricerca,
un metodo aporetico, che pone in luce come la verità non sia la verità di un
oggetto, sia esso empiristico o razionalistico, ma quella di un processo. Su
questo aspetto Grassi si sofferma soprattutto in Il problema della metafisica
platonica del 1932. Le “meditazioni platoniche” grassiane sono dominate dai
temi della verità, dell’essere, della manifestatività e della pluralità delle
forme, che qui trovano una prima esplicazione sistematica correlata anche alla
questione dell’umanesimo. Il tema di Il problema della metafisica platonica è
individuato da Grassi nell’ambito della problematizzazione del concetto di
forma. Il tema dell’eidos è coestensivo a quello della ricerca del ti esti e si
viene configurando secondo il filosofo milanese come risposta da parte di
Platone all’oggettivismo sofistico. La ricerca sulla forma è in generale la
ricerca dei modi della manifestazione del reale come modi di
determinabilità383. Scritto nel 1931, il testo è pubblicato grazie a Benedetto
Croce nel 1932 presso l’editore Laterza ed è dedicato a Heidegger, il filosofo
al quale Grassi si sentirà legato per tutta la sua esistenza e che insieme a
Gentile ha maggiormente influenzato il suo pensiero. In questo testo Grassi
analizza il dialogo platonico Menone in polemica con le interpretazioni
tradizionali che guardano a Platone come il rappresentante di un astratto
razionalismo. Egli si chiede se sia legittima una interpretazione
oggettivistico- razionalistica del pensiero platonico o se, invece, non si
debbano gettare le basi per un discorso su Platone partendo dalla teoria della
reminiscenza ed enucleando il significato teoretico del dialogo. Il filosofo
sostiene che lo scopo di Il problema della metafisica platonica “è di porre
solo in discussione il problema della legittimità della tradizionale interpretazione
della metafisica platonica. Ricorre veramente Platone a un oggettivismo
razionalistico – che egli contrappone a quello empiristico della sofistica –
per fondare quella conoscenza oggettiva e certa, quella metafisica, la cui
possibilità negavano i sofisti? Non è forse lecito avere alcun dubbio riguardo
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 383 Id., l problema
della metafisica platonica, Laterza, Roma-Bari 1932, p. 60. ! 129!
all’affermazione che egli come filosofo, ha cercato di superare
l’obiezione sofistica [...] fondando una teoria del sapere come
reminiscenza?”384. Il pensatore sottolinea l’attenzione di Socrate verso
l’anamnesi385 come tentativo di arginare la carica distruttiva dell’ipotesi
eristica di Menone, per il quale non è possibile indagare né ciò che non si
conosce, né ciò che si conosce, perché nel primo caso non si saprebbe cosa
cercare, mentre nel secondo la ricerca è inutile386, e legge la tesi platonica
attraverso un filtro attualistico-esistenziale. Scrive Grassi che “se il
processo di reminiscenza non ha inizio, la verità non è affatto al di là del
processo di ricerca, ma coincide con esso. Ciò che noi chiamiamo verità, ciò
che si manifesta, è contenuto nel processo dell’atto filosofico, è anzi
quell’atto medesimo”387. La verità non è al di là del percorso di ricerca, ma
si identifica con il suo stesso formarsi, con il processo; inoltre il tema del
vero si incrocia con quello dell’apparire, del manifestarsi mostrando come
entrambi – il vero e l’essere – non siano alcunché di trascendente, ma al
contrario si identifichino con il domandare stesso: il domandare, il ricercare
in cui si alternano in un ritmo incessante certezza e dubbio. L’oggettività del
vero e dell’essere trova il suo fondamento nel comune terreno del dialogo e non
in ciò che è esterno a noi. “Se il determinarsi della realtà si realizza nel
logo, il dia-logo è la concreta forma della manifestazione dell’essere; in
questo caso nel dialogo la
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 384 Ivi, p. 8. 385
“SOCR. Poiché dunque l’anima è immortale ed è rinata più volte, e ha visto
tutte le cose, sia quelle di qui sia quelle dell’Ade, non c’è nulla che non
abbia appreso. Perciò non deve meravigliare che essa, sia sulla virtù sia sulle
altre cose, possa ricordare ciò che conosceva già prima. Dal momento che tutta
quanta la natura è affine e che l’anima ha appreso tutte quante le cose, nulla
impedisce che, ricordandosi di una cosa soltanto – ciò che gli uomini chiamano
appunto apprendimento – riscopra tutte le altre, sempre che si tratti di
qualcuno coraggioso e che non desista dal ricercare. Infatti ricercare e
apprendere sono in generale reminiscenza”, Platone, Menone, a cura di F.
Ferrari, Milano 2016, 81 c 8- d 6, pp. 201-203. 386 “MEN. Ma in quale modo
cercherai, Socrate, ciò che non sai affatto che cosa è? Quale delle cose che
non conosci proporrai come oggetto della ricerca? E nel caso in cui ti
imbattessi veramente in essa, come farai a sapere che è proprio quella che non
conoscevi? SOCR. Capisco che cosa intendi dire, Menone. Bada che stai
richiamando l’argomento eristico in base al quale per l’uomo non è possibile
ricercare né ciò che conosce né ciò che non conosce: infatti non cercherebbe
ciò che conosce – perché lo conosce e non ha bisogno di una simile ricerca – ,
e neppure cercherebbe ciò che non conosce – perché non saprebbe che cosa dovrà
cercare”, ivi, 80 d 5- e 7, pp. 193-195. 387 E. Grassi, Il problema della
metafisica platonica, cit., p. 116. ! 130! contesa, !"*-, diventa
ed è essenzialmente ricerca”388. Vorremmo sottolineare – a sostegno della
nostra ipotesi interpretativa che nega una svolta retorica-patica di un
“secondo Grassi” rispetto ad un “primo Grassi” dominato dal problema del logos
– che già in questo testo del 1932 la problematica retorica appare centrale
come discussione intorno al valore del dia-logo come metodo di ricerca della
verità in opposizione all’arte eristica e sofistica come “forme spurie di
retorica”389. Qui il pensatore mostra di aver fatto proprio il motto platonico
esposto nel Cratilo secondo cui la quintessenza dell’umano riposa nella
ricerca390, come possiamo leggere anche in un saggio del 1932, Il problema
filosofico del ritorno al pensiero antico, nel quale l’essenza di ànthropos,
fatta derivare dall’etimologia del termine, riposa proprio nello sforzo
interpretativo, nella fatica costante del pensare la realtà, il mondo
oggettivo. In tale sforzo, in tale compito, in tale impegno, risiede l’essenza
del neoumanesimo grassiano: “Se con atteggiamento umanistico si intende un
ritorno alle radici della nostra umanità, e se questa non sta in una realtà
storica esteriore ma in noi, allora quel ritorno non può essere fecondo che
portando alla luce la nostra umanità nell’atto filosofico educato allo sforzo
interpretativo”391. Ritornando al tema della funzione del dialogo e della sua
capacità di aprire l’ambito dell’oggettività e della determinazione possiamo
rilevare come in Grassi “la determinatezza dell’oggetto da cui parte una
domanda, non è solo il fondamento della sua oggettività, ma anche il fondamento
dell’oggettività di un dialogo, e quel ti esti è l’unica base di una ricerca
comune !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 388 Ivi, p. 87.
389 Ibidem. 390 “Questo nome, ànthropos, significa che, mentre gli altri
animali sulle cose che vedono non indagano nulla, non congetturano e non
anathrèi (osservano attentamente), l’ànthropos nel momento stesso che vede – e
cioè òpope (ha visto) – anathrèi e ragiona su ciò che òpope. Di qui perciò
all’uomo, unico fra gli animali, è stato dato correttamente nome ànthropos, in
quanto anathròn hà òpope (osserva attentamente ciò che ha visto)”, Platone,
Cratilo, 399 c, tr. it. a cura di F. Aronadio, Laterza, Roma- Bari 1996, p. 43.
391 E. Grassi, Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico, “Rivista
di filosofia”, Milano XXVIII, aprile-giugno 1932, n. 2, pp. 136-154 ora in Id.,
I primi scritti, cit., p. 271. Corsivo nostro. ! 131! positiva”392.
La determinatezza della cosa si fonda allora non nella cosa stessa, ma nella
nostra ricerca che ha origine nell’atto aporetico con il quale ha inizio il
ricercare. “L’aporia come ricerca (.,/,μ&)”393 ha fatto emergere la
co-appartenenza dell’aporia con il tema della visione dell’!*'$-. Secondo il
pensatore milanese il punto di partenza della ricerca è la situazione di dubbio
in cui si trova colui che ricerca e afferma che “se la determinazione si dà
attraverso l’attualità aporetica [...] questa attualità aporetica, è il
fondamento delle determinazioni”394. L’attualità aporetica, il dubbio, è il
fondamento reale della manifestazione, dell’essere ed è l’essenza di ogni
possibilità di discriminazione e comprensione395: qui risiede il valore
metafisico-esistenziale delle teorie platoniche, le quali non vanno
interpretate alla luce di un dualismo che fa capo alla dottrina dei due mondi
ma come metafisica della finitezza396. Viene in primo piano in questo testo
anche la centralità del tema del dialogo che, per Grassi, non gioca solo il
ruolo di una forma espressiva tra le tante possibili, ma va a costituire la
struttura e l’architettura del pensiero platonico che è intrinsecamente
aporetico. Anzi solo come aporia il filosofare dispiega la sua essenza
autentica: il filosofare “è nella sua essenza approfondire, essere capaci di domandare
sempre più radicalmente, il filosofare è essenzialmente una )!%*&, una
fatica, e solo in essa ci si conquista la realtà”397. La fatica del ricercare
non ha solo una connotazione psicologica ma è l’“elemento caratteristico e
veramente intrinseco alla struttura dell’atto speculativo”398.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 392 Id., Il problema
della metafisica platonica, cit., p. 21. 393 Ivi, p. 86. 394!Ivi, p. 71.! 395
Ibidem. 396 “In funzione del chiedere si dà l’essere, la sua manifestazione e
in quanto il chiedere è sempre determinato, quest’essere che appare è sempre
finito, e l’affermazione metafisica che a suo riguardo si può fare, è
l’affermazione metafisica di un essere finito. Con questa finitezza dell’essere
non s’intende di fare né un’affermazione scettica o relativistica, né
un’affermazione che limiti la filosofia. In quanto l’essere – così come esso di
dà – è sempre finito, la metafisica è nella sua essenza, metafisica del
finito”, ivi, p. 72. 397 Ibidem. 398 Ivi, p. 74. ! 132! La
fecondità teoretica dell’aporia platonica nell’iter di pensiero grassiano va di
pari passo con la sua costante critica alla concezione oggettivistica della
filosofia che caratterizza non solo lo scritto platonico del ’32, ma tutti i
contributi che, a partire dagli anni Trenta fino alla metà degli anni Quaranta,
sono improntati alla definizione di un’idea di logos complesso al di fuori dei
cardini dell’obiettivismo tradizionale e più aperto alla dimensione patica. In
un testo tardo, Il colloquio come evento, frutto degli incontri zurighesi a
carattere seminariale avvenuti a partire dal 1977 con colleghi appartenenti a
diversi settori disciplinari, emerge in modo esplicito il senso che la
pluralità delle forme espressive in generale e il dialeghesthai in particolare
riveste per Grassi399. I dialoghi platonici offrono l’occasione di pensare
all’atto linguistico in modo nuovo: nel dialogo si realizza un colloquio. Il
filosofo è mosso dal convincimento che occorre distinguere il dialogo dal
colloquio, al fine di ritrovare il senso autentico di un dialogo non ridotto a
monologo scientifico: “se alla fin fine il dialogo scientifico si radica in un
monologo, emerge la questione circa il luogo in cui trova posto il colloquio.
Quali sono l’essenza e la struttura del colloquio? Noi distinguiamo ora il
dialogo dal colloquio perché abbiamo visto che il dialogo razionale viene
condotto come un monologo, mentre un colloquio presuppone una situazione
storica come punto di partenza e come misura”400. Il concetto di situazione
acquista per il filosofo un significato prioritario poiché rappresenta la forma
originaria in cui l’uomo agisce, pensa e vive; e proprio il legame tra il
dialogo-colloquio e la situazione mette in luce il valore metafisico del
dia-leghestai come de-limitarsi dell’essere all’interno del domandare stesso.
Si tratta di un evento semiotico in cui i dialoganti, attraverso l’Erfahrung
linguistica, esperiscono la possibilità che sorge dal linguaggio in atto di
accedere alla verità, ai recessi dell’essere, attraverso l’esercizio della
parola e del domandare. È l’atto del domandare l’atto di nascita del
filosofare, del tendere continuo al sapere nell’esercizio vivo della domanda.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 399 Cfr., R. Messori, L’affettività
del colloquio, pp. in E. Grassi, Il colloquio come evento, cit., e V. Mathieu,
I temi di Grassi nei “Colloqui Zurighesi”, in AA. VV, Studi in memoria di
Ernesto Grassi, cit., pp. 305-314 e H. Schmale, Lo spirito dei colloqui di
Zurigo, ibidem, pp. 315-323. 400 E. Grassi, Il colloquio come evento, cit., p.
61. Corsivo nostro. ! 133! L’unico metodo per il filosofare nasce
dall’aporia, dall’assenza di certezze e nella insistenza nel ricercare da parte
del dialogante che tenta di arginare l’ambiguità del dire e il dinamismo
intrinseco della realtà e dell’essere nello spazio interumano di costruzione
del senso. Il senso autentico della metafisica immanente di Grassi emerge
proprio nel dia-legesthai, ossia nel “dire attraverso il logos” il divenire
dell’essere, che grazie al logos guadagna paradossalmente una permanenza:
questo è il senso della riflessione sulla metafora che è la modalità logica di
portare ad espressione l’essere del divenire. La metafora, pur non
sostituendosi al concetto, rappresenta lo stile linguistico entro cui e a
partire da cui si dispiega la teoresi. Infatti, Grassi afferma che “la forma
originaria del colloquio nella sua funzione storica è metaforica.”401
L’importanza della tesi di libera docenza del 1932 è emersa in tutti i suoi
aspetti teoretici fondamentali facendo venire in superficie temi centrali in
tutto il cammino di pensiero di Grassi. In questo testo l’essenza della verità
è ricondotta alla struttura del dialogo. Grassi tenta quell’accordo tra
apofansis e poiesis, tra manifestazione e creazione, tra enunciazione della
verità e la condizione che la rende possibile, tra verità e significatività
attraverso l’analisi della questione metodica da cui risulta un’idea di verità
extra-metodica: nel vero siamo già da sempre immersi poiché il vero è il
processo stesso della ricerca. La fecondità teoretica dell’aporia, che non è
una strada sbarrata per il pensiero ma l’unica percorribile, consente a Grassi
anche di pensare all’idea di un rinnovamento linguistico che può esserci solo
se si riconosce l’origine metaforica del linguaggio. La volontà di sottolineare
l’arcaicità della metafora come a priori del linguaggio, fondamento e Grund, fa
emergere come la metafora non sia intesa come tropo – o non solo come tropo,
parola – ma come energheia, atto traspositivo. La riflessione grassiana su
metafora e retorica, come vedremo nell’ultimo capitolo, è guidata proprio da
questa idea di una teoria dell’atto metaforico che agisce come trascendentale
del linguaggio. In Il problema della metafisica platonica il tema della
determinazione del ti esti,
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 401 Ivi, p. 71. !
134! incrociandosi inevitabilmente con quello della ',0(1*-, della
manifestazione della realtà, pone anche il tema della verità e del sapere. Se
il vero non è mai un dato, ma è raggiunto nel processo di ricerca, il sapere ad
esso adeguato non sarà un sapere concettuale che fossilizza e rende statico
ogni elemento della ricerca, ma un sapere noetico che, per Grassi, è arcaico e
indicativo. Qui risiede il valore semantico dell’ontologia fenomenologica di
Grassi che gravita intorno al concetto di nous, sinonimo di ingegno e di
fantasia. Il nous ha l’aspetto di una “intelligenza senziente” o di una
sensazione intelligente per dirla con Zubiri, il quale, insieme a Grassi e
Ortega, è uno degli allievi “latini” di Heidegger, come ricorda Grassi in La
filosofia dell’umanesimo: un problema epocale402. L’essere si presenta
originariamente non nella forma di essenza concettuale ma come atto, in
un’attualità che sta prima di ogni riflessione teoretica. L’essere come oggetto
di ulteriori atti di riflessione è, infatti, dipendente dall’attualità del
Da-Sein in cui l’essere si dà, si determina. La determinazione ante-predicativa
è resa possibile solo perché l’essere in qualche modo ci è già manifesto prima
di ogni possibile rapporto di predicazione. Tale pre-intelligenza dell’essere è
da intendersi come il logos originario che dice non il factum – l’essere
ridotto al datum – ma il fieri – il processo di manifestazione. In questo
discorso si inserisce anche il tema del nulla. III. V. La funzione metafisica
di nulla e angoscia Grassi, in Il problema del logo, sostiene che “se la
svelatezza dell’essere si chiude in un processo, allora esso [...] deve
contenere in sé il nulla e l’essere, giacché ogni processo, ed anzitutto quello
metafisico, realizza sempre un passaggio dal nulla all’essere. Ne deriva che a
loro volta i concetti del nulla e dell’essere determinano il nostro concetto di
processo”403. L’importanza della questione del nulla come co-fattore, insieme
all’essere, nella !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 402
Id., La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 31. 403 Id., Il
problema del logo, cit., p. 377. ! 135! determinazione del divenire
è centrale nella definizione di un’idea di logos capace di dire il processo di
manifestazione. Se ciò che si manifesta si identifica con l’essere, e se la
manifestazione va intesa come uno scindersi e distinguersi di sé, “come deve
essere inteso questo processo? Scindere, distinguere, portare ad unità, sono i
vari termini con cui traduciamo 0!#!*%, logo”404. La centralità del logos,
quale modalità in cui l’essere accade in quanto processo, potrebbe essere
confusa con un’ennesima concessione alla logica tradizionale. Tuttavia Grassi
distingue un significato inautentico di logos da uno autentico come modalità di
svelamento dell’essere. “Il logo come oggetto della logica tradizionale è il
logo in quanto pensato, oggettivato. Il logo non viene da essa studiato come un
atto concreto, come un auto-distinguersi realizzantesi, bensì come verità di
giudizio [...] in quanto il manifestare logico, come verità di giudizio, si
fonda in una verità più originaria, sorge la necessità e la legittimità di
distinguere due differenti concetti del manifestare: la verità del giudizio
(come verità logica nel senso tradizionale) e la svelatezza originaria degli
enti”405. É precisamente in questa direzione che il filosofo conduce la propria
ricerca, collimante con la filosofia italiana a lui coeva e il pensiero
heideggeriano, con l’intento di guadagnare un concetto di logica al di fuori
dell’orizzonte obiettivante che riduce l’essere al dato, all’ob-jectum senza
riguardo verso il processo di manifestazione, verso quel divenire che è
passaggio dall’essere al nulla. Un logos adeguato all’espressione del divenire
è un logos che riesce a pensare il nulla senza oggettivarlo, quindi senza
cadere in contraddizione. La tradizione filosofica pensa il logos come 0$#$-
/*%$-, dove il /*%$- è un $% rispetto a cui il logos è adaequatio. Il problema
è quello di guadagnare un “nuovo significato di logo, libero da ogni dialettica
formale”406 che riesca a relazionarsi al nulla e a farlo oggetto di domanda e
di esperienza. Si chiede Grassi: “in che rapporto stanno il Nulla e l’Essere?
L’Essere sorge dal nulla? Ma in che modo è il nulla? Si può dire senza
contraddizione che il Nulla sia?”407.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 404 Ibidem. 405 Ivi, p. 378.
406 Ivi, p. 379. 407 Ivi, p. 380. ! 136! L’importanza del nihil
all’interno dell’indagine ontologica è direttamente conseguente
all’assimilazione del processo di manifestazione all’auto-distinzione, dove lo
svelamento contiene in sé già l’essere e il nulla, la possibilità di mostrarsi
ed occultarsi, come quella dell’errore e della verità. Ora se la logica
tradizionale rifiuta ogni tipo di trattazione scientifica del nulla per i
motivi già espressi dobbiamo cercare un altro modo in cui il nulla si manifesta.
Una simile ricerca consente anche di porre la questione dell’essere al di fuori
del circuito oggettivistico – sia esso empiristico o razionalistico – e secondo
Grassi in questo tentativo di ripensamento di una via di accesso al nulla
giunge in aiuto la proposta heideggeriana della priorità della Stimmung
dell’angoscia/ansia408, che viene ad incontrarsi con quella attualistica del
logo come atto. Si chiede Grassi: “esiste dunque il nulla, e qual è il suo
rapporto con l’essere? L’angoscia che ci rivela il nulla è il presupposto
dell’atto logico?”409. Sorge il tema della funzione metafisica dell’angoscia
che sollecita un approfondimento del rapporto tra angoscia, logos e
manifestatività, ossia della correlazione problematica e non dualistica di
logos e pathos. L’essere originario, dunque, se non è un dato, un oggetto
trascendente, ma un divenire, un processo, esso comprenderà al suo interno
anche la questione del nulla. Il nulla non è ma esiste e il suo urgere per
Grassi si rivela nell’angoscia esistenziale costitutiva dell’uomo: “il nulla
sorge [...] esclusivamente nell’esistente come il vanificarsi dell’esistente
medesimo nella sua totalità. Questo vanificarsi della realtà nello stato
dell’angoscia esistenziale manifesta pure per la prima volta l’esistente come
un completamente altro da esso e come tale lascerebbe sorgere di fronte a noi
la realtà dell’essere come essere nella sua originaria alterità e possibilità
di determinazione”410. Il nulla come vanificarsi dell’esistente appare nel
sentimento dell’angoscia in cui l’essere si manifesta nella sua assoluta
alterità, nella sua convertibilità con il nulla. L’angoscia è il fenomeno
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 408 I termini angoscia e
ansia sono usati indistintamente da Grassi, tuttavia egli usa il termine ansia
in riferimento all’Angst heideggeriana solo nel saggio del 1929 Il problema
della metafisica immanente di M. Heidegger, cit., p. 220, in Id., I primi
scritti, cit., pp. 203-228. Nei saggi successivi il termine ansia viene sostituito
da angoscia. 409 Ivi, p. 385. 410 Id., Il problema del nulla nella filosofia di
M. Heidegger, cit., pp. 328-329. ! 137! stesso del fondamento, è la
modalità in cui il processo di manifestazione dell’essere nella sua differenza
accade: “l’angoscia quindi in cui il nulla si mostra come il vanificarsi della
totalità dell’esistente, è la fonte della possibilità di pensare [...] è allora
proprio che l’esistente si manifesta e può diventare oggetto di domanda nella
sua totalità”411. Il nulla che appare nell’angoscia nella sua convertibilità
con l’essere, e che connota l’intero atto di manifestazione e auto-distinzione
dell’originario, è la condizione trascendentale del logos. Il logos è il modo
umano del darsi della co-estensione e coappartenenza di essere e nulla.
Quest’ultimo non va quindi inteso nel suo valore logico di negazione ma nel suo
valore di annientamento dell’esistente e di pura possibilità. Solo attraverso
il nulla l’essere appare come realizzazione delle pure possibilità umane e
quindi come compito, sforzo e atto, concetti, questi, davvero fondamentali
nella filosofia di Grassi che mostrano, da un lato, la presenza di una
componente etica del sui pensiero nel senso generale di ethos come
“orientamento della vita al telos”, dall’altro il radicamento di tale
orientamento nella struttura temporale della coscienza umanistica, che, come
vedremo, è caratterizzata da una componente cairologica che fa convergere tutta
l’attenzione verso il kairòs, il “tempo opportuno”, e quindi verso la scelta,
la decisione. In Grassi più che agire una temporalità contrassegnata
dall’eschaton di heideggeriana memoria è presente l’attenzione verso il kairòs,
il “tempo opportuno” che va a strutturare la nostra relazione con il mondo
circostante. Come abbiamo tentato di dire in queste pagine il reale, l’essere,
il suo apparire si manifestano nel perimetro antropico in molteplici modi,
tutti interrelati, in cui una delle molteplici forme dell’apparire non può
essere dedotta da un a priori logico. A giudizio del filosofo alla logica del
pensato non può spettare l’ultima parola sulla vita e un’intelligenza
ante-predicativa, pre-teoretica del reale è possibile solo se si getta luce su
un’esperienza originaria del reale, dell’essere, di cui la logica è solo una
forma di apparire derivata e secondaria. Come si relazionano il logos e il
pathos in questo orizzonte di ricerca?
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 411 Ivi, p. 329. !
138! III. VI. Logos et pathos convertuntur Grassi distingue un doppio
significato per entrambi i concetti: uno autentico e uno inautentico. Da una
parte abbiamo il logos inautentico, quello della logica astratta, del
razionalismo deduttivistico, dell’a priorismo gnoseologico e il pathos
inautentico, quello ridotto a fenomeno psicologico e privato, a esperienza
chiusa nella singolarità. Dall’altra ci sono il logos autentico proprio del
pensiero pensante e concreto, che sperimenta la manifestatività dell’essere
nell’autodistinzione, e il pathos autentico che va inteso in senso metafisico.
L’angoscia costituisce appunto questo pathos autentico. Per Grassi il pathos è
sempre già connotato ontologicamente e non si riduce all’affectio o
all’emozione. Solo ed unicamente sul suo fondamento facciamo esperienza della
nostra apertura mondana, della Lichtung e dell’evento della differenza
ontologica: secondo il filosofo nel pathos “l’inaudito appare sul palcoscenico
della storia”412. Esso è “passione abissale”413 in cui accade il fenomeno
dell’essere e allo stesso tempo il suo sottrarsi: il pathos metafisico indica
il nostro lasciarci afferrare dalla realtà, dall’essere che si impone e contro
cui urtiamo senza possibilità di sottrarci al suo appello. Nell’esperienza
patica l’uomo si trova di fronte al proprio disancoramento e alla propria
angoscia in cui “questo vanificarsi della realtà nello stato dell’angoscia
esistenziale manifesta pure per la prima volta l’esistente come un
completamente altro da esso e come tale lascerebbe sorgere di fronte a noi la
realtà dell’essere come essere nella sua originaria alterità e possibilità di
determinazione. L’angoscia quindi in cui il nulla si mostra come vanificarsi
della totalità dell’esistente è la fonte della possibilità di pensare (come
pensare l’essere) e di filosofare e in esso sorge la possibilità di trascendere
l’esistente nella sua totalità rendendolo possibile termine di domanda”414. Nel
pathos dell’angoscia noi esperiamo l’assenza di mondo e la possibilità allo
stesso tempo di implementare ordini di realtà, progettazioni e creazioni, per
arginare l’“assenza di mondo” in cui l’uomo è gettato proprio perché privo di
orientamenti precostituiti. L’esperienza della dismondanizzazione e di assenza
di mondo, su cui ci soffermeremo a breve, sono il regno dell’Aperto
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 412 Id., La metafora
inaudita, cit., p. 92. 413 Ivi, p. 40. 414 Id., Il problema del nulla nella
filosofia di M. Heidegger, in Id., I primi scritti, cit., p. 329. !
139! in cui è assente ogni direzione, ogni coordinata, ogni orientamento.
Il filosofo asserisce che “in quest’esperienza siamo di fronte all’Offenheit, a
quella apertura che, non essendo la nostra dimensione, ci paralizza [...] qui
gli oggetti diventano trasparenti, quasi fluorescenti, tu non ti puoi più
aggrappare a loro, non puoi più tenerli in mano per costruire con loro un
mondo, e comincia la sensazione del precipizio”415. A caratterizzare
maggiormente l’esperienza patica è quindi la sua componente metafisica e non
psicologica: nel pathos facciamo esperienza dell’originario. La passione ha
anche un significato arcaico nel senso di fondativo: “si è costretti a
riconoscere che la passione agisce come archè, potenza elenchica, che ci espone
perché non possiamo liberarci da essa, incombe come destino e nella sua luce fa
apparire il significato di ogni ente”416. Essa consente di prendere coscienza
dell’eventualità dell’essere, dell’apertura dei mondi, dell’aletheia come
schiudersi, aprirsi e darsi della concreta situazione storica: in questo
contesto ontologico si installa la visione antropologica di Grassi.
L’esperienza dell’oggettivo, dell’essere ai cui appelli dobbiamo corrispondere
rende possibile la costruzione del secondo livello di oggettività, quella
dell’umano. Il corrispondentismo, che permea quell’ambito gnoseologico messo da
parte dal filosofo, viene recuperato sul piano ontologico: l’adeguazione
dell’oggettività dell’essere, dell’originario, il nostro corrispondere
all’evento va di pari passo con l’antropogenesi. Solo grazie a ciò l’uomo
diventa uomo e l’Umwelt diviene Welt attraverso le pratiche di umanizzazione
della natura. A parere del filosofo “noi ci troviamo di fronte al compito di un
ordinamento solo perché circondati e sommersi in un mare di fenomeni nei quali
dobbiamo riconoscere di non saperci orientare: esperimentiamo l’angoscia
primordiale dell’assenza di mondo. Questa esperienza della negatività, della
mancanza di mondo è il primo ed originario aspetto della necessità della
trascendenza, in funzione alla quale solo incontriamo un materiale per la
formazione del nostro mondo”417. Sulla base di quanto detto è emersa una
prospettiva che lega indissolubilmente la tematica dell’essere e quella del
nulla alla Stimmung dell’angoscia generando una rinnovata idea di logos. Se
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 415 Id., Assenza di
mondo, cit., p. 226. 416 Id., Il dramma della metafora, cit., p. 131. 417 Id.,
Mito e arte, cit., p. 147. I corsivi sono nostri. ! 140! il reale è
processo di manifestazione, divenire e passaggio dall’essere al nulla, allora
il logos capace di dire questo processo, questo apparire, questa
manifestatività autodistinta, non può essere il logos logico inteso in senso
tradizionale. Occorre ripensare il logos al di là dei cardini di un
riduzionismo logico, tenendo conto della co-originarietà delle forme del
manifestarsi del reale. La funzione del logos in Grassi ha destato non pochi
problemi per gli interpreti, come abbiamo visto. Se nei saggi giovanili come Il
problema del logo del 1936 il logos è considerato nella sua preminenza rispetto
alla Stimmung, nei saggi successivi come Il reale come passione e L’inizio del
pensiero moderno abbiamo un capovolgimento di questa posizione soprattutto
sulla scorta dell’analisi del dubbio. Di seguito riporto le affermazioni che
possono aver suscitato l’idea di dualismo. In Il problema del logo il filosofo
afferma che “la Stimmung, il sentimento, si fonda dunque nella trascendenza,
nella differenza ontologica. Il sentimento non è un momento alogico o
prelogico, bensì un particolare modo del legein”418. Da questo passo pare
emergere la riconduzione della questione del patico all’interno dell’orizzonte
logico: il pathos viene visto quale modalità del logos. Qualche anno dopo
Grassi sembra cadere in contraddizione affermando l’esatto opposto di quanto asserito
in Il problema del logo. In L’inizio del pensiero moderno si sostiene che “nel
dubbio qualcosa è per noi originariamente non indifferente [...] in questo
orientamento del filosofare, il pensiero viene riconosciuto nella sua essenza
come una passione, nel senso metafisico del termine [...] qui si mostra appunto
il carattere patetico e passionale del pensiero”419. La difficoltà per
l’interprete sorge allorché si tenta una conciliazione delle tesi appena citate
e apparentemente contrapposte: una vede nel pathos una modalità del logos,
un’altra rintraccia nel logos un carattere passionale. È possibile uscire
dall’impasse? È nel pathos o nel logos che facciamo esperienza dell’originario?
La complessità di una loro possibile connessione viene esplicitata e avvertita
dallo stesso Grassi che già in Il problema del logo si chiede: “possiamo dire
che il logo sia !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 418 Id.,
Il problema del logo, in Id., I Primi scritti, cit., p. 403. I corsivi sono
nostri. 419 Id., L’inizio del pensiero moderno, in Id., I primi scritti, cit.,
p. 824. I corsivi sono nostri. ! 141! effettivamente il Primo, la
Ragione e il fondamento di ogni manifestazione, oppure presuppone esso un
momento pre-logico? Questo è il problema contro il quale urtiamo
definitivamente”420. Infatti egli interpreta il logos come legein, cioè come
atto del portare a manifestazione sia l’essere che il nulla. Solo sulla base di
questa manifestatività originaria, di questa svelatezza originaria degli enti (aletheia
) si può porre il tema della verità logica tradizionalmente intesa come
connessione di soggetto e predicato. Il pensatore riconosce nella svelatezza
originaria l’essenza della propria ricerca filosofica ed è mosso dal
convincimento che ogni vero logico, il vero del giudizio che si esprime
sull’on, sia già sempre radicato in un vero più originario: quello appunto
della svelatezza o manifestatività. Per Grassi “la logica tradizionale vorrebbe
essere proprio una logica dell’identico in senso oggettivistico, in quanto
l’essenza del logo non sta nel legein – cioè nel processo di distinzione (e
così nel divenire, nell’essere e non essere) – bensì nell’identità dell’oggetto
razionale od empirico. Ma questa identità non viene affatto raggiunta, né può
venir dimostrata. Se quindi questo originario legein va concepito come un
manifestarsi, e se questo nuovo concetto del logo, come logica del pensare, va
contrapposta alla logica del pensato, allora non dobbiamo concepire questa
logica come una logica della non identità, bensì come una logica che raggiunge
un nuovo ed approfondito concetto dell’identità”421. La questione di primaria
importanza non è concepire il logos, l’atto di intellezione, come totalmente
altro dal pathos, il sentire. É appunto questa l’accusa che Grassi rivolge a
gran parte della filosofia occidentale: la considerazione di logos e pathos, di
intellezione e sentire, come atti di due facoltà, decreta inevitabilmente la
superiorità dell’intelligenza rispetto al sentire, che per quanto sia il primo modo
di apprendere il reale è votato all’inautenticità. Grassi ha in mente piuttosto
un’intellezione senziente o un’apprensione intelligente del reale che però non
troverà mai una formalizzazione teoreticamente compiuta nel suo pensiero,
restando sullo sfondo della sua rivalutazione dell’umanesimo interpretato
all’insegna del concetto di Lichtung.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 420 Id., Il problema del
logo, in Id., I primi scritti, cit., p. 377. 421 Ivi, p. 378. !
142! Si chiede Grassi in Vom Vorrang des Logos (1939): “questa tonalità
affettiva (Stimmung) deve essere dunque intesa come momento determinante del
processo che abbiamo riconosciuto come fondamento della svelatezza
(Unverborgenheit)?”422 La questione è comprendere se la passione possa essere
considerata come esperienza dell’originario, nelle sue molteplici forme. Il
tema della Stimmung in Grassi più che intrecciarsi alla Befindlichkeit – al
sentirsi situati – si coniuga con la metafisica del leghein come risulta
evidente dal testo del ’39 nel contesto dell’analisi della disposizione d’animo
e della differenza ontologica heideggeriane423. Qui Grassi individua la
possibilità di una corretta interpretazione del pensiero di Heidegger solo
nell’operazione di collegamento del concetto di Stimmung all’atto processuale
del leghein. Si tratta di un aspetto di non secondaria importanza poiché mette
in luce come in Grassi la questione della Stimmung non abbia una connotazione
psicologico-individuale ma un carattere ontologico-metafisico. Leggiamo in Vom
Vorrang des Logos che “con tonalità affettiva (Stimmung) non va inteso qualcosa
che precede il processo originario della svelatezza e nemmeno qualcosa che
presuppone il processo e si differenzia da esso; non è nulla di immediato ma bensì
appartenente originariamente al fondamento della svelatezza come processo. Se
la svelatezza è processuale allora, come affermato in precedenza, lo è per
mezzo di un divenire, di un essere, di un non- essere, e dunque ad essa
appartiene insieme alla trascendenza e la tonalità affettiva anche il
perché”424. La co-appartenenza di Transzendenz, Stimmung e Warum rende palese
come il discorso sulla Stimmung travalichi il confine psicologico e si installi
direttamente sul terreno dell’ontologia e della !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
422 “Muss nun diese ursprüngliche Stimmung also in wesentliches Moment des
Prozesses, den wir als Grund der Unverborgenheit erkannt haben, aufgefasst
werden?”, Id., Vom Vorrang des Logos, Beck, Munchen 1939, p. 52. La traduzione
è nostra. 423 Cfr., R. Messori, Le forme dell’apparire, cit., pp. 66-67. 424
“Damit bedeutet die Stimmung nicht etwas, das dem ursprünglichen Prozess der
Unverborenheit vorhergeht, und auch nicht etwas, das den Prozess bedingt, und
von ihm unterscheiden ist; es ist nichts Unmittelbares, sondern zum Grund der
Unverborgenheit als Prozess ursprünglich gehörend. Wenn die Unverborgenheit
prozesshaft geschieht, so ist die – wie früher schon gesagt – auf Grund eines
Werdens, eines Seins und Nichtseins, und so gehört ihr wesenhaft, mit
Transzendenz und Stimmung das Warum an, dritte Weise, in der der Grund der
Unverborgenheit – wie Heidegger sagt – gestreut ist”, E. Grassi, Vom Vorrang
des Logos, cit., pp. 57-58. Traduzione nostra. ! 143! manifestatività.
L’analisi della Stimmung pone in luce l’azione delle riflessioni heideggeriane
di Von Wesen des Grundes più che quella di Sein und Zeit, mostrando una netta
differenza di interpretazione rispetto a quella seguita dagli studiosi della
analitica del Dasein degli anni ‘40425. L’articolazione del nesso logos-pathos
trova una prima via d’uscita nella riflessione sulla fantasia, reciprocabile
con l’intuizione e con l’intelletto, in quanto “facoltà di darsi le vedute” e
forma di organizzazione a priori dell’esperibile: essa mette insieme il logos e
il pathos. La questione della correlazione di pathos e logos comporta per
Grassi anche un ripensamento dell’identità (un’identità
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 425 Ha sottolineato acutamente
questo aspetto Messori in Le forme dell’apparire, cit. (p. 86 nota 20) ponendo
un parallelo tra le interpretazioni di Grassi e di Henry Maldiney circa la
questione della Stimmung come momento patico a-priori del pensiero, e
sottolineando anche la distanza tra le teorie di Grassi e quella di Bollnow e
Biswanger che negli anni Quaranta si confrontano in modo critico rispetto al
tema della Stimmung heideggeriana. Circa il tema della distanza di vedute tra
Bollnow e Grassi occorre mettere in evidenza come Bollnow in Das Wesen der
Stimmungen del 1941 pone la ricerca antropologica sotto il segno della critica
al concetto di fondamento heideggeriano, insistendo sull’infondatezza del
dualismo autentico-inautentico insito, secondo Heidegger, nella dimensione della
quotidianità. Nonostante la messa a distanza del tema ontologico nella
“antropologia pedagogica ermeneutica” di Bollnow è riscontrabile un punto di
contatto, su cui Messori non si è soffermata, ossia il comune riferimento, di
Bollnow e Grassi, alla storicità come fondamento di ogni antropologia
filosofica che guarda all’umano come continua produzione di forme. Nel filosofo
tedesco ritroviamo “l’idea che la storicità della vita significa creatività,
produzione di forme che portano a espressione la vita in manifestazioni
specifiche” – (S. Giammusso, La forma aperta. L’ermeneutica della vita
nell’opera di O. F. Bollnow, Franco Angeli, Milano 2008, p. 93) – che converge
con l’impostazione generale del pensiero di Grassi che punta ad un rinnovamento
del problema antropologico seguendo il filo conduttore delle espressioni
storiche del fondamento – le Lichtungen. Altro punto di sinergia teorica di
entrambi è il tema pedagogico umanistico. In Bollnow la pedagogia, influenzata
dallo storicismo diltheyano e dal contesto generale della Lebensphilosophie,
“non muove da principi astratti [...] ma considera ipoteticamente i fenomeni
della sfera educativa come parti dotate di senso in una connessione più
generale e rintraccia tale senso nella originaria relazione attraverso cui
l’uomo come produttore della cultura esprime se tesso” (ivi, p. 137). Bollnow,
in Die Macht des Worts, afferma che la questione antropologica è connessa al
potere formativo della parola e “la questione circa l’essenza del linguaggio
diventa in una maniera fondamentale la questione circa l’essenza dell’uomo in
generale”, O. F. Bollnow, Die Macht des Worts. Sprachphilosophische
Überlegungen aus pädagogischer Perspektive, Essen, Neue Deutsche Schule
Verlaggesellschaft, 1964 (terza edizione 1971), p. 16, citato in S. Giammusso,
op., cit., p. 154. Anche in Grassi il tema pedagogico è correlato alla
questione della via di accesso alla “totalità umana” e alla individuazione
dell’essenza del neoumanesimo e, ancora, al tema filosofico dell’amicizia che
permea sia il sapere sia il linguaggio. Grassi, nella prefazione alla
traduzione tedesca del Discorso di Pericle di Tucidide ad opera di G. P.
Landmann, sostiene che “questa forza dell’amicizia è confluita nelle parole, da
cui siamo legati, filologia e filosofia. L’amicizia sospende il rapporto tra
maestro e allievo, fa del maestro un discente anch’egli e libera l’allievo
dall’asservita ristrettezza dell’epigono, del seguace. Così, la corrente che
tutti ci trascina si mantiene ininterrotta, e nessuno sa più dove nello scambio
abbiano inizio i pensieri, dove essi nella continua riproduzione abbiano fine.
Questo accadere autentico, questo modo del discorrere e del pensare che riesce
a penetrare ogni isolamento, la dia-lettica – il venire a svelatezza attraverso
il logos, attraverso la parola –, tutto ciò Platone l’ha scoperto nel nobile
sentimento dell’amicizia [...] questo concetto non relativo e non soggettivo
dell’amicizia si lega a quello della tradizione e dell’impegno”, E. Grassi,
Prefazione a Die Totenrede des Perikles di Tucidide, pp. 975-983, in Id., I
primi Scritti, cit., p. 977. Grassi enuncia in poche battute un’idea di
pedagogia legata ai temi della fiducia (Vertrauen), del reciproco affidarsi
(Anvertrauen) e del dialogo che mostrano molte affinità tematiche – pur nella
diversità degli approcci – con Bollnow, più numerose delle pur evidenti
differenze sottolineate da Messori. ! 144! che contenga in sé
l’elemento della differenza e della non-identità) e una ricerca sulla
costitutiva co- appartenenza di essere e nulla nel processo di manifestatività.
Secondo la prospettiva tradizionale: “il nulla non può diventare oggetto del
pensiero, perché il nulla esclude in sé una interpretazione oggettivistica. Un
oggetto che non è, è una contraddizione”426. Invece per il filosofo occorre
aprire un varco nell’esperienza del nulla al di fuori delle coordinate
oggettivanti del pensiero proprio perchè il nulla ci pone di fronte
all’impossibilità di renderlo ob- jectum. C’è un’altra modalità di accesso al
nulla: la sua esperienza attraverso l’angoscia. Così come lo Heidegger di Che
cos’è metafisica anche Grassi crede che “il nulla non si rivela dunque come un
oggetto, come un pensato, bensì come ciò che si manifesta in un fondamentale
stato d’animo (Grundstimmung) che incalzandoci ci toglie ogni punto
d’appoggio”427. Da quanto detto in precedenza è possibile comprendere come il
filosofo già a partire dal saggio Il problema del logo ponga in questione, con
la discussione sul nulla e sull’angoscia, la priorità del logos. Egli si chiede
se a partire dall’esperienza dell’angoscia sia ancora possibile mantenere la
priorità dell’atto logico: “esiste dunque il nulla e qual è il suo rapporto con
l’essere? L’angoscia che ci rivela il nulla è il presupposto dell’atto logico?
In che modo l’atto logico sarebbe condizionato dall’angoscia, tanto che
l’originarietà del logos sarebbe infranta? Se il nulla è, e non come un
oggetto, ma come una realtà che ci si manifesta nell’angoscia sorge il problema
dell’angoscia, della sua funzione metafisica [...] è dunque nell’angoscia che
si radica la possibilità di manifestazione degli enti e noi stessi li
trascendiamo in quanto fin dall’inizio siamo sospesi nel nulla”428. Il legame
tra angoscia, nulla e manifestazione dell’essere mette in crisi quella che in
un primo momento sembrava essere una posizione apparentemente dualistica: il
dualismo è solo apparente se guardiamo all’idea grassiana di logos che si
distingue da quello della logica obiettivante tradizionale. Nel leghein per
Grassi accade quella scissione, quell’auto-distinzione della manifestatività,
che consente di pensare la coappartenenza di logos e pathos.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 426 E. Grassi, Il
problema del logo, cit., p. 382. 427 Ivi, p. 383. 428 Ivi, pp. 383-384. !
145! Un ulteriore chiarimento riguardo il presunto dualismo logos-pathos
o Kehre tra un primo e un secondo Grassi ci giunge dalle analisi grassiane di
Cartesio. Nel saggio L’inizio del pensiero moderno Grassi porta avanti le sue
analisi delle “meditaizoni cartesiane” incominciate in Dell’apparire e
dell’essere del 1933, constatando come l’importanza di Cartesio vada
rintracciata nella fecondità dell’idea di dubbio. Solo attraverso l’analisi del
dubbio è possibile guardare al cogito cartesiano come ad una realtà complessa
che va identificata come atto, attività del cogitare. In quanto atto il cogito
è il luogo in cui la manifestatività, l’apparire e l’essere, che in Grassi sono
sinonimi come abbiamo visto, si dànno: “il cogito è l’unico primo ed originario
essere che incontriamo e fondandosi sul quale solo si può ricostruire e
ricavare tutta la ricchezza dell’esistenza. La metafisica di Cartesio appare in
tutta la sua decisiva importanza quando si tenga presente che cosa egli
concretamente intenda con cogitare. Pensiero, cogito, come tutti sappiamo, non
è per lui solo atto di distinzione logica, ma è ogni atto e modificazione del
soggetto, di cui l’attività logica non è che un momento [...] l’atto del cogito
– come originaria unità, monade – contiene in sé già tutto”429. Appare qui
evidente la funzione ontologica del dubbio come “apertura esistenziale” della
questione della manifestatività. La suprema attività del cogitare, il cogito in
quanto atto, non è altro che il dubbio, il dubitare che nel momento in cui
dubita, in cui attua l’attività del dubitare, porta in superficie “l’urgenza
che in esso si annuncia e che lo rende possibile”430. Nell’atto del dubitare si
compie un’urgenza: quella del reale che non ci è indifferente ma che ci
affetta, ci riguarda e nel quale siamo da sempre immersi e compromessi in
quanto esseri gettati nel mondo e “di conseguenza anche il cogito, quando si
intenda con esso il compiersi di un dubitare, è espressione di un’urgenza
originaria, che si mostra così come il vero fondamento del sapere”431. Pertanto
il pensare (logos) si rivela nella sua identità costitutiva con il patire
(pathos) in quanto forme di espressione dell’originario nella sua urgenza e
nella costrittività dei suoi appelli. Per il filosofo italiano “il pensiero è
una forma di esperienza dell’originario, e non si può pensare ogni volta
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 429 Id., Dell’apparire e
dell’essere, cit., pp. 289-290. 430 Id., L’inizio del pensiero moderno, in Id.,
I primi scritti, cit., p. 818. 431 Ibidem. ! 146! che lo si
desidera o lo si vuole. Perché l’originario, sempre e in ogni forma, si mostra
a noi solo al modo di una urgenza”432. Il soggiacere a tale costrizione e
urgenza rende il logos convertibile con il pathos quali modalità di apprensione
dell’originario. Se “solo questa costrizione, questa urgenza è l’evidenza
dell’originario”433 allora noi ci troviamo in una situazione di pura passività
rispetto al reale? In che modo è possibile coniugare questo essere soggetti a
con il concetto di atto? L’atto, come abbiamo visto, cerca di rendere conto del
rapporto dinamico tra piano ontologico e piano ontico, i quali rifluiscono
continuamente l’uno nell’altro. A tale dinamica processuale prende parte anche
la tonalità affettiva che appare come il luogo in cui accade la manifestazione
dell’essere nella molteplicità delle sue forme. La Stimmung che consente
l’esperienza dell’originario si rivela una Leidenschaft. Un altro termine con
cui Grassi si riferisce alla passione è, infatti, Leidenschaft, di cui è
importante sottolineare il leiden, il patire nel senso di soffrire e penare.
Usando tale traduzione l’accento è tutto posto sulla dimensione della
gettatezza e passività originaria che contraddistinguono il Dasein, l’uomo che
è tale nella misura in cui si riconosce esposto all’apertura dell’essere,
all’assenza di codici interpretativi precostituiti e innati e pertanto
intimamente legato alla ricerca di chiavi di lettura del reale possibili e mai
date. La Leidenschaft è quindi l’essere-affetti dal reale, che ci afferra e ci
trascina nell’aperto delle pure possibilità, senza che noi possiamo sottrarci
allo Zwang e alla Nötigung, da Grassi interpretati come due fenomeni
dell’originario. La Leidenschaft è originaria e metafisica, da essa non possiamo
liberarci e riconoscere la sua centralità è la condizione di possibilità per il
nuovo inizio del pensiero auspicato da Grassi. Per il filosofo “in questo
orientamento del filosofare, il pensiero viene riconosciuto nella sua essenza
come una passione, nel senso metafisico del termine [...] qui si mostra il
carattere patetico e passionale del pensiero”434. Tale pathos metafisico e
originario è un’urgenza che non può essere
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 432 Id., Il problema del
sublime, pp. 917-943, in Id, I primi scritti, cit., p. 935. 433 Ibidem. 434
Id., L’inizio del pensiero moderno, cit., p. 824. I corsivi sono nostri.
! 147! dedotta né mediata poiché ci sopraggiunge così come l’aporia
platonica, che abbiamo ritrovato in Il problema della metafisica platonica, e
il dubbio cartesiano di Dell’apparire e dell’essere e di L’inizio del pensiero
moderno. Per Grassi Cartesio, tanto criticato dal filosofo negli ultimi
scritti, ha il merito di aver portato ad espressione un significato
patico-esistenziale del dubbio, che dall’interpretazione tradizionale è stato
unicamente ridotto ad epochè del giudizio, e quindi a stallo conoscitivo. Il
dubbio cartesiano, invece, si mostra come la condizione di possibilità affinché
si dia il sapere in tutte le sue forme. Tuttavia Cartesio per Grassi non ha
portato fino in fondo il suo discorso, inclinando piuttosto verso una
impostazione gnoseologistica del sapere, non traendo quelle conclusioni a cui
erano pervenuti gli Umanisti. Le riflessioni grassiane hanno messo in luce il
pathos come esperienza di ciò che è primo e indeducibile razionalmente perché
fondamento di ogni deduzione: “l’essenza della forma del rivelarsi di qualcosa
di originario e di primo, o anche del pensiero, risulta essere la passione, e
precisamente non la passione in senso psicologico ma in senso metafisico”435.
La Leidenschaft consente di ripensare l’idea di soggettività: il soggetto non
ha un carattere soggettivo o individualistico, esso “è essenzialmente ciò che
soggiace al primo, all’originario”436. In quanto upokeimenon o sub-jectum il
soggetto patisce il reale, che si mostra nel suo carattere di istantaneità
(Augenblick):attraverso il pathos facciamo esperienza della realtà
nell’istante, in quella visione istantanea a cui dobbiamo corrispondere
implementando progettazioni di mondi umani dalle forme molteplici (l’arte, la
poesia, il sapere, la prassi, la politica sono le forme in cui l’uomo risponde
agli appelli dell’essere). In ogni momento della vita l’uomo si trova a dover portare
avanti il suo impegno, il suo sforzo di esistenza, la sua diligentia (termine
mutuato da Leonardo Bruni), che rendono palese il suo essere irrevocabilmente
compromesso con il mondo circostante.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 435 Ivi, p. 846. 436
Ivi, p. 847. ! 148! Secondo Grassi “in ogni atteggiamento
originario non possiamo mai scegliere la nostra occupazione, perché la nostra
scelta sta già sotto il segno di ciò che ci occupa. Non siamo noi ad occuparci
delle cose, ma sono le cose stesse – in virtù della loro distinzione – a
tenerci occupati”437. Il filosofo pone come indeducibili forme del manifestarsi
del reale il vero, il buono e il bello: il sapere, l’azione e l’arte sono i
modi in cui si mostra, in cui appare il mondo e non c’è priorità di un momento
sull’altro ma nesso dei distinti. Occorre ripensare l’autonomia delle forme del
rivelarsi del reale, pur tenendo in considerazione la fondamentale unità che le
contraddistingue: esse sono modi autonomi, distinti, di manifestazione
dell’essere, sono Lichtungen del reale, aperture di contesti significativi,
tutti accomunati dall’azione di ordinamento conferito al mondo. Il pathos è
l’avvertimento della non- indifferenza del mondo circostante, è l’esperienza
della costrizione e del vincolo, del legame indissolubile uomo-mondo: “per il
fatto che veniamo strappati, nell’esperienza del dubbio, all’indifferenza verso
la totalità dell’ente, si presenta anche una separazione del nulla dall’essere,
e tuttavia il nulla non è affatto prima dell’essere bensì entrambi vengono
partoriti come gemelli nel medesimo istante. Perciò i Greci parlavano
dell’aletheia, del non latente [Un-Verborgene], come del vero, perché tutto ciò
che si mostra viene sottratto alla latenza solo dall’esperienza del dubbio, che
lascia rilucere gli opposti”438. Nella Leidenschaft, nel patire il dubbio a cui
non possiamo sottrarci, rintracciamo l’essenza del sapere: il sapere nasce
dalla messa in questione del mondo circostante per ricercarne il fondamento, si
tratta di una ricerca a cui ci sentiamo costretti, che incombe su di noi. Tale
carattere costrittivo e urgente del fondamento è ciò che Grassi trova
teorizzato nel concetto aristotelico di archè o assioma: “questa dottrina è ciò
che esprime Aristotele quando dice che i principi originari o assiomi, come lui
li chiama, che sono il fondamento di ogni dimostrazione, non hanno un carattere
apodittico, bensì elenchico, cioè non possono venire dimostrati [...] ma si
mostrano da se stessi in quanto anche colui che li nega, deve presupporli e
impiegarli. Così questi principi fondamentali dimostrano se stessi nella misura
in cui non ci lasciano liberi”439.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 437 Ibidem. 438 Id., Il
reale come passione e l’esperienza della filosofia, pp. 995-1029, in Id., I
primi scritti, cit., p. 1003. 439 Ivi, p. 1005. ! 149! Possiamo
dare per acquisito che in Grassi non c’è un rapporto dualistico logos-pathos,
per cui da una priorità giovanile del logos si passerebbe alla matura posizione
della preminenza del pathos. I due momenti sono sempre interrelati tanto da
confondersi in una paradossale unità che è al tempo stesso dualità. É lo stesso
pensatore a domandarselo e a individuare il problema di una connessione
dinamica tra logos e pathos: “ora esiste un’unità che sia al contempo dualità?
Ogni differenziale, cioè il compiersi di un atto unitario, fa apparire ciò che
è differenziato nella misura in cui quest’ultimo si determina [...] quest’atto
del separare rivela dunque essenzialmente una realtà fantastica, dove
l’espressione fantastico non viene tratta dalla fantasia come attività distinta
dall’intelletto, bensì dalla fantasia secondo l’espressione greca phainesthai,
mostrarsi”440. Secondo Grassi l’accadere, l’apparire, la manifestatività vanno
interpretati al di fuori dell’opposizione logos-pathos, tale dualità è solo
secondaria e derivata, poiché primario e originario è l’atto in cui si mostra
l’essere nella sua processualità dinamica: in tale processualità dinamica le
coppie oppositive “in sé-per noi”, “uno-molti”, “logos-pathos” perdono i
contorni netti e definiti di polarità antitetiche, tra cui non è possibile
gettare un ponte, per divenire realtà mobili e fluide. La struttura dinamica e
processuale della realtà è resa dal filosofo attraverso l’immagine della
scena/accadere scenico/allestimento (Schau-Stuck): “soltanto in questo accadere
si radica il singolo soggetto concreto, il quale possiede un oggetto
correlativo, perché la scena, l’allestimento, prescrive a entrambi dei ruoli determinati
[...] l’allestimento è dunque l’originario, in cui i singoli elementi del
molteplice risultano visibili in virtù del ruolo che la scena prescrive
loro”441. Tale scena originaria regge il fondamento della vita: è la sua
condizione trascendentale. Essa è definita anche scena fantastica proprio
perché scena e fantasia si configurano come un tutto unitario, a priori e
sintetico. La scena forma in via primaria relazioni, atti di collegamento, è
l’orizzonte di ogni veduta possibile, così come la fantasia è la facoltà di
apprensione di questa scena. La fantasia in Grassi va intesa come la facoltà di
formazione della veduta/scena (schau) che ha la funzione di schema
trascendentale: “l’elemento originario dell’esperienza sensibile – come in
generale di ogni forma dell’apparire dell’ente non è quindi una dualità di
oggetto e soggetto né una
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 440 Ivi, p. 1012. 441
Ivi, p. 1013. ! 150! molteplicità di esperienze sensibili, bensì
una unità che si compie, che rivela se stessa nel discernere e nel separare
[...] la scena fantastica, il mostrarsi, non vale soltanto per la
determinazione filosofica dell’ente o per quella dell’ente sensibile, bensì per
l’ente nella sua totalità”442. Interpretata in questo modo la fantasia appare
come facoltà del lasciar apparire, dell’Erscheinenlassen che è al contempo il
Sich-Offenbaren, l’automanifestazione, dell’oggettività. Lo svelarsi originario
dell’essere ha carattere eidetico e immediato, esso si manifesta nell’istante indeducibile
perché arcaico-fondativo della “visione pato-logica. La realtà nella sua
automanifestatività si impone nella sua Nötigung, nell’accadere dell’attimo
della visione il cui fenomenizzarsi è il dubbio. III. VII. L’analitica
esistenziale: dismondanizzazione, assenza di mondo e coscienza temporale
umanistica Per comprendere meglio le categorie dell’analitica esistenziale
elaborata da Grassi vorremmo concentrarci sull’esperienza sudamericana del
filosofo mossi dal convincimento che essa costituisca una tappa fondamentale
nell’elaborazione di alcune categorie concettuali elaborate dal filosofo:
dismondanizzazione e assenza di mondo; coscienza temporale umanistica; natura.
Tali plessi concettuali, presenti soprattutto nei saggi Il tempo umano.
L’umanesimo contro la techne (1949), L’uomo e l’esperienza dell’oggettività
(1952), Apocalisse e storia (1954), L’esperienza dell’assenza di mondo (1955),
Mito e arte (1956), Assenza di mondo (1959)443, sono correlati al tema della
manifestatività dell’essere, emergente nei primi scritti, quali Il problema
della metafisica immanente di M. Heidegger (1930), Dell’apparire e dell’essere
(1933), Il problema del logo (1936), Il problema
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 442 Ivi, p. 1014. 443
Cfr., Id., Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne, cit., pp. 201-206;
L’uomo e l’esperienza dell’oggettività, cit., pp. 65-72; Apocalisse e storia,
cit., pp. 7-20, L’esperienza dell’assenza di mondo, in “Aut-Aut”, 1955, 2,
XXVI, pp. 97-119; Mito e arte, in “Rivista di filosofia”, Torino, 1956, 2,
XXVII, pp. 140-164; Assenza di mondo, in “Archivio di filosofia”, Roma 1959,
pp. 217-147. ! 151! del nulla nella filosofia di M. Heidegger
(1937), L’inizio del pensiero moderno. Della passione e dell’esperienza dell’originario
(1940), Il reale come passione e l’esperienza della filosofia (1945)444. Come
abbiamo visto in precedenza in questi saggi vengono in luce le questioni
dell’essere, dell’apparire e della manifestatività, che testimoniano la volontà
grassiana di recuperare un’esperienza dell’essere che non presupponga la
preminenza di una forma rispetto ad un’altra, e in particolar modo di un a
priori gnoseologico, ma che sia capace di restituire la complessità
fenomenologica delle forme dell’apparire. Come è noto, in questo tentativo
Grassi coniuga il tema attualistico gentiliano con l’estetica crociana e la
teoria heideggeriana della differenza ontologica,445 rielaborando tutto alla
luce di una rivalutazione della Stimmung, della Leidenschaft e dell’ambito
estetico in generale, non come esempio di gnoseologia inferior o teoria
dell’arte, ma come fondamento dell’esperienza della manifestatività
dell’essere. Nel suo percorso onto-antropo-logico si segnalano alcuni testi per
la curiosa correlazione che si viene ad istituire tra gli innumerevoli
riferimenti all’esperienza di viaggio sudamericana e l’analitica
dell’esistenza: mi riferisco ad Arte e mito e Viaggiare ed errare, oltre che,
naturalmente, ai saggi prima citati Assenza di mondo, L’esperienza dell’assenza
di mondo, Mito e arte, i quali costituiscono i maggiori contributi che Grassi
ha dedicato al tema “Sudamerica”. III. VIII. L’importanza del viaggio in
Sudamerica Aveva asserito Kant nella Prefazione a Antropologia pragmatica che
“ai mezzi per l’ampliamento dell’antropologia appartiene il viaggiare”446 e
Grassi non sembra sia stato insensibile
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 444 I saggi sono
raccolti in E. Grassi, I primi scritti 1922-1946, cit. 445 Per una
ricostruzione dettagliata delle tracce gentiliane, crociane e heideggeriane
nella filosofia di Grassi cfr., Rita Messori, Le forme dell’apparire, cit.,
soprattutto il primo capitolo, Tra filosofia italiana e filosofia tedesca:
l’emergere della questione estetica, pp. 23-61. Cfr., anche M. Marassi,
Introduzione a E. Grassi, I primi scritti, cit., pp. IX-LXXXVII. 446 I. Kant,
Antropologia pragmatica, tr. it. di G. Vidari, Laterza, Roma-Bari 2009, p. 4. !
152! a questa affermazione kantiana: lo attestano i numerosi viaggi
che per tutta la vita ha condotto in giro per il mondo alla ricerca di
occasioni di riflessione sul “tema uomo”. Viaggio e riflessione antropologica:
l’accostamento non risulterà peregrino se si accantona – come fa il filosofo
italiano– un’idea di natura umana fissa e immutabile, chiusa nei confini di una
razionalità auto-riferita, per accogliere l’idea di una condizione umana, tema
di un neo-umanesimo attento alla multilateralità della vita, alla
polidimensionalità del reale, e, dunque, alle molteplici forme di apprensione dell’essere
e di dizione dell’essere. Il legame tra il viaggio e l’elaborazione di
categorie esistenziali volte ad un rinnovamento neo-umanistico della filosofia
è del resto esplicitato dallo stesso filosofo che nella Prefazione a Viaggiare
ed errare afferma che le “annotazioni sull’incontro con il continente
sudamericano sono sorte dalla verifica costante di categorie e concetti
fondamentali europei: non sono quindi né espressioni di rinuncia al nostro
mondo europeo né una descrizione esteriore della realtà sudamericana. Spazio,
tempo, parola, arte, tutto acquisisce laggiù nuovamente un significato
originario che in Europa abbiamo spesso dimenticato”447. Corredato da una fitta
trama di descrizioni paesaggistiche, di situazioni emotive, di relazioni,
presenze e assenze che il viaggio in Sudamerica aveva suscitato nel filosofo il
testo Viaggiare ed errare presenta, accanto alla narrazione di esperienze
comuni, una interpretazione prospettica di una realtà nuova, fatta di rovine
antiche, foreste sterminate, indigeni e animali che non costituiscono solo
allegorie di ciò che sfugge alla comprensione filosofica, ma sono l’occasione
di esperire il “totalmente altro”. Per Grassi il viaggio può avere questo
significato solo se lo si correla al luogo preciso in cui è avvenuto: il
Sudamerica. Perché? Come abbiamo visto in precedenza quello in Sudamerica non è
il primo viaggio né l’ultimo di Grassi, eppure in questo territorio si realizza
una presa di coscienza molto forte dei limiti e delle possibilità della
filosofia occidentale. Su questi limiti e possibilità il pensatore ha ragionato
una vita intera, ma !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 447
Le citazioni riportate di seguito fanno riferimento all’edizione italiana del
testo di Grassi: E. Grassi, Viaggiare ed errare. Un confronto con il
Sudamerica, tr. it. di C. De Santis, a cura di M. Marassi, La Città del Sole,
Napoli, 1999, p. 27. Il testo ha avuto tre edizioni Reisen ohne anzukommen.
Südamerikanische Meditationen, Hamburg, Rowohlt, 1955; Reisen ohne anzukommen.
Eine Konfrontation mit Südamerika, Munchen-Gutersloh-Wien, Bertelsmann, 1974;
Reisen ohne anzukommen. Eine Konfrontation mit Südamerika, Chur, Ruegger,
1982. ! 153! lì, in Cile e in Brasile, nella fitta vegetazione
della foresta, sulla catena delle Ande, ciò che il filosofo milanese sperimenta
non è un ragionamento. Lì patisce e vive una situazione contraddittoria:
storicità e astoricità; natura e techne. Il Sudamerica è il luogo in cui si
consuma la dissoluzione delle categorie storiche e si dà la possibilità di
riflettere sulla condizione umana. Leggiamo in Viaggiare ed errare: “una volta
si sapeva dove si era di casa; ci si sentiva protetti nel mondo sicuro della
tradizione, ci si poteva recare in paesi stranieri con il proprio blasone e si
ritornava a casa senza turbamenti. Ma noi? Dove siamo di casa?”448. Il testo,
allora, non è un esempio, l’ennesimo, di letteratura odeporica, solo un
resoconto autobiografico, un diario di impressioni del viaggio da Madrid a
Barcellona, fino in Brasile e Cile. In esso si raccolgono le idee più
interessanti circa il viaggio come evento semiotico: oltre a Reisen ohne
anzukommen degne di nota sono le osservazioni sparse in Kunst und Mythos449. In
questi testi il viaggio è inteso come la metafora in cui viviamo, come
condizione, situazione, e circum-stantia e le descrizioni narrate “non vogliono
essere semplici descrizioni; vogliono piuttosto far luce su tutte quelle
seduzioni che turbano l’uomo moderno occidentale quando viene a contatto con
mondi nuovi”450. Ha sottolineato acutamente questo aspetto Giuseppe Cacciatore
che ha dedicato al tema grassiano del viaggio un saggio: América latina y
pensamiento europeo en la “filosofia del viaje”451
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 448 Ivi, p. 33. 449 Il
testo, edito per la prima volta in tedesco nel 1957 con il titolo Kunst und
Mythos, Hamburg, Rowohlt 1957, e ristampato nel 1990 in un’edizione riveduta e
ampliata dall’autore, costituisce la rielaborazione di un articolo che Grassi
pubblica nel 1956 sulla “Rivista di filosofia”, in lingua italiana dal titolo
Mito e Arte, cit., pp. 140-164. 450 E. Grassi, Viaggiare ed errare, cit., p.
34. 451 G. Cacciatore, América latina y pensamiento europeo en la “filosofia
del viaje”, cit. Pubblicato precedentemente in italiano con il titolo America
latina e pensiero europeo nella filosofia del viaggio di Ernesto Grassi, in
“Cultura latinoamericana”, Annali 1999-2000, nr. 1-2, pp. 367-381. Come è noto,
nella vastissima e variegata produzione saggistica di Cacciatore il riferimento
alla figura di Ernesto Grassi compare soprattutto nei lavori vichiani dello
studioso in cui l’accento verso i temi della rivalutazione vichiana della
sapienza poetica, del ruolo antropogenetico della fantasia, di quello
arcaico-fondativo del mito e dell’ingeniosa ratio trova non poche affinità con
le analisi svolte da Grassi. Al riguardo cfr., soprattutto G. Cacciatore-G.
Cantillo, Studi vichiani in Germania 1980-1990, in G. Cacciatore-G. Cantillo (a
cura di), Vico in Italia e in Germania, Bibliopolis, Napoli 1993, p. 37; Id.,
Poesia e storia in Vico, in F. Ratto (a cura di), Il mondo di Vico. Vico nel
mondo, Guerra, Perugia 2000, p. 144, nota 5; G. Cacciatore, Vico: narrazione
storica e narrazione fantastica, in G. Cacciatore-V. Gessa Kurotschka-E.
Nuzzo-M. Sanna (a cura di), Il sapere poetico e gli universali fantastici,
Guida, Napoli 2004, p. 120, nota 10; Id., Le facoltà della mente ‘rintuzzata
dentro il corpo’, in Il corpo e le sue facoltà. G.B. Vico, in G. Cacciatore, V.
Gessa Kurotschka, E. Nuzzo, M. Sanna e A. Scognamiglio (a cura di) in
«Laboratorio dell’ISPF» (www.ispf.cnr.it/ispf-lab), I, 2005, ISSN 1824-9817, p.
104, nota 41; Id., L’ingeniosa ratio ! 154! de Ernesto Grassi,
concentrandosi in particolar modo sul testo Reisen ohne anzukommen. Lo studioso
mette in luce uno spettro semantico ampio del viaggio: è possibile individuare
un significato ontologico; teorico-storico; cognitivo; simbolico-metaforico.
Vorremmo soffermarci sui quattro sensi del viaggio in Grassi individuati dallo
studioso, con lo scopo di mostrare che l’esperienza del viaggio sudamericano
non è marginale nella riflessione del filosofo poiché si inserisce nel cuore
della sua prospettiva onto-antropo-logica e diviene decisiva nella messa a
fuoco dei concetti di dismondanizzazione e assenza di mondo452, che insieme a
quelli di coscienza temporale umanistica e oggettività, costituiscono le
categorie dell’analitica esistenziale grassiana. Cacciatore afferma che il
senso ontologico del viaggiare è rintracciabile nello stesso titolo tedesco:
Reisen ohne annzukommen indica il “viajar humano sin arribos, sin metas
prefiguradas”. El viajero [...] llega a un nuevo mundo cargado de bagajes
conceptuales, orgulloso y seguro de su patrimonio cultural y de su tradiciòn
històrica”453. E tuttavia al cospetto di un mondo totalmente estraneo Grassi
sente di non poter più fare affidamento sul proprio corredo categoriale.
Occorre un mutamento di prospettiva, una svolta. In quanto viaggiatore in terra
straniera Grassi si sente anche viaggiatore nell’interiorità, e il malessere
vissuto dal filosofo per l’opposizione tra un’idea di Europa da cui ritiene di
doversi congedare e la volontà di ricostruire un neoumanesimo all’insegna di un
rinnovamento dei concetti !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
di Vico tra sapienza e prudenza, in C. Cantillo (a cura di), Forme e figure del
pensiero, La Città del Sole, Napoli 2007, p. 225, nota 1; Id., Il mare metafora
del limite e del confine, in S. Amendola- P. Volpe (a cura di), Il mare e il
mito, M. D’Auria editore, Napoli 2010, p. 49; Id., In dialogo con Vico,
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2015. 452 Ovviamente le categorie ora
menzionate risentono della trattazione heideggeriana di Welt e Umwelt e in
generale della riflessione degli esponenti dell’antropologia filosofica e della
biologia teoretica coeve, che Grassi conosceva molto bene: Scheler, Plessner,
Gehlen, Uexküll, Driesch. Cfr., E. Grassi, Linee di filosofia tedesca
contemporanea, in Id., I primi scritti 1922-1946, cit., pp. 299-332, Il
problema della metafisica immanente di M. Heidegger, ivi, pp. 203-228, La
filosofia como obra humana, pp. 1573-1578 in “Actas del Primer Congreso
Nacional de Filosofia”, Universidad Nacional de Cuyo, Buenos Aires, 1950, Tomo
III; Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, Potenza
dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., pp. 62-66 e 151-152; Id.,
Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, cit., pp. 181-182. 453 G.
Cacciatore, America latina y pensamiento europeo, cit., p. 80. ! 155!
fondamentali del pensiero occidentale, si palesa soprattutto nelle pagine
dedicate al concetto di “dismondanizzazione”. III. IX. Dismondanizzazione e
assenza di mondo Egli sostiene che “le molteplici ragioni della dismondanizzazione
ci sopraffanno e possono condurre all’immobilità, alla completa apatia. Ogni
processo di dismondanizzazione incomincia dal terrore avvertito per la
scomparsa del consueto”454. Una spaesatezza, una solitudine esistenziale che
sorge non solo in terra straniera ma anche nella propria patria. Si tratta del
terrore primordiale della selva di cui ci parla Vico secondo il quale “grazie
alla radura aperta nella foresta originaria divengono possibili non solo lo
spazio o il luogo umani, ma anche la possibilità di computare il tempo”455. Il
filosofo ritiene che “anche in Europa si prende congedo dal proprio mondo. La
speranza di liberarci in qualche modo, in chissà quali paesi lontani, dai
nostri dubbi, è solo espressione del fatto che non ci sentiamo più a casa negli
spazi della nostra storia”456. Nel pathos dell’angoscia e della noia per Grassi
noi esperiamo la dismondanizzazione e la possibilità allo stesso tempo di
generare ordini di realtà, progettazioni e creazioni, per arginare
quell’“assenza di mondo” in cui l’uomo è gettato proprio perché privo di
orientamenti precostituiti. I due concetti – dismondanizzazione e assenza di
mondo – indicano due fenomeni diversi, ma connessi, che possono essere compresi
meglio ricorrendo ad una metafora molto cara a Grassi, quella della luce:
“assenza di mondo” come aurora e “dismondanizzazione” come tramonto dell’uomo.
La condizione di assenza di mondo (aurora) è quella dell’uomo primitivo o delle
origini, immerso nella realtà circostante che è astorica, mitica, ripetitiva e
di cui Grassi crede di poter fare esperienza nell’ingens sylva sudamericana,
che in realtà !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 454 Id.,
Viaggiare ed errare, cit., p. 126. Corsivo nostro. 455 Id., Potenza della
fantasia, cit., p. 251. 456 Id., Viaggiare ed errare, cit., Ivi, p. 49. !
156! si rivela essere solo una selva ideale. Il pensatore ritiene che “la
condizione di assenza di mondo inizia, infatti, ogniqualvolta una cultura si
trova a una svolta decisiva”457. L’esperienza della realtà nella condizione di
assenza di mondo si caratterizza per l’incapacità umana di orientamento:
infatti “non appena quest’ordine comincia a vacillare, l’uomo esperisce
improvvisamente che le direttive consuete non sono più valide”458. In questo
momento di svolta inizia la storia dell’uomo come “storia del suo accadimento”.
Secondo Grassi “la storia dell’uomo è quindi espressione di ciò che lo
costringe continuamente [...] a stare su una soglia, a partire dalla quale egli
traccia linee di confine tra scelto e non scelto, tra ricordato e dimenticato,
tra ordinato e non ordinato. A partire da questa soglia si aprono i confini del
mondo in cui viviamo. Il progetto, attraverso il quale di volta in volta
aderiamo sempre a ciò che ci riguarda e ci mette in tensione, costituisce il
nuovo spazio spirituale in cui ci muoviamo”459. Nella condizione di assenza di
mondo l’uomo, come l’animale, è totalmente immerso in un cerchio funzionale
simbolico che ad un certo punto si disintegra e lo getta in una condizione di spaesatezza
che lo costringe a trovare codici di interpretazione del reale: “poiché l’uomo
esce dalla natura e in essa non è più al sicuro, egli progetta criteri sulla
base dei quali costruire il suo mondo”460. La condizione di dismondanizzazione
(tramonto) è quella che caratterizza l’uomo occidentale che cerca nuovi
strumenti per abitare il mondo, avendo sperimentato l’inutilità e il danno
delle proprie categorie filosofiche. Essa è ben distinta da “una rinuncia
volontaria al mondo: è anzi il contrario. Questa esperienza di
dismondanizzazione nasce dallo sgomento che tutto quello che di solito ci
circonda, e che con gli anni abbiamo costruito come un nostro ambito, viene a
mancare”461. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 457 Ivi, p.
132. 458 Ibidem. 459 Ivi, p. 146. 460 Ibidem. 461 Id., Assenza di mondo, cit.,
p. 222. ! 157! Nel primo caso si tratta di una situazione di
privazione originaria che dice della gettatezza dell’uomo nell’aperto – la
Lichtung – della propria esistenza, privazione che al contempo è condizione di
possibilità affinchè l’uomo divenga uomo e l’ambiente naturale divenga mondo.
Nel secondo caso siamo di fronte ad una dimensione di perdita delle coordinate
categoriali classiche del pensiero occidentale. L’esperienza della dismondanizzazione
e di assenza di mondo non sono nient’altro che il regno dell’Aperto in cui è
assente ogni direzione, ogni coordinata, ogni orientamento ma in cui Angst e
Langweile agiscono quali operatori metafisici nel contesto della Lichtung che,
come ci ricorda Agamben, “è veramente in questo senso, un lucus a non lucendo:
l’apertura che in essa è in gioco è l’apertura a una chiusura e colui che
guarda nell’aperto vede solo un richiudersi, solo un non-vedere”462. Grassi
asserisce che “in quest’esperienza siamo di fronte all’Offenheit, a quella
apertura che, non essendo la nostra dimensione, ci paralizza [...] qui gli
oggetti diventano trasparenti, quasi fluorescenti, tu non ti puoi più
aggrappare a loro, non puoi più tenerli in mano per costruire con loro un
mondo, e comincia la sensazione del precipizio”463. Nel viaggio in generale e
in quello sudamericano in particolare noi facciamo esperienza di una epochè
dell’abituale e del consueto e constatiamo il vacillare dell’esistenza, il
nostro non poterci tenere a niente. Emerge in aggiunta al tema dell’esperienza
dell’eventualità/Lichtung dell’essere, che l’alterità radicale del mondo
sudamericano rappresenta in maniera esemplare, la questione non marginale del
pathos: per Grassi esso ha una componente metafisica e non psicologica, dal
momento che grazie ad esso facciamo esperienza dell’originario. Come è noto, la
passione per il filosofo ha anche un significato arcaico nel senso di fondativo
poiché consente di prendere coscienza dell’eventualità dell’essere,
dell’apertura dei mondi, dell’aletheia come schiudersi, aprirsi e darsi della
concreta situazione storica. Afferma Grassi che “si è costretti a riconoscere
che la passione agisce come archè, potenza elenchica, che ci espone perché non
possiamo liberarci da essa, incombe
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 462 G. Agamben,
L’aperto. L’uomo e l’animale, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p. 71. 463 E.
Grassi, Assenza di mondo, cit., p. 226. ! 158! come destino e nella
sua luce fa apparire il significato di ogni ente”464. La Stimmung che consente
l’esperienza dell’originario si rivela una Leidenschaft. Possiamo rintracciare
un secondo senso del viaggio sudamericano: teorico-storico. Come ricorda
Cacciatore “en uno de los ùltimos capìtulos del libro, el filòsofo traza la
lineas de una autèntica, aunque breve, teorìa e historia del viaje, centrada en
la significativa diferencia que caracteriza las relaciones y las descripciones
de los viajeros de la edad moderna y las de los contemporaneos”465. Differenza
che testimonia anche il profondo mutamento storico tra un’epoca, quella
moderna, in cui le categorie filosofiche erano forti e la ragione non aveva
ancora perso la propria terraferma; e l’epoca contemporanea che vive i tormenti
della propria debolezza categoriale sgretolandosi pian piano. La Conclusione di
Reisen ohne anzukommen, che reca il suggestivo titolo di Filosofia e Paesaggio,
in cui è narrata questa breve storia del viaggio, mette in luce, inoltre, la
correlazione del viaggiare con l’idea di paesaggio. Grassi si pone un
interrogativo sul paesaggio e sul suo paradossale nesso con la filosofia. La
domanda si sviluppa in una breve storia in cui entrano in scena personaggi –
Platone, Petrarca, gli umanisti, Herder, Melville – che sul paesaggio si sono
espressi. Il filosofo si chiede: “che cos’è il paesaggio? Che cosa può produrre
insieme alla filosofia? [...] il paesaggio può offrire lo spunto per
riflessioni teoretiche, dal momento che il piacere che esso suscita si avvicina
alla sfera dell’arte?”466. Rispondere a questa domanda significa porre in atto
una vera e propria rivoluzione filosofica, una Kehre: abbandonare le categorie
della razionalità astratta e fare posto agli elementi mitici e poetici, alla
dimensione del pathos che schiudono una modalità di esistenza autentica in cui
la potenza delle immagini, a cui è inevitabilmente associato il paesaggio,
diviene la linfa vitale della filosofia. Secondo il pensatore il paesaggio “non
ha nulla di ovvio, anche se tutti !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
464 Id., Il dramma della metafora, cit., p. 131. 465 G. Cacciatore, Amèrica
latina y pensamiento europeo, cit., p. 80. 466 Id., Viaggiare ed errare, cit.,
p. 173. ! 159! credono che esso sia immediatamente accessibile dal
momento che lo si vede; il goderne non richiede alcuna riflessione, ma è
impossibile esprimere la sua essenza senza riflettere”467. Esso mostra e indica
la contraddizione tra ciò che ci sovrasta nella sua immensità, riluttante a
qualsiasi espressione univoca e definitiva, e la volontà umana di comprensione.
Il paesaggio ci mette di fronte alla nostra incapacità di interrogare in modo
nuovo ciò che ci circonda: l’essere. Quelle che sono annotazioni di viaggio,
riflessioni e considerazioni si rivelano come i punti di partenza di
interrogativi filosofici ineludibili e pressanti. Ineludibilità e necessità che
contraddistinguono anche il paesaggio: “qui il paesaggio sembra una realtà alla
quale non possiamo sottrarci”468. Un ulteriore significato del viaggio è quello
cognitivo. L’esperienza di viaggio si carica di una valenza cognitiva poiché
consente quella relazione del sé stesso con l’altro che è fonte di ricchezza
quanto più profonda risulta la distanza, la cesura, lo iato. Come afferma
Cacciatore in America latina “en esta experiencia cognitiva [...] el viaje y la
partida misma tienen sentido en la medida en que remiten immediatamente al
retorno, a la estaciòn originaria. Por ello la confrontatiòn de Grassi con
Sudamérica es un relacionarse del Sì mismo con el Otro, però tambièn un
hallarse el Otro en las raìces històricas y culturales del Sì mismo”469. In
questo contesto di relazioni con l’alterità in tutte le sue forme – l’altro
uomo, l’altra cultura, e la suprema alterità rispetto al nostro mondo storico,
la natura – la distanza assume un ruolo fondamentale quale esperienza
catalizzatrice della cognizione che nel viaggiare si realizza. Secondo il
filosofo milanese, che menziona in modo innovativo un tema che nella filosofia
sicuramente è inusuale, l’organo di misurazione delle distanze è l’olfatto, che
meglio del tatto e della vista riesce a restituire tutta la “potenza della
distanza”. Egli afferma in Viaggiare ed errare che “a Casablanca, la tappa
successiva del nostro viaggio, viene in primo piano ciò che a Madrid era solo
annunciato in modo vago. Il mondo chiuso della tecnica, che nel frattempo si
era ridotto a una cabina d’aereo, si riapre: una realtà completamente nuova,
che ancora non si vede, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
467 Ivi, 179. 468 Ivi, p. 184. 469 G. Cacciatore, América latina y pensamiento
europeo...cit., p. 81. ! 160! che non si può nemmeno cogliere con
l’udito [...] anche il tatto non può far altro che occuparsi della cartella che
d’abitudine ci si porta appresso. Ma improvvisamente all’olfatto spetta un
inatteso primato [...] è attraverso l’olfatto che sorprendentemente si
percepisce la distanza”470. L’esperienza cognitiva del viaggio in Sudamerica si
configura come un movimento verso l’ignoto e l’abissale i cui effetti sono
incerti: l’incontro con l’altro può avere un esito liberatorio o
distruttivo471, può indurre l’uomo a rinunciare alla sua storia particolare, ma
può anche sollecitarlo a dubitare del tutto della realtà storica. Quest’ultimo
aspetto è particolarmente problematico: l’insistere del filosofo milanese
sull’opposizione tra natura e storia, tra Sudamerica e mondo europeo, appare
poco argomentato e poco incline a mediazioni, tracciando una cesura ontologica
tra l’uomo sudamericano e quello europeo. Occorre prendere “la expresiòn
grassiana naturaleza no historica con mucha cautela”472. Nonostante le dovute
cautele rispetto a quelle espressioni che cristallizzano le opposizioni tra una
presunta temporalità ontologica e immobile – quella sudamericana – e una temporalità
storica – quella europeaa –, bisogna riconoscere il merito del filosofo per
aver eletto il viaggio sudamericano a occasione per ripensare e rinnovare i
termini e i limiti dello strumentario concettuale dell’Occidente. La posizione
di Grassi che guarda all’Europa nei termini di un “relitto di una vita
inattuale” e al Sudamerica come natura astorica non passa inosservata: i
colleghi universitari, primo fra tutti Carlos Astrada, ma anche Juan Rivano, in
La Amèrica ahìstorica y sin mundo del humanista Ernesto Grassi, e Humberto
Giannini, in Experiencia y Filosofìa473, non potevano accettare le affermazioni
del filosofo italiano senza qualche riserva. Tuttavia Grassi intende questa
assenza di storia in modo più complesso e articolato: essa dice della possibilità
del nuovo474. Se l’Europa ha esaurito tutte le sue possibilità il Sudamerica,
per il primitivismo che la contraddistingue,
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 470 E. Grassi, Viaggiare
ed errare, cit., p. 55. 471 Ivi, p. 50. 472 G. Cacciatore, América latina y
pensamiento europeo...cit., p. 86. 473 Per una ricostruzione dell’intera
vicenda cfr., J. Barcelò, op., cit., pp. 252-253. 474 E. Grassi, Viaggiare ed
errare, cit., p. 24. ! 161! non è ancora stata sopraffatta
dall’asfissia storia: “abbandonata una vita carica di storia, aspiriamo
all’altro mondo in cui speriamo di trovare soprattutto l’astorico. Tuttavia non
troviamo questo, ma una storia che inizia, una storia completamente estranea a
noi europei d’oggi [...] laggiù la vita respira completamente nell’atmosfera di
fine secolo e ci appare come un passato che non è ancora riuscito a diventare
definitivamente passato. Esso continua a vivere nel nostro presente, ma sembra
estraneo e superato”475. Un ultimo aspetto del viaggio è quello
simbolico-metaforico. Nel percorso di ampliamento dei propri orientamenti
conoscitivi ed esperienziali traspare il motivo della ricerca delle proprie
origini. In questa ricerca delle origini e degli inizi dell’umanità si fa
esperienza di immagini inedite e di un accesso alla realtà notevolmente
diverso. Quando Grassi descrive il passaggio per la grande catena montuosa
delle Ande sta narrando una storia che emblematicamente ci ricorda il vichiano
“divagamento ferino per la gran selva della terra” della Scienza Nuova. Ma non
si tratta semplicemente di una reminiscenza filosofica: in quel momento Grassi
non cita Vico, ma descrive, vedendolo, quello che Vico aveva ipotizzato:
“vagando in questo territorio, si aprono continuamente nuove prospettive. É l’accesso
a un mondo inquietante: come potrebbe infatti un essere vivente storico
ritrovare il proprio orientamento in questo silenzio, in queste ombre, in
queste fosse? [...] ma questo non è il caos stesso? Anzi è il caos inteso non
nel senso di disordine, ma nel senso che a qualsiasi forma può essere impresso
un ordine [...] qui nelle Ande esperiamo la realtà di un mondo di pure
possibilità”476. La natura, l’ingens sylva, appare, allora, come la metafora di
quello spazio edificabile nel quale si apre all’uomo lo spettro di possibilità
inedite di instaurare il mondo umano, quel mondo storico che solo con cautela
possiamo opporre alla natura. Un mondo in cui la questione onto-antropo-logica
viaggia sul doppio binario dell’oggettività data – la natura, il mitico,
l’astorico, l’essere – e dell’operazione di determinazione di tale oggettività
– la progettualità umana, la genealogia dell’ordine e della storia, quella che
Grassi definisce “coscienza temporale umanistica”. Da questo percorso di
transizione, che è il viaggio, verranno in superficie, contro la ragione
totalitaria, la ragione !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
475 Ivi, p. 69. 476 Ivi, pp. 80-81. ! 162! frammentaria, inquieta,
balbettante, critica e discontinua, da sempre trattenuta nei silenzi e nelle
pieghe nascoste del logos, ma presente nel mito e nella tragedia, nella
metafora e nella fantasia. Il viaggio inteso come la metafora in cui viviamo,
come condizione, situazione, e circum-stantia, è motivo centrale della
riflessione filosofica di Ernesto Grassi e pone in luce il legame indissolubile
e non estrinseco tra il luogo geografico di elaborazione di questi innumerevoli
significati del viaggio, il Sudamerica, e l’idea di filosofia del pensatore
milanese. Un’idea che si costruisce intorno ad un progetto di riattualizzazione
della problematica umanistica e dei concetti di retorica, metafora e ingegno,
ripercorrendo itinerari poetici, teatrali, filosofici, artistici, che pongono
in luce un senso della parola poetica lontano da ogni velleità di giungere ad
un significato definitivo, ad una definizione che chiuda la res in un verbum
univoco. Anzi, secondo Grassi è nella pluralità delle parole, nei verba che
possiamo attingere la res e i suoi modi di datità, che sono infiniti, molteplici,
contingenti, transeunti. L’attenzione alla multilateralità del reale, che si
rivela nella polidimensionalità linguistica, si colloca nel contesto più
generale della domanda sull’uomo e sulla correlazione uomo-mondo. Si tratta del
problema onto-antropo-logico a cui gli scritti grassiani di retorica,
metaforologia, umanesimo477 tentano di dare delle risposte. Il Sudamerica
diventa l’occasione per un ripensamento del proprio passato filosofico e per
gettare luce su un presente avvertito come estraneo. Grassi ha voluto
confrontare la sua esperienza di europeo con il modo di vivere sudamericano,
assillato dal dubbio intorno alla validità universale delle categorie della
storicità e della tecnica dominanti in Europa, scoprendo una serie di aspetti
inediti della cultura americana: innanzitutto l’esperienza dei sensi, che non è
la pura e semplice empeiria, ma il luogo visibile del dissidio e della
contraddizione, come testimoniano gli scorci descrittivi delle località cilene.
Il filosofo asserisce in riferimento al soggiorno cileno di trovarsi in una
realtà che è al contempo unità e molteplicità senza relazione: “ci troviamo nel
nord del Cile, nella contrada delle grandi miniere di rame,
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 477 Cfr., soprattutto E.
Grassi, Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit.; Id., La filosofia
dell’umanesimo: un problema epocale, cit.; Id., Umanesimo e retorica. Il
problema della follia, tr. it., di E. Valenziani e G. Barbantini, Mucchi,
Modena 1988; Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit.;
Id., La metafora inaudita, cit.; Id., Vico e l’umanesimo, cit.; Id., Retorica
come filosofia. La tradizione umanistica, cit. ! 163! in prossimità
del confine peruviano a 3800 metri di quota [...] mi confonde il fatto di
essere abituato a costruire la realtà mediante una combinazione di diverse
esperienze sensibili, e per la prima volta apprendo che i sensi, abbandonati a
se stessi e non ordinati dall’intelletto, rivelano il contraddittorio nella sua
essenza: la realtà è contemporaneamente un’unità e una molteplicità senza
relazione”478. Oltre all’esperienza dei sensi, un altro concetto importante che
emerge dai resoconti del viaggio sudamericano, è quello di oggettività: i sensi
non rivelano solo qualcosa di soggettivo e di transeunte, ma l’oggettivo. I
concetti di natura e oggettività si legano profondamente a quelli di mito, di
cominciamento, di originario che solo la poesia può dire e non la filosofia,
che si muove nell’ambito del deduttivo e dunque del non-originario. Per Grassi
“non basta il sapere, cioè giungere al riconoscimento di quei principii nei
quali ancorare tutti i nostri progetti”479 ma bisogna tentare di ricostruire le
tappe di una “sapienza arcaica”, o di una “sapienza poetica”, per usare un
binomio vichiano, in cui si rinnovano i significati di teoria e prassi e si fa
spazio ad un concetto di pistis che esula dai limiti definiti della religione
per rivelarsi come il fondamento della retorica originaria: “questo
riconoscimento capovolge diametralmente il rapporto tra pistis e logos. La
pistis, intesa come fondamento dell’inspiegabile perché fondamento di ogni
spiegazione, è propria del mondo originario”480. Nell’esperienza sudamericana
l’oggettivo appare come una natura che non è più umanizzata e soggiogata, ma
che domina l’uomo. Essa diviene smisurata, infinita, sconfinata, apocalittica e
si sottrae ad ogni orientamento, criterio e progetto, in una ripetizione
ciclica, in un eterno presente. Asserisce il filosofo che “lo spazio astorico
della natura può quindi suscitare nell’uomo europeo un terrore sconcertante.
Una volta spezzata la coercizione delle passioni, quando gli oggetti non si
distinguono più come momenti conformi al fine degli istinti, improvvisamente si
precipita nello smisurato”481. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
478 Id., Arte e mito, cit., p. 83. 479 Id., L’uomo e l’esperienza
dell’oggettività, cit., p. 72. 480 Id., Significare arcaico, cit., p. 490. 481
Id., Viaggiare ed errare, cit., p. 116. ! 164! Entriamo nello
spazio del mito dove la differenza tra uomo e mondo svanisce e tutto rientra
improvvisamente in un’unità che domina ovunque e che Grassi sente appartenergli
nel modo più profondo. Afferma il filosofo che in questa unità “ha luogo un
rovesciamento sconcertante: non si tratta ora più di comprendere qualcosa,
perché ogni cosa viene compresa nel tutto”482; si tratta di un ordine “di una
pienezza che si chiude armonicamente nella quale il nascere e il trapassare non
sono che momenti di un duraturo presente”483. Grassi si sta riferendo ad una
realtà eterna che sembra avvolgerci: “è’ l’ora di Pan”484. Il Sudamerica è il
simbolo dell’ora di Pan, che a sua volta è allegoria di un’esperienza che,
prendendo in prestito le parole di Vico, “è affatto impossibile immaginare, e a
gran pena ci è permesso di intendere”: qui è possibile guardare autenticamente
al mito non alla luce della demitizzazione, non come “prestazione arcaica della
ragione”, per dirla con Blumenberg485, ma come “realtà in cui viviamo”. É
ancora consentito vivere il mito in quel dissidio, in quella transizione, in
quel viaggio dal vecchio continente della cattiva metafisica verso il mare
aperto dell’autenticità, dell’altro inizio del pensiero. Un inizio che è
principio arcaico nel senso aristotelico del termine: perché governa e dà
inizio come leggiamo in Significare arcaico. Il filosofo, reinterpretando lo
Stagirita, sostiene che “il principio deve invece avere veramente il carattere
di archè, cioè deve mandare, comandare”486 e, non avendo carattere apodittico,
bensì elenchico, “non possiamo sottrarci alla – sua – imposizione perché ogni
tentativo di sottrarsi ad – esso lo – presuppone”487. L’atto fondativo e mitico
del reale è secondo Grassi indicibile dal logos metafisico e la narrazione di
quell’azione primordiale può essere affidata unicamente al potere generativo
trasformazionale della metafora, che non è un gioco letterario ma la prima
forma dell’ingegno, del nous “e come tale
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 482 Id., Arte e mito, p.
153. 483 Ibidem. 484 Ibidem. 485 Cfr., H. Blumenberg, Il futuro del mito, tr.
it. di G. Leghissa, Medusa, Milano 2002. 486 E. Grassi, Significare arcaico,
cit., p. 486. 487 Ibidem. ! 165! unica espressione delle archai nel
loro carattere palesante e immediatamente indicativo”488. Perché come diceva
Vico, uno degli autori prediletti da Grassi: “di questa logica poetica sono
corollari tutti i primi tropi, de’ quali la più luminosa, e perché più
luminosa, più necessaria, e più spessa è la metafora [...] – che – vien’ ad
essere una picciola favoletta”489. L’analisi delle “meditazioni sudamericane”
di Grassi ha messo in luce l’intima correlazione dei temi del viaggio, inteso
come evento semiotico, con le categorie dell’analitica esistenziale grassiana:
dismondanizzazione e assenza di mondo, oggettività, natura, coscienza temporale
umanistica. Abbiamo cercato di porre in luce quanto il significato del viaggio
in generale e di quello sudamericano in particolare sia fondamentale per
comprendere il senso della proposta neo-umanistica grassiana: essa si struttura
come ricerca costante di un nuovo strumentario categoriale per l’uomo europeo
che ha sperimentato la miseria, la precarietà e il declino della propria storia
ma non si rassegna al deserto del nichilismo dilagante ma al contrario, come il
viaggiatore, l’emigrante, va alla ricerca di un’umanità perduta, più radicata
nella vita. L’esperienza sudamericana si carica allora di un’importanza che
occorre sottolineare con vigore: essa è un percorso nell’interiorità prima che
essere un itinerario geografico perché “in quanto viaggiatori in terra
straniera siamo anche e soprattutto viaggiatori nell’interiorità [...] oggi,
viaggiando, non andiamo in cerca di scoperte esteriori, sottoponiamo piuttosto
a un esame il mondo della nostra lingua, dei nostri pensieri e dei nostri
sentimenti”490. La meditazione su Sudamerica diviene allora una meditazione
sull’Europa. III. X. L’uomo e l’esperienza dell’oggettività: la nascita della
coscienza temporale L’analisi del viaggio nel suo significato tetravalente e la
focalizzazione sui temi della dismondanizzazione e dell’assenza di mondo ci
consente di inquadrare meglio le altre due idee
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 488 Ivi, p. 494. 489 G.
B. Vico, La Scienza nuova, a cura di M. Sanna-V. Vitiello, Bompiani, Milano
2012, ed. 1744, II libro, p. 932. 490 E. Grassi, Viaggiare ed errare, cit., p.
124. ! 166! centrali nell’analitica esistenziale grassiana: i
concetti di coscienza temporale umanistica e di oggettività. Secondo il
pensatore milanese l’esperienza del disancoramento originario dalla realtà è
l’elemento principale che caratterizza la “situazione umana”. L’angoscia e il
terrore della foresta primordiale, l’agorafobia originaria che genera la paura
dell’aperto, spingono l’uomo a cercare di volta in volta i codici di
decifrazione della realtà come è emerso dalle precedenti considerazioni
sull’incidenza dell’idea uexkülliana di cerchio funzionale simbolico e sulla
distinzione tra mondo animale e mondo umano a partire dalla funzione di
apertura mondana dell’Angst. Leggiamo in Il tempo umano. L’umanesimo contro la
techne che “la situazione umana è caratterizzata dal fatto che l’uomo ha la
esperienza originaria di essere disancorato dalla realtà. Il problema del
metodo nasce da questa profonda esperienza, giacchè esso consiste nella ricerca
della via per giungere un dato fine. Le prime forme di metodo, cioè di ricerca
di un orientamento nella realtà nascono dall’esperienza del carattere
ingannevole e relativo e mutevole di ciò che mediano i sensi”491. La situazione
in cui l’uomo è gettato è caratterizzata dal nesso disancoramento-metodo-
orientamento. Convinto che proprio l’insufficienza dei sensi, che provoca il
disancoramento, ci obbliga all’elaborazione del metodo, Grassi individua la
nascita delle scienze naturali nell’originaria perdita del rapporto immediato
con la natura. Emerge un elemento concettuale di non secondaria importanza: il
tema della nascita della coscienza e delle scienze si intreccia indissolubilmente
alla questione dell’oggettività e alla ricerca della sua determinazione.
Sostiene il filosofo che “nelle scienze singole naturali, nelle quali l’uomo
crede di raggiungere l’obiettività, appare più chiaro che altrove il
disancoramento dell’uomo. Infatti di fronte al bisogno di un metodo, di
un’oggettività, appare il caratteristico capovolgimento che avviene nella
nostra concezione del reale”492. Si tratta di quel capovolgimento che
caratterizza le scienze naturali che mettono da parte l’esperienza originaria
della natura – quella immediata dei sensi – in direzione della ricerca di
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 491 Id., Il tempo umano.
L’umanesimo contro la techne, cit., p. 202. I corsivi sono nostri. 492
Ibidem. ! 167! un’oggettività “stabilita dai principi in funzione
ai quali si delimita e circoscrive, facendola oggetto di domanda, la realtà
fenomenica”493. L’assenza di coordinate e orientamento mette l’uomo in una
condizione di Notwendigkeit che segna anche il discrimine tra mondo animale e
mondo umano. La fecondità del tema del disancoramento si pone nel contesto
dell’onto-antropo-logia grassiana quale condizione di possibilità della nascita
del mondo umano nella Lichtung primordiale. Per il filosofo “la storia umana comincia
nell’istante stesso nel quale l’uomo sorge dalla natura in quanto
l’immediatezza di quest’ultima non lo soddisfa: l’esperienza della non
indifferenza di ciò che gli si presenta fenomenalmente a mezzo dei sensi è
espressione di legami che non si identificano con quelli dei sensi”494.
L’elevarsi dell’uomo dall’immediatezza dei sensi mette in moto il secondo
livello di oggettività e la storia umana. Ma che cosa intende il pensatore per
oggettività e in che relazione essa si trova con la storia? III. XI. I gradi
dell’oggettività Il filosofo distingue due gradi dell’oggettivo. In L’uomo e
l’esperienza dell’oggettività il punto di partenza dell’indagine è ancora una
volta quello della “condizione umana” che “si distingue nettamente dalla
condizione degli altri esseri viventi per la necessità di ricercare e
progettare le unità di misura e di principi in funzione ai quali delimitare il
mondo delle apparenze nelle quali ci troviamo”495. L’indagine sulla situazione
del Da-sein e sulle sue strutture di esistenza ha come primo risultato
l’individuazione di due livelli di oggettività. “Per giungere alla soluzione
della realtà umana, e con ciò della sua oggettività, dobbiamo innanzitutto
partire dal problema di quali siano i caratteri di ciò che ci si manifesta”496.
Tali caratteri possono essere contraddistinti in due modi: -! dipendono dai
nostri parametri e dai “limiti da noi progettati”497
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 493 Ibidem. 494 Ivi, p.
203. 495 Id., L’uomo e l’esperienza dell’oggettività, cit., p. 65. 496 Ivi, p.
68. 497 Ibidem. ! 168! -! dipendono “dal fenomeno stesso nel ritmo
del proprio divenire”498 Da un lato constatiamo che nella vita vegetativa e
organica la natura appare nel costante ritmo temporale dell’identico, in un
diastema, ossia in “ciò che sta (istemi) tra limiti (dià)”499, dettato dal
fenomeno stesso della vita e non da modalità molteplici di ordinare i fenomeni
naturali. Dall’altro riscontriamo nel mondo umano infinite unità di misura di
questa natura. Per il filosofo “della natura possiamo solo parlare in quanto
essa appare entro i diastema stessi, cioè entro determinati limiti”500 e
tuttavia dobbiamo riconoscere che si danno alcuni fenomeni “il cui apparire non
dipende dalla nostra proiezione di diastema”501. Grassi riporta l’esempio dei
molteplici stati di un corpo502: un corpo può apparire in una forma solida o
liquida ma la modalità in cui esso appare non dipende da noi: la nostra
proiezione di diastema non è l’unica via di accesso all’oggettivo, all’essere,
alla natura. “Se è vero che la natura appare solo entro i limiti da noi
progettati, è altrettanto vero che non dipende da noi come essa appare: essa ha
una propria oggettività. La constatazione di questa oggettività dei fenomeni
naturali è la condizione dell’esperimento, è la risposta che la natura dà entro
i nostri diastema”503. Non a caso il filosofo ricorre a Leonardo per porre in
luce il concetto di natura entro i diastema. Nello scienziato Grassi individua
un via di accesso alla natura mediata dall’esperimento che mostra il senso
autentico del concetto di diastema. Nel Trattato sulla pittura e Sull’anatomia
dell’uomo “l’esperimento è l’interrogazione della natura tenendo conto di una
teoria stabilita anticipatamente, al fine di verificare se questa attraverso
l’esperimento viene confermata o confutata. Il punto di partenza per
un’indagine sulla natura diventa quindi la teoria dell’uomo ad essa
soggiacente. Perciò per Leonardo non è possibile conoscere la natura nella sua
interezza !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 498 Ivi, p.
69. 499 Ivi, p. 68. 500 Ibidem. 501 Ibidem. 502 Ibidem. 503 Ibidem. !
169! ma solo quelle parti che si danno nel contesto della teoria e delle
domande poste dall’uomo. La natura è dunque correlata all’uomo e alle sue
capacità”504. La natura di Leonardo rimane nondimeno “un mistero che viene
svelato in funzione della domanda impellente”505, quindi mantiene una zona di
opacità residua. Essa ha una propria oggettività che non può essere colta in
maniera esaustiva e definitiva. Il tema della doppia oggettività della natura
mette insieme l’idea dell’oggettività della natura, quale fondo oscuro e
inaggirabile, e l’idea della natura come banco di prova dell’esperienza umana
che risulta essere un progetto gettato. Ecco allora che si profila l’intreccio
indissolubile tra il tema ontologico della oggettività, della natura,
dell’essere e quello etico-pratico della storia umana dei tentativi, dei
progetti, dell’esistenza, del caso particolare, delle circostanze. In questo
percorso di superamento dell’oggettività della natura, di trascendimento della
sua alterità e di ricerca di principi di determinazione, l’uomo elabora le
proprie strategie di contenimento del diverso: inizia la storia del sapere. Per
il pensatore italiano “la storia del divenire per giungere alla conoscenza di
quei principi primi è la storia del sapere. Ma non basta sapere, cioè giungere
al riconoscimento di quei principi nei quali ancorare tutti i nostri progetti,
ma bisogna anche saper realizzare in funzione ad essi i nostri diastema, i
nostri progetti: sorge così una nuova esperienza del tempo [...]: il tempo
umano”506. La coscienza dell’autotemporalità trova la propria genesi
nell’angoscia esistenziale che ha per il pensatore una funzione catartica:
“quella di guidare l’uomo [...] alla coscienza del carattere perturbante della
propria situazione”507. L’autotemporalità della coscienza umanistica si fonda
sull’idea del tempo come “distinzione fondamentale fra ciò che non è più e ciò
che non è ancora, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 505
Id., La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., 165. 506 Id.,
L’uomo e l’esperienza dell’oggettività, cit., p. 71. 507 Id., Potenza della
fantasia, cit., p. 259. 504 Id., Introduzione a Heisenberg, Das Naturbild
der heutigen Physik, Hamburg Rowohlt, 1955, pp. 133-138, traduzione
nostra. ! 170! passato e futuro”508 in funzione di un presente.
Tale presenzialità tuttavia non ha carattere puntuale, “non ha a che fare con
un atomo temporale fuggitivo”509. III. XII. Essere e Tempo Il presente al quale
si riferisce il filosofo va connesso con l’idea di appello dell’essere. Tempo
ed essere sono strettamente correlati nella concezione grassiana del tempo.
Come leggiamo in Apocalisse e storia “i momenti del tempo sono il NON-ancora,
il NON-più e l’ora. Tutti e tre questi momenti manifestano all’analisi un
caratteristico aspetto negativo”510. Il passato e il futuro mostrano un
carattere di nullità e sarebbe più corretto parlare di “presente del passato,
presente del futuro, presente del presente”511 che si danno nel ricordo e
nell’attesa. Una concezione del tempo di questo tipo fa dipendere la nostra
capacità di percepire il tempo dalla nostra capacità di essere affetti
(affectio animi). Osserva Grassi che una simile concezione della temporalità
presuppone l’essere: non nel senso di ciò “che esteriormente ci è dato”512 ma
nel senso di ciò che rende possibile le nostre esperienze. L’a-priori di ogni
esperienza temporale umana – quella dell’attesa e del ricordo – è l’attenzione:
“il termine latino corrispondente ci chiarisce in che accezione appare qui il
termine attenzione: attentio significa tendere ad, e quindi attendere.
L’attenzione è quindi possibile nell’ambito di una tensione, di una tensio che,
come fondamento dell’aspettativa, dell’attesa, è la radice medesima della
nostra capacità di intus-legere, dell’intelligenza con la quale costruiamo e
ordiniamo i fenomeni in un modo”513. Solo nel contesto di questa
attentio/tensio originaria sorgono il presente, il passato e il futuro. La
struttura temporale della coscienza è a
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 508 Id., Il tempo umano.
L’umanesimo contro la techne, cit., p. 205. 509 Ibidem. 510 Id., Apocalisse e
storia, cit., p. 13. 511 Ivi, p. 14. 512 Ivi, p. 15. 513 Ivi, p. 14. !
171! fondamento del potere umano di progettare, mondi, cosmi, ordini,
unità di misura come strategie di risposta agli appelli dell’essere che urgono
e ai quali dobbiamo corrispondere. All’origine dell’autotemporalità storica514
della coscienza umana abbiamo un Dasein che si dibatte tra angoscia e paura, la
potenza delle quali irrompe, creando uno strappo nell’unità simbolica di
soggetto e oggetto. La ricostruzione di tale unità simbolica, di tale symplokè
tra soggetto e oggetto mediante la parola, il linguaggio, è il compito che
Grassi si propone di portare avanti attraverso riflessioni che assurgono a
prolegomena per una “semiotica antropologica” che indaga il “problema del nuovo
potere originario che strappa l’esistenza umana dalla sfera della
consapevolezza del semplice segno biologico e la colloca in una situazione di
esistenza e di possibilità umane”515. La coscienza umana nasce compensazione di
quel disancoramento primordiale, che è a fondamento del mondo umano, e come
produzione tecnico-poietica. Se la storia dell’uomo è la storia del suo
divenire e del suo superamento dell’immediatezza della natura allora il suo
compito fondamentale – il compito del vero umanesimo – sarà quello di
riscostruire la storia “di quella realtà originaria che l’ha strappato dalla
immediatezza della natura”516. Un sapere che si pone questo obiettivo si
costituisce come archeologia dei mezzi umani di ricomposizione della frattura
originaria (la rottura del cerchio funzionale simbolico): scienze naturali,
tecnica, filosofia, arte517. Per Grassi “di qui sorge la necessità di
ricostruire – con i frammenti del mondo sensibile – un mondo nuovo, quello
umano. L’uomo può realizzare tale compito solo se chiarisce ciò che lo riguarda
originariamente e se conforma la realtà sensibile a questa nuova urgenza [...]:
sorge per l’uomo il caso particolare, presupposto alla realizzazione del mondo
umano”518. Proprio l’elemento circostanziale, particolare, limitato di ogni
singola esperienza individuale ci restituisce la qualità cairologica, più che
escatologica della temporalità grassiana, attenta all’istante
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 514 Cfr., sul tema
dell’autotemporalità come nota distintiva dell’uomo distinta dalla temporalizzazione
biologica Id., Vico contro Freud: creatività e inconscio, pp. 133-153, in Id.,
Vico e l’Umanesimo, cit. pp. 142-145. 515 Ivi, p. 152. 516 Id., Il tempo umano.
L’umanesimo contro la techne, cit., p. 203. 517 Ibidem. 518 Id., Apocalisse e
storia, cit., p. 12. ! 172! giusto, al tempo opportuno: poiché la
nuova esperienza di fronte alla quale si trova l’uomo non è solo la conoscenza
dell’universale ma innanzitutto quella del caso particolare e singolo. “Bisogna
sapere quando, come, dove, di fronte a chi”519. La mancanza di tale conoscenza
sarebbe “mancanza di misura, di discrezione, di prudenza, di phronesis”, le
uniche capaci di mostrare l’intima correlazione tra vita etica e politica come
realizzazioni dell’opera umana, come risposte alla scomparsa del mondo
olistico, intatto, della vita organica. Per Grassi resta sullo sfondo un grande
interrogativo: c’è da chiedersi “in virtù di che cosa può originarsi il mondo
umano, se all’uomo non appartiene alcun ambiente immediato, se quest’ultimo
dev’essere sempre costruito da ogni singolo individuo; qual è la radice
dell’umanizzazione della natura?”520. Legato al tema antropologico delle
origini della storia umana emerge quello del linguaggio e della funzione della
retorica grassiana come ricerca sul significare arcaico o semantica
antropologica. Siamo così giunti ad un’altra domanda legata connessa ai
problemi precedentemente posti a tema: “a quale funzione adempiono la parola,
il linguaggio, nel sorgere del mondo umano?”521.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 519 Id., Il tempo umano.
L’umanesimo contro la techne, cit., p. 205. 520 Id., Potenza della fantasia,
cit., p. 256. 521 Ivi, p. 254. ! 173! CAPITOLO IV PALAIÀ DIAPHORÀ:
PENSARE E POETARE IV. I. Il significato della proposta retorica Nei capitoli
precedenti abbiamo cercato di ricostruire le tappe del pensiero di Grassi
seguendo come filo conduttore quello dell’onto-antropo-logia che si è rivelata
una chiave di lettura ampia e integrativa. Seguendo le riflessioni sui temi
dell’essere, dell’apparire e della manifestatività abbiamo rintracciato a
fondamento della proposta neoumanistica un’analitica dell’esistenza che tocca i
temi della coscienza temporale, della dismondanizzazione e dell’assenza di
mondo. La focalizzazione su queste problematiche fa emergere un’idea di
umanesimo che viaggia sul doppio binario della rivalutazione storica – come
dimostra l’analisi dei testi umanisti dedicati al tema della Lichtung, del
linguaggio e della poesia – e della chiarificazione teoretica delle categorie
dell’esistenza. In questo ultimo capitolo prenderemo in considerazione i temi
del filosofare noetico-non metafisico e quelli della retorica ingegnosa come
critica delle devastazioni dell’intelletto, di quei “razionalismi stretti e
assoluti del positivismo logico, cui Grassi contrappone una logica del discorso
diretto, del pensiero come comunicazione discorsiva, fondato sulla metafora non
come luogo del falso, ma come spazio del vero concesso all’uomo”522. Sullo
sfondo della prospettiva retorica grassiana emerge il paradigma
dell’incompletezza e della carenza. L’uomo è di fronte ad un paradosso: è
caratterizzato dal punto di vista morfologico, dal punto di vista della sua
dotazione organica, da primitivismi, inadattamenti e non specializzazioni, a
cui fa da contraltare un’apertura al mondo che non lo vincola, come nel caso
degli animali, ad un ambiente preciso. Il disancoraggio da un ambiente dai
contorni definiti e fissi rende l’uomo compito a se medesimo, lo sottopone ad
un onere che si concretizza nella riconversione di una condizione deficitaria
in una progettazione di possibilità di conservazione della vita. L’azione, come
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 522 E. Raimondi, La
retorica d’oggi, il Mulino, Bologna 2002, p. 77. ! 174!
compensazione alla struttura morfologica deficitaria, si configura come
trasformazione della natura in mondo culturale, come umanizzazione
dell’ambiente che solo così diviene mondo. In tale processo antropogenetico la
retorica occupa un posto tutto particolare. La retorica diviene la faticosa
produzione di quelle concordanze che subentrano al posto dei codici mancanti.
Il codice di cui parla il filosofo è “non soggettivo, non è scelto liberamente,
ma sofferto attraverso i sensi, in quanto essi si manifestano nella sfera del
piacere e del dolore [...] noi non abbiamo così il dualismo di codice e realtà
da decifrare, abbiamo invece il significato continuo, immediato e rivelato di
ciò che noi soffriamo con pathos”523. Ad agire sullo sfondo del discorso c’è la
riflessione antropologica novecentesca menzionata in precedenza: il concetto di
povertà, il paradigma dell’incompletezza, secondo cui l’uomo è concepito come
animale carente, che si intreccia saldamente con la rivalutazione della
retorica come luogo privilegiato dell’umano. La retorica avrà un doppio ruolo:
quello di mostrare come la pistis sia al centro dell’agire umano e di porre in
luce come l’uomo sia contraddistinto da una carenza originaria che per una
sorta di eterogenesi dei fini si rivela essere all’origine di quel meccanismo
antropogenetico che è la fondazione della comunità umana. Ad emergere è un
significato antropologico di retorica che si configura come la compensazione
dell’indeterminatezza dell’essere umano: essa può essere definita come la tecnica
di adattamento provvisorio che precede ogni morale e ogni verità. La retorica
allora costituirebbe una situazione di emergenza, una strategia dell’esonero,
uno strumento di azione in mancanza di evidenza. Tale funzione compensativa
della tecnica retorica guida il discorso di Grassi relativo anche alle
istituzioni: la vis retorica crea istituzioni: “la società umana ha origine nel
poeta come oratore e nel lavoro”524. All’interno di questa prospettiva la
riflessione retorica diviene teoria dei segni (semata), semiotica, e teoria del
senso, semantica arcaica, ben lontana dalla semiotica formale. Una teoria del
segno e del senso per il filosofo “dovrebbe essere in grado di elevarsi al
livello !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 523 E. Grassi,
Vico e l’umanesimo, cit., p. 242. 524 E. Grassi, Retorica come filosofia. La
tradizione umanistica, cit., p. 135. ! 175! di filosofia in quanto
dottrina dei segni sulla base dei quali si manifesta il lavoro specificamente
umano (ergon anthropinon)”525. La questione linguistica si intreccia con quella
antropologica dell’origine del mondo umano come reazione all’agorafobia
primordiale della Lichtung, semiosfera da cui si dipartono i mondi possibili
dell’umano. La declinazione antropologica della retorica in base alla quale
quest’ultima si costituisce come “pensiero che è aperto alla chiamata della
concreta situazione di vita”526 pone in luce come la retorica “assume un
significato essenzialmente nuovo; retorica non è, né può essere l’arte, la
tecnica di una persuasione estrinseca; è piuttosto il discorso che costituisce
la base del pensiero razionale”527. Essa è la base di quel theorein che è
proprio della filosofia: un theorein che non ha una costituzione razionalistica
ma è “una visione puramente indicativa, schematica, immaginifica, che, come
tale, opera opera anche pateticamente e quindi retoricamente”528. IV. II. La
retorica come critica del paradigma scientifico Il nucleo singolare dell’opera
di Grassi si rivela come una nuova e specifica prospettiva sull’umanesimo
retorico quasi sempre obliato dagli storici della filosofia del Rinascimento
tra i quali Kristeller e Cassirer529. Come dimostrato dalla sua intensa
attività all’Istituto Studia Humanitatis (inaugurato il 6 dicembre del 1942
nell’università di Berlino), presso il Centro italiano di studi umanistici e
filosofici a Monaco (1948) e soprattutto dall’attività editoriale della
Humanistische Bibliothek, la collana Tradiciòn y Tarea, Grassi propone un’idea
diversa del pensiero umanista. Egli !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
525 Id., Retorica come filosofia, cit., p. 194. 526 W. Veit., Critica radicale
della ragione o l’altro rispetto alla ragione: la sfida della retorica, pp.
99-126, in AA. VV., Studi in memoria di Ernesto Grassi, cit., p. 113. 527 Id.,
Retorica e filosofia, in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 97. I corsivi sono
nostri. 528 Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., pp.
17-18. 529 Cfr. le osservazioni esposte nel II capitolo. ! 176! non
riduce tutto l’umanesimo al recupero del platonismo – ricordiamo l’opposizione
tra umanesimo platonico e non platonico530 di cui spesso parla il filosofo – ma
mette in risalto l’importanza dell’altra corrente dell’umanesimo che rivendica
il valore della parola poetica, come parola donatrice di senso, e della prassi
vitale e storica. Lo studio dell’umanesimo allora non appare come il frutto di
una curiosità storiografica o erudita ma come uno sforzo, un impegno, per
immettere la questione dell’uomo sul terreno della correlazione di teoria e
prassi che riscrive anche il tema dell’utilità della filosofia e degli studia
humanitatis. Come leggiamo in La potenza dell’immagine “solo in base al
chiarimento di una concreta tradizione storica – cioè di quella umanistica –
può sorgere a una nuova considerazione il problema attuale de “a che cosa serve
la filosofia”, e quindi il problema del rapporto tra teoria e prassi [...] la
problematica dell’umanesimo italiano – proprio in relazione alla preminenza
accordata alla prassi, alla negazione della parola astratta, razionale –
presuppone il superamento della dualità di una realtà esistente, sperimentata,
e di un mondo corrispondente alla ragione, una dualità che conduce
all’insuperabile divaricazione di teoria e prassi”531. Il recupero del passato
filosofico – la tradizione umanistica – fa tutt’uno con l’idea di un’utilità
pratica della filosofia che per Grassi nasce proprio come naecessitas, come
risposta all’appello dell’Abissale, poiché “conservare un passato (è indifferente
che si tratti di pensieri, monumenti o avvenimenti), non considerato in
relazione a un compito da assolvere nel presente, è il segno di una cultura
divenuta sterile. Ogni cultura, ogni tradizione, nella quale il passato perde
questa promettente considerazione, decade, avvizzisce. La tradizione si radica
solo nella comprensione del presente”532. All’interno di questa prospettiva il
filosofo milanese afferma che il vero umanesimo è quello che incomincia con
Dante e Boccaccio. Contro l’indirizzo “platonico” costituito dal versante
ficiniano dell’umanesimo per Grassi permane attraverso i contributi di Vives,
Nozolio, Peregrini, Tesauro, Graciàn, Vico, Muratori, Leopardi, una tradizione
non-platonica ma retorica, che resiste a quello !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
530 Cfr., E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, capitolo
VI “Antiplatonismo e platonismo”, cit., pp. 175-197. 531 Id., La potenza
dell’immagine, cit., pp. 259-260. 532 Ivi, p. 133. ! 177! spirito
razionalista che la relega nell’ambito della letteratura, dissolvendo l’unione
di retorica e filosofia. Il punto di vista grassiano sull’umanesimo italiano
emerge in netto contrasto all’enfasi sulla ragione e sulla logica privilegiate
dal paradigma scientifico. Quest’ultimo si fonda sul presupposto che la
conoscenza oggettiva sia l’unico modo per comprendere la realtà. Questo tipo di
impostazione logico-analitica, caratterizzata dall’utilizzo del metodo
scientifico, non è attenta all’hic et nunc della situazione concreta ma crede
di trovare assiomi autoevidenti universalmente validi: rispetto al discorso
retorico “il discorso razionale invece è fondato sulla capacità una di trarre
deduzioni e quindi di legare delle conclusioni a delle premesse. Il discorso razionale
raggiunge la sua funzione dimostrativa e la sua stringenza mediante la
dimostrazione logica”533. Ne deriva che il discorso retorico non può avere
alcuno spessore filosofico all’interno del paradigma scientifico. Il discrimine
fondamentale tra l’approccio scientifico e quello retorico al reale risiede
nella ricerca dei principi. La retorica vuole indagare l’origine dei primi
principi e la scienza si arresta alla constatazione delle premesse. Se il
discorso dimostrativo è quello che lega la definizione di un fenomeno
riportandolo ai principi ultimi, alle archai, “è chiaro che le prime archai di
qualsiasi prova, e quindi conoscenza, non possono essere esse stesse essere
provate, in quanto non possono essere oggetto di un discorso apodittico,
dimostrativo e logico”534. Da qui sorge il problema dell’individuazione del
tipo di logos adatto ad una ricerca sui primi principi, sulle premesse
indimostrabili. La risposta grassiana è nota: “l’uso di tali espressioni, che
appartengono all’originario, al non-deducibile, non possono avere carattere e
struttura apodittica e dimostrativa, ma solo indicativa. É solo il carattere
indicativo delle archai che rende davvero possibile la dimostrazione”535. La
ricerca sul metodo adeguato per accedere al reale conduce Grassi a tematizzare
l’infondatezza di quella opposizione tra filosofia topica e critica.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 533 Id., Filosofia
critica o filosofia topica? Il dualismo di pathos e ragione, in Id., Vico e
l’umanesimo, cit., pp. 25-26. 534 Id., Retorica e filosofia, in Id., Vico e
l’umanesimo, cit., p. 96. 535 Ivi, p. 97. ! 178! IV. III. Retorica
tra filosofia critica e filosofia topica La dimensione retorica va considerata
secondo Grassi non come elocutio ma come inventio536: non si tratta di un
ornamento edonistico del discorso, o di una celebrazione epidittica, ma di una
vis creatrice che attinge al polimorfismo del reale: la Weltanschauung
“umanistica tutt’altro che tranquilla, trascura l’ontologia a vantaggio della
metamorfosi, che opportunamente si salda in Grassi alla centralità della
metafora, stabilendo con la topica una tassonomia mobile e con l’ingegno legami
dal mandato sempre provvisorio”537. Il magistero degli umanisti e di Vico,
quale ultimo interprete degli ideali di storicità, della funzione conoscitiva
ma anche esistenziale della fantasia, dell’ingegno e della metafora, consente a
Grassi di porre l’attenzione al momento genetico, aurorale del pensiero più che
alla sua fase declinante, al suo tramonto. Vichianamente attento alla natura
delle cose che altro non è che “nascimento in certi tempi e in certe guise”
(Scienza Nuova, Degnità XIV) Grassi rifugge dagli ideali cartesiani di
chiarezza e distinzione optando per l’opacità dei tropi. In Vico e L’umanesimo
il dualismo di pathos e ragione si concretizza nella dicotomia tra Cartesio e
Vico, tra un filosofare critico e un filosofare topico, che divengono le due
allegorie del danno e del rimedio per la filosofia autentica. Cartesio compare
quale bersaglio polemico di un discorso che vuole scardinare l’impostazione
razionalista del pensiero. Grassi fa sua la posizione heideggeriana che
sottopone l’autore delle Meditazioni all’affilata mannaia della distruzione
ontologica valutando l’operazione metodica di separazione tra io e mondo538,
tra res cogitans e res extensa un’assurdità. Se si postula una separazione non
ci sarà alcuna possibilità di ricomposizione della frattura come è possibile
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 536 Cfr., sulle parti
della retorica dalle origini alle nuove retoriche di Perelman-Tytheca, Gruppo
di Liegi, retorica del silenzio di Valesio B. Mortara-Garavelli, Manuale di
retorica, Bompiani, Milano 2012. 537 Ivi, p. 390. 538 Sull’interpretazione
heideggeriana dell’ontologia cartesiana del mondo cfr., M. Heidegger, Essere e
Tempo, cit., §§ 19-21. ! 179! leggere in Essere e Tempo ai
paragrafi 19-21. Secondo Heidegger, a partire da Cartesio avviene nella
metafisica un importante passaggio, quello dalla domanda che chiede che cosa
sia l’ente, a quello della domanda che si pone il problema del fondamento che
rende possibile la comprensione dell’ente. A tale fondamento poi si riconduce –
ad esempio, nelle suggestive pagine di Il nichilismo europeo – lo sviluppo
della tecnica come estrema propaggine del pensare metafisico, come essenza
stessa della metafisica che è nichilismo. Nella tesi cartesiana ego cogito,
ergo sum, infatti, Heidegger vede espresso un primato dell’io umano ed una
nuova posizione dell’uomo539, poiché l’uomo diventa subiectum540, il fondamento
e la misura di ogni certezza e verità. Asserisce il pensatore tedesco che “la
tradizionale domanda guida della metafisica – che cos’è l’ente – si trasforma
all’inizio della metafisica moderna nella domanda del metodo, della via per la
quale, [...] è cercato qualcosa di assolutamente certo e sicuro”541. Tale
metodo è il cogito e le sue strutture. Grassi fa sua l’impostazione
heideggeriana e afferma che occorre abbandonare l’ipotesi di un inizio
cartesiano del pensiero moderno poiché il vero inizio è quello che include il
pathos all’interno del logos. Egli sostiene che “all’inizio della filosofia
moderna Descartes escluse scientemente la retorica – e le altre materie proprie
dell’educazione umanistica – dalla filosofia come pura ricerca della
verità”542. Il dualismo di dimensione patica e dimensione razionale ha come
conseguenza sul piano teorico una contrapposizione tra il piano individuale,
storico e temporale della retorica e il piano generale, astorico, e svincolato
dall’hic et nunc. Il problema della connessione di pathos e logos, di filosofia
critica e topica, viene posto per la prima volta secondo Grassi in modo
teoricamente articolato nella filosofia vichiana del De ratione studiorum di
cui egli ricostruisce minuziosamente le tappe della critica al razionalismo
cartesiano nel saggio Filosofia critica o filosofia topica? Il dualismo di
pathos !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 539 M. Heidegger,
Il nichilismo europeo, Adelphi, Milano, p. 158. 540 Ivi, p. 168. 541 Ivi, p.
169. 542 E. Grassi, Filosofia critica o filosofia topica? Il dualismo di pathos
e ragione, cit., in Id., Vico e l’Umanesimo, cit., p. 25. ! 180! e
ragione. Le questioni poste sul tavolo della discussione sono molteplici: la
pretesa di partire da un primo vero attraverso il dubbio metodico; esclusione
delle verità seconde; esclusione del verisimile543. Se il primo vero riguarda
l’essere e la catena deduttiva della dottrina della scienza atta a conoscerlo,
le verità seconde pertengono all’ambito delle necessitates umane che spingono
l’uomo a ricercare quei mezzi per sopravvivere essenzialmente tecnico-poietici.
Il metodo critico di impostazione cartesiana trascura in questo modo la sfera
retorica, immaginativa, fantastica, ma anche politica della vita umana, ridotta
al suo puro aspetto cogitativo. Grassi pone l’attenzione sul passo vichiano del
De Ratione in cui è enunciata la priorità della topica sulla critica: “giacchè,
come l’invenzione degli argomenti precede per natura la valutazione della loro veridicità,
così la dottrina topica dev’essere preposta a quella critica”544. Si chiede il
filosofo milanese: “chi ci assicura che le premesse dalle quali parte il
processo critico non rispecchino solo un singolo aspetto della realtà,
limitando di conseguenza le conclusioni che ne derivano? Non ha il metodo
critico trascurato la retorica, la politica, la fantasia dimostrando così la
sua unilateralità razionalistica?”545. Non è la deduzione che precede
l’inventio, ma al contrario ogni catena di ragionamento è possibile unicamente
sulla base di un “ritrovamento di luoghi”. Si tratta dell’arte topica, ossia
l’arte dell’invenzione di cui Cicerone e Quintiliano ci hanno parlato e su cui
già Aristotele si pronuncia in Topica in cui a quest’arte è riconosciuta la capacità
di individuare a “quanti e quali oggetti si rivolgono i discorsi, da quali
elementi derivano, e come sia possibile avere tali discorsi facilmente a
disposizione”546. La questione è ancora una volte quella di tenersi lontani da
una visione unilaterale della realtà tenendo conto piuttosto delle innumerevoli
forme dell’apparire del reale, da interpretare in tutta la sua ricchezza. La
radicalizzazione dell’opposizione tra logos e pathos in realtà è spia di
un’esigenza !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 543 Ivi, p.
35 e sgg. 544 G. B. Vico, Sul metodo degli studi nel nostro tempo, cit., p. 39.
545 E. Grassi, Filosofia critica o filosofia topica? Il dualismo di pathos e
ragione, cit., in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 36. 546 Aristotele, Topica,
101 b 3. ! 181! di unità nel quadro di una prospettiva
onto-antropo-logica che mira a gettare un ponte tra logos e pathos, tra
pensiero retorico e scientifico. Leggiamo in Retorica e filosofia che “la tesi
che l’essenza della filosofia si riduca esclusivamente al processo razionale
non regge. Anzitutto perché esso presuppone inevitabilmente un’altra attività,
quella dell’invenire, che lo precede”547. Lo scopo del filosofo è quello di
trovare il fondamento comune di retorica e filosofia, e la sua prospettiva
non-riduzionista è capace di tenere conto di quella torsione che avviene
nell’uomo con il sopravvenire del linguaggio, come mediazione tra gli istinti e
gli impulsi da un lato e gli scopi dall’altro. Il linguaggio segna e delimita i
diversi aspetti dell’umano che esprime il proprio senso della realtà
primariamente attraverso un logos metaforico e non tramite la definizione, il
concetto, il linguaggio razionale. Di conseguenza la soggettività che traspare
dalle riflessioni grassiane non è dotata di una identità monolitica e
infrangibile, non è compatta e unitaria ma è una soggettività frammentata e
consegnata alla contingenza, alla circostanza, costretta a ridefinirsi
continuamente. Il Da-sein è allora atto di ricomposizione, attraverso la “ragione
fantasticante”548 (che tiene insieme come compossibili e non come
contraddittori logos-pathos), dei cocci dell’esistenza tra i quali ci muoviamo,
consapevoli dell’instabilità e della mutevolezza, del divenire che necessita di
un logos adeguato alla sua espressione: la metafora. Nell’onto-antropo-logia
grassiana ritroviamo un Da-sein che riconosce l’inesistenza di un fondamento ma
non rinuncia ad esporsi alla motilità dell’esistenza e a costruire un senso tra
le pieghe e le piaghe che caratterizzano il movimento della vita. In questo
percorso di fondazione e di costruzione l’idea di retorica si pone in una
posizione innovativa. Come sottolinea Gabin nella recensione del 1983 a
Retorica e filosofia Grassi può essere collocato di fatto nel contesto della retorica
contemporanea che mette in luce uno slittamento dalla teoria della
corrispondenza a quella !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
547 E. Grassi, Filosofia critica o filosofia topica? Il dualismo di pathos e
ragione, cit., Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 33. 548 Id., Viaggiare ed
errare, cit., p. 180. ! 182! della coerenza549. Afferma lo studioso
che “gli echi di Richards, Burke, Barthes, Derrida, Ijsseling e molti altri
circolano nelle pagine di Grassi, ragione per la quale egli scrive nella
tradizione di coloro che credono nella natura circostanziale del pensiero e
nella implicita unità di idea e immagine”550. Tale slittamento mette in luce,
attraverso il ripercorrimento della lunga storia della retorica, da Aristotele
a Cicerone e Quintiliano, da Dante a Bruni e Valla, da Vico a Nietzsche e
Ungaretti, uno scopo ambizioso: capire meglio le ragioni profonde di quella
storia e, ripercorrendole, tornare all’universo contemporaneo per cercare di
enucleare alcune direzioni di ricerca e suggerire nuovi approcci. La teoria
retorica grassiana mette in luce una dimensione pragmatica della coerenza per
dirla con McPhail551 che si fonda su una riconsiderazione del tema della
credenza/pistis. Il magistero umanistico conduce il filosofo a riscoprire il
mondo della storicità umana, il valore conoscitivo della fantasia-ingegno,
della metafora, il ruolo civilizzatore e coesivo della retorica, la funzione
politico-economica dei miti, il potere metamorfico del lavoro, capace di
convertire la natura in cultura. Il filosofo predilige nella sua indagine
retorica il momento aurorale, arcaico: i punti di partenza, i presupposti
dell’agire, il momento genetico, còlto nelle sue implicazioni gnoseologico-
pratiche e antropologiche. Privilegiando la dimensione pre-teoretica, il mondo
della vita, il momento che precede quello razionale, le archai originarie, di
natura topica e non critica, indicativa e non
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 549 Mette in luce
l’ipotesi dello slittamento dalla teoria della corrispondenza a quella della
coerenza in Grassi M. L. McPhail, in Coherence as Rapresentative Anecdote in
the Rhetorics of Kenneth Burke and Ernesto Grassi, pp. 76-118 in AA. VV,
Kenneth Burke and contemporary European thought: rhetoric in transition,
Tuscaloosa, University of Alabama Press, 1995. Sull’importanza di Grassi nella
retorica contemporanea cfr., S. K. Foss-K. A. Foss-R. Trapp, Contemporary
Perspectives on Rhetoric, Waveland, Long Groove Illinois, capitolo III pp.
54-74. Per un approfondimento dei temi della coerenza e della corrispondenza
nelle teorie della verità cfr., M. Dell’Utri, Il falso specchio. Teorie della
verità nella filosofia analitica, ETS, Pisa 1996. Cfr., E. Raimondi, La
retorica d’oggi, cit., pp. 77-78. 550 R. J. Gabin, Review of Rhetoric and
Philosophy: the Humanist Tradition, Quarterly Journal of Speech 69, n. 2 (May
1983), pp. 220-221, p. 221: “Echoes of Richards, Burke, Barthes, Derrida,
Ijsseling and many others ring through Grassi’s pages, for he writes in the tradition
of those who believe in the circumstantial nature of thought and the underlying
unity of idea and image”, p. 221. Traduzione nostra. 551 Cf., M. L. McPhail,
op. cit., p. 77. “A comparison of the rhetorics of Burke and Grassi shows that
both writers’ conceptualizations of language exemplify the evolution from
correspondence to coherence in contemporary rhetorical theory”. “Una
comparazione delle retoriche di Burke e Grassi mostra che le riflessioni sul
linguaggio di entrambi gli autori esemplificano l’evoluzione dalla teoria della
corrispondenza alla teoria della coerenza nella teoria retorica contemporanea”.
Traduzione nostra. ! 183! dimostrativa, ingegnosa e non razionale,
retorica e non logica, egli dedica attenzione particolare ad autori, quali Aristotele,
Vico e Leopardi, le cui riflessioni si concentrano sulla dimensione aurorale
della fondazione della civiltà. Se con Vico e Leopardi siamo di fronte ad una
idea di humanitas all’insegna del pathos, secondo i quali la priorità non è
affidata al procedimento razionale, anonimo e astorico, al linguaggio
denotativo, chiaro e distinto, ma alla retorica e all’immagine, alla ricchezza
e all’opacità dei tropi, con Aristotele possiamo guadagnare un concetto di
logica affidata alla pistis, un’idea di sapere non fondata sulla deduzione – il
filosofare noetico-non metafisico. Sono in gioco tre aspetti fondamentali: -!
la focalizzazione sull’aspetto fondativo del linguaggio -! l’analisi dei
principi epistemici fondati sulla dimensione simbolica del pensiero e dell’azione
umani -! l’articolazione dell’aspetto ontologico che caratterizza l’esistenza
umana in termini di metafora drammatica, che ha una natura affermativa e
positiva in quanto forza propulsiva nella Menschwerdung Grassi vede
“l’esistenza umana come essenzialmente retorica ed esplora la metafora come
l’aneddoto rappresentativo dell’esistenza”552 che ha potere generativo. La
concettualizzazione dei grandi temi della filosofia, ma anche dell’arte e della
letteratura, sposta l’attenzione sul mondo storico, sulle passioni dell’uomo,
sulle tradizioni drammatiche, teatrali e metaforiche dell’occidente. La
particolare considerazione grassiana dell’umanesimo e della retorica che lo
contraddistingue emerge proprio in contrasto con l’enfasi posta dal paradigma scientifico
sulla ragione e sulla logica. Il pensiero scientifico e filosofico tradizionale
si basa sulla presupposizione che la conoscenza razionale sia la via da
preferire per accedere al reale. La critica grassiana al deduttivismo logico e
ad un sapere schiavo della mathesis universalis lo conduce verso
l’individuazione del momento critico del pensiero razionale
nell’indimostrabilità dei principi.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 552 Ivi, p. 79. “Grassi
similarly sees human existence as essentially rhetorical, and explores metaphor
as his representative anecdote”. Traduzione nostra. ! 184! IV. IV.
La struttura della presupposizione Come leggiamo in La priorità del senso
comune e della fantasia: l’importanza di Vico oggi “la logica tradizionale
distingue tra due modi per fondare la conoscenza. Il metodo deduttivo comincia
da premesse e deriva le inferenze già presenti in esse. Qui è indispensabile
che le premesse risultino universalmente valide e necessarie [...] ma le
premesse sono necessariamente presupposte nella deduzione”553. A fare problema
è la struttura della pre-supposizione, dell’upothesis. Secondo il filosofo
“quando si tratta di protasi, di indicazioni di indole arcaica – cioè
originaria, dominante – siamo obbligati a riconoscere che essa non ha e non può
avere un carattere dimostrativo, discorsivo bensì – come si esprime Aristotele
– noetico”554. I primi principi hanno carattere svelante e manifestativo: si
tratta del mitologema originario della filosofia, l’aporia contro cui urta il
soggetto parlante. Nella struttura della presupposizione, dell’ipotesi, o, nei
termini grassiani, dei “principi indeducibili”, si articola l’intreccio di
essere e linguaggio, di mondo e parola di ontologia e logica555. Per il
filosofo i principi non possono essere dimostrati perché essi sono alla base di
ogni dimostrazione. Non attraverso la ratio si accederà ad essi, ma attraverso
il pathos, che non è il contrario del sapere ma un’altra forma di sapere, un
sapere arcaico. Dalla prospettiva del filosofo dobbiamo chiederci “se le
asserzioni originarie non sono dimostrabili, qual è il carattere del discorso
con cui le esprimiamo? [...] qui ci si pone di fronte al problema fondamentale
del carattere che ha e deve avere la formulazione delle premesse, ossia delle
basi”556. Il discorso apodittico, quello che prova e dimostra (apo-deiknymi),
pone la definizione di un
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 553 E. Grassi, La
priorità del senso comune e e della fantasia: l’importanza di Vico oggi,
pubblicato in AA. VV., Vico and Contemporary Thought, Vol. I, Humanities Press
International, New Jersey 1976, ora in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 43.
Corsivo nostro. 554 Id., Filosofare noetico non metafisico, cit., p. 17. 555
Sul problema della presupposizione come mitologema originario della filosofia
cfr., G. Agamben, Che cos’è la filosofia, Quodlibet, Macerata 2016. 556 Cfr.,
E. Grassi, Retorica e filosofia, cit., in Id., Vico e l’umanesimo, cit.,
97. ! 185! fenomeno riportandolo ai principi ultimi o archai. Ed è
chiaro che le prime “archai di qualsiasi prova, e quindi della conoscenza, non
possono esse stesse essere provate”557. Tale sapere arcaico coinvolge anche una
riflessione sul mito – come “principio instauratore originario di una comunità”558
– sulla dottrina topica-inventiva – interpretata come “dottrina della visione
originaria”559 – , sulla metaforologia – come “prassi linguistica e
biologica”560 –, sull’ingenium –come “proprietà comprensiva più che deduttiva
dell’uomo”561 – e sulla phantasia intesa nella sua funzione ontologica come
“attività originaria che scopre le relazioni sulla base delle visioni delle
somiglianze”562. L’apogeo della critica contro la deriva razionalistica del
pensiero si colloca nell’individuazione dell’opposizione delle nozioni
aristoteliche di nous e di episteme. Grassi infatti istituisce un collegamento
tra nous e archè, mettendo in luce la stessa matrice originaria dell’episteme:
l’urgenza, l’impellenza e l’appello dell’essere si svelano attraverso segni indicativi,
colti attraverso la passione. Quella che Grassi definisce come noetica è la
forma originaria della filosofia e si configura come a priori trascendentale di
ogni dimensione deduttiva e storica. Leggiamo in Significare arcaico che nella
sfera dell’originario non esiste dualismo di pathos e logos e nell’ambito dei
segni indicativi noi esperiamo l’aletheia arcaica “sacrale e con ciò estatica,
patetica, manica”563. Per il filosofo se “il dualismo di sapere e di pathos non
ha luogo nella sfera !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 557
Ivi, p. 96. 558 Id., Mito ed arte, cit., p. 162. Cfr., anche Id., Arte e mito,
cit. 559 Id., Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, cit., p. 93.
560 Cfr., Id., Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale,
cit., p. 192. “La facoltà del trasferimento di senso, il metapherein, è fin
dall’inizio essenziale alla vita”. Cfr., Id., La filosofia dell’umanesimo. In
problema epocale, cit., p. 179. “La metafora con il suo carattere immaginifico
e non causale, non concettuale ma ingegnoso, supera il divario che corre tra la
teoria, il concetto universale, e la pratica sempre connessa con il caso
particolare [...] l’espressione metaforica è in sé e per sé una risposta
all’appello dell’Essere che si impone qui ed ora”. 561 Id., Retorica come
filosofia. La tradizione umanistica, cit., p. 94. 562 Id., Potenza della
fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, cit., p. 190. 563!Id.,
Significare arcaico, cit., p. 491.! ! 186! dell’originario”564 –
palesandosi solo nell’ambito, razionale, dedotto – allora dobbiamo constatare
che “ogni discorso razionale si radica nel discorso arcaico puramente
semantico, il quale scaturisce nella sua immediatezza nell’ambito del nous,
dell’ingenium, della facoltà che realizza la visione dei segni originari che
presiedono al mondo umano”565. L’aspra critica al deduttivismo, al riduzionismo
logico del pensiero, e alla matematizzazione di ogni discorso non compromettono
tuttavia lo spessore filosofico della filosofia di Grassi che resta integro
proprio nell’insistenza della ricerca sul perché, su una, per quanto miope,
visione dell’origine, su un primum esperibile attraverso segni, indicazioni. Le
indagini sulla retorica si inseriscono all’interno del contesto ermeneutico di
riabilitazione della retorica che, come è noto, ha inizio con le riflessioni di
Perelman. La riflessione condotta a partire da una prospettiva di teoria
dell’argomentazione e dell’eloquenza genera un’aporia: l’alternativa teorica
che si pone è tra un eccesso di retorica e una chiusura nei confronti della
retorica. La questione che Grassi pone travalica l’alternativa tra rifiuto o
accettazione566 e ha come fuoco di ricerca l’indagine di quello spazio di
sapere collocato tra retorica e filosofia. La domanda che il filosofo si pone
è: esiste questo e tra retorica e filosofia? L’opposizione tra retorica e
filosofia che è oggetto di Retorica e filosofia del 1980 già si profila a
partire da L’inizio del pensiero moderno in cui il linguaggio vive la
contrapposizione tra la sua veste scientifico-dimostrativa e quella
metaforico-indicativa. Nella nostra analisi prenderemo in considerazione le
diverse definizioni di retorica offerte dal filosofo, che corrispondono a
funzioni differenti a seconda del contesto nel quale l’argomento retorico è
trattato, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 564!Ibidem.!
565!Ibidem.! 566 Sulla concezione della retorica in Grassi cfr. M. Marassi,
Retorica, storicità ed umanesimo, pp. 199-216, in E. Grassi, La filosofia
dell’umanesimo: un problema epocale, cit.; M. Marassi, Introduzione, pp. 11-27,
in E. Grassi, Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, cit. P. R.
Blum, Rhetoric is the home of trascendent: Ernesto Grassi’s response to
Heidegger’s attack on humanism, Intellectual History Review, 22:2, pp. 261-287;
M. L. McPhail, Coherence as rapresentative anecdote in rethorics of Kenneth
Burke and Ernesto Grassi, pp. 76-118, in B. L. Brock, Kenneth Burke and
contemporary european thought, University of Alabama Press, 1995. !
187! allo scopo di mettere in luce non la compromessa unità del concetto
di retorica quanto piuttosto l’intrinseca capacità di generare significati e
contesti. IV. V. Il logos retorico: la tripartizione del discorso Nel contesto
dell’analisi delle molteplici forme di discorso Grassi parte dalla messa in
discussione della riduzione del discorso retorico a semplice tecnica di
persuasione. Secondo il filosofo il problema retorico può essere affrontato da
due punti di vista: si può considerare la retorica in senso tradizionale,
“quindi come arte, come tecnica di persuasione”567 o da una prospettiva più
generale di interazione con il sapere teoretico. Per comprendere il senso
autentico della concezione retorica dovremo prendere le distanze dall’approccio
speculativo che la riduce ad arte della persuasione, privandola della
componente filosofica. A tal proposito Grassi individua tre tipi di discorso:
-! il discorso retorico esteriore -! il discorso razionale -! il vero discorso
retorico. Il primo discorso “si riferisce solo alle immagini perché influenzano
le passioni”568 ed è il discorso retorico in senso classico. La seconda forma è
il classico discorso razionale a carattere dimostrativo. Infine c’è il vero
discorso retorico che “scaturisce dalle archai”569: esso non è deducibile ma è
indicativo. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 567 E.
Grassi, Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, cit., p. 55. 568
Ivi, p. 75. 569 Ibidem. ! 188! Tralasciando il secondo tipo di
discorso, quello razionale – di cui si è già detto sopra – vorremmo soffermarci
sul duplice senso del discorso retorico: come tecnica della persuasione e come
discorso semantico. Lo scopo dell’analisi del filosofo è quello di rintracciare
le caratteristiche del discorso semantico sulla base del quale è possibile
comprendere sia la retorica come tecnica di persuasione sia il discorso
razionale-scientifico. L’indagine sulla retorica allora allarga il proprio
raggio di azione ben al di là delle classiche tematiche oggetto della retorica
classica per divenire occasione per un ripensamento dei fondamenti del sapere
scientifico-filosofico e della tecnica oratoria classicamente intesa. Quella di
Grassi è non è l’ennesima sistemazione tassonomica del materiale discorsivo ma
una retorica come teoria che assurge a filosofia generale e che ha come oggetto
di riflessione i fondamenti pre-teoretici, pre-categoriali, ante-predicativi
del sapere. Il filosofo parla non a caso di significare arcaico. Leggiamo in
Retorica e filosofia che “il discorso indicativo o allusivo (semeinein)
fornisce la struttura in cui può nascere la prova. Inoltre se la razionalità è
identificata con il processo di chiarificazione, noi siamo costretti ad
ammettere che la primitiva chiarezza dei principi non è razionale, e a
riconoscere che il linguaggio corrispondente, nella sua struttura indicativa,
ha un carattere evangelico”570. Secondo il pensatore milanese tale tipologia di
discorso – quello semantico-arcaico – è una Darstellung, una esposizione
fantastica-teoretica. In questa esposizione fantasia e teoria si identificano
in quanto facoltà della visione: “in tal modo il discorso che realizza tale
esposizione pone dinanzi agli occhi (phainesthai) un significato”571. Il
sistema retorico grassiano mira a costruire il ponte tra retorica e filosofia e
proprio in questa operazione di integrazione possiamo individuare l’unità del
discorso contro l’ipotesi dualista su cui ci siamo già soffermati572. Afferma
il filosofo che “la filosofia non è una sintesi posteriore di pathos e logos,
ma l’unità originaria di entrambi sotto il potere delle archai originarie [...]
quindi la vera filosofia è la retorica e la vera retorica è la
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 570 Id., Retorica e filosofia,
cit., in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 97. 571 Ibidem. 572 Cfr. III
capitolo. ! 189! filosofia”573. Contro la tradizione occidentale
razionalista Grassi non pensa che la retorica non sia fonte di conoscenza vera,
anzi la retorica nasce dall’“insufficienza del pensiero razionale”574. Così il
termine retorica assume un significato essenzialmente nuovo: “retorica non è,
né può essere l’arte, la tecnica di una persuasione estrinseca; è piuttosto il
discorso che costituisce la base del pensiero razionale”575. Si tratta della
tragedia del pensiero razionalistico che si trova a fare i conti con la matrice
stessa del suo procedimento. La genesi della struttura del linguaggio
razionale, dialettico, dimostrativo è il linguaggio semantico, immediato, illuminante,
indicativo. Se il logos indicativo o allusivo fornisce la cornice in cui può
nascere la prova, la cui primitiva chiarezza non è razionale, dobbiamo
riconoscere che il linguaggio corrispondente ha un carattere indicativo ed
evangelico “nel primitivo significato greco di questa parola, cioè di
osservare”576. La retorica come punto di partenza della scienza e della
razionalità è contrassegnata da una nota antropologica che si configura come
compensazione dell’indeterminatezza dell’essere umano. Essa allora
costituirebbe una situazione di emergenza, una strategia dell’esonero, uno
strumento di azione in mancanza di codici prestabiliti. Come avrebbe detto
Blumenberg “assioma di ogni retorica è il principio di ragione
insufficiente”577 e ciò vale anche per Grassi che conosceva bene Blumenberg578
e che asserisce, con una sorprendente consonanza teorica, che la retorica nasce
dall’insufficienza del pensiero razionale. La retorica allora mostra
l’imbarazzante luogo in cui si trova: certifica da un lato l’insufficienza e
dall’altro pone in luce quelle prassi che si dipartono da quell’insufficienza
originaria e che non possono essere messe da parte in nome di una scienza della
verità e dell’evidenza. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
573 E. Grassi, Retorica come filosofia, cit., p. 74. Corsivi nostri. 574 Id.,
La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 156. 575 Id.,
Retorica e filosofia, cit., in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 97. 576
Ibidem. 577 H. Blumenberg, La realtà in cui viviamo, Feltrinelli 1987, p. 103.
578 Cfr., R. Messori, Le forme dell’apparire, cit. Cfr., E. Grassi-H.
Blumenberg, Correspondenz, consultabile presso il Deutsches Literatur Archiv di
Marbach. ! 190! Se in Blumenberg abbiamo una distinzione tra retorica
dell’ornatus579 e retorica come prestazione metaforica580, tale che la retorica
come compensazione di una mancanza non si articola anche come compensazione di
una mancanza di verità e di evidenza – il che conferisce in ultima istanza una
piega antiretorica al discorso di Blumenberg – in Grassi la compensazione entra
in gioco proprio per l’esatto opposto: per eccesso di evidenza, per eccesso di
verità. Il reale contro cui urtiamo definitivamente, che ci incalza e ci chiama
– l’Appello dell’Essere – appare nella sua evidenza abbagliante che possiamo
solo patire. Come possiamo leggere in La metafora inaudita: originarietà e
paradossia della metafora “ciò che patiamo non sono gli enti ma ciò che in
funzione dei sensi – entro i limiti di piacere e dolore – si impone sempre
carico di significato. L’uomo vive esclusivamente sotto l’impeto di “segni
indicativi”, cioè dell’Abissale di cui i sensi sono strumenti”581. Das Reale
als Leidenschaft: il reale va inteso come passione. Secondo Grassi è il reale,
il mondo, con tutto il suo carico di estraneità e di alterità, che fa scattare
il meccanismo retorico, la risposta umana alla multilateralità della vita che è
evidente, si pone sotto agli occhi, ma allo stesso tempo è caratterizzata da
un’opacità che ci costringe al lavoro dell’interpretazione esistenziale – sia
essa del testo, della lingua, del concetto. Del resto in Grassi retorica e
filosofia, pathos e logos non sono che due approcci metodologicamente distinti
ma che hanno una medesima origine: il reale che genera angoscia, la quale
indica la “fondamentale esperienza esistenziale dell’inadeguatezza del codice
biologico”582. Essa “spezza il cerchio funzionale puramente biologico e [...] a
mezzo della parola, porta l’uomo alla conoscenza di tale potenza, cioè alla consapevolezza
della propria condizione strana e non addomesticata”583. La proposta retorica e
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 579 Quella dell’uomo
ricco che possiede la verità. 580 Quella dell’uomo povero che non possiede la
verità e che fa della retorica una tecnica compensativa. 581 E. Grassi, La
metafora “inaudita”: originarietà e paradossia della metafora, pp. 5-20, in
Quaderni di italianistica Volume IX, No. 1, 1988, p. 15. 582 Id., Retorica come
filosofia, cit., p. 189. 583 Ivi. I corsivi sono nostri. ! 191!
linguistica del filosofo si pone in antitesi alla coeva retorica di
Perelman-Tyteca almeno per quanto concerne la teoria dell’evidenza. In Trattato
dell’argomentazione abbiamo una definizione del discorso proprio in relazione
al suo rapporto con l’evidenza: “la natura stessa dell’argomentazione e della
deliberazione s’oppone alla necessità e all’evidenza, perché non si delibera
dove la soluzione è necessaria, né s’argomenta contro l’evidenza. Il campo
dell’argomentazione è quello del verosimile, del probabile, nella misura in cui
questo sfugge alle certezze del calcolo”584. Secondo questa concezione il campo
dell’argomentazione è la prassi, l’attività umana, e un inaggirabile carattere
è quello dell’incertezza. In quest’area dell’indefinibile una volta per tutte
rientrano tutte quelle opinioni, giudizi di valore, inquietudini, incertezze
che non si qualificano come errori, non si oppongono in modo irrevocabile ad
una verità (che risponde solo ai criteri della scienza) ma che rientrano a
pieno titolo in quell’idea di ragione integrale in cui il vero si declina come
verisimile. Emerge il tema dell’eikos concettualizzato anche da Grassi nella
sua lettura di Vico e che mostra il progetto di una nuova retorica che fa
appello ad una idea di ragione e verità che non si misura solo con il criterio
dell’evidenza ma che salvaguardia il valore di verità delle questioni morali,
sociali, politiche e religiose. Afferma il filosofo in Retorica come filosofia
che il logos della nuova retorica è quello capace di dire “il fondamento del
mondo umano, il mondo come espressione di disperazione nella situazione
specificamente umana”585. Tale logos in quanto onoma e rhema, in quanto nome e
verbo, dice non solo l’oggetto (objectum) ma la totalità di significatività
nella quale è inserito l’oggetto. Sostiene il filosofo che “questa distinzione
– quella di onoma e rhema – acquista un significato fondamentale. La parola in
quanto nome designa ciò che chiamiamo oggetto (objectum). Ma un oggetto non
esiste mai isolato, poiché appare sempre solo nella dinamica di un compito da
adempiere rispetto a certi bisogni”586. La parola allora non definisce e non
isola i fenomeni sensibili ma è lo spazio in cui accade la loro relazione
reciproca e la connessione con !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
584 C. Perelman-L. Olbrechts-Tytheca, Trattato dell’argomentazione. La nuova
retorica, Einaudi, Torino 2001, p. 3. 585 E. Grassi, Retorica come filosofia,
cit., p. 191. 586 Ivi, p. 192. I corsivi sono nostri. ! 192!
l’essenza umana. “La parola in quanto presupposto e annuncio [...] viene perciò
espressa nel linguaggio retorico, in quel linguaggio che si impone nel nostro
impegno disperato e patetico, dal momento che la preoccupazione principale è
quella di formare l’esistenza umana”587. Proprio perché massimamente evidente
nella sua poliedricità il reale trova la sua dicibilità nella multiformità
linguistica: attraverso il dire metaforico. Secondo il filosofo la “metafora
agisce come una luce perché presuppone un’intuizione di relazioni”588.
L’essenza della parola risposa nella sua struttura analogica e traspositiva.
L’unica parola capace di indicare il trasferimento, il potere di mutazione e
trasposizione è la metafora. Grassi sottolinea come “il traslare (metapherein)
non ha originariamente un significato linguistico e tanto meno letterario: il
termine metapherein indica il tra-sferire un oggetto da un luogo ad un altro –
dualità – il che presuppone un passaggio, un transito, un ponte che l’uomo deve
progettare, cioè gettare da un luogo ad un altro luogo, da un qui ad un là”589.
La questione non è tanto quella di congedarsi dalla verità ma quella di
abbozzare i prolegomeni per una riflessione metodologica sui fondamenti del
discorso, sui presupposti dell’argomentazione. La nuova retorica grassiana
prende congedo da un’idea di evidenza di tipo matematico-scientifico, e fa
perno su un’idea di evidenza come certezza: lo sfondo antropologico della
retorica sottolinea come il nostro sapere sia basato sulla fiducia, sulla
pistis che ha la stessa radice di persuadere. La certezza è una sorta di
fiducia originaria. Come il filosofo asserisce in Il ripudio del razionale la
pistis “non è opinione né conoscenza [...] poiché non ha le radici
nell’indicazione di una ragione, ma è il risultato di un’esperienza
fondamentale che porta a un atteggiamento. Tale atteggiamento scaturisce
dall’esperienza di un compito (Auf-gabe) nel duplice senso della parola:
l’esperienza di una domanda (An-spruch), una dichiarazione nei riguardi
dell’essere”590. Il rapporto fiduciario costituisce allora uno dei tratti
antropo-biologici fondamentali che solo successivamente si tramuta in techne
retorica – la retorica come arte della persuasione. Attraverso la
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 587 Ibidem. I corsivi
sono nostri. 588 Ivi, p. 167. 589 Id., La metafora inaudita: originarietà e
paradossia della metafora, cit., p. 10. 590 Id., Il ripudio del razionale,
cit., in Id., Vico e l’umanesimo, p. 165. ! 193! lunga “preistoria”
umanistica dell’antropologia filosofica per Grassi possiamo comprendere il
fondamentale incrocio fra la questione della natura umana e quella retorica
della funzione della trasmissione del sapere e della costruzione. La retorica
diviene una tecnica per condurre la vita, elaborata da parte di un essere,
l’uomo, che si scopre povero di mondo, e, dunque, costitutivamente bisognoso di
strategie indirette di sopravvivenza per la costruzione di un universo
culturale. Il discorso more rhetorico ingloba anche quella categoria del
politico all’interno del processo linguistico che rende possibile la fondazione
della comunità. L’apertura è verso una considerazione della retorica come
meccanismo antropogenetico – la fondazione politico-civile – e come riflessione
metodologica sui presupposti del discorso. Accostarsi alla retorica da un punto
di vista antropologico, come fa Grassi, significa rintracciare il fondamento
tecnico dell’autoaffermazione nella costruzione di un mondo culturale e di un
sistema di istituzioni in quanto strategia di sopravvivenza in assenza di una
Umwelt naturale che assicuri l’esistenza umana. In questa prospettiva
ermeneutica vanno inquadrate le interpretazioni grassiane dell’umanesimo. Come
si afferma in Retorica come filosofia la negazione umanistica del primato della
logica “rompe con l’ideale matematico della conoscenza”591 e per comprendere
questa tradizione umanistica occorre prendere in considerazione quelle teorie
che “trattano del problema dell’origine della comunità umana e della funzione
politica della poesia”592. La tecnica retorica si configura come forma
paradigmatica di quella relazione indiretta, esonerante, con la realtà, che è
costitutiva della natura umana. L’idea guida è quella di un agire umano inteso
come compensazione dell’“indeterminatezza” cui risulterà coordinata una
retorica intesa come faticosa produzione di quelle concordanze che debbono
subentrare al posto del fondo “sostanziale” dei codici affinché l’agire diventi
possibile. Tale funzione compensativa della tecnica retorica guida il discorso
di Grassi relativo anche alle istituzioni: la vis retorica crea istituzioni.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 591 Id., Retorica come
filosofia, cit., p. 133. 592 Ibidem. Corsivi nostri. ! 194! La
radicalizzazione antropologica dell’idea di retorica mette in risalto un
aspetto fondamentale dell’interpretazione di Grassi: il comportamento tecnico
dell’uomo che genera la retorica, in qualità di prestazione
sostitutiva/esonerante, non esce dalla logica compensativa. La retorica rimane
per Grassi – proprio per la sua valenza antropologica – una prestazione
compensativa/sostitutiva, e la stessa funzione finisce con l’essere attribuita
retrospettivamente alla metaforologia e in prospettiva alla creazione di istituzioni.
La declinazione antropologica operata da Grassi comporta che il fenomeno
storico “retorica” sia privato della sua storia concettuale e delle sue
funzioni effettuali nella storia della cultura e della società, e sia eletto a
metafora assoluta della conditio humana. Tocchiamo qui uno dei nervi scoperti
del discorso di Grassi, che rimane chiuso in un’interpretazione che in ultima
analisi lo costringe a considerare il comportamento tecnico dell’uomo come una
prestazione sostitutiva/esonerante, non uscendo dalla logica compensativa, e
non fornendo in alcun modo una lettura adeguata della natura tecnica dell’uomo,
cioè di quella stessa interazione natura/ars da cui pure muoveva l’interesse
antropologico per la retorica. La salvaguardia delle molteplici forme di
apparire dell’essere – il vero, il buono, il bello – , della metamorphè
costitutiva del reale, induce Grassi a ricercare la forma linguistica adeguata
a dire tale metamorphè. Il filosofo si pone i seguenti quesiti: -! “attraverso
che cosa sorge il mondo umano se l’uomo, a differenza degli animali, non ha un
ambiente immediato, se questo deve essere costruito ogni volta dall’individuo?
In altre parole, qual è la causa dell’umanizzazione della natura?” 593 -! “come
si rapporta questa costruzione del mondo umano al fenomeno del linguaggio, del
logos?”594 -! “è possibile superare la concezione puramente formale della
conoscenza?”595 !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 593 Ivi,
p. 183. Corsivi nostri. 594 Ibidem. 595 Ibidem.Corsivo nostro. !
195! Le domande che vengono poste riguardano tre livelli della
riflessione: il livello antropogenetico della fondazione della civiltà; il
piano linguistico dell’espressione del rapporto uomo-mondo; il tema
epistemologico della natura della conoscenza. Cercare di risolvere questi
problemi comporta per Grassi un’analisi della storia dell’umanesimo che propone
una rinnovata idea di logos. Il logos non può essere ridotto al suo aspetto
formalizzato, logicista, scientifico. Una questione fondamentale è quella del
passaggio dall’Umwelt alla Welt, dal mondo ambiente contraddistinto
dall’immediatezza non-verbale del codice biologico al mondo umano. Secondo il
filosofo esiste un’area in cui possiamo trovare segni indicativi e costrittivi
senza la mediazione della razionalità e del linguaggio: si tratta del mondo
organico. IV. VI. Il mondo organico L’analisi del mondo organico mostra degli
aspetti che “possono essere ritrovati nel mondo sacrale”596 e retorico.
Nell’ambito dell’organico “ogni genere e specie vivente sta sotto i propri
segni determinati e indicativi”597. Tali codici/diastema mostrano che “la
realtà appare alla creatura vivente esclusivamente entro selezioni”598. Le
selezioni (codici/diastema) si inseriscono all’interno del “cerchio funzionale
simbolico della vita” – nozione mutuata da J. Von Uexküll – che indica
“un’unità intatta di segni che sono significativi per la vita”599. Secondo il
filosofo l’analisi del mondo animale e biologico consente di rintracciare delle
analogie con le strutture del mondo sacrale, religioso, retorico che getta luce
su un’idea di filosofia rinnovata in senso non intellettualistico.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 596 Ivi, p. 182. 597
Ivi, p. 180. 598 Ivi, pp. 180-181. I corsivi sono nostri. 599 Ivi, p.
181. ! 196! Dal punto di vista grassiano i semata che ritroviamo
nel mondo biologico mostrano un’intrinseca forza induttiva
(epagein-inducere)600, essi hanno un carattere di guida (arcaico) che costringe
l’animale a creare il proprio ambiente nei limiti del proprio cerchio
funzionale simbolico finalizzato all’autoconservazione. “Questi segni
possiedono una funzione metaforica perché trasferiscono un significato a ciò
che gli organi manifestano. Attraverso questo trasferimento di significati
appare all’organismo il suo ambiente specifico che costituisce la sua sola
realtà. I segni hanno un carattere induttivo di guida. L’originarsi di questi
ambienti, di questi kosmoi – nel doppio significato del termine greco come
ordine e ornamento – avviene a livello organico”601 per l’autoconservazione.
L’unità dell’ambiente intatto e olistico dell’animale in cui la comunicazione
avviene per voci significative (psophos semantikos) viene meno nell’uomo. La
rottura del codice non verbale immediato che porta alla genesi del mondo umano
implica anche il superamento del livello della “comunicazione fonetica
immediata”602 e la nascita del logos. Con il linguaggio si profila un compito
per l’uomo: “il compito di costruire il mondo in cui vivere”603 che spetta
all’essere umano come singolo e “non ai segni indicativi immediati del mondo
olistico e non problematico”604. L’esperienza della frattura – la
disintegrazione del mondo intatto e olistico del biologico – mette l’uomo di
fronte alla propria Angst: “gli uomini patiscono l’angoscia che si presenta
nell’esperienza fondamentale di non avere a disposizione un codice
immediatamente efficace”605. Ma come avviene questa frattura nel mondo animale?
Il logos è causa della disintegrazione del cerchio funzionale simbolico o
prestazione compensativa per riunire ciò che si era spezzato?
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 600 Ibidem. 601 Ivi, p.
182. 602 Ivi, p. 183. 603 Ivi, p. 184 604 Ibidem. 605 Ibidem. !
197! IV. VII. Il logos umano: suono, voce, parola Secondo Grassi occorre
rifiutare la tesi secondo la quale “il linguaggio stesso è la causa per
eccellenza della dissoluzione dell’unità dell’organico poiché astrae e isola
gli oggetti della vita da quel ritmo vitale in cui essi emergono e ricevono il
loro significato”606. Al contrario il linguaggio sorge nel momento in cui la
dissoluzione è già avvenuta. Infatti perché l’uomo dovrebbe cercare un logos –
un codice completamente diverso dalla comunicazione fonetica pre- verbale – se
l’unità non fosse già scomparsa a favore di una separazione tra soggetto e
oggetto? Sostiene il filosofo che “la funzione significativa del linguaggio può
essere spiegata solo come superamento di un isolamento o di una astrazione già
sopraggiunti precedentemente e come separazione di soggetto e e oggetto. Perciò
si impone la necessità di una definizione verbale una volta che si sia
indebolita la comunicazione pre- verble”607. Il linguaggio non è la causa della
separazione, del dualismo soggetto e oggetto, ma una prestazione compensativa
con la funzione di ricostruire un legame. L’inadeguatezza del codice
pre-verbale che genera il logos attesta l’assenza nel mondo umano di un codice
immediato. “Compito del linguaggio è quello di trovare e formare una symplokè,
un congiungimento di soggetto e oggetto”608. Il logos nasce sullo sfondo di
un’esperienza: quella dell’angoscia che testimonia la natura “non
addomesticata”609 dell’uomo. Per comprendere l’analisi del linguaggio svolta da
Grassi dobbiamo prendere in considerazione le sue riflessioni sul suono, sulla
voce e sulla parola esposte in particolare nei saggi Prolegomena ad una
concezione della retorica. La phonè come elemento indeducibile del
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 606 Ivi, p. 185. Il
riferimento polemico grassiano è alla tesi di R. Thom esposte in Modelli
matematici della morfogenesi, Einaudi, Torino 1985. 607 Ivi, pp. 187-188. 608
Ivi, p. 188. 609 Ivi, p. 189. ! 198! linguaggio, in La metafora
inaudita: originarietà e paradossia della metafora e nel testo La metafora
inaudita. Sostiene il filosofo che per delineare i “prolegomena”610 al problema
del linguaggio occorre analizzare i concetti di psophos e phoné. Prendendo in
considerazione le affermazioni aristoteliche contenute nel II libro del De
anima circa la natura delle voci come suoni semantici costitutivi del
linguaggio611 il filosofo italiano pone in evidenza l’intima struttura
metaforica della voce – il suono semantico – che va a costituire il linguaggio.
“Aristotele distingue fondamentalmente [...] il suono (psophos) dalla voce
(phoné) per poi [...] definire la voce come suono indicativo (psophos
semantikos). Da ciò dovremmo dedurre che la voce costituisce qualcosa di
completamente nuovo in confronto al suono, non solo, ma che la voce è una
metafora, cioè nasce dal trasferire (metapherein) un significato, un segno
indicativo (sema) al suono (psophos)”612. La dualità tra suono e voce –la voce
è ciò che assegna al suono un significato – è fortemente criticata da Grassi
che invece ha come scopo quello di superare il dualismo mettendo in discussione
l’idea che il suono non abbia un intrinseco significato. Si chiede il filosofo
“è dunque valida la concezione tradizionale dualistica di suono senza
significato e voce, suono semantico indicativo, phoné?”613. Grassi dispprova la
spiegazione aristotelica tecnico-meccanica del suono per tre ragioni: tale
spiegazione non tiene conto che il suono appare attraverso uno strumento che
nel caso dell’uomo è “l’organo uditivo”614; occorre, al contrario, tenere
presente che il suono “ci appare solo entro l’ambito di un codice che si
impone”615; bisogna considerare la mutevolezza del codice616. Come
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 610!Id., La metafora
inaudita: originarietà e paradossia della metafora, cit., p. 9. 611!Aristotele,
De anima II, 420 b 29.! 612!E. Grassi, La metafora inaudita: originarietà e
paradossia della metafora, cit., p. 9. 613!Id., Prolegomena, cit., p. 42.!
614!Ivi, p. 43. 615 Ibidem. 616 Ibidem. ! 199! è noto Aristotele
definisce il suono come ciò che è “sempre prodotto dall’urto di qualcosa contro
qualcosa e in qualcosa, perché ciò che lo produce è una percussione. É pertanto
impossibile che si abbia un suono in presenza di un solo oggetto, giacchè il
percuziente e il percosso sono distinti”617. Affinchè il suono si trasformi in
voce occorre tenere in considerazione l’elemento della vita618. Solo l’essere
animato può produrre il suono semantico, la voce, la phonè. Se gli elementi
determinanti della voce sono la vita (la voce è il suono dell’essere animato) e
il suo carattere interpretativo (il suo essere hermeneia tinos) per Grassi
occorre risalire all’ambito originario del suono: quello della vita. Proprio
l’operazione di radicamento dell’origine del suono nel mondo della vita induce
al filosofo ad affermare che “per l’essere organico, cioè per quello che
manifesta il mondo attraverso i propri organi, non esiste un suono che non sia
voce”619, ossia non esiste un suono di natura puramente meccanica ma solo un
suono dotato di un significato. Infatti per il filosofo i suoni semantici
schiudono “il teatro, nel significato originario di questo termine, cioè il
luogo del vedere, del theorein”620. Ma come e dove si rivela l’ambito
significativo testimoniato dal suono? Per Grassi innanzitutto nei sensi.
Riprendendo le teorie del fisiologo J. Müller621 sull’energia sensoriale
specifica – ossia quella legge secondo la quale ogni senso produce solo il tipo
di sensazione che ad esso è specificamente pertinente indipendentemente dal
tipo di stimolazione a cui è sottoposto – Grassi individua la possibilità di
rintracciare innanzitutto nei sensi la genesi della significazione. Egli
afferma che “ogni sensazione è carica di significato”622 e la significatività
della voce (che traspone un significato al suono) si radica
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 617!Aristotele, De
anima, II libro, 419 b 10-14.! 618!Ivi, 420 b 7-9. “Quanto alla voce, essa è un
suono dell’essere animato. In effetti nessuno degli esseri inanimati emette una
voce, ma per somiglianza si dice che ce l’hanno, come il flauto”. 619!E.
Grassi, La metafora inaudita, cit., p. 31.! 620!Id., La metafora inaudita:
originarietà e paradossia della metafora, cit., p. 19.! 621!Il testo al quale
Grassi fa riferimento è Ueber die phantastischen Gesichtserscheinuungen,
Koblenz, 1826, pp. 4-5. 622!E. Grassi, Prolegomena, cit., p. 45. !
200! originariamente nella significatività già presente nei sensi. Questi
ultimi dotati di un’energia specifica e carica di significato pongono in luce
l’ambito originario di formazione del senso: la Lichtung/Rahmen. “Ciò che
rivelano i sensi, entro i limiti di piacere e dolore, non è un’opera, un ergon,
estraneo ai sensi, non è un’opera meccanica, né un’opera poietica, ma praxis,
intesa come parousia”623. Ma quel è la struttura di questa parousia? Tale
ambito originario ha una struttura metaforica. Per il filosofo occorre scorgere
la metaforicità del reale attraverso la passione che si rivela come l’ambito in
cui l’uomo fa esperienza dell’appello dell’essere. Si chiede il pensatore: “in
cosa consiste il carattere metaforico dei segni sensibili? Esso si rivela nella
passione, nell’ambito della quale l’ente organico – tra i limiti di piacere e
dolore – fa l’esperienza dell’oggettività di corrispondere o non corrispondere
a ciò di cui è un’indicazione”624. Il problema dal quale partire è quello di
corrispondere all’appello dell’essere, alle necessitates che di volta in volta
si presentano all’uomo: emerge il tema del superamento della “insercuritas
esistenziale”625, del bisogno esistenziale che va soddisfatto attraverso il
proprium dell’uomo, ossia la parola. Si chiede il filosofo: “come definire ciò
che ci è consueto, ciò che ci è proprio, ciò in cui siamo a casa, ciò in cui ci
sentiamo a nostro agio, al riparo, difesi? É forse il linguaggio, la parola? Ma
quale linguaggio, quello razionale oppure quello poetico? Che funzione ha la
parola nell’affrontare il desueto, la realtà che ci è estranea, sconosciuta,
aliena?”626. Il tentativo di superare l’insicurezza esistenziale, la
spaesatezza dell’Aperto conduce l’uomo al linguaggio: la dimora che custodisce
quella relazione essenziale tra il Dasein e il Sein. A fare problema per Grassi
è l’individuazione di un linguaggio che sia casa dell’essere: da qui l’analisi
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 623!Ivi, pp. 49-50.!
624!Ivi, p. 50. 625!E. Grassi, Ermeneutica dell’estraneità. Originarietà della
parola poetica (Heidegger, Ungaretti, Neruda), in “Studi di estetica”, Bologna,
pp. 21-33. 626!Ivi, p. 21. ! 201! della metafora nella sua priorità
rispetto al concetto, e della poesia come espressione della storicità
dell’esistenza. IV. VIII. Metafora e concetto Afferma il filosofo che “il
vedere, la visione, insiti nella teoria come fondamento di ogni procedimento
razionale si attuano attraverso [...] una metafora”627 e si chiede se la
metafora “che ricorre per lo più alle immagini, va considerata un mezzo solo
letterario [...] o è indispensabile per esprimere l’Originario”628. La Frage
che sorregge la sua indagine metaforologica mostra una componente
onto-antropo-logica poichè riguarda l’uomo, riguarda la realtà e costituisce il
modo di darsi delle cose, il nostro modo di essere affetti dal mondo
circostante: non un orpello linguistico, una fictio retorica, la metafora è per
Grassi un dispositivo antropo-poietico. Sostiene il pensatore italiano che
“alcuni limitano la funzione della metafora alla trasposizione di parole, cioè
di una parola dal suo proprio campo ad un altro. Tuttavia, tale trasposizione
non può essere compiuta senza un’intuizione immediata delle somiglianze che
appaiono nei diversi campi [...] la sua funzione è quella di rendere visibile
una proprietà comune ai vari campi. Essa presuppone la visione di qualcosa
ancora nascosto [...] ma dobbiamo andare più a fondo del piano letterario. La
metafora sta alla base del nostro mondo umano. Poiché essa si radica
nell’analogia tra cose differenti e fa immediatamente balzare agli occhi tale
analogia, essa contribuisce in modo fondamentale alla struttura del nostro
mondo”629. Siamo al cospetto di una teoria della metafora che coniuga l’analisi
della metafora come espressione metaforica con quella della metafora come
fenomeno globale di tipo cognitivo ed esistenziale. Attraverso la metafora
godiamo “la visione di una momentanea radura (Lichtung)”630 che mette in campo
una riforma della filosofia non ridotta ad astratta ontologia, ma che
“riconosca !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 627 Id.,
Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., p. 18. 628 Ibidem.
629 Id., Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, p. 76. Corsivo
nostro. 630 Id., Il dramma della metafora, cit., p. 14 ! 202!
l’importanza dell’esperienza storica”631. La riflessione sulla metafora è per
Grassi un modo di superare le falle dell’hòros, del concetto, che non è in
grado di dire la natura temporale, storica e metamorfica degli enti, che si
esprimono nei sempre diversi significati vitali emergenti nello sforzo
interpretativo o semantico. Infatti, per il pensatore italiano
l’interpretazione è possibile solo sulla base di un’indicazione, da qui la
preminenza della semantica rispetto all’ermeneutica, come emerge in Potenza
dell’immagine. Rivalutazione della retorica. Egli asserisce che “l’indicazione
(semainein) precede, dunque, l’interpretazione (hermeneuein), poiché forma la
cornice entro la quale possono sorgere delle dimostrazioni”632; essa è la
condizione trascendentale del linguaggio, quel fondo mitico che appartiene al
mondo del sacro e del religioso che non dimostra ma indica. Il linguaggio
semantico è un logos che ostende il fondamento e rompe quel silenzio
primordiale delle cose mute che ci circondano nell’Aperto della ingens sylva.
Accanto a questo logos semantico, che è contraddistinto da una “chiarezza che
non è il risultato di un chiarimento”633, abbiamo il logos ermeneutico, quello
dell’interpretazione che si fonda sul processo della dimostrazione. Secondo il
filosofo “il termine metafora è esso stesso una metafora; deriva dal verbo
metapherein, trasferire, che originariamente descriveva un’attività concreta.
Alcuni autori limitano la funzione della metafora alla trasposizione di parole,
cioè di una parola dal suo proprio campo a un altro. Tuttavia, tale
trasposizione non può essere compiuta senza un’intuizione immediata delle
somiglianze”634. Alla metafora fa da contraltare il concetto al quale spetta
come compito quello di afferrare, comprendere un fenomeno in riferimento al suo
fondamento universale. Nella ricostruzione etimologica grassiana il significato
di hòros può essere colto nella sua portata originaria mediante il riferimento
“al verbo orìzo (determino) che sta alla base di questa parola, la cui radice
hor- è identica a quella di horào (io vedo): io “vedo” qualcosa nella luce del
fondamento. La definizione (horismòs)
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 631 Ivi, p. 15. 632 Id.,
La potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., p. 84. 633
Ibidem. Corsivi nostri. 634 Id., Retorica come filosofia, Ivi, p. 76. Cfr.,
sull’analisi della metafora in Grassi M. Marassi, E. Grassi e il primato della
parola metaforica, pp. 264-291, in I. Pozzoni, Voci di filosofi italiani del
Novecento, IF Press, 2011. ! 203! esprime in tal caso proprio
questa visione, ciò che è, ciò che esiste: in questo modo sfugge a essa per
forza di cose ciò che muta in se stesso, il singolo”635, che è compito della
retorica autentica illuminare, in quanto scienza del particolare e dello
storico. Accanto ad una teoria della metafora non “più gioco letterario ma
originaria, prima forma dell’ingegno”636, grazie alla quale è possibile porre
“la domanda sull’origine della storicità umana, e dunque sull’essenza
dell’uomo”637, si affiancano nella filosofia grassiana la fantasia e l’ingegno
che con il nous aristotelico, interpretato alla stregua di “unica espressione
delle archai nel loro carattere palesante e immediatamente indicativo” 638,
costituiscono la triade del significare arcaico. Il senso autentico della
metafisica immanente di Grassi emerge proprio nel dia-legesthai, ossia nel
“dire attraverso il logos” il divenire dell’essere, che grazie al logos
guadagna paradossalmente una permanenza: questo è il senso della riflessione
sulla metafora che è la modalità logica di portare ad espressione l’essere del
divenire. La metafora, pur non sostituendosi al concetto, rappresenta lo stile
linguistico entro cui e a partire da cui si dispiega la teoresi. Infatti,
Grassi afferma che “la forma originaria del colloquio nella sua funzione
storica è metaforica”639. IV.IX. La prassi metaforica: metafora e metapherein
La volontà di sottolineare l’arcaicità della metafora come a priori del
linguaggio, fondamento e Grund, fa emergere come la metafora non sia intesa
come tropo – o non solo come tropo, parola – ma come energheia, atto
traspositivo. La riflessione grassiana su metafora e retorica è guidata proprio
da questa idea di una teoria dell’atto metaforico che agisce come
trascendentale del linguaggio. Come
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 635Id., Potenza della
fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, cit., p. 222. 636Id.,
Significare arcaico, cit., pp. 479-495, p. 494. 637Id., Potenza della fantasia.
Per una storia del pensiero occidentale, cit., p. 202. 638Id., Significare
arcaico, cit., p. 494. 639 Id., Il colloquio come evento, cit., p. 71. !
204! emerge già a partire da Il problema della metafisica platonica
il tema della determinazione del ti esti, incrociandosi inevitabilmente con
quello della ',0(1*-, della manifestazione della realtà, pone anche il tema
della fondazione metaforologica. L’atto fondativo e mitico del reale è secondo
Grassi indicibile dal logos metafisico e la narrazione di quell’azione
primordiale può essere affidata unicamente al potere generativo trasformazionale
della metafora, che per Grassi non è un gioco letterario ma la prima forma
dell’ingegno, del nous “e come tale unica espressione delle archai nel loro
carattere palesante e immediatamente indicativo”640. Il polimorfismo ontologico
viene maggiormente salvaguardato attraverso il pensiero topico, ingegnoso, in
grado di apprendere e rintracciare i loci dell’argomentazione; capacità,
questa, di cui il pensiero critico, tutto confinato all’interno della catena
delle deduzioni, sembra essere privo. Il nucleo teorico fondamentale è quello
di saper ritrovare le archai, le premesse indeducibili razionalmente, ma a
partire dalle quali soltanto è possibile dare inizio ad una catena di
ragionamento esatto. Al filosofo non interessa dunque il meccanismo
strettamente semiotico di singole espressioni metaforiche: come possa essere
descritto il trasferimento semantico ad esse sotteso, quali componenti
riguardi, se proprietà atomiche o interi nodi di storie. Interessa invece ciò
che questo trasferimento nasconde, ciò a cui supplisce, che cosa raccontino del
modo attraverso cui l’uomo ha cercato di esprimere il proprio rapporto con la
“realtà”. Per Grassi la metafora si configura come un fenomeno cognitivo, un
medium attraverso cui il pensiero non solo si articola, ma su cui si fonda:
essa è ed è stata una componente essenziale dei processi attraverso cui le
culture interpretano e strutturano il mondo che le circonda. Il filosofo
afferma in Prolegomena ad una concezione della retorica. La phonè come elemento
indeducibile del linguaggio che “non va dimenticato che il traslare
(metapherein) non ha originariamente un significato linguistico e tanto meno
letterario; il termine metapherein indica il trasferire da un luogo ad un altro
luogo e !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 640 Id.,
Significare arcaico, cit., p. 494. ! 205! ciò presuppone un
passaggio, un transito, un ponte. L’uomo deve progettare questo passaggio,
gettare un ponte da un luogo ad un altro”641. L’approccio
antropologico-filosofico descrive e ripercorre una modalità di accesso al senso
attraverso la metafora, e allo stesso tempo tenta di ricostruire la storia
della fondazione del mondo della vita e della comunità umana individuando nei
processi di metaforizzazione e di concettualizzazione i congegni
antropogenetici e i fenomeni di base dell’umanizzazione. Nella semantica
metaforica di Grassi non trova posto l’usuale contrapposizione del senso
traslato con il senso letterale di un’espressione. Infatti “il termine metafora
indica originariamente presso i Greci un’azione concreta e per la precisione il
trasferimento di un oggetto da un luogo ad un altro; soltanto più tardi il
termine compare anche nell’ambito del linguaggio”642. Se l’idea che riduce la
metafora ad orpello linguistico – senza tenere conto della sua matrice pratica
– va messa da parte occorre anche rifiutare la prospettiva che tenta di
sostituire la metafora al concetto. Per Grassi la metafora non si trova a
supplire momentaneamente l’insufficienza del concetto, fornendo un significato
di passaggio, un senso provvisorio in attesa di esser sostituito da quello
proprio dei termini logici. La particolarità dei termini logici – l’esattezza –
determina allo stesso tempo una perdita di polisemia, potremmo dire una
riduzione delle loro potenziali connessioni di senso. Essi sono contraddistinti
da una cristallizzazione del significato in un unico percorso interpretativo,
da una pauperizzazione semantica inversamente proporzionale alla chiarezza e
distinzione logica: è il fio che occorre pagare per una filosofia pura. Per il
filosofo “interrogarsi sul ruolo della metafora equivale perciò a chiedersi se
la metafora rappresenti nel linguaggio filosofico soltanto un residuo di
rappresentazioni che dev’essere superato allorchè ci si mette sulla via del logos”643.
Nella prospettiva tradizionale la metafora sembra peccare di imprecisione,
ragione per cui è sempre stata estromessa dalla filosofia, per essere
ricompresa nella retorica o nella poetica. Ma a ben
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 641 Id., Prolegomena ad
una concezione della retorica, cit., p. 40. 642!Id., Potenza della fantasia,
cit., p. 72. 643!Id., Potenza della fantasia, cit., p. 72. Corsivi
nostri.! ! 206! guardare quella che per il pensiero logico è una
imprecisione, “uno scandalo per la logica [...] un elemento distraente che non
ha nulla a che fare con la realtà”644, in realtà è dotata di una precisione
intrinseca dettata dalla necessità di natura. Il tratto di precisione della
metafora emerge all’interno del discorso su Vico il cui carattere di epocalità
è rintracciato proprio in quella divaricazione della metafisica in ragionata e
fantasticata. Ricorrendo al principio vichiano dell’homo non intelligendo fit
omnia Grassi asserisce che “se con la metafora [...] si risponde alle varie
necessità, il linguaggio metaforico, ricco di elementi fantastici è originale,
preciso, a differenza di quello astratto che si allontana”645 dal reale.
L’analisi della metafora fa emergere l’idea di una metafora drammatica e
inaudita646, nel senso di assoluta, riprendendo una feconda espressione di
Blumenberg. Essa si rivela uno strumento ermeneutico e va a strutturare i
codici interpretativi che regolano e dirigono il nostro giudizio sulle cose.
Del resto già Kant, nel famoso paragrafo 59 della Critica del giudizio (1790),
trattando il procedimento della “traslazione della riflessione”, definisce il
simbolo647 in maniera del tutto simile alla metafora grassiana. Essa determina
un comportamento, un tipo di orientamento nel mondo che si trova a esser
strutturato dalla metafora. Attraverso la metafora un’epoca esprime le proprie
certezze, ma anche i propri dubbi, le proprie aspirazioni, le aspettative, le
azioni e gli interessi. Essa assume la
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 644 Id., Prolegomena,
cit., p. 41 645 Id., G. B. Vico: un filosofo epocale, in Id., Vico e
l’umanesimo, cit., p. 202. I corsivi sono nostri. 646 Id., La metafora
inaudita, cit.; Id., Il dramma della metafora, cit.; Id., Ermeneutica
dell’estraneità. Originarietà della parola poetica (Heidegger, Ungaretti,
Neruda), cit., pp. 21-33; La metafora inaudita: originarietà e paradossia della
metafora, cit., pp. 5-20. 647 I. Kant, Critica del Giudizio, tr. i. di A.
Gargiulo, Introduzione di P. D’Angelo, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 183- 385.
“A torto e con uno stravolgimento di senso i logici moderni accolgono l’uso
della parola simbolico per designare un modo di rappresentazione opposto a
quello intuitivo. Questo (l’intuitivo) si può dividere cioè in modo di rappresentazione
schematico e simbolico. Entrambi sono ipotiposi, cioè esibizioni
(Darstellungen- exhibitiones) [...] tutte le intuizioni che sono sottoposte a
concetti a priori sono dunque o schemi o simboli, e le prime contengono
esibizioni dirette del concetto, le seconde indirette. Le prime procedono
dimostrativamente, le seconde per mezzo di una analogia [...] in cui il
Giudizio compie un doppio ufficio, in primo luogo di applicare il concetto
all’oggetto di una intuizione sensibile, e poi, in secondo luogo, di applicare
la semplice regola della riflessione su quella intuizione ad un oggetto del
tutto diverso, di cui il primo non è che il simbolo [...]. La nostra lingua è
piena di queste esibizioni indirette, fondate sull’analogia, in cui
l’espressione non contiene lo schema proprio del concetto, ma soltanto un
simbolo per la riflessione”. ! 207! funzione del codice. Per il
filosofo occorre “sollevare la questione, di solito trascurata, della relazione
tra codice e metafora”648. Sostiene il pensatore che l’atto di leggere e
interpretare la realtà con un codice specifico – ossia con “un sistema di
segni, gli elementi dei quali ricevono un significato entro il sistema”649 –
“costituisce una sorta di attività metaforica”650. L’attività metaforica mostra
un’analogia con il codice poiché rende possibile la visione degli enti e
soprattutto la similitudo, ciò che è comune a più enti. Riprendendo la teoria
aristotelica esposta nella Poetica secondo cui “l’usare bene la metafora
significa percepire con la mente l’oggetto affine”651 Grassi pone strettamente
in relazione l’eu metapherein e il to omoi on theorein. La metaforizzazione va
identificata da un lato con la visione delle somiglianze ma dall’altro libera
la sua vis generativa nella scoperta del novum: il me phaneròn. Ciò che è nuovo
nella scoperta metaforica è ciò che non era evidente in precedenza. “La
metafora scopre ciò che non era stato visto in precedenza, lo porta alla luce,
in quanto essa nasce dalla necessità della chiarezza”652. Proprio qui risiede
la differenza tra codice e metafora: accomunati dal bisogno di decifrazione653
codice e metafora si separano sul terreno della scoperta del novum. Sostiene
Grassi che “nessun codice è capace di adempiere questa funzione, perché un
codice non fa che stabilire il sistema ordinatore di relazioni già date, e
sulla base delle quali qualcosa viene interpretato. Non esiste un codice che
conduca a un nuovo codice [...] funzione della metafora è l’invenzione,
scoprire nuove relazioni. É la metafora che produce ogni nuovo codice”654.
Risulta evidente che l’apertura metaforologica del discorso di Grassi è
paradigmatica e non classificatoria, nel senso che essa si propone come un
metodo che risale verso archetipi, i quali
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 648!E. Grassi, Heidegger
e il problema dell’umanesimo, cit., p. 76.! 649!Ivi, p. 75.! 650!Ibidem.
651!Aristotele, Poetica, 1459 a 7.! 652 E. Grassi, Potenza della fantasia,
cit., p. 74. 653!Id., Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., p. 77.!
654!Ivi, pp. 76-77. Corsivi nostri. ! 208! fungono da paradigmi
esplicativi dei comportamenti e degli atteggiamenti cognitivi propri della
storia della cultura occidentale. Ogni metafora crea una Lichtung, un Rahmen
originario di riferimento, una zona virtuale entro cui si muovono e si
espandono i concetti e i confini dei campi semantici, stabilendo nuove
connessioni di senso, soprattutto tracciandone i percorsi che poi ogni epoca e
ogni autore attualizzano secondo una specifica declinazione del paradigma fornito
dalla metafora stessa. La produttività antropologica della metafora viene
quindi portata oltre l’antitesi con il concetto, allontanata dalla
contrapposizione tra un senso deviante e figurato e un senso proprio, che a sua
volta nasconde l’opposizione apparenza/essenza. Occorre risalire dalla domanda
che chiede “come è distinguibile il proprium di una parola dalla sua
trasposizione?”655 alla domanda che indaga sul terreno di formazione di un
senso traslato o proprio della parola e della metafora. Occorre analizzare la
struttura di “visione delle somiglianze della metafora”656. In contrasto con
una concezione del linguaggio che tende all’univocità oggettiva, la
metaforologia grassiana indica un’inconcettualità basica: ciò che interessa non
è dunque l’esistenza di un correlato di cui si asserisce l’assenza di
formalizzazione linguistica o l’impossibilità di predicazione, ma lo sforzo di
esporre linguisticamente l’ineffabilità stessa: la storicità del Da-sein.
Grassi elabora una semantica metaforica che affonda le sue radici in un
orizzonte di inconcettualità e sposta l’attenzione su quella dimensione di
gettatezza, sul nostro essere calati in un mondo di immagini che chiedono di
essere interpretate. In uno dei suoi ultimi testi, La metafora inaudita, Grassi
si mostra meno interessato al percorso di nominalizzazione che porta la
metafora verso il concetto, come accadeva invece nei precedenti lavori
sull’umanesimo. La sua ricerca si orienta sempre di più verso il terreno in cui
si formano le metafore, e cioè il mondo della vita, la Lebenswelt che mostra
tutto il suo assolutismo, che viene contrastato proprio attraverso le
prestazioni della distanza nelle forme del mito e delle metafore assolute, e
quindi delle diverse pratiche metaforiche che traducono queste !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
655 Id., Potenza dell’immagine, cit., p. 195. 656 Ibidem. ! 209!
prestazioni, la cui funzione principale risulta allora compensatoria ed
esonerante. Leggiamo in Il dramma della metafora che “la parola metaforica
esprime a un tempo la struttura fondamentale del continuo mutarsi di ciò che
appare e l’unico modo per identificarla. Essa è anche espressione di
un’acutezza, di una rapidità intimamente collegata con il kairòs, l’istante
giusto”657. I processi di metaforizzazione e di simbolizzazione della realtà
sono in altre parole lo strumento con cui l’uomo riesce ad allontanare
l’assolutismo della realtà e a rendere meno violenta la sua percezione.
L’analisi della prassi metaforica parte dalla domanda “dove, come patiamo
l’oggettività dell’essere?”658 che sorge laddove si fa esperienza
dell’incapacità di restituire la ricchezza della res – il mondo oggettivo –
attraverso l’univocità della definizione. Se “l’essenza della parola consiste
nella sua tropicità, cioè nell’essere sempre un traslato, necessariamente il
problema della verità sempre e ovunque valida deve venir sostituito dal
problema di ciò che di volta in volta si svela nella storia”659. La retorica è
la scienza storica per eccellenza: indaga ciò che di volta in volta viene
all’espressione e cala la dimensione dell’aletheia in quella dell’Ereignis.
Secondo il pensiero tradizionale gli enti vanno definiti mediante un processo
razionale che astrae dall’hic et nunc, dalla storicità. È questo il prezzo da
pagare per una conoscenza vera e immutabile: porre a distanza tutti quegli
elementi legati al qui ed ora: le immagini, le passioni. Sostiene Grassi in
Retorica come filosofia che “le teorie cartesiane continuano a determinare
ancora oggi l’atteggiamento nei confronti dell’ideale culturale dell’Umanesimo
e della supremazia della parola. Opponendomi alle idee di Cartesio desidero
esplorare la tradizione dell’Umanesimo italiano”660. Grassi è mosso dal
convincimento che Cartesio esamina e valuta le discipline umanistiche del
sapere solo per stabilire se e in che misura esse possano trasmettere verità e
certezza. Tutta la questione umanistica si riduce ad un problema di erudizione
filologica che ha a che fare con la sfera delle
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 657Id., Il dramma della
metafora. Euripide, Eschilo, Sofocle, Ovidio, L’Officina tipografica, Napoli
1992, p. 165. 658Id., Prolegomena ad una concesìzione della retorica (la phonè
come elemento indeducibile del linguaggio, cit., p. 48. 659 Id., La filosofia
dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 156. Corsivi nostri. 660 Id.,
Retorica come filosofia, cit., p. 80. ! 210! passioni e delle
immagini. La vera filosofia è quella critica a cui Grassi vuole opporre una
priorità trascendentale della topica e per farlo ricorre a Vico e a Aristotele.
Contro una simile impostazione che separa scienza e vita Grassi vuole proporre
un’idea unitaria di logos e pathos in cui la retorica assuma un ruolo
preponderante. Tradizionalmente la retorica – e i suoi elementi fondamentali:
le immagini, le metafore – viene considerata come ciò che va respinto in quanto
“ragione non ancora realizzata”661, come priva di chiarezza razionale e verità
rigorosa generando “l’ideale cartesiano [di] una filosofia disadorna,
impersonale, senza tempo e senza luogo”662. Tenendo in considerazione
l’importanza che l’umanesimo retorico attribuisce alla parola, come ciò che
apre il mondo, la filologia assurge a una posizione fondamentale all’interno
degli studia humanitatis. Secondo il filosofo “la parola deve essere
considerata un fenomeno originario, non solo espressione del pensiero”663.
Nelle analisi svolte abbiamo rintracciato una riabilitazione del pensiero
umanista che parte dal convincimento della preminenza del problema della parola
su quello degli enti. Secondo il filosofo il legame tra parole e cose non va
inteso come semplice corrispondenza delle une alle altre – poiché la parola non
designa univocamente la cosa – poiché il significato di una cosa dipende dal
contesto concreto in cui la parola viene utilizzata. La riflessione retorica
stabilisce un nuovo modo di filosofare noetico non metafisico che parte dalla
parola e non dall’ente. In questo percorso Vico riveste un ruolo particolare.
IV. X. Phantasia, ingenium, sensus communis: le fonti del mondo storico
individuate da Vico La proposta grassiana di ripensamento della retorica nella
sua identità con la filosofia viene sempre più a svelare il suo senso
esistenziale e intersoggettivo. La secca alternativa tra un filosofare ridotto
a ricerca delle verità eterne – condotta attraverso un argomentare poggiante su
basi deduttive ed un linguaggio razionale e formalizzato – e una retorica
intesa come argomentazione debole o
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 661 Id., Viaggiare ed
errare, cit., p. 180. 662 Ivi, p. 181. 663 Id., Potenza dell’immagine, cit., p.
242. ! 211! tecnica del bel parlare – induce il filosofo a
ripensare la correlazione retorica-filosofia a partire dal nesso
vero-verisimile. Il tema è al centro di un saggio su Vico degli anni ’40, Del
vero e del verosimile in Vico664, che mostra come la figura del filosofo
napoletano sia una presenza costante all’interno dell’iter di pensiero
grassiano665 – e non uno sbocco finale della filosofia di Grassi – e
costituisca l’occasione di determinare il significato autentico di retorica. In
Vico Grassi rintraccia l’originaria funzione ermeneutica del linguaggio
retorico, che ha il proprio fulcro nella figura della metafora, prodotto
dell’ingenium. Riproponendo una dicotomia – quella di Vico/Cartesio –
ritornante in maniera fortemente radicalizzata nei lavori successivi su Vico,
Grassi sottolinea come a differenza della filosofia critica poggiante sulla
ratio la filosofia topica vichiana si fonda sulle facoltà dell’ingenium e della
fantasia che sono facoltà di apprensione del reale immediate e intuitive e non
deduttive. Asserisce il filosofo italiano che la fantasia vichiana “è
l’espressione dello spirito umano in quell’istante del ciclo storico, che esso
deve sempre nuovamente percorrere, quando l’ente originario si rivela all’uomo
solo in immagini, simboli, miti. A riguardo si deve notare che anche il mondo
della fantasia, come prima fase dello sviluppo dello spirito umano, non è un
mondo primitivo in senso negativo; è essenzialmente e perfettamente formato in
sé, per certi aspetti è ancora più vicino all’ente originario di quanto non lo
sia il mondo della ragione”666. A differenza del pensiero critico il pensiero
topico ha come suo oggetto tematico il verosimile che appartiene alla sfera del
possibile e non del necessario ed è legato al tempo e allo spazio della
situazione. Leggiamo in Retorica e filosofia che “solo l’intuizione delle
caratteristiche comuni o condivise nel senso summenzionato rende possibile il
conferimento di significati che consentono alle cose di apparire (phainesthai)
in modo umano. Poiché tale capacità è tipica della fantasia, è proprio
quest’ultima a permettere al mondo umano di
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 664!Id., Del vero e del
verosimile in Vico, pp. 951-966, in Id., I primi scritti, cit.!! 665 Sulla
presenza di Vico in Grassi cfr., R. Messori, Le forme dell’apparire, cit.; S.
Limongelli, Il problema dell’umano nella filosofia di E. Grassi, cit.; J.
Sanchez-Esquillace, E. Grassi y la filosofìa del Humanismo, cit., J. M.
Sevilla, Critica de la razon problematica, cit.; G. Cacciatore, In dialogo con
Vico, cit. 666!E. Grassi, Del vero e del verosimile in Vico, cit., p. 963. !
212! apparire”667. Conseguentemente la fantasia si esprime
originariamente nelle metafore “cioè nel conferimento figurato dei significati
[...]. La metafora è quindi la forma originaria dell’atto interpretativo stesso
che assurge dal particolare all’universale attraverso la rappresentazione di
un’immagine, ma naturalmente sempre riguardo alla sua importanza per gli esseri
umani. L’atto erculeo è sempre un atto metaforico e ogni atto metaforico e ogni
metafora autentica è in tal senso lavoro erculeo”668. É evidente che
l’attenzione posta sulla prassi metaforica669 va oltre il piano linguistico. La
metafora non è solo rappresentazione immediata di un’immagine poiché per la sua
struttura traspositiva assume un ruolo storico-politico: quello della
formazione del mondo umano come traspare dalla correlazione atto
metaforico-atto erculeo. Il riferimento ad Ercole – come abbiamo visto nel
secondo capitolo – cela il riferimento alla dimensione politica della
fondazione della civiltà e si staglia sullo sfondo di una prospettiva che si
basa sulla priorità della topica e dell’ars inveniendi sull’ars iudicandi. Una
impostazione di questo tipo consente al pensatore di guadagnare una concezione
integrativa della sapientia come ars vitae in cui filosofia e retorica si
identificano nell’orizzonte ampio e più alto di formazione civile670. Il sapere
noetico-non metafisico è uno strumento di formazione dell’essere umano
nell’interezza delle sue esperienze storiche. In questo contesto si comprende
come la poesia per Grassi – sulla scia di Heidegger e Vico671 – rivesta un
ruolo fondamentale: essa non ha solo la funzione storico-filologica ma anche un
compito etico-politico. Abbiamo visto come il concetto vichiano di fantasia
assuma per Grassi una funzione decisiva. Vico afferma in Le orazioni inaugurali
che la fantasia “immaginò le divinità maggiori e le minori, essa immaginò gli
eroi, essa ora svolge le sue idee, ora le collega, ora le distingue; essa pone
sotto i nostri occhi terre infinitamente lontane,
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 667 Id., Retorica come
filosofia, cit., pp. 38-39. 668 Ibidem. 669 Cfr., Id., Prolegomena ad una
concezione della retorica. La phonè come elemento indeducibile del linguaggio,
cit., p. 48. 670 Come abbiamo visto nei capitoli precedenti Grassi distingue la
Bildung dalla Erziehung, la formazione dalla educazione. 671 Cfr. su questo
aspetto fondativo e politico della poesia in Vico G. Cacciatore, Passioni e
ragione nella filosofia civile di Vico, pp. 3-20, in Id., In dialogo con Vico,
cit., p. 18. ! 213! abbraccia quelle distinte fra loro, valica
quelle inaccessibili scopre quelle inesplorate, apre strade per quelle
impervie”672. L’importanza della fantasia nella teoria della conoscenza
vichiana è sottolineata da Grassi nell’ambito di una proposta ermeneutica di
analisi della fantasia e delle sue forme di funzionamento come paradigmi per
delineare una storia del pensiero occidentale673. La rivalutazione della
fantasia mira a sottolineare quella straordinaria forza formatrice che la mente
umana riesce ad attivare tramite le sue azioni simbolizzatrici messa in luce
anche dal Cassirer filosofo delle forme simboliche. Quest’ultimo sostiene che i
diversi campi della creatività spirituale sono capaci di costruire “uno
specifico libero mondo di immagini: un mondo che per la sua natura immediata
porta tuttavia in sé il colore del sensibile, ma che rappresenta una
sensibilità già formata e quindi dominata dallo spirito. Qui non si tratta di
un sensibile semplicemente dato e trovato, ma di un sistema di molteplicità
sensibili prodotte in una qualche forma del libero immaginare”674. Secondo
Grassi nella tradizione umanistica la vis plastica e cosmica della fantasia e
la relativa attività metaforica vengono interpretate come fonti originarie
dell’esistenza e del mondo storico. La domanda dalla quale partire è: “qual è
l’ambito originario della fantasia, la cui essenza è – come abbiamo visto – il
metapherein?”675. Nel tentativo di risolvere la questione Grassi ricorre a
Vico, considerato l’ultima “vetta”676 dell’umanesimo. Egli offre con le sue
riflessioni sulla fantasia e sull’ingegno, sul senso comune, l’occasione
fortunata per un ripensamento della storia del pensiero occidentale al di fuori
dei cardini dell’intelletto calcolante e della metafisica astratta. L’autore
della Scienza Nuova ha avuto il merito di sviluppare “la tesi di una logica
della fantasia al fine di trovare l’accesso all’umano – nella sua singolarità e
concretezza –, un accesso che la logica tradizionale, con
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 672 G. Vico, Le Orazioni
inaugurali, I-VX, a cura di G. G. Visconti, il Mulino, Bologna 1982, p. 83. 673
E. Grassi, La potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale,
cit. 674 E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, I, La Nuova Italia, Firenze,
1967, p. 22. Cfr. per una correlazione tra la riflessione vichiana sulla
facoltà mitico-simbolizzatrice della fantasia e la filosofia delle forme
simboliche cassireriana G. Cacciatore, Simbolo e storia tra Vico e Cassirer,
pp. 85-104, in Id., Cassirer interprete di Kant e altri saggi, Armando
Siciliano, Messina 2005. 675 E. Grassi, Potenza della fantasia, cit., p. 239.
Corsivo nostro. 676 Ibidem. ! 214! la sua ricerca rivolta
esclusivamente all’universale, non aveva ottenuto”677. Secondo il pesatore
milanese con Vico siamo di fronte ad un logos phantastikòs in grado di
penetrare la realtà del mondo storico umano e individuale con maggior successo
di quanto non faccia la logica tradizionale678. In tale logica è rintracciato
il centro speculativo della Scienza Nuova che non è solo scienza della storia
ma antropologia innanzitutto. Il confronto dell’uomo con la natura che rende
possibile la nascita del mondo storico avviene sul terreno della ricerca delle
attività che liberano l’uomo dai bisogni materiali. Per Grassi il problema
fondamentala di Vico “consiste nell’identificare l’ambito originario
all’interno del quale soltanto può in generale manifestarsi la storicità, ossia
il mondo umano come tale. Si tratta in ultima analisi di scoprire la struttura
dell’esistenza umana”679. Questo passo è davvero illuminante poiché da un lato
ci consente di apprezzare la specificità della lettura offerta di Vico – un
Vico antropologo delle origini del mondo umano storico-politico- linguistico –
e dall’altro di cogliere la questione fondamentale che sorregge la Frage
onto-antropo- logica grassiana: l’analisi del mondo umano attraverso
l’attenzione all’ursprünglich Rahmen680 – la Lichtung – e alla Struktur des
menschlichen Daseins681 – l’analitica dell’esistenza di cui abbiamo detto nei
precedente capitoli. La questione del cominciamento del mondo umano è
intimamente legata a quella dell’origine della storia e dunque alla socialità a
cui Vico assegna il ruolo di elemento fondativo delle istituzioni politiche.
Grassi punta a sottolineare non tanto l’aspetto metodologico e
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 677 Ivi, pp. 239-240.
678 Cfr., su questo aspetto della logica della fantasia D. P. Verene, La
scienza della fantasia, Armando, Roma 1984 e Vico’s Humanity, “Humannitas.
Journal of the Institute of Formative Spirituality”, XV (1979). Qui lo studioso
sostiene che la comprensione vichiana dell’umano è mediata non dal concetto e
dall’attività razionale ma dall’attività mitopoietica della fantasia, dalle immagini
e dalla forza creativa del linguaggio. Cfr., anche G. Costa, Genesi del
concetto vichiano di fantasia, in AA. VV., Phantasia/Imaginatio, V Colloquio
Internazionale, a cura di M. Fattori, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1988; M.
Sanna, La fantasia che è l’occhio dell’ingegno. La questione della verità e
della sua rappresentazione in Vico, Guida, Napoli 2001; G. Cacciatore, In
dialogo con Vico, cit. 679 E. Grassi, Potenza della fantasia, cit., p. 240. 680
Ibidem. Cfr., anche la versione tedesca Die Macht der Phantasie. Zur Geschichte
abendländlichen Denkens, Athenäum, Königstein, 1979, p. 240. 681 Ibidem.
! 215! storico-ricostruttivo, pur presente in maniera preponderante nella
Scienza Nuova, quanto l’elemento di ricerca dei principi filosofici che sono all’origine
del graduale processo di umanizzazione e antropologizzazione del mondo e della
natura682 in cui la fantasia assume una funzione chiave e talvolta presentata
dal filosofo milanese in maniera troppo antitetica rispetto alla ragione.
Ricordiamo che secondo Vico la fantasia è per l’uomo un mezzo di produzione di
immagini che rappresentano una griglia interpretativa della realtà,
costituendosi come condizione trascendentale della crescita e dell’apertura
mentale dell’uomo, del percorso di costruzione ed elaborazione del suo cammino
storico. La fantasia consente all’individuo di comprendere il suo essere nel
mondo, la sua circumstantia, di persistere nel suo spazio vitale683, sebbene
attraverso una comprensione della realtà non adeguata, ma pur sempre vera,
dovuta alla impossibilità umana di giungere alla piena conoscenza di fenomeni
che sono stati creati da una identità superiore all’uomo. Pur accogliendo la
prospettiva grassiana della rivalutazione del tema della fantasia in Vico
vorremmo sottolineare come per il filosofo napoletano il mezzo di controllo
della fantasia resti in ultima istanza la ragione, la sola capace di regolare
il ragionamento fantastico in modo da renderlo attinente al mondo reale – viene
salvaguardato in questo modo l’aspetto adeguativo del vero. Qui si inserisce
anche il proposito pedagogico presente nel Vico del De ratione, per cui gli
uomini, già dall’età della fanciullezza, hanno bisogno di educare il loro modo
di ragionare, che per Vico – come per Cartesio – comporta l’utilizzo del metodo
matematico. Il filosofo napoletano, come è noto, distingue due fasi della vita
di un uomo in cui, a seconda dell’età e dell’esperienza acquisita, queste due
capacità intellettive hanno una valenza specifica e una preminenza nei
confronti dell’altra: nei giovani prevale la fantasia, negli adulti prevale la
ragione. Sostiene Vico che “come nella vecchiaia prevale la razionalità, così
nell’adolescenza prevale la fantasia: e davvero non è in alcun modo opportuno
nei giovinetti offuscare !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
682 Per una lettura antropologia della Scienza Nuova cfr. L. Amoroso,
Introduzione alla scienza nuova, cit. 683!E. Grassi, Vico e l’umanesimo, cit.,
p. 53 e sgg.!! ! 216! quella che è sempre stata considerata l’indizio
più felice dell’indole futura”684. La condizione mentale dei fanciulli li
agevola a sviluppare la loro capacità immaginativa, componente fondamentale in
questo determinato periodo della formazione della personalità umana. Con l’età
adulta l’uomo inizia invece a inquadrare razionalmente gli enti, a far
prevalere la ragione sulla fantasia, ad uscire dallo stato di minorità. Vico
accetta entrambi i momenti della formazione dell’individuo, senza porre un
antagonismo delle facoltà, un manicheismo gnoseologico, sottolineando con forza
come non debba essere oppressa e trascurata la fase originaria dell’essere-
nel-mondo umano, quella immaginativa, che è fondamentale per la crescita di una
persona. Infatti Vico riconduce la fantasia sotto la categoria della memoria,
che a sua volta si suddivide in tre distinte fasi: memoria come attività
dell’intelletto umano che “rimembra le cose”; fantasia come attività che
“altera e contraffà” il ricordo originario; ingegno come attività che “pone in
acconcezza e assestamento” ciò che è stato precedentemente modificato. Come
sottolinea Cristofolini occorre tenere presente la duplice valenza della
fantasia in Vico: da un lato essa costituisce la capacità “primitiva” di creare
un impero della fantasia e del mito; dall’altro necessita di essere limitata e
sottomessa alle strutture della ragione685. A differenza di un’ipotesi che
ricomprende il concetto di fantasia all’interno di uno sviluppo razionale
graduale e progressivo Grassi propende per l’idea che “la fantasia, basata sull’esperienza
delle molteplici interpretazioni che si possono dare ai fenomeni sensibili,
crea le prime analogie fra tali fenomeni e con essi le prime connessioni e
infine le definizioni”686. Secondo il filosofo milanese si tratta del primo
adattamento della natura: attraverso la fantasia l’uomo mette in atto quella
domesticazione dell’essere che costituisce l’essenza dell’attività mentale.
Grassi individua tre significati fondamentali della fantasia
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 684 G. B. Vico, Sul
metodo degli studi del nostro tempo, a cura di A. Suggi, Ets, Pisa 2010, p. 37.
685 P. Cristofolini, La Scienza Nuova di Vico. Introduzione alla lettura, Nis,
Roma 1995, p. 84. 686 E. Grassi, Marxismo, umanesimo e problema della fantasia
nelle opere di Vico, in Id., Vico e l’umanesimo, p. 89. ! 217!
vichiana: -! “nella fantasia e mediante la fantasia si mostra che l’essere
umano, a differenza dell’animale, non soggiace a modelli dominanti che danno
alle percezioni sensibili un significato inequivocabile”687 -! “la seconda
funzione della fantasia fu di costringere l’uomo a farsi dominare dalla paura,
dal terrore di fronte alle cose”688 -! “la terza funzione della fantasia è
quella di essere il primo originario fattore che dà un significato al
lavoro”689 Secondo Grassi la fantasia intesa nel primo significato è
strettamente correlata alla nascita della poesia; nel secondo senso è legata
alla nascita della religione come prima forma di adattamento della natura e di
genesi dell’ordine; infine essa va concepita in relazione alla fondazione
sociale e politica che è innescata dal lavoro che allarga il proprio raggio di
incidenza ben oltre i confini dell’autoconservazione: la fantasia è la facoltà
della visione per eccellenza, essa è l’occhio dell’ingegno. Ingegno e fantasia:
entrambe facoltà che insieme al senso comune costituiscono la triade
ermeneutica per una corretta comprensione di Vico e della Scienza Nuova.
Secondo Grassi Vico ricostruisce la storia del mondo storico umano attraverso
il ricorso al senso comune. Leggiamo in La priorità del senso comune e della
fantasia. L’importanza di Vico oggi che “secondo l’approccio vichiano il mondo
storico sorge dall’interdipendenza delle esigenze umane, dagli elementi di cui
abbisogna l’uomo. Da esso deriva la necessità di intervenire nella natura
umanizzandola e anche la necessità di stabilire istituzioni umane, comunità
sociali, organizzazioni politiche”690. Alla base di questa struttura ritroviamo
il senso comune !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 687 Ivi,
pp. 88-89. 688 Ivi, p. 89. 689 Ivi, p. 90. 690 Id., La priorità del senso
comune, cit., in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 43. ! 218! che è
guidato dall’ingegno. Per Grassi l’ingenium è la facoltà di scoprire le somiglianze
e basata sulla facoltà dell’ingegno “la fantasia [...] conferisce significati
alle percezioni sensibili. Mediante tale trasferimento la fantasia costituisce
la facoltà originaria del far vedere (phainesthai)”691. Si tratta delle facoltà
che appartengono sin dall’inizio alla formazione del mondo umano. Come afferma
Vico nella Metafisica del 1710 “i latini dissero facultas quasi dicendo
faculitas da cui poi anche facilitates come fosse una spedita, rapida solerzia
nel fare. Pertanto è facoltà quella che conduce la virtualità all’atto [...]:
senso, fantasia, memoria e intelletto sono facoltà dell’anima”692. Poco oltre
il filosofo napoletano sancisce definitivamente il legame tra memoria, fantasia
e ingegno, così come tra geometria e fantasia. In questo testo, Vico tenta di
definire le tre facoltà dell’intelletto e i distinti ruoli (come anche le
affinità) che esse svolgono nell’azione conoscitiva dell’uomo.
L’interpretazione grassiana della fantasia, anche definita “l’occhio
dell’ingegno”, si focalizza sulla sua funzione di mezzo attraverso il quale
l’ingegno umano riesce a riformulare i vari concetti, mediante una
rielaborazione delle immagini mentali, e a stabilire un nesso plausibile tra
essi, che permette di avvicinarsi il più possibile alla conoscenza della verità.
Se per Vico è vero che “la fantasia è una facoltà certissima, poiché usandola,
noi foggiamo le immagini delle cose”693, e che l’ingegno è “la facoltà del
congiungere in unità cose distanti, diverse”,694 è altrettanto indiscutibile
che nel momento in cui l’uomo incomincia ad affinare il suo intelletto e tende
ad essere più razionale (in quella fase storica che Vico fa corrispondere
all’età degli uomini), incomincia a limitare l’utilizzo della sua capacità
immaginativa e a diventare più “mentale”. Più l’uomo esce dal suo “stato di
ignoranza”, dunque, più cambia anche il ruolo e l’intensità della fantasia
all’interno della esistenza. La fantasia, allora, si trasformerà in un’affinata
facoltà poetica, in !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
691!Ivi, pp. 49-50.! 692 G. B. Vico, La metafisica del 1710, a cura di A.
Corsano, Adriatica, Bari 1966, p. 111. 693 Ibidem. 694 Ivi, p. 114. !
219! una forza creativa che aiuta l’immaginazione dei poeti e la loro
capacità inventiva. La fantasia come qualità dei poeti, la trasformazione
dell’uso della metafora dalla sua precedente valenza filosofica a quella
prettamente artistica. Lo studio della sapienza poetica volta da una vivida
fantasia, segno di passionalità e sublimità del linguaggio della poesia che,
tuttavia, deve essere ben distinta da quel tipo di sapienza che invece
caratterizza il pensiero filosofico. Grassi avverte la possibilità di
interpretare attraverso la lente del progresso razionale l’ingegno e la
fantasia ma sposta l’attenzione verso l’ambito più originario della formazione
del mondo umano. Egli asserisce che “si potrebbe sostenere che Vico attribuisca
al discorso fantastico e metaforico solo il significato di un parlare
improprio, che diventa appropriato solo attraverso la logica, poichè egli
restringe l’uso del parlare metaforico e fantastico a un primo periodo della
storia. Noi possiamo rispondere a questa osservazione guardando ai fatti, cioè
chiarendo la relazione tra l’attività ingegnosa e immaginativa e senso comune,
o esaminando più profondamente il concreto dominio in cui l’ingegno e la
fantasia sono capaci di costruire il mondo umano”695. Con la fantasia,
l’ingegno e il senso comune è in gioco il tema della fondazione della civiltà
che tocca anche l’ambito del mito. IV. XI. L’ora di Pan e la morte di Pan: mito
e arte come genesi del mondo umano L’analisi del linguaggio poetico come
fondazione della comunità politico sociale ci consente di comprendere
l’estensione del discorso grassiano sul mito. In linea con l’interpretazione di
Gentili dobbiamo interpretare il ruolo politico che il mito riveste in Grassi
alla luce della relazione tra mito e poesia. Nella Introduzione al testo di
Grassi Arte e Mito edito per la prima volta in tedesco nel 1957696, ristampato
nel 1990, frutto di una rielaborazione di un articolo che Grassi pubblica nel
1956 con il !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 695 E.
Grassi, La priorità del senso comune e della fantasia: l’importanza di Vico
oggi, cit., in Id., Vico e l’umanesimo, cit., pp. 50-51. 696 Id., Kunst und
Mythos, Hamburg, Rowholt, 1957; seconda edizione riveduta e ampliata E. Grassi,
Kunst und Mythos, Frankfurt a. m. Suhrkamp, 1990. ! 220! titolo
Mito e arte in “Rivista di filosofia”, Gentili affronta il problema del mito in
Grassi quale evento originario che fonda una catena di relazioni, che dà inizio
ad una serie. Il lavoro condotto da Grassi sul mito è inquadrabile all’interno
di una prospettiva di demitizzazione che non è omogenea a quella di
razionalizzazione. “Nella misura in cui – Grassi – legge il mito alla luce
delle sue relazioni, porta allo scoperto il nesso intrinseco tra mito e
demitizzazione”697. Come interpretare allora la relazione complessa e
articolata tra il mito e i suoi prodotti alla luce del nesso mito-demitizzazione?
Grassi analizza il mito quale atto di fondazione originario, arcaico,
indeducibile, attraverso le relazioni che lo stesso mito fonda: relazioni
retoriche e poetiche, religiose e anche filosofiche. Tuttavia la filosofia
interpretata come sapere dedotto e non originario non può avere il ruolo di
fondazione che solo la poesia riveste. Per Grassi il “mito fonda (begründet) il
logos, quindi il mondo indicativo quello dimostrativo”698. Nella ricostruzione
grassiana il mito ha una duplice valenza: esso è il racconto che è alla base
delle arti imitative: non solo della tragedia o della commedia, ma persino
della musica, della danza – ma è anche l’unità del significato di mito come
storia sacra e di mito come fabula. Leggiamo in Arte e mito che “il mito esige
di sottomettere la molteplicità dei fenomeni naturali in un’unità ultima,
originaria ed onnicomprensiva, costituendo in questo modo un kosmos in sé
compiuto. Mito è ciò che dà ordine”699. L’essenza del mito va collocata
nell’ambito della formazione umana di un mondo dotato di un’unità strutturale e
ciò che esso rivela è la temporalità dell’esistenza umana. Si tratta della
prima formazione culturale in cui si dispiega la coscienza temporale umanistica
poiché nel mito “domina il tempo che costantemente ritorna”700. Il filosofo
italiano, anche sulla scorta dello studio di Malinowsky, Kerényi, W. F. Otto,
individua due significati fondamentali del mito701:
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 697 Id., Arte e mito,
tr. it. a cura di C. Gentili, La città del Sole, Napoli 1996, p. 27. 698 Id.,
Potenza dell’immagine, cit., p. 85. 699 Id., Arte e mito, cit., p. 150. Corsivi
nostri. 700 Ivi, p. 166. 701 Id., Mito e arte, cit., p. 162. ! 221!
-! il mito come favola e creazione artistica -! il mito come realtà
religiosa esemplare Nel primo significato – il mito come favola e creazione
artistica – Grassi si rifà ad Aristotele e all’analisi condotta nella Poetica
sul mito come “sintesi delle azioni” in cui è sovrapponibile la sua valenza di
fatto con quella di composizione di fatti. Accanto all’idea di mito come realtà
vivente, sacrale, in cui la temporalità infinita è sospesa in un orizzonte
chiuso e circolare compare il tema dell’arte come favola, racconto, mito,
composizione dei fatti. Qui occorre sottolineare un aspetto di non secondaria
importanza. L’arte si pone come demitizzazione poiché “nasce nell’istante in
cui l’ordine assoluto – espresso dalla realtà religiosa – viene infranto. Nel
momento in cui ci si distoglie dall’ordine eterno e in sua vece si manifesta
l’ordine possibile, sorgono i progetti umani, individuali”702. L’arte si pone
come articolazione specifica di una possibilità intrinseca al mito – il suo
divenire possibilità umana – e non come razionalizzazione della dimensione
mitico-sacrale originaria. L’arte prorompe laddove si crea uno strappo, una
lacerazione, una rottura: la temporalità e la spazialità sacre dell’universo
mitico si disintegrano, facendo spazio a quelle profane del mondo artistico.
Nel secondo significato il mito appare come realtà sacrale, religiosa ed
esemplare. Per Grassi “questo mondo mitico è sostanzialmente distinto da quello
profano, in quanto il profano presuppone una temporalità, una caducità, un
essere-sempre-diversamente [...] perciò lo spazio profano non è neppure mai
chiuso, ma si perde in una dimensione sterminata e senza confini”703. Tra il
mito e l’arte dunque ritroviamo una differenza che si situa innanzitutto nei
due tipi di temporalità e spazialità vissute. Eppure mito e arte hanno in
comune l’esigenza di riunificazione della molteplicità dei fenomeni sensibili
sotto un ordine, una legge, un kosmos. Scrive Grassi che “il mito esige di
sottomettere la molteplicità dei fenomeni naturali in un’unità ultima,
originaria, onnicomprensiva, costituendo in questo modo un
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 702 Ivi, p. 158. 703
Id., Arte e mito, cit., p. 159. ! 222! kosmos in sé compiuto. Mito
è ciò che dà ordine. Stando a questa concezione, il mito racchiude gli elementi
eternamente esistenti dell’esistenza umana e li rappresenta: ciò che esso
rivela è l’eternamente presente”704. Nel mito viviamo quella connessione con il
mondo circostante – l’ora di Pan di cui abbiamo già parlato in relazione
all’esperienza sudamericana di Grassi – che appare a Grassi come “l’ora in cui
la realtà frammentaria quotidiana si trasforma in una unità ed attualità
terribile, fuori del tempo. Nel mito domina la pienezza di una realtà che
incombe sul singolo e non lo lascia più sfuggire”705. Se il mito in cui l’uomo
si trova, come l’animale immerso nel cerchio funzionale simbolico, è
esemplificato con la metafora dell’ora di Pan, l’arte è rappresentata invece
come la morte di Pan, come “l’infrangersi del mito”706. Di fronte alla
disintegrazione del mondo mitico-sacrale per il pensatore “l’uomo ricorre ai
ritrovati tecnici” – l’arte come poiesis e come techne – “quando ha perso di
vista i riferimenti a una realtà fuori dal tempo. Propriamente in questo
istante sorge l’empeiria, la necessità di trovare un guado attraverso il fiume
delle impressioni sensibili che si sono staccate dall’ordine originario”707.
L’emepiria va interpretata come una realizzazione del logos (non inteso come
ragione o intelletto) e non in senso materialistico. Secondo il filosofo si
tratta della prima fase di ordinamento dei fenomeni sensibili. “L’empeiria è il
primo passo nell’ordinamento dei dati sensoriali, non è passività, non è
impressione”708. Nell’azione di conferimento di unità, di selezione e
ordinamento dell’empeiria possiamo rintracciare i caratteri dell’arte. Infatti
il filosofo giunge a chiedersi se l’arte e l’empeiria non si identifichino in
questo aspetto ordinatore. Tuttavia la differenza fondamentale risiede nel
carattere di produzione insito dell’arte. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
704 Ivi, p. 150. 705 Id., Mito e arte, cit., p. 150. 706 Ivi, p. 151. 707
Ibidem. 708 Id., Arte e mito, cit., p. 92. ! 223! Se con
l’emepeiria siamo di fronte ad una constatazione, per quanto ordinata, dei
fenomeni – il termine usato da Grassi è fest-stellen in riferimento
all’empeiria709 – con l’arte siamo di fronte alla produzione di un modo umano a
partire dal mondo frantumato resoci accessibile attraverso l’empeiria.
“L’empeiria sembra avere la sua radice nella necessità di ordinare i fenomeni
sensibili, ma non è in grado di conferire ordine complessivo. Essa comunica di
volta in volta un mondo frantumato, nei cui frammenti noi vediamo rispecchiato
un kosmos in mille parti rilucenti”710. La potenza dell’arte invece risiede nella
sua capacità di produrre un cosmo, un mondo ordinato dotato di un’unità
significativa. L’arte come il mito è “il progetto universale delle possibilità
umane”711 e soprattutto la poesia assurge per Grassi a evento privilegiato
della relazione uomo-essere. Ma è possibile attraverso la poesia esprimere e
dire in modo immediato il mito? Oppure la dimensione poetica in Grassi è una
forma della ricezione mitica, una forma demitizzata del mito? Per comprendere
l’essenza e il valore di fondazione del mito non dobbiamo prestare attenzione
al passaggio dal mito al logos – dove il mito appare come una prestazione
arcaica della ragione e il logos come un mito razionalizzato – ma al nesso tra
mito e demitizzazione. Si tratta di un movimento tutto interno al mito e che si
intreccia al tema della fondazione. Il mito in quanto “topos atopos” è
premessa, origine che non può essere conosciuta ma detta attraverso la poesia.
Grassi parte da una idea di mito come fondazione origine e inizio, come
prestazione fondativa (Begründung). “In questo senso il mito – sia come realtà
religiosa esemplare, sia come creazione artistica e quindi come favola – può
venir considerato come il principio instauratore originario di una comunità
[...] con l’ordine – che pone una molteplicità di movimenti entro un’unità – si
preannuncia la realizzazione dell’aspetto sociale”712. L’interpretazione
grassiana della Poetica di Aristotele pone in luce l’aspetto di
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 709 Ivi, p. 90. 710 Ivi,
p. 94. 711 Ivi, p. 168. 712 Id., Mito e arte, cit., p. 162. ! 224!
secolarizzazione insito nel mito: il mito disvelando “l’ampia scala delle
possibilità umane”713 corre il rischio di generare un’arte secolarizzata:
l’estetica714. Come sottolinea Amoroso, in Grassi l’individuazione di una via
di accesso al mito, alla poesia e all’arte “in rapporto al concreto operare
della storia”715 avviene attraverso il ripercorrimento della filosofia
dell’umanesimo che nell’arte avrebbe espresso uno svelamento, una Lichtung dell’essere.
IV. XII. La funzione trascendentale dei concetti di Wahn e Langweile nelle
meditazioni leopardiane Nel corso della trattazione sono emersi due concetti
chiave: quello della fondazione della civiltà e quello del disvelamento: si
tratta delle questioni supreme a cui Grassi dedica gran parte della sua
indagine storico-filosofica sui temi dell’Umanesimo. In questo orizzonte
teorico due figure capeggiano sulla scena filosofica descritta da Grassi: Vico
– come abbiamo già visto – e Leopardi, su cui la critica poco si è soffermata.
Entrambi appaiono in veste di filosofi delle origini del mondo umano attenti
alla ricerca dei fattori primi di umanizzazione e di fondazione politico-civile
i cui plessi teorici si inseriscono a pieno titolo nel percorso grassiano di
ricostruzione dell’antropologia delle origini, della fondazione civile e del
disvelamento. La fondazione fantastica e il disvelamento vichiani e la funzione
trascendentale dell’illusione e il ruolo metafisico del pathos della noia come
sentimento dell’apertura originaria in Leopardi rappresentano le tappe
fondamentali di una ricerca onto-antropo- logica che in Grassi si concretizza
come formazione del cosmo umano attraverso la fondazione mitica. Nel corso
della sua lunga ed operosa esistenza filosofica Grassi si è spesso misurato con
le riflessioni e la personalità di Leopardi. Tenendo presente la centralità che
il concetto di pathos assume all’interno del pensiero di Grassi è possibile
comprendere come il filosofo dedichi pagine concettualmente dense al poeta di
Recanati, istituendo confronti prima con Freud ed Epicuro (sugli
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 713 Id., Arte e mito,
cit., p. 183. 714 L. Amoroso, Da Aristotele a Vico. A proposito di Grassi e il
mito, in AA. VV., Un filosofo europeo. Ernesto Grassi, cit., pp. 61-76, p. 62.
715 Ivi, p. 64. ! 225! argomenti del piacere e del dispiacere; del
principio di realtà e del principio di illusione; dell’edonè) poi con
Schopenhauer (sui concetti di realtà e illusione, di noia e dolore). In questa
sede si è ritenuto di non soffermarsi sulle relazioni interessanti con il padre
della psicoanalisi e con i filosofi greco e tedesco poste a tema dal Grassi,
quanto piuttosto di prendere in considerazione le suggestioni teoriche che il
poeta sollecita nel cammino di pensiero del filosofo nella consapevolezza
dell’originalità e discutibilità delle tesi grassiane su Leopardi che, come
vedremo, non seguono i dettami del “filologicamente corretto” ma piuttosto
fanno interagire Leopardi con i concetti chiave del suo sistema
onto-antropo-logico. Quale ruolo può avere Leopardi all’interno dell’iter di
pensiero grassiano e qual è il valore della teoria dell’illusione a cui il
pensatore conferisce tanta importanza da giungere a definire il poeta italiano
teoreta dell’illusione716? Il filosofo sottolinea quanto l’approccio
leopardiano sia distante dal razionalismo della metafisica astratta del “secol
superbo e sciocco” insistendo soprattutto su quei concetti, quali illusione e
noia, piacere e dolore, natura e passione in cui Leopardi assume un
atteggiamento critico verso l’ottimismo razionalistico e il tema della
civilizzazione. Il Leopardi grassiano come critico del tempo moderno e delle
devastazioni dell’intelletto segue un percorso nuovo e inesplorato, che si
iscrive nel solco della tradizione umanistica di cui il poeta e Vico
costituiscono gli “ultimi rappresentanti”. Accanto all’operazione ermeneutica
di analisi dell’idea di illusione si situa anche il convincimento che Leopardi
può essere considerato come una delle ultime manifestazioni dell’umanesimo. Si
tratta di due temi – il “Leopardi umanista” e il “Leopardi teoreta
dell’illusione” – strettamente connessi perché consentono di fugare l’idea che
la lettura grassiana possa essere considerata come un tributo, l’ennesimo, al
grande genio poetico del recanatese e fanno emergere una interessante
prospettiva esistenzialistica sul Leopardi critico del moderno. Se prendiamo in
considerazione i passi in cui è presente il poeta di Recanati constatiamo che egli
appare in forma sparsa e asistematica già a partire da I primi scritti
1922-1946. La lettura dei saggi risalenti
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 716 E. Grassi, La
metafora inaudita, cit., p. 46. ! 226! al periodo compreso tra gli
anni ‘30 e ‘40 mette in luce la presenza di Leopardi e delle tematiche dello
Zibaldone, che resta il preponderante testo di riferimento delle note grassiane
sul poeta. Confrontando le citazioni di Leopardi e i contesti teorici di
riferimento registriamo che esse compaiono sempre in relazione all’analisi dei
concetti di formazione (Bildung), di noia, di illusione: idee centrali se
consideriamo quanto essenziale sia la formazione nel nuovo ideale di umanesimo,
la noia e l’angoscia nella sua analitica esistenziale, e l’illusione come
fattore antropogenetico insieme al mito e al linguaggio nell’analisi
antropologica grassiana. In Il confronto con la filosofia tedesca in Italia del
1941 si fa cenno a Leopardi nell’ambito della tematizzazione della Bildung degli
studia humanitatis che coinvolge una questione ben più ampia della mera
educazione filologica717. Per il filosofo infatti occorre distinguere una
pseudo-filologia, priva di pensiero, ridotta a sterile culto classicista della
parola, e una filologia autentica, che si connota come meditazione sull’uomo e
sulla sua formazione. Egli afferma che “il filosofare italiano non comincia con
il problema della verità o del sapere, ma con il problema della parola in
relazione al compito umanistico di mediare la parola antica, gli scritti
antichi, il mondo antico [...]. Ricordo solo che il compito umanistico della
mediazione della parola antica si realizzò essenzialmente su un piano estetico,
letterario, ossia in relazione alla scoperta e al rinnovato rapporto con i testi
letterari antichi. A ciò, però, si legava al contempo l’impegno di una
formazione dell’uomo tramite la parola, e con il problema della formazione si
affrontava un problema essenzialmente filosofico. Si stabilì che il significato
delle parole che troviamo in un testo non può essere dedotto dall’esperienza
quotidiana o dal nostro sapere, bensì dall’unità del testo [...] conformemente
all’antichità, si riconosceva nella parola l’essenza dell’uomo, così il
formarsi in base alla parola non significava, come oggi per lo più crediamo,
praticare la filologia, bensì sviluppare l’essenza dell’uomo”718. La
distinzione tra Bildung e Erziehung mostra come la posta in gioco nella nuova
idea di umanesimo sia la messa in discussione dell’essenza dell’uomo, della sua
condizione, che accomuna, secondo il filosofo, le figure di Bruno, Vico e
Leopardi. Così come per Bruno “ogni rapportarsi
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 717 Id., Il confronto
con la filosofia tedesca in Italia, pp. 871-886, in Id., I Primi scritti
1922-1946, La Città del Sole, Napoli 2011, p. 882. 718 Ivi, p. 881. !
227! originario nei confronti della realtà, sia nel senso politico
come in quello concettuale o poetico, scaturisce dall’esperire, dal patire
qualcosa di originario e indeducibile, che riveli mondi differenti”719 anche
per Vico e Leopardi720 la funzione trascendentale del pathos consente un
rinnovamento del concetto di filologia. Il co-estendersi dei temi filologici e
antropologici implica una rivalutazione del concetto di pathos da parte di
Grassi che tuttavia non indulge ad una forma più o meno celata di
irrazionalismo illogico. Anzi il valore logico della sua ricerca emerge laddove
egli tenta di proporre un concetto complesso di logos che non esclude il
pathos, ma che si rivela nella sua coappartenenza costitutiva al pathos
nell’orizzonte unitario del reale e della sua esperienza. Nella sua prospettiva
il pathos è sempre già connotato ontologicamente e non si riduce all’affectio o
all’emozione. Solo ed unicamente sul suo fondamento facciamo esperienza della
nostra apertura mondana, della Lichtung e dell’evento della differenza
ontologica. Secondo il filosofo nel pathos “l’inaudito appare sul palcoscenico
della storia”721: esso è “passione abissale”722 in cui accade il fenomeno
dell’essere e allo stesso tempo il suo sottrarsi. Nella prospettiva grassiana
il pathos metafisico è ciò che Leopardi chiama illusione e natura. “Le passioni
hanno un carattere trascendentale, esse sono cioè condizione delle esperienze e
da esse non deducibili”723 e per il poeta indicano il nostro lasciarci
afferrare dalla realtà, dall’essere che si impone e contro cui urtiamo senza
possibilità di sottrarci al suo appello. Grassi afferma che “l’espressione
illusione, che Leopardi usa in questo senso, ha, rispetto alla terminologia
tradizionale !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 719Ivi, p.
882. 720 Ivi, p. 883. 721 Id., La metafora inaudita, cit., p. 92. 722 Ivi, p.
40. 723 Id., Illusione, natura e critica del mondo intellettuale moderno, pp.
156-175, in AA. VV, Tradizioni della poesia italiana contemporanea, Edizioni
Theoria, Roma 1988, p. 166. ! 228! che si serve della espressione
a-priori, il grande vantaggio di esprimere il carattere esistenziale del
trascendentale”724. Nell’esperienza patica rintracciata dal filosofo nello
Zibaldone l’uomo si trova di fronte al proprio disancoramento e alla propria
angoscia – che nelle “meditazioni leopardiane” è sostituita dalla noia – in cui
“questo vanificarsi della realtà nello stato dell’angoscia esistenziale
manifesta pure per la prima volta l’esistente come un completamente altro da
esso e come tale lascerebbe sorgere di fronte a noi la realtà dell’essere come
essere nella sua originaria alterità e possibilità di determinazione.
L’angoscia quindi in cui il nulla si mostra come vanificarsi della totalità
dell’esistente è la fonte della possibilità di pensare (come pensare l’essere)
e di filosofare e in esso sorge la possibilità di trascendere l’ esistente
nella sua totalità rendendolo possibile termine di domanda”725. Nel pathos
dell’angoscia noi esperiamo l’assenza di mondo e la possibilità allo stesso
tempo di realizzare ordini di realtà, progettazioni e creazioni, per arginare
l’“assenza di mondo” in cui l’uomo è gettato proprio perché privo di
orientamenti precostituiti. L’esperienza della dismondanizzazione e di assenza
di mondo a cui il filosofo fa riferimento sono il regno dell’Aperto in cui è
assente ogni direzione, ogni coordinata, ogni orientamento. Egli asserisce che
“in quest’esperienza siamo di fronte all’Offenheit, a quella apertura che, non
essendo la nostra dimensione, ci paralizza”726 e ancora che “qui gli oggetti
diventano trasparenti, quasi fluorescenti, tu non ti puoi più aggrappare a
loro, non puoi più tenerli in mano per costruire con loro un mondo, e comincia
la sensazione del precipizio”727.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 724 Ivi, p. 168. 725
Id., Il problema del nulla nella filosofia di M. Heidegger, in Id., I primi
scritti, cit., p. 329. 726 Id., Assenza di mondo, in “Archivio di filosofia”,
Roma, pp. 217-247, p. 226 727 Ibidem. ! 229! A caratterizzare
maggiormente l’esperienza patica è quindi la sua componente metafisica e non
psicologica: nel pathos facciamo esperienza dell’originario. La passione ha
anche un significato arcaico nel senso di fondativo: “si è costretti a
riconoscere che la passione agisce come archè, potenza elenchica, che ci espone
perché non possiamo liberarci da essa, incombe come destino e nella sua luce fa
apparire il significato di ogni ente”728. Essa consente di prendere coscienza
dell’eventualità dell’essere, dell’apertura dei mondi, dell’aletheia come
schiudersi, aprirsi e darsi della concreta situazione storica. É proprio questo
concetto metafisico di pathos che Grassi ritrova nel tema leopardiano
dell’illusione a cui si accosta per la prima volta nel saggio Sul problema
della parola e della vita individuale. Riflessioni a partire dalla tradizione
italiana del 1942. Si tratta di una lettera scritta all’amico Walter Otto il cui
centro teorico è la domanda circa il rapporto sussistente tra il singolo
(l’individuo) e il comune (l’oggettivo) che secondo Grassi trova una risposta
nella tradizione umanistica italiana attraverso la disamina del problema della
parola come massima espressione della vita individuale, la quale però “non ha
proprio nulla a che fare con l’individualismo [...] – ma – conduce alla
questione sistematica dell’essenza del comune”729. La ricerca grassiana sulle
modalità di configurazione del problema della parola nella tradizione italiana
e sulla sua correlazione al tema dell’essenza dell’uomo, “non irrigidendosi in
una teoria individualistica ma – al contrario – rischiarando il problema di ciò
che è comune”730 ha come esito la convinzione che l’individuale sia un concetto
molto distante dal soggettivo e dal relativo, da ciò che è “riferito
all’io”731, ma sia invece legato all’oggettivo, a “ciò che dischiude il
comune”732. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 728 Id., Il
dramma della metafora, cit., p. 131. 729 Id., Sul problema della parola e della
vita individuale. Riflessioni a partire dalla tradizione italiana, in Id., I
primi scritti, cit., p. 903. 730 Ivi, p. 907. 731 Ivi, p. 909. 732
Ibidem. ! 230! L’insistenza sul tema dell’oggettivo, l’autenticamente
originario che si fa incontro all’uomo e non giace davanti in qualità di
objectum, conduce Grassi verso la teoria leopardiana dell’illusione come
l’a-priori, il trascendentale che conferisce ordine – infatti Grassi parla di
bella illusione – e che come la meraviglia, all’origine del nostro impulso a
sapere, si impone come necessaria, essenziale e comune prassi umana di
trasformazione del reale733. Anche Il reale come passione e l’esperienza della
filosofia del 1945 dedica una sezione molto significativa al poeta in
riferimento al concetto di noia e passione. Afferma il pensatore che per
Leopardi “la noia si rivela inaspettatamente come passione [...] poiché la vita
è sempre nella sua essenza impulso alla compiutezza e alla felicità [...] così
l’uomo non può mai sprofondare nell’assoluta insensibilità e indifferenza”734.
La noia come morte della vita, vita non vita, vita dell’indistinto e
dell’indifferente tuttavia è pur sempre passione, sia pure nel senso del più
basso gradino dell’esistenza. Siamo venuti ai temi principali che animano la
lettura grassiana di Leopardi presente nei saggi più sistematici dedicati al
poeta: Wahn, Natur und die Kritik der modernen Verstandeswelt (1949),
Introduzione a Giacomo Leopardi, Theorie des schönen Wahns und Kritik der
modernen Zeit735; Passione e illusione. Il principio freudiano del piacere e la
teoria leopardiana delle illusioni
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 733 Ivi, p. 914. 734
Id., Il reale come passione e l’esperienza della filosofia, in Id., I Primi
scritti, cit., p. 1027. 735 Id., Wahn, Natur und die Kritik der modernen
Verstandeswelt. Si tratta di una introduzione a Giacomo Leopardi, Theorie des
schönen Wahns und Kritik der modernen Zeit, Verlag, Bern, 1949, pp. 9-34.
Tradotto in italiano da R. Copioli con il titolo, Illusione, natura e critica
del mondo intellettuale moderno, cit. ! 231! (1987)736; Der
italienische Schopenhauer (1987)737; Leopardi e Freud. Attività metaforica o
schizofrenica? (1989)738. Il testo del ’49 è una scelta di passi tratti dallo
Zibaldone, considerato da Grassi come lo strumento per gettare uno sguardo
“all’officina poetica di Leopardi”. Fu pubblicato per la collana Überlieferung
und Auftrag che nasce dall’intenzione di porre a tema determinati problemi
della tradizione umanistica, che, come è noto, per Grassi sono quelli della
rivalutazione della poesia e della retorica, della fantasia e dell’ingenium.
Nel saggio introduttivo a Theorie des schönen Wahns und Kritik der modernen
Zeit tradotto in tedesco da Joseph Partsch Grassi prende le distanze
dall’impostazione crociana della interpretazione di Leopardi, accolta anche dal
Vossler 739. Contro la negazione del Croce del valore filosofico del poeta di
Recanati Grassi ha come scopo dichiarato quello di rivalutare l’aspetto
teoretico contenuto nell’opera, al di là dei limiti del pessimismo leopardiano
che, sulla scia di De Sanctis740, si è imposto all’attenzione critica. L’idea
centrale che ha ispirato la scelta editoriale di selezionare i passi zibaldonici
non tenendo conto del loro effettivo ordine cronologico è quella di restituire
la genuina antropologia leopardiana attraverso la focalizzazione sul concetto
di illusione. Secondo Grassi “generalmente le tesi pessimistiche del Leopardi,
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 736 Id., Passione e
illusione. Il principio freudiano del piacere e la teoria leopardiana delle
illusioni in “Nuovi Annali della Facoltà di magistero dell’università di
Messina”, 5 (1987), pp. 69-82, presentato in redazione differente al Congresso
su Leopardi a Roma nel 1988. pp. 37-47, contenuto ora in E. Grassi, La metafora
inaudita, Aesthetica, Palermo 1990. 737 Id., Der italienische Schopenhauer, pp.
125-138, in AA. VV., Schopenhauer im Denken der Gegenwart, Piper Munchen 1987 a
cura di Volker Spierling. 738 Id., Leopardi e Freud. Attività metaforica o
schizofrenica? In AA. VV, Leopardi e il pensiero moderno, a cura di C.
Ferrucci, Milano, Feltrinelli, 1989, pp. 23-36. 739 Cfr., Id., Illusione,
natura e critica del mondo intellettuale moderno, cit., pp. 158-159. Cfr., le
affermazioni crociane contenute in B. Croce, Poesia e non poesia. Note sulla
letteratura europea del secolo decimonono, Laterza, Bari 1946. Croce dopo aver
asserito che “la filosofia, in quanto pessimistica od ottimistica, è sempre
intrinsecamente pseudofilosofia, filosofia ad uso privato”, ivi, p. 99, afferma
che “Leopardi non offre se non sparse osservazioni, non approfondite, non
sistemate”, ibidem. 740 Cfr. F. De Sanctis, Leopardi, a cura di C. Muscetta e
A. Perna, Einaudi, Torino 1960. Per la storia delle interpretazioni del
pensiero di Leopardi e delle sue immagini in qualità di ottimista (critica
fascista), pessimista, e progressivo (critica marxista) cfr. S. Lanfranchi, Dal
Leopardi ottimista della critica fascista al Leopardi progressivo della critica
marxista, pp. 247-262, in “Laboratoire italien”, 2012, Lione. !
232! così come esse, per esempio, hanno ricevuto la loro formulazione
nelle cosiddette Operette morali, sono note: il nostro compito non potrebbe
essere quello di elaborare questo lato del pensiero leopardiano, ma soprattutto
quello di delimitare il concetto filosofico dell’illusione nel suo significato
sistematico, etico, sociale e storico”741. Lo scopo è esplicitato con tutta
chiarezza: Grassi si propone di rendere oggetto di discussione non il Leopardi
pessimista, non il Leopardi letterato, ma il Leopardi “antropologo”. Il legame
tra antropologia e illusione è al centro dei saggi Passione e Illusione, Lo
Schopenhauer italiano, e Leopardi e Freud. Legare antropologia e illusione non
sembrerà una mossa azzardata se colleghiamo il tema del Wahn (illusione, mania,
pazzia) con quello della Leidenschaft (passione). Nei due saggi dell’‘87, Lo
Schopenhauer italiano – che qui proponiamo in traduzione italiana – e Passione
e illusione, si analizza l’idea di schönen Wahn – anche definito illusione
ingegnosa742. La caratura antropologica dell’illusione è del tutto evidente se
si prendono in considerazione le affermazioni grassiane sui concetti di ordine,
di costruzione del mondo etico-politico, e di scena. Egli afferma in Lo
Schopenhauer italiano: “il misterioso da cui si forma il teatro del mondo, la
scena della storia, offre solo l’illusione, l’ossessione di un gioco
inquietante nel quale noi stessi siamo solo attori o spettatori ammessi. Dal
momento che l’originario è indeducibile, e perciò non è spiegabile in fondo
attraverso il ragionamento analitico, esso deve essere così riconosciuto come
illusione, come ossessione. Sicuramente l’illusione è generatrice di ordine,
poiché è la ragione di ogni grande azione, di ogni grande epoca, di ogni
creazione storica”743. La teoria dell’illusione è in netta contrapposizione
alla ragione. Per il filosofo “Leopardi si oppone al predominio della ragione
ed esplicitamente alla filosofia tedesca razionale astratta”744. Il riferimento
è al passo zibaldonico sulla povertà di immaginazione dei tedeschi745, in cui
Grassi crede di trovare traccia del proprio filosofare noetico-non metafisico,
che si identifica con una teoria del nous o dell’ingenium in cui “la priorità
della natura [...] si esprime attraverso la passionalità come
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 741 E. Grassi,
Illusione, natura e critica del mondo intellettuale moderno, p. 157. I corsivi
sono nostri. 742 Id., Leopardi e Freud. Attività metaforica o schizofrenica?,
cit., p. 33. 743 Id., Der italienische Schopenhauer, cit., p. 134. Traduzione
nostra. 744 Id., Leopardi e Freud, cit., p. 31. 745 G. Leopardi, Zibaldone, 5-6
ottobre 1821. ! 233! illusione”746. Dall’angolo teorico dal quale
il filosofo guarda allo Zibaldone “il mondo umano non è una costruzione della
ragione, del logo, ma è il prodotto di ciò che Leopardi chiama – in antitesi
alla ragione – ingegnosa illusione, cioè la sofferenza dell’abissale appello
della natura [...] Leopardi contrappone così non solo alla ragione ciò che egli
chiama illusione – perché razionalmente non deducibile– ma identifica questa
con l’attività ingegnosa”747. Attraverso l’illusione la physis originaria,
l’Abissale, realizza la storia, accade il mondo, avviene la parousia della
realtà, il suo phainesthai. Altre riflessioni teoriche degne di nota presenti
nella lettura di Leopardi sono quelle relative ai concetti di natura e vita. Il
filosofo giunge ad affermare che “i concetti di vita, natura, passione e
illusione coincidono”748 . La vita – che sin dagli esordi greci della filosofia
è stata interpretata come energia ed entelechia, come ciò che ha in sé il
lavoro, il limite e il fine, l’ergon e il telos – in Leopardi diviene qualcosa
di intimamente connesso al vuoto, al nulla. Questi ultimi concetti non hanno
carattere negativo ma sono contraddistinti da una positività originaria
generatrice di ordine, di mondo: il nulla prima di generare disperazione e
dolore749 entra in contatto con la noia. Nei saggi “leopardiani” di Grassi la
Langeweile assume quel ruolo liminare che l’Angst ha nei Primi Scritti: quello
di chiusura mondana in cui l’uomo è gettato – il suo fondo animale – e allo
stesso tempo di apertura mondana possibile solo su quella chiusura. La noia è
l’aperto, la Lichtung nella quale l’uomo fa esperienza della propria vita che è
innanzitutto temporalità. La noia in quanto esperienza dell’uniforme e
dell’indistinto, è il contrario della vita. La vita invece è esperienza della
distinzione e della singolarità. L’esperienza della noia in Leopardi secondo
Grassi è caratterizzata da una positività originaria che la rende ben più
profonda di una semplice tonalità emotiva. Del resto che il pathos avesse una
costituzione metafisico-trascendentale ben più profonda rispetto alla
componente soggettivistica appare evidente già dalle riflessioni su Stimmung e
sulla !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 746 E. Grassi,
Leopardi e Freud, cit., p. 32. 747 Ivi, p. 33. 748 Id., Illusione, natura e
critica del mondo intellettuale moderno, cit., p. 165. 749 Ivi, p. 160. !
234! Leidenschaft. La noia nel suo carattere esperienziale assurge a
“facoltà di patire”. Afferma Grassi che “l’indifferente, l’uniforme, li
possiamo cogliere e di essi possiamo avere esperienza, solo se si manifestano
in modo finito, e la noia – nella misura in cui noi la sopportiamo – ci
evidenzia come noi non possiamo vivere nel non limitato e nell’indifferente. In
altre parole: se tutto ciò che è e di cui parliamo può presentarsi solamente a
condizione che si mostri entro certi limiti – cioè come qualcosa di definito e
distinto – allora anche la noia può essere colta solamente in quanto
impossibilità di esistere nel non-limitato, nel non-dipendente”750. Nella
prospettiva che abbiamo cercato di delineare emerge che nella noia è coinvolto
lo stesso tema della léthe e dell’illatenza: il gioco di svelamento e
nascondimento, insito nel cuore della manifestatività, che decide dell’umano. La
noia leopardiana come facoltà di patire allora diviene un principio
storico-culturale che solo secondariamente scade a povertà di azione e pigrizia
ma si erge a condizione trascendentale del mondo storico dell’uomo. Essa è la
Lichtung, il nome kat’exochèn dell’essere e del mondo, in cui l’avvento
dell’umano accade innanzitutto linguisticamente. Qui si installa un altro tema
centrale della lettura grassiana: la critica del mondo moderno presente nelle
annotazioni zibaldoniche che mette in luce anche la qualità umanistica del
poeta. Come leggiamo in Heidegger e il problema dell’umanesimo, Grassi afferma,
ponendo una netta demarcazione tra il proprio modo di intendere l’umanesimo e
l’approccio storiografico consolidato, che “gli studiosi hanno costantemente individuato
l’essenza dell’umanesimo nella riscoperta dell’uomo e dei suoi valori immanenti
[...] e tuttavia uno dei problemi centrali dell’umanesimo non è l’uomo, bensì
la questione del contesto originario, dell’orizzonte o apertura in cui appaiono
l’uomo e il suo mondo”751. Il problema fondamentale dell’umanesimo, che non va
concepito come una forma più o meno larvata di antropocentrismo tout court, è
la problematizzazione del tema della Lichtung, ossia del tema dell’Aperto, del
contesto originario dell’apparire del mondo, dell’uomo e degli enti, che si
declina come ricerca sulle strutture del mondo umano.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 750 Ivi, p. 161. 751
Id., Heidegger e il problema dell’umanesimo, Guida, Napoli 1985, p. 26. !
235! Alla metafora fotica nell’accezione heideggeriano-grassiana sopra
delineata fu sensibile già Leopardi, che fin da Memorie del primo amore e poi
via via nel Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica, nello
Zibaldone, nelle Operette morali e nei Canti mostra un timore irrequieto nei
confronti della luce diretta e accecante – sia essa lunare o solare – che
genera un guardare piacevole e sublime. Grassi non sottolinea l’importanza
della metaforica della luce né l’attenzione alla connessione vita-apertura752
pur presente nello Zibaldone, privilegiando il tema dell’illusione nelle sue
molteplici sfaccettature storiche e fondative, nel convincimento che in quel
concetto sia esplicato un accesso alla filosofia non pregiudicato da una
metafisica razionalistica latente. Leggiamo nello Zibaldone che “per lo
contrario la vista del sole e della luna in una campagna vasta e aprica e in un
cielo aperto ec. è piacevole per la vastità della sensazione”753; e ancora :
“per lo contrario una vasta e tutta uguale pianura dove la luce si spazi e
diffonda senza diversità, né ostacolo; dove l’occhio si perda ec. è pure
piacevolissima”754. La priorità trascendentale della radura sulla luce che si
offre, si dà in un atto di donazione (l’Es gibt) in cui si co-estendono luce ed
essere, è viva anche in Leopardi, il quale usa dei termini molto cari a Grassi
– e al suo maestro Heidegger – ma anche a Vico: sylva755, luce756, critica
della metafisica757, rivalutazione della poesia. Temi
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 752 G. Leopardi,
Zibaldone, “Io credo che tutti questi tali verbi sieno originariamente fatti da
altri verbi ignoti, come vivesco dal noto vivo, hisco dal noto hio, e altri
tali di questa desinenza in sco. E lo credo perché, come vivesco significa
divenir vivo, cioè divenir quello che dal verbo vivo è significato essere, cioè
esser vivo, e come hisco significa aprirsi, cioè divenir aperto, mentre hio
significa essere o stare aperto, ec.; così tutti i detti verbi nosco, nascor,
adipiscor, sinesco, adolesco, cresco ec. di cui non si conoscono gli originali,
significano però divenire, incominciare a essere o a fare quella tal cosa o
azione”, 14 ottobre 1823 [3689]. 753 Ivi, 20 settembre 1821 [1745]. 754 Ivi,
[1746]. 755 Ivi, 2-5 luglio 1821 [1276 e segg.]. 756 Ivi, 20 settembre 1821
[1745]. 757 “Perché la mancanza delle vive e grandi illusioni spegnendo
l’immaginazione lieta aerea brillante e insomma naturale come l’antica,
introduce la considerazione del vero, la cognizione della realtà delle cose, la
meditazione ec. e dà anche luogo all’immaginazione tetra astratta metafisica, e
derivante più dalla verità, dalla filosofia, dalla ragione, che dalla natura, e
dalle vaghe idee proprie naturalmente della immaginazione primitiva. Come è
quella dei settentrionali, massime oggidì, fra’ quali la poca vita della
natura, dà luogo all’immaginativa fondata sul pensiero, sulla metafisica, sulle
astrazioni, sulla filosofia, sulle scienze, sulla cognizione delle cose, sui
dati esatti ec. Immaginativa che ha piuttosto che fare colla matematica sublime
che colla poesia”, Ivi, 14 ottobre 1820 [276] ! 236! fondamentali,
questi, che corroborano l’idea, in altro modo proposta da Grassi, di un
Leopardi filosofo dell’esistenza umana interpretata come oltrepassamento dell’immediatezza
e allo stesso tempo come natura che si apre alla storia. Come abbiamo visto,
l’indagine grassiana, accanto all’attenzione all’ambito ontologico, si
concentra sulla dimensione ontica delle concrete Lichtungen, che si converte in
analisi del linguaggio. Per il pensatore “la cosa sorprendente, alla quale di
solito non si presta attenzione, è che questi problemi – contesto originario,
orizzonte, Lichtung – non sono trattati nel pensiero umanistico mediante un
confronto logico speculativo con la metafisica tradizionale, ma piuttosto in
termini di analisi e di interpretazione del linguaggio [...]. Il problema del
linguaggio solleva la questione fondamentale del rapporto tra parola e oggetto,
tra verbum e res. Oltre a ciò, si fa strada l’idea che solo nella parola e a
mezzo della parola (verbum) la cosa (res) rivela il suo significato”758. Con
l’umanesimo, secondo il filosofo non ci si interroga più circa la verità logica
e il rapporto logico tra cosa e pensiero, ma a proposito del comparire storico della
res a mezzo del verbum: la questione fondamentale è quella di accedere ad un
linguaggio che sia casa dell’essere e non una sua prigione. Egli, infatti,
distingue la cosa dall’ente, pone la differenza tra res ed ens: se la
metafisica tradizionale si interroga sulla cosa ridotta ad ente – e per Grassi
occorre abbandonare l’idea di una metafisica astratta degli enti – per cui
l’unico linguaggio possibile per enunciare i predicati dell’ente è quello del
razionalismo che delimita l’ente entro il perimetro logico dell’identità, la
ricerca linguistica dell’umanesimo, di cui Leopardi fa parte secondo Grassi, è
capace di restituire la ricchezza fenomenologica della cosa, della res, del
pragma, proprio attraverso un linguaggio che ne rispecchi le infinite e variegate
sfaccettature. Secondo l’interpretazione del filosofo italiano non esistono
“cose separate dalle nostre azioni, dai nostri tentativi di trattarle [...]
l’essere-in-sé delle cose ci si manifesta solo nella e attraverso l’azione
umana”759. Occorre quindi riconoscere che “l’oggettività delle cose si rivela
nell’azione, nella e con la praxis”760.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 758 E. Grassi, Heidegger
e il problema dell’umanesimo, cit., p. 26. 759 Id., Potenza dell’immagine.
Rivalutazione della retorica, Guerini e Associati, Milano 1998, p. 80 760
Ibidem. ! 237! Infatti, per il filosofo milanese, la forma
sostantivata pragma esprime l’originario rapporto tra l’oggetto e il suo
manifestarsi come cosa attraverso la praxis umana. Entra sulla scena assieme al
concetto di prassi e di parola quello di situazione. Eccoci giunti ad un nodo
concettuale di grande spessore che coinvolge la figura di Leopardi: la
co-estensione del mondo (l’oggettivo) e dell’uomo – che si consuma in un
rapporto pratico (la fondazione politico-culturale) e linguistico che eccede i
limiti dell’omologhia e dell’adaeguatio e sconfina verso la polisemia – si
ritrova nel poeta di Recanati e nella sua teoria dell’illusione che si apre ai
temi centrali per Grassi della situazione, della circostanza e dell’occasione.
Per Leopardi “attraverso la priorità dell’occasione, della circostanza, della
situazione, noi dobbiamo corrispondere all’appello riconoscendo il significato
sempre differente degli enti”761. Qui entra in gioco l’illusione nella sua
identità con l’ingenium. Per Grassi con la teoria dell’illusione “di cui con
estrema lucidità ha riconosciuto la necessità e la vanità, [Leopardi] ha
compreso che il problema dell’uomo è quello di essere sempre gettato in una
situazione concreta, quello di trovarsi sempre sospeso sul precipizio del qui e
dell’ora, che gli pongono domande a cui non è possibile dare una risposta
razionale, universalmente astratta, ma solo passionale”762. Con il poeta
italiano abbiamo una riconfigurazione del tema antropologico che implica una
svolta linguistica e ontologica. Siamo di fronte ad una Kehre verso un logos
polisemico che restituisca la multilateralità e polidimensionalità di un reale
che si dà fenomenologicamente per scorci, occasioni, circostanze. Siamo di
fronte ad una Kehre verso un’ontologia dinamica e non statica, nella quale il
processo di manifestazione nel suo stesso apparire storico si mostra per gradi
e forme dicibili solo attraverso il linguaggio metaforico, poiché il
metapherein, la trasposizione, è la struttura stessa della nostra facoltà di
apprensione della realtà o, per usare un termine caro a Grassi, del nostro
atteggiamento verso il reale.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 761 Id., Leopardi e
Freud. Attività metaforica o schizofrenica?, cit., p. 33. 762 Id., La metafora
inaudita, cit., pp. 45-46. ! 238! La metafora è l’espressione
fluida e mobile del reale poiché mentre dice rimanda ad altro e in questo modo
esprime la perenne metamorfosi dell’essere. Come possiamo leggere in uno degli
ultimi testi del filosofo, Il dramma della metafora, “la parola metaforica
esprime a un tempo la struttura fondamentale del continuo mutarsi di ciò che
appare e l’unico modo per identificarla. Essa è anche espressione di un’acutezza,
di una rapidità intimamente collegata con il kairòs, l’istante giusto”763 in
cui possiamo cogliere il carattere metamorfico dell’apparire attraverso la
traslazione del significato. La metafora è proprio questo: “annotazione dei
segni indicativi”764 provenienti dal “colloquio con l’ abissale che urge, che
per pochi istanti ci vivifica e che poi ci fa cadere silenti su una sabbiosa
spiaggia [...] senza significato, dalla quale sale l’angoscia perché vivremo
l’indeterminato”765. Anche in Leopardi Grassi intravede le tracce di un
colloquio mai interrotto con l’Abissale, l’Originario, l’Essere in cui si gioca
la nostra esistenza: è il senso stesso dell’illusione come ingresso nel ludus
dell’esistenza, come reazione all’agorafobia primordiale. “Nel gioco giocato
dell’esistenza (e del linguaggio in cui quel gioco viene parlato) si liberano
molteplici possibilità, ognora rinnovate, imprevedibili, e dunque tali da
frustare qualsiasi tentativo di prevederne razionalmente il senso. Ma che cos’è
l’illusione di Leopardi se non, appunto, un in-ludersi, un entrare nel ludus,
uno stare al gioco dell’esistenza?”766. Come è emerso da queste considerazioni
il “Leopardi di Grassi”, teoreta dell’illusione, è il Leopardi portavoce di una
filosofia umanistica che si traduce nell’idea di una antropologia che contiene
in sé i temi del linguaggio e dell’essere. Afferma Grassi in La metafora
inaudita che “Leopardi insegna [...] che l’unica filosofia in grado di tentare
questa spiegazione”767, il gioco dell’esistenza, “è una filosofia
dell’esistenza; una filosofia cioè che, senza pretendere di risolvere il
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 763 Id., Il dramma della
metafora. Euripide, Eschilo, Sofocle, Ovidio, L’Officina Tipografica, Napoli
1992, p. 165. 764 Ivi, p. 14. 765 Ibidem. 766 Id., La metafora inaudita, cit.,
p. 46. 767 Ibidem. ! 239! problema razionalmente, prenda atto
dell’abisso su cui ogni passione ci sospende”768. La focalizzazione sui temi
dell’illusione e della natura, della noia e della passione, che solo
marginalmente toccano l’ambito del pessimismo, ha svelato il legame con il
grande tema antropologico della costruzione del mondo umano. Che cos’è l’uomo e
quale sia il suo posto nel mondo: sono questi i quesiti che agitano l’onto-
antropo-logia grassiana e l’interpretazione dello Zibaldone di Leopardi che
diviene ulteriore occasione fortunata – insieme a Cicerone, Quintiliano,
Ovidio, Bruni, Valla, Graciàn, Vico, Ungaretti – per una meditatio sull’uomo
che permea la sua prospettiva neo-umanistica. Il Leopardi grassiano può essere
interpretato, allora, come pretesto per ribadire ancora una volta che
l’umanesimo autentico come pensiero poetante, come meditazione noetica e non
metafisica, ha ancora una possibilità di essere esperito a partire da una
tradizione a cui non è stata conferita la dovuta importanza. La traccia
leopardiana nell’iter grassiano ha fatto emergere, attraverso il concetto di
ingegnosa e bella illusione, che l’antropogenesi fa tutt’uno con
l’antropo-poiesi: la nascita dell’uomo avviene con le produzioni umane della
civiltà, della storia, della cultura. Solo illudendoci sperimentiamo la nostra
forza, la nostra umanità, come insegna Leopardi, e diveniamo artefici del
nostro mondo. La filosofia dell’esistenza proposta da Leopardi diviene un
experimentum vocis, una poesia pensante o un pensiero poetante. La
)&0&*& '*&2o"& descritta da Platone nella
Repubblica769, l’antico dissidio tra poesia e filosofia, viene ripensato da
Grassi da un angolo prospettico differente: non da quello di una epistemologia
o gnoseologia – in cui il poetico per sua stessa natura incline al vago ed
indefinito, come insegna Leopardi, è votato irrimediabilmente al fallimento –
ma da quello di una antropologia delle origini del mondo umano in cui la
connessione poetico-fantastico-ingegnoso fonda la correlazione
umano-civile-politico. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
768 Ibidem. 769 Platone, Repubblica, 607 b. ! 240! Come è noto il
plesso disegnato da Grassi di metafora-fantasia-ingegno ha un valore teoretico-
conoscitivo e solo secondariamente poetico-letterario. Si tratta di facoltà che
appartengono a quella topica che sempre precede nella storia del mondo, come in
quella dell’individuo, l’operazione mentale della critica, l’arte del giudicare.
Memore delle riflessioni vichiane della Scienza Nuova e delle teorie barocche
dell’ingenium di Graciàn e Peregrini, Grassi affida all’ingegno la capacità di
sintesi e connessione del molteplice empirico fino al punto di farne la
caratteristica specifica dell’uomo. E non poteva mancare di sottolinearne
l’importanza teorica e pratica presente in Leopardi770. Ingenium come capacità
di ritrovare; fantasia come facoltà di visione delle somiglianze; metafora come
atto di trasferimento del significato e quindi creazione di una pertinenza
semantica – e non come tropo linguistico, sia esso di sostituzione o di
comparazione – concorrono a delineare i prolegomeni per un’idea di
neo-umanesimo in cui la storicità dell’umano si dispiega tra razionalità e
fantasia. Quest’ultima si rivela come facoltà di attivazione di procedure di
formalizzazione concettuale, vera e propria facoltà di apprensione del reale
attraverso una struttura pato-logica, o un’intelligenza senziente – per usare
un’espressione di Zubiri, collega di corso in Germania di Grassi. Essa è il
catalizzatore dell’umanizzazione del mondo. Concentrandosi sugli aspetti
figurativi, simbolici e semantici del logos Grassi non rinuncia mai tuttavia
alla filosofia: la filosofia deve mutare le sue vesti e divenire noetica non
più metafisica. “Se l’aspirazione profonda del filosofare tradizionale è di
giungere a una chiarificazione logica razionale, oggettiva che parte da
un’ontologia che culmina in una metafisica”771, quella di Grassi ha come scopo
l’elaborazione di un’idea di nous – dove nous si identifica con ingenium772 –
che ha come oggetto il !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
770 G. Leopardi, Zibaldone, 1 luglio 1821 [1254]. 771 E. Grassi- E. Hidalgo,
Filosofare noetico non metafisico. L’Alcesti e il Don Chisciotte, Congedo,
Lecce 1991, p. 15. 772 Ivi, p. 20. ! 241! reale, “l’ontologia non
logica ma situazionale”773 in cui la metamorfosi del mondo non può che trovare
espressione in un orizzonte di dicibilità che è metaforico. L’antica lotta tra
poeti e filosofi supera la secca alternativa tra un tentativo di purificare la
lingua da ogni ridondanza poetica e l’impresa di epurare la theoria dal
concetto. Nella prospettiva grassiana l’opposizione può trovare una soluzione
attraverso una rinnovata idea di umanesimo contrassegnato da un filosofare che
sia pratica esistenziale, non sterile sapere erudito privo di vitalità e
utilità. In questa ricerca di un’idea autentica di umanesimo Leopardi riveste
un’importanza fondamentale poco sottolineata, a nostro avviso, dalla critica,
che si è maggiormente concentrata sul Grassi lettore di Vico e Heidegger. La
svolta verso un filosofare noetico non metafisico si poggia su un ripensamento,
da un lato, della filosofia – sostituzione della metafisica con l’ontologia non
statica ma dinamica, non logica ma situazionale; ripensamento del tema della
verità connessa alle sue espressioni storiche – dall’altro, della filologia,
che non si riduce a “una mediazione delle opere antiche” ma è una “scienza
sperimentale”, una meditazione sull’ essenza dell’uomo e sulla sua Bildung a
partire dal problema della parola. La ricostruzione di un’essenza dell’uomo è
al centro anche delle riflessioni del Leopardi grassiano teoreta
dell’illusione, il cui significato sociale etico e politico viene ribadito
contro un’“Europa tutta civilizzata”774 in cui “la civiltà, la scienza e
l’impotenza sono compagne inseparabili”775. Viene in mente il mondo vichiano
dominato dalla “boria dei dotti” in cui le forze autentiche dell’uomo, la
natura e le illusioni, hanno perduto la loro virtualità politico- fondativa per
lasciare spazio ad un sapere chiuso nei limiti del mos geometricus. Siamo di
fronte all’idea di tenere insieme linguaggio poetico e linguaggio filosofico
come due tensioni inseparabili e irriducibili all’interno dell’unico campo del
linguaggio umano che tenta di dire non l’indicibile –
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 773 Ivi, p. 30. 774 G.
Leopardi, Zibaldone, 24 marzo 1821. 775 Ibidem. ! 242! l’indicibile
non è altro che una presupposizione del linguaggio – ma il dicibile con cui di
volta in volta ci si misura. L’attenzione grassiana verso il poetico, che
restituisce le circum-stantiae della res attraverso la molteplicità dei verba,
va interpretata come l’ennesimo tentativo di dire la cosa stessa della
filosofia, l’autò tò pragma, ciò che è in questione nella parola e nel
pensiero, la res che, attraverso la parola e il pensiero, è in gioco fra l’uomo
e il mondo. “Così poesia e filosofia stanno l’una accanto all’altra: chi non ha
immaginazione, sensibilità, capacità di entusiasmarsi o facilità a vivere belle
rappresentazioni illusorie, non conoscerà mai la verità, perché ogni analisi
può essere portata avanti solo dove la materia della vita è riccamente
delineata. Non si tratta di riconoscere il mondo a posteriori ma di giungere a
conoscenza dei principi agenti, dai quali innanzitutto può avere origine ogni
mondo, anche quello della filosofia”776. E Leopardi con le sue riflessioni ha
insegnato, contro le devastazioni dell’intelletto, questa filosofia
dell’esistenza che guarda al phainesthai, all’apparire nel quale viviamo, non
con l’occhio della metafisica ma con quello dell’ingegno, l’unico in grado di
cogliere “l’appello che ci chiama da questo abisso”777. L’appello dell’origine.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 776 E. Grassi,
Illusione, natura e critica del mondo intellettuale moderno, cit., p. 172. 777
Id., La metafora inaudita, cit., p. 46. ! 243! APPENDICE I
Traduzione di E. Grassi Natur, introduzione a W. Heisenberg, Das Naturbild der
heutigen Physik, Hamburg, Rowohlt, 1955, pp. 133-138. Il nostro concetto di
natura deriva dal termine greco 341*1.!Questa parola proviene dalla radice phy
(latino fio, fui, tedesco bin), di cui indica lo sviluppo. La! 341*1 racchiude
tutto ciò che nasce e diviene, e così comprende il cosmo nella sua totalità.
Noi traduciamo!341*1 con il termine “natura”, dalla espressione latina natura,
il cui significato esprime quello della parola greca (nasci, esser nato, crescere,
affine a gignere). Secondo l’originario concetto greco ciò che è immediato in
quanto cresce è visto come una realtà eccellente; tuttavia occorre ricordare
che per i Greci il crescere naturalmente realizza sempre la legge insita ad
ogni sostanza. Pertanto sotto il termine natura, come principio del divenire,
sarà compresa molto spesso l’essenza di una cosa. Il concetto di natura, la
rappresentazione quindi che lo spirito umano si costruisce attraversa una lunga
e movimentata storia. La conoscenza dei fenomeni naturali muta e di conseguenza
cambia anche la concezione della natura. L’età pre- filosofica della Cosmogonia
(sei secoli prima della nascita di Cristo) – cioè l’epoca del dibattito
sull’origine del cosmo, del Tutto, è pervasa da rappresentazioni mitiche, in
cui già sempre la relazione dell’uomo con la natura gioca un ruolo centrale. Un
primo inquadramento non più mitico, ma filosofico del concetto di 341*1, di
natura, si ha nell’età antica con la Sofistica (Protagora; Gorgia; Ippia e
Prodico, i più giovani contemporanei di Protagora) e la filosofia socratica.
Non più l’intera realtà è inclusa in questo concetto ma ora solo un suo settore
specifico. Per prima cosa i Sofisti hanno messo in gioco la 341*1 contro
il!%$μ$1 (legge), hanno posto il “naturale” solo in ciò che è fissato e posto
dall’uomo in sua contrapposizione.!Socrate nel porsi domande di natura etica
professa una bassa considerazione per una scienza della natura e vi contrappone
l’idea di una scienza dell’uomo. Da una parte c’è dunque la natura, dall’altra
l’uomo con la sua cultura: così di conseguenza agli albori del pensiero
occidentale si pone già il problema se sia più importante conoscere la natura o
l’essenza dell’uomo. Dopo un’importante fase iniziale con gli Atomisti e
Platone si arriva al grande progetto ! 244! finale della filosofia della
natura greca con Aristotele. Non posso ora soffermarmi sull’analisi del
contenuto di questa dottrina a cui si è fatto cenno. Va però ricordato che le
scuole peripatetiche come gli epicurei, gli stoici, i neopitagorici, i
neoplatonici, apportarono variazioni che per noi non sono determinanti. La
divisione tra Natura e Spirito e quindi l’abisso tra la Fisica, da un lato, e
l’Etica e la Logica, dall’altro, si è mantenuta nello Stoicismo e nell’Epicureismo,
per quanto lo Stoicismo abbia costituito l’ultimo e unico tentativo di
riconciliazione universale di entrambi i regni: una lotta gigantesca ma alla
fine inutile. Nel Neoplatonismo alla fine la 341*1 perde del tutto la sua
importanza e viene considerata come una realtà irrazionale fondamentalmente
nulla. Il pensiero cristiano dei primi Padri della Chiesa adotta parzialmente
l’originario concetto platonico aristotelico di natura, per quanto questo suo
preciso significato cambi e si perda giacchè la natura intera non viene più
concepita in modo classico ma come creazione di Dio a partir dal nulla. Anche
se nel Medioevo non c’è uno studio autonomo della natura, tuttavia questa epoca
conosce una scienza della natura caratterizzata dalla volontà di conservare
l’antica tradizione, soprattutto quella aristotelica. Custodi dell’antica
tradizione furono in primo luogo i filosofi e gli scienziati naturalisti
dell’Islam. L’apice della scienza della natura medievale in Occidente è
rappresentato da Alberto Magno, il quale partendo dal pensiero aristotelico
propone un quadro della natura completo ed esauriente. Con l’età dell’Umanesimo
e del Rinascimento sorge una nuova concezione della natura, che per noi è della
massima importanza. L’accesso alla natura è cercato soprattutto attraverso
l’esperimento – un concetto specificamente moderno che per la prima volta con
Leonardo Da Vinci assume una chiara forma teoretica (i suoi scritti più noti
sono il Trattato sulla pittura e Sull’anatomia dell’uomo). L’esperimento è l’interrogazione
della natura tenendo conto di una teoria stabilita anticipatamente, al fine di
verificare se questa attraverso l’esperimento viene confermata o confutata. Il
punto di partenza per un’indagine sulla natura diventa quindi la teoria
dell’uomo ad essa soggiacente. Perciò per Leonardo non è possibile conoscere la
natura nella sua interezza ma solo quelle parti che si danno nel contesto della
teoria e delle domande poste dall’uomo. La natura è dunque correlata all’uomo e
alle sue capacità. Al concetto dell’esperimento fondato sulla teoria di
Leonardo corrisponde anche la nuova ! 245! fondamentale teoria di Bacone.
Attraverso il suo pensiero emerge un secondo tratto decisivo per la moderna
conoscenza della natura. Conoscenza della natura significa soprattutto il suo
dominio. Sapere è potere. Quindi si impone un aspetto fondamentale della
moderna conoscenza della natura che l’Antichità non conosceva: la tecnica, la
sua azione non nel senso di un sapere teoretico ma nel senso di lavoro. Il
concetto di esperimento si perfeziona con Galileo Galilei e grazie a lui e a
Keplero noi facciamo esperienza del capovolgimento del concetto antico di
Universo. Il grande difensore di questo nuovo concetto di natura e di universo
fu Giordano Bruno. Con lui si assiste ad un ulteriore allontanamento dal
concetto copernicano di mondo: perciò non si tratta solo di contrapporre il
nuovo sistema solare al vecchio sistema geocentrico ma di riconoscere che si dà
non un solo mondo ma infiniti molti. Nonostante la dovuta brevità (di questa
trattazione) qui appare doveroso soffermarmi. Fino all’età moderna il sistema
del mondo vigente traeva origine dalla cosmologia aristotelica, era diffuso
dagli eruditi alessandrini, da Ipparco e infine rappresentato da Tolomeo.
Questo sistema aristotelico-tolemaico vedeva il mondo con approssimazione: la
terra cioè giaceva immobile al centro del cosmo. La terra e l’universo hanno
una forma sferica. I movimenti del globo sono spiegati ipotizzando l’esistenza
di dieci sfere fisse, immateriali e concentriche in cui si trovano le stelle.
La più lontana tra queste sfere regge le stelle fisse, le altre i pianeti. Ogni
pianeta appartiene ad una sfera particolare: queste gravitano intorno alla
terra con i suoi annessi corpi celesti. In contrapposizione a questa immagine
del mondo Copernico sostiene nel suo scritto De revolutionibus orbium
coelestium libro VI che sia il Sole a trovarsi al centro dell’universo e che la
Terra farebbe parte dei pianeti e che questi girano completamente intorno al
Sole fisso, muovendosi da ovest verso est. Ha parteggiato per questa visione
anche Giordano Bruno non limitandosi solo a considerazioni astronomiche ma
soprattutto giungendo alla convinzione filosofica che il mondo non può essere
finito. Nella sua opera De la causa, che si confronta con la filosofia
tradizionale, Bruno insegna che il tutto non ha né centro né confini. Il mondo
che l’uomo conosce diviene così solo uno tra molti altri. Ricordiamo infine
solo il decisivo cambiamento del concetto di natura in Kant. Andando avanti il
problema della natura si risolve nel problema della sua conoscenza. I fenomeni
sensibili, attraverso cui noi facciamo ! 246! esperienza della natura, si
riordinano in noi attraverso le visioni personali dell’uomo (spazio e tempo;
categorie). In questo modo poi si dà un sistema della natura che sottostà
necessariamente alle pure leggi matematiche e fisiche: l’uomo è il legislatore
della natura. Ma di nuovo si presenta il problema dell’uomo e della sua
libertà. Essa si autodetermina in opposizione alla natura nella misura in cui
oltrepassa la necessità causale. Così la natura si limita alle forme di
esperienza dell’uomo e la sua esistenza umana e morale in realtà non rientra
più nel suo campo. Lo sviluppo del concetto di natura nella filosofia post-kantiana
non potrà essere seguito qui in modo approfondito. Certamente il modo di
intendere la conoscenza della natura di Hegel come uno stadio iniziale della
filosofia dimostrabile a priori ha contribuito a sollevare in Occidente una
reazione da parte del naturalismo empirico con il Positivismo e il
materialismo. Tuttavia queste eccessive semplificazioni non hanno avuto lunga
durata. In ambito fisico dall’inizio del ventesimo secolo il mondo va di pari
passo con la matematica o perlomeno può essere descritto solamente attraverso
di essa in maniera appropriata. Ciò rappresenta un fatto determinante. Da un
punto di vista prescientifico e immediato la natura quindi si erge nella forma
in cui l’uomo la coglie attraverso i suoi organi sensoriali. I sensi dunque restano
il meccanismo di osservazione principale ma ora l’uomo nella sua ricerca non se
la cava più senza la tecnica. Così a poco a poco il mondo dei fisici si
allontana necessariamente dal mondo quotidiano dell’uomo. Appena qualche secolo
prima si è guardato alla realtà, a come essa è, al sorgere del sole. In seguito
ciò è apparso come un inganno e non possiamo fidarci più dei nostri occhi.
Siamo arrivati ad un punto tale che il mondo intero a rigor del vero si è
trasformato in un mare di inganni. Scenario dopo scenario noi siamo arrivati a
credere di stare davanti ad un ultimo passo dalla realtà su cui scorrono solo
ombre di elettroni spettrali e inafferrabili. L’intelletto calcolante ha qui
l’ultima parola; il mondo passa dal primo piano della percezione verso lo
sfondo del pensiero. L’opera di Heisenberg richiama l’attenzione su questo
processo, sulla realtà e sul pericolo in cui l’uomo si trova quando egli
risolve la natura nelle strutture del suo pensare e la domina in modo
smisurato. Come all’inizio del pensiero occidentale anche oggi per noi permane
l’ammonimento di riflettere sull’essenza dell’uomo. ! 247! APPENDICE II
Traduzione di Der italienische Schopenhauer, in Schopenhauer im Denken der
Gegenwart, a cura di V. Spierling, München-Zürich, Piper, 1987, pp. 125-138. I.
Il Problema Ha un senso, in un volume su Schopenhauer, occuparsi di un altro
autore, e precisamente di uno che proviene da una tradizione e da una lingua
completamente diverse rispetto a quelle tedesche? Non solo: quest’altro autore
è uno dei più grandi poeti del diciannovesimo secolo in Italia, nemmeno è stato
filosofo. D’altra parte, quando si ha il coraggio di affrontare un lavoro come
questo, non dovrebbe esso essere strutturato nella forma tradizionale, in modo
tale che si pongano in luce, da una prospettiva scientifica, i parallelismi e
le differenze tra i due autori – e perché no, in maniera strettamente
meticolosa – che allo stesso tempo implichi una interpretazione di
Schopenhauer? C’è una questione ulteriore: il poeta al quale faccio riferimento
qui è particolarmente noto in Germania per le sue affermazioni poetiche e per
questo è diventato oggetto di indagine e trattazione prevalentemente nel campo
della storia della letteratura. Tuttavia ciò accade non solo in Germania: si tratta
di Giacomo Leopardi. Anche in Italia gli viene negato un significato filosofico
generale, e Benedetto Croce ha affermato in uno studio su Leopardi che dovremmo
rinunciare a vedere in Leopardi “un sommo pensatore, le cui argomentazioni e
dottrine trovino luogo nella storia della filosofia [...] ma per questa parte,
che è quella filosoficamente fattiva, il Leopardi non offre se non sparse
osservazioni, non approfondite e non sistemate: a lui mancava disposizione e
preparazione speculativa”778. Karl Vossler nel suo libro su Leopardi si è
riallacciato a questo giudizio779. Questa reazione di Croce non è fortuita:
Hegel quasi con le medesime parole si era espresso negativamente sugli umanisti
in quanto filosofi, e precisamente con la motivazione che gli umanisti italiani
si sono !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 778 B. Croce,
Poesia e non poesia, Bari 1942, p. 98. [B. Croce, Poesia e non poesia. Note
sulla letteratura europea del secolo decimonono, Laterza, Bari 1946, pp.
98-99]. 779 [Grassi si riferisce al testo di K. Vossler, Leopardi (1923), tr.
it. di T. Gnoli, Ricciardi, Napoli 1925]. ! 248! arenati in un
pensiero simbolico e non sono giunti fino all’altezza del concetto.
Letteralmente vuol dire: “se si spogliano i concetti fondamentali dei sistemi
che si presentano all’interno della storia della filosofia di quel tanto che
concerne la loro configurazione esteriore, la loro applicazione a ciò che è
particolare e simili, allora si perviene ai diversi gradi della determinazione
dell’idea entro il suo concetto logico”780. Secondo la concezione di Hegel
l’Umanesimo non si accorda in modo adeguato alla coscienza dell’idea, esso
permane molto nel mondo della fantasia, dell’arte, conficcato nel mondo della
metafora: l’arte è per Hegel, come è noto, una forma insufficiente per
rappresentare l’Idea. Qui l’Idea permane nel suo legame concreto sensoriale,
ossia si comporta ora solo come Ideale. A causa dell’“incapacità di
rappresentare il pensiero in quanto pensiero, l’Umanesimo si avvale di aiuti
per esprimersi in forma sensibile”781. Così la filosofia umanistica, secondo
Hegel, appartiene a manifestazioni superflue “che offrono alla filosofia poco
beneficio”782. Perciò sia in Italia, dove per molto tempo l’idealismo tedesco
con Croce e Gentile è stato determinante, sia in Germania, la concezione
poetica come espressione del pensiero filosofico è stata condannata nel modo
più critico. In un lavoro apparso recentemente783 e in una pubblicazione uscita
negli Stati Uniti784 io ho trattato l’intera problematica della tradizione
umanistica, alla quale Leopardi appartiene, e ho motivato e sviluppato la
valutazione completamente errata della tradizione umanistica – che non parte da
una metafisica razionalistica ma dal problema della parola, e precisamente
dalla parola metaforica e di conseguenza poetica. Questa discussione verrebbe
ad essere la giusta premessa per giungere ad una comprensione filosofica di
Leopardi nel suo valore generale. Ma qui si tratta proprio della relazione
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 780 Hegel, Vorlesungen
über die Geschichte der Philosophie, a cura di H. Glockner, Suttgart 1928, p.
59 [G. W. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, a cura di R. Bordoli,
Laterza, Roma-Bari 2013, pp. 568-569]. 781 Ivi p. 121. 782 Ivi, p. 149. 783 E.
Grassi, Einleitung in philosophische Probleme des Humanismus,
Wissenschaftlische Buchgesellschaft, Darmstadt 1986 [E. Grassi, La filosofia
dell’umanesimo. Un problema epocale, a cura di L. Rossi, Tempi moderni, Napoli
1988]. 784 E. Grassi, Heidegger and the question of Renaissance Humanism,
Medieval Renaissance Texts and Studies, Binghamton, N. Y. 1983 [E. Grassi,
Heidegger e il problema dell’umanesimo, a cura di C. Vasoli, Guida, Npoli
1985]. ! 249! tra Schopenhauer e Leopardi. Io farò riferimento alle
tesi di Leopardi senza discutere il parallelismo e la differenza con
Schopenhauer. Gli schopenhaueriani possono prendere i testi di Leopardi come
motivo per un confronto tra entrambi. A giustificazione di un metodo di analisi
di questo tipo sarebbe determinante una parola di Schopenhauer. Nella scorsa
metà del secolo scorso Francesco De Sanctis ha notato per primo in un saggio785
su Schopenhauer e Leopardi la rilevanza filosofica del poeta, ma soprattutto ha
contribuito a mettere in circolazione quell’immagine del pessimismo
leopardiano, come noi oggi ancora comunemente pensiamo. Schopenhauer si
espresse sul saggio di De Sanctis nel modo seguente con il suo amico Lindner:
“mi devo stupire molto nel vedere quanto questo italiano (De Sanctis) si sia
impossessato della mia filosofia e come l’abbia capita bene. Non fa come i
Professori tedeschi, specialmente Erdmann, sunterelli ed estratti dei miei
scritti, senza vera comprensione e secondo il numero delle pagine. No, egli li
ha convertiti in succum et sanguinem, e li ha sulle punte delle dita per
adoperarli dove occorre”786. Io qui strutturerò i livelli di pensiero di
Leopardi in modo che gli specialisti di Schopenhauer possano discutere la
questione delle affinità e diversità tra i due autori. Innanzitutto perché è
possibile accostarsi a Schopenhauer anche da un’altra prospettiva, diversa
rispetto a quella tradizionale che si trasmette con Kant e l’idealismo tedesco.
I temi di Leopardi – il rigetto della priorità della ragione, la natura,
l’analisi della noia, il significato filosofico delle passioni, l’illusione, la
mania – sono gli stessi di Schopenhauer. II. La ragione
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 785 Grassi si riferisce
al saggio desanctisiano in forma di dialogo Schopenhauer e Leopardi che trae
origine dalla lettura da parte di Francesco De Sanctis dell’opera di
Schopenhauer all’inizio del 1858. Il saggio di De Sanctis appare in “Rivista
contemporanea”, VI (1858), Vol. XV, pp. 369-408 e confluisce in Saggi critici
(1874). Cfr., F. De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi, pp. 417-467, in Id.,
Leopardi, a cura di C. Muscetta-A. Perna, Einaudi, Torino 1983. 786 GBr, Nr.
454, p. 447 [Lettera di Schopenhauer a Lindner del 23 febbraio 1859, in A.
Schopenhauer, Colloqui, a cura di A. Verrecchia, Bur, Milano 2010, p. 267, nota
220]. ! 250! I passi di prosa che ora prenderò in esame provengono
dal cosiddetto Zibaldone, una raccolta di pensieri e annotazioni. Esso non era
destinato alla pubblicazione nella forma in cui oggi si presenta il testo
originale, nonostante Leopardi lo avesse progettato, per quanto ne sappiamo,
per pubblicarlo in dieci volumi. Lo Zibaldone è un’opera molto voluminosa:
consta di un manoscritto di 4526 pagine. Le annotazioni cominciano a luglio o agosto
del 1817 e terminano il 4 dicembre del 1832. La prima edizione apparve nel 1898
e fu pubblicata da Giosuè Carducci con commento critico e filologico con il
titolo di “Pensieri di varia filosofia e letteratura” (un titolo che era tratto
da un’indicazione di Leopardi). La seconda versione migliorata, che si accorda
a questa traduzione787, appare negli anni Trenta: G. Leopardi, Zibaldone di
pensieri, a cura di F. Flora, 2 volumi, Milano 1938. Io cito dalla traduzione
tedesca di K. J. Partsch. Il punto di partenza della riflessione di Leopardi è
il contrasto tra la ragione e ciò che egli ha chiamato natura, criticando in
tale contesto ogni filosofia che creda di decifrare la realtà sulla base di
principi razionali e perciò tutto ciò che ha a che fare con i sensi e le
passioni, tutto ciò che è metaforico, lo rifiuta nel suo significato
filosofico. In generale questa tradizione concede solo ciò che noi possiamo
dimostrare e dimostrare significa mostrare e determinare qualcosa sulla base di
un fondamento, di un assioma, di un principio. “E qui voglio notare come la
ragione umana di cui facciamo tanta pompa sopra gli altri animali, e nel di cui
perfezionamento facciamo consistere quello dell’uomo, sia miserabile e incapace
di farci non dico felici ma meno infelici, anzi di condurci alla stessa
saviezza che par tutta consistere nell’uso intero della ragione”788. Ogni vita
umana ordinata e fruttuosa sembra realizzarsi solo sulla base di fondamento e
dimostrazione. Soltanto in questo modo si ritiene di poter prevedere anche
l’avvenire in generale per poterlo deviare e per potersi mettere a riparo da
esso. Da questo punto di vista l’imprevisto, l’improvviso, il sorprendente, non
solo non vengono presi in considerazione ma cancellati, allorché
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 787 Grassi fa
riferimento alla traduzione di Partsch Theorie des schönen Wahns und Kritik der
modernen Zeit, Ausgewahlt, geordnet und eingeleitet von E. Grassi, aus dem
italienischen übertragen von K. J. Partsch, Bern, Francke 1949. 788 G.
Leopardi, Zibaldone, 20 gennaio 1820. ! 251! si manifestano, e
giudicati alla stregua di un fallimento delle nostre forze umane e razionali,
delle nostre conoscenze, dei nostri desideri di sicurezza e certezza. Ora da
questo emerge che l’esistenza umana deve scaturire solo attraverso una certezza
sicura e razionale e che tutti i momenti della vita sociale, politica e
spirituale devono derivare da un fondamento di tal sorta: perciò poi anche
l’insegnamento e l’educazione devono non solo chiarire i fondamenti originari
dai quali noi deriviamo le nostre azioni, ma anche prestabilire tutte le
possibilità. Invece Leopardi adduce come argomento (il seguente): “e pure è
certissimo che tutto quello che noi facciamo lo facciamo in forza di una distrazione
e di una dimenticanza, la quale è contraria direttamente alla ragione. E
tuttavia quella sarebbe una verissima pazzia, ma la pazzia la più ragionevole
della terra, anzi la sola cosa ragionevole, e la sola intera e continua
saviezza, dove le altre non sono se non per intervalli”789. “ Ella rende
piccoli e vili e da nulla tutti gli oggetti sopra i quali ella si esercita,
annulla il grande, il bello, e per così dire la stessa esistenza, è vera madre
e cagione del nulla, e le cose tanto più impiccoliscono quanto ella cresce”790.
Partendo dalla tesi della priorità del pensiero razionale, ogni passione, ogni
impulso, viene considerato in realtà come un momento da oltrepassare, come un
momento che deve essere corretto o annientato. Di conseguenza la conclusione
dell’importanza del prevedibile, del sicuro, del giudizio divengono gli ideali
a cui poi ci si abbandona: la stessa vita politica, lo Stato, se assicura la
vita umana e vuole contribuire al suo sviluppo, deve partire da un’impostazione
del genere e attuarla. Una simile concezione della vita, che si prova a dedurre
more geometrico, corrisponde a una tradizione razionalistica contro cui
Leopardi assume una posizione, che analizza progressivamente per mostrarla come
causa delle rovine del mondo occidentale. Ma una concezione di questo tipo non
è apparsa e si è realizzata proprio in precise forme di Stato, di insegnamento,
di sapere quando ci si è allontanati
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 789 Ibidem. 790 Ivi, 11
luglio 1823. ! 252! già dall’originaria fonte della vita? Come è
considerato l’esito della priorità della ragione da un punto di vista sociale,
politico? “Anche nell’interiore quasi tutti gli uomini oggidì sono uguali nei
principi, nei costumi, nel vizio, nell’egoismo etc...Sono tutti uguali e tutti
separati, laddove autenticamente erano tutti diversi e tutti uniti, e perciò
atti alle grandi cose, alle quali noi siamo inettissimi trovandoci tutti
soli”791. In un mondo razionalizzato ogni elemento nuovo, originario, indeducibile
e non anticipatamente dimostrabile e sicuro non ha nessuna possibilità. In ogni
forma già razionalizzata di vita sociale, politica o culturale nulla di
imprevisto può irrompere senza far saltare il contesto esistente. Ma dunque
cosa bisogna opporre alla ragione? La natura forse, l’affermazione delle
passioni? “La superiorità della natura sulla ragione si dimostra anche in
questo che non si fa mai cosa con calore che si faccia per ragione e non per
passione”792. Per Leopardi i concetti di natura e passione collimano: di che
natura è il loro rapporto profondo e da ciò come emerge una comprensione della
loro essenza? “ La ragione è nemica di ogni grandezza: la ragione è nemica
della natura”793. “ Qual cosa è più potente nell’uomo, la natura o la ragione?
Il filosofo non vive mai né pensa giornalmente, e intorno a ciò che lo riguarda
né vive con se stesso (se anche vivesse con gli altri) da vero filosofo”794.
III. Natura e Passione !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
791 Ivi, 4 luglio 1820. 792 Ivi, 7 giugno 1820. 793 Ibidem. 794 Ivi, 8
settembre 1821. ! 253! In che cosa risiede la potenza, la capacità
della natura con cui possiamo riconoscerla con certezza? A questa domanda noi
riceviamo da Leopardi soprattutto una risposta negativa. Da cosa scaturisce
l’esperienza profonda del nulla, di cui l’autore italiano si occupa così
sistematicamente, e in che misura essa getta luce sui concetti di natura, vita,
che egli pone contro la ragione? La profonda esperienza del nulla appare,
secondo Leopardi, non nel dolore, non nella disperazione, momenti, questi, che
mantengono tutti ancora viva la testimonianza dei valori, ma nella noia. Essa è
il contrario della vita, pertanto ad essa non possiamo abituarci. Così afferma
Leopardi che la noia è l’esperienza del monotono, dell’indifferente,
dell’apatico, che quindi sopraggiunge quando si attenua la capacità di
distinguere qualcosa “Amando il vivente quasi sopra ogni cosa la vita, non è
meraviglia che odi quasi sopra ogni cosa la noia, la quale è il contrario della
vita vitale [...] del resto l’odio della noia è uno di quei tanti effetti
dell’amor della vita [...] e l’uomo odia la noia per la stesa ragione per cui
odia la morte, cioè la non esistenza”795. Così la noia scopre dalla sua essenza
un’insolita, fenomenologica, molto importante incomprensibilità: nel suo patire
deve determinarsi come una passione. Noi possiamo vivere e esperire
l’indifferente, l’apatico, il monotono solo se si manifesta in modo limitato e
la noia, se ne facciamo esperienza, ci rivela che non possiamo esistere nello
sconfinato e nell’indifferenziato. “La noia corre sempre e immediatamente a
riempire tutti i vuoti che lasciano negli anni dei viventi il piacere e il
dispiacere; il vuoto cioè lo stato di indifferenza e senza passione non si dà
in esso animo, come non si dava in natura [...] o vogliamo dire che il vuoto
stesso dell’animo umano e l’indifferenza e la mancanza d’ogni passione è noia,
la quale è pure passione”796. La noia fa parte di quei sentimenti deprimenti
attraverso i quali si manifesta il declino della vita così silenziosamente e
senza emozione. Essa non ha nulla di eroico, è come uno stato d’animo opposto
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 795 Ivi, 8 maggio 1822.
796 Ivi, 17 ottobre 1823. ! 254! alla natura, poiché in essa ogni
disperazione è già apatica. Secondo l’opinione di Leopardi in ciò risiede
l’essenza della moderna esperienza del dolore che non ha nulla più di vitale.
Si tratta di un’autodistruzione in una perdita di suoni e parole che si muovono
in un silenzio disumano, in cui né odio né speranza, né tantomeno interesse e
partecipazione sono presenti: è l’ultimo stato in cui si manifesta il naufragio
di una cultura, di una classe sociale. Al suo posto la natura si mostra nella
potenza della passione: affermazione, dunque, della passione contro la priorità
del razionale? Prima di rispondere insieme a Leopardi a questa domanda occorre
discutere la funzione e il potere della passione: “le sventure o
d’immaginazione o reali, potranno anche indurre il desiderio della morte, o
anche far morire, ma qual dolore ha più della vita, anzi massimamente se
proviene da immaginazione e passione, è pieno di vita, e quest’altro dolore
ch’io dico è tutto morte; e quella medesima morte prodotta immediatamente dalle
sventure è cosa più viva, laddove quest’altra è sepolcrale, senz’azione, senza
movimento, senza calore e quasi senza dolore, ma piuttosto come un’oppressione
smisurata e un accoramento”797. “Ma gli antichi sempre più grandi, magnanimi e
forti di noi nell’eccesso delle sventure, e nella considerazione della
necessità di esse e della forza invincibile che li rendeva infelici, e gli
stringeva e legava alla loro miseria senza che potessero rimediarvi e
sottrarsene, concepivano odio e furore contro il fato”798. Secondo
l’interpretazione di Leopardi gli antichi soffrivano, poiché credevano nella
vita, perché la sentivano come un valore; quanto meno ci rinunciavano tanto più
l’affermavano nella disperazione. Si tratta del dolore di Niobe, per il quale
non si danno nessun sollievo, nessuna assuefazione. E dal momento che per gli
antichi la disperazione è allo stesso tempo un’affermazione della vita, così
nel loro animo nasceva l’odio, si accresceva attraverso il dolore la loro
immaginazione, traducendosi in azione, presentandosi nei miti, i quali non
hanno conosciuto ancora nessun sentimentalismo. “Così importanti stimavano gli
antichi le cose nostre, che non davano ai desideri divini, o alle divine
operazioni altri fini che i nostri, mettevano i !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
797 Ivi, 7 giugno 1820. 798 Ivi, 5 gennaio 1821. ! 255! dei in
comunione della nostra via e dei nostri beni, e quindi gli stimavano gelosi
delle nostre felicità ed imprese, come i nostri simili, non dubitando che elle
non fossero degne della invidia degl’immortali”799. Da questo punto di vista la
vita in ogni suo stadio, sia sensibile che spirituale, non attinge a ciò che è
sicuro, sperimentato, calcolabile, non attinge alla certezza razionale e
dimostrabile, bensì all’ambito del creativo, dell’imprevedibile, dell’abissale:
la prima possibilità dell’esperienza sorge da qui. Se noi oscilliamo
continuamente tra successo e fallimento, se inoltre siamo disposti alla
realizzazione delle nostre capacità, allora qui si radica la nostra
autoaffermazione, che nuovamente richiama l’attenzione all’appello oggettivo e
trascendentale a cui dobbiamo corrispondere. Leopardi pone l’attenzione sul
fatto che tutte le grandi imprese oltrepassano l’ordine esistente e consueto,
infatti dal momento che istituiscono qualcosa di nuovo non possono essere
dedotte dal già noto. Già nella vita quotidiana appare impossibile vivere in
modo puramente razionale e prevedibile. Gli stessi sentimenti più naturali si
mostrano come qualcosa di infondato. Ogni cosa feconda non è mai deducibile e
calcolabile: da ciò proviene la priorità storica che i popoli naturalmente
rivestono, poiché su di essi agiscono le passioni, ciò che è originario,
solamente essi, per questo motivo, trionfano sempre su quei popoli che sono
dominati dal razionale. La natura, nel suo significato già spiegato, vive e si
fa largo. Solo essa suscita tutte le passioni possibili, solo essa desta i
sentimenti naturali che mostrano l’inaspettato. Così Leopardi passa alla
descrizione e approvazione delle passioni del mondo antico. Allora quelle forze
imperanti fanno tutte parte dell’imprevedibile, di ciò che non è razionalmente
deducibile. Si tratta di quelle capacità di mostrare il nuovo sotto forma di
immagine, di linguaggio, di azioni, di miti. Quegli stessi esercizi fisici, le
lotte, le competizioni sportive e le cerimonie favoriscono la fantasia, destano
i miti che non sono il “vero” ma celano in sé il significato dell’esistenza.
“Gli esercizi con cui gli antichi si procacciavano il vigore del corpo non
erano solamente utili alla guerra, o a eccitare l’amor della gloria ma
contribuivano, anzi erano necessari a mantenere il vigor dell’animo, il
coraggio, le illusioni, l’entusiasmo che non saranno mai in un corpo
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 799 Ivi, 23 dicembre
1820. ! 256! debole, insomma quelle cose che cagionano la grandezza
e l’eroismo delle nazioni”800. “Che bel tempo era quello nel quale ogni cosa
era viva secondo l’immaginazione umana e vive umanamente cioè abitate o formate
di essere uguali a noi, quando nei boschi desertissimi si giudicava per certo
che abitassero le belle Amadriadi e i fauni, e i silvani e Pane etc...,
entrandoci e vedendoci tutto solitudine, pur credevi tutto abitato”801. IV.
L’Illusione Allora dobbiamo dedurre che il Reale sia la natura, le passioni? Da
parte di Leopardi la risposta a questa domanda è categorica: No. Il misterioso
da cui si forma il teatro del mondo, la “scena” della storia, offre solo
l’illusione, l’ossessione di un gioco inquietante nel quale noi stessi siamo
solo attori o spettatori accettati. Dal momento che l’originario è indeducibile
e perciò non è spiegabile in fondo attraverso il ragionamento analitico esso
deve così essere riconosciuto come illusione, come ossessione. Sicuramente
l’Illusione è generatrice di ordine, poiché è la ragione di ogni grande azione,
di ogni grande epoca, di ogni creazione storica, ma quello che si apre di
fronte ai nostri occhi è tragico, poiché questa illusione senza fondamento non
mostra nessun interesse per la sorte dei singoli, ma solo per il compiersi
della storia dei drammi umani. L’illusione è generatrice di ordine e l’Appello
al quale corrispondere, motivo di ogni grande azione, di ogni grande epoca, di
ogni creazione storia. Con questa tesi viene ad essere rappresentata una
concezione irrazionale, pragmatica? No, perché l’Illusione è ciò che è a
fondamento dell’infondato, è il sistemare e distinguere, è ciò che è
determinante, e per questo l’affermazione dell’Illusione non è alcuna negazione
del legame e della legalità, ma al contrario è il rendersi palese di ciò che
ordina e lega e svela il pezzo di “scena” in cui noi viviamo e agiamo. Forza
misteriosa, che evoca l’illusione della storia, nella cui orbita facciamo la
nostra comparsa per interpretare un ruolo: ma l’illusione della storia non
mostra rispetto per la storia dei singoli. “La più grande nemica della barbarie
non è la ragione ma la natura: (seguita però a
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 800 Ivi, 7 giugno 1820.
801 Ivi, p. 100. ! 257! dovere) essa ci somministra le illusioni
che quando sono nel loro punto fanno un popolo veramente civile [...] le
illusioni sono in natura inerenti al sistema del mondo, tolta via affatto o
quasi affatto, l’uomo è snaturato”802. La potenza dell’illusione colpisce
pertanto sempre di nuovo, e dal nuovo tira fuori sempre la sua perla nascosta:
poiché anche nei momenti in cui l’esperienza del nulla irrompe, sia sotto forma
di dolore, sia sotto quella di fallimento, sia sotto forma di disperazione,
ciascuno dei nostri respiri è portato dalla fede verso l’imprevedibile, verso
la vita. Anzi, noi più intensamente proviamo la nullità dell’illusione, più la
consideriamo qualcosa di nullo, poiché è tutta un’illusione, tanto più noi rendiamo
palese il teatro del mondo. L’illusione è la natura più propria dell’uomo. In
questo contesto emerge sempre di più come la realtà si presenta in una duplice
forma: da un lato come il mondo delle passioni, dell’ispirazione,
dell’improvviso, dell’inaspettato, dell’illusione che incalza (che assale uno)
si origina da nuove domande, nuove azioni, nuove storie. Dall’altro la realtà
appare in quanto concreta, in cui la maggior parte di noi vive e in cui ogni
cosa è dimostrabile, deducibile, monotona. Ciò che è molto noto, ciò che è
sempre uguale evoca la noia e l’irrigidirsi della vita dalla cui descrizione
Leopardi parte in qualità di critico del mondo moderno. “ E’ pure una bella
illusione quella degli anniversari per cui quantunque quel giorno non abbia niente
più a che fare col passato che qualunque altro, noi diciamo, come oggi accade
il tal fatto, come oggi ebbi la tal contentezza, fui tanto sconsolato etc..e ci
par veramente che quelle tali cose che son morte per sempre né possono più
tornare, tuttavia rivivano e sieno presenti come in ombra, cosa che ci consola
infinitamente allontanandoci (l’idea della distruzione e dell’annullamento che
tanto ci ripugna e illudendoci sulla presenza di quelle cose che vorremmo
presenti effettivamente o di cui ci piace ricordarci con qualche speciale
circostanza, come chi va sul luogo ove sia accaduto qualche fatto memorabile, e
dice qui è successo, gli pare in certo modo di vedere qualche cosa di più che
altrove nonostante che il luogo sia per esempio mutato affatto da quel che era
allora”803. Con la sua teoria dell’illusione Leopardi non
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 802 Ivi, p. 34. 803 Ivi,
p. 96. ! 258! mette in piedi una indeterminata dottrina
dell’entusiasmo, bensì una teoria del fondante, di ciò che rende possibile
l’ordine, la fonte di ogni vita originaria nel profondo. Egli perciò in alcun
modo nega la necessità dei sistemi, il ruolo della ragione, l’importanza della
filosofia, poiché le cose stesse hanno un sistema e sono ordinate secondo un
piano e uno scopo. Ma la filosofia non può esaurirsi in una deduzione razionale
pura né permettersi di celare il mistero della noia che evoca la storia. Ecco
qui una profonda tesi umanistica originaria. Perciò non si tratta di costruire
a priori il mondo, bensì di esperire l’abissale che agisce, l’abissale da cui
ogni mondo innanzitutto può trarre origine, di esprimere cioè la potenza
dell’inspiegabile, di ciò che Leopardi chiama illusione. Da ciò nascono le più
tetre profezie leopardiane nei confronti dell’età razionalistica dominante.
“L’Europa, tutta civilizzata, sarà preda di quei mezzi barbari che la
minacciano dai fondi del settentrione; e quando questi di conquistatori
diverranno inciviliti, il mondo si tornerà ad equilibrare. Ma fintanto però che
resteranno barbari al mondo, o nazioni nutrite di forti e piene e persuasive, e
costanti e non ragionate, e grandi illusioni, i popoli civili saranno lor
preda”804. “Le quali cose se ridurranno finalmente gli uomini a perdere tutte
le illusioni, e le dimenticanze, a perderle per sempre, ed avere davanti agli
occhi continuamente e senza intervallo la pura e nuda verità, di questa razza
umana non resteranno altro che le ossa, come gli altri animali di cui si parlò
nel secolo addietro. Tanto è possibile che l’uomo viva staccato affatto dalla
natura, dalla quale sempre più ci andiamo allontanando, quanto che un albero
tagliato dalla radice fiorisca e fruttifichi. Sogni e visioni. A riparlarci di
qui a cent’anni. Non abbiamo ancora Allora dobbiamo dedurre che il Reale sia la
natura, le passioni? Da parte di Leopardi la risposta a questa domanda è
categorica: No. Il misterioso da cui si forma il teatro del mondo, la “scena”
della storia, offre solo l’illusione, l’ossessione di un gioco inquietante nel
quale noi stessi siamo solo attori o spettatori accettati. Dal momento che
l’originario è indeducibile e perciò non è spiegabile in fondo attraverso il
ragionamento analitico esso deve così essere riconosciuto come illusione, come
ossessione. Sicuramente l’Illusione è generatrice di ordine, poiché è la
ragione di ogni !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 804 Ivi,
24 marzo 1821. ! 259! grande azione, di ogni grande epoca, di ogni
creazione storica, ma quello che si apre di fronte ai nostri occhi è tragico,
poiché questa illusione senza fondamento non mostra nessun interesse per la
sorte dei singoli, ma solo per il compiersi della storia dei drammi umani.
L’illusione è generatrice di ordine e l’Appello al quale corrispondere, motivo
di ogni grande azione, di ogni grande epoca, di ogni creazione storia. Con
questa tesi viene ad essere rappresentata una concezione irrazionale,
pragmatica? No, perché l’Illusione è ciò che è a fondamento dell’infondato, è
il sistemare e distinguere, è ciò che è determinante, e per questo
l’affermazione dell’Illusione non è alcuna negazione del legame e della
legalità, ma al contrario è il rendersi palese di ciò che ordina e lega e svela
il pezzo di “scena” in cui noi viviamo e agiamo. Forza misteriosa, che evoca
l’illusione della storia, nella cui orbita facciamo la nostra comparsa per
interpretare un ruolo: ma l’illusione della storia non mostra rispetto per la
storia dei singoli. “La più grande nemica della barbarie non è la ragione ma la
natura: (seguita però a dovere) essa ci somministra le illusioni che quando
sono nel loro punto fanno un popolo veramente civile [...] le illusioni sono in
natura inerenti al sistema del mondo, tolta via affatto o quasi affatto, l’uomo
è snaturato”805. La potenza dell’illusione colpisce pertanto sempre di nuovo, e
dal nuovo tira fuori sempre la sua perla nascosta: poiché anche nei momenti in
cui l’esperienza del nulla irrompe, sia sotto forma di dolore, sia sotto quella
di fallimento, sia sotto forma di disperazione, ciascuno dei nostri respiri è
portato dalla fede verso l’imprevedibile, verso la vita. Anzi, noi più
intensamente proviamo la nullità dell’illusione, più la consideriamo qualcosa
di nullo, poiché è tutta un’illusione, tanto più noi rendiamo palese il teatro
del mondo. L’illusione è la natura più propria dell’uomo. In questo contesto
emerge sempre di più come la realtà si presenta in una duplice forma: da un
lato come il mondo delle passioni, dell’ispirazione, dell’improvviso,
dell’inaspettato, dell’illusione che incalza (che assale uno) si origina da
nuove domande, nuove azioni, nuove storie. Dall’altro la realtà appare in
quanto concreta, in cui la maggior parte di noi vive e in cui ogni cosa è
dimostrabile, deducibile, monotona. Ciò che è molto noto, ciò
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 805 Ivi, p. 34. !
260! che è sempre uguale evoca la noia e l’irrigidirsi della vita dalla
cui descrizione Leopardi parte in qualità di critico del mondo moderno. “ E’
pure una bella illusione quella degli anniversari per cui quantunque quel
giorno non abbia niente più a che fare col passato che qualunque altro, noi
diciamo, come oggi accade il tal fatto, come oggi ebbi la tal contentezza, fui
tanto sconsolato etc..e ci par veramente che quelle tali cose che son morte per
sempre né possono più tornare, tuttavia rivivano e sieno presenti come in
ombra, cosa che ci consola infinitamente allontanandoci (l’idea della
distruzione e dell’annullamento che tanto ci ripugna e illudendoci sulla
presenza di quelle cose che vorremmo presenti effettivamente o di cui ci piace
ricordarci con qualche speciale circostanza, come chi va sul luogo ove sia
accaduto qualche fatto memorabile, e dice qui è successo, gli pare in certo
modo di vedere qualche cosa di più che altrove nonostante che il luogo sia per
esempio mutato affatto da quel che era allora”806. Con la sua teoria
dell’illusione Leopardi non mette in piedi una indeterminata dottrina
dell’entusiasmo, bensì una teoria del fondante, di ciò che rende possibile
l’ordine, la fonte di ogni vita originaria nel profondo. Egli perciò in alcun
modo nega la necessità dei sistemi, il ruolo della ragione, l’importanza della
filosofia, poiché le cose stesse hanno un sistema e sono ordinate secondo un
piano e uno scopo. Ma la filosofia non può esaurirsi in una deduzione razionale
pura né permettersi di celare il mistero della noia che evoca la storia. Ecco
qui una profonda tesi umanistica originaria. Perciò non si tratta di costruire
a priori il mondo, bensì di esperire l’abissale che agisce, l’abissale da cui
ogni mondo innanzitutto può trarre origine, di esprimere cioè la potenza
dell’inspiegabile, di ciò che Leopardi chiama illusione. Da ciò nascono le più
tetre profezie leopardiane nei confronti dell’età razionalistica dominante.
“L’Europa, tutta civilizzata, sarà preda di quei mezzi barbari che la
minacciano dai fondi del settentrione; e quando questi di conquistatori
diverranno inciviliti, il mondo si tornerà ad equilibrare. Ma fintanto però che
resteranno barbari al mondo, o nazioni nutrite di forti e piene e persuasive, e
costanti e non ragionate, e grandi illusioni, i
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 806 Ivi, p. 96. !
261! popoli civili saranno lor preda”807. “Le quali cose se ridurranno
finalmente gli uomini a perdere tutte le illusioni, e le dimenticanze, a
perderle per sempre, ed avere davanti agli occhi continuamente e senza
intervallo la pura e nuda verità, di questa razza umana non resteranno altro
che le ossa, come gli altri animali di cui si parlò nel secolo addietro. Tanto
è possibile che l’uomo viva staccato affatto dalla natura, dalla quale sempre
più ci andiamo allontanando, quanto che un albero tagliato dalla radice
fiorisca e fruttifichi. Sogni e visioni. A riparlarci di qui a cent’anni. Non
abbiamo ancora esempio nella passata età, dei progressi di un incivilimento
smisurato, e di uno snaturamento senza limiti. Ma se non torniamo indietro, i
nostri discendenti lasceranno questo esempio ai loro posteri, se avranno
posteri”808. Attraverso la lettura dei passi leopardiani da me indicati sorge
una serie di domande riguardo al problema del pessimismo di Schopenhauer: la
conoscenza dell’illusione, dell’ossessione, quale fonte della storia umana, è
tragica dal momento che questa potenza, che fonda l’accadere storico dell’uomo,
non si può definire razionalmente, cioè conoscere in quanto abissale? Oppure:
la conoscenza dell’illusione è tragica per questo, poiché è l’illusione e non
la razionalità, secondo la tesi di Leopardi, quella potenza che lascia apparire
e scomparire il mondo, e perché questa forza trainante misteriosa ha solo
riguardo per lo svolgersi delle più diverse storie, ma nessun interesse per il
destino dell’individuo, quando egli gioca e soffre il suo ruolo in questo
dramma? Dunque l’illusione è solo un’astuzia con cui l’Abissale conduce l’uomo
verso il teatro del mondo? Dove risiede allora l’essenziale identità o
differenza tra la teoria dell’illusione di uno Schopenhauer e quella di
Leopardi? La formulazione e la risposta a queste domande si discostano radicalmente
dall’analisi del pensiero di Schopenhauer, così come tradizionalmente viene
eseguita, quando si parte da Kant e dall’Idealismo tedesco per intendere
Schopenhauer. Per me era profondamente importante qui mostrare il significato
della teoria dell’illusione – che gioca un ruolo così profondo in Schopenhauer
– alla luce di una prospettiva completamente diversa e poterne discutere.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 807 Ivi, 24 marzo 1821.
808 Ivi, 18-20 agosto 1820. ! 262! APPENDICE III Traduzione di Vom
Vorrang des Logos. Das Problem der Antike in der Auseinandersetzung zwischen
italienischer und deutscher Philosophie, München, Beck, 1939, pp. 218. La
ricerca della verità: il fondamento oggettivistico della verità, pp. 37-43.
Oggetto di indagine filosofica è la questione relativa alla preminenza del
Logos. L’inquadramento del problema e una definizione più veritiera possibile
dell’essenza del Logos sono questioni che vanno però inevitabilmente rimandate
ad un momento successivo. Ogni indagine filosofica rappresenta in sé una
ricerca della verità che parte da un qualcosa di preesistente che in quanto
tale presuppone già un determinato concetto di verità. Dal momento che però la
filosofia non può presupporre nulla a priori, diventa necessario definire in
maniera univoca il concetto di verità. Ma com’è possibile intraprendere
un’indagine filosofica partendo da un determinato concetto di verità, se
evidentemente questo non può che essere il risultato di una lunga e complessa
ricerca? E se la filosofia non può presupporre nulla come sarà mai possibile
verificare se il concetto di verità così com’è concepito corrisponde al vero?
All’inizio di ogni indagine filosofica ci si ritrova sempre a dover affrontare
quella che si rivela essere la difficoltà principale ossia la ricerca della
verità presuppone che si conosca già la verità altrimenti come sarebbe
possibile riconoscerla? In un suo dialogo Platone enuncia in maniera precisa
questa aporia sottolineandone i tre momenti principali ovvero la possibilità
dell’indagine, la possibilità del prefiggersi un qualcosa e la possibilità del
riconoscere la verità che presuppongono già di per sé una conoscenza della
verità. “Come potrai mai cercare una cosa che non conosci e cosa di ciò che non
conosci ti prefiggerai di ricercare? E nel caso dovessi imbatterti in esso come
riuscirai ad accorgerti che si tratta proprio di ciò che non conosci?”.
Tuttavia ammettendo che la ricerca della verità presupponga, per poter aspirare
ad essa, già una conoscenza, ciò ci conduce inevitabilmente di fronte a una
seconda difficoltà ossia l’indagine filosofica appare superflua. Per quale
motivo si dovrebbe cercare qualcosa che già si conosce? Questa riflessione
sembra frenare sin dall'inizio qualsiasi indagine. Ma andando ad analizzare la
questione più nel dettaglio ci si accorge ! 263! immediatamente che essa
in realtà fornisce già una prima indicazione utile (nell’individuazione del)
concetto di verità al quale riferirsi nella ricerca: a quello che rende
possibile l’indagine come punto di partenza e giusto approccio filosofico.
L’aporia non riguarda la verità in sé ma solo una determinata concezione di
essa. Quale? All’essenza dell’indagine appartiene tutto ciò che ricerchiamo e
che in un certo senso è già esistente e non esistente. L’impossibilità che
qualcosa allo stesso tempo sia e non sia è valida però per tutto ciò che è Ente
e che ricade sotto il principio dell’identità: questo principio è applicabile
sono ad un determinato ambito dell’Ente ovvero laddove esso in quanto oggetto
dell’indagine venga concepito in maniera oggettivistica. Il principio
dell’Identità non è applicabile al Divenire poiché in quanto tale esso ha già
la caratteristica di poter essere e non essere. Da ciò si evince dunque che se
il fondamento della verità viene identificato con l’immediata e concreta
semplice-presenza di un qualcosa, la possibilità della ricerca viene meno.
L’oggetto ha dunque solo due possibilità: la semplice-presenza e la
non-presenza. Un tale fondamento della verità non ammette indagine e l’aporia
si rivela come un qualcosa che non va ad interessare tutte le definizioni di
verità ma bensì solo una determinata concezione di essa. Ma qual è da un punto
di vista storico in generale la concezione di verità che nell’immediatezza
della semplice-presenza di un oggetto ne vede il proprio fondamento? È quella
concezione di verità che tradizionalmente per analogia accettiamo come valida
in quanto afferma che la verità è verità logica essenziale e che in quanto tale
appartiene solo al pensiero inteso come pensiero dell’Essere sia nella forma di
oggetto razionale, come le idee di Platone, che in quella di oggetto sensoriale
come nell’espressione dei sensi (secondo l’interpretazione di Aristotele). Il
congiungere, l’atto di unire del pensiero, che si esprime nella concezione di
unità come connexio di soggetto e predicato, il giudicare, sono veri nel
momento in cui uniscono o separano ciò che si appartiene o non si appartiene,
così com’è nell'Essere. In primo luogo è doveroso sottolineare che sulla base
di una tale concezione il fondamento della verità appare innanzitutto come
l’immediato manifestarsi dell'Essere in quanto oggetto; in secondo luogo che il
fondamento della verità del pensiero non si trova nel pensiero stesso ma al di
fuori di esso e che per questo la preminenza del Logos come pensiero viene
negata; in terzo luogo che la definizione del fondamento della verità !
264! in una tale concezione deve essere necessariamente caratterizzata in
maniera oggettivistica, indipendentemente dal fatto che si tratti di un
fondamento empiristico o razionalistico. L’interrogativo circa il dove
storicamente questa concezione si presenti realmente, sotto questa forma, resta
dunque ancora da sciogliere. La semplice-presenza come verità dell'Oggettivismo
Analizziamo ora in maniera più approfondita la concezione oggettivistica del
fondamento della verità (così come della conoscenza) per verificare se essa
effettivamente ha ciò che rivendica. La concezione oggettivistica del
fondamento della verità (così come della conoscenza) si richiama all’immediato
manifestarsi di un qualcosa, alla sua semplice-presenza. Il fondamento del
rivelarsi nel presente di un qualcosa non si cela però, in una tale concezione,
dietro il concetto di semplice-presenza in sé ma consegue da esso, è l’oggetto,
il Faktum empiristico o razionale. La contraddizione tipica di questa
asserzione è che l’essenziale non viene identificato con il manifestarsi
dell’oggetto ma bensì con l’Essere-per-sé, che viene prima dell’apparire, ma
allo stesso tempo si richiama alla sua immediata semplice-presenza per poter
affermare il suo Essere. Se per poter superare questa difficoltà si identifica
il fondamento concreto della verità con la semplice-presenza del manifestarsi
di un qualcosa, con il quale esso dovrebbe essere raggiungibile (volendo
comunque mantenere ancora l’Essere-per-sè dell’oggetto), l’Essere-per-sè
dell’oggetto diventa in questo modo irraggiungibile e indefinibile. Dal momento
che in questo caso considereremmo l’oggetto solo fino a che esso continui a
rivelarsi in e attraverso una qualsiasi semplice-presenza, non avremmo più
alcuna possibilità di fare riferimento al suo Essere-per-sé, e ciò che appariva
solo come un processo di appropriazione, ossia mediazione intenzionale della
semplice-presenza, diviene il fondamento per il quale un qualcosa può rivelarsi
in quanto tale. Hegel respinge questo concetto dualistico tra l’oggetto e il
processo dell’apparire inteso come mediazione intenzionale affermando, con la
terminologia che gli è propria e che deriva dalla questione al superamento del
dualismo teorico-conoscitivo dell’Essere-per-sé e dell’Essere-per-noi, che: “se
il conoscere è lo strumento per potersi impossessare dell’essenza assoluta
allora è altrettanto evidente come l’utilizzo di uno strumento su un oggetto
non lo lasci ! 265! inalterato ovvero così come esso è per sé stesso ma
bensì porti con sé una forma e dei cambiamenti. Altrimenti il conoscere non
sarebbe più strumento della nostra attività ma bensì, per così dire, un mezzo
passivo attraverso il quale la luce della verità può arrivare a noi, non così
com’è in sé stessa ma così com’è attraverso e in un mezzo. Appare dunque chiaro
che solo mediante la conoscenza del funzionamento dello strumento si può porre
rimedio a questi inconvenienti; poiché tale conoscenza rende possibile
escludere da ciò che si ottiene quella parte di definizione che a partire
dall’assoluto deriva dall’uso dello strumento e conservarne così solo il Vero
puro. Basterebbe questo miglioramento a riportarci nella condizione in cui ci
trovavamo in precedenza. Se a una cosa già formata togliamo di nuovo l’effetto
che su di essa ha avuto lo strumento, quella cosa, qui l’Assoluto, tornerà a
noi così com’era prima di tale superflua premura”. Il fondamento oggettivistico
della verità appare dunque falso. Ma se esso non è in grado di spiegare la
verità può almeno spiegare la possibilità dell’errore? Come può però un
oggetto, così come è stata considerata anche la sua essenza, essere preso per
un altro se esso si manifesta solo nell’immediatezza? Questo vale sia per una
concezione empiristico-oggettivistica del fondamento del manifestarsi sia per
una razionalistico-oggettivistica. In effetti se un qualunque manifestarsi di
un qualcosa viene considerato immediato sarà altrettanto necessario considerare
immediata, e dunque come un qualcosa di non-presente, la sua velatezza. Per
questo motivo non può esserci un passaggio intermedio tra velatezza e
manifestazione, e per velatezza va intesa solamente quella di un oggetto, come
quella di un qualcosa di immediato che supera la nostra ricerca della verità.
Non si può superare questa difficoltà nemmeno affermando di voler passare dalla
non-conoscenza alla conoscenza, basandosi solo sulla porzione di verità che si
conosce e che può far cadere in errore dal momento che si può confondere ciò
che si conosce con ciò che non si conosce. Per questo per la “restante”
porzione di verità che non si conosce resta valida l’originaria aporia che
riguarda il ricercare. Non possiamo né ricercare ciò che non conosciamo né
cadere in errore confondendo ciò che non conosciamo con qualcosa che conosciamo
o con qualcos’altro che non conosciamo. L’aspirazione al raggiungimento della
verità e l’errore vengono considerati attraverso la concezione del fondamento
della conoscenza come un qualcosa di immediato, ! 266! oggettuale, simile
a un’illusione e ridotto ad un niente. In quest’ottica appare anche impossibile
un passaggio dalla non conoscenza alla conoscenza. Il processo come fondamento
del manifestarsi di qualcosa È necessario dunque sottolineare che due momenti,
quello della possibilità della ricerca della verità e quello della possibilità
dell’errore, sono da considerare come i criteri in base ai quali poter
riconoscere quella verità che cerchiamo. L’interrogativo circa il fondamento
della verità può essere genericamente definito come l’interrogativo sul
fondamento del manifestarsi di un qualcosa e che in quanto tale sin dall’inizio
non può essere considerato come immediato e oggettuale in quanto una qualsiasi
immediatezza oggettivistica non consentirebbe la definizione di un tale
rivelarsi che invece qui deve essere oggetto di indagine filosofica: quel
manifestarsi che rende possibile la ricerca. La questione della verità resta
dunque identificata con l’interrogativo circa l’essenza del manifestarsi di
qualcosa. Attraverso ciò appare subito chiaro come il ricercato fondamento del
concetto più veritiero possibile di verità sia da trovare mediante un processo
assoluto: questo processo deve coincidere in origine con il rivelarsi di
qualcosa, di ciò a cui aspiriamo. Se tale processo del manifestarsi si basasse
su qualcos’altro al di fuori di esso si verificherebbero nuovamente le
difficoltà già esposte in maniera esauriente. Nel caso in cui il fondamento del
manifestarsi di qualcosa mettesse radici in un processo, in un divenire, in un
avere e non avere, bisognerebbe ammettere che ciò che ci appare ci appartiene
dalle origini e allo stesso tempo è celato in noi. Il processo del manifestarsi
deve quindi contemplare anche la possibilità del celarsi e dello scoprirsi: il
processo del manifestarsi, e dunque qualcosa di non ancora divenuto ma in
divenire, è il primo originario. Dal momento che però il manifestarsi di
qualcosa non è un qualcosa che va al di là del processo ma è contenuto in esso,
il processo stesso e quindi il fondamento del manifestarsi non sono che una
lotta per quello che si cela in noi, un ritorno a ciò che abbiamo già, un
tentativo di scoprire ciò che è celato. Solo attraverso la vittoria in questa
lotta e la conquista di un qualcosa che già ci apparteneva si genera la
possibilità della conoscenza, del riconoscere qualcosa da un qualcos’altro, che
può diventare la prima ragione di qualsiasi ulteriore affermazione della
verità. Da notare che nella logica tradizionale l’essenza della ! 267!
verità è stata ricercata nel Logos, nel pensiero come pensato e dunque oggetto,
e analizzata nelle sue forme e nelle sue manifestazioni. L’oggettivismo di una
tale concezione si mostra qui in una doppia veste: il fondamento della verità
viene visto come l’oggettivistico e immediato manifestarsi di un qualcosa e la
verità stessa ricercata nel pensiero come oggetto e nelle forme del pensato.
Appare dunque evidente che qualsiasi tentativo di ricercare in qualcosa di
oggettuale, anche se è soltanto nel pensiero come pensato, il fondamento e le
forme della verità fallirebbe nel suo obiettivo sin dall’inizio dal momento che
tutto ciò che è oggettuale non potrà mai essere il fondamento originario del
rivelarsi di un qualcosa rispetto a qualcos’altro. Allo stesso modo ogni
tentativo di trovare una logica del pensato che consideri il pensiero solo come
oggetto si rivelerà fallimentare in quanto tale logica non va a ricercare
l’essenza della verità nell’ambito originario di un processo o di un atto, nel
quale soltanto qualcosa può apparire in quanto tale e dal quale può prendere
origine la verità oggettuale. Avendo così la logica tradizionale studiato la
verità nel pensiero inteso come pensato, come oggetto nelle sue svariate forme,
ed essendo partita da un tale presupposto per la definizione del problema
teoretico-conoscitivo, motivo per il quale si è potuto identificare il pensiero
come momento di conoscenza dall’Essere, non ci si è più interrogati circa la
forma originaria della verità. L’interrogativo iniziale su come un qualcosa
possa essere fondamento della verità di qualcos’altro viene sostituito
dall’interrogativo sulle forme del pensiero. Per ciò che riguarda in
particolare la definizione del problema da un punto di vista teoretico-conoscitivo,
dal confronto tra due pensati, l’Essere-per-sé e l’Essere-per-noi, per i quali
resta valido sempre e soltanto l’identità come principio dell’Ente oggettuale,
appare evidente che mai si potrà ottenere la verità come processo del passaggio
dall’uno all’altro. ! Differenza ontologica e disposizione d’animo, pp. 52-58
Non dobbiamo perdere di vista il filo conduttore della nostra indagine. Siamo
venuti a conoscenza di un elemento fondamentale ossia che il problema della
verità può essere inteso solamente come ricerca del fondamento del manifestarsi
e che ciò non deve essere inteso come strettamente oggettuale. ! 268!
Attraverso ciò siamo poi giunti alla definizione del problema del Logos: il
fondamento del manifestarsi può essere interpretato unicamente come un processo
o un atto che non è altro che unità, congiunzione, leghein come veniva definito
dai greci sulla base del significato originario del termine. La questione circa
la preminenza del Logos deve essere impostata in modo che né il manifestarsi in
sé né le sue forme, così come l’atto originario dell’unire, del congiungere,
del completare, possano essere predeterminati. Va verificato se il concetto di
svelatezza di Heidegger si celi in una tale concezione del Logos o se, come
sembra, il processo originario, per mezzo del quale l’Essere si manifesta e dal
quale deriva il problema metafisico, affondi le proprie radici
nell’irrazionale, nell’illogico, nell’immediato. Così dicendo si potrebbe
pensare che Heidegger neghi la preminenza del Logos soprattutto se in tale
contesto si richiama alla mente il suo tanto auspicato tentativo di superamento
della preminenza della logica così come le sue asserzioni circa la derivazione
del problema metafisico dalla disposizione d’animo. Per giungere alla corretta
interpretazione del pensiero di Heidegger bisogna innanzitutto chiedersi cosa
si intenda con il fenomeno della disposizione d’animo e se esso sia qualcosa di
illogico o se abbia origine in un atto, in un processo del leghein (come unità,
legame originario). Nella disposizione d’animo, nella paura si genera, secondo
Heidegger, il manifestarsi dell’Essere rispetto all’Ente. Ciascun Ente per
poter essere riconosciuto come tale e dunque nel suo Essere, deve già essere
manifesto in tale Essere. Questa svelatezza dell’Essere, secondo Heidegger, non
è che un separarsi dal nulla e ciò si compie nella disposizione d’animo. Questa
primordiale disposizione d’animo deve essere dunque intesa come momento
determinante del processo che abbiamo riconosciuto come fondamento della
svelatezza? Tale processo è fondamentalmente trascendenza, elevazione dell’Ente
a totalità che attraverso di esso giunge a palesarsi, alla svelatezza: il
dispiegarsi di questa radice originaria come processo contiene in sé già la
possibilità dell’interrogarsi, del perché: poiché la svelatezza è processuale
ed è possibile per mezzo di un Divenire, di un Essere e di un Non-Essere essa
procede per interrogativi. Così si delinea il problema seguente: su che cosa si
fondano la trascendenza, la disposizione d’animo e la possibilità del perché?
Heidegger prende come punto di partenza per affrontare questo problema !
269! innanzitutto la definizione tradizionale di verità che si orienta
alla proposizione, alla connexio tra soggetto e predicato. Questa a sua volta
rimanda al fondamento e alla ragione. Per tale motivo il problema della verità
è strettamente legato a quello della ragione. La verità della proposizione
(anche verità ontologica) non consente però la comprensione dell’Essere
dall’Ente ed essa stessa è possibile unicamente sulla base di una svelatezza
originaria, definita come verità ontica, una verità sulla base della quale
l’Identità o la Non-Identità di soggetto e predicato possono essere
riconosciute. La stessa verità ontica si fonda nell’affettività istintiva che è
legata dunque alla disposizione d’animo, nell’agire intenzionale che aspira
all’Ente; questa non può però essere mai originariamente accessibile all’Ente
se prima non c’è stata una comprensione dell’Essere dall’Ente. La verità ontologica
e la verità ontica affondano dunque le loro radici in una verità pre-ontologica
la cui natura resta ancora da definire. Heidegger sottolinea come tra la
comprensione dell’Essere pre-ontologica e l’espressa problematica
dell’afferrare la concezione di Essere vi siano diversi passaggi che possono
già fornirci un esempio di una qualsiasi precomprensione dell’Essere
originaria. Ad esempio i principi basilari delle singole scienze, come ad
esempio il fondamento del domandarsi che è proprio ad ognuna di esse, indicano
e delimitano un determinato campo come ambito di una possibile oggettivazione
attraverso la conoscenza scientifica, senza essere loro stessi oggetto di
indagine scientifica. Questo concepire, che è proprio dei principi basilari
delle singole scienze, per la prima volta apre il cammino verso l’indagine e
dal momento che esso stesso non è oggetto di indagine presuppone una
determinata precomprensione dell’essere rispetto all’Ente. Una domanda sorge
quindi spontanea: come va intesa l’originaria comprensione dell’Essere rispetto
all'Ente, che è ciò che rende possibile ogni comportamento all’Ente (e quindi
l’originaria pre-comprensione)? Questo interrogativo assume un’importanza
fondamentale dal momento che se la disposizione d’animo dipende da un modo di
riferirsi all’Ente ed è un ritrovarsi-nel mezzo-dell’Ente, allora con la
risposta all’interrogativo sull’essenza di una qualsiasi pre-comprensione, che
è ciò che consente qualsiasi comportamento all’Ente, dobbiamo necessariamente
ottenere anche lo scioglimento della questione dell’essenza della disposizione
d’animo e dunque dell’origine pre-ontologica della svelatezza rispetto
all’Ente. ! 270! Heidegger afferma che la svelatezza dell’Essere è sempre
verità dell’Essere rispetto all’Ente e che la svelatezza dall’Ente è sempre
tale del suo Essere; per questo motivo né l’Essere né l’Ente sono separabili
l’uno dall’altro in quanto l’Ente può manifestarsi tale solo grazie al
manifestarsi dell’Essere e viceversa. Questo legame intrinseco tra unità
(dell’essere) e molteplicità (dell’ente) può essere concepito solo come
processo, come atto e per questo come realizzarsi dell’unità attraverso la
congiunzione e la separazione. Tale atto inteso come fondamento della
svelatezza è la differenza ontologica, laddove essa non si determina
precedentemente o successivamente al manifestarsi di un qualsiasi atto ma bensì
nel suo compimento. Heidegger dichiara che “la così definita e necessaria
sdoppiata essenza ontico-ontologica della verità è possibile solo in unione con
l’affermarsi di tale distinzione”. Da ciò si evince innanzitutto che il
fondamento della svelatezza si presenta come atto e poi che Heidegger definisce
tale atto come Logos, come leghein in senso più ampio, poiché afferma, facendo
riferimento alla pre-comprensione originaria dell’Essere dell’Ente, che esso è
“tutto l’agire come processo illuminante della comprensione dell’Essere in
senso ampio”. Il fondamento della svelatezza, che dunque rende possibile ogni
comportamento all’Ente (verità pre-ontologica che è così fondamento della
verità ontica e ontologica e disposizione d’animo laddove essa è intesa come
ritrovarsi-nel mezzo-dell’Ente) è Logos ma non inteso in senso tradizionale
come atto del pensiero che si deve necessariamente basare su un’originaria
semplice-presenza dell’Ente; nemmeno come definizione di una verità logica che
deriva da un’indagine del pensiero come oggetto, bensì come processo del
ricongiungere e del separare, processo del distinguere come un
venire-alla-luce. Il manifestarsi di un qualcosa rispetto a qualcos’altro
affonda dunque le proprie radici in un qualsiasi atto originario. Il fondamento
della verità può essere realmente inteso come “svelatezza” e tale termine
mantiene il suo significato metafisico e logico e si contrappone a una concezione
della verità (“come equivalenza”), il cui fondamento è un qualcosa di imminente
e oggettuale. Come si pone questa concezione rispetto alla precedente
convinzione secondo cui la svelatezza dell’Essere dall’Ente trovava origine
nella disposizione d’animo e come si collega ciò alla differenza ontologica?
Abbiamo osservato come la differenza ontologica quale fondamento della
svelatezza dell’Essere ! 271! rispetto all’Ente non sia che trascendenza:
ma cosa dobbiamo intendere qui con trascendenza? Se si verifica lo svelarsi di
un qualcosa in seguito a un processo, a un atto del distinguere, tra la
differenza ontologica dell’Essere e dell’Ente, l'essenza di un qualsiasi atto
deve essere necessariamente trascendenza in quanto in esso prevale già ciò che
si svela. Per questa ragione anche una qualsiasi trascendenza è in origine
fondazione e fondamento di tutto l’apparire che non può essere considerato
separatamente da esso ma che è bensì ciò che lo rende possibile. L’atto della
differenza ontologica, che a seconda della sua essenza porta l’Ente alla
svelatezza, è svelatezza di una molteplicità (dell’ente) contenuta in un’unità,
in un mondo, in un ordine, in un cosmo. L’Esserci trascende, ovvero è
nell’essenza del suo Essere di formare il mondo. Il mondo, come sottolinea
Heidegger, non è dunque inteso come totalità degli Enti esistenti, ai quali tra
l’altro appartiene anche l’Esserci, ma bensì come la totalità degli Enti in cui
e per cui anche l’Esserci è comprensibile. Dal momento che se ciò che si
manifesta non precede o segue immediatamente un atto originario allora una
qualsiasi svelatezza non risulterà altro che quella dell’atto stesso. Ciò
permette di comprendere lo stretto legame esistente tra trascendenza e
disposizione d’animo. Trascendere ovvero Esserci in senso metafisico è così
fondamentalmente un Essere-nel-mezzo-dell’Ente e dunque trovarsi. Da ciò ne
deriva che l’Esserci stesso nella sua essenza e attraverso la totalità degli
Enti ad esso appartenenti è un Essere mediato dalla disposizione d’animo. L’Esserci
si afferma così realmente nell’Ente in questo modo, laddove si realizza il
secondo modo del fondamento. Con disposizione d’animo non va inteso qualcosa
che precede il processo originario della svelatezza e nemmeno qualcosa che
presuppone il processo e si differenzia da esso; non è nulla di immediato ma
bensì appartenente originariamente al fondamento della svelatezza come
processo. Se la svelatezza è processuale allora, come affermato in precedenza,
lo è per mezzo di un Divenire, di un Essere e di un Non-essere, e dunque ad
essa appartiene insieme alla trascendenza e la disposizione d’animo anche il
perché, terzo modo del fondamento della svelatezza così come lo definisce
Heidegger. Dunque nell'ottica di un'interpretazione della differenza ontologica
come processo o atto originario, unitario che si compie da sé ne deriva la
comprensione ! 272! della necessità dei tre modi nei quali è insito il
fondamento, e della definizione heideggeriana di verità come svelatezza. La
possibilità dell’errore e la definizione di logos come processo assoluto, pp.
110-111. L’episteme come doxa alethes. Da un’approfondita critica
dell’oggettivismo naturalistico si è approdati a una prima definizione di
leghein in cui compare l’Essere. Nella necessità di una definizione ossia di
un’affermazione generale (giudicare, pensare) si è giunti al superamento del
relativismo e attraverso di essa a una prima comparsa dell’Essere. Tuttavia ciò
non risolve né il problema teoretico del Logos né la questione interpretativa
del testo di Platone. Come dobbiamo considerare dunque nel dettaglio questo
atto inteso come pensiero, come giudizio? E come lo definisce Platone? Ma
soprattutto com’è da considerare una qualsiasi necessità? Come una ricerca di
soddisfacimento al di fuori di essa stessa? È dunque il pensiero solo una forma
esteriore per impossessarsi dell’Essere come suo contenuto e la verità il
risultato dell’equivalenza del pensiero con un Essere ad esso esteriore? Questa
è la questione che partendo da un punto di vista storico e sistematico dovrebbe
portare con la sua risoluzione ad un’ulteriore interpretazione del pensiero di
Platone. Che l’anima abbia un’originaria aspirazione all’Essere che riesce ad
appagare unicamente aspirando per essa stessa all’Essere, non definisce ancora
modi e modalità di alcun processo. Platone dimostra come un atto, un processo
del leghein, che si fonda su un qualcosa di oggettivo, non riesca a spiegare il
fenomeno dell’errore. Fondamentalmente l’errore è strettamente connesso alla
verità; poiché la necessità di affermazione del generale si rivela in modo tale
da rendere la tesi relativistica erronea. L’indagine filosofica così come
dovrebbe essere interpretato il processo, l’atto del leghein, si cela, come
vedremo, dietro il quesito se un fondamento oggettuale del leghein possa
spiegare o meno l’errore. La risposta a questo interrogativo la troviamo nel
Teeteto: il processo del leghein è completo? Ha una fondamento oggettuale?
Abbiamo visto l’Essere ergersi a leghein in una condizione di necessità:
leghein significa essenzialmente portare qualcosa alla sua unità e ciò viene a
compiersi in una condizione di necessità del pensiero e del giudizio. Si tratta
quindi di un rigetto dell’estetica e del presentarsi di un nuovo ! 273!
fondamentale processo. Considerare qualcosa per qualcos’altro sulla base del
giudizio, del pensiero è ciò che il filosofo greco distingueva dall’apparizione
immediata e che dunque deve essere oggetto dell’indagine filosofica. Questa è
la ragione per cui la doxa diventa l’oggetto per Teetèto. Ma a quali doxa, a
quale pensiero ci si riferisce qui? Abbiamo dimostrato in precedenza come la
stessa teoria relativistica sia già un pensiero, un’affermazione generale:
dunque questo nuovo fenomeno è il pensiero. Ma dal momento che non tutti i
pensieri sono veri solo per il fatto di essere tali, la doxa dunque può essere
sia falsa che veritiera. La doxa può essere identificata genericamente con il
pensiero ma non ancora necessariamente veritiero: da ciò ne deriva che il
significato generale di doxa come pensiero non è che quello di un’opinione e
non di una conoscenza motivata, non un pensiero che abbia in sé la garanzia
della verità. Da qui nasce la necessità, dopo aver dimostrato che non si tratta
di estetica o fantasia, di riconoscere una nuova definizione di episteme come
“opinione vera”. “Di’ ancora una volta cos’è la conoscenza. Dire che tutte le
doxai, le opinioni lo siano non è possibile, o Socrate, in quanto ve ne sono
anche di false. Di sicuro però l’opinione vera è conoscenza”. Il problema della
lingua e il suo significato ontologico, pp. 179-189. Legame tra ricerca del
fondamento del manifestarsi e quella del fondamento delle parole e dell’arte.
In precedenza abbiamo definito il fondamento dell’apparire di un qualcosa come
tale un atto o processo del leghein, il cui carattere resta però ancora
piuttosto generico: con esso andrebbe inteso unicamente il congiungere, il
riunire, il circoscrivere attraverso cui un qualcosa può manifestarsi come
tale. Abbiamo elaborato questa tesi in relazione alla concezione heideggeriana
della differenza ontologica intesa come atto del trascendere, origine dei tre
modi del fondare, “Logos in senso più ampio”. Alla luce di ciò abbiamo
rigettato un’interpretazione illogica del fondamento della verità facendo
riferimento alla disposizione d’animo. Quest’ultima non è da intendersi però
come un qualcosa di pre-logico che precede un qualunque processo quale
fondamento originario del rivelarsi di un qualcosa: ciò conferma anche
l’interpretazione dell’affettività. Quando abbiamo però definito la
disposizione d’animo come momento logico in senso ampio non era stato detto
ancora nulla circa ! 274! il suo rapporto con il Logos inteso come
pensiero: non sapevamo ancora come definire il fondamento del manifestarsi.
Solo attraverso l’interpretazione del pensiero di Teeteto e la discussione su
quei problemi sistematici in esso contenuti siamo giunti a un’ulteriore
definizione del Logos come necessità originaria, che si autoimpone, di
affermazione del generale e dunque del giudicare, del pensare. Il processo
dell’originario del leghein assume così un primo e determinante significato.
Diversamente da quanto si ritrova nel pensiero di Heidegger, esso non è inteso
qui come ricongiungere, radunare, riunire ossia riportare a quell’unità originaria
nella quale l’Ente può apparire come tale, in senso generale, ma bensì come un
ben determinato ricongiungere e riunire: quello del pensiero che si manifesta
nella necessità di affermazione del generale. Come abbiamo visto nel Teeteto,
nella necessità di affermazione del generale si manifesta per la prima volta
l’Essere, ciò che esiste. Il fondamento del manifestarsi è stato da noi
riconosciuto nella parola, nella lingua come un lasciar apparire metafisico di
un qualcosa attraverso il legame con la necessità di affermazione del generale.
Questa necessità originaria si manifesta in una ben determinata forma di
problematicità dell’Ente ogni qualvolta non si sa come intendere una
determinata cosa. Dell’origine di tale atto, dell’impossibilità di dedurlo dal
pensato, così come è inteso da Hegel, abbiamo già discusso nel capitolo
precedente, riassumendo a tal proposito la critica di Gentile al pensiero del
filosofo tedesco. Per quanto riguarda il pensiero di Heidegger, va sottolineato
che fino a quando non riusciremo a stabilire se egli ha assegnato all'atto
della trascendenza (intesa come “Logos in senso ampio) una determinata forma
(quella del pensiero pensante) o se ha lasciato la questione irrisolta, anche
la nostra interpretazione non potrà essere completa. Se però Heidegger nei suoi
scritti avesse in qualche modo iniziato un’implicita dissertazione sulle
diverse forme di svelatezza, senza fattivamente distinguerle, ad esempio in
“Hölderlin e l’essenza della poesia” in cui egli parla della funzione della parola
poetica nel suo carattere di manifestazione, questa non dovrebbe essere
assolutamente trascurata. Tale questione non può essere discussa se prima non
si definisce il carattere fondante della svelatezza. Ci troviamo così di fronte
ad un interrogativo rilevante: il processo originario che si manifesta nella
necessità di affermazione del generale è l’unica forma della svelatezza?
Dobbiamo attribuire al Logos, ! 275! alla parola, alla lingua unicamente
la necessità di affermazione del generale? A questo punto è necessario far
notare che in nessun caso le forme della svelatezza posso essere classificate
sulla base di ciò che appare per mezzo del pensiero pensante. Questo perché nel
momento in cui dovesse emergere una distinzione nelle forme della svelatezza
ciò dovrebbe essere presentato mostrando che oltre alla necessità di
affermazione del generale esistono altre forme del fondamento originario del
manifestarsi e dunque dell’interrogarsi, dell’aspirare all’Ente. Dobbiamo
quindi chiederci se il leghein si impone a noi solo come pensiero pensante e
dunque necessità di affermazione del generale o anche sotto altre forme: ovvero
se la parola, il Logos abbiano solo un significato “logico”. È evidente come un
tale problema si ponga solo se, come nel nostro caso, in precedenza si è
definita in maniera chiara una prima manifestazione della forma del Logos ad
esempio come necessità di affermazione del generale. Ma come possiamo
sviluppare tutti questi differenti quesiti in maniera unitaria ricollegandoli
alla precedente indagine? È necessario chiarire tutte le questioni che si
presentano anche attraverso la presa di posizione di Heidegger chiedendoci se
il Logos come necessità di affermazione del generale costituisca l’essenza
delle parole o se esso si manifesti anche sotto altre forme. Per determinare
l’essenza delle parole dovremmo innanzitutto capire se nel discutere di ciò
Heidegger fosse consapevole del problema; in questo modo potremo determinare
definitivamente la nostra interpretazione del pensiero di Heidegger e la nostra
posizione in merito. Successivamente andremo a verificare le tesi proposte
nella Fenomenologia di Hegel, che si celano in maniera particolare dietro gli
assunti del Teeteto, per discutere del legame tra il problema della parola e il
problema dell’arte. Va notato come la questione se la parola abbia o meno
solamente un significato logico è l’essenza della seconda corrente critica di
Hegel in Italia la quale lega strettamente tale questione con l’interrogativo
se la parola ad esempio in poesia non abbia una propria forma del manifestarsi
dell’Ente. Nella discussione e nel tentativo di risolvere la questione, nella
contrapposizione al pensiero di Hegel, si ritorna di nuovo in Italia al piano
ontologico. Questo dal momento che se la parola, la poesia e dunque l’arte
hanno un proprio manifestarsi dell’Ente rispetto alla parola così come per la
filosofia quale necessità di affermazione del generale ciò ha un doppio !
276! significato: innanzitutto che tra l’arte come forma del manifestarsi
dell’Ente e la filosofia, contrariamente a quanto afferma Hegel, non vi è
alcuna relazione dialettica. Su questa scia la filosofia italiana si oppone
alla caratteristica tesi heideggeriana sulla morte dell’arte nell’era della
filosofia in quanto tale tesi sarebbe espressione della relazione dialettica
tra arte e filosofia laddove l’arte appare come un momento che va scomparendo e
che si conserva nella filosofia. La seconda cosa che emerge è che questo
quesito non è una domanda di estetica ma bensì una metafisica, ontologica in
quanto essa rappresenta il rifiuto della concezione dialettica del fondamento
del manifestarsi dell’Ente: dunque un quesito molto importante. Il problema
ontologico della lingua in Heidegger. Sulla base di una precisa interpretazione
dello scritto heideggeriano “Hölderlin e l’essenza della poesia” andremo a
discutere dell’imporsi del problema della forma del manifestarsi. La domanda se
il Logos come parola, come lingua debba essere inteso solo come unione così
com’è nel pensiero, si pone in questo scritto congiuntamente al problema del
fondamento del manifestarsi dall’Ente. Heidegger afferma: “La lingua per prima
accoglie la possibilità di trovarsi nel mezzo della manifestazione dall’Ente”;
“Solo dove vi è lingua vi è mondo”. Poi ancora aggiunge: “La lingua ha il
compito di permettere all’Ente di manifestarsi come tale nell’opera e di
custodirlo”. Come dobbiamo intendere ciò? Alla parola deve essere attribuita
unicamente la determinazione dell’espressione del generale? Già nello scritto
“Dell’Essenza del fondamento” Heidegger aveva identificato il manifestarsi
dell’Ente come differenza ontologica e dunque trascendenza. È dunque la
differenza ontologica essenzialmente parola e l’essenza della parola
nient’altro che il manifestarsi della verità? Se la parola, la lingua, così
come inteso da Heidegger, sono strettamente legate alla poesia, dobbiamo dunque
ritenere che l'essenza della poesia sia solo verità? E di che verità si tratta?
Quella “logica”? Appare evidente che solo sollevando queste questioni nello
sviluppo del nostro problema nel tentativo di definire il Logos potremmo
prendere una posizione rispetto a quanto asserito da Heidegger. Per questo è
innanzitutto necessario capire se l'intera questione della lingua è stata
spostata da Heidegger su un piano ontologico. Considereremo il suo scritto
proprio da questo punto ! 277! di vista. Dal momento che la discussione
heideggeriana sull’essenza della poesia si sviluppa come interpretazione di un
poeta, in un primo momento la questione appare essere considerata da un punto
di vista che è al di fuori da qualsiasi piano metafisico e ontologico. Che
l’ambito non sia estetico o storico-letterario ma principalmente metafisico si
evince però dalla scelta dei versi di Hölderlin che Heidegger pone alla base della
sua interpretazione. Le posizioni di Hölderlin a cui Heidegger fa riferimento
considerano l’essenza della lingua in congiunzione con l’essenza dell’uomo.
Nella sua interpretazione Heidegger afferma che l’uomo nella sua essenza “è
colui il quale deve dimostrare ciò che è. Con questa affermazione non si vuole
qui intendere un’espressione supplementare e a sé stante di umanità ma bensì la
determinazione dell’Esserci dell'uomo”. Cosa deve testimoniare l’uomo? “La sua
appartenenza alla terra”. Anche questa asserzione risulta difficile da
comprendere in quanto nella nostra comune concezione di uomo la sua
appartenenza alla terra è l’unica cosa che non deve essere dimostrata dal
momento che non dipende dall’uomo stesso. Appare dunque inspiegabile come essa
possa essere considerata un suo compito, un’attività da compiere che si impone
costantemente all’uomo, e come essa si leghi alla questione della parola. Da
ciò si evince però un punto fondamentale: se per Heidegger l’uomo è tale solo
in quanto lo testimonia, ciò significa che la sua essenza non si manifesta
nella semplice-presenza ma bensì in un atto da compiere e realizzarsi. Tale
atto viene definito da Hördelin come testimonianza “dell’intimità” con la
terra. Secondo Heidegger con il termine di Hörderlin “intimità” è da intendersi
ciò che pone in conflitto e allo stesso tempo riunisce le cose. La
“testimonianza dell’appartenenza a tale intimità avviene attraverso la
creazione di un mondo [...] la testimonianza dell’essere uomo e dunque il suo
compimento avviene attraverso la libertà della decisione. Questa coglie il
necessario e si lega ad un ordine superiore”. Come dobbiamo però intendere
l’asserzione secondo la quale l’uomo crea il mondo e in che modo questa
creazione ha a che fare con la poesia, la parola e la sua essenza? Heidegger
afferma che “l’essenza dell’uomo, il suo vissuto è comprensibile solo come
storia e che la storia è possibile solo attraverso la parola.” In ciò
ritroviamo una possibile interpretazione della concezione heideggeriana di una
qualsiasi creazione del mondo in cui vi sia l’essenza dell’uomo (creare che si
lega alla parola). Il ! 278! mondo che appartiene all’uomo è solo il
mondo della parola dal momento che effettivamente si evince che l’uomo si
appropria della realtà esistente così come percepita considerandola il proprio
mondo solo attraverso il “denominarlo”: solo il “mondo denominato” è il suo
mondo, il suo cosmo. Questa appropriazione rappresenta la storia del formarsi
dell’uomo. Interpretare in questa maniera il pensiero di Heidegger sarebbe
sbagliato in quanto come egli stesso afferma che la lingua non ha il compito di
denominare qualcosa che è già esistente per creare un mondo supplementare del
significato, ma bensì è nella parola stessa che si rivela per la prima volta
l’Ente e lo fa solo nella parola. “La lingua non è solo uno strumento che
l’uomo possiede insieme a tanti altri ma bensì la lingua concede innanzitutto
la possibilità di stare nel mezzo del manifestarsi dall’Ente. Solo dove c’è
lingua può esserci mondo”. “La lingua ha il compito di permettere all’Ente di
manifestarsi nell’opera e di conservarlo tale”. In questo modo la parola
acquisisce un nuovo e determinato significato: essa non è più la parola
pronunciata, il mondo che esprime la fonetica e che ha molte altre possibilità
di espressione ma bensì parola significa qui prima manifestazione dell’Ente:
parola, Logos come fantasia, come apparizione nel senso più originario del
termine. Heidegger aggiunge poi: “La poesia è fondazione attraverso la parola e
nella parola”. Ma cosa significa qui fondazione? Se provassimo a tradurlo in
termini filosofici (termini legati a una determinata problematica
teoretico-conoscitiva e proprio per questo qui evitati da Heidegger)
significherebbe qualcosa che non presuppone l’esperienza, la percezione e che
non può essere dedotta da essa a posteriori ma bensì a priori. Attraverso il
denominare dei poeti “l’Ente viene per la prima volta chiamato e conosciuto
come tale [...] ma dato che l’Essere così come l’essenza delle cose non può
essere mai né determinato né dedotto dal presente, essi devono essere creati
liberamente, fissati e donati. Tale libera donazione è fondazione”. Da ciò si
evince che se la poesia fonda l’originaria manifestazione dell’Ente in essa
l’uomo raggiunge il proprio fondamento. Così come afferma Heidegger: “Il dire
dei poeti è fondazione non solo intesa come libera donazione ma bensì anche
come solida istituzione dell’Esserci umano sul suo fondamento”. La definitiva
determinazione dell’essenza della poesia è da intendersi come ciò che si
realizza nella parola, nella lingua nel discorrere, nel parlare,
nell’ascoltarsi e nel comprendersi: il discorrere è possibile però solo !
279! sulla base di un qualcosa di condiviso, attraverso il quale possiamo
comprenderci poiché altrimenti ognuno resterebbe bloccato nella propria lingua,
nel proprio mondo. Ogni parola fondamentale manifesta, come afferma Heidegger,
l’uno e lo stesso, qualcosa di duraturo ed esistente e dunque sempre presente.
In questo modo però la lingua si manifesta solo nell’ambito del tempo. Se però
solo in poesia la manifestazione dell’Ente si realizza originariamente nella
parola per poter definire l’intera problematica dell’essenza della poesia è
necessario sottolineare che non è quest’ultima che deve essere separata dalla
parola, dalla lingua ma bensì al contrario l'essenza della lingua, della
parola, dalla poesia: solo così la poesia ottiene il suo primo centrale
significato ontologico. Le nostre riflessioni ci portano a riconoscere quanto
segue: la parola, la lingua, la poesia mantengono negli scritti di Heidegger
una determinazione ontologica ma tuttavia non vi ritroviamo in essi né una
definizione della caratteristica della poesia né argomentazioni in merito al
fatto che ad essa spetti o meno una manifestazione particolare. La differenza
ontologica in sé è valida per qualsiasi manifestarsi: non vi è però discussione
in Heidegger su un problema determinante ovvero se e come ad esempio il
manifestarsi nella sua forma logica e dunque nella necessità di affermazione
del generale così come nel Teeteto, si differenzi dalla forma poetica del
manifestarsi. Ciò è tuttavia di fondamentale importanza quando si parla di
essenza della poesia così come fa Heidegger nel suo sopracitato scritto. Solo
attraverso la risposta a questa domanda la poesia potrà acquisire una propria
forma e necessità e dunque una propria definizione. Ciò appare evidente nel
momento in cui confrontiamo le due opere “Dell’Essenza del fondamento” e
“Hölderlin e l’essenza della poesia”. Nella prima si tratta essenzialmente
della definizione di fondamento della verità ontologica (del Logos), laddove la
differenza ontologica viene intesa come Logos in senso ampio. Heidegger afferma
che la svelatezza dell’Essere “è sempre verità dell’Essere rispetto all’Ente e
che la svelatezza dell’Ente e sempre in un certo senso anche quella
dell’Essere” (“Dell’Essenza del fondamento” pag. 78), per cui il fondamento
della svelatezza si trova nell'atto come differenza ontologica laddove esso è
tutto l’agire come processo illuminante della comprensione dell’Essere, del
Logos in senso ampio” (pag.77). Questo svelamento si realizza solo per via di
tale originario atto del distinguere, così che la ! 280! sua essenza sia
trascendenza e fondazione (pag. 102) e dunque fondamento di tutto l’apparire
che non può essere dedotto da esso ma che bensì lo rende possibile (pag. 81).
In questo modo, come abbiamo già fatto notare in precedenza, resta però aperta
la questione relativa all’ultimo significato di un qualsiasi atto. Per questo
motivo nella nostra indagine abbiamo anche sciolto la questione heideggeriana
giungendo autonomamente a una definizione il più veritiera possibile di un
qualunque processo sulla base del pensiero di Teeteto. Nella sua ricerca sulla
poesia Heidegger attribuisce dunque alle parole la manifestazione dell’Essere.
Ci è consentito quindi riferirci a questa identità delle definizioni che egli
attribuisce alla parola così come accade in poesia e nella differenza
ontologica. Egli afferma che la lingua “innanzitutto consente la possibilità di
trovarsi nel mezzo della manifestazione dell’Ente” (pag.7) e che la poesia “è
fondazione attraverso la parola e nella parola” (“Hölderlin e l'essenza della
poesia” pag. 8-10). Così come per la differenza ontologica (origine dei tre modi
del fondamento) anche per la poesia si afferma qui che “essa è nella sua
essenza fondazione e dunque istituzione determinata” (pag.14). Heidegger
afferma ancora che: “Solo dove vi è lingua vi è mondo” (pag.7) e ciò è
possibile attraverso la parola, attraverso il denominare l’Ente come “Ente così
conosciuto” (pag. 11). Se dunque la differenza ontologica nella sua essenza è
comprensione illuminante dell’Essere (“Dell’Essenza del fondamento”, pag.77),
fondazione “di un qualunque Ente il quale è svelato all’Esserci e dunque
possibile” (pag.81), e se in conclusione l’atto della differenza ontologica (il
quale svela la sua essenza nell’Ente) “ è nella sua essenza creatore di mondo”
(pag.98) qual è la differenza tra fondazione, mondo, manifestazione dell'Ente (che
è proprio della differenza ontologica come fondamento della verità ontologica
nella sua generica concezione esistenziale) e poesia come determinato modo di
esistere e di manifestarsi? Non vi è forse alcuna differenza? Fin qui siamo
stati autorizzati nella determinazione della verità ontologica a limitarci alla
definizione di Logos in senso ampio. Ora appare però necessario per poter
attribuire alla poesia un significato ontologico trarre la sua definizione da
quella verità ontologica generale lasciata irrisolta da Heidegger: solo allora
potrà essere chiarito anche il significato di fondazione, mondo, istituzione,
manifestazione. Tale problema relativo alle forme della realtà si è manifestato
nel corso della nostra ! 281! indagine laddove siamo stati costretti a
decidere se attribuire o meno alla parola solo il significato dell’asserzione
generale o anche altri. Gli equivoci che sono venuti fuori nell’interpretazione
dei concetti heideggeriano di affettività, disposizione d’animo,
Essere-nel-mondo e così via sono dovuti in parte al fatto che la determinazione
della realtà come svelatezza non deriva da una considerazione generale
antioggettivistica del fondamento del manifestarsi. Non troviamo in Heidegger
il problema delle diverse forme della svelatezza nonostante il fatto che egli
discuta dell’essenza della poesia. Questo problema sorge solo nel momento in
cui si attribuisce alla svelatezza una determinata forma poiché solo in quel
momento ci si chiede se questa è l’unica o se ve siano di altre. Già con la
definizione di verità come processo del leghein che nell’asserzione del
generale si impone come pensiero pensante, si realizza il presupposto per
sollevare la questione circa le forme. Con questa affermazione non ci vogliamo
porre in maniera critica nei confronti del pensiero di Heidegger ma solo
sottolineare la necessità che la discussione nelle sue affermazioni tenga conto
anche di tali questioni. Il problema delle forme del Logos, pp. 204-209. Sulla
scia del pensiero filosofico italiano, che prende le mosse da De Sanctis, come
si evince anche in Heidegger, abbiamo attribuito alla parola un significato
essenzialmente metafisico ovvero come manifestazione dell’Ente. Non dobbiamo
però dimenticare che già nel pensiero filosofico italiano contemporaneo, che si
oppone alla visione di Croce, Gentile nega l’esistenza di diverse forme del
manifestarsi poiché ne riconosce una sola: quella del pensiero pensante. Egli
afferma che tutto ciò che può essere definito, differenziato, circoscritto
attraverso l’atto del pensiero, a cui egli attribuisce un significato
ontologico originario, dunque appare. Se ammettessimo diverse forme del
manifestarsi senza riconoscerne la loro unità d’appartenenza ci ritroveremmo
con un insieme di forme diverse considerabili unicamente da un punto di vista
empiristico. Una differenziazione è possibile solo sulla base di un atto
originario nel quale e per mezzo del quale la distinzione appaia come atto del
pensiero. Dimostrazione di ciò è che ad esempio il processo nel quale l’Ente si
rivela all’artista coincide con quello dell’esistere dal momento che per egli
la realtà è ciò che gli si manifesta. Unicamente nel ! 282! momento in
cui egli esce dalla sfera artistica e fa di un qualsiasi mondo l’oggetto del
giudizio solo allora la realtà gli apparirà come un qualcosa di ottenuto, di
soggettivo, come arte e non realtà. “Questa stessa irrealtà e idealità
(dell’arte) diviene realtà viva e presente se la si considera così come la
fantasia la proietta...questa è dunque la realtà che vaga nella fantasia
dell’artista, la realtà assoluta che non può essere separata da quella a cui si
fa riferimento nella vita pratica. Per cui tale è per l’artista, fin tanto che
si tratta di un artista, la vita stessa”. Secondo Gentile l’arte si cela dietro
il sentimento, il soggettivo, è un momento ideale che si ripropone sempre del
pensiero pensante. Non possiamo però approfondire la questione.
L’argomentazione principale con la quale Gentile nega l’esistenza di diverse
forme del manifestarsi è che esse possono essere determinate solo attraverso un
atto che le riunisca: il pensiero pensante. Gentile giunge a tale conclusione
opponendosi al pensiero di Hegel. È innegabile che ogni distinzione sia
possibile unicamente sulla base di un atto nel quale la molteplicità appaia come
una e ben determinata. Va sottolineato che questa conclusione è anche il senso
fondamentale dell’assunto heideggeriano secondo cui il processo del
manifestarsi affonda le sue radici nell’atto, nella differenza ontologica la
cui forma non può essere predeterminata. Allo stesso modo abbiamo poi ritrovato
queste concezioni nella filosofia antica che per prima ha sollevato la
questione metafisica analizzando nel dettaglio il pensiero di Teeteto. Il
problema dell’Essere dell’Ente si ricollegava allora espressamente a quello
dell’unità e della molteplicità. È stato dimostrato che se si considera l’unità
separatamente dalla molteplicità non sarà possibile spiegare l’affermarsi, il
rivelarsi della molteplicità. Abbiamo chiarito che l’unità, come fondamento dell’apparire,
è un processo che si compie da sé, un atto che nel momento in cui è ben
circoscritto non ammette l’errore. Il fondamento della svelatezza (ciò che
Heidegger definisce differenza ontologica) affonda le sue radici, così come
abbiamo visto nel Teeteto, nella necessità di affermazione del generale.
Laddove la svelatezza dell’Essere viene intesa come conoscenza e questa
conoscenza come pensiero vero dante fondazione. Alla verità dell’Essere, così
come Platone la identifica con il Logos, appartiene essenzialmente la
svelatezza del proprio fondamento. Questa avviene nella trascendenza
filosofica, nella conoscenza dell'essere come conoscenza del proprio
fondamento: ! 283! l’ineluttabile necessità di affermazione del generale.
Da questo generale e dalla conoscenza che ne deriva non è stata ancora mai
creata poesia. Nella conoscenza del fondamento c’è l’essenza dell’atto
filosofico. Questa conoscenza riguarda anche la creazione dell’arte ma da essa
non deriva alcun tipo di arte: questa conoscenza del fondamento non appartiene
all’arte in quanto tale tantomeno si riscontra in essa un inizio di ciò. Questa
necessità, che ci costringe alla conoscenza del fondamento e quindi alla
conoscenza come asserzione generale, è fondamentalmente un qualcosa di diverso
da una qualsiasi necessità che spinge l’artista alla creazione della sua opera.
Con l’affermazione di Gentile secondo cui qualsiasi differenziazione si fonda
nell’atto del pensiero non si va ancora a toccare il nocciolo della questione
che ci riguarda. Il problema delle diverse forme del manifestarsi può essere
sollevato o negato solo se non ci si limita a considerare ogni distinzione come
atto del pensiero: se ogni differenziazione si realizza per mezzo di un atto,
il quale per via della sua origine non può essere né dedotto né motivato (dal
momento che esso stesso è il presupposto di ogni motivazione, domanda o
risposta), allora dobbiamo chiederci se la necessità nella quale si manifesta
l’Essere logico come aspirazione all’affermazione del generale è la stessa
necessità per la quale ad esempio si compie la differenziazione poetica. Ogni
atto come fondamento del manifestarsi di qualcosa è necessariamente fondazione,
trascendenza e dunque possibilità di apparire di una molteplicità, di una
differenziazione che non presuppone l’atto; attraverso ogni atto ci troviamo in
una molteplicità ordinata, in un mondo (Essere-nel-mondo); in ogni atto c’è la
manifestazione di un qualcosa nella forma dell’aspirare, del domandarsi. Si
ottiene dunque attraverso il dubbio, dalla necessità di affermazione del
generale una differenziazione poetica? Si raggiunge il suo mondo? Il poeta “si
trova” in un mondo delle differenze e delle determinazioni che è identico a
quel mondo che deriva dal pensiero? Abbiamo definito l’Essere che si manifesta
nel pensiero pensante essenzialmente come necessità di affermazione del
generale. Da ciò possiamo dedurre che la questione circa la molteplicità delle
forme del manifestarsi non può essere sollevata o risolta se si afferma che
ogni differenziazione non è altro che la realizzazione di un atto del pensiero
ma bensì solo domandandosi se la differenziazione poetica, la determinazione
siano da ricondurre alla necessità di affermazione del generale. Rispetto a che
cosa ! 284! misura il poeta la parola, l'espressione? Non da qualcosa che
è all’esterno altrimenti come sarebbe possibile farlo da un oggetto? Ma bensì
da ciò che in esso si manifesta. Da ciò che è in sé confrontare, scegliere,
differenziare, decidere ed è possibile solo sulla base di una necessità,
attraverso la quale il poeta capisce se l’espressione è adeguata o meno. Solo
ciò che è necessario, fisso ed esistente può essere misurato. Questa necessità
che si cela nell’oggetto poetico si manifesta nell’immediatezza
dell’originario, del primo che per questo deve essere sempre qualcosa di
istantaneo e per questo essa si rivela in un attimo presente e unico. Solo
grazie all’attimo, al presente il poeta vede ciò che è già e ciò che ancora non
è. Nell’attimo si schiude la temporalità che è sempre temporalità di un
determinato manifestarsi. Per tale motivo il processo poetico e il suo
paragonare “interiore” per poter trovare l’adeguato vocabolo poetico non deve
essere considerato come “interiorità” psicologica e romantica ma bensì come
qualcosa in cui si realizza una determinata forma di manifestazione nella quale
all’arte, al bello spetta un significato ontologico. Anche l’uomo pensante non
misura la verità delle proprie definizioni da qualcosa che si trova al di fuori
della necessità di affermazione del generale dato che l’Essere logico è e
appare solo in una qualsiasi necessità. Il pensiero vero è solamente quello che
riesce a resistere a qualsiasi necessità e mai fugge da essa poiché ricorre a
una determinazione che in sé non può giustificarla. In ciò consiste il profondo
carattere etico che ogni verità possiede. Già il riconoscere di non sapere è
una risposta all’originaria necessità. Allo stesso modo in cui l'uomo pensante
guarda solo a una qualsiasi necessità che possa fargli riconoscere la verità della
propria determinazione, verità che si cela con la forza attraverso la quale la
necessità si manifesta, così il poeta paragona e sceglie la parola poetica non
paragonandola all’Ente esteriore ma bensì alla necessità che si manifesta in
esso: questo non è però mai un momento di conoscenza del fondamento. Solo
rispondendo alla domanda che ci siamo posti sulle forme della necessità, sulla
base della quale può essere distinta una molteplicità, si evince,
contrariamente a quanto affermato da Heidegger, che i tre modi del fondamento
che egli ha indicato come motivo del manifestarsi, fondazione (trascendenza),
Essere-nel-mondo (affettività) e possibilità del perché, solo in questo
contesto possano essere definiti chiaramente. È importante precisare che
attraverso il carattere originario e ! 285! immediato della necessità
dell’Essere dall’Ente, il problema delle forme dell’Essere si cela dietro
quello dei diversi attimi per l’ambiguità della parola tedesca Augenblick che
può essere intesa sia come visione e dunque manifestazione dell’Ente sia come
espressione temporale di attimo, momento. Infatti l’Essere oggetto della nostra
indagine che nel dubbio si manifesta originariamente come necessità di
espressione del generale ci offre una ben determinata visione di svariati Enti.
Questa molteplicità in quanto tale è solamente un momento del compiersi di una
qualsiasi necessità. Da ciò si evince anche un ben determinato arco temporale:
poiché sulla base dell'imporsi di una qualunque necessità si manifesta un
determinato “prima” e “dopo”, una visuale di ciò che vediamo “già” e di ciò che
non vediamo “ancora”, un passato e un futuro. Saggi: “Il problema della
metafisica platonica” (Bari, Laterza); “Dell’apparire e dell’essere”; “Linee
della filosofia” (Firenze, Nuova Italia);“Viaggiare ed errare -- un confronto”
(Napoli, Sole);“Arte e Mito” (Napoli, Sole);“Arte come anti-arte. – il bello
nell’eta antica” (Torino, Paravia); “Potenza dell’immagine – ri-valutazione
della retorica, Milano, Guerini);“Potenza della fantasia” – “Per una storia del
pensiero occidentale, Napoli, Guida, “Retorica come filosofia. La tradizione
umanistica, Napoli, Sole, Heidegger e il problema dell’Umanesimo, Napoli,
Guida, Umanesimo e retorica. Il problema della follia, Modena, Mucchi, La
filosofia dell’umanesimo. un problema epocale, Napoli, Tempi Moderni, La
preminenza della parola metaforica. Heidegger, Meister Eckhart, Novalis,
Modena, Mucchi, La metafora inaudita, a cura di M. Marassi, Palermo,
Aesthetica, Vico e l’umanesimo, Milano, Guerini, Filosofare noetico, non
metafisico. L’Alcesti e il Don Chisciotte” (Lecce, Congedo, “Il dramma della
metafora. Euripide, Eschilo, Sofocle, Ovidio, Roma, L’officina tipografica, A
proposito di un Cinquantenario, in «Rassegna Nazionale», Roma; Germania, in
«Rassegna Nazionale», Roma, I giovani e il Partito Popolare Italiano, in
«Rassegna Nazionale», Roma, Il Tragico,
in «Rassegna Nazionale», Roma Scolastica e storia. A proposito di due articoli
di Saitta, in «Rassegna Nazionale», Roma Machiavelli e lo stato, in «Rassegna
nazionale», Roma La dialettica dell’amore. Il dolore di Tristano, in «Rassegna
Nazionale», Roma La filosofia dell’azione «Rivista di filosofia», Milano
Empirismo e naturalismo «Rivista di filosofia», Milano Sviluppo della fenomenologia
«Rivista di filosofia», Milano Metafisica immanente «Giornale critico della filosofia italiana»,
Milano L’equilibrio come ideale di vita «Rivista di filosofia», Milano Platonismo
«Rivista di filosofia», Milano La filosofia in eta antica in «Rivista di
filosofia», Milano La reminiscenza «Giornale critico della filosofia italiana»,
Firenze “Paideia ed umanesimo”, in «Sophia», Napoli L’eterno ritorno «Sophia»,
Napoli Logo, in «Archivio di filosofia», Roma La nulla «Giornale critico della
filosofia italiana», Firenze La tradizione speculativa in «Giornale critico
della filosofia italiana», Firenze Esistenzialismo e marxismo, in Atti del
Congresso di Filosofia (Roma), Il
materialismo storico, a cura di E. Castelli, Milano, Castellani Illusione,
natura e critica del mondo intellettuale moderno, in Tradizioni della poesia
italiana contemporanea, a cura di R. Copioli, Roma, Theoria, La filosofia nella
tradizione umanistica, in Actas del primer Congreso Nacional de Filosofia, I, a
cura di L. J. Guerrero, Mendoza-Buenos Aires.Il concetto di “realismo
politico”, in Actas del primer Congreso Nacional de Filosofia, III, a cura di
L. J. Guerrero, Mendoza-Buenos Aires, Il fondamento esistenziale
dell’Umanesimo, in «Archivio di filosofia», Umanesimo e Machiavellismo, Padova
Il tempo umano. L’umanesimo contro la “techne”, in Umanesimo e scienza
politica. Atti del Congresso Internazionale di Studi Umanistici (Roma-Firenze),
a cura di E. Castelli, Milano Esperienza europea nell’ambito sud-americano. Il
problema di un filosofare sud-americano, «Archivio di filosofia», Filosofia e
Psicopatologia, Milano L’uomo e l’esperienza dell’oggettività, in «Archivio di
Filosofia», Il compito della metafisica, Milano Apocalisse e storia, in
«Archivio di filosofia», Apocalisse e Insecuritas, Padova L’esperienza
dell’assenza del mondo, in «Aut-Aut» Mito e arte, in «Rivista di filosofia»,
Torino, Assenza di mondo, in «Archivio di filosofia», La diaristica filosofica,
Roma Significare arcaico (Fede e ragione), in «Archivio di filosofia», Mito e
Fede, Roma Filosofia critica o filosofia topica? Il dualismo di pathos e
ragione, in «Archivio di filosofia», Campanella e Vico, Padova Il nome di Dio:
un problema filosofico o teologico? La morte di Dio «Archivio di filosofia», L’analisi
del linguaggio teologico. Il nome di Dio, Padova L’infallibilità. L’aspetto
filosofico e teologico, Padova La mania ingenosa. Il significato filosofico del
manierismo, in L’umanesimo e “La Follia”, a cura di E. Castelli, Roma, Abete
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in «Il Verri», Bologna, Idealismo, marxismo e umanesimo, in «La Cultura»,
Marxismo, umanesimo e il problema della fantasia nelle opere di Vico, in Vico e
l’umanesimo, Milano, Guerini Premessa a P. Polito, Lamartine a Napoli e nelle
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l’umanesimo, Milano, Guerini Il terrore della secolarizzazione. La metafora
vuota, in «Archivio di filosofia», Ermetica della secolarizzazione, Padova Una
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L’umanesimo italiano e la tesi di Heidegger della fine della filosofia, in Vico
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The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756306250/in/dateposted-public/
Grice e
Grassi – dove fiorisce il limone – filosofia italiana – la giovinezza e il fascismo
– parole ai giovane – al senato -- filosofia
fascista – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Mascali).
Filosofo. Grice: “I like Grassi; he
wrote on Faust!” Inizia gli studi ginnasiali presso il seminario di Acireale
fino alla terza ginnasiale, proseguendoli poi a Catania, presso il liceo
"Nicola Spedalieri". Assiduo
frequentatore della sala di lettura dell'Catania, conobbe Rapisardi, cui lo
legò una profonda stima ed affinità. Si
laurea a Napoli con “La memoria delle immagini acustica e visiva della parola in
rapporto specialmente al tempo di "fissazione", suggeritagli da
Bianchi (Rivista di Freniatria). Si trasferì a Messina dove divenne assistente
di Weiss. Comincia a provare le prime grosse delusioni per l'inconciliabile
contrasto fra le esigenze pratiche della professione, che rischiavano di
piegarlo a umilianti compromessi, e le alte aspirazioni della sua anima. Muta bruscamente indirizzo, iscrivendosi alla
facoltà di scienze naturali, conseguendo così la laurea con Mingazzini
sostenendo una tesi intorno ai pesci di Ganzirri e Faro, che poi fu pubblicata
su una rivista veneziana. Mingazzini, chiamato a Bologna, era felice di averlo
come assistente. Il suo spirito inquieto cerca altre vie ed altri sbocchi, e
così intraprese a frequentare le lezioni che si tenevano nella facoltà di
filosofia a Catania, nel Palazzo Grassi, a Via Firenze. Prrofondamente
influenzato dalle precedenti frequentazioni messinesi dove campeggiavano figure
come Pascoli, col quale strinse amicizia, Cesca, Barbi, Mancini, Ardigò, Dandolo
e Salvemini. Si laurea in filosofia presso l'ateneo catanese, con “L'unità dei
fatti psichici fondamentali” (Muglia, Muggia, Messina). Insegna a Caltagirone e
Catania. Inizia un'intensa attività che vide tra i suoi maggiori corrispondenti
Gentile eSturzocon i quali intrattenne un copioso carteggio oltre al letterato
Villaroel, Farinelli, Varisco, Majelli, Carabellese e Fassò. Fonda Prisma a cui collabora, tra gli altri,
anche M. Sgalambro. Altre saggi: “Preludi
a un commento alla vita del Faust” (Catania, Studio Moderno); “Commento alla
vita di Faust” (Torino, Bocca); “Preludi storico-attualistici alla Critica della
ragion pratica” (Catania, Crisafulli); “Medico mancato” (Catania, Legione);
“L’assoluto”, Roma, Enciclopedia Treccani); “L’assoluto” Roma, Enciclopedia De
Carlo. “Giornale critico della filosofia italiana” “Logica e metafisica”,
“Goethe in Italia”, “La musica e le idee” – “Esegesi del Fausto” “tramonto di
Occidente”; “REminiscenze e visione paesane”;
“La giovinezza e il fascismo – parole ai giovani” (Senato). “Mazzini”; “Il faust e il tramonto dell’occidente o di
una nuova corrente esegetica del Fuasto in Germania”; “Goethe in Italia”; Membro
della Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici. Un filosofo
dall'anima di poeta, Teoresi Rivista di cultura Filosofica. Da Herbart in poi
la psicologi concepisce una unità al fondo di tutte le manifestazioni della vita
psichica; ma visono tre modi principali di concepirla: l'intellettualismo
(rappresentato specialmente perl'appunto da Herbart), il sentimentalismo
(Horwicz,Regalia), e il volontarismo (Schopenhauer, Wundt, Fouillée ecc.).
Questo terzo, è pare, all'ultima moda. Lo vediamo informare anche il
neo-idealismo, che non si accorge di restringere ancora più la intui rione dal
mondo in un piccolo cerchio antropomorfico. Il Grassi esamina le teorie
metafisiche dello spirito e le critica tutte e tre, con Egli conclude per il
monismo psicologico: ossia contrariamente ai riduttori favorevoli all'uno o
all'altro elemento fra i tre fondamentali, si pronuncia per una unità
primordiale di tutta la psiche, la quale unità consta ad un tempo di
rappresentazioni, di sentimenti e di tendenze integrate in maniera
indissolubile, ma capaci di assumere per evoluzione sempre più chiarezza e
sempre più distinzione.Cosi Grassi si connette a due psicologi italiani
insegnanti nello stesso Ateneo Patavino , ma purtanto dissimili: Bonatelli e Ardigò,
due valori anche disugualmente conosciuti e apprezzati in Italia.
Un'osservazione critica. Grassi inserisce molte citazioni originali in tedesco,
il che (oltre a dar luogo a gravi errori di stampa) induce fatica inutile
nell'animo del lettore. Non si è obbligati, tutti, di sapere il tedesco,
massime quello dei filosofi e metafisici. Il Trieb, il Drang, il Lust, l’Unlust,
il Selbsterhaltung, e simili parolear restano penosa mente. È upa ostentazione
di coltura erudita che a scapito della intelligibilità della lettura. Qualche
insolente potrebbe supporre che l'autore, messo di fronte ai testi, imbarazzato
di tradurre in verbo e nerbo italiani i pensieri, si levi d'impiccio col
cominciare periodi e frasi in italiano e col finirle in tedesco. No : si citi
pure l'originale, ma in nota e nel testo si metta l'equivalente italiano: la
chiarezza non deve essere uccisa dalla pedantesca precisione.
RENDAA.,Ladissociazionepsicologica. Torino,F.lliBocca,1905. La
dissociazione,dice l'Autore, è un processo normale dell'attività mentale:questa
non soltanto associa,ma pur dissocia,poichè «distin gabile competenza una
inne non si può dire per ciò che faccia fica italiana;tutt'altro!L'argomento ,
ma molto utile filoso è di cosi alta portata che riesce in materia ; egli era
stato preceduto dal Faggi opera inutile nella letteratura guardarlo da varie
parti e con occhi differenti. E poi , oltre ai tre indirizzi principali, il
Grassi parla anche di alcuni scrittori darii,fra cui Ward,Ebbinghaus secon
giovane , Brentano, Lipps, Masci ecc. Questo scrittore ha coltura estesa anche
nel campo biologico possiamo garantire che darà altri frutii, e succosi e
forti, al ,e noi pari del presente volume. Va Uu op.in-8.°,di pag.200.
598 RASSEGNA DI FILOS. “Goethe in Italia” L'opera fu scritta in tre
momenti successivi: l'Urfaust, scritto tra il 1773 e il 1775, influenzato
dalle rappresentazioni del Faust di Christopher Marlowe a cui il giovane Goethe
aveva assistito sotto forma di teatro delle marionette (vedi Dottor Faustper il
personaggio storico). L'Urfaust appartiene culturalmente alla corrente
letteraria tedesca dello Sturm und Drang e venne pubblicato, con alcune
aggiunte, nel 1790 sotto il nome di "Faust. Ein Fragment". Più tardi
(1808) pubblicò un ulteriore seguito, che già ricade nella corrente letteraria
del classicismo, "Faust. Erster Teil" (Faust. Prima parte): viene
aggiunto il Prologo in cielo e sono apportate modifiche significative
all'Urfaust. Così Mefistofele appare a Faust promettendogli di fargli vivere un
attimo di piacere tale da fargli desiderare che quell'attimo non trascorra mai.
In cambio avrebbe avuto la sua anima. Faust è sicuro di sé: tale è la sua brama
di piacere, azione e conoscenza, che è convinto che nulla mai al mondo lo
sazierà tanto da fargli desiderare di fermare quell'attimo. Mefistofele gli fa
conoscere la giovane Margarete (Margherita) - detta Gretelchen (Margheritina) e
Gretchen (Greta) - la quale si innamora perdutamente di Faust, inconsapevole
del fatto che lo slancio (in tedesco Streben) che ispira Faust è nient'altro
che il dominio della materia e la ricerca del piacere. La sorte di Margherita
sarà tragica. In Faust. Zweiter Teil (Faust. Seconda parte, 1832) la scena si
allarga per celebrare l'unione tra letteratura classicistica e mondo classico:
Faust seduce e viene sedotto da Elena di Troia. L'opera nel suo complesso
risulta di 12.111 versi. Fausto. Tragedia di Volfango Goethe, trad.
di Giovita Scalvini e Giuseppe Gazzino, Le Monnier, Firenze, 1857; Fausto,
trad. Giovita Scalvini, 2 voll., Sonzogno, Milano 1882-83 e 1905-06; come
Faust, Einaudi, Torino 1953 Fausto. Tragedia di W. Goethe, trad. di F. Persico,
Stamperia del Fibreno, Napoli, 1861 Fausto. Tragedia di Wolfgango Goethe, trad.
di Andrea Maffei, 2 voll., Le Monnier, Firenze, 1869 Fausto. Parte Prima.
Erminio e Dorotea di Wolfgango Goethe, trad. di Anselmo Guerrieri Gonzaga, Le
Monnier, Firenze, 1873 Fausto. Tragedia del Goethe, trad. di G. Biagi, Sansoni,
Firenze, 1900 Johan Wilhelm von Goethe, Faust. Prima parte, trad. di G. E.
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Mondadori, Milano, 1932-45; Collana I Classici Contemporanei, pp. 774,
Mondadori, Milano, 1949; ora in Faust, con un saggio introduttivo di Thomas
Mann, testo tedesco a fronte, nota al testo di Giulio Schiavoni, Collana
Classici, BUR, Milano, 2005-2013, ISBN 978-88-17-06698-3. Volfango Goethe,
Faust. Tragedia, trad. di Cristina Baseggio, Facchi, Milano, 1923; Urfaust. Il
"Faust" nella sua forma originaria, Introduzione e trad. e commento a
cura di C. Baseggio, Collana I Grandi Scrittori Stranieri n.20, pp. 224, UTET,
Torino, 1932-1944 Faust. Parte I, trad. di Liliana Scalero, P. Maglione, Roma,
1933; come Il primo Faust, BUR nn. 39-40, Milano, Rizzoli, 1949, pp.190; Il
secondo Faust, ivi (BUR n. 339-341), 1951, pp.371. Faust, trad. di Vincenzo
Errante, 2 voll.: vol. I pp. 310 + vol. II pp. 476., Sansoni, Firenze,
1941-1942 Faust, trad. di Enzio Cetrangolo, pp. 278, Federici Editore, Pesaro,
1942 [scelta] Faust, introduzioni di Mario Apollonio, note di Renato Maggi,
Milano, Bietti. Il Faust. Versione d'arte con testo critico di Weimar a fronte,
introduzione e commento a cura di Guido Manacorda. Vol. I, Collana Sansoniana
Straniera, pp. 424, Sansoni, Firenze, 1949 Volfango Goethe, Faust, trad. e
prefazione e note di Barbara Allason, pp. 450, Francesco De Silva, Torino,
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Collana Universale n.16, Einaudi, Torino, I ed. 1953 - II ed. riveduta su nuovi
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a cura di B. Mirisola, Collana Biblioteca morcelliana, Brescia, Morcelliana,
2012 Faust. Urfaust, versione integrale, 2 voll., Introduzione e note a cura di
Giovanni Vittorio Amoretti, Collana I Grandi Scrittori Stranieri, pp. 459,
UTET, Torino, 1950 - pp. 532, 1959 - pp. 588, 1975; in Faust e Urfaust, Collana
UEFn.500-501, Milano, Feltrinelli, 1965; ora in Collana Universale Economica. I
Classici n.2018-2019, 2001-2014, Feltrinelli, ISBN 978-88-07-90068-6. Faust. Seconda
parte, trad. di A. Buoso, Longo e Zoppelli, Treviso, 1962 Faust, Introduzione,
trad. e note a cura di Franco Fortini, testo tedesco a fronte, pp. 1180,
Collana I Meridiani, Mondadori, Milano, 1970-2009 ISBN 978-88-04-08800-4;
Collana Biblioteca n.18, 2 voll., Mondadori, Milano, 1980-1987; Collana Grandi
Classici, Oscar Mondadori, Milano, 1992-1997 - Collana Nuovi Classici, Oscar
Mondadori, Milano, 2012 ISBN 978-88-04-52011-5 Faust, a cura di M. Cometa,
Collana Idola, Novecento, Faust, trad. di M. Veneziani, pp. 592, Schena
Editore, 1984 Faust, trad. di R. Hausbrandt, 2 voll., Dedolibri, 1987 Faust.
Urfaust, trad. e cura di Andrea Casalegno, introduzione di Gert Mattenklott,
prefazione di Erich Trunz, Collana I Libri della Spiga, pp. 1462, Garzanti Libri,
Milano, 1990-1995 ISBN 978-88-11-58648-7; prefazione di Italo Alighiero
Chiusano, Collana i grandi libri n.545-546, Garzanti Libri, Milano, 1994-2012
Faust. Testo tedesco, traduzione a fronte e commento di Vittorio Santoli.
Prefazione di Fabrizio Cambi, pp. 472, edizioni aicc castrovillari; trad. di
Vittori Santoli e V. Errante, Gulliver, Santarcangelo di Romagna, 1996 Faust,
trad. e note di Andrea Casalegno, illustrazioni di Eugène Delacroix,
presentazione di Mario Luzi, Collana I Grandi Libri Illustrati, pp. 294, Le
Lettere, Firenze, 1997 ISBN 978-88-7166-347-0. Il Fausto di Gounod. Dimora
casta e pura, dimora si o casta, il mefistofele di Boito. Grice: “I’m not happy
with calling Grassi an Italian philosopher. For one, his selected essays were
published in Sicily in a collection called “Biblioteca Siciliana di Cultura”. Leonardo
Grassi. Grassi. Keywords: dove fiorisce il limone, la giovinezza e il fascismo:
parole ai giovani – senato; Mazzini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Grassi” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754624207/in/dateposted-public/
Grice e
Grataroli – sulla memoria – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Bergamo). Filosofo. Grice: “I like Grataoroli, the Pope called him ‘infamous
heretic,” which is a good start! He wrote a book on ‘semiotics’ of the times,
but it got lost – you cannot understand Bruno unless you do Grataroli – he
philosophised on many subjects, including dreams and alchemy!” –Di una famiglia
benestante dedita al commercio di tessuti di lana con la città di Venezia.
Questa, originaria del borgo di Oneta, frazione di San Giovanni Bianco in val
Brembana, oltre a possedere gran parte della contrada e dei terreni circostanti
(tra cui anche l'edificio che attualmente ospita la casa di Arlecchino),
annoverava tra i suoi membri una folta schiera di "phisici", tra i
quali si segnalarono il nonno di Grataroli, fondatore del collegio dei fisici
di Bergamo, e il padre di Grataroli, Pellegrino, fisico presso la città
orobica. Publica una dispensa inerente osservazioni sul mondo della natura.
Straparla de le cose pertinenti a la fede et di essa fede et de la autorità del
papa, nega il purgatorio, le indulgenze, i suffragi per i defunti, la venerazione
dei santi, la presenza del corpo di Cristo nell'eucaristia. Eeretico pertinace
et scandaloso et infame, peste contra la fede. Insegna a Basilea. Presso
l'ingresso dello studio aè presente un suo busto. Noti sono i suoi trattati sul
potenziamento e il mantenimento della memoria, sulle epidemie di peste, sulle
proprietà del vino, su erboristeria e veterinaria. Vi sono anche alcuni scritti
inerenti all'alchimia. Si segnala per la teoria fisiognomica. Argomenta su
Pomponazzi e da indicazioni sia per il mantenimento della salute che per
l'utilizzo dei bagni termali, nonché un saggio in cui vengono raccontati i suoi
viaggi e forniti consigli ai viaggiatori di quel tempo. Saggi: “De memoria
reparanda, augenda ser-vandaque. De salute tuenda. De regimine iter argentium,
vel aequitum, vel peditum, vel navi, vel curru, seu rheda”; “Turba
Philosophorum”; “De literatorum et eorum qui magistratibus funguntur
conservanda praeservandaeque valetitudine compendium” (Perna, Basilea); “Veræ
alchemiæ artisque metallicae, citra aenigmata, doctrina, certusque” (Perna,
Basilea); “De fato, libero arbitrio et providentia Dei” (Perna, Basilea); “Alchemiae,
quam vocant, artisque metallicae, doctrina, certusque modus” (Perna, Basilea);
“De balneis” (Bergamo). Quaderni brembani, Storia di Milano Flavio Caroli, Storia della fisiognomica Arte
e psicologia da Leonardo a Freud M.
Meriggi e A.Pastore, Le regole dei mestieri e delle professioni: A. Castoldi, Bergamo
ed il suo territorio. Bergamo, Bolis, G. Gallizioli, Della vita degli studi e
degli scritti di Gulielmo Grataroli filosofo (Bergamo, Locatelli); M. Meriggi,
Le regole dei mestieri e delle professioni: C. Vasoli, Le filosofie. del Rinascimento, T. Bottani e W. Taufer,
Storie del Brembo. Fatti e personaggi dal Medioevo al Novecento, Ferrari, G. Tiraboschi,
Storia della letteratura italiana, Napoli, Classici. Fisiognomica Mnemotecnica
Peste. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. “Prognostica naturalia de temporum omnimoda mtuatione, perpetua
& cer- ùjjìma Jigna rerum, quoe in Aere, Terra, aia Aqua sunt,
aut Jìunt , krevìter, & dare, ordine que alphabetico de scripta
per Gulielmum Gratarohun Medicum P/iy/i- cum y cuni Addinone undcam
fìgnorum Motus Terra, ex Antonio Mi^aldo . Basilea? apud Jacobum
Pareum in 8. Ibi- dem apud
Nicolaum Episcopium in 8. Tiguri in 8. Argentorati in 8. apud Iacobum Ofemianum
. V opera indicata , con le altre due » De Memoria reparanda
t e » De Prje- diclione morum » > si trovano unite tiell*
accennata edizione di Argentina alli Trat- tati di Chiromanzia , e di
Astrologia natu- rale di Giovanni Indagine , o sia Giovalini Hagen dotto
Certosino del decimoquin- to secolo ? ed al libro » De Sculptura »
di Pompeo Gauricio Matematico Napolita- no . Perchè il Grataroli non
venga taccia- to di superstizione o di puerile credulità a motivo
delle cose da esso scritte parlan- do dei Pronostici naturali e della
Predi- zione dei costumi , credo cosa necessaria fedelmente
trascrivere la Protesta , o sia Avvertimento al Lettore, che si trova
nel- la edizione di Argentina Devi poi » avvertire , che
generalmente parlando le » cose dette si verificano nella gente
gros- » solana y vale a dire di coloro , i quali » non sono
rigenerati dallo spirito e dalla » grazia di Dio , perchè di questi è
vero » ciò che dicesi della depravata natura in » Adamo , che »
Naturce fequitur femina quifque fucc » : Ma air opposto i
rigenerati » dallo Spirito Santo mortificano la pro- « pria carne
con i suoi vizj , e con le » sue concupiscenze , sebbene la concu-
» piscenza ed il fomite del peccato vi re- » stino sempre , e da
moltissimi , o Dio , anche pur troppo si riducano alla pra- » tica
», A gloria di Gulielmo riporterò anche la sua opinione sopra la causa
del flusso e riflusso del mare r avendo preco- 6
A Aizzato più di due secoli prima quasi in- tieramente il
sistema del rinomatissimo Ca- valiere Isacco Neuton circa lo stesso
feno- meno : opinione approvata ed insegnata da quasi tutti i
Filosofi posteriori a quel subitine Geometra » : Il moto periodico
del- ia Luna ha grande predominio sopra li corpi fluidi , quindi fa
che il mare s in- nalzi e si abbassi ^ singolarmente per una
particolare di lei influenza , e ne segua il flusso , ed il riflusso
secondo i differenti aspetti relativi alla medesima , e secondo che
questi accadono nella maggiore -> o minore forza della sua influenza :
Accade ciò perchè la Luna ha bensì certa in- fluenza coir Oceano ,
ma non già coi la- ghi e coi mari di poco estesa superficie . Per
la qual cosa mentre quel Pianeta si muove dall' Oriente verso il mezzo
gior- no , fa che la superficie del mare s' innal- zi , e che
conseguentemente ne segua il riflusso medesimo . Quando poi si
muove dal mezzo giorno verso Y occidente fa che il mare si abbassi
, e però ne nasce il ri- flusso . Similmente allorché la Luna si
muove dall' occidente verso V angolo della notte , o sia da settentrione
verso V o- i icnte , ne segue nuovamente il riflusso r>
II. » Guliclmi Grataroli Bergomatis Artium > & Mediani?
Docloris de Memo- ria reparanda , augenda > fervandaque , Liber
omnimoda Remedia > & Pnzceptio- nes continens cujufivis facultans
jhuliofis apprime utilis «, immo maxime necejjlvius , Tiguri ? apud
Andream Gesneruni in 8. , Basilea apud
Nicolaum Episcopium in 8., Lugduni , apud Gabrielem Coterium in 8.,
Francofurti apud Joannem Vichelium in 12. Ibidem apud Viduam Petri
Fischeri 1596. in 12., Argentorati in 8. » Nel frontespi- zio dell'accennata
edizione di Argentina si trovano queste parole : » Omnia ab An-
afore correcla P ancia finis > 6' ultimo edita «. La stessa Opera » De
Memoria re- paranda » è stata stampata unitamente all' altro libro
del Grataroli » De confervanda Valetudine » da Enrico Rantzovio .
De Prcediclione morum naturaque hominum, cum ex infipeclione par*
tìum corporis > tutu aids modis «> Anelare Gulielmo Gratarolo
Medico , & Philojopho B ergo mate • Basilea 1554» in 8., Ti- guri
apud Andream Gesnerum in 8. , Lugduni apud Gabrielem Coterium ,
&* Argentorati 1 6*5 3» Li tre accennati libri De Memoria reparanda:
De Temporum omnimoda mutatìone Prognofìica: De Prce* diclione morum
» furono dati alla luce per la prima vo ? ta dal Grataroli in Basilea ,
e dedicati ad Edoardo VI. Re d'Inghilterra; siccome pure la seconda
edizione di tali Opuscoli fatta nella medesima Città nell* anno
1554. fu consagrata a Massimiliano II. Re di Boemia lutto questo
evidente- mente si rileva dal primo periodo della Dedicatoria
medesima al secondo dei com- mendati Sovrani , la quale cosi incomincia
Nello scorso anno, ottimo Re, per le pressanti istanze degli amici e
del- io stampatore > sono stato costretto a dare alle stampe
assai più presto di quello che averei desiderato tre miei libretti
intorno ai quali erano già molti mesi che affatica- va , e perchè
essendo assente , molti er- rori corsero nello stamparli, però
riveduta di nuovo queir opera , non solo ne cor- ressi i difetti ,
ma in oltre impiegando ogni possibile diligenza ed applicazione , e
prestandovi , come si suol dire , V ultima mano , F ho accresciuta di
parecchie belle aggiunte a segno, che la presente edizio- ne è
superiore alla prima siccome lo è un parto di nove mesi a quello di soli
sette , *7 o pure Toro fino ali* argento • Avevo
de- dicata la prima ad Edoardo VI. Re d' In- ghilterra , il quale
innanzi anche di aver- ne notizia , non che di averla potuta ve-
dere, fu costretto infelicemente a cambiare la vita con la morte ». Tale
Dedicatoria fu scritta in- Basilea nel mese di Febbrajo deiranno
1554. Nondimeno non posso accertare in quale città siano stati
stampa- ti li sopradetti Opuscoli la prima volta che dal Grataroli
furono indirizzati alli due già nominati Sovrani . Pejlis
Defcrìptio , Caujjoe > Si- gnu omnigena > & Proefervatio .
Anelare Guliclmo Gratarolo Medico . Basilea? ; per Ludovicum Lucium
Anno Salutis Humana? Mense Augusto; Lugduni, apud Gabrielem Coterium
1555. • La prima edizione di tale veramente aureo Trattato fu
dedicata ad Ascanio Marzo Ambascia- tore Cesareo presso i sette Cantoni
della Svizzera. Personaggio di molte cognizioni e virtù fornito ed
amico di Gulielmo ; e questi appunto furono i motivi , che lo
spinsero a sceglierlo per Mecenate con scrivergli : La vostra conosciuta virtù , e la non
volgare vostra mansue- tudine , non meno che il vostro amore per
tutte le sane dottrine , e per la pie- tà , mi hanno costretto a
dedicarvi quest' opera » . Perchè si veda quanto amava le massime
di pietà e di religione conviene notare , che dopo di aver egli
prescritti neir indicata sua opera li rimedj fisici con- tro la
Peste , raccomanda con fervore li spirituali con queste parole (81) »
Ma per brevemente indicare li remedj più for- ti , più giovevoli e
generali , prima di tutto allontanate da voi la paura della morte ,
ma non già il santo timore di Dio . Non perciò doverete amare il
peri- colo , né incorrervi temerariamente , se non sarete sforzati
o dalla carità cri- stiana del prossimo , o dalla gloria di no-
stro Signore Gesù Cristo > il quale devesi anteporre a tutte le cose
De Litteratorum > & eorurn qui Magijlratibus funguntur
confermando, proe- fervandaque valetudine , illorum prcecipue qui
oetate confiftentìoe vel non lunge ab ca ab funt > curn ex
probatioribus Auctoribus 3 tum ex ratione , & fideli praxi > &
experientìa concinnatum . Basilea apud Henricum Petri in 8.,
Francofurti in 12. apud Ioanncm Vchel ; Ibi- dem apud Nicolaum
Hofmannum \6 17. ($9 in 8. » La stessa opera è stata
tradotta nella lingua Inglese da Tommaso Neuton P e stampata in
Londra Tanno in 1 2 . Questa dottissima opera è riferita dal
rinomatissimo Medico Ermanno Roerhave nel suo » Methodus (ludii Medicorum
» . De Confervanda valetudine . Francofurti apud Henricum
Randzov . Questa opera fu stampata unitamente all' ultima
registrata dallo stesso Randzov •Re girne n omnium iter agentium . Basilea?
apud Hemicum Petri \66\. Argentorati per Vendelinum Rihelium 1 s6%.
in 12. Colonia? apud Petrum Hofmannum 15/1. in 8. V edizione fatta di
tale uti- lissima opera in Argentina fu dedicata dal Grataroli »
alla vera pietà, (82) e nobil- tà del chiarissimo Egenolfo Barone , e
Si- gnore in Rapolstein Hochen Ack e Ge- rolzeck in Vassichin » e
nel frontispizio della medesima vi si leggono i seguenti la- tini
versi . Ut peregrìnands vita ejl jubjecla procellis Aeris ,
& varìis undique prejja malis ; No/ira procelle* fi vario jìc
turbine mundi Volpi tur incertis anxia vita rnodis.
7° Hoc bene pericolo Jervans prò tempore litro
Tutìor utque voles carpe Vìator iter. VIII # De Laudibuj
Medicina ejus origine > progrejju ? militate . Argentora- ti i 5
£3. in 8. IX. De Pefle Thefes. Basilea in 8. Apud Henricum Petri
. De Vini natura , Artificio , & Ufu , deque omni re
potabili . Basilea , Apud Henricum Petri . XI. Equorum P
& Domejlicorum quo- rundam Ànimalium remedia $ senza data in
tutti i Cataloghi da me veduti Lapidis Philojbphici nomendaturoe . Basilea La
medesima opera trovasi inserita nel Volume in foglio stampato in Colonia
Tan- no 1571. da Pietro Orstio , con il titolo Veroe Alchimia?
Scriptores . XIII. De janitate menda . Argento- rati 15 6 5.
Trovo quest* opera citata dal Mercklino nel suo Lindenius
renovatus. XIV. De Thermis Rhoctias , & Val- lis
Tranjc/ierìi Agri Bergomenjis . Si trova stampata tale opera per la prima
volta da Tommaso Giunti in Venezia Tanno 1553. nella sua copiosa
raccolta di tutti quelli y fi che sino alla
detta epoca avevano scritto sopra i Bagni , ed è riportata alla
pagina 192. , con questo titolo Guìlhdmus Gra- tarolus
ad Corradum Gefnerum Medicum Tis'urimim de Thermìs Jxhoetìcìs
Tutti o quelli i quali a mia cognizione hanno par- lato
di questo trattato di Guliclmo , sia neir occasione di dare il Catalogo
delle sue opere , o • sia per semplice erudizione , e perfino il
nostro Padre Donato Calvi , non hanno citata nessun' altra edizione
della stessa opera , che quella dei Giunti % e tutti ne fecero sempre
autore il Grataroli , senza mai mettere in dubbio questo punto d' Istoria
letteraria . Ciò nondimeno non deve recare maraviglia , particolar-
mente delli scrittori oltramontani , e spe- cialmente di quelli del
decimosesto secolo : ma fa bensì stupore , che siasi continuato ad
attribuire al Grataroli un simile tratta- to , dopo la nitida e ben
corretta edizio- ne fatta dal valoroso Cornino Ventura X anno 1582.
in 4. di tutti i dotti Medici Bergamaschi , che avevano scritto sopra
i Bagni di Tres^ore ; poiché apparisce , ed è anche evidentemente
provato da quel diligente stampatore , e dagli eruditi e perspicaci
fratelli Licini suoi direttori, che il trattato , che porta
quel titolo , appar- tiene sicuramente a Bartolommeo Albani Medico
Collegiato della Città di Bergamo., scritto dal medesimo sino dall'anno
1470., vale a dire quasi un secolo prima della indicata edizione
Veneta di Tommaso Giun- ti • Di fatti T Opuscolo dell' Albani
termi- na precisamente con questa data : anno mìllejìmo quadrigentefimo
y & feptuagefimo de menje Julii die vìge fimo Ceptimo . Per
ExeelL Artìum & Me dicince Dociorcm Bartholomceum de Albano. Si fa
ancora as- sai ' più manifesta tale verità da quanto afferma il
Cornino alla decimaquarta pagi- na della sua edizione degli Scrittori
Berga- maschi circa li Bagni Trescoriani , nella annotazione
seguente posta in fine dell* Q- puscolo del sopracitato Bartolommeo
Albani per maggiore sua giustificazione » Da un antichissimo
esemplare manoscritto (83) ri- trovato nella libreria de" Padri
Domenica- ni , il quale si vede eziandio trasportato nella lingua
Italiana , sotto il nome dello stesso Bartolommeo Albani, nelieCase di
Bar- tolommeo Colleoni , lasciato al Luogo de Ha Pie- tà,
conservato sino a questo tempo ». Non si deve adunque più dubitare , che
il ve- ro Autore di quel trattato non sia Bariolommeo Albani , mentre
anche il Padre Cal- vi così ha lasciato scritto nella sua Scena
Letteraria (84) >> Bartolommeo Albano della Medicina celebre
Professore fiorì verso la metà del passato secolo -> e fu il primo
y che scrivesse sopra i nostri Bagni di Tre- score j leggendosi le
sue degne fatiche con quelle d 5 altri Autori nel libro » De Bal-
neis Tranfchcrii Oppiai Bergomatis . Ber- gomi Questa è T accennata
edi- zione di Cornino Ventura. Si noti in que- sto luogo , che lo
stesso Bibliografo indi- cando l'opera del Grataroli (85) sopra io
stesso argomento , dopo di avere scritto De Thermìs Rhoeticis, &
Vallìs Tranfche- rii agri ìSergomatis » aggiunge » Questo si trova
nell' opeia Veneta De Balneis » » Adunque al Calvi era nota tanto V
edi- zione dei Giunti , quanto quella del Co- rnino : dopo tutto
questo, in quale manie- ra si potrà difendere il Grataroli dalla tac-
cia di plagiario y e di un plagio domestico Ma niente dì più facile ,
Ricercato Gulielmo da Corrado Gesnero suo grande amico , che si
chiamava il Plinio dell* Ale- magna , perchè gli facesse avere delle
no- tizie circa le Terme , o Bagni della Re- zia , e della
Provincia Bergamasca , egli ^per fare cosa grata ad un amico di tanta
rinomanza , prese in mano il manoscritto dell' Albani , vi aggiunse
qualche cosa del proprio , ed ancora molte cose di quelle che aveva
scritto sopra i Bagni di Tresco- re il dotto Medico Lodovico Zimalia ,
le- vando alcune cose che gli sembravano su- perflue , o inesatte ,
con purgato stile la- ^inò , e con veri termini tecnici rifuse il
manoscritto dell' Albani , e cosi riformato ed ordinato lo spedì all'
amico, unitamen- te ad una erudita lettera relativa alle Ter- me
della Rezia : e siccome in quei giorni il Gesnero si trovava in Venezia
per de- scrivere i Pesci , ed i Crostacei del mare Adriatico ,
averà consegnato questo scritto a Tommaso Giunti s che in quel
tempo era occupato a pubblicare la sua grande edizione di tutti li
Scrittori sopra i Bagni e le aque Termali n siccome ho già di so-
pra notato . Indubitata cosa ella è che il Grataroli chiude il suo
scritto con queste parole (86) » Ho raccolte brevemente, e con
chiarezza tutte le soprascritte cose a benefizio , e sollievo del mio
prossimo^ io Gulielmo Grataroli Dottore di Medicina : frutto tutto
questo delle mie oculari osser- vazioni , e della lettura di parecchi
amichi Medici della mia patria » . Appunto questa sua protesta
dalle persone oneste e giudiziose deve essere considerata una
confessione del fatto , ed ancora del di- ritto che aveva acquistato di
appropriarsi quello scritto ; tanto più che il Grataroli nello
spedirlo al Gesnero , lo previene con la seguente onorata e sincera
dichiarazio-ne Vi spedisco l'intiera Descrizio- ne delie Terme
Bergamasche , le quali non sono lontane dalla Rezia più di due
gior- nate di cammino • Di queste niente sino al presente trovasi
pubblicato con i tor- eh) ; onde mi giova sperare , che diver-
ranno celebri anche in avvenire , siccome lo furono in passato , dopo che
Y occul- ta, e quasi intieramente ignorata loro vir- tù sarà fatta
nota con le stampe ; purché non vi rincresca accoppiare le
erudizioni Italiane alle Tedesche » . Poteva qui espri- mersi
Gulielmo con più candida , ed one- sta sincerità ? Confessa di essere
semplice raccoglitore d^gli altrui scritti, mentre dice » Ho
raccolto dagli scritti di altri antichi Medici Bergamaschi » Non
chiama sua quella fatica , ma dice semplicemen- te (89) » Vi
spedisco T intiera descrizione delle Terme Bergamasche > delle
quali niente sin ad ora è stato pubblicato » Non si deve dunque
condannare di plagiario il Grataroli $ e certamente non conviene ,
che egli abbia avuto rimorso di avere commes- so una cosi vile, e
detestabile impostura , mentre essendo sopravissuto quasi quindici
anni dopo l'edizione Veneta di queir opu- scolo , sicuramente non
averebbe mancato di giustificarsi presso il mondo erudito circa il
preteso plagiato . Ecco tutto quello , si può dire in difesa di questo
Medico Fi- losofo sopra tale inssusistente accusa , né altro posso
aggiungere «> se non che far noto al mio Leggitore , che per
quante diligenze abbia usate «> non mi è giammai riuscito di
ritrovare i due citati mano- scritti , e che in oltre il Padre
Donato Calvi , a cui era nota Y edizione di Co- rnino Ventura , non
ha nella sua Scena Letteraria dimostrato di sospettare dell' o-
nestà letteraria di Gulielmo Grataroli . Pri- ma di terminare il presente
articolo dei Bagni di Trescore, riferirò il zelante uma- nissimo
Voto, con il quale Gulielmo chiu- de la sua opera stampata dal Giunti
Faccia Iddio , che la Bergamasca Re- pubblica abbia diligente cura di
rimettere nel primiero loro stato questi saluberrimi Bagni , che
certamente lo può , e lo de- ve fare » . Faccio io pure fervidi e
sin- ceri voti , perchè abbia effetto tutto ciò che caldamente
raccomanda il Grataroli ; e per maggiormente incoraggire la mia Città
, ed i miei Cittadini a procurare al- la patria un vantaggio così
rimarcabile , vivamente li supplico a leggere T erudita ed elegante
latina lettera di Lodovico Zi- malia , premessa al suo dottissimo
Trattato dei Bagni di Trescore , dedicato al suo magnanimo Mecenate
Bartolommeo Colleoni Capitano Generale degli Eserciti della Serenissima
Veneta Repubblica , (91) nella quale prova con una evidenza che
sorprende, e che deve intenerire chiunque senta amore per la sua patria ,
che quello famosissimo Eroe deve senza alcun dubbio essere
ugualmente ammirato , e commen- dato sì per le sue azioni militari , che
per le sue virtù politiche , a benefizio «> ed eterno vantaggio
, e decoro di tutta la sua amata nazione Bergamasca . De
Notis Antichrìsti, senza data, senza luogo, e senza nome dello stampatore .
Tuttavia nominerò ancor io tra le opere di Gulielmo un libro con tale
ti- tolo , ritrovandolo registrato dal Calvi , e dal
Papadopoli suo copiatore , ma non dal Frehero , non dal Bayle , non
dai Maizeaux suo illustratore , non dal Mer- ci: lino , non dall'
Eloy , mentre tutti que- sti si suppone avessero molto interesse di
far autore di un libro Anticattolico Romano un erudito e dotto Italiano -
sic- come era da tutti considerato il Grataro- li. Non però verun
altro Letterato ha po- sto nel Catalogo delle sue opere V accennato libro
• D' altronde è cosa più che cer- ta , che si può scrivere dei caratteri
dell' Anticristo anche dalla più religiosa e ze- lante penna
cattolica : ed è certo di più , che il Calvi , o non averebbe
registrato un così fatto libro , o non averebbe man- cato di
scriverne qualche parola in dete- stazione del medesimo . Ma di più
anco- ra quanto al Papadopoli , probabilmente questi non averà
nemmeno veduta quest* opera , essendosi intieramente riportato al
Padre Calvi , siccome egli stesso scrive nella sua storia dell'
Università di Padova parlando di Gulielmo Grataroli . Avendo in
oltre riportati i titoli delle altre sue opere senza data , alterati , e
confasi no- tabilmente, non sarebbe stato egli il primo a giudicare
di un libro mai veduto , nò letto • A me stesso è accaduta la
medesi- ma sorte y non solo di poterlo trovare > ma neppure di
averne fondata contezza , per quante ricerche abbia usate non sola
in Italia , ma altresì nella Germania e nell* Olanda . Sostengo
finalmente , che se que- st* opera esiste , che io non credo , o se
fu composta da Gulielmo Grataroli -, non doveva essere tanto malvagia e
perversa , quanto alcuni senza ragione sospettano ; mentre che
tutte le opere del Grataroli è vero che sono poste nell* indice de'
Libri proibiti ? ma con la semplice cautela ; Quandiu emendata non
prodieri nt (92) « Dal che si è da presumere che se que- sto fosse
stato un libro veramente Etero- dosso , Santa Romana Chiesa lo
avrebbe posto nella classe dei libri empj e mal- vagi di prima
classe • XV I. Confilium de Proe fervanone a Vcnenis .
Gulielmo Gratarolo Aucìore . Hamburgi in 8. Ecco registrate
tutte quelle opere che mi è riuscito di raccogliere, le quali furo-
no composte da questo dottissimo Medico e Filosofo : ora passerò alla
seconda classe delle opere tradotte e fatte stampare dal medesimo
. J. Joannis Braccfchi de
Alchimia , cum propofìtionibus 29. Idem argume ri- rum compendiofa
brevitatc compleclens ex Italico Aucloris Autographo in latinum
verni -> & edidit Gulìelmiù Gratarolas . Basilea 156*1. in folio.
Apud Henricum Petri . Non mi è noto dove sia stata
stam- pata la prima volta questa traduzione; ma solo ne ho trovata
un' altra ed zione fat- ta in Amburgo neir anno 1^7 3. in 8.
II. Chirurgico rum quorundam Auclo- rum Libros Gali ice fcriptos
latine reddidit ? & in cap'-ta difiribuit Gulielmus Grataro-
las • Lugduni in 8. Apud Gabrie- lem Coterium , Classe terza
delle opere d* altri Scrit- tori fatte stampare con prefazioni , note
y e commenti da Gulielmo Grataroli . I. Ve ree Àlchymìce
Scriptores aliquota cum Praefationibus 9 & D celar ationibus
col- Ifgit y & una edidit Gulielmus Gratarolas. Basilea? , apud
Henricum Pctri in folio . II. Vetri Apone njls de Vene ni s
eo- rumane Remediis , cum Additionibus Gu- Udini Grataroli .
Francofurti , apud Joan- n ìm Velici in 8. 8i
III. Hermannl a Ncunare de no- vo haclenufque inaudito Germanice
morbo ^pompar* idcft judatoria febre , quern vulgo fudorem
Britannicum vócant, libellus a Gu- lielmo Gratarolo editus. Colonia in
4. Ermanno Ncunare era Conte e Pre- vosto della Cattedrale di Colonia
. Simeonis Riquinii Judicium do~ clijjimum duabus epijìolis
contentimi de fiutato r ice Febris cura t ione editum a Gu~ lielmo
Gratarolo Medico > & Philofopìio B ergo mate . Colonia in j
6. V. Joackini Schdlerii ^ o come altri scrivono Sckilfeni de
Pejìe Britannica Commentariolus aureus a Gulielmo Grata- rolo
Medico & Philofopko editus . Basilea? 1 5 c> 3. Apud Henricum
Petri in 12. VI. Alexandri Benedicii de Pejlilen* tioe
Caujjls s Proe fervanone > & auxiliorum Materia Liber Jingularis :
Omnia ex ma- nufcriptis exemplaribus auxit y & illujìravit
Gulielmus Gratarolus Medicus 9 & Pialo- fophus . Basilea? 1559. in 4.
Ibidem 1572. in folio apud Henricum Petri . VII. Correcliones
, & Additiones ad librum Italicum , falfo tributum Fallopio 7
infcriptum , Secreta Fallopii . Francofurti irfoò. in folio , e
i6"o£. cum operimi 6 1 82
Appendice Guliehni Grataroli Medici Bcr- gomatis. Girolamo
Mercuriali da Forlì coe- taneo del Grataroli , soprannomato Mercu-
rio e Trimegisto per la vastissima sua medica scienza , nell' erudita
opera : De ratione dijcendi Mediana/?! , edizione di Argentina
dell' anno 16*07. > m proposito dei libri falsamente attribuiti a
Gabriele Fallopio , racconta che vi furono alcuni , i quali o per
malignità , o per sordido lucro cacciarono fuori opere sotto il
nome del Fallopio , che affatto non sono sue , come il libro dei
Secreti . Opere indegne del suo maestro , e soltanto capaci a to-
glierli quella vera , e soda gloria , la qua- le si era acquistata presso
i dotti • Vili. Cenjura & Additiones in Li*- bruni Alexii
Pedemontani , ubi de Quinta effentia funplici . Per Gulielmum
Grataro- lum . Venetiis apud Jun£hs in 12. Conjìha , &
Curationes variorum doclijfimorum Medicorum de Sudore An- glico a
Guliehno Gratarolo edita . Colo- nia apud Franciscum Hofmannum
1602. in folio . X. Thaduei F/orenini , che 1' Alido-
sio chiama Taddeo Aledrotto^ & Guliclnù a Brixia Conjìlia • Colonia*
i^c^. Apud Iranciscum Hofmannum in 4. Per Gidid- mum
Gratarolum . XI. Johannis de Kupecijja de Extra- tione
Quinte? ejfentioe omnium rerum prò u fu Medico . Venetiis apud Juntìas
156*1. in 1 2. XII. Theatrum G aleni > hoc eft uni-
verjlv medicince a Galeno diffupz *> fpar- f inique traduce
Promptuarium completimi & in
meliorem ordinem redaclum per Lu-> dovicum Luride llum a Gulielmo
Gratarolo Medico } & Philojbpho editimi . Basilea? 15 68. Apud
Henricum Petri in folio «> Hamburgi apud Joanneni Neumannum >
& Georgium Volfium \6j2. in foiio. Petri Pomponacii de Incanta*
tionibus libri in quibus dijficilUma Ca- pita > & Quefliones
Theologicoe , & Philosophicoe ex jana Orthodoxoe /idei doclrina
explicantur > & multis rarìs Hijìoriis > & Glojfulis
illujlrantur . Per Gulielmum Gra- tarolum Medicum , & Philojbpkum
Bergo- matem > qui fé in omnibus Canonica^ Scriptum et Janclorum
Dociorum Judicio fubmittit . Basilea? Kalendis Martii ex Offi- cina
Henripetrina in 8. cum Csesa- rea Majestatis gratia & privilegio.
Quesra edizione del trattato deeli Incantesimi di
&4 Pofnponacio tu consagrata dal Grataroli a
Federico Conte Palatino con una nobilissi- ma , e giudiziosissima
dedicatoria impiega- ta parte in encomj della virtù e meriti di
quel Principe, e parte in difendere Y ope- ra di quel Filosofo Mantovano
, del quale afferma e sostiene , che fu a torto impu- gnato , e
perseguitato ; e che se fosse sta- dio con prudenza e carità Cristiana
tratta- to , sarebbe riuscito uno dei più zelanti e forti
Apologisti della Chiesa Cattolica, come riferisce essere avvenuto a Giustino
Martire , al grande Agostino , ed a mol- tissimi altri difensori della
nostra santissima religione • Di fatti Pomponacio per atte- stato
di tutti gli Scrittori della sua vita mori cattolicamente (93) : » Voglio
spera- re , che Pomponacio prima di mandare fuori T ultimo suo
spirito , siasi per singolare grazia delia divina providenza e misericordia
ravveduto e pentito , e che non abbia perseverato neir ateismo .
Imperoc- ché tale essere stato il Pomponacio Y ho udito spesse
fiate a rammentare da Elideo Medico di Forli chiarissimo ornamento
del- la medica scienza , ed uno de suoi più cari discepoli » . Ho
ricopiato questo sen- timento dui Grataroli acciocché si conosca quanto
grande fosse Sa sincerità e Tat- , taccamento verso la Chiesa Cattolica.
Gis- berto Voet , o Voezio ^ dotto Professore di Teologia -, e
delle lingue Orientali neìl' Università di Utrecht , inimico
capitale della Filosofia e di Cartesio , ha parlato con molta lode
della suddetta edizione, dicendo Gulielmo Grataroli Medico Italiano , li
di cui scritti vengono coiti* mendaci per lo zelo di pietà e di
religio- ne che vi traspirano, e per li encomj de* quali lo ricolma
Teodoro Beza nelle sue lettere , e per li suffragj di molti altri
uo- mini dotti, che lo trattarono nelle sue ope- re stampate in
Basilea difende Pomponacio contro li suoi caluniatori, ed afferma,
che abbia terminati i suoi giorni assai piamente. Dalla medesima
dedicatoria di Gulielmo da esso scritta un anno solo prima del suo
pae- saggio all'altra vita si rileva, che già die- ci anni innanzi
egli aveva fatto stampare r senza che mi sia riuscito di sapere in
qua! parte ^ il Trattato De ìncantationibus di Pomponacio , perchè
così scrive al Princi- pe suo Mecenate * (9$) » La parte di questo
libro , che tratta delle cause , e degli effetti naturali, o sia degli
Incantesi- u mi fatta da me stampare sono già
più di dieci anni , T avevo dedicata e spedita air Illustrissimo
Principe Ottone Enrico Elettore di felice memoria , e S. A, non
sdegnò di ringraziarmi con lettere di suo proprio pugno » . Mi è
piacciuto di nuo- vamente riportare quanto Gulielmo Grata- roli
scrisse in quella sua elegante Dedica- toria , perchè dalla premura e
zelo da es- so dimostrato sino agli ultimi periodi del- la sua vita
, e dalla universale estimazio- ne , che hanno sempre costantemente
fat- ta palese in faccia di tutto il mondo tanti letterati del
primo ordine , d* ogni nazio- ne , e d' ogni religione , della dottrina
, della probità, e dell' amore del vero , e del giusto , che ha
conservato in tutte le sue operazioni , possa invogliarsi qualche
valente ed erudita penna della sua , e mia patria a tessere , ed in assai
miglior modo ordinare una più compiuta istoria scevra dai difetti ,
dei quali questa mia pur troppo è ripiena , di un Filosofo e Medico
j che ha impiegati e consagrati tutti i suoi talenti , e tutti i momenti
de' tuoi giorni a benefizio e vantaggio della languente umanità ,
ammaestrando ed illuminando il mondo tutto con le numerose produzioni del
sublime suo ingegno, trasportando nella lingua più universale moltissime opere
in diversi altri idiomi composte da più dotti e famosi scrittori ed in
fine illustrando ed arricchindo di uti- lissimi riflessi e profittevoli commenti
un numero immenso di interessanti volumi i quali contengono ogni genere
di scienze e di cognizioni, siccome ne forma una evidentissima prova il
copioso catalogo delle sue opere da me coordinato ed esteso. Guglielmo
Grataroli. Grataroli. Keywords: sulla memoria, de balneis, turba philosophorum.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Grataroli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689900199/in/photolist-2mKAsyK-2mKEftR
Grice e
Grazia – il principio di benevolenza conversazionale -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Mesoraca). Filosofo. Grice: “Grazia is important to understand
Galileo, whom Italians consider a philosopher!” Grice: “Grazia also wrote about
architecture – a truly Renaissance man!”. Studia a Napoli dove venne condotto,
dalla natia Calabria, da uno zio dell'ordine dei Teatini. Si laurea a Napoli.
Studia filosofia. Si oppose al Criticismo kantiano e all'Idealismo hegeliano in
nome dell'esperienza. Saggi: “Discorso sull'architettura del teatro” (Napoli:
Giordano); “La scienza umana” (Napoli: Flautina); “Logica speculativa” (Napoli:
Gemelli); “Filosofia: eterodossa ed ortodossa” (Napoli: Poliorama); “Considerazioni
sopra 'l discorso di Galileo Galilei intorno alle cose che stanno su l'acqua, e
che in quella si muouono. All'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig. don Carlo Medici
(Firenze, Pignonj). “Della vita e delle opera: Dizionario Biografico degli Italiani.
Classe- Appetito;Volere.Condizionediogni appetito è l'andarsi rinvigorendo con
lareiterazione degli atti fino a rendersi dominante su gli altri appe titi.
Condizione della volontà è l'andar con l'esercizio acquistando maggior potere
su imoti del corpo sog 3.Classe- Moloriprimitividellavolontà:Ten
denzaistintivadellenostreforze all'azione;appetito istintivo del piacere nella
sua triplice forma, e a v versione al dolore ; amor di sè stesso co'tre carat
teri di concentrazione, di reazione, di espansione spontanea. 4.Classe- Oggetti
dell'amor-proprio diconcen nale, onore esterno. Reazione dell'amor-proprio: Emo
sentimento. Espansione spontanea : Benevolenza. Ilbenessereè certamente oggetto
dell'amor proprio; ma nella3.classevadistinto dall'amor proprio l'appetito istintivo
del piacere, e l'avversionealdo l o r e . N o n è p e r c h è a m i a m o n o i
s t e s s i, c h e d e s i d e r i a m o il piacere e fuggiamo il dolore.
L'amor proprio si pronunzia nel cercare imezzi per procurarci l'uno, e per
sottrarci all'altro, fino a contrastare a tale uopo altriappetiti.L'appetito quindi
del benessere, una delleesigenzedell'amor proprio,éprecisamentequel principio,
in cui lo Stewart ha fatto consistere tutto il nostro amor proprio. Un tale
appetito abituale non è getti al suo comando, come anche su l'attenzione
ri. flessiva. Seconda condizione dell'appetito è l'essere accompagnato da
piacere , quando è soddisfatto ; e da dolore, quandoessendoistigato
nonèsoddisfatto. È questo esclusivamente il piacere e il dolore morale.
trazione:Benessere,dignità.perso IL METODO. Classe Slati diversi dell'appetito:Desiderio,
o contento ; godimento , o afflizione, o rammarico ; speranza,o
timore;pentiinento;disperazione. zione benevola di riconoscenza; ri
invero irreducibile. Ammettendosi in un essere dolori epiaceri ,eragionee
volontà,essoprevedendolecon seguenze delle sue azioni, non mancherà di formarsi
u n p i a n o d i c o n d o t t a p e r e v i t a r e il dolore, p e r p r o
cacciarsi il piacere; e la repressione di altri appetiti entrerà come mezzo in
questo piano. Noi intanto a b biamo notato tra fenomeni irreducibili l'appetito
del benessere a sola mira di esibire intero nella 4. classe
ildominiodell'amorproprio. E lapresenteosserva zione basta a far riguardare con
tutto rigore l'addotto esempio di classificazione. Abbiam già completato il
quadro de'fenomeni pri mitivi del pensiero , distinguendolo in tre categorie
corrispondenti a' fenomeni, Sensazione, Giudizio, V o lontà ; e tenendo conto
delle condizioni loro comuni . Pria di progredire nel nostro divisamento,
daremo fine a questo articolo con la seguente generale osser vazione. La
semplicità di una classificazione di feno meni primitivi non si dee giudicare
su laclassesu prema.Ilnumero de'principjignotièegualealnu mero de'fenomeni
distintinellatotalità della classifica zione. Può quindi avvenire,che due
classificazioni sieno nel fondo identiche, mentre si offrono sotto aspetti a s
saidiversi.Se,peresempio,allaprima classe,che comprende i tre fenomeni ,
Sensazione, Giudizio, V o lere,sifosseanche ascrittalamemoria,esifossedi stinta
nella riproduzione degli atti mentali , e nel ri. conosciinento;non sisarebbe
nullacangiatouelnu Inero de'fenomeniirreducibili. Ciò nondimeno un tal
cangiamento non sarebbe del tutto indifferente.Nella classificazione da noi
preferita i fenomeni della prima 124 PARTE PRIMA, IL METODO.
125 classe sono i più differenti di natura ; m a ciò che si riproduce nella
memoria non perde la sua natura primitiva. Le idee astratte si riproducono
nella loro perfettaintegrità. Lesensazioniperdonoestremarnente di vivacità al
riprodursi nella immaginazione:niente altrocangianodilorocondizioneprimitiva.E
lostesso avviene nella riproduzione delle affezioni morali. La
memoriaquindi,presanelsuopiùampio significato, non reca fenomeni di natura
differente da que'della sensibilità , dell'intelletto, e della volontà : queste
u l time facoltà somministrano materiali fra loro diffe renti , e la memoria è
addetta a ritenerli in deposito. Cosi la prima classe ha potuto segnalare
laprima di visionedellascienzane'trerami logica,etica,este tica.Non è
certamente questo un vantaggio di allo rilievo,ma
nonv'eraalcunaragioneperdisprezzarlo. Si supponga or che invece di
esibire in più ordinii fenomeni primitivi, si fossero enumerati in una sola
lista , come è costume : sensazione , giudizio , atten zione,immaginazione,
reminiscenza,analisi, sintesi, astrazione,generalizzazione...Ilnumero de'feno
meni primitivi potrebbe rimanere lostesso, ma senza esservimarcataladipendenza
traimedesimi.L'al tendereèproprio dell'intelletto; l'immaginazioneè una legge
della sensibilità ; la reminiscenza o ricono scimento è un giudizio ;
l'analisi, la sintesi , l'astra zione,lageneralizzazione....appartengono all'in
telletto.Una tale dipendenza è una condizione di più nel fenomeno : è
propriamente una ulteriore parziale riduzione. Così per altro esempio , se i
motori della volontà si enunciassero come segue:Tendenza istintiva delle nostre
forze all'azione ; appetito istintivo del 126 PARTE PRIMA, piacere;
appetito razionale del benessere; appetito della dignità personale; appetito
dell'onore esterno; emozione benevola di riconoscenza; risentimento;
benevolenza ; si a v r e b b e c o m p l e t o il n u m e r o d e ' m o t o r i
primitivi, ma niente apparirebbe della loro dipen denza; l'enunciazione non
darebbe ultimata laloro riduzione,non siesprimerebbecompleto,perquanto a noi
siscopre,ilsistema della natura pe'fenomeni della volontà. Vedulaprimordialenellericerchedellaori
gineedellareuliàdellascienzaumana » 1 II. Sula ipotetica origine a priori delle
idee e IL METODO IL METODO VELLA SCIENZA DELLA NATURA. IN QUESTO VOLUME PRIMO primitivi ..realtà
delle conoscenze IV. Continuazione V. Osservazionipreliminari DI Ciò che si
CONTIENE INTRODUZIONE delle conoscenze III.Siannunziano iprincipj, trattida
osser . vazioni parlicolari, su la origine e
Classificazionede'fenomeniprimitivi » II.Riduzione de'fenomeni particolari a'
»esempio trattodalla estetica Classificazione delle scienzenell'ordinelogico
VII.Metodo inventivo nelle scienze natu VIII.Metodoinventivarellascienzadelpen
IX.Melodo di esposisione nelle varie X.
Metododiesposizionenellascienzadelpensiero - poche idee sul metodo
Utilitàinultimarleriduzioni Classificasione delle scienze. ESPERIMENTI DEL
METODO PER LA SCIENZA PRIMA. CORSO PROGRESSIVO DELLA FILOSOFIA PRIMA, E
SUE DEVIAZIONI. Posizioni diverse nella quistione del Me- todo —
Esemplare classico del metodo speculativo— Primo esemplare del me-
todo di pura osservazione. . .EL. Deviazioni del metodo nel periodo sco-
è è » a 00 a_n _d Articolo HH. Metodo di pura osservazione nella
parte psicologica della Filosofia ortodossa. » Articolo 1V,
Progresso della osservazione analitica nel- la Filosofia moderna, ad onta
che i si- stemi: declinassero o al sensualismo, o al’ idealismo;
Idealismo assoluto de’ discepoli di Kant— Declinazione della osservazione
anali- tica, e rifiuto de’ suoi prodotti prece- denti, surrogandovi
una supposta per- cezione de’.sensi, e una dimessa ma ra
soggettività, e per ultimo rivisioni ontologiche. Sut-nesso-detta discorsa
Rassegna ci con la seguente O'S 8 ESPERIMENTI DELLA FILOSOFIA SPECULATIVA.
SU LA LOGICA DI HEGEL. ‘Articolo E. Su l'identità de’ due
contrarii . ... >» 4 Articolo HI. Le idee fondamentali dell’ intimo
senso Vanno snaturate in ogni panteismo . » Articolo m. Su le
categorie, e l'Idea assoluta. .. . » 2% = vo nella scienza prima
— tende di continuo ad alterare il genui- no valore delle
idee fondamentali. SU LA FILOSOFIA SPECULATIVA. SU LA IMPOTENZA DELLA RAGIONE
INDIVI- DUALE , SECONDO IL LAMENNAIS. . » 3% C4PO-T7-="Sv-t5
EINE DI Dio, DEL cinite, SISI L'ATTO CREATIVO, SECONDO IL Gro-
SERIE input » Sul secondo a della formola. .IN. Su Te altre parti della Formola
, cioè T Enie e l'alto creativo. .Su la Visione delle idee in Dio >
indi- pendentemente dalle altre parti della iu DETTE
IEEE SU LE CONDIZIONI DELLA ODIERNA FILOSOFIA. Articolo I. Sul
concetlualismo, perenne caasa delle deviazioni della Filosofia. . . Hi.
Su i recenti proget di nuova Filosofia OROCO: «..-_/._. cs. iu »
Influenza della sacks tedesca su la Filo- sofia del secolo . . ...... +.
D 203 Articolo IV. Su le più famose obbiezioni prodotte da’ moderni
contro la Teologia naturale. » 238 Articolo VW. Riassunto degli articoli
precedenti e con- seguenze per le scuole d’insegnamento. » ÈNTE IN
UNIVERSALE, LUME PERENNE DELL'U- MANO INTELLETTO , SECONDO ZL ROSMINI.. »
275 Articolo Il. Su i modi dialettici adoprati dal Rosmini nel
mostrar conforme al suo sistema la dottrina insegnata da S.
Tommaso. » 314 Articolo Wl, già un anno decorso che uno dei più
profondi filo sofi di questa Italiana provincia faceva da noi dipartila ! Niun
periodico della capitale fra i tanti che pur trattano di futilità e di non
nulla , o tutt'al piú di celebrità di teatro,fecealcunmottodilui:ilsoloOmnibus
annun ziandone la grave perdita, prometteva una biografia dell'estinto:ma tale
promessa insino ad ora non l'ab biamo veduta recare in atto Noi per mera carità
di patria e senza pretenzione letteraria di sorta, diamo questi pochi cenni per
come abbiamo potuti raccogliergli frugando nella nostra memoria (1). A quella
regione ferace di eletti ingegni ed in ispecie di grandi filosofi da Pitagora a
Galluppi (tralasciando tanli altri illustri nomi) appartenne il nostro
Filosofo, avendo avuto i natali verso il 1792 nell'antica Reazio ,oggiM e
Ahi sugli estinli Non sorge fiore ove non sia d'umane Lodi onorato e d'amoroso
pianto. . 7 soraca,inProvinciadiCalabriaultra2.dabaronale ed
agiatafamiglia. Passòl'infanzianellaterranatale,ima mostrato avendo svegliato
ingegno, fu pensiero di un suo zio,religioso dello insigne ordine de'Teatini di
con durlo in Napoli per fargli apparare belle lettere e filosofia appo
que'RR.Padri. Quivi dedicandosi alacremente a talistudi,ebbe a con
discepoloilfamoso ex Generale de Teatini,P.Gioacchino Ventura, che se tutti
ammirano per non comune facondia , per vasto sapere ,per rettitudine ed
illibatezza di costumi, gl’Italiani lo avrebbero a ragione desiderato
continuatore dell'opera progreditrice e liberale da lui cominciata a p r o p u
g n a r e n e g l i a n n i 1 8 4 6 e 4 7 . C o n l u i il D e G r a z i a l e
g o s s i con tale intima amicizia e scambievole stima , che le m e morie di
quella loro prima età insieme trascorsa, dopo tanto volgere d'anni non più
cancellaronsi ,abbenchè pel diverso stato da essi prescelto, vivuto avessero
quasi sempre l'un dall'altro discosti. Escito il De Grazia da quelle
scuole,diessi con tutto ardore agli studi severi delle matematiche ,non pure
tra lasciando qnelli della filosofia , pe ' quali monstrava incli nazione
grandissima. Giovane ancora militò per qualche tempo nel Genio ; m a
poscia,smesso il cingolo militare, esercito professione d'Ingegnere, entrando
nel Corpo detto allora de' Ponti e Stradë. Si nell'una che nell'altra carriera
adempi lode volmente ai doveri della sua carica , e procacciossi giusta
-8 > 2 9 7 estimazione.Ed abbenchè per lasua indipendenza
di pen samenti e per la sua modestia , non venisse adoperato come avrebbesi
dovuto,pure quello che in varie pro vincie per suoi elaborati disegni in opere
pubbliche ed in fatto di edifizi vari, venne eseguito, riusci di uni versale
contentamento,e rivelar seppe la sua valentia, tanto da essere ricercato e
consultato dagli stessi suoi compagni ed emoli nella professione. Ma nel paese
del De Grazia da piú tempo non costruisconsi più quelle opere grandiose da
potersi rivelare il genio artistico di un'ar chitetto;e se pure alcuna fiata
qualche notevole edifizio debbesi costrurre,l'ingegnosirimanefrapastoje;perché
condannato a grame proporzioni di una architettura bor ghese, od a meschine
economie che sovente lasciano le opere pel volgere di più anni
incomplete,ovvero menate a compimento , ma di gran lunga variate dagli
originali disegni. V e r s o l ' o t t a v o l u s t r o d i s u a e t à il D e
G r a z i a , o m e t t e n d o i lavori per Ponti e Strade e smessa ogni altra
cura ed applicazione, si dedicò con tutto ardore a quegli studi filosofici che
fin dalla gioventù avea mostrato di molto prediligere. Frutto delle sue
lucubrazioni e speculazioni filosofichefulagrave opera:Saggio sulla realtà
della scienza umana ; lavoro sapiente e profondo , che in 4 volumi pubblicossi
a Napoli nel 1839-43 e che verso il 1847 il Silvestri in Milano ed ilFontana a
Torino voleano ristampato pe'loro tipi,ma non vedendosi incuorati da
chicchessia a tale pubblicazione , e la stampa tacendo su di un'opera di
tanta mole , ne smisero il pensiero. Non è scopo nostro venire in disquisizione
sul suo si stema filosofico e sulle opere di lui, secondo che ne fac ciamo qui
menzione ,pon sentendoci da tanto,e lasciando a'profondi pensatori un tale
incarico.Solo diciamo ,ch'egli rifuggendo da'sistemi oltramontani e
dallaservile imita zione, ha tutte leproprietà dell'italiano Filosofo, per q u
e l l a s u a m a n i e r a d i s t u d i a r e il m o n d o e s t e r i o r e
, e p e r quel pratico senno che loconducono dall'esperienza alla induzione
,per modo da congiungere sempre l'osservazione di fatto colla generalità delle
idee.In ciò fare egli seguiva in gran parte le dottrine del sommo Aquinate
,gloria d’l talia e della Chiesa ; senza aver letto ancora Opera alcuna di
questo santo Dottore. Per caso in confutando talune teoriche dell'altro nostro
celebre italiano , l'abate Rosmini , il quale in un luogo delle sue opere
ivaesponendo molte sentenze di S. Tommaso in conferma de'suoi detti,sorse
vaghezza al De Grazia di leggere la somma di esso santo; e grandissimo fu il
suo compiacimento in rilevare l'ac cordo delle loro dottrine in ciò che
concerne ilprincipio di rifuggire da ogni ipotesi speculativa, e di ricondurre
la scienza fondamentale al puro metodo di osservazione; e pieno di rispetto e
di ammirazione pel santo d'Aquino, iva seco stesso facendo le più alte
maraviglie del quanto poco abbia progredito la scienza filosofica in questi u l
timi sei secoli. 10 > Oltre a molti altri scritti minori ,
pubblicati in parecchi giornali specialmentenel Progresso enel Calabrese,altra
grave sua Opera è quella intitolata : Discorsi sulla Logica di Hegel e sulla
Filosofia speculativa , ove adoprandosi dimostrare l'assurditàdi
taleLogica,confutaque'filosofi che han cercato con malizia o senza addarsene
d'intede scare la filosofia italiana. Per chi le Opere del De Grazia
punto non conosce,riu. scendogli per avventura nuovo un tal nome ,potrebbe di leggieri
riputare sospetti i nostri elogi, se non altro ,per troppa carità di patria :
noi a renderlo persuaso del con trario, e che anzi,il lodato resta sempre al
disotto delle nostre umili laudazioni , citeremo l'autorità di un giudice assai
competente ed in nulla sospetto, qual'è il celebre Professore di Heidelberg
Cav. Carlo Mittermaier. Questi nel suo Libro Condizioni d'Italia pubblicato nel
1846 e precisimente nella Lettera di appendice indiritta al chiaro abate Mugna
, traduttore del suo libro, dopo aver parlato delle celebrità letterarie e
scientifiche d'Italia , e m o strando desiderio che le opere filosofiche
degl’Italiani fos sero meglio sludiate dagli stranieri ed in ispecie da'suoi
connazionali , venendo a parlare di Napoli dice : « Il genio della filosofia
napoletana è la copiosa e fina analisi dello spirito umano,sempre unito a
grande dovizia d'idee e ad una tendenzapratica ».Ad essoappartengonoleopere di
P. Galuppi e di V. De Grazia, peculiarmente l'opera di questo:Saggio sulla
realtà dellascienzaumana.Esa >
minandol’A.gliscrittide'suoipredecessori,non che de'filosofi tedeschi ed
entrando in minute particolarità (peresempio
vol.2.p.1.174)intornoa'varipensamenti sulla origine delle idee,seguesi con
piacere lo stesso A. nel suo ingegnoso sviluppo e si ammira la sua fina analisi
intorno alla natura delle conoscenze pure intuitive , e c o noscenze
dimostrative. « Fin qui il Mittermaier.Le parole di un tant’uomo sono più che
sufficienti a testificare sul merito filosofico del nostro concittadino , ed
altre singole illustritestimonianzepotremmopurqui addurre;ma le opere di lui
per chi vuole e può leggerle parlano abba stanza.Solo non vogliamo tralasciare
di dire che fu in grand'estimazione tenuto da quell'antico uomo di stato e
scienziato profondo il Conte de' Camaldoli , Francesco Ricciardi,e che ilsuo
grand'emulo il Galluppi (la cui fllosofia era stata in qualche parte del De
Grazia confutata perché non severamente italiana , nè in tutto da lui tro vata
scevra di straniere dottrine) richiesto un giorno del suo parere sul Saggio
della realtà dellascienza umana , rispose:l'operaprocedemoltobene,secondo
ilsistema seguito dall'autore.E qui di volo ci si permetta doman d a r e a n o
i s t e s s i : c h i r a g g i u n s e p i ú il v e r o d e ' d u e c h i a r
i concittadini nei loro rispettivi sistemi?chi più possedette geniocreatore?A
ciòrispondiamoesserpaghidirilevare
inambidueilpositivoprogressodellafilosofiaappo noi e possiamo riguardarli come
continuatori delle dottrine sviluppate da' due filosofi Calabresi Telesio e
Campanella 42 > > > che cercarono di richiamare la
filosofia del secolo decimo settimo a'suoi veri principi facendo appello
all'esperienza, alla propria ragione ed all'esatto studio del mondo ,quale si
offre alla osservazione, e sopratutto cercando di sce verare la filosofia dalle
quisquiglie scolastiche del tempo ; per il che ebbero a sostenere aspra guerra
per parte de' loro avversari , seguaci delle dottrine d'Aristotile , più in
quanto alla forma che alla sostanza. Or nella gran serie di sistemi de'
filosofi di Europa , ognuno dei quali nasce per distruggere l'anlecedente , e
per essere poi a sua volta distrutto dal successivo,i sistemi seguiti da' due
grandi Calabresi, Galluppi e De Grazia, sono sistemi italiani, sopratutto
quello del secondo , e sopravviveranno a'posteri assai più,se non
c'inganniamo,dell'eccletismo di Francia e del razionalismo puro di Germania
,ilquale u l t i m o s i s t e m a a r g u t a m e n t e il D e G r a z i a c h
i a m a v a : p o e m a filosofico;abbenchède'filosofitedeschiegli faceastima
grandissima,especialmentediEmanuele Kant,ch'èil primo
nellaseriediquellicheformanolamodernascuola, per la mente profonda, vasta e
unicamente originale fra tutti i filosofi di Germania ,per maturo
giudizio,fervida imaginazione,esottilissimoingegnoanalitico,ma lamen lava che
il suo genio batté la via del eccletismo scettico e del dommatismo razionale.
Ma benché per noi sian grandi tutt'e due inostri con cittadini,nondimeno sembra
rilevarsi dalle suespresse parole del professore di Heidelberg che
nell'opera,da lui 13 > citata e da noi di sopra più volte
riferita,la penetrazione filosofica e la fina analisi del nostro De Grazia
abbiano richiamato la sua attenzione assai più che nol fecero le opere filosofiche
del Galluppi. Eppure questi , sebbene tardi, fü almeno ricordato da quel
Governo , essendo stato nominato professore di filosofia nella cattedra della
universitàdegli studi di Napoli (2)e nella morte di lui fu r o n v i p u b b l
i c h e e s e q u i e , e r e c i t a r o n s i f u n e b r i e l o g i ( 3 ) m
a il De Grazia visse e mori ignorato! e non fu noto che alla
calabraterra,chevidelonascere,edaqualche singola celebrità nostrana e
straniera. Di chi la colpa ? Forse de' tempi ? del governo ? o della propria
sua indole? Noi crediamo esservi concorse tutte e tre le suindicate cagioni. C
i r c a il g o v e r n o c u i a p p a r t e n n e il D e G r a z i a , il m e
r i t o non è merce cui è andato per ordinario ed unquemai in traccia; ma nel
tempo presente solo il pensarlo è utopia. E finalmente l'indole di lui
rifuggente dallo adulare potenti,dalcercarmecenati,dalraccomandare odedicare
isuoi scritti achichessia,mantenendosi sempre in dignità Il secolo che
corre: e che appellasi posilivo non ha altripensieridominanticheilcredito,>
laborsa,lespe culazioni commerciali, o tutt'al più qualche progresso materiale
da solletitare l'ardente brama del guadagno (peste della società presente) che
di continuo lo stringe ed arrovella;epperò non è secolo che occupar puotesi di
filosofia. e modestia , coltivando la scienza per abitudine contratta
agli studi severi e per naturale inclinazione del suo genio inventivo e
calcolatore, senza avere unquemai tenuto scuola (che gli scolari molto
influiscono alla fama ed a rendere popolare il nome de’loro maestri)e menando
per conseguenza vita laboriosa e ritirata ; fecer si tutte le cosi
fatteragionicheilnome suorimanesseignotoall'universale. Ma qui non possiamo
fare a meno di non osservare che in questa epoca di generale centralizzazione
governativa negli stati di reggimento assoluto sopratutto, ne' quali ė spesso
negato a privati di fare puranco il bene (4)o altra innocentissima cosa ,senza
previa superiore autorizzazione, o sovrano beneplacito;ove nullapuossi mandare
a stampa senzapreventivarevisioneecontro revisione;non rebbe uu richieder
troppo da cotali governi se alla mania di voler lutto sapere ed operare
aggiungessero un pò di buonavolontàedesideriodiconoscerelegrandi intelli genze
, tenerne nota ed applicarle a vantaggio della n a zione. E grata cosa sarebbe
riuscita al De Grazia,abbenchè dell'indole qui sopra descritta , e sempre
abborrente dalla s e r v i t ù e d a l l a v a n i t à , s e il g o v e r n o i
n m o d o q u a l u n q u e avessegli addimostrato di tenerloin pregio,o nominandolo
professore di filosofia nella Università, dopo la morte del Galluppi, non
essendovi in tutto il reame altri che più diluinefossestatodegno,omostrandogli
dipregiarlo in altra guisa qualunque,ma sempre per moto spontaneo, essendo
stata sua massima indeclinabile che ilmerito de -15 > sa
vesi conoscere volenterosamente dagli altri,senza sforzo di sorta per
parte propria. Sonovi però di momenti nella vita de' popoli in cui l'opinione
pubblica si addimostra regina e manifestasi con tuttalapossibilespontaneità.Un
talemomentosifuquando nel 1848 ilDe Grazia,non pure senza brigarlo,ma senza
avervinemmeno pensalo,vide ilsuo nome con migliaia di voti sortire dalle urne
elettorali, qual depulato cala brese nel Parlamento napoletano.Molto egli si
compiacque per tale dimostrazione di stima e di fiducia da parte dei suoi
concittadini;ed accetatone il grave mandato ,pieno di buon volere e di coraggio
si parti con gli altri deputati per alla volta della capitale. Lusingavansi gli
elettori suoi nella speranza di vederlo presto discendere dalle astrattezze
filosofiche,alla realtà della vita politica:ma tanto non avvenné, 16 2
> Equicisipermettanoperpocotalune reminiscenze, r i a n d a n d o 'u n t e m
p o , c h e g i à f u ( 5 ) p e r i l i b e r a l i o n e s t i e di buona fede
che credevano alla santità ed alla osservanza di giuramenti (6) e del cui gran
numero facevano parle quasituttiiliberalidelleprovincie,traqualiilDe Grazia,
que' tre primi mesi, dopo il sollenne 29 Gennaio 1848, con assai più ragione di
quello che uno scrittore francese diceva del suo paese nel 1830 furono giorni
deliziosi,in cui la generazione nostra conobbe quell'allegrezza,quella
‘speranza, quel non so che si raro nell'umana storia che ci fa dimentichi del
peso della vita. L'avvenire non più - 17 -
rappresentavasitristea'nostrisguardi,scoprivasiun'oriz. zonte sconosciuto,
tutto era color di rosa,perché crede vasial progresso
indefinitodell'umanità,ealcompimento insperato di tuttele promesse della
filosofia moderna. Quelle notizie sempre succedentisi di libertà di popoli, di
cessazione di ogni dispotismo e tirannide in quasi tutta Europa, d'indipendenza
ed autonomia di nazioni, eccede vano l'immaginazione e faceano degli uomini
tanti inna morati viventi in un'atmosfera inebbrianto....... Tempi felici! e
che non più ritorneranno !perocchè a tutte quelle nobili aspirazioni (forse
perché non provegnenti nella gran maggioranza da vero disinteressamento,
abnegazione e pura virtú) sono troppo rapidamente succedute le idee finanziarie
e di materiali interessi, che stan materializ
zandotuttiglispiritiedimmergendoliinunprofondo le targo
daimpedirediaddarsidellalenta,ma sempreognor crescente propagazione del
dispotismo; e che per sopras sello invece di farei indefinitamente progredire,
ci ha fatto, e ne sta facendo precipitosamente indietreggiare (7).E cio di
passaggio. Ma ritornando al nostro Vincenzo, egli era uno di quei tanti
Filosofi che hanno il coraggio del pen. sieroe non quello dell'azione.Uomo
adusato da tanti anni а star chiuso nella rocca della sua mente per dare
corpo e vita a'suoi pensamenti filosofici, riputavasi vestito del lusbergo
delpiùsaldoproposito:ma arrivatoalcontatto della fredda realità, divenne
esangue ed impallidi. Difatto giunto in Napoli, tosto avvidesi del come furono
conce I fatti che vide nel famoso 15 Maggio , al primo scio
gliersidella Camera de'Rappresentanti della nazione, non c h e n e l t e m p o
s u c c e s s i v o (d a s u p e r a r e f i n a n c o l e s u e p r e visioni
e che iscusano la sua condotta inverso chi volle accagionarlo di timidità)
fecero d' allora in poi addive nirlo più solitario e ritirato di prima. Lui
felice ! che p o teva col pensiero allontanarsi dalla triste realtà che cir
condavalo, e vagare tra i nobili e pacifici campi della fi losofia. Fu verso
quel torno che rivedemmo per l'ultima volta il'De Grazia,ilquale ci feceaperto
diesser egli tuttoap plicato al compimento di un lavoro già concepito quando
lesselaSomma dell'Aquinate.A questonomeglidichia rammo francamente il desiderio
nostro, e di altri suoi amici ancora, che siccome dalle sentenze filosofiche
scelte dalla S o m m a presentar volea la Filosofia di S. T o m m a s o ,
coll'esame comparativo delle dottrine del nostro secolo; cosi dalla scelta di
tutte le sentenze politiche, di che ab bonda quell'aureo libro, ci facesse
conoscere la politica di quel santo dottore, in tutto tendente a fare che la s
u prema autorità non trasmodasse in dispotismo e tirran nide, e che la macchina
governativa fosse tutta intesa a formare il benessere della gran maggioranza
della co 48 dute le improvvisate riforme; col suo sguardo scrutatore
s'impossesso della situazione politica del momento , e m i surandone tutta la
portata, promise a sé stesso di non porre piede nell'aula del Parlamento
Napoletano. e mune Patria;che simili
scritti,soggiugnevamo,potrebbero serviredifrenoalpotere,affinchéne'suoiattinon
de generasse in forza brutale. Al che il nostro Filosofo (cui sembravagli
ancora di sentire il fragore delle artiglierie) mestamente rispose: L'eloquenza
dellabocca de'cannoni fa ammutolire ogni lingua , e fa cadere la penna dalle p
a ralizzatemani.E noidirimbecco:seilcannonedistrugge, la penna può e sa
riedificare. Fu dunque nel 1851 che il cennato suo lavoro col litolo
di:Prospetto della Filosofia Ortodossa, venne stampato in Napoli, in un volume
in 8. di pagine 632. Fra le molle lodi che questo libro ebbe dalla stampa
periodicadi di verse parti, furono quelle tributategli con molto calore dalla
perma'osa Civiltà Cattolica (8)(anno 3. vol.10. N. 60) connostra grande
maravigliaesatisfazione.Ma lamag gior lode che ridondar possa a vantaggio del
De Grazia, si è, che per il primo ha cercato di far rivivere la Filo
sofiadiS.Tommaso,echeilsuo pensieroè statoposcia seguito dalla Università
-parigina e da parecchie di Ger : mania. Era sua intenzione comporre un'opera
di Estetica ed un'altra d'Istituzioni filosofiche, questa sopratutto, per
esservene secondo lui, gran difetto nelle scuole : m a tale divisamento non
potè mandare ad effetto: sonosi tro vati,èvero,de'manoscrittinellasuacasa,ma
forte te m i a m o c h e a n d r a n n o p e r d u t i. F e r a l e m o r b o m
i n a v a d a p i ù tempo isuoigiorni,edegli vide approssimare ilsuo fine con
la serenità di un fanciullo e con l'impassibilità di un Filosofo ed il 22
settembre 1857 cessò di vivere. -19 Fu ilDe Grazia di
ordinaria statura e di gracile com plessione; di aspetto nobile e dignitoso, ed
insieme di tratti gentili, e cortesi epperò riusciva piacevole nella
conversazione.Nel suo incesso vedevasi grave e pensoso come se ruminasse
qualcosa col cervello,o talmente era assorto da suoi filosofici pensieri,da non
por mente alle cose esteriori,e da non addarsi degli amici che passavan gli
allato, se questi nol riscuotevano chiamandolo per nome.Visse sempre
celibe.Lasciò un'unico nipole, erede de'suoi beni, mostrandosi pur generoso
nelle ultime dis posizioni verso due suoi antichi compagni ed i suoi d o
mestici. Or un tant’uomo disparve dalla scena di questo mondo senza che nemmeno
un fiore si fosse sparso sulla sua tomba ; senza che nè pietra pè parola
additassero ove han riposolesueceneriericordasseroilnome diluiagli avvenire ! A
voi Italiani,che amate gl'illustri figli della comune sventurata patria nostra,
e che vi distinguete per nobili sentimenti di nazionalità, abbiamo rivolta la
nostra p a rola:inscrivete,per come é debito, il nome di Vin cenzo De Grazia
tra quei grandi nomi che passar denno alla Posterità ! Tu , illustre
Mittermaier, che nel fare m e n zione in semplice lettera, de'chiari Italiani,
non potesti fare a meno di non dire parole di lode sul merito filoso fico del
nostro Eroe: spendine altre poche or ch'ei è trappassato, por vendicare
l'ingiusto silenzio tenuto dal 20 21 paese ovo nacque e
mori.E tu,o venerando P. Ventura, che non mai dimenticasti il tuo condiscepolo,
abbenché sempre gran distanza da lui ti divise, e che forse ignori ch'ei non è
più , in rilevare la sua dipartita, scrivi alcun motto per quell'ingegno
sdegnoso di ogni schiavitù mas sime se straniera,che co'suoi scritti fè sempre
aperta guerra alla filosofia che non attinge i suoi lumi alle fonti del
Cristianesimo,ciòinfluirànonpocoafarsicheilnome deltuoanticoamicosiaconto
all'universale(9).Le no stre rozze e disadorne parole rassembreranno talco o
mica inruvida roccia,ma levostresarannoripetutedagliechi, lontani e renderanno
al virtuoso obbliato, dopo morte quel merito che in vita gli fu negato. 0
Napoli febbraio 1858. Sopra un'amena collina distante una diecina di
chilometri dal mar Ionio è situata Mesuraca,paesello che conta un due migliaia
e mezzo di abitanti.Uno scrittore che sognasse,ve gliando,gl'irrevocabili
portenti della Magna Grecia,nei ru deri che ingombrano il vicino monte
Matonteo, crederebbe di scorgere gli avanzi di un vetusto tempio , sacro a
Venere ; e nel nome tradizionale della montagna non mancherebbe lo appiglio di
ricordare il riso e gli amori , fidi compagni della
vezzosaDeadiAmatunta.Noi,nellanostramodestaprosa, ci contentiamo a più vicine,e
più certe memorie. Egli adunque contava quindici anni meno del suo illustre compaesano,del
Galluppi, ch'era nato il 1770, nella stessa provincia di Catanzaro ,in una
piccola cittaduzza posta quasi in riva dell'opposto mare;e,vedi caso,era nato
anche lui di casa baronale ; sicchè pare che su lo scorcio del passato se colo
lo stemma gentilizio non fosse così ostinatamente avver so agli studi
Addi 19 febbraio 1785, in quel paesello appunto,nasceva da Marco e Laura
Brondolillo quel Vincenzo De Grazia, di cui vogliamo esporre la dottrina
filosofica. Nasceva di casa baronale ; ma non è quel che ci preme ;nè pare
importasse neppure a lui, che aveva il buon senso di segnare a fronte
de'suoilibriilproprio nome ecognome asciuttoasciutto,e senza nessun prefisso.
Giovanettino ancora di soli cinque anni lascio, o meglio gli fu fatto lasciare
il paese nativo, e fu condotto a Napoli , e quivi chiuso nel
collegio di San Carlo alle mortelle, dove continuò a studiare,come
sisuole,finoallaprimagioventù. Tra le poche carte,non disperse o
distrutte,dalle quali ho potuto raccogliere qualche scarsa notizia della vita
di lui, avanza una lettera del rettore di quel collegio,certo Teofilo
Misa,sottoladatadel15agosto1795,concuisiraggua g l i a v a il p a d r e d e l l
a b u o n a r i u s c i t a d e ' p u b b l i c i s a g g i d a t i d a i
figliuoli di lui.Questa lettera giova non tanto a testimonian za del profitto;
chè un baroncino , si sa, fa sempre bene ; e di fatti il buon rettore si lodava
non solo di Vincenzo , m a del l'altro fratello Domenico ; quanto ad assodare
la data della nascita . Eugenio Arnoni , che laboriosamente s'ingegna di
scrivere lememorie dellaCalabria,lofanato il1792:seil1795 da va pubblici esami
, quella data è dunque sbagliata ; e rimane accertata quella che ho trovata
scritta io nel volume su la logica di Hegel , insieme con l'altra concernente
la morte del De Grazia.Il volume appartiene alla famiglia del filosofo,ed
iol'hopotutoavere,insieme conglialtridocumenti,perla cortese premura di Antonio
Serravalle, valoroso giurecon sulto,e caldo promotore della gloria del nostro
paese:qual cuno di casa vi avrà registrato certamente quelle due date. Forniti
i primi studi , diessi a coltivare le matematiche, e divenne
ingegnere.Ilnapoletano conquistato dalle armi fran cesi,doveva allora,per
l'imitazione de'conquistatori, corre re dietro al mestiere delle armi . Il 1811
il nostro De Grazia trovavasi arruolato da sottote nente nel Genio,quando con
Decreto Reale del 29 agosto di q u e l l ' a n n o , c o m u n i c a t o g l i
d a l C a m p r e d o n il 1 4 s e t t e m b r e , e r a stato nominato ingegnere
aspirante di Ponti e Strade. L'an no appresso,con Decreto del 22 aprile 1812,fu
promosso ad ingegnere ordinario di seconda classe. Qui i documenti , che
abbiamo avuto sott'occhio , finisco no;nèsappiamo,se,cessato
ildecennio,eiritirossi disua 2 scelta, o se fu licenziato dal
Borbone restaurato sul trono. Dal 1812 ci è forza saltare al 1838 . Il 29
giugno di quell'anno la Società Economica di Cala bria Ultra 2.a lo proponeva a
socio : la nomina aveva luogo soltanto il 18 dicembre 1839. Era lentezza,o si
erano incon tratiostacoli?nonsisa,efameraviglia,come diunuomo di vaglia,
vissuto tra di noi, s'ignorino tante circostanze, che ci aiuterebbero a
lumeggiarne meglio la figura. Vero è che le abitudini del filosofo erano molto
casalinghe, che dal- la famiglia ei visse diviso , che per le vie raro si
faceva v e d e r e . E d i o m i r i c o r d o , c h e a n d a t o s t u d e n
t e a C a t a n z a r o il n o vembre del1852,benchè misidicesse
cheilDeGraziaci fosseallora,benchèioavessidesideriodivederlo,nonmiven ne mai
fatto d'imbattermegli per via. Questariservatausanza,e'lnon
averemaiinsegnato,fe cero sì, che poco si dilatasse la sua fama, e ch'ei
passasse quasi sconosciuto. Quando il Serravalle mandommi le sue carte, credevo
di trovarci copiose notizie,od almeno un frequente carteggio : m'ingannai
:corrispondenze non mantenne,o non conservo ; più facilmente però non
mantenne,perchè non ci sarebbe sta ta ragione di conservare alcune lettere, e
di distruggere le altre.Nè ciòprovenne,aparermio,danoncuranza,ma da
impossibilità; correndo tempi fieramente avversi ad ogni a c comunamento degli
animi,pieni di paure e di sospetti. 3 Dueotrenomine diAccademie
glivennero,chenoiab biamo trovate fra le sue carte,con una certa cura
custodite: una ,a socio onorario dell'Accademia Valentini di Napoli ,che
avevaaprotettoreilContediSiracusa,sottoladatadel4giu gno 1842;una seconda,a
socio corrispondente della R. AC cademia de'Peloritani,sotto la data del 10
ottobre 1842 ;una terza,più tarda, ma non più celebre,a socio onorario della R.
Società Economica della Provincia di Cosenza, sotto la data del 9 novembre 1853
. Ecco gli scarsi onori fatti ad uomo meritevole di maggior fama !
IlMittermaier,professore dell'Università diHeidelberg,
scrivevaintantoall'ab.PietroMugna,cheavevavoltatoin italianoilsuolibro
sulecondizioni d'Italia,quest'onore vole giudizio sul nostro filosofo : « Il
genio della filosofia napoletana è la copiosa e fina a n a lisi dello spirito
umano ,sempre unita a grande dovizia d'idee e ad una tendenza pratica.Qui
appartengono le opere di Gal luppi,ediV. deGrazia,peculiarmente
l'ultimadiquesto. Esaminando l'autore gli scritti de'suoipredecessori,anche de
filosofi tedeschi,ed entrando in minute particolarità,(per esempio
vol.II,pag.1-171)intorno a'varî pensamenti sul l'origine delle idee, seguesi
con piacere nel suo ingegnoso sviluppo,e si ammira la sua fina analisi (per
esempio vol.II, pag . 171 ) intorno alla natura delle conoscenze pure e cono
scenze dimostrative ». Così scriveva il giureconsulto tedesco il 1845 . L'opera
del De Grazia,a cui egli alludeva,e che preferiva a quelle dello stesso
Galluppi, era appunto il Saggio su la realtà della scienza u m a n a cominciato
a pubblicare a N a poliil1839,efinitoil1842. Della importanza di quest'opera,e
della mira che l'autore vi si prefisse, discorreremo ampiamente : per ora giova
a v vertire, che gli stranieri avevano letto ed ammirato un libro che
gl’Italiani di allora quasi ignoravano,e che i contempo r a n e i , p e r n o n
f a r t o r t o ai l o r o m a g g i o r i , c o n t i n u a n o a d i g n o
rare.Escludo daquestonumero ilprof.Ferri,che nelsuo
SaggiosulastoriadellafilosofiainItalialoriportònelca talogo dei libri
filosofici (degnazione non piccola) ; guardan dosi,beninteso,di accennarne
almeno lo scopo.Forse non lo aveva letto. IlDe Grazia passava ilpiù del suo
tempo a Napoli, dove il Galluppi fin dal 1831 teneva la cattedra di filosofia
nella 4. Università,ed attirava a sè la gioventù si per
l'insegnamen to vivo, come per la popolarità de'suoi elementi .Al De G r a zia
mancava l'una cosa e l'altra,perciò non gli riuscì di ave re seguaci. E che
desiderasse farsene, l'ho raccolto da una lettera che gli scriveva Lorenzo
Zaccaro il 3 marzo 1842 . Nel saggio medesimo da lui pubblicato le allusioni al
Gallup pieranofrequenti;mavelate,esenzacitarlodinome.La fama del suo illustre
concittadino turbava i suoi sonni ; ma
all'emulazionenonsimescevanessunsensod'invidia,emol t o m e n o o b b l i q u e
a r t i p e r s o p p i a n t a r l o . Il p r o f . P a o l o E m i l i o
Tulelli anzi mi ha raccontato, che,vacando per la morte del Galluppi la
cattedra della Università napolitana,al De Grazia non sarebbe stato difficile
ottenerla,se l'avesse chiesta.M o stratagli questa agevolezza,eiricusò di
chiederla,benchè la desiderasse,enon lonascondesse:offerta l'avrebbeaccettata;
mailGovernonapoletanoparchenonlovedessedibuonoc chio . IlDe
Grazia,intanto,alparidelGalluppi sieratenuto ap partato,nè si era mescolato nei
rivolgimenti politici:entram bi,per usare una frase del Bonnet,s'erano
fabbricato un ri tiro dentro il proprio cervello . Il Galluppi aveva visto le
stra gi del 1799 ,gli spergiuri del 1821 , ed aveva continuato tran q u i l l o
l e s u e m e d i t a z i o n i : il 1 8 2 0 p u b b l i c a v a , i n m e z z
o a q u e l rimescolio , i suoi elementi di filosofia. Il De Grazia non a
vrebbe potuto, per l'età,prender parte ai casi del 1799;a vrebbe potuto il 1821
, m a nol fece : la filosofia civile e bat tagliera era finita col patibolo di
Mario Pagano ; da indi in poi,nel mezzogiorno d'Italia,prevalsero le
speculazioni soli tariefattene'penetrali dellacoscienzasubbiettiva.IlGioia ed
il Romagnosi scontavano nello Spielberg il delitto di aver applicato l'ingegno
alla Statistica,ed al Dritto pubblico :nel Napoletano,tra il 1799 ed il 1848, i
filosofi furono esclu sivamente psicologi. Non so se bisogna far eccezione per
quel Pasquale Borrelli, che,sotto lo pseudonimo di Pirro Il 1848
trovavasi il De Grazia avanti negli anni,dedito da quasi cinque lustri agli
studi filosofici, stimato, se non cele bre ; adatto adunque a rappresentare
decorosamente alla C a mera la sua provincia. Pare che questi numeri gli
meritas sero isuffragî degli elettori politici,ed egli riuscì eletto con 5103
voti,terzo fra inove deputati della provincia di Catan zaro .L'esito gli fu
comunicato il 7 maggio 1848 dal Presiden te Ignazio Larussa, valoroso
giureconsulto ,e scelto Deputato anche lui,con queste parole: < < T a l v
e r b a l e , n e l l ' e s s e r e il m a n d a t o l e g a l e d e p o t e r
i a L e i conferiti, è in pari tempo la testimonianza più luminosa del le Sue
eminenti virtù ». Il De Grazia però non fece a tempo di saggiarsi nella vita p
o l i t i c a : il 1 5 m a g g i o , l a m a l a f e d e d e l p r i n c i p e
a i u t a t a d a l l a inesperienza politica del popolo insanguinava le vie di
Napoli e sgomentava naturalmente l'animo di chi era fatto per la quiete dello
scrittoio,anzi che pei clamori e per le zuffe del l e p i a z z e . Il D e G r
a z i a , s e n z a i n f a m i a e s e n z a l o d e ,t o r n ò a g l i
studi. 6 Lallebasque,scriveva aLugano laGenealogia del pensiero, e che
quivi pare balestrato da contrario e prepotente de stino. Dopo lamorte
delGalluppi,contro lacuifilosofiaaveva assiduamente armeggiato nel saggio,era
nel mezzodì inval saquelladelRosmini edelGioberti,ed,oltreaquesteita liane,
quella straniera dell'Ilegel: i due ultimi filosofi aveva no principalmente il
sopravvento . Ciò dava molestia a lui, costante e schietto sostenitore della
filosofia della sperienza. Se gli era parsa incauta e sdrucciolevole quella che
il M a miani chiamava la riservatissima filosofia del Galluppi,è da immaginare
quanti pericoli non temesse dalle ardite sintesi del Gioberti e dell’Hegel. In
un volume raccolse adunque le critiche di questi sistemi, e di quello del
francese Lamen nais,e pubblicollo il 1850. Pur lodando l'impresa
del De Grazia,il Padula non gli dis simulava però che la critica fatta
dell'Hegel e del Gioberti era scarsa al bisogno : instava, che ci tornasse sopra,e
che raddoppiasse i colpi ; sollecitava da ultimo il filosofo a p u b blicare la
Filosofia del pensiero, opera dal De Grazia dovu ta accennare come in via di
esser composta. Quest'opera pe rò non venne , nè la critica contro all'Hegel ed
al Gioberti fu rinforzata: venne bensì fuora il Prospetto di filosofia orto-,
dossa , il 1851. L'autore fin dalle prime mosse era dovuto p a rere sospetto di
sensualismo,e quindi pericoloso alle creden ze religiose:a lui l'appunto
rincrebbe,e si risolse di scagio narsene . Divisò quindi invocare a soccorso la
filosofia dell'A quinate, valido usbergo a proteggerlo dai colpi frateschi, ed
amettere in salvo la pericolante ortodossia.IlProspetto,
invero,piacquealcleronapoletano,piacqueaiGesuiti;ras sicurò l'autore
medesimo,che doveva sentirsi in disagio.
VincenzoPadula,ilsolo,credo,cheleggesseallorailibri
delDeGraziainCalabria,glibattevalemani daAcri,suo
paesenativo.LeletteredelPadulailDeGraziaavevacon servate; gradito applauso in
tanto silenzio.Il Padula però gli dipingeva iltrionfo delle idee giobertiane
appresso la gioven tù calabrese, ed in una lettera segnata addi 1 del 1851 ,da
Acri,gli scriveva,non senza un certo sgomento,così : « Sia comunque , l'epopea
giobertiana ha sedotto molti let tori;ed io invano da due anni a questa parte
mi vado adope rando a disingannarli. Altro frutto non colsi, che di essere
chiamato bestia ». A tergo di una lettera del Padula c'è una bozza di risposta
doveilDeGraziaraccontaleliete,enonsoseoneste,acco glienze fatte al suo ultimo
libro dal Sanseverino.Ricopio le sue medesime parole: « Oltre l'articolo
inserito nella Civiltà Cattolica , al quale accenna la sua pregiatissima
lettera,un altro forse se ne pub
blicherànelPeriodicolaScienzaelaFede.Eparmichean 8 c h e il c l e r
o n a p o l i t a n o a b b i a a c c o l t o c o n f a v o r e il m i o p i c
colo lavoro ;ilche io debbo precipuamente alla imparzialità e dottrina del
regio prof. Don Gaetano Sanseverino, profes sore di filosofia nel Seminario di
Napoli, il quale ha una m e r i t a t a r i p u t a z i o n e p r e s s o il c
l e r o a n z i d e t t o . È b e n s ì i n d i p e n d e n t e d a t a l f a v
o r e v o l e o p i n i o n e il s u f f r a g i o d e ' r e d a t t o r i d e
l l a Civiltà cattolica ». Ho detto di dubitare, che queste accoglienze fossero
one s t e , q u a n t o e r a n o l i e t e . Il c l e r o n a p o l e t a n o
a l l o r a , e i G e s u i t i specialmentemiravano
ascalzarelafilosofiadelGioberti,a denigrarla,ametterla
inmalavoce.IlGiobertifilosofonon era forse la secreta n:ira de'loro strali
:tiravano al filosofo per colpire l'uomo politico : guerreggiavano la costui
filosofia per vilipendere quel senso d'italianità che traspirava da tutte le
pagine dell'illustre torinese. In quella che il Padula aveva
chiamatal'epopeagiobertiana,lafilosofianonerasenonun e pisodio solo;e se gran
parte de'giovani corse dietro ai pensa m e n t i d e l G i o b e r t i ,v i c o
r s e s o s p i n t a d a q u e l c a l d o p a t r i o t t i s m o , onde
ilfilosofo aveva saputo ravvivarli.Igiovani hanno più sicuro,che non gliuomini
fatti,ilpresentimento dell'avve nire. I Gesuiti se n'erano accorti, e
festeggiavano l'opera del De Grazia,perchè vi trovavano un poderoso aiuto.Non
dico che il De Grazia sospettasse le riposte intenzioni de'suoi lo datori; egli
accettava la lode, perché la credeva di buona fe de.Nell'annunzio che ne dà al
Padula,e che noi abbiamo ri ferito,c'è la ingenuità, e direi quasi ilcandore di
un fanciul lo che non ha pratica del mondo . Ecco ora l'intonazione
dell'articolo della Civiltà cattolica : ne cito solo il primo periodo: ex ungue
leonem . « Lode al cielo !Mentre tanti italianissimi fanno di tutto per
intedescare la filosofia italiana, intenebrandola colle lar ve di
quell'Assoluto che sfuma nel vacuo del possibile,e colla nullità di una logica
che teorizza la contraddizione, sorge all'estremità d'Italia , nella patria
degli Archita, dei Zenoni , dei Campanella, dei Galluppi un
ingegno sdegnoso di tale schiavitù, che tenta richiamare gli Italiani a
pensamenti meno aerei spezzando gli idoli adorati oggidì dalla filosofia
eterodossa, e congiungendo l'osservazione di fatto colla ge neralità delle idee
». Qui la frecciata va agli hegeliani ; e'l contrapposto fra ita lianissimi e
tedescanti non poteva essere più abilmente, o più gesuiticamente messo in
rilievo : non basta però a colo rire intero il disegno dell'articolista, ed
ecco un 'altra frec ciata,che mira più addentro. «Oh
questosì,chepotràdirsiunverorinnovamentodifi losofiaitalica!enegode l'animo
dipotervaticinarealch. A. esito migliore e maggior riconoscenza per parte dei
suoi concittadini , di quella che sperar possono certi rinnovamenti di
filosofia italica, i quali tentano di risuscitare i sogni di Pitagora e di
Zenone per fingersi Italiani, mentre in verità altro non sono che triste
imitazioni del protestantesimo te desco,o dell'eccletismo francese. Mentre
costoro per dare lo scambio agli Italiani vanno nella Magnagrecia ad invocare
la Pitonessa,perchè risusciti dalla tomba iprofeti del paga
nesimo,all'estremità della Magnagrecia presso la calla del cattolico Galluppi
la Provvidenza fa sorgere un ingegno sin golare, che passando dalla milizia
alla Scuola sembra con trapporsi al Renato ,che abbandonò la milizia per
combattere la Scuola ». FinquiilGesuita.Ordunque,notoio,quandosivuolfi losofare
alla tedesca , l'Italia è la patria degli Archita , e dei Zenoni,e non istà
bene curvarsi a gioghi stranieri: quando poi sirisale a Pitagora,ch'era stato
modello adArchita,ed allo stesso Zenone da voi indicato,ecco che questi
diventano a un tratto profeti del paganesimo : potremo sapere a quali filosofi
bisogna ricorrere per aver il vostro pieno beneplaci to,padre reverendo ?
-- 9 2 « La lettura della bella sua opera mi fa sentire anche più
la perdita che io ho fatta;e che sarebbe per me irreparabile se non mi
riuscisse di vederla nelle poche ore che passerò in Napoli prima di ripartire
per R o m a . Se in tale occasione p o tessiriceverel'onorediunasuavisita,mi
stimereifelicedi conoscere il Ristoratore della filosofia ortodossa ». Mi son fermato
su questi giudizî,perchè qualcuno ne ave va indotto,aver ilDe Grazia
nell'ultima opera cangiato via, ed essersiaccostato alTomismo.IlDe Grazia,qui
come nel Saggio,rimane saldo nella sua dottrina sperimentale: se di fetto v'ha
in lui, è la ripetizione quasi puntuale delle m e d e sime idee,e delle
medesime parole stemperata in molti volu mi;ma cangiamenti non glisipossono
imputare.Quel che si trova dippiù nel Prospetto di filosofia ortodossa è lo
sforzo di far parere tomistica la sua filosofia. Perchè ciò gli pre messe,non
indovino : era per tranquillità della propria co scienza ? era per capacitare
gli altri ? era per aver dalla sua il clero, e col mezzo di questa cooperazione
diffondere la sua dottrina ? nol saprei dire: certo la sua filosofia rimase
quasi sconosciuta, nè le lodi del clero napoletano e de'gesuiti le valsero
allora, e forse le nocquero più tardi : successe di lei ciò ch'era succeduto di
un teatro da lui disegnato,e costrui t o a C o s e n z a ; il q u a l e f u d i
s f a t t o p e r i m p i a n t a r v i u n c o l l e g i o di gesuiti.
10 Ma lasciamolo làilGesuita,che non siaccorge,quanto la filosofia del De
Grazia possa arrecar di nocumento alla sua fede:ilcritico non va a cercare
tanto per lo sottile,e siap paga dell'autorità di san Tommaso ,e del titolo del
libro:più inlànonvede.NèpiùinlàvideilP.Taparelli,contuttala fama di dotto,
perchè in una lettera scritta al nostro De G r a zia da Sorrento,in data del 12
agosto 1852,lo salutava,senz'al t r o , r i s t o r a t o r e d e l l a f i l o
s o f i a o r t o d o s s a . Il D e G r a z i a , s a p u tolo a Napoli , era
stato a fargli visita : non lo aveva trovato , e d il T a p a r e l l i , i n f
o r m a t o n e , g l i a v e v a s c r i t t o c o s ì . Meritava
egli quest'obblio ? Certo che no ; e noi ci studie remo
didimostrarlo,facendouna rapidaesposizionedellesue dottrine contenute ne'libri
finora accennati. E primaditutto:qualieranolecondizionifilosofichedelle
provincie meridionali , quando egli diessi a filosofare ? Quale fine si propose
egli ? Quali mezzi aveva sotto mano ? Queste notizie sono indispensabili per
valutare equamente il risulta to delle sue ricerche . Vincenzo de Grazia aveva
avuto una coltura matematica ; e, come porta questa coltura, il suo spirito ne
aveva attinto un bisogno di dimostrazioni rigorose,ed un'avversione alle
conclusioni frettolose, ed alle sintesi arrischiate. Da parec chie
testimonianze si raccoglie,ch'ei diessi alla filosofia sui quarant'anni, quando
già la fantasia è manco vivace pur n e gli u o m i n i c h e p i ù n e a b b o
n d a n o . E l ' e d u c a z i o n e a d u n q u e e l'età lo attiravano per
quella via piana e sicura, dove un pie de va innanzi l'altro, senza intoppi, e
senza bisogno di salti. Nel 1825,quando all'incirca eisimise afilosofare, ilGal
luppi aveva lastricato quella via, ed additatala ai suoi con cittadini.La
filosofia sperimentale era in voga. Erainvoga,ma lestavasempre
difronte,temutaavver saria,quella filosofia che rivendicava all'attività dello
spiri to un'attività produttrice ed indipendente, benchè sotto v a rie forme.Il
Locke nel secolo diciassettesimo aveva combat tuto l'Innatismo cartesiano,ma
era stato alla sua volta com battuto da Leibniz :l'Innatismo ricompariva sotto
altro aspet to.Non dicogiàchelefiguresianobell'edisegnatenelmar
mo,dicevaLeibniz;ma ilmarmo nonèperòliscioeschiet to,c'èuna certavenatura,che
messa inrisalto siaccosta as sai alle linee che ti occorrono a figurarle.
Stefano Bonnot di 11 IlDeGraziamoriaNapoliil20novembre1856,quasii gnorato
: era attorno ad altri lavori , fra i quali un'Estetica,
eleIstituzionidifilosofia;ma diquestimanoscrittiforsela sciati a Napoli non si
è potuto avere nessuna notizia. Condillac ripigliava l'impresa del
filosofo di Wrington , e non c o n t e n t o d i d i v o l g a r l o t a l e q
u a l e , c o m e a v e v a f a t t o il V o l t a i r e , lo semplificava,lo
facilitava,sicchè la sola sensazione faceva a lui quell'ufficio, pel quale al
Locke erano occorsi due coef ficienti : la riflessione del filosofo inglese era
sbandita come soverchia.IlCondillacaveva,come suolesuccedere,comincia to con
ricalcare fedelmente le orme di Locke , poi aveva ri fatto a modo suo : e la
sua semplicità maravigliosa piacque in Francia più della circospetta indagine
del filosofo inglese. Onde,morto luiil1780,ilsuofilosofarecontinuò,inter r o t
t o a p p e n a d a l l o s t r e p i t o d e l l a r i v o l u z i o n e ,c h
e t e n n e d i e t r o allasuamorte.Cessato,difatti,ilterrore del1793,l'anno
appressoicondillachianiriapparveropadronidelcampo filo
sofico,edebberoinmanolaScuolanormale,el'Istituto,che allora sorgeva per Decreto
della Convenzione attuato dal Di rettorio.Questo gruppo detto degl'Ideologi
contava nomi ce l e b r i : C a b a n i s il f i s i o l o g o d e l l a s c u
o l a , T r a c y l ' i d e o l o g o p r o priamentedetto,Volney
ilmoralista,Garatprofessorealla scuola normale e difensore del sistema ; e poi
con loro altri che dipoi deviarono,chi più chi meno ,ma che allora stavano p e
r la m e d e s i m a d o t t r i n a : il M a i n e d e B i r a n , il D e G e
r a n d o , ilLa Romiguière. Nel decennio corso fra la cessazione del terrore e
la fon dazionedell'Impero,dal1794 al1804,questogruppodiva lentuomini si adunava
nei giardini di Auteuil, e l'amicizia deglianimi siaccoppiava ne'loro convegni
allaconcordia delle dottrine . Sotto l'Impero , il cielo per loro si annuvolo .
Tutti sanno il dispregio in cui il primo Napoleone teneva l'I
deologia;nontuttinesannoilmotivo.Napoleonenon l'odia va tanto come
dottrina,quanto come partito. IlCabanis,ilVolney,ilGarat,ilDeTracy,cheavevan
visto di buon occhio il Nettuno che placava le onde tempe stose della
rivoluzione, non furono più contenti, quando lo videro troneggiare da Giove .
Gli tennero il broncio , ed ei si 12 vendicò nel rimpastare l'Istituto,scartando
la sezione delle scienze morali, e destituendo l'Ideologia, secondo la frase
del Damiron . Il Villemain racconta gli scoppi della collera napoleonicacontro
quegl'innocenti ideologhi,che poinon lameritavano davvero.All'Ideologia Napoleone
imputava di scandagliare le fondamenta dello Stato col fine di scalzarle. Vera
o falsa che fosse l'accusa,l'Ideologia ne scapitd, alme no perdendo la veste di
filosofia ufficiale, e lo spiritualismo,
chenespiavalemosse,lasoppiantonellascuolanormale, dove ilRoyer Collard
l'introduceva il1811. Seguace del keid,questo eloquente filosofo seppe vincere
la preoccupazio ne invalsa, che filosofare liberamente non si potesse fuori
della Ideologia;e che quindi o bisognava accettare lo spirito teologico del De
Maistre, o schierarsi tra gl'ideologi con a c a p o il T r a c y . C o l R o y
e r C o l l a r d l ' a l t e r n a t i v a f u e v i t a t a , e d inaugurata
la nuova scuola filosofica della Francia , quella ch'è stata da indi in poi
sempre al potere col Cousin ,col R é musat, col Barthélémy de Saint Hilaire,
col Waddington , colSimon. In Italia lo spiritualismo ,rinfiancato
dall'eccletismo cousi njano,benchè tradotto dal Galluppi,non fece fortuna:
gl’Ita liani o tennero la via degl'ideologi, o se ne scostarono per ben altra
filosofia, che non fosse l'eccletismo. Più che la filosofia del senso comune
proposta dal Reid per fronteggiare lo scetticismo di Davide Hume ,ed accettata
dal Royer -Collard per combattere l'Ideologia,diè da pensare agl'I
talianilafilosofiatrascendentale di Emanuele Kant.IlGal luppi se ne mostrava
profondo conoscitore fin dal 1819, quando incominciava la pubblicazione del
Saggio su la cono scenza umana ;sebbene avesse dovuto studiarla nelle scarse e
s p o s i z i o n i d e l V i l l e r s . P i ù t a r d i s o l t a n t o , il
1 8 2 1 , t r a d u c e v a laCriticainitalianoilMantovani;ma
PirroLallebasque,il 1824,era in grado di studiarla su l'originale, come dimo
stra di saper fare nella esposizione che ne dà nella sua Intro 13 duzione
alla filosofia del pensiero : caso degno di nota per quel tempo, quando nè la
lingua,né la filosofia tedesca era no divolgate, come oggidì, non dico in
Italia, ma neppure nella rimanente Europa .
Leduevieaperte,daindiinquà,furonoadunque,almeno p e r n o i , q u e s t e d u e
: il s e n s i s m o , e d il c r i t i c i s m o . T r a q u e s t e cercava
di aprirsi un varco intermedio il Galluppi ; al sensi smopropendeva
ilBorrelli,alcriticismo ilColecchi.Pa squale Borrelli scriveva e stampava a
Lugano, quasi con temporaneamente al Galluppi, ch'ei conosceva però soltanto di
nome .Ottavio Colecchi insegnava pure in quel torno,ma le sue questioni
filosofiche non furono pubblicate, se non il 1843. Che ilDe Grazia non abbia
quindi conosciuto gli scritti del Colecchi , è certo ; del Borrelli si può
dubitare, benchè a certi segni,che appresso additeremo, si possa credere di
averne avuto sott'occhio le opere .Indubitato è però che siasi formato sul
Galluppi,e che siasi prefisso di camminare su la via dischiusa dal suo gran
concittadino, evitando gli svia menti ,in cui l'altro era incorso ,e tirando
più dritto alla meta . Più dritto e difilato procedette in realtà;ma verso dove
? ParvealDeGraziacheilGalluppi,scambiodifondarelafi losofia della sperienza,
come si era proposto, per incaute concessioni al Kantismo,era finito con
darsegli in preda. Cotesto sviamento ei combatté a tutt'oltranza ne'primi
libri, come nell'ultimo;primacopertamente,esenzapronunziarne
ilnome,poiallasvelata.Onde amenonpiccolasorpresaha cagionato il giudizio di
certi nostri storici e critici ad orec
chio,iqualiconfondonoilGalluppicolDeGrazia,comese professassero la medesima
dottrina. Capisco che iltitolo, c o m u n e a d e n t r a m b i , di filosofia
s p e r i m e n t a l e , h a p o t u t o t r a r reinerroreiprelodatigiudici;ecompatirei
losbaglio,s'ei fossero dilettanti;ma è da condannare severamente in loro, che
si danno l'aria di scrivere storie e critiche, senza leg gere neppure ilibri
istoriati e criticati. 14 15 TornooraalDeGrazia.Perdimostrareilprocessostori
co de'due opposti avviamenti, ei ricorre alla sorgiva :rifà quindi la storia de
sistemi filosofici moderni,ed ammaestra to dagli errori altrui ripropone il
problema, e si accinge a risolverlo. Anche qui l'influenza del Galluppi è
manifesta, avendo questi pel primo rimesso in onore appresso di noi la storia
della filosofia, e dato il più lucido esempio d'innestare le ricerche proprie
con le indagini fatte prima da altri sul m e d e s i m o s o g g e t t o : il D
e G r a z i a t u t t a v i a r i t e s s e l a m e d e s i m a storia con
altro intendimento ;perciò la sua non è ripetizione di quella fatta dal
Galluppi, e vale il pregio di essere esposta e conosciuta in disparte. II. La
filosofia pel De Grazia si aggira sul problema della scien zaumana,nèpiùnémeno,chepelGalluppi:iltitolodelle
due opere capitali scritte dai due filosofi calabresi accusa la medesima
intenzione.Il Galluppi scriveva il Saggio plosofi co su la critica della
conoscenza ; il De Grazia, il saggio su la realtà della scienza umana . Questa
similitudine ha tratto in errore alcuni storiografi dafrontispizî,perchè
dallaintestazionesono corsi,senz'al t r o , a d a s s e r i r e c h e il G a l
l u p p i e d il D e G r a z i a p r o f e s s a n o l a medesima dottrina.Se
non che,questa volta l'hanno sba gliata ; chè se il problema è lo stesso in
entrambi , la solu zione è diversa non solo,ma opposta.Il De Grazia scrisse col
manifesto divisamento di combattere la soluzione gallup piana. Già nella stessa
intestazione il filosofo di Mesuraca accenna a questo punto capitale del suo
Saggio , ch'è la real tà della scienza,compromessa,a parer suo, dalla spiegazio
ne accettata dal filosofo di Tropea. Ma seguiamo ilprocesso storico
delproblema,com'è espo sto dal De Grazia. IlGalluppi aveva dato l'esempio di
accoppiare alla sua Ancora non gli eran potute essere note le tre
epoche di stinte da Augusto Comte , che par di non aver conosciuto n e p pure
dopo,egiàeglitripartiscelastoriadellafilosofia,aun di presso,con un criterio
analogo a quello del filosofo francese. Nella prima epoca la ragione,baldanzosa
per inesperta gioventù,silibra a volo,e tenta costruzioni metafisiche, te nendo
scarsissimo conto della scienza principale,e facendo ne quasi un'appendice
delle sue fantastiche cosmogonie. Nella seconda,ella piglia per verità le mosse
dal proble madelconoscere;matostoloabbandona,sedottadallame tafisica. Nella
terza,la ragione rinsavita si propone chiaro il suo cômpito,ed'altronon
sibriga;senon che,pur nelle solu zioni del problema conoscitivo,di quando in
quando,fa capo lino ilrazionalismo. Insomma l'esosa metafisica,lo scapestrato
razionalismo s o n o p e r D e G r a z i a il v e r o o s t a c o l o , c h e n
o n l a s c i a p a s s a r l a vera scienza per la sua via. Alle tre epoche
egli assegna questi intervalli di tempo:la prima si stende dai primi abbozzi
ionici fino a Socrate, il fondatore della definizione,e de'ragionamenti
d'induzione ; la seconda da Platone e da Aristotele corre fino a Locke ; in
terrotta qua e là dai tentativi del Galilei, del Bacone,e del Des
Cartes;laterzaduraancora,edènelmeglio delle sue conquiste. 16- dottrina
la genesi storica del problema da lui riproposto ; e
sirifàdaCartesioaquestaparte,daCartesiocheperluiè il padre della filosofia
moderna .Il De Grazia risale più in su , fino ai primordî della filosofia greca
, senza perder d'occhio p e r ò il p r o b l e m a d e l l a s c i e n z a . Il
s u o c r i t e r i o s t o r i c o è s e m plicissimo:v'èduefilosofie,una che
ritienel'osservazione de'sensi,un'altra che l'impugna;e quest'ultima, comechè
si argomenti di ricostruire la impugnata testimonianza,m e ritasempreilnome
dirazionalismo. È mestieri,diceilDe Grazia,distaccardeltutto leme
tafisiche speculazioni dalla scienza del pensiero,per forzar la ragione al
metodo di pura osservazione ». La ragione,secondo lui, ha una tendenza
precisamente contraria; ingegnandosi di rimenare all'ordine a priori quel
chetrovasidatodainduzione.È necessario adunque che la filosofia n e infreni l'
i m p e t o , e n e m o d e r i la foga ; e , p e r n o n
esserviriuscitaancora,lametafisica èrimastastazionaria, piena zeppa di
ambiziose vedute, non avvalorate da'fatti. «Positivoprogresso
dellafilosofiad'oggidì è quello di es
sersiridottelericerchemetafisiche,cheuntempo formava no la sterile ricchezza
degli scritti filosofici ». L a s t e s s a a v v e r s i o n e h a il D e G r
a z i a p e r l o s p i r i t o t e o l o g i c o . « L'intervento divino nella
spiegazione de'fenomeni na turali vale quanto la macchina nello scioglimento
del nodo diuna tragedia.Perocchè è ben facile espediente ilriporta re ad una
causa sovrannaturale quegli effetti, che non siè saputo ricondurre alle cause
naturali ». Soggiunge innotaunariserva,èvero;dichiaradinon v o l e r i m p u g
n a r e i m i r a c o l i : il p u n t o p r i n c i p a l e n o n è m e n
saldo però,l'esclusione loro dalla scienza. QuiilDe
Grazia,siacheloconoscesse,oche s'incontras se col Comte , si mostra cosi aperto
avversario dell'interven todivino,come delleipotesimetafisiche:teologia,erazio nalismo
sviano dalla vera scienza. Il tradizionale metodo della filosofia telesiana
rivive dopo tresecolinelDeGrazia:fondamentodellascienzaèlasolaos servazione;e
nondimeno riserva di ossequio verso l'autorità religiosa,da parte degli autori.
IlDeGrazia rivolgeaifenomeni delpensiero quella os servazione, che il Telesio
aveva rivolto a'fenomeni naturali. Ilmetodo ch'ei si traccia,e che si studia di
seguire,è il se guente:osservare ifenomeni primitivi,ridurli finoagli ele menti
irreducibili. 17 3 18 «La filosofiaintellettuale,eidice,dopoaverriconosciuto
i fatti attuali di coscienza dee saggiar di risalire di riduzio ne in riduzione
al fatto primitivo,alla pura veduta intellet Quali sono i fenomeni primitivi
del pensiero a cui si fer ma?Sono tre,lasensazione,ilgiudizio,ilvolere;quindi
tre parti principali della filosofia,Estetica,Logica,Etica. Lasciando di vedere
se questi tre sono proprio i fenomeni irreducibili,certo è però che ilmetodo da
lui seguito è pre cisamente quello tenuto dalle scienze esatte.L'autore non
dissimula il bisogno da lui sentito di applicare alla filosofia ilmetodo
dellematematiche,allequali s'era da prima ad detto, e dal cui studio deriva in
gran parte il riscontro che si può scorgere tra la sua filosofia e quella che
nel torno m e desimo si coltivava in Francia sotto il nome di filosofia po
sitiva. « E p p u r e , e s c l a m a il D e G r a z i a , n o n v ' è c h i p
a s s a n d o d a l la evidenza delle matematiche alle ricerche filosofiche non
senta irrequieto ilbisogno di sortir fuori delle incertezze, in cui vede
implicato il sistema della scienza ». Come dalla semplice osservazione lo
spirito possa solle v a r s i a l l a r i d u z i o n e s c i e n t i f i c a d
e ' f e n o m e n i , il D e G r a z i a d e scrive in modo molto preciso;e
tale che merita esser riferi to con le sue stesse parole. « Ma l'esperienza non
è l'osservazione empirica,che si arresta a'fenomeni isolati.Ilmetodo
sperimentale sigiova dituttiinostrimezziperiscovrirelaconnessione de'feno
meni;del ragionamento astratto,della induzione,delle spe rienze artifiziali,
delle ipotesi.Con sì varî mezzi la fisica la vora alle classificazioni
de'fenomeni esterni,a ridurre i fe nomeni particolari a'generali,a rilevare dal
corso della na tura le sue leggi,cioè le costanti condizioni de'fenomeni,le une
costanti e permanenti , le altre costanti nel cangiar dei fenomeni. In tal
divisamento non mira soltanto a minorar tuale ». l'ignoto,che
resta limitato a'fenomeni irreducibili, ma ad uno scopo più positivo,a quello
diprevenir l'esperienza,e somministrar così preziosi materiali a tutte le arti
». C h i r i c o r d a il m o t t o d e l C o m t e : « s a v o i r c ' e s t p
r é v o i r » r i conoscerà di leggieri il riscontro de due filosofi. Nè
risalta meno la comune mira di ridurre i fenomeni fino all'estremo limite,
affine di minorare l'ignoto . Trasportandoorailmetodotestedescritto
alleinvestiga zioni filosofiche, il De Grazia procede cosi ; osserva , cioè, i
fatti della coscienza,qual'è attualmente, e di riduzione in riduzione risale
finoaiprimielementi,ond'ellaèstata ge
nerata.Eglistessoformolailsuoproblemainquesti termi
ni:«coimezzichesonoinnostropotere,ritrovarlagene razione delle verità,di cui
siamo in possesso ». Questo metodo ei lo chiama genealogico; e la parola ed il
concetto sitrovano inun altro filosofo italiano,noto alDe Grazia,in Pasquale
Borelli,che intitolò lasua filosofia,Prin cipii della genealogia
delpensiero.Fino a che punto s'ac cordino nel loro intento,toccheremo appresso
:qui basta n o tare,chelafilosofiavera,lafilosofiaseriapelDeGrazia co mincia
con quest'analisi minuta degli elementi primi del pensiero.Dimodochè sebbene ei
lodi Aristotele di aver a m messo la realtà delle idee universali,e più ancora
di essersi fondato sul senso,nondimeno,poiché lo Stagirita vi arrivo quasi di
lancio,e per un'affrettata generalizzazione,il n o
strofilosofononripiglialaverastoriadalui.Ilprimo sag gio genealogico del
pensiero sembra a lui,essere stato il Saggiosul'intellettoumano diLocke,chepure
ilGalluppi chiamava immortale. QuelSaggio,cadutopoi indiscredito,ebbe una
meritata rinomanza;elafamafupiùfondatadeldiscredito.La filo sofia inglese mette
capo tutta quanta in esso ; la francese del secolotrascorso
nederivò;allatedesca,iniziatadalKant, d i è il p r i m o u r t o p e r m e z z
o d i H u m e . O g g i d i , a p p r e s s o d i n o i 19 Il
principal merito del filosofo di Wrington era agli occhi del De Grazia quello
di aver combattuto ad oltranza le idee innate.Ritenere tutte,o alcune idee per
innate,porta ne cessariamente per conseguenza di non ricercarne l'origine; e
quindi impedisce il progresso della filosofia, che tutta si dee travagliare
attorno a questa ricerca.Cartesio e Leibniz,
chesicredonodiaverleammesse,inrealtàleritenneroco me semplici disposizioni ;e
fu per colpa di una improprietà dilinguaggio ses'imputòalorodiaverleaccettate.E
qui dava una toccatina alGalluppi. Ma
ilsistemalockiano,nelrintracciarelagenealogia del pensiero, omise moltissimi
atti mentali che vi concorrono ; ed era omissione scusabile in un primo
tentativo,ed in ri cerca cotanto complessa.Locke diè,per dir così,una for mola
generale,allaqualeeranoapplicabilipiùvalori:Con dillac si avvisa di darle un
valore preciso ; ma precisando, disvia.Locke,difatti,aveva riconosciute due
sorgenti delle nostre idee,la sensazione,e la riflessione:quest'ultima non era
ben definita,erauna funzione che accoglieva un po'di
tutto,giudizio,astrazione,ragionamento,volontà,era in definita,siconfondeva con
lacoscienza:Condillac dà un va - 20 - sièpiùgiustiversodelmodesto,delsincero,del
pazientis simo Locke ; smessi i superbi fastidî delle sintesi frettolose: al
tempo che scriveva il De Grazia le invettive giobertiane erano accolte senza
molti scrupoli ; ed al filosofo calabrese f u g l o r i a n o n e s s e r s e n
e l a s c i a t o s m u o v e r e . Il G a l l u p p i , c o m e abbiamo
visto,lo aveva pregiato assai,ma i consigli del buon vecchio cominciavano ad
aver poca presa su gli animi de'giovani.Fuori d'Italia l'Herbart faceva tanta
stima del Saggio lockiano,che al Consigliere Clemens,il quale lo ri chiedeva
intorno alla filosofia da insegnare ne’ginnasi, riso lutamente rispondeva : dal
maestro di filosofia ne'ginnasi anzi tutto ed assolutamente richiederei che
avesse letto Locke . lore preciso , riduce tutto alla sensazione , o
semplice , o t r a sformata : sentire è giudicare. IlDe Grazia,come abbiamo
visto,fa della sensazione e del giudizio due fenomeni irreducibili ; egli non
può dunque nè contentarsi dell'ambiguità della riflessione lockiana, ne
moltomeno dellasemplicitàdellasensazionecondillachiana. All'osservazione
de'fatti gli pare che il Condillac abbia sosti tuito la tortura del fare
sistematico . Gran merito di Kant è quello di avere scorto l'importanza del
giudizio,di questo fenomeno irreducibile,stato dal Con dillac confuso con la
sensazione. Pel filosofo di Koenisberg gli ultimi elementi delle nostre idee
sono da una parte le sensazioni,dall'altraigiudizî:idueelementi appunto che al
nostro filosofo paiono indispensabili alla soluzione del p r o blemachesièproposto.
Ma con questo gran merito egli imputa al Kant una gran colpa,la soggettività
de’rapporti; vizio che gli sembra infet tare la filosofia contemporanea. L a s
o g g e t t i v i t à d i K a n t p e r ò , e d il D e G r a z i a n e c o n v
i e n e , fu una necessità storica. Locke aveva detto che tutte le n o stre
idee nascono dalla sperienza,e che un'idea originale semplice non può derivare
quindi da un ragionamento : H u
meaccettòlepremesse,econtinuò:mal'ideadicausanon ܚ.ܝ 21-
Per lui,come per d'Alembert,lafacoltà distintiva dell'es sere attivo e
intelligente,è quella di poter dare un senso al la parola è:ora il Condillac
questa distinzione l'ha distrutta. ; i J tà el
Seelementisoggettivi,eglinota,simesconoco'dati spe rimentali,in taleipotesinon
conosceremmo quel ch'è nel fattoosservato,ma quelcheciapparisce
esservi;talchese spogliamo ilfattodiciòch'ènostraproprietà,lanostraco noscenza
svanisce.Si vuol che siano elementi soggettivi le
ideedispazio,ditempo,disostanza,dicausa?Togliete via dunque dagli oggetti
esterni e dal proprio essere siffatti ele menti;e la scienza della natura,e
dello spirito è distrutta », 22 può derivare dalla sperienza ;dunque non
c'è.Cosi tutta la scienza della natura andava in aria,e Reid sirifugiò nel sen
so comune ,in una credenza irresistibile,istintiva:Kant a m mise degli elementi
aggiunti dall'attività dello spirito. IlDe Grazia nota con molto
accorgimento,che in sostan zailsensocomune,dicuitantosicompiacciono certi filo
sofi anche oggidi,non salva nulla;che per giunta è pieno di
contraddizioni,perchè introduce classificazioni e distinzioni arbitrarie,mentre
si era prefisso di accettare le comuni cre
denzetaliqualisitrovanonellacoscienzavolgare;che tra Reid e Kant,per ciò che
riguarda la realtà della scienza, nonc'èpuntodidivario.
«Kantnellospiegareilfenomenolosfigura,elascia sco
vrireildubbio:lascuolascozzesetieneoccultato ildubbio perchè non imprende la
spiegazione del fenomeno .... È BravoilDeGrazia!Eglinonsilasciaappagaredallepa
role,e civedebenaddentro;esel'haconKant,saperò rendergli giustizia,nè
condannando lui,assolve quelli che sono intinti della stessa pece. Ed ora viene
ilbuono.Nella dottrina kantiana ei capisce subito, che non il numero degli
elementi soggettivi aggiunti dallo spirito,ma l'aggiunzione sola,quanta che
fosse, era sufficiente a compromettere la realtà della scienza umana . Certi
nuovi critici,che in filosofia credono poter servirsi dellastadera,han
detto,peresempio:ilKantammette in tuizionipure,categorie edidee,tutte
apriori,ilGalluppi, invece, appena appena dà per soggettivi i due rapporti d'i
dentità e di diversità,dunque è lampante ch'ei sian discosti le mille miglia
uno dall'altro. sta dunque la differenza, in quanto alla realtà delle
nostre conoscenze , tra il proscritto sistema kantiano, e la favorita dottrina
della scuola di Reid !> que IlDe Grazia scrive così:«basta ilsupporre una
pura ve duta dello spirito il solo rapporto d'identità e di diversità,
·23 rapporto fondamentale delle nostre conoscenze , per ricadere nel
realismo empirico del sistema kantiano ».(Saggio etc. Vol.2,pag.160 - Napoli
1839). Nè contentoacid,altroverincalzalasuaosservazione in questi termini: « M
e t t i a m o o r a i n d i s p a r t e il s i s t e m a k a n t i a n o ; c a
n g i a m o la sua ripartizione tra gli elementi soggettivi e gli oggettivi
accordando più largamente alla sperienza ; o anche tutte le idee diciamole
derivate dalla sperienza,e riteniamo bensi solamente che non sono condizioni
oggettive i rapporti a n zidetti appresi tra le sensazioni ; noi ricadiamo
apertamen te nel realismo empirico della filosofia critica ». (Vol. 3, p.367).
Pel De Grazia il kantismo consisteva nell'applicazione di elementi soggettivi
alle sensazioni:dovunque riscontra que sto medesimo processo ei riconosce
ritenuto il fondamento della filosofia kantiana. Ei si maraviglia anzi che gli
altri non siansi accorti di questa medesimezza. « La storia nota a stupore
della posterità,che i filosofi tutti hanno accusato d'idealismo il sistema
kantiano, e che niuno aveva avvertito, l'idealismo esser nella supposta n a
tura soggettiva delle idee di rapporto ».(Vol.4,pag.512). Quale sarebbe stata
la maraviglia del De Grazia,se avesse vistoche,quando
ebbenotatacotestasomiglianzaloSpaven ta,controluigridaronotutteleoche,vigili
sentinelledella rocca filosofica. Parve denigrazione della filosofia italiana,
quella ch'era critica aggiustata e seria:parve così a coloro, iquali se ne
predicavano sostenitori,quando non l'avevano studiata,e forse neppure letta. Ma
torniamo al De Grazia. Ei non cita il Galluppi in tutto quanto il Saggio, se
non una volta sola ; egli però scrive il libro per combattere la dottrina del
suo gran concittadino,che glipareva derivata a dirittura da quella di Kant.Che
però miri al Galluppi, ap parisce da un'apposita nota,che aggiunge
a pag.239 del 4° vol.delsuoSaggio. « La dottrina degli elementi soggettivi,ei
dice,è stata da noi detta soggettivismo per denotarla qual vizio radicale del
metodo filosofico.Puòanche dirsiformalismo,riferendosi alleformepure diKant,che
sono gli elementi soggettivi. Noi abbiamo preferito finora la prima espressione
per la c o n siderazione, che nelle dottrine attualmente in vigore si abbraccia
l'ipotesi degli elementi soggettivi,e non vi si parla di forme. E siccome
credono alcuni di non incorrere nell'idealismo di Kant,tuttochè adottano quella
ipotesi;noi nel combatterla sotto qualunque aspetto,dovevamo ritenere il nome
or generalmente adottato, quello di elementi sogget tivi.Se
cifossimoinvecediretticontro ilformalismo, po teasi credere che prendevamo di
mira il solo sistema kantia no.Insostanza,ladistinzionedimateriaediformaintal
sistema serve a render più potente l'idealismo,che si rac chiude nella dottrina
degli elementi soggettivi.Quindi si son messe in disparte le forme kantiane, e
si sono adottati gli elementi soggettivi che Kant appello forme. Ecco come da
taluni si è creduto evitare l'idealismo k a n tiano !» Pel De Grazia adunque il
divario fra Kant e Galluppi, ed anche tra Kant e Rosmini,come vedremo appresso,
era più dinomeched'altro.Checosanediràilprof.Acri?checo sa ne diranno tutti
quei ciarlatani grandi e piccini,che sen
zaaverlettoneppureifrontispizîdelleopereche citano,lo mitriarono vindice della
filosofia italiana ? Ai ciarlatani è inutile rivolgere nessuna domanda;al pro
fessore Acri domando che cosa voleva dire,quando scrisse a proposito del
Galluppi il seguente giudizio ricavato dal De Grazia . 24 « Ma perciò che
Galluppi e Kant affermano tutt'e due che questeidee(identitàediversità)sono
soggettive es'accor dano nelleparole,ne vuoi dedurre che Galluppi
sia kantia n o ? Il t u o a r g o m e n t o s a r e b b e q u e s t o n è p i ù
n é m e n o : q u e l l ' a n i m a l e lì è c a n e ; q u e l l a c o s t e l
l a z i o n e lì è c a n e : q u e l l o a b baia;dunque quell'altra deve pure
abbaiare.Se si considera ilpensiero delGalluppi su questo argomento,quantunque
non molto lucido e netto, come ha notato quel nostro De
Graziadegnodimaggiorfama,sivedesubitochel'idea
diidentitàhavaloreoggettivoereale,perchènasce dall'i dentità reale dell'io come
cosa,non altrimenti che l'idea di unità ».(Acri,Critica etc.p.31). Quando lessi
questa scappata dell'Acri,mi misi a ridere: tralasciai pero di tenerne conto
nella risposta che gli feci, non volendo entrare nella esposizione del De
Grazia,che sa pevodidovere scriveredopo:eccomioraapoternefartoc care con mano
la falsità. Stando all'Acri,adunque,quel nostro De Grazia aveva notato
benissimo che per Galluppi le idee di identità e di di versitàerano
oggettive;chesoltantonellaespressioneave va questi mancato di lucidezza.
HailprofessoreAcrilettodavveroilSaggio delDeGra
zia?Iocredo,edebbocrederedino,perchè intutt'iquat tro volumi,quel nostro
valoroso concittadino d'altro non biasimailGalluppi,pursenzacitarlodinome,che
diaver accettato dal kantismo la soggettività de'rapporti, segnata mente poi di
questi due d'identità e di diversità. - 25
Ilprof.Acri,seavesselettoillibro,non sarebbeuscitoin quella citazione,inesatta
non solo,ma assurda ;chi pensi, che ilDe Grazia ad altro fine non scrisse,che a
rilevare la medesimezza de'risultati, per rispetto alla realtà della n o stra
scienza,si delle forme kantiane,come degli elementi
soggettividelGalluppi.Capiscocheilprof.Acri potevafar a fidanza con l'ignoranza
assoluta de'suoi ammiratori in fatto di storia della filosofia,ma egli non
doveva contare per niente,dunque,neppure isuoi contraddittori?
Padronissimo di creder lui,che que'rapporti pel Galluppi
sianooggettivi,ma perchèvolertiraredallasuaancheilDe Grazia,che
tuttalavitascrisseappunto per dimostrare il contrario?È un po'troppo,parmi.
Finchè visse ilGalluppi,ilDe Grazia non riflni dal com
batterneladottrina,congrandeinsistenzaforse,delche si scusava;ma con
profondaconvinzione,edopo averne lunga mente ponderato quelli che a lui
parevano inconvenienti gravissimi.Nol nominò però mai,altro che una volta sola,
c o m e a b b i a m o v i s t o , e p e r l o d a r l o . M o r t o c h e f u
il G a l l u p p i , scrivendo egli l'ultima sua opera col titolo di Prospetto
della filosofiaortodossa,smettelaprima riserva,elocombatte no minatamente
.Ripetendo le antiche obbiezioni ,egli scrive cosi : « Su tutto quel che
abbiamo qui osservato intorno alla dottrina della sensazione essenzialmente
percettiva, e della soggettivitàdelleideedirapporto,dobbiamo anoistessiil far
noto a'nostri cortesi lettori,che fin dal 1839 le stesse osservazioni, più
estesamente sviluppate,furono fatte di ra gione pubblica, e non abbiam poi
cessato di riprodurle in parte,e ripetutamente in varii articoli pubblicati in
diversi giornali ».(pag.141-142). Dimodochè rimane fuori di ogni controversia,
che il De Grazia ha inteso combattere la dottrina del Galluppi su la
soggettività de'rapporti,e che ha creduto essere questa dot trina conforme a
quella di Emanuele Kant . Potrei anzi a g giungere,che la soggettività
de'rapporti parve al De Grazia concedere più di quel che Kant medesimo
ricercasse:«tutto, egli avverte, si accordava a Kant , anzi ancor più di quanto
questiesigea,quando glisiaccordava,che le idee di rap porto sono elementi
soggettivi ».(Vol.4,pag.267). Eperchèdippiù?PerchèKantlimitavaalmenoilnumero
delle sue forme; mentre la tesi galluppiana della soggettività spaziava più
largamente. Ecco le strette in cui il De Grazia pone questa filosofia.
26 «Finché siritiene,eidice,da'filosofilanatura soggetti
vadelleideedirapporto,restainconcusso ilprincipio,che
isensinonpossonoaltrodarcichenude sensazioni.Questo p r i n c i p i o o r o v e
s c i a p e r i n t e r o il s i s t e m a s p e r i m e n t a l e , o deve
ammettersi che tutte le nostre idee sono sensazioni:ad un estremo
èilformalismoassoluto,all'altroestremo è il sensualismo. Nelle forme pure dello
spirito si modella in ideel'informemateriasensibile,dice ilformalista:tutte le
nostre idee sono sensazioni, o primitive o trasformate, dice ilsensualista».(Vol.4,pag.269-270).
O Kant,oCondillac:eccoilbivio dellafilosofia,secondo il nostro filosofo. Perchè
questo bivio? Perchè due soluzioni sono possibili, quando non si tien conto di
tutti nostri m e z zi del conoscere.Questi mezzi sono due :sentire,e giudica
re;ridurli entrambi ad un solo,importa o lasensazione tra sformata di
Condillac,o ilformalismo kantiano. Formalista è dunque il Galluppi, formalista
il Rosmini ; entrambi costretti ad ammettere tutt'igiudizi come sinteti
ciapriori. « Se l'idea di identità fosse un elemento soggettivo,come essi
opinano,e perciò addizionale alle due idee,il nostro giudizio sarebbe in tutti
casi sintetico a priori ».(p.286). Ma
ilGalluppicombatteigiudizîsinteticiapriori,sidi ilcorollario previsto dal De
Grazia non lo tocca dun que .Così ragionerebbe chi si fermasse alla buccia
delle q u e stioni;noncosìilDeGrazia,ilquale vipenetraaddentro. È una
contraddizione,eglidice,dicuiilfilosofonon s'èac corto, perchè la vera dottrina
è quella che non dipende dal la intenzione,o dalla professione di fede che fa
un autore, ma quellachesifondanellalogica. Avete un bel dire che giudizi
sintetici a priori non vole 27 rà; « Non si è dunque avvertito, che son
due tesi contraddit torie, il non esservi giudizî sintetici a priori, e l'essere
ele mento addizionale l'idea d'identità ». (loc.cit.). te
ammetterne,quando poisostenete che ogni rapporto è un'identità o totale o
parziale ; e quando soggiungete che questa identità è un'aggiunta dello
spirito. Quale dottrina contrappone ora il De Grazia a quelle del Condillac,e
del Kant ? L'uno diceva : giudicare è sentire ; l'altro, seguito dal Rosmini e
dal Galluppi, diceva:giudicare è a g g i u n g e r e ; il D e G r a z i a , d i
s c o s t a n d o s i d a l p r i m o e d a l s e condo,dice:giudicare èosservare.
Ma prima d'intendere il significato nuovo,ch'ei dà alla funzione del
giudizio,necessita ricordare com'egli abbia in teso la sensazione. Né Locke, nè
Condillac distinsero abbastanza la sensazio ne dalla percezione ; Condillac
anzi le confuse affatto. Alla stessa confusione fu sforzato
ilGalluppi.Tralascio le osser vazioni sui primi due,mi fermo a quelle che vanno
dritte contro la spiegazione galluppiana,ch'è lamira principale del De Grazia .
Due sbagli commette ilGalluppi,uno di confondere ilsen - timento con la
coscienza; l'altro di confondere la sensazione con la percezione. « Il
sentimento e la coscienza del sentimento sono nel n o stro spirito cosi
abitualmente congiunti,che più filosofi han confuso i due fatti affermando, che
sentire ed esser conscio di sentire non sono che una operazione medesima dello
spi rito ».(Vol.4,pag.17). « Confondendo la coscienza della sensazione con la s
e n sazione, non si sono avveduti que'filosofi, che ciò era un confondere il
conoscere, il percepire col sentire, c o n fusione che essi medesimi
rimproverano a'sensualisti ». (loc. cit.). Queste due confusioni erano state
fatte veramente dal G a l luppi,avendoeglicompresosottoilnome
disensibilitàin 28 Il simile si dica della idea dell'ente, che il Rosmini
a g giunge ad ogni giudizio; su la quale torneremo altra volta. 29
«Sentireilmesensitivodiunfuordime,glidiceilDe
Grazia,èlapiùforzatacontrazione,che potea darsi all'e spressione del fatto di
coscienza ».(Vol.4,pag.18). L'industria adoperata dal Galluppi per nascondere
questi giudizî elementari e primitivi proviene,a parer del nostro fi losofo,
dal perchè egli li aveva tenuti per sospetti di sogget tivismo.Questo medesimo
motivo lo indusse ad ammettere le sensazioni oggettive, senza bisogno di
spiegare il passag gio dal sentire al percepire . Leibniz e d'Alembert,
entrambi geometri , e prima di loro anche il Malebranche, avevano riconosciuto
il bisogno di spiegareilpassaggiodalmealfuordime:idueprimiave vano anzi
proceduto più avanti,additando come mezzo l'in duzione;ilGalluppitagliòcorto,negò
ilproblema stesso; affermando non esservi luogo a passaggio,quando la sensa
zione coglie immediatamente l'oggetto. Doppio sbaglioadunque da
partedelGalluppi:primo,aver disconosciuto igiudizî primitivi;secondo,aver
rifiutato,per la conoscenza del mondo esteriore,ilsoccorso della induzio ne .
Contro i giudizî lo aveva prevenuto la dottrina kantiana de'rapporti soggettivi
; contro l'induzione,il presupposto che nessun'abitudine posteriore avrebbe
potuto fare ciò che un atto primitivo non aveva potuto.Se una prima sensazio ne
non mi fapassareall'oggettoesterno,come,diceva il Galluppi, mi ci potrebbe
abilitare una seconda od una terza? Eppure de'giudizî abituali che si
frammischiano alle sensa zioni aveva toccato prima il Malebranche , poi il
Condillac ; - ternailsentimentoelacoscienzadelme;esottoilnomedi
sensihilità esterna la sensazione e la percezione .
Perchèdalsentimentosivadaallacoscienza,edallasen
sazioneallapercezionecivuoleilgiudizio;non ilgiudizio galluppianocheaggiungarapportisoggettivi,ma
ilgiudi zio che osserva,ed osservando distingue i rapporti reali delle
cose. e della forza dell'abitudine Hume ,e della efficacia della in
duzione avevano accennato il Leibniz ed il D'Alembert ! IlDe Grazia riassume e
tesoreggia isaggi de'suoi prede c e s s o r i , e li c o m p i e c o s ì .
associazione adunque spiega l'origine : l'induzione as sicura la realtà;come si
può assicurare, beninteso, una ve rità contingente , la quale non esclude mai
la possibilità del l'opposto. Coloro i quali han posto mente alla sola
abitudine fonda ta su l'associazione,han detto :ma qual garantia ci porge ella
della sua realtà ? Così son rimasti nel circolo descritto 'da Davide Hume. Il D
e G r a z i a , s c h i v a le p r i m e e le s e c o n d e difficoltà , e f o
r m o l a il p r o c e s s o g e n e a l o g i c o c o s i : l ' a s s o c i a
z i o n e c o m i n c i a , senza badare alla realtà;l'induzione legittima ciò
che trova, senza doversi brigare del cominciamento. In siffatta guisa il nostro
filosofo fa capitale di tutt'i saggi parziali
tentatiprimadilui,licollega,liordina,licompie uno con l'altro :la sensazione e
igiudizî abituali, intrave duti da Malebranche e da Condillac ;l'osservazione,
indefi nitatralemanidiLocke,edaluimeglioprecisata;lamas sima aurea del Kant
:pensare è giudicare ;la virtù dell'abi tudine,messa a rilievo da Hume;la
induzione accennata da Bacone in generale,additata da Leibniz e dal D'Alembert
a scenze provvisorie. 30 La sensazione dà iprimi dati,ilgiudizio osserva
i rap portichevisonocontenuti;l'associazionedelleideecifor nisce leconoscenze
prime concernenti ilmondo esterno,in via provvisoria ;l'induzione,più
tardi,legittima le cono Gli altri,invece,ponendo mente alla tardiva comparsa d
e l l a i n d u z i o n e , h a n n o o s s e r v a t o , c o m e il G a l l u
p p i : m a l a i n duzione vien troppo tardi a farmi passare alla realtà ester
na,richiede troppi congegni,troppe industrie,dicuil'in fante non si può
supporre capace. 31 proposito dellaconoscenzadelleveritàdifatto.Bacone,di
fatti,dicendo:sensus tantum 'de experimento, esperimen tum de rejudicet,aveva
enunciato un canone applicabile piùaifenomeninaturali,chealnostromodo
diconoscerli: l'applicazione speciale alla nostra conoscenza si deve a'due
geometri filosofi, cioè al Leibniz ed al D'Alembert. La storia intanto invece
di attribuire agli anzidetti filosofi la debita lode di essersi accostati
sempre più alla soluzione delproblema delconoscere,ricordalemacchine
artificiose de'lorosistemi,l'occasionalismo,l'armonia prestabilita,e simili
deviamenti dalla salda filosofia. IlGalluppipoiagliocchisuoihailtortonon
solodinon aver profittato de'saggi antecedenti, ma di essere indietreg giato
anche al di là di quel che aveva avvertito ilCondillac. Questi aveva ritenuto
per obbiettivo, o percettivo il solo tatto: Galluppi estese l'obbiettività a
tutti i sensi, occultan do la difficoltà invece di scioglierla.La realtà
oggettiva de gli esseri esteriori,ei dice,ha bisogno di essere legittimata: «
ciò che non veggono alcuni odierni scrittori,iquali sup ponendo naturalmente
percettividell'oggetto esterno i no stri sensi,credono con ciò avere abbastanza
legittimata la realtà dell'oggetto esterno ».(Vol.2,pag.254-255).
IlGalluppidiffidandodituttociòche civieneinorigine per mezzo de'giudizî,trasporta
alla sensazione quanto im mediatamente siapprende con l'atto del giudizio
(pag.316). Ei non s'accorge che c'è una contraddizione manifesta tra la realtà
oggettiva delle idee e la natura soggettiva de'rap porti (pag.316-317).
Ondechesquadrilaquestione,ilDeGraziatorna,edin siste sempre su questo vizio
radicale della dottrina gallup piana;vizio che apparve chiaro in Kant,e che in
lui rimase occulto per aver dichiarate oggettive leidee,contraddicendo alla
loro provenienza . Nel Galluppi rivive la tesi del concettualismo , che il n
o - 32 - stro filosofo combatte aspramente;nel Galluppi,e più anco
ranelRosmini.IlDe Graziafautore del realismo,non del platonico però,spende
molte pagine nel rilevare gl'inconve nienti del concettualismo medioevale,e più
del moderno;ed in questa disputa,trattata largamente in una rassegna appo
sitapubblicatail1850,eidifendeSanTommaso dallataccia di concettualista, ed
impugna la somiglianza che il Rosmini vuol trovare tra la sua teorica dell'ente
possibile, e quella dell'Aquinate. Di questa particolare ricerca diremo appres
so : continuiamo intanto ad avvertire, con la scorta del De Grazia , le lacune
ch'egli addita ne'sistemide'suoi avversarî. La critica dello stato attuale fu
fatta maestrevolmente da K a n t : il D e G r a z i a è l a r g h i s s i m o d
i l o d i a l f o n d a t o r e d e l C r i ticismo,filosofo per questo verso
inarrivabile.Della origine peròilKantnon
occupossi,dichiarandoaggiuntiaprioritut tiquegli elementi, di cui gli pareva
arduo rintracciare la ge nerazione.Quanto sitoglieaiverimezzi diacquistar cono
s c e n z e , t u t t o si a t t r i b u i s c e a d u n a s u p p o s t a o r
i g i n e a p r i o r i , a questo vasto serbatoio di tutte le perdite
dell'analisi . Cosi , con una similitudine arguta,ei battezza per vere
lacune,per difetto di analisi ogni forma a priori. Nella stessa maniera han
combattuto,dopo delDe Grazia,l'apriori ifilosofi po sitivisti.Siricasca
inquesto metodo dunque,sempre che, abbandonatalagenesisperimentale,siricorre
allospedien te di addizioni di forme pure;sia qualunque ilnome con cui si
travestiscano . D'accordo con Kant,dice ilDe Grazia,che la conoscenza risulti
dasensazioniedagiudizî;ma giudicare,perme, semplicemente osservare,e non è
punto aggiungere. La ve duta èprora quando siosserva nell'oggetto,non già
quando - Ilmetodo daseguire,nelproblema dellaconoscenza,era
questo:esaminare lo stato della coscienza,qual'è attualmen
te;risalirealleoriginidelleideecheoravitroviamo;legit timarne la realtà.
O siaggiunge dal soggetto.Aggiuntachel'avretevoi,non è più da discorrere
della sua realtà. Sicché delle tre analisi da fare, Kant fece benissimo la
critica della coscienzaattuale;arrestossi per via nel rintrac ciare le origini
della coscienza primitiva;e conseguentemen te non potè legittimare la realtà
della nostra scienza. La realtà della scienza è collegata con la dottrina del
giu dizio:se questo è una mera osservazione,la realtà è assicu rata;
se,invece,è una funzione addizionale,la realtà non si può a nessun patto
legittimare. Ed ora noi siamo perfettamente in grado dicomprendere, perchè il
De Grazia combatta con tanta insistenza la filoso fia del Galluppi,ed insieme
di valutare,quanto poco la mira delDeGrazia
siastatascortadaquellichenehannofinora discorso.Egli ritorna spesso su la critica
da noi esposta, con una prolissità,ch'è stata non piccola causa dell'esser
passatainavvertita,perchèdileggereiseivolumidelle sue opere i più si sono
sgomentati. Il significato però di tutta la sua discussione si può ridurre a
quest'alternativa in cui egli trovòimpigliatalaricercadellaumana
cognizione:gliuni avevan detto col Condillac: giudicare è sentire ;gli altri a
vevan ripetuto con Kant :le idee di rapporto sono elementi
soggettivi:egliavevarisposto:èfalsal'una el'altraspiega zione.Ilgiudicarenonèsentire,ma
osservare;irapporti sono oggettivi,non soggettivi. Il Galluppi intanto ,
destreggiandosi tra le due spiegazioni , aveva di ciascuna ritenuto una
parte.Pur discostandosi dal ladottrinacondillachiana,purdistinguendo
ilgiudiziodal la sensazione,aveva però ammesso de'rapporti,iquali era no
sentiti:tali erano il rapporto tra modificazione e sostan za,ed ilrapporto tra
effetto e causa. Similmente,pur promettendo divolersiappartareda Kant, pur
professandosi fedele al metodo sperimentale, aveva a c ce to B EL er EN
33 5 0 cettato due rapporti come soggettivi affatto,quello d'identi
tà,e quello di diversità. La sottile e giusta critica del De Grazia aveva messo
in e videnza le due capitali contraddizioni della filosofia del Gal luppi.La
consapevolezza piena,profonda,ch'egli ha delle obbiezioni mosse al suo grande
avversario , ve lo fa insistere forse soverchiamente ;ma non senza rivelare una
grande perspicacia di mente nell'applicazione che ne fa alle singole questioni.
« L'idea di azione,di connessione,egli scrive,è idea di
rapporto;eirapportisigiudicano,non sisentono.Sièdi menticato in questa
occasione,che una sensazione non è più che una nostra modificazione, e per se
stessa non può darci altra idea che quella di un particolar nostro modo di
esistere » (Vol.4,pag.140). L'anno appresso,che ilDe Grazia finiva la
pubblicazione d e l s u o S a g g i o , il 1 8 4 3 c i o è , u n d o t t o a b
b r u z z e s e , O t t a v i o Colecchi,pubblicava in due volumi le sue
Quistioni filosofi che,e vi rifaceva lacritica delGalluppi,muovendo da un
criterio opposto a quello del nostro De Grazia,ed intanto somigliantissima nel
significato. Il Colecchi segue la filosofia kantiana nel concetto fonda
mentale,ma senediparteinmoltiparticolari.Riduceleca tegorie tutte quante a
quelle di sostanza e di causa;le dedu c e n o n g i à d a l l e f o r m e d e l
g i u d i z i o , c o m e a v e v a f a t t o il K a n t , ma dalle anzidette
nozioni di sostanza e di causa, congiun te con quelle di spazio e di tempo ;
rifiuta lo schematismo kantiano, che gli parve complicato, e superfluo ; e
finalmen te crede , che la realtà della nostra scienza non ne sia punto
compromessa . Il Colecchi adunque biasima il Galluppi d'incoerenza per
averammesso alcuni rapportioggettivi,edaltrisoggettivi; senonche,invecedisoggiungerecomeilDeGrazia:dove
vateritenerlituttiperoggettivi,corregge lacontraddizione 34
io galluppiana in un modo opposto,soggiungendo:dovevate ammetterli tutti
per soggettivi. Tralasciando ora le modificazioni arrecate dal Colecchi allafilosofiakantiana,eraffrontandolesueobbiezioni
con tro il Galluppi in ciò che s'accordano con le altre antece dentemente mosse
dal nostro De Grazia,citiamo in compro va testualmente le parole del filosofo
abbruzzese,perchè il lettore ne vegga l'accennata somiglianza. Dopo aver egli
ricordato la soggettività de'rapporti d'i dentità e di diversità ammessa dal
Galluppi contro del Locke , continua così: « Posto ciò si domanda ora:se
rispetto a quelle idee che sono un prodotto dell'analisi che le separa da'sentimenti,
e che sono perciò oggettive,venga lo spirito assistito o no dalledue
ideed'identitàedidiversità?seno,nonpotràegli separarle punto dai
sentimenti;perocchè un bambino puran che ne ha bisogno,per distinguere lasua
nutrice da uno stra niero;e tale distinzione è fuor di dubbio un atto di
analisi : se sì, le due idee d'identità e di diversità devono precedere le
sensazioni:sono dunque per anticipazione,ed anteriori ai sentimenti; e perciò
nell'ordine cronologico delle nostre co gnizioni non possono essere posteriori
alle sensazioni, ne presupporle come condizioni indispensabili.Come dunque so
stenere: che ogni nostra cognizione incomincia con l'analisi, e termina con la
sintesi, se per fare qualunque spezie di a n a lisi,ha bisogno lo spirito delle
due idee d'identità edi diver sità,le quali, per avviso del nostro autore, sono
un prodotto della sintesi che le aggiunge ai prodotti dell'analisi » ? (Qui
stionifilosofiche,vol.1,pag.197-198- Napoli1843).
Potreicitarealtriluoghi,concuiilColecchinota ildi - 35 un li ne ato 4 1
Biasima inoltre il Galluppi di aver detto che sono sogget
tivesololeideedirapporto,perchèegliammette leideedi
spazio,ditempo,disostanza,dicausa,sottoilnome dileggi della intelligenza,che
sono soggettive,senza essere rapporti. verso valore che debbono
avere nella ipotesi del Galluppi le idee di identità e di diversità quando si
applicano o agli o g getti dellamatematica,oaquellidellasperienza;ma usci
reifuoridelmiotema.Amepremeassodarechelecontrad dizioni, in cui s'era avvolta
la filosofia galluppiana per m a n co di coerenza,erano state rilevate con
mirabile acume dal De Grazia e dal Colecchi. Il prof.Ferri,il quale scrisse due
grossi volumi su la sto riadellafilosofiaitaliananelnostrosecolo,non trovòaltro
spazio per ricordare idue anzidetti nostri filosofi, che que sto,occupato dalle
seguenti parole: « Il faudrait enfin mentionner les écrits de Di Grazia, et de
Collecchi , Napolitains, qui, tout en modifiant,ou en c o m battant
Galluppi,n'ont cependant pas dépassé le point de vue de l'expérience ou de la
philosophie critique ».(Essais sur l'histoire etc. tom . 1, p . 334 ). Certo
così il prof. Ferri non si compromette. En m o d i fiant, en combattant, sono
frasi tanto diplomatiche che par c h e d i c a n o , e n o n d i c o n o . Il D
e G r a z i a h a m o d i f i c a t o il G a l l u p p i ; il C o l e c c h i l
' h a c o m b a t t u t o : c i h o g u s t o : s t a b e n e ; m a c h e c o s
a h a n d e t t o ? Q u e s t o è il p u n t o ; e s u q u e s t o , s i l e n
zio perfetto.E poi ilDe Grazia non l'ha punto modificato, l'ha combattuto pure
: l'avesse combattuto, qual lume si
ricaverebbedaquestemezzeparole?Nonerameglioconfes sare di non averne letto
sillaba ? E perchè non occuparsene?
Forsechèerandamenoditantialtri?Io,peresempio,sen za far torto a nessuno , e
salvo la disparità per altri riguar di,trovo più ingegno filosofico nel De
Grazia e nel Colecchi, che non nelMamiani.L'ho detta grossa?Chiedo scusa a
tutti quelli che ne prenderanno scandalo ;certo di aver con
mecoloro,chesen'intendonodavvero;eche intendendo sene ardiscono dire il proprio
parere. Del silenzio sul Colecchi il prof. Ferri si scusa quasi ,scri vendo in
una nota così : 36 « Les écrits de Collecchi dispersés dans
les recueils litté raires n'avaient pas encore été publiés en un seul corps il
y a quelques années ». Pardon,prof.Ferri:gliscrittidelColecchi furono stam pati
fin dal 1843 in due volumi,che io ho qui sul tavolo,ed hanno
questaindicazione:Napoli,all'insegnadiAldoMa
nuzio,CarrozzieriaMontoliveton.13,1843.Qualgirodi anni comprendete voi nell'il
y a quelques années ? Venticin que non vi bastano ? E perchè non una parola sul
De Grazia , che doveva es servi noto,poichè ne registrate ilSaggio nell'indice
delle opere filosofiche pubblicate in Italia in questo secolo ? Forse n o n e n
t r a v a n e l d i s e g n o v o s t r o , c h ' e r a d i d e s c r i v e r e
il p e n siero italiano tutto inteso a cercare ciò che poi ha finalmen te
trovato , l'idealismo temperato ? ed allora perchè accusare
diparzialitàloSpaventa,cheavevatrascuratinon soquali filosofi, indotto dal suo
criterio hegeliano ? Ma passiamo oltre,avvertendo soltanto,poichè siamo su q u
e s t o a r g o m e n t o , c h e il c o g n o m e d e l D e G r a z i a n o n
v a s c r i t toDiGrazia;echeilColecchinonvarinforzatocome l'ha
rinforzatoilprof.Ferri,che loscriveCollecchi.Sarebbero minuzie, se non
attestassero la poca diligenza nello scrivere la storia. Morto
chefuilGalluppi,ilDeGrazia,benchèricordiqua e là gli sforzi sostenuti nel
combatterne le dottrine, rivolge però altrove la propria attenzione.
Ne'discorsi pubblicati il 1850 ei se la piglia con la filosofia,che in Italia
aveva preso ilsopravvento,echenonsicuravadinascondereildispre gio in cuiteneva
l'esperienza.Oramai non si tratta più di scoprire un Idealismo,tutto studioso
di occultarsi sotto il nome difilosofiasperimentale,com'erastatoilcasodelGal
luppi,ma di combattere un Idealismo che si presentava alla
svelata,eche,sottonomi diversi,s'eraguadagnate lementi della nuova
generazione.IlDe Grazia comprende tutti que 37
stisistemisotto un nome solo,sottoquello difilosofia spe culativa .
Traquestisistemiperò,secondolavaria importanza,al cuni combatte più
acremente,altri accenna soltanto.Accen na pure del consenso del genere umano
del La Mennais,del tradizionalismo del P. Ventura;delprimo un po'più distesa
mente, perchè s'accorda col sistema del Gioberti nel rifiu tare la
testimonianza e l'autorità della coscienza subbiettiva. Quanto al P. Ventura,
poco seguito aveva trovato in Italia, nèmeritavaimportanza,nèilDeGraziaglienedàmolta.
Mente severa, educata alle scienze matematiche, il De Grazia la giustizia
sommaria di tutti questi sistemi in un fa scio,ai quali a suo avviso mancava e
la base solida, ed il rigoroso ragionamento. «Una volta,eiscrive,erascrittoall'ingressodellascuo.
la:nemo accedat,nisigeometra;igiovanettioggi leggono: nemo accedat,sigeometra.E
non hanno torto,perché ove si tratta di creare enti, o di manifestazioni del
Dio -Cosmo, e di ispirazioni,e di intuiti,o di nuove logiche trascenden tali,non
può esservi luogo pe'geometri:non è arena per le loro forze ». Ce n'è per
tutti, come si vede, e non risparmia né i si stemi tedeschi,nè i francesi,né i
nostrani ;ma vediamo quali obbiezioni particolari muova a ciascuno ;e basterà
ac cennarle,perchè oramai abbiamo abbastanza conosciuto il suo criterio. « Più
dilettevole trattenimento ci dà il La Mennais nel ravvisar per ogni dove un
riflesso del d o m m a religioso ; che 38 Contro del La Mennais nota che
la ragione umana collet tivaèun'astrazione,che solo l'individuo esiste;e quindi
il c o n s e n s o u n i v e r s a l e n o n h a a l t r o v a l o r e , c h e
q u e l l o d e g l ' i n dividui, da cui proviene. Con non dissimulata
derisione trat ta poi le spiegazioni fantastiche de'fenomeni naturali per mezzo
del domma. Punzecchiando ilGioberti,siricordadelGalluppi,cheper
liberarsidaognimolestiasularealtàde'corpi,concepi ob biettive le sensazioni , e
scrive . Le sue celie su la commodità di questi spedienti sono fre
quenti;senoncheglisembra che nègl'intuiti,néleispi razioni , nè gli istinti, nè
le idee inerenti allo spirito , benchè talvolta simulino l'evidenza,bastano
però a surrogarla pie namente . Se ilDe Grazia tralascia gl'influssi divini,
cið avviene perchè il Mamiani non li aveva ancora escogitati. Ma torniamo agli
appunti ch'ei muove al Gioberti.Come ! eidice,l'intuitoèpresente,enon sivede!È
ecclissato,sirepli ca,estabene;ma comeunmotivofinitobastaadecclissarlo? Il D e
G r a z i a , p e r q u e s t o i n e s p l i c a b i l e e c c l i s s e , s '
i n s o s p e t 39 d'altronde doveasi toccare con più rispettoso
contegno. Fino n e ' s e t t e c o l o r i d e l p r i s m a s c o r g e il t e
r n a r i o , d a c h e t r e s o l i secondo l'autore sono iprincipali ». Che
cosa avrebbe detto ilDe Grazia,se avesse letto la Vita di Gesù Cristo
dell'abate Fornari ? Il Gioberti si studia di sostenere col ragionamento la dot
trinaquasiispiratadelLaMennais:ilDeGraziarendegiu stizia al filosofo
italiano,nè lo confonde con l'autor dell’Ab bozzo.Eccoperòlasommadegliappunticheglimuove.
IlGioberti,perlui,escludeognianalisi delle idee,eper dispensarci dalle minute
inchieste psicologiche, ci accorda l ' i m m e d i a t a v e d u t a d e l l e
i d e e d i v i n e . C e r t a m e n t e , r i p i g l i a il De Grazia,eivalmegliocontemplarlenellalorointegritàri
flesse dal lume divino su le parole, che attentarsi di rima neggiarle con
profana analisi ! « P e r t o g l i e r s i d a o g n i i m p a c c i o b a s t
a o g g i il d i r e : i o s e n to i corpi esterni,le mie sensazioni sono
percettive de'corpi esterni;ovvero per risolvere con un solo atto tutte le qui
stioni di ontologia e di psicologia : io intuisco il creato,il creatore,el'atto
creativo!» tiscedellaesistenzadell'intuito.E poi,esso nèsipuòvedere
dalla coscienza,nè dimostrare dalla ragione, come fare dun que a verificarlo ?
Nè piùplausibileèilsussidiochedovrebbearrecarelapa rola, affinchè dall'intuito
si passasse alla riflessione. Il p o t e r e d e l l a p a r o l a , d i c e il
D e G r a z i a , è m i s t e r i o s o : n o n circoscrive l'idea,su la quale
non ha presa n è punto nè poco ; e non accresce la nostra facoltà intellettiva.
Sicchè, tutto ragguagliato, ilGioberti cilasciacon una virtù intellettiva in
potenza , e con una riflessione a nude parole. Dove però il De Grazia va più
addentro nel sistema giober tiano,è,a parer mio,nella seguente osservazione.
«Ma laricercafondamentale,dicuisièsempre taciuto,
concernelapossibilitàdellavisioneinDio.La stessanonè
solamenteunfattogratuitamentesupposto,ma neppurciè dato sapere, se un essere
può vedere le idee di un altro es sere ». Questa obbiezione del De Grazia
equivale a quella dello Spaventa,quando osservava,che l'Ente veduto
dall'intuito giobertiano non può essere uno spirito. Diciamo ora della critica
del Rosmini . Della teorica rosminiana il nostro filosofo s'era occupato nel
Saggio ; ci torna di poi nelle opere posteriori alla morte del Galluppi con più
larghezza. 40 IlDe Grazia continua:vedere le idee in Dio,presuppone
assodato,cheIddioleabbia;ora,cheilmodo dellacono
scenzadivinanonsiaconformealnostro;echequindinon si faccia per idee molteplici
e rappresentative, pare più ac cettato dalla filosofia ortodossa . E qui
riscontra la dottrina giobertiana non solo con quella del Malebranche,ma con
quella di Sant'Agostino,e non la trova somigliante,e quin di non la tiene per
ortodossa. Nel Galluppi il De Grazia aveva combattuto il concettua
l i s m o , a v e v a c o m b a t t u t o l ' a s s e r z i o n e , c h e
le n o s t r e i d e e n o n siano rappresentative.A proposito del Rosmini
ripiglia la controversia del concettualismo . Il concettualismo si fonda su la
subbiettività de'rapporti, onde risultano le idee:contro ilconcettualismo
adunque ba sta contrapporre questa sentenza di san Tommaso : « relatio nem esserem
naturae ». O r q u a l d o t t r i n a s e g u e il R o s m i n i ? F o r s e q
u e s t a d e l l ' A q u i nate,fondatasulpiùschiettorealismo?No;nesegueuna
ambigua , e per tal ambiguità cerca tirar dalla sua l'autorità di San Tommaso .
« L ' e n t e i d e a l e d e l R o s m i n i , d i c e il D e G r a z i a , è
b i f r o n t e ; da un lato offre l'idea universale di esistenza, dall'altro
un ente esistente ». Basterebbe questa profonda osservazione, per dimostrare
diquantaperspicaciafossefornitoilDe Grazia;ma egliva più in là ancora,ed addita
un riscontro, che rivela la forza della sua critica. « M a , ci si dirà, qui
non trattasi di una esistenza sostan ziale, o di accidenti di una sostanza,
bensi di una esistenza ideale, qual può competere ad una idea.Si,ciò ricorda
l'Idea di Hegel , con la differenza che questa contempla sè stessa, e l'idea
universale di esistenza è l'oggetto contemplato da tutte le intelligenze,
differenza che gli hegeliani farebbero sparire.Quanto
allanaturadellaesistenza,l'entedelRosmi ni non è meno lucido e trasparente, che
l'Idea hegeliana, perchè altro non è che l'idea di esistenza, o la
possibilità - 41 - «Sipongaormente,eglidice,cheiduepuntimessia
maggiorrisaltonelnostrolibrosono:1.che ilconcettuali smo è la causa principale
delle deviazioni della filosofia,e la grande abilitazione de'sistemi
speculativi;2. che l'Aquinate, tenendosi immune dal concettualismo,ha
felicemente seguito il metodo di pura osservazione ». 6 42 -
dell'esistenza,come lo stesso Rosmini ripetutamente va ri cordando a'suoi
lettori ». « Se quindi si ammette una esistenza attuale e indetermi
nata;attuale e non reale; se si ammette la possibilità dell'e sistenza essere
un'attuale esistenza,si avrà il caso proprio di una identità de'due contrari
«.(Esperimenti della filoso fiaspeculativane’sistemidelsecolocorrente
-Napoli1850-- 29 Rassegna,pag.288). Ho notato in corsivo l'ultima conclusione
del De Grazia, perchè il lettore rifletta su la somiglianza da lui additata tra
l'Ente rosminiano,e l'Idea dell'Hegel. Quando lo Spaventa, dopo del De Grazia,e
senza sapere forsedelfilosofocalabrese,lecuiopere,specialmente leul time,erano
rimaste sconosciute,mise in rilievo con più lar g h e z z a q u e l r i s c o n
t r o , la c o s a p a r v e s t r a n a , e ci si v i d e u n o
stiracchiamento forzato de'sistemi in servizio di un criterio
preconcetto.Piùtardi,coloro chesieranoarrogatalarap
presentanzadellafilosofiaitaliana,levarono lavoce,epro testarono contro il
malvezzo di voler far parere la nostra filosofiaun'imitazione dellafilosofiatedesca.Sietematti,si
disse !il Galluppi kantiano ! Il Rosmini hegeliano ! Le son
cosedaridere:voiconfondeteitipicon gliectipi;voi non sapete che in Italia c'è
un'abbondanza straordinaria di tipi, e che voi altri li sfigurate barbaramente
per poterli tramu tare in ectipi. Questa brava gente,veramente
tipica,ignorava,che ilri scontro era tanto poco sforzato, da esser apparso
manifesto ad un filosofo, il quale non era punto tenero della filosofia
tedesca,e che di tutto si poteva accusare, salvo che della smania divoler
costruire la storiaapriori.IlDe Grazia, difatti,aveva a chiare note,e con
grande insistenza,segna latoilkantismonelsistemadelGalluppi;econ menodiffu
sione,ma con non minor chiarezza,l'hegelismo nel sistema delRosmini.Oh!come
dunqueivindici,glistoriografi,i rappresentanti
dellafilosofiaitalianaignoravanotuttalacri tica che si era esercitata nel
nostro paese su la nostra filo sofia nazionale ? Ma torniamo alRosmini. IlDe
Grazia,dopo avvertita l'ambigua natura dell'Ente rosminiano,dopoaverbiasimatoilRosmini
dinonaverte nuto fermo in una sola e medesima sentenza,di averlo una
voltachiamatounlumedatodaDio,un'altravoltaillume
divinomedesimo,eidimostraugualeaccorgimento nelrile vare altri difetti.
L'origine delle nostre idee è doppia,una l'idea dell'ente, l'altra
lapercezionesensitiva;ma ilDe Grazia s'accorge, che la vera sorgente,l'unica
sorgente rimane quest'ultima, e domanda : « A che serve il contrarre
l'espressione di quanto si vuol che noi percepiamo immediatamente con una
sensazione ? Il participio sostituito al verbo potrà mai avere ilvalore di
nascondereimoltigiudizî,chesicontengono nellaformola «enteagentesuimieisensi»?
Il participio sostituito al verbo è difatti il ripiego della i d e o l o g i a
r o s m i n i a n a : il D e G r a z i a l ' h a c o l t o a m a r a v i g l i
a . « La percezione sensitiva, ei continua,è,o no, un atto del pensiero ? Se lo
è,siavrà un pensare identico alsentire;
senonloè,siavràunapercezione,allaqualeilnostrospi rito non pensa !O cade in
sensualismo, o è nulla pel nostro pensiero ». La percezione sensitiva adunque
non si vede in che diver sifichi dalla sensazione, posto che in lei non debba
concorre re traccia di pensiero : nè molto proficua è la ragione, che il De
Grazia chiama potenza terza e neutrale. Non è intellet to,non è senso:applica
ildato dell'intelletto ai dati della sensibilità;d'altro non brigasi;ma
chimallevaallorala realtà ?Non l'intelletto che ha da fare col possibile ; non
il senso che non può cogliere altro che nostre modificazioni. 43
« La capacità di sentire e la facoltà di percepire sono due potenze così
differenti,che dee tenersi per ugual controsenso l' a t t r i b u i r e l a p e
r c e z i o n e a l l a s e n s i b i l i t à , e l ' a t t r i b u i r l a s e
n sazione all'intelletto ». Rosmini con la percezione sensitiva attribuisce al
senso più che la costui capacità non comporti ; ricasca quindi nel difetto del
Galluppi, che fece la sensazione immediatamente percettiva.A questo sbaglio
ecco tener dietro un altro,che a noi piace riferire con le stesse parole del De
Grazia. « Un'altra opinione sui generis è di ammettere nel fatto la percezione
immediata del nostro essere ,e dell'essere ester no , m a il fatto aver bisogno
di venire autenticato da una idea innata, per quanto concerne la vera
esistenza, perchè altri menti quella da noi appresa nella coscienza potrebbe
dirsi apocrifa ! » Meglio non poteasi rilevare la superfluità dell'ente rosmi
niano,dopoaverammesso lapercezionesensitivapercoglie re l'esistenza immediata e
reale. Come impugni il De Grazia le interpetrazioni date dal
RosminialsistemadisanTommasovedremoaltravolta;chè tal ricerca non è
semplicemente storica,e meglio si collega allaesposizione della dottrina del
nostrofilosofo,ilquale altro non pretende di aver fatto,che di aver rinnovata
la filosofia del sommo Aquinate,stata per tanti secoli o scono sciuta o
frantesa. Venghiamo al giudizio su l'Hegel. Già pel De Grazia tutt'i sistemi
nati in Germania dopo del Kant sono « romanzi filosofici »;questo d'Hegel fra
gli altri, anzi a capo degli altri. Ignaro della lingua tedesca,egli tanto sa
de'sistemi tede schi, quanto ne ha appreso dal libro di Ott,ch'era stato pub b
l i c a t o a P a r i g i il 1 8 4 4 . N o n è d a r e c a r m a r a v i g l i
a a d u n q u e , - 44 - Al De Grazia non isfugge nessuno dei tortuosi
giri dell'ideo logia rosminiana. 45 s'ei qui non possa penetrare
sempre addentro nel pensiero dell'Hegel,come ha fatto coi filosofi francesi, e
coi nostri. Onde,mentre lasuacritica della filosofia del Galluppi,del Rosmini
edelGioberti,benchèprolissaestemperata,abbon da di osservazioni sode e
profonde, la critica dell'Hegel rie sce monca e superficiale. A lui mancava la
cognizione pie na ed esatta del sistema;pur tuttavia di alcuni appunti non
sipuò ameno diammirare lasagacia,elaserietà. Attraverso alle incertezze di una
esposizione,dove trovan luogo metafore più proprie ad abbuiare un concetto,che
a lumeggiarlo,èdifficilecogliere ilsignificato genuinodiun sistema . Così al De
Grazia il divenire hegeliano sembra uno strofinamento dell'essere col
non-essere. Par che baleni il sospetto di qualche alterazione al De Grazia
stesso,ma tosto si ripiglia, ed afferma che « si può esser sicuro che le pro
posizioni fondamentali della Logica hegeliana non valgono in tedesco più di
quel che valgano in italiano o in qualsiasi lingua ».Una tal sicurezza
veramente fa un poco a calci col metodo d'osservazione adottato dal nostro
filosofo. Il quale se avesse conosciuto iltedesco, si sarebbe accorto che non
trattavasi nè di movimento,nè molto meno distrofinamento. L'accusaperò,chemuove
allaLogicahegelianadiessere un sistema di rapporti senza termini,è molto più
fondata. SenonchenellaLogica,itermininonsonoenonpossono essere altro,che
relazioni anch'essi ; ma non è vero però, c h ' e i s i a n o u n m e r o n i e
n t e , e c h e t u t t o il p r o c e s s o h e g e l i a no riesca al
postutto ad un movimento da niente a niente. Cotesta esagerazione è in lui
derivata dal non aver c o m p r e s o b e n e il v a l o r e d e l N i c h t -
s e i n , c h e n o n e g l i s o l t a n t o , m a parecchi si sono incaponiti
ad intendere per un bel nulla. Fisso in questa interpetrazione, ei continua a
biasimare questo modo di far della scienzaun tessuto disiedino, lontano da ogni
realtà salda,e solo conveniente a quella fi losofia,che
riduceirapportiapurevedute dellospirito.Qui, 46 . come si può
scorgere,ei non vuol lasciarsi fuggir l'occasio ne di scagliare un'altra
frecciata alla tanto combattuta filo sofia del Galluppi, accennando la simiglianza
che corre tra la soggettività de'rapporti e l'Idealismo trascendentale ,che poi
siassolvettenell'Idealismoassoluto.IlDe Graziaconfino accorgimento perseguita
il suo illustre avversario sino alle ultime e non sospettate conseguenze del
suo principio. « Un rapporto ideale senza itermini sarebbe appreso dalla.
nostramente,sesiammettesse lasupposizione,che irap porti sono pure vedute dello
spirito, alle quali nulla corri sponde nelle cose ». Hegel è agli occhi del De
Grazia « un elevato e perspicace p e n s a t o r e » , m a il s u o s i s t e m
a è u n a p e r p e t u a i r o n i a . L a sola istruzione che se ne possa
cavare è quella di capacitarsi della impotenza della filosofia speculativa a
cogliere ed a spiegare la realtà. « Ecco dunque l'istruzione ch'egli (Hegel) ci
dà in forme le più solenni :volete voi passare dal cerchio delle idee astrat te
al mondo reale ? vi è forza porre innanzi tratto, che il reale è lo stesso che
l'ideale ! In altri termini : dalle idee astratte non si può derivare la
realtà; e questa massima può servir di lezione pe'tentativi,in cui con minori
proporzioni, o più propiamente, con meno di purità speculativa, si voles se
maneggiare ilmetodo ontologico ». I due principii che lo informano sono
l'Idealismo,e la con traddizione ; dall'uno il sistema hegeliano piglia le
prime mosse;coll'altraprocede avanti.Che cosa se ne inferisce? Q u e s t o s o
l t a n t o , c h e il c o n c e t t u a l i s m o è f a l s o ; m a l a v e r
a f i losofia rimane illesa dai suoi colpi. Il valore che il De Grazia
attribuisce ad Hegel è lo stesso, benchè egli nol dica espressamente, di quello
che Socrate ebbe verso la Sofistica. L'ironia socratica avrebbe svelato le
contraddizioni della Sofistica, come l'ironia hegeliana avreb be tirato le
ultime conseguenze del Concettualismo moderno . H e g e l , s e c o
n d o il g i u d i z i o d e l D e G r a z i a , a d d i t o il r i m e d i o
contro le forme subbiettive di Kant ,deducendo da quelle pre messe , che dunque
« i fenomeni del pensiero sono la sola v e rità assoluta », Tutta la storia
della filosofia si spiega,adunque, e siran noda intorno al problema della
conoscenza. Tre domande si possono fare: qual è lo stato presente della nostra
coscienza ? qual è stata la sua origine ? qual è la sua realtà ? Il criterio
con cui il nostro filosofo giudica tutt'i sistemi è il s e g u e n t e : « c i
ò c h e l a n o s t r a m e n t e v e d e i n u n f a t t o o è realmente nel
fatto, o la nostra veduta è su tal riguardo il lusoria ». D a u n l a t o a d u
n q u e c ' è il r e a l i s m o , a f a v o r e d e l q u a l e e g l i s i s
c h i e r a ; d a l l ' a l t r o l a t o il c o n c e t t u a l i s m o , c h
e p i g l i a d i v e r se forme, finchè non diventi idealismo assoluto, ossia
l'iro nia hegeliana, che mette a nudo le coperte magagne de'siste mi
antecedenti,Benchè ilibridelDeGraziasianopiuttostopolemiciche dottrinali,pure
in essi,e nel Saggio principalmente,si scor gono le linee di una nuova
soluzione del problema genealo gico delle idee.Il De Grazia fa consistere in
questa soluzio ne tutta la sostanza della filosofia;m a a lui la genealogia non
ha lostessosignificato,chehaalBorrelli,dalqualetolse probabilmente
ilnome.IlBorrelli,quasi almodo stesso,che fa oggidi l'Herbert Spencer, studia
la genesi del pensiero sotto l'aspetto fisiologico : il De Grazia si arresta ai
tre fe nomeni primitivi del sentire,del pensare,e del volere,e di quivi
soltanto piglia le mosse . Qual è ora per lui l'immediato,o ilfatto primitivo,
sul quale riposa la filosofia sperimentale ? IlGalluppi aveva risposto :questo
immediato è ilsenti mentodelmeedelfuordime;ilDeGraziarisponde:ilve
roimmediatoèilsentimentodelmesolo. Questa prima discrepanza si può dire la
origine di ogni divario che corre tra la filosofia de due filosofi calabresi. E
n trambi vogliono partire dalla esperienza immediata, m a i li miti di questa
immediatezza non sono tracciati al modo m e desimo . «Ilmetodo
d'osservazione,dice ilDe Grazia,ciguida a riconoscere,che ilcampo
dellaimmediata percezione di fatti reali è la sola esperienza interna, ove
l'oggetto è in noi , è la nostra esistenza,e quanto apprendiamo nelle nostre m
a niere di essere.Gli oggetti esterni non sono esposti alla im m e d i a t a n
o s t r a p e r c e z i o n e , m a n o i li p e r c e p i a m o c o l m e z z
o di più atti mentali ». Questa confusione sembra al nostro filosofo tanto più
ine scusabile nel Galluppi,quanto più questi si era chiarito con trario alla
tesi della sensazione trasformata . «Potrebbemaicredersi,eidice,chementre
egli(ilGal l u p p i ) c o m b a t t e a v i v a m e n t e il p r i n c i p i o
s e n s u a l i s t a , g i u d i c a r e è s e n t i r e , a b b i a p o i r i
t e n u t o , c h e il s e n t i r e è u n a s p e c i e del pensare ? » Il De
Grazia scorge manifesti gl'inconvenienti della spie gazione galluppiana , e li
addita così . «Quandosiammette,chelerealtàesteriorisonodanoi sentite,e che poi
l'analisi,distinguendo isentimenti che da prima erano confusi,cidàleidee,non
sipuòsfuggirealla conseguenza,che dette idee non sono altro che sentimenti
distinti;poichè l'analisi non ha cangiato la loro natura pri m i t i v a ; o n
d e t u t t o il c a p i t a l e d e l l a e s p e r i e n z a e s t e r n a è
c o stituito da ciò che sisente,e da que'rapporti,che il nostro spirito ha in
pura sua seduta,ma che non sono nelle cose. Si fatte conseguenze vengono poi
confermate ed ampliate con essersidetto,che lacoscienzaèlasensibilità
interna,cioè 50 All'acume del De Grazia non isfuggi la conseguenza,che
avrebbe portato il principio galluppiano. Se la realtà este
rioreècoltaimmediatamente,dunque ilsentire è lostesso c h e il p e r c e p i r
e ; è l o s t e s s o , c h e il p e n s a r e . G a l l u p p i s e n ' e ra
aperto con molta chiarezza: la sensazione,per lui,suppo ne l'oggetto
sentito,come ilpensare suppone l'oggetto pen sato.Ilsentire era dunque una
specie del pensare :sentire e pensare non erano più due fenomeni primitivi, ed
irredu cibili,come ilDe Grazia sostiene. la conoscenza de'fatti
interni è sensibilità. Vedesi quindi che con questi principî ilsentire non fu
distinto dal pen sare ». Gli estremi , tra cui si studia di librarsi il De
Grazia , son questi due:da una parte quello che raccorcia la portata del la
coscienza;dall'altra quello che la dilata oltre il convene vole.Chi dice:lacoscienzanon
coglielanostraesistenza,e chidice:lacoscienzasiestendeallarealtàesterna,dice u
gualmente cosa inesatta ;per difetto, la prima osservazione; per eccesso,la
seconda. IlGalluppiammetteundoppioimmediato,ilme edilnon
me;ilDeGrazianeammetteuno,ilmesolo:dondeproviene siffatto divario ? Eccolo ,con
le parole stesse del De Grazia, le quali compendiano e chiariscono la dottrina
galluppiana. « Il dir che partendo dalle nostre modificazioni sensibili, noi
veniam per via di giudizî acquistando la conoscenza del m o n d o e s t e r i o
r e , v a l q u a n t o il d i r c h e l o s p i r i t o u m a n o c o n i s u
o i p r o p r i i e l e m e n t i c o m p o n e il m o n d o . L a f i l o s o
f i a s p e r i mentale di Francia su questo punto va a coincidere con l'I
dealismo di Kant ». E perchè? Perchè il Galluppi non si affidava ai giudizî per
coglierelarealtà;perchèigiudizî,secondo lui,erano pure v e d u t e dello
spirito ; d i m o d o c h é , se il m o n d o n o n ci fosse a p parso dal bel
principio così,come oggi lo apprendiamo , quel lo costruito di poi sarebbe
stato una mera relazione del n o stro spirito,a cui nulla sarebbe corrisposto
di reale nella natura.Diffidente della sincerità de'nostri mezzi di conosce
re,ilGalluppiquindiappigliossialpartito delReid,edam mise l'immediatezza della
sensazione,confondendola con la percezione esterna. 51 « Si è quindi
detto,osserva il De Grazia,che nel fatto io s e n t o n o n è c o n t e n u t o
il p r o p r i o e s s e r e , e si è t e r m i n a t o d ' a l tra parte con
dire che nel fatto io sento si contiene l'essere straniero,ilnonio».
52 IlDe Graziaritienelasinceritàdelgiudizio,ritieneirap porti come
reali,e quindi non alla sensazione,ma ad un pro
cessospontaneodell'intelletto,edalconcorso digiudizîdi venuti abituali ed
indiscernibili attribuisce le idee de'corpi, quali nello stato presente le
troviamo nella nostra coscienza . Esclusa dal De Grazia l'immediatezza della
sensazione, non per questo ei mena buoni que'sillogismi, iquali si cre devano
più spedito passaggio dalle nostre sensazioni alm o n do esterno. Il De Grazia
nota che il modello di questi ragionamenti ri sale fino al nostro Campanella ,
il quale lo formolò così: Sia monoichemutiamo:dunquesentiamosolonoistessi,enon
giàlecose.Noisentiamo lecoseesterne,soloperchécisen
tiamomutare,manonsiamonoichecimutiamo;dunqueal tracosacimuta. Questo sillogismo
, che , variamente rimaneggiato , è r i m a sto in sostanza il gran ponte di
passaggio dal mondo interno all'esterno,nonèparsoabbastanzaconcludentealnostro
fi losofo.Le lacune,ch'egliviha scorte,non sipossono logi camente
colmare.Anzitutto :chi vi dice che ilprincipio di ogni nostra mutazione sia la
volontà ? L'associazione delle nostre idee talvolta non è volontaria, ed
intanto è mutazio nenostra.Epoi,poniamochelamutazioneviadditialcun c h è d i e
s t e r n o , c h i v i g a r a n t i s c e c h e il p r i n c i p i o e s t e
r n o s i a un corpo ? A taliobbiezioninonc'èdareplicare:ilsillogismoèim
potente a discoprire un fatto :esso è utile soltanto a disco prire verità di
ragione. Tolta l'immediatezza della sensazione,tolto il sillogismo, il D e G r
a z i a t o r n a a l l e r a p p r e s e n t a z i o n i , c o m e i m m a g i
n i d e l le cose esterne,ed alla induzione,la quale,travagliandosi su quelle
immagini,va legittimando la realtà delle immagini complesse,che l'associazione
ha spontaneamente ed abitual mente formate.Non sarà una dimostrazione
necessaria,ma nelle verità di fatto non si dà mai l'assoluta
impossibilità dell'opposto,e bisogna contentarsi della certezza morale.
L'associazione collega insieme le immagini visive e le tat
tili:igiudizîabitualicolgonoirapportiqualirealmente e sistono ;noi adunque
venghiamo componendo lo spettacolo del mondo esterno non con vedute
subbiettive,ma con ele menti dati dalla realtà stessa dellecose. Questa è stata
pure la dottrina dell'Aquinate,e ditutta la filosofia ortodossa. Nell'ultima
opera pubblicata col titolo di Prospetto della filosofia ortodossa,ilnostro
filosofo sifaforte dell'autorità dell'Aquinate per tutte le parti fondamentali
della sua dot trina,salvoimiglioramentich'eicredediavervi arrecato, supplendo a
quelli ch'ei chiama desiderata della filosofia to
mistica.IlDeGrazianoneraabbastanzaversato nella filo s o f i a a r i s t o t e
l i c a , d a a c c o r g e r s i c h e il m e g l i o d i q u e l l a , c h e
ei battezzava per dottrina ortodossa,era mutuato da Aristo tele.Vediamo intanto
quali principii ei ne accoglie,e ne te soreggia. Primieramente il De Grazia
avverte la differenza che l’A quinate mette tra isensibili proprî,ed
icomuni;differenza, che noi sappiamo appartenere ad Aristotele. Con molto acume
l’Aquinate aveva avvertito di fatti che isensibili proprî sono qualità,come
odori,sapori,suoni,co lori,e simili;e che isensibili comuni,invece,sono quanti
tà o estensiva,o intensiva,o discreta,come figure,distan ze,movimenti,
successione :« sensibilia propria ... sunt qualitates : sensibilia communia
omnia reducuntur ad quantitatem ». Finalmente cita la sentenza che accenna alla
formazione delleimmagini corporee,echeattribuisceallospirito,enon 53
Dipoi ricorda la dottrina sui rapporti,che San Tommaso
hariconosciutocomereali,comeresnaturae,enongiàco me res rationis.
giàaicorpi.«Imaginemcorporisnoncorpus inspiritu, sed ipse spiritus in
seipso facit ». Alla quale ultima sentenza ilDe Grazia aggiunge questa
avvertenza . E l'avvertenza mira visibilmente a cansare l'equivoco del le forme
soggettive,e degli elementi a priori da lui con gran de perseveranza
combattuti.Lo spirito si compone egli le immagini de'corpi esterni, l'idea del
corpo è un prodotto della sintesi , contro alla opinione del Galluppi, m a in
questo raccoglimento non c'è mistura di elementi soggettivi :tutti idati sono
reali.Inquestosignificato,enonaltrimenti va intesalaproposizione dell'Aquinate,che
ad altri potrebbe parere intinta di kantismo, e che suona così :dat (anima)
eisformandisquiddam substantiaesuae. San Tommaso adunque aveva tracciato le
prime linee di quella filosofia sperimentale, di cui ilDe Grazia si dà per
continuatore: i due filosofi cadono d'accordo sui seguenti ri sultati : 1o che
nel senso non v'è altro che il cangiamento del senso;2ocheleimmaginide'corpi
sivan componendo con elementi nostri;3ochenoigiudichiamo,essere icorpi simili a
quelle immagini. S e n o n c h e S a n T o m m a s o s ' e r a f e r m a t o q
u i : il D e G r a zia ha domandato inoltre:con quali operazioni si son for
mate quelle immagini ? Con qual criterio le giudichiamo si mili ai corpi
esterni ? E alla prima domanda ha risposto : le operazioni sono i giudizî
accoppiati alle sensazioni;l'associazione delle im magini visive con le
immagini tattili: giudizi ed associa zione che si uniscono spontaneamente ed
abitualmente. Alla seconda domanda poi ha risposto: la legittimazione 54
« Quanto però egli(San Tommaso )enuncia,non lascia dub bio, che nella
formazione delle immagini de'corpi esterni ha inteso non mettersi in opra altri
elementi,che que'del senso e della imaginazione ». Quando ,
difatti, io applico ai fenomeni della estensione le verità della geometria,e
l'applicazione riesce,allora è chia ro che alla esistenza de'corpi si aggiunge
tutta la forza della dimostrazione induttiva. Mal si è creduto che ogni nerbo
di logica dimostrazione consistesse soltanto nel sil logismo e nelle sue forme.
« Se l'estensione corporea,dice ilDe Grazia,è reale, la troverò costantemente
conforme alle leggi geometriche,ma se è un'illusione de'sensi,mi sipotrà
presentare nelle vo lubili forme in cuiapparisce ne'sogni.Nella ipotesi affer
mativa v'è la necessità assoluta di trovarsi avverate le ve
ritàmatematiche,come sihanell'esperienza:nellaipotesi negativa,l'evento che ne
dà l'esperienza, è uno degli in finiti eventi possibili. Questo cenno può far
presentire, a qual grado si eleva la pruova induttiva del Leibniz,riguar
dandola dal solo lato delle verità matematiche. Esposta in questi termini la
mente del nostro filosofo, proseguiamo a raffrontare le differenze conseguenti
tra la sua dottrina,e quella del Galluppi. Il Galluppi aveva pareggiata la
sperienza interna con l'e sterna,e quindi ammessa una doppia relazione colta
imme diatamente, quella tra sostanza e modificazione, e l'altra tra
causaedeffetto.IlDeGrazia,invece,distingueleidee pri 55 - si fa non per
la immediatezza della sensazione,e neppure per sillogismo,ma per via d'induzione,secondo
l'addita mento diLeibniz,ediD'Alembert,idue filosofimatemati ci,mal trascurati
dai filosofi posteriori. Non è dimostrazione apodittica cotesta,certamente : an
che un incontro fortuito potrebbe essere causa di quella cor rispondenza che noi
verifichiamo nella sperienza tra i rap porti quantitativi ideali,eirapporti
quantitativi reali dei corpi;ma aqualestremo siassottiglia questa possibilitàdi
un incontro fortuito,e di quanta forza non s'ingagliardi sce l'ipotesi della
realtà de'rapporti tra corpo e corpo ! mitive dalle derivative
;chiama primitive quelle che sono ricavate dal fatto immediato della
coscienza,da lui circo scritto nelsoloiosento;echiamaderivativequelleche na
scono poi dalla sperienza esterna. « Si sono messe,ei dice,in una medesima
classe,tanto le idee primitive di numero, di sostanza,e di modificazione, di
affermazione e negazione,quanto le idee derivative di causa,diazione
mutua,delcontingente,delnecessario,del possibile;e non si sono mentovate le
idee derivative di spa zio,ditempo,per essersi supposto venirci date dallasen
sibilità senza previo lavoro dell'intelletto ». L'originale dell'idea di
sostanza è dunque ilnostro pro prio essere:delle modificazioni si dice
impropriamente che esistono:ciò ch'esiste è la sostanza.Però se un essere esi
stente non avesse punto di modi,ei non sarebbe nè in m o
to,nèinquiete;nèpensante,nènon pensante,ecisarebbe u n m e z z o t r a l' e s s
e r e e d il n o n e s s e r e ; il c h e è a s s u r d o . 56 Cosi dice
egli parlando delle forme kantiane,e l'appun to si può volgere pure al
Galluppi,che alla sostanza ed alla causa attribuì, come abbiamo visto, la
medesima origine. Pel De Grazia la coscienza è l'lo sento,e in questo fatto
permanente della propria esistenza lo spirito apprende la sostanza, come la
modificazione nelle sensazioni in cui si senteesistere.Ilmododiesisterenon
sipuòdispiccaredal laesistenza,edilDeGraziachiama una rivoluzione filoso fica
quella avvenuta in occasione dello scetticismo di Hume , quando si cominciò ad
affermare che nel fatto di coscienza v'èilsolomodo diessere,enon
giàl'essere.D'allorain poi si cercò di supplire a questo difetto supposto per
via di aggiunzioni provenienti da altresorgenti:così ilRosmini suppose che al
fatto di coscienza si dovesse aggiungere l'i dea dell'essere.Pel De Grazia
ilfatto della coscienza nella sua integrità dà l'uno e l'altro; se non che a
cogliere questo rapporto non è attalasensazione,siveramente ilgiudizio.
Senza avere sperimentato il fatto del passaggio da una modificazione ad
un'altra,noi non avremmo potuto affer marlo : dopo la sperienza però,noi
essendo in un dato m o do pensiamo la tendenza di passare ad un altro; e
cotesta tendenza chiamiamo forza, la quale è dunque ciò che han no di costante
gli stati successivi della sostanza. Nella originedell'idea di causa noi
abbiamo bisogno di al tri dati. a Non siavverte,diceilnostro autore,chelacausa
che produce le sensazioni è quella che mette in esercizio la sen
sibilità;lacausa cheproduceipensierinon èlapotenzadi pensare,ma èquellachemetteineserciziolapotenzadi
pensare;la causa che produce ivoleri non è la volontà,ma è quella che mette in
esercizio la volontà ». Chi ricorda ora che a queste tre classi di fenomeni ri
duce eglituttalanostraattivitàspirituale,vede chiaramen te cheperluiselacoscienzaporgeilmodellodellasostan
za,non èperòbastevoleaspiegarel'ideadicausa.Qui oc corrono più sostanze, di cui
una determina l'altra. Nella sostanza la mutazione sopravvenuta è determinata
dallostatoanteriore;nellacausaessamutazione èdeter minata e dallo stato
anteriore e dalla mutua azione. Il De Grazia riassume la sua dottrina su queste
due idee capitali nel seguente modo . « La
sostanzapersistenellasuaimmutabilenaturaal can giar delle modificazioni.
Nell'ordine naturale nè possono prodursi nuove sostanze, nè
leattualiannientarsi. I cangiamenti di una sostanza sono cosi connessi tra lo
ro,cheinogniistanteilsuostatoèdeterminatodalsuosta to antecedente,cioè nel
corso de'suoi cangiamenti ha per
modificazionecostanteunatendenzaalcangiamentocheim mediato vaseguendo,equestatendenzaèquelchenoico
- 57 8 nosciamo della forza interna di una sostanza.La diversa na
tura di queste forze ci viene manifestata dalla esperienza, cioè dai diversi
cangiamenti della sostanza.Così distinguia mo levarieforzeinternediunasostanza,elevarieforzein
terne delle diverse sostanze ». « Una sostanza, che trovasi in uno stato
permanente non può da sè stessa,cioè per propria forza,passare ad altro stato
». «Oltrelaconnessionetraicangiamentidiunastessaso stanza v'è anche una connessione
tra i cangiamenti di di verse sostanze,cioè una mutua azione tra le medesime ».
« Tutti gli avvenimenti dell'universo saranno necessarii, e l'azzardo non è che
l'incontro di avvenimenti non con nessi tra loro.Ma questo incontro medesimo è
necessario, in quanto son necessarie le serie de'cangiamenti anteriori, che han
determinato quegli stessi avvenimenti che s'incon trano ». Ecco la somma della
sua dottrina,la quale,intorno alla causalità specialmente, è la traduzione
filosofica delle leggi delmoto diNewton.Questeleggi,osservailDeGrazia,ed a
ragione, non sarebbero vere leggi degli esseri naturali,se fosse falsa
l'ipotesi della mutua azione. Locke intanto aveva negato l'idea di sostanza,
Hume la connessione richiesta dalla mutua azione nella causalita ; entrambi per
lo stesso motivo,che noi cioè non conoscia mo adeguatamente nè quella,nè
questa.Pare al nostro au torecheilragionamentodiHumesiriducaaquestoentime
ma:noinonabbiamoideaadeguata diazione;dunque non ne abhiamo punto. Le
ricerche,dalle quali Hume era stato indotto a questa conclusione ,la quale
troncava i nervi ad ogni attività scien tifica, si possono brevemente esporre
così.L'esperienza non dàconnessione,ma semplicecongiunzione:ilragionamento non
dà idee nuove :l'abitudine non cangia la natura della 58
prinda percezione,come una serie di zeri è impotente a co stituire una
quantità. Con lacoscienzacolghiamolemutazioninostre,elegiu dichiamo
appartenereallanostrasostanza:conl'astrazione noi
rendiamogeneralequestaconnessioneinterna.La spe rienza esternadipoicimostrafattiincongiunzione,ma
con tal costanza,che noi ci avvezziamo a riferire un fenomeno alla presenza di
un dato oggetto:noi induciamo,che questa
congiunzionesiaunaveradipendenza.Eperchè?«Unacon t r a r i a s u p p o s i z i
o n e , ei r i s p o n d e , i m p l i c a l ' a s s u r d o , c h e d u e
sostanze con le stesse modificazioni sono condizionate ad e sercitare una mutua
azione in un tempo più tosto che in altro;in un luogo più tosto che in altro
luogo. In tal guisa tutte quelle funzioni del pensiero,che isolate non
sarebberostatebastevoliafornircilaconnessionecau sale,intrecciateabilmente
insieme bastano. IlKant,come sappiamo,dallepremesse diHume,lasciate correre
senza contrasto,inferi che dunque l'idea di causa è a priori ; evitando con questa
origine le scabrose ricerche de]l'analisi.Altri aveva inferito,che ilprincipio
di causali tà sia,nongiàsinteticoapriori,ma analiticoadirittura, come
trainostriilGalluppiedilRosmini:ilnostroDeGra zia riconosce che nella idea
dell'avvenimento non è racchiu s a l'idea della sua causa ; dà ragione alla
filosofia critica di averlo sostenuto per sintetico;ma crede di coglierla poi
in flagrante contraddizione nel valore che Kant attribuì a tal
principio.Giovaesaminarequest'ultimo aspetto della que stione . .-59
11DeGraziareplicò:altroèilnonavereunaideaadegua
ta,ilnonconoscereilcomedell'azione;edaltroilnon a verne la menoma idea.Vero è
inoltre,che nè la sperienza, nè il sillogismo,nè l'abitudine bastano da soli,ma
intrecciati insieme forsebasteranno:epoisièlasciatafuordiconto l'in
duzione,laquale èdiunaiutoinestimabile.Ed eccocome. Kant aveva
attribuito al principio di causalità un'origine
apriori,epoiavevaattribuitoallostessounvalore ogget t i v o : il D e G r a z i
a i n t e r p e t r a o g g e t t i v o n e l s e n s o d e l l a f i l o s o
fiasperimentale,ed affibbiaalKant una contraddizione,che proviene da una poco
esatta cognizione della Critica della Ragion pura.
«Daunapartesiammette,cheinostriconcettieigiu dizî sintetici a priori hanno un
valore oggettivo nella na tura ... Dall'altra parte si sostiene che la
causalità non è legge degli esseri, ma legge de'lor cangiamenti sommessi alla
nostra esperienza ». Per Kant l'oggettivo non era punto nella natura , m a era
semplicemente ciò che si trovava in ogni coscienza,non co me questa o quella
coscienza empirica ed individuale,ma in ogni coscienza umana in universale,in
ogni coscienza uma na come tale. Onde Kuno Fischer esponendo questa
significazione della parola oggettivo nel sistema kantiano scrive appunto cosi:
« N u n heisst « verknüpft sein in reinen Bewusstsein » soviel als « obiectiv
verknüpft sein ». Ma di tali inesattezze fu causa non la poca penetrazione
dellamente,sil'averluiignoratolalingua tedesca;ilche lo costrinse a servirsi di
poco sicure traduzioni. N e l l ' e s a m e d e l m o d o , c o m e il D e G r
a z i a s p i e g a l ' o r i g i n e dell'idea disostanza,equella dicausa,noi
abbiamo indi cato tutto quanto il suo processo analitico nella genealo gia del
pensiero,perchè la prima idea è primitiva, la se conda derivativa. Pure di
altre principali toccheremo un cenno per chiarezza maggiore,ma prima alleghiamo
testual mente la formola del suo metodo. « Pura osservazione di fatto nelle
idee primitive;pura os servazione di concetti astratti nelle idee derivative
;ecco i due cardini del presente Saggio. La natura oggettiva delle idee di
rapporto , e i giudizî parte integrante di alcune idee . . . 60
-61 sono ledue vedute primordialinellaquistionedellaorigine e realtà
delle nostre conoscenze ». Con questo criterio ora ilnostro filosofo si fa ad
esami nare ilfatto,ediquivi pervia diastrazione,ossiapervia del
giudizio,attinge ogni nostra idea. Percepire ilpossibilevalgiudicare ciò ch'è
possibile, come percepireilnecessariovalgiudicareciòch'èneces s-ario,e
percepire ilgeneraleval giudicare ciò ch'è gene r ale ». È una falsa opinione
il credere che la necessità,la pos sibilità,launiversalità,come altresì
laidentità,ladiversi t à non siano contenute tutte quante nella realtà che ci
sta davanti : il giudizio non aggiunge nulla di suo, esso è un puro mezzo di
osservazione, e nulla più. « Il nostro spirito ha la virtù di apprendere
l'identità e la diversità,con cuisioffronoleideeallanostra percezio
ne:eccoquantodevesisolamentediredalfilosofo». L'infinito non è pel nostro
autore,se non la quantità in finita, e la origine di questa idea è anch'essa
dovuta alla e sperienza. « Partendo dal principio,che ilpositivo dee precedere
il negativo nell'ordine genealogico, abbiamo conchiuso,la quantità che ha
limiti dover precedere la quantità che non ha limiti;ilfinito dover precedere
l'infinito;ilsiavanti al no.L'equivoco ènelcredere,che una quantitàinfinita non
ènegativa». Che sesiosserva,laquantitàinfinitacomprendere in se tutte le
finite, è da osservare altresì ch'essa le comprende non come negazione,ma come
quantità:lanegazione siri ferisce al limite. Tra quelli che San Tommaso
chiamava sensibili comuni c'erano l'estensione e lasuccessione,rapporti
quantitati vi,mentre isensibiliproprîeranoqualità.Oralavorando Piùcomplicataèlagenesidelleideedispazioeditempo.
62 sopra questi due dati,vale a dire considerando come as soluta la
posizione de'punti nella estensione,e degl'istanti nella successione, si ha nel
primo caso lo spazio, nel se condo iltempo. « La pura estensione non è tutta
intera l'idea dello s p a zio :in questo v'è dippiù il valore assoluto de'suoi
punti . L'idea di successione non è tutta intera l'idea del tempo : in questo
v'è dippiù il valore assoluto de'suoi istanti ». Che cosa vuol dire questo
valore assoluto ? Ecco:l'estensione consiste nella postura de'punti;e c o testa
postura è di sua natura relativa. Se ora la postura non si riferisce ad alcuni
punti soltanto,ma a tutt'i punti assegnabili,siavrànonpiùunadataestensione,ma
lo spa zio.Cosidicasideltempoperrispettoallasuccessione. C'è successione,se un
istantesiriferisce ad un istante dato : c'è tempo se la relazione si allarga a
tutti gl'istanti a s s e gnabili. Dimodochè lo spazio siha negando illimite
della esten sione finita ; il tempo negando il limite della successione finita.
Ma l'estensione e la successione,si domanderà, donde provvengono ?
IlDeGraziachelichiamasensibilicomuni,ritenendo la nomenclatura tomistica nel
Prospetto della filosofia o r t o dossa,nel Saggio ne attribuisce l'origine non
alla sensibi lità, ma all'intelletto.Egli anzi combatte la dottrina k a n tiana
delle forme pure della sensibilità,osservando che non si può dare estensione e
successione senza apprendere del le sensazioni come moltiplici,e quindi come
diverse, o meidentiche;sicchènumero,diversità,identitàsono con dizioni
dell'apprensione di questi due nuovi rapporti, che si dicono estensione e
successione.Kant che le attribuiva alla sensibilità non si accorgeva del
concorso indispensa bile dell'intelletto che vi si richiedeva ;ed anzi si
contrad CO diceva ammettendo, che la materia sensibile prende
un pri mo ordinenelleformepuredellasensibilità,echeperesse forme la varietà e
la moltiplicità della rappresentazione ac quista un certo ordine. Questa
contraddizione era stata avvertita dal Borrelli pri ma
delGrazia,eforsequestil'hamutuatadall'autoredella
Genealogiadelpensiero.Kant,aveva dettoilBorrelli,tie ne
percategoriedell'intellettoladiversitàelamoltiplicità: e d intanto ammette una
varietà ed una moltitudine anche nella sensibilità: come va ciò ? Nè il
Borrelli, né il De Grazia s'accorsero però che il divario tra categoria, ed
intuizione pura consiste non già nel supporre entrambe una moltiplicità;ma nel
diverso m o do dellegamecategorico,edintuitivo. Ma è tempo omai di giudicare
nel suo insieme il tentati v o del nostro filosofo. Propostosi discoprire
lelacunedellafilosofiadelGallup pi principalmente,e di additare i costui
sviamenti dal m e todo sperimentale, egli si studia di evitare ogni spiegazio n
e ,la quale non si desumesse dal fatto reale.La ragione c'è
nonperprodurre,maperosservare:ilpiùchepossafa re èdiastrarre.Per questa
disposizione d'animo gliando a
sanguelafilosofiadell'Aquinate,che,foggiatasul'ari stotelica, gli parve
battesse la stessa via.Ripetendo l'an tico adagioaristotelicocheilpensareèofantasia,onon
senza fantasia,l'Aquinate procede difatti di astrazione in astrazione,ma
senzadispiccarsimaidalfattosensibile.Che
cosaèilfantasma?Similitudinedellacosaparticolare:Si militudo
reiparticularis.Checosaèl'attodell'intendere? È
laspecieintelligibile,speciesintelligibilis,chesitorna ad astrarre
dalfantasma:un'astrazione adoppiogrado.E che
cosavuoldireilluminareifantasmi,equelfamoso lu me
divino,sulqualetantoavevadisputatoilRosmini,seera Dio stesso,ounsuoriflesso?PelDeGrazianonèaltro,se
63 1 64 non l'effetto della attenzione, che vi si presta. Il
giudicare era a lui un fatto irreducibile,da non confondere con la s e n s a z
i o n e ,m a i n s i e m e e r a u n p u r o m e z z o d i o s s e r v a z i o
n e . O s s e r vare adunque è la parola che compendia tutta la sua filosofia .
Per questo verso la filosofia del De Grazia è più moderna di quella del
Galluppi, e rasenta assai da presso il Positivis mo
contemporaneo,cheinqueltorno sistavaconcependo. Il Corso di filosofia positiva
dettato da Augusto Comte fu p u b b l i c a t o i n F r a n c i a d a l 1 8 3 0
a l 1 8 4 2 : il D e G r a z i a a v r e b bepotuto averne
notizia,matuttoinduce acredere,ch'ei non
l'abbiaavuta.L'educazioneprimadellasuamente, che al pari di quella del Comte
era stata avvezza alle scien zeesatte,elapocapropensione per lespiegazioni
trascen dentali poteronlo però sospingere per la medesima via. Il De Grazia al
pari de'positivisti dichiara sconosciute le essenze delle cose, limitata ad una
mera riduzione di feno meni tutta la nostra scienza:crede anche lui doversi
appli care alla filosofia il metodo delle scienze esatte e delle s p e
rimentali,e da qui la grande importanza che attribuisce alla induzione , la
scarsa che attribuisce al sillogismo . Se non che all'osservazione
immediata ei seppe accoppia re l'induzione,ch'è l'osservazione mediata.Della
induzio ne ebbe un concetto preciso,nè lavolle ristretta al sempli
ceradunamento de'fattiosservati,ma ne estese la portata oltre ai limiti della
sperienza.In questo allargamento però essa non genera nell'animo quella
evidenza, che scintilla soltanto dalla osservazione immediata, o dalle verità
di r a gione;ma una certezza morale,laquale ammette la possibi
litàdell'opposto.Tutte lescienzesperimentali debbono te nersi paghi di quello
stato, ch'è pure tanto discosto dal d u b biotormentosolasciatoinereditàdạHume,ilqualedisco
nobbe l'efficacia della induzione. Ecco difatti alcune sentenze,le quali si
potrebbero cre dere imitate da Augusto Comte. « Il metodo è il
ridurre i fenomeni particolari a'fenomeni generali, e questi ad altri più
generali fino ad arrestarsi a pochi fenomeni irreducibili ». « La riduzione
viene operata a lume delle verità neces sarie da un lato,e dalle accurate
osservazioni dall'altro la to.E un fenomeno generale che resiste agli
incessanti rigo rosi tentativi di riduzione,non è perciò dichiarato assolu
tamente irreducibile alle note forze primarie delle sostanze corporee,note però
negli effetti, e per noi sempre ignote nella loro essenza ». « I nostri mezzi
sono impotenti a scovrir la natura degli ésseri.Tutto quel che può scovrire la
nostra ragione nella scienza della natura è riposto nel classificare i fatti
speri mentali con andarrisalendoda’fattiindividualia'generali, e da questi a'più
generali fino a raggiungere ifatti primiti vi,ov'èforzal'arrestarsi». Ma
allatoaquestesomiglianzetroviamonelDeGraziadei tratti, che lo differenziano dal
fondatore del Positivismo francese;ne addito due come principali. Il Comte
trascura affatto il problema della conoscenza , ed invece questo problema
rimane pel De Grazia ilprimo ed il capitale. Il Comte attribuisce alla
metafisica un valore storico sol t a n t o , il D e G r a z i a è p e r s u a s
o c h e l a m e t a f i s i c a p o s s a r i m a nere accanto alla scienza
sperimentale.Così,sebbene dichia ri
inconoscibilel'essenzadell'anima,enotasolalasuama nifestazione nel pensiero,non
esita poi di affermare che la metafisica ne ha stabilito la spiritualità,
l'immortalità, la vita futura. Questa oscillazione fra le esigenze del suo
metodo e le tra dizioni di quella ch'ei chiama filosofia ortodossa fa sì che in
lui sipuòravvisareorauntomista,edora un positivista, secondo i casi.Se non che
il tomismo stesso a lui or balena 9 65 - va come riflesso
dalla filosofia aristotelica,or come lume r a g giante
dallarivelazionedivina;edellaortodossia del cre dente si faceva schermo a
nascondere gli ardimenti del si losofo .
Noiignoriamoqualiaccuseglifuronomosse,equalirim proveri fatti :certo apparisce
da alcuni luoghi dei suoi li bri che qualcosa di simile ci debba essere stato :
eccone u n o per esempio. « Ci crediamo abbastanza fortunati di aver veduto p r
o trattiinostrigiorni,finoall'istantedirassicurarciche il nostro
comunquedebolelavoroerasottolaguarentigiadel l'Aquinate, contro le avventate
odiose imputazioni ». Ed altrove dice esplicitamente ch'ei ricorre all'autorità
diSanTommaso periscagionarsidellatacciad'incredulita. L o s t u d i o d i S a n
T o m m a s o , e d il P r o s p e t t o d e l l a f i l o s o f i a ortodossa
che ne fu ilrisultato,ebbero adunque per fine ladifesa della
propriadottrina.Meglio forse avrebbe fatto a dispregiare ilvano cicaleccio
delvolgo,che di ogni ri cercafilosoficas'adombraes'insospettisce;ma l'indoledel
nostro filosofo era dimessa e circospetta, e preferi di ripa rarsi sotto
l'egida di un dottore di santa Chiesa; come se u n
altrettalespedientefossegiovato alRosmini edalGioberti. Senza il bisogno di
questa apologia della sua dottrina a vrebbe potuto por mano a quella Filosofia
del pensiero, a cui accenna;imperciocchè,contutt'iseivolumidaluimessi a
stampa,ilsuo sistema rimane appena delineato nel prin
cipioenelmetodo;nèdelleapplicazioni allaEstetica,oal l'Etica si trova più di un
semplice accenno : la Logica stessa n o n v i è d i s t e s a p i e n a m e n t
e , s e b b e n e t u t t o i'l S a g g i o n o n s i occupi di altro che di
Logica. Stando ai brevi accenni noi sappiamo che le parti della filosofia per
lui sarebbero state la logica,l'etica,l'estetica, perchè itre fenomeni irreducibili
del pensiero sono ilgiudi care,ilvolere,ilsentire.Ilsillogismo ègiudizio
pure;ma 66 un giudizio fondato sopra idee astratte, mentre il
giudizio primitivo è la osservazione immediata della realtà concreta . Il
sillogismo è applicabile alle sole verità di ragione. La prova induttivá si
adopera a slargare la cerchia della sperienza immediata :essa però presuppone
la realtà delle idee di numero,identità,diversità,sostanza,modificazione,
necessità,possibilità.Queste idee non si possono ricavare per induzione,
altrimenti ci sarebbe un circolo:sono ricava te per astrazione dalla
osservazione immediata fatta per m e z zo del giudizio. L'associazione è la
sorgente spontanea,ma illegittima del le nostre idee : l'induzione dipoi
legittima, confermandole , quelle relazioni,che l'associazione delleidee aveva
per ipo tesi anticipato. E c c o a d u n q u e d e l i n e a t o il c o m p i t
o d e l l a l o g i c a : a n a l i s i d e l senso comune ,e giustificazione
delle credenze spontanee che quello contiene. E dell'Etica ? Solo per
intramessa sappiamo,ch'egli,a differenza di El v e z i o , il q u a l e d à p e
r o r i g i n a r i o il s o l o d e s i d e r i o d e l p r o p r i o
utile,ammette appetiti disinteressati originalmente,non cre dendo che
l'abitudine potrebbe andare fino al punto di snatu rare
laqualitàstessadeldesiderio.Orsenoiabbiamo nella coscienza attuale de motivi
disinteressati, è necessità che questi motivi si fondino sopra appetiti
primitivameute tali. AnchequiadunqueavrebbeilDeGraziaadottatolostesso
procedimento della conoscenza :lo spirito avrebbe legittima to
conlaragioneciòchelanaturaspontaneamenteavessein 1 67 Prima la mente
crede,perchè non ragiona ancora ;poi crede,perché laragione ha legittimato
lasuacredenza.Fin chè il dubbio non l'assale,la mente riposa sicura sui nessi
stretti spontaneamente dalla associazione naturale delle sue idee:quando
ildubbio sottentra,la induzione ne la libera, giustificando la spontanea
credenza . origineoperato.Senon che,eglisenerimetteaquella Filo
sofiadelpensiero,chepoiononscrisse,ononarrivòsino a noi. M e n o p r e c i s o
è il d i s e g n o , d e l q u a l e si s a r e b b e d o v u t o t o c c a r e
d e l l a E s t e t i c a . N o i s a p p i a m o s o l o , c h e il B e l l o
è p e r l u i «l'oggetto della percezione,quando ci riesce piacevole il
contemplarlo ». M a ,oltre a questo effetto prodotto dalla bel lezza nello
spirito contemplatore,invano si cercherebbero altri schiarimenti . Nei
voluminosi libri che scrisse avrebbe il De Grazia po tuto colorire intero il
disegno della sua filosofia, se non si fosse allargato troppo in polemiche ed
in apologie,soventi superflue, e se avesse usato maggior parsimonia nello
stile, ch'èdiffuso,stemperato,eridondante d'interminabiliripe tizioni. I sei
volumi si sarebbero potuti restringere in un so lo,o in un paio al più,senza
nessun danno per le idee che viesprime;eforseconquestoguadagnodippiù,diaverpo
tuto trovare maggior numero di lettori. Dobbiamo in questa occasione
ricordare,che il sensua lismo era la dottrina favorita de'giovani italiani,
pria di comparire il Saggio su la critica della conoscenza,ilche av venne nel
1819;e che in parte con la forza del ragionamen
to,einparteconquellaautoritàcheilnostroGalluppi ven ne mano mano acquistando
pel valore della sua opera, egli riuscì a sradicare l'errore dalle menti
giovanili,ed avviarle a'sani principi della morale e della religione.Quindi le
sue istituzioni di filosofia, del tutto conformi ai suoi principi del
Saggio,furono adottate per quasi tutte le scuole d'inse gnamento in Italia.Un
tal positivo giovamento recato alla 68 Il De Grazia combatté la filosofia
del Galluppi, finché que sti viveva e professava nella Università napoletana :
la c o m battè perchè la credette sbagliata e perniziosa. Morto che fu ilsuo
grande avversario,ei,pur rimanendo saldo nella sua sentenza , scrisse di lui
queste parole . sua patria è la gloria maggiore cui aspirar mai si
possa da un filosofo». C o s ì il D e G r a z i a g i u d i c a v a il G a l l
u p p i m o r t o n e l P r o s p e t to di filosofia ortodossa ; ed il
giudizio ci rivela il carattere integro,leale,generoso di chi lo
portava.Combattendo le dottrine di un avversario,ei rispetto,ei lodò le
intenzioni ; ei non disconobbe l'utilità che aveva arrecato al suo paese .
Talvolta anzi ei par che non agogni,che non cerchi altra gloria, che quella
conseguita dal suo valoroso avversario: dispera quasi di conseguirla vivo,pur
se l'augura dopo m o r to,non tanto per sè,quanto a pro della sua patria.
«Esenonpuògodernechil'hameritata,purquestatar
dagloriasiriflettesulasuapatria,servedisprone a'suoi concittadini sopra
tutto,nella faticosa carriera letteraria, e riesce di nobile compiacenza per
tutti gli spiriti fatti per a m mirare,per amar lavirtù ». Chi scriveva queste
magnanime parole ebbe certamente un
cuorenonminoredellamente,elatardagloriadaluiinvo cata è un tributo ben meritato
da chi non stimolato da biso gno,nonallettatodapremio,passòlavita,non fragliagi
ereditati,manellafaticosapalestradellostudio,dove s'in vecchia e simuore anzi
tempo,ma dove siha almeno ildrit todicredereche,morendo,nonsimuoredeltutto.Vincenzo
Di Grazia. Grazia. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Grazia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689392211/in/photolist-2mRigWB-2mR7Xaf-2mQCyu5-2mQwYd8-2mPGkBm-2mPsU62-2mPvn8a-2mPmmR4-2mNzeEc-2mN8Hgb-2mLGvyP-2mLQxu7-2mPrdWj-2mLExs3-2mPtp3t-2mKS7Wc-2mKBDtr-2mKG3XG-2mPpVqK-2mKCnei-2mKEPgR-2mKjsJY-2mJ3q6x-2mGnP2f-nUmNhz-hSTpSd-nW9LZ2
Grice e
Gregory – implicature clandestine – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo. Fellow of the British
Academy. Grice: “I like Gregory; being a Roman, he studied Roman philosophy in
one of the most interesting epochs: the thirties! Then he explored what he
calls the ‘lessico filosofico,’ which Austin detested – “Why do we need the
philosopheer’s ‘volition’ when we have ‘would’??” Si laurea a Roma con Nardi. Insegna
a Roma. Direttore di Ricerche storico-filosofiche. Direttore della sezione di
Storia della filosofia Lessico Italiano. Diresse la collana "I filosofi.” Saggi:“Anima
mundi” (Firenze, Sansoni); “Platonismo” (Roma); “Scetticismo ed empirismo”
(Bari, Laterza); “L'idea di natura”, “La filosofia della natura (Passo della Mendola, Firenze, Sansoni); “L’atomismo”,
“Aristotelismo” “Il genio maligno”; “Il demonio maligno”; “Mundana sapiential”;
“Theophrastus redivivus”; “Erudizione e ateismo” (Napoli, Morano); “Il
libertinismo”; “La filosofia clandestina” (Firenze, La Nuova Italia), “L’Etica
della critica libertina” (Napoli, Guida); “Forme di conoscenza” (Roma, EStoria
e Letteratura); “Lo spazio come geografia del sacro” Della sobria ebbrezza”;
“La terminologia filosofica” (Firenze, Olschki); “Speculum natural” (Roma,
Storia e Letteratura); “Principe di questo mondo”; “Il diavolo” (Roma, Laterza);
“Della modernità, Pisa, Torre); “Vie della modernità” (Firenze, Monnier
Università). Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A.
ALIOTTA, A. CAPITINI, P. CARABELLESE ETC., Il problema di Dio, a cura di G.
Savio e Tullio Gregory, Roma, Universale di Roma, Raccolta di un ciclo di
conferenze promosse dal Centro Romano Studi presso l’Università degli Studi di
Roma nell’A.A. BRUNO NARDI, Storia della filosofia. Il naturalismo del Rinascimento,
a cura di Tullio Gregory, Roma, Edizioni Universitarie, 1949, 191 pp.
2 Bibliografia di Tullio Gregory – 1951 torna su 1951 esci 3. BRUNO
NARDI, La crisi del Rinascimento e il dubbio cartesiano, a cura di Tullio
Gregory, Roma, La Goliardica, 1951, 95 pp. 4. BRUNO NARDI, Il problema di Dio
nella filosofia medioevale, a cura di Tullio Gregory, Roma, La Goliardica,
1951, 88 pp. 5. Sull’attribuzione a Guglielmo di Conches di un rimaneggiamento
della “Philosophia mundi”, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III,
XXX, 1951, pp. 119-125. 6. L’Anima mundi nella filosofia del XII secolo,
«Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XXX, 1951, pp.
494-508. 3 Bibliografia di Tullio Gregory – 1952
torna su 1952 esci 7. BRUNO NARDI, Le meditazioni di Cartesio, a cura di Tullio
Gregory, Roma, La Goliardica, 1952, 51 pp. 8. L’idea della natura nella Scuola
di Chartres, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XXXI, 1952,
pp. 433-442. 9. Cattolicesimo e storicismo. La polemica sulla «nuova teologia»,
«Rassegna di filosofia», I, 1952, pp. 49-66. 10. Gli studi italiani sul
pensiero del Rinascimento, I. La polemica sul Rinascimento, «Rassegna di
filosofia», I, BRUNO NARDI, Il dualismo cartesiano, a cura di Tullio Gregory,
Roma, La Goliardica, 1953, 48 pp. 12. Note sul platonismo della Scuola di
Chartres. La dottrina delle specie native, «Giornale critico della filosofia
italiana», s. III, XXXII, 1953, pp. 358-362. Diventa, corretto e aumentato, il
quarto capitolo di Platonismo medievale (si veda 1958, n. 24) insieme ai saggi
Note e testi per la storia del platonismo medievale (si veda 1955, n. 18) e
Nuove note sul platonismo medievale (si veda 1957, n. 23). 13. Gli studi
italiani sul pensiero del Rinascimento, II. Platonismo e Aristotelismo,
«Rassegna di filosofia», BRUNO NARDI, La filosofia di Dante, a cura di Tullio
Gregory, Roma, La Goliardica, 1954. La pubblicazione è in due volumi, il primo
di 111 pp. e il secondo di 109 pp. 15. L’escatologia cristiana
nell’Aristotelismo latino del XIII secolo, «Ricerche di storia religiosa», I,
1954, pp. 108-119. 6 Bibliografia di Tullio Gregory – 1955
torna su 1955 esci 16. “Anima mundi”. La filosofia di Guglielmo di Conches e la
Scuola di Chartres, Firenze, Sansoni, 1955,·(«Pubblicazioni dell'Istituto di
filosofia dell'Università di Roma», 3), 294 pp. Indice del volume: I. La vita e
le opere di Guglielmo di Conches, p. 1; II. La teologia, p. 41; III. L’anima
del mondo e l’anima individuale, p. 123; IV. L’idea di natura, p. 175; V. Gli
ideali culturali della Scuola di Chartres, p. 247; Indice dei manoscritti, p.
281; Indice dei nomi, p. 285. 17. L’Apologia e le “Declarationes” di Francesco
Patrizi, in Medioevo e Rinascimento. Studi in onore di Bruno Nardi, I, Firenze,
Sansoni, 1955, pp. 385-424. 18. Note e testi per la storia del platonismo
medievale, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XXXIV, 1955,
pp. 346-384. Diventa, corretto e aumentato, il quarto capitolo di Platonismo
medievale (si veda 1958, n. 24) insieme ai saggi Note sul platonismo della
Scuola di Chartres (si veda 1953, n. 12) e Nuove note sul platonismo
medievaleIl maestro interiore nel pensiero di S. Agostino, in BRUNO NARDI, Il
pensiero pedagogico del Medioevo, I, Il Medioevo, Firenze, Edizioni Giuntine-
Sansoni, 1956 («I Classici italiani della pedagogia»), pp. 3-19. Si veda anche
il 1965, n. 44. 20. Il «De magistro» di S. Tommaso d’Aquino, in BRUNO NARDI, Il
pensiero pedagogico del Medioevo, I, Il Medioevo, Firenze, Edizioni Giuntine-
Sansoni, 1956 («I Classici italiani della pedagogia »), pp. 183-201. Si veda
anche il 1965, n. 44. 21. La «reductio artium» da Cassiodoro a S. Bonaventura,
in BRUNO NARDI, Il pensiero pedagogico del Medioevo, I, Il Medioevo, Firenze,
Edizioni Giuntine-Sansoni, 1956 («I Classici italiani della pedagogia »), pp.
279-301. 22. Le origini. Testi latini, italiani, provenzali e franco-italiani,
a cura di Antonio Viscardi, Bruno e Tilde Nardi, Giuseppe Vidossi, Felice
Arese, con la collaborazione di Gian Luigi Barni, Luigi Brusotti, Don Giuseppe
De Luca, Tullio Gregory, Luigi Ronga, Milano-Napoli, Ricciardi, 1956 («La
letteratura italiana. Storia e testi», I), LXXI-1237 pp. I capitoli in cui
Tullio Gregory ha curato la nota introduttiva e/o le traduzioni sono: Dalla
epistola ad Drogonem philosophum (traduzione), pp. 362-365; Lanfranco da Pavia
(nota introduttiva e traduzioni), pp. 420-434; Sant’Anselmo di Aosta (nota
introduttiva e traduzioni), pp. 435-470; Gioacchino da Fiore (nota
introduttiva), pp. 723-725. Il volume è stato successivamente ristampato da
Einaudi (si veda 1977, n. 76 e n. 77). 8 Bibliografia
di Tullio Gregory – 1957 torna su 1957 esci 23. Nuove note sul platonismo
medievale. Dall’anima mundi all’idea di natura, «Giornale critico della
filosofia italiana», s. III, XXXVI, 1957, pp. 37-55. Diventa, corretto e
aumentato, il quarto capitolo di Platonismo medievale (si veda 1958, n. 24)
insieme ai saggi Note sul platonismo della Scuola di Chartres (si veda 1953, n.
12) e Note e testi per la storia del platonismo medievale Platonismo medievale.
Studi e ricerche, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1958
(«Studi storici dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo», 26/27), 159
pp. Indice del volume: I. Il commento a Boezio di Adalboldo di Utrecht, p. 1;
II. L’Opusculum contra Wolfelmum e la polemica antiplatonica di Manegoldo di
Lautenbach, p. 17; III. La dottrina del peccato originale e il realismo
platonico: Odone di Tournai, p. 31; IV. Il Timeo e i problemi del platonismo
medievale, p. 53; Indice dei manoscritti, p. 153; Indice dei nomi, p. 155. Per
la traduzione tedesca del secondo capitolo si veda 1969, n. 58. Nel quarto
capitolo sono raccolti, corretti e aumentati, i saggi Note sul platonismo della
Scuola di Chartres (si veda 1953, n. 12); Note e testi per la storia del
platonismo medievale (si veda 1955, n. 18); Nuove note sul platonismo medievale
(si veda 1957, n. 23), tutti pubblicati sul «Giornale critico della filosofia
italiana». 25. Sulla metafisica di Giovanni Scoto Eriugena, «Giornale critico
della filosofia italiana», s. III, XXXVII, 1958, pp. 319-332. Con revisioni e
aggiunte è diventato il primo capitolo di Giovanni Scoto Eriugena: tre studi La
polemica antimetafisica di Gassendi. I, «Rivista critica di storia della
filosofia», XIV, 1959, pp. 131-161. Per la seconda parte si veda 1959, n. 27.
27. La polemica antimetafisica di Gassendi. II, «Rivista critica di storia
della filosofia», XIV, 1959, pp. 243-282. Per la prima parte si veda 1959, n.
26. Entrambi i contributi sono stati stampati, con numerazione continua, in un
estratto unico: Tullio Gregory, La polemica antimetafisica di Gassendi,
Firenze, La Nuova Italia Editrice, Mediazione e incarnazione nella filosofia
dell’Eriugena, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XXXIX,
1960, pp. 237-252. Con modificazioni e aggiunte è diventato il secondo capitolo
di Giovanni Scoto Eriugena: tre studi Scetticismo ed empirismo. Studio su
Gassendi, Bari, Laterza, 1961 («Biblioteca di Cultura Moderna», 557), 254 pp.
Indice del volume: I. La polemica antimetafisica, p. 5; II. Scetticismo ed
empirismo, p. 119; III. Empirismo e metafisica, p. 179. 30. L’opera di Bruno
Nardi, «L’Alighieri. Rassegna bibliografica dantesca», II, 1961, pp. 31-52. 31.
Escatologia e aristotelismo nella scolastica medievale, «Giornale critico della
filosofia italiana», s. III, XL, 1961, pp. 163-174. Testo presentato al
Convegno “L’attesa dell’età nuova nella spiritualità della fine del medioevo” e
pubblicato negli atti (si veda 1962, n. 33). Diventa il capitolo 9 di Mundana
Sapientia (si veda 1992, n. 134). 32. Platone e Aristotele nello “Speculum” di
Enrico Bate di Malines. Note in margine a una recente edizione, «Studi
medievali», s. III, III, 1961, pp. 302- 319. 13
Bibliografia di Tullio Gregory – 1962 torna su 1962 esci 33. Escatologia e
aristotelismo nella scolastica medievale, in L’attesa dell’età nuova nella
spiritualità della fine del medioevo, atti del 3° Convegno del Centro di Studi
sulla Spiritualità medievale (Todi, 16-19 ottobre 1960), Todi, Accademia
Tudertina, 1962, pp. 263-282. Apparso sul «Giornale critico della filosofia
italiana» (si veda 1961, n. 31). Diventa il capitolo 9 di Mundana Sapientia (si
veda 1992, n. 134). 34. Per i sessant’anni della Casa Laterza, «Belfagor»,
XVII, 1962, pp. 701-713. Testo della conferenza tenuta in occasione
dell’inaugurazione della Mostra storica della Casa Editrice Laterza, a Roma, il
7 aprile 1962. 35. Discussioni sulla doppia verità, «Cultura e scuola»,
Giovanni Scoto Eriugena: tre studi, Firenze, Le Monnier, 1963 («Quaderni di
letteratura e d'arte», 21), 82 pp. Indice del volume: I. Dall’uno al
molteplice, p. 1; II. Mediazione e incarnazione, p. 27; III. «Contemplatio
teologica» e storia sacra, p. 58. Il primo capitolo è una rielaborazione,
riveduta e corretta del saggio Sulla metafisica di Giovanni Scoto Eriugena (si
veda 1958, n. 25). Per una traduzione tedesca del primo capitolo si veda 1969,
n. 57. Il secondo capitolo è una rielaborazione, riveduta e corretta del saggio
Mediazione e incarnazione nella filosofia dell’Eriugena (si veda 1960, n. 28),
entrambi apparsi sul «Giornale critico della filosofia italiana». Diventano i primi
tre capitoli del volume Giovanni Scoto. Quattro studi (si veda 2011, n. 224)
37. Note sulla dottrina delle «teofanie» in Giovanni Scoto Eriugena, «Studi
medievali»i 38. L’idea di natura nella filosofia medievale prima dell’ingresso
della fisica di Aristotele. Il secolo XII, Firenze, Sansoni Editore, 1964, 43
pp. Testo presentato al Terzo Congresso Internazionale di Filosofia Medievale
“La filosofia della natura nel Medioevo” (Passo della Mendola 31 agosto-5
settembre 1964). Successivamente è stato pubblicato negli Atti del Convegno (si
veda 1966, n. 46). Diventa il terzo capitolo di Mundana Sapientia (si veda
1992, n. 134). 39. Aristotelismo, in Grande Antologia Filosofica, diretta da
Michele Federico Sciacca, coordinata da Andrea Mario Moschetti e Michele
Schiavone, VI, Milano, Marzorati, 1964, pp. 607-837. 40. Einleitung, in PETRUS
GASSENDI, Opera Omnia, Faksimile-Neudruck der Ausgabe von Lyon 1658 in 6 Bänden
mit einer Einleitung von Tullio Gregory, I, Stuttgart-Bad Cannstatt,
Frommann-Holzboog, 1964, pp. V-XXII. Il testo in italiano è apparso sul «De
Homine» (si veda 1964, n. 42). La traduzione in tedesco è a cura di Franz
Rauhut e Hermann Dommel. 41. Filosofia e teologia nella crisi del XIII secolo,
«Belfagor», XIX, 1964, pp. 1- 16. Testo italiano di una lettura tenuta
all’Instytut filozofii i socjologii della Polska Akademia Nauk di Varsavia il 5
novembre 1963, edito in polacco con il titolo Filozofia i teologia wdobie
kryzysu XIII wieku (si veda 1967, n. 51). Diventa il secondo capitolo di
Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 42. Pierre Gassendi, «De Homine»,
9-10, 1964, pp. 89-114. La traduzione tedesca del saggio, a cura di Franz
Rauhut e Hermann Dommel, è pubblicata come introduzione all’Opera Omnia (si
veda 1964, n. 40). 43. Studi sull’atomismo del Seicento, I. Sebastiano Basson,
«Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XLIII, 1964, pp. 38-65. Il
saggio è seguito da una seconda parte su David van Goorle e Daniel Sennert (si
veda 1966, n. 47) e da una terza parte su Cudworth e l’atomismo (si veda 1967,
n. 50). Tradotto in francese diventa il settimo capitolo della Genèse de la
raison classique TOMMASO D’AQUINO, De magistro, introduzione, traduzione e
commento a cura di Tullio Gregory, Roma, Armando, 1965, 181 pp. È utilizzata,
rivista in più punti, la versione dei testi di Tommaso d’Aquino già pubblicata
nel volume BRUNO NARDI, Il pensiero pedagogico del Medioevo, pp. 203-275 (si
veda anche 1956, n. 19, 20). 45. Sull’escatologia di Bonaventura e Tommaso
d’Aquino, in Per la storia della cultura in Italia nel Duecento e primo
Trecento. Omaggio a Dante nel VII centenario della nascita, «Studi medievali»,
s. III, VI, 1965, pp. 79-94. Diventa il decimo capitolo di Mundana Sapientia
(si veda 1992, n. 134). 17 Bibliografia di Tullio Gregory
– 1966 torna su 1966 esci 46. L’idea di natura nella filosofia medievale prima
dell’ingresso della fisica di Aristotele. Il secolo XII, in La filosofia della
natura nel Medioevo, atti del Terzo Congresso Internazionale di Filosofia
Medievale, Vita e Pensiero, Milano, 1966, pp. 27-65. Diventa il capitolo 3 di
Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). Si veda anche 1964, n. 38. 47. Studi
sull’atomismo del Seicento, II. David van Goorle e Daniel Sennert, «Giornale
critico della filosofia italiana», s. III, XLV, 1966, pp. 44-63. Il saggio è
preceduto da una prima parte su Sebastiano Basson (si veda 1964, n. 43) ed è
seguito da una terza parte su Cudworth e l’atomismo (si veda 1967, n. 50).
Tradotto in francese diventa l’ottavo capitolo della Genèse de la raison
classique (si veda 2000, n. 173). 18 Bibliografia di
Tullio Gregory – 1967 torna su 1967 esci 48. TULLIO GREGORY, GIORGIO TONELLI,
World Soul, in New Catholic Encyclopedia, XIV, New York, McGraw-Hill, 1967, pp.
1027-1029. 49. La saggezza scettica di Pierre Charron, «De Homine», 21, 1967,
pp. 163- 182. Pubblicato come terzo capitolo di Vie della modernità (si veda
2016, n. 256). Tradotto in francese diventa il quinto capitolo della Genèse de
la raison classique (si veda 2000, n. 173). 50. Studi sull’atomismo del
Seicento, III. Cudworth e l’atomismo, «Giornale critico della filosofia
italiana», s. III, XLVI, 1967, pp. 528-541. Il saggio è preceduto da una prima
parte su Sebastiano Basson (si veda 1964, n. 43) e da una seconda parte su
David van Goorle e Daniel Sennert (si veda 1966, n. 47). Tradotto in francese
diventa il nono capitolo della Genèse de la raison classique (si veda 2000, n.
173). 51. Filozofia i teologia w dobie kryzysu XIII wieku, «Studia
Mediewistyczne», 8 1967, pp. 3-18. Testo edito in polacco di una lettura tenuta
all’Instytut Filozofii i Socjologii della Polska Akademia Nauk di Varsavia il 5
novembre 1963. Traduzione a cura di Ryszard Palacz e Juliusz Domański. Il testo
in italiano è apparso su «Belfagor» Pierre Gassendi, in Grande Antologia
Filosofica, diretta da Michele Federico Sciacca, coordinata da Michele
Schiavone, XII, Milano, Marzorati, 1968, pp. 723-786. 53. Vorwort, in JOANNES
DUNS SCOTUS, Opera Omnia, Reprogr. Nachdruck der Ausg. Lyon, 1639, mit einem
Worwort von Tullio Gregory, I, Hildesheim, Olms, 1968-1969, pp. V-XII. 54. Gli
scritti di Bruno Nardi, a cura di Tullio Gregory e Paolo Mazzantini,
«L’Alighieri. Rassegna Bibliografica Dantesca», IX, 1968, pp. 39-58. Si veda
anche 1990, n. 123. 55. Bruno Nardi, «Giornale critico della filosofia
italiana», s. III, XLVII, 1968, pp. 469-501. 56. Due interventi
sull’Università, «Problemi», 7, 1968, pp. 290-291. Il primo intervento è di
Salvatore Valitutti (pp. 289-290). 20 Bibliografia di
Tullio Gregory – 1969 torna su 1969 esci 57. Vom Einen zum Vielen. Zur
Metaphysik des Johannes Scotus Eriugena, in: WERNER BEIERWALTES (Hrsg.),
Platonismus in der Philosophie des Mittelalters, Darmstadt, Wissenschaftliche
Buchges, 1969, pp. 343-365. Traduzione tedesca del primo capitolo di Giovanni
Scoto Eriugena: tre studi (si veda 1963, n. 36). 58. Das Opusculum contra
Wolfelmum und die antiplatonische Polemik des Manegold von Lautenbach, in
WERNER BEIERWALTES (Hrsg.), Platonismus in der Philosophie des Mittelalters,
Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1969, pp. 366-380. Traduzione
tedesca del secondo capitolo di Platonismo medievale. Studi e ricerche (si veda
1958, n. 24). 21 Bibliografia di Tullio Gregory – 1970
torna su 1970 esci 59. Opera e studi di Bruno Nardi, «La Provincia di Lucca»,
X, 1970, pp. 5-13. 22 Bibliografia di Tullio Gregory – 1971 torna
su 1971 esci 60. Premessa, in BRUNO NARDI, Saggi sulla cultura veneta del
Quattro e Cinquecento, a cura di Paolo Mazzantini, Padova, Antenore, 1971, pp.
IX-X. 61. Tre opinioni sulla riforma. Interviste a Pietro Gismondi, Tullio
Gregory, Ugo Spirito, a cura di Lido Chiusano, «Riforma Universitaria», I,
1971, pp. 41- 52. L’intervista a Tullio Gregory è alle pagine 45-50.
23 Bibliografia di Tullio Gregory – 1972 torna su 1972 esci 62.
Gassendi e Galileo, in Saggi su Galileo Galilei, a cura di Carlo Maccagni,
Firenze, Barbéra, 1972, pp. 309-323. 63. Erudizione e ateismo nella cultura del
Seicento – Il “Theophrastus redivivus”, «Giornale critico della filosofia
italiana», s. IV, LI (LIII), 1972, pp. 194-240. Con numerose modificazioni e
aggiunte diventa il primo capitolo del volume Theophrastus redivivus (si veda
1979, n. 79) 64. Abélard et Platon, «Studi medievali», s. III, XIII, 1972, pp
539-562. Comunicazione presentata alla International Conference “Peter Abelard”
tenutasi presso l’Istituto di Filosofia dell’Università di Lovanio nei giorni
10- 12 maggio 1971. È stata pubblicata negli atti (si veda 1974, n. 67) ed è
diventata il sesto capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134).
24 Bibliografia di Tullio Gregory – 1973 torna su 1973 esci
65. FRANCESCO ADORNO, TULLIO GREGORY, VALERIO VERRA, Storia della filosofia.
Con testi e letture critiche, 3 v., Bari, Laterza, 1973, [199413]. vol. II, Dal
Rinascimento a Kant, a cura di Tullio Gregory, VIII-546 pp. Nel 1979 è stata
pubblicata un’ottava edizione riveduta e ampliata. Nel 1996 viene pubblicata la
nuova edizione (si veda 1996, n. 155). 66. Considerazioni su «ratio» e «natura»
in Abelardo, «Studi medievali», s. III, XIV, 1973, pp. 287-300. Traduzione
italiana della comunicazione presentata al Colloque International “Pierre
Abélard, Pierre le Vénérable”, tenutosi all’Abbaye de Cluny dal 2 al 9 luglio
1972. La versione in francese è stata pubblicata negli atti (si veda 1975, n.
70) ed è diventata il settimo capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n.
134). 25 Bibliografia di Tullio Gregory – 1974 torna
su 1974 esci 67. Abélard et Platon, in Peter Abelard, proceedings of the
International Conference (Louvain, may 10-12, 1971), edited by Eloi Marie
Buytaert, Leuven-The Hague, University Press Leuven, 1974, pp. 38-64. È stata
pubblicata in «Studi medievali» (si veda 1972, n. 64) ed è diventata il sesto
capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 68. Dio ingannatore e
Genio maligno. Note in margine alle “Meditationes” di Descartes, «Giornale
critico della filosofia italiana», s. IV, LIII (LV), 1974, pp. 477-516. Diventa
il capitolo 15 di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). La traduzione in
francese viene pubblicata nel decimo capitolo di Genèse de la raison classique
(si veda 2000, n. 173). 26 Bibliografia di Tullio
Gregory – 1975 torna su 1975 esci 69. La nouvelle idée de nature et de savoir
scientifique au XIIe siècle, in The cultural context of Medieval learning,
proceedings of the First International Colloquium on Philosophy, Science, and
Theology in the Middle Ages (September 1973), edited with an introduction by
John Emery Murdoch and Edith Dudley Sylla, Dordrecht-Boston, Reidel Publishing
Company, 1975, pp. 193-212 (Discussion, pp. 212-218) Diventa il quarto capitolo
di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 70. Considérations sur ‘ratio’ et
‘natura’ chez Abélard, in Pierre Abélard, Pierre le Vénérable: les courants
philosophiques, littéraires et artistiques en Occident au milieu du XIIe
siècle, Colloques Internationaux du Centre National de la Recherche
Scientifique (Abbaye de Cluny, 2-9 juillet 1972), Paris, Éditions du CNRS,
1975, pp. 569-581 (Discussion, pp. 582-584). Versione in francese del saggio
Considerazioni su «ratio» e «natura» in Abelardo apparso su «Studi medievali»
(si veda 1973, n. 66). Diventa il settimo capitolo di Mundana Sapientia (si
veda 1992, n. 134). 71. Giovanni Scoto Eriugena, in Questioni di storiografia
filosofica. Dalle origini all’Ottocento, a cura di Vittorio Mathieu, I, Dai
presocratici a Occam, Brescia, La Scuola, 1975, pp. 503-522. 72. L’escatologia
di Giovanni Scoto, «Studi medievali», s. III, XVI, 1975, pp. 497-535. Il testo
originale francese di questo saggio è stato presentato al Colloquio “Jean Scot
Erigène et l’histoire de la philosophie” (Laon, 7-12 juillet 1975). Il testo
italiano è stato pubblicato con un apparato di note più ampio di quello in
calce al testo francese destinato agli atti (si veda 1977, n. 78). Diventa il
capitolo ottavo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). Diventa il quarto
capitolo di Giovanni Scoto. Quattro studi (si veda 2011, n. 224).
27 Bibliografia di Tullio Gregory – 1976 torna su 1976
esci 73. La filosofia medievale. I secoli XIII e XIV, a cura di Tullio Gregory,
Alfonso Maierù, Franco Alessio, in Storia della filosofia, diretta da Mario Dal
Pra, VI, Milano, Vallardi, 1976, pp. 1-232. La cultura filosofica nella prima
metà del Duecento, pp. 3-46. Alberto Magno, la Scuola di Colonia e il
neoplatonismo medievale, pp. 47- 68. Bonaventura e l’agostinismo, pp. 69-110.
Tommaso d’Aquino e le origini del tomismo, pp. 111-146. L’averroismo latino,
pp. 147-181. Ruggero Bacone e Raimondo Lullo, pp. 183-208. Enrico di Gand, Goffredo
di Fontaines, Egidio Romano, pp. 209-220. Le grandi enciclopedie, pp. 221-232.
74. Rapport sur les activités du «Lessico Intellettuale Europeo», in I
Colloquio Internazionale del Lessico Intellettuale Europeo, atti a cura di
Marta Fattori e Massimo Luigi Bianchi, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1976, pp.
21-43. 75. Centro di studio per il lessico intellettuale europeo, Roma.
Attività scientifica svolta nel 1975, «La ricerca scientifica», CNR, XLVI,
1976, pp. 1171-1173. 28 Bibliografia di Tullio Gregory – 1977
torna su 1977 esci 76. Scritture e scrittori del secolo XI, a cura di Antonio
Viscardi e Giuseppe Vidossi; con la collaborazione di Tullio Gregory, Bruno e
Tilde Nardi e Luigi Ronga, Torino, Einaudi, 1977, VIII-319 pp. Questa edizione
riproduce esattamente parte del volume Le origini. Testi latini, italiani,
provenzali e franco-italiani (si veda 1956, n. 22), e precisamente le pp.
XI-LXXI e 257-510. I capitoli curati da Tullio Gregory sono: Dalla epistola ad
Drogonem philosophum (traduzione e note) pp. 108-111; Lanfranco da Pavia (nota
introduttiva e traduzioni) pp. 166-179; Sant’Anselmo di Aosta (nota
introduttiva e traduzioni) pp. 181-215. 77. Scritture e scrittori del secolo
XII, a cura di Antonio Viscardi e Giuseppe Vidossi, con la collaborazione di
Felice Arese, Tullio Gregory e Tilde Nardi, Torino, Einaudi, 1977, VIII-289 pp.
Questa edizione riproduce esattamente parte del volume Le origini. Testi
latini, italiani, provenzali e franco-italiani (si veda 1956, n. 22), e
precisamente le pp. XI-LXXI e 513-735. Tullio Gregory ha curato il capitolo
Gioacchino da Fiore (nota introduttiva e note) pp. 213-215 78. L’eschatologie
de Jean Scot, in Jean Scot Erigène et l’histoire de la philosophie, Colloques
Internationaux du Centre National de la Recherche Scientifique (Laon, 7-12
juillet 1975), Paris, Éditions du CNRS, 1977, pp. 377-392. Il testo in italiano
della comunicazione qui pubblicata è apparso su «Studi medievali» (si veda
1975, n. 72), con un apparato di note più ampio ed è diventato il capitolo 8 di
Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 29
Bibliografia di Tullio Gregory – 1979 torna su 1979 esci 79. “Theophrastus
redivivus”. Erudizione e ateismo nel Seicento, Napoli, Morano, 1979 («Collana
di filosofia», 20), 217 pp. Indice del volume: I. Gli dei figli degli uomini,
p. 7; II. La storia naturale della religione, p. 77; Appendice: Le citazioni di
Machiavelli, p. 197. Il primo capitolo del libro riprende, con numerose
modificazioni e aggiunte, il saggio Erudizione e ateismo nella cultura del
seicento (si veda 1972, n. 63). 80. GIAMBATTISTA VICO, Principj di una scienza
nuova intorno alla natura delle nazioni, Ristampa anastatica dell’edizione
Napoli 1725, a cura di Tullio Gregory, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1979, 15-270
pp. 81. TULLIO GREGORY, GIORGIO PETROCCHI, Ricordo di Bruno Nardi, con sue
pagine autobiografiche, Roma, Casa di Dante, 1979, 28 pp. Nel volume compaiono
i testi degli interventi di Tullio Gregory e Giorgio Petrocchi alla “Casa di
Dante” in apertura dell’anno di studi 1978-1979. L’intervento di Tullio Gregory
è alle pagine 5-13. 82. La conception de la philosophie au Moyen Age, in Actas
del V Congreso Internacional de Filosofía Medieval, I, Madrid, Editora
Nacional, 1979, pp. 49-57. 83. Pour un Thesaurus mediae et recentioris
latinitatis, in Ordo. II Colloquio Internazionale del Lessico Intellettuale
Europeo, atti a cura di Marta Fattori e Massimo Luigi Bianchi, Roma, Edizioni
dell’Ateneo, 1979, pp. 719-738. 84. Lessico Intellettuale Europeo (1974-1976),
in Ordo. II Colloquio Internazionale del Lessico Intellettuale Europeo, atti a
cura di Marta Fattori e Massimo Luigi Bianchi, Roma, Edizioni dell’Ateneo,
1979, pp. 779-785. 30 Bibliografia di Tullio Gregory –
1980 torna su 1980 esci 85. Elogio di Henri Gouhier, in Allocuzioni pronunciate
durante la cerimonia di consegna di lauree honoris causa. Allocuzioni di
Antonio Ruberti, Luigi De Nardis, Tullio Gregory, Carlo Muscetta, Henri
Gouhier, Eduardo De Filippo, Roma, Università degli Studi di Roma, Facoltà di
Lettere e Filosofia, 1980, pp. 7-10. 86. Ricerche sul Lessico Intellettuale
Europeo, in Atti del Convegno sulla lessicografia politica e giuridica nel
campo delle scienze dell’antichità (Torino, 28-29 aprile 1978), a cura di Italo
Lana e Nino Marinone, Torino, Accademia delle Scienze, 1980, pp. 47-54.
31 Bibliografia di Tullio Gregory – 1981 torna su 1981 esci 87.
TULLIO GREGORY, GIANNI PAGANINI, GUIDO CANZIANI, ORNELLA POMPEO FARACOVI, DINO
PASTINE, Ricerche su letteratura libertina e letteratura clandestina nel
Seicento, atti del Convegno di studio di Genova (30 ottobre- 1 novembre 1981),
Firenze, La Nuova Italia, 1981, XII-430 pp. 88. Il libertinismo della prima
metà del Seicento: stato attuale degli studi e prospettive di ricerca, in
TULLIO GREGORY, GIANNI PAGANINI, GUIDO CANZIANI, ORNELLA POMPEO FARACOVI, DINO
PASTINE, Ricerche su letteratura libertina e letteratura clandestina nel
Seicento, atti del Convegno di studio di Genova (30 ottobre-1 novembre 1981),
Firenze, La Nuova Italia, 1981, pp. 3-47. Tradotto in francese, diventa il
primo capitolo di Genèse de la raison classique (si veda 2000, n. 173). 89. Le
biblioteche universitarie, in La riforma universitaria e le biblioteche
dell’Università, atti del Convegno internazionale su “Le biblioteche
universitarie e i loro problemi di struttura, coordinamento, unificazione”,
Roma 4-5 ottobre 1980, Roma, Bulzoni, esci 90. Relazione sulle attività del
Lessico Intellettuale Europeo (1977-1979), in Res. III Colloquio Internazionale
del Lessico Intellettuale Europeo, atti a cura di Marta Fattori e Massimo Luigi
Bianchi, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1982, pp. 509-518. 91. Foreword, in Global
linguistic statistical methods to locate style identities, proceedings of an
International Seminar (Gallarate June 5-7, 1981), edited by Roberto Busa S.I.,
Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1982, pp. VII-VIII. 92. “Omnis philosophia
mortalitatis adstipulatur opinioni”: quelques considérations sur le
Theophrastus redivivus, in Le matérialisme du XVIIIe siècle et la littérature
clandestine, actes de la table ronde des 6 et 7 juin 1980, organisée à la
Sorbonne à Paris avec le concours du CNRS par le Groupe de recherche sur
l’histoire du materialisme, dirigé par Oliver Bloch, Paris, Vrin, 1982, pp.
213-218. 93. Aristotelismo e libertinismo, «Giornale critico della filosofia
italiana», s. V, LXI (LXIII), 1982, pp. 153-167. Relazione letta al Convegno
Internazionale di Studi su “Aristotelismo veneto e scienza moderna” (Padova,
23-27 settembre 1981). È stata pubblicata negli atti del Convegno (si veda
1983, n. 95) e diventa il settimo capitolo di Vie della modernità (si veda
2016, n. 256). Tradotta in francese diventa il secondo capitolo di Genèse de la
raison classique (si veda 2000, n. 173). 94. La tromperie divine, «Studi
medievali», s. III, XXIII, 1982, pp. 517-527. Comunicazione presentata alla
Table ronde internationale su “Preuve et raisons à l’Université de Paris.
Logique, ontologie et théologie au XIVe siècle”, organizzata dal Centre
d’Études des religions du livre (Laboratoire associé au CNRS) a Parigi (5-7
novembre 1981). È stata pubblicata negli atti (si veda 1984, n. 97) ed è
diventata il capitolo 14 di Mundana Sapientia Aristotelismo e libertinismo, in
Aristotelismo veneto e scienza moderna, atti del 25° anno accademico del Centro
per la storia della tradizione aristotelica nel Veneto, a cura di Luigi
Olivieri, Padova, Antenore, 1983, pp. 279-296. Apparso su «Giornale critico
della filosofia italiana» (si veda 1982, n. 93). Diventa il settimo capitolo di
Vie della modernità (si veda 2016, n. 256). 96. Introduzione, in BRUNO NARDI,
Dante e la cultura medievale, nuova edizione a cura di Paolo Mazzantini, Bari,
Laterza, 1983 («Collezione storica Laterza»), pp. VII-XLIV. L’opera è stata
ristampata nella collana «Biblioteca Universale Laterza» La tromperie divine,
in Preuve et raisons à l’Université de Paris. Logique, ontologie et théologie
au XIVe siècle, actes de la Table Ronde internationale organisée par le
Laboratoire associé au CNRS (Paris, 5-7 novembre 1981) edité par Zénon Kaluza
et Paul Vignaux, Paris, Vrin, 1984, pp. 187-195. Pubblicato su «Studi
medievali» (si veda 1982, n. 94), diventa il capitolo 14 di Mundana Sapientia
(si veda 1992, n. 134). 98. Temps astrologique et temps chrétien, in Le temps
chrétien de la fin de l’Antiquité au Moyen Age. IIIe-XIIIe siècles, Colloques
Internationaux du Centre National de la Recherche Scientifique (Paris, 9-12
mars 1981), Paris, Éditions du CNRS, 1984, pp. 557-573. Diventa il capitolo 12
di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 99. Instrumenta Lexicologica
Latina: verso un «Thesaurus Patrum Latinorum», «Studi medievali», s. III, XXV,
1984, pp. 449-457. 100. Premessa, in Francis Bacon. Terminologia e fortuna nel
XVII secolo, Seminario Internazionale, Roma, 11-13 marzo 1984, a cura di Marta
Fattori, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1984, pp. 1-3. 101. Introduzione, in
Architettura in Provincia. Il centro storico di Sacrofano, a cura di Enrico
Guidoni e Pia Pascalino, Roma, Edizioni Kappa, Filosofi, Università, Regime: la
Scuola di filosofia di Roma negli anni Trenta. Mostra storico documentaria, a
cura di Tullio Gregory, Marta Fattori, Nicola Siciliani De Cumis, Roma-Napoli,
Istituto di Filosofia della Sapienza-Istituto italiano per gli studi
filosofici, 1985, 506 pp. Presentazione pp. XI-XIII. 103. I sogni nel Medioevo,
Seminario Internazionale (2-4 ottobre 1983), a cura di Tullio Gregory, Roma,
Edizioni dell’Ateneo, 1985, VIII-358 pp. 104. Il Lessico Intellettuale Europeo,
in Lo storico e il suo lessico. Atti del Convegno di Prato, 1-3 aprile 1982, a
cura di Maria Caterina Cicala. Presentazione di Luigi De Rosa, Società degli
storici italiani, [Messina, La Grafica], 1985, pp. 3-14. 105. Introduzione, in
BRUNO NARDI, Dante e la cultura medievale, nuova edizione a cura di Paolo
Mazzantini, introduzione di Tullio Gregory, Roma- Bari, Laterza, 1985 [19902]
(«Biblioteca Universale Laterza»), pp. VII-XLIV. La prima edizione dell’opera è
apparsa nella collana «Collezione storica Laterza» (si veda 1983, n. 96). 106.
I sogni e gli astri, in I sogni nel Medioevo, Seminario Internazionale (Roma,
2-4 ottobre 1983), a cura di Tullio Gregory, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985,
pp. 111-148. Diventa il tredicesimo capitolo di Mundana Sapientia (si veda
1992, n. 134). 107. Discorso di chiusura, in L’uomo di fronte al mondo animale nell’Alto
Medioevo, atti della XXXI Settimana di studio del Centro italiano di studi
sull’alto medioevo (Spoleto, 7-13 aprile 1983), II, Spoleto, Centro italiano di
studi sull’alto medioevo, 1985, pp. 1445-1485. Diventa il capitolo 16 di
Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 108. L’importanza dei filoni
tradizionali, in Cento anni Laterza 1885-1985. Testimonianze degli autori,
Bari, Laterza, 1985, pp. 149-151. 109. Premessa, in Trasmissione dei testi a
stampa nel periodo moderno, I seminario Internazionale, Roma, 23-26 marzo 1983,
a cura di Giovanni Crapulli, Roma, Edizioni dell’Ateneo, Etica e religione nella critica libertina,
Napoli, Guida, 1986 («Interventi», 31), 117 pp. Indice del volume: I. Il
libertinismo erudito, p. 11; II. Il «libro scandaloso» di Pierre Charron, p.
71; Nota bibliografica, p. 111. Testi di due lezioni tenute nel 1985
all’Istituto Suor Orsola Benincasa, riveduti per la stampa e arricchiti delle
note a piè di pagina e della nota bibliografica. Il volume è stato pubblicato
tradotto in polacco con il titolo Etyka i religia w krytyce libertyńskiej (si
veda 1991, n. 127). Il primo capitolo diventa il sesto capitolo di Vie della
modernità (si veda 2016, n. 256); in una versione leggermente ridotta, è stato
pubblicato tradotto in inglese (si veda 1998, n. 168). Il secondo capitolo è
stato pubblicato come quarto capitolo nel volume Vie della modernità (si veda
2016, n. 256); tradotto in inglese con il titolo Pierre Charron’s ‘Scandalous
Book’ è stato pubblicato in Atheism from the Reformation to the Enlightenment
(si veda 1992, n. 135). I primi due capitoli, tradotti in francese, diventano
rispettivamente il terzo e il quarto capitolo della Genèse de la raison
classique Ideologia e programma dell’Olimpiade delle civiltà, a cura di Tullio
Gregory, Achille Tartaro, Venezia, Cataloghi Marsilio, 1987, XIX-173 pp. 112.
Le platonisme du XIIe siècle, «Revue des sciences philosophiques et
théologiques», tome 71, 2, 1987, Paris, Librairie philosophiques J. Vrin, pp.
243-259. Testo presentato alla conferenza al Collège de France il 19 febbraio
1986; sono state aggiunte alcune note essenziali. 38
Bibliografia di Tullio Gregory – 1988 torna su 1988 esci 113. The Platonic
Inheritance, in A History of Twelfth-Century Western Philosophy, edited by
Peter Dronke, Cambridge, Cambridge University Press, 1988, pp. 54-80.
Translated by Jonathan Hunt. Diventa il quinto capitolo di Mundana Sapientia
(si veda 1992, n. 134). 114. Forme di conoscenza e ideali di sapere nella
cultura medievale, «Archives internationales d’histoire des sciences», 38
(1988), pp. 189-242. Relazione presentata in apertura della prima sessione
plenaria dell’VIII Congresso Internazionale di filosofia medievale (Helsinki,
24-29 agosto 1987) dedicato al tema: “Conoscenza scientifica e scienze nella
filosofia medievale”. È stata pubblicata nel «Giornale critico della filosofia
italiana» (si veda 1988, n. 115), negli atti del Congresso (si veda 1990, n.
124), nella rivista «Il veltro» (si veda 1989, n. 121) ed è diventata il primo
capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 115. Forme di conoscenza
e ideali di sapere nella cultura medievale, «Giornale critico della filosofia
italiana», s. VI, LXVII (LXIX), 1988, pp. 1-62. Relazione presentata in
apertura della prima sessione plenaria dell’VIII Congresso Internazionale di
filosofia medievale (Helsinki, 24-29 agosto 1987) dedicato al tema: “Conoscenza
scientifica e scienze nella filosofia medievale”. È stata pubblicata negli
«Archives internationales d’histoire des sciences» (si veda 1988, n. 114),
negli atti del Congresso (si veda 1990, n. 124), nella rivista «Il veltro» (si
veda 1989, n. 121) ed è diventata il primo capitolo di Mundana sapientia (si
veda 1992, n. 134). 116. Lessico Intellettuale Europeo: recherches sur la
terminologie intellectuelle du Moyen Age, in Actes du colloque Terminologie de
la vie intellectuelle au Moyen Age, Leyden/La Haye 20-21 septembre 1985, edité
par Olga Weijers, Turnhout, Brepols, 1988, pp. 105-108 117. Sémantique, in
Image & Réalité du Vin en Europe, Actes du Colloque pluridisciplinaire sur
le vin et les sciences, Organisé par l’Université Catholique de Louvain, en
collaboration avec l’Institut Italien pour le Commerce Extérieur,
Louvain-la-Neuve, 28 septembre-1 octobre 1988, pp. 151-154. 118. Necessità di programmare
le carriere amministrative in funzione della specificità dei profili
professionali. Il ritorno alla selettività e alla preparazione scientifica, in
Memorabilia: il futuro della memoria. Beni ambientali, architettonici,
archeologici, artistici e storici in Italia. Confronti per l’innovazione, a
cura di Alberto Clementi e Francesco Perego, Bari, Laterza, Ricordo di Paul
Vignaux, «Giornale critico della filosofia italiana», s. VI, LXVIII (LXXX),
1989, pp. 129-143. Testo letto in apertura della tavola rotonda su “Théologie
et droit dans la science politique de l’Etat moderne” organizzata dall’École
française de Rome nei giorni 12-14 novembre 1987; Paul Vignaux – che doveva
presiedere la tavola rotonda – era deceduto il 24 agosto in Spagna. Pubblicato negli
atti della tavola rotonda (si veda 1991, n. 131). 120. Il calcolatore in
lingua, «Il pensiero informatico», 3, 1989, pp. 13-15. 121. Ideali di sapere
nella cultura medievale, «Il veltro. Rivista della civiltà italiana», anno
XXXIII, gennaio-aprile 1989, pp. 5-51. Relazione presentata in apertura della
prima sessione plenaria dell’VIII Congresso internazionale di filosofia
medievale su “Conoscenza scientifica e scienze nella filosofia medievale”
(Helsinki, 24-29 agosto 1987). È stata pubblicata nel «Giornale critico della
filosofia italiana» (si veda 1988, n. 115), negli atti del Congresso (si veda
1990, n. 124), negli «Archives internationales d’histoire des sciences» (si
veda 1988, n. 114), ed è diventata il primo capitolo di Mundana Sapientia (si veda
1992, n. 134). 122. Presentazione, in GIORDANO BRUNO, Summa terminorum
metaphysicorum. Ristampa anastatica dell’edizione Marburg 1609. Nota e indici
di Eugenio Canone, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1989, IX-X pp.
40 Bibliografia di Tullio Gregory – 1990 torna su 1990 esci
123. Gli scritti di Bruno Nardi, a cura di Tullio Gregory e Paolo Mazzantini,
in BRUNO NARDI, «Lecturae» e altri studi danteschi, a cura di Rudy Abardo con
saggi introduttivi di Francesco Mazzoni e Aldo Vallone, Firenze, Le Lettere,
1990, pp. 285-312. Si veda anche 1968, n. 54. 124. Forme di conoscenza e ideali
di sapere nella cultura medievale, in Knowledge and the Sciences in Medieval
Philosophy, proceedings of the Eight International Congress of Medieval
Philosophy (Helsinki, 24-29 August 1987), edited by Monika Asztalos, John Emery
Murdoch, Ilkka Niiniluoto, I, Helsinki, Societas philosophica Fennica, 1990
(«Acta Philosophica Fennica», 48), pp. 10-71. Relazione presentata in apertura
della prima sessione plenaria del Congresso. È stata pubblicata nel «Giornale
critico della filosofia italiana» (si veda 1988, n. 115), negli «Archives
internationales d’histoire des idées» (si veda 1988, n. 114) e nella rivista
«Il veltro» (si veda 1989, n. 121). È diventata il primo capitolo di Mundana
Sapientia (si veda 1992, n. 134). 125. Théologie et astrologie dans la culture
médiévale: un subtil face-à-face, «Bulletin de la Société Française de
Philosophie», 84, 1990, pp. 104-130. Prima comunicazione del saggio che poi
diventerà il capitolo 11 di Mundana Sapientia, dal titolo Astrologia e teologia
nella cultura medievale (si veda 1992, n. 134). 126. Missione scienza,
«Ulisse2000», Etyka i religia w krytyce libertyńskiej, przelozyla Anna
Tylusińska, Warszawa, Polska Akademia Nauk Instytut Filozofii i Socjologii
(«Renesans i Reformacja», 6), 1991, 59 pp. Versione in polacco del volume Etica
e religione nella critica libertina (si veda 1986, n. 110). Indice del volume:
I. Libertynizm erudycyjny, p. 7; II. “Księga skandaliczna” Pierre’a Charrona,
p. 37; Nota bibliograficzna, p. 57. 128. Sul lessico filosofico latino del
Seicento e del Settecento, in Lexicon philosophicum. Quaderni di terminologia
filosofica e storia delle idee (V- 1991), a cura di Antonio Lamarra e Lidia
Procesi, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1991, pp. 1-20. Relazione presentata
al Congresso Internazionale di studi sull’uso scritto e parlato del latino dal
Rinascimento ad oggi, Roma, 15-18 aprile 1991. Diventa il terzo capitolo di
Origini della terminologia filosofica moderna. Linee di ricerca (si veda 2006,
n. 200). 129. Intervento, in Per la storia del «vissuto religioso». Gli scritti
di Gabriele De Rosa. Interventi di Emile Goichot, Tullio Gregory, Liliana
Billanovich, Antonio Cestaro, Fulvio Tessitore, Pasquale Villani, Cosimo Damiano
Fonseca, Vicenza, Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa, 1991,
pp. 21-29. L’intervento di Tullio Gregory è alle pagine 21-29 ed è stato tenuto
per la presentazione del volume di Gabriele De Rosa Tempo religioso e tempo
storico, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1987, avvenuta a Vicenza,
presso la Sala degli Stucchi di Palazzo Trissino, il 14 ottobre 1988, per
iniziativa dell’Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa, con il
patrocinio del Comune di Vicenza. 130. Gli studi di filosofia medievale fra
Ottocento e Novecento. Conclusioni, in Gli studi di filosofia medievale fra
Otto e Novecento. Contributo a un bilancio storiografico, atti del convegno
internazionale (Roma, 21-23 settembre 1989), a cura di Ruedi Imbach e Alfonso
Maierù, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1991, pp. 391-406. Pubblicato
in appendice a Speculum naturale (si veda 2007, n. 203) 131. Ricordo di Paul
Vignaux, in Théologie et droit dans la science politique de l’Etat moderne,
actes de la Table ronde organisée par l’École française de Rome avec le
concours du CNRS (Rome, 12-14 novembre 1987), Rome, École française de Rome,
1991 («Collection de l’École française de Rome», 147), pp. 1-16. 42
Bibliografia di Tullio Gregory - 1991 Pubblicata sul
«Giornale critico della filosofia italiana» (si veda 1989, n. 119). 132.
Cultura umanistica e istituzioni, «La rivista dei libri», I, 2, 1991, pp.
18-20. 133. Le discipline umanistiche. Analisi e progetto, Supplemento al
Bollettino «Università Ricerca», Roma, Istituto Poligrafico Zecca dello Stato,
1991, 147 pp. Rapporto finale della Commissione Nazionale per la formazione e
la ricerca nelle scienze umane, del Ministero dell’Università e della Ricerca
Scientifica e Tecnologica, redatto dal Professor Gregory in qualità di
coordinatore della Commissione. 43 Bibliografia di Tullio
Gregory – 1992 torna su 1992 esci 134. “Mundana sapientia”. Forme di conoscenza
nella cultura medievale, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1992 («Storia
e Letteratura», 181), 480 pp. Sono raccolti in questo volume alcuni saggi sulla
storia della filosofia medievale pubblicati in sedi e anni diversi. Il saggio
Astrologia e teologia nella cultura medievale (capitolo 11) è nuovo, e ne fu
data una parziale anticipazione alla Société française de philosophie (si veda
1990, n. 125). Di seguito si da l’indice dei capitoli con i rinvii per i saggi
già pubblicati. Indice del volume: Avvertenza, p. V; I. Forme di conoscenza e
ideali di sapere nella cultura medievale, p. 1 (si veda 1988, n. 114 e n. 115;
1989, n. 121 e 1990, n. 124); II. Filosofia e teologia nella crisi del XIII
secolo, p. 61 (si veda 1964, n. 41); III. L’idea di natura nella filosofia
medievale prima dell’ingresso della fisica di Aristotele. Il secolo XII, p. 77
(si veda 1964, n. 38 e 1966, n. 46); IV. La nouvelle idée de nature et de
savoir scientifique au XIIe siècle, p. 115 (si veda 1975, n. 69); V. The
Platonic Inheritance, p. 145 (si veda 1988, n. 113); VI. Abélard et Platon, p.
175 (si veda 1972, n. 64 e 1974, n. 67); VII. Considération sur ratio et natura
chez Abélard, p. 201 (si veda 1975, n. 70; la versione in italiano è stata
pubblicata su «Studi medievali», si veda 1973, n. 66); VIII. L’escatologia di
Giovanni Scoto, p. 219 (si veda 1975, n. 72; per la versione in francese, con
un apparato di note ridotto si veda 1977, n. 78); IX. Escatologia e
aristotelismo nella scolastica medievale, p. 261 (si veda 1961, n. 31 e 1962,
n. 33); X. Sull’escatologia di Bonaventura e Tommaso d’Aquino, p. 275 (si veda
1965, n. 45); XI. Astrologia e teologia nella cultura medievale, p. 291; XII.
Temps astrologique et temps chrétien, p. 329 (si veda 1984, n. 98); XIII. I
sogni e gli astri, p. 347 (si veda 1985, n. 106); XIV. La tromperie divine, p.
389 (si veda 1982, n. 94 e 1984, n. 97); XV. Dio ingannatore e genio maligno.
Nota in margine alle Meditationes di Descartes, p. 401 (si veda 1974, n. 68);
XVI. L’uomo di fronte al mondo animale nell’alto medioevo, p. 443 (si veda
1985, n. 107); Indice dei nomi, p. 469. 135. Pierre Charron’s ‘Scandalous
Book’, in Atheism from the Reformation to the Enlightenment, edited by Michael
Hunter and David Wootton, Oxford, Oxford Clarendon Press, 1992, pp. 87-109.
Traduzione inglese del secondo capitolo di Etica e religione nella critica
libertina (si veda 1986, n. 110). La traduzione francese compare nel quarto
capitolo della Genèse de la raison classique (si veda 2000, n. 173). 136. Gli
atti del Convegno di Lecce: prospettive degli studi cartesiani, in GIULIA
BELGIOIOSO (a cura di), Cartesiana, Galatina, Congedo Editore, 1992
(«Università degli studi di Lecce, Istituti di Filosofia. Testi e Saggi»), pp.
97- 101. 137. E 42. Utopia e scenario del regime. I. Ideologia e programma
dell’Olimpiade della città, a cura di Tullio Gregory e Achille Tartaro, Catalogo
della mostra (Archivio centrale dello Stato, Roma, aprile-maggio 1987),
Venezia, Marsilio, 1992, XX-180 pp. 138. Préface, in Pierre Gassendi
explorateur des sciences. Catalogue de l’exposition, quatrième centenaire de la
naissance de Pierre Gassendi (Musée de Digne, 19 mai-18 octobre 1992), rédigé
par Anthony Turner avec la contribution de Nadine Gomez; préface de Tullio
Gregory, Digne-les-Bains, Musée de Digne, 1992, pp. 11-28. Traduzione a cura di
Simone Matarasso-Gervais. 139. Pierre Gassendi dans le quatrième centenaire de
sa naissance, «Archives Internationales d’histoire des sciences», 42, 1992, pp.
203-226. Discorso d’apertura al Colloquio internazionale Pierre Gassendi
(Digne-Les- Bains, 18-22 maggio 1992). È stato pubblicato negli Atti col titolo
Pourquoi Gassendi? (si veda 1994, n. 145). La traduzione italiana è stata
pubblicata nel «Giornale critico della filosofia italiana» (si veda 1992, n.
140). Diventa il sesto capitolo della Genèse de la raison classique (si veda
2000, n. 173). 140. Pierre Gassendi nel IV Centenario della nascita, «Giornale
critico della filosofia italiana», s. VI, LXXI (LXX), 1992, pp. 202-226.
Versione italiana del discorso d’apertura al Colloquio internazionale Pierre
Gassendi (Digne-Les-Bains, 18-22 maggio 1992). Diventa il quinto capitolo di
Vie della modernità (si veda 2016, n. 256). La traduzione francese è stata
pubblicata negli «Archives Internationales d’histoire des sciences» (si veda
1992, n. 139) e negli Atti del Colloquio con il titolo Pourquoi Gassendi? (si veda
1994, n. 145). 141. Presentazione, in Lessico Filosofico dei secoli XVII e
XVIII. Sezione latina, a cura di Marta Fattori, con la collaborazione di
Massimo Luigi Bianchi, I, a- aetherius, coordinamento di Eugenio Canone e
Giacinta Spinosa, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1992, p. VII.
45 Bibliografia di Tullio Gregory – 1993 torna su 1993 esci 142.
Storia dell’Italia religiosa, a cura di Gabriele De Rosa, Tullio Gregory, André
Vauchez, 3 v., Roma, Laterza, 1993. Il secondo volume è a cura di Tullio Gregory
(si veda 1994, n. 144). 46 Bibliografia di Tullio Gregory –
1994 torna su 1994 esci 143. L’eclisse delle memorie, a cura di Tullio Gregory,
Marcello Morelli, prefazione di Giorgio Salvini, traduzioni di Marcello
Morelli, Roma-Bari, Laterza, 1994, XI-283 pp. 144. L’età moderna, a cura di
Gabriele De Rosa e Tullio Gregory, in Storia dell’Italia religiosa, a cura di
Gabriele De Rosa, Tullio Gregory, André Vauchez, II, Roma, Laterza, 1994,
XX-596 pp. Si veda anche 1993, n. 142. 145. Pourquoi Gassendi?, in
Quadricentenaire de la naissance de Pierre Gassendi 1592-1992, actes du
Colloque International Pierre Gassendi (Digne-les-Bains 18-21 mai 1992),
Digne-les-Bains, Société Scientifique et Littéraire des Alpes de
Haute-Provence, 1994, pp. 21-39. Discorso di apertura del Colloquio. Pubblicato
con un titolo diverso negli «Archives Internationales d’histoire des
sciences» La traduzione italiana è stata
pubblicata nel «Giornale critico della filosofia italiana» (si veda 1992, n.
140) 146. Gli studi di filosofia medievale di Sofia Vanni Rovighi, in
Sapientiae studium. La giornata operosa di Sofia Vanni Rovighi (1908-1990), a
cura di Mario Sina, Milano, Vita e Pensiero, 1994, pp. 13-26. 147. L’ordine
della natura e l’ordine del sapere, in Storia della filosofia, a cura di Paolo
Rossi e Carlo Augusto Viano, II, Il Medioevo, Roma-Bari, Laterza, Diventa, con
il titolo Riscoperta della natura e nuove scienze nel secolo XII, il secondo
capitolo di Speculum naturale (si veda 2007, n. 203). 148. Considerazioni conclusive
in Descartes metafisico. Interpretazioni del Novecento, A cura di Jean-Robert
Armogathe e Giulia Belgioioso, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,
Introduzione, in Retorica e filosofia in Giambattista Vico: Le Institutiones
Oratoriae: un bilancio critico, a cura di Giuliano Crifò, Napoli, Guida,
Conclusioni, in Ricerca e terminologia tecnico-scientifica, a cura di G. Adamo,
«Lexicon philosophicum., Quaderni di terminologia filosofica e storia delle
idee», 151. Dell’Elefante. Parole pronunciate il 12.IX.1994 in occasione della
mostra Res Libraria alla Biblioteca Casanatense di Roma, Roma, Edizioni
dell’Elefante, 1994, 19 pp. Opuscolo in edizione limitata. Pubblicato in
Bibliomania Perennis (si veda 2002, n. 178). 152. Università e Beni Culturali, ricerca
– formazione. Relazione della Commissione Nazionale per il Corso d Laurea e
Facoltà in Conservazione dei Beni Culturali, Supplemento al Bollettino
«Università Ricerca», Roma, Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, Relazione
finale della Commissione Nazionale per il Corso di Laurea e Facoltà in
Conservazione dei Beni Culturali, del Ministero dell’Università e della Ricerca
Scientifica e Tecnologica, redatta dal Professor Gregory in qualità di
coordinatore della Commissione. 48 Bibliografia di Tullio Gregory –
1995 torna su 1995 esci 153. Introduzione, in “Fabula in tabula”. Una storia
degli indici dal manoscritto al testo elettronico, a cura di Claudio Leonardi,
Marcello Morelli, Francesco Santi, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto
Medioevo, 1995, pp. 3-8. 154. I «thesauri» dei Padri greci e latini, «Studi
medievali», F. ADORNO, T. GREGORY, V. VERRA, Manuale di storia della filosofia,
Roma, Laterza. Curail secondo volume, XIV-457 pp. e i capitoli dal 19 al 41 del
I volume. Pensiero medievale e modernità, «Giornale critico della filosofia
italiana», Relazione tenuta all’Accademia Nazionale dei Lincei in apertura del
VI Convegno di studio su “Pensiero medievale e modernità” (Roma, 12-14
settembre 1996) organizzato dalla Società Italiana per lo Studio del Pensiero
Medievale. Diventa il nono capitolo di Speculum naturale ‘Natura’ e ‘Qualitas
planetarum’, «Micrologus», IV, 1996: Il teatro della natura/The theatre of
nature, pp. 1-23. Diventa il quarto capitolo di Speculum naturale (si veda
2007, n. 203) 158. Premessa, in Album. I luoghi ove si accumulano i segni, a
cura di Claudio Leonardi, Marcello Morelli, Francesco Santi, Spoleto, Centro di
Studi sull’Alto Medioevo, 1996, pp. VII-XII. 159. Prefazione in Accademia
nazionale dei Lincei-Archivio centrale dello Stato- Consiglio nazionale delle
ricerche, Guglielmo Marconi e l’Italia. Mostra storico-documentaria (Roma 30
marzo-30 aprile 1996), catalogo a cura di Giovanni Paoloni e Raffaella Simili,
prefazione di Tullio Gregory, introduzione di Raffaella Simili, Roma, Accademia
nazionale dei Lincei, Prólogo, in MICHEL DE MONTAIGNE, Ensayos (selección),
Prólogo de Tullio Gregory, Traducción y notas de María Dolores Picazo y
Almudena Montojo, Barcelona, Círculo de Lectores, 1997, pp. 9-31. Il testo in
italiano è stato pubblicato nel «Giornale critico della filosofia italiana» (si
veda 1997, n. 163). La traduzione francese, con qualche variante, diventa il
secondo capitolo di Vie della modernità Apertura dei lavori, in Il vocabolario
della republique des Lettres. Terminologia filosofica e storia della filosofia.
Problemi di metodo, atti del Convegno Internazionale in memoriam di Paul Dibon
(Napoli, 17-18 maggio 1996), a cura di Marta Fattori, Firenze, Leo S. Olschki
Editore, Les nouveaux outils d'analyse textuelle, in Le Plurilinguisme dans la
Société de l’Information, Actes du Colloque International (Paris, 4-6 dicembre
1997), Paris, UNESCO Publications, Per una lettura di Montaigne, «Giornale
critico della filosofia italiana», Testo italiano della prefazione spagnola
all’antologia degli Essais di Montaigne (si veda 1997, n. 160). 164. Nel mondo
semantico del virtuale, «if. Rivista della Fondazione IBM Italia», V, 1997, pp.
14-17. 165. Introduzione, in Bibliotheca encyclopaedica: catalogo del fondo
storico della Biblioteca dell’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da
Giovanni Treccani, a cura di Roberto Mauro e Massimo Menna; presentazione di
Rita Levi-Montalcini, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, Introduzione,
in RENÉ DESCARTES, Discorso sul metodo. Traduzione di Maria Garin. Introduzione
di Tullio Gregory, Roma, Laterza, 1998 [201819], pp. V-XLVIII. 167. Conclusion,
in Vie spéculative, vie méditative et travail manuel à Chartres au XIIe siècle
(autour de Thierry de Chartres et des introducteurs de l’étude des arts
mécaniques auprès du quadrivium), Chartres, Association des Amis du Centre
Médiéval Européen de Chartres, 1998, pp.135-142. Discorso di chiusura del
colloquio internazionale del 4 e 5 luglio 1998. 168. ‘Libertinisme erudit’ in
Seventeenth Century France and Italy: The Critique of Ethics and Religion,
«British Journal for the History of Philosophy», L’articolo, apparso in
italiano con il titolo Il libertinismo erudito come primo capitolo del volume
Etica e religione nella critica libertina (si veda 1986, n. 110), è stato
leggermente ridotto in alcune parti. Traduzione di Letizia Panizza. 169.
Introduction, in Le Dictionnaire de l'Académie Française et la Lexicographie
Institutionelle Européenne, Actes du Colloque International (Paris, 17- 19
Novembre 1994), publiés par Bernard Quemada avec la collaboration de Jean
Pruvost, Paris, Honoré Champion Éditeur, Nature, in Dictionnaire raisonné de
l’Occident médiéval, ed. Jacques Le Goffe - Jean-Claude Schmitt, Paris, Fayard,
1999, pp. 806-820. Diventa il primo capitolo di Speculum naturale (si veda
2007, n. 203), restituendo in latino i testi tradotti in francese. 171. Per una
fenomenologia del cadavere. Dai mondi dell’immaginario ai paradisi della
metafisica, «Micrologus», VII, 1999: Il cadavere/The corpse, pp. 11-42. Diventa
il sesto capitolo di Speculum naturale (si veda 2007, n. 203). 172. Sapor
mundi: scritti sulla civiltà dei sapori da Il Sole 24 Ore, Roma Raccolta degli
articoli di carattere gastronomico pubblicati tra il 1994 e il 1998 su Il Sole
24 ore. Genèse de la raison classique de Charron à Descartes, traduit par
Marilène Raiola, préface de Jean-Robert Armogathe, Paris, Presses
Universitaires de France, 2000 («Épiméthée», 84), V-365 pp. Sono raccolti in
questo volume alcuni saggi dedicati alle figure e ai problemi appartenenti alla
prima metà del XVII secolo francese e europeo, pubblicati in sedi e anni
diversi. Di seguito si da l’indice dei capitoli con i rinvii per i saggi già
pubblicati. Indice del volume: Notice de Tullio Gregory, p. v; Préface de
Jean-Robert Armogathe, La première crise de la conscience européenne, p. 1; I.
Le libertinisme dans la première moitié du XVIIe siècle, p. 13 (si veda 1981,
n. 88); II. Aristotélisme et libertinisme, p. 63 (si veda 1982, n. 93); III.
Ethique et religion dans la critique libertine, p. 81 (si veda 1986, n. 110);
IV. «Le livre scandaleux» de Pierre Charron, p. 115 (si veda 1986, n. 110; per
la traduzione in inglese si veda 1992, n. 135); V. La sagesse sceptique de
Pierre Charron, VI. Perspectives sur Pierre Gassendi à l’occasion du IVe
centenaire, p. 157 (si veda 1992, n. 139); VII. Sébastien Basson, p. 191 (si
veda 1964, n. 43); VIII. David Van Goorle et Daniel Sennert, p. 235 (si veda
1966, n. 47); IX. Ralph Cudworth, p. 269 (si veda 1967, n. 50); X. Dieu
trompeur et malin génie, p. 293 (si veda 1974, n. 68). 174. Vers un «Thesaurus
totius latinitatis»: problèmes et perspectives, in L’élaboration du vocabulaire
philosophique au Moyen Age, actes du Colloque international de Louvain-la-Neuve
et Leuven (12-14 septembre 1998), organisé par la Société Internationale pour
l’étude de la Philosophie Médiévale, éd. par Jacqueline Hamesse et Carlos
Steel, Turnhout, Brepols, 2000, pp. 539-549. 175. Informatica e analisi
testuale, in Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti. Appendice 2000,
I, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, pp. 919-922. 176. I cieli,
il tempo, la storia, in Sentimento del tempo e periodizzazione della storia nel
Medioevo, atti del XXXVI Convegno storico internazionale (Todi, 10-12 ottobre
1999), Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 2000, pp. 19-45.
Diventa il quinto capitolo di Speculum naturale (si veda 2007, n. 203) 177. Il
liber creaturarum: dal sacramentum salutaris allegoriae alla physica lectio, in
Le vie del medioevo, atti del Convegno internazionale di studi (Parma), a cura
di Arturo Carlo Quintavalle, Milano, Electa, 2000, pp. 45-48. Diventa il terzo
capitolo di Speculum naturale Scrittura,
fondamento di civiltà, in Duemila. Verso una società aperta, 3. Istruzione,
scienza, linguaggio, a cura di Marco Moussanet, il Sole 24 ORE, Milano,
Apologeti e libertini, «Giornale critico della filosofia italiana», Diventa il
capitolo 8 di Vie della modernità (si veda 2016, n. 256). 55
Bibliografia di Tullio Gregory – 2001 torna su 2001 esci 180. Per i cento anni
della Casa Laterza. Il sodalizio Croce-Laterza nella cultura italiana del
Novecento, «Accademie & Biblioteche d’Italia», s. I, LXIX, 2001, pp.
117-121. Testo del discorso pronunciato al Teatro Comunale Piccinni il 18
settembre 2001, alla presenza del Capo dello Stato, in occasione delle
celebrazioni per il 100° anniversario della Casa Editrice Laterza. 181. Come
cucinare un filosofo, «l’Erasmo», Introduzione, in VINCENZO CORRADO, Del cibo
pitagorico ovvero erbaceo per uso de’ Nobili e de’ Letterati. Opera meccanica
dell’oritano Vincenzo Corrado; seguito dal Trattato delle patate per uso di
cibo, opera del medesimo autore. Con una introduzione di Tullio Gregory e una
nota alle illustrazioni di Francesco Abbate, Roma, Donzelli, Due testi
autobiografici di Giordano Bruno, in Memoria di Giordano Bruno Atti del convegno (Roma) con il patrocinio
dell’Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Roma, a cura di Maria
Mantello, Roma, VE.GRAF, Dell’Elefante, in Bibliomania Perennis. Mostre delle
Edizioni dell’Elefante. Prologhi e testi di occasione, Roma, Edizioni
dell’Elefante, 2002, pp. 135- 151. Parole pronunciate il 12 settembre 1994 in
occasione della mostra Res libraria alla Biblioteca Casanatense di Roma GEORGE
TATGE, Al di là del tiglio. Un ritratto di Todi. Testi di Tullio Gregory,
Firenze, Fratelli Alinari, 2002, 112 pp. 186. Il valore di una cultura comune.
Il ‘nuovo mondo’ dei dotti del Seicento, «l’Erasmo», Lo spazio come geografia
del sacro nell’occidente altomedievale, «Giornale critico della filosofia
italiana», Testo integrale della relazione parzialmente letta in apertura della
Cinquantesima settimana di studio organizzata dal Centro Italiano di Studi
sull’Alto Medioevo (Spoleto, 4-9 aprile 2002) sul tema: “Uomo e spazio
nell’alto Medioevo”. Pubblicato negli atti del Convegno (si veda 2003, n. 191).
Con alcune integrazioni, diventa il sesto capitolo di Speculum naturale (si
veda 2007, n. 203). 188. Introduzione, in GEORGE TATGE, Al di là del tiglio. Un
ritratto di Todi, Alinari, Firenze, 2002, pp. 11-12. 189. Apertura dei lavori,
in Experientia. X Colloquio Internazionale (Roma, 4-6 gennaio 2001), atti a
cura di Marco Veneziani, Firenze, Leo S. Olschki Noè ovvero della sobria
ebbrezza, in L’ebbrezza di Noè. Sedici artisti per San Gimignano, a cura di
Marisa Zattini, Cesena, Il vicolo, 2003, pp. 23-25. Catalogo della Mostra
tenuta a San Gimignano nel 2003. Edizione di 1500 esemplari numerati. 191. Lo
spazio come geografia del sacro nell’occidente altomedievale, in Uomo e spazio
nell’alto Medioevo: settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto
Medioevo (4-8 aprile 2002), Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto
Medioevo, 2003, pp. 27-60. Discussione sulla lezione Gregory, pp. 61-68. Il
testo della relazione è apparso sul «Giornale critico della filosofia italiana»
(si veda 2002, n. 187). Con alcune integrazioni, diventa il sesto capitolo di
Speculum naturale (si veda 2007, n. 203). 192. Nani sulle spalle dei giganti.
Traduzioni e ritorno degli Antichi nel medioevo latino, «Studi medievali», s.
III, XLIV (2003), pp. 1053-1075. Relazione presentata al VI Convegno
Intemazionale di Studi su «Medioevo: il tempo degli antichi», Parma 24-28
settembre 2003 e pubblicata negli Atti del Convegno (si veda 2006, n. 201).
Diventa il primo capitolo di Origini della terminologia filosofica moderna.
Linee di ricerca, si veda 2006, n. 200 e l’ottavo capitolo di Speculum naturale
(si veda 2007, n. 203). 193. Un cibo da Bengodi. Viaggio nel mondo della pasta,
«l’Erasmo», 15, 2003, pp. 87-95. 194. Istituti culturali e territorio: i
problemi della ricerca e della formazione, «Accademie & Biblioteche
d’Italia», Apertura dei lavori, in Informatica e scienze umane. Mezzo secolo di
studi e ricerche, a cura di Marco Veneziani, Firenze, Leo S. Olschki Editore,
2003, pp. VII-VIII. 58 Bibliografia di Tullio
Gregory – 2004 torna su 2004 esci 196. Alle origini della terminologia
filosofica moderna: traduzioni, calchi, neologismi, in «Giornale critico della
filosofia italiana», Relazione presentata all’XI Convegno Nazionale della
Società di Filosofia del Linguaggio, Milano, 16-18 settembre 2004, pubblicata
negli Atti del Convegno (si veda 2005, n. 199). Diventa il secondo capitolo di
Origini della terminologia filosofica moderna. Linee di ricerca (si veda 2006,
n. 200). 197. Introduzione, in MAURO SIMONAZZI, La malattia inglese. La
melanconia nella tradizione filosofica e medica dell’Inghilterra moderna,
Bologna, Il mulino, 2004, pp. 9-13 198. Presentazione, in GIUSEPPE FINOCCHIARO,
Dall’Apiarium alla Μελισσογραφια. Una vicenda editoriale tra propaganda
scientifica e strategia culturale, Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
Rendiconti della Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, s. IX, v. XV,
Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2004. 59
Bibliografia di Tullio Gregory – 2005 torna su 2005 esci 199. Alle origini
della terminologia filosofica moderna: traduzioni, calchi, neologismi in
Significare e comprendere. La semantica del linguaggio verbale. Atti dell’XI
Congresso nazionale, a cura di A. Frigerio e S. Raynaud, Roma, Aracne, 2005,
pp. 85-116. Relazione presentata all’XI Convegno Nazionale della Società di
Filosofia del Linguaggio, Milano, 16-18 settembre 2004, pubblicata su «Giornale
critico della filosofia italiana» (si veda 2004, n. 196). Diventa il secondo
capitolo di Origini della terminologia filosofica moderna. Linee di ricerca (si
veda 2006, n. 200). 60 Bibliografia di Tullio Gregory – 2006
torna su 2006 esci 200. Origini della terminologia filosofica moderna. Linee di
ricerca, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2006 («Lessico intellettuale europeo,
Opuscula», 1), X- 120 pp. Indice del volume: Premessa, p. IX; Nani sulle spalle
di giganti. Traduzioni e ritorno degli Antichi nel Medioevo latino (relazione
presentata al VI Convegno Intemazionale di Studi su «Medioevo: il tempo degli
antichi», Parma 24-28 settembre 2003 e pubblicata negli Atti del Convegno, si
veda 2006, n. 201. Pubblicata in «Studi medievali», si veda 2003, n. 192.
Diventa l’ottavo capitolo di Speculum naturale, si veda 2007, n. 203), p. 1;
Alle origini della terminologia filosofica moderna: traduzioni, calchi,
neologismi (relazione presentata all’XI Convegno Nazionale della Società di
Filosofia del Linguaggio, Milano, 16-18 settembre 2004, pubblicata negli Atti,
si veda 2005, n. 199, e in «Giornale critico della filosofia italiana», si veda
2004, n. 196), p. 33; Sul lessico filosofico latino del Seicento e del
Settecento (testo, con l’aggiunta di una nota finale di aggiornamento
bibliografico, della relazione presentata al Congresso Internazionale di studi
sull’uso scritto e parlato del latino dal Rinascimento ad oggi, Roma, 15-18
aprile 1991 e pubblicata in Lexicon philosophicum, si veda 1991, n. 128), p.
77; Referenze bibliografiche, p. 109; Indice dei nomi, p. 111. 201. Nani sulle
spalle dei giganti. Traduzioni e ritorno degli antichi nel Medioevo latino, in
Medioevo: il tempo degli antichi, Atti del Convegno internazionale di studi,
Parma 24-28 settembre 2003, a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Milano, Electa,
2006, pp. 57-64. Pubblicato in «Studi medievali» si veda (2003, n. 192).
Diventa il primo capitolo di Origini della terminologia filosofica moderna.
Linee di ricerca, si veda 2006, n. 200) e l’ottavo capitolo di Speculum
naturale (si veda 2007, n. 203). 202. Paul Vignaux storico del pensiero
medievale, «Studi medievali», XLVII (2006), pp. 361-381. Traduzione italiana,
leggermente modificata, della relazione francese Paul Vignaux historien et
philosophe, letta in Sorbona il 2 aprile 2004, al Colloquio “Paul Vignaux
citoyen et philosophe”. Speculum naturale. Percorsi del pensiero
medievale, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007 («Storia e
Letteratura», 235), X-254 pp. Sono raccolti in questo volume alcuni saggi sul
pensiero medievale, pubblicati in sedi e anni diversi. Di seguito si da
l’indice dei capitoli con i rinvii per i saggi già pubblicati. Indice del
volume: Nature au Moyen Âge, p. 1 (si veda 1999, n. 170); Riscoperta della
natura e nuove scienze nel secolo XII, p. 15 (si veda 1994, n. 146); Il Liber
creaturarum: dal sacramentum salutaris allegoriae alla physica lectio, p. 35
(si veda 2000, n. 177); Natura e qualitas planetarum, p. 47 (si veda 1996, n.
157); I cieli il tempo la storia, p. 69 (si veda 2000, n. 176); Lo spazio come
geografia del sacro nell’Occidente altomedievale, Per una fenomenologia del
cadavere. Dai mondi dell’immaginario, p. 121 (si veda 1999, n. 171); Nani sulle
spalle dei giganti. Traduzioni e ritorno degli Antichi, p. 151 (si veda 2003,
n. 192, 2006, n. 200 e 2006, n. 201); Pensiero medievale e modernità, p. 173
(si veda 1996, n. 156); Cosmologia biblica e cosmologie cristiane, p. 197;
Appendice: Gli studi di filosofia medievale fra Ottocento, Gusto del cibo,
itinerario storico sentimentale, «L’attimo fuggente», Presentazione, in JUNE DI
SCHINO, FURIO LUCCICHENTI, Il cuoco segreto dei papi. Bartolomeo Scappi e la
Confraternita dei cuochi e dei pasticceri, Roma, Gangemi, Per una Storia delle
filosofie medievali. Discorso di chiusura pronunciato al XII Congresso
Internazionale di Filosofia Medievale (Palermo 16-22 settembre 2007) promosso
dalla SIEPM, «Studi medievali», Pubblicato negli Atti. Le acque sopra il
firmamento. Genesi e tradizione esegetica, in L’acqua nei secoli altomedievali,
Spoleto, Fondazione Centro italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 2008, pp.
1-41. 208. Spazio sacro, spazio profano. I confini simbolici nel cristianesimo
altomedievale, in Frontiere. Politiche e mitologie dei confini europei, a cura
di Carlo Altini e Michelina Borsari, Fondazione Collegio San Carlo di Modena,
2008, pp. 41-70. 209. Cosmogonia biblica e cosmologie cristiane, in Cosmogonie
e cosmologie nel Medioevo. Atti del Convegno della Società italiana per lo
studio del pensiero medievale (S.I.S.P.M.), Catania, 22-24 settembre 2006, a
cura di Concetto Martello, Chiara Militello e Andrea Vella, Louvain-La-Neuve,
Brepols, 2008, pp. 169-194. 210. Prefazione, in ROBERTO DE MATTEI, Il CNR e le
scienze umane, Attività della Vice Presidenza Roma, Consiglio Nazionale delle
Ricerche, Allocution, in Remise de l’Épée d’Académicien à Jean-Luc Marion, par
Marc Fumaroli de l’Académie française de l’Académie des Inscriptions &
Belles- Lettres, en Sorbonne, Salon d’honneur de la Cancellerie, 1er décembre
2009, pp. 8-13. 212. Translatio studiorum, «Quaderni di storia»,Testo
parzialmente presentato, in inglese, al decimo congresso della International
Society for Intellectual History su “Translatio Studiorum”. Ancient, Medieval,
and Modern bearers of Intellectual History (Verona, 25- 27 maggio 2009). 213.
Prefazione, in XXI Secolo-Norme e idee, direttore Tullio Gregory, Istituto
della Enciclopedia Italiana (Treccani), Roma 2009, pp. IX-X. 64
Bibliografia di Tullio Gregory – 2010 torna su 2010 esci 214. Dante e la «Commedia»,
in Dante e l’Islam. Incontri di civiltà, Biblioteca di Via del Senato Edizioni,
Milano 2010, pp. 37-44. 215. Bruno Nardi, storico della filosofia. Uno sguardo
d’insieme (Relazione di chiusura al Convegno di Pescia), in Per ricordare Bruno
Nardi, a cura di Laura Simoni Varanini, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2010,
pp. 43-49. 216. Tullio Gregory incontra Cartesio, «Le interviste immaginarie»,
Milano, Bompiani, 2010, 19 pp. Ristampato in appendice alla raccolta di saggi
Vie della modernità (si veda 2016, n. 256). 217. Il lessico Intellettuale
Europeo, in Lectio Brevis. Anno Accademico Atti della Accademia Nazionale dei
Lincei, Anno CDVIII – 2011. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche.
«Memorie», Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, Testo della Lectio brevis
tenuta il 12 novembre 2010 presso l’Accademia dei Lincei, in apertura dell’anno
accademico Eugenio Garin: un ricordo in Normale, «Quaderni di storia», LXXII
(2010), pp. 11-29. 219. Claudio Leonardi medievista, «Rinascimento. Rivista dell’Istituto
Nazionale di Studi sul Rinascimento», L’ascesa del Poeta è una vera
‘Rinascita’, «La Biblioteca di via Senato – Milano», Postfazione, in LUCIO
MARIANI, Farfalla e segno. Poesie scelte (1972-2009), Milano, Crocetti
Prefazione, in FRANCA FOFFO, E le stelle stanno a mangiare... La Dolce Vita
continua, Roma, Sovera Edizioni, 2010, pp. 9-14. 223. La libraria di Fausto
Maria Franchi, in FAUSTO MARIA FRANCHI, Studiolo Crispolti, a cura di Lucia
Sabatini Scalmati, Roma, Gangemi,
Giovanni Scoto. Quattro studi, Premessa di Enrico Menestò, Spoleto,
Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 2011 («Uomini e mondi medievali»,
24), VIII, 110 pp. Sono ripubblicati i tre studi su Giovanni Scoto Eriugena Le
carte di Carlo Lorenzetti, relazione tenuta presso la Biblioteca Vallicelliana
di Roma il 25 febbraio 2011, in occasione dell’inaugurazione della mostra di
Carlo Lorenzetti. 226. «Vi esorto alla Bibbia», in Bibbia, cultura, scuola.
Alla scoperta di percorsi didattici interdisciplinari, a cura di Gian Gabriele Vertova,
Carocci, Roma 2011, pp. 17-20. 227. Alle origini dell’etica moderna, in Per
un’Etica civile. Tema di approfondimento culturale per l’a.s. 2010-2011, a cura
di Licia Ferro, Roma, Liceo Classico Orazio, 2011, pp. 13-31. 228. Natura, in
Dizionario dell’Occidente medievale. Temi e percorsi, 2:
Letteratura/e-Violenza, Torino, Einaudi, Il tema della fortuna in Montaigne,
«Giornale critico della filosofia italiana», s. VII, LXXXX-XCII (2011), pp.
9-26. 230. Il gusto sullo scaffale, in IBC Dossier. Lo scaffale dei sapori, a
cura di Rosaria Campioni, Bologna, Istituto per i beni artistici culturali e
naturali della regione Emilia Romagna, 2011, pp. 60-63. L’articolo è tratto
dalla rivista «IBC. Informazioni, commenti, inchieste sui beni culturali», XIX,
3, 2011. Si veda anche 2011, n. 232. 231. L’Istituto dell’Enciclopedia
Italiana, «Nuova informazione bibliografica», Il gusto sullo scaffale, in Lo
scaffale del gusto. Guida alla formazione di una raccolta di gastronomia
italiana (1891-2011) per le biblioteche, di Rino Pensato e Antonio Tolo, con la
collaborazione di Adele Blundo, contributi di Tullio Gregory e Massimo
Montanari, Bologna, Editrice Compositori, Montaigne e la fortuna, Modena,
Consorzio Festivalfilosofia, 2011 («Paginette») Bibliografia di Tullio Gregory
– 2012 torna su 2012 esci 234. Quintino Sella, Roma, l’Accademia dei Lincei, in
Le Accademie nazionali e la storia d’Italia, Atti del Convegno Linceo (Napoli),
Roma, Scienze e Lettere Editore Quintino Sella, Roma, l’Accademia dei Lincei,
in Quintino Sella Linceo, a cura di Marco Guardo e Alessandro Romanello, Roma,
Accademia Nazionale dei Lincei, 2012, pp. 19-42. 236. Per una Storia delle
filosofie medievali, in Universalità della ragione. Pluralità delle filosofie
nel Medioevo, Atti del XII Congresso Internazionale di Filosofia Medievale
(Palermo), Sessioni plenarie, a cura di Alessandro Musco, Fascicolo monografico
«Schede medievali», n. 50, Palermo, Officina di studi medievali, «Studi medievali» Les sources oubliées d’une
Introduction à l’Ethica, «Giornale critico della filosofia italiana», Quasi una
Prefazione, in FRANCA FOFFO, Il dolce della vita, Roma, Sovera Edizioni, 2012,
pp. 9-11. 67 Bibliografia di Tullio Gregory – 2013 torna su
2013 esci 239. Principe di questo mondo. Il diavolo in Occidente, Roma-Bari,
Laterza («I Robinson / Letture»). Indice del volume: I. La caduta di Lucifero. II.
Apparenza e realtà, p. 17; III. La via del nero, p. 31; IV. Il principe di
questo mondo, p. 57; V. Satana e modernità, p. 67; Bibliografia, p. 79. 240. Translatio
Studiorum, in MARCO SGARBI (ed.), Translatio Studiorum. Ancient, Medieval and
Modern Bearers of Intellectual History, «Studies in Intellectual History», 217,
Leiden, Brill, Paul Vignaux, Historien et Philosophe, in Paul Vignaux, Citoyen
et Philosophe (1904-1987), sous la direction de Olivier Boulnois, avec la
collaboration de Jean-Robert Armogathe, Turnhout, Brepols, 2013, pp. 9-26. 242.
Per il XXV della Fondazione Ezio Franceschini di Firenze, «Studi medievali»,
Presentazione, in GIUSEPPE FINOCCHIARO, La biblioteca di Trisulti. L’ordine dei
codici tra il 14° e 16° secolo, Roma, Scienze e Lettere, 2013, pp. 149- 167.
244. Presentazione, in Accademia nazionale dei Lincei. Inventario dell’archivio
(1944-1965) a cura di Paola Cagiano De Azevedo, Roma, Ministero dei beni e
delle attività culturali, Le carte di C.
Lorenzetti, Discorso pronunciato il 24 febbraio 2011 nel Salone Borromini della
Biblioteca Valliceliana in Roma per l’inaugurazione della Mostra “Carte e libri
d’artista” di Carlo Lorenzetti, Città di Castello, Bibliografia di Tullio
Gregory – 2014 torna su 2014 esci 246. Le plaisir d’une chasse sans gibier.
Faire l’histoire des philosophies: construction et déconstruction, «Giornale
critico della filosofia italiana», Testo della relazione presentata il 25
settembre 2014 in apertura dell’incontro promosso a Roma dall’Institut
International de Philosophie sul tema “Les relations de la philosophie avec son
histoire”; in italiano diventa il primo capitolo di Vie della modernità il
Lessico Intellettuale Europeo compie cinquant’anni, in Locus- spatium. XIV
Colloquio Intrnazionale (Roma 3-5 gennaio 2013), Atti a cura di Delfina
Giovannozzi e Marco Veneziani, Roma, Leo S. Olsckhi Prefazione, in FAUSTO MARIA FRANCHI, PIER
LUIGI PICCARI, LUCIA SABATINI SCALMATI, Ricette preziose dal gioiello al pane,
Terni 2014, pp. 7-10. 249. Presentazione, in LUISA RUBERTI, Le ricette di
Luisa. La cucina campana a modo mio, Firenze-Milano, Giunti, 2014.
69 Bibliografia di Tullio Gregory – 2015 torna su 2015 esci 250. Carlo
Lorenzetti e il Lessico, in Segno e parola. Carlo Lorenzetti e il Lessico
Intellettuale Europeo, Catalogo della mostra (Roma), a cura di Giovanni Adamo e
Cristina Marras, Firenze, Leo S. Olschki Editore, La rinascita nel dopoguerra,
in Treccani. Novanta anni di cultura italiana, Roma, Istituto della
Enciclopedia italiana, 2015, pp. 15-18. 252. Dubbio, fede e religioni in
Montaigne, «Giornale critico della filosofia italiana», Prefazione, in La
cultura e il mondo. Aggiornamento della Enciclopedia Italiana, Nona appendice,
Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,
Michel de Montaigne o della modernità, Pisa, Edizioni della Normale,
2016 («Variazioni», Translatio linguarum. Traduzioni e storia della cultura, Firenze,
Leo S. Olschki Editore, 2016 («Lessico intellettuale europeo, Opuscula», 2),
IX-75 pp. 256. Vie della modernità, Firenze, Le Monnier Università, 2016
(«Centro Interdipartimentale di Studi su Descartes e il Seicento. Saggi. Nuova
serie», 1), 174 pp. Indice del volume: 1. Il piacere di una caccia senza preda.
Fare storia delle filosofie: costruzione e decostruzione, p. 1 (testo italiano
della relazione francese presentata il 25 settembre 2014 in apertura
dell’incontro promosso a Roma dall’Institut International de Philosophie sul
tema “Les relations de la philosophie avec son histoire”; apparso sul «Giornale
critico della filosofia italiana», si veda 2014, n. 246); 2. Michel de
Montaigne ou «le plaisir de la variété», p. 22 (traduzione francese, con
qualche variante, della prefazione all’antologia dell’edizione spagnola degli
Essais di Montaigne, si veda 1997, n. 160; 3. La saggezza scettica di Pierre
Charron, p. 40 (pubblicato in «De homine», si veda 1967, n. 49); 4. «Il libro
scandaloso» di Pierre Charron, p. 55 (pubblicato in Etica e religione nella
critica libertina, si veda 1986, n. 110); 5. Pierre Gassendi nel IV centenario
della nascita, p. 71 (testo italiano del discorso di apertura del “Colloque
International Pierre Gassendi”, pubblicato in «Giornale critico della filosofia
italiana», si veda 1992, n. 140); 6. Il libertinismo erudito, p. 93 (pubblicato
in Etica e religione nella critica libertina, Aristotelismo e libertinismo, p.
115 (pubblicato in «Giornale critico della filosofia italiana», si veda 1982,
n. 93, e negli atti del Convegno Internazionale di Studi su “Aristotelismo
veneto e scienza moderna”, si veda 1983, n. 95); 8. Apologeti e libertini, p.
127 (pubblicato in «Giornale critico della filosofia italiana», si veda 2000,
n. 179); Appendice: Tullio Gregory incontra Cartesio. Commentario (direzione
scientifica) in GIORGIO SIDERI DETTO CALAPODA, Portolano 6. 1550, Roma,
Treccani, 2016, 236 pp. 258. Ereditare e tradurre, Modena, Consorzio
Festivalfilosofia, 2016 («Paginette»), 24 pp. 259. Postfazione “La cultura del
vino” in MARCELLO MASI, ROCCO TOLFA, Signori del vino, prefazione di Carlo
Petrini, Roma, Rai Eri, 2 Bibliografia di Tullio Gregory – 2017 torna su
2017 esci 260; “L’ambigua dignità dell’uomo moderno” «Quaderni di storia», Bibliografia
di Tullio Gregory – 2018 torna su 2018 esci 261. Considerazioni per una storia
del pensiero scientifico altomedievale, «Studi medievali», Veritates in mensa,
Modena, Consorzio Festivalfilosofia («Paginette»), La biblioteca dei Lincei:
percorsi e vicende, Letture corsiniane, Roma, Bardi Edizioni, 2019, 24 pp. 264.
Fra i miei libri, «Giornale critico della filosofia italiana», Fra i miei
libri, «Voci», Istituto Enciclopedia Italiana, Sapida scientia. Percorsi
gastronomici da Il Sole 24 ore (1999-2018), Roma, ILIESI, 2019, 217 pp.
Raccolta degli articoli di carattere gastronomico pubblicati tra il 1999 e il
2018 su Il Sole 24 ore. Stampato in numero limitato di esemplari in occasione
del novantesimo compleanno di Tullio Gregory. 74Tullio Gregory. Gregory.
Keywords: implicatura clandestina, clandestino – cognate with celare and
occolto -- terminologia filosofica, libertinismo, filosofia clandestine, il
libertino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gregory: l’implicatura” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754581552/in/dateposted-public/
Grice e Griffero – l’inter-soggetivo – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Asti). Filosofo:
Grice: “I like Griffero; for one, he has a taste for neologisms, like his
atmospherelogy – He has understood that aesthesis, qua sensatio, is the basis
for aesthetics, and he has explored the philosophies of Tarso, Spranger, and Schelling!”
Insegna a Roma. Studia a Torino sotto Vattimo su“L’ermeneutica.” Studia Betti (“Interpretare.
La teoria di Betti e il suo contesto” – Rosemberg,Torino) ed il concetto di spirito
e forma di vita. La filosofia della cultura (Angeli, Milano). Si dedica al
rapporto tra arte e mito, scrivendo poi Senso e immagine. Simbolo e mito (Guerini,
Milano), Cosmo Arte Natura. Itinerari
(Cuem, Milano), nel quale si concentra sulle caratteristiche del
real-idealismo, e infine una ricostruzione dell'apporto dato da questo autore
all'estetica filosofica (Estetica -- Laterza, Roma). La nozione di
"immaginazione transitiva", è invece affrontata in “Immagini Attive:
beve storia dell'immaginazione transitiva (Monnier, Firenze). Ricostruisce la
storia della credenza secondo cui una fantasia particolarmente forte sarebbe in
grado di agire, cambiando o addirittura generando la realtà esterna. In
Realismo e Idealismo (Nike, Segrate) analizza il Pietismo Speculativo. La
corporeità spirituale è il "fine ultimo delle opere di Dio. L'ampia storia
del concetto e esposta in Il corpo spirituale. Ontologie sottili"
(Mimesis, Milano). La ricerca sulla fenomenologia del corpo e della
percezione e l'estetica delle atmosfere è affrontata in “Atmosferologia.
Estetica degli spazi emozionali (Laterza, Roma). Nel libro Quasi-cose. La
realtà dei sentimenti (Mondadori, Milano ) indica e analizza sulla scorta dei
un'estetica neo-fenomenologica i sentimenti atmosferici, il dolore, la
vergogna, lo sguardo, il crepuscono, il corpo vissuto come quasi-cose, entità
aggressive e decisive per la nostra esistenza senza essere riducibili al
paradigma cosale tipico della tradizione occidentale Il pensiero dei sensi. Atmosfere ed estetica
patica (Guerini, Milano) delinea, a partire dalla nozione estetico-fenomenologica
di “atmosfera”, i contorni di un'estetica orientata non allo gnosico ma al
patico, che non tematizza un oggetto (come una espressione) speciali come le
opere d'arte ma il modo in cui “ci si sente” quando ci si espone, soprattutto
involontariamente, ai sentimenti presenti nell'ambiente circostante. Il
tema è sviluppato, esteso a considerazioni sull'atmosfericità del linguaggio, sulla
presenza e la inter-soggettività re-interpretate in chiave fenomenologica.
Altre opera: Storia dell'estetica (Nuova Cultura, Roma). 5. Quali
atmosfere per quali spazi? Dicendo, con precisione tutt’altro che metaforica
(cfr. Griffero 2010d) che, ad esempio, l’aria si è fatta pesante e il suono
opprimente, l’odore penetrante e il silenzio solenne, ci si riferisce non certo
allo spazio locale ma allo spazio assoluto e predimensionale (più o meno
transitorio) delle “isole” leiblich. Ne viene – ed è ciò che ovviamente più
interessa nel nostro più generale progetto atmosferologico (cfr. Böhme 1995,
Griffero 2010 e Griffero 2014) – che lo spazio non locale del sentimento
(Gefühlsraum)14, permeato cioè da sentimenti o tonalità emotive (Gefühle o
Stimmungen) (cfr. Schmitz 1969), intesi ora come atmosfere, come quasi-cose
caratterizzate (quanto meno nella loro forma 12 Una spazialità a rigore non
solo non tridimensionale, ma neppure bidimensionale (superficie),
monodimensionale (retta) o non-dimensionale (nel senso in cui lo è il punto).
13 L’abitare è per Schmitz, propriamente, cultura-coltivazione dei sentimenti
in uno spazio recintato. 14 La tesi secondo cui «i sentimenti sono spazialmente
estesi [...] sarebbe inconcepibile o addirittura comica se si riferisse allo
spazio locale», giacché in tal caso «un sentimento sarebbe forse una sorta di
sfera o un triangolo nel ventre o in prossimità della testa» (Schmitz 1990, p.
292). © SpazioFilosofico 2014 – ISSN: 2038-6788 351 prototipica e cioè
oggettivo-distonica) da direzioni abissali, costituisce l’apriori di ogni
nostra esperienza, specialmente involontaria. Come le valenze espressive delle
singole cose e persone possono invitarci a fare o respingere qualcosa, così le
affordances dello spazio del sentimento, irriducibili all’assetto ottico e agli
effetti solo pragmatici cui pensa James Gibson, portano infatti in luce
l’articolazione decisamente anisotropa (atmosferica) della nostra Lebenswelt.
Ma, se avvertire un’atmosfera significa avvertire la qualità affettiva e
leiblich “espressa” (un termine da non concepire, in una radicale
Erscheinungswissenschaft, nel senso dell’estroflessione di un interno) dai
nostri “intorni”, occorre da ultimo interrogarsi sulle atmosfere specifiche dei
tre livelli di spazialità menzionati. Allo spazio della vastità c)
corrispondono le atmosfere letteralmente s-confinate delle Stimmungen pure,
come tali alla base dell’intero edificio della vita emozionale. Troviamo qui da
un lato l’estensione piena della soddisfazione, concepibile non come gioia ma
come quieto equilibrio (nel senso, ad esempio, dell’intimità famigliare), e
dall’altro l’estensione vuota della disperazione, concepibile più come la
medioevale acedia o l’ennui (nel senso, ad esempio, della lieve noia che ci
coglie nelle stazioni o al cospetto del graduale impallidire serale delle cose)
che non come un cruccio opprimente. Allo spazio direzionale b) corrispondono,
invece, tre forme di atmosfere vettoriali. Anzitutto b1) le Erregungen pure,
vale a dire emozioni strutturate e tuttavia diffuse e prive di un vero tema
specifico (per questo abgründig per Schmitz), le quali, contrariamente alle
fondamentali direzioni leiblich, possono essere anche centripete, aggredirci ab
extra pur in assenza di una fonte precisa (cosa o quasi-cosa che sia) e quindi
di una “ragione”. E poi b2) le emozioni “centrate”, le cui terminazioni e
condensazioni in un oggetto (quando la Sehnsucht, ad esempio, si precisa come
amore), in quanto tali responsabili della (secondo Schmitz fuorviante) teoria
dell’intenzionalità dei sentimenti15, possono essere unilaterali (esaltanti o
deprimenti), onnilaterali, centrifughe (come la Sehnsucht), centripete (come la
paura e la sfiducia indeterminate), ma anche indecise, come nel caso del
“presentimento”. Allo spazio locale a), infine, corrispondono16 le atmosfere
generate dagli oggetti e dalla loro collocazione, relativa fin che si vuole
nella spazialità locale eppure su di noi intensamente “attiva”, ad esempio in
virtù di qualità espressive che, eccedendo di gran lunga l’ufficio delle
proprietà − in linea di principio accidentali e parassitarie rispetto a un
substrato sostanziale (nei sentimenti atmosferici assente in linea di
principio) −, fungono da vere e proprie “estasi” (cfr. Böhme 2001, pp. 193-210).
Quasi fossero i “punti di vista” con cui le cose in un certo senso escono da se
stesse (cfr. Griffero 2005) e che appaiono inspiegabili come mera espressione
di un interno (qui propriamente inesistente), le atmosfere o estasi delle cose
paiono analoghe a potenze 15 I presunti sentimenti intenzionali – l’ira, ad
esempio − sarebbero meglio spiegabili, come sentimenti atmosferici centrati,
chiamando in causa una dissociazione tra punto di ancoraggio (lo stato di cose
che suscita l’ira) e zona di condensazione (l’uomo o l’oggetto con cui si è
adirati): due elementi di solito poco connessi sotto il profilo causale o
logico (gestalticamente: figura/sfondo), visto che – ed è forse illogico ma
adattivamente funzionale! – si teme, ad esempio, più la persona che potrebbe
ucciderci (condensazione) che non la morte come tale (cfr. Schmitz 2007, p.
64). 16 Ma Schmitz qui obietterebbe che, le atmosfere non essendo per lui
intenzionalmente producibili e riducibili a cose singole (giusta una più
generale campagna contro la forma mentis singolaristica su cui non possiamo qui
fermarci), le impressioni suscitate dalle cose non sarebbero autentiche
atmosfere. 352 demoniche (numinose) indipendenti dalla nostra
volontà. Sono, in altri termini, qualità espressive (inviti, affordances),
nella cui manifestazione in certo qual modo le cose si esauriscono, esattamente
come il vento coincide col proprio soffiare (cfr. Griffero 2013b). Sono
modi-di-essere pervasivi (cfr. Metzger 1941, pp. 77-78) che, generando lo
spazio affettivo cui il soggetto accede, danno vita a una co-presenza
(proprio-corporea, anzitutto, ma anche sociale e simbolica) di soggetto e
oggetto, a un “tra” (un tema caro a Böhme) anteriore alla distinzione
soggetto/oggetto, a una relazione che paradossalmente (per la logica ordinaria,
s’intende) dev’essere anteriore ai suoi relati, pena una ricaduta nel dualismo
aborrito.Tonino Griffero. Griffero. Keywords: l’inter-soggetivo, Betti,
ermeneutica, fenomenologia, Vico, il circolo dell’implicatura, implicatura
ammosferica-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Griffero” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754816486/in/dateposted-public/
Grice e
Grimaldi – implicatura anti-peripatetica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cava
de’ Tirreni). Filosofo. Grice: “I have spoken of ‘magic’ – “two kinds of magic’
– actually, for Grimaldi there are THREE: ‘black magic,’ ‘artificial magic,’
and my favourite, ‘natural magic’!” Nacque da nobile famiglia locale di origini
genovesi. Compì i suoi studi avvicinandosi a Cartesio, di cui fu seguace e fece
parte del gruppo chiamato degli epigoni dell'Accademia degli Investiganti. Consigliere
Regio. Scrive numerose opere, raccolte poi in "Istoria dei libri di don
Costantino Grimaldi, scritta da lui medesimo". Tra quelle più note si
possono elencare le “Considerazioni intorno alle rendite ecclesiastiche del
Regno di Napoli” (Napoli), le “Discussioni filosofiche” (Lucca), la “Dissertazione
sulle tre magie, naturale, artificiale e diabolica (Roma). Il figlio gli dedicò
"Ragioni genealogiche a' favore della Famiglia Grimaldi del Sig. Cons. D.
Costantino Grimaldi. Colli signori Grimaldi di Seminara, e con quelli patrizj
di Catanzaro" F. A. Meschini, nel Dizionario Biografico degli Italiani, indica
Napoli come città natale. Memorie di un anticurialista del Settecento. Testo,
introduzione note V.I. Comparato. Firenze, Olschki, Biblioteca dell'«Archivio
storico italiano», Franco Aurelio Meschini,
Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Anticurialismo. GRIMALDI, Costantino. -
Nacque a Napoli il 30 genn. 1667 da Francesco Antonio e Antonia Cacace. Ebbe
come maestro per le belle lettere e l'oratoria Matteo Taurini. Spinto dallo zio
Scipione, sacerdote secolare, a frequentare le Scuole pie di largo dello
Spirito Santo, vi strinse amicizia con il padre Tommaso di S. Tommaso d'Aquino,
dal quale apprese la filosofia aristotelica. Dopo l'anno di logica, al termine
del quale sostenne alcune pubbliche conclusioni, proseguì gli studi non di
metafisica, come avrebbe voluto, bensì, per volere paterno, di legge, sotto
Domenico Radesca e Matteo De Lellis. Lesse poi, per proprio conto, E. Tesauro,
F. Piccolomini e, per i casi di coscienza, la summa di A. Diana e l'opera di M.
Bonacina. A sedici anni, con la dispensa del Collaterale per la giovane età,
ottenne la laurea. Prese quindi a frequentare il foro, senza tralasciare,
tuttavia, lo studio delle belle lettere sotto la guida del leccese Luca
Giordano che lo avviò alla lettura dei moderni: L. Di Capua, T. Cornelio, R.
Boyle, P. Gassendi, R. Descartes. Non trascurò i classici, Cicerone e
Quintiliano sopra tutti, studiò lo spagnolo e il francese, i rudimenti della
geometria su Euclide e la medicina sotto la guida di Tommaso Donzelli. Di lì a
poco prese a frequentare il circolo di Giuseppe Valletta e strinse amicizia con
diversi personaggi illustri: Francesco Billio, Filippo Anastasio, Giuseppe
Lucina, Giacomo Grazini, Domenico Greco, Antonio Monforte, Giacinto Di Cristofaro,
Niccolò Capasso, Niccolò Cirillo, Matteo Egizio, Ottavio Ignazio Vitagliano,
Amato Danio, Felice Stocchetti. È di questi anni l'idea, cara
all'ambiente vallettiano, di una storia universale della filosofia, che il G.
concepì in contrapposizione al gesuita Giovan Battista De Benedictis. Questi
nel 1694, sotto lo pseudonimo di Benedetto Aletino, aveva dato alle stampe a
Napoli le Lettere apologetiche in difesa della teologia scolastica e della
filosofia peripatetica: cinque lettere indirizzate a personaggi fittizi (ma
facilmente identificabili) e reali dell'ambiente investigante. La necessità di
una risposta al gesuita fu immediata; lo stesso G. fornisce l'elenco di quanti
risposero o manifestarono l'intenzione di rispondere: Giuseppe Lucina, Filippo
Anastasio, Francesco D'Andrea, Domenico Greco e Giuseppe Magrino. Da parte sua
il G. in un primo momento (è lui stesso a ricordarlo) pensò di rispondere
indirettamente, compilando la sopra ricordata storia, che avrebbe dovuto
seguire lo sviluppo della filosofia nelle singole nazioni, soprattutto nel suo
sorgere presso i Greci, nel passaggio ai Romani, quindi agli Arabi e infine ai
moderni. Quando apparve chiaro che le risposte attese o annunciate non
avevano raggiunto lo scopo o che addirittura erano destinate a restare allo
stato di progetto, mentre peraltro l'Aletino e i suoi sostenitori continuavano
nell'offensiva contro i moderni, il G. si accinse a rispondere al
gesuita. Le tre risposte del G. videro la luce tra il 1699 e il 1703.
Nella prima (Risposta alla lettera apologetica in difesa della teologia
scolastica di Benedetto Aletino. Opera nella quale si dimostra esser quanto
necessaria ed utile la teologia dogmatica e metodica, tanto inutile, e vana la
volgar teologia scolastica, stampata a Ginevra per l'interessamento di C.
Musitano, presso Tournes, ma datata da Colonia presso S. Hecht), pubblicata
anonima, il G. muove dalla distinzione (già in Valletta) tra una buona e una
cattiva (volgare) scolastica: la prima che non si discosta dalla Sacra Scrittura,
dalla tradizione, dai Padri, dai concili, dall'autorità, la seconda che, al
contrario, non fa debitamente ricorso alla tradizione e pretende di provare le
verità di fede con la sola ragione umana, muovendo dalla filosofia. Descartes,
che secondo uno schema consueto ai novatoresnapoletani viene accomunato spesso
a Gassendi, è presentato come estremamente rispettoso nei confronti della sacra
dottrina, in contrapposizione a quei filosofi che dialettizzavano la
teologia. La Risposta, di cui ben presto si conobbe il nome dell'autore,
procurò al G. notevole fama e apprezzamento anche fuori del Regno e lo mise in
contatto con letterati illustri, tra cui G.V. Gravina, L.A. Muratori, A.
Magliabechi, J. Mabillon. Nella seconda risposta (Risposta alla seconda lettera
apologeticadi Benedetto Aletino. Opera utilissima a' professori della
filosofia, in cui fassi vedere quanto manchevole sia la peripatetica dottrina,
1702), non più anonima, data la favorevole accoglienza della prima, e stampata
realmente a Colonia "perché trovò le stamperie occupate in Ginevra",
sono affrontati più direttamente i problemi della filosofia aristotelica e del
suo rapporto con la fede e con la dottrina cristiana. Con abile mossa il
G. trasforma questa seconda risposta in un serrato attacco ad Aristotele,
proprio sul terreno più caro all'Aletino, l'affidabilità teologica dello
Stagirita. Sulla base di un sapiente incastro di testi (F. Patrizi, P. Ramo, P.
Gassendi, ma anche gesuiti come Juan Maldonado, Antonio Possevino, Michel
Elizade o domenicani come Melchior Cano) e di abili argomentazioni, il G.
dimostra come alla luce dei principî aristotelici diventino insostenibili i
cardini della fede cristiana: la provvidenza, la creazione, l'immortalità
dell'anima; e, sul versante della scienza, la corruttibilità dei cieli.
Diversamente, i moderni, Descartes sopra tutti, hanno professato dottrine non
in contrasto con le Scritture: ne è esempio l'impegno del filosofo francese per
conciliare la dottrina eucaristica con la sua concezione della res extensa.
Alla terza risposta (Risposta alla terza lettera apologetica contra il Cartesio
creduto da più d'Aristotele di Benedetto Aletino. Opera in cui dimostrasi
quanto salda e pia sia la filosofia di Renato delle Carte e perché questa si
debba stimare più d'Aristotele, 1703), stampata questa volta in Napoli da G.
Rosselli, ma sempre con l'indicazione di Colonia (perché senza la licenza
dell'arcivescovo), è affidata la difesa di Descartes dagli attacchi
dell'Aletino. Questa risposta, più ancora delle prime due, rappresenta
uno fra i più importanti documenti nella diffusione del pensiero e delle opere
di Descartes in ambiente napoletano. Il G. appare, anzi, come uno dei più
attenti, se non il più attento interprete partenopeo del filosofo francese, sia
per la conoscenza pressoché integrale del corpuscartesiano allora disponibile,
comprese le lettere e gli Opuscula postuma, sia per l'acume interpretativo.
Descartes, "il miglior filosofante di ogni tempo", viene visto
soprattutto muovendo dalla sua metafisica: "È ben noto che non solamente
il metafisico sistema cartesiano s'aggiri tutto intorno alla cognizione d'Iddio
[…] ma il sistema ancor fisico tutto quanto è, suppone necessariamente per
fabro, e regolatore il supremo facitore" sicché "togliendosi per
ipotesi il darsi Iddio, caderebbe e si ridurrebbe a nulla la macchina del
Cartesiano sistema" (pp. 186-188). Questa piegatura metafisica, nuova
rispetto a pensatori come Valletta e D'Andrea e più in generale all'ambiente
investigante e a quello dell'Accademia di Medina Coeli, permise al G. di
allontanare da Descartes la pericolosa accusa di collusione con l'atomismo
antico, e di inserirlo nell'alveo della tradizione di Platone e di Agostino, di
cui, in particolare, Cartesio è detto "fido seguace". Tutti i temi e
i testi della metafisica cartesiana, in un discorso che è al tempo stesso
giustificazione e ricostruzione del moto rinnovatore napoletano che da quei
testi aveva tratto alimento, sono passati in rassegna: il dubbio, il cogito
ergo sum, il criterio dell'evidenza (ove grande importanza è data al momento
dell'intuitus, il "guardo"), le dimostrazioni dell'esistenza di Dio.
Esaminata e così difesa la metafisica, la fisica cartesiana, di cui il G.
discute il ruolo delle ipotesi (diverse dalle supposizioni dei poeti e degli
astronomi, spesso impossibili), appare se non più agevole, certo più sicura. Il
G., che difende al tempo stesso Descartes e Leonardo Di Capua, polemizza non
solo con l'Aletino ma anche con talune sue fonti come il padre G. Daniel e
soprattutto l'astronomo Pierre Petit, che l'Aletino aveva indicato come propria
guida. Vengono così discusse, cogliendone precisamente i nessi, le principali
concezioni fisiche del filosofo francese: il corpuscolarismo legato al rifiuto
delle forme sostanziali (concetto applicabile solo all'anima
"ragionevole"); la riduzione della materia a estensione e negazione
del vuoto; l'universo indefinito (non infinito come gli attribuiva l'Aletino),
costituito dal moto che Dio ha impresso alla materia; l'accettazione del
principio inerziale, da cui discende che il cosmo è retto dalle leggi del moto
e liberato da ogni visione antropomorfica e finalistica. Con questo cosmo
materiale l'uomo, non più centro dell'universo, intrattiene un rapporto grazie
alle sensazioni e alle passioni, che sono in vista della conservazione e della
salvaguardia del composto anima e corpo. Nel 1703 uscì una replica
dell'Aletino alla terza Risposta del G., la Difesa della scolastica teologia,
ed ebbe inizio anche lo scambio di accuse tra i due presso il Sant'Uffizio, che
diede il via a una serie di relazioni e controrelazioni. Nonostante ciò, il G.
trovò a Roma un clima non del tutto sfavorevole, soprattutto tra i prelati
filogiansenisti, e l'opera poté liberamente circolare; anzi, grazie soprattutto
all'interessamento di A. Magliabechi (cfr. lettera del G. a Magliabechi del 13
marzo 1703, Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VIII.671), ebbe una notevole
diffusione in Italia e fuori. Tra il 1703 e il 1704 il G. abbozzò le risposte
contro la IV e la V lettera del gesuita. Nel 1704 venne colto da un colpo
apoplettico e l'anno dopo l'Aletino (insinuando che il 28 febbr. 1704 s.
Ignazio avesse colpito il G. perché aveva osato "malmenar" la sua
Compagnia) intervenne nuovamente con una Difesa della terza lettera apologetica
di Benedetto Aletino. La morte improvvisa del gesuita, l'anno successivo (il G.
non mancò qualche anno più tardi di vendicarsi delle insinuazioni dell'Aletino,
collegando la sua morte a una punizione celeste), la sua stessa malattia, la
denuncia alla congregazione romana delle tre risposte, il fatto che altri
avessero risposto alla replica dell'Aletino (Filippo Anastasio diede fuori uno
scritto, che non venne pubblicato, ma il G. ebbe modo di leggerlo), sono tra i
motivi per cui il G. non volle dar seguito allora alla polemica; nello stesso
periodo, tuttavia, mise mano a un'Analisi del modo di teologare, il cui
bersaglio era pur sempre la teologia scolastica, che l'autore non portò a
termine perché chiamato (direttamente dalla corte di Barcellona, su consiglio
di Nicolò Caravita) a difendere gli editti regi in materia di benefici
ecclesiastici nel Regno di Napoli contro la Curia romana. Il G., che
aveva già ricoperto cariche in seno all'amministrazione (governatore
dell'arrendamento dei ferri in Terra di Lavoro e deputato dell'arrendamento del
tabacco), venne chiamato a questo incarico il 20 luglio 1708. La pretesa del re
Carlo d'Asburgo, espressa negli editti, di conferire benefici ecclesiastici
solo a regnicoli, contro la pretesa della Curia romana, venne dunque sostenuta
dal G. nelle Considerazioni teologico-politiche fatte a pro degli editti di s.
maestà cattolica intorno alle rendite ecclesiastiche del Regno di Napoli (I-II,
Napoli 1708-09), che furono recensite nel IV supplemento degli Acta eruditorum
del 1711 (pp. 369 s.). La risposta di Roma non si fece attendere: il 17 febbr.
1710 la Curia emanò una bolla che colpiva, con le opere di Alessandro Riccardi
e Gaetano Argento, la prima parte del Trattato delle considerazioni
teologico-politiche, mentre la seconda parte veniva raggiunta dalla censura
neppure un mese dopo, il 24 marzo. Il G., che nel 1709 era stato nominato
consigliere straordinario del tribunale di S. Chiara (diverrà ordinario il 28
febbraio dell'anno successivo), preparò contro il testo della censura (la cui
stesura si doveva al benedettino Nicolò Maria Tedeschi) un Avviso critico et
apologetico intorno alla bolla, et alla censura fatta a' libri intitulati
Considerazioni teologico-politche, che circolò manoscritto negli ambienti anticuriali
napoletani. Morto l'Aletino, la polemica con i gesuiti non cessò: in un
processo che li riguardava essi ricusarono il G. come giudice, facendo leva
sulla passata polemica con il loro confratello e ottennero poi, con l'appoggio
del reggente S. Biscardi, l'esclusione del G. da tutti i processi in cui fosse
coinvolta la Compagnia, con una sentenza del Collaterale del 19 dic. 1710. Il
G., che cercò inutilmente di ottenere la revoca del decreto (facendo anche
intervenire L.A. Muratori presso il viceré Carlo Borromeo Arese, di cui l'abate
modenese era amico), ebbe tuttavia dalla sua parte Gaetano Argento e il
reggente Gaetano Rubini. Numerosi consulti negli anni successivi testimoniano
la sua attività di consigliere. In questi stessi anni il G. riprese in mano le
risposte all'Aletino con l'intenzione di pubblicarne una nuova edizione. Le
controverse vicende della stampa sono documentate dal G. stesso nelle sue
Memorie, ora pubblicate, a cura di V.I. Comparato, con il titolo Memorie di un
anticurialista del Settecento, Firenze 1964. Terminata la stesura dell'opera il
G., il 29 marzo 1719, chiese la licenza di stampa al Collaterale (non
all'arcivescovo, precisa lo stesso G., per l'illegittimità, a suo avviso, della
licenza ecclesiastica); si rivolse quindi allo stampatore Nicolò Parrino, che,
iniziata la stampa, la sospese di lì a poco su pressione di ambienti curiali. A
questo punto il G., secondo una prassi invalsa, ottenuti dallo stesso Parrino i
caratteri, continuò la stampa in casa propria. Gli ostacoli e gli equivoci
erano, tuttavia, ben lungi dall'essere superati: il cardinale Francesco
Pignatelli, arcivescovo di Napoli, cercò, infatti, di far interrompere la
stampa, senza però riuscirci; d'altro canto il viceré, cardinale Michail
Friedrich d'Althan, che in un primo momento aveva fatto intendere che avrebbe
gradito che l'opera gli fosse dedicata - cosa che il G. fece - sollevò mille
difficoltà, cui il G. rispose punto per punto, finché "vidde, ed odorò che
il signor viceré non facea più da viceré, le cui parti altre certamente
sarebbero state, ma da ministro di Roma, e da esecutore delle voglie altrui,
non ascoltando altro che gl'impulsi venutigli da colà" (ibid., p. 54). I
volumi, già stampati, vennero sequestrati, salvo quelli che il G. aveva fatto
circolare tra gli amici. Tre copie vennero inviate a Roma per il tramite del
cardinale Àlvaro Cienfuegos, ministro plenipotenziario austriaco. Una di queste
venne fatta pervenire direttamente al pontefice. Il 23 sett. 1726 arrivò la
condanna della congregazione dell'Indice, che colpiva sia la prima sia la
seconda edizione delle Risposte. Il G. affidò la sua difesa a un memoriale in
cui rivendicava il fatto che la prima edizione delle Risposte fosse passata
immune per ben tre volte all'esame del Sant'Uffizio. La nuova edizione,
intitolata Discussioni istoriche, teologiche, e filosofiche di Costantino
Grimaldi fatte per occasione della risposta alle lettere apologetiche di
Benedetto Aletino (I-III, Lucca 1725), contiene, in realtà, alcune importanti
aggiunte, che danno conto soprattutto delle letture che in quegli anni il G.
andava facendo e di nuovi legami maturati anche al di fuori dell'ambiente
napoletano: in particolare Mabillon e Muratori, Jean Le Clerc e Noël Alexandre.
Gli interventi più significativi sono nella prima risposta, con una più
convinta difesa del giansenismo, che è al tempo stesso presa di posizione per
un cristianesimo nutrito delle Sacre Scritture. Ciò significava anche, nel
momento in cui veniva tolta alla ragione la giurisdizione sulla fede, liberare
il campo della filosofia dalle intrusioni teologiche e difendere quella
libertas philosophandi che era stata e continuava a essere la bandiera dei
novatores. Le risposte alla quarta e alla quinta lettera, rimaste manoscritte e
ora conservate presso la Biblioteca nazionale di Napoli, furono redatte in un
lasso di tempo che presumibilmente va dagli anni immediatamente successivi alla
pubblicazione della terza risposta a dopo il 1724. Nella quarta risposta il G.
attinge a pensatori come Pierre Bayle e Richard Simon, a libertini come
François de La Mothe Le Vayer e Gabriel Naudé, alla cultura investigante,
sempre a Descartes, ma anche a Nicolas Malebranche. E, tuttavia, è soprattutto
il Muratori, con le sue Riflessioni sopra il buon gusto, a rappresentare in
questa fase, in cui la polemica con l'Aletino è ormai piuttosto un pretesto, un
punto di riferimento. La scolastica è attaccata sia nel suo interprete più
ortodosso, Tommaso d'Aquino, la cui valorizzazione di Aristotele non può
servire ai sostenitori del filosofo greco perché filologicamente non sorretta
dalla conoscenza del greco, sia nel suo ispiratore principe e cioè Aristotele
stesso, di cui il G. passa in rassegna gli errori nelle varie scienze. A essi,
tuttavia, il G. non contrappone un nuovo corpusdottrinale, bensì, con un
atteggiamento caro ai moderni, il metodo, aprendosi a una vera e propria
apologia della ricerca. Non mancano altresì affermazioni che nella
sostanza suonano anticartesiane, soprattutto nella direzione di un certo vitalismo
della tradizione naturalistica meridionale. Nella quinta risposta, Per la
scelta d'Aristotele in maestro contro a' libertini ed atomisti, il G. affronta
il tema dell'ateo virtuoso e, per spezzare la relazione tra atomismo e ateismo,
cavallo di battaglia dell'Aletino, ribalta l'accusa di ateismo su Aristotele,
che per di più è giunto in Occidente attraverso la mediazione irreligiosa di
Averroè ed è all'origine sia degli errori di P. Pomponazzi sia, ancor più, di
B. Spinoza. La fortuna della filosofia aristotelica, d'altro canto, era nata,
secondo il G., dalla crisi della cultura nel Medio Evo e ora era in declino
proprio per l'avanzamento della verità, grazie, soprattutto, alle scienze
sperimentali. L'opera, che si conclude con un'apologia della ragione e
dell'esperienza, contiene anche i germi di quel riformismo cattolico che
troverà in Muratori più compiuta maturazione: diminuzione delle feste
religiose, superamento della condanna sull'usura, rifiuto del magico e del
diabolico. Rinnovamento che passa - ciò è una costante nelle opere del G. -
attraverso la comprensione critica della storia ecclesiastica, meglio,
attraverso la storia ecclesiastica quale strumento critico della disciplina se
non della dottrina. Tra il 1729 e il 1733, cioè dall'uscita di scena del
viceré d'Althan all'avvento degli Austriaci, il G. trascorse uno dei periodi
più tranquilli della sua vita e al tempo stesso più intensi per la sua attività
politica: insieme con Biagio Garofalo compilò la lista delle "proposizioni
ingiuriose alla potestà de' principi" nelle Riflessioni morali e
teologiche, scritte dal gesuita G. Sanfelice contro P. Giannone, prese parte al
progetto di riforma dell'Università di Napoli, appoggiò la candidatura di
Biagio Garofalo a teologo del Collaterale e di Celestino Galiani alla
cappellania maggiore del Regno. Il ritorno a Napoli degli Spagnoli con
l'avvento di Carlo di Borbone segnò una nuova svolta negativa nella vita del
G., nei cui confronti venne aperta un'inchiesta, ancora una volta in base alle
accuse della corte di Roma e dei gesuiti, in seguito alla quale, nel 1735,
perse la carica di consigliere, non senza, tuttavia, che il re riconoscesse il
suo valore: gli venne, infatti, concesso "l'onor della toga e l'intiero
soldo". È in questo momento che il G. pose mano all'Istoria de'
libri di Costantino Grimaldi scritta da lui medesimo, con l'intento di
difendere il suo operato; fonte preziosa che permette di seguire la genesi
delle sue opere e delle polemiche in cui fu impegnato. Per ottenere il
passaggio delle sue opere censurate dalla prima alla seconda categoria
dell'Indicedovette adoperarsi con tutte le forze, ricorrendo agli amici,
facendo appello a tutta la Curia romana e giungendo, infine, a una
ritrattazione (1736) che, a sua insaputa e con suo disappunto, venne pubblicata
l'anno successivo nelle Novelle letterarie di Venezia. Negli anni
successivi visse appartato, continuando a intrattenere rapporti epistolari con
vari rappresentanti della repubblica letteraria, in particolare G.M.
Mazzuchelli. A questo invierà l'Elogium che gli aveva dedicato il padre Casto
Innocente Ansaldi, insieme con le Discussioni storiche e una versione
abbreviata dell'Istoria de' libri, scritta nel 1735, cui aggiunse le notizie
relative agli anni successivi al 1734 e cenni sulla sua giovinezza, materiali
questi che Mazzuchelli utilizzerà per le Notizie storiche e critiche intorno
alla vita e agli scritti di C. G., pubblicate l'anno dopo della morte del G.
nella Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici di A. Calogerà. Il 17
febbr. 1744 il G. fu arrestato, con l'accusa di intrattenere corrispondenza con
gli Austriaci, insieme con il figlio Gregorio, che fu poi relegato nell'isola
di Pantelleria. Il G. restò in carcere quaranta giorni (Vat. lat., 9281, cc.
130-140). Dello stesso anno è una Lettera apologetica indirizzata al padre
Sebastiano Paoli sull'involuzione della liturgia nel Medioevo (tema ripreso il
23 maggio dello stesso anno e il 30 nov. 1745 in due lettere a Mazzuchelli).
Polemiche attardate, come quella durante la crisi napoletana del Sant'Uffizio
nel 1746-47 allorché il G. compose il trattato Sciagura maggiore…, rimasto
manoscritto, in cui riproponeva la lotta anticuriale a favore del sovrano e
contro l'intrusione del potere di Roma. L'ultimo scritto del G., pubblicato postumo
(Roma 1751; rist. anast. Milano 1974) a cura del figlio Ginesio, è una
Dissertazione in cui si investiga quali sieno le operazioni che dependono dalla
magia diabolica e quali quelle che derivano dalle magie artificiale e
naturale. Il G. morì a Napoli il 16 ott. 1750. Dei tredici figli
avuti dal matrimonio (1692) con Giovanna de' Marzi, morta durante la sua
prigionia, gli sopravvissero Gregorio e Ginesio, Bernardo, chierico e abate di
S. Maria della Misericordia a Itri, Aniceto e Teodosio, monaci olivetani, e tre
femmine. Il G. intrattenne un'ampia corrispondenza: in particolare le sue
lettere al Magliabechi sono conservate nella Biblioteca nazionale di Firenze,
quelle al Muratori nell'Archivio Muratoriano di Modena, quelle al Bottari,
infine, presso la Biblioteca Corsiniana di Roma. Fonti e Bibl.:
Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 9281, cc. 130-140: Viri clarissimi
Costantini Grimaldi senatoris Neapolitani elogium authore P. C.I. A. O.P. [C.I.
Ansaldi]; G. Grimaldi, Lettera di Claristo Licenteo [Licunteo]scritta al signor
Rodolfo Grandini, in cui si essaminan due luoghi del signor Francesco Maradei
in persona del regio consiglier d. C. G., s.l. 1716; Lettere dal Regno ad
Antonio Magliabechi, a cura di A. Quondam - M. Rak, Napoli 1978; G.G. Scarfò, Opuscoli,
III, Napoli 1727, pp. 56 s.; G.M. Mazzuchelli, Notizie storiche e critiche
intorno a C. G., in A. Calogerà, Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici,
XLV, Venezia 1751; Index librorum prohibitorum, Roma 1758, p. 17; M. Delfico,
Elogio di C. G., Napoli 1784; L. Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori
legali del Regno di Napoli, III, Napoli 1787, s.v.; M. Schipa, Il Muratori e la
coltura napoletana, in Arch. stor. per la provincie napoletane, XXVI (1901),
pp. 553-649; P. Sposato, Le "Lettere provinciali" di Biagio Pascal e
la loro diffusione a Napoli durante la "rivoluzione intellettuale"
della seconda metà del secolo XVII, Tivoli 1960, pp. 27-47, 72-100; N.
Badaloni, Introduzione a G.B. Vico, Milano 1961, passim; E. Boscherini
Giancotti, Nota sulla diffusione della filosofia di Spinoza in Italia, in
Giorn. critico della filosofia italiana, XLII (1963), pp. 339-362; R. Ajello,
Il preilluminismo giuridico, Napoli 1965, pp. 146 s.; V.I. Comparato, Ragione e
fede nelle discussioni istoriche, teologiche e filosofiche di C. G., in Id.,
Saggi e ricerche sul Settecento, Napoli 1968, pp. 48-93; B. De Giovanni,
"De nostri temporis studiorum ratione" nella cultura napoletana del
primo Settecento, in A. Corsano et al., Omaggio a Vico, Napoli 1968, pp. 141-191;
B. De Giovanni, Il ceto intellettuale a Napoli fra la metà del '600 e la
restaurazione del Regno, Napoli 1968, pp. 35, 37 s., 43, 83 s.; F. Venturi,
Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, pp. 31-33, 83, 87,
322, 375, 388, 532; V.I. Comparato, Giuseppe Valletta e le sue opere. Un
intellettuale napoletano alla fine del Seicento, Napoli 1970, ad ind.; G.
Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di Pietro Giannone, Milano-Napoli
1970, pp. 266-271; A. Lauro, Il giurisdizionalismo pregiannoniano nel Regno di
Napoli. Problema e bibliografia, Roma 1974, ad ind.; L. Osbat, L'Inquisizione a
Napoli: il processo agli ateisti 1688-1697, Roma 1974, pp. 51, 54; G.
Ricuperati, C. G., Nota introduttiva, in Dal Muratori al Cesarotti. Politici ed
economisti del primo Settecento, V, Milano-Napoli 1978, pp. 741-774; E. Garin,
Storia della filosofia italiana, Torino 1978, pp. 874-876, 882, 907; V.
Ferrone, Scienza natura religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel
primo Settecento, Napoli 1982, pp. 478-481; M. Torrini, La discussione sullo
statuto della scienza tra la fine del '600 e l'inizio del '700, in Galileo a
Napoli, a cura di F. Lomonaco - M. Torrini, Napoli 1987, pp. 357-383; F.
Cacciapuoti, Il processo agli ateisti: dalle discussioni teologiche al
giusnaturalismo, in Dalla scienza mirabile alla scienza nuova. Cartesio e
Napoli, Napoli 1997, pp. 149-174; G. Belgioioso, La variata immagine di
Descartes. Gli itinerari della metafisica tra Parigi e Napoli (1690-1733),
Lecce 1999, pp. 29-62; E. Lojacono, Immagini di Descartes a Napoli: da Valletta
a C. G., II, in Nouvelles de la république des lettres, 2000, n. 2, pp. 45-65.Costantino
Grimaldi. Grimaldi. Keywords: magica naturale, magica artificiale, magica
diabolica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Grimaldi: implicatura peripatetica”–
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692105690/in/photolist-2mQHpXE-2mPpb7N-2mKC3nj-2mKLP2r-2mKRy6y-2mPHbXQ-nSmehQ-mujkJt-muiPJa-muiFjz-mukwpq-mujmJz-mujhJF-mujo6x-mujjcR
Grice e
Grimaldi – inter-azione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Seminara).
Filosofo. Grice: “Grimaldi for some reason did some deep research on cynicism –
a wonderful etymology, too!” -- Esponente dell'illuminismo. Fratello minore di
Domenico Grimaldi, filosofo. Nato in una famiglia aristocratica che faceva
risalire le proprie origini alla nota famiglia di Genova, dei principi di
Monaco, ricevette la prima educazione dal padre, il marchese Pio Grimaldi, un
uomo colto che aveva cominciato a introdurre criteri di conduzione innovativi
nelle sue proprietà terriere (peraltro non molto estese). Inviato a Napoli, conosce
Genovesi. Comincia a interessarsi alle vicende culturali e politiche della
Repubblica di Genova: volle anch'egli essere iscritto fra i patrizi di Genova,
esprimendo la convinzione che l'aristocrazia genovese avrebbe dovuto riprendere
la funzione, svolta nei secoli precedenti, di classe dirigente della
Repubblica. Studia il diritto testamentario romano. Fu pertanto fautore del “fedecommesso”
istituzione risalente a Roma antica e prediletta dalla classe
aristocratica. Maestro venerabile della
loggia massonica di Genova. Partendo dalla filosofia romana, cerca di
analizzare l’interazione umana. Al di fuori della società l'uomo, in balia dei
"sentimenti fisici", diventerebbe “un vero bruto” – “como Romolo” --.
Tali riflessioni saranno approfondite nel "Saggio sull'ineguaglianza
umana”. Sostenne che, in natura, gli uomini non sono uguali e che le
differenze, sia fisiche che morali, ha origini soprattutto ambientali (per es.,
il clima, la diffusione delle malattie). La inter-azione non e uno stato di corruzione, ma lo stato
"naturale" dell'uomo. La struttura gerarchica dell'Ancien Régime era
giustificata dall'ineguaglianza degli uomini. L’educazione non sarebbe riuscita
ad appianare tale disuguaglianza. Scrive gli Annali del Regno di Napoli. Fa una
Descrizione de' tremuoti accaduti nella Calabria. Altre saggi: “De
successionibus legitimis in urbe Neapolitana systema. Pars prima in qua ius
Graecum Neapolitanum vetus, et ius omne Romanum a 12 tabulis ad Iustinianum vsque
absolutissime expenditur” (Napoli: Simoniana); “Lettera sopra la musica
all'eccellentissimo signore Agostino Lomellini già doge della serenissima repubblica
di Genova (Napoli); “La vita di Ansaldo Grimaldi patrizio genovese, illustrata
con riflessioni politiche, e morali, e con una brieve narrazione del governo
politico della Repubblica di Genova dalla sua origine” (Napoli: Raimondi); “La
vita di Diogene Cinico” (Napoli: Vocola); “Riflessioni sopra l'ineguaglianza
fra gli uomini” (Napoli: Vocola). (Franco Crispini, Vibo Valentia: Sistema
Bibliotecario Vibonese) Annali del Regno di Napoli dedicati a Ferdinando IV. re
delle Due Sicilie. Epoca I. Dal primo anno dell'edificazione di Roma sino alla
fine del quarto secolo dell'era Cristiana” (Napoli: Porcelli); “Annali del
Regno di Napoli” -- Epoca II. Dall'anno 409. dell'era volgare, sino all'anno
1211” (Napoli: Porcelli); “Descrizione de' tremuoti accaduti nelle Calabrie” (Napoli:
Porcelli. (Saverio Napolitano, Bordighera: Manago). La vita di Ansaldo Grimaldi
patrizio Genovese” (Napoli: Raimondiana); “De successionibus legitimis in urbe
Neapolitana” (Napoli: Simoniana); “Nico Perrone, La Loggia della Philantropia.
Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la corrispondenza
massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio); Fulvio Tessitore, «Grimaldi e
l'ineguaglianza». In: F. Tessitore, Nuovi contributi alla storia e alla teoria
dello storicismo, Roma: Edizioni di storia e letteratura, M. Tallarico,
«CESTARI (Cestaro), Giuseppe». In Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, F.
Crispini, Appartenenze illuministiche: i calabresi Francesco Saverio Salfi e
Grimaldi, Cosenza: Klipper, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma:
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G. Boccanera, «Grimaldi In: E.Tipaldo,
Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti, e de'
contemporanei, compilata da letterati italiani di ogni provincia e pubblicata
per cura del professore E. Tipaldo” (Venezia, Alvisopoli)’ Melchiorre Delfico,
Elogio del marchese don Francescantonio Grimaldi dei signori di Messimeri,
patrizio di Genova e assessore di Guerra e Marina, In Napoli: presso Vincenzo
Orsino (ristampato in Opere complete di Delfico, a cura dei G. Pannella e L. Savorini, ITeramo: Giovanni Fabbri). R. Ubbidiente, Il
pensiero e l'opera di Domenico e Francescantonio Grimaldi. Tesi di Laurea in
Filosofia italiana. Salerno. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. CAP. I. DelPineguaglianza degli efferi orga-
nici. pag. 4. 1 CAP. II. Dell ineguagliang? del [effe , 9 deir età degli ejferf
organici . ' 9. CAP. III. Della di/fimilitudine fifica , che vi è traglt
nominile gli altri efferi organici » »«' CAP. XV. Dell' ineguaglianga fijica
tra gli uomini . CAP. V. Dell' ineguaglianza della [enfìbìlità 3S» degli efferi
organici . I$I> CAP. VL Deìr ineguaglianza della [enfibili- > tà tra gli
uomini . 26$» CAP. VII. Dell ineguaglianza delle facoltà intellettuali 283. CAP.
Vili. Dell' ineguaglianza delle pajjio- 31£ CAP» IX. Deir ineguaglianza della
volontà . 384.INDICE DE’CAPITOLI Della feconda Parte. CAP. I. Principio
generale intrinseco dell' ine- * , gli uomini Ji fono ritrovati dopo della
generale inondavo- Uh cietà familiari 122. CAP. XI. Delle Tribù de'Selvaggi.
145. CAP. XII. Delle Nazioni barbare. 159- CAP. Delle Nazioni civili. 190. CAP.
Dello Sviluppo delle facoltà in- tellettuali nelle Nazioni civili rela* . 6S.
92. 99’ Digitized by Google relativamente alle arti, ed al. /e
fetente . CAP. XV. Dello Jviluppo delle pajjioni de- uomini ctvilt . . CAP.
XVl. Della maniera come dicare dell’ homo morale nella civile focietà . CAP.
XVII, Concbiufione della feconda par- I -»i _Della ICerza Parte CAP. I.
U"T^XEl? ineguaglianza naturale pag. 8. CAP. II. CAP. III. Della libertà ,
e della ferviti civile ;. 45 CAP. IV. De Governi . 66. CAP. V. Della legge di
Natura. ^8. CAP. VI. Del diritto delle Genti. 140. CAP. VII. Del Diritto
Civile. 152 CAP. Vili. Della maniera come fi giudica da noi Vineguaglianza
politica de*diritti e delle obbligazioni degli uomi-m ni . • 180, CAP. IX.
Conchiufione della Terza Parte .• Uesta breve ricordatila dell’ illustre
Cittadino, questo semplice monumento alla Memoria d’un Uomo ce- lebre nella
Repubblica delle Lettere, questo esempio «i« • l*» ttttmalv m »!tX4 «m
ITlUvl/1C ifflHllU tato dalla sincera e disinteressata amidkia. Possa egli
contribui- re ad alleviare il dolore d’ una perdita nazionale , «ervire per
ricordo di gratitudine a' concittadini , per motivo d’ imitazione agli Uomini
di Lettere , e somministrare un modello a coloro che bramano di conservar nel
loro cuore i più rispettabili sen- timenti , che istillar possono concordi la
Natura e l’ Educazione! Digitized by Google Nascita , Grimaldi t 4*4 vi
44 ed 'TT'L nome Grimaldi contemporanco alla Storia Moderna d’ Eu- ^ * ** r0Pa
^ stat0 scmPrc fecondo d’ Eroi . Un ramo di que- sta illustre Famiglia si
trovava da più secoli trapiantato in estraneo suolo , cioè, nella Città di
Scminara in Calabria (<z) . Ivi da Pio Grimaldi , e Porzia Grimaldi nacque
Francescan- tonìo (a) Le emigrazioni delle famiglie da uno Stato all'altro in
Italia furono frequentissime nel XIII. e XIV. secolo, quando per la debolezza
delle Costituzioni de’ Governi non regnavano le leg- gi , ma i partiti. Genova
soffrì forse più lungamente che qualun- que altra Città d’ Italia queste
politiche concussioni . I Grimaldi Guelfi di partito , ebbero de' tempi di
disdetta ; ma non fu ni per disgrazia , ni per delitto , che Bartolomeo Grimaldi
si spa trio . Figlio sccotiAoeenìio di Ranieri L Principe di Monaco , venne
colle sue galee nelL 1309. in ajuto del Re Roberto a ri- acquistar la Sicilia ,
e formò il ramo de' Grimaldi Signori di Mes- sirneri. Per più d' un secolo ,
ciol , fino ai tempi di Giovanna II. essi st conservarono in grande stalo ; ma
le non insolitejiccnde di famiglia, più frequenti ancora sotto quel Regno,
ridussero i Grs maldi in più umile grado di fortune . Perdute le grandi
ricchezze,' e ridottisi -in urta - Città- di Provincia , conobbero chi vi può «
- sere una grandezza nella virtù , che forse frequenta più le pri- vate
abitazioni , che quelle de' grandi • Piccola consolazione nel Cinsuperabile
ineguaglianzal » -~-, Digitized by Google 44 vii >4» ionio
(a) , che nel secolo XVI1L ha accresciuto nuovo lustro agli allori -de' suoi
maggiori. L’ onestà , la virtù , e le lette- re , che avevano fatto sempre la
principal caratteristica di questa Famiglia , fecero l'educazione di Colui che
abbiamo per* duco. 11 di lui savio genitore , memore -di partecipare all* au-
torità suprema d’ una Republica illustre , non conservava solo nel suo cuore le
comuni doti d’ ordine degne d’ un membro di Senato Aristocratico t ma nato in
una libera monarchia rico- nobbe altre più vere idee della virtù , che seppe
imprimere nel- l’ animo di quelli a’ quali aveva dato 4' esistenza « Conobbe
egli » » «he la severità della virtù passa agevolmente in difetto , quan- do
non è accompagnata da quei sentimenti d’ umanità che devono costituire il benefico
carattere dell’uonjo sociale ; e che questo perfezionamento della virtù non si
acquista che colti- vando Jo spirito, e perfezionando la ragione. Per tal modo
quel tavil>«tUirJatJ»***-!r»i.—i—— «<* *mi ri no que’ semi virtuosi , che
vennero poi vigorosamente a germo- gliare. L’esempio stesso della di lui vita
fu per esso una cont»* mua lezione di que’ doveri , che accompagnano l’ uomo
ne’ suoi varj rapporti e. situazioni . Qual raro e piacevole spettacolo è in
latti , il vedere un amico genitore occuparsi gradatamente a perfezionare l’
instabile e balbettante lingua de’ suoi fanciulli « condurli quindi alla
conoscenza e varietà de’ linguaggi ; mo- (a) A' io. Maggio 1741. strar
Digitìzed by Google * «M vili H» Strar. loro ora l’ indole degl’ idiomi
, ora le bellezze dello stile t ora la verità de’ fatti , ed ora quelle della
ragione ! Questa fu la vera e rara educazione , che F. A. G. ebbe la sorte di
go- dere. 11 solo padre fu il suo istitutore - Nato con una costituzione
vigorosa , sana , e di sanguigno temperamento, ajutato da una educazione
corrispondente svi- luppò prematuramente un carattere capace del grande . E
sic- come sono le circostanze che determinano 1’ attività nostra a tale o tal’
altra direzione ; così le sue forze incapaci d’ un’ iner- zia vergognosa ,
presto si determinarono al laborioso migliora- mento delle facoltà
intellettuali , che duplicano quasi la nostra esistenza , facendo sviluppare lo
spirito e sublimando la ra- gione . Ciò che si chiama Corso di Stud) no» fu per
esso , come co* illunemente esser suole , una serie di lezioni consuetudinarie
, che invoco di mijlioi—• I— ,p!n»A non famin rVm dete* riorarlo . Egli studiò
le scienze con quella vera attenzione , che meditando su le idee e verità
conosciute vede sbucciarne delle nuova , e richiamando per i varj e necessarj
rapporti mol te idee a quella che principalmente si medita , fa quasi sorgere *
crea nuove verità , che altrimenti resterebbero in dubbio retaggio ai secoli
futuri-. Un* anima cosi elevata da moltiplicità di cognizioni erra qual- che
tempo nell’ immenso campo delle idee , ora seguitandone arditamente una serie ,
ora poggiando su le adire per sentirle quasi più da vicino j ma noa SÌ
stabilisce finalmente e riposa Digitized by Google che sopra quelle
, che sono d’ un vantaggio dichiarato per t* nomo. • • La Morale scientifica e
prattica no , non è per nostra sverrà tura un affar comune e volgare. £' il
risultato di meditazioni profonde, di cognizioni moltiplici , di quantità di
paragoni , chedopod’avernequasiformatouncorsod'esperienze, ritor- na alle
cagioni e ne stabilisce i principj . E' la scienza dell» Felicità publica e
privata : fi chiunque non è nuovo nelle scien- ze converrà facilmente che
questa parte della Filosofia è egual- mente grande per l’ importar»»» •»» • p»r
hi sue sublimità. Que- sta fu , non dirò la prescelta^* dal nostro Grimaldi ,
ma quella verso della quale egli fu trasportato dalla forza del suo inten-
dimento combinata con quella del suo cuore. I primi saggi in- fatti del di lui
spiritOi anche indirettamente, fecero subito rico-; noscerc quésta naturale
inclinazione» Un* -11°— " ra o nell’ immenso caos delle sensazioni i
principj di quell’ ar- monia generale , che donò il gusto del Bello ma fra le
Belle Arti la Musica é forse la più vicina e la più dipendente da co» desti
principj non ancora interamente rivelati dalla Natura : Perciò allor quando il
cuore è più sensibile e l’anima più ar- monica è facile il trasporto al gusto
musicale . 11 di lui savio educatore fin dalla prima infanzia profittò di questo
stato pre- coce della sensibilità del suo allievo. Quindi seppe insinuargli fc
fargli nascere il più sicuro senso dell’ordine, della proporzio- ne, e
dell'armouia , coll’isiruirlo nei principj del Disegno , della a Pit- Digitized
by Google • fattura e della Musica . Non vedeva egli ancora qua!
parta avessero queste istruzioni nell’ istituzione della virtù : onde seguitò
lo studio della Musica per trasporto piuttosto che per ragione. Ma allorché le
altre cognizioni cominciarono ad accu» snidarsi nel di lui spirito -* quando
cominciò a travedere ( che la Musica non è solamente un’ arte , ma parte ancora
delle scienze sublimi quando riconobbe gli effetti sicuri e necessar} , della
Musica, e che i principi dell' armonia sono immediata- mente dettati della
Natura , non si ritenne più su la semplice esecuzione , nè Sì contentò della
sola parte imitatrice , ma vol- le esprimere le proprie idee , ie mflhagini, i
sentimenti ; e ’l suo istromento rispose perfettamente alle domande . I suoi
progress* furono in breve meravigliosi , giacché il gusto , 1* esattezza e i’
espressione vi si ravvisavano tanto nell inventare che neU’esegui- re . Per la
perfezione meccanica dell’ arte si richiede un esercì* zio abituale C Continuo
di , ma un taT-nt/. «OH fattO pCt rimanersi alle porte del tempio della gloria
prende delle Belle Arti quella parte che serve al miglioramento della
sensibilità , c trapassa ad altri più utili oggetti . Egli nondimeno ,
trasportato k veder tutto per un lato morale, avendo osservato colla scor- ta
degli Antichi -che la Musica ha tante influenza sul cuore e sul costume , cioè
sulla creazione di quei sentimenti fondamen- ti' , che caratterizzano gl’
individui e le nazioni , volle com- «nunicare al Pubblico le sue osservazioni,
*i-»•«-*«...j j>*•t ** Sono 44x MM Digitized by Google 44 xi M»
secssoesaeeMieMfleM —* . > Ono esse contenute nella Lettera sopra la Musica
alt Lo- Lettera sopt4 ^ HSK*> cruentissimo Signore Agostino Lomellini (a) .
A quest' uo* no degno d’ eterna ricordanza volle il Grimaldi indrizzare I» sue
idee , non solo perchè n’ era un giudice competentissimo ì ma per attestargli
parzialmente quella stima, della quale L’ Euro» pa tutta r onorava . ' E‘
meraviglioso il vedere come il Grimaldi in questa operici ciuola abbia potuto
combinare tanta abbondanza d’erudizione è di ricerche , « tante fona di
wgtwaiMBta. — , . __ Egli vede la Musica come una parte- sublime dalla
Filosofia } che ha contribuito all’ espansione della virtù , alla regolarità
de' Governi , alla conservazione del costume > alla sublimazione de’
sentimenti più convenienti per 1’ uomo - Vede- che in altri tempi questa ch’era
stata la miglioratrice degli animi, concorsi poi jJIk-Wo t» «rwwf! r i- eroe»a-
j zioni dèlia sua sensibilità , attenuò quasi «1 indebolì finanche la fisica di
lui costituzione. Tutti questi varj fenomeni sono dimostrativamente provati
dalla Storia amica , e dalle memorie cd osservazioni de’ Filosofi
contemporanei. La diversità degli e£* fotti pruova quelle delle cagioni , che
il Filosofò ricerca » Eglg incomincia dal distinguere la Musica’ sotto tre
forme : la prima " (à) In Napoli 1766. ""l! vx B2 * che»
Digitized by Google 4-4 xii cte chiama Naturale , la «*rr>nda
Armoniea voluttuosa, e la terza Armonica Filosofica . Per quanto siamo lontani
dalla prima esistenza della specie ì pure siamo in istato di giudicare della
sua Musica primitiva t perchè tuttavia esistente . Le impressioni delle
passioni su 1’ or* ^ gauo vocale, la nascita degli accenti , la diversa
prolusione di essi , la successione ora più stretta ora più larga degli stessi
tuoni , o di pochi di essi ; ecco la prima Musica naturale e vo- 1* cale . L'
imitazione dei rumori fece nascere l’ istromentale ; e una e 1* altra semplice
e monotona , 1’ una e V altra conservata, nel civ Aizzamento della Società e
nel perfezionamento della Mu- sica , con questa differenza che quella restò
sola presso le Na- zioni barbare , ma nelle Nazioni culte restò quasi per la
parte barbara della Nazione. Quindi è che le cantilene volgari por- tano quasi
dappertutto questo cara**ttere primitivo - La Musica Armonica voluttuosa pare
«V»* non H.-hha essct distinta dall’ altra detta Filosofica , che per la
qualità degli ef- fetti , poiché l’una e l'altra ànno bisogno di Filosofia
nella com- posizione. Ma la prima sembra diretta a soddisfare più 1’ orga- no
ecfj&itare le emozioni voluttuose , quanto 1’ altra lo è a far nascere de’
sentimenti cooperatori della virtù , affinan- do la sensibilità non per una più
estesa facilitazione di sem- plici piaceri corporali^, ma per rendere la
macchina e l’anima stessa armonica , onde sentire agevolmente 1’ Ordine , che
deve essere la base delle virtù politiche ed il sostegno degli Stati. La
Filosofia dunque della Musica dovrebbe consistere non solo nel- - lo Digitized
by Google \ , lo stabilire una qualità di Musica assoluta , i cui
effetti fossero» necessar e costanti , ma anche una relativa secondo il
caratte- j re de’ popoli , che o si vogliono richiamare dalla corruzione , o
avviare alla perfettibilità, e secondo l'indole o lo stato deità sensibilità
lora Esaminando però U Storia, «cmlura-ch# qnesta Musica Filoso- fica abbia
albergato poco sul Globo te più culte ne inno fatto più un oggetto di voluttà ,
che di —. costume. Questo però non toglie , che vi sia una verità di prit>
cip), che si palesa negli .Atti. Lm virtù e "i- sentimenti che le
producono, possono avere un’espressione degna di esse : ecco la Musica
Filosofica. Questa forse era quella, «olla quale si can- tavano le antiche
leggi, e le gesta degli Eroi ; questa, che det- tava i principi Morale, questa,
che eccitava, i cuori all» gloria , e che nudriva 1’ amor sociale . Ecco perchè
i più illu-. stri fondaifijà.delllumanitfc.|pci.Tl^., Al^nrio . oaio . Cadmo ,
Chirone furono tutti stimati inventori della Musica , non solo .perchè la
Musica è l’emblema dell'armonia sociale, ma perchè ne è la conservatrice . Ecco
perchè ancora, i Filosofi di primi ordine o fecero della Musica una parte della
Filosofia, o la ca- ratterizzarono come uno dc^ più veri principi dell’ordine
socia- le, che solo può conservare il costume e la costituzione degli Stati ;
ed ecco infine perchè il nostro Autore si duole che in tanto gTado di
miglioramento morale non si richiamila Musica ai suoi principi , e non si
feccia del piacere una strada alla virtù. Che se lasciasi ancora d’ adoperarla
con vista immediata al pubblico ... b«»e» j giacchi tutte le Nazioni
Vita £Ansal- do Grimaldi. <H xiv H»
mesacenomessat>cs>08e»OB<-B>ogs>ocr>opge>saeg>«o«"»aag*»a
tene , può frattanto essere di grandissimo utile agli individui * giacché non
manca in parte di quegli effetti , che decisamente migliorano la nostra
sensibilità. Cosi egli, ad esempio de’ Filosofi antichi , moralizzò quest'
Oggetto , seguendo con ciò la più utile determinazione del suo spirito <e la
migliore applicazione delle proprie cognizioni. L gradimento dell’ illustre
Tìxdoge Lomellini fu grandissimo: Ie maggiore anche il piacer di vedere , che
il nome Gri- maldi fuori del patrio suolo prometteva nuovo splendore alla
Patria ed alla famiglia . La Republica di Genova già ammirava i talenti del
nostro Grimaldi, quando dovett’essere più contenta nel vedere impegnata la di
luì penna a dimostrar anche da lon- tano il più vero spirito patriotico , solo
retaggio rimastogli dai tuoi antenati . Fu certamente 1’ effetto di questo
sentimento » che 1’ impegnò a pubblicaro 1» Vita -4n**IJ* CrtrrutUi ^4) I Eroe
della Patria e della famiglia. Chi legge questo libro par che non lo trovi
corrispondente alla prima idea che dal titolo ne viene eccitata ; perchè poco
vi si parla della vita d’Ansaldo. Sembrami però . che due fossero le mire
principali dell'Autore , che ben rettificano la sua inten- zione . La prima di
rilevare quelle qualità d' Ansaldo , che gli fanno meritare il titolo di Grande
; la seconda, di rischiarare di- . versi (a) in Napoli 1769. Digitized by
Google «H xv W versi punti importantissimi delia Storia politica di
Genova e di segnare il carattere della sua vera Costituzione ed i principj veri
e regolari della sua sussistenza. Quest' oggetto rientra tutto nella Storia d’
Ansaldo , non solo perchè esso fu il Restitutore della libertà e del decoro ma
perchè in quel tempo si scosse- , ro più possentemente i cardini della
Republkana libertà e si sta* •bill la insino allora di Stato è indivisa da
quella dello Stato istesso . Non mancò dunque 1’ Autore se non tenne dietro a
quelle particolarità che occupano ordinaria J. rwna <Wi Biografi, ma pensò
di cs* •ere più utile col sostituire riflessioni s ed alle personalità, donde
poi provenivano quelle vicende, che tenevano lo Stato in continua rivoluzione ;
e per quale sue* cessione di disordini si giunse finalmente all’ordine, che
tut- tora vi regna. E codesta, che interpolatamente contiene le gesta dell’
Eroe , fa la parte principale dell^Opera . Ma siccome la Sto* ria delle
Republiche è stata sempre la vera miniera delle poli- tiche e morali
osservazioni , cosi il nostro Autore non potè evi- tare quelle riflessioni che
il corso della Storia naturalmente gli presentava . Esse sono opportunamente
collocate , e formano quasi una «rie di tanti saggi Politici e Morali , ne’
quali ben- ché vacillante Aristocrazia . La storia dell' uomo interessanti a
fatti di poco momento . Egli cosi ha divisa quest’ Opera quasi in due parti .
Nel Testo si fa come' un quadro animato della Storia Po* litica di Genova'
scritta da vero Filosofo cagioni agli effetti. Fa veder come la mancanza di
Costituzio- ni e **88* 1.10 . metraggio , cioè, ravvicinando le * Digitized by
Google ^XVI H! thè r uomo non sia risparmiato , poiché viene
mostrato qual' è •chiavo delle passioni c delle circostanze, il Grimaldi non
lascia d’ indicare nel tempo stesso quei doveri, che in. ogni circostanza •ono
le leggi vere della condotta e della vita • Bisogna assolu- tamente leggere
-quest’ Opera , che sotto semplice titolo contiene tante nobili idee , e che è
impossibile di dettagliare in un cir- coscritto discorso . Torno per tanto
all’oggetto principale, cioè, al Grande Ansaldo. Il titolo di Grande, che dall’
adulazione è stato consacrato ai distruttori deli’ Umanità, non si deve che
ai^uoi Benefattori- La prima qualità per esser Grande è la Beneficenza. Ansaldo
gene- roso , benefico, illuminato, coraggioso , sensibile meritò dunque questo
titolo d'onore . Non ignoro che la grandezza consista nella quantità dell’azione,
e nell’effètto: ed ecco ciocché si rea- lizzò in Ansaldo. Come uomo di Stato
egli sostenne la Patria col vigore de’ suoi consigli, rolla sublimità de’ suoi
talenti , colle ric- chezze ammassate dalla sua temperanza. Come semplice
Cittadino, fu il benefattore di quanti potevano essere oggetti d’una illuminata
beneficenza, cui non si contentò di esercitare nel ristretto tempo della sua
durata , ma volle estendere all'avvenire e che anco- ra persiste . Non solo
vivendo fece codest’ uomo il miglior uso delle sue ricchezze, ma fece che la
sua volontà restasse perpe- tuamente benefica nella serie de’ secoli.
Incominciò egli dal con- tribuirc i mezzi che perfezionando la Ragione
perfezionano si- milmente la Morale , cioè , dal fare assegnamenti per **l*a
publi- '-* ca istruzione , e stabili non solo delle Cattedre di Scienze , ma
som- Digitized by Google 4-i xvii somministrò anche soccorsi a
coloro che v’attendevano'. Egli non trascurò moderatamente i luoghi religiosi ,
gli ospedali ed altre fondazioni di pubblica pietà . Egli pensò da uomo libero
e non da Aristocratico : volle che tutti partecipassero della sua beneficenza ;
quindi non solo ebbe in mira le opere dan- neggiate dalle passate guerre , come
la darsina , il porto , le mura , i ponti e i mulini , ma lasciò altre somme
considerabili per le ordinarie spese della Republica ; liberò dai debiti Je ga-
belle che già troppo aggravavano il popolo Genovese » nè gli Stessi agricoltori
furono obbUacì nelle sue liberalità e benefi- cenze • • La pubblica beneficenza
non gli chiuse però il cuore ad una più propria e particolare del suo nome e
della sua famiglia . Le risoluzioni domestiche, si osservano più facilmente nel
tem- po che quelle degli Stati . Ansaldo lo vide ; e considerò che della sorte
. Quindi da gran politico pensando che , nelle Ari- stocrazie specialmente,
dalla povertà de’ Nobili incomincia la corruzione , volle , per quanto potè ,
prevenire questi tristi ro- vesci della fortuna , formando nella sua Casa una
quantità di beni , che potesse decorosamente mantenerla , e stabilendo per
tutta la famiglia un Albergo che fosse atto a sostenere senza avvilimento Io
splendor del cognome Fece de’ legati partico- larmente per i Grimaldi che
attendessero alle lettere , con pen- sione che durava per anni otto : volle che
le donzelle Grimaldi avessero nella loro collocazione un conveniente soccorso ;
e nel- C le aeoaeeseueaaysa Digitized by Google 4 xviu >4* le
annue liberalità che per i poveri stabili , volle che non fos- sero obbliati
quelli del suo nome , che una rivoluzione sventu- rata poteva in questa classe
collocare • Una cosi estesa e perpetua generosità , un uso cosi giusto delle
ricchezze , una liberalità , che si propagava fino all'ultimo Cittadino »
riunite a tutte le altre qualità che gareggiavano ad ornarlo fece dunque bea
meritare ad Ansaldo il’ titolo di Gran- de : e più lo merita a’ giorni nostri
quando un lusso distruggi- tore à estinto negli animi ogni sentimento di
beneficenza. Ma se dall’ antica veneranda tomba alzasse il capo il Grande Ansaldo*
forse esclamerebbe: O Patria, ingrata Patria, o Posteri più in- grati alla mia
memoria ed ai miei sentimenti ! Io non feci delle mie ricchezze un Banco di
Commercio, ma di Beneficenza Come V amministraste voi verso quella famiglia ,
che per virtù e per le circostanze diveniva la prediletta nella mia intenzione
? Voi nega- ste al vostro sangue , al vostro nome stesso quei soccorsi che lo
Spirito di Patria , d' Umanità , di famiglia mi dettò contro i di- spettosi
rovesci della Fortuna . Ah ! un nome illustre non ì che un tormento se è
accompagnato dal bisogno L Ma sento da un cu- • po oscuro Chiostra ì teneri ed
acuti accenti di cinque mie figlie , che rivolte all’ antica Patria ridamano i
diritti di quel sangue che loro scorre nelle vene . Possano queste voci
giugnere ai vostri cuori , ed onorarvi di meritata riconoscenza ! Genova ,
Grimaldi , calmate V ombra del vostro Benefattore -1 Il nostro Grimaldi fu
veramente desiderato molto dalla Re- publica per onorarlo personalmente e
promuoverlo alle su-- iy pren>£ Digitized by Google «H x*x preme
Magistrature ben meritate da’ suoi talenti e dalla sua virtù ; ma lé
circostanze Napoletano non gli permisero d’ accettare il meritato invito si
contentò di farsi più denza colla Filosofìa , e l’esercizio di essa con quello
della virtù. ta la Filosofìa par che debba zione, cioè in tutti i rapporti
degli individui fra loro e verso , di famiglia e I» applicazione al Foro e
desiderare, dando a conoscere con diversi Responsi ch’egli aveva saputo
combinare la sublime Giurispru- yjjpRapasserò intanto leggiermente su questa
professione, eh* per qualche tempo ei volle esercitare. Chi considera in1
Avvoca^a - Trattato Le- * astratto la qualità di Cù,reconsulto una migliore
applicazione de’talenti , per che non possa vedere nella Società dove vive.
Tut- servire a questo primo oggetto so-« ciale . La conoscenza del Giusto in
tutta ì immensa sua esten- tutti gli oggetti coi quali sono in relazione , è I’
apice delle umano ragiuuom_ 1-oaàc—o» .do!-«wo-Adwry, applicarvi le verità di
dritto è la più nobile operazione come ritrovar più i principj d’ una
tranquilla della Ragione. Ma multuose bolge del nostro Foro, ed in no? Quasi
ognuno conviene della deficienza delle nostre leggi della Giustizia , e della
perniciosa mancanza d una vera Approvazione nei Giusdicenti e dei difetti
esistenti nell* amministrazione nei Giureconsulti; e, per un effetto di vera
dono di questi mali c gli altri ne profittano. Quindi si moltipli- cano
all’infinito gli attori di questa scena tragica per la società e per la Morale
; e questo malore contribuisce sempre più alla C a dete*. ragione fra le tu-
quel vertiginoso frastuo- corruzione, i più ri- , Digitized by Google
a.. «H xx deteriorazione del costume ed all’ affogamento de’ talenti ,
che nella loro freschezza rivolgono facilmente , come le piante , le radici a
quella parte ove più abbondantemente possono succiare gli umori nutritivi 11
Grimaldi cautamente portò il piede su le sponde di code- ito baratro pericoloso
. Senza immergevi nel bujo , vedeva dal- la circonferenza a quali limiti
bisognava rimancrfe . Non cupido d’una gloria efimera e fugace, non avido di
que’ lucri, che di rado sono il premio della virtù e del valore , egli si
contentò dell’ approvazione della Ragione piuttosto che di quella del vol- go
ammiratore Se alcuno volesse dubitare , che si ritenesse in tali limiti per
mancanza di convenevoli talenti , l'Opera legale che egli ancor giovine molto
dettò , potrebbe facilmente sincerarlo . Nell’ e- là di soli ventiquattro anni
egli publicò il libro Dt Succ(s- sionihus legitimis in urhr Nfapolir.ina (a) -
Qual differenza fra questa e tante altre Opere legali uscite dal nostro Foro ,
che I opprimono il buon senso ed oscurano la Ragione ! Tutte le co- gnizioni
antecedenti , necessarie a formare non dirò un Giure- consultomaunLegislatore,
nonmancavanogiàalGrimaldiin età cosi giovanile. La Storia e la Filosofia erano
cosi amalga- mate nel di lui spirito , che la conoscenza prattica e teorica
dell’ Uomo e delle società gli era sempre presente per conoscere ( ) lo Napoli
1766. le Digitized by Google le cause delle sue idee e de* suoi
movimenti , e per ravvisare quali fossero i piti convenevoli alla sua
destinazione. Egli dun- que vide la materia delle successioni legittime come
provenien- te dai primi dritti della Natura realizzati nelle società collo sta-
bilimeuto della proprietà e dei dominj . Dimostrò come lo staro della
legislazione civile d' una nazione siegua la sua politica Costituzione ; e
quindi in uno stesso popolo la differente ma- niera di considerare gli stessi
oggetti, secondocchè i rapporti si alteravano. Venendo al suo oggetto, cercò
rapidamente 1’ origi- ne deile Consuetudini N«potetene' te rapporto alle
successioni nell’ antico stato Uepublicano di questa Città , nell’ analogia di
governo colle altre Greche Republiche , e con una felice e nuo- va applicazione
ne trovò la filiazione nelle leggi dì Solone . L’ erudizione sparsa in queste
ricerche è ampia , ma non lussu- reggiante ; e cosi procede nel resto
dell'esame, cioè nel mostrare quale fu quecta pwrt* «talli cibilo JcgreUxione
net 'SUCCOSsivi cambiamenti della Romana Repubiica . L’Aristocrazia espressa
tutta nella legislazione decemvirale fissò le agnazioni, e l’esclu- sione delle
donne , avendo in mira la conservazione e perpetui- tà delle famiglie
Aristocratiche . I progressi alla Democrazia , ne- - cessario frutto dell
interno vigore dello Stato , che liberò i beni dalla schiavitù , che sciolse
gli individui dalla dipendenza dell’ opinione e della servitù personale; che
strappò il codice arbitra- rio dalle mani sacerdotali , cangiò anche questa
parte di legis- lazione : e le donne furono riguardate come parte della specie
e della Società . Tutto cangiò coi cangiamento del Governo ; e si
serbarono i nomi mentre le cose non erano più . Le forinole e le
solennità de’ Giudiy , che costituiscono fino ad un certo ter- mine la libertà
civile , cederono a quelli detti impropriamente di Buonafede,
chesembranopiùconvenientiadunGovernome- no complicato , facendo strada a quell’
arbitraggio che è la . , morte della Civile libertà . Le alterazioni in questa
parte della legislazione .si fecero insensibilmente sotto gl' Imperadori fino a
quelli , che con nuova Religione portarono nuove leggi sul Tro n no. Ma qui non
è luogo di seguire 1’ Autore in tutta la serifc. istruttiva delle tante idee
utili e nuove , che s’ incontrano ad ogni passo della sua Opera . Tocca ai
profondi Giureconsulti il giudicarne con dettaglio » e far vedere qual
precisione e chia- rezza egli seppe portare nel pii oscuro legale labirinto,
quan- te cognizioni seppe nobilmente combinare alla dilucidazione del suo
oggetto , e quale vera utilità debba produrre la di lui Opera non solo nel
giudicare , ma nel riformare questa importante par-» .te delle nostra
legislazione* Asciò noudimcno 11 G,!malcl‘ <*’ immergersi nelle cure del
gene. JSL*Foro, nonriguardandolocomeoggetto, chedovessein- tieramente assorbire
il prezioso tempo delle sue applicazioni , ed assoggettare il fervore de’ suoi
tajpnti e la forza del suo spirito attirato da oggetti più sublimi e più
generali . Restò egli per alcuni anni nel silenzio, ma non nel riposo , poiché
l’ attitudine formatasi allo studio ed alla meditazione tira il stato di
piacere iella sua anima vigorosa, che quindi sentiva il più vero bisogno di Vita
di Dio- ‘TìT Digitized by Google •H XXXIII K- di pascersi e nudassi d’
idee e sentimenti analoghi al stio ca- rattere deciso. Questo vigore di
sensibilità , che sempre accom- pagna i talenti superiori perchè li crea , non
permette che lo spirito resti confinato dalla stretta circonferenza delle idee
e delle virtù comuni • Sorse quindi quel sentimento di perfezione unico scopo
del Genio e della Virtù , che fermentando nelle a- nime sublimi tenta tutte le
vie per aprirsi la strada all’ utile Gloria ed alla verità . V" Nella
vecchia Storia della Filosofia cioè de’ progressi della , Ragione e degli
errori , vide I! Grimaldi i grandi sforzi degli amichi Filosofi, che non più
contenti d'una Morale di prover- bj , parabole e sentenze , si studiarono di
ridurla a princlpj ge- nerali che potessero condurre 1* uomo In tutto 1’ uso
della vi- ta . Ma esaminando particolarmente la dottrina e condotta loro, vide
quanto è difficile una lunga Epoca della Ragione . Trovò nondimeno fra quegl»
antichi Istitutori e maèstri dBTMorale un Filosofo che fissò tutta la sua
attenzione ; e questi fu Diogene del quale volle scrivere la vita . (<r) k
Credè alcuno , eh’ egli imprendesse quasi per giuoco , si, fatto assunto t ma
chi ha letto questo nobile opuscolo , può giudicare della verità della sua
intenzione. Egli fece vede- re in Diogene non quel Cinico descrittoci da
Laerzio , non quell' impudente che ci dipinsero gli altri , nè quello
stravagan- te • '^''•'' _,i (a) in Napoli 1777. , Digitized by
Google 4*4 XXIV le che*corrimunemente è creduto.' ;.ma provò ad
evidenza che quel Filosofo fu il più conscguente r giacché le azioni .corrispo-
sero sempre alla sua dottrina : e codesta era la più vera , la più utile , la
più giusta che fosse ' •* dettata insind allora . Sinope , Corinto ed altre
Città ono la memoria di quell’ illustre uomo coi bronzi e con 1 marmi , ma non
poterono salvar la di lui fama presso l’invida posterità . Grimaldi nel Se-
colo XVIII. rinnalza Diogene su i monumenti erettigli da' suoi compatrioti e
diviene il Restitutore della di lui fama , e della di lui virtù . La Morale di
Socrate era divenuta puramente nominale , quando a Diogene sorse il talento di
reintegrarla ad uso dell’ umanità . 1! principio della Morale prattica par che
consista nella facilitazione della Virtù . Non basta il dipingerne le bellez-
Iezze , l’ indicar^ le attrattive , ravvivarne il quadro col più vago colorito
, se pei ci sì mostra divisa ed isolata dall' insor- montabile vallo del dolore
. Diogene volle dimostrare , che que- sto divisorio è d'invenzione umana, è
creato nella Società , e che bisogna perciò ravvicinarsi alla Natura. Questa
vera osservazione gl’ indicò la Temperanza per un principio fondamentale della
Virtù . La Temperanza non è un’ dea assoluta : essa ha una gradazione dì beni
da un estremo ali’ altro della 'sua lùtea . L’ uomo , questo animale
privilegiato , che può vivere in tutti i climi e nudarsi di tutti gli alimenti
, ha più facilità alla sussistenza . E dunque un effetto dell’Educa- zione
quello che gli dà quantità di bispgjù , che non vengono dalla Digitized by
Google . ^xxv^4» - «aaBeMecSeaooeoeeseaaoosMsaeeseeeiMjeBft dalla
Natura . L’ uomo diviene cosi un aggregato di bisogni 6 di desìdeij,che
accrescono m ragion diretta la sua sensibilità al dolore, senta proporzione
relativa al piacere ed alla felicità . Se questo spiacevole accrescimento di
sensibilità è effetto dell’ edu- cazione , esso è opera dell’uomo , è di
creazione sociale; vi è dun. » que tutta la possibilità d’ abolirlo . Si può
essere decentemente coperto d’un Pallio senza infelicitarsi per non avere in
dosso le gemme ed i preziosi metalli ; si può vivere bene e sano senza esser
velato dalle leggerissime spoglie dell' Oriente o soffogato sotto i rarissimi
velli del Settentrione : e , se dell’aria comune la più respirabile è la più
libera , si può vivere, e meglio, sen- ta le stanze ermeticamente chiuse ,
senza che sieno ricca- mente foderate , e senza richiamar tutte le arti e tutti
i climi ad estenuarci ed estinguerci nella mollezza • Tutte le eccedenti ricchezze
s'acquistarono forse alle spese della virtù; aveva dun- que egli regione di
veder I» Temperanza come la base princi- pale di essa- Ma se per la Vmù è
necessaria quella tal disposizione abi- tuale dell’ animo che si chiama
Tranquillità , questa è simil- mente figlia della Temperanza: L’animo distratto
dalle passioni disanaloghe alla natura dell’ uomo , cioè non tranquillo , non
può essere virtuoso . Diogene non diceva: „ fatti del dolore la strada alla
virtù tristo comando alla Natura umana - Non diceva : „ divieni apa- to ed
insensibile „ altro precetto peggiore e non conducente alla perfezione morale-
Diceva solo: „sii temperante che sarai tran- D quii- . 4^ xxvi
>4* jquillo , ed essendo l’ uno , -e 1* altro puoi essere virtuoso . „
Finché 1’ uomo è distratto da sensazioni vaghe « immerso ne’ desiderj ,
lacerato dalle passioni non sentirà che se stesso ; ma quando nè i bisogni , nè
le idee, nè le immaginazioni tumultua» rie Io tormentano , egli deve essere
necessariamente benefico , cioè , virtuoso . Se le ricchezze fossero sempre
necessarie all’ esercizio della beneficenza , la virtù sarebbe solo riposta
nell’ uso de’ metalli , ed il non ricco non potrebb’ 'essere giammai Virtuoso .
La virtù , nel sistema di Diogene, non doveva essere Un fantasma dell’
immaginazione , un’ astrazione per alimenta- re le dispute de’ Moralisti; ma
bensì il partaggio dell’ Umanità» il vero sistema della beneficenza universale
• Se la virtù è nell’ azione , e quest* azione dev’ essere facile , equabile ,
pronta * Diogene voleva render l’uomo libero dagli inutili ceppi fabbri- cati a
se stesso, per renderlo attivo , benefico , virtuoso . Uno aguardo anche
passaggiero su la Morale esistente prova la ve- rità e la profondità delle
Ciniche osservazioni Qual era diuresi Ja serie ragionata e conseguente delle
idee morali di Diogene ? Temperanza , indipendenza , libertà , tran- quillità ,
beneficenza ; virtù tutte nascenti 1’ una dall’ altra • tutte conducenti per la
più agevole strada alla meta della Morale • La Vita di Diogene non ismentì i di
lui principj . Egli visse libero , tranquillo e contento , cioè virtuoso e
felice . Apostolo della vtréi e della virtù , egli non fece che predicarle . Un
Re «d un llot^ erano eguali agli occhi di lui : la verità e la virtù fa- .
Digitized by Google $*4 xxvii $4*
ess<se-e»eoes>eoe^oe<==yat=sor=>oot=r»-sot=xì eeyecaìtjesa faceva
egualmente il loro bisogno . Diogene rispettava le leg- gi e la pubblica
Autorità da vero Filosofo , cioè , approvan- do quelle che erano dirette al
pubblico bene , ed indiziando quelle che mancavano di questo fine . Venerava la
Religione ; ma ne abominava l’ intolleranza e l’ abuso , che conduce sem- pre
alia superstizione. Rideva di quei tanti Impostori, che anche ia q-v «empi
sotto vario manto e varie regole dividevansi il culto e le sostanze de’ divoti
. Si vuole che dissuadesse e disap- provasse il vincolo conjugale ; ma come
fargliene un delitto ? Che altro vedeva egli nelle Società de’ suoi tempi che
la trista alternativa di nobili , e plebei , di ricchi e miserabili , di ti-
ranni e di schiavi ? Un Filosofo non può amare la moltip li- catione e la
riproduzione di queste razze degenerate dallo sta- to pteseritto loro dalla
Natura. Diogene non morì, come Socrate, martire della Verità e della Virtù :
egli ritornò nel seno della Natura così spontaneamente come n’ era uscito . La
distruzione e la riproduzione dei corpi organizzati è nelle sue immutabili e
costami leggi , che non «paventano il Filosofo , il contemplatore della Natura
, l’ amico della Ragione. La vita di Diogene rettificata da una etilica
imparziale c» mostra un modello di vera vita virtuosa in tutte le circostanze e
situazioni . Non fu dunque nè per giuoco , nè per gloria per vanità che il
Grimaldi imprese a dettagliarne le azioni e la dottrina , ma per rendere un
giusto tributo a quel Filosofo cui ayeva cercato d’ imitare > o per
partecipare al pubblico un vero D a fiJCh , nè Digitized by Google
xxvm ^
tJtis»oe«cM»eé<Jsae«^Qee=»oeH=>ee^eg=aem^->gceg»oogrg>r'e)gac
modello di filosofica virtù. Egli si dichiara in più luoghi della sua Opera ,
che Io stato attuale delle Società non comportereb- be una vita esteriore come
quella di Diogene propone come un modello, al quale quanto più l’uomo
s’accosta., più s’avvicina alla perfezione . Non altrimenti fece Grimaldi . Le
virtù di Diogene furono le sue. Ne chiamo in testimonio gli amici, che lo anno
veduto in tutti i punti della sua vita . La tempe- ranza de’ suoi desideri , la
tranquillità dell’ animo suo , la veri- tà e la sincerità de’ suoi sentimenti ,
la libertà del suo spirito , il coraggio e l’ amore per la verità , la
tolleranza de’mali , 1’ ar- mor della Pubblica Beneficenza , il sentimento
costante de' do- veri, e tutto condito ed addolcito da una sensibilità
purificata, lo resero rispettabile come Diogene , ma più amabile , perchè seppe
combinare i principj e 1’ uso della Virtù, con tutta la de- cenza della vita
sociale, e coll'esercizio di quelle funzioni e do- veri, che formavano la sua
civile esistenza Riflessioni so- FOn sono certamente le idee astratte e le
sublimi nozioni, pra rInegua- glianza. che possono far meritare il. titolo
rispettabile di Filoso- fa . Se la virtù non è posta in azione , se le grandi
idee non diventano di qualche uso , se la fiaccola s’ asconde sotto il moggio ,
non solo si è in colpa , ma si è reo di lesa umanità. colpa che meriterebbe
maggior castigo chel disprezzo e i’obblio. Sentiva Grimaldi nel più vivo
dell’animo questa verità, e per- ciò veggiamo come la sua vita fu ima continua
serie di me- ditazioni e d’azioni tutte coordinate allo stesso fine di
migliorar se . ; ma che egli lo Digitized by Google .- 4*4 xxix £4*
se stesso , e di essere utile agli altri Quindi i suoi non inter- . rotti srudj
e le continue meditazioni lo condussero alle più estese cognizioni e alle più
utili che si possano acquistare Or quando lo spirito è abbondantemente nudrito
d’ idee e di cognizioni varie, quando è gu lungamente abituato al difficile
esercizio di molti e conseguenti raziocinj , quando codesti sono specialmente
diretti verso qualche oggetto particolare , che per- ciò divicu dominante :
l’animo prova una certa inquietezza e quasi un’ oppressione da questa folla di
pensieri , e par che sia costretto a liberarsene . Chiunque ha scritto sopra
qualche og- getto particolare e lungamente meditato , ha dovuto provare in se
questo sentimento penoso . Quindi la volgare espressione dà chiamare le opere
parti dello tpirin , non manca di una ve- rità nella sua origine;- ma non tutti
i parti sono regolari . Ho indicato antecedentemente la predilezione che il
Grimaldi ebbe sempre per le idee morali , e la facilità che aveva di ri-
chiamarle ai principi pid sublimi, e di renderle più attive e fe- conde : ma
dopo d’avere per più lungo tempo estese le sue ap- plicazioni su tali oggetti
li vide in tutta 1’ ampiezza della qua- le sono capaci , e fra tanti fenomeni
Morali che presenta la So- cìtà , fu specialmente colpito da quello , che
stende il suo do- minio su tutti i punti dall’ esistenza , dico della Morale
Ine guagliania A tutti sono note le riflessioni che l’ eloquente Gian-^iacomo
portò su questo punto; ma la ragione trasportata dall’entusias- mo lasciò de’
gran ruoti fra le idee principali , balzò agl! estro- ., 44 xxx
>4» estremi obbliando le idee intermedie e necessarie, guardò 1' og- getto lateralmente
> e quindi fra molte vere e nobili osservazio- ni ci presentò de’ paradossi
in luogo di tranquilli ragionamenti ed utili risultati . Vide intanto il
Grimaldi di quale utile fosse il ritornare solidamente a quest’ oggetto >
che è quasi la base del- la Morale e della Politica . Prescélse quindi un
campestre ed isolato soggiorno ; e lungi da ogni distrazione , irapenetrabile
anche agli amici ed alla famiglia , concentrato lo spirito in que- sta idea
principale , impetrava dalla Natura la rivelazione delle verità più utili all’
uomo . In codesto stato egli delineò il piano delle sue Riflessioni sopra
VIneguaglianza tra gli uomi- ni (<*) Le sue prime considerazioni gli
scoprirono , che la base dell* Ineguaglianza è nella Natura . L* Ineguaglianza
Fisica la generatrice delle altre: è dunque legata ad un ordine: è per
conseguenza una legge immutabile ed eterna . Le stesse ricerche preliminari,
che fa su questo punto, portano f espresso carattere della novità . Colla più
seria attenzione poi assottiglia il suo Sguardo per penetrare nei più
complicati recessi di quest’ Esse- re sublimemente organizzato , che si chiama
Uomo - I più te- nui rapporti non sono negletti; e combina una maravigliosa
mol- tiplichi di cognizioni per farsi strada all’ oggetto . La Fisica la
Fisiologia , la Storia Naturale , quella particolare dell’ uomo 00 In Napoli
1779-80. è perciò e del- Digitized b’y Google 44 xxxi h» e delle
Società , tutto è da esso ordinatamente richiamato a dare il risultato , che si
era proposto , cioè , a far conoscere 1* essenza reale di questo composto
meraviglioso. Incominciando dal punto principale , cioè, dall’ Ineguaglian- za
generale degli esseri organizzati , passa all’ esame particolare della
Ineguaglianza che nasce dalla diversa destinazione degl'ìnr dividui della
stessa specie . Osserva , che la differenza sessuale si va distinguendo a poco
a poco dagli esseri più semplici 9 meno complicati fino ai più composti e
perfetti . Che questa differenza porta per necessiti di natura una
Ineguaglianza di- stintissima nel temperamento, nella forza , nel carattere ,
nelle passioni , ed in tutto ciò che si chiama meccanismo e sensi-* biliti.
......, _tv-:• ' Si trattiene poi ad osservare la dissomiglianza in ge^qfgjp»
degli esseri organizzati; e riducendo questo paragonerai ferenza che vf ha fra
IV m+eeanlSrtto delTwnno <fJ»!f$..rR|ljl'* altri corpi organici ', rileva
qual sia l’essenza fisica pbitós’' aefc. la spezie umana • Si apre quindi la
strada ad esaminéft * geograficamente le differenze, e quindi 1’ Ineguag(^|5-
de’ P|po- li e delle Nazioni. Egli scorre con abbondante." -ed
adatyy^fcrvp. . dizione la superficie tutta del Globo , indicando le cagioni
pria- cipali e le concause , che rendono gli esseri delIiL stessa specie tanto
dissimili gli uni dagli altri , e come questa dissomigliati? za fìsica porti
nel tempo la morale . Ha riflettuto e dimostra^', che la sola differenza di
climi non poteva-produrre questo tv* levantissimo effetto, ma che la situazione
locale, la quali$ -delP^- ’-;' ’,aria , , . * • Digitized by Google
xxxii >4 •ria > le maniere diverse di vivere , di nudrirsi , d'
abiure vi concorrono necessariamente , e sono forse cause ed effetti nel tempo
stesso . La Natura ha prescritto dappertutto la legge dell* Ineguaglianza . Gli
uomini sono ineguali, come le piante della •tessa spezie in diverso dima ed in
diverso suolo, e come diffe- renti sqno ancora gli alberi della stessa selva .
Le cagioni sono qualche volta impercettibili, ma gli effetti ne manifestano
resi- stenza . Da questa Ineguaglianza più apparente , par che divenga una
Conseguenza necessaria quella della Sensibilità . Nel tempo ster- eo che 1’
Autore sbandisce la Metafisica delle Scuole , tratta i più malagevoli e spinosi
punti della Psicologia , e combattendo ora i sistemi ora le ipotesi e le
sottigliezze , si fa strada alla Realità , . Per una lunga serie di
osservazioni egli gradatamente giunge a stabilire ; Chi la sensibilità negli
esseri organici siegue i gradi dfl loro meccanismo ; e che la differenza che vi
è fra il tertiro dell' uomo e quello degli altri animali cossituisce la ca-
-tatteristica essenziale della nostra seusibiihd paragonata colla ion • • / Che
che ne sia della sensibilità assolutaci sonode’corpi più « meno conduttori , ma
il più d’ ogni altro è 1* uomo . L’ esame particolare degli organi de’ nostri
sensi , paragonati con quelli degli altri esseri sensibili, ne compruova
maggiormente 1' assun- to , che anche più resta dilucidato colla dichiarazione
di ciò -che si chiama Senso interno , punto centrale della sensibilità e *. *he
par che segua la gradazione dd meccanismo e della sen- sibi- * Digitized by
Google . xxxili >4* eoofesamjwegWBesaoexeBui-^BeSeeeaeeeaaetja
sibiliti istessa . Ciocché 1’ Autore ha ridotto nel cap. V. della prima Parte
basterebbe per fare un’Opera illustre. L’esame che egli fa della sensibilità ,
riducendola quasi agli elementi primitivi che la formano e la generano ,
dimostra che essa non può essere eguale fra gli uomini ; e rileva la dispia-»
cevole verità , che il tuono fondamentale della sensibilità è il dolore :
tristo partaggio di quest’ essere , di cui divien prin- cipio di moto , e di
sviluppo d’ attività in tutu 1’ esten- sione . 1 Alla sensibilità sicgue ì*
intelligenza come l’effetto alla causa e che per conseguenza deve portar 1*
istesso carattere della sua genitrice. Questa è forse l' Ineguaglianza la piò
espressa fra gli uomini ; ma a dir vero la meno fastidiosa . I piaceri dell’
intel- ligenza sublime non s’ acquistano forse che alle spese dell' esi- stenza
e della vita. Ne fu un esempio funesto il nostro Gri- maldi medesimo Dalla
sensibilità e dall’ intelligenza risultano le passioni e no portano il
carattere . Chi non ne vede continuamente l' Inegua- glianza? Due illustri
Moralisti Francesi , due nomi immortali per i progressi dalla Filosofia ,
Montesquieu ed Helvetius , so- stennero le cause uniche delle differenze
generali fra gli uomi- ni , 1’ uno rapportando tutto alle cause fisiche , 1’
altro alle morali ; ma 1' amor del Sistema nascose alla loro vista la chia- ra
verità che rivela la Natura. Se la sensibilità e 1’ intelligenza fanno nascere
le passioni sono queste che determinano la volontà. Tutto dunque è Ine- E gua-
Digitized by.Google . xxxiv eoaeejeBeaseesaeesoeeBeeaaeaoiyaeo
>aiicjaL<ju< quagliatila ; dai primi composti fisici fino ai più
sublimi risul- tati morali, tutto siegue questa legge eterna ed inevitabile
della llatura . Lo stato d Ineguaglianza morale, cioè dell' uomo come essere
pensante, è estesamente sviluppato nel secondo Tomo di codest’ Opera, dimostrandovisi
che questa Ineguaglianza è in ragion composta delle facoltà intellettuali
dipendenti dai meccanismo particolare degl' individui, e dalle cause esteriori
, che più o meno si combinano o si coordinano a svilupparla. L’ Uomo è in
relazione con tutti gli esseri che lo circonda- no . Ogni sensazione o
piacevole o dolorosa fa una parte della sua vita o della sua esistenza ; e
questo è nell’ ordine eterno della Natura , perchè i rapporti degli oggetti fra
di essi e con f Uomo sono figli di quella Essenza delle cose , che forse la
Natura ci ha velata per sempre ; ma sono quindi necessari co- me la loro stessa
esistenza. , La sensibilità è il mezzo che lega V uomo agli altri esseri :
Questa facoltà che si estende, si nobilita, si sublima , à dun- que varj gradi
relativi a se stessa ed agli effetti che la percuo- tono . Quindi la diversità
de’ bisogni e quindi delle percezioni » delle idee c dei sentimenti, che colle
necessarie attenzioni svi- luppano le intellettuali facoltà . Ora essendo
riconosciuta 1 ine- guaglianza della sensibilità dipendente dalla differenza
del parti- colar meccanismo , zie siegue necessariamente , che le impressio- ni
degli oggetti esteriori non sieno neppur simili ed eguali ne- gli individui .
Ed ecco come la diversità di bisogni e di desi- deri , ' Digitized by
Google . xxxv derj, che forma l' ineguaglianza morale fra gli
uomini contemporaneamente questo principio d’ineguaglianza nella Na- tura
stessa , cioè , nei bisogni relativi alla sensibilità di ciascun individuo . Chiunque
non vede altro nell’ Uomo in ultima analisi che il Sentimento e V Espressione
ravviserà in un colpo la ve- , rità di fatto delle idee dell' Autpre .
Stabiliti tali principi , egli rileva primamente colle più giuste osservazioni
che 1 indicazione dell’ Uomo Naturale è un’ inven- zione gratuita ed erronea è
sempre lo stesso, e allorché diversifica per le circostanze, sono anche codeste
naturali , cioè, nell’ordine della Natura che l’Uo- ; raononàuncaratterease,
maquellocheè loèperlasi- tuazione relativa alle circostanze giacché in esso vi
è altro ,, che la sensibilità modificabile dalle cahse esterne , e circoscrit-
ta dalla forza del meccanismo di ciascun individuo. Che quia- di Io stato
morale di ciascun individuo i relativo alle circo- stanze sociali combinate con
quelle , che sorgono dalla propria sensibilità Con questi principj si apre la
strada all’ esame morale deU’ uomo . Egli lo sottopone all’ esperienza , non
come un semplice Fisico farebbe, ma come il Chimico più esperto e sensato,
sottopo- nendolo all’ operazione di diversi agenti , analizzandolo , ricom-
ponendolo , e combinandolo , per vedere in quale stato possa dare più felici
risultati , risultati che caratterizzino la differenza e 1’ Ineguaglianza
morale degli uomini e delle Società . L’ Uomo solitario è 1’ oggetto di queste
sperienze esposto alla E a sciti— dei Filosofi ; perchè l’uomo per Natura ,
stabilisce Digitized by Google XXXVI
ocsfleesaoejeeoooeaooesocsocBooeaooeaoee'Mtoo semplice vista ; ma nella Società
egli è messo ad un vero ci- mento, giacché ivi siscuoprono i varj gradi di
rapporti, di affi- nità, di coesione Scc. su i quali si può misurare la sua
moralità. Dopo d’ aver considerato che i rapporti dell’ Uomo solitario sono
quasi negativi giacché sente appena i bisogni d’una sus- , sistenza che non
conosce , per passare a considerarlo nello sta- to <Ii Società, riflette
primamente , che la sociabilità è un» qua- lità essenziale dell' uomo ; cosa
dimostrabile per ragionamenti se non fosse una verità comune , continua e
coesistente colla stessa Umanità. Le Società anno intanto diversi gradi alla
per- fezione . Il minimo par che lo conosciamo : ma il massimo , se vi può
essere per 1’ uomo , sarà riserbato ad epoche più felici . Ma come tutti questi
immaginabili gradi di perfettibilità sociale mettono i componenti in 'rapporti
e circostanze diverse , cosi la sensibilità e la morale saranno del pari
differenti . Gli uomini posti vicino alle catastrofi del Globo dovettero avere
de’ senti- menti proprj ad essi , che nelle prime società di famiglia dovet-
tero provare cangiamento ed alterazione . Lo stesso dovè acca- dere quando le
famiglie cominciarono a moltiplicarsi , e la gran selva della Terra a popolarsi
di selvaggi , e poi per successivi e varj gradi prevenire allo stato di
barbarie ancor molto esteso e vergognoso per la specie . Tutti questi lenti
passi dell’ umana perfettibilità sono partico- larmente osservati dall'Autore ,
sempre riportando tutto ai suoi principi , e facendo vedere come naturalmente
ne discendano . La gradazione de* bisogni porta quella delle idee e de’
rapporti, dal- Digitized by Google xxxvir .1 KiueBeteaaoeaeoeeaaoc
^>3frC-»o ccS3g>uce:!>o ysra& dell affinamento della sensibilità ,
dello sviluppo delle facoltà in- tellettuali. dell attività dello spirito, e
finalmente della riflessio- ne . figlia necessaria di quell'olio , che
susseguendo ai bisogni soddisfatti > ne vede o immagina gradatamente de'
nuovi . In qnesy varj stati, per i quali passa 1' uomo, egli (à vedere come
nascano l' indipendenza e la libertà , come si alterino e si per- dano, e come
i sentimenti morali cangino d’aspetto al cambiarsi dei rapporti e delle
circostanze. In somma egli fa la Storia mo- rale della specie , se non
comprovata da documenti che devono mancare , almeno qual doveva essere per necessità
di Natura- Scorsa cosi la Storia oscura dell Umanità, dove sempre l' Ine-
guaglianza domina e campeggia , perviene finalmente allo stato di luce , all’
epoca della Società civilizzata ed ingentilita . E’ permesso al Poeta ed all'
Uomo fortemente appassionato di riso- spirare le selve al centro del vortice
sodale , come è loro per- messo di evocar le Ombre e le Furie , che io guidino
nel per- petuo albergo dell’obblio . Ma il tranquillo Filosofo , compassio-
nando gli eccessi della sensibilità e della immaginazione, richia- ma 1’ uomo
ai suoi doveri rimostrandogli le beneficenze della vita sociale • Quando si
considerano le Società civilizzate , e la perfettibilità della quale sono
capaci , bisogna aver lo spirito falso per abborrirle , o per preferire ad esse
uno stato naturale, che non esistè giammai in Natura. Nelle Società solamente
si svi* luppano le facoltà morali ed intellettuali deli* Uomo : è dunque in
esse che si purifica o si perfeziona la specie. Diogene vole- va ravvicinar 1'
Uomo alla Natura , non col degradarlo mino- rando XXXVIII H* »ando
la sua esistenza , ma colla virtù accrescendola e miglio- randola ; e questa
non è anch’ essa il più nobile ramo dell al- bero sociale ? E’ vero che nella
Società si sviluppa e manifesta maggiormen- te 1’ inegu3gliania morale ; ma in
che altro consiste essa che nei gradi di miglioramento del carattere e dei
sentimenti degl individui ! E se anche le circostanze sociali portano delle
catti- ve abitudini, che altrimenti non esisterebbero, codeste sono mo- derate
e ritenute dalle leggi conservatrici . Ma questo rientra nell’esame dell’
ineguaglianza politica, che 6 1‘ oggetto della Ter- za Parte. Qual infinita
differenza fra 1 selvaggio e 1 uomo civile ! E' la crisalide trasformata in
farfalla . Questa metamorfosi , eh’ è un miracolo agli occhi volgari , non è
che un naturale svilup- po a quelli dell' attento Naturalista . Tale è 1’ uomo
sodale per chi medita la Natura umana . Ma qual differenza ancora nel seno
stesso della Società ! Nel massimo della civilitazione si trova spesso lo
stolto selvaggio ed il barbaro feroce , 1’ uomo di genio e lo stupido , il
virtuoso Filosofo , 1 imbecille supersti- zioso , 1‘ opulenza ed i cenci ; il
Frate ed il Militare esistono nella stessa società e sotto lo stesso Governo. Ma
fra i Governi ancora quai triste differenze ? "Lo stupido Despota da un
trono invisibile sacrifica milioni di schiavi ; mentre un Rè vive da amico col
popolo che lo adora . Un Senato Aristocratico a pas- si lenti e regolari
calpesta un popolo che crede degradato per Natura , e che lo è spesso per
sentimento ; mentre una Demo- cra- Digitized by Google crazia ,
sragionando quasi sempre nelle sue risoluzioni opprime , , «M-xxxix h*
sooooeaaecaje e tiranneggia gli altri popoli che le appartengono La tumultua- .
ria libertà è al centro- la schiavitù , e l’ oppressione alle circon- ferenze .
Che strani misti ancora possono sostenersi , senza un contrasto di forze
resistenti l E quali specie di sentimenti nascono ancora sotto queste varia- te
forme! L opinione sostenuta tà il vessillo dei ineguaglianza; e le leggi,
sempre deboli contro • quella dominatrice dell’ Universo, la vedono spesso lor
malgrado de' varj Governi , che non dal potere innalbera in mezzo alla Socie-
trionfare. Ognuno si sforza per avvicinarsi revole; e se tutti gli sforzi non
sono egualmente felici, cosi non- dimeno si scuote l’inerzia fondamentale
dell'Uomo , così esso di’ viene un essere attivo, così si sublima a un grado
superiore a tutti gli altri esseri senzienti . Le circostanze che s' incontrano
, ael corso della vita, determinano gli uomini diversamente in ra- gione della
loro sensibilità ; e quindi nella riunione delle azioni . formano un tutto, non
di parti similari, ma differenti e dissimi- li , che fermentando
necessariamente rigenerano il moto e danno origine a nuove trasformazioni Senza
l’ineguaglianza le Società non sussisterebbero. Non posso» no codeste
distruggerla, ma non per questo essa porta un caratte- re intrinseco di male: e
quando siam persuasi che le idee mo- rali sono tutte relative , e che esse
traggono la loro sorgente dai rapporti immediati dell'uomo, ci bisogna esser
conseguenti iti riconoscere il bene che fa la Società col moderare e rintuzza-
, a quell' insegna favo- .,. 4*4 XL te i disgustosi eccessi dell’
ineguaglianza che viene dalla Natu- ra . Nelle Società sono nate le leggi
protettrici della de- bolezza e direttrici della forza e della Ragione ; e se
le Società non danno sempre quegli effetti che dovrebbero per loro natu- ra,
non parmi che sia per intimo difetto della cosa, ma della Na- tura umana finora
incapace d’ un sublime grado di perfezione Se nondimeno la ragione , la
sperienza e la Storia ci mostrano, che 1' uomo in società è sempre determinato
dalle cagioni e dalle circostanze ; e che queste sono in gran parte in mano del
Legislatore e del Governo , basta far nascere queste circostanze, per far
prendere agl’individui quella determinazione , eh è più atta fare la loro
felicità relativa • Alfonso 1. amò le lettere , fu !’ amico de' valentuomini ,
li premiò , li onorò, e durarono iìno al tempo de’ suoi brevi successori La
legislazione moderna d'Europa manca ancora dima parte, cioè, del premio alla
virtù. Quindi ritieguaglianza divien più do- lorosa , e le leggi non
communicano un moto sufficiente verso la Beneficenza . Chi a caso s' avvia per
questa strada , vi si vede quasi isolato; e non potendo giugnere all’insegna
dell’opi- nione per la gran folla pervenutavi per istrade più brevi, si con-
tenta d’ un piccolo tugurio su la via percorsa , e colà vive da Eremita Bisogna
assolutamente leggere i tre uhimi Capitoli della Parte Terza, per avere le più
giuste e vere idee della Legge di Natu- ra , del Dritto delle Genti e del
Civile . J principj fattizj d’ al- cuniFilosofivisonomodestamenteesaminati,
colmostrareche essi Digitized by Google •M XLI essi non s’ adattano
all’ uso dell’ umanità , e per conseguenza non sono tratti da quei rapporti
coesistenti colla specie , e che non si cangiano , che nei diversi punti della
naturale progres- sione . Le prime leggi di Natura sono comprese nella teoria
della sensibilità tanto bene sviluppata dall'Autore. Tutti i drit* ti
dell'uomo, in qualunque stato, sono una emanazione di quella qualità inerente
alla sua esistenza , e su di essa si devono misurare . Quindi dimostra infine
che non bisogna giudicare delle azioni morali col rapportarle all’ idea di
utile , perchè sa- remo sempre ingiusti ; c clic I" archetipo al quale si
devono ri- ferire è la Giustizia , che vale a dire, T espressione perpetua ed
eterna della morale verità Ecco il secco scheletro d'un’ Opera pienissima ,
fatto solo col ravvicinare il più che per me si è potuto le idee principali
dell’ Autore relative al suo titolo , titolo che forse per sola mo- destia
volte Imporle ; poiché *i -parer mìo , è il più completo corso di naturale
Filosofia, essendo tratta dalla vera natura dell’ uomo , ed il più utile,
perchè applicabile a tutta la pratica del- la morale ed alla teoria della
Legislazione . Qual giustezza • qual vastità di spirito , qual’estensione di
cognizioni e quale su- blimità di genio abbiano avuto parte à quest’Opera non
può rile- varsi in un estratto. I Giornali d'Europa fecero eco in celebrar- la
: e questa e quella del Cavalier Filangieri, facendo molto ono- re alla Nazione
, eccitarono le più lusinghiere speranze di ve- der presto in un nuoyo Codice
gir'effetti di questi lumi e di ’ queh Digitized by Google ,. XLI1
quella libertà che non si scompagna giammai dalla Ragione e dalla Virtù . Una
tale Opera che sarebbe stata sufficiente per fare la cele- brità d'un uomo, che
poteva farne nascere delle altre utilissime, che non pecca d’ altro che d’
abbondanza d’ idee e profondità di pensieri , avrebbe dovuto fare riposare lo
spirito dell’ Autore , se avesse travagliato pel solo desiderio della Gloria .
Ma que- sto sentimento lo tormentava cosi poco , che non potè calma- re 1’
attività dello spirito sempre sollecito d; pensieri utili ed interessanti , e
lo diresse ad altr* oggetto , che doveva eterna- re la sua memoria colla
gratitudine della Nazione. Annali del TTL sentimento di Patria, soggetto ad
estinguersi sotto ‘1 di- Regno JlL, spotismo , ricomparisce nello spirito e nel
cuore sotto di- versi aspetti ne' Governi moderati. li desiderio della Gloria e
del Pubblico bene accompagna costantemente questo sentimento nel- ie anime ben
nate ; e ciascuno brama nel suo interno , che, la sua Nazione sia la più
rinomata e la più felice . La nostra Nazione è come una illustre antica
famiglia della quale si contano tanti -Eroi nella Storia e le cui glorie sono
coeve del tempo htcsso s ma ridotta in più povera fortuna ed umile stato ,
riclama solo per suo vanto le imprese c le gesta de’ suoi maggiori . Vide il
Grimaldi che nella folla de' nostri Storici Scrittori si era mancato sempre a
quella vista che l' ottimo Storico deve ave- re, 1' utile cioè dell'umanità e
della Nazione in particolare per la qua- Digitized by Google XLIII
ì* t<.gaeoaoe3ao(^i)oce9ae5uiryj<xs)3iitsatii3aae»ioi=>» quale si
scrive . Vide che uu nudo racconto di fatti non sareb- be stato che una inutile
rapsodia atta ad occupare il tempo degli oziosi e degli annojati. Vide che la
Storia non è altro , che la vita morale delle nazioni . Vide che i fatti che
formano il ma- • teriale d' ogni Storia, non sono che fenomeni, che devono
ave-* re delle cagioni . Vide finalmente che la Storia doveva essere d’ un
utile presente . Ecco ciocché gli fece nascere l’ idea di compilare gli Annali
del Regno . L’apparato delle difficolti da scoraggiare qualunque spirito non
fecero arretrare il suo. Quel vigore di sentimento e quella co- stanza ch'ei
portava in tutte le sue intraprese, lo accompagnaro- no similmente in questa
pur troppo malagevole e difficoltosa. Egl’ incominciò dalla Geografia, non col
far una secca no- menclatura o una nojosa discussione critica su i veri nomi a
situazioni delle antiche Città e popoli : ma col dare nettamente in risultato
quello che vi era di piò verificato e che più im- portava di sapere . Un
Filosofo vede con occhio differente da! Filologo gli antichi fatti ed i
superstiti monumenti. Così egli non si fermava sn i fatti isolati , ma
combinandoli e riducendoli li richiamava quasi a nuova vita , e per tal modo
con .molta fatica ci ha dato la Storia de’ tempi quasi del tutto ignoti alla
Storia, stessa. Egli ha descritto Io stato barbaro del Regno prima che le
Colonie d' oltremare venissero a civilizzarlo : à fatto vedere 1* azione
reciproca d qua.’ popoli fra loco. , e per effetto delle j varie leggi , 1'
avanzamento degli uni e la decadenza e di$tru-> ' zione degli altri; i
progressi della perfettibilità Fi non sociale j Inforza DìgiUzed by
Google LXIV teMPOeeOaaoaBoeeesoeieeaeBOiuo^eeaooo» non sempre
accompagnata dalle ricchezze : la popolazione o le coltura crescer col
commercio e colle arti e poi divenir preda d’altri popoli più guerrieri. Egli
discese fino alla particolarità di quelle costumanze che allora si chiamavano
Religione , feroce o lieta secondo lo stato e carattere della Nazione. Lo
stesso Go- verno economico e politico non è stato trascurato , mostrando come
questi popoli liberi e divisi sapessero poi formare un uni- tà ed una forza
concorde , che formasse di tanti voleri un so- lo, cioè , quella volontà
generale , che è la legge eterna delle Nazioni . Le arti , 1; agricoltura , le
Scienze anno anche meritato la sua particolare attenzione : e sebbene sembri
eh' abbia rab- bassati troppo i popoli Autottoni d Italia , pure chi considera:
attentamente, troverà, che si è egli voluto attenere più alla ve- rità Storica
, che alla vanità Nazionale In tutto fi corso di questa Storia la di lui penna
è sempre animata dal cuore. La tirannia , il vizio t la superstizione , che
entrano pur troppo spesso nella Storia dell’ uomo , sono mostri che non si
stanca mai di combattere , smascherandoli anche dove li uova coperti e velati ,
per far via più campeg- giare la vera gloria e la virtù, sempre rara nel corso
de’ secoli. La libertà , parola volgare , poco ancora intesa , dritto prezioso
dell’ uomo e più prezioso per la Società , è sempre rilevata dall’ animo del
vero Filosofo , che non può far a meno d’ amarla . ' Su questo gusto egli
tratta la Storia de’nostri progenitori . fin- ché essi e l’ Italia tutta non
perderotto la propria esistenza , per diventare nou sudditi ma schiavi di Roma.
U . . Digitized by Google . 4*^ XLV >4* la forma del Governo
cangia il carattere morale de popoli „ Niente di grande , niente di generoso
sema 1’ amor della Patria e sema il sentimento di libertà . Un lusso
distruggitore, il lan- guore dell’ inerzia , la schiavitù e la spopolazione
corteggiano sempre il dispotismo. E questo è il quadro degli antichi popoli
sotto l' Impero de’ Romani I Barbari distruggendo l’Italia la rigenerarono.
Essa non po- teva rinascere che dalle sue ceneri : ma con qual progresso lento
, con quali nuovi errori , con qual nuova strage deli* u- manità riprendesse
questo corso , tutto è attentamente rimarca- to dall' Autore , a cui nulla
sfugge di quanto deve far vergo- gnar 1' uomo delle sue pretensioni o
consolarlo ed istruirlo . Ma è inutile di parlare più oltre di quest’ Opera,
che è nelle mani & ogni onesto cd illuminato cittadino . E' stata vera
disgrazia della patria, che l’Autore sia rimasto a mezzo ’l corso della sua
vita e del più utile prodotto , che potesse dare alla Nazione. Ecco con quali
Opere Fr. A. G. rese immortale il suo nome. Ecco con quali mezzi cercò di
essere un utile e benefico cittadina Ecco quali titoli abbiamo di celebrare e
piangere la sua memoria. La di lui vita si può dire compresa tutta nelle Opere
sue , non solo perchè le idee nuove e sublimi fanno quasi 1’ apice dell’
esistenza d’ un uomo di lettere e d’ un vero Filosofo ; ma per- chè nelle di
lui Opere morali souo espresse e manifestate quelle idee, e que’ sentimenti
ch'egli esercitò in tutto il corso del suo vi- vere. Tuttavolta il mio cuore
sente ancora il bisogno di parlare, di qualche altra particolare circostanza.
Si Digitized by Google 4*4 xlvi >4» Si inno ordinariamente delle
strane idee s» la sensibilità del cuore umano . Si dispensa e prodiga spesso il
titolo di sensibi- le alle anime deboli o alterate , credendosi volgarmente che
la sensibilità non possa esser compagna della virtù e della ragione.
Bisognerebbe essere o stupido o affatto depravato per rimaner insensibile ai
più lusinghieri e naturali sentimenti; ma questi per essere conformi alla loro destinazione)
devono nascere da quella analogia d' idee , da quella uniformità di sentimenti
e da quel- ( la consensibilità di cuore) che formano la base armonica dell'
amore.-Se un uomo sensibile resta indeterminato a questo sen- timento , non è
certamente per mancanza di sensibilità fonda- mentale, ma dal non essersi
ancora incontrato con un cuore v che possa combaciarsi e quasi amalgamarsi col
suo . Rari in- contri , ma possibili, per consolazione della spezie tonio
Grimaldi fa abbastanza ragionevole e fortunato, per collo- care gli onesti
sentimenti del suo cuore in quello della Contessa tratteggiata dall'
espressione della virtù c dei doveri , era poi quasi alluminata Aurora Barnal
a. Una fisonomia felice, fortemente da più soavi e teneri sentimenti del cuore.
La dolcezza delle -sue maniere , la facilità della sua ragione il gusto per ,
laverità, la superiorità ai pregiudizj desiderj ( virtù rara nel sesso ) faceva
parere che fussero tras- fase nella di lei anima le virtù del suo compagno come
spesso , il disinteresse , e la temperanza dei , una maschile fisonomia ei
conosce in più delicato volto e pren- , de la morbidezza e ’l carattere del
sesso che investe- Con que- ste qualità fondamentali si potrebbe mai dubitare ,
se D. Auro- ra ! Francescan- Digitized by Google 4*4 XLVII H ra facesse
la feliciti della sua famiglia , se fosse la più teneri amica del marito , la
più saggia madre delle sue figliuole , la più atta all’incarico delle
domestiche cure ? Non si conosceva intera- mente F. A. G. sema conoscere ancora
qual donna egli s’ avesse assortita . Gli amici e confidenti di lui erano
egualmente j suoi Lo spirito di ragione e ’l gusto ch’essa portava su varj
oggetti, ne rendevano la compagnia egualmente piacevole ed interes- - sante .
la sua casa era quindi il punto di riunione di coloro che ai talenti
accoppiavano le Non è questo il luogo di fare il catalogo dei molti amici del
Grimaldi * tutti conosciuti per merito e per probità ; mi non posso trattenermi
dal ricordar colui la cui memoria dovrà esser mai sempre cara alla nostra
Nazione , dico d’Antonio Genovesi, padre e creatore de’ nostri ingegni Quell’
Uomo egualmente di . cuore benefico e di spirito sublime aveva assai punti di
rappor- to per esser stretto amico del giovine Grimaldi , che già in fre. sca
età dava non dubbj segni d’ esser destinato a divenirgli successore nella
pubblica stima , e nella celebrità » Grimaldi era un uomo che abbisognava
d'amare per istinto; sin- cero e semplice nelle sue maniere come ne’ suoi
sentimenti , il suo cuore non era chiuso nè dalla diffidenza nè dal disingan-
no . La libertà della- sua ragione non era mossa nè dallo spiri- tò di dispuu
nè dal gusto di primeggiare : ma aveva il giusto principio di richiamare tutte
le idee allo scopo dì qualche uti- lità morale . Con questa maniera di pensare
, oh quanto d’ inu- tile si trova negli usi ordinar) della vita ! Eppure essa
dà il meto- do p iù lodevoli qualità, del cuore- . * Digitized by
Google 4*4 xlviii >4* do più vantaggioso per giudicare del bene
reale delle cose e del- le azioni . I suoi più prediletti discorsi si
raggiravano su que- sto punto che tanto facilmente ricorre nelle Capitali .
dove la grandetta della scena è proporzionata alla moltitudine degli at- tori .
Così quest’ uomo nel tempo che si sottraeva alle necessa- rie applicazioni' non
si distraeya in inutili trattenimenti , ma in compagnia d’eletti amici rilevava
Io spirito con altre idee era-, gionamenti d’un utilità più ordinaria e
generale. Non solo i nazionali ma gli esteri ancora vollero avere il piacere
-di vedere dawicino quest’uomo illustre, e restavano sor- presi nel riconoscere
in una somma semplicità di maniere quel Filosofo , che in lontananza avevano
altrimenti immaginato. Egli però poco desideroso di essere conosciuto , niente
avida» di gloria letteraria , anzi pieno d’ una vera modestia che ac- cresceva
il di lui merito reale, evitava. le nuove conoscenze, e cercava di tenersi
chiuso eristretto fra’l numero di pochi amici, eh’ egli più che fraternamente
amava . Pareva che non esistes- se veramente fuori della sua famiglia . Cosa
rara nel seco- lo ! Le persone eccentriche ai sentimenti primitivi , che anno
bisogno d’uria esistenza adjettizia, che unicamente vivono in so- cietà
estranee ad essi, o dnno la disgrazia d’aver sonito circo- stanze infelici , o
non esistono che per 1’ ambizione e per la vanità . La prima morale comincia,
dai primi vincoli e rapporti che ci dà la Natura ; e chi non sente questi non
sentirà che in apparenza quelli della società che sono più lenti. Chi non trova
i germi delia sua felicità nella prima società naturale, potrà difficil- jncu-
Digitized by Google 44 XLIX
euere39ee»au(^>jeejeBg3eomjaoiie35e»^><- c»iwieeao «ente rinvenirli
altrove. Quindi egli menava il più che poteva la vita domestica , e poco si
estrinsecava , anche per non inde- bolire i vincoli del cuore , che si spossano
nelle troppo suddi- vise diramazioni . Non potè però celarsi allo sguardo di
chi lo cercava senza conoscerlo. 11 Generale Afton, desideroso d’avere al suo
fianco un uomo , che all’ estesa cognizione delle Leggi riunisse non ordinarj
talenti e le più preziose qualità del cuo- re, non altrove seppe porre il suo
giusto sguardo e fermar la sua scelta che sopra Grimaldi, già molto conosciuto
per nome e per i suoi libri in Europa. Egli lo rese noto alla Maestà del
Sovrano che sempre amante dc'talenti dc’suoi sudditie voglioso di ricono-
scerne il merito , fece che restasse impiegato nelia delicata cari- ca
d’-Assessore de’ suoi Reali Eserciti, avendolo poi in mira per altre situazioni
, dove più utilmente e più estesamente avrebbe impiegato la forza de’ suoi
talenti, e l’attività del suo cuore. Io non devo estendermi sii! dìsiiBpegno
particolare della sii* Carica . Pieno di talenti , della più vera rettitudine
di cuore , ed esercitato alla virtù chi potrebbe dubitare se ben l’esercitasse
è li Publico ne ha fatto l' Elogio, e lo ha fatto colle lagrime . Nel rimanente
della sua vita privata era lo stesso cogli estranei e co- gli amicj . Ignorò
sempre ciocché si chiama lingua e tuono del mondo , non essendo stato giammai
Cortigiano , nè potendo es- serlo pel suo carattere . La verità usciva nuda c
sincera dalla di lui bocca, e la espressione di essa gli era cosi naturale come
il sentimento» Mai ricercato o ingegnoso, non isforzava lo .spiri- to per mostrare
d’ averne , e le sue maniere non erano model- G late , Digitized" by
Google L eCJlMStysooe^fle^oe^e^nr^anp^sagsg^at x —v^' * s^ey— late
sul gusto o sulla moda , ma spontanee , cordiali e vere . , In tal guisa egli
faceva la delizia di chi aveva la fortuna d' essergli vicino. In questi ultimi
anni però era poco il tempo che poteva con- sacrare all’amicizia. Pieno di
sentimenti di dovere pel suo im- piego , ei s’ occupava in gran parte di quello
e compromesso ; col pubblico e con se stesso per l’Opera degli Annali,
travaglia- va e meditava assiduamente su quest’ oggetto a lui caro . Ru- bava
le ore- necessarie al rinfranca delle perdite giornaliere della macchina per
soddisfare alle intense brame del suo spirito . Ma questa combinazione
eccessiva di fatiche alterò non poco la sua robusta e valida costituzione* Gli
accessi del male che soffrì più volte , furono tanto ferali, che minacciarono
la sua esistenza : ma fatto più per abbandonare se stesso, che disposto a
trascurare in menoma parte i suoi doveri, non si diede mai un serio pansiere
della propria conservazione. La sofferenza che si aveva acquistata per i mali
fisici passava qualche volta in neghittosa noncuranza, nè voleva ricordarsi
della pur troppo stretu dipendenza del no- stro essere dallo stato delf
organizazioue . Le rimostranze che gli si facevano per questo , erano
sufficienti per disturbarlo ; e se qualche volta si ridusse per le amicali
violenze a temperare alquanto le sue applicazioni, e a prendere qualche cura
della sua esistenza , ad ogni piccolo miglioramento ritornava inconta- nente ai
modi usasi . senza badare , quanto la machina, indebo- lita prende con faciliti
le cattive abitudini , che ne portano 1* distruzione .Ma V intemperanza nelle
applicazioni dello spirito,'. è sta- Digitized by Google +Ì LI H* è
stata in ogni tempo il difetto comune ai grandi e sublimi ta- lenti. In questo
stato d’ assidue fatiche e di spossatezza , un colpo terribile gli fece
risentire la catastrofe , che nel disastro della Calabria involse anche il
luogo della sua nascita . Quel giorno di lutto comune della Nazione fu
terribile per lui, che colla ma- dre perde cinque altri individui della sua
virtuosa famìglia . La ragione non à fòrza di consolare il cuore destinato a
sentire e non ad essere comandato.; e In inaura»*»»*»»» dell» sensibilità so-
no le più distruttive di questa nostra tenue e troppo complica- ta
organizzazione • In mezzo al più vivo dolore il Grimaldi non diede soltanto
sterili lagrime alla Patria . Egli per Sovrano com- mando fu il primo descrittore
di quella fatale sventura , il pri- mo a suggerire le necessarie viste d’una
ben intesa beneficen- za , ed a sollecitare la sensibilità, del Trono per
conservare gli avanzi di quel popolo infelice. Dalle di lui carte ne nacquero
altre molte , che forse quanto inno di esattezza Io devono s quelle , eh’ egli
per sua modestia non volle publicare Ma forse nè per quel violento attacco di
sensibilità, nè in con- seguenza delle nuove fatiche l’ arressimo immaturamente
pianto, S® il più terribile e fatai colpo non l’avesse sopraffatto in questo
sta'to di salute indebolita . Egli vedeva da più tempo la diletta compagna del
suo cuore, in età giovane ancora, perdere quell* espressione.ti «alm*. r:
-1—lietaunafisonomia. Tutte le attenzioni che trascurava per se medesimo, volle
che fos- sero moltiplicate per lo sospirato ristabilimento della sua consorte
Ci . •0 Qigìtized by GoogleJ "1 4*i LII >4. td amica-
L’insinuante qualità del male , che già della di lei tersotia si era
impadronita, dava luogo a frequenti alternative di speranze e di timori: ferite
mortali nell'animo di chi ama . Chi è stato anche solo spettatore in si fatti
casi conosce in qua- le stato d’ orgasmo sia un cuore sensibile, ed a quali
lacerazioni sia in necessità di soggiacere . Il male che nel corso di circa due
anni distrusse la vita d’ Aurora Darnaba , fece anche crol- lare quella cfel
suo illustre consorte . Le anime sensibili e non infelici nel sacro nodo
ronjugale possono forse sole immaginare qual profonda acerbissima ferita dovè
farsi nel cuore superstite . Gli amici , che gli erano d’ in- torno, vedevano
espressa su la di lui costretta fisonomia l’ im- mensità del dolore e P
indifferenza alla vita . Il solo amor pa- terno poteva ancora rendergli non
odiosa 1' esistenza ; ma la macchina non resiste alla gravezza de’ mali
dell'animo . ed O T una o 1’ altro deve soccombere. Gl’incomodi, che prima
Pavé- vano travagliato ad intervalli, divennero continui; le medele a- vevano
perduto la loro attività; la macchina ora indebolita a se- gno , che un colpo
solo tolse la più preziosa esistenza per 1‘ a- micizia e per la virtù • La
perdita del Pubblico e degli amici è irreparabile ; ma le cinque nobili ed
afflitte pupille ànno trovato nei cuori di Fer- dinando E Carolina la
sensibilità e P affetto dei loro Geni- tori - Possa «ampie hi BemeficenT» far
I’ Elogio de’ nostri adora- bili Sovrani ! Questa è la vera riconoscenza eh’
essi possono testimoniare alle ceneri dell’ Illustre Cittadino , come queste
pO- Digitized by Google un >4* poche pagine e questi sentimenti
sono dopo le lagrime l' uniccr omaggio , che 1’ amicizia poteva consacrare ALLA
MEMORIA ETERNA DI FRANCESCO ANTONIO GRIMALDI; v. A. XLU. M. IXFrancesco Antonio
Grimaldi. Francesc’Antonio Grimaldi. Francescantonio Grimaldi. Marchese Grimaldi
dei signori di Messimeri. Keywords: compassione, la compassione, Romolo bruto. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Grimaldi: implicatura ed inter-azione” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691180351/in/photolist-2mQHpXE-2mPpb7N-2mKC3nj-2mKLP2r-2mKRy6y-2mPHbXQ-nSmehQ-mujkJt-muiPJa-muiFjz-mukwpq-mujmJz-mujhJF-mujo6x-mujjcR
Grice e
Gruppi – la via italiana al socialismo – filosofia italiana – Luigi
Speranza -- (Torino). Filosofo. Grice: “Gruppi is an Italian philosopher; at
Oxford, someone who writes only on politics is not considered usually one!” -- Il
concetto di egemonia in Gramsci Incipit Antonio Gramsci è senza alcun dubbio
quello che, tra i teorici del marxismo, ha maggiormente insistito sul concetto
di egemonia; e lo ha fatto in modo particolare richiamandosi a Lenin. Anzi,
direi che, se vogliamo vedere il punto di contatto più costante, più scavato,
di Gramsci con Lenin, questo mi pare essere il concetto di egemonia. L'egemonia
è il punto di approccio di Gramsci con Lenin.
Citazioni La scienza si ha quando si supera il dato immediato, l'apparenza;
si ha con un salto dialettico. In tutte le analisi che Gramsci conduce, io
trovo la presenza di un filo rosso che le guida, presente in tutti i Quaderni. Luciano
Gruppi, Il concetto di egemonia in Gramsci, Riuniti, Roma. Gramsci è
senza dubbio quello che allaccia, se così si può dire, congiunge il movimento
operaio italiano agli insegnamenti di Lenin, è giustamente il primo bolscevico
italiano, come disse Togliatti, il primo leniniano del nostro Paese. Attraverso
un processo che fu complicato e che parte dalla sua comprensione non completa,
ma sostanzialmente giusta del valore della rivoluzione d'Ottobre, arriva ad
affermare che la rivoluzione d'Ottobre è una rivoluzione contro Il Capitale di
Carlo Marx, cioè contro un'interpretazione meccanica, schematica del Capitale,
secondo cui bisognava aspettare lo sviluppo delle forze produttive del
capitalismo, ecc. ecc. Già coglie l'importanza dell'elemento soggettivo, della
funzione del partito come guida dei processi rivoluzionari. Gramsci
sempre più si avvicina ad una comprensione del pensiero di Lenin con un
processo che va dal '19 sino al '25-26 e che anche nei Quaderni del carcere è
un approfondimento del pensiero di Lenin. Gramsci si aggancia
direttamente al concetto di dittatura del proletariato come si trova in Lenin,
individuando nella dittatura del proletariato, non solo un profondo mutamento
della struttura economica e politica del paese, ma una profonda rivoluzione
culturale, una profonda trasformazione del modo di pensare degli uomini non
solo in Russia, ma in tutto il mondo. Il pensiero degli uomini non può più
essere la stessa cosa dopo l'instaurazione della dittatura del proletariato in
Russia. La dittatura non è soltanto un fatto politico, ma di cultura e di
pensiero, secondo quello stretto nesso che Gramsci stabilisce tra politica e
filosofia affermando che la filosofia vera di ciascuno sta nel suo modo di
agire, sta nella sua politica più che nelle dichiarazioni teoriche. Da questo
egli ricava che il principio teorico-pratico dell' egemonia (e qui egemonia
significa dittatura del proletariato) ha anch'esso una portata gnoseologica,
cioè di conoscenza, e pertanto in questo campo è da ricercare l'apporto teorico
massimo di Lenin alla filosofia della prassi, cioè al marxismo. Lenin
avrebbe fatto progredire la filosofia come filosofia in quanto fece progredire
la dottrina e la pratica politica. C'è stretto nesso, quindi, tra i due
elementi. In un altro punto dei Quaderni dice: «Tutto è politico, anche
la filosofia o le filosofie. La sola filosofia è la storia in atto, cioè è la vita
stessa. In questo senso si può interpretare la tesi del proletariato tedesco
erede della filosofia classica tedesca, come aveva detto Engels, e si può
affermare che la teorizzazione e la realizzazione dell'egemonia fatta da Ilic
[Lenin], è stato anche un grande avvenimento metafisico, cioè nel senso di
pensiero generale, non nel senso negativo di filosofia astratta». Il
processo attraverso cui Gramsci nei Quaderni arriva a queste conclusioni è
complesso. Gramsci al tempo dell'Ordine nuovo, già nel '19, parte da una
riflessione sullo Stato che non è una riflessione sullo Stato in generale, ma
sullo Stato borghese italiano, una individuazione della sua specificità.
In un articolo dell'Ordine nuovo, del febbraio del '20, scrive: «Lo Stato
italiano che - secondo un parlamentare - starebbe alla repubblica dei Soviet
come la città all'orda barbarica, non ha mai neppure tentato di mascherare la
natura spietata della classe proprietaria. Si può dire che lo «Statuto
albertino» sia servito ad un solo fine preciso: a legare fortemente le sorti
della corona alle sorti della proprietà privata. I soli freni che funzionano
nella macchina statale per limitare gli arbitri del governo dei ministri del re
sono quelli che interessano la proprietà privata del capitale. Soltanto qui si
pongono limiti all'esercizio del potere per garantire la proprietà, la libera
iniziativa. Lo «Statuto albertino » non ha creato nessun istituto che
presidi almeno formalmente le grandi libertà dei cittadini: la libertà
individuale, la libertà di parola e di stampa, la libertà di associazione e di
riunione, mentre negli altri Stati democratico-borghesi almeno una garanzia,
almeno formale, esiste, in Italia non c'è neanche la garanzia formale.
Negli Stati capitalistici che si chiamano liberal-democratici l'istituto
massimo di presidio delle libertà popolari è il potere giudiziario. Nello Stato
italiano la giustizia non è un potere, è uno strumento del potere esecutivo, è
uno strumento della corona e della classe proprietaria, cioè è agli ordini del
ministro della Giustizia. Si pensi che ancor oggi la nomina del Pubblico
ministero avviene ad opera del ministro della giustizia. La direzione generale
delle carceri, le direzioni particolari, gli agenti della pubblica sicurezza,
tutto l'apparato repressivo dello Stato dipendono dal ministero degli Interni,
si capisce perché in Italia il presidente del consiglio si riservi sempre il
ministero degli Interni, come era tipico nello Stato prefascista, in modo che
tutto l'apparato di forza armata del paese sia completamente nelle sue
mani. Il presidente del consiglio è l'uomo di fiducia della classe
proprietaria - alla sua scelta collaborano le grandi banche, i grandi
industriali, i grandi proprietari terrieri e lo Stato maggiore. Egli si prepara
a conquistare la maggioranza parlamentare con la frode e con la corruzione; il
suo potere è illimitato non solo di fatto - come è indubbiamente in tutti i
paesi capitalistici - ma anche di diritto, il presidente del consiglio è
l'unico potere dello Stato italiano. La classe dominante italiana non ha
avuto neppure l'ipocrisia di mascherare la sua dittatura, il popolo lavoratore
è stato da essa considerato un popolo di razza inferiore che si può governare
senza complimenti, come una colonia africana. Il Paese è sottoposto ad un
permanente regime di stato d'assedio: in ogni ora del giorno e della notte un
ordine del ministro dell'interno ai prefetti può fare entrare in movimento
l'amministrazione poliziesca, gli agenti vengono sguinzagliati nelle case, nei
locali di riunione, senza mandato dei giudici, che sono passivi. In pura via
amministrativa la libertà individuale e di domicilio è violata, i cittadini
sono ammanettati, confusi coi delinquenti comuni in carceri luride e
nauseabonde, la loro integrità fisiologica è in difesa contro la brutalità ed i
contatti, i loro affari sono interrotti o rovinati. Per il semplice ordine di
un commissario di polizia un locale di riunione viene invaso e perquisito, una
riunione viene sciolta, per il semplice ordine del prefetto un censore cancella
uno scritto il cui contenuto non rientra affatto nelle proibizioni contemplate
dai decreti generali [c'era la censura sulla stampa] per il semplice ordine di
un prefetto i dirigenti di un sindacato vengono arrestati, cioè si tenta di
sciogliere un'associazione, ecc.». È un'analisi spietata dei limiti
liberali e democratici dello Stato liberale italiano, della sovrapposizione del
potere esecutivo sul potere legislativo, sul potere giudiziario, è una
descrizione di questo ordinamento che discende dall'esecutivo ai prefetti, ai
questori e sospende in qualsiasi momento ogni libertà. Ora a questa
visione, a questa definizione, a questa analisi dello Stato italiano, Gramsci
ne contrappone un'altra che nasce dal movimento reale. Anche per lui, come per
Lenin, la conquista dello Stato non è puramente un momento negativo, di
distruzione, ma è il processo di crescita di un nuovo tipo di Stato, che si
organizza sin da prima della conquista dello Stato. E la rivoluzione, come per
Lenin, viene concepita come un processo, non come un atto subitaneo che si
compie in un determinato momento. La domanda infatti, che egli si pone
nel ' 19, la domanda da cui parte con tutto il lavoro del giornale, dell'Ordine
nuovo, è precisamente questa: se ci sia in Italia, a Torino, un embrione di
Soviet, un inizio di Soviet, e la risposta è: sì, sono le commissioni interne.
E aggiunge: bisogna trasformare le commissioni interne in qualche cosa di piu,
bisogna far nascere dalle commissioni interne, cioè dall'esistenza dei Consigli
di fabbrica eletti da tutti i lavoratori indipendentemente o meno dalla loro
iscrizione al sindacato. Con rappresentanti quindi per reparti, per officina,
per mestieri, e cosi via, in modo che il Consiglio di fabbrica sia il momento
non solo della difesa dei diritti sindacali o delle conquiste sindacali, ma un
organismo attraverso cui gli operai si impadroniscono del processo della
produzione, della organizzazione del lavoro, intervengono sul processo della
produzione, stabiliscono un potere nella fabbrica, un potere democratico della
fabbrica e un potere che poi dalla fabbrica si irradi alle campagne e salga a
diventare potere nella società e nello Stato. indice I consigli di
fabbrica Gramsci dice che questo trasforma l'operaio da semplice salariato
- schiavo del capitale, non cosciente della funzione storica della propria
classe - in produttore (egli prende da Sorel questo termine), ma esso è
presente anche in Marx quando parla della Comune come l'autogoverno dei
produttori e non più degli operai salariati, cioè dell'operaio che ha superato
ogni limite corporativo, che non ragiona più come mentalità di categoria, di
classe sociale chiusa in sé, intesa solo alla difesa dei propri interessi
immediati di classe, ma che si sente come produttore, protagonista e interprete
degli interessi generali della società e quindi come componente essenziale,
forza dirigente del nuovo Stato che si vuole costruire. Egli scrive
nell'Ordine nuovo: l'officina con le sue commissioni interne, i circoli
socialisti e le comunità contadine sono i centri di vita proletaria nei quali
occorre direttamente lavorare, le commissioni interne sono organi di democrazia
operaia che occorre liberare dalle limitazioni imposte dagli imprenditori, e ai
quali occorre infondere vita nuova ed energia. Oggi le commissioni interne
limitano il potere del capitalista nella fabbrica e svolgono funzioni di
arbitraggio e di disciplina, sviluppate ed arricchite dovranno essere domani
come organi del potere proletario che sostituisce il capitalista in tutte le sue
funzioni utili di direzione e di amministrazione. Cioè bisogna imparare prima a
dirigere le fabbriche se vogliamo abolire il capitalismo. Fin d'ora gli
operai dovrebbero procedere già all'elezione di vaste assemblee di delegati
scelti tra i migliori e più consapevoli compagni sulla parola d'ordine: «tutto
il potere all'officina, ai comitati d'officina », coordinata all'altra: «tutto
il potere dello Stato ai consigli operai e contadini». Vi è, quindi, un
tentativo di risposta alla domanda: come facciamo in Italia a fare come in
Russia, dove ci sono i Soviet? E i Soviet li inventa Gramsci: li va a cercare
nel movimento reale, li va a cercare in quello che già esiste, cioè le
commissioni operaie da sviluppare in organismi con molto più potere e molta più
capacità rappresentativa. A questa concezione di elevamento della
funzione dirigente della classe operaia prima della conquista del potere, come
condizione della conquista del potere, qui Gramsci ragiona già alla leniniana,
a questa sua concezione si contrappone un'obiezione di Bordiga e del suo
giornale, Il Soviet, sul quale egli dice: è illusorio, utopico pensare che la
classe operaia possa avere una funzione dirigente nella fabbrica prima della
conquista del potere, fino ad allora resta subalterna ai capitalisti, solo
quando la classe operaia prenderà il potere essa potrà esercitare il potere
nella fabbrica. Ma Bordiga non risponde alla domanda: il potere come lo
prendi? Questo perché Bordiga vede il processo sociale come il processo
di crescenti contraddizioni dell'economia capitalistica, finché si arriva alla
grande crisi che è il momento fatale della rivoluzione proletaria, a cui il
proletariato e il Partito comunista devono prepararsi mantenendosi puri,
intatti, non contaminando si in alleanze, in compromessi e in cose del genere.
Vi è cioè in Bordiga una visione meccanicistica, di materialismo volgare,
meccanicistico del processo rivoluzionario che ignora la funzione del soggetto,
del partito. Non a caso Bordiga dice che non bisogna partecipare alle elezioni
parlamentari. Il Parlamento è borghese e quindi non interessa il proletariato.
Riprende cioè una tesi di Bakunin e degli anarchici contro cui già Marx ed
Engels avevano polemizzato, come Lenin polemizza inEstremismo malattia
infantile del comunismo contro queste posizioni di Bordiga. Per Gramsci,
invece, ripeto, la rivoluzione è intesa come processo. Non sto ad illustrare
tutte le vicende dell'Ordine nuovo, le grandi lotte del ' 19, lo sciopero
dell'aprile del '20, detto lo «sciopero delle lancette », che poneva proprio la
questione dell'autorità e del potere dei consigli di fabbrica perché il
padronato decise di passare dall'ora legale, usata in guerra, all'ora solare
senza avvertire i consigli di fabbrica. Gli operai arrivarono in fabbrica
e trovarono le lancette dell'orologio spostate e fu lo sciopero. Era in gioco
una questione di principio: il potere democratico del consiglio di fabbrica.
L'ingenuità fu il non aver unito alla questione altre rivendicazioni piu
sostanziose che potessero legare a questa lotta le masse operaie. Fu solo una
lotta di principio che poi fini con una sconfitta grave, dopo di che la classe
padronale passò all'attacco e l'occupazione delle fabbriche fu, è vero, il
momento più avanzato della lotta, ma un momento di difesa. Funzionarono,
però, i consigli di fabbrica, diressero la produzione, tennero la disciplina,
ma nell'occupazione delle fabbriche appare chiaramente un elemento cioè il
movimento dei consigli fallisce per essere rimasto troppo torinese, non essersi
esteso alle altre regioni italiane, per essere rimasto chiuso all'interno della
fabbrica, e anche per una debolezza nel vedere un'alleanza con i contadini e
soprattutto una grave debolezza nel vedere l'alleanza con i ceti medi, tipico
limite dell'Ordine nuovo. Dalla sconfitta, quindi, del movimento dei
consigli con l'occupazione delle fabbriche si pone l'esigenza del partito, come
momento unificante di tutto il movimento a livello nazionale, cosa che Gramsci
aveva visto, ma in modo incompleto, e aveva privilegiato un movimento, aveva
privilegiato i consigli rispetto alla questione del partito stesso.
indice Necessità della ricognizione nazionale La riflessione
di Gramsci, però, va oltre e nel '23, in un articolo: Che fare? scritto per una
rivista di studenti comunisti, si pone l'interrogativo: perché siamo stati
sconfitti? Siamo stati sconfitti perché il movimento operaio non conosce
il proprio Paese, non conosce l'Italia, non è uscito fino ad oggi un libro
sulle stratificazioni sociali, sulle classi in Italia, sulla storia delle
classi, non è uscito un libro sulla storia dei partiti italiani, c'è
un'infinità di domande a cui non sappiamo rispondere: perché in Sicilia i
contadini sono autonomisti e in Sardegna no, mentre in Sardegna sono
autonomisti i latifondisti e in Sicilia non altrettanto, perché dove son forti
gli anarchici sono forti i repubblicani? e così via. Non sappiamo rispondere
perché non conosciamo il nostro Paese. Eppure abbiamo un metodo, il marxismo,
che Marx ed Engels hanno impiegato per conoscere la realtà concreta. Ecco
l'esigenza di usare il marxismo non come strumento di propaganda, ma come
strumento di analisi, di comprensione della realtà. Certo, spiegare la
sconfitta del '20-21 col fatto che non si conoscesse bene l'Italia è insufficiente,
è unilaterale, è polemico, però è senza dubbio uno degli elementi della
verità. Il gruppo dell'Ordine nuovo, alla testa del partito col '24,
cercherà di arrivare ad un'analisi dell'Italia, ad una conoscenza del processo
storico italiano. Le tesi del terzo Congresso di Lione sono un'analisi del
processo attraverso cui si è formato lo Stato unitario italiano per individuare
da questa analisi concreta, storica, le forze motrici della rivoluzione nella
classe operaia del Nord e nei contadini del Mezzogiorno e delle Isole. Si veda
il saggio sulla Questione meridionale, contemporaneo alle Tesi di Lione.
Gramsci riprende un concetto di egemonia che nel '25 aveva già usato in
polemica contro Bordiga dicendo: Bordiga non ha capito il concetto leniniano dell'egemonia,
dell'alleanza della classe operaia con gli altri ceti e soprattutto con i
contadini e si è attenuto ad una posizione astratta per cui la classe operaia
deve restare chiusa in se stessa, ha temuto che ogni alleanza fosse una
contaminazione piccoloborghese della classe operaia, per questo non ha capito
l'essenziale di quello che è il leninismo, alleanza operai contadini,
costruzione dell'egemonia. Nella Questione meridionale inoltre Gramsci
pone non solo la questione meridionale come elemento nazionale decisivo e
quindi chiave della egemonia della classe operaia, ma entra in una definizione
pili precisa della egemonia. Che la questione meridionale sia elemento decisivo
della egemonia è un momento molto importante, perché non aver capito questo
aveva reso il movimento socialista subalterno alla politica della borghesia e
di Giolitti, cioè aveva accettato la politica di Giolitti assai limitata, da un
lato, e, dall'altro, riformistica senza riforme in un certo senso, che però
faceva concessioni alle cooperative del Nord, al diritto di associazione, alla
funzione dei sindacati, non interveniva come Stato nei conflitti del lavoro,
ecc., facendo pagare tutto questo al Mezzogiorno. Nel Mezzogiorno faceva la
politica della camorra, degli «ascari», cioè dei deputati che andavano in
Parlamento per votare sempre « Sì », reclutati attraverso le clientele, ecc. Il
modo in cui si spezza l'egemonia della borghesia è il modo in cui si rompe
questo blocco industriale e agrario tra la borghesia capitalistica del Nord e i
grandi proprietari terrieri, latifondisti del Sud, e si salva l'alleanza classe
operaia del Nord e contadini del Sud. A questo proposito Gramsci dice: il
proletariato può diventare classe dirigente e dominante, nella misura in cui
riesce a creare un sistema di alleanze di classe che gli permetta di mobilitare
contro il capitalismo e lo Stato borghese la maggioranza della popolazione
lavoratrice, il che significa in Italia (nei reali rapporti di classe esistenti
in Italia): nella misura in cui riesce a ottenere il consenso delle larghe
masse contadine. La questione delle alleanze, quindi, è vista come
questione decisiva per conquistare il dominio e la direzione, e la questione
contadina viene vista come essenziale. Ma non la questione contadina in generale
(tra l'altro non esiste). La questione contadina in Italia è storicamente
determinata, non è la questione contadina ed agraria in generale, in Italia la
questione contadina ha, dice Gramsci, per la tradizione italiana, per il
determinato sviluppo della storia italiana, assunto due forme tipiche e
peculiari: la questione meridionale e la questione vaticana, cioè il rapporto
con i contadini del Sud e con i contadini legati alla Chiesa cattolica, di
ispirazione cattolica. Ora che cosa si può dire in proposito? Si può dire
che c'è un altro passo in cui egli si richiama alla dittatura del proletariato,
che l'egemonia viene vista come una direzione che si conquista nella società
civile e la dittatura del proletariato è concepita come la forma statale,
politica dell'egemonia, anzi essenzialmente come la forma. statale.
Inserisce qui una distinzione tra società civile e Stato. Nella società civile
l'egemonia, nello Stato la dittatura del proletariato, che però in Gramsci non
è così schematica. I due momenti sono fusi e Gramsci, nei Quaderni, avverte che
la distinzione tra Stato e società civile, società politica e società civile è
una distinzione puramente di metodo, metodologica, non organica, perché in
realtà questi due elementi sono fusi. Società civile e Stato non SI separano
nella realtà. Come è noto la parola egemonia deriva da un verbo greco che
significa dirigere, guidare, condurre. Gramsci usa il termine egemonia non nel
significato tradizionale che sottolinea soprattutto il « dominio », ma nel
senso originario, etimologico, greco: «direzione », «guida ». Trae questo
termine da Lenin, perché Lenin l'aveva impiegato nel 1905 proprio per indicare
la funzione dirigente della classe operaia nella rivoluzione
democratico-borghese; Lenin non lo usa più nel 1917, quando usa ormai il
concetto di dittatura del proletariato. Ma non c'è dubbio che la capacità
dirigente della classe operaia nel processo rivoluzionario congiunge nel '17
strettamente la rivoluzione democratica alla rivoluzione proletaria, in modo
che la dittatura del proletariato si assume gli obiettivi della rivoluzione
democratica, quegli obiettivi che la borghesia non sa realizzare, e nella
dittatura del proletariato vengono infatti indicati, come obiettivi primi,
obiettivi democratici e non obiettivi socialisti: la terra ai contadini, la
nazionalizzazione delle banche e cose di questo tipo. indice Egemonia e blocco
storico Gramsci riprende nei Quaderni il concetto di dittatura del
proletariato, ma riferendosi alla dittatura del proletariato teorizzata e realizzata
da Lenin. Poiché l'egemonia della classe operaia nella rivoluzione del 1905 fu
sconfitta, significa che Gramsci usa il termine di egemonia nel senso di
dittatura del proletariato, quella teorizzata e realizzata. Ora Gramsci
sa bene che nella dittatura del proletariato c'è il dominio e il consenso, la
coercizione e la persuasione, ma perché la chiama egemonia? La chiama
egemonia perché vuole sottolineare nella dittatura del proletariato la funzione
dirigente, la conquista del consenso, l'azione di tipo culturale e ideale che
l'egemonia deve compiere, non c'è altra spiegazione a questo diverso uso dei
termini. Sottolinea questo elemento, nella dittatura del proletariato, sia
perché era quello rimasto più in ombra, quello che si era capito di meno (si
era sempre intesa la dittatura soprattutto come violenza, limitazione delle
libertà, e non come l'essenziale capacità dirigente, come Lenin aveva sempre
più sottolineato, man mano che veniva avanti la costruzione del regime
sovietico negli ultimi anni della sua vita). Gramsci usa questo termine, la
egemonia, perché egli conduce una riflessione sulle esperienze del '19-20-21 e
si pone ancora la famosa domanda: perché non abbiamo vinto? Non abbiamo
vinto, dice Gramsci, perché bisogna capire le differenze che esistono tra una
società e un potere politico come quello russo, zarista, e un potere politico
in una società come esiste in Italia e nei paesi capitalisticamente sviluppati.
La domanda - si poteva fare la rivoluzione nel '19 o nel '20? c'erano le condizioni
oggettive? non c'erano? cosa è mancato? - trova in realtà una risposta in
questa analisi di Gramsci. Gramsci dice: in Oriente, cioè in Russia, lo
Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatina sa (ecco il
punto); nell'occidente tra Stato e società civile c'è un giusto rapporto e nel
tremoli o dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società
civile, lo Stato era solo una trincea avanzata dietro a cui stava una robusta
catena di fortezze, di casematte (più o meno diversa da Stato a Stato) ma
questo richiedeva un'accurata ricognizione di carattere nazionale. Ecco la
grande differenza: in Russia lo Stato era tutto, ed era indubbiamente casi, in
una società molto fluida, gelatinosa, non articolata, non robusta, una enorme burocrazia
zarista gestiva ogni momento della vita statale per cui quando lo Stato andava
in crisi o in sfacelo a causa ovviamente della disfatta militare e durante la
guerra del '14-18, dietro allo Stato non c'era più niente che resisteva.
In Occidente è diverso, dietro al tremolio dello Stato, e lo Stato italiano
tremò fortemente nel '19 e '20, c'era però la robusta struttura della società
civile, c'era l'apporto del capitalismo, le sue organizzazioni, la sua tenuta
culturale e cosi via. Questo, secondo me, è un tentativo di risposta di
Gramsci al perché nel '19-20 siamo stati sconfitti, ma è al tempo stesso una
riflessione molto più generale sul modo in cui si pone il problema della
rivoluzione in Paesi capitalisticamente sviluppati. Di qui egli trae la
necessità di una diversa strategia rivoluzionaria, dice in altre pagine .
Mentre in Russia la società civile era fluida ed embrionale, gelatinosa, era
possibile la guerra manovrata, cioè lo scontro di classe rapidamente
risolutivo, in Occidente è necessaria la guerra di posizione, che qui non
significa stare fermi. 'è un altro passo in cui con guerra di posizione Gramsci
indica una relativa staticità dei processi sociali e politici, qui non
significa questo, qui guerra di posizione è la guerra di trincea, per cui vai
all'assalto delle trincee, delle fortezze, delle casematte, cioè individui i
gangli essenziali della vita sociale e statale e conduci quindi una politica
(attualizzando un po') che investe la totalità della società e che tiene conto
di tutte le complesse articolazioni della società. Cioè Gramsci pone l'esigenza
di una nuova strategia rivoluzionaria, di un modo nuovo di concepire la
rivoluzione. Questo è l'enorme passo che egli ha fatto partendo
dall'Ordine Nuovodel '19-20, attraverso La questione meridionale per arrivare
ai Quaderni, perché il problema dell'Ordine Nuovo era: come facciamo a fare
anche in Italia come in Russia? Ma il problema era fare come in Russia partendo
dal movimento reale, non astrattamente. Nel '26 già individuiamo che cosa
distingue la questione contadina in Italia dalla questione contadina in Russia.
Come noi risolviamo questo problema decisivo della egemonia proletaria che
Lenin risolse in Russia con l'alleanza con i contadini? Qui che cosa è
l'alleanza con i contadini? Qui è questione meridionale, qui è questione
vaticana che l'origina. Nei Quaderni del carcere Gramsci pone l'esigenza
di una strategia, cioè dice: non possiamo fare come in Russia, abbiamo bisogno
di una ricognizione del terreno nazionale, cioè di una analisi concreta della
situazione concreta italiana, di calarci nel processo storico, nella
originalità dei processi sociali, politici e culturali del nostro Paese.
L'interessante è, però, che egli si riferisca a Lenin quando dice: «mi pare che
Ilic [Lenin] avesse compreso che occorreva un mutamento della guerra manovrata)
applicata vittoriosamente in Oriente nel )17) alla guerra di posizione che era
la sola possibile in Occidente», cioè Gramsci attribuisce alla tattica del
fronte unico della classe operaia, proposta dai bolscevichi, da Lenin alla
Terza Internazionale, al suo Quarto congresso del 1922, la individuazione di un
tipo diverso di lotta rivoluzionaria, di lotta di posizione. Fa dire a Lenin, a
mio parere, molto di più di quanto Lenin non volesse dire, forza il suo
pensiero, lo porta oltre. Lo porta oltre però partendo da intuizioni che
in Lenin ci sono, perché vi sono scritti di Lenin che forse Gramsci nemmeno
conosceva in cui Lenin dice: in Occidente tutti i lavoratori sono organizzati,
non è come in Russia dove non c'erano sindacati, dove i partiti avevano scarse
radici, non avevano avuto una vita legale, ci sono cooperative, sindacati,
partiti, municipi, ecc. Cioè Lenin dice: « in Occidente tutti i cittadini
partecipano in qualche modo alla democrazia, non è come in Russia », quindi
Lenin intuisce delle diversità in Occidente e propone una tattica, non una
strategia, diversa, cioè il fronte unico. Gramsci parte da questa
intuizione di Lenin e la porta, secondo me, molto oltre e sottolinea fortemente
la necessità di una ricognizione del terreno nazionale: una classe di carattere
internazionale, cioè il proletariato, in quanto guida strati sociali
strettamente nazionali e anzi spesso meno ancora che nazionali,
particolaristici e municipalistici, come i contadini, deve nazionalizzarsi in
un certo senso, cioè deve calarsi profondamente nella realtà nazionale se è
internazionalista, in quanto è internazionalista, se vuole dirigere i
contadini, gli intellettuali, ecc., deve individuare la specificità del
processo rivoluzionario. Dove si vede che l'egemonia è impensabile al di fuori
della ricognizione nazionale, la egemonia è proprio la capacità di individuare
la specificità nazionale, i caratteri specifici di una determinata società,
l'egemonia è conoscenza, oltre che azione, e quindi è conquista di un nuovo
livello di cultura, scoperta di cose che non si conoscevano. Questo
nazionalizzarsi, questo calarsi nella realtà nazionale e la conquista
dell'egemonia sono in Gramsci strettamente congiunti. L'egemonia è
individuazione della tattica e della strategia nuove che si devono usare in
determinate situazioni. Come nasce in Gramsci l'idea dell'egemonia? Marx
aveva detto nella Ideologia tedesca, del 1845, che le idee dominanti in una
società sono le idee della classe dominante, cioè la classe dominante diffonde
le sue idee, la sua cultura, la sua ideologia in tutta la società. più
esattamente Marx dirà nella prefazione a Per la critica dell'economia politica
del '59, che sono i rapporti di produzione, quindi il modo di proprietà
prevalente, che determinano non solo le istituzioni politiche e statali, ma il
modo di pensare, la coscienza. Il modo di produzione però - i rapporti di
produzione e il loro nesso con le forze produttive - è contraddittorio e quindi
questa contraddizione, la contraddizione che esiste nel modo di produzione
capitalistico, tra classe operaia e capitalisti per esempio, pone in
discussione non solo la politica economica, le questioni sindacali immediate,
ma anche la politica e la cultura delle idee della classe dominante. Non
appena la classe antagonistica nel sistema capitalistico, il proletariato,
assume coscienza del suo antagonismo al sistema capitalistico, elabora non
soltanto delle lotte sindacali immediate, ma anche una linea politica e una
concezione del mondo, il marxismo, l'ideale socialista, una nuova morale che
contrappone ai valori ed alla morale della società dominante. Attraverso un
processo enormemente faticoso, attraverso una piccola avanguardia, poco alla
volta, cerca di strappare all'egemonia ideale e politica della classe dominante
una parte sempre più grande della classe operaia e dei suoi alleati, contadini,
ceti medi, cerca di conquistare gli intellettuali. Ora Gramsci si chiede
come si tiene insieme una determinata società, cioè un determinato «blocco
storico», un nesso di forze politiche e sociali, come si tiene insieme questo
rapporto tra la struttura economica, i rapporti di produzione e di scambio, e
lo Stato, come si può spiegare insomma che un determinato Stato, una
determinata classe dominante tenga insieme e abbia il consenso di forze i cui
interessi sono opposti. Questo «blocco storico» trova il consenso tra gli
operai, tra i contadini, i cui interessi sono opposti a quelli della società
capitalistica, non solo con l'influenza politica, dice Gramsci, ma con
l'ideologia. È l'ideologia che tiene insieme il blocco storico, che lo salda,
che consente di tenere insieme classi sociali non solo di tipo differente, ma
con interessi addirittura opposti, antagonistici. L'ideologia è il grande
cemento del blocco storico, ed è momento della sua edificazione, che non è solo
ideologica, è culturale, è politica in primo luogo, ma non può essere
dissociata dal momento dell'ideologia e delle idee. Noi allora abbiamo un
processo per cui le classi, antagoniste per interessi, sono subalterne
all'origine, Cloe non hanno una propria concezione del mondo, una propria
cultura, ma hanno assorbito la cultura delle classi dominanti, in un modo
eterogeneo, disorganico, passivo. Cosicché, il modo di pensare delle classi
subalterne è privo di organicità, di capacità critica. Le classi subalterne
sono però spinte alla ribellione, ma tale ribellione è un sussulto che non
riesce ad organizzarsi in una politica perché c'è subalternità ideale, culturale.
È necessario tutto un processo perché le classi subalterne diventino autonome,
si diano un partito, una linea politica, una concezione culturale, e allora da
autonome lottano per diventare egemoni, dirigenti. Già prima della conquista
del potere possono diventare egemoni, cioè. diffondere la propria concezione
non solo politica, ma culturale, in tutta la società. L'egemonia si
conquista prima della conquista del potere ed è una condizione essenziale per
la conquista del potere. Il processo di egemonia è quindi un processo di
unificazione del pensiero e dell' azione perché - quando le classi sono
subalterne - può esserci per esempio una insurrezione contadina unita
all'affermazione che i proprietari della terra ci sono sempre stati, e magari
sempre ci saranno, un'insurrezione che spera nel re per sistemare le cose. Può
accadere che gli operai di Pietroburgo, nel 1905, vadano in corteo al palazzo
dello zar perché lo zar intervenga e faccia finire le ingiustizie. E lo zar
pensa bene di farli mitragliare e allora gli operai cambiano idea. Prima erano
subalterni, pensavano che lo zar fosse un «piccolo padre », il padre della
chiesa ortodossa, che la soluzione delle ingiustizie dipendesse da lui.
Gramsci allora dice: c'è nelle classi subalterne una filosofia reale che è
quella della loro azione, del loro comportamento. C'è una filosofia dichiarata
che vive nella coscienza, che è in contraddizione con la filosofia reale.
Bisogna sogna congiungere questi due elementi attraverso un processo di
educazione critica per cui la filosofia reale di ciascuno, la sua politica,
diventi anche la filosofia cosciente, la filosofia dichiarata. Per giungere a
quel processo di unificazione di teoria e pratica, di costruzione di una
cultura nuova, rivoluzionaria, di riforma intellettuale e morale. Le due cose
sono strettamente congiunte per Gramsci. Gramsci riprende questo concetto
di riforma intellettuale e morale ancora una volta da Sorel, ma cambiandone
completamente i contenuti. Riprende anche un tema tipico della cultura italiana
del suo tempo che si ritrova nella destra, in Alfredo Oriani, per esempio, come
nella sinistra, in Gobetti: l'idea cioè che all'Italia sia mancato qualcosa di
simile alla riforma protestante, cioè una riforma della concezione del mondo e
morale che arrivasse in profondità, nel popolo. In Italia c'è stata invece la
controriforma, il distacco della Chiesa dal popolo, la sovrapposizione del
dogma, l'irrigidimento gerarchico della Chiesa, la limitazione della libertà
scientifica, di espressione artistica, c'è stata l'Inquisizione, l'ipocrisia,
che ha viziato profondamente il carattere degli italiani, ne ha fatto dei
cortigiani, ne ha fatto dei servi. È mancata una riforma protestante.
Gramsci dice che non solo è mancata una riforma protestante, ma è mancato
qualche cosa ben di più della riforma protestante; qualche cosa di analogo
all'illuminismo francese del settecento che preparò la rivoluzione francese,
qualche cosa di simile alla rivoluzione democratico-borghese. indice La nozione
di intellettuale Gramsci aggiunge: in Italia i laici hanno fallito il loro
compito che era di diffondere una nuova concezione culturale, un nuovo
umanesimo :fino agli strati più profondi e più incolti del popolo. Come era
necessario fare. Gli intellettuali democratici laici non l'hanno fatto perché
si sono mantenuti come una casta separata, con un suo linguaggio separato, con
una sua vita culturale separata. È mancato l'elemento essenziale della
costruzione democratica e di una riforma intellettuale e morale nel nostro Paese,
cosa che solo la classe operaia può fare, non la Chiesa cattolica, perché la
Chiesa cattolica tiene separati gli intellettuali e i semplici, parla due
linguaggi, uno per gli intellettuali ed un altro per i semplici, ma sta bene
attenta che gli intellettuali non rompano il rapporto con i semplici al tempo
stesso. Gli idealisti, Benedetto Croce, Gentile, hanno fatto una riforma
intellettuale per i grandi intellettuali, non per il popolo. Al popolo lasciano
la religione che è la filosofia di quelli che non hanno filosofia
cosciente. Questo processo di unificazione tra intellettuali e semplici
lo può fare la classe operaia guidata dal marxismo, grazie al marxismo, e
creando nuovi quadri intellettuali, organici alla classe operaia, che sono i
suoi quadri, i suoi dirigenti. Qui muta completamente la nozione di
intellettuale, l'intellettuale non è chi sa il latino o il greco, lo scrittore
o cose del genere, l'intellettuale è il dirigente della società, il quadro
sociale. Un caporale dell'esercito anche se analfabeta è un intellettuale,
secondo Gramsci, perché dirige i soldati, un intellettuale è il capo-lega
bracciante, anche se analfabeta, come tanti lo erano al tempo di Gramsci,
perché organizza i braccianti, perché li guida, perché li educa. Questi sono
gli intellettuali secondo Gramsci, il tessuto connettivo del blocco storico,
gli elaboratori della egemonia della classe dominante la quale senza gli
intellettuali non potrebbe essere egemone, dirigente: sarebbe solo dominante e
oppressiva e le mancherebbe la base di massa, il consenso necessario per
esercitare il suo dominio. La cosa interessante è che Gramsci elabora
queste idee attraverso un'analisi del processo storico italiano. C'è sempre
concretezza nel suo pensiero. Ad esempio analizza come si sia formata in Italia
l'egemonia dei liberali, come i liberali con un'azione molecolare ed empirica
abbiano assimilato, isterilito le forze repubblicane, mazziniane, ecc., e
disgregato il blocco opposto con un'opera, egli dice, di direzione
intellettuale e morale. Gramsci sottolinea l'importanza di questo momento
ideale e morale nella direzione dei liberali moderati. Ed è qui che egli
introduce il concetto di supremazia. Un gruppo sociale, una classe ha una
supremazia in quanto ha la direzione e il dominio, la classe che è
all'opposizione non ha ancora il dominio, ma deve conquistare la direzione,
cioè l'egemonia, se vuole conquistare anche il dominio e una volta conquistato
il dominio deve mantenere la direzione. Come si presenta, quindi, per
Gramsci la rivoluzione? La rivoluzione si presenta in realtà come una c risi di
egemonia, cioè come una crisi di capacità dirigente da parte di coloro che
hanno il dominio perché non riescono più a risolvere i problemi del Paese, non
riescono più a tenerlo insieme con l'ideologia. Pensate ai processi che oggi si
sono compiuti. Lo spostamento a sinistra degli studenti, pur caotico ed anche
pericoloso che sia, contiene molti elementi di individualismo borghese
esasperato - e quindi resta nel quadro dell' egemonia culturale borghese molto
più di quanto non si pensi -, ma è anche il segno della disgregazione di questa
egemonia culturale, una disgregazione che non riesce ad uscire da se stessa,
che si rigira e si tormenta intorno a se stessa. Ma che è il segno di questa
crisi. Basta vedere come le idee del marxismo si sono diffuse e si
diffondono. Qui c'è un allargamento della nozione di rivoluzione.
Marx aveva detto: la rivoluzione si ha quando le forze produttive entrano in
una contraddizione incontenibile con i rapporti di produzione. (Gramsci parte
di qui, ma vede la totalità sociale). Lenin aveva detto: la rivoluzione si ha
quando la classe dominante non riesce più a dominare, quando le classi oppresse
non accettano più di essere dirette e oppresse alla vecchia maniera e abbiamo una
grande ribellione di massa. Gramsci, in modo più preciso, la definisce la crisi
di egemonia, come uno scollarsi tra dominio e direzione, come il venir meno
della direzione, quindi come una crisi che investe tutta la totalità sociale,
in cui il momento culturale, morale, ideale ha un'enorme importanza. Noi
stiamo vivendo un momento di questo genere. Si è rotto il vecchio blocco di
potere che aveva come asse la Democrazia cristiana, è venuta meno la capacità
dirigente del vecchio blocco di potere (che è sempre stata molto limitata del
resto), non si è ancora costruito un nuovo blocco di potere che possa portare
ad un nuovo blocco storico. Blocco di potere è un'espressione che Gramsci non
usa, la usa Togliatti, intendendo la fase di preparazione di un nuovo blocco
storico e di una nuova società, di una nuova base sociale, di un nuovo tipo di
Stato, di un nuovo rapporto tra base sociale e Stato. Il momento di
questa crisi di egemonia è dunque un momento anche di crisi ideale, di crisi
culturale, di crisi morale. Gramsci dà grande valore al momento del soggetto,
della coscienza, delle idee nel processo rivoluzionario. L'egemonia è
iniziativa, è intervento sul processo e guida del proletariato, come già Lenin
aveva detto nel 1905, quando rimproverava ai menscevichi di alterare il
materialismo storico, di deformarlo perché non capivano la funzione dei partiti
i quali, avendo individuato e compreso la realtà oggettiva, intervengono nel
processo per condur1o in una determinata direzione. Lenin diceva: i menscevichi
non hanno capito la prima tesi su Feuerbach, la funzione del rapporto
soggetto-oggetto. Non è a caso che Gramsci chiama il marxismo «filosofia della
prassi», usando una terminologia che fu usata da Gentile. Però Gramsci l'usa in
tutt'altro senso; non la prassi dell'intelletto, come intendeva Gentile, ma la
prassi trasformatrice, rivoluzionaria, unità di soggetto-oggetto, intervento
del soggetto sulla realtà. Attenzione però. Gramsci parla sempre di
egemonia della classe operaia, non del partito, perché Gramsci non ha mai
rinnegato l'esperienza dei consigli di fabbrica e ritiene che la classe operaia
debba darsi una molteplicità di organizzazioni per conquistare il potere. Mai
Gramsci ha pensato che la classe operaia conquisti il potere solo col partito,
essa deve avere altri collegamenti, altre organizzazioni, deve essere presente
nelle istituzioni statali oltre che di massa. Inoltre Gramsci non
mortifica mai il movimento, dice che l'elemento cosciente deve saper depurare
il movimento spontaneo da quanto c'è in esso di contraddittorio, di arretrato,
di reazionario anche, deve depurarlo e portarlo al livello della scienza
moderna, cioè del marxismo. Ma non si deve né disprezzare, né trascurare la
spontaneità, che bisogna però aiutare. Bisogna partire da quello che egli
chiama il senso comune e vedere quanto c'è di sano in questo senso comune,
nelle sue contraddizioni, nelle sue superstizioni, nelle sue posizioni
arretrate. indice Il partito, moderno «Principe» È compito del
partito cogliere questo elemento sano, tirarlo fuori dal guscio (il nocciolo
razionale, direbbe Marx) e portarlo al livello di una coscienza scientifica
della realtà. Il partito è il momento decisivo della formazione dell'egemonia
della classe operaia; non è possibile egemonia della classe operaia senza il
partito, perché esso è l'unificatore dell'azione e del pensiero, della
filosofia istintiva, non consapevole, presente nell'azione, e della filosofia
consapevole che bisogna fare acquisire, dando la prospettiva, dando la visione
dell'insieme. In questo senso egli chiama il partito il moderno principe,
riferendosi al Machiavelli e valorizzando enormemente Machiavelli. Un principe
moderno non più come individuo, perché nella società moderna questo non è più
possibile, ma come intelligenza e volontà collettiva, personificazione di una
grande volontà collettiva: il partito è il moderno principe. Del partito
Gramsci mette molto in rilievo l'elemento della coscienza e della direzione. In
ogni partito, secondo Gramsci, ci sono tre strati: uno di dirigenti, molto
ristretto, a livello nazionale, uno di base che aderisce soprattutto per
entusiasmo o per fede, e uno intermedio che collega questi due elementi. Senza
questi tre elementi il partito non c'è, però Gramsci dice: attenzione, con
l'elemento di base voi non formerete nulla, non formerete mai il partito;
occorre l'elemento dirigente. Ovvero, un esercito non forma il capitano, ma
alcuni capitani formano l'esercito. Per Gramsci la formazione del partito va
dall'alto in basso, come per Lenin, cioè parte dal congresso, parte dal punto
più alto della consapevolezza, il che non è una visione burocratica, ma è una
visione di intervento della coscienza, della direzione sul movimento spontaneo.
Educazione del movimento spontaneo, perché tutta la concezione pedagogica di
Gramsci, dell'educazione come sforzo, come disciplina, dello studio anche come
fatica, ci dice chiaramente come egli intenda la direzione. Il partito è
il grande riformatore intellettuale e morale, quello che supera la vecchia concezione
e ne costruisce una nuova. C'è in Gramsci il superamento del meccanicismo
materialistico tipico di Bordiga, di tutto il movimento socialista da cui lui
veniva. Il suo ragionamento sul blocco storico è un ragionamento sulla totalità
sociale, su gli elementi sociali, politici e culturali: l'egemonia costruisce
un determinato blocco storico e il blocco storico si tiene insieme grazie
all'egemonia, grazie alla direzione. L'egemonia è il momento di
saldatura. Ecco quindi un'egemonia che rompe il precedente blocco
storico. Rompe il vecchio tipo di totalità sociale ormai in crisi e costruisce
un nuovo tipo di totalità sociale, anzi, direi, sociale, politica e
culturale. Dicevo che Gramsci pone l'esigenza di una nuova strategia, non
di più. A mio parere di più non poteva fare negli anni trenta: ha smesso di
scrivere i Quaderni nel '35, quando la sua malattia si era tanto aggravata da
togliergli la forza fisica di scrivere. In questa elaborazione noi siamo
andati avanti, cercando di dare una risposta a che cosa è la strategia
rivoluzionaria in paesi capitalisticamente sviluppati. L'abbiamo cominciato a
fare durante la guerra di Liberazione, parlando di democrazia progressiva, di
democrazia di tipo nuovo, come diceva Togliatti. Secondo Togliatti non ci
si poteva più rifare al modello russo della rivoluzione perché la rivoluzione
ha modi e scadenze diverse a seconda dei paesi, non c'è un unico modello. La
ricerca del nuovo modello avrebbe potuto avvenire attraverso l'azione dei CLN
(Comitati di Liberazione Nazionale) che Togliatti valorizza quando dice:
avremmo preso una strada più rapida e più sicura se avessimo potuto mantenere
in piedi i CLN. Lo afferma al quinto congresso del PCI. Lavorando su
questa indicazione di Gramsci, e non solo, lavorando sulla realtà oggettiva,
riprendendo l'esperienza della guerra di liberazione, siamo venuti costruendo
quella strategia che è, che chiamiamo la via italiana al socialismo. Questa
strategia non può grettamente rinchiudersi in una sola nazione, deve per forza
avere delle convergenze con la strategia di altri partiti, del movimento
operaio in altri paesi capitalistici. Quello che gli altri chiamano
euro-comunismo è fatto di accordi tra noi e il partito comunista francese, il
partito spagnolo ed altri partiti. Abbiamo naturalmente esteso il
concetto di egemonia.Per noi l'egemonia, la capacità dirigente della classe
operaia è capacità di realizzare tutte quelle alleanze che sono indispensabili
affinché la classe operaia abbia accesso al potere in una società di
capitalismo monopolistico e di capitalismo monopolistico statale. Perciò la
classe operaia deve andare al di là dell'alleanza operai-contadini poveri (tra
l'altro i contadini oggi sono solo il 15% della popolazione, comprendendo anche
quelli ricchi), ma deve arrivare ai ceti medi delle città e delle campagne,
deve arrivare al settore della piccola e media industria. Si tratta di un
sistema di alleanze assai articolate e, badate bene, contraddittorio. perché,
tra gli operai della piccola e media industria e il proprietario della piccola
e media industria c'è indubbiamente una contraddizione, una contraddizione che
noi dobbiamo indirizzare verso la contraddizione principale, come direbbe
Mao-Tse-Tung, ovvero contro il capitalismo monopolistico. Ora alleanze
sociali cosi ampie non possono che esprimersi a livello politico, cioè in
partiti politici. Questa è una cosa che Gramsci non aveva presente, per lui un
partito solo faceva la rivoluzione: il Partito comunista. Al Partito socialista
bisognava tagliare le radici. Gramsci non arrivava a questa visione cosi ampia
delle alleanze, non ci poteva arrivare. indice Quale
pluralismo Per noi invece questa visione si esprime in una pluralità di
partiti, e d'altra parte le democrazie popolari ci danno un esempio di pluralità
di partiti. In Polonia, nella RDT, vi sono partiti che hanno una scarsa
autonomia forse, ma esistono realmente. Come mandare oltre questa
esperienza? Sviluppando un sistema di alleanze, anche a livello politico, che è
fatto di contrasto, che è fatto di confronto, che è fatto di lotta. Ad
'esempio, la nostra alleanza col partito socialista è anche lotta, è anche
discussione non priva di asprezze, naturalmente. Questo sistema lo possiamo
chiamare pluralismo, pluralismo sociale e politico, assumendo un termine che non
è nostro, che è estraneo al marxismo, ma che viene dalla sociologia cattolica e
dalla sociologia americana. La sociologia cattolica intende per
pluralismo una pluralità di istituzioni che si equilibrano l'uno con l'altra:
la famiglia, la Chiesa, lo Stato, la scuola e cosi via. Il suo pluralismo è
fondato sull'interclassismo, cioè sulla collaborazione tra classe operaia e
capitalisti e sul superamento della contraddizione tra l'una e gli altri.
La sociologia americana dice: il pluralismo è una pluralità di istituti che
impedisce a una sola forza di avere l'egemonia, il dominio, la
prevalenza. Per noi il pluralismo è invece un'ampiezza di alleanze
sociali e politiche tale da isolare il grande capitale monopolistico, la sua
logica e la logica da cui oggi è dominato il capitalismo di Stato in questa
società, 1ìno a sconfiggerlo. Cosi si realizza il vero pluralismo, perché noi
diciamo che fino a quando esiste il grande capitale il pluralismo reale nella
società non ci sarà mai, sarà sempre apparente. La nostra Costituzione è
pluralistica, ma il pluralismo reale della nostra vita è apparente. Invece vi è
il monopolio dei mezzi di informazione, dell'economia e cosi via. Ad
esempio il pluralismo della società americana nasconde la realtà di una società
in cui il potere economico e politico è al massimo grado concentrato, e la
partecipazione democratica dei cittadini è puramente formale. In realtà, devono
votare per due partiti che si confondo l'un con l'altro, che si mescolano, non
si sa bene che differenza ci sia tra democratici e repubblicani. A volte i
democratici su certe cose sono d'accordo con i repubblicani, su altre sono
d'accordo solo con certi repubblicani. Si può dire che negli Usa ci sia un
pieno trasformismo. Un reale pluralismo si ha quanto più si batte il
capitalismo, quanto più si avviano forme di autogoverno della società, di
partecipazione. Il nostro pluralismo è anche statale, di istituzioni statali e
sociali. L'autonomia del sindacato, poi, è un momento decisivo. Quando diciamo
pluralismo delle istituzioni statali intendiamo parlamento, regioni, comuni
autonomi, comprensori, consigli di quartiere o di circoscrizione, sino ad
arrivare ai consigli di fabbrica che non sono un istituto statale, ma sono
sanciti dai contratti e riconosciuti dallo Statuto dei lavoratori. Perciò
pluralità di istituzioni sociali e politiche. Inoltrel'autonomia dei sindacati
significa che il pluralismo è già dentro la classe operaia, che esso non
caratterizza semplicemente il rapporto della classe operaia con forze sociali non
proletarie e il rapporto del Partito comunista con partiti non proletari, ma
che vive nella classe operaia. Infatti nella classe operaia ci sono i
comunisti, ci sono i socialisti, ci sono anche i democristiani, c'è anche il
sindacato autonomo, c'è il consiglio di fabbrica, che ha anche esso una sua
dialettica nei rapporti col sindacato e coi partiti. Il pluralismo vive
nella classe operaia e per questo può attuarsi nella società. Egemonia nel
pluralismo, dunque, e non: egemonia e pluralismo, come diceva bene Ingrao, e
fra i due termini c'è un rapporto dialettico. Più egemonia c'è, e più c'è
pluralismo, non come confusione di forze, ma come forma di lotta, la più ampia,
la più acuta, la più caratterizzata dal punto di vista di classe oggi. D'altra
parte, senza pluralismo non si ha egemonia, ma isolamento della classe operaia
e suo ritorno a posizioni subalterne. Di tale nesso dialettica tra i due
termini i nostri avversari ovviamente non capiscono nulla, e dicono: se parlate
di egemonia non potete parlare di pluralismo, e viceversa. Dal punto di
vista della sociologia cattolica e americana hanno ragione, ma noi usiamo
questo termine con tutt'altro significato. Legato a questo si pone anche il
tema della dittatura del proletariato. Come ci collochiamo? Quando i
socialdemocratici escludevano la dittatura del proletariato, e anche Kautsky la
escluse dopo la rivoluzione d'Ottobre, in realtà dilatavano una concezione
della democrazia tale per cui nell'esercizio della democrazia si arriva al
socialismo, ma smarrivano la questione dell'autonomia e dell'egemonia della
classe operaia, concepivano il processo come puramente elettorale e non come
un'egemonia che rompe il blocco avversario, che aggrega e costruisce un nuovo
fronte, quindi un'egemonia fondata sull'iniziativa e sulla lotta. Noi
abbiamo parlato di dittatura del proletariato nella Dichiarazione programmatica
del nostro VIII congresso, nel '56, per sottolineare come cambino le forme
della dittatura del proletariato a seconda dei paesi. Abbiamo mantenuto il concetto,
ma abbiamo sottolineato questo elemento: cambiano le forme. Abbiamo
ripreso questo concetto al decimo congresso, nel '62, per sottolineare che
della dittatura del proletariato emerge sempre di più l'elemento della
direzione e del consenso. In seguito non abbiamo più ripreso questa nozione,
l'abbiamo lasciata cadere. Mi chiedo se sia compito dei documenti del
partito affrontare questa questione tipicamente teorica o se invece non si
debba sviluppare la discussione e il dibattito a livello teorico su questo
problema. Ad ogni modo la mia opinione, che altri possono naturalmente
confutare, è che la nozione della dittatura del proletariato è nella situazione
italiana dialetticamente superata, il che può voler dire assunta ad un livello
superiore. Cosa significa? Significa che la classe operaia deve, at·
traverso tutto un processo (oggi un accordo programmatico, poi un governo
unitario), costruire un nuovo blocco di potere in cui essa sappia avere una
funzione dirigente. D'altra parte, un nuovo blocco di potere o si
costituisce sotto la direzione della classe operaia o non si costituisce.
Blocco di potere certamente contraddittorio dal punto di vista sociale e
politico che dovrà saper risolvere le sue stesse contraddizioni in modo
progressivo se ne sarà capace. L'egemonia si conquista, la direzione si
conquista ogni giorno. Ecco allora che è il blocco di potere ad
esercitare la coercizione sulla società attraverso la legalità dello Stato.
L'elemento della coercizione non può essere eliminato, non si costruisce il
socialismo senza coercizione, anche dura, ma essa viene esercitata dal blocco
del potere, non direttamente dalla classe operaia. Del resto anche nella
concezione di Lenin e nella realtà, la classe operaia ha esercitato la
coercizione contro i nemici di classe e non verso i contadini poveri, non verso
gli intellettuali. Lenin diceva: gli specialisti li dobbiamo conquistare, qui
la coercizione non serve, li dobbiamo convincere a lavorare per noi, bisogna
pagarli molto, ecc. ecc. Anche allora nel blocco di potere c'è un elemento di
consenso e un elemento di costrizione. Se si allarga il blocco di potere,
come da noi deve allargarsi, si allarga anche la sfera del consenso, ma di un
consenso molto travagliato, ottenuto con le lotte, tra contrasti, anche,
tutt'altro che scontato. L'altro elemento è che non solo la classe operaia non
esercita direttamente la coercizione, ma non impone nemmeno il suo modello di
Stato a tutta la società. Nella rivoluzione russa è avvenuto questo: i Soviet,
che sono un istituto tipicamente operaio, nato dal movimento operaio russo, si
sono estesi ai contadini e ai soldati, e poi son diventati l'istituto statale.
La classe operaia ha creato cioè la società a sua immagine e somiglianza, per
riprendere una frase biblica, cioè ha impresso la sua visione statale su tutta
la società. Noi questo non lo facciamo e non lo proponiamo, noi assumiamo
il parlamento dalla storia della democrazia ateniese, noi assumiamo i comuni,
le stesse regioni derivano da una tradizione non nostra, e introduciamo, come
elementi nostri invece, i consigli di fabbrica, il decentramento nei quartieri
e cosi via, i quali sono gli elementi di una democrazia diretta che supera il
parlamentarismo. In questo senso allora mi pare che non si possa parlare
di dittatura del proletariato, perché della dittatura del proletariato cade un
elemento: la coercizione esercitata direttamente dalla classe operaia nelle sue
forme e nei suoi modi. La coercizione resta ma è di tutto il blocco di potere
che esercita anche la direzione sulla società, non sola la coercizione.
Inoltre all'interno del blocco di potere la classe operaia deve sapere
esercitare la sua funzione dirigente per costruire lo stesso blocco di potere,
per tenerlo insieme, per trasformarlo in senso progressivo. Mano a mano che si
va avanti nel senso del socialismo, anche il blocco di potere si trasforma e
diventa più avanzato, più omogeneo dal punto di vista di classe e cosi
via. Allora si mantiene della dittatura del proletariato questo elemento
essenziale: l'autonomia e l'egemonia o direzione della classe operaia,
superando l'altro elemento, lo elemento della coercizione inquadrandolo in un
ambito più ampio. Questa è soltanto la mia opinione in proposito. “C’è
in molti giovani comunisti uno stile di serietà riflessiva, di maturità e di
chiarezza responsabile, che stupisce, se confrontato al tono un pò vacuo,
avventato o ciondolone, che è tradizionale di molta gioventù italiana. Sono
giovani che, usciti dalla dura scuola che i tempi impartiscono – sia pur con
diverso profitto – a ciascuno, son passati alla scuola del Partito, e diventano
in breve dirigenti : acquistano quel piglio, quel polso, quella quadratura,
quasi non avessero fatto altro da molti anni, o come se tutto in loro da tempo
tendesse a farne dei quadri comunisti, o non altro. Un dirigente di questo tipo
è Gruppi, segretario della Federazione di Torino. Laureato in filosofia, e
questa è una delle chiavi della sua personalità, ma proprio in un senso che
smentisce nel modo più assoluto il concetto che dei filosofi s’ha volgarmente.
Tutto in Gruppi è esattezza logica, ragionamento filato, rigore razionale: un
matematico, potrebbe anche essere, se i numeri non fossero entità troppo
astratte per il suo bisogno di concretezza.” Così Italo Calvino, dalle
pagine de l’Unità piemontese, descriveva Gruppi. Mi sembra giusto rendere
onore ad un grande compagno, anche se non ho avuto la fortuna di conoscere se
non attraverso i suoi scritti. Gruppi è stato per lungo tempo il
responsabile della Sezione culturale del PCI e successivamente direttore
dell’Istituto di studi comunisti “Palmiro Togliatti”, la famosa scuola di
Frattocchie. Pubblicato numerosissimi articoli su Rinascita, su l’Unità, su
Critica marxista (di cui è stato vicedirettore), assieme ad altre pubblicazioni.
Il suo lavoro, nel Partito ed all’Istituto, è stato fondamentale nel costruire
quadri e militanti e nello sviluppare quella teoria rivoluzionaria che a noi,
comunisti del XXI secolo, così manca. Una testimonianza diretta da mio
padre Marco. “Conobbi Gruppi alla scuola di Partito di Frattocchie/ In
quel periodo il partito si era impegnato molto nella formazione dei gruppi
dirigenti. Io insieme ad altri giovani compagni della gloriosa Federbraccianti
delle varie regioni d’Italia, fra i venti e i trent’anni avevamo partecipato,
orgogliosamente, a quella settimana di studi e approfondimenti sulla questione
agraria e economica del Mezzogiorno. Ci colpi’ molto la preparazione e la
competenza di Gruppi, ma soprattutto il suo linguaggio e la sua dialettica,
coerentemente alineata a sani principi etico-morali. E uno che volava
alto, ogni tanto si lasciava andare in ragionamenti filosofici che a noi,
ancora politicamente acerbi, sembravano un pò difficili. Una settimana intensa
e ricca che ci forni strumenti di analisi, di critica e di proposta.”
Qualche cenno biografico per i compagni che non lo conoscono, dal sito
biografico gestito dalla moglie Tilde Bonavoglia e da suo nipote Andrea
Bonavoglia http://digilander.libero.it/lucianogruppi/ : Iscritto al
Partito comunista italiano. Partecipa alla Resistenza. Dopo la Liberazione è
membro della Segreteria e responsabile della Commissione giovanile della
Federazione di Torino. Responsabile della Commissione giovanile, poi della
Sezione di stampa e propaganda, membro della Segreteria della Federazione di
Milano. Responsabile della Sezione d’organizzazione e vicesegretario
della Federazione di Torino. Segretario della Federazione di Torino. Fa parte
della Segreteria regionale del Piemonte. Membro della segreteria del Consiglio
mondiale del Movimento dei partigiani della pace a Praga e a Vienna. Vice
responsabile della Sezione di stampa e propaganda del Comitato centrale del
PCI. Fa parte della segreteria della Federazione di Torino ed è capogruppo
consiliare al Comune di Torino. Rappresentante del PCI nel Comitato di
redazione della rivista internazionale Problemi della pace e del socialismo, a
Praga. Vice responsabile della Sezione culturale del Comitato centrale del
PCI. Dal ’64 al ’66 responsabile della Sezione per le scuole di
partito. Dal ’66 al ’73 vice responsabile della Sezione culturale del
Comitato centrale del PCI. Vicedirettore della rivista Critica
marxista. Direttore dell’Istituto di studi comunisti Palmiro Togliatti
(Frattocchie). Presidente dello stesso istituto. Membro del
Comitato centrale, Membro della Commissione centrale di controllo. Al congresso
ha chiesto di non essere riproposto per organismi dirigenti del PCI; Ha
restituito la tessera dei Democratici di Sinistra; Iscritto al Partito
della Rifondazione Comunista; Nello stesso sito è possibile trovare
l’importantissimo “La concezione marxista dello Stato”, che riunisce le lezioni
tenute presso Frattocchie. http://digilander.libero.it/lucianogruppi/concezionedellostato/la_concezione_dello_stato.html
Per finire, la commemorazione su “L’Ernesto”
https://www.marx21.it/rivista/5142-marx-dalla-democrazia-radicale-al-comunismo-rivoluzionario.html
Un breve estratto da quest’ultimo articolo, ancora oggi attualissimo, di Bianca
Bracci Torsi e Fosco Giannini, che mi sento di condividere in pieno :
“Due propensioni, quella dello studio teorico e della formazione, quanto mai
necessarie ed attuali oggi, in questa fase caratterizzata sia dalla povertà
teorica che segna di sé una parte significativa del movimento comunista che
dalla grave sottovalutazione del valore della formazione politico-teorica ( la
“scuola quadri”) che si manifesta anche in Rifondazione comunista. Luciano
Gruppi, dunque, non solo nel ricordo: ma per il lavoro futuro, come è destino
dei grandi. “Luciano Gruppi. Gruppi. Keyword: la via italiana al socialismo, egemonia
della filosofia del linguaggio ordinario -- Refs.: Luigi Speranza: Grice e
Gruppi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51755430814/in/dateposted-public/
Grice e
Guastella – la conoscenza – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi
Speranza (Misilmeri). Filosofo. Grice: “Guastella is an interesting
philosopher. A system-builder! He wrote on epistemology and metaphyusics in a
clear style.” Cosmo Guastella (Misilmeri), filosofo. Figlio di Vincenzo
farmacista e da Marianna Piazza, uno dei quattro figli della coppia, ancorché
di famiglia borghese non ebbe un'infanzia agiata. Sudia con l'ausilio di borse
di studio fino a laurearsi a Palermo. È ritenuto il capostipite del
fenomenismo. Insegna a Palermo. Opere: “La conoscenza”; “Metafisica”; e “Il fenomenismo”. Fonda la Biblioteca filosofica.
Dizionario Biografico degli Italiani, Dizionario di filosofia. Cause
empiriche: e cause metaempiriche. La caasa
nel senso scientifico. Distinzione tra la
causa nel senso metafisico (causa efficiente)
e la causa nel senso scientifico. I filosofi
hanno ammesso generalmente questa distinzione
Impossibilità di provare la dottrina di
Comte sulle cause efficienti.L’ANTROPOMORFISMO. La
Filosofia teologica. La filosofia teologica
nel periodo prescientifico. Funzioni della
divinità come principio esplicativo dei
fenomeni. La divinità come principio
motore. La divinità come principio di una
spiega- zione teleologica dei fenomeni. Le
prove dell'esistenza della divinità. I concetti
della teologia trascendentale ^^
Immutabilità ed extra-temporalità di Dio--
Pag' ' Dio come l'Infinito
o l'Assoluto .
. 1^9^ Il dualismo e il panteismo
nella filosofìa antica e nella moderna. Il
valore delle prove dell'esistenza della
divinità dipende da quello del
concetto di causa efficiente. L'animismo come
spiegazione dei fenomeni biologici. §
8. Osservazioni generali suU'animismo come
ipotesi biologica 85-La spiegazione animista
dei fenomeni bio- logici 87-Estensione
del dominio della coscienza in conseguenza
dei principii dell'animismo. 102-Spiegazione
intellettualista dell'istinto. L'ilozoismo. Osservazioni
generali sull'ilozoismo .
111-L' ilozoismo nella filosofia antica
e moderna 119-128 14. L'ilozoismo
nella filosofia contemporanea. 11 panpsichismo.
Osservazioni generali sul panpsichismo. La
monadologia di Leibnitz. I panpsichìsti moderni. L'idealismo.
Osservazioni generali sull'idealismo. L'idealiijino di
Kant 200-L'idealismo assoluto, dei successori di
Kant 214-219-Il coneetto di eansalità
deirantropiomorfismo. .§ 21. leoda
volizionale della causazione e teorie
affini. Osservazioni su queste teorie. La
filosofia meccanica o impulsionista. §
1. Della filoso fia meccanica o
impulsionista in generale 251-Il principio
, su cui è fondata la filosofia
meccanica, in Cartesio e i cartesiani,
in Hobbes, in Spinoza, in Newton, nei
primi newtoniani, in Locke, in Leib-
nitz, in Clarke, in Huygens, Bernouilli, Eulero,
d' Alem- bert, Hume, Reid, Dugald-Stewart, Hamilton,
Galluppi, Rosmini, Cuvier, nei fisici e
filosofi contemporanei. La proposizione che V
azione a distanza è inconcepibile,
assurda e contraddittoria. Origine e sviluppo
dell'idea di causa bf- , ficiente.
§ 1. Le causazioni più
familiari ci sembrano spiegarsi da se
stesse e potere spiegare tutte
le altre. Proposizioni di filosofi che
hanno ricono-scinto questo fenomeno
psicolo^co \(di ^ Bacone ,
Stuart-Mill , Bain , GiiffopA
, Pag. Stallo). L' idea di
causa efficiente deriva, dall' «et
sperienza delle causazioni più famlliani. Le
causazioni più familiari non sembrano,
misteriose che nella riflessione scientifica. Perchè l’azione
volontaria diventa mi- - steriosa
Perchè diventa misteriosa, in generale,
l'azione mutua tra lo spirito e il
corpo. Perchè diventa misteriosa 1' attività
inte- riore dello spirito 3Perchè diventano
misteriose IMnipulsione e le altre azioni
fisiche più familiari — Conclusione sulle
ragioni per cui le cau- sazioni più
familiari perdono la loro intelligibilità. La
tendenza naturale a spiegare le sequenze non
familiari riconducendole alle familiari, e
quindi il principio di causa- lità
efficiente nella sua forma primitiva e
spontanea, non possono avere alcun valore
obbiettivo Forma secondaria del principio
di cau-salità efficiente —Il principio
di causa*- , lità efficiente
è un'induzione incosciente dalle
causazioni più familiari. Origine comune e
differenziazione prògressiva dei concetti fisico
e metafisico i' deWsL causalità. La
dottrina dbll'inconoscibilb b l'idea di
CAUSA EFFICIENTE. La dottrina dell'
inconoscibile come ap- Digitized
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pliéàzìone del principio di causalità efficiente
'tiella sua forma secondaria .
. J?ni-39S §'lLa proposizione che
non conosciamo l'es- senzal disile cose
11 fondamento principale della teoria del -
l'ÌDCon<6scibìl'e è il principio di
causalità efficiènte. Questo fóndamente non può pretendere ad alcun calore obbiettivo.
Ciò è provato più chiaramente dalTesame dell'inferenza incosciente di cui è la conclusion.
Noi conosciamo o possiamo conoscere l'essenza delle cose e il modo essenziale della produzione dei fenomeni
La Forza nel senso metafisico. La fij.osofia
apriorista. Lo sforzo di ricostruire la
realtà a priori è una delle tendenze
più generali della speculazione metafisica. La
filo&ofìa apriorista è sovratutto un'ap-
plicazione del principio di causalità efficiente
La filosofìa apriorista in Cartesio, in
Malebranche 4(ìy-in Spinoza in Leibnitz, in Locke, in
Condillac, in d'Alembert, in Hume, in Kant, in
Fichte, Schelling, Hegel, in Reid, Ehigald-Stewart
, Galluppi , Ro- smini, Gioberti, Mamiani, in
Taine e Spencer e in Hartmann. Le
pretese dimostrazioni dei principii della
meccanica. La filosofia apriorista al di
fuori della ri- cerca della causa efficiente. Dottrine
della filosofia apriorista sulla essenza e
la definizione. Dottrine di Aristotile e di
Platone in particolare. Dottrine analoghe e
particolarmente quella di Cuvier della
correlazione organica. Spiegazioni della filosofia
apriorista della costituzione del cosmos
(e particolarmente quelle di Platone e
di Aristotile). L'argomento ontologico come
applicazione della spiegazione apriorista. IL REALISMO DIALETTICO.
Perchè si realizzano le astrazioni. Spiegazioni correnti e precisasione della
qaistione. Il realismo, in quanto è una
spiegazione del mondo (realismo dialettico),
ha Io scopo di identificare il rapporto
logico tra il principio e la
conseguenza al' rapporto ontologico tra la
causa efficiente e V effetto— Origine del
realismo degti scolantici. Il sistema di Hegel. Il
sifttema di Taine. Realismo
(realizzazione dei concetti) del Taine. Il
suo metodo dialettico (cioè di dedurre
i concetti realizzati). L'idea fondamentale
di questo sistema è Ti- dentificazione
del rapporto tra il principio e la
conseguenza a quello tra la causa ef-
ficiente e Teffetto. Il sistema di Piatene. Cenni generali sulla filosofia di Platone. Apriorismo di Platone. Suo metodo puramente
deduttivo. Importanza capitale attribuita al
metodo; universalità della filosofia e sua sìstemftticìtà. Affinità
del metodo dialettico col metodo matematico. Caratteri
prepri del metodo dialettico, per
cui differisce dal matematico. Tutte le
altre Idee si deducono da quella
del Bene. L'Idea del Bene non è
solo il principio logico ma anche il
principio ontologico (la causa produttrice)
delle altreldee, enonne è il principio
ontologico che in quanto ne è
il principio logico. La deduzione
progressiva delle Idee le une dalle
altre é una derivazione reale delle
Idee che si deducono da quelle
da cui sf deducono. L'Idea del Bene
è la più generale di tutte. Contenuto
di quest'Idea. Metodo di divisione e
gerarchia delle Idee. Teoria della definizione. La
dieresi è una deduzione in cui V
Idea divisa funge da principio, e le
Idee in cui si divide da conseguenza.
Come la dieresi è una deduzione, e
come si trovino in essa 1 caratteri
distintivi del metodo dialettico dì
cui al § 12. . »
264-Il metodo indiretto del Parmenide
É con questo metodo che deve dimostrarsi
il primo principio (cioè l'Idea del Bene). Un'Idea
generale non è solo il principio logico ma anche
ontologico (la causa), clelle Idee
più particolari in cui si divide. L'obbiettivazione
dei concetti e il metodo dialettico
hanno per Iacopo Tidentiflcazione del
rapporto tra il princìpio e la
conseguenza a quello tra la causa
efficiente e Teffctto. n iftiema
41 Spinosa. Idea generale della filosofia di
Spinoza. Il concetto del parallelismo psico-fisico
e suoi sviluppi Metodo puramente deduttivo. Identità dello sviluppo logico e dello sviluppo ontologico.
Le cose considerale sua specie aetemitatis. L’essere, secondo Spinoza, è una serie di astrazioni realizzate che derivano logicamente
e ontologicamente le une dalle altre, in modo che il rapporto tra il principio e la conseguenza é identico con quello tra la causa (efficiente) e l’efi'etto. Difi'erenze e omologia fra tutti questi sistemi.
Come il realismo dialettico deriva dalla
tendenza naturale del nostro spìrito da
cui derivano tutti gli altri concetti
metafisici. NIHIL ORITUR, NIHIL INTERIT. Tendenzanaturale
a supporre che il reale nella
sua essenza é immutabile. I fisici greci
in generale
-Dottrine di Empedocle e di Anassagora. Il sistema degli atomisti.
Dottrine dei fisici che ammettevano una sostanza unica.
Dottrina di Eraclito della identità dei
contrari Dottrina degli Eleati. Spiegazioni
meccaniche dei fisici in generale. Dottrine
dei filosofi indiani. Dottrine di Bnmo e
di Telesio. La teoria meccanica (cioè
laridnrio- nedi tutti i fenomeni a
quelli mecca-rici) nella scienza moderna. Applicazione
della teoria alla costituzione della materia. Ancora
della teoria meccanica- Applicazione ai fenomeni
psichici. Spiegazione meccanica dei fenomeni
della vita Il principio della
persistenza delle co- nelle
stesse proprietà nell'atomismo metafisico,
nei sistemi monisti, nel realismo,
nel criticismo. Doitrine di Herbart e del prof.
Corleo Dottrina delTidentità della causa e
dell'efletto. IL CONCETTO DELL'ANIMA. L'animismo
(sostantificazione dell’anima) è il prodotto
d'una tendenza naturale dello*spirito umano. Le
.prove della sostanzialità dell'
anima. Materialiià deir anima Della for- ma
primitiva deirÀnìmismo. L'animismo è
anch'esso un' ap- plicazione del principio
deirim- mutabilità dell'essenza delle cose
» Le concezioni moniste si fonda- no
su questo principio egualmente che le
dualiste. . È per esso che deve
«piegarsi anche Tanimismo de -l'uomo primitive. Il
concetto dell'immortalità del- l'anima e quello
della bua im- materialità sono degli
sviluppi naturali della teoria animista. »
Il substratum , supposto indi sponsabile j
dei fenomeni psi- chici non è che il
fantasma del corpo » La terza
forma dell 'animismo, cioè la dottrina che
la sostanza dello spirito è un fatto
psichico permanente che è il sobstratom
di tutti gli altri. DOTTRINA DI ROSMINI
SULLA SOSTANZA DELL'ANIMA carte. IMMANENZA
DELLE IDEE PLATONICHE. Prove di qoeat*
immanetiixa . I termini designanti le
Idee in generale. I termini designanti
ciascen'Idea. carte Il concetto e la
conoscenza generale si riferiscono airidea »
La definizione e la dieresi,
che hanno per oggetto le Idee, si
riferiscono alle eose considerate d'una
maniera generale ed astratta L'Idea è
Tuniversale, ciò che è lo stei^so
in tatti gl'individui del genere. VLa
napouoCa, la (léBe^i^ e le altre
espressioni del l'inerenza nelle Idee nelle cose.
Contenenza reciproca tra le Idee gene-
riche e le Idee specifiche. Gli elementi
delle Idee sono anche gli elementi
delle cose » 89-100 IX. Tutto
il reale si risolve nelle Idee. L'essere
non 6 fuori del divenire, ma nel
divenire stesso. BlMeuMione degli argomenti
contro V ImmanenBa I. La sostanzialità
delle Idee. La distinzione fra le Idee
e le cose inter- pretata come una
separazione . ni. Le
Idee considerate come esemplari a cui le
cose non si conformano che approssimativamente. Le
allegorie del Fedro e del Timeo. La
testimonianza d'Aristotile. IL PITAGORISMO PLATONICO
Cenni snlle dottrine del Pitagorici e
sul pitagorismo di Platone In generale. I
namert ideali carte I doe elementi
A. La forma e la materia delle
Idee. La forma e la materia delle cose. Le
entlUi matematielie (come intermediarie fra
le Idee e le cosej. li piiagerifiino
nel Timeo e nel Filebo Motivi
deireTolnzione di Platone verso il
pi- tagorismo. II pitagorismo nel Tìm^o
(Carattere simbolico della cosmogonia del
Titneoe&no significato). Il pitagorismo
nel ^^eòo(il limite e V illimi- tato di
questo dialogo) » 242-251 V. Il
pitagorismo nel discepoli di Platone
Le tre dottrine dei platonici sui
numeri carta La dottrina
di Xenocrate . . .
. carte 251-25o La
dottrina di Speusippo. DOTTRINE DI PLATONE
SULL'ANIMA E LA DIVINITÀ NEL LORO
RAPPORTO COL SISTEMA DELLE IDEE. L'anima e
suo rapporto eon le Idee e eoi
fenomeni (ranima individuale carte
ranima cosmica e. £80-293).
carte L'Interpretaslone teistica del siste- ma
delle Idee (che le Idee soro i
pen- sieri della divinità creatrice)
liOldee e 11 pensiero (Interpretazione di
Hegel e del Teichmùller dell'immortalità
dell'anima e altre dottrine connesse — Pla- tone
non ammette Tidentità dell'essere e del
pensiero, e la sua Idea è un*
entità puramente obbiettiva. Cosmo Guastella. Guastella. Keywords:
conoscenza. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Guastella: tra fenomenismo e
noumenismo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689814494/in/photolist-2mPE1ox-2mLNi1Z-2mKDP1b
Grice e
Guicciardini – le cose dello stato -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze).
Filosofo. Guicciardini. Grice: “Guicciardini is what I call an Italian classic;
some like Machiavelli, as Austin used to say, “but Guicciardini is MY
Renaissance man!” – Grice: “There are various topics of interest: the italian
of Machiavelli and Guicciardini in the development of a philosophical political
lexicon; there’s the trope of the centaur –‘all’ombra del centauro.’ – Pure
political philosophy of the type enjoyed by members of the Debating Union at
Oxford!” Terzogenito dei Guicciardini,
famiglia tra le più fedeli al governo mediceo. Dopo una prima formazione
umanistica in ambito familiare dedicata alla lettura dei grandi storici
dell'antichità (Senofonte, Tucidide, Livio, Tacito), studia a Firenze seguendo
le lezioni di Pepi. Soggiornò a Ferrara per poi trasferirsi a Padova per
seguire le lezioni di docenti di maggior importanza. Rientrato a Firenze,
esercita l'incarico di istituzioni di diritto civile. Nominato capitane dello
Spedale del Ceppo. Inizia la stesura delle Storie fiorentine e dei Ricordi.
Esattamente dieci anni prima, ossia con l'anno 1498, si chiudono quelle
Cronache forlivesi di Leone Cobelli che espongono le premesse degli avvenimenti
riguardanti Caterina Sforza e Cesare Borgia di cui Guicciardini si occupa,
nelle sue Storie, per i notevoli riflessi che hanno sulla politica fiorentina. In
occasione della guerra contro Pisa, venne chiamato a pratica dalla signoria,
ottenendo l'avvocatura del capitolo di Santa Liberata. Questi progressi
portarono il Guicciardini anche ad una rapida ascesa nella politica, ricevendo
dalla Repubblica Fiorentina l'incarico di ambasciatore presso Ferdinando il
Cattolico. Da questa sua esperienza nell'attività diplomatica nacque la
Relazione, e anche il "Discorso di Logrogno", un'opera di teoria
politica in cui Guicciardini sostiene una riforma in senso aristocratico della
Repubblica fiorentina. Fece parte degli Otto di Guardia e Balia ed entra a
far parte della signoria, divenendo, grazie ai suoi servigi resi ai Medici,
avvocato concistoriale e governatore di Modena, con la salita al soglio
pontificio di Giovanni de' Medici, col nome di Leone X. Il suo ruolo di primo
piano nella politica emiliano-romagnola si rinforza con la nomina a governatore
di Reggio Emilia e di Parma. Nominato commissario generale dell'esercito
pontificio, alleato di Carlo V contro i francesi, matura quell'esperienza
che sarebbe stata cruciale nella redazione dei suoi Ricordi e della Storia
d'Italia. Alla morte di Leone X, si trova a contrastare l'assedio di
Parma, argomento trattato nella Relazione della difesa di Parma. Dopo
l'assunzione al papato di Giulio de' Medici, col nome di Clemente VII, venne
inviato a governare la Romagna, una terra agitata dalle lotte tra le famiglie
più potenti. Diede ampio sfoggio delle sue notevoli abilità diplomatiche.
Per contrastare lo strapotere di Carlo V, propaganda un'alleanza fra gli stati
regionali allora presenti in Italia e la Francia, in modo da salvaguardare in
un certo qual modo l'indipendenza della penisola. L'accordo fu sottoscritto a
Cognac, ma si rivelò ben presto fallimentare; di questo periodo è il Dialogo
del reggimento di Firenze, in cui si ripropone il modello della repubblica
aristocratica. La Lega subì una cocente disfatta e Roma fu messa al sacco dai
Lanzichenecchi, mentre a Firenze veniva instaurata la repubblica. Coinvolto in
queste vicissitudini, e visto con diffidenza dai repubblicani per i suoi
trascorsi medicei, si ritira nella villa Guicciardini di Finocchieto, nei
pressi di Firenze. Qui compose due orazioni, l'Oratio accusatoria e la
defensoria, ed una Lettera Consolatoria, che segue il modello dell'oratio
ficta, nella quale espose le accuse imputabili alla sua condotta con le
adeguate confutazioni, e finse di ricevere consolazioni da un amico. Scrisse le
Considerazioni intorno ai "Discorsi" del Machiavelli "sopra la
prima deca di Livio", in cui accese una polemica nei confronti della
mentalità pessimistica dell'illustre concittadino. Completa anche la redazione
definitiva dei Ricordi. Lasce Firenze e ritorna a Roma, per rimettersi di
nuovo al servizio di Clemente VII, che gli offrì l'incarico di diplomatico a
Bologna. Dopo il rientro dei Medici a Firenze, fu accolto alla corte medicea
come consigliere del duca Alessandro e scrisse i Discorsi del modo di riformare
lo stato dopo la caduta della Repubblica e di assicurarlo al duca Alessandro. Non
fu tenuto tuttavia in altrettanta considerazione dal successore di Alessandro,
Cosimo I, che lo lascia in disparte. Si ritira nella sua villa Guicciardini di
Santa Margherita in Montici ad Arcetri. Rriordina i Ricordi politici e civili,
raccolse i suoi Discorsi politici e scrisse la “Storia d'Italia. Morì ad
Arcetri, quando da circa due anni si era ormai ritirato a vita privata. Guicciardini
è noto soprattutto per la Storia d'Italia, vasto e dettagliato affresco delle
vicende italiane tra l’anno della discesa in italia del Re francese Carlo VIII e
il anno della morte di Papa Clemente VII. -- è un monumento al ceto italiano e
più specificamente alla scuola fiorentina di filosofi di cui fecero parte anche
Machiavelli, Segni, Pitti, Nardi, Varchi, Vettori e Giannotti. L'opera
districa la rete attorcigliata della politica degli stati italiani del
Rinascimento con pazienza ed intuito. L'autore volutamente si pone come
spettatore imparziale, come critico freddo e curioso, raggiungendo risultati
eccellenti come analista e filosofo (anche se più debole è la comprensione
delle forze in gioco nel più vasto quadro europeo). Guicciardini è l'uomo
dei programmi che mutano "per la varietà delle circunstanze" per cui
al saggio è richiesta la discrezione (Ricordi), ovvero la capacità di percepire
"con buono e perspicace occhio" tutti gli elementi da cui si
determina la varietà delle circostanze. La realtà non è quindi costituita da
leggi universali immutabili come per Machiavelli. Altro concetto saliente del
pensiero guicciardiniano è il particulare (Ricordi) a cui si deve attenere il saggio,
cioè il proprio interesse inteso nel suo significato più nobile come
realizzazione piena della propria intelligenza e della propria capacità di
agire a favore di se stesso e dello stato. In altre parole, il particulare non
va inteso ego-isticamente, come un invito a prendere in considerazione
solamente l'interesse personale, ma come un invito a considerare
pragmaticamente quanto ognuno può effettivamente realizzare nella specifica
situazione in cui si trova (dottrina che collima con quello di Machiavelli).
In netta polemica, Pitti scrisse l'opuscolo Apologia dei Cappucci, a difesa della
fazione dei democratici. E considerato il progenitore della storiografia
moderna, per il suo pionieristico impiego di documenti ufficiali a fini di
verifica della sua Storia d'Italia. La reputazione di Guicciardini poggia
sulla Storia d'Italia e su alcuni estratti dai suoi aforismi. I suoi
discendenti aprirono gli archivi di famiglia e diedero incarico a Canestrini di
pubblicare le sue memorie. Furono pubblicati i suoi Carteggi, che contribuirono
ad un'accurata conoscenza della sua personalità. «L’angolo di prospettiva
dal quale si prese a considerare, nella prima metà del secolo XVII,
l’opera guicciardiniana, la posizione di questa nel giudizio dei lettori
secenteschi, sono bene indicati da uno spirito acuto dell’epoca, A. G. Brignole
Sale. “Quindi non per altro, a mio giudizio, porta pregio il Guicciardini sopra
il Giovio, sol che questi, qual pittor gentile, de’ soggetti ch’egli ha per le
mani colorisce agli occhi altrui con vivacissimi ritratti, senza inviscerarsi,
la superficie, quegli per contrario, qual esperto notomista, trascurando anzi
dilacerando la vaghezza della pelle, vien con l’acutezza della sua sagacità
fino a mostrarci il cuore e il cervello de’ famosi personaggi ben penetrato.” All’affiatamento
con lo spirito dell’opera guicciardiniana si accompagnò, sul piano letterario,
una migliore intelligenza del suo stile, di cui si cominciò ad ammirare,
superando le pedanti riserve linguistiche, la scorrevolezza, l’intima misura e
precisione pur nel tono sostenuto. Tuttavia, proprio dal più accreditato
esponente letterario del tacitismo, Boccalini, fu formulato un giudizio tra i
meno benevoli alla Storia.» Il giudizio di Francesco De Sanctis
Copertina di un'antica edizione della Storia d'Italia Francesco De Sanctis non
ebbe simpatia per Guicciardini ed infatti non nascose di apprezzare
maggiormente il Machiavelli. Nella sua Storia della letteratura italiana il
critico irpino mise in evidenza come Guicciardini fosse, sì, in linea con le
aspirazioni di Machiavelli, ma se il secondo agì in linea con i suoi ideali, il
primo invece "non metterebbe un dito a realizzarli". De Sanctis
affirma:“Il dio del Guicciardini è il suo particolare.” “Ed è un dio non meno assorbente
che il Dio degli ascetici, o lo stato del Machiavelli.” “Tutti gli ideali
scompaiono.” “Ogni vincolo religioso, morale, politico, che tiene insieme un
popolo, è spezzato.” “Non rimane sulla scena del mondo che l'INDIVIDUO.” “Ciascuno
per sé, verso e contro tutti.” “Questo non è più corruzione, contro la quale si
gridi: è saviezza, è dottrina predicata e inculcata, è l'arte della vita”. E
poco più in basso aggiunse. “Questa base intellettuale è quella medesima del
Machiavelli, l'esperienza e l'osservazione, il fatto e lo «speculare» o
l'osservare. Né altro è il sistema. Guicciardini nega tutto quello che il
Machiavelli nega, e in forma anche più recisa, e ammette quello che è più
logico e più conseguente. Poiché la base è il mondo com'è, crede un'illusione a
volerlo riformare, e volergli dare le gambe di cavallo, quando esso le ha di
asino, e lo piglia com'è e vi si acconcia, e ne fa la sua regola e il suo
istrumento". Nel Romanticismo, la mancanza di evidenti passioni per
l'oggetto dell'opera era infatti vista come un grave difetto, nei confronti sia
del lettore che dell'arte letteraria. A ciò si aggiunga che Guicciardini vale
più come analista e filosofo che come scrittore. Lo stile è infatti prolisso,
preciso a prezzo di circonlocuzioni e di perdita del senso generale della
narrazione. "Qualsiasi oggetto egli tocchi, giace già cadavere sul tavolo
delle autopsie". Altre opera: Scritti autobiografici e rari
(Laterza), Storie fiorentine; Discorso di Logrogno, Considerazioni sui Discorsi
del Machiavelli, Ricordi politici e civili Dialogo del Reggimento di Firenze, Storia
d'Italia, Scritti sopra la politica di Clemente VII dopo la battaglia di Pavia
(Firenze, Olschki); Le cose fiorentine, R. Ridolfi, Firenze, Olschki, Carteggi,
presso Zanichelli, Bologna; presso Istituto per gli studi di politica, Firenze;
presso Istituto storico italiano, Roma; presso G. Ricci, Roma. "Donna di
grandissimo animo e molto virile", secondo il Guicciardini (Storie
fiorentine). N. Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, La
Nuova Italia, Firenze, A. G. BRIGNOLE-SALE, Tacito abburatato, Genova, «Or chi
non vedescriveva il Tassoniche questo è uno stil maestoso e nobile, quale
appunto conviensi alla grandezza delle cose proposte e alla prudenza politica
dell’Istorico che le tratta? e che non ostante i periodi sien tutti numerosi e
sostenuti, per esser ben collocate le parole fra loro, e però l’ordine, e ’l
senso facile e piano in maniera che ’l lettore non trova scabrosità né intoppi,
come nello stil di Villani, che va saltellando e intoppando a ogni passo etc. A.
TASSONI, Pensieri diversi, Venezia, Il
legame del pensiero politico tassoniano con quello di Guicciardini (incluso, a
differenza del Machiavelli, tra gli storici della «prima schiera» con Comines e
Giovio, ossia considerato pari agli antichi; v. Pensieri) e del Machiavelli è
noto: i due fiorentini, come dice il Fassò, furono «i due poli» a cui si volse
la sua riflessione politica. (Introduz. a TASSONI, Opere, Milano-Roma, T. BOCCALINI, Ragguagli di Parnaso e Pietra
del paragone politico, I, Bari, Walter
Binni, I classici italiani nella storia della critica: Da Dante al Marino,
Nuova Italia, Testi Dialogo e discorsi del reggimento di Firenze” (Bari,
Laterza); “Historia di Italia, Pisa, Capurro; Historia di Italia. Libri (Venezia,
Angelieri): Scritti autobiografici e rari” (Bari, Laterza); “Scritti politici”
(Bari, Laterza); “Storia d'Italia” (Bari, Laterza); “Storie fiorentine” (Bari,
Laterza); Studi R. Ridolfi, 'Vita', Milano, Rusconi Treves, Il realismo
politico, Firenze, R. Ramat, “La tragedia d'Italia” Firenze, V. De Caprariis, Guicciardini.
Dalla politica alla storia, Napoli, (ristampa Bologna, G. Sasso, Per Francesco
Guicciardini. Quattro studi, Roma, E. Cutinelli-Rèndina, Guicciardini, Roma, Famiglia
Guicciardini. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Propositioni, overo Considerationi in materia
di cose di Stato, sotto titolo di Avvertimenti, Avvedimenti Civili, &
Concetti Politici di Guicciardinii, Lottini, Sansovini, Venezia, Presso
Altobello Salicato, Opere illustrate da Giuseppe Canestrini, Firenze, Barbera,
Bianchi e Comp., (Bari, Gius. Laterza); biblioteca italiana. AVVERTIMENTO
PRIMO. R Principe,checolmezodelsuoAmbasciatorevuoleingannar
Paltro,deueprimaingannar l'Ambasciatore,percheopera,en parlaconmaggior
efficaccia,credendo che cosisiala mentedel fuo Principei,lchenon
farebbesecredesseesseresimulatione,eg ilmedesimoricordousiogn'uno,che
permezod'altrivuoleper Juadereaun'altro ilfalso. 11. DAL
fareònonfareunacosachepaiaminima,dependebenspejlomomentodi coseimportantiffime,o
però nellecosepiccoledeuefieffereauuertito,ceonsiderato. III. FÁCIL
cosaèguastarsiunbel'eseredificilealracquistarlo,peròchisitruong inbuon
gradodeuefareognisforzodinonlasciarselovscirdimano. IIII.
E'Pazziasdegnarsiconquellepersoneconlequaliperlagrandezzaloro,tunon
puoisperaredipoteruendicarti,peròsebena pareessereingiuriatodaquesti, bisogna
patire,efimulare NELLE
cosediguerranasconodaun'horaàvn'altrainfinitevarietà,perònon fideuepigliaretroppoanimodelenuoueprofpere,nèuiltàdelleauuerse,perchespeso
nascequalchemutatione,ma questodeueinsegnare,chea chifelipresental'occasione
non laperda,perchedurapoco. COME ilfinedemercantièilpiudellevolteilfallire; quellodenauigantiilfom
mergere, cofispessodichilungamentegouernailfineècapitarmale QYESTI
ricordisonregole,cheinqualchecasoparticolarechehadiuerfa VII LE
cosechesonouniuerfalmentedesiderate, rareuolteriescono,laragioneècheli
pochisonoquellichecommunementedannoilmottoallecose,e alifini, dichesono
contrarijaljaigliappetitidimolti VIII. TVTT.E
lesicurtàchesipossonohaueredel'inimicofonbuone,difede,diamici,
dipromesse,ed'altreassicurationi,maperlamalaconditionedeglihuomini,evariatio
nedetempinissunaaltraèmigliore,& piuferma,cheaccommodarsiinmodo,chel'ini
mico non habbiapoteftàd'offenderti IX NESSUNA cofa deue desiderarepiul'huomoinquestomodo,nèattribuirlopiu
a fuafelicità,cheuederel'inimicofuoprostratointerrae ridottoaterminitali,chetu
l ' h a b b i a a d i s c r e t i o n e :M a quanto è f e l i c e a c h i a c c
a d e q u e s t o , t a n t o d e v e f a r s i g l o r i o s o
conl'ofarlalaudabilmente,cioèesserclementeaperdonare,cofapropriadeglianimi
generofi, & 'eccellenti: ragione,
ragione,hannaeccettione,maqualifianoqueicasiparticolari,sipofonomaleinsegnare
altrimenti,chceon ladifcrettione. diuèdicarsi
dite,nonlofacciaprecipitosamente,anziaspettiiltempoel'occasione,laqualesenza
dubbioliuerrà diforte,chesenzascoprirsimaligno,oappasionato,potràsodisfareal
fuodesiderio. XIIII. Chi hadagouernare Città,opopolielivogliatenercoreti,Sappiacheordina
riamentebastapunireidelinquentiaföldiquindiciperlira,maènecessariopunirlitut t
i , c h e i n e f f e t t o s i a c u s t i g a t o o g n i d e l i t t o, m a
s i p u ò b e n f a r q u a l c h e m i s e r i c o r d i a , e c c e t
todellicasiatroci,chebisognadaressempio. XVI. IL ricordodisopra, bisognavsarloin
modochel'acquistarnomedinoneserbene.
fattore,nonfaccia,chegl'huominifugghino,& aquestosiprouedefacilmente,conbe
n e f i c i a r n fe u o r d e l l a r e g o l a q u a l c h ' o n o , p e r c
h e n a t u r a l m ě t e h a t a n t a s i g n o r i a n e g l h u o
minilasperanzachepiutivaleràpressoaglialtri,& piuessempiofavno chetuhaba
biabeneficiato, checentochenonhabbinodatehauutoremuneratione. S. Auuertimenti
di XII. INGEGNATEV Idinonvenireinmalconcettoappressodichièsuperio
renellapatriavostra,neuifidatedelbuongouernodeluiuernostro,chesiatale,che
nonpensiated'hauergliacapitarnellemani;perchenasconoinfiniti,enonpenfaticasi
dihauerbisognodilui, èconuersoil Superioresehavogliadipunire,& XIII. TVTTI
glihuominisonobuoni,cioedouenoncauanopiacereoutilitàdel m a l e , p i a c e p i
u l o r o i l b e n c h e i l m a l e :m a s o n o v a r i e l e c o r r u t t
e l e d e l m o n d o e f r a g i l i t à loro;& spessoperl'interesseproprioinclinanoalmale.PeròdafauiLegislatorifieper
fondamento dele Republiche trouatoilpremioelapena,nonperviolentareglihuomi ni,m
a perche seguiting l’inclinationenaturale. XVII. PIV tengonoamemoriagl'huomini l'ingiuria,cheibeneficijriceuuti,anziquan
dopuresiricordanodeibenefici,lofannonell’imaginesuaminore,chenon furiputun
dosimeritar piuchenonmeritano.Ilcontrariosifadell'ingiuria,cheduoleadogniuno
XI. E 'laudato appressogl'antichi,& è verissimoprouerbio: Magistratusvirumoftédit,
perche conquestoparagonenonsolosiconosceperilpesochesiba,sel'huomoèd'assai
odapoco,maperlapoteftà,elicenzasiscuopronoleaffettionidell'animo,cioèdiche
natural'huomofia, perchequantoaltruièpiu grande,tantomancofreno,erispettoha
alasciarsiguidaredaquelchegl'ènaturale. XV. SE
liScrittorifuferodiscreti,ogratisarebbehonesto,edebito,chelipadronilibe
neficiasseroquantopotesero,ma perchesonoilpiudellevolted'altranatura,equando
fonopieni,olilasciano,òlistraccano,peròèpiu vtileandareconloroconlamanostret
ta, e trattenendoliconsperanza, darlorodieffettitantochebastiafarechenonsidi
Sperino. piu, cheragionenolmentenon
doveriadolere,peròdouegl'altritermini.forpara
guardateuidifarquellipiaceri,chedinecessitàfannoadun altrodispiacerevguale,
percheperlaragionedettadisopra, siperdeingrosso,piuchenonsiguadagna. ,percheper
esperienzasivedecheglihuomininonsongrati,perònelfareicalcolituoi, òneldi
segnardisponerdeglihuominifamaggiorfondamentoinchineconseguevtilità,chein
chis’hadamuouerfoloper rimunerarti,percheineffettoibeneficijsidimenticano.
cheprocededa bron’animo, fivede, chepurtalvolta èremunerato qualchebene ficio,e
anchespessodiforte,chenepagamolti,& ècredibilecheaquellapotestà
ch'èsopraglibuominipiaccinol'ationinobili,eperònonconsentachesianosenza frutto:
XX. INGEGNATEV Id'haueredegliamici,perchesonbuoniintempi,luo ghiecasi, chevoinonpensarete,equestoricordobenchevulgato,nonlopuòconsidera
reprofondamentequantovaglia, achinonèaccadutoinqualchefuaimportanzafen
tirnel'esperienza: XXI. P I A C E vniuersalmente, chièdinataraverae liberă,&
ècosagenerosa,ma
talvoltanuoce.Madall'altrocanto,lasimulationeèvtile,ma'èodiata,G hadelbrut the
ènecessariaperlemalenaturede glialtri,però non sòqualesidebba eleggere,
Credoperò, chesipossavfarel'onaordinariamente,senzaabbandonarl'altra,cioènel
corsotuoordinariocomume vjarlaprimainmodo,cheacquistinomedi personalibe ra,
nondimenoincerticasiimportantipotrai sarelasimulatione,laqualeàchivi
uecosìètantopiuvtile,e sicredemeglio,quantoperbauernomedelcontrario,tiè
facilmentecreduto XXIIII. E INCREDIBILE quantogiouiachihaamministratione, chelecosesue
fienosegrete,perchenonsoloidisegnisuoqiuandosifanno,possonoeserprenenuti,e
interrotti,maancoral'ignorareisuoipensieri,fachegl'huominifannosempreattoniti
3 XVIII. PIV
fondamentopotetefareinvnoc'habbiabisognodivoi,oc'habbiainqua! checasol'interese
communecheinvnoc'habbiariceuutodaboibeneficio XIX. H
O.postoiricordidisopra,perchesappiateviuere,ericonosciatequelchelecose
possono,nonacciocheviritiriatedalbeneficiare,percheoltrecheècosagenerosa,en
XXII. P E R Lecagionidisopra,nonlaudochiviuesempreconsimulatione,& conarte,
mascufobenechiqualchevoltal'vja. XXIII. $1A
certochesetudesideri,chenonsisappiachehaifatto,òtentatoqualcheco
Ja,cheèsempreapropositoilnegarla.Percheancoracheilcontrariosiaquasiscoperto
& publico,tuttauianegandolaefficacemente,sebenenonlopersuadiachihaindi tij,
ocredeilcontrario,nondimeno perlanegationegagliardaseglimetteilceruello
àpartito. A 3 esospetti, efofpetti,aoßeruarelesueattioni.Ed'ognifuominimomoto,sifannomillecommente
ti,& interpretationi,ilcheglidàgranriputatione,peròchièintalgradodouerebbe
auezzareisuoiministrinonsoloàtacerelecosechemaisifappino,ma ancortuttequel
lechenonèptilechesipublichino. XXVI, ANCORA quellicheattribuendotuttoallaprudenza,
ovirtů, s'ingegnano e s c l u d e r e l a f o r t u n na ,o n p o s s o n o n e
g a r e , c h e n o n f i a g r a n d i s s i m a f o r t e n a s c e r e d q u
e l tempo, oabbattersia quelleoccasioni,chesienoinprezzoquelleparti,opirtùinchę
tu vali . XXVII . N O N
vogliogiàritirarquellicheinfiammatidall'amoredeltaPatriasimetto H o a p e r i c
o l o p e r r i m e t t e r l a i n l i b e r t à ., e l i b e r a r l a d a T
i r a n n i ; m a d i c o b e n e , c h e c h i cercamutationedistatopersuointereffenonèsauio,percheècofapericolosa,
elivede cõeffettiche
pochissimitrattatisonoquicheriescano,epoiquãdobeneèsuccesso, fide e quasisempre
che nellamutatione tu no conseguiscidi gră lunga quel chetu haidife gnato,&
inoltretioblighiàvnoperpetuotrauaglio, perchesempretuhaidadubita re, nontorninoquelli,
chetuhaifcacciatijetivecidino. XXIX. CHI
purpuoleattendere'atratati,siricordi,chenefunacosalirouinapiucheit
desideriodivolerlicondurretroppofieuri, perchéchi vuolfarperinterponere manco
tē po, implicapiuhuomini,emescolapiucose,dallaqualcausasiscopronosemprefimili p
r a t i c h e . E t a n c o è d a c r e d e r e c h e l a f o r t u n a , f o t
t o l ' a n i m o d i c h i s o n q o u e s t e c o s e . f i j d e
gniconchivuolliberarsidallapotestàfua& aficurarsi,peròèpiufécurovolerliesem
quireconqualchepericolo,checontroppasicurta. įXX. NON
disegnatesùquello,chenonhauete,nèspendetefuliguadagnifuturi;
perchemoltevoltenonfuccedono,etitrouiinuiluppato, & sivedeilpiudelevol te, chelimercantigroffifallisconoperquefto,quando
persperanzad'vinmaggior
guadagnofuturo,entranosuocambi;lamoltiplicationedequaliècerta, & hatempo
determinato, maliguadagnimoltevolte,ononnengono, ofiallunganopiucheildia
Aiuertimenti di X X V :. O S S E R V A I quandoere AmbasciatoreinIspagnaappressoil
Re Ferdinan dod'AragonaPrincipefauio,&
glorioso,cheegliquandovoleuafareunaguerra,
impresanuoua,òaltracosad'importanza,nonprimalapublicaua,epoilagiustifica ua, maperilcontrariovsauaartecheinnāzis'intendessequellocʻbaueuainanimo,er
fidiuulgana ilRe douerebbeperletalicagionifar questo inmodo,chedoppopublican
dosiquelchegiàpareuagiuftoadogniunoonecesario,èincredibileconquantalände
eranoriceuutelefuedeliberationi. XXVIII.", RCON
viaffaticateaquellemutationichenonparterisconoaltro,shemutarei visidegl’huomini:
perchechebeneficiotirecafequelmedesimomale,odispetocheti facciaPietro
tifacciaGiovanni? 12 . Jegne,
Tegno,dimodo,chequellaimpresachetuhauenicominciatacomevtile,tiriescedania
nofiffima XXXI. SE hauetefalitopenfatelabene, emisuratelabene, tananzicheentriateinprigio
nepercheancorach'ilcafofussemoltodificileascoprire,tamenèincredibile,aquante
cosepensailgiudicediligente edesiderosoditrovarelaverità,& ogniminimospiras
glioèbastanteafaruenire tuttoaluce. ,ofa tiche.Ma quelchelafa forsedesiderabileancoraall'animepurgate,èl'appetitoche
s'had'esserefuperioreagl'altrihuomini,ilcheècerto.cafabella &
beata,attesomaffia me ch’innessunaaltracosacipesamoassomigliareaDio
dentisubitiderepentini,cosacheagiudiciomioèrarissima pericoli,& mai XXXII
LÀ medesimaragionefa,chequantopiul'huomoinuecchia,tantopingliperfa
ticailmorire, e semprepiuconleattioni,econlipenfieriviue,comesejapesenonha
weremaiamorire. XXXVII. SI CREDE,&
ancospessofeuedeperesperienza,chelericchezzemale
acquistate,nonpassanolaterzageneratione. Sant'Agoftinodice,cheDiopermet te, chechil'haacquistategodainrimunerationediqualchebene,chehafattoinvi
ta,ma poinonpassanotroppoinnanzi, percheègiudiciodiDioordinariamente,che
cosinadadimalelarobamaleacquistata. IodiligiàadunPadre,cheameoccor
reuaun'altraragione,perchechiha acquistata la roba,ècommunemente allenato
dapouero,l'amasc sal'arte diconferuarla,maifigliuolichesononati& allcuatida
XXXII. 10 hodefideratocomeglialtrihuominil'honore& l'otile,&
infinquipergram tia'diDioèfuccedutosopraildisegno,enondimenoquãdohocõseguitoquelchedeside
rauo,nonuihoritronatodētroalcunadiquellecosechemihaueuoimaginato,ragione,
àchibenla considerasse , chedoueriabastareadeftinguereaffailafetedeglihuomini.
XXXIII. LA grandezzadiftatovniuersalmenteèdesiderata,perchetutoilbenech'èin
Jei-appariscedifuori,ilmaleftàdentroocculto,ilqualechinedessenonebarebbeforse
tantanoglia,percheèpienasenzadubbiodipericoli,disospettodimilletrauagli
XXXII11. LE cosenonprenedute, nuoconosenzacóparationepisa,cheleprouifte; peròchiama
moioanimograndeeperito,quelocheregge, enonsisbigotisceporili XXXV. N O N
èdubbio,chequantopiul'huomoinuecchia,piucrescel'auaritia.Sidice
communementeessernecausà,perchel'animodiminuisce,ragione,cheamenonècapa
ce,percheè beneignorantequeluecchio,chenonconoscehauerneminorbisogno,quan
ldpiuinuecchia, &inoltreueggo, chene'uecchis'augmētaperilcotrariolalufuria,
(dicol'apetitoenonlaforza lacrudeltà, egl'altriuitijperòcredo,chelaragionue-:
safia,chequantopiusiuiue,tantopiul'huomos'habituaallecosedelmondo o per
consequentepiul'ama > ricchi, A 4 r i c c h i, n o n s a n n o c
h e c o s a s i j l ' a c q u i s t a r r o b a , & n o n h a u e n d o a r
t e , ò m o d o d i c o n f e r . varlafacilmenteladisipano. XXXV TII. NON
fipuòbiasimarel'apetitodihauer figliuoli,percheènaturale:madico bene, cheèfpeciedifelicitànonhauorne,percheetiandiochiglihabuoni,e
saur,' perdita ditēpošle quali cosesonotenutemalenelinostrigiudicij,che X L I
I. E ' IMPOSSIBILE, chel'huomo (sebene èd'ottimoingegno, e giudicion a
turale)posaaggiugnères& beneintenderecertiparticolari,però ènecessariale
fperienza,laqualnonaltrogliinsegna,e questoricordolointenderàmeglio,chiha
maneggiatofacendeassai,percheconlesperienzamedesimahaimparatoquantovan
glia,esiabuonal'esperienza. strettonontoglieànessuno,pinsonoquellichepatisconodel
legrauezzedel prodigo, chequellichehannobeneficiodellaficalarghezza:Laragio
nedunquealmiogiudicioè,cheneglihuominipuopiulasperanza cheiltimore,etpiu
Sonoquellicheferonocoseguirequalchecosadalui,chequi,chetemonoessereoppreffi.
1. Auuertimenti di
senzadubbiomoltopiudispiacerediloro,checosolatione.L'esempiol'hovedutoinmio
Padre,cheasuoidìeraessempioaFirenzedipadrebendotatodifigliuoti,peròpensa
secomestia,chiglihadimalaforte. XLIII. PIACE senzadubbiopiuvnPrincipec'habbiadelprodigo,chevnoo’habbia
dellostretto,ő tamendouerebbeessereilcontrario.percheilprodigoèneceßitatofa
reestorsioni,Grapine,lo sha messiasuavolontà,& afuobeneplacito, perchelaleggenonglihavolutodarpoteftà
difarnegratia,manonpotendoneicasiparticolari,perlavarietàdellecircostanze
darneprecisadeterminarione,sirimetteall'arbitriodelgiudice,cioèallasuaconscien
za, checonsideratoiltutto, facciaquelcheglipare piugiusto,& bonefo,&
chialtija mentil'intendesse,s'inganna,perche laforzadellaleggeloaffoluedihauerneadar
conto,perchenonhauendoilcasodeterminato,sipuòsemprescusare,manonglidàfa
caltàdifardonodellarobad'altri. Χ Ι Ι. SI VEDE
percfperienza,cheipadronitengonopococontodeseruitori,e per
ognsiuacommodità,& appetitoglimettonodaparte. Tolaudoqueseruitori,chepi
gliandoessempioda padroni, tengono piùcontodeleinteresisuoi,chediloro,ilcheperò
consigliochesifaccia,faluandosemprel'honore,e lafede. X L. E R R A
chicredechelicasi, chelaleggerímetteadarbitriodelgiudice, fienorin 2 XXXIX ,
-NON BIASIMO interamentelagiustitiaciuiledelTurco,cheèpiutosto
precipitosa,chefommaria:perchechigiudicaaocchichiusiragionevolmente,spedisce
lametadellecausegiustamente, e liberalepartidaspese,&
spessofarebbepiuperchiharagioneha
uerehauutodaprimalasentenzacontra,checonseguirladoppotantodifpendio,do
titrauagli,senzacheàpermalignità,operignoranzadelligiudici;ó ancoraper
ofleruanza delle leggisifa delbianconero : 1 L’IN
deuiofferuarequestaopinione,etiamconqualchetuain- commodità,&
inquestos'ingannanospessoglihuomini,perchesimuovondoa qualche pocodidanno, cheapparisce,&
nonconfideranoquantosianograndiibeni,chenonsi veggono,
percheisudditinonveggono,enonmisuranoappuntoquelchetupuoifare,anzi
imaginandosimoltevoltelapotestàtuamaggiore,chenonè,credonoaquellecoseche
tunonlipotresticostringerė. XLIX. SONO
alcunihuominisauiasperarequellochedesiderano,altrichemailocrea
dono,infin,chenonnesonobensicuri,& senzadubbiopiuvtileèsperareinfimilicasi
poco,chemolto,perchelasperanzatifamancaredidiligenza,e tidàpiudispiacere,
quandolacosanonsuccede. LII. QUANTO
bendissecolui.Ducuntvolentesfatanolentestrahunt,seneveg
gonoognidìtanteesperienze,cheamenonpare,chemaicosaalcunasiaiceljimeglio.
Saui,chesidevgeodereilbeneficiodeltempo. M. Francesco Guicciardini. XLIIII. S
L’INTENDERSI beneconlifrateli, econliparenti, fainfinitibeni, che
tunonconosci,perchenonapparisconoadviper vno,mainfinitecosetiprofitta,
fattihauereinrispetto,però altrimentièimpossibile,chelungamentesiatenutobuono.
XLVII. XLVI. CHI nonsicurad'esserebuono,madesiderabuonafama,bisognachesiabuono,
10 fuigidd'opinionedinonvedereetiamcolpensareassai,quelchenonvedeuo prefto: maconl'esperienzahoconosciutoeserefalfifsimo,peròfáteuibefedichidi
cealtrimenti. Quanto piusipensanolecose,tantomeglios'intendono,á sifanno:
XLVIII. QVANDO tiverràoccasionedicosa chetudesideripiglialasenzaperdereten po, perchelecosedelmondosivarianotantospello,chenonsipuòdiredihauercofaal
cuña, finchenonsiainmano.Etquandotièpropostaqualchecosa,chetidispiace,cer caildiferirlapiuchetupuoi,percheogniborasivede,cheiltempoportaaccidenti,
cheticauanodiquestedifficoltà,& cosìs’hadaintenderequelprouerbio,chediconoi
LIII : ILTIRANNO faestremadiligenzadiscoprirel'anitzetio,ciodseticon
tentideltuostato,consideragliandamentiÜnnodituoi,concetičaredritesdiertocat chi
XLV. CHIHA autorità, &signoriapuofpingersi,&flenderlaancorasopralefor
zesue, LI . L. SE
tuvuoiconoscerequalifienoipensierideTiranni,legiCornelioTacito,quan
dofamentionedegloltimiragionamentic'hebbeAugusto conTiberio. IL medesimo Cornelio
Tacito achibenloconsidera,insegnapereccellenzacome s'ha da gouernarechi
vinesottoa un tiranno. thìconuersateco,e
conragionartecodivariecofe,&ponerti domandarti partiti,&
parere,peròsenonvuoichet'intenda,bisogna,chetiguardicongrandissimadiligen za, damezzicheeglivsa,nonvsartermir:
LIIII. A chi haconditionenella Patria,efiafotoonTirannofanguinofo& beftia
le,siposjondarepocheregole,chseienobuone,eccettoiltorsol'esilioM.a quandoilTi
fanno,oper prudenza,òpernecessitàdel suostatosigouernaconsospetto, on’huomo
benqualificatodeuecercarediesseretenutodaaffai, & animoso,madinaturaquieto,
nècupidod'alteraresenonèsforzato,percheintalcasoilTirannotiaccarezza,e
cercadinondarticaufadifarnouità,ilchenonfariaseticonoscesseinquieto, perche
all’horapensainognimodochetunonsiaperftarefermo,ondeèneceffitatopensare
sempreťoccasionedispegnesti. SECONDO
ilterminedisopra,èmegliononeseredelipiuintimieconfiden tidelTiranno, perchenonsolotiaccarezza,mainmoltecose,famancoasicurtàte
co, checonlisuoi,cosìtugodilasuagrandezza,& nellarouinasuadiuentigrande, ma
diquestoricordononsenepuòvalerechinonhaconditionegrādenellasuapatria. LVI.
E'DIFFERENZA dhauerelifudditidisperati,adhanerlimalcontenti,
perchequelinonpensanomaiadaltro,cheamutationedistato,elacercanoetiamcon suopericolo,
questisébenenonsicontentano,edesideranocosenuouteamennoninui tanoleoccasioni,ma
aspettanochedaseuenghino. LVII. NON.
posonogouernareisuditibenesenzaleuerità,perchelamalignitàde
glibuominicercacosim,asiuvolemescolardestrezza,& fardimostratione, accioche
glihuominicredano,chelacrudeltànon piace,ma che l'usiper necessità, esalute
publica. LVIII. SIDOVERIJ atenderealiefet,inonaledimostrationi,esuperficie,e
nondimancodincredibilequantagratia,cöfauoveticöcilinoappresoglihuominileca
rezze, etlahumanitàdiparole.lragionecredochesia,percheogniunosistima,
parmeritarepiuchenonuale,eperòsisdegna',quandonede,chetunontieniquel
contodilui,chegliparechesegliconuenga. Auuertimenti di
chebabbinoadarsospetto,guardandoco meparli,etiamconlintimituoi,e secoragionando,&
rispondendodiforte,chenonti poljacauare, i!chetiriuscirà,setipresupponisemprequel'obbietto,cheegliquanto
puoticirconuieneperscoprirti. LV . AC LIX E'COSA
honoreuoleàun'huomononprometteresenonquellocheuuoleoffer nare,ma
communementetuttiquelligachituneghi,á giustamente,reftanomalfodif
fatti,percheglihuomininon Jilalanogouernaredallaragione:Ilcontrariointra
uiéneachipromette,percheintrauengonomolticasi,chefannochenonaccadefare
l'esperienzadiquello,chetuhaipromello,& cosihaisodisfattoconlamēteyetsepure
s'hadauenireal'atononmancanoSpedoscuse,emoltisonofigrofli,chesilasciano
aggirare M . Francesco Guicciardini. aggirareconparole,nondimeno è
fibruttomancareallaparolafua, chequestopre
ponderaogniutilitàchesitraggadalcontrario,& peròl'huomosideueingegnaredi
trattenersiquantopuoconrispostegenerali,&pienedibuonasperanza,manondifor
techetioblighinoprecisamente. percheèpaz giafarsinimicosenzaproposito,&
ueloricordo,perchequafiogniunoerrainque ftaleggerezza. LXI. Chi entrane' pericolisenzaconfiderarequelchepossono,oimportino,
fichiama bestiale, maanimosoèquellocheconoscendoipericoliuientrafrancamente,operne
cefftà,operhonoreuolcagione. ranno . mad ti ipopoli, 6 LXII. CREDONO
molti,cheunfauio,percheuedetutiipericoli,nonpossaesserea nimoso:
10sonodicontrariaopinione,chenonpossaesseresauiochinonèanimoso, p e r c h e m a
n c a d i g i u d i c i o , c h i s t i m a a d a u u e n i r e i l p e r i c o
l o , p i u c h e n o n s i d e u e ,m a p e r
auuenturaquestopaso,cheèconfuso,deuesiconsiderare,chenontuttiipericolihan no effetto,perchealcunineschifal'humo
coladiligêza,etindustria,etfrächezzasua,
altriilcasoiftesoetmilleaccidētichenasconoportanouia, peròchiconoscospericoli,no
lideue metteretuttiad entrata,& presupponerechetuttisuccedano,m a
discorrerecon prudenza quelchealtruipuò
sperared'aiutarsi,edoueilcasoverisimilmenteglipuò
farfauore,farsianimo,nèritirarsidall’impresedirili,&
honoreuoliperpauradituttii pericolicheconosceessernelcaso. LX111. ERRA
chidice,chelelettereeglistudijguaftanoilcervellodeglihuomini, percheforseè veroachil'hadebole,
ma doueleletteretrouanoilnaturalebuono,lo
fannoperfetto,percheilbuonnaturalecongiuntocoʻlbuonoaccidentalefannobuonif Jima
compositione. Livi E'SEN?A comparationepiudetestabileinvn Principel'avaritia,cheinun
priuato,nonsoloperchehauendopiúfacultàdadiftribuire,priuaglihuominitantopiù:
maetiamperchequellochehavnpriuatoètuttofuo,&perusofuo,& nepuòsenze
giuftaquerelad'alcunodisponere,matuttoquellochehailPrincipe,glièdatopervalós
& beneficiod'altri, &peròritenendoloinfe,fraudaglihuominidiquelchedeueloro.
L X V I .. LX. GV ARDATEV Idatuttoquellocheuipuonuocereenongiouare,però
inpresenzad'altri, nonditemaisenzanecessitàcose,chedispiaccino, LXIIII. NON
furonotrouatiiPrincipiperfarbeneficioaloro,perchenessunofefareb
bemessoinseruitùgrauiffima,ma perinteresedepopoli,perchefuserobenegouernati,
peròcomeonPrincipehapiurispettoafe,cheaipopoli,nonèpiu Principe DICO che il Principe
chefamercantia,questononsolofacosavergognosa,maè Tiranno,facendoquellocheèoficiodepriuati,enondePrincipi,&
peccatantoverfa Auuertimenti di ipopoli, quantopeccherienoipopoliversolui,volendointromettersiinquelcheèoficio
solodelPrincipe. LXVII. LE cosedelmondosonovarie,edipendonodatanticasi,&
accidenti,chedifficilmē tesipuofargiudiciodelfuturo,&
sivedeperesperienza,chequasisempreleconiet t u r e d e s a n i j s o n o f a l
l a c i,p e r ò n o n l a u d o il c o n s i g l i o d i q u e l l i c h e l a
s c i a n o la c o m m o d i tàd'onbenpresente,bencheminore,perpaurad'onmalfuturo,benchemaggiore,se
non èmoltopropinquo,etmoltocerto,peichenon succedendo poispessoquello dichete
meui,titrouipervnapauravanahauerlasciatoquellochetipiaceua,& peròèfauio
quelprouerbio.Dicosanascecosa. LXVIII. NELLE cosedellostatoho vedutospessoerrarechifagiudicio,
percheesamina
quellocheragioneuolmentedouerebbfearquestoequelPrincipe,etnoconsideraquel
lochefarà,verbigratiailRediFrancia,perchedeuehauerpiurispeto,qualsialana
tura& costumidonFrancese,cheàquellodouerebbefarciascunPrincipe,prudente,
faggio,& giusto. LXIX. 10 HO dettomoltevolte, etlodicodinuouo, ch’oningegnocapace,
& chesappia
farecapitaledeltempo,nonhacausadilamentarsi,chelauitasiabreue,perchepuò
attendereadinfinitecose,& spendereytilmenteiltempo,gliauanzatempo. LXXI.
NON èfaciletrouarequestiricordi,maèpiudificileesequirli,perchespesso
l'huomoconosce, manonmetteinatto, peròvolendovsarlisforzatelanatura,e fate
niunbuonhabito,colmezodelquale,nonfolofaretequesti,maancoraviverràfatto
senzafatica, tuttoquellochevicomandalaragione.
sottol'Imperio,cheTiberiohuomotiranno,& superbohaueuaesofa
tantadappocagine. LXXIII. SE hauetemalasatisfattioned'ono,ingegnateuiquantopotete,chenonsen'accor
ga, perchesubitofialienaràdavoi,& vengonomoltitempi, &
occafionichevipollo noferuire, viseruirebbe,secoldimostrared'haverloinmalconcetto,nonvelbauesti
giocato,e ioconmiavtilitàn'hofattol'esperienza,cheinqualchetempohohauuto
malanimoversod'ono,chenonaccorgendosenem'hapožinqualcheoccasionegiouato, com'è
statoamico. L'AM LXXII. NON simarauigliarddell'animobasoeseruiledemoltipopolichileggerainCor
nelio Tacito,cheliRomanisolitiàdominareilmondo& viuereintantagloria,ferui
uanosivilmente > . LXX CHI vuoletrauagliare, nonsilascicanaredipossessionedellefacende,
perchedal l'onanascel'altra,siperl'aditochedàlaprimacaufaalaseconda,comeperlariputa
tionechetiportailtrouartiinnegotio,& peròsipuo.ancoaquestoadattareilprouer
bio:Di cosa nasce cosa. 1 1 & nefas,como
ècausad'infinitimali.PeròveggiamocheliSignori fimilichehannoquestoobiet
to,nonhannofrenoalcuna,o fannounpianodellaroba,& vitadeglialtri, purche,
cosigliconfortiilrispettodelasuagrandezza.
similimodi,hapiulungotrattocheprimanons'haveb becreduto, comeancoraintrauieneadvnochemuored'eticooditisico,chelasuavi
tasempresiprolungaoltral'opinionechehannohauutoimedici,colivnmercăteinan
zichefalisca, pereserecõsumatodagliinteresifireggepiutēpo,cbenöeracreduto.
LXXIX. M'E parfasempredificileacredere, cheDiobabbiaapermettere,chelifigliuoli
delDuca Lodouico, habbinoagoderquellostato,quandoioconsidero,cheilpadresuo
l'havfurpatofceleratamente,é pervfurparloèstatocausadellarouina, seruity
d'Italiaeditantitrauagliseguitiintutta Christianità, a questichelibiasimama
nosonopazzi, perchestarebbefrescalaCittà,cóloro,seiltirannononhauesseattor
noaltrichetristi. M. FrancescoGuicciardini. 7 LXXIIII. L'AMBITIONE
dell'honore,edellagloriaèlaudabile,& vtilealmondo,
perchedacaujaagl’huominidipēsareefarecosegenerose,&ecelse.Nonècosiquel la
delagrandezza,perchechilapigliaperidolo,vuolhauerlaperfas, LXXV. L'IMPRESE e
cose,chehannodaaccaderenon perimpeto,maperchepri
masiconsumano,vannoassaipiuinlungo,chenonsicredeuadaprincipio,perchegli
huominisiostinanoapatire,apatiscono, lopportanomoltopiu,chenonsisarebbe
creduto. Perùveggiamo, ch'unaguerraches'babbiaafinireperfame,perl'incomodi
tà,per mancamēto didanari,& LXXVIII. FATEV
1beffediquestichepredicanolalibertà,nondicoditutiman’ec
cettuobenpochi,percheogniunodiquestitali,chesperasjehauerepiubeneinvnosta
tostreto,cheinunlibero,vicorrerebbeperleposte,perchequasituttipostponeran
noilrispetodel'intereseloro,esonpochifimiquelicheconoscono quanto vagliala
gloria& l'honore. gottirti, e
coltenereilcapofranconontilassareleuarefacilmente. LXXVII . LXXVI . CHI
conuerfacongrandinonfilafcileuaracauallodacarezzeedimostrationi
fuperficiali,conlequaliefefannocommunementebalzarglihuominicomevogliono,
@affogarlinelfauore. Etquantoquestoè piudificileadifendersitantopiudeuesbir N O
N potetehauermigliorparte,chetenerecontodell'honore,perchechifaque ftonontemei
pericoli, nefamaicosachesiabrutta,perotenetefermoquestocapo, ú
faraquasiimpossibile,chetuttononvisucceda.bene,expertusloquor LXXX. Dico
cheunbuoncittadino,& amatoredella patria, nonfolodeuetrattenersi
coltirrannopersuasicurtà, percheèinpericoloquandoèhauutoinsospeto,maanco
taperbeneficiodelapatria, perchegouernandosicosi,glivieneoccasioneconconsigli,
& conoperedifauoriremoltibuoni,edisfauoriremoltimali LAV
städodimezzotusemprerilieuietuincachisiuoglia. LXXXII. LA
naturadepopoliècomequelladepriuati,diuoleresempreaugumentaredel
gradoinchesitrouano,peròèprudenzanegareloroleprimecose,chedomandono,per
checoncedendononlifermi,anzigliinuitiadomandarpiu,& conmaggiorinstanza,
chenonfaceuonoda principio,perchecol.darlispessodaberesegliaccresce lasete.
LXXXIII . OSSERVATE condiligenza lecosedetempipassati,perchefannolumealle future,
cumsitcheilmondofiasempred'unamedesimaforte,& chetuttoquellocheè,
sarà,èstatoinaltrotempo,perchelemedesimecoseritornano,mafotodiuerfinomiz & colori,peròogniunononleconosce,masolochièsauio,eleconsideradiligentemente.
LXXXV. SE Oferuatebene, trouateched'etàinetàsimutanononsolamenteiuocaboli,
modideluejlire,eticostumi,maancoraquelcheèpiuigustiel'inclinationidell'arme,
& questadiuersitàsivedeetiaminuntempomedesimodipaeseinpaese,douenonso
loèdiuersità delleinftrutioni,maancoradegustidecibiedegliappetitiuarijdegli huo
mini. Lamětepericolodellauittoria,ma Auuertimenti di i LXXXI. LAVDO
chinelleguerred'altristaneutrale,chièpotentediforte,hatalconsi derationedistato,chenonhadatemereiluincitore,perchefuggeilpericolo,elaspesa,
elaStracchezza,didisordinid'altripossonoparartiqualchebuonaoccasione:fuordi
questiterminilaneutralitàèunapazzia,percheattacãdoticonunadelleparticorriso 9 4
1 LXXXIIII. SENZA dubbiohamigliortempoinquestomondo,piulungavita,esipuochia
mareinuncertomodofelice, chièd'ingegnopiubasso,chequestiintellettieleuati,pero
chel'ingegnonobile,seruepiutostoatrauaglio,&
cruciatodiehil'ha,nondimenol’uno
participapiudell'animalbruttoched'huomo,l'altrotrascendeilgradodell'huomo,
s'accostapiuallenaturecelesti. LXXXVI. INANZI
alM.CCCCXC111.nelqualtempol'ambitione,&cecita del Duca
Ludouicoaperselauiaallarouinad'Italia,eranocome ogn'unosaimodidels la
guerramoltodiuersidaquestiloppugnationedellecittà,leuccisioni,iconflitid'ale
traforte,& quasisenzafangueinmodochechihaueuaunostatodifficilmenteglipote
wa effertolto, dipoifiridusse,chechierapadronedellacampagna,haueuauinta laguer
ra, comeinunmomento,s e eranodueesercitiincampagna siueniuainuntrattoale
lagiornata,& eradatalasentêzadelaguerra,cosiuedemosenzaromperelanciaper
dersiilRegnodiNapoli,ilDucatodiMilano,econlafortunad'unsologiocarsitutto
lostato deVenetiani.Hoggi il Signor Profpero primo ha dimostratodiuerfo modo di
guerra, checolmettersinelleterrehafoggiogatol'impetodichierapadronedellacamo p
a g n a ,m a n o n r i u s c i r e b b e b e n e q u e s t o , a c h i n o n h
a u e s s e d i s p o s i t i o n e d e p o p o l i f a u o r e
wole,cornehahauutoegliquelladiMilanocontraFrancesi. LXXXVII. LE medesimeimpresechefattefuorditempo,Sonoštatedificiliseme,òimpoffibile,
1 quando
quandosonoaccompagnatedaltempoedall'occasionesonofacilißime,perònonsiuuo
letentarleattrimenti,perchesetuletentifuordeltemposuo,nonsolonontifuccedono,
maportipericolo,checonl'hauerletentatenonleguastiperqueltempo,chefacilmen
tefarebbonoriuscite,peròsonotenutisauijipatienti. LXXXIX. NON
ègrancosa,ch'ungouernatorevsandospesoaffrezza,òefetidifeuerità,
sifacciatemere,percheisudditihannofacilmentepauradichilipuosforzare,eroui n a r
e , & v i e n e f a c i l m e n t e a l l' e s e c u t i o n e ,m a l a n d
o i o q u e l l i g o u e r n a t o r i, c h e c o n f a r p o cheaffrezge, et
esecutioni, fannoacquistarsi, & conferuarnomediterribili. xcІ. RICORDATEV I
diquellochealtrevoltehodettodiquestiricordischeno s'hannoad
osseruaresempreindistintamente,mainqualchecasoparticolare,cheara
gionediuerfanonsonobuoni,& qualisienoquesticasi,nonsipuocomprendereconrego
laalcuna,nesitroualibrochel'insegni,maènecessariochequestolumetelodiaprima
lanatura, & poil'esperienza. ... XCIII . cu i
diseonpopolo,diseveramenteunpazzo,percheeglièunmoftropienodi tonfusione;ó
d'errore,perchelesueopinionisonotantolontandeallauerità,quanto
secondoTolomeo,laSpagnadall'India. COME M. FrancescoGuicciardini. 8 *
011. A miogiudicioinnesjungrado, òantoritàsiricercapiuprudenza,& qualitàec
cellente,cheinvnCapitanod'onoesercito,perchesonoinfinitequellecose,a cheproue
deré,&
comandaresinfinitiaccidenti,etcasivarijsched'horainhoraseglipresentano,
inmodocheperamentebisognachehabbiapiuocchid'Argo,e nonsoloperl'importa zafua, maperlaprudenza,
chelibisognareputoinognialtropesoniente. XCIIII.
Edifferenzaadesereanimoso,&nonfuggireipericoliperrispetodel'bonore,Psta
noel'altroconosceipericoli,ma quelloseconfidapoterfenedifendere,efenonfusseque
staconfidēzanõgliaspetarebe,questopuoeferschetemapiudeldebitoznèsiafaldo,
perchenonhabbiapaura, maperchesirisolueavolerpintostoildãnocbelauergogna.
LXXXVIII. HO osseruatowe'mieigouerni,chequandomièvenutainanzivnacausa,cheho
hauutoper qualchegiustorispettodesiderio d'accordarla,nonhoparlatod'accordo,ma
folmetterevariedilationi,& ftrachezzehofattochelemedesimepartilhannoricer
cato, cosiquello,chesenelprincipioiol'haueßiproposto,sariastatoributtato,s'eridotto
intermine,chequandoèvenutoiltemposuo,ionesonostatopregato. XC: N O N
,chechitieneglistatinonsianecessitato,metterlemaninelsangue,madi
cobenechenonsidevefarsenzagranneceßità,& cheilpiydellevolteseneperde,
piuchenonseneacquista,perchenon solos'offendequellichesonotocchi, ma ancorasa
dispiaceall'vniuerfaledeglialtri,efebenetuleuiquelloinimico,oquelloostacola,non
perosenespegneilseme,cumsitscheinluogodiquellosott'entranodeglialtri,&
fpeffo intrauiene,comesidicedell'hidra;cheperognunojnenafcesette. $
XCVIII. N O N possoio, nesofarmibello,nedarmiriputationediquellecose,cheinperin
tànonsonocosi,& tamenfariapiuvtilefareilcontrario,percheèincredibilequanto
giouilariputatione,e opinionechehannoglihuomini,chetusiagrande.Conquestoru
moresoloticorronodietro,senzachetun'habbiavenireacimento. che
ilpadrone,eproportionatamenteil superiorelisudditi, perchenonsipresentaianzialuitaliqualisipresentanoagl'altri,
anzicercanocoprirsialui, & parered'altrafortecheinverononsono. ,e pericoli,
qualfortehabbiapiuadesiderareuna
Città,òdicaderenelgouernod'vno,òdimolti,odipochi. p e r c h e d'hora in hora
nascono o c c a s i o n i, c h e e g l i c o m m e t t e a c h i v e d e , ò a
c h i g l i è p i u e p r o p i n q u o, c h e s e t i h a u e s s e a c e r
careòaspettarenontisicommetterebbe, e chiperdevnprincipiobenchepiccolo,per
despessol'introduttione,e aditaarosegrandi.
fawpusēruitorichefannoilmedesimoversoipa droni,non
facendoperacosachesiacontralafede,l'honore. Auvertimenti di XCE . COM
Ecoluic'haagiutato, òeftatacaufa, cheunosalgainungrado,louuolgouer
nareinquelgrado,giàcominciaa căcellareilbeneficio,chegliha fato,volēdousarper
se,quelcheprimahaoperato,chesiadiquell'altro,eglihagiustacausadinon.com
portarlo,neperquestomerita eserechiamatoingrato. XCVI. R O N
s'atribuiscaalaudedifa, òchinonfaquellecose, lequalifepotefse,ofa
cesjemeriteriabiasimo". XCVII. DICE
ilprouerbioCastigliano,ilfilsirompedallatopiudebole,semprechepensi v e n i r e
i n c o n c o r r e n z a è c o m p a r a t i o n e d i c h i è p i u p o t e n
t e o r i s p e t t a t o, p i u s u c c u m b e i l piudebole,nonostante,chelaragioneèl'honestà,òlagratitudinevolesseilcontrario,
perchecommunemente;s'hapiurispetoal'interese,chealdebito:+31 xCІ. NIVNO
conoscepeggioliferuitorisuoi GII. 10 velodicodinuouo, lipadronifannopococontodeseruitori,&
perogniinteresse listrascinanosenzarispeto,perosono 2 CI. TP
chéstaiincortë,& seguitiongrande, edesideriessereadoperatodaluiinfa cende, ingegnatidiStarlituttaniadinanzia
gl'occhi, pome ...) C O N C O R D A N O -tutieferemeglioreloftatod'vnoquandoèbuono,
ibedi pochiedimolti,o
buoni,eleragionisonomanifeste,cosiconcludono,chequellod'ono
piufacilmentedibuonodiuentacattiuo,chegl'altri,& quando ècattivoèpeggioredi
tutti,tantopiuquandovaperfiuèceffione,percheradevolteadunpadrebuono fa uio, succedeunfigliuolosimile.Perovorreichequestipoliticim'haueJerodichiarato,
consideratetutequesteconditioni CTII CHI
siconoscehauerebuonaforte,puotentarl'impreseconmaggioranimo,maè d a a u u e r t
i r e c h e l a f o r t e n o n s o l o p k o e s s e r e v a r i a d i t e m p
o i n t e m p o ,m a a n c o i n u n t e m
pomedesimopuoelervarianellecose,perchechiosseruauedràperesperienza,mol
tiesserefortunatiinunaspeciedicoje,&
inun'altraesseresfortunati,etioinmiopar ricolarehohauutoinfinoaquestodàtrediFebraroM
D XX111.inmoltecose bonißimaforte, tamennonPhosimilenellemercantie, one
glihonori,cheiocerco d'havere, perchenoncercandolimicorrononaturalmentedietro,ma
come cominciò a cercarli,pare chesidiscostino . CV. LE
cosedelmondononstānoferme,anzihannosempreprogressoalcamino,àche
ragioneuolmenteperfuanaturahannodaandare,e finire,matardanospesopiache
ilcrederenostroperchenonlemisuriamosecondolavitanostra,cheèbreue,e non
secondoiltemposuo,cheèlungo, & peròipaffifuoifonopiutardi,chenonsonoino fri,&
fitærdipersuanatura,cheancorachefimouinononciaccorgiamospesode fuoimoti,e
perquestosonofpefjofalsiigiudicij,chenoifacciamo, CVII . R O N
sosesideuonochiamare: fortunatiquelli, achivnavoltasipresentavna
grandeoccasione,perchechinonè prudente,nonlafabenevsare,masenzadubbiofo no
fortunatiffimiquelli,aqualivnamedesimagrandeoccasionesipresentadueuol
te,perchenonèbuomocosidappoco,chelasecondavoltanonlasappiavsare, cosi
inquestocasosecondos' hadahauere tuttal'obligationeconlafortuna, donenelpri
mohaluogo-ancoralaprudenza . , cheuiuonoinlibertà, ma queli, neiqualiera
meglioprouiftoallaconferuationedelleleggiedellagiuftitia. fannoinuentionediquel
löches'aspeta,òsicrede,epiuorecchivipreftosefononuouestrauaganti,o'inaspet
tate, perchemancooccorreaglibuominifareinuentioni,òpersuadersiquellochenon
èinalcunaconsideratione,ediquestohovedutoiomolteuoltel'esperienza. GRUAN
forteèquelladegliastrologi,cheancora,chelaloroprofeffionefiava M.
FrancescoGuicciardini. CIIII . N O N hamaggioreinimicol'huomo,chefefteso,perchequasitutiimali,perico
li,& trauaglisuperflui, chehanonprocedonodaaltro,chedallasuatroppacupiditate
CᏤ,
L’APPETITO dellarobanascedaanimo'balo,omalcomposto,fenonside.
fiderasseperaltro,cheperpoterlagodere,ma essendocorrottoilviueredelmondo,co me
èchidefiderariputatione,èneceßitatoàdesiderareroba,perche.coneffarilucono
Levirti,cfono inprezzolequaliinunpouerosonopocoftimate,& mãcoconosciute. B
CVIII. La libertàdelleRepublicheèministradellagiustitia,perchenonèfondataadal
trofine, senonperdifensione, chel'onononsiaopressodal'altro,peròchipotesseef
soresicuro,cheinunostatod'unoòdipochis'ofjeruajelagiustitia,nonharebbetau
fadidesiderarelalibertà.Questaèlaragione,chegliantichisauij, & Filosofinon
laudornopiudeglialtrique'gouerni CIX. QVANDO
lenuoues'hannod'Autoreincerto,&fienonuoueverisimili,d
aspettate,ioliprestopocafede,percheglihuominifacilmente СХ; nito,
Auuertimenti di mità, òperdiffettodell'arte,ofuo,tamenpiufedeglidàvnaverità,chepronostica
no,checentofalsità,é tamenneglihuominiintrauieneilcontrario,cheunabugia, c h se
i a r e p r o b a t a d a v n o , f a , c h e s i s t à s o s p e s o a c r e d
e r l i t u t t e l ' a l t r e v e r i t à , & procede
daldesideriograndec'hannoglibuominidisapereilfuturo,dichenonhauendoaltro modo
dihauerecertezza;credonofacilmente ,a chifaprofessionedisaperlolordire,
comeall'infermoilmedico,chelipromettelasalute.
,òdallauoluntàdiquelli,chedominano,perchenonhan
uendesiacūbattereconragioniimmutabili,ocon giudicijstabili, nasconoogni dimille
cafi,chefacilmentetisolleuanodachipuopretenderedileuartidiposeso. scarso, perchenessunacosaof
fendepiùl'animod’unfuperiorecheilparerglichenonlisiahauutoquelrispetoeri
uerenza,chegiudicaconuenirseli. CXI. F T Ë
ognicosapernontrouaruidonesiperde,percheancora,chenonuisia colpaisoftra, nehauetesõprecarico,
nèsipuoandareatuttelepiazzegetbanchiagiu Stificarsi,comechisitrouadouefi vince,
siportasemprelaudeetia Jenzasuomerito. fa
nellecosepriuate,trouarsiinpoffeffioneantica,chele ragioninonfimutano,6
imodidegiudityediconsignareilsuofonoordinarü,&fer mi,masenza
cumparationeèmoltomaggiorevantaggioinquellecose chedependo
nodagliaccidentidellistati CXIIII. FV crudeleildecretode Siracusani,dichefamentioneLiuio,
cheinsinoalledon n e n a t e d e t i r a n n i f u s s e r o a m m a z a t e , ma
non però a l t u t t o s e n z a r a g i o n e , p e r c h e m ă
Catoiltiranno,quellicheuiueuanouolentierisottodilui,sepotefjeronefarebbono
un'altrodicera, enonessendocosifacileuoltarela riputationeaun'huomonuouo,si
ritiranosottoognireliquia,chereftidiquello.Peròuna Città, cheescanuouamente
dallatirannide,nonhamaibensicuralalibertàSenonspegnetuttalarazza,& pro
geniedetiranni,dicoperò glimaschi,enonlefemine. CXV. N O N
èinpoteftàd'ogniunoeleggersiilgrado,elefacende,chel'huomouno le, manonbisognaspessofarquelle,chet'appresentalatuaforte,&
chesonoconfor mialostatoincheseinato, peròtuttalalodeconsisteinfarlasuabene,comeinuna
comedia,nonèmancolodato,chibenrappresentalaperfonad'unferuo,chequelli,a
chisonomeffiindossoipannidelRe,od'altrapersonadegna,ogniunoinefetonel
gradofuopufoarsihonore. E vantaggiocomeognun CXII . CXIII . CHI
desideraeseramatodasuperiori,bisognamostrared'hauerelororispetto,e riuerenza,e
conquestoeferpiutoftoabbondante,che CXVI. OGNIV NO
inquestomondofadeglierrori,daqualinascemaggioreomi
nordanno,secondogliaccidenti,& casicheseguitano,mabuonafortehannoquelli,
ches'abbattonoadevrareincofediminoreimportanza, òdallequalineseguitaman
codisordine. 2 E gran CXVII. E 'granfelicitàpotereviuereinmodo
chenonsiriceua,nèfifacciaingiuriaad altri,ma chis'adduceingrado,chesianecessitato,oaggrauare,òapatire,deueper
mioconsigliopigliareiltrattoauantaggio,percheè cosigiustadifesa,quella chesifa
pernonesseroffeso,comequella,chesifaquandol'offesatièfatta,ènerochebisogna
bendiftinguericasi,nèpersuperflupaauradarsisenzacausaadintendered'eserene
ceshtatoapreuenire,nèpercupidità,nèpermalignità,doueinverononhainèdeui
hauerefolpettovolereconallargarequestotimoregiustificarelaviolenza,chetufai.
CXVIII. NE glihuominie lapatienza, el'impetosonobastantiapartorirecosegranuis
perchel'onooperaconl'urtareglibuomini,esforzarelecose,l'altraconlostraccara
li,evineerlicoltempo,el'occasioni,peròinquellochenuocel'ono,gioual'altro,Grå
conuerfo,& chipotessecongiugnerli,&
vsareciascunoaltemposuosarebbediuino,
maperchequestoèimpoßibile,credocheožbuscõputatis,lapatienzaemoderationfi:
landabileinun Principepercõdurremaggiorcoseafine,chel'impetoelapcipit.iticne.
CXX. NLELLE cosedellEconomicailuerboprincipaleèrisecaretutelespesesuper flue,ma
quelloinchemipare, checonsistal'industria,èchifalemedesimespesecon piuvantaggio,ecomesidicevolgarmente,spendereilfoldoperquattroquattrini.
CXXII. DICEVA unpadre,chepiubonoretifaunducatoinborsa,chediecichene
baispesi,parolemoltodanotare,nonperdiventarfordido,nèpermancarenellecose
honoreuoli,e ragionevoli,maperchetifafrenoafuggirelecosesuperflue. la
malitia,ochenelmaneggiarelecoses'accor gono diquelloharebbono
dibisogno,sicercafardirealiStrumétiquello chel'huomo
vorrebbechedicese,peròquandosonogliinftrumentidicosevostred'importanza,
habbiatepervfarizafaruelilenaresubito,& hauerliincasainformaautentica.
10 M. FrancescoGuicciardini. CXXIII. RARISSIMI sonogliinstrumenti, chedaprincipiosifalsificano,madopo
fatisecondocheglihuomiuipensano CXIX . SE
benglihuominideliberanoconbuonoconsiglio,gliefetisonoperòlpelocat
tiui,tantosonoincertelecosefuture,nondimenononsiuuole comebestiadarsiinpicito
daallafortuna,macomehuomoandarcontaragione,& chièSauio,hadacontentar fi, diessersimoltoconconsiglio,ancorchel'efetosiastatocattiuo,chefeconvácon
figliocattivo, hauessehauutol'effettobuono. CXXI. TENETE amente,chechiguadagna,sebenpuospenderequalchecosadipiu
chenonguadagna,tamenè pazziaspenderelargamentesulfondamentodeguada
gni,seprimanonhaifatobuonocapitale,perchel'occasionedelguadagnarenondu
rasempre,& fementreessaduranontiseiacconcio, passatacheellaèytitrouipouero
comeprima, edipiuhaiperdutoiltempo,el'honore,percheallafineètenutodipo
coceruello,chihahauutal'occasionebella,& nonl'hasaputausarebene, &
questo ricordotenetelobeneamente, perchehovistoamjeidiinfinitierrori. E Cer
B2 puoalcunauoltamettendoinsiemela gratitudinechesisentedatuttiefere
notabile. CXXV. DEL fareun'operabuona, &
laudabilenonsivedesempreilfrutto,peròchi nonsisatisfafolumdelbenfaredi
sesteso,lascidifarlo,nonparendoglitrarneuti lità, maquestoèingannodeglihuomininonpiccolo,
percheilfarelaudabilmente,se
bennontiportasjealtrofruttoeuidente,spargebuonome,& buonaopinionedite,
laqualinmoltitempi & cafitirecautilitàincredibile. progressoditemposi p o c
h e c o f e u e r i f i c a t e , c o m e s i t r o v a a c a p o d e l l ' a n
n o d e g l i a s t r o lp o ge i ,r c h e l e c o s e del
mondosonotroppouarie. CXXVIII. NELLE
coseimportantinonpuofarebuonogiudicio,chinonfabenetuttii
particolari,perchespesounacirconftantias& minima,nariatuttoilcaso, mauidice
bene, chenonhanotitiaadaltro,chedigenerali,& questomedefimogiudicapeggio
intesii particolari,perchechinonhailceruellomoltoperfettoemoltonettodallepaf
fioni, facilmenteintendendomoltiparticolarisiconfondeeuaria. CXXXI. SE
d'unos'intendedlegge,chesenzaalcunofuocommodo,èinterefe,ampor
Auuertimenti di CXXIIII. E'Certo, chenonsitiencontodeliseruitijfattialipopoliinuniuersale,
comedi quellichesifannoinparticolare, perchetoccandocolcommune, nessunositienseruito
inproprio, peròchis'affaticcaperlipopoli, &vniuersità,nosperiches'affatichinoper
luiinunsuopericolo,òbisogno,òchepermemoriadebeneficij,lafcinounalorocomo
modità, nondimenononsprezzatetantoilfareseruitioapopolichequandouisipre
sentil'occasionelaperdiate,percheseneuieneinbuonnome,ebuonconcetto, cheè
fruttoasaidelafatica, senzapure,cheinqualchecasogiouaquellamemoria,& rin
mzoneachièbeneficiatosenonsicaldamente,comelibeneficipropri,almancosarà
partediquantosiconuiene, &fonotantiquestiachitocca questalorleggieraimpres
fione,che CXXVII. CH I facessefuun'accidentegiudicaredaun'buomosauioglieffetti,chenasce
ranno,& scriueseilgiudicio, trouerebbetornandoa uederloin CXXIX, SPES SO
s'inganna, chisirifoluesuiprimiauuifi,cheuengonodellecoseper
ebeuengonosemprepiucaldi,& piuspauentofi, chenonriefconopoiconglieffettin
però chino nèneceffitatoaspettisempreisecondi, edimanoinmanoglialtri. CXXVI.
CHI halacurad'unaterra, chebabbiaaesserecombattuta,òassediata,deuefa
repochiffimofondamentointuttiqueirimedij,cheallunganogestimareassaiognico
fachetolgatempo,etiampiccoloaliiniinici,perchespessoundìpiu,o un'borapor
taqualcheaccidente,chelalibera. CXXX. NON
combatteremaiconlareligione,neconlecosecheparechedependonoim mediateda Dio, perchequestoobiettohatroppaforzanellementideglihuomini.
ilmale CX XXIIIK E'buonmezo
aguadagnarsifauoriilmostrareaquelli,dachituduoiguada gnareilfauoredifarlicapisG
CXXXVI. QY ANDO sifauna cosa, sesipotessesaperequelchefarebbeseguito, senon
sifufefatta, sòifussefattoilcotrario,senzadubbiomoltecosesonoda glihuominilau
dati,chenon fariano,anzimeriterebbono contrariasentenza: CXXXVIII. A C C A DE
:molteuolteinunadeliberationecheharagionedaognibanda, che
ancorachel'huomohabbiadiligentementepenfato,chepoichehafattoladeliberatio ne, gliparebauerelettolapartepeggiore,laragioneè,
chepoichetuhaideliberato
tisirappresentanosolamenteallafantasialeragioni,cheeranonell'opinionecontra
rialequaliconfideratesenzailcontrapesodell'altretipaionopiugraui,e pireim B 3
portanti M.Francesco Guicciardini. Ir i
male,cheilbene;fideuechiamarbeftiae, t nonhuomo, poichemancadell'appetia
naturale , n o a fauorire quello, che p e r a l t r o h a r e b b o n o d i s
fauorito CXXXV. CXXXII. NON
credeteaquestichepredicanocheamanolaquiete,etd'essereStracchi
dell'ambitione,& hauerelasjatele.facende,perchequasisemprehannonelcuoreil
contrario, esisonoridottiavitaappartata, & quieta,òpersdegno,òpernecessità,
òperpazzia,l'essempioseneuedetuttoildì,percheaquestitalisubitoches'appres
Sentaqualchespiragliodigrandezza,abbandonerannolatantalodataquiete, & nifi
mettonoconquelpericolo, chefailfuoco,adunacosafecca. CX XXIII. :L'INCLINATIONI,
e deliberationide.popolisonotantofallaci, &
Menatepiuspessodalcaso,chedallaragione,chechiregolailtrainodeluiuerfuo,non
inaltrocheinfüilasperanzad'hauereadeseregrandecolpopolozhapocogiuditiosper
cheopporsièpiutostoventuracbefenno.
autoridiquellacosa,nellaqualen'haidibisogno,perche la piupartede
glihuomini,presidaquellauanità,òambitione,uisiaffettionanoinmo
do,chedimèticatiirispetticontrari,ancoradepiuragioneuoliepiuurgenticomincia
INFINITE Sonolevarietàdellenature,dadepensierideglihuomini, però non sipuoimaginarecosa,
nèsìstrauagante,nèsicontraragione,chenonsiasecondo
ilceruellod'ałcuno,perquestoquando sentiretedire,ch'altrihabbiadetto,ofattoco.
facchenonuiparrauerifimile,nèchepossacadereinconcettod'huomo,nonuënefat
teleggiermentebeffe,perchequellochenonquadraate,puofacilmentetrouareachi
piaccia, òpaiaragionevole. CXXXVII. PA RE chei Principi sienepiuliberi,e
piupadronidellelorouolontà,chegli altrihuominóznonèuero nePrincipi
chesigouernano prudentemente,perchesonone
cefsitatiprocedereconinfiniteconsiderationi,rispetti,inmodochemoltevoltecat
tiuanoilordisegni, iloroappetiti,el'altrevolontàloro, iochel'hoosseruato,n'ho
pedutemolteesperienze. ,diriandaretutteleragioni,chesonohinc,&
inde,perchequeen stoconcorso& contrarietà, chetiapprefentiinanzi,fa,cheleragionichesiconcede
ilano,nontipaianepiudimaggiorpesosoimportanzadiquello,cheveramente CXLII.
QVANDO nelleconsulsteonoparericontrarij, sealcunoescefuoraconqual. Che partitodimezo,quasichesempreèapprouato,non
percheipartitidimezo,il piudellevoltenonsier:opeggiori,ma
percheicontradittoricalanopiuvolentierid quello,cheall'openionecontraria,&
ancoglialtri,òpernondispiacere,opernonef
jerecapaci,sigettanoaquellocheparloro,chehabbiamancodisputa. CXLIIII. POSSONO
maleglihuominipriuati,biafimareolodaremoltoleationide
Principi,nonsolopernonsaperelecosecomestanno& peressergliintereffi,&
ilo to finiincognitismi ancoraperchela differenzaèdall'hauereauuerzo ilceruello
advsodePrincipi,adhauerloaurezzoadvsodepriuati,facheancorchelostato,
ifinidellecose, & gliintereshfulero all'unonoticomeal'altro,leconsiderationi
Auvertimentidi
portanti,chenonpareuanoinanzi,chetudeliberafi:Ilrimediodiliberarsidaquesto
molestia,èsforzarsi CXXXIX . V NO huomo,chenonsiaprudente,nonsipuoreggeresenzaconsiglio,nondime
noeglièmoltopericolosopigliarconsiglio,perchechidàconsiglio,haspesopiuconside
rationeall'interessesuo,cheaquellochelodomanda,anziproponeognisuopicciolo
rispetto,& fodisfattioneall'interesse,benchegrauissimo,a
importantijimodiquela l'altro,peròdico,cheintalgradobifogna,
ches'abbattaconamicifedeli,altrimenti
portapericolodinonfarmaleapigliarconsiglio,etmaleetpeggiofa,ànolopigliare. mol
tevolteinterzooquartocaso,chenonfumaiinconsideratione,e chedifficilmente
fisarebbeimaginato,chepoteseesseremolteutoltesitrouaingannato. CXLI . : NON
sipuochiamareinfelicevnacittà, chefioritalungamente,uieneabal Sezza, perchequestoèilfinedellecosehumane,nësipuoimputareinfelicitàlelle
resotopostoaquellalegge,cheècommuneatutiglialtri, mainfelicesonoqueicit
tadini,a iqualihadatolafortenascerepiuprestonelladeclinationedellasuapatria,
cheneltempodellasuabuonafortuna. fono. però C X L. Si CHI
sulfargiudiciodelfuturovuolpigliare-qualchedeliberatione, comespesso calcula, latalcosaanderà,òneltalmodo,òneltale.,&
suquestodiscorsopigliail
suopartito,percheperlavarietàdellecose,edegliaccidentidelmondo,viene CXLIII. VR
Principe,chevolessetorreilcreditoagliAstrologi,chestampanoigiudicij
vniuersalmente, nonharebbeilpiufacilmodo, checomandare,chequandosistampa
ilgiudicioloro,perl'annofuturo,fusseristampato, &
appiccatoconessoloroilgiudi
ciodell'annopaljato,percheglihuominirileggendoinquelloquantopoco fifienoa p
postidelpassato, farelbonosforzatinonprestarfedealfuturo,& hauendosidimenti
catolebugiedell'annopaljato, lacuriositànaturale,chehannoglihuominidisapere,
quelchehadaessere,gliinclinafacilmenteaprestarlifede. 1
peròsonomolto'diuerse,äsidiscorronolecosecondiuersoocchio, sigiudicano
condiversogiudicio,& infine,l'unolemisuracondiuerfamisuradall'altro.
fareognioperapossibile, fachecoluiilpiudelleuoltècominciaacre
dere,chenonlovoglia seruire;ilcontrariointrauienea chifalarghezzadisperan
2a,&difacilità, perches'acquistapiucolui,ancorche l'efetononriesca,cosisi D
e d e , c h e c h i s ig o u e r n a con arte, o p e r d i r m e g l i o c o n
q u a l c h e a u u e r t e n z a ,è p i u g r a to, &
piufailfattosuo,nèprocededaaltro,senondaesserelapiupartedeglihuo
miniignorantialmondo,ches'ingannanofacilmenteinquellochedesiderano.onesto ma
utilitario,ambi ziosoepositivo, consideratoildramma dellaruina italica, in
mezzo al quale si svolse l'agitata sua esi stenza, voi avrete nelle mani il
segreto per giudicare la sua energia morale anche nelle opere scritte, in cui
manifesta l'anima sua,che vibra d'ambizione,di
collera,discoraggiamento,dibeffardoscetticismo e anche di nobili
entusiasmi. e 2 ZANONI. INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI SULLA
PRIMA DECA DI TITO LIVIO. NiccolòMachiavelliposemano aisuoiDiscorsisulle Deche
diTitoLivionel1513,elifinìmoltopiùtardi: liandò leggendo negli Orti
Oricellari,circondato dalla gioventù fiorentina,che pendeva ammirata dallesue
labbra. Egli dice, sin dal principio, di essere stato spinto a svolgere sì alto
argomento dal bisogno di o p e rare quelle cose che credeva adatte a recare
comune beneficio a ciascuno. E se l'ingegno povero,la poca esperienza delle
cose presenti, la debole notizia delle antiche, faranno questo suo conato
difettivo e di non molta utilità, daranno almeno la via ad alcuno, il quale,con
più virtù,discorso e giudizio,possa a questa sua intenzione soddisfare.Più
apertamente manifesta questo suo desiderio,concludendo:«Benchè questa impresa
sia difficile, nondimeno aiutato da coloro, che mi hanno ad entrare sotto
questo peso confortato, credo portarlo in modo che ad un altro resterà breve
cammino a condurlo al luogo destinato.'» Il Guicciar dini ne accettò l'invito e
scrisse le sue osservazioni intorno ai Discorsi del Machiavelli,fermandosi a
con 1Machiavelli,nel proemio al primo libro dei Discorsi. CAPITOLO
SECONDO. CONSIDERAZIONI DEL GUICCIARDINI CONSIDERAZIONI INTORNO AI
DISCORSI DEL MACHIAVELLI. 19 Il Machiavelli tratta delle origini delle città e
os serva che se trovansi in luoghi sterili, i cittadini d i ventano energici ed
operosi : m a se si stabiliscono in luoghi fertili, cadono nell'ignavia,se non
si cerca con le leggi di correggere il male morale portato dalla fecondità
della terra. Se non che la sterilità dei luo ghi non offre facile via alle
conquiste,e per questo i Romani fondarono la loro città in luogo fertile e
adatto a spianare ad essi la via dell'imperio : al ri manente rimediarono con
leggi severissime,le quali resero armigero il popolo. Su quest'ultima parte il
Guicciardini,che assaiammira l'arte militare deiR o mani e non troppo il governo
e la politica loro, os serva che Roma era bensìposta in paese fertile,ma per
non avere contado e essere cinta di popoli po tenti, fu forzata allargarsi con
la virtù delle armi e con la concordia ;e questo si discorre non in una città
chevogliavivereallafilosofica,ma inquellechevo siderare i primi due libri
e appena qualche capitolo del terzo,perchè gli mancò iltempo a continuare il
lavoro intrapreso.In esse spicca la differenza di mente fra il Guicciardini e
il Machiavelli : questi guarda le questioni da sublime altezza e sotto un
aspetto più g e nerale,abbandonandosi alla sua geniale idealità,nello studiare
l'organizzazione dello Stato ; il Guicciardini invece,ricco di tanta
esperienza,vero genio del senso pratico,nonsegueilsuoamiconeivolipoetici,ma si
ferma soltanto a rettificare quelle idee del Machia velli a lui sembrate
erronee : in ciò mostra forza e sicurezza di indagine, conoscenza profonda dei
go verni. Egli discute i mezzi di reggere le repubbliche e i principati, ne
studia l'indole per cercare il go verno migliore : parla dei modi di
comportarsi coi soggetti e di aumentare fuori l'imperio degli Stati,di condurre
le guerre, dell'efficacia delle religioni sulla civiltà delle nazioni:ragiona
sullanatura umana,do minata dai due istinti del bene e del male. <
20 CAPITOLO SECONDO. gliono governarsi secondo il comune uso del mondo,
come è necessario fare;altrimenti sarebbono,essendo deboli, oppresse e
conculcate da'vicini.'» Moltissime sono le osservazioni del Guicciardini circa
le varie specie di governo,le guarentigie da prendersi per custodire la
libertà, le qualità e condizioni necessarie ad un regime per essere forte.”
Degne di studio sono pure quelle riguardanti il principato,ilgoverno popolare e
quello degli ottimati. « Il frutto del governo regio,così il Guicciardini,è che
molto meglio, con più ordine, con più celerità, con più segreto, con più
risoluzione si governano le cose pubbliche quando dipendono dalla volontà di un
solo, che quando sono nell'arbitrio di più.» Ma se il so vrano è cattivo, gli
effetti ne sono pessimi. E però, secondo lui,è necessario farlo perpetuo,ma
limitargli l'autorità, con fare che da sè solo non possa disporre di alcuna
cosa e solamente abbia libertà d'azione in quelle che sono di minore
importanza. Dichiara che nel governo degli ottimati è il bene, perchè essendo
in più non possono cadere tanto facilmente nella ti rannide, come avviene nel
principato :essendo uomini qualificati governano con più prudenza e intelletto
del popolo.Il male è che favoriscono troppo le cose p r o p r i e e o p p r i m
o n o il p o p o l o : l ' a m b i z i o n e f a n a s c e r e in essi le
sedizioni e per via della tirannide si produce la ruina della città. Se poi,
invece del governo degli ottimati, per elezione o per qualità, che si potrebbe
rendere buono con acconci provvedimenti, si avesse quello degli ottimati per
nascita o per eredità,questo sarebbe il peggiore di tutti. « Nel governo di
popolo è di buono che mentre dura non vi è tirannide ; pos sono più le leggi
che gli uomini ; e il fine di tutte le deliberazioni è badare al bene
universale. Di male 1 F. GUICCIARDINI, Opere inedite, vol.I, pag.5. Firenze,
Bar bèra,Bianchi e Comp.,1857. 7 2 Ibidem,pag.6.
CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI. 21 Egli,nei suoi
giudizî così temperato, lascia ogni prudenza allorchè parla del popolo che
disprezza,m e n tre il segretario fiorentino lo esalta e l'ama.Intorno alla
ignoranza e malvagità,fondate in sulla invidia, opina « che senza comparazione
il popolo sia più in grato ; perchè, e per essere gli uomini distratti in varie
faccende, e per altre cagioni, manco intende, manco distingue e manco conosce
che non fa il prin cipe ; e quanto alla invidia,cade più facilmente negli
uomini popolari,a’quali ogni grandezza punto emi nente o di nobiltà o di
ricchezze o di virtù o di ri putazione è ordinariamente molesta ; nè cosa
alcuna dispiace loro che vedere altri cittadini che abbino più qualità di loro
e questi sempre desiderano abbas vi è che il popolo,per la ignoranza
sua,non è capace di deliberare le cose importanti. è instabile e desi deroso
sempre di cose nuove e però facile a essere -mosso e ingannato dagli uomini
ambiziosi e sediziosi ; batte volentieri i cittadini qualificati, che gli neces
sita a cercare novità e perturbazioni.» Il Guicciar dini,inchinevole più al
governo di uno, quando sia temperato da savie leggi,anzichè al popolare, si di
scosta in ciò da Machiavelli,che nel popolo ripone grandi speranze : questo è
uno dei punti,in cui la dif ferenza deigiudizî si fa più spiccata fra di
essi.Del resto il Guicciardini reputava ottima la forma del governo misto di
principe,popolo,ottimati,togliendo da ciascuna specie il buono e lasciando
indietro il cattivo, cercando di conciliare tutti gl'interessi; la qual forma
presenta delle somiglianze coi governi co stituzionali dei nostri tempi,ed è
quellalodatapure dal Machiavelli. I due grandi statisti fiorentini discor rono
dei governi secondo le idee di Polibio, ma il Guicciardini, profondo
conoscitore delle condizioni dei suoi tempi,con acume più pratico parla dei
varî re gimi e delle passioni e appetiti che muovono iprin cipi, i nobili e il
popolo ad impadronirsi dello Stato. 1Op.cit.,pag.44,45 ec. 2
Op.cit.,pag.14,15,16 3 Op.cit.,pag.42,43. CAPITOLO SECONDO. sare.'>
Crede il Guicciardini di non saper bene ciò che voglia dire la questione
presentata da Machia v e l l i, s e s i d e v e p o r r e l a g u a r d i a d e
l l a l i b e r t à n e l p o polo o ne'grandi. Se intendesi discorrere di chi
deve partecipare al governo,ciò spetta,nei governi misti c o m e quello di R o
m a , tanto ai patrizî c o m e ai plebei , che salvarono spesso la libertà
della patria. «Ma quando fosse necessario mettere in una città o un governo
meramente di nobili o un governo di plebe, è manco errore farlo di nobili,
perchè essendovi più prudenza ed avendo più qualità,sipotràpiùsperare si
mettino in qualche forma ragionevole,che in una plebe,la quale essendo piena
d'ignoranza,di confu sione e di molte male qualità, non si può sperare se non
che precipiti e commetta ogni colpa. > Lo stesso disprezzo per il popolo lo
rivela nelle pagine, in cui d i mostra essere stati i Romani meno ingrati degli
Ate niesi verso iloro cittadini più illustri.Ciò accadeva per
chènellanaturadeiRomani nonfulaleggerezzadegli Ateniesi e anche per la
diversità del governo.In Atene poterono i cittadini con le arti popolari salire
presto in potenza e farsi grandi : m a i capi, in questo g o verno popolare,
caddero più facilmente in sospetto e con più leggerezza e meno considerazione
furono op p r e s s i . L a p l e b e r o m a n a t r o v ò il c o n t r a p p
e s o d e l l a n o biltà,poichè nel Senato si trattavano le cose più gravi. La
qualità quindi del governo dei Romani,più tempe rato e prudente, fu causa che
icittadini ebbero meno degli Ateniesi aperta la via alla tirannide e vi furon m
e n o b a t t u t i . M a q u a n d o il G u i c c i a r d i n i v u o l d i m
o strare che la costanza e la prudenza sono qualità meno del popolo regolato da
leggi e più del principe e degli ottimati regolati dalle leggi,egli diviene
aspro e quasi violento contro il popolo : « Perchè dove è
CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI. 23 minor
numero,èlavirtùpiùunita,epiùabileapro durre gli effetti suoi ; vi è più ordine
nelle cose, più pensieroedesame,ne'negozîpiùrisoluzione;ma dove è
moltitudine,quivi è confusione; e in tanta dissonanza di cervelli, dove sono
varî giudizî,varî pensieri, varî fini, non può essere nè discorso
ragionevole,nè riso luzione fondata, nè azione ferma. Però non senza cagione è
assomigliata la moltitudine alle onde del
mare,lequalisecondoiventichetiranovannoora in qua ora in là, senza alcuna
regola, senza alcuna fermezza.' I principi e con essi i più eminenti
statisti della Rinascenza avevano la convinzione essere le istitu zioni un
trovato dell'ingegno,e da questo unicamente dipendere senza badare alla
responsabilità delle azioni, nè alla violenza che isovrani avrebbero esercitata
so pra i soggetti. Essi non sospettavano che il governo di un popolo dovesse
sgorgare direttamente dal suo spirito e trovare un sostegno nelle tradizioni
del paese. Il Guicciardini soltanto in parte era di ciò persuaso ; vagheggiava
un governo misto, ma inten deva accordare al popolo la minore ingerenza
possibile in esso:pure ilregime desiderato da Firenze,eche era stato la gloria
della repubblica,era il democra tico, malgrado gli errori in cui era
caduto.Tuttavia a lui, osservatore profondo, non sfugge mại la realtà delle
cose e dice che un popolo,uso a vivere sotto un principe, se diventa libero,con
difficoltà mantiene gli ordini liberi:ciò non accade invece ad un altro che sia
stato libero e per qualche accidente abbia perduto la libertà,perchè in questo
caso si possono ripigliare gli ordini liberi, vivendo con chi già li pos
sedette, ed essendo nei cuori la memoria dell'antica repubblica. Afferma anche
la difficoltà di educare un popolo alla libertà se mai non la conobbe :in tal
caso 1Op.cit.,pag.54,55. necessita fondare un governo
temperato,opprimere i nemici, lasciando sicuri quelli che vogliono vivere
bene.E più avanti:un principe che ha inimico il popolo,per la oppressione male
esercitata, vi rime dierà levando via le ingiurie e governando giusta mente,ma
non vi rimedierà se si trova davanti un popolo che vuole essere libero per aver
mano al go verno,perchè in questo caso sono vane le dolcezze.? Al Guicciardini,
nel meditare sulle vicende storiche del passato, appariva vana la speranza di
ritrovare il buono assoluto nelle forme di governo,perciò ne cer cava il buono
relativo che potesse reggersi in mezzo al trambusto degli avvenimenti
tempestosi che scon volgevano l'Italia,invasa dagli stranieri.La società
trasformatasi manifestava nuove aspirazioni e nuovi bisogni che occorreva
seguire e accontentare : si d o vevano evitare i mezzi estremi col cercare
l'armonia dei varî interessi. M a , ripetiamo, egli accordava al popolo una
piccola partecipazione al governo,mentre l'aveva avuta grandissima, e quindi
urtava contro le tradizionipatrie:scordava che la natura delude con le sue
leggi il nostro volere e si vendica di chi,col l'intenzione di dominarla, non
cerca innanzi tutto di assecondarla. Nella Considerazione sul capitolo X V I ,
già da noi ricordata,ilGuicciardini mostra la differenza fra l'in dole sua e
quella del Machiavelli, il quale assicurava che in Roma antica non si poteva
trovare mezzo più efficace per cementare la libertà che ammazzare ifigli
diBruto.IlGuicciardini,rispondendogli,riconosce la
necessitàdituffareasuotempolemaninelsangue, tuttavia fa voti perchè « non
desideri la nuova libertà che vi siano figliuoli di Bruto,cioè chi macchini
contro allo Stato, per avere causa di acquistare riputazione e tenere con la
severità ;perchè se bene è necessario in 1Op.cit.,Considerazione sul
cap.XVI. 24 CAPITOLO SECONDO. 1 CONSIDERAZIONI INTORNO AI
DISCORSI DEL MACHIAVELLI. 25 simili casi mettere mano nel sangue, sarebbe stato
meglio non avere avuto necessità, e che Bruto non avesse figliuoli, che averne
per avergli ammazzare.'> Nell'agitare la quistione sulla bontà dei governi,
si discute,dal Guicciardini e dal Machiavelli,non solo intorno ai mezzi di
ringagliardire la repubblica,ma a n c h e il p r i n c i p a t o . S e u n p r
i n c i p e , s e c o n d o il G u i c ciardini, si trova di fronte a un popolo
che ami la li bertà,ilsolo rimedio sarà quello « o di farsi dei par tigiani di
qualità, che siano potenti a opprimere il p o p o l o , o v v e r o , c o l b a
t t e r e e a n n i c h i l i r e il p o p o l o d i sorte che non possa
muoversi,introdurre nuovi abi tatori e di qualità che non abbino a avere causa
di d e s i d e r a r e l a l i b e r t à .? » C o s ì , s e n z a p a r e r e ,
e g l i s e m braaccostarsimoltoalleideediMachiavelli,ma tosto cerca di rendere
meno cruda e assoluta la sentenza emessa. « Però bisogna che il principe abbia
animo a usare questi estraordinarî,quando sia necessario; e nondimeno sia sì
prudente che non pretermetta q u a lunque occasione se gli presenti di
stabilire le cose sue con la umanità e co'benefizî, non pigliando così per
regola assoluta quello che dice lo scrittore, al quale sempre piacquono sopra
modo e rimedi estraor dinarî e violenti.?» Il Machiavelli è d'opinione che a
fondare una re pubblica bisogni essere solo e che per questo fece bene Romolo
ad ammazzare ilfratello.A luirisponde ilGuicciardini: «Non è dubbio che uno
solo può porre migliore ordine alle cose che non fanno molti, e che uno in una
città disordinata merita laude,se, non potendo riordinarla altrimenti,lo fa con
la vio lenza e con la fraude e modi estraordinarî. M a è da pregare Dio che le
repubbliche non abbino necessità diessereracconcepersimilevia,perchè
glianimi 1 O p . c i t ., p a g . 3 4 . 2Op.cit.,pag.35. 3 O p . c i t .,
p a g . 4 1 , 4 2 . 26 CAPITOLO SECONDO. degli uomini sono fallaci
e può uno sotto questo onesto colore occupare la tirannide.> Inoltre « bi
sogna prima bene leggere e considerare la vita di Romolo,ilquale,sebbene mi
ricordo,sidubitò non fosse ammazzato dal senato,per arrogarsi troppa au
torità.'> E mentre il Machiavelli entusiasmato parla della generosità d'animo
del suo principe legislatore, che, compiuta l'opera, senza lasciare lo Stato ai
figliuoli, lo affida alle cure vigili del popolo, ecco il Guicciardini
interromperlo e osservare che « questi pensieri che i tiranni deponghino le
tirannidi,e che i re ordinino bene i regni, privando la loro posterità della
successione,si dipingono più facilmente in su'li bri e nelle immaginazioni
degli uomini,che non se ne eseguiscono in fatto.”» Ammette,col Machiavelli, la
frode, la violenza, l'inganno,per cementare salda mente uno Stato, ma vuole
attenuare il fatto, e ne discorre con parole moderate e suggerite dal buon
senso. Così pure non condivide gli entusiasmi del M a chiavelli sull'uomo
destinato a dare nuova vita a un popolo, sebbene egli creda gli uomini meno cattivi
di quelloche sono reputati dal segretario fiorentino. Dimostra il Machiavelli
che si viene di bassa a gran fortuna, più con fraude che con la forza ;m a il
Guicciardini osserva : « Se lo scrittore chiama fraude ogni astuzia o
dissimulazione che si usa anche senza dolo, può essere vera la conclusione
sua,che la forza sola,non dico mai,che è vocabolo troppo assoluto, ma rarissime
volte conduca gli uomini da bassa a grande fortuna.Ma se chiama fraude quella
che è proprio fraude, cioè il mancamento di fede, o altro procedere
doloso,credo si trovino molti che hanno senza fraude acquistato regni e imperî
grandissimi. Di questi fu Alessandro Magno,di questi Cesare,che di cittadino
privato con altre arti che di fraude si 1-2 Op.cit.,pag.22,23,26.
CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI. Presuppone il Machiavelli
che tutti gli uomini sono cattivi ed essere necessario all'ordinatore di una re
pubblica infrenarli con le leggi,perchè non operano mai ilbene se non per
necessità.IlGuicciardini è con trario a questa sentenza eccessiva, e crede la
maggior parte degli uomini inchinevoli più al bene che al male : e se alcuno ha
altra inclinazione, è così diffe rente dagli altri e spoglio dell'istinto che
ci porge lanatura,da doversipiùprestochiamaremostroche uomo.È
adunqueogniuomoinclinatoalbene,ma, essendo la natura sua fragile, può essere
deviata dal retto cammino,dalla volontà,dall'ambizione e dal
l'avarizia:leleggisidevonofareinmanierada impe dirgli di fare il male di cui
sente l'impulso, e nel tempo stesso allettarlo al bene coi premî. Sostiene il
Machiavelli essere sempre la frode un mezzo di in grandimento : il Guicciardini
talora la crede inutile e la vorrebbe lasciata da parte,non in nome della
morale, m a di un ben inteso interesse. Il Machiavelli sostiene che nel mondo
fu tanto di buono in un'età quanto in un'altra,benchè varino i condusse a
tanta grandezza,scoprendo sempre l'am bizione sua e lo appetito di dominare . .
. . M a ,quanto alla fraude, può essere disputabile se sia sempre buono istrumento
di pervenire alla grandezza ;perchè spesso coll'inganno si fanno di molti belli
tratti,spesso anche l'avere nome di fraudolento toglie l'occasione di con
seguire gl'intenti suoi.'> Tutti e due eran d'accordo che l'inganno è
necessario per riuscire ad un buon fine, però il Guicciardini non accetta in
modo asso luto le massime del Machiavelli e dimostra la diffe renza della sua
indole, molto più pratica,se si para gona a quella del Machiavelli ; più
sistematica nel venire a considerare i casi in cui la frode conduce o non
conduce alla meta agognata. 1 O p . c i t ., p a g . 6 6 , 6 7 . ? O p . c i t
., C o n s i d e r a z i o n i a l p r o e m i o d e l l i b . I I , p a g . 6
0 , 6 1 . luoghi, la qual cosa equivale a dire che sempre nella u m
a n a f a m i g l i a il b e n e e il m a l e si e q u i l i b r a n o . A l l
' i n contro il Guicciardini, con mirabile penetrazione, e v o cando dinanzi a
sè le età passate,risponde di no :e a n che riconoscendo che l'antica non è
superiore ai tempi che la seguirono e che verranno,afferma che la somma del
bene e del male è differente nelle diverse età e ne porge gli esempî : « Chi
non sa in quanta eccellenza fussino a tempo de'Greci e poi de'Romani la pittura
e l a s c u l t u r a , e q u a n t o d i p o i r e s t a s s i n o o s c u r e
in t u t t o il m o n d o ; e c o m e d o p o e s s e r e s t a t e s e p o l t
e p e r m o l t i secoli siano da centocinquanta o dugento anni in qua
ritornate in luce ? Chi non sa quanto a'tempi antichi fiorì non solo appresso
a'Romani,ma in molte pro vincie la disciplina militare, della quale i tempi n o
stri e quelli de'nostri padri e avoli non hanno veduto in qualunque parte del
mondo se non piccoli e oscuri vestigî ? Il medesimo si può dire delle lettere,
della religione, che senza dubbio in alcune età sono state sepolte per tutto,
in altre sono state in molti luoghi eccellenti e in sommo prezzo. Ha visto
qualche età ilmondo pieno di guerre,un'altra ha sentito e go duto la pace ;
dalle quali variazioni delle arti, della religione,dei movimeti delle cose
umane,non èm a raviglia siano anche variati i costumi degli uomini, i quali
spesso pigliano il moto suo dalla istituzione, dalle occasioni,dalla
necessità.?» Pel Guicciardini è indispensabile ai popoli la reli gione, in
ispecie quando viene usata come elemento di forza nello Stato, e ad esso
sottomessa : tuttavia non condivide col Machiavelli l'opinione che iRomani
abbiano dovuto alla religione una sì gran parte della loro potenza, e dimostra
avere le armi maggiormente contribuito ai trionfi delle aquile latine sulla
terra. Alla questione sulla religione dei Romani si collega 28 CAPITOLO
SECONDO. 2 1 Op.cit.,Considerazioni al proemio del lib.II,pag.60,61.
Op.cit.,pag.26,30. e e 2 CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL
MACHIAVELLI. 29 quella particolare circa l'influenza del papato suide- '.
stinid'Italia,in cuiidue eminentipensatorihanno punti di contatto e altri che
li dividono. Afferma il Machiavelli avere la Chiesa cattolica di Roma tenuta
l'Italia divisa, ed essere stata causa che non potesse venire sotto un capo e
rimanesse sotto a più principi e signori, dai quali le venne tanta disunione e
debo lezza da cadere preda dei barbari potenti e di chiun
quel'assaltasse.IlGuicciardinirisponde:«Non si può dire tanto male della corte
romana,che non m e riti se ne dica più,perchè è un'infamia,un esemplo di tutti
i vituperî e obbrobrî del mondo.» È con vinto essere stata causa la grandezza
della Chiesa che l'Italia non sia caduta in una monarchia. Pure è dubbioso se
il non essersi organata nella monarchia sia stata felicitào infelicità di
questa nostra terra, poichè la divisione sua in tanti dominî, malgrado le
sofferte calamità, produsse le sue glorie comunali. Osservazione profonda e
vera,poichè se l'Italia fosse caduta sotto il dominio di uno solo, le varie
regioni, in cui si divise,non avrebbero prodotto l'energia in dividuale dei
comuni, che creò tanti tesori in molte parti dello scibile e della attività
umana, nei com merci e nelle industrie,preparando gli splendori della
Rinascenza,che furono fiaccola alla civiltà del mondo . Il Guicciardini
rimaneva ad osservare la realtà delle cose che aveva d'attorno e non voleva
seguire ilM a chiavelli,che lanciava il suo guardo di aquila oltre i c o n f i
n i d ' I t a l i a , a o s s e r v a r e il f o r m a r s i d e l l e n a z i
o n i u n i t a r i e , g i o v a n i e f o r t i, a v e n t i u n v i v o s e
n t i m e n t o p a trio. Secondo il segretario fiorentino,l'Italia,divisa e
debole,non poteva difendersidalle loro cupidigie d'in g r a n d i m e n t o , e
g i à c a d e v a s o t t o i l o r o c o l p i b r u t a l i, mentre nei
secoli passati, senza la piaga del papato, essa pure avrebbe potuto divenire di
mano in mano una nazione unita e forte sotto i suoi legislatori, ed ora non si
sarebbe trovata immersa in tante infelicità. Nella quistione sulla
lotta fra la plebe e la nobiltà, che agitò Roma e Firenze,non vanno d'accordo.
Il Machiavelli osserva che le divisioni di Firenze furono esiziali alla città,
perchè la vittoria del popolo porto larovinadeigrandi:quellediRoma inveceriesci
rono di grandezza allo Stato,perchè ilpopolo,rima sto a combattere sulla via
della legalità,si accontentò di rivendicare isuoi
giustidiritti;e,conseguitili,di vise coll'aristocrazia il governo. A queste
giuste e originali osservazioni risponde ilGuicciardini,e com batte la maniera
assoluta con cui sono dette : « Se da principio o non fosse stata questa
distinzione tra patrizî e plebei, o se almanco si fosse data la metà degli
onori alla plebe come si fece poi, non nasce vano quelle divisioni,le quali non
possono essere lau dabili,nè si può negare non fossero dannose,sebbene in
qualche altra repubblica manco virtuosa avrebbero fatto più nocumento. Laudare
le disunioni è come laudare in uno infermo la infermità,per la bontà del
rimedio che gli è stato applicato.?» E ponendo mente all'ambizione di
uominicospicui, che approfittarono delle lotte fra popolo e nobiltà per
impadronirsi del governo,ilGuicciardini dice come Appio Claudio fu rovesciato
dal potere non per essersi unito ai grandi a combattere ilpopolo,mentre doveva
fare altrimenti, m a perchè tentò di rovesciare la repubblica, la quale era
allora governata da ottime leggi,piena di santis simi costumi e ardentissima
nel desiderio della li bertà.Manlio Capitolino,sebbene procedesse contro
ilSenatoconartemeramentepopolare,purefuop presso dal popolo medesimo, appena
capì che cercava di spegnere la libertà. Silla occupò la tirannide a Roma
elastabiliconl'aiutodellanobiltà;ilDuca d’Atene si fece tiranno a Firenze col
favore dei grandi, che non seppe mantenersi fedeli per la sua impru O p . c i t
., p a g . 1 2 , 1 3 . 30 CAPITOLO SECONDO. 1 CONSIDERAZIONI
INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI. 31 denza e leggerezza. Cesare si fece
signore di Roma col favore della plebe.Così nell'una parte e nell'al tra si
trovano molti esempi e ciascuna parte ha le sue buone ragioni. « I partiti non
si possono pigliare con una regola generale, ma la conclusione s'ha a cavare
dagli umori della città, dall'essere delle cose che varia secondo le condizioni
dei tempi e altre oc correnze che girano.'> Secondo il Guicciardini chi ha
seco la nobiltà ha un fondamento più gagliardo di riuscita : chi ha il popolo
dalla sua parte ha più s e g u a c i , m a l a p o t e n z a s u a è m e n o s
i c u r a , p e r il m u tarsi degli umori della moltitudine. Il principio
annunziato dal Machiavelli che sono lodevoli i fondatori di una repubblica o di
un regno quanto vituperevoli quelli di una tirannide, è dal Guicciardini
trovato giusto. Però,egli dice con rettitu dine,non
bisognaconfonderegliesempî,perchè qual che volta può darsi che le forme della
libertà sieno così disordinate e le città ripiene tanto di discordie civili,da
condurre qualche cittadino,non potendo sal varsi altrimenti,a cercare la tirannide
o ad aderire a chi la cerca.Mentre è detestabile in Cesare,pieno dialtavirtù,ma
oppressodall'ambizionedeldomi nare : accade pure al governo della plebe di
diventare tirannico e allora,dai perseguitati,si desidera la m u tazione dello
Stato. Il Guicciardini,quando siferma a meditare sulla storia di Roma antica,
vi guarda dentro con l'occhio del politico,non con quello dello storico.Non si
cura di ricercare se i re sono esistiti veramente ovvero se simboleggiano le
varie età che si succedettero presso la gente romana così famosa : questi
dubbî,già balenati alla mente degli umanisti
delsecoloXV,nonlatoccanonemmeno.Egliguarda soltanto ai caratteri della politica
romana,e,contro il parere del Machiavelli, afferma che, eccettuata la 2 1
O p . c i t ., p a g . 5 2 . O p . c i t ., p a g . 2 3 , 2 4 .
disciplina militare, Roma ebbe un governo in molte
partidifettoso,come,peresempio,lafacoltà accor data ad un uomo di fermare le
azionipubbliche e le deliberazioni della città,come feceroiconsoli,anche
togliendo ilfreno deltribuno.In potestà dei consoli fu il diritto di privare
dell'autorità senatoria uomini onorandicomeMamercoEmilio.'Eglièpuredelpa rere
del Machiavelli che la prolungazione degl'imperî fu occasione grande a chi
volle occupare la repub blica, perchè era istrumento a farsi amici i soldati
eseguitocoire.Mailfondamentodeimalifulacor ruzione della città,la quale,datasi
all'avarizia,alle delizie,era in modo degenerata dagli antichi costumi che ne
nacquero le divisioni sanguinose della città, dalle quali sempre ne'popoli si
viene alle tirannidi. Però quando Roma non fu corrotta,la prolungazione
degl'imperî e la continuazione del consolato, che nei tempi difficili usò molte
volte, furono cosa utile e santa. Conchiude che « se non fussino state le pro
lungazioni,non sarebbe mancato nè a Cesare nè agli altri che occuparono la
repubblica, nè pensiero ne facoltà di travagliarla per altra via,essendo la
città c o r r o t t a .? » 32 CAPITOLO SECONDO. Non ostante la loro
somiglianza,idue grandi po litici fiorentini avevano tendenze intellettuali
diffe renti, e spesso si trovavano in disaccordo.Nelle m a s sime che
risguardano laguerra,ilMachiavelli sostiene che si deve fare col ferro e non
coll'oro :ibuoni sol dati soltanto sono il nervo della guerra e non l'oro : occorronocertoidanari,ma
insecondoluogo,essendo impossibile che abbino a mancare ai buoni soldati. Il
Guicciardini, che si attiene alla vita reale del se
coloXVI,incuinonc'eranoarmiproprie,sesiec c e t t u a il t e n t a t i v o f a
t t o i n F i r e n z e s o t t o il g o n f a l o n i e r e Pier Soderini, per
impulso generoso del Machiavelli ; 1 O p . c i t ., p a g . 5 4 . 2 O p . c i t
., p a g . 7 8 , 7 9 . CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL
MACHIAVELLI. 33 ilGuicciardini,ilquale era stato governatore di pro vincie,
commissario generale negli eserciti e cono sceva la venalità dei capitani e
delle milizie, che per il danaro calpestavano la fede giurata e rinne gavano
sin anche la patria,non poteva essere dello stesso avviso,sapendo per
esperienza che occorreva danaro per avere illustri capitani, milizie e buone
fortezze. Del resto, se egli sostiene che il danaro è il nervo della guerra,
non intende che i danari soli bastino a fare la guerra, nè siano più necessarî
dei soldati, perchè sarebbe stata opinione falsa e ridi cola. All'incontro
intese « che chi faceva la guerra, aveva bisogno grandissimo di danari e che
senza quelli era impossibile a sostenerla, perchè non solo
sononecessarîperpagareisoldati,ma per provve derelearmi,levettovaglie,lespie,lemunizioni
e tanti istrumenti che si adoperano nella guerra ;iquali ne ricercano tanto
profluvio,che a chi non l'ha pro vato è impossibile a immaginarlo. E sebbene
qualche volta un esercito scarso a danari con la virtù sua e col favore delle
vittorie li provvede,nondimeno ai tempi nostri massime sono esempli rarissimi
:e in ogni casoeinognitempononcorronoidanaridietroagli eserciti, se non da poi
che hanno vinto.'» A questo disaccordo si aggiunse l'altro intorno alle
fortezze e alle armi da fuoco,che ilMachiavelli, per stare troppo attaccato
all'esempio dei Romani, non tiene in nessun conto,dicendo le fortezze più dan
nose che utili. Il Guicciardini lo riprende con ragione e dice : « Non si deve
lodare tanto l'antichità che l'uomobiasimituttigliordinimodernichenon erano in
uso appresso a'Romani, perchè la esperienza ha scoperte molte cose che non
furon considerate dagli antichi,e,peressereinoltreifondamenti diversi,con
vengono o sono necessarie a una delle cose che non Op.cit.,pag.61,62. 1 3
ZANONI. convenivano,o non erano necessarie all'altre.Però se
iRomaninellecittàsudditenonusaronoedificarefor tezze,non è per questo che erri
chi oggidi ve le edifica : perchè accadono molti casi,per i quali è molto utile
avere fortezze. E quella ragione che si adduce nel Discorso, che le fortezze
danno animo a'principi a essere insolenti e fare mali portamenti, è molto fri
vola,perchè se s’avesse a considerare questo,avrebbe un principe a stare senza
guardia, senza esercito, senza armi. Dipoi le cose che in sè sono utili,non si
debbon fuggire, sebbene la sicurtà che tu trai da loro tipossa dare animo a
essere cattivo:verbigra zia,sideve biasimarelamedicina,perchègliuomini, sotto
fidanza di quella, si posson guardare manco da 'disordini e dalle cagioni che
fanno infermare ? ' Certo si deve deplorare che queste fortezze il Guic
ciardinilestimasseutilisoltantoaiprincipiper guar darsi dai popoli,desiderosi
di cose nuove,e tenerli obbedienti col terrore. Però, come è maraviglioso
questo duello tra due ingegni grandissimi che s'incontrano sul campo del
l'antica sapienza governativa:sono due gigantiuguali di forze, muniti delle
stesse armi,che si contendono una gloriosa vittoria nel più difficile
conflitto.IlGuic ciardini, come uomo di Stato, supera d'assai il M a
chiavelli,e bastano a dimostrarlole osservazioni che di mano in mano
contrappone ai Discorsi del celebre segretario sulla prima Deca di Tito
Livio,nelle quali, colla fredda acutezza della sua mente calma,colpisce sempre
il lato debole dell'avversario e ne distrugge, colla sua logica implacabile,i
ragionamenti poetici ed entusiastici,mettendone a nudo ora la fallacia, ora la
indeterminata incertezza. Nella storia dei pen satori italiani non si trova una
figura che possa reggergli a paro. È da lamentare che il tempo sia Op.cit.,pag.70,71.
34 CAPITOLO SECONDO . 1 >> CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI
DEL MACHIAVELLI. 35 mancato al Guicciardini per continuare il suo esame intorno
ai discorsi del Machiavelli sulla prima Deca di Tito Livio,perchè ci avrebbe rivelato
maggior mente la potenza della vigorosa argomentazione del suo genio pratico di
fronte a quello idealista del se gretario fiorentino.Francesco Guicciardini. Guicciardini.
Keywords: implicatura, il concetto di stato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Guicciardini:
l’implicatura particolarizzata” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Guzzi – la lingua inaudita, la lingua inaudibile, la lingua audita -- (Roma).
Filosofo. Grice: “My favourite is his dictionary of the unheard tongue – with a
foreword like sounds like Blair on newspeak!” - Filosofo. Studia al Liceo
classico statale Giulio Cesare. Direttore dei seminari del Centro studi Eugenio
Montale. La poetica di Guzzi, fin dall'inizio, si è concepita come
un'esperienza spirituale, una ricerca di stati più dilatati della coscienza,
sulla scia della linea che da Hölderlin, e attraverso Rimbaud, arriva fino al
nostro migliore ermetismo. La ricerca teoretica di Guzzi ha affrontato, in
particolare nel saggio filosofico La svolta, significativamente sottotitolato
"La fine della storia e la via del ritorno", il tema del cambiamento
epocale che a suo avviso l'uomo è chiamato a conoscere e riconoscere, dentro e
fuori di sé. Opere: Raccolte di poesia Anima in vetrina, Il Giorno, Scheiwiller, Teatro Cattolico,
Jaca, Figure dell'ira e dell'indulgenza, Jaca, Preparativi alla vita terrena, Passigli, Nella
mia storia Dio, Passigli, Parole per nascere,Paoline, Saggi di filosofia e di religione La Svolta,
Jaca, Rivolgimenti, Marietti, L'Uomo Nascente, Red, Passaggi di millennio,
Paoline, L'Ordine del Giorno, Paoline, Cristo e la nuova era, Paoline, La
profezia dei poeti, Moretti e Vitali, Darsi pace, Paoline, La nuova umanità,
Paoline, Per donarsi, Paoline, Yoga e preghiera cristiana, Paoline, Dalla fine
all'inizio, Paoline, Dodici parole per
ricominciare, Ancora Il cuore a nudo,
Paoline, Buone Notizie, Ed. Messaggero Imparare ad amare, Paoline L'Insurrezione dell'umanità nascente,
Edizioni Paoline, Fede e Rivoluzione,
Paoline Il profilo dell'Uomo di Dio,
Paoline Alla ricerca del continente
della gioia, Paoline “Dizionario della
lingua inaudita” Lingua e Rivoluzione, Paoline. Grice: “Guzzi plays with
‘lingua inaudita’ – literally ‘unheard of’ – but ultra-literally turns his
dictionary into a magical oxymoron! Marco Guzzi. Guzzi. Keywords: lingua
inaudita, lingua audita, lingua e rivoluzione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Guzzi” --- The Swimming-Pool Library.
Grice e
Guzzo – pagine di filosofi per i giovani italiani – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I admire Guzzo; he founded
‘Filosofia,’ a philosophy magazine and led a school at Torino, but he selected
‘pagine di filosofi per i giovani italiani.’ He wrote interesting essays on
“Gli hegeliani d’Italia” and Croce versus Gentile – a very systematic
philosopher. The logo of his revista shows Oedipus and thes sphynx – that says
it all!” Si laurea a Napoli, dove fu allievo di Maturi. Insegna a Torino e
Pisa. Fonda "Erma”. Esponente dell'idealismo, si avvicinò all'attualismo
di Gentile. È considerato quindi uno dei più grandi esponenti dello spiritualismo.
Saggi: “Spinoza”; “Kant”; “Verità e realtà”; “Apologia dell'idealismo”;
“Idealisti ed empiristi”; “Aquino”, “Bruno”; “Storia della filosofia”, “L'uomo”
(Brescia, Morcelliana); “L'io e la ragione”; “Moralità”; “Scienza”; “Arte”;
“Religione; “Filosofia” – P. Quarta, “Guzzo e la sua scuola, Urbino, Argalìa; Dizionario
Biografico degli Italiani, Treccan. AUQUSTO GUZZO L’ISAGOGE
DI PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO EDIZION B . i
697 I . 173 ' aa TORINO I DE
“L’ERMA,- X I I T^37 AUGUSTO GUZZO L’ISAGOGE DI
PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO TORINO
EDIZIONI DE “L’ERMA, X I I & ,173
Ù‘ì ESTRATTO DAGLI Annali delV Istituto Superiore di Magistero
del Piemonte. Voi. VII
XII TORINO -XII TIPOGRAFIA DPIGLI ARTIGIANELLI (G.
RoSSIj VIA JUVARA, 14 445'/^59 L’Isagoge di
Porfirio e i Commenti di Boezio SOMMARIO 1. Il
Commento di Porfirio alle Categorie di Aristotele. — 2-5. Questioni su le
Categorie. — 6. L’Isagoge. Il prologo. — 7-9. Il primo commento di Boezio
al prologo dell’Isagoge. — 10-12. Il secondo commento di Boezio. — 13. Le
cinque voci. — 14. Il genere. 15. La specie. 16. La differenza. — 17. La
qualità. — 18. L’accidente. — 19. Quel che hanno di comune le cinque
voci. — 20. Comparazione del genere con le alti e quattro voci. —
21. Comparazione della differenza con le altre quattro voci. — 22.
Comparazione della specie con le altre quattro voci. — 23. Comparazione
della proprietà con le altre quattro voci. — 24. Comparazione
dell’accidente con le altre quattro voci. — 25. Il primo commento di
Boezio alla dottrina delle cinque voci. — 26. Il dialogo premesso
al primo commento di Boezio. — 27. Divisione della filosofia. — 28-33. Il
secondo commento di Boezio. — 34. Conclusione. (*) (*)
Queste esposizioni di antichi testi molto famosi ma poco letti co-
stituirono l’argomento del corso di Pedagogia da me professato
nell’Istituto Superiore di Magistero del Piemonte nell’anno accademico
1927-28. Volevo dare una conoscenza possibilmente precisa di quel che era
l’istruzione c la cultura nell’alto medioevo : ed esposi i testi che in
quei secoli erano più meditati lumeggiando, di scorcio, anche lo sfondo
d’idee su cui sorse più tardi, sui primi periodi déìVIsagoge, la disputa
degli universali. Testi di
1. — Porfirio, che è autore della celebre « Isagoge, o In- troduzione
alle Categorie di Aristotele » , è anche autore di un meno noto Commentario
alle medesime Categorie. Sarà utile studiare almeno la prima parte, cioè
la parte introduttiva di tale Commentario: forse si troverà in essa la
spiegazione del punto di vista dal quale si pone Porfirio nella « Isagoge
» . Questo Commentario ci è pervenuto mancante delPultima
parte - quella riguardante le ultime quattro categorie e i
post-predicamenti - e assai scorretto e guasto anche nella parte
precedente. Lo si trova in un codice modenese miniato del secolo XIII, in
un codice della Marciana del secolo XV, in uno delPEscuriale del secolo
XVI, in uno parigino dello stesso secolo XVI, in uno della Laurenziana
del secolo XV. E' però dimostrato che di tutti questi codici il primo, da
cui tutti gli altri dipendono direttamente, è quello modenese.
Di sul codice parigino il commento fu stampato a Parigi nel 1543 «
apud Jacobum Bogardum ». Su questa edizione, che è Pedizione principe,
del Commentario, fu condotta la versione latina di Feliciano, stampata in
Venezia « apud Hieronymum Scotum ». L’ « edizione critica » è del 1887, e
si deve alle cure logica che, ad esporli, si può tutt’al più
riescire chiari; ma avviciuarli alla comune cultura può forse essere
utile. Anche questo corso, che era rimasto inedito, va messo tra i lavori
da me preparati per l’Istituto Supe- riore di Magistero del Piemonte. Mi
sia permesso enumerarli : Apologia dell’idealismo (Discorso inaugurale
dell’anno accademico 1924 25), Torino, Paravia, 1925; Introduzione e
Commento al i^edone di Platone, Commento alla Repubblica di Platone,
Agostino: dai Contra Academicos al De Vera Religione^ Firenze, Vallecchi,
1925; Agostino, Il maestro^ Traduzione, Intro- duzione, Commento e
Appendici, Firenze, Vallecchi, 1926; Tommaso d’Aquino, Il maestro,
Traduzione, Introduzione e Commento, Firenze, Vallecchi, 1927; Giudizio e
azione, Venezia, «La Nuova Italia», 1928; Agostino e il sistema della
grazia, Torino, «L’Erma», 1930 (1934®); Il concetto di individuazione e
il problema morale (Discorso inaugurale del- l’anno 1930-31), Torino, «
L’Erma », 1931; La « Summa contra Gentiles », Torino, « L’Erma », 1931 ;
I Dialoghi del Bruno, Torino, « L’Erma », 1932. di Adolfo Busse, nell’edizione dei commenti
greci ad Aristotele, promossa dall’Accademia Prussiana (Voi. I, pars. I «
Porphyrii Isagoge et in Aristotelis Categorias commenta rium edidit
Adolfus Busse. — Berolini, Typis et impensis Georgii Reimer —
MDCCCLXXXVII »). Il Commento procede per yììx di domanda e
risposta. E’, in londo, un dialogo, ma in cui le persone degli
interlocutori non hanno alcun rilievo ; la « domanda » parte da uno che
non sa e chiede spiegazioni : la c Risposta » enuncia, evidentemente,
la soluzione che Porfirio crede si possa e si debba dare alle varie
questioni. Le quali se, da un certo momento in poi, riguardano il più giusto
significato da attribuire alla lettera del testo aristo- telico, prima
vertono su problemi che investono rimpianto stesso del piccolo scritto
aristotelico. 2. -- Prima questione. — « Categoria » in greco vuol
dire € accusa », « denunzia ». Come mai Aristotele chiamò
Categorie l'essenza, la quantità, la qualità, ecc.? La risposa è che il
filo- sofo, costretto talvolta a coniar parole nuove, tal’altra a
dare un significato nuovo a parole consuete, adoprò la parola «
Cate- goria » per indicare le « espressioni enunciative delle cose
» (tàc twv Xé^soov twv a'ijjxavttxwv y.arà twv TUpaYixatcov xat-
YjYopta? TrpoosìTcsv). Sicché, ogni semplice espi*essione
enunciativa, quando sia pronunciata e detta della cosa enunciata, si
dice categoria. Per esempio: se la cosa che vien mostrata è questa
pietra che tocchiamo e che vediamo, quando di essa diciamo: «questa è
pietra», l'espressione «pietra» è il categorèma, giacché indica la cosa e
vien detta di essa. 3. — Seconda questione. — Aristotele chiamò il
suo scritto « Categoi'ie » o, come altri, « Le dieci Categorie » ?
Porfirio risponde respingendo tanto questo titolo dello scritto
quanto gli altri : « Prima della Topica », « dei generi dell'essere »
« dei dieci generi > . Non « Prima della Topica » perché in tal
caso sarebbe stato più esatto dire «Prima degli Analitici», anzi « Prima
deU’interpretazione » : chè il libro delle Categorie è il più elementare
e introduttivo a tutte le parti della filosofìa, E piuttosto sarebbe <
Prima della parte fisica della filosofia » . anziché « Prima della Topica
» : chè è opera della natura « l’es- senza, il quale e simili » .
Nè lo scritto potrebbe in nessun caso intitolarsi « Dei generi
dell’essere » o « dei dieci generi » « perchè gli esseri e i loro generi
e le specie e le differenze sono cose e non voci » : e invece Aristotele,
enumerando le dieci categorie, l’essenza, il quale, il quanto e le
rimanenti, dice: «ciascuna delle dette si dice per sé stessa, non per
attribuzione, mentre l’attribuzione, 0 affermazione, avviene mediante
connessione di esse tra loro ». Or se è la connessione delle categorie
quella che dà luogo alle asserzioni, e se le asserzioni consistono in
voci indicative e discorsi dimostrativi (èv oyjaavrix-^ xai
àTio^avTixij)), lo scritto aristotelico non può riguardare i generi
dell’essere, nè in generale le cose: chè non la connessione delle cose
costi- tuisce asserzione, bensì la connessione delle voci
significative che indicano le cose. E Aristotele stesso dice:
« ciascuna delle categorie dette senza alcuna connessione significa o
l’essenza o il quanto », con quel che segue. Ora, se Aristotele parlasse
di cose, non direbbe « significa l’essenza », chè le cose non
significano, bensì sono significate. _ Ciò che significa è la
voce, la parola: di voci, di parole dunque, tratta Aristotele nelle
Categorie. Perchè, poi, debba essere questo il titolo dello
scritto, sarà chiaro - dice Porfirio - quando si sia dimostrato il
contenuto proprio del libro. 4. — Terza questione. — Quale è
dunque il contenuto proprio delle Categorie? Porfirio
risponde rifacendosi di lontano. • L’uomo - egli scrive -
giunto a indicare e significare le cose circostanti, pervenne a nominarle
con la voce e a indicare con questo mezzo ciascuna di esse. Il primo uso
che egli fece delle parole fu rivolto a mostrare ciascuna cosa per mezzo
di voci e di parole; col quale riferimento delle voci alle cose
questo chiamò sedile, quello uomo, quell’altro cane e quell’altro
sole: e ancora questo colore chiamò bianco, quello nero; e questo
chiamò numero, quello grandezza ; questo due cubiti, quello tre cubiti; e
cosi per ciascuna cosa stabili parole e nomi signifi- cativi di esse e
indicativi mediante determinati suoni della voce. Stabilite dunque
per le cose, come contrassegno, talune parole, Tuomo, passando ad una
seconda impresa e riflettendo sulle parole stabilite, quelle che si
uniscono agli articoli chiamò nomi, e quelle come « io passeggio, tu
passeggi » chiamò verbi. Di modo che, se nella prima imposizione » di
nomi questo chiamò oro e quello sole, nella seconda la voce < oro »
chiamò nome e la voce < passeggio » verbo. Ora il
contenuto delle Categorìe d’Aristotele è precisamente il primo
stabilimento delle parole, quello che mostra le cose: giacché studia le
voci significative semplici, in quanto signifi- cative delle cose,
distinguendole non l’una dall’altra individual- mente, chè, di numero, le
voci sono infinite come le cose che significano, ma distinguendole secondo
il genere a cui appar- tengono. Ora l’infinità degli enti e delle parole
che li significano si lasciano ridurre a dieci generi: giacché dieci sono
le diffe- renze di genere degli enti, e dieci anche le voci che le
indicano. Ma questo fatto che le voci, simili a messaggere, prendano
le differenze dalle cose che annunziano, non toglie che la ricerca
principale sia, nelle Categorie^ intorno alle voci significative, e non
intorno alle differenze di genere degli enti. Dieci sono i generi
delle parole in quanto significative di cose: ché significano o l’essere
(la sostanza), ó la quantità, la qualità, la relazione, ecc. (i nove
accidenti della sostanza). Due, invece, sono le parole che significano il
tipo a cui appartengono ; giacché tutte le voci sono di due tipi: o
nomi o verbi. Alla quale seconda ricerca - grammaticale, non logica,
diremmo noi > appartiene anche distinguere la espressione propria
dalla metaforica e dagli altri tropi. Presentata cosi la
ricerca delle Categorie come una ricerca nè metafìsica, nè grammaticale,
nè retorica - non metafìsica perchè secondo Porfirio, è incidentale il
riferimento ai generi delPessere, essendo Pattenzione rivolta ai generi
delle parole significative, in quanto appunto significano questo o
quello; non grammaticale, perchè nelle « Categorie » non si
distinguono tra loro le varie parti del discorso, che è distinzione
tardiva rispetto a quella che distingue le voci secondo ciò che
signifi- cano, non secondo che siano proprie, metaforiche, ecc. - Porfirio
osserva che, contro la sua interpretazione che intende la ricerca delle
Categorie come una ricerca, noi diremmo, di filosofia del linguaggio, e
gli antichi dicevano di logica, comunemente iden- tificando col pensiero
la sua significazione verbale, si schieravano tanto quelli che ritenevano
oggetto principale delle Categorie la ricerca metafisica intorno ai
generi dell’essere, quanto quelli che. credendo oggetto delle Categorie
la ricerca retorica delle espressioni proprie e delle figurate, ritenevano
la distinzione aristotelica delle Categorie o insufficiente o
incomprensiva o, al contrario, sovrabbondante. Fra questi ultimi, per
esempio, i seguaci di Atenodoro e di Cornuto, studiando le
espressioni proprie ed improprie, e volendo sapere a quali categorie esse
appartenessero, non trovando nello scritto aristotelico risposta a tale
domanda, ritennero manchevole e difettosa Penumerazione aristotelica,
come non comprensiva di tutte le voci significative. Invece, secondo
Porfirio, rettamente intesero lo scritto d’Ari- stotele Poeto nel suo
commento alle Categorie, e più brevemente Erminio. Il quale dice che la
ricerca non verte nè su quelli che in natura sono i primi e generalissimi
generi (che non sarebbe insegnamento adatto ai giovani), nè studia quali siano
le prime ed elementari differenze delle parole, come se la
trattazione riguardasse le parti del discorso; ma piuttosto verte sulla
spe- cie di parole che risulti appropriata a ciascun genere di
enti: onde fu necessario toccare in qualche modo dei generi, a cui
le parole si riferiscono : chè non si intenderebbe la significazione
propria di ciascun genere se qualcosa intorno ad esso non s’an-
ticipasse. Poiché dieci sono i generi, dieci sono le categorie. E
si potrebbe magari anche intitolare lo scritto aristotelico Dei
dieci generi » se con ciò si significasse solo un riferimento ai dieci
generi, giacché non di essi si occupa principalmente il libro. 5. —
Quarta Questione. — Perchè il libro verte su le « Cate- gorie > e
s’inizia con una trattazione su gli omonimi e i sinonimi?
Perchè queste sono distinzioni delle quali Aristotele deve fare uso
in tutto l’Organo: perciò le premette ad ogni altra considerazione.
Tralasciamo, ora, il seguito del Commento Porfiriano; ma ci gioverà
aver visto come Porfirio intendesse quelle Categorie alle quali s’assunse
lo storico compito di « introdurre » . 6. — La celebre « Isagoge »
di Porfirio tratta del genere, della differenza (che, entro ciascun
genere, distingue l’una dall’altra le specie), della specie, della
proprietà (che caratte- rizza ciascun genere e ciascuna specie) e
dell’accidente (che, senza essere intrinsecamente « proprio » d’una
sostanza, le si attaglia in talune circostanze). La
trattazione del genere è, però, preceduta da una famosa introduzione,
nella quale Porfirio si rivolge a Crisaorio, patrizio romano suo
discepolo, dicendo: « Poiché, 0 Crisaorio, è necessario anche per
la dottrina « aristotelica delle Categorie, sapere che sia genere e che
diffe- « renza, e che sia specie e che proprietà e che accidente; «
siccome e per assegnar le definizioni e in generale per quel « che
riguarda la divisione e la- dimostrazione è utile l’indagine « di tali
cose: io, facendo per te una compendiosa trattazione, < tenterò
brevemente, come a mo’ di introduzione, di spiegare « il pensiero degli
antichi, astenendomi dalle ricerche, più € profonde e investigando,
invece, opportunamente le più « semplici » . Le ricerche più
profonde, da cui Porfirio professa di astenersi, riguardano la realtà dei
generi e delle specie, in una parola degli universali. Difatti Porfirio
continua: « Ora, riguardo ai generi e alle specie, se esistano o
invece c stiano solo nel pensiero e, dato che esistano, se siano corpi
« 0 incorporei, e se separati o esistenti nei sensibili e non « fuori di
essi, io eviterò di dire, profondissima essendo questa « questione e
richiedendo essa altra maggiore ricerca » . Onde Porfirio conclude
dicendo che si limiterà a cercare d’esporre a Crisaorio ciò che gli
antichi meditarono intorno a questi argomenti, e tra essi specialmente i
Peripatetici. Porfirio, dunque, tratterà dei generi e delle specie
senza determinare se siano idee, cioè enti metafisici, o semplici
concetti, esistenti solo nella mente che li pensa. Ma, per conto suo, per
quale di queste dottrine propende? Grià si è visto che egli
considera generi, specie e differenze « cose, non voci » e che, in
generale, ritiene che le distinzioni logiche trovino la loro ragion
d’esseie in altrettante distinzioni metafisiche di cui si fanno
espressione. Per Porfirio dunque, generi e specie riguardano l’essere, e
se egli prelude alla Logica aristotelica trattando di essi, in fondo egli
ridà alla Logica d’Aristotele il fondamento della dialettica platonica,
tutta diretta a distinguere generi e specie e valida, nel pensiero di
Platone, tanto oggettivamente, come metafisica, quanto
soggettivamente, come logica. Questo punto di vista
realistico da cui è scritta l’intera < Isagoge » non sfugge, nonostante
tutto, al commentatore Boezio, il quale torna sulla importante questione
cosi nel primo come nel secondo dei suoi commenti all’Isagoge. È
noto che i due commenti son diversi tra loro in quanto il primo si dirige
ai principianti e quindi evita le discussioni troppo complicate e
sottili, il secondo, invece, vuol indurre i discepoli già provetti a una
ginnastica mentale adatta alle loro ‘forze e alla loro preparazione. Non
è meraviglia, quindi, che la « questione degli universali » — giacché ormai
di essa si tratta — sia impostata diversamente nei due commenti, sebbene
la trattazione giunga a risultati assai affini. 7. — Il primo
commento di Boezio giunge a interpretare il prologo deirisagoge solo al
decimo capitolo, e mostra chiaro lo sforzo di ricorrere alle
argomentazioni e dimostrazioni più semplici, affinchè i principianti
possano intenderle ed afferrarle. In verità Porfirio pone e rinvia
tre questioni: 1) - se generi e specie esìstano davvero o stiano solo
neirintelletto e nella mente; 2) - se siano corporei o
incorporei; 3) - se siano separati o uniti con i sensibili.
Rispetto alla prima questione « se generi e specie esistano
davvero, o stiano solo nell’intelletto e nella mente », Boezio sembra
interpretarla in un modo che forse non coincide inte- ramente con ciò che
intendeva Porfirio. Questi, forse, intendeva domandarsi: generi e specie
sono idee platoniche, cioè enti, o invece concetti aristotelici, cioè
universali puramente mentali nati nel pensiero e dal pensiero? Se sono
idee platoniche, si intende che sono, non solo incorporee, ma separate.
Se invece sono concetti aristotelici, essi corrispondono, nella mente,
a forme che nella realtà vivono intrinsecate nelle cose sensibili.
La questione, dunque, è : gli universali vanno concepiti plato-
nicamente, ante rem, o aristotelicamente, post rem, giacché in re essi
esistono, ma intimi alle stesse cose particolari ? Se questo è ciò
che intende domandarsi Porfirio, si capisce come egli preferisca
rimandare questa controversia prò Platone 0 prò Aristotele a un momento
in cui il suo discepolo Crisaorio sia già innanzi negli studi filosofici.
Ma Boezio intende la que- stione in maniera assai diversa. Egli non
intende i generi e le specie se non come universali mentali post rem,
come con- cetti aristotelici. La conoscenza si inizia con la
sensazione: per sensuum qualitatem res sensibus subiectas (animus)
intel- legit Dalla sensazione lo spirito parte per concepire le
specie ed i generi: et ex bis (le cose sensibili) quadam
speculatione concepta, viam sibi ad incorporalia intellegendapraemunit,,.
Così, quando vede i singoli individui umani, sa d’aver visto
uomini, sa che sono uomini quelli che ha visti. Di qui lo spirito
sale a discernere la stessa specie « uomo », incorporea perchè non
si concepisce che con la mente e rintelligenza. Ma, come movendo
dalla sensazione lo spirito giunge a comprendere le cose incor- poree,
così, movendo dalle stesse sensazioni, lo spirito arriva a immaginarsi,
per esempio, i Centauri, la cui fallace imma- gine si compone di elementi
della forma umana ed elementi della forma equina. Or si domanda: generi e
specie sono con- cepiti con verità, sicché comprendiamo la specie uomo
giusta- mente ricavandola dai singoli uomini coi'porei, o invece
sono immaginati con finzione mentale pari a quella di cui parla
Orazio nell’Arte Poetica, quando dice: « fiumano capiti cer- vicem pictor
equinam iungere si velit » ? Come si vede, Boezio non crede che la
domanda di Porfirio sia rivolta a sapere se gli universali siano reali o
puramente mentali, ma se siano concetti veri o pure finzioni
delPimma- ginazione. Il che significa porsi già su terreno
prettamente aristotelico, giacché tutto si riduce a domandare se gli
uni- versali post rem siano rettamente pensati o fallacemente imma-
ginati, o, con altre espressioni, se siano concetti o puri sogni e
chimere. La risposta che Boezio dà a questa domanda è, se non
er- riamo, singolarmente infelice. Per lui non è dubbio che i
generi e le specie « sono veramente»: «difatti, come tutte le cose
che veramente sono senza queste cinque: non possono essere, così non
si può dubitare che anche queste cinque son concepite con verità (vere
intellectas) » . Che è una strana maniera di presupporre gli universali
reali nelle cose sensibili, quando proprio la domanda è se gli universali
siano reali o fallaci- Per Boezio generi, specie, differenze, proprietà,
accidenti, queste cinque distinzioni nelle cose sono « conglutinatae et
quodam- modo coniunctae atque compactae ». Difatti, perchè
Aristotele parlerebbe delle prime dieci espressioni (sermonibus)
signifi- canti i generi delle cose, o perchè raccoglierebbe le loro
diffe- renze e proprietà e toccherebbe degli accidenti, se non li
avesse visti nelle cose intrinsecati e in qualche modo riuniti ( <'
in rebus intima et quodammodo adunata » ) ? In base a questa
argomentazione Boezio conclude che « se è cosi, non c’è dubbio che siano
veramente e sian tenute (le cinque distinzioni) con giusta riflessione
(«certa animi consideratione >). Ma si vede chiarissimo che
Boezio dà per certa e dimo- strata la concezione aristotelica degli
univeisali come forme immanenti nelle cose particolari, onde conclude che
lo spirito, pensandoli, è nel vero e non neirerrore delle pure
finzioni immaginarie. Ma se la questione era per Porfirio se gli
uni- versali fossero reali o puramente mentali, e per Boezio se
fos- sero concetti veri o mere finzioni immaginarie, nè la
questione porfiriana, nè quella boeziana possono essere risolte con
Tappel- larsi alla concezione aristotelica di universali reali nei
parti- colari, e quindi veri, post rem, nello spirito umano. Questo
è un affermare il temperato realismo aristotelico, non un l isol-
vere la questione con un procedimento dimostrativo. Boezio presuppone
dimostrato Taristotelismo per decidere in senso aristotelico e su V
autorità di Aristotele la questione da lui posta. Senonchè
Boezio trova un’altra conferma realistica- della sua opinione nell’assenso,
per quanto tacito, dello stesso Porfirio. Giacché, egli dice, Porfirio,
come se già fosse risaputa e pro- vata la realtà degli universali,
domanda se siano corporei o incorporei. La quale domanda sarebbe troppo
frivola e assurda se non si fosse prima assodata, per gli universali,
quella realtà che ora si domanda se sia corporea o incorporea. Ma
anche qui forse Boezio, neirinterpretare Porfirio, va lontano da
quello che egli intendeva dire. Porfirio forse domandava: — generi e
specie sono reali o puramente mentali? Se reali, nel senso platonico,
sono enti incorporei; se meramente mentali, non si può ad essi attribuire
altra realtà che nei corpi stessi. Vale a dire, se reali, nel senso
platonico, sono separati: se meramente men- tali, non possono concepirsi
che immanenti nei corpi, congiunti con essi e da essi inseparabili,
tranne che per astrazione nel pensiero umano. Se questa che
qui proponiamo fosse una interpretazione plausibile del celebre prologo
porfiriano, le domande ivi contenute in realtà non sarebbero tre, ma una
sola: gli universali sono reali, o mentali? vale a dire, sono incorporei,
o esistono nei corpi? cioè, sono separati, o intrinsecati nei corpi e da
essi inseparabili ? Ma Boezio le intende come tre domande,
ciascuna delle quali presupponga già risolta in un determinalo senso le
precedenti. Difatti, egli dice: solo se alla prima domanda « se gli
universali siano reali » si risponde affermativamente, si può poi
domandare se esistano come corpi o come incorporei ; e parimenti, solo
se a questa domanda si risponda affermando Tincorporeità degli
universali, si può domandare se, essendo incorporei, esistano separati
dai corpi o siano da essi inseparabili. 8. — Rispetto alla seconda
questione « se gli universali siano corpi 0 incorporei » Boezio tratta
separatamente il genere dalla specie. Quanto al genere egli
dice, « quia incorporeorum prima natura est», può una cosa incorporea
essere madre di una corporea, ma non viceversa, giacché, la sostanza
essendo il genere, e corporale e incorporale le specie, il genere non
può essere corporale, chè, se fosse tale, la specie incorporea non
potrebbe subordinarglisi. Dal che discende che il genere non deve essere
nè corporeo nè incorporeo, si da poter avere per specie così il corporeo
come Tincorporeo. (E qui Boezio solleva una questione di
grandissima importanza. Se il genere non può avere nessuna delle
determinazioni che costituiscono le proprietà delle specie e le loro
reciproche differenze, donde nascono nelle specie queste differenze che
nel genere, da cui pure le specie derivano, non ci sono? - Non si
può pensare che il genere animale possegga tanto la proprietà della
ragionevolezza quanto quella della irragionevolezza: chè posse- dere in
sè due contrari sarebbe impossibile. Bisogna dunque che, per poter dare
luogo cosi alBuna come alEaltra delle due specie, il genere non abbia nè
Buna nè Taltra delle due differenze specifiche: non sia nè Tuna nè
l’altra specie, pur contenendole entrambe « vi sua et potestate » .
Ed anche questa è, come si deve, una soluzione prettamente
aristotelica della questione: il genere è «in potenza» le sue specie,
senza essere « in atto » nessuna di esse. Ma non è qui il caso di
saggiare la consistenza o la inconsistenza di un simile tentativo di
spiegazione che, non riuscendo a dar ragione del nascere delle
differenze, le presuppone già esistenti, e tuttavia non ancora reali,
giacché sono potenziali, virtuali). Si è visto dunque che per Boezio
il genere non è nè corporeo, nè incorporeo : il che significa, su questo
punto, non rispondere alla domanda di Porfirio, ma sottrarsi ad essa. E
la ragione di tutto ciò è chiara. Porfirio è tutt’ altro che convinto che
gli universali siano puri concetti: ecco perchè egli tende ad
affer- marli reali e incorporei. Ma per Boezio gli universali sono
semplici concetti: e però, per quanto sia anch’egli convinto con Platone
ed anche con Aristotele, che Tincorporeo è, per natura, prima del
corporeo, pure è costretto, dalla sua concezione mera- mente logica e non
metafisica degli universali come concetti e non come idee, a pensare il
genere come privo delle determinazioni che saranno proprie delle specie:
a costo di non sapere più d donde derivino alle specie queste differenze,
che sono estrai alla sola fonte delle specie che è il genere.
Ma Boezio si illude che ammettere la potenziale presei delle
differenze specifiche nel genere sciolga la difficoltà: ( inoltra nella
considerazione meramente logica del genere co semplice concetto, adatto
esclusivamente alle classificazi scolastiche dei concetti secondo la loro
estensione, mentre, ] Platone, il genere era pregnanza di realtà o
idea. Quanto alle specie Boezio ne ammette di corporee e di
ine poree: specie corporea Puomo; incorporea: Dio. Parimenti
le differenze: «quadrupede» è differenza cor rea ; < ragionevole *
differenza incorporea. Cosi anche le proprietà: corporee di cose
corporee; ine poree di cose incorporee. E lo stesso è degli
accidenti: accidente incorporeo è nello s ritolascienza: accidente
corporeo èsul capo la capigliatura cres Insomma per Boezio, solo il
genere è neutro, nè corpor nè incorporeo: ma le specie, le differenze, le
proprietà e accidenti sono corporei se appartengono ai corpi, incorporei
appartengono allo spirito. Senonchè, in questa teoria, lo stesso
Boezio, che non potuto riconoscere incorporeo il genere per la sua
conside zione meramente logica di esso, ammettendo corporee le spe(
le differenze, le proprietà e gli accidenti delle cose corpor rinunzia a
considerare specie, differenze ecc. come distinzi meramente logiche, e
non solo le pensa metafisicamente intr secate nelle cose singole, ma
fatte una cosa sola con esse, da ricevere la loro stessa natura.
Torna, bensì, a una considerazione meramente logica de distinzioni
porfiriane, stabilendo, dopo la prima, ora espos una seconda teoria, che
peraltro egli presenta come una teo altrui. Secondo questa teoria il
genere va considerato coi genere, come pura determinazione logica o
concetto. E se sostanza è genere, non dev’essere considerata come una
sostanza, ma come un genere, cioè come qualcosa che ha delle specie
sotto di sè. Cosi pure la specie. Corporeo e incorporeo saranno specie
della sostanza. Ma essi vanno considerati come pure specie, cioè come
concetti che stanno sotto un genere. Pari • menti le differenze: bipede e
quadrupede sono differenze in quanto Puno contrapposto all’altro : vanno,
dunque, considerati non come un bipede e un quadrupede, ma come pure differenze
logiche. Similmente le proprietà non vanno considerate nel loro
contenuto, ma come pure caratteristiche logiche della specie. Così
intesi, generi, specie, differenze e proprietà, come pure distinzioni
logiche, non possono essere, secondo la teoria che Boezio espone senza
aderii-vi, se non incorporei. Mentre gli accidenti avrebbero la natura
delle cose a cui accadono: sareb- bero quindi corporei o incorporei a
seconda delle sostanze. Sia qui notato subito che questa
affermazione metafìsica della incorporeità di quattro fra le cinque
distinzioni porfiriane proprio perchè distinzioni meramente logiche, è
una afferma- zione cosi male impostata da non poter resistere alla più
sem- plice critica. Come semplici distinzioni logiche esse non hanno
nessuna natura: il loro contenuto ha una determinata natura, non esse:
nella specie < uomo », l’uomo è corporeo e ragionevole, ma € la specie
» nè corporea nè ragionevole. Affermare quindi la incorporeità della
specie come distinzione logica, come con- cetto, è impossibile; per dirla
incorporea bisogna considerarla come idea, come ente metafìsico, non come
determinazione lo- gica. Ma dirla incorporea perchè logica è un abuso
inammis- sibile di pensiero, e, in ogni caso, attesta quel continuo oscillar
e tra logica e metafìsica che è cosi caratteristico nella
ti'adizione aristotelica. Pensati gli universali come concetti, essi non
sareb- bero più suscettibili di nessuna considerazione metafìsica:
in- vece continuano a essere dichiarati, metafìsicamente,
incorporei, primi per natura, ecc., mentre, come puri concetti, essi non
sono che vuoti termini classifìcatorii. Ma Boezio continua a
esporre la teoria della incorporeità delle distinzioni logiche, dicendo
che coloro i quali sostengono tale teoria s’appoggiano all’autorità di
Porfirio stesso, il quale, come se fosse già dimostrata la incorporeità
dei generi, delle differenze, ecc., domanda se siano separati o uniti
alle cose sensibili: chè, se fossero corporei, sarebbe assurdo
domandare se siano disgiunti dalle cose sensibili o congiunti. Boezio,
in- vece, dà tutt’altra interpretazione a questa domanda
porfiriana, in quanto la intende come se suonasse: «gli universali sono
sempre separabili dai particolari sensibili, o a volte inseparabili?»,
e però non gli sembra che la domanda porfiriana presupponga, come
se già fosse risaputa e dimostrata, l’incorporeità di tutte le specie,
differenze, proprietà, ecc. in quanto pure determina- zioni
logiche. 9. — Egli passa perciò a interpretare direttamente la
terza domanda, lasciando da parte la teoria della incorporeità dei
concetti, ed ha l’aria di averla riferita a puro titolo di infor-
mazione, ma ritenendola infondata e insostenibile. Per lui, dunque, le
specie sono talune corporee, talune incorporee. Si domanda se siano
sempre congiunte alle cose particolari, o pos- sano a volte
disgiungersene. Boezio, per chiarire la domanda porfiriana,
distingue tre specie di cose incorporee: 1) — Cose incorporee
affatto insuscettive di corpo, come lo spirito e Dio; 2) —
Cose incorporee inconcepibili senza i corpi, come lo spazio vuoto che è
immediatamente oltre i termini di una figura geometrica ; 3)
— Cose incorporee che sono corpi e possono essere senza corpo, come
l’anima. Si domanda se generi, specie, differenze, ecc. siano di
quegli incorporei sempre separati da corpo, o di quegli altri che
mai non possono separarsene, o infine di quelli che a volte si uni-
scono, a volte si separano. La risposta di Boezio è che possono
congiungersi e possono separarsi: che nelle cose corpoi'ee son congiunti
a corpo, nelle incorporee disgiunti da corpo. Ma non bisogna
credere che tutte le specie, le differenze, le proprietà, ecc. siano
congiungibili o disgiungibili dai corpi; al contrario quelle delle cose
corporee sono inseparabili da tali cose corporee, come lo spazio è
inseparabile dai corpi che limita; e quelle delle cose incorporee, come
le proprietà dello spirito non si trovano che nello spirito, che è
perfettamente separato dal corpo. Boezio ribadisce la sua concezione : ci
sono due ordini di realtà: corporee ed incorporee; le incorporee
sono per natura e dignità anteriori alle corporee, e andrebbero
considerate come loro fonte: senonchè Boezio concepisce le corporee e le
incorporee come tra loro coordinate, e le subordina entrambe ad un genere
nè corporeo nè incorporeo, che avrà magari in sè la potenza delle une e
delle altre, ma che intanto, così astratto e sopraordinato ad esse, è il
vertice di una clas- sificazione logica da scuola, non la genesi del
reale. 10. — Nel secondo commento di Boezio le domande di
Porfirio sono presentate ed interpretate come nel primo: ma ne è
diversa la trattazione. Le questioni « et perutiles et secretae,
et temptatae quidem a doctis viris nec a pluribus dissolutae», non
trattate ancora da Porfirio per non ingenerare oscurità nel lettore
impreparato, ma tuttavia accennate affinchè il lettore, una volta
rafforzato dal sapere, sappia che domandare, sono da Boezio formulate
così : 1^. Lo spirito 0 , con Pintelletto, concepisce, afferra
quello che realmente esiste in natura e, con la ragione, lo copia
in sé stesso; oppure, con vuota immaginazione, dipinge a sé mede-
simo ciò che non esiste. Si domanda dunque come sia Pintendimento che noi
abbiamo del genere^ della specie, ecc. : se intendiamo generi e specie
come cose esistenti delle quali prendiamo vera comprensione, o se invece
noi stessi ci ingan- niamo immaginandoci con vano pensiero cose che non
sono. 2». Che se si ammette che dei generi, delle specie,
ecc. abbiamo un vero concetto, rimane da determinare se siano
corporei o incorporei: giacché tutto ciò che esiste deve essere corporeo
o incorporeo, e non si intenderà bene cosa siano i generi e le specie
finché non si sappia se porli tra le cose corporee o le incorporee.
3». Che, se si ammette che generi, specie, ecc. siano incorporei,
rimane ancora da stabilire se, pur essendo incorporei, esistano nei
corpi, o se invece sembrino essere sussistenze indipendenti anche senza
corpi. Giacché ci cono due specie di cose incorporee (qui Boezio sopprime
la terza specie da lui distinta nel primo commento: quella delle cose
incorporee che a volte si uniscono ai corpi, a volte se ne separano, e la
fonde senz’altro con la prima specie): ci son cose incorporee che
possono esistere senza corpo e, separate dai corpi, perdurano nella loro
incorporeità, come Dio, la mente, Tanima ; altre cose incorporee, invece,
non possono esistere senza i corpi, come la linea, la superficie, il
numero e le varie qualità, che noi diciamo incorporee perchè non si
estendono nelle tre dimensioni, ma che esistono nei corpi siffattamente
da non poterne essere strappate o separate, o da svanire se separate dai
corpi. Come si vede, le questioni sono impostate come nel
primo commento. Ma qui Boezio si propone di trattarle altrimenti:
< primum quidem panca sub quaestionis ambiguitate proponam, post vero
eundem dubitationis nodum absolvere atque explicare temptabo. »
Insomma, prima egli moverà un attacco, che vorrebbe essere a fondo,
contro ogni concezione platonica o aristotelica degli universali, sia
come reali, sia come concetti: poi giustifi- cherà la concezione
aristotelica tentando di dimostrare che son veri, nel pensiero, gli universali,
pur non essendo reali, in natura, se non nei particolari.
11. — Boezio scrive: i generi e le specie o sono e sussistono, o si
formano con Tintelletto ed esistono solo nel pensiero, ma non possono
essere generi e specie. Anzitutto, generi e specie possono essere
considerati reali? Una cosa che nello stesso tempo sia comune a più
altre, non può essere una: specialmente se sia tutta in molte
contempora- neamente. Ora il genere dovrebbe essere uno in tutte le
sue specie : e non nel senso che ogni singola specie prenda per sè
una parte del genere, ma nel senso che ogni singola specie ha in sè tutto
il genere. Or questo genere che è tutto in ciascuna delle sue specie
contemporaneamente, come può essere uno? giacché, se è tutto in più
specie, in sè non può essere uno di numero. E se non può essere uno, non
è nulla assolutamente, perchè tutto ciò che è, è perchè è uno. E lo
stesso va detto della specie. Che se si dice che la specie o il genere
esiste, ma molteplice di numero, non uno, non sarà il genere ultimo,
bensì avrà sopra di sè un altro genere, che includa quella
moltepli- cità nella propria unità. E, daccapo, se questo
nuovo genere sarà a sua volta molte- plice, non uno, rinvierà ancor esso
a un altro genere: e cosi di seguito, airinfinito, senza che sia dato
trovare un genere che sia uno di numero pur essendo comune a tutte le sue
specie. Che se si dice che il genere è uno di numero, non
potrà essere comune a molti. Giacché una cosa può essere comune a
molte, ma solo in uno di questi tre casi: 1) — che ciascuna sua
parte si applichi ad un particolare diverso: sicché il genere non stia
tutto in ciascuna specie, ma in ogni specie una sola parte del
genere; 2) — che più persone abbiano in comune l’uso di
alcunché, ma l’usino, beninteso, ciascuna in tempi diversi. (Esempio :
più persone hanno un solo servo o un solo cavallo: si capisce
che non possono servirsene tutte con temporaneamente, ma l’una
prima, Taltra dopo); 3) — che qualcosa sia comune a molte persone,
ma senza costituire la loro essenza. (Esempio : il teatro è luogo
comune a tutti gli spettatori ; ed anche lo spettacolo è uno e
comune ad essi tutti). Ma il genere non è comune alle specie
in nessuna delle tre forme ora dette : giacché deve essere tutto in
ciascuna specie, deve essere contemporaneamente in tutte le specie, e
deve costi- tuire Tessenza delle specie a cui è comune. Ora,
se il genere non è nè uno (giacché è comune), nè molte- plice (giacché,
se fosse tale, richiederebbe un genere ulteriore), il genere non è per
nulla. E lo stesso va detto delle specie, delle diiferenze, delle
proprietà e degli accidenti. Se genere, specie, ecc. non sono,
resta che siano còlti solo con rintelligenza. Ma di nuovo, ogni concetto
si torma da una realtà o conformemente al suo vero essere o difformemente
da esso. Se conformemente, genere, specie, ecc. esistono non solo
nel pensiero, ma anche nella realtà, e risorge la domanda come possano
essere uni e molteplici ad un tempo, con la conclusione di pocanzi, che
cioè, genere, specie, ecc. non sono. Se difforme- mente, non possono
essere che vani e falsi dei concetti difformi dalla realtà nel suo vero
essere. Conclusione: se genere, specie, ecc. nè sono, nè, quando
son pensati, sono pensati con verità, non rimane più alcun dubbio
che si debba abbandonare ogni discussione circa le cinque distin- zioni
porfìriane, non vertendo esse nè su qualcosa di reale nè su qualcosa di
cui sia possibile farsi un vero concetto. 12. - A questa obiezione
che mirerebbe, come si vede, a scalzare tutta intera la dottrina
porfiriana delle cinque primis- sime distinzioni logiche, Boezio
risponde, appellandosi all’autoritàdi Alessandro di Afrodisia, di cui accetta e
riproduce Targo - montare. Non è vero — scrive Boezio — che
sia falso e vano ogni concetto che si scosti dalTessere reale delle cose.
Se la mente mette insieme elementi di cose disparate fino a formarsi
una immagine non rispondente a realtà, certamente erra e si
inganna, come quando si immagina i Centauri, componendone mental-
mente la figura con elementi del corpo umano e delTequino. Ma quando la
mente procede non per composizione, ma per divisione ed astrazione, il
concetto non corrisponde a nulla di obbiettivo, e tuttavia non è
falso. Esempio: — la linea non è concepibile che in un corpo:
staccata da qualsiasi corpo, la linea non è nulla; e difatti chi potè mai
cogliere con un qualsiasi senso una linea separata da ogni corpo? Ma ciò
non esclude che possa separarla lo spirito e pensarla per sè sola, fuori
di qualsiasi corpo. Onde risulta, nel pensiero, incorporea e separata
quella linea che nella realtà è inseparabilmente unita al corpo e confusa
con esso. Ora, i generi, le specie, ecc. sono proprio cosi fatti:
esistono nei corpi singoli, ma possono essere separati dai corpi,
come puri universali. E come nessuno può dir falso il concetto
della linea perchè si pensa separata da ogni corpo mentre essa
fuori dei corpi non sussiste, cosi non si deve ritenere falso il concetto
di genere, specie, ecc. perchè si isolano come puri universali
mentre essi non esistono che nei particolari. Gtli è che è
prerogativa delTintelletto cogliere la somiglianza dei vari particolari
sensi- bili, fissarla per sè sola e farne una specie; e poi ancora, cogliere
la somiglianza delle varie specie, fissarla e farne un genere. Sicché la
specie è un concetto ricavato dalla somiglianza d’es- senza di individui
diversi numericamente Tuno dalTaltio: e il genere è un concetto ricavato
dalla somiglianza delle specie. Ma questa somiglianza, quando è
nelle cose singole, è sensi- bile; quando nelle universali, è
intelligibile. 0, che è lo stesso, sentita, è nelle cose singole;
pensata, è universale. Sicché generi. specie, ecc. esistono nei
sensibili, son còlti e pensati fuori dei corpi; universali quando son
pensati, singolari quando son sentiti nei corpi in cui hanno
esistenza. Rimane cosi risolta Tintera questione: giacché generi
e specie esistono in un modo - nei particolari - e son pensati in
un altro - fuori dei particolari - come se esistessero per sé stessi e
non avessero nei particolari Tesser loro. Ma questa soluzione è
aristotelica, e Boezio Tavverte espli- citamente: giacché per Aristotele
generi e specie son pensati incorporei ed universali, mentre esistono nei
particolari sensi- bili. Platone invece - Boezio ama rammentarlo -
ritiene che generi e specie non solo siano pensati come universali,
ma anche siano tali ed esistano separati dai corpi. E Boezio
dichiara espressamente d^aver presentato la soluzione aristotelica
della questione non perché egli la approvi di più, ma perché un
lavoro, come il suo commento, destinato a servir di introdu- zione alle
Categorie aristoteliche, aveva il dovere di adottare, in questa
questione, preliminare importantissimo, il punto di vista
aristotelico. 13. — Dopo il prologo del quale si é ampiamente
discorso, T « Isagoge » - alla quale ci conviene ormai ritornare -
può intendersi divisa in due parti: la prima studia separatamente
il genere, la specie, la differenza, la proprietà e Taccidente; la
seconda paragona prima il genere alla differenza, alla specie, alla
proprietà e alTaccidente ; poi la differenza alla specie, alla proprietà
e alTaccidente; infine tra loro la proprietà e Taccidente. Cominciamo
ora lo studio delle cinque distinzioni logiche prese separatamente ad una
ad una. 14. — Porfirio osserva che la parola genere si usa
con significati diversi. Primo significato é quello per il
quale genere (o piuttosto gente) vuol dire stirpe. Esempi: « Oreste
è delle gente di Tantalo », cioè discende da Tantalo; < Pindaro è
della gente tebana », cioè è tebano di nascita. Nel primo caso è indicato
il progenitore, nel secondo la patria; in entrambi il termine da cui la
stirpe, o gente, o genere proviene. Secondo significato è
quello per il quale il genere (o gente, vuol dire quella collettività che
è stretta da un’origine comune Esempio: « Gli Eraclidi
costituiscono una gente (o genere) perchè discendono tutti da un comune
capostipite: Eracle». Terzo significato è quello per il quale si
dice genere quello a cui si subordinano le specie, la cui moltitudine
esso contiene sotto di sè. Questo terzo significato, che è quello che la
parola «genere » ha per i filosofi, è probabilmente imitato dai primi
due in quanto, in logica si chiama genere quello che in altri casi
si dice piuttosto stirpe, cioè Torigine da cui le specie derivano, da
essa prendendo il nome e con tal nome distinguendosi da tutte la altre specie
che rientrano sotto altri generi. In questo terzo significato «
genere » è quel che si predica di più cose, differenti tra loro per la
specie, e indica cosa esse sono. La quale definizione ha bisogno di
essere chiarita punto per punto. « Quel che si predica di più cose » :
difatti, i predicati 0 si riferiscono ad una cosa singola o a più cose.
Ad una cosa sola si riferiscono gli individui, come quando si dice:
«questi è Socrate », e anche a una cosa sola si riferiscono: « questi
» e « questo ». Invece a più cose si riferiscono i generi, le
specie, le differenze e le proprietà e quegli accidenti che
risultano comuni, non propri di una cosa sola. Esempio di
genere : « animale » . Esempio di specie : « uomo » . Esempio di
differenza (che contraddistingue Tuomo dagli altri animali): «
ragionevole ». Esempio di proprietà (dell’uomo): « la capacità di ridere
» . Esempi di accidenti (dell’uomo) : « bianco, nero, muoversi » .
Ora il genere differisce dall’individuo perchè si predica di più
cose, non di una. Ma la definizione precisa è: « Genere è ciò che si
predica di più cose differenti tra loro per la specie », in quanto
anche la specie si predica di più cose, ma di cose differenti tra
loro per numero, non per specie. Esempio: - la specie «uomo»
si predica di Socrate e di Platone, che differiscono numericamente in
quanto Socrate e Platone sono due individui diversi, mentre il genere «
animale » si predica delPuomo, del bue, del cavallo, differenti tra
loro non solo numericamente, ma per specie. Inoltre: « genere
è ciò che si predica di più cose differenti tra loro per la specie, e
indica cosa esse sono. » Giacché anche le differenze si predicano di cose
differenti tra loro per la specie, ma indicano qitali esse sono, non cosa
sono. Esempio: — < se ci domandano che cosa è Puorao,
rispon- diamo indicando il genere a cui appartiene, e diciamo: «
Puoino è animale > ; ma se ci domandano le qualità delPuomo,
rispon- diamo indicando i suoi caratteri differenziali, la ragionevolezza
e la mortalità. Com’è chiaro, il genere differisce dalla proprietà,
perchè questa si predica d’una sola specie e degli individui di
essa, mentre il genere si predica di più specie. E differisce
dagli accidenti comuni perchè, sebbene questi si predichino di più cose
differenti tra loro per specie, ne indicano la qualità, non Pessenza
(come, ad esempio, il color nero). Ricapitolando: il predicarsi di
più cose divide il genere dagli individui; il predicarsi di più cose
differenti di specie lo separa dalle specie e dalle proprietà; Pindicare
la quiddità 0 essenza lo divide dalle differenze e dagli accidenti
comuni che indicano la qualità. E questa trattazione del genere non
contiene nulla nè di superfluo, nè di manchevole. 15. — Anche « specie
» ha più significati : significa « forma » e significa, in logica, ciò
che rientra in un genere (« uomo » è specie compresa nel genere « animale
» ; « bianco » è specie del genere «colore*; «triangolo» è specie del
genere «figura»). Beninteso, come il genere è genere solo rispetto alle
sue specie, cosi le specie sono specie solo rispetto al loro genere.
Genere e specie cioè sono concetti correlativi. Cosi la specie vien
defi- nita: «ciò che è posto sotto il genere, e di cui il genere si
predica per indicarne l'essenza o quiddità » . Ma questa defi- nizione
conviene solo alle specie specialissime che sono sempre specie e non mai
generi, mentre le precedenti definizioni con- vengono anche alle specie
che non sono specialissime. Sono generi generalissimi quelli al di sopra
dei quali non esiste altro genere, come ad esempio « sostanza ». Sono
specie specialissime quelle al di sotto delle quali non esistono
altre specie, come, ad esempio, « uomo », che ha sotto di sè imme-
diatamente i vari individui umani. Tra i generi generalissimi e le
specie specialissime inter- corrono generi subalterni, come ad esempio «
sostanza animata », « sostanza animata sensibile » , « sostanza sensibile
ragionevole » . Ciascuno di questi concetti, intermedi tra «sostanza» e
«uomo », è specie rispetto al concetto più ampio nel quale rientra,
è genere rispetto al concetto più ristretto che in esso rientra.
Ad esempio: «sostanza animata» è specie rispetto a « so- stanza »,
è genere rispetto a « sostanza animata sensibile ». Ai due estremi della
scala c'è la « sostanza», genere generalissimo che non è mai specie, e
!'« uomo », specie specialissima che non è mai genere, mentre in mezzo i
generi subalterni sono a volte generi, a volte specie. Ora,
mentre le genealogie famigliari, risalendo di proge- nitore in
progenitore, raggiungono il comune capostipite di tuttele famiglie,
Giove, non è dato rinvenire un genere generalissimo unico, a cui tutti i
generi subalterni si lascino ridurre. Al con- trario, secondo Aristotele
sono dieci i generi generalissimi, asso- lutamente primi e irriducibili:
uno è la sostanza e nove gli acci- denti (qualità, quantità, luogo,
tempo, ecc.). Nè è valida obie- zione che se questi dieci predicamenti
sono, essi sembrano ridursi ad un genere generalissimo unico, Ve^%ere\
chè, dice Porfirio, Ve^senza si predica in senso assai diverso
della sostanza e dei vari accidenti, sicché Tunificazione delle dieci
cate- gorie neir^ss^r^ è soltanto nominale, non reale, variando il
significato essere dalPuno all’altro predicamento. Ora, se i generi
generalissimi sono dieci, i generi subal- terni sono di numero assai
grande, ma tuttavia finito : infiniti, invece, sono gli individui che
vengono dopo le specie specia- lissime, e di essi non si dà
scienza. Platone insegna a dividere, mediante le differenze
specifiche, ciascun genere in due, e poi ancora in due fino a
raggiungere le specie specialissime, che si dirompono negli individui.
Chi discende dai generi generalissimi alle specie specialissime
divide, cioè moltiplica l’unità. Chi, al contrario sale dalle specie
specialissime ai generi generalissimi, raccoglie la moltitudine in unità.
Giacché ciò che è singolare divide, ciò che è comune aduna.
Adunque, il genere si divide in più specie e si predica di esse.
Giacché i concetti più estesi si predicano dei meno estesi (il genere si
predica delle specie), i concetti equipollenti si pre- dicano l’uno
dell’altro e l’altro dell’uno (la proprietà di nitrire si predica del
cavallo nella proposizione: «Il cavallo è l’ani- male che nitrisce», e il
cavallo si predica del nitrire nella reciproca: < L’animale che
nitrisce è il cavallo »), ma non mai i concetti meno estesi si predicano
dei più estesi (la proposi- zione : « l’uomo è un animale » non può convertirsi
nella reci- proca: « l’animale è uomo »). Così i generi generalissimi si
pre- dicano di tutti i generi subalterni o specie, delle specie
specia- lissime e degli individui ad esse sottoposti; i generi
subalterni si predicano di tutte le specie ad essi inferiori, delle
specie specialissime e degli individui ; le specie specialissime si
pre- dicano degli individui, e gli individui d’un solo particolare.
Gli individui sono parti della specie, che rispetto ad essi è tota-
lità, mentre rispetto al genere è parte. 16. — Si parla di
differenza nel significato comune della parola, in senso proprio, e in
senso rigoroso. Nel significato comune < differenza » esprime la
diversità d’una cosa da un’altra o da sè stessa. Socrate differisce
da Platone e differisce da sè stesso bambino. In senso
proprio, una cosa si dice differire da un’altra quando ne differisce per
un accidente inseparabile. (Accidente inseparabile è, per esempio, avere
il naso curvo, essere ciechi, avere una cicatrice causata da una
ferita). In senso rigoroso una cosa si dice differire da
un’altra quando se ne distingue per differenza di specie. Ad
esempio, un uomo differisce da un cavallo perchè appartengono a
specie diverse, l’uno essendo ragionevole, Taltro no. In generale
dunque, ogni differenza altera ciò a cui si in- nesta: ma le differenze
comuni e proprie si limitano a renderlo alterato, le rigorose lo rendono
addirittura altro. E queste dif- ferenze rigoi-ose che rendono altro ciò
a cui si applicano, si dicono < differenze specifiche » , le altre si
dicono semplice- mente « differenze » . Queste non producono che
un’alterazione o un mutamento di stato (per esempio, il muoversi
rispetto al giacere), quelle, invece, dal genere fanno le specie, le
quali si definiscono appunto col genere e le differenze.
Altra classificazione delle differenze è la seguente: differenze
separabili^ come il muoversi e lo star fermi, l’essere sani o malati, e
differenze inseparabili^ come l’avere un naso aquilino 0 camuso e l’essere
ragionevoli o irragionevoli. Le differenze separabili si dividono
ancora in differenze per se e differenze per accidens. Differenza per se
è, nell’uomo, la ragionevolezza, la mortalità, la capacità di apprendere.
Diffe- renza per accidens è l’avere il naso aquilino o camuso.
Le differenze per se entrano nel concetto della cosa e la rendono
altra (la mortalità entra nel concetto di uomo e lo differenzia
dall’altro essere animato sensibile e ragionevole, ma immortale che è
Dio); invece, le differenze accidens, anche se insensibili, non entrano
nel concetto della cosa e non la ren- dono altra, ma solo alterata (il
naso camuso non entra nel concetto di uomo, e altera un individuo, ma non
lo rende altro dai rimanenti uomini). Parimenti le differenze
per se non ammettono aumenti o dimi- nuzioni (tutti gli individui umani
sono uomini egualmente), invece, le differenze per accidens ammettono
aumento o dimi- nuzione (si ha la pelle più o meno bianca, il naso più o
meno curvo, ecc.). Fra le differenze inseparabili per se
talune servono a divi- dere i generi in specie, tali altre, invece, a
specificare i generi già divisi. Differenze inseparabili per se sono «
animato » e < inanimato » , « sensibile » e « insensibile » , «
ragionevole » e «irragionevole», «mortale» e «immortale». Di queste
dif- ferenze, « animato » e « sensibile » sono differenze
costitutive della sostanza « animale » ; « mortale » e « ragionevole »
sono, invece, divisive della sostanza < animale » in quanto per
esse si giunge dal concetto del genere « animale » al concetto
della specie « uomo » . Senonchè quelle differenze che son
divisive pei generi, sono costitutive per le specie: difatti, nelPesempio
ora addotto, le differenze « ragionevole » e « mortale » , introducendo
una di- visione nel genere «animale», costituiscono proprio cosi la
specie «uomo». Divisive e costitutive poi sono tutte le dif- ferenze
specifiche, utilissime per le divisioni dei generi e le definizioni delle
specie, mentre a ciò non giovano nè le dif- ferenze inseparabili per
accidens, nè, molto meno, le separa- bili (sarebbe ridicolo dividere gli
uomini secondo che abbiano il naso aquilino o camuso — differenze
inseparabili per accidens — 0, peggio ancora, secondo che stiano in piedi
o a sedere). La differenza viene anche determinata come quella che
la specie ha in più del genere. L’uomo, ad esempio, ha in più
delhanimale Tessere ragionevole e mortale, qualità che il con- cetto di
«animale» non include. (Or si domanda: se il genere non ha in sè le
differenze che caratterizzano le varie specie, queste donde le traggono?
— Giacché le specie non derivano che dai generi, e questi non posseggono
le differenze, nè pos- sono possederle, chè, se le possedessero, potrebbero
riunire in sè differenze opposte tra loro, come sono quelle che
contrad- distinguono runa dalbaltra le varie specie. La soluzione
di questa difficoltà è che non è necessario ammettere nè che le
differenze specifiche nascano dal nulla, nè che il genere aduni in sè differenze
contraddittorie, perchè il genere ha in potenza le differenze che da esso
nascono, senza averle in atto.) Altra definizione della differenza
è: «ciò che si predica di più cose differenti tra loro per specie, per
indicarne la qua- lità ». - Infatti, se uno ci domanda: « che cosa è
Tuomo? », noi rispondiamo indicando il genere a cui la specie umana
appar- tiene, e diciamo: « l’uomo è un animale » ; ma se uno ci
domanda la qualità delbuomo, rispondiamo indicando i suoi caratteri
differenziali, e diciamo: «L’uomo è ragionevole e mortale».
Porfirio paragona così il genere alla materia e la differenza alla
forma, e dice che come la figura rende statua il bronzo, cosi la
differenza rende specie il genere. Altra determinazione della
differenza è : « ciò che è atto a dividere le cose che sono sotto il
medesimo genere » . Difatti, « ragionevole » e « irragionevole » sono
differenze atte a dividere l’uomo dal cavallo, entrambi compresi nel
genere animale. Altra definizione: « differenza è quella per la
quale differiscono fra loro le varie cose», giacché per il genere non
differiscono. Per esempio: siamo animali mortali noi e gli irragionevoli:
la differenza « ragionevoli » vale a separarci da essi. E ancora:
siamo ragionevoli noi e gli Dei : la differenza « mortali » ci separa da
essi. Definizione più profonda è la seguente: « Differenza non
è una qualsiasi di quelle determinazioni che valgono a dividere le
cose che sono sotto il medesimo genere ; ma quella determi- nazione che
riguarda l’essere ed è parte dell’essere d’una cosa. » Per esempio:
poter navigare, è particolarità esclusivamente umana, e tuttavia non è
differenza che costituisca la sostanza delPuomo. Differenze specifiche
sono quelle che fanno altra la specie e sono accolte nel concetto di essa
indicandone la qualità. 17. — Ci sono quattro sorte di
qualità: 1) - Proprietà che convengono ad una sola specie,
sebbene non intera, come per Tuomo essere medico o geometra. (Solo
gli uomini sono medici e geometri; ma non tutti gli uomini sono
tali). 2) Proprietà che convengono a tutta una specie,
sebbene non solo ad essa, come per Tuomo essere bipede (sono bipedi
anche gli uccelli). 3) Proprietà che convengono ad una sola specie
in tutta la sua estensione, ma solo in un determinato tempo, come
per Puomo imbiancare nella sua vecchiezza. 4) Proprietà che
convengono ad una sola specie in tutta la sua estensione e sempre, come
per Tuomo poter ridere. (Non importa che non rida sempre: importa che
abbia natura di poter ridere). Sono queste ultime le vere
proprietà giacché possono con- vertirsi con ciò di cui sono proprietà.
(Chi è cavallo, può nitrire ; chi può nitrire è cavallo). 18.
— Accidente è quello che può essere presente o assente senza che il
soggetto si corrompa. Ci sono intanto accidenti separabili e
accidenti insepara- bili. Separabile è dormire; inseparabile il color
nero. E tuttavia, per quanto inseparabile, rimane accidente perchè,
sebbene corvi e Etiopi siano neri, si può sempre pensare un corvo e un
Etiope bianchi. L'accidente è definito anche « ciò che può
contingentemente esserci e non esserci * ; oppure « ciò che senza essere
nè genere nè specie nè differenza nè proprietà, tuttavia sussiste in
un oggetto » . 19. — Determinate ormai tutte e cinque le
distinzioni logiche, bisogna paragonarle tra loro per vedere cosa hanno
di comune e cosa hanno di diverso. Di comune hanno il potersi
predicare di più cose ; ma il genere si predica delle specie e degli
individui ( « animale » si predica dei cavalli e dei buoi, e di questo
cavallo e di questo bue); la differenza similmente delle specie e degli
individui ( « irragionevole > si predica dei cavalli e dei buoi, e di
questo cavallo e di questo bue); la specie degli individui che sono
sotto di essa ( « uomini » si predica solo degli individui umani) ;
la proprietà tanto della specie di cui è propria, quanto degli
indi- vidui di tale specie ( « poter ridere » si predica tanto
deiruomo quanto dei singoli uomini); l’accidente cosi della specie
come degli individui (« nero » si predica cosi della specie dei
corvi come dei corvi particolari, ed è accidente inseparabile; «
muo- versi » si predica deH’uomo e del cavallo, ed è accidente
sepa- rabile), ma anzitutto si predica degli individui, e in
secondo luogo delle specie che contengono gli individui. Ma
conviene ora paragonare a due a due le cinque distin- zioni
logiche. 20. — Comparazione del genere con le altre quattro
roci. a) Genere e differenza Cosa hanno di comune: 1)
— Il genere e la differenza entrambi contengono specie. Bensì la
differenza non contiene tante specie quante ne contiene il genere.
Esempio: la differenza «ragionevole» contiene due specie: uomo e
Dio ; mentre il genere « animale * contiene e le due anzidetto e tutte le
altre specie animali. 2) — Quel che si predica del genere
come genere, si predica anche delle specie comprese in tale genere : e
quel che si predica della differenza come differenza, si predica
anche delle specie comprese in tale differenza. Esempi: del
genere « animale » si predica Tesser sostanza e Tessere animato: che si
predicano anche delle specie del genere « animale » e perfino degli
individui di tali specie. Della diffe- renza « ragionevole » si predica
Tesser provvisto di ragione : che si predica anche delle specie comprese
sotto tal differenza [uomo e Dio) e degli individui di tali specie (i
singoli uomini e gli Dei). 3) — Tolto il genere o la
differenza, son tolte contempo- raneamente le specie che sono sotto di
essi. Esempio : tolto il genere « animale > , è tolta anche la
specie « uomo » ; tolta la differenza « ragionevole », non ci sarà
più nessun animale provvisto di ragione. Cosa hanno di
diverso: 1) — E’ proprio del genere predicarsi di più cose che
non la differenza, la specie, la proprietà e l’accidente.
Esempio: il genere «animale» si predica egualmente del- l’uomo, del
cavallo, dell’uccello e del serpente, mentre la diffe- renza « quadrupede
» si predica solo degli animali di quattro piedi, la « specie > uomo
solo degli individui umani, mentre la proprietà del « nitrire » solo
della specie cavallo e dei cavalli particolari, e l’accidente « star in
piedi » ancora di più poche cose. 2) — Il genere contiene la
differenza in potenza. Esempio : il genere « animale » si divide in
specie animali « ragionevoli » e specie « irragionevoli » , «
ragionevole » e « ir- ragionevole » essendo le differenze che dividono il
genere « ani- male » in specie diverse. 3) — I generi sono
anteriori alle differenze poste sotto di essi: tolti i generi, son tolte
contemporaneamente anche le diffe- renze, ma non viceversa.
Esempio: tolto il genere « animale », son tolte tutte le diffe- renze («
ragionevole » e « irragionevole »); mentre, tolte tutte le differenze, si
può ancora pensare la sostnza animata sensibile, cioè Tanimale.
4) — Il genere riguarda Tessenza (o quiddità) d’unacosa: la
differenza la sua qualità. Esempio: Cos’è l’uomo? - un animale. Com’è
l’uomo? - ragio- nevole. 5) Ogni specie ha un sol genere, ma
moltissime diffe- renze. Esempio : il genere dell’uomo è «
animale » ; le differenze sono: ragionevole, mortale, suscettibile di
intendere e d’impa- rare. 6) — Il genere è come la materia,
la differenza è come la forma. Giacché è la differenza che
determina il genere, come la forma determina la materia. b)
Genere e specie Cosa hanno di comune: 1) — Tanto il
genere quanto la specie si predicano di più cose. 2) —
Entrambi sono anteriori a quelle cose delle quali si predicano.
3) — Cosi il genere come la specie costituiscono ciascuno un
tutto. Cosa hanno di diverso: 1) — Il genere contiene
la specie sotto di sè, le specie sono contenute, non contengono i
generi. Giacché sono i generi che, determinati da differenze
spe- cifiche, producono le specie: onde sono naturalmente ad esse
anteriori, e, tolti, tolgono anche le specie, ma non viceversa, chè,
posta la specie, è posto anche il genere, ma posto il ge- nere, non è
posta con ciò stesso la specie.
2) — 1 generi si predicano univocamente delle specie: non
cosi le specie dei generi. 3) — I generi sono superiori per le
specie che comprendono sotto di sè, le specie per le differenze che le
determinano. I generi possono anche essere contemporaneamente
specie, ma non specie specialissime ; e le specie possono essere
contem- poraneamente generi, ma non generi generalissimi. c)
Genere e proprietà Cosa hanno di comune: 1) — Tanto il
genere quanto le proprietà seguono le specie. Esempio: Se uno è
uomo quanto alla sua specie, è ani- male quanto al genere; e se di specie
è uomo, ha la pro- prietà di poter ridere. 2) — Egualmente si
predicano il genere della specie e la proprietà di quelli che ne
partecipano. Esempio: — L’uomo e il bue sono animali allo stesso
titolo; e cosi Catone e Cicerone hanno egualmente la proprietà di
poter ridere. 3) — Si predicano univocamente il genere delle sue
specie e la proprietà di quelle cose di cui è propria. Cosa
hanno di diverso: 1) — Il genere è anteriore; la proprietà
posteriore. Esempio: — Bisogna che ci sia il genere ahimale, poi
sia diviso dalle differenze e dalle proprietà. 1) — Il genere
si predica di più specie, la proprietà di una sola specie, di cui è
propria. 3) — La proprietà si predica di ciò di cui è propria,
cosi come ciò di cui è propria si predica di essa : mentre il
genere non si converte con nessun suo predicato. Esempio: La
proposizione « L’uomo è l’animale che ride » si converte: esanimale che
ride è l’uomo*. Ma la proposi- zione « l’uomo è animale * non si potrà
mai convertire: c l’ani- male è l’uomo * . 4)
— La proprietà è in tutta la specie di cui è propria, in essa sola, e
sempre: mentre il genere è in tutta la specie di cui è genere, e sempre, ma
non in essa sola. Esempio: la proprietà di ridere è di tutti gli
uomini, solo degli uomini, e sempre rimane in essi : il genere animale è
in tutta la specie umana, è costante in essa, ma si trova anche in
molte altre specie oltreché neirumana. 5) — Poiché la proprietà e
ciò di cui é proprietà si con- vertono, tolta la proprietà é tolto ciò di
cui é proprietà, tolto ciò di cui é proprietà é tolta la proprietà.
Esempio: tolta la proprietà del ridere é tolto l’uomo: tolto Tuomo
é tolta la proprietà del ridere. Al contrario, tolte le specie non
sono tolti i generi. Esempio : tolta la specie umana non é tolto il
genere ani- male. d) Genere e accidente Cosa
hanno di comune: Si é già detto che ci sono accidenti separabili^
come il muo- versi, e accidenti inseparabili come, ad esempio, il color
nero: ora, cosi gli accidenti separabili come gli inseparabili
hanno di comune col genere il potersi predicare di più cose.
(Neri sono i corvi, ma anche gli Etiopi e talune cose ina-
nimate). Cosa hanno di diverso : 1) — Il genere é
avanti le specie, mentre gli accidenti sono posteriori ad esse, anche se
si tratti di accidenti inse- parabili, giacché prima è ciò a cui accade,
poi é Taccidente. 2) — Del genere tutte le specie che partecipano,
parte- cipano egualmente; mentre degli accidenti si partecipa più o
meno. 3) — Dii accidenti sussistono principalmente negli
individui, mentre generi e specie sono, di natura, anteriori alle
sostanze individuali. 4) — Il genere dice quel che è
una cosa. L’accidente quale è e come è. Esempio: - Come è
l’Etiope? Nero. 21. — Comparazione della differenza con le altre
quattro voci. a) - Differenza e genere
Furono già comparati quando si esaminarono insieme genere e
differenza. b) - Differenza e specie Cosa hanno di
comune: 1) — Della differenza e della specie si partecipa
egual- mente. Esempio: Gli uomini singoli partecipano
egualmente della specie « uomo » e della differenza < ragionevole »
. 2) — La differenza e la specie sono sempre presenti in ciò
che di esse partecipa. Esempio: Socrate è sempre ragionevole e
sempre uomo. Cosa hanno di diverso: 1) — La differenza
dice sempre la qualità delle cose, la specie la loro essenza o
quiddità. Esempio: - « Uomo » non è qualità, se non per le
differenze che, determinando il genere ♦ animale », costituiscono la
specie « uomo » . 2) — La differenza è in più specie.
Esempio : - la differenza « quadrupede » è in vari animali di specie
differente. La specie è solo negli individui che sono sotto di
essa. 3) — La differenza è altra cosa dalla specie a cui dà
luogo. Difatti, se si toglie la differenza « ragionevole » , si
toglie la specie « uomo » : ma se si toglie la specie « uomo », non si
toglie la differenza « ragionevole » , perchè vi è Dio. 4) —
Una differenza si combina con un’altra (« ragionevole » e «mortale»
compongono la sostanza deiruomo); mentre una specie non si combina con
un’altra per produrne una terza. (Un cavallo e un’asina generano un mulo;
ma non la specie < cavallo » con la specie « asino * generano la
specie « mulo *). c) - Differenza e proprietà. Cosa
hanno di comune: 1) — Della differenza e della proprietà le cose
partecipano egualmente. Esempio: gli esseri ragionevoli
partecipano della diffe-* renza « ragionevolezza » , quanto gli esseri
che possono ridere partecipano della proprietà di poter ridere.
2) — Differenze e proprietà sono sempre presenti nelle cose che le
hanno. Si potrebbe obiettare: se un bipede perde una gamba,
non ha più la sua differenza di essere bipede. Ma l’obiezione non é
giusta: l’amputazione non toglie la natura di bipede al monco. Del resto,
anche la proprietà di poter ridere riguarda la natura' umana, senza che
gli uomini ridano sempre. Cosa hanno di diverso: 1) —
La differenza si predica di più specie (ragionevole si dice dell’uomo e
di Dio), la proprietà si predica di quella sola specie di cui è
propria. 2) — La proprietà e ciò di cui è proprietà si convertono.
(La proposizione « l’uomo è l’animale che ride » ammette la
reciproca: «l’animale che ride è l’uomo). Mentre la
differenza segue quella cosa di cui è differenza, e non si converte con
essa. (Posto l’uomo, è posta la ragionevolezza; ma, posta la
ragio- nevolezza, non è posto l'uomo, perchè ragionevole è anche
Dio). d) - Differenza e accidente Cosa hanno di
comune: 1) — Differenza ed accidente entrambi si predicano di
più cose. Esempio: Tanto la differenza della «ragionevolezza»
quanto l’accidente del « muoversi > si applicano a molte cose
diverse. 2) — Tanto la differenza quanto gli accidenti
insepa- rabili sono presenti sempre e in tutte le cose di cui si
predicano. Esempio: Tanto la differenza < bipede » quanto
l’accidente inseparabile « nero > riguardano tutti i corvi e li
riguardano sem'pre. Cosa hanno di diverso : 1) —
La differenza contiene, non è contenuta. (La ragionevolezza
contiene l’uomo perchè non è solo di lui). Gli accidenti, invece, per un verso,
contengono perchè sono in più cose) il muoversi è più esteso dell’uomo) ;
per un altro sono contenuti, perchè il soggetto aduna in sè parecchi
accidenti (l’uomo, oltre al « muoversi », è anche « bianco », < alto
», ecc.) 2) — La differenza non ha aumento e diminuzione, gli
accidenti sì. (0 si è ragionevoli, o no; ma si è più o meno
alti). 3) — Le differenze contrarie non possono mescolarsi,
bensì si mescolano gli accidenti contrari. ( < Bipede » e «
quadrupede » si escludono ; ma « bianco > e . « nero » si mescolano a
produrre il < grigio » ). 22. — Comparazione della specie con le
altre quattro voci. a) Specie e genere Furono già
comparati quando si esaminarono insieme Genere e specie. b)
Specie e differenza Furono già comparati quando si esaminarono
insieme Diffe-^ renza e specie. c) Specie e proprietà Cosa hanno
di comune: Specie e proprietà si predicano Tuna deiraltra (se è
uomo, ha la proprietà di ridere ; se ha la proprietà di ridere, è uomo)
; giacché le cose partecipano egualmente delle specie a cui
appartengono e delle proprietà che le caratterizzano. Cosa hanno di
diverso: 1) — La specie può essere genere ad altre specie ;
la proprietà non può essere di altre specie oltre quella di cui è
propria. 2) — La specie sussiste prima della proprietà, poi
la proprietà ha luogo nella specie. Esempio: bisogna essere
uomo per avere la proprietà di ridere. 3) — La specie è
sempre presente in atto, nel soggetto; la proprietà, a volte, vi è
presente solo in potenza. Esempio: Socrate è sempre uomo in atto,
ma non sempre ride sebbene abbia natura di poter ridere. 4) —
La specie sempre è sotto il genere e si predica di più cose, differenti
tra loro numericamente, indicandone l’es- senza 0 quiddità; mentre la
proprietà è solo in ciò di cui è propria, e in esso è sempre, e inerisce
a tutta la sua estensione. Esempio: la proprietà del ridere è di
tutti gli uomini, solo negli uomini e sempre negli uomini. d)
Specie e accidente Cosa hanno di comune: Si predicano
di più cose. Cosa hanno di diverso: 1) — La specie dice
il « che > di una cosa, l’accidente il « quale > e il « come »
. 2) — Ogni sostanza può partecipare di una sola specie, ma
di più accidenti separabili ed inseparabili. 3) — La specie si
concepisce prima degli accidenti, anche se inseparabili (chè
bisogna ci sia il soggetto, perchè qualcosa gli accada); gli accidenti
invece sono posteriori e avventizi. 4) — Della specie si partecipa
sempre in egual misura, ma deiraccidente, anche inseparabile, in misure
diverse. Esempio: un Etiope è più nero di un altro. 23.
— Com/parazione della proprietà con le altre quattro voci.
a) — Proprietà e genere Furono già comparate quando si
esaminarono insieme Genere e proprietà. b) — Proprietà e
differenza Furono già comparate quando si esaminarono insieme
Diffe- renza e proprietà. c) — Proprietà e specie
Furono già comparate quando si esaminarono insieme Specie e
proprietà. d) — Proprietà e accidente Cosa hanno di
comune: 1) — Tanto la proprietà quanto Taccidente
inseparabile sono indispensabili a ciò in cui si osservano.
Esempio: Come senza la proprietà del ridere non esiste uomo, cosi
senza color nero non esiste Etiope. 2) — Tanto la proprietà quanto
Taccidente inseparabile sono sempre presenti a ciò che li possiede, e in
tutta la loro estensione. Esempio: Tutti gli Etiopi sono
neri, e sempre. Cosa hanno di diverso : 1) — La
proprietà è presente in una sola specie. Tacci- dente inseparabile in
molte. Esempio: La proprietà del ridere è solo delTuomo;
Tacci- l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO
43 dente inseparabile del color nero è deirEtiope, ma anche
del corvo, del carbone, deirebano, ecc. 2) — Sicché la
proprietà si converte con ciò di cui è proprietà, non cosi Taccidente con
ciò di cui è accidente. Esempio : c L'uomo ha la proprietà di
ridere > si converte in « Chi ride è l'uomo » ; ma « l'Etiope è nero »
non si converte in: «Chi è nero è l'Etiope», perchè anche il corvo, il
carbone, ecc. sono neri. 3) — Della proprietà si partecipa
sempre egualmente, degli accidenti in diversa misura. Si è
più 0 meno neri. 24. — Comparazione delV accidente con le altre
quattro voci. a) — Accidente e genere
Furono già comparati quando si esaminarono insieme Genere e accidente.
b) — Accidente e differenza Furono già comparati quando si
esaminarono Diffe- renza e accidente. c) — Accidente e
specie Furono già comparati quando si esaminarono insieme
Specie e accidente. d) — Accidente e proprietà Or
ora esaminati come Proprietà ed accidente. L'Isagoge si chiude con
Tosservazione che altri elementi comuni o diversi tra le cinque voci
oltre i già notati ci sono, ma quelli notati bastano a distinguerli e ad
intendere quel che hanno di comune. Tanto del primo quanto
del secondo commento boe- ziano abbiamo già esposto ciò che riguarda il
celebre prologo sulla realtà o meno degli universali. Ci
tocca ora dire qualche cosa sul complesso dei due com- menti, che tanta
autorità ebbero in tutto il Medio Evo, e tanto contribuirono a dare alla
mentalità delle nazioni di cultura latina quella struttura rigorosamente
logica che è rimasta loro caratteristica. Lo scopo da Boezio
assegnato al primo commento è assai semplice, giacché non va oltre la
illustrazione del testo. Boezio evita di accendere questioni, anche se il
testo vi si presti. Solo quando le obiezioni vengono cosi spontanee che
non risolverle vorrebbe dire non comprendere quel che dice Porfirio,
solo allora Boezio interviene per chiarire il pensiero delPautore,
giu- stificare le sue espressioni, e quindi, sgombrate le
difficoltà, tornare alla illustrazione del testo. Dove
Porfirio propone più classificazioni, Boezio cerca di connetterle tra
loro, in maniera da renderle più facilmente assi- milabili al lettore. E
dove Porfirio accenna appena a teorie assai note fra gli studiosi, ma
forse poco possedute dai princi- pianti, Boezio interviene a rammentare
tali teorie, e a trattarle, sebbene compendiosamente, in modo da fornire
al lettore princi- cipiante, al quale il primo commento è diretto, le
nozioni neces- sarie per intendere il testo di Porfirio. Così
Boezio torna due volte sulla teoria della definizione, la quale,
facendosi per genus et differentianij è possibile solo per gli individui
(definiti entro la loro specie), per le specie (definite entro il loro genere!,
e per i genej-i subalterni (definiti entro il genere immediatamente
superiore, fino ai generi gene- ralissimi), ma non per i generi
generalissimi, i quali, non avendo nessun concetto più elevato sopra di
sé, non possono essere definiti, cioè determinati entro Pambito di un
concetto più vasto. Onde, non potendosi definire, possono solo
descriversi, con Pin- dicarne le proprietà. Un accenno, abbastanza
ampio, è fatto da Boezio, come già da Porfirio, alla teoria platonica
della divisione, che da ciascun genere generalissimo, mediante dicotomia,
cioè divisione in due, giunge fino alle specie specialissime.
Abbiamo già detto che Boezio cerca di rendere più evidente il nesso
che stringe talune classificazioni che Porfirio presenta runa dopo
l’altra, senza unificarle in un solo quadro comprensivo. Questo avviene
specialmente per le classificazioni che riguar- dano le differenze.
Si rammenterà che Porfirio anzitutto classifica le differenze in
differenze comuni, proprie e più proprie o rigorose; comuni, tutte le
differenze per le quali siamo diversi da altri o da noi stessi (tu
cammini, io seggo, oppure: ora io seggo, dopo cammino); 'proprie le differenze
individuali (capelli crespi, occhio cieco, ecc.); rigorose^ le differenze
che riguardano tutta la specie (ra- gionevole, irragionevole, ecc.). Le
quali ultime differenze sono le differenze specifiche, con le quali si
procede a dividere i generi in specie. Ma questa prima classificazione
può semplifi- carsi quando si avverta che tanto le differenze comuni
quanto le proprie si limitano a rendere alterato il soggetto,
mentre solo le differenze specifiche lo rendono altro. Si può
dire dunque che le differenze si dividono in differenze che rendono
alterato il soggetto e differenze che lo rendono altro. A questa
prima classificazione Porfirio fa seguire la seconda; le differenze sono
o separabili o inseparabili. Questa seconda classificazione si può
collegare con la prima osservando che solo le differenze comuni sono
separabili (il sedere, il correre, ecc. sono diff'erenze che non
persistono, e sono quindi separabili dal loro soggetto), mentre le
differenze proprie e più proprie, cioè quelle che riguardano l’individuo
persistendo in lui e quelle che riguardano l’intera specie, sono
inseparabili (tanto un occhio cieco quanto la ragionevolezza sono
caratteri differenziali perma- nenti, e quindi inseparabili dal soggetto
che li possiede). Senon- chè, di queste differenze inseparabili, le
individuali o proprie alterano il soggetto, ma non lo rendono altro (la cecità
altera un uomo, ma lo lascia uomo), mentre le specifiche o più
proprie rendono altro il soggetto (la ragionevolezza rende Tuomo altro
dai bruti). E inoltre, delle differenze inseparabili, le
individuali sono partecipate in misura diseguale, le specifiche sempre
egualmente. Ad esempio, i capelli biondi son carattere differenziale di
indi- vidui che sono Tuno più biondo, Taltro meno biondo; mentre la
ragionevolezza è carattere differenziale della intera specie umana, i cui
individui, in quanto sono uomini, sono tutti egual- mente partecipi della
ragione. Terza classificazione è quella per la quale le differenze
si dividono in differenze divisive del genere e differenze
costitutive delle specie. Son le medesime differenze che, prese in
modo diverso, risultano una volta divisive del genere, un'altra
costi- tutive delle specie. Se prendiamo le differenze contrarie « ragio-
nevole e irragionevole > , esse dividono il genere «animale»; e se,
dopo, prendiamo le differenze contrarie « mortale e immor- tale », esse
dividono l'inferiore genere « animale ragionevole ». Ma se prendiamo le
differenze subalterne < ragionevole » (con- cetto più ampio) e «
mortale » (concetto restrittivo), queste differenze subalterne
costituiscono la specie dell'animale ragio- nevole mortale, cioè
dell'uomo. Cosi la teoria delle differenze si avvia nel primo
commento boeziano a quella matura unità che raggiungerà pienamente
nel secondo commento. 26. — Ma forse più di queste particolari
delucidazioni, che tuttavia contribuiscono alla elaborazione della salda
logica medievale, riesce interessante il breve schizzo che del sapere
del tempo Boezio premette al suo commento. Nel dialogo filosofico
che egli immagina si fa chiedere dal giovane Fabio una illustrazione e
prima una introduzione al- l'Isagoge di Porfirio. L'introduzione
indicherà delPIsagoge VintentOy Vutiliià\ se ci sia altro libro ad essa germano;
la ragione del titolo, ed a qual parte della filosofia si riconduca. Sei
punti, dunque, tratterà Boezio, sulle orme di quel che già aveva
fatto il greco Ammonio nel suo commento alllsagoge. \Jintenio
è trattare del genere, della specie, delle differenze, delle proprietà e
degli accidenti. futilità deirisagoge è anzitutto quella
d’introdurre alle Categorie di Aristotele, ma è anche più vasta.
Occorre, però, per intenderla, avere un chiaro concetto di che sia
la filosofia. Essa è amor di sapienza, che, non bisognosa di nulla, «
vivax mens et sola rerum primaeva ratio est >. E questo amore di
sapienza è illuminazione dello spirito che conosce da parte di quella
pura Sapienza, e in qualche modo è un richiamo che questa fa deU’animo
umano perchè torni ad essa, di maniera che il desiderio di sapienza è
desiderio e amore della divinità e amore della pura mente divina.
È questa sapienza che riconduce alla forza e purezza natu- rale le
anime umane. Da essa nasce la verità delle specula- zioni e dei pensieri
e la santa e pura castità delle azioni. Il che mena direttamente alla
divisione della filosofia, che è il ge- nere, in teoretica o speculativa,
e pratica^ o attiva. (0 e II sono le due lettere che spiccano su la veste
della Filosofia nel Be Conso- latione Philosophice). La teoretica, poi,
ha tante parti quanti sono gli oggetti che considera: si divide quindi
in: 1) — Teologia o dottrina di ciò che è sempre uno e me-
desimo, fermo sempre nella sua divinità, non accessibile ai sensi, ma
solo alla mente ed all’intelletto: la quale specula- zione studia Dio e
la incorporeità dello spirito; 2) — Dottrina che si occupa di tutte
le opere celesti del- la suprema divinità, di ciò che nel mondo sublunare
ha animo più beato e sostanza più pura, ed infine delle anime
umane: tutte cose che, fatte di sostanza intelligibile, al contatto
dei corpi, da intelligibili divennero soltanto intelligenti, in
maniera che possono ora divenire più beate per purezza ed
intelligenza quando si volgano ed applichino alle cose intelligibili
; 3) — Dottrina dei corpi, o Fisica, che illustra la natura e
le passioni dei corpi. Di queste tre parti della filosofia
teoretica la seconda è meri- tamente collocata nel mezzo perchè ha da una
parte Tani- mazione e vivificazione dei corpi, dalFaltra la
considerazione e conoscenza delle cose intelligibili. 27. —
Anche la filosofia pratica si divide in tre parti: 1) — VEtica^ che
s’orna ed accresce di virtù, nulla am- mettendo nella vita di cui non
possa essere soddisfatta, e niente facendo di cui debba pentirsi;
2) — la Politica, che assumendosi la cura dello Stato prov- vede
alla salvezza di tutti con la saldezza della sua 'preveg- genza e
prudenza, con Tequilibrio della giustizia, con la sal- dezza della
fortezza e la pazienza della temperanza; 3) — V Economia, che si
occupa del buon andamento della vita famigliare. Alle quali
parti già descritte della filosofia si aggiunge da vicino queirarte che i
Greci chiamano Logica: parte della filo- sofia 0 suo strumento?
Boezio rimette la trattazione di questa questione ad una altra
opera, che è poi il secondo commento. Intanto osserva che questa disputa
sul genere, la specie, la differenza, la pro- prietà e l’accidente prepara
la via a tutto lo studio della filo- sofia. Col dire cosa sia genere e
cosa sia specie ci fa inten- dere che la filosofia è genere, e teoretica
e pratica sono specie. Col dire cosa sia differenza, ci rende possibile
di intendere se la logica sia una specie della filosofia, differente,
quindi, dalle altre specie. Col dire cosa sia proprietà, ci spiega la
na- tura propria di ciascuna differenza della filosofia. Col dire
cosa sia accidente ci guarda dal mettere tra le cose principali ciò
che è secondario. Cosi la conoscenza di queste cinque voci spande i suoi
rami in tutte le parti della filosofia. Utile alla grammatica a cui
insegna che il discorso è il ge- nere e otto sono le sue parti o specie;
utile alla retorica, a cui permette di distinguere tre generi di causa,
ciascuno diviso in specie a seconda dei soggetti: utilissima alla logica,
che nulla potrebbe definire (per genere e differenza) se non
sapesse cos'è genere, cos’è specie, cos’è differenza, ecc. ; nulla
potrebbe dividere se non fosse guidata dalla conoscenza delle cose
che divide (i generi e le specie); e nulla potrebbe dimostrare
giacché la verità delle dimostrazioni sta nei provare ciò che si
divide o qualcos’altro mediante le cose che si son divise. E
l’Isagoge di Porfirio precede tutta la logica aristotelica, perchè senza
di essa non si intenderebbero la sostanza e i nove accidenti di cui è
parola nelle Categorie. Le quali voci signi- ficative sono quelle di cui
si compongono le proposizioni, di cui si tratta nel « De interpretatione
» . Le quali proposizioni sono quelle di cui si compone il sillogismo, il
cui ordine, la cui struttura e le cui figure sono studiati negli «
Analitici Primi », perchè sia poi possibile studiare il sillogismo
dialet- tico nella « Topica * e il sillogismo dimostrativo negli «
Ana- litici Secondi » . Cosi l’Isagoge di Porfirio è la base
prima di tutta la logica aristotelica. 28. — Come nel corso
del primo commento non sono rare le occasioni in cui Boezio è costretto a
notare le imperfezioni e le oscurità della versione di Mario Vittorino,
cosi nel seconc^o commento Boezio presenta una traduzione propria, che
indubbia- mente è assai più scorrevole e chiara dell’altra. La
versione è intercalata nella esposizione, che procede meno pedestr e che
nel primo commento, e che, specialmente nei primi fr a i cinque libri,
mostra un vigoroso proposito di rendere più robusta, più rigorosa ed
organica la trattazione porfiriana. Il secondo commento si inizia con
alcuni paragrafi dedicati alla filosofia in generale, alle sue parti,
alle sue utilità, ecc. Se la filosofia - dice Boezio - è il più
alto bene degli animi, converrà precisamente muovere dalle facoltà
delFanima. Una forza deH’anima è quella vegetativa, comune anche alle
piante, che non hanno sensi; un’altra è la sensitiva, che dove
sorge assume la prima come sua parte; una terza è la intellettiva,
che non si limita a sentire e a rammentare, ma anche esplica e conferma,
con pieno atto di intelligenza, quel che Timmagi- nazione sopperisce. La
qual potenza della ragione si esercita a indagare, anzitutto, se una cosa
sia, poi che sia, poi quale sia, infine perchè sia. Ma,
perchè il pensiero sia preservato dal pericolo di cadere nel falso,
occorre anzitutto una disciplina che, studiando le maniere di disputare e
gli stessi ragionamenti, possa additare qual ragionamento risulti ora
falso, ora vero, quale sempre falso quale non mai falso. Della quale
scienza - la logica - è duplice l’uso nell’inventare e nel giudicare:
topica e dialettica, trattate entrambe da Aristotele, ma la prima
trascurata dagli Stoici. Ora, questa logica è una parte della
filosofia o è solo il suo strumento? - Quelli che la considerano parte
della filosofia ragionano così: delle proposizioni, dei sillogismi, ecc.
solo la filosofia si occupa. Dunqne sono oggetto di filosofia. Ma,
delle due grandi parti della filosofia, la speculativa che si
occupa delle cose naturali, e l’attiva che si occupa della morale,
nessuna tratta del discorso, dei giudizi, dei ragionamenti: dunque quella
disciplina filosofica che d’essi si occupa non può non essere considerata
una nuova parte della filosofia; donde la triparti- zione di questa in:
logica, fisica, etica. Coloro i quali invece so- stengono che la logica
sia strumento della filosofia, non sua parte, osservano che questa
scienza della ragione è diretta o a conoscere le cose (fisica) o a
trovare quei principi di morale che producono la beatitudine. Dunque,
essi, dicono la logica serve sempre o alla fisica o all’etica. Boezio è
del parere che le due teorie non si escludano a vicenda: niente vieta che
la logica sia ad un tempo parte e strumento della filosofia; parte in
quanto ha innegabilmente un fine proprio, distinto dalla fisica e
daH’etica; strumento in quanto, altrettanto innegabilmente, essa serve
così all’una come aH’altra. Del resto, nel nostro corpo, ciascun
organo è al tempo stesso parte e strumento : la mano rispetto
all’organismo intero è strumento; per sè, intanto, è parte. 29. —
Ma veniamo allo scopo di questa introduzione porfi- riana alle Categorie
di Aristotele. Queste sono i dieci generi di predicamenti: può intenderli
dunque chi sappia che sia il genere. Di ciascuno di essi si dànno varie
specie (varie specie di so- stanza, di qualità, ecc.): ed anche ciò presuppone
si sappia che sia specie, e che sia la differenza per la quale ciascuna
specie si allontana dall’altra e l’un genere dall’altro. Inoltre,
ogni genere ha le sue proprietà, mediante le quali può essere
descritto. E dei dieci predicamenti, nove sono accidenti. Donde la
neces- sità di saper bene che sia proprietà e che sia accidente per
intendere le Categorie aristoteliche. Ma Porfirio spesso indica
l’utilità della sua introduzione per le definizioni, le divisioni e le
dimostrazioni, oltreché, come già si è visto, per l’intendimento delle
Categorie aristoteliche. Per le definizioni, perchè bisogna ben
distinguere il genere prossimo e la differenza specifica per fare una
giusta definizione; per la divisione in tutte le varie sue specie, giacché
vanno distinte divisioni dei concetti presi in sè stessi e divisioni
accidentali. Le divisioni dei concetti presi per sè stessi sono di tre
ordini : 1 ) — divisione del genere nelle sue specie ;
2) — distinzione dei vari significati di una parola; 3) —
partizione d’un tutto nelle sue varie parti. ' Le divisioni
accidentali sono anche di tre ordini: 1) — divisione di un
accidente secondo i soggetti che lo ricettano ( c dei beni, alcuni sono
nell’anima, altri nel corpo » ) 2) — divisione di un
soggetto secondo gli accidenti (« dei corpi, taluni sono (bianchi, altri
sono neri » ) ; 3) — divisione di un accidente secondo altri
accidenti ( « delle cose bianche, alcune sono dure, altre liquide,
altre molli >). Per tutte queste divisioni occorre sapere
che sia genere e che sia differenza, quando luna parola abbia un
significato solo (univoca) e quando più significati (equivoca), e che sia
una parte e che una specie; occorre inoltre ben distinguere
sostanze ed accidenti. Infine, Tintroduzione porfiriana è
utile per le dimostrazioni, giacché queste si fanno o da cose già note, o
da cose conve- nienti, 0 dalle prime cose, o dalla causa, o dalle cose
connesse, 0 dalle cose inerenti. In ciascuno di questi casi bisogna
sapere che sia genere e che sia differenza, e che sia specie, giacché
sono 1 generi quelli che sono anteriori per natura alle specie,
e quindi di esse più noti, e sono i generi e le differenze le cause
delle specie. 30. — Il secondo libro .tratta del genere con un
manifesto desiderio di porre più rigore nella trattazione .porfiriana,
magari rifacendosi da teorie più vaste, che sembrano essere presup-
poste da ciò che dice Porfirio. (Cosi, per esempio, per illustrare i
significati, che Porfirio espone, della parola genere, che si riferisce a
volte al progenitore da cui una gente deriva, a volte al luogo da cui una
gente proviene, Boezio richiama la celebre dottrina aristotelica delle
quattro cause, efficiente, materiale, formale e finale, alle quali
aggiunge due principi accidentali, il luogo e il tempo. Quando si parla
del genere dei Romani, cioè dei discendenti da Romolo, si indica in
costui la causa efficiente della stirpe; quando invece si dice: «Pindaro
Tebano», si indica in Tebe il luogo da cui Pindaro i proviene).
Boezio insiste ancora sulla differenza tra descrizione e defini-
zione: 'il genere non può essere definito, chè, per essere defi-
l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 53 nito,
dovrebbe avere un altro genere sopra di sè, e, quando avesse un genere
sopra di sè, sarebbe specie, non genere; sicché, non potendo essere
definito, il genere è descritto, cioè ne ven- gono indicate le proprietà,
che sono come i colori con i quali si dipinge un quadro. L’intera teoria
del genere, della differenza, della specie, della proprietà e
dell’accidente, è chiusa come in un prospetto nelle seguenti
classificazioni boeziane. Ciò che si Ciò che si predica
predica di di più cose una cosa sola | S ’o 'in
O ® og O ce 05 S ce p!
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accidentalmente l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO
55 Boezio prosegue, poi, illustrando via via i passi
poifìriani che traduce e riporta: e le sue sono delucidazioni speciali,
del resto assai utili. (Per esempio : in che senso si dice che gli
uomini differiscono tra loro numericamente? - Nel senso che si dice: «
Socrate è un uomo, Platone è un altro uomo »). 31 — Il terzo libro
tratta delle specie (e non prima della differenza nonostante che la
differenza, contenendo in sè più specie, sia ad essa anteriore, perchè la
specie è specie del genere, come il genere è genere della specie, epperò
vanno studiati in connessione Puno con l’altra). Le
illustrazioni, per solito, non aggiungono nulla di nuovo. Interessante
può essere Patteggiamento di osseqio ad Aristotele su le questioni delle
dieci Categorie ; atteggiamento che è di Porfirio e non viene mutato da
Boezio. Nè i dieci predicamenti possono ridursi tutti dXVente, perchè
ente ha significati diversi secondo che s’applichi alla sostanza, alla
qualità, alla quantità, ecc. Vale a dire è un nome di più significati, e
non un genere d’un significato solo. Del resto, come ogni
predicamento cosi ogni predicamento è un predicamento ; sicché se ente
fosse gen^ e, i dieci predi- camenti avrebbero due generi: ente e uno\ e
ciò è assurdo, perchè non si può appartenere a più di un genere.
32. — Il quarto libro tratta della differenza, ripetendo lo sforzo,
visibile già nel primo commento, di dare organicità ed unità alla
trattazione porfiriana dell’argomento col connettere insieme le varie
classificazioni, tutte svolte da una distinzione fondamentale, tra
differenze sostanziali e differenze accidentali, e col condannare più
risolutamente di Porfirio quelle defini- zioni che « idem per idem
definiunt » quando dicono che < dif- ferenza è ciò per cui una cosa
differisce da un’altra», e che non precisano davvero cosa sia differenza
quando la definiscono «ciò per cui una cosa dista da un’altra», potendosi
una cosa allontanare da un'altra per qualità del tutto accidentali
che non costituiscono diiferenze in senso proprio. Il
medesimo quarto libro tratta anche della proprietà, ri- spetto alla quale
osserva che, se Tessere di una cosa è espressa dal suo genere, dalla sua
differenza e dalla sua specie, le sue proprietà non costituiscono la sua
sostanza, ma qualcosa di ac- cidentale, sebbene si chiamino proprietà, e
che quando Porfirio distingue proprietà di quattro sorte, non intende
enumerare quattro specie del genere proprietà, ma indicare i quattro si-
gnificati diversi nei quali si parla di proprietà. Il quarto libro
tratta infine delTaccidente, condannando, più di Porfirio, la distinzione
puramente negativa, per la quale « ac- cidente è ciò che non è nè genere,
nè differenza, nè speqie, nè proprietà » . 33. — Il quinto
libro illustra la comparazione che Porfirio istituisce tra le cinque voci
senza alcuna particolare osserva- zione. Notevole è tuttavia
che Boezio non lascia passare la divi- sione porfiriana delTanimale
razionale in animale razionale mortale (Tuomo) e animale razionale
immortale (Dio) senza notare che ciò si poteva dire quando si ritenevano
il Sole e gli altri corpi celesti animati e divini. 34. — Su
questi testi si chinarono, per generazioni e generazioni, gli uomini del
medioevo, come su libri di profondis- sima sapienza. Se TEuropa uscì dal
medioevo cosi fortemente razionalistica, essa s'era fatta la sua potente
quadratura logica meditando su questi ultimi fra gli antichi, lungamente
vene- rati e studiati. Grice: “I like Guzzo. For one, he spent a
tutorial or two on the very same ‘tratarello’ I did: Boezio’s latinizing
Porphyry!” Augusto Guzzo. Guzzo. Keywords: pagine di filosfi per i giovani
italiani; il Vico di Guzzo, il Galluppi di Guzzo, il Bruno di Guzzo, Gentile,
Gli hegeliani d’Italia, Vera, Spaventa, Jaja, Maturi, Gentile, dirito, stato,
Biblioteca Italiana di Filosofia, spunti e contrattacchi, Della causa, del
principio e del uno, dell’analisi e la sintesi, autobiografia e scienza nuova
per giovani italiani dei licei classici, il manual di filosofia di Fiorentino. --
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Guzzo: tra idealismo ed empirismo” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51755357414/in/dateposted-public/
Grice e
Hösle – l’intersoggetivo di Vico -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Grice: “I like Hösle – for one, he helped me understand Vico when
stating that what Vico is after is a ‘science of the inter-subjective world;’
since I’m also into that I suppose I am Vico!” – Figlio di Johannes Hösle,
direttore del Goethe Institut, e Carla Gronda –, vero «enfant prodige» della
filosofia, precoce e profondo conoscitore delle lingue antiche (greco, latino,
sanscrito, ma anche pali e avestico) e di numerose lingue occidentali (ne parla
sette ed è in grado di leggerne dodici). Si laura con la tesi “Verità e storia:
uno studio sulla struttura della storia della filosofia sulla base di
un'analisi paradigmatica dell'evoluzione da Parmenide di Velia a Platone” (Milano,
Guerini e Associati, A. Tassi, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici,
Hegeliana). Alla «scoperta» di Hösle contribuì in modo determinante l'Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici, che lo chiamò a Napoli. Imposta in maniera
originale il problema dei rapporti tra dimensione sistematica (unita
latitudinale) e dimensione storica (unita longitudinale) della filosofia,
analizzando lo sviluppo da Parmenide di Velia a Platone. In “Il
compimento della tragedia nell'opera tarda di Sofocle: un’osservazione
storico-estetica” (A. Gargano, Napoli, Bibliopolis, Memorie dell’Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici) combina l'approccio estetico con l'approccio
filosofico, cerca di individuare una logica di sviluppo nella storia della
tragedia e, in contrasto con l'approccio consueto, considera Sofocle come il
compimento sintetico di questa storia. Il pensiero fondamentale espresso
nell'opera tarda di Sofocle è sintesi dei principi che sono alla base dell'arte
di Eschilo e di Euripide, principi che vengono fatti valere insieme da Sofocle
e così portati alla loro verità". Alievo di Toth, si occupa anche
del problema della matematica in Platone (“ I fondamenti dell'aritmetica e
della geometria in Platone” – Milano, tr. E. Cattanei, Vita e pensiero). In “Interpretare
Platone” (Milano, Guerini e Associati, Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici), e in “Il dialogo filosofico.
Poetica di un genere” analizza il genere del dialogo mettendo in connessione il
punto di vista filosofico con il punto di vista letterario. Al problema della
tragedia è dedicato “La gerarchia dei tragici). A Napoli tenne una serie
di seminari sull'idealismo (“Lo Stato in Hegel”, La città del Sole). La
riflessione sull'idealimo si sviluppa in stretta connessione colla "fondazione
ultima riflessiva" e con la soluzione fornita a tale problema dalla
pragmatica trascendentale. L'unica alternativa consistente al relativismo
scettico, dominante nel panorama della filosofia contemporanea ed assurto oggi
ad una sorta di principio dell'opinione pubblica, consiste nell'impostazione
riflessiva presente negli idealisti, che è necessario sviluppare. Alla “pragmatica”
trascendentale va riconosciuto il merito di aver riproposto la "fondazione
ultima riflessiva". Tale fondazione va ripensata nella sua portata
ontologica, superando il formalismo nella direzione di una formulazione ri-elaborata
dell'idealismo (“La fondazione dell'idealismo” – Milano, Guerini e Associati,
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Hegeliana). Della pragmatica
trascendentale, in relazione al problema di questa “fondazione ultima
riflessiva” Hösle torna in “La crisi della contemporaneità e la responsabilità
della filosofia”. Apel viene analizzato all'interno delle più importanti
tendenze della filosofia contemporanea, viene esposta in modo dettagliato la
"prova" della fondazione ultima riflessiva ("prova
apagogica") e vengono discussi questioni relative al linguaggio privato,
alla controversia “spiegare-comprendere e alla fondazione dell'etica. Cura
“La Scienza nuova” di Vico, compito affidatogli dall'Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici. La cura è preceduta da “Introduzione a Vico:
l’inter-soggetivo” (Milano, Guerini, Istittuo Italiano per gli Studi Filosofici). -- una introduzione filologica e teoretica in
cui Hösle illustra il significato della concezione vichiana per una teoria
delle scienze della cultura filosoficamente fondata. La rilessione culmina nella
ri-formulazione dell'idealismo: “L’intersoggettivo” (Napoli, La Scuola di
Pitagora). Sostiene che l'aporia di Hegel consiste nell'aver tras-curato
l’inter-soggetivo nella logica, la parte fondativa del Sistema. Qesta lacuna
comporta un grave squilibrio nella struttura complessiva del sistema, in
particolare, nel concetto dello spirito oggettivo e nel concetto dello spirito
assoluto, che restano scoperte sul piano logico, senza un co-rispettivo
categoriale in grado di fondare la struttura inter-soggettiva di cui trattano.
Questa aporia è alla radice di sub-aporie come, ad esempio, l'appiattimento del
“dover-essere” sull'”essere” con la conseguente visione passatista e la
questione della conclusione del sistema. Cerca di mostrare come l'idea fondamentale
dell'idealismo sia indispensabile sia per fondare in modo rigoroso il“discorso”
sia per superare la scissione tra scienze della natura e scienze dello spirito
che caratterizza in modo aporetico il pensiero moderno e contemporaneo, promossa
dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e per "La scuola di
Pitagora", è uscita una Postfazione. Sposta la sua riflessione dalla
"filosofia prima" alla "filosofia seconda", occupandosi di
problemi morali e politici, tra cui ha un posto di rilievo la questione
dell'ecologia (“Filosofia della crisi ecologica” – Torino, Einaudi). I suoi
studi delle moderne scienze sociali, politologia ed economia soprattutto, sono
poi confluiti “Morale e politica. Fondamento di un'etica politica”. Vanno
ricordati, innanzi tutto, i lavori sul significato filosofico della teoria
dell'evoluzione (“Portata e limiti della teoria evoluzionistica della
conoscenza” – Napoli, La Città del Sole). Saggi: “Aristotele e il dinosauro”
(Torino, Einaudi); “Sulla comicità” a riprova del costante interesse nutrito per
le forme d'arte, come il teatro e il cinema, in cui l'inter-soggettività -- la categoria
centrale della sua riflessione -- gioca un ruolo determinante. “Il
concetto di filosofia della religione” (Napoli, La Scuola di Pitagora); “La
legittimità del politico” (Milano, Guerini, Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici); “Per una lettura non riduttiva di Platone” (Napoli, La scuola di
Pitagora). VITTORIO G. HÖSLE Personal Address 712 Forest Avenue South
Bend, Indiana 46616 574-288-3547 • Eberhard Karls Universität Tübingen;
Habilitation (accredited as an University Lecturer), January 1986; Philosophy.
Habilitationsschrift: „Subjektivität und Intersubjektivität. Untersuchungen zu
Hegels System“ • Eberhard Karls Universität Tübingen; Ph.D. summa cum laude,
May 1982; Major: Philosophy; First Minor: Indology; Second Minor: Greek; Dissertation:
“Wahrheit und Geschichte. Studien zur Struktur der Philosophiegeschichte unter
paradigmatischer Analyse der Entwicklung von Parmenides bis Platon“ • Albert
Ludwigs Universität Freiburg, 1981 • Ruhr Universität Bochum, 1980 • Eberhard
Karls Universität Tübingen, 1978-1979 • Universität Regensburg, 1977-1978
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Address University of Notre Dame Department of German and Russian Languages and
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hg. von Ch.Lohr, übs. von V.Hösle und W.Büchel, mit einer Einführung von
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(=Philosophische Bibliothek 379), XCIV+317 p. 45. Die Vollendung der Tragödie
im Spätwerk des Sophokles. Ästhetisch-historische Bemerkungen zur Struktur der
attischen Tragödie, Frommann-Holzboog: Stuttgart- Bad Cannstatt 1984
(=problemata 105), 181 p. 45a. Il compimento della tragedia nell’opera tarda di
Sofocle. Osservazioni storico- estetiche sulla struttura della tragedia attica,
Bibliopolis: Napoli 1986 (=Memorie dell’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici 16), 216 p. (=Italian translation of 45) 46.Wahrheit und Geschichte.
Studien zur Struktur der Philosophiegeschichte unter 6-VH 8/9/17
paradigmatischer Analyse der Entwicklung von Parmenides bis Platon,
Frommann-Holzboog: Stuttgart-Bad Cannstatt 1984 (=Elea 1), 774 p. 46a. Verità e
storia. Studi sulla struttura della storia della filosofia sulla base di un’analisi
paradigmatica dell’evoluzione da Parmenide a Platone, Guerini e Associati:
Milano 1998 (=Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Hegeliana 24), 484 p.
(=Italian translation of 46, however, according to my desire, without part 3
and with paper 120) Books for a broader public 1. Mein Onkel, der Latinist und
Weltrevolutionär. Ein Nachruf auf Mario Geymonat, Allitera: München 2013, 88 p.
2. Nora K./V.Hösle: Das Café der toten Philosophen. Ein philosophischer
Briefwechsel für Kinder und Erwachsene, C.H.Beck Verlag: München 1996, 21996,
31997, Special edition 1998, 22001 (=Beck’sche Reihe 4017; 1448), 256 p. 2a.
Het meisje en de filosoof, Bert Bakker: Amsterdam 1997, Ooievaar: Amsterdam
1998, 221 p. (=Dutch translation of 2) 2b. Cholhagi algosipojo, Munhak Sasang:
Seoul 1997, 21998, 300 p. (=Korean translation of 2); Chugin Cholhakchadurui
khaphe, Woongjin: Seoul 2007, 320 p. (=revised Korean translation of 2) 2c. O
Café dos Filósofos Mortos, Círculo de Leitores: Lisboa 1997, Temas e Debates:
Lisboa 1997, 232 p. (=Portuguese translation of 2) 2d. El Café de los filósofos
muertos, Grupo Anaya: Madrid 1997, 21998, 31999, 42001, 269 p. (=Spanish
translation of 2) 2e. El Café dels filósofs morts, Editorial Barcanova:
Barcelona 1997, 267 p. (=Catalan translation of 2) 2f. Aristotele e il
dinosauro, Einaudi: Torino 1999, 225 p. (=Italian translation of 2) 2g. ...,
Kawade Shobo Sinsha: Tokyo 1999, 267 p. (=Japanese translation of 2) 2h. The
Dead Philosopher’s Café, University of Notre Dame Press: Notre Dame 2000, 166
p. (=English translation of 2) 2i. Ölü filozoflar kahvesi, Arion Yayinevi:
Istanbul 2000, 224 p. (=Turkish translation of 2) 2j. ..., Athena Press: Taipeh
2001, 22001, 312 p. (=Taiwanese translation of 2) 2k. O Café dos Filosofos
Mortos, Editora Angra: São Paulo 2001, 268 p. (=Brazilian- Portuguese
translation of 2) 2l. ..., Shanghai Bertelsmann: Shanghai 2001, 302 p.
(=Chinese translation of 2) 2m. Das Café der toten Philosophen. Minum kopi
bersama Arwah Para Filosof dari Sokrates hongga al-Ghazali, Tannenbaum: Bekasi
2007, 278 p. (=Indonesian translation of 2) 2n. Mahfele filsoofane khamosh,
Hermes: Teheran 1387/2008, 31392/2013, 286 7-VH p. (=Persian translation
of 2) Articles 1. Principles of morals, 2. Neoplatonic Philosophy of
Mathematics, appears in: Handbook of Neoplatonism, ed. by Ch. Wildberg, Oxford
2018 3. Success Criteria for Different Forms of Dialogue, appears in: Neue
Zeitschrift für Systematische Theologie und Religionsphilosophie 60 (2018) 4.
Was sind und zu welchem Ende betreibt man Geisteswissenschaften?, appears in
den acts of the Vienna conference “Geisteswissenschaften,” Vienna 2017 5. The
Tübingen School, appears in: Brill’s Companion to German Platonism, ed. by A.
Kim, Leiden 2017 6. A confusion of ἐλάσσονα and μείζονα in our text of Proclus’
Commentary on the First Book of Euclid’s Elements, appears in: Rheinisches
Museum für Philologie 160 (2017) 7. How Should One Evaluate the Soviet
Revolution?, appears in Analyse und Kritik 2017 8. On Some Specific Traits of
Russian Culture. Changes and Continuites Between the pre-Soviet, the Soviet,
and the post-Soviet Phase, appears in: Zeitschrift für Medien- und
Kulturforschung 8 (2017), 61-77 9. Concluding thoughts. Toward a Typology of
Public Intellectuals, in: Public intellectuals in the global arena, ed. by M.
Desch, Notre Dame 2016, 373-396 10. Global partnership – A new leitmotif for an
interconnected world (together with Horst Köhler), in: The World in 2050.
Striving for a more just, prosperous, and harmonious global community, ed. by H.
Kohli, Oxford 2016, 383-393; Spanish translation in: El Mundo en el año 2050.
En busca de una sociedad más próspera, justa y armoniosa, ed. by. H. Kohli,
Washington 2016, 419-430 11. Einstieg in den objektiven Idealismus, in:
Idealismus heute, ed. by V. Hösle and F. Suarez Müller, Darmstadt 2015, 30-49
12. Macht und Expansion. Warum das heutige Russland gefährlicher ist als die
Sowjetunion der 70er Jahre, in: Blätter für deutsche und internationale Politik
6’ 2015, 101-110 13. Una poesia metafisica. Ludwig Steinherrs Lyrikband
“Nachtgeschichte für die Teetasse,” in: Stimmen der Zeit 233 (2015), 313-322
14. Der Wert des eigenen Glücks. Über Selbstliebe und Anforderungen an sich
selbst, in: Information Philosophie 4/2014, 8-20 as well as, under the title “Unbedingte
Verpflichtung und Eudämonismus. Idealität und Realität in der natural
law, and politics in dealing with refugees, appears in a volume edited by
J. Althammer 8-VH 8/9/17 Ethik,” in: Idealismus heute, ed. by V. Hösle
and F. Suarez-Müller, Wissenschaftliche Buchgesellschaft: Darmstadt 2015,
254-270. 15. How did Western culture subdivide its various forms of knowledge?
Historical reflections on the metamorphoses of the tree of knowledge, in: Forms
of Truth and the Unity of Knowledge, ed. by V. Hösle, Notre Dame 2014, 29-69;
German translation appears in: Objektiver und absoluter Geist nach Hegel, ed.
by A. Kok and T. Oehl, Leiden/Boston 2017. 16.Charismatiker, Genie, Prophet und
dynamischer Unternehmer. Zum inneren Zusammenhang der Elemente einer Begriffsfamilie,
in: Scheidewege 43 (2013/14), 388-403 17. Philosophie als Beruf, in:
Vereinigung der Schweizerischen Hochschuldozierenden Bulletin 39 (3/4),
November 2013, 21-28 18. The Search for the Orient in German Idealism, in:
Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft 163 (2013), 431-454 19.
Can a plausible story be told of the history of ethics? An alternative to
MacIntyre’s After Virtue, in: Dimensions of Goodness, ed. by V. Hösle,
Newcastle upon Tyne 2013, 113-148; Portuguese translation in: Síntese 39/125
(2012), 345-378; German translation in: Vermisste Tugend? Zur Aktualität der
Philosophie Alasdair MacIntyres, ed. by M. Kühnlein and M. Lutz- Bachmann,
Berlin 2015, 39-96 20. Historical evolution of aesthetic theories, in: The Many
Faces of Beauty, ed. by V. Hösle, Notre Dame 2013, 277-301 21.Why does the
environmental problem challenge ethics and political philosophy?, in: Selected
Papers from the XXII World Congress of Philosophy, ed. by M.-H. Lee (=Journal
of Philosophical Research, Special Supplement), Charlottesville 2012, 279-292
22.Neun Reduktionismen in der Hermeneutik als Vereinseitigungen der Momente des
Verstehensprozesses, in: Reduktionismen und Antworten der Philosophie, ed. by
W. Grießer, Würzburg 2012, 175-194; English translation in: Understanding
Fiction. Knowledge and Meaning in Literature, ed. by J. Daiber, E. Konrad, T.
Petraschka and H. Rott, Münster 2012, 220-237 23. Reversals in Clint Eastwood’s
Gran Torino (together with Mark Roche), in: Religion and the Arts 15 (2011),
648-679 24. Why teleological principles are inevitable for reason. Natural
theology after Darwin, in: Biological Evolution: Facts and Theories, ed. by G.
Auletta, M.Leclerc, and R.A. Martinez, Rome 2011, 433-460; German translation
in: Post-Physikalismus, ed. by M. Knaup, T.Müller and P. Spät, Freiburg/München
2011, 271-305 as well as in: Evolutionstheorie und Schöpfungsglaube, ed. by
H.Ph. Weber and R. Langthaler, Göttingen 2013, 249-280 25. Ethics and
Economics, or How Much Egoism Does Modern Capitalism Need? Machiavelli’s,
Mandeville’s, and Malthus’s New Insight and Its Challenge, in: Crisis in a
Global Economy. Re-planning the Journey, ed. J.T. Raga/M.A. Glendon, Vatican
City 2011, 491-513 as well as in: Archiv für Rechts- und Sozialphilosophie 97 (2011),
425-440; German translation in: jus, ars, philosophia et historia. Festschrift
für Johannes Strangas, ed. by D. 9-VH 8/9/17 8/9/17 Charalambis and Ch.
Papacharalambous, Baden-Baden/Thessaloniki/Athen 2017, 21-43 26. Methodology,
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Commedia and Goethe’s Faust. Similarities and Differences, in: The European
Image of God and Man. A Contribution to the Debate on Human Rights, ed. by
H.-Ch. Günther and A.A. Robiglio, Leiden/ New York 2010, 313- 344 28. The Idea
of a Catholic Institute for Advanced Study, in: The Idea of a Catholic
Institute for Advanced Study, ed. by V. Hösle and D.L. Stelluto (Notre Dame 2010),
9-29 29. Poetische Poetiken in der Neuzeit: Boileau, Pope, Friedrich Schlegel
und Adorno, in: Zeitschrift für Ästhetik und allgemeine Kunstwissenschaft 55
(2010), 25-47 30. The European Union and the USA: Two contemporary versions of
Western „empires“?, in: Transzendentale Konzepte in aktuellen Bezügen, ed. by
H.-D. Klein and R. Langthaler, Würzburg 2010, 81-104 and in: Symposium.
Canadian Journal of Continental Philosophy 14/1 (2010), 22-51; Italian
translation in: Hermeneutica 2013, 279-311 31. Inwieweit ist der Geistbegriff
des deutschen Idealismus ein legitimer Erbe des Pneumabegriffs des Neuen
Testaments?, in: Zeitschrift für Neues Testament 25/13 (2010), 56-65; English
translation in: Philotheos 11 (2011), 162-174; Italian translation in: Humanitas
67/4 (2012), 697-710 32. Poetische Poetiken in der Antike: Horaz‘ „Ars poetica“
und Pseudo-Longinos‘ Περι υψους, in: Poetica 41 (2009), 55-74 33.
Soziobiologie, in: Handbuch Anthropologie. Der Mensch zwischen Natur, Kultur
und Technik, ed. by E.Bohlken and Ch.Thies, Stuttgart/Weimar 2009, 242-249;
English translation in: Symposium. Canadian Journal of Continental Philosophy
16/1 (2012), 112-128 34. Ich kann immer noch nicht anders als kompatibilistisch
zu denken, in: Erwägen – Wissen – Ethik 20 (2009), 34-37 35. Inwieweit ist man
dafür verantwortlich, sich über sich selbst zu informieren? Moral- und
rechtsphilosophische Reflexionen im Zusammenhang mit der Aids- Pandemie, in:
HIV/AIDS – Ethische Perspektiven, ed. by S. Alkier and K. Dronsch, Berlin/New
York 2009, 13-35 36. Eine metaphysische Geschichte des Atheismus, in: Deutsche
Zeitschrift für Philosophie 57 (2009), 319-327; English translation in:
Symposium. Canadian Journal of Continental Philosophy 14/1 (2010), 52-65;
Hungarian translation in: Mérleg 46 (2010), 216-228 37. Did the Greeks
deliberately use the Golden Ratio in an Artwork? A Hermeneutical Reflection,
in: La Parola del Passato 63 (2008), 415-426 38. The Lost Prodigal Son’s
Corporal Works of Mercy and the Bridegroom’s Wedding. The Religious Subtext of
Charles Dickens’ Great Expectations, in: 10-VH 8/9/17 Anglia 126 (2008),
477-502; enlarged German translation in: Habitus fidei – Die Überwindung der
eigenen Gottlosigkeit, hg. von J. Alberg und D. Köder, Paderborn 2016, 311-339
39. Variationen, Korollarien und Gegenaphorismen zum zweiten Band der “Escolios
a un texto implícito” von Nicolás Gómez Dávila, in: Kritische Theorie zur Zeit.
Für Christoph Türcke zum sechzigsten Geburtstag, ed. by O.Decker and T.Grave,
Springe 2008, 94-108; Italian translation in: Nicolás Gómez Dávila e la crisi
dell’Occidente, ed. by F.Meroi and S. Zucal, Pisa 2014, 67-84; Spanish
translation in: Eikasia 75 (Agosto 2017), (online) 40. Über den Vergleich von
Texten. Philosophische Reflexionen zu der grundlegenden Operation der
literaturwissenschaftlichen Komparatistik, in: Orbis Litterarum 63 (2008),
381-402 41. Wilhelm Meister and Mignon as models for Nicholas Nickleby and
Smike?, in: Neohelicon 35 (2008), 237-254; German translation in: Zwischen
Sprachen und Kulturen: Das kritische Wort. Festschrift für Italo Michele
Battafarano, ed. by Elmar Locher, Würzburg 2016, 145-164 42. Dickens als
Kritiker des Goetheschen Bildungsromans? Ein Strukturvergleich von Wilhelm
Meisters Lehrjahren und Great Expectations, in: Germanisch- Romanische
Monatsschrift 58 (2008), 149-167 43. Nach dem absoluten Wissen. Welche
Erfahrungen des nachhegelschen Bewußtseins muß die Philosophie begreifen, bevor
sie wieder absolutes Wissen einfordern kann?, in: Hegels Phänomenologie des
Geistes. Ein kooperativer Kommentar zu einem Schlüsselwerk der Moderne, ed. by
K.Vieweg und W.Welsch, Frankfurt 2008, 627-654 44. Der Geist als Nostalgiker
des Lebens. Was verbindet und was unterscheidet Grillparzers „Sappho“ und Manns
„Tonio Kröger“?, in: Zeitschrift für deutsche Philologie 127 (2008), 177-198
45. Scheitern angesichts der Umweltvergiftung. Ein Vergleich von Henrik Ibsens
En Folkefiende und Wilhelm Raabes Pfisters Mühle, in: Wirkendes Wort 58 (2008),
27-51 46. De eenheid van het weten en de werkelijkheid van de universiteit, in:
Nexus 50 (2008), 677-688; German original in: Scheidewege 39 (2009/10), 43-57
47. Cicero’s Plato, in: Wiener Studien 121 (2008), 145-170 48. Pre-established
harmony between parental and free choice of the partners. Masked encounters in
Ludvig Holberg’s Mascarade, Carlo Goldoni’s I Rusteghi, and Georg Büchner’s
Leonce und Lena, in: Komparatistik 2007, 145- 163 49. Apologie der Postmoderne,
in: Kritik der postmodernen Vernunft. Idealistische Perspektiven, ed. by
B.Goebel and F.Suárez Müller, Darmstadt 2007, 259-268; Spanish translation in:
Éticas convergentes en la encrucijada de la postmodernidad, ed. by R.Salas
Astraín, Santiago/Temuco 2010, 333-346, and in: Erasmus 13/1 (2011), 102-116
50. The Idea of a Rationalistic Philosophy of Religion and Its Challenges, in:
Jahrbuch für Religionsphilosophie 6 (2007), 159-181; German translation in:
11-VH 8/9/17 Wiener Jahrbuch für Philosophie 42 (2010), 33-57; Hungarian
translation in: Mérleg 50 (2014), 80-107 51. Kann die Systemtheorie eine Ethik
der Wissenschaft ersetzen?, in: Erwägen – Wissen – Ethik 18 (2007), 34-37 52.
Die Schönheit der Geometrie, in: Ein Buch, das mein Leben verändert hat. Liber
amicorum für Wolfgang Beck, ed. by D.Felken, München 2007, 204-206 53. Erste
und dritte Person bei Burchell und Goethe: Theorie und Performanz im zehnten
Buch von “Dichtung und Wahrheit“, in: Goethe-Jahrbuch 123 (2006), 115-134 54.
Religion of art, self-mythicization and the function of the church year in
Goethe’s Italienische Reise, in: Religion and Literature 38.4 (Winter 2006), 1-
25; German translation in: Autoinvenienz, ed. by. R. Breuninger and P.L.
Oesterreich, Würzburg 2012, 35-58 55. Was ist neohegelianisch an “Moral und
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and Its Interpretations. The Three Paradigms and Their Place in the History of
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St.Gersh and D. Moran , Notre Dame 2006, 54-80; already in: Videtur 14 (2002),
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Advanced Study in Princeton, in: Stimmen der Zeit (2006), 303-316 58.
Encephalius. Ein Gespräch über das Leib-Seele-Problem, in: Das Leib-Seele-
Problem, ed. by Th. Buchheim und F.Hermanni, München 2006, 101-130; English
translation in: Mind and Matter 5.2 (2007), 135-165 59. Wie sollte eine
synthetische Platondarstellung aussehen? Einige Überlegungen angesichts von
Kutscheras neuer Platonmonographie, in: Philosophiegeschichte und Logische
Analyse 9 (2006), 175-211 60. Erwiderung auf die Replik Franz von Kutscheras in
„Philosophiegeschichte und Logische Analyse“ 9/2006 auf meine Rezension seines
Platonbuches, in: Wiener Jahrbuch für Philosophie 37 (2005), 272-276 61.
Religion, Religionsverlust und Erzählstrategien in einer neueren
Autobiographie. Zu Johannes Hösles “Vor aller Zeit. Geschichte einer Kindheit”
sowie “Und was wird jetzt? Geschichte einer Jugend”, in: Zur Sprache gebracht.
Philosophische Facetten. ... Festschrift für Peter Novak, ed by. N.Leißner und
R.Breuninger, Ulm 2005, 91-103 62. Psychologie des Spielers und Ethik des
Va-banque-Spiels. Zu Friedrich Schillers Die Verschwörung des Fiesko zu Genua,
in: Wege zur Politischen Philosophie und Politik. Festschrift für Martin
Sattler, ed. by G. von Sivers und U.Diehl, Würzburg 2006, 41-64 63. Philosophy
and its Languages. A Philosopher’s Reflections on the Rise of English as
Universal Academic Language, in: The Contest of Languages, ed. by M.Bloomer,
Notre Dame 2005, 245-262 64. Was kann man von Hegel objektiv-idealistischer
Theorie des Beriffs noch lernen, das über Sellars’, McDowells und Brandoms
Anknüpfungen 12-VH 8/9/17 hinausgeht?, in: Allgemeine Zeitschrift für
Philosophie 30 (2005), 139-158; English translation in: The Dimensions of Hegel’s
Dialectic, ed. by N.G. Limnatis, London 2010, 216-236 65. Reasons, emotions and
God’s presence in Anselm of Canterbury’s Dialogue Cur deus homo (together with
Bernd Goebel), in: Archiv für Geschichte der Philosophie 87 (2005), 189-210;
German translation in: Die Frage nach dem Unbedingten. Gott als genuines Thema
der Philosophie, ed F.Resch and M. Klinkosch, Dresden 2016, 351-383 66. Die
Philosophie und ihre literarischen Formen – Versuch einer Taxonomie, in: Das
Geistige und das Sinnliche in der Kunst, ed. by D.Wandschneider, Würzburg 2005,
41-55 67. Berufsethik der Geheimdienste und Krise der hohen Politik.
Philosophische Betrachtungen zum literarischen Universum von John Le Carrés
Spionageromanen im allgemeinen und zu Absolute Friends im besonderen, in:
Deutsche Vierteljahrsschrift 79 (2005), 131-159 68. Replik auf Ursula
Hoyningen-Süess’ Kommentar, in: Pädagogik und Ethik, ed. by D.Horster und
J.Oelkers, Wiesbaden 2005, 333-339 69. Platons “Protreptikos”.
Gesprächsgeschehen und Gesprächsgegenstand in Platons “Euthydemos”, in:
Rheinisches Museum für Philologie 147 (2004), 247- 275 70. „Great Books
Programs.“ Die Rolle der Klassiker im Bildungsprozeß, in: Kultur, Bildung oder
Geist?, ed. by R.Benedikter, Innsbruck 2004, 117-133 71. Interreligious Dialogues
during the Middle Ages and Early Modernity, in: Educating for Democracy:
Paideia in an Age of Uncertainty, ed. by A.M.Olson, D.M.Steiner, and I.S.Tuuli,
Lanham 2004, 59-83; German translation in: Dialog und Verstehen, ed. by
G.Damschen and A.G. Vigo, Berlin 2015, 59-88 72. Eine Form der
Selbsttranszendierung philosophischer Dialoge bei Cicero und Platon und ihre
Bedeutung für die Philologie, in: Hermes 132 (2004), 152-166; English
translation in: Graduate Faculty Philosophy Journal 26, No.1 (2005), 29-46 73.
Wie soll man Philosophiegeschichte betreiben? Kritische Bemerkungen zu Kurt
Flaschs philosophiehistorischer Methodologie, in: Philosophisches Jahrbuch 111
(2004), 140-147 74. Wahrheit und Verstehen. Davidson, Gadamer und das Desiderat
einer objektiv- idealistischen Hermeneutik, in: Logik, Mathematik und Natur im
objektiven Idealismus. Festschrift für Dieter Wandschneider, ed. by W.Neuser
und V.Hösle, Würzburg 2004, 265-283; English translation in: Metaphysik und
Hermeneutik. Festschrift für Hans-Georg Flickinger zum 60. Geburtstag, ed. by
H. Eidam/ F. Hermenau/ D. de Souza, Kassel 2004, 117-141 as well as in: Between
Description and Interpretation: The Hermeneutic Turn in Phenomenology, ed. by
A.Wierciński, Toronto 2005, 376-391; Italian translation in: Hermeneutica 2005,
321-346 75. Variationen, Korollarien und Gegenaphorismen zum ersten Band der
“Escolios a un texto implicito” von Nicolás Gómez Dávila, in: Die Ausnahme
denken. Festschrift zum 60. Geburtstag von K.-M.Kodalle, ed. by C.Dierksmeier,
2 Bde., 13-VH Würzburg 2003, II 149-163 76. Hans Jonas’ Stellung in der
Geschichte der deutschen Philosophie, in: Weiterwohnlichkeit der Welt. Zur
Aktualität von Hans Jonas, ed. by Ch. Wiese und E. Jacobson, Frankfurt 2003,
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U.Bartosch, K.Gansczyk, Hamburg 2007, 139-157; Croatian translation in:
Filozofska Istraživanja 90/3 (2003), 539-552; English translation in: The
Legacy of Hans Jonas: Judaism and the Phenomenon of Life, ed. by H.Tirosh-
Samuelson and Ch.Wiese, Leiden/Boston 2008, 19-37 77. Globalisierung und
US-amerikanische Hegemonie, in: Ethik, Politik und Kulturen im
Globalisierungsprozess, ed. by R.Elm, Bochum 2003, 220-230. 78. Kritische
Anmerkungen zur Theorie des gerechten Krieges, in: Neue
Gesellschaft/Frankfurter Hefte 6/2003, 9-13; Portuguese translation in: Videtur
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Kupfer, Würzburg 2005, 463-486; English original in: Graduate Faculty
Philosophy Journal 27, No. 1 (2006), 61-82 80. Is There Progress in the History
of Philosophy?, in: Hegel’s History of Philosophy, ed. by D.A.Duquette, Albany,
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Stuttgart-Bad Cannstatt 2002, 59-97 83. Könnte die Europaische Union als
Bundesstaat funktionieren? Und kann sie ein Bundesstaat werden?, in:
Universitas 56 (2001), 1234-1244 84. Die Metaebene der bioethischen Diskussion.
Einige Bemerkungen zu Michael Neumanns Kirchentagsrede, in: Scheidewege
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Politische Ethik in der Diskussion, ed. by B.Goebel und M.Wetzel, Würzburg
2001, 291-314 86. Das Umweltproblem im 21. Jahrhundert. Dimensionen einer Krise,
in: Gedanken zur Nachhaltigkeit, ed. by L. di Blasi, B.Goebel und V.Hösle,
München 2001, 9-36 and 263-264; reprinted in: Handbuch
Generationengerechtigkeit, ed. by Stiftung für die Rechte zukünftiger
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l’ambiente, ed. by C.Quarta, Bari 2006, 71-94 87. Die Philosophie und ihre
Medien, in „Platonisches Philosophieren“. , Zehn Vorträge zu Ehren von Hans
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Nein, in: Philosophie-Magazin Nr. 6/2012, p. 21 5. Listen des Geistes. Zum 80.
Geburtstag des Philosophen Franz von Kutschera, in: Süddeutsche Zeitung of
3./4.3.2012, Nr. 53, p. 18 6. Zeiten des Übergangs. Die grüne Lehre: Die
Politik muss soziale Gerechtigkeit der Nachhaltigkeit unterordnen, in:
Süddeutsche Zeitung of 16.4.2011, Nr. 89, p. 13 7. Ethik des Rücktritts, in:
Rheinischer Merkur of 24.6.2010, Nr. 25, p. 9 8. Brauchen wir Eliten?, in:
UNOFOLIO (Süddeutsche Zeitung) 1/2010, p. 22 9. Mysterium Mathematik.
Polyglott: Zum Tode des Wissenschaftlers Imre Tóth, in: Frankfurter Allgemeine
Zeitung of 15.5.2010, Nr. 111, p. 39 10. Rahmenbedingungen verändern
Prioritäten. Ansichten eines Weltbürgers, in: Das Parlament of 16.10.2006, Nr.
42, p. 14 11.Was die koreanische Orthographiereform unserer voraushat, in:
Frankfurter Allgemeine Zeitung of 9.9.2004, Nr. 210, p. 42 12. Der Ethikrat.
Philosophische Hilfestellungen. Diesmal für: Silvio Berlusconi, blendend schön,
in: DIE ZEIT of 5.2.2003, Nr. 7, p. 50 13. Der Ethikrat. Philosophische
Hilfestellungen. Diesmal für: Nackte Studenten, in: DIE ZEIT of 18.12.2003,
Nr.52, p.54 14. Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen. Diesmal für:
Norbert Blüm, Rentner und Philosoph, in: DIE ZEIT of 23.10.2003, Nr. 44, p.50
15. Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen. Diesmal für: Paul Wolfowitz,
plaudernder Stratege, in: DIE ZEIT of 12.6.2003, Nr. 25, p.48 16. Der Ethikrat.
Philosophische Hilfestellungen Wahlbetrugsuntersucher, in: DIE ZEIT of
6.2.2003, Nr. 7, p.48 17. Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen Diesmal
für Ludwig Stiegler, 22-VH 8/9/17 Deutsche Sozialdemokraten, in: DIE ZEIT
of 12.12.2002, Nr. 51, p. 56 18. Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen
Diesmal für: UN-Delegierte, zwischen Austern und Austerität, in: DIE ZEIT of
5.9.2002, Nr. 37, p.56 19. Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen Diesmal
für: Grüne Pazifisten, Entscheidungsträger, in: DIE ZEIT of 22.11.2001, Nr. 48,
p.56 20. Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen Diesmal fur: Rudolf
Scharping und seine Kritiker, in: DIE ZEIT of 30.8.2001, Nr.36, p. 44 21. Die
Irrtümer der Denker, in: DER SPIEGEL of 16.7.2001, Nr. 29, p. 136-139;
reprinted in: SPIEGEL SPECIAL 1/2001: Die Gegenwart der Vergangenheit, 139- 141
22. Heilung um jeden Preis? Wer einem Kleinkind Grundrechte zuspricht, kann sie
einem Embryo nicht nehmen, in: DIE ZEIT of 1.3.2001, Nr. 10, p. 36; reprinted
in: ZEIT dokument 1/2002, 92-95 23. Wenn Berlin Berlin bleibt, muss Deutschland
Deutschland bleiben. Eine philosophische Analyse des Wahlspruchs der SPD, in:
Frankfurter Allgemeine Zeitung of 11.9.1999, Nr. 211, p. BS 3 24. Das Prinzip
der Moral. Über die Zukunft der praktischen Philosophie, in: Basler Zeitung as
well as in: Frankfurter Rundschau of 8.1.1999, Nr. 6, p. 10 25. Ist er nun zu
Hause oder nicht? Die Moderne atmet auf: Koreas Philosophen holen den Weltgeist
an seinen Ursprung zurück, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung of 19.7.1995, Nr.
165, p. N6 26. Zu Tode geheuchelt. Auf dem Weg zur Reue - Eine Tagung fragt
nach den sowjetischen Lektionen, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung of
7.10.1992, Nr. 233, p. N5; English translation in: Religion, State and Society
21 (1993), 363-365 27.Verzweifelte Suche nach Sinn. Einblicke in die
sowjetische Philosophie der Gegenwart, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung of
28.11.1990, Nr. 277, p. N4 28. Einstein filosofo, in: L’altra Campania
V/Juni-Juli 1989, 16- 17 IntInterviews and Contributions to Discussions 1. Weil
wir zur Wahrheit fähig sind. Ein Gespräch mit Ulf von Rauchhaupt, in:
Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung vom 29.1.2017, Nr. 4, 60-61 2.
Metafisica, luogo delle temporalità e in temporalità. Intervista a Vittorio
Hösle, in: Exagere 1 (2016) (online) 3. Colloquio con Vittoro Hösle, in:
L’Espresso 35 (LXII) of 28.8.2016, 72-74 23-VH 8/9/17 8/9/17 4. Interview
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L’etica ambientale e la Laudato sì di papa Francesco.Intervista con Vittorio
Hösle, in: Munera 3/2015, 29-35 6. Interview, in: Wenhui 2015/4/3, 6-7 7. A
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Universidad, Democracia 7-8 (2014), 182-196 (online) 8. Die hohe Kunst des
Verstehens. Interview, in: Die Furche 9 of 27.2.2014, 18-19 9. Interview, in:
Cogito 3 (1/2014), 28-33 10. Ich freue mich über päpstliche Nähe (interview),
in: Die Tagespost of 24.10.2013, Nr. 128, p. 9 11. Wenn die Moral Hobbes geht,
in: The European of 4/18/2013 (online) 12. Respecting Posterity, in: Notre Dame
Magazine 41/4 (2012-13), 21-22 13. Zur Lage der Philosophie, in: Zeitschrift
für Ideengeschichte VI/2 (2012), 58-72 14. Der Kapitalismus ist alternativlos
(interview), in: The European of 11/17/2011 (online) 15. Interview, in:
Shanghai review of Books of 7/17/2011, 2; longer version in: Duli Yuedu 9/2011,
48-58 (online) 16. Die ökologische Krise der Gegenwart und die Philosophie, in:
Denkanstöße. Dossier of 12/20/2010 (online) 17. Interests, values, and
recognition as different dimensions in the efforts on nuclear disarmament and
non-proliferation, in: Nuclear Disarmament, Non-Proliferation, and Development,
Vatican City 2010, 195-204 (with Discussion, 205-215) 18. Introducing ...
Vittorio Hösle, in: Symposium. Canadian Journal of Continental Philosophy 14/1
(2010), 3-21 19. Ein Gespräch mit Sven Drühl, in: Kunstforum 190/2008, 42-48
20. Platon heute, in: zur debatte 38/3 (2008), 27-30 21. The Idea of Justice
and the Global Marshall Plan, in: Towards a World in Balance, Hamburg 2006,
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Grammatikopoulos, R. Hoogvliet, Berlin 2005, 114-117 24. (My answers), in: 100
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Den objektiva moralen är förnuftig. Intervju in: Axess 3 (2004), 25-27 26. Was
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translation in: think on. The Magazine of ALTANA AG 1 (2002), 12-19 27. Zehn
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Sicherheit, in: FAZ.NET of 17.9.2001(online) 29. Anima & corpo.
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30. Wider den Tod der Moral, in: Ethik-Letter LayReport 6/2 (2000), 2-4 31. (My
answer), in: Quo vadis, Philosophie? Antworten der Philosophen. Dokumentation
einer Weltumfrage, ed. by R.Fornet-Betancourt, Aachen 1999, 151-152 32. Zehn
Thesen zum Sinn der Arbeit, in: Vom Sinn der Arbeit, ed. by O.Franz, Köln 1999,
11-13 33. Gesundheit und Krankheit: Elementare Begriffe mit großen praktischen
Konsequenzen - Ein Kommentar zu Bernard Gert, in: Zukunftsentwürfe, ed. by
J.Rüsen, H.Leitgeb, N.Jegelka, Frankfurt/New York 1999, 270-274 34. Thesen zum
neuen Grundsatzprogramm für BÜNDNIS 90 / DIE GRÜNEN, in: Zur Politik zurück,
ed. by BÜNDNIS 90 / DIE GRÜNEN, Berlin 1999, 33-35 35. Versuch einer
politischen Ethik des 21. Jahrhunderts - Wem ist die Regierung verpflichtet?,
in: VISIONEN 2000. Einhundert persönliche Zukunftsentwürfe, ed. by
Brockhaus-Redaktion, Leipzig/Mannheim 1999, 372-375 36. Keine Kriegserklärung,
in: Was die Republik bewegte, ed. by B.Hoffmeister/U.Naumann, Reinbek bei
Hamburg 1999, 80-81 37. Mensenrechten: objectief idealisme. Interview met
vooruitgangsdenker Vittorio Hösle, in: Filosofie Magazine 7/10 (1998/1999),
36-41 38. Optimist voor de tweeëntwintigste eeuw. Een interview met Vittorio
Hösle, in: Krisis 73 (winter 1998), 38-48 39. „Das Café der toten Philosophen“.
Interview mit Nora K. und Vittorio Hösle, in: Ethik & Unterricht 3/98,
25-27 40. Podiumsdiskussion „Kultureller Wandel durch Wissen - Ethik und
Werte“, in: Zukunft Deutschlands in der Wissensgesellschaft, ed. by bmb+f, Bonn
1998, 92- 120 41.Podiumsdiskussion „Die Tatsache der „Globalisierung“ und die
Aufgabe der 25-VH 8/9/17 8/9/17 Philosophie“ zwischen K.-O.Apel, V.Hösle,
R.Simon- Schaefer, in: K.- O.Apel/V.Hösle/R.Simon-Schaefer, Globalisierung,
Bamberg 1998, 75-122 42. Interview in: Munhak Sasang 2 (1998), 266-277 43.
Norwegische Philosophie, in: Aletheia 11/12 (1997), 75-77 as well as in:
Information Philosophie 1 (1998), 90-92 44. SPIEGEL-Gespräch „Wir brauchen
moralische Energie“, in: DER SPIEGEL Nr. 46/10.11.97, 247-252 45. Podiumsdiskussion,
in: Grenzen-los?, ed. by E.U. von Weizsäcker, Berlin/Basel/Boston 1997, 376-400
(mein Text: 376- 380, 388-390, 396-397) 46. Letzte Gewißheit. Fundamentalismus
in der Philosophie. Eine Diskussion zwischen H.Brunkhorst, V.Hösle und Th.Kesselring,
moderiert von G.B.Achenbach, in: Philosophie heute, ed. vy U.Boehm, Frankfurt
1997, 33-51 47. Three Interviews with Paul K.Feyerabend (together with
R.Parascandolo), in: Telos 102 (1995), 115-148 48. Interview in: Science,
Philosophy and Culture 13 (1995), 134-144 49. Interview in: Munhak Sasang 5
(1995), 255-287 50. Podiumsdiskussion: Wieviel Gentechnik, Tierexperimente,
Umweltschutz brauchen wir?, in: Forschung in Chemie, Biochemie und Molekularer
Medizin - Zukunftschancen oder Verzicht, ed. by Gesellschaft Deutscher Chemiker
und Gesellschaft für Biologische Chemie, Frankfurt 1994, 37-56 (my text: 46-48,
55-56) 51. Absoljutnyi racionalism i sovremennyi krizis, in: Voprosy filosofii
11 (1990), 107- 113 52. E giusta la ricerca sugli embrioni? Un’intervista a
V.Hösle, in: Figli della scienza, a cura di V.Lanfranchi e S.Favi, introduzioni
di G.Berlinguer e L.Violante, Roma 1988, 189-194 PrPrefaces to the Works of
Other Persons 1. Preface to: Maxim Kantor, Das neue Bestiarium/Le nouveau
bestiaire, Köln 2016, 14-17 and 168-170 (German, French, and English) 2.
Postscript to: Ludwig Steinherr, Flüstergalerie, München 2013, 131-137 3.
Preface to: Ludwig Steinherr, Das Mädchen Der Maler Ich, München 2012, 5-10 4.
Preface to: Maxim Kantor, Saint Petersburg 2012, 39-45 5. Preface to: I.Tóth,
Fragmente und Spuren nichteuklidischer Geometrie bei 26-VH Aristoteles,
Berlin 2010, XVII-XXIV 6. Preface to: J.Hösle, Al bivio.Gli anni milanesi,
Milano 2009, 9-12 7. Preface to: D.Wandschneider, Naturphilosophie, Bamberg 2008,
7-8 8. Überlegungen zur Reihe „Faszination Philosophie“, in: W.V.O.Quine,
Philosophie der Logik, Bamberg 2005, 3-9 9. Preface to: G.Scherer,
Philosophische Anthropologie, Bamberg 2005, 5-7 10. Preface to: F.Suárez
Müller, Skepsis und Geschichte. Das Werk Michel Foucaults im Lichte des
absoluten Idealismus, Würzburg 2004, 15-17 11. Postscript to: M.Kantor, New
Empire, Bramsche 2004, 97-100; English translation, 111-113; French
translation, 124-127; Russian translation, 141-144 12. Preface to: D.Wandschneider,
Philosophie der Technik, Bamberg 2004, 7-9 13. Preface to: P.L.Oesterreich,
Philosophie der Rhetorik, Bamberg 2003, 7-10 14. Preface to: G.Münnix,
Anderwelten, Weinheim 2001, 9-10 15. Postscript to: M.Kantor. Ödland. Atlas,
Ostfildern-Ruit 2001, 145-148, English translation, M. Kantor, Atlas,
Ostfildern-Ruit 2001, 145-148 16. Preface to: A.Weston, Einladung zu ethischem
Denken, Freiburg 1999, 9-16 (and 124-126) 17. Preface to: D.Nikulin,
Wissenschaft und Ethik, München 1996, 7-9 18. Preface to: G. Stelli, La ricerca
del fondamento, Milano 1995, 13-15 Dissertations, books, and articles dealing
with my work (selection) 1. Mattia Coser, Macht und Moral im Ausgang von
Vittorio Hösle, in: Disputatio philosophica. International Journal on
Philosophy and Religion 1/1 (2017), 73-83 2. Michael Hackl, An den Grenzen von
G. W. F. Hegels System. Die ökologische Bedrohung im Anschluss an C. L.
Michelet, K. Rosenkranz und V. Hösle, in: Hegel-Jahrbuch 2015, 397-404 3. Dalja
Matijević, Hösleovo povećalo: Modeliranje ekološke budućnosti ljudskoga
društva, in: Društvena Istraživanja 24 (2015), 111-131 4. Mathias Schneider,
Vittorio Hösles Umweltphilosophie im Kontext der Nachhaltigkeitsidee, Berlin
2015 (dissertation Freiburg 2014) 5. Charlotte Luyckx, Crise cosmologique et
crise des valeurs: la réponse höslienne 27-VH 8/9/17 8/9/17 au double
défi de la philosophie de l’écologie, in: Klesis – revue philosophique 25
(2013), 144-175 6. Ernst-Otto Onnasch, Vittorio Hösle, in: De nieuwe Duitse
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DavidEngels,VittorioHöslesEinschätzungderVoreleatenalsVorlaufzum klassischen
Zyklus griechischer Philosophie. Überlegungen zu einer kritischen Neubewertung,
in: Revue de philosophie ancienne XXIX/2 (2011), 5-39 8. Wellistony C. Viana,
Das “Prinzip Verantwortung” von Hans Jonas aus der Perspektive des objektiven
Idealismus der Intersubjektivität von Vittorio Hösle, Würzburg 2010
(dissertation Munich 2010) 9.
LuisCarlosSilvadeSousa,Ametafísicaenquantoteoriatranscendentalabsoluta em
Joseph Maréchal e Vittorio Hösle, in: Síntese 33/107 (2006), 393-412 10.
Manfredo Araujo de Oliveira, Filosofia política enquanto teoria
normativo-material das instituições em Vittorio Hösle, in: Filosofia política
contemporânea, ed, by M. A. De Oliveira et al., Petrópolis 2003, 333-363
11.Erling Skjei, Kritikk av den sistebegrunnende fornuft: et forsøk på å tolke
og å vurdere Descartes’, Apels of Hösles gjendrivelser av skeptisismen,
dissertation Trondheim 2003 12.Bernd Goebel/Manfred Wetzel (Eds.), Eine
moralische Politik? Vittorio Hösles Politische Ethik in der Diskussion,
Würzburg 2001 13. Manfredo Araujo de Oliveira, Ética
intencionalista-teleológica em Vittorio Hösle, in: Correntes fundamentais da
ética contemporânea, ed. by M. A. De Oliveira, Rio de Janeiro 2000, 235-255 14.
Alexander Klier, Umweltethik: wider die ökologische Krise. Ein kritischer
Vergleich der Positionen von Vittorio Hösle und Hans Jonas, Marburg 2000 15.
Jürgen Sikora, Mit-Verantwortung: Hans Jonas, Vittorio Hösle und die Grundlagen
normativer Pädagogik, Eitorf 1999 16.Gertrude Hirsch-Hadorn, Umwelt, Natur und
Moral: eine Kritik an Hans Jonas, Vittorio Hösle und Georg Picht,
Freiburg/Munich 1998 (habilitationsschrift Konstanz 1998) 17. Annette von
Werder, Philosophie und Geschichte: das historische Selbstverständnis des
objektiven Idealismus bei Hegel und bei Hösle, dissertation Aachen 1993 18.
Неллн B. Moтрoшилова, Bитторио Хёсле: наброски к философскому портрету, in:
Bитторио Хёсле, Генин философии нового времени, Moskau 1992, 172-218 19.Sergio
Dellavalle, Soggetto morale o sostanza etica. Riflessioni sui recenti
contributi di Vittorio Hösle alla fondazione di un’etica della società
tecnologica e del 28-VH rischio ecologico, in: Teoria politica VII/3
(1991), 99–117 Documentary films about myself 1.
HansSteinbichler,DerMoralist–VittorioHösleentdecktAmerika,2003(BR) 2.
UlrichBoehm,“EinganzgewöhnlichesGenie.”JungphilosophVittorioHösle,1988 (WDR)
Papers 1. “On the conection between form and content in the philosophical
dialogue” (at the 2. “On the Neoplatonic Philosophy of Novum in Frascati in
April 2017) 3. “The study of language as tool of the reconstruction of values.
Paul Thieme’s linguistic methododology and implicit philosophy of language” (at
the conference “ 4. “Principles of morals, natural law, and politics in dealing
with refugees” (at the conference “Solidarity in global societies” in Munich in
October 2016; repeated at the Plenary Session of the Pontifical Academy of the
Social Sciences in April/May 2017) 5. “How much is the interpreter of an
artwork bound by the author’s intentions?” (at the 20th International Congress
of Aesthetics in Seoul in July 2016) 6. “The Special Nature of the Soviet
Revolution: An Evaluation from the Point of View of the Philosophy of History” (at
the Max Planck Institute for Comparative Public Law and International Law and
at the University of Passau in May 2016; repeated at the University of Bamberg
in February 2017) 7. “Objective idealism as an alternative to both naturalism
and constructivism” (at the University of Heidelberg in June 2015) 8. Five
lectures on “Morals and Politics” (at Fudan university in Shanghai in December
2014) 9. “Vocation between self-love and demands regarding oneself” (at the
Meckatzer Philosophy Award ceremony in Bad Hindelang in May 2014) 10. “What are
and why does one study humanities?” (at the conference “Humanities” in Vienna
in February 2014, repeated at the Gadamer conference in Santiago de Chile in
April 2015, at the Istituto Italiano per gli Studi Filosofici in Naples (in the
following: IISFN) in April 2015, and at the Albertus Magnus Forum in Regensburg
in February 2016) 11. “Order and disorder in intercultural dialogue “ (at the
conference “Order and Disorder in the Age of Globalization(s)” in Johannesburg
in November 2013, repeated at the Goethe Institute Munich in April 2014) 12.
“On the relation between Dante’s Commedia and Goethe’s Faust” (at the
conference “Philosophia transalpina” at the University of Munich in August
2013) Academy Vivarium Novum in Frascati in April 2017) 8/9/17
Mathematics” (at the Academy Vivarium “Indology Nowadays: A
Winter School on the Legacy of Paul Thieme” at the university Tübingen in
February 2017) 29-VH 8/9/17 13. “What remains of Hegel’s theory of the
social world?” (at the University of Jena in May 2012) 14. “How did 20th
century philosophy contribute to the current crisis?” (at the conference
“Volcano” at the University of Oxford in May 2012) 15. “How did Western culture
subdivide its various forms of knowledge? Historical reflections on the
metamorphoses of the tree of knowledge” (at the conference “Conceptions of
Truth and the Unity of Knowledge” at the University of Notre Dame in April
2012) 16. “Reductionisms in hermeneutics” (at the workshop “Knowledge and
Meaning in Literature” at the University of Regensburg in June 2011; repeated
at the University of Vienna in July 2011, at Purdue University in October 2012,
at Duke University in March 2014, at the University of Nebraska in Omaha in
March 2015) 17. “Innovation and creative destruction” (at the Heidelberg
conference “Genius and Charisma” in June 2011) 18. “Can a plausible story be
told of the history of ethics? An alternative to MacIntyre’s After Virtue“ (at
the conference “Dimensions of Goodness” at the University of Notre Dame in
April 2011) 19. “Sociobiology” (at King’s University College in London, Ontario
in February 2011) 20. “Ethics and Economics, or How Much Egoism Does Modern
Capitalism Need? Machiavelli’s, Mandeville’s, and Malthus’s New Insight and Its
Challenge” (in the XVI Plenary Session of the Pontifical Academy of Social
Sciences in May 2010; repeated at the University of Regensburg in July 2011, at
the Lumen Christi Institute at the University of Chicago in May 2012, at
Michigan State University in January 2013, at the University of Munich in July
2013, at Yale University in November 2013, at Ulm University in May 2015) 21.
“In which sense is the concept of spirit of German Idealism a legitimate
successor of the concept of pneuma of the New Testament?” (at the
Forschungsinstitut für Philosophie Hannover in March 2010) 22. “Interests,
values, and recognition as different dimensions in the efforts on nuclear
disarmament and non-proliferation” (at the conference “Nuclear disarmament,
non- proliferation, and development” in the Vatican in February 2010) 23. “What
are the main steps in the historical evolution of aesthetic theories from
ancient civilizations to the present and the driving forces behind this
evolution?” (at the conference “Beauty” at the University of Notre Dame in
January 2010) 24. “A metaphysical history of atheism” (at the University
Bamberg in April 2009) 25. “On the rank order of the three Greek tragedians”
(at the University of Jena in April 2009; repeated in Castelen near Basel in
April 2009) 26. “Why teleological principles are inevitable for reason” (at the
Evolution Conference of the Gregoriana in Rome in March 2009; repeated at the
University of Vienna in February 2010, at Duke University in March 2014) 27.
“The USA and the European Union as two modern forms of empire” (at the
University of Bielefeld in February 2009; repeated at the University of Notre
Dame 30-VH in March 2009 and at the University of Uppsala in May 2009)
28. “Why does the environmental problem challenge ethics and political
philosophy?” (at the World Conference for Philosophy in Seoul in August 2008)
29. “On the philosophy of history of the philosophy of history” (at the
conference “Pneumatologia politica” in Trento in May 2008) 30. “Did Goethe
influence Dickens?” (at Cambridge University in May 2008) 31. “Why do we
laugh?” (at the Casa Rosmini in Rovereto in April 2008) 32. “Ethics and
dialogue” (at the University of Urbino in April 2008) 33. “Childhood and
philosophy” (at the Casa Rosmini in Rovereto in April 2008) 34. “The Idea of a
Rationalist Philosophy of Religion” (at the Catholic Academy Berlin in March
2008; repeated at the University of Trento in May 2008, at the Antonianum in
Rome in June 2008 and at the Divinity School of Yale University in November
2013) 35.“Expectations and Grace. On Charles Dickens’ Great Expectations” (at
the Catholic Academy Berlin in March 2008) 36. “Gómez Dávila” (at the
Karl-Rahner-Akademie in Köln in March 2008) 37. “Plato today” (at the Catholic
Academy in Munich in February 2008) 38. “Dickens as a critic of Goethe?” (at
the University of Bamberg in May 2007) 39. “Religion of art, self-mythicization
and the function of the church year in Goethe’s Italienische Reise” (at the
Theologische Fakultät Fulda in Mai 2007) 40.“Pre-established harmony between
parental and free choice of the partners. Masked encounters in Ludvig Holberg’s
Mascarade, Carlo Goldoni’s I Rusteghi, and Georg Büchner’s Leonce und Lena” (at
the Goldoni conference of Saint Mary’s College and the University of Notre Dame
in April 2007) 41. “Cicero’s Plato” (at the Cicero conference of the University
of Notre Dame in October 2006; repeated at the MPSA in Chicago in April 2007)
42. “Politics of science and of immigration in the USA” (at the DAI Heidelberg
in April 2006) 43. “Space and Time of the philosophical dialogue” (at the
Theological Faculty Fulda in May 2005) 44. “On the forms of the philosophical
dialogue” (at the University of Bamberg in May 2005; repeated at the University
of Beijing in January 2015) 45. “On the history of the philosophical dialogue”
(at the University of Halle in May 2005) 31-VH 8/9/17 8/9/17 46.“The role
of the classics in education” (for the 500-year-anniversary of the
Allbertus-Magnus-Gymnasiums in Regensburg in May 2005) 47. “Friedrich Schiller’s
“The Conspiracy of Fiasco in Genua”” (at the University of Wisconsin in April
2005; repeated at the University of Bielefeld in February 2009) 48. “What can
one learn from Hegel’s objective-idealist doctrine of the concept?” (at the
University of Munich in January 2005, repeated at the University Valencia in
April 2016) 49. “What are philosophical dialogues, and why do people write
them?” (at the Institute for Advanced Study in December 2004; repeated at the
University of Rome in June 2007) 50. “A form of self-transcendence of
philosophical dialogues in Cicero and Plato” (at the New School University in
October 2004) 51. “Intersubjectivity and subjectivity in Hegel” (at the
University of Venice in April 2004) 52. Four lectures on “Interpreting Plato”
at the IISFN in March 2004 53. “Plato’s Protrepticus” (at the Scuola di
Heidelberg of the IISFN in March 2004) 54. “The superiority of the American
university system” (at the DAI Heidelberg in March 2004) 55. “Philosophy and
Its Literary Forms” (at the conference “Das Geistige und das Sinnliche in der
Kunst” in Aachen in February 2004) 56. “Philosophy and its Languages. A
Philosopher’s Reflections on the Rise of English as Universal Academic
Language” (at Circolo Italo-Britannico in Venedig in January 2004; repeated at
Ehwa University in Seoul in July 2008) 57. “Reasons, emotions and God’s
presence in Anselm’s “Cur deus homo”“ (at the University of Notre Dame in
November 2003) 58. “Hans Jonas’ position in the history of German philosophy”
(at the Northern Institute of Technology in Hamburg in June 2003; repeated in
Italian at the University of Venice in February 2004 and in German at the
Evangelische Akademie Tutzing in May 2007) 59. “What can we learn from the
interreligious dialogues of the Middle Ages and early Modernity?” (at the
conference “Paideia and Religion” in Boston in March 2003; repeated in Italian
at the IISFN in June 2003) 60. “The function of the classics in the process of
education” (at the University of Vienna in December 2002) 61. “Davidson, Gadamer
and the necessity of an objective-idealististic hermeneutics” (at the
university of Vienna in December 2002; repeated at the Scuola di Heidelberg of
the IISFN in January 2003 and at the University of Notre Dame in 32-VH
September 2005) 62. ”Globalization and US-American hegemony” (at the DAI
Heidelberg in January 2003; repeated at the IISFN in June 2003, at the
University of Urbino in March 2004 and in Imperia in May 2004) 63. “Platonism
and Its Interpretations. The Three Paradigms and Their Place in the History of
Hermeneutics” (in German at the RWTH Aachen in February 2002; repeated at the
University of Heidelberg in January 2003 und in English at the conference
“Eriugena, Berkeley and the Idealist Tradition” in Dublin im March 2002) 64.
“Philosophy and the Interpretation of the Bible” (at Clemson University in
South Carolina in February 2002; repeated at Holy Cross College, Worcester in
September 2006 and at the University of Trento in April 2008) 65. “Hegel’s and
Brandom’s inferentialism” (at the conference “Hegel contemporaneo” in Venice in
May 2001) 66. “Platonism and Darwinism” (at the conference “The metaphysical
implications of Darwinism” in Notre Dame in March 2001; repeated at the
University of Vienna in April 2009) 67. "Is There Progress in the History
of Philosophy?" (at the conference on "Hegel’s History of
Philosophy" in New York in October 2000) 68. "Why Do We Laugh at and
with Woody Allen?” (at New York University in October 2000; repeated at Ohio
University in Athens in April 2002) 69. "Interpreting Philosophical
Dialogues" (at the conference on Hermeneutics as Basic Discipline" at
Notre Dame in September 2000; repeated at the New School for Social Research in
October 2000) 70. "On the relation between metaphysics of life and general
metaphysics. Reflections on Schopenhauer" (at the conference on
metaphysics in Hildesheim in June 2000) 71. "The environmental problem in
the twenty-first century" (at the lecture series "Gedanken zur
Nachhaltigkeit" of the Forschungsinstitut für Philosophie in May 2000;
repeated at the Casa Rosmini in Rovereto in April 2008 and at the university of
Louvaine in May 2016) 72. "Llulls “Desconhort”" (at the University of
Regensburg in December 1998; repeated at the Medieval Conference in Kalamazoo
in May 2000) 73. ."On the philosophy of history of the social
sciences" (at the University of Essen in October 1998; repeated at the
University of Regensburg in February 1999) 74. "What constitutes the
extraordinary value of the Russian literature of the 19th century?" (at
the Freie Akademie der Künste in Hamburg in October 1998) 75. "Hegel’s
Esthetics" (at National Seoul University in September 1998) 33-VH
8/9/17 8/9/17 76. "Darwinism as Metaphysics" (at Sogang
University in Seoul in September 1998; repeated in English at the University of
Stanford in April 1999) 77. "Religion, Theology, Philosophy" (at the
University of Hannover in June 1998) 78. "Present and future tasks of a
moral economy" (at the University of Hannover in June 1998) 79. "Chances
and dangers of talent" (at the 50 years celebration of the Evangelische
Studienwerk Villigst in May 1998 in Villigst) 80. "Theodicy strategies in
Leibniz, Hegel, Jonas" (in Italian at the conference on monotheism in
April 1998 in Jerusalem; repeated in Hannover in October 1998) 81.
"Rationalism, determinism and freedom" (at the Forschungsinstitut für
Philosophie Hannover in January 1998; repeated at the University of Mainz in
October 1998, in English at the University of Notre Dame in March 1999) 82.
"Universal ethics and natural law" (at the second conference of the
Universal Ethics Project of the UNESCO in Naples in December 1997; repeated at
the Bucerius Law School in Hamburg in June 2003) 83. Five lectures on "The
state and its history" [at the IISFN in February 1997 in Italian] 84.
"Conditions of multicultural societies and states" (at the University
of Bielefeld in January 1997, repeated at the Königsteiner Forum in September
1997) 85. "Philosophical foundations of a future humanism" (in Basel
in January 1997; repeated in English at the University of Notre Dame in
February 1997 and at the University of Oslo in September 1997, at the Tübinger
Stift in July 1997, at the University of Erfurt in October 1997 and at the
University of Essen in January 1998) 86. "Politics and morality facing
global challenges" (at the Hochschule für Philosophie in München in
November 1996; short version during the presentation of my book "Moral und
Politik" in the European Parliament in Brussels in March 1998; repeated at
the University of Essen in April 1998, at the Musikhochschule Hannover in July
1998, at the Korean Hegel Society in Seoul in September 1998, at the University
of Greifswald in October 1998 as well as, in English, at the American
Philosophical Association in Boston in December 1999, at the University of
Urbino in March 2004, at the University of Bamberg in June 2011) 87. "Who
has right?" (at the Hochschule für Wirtschaft und Politik in Hamburg in
November 1996) 88. "Just wars" (at the University of Hamburg in November
1996; repeated in English at Loyola University in Chicago im Februar 2003) 89.
"Ethics and history" (at the University of Nijmegen in May 1996)
34-VH 90. "Hegel and Spinoza" (at the University of Tübingen in
April 1996) 91. "Biological presuppositions of moral behavior of humans"
(at the Forschungsinstitut für Philosophie Hannover in January 1996) 92.
"On the concept of cratology" (at the Kulturwissenschaftliche
Institut Essen in December 1995) 93. "Rationalism, intersubjectivity and
loneliness: Heraclitus, Lullus, and Nietzsche" (at the Ohio State
University in October 1995) 94. "Philosophy in an age of
overinformation" (at the Philosophy conference of the UNESCO in March 1995
in Paris, repeated at the Ohio State University in April 1996, at the Goethe
Institute Ankara in September 1996, at the University of Leipzig in December
1996) 95. "What are presuppositions of a rational ethics?" (at the
University of Essen in November 1994) 96. "Vico’s sources" (at the
Naples conference in October 1994 in Bielefeld) 97. Five lectures on
"Morality and politics" (at the IISFN in October 1994 in Italian) 98.
"Ramón Llull’s rationalism" (in Spanish at the Lull conference in
September 1994 in Trujillo; repeated in April 2002 at the University of São
Paulo) 99. "On the indispensability of republican virtues" (at the
European Colloquium in Regensburg in June 1994) 100. "Ought developing
countries to develop? And if yes, how?" (at the University of Marburg and
the University of Jena in June 1994) 101. "The intellectual background of
Reiner Schürmann's Heidegger interpretation" (at the Reiner Schürmann
Memorial Symposium in April 1994 in New York) 102. "Moral ends and means
of global demographic policy" (at the symposium "Weltbevölkerung und
Welternährung" of the Deutsche Welthungerhilfe in March 1994 in Bonn;
repeated in English at the World Conference for Sociology in Bielefeld in July
1994 and at the University of Münster in November 1994) 103. "Sociobiology
and ethics" (at the University of Essen in December 1993; repeated at the
University of Mainz in January 1994, at the University of Witten- Herdecke in
December 1994, at the ETH Zürich and at the University of Innsbruck in November
1995, at the University of Ulm in December 1995, in the Forschungszentrum
Jülich in October 1996, in English at the Ohio State University in April 1996,
at the University of Oslo in September 1997 and at the State University of
Florida in Jacksonville in February 2002, in Italian at the University of
Trento in March 2009) 35-VH 8/9/17 8/9/17 104. "How much genetic
engineering, protection of animals and of the environment do we need?"
(discussion at the Tagung der Gesellschaft Deutscher Chemiker in Bonn in
October 1993) 105. "Philosophy and its media" (in English at the 19th
World Congress of Philosophy in Moscow in August 1993; repeated at the Tübinger
Symposium "Platonisches Philosophieren" in April 1994, in Hannover in
November 1998 and in English at the University of Sankt Gallen in May 2001)
106. "Power and morality" (at the University of Zürich in June 1993;
repeated in English at the University of Oslo in September 1993 and at the
University of Bergen in September 1997; at the University of Hamburg in October
1993, at the University of Ulm in December 1995) 107. "Ethics and ontology
in Hans Jonas" (at the University of Konstanz in January 1993; repeated at
the Hofgeismarer conference on Hans Jonas in June 1993, in Italian at the
Lateran University in Rom in January 1996, before the Wissenschaftlicher Verein
Mönchengladbach in January 1997) 108. "Ethics and system theory"
(discussion with Niklas Luhmann at the ETH Zürich in November 1992) 109. Four
lectures on Socrates, Plato and "The essential differences between ancient
and modern philosophy" (in English and Norwegian at the University of Oslo
in October 1992; the last lecture was repeated at the University of München in
November 1992, one of the lectures on Plato in French at the University of
Tours in April 1997) 110. "Ethical principles of peace politics"
(public lecture during the award of the price "The Glass of Reason"
to C-F. von Weizsäcker in Kassel in October 1992; repeated at the Salzburger
Humanismusgespräche in March 1993, at the University Witten-Herdecke in June
1993, in English at the University of Trondheim in September 1993) 111.
"Individual and collective identity crises" (at the conference
"Trauma and Tragedy" in June 1992 in Amsterdam; repeated at the
Philosophisch-Theologische Hochschule Walberberg in October 1993, at Carleton
College and at the Ohio State University in April 1994, at the World Conference
"Medicine and Philosophy" in Paris in June 1994, at the University of
Ulm in December 1995, at the University of Notre Dame in March 1996, in French
at the Ecole Normale in Paris in May 1997) 112. "Ultimate foundation and
categories" (at the conference "Letztbegründung als System?" in
June 1992 in Prague) 113. "The idea of the university in face of the
challenges of the 21st century" (lecture at the conference of the
presidents of German universities in Rostock in May 1992; repeated in January 1993
at the University of Kiel, in May 1993 at the University of Kaiserslautern, in
May 1996 at the University of Nimwegen, in English in September 1993 at the
University of Trondheim) 36-VH 8/9/17 114. "Can Abraham be saved?
And: Can Søren Kierkegaard be saved?" (in Norwegian at the University Oslo
in November 1991; repeated in German before the Leibniz-Society in Hannover in
July 1992, at the University of Köln in June 1994, in English at the University
of Notre Dame in November 2007) 115. Five lectures on "Descartes and
Spinoza" (in English and Norwegian at the University Trondheim in October
1991) 116. "Being and subjectivity. On the metaphysics of the ecological
crisis" (at the Kulturwissenschaftliches Institut Essen in June 1991; repeated
at the University of Vienna in June 1991, at the ETH Zürich in November 1991,
in English at the eleventh Internordic Conference in Odense in August 1995, in
French at the University Laval in Québec in April 2011) 117. "On the
dialectic of strategical and communicative rationality" (at the Dubrovnik
Workshop "Diskurs und Rationalität" in April 1991) 118. "The
Third World as a philosophical problem" (at the Ohio State University in
February 1991; repeated at the conference "Transcendental Pragmatics and
North-South Ethical Problems" in Mexico City in March 1991, at the
University of Tromsrin September 1991 and in Spanish at the Javeriana in Bogotá
and at the University of Fortaleza in April 2002) 119. "Ethical aspects of
capitalism” (at the conference "Wirtschaftsethik" in November 1990 in
Ulm; repeated at the Technische Hochschule Aachen in June 1991, at the
Technische Hogeschool Twente in Enschede in June 1992 and in Spanish at the
Javeriana in Bogotá and at the University of Fortaleza in April 2002) 120.
Eight lectures on "Vico’s philosophy of culture" (at the Moscow State
University MGU in March through May 1990) 121. Five lectures on "The
philosophy of the ecological crisis" as well as five lectures on "The
Essence of Modern Metaphysics (Descartes, Spinoza, Kant, Fichte, Hegel)"
(at the Institute of Philosophy of the Academy of Sciences in Moscow during a
visiting professorship from April till June 1990; two lectures each were
repeated at the University of Rostov at Don in May 1990 as well as at the
University of Minsk and at the University of Novosibirsk in June 1990; one of
the ecological lectures was repeated at the New School for Social Research in
New York in December 1990, at the IISFN in May 1991, at the University of
Tromsö and of Trondheim in September and October 1991, at the Center for the
Study of Developing Societies in Delhi in April 1992, at the Technische
Hogeschool Twente in Enschede in June 1992, at the Wuppertalinstitut in March
1994, at the National Seoul University, the Yonsei and the Myongji Universität
in Seoul, the Hannam University in Taejong and the Keimyung University in Taegu
in March and April 1995, at the University Essen in October 1995; the lecture
on Descartes was repeated at the University Essen in October 1990, the lecture
on Spinoza at the Technische Hochschule Aachen in June 1992) 122.
"Intersubjectivity and freedom of the will in Fichte’s System of
Ethics"" (at the conference "Fichtes Rechtsphilosophie: Die
ersten drei Lehrsätze der "Grundlage 37-VH des Naturrechts""
in March 1990 in Frankfurt) 123. ."Heidegger’s philosophy of
technology" (at the conference for the 100th birthday of Martin Heidegger
in October 1989 in Moscow) 124. "Why has technology become a philosophical
problem?" (at the University of Ulm in September 1989; repeated at the
Technische Hochschule Aachen in February 1990 and at the ETH Zürich in December
1991) 125. Three lectures "Hegel’s System", "Morality and
politics: Machiavelli’s problem", "Transcendental pragmatics" at
the Goethe Institute in Porto Alegre in June 1989 (in Spanish; the first
lecture was repeated at the University of Campinas, the third at the Goethe
Institute in Sâo Paulo) 126. A three weeks seminar (12 hours a week) "From
Kant to Hegel" as well as a three week seminar (4 hours a week) "Antinomies
and dialectic" (together with Prof.Dr. C.Cirne-Lima and Dr.Th.Kesselring)
(at the Universidade Federal de Rio Grande do Sul in Porto Alegre/Brasilien
during a visiting professorship in June 1989; in Italian) 127. "Vico’s
idea of the science of culture" (at the University of Vienna in April
1989; repeated in Italian at the IISFN in May 1989 and in French at the
University of Tours in April 1997; short version at the presentation of the
German and Spanish translations of Vicos "Scienza nuova" in the European
Parliament in Strasbourg in November 1991) 128. "Nature and natural
sciences in Vico’s new science of the spirit" (at the II. Colloquium
"Natur in den Geisteswissenschaften" in April 1989 in Blaubeuren)
129. "The greatness and limits of Kant's practical philosophy" (at
the conference for the 200th anniversary of "The Critique of Practical
Reason" in December 1988 at the New School for Social Research in New
York; repeated in German at the Technische Hochschule Aachen in January 1989
and at the Universität Ulm in February 1990, in English at the School of
Architecture in London in March 1990, at the University of Louisville in
January 1991 and at the University of Tromsö in September 1991 as well as
before the Hegel Society of Korea in Seoul in April 1995, in Spanish at the
Javeriana in Bogotá, the Centro de Extensno Universitaria in São Paulo and the
University Fortaleza in April 2002) 130. "The philosophy of mathematics of
Nicolaus Cusanus" (at the conference of the American Cusanus Society in
October 1988 in Gettysburg) 131. "On the impossibility of a naturalistic
foundation of ethics: Idealism and Materialism" (at the conference
"Die ethische und politische Verantwortung des Wissenschaftlers" in
April 1988 in Köln) 132. "Morality and politics: Machiavelli’s problem"
(at the University of Saarbrücken in January 1988; repeated in English at the
New School for Social Research in April 1988, at Pennsylvania State University
in October 1988, at the New York State University in Purchase in November 1988;
in Italian at the IISFN in May 1989; in German at the University of Regensburg
in November 1989; in English at the 38-VH 8/9/17 University Trondheim in
August 1991) 133. Four lectures on "Hegel’s Logic" (at the IISFN in
March 1987 in Italian) 134. "Law and history in G.Vico" (at the
University of Mannheim in January 1987) 135. "The figurative arts in the
esthetics of German idealism" (at the Hochschule für bildende Künste in
Braunschweig in December 1986) 136. "Hegel's idea of right" (at the
New School for Social Research in December 1986) 137. "On the dialectic of
enlightenment in Vico’s philosophy of history" (at the University of
Frankfurt in November 1986; repeated in Italian at the Circolo George Sadoul in
Ischia in May 1987) 138. "An attempt to locate the historical
Socrates" (at Williams College in October 1986) 139. Sixteen lectures on
"The development of German idealism" (at the IISFN on January through
June 1986 in Italian) 140. "Foundational questions of objective
idealism" (at the conference "Philosophie und Begründung" in Bad
Homburg in May 1986, repeated in English at the University of Bergen in
September 1997) 141. "Moral reflection and decay of institutions. On the
dialectic of enlightenment and counter enlightenment" (at the conference of
the International Hegel-Gesellschaft in March 1986 in Zürich; repeated at
Princeton University in November 1986) 142. "What may and what must the
state punish? Reflections based on Fichte’s and Hegel’s theories of
punishment" (at the conference "Moralität und Sittlichkeit" in
March 1986 in Hamburg) 143. Five lectures on "Hegel’s lectures on the
philosophy of religion" (at the IISFN in December 1985 in Italian) 144.
"Carl Schmitts critisism of the self-cancelation of a valuefree
constitution in "Legalität und Legitimität"" (at the conference
"Il pensiero politico di Carl Schmitt" in December 1985 in Naples in
Italian) 145. "Tasks of philosophy between relativism and dogmatism"
(at the conference "Per un pluralismo non relativistico in filosofia"
in October 1985 in Napels) 146. "An immoral ethical life. Hegel’s
interpretation of Indian culture" (at the conference "Moralität und
Sittlichkeit" in March 1985 in Frankfurt) 147. Seven lectures on "The
development of Greek philosophy from Parmenides till Platon", two lectures
on "Principle of contradiction and dialectic" and one lecture on
"The so-called Münchhausentrilemma" (at the Technische Hogeschool
Twente in Enschede/Netherlands in January 1985) 39-VH 8/9/17 Q1 8/9/17
148. "Anthropology in Fichte" (at the II European-Latin American
symposium for philosophical anthropology in October 1984 in Tübingen) 149.
"The position of Hegel’s philosophy of objective spirit in the system and
its aporia"; "Abstract Right"; "The State" (at the
conference "Anspruch und Leistung von Hegels "Rechtsphilosophie"
in March 1984 in Naples) 150. "Space, time, movement"; "Plant
and animal" (at the conference "Hegel und die
Naturwissenschaften" in October 1983 in Tübingen) 151. Four lectures on
„The esthetics of Greek tragedy" (at the IISFN in March 1983 in Italian)
152. "Theories of the history of philosophy" (at the IISFN in
December 1982 in Italian) At the University of Notre Dame: 1. Nietzsche 2.
Political and Constitutional Theory: Ancient and Modern (Aristotle, Locke, The
Federalist Papers) 3. Schopenhauer,TheWorldasWillandRepresentation 4.
ThePhilosophicalImportanceofDarwin 5. ThomasMann 6. Philosophical Dialogues
(Plato, Abelard, Ficino, Hume, Fichte, Kierkegaard, Feyerabend) 7.
TheoryofComedy 8. PhilosophyofPower 9. Kant’sPoliticalPhilosophy 10. Core
Course on Ecology and Ethics Heidegger, Jonas, Ibsen, Callenbach) (Brown,
Malthus, Bacon, Descartes, 11.Philosophical Dialogues (Plato, Cicero, Anselm of
Canterbury, Bodin, Diderot, Schelling, Murdoch) 12. Hume’s Practical Philosophy
13. Dramas on Political Conflicts (Aeschylus, Sophocles, Euripides, Goethe,
Schiller, Büchner, Grillparzer, Hebbel, Dürrenmatt) 14. Plato before the
“Republic” 40-VH 15. Goethe’s Lives 16. Aristotle’s “Nicomachean Ethics”,
“Politics”, “Rhetorics” 17. Philosophy of mind in the twentieth century (James,
Freud, Husserl, Ryle, McGinn, Kim, Chalmers, Searle, Dennett) 18. Ethics and
Politics in Italian Renaissance 19. The German Quest for God from Goethe to
Nietzsche and Kafka 20. Philosophical Autobiographies (Plato, Isocrates, Augustine,
Abelard, Petrarca, Vico, Rousseau, Hume, Mill, Newman, Nietzsche, Feyerabend)
21. Faust (Marlowe, Goethe, Grabbe, Klaus Mann) 22. Hegel’s Political
Philosophy 23. The Birth of the Humanities from the Spirit of German Idealism
(Friedrich Schlegel, August Wilhelm Schlegel, Schleiermacher, Schelling, Hegel)
24. Vico (Autobiography, On the Method of Studies of Our Time, New Science) 25.
Literary Criticism from Aristotle to Jakobson (Aristotle, Horace, Longinus,
Dante, Boileau, Pope, Schiller, Hegel, Nietzsche, Adorno, Jakobson) 26. Kant’s
Three Critiques 27. Faith, Hope, and Love: Thomas Aquinas and Kierkegaard on
Christian Ethics 28. Plato, “Republic” and “Statesman” 29. German Philosophy in
the 20th century (Husserl, Reichenbach, Gehlen, Habermas) 30. Thomas Aquinas on
the Cardinal Virtues 31. Humanities in the 20th century (Dilthey, Freud,
Ingarden, Panofsky, Strauss, von Wright, Foucault, Dworkin, Sontag) 32. The
late Plato (“Cratylus,” “Theaetetus,” “Sophist,” “Philebus”) 33. The essay
(Montaigne, Bacon, Hume, Kant, Schiller, Nietzsche, Th.S. Eliot, Hans Jonas)
34.The German Quest for God (Hartmann von Aue, Meister Eckhart, Luther,
Grimmelshausen, Lessing, Hegel, Mann, Steinherr) 35.History of Hermeneutics
(Philo of Alexandria, Origen, Augustine, Maimonides, Spinoza, Schleiermacher,
Droysen, Ricœur, Grice, Auerbach) 36. Neo-Platonism: Plotinus and Proclus 41-VH
8/9/17 37. Plato, Laws 38. Making Sense of a Life: Biography and
Autobiography (Plutarch, Tacitus, Hildegard of Bingen, Vasari, Boswell, Rousseau,
Bismarck, Tolstoy, Henry Adams) 39. The late Husserl 40. Greek Drama
(Aeschylus, Sophocles, Euripides, Aristophanes) 41. Ancient Drama (Aeschylus,
Sophocles, Euripides, Aristophanes, Menander, Plautus, Terence, Seneca) At
Heidelberg University in 2015 1. Hermeneutics 2. Hegel, Phenomenology of Spirit
3. Plato, Parmenides (together with Jens Halfwassen) At the University of
Trento in 2008: 1. Morals and Politics At the Northern Institute of Technology
in Hamburg since 2003 every year (with the exception of 2006 and 2009): 1.
BusinessEthicsinaGlobalizedWorld At the Hamburg School of Logistics in 2005,
2007 and 2008: 1. EthicsofPower At Kampala International University in 2006: 1.
Ethics of Development At the Research Institute for Philosophy in Hannover: 1.
Classicsofthephilosophyofbiology(Aristotle,Leibniz,Kant,Darwin, Bergson,
Portmann, Mayr) Driesch, 42-VH 8/9/17 At Ohio State University: 1.
Hegel'sPhilosophyofRight At the Universität Essen: 1. MoralsandPolitics 2.
Descartes,Meditations 3. H.Jonas'philosophyoflifeandethics 4. Aristotle,Physics
5. J.Rawls,Atheoryofjustice 6. Hermeneutics 7. Plato,ApologyofSocrates 8.
L.Wittgenstein,PhilosophicalInvestigations 9. Kierkegaard, Either – Or 10.
Ancient Philosophy 11. The fragments of Parmenides 12. Augustine, The City of
God 13. Plato, The Republic 14. Sextus Empiricus 15. Epistemology 16. Locke, An
essay concerning human understanding 17. Leibniz, Discourse on Metaphysics
18.Rationalism and negative anthropology: Descartes' "Les passions de
l'âme," Pascal's "Pensées," La Rochefoucauld's
"Maximes" (together with Prof. Dr. R.Galle) 19. H.G.Gadamer, Truth
and Method 20. Montesquieu, The Spirit of the Laws 21. Concept and function of
the beautiful in Schiller (together with Prof. Dr. R.Galle) 43-VH 8/9/17
8/9/17 22. Hegel, Philosophy of Right 23. Philosophy of history 24. Burckhardt,
Considerations on World History 25. M.Heidegger, Being and Time 26. Early
modern utopias (together with Prof. Dr. P.Münch) 27. V.Hösle, Morals and
Politics 28. New texts on determinism (Austin, Chisholm, van Inwagen, Planck,
Strawson) 29. Evolution, Knowledge, Ethics (together with Prof.Dr. F.Wuketits
and Dr. G.Klauer) 30. K.R.Popper/J.C.Eccles, The Self and its Brain 31.
Interreligious Dialogues in the Middle Ages (Abelard, Llull) 32. Philosophy of
Religion of the Renaissance At the ETH Zürich: 1.
EthicsandPoliticsfacingtheecologicalcrisis At the University Ulm: 1.
TranscendentalPragmaticsandcontemporaryphilosophy 2.
Aristotle,NicomacheanEthics 3. PhilosophyofTechnology:Heidegger,Gehlen,Habermas,Jonas
At the New School for Social Research: 1. Plato'sUnwrittenDoctrine 2.
FromKanttoHegel 3. Vico,NewScience 4. MoralPhilosophysinceKant 5.
Machiavelli,Discourses;Prince 6. NicolausCusanus 44-VH Honors and Grants
As Tutor: 1. Horkheimer/Adorno,DialecticsofEnlightenment 2. Plato,Latedialogues
3. Theoriesofthehistoryofphilosophyinthe19thand20thcentury 4.
Hegel,Encyclopediaofthephilosophicalsciences 5.
Hegel,EncyclopediaofphilosophicalsciencesII 6. Fichte,Foundationsofnaturallaw
7. Schelling,Philosophyofart 8. Structural problems of objective idealism (2
Semester) After my Accreditation as University Lecturer: 1.
Schopenhauer’sworkonfreedomasanintroductiontothedebateondeterminism 2.
Vico,Onthemethodofstudiesofourtime 3. TranscendentalPragmatics 4.
Lucretius,Onthenatureofthings 5. Aristotle,Politics 6. Spinoza,Ethics 7.
Hobbes,Leviathan 8. Scheler,Essenceandformsofsympathy 9.
Locke,TwoTreatisesofGovernment 10. Leibniz, Theodicy 11. Tocqueville, On the
democracy in America !Member of “Ethics in Action,” founded, among others, by
the Pontifical Academies of Sciences and of Social Sciences as well as by the
UN Sustainable Development Solutions Network 7. Kant'sMoralThought 45-VH
8/9/17 !Visiting Professorship at the University of Heidelberg, 2015 !Meckatzer
Philosophy Award 2014 !Appointed by Pope Francis as Ordinary Academician to the
Pontifical Academy of Social Sciences 2013 !Taught Master Course at the
University of Munich and Research Workshop at the University Duisburg-Essen,
2013 !Acquired together with Associate Director Don Stelluto 1,58 million
dollars from the Templeton Foundation for fellowships at the Notre Dame
Institute for Advanced Study 2012 !Offer to become Director of the Centro di
Scienze Religiose of the Bruno Kessler Foundation in Trent/Italy 2011
(declined) !Offer to become member of the Strategic Committee of the
Wissenschaftsrat for the second part of the German “Exzellenzinitiative”, 2010
(declined) !Best Teacher Award of the Northern Institute of Technology, 2008
!Research Achievement Award of 10, 000 USD from the University of Notre Dame,
2008 ! Rosmini Chair at the University of Trent/Italy, 2008 !Taught Master
Course at the Forschungsinstitut für Philosophie Hannover, 2006 !Member at the
Historical School of the Institute for Advanced Study, Princeton, 2004/05 !Key
Professor at the Northern Institute of Technology in Hamburg, 2002 ff. !
Fellowship at the Erasmus Institute of the University of Notre Dame, 2001-2002
!Offer of a chair position in Political Science from the University of
Regensburg, 2000 (declined) !Offer of a Fellowship at the
Kulturwissenschaftliches Institut Essen, 1999 (declined) !Max Kade
Distinguished Visiting Professor, Department of Philosophy and 46-VH
8/9/17 Service !Humboldt Professor at the University of Ulm, 1995
!Visiting Professor at South Korean universities, 1995, financed by DAAD
!Fellow at the Kulturwissenschaftliches Institut Essen, 1995-1996 !Fritz Winter
Award for outstanding academic achievements ( 50, 000 DM), 1994 !Visiting
Professor at the Department of Ecology, Eidgenössische Technische Hochschule
Zürich, 1992-1993 !Affiliation with the Sociology Department of the University
of Delhi, 1992 !Affiliation with the Philosophy Department of the University of
Trondheim, 1991 !Affiliation with the German Department of Ohio State
University, 1990-1991 !Visiting Professor at the Academy of Sciences and at the
Lomonossov University in Moscow, 1990 (financed by DAAD) !Visiting Professor in
Ulm, 1989-1990 !Visiting Professor at the University of Porto Alegre, Brazil
1989 (financed by DAAD) !Heisenberg Fellowship, 1987-1993 !Fellow at the
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1985-1986 !Visiting Lecturer at the
Technische Hogeschool Twente in Enschede, 1985 !Research fellowship of the
Deutsche Forschungsgemeinschaft, 1982-1984 !Fellowship of the Studienstiftung
des deutschen Volks, 1978-1982 !Fellowship of the Bavarian Begabtenförderung,
1977-1982 !2014 Member of the Commissione giudicatrice della valutazione
comparativa of the University Trento !2008-2013 Director of the new Notre Dame
Institute for Advanced Study !2007 and 2009 Member of the two Strategic
Academic Planning Committees of the University of Notre Dame !2004-2005—Member
of the UNESCO/COMEST group on the precautionary Department of German, Ohio
State University, 1996 47-VH 8/9/17 8/9/17 principle !2002-2003–Member of
the Norwegian commission to promote candidates for full professorship in
philosophy !2001 -- Organized with Christian Illies a conference on “The
Metaphysical implications of Darwinism” at the University of Notre Dame !2000 –
present -- Editor of the series “Faszination Philosophie” with the publisher
C.C. Buchner !2000 – Organized a conference on hermeneutics at the University
of Notre Dame !2000 – Organized lecture series on sustainability in Hannover in
connection with EXPO 2000 !2000 – Organized conference on metaphysics in
Hildesheim !1999 – 2002 -- Member of the Board of Trustees of the European
College of Liberal Arts in Berlin !1999 – present -- Service in many committees
at the University of Notre Dame (both departmental, college and university
level, among which in the Strategic Academic Planning Committee) !1998 –
Organized lecture series on Leibniz in Hannover !1998 – present -- Member of
the Kuratorium of the Jakob-Kaiser-Stiftung !1998 – Responsible Director of the
Forschungsinstitut für Philosophie Hannover !1997 – 2000 -- Member of the
Kuratorium of the Stiftung fur die Rechte zukünftiger Generationen !1997 – 2000
-- Member of the Stiftungsrat of the Petra Kelly-Stiftung !1997 – 1999 – Member
of the group “Coherence” of the Common Conference Church and Development !1993
– 1997 – Member of the Kuratorium of the Akademie Gesellschaft und Wissenschaft
!1993 – 1996 – Member of the group “Economy and Ecology” of the state minister
of ecology of Baden-Württemberg !1990 – 1997 – Member of the Fachbereichsrat
and the Konvent at the University of Essen; Chair of the
Magisterprüfungsasschuss des Fachbereichs !1990 -- present --Member of the
Wissenschaftlicher Beirat and corresponding member of the
Humboldt-Studienzentrum of the University of Ulm !1990 – 2001 – Editor of the
monograph series “Ethik im technischen Zeitalter” with C.H. Beck publishing
house, Munich !1988 – 2000 -- Advisor for several dissertations and master’s
theses at the New School for Social Research, the University of Tübingen, the
University of Essen !1991 – 1998 – Member of the DAAD-Kommission for Southern
Europe 48-VH Languages Employment History 8/9/17 !1990 – Member of the
Commission on the Ethical Evaluation of the abortion pill (RU 486), Hoechst
!1989 –2000 – Offered several seminars on the Ethics of Business to Top
Executives and Managers of Beiersdorff, Hoechst, Bosch and other larger German
firms !1987 – 1990 – Elaborated the general plan for the Multimedia
Encyclopedia of Philosophy for the Italian State Television (RAI); directed
interviews with leading philosophers such as Apel, Feyerabend, Føllesdal,
Rorty, Thieme, Goodman, Hintikka, Jonas, gave myself many interviews on the
history of philosophy and on systematic issues !1986 – 1990 – Participation in
the administrative work of the Istituto Italiano per gli Studi Filosofici,
including the review of manuscripts and the planning of conferences !1986 –
1989 – Wrote four papers for the Office of the Chancellor, Federal Republic of
Germany !1988 – Organized a Kant conference at the New School for Social
Research Active knowledge of German, Italian, English, Spanish, Russian,
Norwegian, and French; passive knowledge of Latin, Greek, Sanskrit, Pali,
Avestan, Portuguese, Catalan, Modern Greek, Swedish, and Danish !2008 – present
– Director of the Notre Dame Institute for Advanced Study !1999 – present –
Paul Kimball Professor of Arts and Letters at the University of Notre Dame (in
the Departments of German, Philosophy, and Political Science); Fellow of the
Nanovic Institute for European Studies and of the Kroc Institute for
International Peace Studies !1997 – 2000 – Director of the Research Institute
of Philosophy in Hannover !1993 – 1997 – Full Professor, University of Essen
!1987 – 1993 – Heisenberg Fellow, Deutsche Forschungsgemeinschaft !1989 –1990 –
Visiting Professor, University of Ulm !1988 – 1989 – Associate Professor with
tenure, New School for Social Research !1986 – Visiting Assistant Professor,
New School for Social Research Birthdate: June 25, 1960 Personal 49-VH
Married, three children German and American citizenVittorio Gronda Hösle.
Hösle. Keywords: “L’inter-soggetivo di Vico” “filosofia prima” “filosofia
seconda”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Hösle: l’implicatura di Vico” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753865907/in/dateposted-public/
Iacono (Girgenti). Filosofo. Grice:
“I love Iacono; for one, he has taken Marx’s chapter on cooperation in Das
Kapital seriously; but as he notes, Marx subverts the order, the symbolic
interaction becomes a super-structure! Iacono recognises the perplexities of
shared intentionality, and finds ways to deal with them conceptually –Insegna a
Pisa. Fra i filosofi che si sono interessati ai rapporti storici e teorici
della filosofia con l’antropologia e la politica. Si occupa di epistemologia
della complessità (“L'evento e l'osservatore”, Bergamo). Fonda “Ichnos,” Laboratorio
filosofico sulla complessità. La sua ricerca mostra un costante confronto con
la filosofia antica: al riguardo, si dedica all’analisi di nozioni quali
feticismo, paura e meraviglia, e all'indagine epistemologica sul tema
dell'osservatore. Tali ricerche gravitano attorno ad una riflessione sul tema
dell'”altro” nelle relazioni storico-sociali e politiche: da qui i saggi sulle
triadi concettuali autonomia, potere, minorità e storia, verità,
finzione. Ne “Il borghese e il selvaggio” analizza l'influenza la figura
di Robinson Crusoe nei paradigmi filosofico-economici di Turgot e Adam Smith
rilevando gli elementi di antropologia occidentalista là dove la
rappresentazione teorica della società e della storia si mostrava nei suoi
aspetti apparentemente semplici, ovvi e trasparenti tali da nascondere con
l'evidenza i presupposti del punto di vista coloniale. In “Il feticismo” (Milano)
studia la genealogia del concetto dalla sua origine nell'illuminista Charles de
Brosses fino a Marx, a Freud e al pensiero contemporaneo, ha contribuito, sul
piano metodologico, all'idea di una storia della filosofia interpretata
attraverso concetti e, sul piano interpretativo, alla messa in evidenza dei mutamenti
semantici del concetto di “fetice”, di origine coloniale che si è trasformato
con Marx e con Freud in due modi di operare, rispettivamente sul mondo
storico-sociale e sul mondo della psiche, basati sulla pratica teorica di
un'antropologia dall'interno. Le fétichisme. In “Paura e meraviglia: storie
filosofiche” (Catanzaro) i temi storiografici dell'illuminismo e del fetice vengono
ripresi e ridiscussi alla luce del pensiero contemporaneo. Il problema
filosofico e politico dell'antropologia dall'interno è stato sviluppato
attraverso la questione epistemologica dell'osservatore. Influenzato da Marx,
ma anche da Foucault e da Bateson, analizza le teorie della storia di Bossuet,
Vico e Droysen attraverso il tema del ruolo dell'osservatore che interpreta gli
eventi sociali e naturali nella loro storicità. Interessato alle teorie
contemporanee dell'”auto-organizzazione” biologica (Atlan, Maturana, Varela), cercato
di reinterpretare il senso epistemologico della storia, la parzialità dei punti
di vista impliciti dell'osservatore e delle sue visioni del mondo, la questione
dell'altro, il rapporto tra scienze storico-sociali e scienze naturali, alla
luce del concetto di complessità. In questa chiave, in “Tra individui e cose”
(Roma) raccoglie i risultati di ricerche che, all'interno dei rapporti fra
filosofia, antropologia e politica, si interrogava attraverso Bateson sull'idea
del ‘pensare per storie' come momento metodologico e critico di un'antropologia
dall'interno in una società come quella occidentale moderna dove le cose si
sostituiscono feticisticamente agli uomini e il conformismo si mostra
incessantemente e paradossalmente come l'irrompere del nuovo. Il problema
della critica sociale e dell'autonomia individuale come decisivo in una società
occidentale che domina il mondo dichiarandosi libera e democratica è al centro
di “Autonomia, potere, minorità” (Milano). Partendo dallo scritto di Kant “Che
cos'è l'Illuminismo?, Iacono si chiede perché in una società istituzionalmente
‘libera' e ‘democratica', all'indomani della fine dei regimi socialisti, il
desiderio di uscire dallo stato di minorità non riesce a vincere il
contrastante desiderio di rimanere nello stato di minorità, perché in sostanza
è così forte la paura di essere autonomi. La questione dell'autonomia lo
ha portato a interessarsi ai temi della verità, dell'illusione e dell'inganno.
Per un'antropologia dall'interno occorre vedere con altri occhi e per vedere
con altri occhi è necessario acquisire uno sguardo d'altrove. I temi
dell'universalismo e della questione dell'altro sono discussi in quest'ottica
in “Storia, verità, finzione” (Roma). La meraviglia che connota il tono emotivo
della conoscenza filosofica deve passare attraverso lo straniamento: essere
straniero a te stesso affinché l'altro non sia straniero a te. L'autonomia può
realizzarsi soltanto nella relazione con l'altro e non, come se l'è immaginato
il pensiero moderno, recidendo ogni legame per poi andarlo a costituire da
padroni. Ma un'antropologia dall'interno è continuamente in tensione con un
senso comune che, conservando le verità condivise ovvero i pregiudizi, tende a
mostrarle come ovvie, naturali, eterne, uniche, a renderle dunque salde e
indiscutibili. Ci si dimentica allora che viviamo in molti mondi, in mondi
intermedi (“Mondi intermedi e complessità” -- Pisa), e che siamo capaci, con la
coda dell'occhio, di percepire sempre un mondo altro da quello in cui siamo
immersi. Perdendo questa percezione perdiamo la nostra capacità di uscire da
noi stessi e dunque la facoltà di essere autonomi. L'illusione, attraverso cui
ci si approssima alla verità, che è consapevolezza critica di un'illusione
stessa (Nietzsche, Pirandello), si trasforma in inganno e in auto-inganno,
sulle cui basi si produce il rischio della costituzione delle regole del
consenso, in una società libera ma senza autonomia. Un'altra direzione di studi
riguarda le genealogie dell'immagine della finestra e del concetto
di illusione nella storia del pensiero occidentale. In quest'ambito di
riflessione Iacono realizza Con altri occhi. Iacono dirige il bimestrale
di politica e cultura Il Grandevetro. Ha collaborato per anni al quotidiano il
manifesto. Fa parte del Comitato scientifico della Scuola di formazione e
ricerca sui conflitti Polemos. Fa parte del comitato scientifico della
Fondazione Collegio San Carlo di Modena. Ha laureato molti studenti al
polo universitario universitario penitenziario della casa circondariale Don
Bosco di Pisa e tuttora collabora a progetti e iniziative per un'effettiva
opera di recupero del detenuto che sconta la pena. Saggi: “L'illusione e
il sostituto. Riprodurre, imitare, rappresentare” (Mondadori, Milano); “Il
sogno di una copia. Del doppio, del dubbio, della malinconia” (Guerini,
Milano); “Storie di mondi intermedi” (ETS, Pisa); “Marx. La cooperazione,
l'individuo sociale, le merci” (ETS, Pisa); Filosofia alle elementari”; “Le
domande sono ciliegie, Manifestolibri, Roma, Per mari aperti. Viaggi tra
filosofia e poesia nelle scuole elementary (Roma); Filosofia alle scuole
superiori”; “La giustizia è l'utile del più forte? Incontro con gli studenti
del Liceo classico «Empedocle» di Agrigento, Pisa; Ra Racconti L'accelerato, in
Favolare Antonia Casini e Giovanni Vannozzi, MdS editore, Pisa, La scelta, in Gabbie, Michele Bulzomì,
Antonia Casini, Giovanni Vannozzi, MdS editore, Pisa PSYCHOMEDIA JOURNAL OF EUROPEAN
PSYCHOANALYSIS. Alfonso Maurizio Iacono Studi su Karl Marx La
cooperazione, l’individuo sociale e le merci vai alla scheda del libro su
www.edizioniets.com Edizioni ETS www.edizioniets.com ©
Copyright 2018 Edizioni ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
info@edizioniets.com www.edizioniets.com Distribuzione Messaggerie Libri SPA
Sede legale: via G. Verdi 8 - 20090 Assago (MI) Promozione PDE PROMOZIONE SRL
via Zago 2/2 - 40128 Bologna ISBN 978-884675158-4 ISSN
2420-9198 PREFAZIONE La notizia dei braccialetti che l’ingegner Cohn ha
brevettato per il controllo dei lavoratori di Amazon (più educatamente e
ipocritamen- te, per migliorare l’efficienza del lavoro) merita, al di là delle
polemi- che contingenti, qualche riflessione su un mondo nascosto e dimenti-
cato che tuttavia esiste su questo pianeta e non si vede: il mondo dello
sfruttamento sul lavoro e la lesione della dignità di chi lavora. Mi serve un
libro, vado su Amazon, lo cerco, lo trovo. C’è anche la versione ebook. Non è
la stessa cosa del libro fisico, ma ha due vantaggi. Costa molto meno e, cosa
importantissima, dopo avere pagato, lo ottieni in Kindle con un semplice click.
Non è la stessa cosa del libro fisico per un’altra ragione. L’impaginazione è
diversa e non corrisponde affatto a quella del libro. Questo complica le cose
non tanto al lettore di un romanzo giallo, per esempio, o di racconti in
generale, quanto allo studioso o, più in generale, a colui che ha bisogno del
documento ori- ginale. Mettiamo comunque che voglia e trovi il libro fisico e
lo ordini, magari con un sistema veloce che pago in sovrapprezzo. Devo supe-
rare una frustrazione. Non posso averlo subito. Non ce l’ho lì davanti sullo
scaffale di una libreria. Vedo la copertina online. Devo aspettare uno o
qualche giorno. Peggio se lo acquisto nel week end. Una piccola frustrazione,
senza dubbio, ma nel nostro pianeta, che è un’immensa raccolta di merci fisiche
e virtuali, siamo ormai abituati ad avere tutto e subito, e aspettare non è
facile. Ogni nostro desiderio è un ordine che il mercato può eseguire per
soddisfarlo, e poter girare fra le merci, libri o divani o qualunque altra
cosa, in modo virtuale, da un lato ti dà un senso di straordinaria, gioiosa
potenza, dall’altro però ti produce una sensazione di mancanza. Vuoi mettere
andare al negozio e provare la giacca, anzi peggio ancora le scarpe o i
pantaloni per vedere se ti stanno? Certo, online risparmi. Inoltre, a ovviare a
quella sensazione di mancanza derivata dal fatto che il desiderio
dell’acquirente non si può soddisfare immediatamente, vi è la precisione
rigorosa nella con- segna. Tutto sembra perfetto, ma a quale prezzo? Al prezzo
dello sfruttamento di chi la merce la deve impacchettare, spostare, consegnare.
Un prezzo che il cliente non vede. Non è una novità. Il braccialetto
dell’ingegner Cohn è l’ultimo ritrovato di una lunga storia del lavoro. Karl
Marx aveva fatto vedere bene come stavano realmente le cose nei processi di
produzione delle merci. Quel genio che era Charlot aveva rappresentato una
straordinaria parodia del sistema di sfruttamento del lavoro dell’operaio nel
famoso film Tempi moderni, dove il lavorato- re doveva adattarsi alla velocità
del sistema automatico di produzione. In epoca più recente ricordo che perfino
zio Paperone cercò di usare le scimmie per il lavoro a catena, ma fallì perché
perfino esse non riusci- vano ad adattarsi. Negli anni ’70 Michel Foucault
scrisse Sorvegliare e punire, un’analisi cruda dell’organizzazione di un
carcere, il cui sistema di controllo era simile a quello elettronico
rappresentato dai braccia- letti. Lo sfruttamento del lavoro e la lesione della
dignità dei lavoratori, checché se ne dica, non sono diminuiti negli anni,
anzi, nonostante le leggi, sono probabilmente aumentati. Dietro la concorrenza
e la libertà di mercato, dietro le luci dei supermercati reali o virtuali,
dentro quelle nuove caverne di Platone che sono i centri commerciali di Los
Angeles, Dubai, Shanghai, Milano e al di là della finestra dei nostri computer
o tablet da cui acquistiamo online, vi è ancora il lato oscuro, materiale e
psicologico, del dispotismo sul lavoro che oggi nessuno vuol vedere, talvolta
nemmeno chi lo subisce. Fino a quando qualcuno di sabato sera, nel suo tempo
libero, si siede al bar e chiede di bere, vi sarà sem- pre qualcun altro che
dovrà preparare il cocktail e un altro ancora, magari extracomunitario, che lo
porterà con un vassoio. Il tempo li- bero di uno è il tempo di lavoro di altri.
L’idea che il lavoro sparisca e in particolare sparisca il lavoro manuale mi
pare sinceramente, questa sì, una bubbola neoliberista. Meno si vede il lavoro
sfruttato e meglio è per il neoliberismo. La tecnologia espelle il lavoro e
toglie l’occupa- zione, ma non lo fa sparire. Lo disloca altrove e non lo
concentra più in grandi spazi chiusi. Ed è questo che ha messo in totale
confusione la sinistra nel mondo. Accade con il lavoro quello che accade con la
merce. La compri ma non ti accorgi della quantità di lavoro sociale che ci è
voluto per produrla e poi metterla sul mercato. Ti bevi il cocktail ma non vedi
nemmeno in faccia il cameriere che te lo porta e che sta lavorando mentre tu ti
riposi e a cui forse lascerai una mancia. Il primato del tempo libero è un buon
modo per soggiacere al neoliberismo. Potremmo davvero vivere in ozio permanente
nel tempo libero? È questo a cui aspiriamo? E perché allora, occupati,
disoccupati, precari, siamo tutti depressi? Certo il lavoro troppo spesso è
odioso, ma allora il problema è l’odiosità del lavoro, il suo
sfruttamento, non la sua fine. Dietro l’ordine online che facciamo su Amazon vi
sono la- voratori che con la testa e con le mani portano, impacchettano, spedi-
scono, trasportano e ai quali si vuole mettere il braccialetto elettronico di
controllo. Non credo che con tutta la tecnologia li si possa sostituire con dei
robot, ma credo che con tutta la tecnologia li si possa usare schiavisticamente
come dei robot. Una cosa è lottare per riappropriarsi del lavoro e della sua
qualità, altra cosa è rifiutarlo. È nella chiave della riappropriazione del
lavoro che è ancora valido, a mio parere, il vecchio slogan “lavorare meno,
lavorare tutti”, così come la gratuità della forma- zione scolastica e
universitaria. In uno scritto recentissimamente pubblicato in Italia, Realismo
capitalista (Nero, Roma 2018), ma uscito in lingua inglese nel 2009, nel bel
mezzo dell’esplodere della crisi economica, Mark Fisher, scrittore, filosofo,
critico musicale britannico, morto suicida lo scorso anno, ha cercato di
rispondere alla famosa affermazione della Signora Marga- ret Thatcher secondo
cui al sistema in cui viviamo non c’è alternativa. Un’affermazione vincente
che, togliendo al futuro ogni possibilità di accompagnare la politica, lo fece
a suon di licenziamenti e ristruttu- razioni aziendali che sarebbero diventati
un modello per tutto il capi- talismo occidentale. A sinistra cominciarono i
laburisti con il pentito Blair a fare propria la visione thatcheriana, e il
modello neoliberista si diffuse quasi ovunque con l’accentuarsi vistoso e
potente delle di- seguaglianze e attraverso l’ideologia oggi ancora dominante
secondo cui tutto il mondo deve essere modellato come un’azienda. Ideologia che
oggi paradossalmente trova quasi più critiche a destra che non a sinistra.
Avere tolto ogni alternativa futura ha di fatto azzerato le si- nistre. Il loro
ruolo è spesso diventato quello un po’ servile di tampo- nare più o meno
malamente gli effetti collaterali del neoliberismo, del dominio della
privatizzazione, dello sperpero del bene comune, della devastazione ambientale,
senza neanche riuscirci. Scrive Mark Fisher: “Qualsiasi posizione ideologica
non può affermare di avere raggiunto il suo traguardo finché non viene per così
dire naturalizzata, e non può dirsi naturalizzata fino a quando viene recepita
in termini di principio anziché come fatto compiuto”. Le sinistre non
potrebbero accettare il neoliberismo come principio, ma se viene naturalizzato
come un fatto compiuto allora è diverso. In fondo i dirigenti politici sono
tutto som- mato abbastanza ben pagati e sufficientemente fragili culturalmente
per scomodarsi a mettere in discussione ciò che è dato come naturale e
scontato. “Nel corso di più di trent’anni, continua Fisher, il
realismo capitalista ha imposto con successo una specie di ontologia
imprendi- toriale per la quale è semplicemente ovvio che tutto, dalla salute
all’e- ducazione, andrebbe gestito come un’azienda”. Oggi l’aziendalismo è un
vero delirio ideologico. I lavoratori sono imprenditori di se stessi, così
costano meno alle aziende e possono essere meglio sfruttati, le scuole e le
università e gli ospedali invece di pensare alle loro rispettive missioni,
affogano penosamente nell’ansia generalizzata della competi- tion, versione
metropolitana e neoliberista della giungla. Benvenuti nel realismo capitalista!
Questo libro raccoglie studi su Marx che ho portavo avanti a par- tire dagli
anni ’70 sui temi della cooperazione e della sua ambivalenza, sul suo metodo,
sulle sue concezioni antropologiche. Nonostante siano accadute molte cose nel
corso del tempo, dalla fine dell’era industriale alla caduta del muro di
Berlino, dalla crisi irreversibile dei partiti operai al trionfo del
neoliberismo, alcuni punti, che molti, troppo spesso ab- bacinati dal mantra conservatore
del nuovo e del cambiamento, hanno abbandonato, a mio parere, restano fermi.
Primo fra tutti il lavoro e in particolare il lavoro cooperativo, grazie a cui,
come sostiene Marx, gli uomini si spogliano dei loro limiti individuali e
sviluppano la facoltà della loro specie e a causa del quale, nello stesso
tempo, essi, dopo aver subito il dispotismo e il disciplinamento di fabbrica,
introiettano oggi il dispotismo e il controllo della produzione. E ciò mentre
vivono la condizione illusoria di essere imprenditori di se stessi, dopo che
dal comprensibile desiderio della flessibilità si ritrovano nella miseria mate-
riale e psicologica della precarietà del lavoro. Non hanno più né tempo né
possibilità di progettare il futuro e, del resto, è proprio il futuro che è
stato tolto, perché esso oggi si mostra al massimo e quasi soltanto come
mantenimento dell’esistente, quando non come una devastazione catastrofica del
presente. Nessuno ha il coraggio di guardare altrove, là oltre l’orizzonte,
dove poter immaginare una vita diversa dalla libera, depressiva solitudine
degli iperconnessi che convive con naturalezza insieme alla schiavitù del
lavoro nella gran parte del mondo. Eppure è proprio quello che serve. In un
libro di alcuni anni fa1 avevo cercato di affrontare il tema dell’autonomia
individuale consapevole della lacuna che vi era e cioè del fatto che il tema
dell’autonomia si deve porre dentro le condizioni della natura dell’uomo in
quanto animale sociale e dunque all’interno delle relazioni sociali. Non vi può
essere autonomia in senso proprio (1 A.M. Iacono, Autonomia, potere, minorità,
Feltrinelli, Milano) senza eguaglianza delle relazioni sociali. Forse,
riprendendo l’argomen- to della facoltà cooperativa degli uomini e del fatto
che essi devono riappropriarsene a partire dal lavoro, si potrebbe ripercorrere
una stra- da che nel corso tempo ha cambiato il suo tracciato e il cui manto è
attualmente pieno di buche. Desidero ringraziare Silvia Baglini, Giacomo
Brucciani, Enrico Campo, Francesco Marchesi, Luca Mori, Giovanni Paoletti.
Dedico questo libro alla memoria di Nicola Badaloni, Marco, che mi introdusse
agli studi su Marx. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Versione largamente rivista
di Divisione del lavoro e sviluppo della facoltà della specie umana in Marx,
originariamente pubblicato in «Critica marxista», n. 3, 1977, pp. 109-114.
Capitolo Secondo Sull’ambivalenza della cooperazione, in Ecologia, Esistenza,
Lavoro, (Officine Filosofiche), a cura di M. Iofrida, Mucchi, Bologna 2015, pp.
33-50. Capitolo Terzo Versione modificata del saggio apparso originariamente
con il titolo Sul concet- to di ‘trasparenza’. Un’immagine di asssociazione di
uomini liberi nel ‘Capitale’ di Marx, in «Metamorfosi», n. 4, 1981, pp.
126-139. Capitolo Quarto Versione largamente modificata di un saggio apparso
originariamente con il titolo Rapporti economici e rapporti sociali in Marx, in
«Prassi e teoria», n. 6, 1980, pp. 137-156. Capitolo Quinto Versione modificata
del saggio originariamente pubblicato in «Annali della Scuola Normale
Superiore», vol. XVIII, 2, 1988, pp. 549-766 (relazione al semi- nario dedicato
a Bachofen tenuto alla Scuola Normale Superiore e coordinato da Arnaldo
Momigliano). Capitolo Sesto Versione modificata di Sul concetto di feticismo,
in «Studi Storici», n. 3⁄4, 1983, pp. 429-436. Capitolo Settimo Versione
modificata di Concezione antropologica e concezione storica in Marx. Il caso
particolare del ‘feticcio della merce’, in aa.VV., Antropologia, prassi, eman-
cipazione. Problemi del marxismo, a cura di G. Labica, D. Losurdo, J. Texier,
Quattroventi, Urbino 1990. DIVISIONE DEL LAVORO E SVILUPPO DELLA FACOLTÀ
DELLA SPECIE UMANA IN MARX 1. In un luogo del capitolo sulla cooperazione, Marx
afferma: “Nella cooperazione pianificata con altri l’operaio si spoglia dei suoi
limiti individuali e sviluppa la facoltà della specie”1. La facoltà della
specie umana consiste nella capacità che hanno gli operai riuniti insie- me e
combinati secondo le figure della cooperazione di produrre una quantità di
oggetti superiore a quella che lo stesso numero di operai sarebbe in grado di
produrre se ciascuno di essi lavorasse isolatamente. Questa idea è già in Adam
Smith, attraverso il famoso esempio del- la fabbrica di spilli, come ragione di
superiorità del modo capitalistico di produzione, basato essenzialmente sulla
manifattura, sui precedenti modi di produzione2. Sappiamo che, per Marx, la
cooperazione è “la forma fondamentale del modo di produzione capitalistico”3 e
precisa- mente è la forma che attraverso le sue figure tende a svuotare le
facoltà individuali degli operai e a trasferirle ai mezzi di lavoro. Nella
figura più complessa di cooperazione capitalistica, quella del macchinismo,
questo trasferimento si realizza completamente. La storia del passaggio dalla
cooperazione semplice, alla manifattura, alle macchine, può essere letta come
la storia della perdita delle facoltà individuali lavorative degli operai
singoli in ragione dello sfruttamento derivante dallo sviluppo tecnico del
processo capitalistico di produzione. Già in A. Smith, nel Libro V della
Indagine ecc., si ritrova la descrizione della perdita delle facoltà degli
operai sottoposti alla divisione del lavoro nella manifattu- ra. Questa perdita
di facoltà è posta come ragione di inferiorità della classe operaia nei confronti
dei popoli selvaggi, dove non sussiste la divi- sione del lavoro: rispetto ai
selvaggi, lo sviluppo delle facoltà individuali degli operai appare in ragione
inversa della crescita della quantità di 1 K. Marx, Il capitale, I, trad. D.
Cantimori, Editori Riuniti, Roma 1964, p. 371. 2 Cfr. A. SMIth, Indagine sulla
natura e le cause della ricchezza delle nazioni, ISEDI, Milano 1973, Libro I,
cap. I e A. SMIth, La ricchezza delle nazioni. Abbozzo, trad. V. Parlato,
Editori Riuniti, Roma 1969. 3 K. Marx, Il capitale, cit., p.
377. AMBIVALENZA DELLA COOPERAZIONE Il ritorno dell’uomo come animale
sociale Dopo anni di elogio dell’individualismo nel bel mezzo della glo-
balizzazione, mentre ritornava in un modo piuttosto primitivo l’abusa- ta
metafora della mano invisibile, qualcosa è cambiato. Dopo l’euforia degli anni
’80, un po’ di attenzione si è spostata da una filosofia inge- nua (ma
estremamente vantaggiosa per alcuni) dell’individuo verso la facoltà
collaborativa e cooperativa degli uomini. In un certo senso è tornata, se non
proprio al centro, almeno lateralmente, l’immagine ari- stotelica dell’uomo
come zòon politikón, dell’uomo cioè, come ebbero a tradurre Seneca e Tommaso
d’Aquino, come animale sociale. L’elemen- to sociale è tornato a essere considerato
come costitutivo della forma- zione dell’individuo sul piano etico, politico e
cognitivo. Recentemente il sociologo Richard Sennett ha pubblicato un libro che
significativa- mente ha per titolo Insieme ed è un’indagine sulla facoltà
cooperativa degli uomini esplicitamente influenzata dalle teorie di Amartya Sen
e Martha Nussbaum. “Le idee di Amartya Sen e Martha Nussbaum, egli scrive, sono
state per me fonte di ispirazione e costituiscono il tema di fondo che orienta
questo libro: le capacità di collaborazione delle per- sone sono di gran lunga
maggiori e più complesse di quanto la società non dia loro spazio di
esprimere”1. In sostanza la facoltà cooperativa degli uomini, nel nostro
sistema sociale, non riesce ad esprimersi ap- pieno e in particolare non
assicura la piena realizzazione delle capacità emotive e cognitive umane. Lo
scenario che emerge da questa tesi è dunque in primo luogo che la società non
riesce a realizzare la facoltà cooperativa umana e in secondo luogo che tale
facoltà si realizza grazie alle capacità emotive e cognitive e viceversa, nel
senso che, queste, a loro volta, si realizzano appieno soprattutto nella
collaborazione e nella cooperazione. 1 R. Sennett, Insieme. Rituali, piaceri e
politiche della collaborazione, Feltrinel- li, Milano 2012, p. 41. DIETRO
C’È SEMPRE QUALCOS’ALTRO Un’immagine di associazione di uomini liberi e l’idea
di trasparenza La trasparenza nasconde sempre qualcosa. Più precisamente na-
sconde ciò che viene tolto per far sì che l’immagine renda trasparenti i rapporti
che si vogliono rappresentare. Nell’economia politica, quel- le che Marx
chiamava “robinsonate”avevano un importante significato epistemologico:
semplificare e rendere per l’appunto trasparenti i rap- porti economici
complessi del modo di produzione capitalistico. Que- sto processo di
semplificazione presupponeva sempre una scelta in ciò che si voleva
rappresentare o, in altri termini, un taglio nel quadro rap- presentativo che
presupponeva un privilegiamento di una determinata struttura visiva invece di
un’altra. Nell’immagine di Robinson ciò che Defoe vuol far vedere è il rap-
porto tra il protagonista del suo romanzo e lo spazio naturale che egli deve
trasformare per renderlo utile alla sua sopravvivenza. Il comporta- mento di
Robinson è il comportamento del borghese nel suo rapporto con la natura
attraverso il lavoro. Ed in effetti, da questo punto di vista, il rapporto tra
Crusoe e le cose è chiaro e trasparente: “Il suo inventario dice Marx contiene
un elenco degli oggetti d’uso che possiede, delle diverse operazioni richieste
per la loro produzione, e infine del tempo di lavoro che gli costano in media
determinate quantità di questi diversi prodotti”1. L’effetto di trasparenza
appare dato da alcune condizioni complesse che già decidono i contorni
dell’immagine e dunque la par- zialità di una rappresentazione semplificata del
comportamento di un individuo alle prese col proprio lavoro. Baudrillard ha
osservato che la trasparenza della relazione di Robinson con le cose è
truccata2, ma la chiave del trucco è rintracciabile già nella stessa immagine
descritta da 1 K. Marx, Il capitale, cit., p. 109. 2 L. baudrIllard, Per una
critica dell’economia politica del segno, Mazzotta, Milano 1974, p.
148. IL METODO DI MARX E L’USO DELL’ASTRAZIONE 1. A più riprese Marx ha
sottolineato che il porre l’uomo isola- to all’origine dello sviluppo sociale e
del processo storico è un assur- do. Nelle Forme che precedono la produzione
capitalistica, egli osserva come sia semplice raffigurarsi che un uomo potente
possa servirsi di un altro uomo “come di una condizione naturale preesistente
della sua riproduzione”1, e fare dell’esercizio del dominio il suo specifico
lavoro allo scopo di far lavorare altri uomini per lui; presupporre cioè una
divisione del lavoro tra signore e servo prima che siano state poste le
condizioni originarie, comunitarie per la riproduzione della vita de- gli
uomini. “Ma una simile idea è assurda – per quanto possa essere giusta dal
punto di vista di certe organizzazioni tribali o collettività – in quanto essa
parte dallo sviluppo di uomini isolati. L’uomo si isola soltanto attraverso il
processo storico”2. La questione posta da Marx non è, ovviamente, nuova.
Ferguson, per esempio, aveva già sostenuto la necessità di considerare la
specie umana in gruppi e di condurre l’indagine storico-sociale avendo come
oggetto la società intera e non gli uomini separatamente presi3. In generale
tutta la cosiddetta “scuola storica scozzese” aveva posto il problema di uno
studio della storia umana a partire dagli uomini riuniti in società ed aveva
sottolineato che il fattore chiave per comprendere lo sviluppo delle diverse
società era il “modo di sussistenza”4, da cui si potevano spiegare costumi,
leg- gi, forme di governo. È stato sostenuto, a questo proposito, che Marx 1 2
3 Bari 1999, 4 K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia
politica, II, cit., p. 123. Ibidem. A. FerguSon, Saggio sulla storia della
società civile (1767), Laterza, Roma- p. 6. Cfr. W. robertSon, History of
America (1777), in Works, Hill, Edinburgh V, p. 111; e J. MIllar, The Origin of
the Ranks (1771), ristampato in W.C. 1818, vol. lehMann, John Millar of
Glasgow, Cambridge University Press, Cambridge 1960, p. 175 (trad. it. J.
MIllar, Osservazioni sull’origine delle distinzioni di rango nella società,
Fran- coAngeli, Milano 1989). BACHOFEN, ENGELS, MARX La pubblicazione ad
opera di Krader degli estratti etnologici, l’ultimo lavoro di Marx, rimasto
incompiuto, impone di discutere del ruolo di Bachofen nell’Origine della famiglia
di Engels, che segnò la fortuna del Mutterrecht nel marxismo, tenendo conto di
questo labora- torio. La ragione è semplice: il libro di Engels è basato su
tali appunti, e certamente, comparando lo scritto di Marx con quello di Engels,
balza subito agli occhi il ben diverso peso che Bachofen ha nei due casi.
D’altra parte la frammentarietà degli appunti marxiani non rende sem- plice il
lavoro, ma non ci si può accontentare di segnalare le differenze di Marx e di
Engels su Bachofen senza fare almeno un tentativo di interpretare il senso
della ricerca di Marx al momento della sua morte. Si tratta di provare a
capire, se è possibile, quale significato abbia la grande presenza di Bachofen
nell’opera di Engels, laddove la cosa non è affatto riscontrabile nel Marx che
sta lavorando su quel Morgan che, a sua volta, sarà la base dell’Origine della
famiglia. Ma, data appunto la frammentarietà del testo di Marx, l’unica via
praticabile sembra quella di considerare in primo luogo il contesto teorico
entro cui Marx stava operando e riflettendo. 1. Il laboratorio di Marx
L’Origine della famiglia, la cui prima edizione è del 1884, fu pre- sentata da
Engels come l’“esecuzione di un lascito”1. Marx, morto un anno prima, aveva
lasciato ad uno stadio rudimentale il suo lavoro su Morgan, Phear, Maine,
Lubbock, Kovalevskij2. Si trattava in gran parte 1 F. engelS, L’origine della
famiglia, Editori Riuniti, Roma 1963, p. 33. 2 The Ethnological Notebooks of
Karl Marx (Studies of Morgan, Phear, Maine, Lubbock), cit.; L. krader, The Asiatic
Mode of Production. Sources, Development and Critique in the Writings of Karl
Marx, Van Gorcum, Assen 1975 pp. 343-412: K. Marx, Excerpts from M.M.
Kovalevslcij. Sugli appunti di Marx; cfr. inoltre, L. achenza, Sui Taccuini
etnologici di Marx, in «ASNP», S. III, XIV, 1984, pp. 1385-1416; P.
greMIgnI, SUL CONCETTO DI «FETICISMO» IN MARX Il concetto marxiano di
feticismo delle merci è stato analizzato da due punti di vista: quello del suo
rapporto con il concetto di alienazione e l’altro della sua connessione con la
teoria del valore. È possibile tut- tavia affrontare il problema in modo
diverso, forse più ovvio: a partire cioè dalla fonte usata da Marx per la
formazione di questo concetto. Si tratta dell’opera di Charles de Brosses, Du
Culte des Dieux fétiches, pub- blicata anonima a Parigi nel 1760, che Marx
aveva studiato a Bonn nel 1842 in una traduzione tedesca di Pistorius del 1785,
e di cui aveva fatto degli estratti1, come del resto di altri testi, tra i
quali quello di Meiners sulle religioni2 che riprende il tema brossiano.
Considerato il problema da questo angolo visuale, si potrà vedere che il
concetto marxiano di feticismo, che diventerà successivamente il concetto di
feticismo delle merci, è carico di implicazioni che forse consentono di precisare
alcune questioni teoriche ad esso connesse. 1. Il concetto di feticismo
ripropone, come è noto, il problema delle apparenze, cioè dello scarto
esistente tra l’essere sociale e le im- magini “nebulose e fantastiche”
attraverso cui l’essere sociale è visto e concepito dagli uomini. Un tema che
percorre la riflessione di Marx nel corso di tutta la sua biografia
intellettuale, ma che nel feticismo delle merci assume un valore specifico. Ed
è proprio per questo che appa- re necessario percorrere specificamente la
strada dello sviluppo di tale concetto, anche perché, inoltre, in esso si
possono rilevare due momen- ti importanti del procedimento teorico di Marx,
certamente carichi di 1 K. Marx, Fetischismus, MEGA 2, vol. IV/1, Dietz, Berlin
1976. 2 C. MeInerS, Allgemeine kritische Geschichte der Religionen, 2 voll.,
Hannover 1806-1807. Su Meiners come volgarizzatore di de Brosses, cfr. M.
daVId, La notion de fétichisme chez Auguste Comte et l’oeuvre du présidente de
Brosses ‘Du culte des dieux fétiches’, in «Revue de l’Histoire des Religions»,
t. CLXXI (1967), n. 2, e S. landuccI, I filosofi e i selvaggi, Einaudi, Torino
2014. ANTROPOLOGIA E STORIA IN MARX. IL CASO PARTICOLARE DEL «FETICCIO DELLA
MERCE» La nozione di carattere di feticcio della merce costituisce un momen- to
particolare e privilegiato per un’analisi del rapporto fra concezione
antropologica e concezione storica in Marx. Le ragioni di questa parti-
colarità e di tale privilegio risiedono principalmente nei seguenti fatto- ri:
a) nell’uso stesso del concetto di «feticcio» mutuato dalla tradizione
etnologica e storico-religiosa a partire dal colonialismo; b) nella torsione
teorica che il concetto di feticcio e la nozione di «feticismo» giocano nel
corso dello sviluppo del pensiero di Marx; c) nel fatto che il «carattere di
feticcio della merce» costituisce un aspetto molto specifico e comples- so
dell’idea di rovesciamento provocato dalla coscienza ideologica nei confronti
della realtà; d) nel fatto, infine, che la nozione di «feticcio» ap- plicata alla
merce viene a definite la funzione simbolica dell’oggetto eco- nomico-sociale
e, all’inverso, la funzione economico-sociale dell’oggetto simbolico. Di questi
quattro fattori, lo svolgimento dei primi due con- sente di capire come
l’applicazione del concetto di «feticcio» alla merce capitalistica significhi,
almeno per quel che riguarda questo punto, un radicale mutamento strategico e
teorico del concetto stesso rispetto alla sua storia e all’accezione fino ad
allora comune e dominante in campo filosofico, etnologico e storico-religioso.
E lo sviluppo del pensiero di Marx conferma, a mio parere, il senso di tale
mutamento. I secondi due fattori aprono molte questioni interpretative, in
particolare riguardo al rapporto fra condizioni reali della forma di vita
sociale e forme della coscienza e dell’ideologia, alla specificità ed
eccezionalità storica del si- stema capitalistico, al problema dell’osservatore
che si trova ad operare e interpretare in quel groviglio che è il sopraddetto
rapporto fra condizioni della vita sociale e ordine simbolico e culturale. Ma,
soprattutto, possono forse aiutare a comprendere il senso della separazione fra
la struttura ca- pitalistica delle relazioni fra gli uomini e gli individui in
quanto tali; cioè del modo particolare in cui le relazioni si autonomizzano
dagli individui, e la «comunità», originariamente concreta, deposita i rapporti
nelle cose, andando a costituire un astratto sistema di vincoli
sociali. INDICE Prefazione 5 Riferimenti bibliografici 11 1. Divisione del
lavoro e sviluppo della facoltà della specie umana in Marx 13 2. Ambivalenza
della cooperazione 35 3. Dietro c’è sempre qualcos’altro 55 4. Il metodo di
Marx e l’uso dell’astrazione 67 5. Bachofen, Engels, Marx 85 6. Sul concetto di
«feticismo» in Marx 101 7. Antropologia e storia in Marx. Il caso particolare
del «feticcio della merce» 111 Indice dei nomi 119 philosophica L’elenco
completo delle pubblicazioni è consultabile sul sito www.edizioniets.com alla
pagina http://www.edizioniets.com/view-Collana.asp?Col=philosophica
Pubblicazioni recenti 208. Alfonso Maurizio Iacono, Studi su Karl Marx. La
cooperazione, l’individuo sociale e le merci, 2018, pp. 124. 207. Imre Toth, Le
sorgenti speculative dell’irrazionale matematico nei dialoghi di Platone, a
cura di Romano Romani e Paolo Pagli, prefazione di Romano Romani. In
preparazione. 206. Alessandra Fussi, Per una teoria della vergogna, 2018, pp.
164, ill. 205. Alberto Pirni, La sfida della convivenza. Per un’etica
interculturale, 2018, pp. 308. 204. Matteo Galletti, Reciprocamente
responsabili. La responsabilità morale tra naturalismo e normativismo, 2018,
pp. 296. 203. Linda Bertelli, L’utopia nell’estetico. Tempo e narrazione in
Ernst Bloch, 2018, pp. 152. 202. Andrei Pleșu, Pittoresco e malinconia.
Un’analisi del sentimento della natura nella cultu- ra europea, traduzione e
cura di Anita Paolicchi, prefazione di Victor I. Stoichita, 2018, pp. XII-216.
201. Danilo Manca, La disputa su ispirazione e composizione. Valéry fra Poe e
Borges, 2018, pp. 176. 200. Russo Maria Teresa, Esperienza ed esemplarità
morale. Rileggere Le due fonti della mora- le e della religione di Henri
Bergson, 2017, pp. 100. 199. Filieri Luigi, Vero Marta [a cura di], L’estetica
tedesca da Kant a Hegel, Prefazione di Leonardo Amoroso, 2017, pp. 176. 198.
Flamigni Gabriele, Presi per incantamento. Teoria della persuasione socratica,
Prefazione di Maria Michela Sassi, 2017, pp. 144. Edizioni ETS Piazza
Carrara, 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com - www.edizioniets.com Finito
di stampare nel mese di maggio 2018. Di consequenza, e la cooperazione, cosi
come di dispiega nella conversazione, a determinare que moni intermedi che
presuppongon non un io ma un noi. Alfonso Maurizio Iacono. Iacono. Keyword:
feticismo conversazionale. Il Vico di Iacono. Il Pirandello di Iacono, la
cooperazione. Imitare, imago, imaginario collettivo di Jung -- Luigi Speranza, “Grice ed Iacono:
l’implicatura dell’intermezzo” – The Swimming-Pool Library.
Grice ed Illuminati –
il filosofo all’opera – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I like Illuminati, especially
his essay on Rousseau, between solipsism and conversation!” -- La città e il
desiderio. Viene meno un modo di fare in cui la soggettività potente si
appropria il mondo subordinando le altre potenze soggettive e realizza la sua
essenza destinale mediante adeguati meccanismi di rappresentazione e
manipolazione tecnica. (108-109) Come utilizzare regole pubblicamente valide
senza colpevolizzare e controllare dall'altro le forme di vita degli uomini è
precisamente l'antinomia della cittadinanza. La politicizzazione di sfere
inabituali va insieme alla diserzione di istituzioni sclerotiche. Una ricaduta
pratica ne è l'integrazione delle strutture rappresentative con nuove lobbies o
la richiesta di quote per minoranze Nel lasciar-essere che si contrappone alla
tracotanza istituzionale convivono cosi l'ancora-non-rappresentato che cerca
lobbisticamente rappresentazione, e rifiuto radicare di rappresentazione. Professore
associato di storia della filosofia politica, dall'anno accademico ha assunto
la cattedra di storia della filosofia, dove è stato chiamato come
straordinario. Insegna a Urbino. Fa parte anche del Collegio dei docenti del
Dottorato di ricerca in antropologia filosofica e fondamenti delle scienze e
del Collegio dei docenti del Dottorato di Ricerca in Filosofia Moderna e
contemporanea (Bari-Ferrara-Urbino). E' inoltre presidente del Corso di laurea
in filosofia. Ha scritto: Sociologia e classi sociali, ed. Einaudi,
Torino); “Kant politico, ed. La Nuova Italia, Firenze); Società e progresso
nell'illuminismo francese, ed. Argalia, Urbino); Jean-Jacques Rousseau, ed. La
Nuova Italia, Firenze); J.-J. Rousseau e
la fondazione dei valori borghesi, ed. il Saggiatore, Milano); Antologia con
introduzione (pp. V-XXX) e note) di J.-J. Rousseau, Il contratto sociale, ed.
La Nuova Italia, Firenze); Gli inganni di Sarastro, ed. Einaudi, Torino); Il potere "disseminato", in Aa.Vv.,
Lavoro Scienza Potere, ed. Feltrinelli, Milano); Winterreise, ed. Dedalo,
Bari); Racconti morali, ed. Liguori, Napoli); Sentimenti dell'aldiqua (in
collaborazione con Aa.Vv.), ed. Theoria, Roma-Napoli); La città e il desiderio,
ed. manifestolibri, Roma); Aa.Vv., Democrazia difficile, Roma, ed. il
Passaggio); Nuove servitù (in
collaborazione con Aa.Vv.), ed. manifestolibri, Roma); Introduzione a P. Nizan,
Aden Arabia, ed. Fahrenheit, Rom); Esercizi
politici —quattro sguardi su Hannah Arendt, ed. manifestolibri, Roma); Averroè
e l'intelletto pubblico –antologia di scritti di Ibn Rushd sull'anima,
introduzione (e cura, ed. manifestolibri, Roma); Il teatro dell'amicizia
–metafore dell'agire politico, ed. manifestolibri, Roma); Quasi una fantasia. Funzioni cognitive dell'immaginazione
nei commentatori di Aristotele in Aa.Vv., Imago in phantasia depicta. Studi
sulla teoria dell’immaginazione, a cura di Lia Formigari, Giorgio Casertano,
Italo Cubeddu, ed. Carocci, Roma, Quasi una fantasia. Funzioni cognitive
dell'immaginazione nei commentatori di Aristotele, in Materiali per una storia
e teoria dell’immaginazione, “Quaderni dell’Istituto di Filosofia-Urbino” Il
filosofo all'Opera, -- Bellini, Verdi -- ed. manifestolibri, Roma); Completa
beatitudo: l'intelletto felice. Tre opuscoli sulla. congiunzione con
l'Intelligenza Agente. Ed. l'Orecchio di van Gogh, Chiaravalle); Del
comune -cronache del general intellect, Roma, manifestolibri, Bandiere.
Dalla militanza all'attivismo, Roma, DeriveApprodi. Grice: “I enjoyed
Illuminati’s treatment of Rousseau’s myth of the social contract, since I made
use of it!” – ‘Imagine is a good thing, but is there such a thing as
co-imagine?” -- Augusto
Illuminati. Illuminati. Keywords: il filosofo all’opera. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice ed Illuminati” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752902177/in/dateposted-public/
Grice ed Incardona –
Questo è l’uomo – filosofia italiana – filosofia siciliana – gl’inferi del
principio -- Luigi Speranza (Palermo). Filosofo. Grice: “I like Incardona; for
one, he gave seminars on ‘la costanza dell’io,’ as I did! Second, he used Greek
freely, as I do! Third, he is slightly incomprehensible, as I am SAID to be!”
Insegna a Palermo. Studia nel Liceo classico Ruggero Settimo. Direttore del
Giornale di Metafisica, fondato da Sciacca. La tematica fondamentale di
Incardona è la "filosofia del principio", un percorso nella storia
della filosofia sul volto all'interrogazione riguardo al fondamento e
all'archè. Le due categorie concettuali attraverso cui legge la storia della
filosofia sono l'arcaicità, identificata con Aristotele, e l'arcaismo,
identificato con Hegel. Aristotele ed Hegel sono infatti nella filosofia del
principio le due porte, l'inizio e la fine, l'elemento e il compimento della
filosofia. Il percorso della filosofia e un percorso aporetico, in cui la
dialettica assume l'aspetto di un dialogo senza soluzione fra tensione naturale
alla conoscenza e fallimento destinale dell'impresa conoscitiva. Ha influenza
che nel campo dell'ermeneutica. Il suo contributo determinante è stata la sua
riflessione non scettica ma aporetica sull'archè. La questione aristotelica del
‘principio’ (ontologico ed epistemologico, di non contraddizione e teologico
come Dio) viene colta ed elevata da questione logica a questione esistenziale.
Compagni di strada naturali, sebbene fortemente criticati da Incardona, sono,
in questa sorta di teologia negativa, Derrida e Heidegger. In essi è infatti
rintracciabile la tematica privativa e mistico-antirazionale del rapporto con
l'assoluto. L'unica cosa che si può dire dell'assoluto è che esso non è alla
nostra portata, esso nasconde al filosofo il volto come all'esule è nascosta la
patria. Sebbene veda nella filosofia post-hegeliana una sorta di
"pleonasmo" che non ha più alcuna utilità nella società contemporanea
(antifilosofia), sembra che le sue intuizioni più originali e più feconde
nascano proprio da una rielaborazione personale delle tematiche ermeneutiche di
Heidegger. Saggi: “Idealismo della filosofia ed esperienza storica” (Epos,
Palermo); “Idealismo tedesco ed italiano” (Epos, Palermo); “Gl’inferi del
principio. Interrogazione e invocazione” (Epos, Palermo); “Karpòs” (Epos,
Palermo); “Meditatio in curriculo mortis”
(Epos, Palermo); “Kéntron” (Epos, Palermo); "L'inclusione dell’altro.
Profilo di Giuseppe Nicolaci", Epekeina. International Journal of
Ontology, History and Critics. Grice: “I used to use ‘principle’ very freely
until I met Incardona. My conversational principle of cooperativeness became an
‘imperative’ – the conversational imperative – ‘let’s cooperate!’ – under which
the different conversational maxims fall. Incardona says that talk of
‘principle’ usually leads you to an aporia, or to hell! “l’inferi del
principio’!” Nunzio Incardona. Incardona.
Keyword: Questo è l’uomo, principio,
principio conversazionale, arcaismo, arcaico, arcaita – principium – imperative
– Kant – Hegel – Aristotle -. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Incardona” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752880912/in/datetaken/
Grice ed Infantino –
diada conversazionale – il rischio dei solidali -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Gioia
Tauro). Filosofo. Grice:
“I like Infantino: for one, he prefaced an essay on ‘the perils of solidarity,’
which is all my conversational pragmatics is about!” Insegna a Roma. La sua
filosofia si svolge infatti nel solco tracciato da Hayek che coniuga le acquisizioni di
Mandeville e dei moralisti scozzesi con quelle della Scuola Austriaca di
Economia. Cura Menger, Boehm-Bawerk, Mises e Hayek. Pubblica “L’ordine
senza piano: le ragioni dell’individualismo metodologico” (Roma, NIS) “Ignoranza
e libertà” (Soveria Manneli, Rubbetino); “Individualismo, mercato e storia
delle idee”; “Potere. La dimensione politica dell’azione umana” (Soveria
Manneli, Rubbettino). Vede nelle conseguenze inintenzionali delle azioni umane
intenzionali l’oggetto delle scienze sociali, che vengono in tal modo
affrancate da qualsiasi psicologismo. È il tema sollevato da Mandeville e dai
moralisti scozzesi, ripreso poi con forza da Menger e Hayek. Non sono le
intenzioni dei singoli (o quelli che sono stati infelicemente chiamati “spiriti
animali”) a spiegare i fenomeni sociali. Occorre piuttosto individuare le
condizioni che rendono possibile o impossibile un dato evento. Tale tradizione
di ricerca ha come suo presupposto il riconoscimento dell’ignoranza e della
fallibilità umane. Da cui discende l’abbattimento del mito del “Grande
Legislatore”, il cui posto viene occupato dal processo sociale, cioè dalla co-operazione
volontaria. Questa costituisce un procedimento di esplorazione dell’ignoto e di
correzione degli errori. Ed è su tale teoria della società che Infantino si
muove per spiegare il fenomeno del potere, da lui studiato come potere infra-sociale,
derivante cioè dall’inter-azione, e il potere pubblico, ossia il potere
d’intervento dello Stato nella vita sociale. La competizione minimizza il
potere infra-sociale, perché non c’è un unico agente che offre o un unico
agente che richiede. Il potere pubblico si minimizza o si limita, attribuendo
allo Stato un’esclusiva funzione di servizio nei confronti della cooperazione
sociale volontaria. Pubblicato “Cercatori di Libertà” (Soveria Mannelli, Rubbettino,
), in cui è ospitato un suo scritto che ha fatto da introduzione a “A proposito
di Rousseau”, dedicato da Hume alla rottura dei suoi rapporti con Rousseau. Gli
altri saggi della raccolta si occupano di Constant, Mises, Hayek (Luigi
Einaudi). Cubeddu e Reichlin hanno
curato “Individuo, liberta, e potere: studi in onore di Infantino” (Rubbettino
Editore) di scritti in suo onore, a cui hanno contribuito numerosi studiosi di
ispirazione liberale. Altre opera: Sociologia dell'imperialismo:
interpretazioni liberali, Milano, FrancoAngeli); “Dall'utopia al totalitarismo:
Marx, Dio e l'impossibile, Roma, Borla); “La societa aperta, Roma, Quaderni del
Centro di metodologia delle scienze socialiLUISS Guido Carli; “Metodo e
mercato, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Destra: una parola ormai inutile” Soveria
Mannelli, Rubbettino); “Scuola austriaca di economia: album di famiglia, Soveria
Mannelli, Rubbettino); “Le ragioni degli sconfitti: nella lotta per la scuola
libera, Roma, Armando); “Le scienze sociali” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Individualismo,
mercato e storia delle idee, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Idee di libertà.
Economia, diritto, società” (Soveria Mannelli, Rubbettino); Cercatori di
libertà, Soveria Mannelli, Rubbettino);Potere: la dimensione politica
dell'azione umana, Rubbettino, Soveria Mannelli.Grice: “Pure il nostgro piu
spontaneo desiderio di aiutare gli altri “esige un patto anticipato fra almeno
due persone”, chi propone e chi accetta. Come avviene in ogni altro rapport
intersoggetivo, amicia e amore compresi, c’e nella solidarieta uno ‘scambio,’
in cui devono essere presenti la disponibilita a dare e la disponsibilita a
ricevere. Étymol. et Hist. 1. 1584 dr. obligation solidaire (J. Duret,
Commentaire aux coustumes du duché de Bourbonnois, § 35, p. 274); 2. id. « se
dit des personnes liées par un acte solidaire » (Id., ibid.); 3. 1739-47 « se
dit des personnes qui ont une communauté d'intérêts ou de responsabilités »
(Caylus, Œuvres badines, X, 41); 4. 1834 « se dit des choses qui dépendent
l'une de l'autre » (Béranger, Acad. et Cav. ds Littré); 5.1861 mécan. « se dit
des pièces d'un engrenage dont le fonctionnement est lié » (M. Cournot, Traité
de l'enchaînement des idées fondamentales dans les sc. et dans l'hist., t. 1,
p. 80). Dér. de solide*; suff. -aire1*, pour rendre compte du lat. jur. in
solidum « pour le tout », « solidairement ». Fréq. abs. littér.: 436.
Fréq. rel. littér.:xixes.: a) 358, b) 277; xxes.: a) 947, b) 829. Società di
mutuo soccorso associazioni di lavoratori sorte per sopperire alle carenze
dello stato sociale Lingua Segui Modifica Le Società operaie di mutuo
soccorso (SOMS) sono associazioni, nate in Italia intorno alla seconda metà
dell'XIX secolo.[1] Cesare Pozzo (1835 - 1898), pioniere del
mutualismo italiano Targa della SOMS sull'esterno della sede ad Arquata
Scrivia Le forme originarie videro la luce per sopperire alle carenze dello
stato sociale ed aiutare così i lavoratori a darsi un primo apparato di difesa,
trasferendo il rischio di eventi dannosi (come gli incidenti sul lavoro, la
malattia o la perdita del posto di lavoro). StoriaModifica Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Storia dello stato sociale
in Italia: l'età liberale (1861-1921). Le SOMS nacquero come esperienze di
associazionismo e mutualità, coeve alla protoindustria, per rispondere alla
necessità di forme di autodifesa del mondo del lavoro. Dopo l'ondata
rivoluzionaria del 1848 la loro diffusione subisce un notevole incremento
grazie alla concessione di costituzioni liberali negli antichi Stati italiani.
Prima di tale data la libertà di associazione era fortemente limitata ed
ostacolata dagli ordinamenti nati nel clima poliziesco della Restaurazione.[1]
Il funzionamento delle SOMS venne regolato con la legge 15 aprile 1886, nº
3818. Giuseppe Moricci, L'artigiano cieco e la sua famiglia,
1851[2] All'epoca della I Internazionale (1864), erano già sorte le prime
Società di Mutuo Soccorso o di mutuo appoggio, nate con lo scopo di darsi
solidarietà e/o chiedere aiuto ad altri ceti sociali. L'"età d'oro"
delle società di mutuo soccorso è nei due decenni tra il 1860 e il 1880. In
particolare, nel periodo dal 1871 al 1893, le Società si unirono tra loro nel
Patto di fratellanza, di ispirazione mazziniana e saffiana.
Successivamente a questo tipo di esperienza che alcuni (tra i quali Bakunin)
consideravano paternalistica, si affiancarono altri tipi di organizzazione di
lavoratori che sostituirono alla concezione mutualistica e solidaristica quella
sindacale e partitica. Le società di mutuo soccorso continuarono tuttavia ad
espandersi sia come numero di associazioni (che toccò il picco di 6722 nel
1894)[3]che di associati (il culmine è nel 1904 con 926.000 soci)[4]. Le
società di mutuo soccorso svolgono un grande ruolo agli esordi delle prime
organizzazioni sindacali. Nel 1891 saranno le SOMS a creare la Camera del
Lavoro di Torino[5][6]. A Milano il 2 e il 3 agosto 1891, si radunarono i
delegati di 450 Società Operaie di Mutuo Soccorso che decisero di costituire
sindacati di categoria riuniti in Camere del Lavoro.[7] Il biennio 1898-99Modifica
Il 1898 fu in Italia l'anno di una grave crisi politica sfociata in una
sommossa in molte città d'Italia, in particolare Milano. La reazione
governativa fu particolarmente pesante, furono sciolte molte organizzazioni
socialiste[8] e quelle cattoliche facenti capo all'Opera dei congressi[9][10]
Il clima di diffidenza investì anche le società operaie, accusate di svolgere
attività sindacale. Gli ambienti più aperti reagirono al clima di pesante
controllo da parte del governo presieduto da Luigi Pelloux (che ricopriva anche
l'incarico di ministro degli interni) sulle associazioni di carattere sindacale
e politico,[11] fondando nuove associazioni che svolgevano compiti di aiuto
economico ai piccoli imprenditori. In questo clima nella frazione Ronchi San
Bernardo fondarono una Società Agricola operaia. Per ribadire il valore
dell'associazionismo ripiegarono su attività sociali che non potevano essere
accusate di avere valenza politica. Le società agricole-operaieModifica
Il 1898 era anche un anno caratterizzato dalla grande crisi agraria: le zone
vinicole erano state devastate dalla fillossera e dalla peronospora. La formula
trovata dai settori più progressisti ed illuminati fu quella del rilancio di
strutture che assicurassero agli agricoltori la fornitura dei mezzi di
produzione (sementi, concimi, macchine agricole) a prezzi calmierati e di buona
qualità. Il governo, che non prendeva nessun altro provvedimento a favore del
mondo agricolo, dovette tollerare che iniziativa come quella dei piccoli proprietari
di Courgnè avevano intrapreso, sotto il modello di fratellanza delle
"società operaie" dopo aver chiarito che l'oggetto sarebbe stato il
sostegno alla produzione e non attività politica. Pertanto fu chiarito che per
essere ammesso come socio, occorreva dimostrare di essere proprietario sia pure
di un piccolo appezzamento di terreno agricolo.[12] L'autorità di polizia
aveva provveduto nel maggio 1898 allo scioglimento di molte società di mutuo
soccorso, al sequestro del loro patrimonio, e da una interrogazione
parlamentare dell'onorevole Bertesi, sappiamo che nel dicembre successivo non
era stato dissequestrato.[13] L'eccezionalità della costituzione della
Società Agricola Operaia Ronchi San Bernardo di Courgnè è dato che persino
nell'anno seguente il giornale La Stampa segnalava che le Società operaie
venivano chiuse senza che avessero dato alcun pretesto[14] Di altro esempio di
costituzione di Società Agricola Operaia c'è l'anno successivo a
Trapani[15] Al fiorire delle iniziative sparse a livello locale
corrispose, poi, uno sforzo unificante. Il ruolo di acquisire i mezzi di
produzione agricola si spostò a livello provinciale nei Consorzi agrari,
coordinati a livello nazionale dalla Federconsorzi Le iniziative locali, quando
sopravvissero, ebbero solo la valenza di meri circoli che gestivano il massimo
centro di aggregazione delle piccole località rurali: l'osteria, ma salvando a
volte una valenza associativa.[16][17] La società di Cuorgnè riuscì così a
raggiungere i 120 anni, continuando a svolgere attività di carattere sociale e
filantropico[18][19] Il NovecentoModifica Il 5 settembre 1900 nasce la
Federazione italiana delle società di mutuo soccorso. L’articolo 1 dello
Statuto di allora recitava così: “È costituita la Federazione Italiana delle
Società di Mutuo Soccorso al fine di provvedere alla tutela degli interessi
delle Società federate e contribuire a migliorare moralmente e materialmente la
condizione delle classi lavoratrici a mezzo della previdenza". Fin dalle
origini la Federazione fu al fianco del movimento cooperativo e del movimento
sindacale, formando un’alleanza allora fondamentale per l’affermazione dei
diritti dei lavoratori e della legislazione sociale. Con decreto
prefettizio, la Federazione italiana delle società di mutuo soccorso fu sciolta
nel periodo fascista insieme alle SOMS, anch'esse sciolte o incorporate in
organizzazioni fasciste. Nel 1948 la Federazione fu ricostituita e assunse la
denominazione di Federazione italiana della mutualità (Fim). La
sede della SOMS di Villa del Foro (Alessandria) durante il periodo fascista
Verso la fine degli anni cinquanta, quando le SOMS ripresero ad espandersi, la
società italiana era profondamente cambiata: i lavoratori avevano ottenuto
maggiori tutele, erano state introdotte le pensioni ed era stata estesa la
protezione nel campo sanitario(almeno per il lavoro dipendente), mentre scarsa
era la "copertura" per professionisti e lavoratori autonomi; nei loro
confronti si spostò quindi la maggior parte del lavoro svolto dalle SOMS.
A seguito della rinnovata attenzione alle forme di mutualità integrativa al
welfare pubblico, dopo il congresso del 1984, la Fim diventò Federazione
italiana della mutualità integrativa volontaria (Fimiv).[20] A partire dagli
anni 2000 le SOMS hanno poi rivolto la loro attenzione soprattutto verso
l'assistenza sanitaria integrativa. Alla fine del 2007 viene costituita la
Società Generale di Mutuo Soccorso Basis Assistance che nel 2012 incorpora per
fusione prima Mutua 1886 e poi Mutua Sarda, diventando la più grande mutua
sanitaria italiana per numero di assistiti. Il 25 ottobre del 2011 prende
forma l'Associazione Nazionale Sanità Integrativa (ANSI) nuova realtà capace di
tutelare, aggregare e sostenere le diverse forme mutualistiche operanti in
Italia. L'ANSI è frutto dell'unione di 8 tra fondi sanitari e società di mutuo
soccorso, tra cui Mutua Basis Assistance, fondo C.A.S.P.I.E., Cassa di
Assistenza Basis Assistance, Mutua Unica e Mutua Sarda. Nel 2015, il
Fondo FASV – Fondo di Assistenza Sanitaria Integrativa di Assolombarda – ha
approvato il progetto di fusione per incorporazione nella Società Generale di
Mutuo Soccorso, Mutua Basis Assistance che diviene effettivo il 1º gennaio del
2016. Nell'aprile del 2017 l'Associazione Nazionale di Sanità Integrativa
cambia denominazione sociale, trasformandosi in Associazione Nazionale Sanità
Integrativa e Welfare, con l'intento di dare voce a tutte quelle realtà che si
affacciano al mondo del welfare aziendale. Sono oltre 500 le società di
mutuo soccorso attualmente aderenti alla Fimiv, collegate direttamente o
attraverso i coordinamenti territoriali associati, per complessivi 953.000 tra
soci e assistiti, questi ultimi intesi come familiari dei soci e iscritti ai
fondi sanitari gestiti in mutualità mediata. Nel 2016 le società di mutuo
soccorso della Federazione hanno partecipato all’integrazione dell’assistenza
sanitaria pubblica mediante prestazioni e sussidi erogati ai soci e assistiti
per un valore di 95 milioni di euro, pari a oltre il 78% dei contributi raccolti.
A garanzia della capacità di copertura delle prestazioni, gli accantonamenti
complessivamente destinati dalle società di mutuo soccorso a riserva
indivisibile ammontano a oltre 100 milioni di euro.[21] La Fimiv svolge
il ruolo di rappresentanza, promozione, sviluppo e difesa delle società di
mutuo soccorso e degli enti mutualistici che vi aderiscono, fornendo loro
assistenza e servizi di sostegno e organizzando convegni ed eventi pubblici
come la Giornata nazionale della Mutualità giunta alla sua IX edizione. Si
adopera per la diffusione e la tutela dei principi della mutualità ed esige il
rispetto del Codice identitario della mutualità da parte delle sue
associate.[22] La Fimiv Aderisce alla Lega nazionale delle cooperative e
mutue, al Forum nazionale del Terzo Settore e all’Associazione internazionale
della mutualità (Aim). Nel 2001 è stata riconosciuta dal Ministero dell’interno
quale Ente nazionale con finalità assistenziali, ai sensi della legge n.
287/1991 e dei decreti del Presidente della Repubblica n. 235/2001 e n.
640/1972. Lorenzo Infantino. Keyword: co-operazione. Il diadismo metodologico,
diadismo conversazionale, statalismo, tottalitarismo, liberalism, partito
liberale italiano, collettivismo, cooperazione, competizione, solidale, solidario,
solidarii, solidali, le code francais, obligatio in solidum, oligatio in
solidum and solidarity, obbligazione in solidum e solidarieta, J.Vincent,
L’extension en jurisprudence de solidarite passive. I. Mazeaud, Obligation in
solidum et solidarite entre codebiteurs delictuels.’ Infantino. Keywords: diada
conversazionale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Infantino: il diadismo
conversazionale” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754325374/in/dateposted-public/
Grice ed Iorio – torna
a Sorrento – filosofia italiana – Luigi Speranza (Seravezza). Filosofo. Grice: “The line and the circle is what
Chomsky would call a NP, but there’s two books on it by Italian philosophers!
Oddly, I visited Sorrento on my way to Greece!” Si laurea a Pisa con Campioni.
Studia filosofia antica. Opere: La linea e il circolo” (Genova, Pantograf). Genesi,
critica, edizione; D'Iorio e N. Ferrand, Pisa. ffetto da numerosi
problemi di salute e da un disturbo agli occhi, nel suo viaggio verso il Sud
dell’Italia, da Napoli raggiunge Sorrento via mare, alloggiando nella pensione
Allemande-Villa Rubinacci, ospite di Malwida von Meisenburg, una ricca mecenate
delle arti. Ne rimase subito folgorato, tanto da restare per più di sei mesi. A
suo dire, questo soggiorno fu uno dei più felici della sua tormentata vita. The
influence of philosophical irrationalism upon Mussolini’s fascism is evident
from his readings and studies. Mussolini read avidly from the works of
Schopenhauer, Nietzsche, and Sorel. The works of Marx were also an influence on
Mussolini. One must remember from the outset that all of Mussolini's readings
serve only to enhance his own pragmatic theories, and that Mussolini values action
and experience more than doctrine; nevertheless, the trend of Mussolini's
thoughts and actions clearly shows that the greater part of whatever influence previous
philosophers had upon him falls within the realm of irrationalism. Christopher
Hibbert, II Duce (Boston, Toronto); Chester C. Maxey, Political Philosophies
(New York); Herman Finer, Mussolini's Italy (London)’ Benito Mussolini, My
Autobiography, translated by Richard Washburn Child (New York). Mussolini
derived from the pessimistic philosophy of Schopenhauer and the irrational
theories of Nietzsche and Sorel the basic idea that a human life as such has no
sacred value. This evaluation of human existence is expressed by the Fascist
theorist Giovanni Gentile, and Mussolini heartily concurred with his
spokesman.'* With this general attitude toward humanity, the more complex
doctrines of Fascism attained greater palatability for Mussolini and his
generation of Italians. The influence of Nietzsche on Mussolini is quite
obvious. Certain passages from the two men's writings are almost
interchangeable. Nietzsche's ideas are perverted by Mussolini, and the Italian
dictator uses Nietzsche's terminology more than he used the true essence of
Nietzsche's thoughts. However, the general influence of Nietzsche on Fascism
remains apparent. In general, Nietzsche's concepts of the transvaluation of
values, the eternal struggle for power, the moral value of violence, elitism,
and the supremacy of the super-man are the most important aspects of
Nietzsche's philosophy that influence Mussolini. William K. Stewert, "The
Mentors of Mussolini," American Political Science Review, XXII. In
general, Mussolini's thinking was greatly influenced by the wave of
irrationalism which had swept the European intelligentsia of the nineteenth and
early twentieth centuries. This fact is important in two respects. Primarily,
an understanding of philosophical irrationalism provides an opportunity for an
insight into Mussolini's thoughts. Many of the irrational concepts were
incorporated in toto into the Fascist ideology. In addition to this,
philosophical irrationalism in its several manifestations had imbued the post-World
War generation with a detestation of the values of the current European order,
and had originated new possibilities for trans-forming these values into
something more worthwhile. This gives Mussolini a whole generation of
dissatisfied and disillusioned Italians to mold into Fascists, and it also
affords him the advantage of speaking to this culture in terms which it already
understood and held faith in. The development of philosophical, irrationalism
in Continental Europe permeated philosophy and political thought in Italy.
Responsible Hegelianism represented in Italy by Croce is a polemical anathema
to any philosophy espousing myths and the blind struggle for power as
determinents in the course of history.^ Mussolini and his spokesmen used
Hegelian terminology as an ad hoc rationalization for totalitarian terror. The
irrational theories of action, elitism, and instinctual knowledge are more
philosophically congruent with Fascist thought, and that part of Italy's
intelligentsia which acknowledged this symmetry were at least on firmer ground
philosophically than the Fascist Hegelians. The segment of Italy's scholarly
community which contributes to the irrational doctrines of Fascism was
in-exorably linked in both thought and action to the politics of Benito
Mussolini. Several Italian men of letters owed a debt to philosophical
irrationalism, and some of these scholars' theories were woven into the
attitudes of Mussolini. This connection between the irrationalism of part of
Italy's intelligentsia and the career of II Duce represents yet another link in
the chain of thought reaching from philosophical irrationalism in Continental
Europe to the dictatorial terror of Italian Fascism. Reactionary
authoritarianism had been promoted by many Italian intellectuals around the
turn of the century. The Nationalist Party was founded by intellectuals of this
political posture. The Nationalist Party favored imperialism and opposed
democratic representative government. Among the members of this party were the
philosopher Alfredo Rocco and Annunzio. Rocco later became a prominent Fascist
spokesman. Annunzio was the most renowned literary figure in Italy. This
reactionary philosopher fed the Fascist myth with exaggerated expressions of
the glories of ancient Rome and incorrect racial doctrines concerning the
origin of the Italian people. in the growth of Italian extremism, and he was
joined by Mussolini in the loosely-knit Nationalistic movement which solidified
into the Fascist Party. Prior to his active participation in the Fascist drive
to power, Mussolini travels and studies in Switzerland. He attends lectures
given at Lausanne by the respected social economist Vilfredo Pareto. Pareto's
social theories had strong overtones of irrationalism, and his primary emphasis
is on the preponderance of irrational human behaviour within the political
process. This irrational conduct, according to Pareto, manifests itself in
various "residues" such as traditional mores, folkways, political
ideologies, and established social values. 13 ^S. William Halperin, Mussolini
and Italian Fascism (Princeton), William Bolitho, Italy under Mussolini {New
York). Annunzio became a popular
rabble-rouser . The course of events in any society is characterized by
constant conflict, and order is achieved only when an elite governing class
exercises control over the irresponsible masses. The elite gains control and
exercises power through a combination of force and the use of the
"residues," which adopt a mythological character. These theories of
Pareto were a strong influence on Mussolini. He was especially impressed by
Pareto's emphasis on the elite as the only body capable of restoring and
preserving the social order that incompetent administrators had allowed to
disintegrate. Pareto and Sorel shared the ideas of elitism, myths, and 19 the
use of force as integral parts of social existence. Mussolini's admitted
respect for Sorel as a teacher correlates with the avid interest of Mussolini
in the lectures of Pareto. The common irrational theories, especially those of
Pareto con- cerning the use of force for political purposes, made a lasting *0
impression on Mussolini. Pareto and Mussolini came to respect each other's
ideas in a reciprocal manner. Less than ten years after Mussolini attended
Pareto's lectures, the renowned social economist was writing articles which
lauded Fascism. Mussolini returned this common ideological admiration by
appointing Pareto to a seat in the Fascist Senate in 1923- active participant
in the totalitarian regime of Mussolini. Rocco's involvement in reactionary and
extremist political movements culminated in his role as an important Fascist
governmental official and spokesman. Rocco helps found the nationalistic
journal Politica. which published. The respected academician ended his days as
an serious scholarly articles by Nationalistic theorists. was named
Under-Secretary of the Treasury by Mussolini in the first Fascist government, '
and he eventually became the Fascist Minister of Justice. address expressing
the basic statement of doctrine formed Fascism. It was later reiterated and
expanded by II Duce and his other Fascist spokesmen. Rocco delivers an tenets
of Fascism. This initial the basis of the philosophy of Rocco's Fascist
Manifesto, entitled The Political Doctrine of Fascism, incorporates the
arbitrary ideas of the movement (Herbert W. Schneider and Shepard B. Clough.
Making Fascists (Chicago)» Roy MacGregor-Hastle, The Day of the Lion (New
York), Rocco into a single body of thought. This document contains
numerous reverberations of philosophical irrationalism, and interwoven with
these reverberations are most of the concepts of Italian Fascism. The
relationship is so close that the two schools of thought are, in most cases,
indistinguishable from each other. Rocco proclaims the value of emotional and
instinctual action which is so reminiscent of Schopenhauer, Nietzsche, Bergson,
and Sorel. Fascism is, above all else, action and sentiment. Were it otherwise,
it could not keep up that immense driving force, that renovating power which it
now possesses. Only because it is feeling and sentiment, only because it is the
unconscious reawakening of our profound racial instinct, has,.it the force to
stir the soul of the people. The biological nature of man's participation in society,
a concept emphasized by Nietzsche, Bergson, and Sorel, is used by Rocco as a
justification for the subordination of human beings to the growth of the
Fascist state. He says that individual men and groups of men are given life by
the organic nation, and that the development of the nation results in a greater
collective life and growth that transcends the existence of mere individuals.
The individual existence has Rocco, excerpts from The Political Doctrine of
Fascism, reprinted in Communism. Fascism, and Democracy, edited by Carl Cbhen
(New York) value only in the contribution which it makes to the life of the
organic state. The valuation of man as an element that must contribute to the
growth of the state culminates in the justification and glorification of war.
The survival and improvement of the organic nation require a sacrifice which
may be inimical to the interests of an individual. The sacrifice and
destruction of individuals in war are necessary for the sustenance of the
nation. The negation of an individual's worth necessitates the existence of an
elite force to govern society. The masses are too involved in their own selfish
interests to be trusted with the reins of government. Only a chosen few are
capable of ignoring their own interests and devoting their lives to the greater
needs of the whole society. There exists in each culture a natural elite which,
because of its superior intelligence and cultural background, is capable of
administering the governmental functions of a nation. The most important gift
of this elite is its ability to decide matters of state through instinct and
intuition. almost identical to that found in the philosophies of Sorel and This
theory of elitism is Pareto, and the members of the theoretical elite bear a
striking resemblance to Nietzsche's superman and Schopenhauer's creative
genius. The collective life of the individual, according to Rocco, makes him an
active participant in the panorama of Italian history. The individual is
sustained by the myth of Imperial Rome. The authority of the state and the
primacy of its ends constitute the legacy of Rome. Rome is the greatest and
most powerful state in the history of the world, and it maintained its eminence
through the sacrifice of its citizens' blood and its citizens' lives. The myth
of Imperial Rome is rejuvenated and sustained by Fascism; Rocco admonished the
Italian people to honor their heritage. Fascism restores Italian thought in the
sphere of political doctrine to its own traditions which are the traditions of
Rome after the hour of sacrifice comes the hour of unyielding efforts. To our
work, then, fellow countrymen, for the glory of Italy. Rocco obviously took
heed of the theories of Sorel and Pareto on the necessity of a myth to inspire
a people. Rocco's The Political Doctrine of Fascism reflects the obvious
influence of philosophical irrationalism. In this Fascist document are echoes
of Schopenhauer, Nietzsche, Bergson, Sorel and Pareto. The concepts of blind,
struggling will as a sustainer of life, the biological nature of man, the value
of instinct over the intellect, elitism, and the myth are the same in
irrational theory and in Rocco's statement. The Political Doctrine of Fascism
is an excellent illustration of the debt which Fascist thought owes to philosophical
irrationalism and its primary spokesmen. The Fascist movement had no dearth of
gifted spokesmen for its doctrines. Gentile contributed to the theory and
practice of Mussolini's totalitarian ideology. Educated at the University of
Pisa, he taught at the universities of Palermo, Pisa, Naples, and.iRome.
Gentile served in several capacities within the Fascist regime, and he was
eventually appointed as Minister of Education. irrationalists, and his writings
reflect the use of these two philosophies for Fascist propaganda. His
Philosophic Basis of Fascism reflects the influence of philosophical
irrationalism on the Fascist ideology. In the Philosophic Basis of Fascism.
Gentile elaborates the Fascist concept of the relativity of values. Despite the
fact that a given Fascist program might be based on a specific idea or concept,
that idea would be abandoned as soon as the -- David Cooperman and E. V.
Walter, Power and Civilization (New York) -- Gentile was influenced by both
Hegel and the -- need arose. No idea is of lasting significance, and its value
is measured only by the degree to which it furthers the Fascist program. the
needs of the Fascist state demand it, according to Gentile. The value of
instinct is greater than that of reason, and this necessarily makes Fascism
anti-intellectual. Gentile expresses this anti-intellectualism by saying that
Fascism is hostile to all science and all philosophy which remain matters of
mere fancy or intelligence. By virtue of its repugnance for intellectualism,
Fascism prefers not to waste time constructing abstract theories about itself.
There is scant need for intellectualism in a system in which the dictator makes
all the decisions for the state on impulse. This is the function of II Duce. His
ideals consist of whatever arbitrary decision he makes at any given moment, and
his decisions made instinctively are the supreme law of the nation. The myth of
the nation's supremacy causes the individual to be of no value except in his
function as an appendage of the Fascist state. He realizes his existence only
through -- Gentile, excerpts from The Philosophic Basis of Fascism, reprinted
in Power and Civilization, edited by David Cooperman and E. V. Walter (New
York) -- The "transvaluation of values" is exercised when
the state, and he is only a consequence of the life and growth of the
state. The state controls him and decides for hirn the course of his life. The
individual has no freedom except in his role in the organic state. The state
binds him to this position, and in it he lives and dies. Gentile's Philosophic
Basis of Fascism contains the same irrational overtones found in other Fascist
documents. It seems, however, to express more fully the negation of the
individual. This negation of the individual became more pronounced as the
Fascist government entrenched itself in power, and the irrational base of its
ideology was expressed with increasing authority over the individual. Perhaps
the deepest exploration into Fascist ideology was attempted by the Italian
philosopher Mario Palmieri in The Philosophy of Fascism. This work, completed
when Italian Fascism had reached a certain degree of maturity, involves a
deeper insight into Fascism than most of the other works of Mussolini's
spokesmen. It contains, however, the same basic doctrines which bear the stamp
of philosophic irrationalism. Palmieri elaborates the values of the Roman
Empire in eloquent language. He says that the legacy of Rome is authority, law,
and order, and that Rome must again be the center of civilization which dispenses
morality and virtue to the rest of the world. This is th® historic aissioe @f
lapsrial Home, and it aust be fulfilled.3^ The masses, states Palmier!, are not
capable of governing themselves, this being due to the fact that they cannot
understand the ultimate reality of the universe which does not reveal itself
indiscriminately. This ultimate reality may only be understood by a superior
leader. Palmieri describes the leader in colorful language. The divine essence of
the hero, of the soul, is in a more direct, a more immediate relationship with
the fountain-head of all knowledge, all wisdom, all love. Man has wandered
astray for many centuries, and civilisation has seta darkness due to the lack
of authority, law, and order. Despite this disorientation of mankind, the ideas
and moral values of Rome have continued to exist. It is through dictatorial
Fascism that Imperial Rome will be reborn and end the woes of humanity; in
fact, Fascism may finally furnish man with the long sought solution to the riddle
of life (Mario Palmieri, excerpts from The Philosophy of Fascism, reprinted in
Communism. Fascism and Democracy. editeH~"by Carl Cohen (New York),
Palraieri carries the Roman myth to an extreme, ana within his romantic ideal
of Fascism the ideas which originated in Continental European irrationalism
take on the colour of a holy- crusade; however, Palroieri's work is merely
another contribution to the Fascist attempt to cloak violence with an aura of
respectability. The Philosophy of Fascism, extolling the same values which
wreaked havoc on a generation of Europeans, is a vivid documentation of the
influence of philosophical irrationalism upon Italian Fascism. While Italian
Fascism had numerous gifted spokesmen, the preponderance of responsibility for
the creation of its doctrines belongs necessarily to Benito Mussolini. History
points to II Duce as the most important individual man in the era of Italian
Fascism. Mussolini, as an agent of history, islargely responsible for the
propagation and ascendency to power of the Fascist movement. Throughout the
course of this ascent, Mussolini's political pronouncements, political
speeches, and his autobiography document his intellectual debt to Schopenhauer,
Nietzsche, Bergson, Sorel, Pareto, and the entire body of European
philosophical irrationalism. The expressions of the dictator's thoughts are
living proof of his debt to philosophical irrationalism. The influence of the
philosophies of eternal cosmic conflict is overtly evident in the writings and
speeches of Mussolini. The following passage is taken from a speech made while
Mussolini was still involved in the struggle for political power. The
words of this speech could almost be mistaken for an excerpt from Nietzsche's “Will
to Power”. Struggle is at the bottom of everything. Struggle will always be at
the root of human nature. It is a good thing that it is so. The day in which
all struggle will cease will be a day of melancholy, will mean the end of all
things, will mean ruin. Struggle and conflict, in the opinion of Mussolini, are
integral parts of human existence. The endless struggle for survival and power
is reflected in the vital biological nature of man's social and political
actions, according to Nietzsche, Bergson, and Sorel. This concept echoes
through the words of Mussolini, and is used to justify the individual's role as
biological necessity for the nation. In The Doctrine of Fascism, which is
Mussolini's written program of the aims of the Fascist movement, one of the
stated goals is to "make the people organically one with the nation so
that the state may use them to achieve its ends. Mussolini is constant in his
belief that the people must be used to nourish the state. They are, says
Mussolini in his autobiography, "the vital food needed to reach greatness. Individuals are the food and -- Benito
Mussolini, "The Tasks of Fascismo." Mussolini as Revealed in his
Political Speeches. translated and edited by Bernardo Q. di San Severino
(London and Toronto), Benito Mussolini, The Doctrine of Fascism (Firenze),Mussolini,
Autobiography -- blood of the body politic, and as such are entirely
dispensable to the process of the growth and sustenance of the organic state.
The organic state, which is nourished by the sacrifice of individuals, is
susceptible to infection like any living body. In the Fascist state controlled
by Mussolini, infection consists of any political dissent. II Duce had a cure
for this type of illness. Speaking of Fascist violence in his regime, Mussolini
said: It is necessary to cauterize the virulent wounds to have strength. It was
necessary to curb political dissent. The health of the organic state depended
on the constant vigilence of Fascism against political opposition. Fascism, writes
Mussolini, has to perform surgery—and major operation against succession”. Thus
Mussolini corrupts the theories of man's biological nature in order to justify
totalitarian terror. Nietzsche *s theory of the transvaluation of values which
he based in part on the nature of man within the eternal biological struggle in
a turbulent cosmos, influences Mussolini. This influence is evident throughout
Mussolini's writings and speeches. He constantly emphasized the need to abolish
traditional morality and replace it with the arbitrary values of his refine.
The Fascist state is endowed with a supreme will, and is therefore ethical unto
itself. The state must not clinc to traditional values lest its progress be
impaired. Brotherly love, humanitarianism, and symphatetic kindness are
inferior to other values of a higher nature. The higher values espoused by
Mussolini resemble the hearty, pagan values that Nietzsche advocated. These
values involve conflict, the shedding of blood, and dying, and they are morally
justifiable when done in the service of the Fascist nation. The concept of the
transvaluation of values contributes to Mussolini's doctrine the idea that
violence and bloodshed are not only morally justifiable but are the highest
virtues to which a people may aspire. The influence of the theories of Sorel
and Pareto in regard to the use of violence for political purposes is reflected
in the writings aid speeches of Mussolini. The -- Mussolini, Doctrine of
Fascism, Mussolini, "Either War or the End of Italy's Name as a Great
Power," Speeches, Mussolini, Autobiography -- Italian despot had found in
Nietzsche a moral justification for the use of violence. This enabled Mussolini
to claim that "violence has a deep moral significance.” In addition to
this moral justification, Mussolini also rationalizesthe use of violence as a
legitimate and even desirable expedient within the political process. His
mentors Sorel and Pareto had ascribed this role to violence in politics and
society. The excesses of Fascist terror were excused as being morally valuable
and of logical political necessity. In a speech a Milan Mussolini described the
relationship between his party and its political opponents. The Fascisti have
gone forth to destroy with fire and sword the haunts of the cowardly Social-
Communist delinquents . This is violence of which I approve and uphold. It is necessary, when the moment
comes, to strike with the utmost decision and without pity. War is the ultimate
expression of bloodshed and violence, and Mussolini accordingly placed the
highest esteem upon war. It enabled him to gain "I an understanding of the essences «51 of
mankind."-^ n Duce's adoration of war became an integral part of the
theories of Fascism, and in the official Doctrine ^Mussolini, "The Fascisti Dawning of New
Italy," Speeches, Mussolini, Autobiography, p. T Fascism, Mussolini
expressed the hi/rh regard which Fascism has for war: war alone keys up all
human energies to their maximum tension and sets seal of nobility upon those-
peoples who have the courage to face it. All doctrines which postulate peace at
all costs are incompatible with Fascism. The conflagration v/hich visited
tragedy upon millions of Europeans was made more acceptable by Fascism's theory
of war, a theory which is the logical outcome of placing a moral and political
value on the shedding of human blood. The question comes to mind as to who may
decide the time and degree of the use of violence, and Mussolini's speech to
the citizens of Bologna in the spring of 1921 provides an answer. The moral and
politically expedient violence of the state, said Mussolini, "must have a
character and style of its own, definitely aristocratic. The
"aristocratic" bloodletting of the Mussolini regime was administered
by a group of "aristocrats" well suited to the task—"the
Fascist!, whom I considered and considerthe aristocracy of Italy. The Fascist
Party that Mussolini considered to be his own aristocracy (or elite) owed much
to the terrorist squads that 'Mussolini, Doctrine of Fascism, Mussolini,
"How Fascismo was Created," Speeches, Mussolini, Autobiography.aided
the party in its rise to power. Mussolini held these crude street fighters, the
"Black Shirts," in especially high esteem. After he had gained total
power in Italy, Mussolini refused to consider suggestions to the effect that he
disband his elite brawlers who had, as he stated, “a deep, blind, c, and
absolute devotion. Their intrinsic merit sprung from the fact that these
brawling hooligans through intuition and in r. . . their instinct were led not
only by strength 56 and courage, but by a sense of political virtue. . first
elite to be inspired by philosophical irrationalism were the Black Shirts of
Fascist Italy. Mussolini's elite possessed the hearty pagan values of
Nietzsche, and true to the theories of Pareto and Sorel, they used violence as
a political expedient to raise their party to power. Mussolini was brutally
frank in expressing the function of his elite. Their task, he wrote, was . that
of ruling 57 II Duce's elite began by using violence as a means to attain
power, and they continued to use it"to maintain themselves in power. This
development was not out of keeping with the concept of values which
characterizes the irrational doc- trines of Fascism. the nation by violence,
for the conquest of power." The The elite which rules by force
must have a sense of di- rection, even though its action is arbitrarily guided
to the attainment of divergent goals. Mussolini traced the pattern of this
guidance in describing how victory was achieved by the Fascisti. The group
intuitively realizes the necessity of violent action, and it readies itself to
strike. When the moment to attack has come, the instinct of the leader has al-
ready made victory inevitable. He has organized his men for battle and his
intuition has provided him with the proper strategy by which his forces may
emerge triumphant. Success through violence is achieved when the elite forces,
led by the instinct of their duce, crush the opposition. At this particular
juncture in the description of Mussolini's thought, a combination of several ideas
originat- ing in philosophical irrationalism may be observed. The superiority
of the instinct over the intellect, the effective- ness of the elite, the value
of the forceful pagan virtues, such as heroism and bloodshed, the use of force,
and the power of the leader are all component tenets of Mussolini's doctrine.
They culminate and are fused together in Mussolini's attitude toward himself as
the embodiment of the principles of power. Mussolini firmly believed in his own
indispensability to Fascism. In regard to the Party's debt to its leader,
Mussolini wrote: the party could not have existed and lived and could not be
triumphant except under my command, my guidance, my support and my spurs.59
Mussolini felt that the Party and the State were inexorably bound to him. He
believed himself to be the vessel of the 60 moral and spiritual powers of the
state. Mussolini's image of himself was developed under the influence of the
elitist theories and Nietzsche's concept of the superman. Mussolini shared with
Nietzsche a contempt for the European bourgeoisie, and Mussolini blamed the
philistine middle-class for all of the social problems which plagued European
society. Italy's deliverance from this situation had been contingent upon her
willingness to shed her blood, and the prospects for this occurring were
hampered by the cowardice of the middle-class bourgeoisie.^" Mussolini's
instinct told him that "Italy would be saved by one historic agency
righteous force . . The one in- dividual capable of guiding the nation in its
historic quest for power was, Mussolini knew, himself. The victory of his party
and the regeneration of Italy had been achieved, ac- Mussolini, Doctrine of
Fascism, Mussolini, Autobiography, cording to Mussolini, because "Violence
. . . had been controlled by my will." Mussolini solidified the
totalitarian Fascist regime by actualizing his irrational theories of
instinctive action, elitism, and violence. II Duce blended these various themes
together to create, true to his mentor Sorel, the myth of Imperial Rome. This
myth held that a violent reformation of civilization would be achieved through
the rebirth of Imperial Rome. In a speech in Trieste, Mussolini laid the
groundwork for his myth. He spoke of Rome's illustrious history as the leader
of world civilization, and stated that the task of Fascism must be to recreate
this Empire to fulfill the Italian destiny of world leadershipFascism alone
could fuse the values of ancient Rone with the reality of current political
trends, for "it is a-faith. It is one of those spiritual forces which
renovates the history of great and 6s enduring peoples." ' Mussolini
continued to dwell on the theme of Imperial restoration throughout the years in
which he held power. The creation of this Roman myth, a tactic reminiscent of
the theories of Sorel and Pareto, was used to sustain a people who were
suffering from the actualization of other less glorius irrational theories.
Mussolini, "The tasks of Fascismo," Speeches, Mussolini.Autobiography.
While the Imperial myth was an abstract and Romantic ideal, the concepts of
syndicalism and the corporate state bore some resemblance to Mussolini*s
economic dictatorship. II Duce acknowledged Sorel's ideas of the syndicalist
myth as a source of Italian syndicalism. In a statement made at the founding of
the Fasci di Combattimento. Mussolini ex- pressed the necessity of corporate
syndicalism as opposed to representative government. Democratic representation,
he stated, is less acceptable and effective than direct repre- 67 sentation of
economic interests before the Government. The idea of Italian syndicalism,
while closer to reality than the chauvinistic Imperial myth, was nevertheless
another means for perpetuating authoritarianism. Based on Sorel*s philosophy of
the irrational myth, it served as a facade for the dictatorial control of
Italy*s industries and unions. In retrospect, the influence of philosophical
irrational- sim on Italian Fascism in general and upon Mussolini in particular
is undeniably and overwhelmingly significant. A question exists as to what
extent Mussolini followed the doc- trines from which he drew, and to what
degree he used them for ad hoc rationalizations for totalitarian violence. An
answer may lie in the juxtaposition of two of the dictator's pro- nouncements
within the same year. On June 8th, 1923, Mussolini ^^Mussolini, Doctrine of
Fascism, made the following statement before the Italian Senate: The more I
know the Italian people, the more I bow before it. The more I come into deeper
touch with the Italian masses, the more I feel that they are really worthy of
the respect of all the representatives of the nation it would not matter if I
lost my life, and I should not consider it a greater sacrifice than is due. My
ambition isthis: IwishtomaketheItalianpeoplestrong, prosperous, great and free.
Eight months before this speech, Mussolini had said: The masses are a herd, and
as a herd they are at the mercy of primordial instincts and impulses. The
masses are without continuity. .They are, in short, matter, not spirit. We must
pull down his Holiness the Mob from the altars erected by the demos. "
Using the conduct of the Fascist Government as a yard- stick by which to
measure the sincerity of the public state- ments made by Mussolini, it is
feasible to conclude that the Italian Senate was treated to an enactment of
Mussolini's belief in the relativity of values in relation to the political
gain to be derived thereof. The second statement is quite in keeping with
Mussolini's adherence to elitism. Neither of his statements is out of keeping
with the doctrines which he promulgated. The fact that this paradoxical
situation is possible does not speak well for the theories upon which,
misinterpretations and rationalizations notwithstanding, Laura Fermi, Mussolini
(Chicago. 1961), p. 68 Mussolini, "The Internal Policy," Speeches,
Mussolini based his doctrines. Fascism is not far removed from philosophical
irrationalism, one of the dominant philos- ophies of the period. Mussolini may
be looked upon as an oppressor of the Italian people. II Duce's foreign and
domestic policies cer- tainly visited bloodshed and death to the masses of
Italy and other nations as well. One must remember, however, that Mussolini's
speeches advocating violence, elitism, and sub- servience to the state were
cheered by millions of Italians during his regime. Members of all the various
classes within Italy supported Mussolini's drive to power. This support is
quite understandable in view of the fact that their leader spoke to them in
terms which had permeated their intellectual milieu for almost a century.Iorio. Keywords: torna
a Sorrento, Villa Rubinacci, Malwida von Meisenburg. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice ed Iorio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753667201/in/datetaken/
Grice e Jaja –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Conversano). Filosofo. Grice: “I like Jaja – of course you
cannot understand Jaja unless you understand Fiorentino, Croce, Spaventa and
Gentile! The quintessential Italian philosopher!” – Grice: “Jaja is a
sensualist, like me.” –Grice: “My favourit essential Italian philosopher.
Figlio di Florenzo Jaja (a cui è dedicato l'Ospedale Civile di Conversano). Si trasferì
a Napoli, dove studiò sotto la guida di Fiorentino. Si sposta a Bologna, dove si
laurea per seguire il suo maestro. Il
suo incontro filosofico principale fu con Spaventa. Col trasferimento di Jaja a
Napoli i rapporti con Spaventa divennero regolari. Insegna a Pisa. Jaja non è stato mai considerato un filosofo
particolarmente originale, ma ha avuto il merito storico d'introdurre Gentile
allo studio di Spaventa, merito che l'allievo riconoscerà sempre. Opere: “Origine storica ed esposizione della
Critica della ragion pura” “Studio critico sulle categorie e forme dell'essere”;
“Dell'apriori nella formazione dell'anima e della coscienza,” “ L'unità
sintetica e l'esigenza positivista,” “Sentire e pensare,” “Identita e
Semiglianza ed identità”’“ Sentire, pensare, conoscere,” “ L'intuito nella
coscienza.” Cesare Preti, Jaja filosofo europeo oltre Gentile, su ricerca.repubblica,.
treccani. Jaja: neoidealismo italiano, su orthotes.com. Jaja, Giovanni Gentile, Memoria su Donato
Jaja, su sba.unipi, Bertrando Spaventa Giovanni Gentile Idealismo italiano,
Jaja, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. openMLOL, Horizons Unlimited srl. Giovanni Gentile,
Memoria su Donato Jaja, su sba.unipi. Donato Jaja. Grice on “Sentire” e
Pensare. Rupert Brooke: “I love Grice: “I feel,’ never ‘I think’!” – “If a is
a, is a LIKE a” – a knife is not like a knife, but something that is not a knife can be like a knife.”
Implicature!” JAJA,
Donato. - Nacque a Conversano da Florenzo e da Elisabetta Pinto. Comincia gli
studi al seminario in vista di una futura carriera ecclesiastica, ma dopo
l'unificazione, si trasfere a Napoli, dove studia sotto la guida del filosofo
neokantiano F. Fiorentino, e a Bologna, per seguire il maestro, con il quale si
laurea. Dopo la laurea insegna al liceo di Caltanissetta, quindi a Chieti.
Tornato a Bologna vi conobbe e frequenta A.C. De Meis e per suo tramite B.
Spaventa che, oltre a influenzare lo stesso Fiorentino, divenne in seguito una
figura chiave per la formazione intellettuale dello Jaja. Con Spaventa i
rapporti dello J. divennero regolari quando egli si trasferì a Napoli per
insegnare al liceo Genovesi. Conseguì la libera docenza ottenne la cattedra di filosofia teoretica a
Pisa, dove rimase per il resto della sua vita. Tra i suoi allievi ebbe G.
Gentile, che gli successe poi sulla cattedra, e G. Lombardo Radice. Nella
dissertazione di laurea, data alle stampe con il titolo Origine storica ed
esposizione della Critica della ragion pura di E. Kant (Bologna), colloca Kant
all'origine di una nuova scena del pensiero che raccoglie le due tradizioni
precedenti lungo le quali egli articola la storia della filosofia moderna
successiva a Cartesio: da una parte il filone filosofico che si pone il
problema dell'infinito, dell'universalità e della necessità (Malebranche,
Spinoza, Leibniz); dall'altra la tradizione francese, ma soprattutto inglese,
sensistica ed empiristica (Locke e Hume). Kant pone il problema, ritenuto
centrale dallo J., del debito che il pensiero ha nei confronti sia
dell'esperienza, sia dell'universale. Tuttavia lo J. ritiene che Kant non abbia
dato una soluzione adeguata e definitiva ed è anzi incline a sostenere che la
soluzione vada trovata nei continuatori dell'opera kantiana. Emerge già qui
chiaramente la tendenza a leggere la tradizione idealistica alla luce degli
interrogativi kantiani, in una prospettiva che egli derivava da Fiorentino. Secondo
lo J., Kant pone il problema della conciliazione di questi due elementi, di
senso e intelletto, ma non lo risolve: "La manchevolezza", sostiene,
"è nell'intima natura del sistema kantiano: in quest'ultimo lo spirito è
dualità, scissura, intuizione e concetto, recettività e spontaneità, entrambi
irriducibili", mentre la soluzione consiste nel mettere in luce l'unità,
nel mostrare come l'universale kantiano sia non esclusivamente soggettivo ma
oggettivo e pertanto corrisponda alla realtà. Compare qui un interesse dello J.
per il modo in cui l'intelletto proviene dal senso (cfr. Plebe, in Guzzo -
Plebe), che mostra anche una sensibilità più vasta verso il regno della natura
e le scienze empiriche e che in seguito lo portò a confrontarsi con il positivismo
e l'evoluzionismo. Pesavano in questo probabilmente sia gli interessi
positivistici di Fiorentino, cui egli dedicava questo volume, sia l'ambiente
intellettuale bolognese, in cui spiccavano figure quali quella di De
Meis. Ha modo di sviluppare e precisare tali temi in uno Studio critico
sulle categorie e forme dell'essere di Serbati. Qui critica Serbati della Teosofia in
quanto non dà spazio né illustra la centralità della mente nel suo rapporto con
l'essere, mentre questo va visto alla luce dell'essere pensato dalla mente:
"È necessario studiare la mente nella serie non interrotta dei suoi
fenomeni, attraverso cui passa nel formarsi". Kant ha colto questo punto
in quanto ha mostrato che prima di poter parlare dell'essere si deve indagare
la natura della mente, e tuttavia ha finito con il postulare una irriducibile
alterità della cosa rispetto alla mente. Fichte, e quindi Hegel, hanno invece
compiuto il necessario passo in avanti mostrando come ciò che è fuori della
mente è il risultato di ciò che la mente e il pensiero hanno
rivelato. Gentile ha modo di considerare a questo proposito che la
lettura che il proprio maestro da di Hegel e personale e forse inadeguata sul
piano interpretativo: e uno Hegel mediato in primo luogo da Spaventa, che ne
aveva sottolineato l'aspetto soggettivistico, e che lo J. aveva letto in modo
ancora più immanentistico facendo equivalere l'essere con il pensiero
umano. Temi e ispirazioni filosofiche - in cui si mescolavano influssi
hegeliani, fichtiani, e interessi verso le scienze e la dimensione empirica del
pensiero - spinsero lo J. a occuparsi del positivismo e in particolare di Spencer.
In una prima memoria, “Dell'apriori nella formazione dell'anima e della
coscienza” (Napoli) -- ma si veda anche “La somiglianza nella scuola positivista
e l'identità nella metafisica nuova” -- J. nell'esaminare e nel correggere il
Fiorentino si occupa dei tre momenti della conoscenza: sensazione,
rappresentazione e concetto. Nel discutere della sensazione ha già modo di
articolare una posizione cui dette poi compiutezza in Sentire e pensare. La
sensazione non è solo stimolo che proviene dall'esterno ma è anche
modificazione. E interna all'atto del sentire e alla sfera spirituale. In
questo da una parte valorizza l'importanza dello studio scientifico dei modi in
cui la conoscenza sorge e ha luogo, ma dall'altra mette in luce l'inadeguatezza
di un punto di vista esclusivamente empirico. Tornato su questi temi in “L'unità
sintetica kantiana e l'esigenza positivista” si propose di conciliare l'esigenza
positivistica, che nega elementi a priori e che è invece interessata a
ricostruire geneticamente il formarsi dei fenomeni, e l'esigenza kantiana, che
vuole mantenere valido il punto di vista universale. Opera tale conciliazione
ritenendo che il passaggio dalla sensazione sino alle forme più evolute di
coscienza sia solo un passaggio di grado, mai categorico. Si appropria
dell'idea di sviluppo e di ricostruzione genetica e la colloca nell'immagine
idealistica di un essere che dà forma a se stesso a partire dai gradi più
semplici e primitivi sino alle forme più sofisticate. La trattazione di
questi temi prelude al “Sentire e pensare”. Scrive lo nella prefazione: "È
mio fermo convincimento, che il problema speculativo, in tutta la sua ampiezza,
resterà un labirinto senza uscita […] finché non solo non sarà studiato sul
terreno indicatogli dalla filosofia moderna in genere e dalla critica kantiana
in particolare, cioè su quello della conoscenza, e per esso della coscienza, ma
più ancora finché nello studiare la coscienza non avremo preso le mosse da quel
giusto punto, dove il senso finisce e la coscienza incomincia, o dove il senso
non è più solamente senso, e già la coscienza comincia a mandare sul tronco di
esso i suoi primi germogli". Lo J. è interessato a individuare il
momento in cui la sensazione e la coscienza si sovrappongono. Da una parte è
desideroso di fare propria la lezione dei positivisti e degli evoluzionisti,
fino a spingersi ad affermare che "il principio assunto oggi a base delle
scienze naturali, l'evoluzione" è vero e fecondo, un'affermazione non
priva di interesse in un autore che eserciterà il suo influsso nella formazione
di una filosofia idealistica italiana lontana e refrattaria alla scienza e in
particolare all'evoluzionismo. Dall'altra vuole rivendicare la presenza nella
sensazione degli elementi embrionali della coscienza e cioè l'universalità
propria della mente concepita kantianamente. Questo tentativo di conciliazione
di due esigenze opposte non è di per sé indicativo di un fallimento di
un'autentica comprensione di tali esigenze. In altri termini è interessato a
conciliare una comprensione scientifica della natura, che prescinde da una
descrizione in termini intenzionali, e che l'evoluzionismo ha esteso anche agli
organismi viventi sino all'essere umano, con una sua comprensione in termini
concettuali. Ma, usando l'evoluzionismo come immagine filosofica anziché come
prospettiva di studio alternativa a quella filosofica idealistica, chiude quasi
subito la sfida tra queste due comprensioni. Perciò parla in termini evolutivi
del passaggio dalla sensazione alla coscienza per significare che non vi sono
passaggi categorici ma solo di grado. "La sensazione è foriera della
coscienza, e n'è la immediata preparazione. Dall'una all'altra è passaggio, non
salto. Gli elementi tutti della coscienza sono elementi della sensazione.La
vita della coscienza è due cose; è la continuazione della vita del senso, e per
esso della natura tutta, e n'è il compimento insieme" L'immagine evolutiva è impiegata per
significare questo passaggio dalle diverse forme della vita, che intende come una "forza" che si
dispiega. "Il fatto adunque, di cui prendiamo nota, è che nel sentire si
raccoglie tutto il mondo naturale sottostante, e che questo mondo naturale è
qualche cosa di vivo, viva essendo e perenne e senza limiti la produzione
degl'individui diversi, che si succedono e s'incalzano in tutti i diversi
ordini della natura. Questo mondo naturale che si raccoglie nel sentire è la
forza. Ed è forza il sentire. Quando la forza sottostante, compiute tutte le
condizioni, sale al grado di sentire, produce ancora. E non intendiamo dei soli
individui, che compongono il grande regno animale. Il sentire è per sé solo
forza, perché per esso gl'individui senzienti (forniti delle capacità, della
forza di sentire) non vivono soltanto, assimilandosi e trasformando gli
elementi del mondo inorganico, ma il mondo pre-esistente della vita trasformano
in una superiore esistenza, nell'esistenza rappresentativa. Nella rappresentazione
la forza naturale incomincia a ritrovare se stessa, iniziando quel movimento di
ritorno sopra di sé, nel cui compimento è il suo possesso, e la sua
integrazione”. Puo già leggere in H. Spencer una concezione dell'evoluzione
come un processo diretto a un fine, un'idea lamarckiana lontana
dall'evoluzionismo di Darwin, di cui Spencer non si liberò mai. Ma egli chiude
subito le possibili tensioni interne a questo paradigma e usa l'immagine
evolutiva come un motore esplicativo di tipo hegeliano, spingendosi sino a
invocare il superamento del principio di non contraddizione per spiegare il
modo in cui la sensazione si evolve verso la coscienza: "Non resta dunque,
che sieno e non sieno identiche, che sieno in parte identiche, in parte
diverse. I fautori della inviolabilità del vecchio principio di contraddizione,
così come era e poteva esser dato nella logica formale […] potranno trovare
dura questa conclusione" (ibid., p. 76). L'evoluzione è immagine della
forza che dal regno della natura ritrova se stessa, cioè si rende consapevole
nel mondo dello spirito. In questo senso, J. può essere ascritto alla schiera
di quanti hanno usato l'evoluzionismo per produrre una loro filosofia della
storia. Una conclusione, questa, che trova conforto in uno scritto successivo
dello J. L'intuito nella coscienza. È
qui affrontata la questione se l'intuito abbia una parte nella ricerca
scientifica. J. risponde affermativamente, sostenendo che tuttavia esso è posto
in primo piano solo "quando il pensiero indagatore ha sentito il bisogno
di ricorrere alla conoscenza in se medesima, e scrutarne il valore" e cioè quando vi è perplessità sull'evidenza
del proprio oggetto di studio. Nel mostrare come la conoscenza non sia solo
accumulo e accostamento di fatti, J.
afferma, di nuovo contro i positivisti, che "i fatti e la storia, se sono
la realtà, non sono tutta la realtà" . "La realtà storica, oltre ad
essere quella che è, e che ognun vede, è anche in miglior modo nell'universale
e per l'universale". I fatti e la storia sono testimoni cioè di un
universale che li raccoglie e dà loro un senso. Nel successivo Ricerca
speculativa. Teoria del conoscere (I, Pisa), insiste sul concetto del pensiero
che ritrova sempre se stesso e non ha niente di anteriore. Egli ritiene che la
filosofia sia l'unica disciplina che non ha un oggetto specifico di studio che
non sia l'esigenza stessa di conoscenza. Come egli scrive, "si tratta di
salire nelle alte regioni dell'intendimento puro, di usare del conoscere per
costruire l'atto, il puro ed universalissimo atto, del conoscere. Se alcuni
interpreti hanno ritenuto che in quest'opera
traesse le conseguenze del suo lavoro precedente e in particolare di
Sentire e pensare (Plebe, in Guzzo – Plebe), Gentile invece vi ha voluto
scorgere la trasformazione dell'idealismo assoluto in spiritualismo assoluto,
una posizione che preludeva agli sviluppi che egli stesso avrebbe dato
all'idealismo italiano. Come notò, a tal proposito, lo J. "qui non muove
più dal senso e dal bisogno di trascendere il senso quale è dato dalla
coscienza, per spiegare la coscienza sensibile, senza incorrere nello
scetticismo. Si mette innanzi l'atto del conoscere, prescindendo da ogni
rapporto di esso con la verità, per trattare lo stesso del puro conoscere come
principio unico ed assoluto di tutto, presupposto com'è da qualunque altro
possibile pensiero" (Gentile). Oltre agli scritti menzionati, si
segnalano ancora, fra gli altri: Un po' di polemica nella quale principalmente
si discorre dell'articolo 73 dello Statuto in rapporto a' poteri supremi dello
Stato, Bologna); Saggi filosofici, Napoli
(raccoglie scritti già pubblicati e l'inedito La virtù e i suoi elementi
costitutivi); la prefazione alla raccolta di Scritti filosofici di B. Spaventa,
a cura di G. Gentile, Napoli; Enigma della coscienza, in Rivista filosofica;
L'insegnamento filosofico universitario ed il regolamento nuovo, Pisa. Fu membro della Società reale di Napoli e
cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia. Fonti e Bibl.: Necr. in Il
Messaggero toscano, (C. Sgroi); Corriere
toscano, (G. Tarantino); G. Gentile,
Lettera a D. J., in Giovanni Gentile. La vita e il pensiero, a cura della
Fondazione G. Gentile per gli studi filosofici,
(lettera di Gentile giovane laureato al maestro); F. Battaglia, Lettere
di A.C. De Meis a D. J., in Memorie dell'Accademia di scienze dell'Istituto di
Bologna, cl. di scienze morali; G. Gentile - D. Jaja, Carteggio, a cura di M.
Sandirocco, I-II, Firenze; S. Miccolis, Dieci lettere inedite di D. J., Firenze
s.d.; G. Gentile, D. J., Pisa Id., Le origini della filosofia contemporanea in
Italia, III, Messina G. Alliney, I
pensatori della seconda metà del sec. XIX, Milano ad ind.; B. Croce,
Conversazioni critiche, s. 2, Bari pp. 30 s.; A. Guzzo - A. Plebe, Gli
hegeliani d'Italia, Torino; A. Guzzo, Cinquant'anni di esperienza idealistica
in Italia, Padova G. Vacca, Recenti studi sull'hegelismo napoletano, in Studi
storici, VA. Cristallini, Il pensiero filosofico di D. J., Padova (con bibliogr. degli scritti dello e sullo
J.); V. Carcuro, Polemiche filosofiche antirosminiane: Terenzio Mamiani e D.
J., Aversa; A. De Gubernatis, Diz. biogr. degli scrittori contemporanei,
Firenze , s.v.; Enc. Italiana, XVIII, s.v.; Enc. filosofica, IV, s.v.; F. Abba
Luzzato, Diz. generale degli autori italiani contemporanei, I, sub voce. Grice:
“Jaja is especially important for the fact that he tutored Gentile. He wrote on
the ‘supreme powers of the state’, since he was a Hegelian at heart, as a
collection published in Italia thus calls him – “Gli hegeliani d’Italia: Tocco,
Jaja, Gentile. While he studied Kantism in depth, he finds that the Hegelian
absolute, the State, as compromise between ‘gl’individui, as Jaja calls them,
is the maximum!” Donato
Jaia. Donato Jaja. Jaja. Keywords: implicatura, I potere supremo dello stato,
la virtu. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Jaja” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689402446/in/photolist-2mLyVqx-2mKw3hq-2mKBGvU
Grice e Javelli – filosofia italiana – semantica del segnare,
segnante e segnato -- Luigi Speranza (S. Giorgio di Canavese).
Filosofo. Grice: “I love Javelli – he is, like me, an Aristotelian; being a
northern Italian, he is a Thomstic Aristotelian, which I’m not sure I am!”
Grice: “One good thing about Javelli is that he commented on MOST works by
Aristotle!” -- Essential Italian philosopher. Studia a Bologna. Fu esegeta.
Argomenta contro Lutero. Opera omnia” (Lione, Giunta). Partecipa al dibattito
sul Tractatus de immortalitate animae di Pomponazzi, di cui scrisse, su
richiesta di Pomponazzi stesso una confutazione. Partecipa al dibattito sul
divorzio di Enrico VIII, esponendosi a favore della scelta del sovrano. M.
Tavuzzi, in "Angelicum", DBI. Casale Monferrato -- modum
definiendi, dividend et demonstrandi, Tu tamen aduerce licet fiteadem realiter,
ratione tamen diftingui turinquantu doccn$, &inquantu utens. Namin quantu
docenscofideratur in (e, in quantu utens relpicit alias scientia. Tertia divisio
est hoc. Logica docens fufficienter diuiditur in tres partes.
Prima est jn qua tradatur de terminis incomplexis, & hxc
ditiiditur in duas. In prima confidc-
ratur de terminis secundx iutentionis, &
ifte eft liber prardicabilium.ln fecunda
confideraturdc terminis primx intetionis, & ifte
eft liber prxdicamentorum , & post praedicamentorum.
Secunda est in qua tradatur de terminis complexis, id
est de oratione et propositione et hic est liber “Peri Hermenias”.
Tertia est in qua tradatur de argumentatione et hoc dividitur in quatuor.
In prima agitur de argumentatione syllogistica absoluta etsimplici, idefi
noh applicata alicui materiae & hic est liber
pnorunviln secunda agitur de syllogifmo
demonftratiuo,& hic cft liber pofterio Tum.
In tertia agitur de fyllogifmo topico,ideft
probabili, flthic cft liber topicorum. In quarta agitur
de syllogifmo fallaci, quem dicimus fophifticum,co q*
per ipfum folum gc iteratur deceptio, &
hic eft liber clcnchorum. Hoc eft funtma
librorum, quos tradidit nobis Aristoteles
inuenror logicae. Reliquos autem minores tradarus
quos appellamus parua logicalia, non habemus formaliter
ab Aristotele. Sed posteriores traxerunt virtualiter ex
praedictis libris Aristotelis, ita <y eorum
principia iam habuimus ab Aristotele, ut tibi declarabitur,
quando agemus de consequentiis et suppositionibus &c. Et aduerte q?
(ufficientia praedictae divisionis fumitur hinc, Argumentatio (ut
dictum est supra Jeft pn cipalc confideratum a logico ueluccius finis, non enim
logicam quaerimus nifl ut acquiramus habitum faciliter & ra de argumentandi
ad quancuncp conclusionem. Argumentatio aut est quoddam
totum conflans ex propofitionibus, ut tibi
declarabitur loco (uo, propofitio vero confiant
ex tcrminis. Cum igitur eadem (cientia fit
confidcrariua totius & partium, necefle efi logicum
uerfantem circa argumenta tionem, confiderare de
argumetatione & partibus eius, partes autem cius
fune duplices.f. propinquae & remotae propinquae sunt
propofitiones remote autem termini in complexi, nam
propofitiones componunt immediate argumentarionem. Tcrmini
aurem incomplexino componut eam, nifi quia
ingrediuntur propofitionem. Ex quibus conflat, pars
prima, in qua confiderantur termini in complexi,
ordinatur ad fecundam, in qua confideratur
propositio et secunda ad tertia, in qua
confidet atur argumentatio, & in ca completur
intentio logicj. Conftar igitur quomodo dinl
denda fit logica, & quae fint cius
partes fufticienrcr ipsam di nidcntcs. Hoc de praesenti
cap. dicta fint. A quo fit incipiendum in logica et quis ordo
prosequendus ne confundatur ingenium nouicii. In septimo capite
investigandum est a quo primo incipiendum fit tractare in logica, et quis ordo
m tractandis lcr- uandus fit, ne nouicii ingenium confundatur. Quantum
ad primum aduerte q* nonulli confidcrant
logicam inquantum est dialectica, id est disputativa,
alii autem inquantum uersatur circa argumentationem, quae non
lolu poteft fieri uoce fed& mente &
feripto « Primi confiderantes difputationcm non fieri
fine fcrmonc, nec fermonem fi- ne uoce, nec
uoccm fine Tono, ideo a sono tanquam a priori
& communiori dcfinitiuc & diuifiuc dicunt
inchoandum. secundo loco a ovce dcfinitiuc &
divisive. tcrtio loco a nomine et uerbo ut habent
c(Tc in voce & componut orationem et propofitjoncm vocalem,
ex quibus componitur syllogifmus siue argumetatio uocalis, qua sit
dispuratio inter duos. Hunc ordinem lcruat Petrus Hispanus et ratio ad hoc
movens cum fuit, quia considerauit Aristoteles in suo libro “Peri
Hermenias” acturus dc propositione definit nomen et
verbum utfunr cius partes intcgrales per vocem, quafiq? non confideret de
nomine et verbo et oratione et propositione et argumentatione, nifi ut
deferuiunt disputationi, cui non deferuiunt nisi ut sunt in voce reliquit ergo
omnia praedicta ut sunt in mente et in scripto et intendit de modo magis famoso
ac notiori ad sensum, qui est modus in voce. Alii autem
aduertentes <f licet modus ific famofior
& uulgarior fit, tamen experientes q* omnia praedicta habene
efle in anima, in voce et in scripto, nec unquam
proferuntur uoce, nec feribuntur nifi prius mente
concipiantur, unde et dixit Aristoteles in primo “Peri
Hermenias” , q' ea quae sunt in voce, sunt earu quae sunt in anima
PASSIONUM id est conceptuum notae i signa, ideo arbitrati non sunt incipiendum
a uoce nec a sono, sed a termino, id est
dictione. Nans terminus ut est in
mente componit propositionem mentalem et ut est
in voce, componit propositionem vocalem et ut est in scripto, componit
propositionem in scripto, & quo niam nomen erbum et
oratio poliunt ede in mente et in voce et in
scripto, ideo dicunt melius elfe q> definiantur p
er. Ti terminum utpote magis communem § per vocem.
Hancjg! cur viam uc universaliorcm sequemur et prateipue quia no
concrariacur priori sententiae. Nam sicut est
verum dicefe'. Socrates est homo ergo Socrates
est animal, sic est verum dicere , nomen estvox significatiua,
ergo est terminus significatiuus. In plus enim fc habet
terminus q vox, qm vox non evrificacur de nomine nifi ut eft in voce. Terminus
autem uerificatur de nomine, in mente voce et scripto.
lncipiemus ef go a termino definitiue
&diuifiue. Quantum ad iccundum aduerte tp
cum termini in complexi fxnc priores fit simpliciores
oratione et propositione in via compositionis et propositiones fine
priores syllogismo, qm componunt syllogifmum, & non cconucrfo,
ordo foientix requireret q* prius tradaremus de praedicabilibus et
praedicamentis, & fecudo loco de propositionibus utrra
dat Ariftoteles in libro “ Peri Hermenias” et
tcrtioloco de syllogismis formalibus &
topicis & sophifticis & demonftratiuis eo
ordine quo de eis tradat Ariftoteles
in tota arte noua. Verum quia nouus
logicae auditor tranftt immediate ab arte
grammatica: ad logicam, & logicus accipit a
grammatico nomen et uerbum et aliquas alias partes orationis
uc dicemus prout componunt propofitionem, & propofitio componit
syllogifmum, ideo ne nouicii ingenium inuolua^ tur, expedit
f>us tradare de gtib9oronis, deinde de oratide
& cmltiatione, ficut etiam tradat grammaticus
modo grammatico et focundo loco tradabimus de
fyllogilmo formali & tertio loco de praedicabilibus, &
quarto loco de praedicamentis. Nam abfqj notitia
propofitionis et syllogifmi,n<» pollet nouitius i illis erudiri
modo logico , ut tibi tinanifeftu erir.
Deinde procedemus ad alios tradatus eo
ordine que tibi nianifeftabimus loco fuo.
Conftat igitur tibi a quo incipere intendimus, &
quem ordinem foruare, ne nouitii inge
nium inuoluatur.Hxc de praefenti cap.dida
fint* Explicit trac.primusqui Tuit de
praecognofcendis ordinatus per authorcm,& reuifus
per eundem secundus qui eft de partibus
propositionis. N rradatu iecudo agendu cft de
par t;bus, pp6nis,quae apud Logicu praecipue (une
nomen, & uerbuin & qtr» fcire non
poteris quid & quotuplex fit nomen apud
logicu, fifr & uerbu nifi prius noueris qd
fit terminus, & quotuplex fit. Et qd
dico de termino intellige de voce. Primu.n.qd poni£ in
definitione nomini et uerbi cM terminus apud
coitcr tradatores de logicalib apud aut
Aristotele vox, ut tibi declarauim9 i tradaru pcedeti, c.7. io huc
tradatu diuidem° i.4.capita.. Primum, Quid et quotuplex sit terminus.
Secundum, Quid « quotuplex sit nomen et uerburn. Tertium, Quid & quotuplex
sit oratio. Quartum. Si logico sufficiunt duae partes orationis,
(ciliccC nomen rectum et verburn rectum. Quid & quotuplex fit
terminus. IN pino cap. inueftigadii est qud sit TERMINUS et quot fine vitares
divisiones cius. Hic igitur duo ageda sunt pmo definiemus trerminu dcclarates
singulas definitionis particulas secundo asfignabimus coes, & vies
divisiones termini. Quatu ad prnii aduertc,q?
hic no intedimus loqui de oi
significato in quo fumit terminus in doctrina
Aristotelis. Sumii at eribus modis, Prlo funii! maiori, &
minori extremitate^ medio, & dnr tres termini ex qbus
coponi! oisve rus syllogifiruis & de hoc ino
loquemur I trac de fyllogifmo formali, & abfoluto.
Secundo iiimitur pro definitioc rei, quae
dicitur apud Ariftotcle terminus qm in
fe claudit , 8C terminat totam rei
definitae cflentiam & de hoc modo lo-
quemur in trac. de syllogifmo topico et demoftratiuo. Tcr tio
fumitur pro omni co ex quo propincp
conftituitur ora- tio, & propofitio, & in q
uod refoluitur. Et dico propinque quoniam ficuc
apud gramaticum dictio componitur ex ali-
quibus remote, & c x aliquibus propinqj. sic apud
Logicum oratio & propoficio ex aliquibus
coponitur utrocj) modo. Nam apud grammaticum
dictio componitur propincp cx fyllabis, quoniam
fcipfis & non mediante alio, comfonitur aurem
remote ex literis, quoniam non ex fcipfis
fed medii te fyllaba.Sic in propofito
apud logicum oratio & propofitio componutur propinqj ex
terminis, qm ex fcipfis & non mediante alio, componuntur
autem remore ex syllabis 5C literis, liter enim
componut fyllabas, & fyllabc terminos, & termini
orationcm. Ec in hoc tertio fcnfu folum intendimusin
hoc trac. Ioqui ac definire terminum. Sed aduerte <jf in tertio sensu
adhuc tripliciter fumi p6t.f. communitcr, ftrl de & ftrictisfimc.
Comuniter fumitur pro omni didionc p pinqj
componente orationem, &fic non folum
nomen dC uerbum,fcd etiam alis orationis
partes, ut pronome, prx politio, aduerbium &c.
dicuntur termini. Stride fumitur p omni eo quod eft uel
poteftefle fubiedum et praedicatum & copula in propofitione. In quo
fcnfu nec figna uniuerfalia nec particularia, nec adverbia funt termini, qm no
sunt nec poffunt e(Tc per se ipsa praedicatum aut fubiedum, sed modi Huc
dererminatioes eorum, fifr aduerbia sunt determinationes verbi ut “bene
currit”, hodie ucnit &c. Srridisfime autem fumitur pro omni eo
quod eft uel poteft efle extremum propofitionis, extremum autem dico
subiedum & praedicatum, &*n hoc sensu copula non est
terminus, quia non est extremum, sed unitiuum cxtrcmoru, unit et copulat
praedicatum et subiedum et in hoc fcnfu definiuir eum
Aristoteles in libro priorum diccns, (? terminus eft in quem rcfolujf
propofitio ut in subiedum et praedicatum. His praepofitis adrerte qr hic
habemus diffinire terminfl non ftridc nec ftritisfime fumptum, sed comunircr,
aliter non potiemus ipfum diuidere ut diuidemus infra. Nam una ex diuifionibus
erit haec, terminorum unus est PER SE SIGNIFICATIVUS, alius non per se
significatiuus. Constat autem ex prxdidis quod terminus non per se
significatiuus, non cil tf terminus ftricte nec ftrictisfimc fumptus.
Definientes igitur terminum coicer & abfolute fumptfl dicimus quod
eft pars propinqua conftitutiua ofonis et propofitionis. Dicitur pars
propinqua immediata ofonis & politionis ad differentiam literarum et
syllabarum, qu* non nifi mediante termino componunt oronem.
undeaduerte sicut fe habent lapides et ligna et fundamentum, &p
aries ad compofitioncm domus, fic liter ac et syllabae et termini
ad constitutionem orationis, nam lapides & ligna non componunt
immediate domum, sed componunt imediate fundamentum parietem et tectum,
hacc aurem imme diate dotnumrideo illae
rcmotac,hae autem propinquae nucupantur. Sic in
propofito, literae wt syllabae non componut
immediate ofoncm, sed terminum, tcrmiifos autem
immediate oroncm. patet ergo terminum cfle
immediatam & p ximam partem ofonis ad
differentiam literarum et syllaba rum. Df
conftitutiua ofonis, quonia hic procedimus ex po-
ri:ad differentiam relolutionis quae fupponit
conffitutum ex partibus. Df ergo conftitutiua
ofonis, quoniam hicinte- dimus praeparare
materiam fyllogifmi, quae eft propofitio ideo
inueftigamus in primis, ex quibus conftituitpr immediate
propofitio, & in tractato de syllogifmo aperiemus ex
quibus propinque et immediate conftituitur syllogismus. Haec
autem definitio conucnit termino, in mente, in
uocc,in feri F to:quoniam terminus in mente,
eft pars propinqua oratio nis mentalis, &
in uoce, eft pars propinqua orationis uoca- iis
& in scripto ,eft pars propinqua orationis
feriptx. Vifo quid sit terminus apud
logicum cSmunitcr & absolute fumptus, asfignandae
funt generales diuifiones eius, uc Idamus
iuxta ouod membrum ponendus eft in
definitione Hominis et uerbi et orationis. Prima diuisio.
Terminorum, aliquis est PER SE SIGNIFICATIVUS, aliquis nihil per se, id
eft per se fumptus significativus. Terminus per se significativus est
ille qui ultra se ipsum aliquid intellectui re-presentat, ut “homo”,
“animal”, “lapis”: representat enim homo itellectui animal
rationale et “animal” re-praesentat animatum sensitivum et per se motiuum, et
lapis corpus terreum durum offendens pedem. Nam signifcare est aliquid
intellestui re-praesentare. Vnde idem eft terminum esse per se
significatiuum et esse per se re-praefentati uum alicuius
apud intellectum. Dicitur ultra feipfum, qm
repraefentarc feipfum intelleftui eft commune omni terrni
no, cum fit intelligibilis ab Itelletfu, cuius obieftum est
ens communisfitnum ut seextendit ad ens reale et ens rationis ut
dicemus alias. Terminus nihil per se significativus eft ille qui per se
sumptus ultra se ipsum nihil intellectui re-praesenrat, ut “buf” et “baf”
et “biltris”. Dicoper fc fumptus, ut excipia
quando proferuntur ex intentione irridendi.
Tuc enim ex propofito irridentis fumunrur ut per se
significativi, sed id non est ordinarium. Nam pleruncp
proferuntur aut exeunt ex ore fine propofito aliquid ultra
feit fum fignificandi. Ad hoc autem q* fit per se
significatiuus, oportet ut naturaliter uel AD PLACITUM in aliquo
idiomate ordinarie et consuetudine firmata, sic vel sic ultra se ipsum
significct. Secunda divisio eft haec. Dimisfo termino nihil per se
significativ, utpote inutili propofito noftro, quando non componit orationem
ordinarie ut subiectum & praedicatu, nec est pars
nec determinatio eorum ad differentiam signorum
uniuerfalium et particularium, diuidendus est terminus per se
fignificatiuus. Et prima diuifione diuiditurin terminum
per se significatiuum naturaliter et in terminum PER SE
SIGNIFICATIVUM AD PLACITUM. Terminus per se significatiuus naturaliter
est ille, qui apud omnes homines idem uitra se ipsum re-praesentat intellectui,
ut “homo” et “animal” in mente. sft autem homo in mente species, sive
similitudo, sive conceptus hominis. Se habet enim huiuf modi similitude
sive conceptus ut vera imago, puta Caesari , quae apud omnes ex sui
natura re-praesentat Caesarem. Sed adverte quod non
solum terminus in mente est significatiuus NATURALITER sed et
quidam termini dum proferuntur, etquaedam animalium
signa, ut dum infirmus GEMIT, apud omnes repraesentatur
DOLOR, & dum canis latrat apud oes re-praefentatur IRA. Terminus
autem PER SE SIGNIFICATIVUS AD PLACITUM, est ille qui non apud omnes idem, sed
in diverso idiomate diversa re-praesentat, vel tatum in uno idiomate
aliquid detet; minate teprzlentat, in alio autem nihil. Et causa
huius est, quia huiul modi termini non significant ex
inftindu naturae sicut interiediones quae non sunt bene trasferibiles ex
uno idiomate in aliud, sed impositi sunt ad sic significandum EX DECRETO ET
AUTHORITATE primorum instituentium, quibus sic placuit rationabiliter tamen,
in uno quoqj idiomate res lingulas sic uel
fic nominare. Et aduerte quod ultra hoc q* terminus
ad placitum differt a significativo naturaliter in hoc
q^ non apud omnes idcin repraefentat, dum
profertur, nec significat ex instintu naturae, sed
decreto primi authori: in duobus aliis diffcrt. f. in
modo proferendi et in significato. Nam terminus ad placitum perfede &
diftinde profertur, modo non adiit ineptitudo linguae exparte
proferentis. Termini autem naturaliter significatiui propter impetum
passionis, amoris, aut timoris, aut gaudii, aut irae,
ut in pluribus truncate proferuntur, etiam remota ineptitudine
Iin guae. Differunt etiam ex parte significati, quoniam
termini ad placitum significant conceptum intellectus: illi autem magis indicant
affedum appetitus, quam conceptum intellectus. Sed ne novitius inuoluatur, hic
fifto, donec fiat capaxfolidioris dodrinae. Tertia divisio est haec. Dimiflo
termino per se significati — non naturaliter pro nunc TERMINUS SIGNIFICATIVUS
AD PLACITUM multas sub se continet divisiones,
quarum frequens est udis in doctrina peripatetica, ex
quibus una eft q? quida eft
categorematicus, quida syncategorematicus. Categorematicus est ille qui
tam g se sumprus quam cum alio, tam in
ppone quam extra, aliquid ultra se ipsum intclleduircpftntat,
ut homo, lapis, curro, amo. na homo g le folutn
significat animal rationale, lapis tale corpus, curro
adum currendi, amo aduin amandu syncategorcmaticus est ille
qui per se solum sumptus nihil extra seipsum apud intelledum significat. Si
autem sumatur cum alio, puta cum nomine substantivo c ucl cum
ucrbo, simul significat, inquantum determinat nomen aut verbum. Et sic signa
univerfalia et particularia et prepofinoncs et aduerbia, &
coniundiones funt termini syncategorematici.i.cofigmfieatiui.
Nam signa uniuerfalia determinant nomen substantivum politum in
fubiedo ad ft a dum pro omnibus, aut pro nullo, ut omnis homo currit,
nullus homo currit. Signa autem particularia determinant fubicduin particulariter,
ut quidam homo currit, quida homo non currit. Praepositioncs aurem
determinant nomen ad conrrftrudioncm pro cerro cafu,
puta ablatiqo ucl accusative. Aduerbia
determinant uerbum f>ro determinato Io co, ut
aduerbia localia, ucl pro determinaro tepore, ut adverbia
temporis , uel pro determinato modo quatiratis ucl
qualitatis tut aduerbia quantitatis & qualitatis.
Coniundiones autem determinant terminos et orationes,
secundum, modum copulariuum, ucldifuindjuum ucl illatiuum.
exeplum primi, & ,arcp exemplum secundi, uel, aut ,
exemplu tertii, ergo, igitur, iracp. Inter syncategorematicos
termi- nos non comprehenduntur intcricdioncs:quoniam ut
docuimus figmficant naturaliter, nec pronomina primitiua, quoniam
fumuntur loco proprii nominis & certam significant personam. De denuatiuis
autem uidetur quod fic, qm funt ut determinationes
nominum fubftantiuuoif, ut meus liber, tuus pater, nostra
patria &c»Similirer participium ji5 cft terminus
syncategorematicus ,compleditur enim no- men
subftantiuum et verbum, ut legens loquiTUni» homo
qui legit loquitur. Ex his omnibus fequitur,
quod cum line odo partes orationis, tantum
nomen et uerbum fumendo cum nomine pronomen
primitiuum, & cum verbo partici pium, funt
termini categorcmatici, alix autem partes
fune termni syncaregorematici apud logicum, &
caulam huius dicemus poftq definierimus nomen et
uerbum. Quarta diuiflo. Terminorum
categorematicorum qui dam cft primat intentionis, quidam
lecundae. Prima intentio apud vueros peripateticos eft
primus conceptus fundatus immediate in re, quz eft
cnsrcale , ut primo apprathenditur prxhenditur ab
intcllc&u, ut animal rationale est prima
in tcntio quam format intelleftus, &
immediate fundatur, iit natura hominis. Secunda
aurem intentio eft fecundus con ccprus
formamus ab intelledu, fundatus in re non
immedia ce fcd mediante primo conceptu, ut
efle praedicabile de pluribus differentibus
numero in quid, est fecundus conceptus quem
format inrellc&us de homine.Nam poftquam
apprae hendit cp homo eft animal rationale,
aduertit ut eft ani- mal rationale, conuenit
omni contento fub homine, &fic eft
praedicabilis de quolibet luo indiuiduo in
quid, & tunc format fecundum conceptum,
dicens q natura hominis e eo q* eft animal
rationale eft praedicabilis de pluribus
diffe- rentibus numero in quid & quod dico de homine
incellige de qualibet natura specifica cotenta sub animali. Terminus igitur
primz intentionis eft terminus significans pmum conceptum,
fundatum immediate in eftentia rei, ut homo,
ca-pra, leo. Terminus autem secunda: intentionis eft terminus
significans seccundu coceptum fundatu in natura
rei median re pmo conceptu, ut genus, fpccics,
differetia, fingulare, &c; Et ne cofundatur
itellcdus nouitii hicfifto. In tradaru autc
de uniuerfalibus siue pdicabilibus diffufius
& altius de terminis pmx, & feciidx INTENTIONIS loquemur.
Et aduerte q* diuifio termini in terminos pmz impofitionis,
& fecundx pofitionis apud nos, qui
fcquimur uiam realium non differt a praecedenti.
Nam homo in mente excogitatus, et uoce probatus,
& in feripto poli tus, significat (>mum
conceptum ideo est terminus pmz intentionis in mente,
in voce, in feri pto. Et ifte terminus species ex cogitatus
in mente et in voce et in scripto et secundae intentionis, quia
significat lecun dum conceptum modo quo
diximus. Non ergo eft neccfle ultra diuifionem faftam inter terminos f>mx,
8( secundae in rentionis, af!ignare eam quae dicitur' pmz,
& secundx impe» fitionis ut penitus diftinftam aprxcedenti, qux fuit
inter m x , & fecundx intcntionis.Hxc enim continetur
in illa. Quinta diuifio. Terminorum quidam cfimunis,
quidam fingularis.Cdmunis eft q de pluribus
pradicatur, ut homo, animal, lapis, & apud grammaticum
dicitur nomen appellatiuum,qm pluribus conuenit.
Terminus fingularis eft qui de uno
folo praedicatur, ut piato, & fortes, & apud
grammaticum dicitur nomen proprium, qmuui foli
conuenk, & ad «erte <y terminus singularis
apud logicum pot fieri quatuor modis, primo
per nomen indiuidui, ut plato'ftudet, secundo per nomen
coe adiun&o pro nomine demonftratiuo, ut
hic homo ftudec, tertio per nomen
circtinlocutum.i«miil- tas circunftantias fingularizatum, ut
Sophronifciprimogc nitus filius feribit, quarto
per ly,quod apud logicum, & philofophu est
signutn demonftratiiiu, ur ly homo,ly alal
&c. Sexta iiuifio. Terminorum quidam magis
uniuerfalis, quidam minus uniuerfalis , & utrunq;
membrum contine-^ tur fub termino communi.
Magis uniuerfalis eft qui praedicatur de
pluribus q minus uniuerfalis, nam magis
uniucrfiilis praedicatur de omnibus de
quibus praedicatur minus uniuerfalis , &1n
hac diuifione continetur animal & homo,na
animal praedicatur de omnibus de quibus
praedicatur homo et de aliis pluribus ut de omni
animalium fpecie, homo autem tantum de contentis fub
homine indiuiduis, & iuxta hane diuifionem
asfignabimus ordinationem conten Corum io
quolibet praedicamento, procedendo a generali!
Cmoadfpcdalisfimum. Septima divisio. Terminorfim tam
singularium q communium quidam eft finitus, quidam
infinitus, finitus eft determinati & certi significati:
qui scilicet fignificat unam ccr tam ac
determinatam naruram, & de nulla alia verificatur,
ut homo significat solam naturam rationalem, animal foli
naturam fenfitiuam,&c .Infinitus est qui
negat unam natu- ram,eam, scilicer quam
fignificat terminus finitus , & ucrifi catur
de quacuncp alia, ideo dicitur infinitus, id est
indeterminatus in significando, & terminus finitus fit
infinitus per appofitionem non, ut non horno, non
lapis, non animal. Nam non homo negat
naturam hois, $( verificatur de qua-t Cunc$alia«Vndc
lapis eft non homo, leo eft non homo
&c. Et aduerte q' quando terminus
finitus, infinitatur per non. iS fit
tota una diftio,ut non homo, fi autem
ftet non, per se, & homo per se, dicitur
terminus non infinitatus fcd negatus t
ut non homo currit, & per terminum
negatum fit propofitio negatiua haec enim
cft negatiua non homo currit, haec autem
eft affirmatiua,non homo puta leo currit-
Oftauadiuifio. Terminorum quidam eft pofitiuus,quid
priuatiuus .Pofitiuus eft qui fignificat aliquam
formam fiuc habitum perficientem fuum
fubiedum,ut uifus perficit ocu lum «Lux
aerem, iuftitia animum &c«Priuatiuus eft qui
(i- i gnificat negationem talis formae,
relinquens taroe aptitudj k ne in fubiedo,
eo q* cft aptum hre talem forma ut
caecitas, » tenebra, iniuftitia, mores furditas &c.
Caecitas enim significat negationem uifus in
oculo apto here uifum, modo, & te *
porc quo cft aptus uidere. Dicitur notanter
quod eft aptum habere talem formam, qm
fi non eft aptum , no uerificacur ii
de eo terminus priuatiuus , fed terminus
pofitiuus negatu? aut non uidcns,non
lucens, non audiens* V nde de lapide haec est falsa.
“Lapis est caecus,” vel surdus, uel tenebrosus,
haec autem est vera. Lapis est non uidens,
non audiens, non lucens. Nona diuifio. Terminorum
quidam abftradus, quidam a concretus.
Abstractus eft qui significat formatu per
fe fine f- connotatione (ubiedi,ut
color, fapori,albcdo, dulcedo, anima, iuftitia, &c.
Concretus eft qui fignificat formam conno
i- tado subiedum,uc colorat\im,album,nigrum^animatumt
iuftum,&c .Et aduerte q* haec diuifio
coincidit cum illa, dc :t qua erit fermo
in ante praedicamentis,fcilicet Terminorum r,
quidam est denominans, ut grammarica, hic cft idem q»
ab li ftradus, quidam denominatiuus, ut grammaticus
hiccR idem q» concretus. Decima dinifio. Terminoit quidam in
complexus, quidam complexus. Incomplexus eft ille,
qui est terminus simplex, er vel copoficus,
uel uniens in fe plure? terminos per
fc fignifi il, catiuos ad placitum,
ita tamen q» habent uim unius exem-
,a« pium primi homo, capra, leo, exemplum secundi.
Scuti- K. fer, armiger exemplum tertii
paterfamilias , primo geni- n, tus Sanftus Georgius,
summus pontifex. Comple-Jtu« eft ille, qui in
fc aggregat plures terminos per se
significatiuos ad placitum, qui non habent
uim unius, sed fiue aggragati, fiue separati recinet
fuum proprium fignificatum. Et nccerminus complexus
semper eft orario, aliquado sine verbo, ut homo albus, animal
uolatilc, in qua secunda pars determinat, & limitat
primam, aliquando cum verbo, ut homo eft albus. Vnde
logici uniuerfaliter dicunt q» terminus
incomplexus eft ut di&io. Complexus autem
ut oratio. Tuta men aduerte q> terminus ceplexus coitcr nominatur per
orationem infinitiuam, ut deum ede trinum hominem efle rifibilem, quae oratio
dicitur e(Te quid coplexum, & enunciabile, ut ibi manifeftabitur, cum
loquemur de modalibus. Vndedma diuisio.
Terminorum quidam significant fine tempore quidam cum tempore.
Significare sine tempore est significare rem
abfolurc fumpram non mensuratam aliqua differentia
temporis, cuius differentis sive partes funrprz- fens,
praeteritum, & futurum, & hoc modo fignificar
nome & pronomen fumptum loco nominis. Nam dum
dico ho- itio, aut animal, homo significar rem
quae eft homo abfolutc, & non
inquantum praefert tem, aut praeteritam, aut futu-iram.
Tu tamen aduerte q> licet nomen
significet fine tempore, nihil tamen prohibet aliquod nomen
fignificare tem- pus, aut partem temporis, ut haec
nomia, tepui, hora, dies ebdomada, mcnfis, annus. Nain
licet fignificet tempus, non tamen aliquid diftinftum a tempore,
& menfuratum tepott. Per oppofitum autem
fignificare cum tempore eft figni ficare
rem adiunda aliqua differentia remporis.Et
hoc mo- do uerbum, & participium fignificar
cum tempore. Verbi gratia curro et currens,
significant curtum pro tempore prae lenti, &
non aliter, cucurri pro praeterito &c. Unde
significare sine tempore, ut dicemus infra, proprie conuenit
nomini, oppofitum autem conuenit uerbo.
Duodecima diuifio. Terminorum quidam univocus, quidam aequivocus,
quidam analogus. Univocus est qui fubvna definitione naturam unam significat,
siue sit una specie, sive ana geacre, ut homo sub hac definitione, est
animal rationale, significat natura humanamquae eft una spe, &aul fub hac definitione,
est corpus animatum sensitivum, significac naturam animalis quae eft una
genere. Aequivocus est qui sub distindis ronibus, & abfqj ordine, &
immediate plures naturas fignificat diftindas
fpe, ut canis fignificat im mediare canem
coeleftcm fub hac definitione q* cft
fydus in ore figui leonis, & canem latrabilem fub
hac definitione qs cft animal iracundum et canem marinum fub hac
definitio ne q* eft animal aquaticum simile cani tcrreftri.
Analogus est qui sub diffindis ronibus ucl sub una inaequaliter
participata plures naturas quodam ordine prioris, & pofterioris
fignificat. Excmplum primi. Sanum sub hac rone
q? est esse adaequatum in humoribus fignificat
animal fanum, fub hac f one q' eft e(Tc
caufatiuum (imitatis fignificat medicinam Isi
nam, sub hac rone quod cft ede indicat iuum faniratis, significat
urinam sanam. Prius tamen dr de animali, pofterrus
autem de medicina, & urina: quoniam nonnifiin ordine ad animal
sanum. Exemplum (ccundi. Ens fub hac rone q» cft cui debetur eflfc,
significat primo substantiam, deinde acens quoniam substantia est ens
fimpfr, & accidens eft ens secundum quid, et solum in
ordine ad substantiam. Hic termini cur
uniucrfaliorcs diuifiones quae in dodrina
peripatetica frequenter funt in ufu,ta i
libris termino logices, q pbiae. pr aepofirae aut funt,
ut nouiti9paulatim a(Tucfcat, & nc fim coadi
frequeter fingulas repetcre. Haec dc. i .cap.
dida fint. Quid & quotuplex est nomen et verbum apud logicum. In
secundo capite inueftigandum est quid & quotupleg fit nomen et verbum apud
logicum, funt enim principales partes propofitionis, ut tibi manifeftum erit,
primo igitur agendum cft de nomine secundo de uerbo. Et quonia
hic intendimus agere dc partibus
propofitioni£us,& de g>- pofirione, & de
syllogifmo, non folum in uoce, fed & in
me rc, & in feripto, ideo definiemus ca
non per uoccm, fcd ter* minum qui cft
communis nomini & uerbo in mente, in voce,
in feripto. in reliquis autem no recedemus a
uia, & me* do dcfinitiuo fcruato a Petro Hispano, qui logicam Cui
formauic ut compendium logicae totius traditae nobis ab Aristotele ,
excepro libro poftcriorum. Non.n. Petrus hilpano
formauit tra&atum aliquem correfpondentcm
libris poste riorum, hac forte rone,
qmcxiftimauit nouitium penitus incapacem
fyllogifmi demonftratiui, Nos autem faciliori modo
quo poterimus particularem tra&atum formabim
ut paulatimalluefcat nouitii ingenium, & ne
fubito auditu libri pofteriorum confufus
retroccdat. Licct autcm Aristoteles in libro “Peri Hermenias”,
et Petrus cius imitator definiant
no nien & uerbum per uoccm,&
nos per terminum, tn no eri mus
oppofiti,nifi in hoc,q? nos magis ample,
illi autem magis ftriftc definierunt,*
Cofidcrarunt.mpartes oronis folurti ut
(untuocales,nos autem ut poflunteife mentales, &
uo-cales, & fcriptx. Vndeficut dicit Aristoteles &
Petrus cf nomen cft uox,fifr & uerbum,
dicemus nos i terminus, fiib quo continetur
terminus uocalis qui dicitur vox &c. Primo
igit agentes de nomine definiemus quid sit apud logicum,
& fi multiplex eft. Quantum ad primum
aduerte cp nomen ad mente Ari- ftotelisinuoce,
in scripta est TERMINUS PER SE SIGNIFICATIVUS AD PLACITUM
sine tempore, cuius nulla pars separata aliquid
fignificat finita & reda. Primo dr q» est
terminus, qm nomen eft pars propinqua ofonis & proponis,u
t patet. Et qm terminus eft quid magis commune qfit nomen,
ut patet ex op.praecedenti.
Nam & uerbum eft terminus, non tamen
cft nome, ideo in haedefi nitide
ponif terminus ut genus.Na ut declarabimus
trac de syllogifino dialc£lico,pmus terminus in
de finitione pofi tus, eft loco generis,
qm eoior eft ipfo definitor, reliqui
aqte ponuntur loco differentiae ut declarabimus
Secundo dr p (e aisnificaticus, ut excipiantur termini
no perfc significatiui, ut “buf” et “baf” et terrmni
syncatcgorema Cici ut figna uniucrfalia &
particularia, uc omnis, nullus, ali- quis,quae licet
apud grammaticum fint nola:, non tamen
apud logicum, quoniam g (e fumptanon polfunt
efle praedicarum ncc fubic&u proponis,
fcd tm determinant fubic- . Au aur pdicatu uc
docuimus in rertia diuillonc tcrminoif. Tertio dr ad placitum
ad driam termini fignificatis nata
ralitcr.ut intericdiones,quz condant non clfe
noia qm no declinantur per calus, nec fune
fubicdumaut przdicacutn proponis nifi in suppofitionc materiali,
ut heu e interie&io, heu eft
bifyllabum,& ad driam termini J.conccp cus in mente,
qui naturaliter fignificat ut declaratur
in.i periher* t Quarto dr fmc tempore
ad driam uerbi , quod significae cum ege,
quid fit fignificarc fine rge,& cum
tge iam docuimus in undecima diuifione
terminorum , & diximus q? no «nconucnit
aliquod nomen fignificarc tempus, ucl partem
tgis,ut dies, hora non th cum tgc.Vidc
tu illic» Quihto dr cuius nulla pars
separata aliquid lighat.idi no men diuidaf
in partes fiias, quz (int fyllabz ut
pr, & omne nomen nmplex,ucl quz fint
didioncs,ut in noic compofi- 10, ut eft
pr familias, uel Icutiferus , & fumant g
fe.i. extra totum nomen nihil fignificant.
Quod fic intclliges,aut nihil orno
fignificant ut marc.Na nec tnamee re, g
fe fumpta ali quid fignificant.Vel fi
aliqd fignificant , non th habent illuti lignatu,
quod hnt in toto noic.V.G. Hoc nomen
dhs fignac |»ncipem. Si ante refoluat in
do & in minus,do uciqj fignat: ;f*aftum
dandi, & minus signat oppositum magis, sed ut co
ponunt ly dhs nihil fignificant.f.dc fignificato
ly dhs. Idem intclligc de nomine compofito ,
cuius partes feparatz & (i aliquid fignat,
non tn illud quod fignat totum nomen
ccm pofitum, ut pr familias significat re&orcm familiz.
Pater autem per fc fumptus significat genitorem
et familia familiam, ica q in toto significant ur.um,
fcparatz autem signiS eant duo. Ethzc
expofitio cft communis apud ueros logi-
cos* Vndc Avicenna recitat in logica fua aliq
uos dixifle, q* verbum incomplcxum est cuius
nulla pars feparata aliqd significar. fi quod fic
de intellc&u et significato totius qm nl
hil ,phibct aliqd aliud fighare,ut magifter
nam magis aliqd fignificat:& ter, fcd
non tetinent significatum quod fignificat magifter nec in
totum nec in partem .Er fic paret q* hzc
definitio conucnic nomini cam timplici,
quam compotito, tam primiriuo, qua deriuatiuo,dum
ntodo intdligatur, uc cxpo luimus. Sexto dr
finitus ad differentiam nominis infiniti, quod
& fi apud grammaticum fit nomen, non
came apud logicum, quoniam apud ipfum
nomen cft illud, quod poteft elie fub-
icdum & przdicatum in propotitioc. Subiectum autem et praedicatum
oportet, ut determinate aliquid significent, afr propotitio effec inutilis,
nec deferuirct syllogismo formado ab intellcdu pro inquirenda
ucritatc.Vndc & terminus acq liocus inntilcm
facit proponem, niti fumatur determinate. Verbi gratia
canis coeleftis lucet. Sed uc
docuimus in divisione septima terminorum, terminus
infinitus nihil determinate tignat,ideo cum non
postit effc fubicdum & praedi catum
proponis non cft nomen apud logicum
niti fecundi! quid, ut dicatur nomen non fimptf r sed
nomen infinitum, sicuc solemus dicere quod “chimera” non est nomen reale sed
nomen fidum, quia nihil significat sed imaginarie. Sed dices, apud logicum hzc
cft propotitio. Non homo currit, ergo poteft effc fubicdum,
& per confequcns nome. Refpondccur. Tales propoticiones
sunt inutiles ti teneatur nomen infinitum in sua infinitate &
in deccrminationc. Si autem determinetur
ticdiccndo.Nonhomo.i.afinus currit tunc propotitio
erit utilis,fcd nomen infinitum non rema-
net infinitum, fed zquiualet finito. Septimo
dicitur redus ad differentiam obliquorum , qui non fune
nomina apud logicum. Nomen enim est apud ip- Ium
quod f m fe aliquid significat, 8( f m fe poteft
effc fubic- dum propotitionis. Sed obliqui
neutrum habent ex fe. No primum, quia tigni
ficatum trahunt, a redo ticur,& deriuan tur ab co. Redus autem
ticut non deriuatur ab alio tic non accipit tignificatum ab alio cafu sed
habet afe. Non secundum, quia ti apud logicum formatur propotitio perucrbif
impcrfonaIe, ut Platonis intereft legere: ly Platonis no eft subiectum, niti
refoluatur in redum tic. Ille cuius eft legere eft Plato. Sic
intclUgc de aliis. Prztcrca solus redus fufficit 1 t1 1 K Ir O \t.
i115 s io i ur Si rii a fr-
io mn. A re 3t n ad formandam prop6ncm pcrfedann &maxime de
secundo adiaccntc, ad quam non sufficit nomen obliquum. Haec enim
cQ perfcda. Deus cft, homo eft, hacc aurem
imperfe* da. Dei eft, hominis est. Non ergo obliqui moerentur dici
nomina sed fmc cafus nominum. Hoc de
definitione nomi* nis apud logicum rcalem &
peripateticum dida fint. Quantum ad secundum. f* quotuplex
fit apud logicum, Ideft inquantum poreft
c(Tc fubiedum & praedicatum, ppo fitionis,
conftat,ex didis quod non eft multiplex, quoniam
solum nomen rectum et finitum poreft clic secundum le
subiedum et praedicatum in propone modo quo
expofuumus.Vnde logicus a grammatico sumit fibi
redum ut nc« cellarium ad fomandum
abfolutam proponem significativam veri & falsi Reliquos
auccm cafus lumir adbencclfc, & magis propter feruandam congruitatcm quam
ucritate sermonis, ne uideatur logicus delpicere regulas grammatices. Haec de
nomine dida finr.
Quantum aduerbum aduerte quod ad mentem Arifstotele
verbum cam in voce quam in scripto sic
definiendum est verbum est terminus per se significatiuus ad placitum cum tempore,
cuius nulla pars separata aliquid significat,
finitus & rectus extremorum
unitiuus. Terminus ponif loco generis ficutin
definitione nols, quia eft eoior uerbo.
Nam omne verbum eft rerminus:fcd non
cconuerfo p fe fignariuus ponitur eadem rone
ficut in definitione nols fifr ad
placitum ad driam interiedionuni, & uerbi mentalis,
qrh significat naruralV, ut diximus in definitione nois,
Cum tempore ponitur ad differentiam nois,
& pronominis, & conuenit in hoc cum participio quod
uc- nit a uerbo. Quid fit significarecum tempore, 8c quare uorbu et
participium signifi.ar cum tempore, uidc in diuifione undecima
rerminoru. Cuius nulla pars separata aliquid sfignificar, intelligcndum est de
verbo tam simplici quam composito, sicut expofuimus in
definitione nominis, in hoc enim uerbum conuenit
cum nomine, finirus ponitur ad differentiam uerbi infiniti.
Infinitatur aute uerbum sicut et nomen per
appofitioncm negationis, ut non curro non laboro.
Quod quidem apud logicum no eft verbum, qm nihil determinate significac^ficur
nec nomen infinitum. Undefacc rct proponem inutilem:
nili determinetur licut diximus de nomine infinito,
sic dicendo, fortes, non currit» I « feribie» Re cius ponitur ad differetiam uerbiobliqu^cft autem uerbum obliquum apud logicum uerbum prztcriti &
futuri temporis, & verbum cuiuslibet modi przter
modum indicativum.Vnde quaedam fune uerba
obliqua ex tempore ra tum,ficut uerba praeteriti
temporis, & futuri indicativi modi, ut “amavi”, “amabo”.
Quaedam autem ex modo rantum uti imperativa tempore przlenri.
Quzdam ex modo, & tem- pore, ut uerba
optatiua, et subiunctiua et infinitiva temporis praeteriti et futuri. Ideo autem
apud logicum non fune verba, quoniam non faciunt primo et perfcipfa
propofitionem veram aut falsam, sed per redudionem ad verbum indicatiui modi &
temporis przfcntis. Nam hzc non cft uera
Czfar fuit,nifi quia aliqii fuit uerum
dicere Czfar cft» Sifr* hzc non cft
uera.Eclipfis crir,nifi quia aliqh erit
uerum dicc rcrcclipfis eft. Quoniam igitur
folum uerbu redum,»i»mo- di indicatiui
przlenns temporis facit per se ipfum
propofitionem ueram & falfam,& fola
propofitio indicatiua pinis temporis facit syllogifmum dcmonftrariuum
.i.fcicntialcm ut tibi declarabitur in rrac. De syllogifmo demonftratiuo,i®
dignatur logicus recipere a grammatico solum verbum indicatiuum praesentis temporis,
& przcipucfum, es, cft:quo niaminipfum ut dicemus
refoluuntur omnia uerba dida adiediua.Excremoru
uilitiuus ut in hoc diftinguatur a nomine &
pronomine fumpto loco nominis, nam illa
funt ucl poffunt elTc extrema in propofirione,ideft
fiibiedum & pdf catum, verbum autem non, fed
habet unire extrema. Unde dicitur apud
logicum copula, qm copulat przdicatum cum
fubiedo. Item in hoc diftinguitur a participio,
q» licec significet cum tempore ut uerbum
tn non poteft effe copula, nec facit g
feipfum oronem perfedam, dicendo fortes Ic gens,
sed cft necefle fubintelligerc uerbum»
Verbi gratia foftcs eft legens, ucl
fortes leges eft ftudiofus. Conftac igiC quid
fic uerbum apud logicum, & quare folum
uerbum i e- dum. i. quod no deriuai ab
aliquo priori: quale est uerbum lotum indicatriui
modi tgis prxfcntis,vnocrctur dici abfolu-te
uerbum. Reliqua aut tga; & modi
dicantur obliqui fiue cafus uerbi refti,
quoniam defcendunr, & deriuatur ab eo. Quotuplex
auc fit verbum apud logicfi,non cft immora
dum ex quo folum ucrbu rciftum moeref
apud ipfum dici nierbum ex rone ia
di&a.Sed apud gramaticu ideo eft mul
tiplex uerbum, ut patet in coniugationibus
uerborum, & I regulis fiiis, quoniam non attendit
ad formadum propone veram aut falsam sed congruam, et uitare
incongruam et quoniam per oes tgis drias, &
oes modos uerborum for mari por,& alio
modo g uerbum aftiuum,aIio modo g paf fiuum
&c.ideo apudgramaticum uerbum mulcipfr
diuidic. Nam gramaticus concedit
iftaurpocecongruazho eafinus f| negat logicus, ut
falfam. Hxc de.2.cap dida fmt, Quid fit &
quotuplex fic oro apud logicu. IN
tertio cap. poftqua a&um eft de
partibus oronis age» dum eft de ipfa
orone ut de toto conftitutot cuius praecognitio ideo
nccciraria eft quoniam feire non possumus qd fit enunciatio & propo,
ut tibi manifeftabitur infra, nifi pus notum fuerit quid, & quotuplex
fit oro. Hic igitur tria age da funt, primo quid fit, secundo quotuplex
fit ^ tertio qua’ orationis species fit propofitio.
Quantum ad primum aducrtcip ad mentem
Ariftotelis oratio in voce & in feripto, fic
definiri debet, Oratio cft ter_ minus per
fe fignificatiuus complexus ad placitum ,
cuius partes feparatx aliquid fignificant.
' Primo dicitur eft ter g le significa
rone, qua didum eft de nole &
uerbo & ponitur loco generis, quoniam
eoior e. Nam ols oro cft terminus
per fe fignificatiuus : fed non ccd uerfo .
Difhim eft enim cp nomen & uerbum
funt termini per,fe fignificatini,non tamen funt
oratio. Secundo dicitur complexas ad
differentiam hominis & uerbi, quo* nullum
fiuc fimplcx,fiuc copoficil , e termiiim complexus. Quid
autem fit terminus complexus nide indi
uifione decima {terminorum , & illic inucnics
quomodo proprie conuenic orationi» Tertio
dicitur ad placirum, ad differentiam ofonis
men talis,qux fignificat conceptum mentalem
complexum, qui conceptus lignificat naturalr,
ficut diximus de nomine ^ & uerbo
mentali. Praeterea, oro in uoce,& in feripto
fignificet ad placitum, probatur fic.Partcs
fux.f. nomen, & uer bum fignificat ad
placitum, ut docuimus in cap.prxccdentJ ergo
& ipfum totum confoturum ex eis, quod
cft oratio. Quarto di cuius partes
feparatx aliquid fignificat, id po- nitur ad
differentiam nominis & uerbi, quorum partes, uc docuimus in
eorum definitionibus, non fignificat aliquid fc parate, modo quo illic
expofuimus, partes aute ofonis fune termini caregorematici,
intclligendo de partibus principalibus ficut intendit Arift. Si non
de partibus fccundariis, quae polfiint
eife propones aduerbia &c. Termini autem
catcgo rematici tam in oronc , q extra
retinent fuum lignatum, ut docuimus in
diuifione tertia terminorum. Vn fi fiat
hxc oro, homo albus currit , ho extra hanc
oronem fignat aial ronale, ficut & in oronc,
& albus fignificat habens albedine.
Tu tamen aduerte cp licet fit commune omni orationi haberepartes qux separatx aliquid significant,
non tamen id fit uno modo i omni oronc,
nam fi oro fit fine uerbo, ut ho
nio albus, partes fux aliquid fignificant
modo, quo fignificat diftio. Si afit fiat
oro fimplex per uerbum, uc homo cft animal,
partes fux separatx eodem modo significant. fut
didio. Si aurem fiat oro subiuctiva, ut si veneris
ad me dabo tibi equum, partes lux funt dux ofones ut patet.
Unde si separentur, fignificabunt non ut diftio, sed ut ofo.
Vcrura quia refoluitur m duas orationes, & dux orationes in
terminos componentes, ur ego dabo, tibi equum, ideo commune est
omni orationi quod partes fux separatx aliquid significent, aut ut dictio, aut
ut oratio. Sed dices. Quare in hac definitione non apponitur finitus et rectus,
sicut in definitione nominis et verbi, prxeipue a quia dictum
eft q nomen infinitum nori poteft efle
fubiecti! nec praedicatum, nec uerbuni
infinitum poteft cflc copula, fimiliccr nec
nomen obliquum nec uerbuni obliquum.
Reipondetur q* ideo non opponitur,
quia in definitione non debent poni
nili quae conucniunt omni contento fub
definito, non omnis autem oratio formatur ex nominee et verbo finito, &
redo. Nam haec eft oratio, non homo currit & haec,
Catonis est legere, & haec, homo currct.
Qn aut diximus q> nomen infinitum et obliquum
non poflimt ee subicdum, no fumus locuti
de orone sed de propositione, qm sola
oratio indicatiua praetentis teporis ut
dicemus eft propofitio. Qm igitur aliqua
orario poteft coponi ex nomine iufinito,
& obliquo, fitr ex uerbo, & aliqua non,
puta propo firio,idco non dicitur redus
neque finitus , fed abftrahit ab utroque. Conftat
igitur quid fit orario apud logicum,
Quantum ad fecundum aduerte, q* apud
logicum oratio prima diuifione diuiditur in
orationem perfedam & imper fe&ani, deinde
utruncp diuifionis membrum fubdiuiditur, nidebis
infra. Oratio perfeda eft illa quae
perfedum fenfum gencraf in animo audietis ,
ideft qu* audita quietat,quo ad fignifi-
catum intentum a proferente uel feribente,
animum auditoris, Verbi gratia. Sortes intendit
notificarc Platoni ftatfl regis, & dicit. Rex
ualet fortis in bello contra hoftes, Hac
ratione audita quiefeir animus audientis.
Quod fi dicar. Rex contra inimicos, &
non ultra procedat , imperfedum fenfum generat
in animo audientis, ideft non quierat ipfum
ideo dicitur oratio imperfeda. Nam audiens
rex contra inimicos, ultra non proceditur,
dubitare incipit uti£ prae ualeat,an
fuccumbat contra inimicos fuos, patet
igitur ora tionis prima diuifio apud
logicum. Oratio perfefta continet quinque
(pecies,quae funt indi* catiua temporis
praetentis, & omnium temporum modi in
dicatiui,ut “Petrus amat”, amabat amauit, amaucrat, amabit
imperatiua , ut fac ignem deprecatiua , ut ora
deum pro me.optatiua, ut utinam te uideam
doftum. coniunftiua. ut fi ucncris ad mc,
honorabo te. Omnes ifte dicuntur pcrfic auditae quierant animum audientis
quo ad earum significatum, nec ipfum fufpenfum
tenent. Tu tamen aduertc,q? imperantia, &
dcprccatiua non dit fefunt penes modum nec
tps uerbi, sed penes appofitos re- fpeftus.Nam
utracp fit per modu imperatiuum, fed deprecatiua
fir proprie ad fuperiorcm, imperatiua aOt ad
inferio rem. Item aduerte q* coniunftitia ad hoc q» fit oro perfecta
oportet, ur coplcfiatur duas orones, aliter no quierat animfi audientis, ut
parer, reliquae uero spes per unicam ofonem quictant audientem,
ideo per feipfasfunt perfe&x. Oratio
autem imperfeda tres cotiner fpecies
fecunduqs tribus modis poteft formari. Nam
formatur per nome fub ftatiuum cum
adie<fiiuo, ut homo albus animal rifibile.
uel per duo fobftantiua per appoficione,
ut animal homo, deus pater, Deus filius. Et
hacc eft prima species & formatur per
foliim infiniriun, ut fortem currere. Si autem
apponatur fum, es, eft, cum termino modali cricpcrfectarut
forte currere eft posfibile.i t haec eft fecunda
fpecies*, & formatur per verbum Jcipir, & definit, ut
fortes incipit, fortes definit. Siautem apponatur ifinfriuum efficitur perfecta,
ut fortes incipit conualefcere, fortes definit
fcriberc, & hoc est ter tia species.
Item aduerte <y oratio perfecta poteft
fieri per unicum nomen, tielunicum ucfbum,&
maxime quando fic refponfiua inrcrrogariuc
Vt fi qtiis a te petat. Quis uenit do
rnum?& refpondeas, Pctus,Vel fic, nunquid fortes
uenit?& rcfpondeas: uenit. Confiat igitur
quo diuidenda fit oratio apud logicum.
Quantum ad tertium aduerte q* sola
orario indicatiua eft pmo & per (e
propofitio. Dico pmo & per (e qm alie
(pe cies non fiunt propofitio, nifi
reducantur ad indicatiuam. Vnde ifta, fi homo uolaret,
haberet alas, non eft propofirio, nifi
reducatur in iftam,fi homo uolat habet
alas. Et indicari u • prxreriti aut futuri
temporis, non eft propolitio nifi re- ducatur
ad indicatiuam praefenris temporis.Nam ifta, Ad a
fuit, ideo eft^iera,quia Aquando fuit uerum dicere.
Adam eft fciliccc quando Adam cxiftcbar. Ratio autem propter quam
apud logicum sola oratio indicatiua eft primo & per se propositio, eft,
quia intentum logici eft uti oratione ad investigandum verum etfalsum, ergo cam
proprie recipit, quae secundum fe significat verum et falsum,
&hxc est indicativa. Nam alis potius deferuiunt affectui mentis qua
quod sint ordinatae ad enunciandum verum et falsum conceptum animi aut
intellectus. Quod pacet hinc. Imperativa indicat voluntatem superioris per
imperium, optativa indicat desiderium sive affectum optantis. Praedicatiuc
indicat affectum inferioris erga fuperiorem per supplicationcm.
Coninndiua autem licet uideatur exprimere uerum aut falsum conceptum mentis,
non tamen determinate, fed fufpc fuic, eft enim conditionalis quae ut
dicemus in cap.de hypotheticis nihil ponit
in ede. Indicativa autem dcterm.nate di cic verum
aut falsum. Nam hxc eft determinate vera, homo est animal, &haec
determinate falsa homo est lapis, ideo. sola'm ceretur dici japofitio.
Proponicur enim imelledui ut per eam formet syllogifmum,
& per syllogifmum deueniat in ucram conclufionis
nociciam. Conflat igitur quae orationis perfeda species mcerctur logice
dicipropofitio. Unde aduerte, q? logicus non tantum magni facit oronem
con» gruam &ornaram, quantum veram, ita etiam fi
eflfct incongruam & inornata, modo uerii &
falfum cnuncict, accepta eft apud logicum,,ppterea
logicus acceptat iftam, deus feruitur ab hole
licet cam reprober grammaticus negans feruior
inueniri pasfiuum.Hxc de prxfcnti cap.dida fine.
OlnUli/ Si logico fufficiunt dux orationis
partes scilicet nomen re» verbnm redum. Caput
quartum. IN cap. quarto inueftigadum
eft fi dux orationis partes fciliccc
nomen & uerbum redum fufficiunt logico. Tu
igitur aduerte , quod logicus rationabiliter
reripjt tan- tum duas, ut fibi neccflarias,grammaricus,
autem odo* Ratio uero djfferenrix eft hxc.
Logicus et grammaticus dififerunt fine. Intendit
enim logicus fcire, difcerocrc ucrum a falfo,
grammaticus autem intendit fcire difccrncre
congruum sermonem ab incongruo. Ad confequendum
pri- mum fufficiunt nomen & uerbum , quoniam
fufticiuncad componendum .ppofirfone, quae eft significans
verum uel falfum,ut tibi manifeftabiturin
trac. lequeti ad formandi! congruum sermonem, &
diftinguendum ab incongruo no (iiHiciunt
nomen & uerbum, (ed oportet uti praepoficiqnibus,
& aduerbiis & coniunftionibns,S(c. Et
ideo ut gram- maticus habeat omnem modum
formandi fermonem con gruum, nccc(Tarix funt
fibi plures partes orariois, quam nomen rectum
et verbum rectum. Et qm ifte dux fibi sufficiunt, ideo appellat eas
categorcmaricas, id est per se significatiavs, alias autem syncategorcmaticas,
id est simul significativas. Quis autem fit terminus categoricus et
syncategoricus diximus in divisone tertia
terminorum. Sed dices. Logicus indiget pronomine
demonftratiuo, ut quando dcfcendic sub (ubic&o
propofitionis uniuerfalisaf* firmatiue uel negatiue
dicendo, omnis homo cft animal, cf 50
& hic homo est animal, & hic eft
animal &c. Item in- iget participio, ut dicemus
in trac.fequenti, quando rcfol- uit propofitioncm
fa&am de uerbo adicdiuo in fuum
parti cipiurn & Ium es eft, ut fortes
currit, fortes eft currens, ergo faltem quatuor
partes orationis funt ei ncccftariae.f.nomcn
& pronomcn,uerbum,& participium. Refponderur
nomen & pronome apud logicum funt, uC
una pars, qm utitur pronomine loco nominis, & participii!
ftar cum nominee et uerbo. Cum nomine quide, qm poteft
efte fubiedum propofitionis ficut & nomen, ut
legens cur- rit,& ftat cum uerbo, qm
fignificat cG tepore, ut docuirmrt fupra,& ideo
apud logicum identificanrur nomini & uerbo licet
apud grammaticum remaneant diftinfte. Conflat igitur cp
fint partes orationis necclfariae dialc&i co
ad formanda propofitioncm et ex propofitionibus syllogifmum.
Hoc dc prxfcnti cap.dida fint. Explicit rradatus secundus
copcndii logices peripateticat ordinatus per authorem et fuit de partibus
propofitionis. Incipit QVT eft de propofitione et speciebm cius. Nhoc tertio
tracta, agendum est de propofitione, gratia cuius praemifimus tradatum
praecederem, in quo a&uin est de partibus eius, et de genere per quod
definienda eft, et hoc eft oro ut tibi manifcftabitur. Diuidemus autem ipfumin
fex capita. Primo agendum eft de propofitione definitiue & diuifiuc prima
diuifione. Secundo agendum est de categorica simplici et de olbus eius
diuifionibus. Tertio agendum eft de, pp6ne hypothetica & eius spebus.
Quarto agendum eft de propone categorica modali. Quinto agendum eft de
aequipollentiis propofitionum categoricarum fimplicjuni, qux funt oppofitx
contrarix, fubcontrariae, conrradiftoriae, &fubaltcrnx. Sefto
agendum eft de aequipollentiis modalium
oppofitaif. De ppone, quid fit & cius prima
diuifione. In primo capitulo agendum eft
de propofitione quid fit & quotuplex in genere sive
prima diuifione. QuStum ad definitionem aduerte, <y sic
definitur de me te Ariftotelis. Propofitio eft oratio
uerum uel falfum fignifi cans indicando. Primo
dicitur oratio, loco generis, eft enim in plus
oratio quam propofitio: di&um eft enim in tract.
praecedenri, oratio perfcfta diftinguitur in
quinque (pccics, ex quibus sola indicatiui modi eft propofitio,
ergo omnis propofitio eft oratio perfecta, sed non econuerso, ex consequenti
est genus propositionis, propofitio autem est species orationis jjcrfe&c.
Sicut animal est genus hominis, homo autem est species animalis. Nam omnis homo
est animal, sed non econuerfo. Secundo dicitur verum vel falsum
fignificans, pro cuius notitia aducrte, cp cum proponum alia iit
affirmatiua, alia negatiua, ut declarabimus infra. Significare ucr u in
affirmatiua est significarc rem sicut est. Verbi
Gratia haec cft ucra, homo eft
ronaiis,quia fic eft ex parte rei.
Vnde hoicm e(fe fonalem cft ucrum Significare uerumin
negatiua eft fignificare rem ficut non eft. Verbi
Gratia haec eft ucra, homo non cft
afinus,quia fic eft in re. Vnde hominem non esse
assimum est verum. Significare falfum in propone atfirmatiua eft
figni. 6carc rem aliter q fic.V.G.hzc est falsa,
homo est lapis, qih significat hominem esse lapidem, & tamen aliter
eft. Significare falsum in propone negatiua, eft non
fignificarc rem sicut cft.V.G.hatc eft
fal(a,homo non cft animal, quia non
figni fjcac ficut eft.Nam homo eft animal,
ergo fallinn eft ipluin non efte animal.
Dicitur ergo in diffone, uerum uel falfum.
fignificans ad differentiam oronum imperfeCtarum,
ut ho- mo albus, afinus rudibilis, & oratio infinitiua,ut
fortem cur rcrc,& oratio famularis, ut
Sortes incipir, nifi. n.aliudadda tur,non folum
non quierant animum audientis, fed nec di-
cut aliquid devero aur falfo nifi
copleantur per aliud. V.G* Si ly homo
albus addatur homo eft albus.Si ly
fortem cur rerc addatur , eft uerum uel
posfibile uel contingens. Si ly fortes
incipit addatur, e(Te bonus. Conftat ergo g fc
funi ptz nihil dicunt de uero
aut fallo. T ertio dicitur indicando
quod dupliciter exponitur, pri- mo fic, indicando, id
eft cft oratio modi indicatiui ucru
uel faUbm fignificans. Vnde alii definiunt propofitionem dicen
te$,quod propofitio cft oratio indicatiua uerum uel falfum fignificans. Et id
ponitur ad differentiam orationum perfe- rarum quae fiunt
per alios modos, per itnpcratiuu, optati- «um,
&c.Nam ifte ut docuimus in trac
przcedcnti in capi trrtio potius dclcniiunt
nobis ad manifcftandum affectum mentis, quam
uerum aut falfum coceptum intellectus
Orationes etiam modi indicatiui temporis
prztcriti & futuri % non fignificat
primo & per se verum etfalsum, nifi reducantur ad unam temporis
przfentis indicatiui ut in eode loco docuimus. Sola ergo oro indicatiua
temporis praelcntis moe-retur dici propo, quia fola lufficit ad formidum
syllogitmu aliae autem non, iuli reducantur ad illam:
ut tibi mamfcftii erit in trac. de
slyllogifmo formali: iccudo ab aliquibus
ex-ponitur ly indicando.i.aflercndo.V erum id non
vf convenire omni propofitioniilcd tantum propolicioni
in materis naturali, quae neceflario cft uera, &
in materia remota, quae de necessitate
est falsa. In materia autem contingenti
cum posfit elle ucra & falia, non
pot dici afiertiue fea opinatiuc quod fignificct
uerum aut falfum, ideo melius eft ftarc
in p ma expone, quae etiam eft de
mente Aristotele in.i.perihcr. Quid aut fit &
quo fiat propo in materia naturali $(
contingente & remota dicemus infra in
hoc met.tradtatu. Con^ itat igitur quid
fit propofitio apud logicum. Quantum
ad primam diuilioncm proponis aduerteqj ad
metem Ariftotelis in primo periher. diuiditur
primo in categorica & hypothctica, dicilcategorica
gratee pr^dica» tiua latine, categorizo enim
graccc & praedico latine. Df hypothetica
graece, suppositiva latine, est enim graECe hyp.
fub latine, & thefis graecc, positio latine. Ratio
autem divifionis est haec, quia omnis propofitio
significat verum aut falsum, & eft quid compofitum
& omne compofitum cft refolubi Ic
in lua immediate componentia. V el ergo
propofitio com ponitur ex terminis immediate,
& in cos relolujtur imme- diate^ non in
aliud immediate. Et fic eft categorica ,
quae coponitur immediate ex fubiefto &
praedicato & copula , modo, quo dicemus
infra.V el coponit I mediate ex duabus oronibus
per aliq coiudione puta ergo, fi, & uel, 3t
imedia- te in eas rcfoluit, & ille
imediate i terminos, & fic eft hypo thctica,
ut dicemus in ca.tertio huius tradatus.
Catcgorica pero diuiditur in fimplicem &
modalem. Simplex eft in qua praedicatum fimpfir dicitur dc fubiedo, ut
homo eft ani mal. Modalis eft in qua
pdicatum dr de fubiecto non fimpflr
fed cum modo & determinatione, ut homo
eft aial ncccfla rio, homo cft albus
contingenter. Et de modali agemus in
cap.quarto huius trac.Hsc deprimo cap.difta fint.
Dcpropofitionc carcgorica & omnibus cius
diuifiombus. IN secundo cap.inueftigandum eft,
quid fir propofitio ea tegorica & quot
fint cius diuifioncs,& de fingulis
agen.. du eft excepta modali,de qua
agemus loco luo, primo igitur definiemus eam,
deiiide accedemus ad diuifioncs. Quantum
ad definitionem aduerte , q* ad mentem Aristoteles
sic definitur Propofitio categorica eft
propofitio j qux habet fubiedum praedicatum &
copulam taquam principia es partes fui. Ponitur propofitio loco generis. Omnis
enim popofitio categorica, est propofitio, led non econ- uerfo. Nam &
hypothetica eft propofitio, & tame non eft
categorica.Dicitur quae habet fubiedum &c.
hoc totum po nitur ad differentiam
hypotheticae, cuius partes principales funt
dux orationes , in quas immediate refoluiturtut
patet in jfta. Si tu curris, tu tnoucris,
principales partes & imme- oiarxnon sunt termini,
sed iftx dux orationes: tu curris,
& tu moueris.prim autem & niediatx funt
termini ex quibus hxc orario componitur , tu
curris , & hxc tu moueris* Dicitur igitur
q* principales partes categoricx non funr
ora tiones,(cd termini, ex quibus immediate
componitur, quo - rum unum eft fubiedum, alterum
prxdicatum, alterum co pulatut homo eft animal,
homo eft fubiedum, animal praedicatum, eft copula,
coniungit enim prxdicatum cum fub» iedo.
Sed aduerre:ut fcias quomodo in omni
categorica eft fubiedum copula & prxdicatum,
quod fit tribus modis, p„ mo per
uerbum fum, es, eft, de tertio adiacente
.Eft autem categorica de tertio adjacente
quando poft fum, apponitur alius terminus:
ut fortes eft animal. In hac conftat
de fubie- do & prxdicato & copula,
fecundo fit per uerbum adiedi- uum .
Eft autem apud logicum omne uerbum adiediuum,
prxter lum, es, eft, in quod relbluitur omne
uerbum adie- diuum & in litum participiumtut fortes
currit fic reloluit. Sortes eft currcns. Socrates est subiedum,
currens praedicatu est copula, tertio fit per verbum
fum, es, eft, de fecundo adiacente.Eft autem categorica
de fecundo adjacente, qn poftum, es, eft, alius
ccrminus no fcquit,ut deus eft, coelu
eft & in hac eft allignarc tubum
praedicatu & copula, alio mo q in praedicis,
afljgnat auceduplV ,pmofic, deus eft.i. deus cft
habes cire, deus cft fubum, habes etTe cft
pdicatu, eft copula, fc cudo fic Deus
cftd.deus cft exiftes. Dens cft fubieiftum exi-
ftens pdicacum,eft copula. Nonulli dicunt tp
in caregorica de fccudo adiaccntc,eft gerit
uicem copulat & prxdicaci, & id
uidetur innuere Ariftoccles in pmo perihcr.ubi definient uerbum
inquit &cft iemper eorum qux de altero praedica tur nota,
ideft uerbum semper (e tenet a gte prxdicati.
Con fta: igitur quid fit propofitio
categorica iimplex. Sed dices quare magis dicitur
categorica, ideft prxdicatiua quam fubicdiua, cum
tam fubiettumq praedicatu fmc partes cns.
Prxtcrca quare terminus praecedens uerbu
fum cs,eft, dicitur fubie&um,fubfcqucns autem
dicitur prxdica tum, & ipfum uerbum
fubftanciuum dicitur copula» Refpondetur ad pmum,
cp oe copofitum denominandu eft a parte
fua digniori, V ndc homo dicitur rationalis
& intellectualis ab anima intellectuali, qux dignior cft in eo
qui sensitiva et vegetatiua. Prxditatu aute dignius eft fubicfto qm
cftficut forma, fubiectu vero sicut materia, & dicemus
intra cp talia funt fubiefta, qualia, permittutur a
praedicatis. Cogrucigicdicn categorica.i.prxdicatiua &no fubieftina Ad
lecundu dfp ideo terminus praecedens uerbum
df fu bic<ftum,quia de eo df
prxdicacum ira cp fubiicitur prxdica to, V
ndc & gramarfeus appellat ipm fuppofitu.
Terminus uero fubfeques uerbu df prxdicacum,
quia prxdicatur & df de altero. i.dc
fubie&o. Vnde apud gramaticum df appofi tum.
Et aduerte q? totale subieftum est
ois terminus prxee dens copulam, fiue unus
fiue plures fint.V «G.homo eft ani-
mal,homo eft fubm,homo magnus & honoratus e
pneeps in ciuitarc, fubieftu funt oes illi
termini prxcedetes, pars au tem liibicCti
quilibet eorii. Ide intcllige ex parte prxdicati.
Sed dices.Quarc fubieftu & pdicatum per fe
inuice notifi eant fiuc definiunt, cu
definitio circularis uideatur. inutilis* *
Refpondetur quia hntrefpedum ad inuice, fubiedtum.
rtfpicit praedicatu & praedicatum rcfpicit
(ubic£tum,ficut ft lius rcCpicic patrem, &
pater filium.Refpediua aute conue- nienter
per fe inuicem norificantur & definiuntur, qm
mutuam habent dcpcndentiam. Sed de hoc alrius
loqucmur in trac. de praedicabilibus, p
nunc fuftine tu iuuenis ne inuolua ris.
Conftat igitur tibi quid (it propofirio
catcgorica. Quantum ad cius diuifiones aduertc,ut
habeas plenam de cis notitiam, fic difponendae
funt. Prima diuifio. Propofitionum categoricarum, alia affirmativa, alia
negatiav. Secunda. Alia uera, alia falfa. Tertia. Alia cuius
quantitatis, alia nullius. Quarta. Alicuius
quantitatis alia uniuersalis, alia particularis, alia
indefinita alia singularis. QuIta.Alix gticipacvrrocp rermio,
aliae altero,aliae nullo. Sexta. Participantium
urroqj termino, aliae participant qtroqj termino
eodem ordine, aliae ordine conucrfo. Septima.
Participantium utrocp termino siue eode ordine (iuc
couerfo quxda formantur in materia naturali,
quaedam in materia contingenti, quaedam in materia
remota. Odaua. Participanrium utroqj termino
eodem ordine tam in materia naturali q in
materia contingenti & in materia remota quaedam sunt contrariae quaedam
subcotrariae, quaedam contradiftorix, quxdam fubalternx. Nona.
Participantiu utrocg termino ordine couerfo &I n triplici materia (iuc
naturali fiue contingenti fiuc remota quxdam conuertuntur conuerfione fimplici,
quxdam converfione per accidens quxda couerfioneg contrapositione Omnes iftx
diuifiones dantur de, ppofitione catcgorica fimplici qux dicitur de inefle.i.in
qua prxdicatu simplicicci4 & fine determinatione facta g alique fex modo^.(
ucrfi falsum nccefTariil cotingens, posfibile imposfibile, dicit de subiefto
Quae aut ex his diuifionibus coueniat et categoricati modali dicemus in cap.
quarto huius trac. De singulis aut divisionibus agedu
c(t in fpe &ordine, quo prxpofitx funt. Verum antedcfcedamus in
(pe^nl aliqua prxdi&artMi diuiltonu datur de substantia, pponis,
aliqua de qualitate, aliqua dc qtitatc ut cibi declarabit infra, ideo ad viem
notitia diuifionu, quae fiet toto hoc noftro opere, ne funus coadi idem faepius
repetere, praeponendi fune omnes vfes modi, quibus folct
fieri diuifio. Tu igitur aduerte <y
indodrina Ariftotelis diuifio fit quatuor
modis generalibus. Primo generis in Ipccics.
Secundo totius in partes. Tertio vocis significata.
Quarto diuisio secundum accidens. Diuifio gnis in fpes,
fit duobu modis pmo gnis^n (pes
(ut> alternas, ut qndiuiditeorpus p alata &
inaiatu, &aiatu per fenfitiuu St no
(cnfitiuu, fecundo gnis in (pes fpalisfimas, uc
qii diuiditur color per albedinem &
nigrcdinem. Et hac di- uifionem cognofces
in trac.de praedicabilibus. Diuifio totius
in gtes fkqncp modis, pmo qntotu diuidif
in ptes fubicdiuas indiuiduales,ut qn
diuidit ho in forte Pia* Ioanne. Pecru,&c.Scdo
qn totu diu.ditur in partes eflcntia lcs,
uc ens naturale copofitu diuidif in
materia & forma, fi- cut diuidit ho
in alam & corpus, tertio qn diuiditur totu co
tinuu in partes fuas intcgralcs,uc domus in
fundametu,tc» dii, & pariete, & corpus animalis
in partes, qufe funt mebra fua,cx qbus
integrat corpus, quarto qn diuiditur totu
dito tinuu in partes fiias, inter quas
& fi no fit cotinuitaseft rame ordo
& .pportio.Hoc rao diuidif exercitus in
mtlitcs,cqtcs peditcs, 8(c.quinto qn diuidif totu poretialc fiue
poteftariufi in partes fuas poreftatiuas qn
diuiditur anima per potentias fuas &
virtutes fuas, ut tibi manifeftabitur i libro
dc anima, & ifra mani fcftabi mus tibi
in libro de fyllogifino Thopico* Diuifio uo
cis in fua fignificata fit tribus
modis primo uo cis uniuoce in
fignificata uniuoce,ut qn diuidif ho in
fortem & platone &c, secundo uocis
aequiuoce in fignificata &qui- uocata,ut
qn diuiditur cancer in ftclla fiue
fignum ccelefte, & aquaticum aial,& morbum,
tertio uocis analogicae in significata
analogata,ut qti diuiditur fanu,iu alal (anu ,
urina lana, medicinam fanam, cibum fanum,aercm fanum,
excr- D (HI V-. ritii5Tanu, &c. Et
hancdiuifionecognofccsin trac.de pntis.; Diuifio fccudu
accidens fic tribus modis , primo fubiefti
in accidentia, ut holum alius paruus, alitis
magnus1 alius albus,alius niger, alius
medio colore coloratus, (c3o acciden tis!in
fubie£ta,ut accidentifi,qux funt m hoie, aliud in
aia,ut (eia, aliud in corpore, ut agilitas
&c.tertio accidentis in acci dentia, ut
accidcntiu,quarda dura, quaedam liquida , qnada lucida,
quaedam tenebrofa , & hxc diuifio manife ftabit
tibi in philoiophia naturali & praecipue
in libro de generatione* Ifti igitur
funt iqodi uniuerfales famofiores apud
Arido tilem, quibus fieri confutuit diuifio»
Quantum ad pmam diuifionem,quac eft per
affirmatiua & negatiuam aduerre,q* affirmatiua
dupfr definitur , pmo fic,Categorica affirmatiua
eft .ppofirio in qua praedicatum affirmatur
de fubiefto, ut homo eft albus. Sed aduerte cj»
tuc praedicatu affirmatur de fubie&c quando
negatio no p cedit copula, q? fi
praecedit negatio, negatur pdicatum de lu
biefto,& efficitur negariua,ut hic Sortes
non eft albus. Si au tem fiibfequitur
no efficitur negatiua, fed permanet affirma tiua
, ut homo eft no albus. Ire aduerte
«p alio modo affirma! pdicatum de fubiecto
in affirmatiua uera & in falfa, na
in uera affirmatur re & uoce quia
fic eft in re,ficut dr , ut homo re &uoce eft
rifibilis. In falfa atite affirmatur uoce tm & non rc.
Nam licet dicam q» homo est afinus tarhenonfic eft in re, secundo definitur
fic. Affirmatiua eft in qua verbum pncipale affirmatur de fubiedo, ut
homo est aial. Dr in qua nerbum principale affirmatur ad differentiam
uerbi secundarii qtiod fi negattiruel affirmatur, propter
ipfum non fit propofitio affirmatiua nec
negatiua. Vnde ifta non eft nega tiua.
Socrates qui non currit , mouetur,nec ifta
eft affirmatiua* Sortes qui currit , non
monetur. Nam In prima licet uer- bum
fecundarium, quod eft, currit, negetur, tamen princi-
pale quod eft mouetur, affirmatur, ideo permanet
affirmatiua. In IccQda autem fit oppofito
modo, ideo permanet negatiava. Et ratio
huius eft, quia ticrbii fecundarium fe tenet a
parte fubicfti, q3 paret refoluedo in fuu
participiu fiuc afti- uum fiue pasfiuu,ut
hic. Sortes qui non currit,ideft. Socrates a9
non carrcns mouccur, (ortes qui currit, id eft
(ortes curreni non mouerur: Subie&um autem coniunctum
participio at- firmatiuo negatiuo no facit
propofitionem dic affirmatius ucl ncgariuam, tcd
negatio cadens fuper uerbum principale fiue
immediate, ut quando lubfequitur fubiedum,ut
hotno non eft afinus,fiue mediate, ut non
homo cft animal , dum modo fumatur negatio
negans, & no infinitam terminum, cui opponitur, nam
fi infinitarer, non faceret negatiuam. Vnde
lixc non clt negatiua» Non homo currit,
qm ly non homo clt nomen infinitum, &c. Vnde non
homo curru, xquippollet ifti, afinus qui ft
no homo currit. Coftat aut hanc elfe affirmatiua
Patet igitur quid fit categorica aftirmatiua.
Categorica negatiua dupliciter definitur. Primo lic,
categorica negatiua eft propofitio in qua
praedicatum negatur de luolubicfto,auc ho
non eft lapis. Secundo fic,eft pro- pofirio
in qua uerbum principale negatur . Dicitur
uerbum principale ad differentiam uerbi
fccundarii, quod ut docuimus fiue affirmetur
fiuc negetur, non facit propofirionem affir.aut
nega. Et aduertc,quod propofitio poreft fieri
afflr. uel nega. dupliciter lcilicet explicitc
& implicite. Si explicite, fit per nomen et uerbum
indicariui modi, ut hotno eft ri fibilis.
Si implicite poteft fieri per unicum
terminu,ut quan do dicimus, homo cft rifibilis
,& econucrlo, ly econuerlo aequippollet uni
propofitioni,qux elf hxc,& rifibile eft homo.Item
aduerte quod diuifio per afflrmatiuam et
negativam non foium conuenit categoricae sed
etiam hyporheti cac & moduli, quomodo autem fiat
hypothetica affirmative et ne gar. similirer
modal s, dicemus agentes de eis. Nunc
autem fuftine, ne confundaris ut nouus auditor. Hxc de prima
diuifioncdi&afint» Quantum ad fecundam diiiifionetn
categorica: fciliccc perneram & fallam , aduerte
quod cartgorica ucra , tam affirmatiua quam negatiua dupliciter
definitur. Primo fic, uera eft, qua: significat uerum , id eft significar
rem sicut eft, si est affirmatiua, vel significat rem sicut non
est, si est negatiua. Sed de hac latis diximus in ca.
pr scedenti in dedaran- «lo
definitionem propofkionis secundo autem fir defiintur. Vera
cft illa, cuius fignificatum primarium est verum. Significatum autem primarium
cft illud quod exprimitur p oro nem infinitiuam. Verbi gratia hxc eft ucra Deus
eft bonus qm deum clfc bonum, est verum. Sic.n. eft in re. Dico cuius primarium
significatum est uerum ad differentiam secunda rii. sccundarium
autem eft quod continetur in primario 8c fcquitur ad illud. Verbi gracia
primarium huius, homo est rationalis, eft eftc rationalem ad hoc autem
fcquitur cfte ani mal, clfe animatum, ede
corpus efie fubie&am. luxta igitur significatum
primarium & fccundarium indicanda eft pro-
pofirio uera,qm cft ucra primo & per
fe ex eo, ex fccunda- rio autem eft
tantum confequenrcr. Nam bene fcquitur qcf
fi fortes eft homo,for.cft animal. fcd non
ceonuerfb, ut de- clarabimus in trac. dc confequentiis.
Similiter falsa dupliciter definitur. Primo sic, falfi eft qux aliter
significat quam fit in re, ut hxc cft falsa, homo
est ansinus, quia significat hominem esseasinum, & tamen
aliter eft rn re, quia in re no est
asinus, sed homo siue rationalis, & de hac
definitione iam di ximus in cap.
prxccdentiin definitione propofitionis. Sccun do fic,
falsa cft illa cuius primarum significatum est falsum.
Verbi gratia hxc est falsa homo est
afinus, quia holem esse asinum est falsum, cu fic
ronalis,& afinus irratroalis. Quodfi fiereciudicium fecundu
fccundarium fignificatum, quod eft dfe animal, effet
uera-Nam hxc cft, ucra homo est animal v non
tamen fcquitur, ergo cft afinns, ut declarabitur tibi
in trac. De consequentiis Hxc de fecunda diuifioncdiftafint, Quantum ad
tertiam diuifionem fcilicet quod aliqua eft alicuius qiiamicari$,
aIiquanulliu$.Alicuius quantitatis eft illa, cuius fubieftum ftat pro aliquo
ucl pro aliquibus uel pro omnibus uel pro nullo, ut declarabitur in diuifione
sequenti. Nullius quantitatis cft illa cuius fubicftum fufpcnditur a propria
denoiationc, ronc, pbationis termini prxcedetis ip Ium quails eft
exclufiua cxceciua reduplicatiua, de quaif ,p-
Satiqne a<fturi fumus in trac.de probationibus
ter tuc.n.ap arebit tibi qflo ifte
probatur no rone fubicfti,uc , pbaf
universalis particularis &c.fcd ronc figni
fiuc fyncategdfcma* ris,ut exclufiua g
tm,reduplicatiua g inqtum cxccpriua p p ter, &c. T uigr fuftine
donec exercitat0 magis fueris, & ad ji di&u erae*
dcuencrim9. H*c de tertia diui., p niic dida fint. Quantum
ad quarta diui.f.q* proponum alicuius qtitatis
alia eft vPis, alja particula .alia indefi.alia
fmg duo ageda fut primo declarandum eft qflo
hxc diuifio eft (ufficiens, fecun do
pertradadum eft de quolibet eius membro. Quantum ad
pmum aduerte q» qtitas proponis atteditur*
penes fubm prout ftat,p pluribus aut
uno lolo.Pot igituf cofiderari fubin dupTr. Primo fi
ftat pro uno folo. Secundo fi pro pluribus fi
pro uno (olo, {ira cp uni (oli
couenit facie ponem fingu.fi pro pluribus,
hoc dupfV,quia uel pro pluri- pus
indeterminate uel determinate, fi indeterminate
fic fam cit ,pp6nem indefi.fi determinare
duplr quia hacc determi* natio fubti
uel fit per fignum vle affirmatiuu uel
negatiuu, ut ois nullus, & fic eft
propo ul’is,uel fit per fignum parti*
pulare affir-uel nega & fic eft propo
particularis* Coftat igit hxc diuifio eft
liifficiens.Et fi quxras quid fic qtiras ,
pp6* nis.Hkiideo q* ficut Qtiras fubx
proprie accipit iuxta mensuram longitudinis,
& latitudinis & , pfundicaris, fic quantitas ,
pp6nis (umit iuxta menfuram fubiedii, prout
uerificatur p« dicatiue de uno uel plunbus.
Conftat igitur quo hxc diuifio eft sufficiens, & quid fit
& unde fumitur qtitas propofitiois. Quartum ad secundum
aduerte, q* propofitio uniucrfalis dupliciter definiriH-. Primo fic,
propositio viis tam affirmativa quam negativa est illa, in
qua fubiicitur ter. communis figno uniucrfali
determinatus. Prinio dicitur in qua fubiicitur
ter*c6is.i*ponitur in fubie fto ter.cois.i.q
por coucnire & pdicari de pluribus, & apud gramaticum
dr nomen appellatiuum,ut homo, capra, leo»
Secundo dicitur figno uniucrfali dctertninatus figna
uni uer Talia (untquxdam affirmatiuaut omnis quilibet quifcp’, negatiua (unt,
nullus, nihil, neuter , dicunt uniucrfalia quia faciunt ftarc
fubicdum pro olbus aut pro fnullo ut ifta
rft uniucrfalis affir.omnis.homo eft animal.
Vcrificatur enim fubiedum pro quolibet
homine in fingulari. Nam fi omni homo est ammal
ergo & ifte, & iftc, & ifte , &
fic de omnibus alii eft animal. Tertio dicitur
determinatus. i. modificatus fiue limitatus ad standum non ablolure ,lcd
pro omnibus aut (p nullo-diximus.n in tertia
diuifionc tci minor u, quod signa ufia fune termini
lyncatcgorcmatici, qm fumpticum alio, id eft cum nomine
lubftantiuo determinant ipliim in propofitione
ad dandum pro omnibus aut \ ro nullo»
Sed aduerte, quod signum uniucrfale ad hoc
quod faciat propofitionem uniucrialem fimplicirer &
proprie debet ap poni fubiedo in redo & explicite
Nam fi apponitur iiibic- do in obliquo,
non facit eam uniuerfalem (impliciter, sed
secundum quid.Vndc
ifta eu uflibet hominis afinus, currit, noneft
uniucrlalis abfolute, quoniam signum non apponitur
ly afinus, quodest principale lubiedum, lcd
ly hominis, quod quoniam est obliquus eft
secundarium fiue parrialc‘fu bicdum. V ndc pratdida
propofitio abfolute eft indefinita, ut tibi
dcclarabitur.Dicitur explicire, quoniam fi ponitur
i- plicire uel uirtualiter ucl cum
diftindione,non facit propositionem uniuerfalem forma)itcr,
sed tantum interpraetati- ue»Sicut funr
iftar, totus fortes est minor forte, totum est in mundo
est in oculo meo. Non homo currir, &c.
Quomodo autem fint uniuerfales interpracatiuc
declarabitur tibi i trac. de probationibus terminorum, ubi diftinguemus
de toto, & quo ifta aequipoleat uniuerfali nega citi ac non homo
currit declarabitur tibi in cap. de acqujpolenriis catcgoricarum.
Nuncautem fifio nete inuoluam. Similiter aduerte, <y uniuerfalis
affirniatiua poteft fieri duplici ter, fex—
licet collcdiue ut omnes apostoli sunt duodecim,
& diftributiue, ut omnis homo eft rissibilis.
Et iterum diftributiue poteft fieri dupliciter,
fcilicct abfolute et accommode. Verum quomodo fiant & quo
verificentur,dcdarabitur{tibi in rrac.de fuppofirionibus,
pro nunc fuftinc Haec de propofitione uniueriali
dida fint. Propofitio particularis eft illa, in
qua fubiicitur ter mi- communis signo particulari determinatus.
Dicitur in qua tubiicitur ter communis,
ea ratione qua &
in propofitionc uniuerfali. De signo parti. determinatus,
ad differentiam proponis uniuerfaliszcft autem signum particulare
determinatio termini cois qui cft fubicdum in
hac propone, per quod defignatur fubiednm
accipi non pro oibus fub eo corcntis, fed
pro aliquibus ucl pro aliquo: ut quidam
homo currit ergo uel ifte uel ille,
ucl ille currit: & fufficit quod
uerificctur ,p aliquo pofito quod tantum
unus currat. Er aduerte, quod propofirio
particularis poteft fieri mul Cis modis. Primo
quando fubie&um eft ter. cois cum
ligno particulari tam affirmatiue quam negatiue :
ut quidam ho- mo currrir, quidam homo non
currit. Secundo per ly aliqd fumptum
adie<ftiuc:ur aliquid eft I manu tua.
Haec eft parti- cularis uirtualiter, quoniam ly
aliquid fic exponitur aliqua res eft I
manu tua. Dico fumptum adjeftiue quoniam sumptum subftantiue facit
propofitionem indefinitam ut dicemus. Tertio
quando fubiicitur ter. cois cum figno
uniuerfa li, fcd figno pratponitur ncgario:ut
no omnis homo currit haec enim
aequipollet huic: quidani homo non currit. Quarto quando fubiicitur
termi.cois cum figno uniuerfali affir-
mariuo,fcd praeponitur negatio & poft
ponitur:ur hic, non omnis homo non currit,
arquipollet enim huic, quidam homo cnrrir. Sed tertium &
quartum modum declarabimus fic effein cap. de aequipollentiis
categoricarum. Haec de propositione particulari diffa finr.
Propofirio indefinita eft illa in qua fubiicitur terminus communis, nullo signo
uniuerfali uel particulari determina rus: uc homo currit. primo
dicitur in qua fubiicitur termi. communis eadem ratione, qua diifhim est in
definition propofirionis universalis et particularis. Secundo
dicitur nullo signo ad differentiam propofirio* nis nniuerfalis &
particularis. Tertio dicitur nullo figno uniuerfali
uel particulari ad differentiam cxdufiue,in qua
ponitur signum: cantum, & in reduplicatiua, inquantum,
qua: ligna quoniam non tunc uniuersalia, ncc
particularia, ideo non faciunt propofitione alicuius
quantitates. Sed dices, quare dr indefinita, cum
aequipollcat particula ri* Na ide fenlus eft dicere, aliqs homo
currit, & ho currit. Rndetur, dr indefinita.i. indctcrminata, quia
acceptio fu? fubicdi non determinatur ad certam
quantitatem fecundu modum enuntiandi per fignum
uniuerfalc ucl particulare: licet fupponat
fubicdum determinatciut dicemus in traft*
de fupptofitionibus: & quando dicitur idem
fenlus eft di- cere: quidam homo currit &
homo currit, conceditur quo ad luppoticioncm &
uerificacioncm, fcd non coceditur quo ad
modum enunciandi,& fic intendimus ipfam
effeindefini tam & non quo ad
ucrificationem &i luppoficionem.Scd,p nunc
liiftinc, donec trademus de fuppofitionibus. Haec
de propofitione indefinita difta fine propofirio
singularis eft illa in qua fubiicitur terminus ai fcrccus vel
termi. communis cum pronomine demonftrati 110 primiriuc speciei, ut
Plato currit. Iftc homo comedit. U le
homo dormit. Primo dicitur in qua fubiicitur ter . dilcretus,
ad differens Ciani propoficionis uniuerlalis
& particula* & indefinitae, in quibus
fubiicitur ter. cois opponitur aute ter*
dilcretus ter. .coi , quoniam di fererus
deunofolo eft aptus pr*dicarioC grammaticus
appellat nomen proprium q? uni loli
conue-r nit,ut piato. Cois autem eft aptus
de pluribus praedicari, ut homo & animal, &
grammaticus uocatipfum nomen appellatiuum, quod pluribus conuenit. Secundo
vel termi communis cum pronomine demon ftratiuo.
Nam licet termi. communis de feftet pro pluribus
camenper pronomen demonstratiuum reftringitur ad ftan dum pro uno
folo indiuiduo, ideo atquipollet ter.
difcretcL Vnde iftapropofitio: hic homo currit ,
dcmonftrato (orte; scquipollct ifti. Socrates currit.
Tertio dicitur pri mitius fpecic, ad
differentiam pronominum deriuatiux fpccici. Sunc aucem
pronomina dcmoi) ftratiua primitiux fpeciei ergo,
tu, liii, ille, ipfe,ifte,hic, & is. Deriuatiux autem
lunc meus, cuus, luus,noftcr,. uciltr, no» ftras,ucftras.
ldeo autem e a, quae iiint primatiux
(peciei co flituunt propofitioncm Cingulare
qm trahunt lubictf uni ad fajpponcndum pro
uno solo, ut ifte homo dcmoftrato forte currit, &
ego. f Petrus curro, & tu. i Piato curris. Ea uero
qua funt deriuatiux lpei,ut meus,tuus,non
confticuunr ,p- pofuioncm Cingularem, non
n.rcftringunt fubm, cui apponutur ad statum uno
io lo, fed pot ucrifkari de pluribus.
Verbi gratia Petrus het dece afinos, &
dicit meus aiinuscur rit, ly alinus no stat
pro ifto tm, ucl pro illo tm fcd #
oibus difiuftiux. Nam fi meus afuius currit, &
habeo decem, ergo uclifte, ueljfte qui cft
meus currit. Pronomina auc demon ftratiua
primitiux fpei reftringur tcr.coem ad ftadu
, p uno solo demonftrato, ut ego.f.Petrus
lcribo,Tuuero.l. Plato dormis. Conftat igitur quid fit
propositio sngularis. Tu tame aducrte,quod no
Loluni pot fieri per ter. dilcre tum,
& per tcr.coem cum pronomine demonftratiuo primi tiux Ipeciei,
fcd & per tcr.r clariuum , ut pofito quod
lo phronifcus habet tantu unum filium,
cuius nomen ignore tur, ftdico Sophronifci
filius ftudet Papix, cft fingularis,p-
pofitio fimiliter fi dico. Pater Calix uenir,e
lingularis, quo uiam ifti ter.relatiui xquipollcnt termini
dilcretis.Irem potcft fieri per rer dilcrctum
circunlocutum,ut fi dico. Vir cri Ipus
rubeus, & claudus cantat in platea. Iftc enim
circunfta tix mani feliant talem hominem
& non alium, ideo reddut propofitioncm
fingularcm.patet igitur quid fit propofitio
lingularis & quot modis fieri contingit»
Item aducrte, quod fi quis te intrrogat
de substantia fitie natura propofitionis,dicendo. Qux
propofitio eftifta. Sor C<s eft
homo,refpondcre habes, catcgorica, & qux eft ifta.
Si tu curris, tu moveris, refpoderc habes
hypothetica. Si au ecm quis te interrogat dc
qualitate, propofitionis dicendo. Qualis eft ifta
fortes currit refpondere habet affirmatiua,&
Qualis eft ifta, homo non cft afinus,
relpondendum est, negatiua. Si ucro quis te
interrogat de quantitate proponis di Ccndo.
Quanra cft ifta; ois homo currit, refpondendum
eft, uniuerfalis, & fic de aliis. Vnde
logici pro hoc triplici quaefi- to
formaucrunr hunc ucrfum.Quac.ca.uel ip. qualis. ne.
uel af.v.quanta.par.in fin i. Quae categorica,
uel hyporetica. Qualis, negatiua, uel affirmatiua. V «quanta.
i.uniucrfalis uel particularis indefinita uel
fingularis. Sed dices. Quae est subftantia propofitionis, &
quae cius quantitas, & quz eius qualitas.
Refpodetur fuba cft cius natura sive
edentia, puta qft fit quid coinpofitum ex
talibus partibus. f. cx fubiedo praedi- cato
& copula ut catcgorica:ucl ex duabus
oronibus p ali- quam coniundionem coniundis:ut fi
tu curris, tu moueris ut hypothcrica.
QuStitaseius est extenfio fubicdi ad ftandu pro
uno vel aliquibus uel omnibus uel
nullis. Qualitas eius est secundum quam
dicitur qualismt affirmatio, negatio, veritas, falfitas,
necesfitas, contingentia, posfibilitas, imposfibilitas. Nam omnia
ifta qualificant propofitionem. Unde interroganti qualis fit
ifta, homo est animal, respondcre debemus, quod rft affirmatiua
ucramon solum possibilis sed etia necessaria. Quarum ad quintam divisionem,
quae eft hac, proponu categoricarum, quaedam participant utroqj termino,
quaedam altero, quaedam nullo, aduerte, quod cum termini
componcnrcs categoricam fint fubiednm & praedicatum: quae
Ctjam dicuntur extrema propofitionis, parridparc termino uel
terminis, eft conuenirc in subiedo uel in praedicato,
uel in utroque. Non participare autem
eft non conuenirc. His prxnv.sfis aduerte, quod duas
catcgoricas participare utro- que termino, eft
eas conuenire in subicdo & praedicato, ita
subiednm prima est subiedum secundae et praedicatum primae est
praedicatum secundae, nec in alio differunt nili quod una eft
affirmatiua, altera negatiua, ut sunt iftae duae, homo eft animal,
homo non eft animal, participare in alte ro
termino tantum fcilicct uel folum in
fubiedo, ut hic: homo cft animal, homo eft rationalis,
uel in praedicaroratum ut hic: homo eft animal, asinus est animal.
Participare nullo termino, est non conuenirc io subiecto nec in
praedicato, ut hic, homo est rifibilis, afinus eft rudibilis. Et aduerte
quod hic loquimur de participatione formali virtuali, quod dico, quoniam licet
iftae duae coueniant uir rualitcr: homo est animal, risibile est animah non
tamen for malitcr, quoniam formaliter non lunt idem homo et risibile,
dato quod eflent idem re, quod tamen non
conceditur in via thomistica. Iterum aduerte, quod haec
diuisio data eft, ut cognoscatur oppositio contraria, subcontraria,
contradidoria, subalterna propositionu categoricarum de quibus aduri lumus
infra. Namilla fupponit participationem, ppofitionum oppofitarum urroqj termino
formaliter & non solum uirtualircr ut tibi declarabitur in diuifioneodaua.
Quantum ad diuifionem lextarn, quae cft q*, ppofition5' categoricarum
participantium utrocg termino formaliter, quaedam participant
utroq? termino eodem ordine, quaeda ordine
conucrfo. Aduerte igitur quod duas
categoricas par ticipare eodem ordine
utrocp termino, eft fic, quod est subiedum in prima est subiedum in
secunda et quod est praedicatum in prima est praedicatum in secunda,
ut hic. Socrates est homo. Socrates non est homo, et semper
intelligedum est formaliter et non virtualiter tantuin.
Duas autem categoricas participare
utrocp termino ordine coucrfo, est sic,
quod est subiedum in prima est
praedicatum in fecunda, & quod est praedicatum in prima eft
subiedum insecunda, ut hic, homo est animal rationale,
animal rationale eft homo. Et haec diufio deferuiet quando loquemur de couucrfionibus propofitionum categoricarum,
ut tibi manifeftabitur. Quantum ad
feptimam diuifionem, quae eft haec.
Propositionum participantiumvtrocg termino fiue eodem
ordine fiue conucrfo quaedam fiunt in
materia naturali, quardam contingenti, quaedam in
remota, aduerte, qnllat fiunt in ma reria
naturali in quibus^raedicatum femper & infcpai
abii:ter conucnit fubiedo, & id fit multis modis ,
primo quando genus, aut differentia, aut definitio, aut,
pprictas, aut quali, eas naturalis
praedicatur de re. Exemplum primi, homo est animal,
fecundi, homo cft rationalis. Tertii, homo eft
animal rationale, quarti homo cft rifibilis
quinti Ignis cft cali. «Ius, mei eft dulce,
nix eft alba, Item quando idem praedicatur
de lcipfo:ut fortes est fortes. Ille aut
fiunt in materia contingentium quibus praedicatum
poteft aduenire & remoucri a subiecto, abfqj
hoc <y corruni. patur fubiedum ,& gg
hoc diftinguuntur a ,ppofitionibus i , materia
naturali, quoniam in illis li auferatur pdicatum,
no pmanet fubiedum. Nam fi homo cedat ede animal, aut
rationalis, aut risibilis et fi ignis cedat ede calidus
&c. nec ha-, mo nec ignis permanent, led
corrumpuntur et definunt ce» Tu igitur aduerte, c?
omnis jjpofifio, in qua pdicatum eft accidens
commune & fcparabile,& etiam infeparabile,
mo do non fluat a principiis fpccici, fit in
materia contingenti, utiftae, homo eft albus, ethiops est niger,
aqua est calida &c. Dico rnodo non fluat a principiis fpeciei: ut pferuem
rerum. j>prietates: ut eft rifibilitas in homine, par et impar in numero,
curvum et rectum in linea, fumum calorem in igne* lite nancg faciunt ppofirionem
in materia naturali. Quid ne. ro fit fluere apneipiis specjci declarabitur tibi
in trac. de praedicabilibus in cap. de proprio etaccidente. Illae vero fiunt in
materia remota, in quibus praedicatum non potest verificari de subiedo,
Imo id inuicero repugnant. Iftae autem funt in quibus
fubicdum & praedicatum sunt opposita contraria vel contradidoria vel
prfuatiue ucl relative opposita. Exemplum primi.
Album est nigrum. Secundi homo est non homo. Tertii. Caecus est
uidens. Quarti, pater est filius. Et aducrte , q?
dicuntur fieri i|i materia remota, scilicet
repugnanti, qm natur fubiedi&i pdjcatiin oibus p didis repugnant adinuioem,
nec fc compatiuntur. Inde eft q1 omnis affirmatiua in materia remota ferng
& de neccsfiUtate eft falfa, negaciua autem femg & immutabiliter
ucra. In materia uero naturali cft oppofifomodo. Nam affirmariua femg
est vera, negatiua fepig falfcM Jn nuter» cotingeti ?4 est medio
m6, qm tam affirma, q nega, aliqn e vera aliqn falsa,
nam qn praedicatum incft liibiedio, affirmatiua est uera, negatiua falsa,
qn praedicatum remouctur, affirmatiua eft falsa, ncgariua eft uera.
Hoc de septima diuifione difta fint. Quantum ad oAauam diuifioncm,
quae fuit haec, Propofitionum carcgoricarum participatium utroqj termino
eodem ordine triplici materia. Cnaturali contingenti et remota aduerte, q*
inter eas sit quatruplex oppofitio. f. contraria subcontraria, contradicloria,
subalterna. Oppositio contraria sit inter eas quarum una eft universalis
affirmatiua & altera uninerfalis negatiua, de eifdcm fubieflis &
prodicatis univoce &aeque ample & aeque strictca cceptis.
Primodf quarum una est uniuerfalis &c. Nam ut diftinguantur a
contradictoriis, debent efle eiufdem quantitatis & diuerfae qualitatis.
Si eiufdem quatitatis, ergo utraqj eft uni
ucrialis uel particularis , non secundum quia noneffient contrariae
sed subcontrariae: ut dicetur infra ergo primum. Si, diversae
qualitatis, ergo i&fca eft affirmativa et altera negativa.
Secundo dr de ei (dem subiectis et praedicatis: uc ois homol albus, nullus homo
est albus, & dcfeftu huius iftaeduae non funt contrariae ois homo eft
albus, nullum rifibilc eft albu^ Tu tn aduerte q* subiectum et
praedicatum pnt effe idem tripliciter, pmo fm
vocem tm & non fm signatum, secundo t m.
signatum tm & non fm vocem, tertio fm vocem et
secundumsignificatum. Exemplum primi omnis canis latrat: nullus canis
latrat. Secundi. Omnis homo currit, nullum ronale
currit. Tertii. Omnis homo eft alal nullus homo eft
alaU Prima identitas non fufficit adeontrarietatem,
ideo dicitur in definitione, acceptis univoce, conftat
aut q* canis eft ter. aequiuocus , fecunda aut
fufficit ad contrarietatem virtuale leu aequiualente,
sed no ad formalem, tertia vero sufficit ad
contratietate proprie diCta & formale, unde licet iftx duae,
omnis homo currit, nullu rationale currit, fint
cotrariae uir rualiter eo q* secudum significatum homo et
rationale fune idem non tamen forma\itct, qm formalitcr non
participat E ii utroqj termino secundum uoccm et secundum significatu.
Tertio dicitur aeque ample &aeque ftrufie acccptis. Dcfe* du huius apud
multos iflae dux non sunt contrarix. Omnis homo est animal, nullus homo est
animal, quoniam in prima poteft teneri tam pro mafculis quam pro fccminis,in
secunda solum pro masculis. Tu tn aduerte, q' secundum usum i
utracp accipi confucuit pro mafculis ideo
acceptantur:ut ue rz contrariZj Item defedu
huius iflae dux non lunt contra riae.
Omnis homo cft albus, nullus homo fuit
albus, quia in prima reftringitur adprxfentcs ,
in fecunda autem ampliatur ad przfentcs uel prxreritos. Scd
pronunc fuftinc, donec pertrademus de ampliationibus & appellationibus. Tu
tn aduerte, q* prxdldx non sunt contrariae non solum ronc di da, sed quia
copula non tenetur eodem modo in prima set secunda. Nam in prima eft ly eft,
in fecunda cft ly fuit. Unde in definitione
intelligendum eftq' contrarix debent c(Te de
ctfdem fubicdis & prxdicatis & copulis. Hzc
de contrariis dida fint. Oppofitio
contradidoria eft inter eas, quarum una cft
viis affirmatiua, altera particularis negativa ,
ut omnis homo est animal, quidam homo non
eft animal, uei altera cft vfis negatiua, & altera
particularis affirmatiua, ut nullus homo currit, quida homo currit, dccifdcm
fubicdis &pdicatis & copulis, uniuocc & zque
ample, & xque ftride acceptis. Omnia debent
intclligi ficut expofitum eft dc contrariis.
Ut autem habeas maiorem
noticiamdccontradidione aduerte ex dodrina Ariftotclis,
quatuor condidioncs requirit, & defedu cuiullibct carum enitatur
contradidoria oppofitio. Prima eft q» fit affirmatio eiufdem de eodem &
negatio, dummodo fumatur idem secundum rem et
vocem, ut Socrates currit. Socrates non currit. Defedu cuius ifta apud logicu
non sunt contradidoria formaliter sed virtualiter sive equipollenter tantum ex
parte rei. Cicero currit. Marcus no currit, pofito enim q» fint sinonima ex
parte significati quia ide homo didus cft Marcus et
Cicero, tame diftinguuntur uocc icas isb
ffffi futc: ctu OOP* uiJ'
ipl> lo« Taa jnci u$
yra (Tei. t& il* ra^
jsi» iC30 is. io» srt-
t& itio, Sa ? t<p , cof
jii UOC *f sive termino, qm duo fune
termini, Marcus et Cicero, ideo non funt
contradictoria formaliterfcd xquipolleter.
Aequipollenter quidem, qm idem indiuiduum intclligitur
pcrMar cum & Ciceronem, formaliter autem non,
qm logicus obseruat oppofitionem de virtute sermonis,
philosophus aute qui est artifex rcalis, dc
uirtute rei & fignificati. Vnde apud
phyficum ifta contradicunt. Materia prima est ens in poten tia.
Primum fubic Ctum non eft ens in
potentia. Pro eodem enim accipit materiam
primam & primum fubiectum. Secunda eft
q» duae propofitioncs contradictoriae refe-
rantur ad idem ut fecundum idem , &
propter huius defe- flum, illae no contradicunt, Ethiops
estalb us detes. Ethiops non eft albus pedes, non
enim sit praedicatio secundum eandem partem» Tertia est. Quod
teneatur fimilirer, ideo ifte dux non contradicunt,
nullum animal est genus, animal est genus. Nam In
negatiua stat animal pro suppofitis , in affirmatiua ftat
p natura communi. Sed id non intelliges
donec in traCta. suppositionum exercitatus fueris, ideo
fuftine. Quarta eft q* referantur ad idem tempus. Et defeCtu huius, iftx
dux non contradicunt, fortes uenit hodie, fortes no ucnit heri. Et aduerte q*
omnes iftx conditiones exprimuntur in diffinitione contradictionis,
quae extrahitur ex doctrina Ariftotelisprxcipuc in quarto metaphyficae, &
eft hxc. Contradictio eft affirmatio et negatio, id eft propofitio affirmatiua
& negatiua eiufdem prxdicari de eodem
subieCto, ad idem secundum idem, fimiliter & pro eodem
tempore Hxc de contradiCtoriis diCta fint. Oppofitio subcontraria eft inter
eas, quarum una eft particularis affirmatiua vel indefinita, altera autem est
particularis negatiua vel indefinita de eisdem prsrdicatis et subiectis
& copulis uniuocc acceptis, & eodem modo
supponentibus. Primo dicitur propofitio
affirmatiua negatiua particularesaut indefinitx, ut excludamus duas
singulars. Nam Illxfunt contradictorix secundum rem et significatum
licec. Eiii TRACTATVS tertivs non in figura, quoniam in figura uc
declarabitur tibi infra. oportet unam c(Tc uniuerfalem affirmativam vel
negativan alteram autc particularem affirmativam uel negativam ut patebit in
figuris quas in ira deferibemus. Quare autem duae singulares non sunt
subcontrariae ratio est haec, quia due subcontrariz poliunt ede fimul verae, ut
quidam homo currit, quidam homo non currit. Due autem singulares non poliunt
ede simul uerae nec fimul falfz, sed una vera et altera falsa in omni materia,
uc fi hzc est vera fortes non eft afinus, hzc neccesario est falsa Socrates est
ansinus. Ergo sunt contradictori. Secundo dr de cildcm subieftis &c.
inrclligendum est eodem modo sicut diftum eft in oppofitionc contraria.
Tertio dicitur univoc e tentis, defectu cuiu» iftz no fune
subcontrariz. Quoddam sanum est animal. Quoddam fa- num non
est animal. Quarto dicitur eodem modo supponentibus, dcfeftu cuius iftz,
non sunt subcontrariz homo est speties, homo non est species, nam in prima homo
supponit pro natura communi, in secunda pro natura partita in suppositis.
Sic quide dicimus pro nunc. In trac.autem fuppolitionum
manifefta bimus quomodo ifta non eft
indefinita homo eft fpecies, sed singularis, & ideo
manifeftius tibi erit, <y no sunt subcontra riz, non solum quia
non supponit homo in prima et secunda eodem modo, fed quoniam sunt singulares
quas ncccdc est ut diximus c(Tc oppofitas contradictori secundum
rem et s significatum. Oppositio subalrerna est inter eas, quarum una est
vflis affirmariua et altera particularis aut indefinita aut singularis
affirmatiua. Vel una est viis negatiua et altera est parti
«auc inde. aut fingularis negativa de cifdem
fubie&is & przdicatis 8c copulis
&c.ut diftum eft in aliis
oppofirionibus. Hic Htofunt declaranda, primo
quare dicuntur (iibalrer- ne,fecudo quare
du* singulares aftirmativa et negatiua fune liibalternz
& non fubcontrariz. Ad prim Utn dicituny ideo
uniuer falis affir.& particula- ris affirma tiua
dicuntur fubalternz-quia una fub altera
ponimr.i4particu.rub uniucrfali.Vndc uniucrfalis fe
habet, ut an$ particu ut pns. Nam bene
fcquitur.Omnis homo eft ani mal ergo
quidam homo eft animal, & homo eft animal,
8t ifte homo cft animal, ut tibi
manifeftum erit in fuppofitioni bus. Non
autem fcquicur cconuerfo, quia ab inferiori
diftributiuc ad fuperius affir.non valet consequentia,
non enim iequitur, aliquis homo est stultus ergo omnis homo
esst tultus. Et aduerte ficut dicuntur
rubaltcrnae per rcfpedum suppositionibus, quem habet particulares
ad universales, fic dici pollent fuperaltcrnx, pcr relpe&um super
pofitionis, que habet uniuerfales ad particulares. Scd primis placuit fic
denominare ab*infcrioribus, quorum eft subiici et supponi superioribus. Ad
secundum dicitor q? ideo dux fingu.affir. &ncg.fune fubalternx
qm ficut ualet confequentia abuniuerfali affir,
uclnega. ad particu. & inde affir. & nega. fic
valet adfingu. Affir .& nega. Nam fi
hxc consequentia valet ols homo currit, ergo
aliquis homo, & homo currit, fic ualet, ergo
ifte & ifte currit, quoniam, ut declarabitur
tibi in trac. fuppofitio- num, signum univerfale affirmatiuum
8 (negatiuu diftribuit terminum immediate fcquentem & licet
dcfccndere ad fua singularia diuifiuc. Sed pro
nunc fuftine ne confundaris, do nec habebis
de luppofitionibus notitiam. Et ideo funt fubal ternx
ficut particu.& indcfi.Non autem sunt subcontrari
ratione iam difta, quoniam subcontraries contingitellc simul
veras, dux autem singularis negativa et affirmatiua, in omni materia ita fe
habent y fi una eft vera altera est falli, & non poliunt efie fimul
uerxnccTimul falfx, & ideo, ut dt ximus non fiint fubcontrarix cd
contradiflorix. Conftae Igitur tibi quo
propofitiones categoricx participantes utro que
termino & eodem ordine, conftituunt quatuor geifepa
oppofitionum.Et quoniam possunt formari in materia
natu rali & remota & cotingenti,idco
figurabimus tibi tres figu ras. Prima erit
de oppoficis in materia naturali, secunda
de oppofitisin marcria remota, tertia de
oppoficis in materia contingenti, ut patet infra. LOGICAE
compendium. Peripatetica ordinatum per Reuerendum Maglftrum Chiifoftornum
Iauellutn .anapicium ordimsprxdica, nunc tandem 8C d'U“°P“Pro' ditin lucem» A
Continet aute undecim tractatus uidelicet* Primus eft de prarcognofcendis.
Secundusde patribuspropofitionis. Terrius de propofirione. Quartus de quinque
uniuerfalibus. Quintus de praedicamentis. Sextus dc fyllogifrnis formalibus.
Seprimus de fuppofirionibus. c OcAta^unuKs ampliationibus& V’-> V
V^lArii* « ' * Jj; ii .I' d appdlationibusJ IN/onus dc conicquentiis. Dccirnus
dc probationibus terminorum. Vndeamusdefyllogifinodacmonfitrraarniuo,.in quo
quo continetur Ariftorelis dodrina in lib.pofter. QjiaE Gmma recenti hac noftra
editione uiligentifsime, expolita fiint, atque elaborata*Grice: “For all their
subtleties I lizii, or peripatetic logicians never cared about formulation.
Consider Javelli: the dog barks, anger is represented, ‘canis latrat
raepresentatur ira, gemitus infirums raepresentatur dolor. No care is taken to
represent the proper signification. It is still the ‘anima’ if the vegetative
one, it is still the dog’s spirit. If the dog barks, he means that he is angry.
If the infirm moans he means he is in pain, and so on.” Grice: “Javelli is one
of the most careful Italian philosophers. He had a fascination for two little
tracts by Aristotle towards which I also felt an attraction: De Interpretatione
and Categories. His comments on De Interpretatione are brilliant in that he
reduces all to ‘re-presentare’. The infirmus who groans or moans represents
‘dolor’. The dog that barks represents ‘anger’. These are ‘signs’ of the
natural kind – and rather than dark clouds meaning rain he is into ‘phone’ –
vox – here it is vox signifying that p or q naturaliter. (my example of
groaning of pain). From there he jumps to the institutional meaning, ad
placitum, ex decreto et authoritate – e consuetudine, -- a system which
superseds the previous one. Giovanni Crisostomo Javelli. Iavelli. Giavelli.
Javelli. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Javelli” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753886743/in/dateposted-public/
Grice e Jerocades –
filosofia della massoneria – filosofia italiana – Luigi Speranza (Parghelia). Filosofo. Grice:
“I would consider Jerocades more of a poet than a philosopher, but then he was
a priest and a Mason!” Essential Italian philosopher. Scrisse il saggio
“Dell'umano sapere”, di stampo illuministico, che verrà successivamente
pubblicato a Napoli, e “La partenza delle Muse”, edito na Messina. Si trasferì a Napoli. Dietro raccomandazione
di Genovesi, col quale era entrato in corrispondenza, venne assunto al
"Collegio Tuziano" di Sora come maestro d' “ideologia”. Frequenta gli
ambienti massonici. Secondo il clero sorano, tuttavia, quelle opere non si
attagliavano ai giovani del collegio, tant'è che prima della rappresentazione
di “Il ritorno di Ulisse” -- che conteneva alcuni intermezzi ridicoli e di
stampo anticlericale, in particolare il Pulcinella da Quacquero, il vescovo emise
un editto di censura: ne seguì un processo per eresia e sedizione, con la
reclusione di Jerocades nel carcere vescovile. Scarcerato dopo sette mesi, lasciò
Sora per tornare a Napoli, dove divenne popolare come poeta improvvisatore. Fu
in Calabria: qui si dedicò alla composizione delle raccolte Quaresimale poetico
e La lira focense, testimonianza di un «illuminismo massonico». Insegna a
Napoli. Fonda la Società Patriottica Napoletana, coagulo dei principali
esponenti del giacobinismo e dell'antigiurisdizionalismo partenopeo (ovvero che
miravano a costituire una repubblica), cosa che determinò la sua incarcerazione
a Castel dell'Ovo e il processo per apostasia, ma riebbe presto la libertà,
avendo deciso di ritrattare. Anche per il conflitto interiore causato da una
siffatta scelta, sostenne attivamente le idee rivoluzionarie, che però, in
seguito alla breve esperienza della Repubblica Napoletana, gli costarono
nuovamente il carcere, e quindi l'esilio a Marsiglia. Ritornato a Napoli razie all'amnistia
prevista dalla pace di Firenze compose l'elogio di suo padre e di suo fratello,
motivo che indusse a farlo rinchiudere nel convento dei Liguorini di Tropea. Saggi:
“Esercizii spirituali in compendio ossia il filosofo in solitudine” Napoli); “Il
Paolo, o sia l'umanità liberata poema” (Napoli: presso Giuseppe Maria Porcelli,
Inni di Orfeo esposti in versi volgari, Napoli, La gigantomachia, ovvero La
disfatta de' giganti, Napoli: La lira focense, Napoli: si vende da Gennaro Fonzo,
strada Forcella, Olinto e Sofronia, dedic. Orazione per l'apertura della Scuola
di Economia e Commercio, Napoli, Orazione recitata ne' funerali solenni di
Marcello Accorinti morto in Messina nel terremoto. Napoli, Fedro, “Esopo alla
moda, ovvero delle favole di Fedro, Parafrasi Italiana” (Napoli: Porsile, Orazio);
“Le odi di Orazi esposte in versi volgari” (Napoli); “Le odi di Pindaro
tradotte ed esposte in versi volgari” (Napoli: Russo); Biografia degli uomini
illustri del regno di Napoli, D. Martuscelli, Gervasi, Napoli B. Croce, La rivoluzione
napoletana Biografie, storie, racconti, Laterza, Bari L. Alonzi, Il giacobinismo napoletano, in
Idem, Il Vescovo-prefetto. La diocesi di Sora nel periodo napoleonico, Sora, A.
Piromalli, Illuminismo massonico, La letteratura calabrese, I, Pellegrino editore, Cosenza, B. Croce, D.
Ambrasi, Il clero a Napoli tra rivoluzione e reazione, in A. Cestaro A. Lerra,
Il Mezzogiorno e la Basilicata fra l'età giacobina e il Decennio francese, Atti
del Convegno, Maratea, I, Venosa, B. Croce, La rivoluzione napoletana, Biografie,
Racconti, Ricerche, Bari, Laterza, Saggio dell'umano sapere, D. Scafoglio, Vibo
Valentia, Sistema Bibliotecario Vibonese,A. Jerocades, La lira focenseː un
abate poeta in loggia, A. Piromalli e G. Bravetti, Foggia, Bastogi. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. 1.
T) Indaro , figliuolo di Diifanto,e di Mirto, J» nacque in Tebe , città
capitale della Beozia. Mono il padre , eh’ era sonator di tibie , la ma- dre ,
eh’ era ancor sonatrice sposò Scopelino , e , quindi , dopo la morte di lui ,
sposò Pagonida , ambi professori di musica. Di qui è,ché al no- stro Poeta si
danno tre padri , de' quali due nel vero sono patrigni . Or questa sua sorte
fece la sua virtù; imperciocché nacque, visse, e morì tra le Muse, le quali a
quel t&mpo erano e ric- che, e nobili ,ed onorate. I suoi primi studj fu-
rono la musica, e la poesia, che apprese da Laso Ermìoneo, e che peifezionò
sotto Simonide , ed Eschilo i quali' fiorivano in quella età. Indi , , dato
l'animo allo studio delle scienze, seguì la , tutta la sua v»ta al modello
della pietà . Tra gii altri numi venerava spezialmente Pane, Rea, e Febo e
siccome la sua casetta era vicina al tempio ; , propagata per la Beozia , e non
la scuola Italica J mica ; onde fu scolare di Pittagora , e non di Talete. La
sua dottrina dunque divenne sacra, e tnis ica in modo , che pieno di queste
idee, formò di Rea , egli era o uno de' sacerdoti , o almeno il compagno e il
partecipe de' sacri misteri. , a. La sua dotta e saggia pietà fu P ornaménto,
e'1 retaggio della sua industre e faticosa famiglia. Imperciocché , ricevuti da
Timossena , sua consor- te , un maschio , chiamato Diofanto', e due fem- mine,
per nome Protomache , e Polimeri trasfu- , se col sangue la sua virtù per modo
ne’ figli che gli mandava il giorno e la notte al tempio dej padre, e della
madre de’ numi. La sua casetr A9 me • #- , § Digitized by Google a
medesima era un tempietto dtvoto, in cui con vi- cenda soave si passava dai
coro alla mensa , e dalla cetra atta tazza , cioè dal travaglio al riposo, e
dal - ripeso al travaglio. Non senza ragione gli Spartani prima, e qnndi i
Macedoni, liberarono dall'in- cendio comune l'albergo di lui riguardato qual ,,
saero asilo delle Muse , e di Febo . Di fatti la faina di Pindaro era sparsa
per tutta la Grecia , e al di là della Europa; già che Serse nella sua famosa
spedizione n' ebbe ancor del rispetto , co- me dipoi n’ ebbe Alessandro gloria
del re della Persia» 3. Or qual si fu la vita civile di Pindaro? Ap* plicato
alla poesia , e alla musica , non cantava , che numi , ed eroi . L'antichità
vide e lodò i suoi carmi , Inni , Ditirambi , Treni , Peani , ed altri Lirici,e
Melici componimenti, rapportati da Sm- ela , che non vinsero la forza vorace
dell' igno- ranza, dell'invidia, e del tempo, e de' quali so- lo si mostrano
alcuni frammenti, da Stefano va- riamente, e con diligenza raccolti , Restano
dunque eli lui quattro libri de’ Vincitori Olitnpj , Pizj , Ne- mei , ed
istmici , de' quali Aristofane . grammatico di gran nome , ne fece una raccolta
, ordinata a suo modo, e chiamata Periodo. Ed egli è qui da notarsi , che tra
le opere di Esiodo si è serbata la Teogonia , e si è perduta 1’ Erogonia ; ma
tra quellf di Pindaro al contrario si sono serbati gl' Inni degli Eroi , e gl*
Inni degli Dei si sono perdu- ti . Queste opere f.inno la vita del nostro
Poeta, siccome le guerre, e i viaggi fanno la vita d’A- chille^ d' Uhsse. Ma
benché Pindaro per forma- re i suoi carmi divini dovea menar i giorni nella
pace , nel silenzio , e nell’ozio, e vivere con se stesso , col mondo , e co’
numi ; non potea di- spensarsi dal viaggio > e dal cvmraercio co’ Prmci- ,1
, quasi emulando la Dìgitized by Google 5 pi del suo tempo, e dal
conoscimento di varj po- poli , e di varj costumi senza i quali so'corsi ; non
si può essere, nè si può fare il Poeta. Ol- tre il viaggio di rutto e quanto il
mediterra- neo (eh* eia il viaggio alla moda in quel secolo) e’ vide Coma ,
Siracusa , e Cirene , e familiarmen- te u ò de’ Re e con confidenza trattò
nelle Corti. , Nelle giostre festive fu più volte e spettatore, e spettacolo ,
e sceso al paragone con Corinna , pian- se la v.irtù della Musa vinta dalla
beltà del- la Musa. In mezzo all’ armonia dunque il Teba- no cantore visse la
sua vita dividendo le ore fra , lo s'adio,ei! teatro, le due scuole dell’antica
vir- tù : e così finalmente morì , cadendo nelle brac- cia di Teosseno
giovanetto di Tenedo, dopo , avere ascoltato con sommo piacere una festa
teatra- le, ed armonica. N.ito nell' Olirne. 65. morì nell’ Olimp.36. di anni
84.,bìochè altri narrino altri- menti e la vita, e la morte di lui. La vita de*
saggi , sempre disputata , non è il corso di peri- gliose avventure gravi di
speciosi e nobili avve- 1 nimenti. Ella si legge ne loro libri , e tutti i qua-
dri d’ un Poeta formano il quadro di lui . E qui si offre il nome eh’ e' diede
a’ suoi carmi di qua- , dri . E’ chiamò ogni sua Canzone siSog, immagi- ne ,
simulacro , o per la varia sorte de’ versi Li- tici ; o perchè tal è la poesia,
cioè pittura, e ri- tratto o perchè siccome ad ogni vincitore si al- $, zava
una statua col nome dell'eroe, della pa- tria, e del giuoco $ e’ gliene voleva
alzar un’altra di versi , di quella più perenne ed eterna . E' fece u- so del
dialetto Dorico che più confassi con lo sti- , le sublime. Ma quello, che più
distingue Pinda- ro dag i altri Poeti si è P uso smoderato degli , Episodj
imitato non sempre felicemente , da ,, {'lacco .Lo stile delle sue poesie à
Lirico-tragico, A3 e tal % e tal volta Lirico-comico; imperciocché ,
siccome in Omero ci ha favole, e favolette , co>l in Pindaro ci ha canzoni,
e canzonette. Per questa ragione nel tradurle , ed esporle si è tenuta una
maniera diversa, secondo che oggi è fuso d’ Europa. Di fatti oggi in Europa è
in pregio solamente la poe- sia , e la musica Lirica , e questa è o tragica
detta altrimenti Pindarica , e Alcaica ; o comica , altrimenti detta
Anacreontica, e Saffica. Ne' tea- tri si unisce l'uno e l’altro stile Lirico ,
onde so- no i recitativi, come si dicono, e le arie. Ma l’Epica, e la
Drammatica , tanto tragica quanto , comica , è poesia disgiunta oggidì dalla
musica , ed *’sì deono rispettare le superbe vicende del seco- li . Ecco la
ragione, onde ho tradotte ed espo- ste le Odi di Pindaro all' uso del Guidi ; e
tal volta , ma di raro , all’ uso delle cantate da sce- na. Nèmisi
parlidistrofe, d'antistrofe, ed’ epodo ? di ternioni quaternioni , e
quinternioni ,j che oggi sono più che vecchie monete . Chi ha voluto tener le
usanze antiche , si ha dato una legge importuna, che poi ha dovuto pagare col
prezzo di tante gloriose fatiche. Chi non esalta il merito di Adimari , e
Gauter ? E pochi sono , che apprezzano le loro Erculee imprese ; e spesso hanno
errato per necessità di consiglio . Or la- sciando a tutti e traduttori , e
cementatori di Pindaro la gloria immortale del nome; io ho ardito d’
incominciare ad uso mio questo faticoso lavoro, e ho ardito ancor di compirlo a
mio mo- do. Se questa è una lode , io la confesso ; poiché mi è grato un onore,
che mi venga dal merito. Sog- giungo ancora d'aver letta, a quest’ uopo ,
Plutar- co , Eliano , Pausania , Clemente , Stobeo , Euse- bio Quintiliano,
Orazio, fra gli antichi ; Suida, , GiraJdi , Motóri , ">• Baile ,
Fabbiicio , Schmid io , A\ Be, , 6 Digitized by Google 1 Pindaro,
il quale, quando è gustato, è conosciu- to • |o confesso ancora di aver vinto
la causa , di cui la questione si fu: Se gl’inni Cristiani so- no da più , o da
meno, degl* Inni Pagani ? Io proposi, son già molti anni passati, che sono da
più ; e per dimostrarne l'assunto col fatto, tra- dussi ed esposi gl’inni
Cristiani , e gl'inni Paga- ni, e lasciai la causa alla fede, e alla ragione
de* - giudici. Pubblicati gl’inni d’ Orfeo e di altri e ,, quindi le Odi d’
Orazio, non restavano, che gli Inni di Pindaro al compimento dell’opera. Ecco
la iuta fede legata già sciolta. Chi legge , se ha sénno vegga e conosca la 4;
,, verità . A non voler dir altro , basta il dire che , negl'inni Pagani o
manca la persona, o rrnnca il soggetto, eh’ è la virtù., E se dicesi, che ap-
presso i Pagani tal era la persona reale , e tale il soggetto dell* inno; io
dico che cangiate le idee, , dubbiamo venerare le nostre. Ma le Liturgie, per
una sorte comune sono ignorate da chi le , adora, e conosciute da chi le
disprezza. Quindi è , che questa causa spetta al giudi ciò de’ posteri come
accenna nella Od. i. Olimp. il nostro poe- ta. Nel resto non può negarsi,
essere oscura e confusa 1 antichità, e chiara e distinta h nostra età, in cui
quel che si legge, si vede, e quel che si vede , s’ intende . Per me m’inebbrio
di gioja quando canto nel coro un inno de' nostri; e. nel cantare un inno
Pagano , sia superbo e pomposo, non mi sento nel petto un senso di dolce pietà.
£ non abbiamo noi i nostri agonistì, i campio- ni» -gli atleti r , gli atlanti,
gli aicidi di Cristo? Altro che kcorsa f , e Ja lotta, sono le virtù del-
Benedetti, Aditimi, Stefano, Gaìitefj ed altri fra i moderni e di averne tratto
profitto ma , di. aver sempre apprezzato sovra di tutti lo stesso .*** A4 . la
, ; , , Digitized by Google la Chiesa . Si legga solo F inno
di Venanzio gio- , vanetto, e santo deli’ Umbria, e si vegga, quai sono in vero
gii eroi. E’ non vi ha dubbio, che iti Pindaro vi sono le più belle sentenze e
mo- , lali, e politiche che il suo stile spesso è orien- ; tale, come lo stile
liturgico di Asaflfo, d' Orfeo d’Omero, e di Ossian; ma queste bellezze, che di
rodo si ammirano ne' poeti Pagani, ne’ nostri sono e profuse, e neglette. 5. Mi
resta a dir due parole su i Giuochi, che formano F argomento dell’ opera • I
Giuochi , dette ancora feste giostre certami agojii , con- (,,, trasti ) erano
o ginnici , o musici . I musici eran prode del conto, del suono, della poesia,
della storia, e della eloquenza; e tal volta erano dispu- te circolari da
scuoia. Questi si davano d' ordina- rio neU’Odèo, nel Musèo, nel Licèo, nel
Tea- trone di rado assai nello Stadio, infra il romor delia turba, il vincitore
avea la corona, la sta- tua, e il soldo pubblico,e forse Finno della vit-
toria. Mi questi giuochi non eran molto famosi. I Giuochi ginnici erano o sacri
, o profani . £ profanieranolascherma,ei! bersaglio,edaltri, destinati col
tempo alle pene de’ rei., I sacri & solenni eran cinque, la corsa , la lotta,
la pugna , la danza , la palla , detti in generale Pentatlo da' Greci , da*
Latini Qoinquerzio , e tal volta Pan- crazio , benché il Pancrazio comprendea
solamene te;la pugna, e la lotta* La corsa era a piedi, a nudo', o armato a
cavallo , o frenato , o senza ; freno ; e col carro , tirato da due.> o da
quattro cavalli £ Il premio della ,virtù eia kt stessa virtù; o pure una corona
di olivo f di lauro , d’ apio , di rame , o di ferro ; una statua col nome so»*
della patria, del giuoco; e un inno di lode, ond’ era accom- pagnato*
litornapdo' in trionfo, alia patria* 11 Digitized by , 1 luogo di
questi Giuochi era lo Stadio , in tre par-* t» diviso, e distinto con tre
colonnette. Vi prese* devanoi pubblicimagistrati cometestimoni egiu- ,, dici delle
contese. Tali feste, instituite da Ercole, da Pelope , da Enomao da Ifito e p;ù
volte tralasciare , e più volte riprese si celebravano , nel principio d' ogni
cinque anni piade non era diversa dal Lustro, che fu la gran festa degli
antichi Romani. Questa città, eh’ è stata sempre la madre degl randó altre
insegne e divise , onde vivano ignoti al mondo, e noti solo a se stessi. Vivi
fra * morti , e mprti fra i vivi , passano in pace la vira e fanno il lor nome
risonare nel silenzio , della virtù. Fra molti, che io venero, ha luogo Gaetano
Ancora Napoletano giovane d’ alti ta- ,, lenti , e di aurei costumi . E’
rubando agli alti , affari politici, e al vigor giovanile, e alle ombre
notturne poche ore del tempo le consacra a quel ,, profondo studio , che da'
primi anni coltivò , d* una maschia e robusta Letteratura, Ebrea Greca, , e
Latina , e va di quando in quando esponendo una parte di quella Sapienza vera,
che nel tesoro delia età vetusta si serba come un sacro depost- , ,, <5.
Molte,evarienotiziesisonodamericavate 11 da Pausania , da Natale de Conti , e
da saggi scrittori delle Greche antichità , Ma disperando di poterne qui dare
un Saggio compiuto che ser- , visse di scorta alla legione di Pindaro, ho
prega- to il mio doke amico, e maestro Gaetano Anco- ra y il quale, tra le
gravi cure della Corte, cori va . con applauso universale i più severi studj
della Letteratura, oggimai quasi moribonda e spirante.- 1 ingegni , e la scuola
di tutte le Muse non ar- , 1 disce più di onorare il nome de suoi gran figli
col titolo di saggi e di dotti e va lor proccu- ,, , onde T Olim- JO to
della umani , e divina ragione . Quindi la Re- pubblica delle lettere gode di
tante dissertazioni dilui, chesonodiraro, diutile, edifestivo argomento , e che
raccolte si daranno a. suo tem- po al'a luce. Or egli piegandosi gentilmente
al- , le mie premurose preghiere, ha scritto un Saggio tu i Giuochi solenni di
Grecia, il quale, stampa- to alla fine del libro la erudizione comune , ,
pagina 227. , serve al- e al rischiaramento delle ©ni di Pindaro. Perciò son io
contento delle mie fatiche , le quali con questo lume compariranno , come spero
, meno oscure , e meno importune $ e la Musa Dircèa sarà più sacra, e più
venerata. A vero dire non deve un Poeta ri sublime , e sì sacro , come colui ,
che canta da eroe le virtù degli eroi giacersi nell' ingrato obblìo d' una fa-
, cile indifferenza , o d' una criminosa ignoranza? eseiohofattosì, cheil
suonomesiatranoi p ù conosciuto , ed imitato almeno nelle sentenze, * se non si
può-nello stile, ^Sublimi feriam sidera Tropea. Palazzo Sant'Anna.
odierna sede del Municipio ed ex Collegio dei Gesuiti L'ULTIMA
PRIGIONIA DI ANTONIO JEROCADES di Pasquale Russo
PREMESSA L'abate Jerocades visse da cristiano inquieto una esistenza
drammatica. Pur affascinato dalle idee di libertà di cui si è fatto assertore e
promotore, non smise mai di produrre opere di natura religiosa e devozionale,
anche pervase di amore e tenerezza, soprattutto verso la Vergine Maria. E' un
ecclesiastico che non sovrappone il livello della politica a quello della fede,
ma tenta piuttosto un equilibrio che apparirà fortemente precario e non
convincerà nè il potere politico nè il potere religioso. Dall'una e dall'altra
parte fu perseguitato per tutta la vita, tuttavia non sconfessò mai la sua fede
cristiana, nè resistette fermamente al tiranno fino alla morte.
Quest'uomo che le istituzioni hanno più volte punito secondo i loro statuti con
il carcere e con l'esilio fu un 'uomo contro', ma non aveva la vocazione al
martirio. Io mi fermerò a considerare l'ultima prigionia dell'abate
Jerocades. Fu la conclusione di una vita oltremodo inquieta. A Tropea, nel
collegio dei Padri Redentoristi, il 19 novembre 1803, non si chiudeva solamente
una vita, si spegneva il tentativo di conciliazione di un credente massone e
giacobino con il mondo moderno. UNA VITA ESAUSTA L'abate Jerocades non
aveva la vocazione al martirio e tuttavia la sua vita inquieta è stata vissuta
nella lotta, una opposizione ideologica contro i potenti e una tuonante avversione
al mondo clericale. Il terremoto del Capo, questa operetta indiavolata,
come la definisce Tigani Sava, ci dà la misura di quanti fossero i suoi nemici,
ma anche di quanto egli sapesse usare la lingua e la parola per colpire,
offendere, insultare. La parola fu la grande arma che Jerocades usò per
illuminare le menti, per eccitare i cuori, per aggredire chi lo contrastava,
per lottare i suoi numerosi nemici. Dotato di grande facilità di parola,
scriveva e verseggiava con facilità e spesso dava alle stampe i suoi scritti
senza rileggerli. L'ultima prigionia a Tropea, nella casa dei
Redentoristi, fa pensare a Daniele nella fossa dei leoni. Ma l'accostamento
biblico ci richiama anche altri protagonisti calabresi di utopie religiose e
politiche: penso a Gioacchino da Fiore, a Tommaso Campanella, profeti
perseguitati per i loro sogni di libertà. Con uno spessore certamente diverso,
ma con un'ansia di fondo che ha una matrice comune nella natura rivoluzionaria
del cristianesimo. Credo sia opportuna una riflessione sulla condizione
ecclesiastica di Antonio Jerocades e sulla sua formazione, perchè ci consente
di cogliere elementi di approfondimento in lui come anche nelle figure più
rilevanti del giansenismo, del protestantesimo, del giacobinismo, della
massoneria: tutti più o meno di provenienza culturale e ambientale non solo
cattolica, ma specificamente ecclesiastica (si pensi a Salvi, Aracri, Serrao,
Padula, Angherà, Nudi o altri meno noti). Il valore culturale, etico,
sociale di queste personalità e della loro opera in Calabria e fuori, osserva
Maria Mariotti, e stato messo in rilievo da studi seri ed accurati, "che
tuttavia non sempre superano del tutto la tendenza ad interpretare
illuministicamente l'aspetto contestativo soprattutto in chiave di apertura
alle novità, al progresso contro l'ignoranza, l'arretratezza, il bigottismo
degli am bienti ecclesiastici. Pare sia più maturo un ripensamento, almeno
su alcune complesse personalità: anche per capire meglio il dramma umano,
religioso, morale di questi uomini, spesso condizionati dal disagio di una
vocazione non autentica, talora esasperati da situazioni realmente invivibili;
e per cogliere, al di qua dell'asprezza delle manifestazioni, la radice
autenticamente cristiana e cattolica di certe esigenze e critiche, nello
spirito in cui oggi leggiamo e accettiamo i rilievi al loro tempo sospetti, di
Ludovico Antonio Muratori sulla Regolata devozione dei cristiani, di Antonio
Rosmini su Le cinque piaghe della chiesa." Penso che, leggendo
l'ancora inedita Orazione per l'apertura della Scuola di Economia e Commercio
nell'Università di Napoli, detta da Antonio Jerocades, questa riflessione si
riveli quanto mai opportuna. Egli, rievocando gli anni della giovinezza,
ricorda: "... Nato in un ignoto villaggio dell'estrema Calabria da parenti
oscurissimi, applicati alla pesca, alla navigazione, al commercio, respirai le
prime aure di vita, tra i remi e le reti, nè mi sentia fremer d'intorno di
altro il linguaggio che del dolore, dell'opera, della fatica, i tre compagni
primieri de' dolenti, operosi e travagliati mortali, nè di altre immagini la
mia mente bambina poteva ricolmarsi giammai, che di povertà libera e di libertà
bisognosa... piacque a mio padre di ascrivermi tra l'ordine clericale e gà
cominciai pur io, e ben per tempo, a menar la vita tra i Salmi e gli Inni,
imparando, ed insegnando ogni giorno le Christiane dottrine... Chiuso il
Seminario vidi e conobbi i primi elementi dell'umano e divino sapere, e mosso
dalla fama del Martorelli e del Genovesi venni a Napoli ad ammirare quei due
valenti e in filologia e in filosofia, e con essi loro mi strinsi in familiare
e soave amicizia." E' altrettanto importante annotare che la
preoccupazione per il seminario rappresenta per i vescovi calabresi nella
seconda metà del '700 la volenterosa disponibilità di attuare una delle poche
veramente innovative prescrizioni tridentine. Ma in realtà molti seminari
furono semplici convitti, che potevano influire su una percentuale ristretta
del clero, in quanto spesso surrogavano i collegi per i laici, mentre i
chierici in genere erano formati con un'infarinatura di morale e di cerimonie
dai parroci di campagna. Una circolare del 3.XI.1802 per la diocesi di Tropea
ritiene validi 10 giorni di ritiro come preparazione all'ordinazione sacerdotale
di coloro che erano stati presentati dai parroci. Si trattava di una
preparazione intensiva, che era tutto ed era poco! Il clero che proveniva dai
seminari invece si qualificò più per gli aspetti culturali che per quelli
pastorali. Per molti lo stato ecclesiastico rappresentava soltanto una
carriera ambita. In un ambito di cristianità il prete era il notabile,
circondato da uno steccato di privilegi. La vocazione era pertanto nella linea
delle pressioni sociali. Moltissimi erano i preti al di fuori di ogni quadro
pastorale: gli abati oziosi, i preti altaristi, i pedagoghi, gli eruditi, i
commercianti, i sensali, i selvaggi, i preti coniugati, gli eremiti. I sinodi
sono pieni di richiami agli abusi di questo clero che, privo di forti ideali,
dopo aver "strapazzato" la messa e l'ufficio, si dava all'ozio, agli
spettacoli, al cicisbeismo. Del resto va notato che il Concilio di Trento
aveva obbligato i vescovi a fondare i seminari, non i candidati agli ordini ad
entrarvi. La cura animarum suprema lex era molto disattesa, pur essendo
un principio fondamentale del Tridentino che aveva posto come capisaldi della
vita diocesana le visite pastorali, i sinodi e i seminari. Ma anche i sinodi
nel '700 diventano sempre più radi: a Tropea l'ultimo sinodo celebrato è stato
di Ibanez nel 1702: nessun altro sinodo verrà celebrato nel corso del
settecento e fino al vescovo Vaccari nel 1883. La preoccupazione per il
seminario appare sempre viva e addirittura appare quasi ossessiva in un vescovo
latitante come Gerardo Gregorio Mele nella corrispondenza col suo vicario don
A. Meligrana. Questo vescovo fu l'ultimo a reggere la diocesi di Tropea prima
della sua unione con Nicotera nel 1818. Durante il suo episcopato avvennero
fenomeni che hanno cambiato il corso della storia, ma egli riuscì (e non fu per
nulla il solo!) a rimanere fermamente legato alla tradizione; durante il suo
episcopato morì a Tropea Antonio Jerocades. Sugli anni compresi tra il
1799 e il 1803 sembra prevalere un grande silenzio su Jerocades nei documenti
vescovili o comunque tropeani. Mentre il Martuscelli, primo biografo del
Jerocades, ci riporta con alquanta dovizia di particolari l'ultimo periodo di
vita dell'abate (cfr. Accatatis, Uomini illustri della Calabria, vol. III, p.
181 e ss, Cosenza, 1877), le notizie che abbiamo di lui dai contemporanei
locali sono molto scarne e tendenziose (Vito Capialbi, Memorie per servire alla
storia della santa chiesa tropeana, Napoli, 1852; Michele Paladini, Notizie
storiche sulla città di Tropea, Catania 1930 - ed. anastatica a cura di S. Di
Bella). Quasi irreperibili nell'archivio vescovile di Tropea. Quello che ci
lascia interdetti è la mancanza di fonti 'tropeane', degli uomini di cultura
suoi contemporanei o quasi: Galluppi, ad esempio, o Politi, o Scrugli, o Melograni...
Gli archivi locali, sia quelli ecclesiastici che quelli privati, sono molto
avari di notizie. Nell'archivio vescovile di Tropea è assente il suo nome, se
si eccettua un documento di dispensa dall'età canonica per l'ordinazione
sacerdotale e di annotazioni sulla sua assenza da Parghelia nelle visite
pastorali: 20.03.1784 - Visita Paù: nell'elenco dei preti di Parghelia
manca Jerocades; 17.03.1794 - Visita Monteforte: adsunt extra patriam...
D. A. Jerocadi; 09.09.1795 - Visita Monforte: absens...: A.
Jerocadi; 05.05.1799 - Visita Mele: D. Antonius Jerocadi absens.
Negli archivi privati si è trovata qualche piccola traccia del suo passaggio
nell'archivio Meligrana di Parghelia: una lettera di Vito Capialbi, datata
Monteleone 8 Nov. 1837 a Don Giuseppe Meligrana ricorda che "le cose di
Jerocades [per lui trascritte] non sono che ordinarissime composizioni, ma di
un autore così celebre ogni cosuccia è buona". E più avanti ricorda ancora
di aver avuto in regalo dal nipote di Jerocades (Raffaele) "un autografo
in francese e in italiano di suo zio". Da Parghelia, attraverso don G.
Meligrana, Vito Capialbi ha avuto molti testi di Jerocades, che dice di
conservare nella sua biblioteca (Cfr. Memorie, cit.). L'archivio più
fornito dovrebbe essere quello dei Jerocades-Colace che allo stato attuale
risulta pittosto disperso, diversamente da come era stato rilevato da Tigani
Sava nel 1977, relativamente alla produzione di Jerocades (Cfr. il contributo
bibliografico più completo - pur se con qualche piccola carenza - di Francesco
Tagani Sava in La Calabria dalle riforme alla restaurazione, S. E. Meridionale,
1981, pp. 635-713). Il silenzio delle fonti tropeane del periodo che
corrisponde agli ultimi anni di vita di Jerocades sta ad indicare la sua
emarginazione, dovuta a una avversione profonda, soprattutto da parte del clero
tropeano, che, nel Terremoto del Capo, era stato oggetto di derisione e di
gravi accuse di immoralità, ma anche del mondo laico che non condivideva le
idee giacobine dell'abate, anche se alle logge massoniche da lui fondate, o
che, come dice Gaetano Cingari, certamente influenzò, a Parghelia e a Tropea,
in molti avevano dato la loro adesione. Tanto meno fanno menzione di lui gli
accademici degli Affaticati. Jerocades viene ignorato, sia perchè è scomodo,
sia perchè è ostile e pericoloso politicamente, sia infine perchè ha usato la
parola come arma che ha colpito duramente. Forse non e esagerato pensare
che si aspettava il momento giusto per presentargli il conto. LA
SOLITUDINE DELLA MORTE Il Martuscelli racconta con dovizia di particolari
gli ultimi anni della vita di Antonio Jerocades e la sua morte. "Nel 1799
fu mandato in Francia", egli scrive: in realtà, più precisamente, fu
esiliato con altri 500, mentre Colace e Mazzitelli erano stati uccisi. Il
Jerocades figura tra gli esiliati a Marsiglia per i fatti del 1799 e,
nell'elenco dei condannati dalla Suprema Giunta di Stato, si fa anche una
descrizione fisica dell'abate. A Marsiglia scrive tra l'altro l'orazione
funebre per Vincenzo suo fratello. Nel mese di agosto 1801, dopo la pace di
Firenze, rientra in Italia a Civitavecchia con la nave e da lì a Roma dove 'si
ammalò mortalmente'; riavutosi andò a Napoli e da lì giunse a Parghelia il 4
Novembre 1801. Dopo dieci mesi (settembre 1802) "fu mandato nella casa del
PP. Liguorini di Tropea, e dissesi che ciò fu per correggerlo di quanto avea
scritto nell'elogio funebre di suo fratello Vincenzo", denunziato da
Giuseppe Costanzo per vilipendio in quanto nella detta orazione aveva parlato
male del cardinale Ruffo. L'ordine era di tenerlo segregato. E all'inizio
l'abate "viveva nella quiete", scrive il Paladini, che fu testimone
oculare della sua prigionia; il quale aggiunge che, cominciando (il Jerocades)
al suo solito a satirizzare, perdè la confidenza dei religiosi". In
realtà la situazione appare più complessa, come risulta dalla lettera del P.
Giacomo Migliaccio, successore del Pappaona, inviata al vescovo Gerardo
Gregorio Mele il 3 agosto 1803, e conservata a Tropea nell'archivio Toraldo Di
Francia: Ecc. Rev.ma con ven.ta carta del dì 21 del passato giugno
V. E. Rev.ma partecipò al mio antecessore che il sig. Preside della Provincia,
col parere del sig. Av.to F.te D. Luigi Calenda le avea scritto che il
superiore di questa casa, quante volte i medici ne conoscano la necessità,
potrà far uscire a camminare il sac. D. Antonio Jerocadi di Reale ordine qui
detenuto, in compagnia degli individui di questa Comunità. E' il detto mio
antecessore subito, con più di buon core che di considerazione, le risposte che
avrebb'eseguiti gli ordini. Ora io mi dò l'onore di rappresentarle, che essendo
nei principi del passato luglio venuto da quella di Catanzaro a governar questa
Casa, ho trovato che non si era potuto eseguire quanto di buon cuore si era
mostrato di voler eseguire; imperciocchè essendo qui una piccola Comunità, e
vivendosi, come si vive tra noi, ritirati nelle proprie stanze, ci parliamo un
poco dopo pranzo e dopo cena; e quando poi si esce un po' a camminare, ch'è un
par di volte la settimana, allora ci comunichiamo insieme i nostri sentimenti o
il nostro approfittamento nelle lettere, o nello spirito; e sarebbe anzi una
noia uscire in compagnia di persona, con cui non si ha confidenza. Ma questo è
poco. I Reali ordini rispetto al predetto sacerdote sono di non farlo uscire,
nè trattare con nessuno; e di ciò il Sig. Ud.re Perrotta ne volle firmato un
obbligo dal passato Superiore. Ormai il Sig. Preside dice: quante volte i
medici conoscano la necessità di farlo uscire, il superiore potrà permetterlo,
ma in compagnia degl'individui di casa. Resterebbe dunque a carico del
superiore la verità della cognizione dei Medici, e la necessità del Jerocadi.
Cotesta risponsabilità non si vuol'aver'affatto. Risponderà ogn'individuo della
propria condotta; ma non potrà rispondere di quella degli altri. Il superiore
passato non dovea pur firmare quell'obbligo; ch'egli non era fatto castellano
nè carceriere. La M.S. si confidava della di lui religione; ed egli, ed ogni
successore si facea un pregio di custodirlo, e di rappresentare subito ogni
trasgressione, che mai ci fossa stata. Per le quali ragioni, e per altre, che
non è necessario di esporre, non è eseguibile di farlo uscire in compagnia
degl'individui di casa. All'incontro il Jerocadi fa delle premure presso di me,
rappresentando i suoi mali, e 'l male dei mali, ch'è la sua vecchiaia, o amara
decrepitezza. Ma io non vedo altra via da poter'esser'abilitato, se non che, se
il Sig. Preside, per compassione dei mali di questo infelice, si assicuri egli
della cognizione dei medici e delle necessità del Jerocadei, e così lo abiliti
a uscire a camminare in compagnia di altro sacerdote secolare ben visto
all'E.V.Rev:ma. E pien di rispetto le bacio le sacre mani, e chiedo la paterna
benedizione. Collegio di Tropea 3 Agosto 1803 U.mo e obblg.mo
servitor vero e suddito Giacomo Migliaccio del S.mo Red.re Di
V.E.Rev.ma Mons. Mele Vescovo di Tropea "In quel soggiorno -
scrive ancora il Martuscelli - molto si indebolì la sua salute - pur nondimeno
scrisse molte cantate, sonetti, molte orazioni sacre, novene di alcuni santi,
tradusse il salterio. Finalmente logoro dai disagi e dalla improba applicazione
allo studio munito dei santi sacramenti nei sensi della vera pietà rese l'anima
a Dio... Da colà fu il suo corpo trasportato nella patria, e depositato nella
sepoltura dei sacerdoti". Muore il 19 Nov. 1803 e non il 18 nov.
1805 come scrive il Martuscelli e dopo di lui tutti gli studiosi di
Jerocades. L'atto di morte si conserva nel registro della parrocchia di
S. Demetrio di Tropea ed è stato trascritto anche in quello della parrocchia di
Parghelia. Li riporto entrambi, oltre che per precisare e definire la
data di morte, anche per farvi notare delle coincidenze e delle
differenze: Anno 1803 - Parghelia - Parrocchia di S. Andrea
Apostolo Atto di morte Rev. Sacerdos D. Antonius Jerocades, annum
sextum ac sexagesimum cum attigisset, sacramentis opportunis rite munitus, die
decima nona dicti novembris obiit Tropeae, in domo Patrum SS.mi Redemptoris;
cuius cadaver in hoc casale delatum in Eccl.ia Archipresbiterali S. Andreae
Ap.li in sepultura sacerdotum tumulatum fuit. A. arch.
Taccone TROPEA - Parrocchia di S. Demetrio - Anno 1803 Atto di
morte Sacerdos Antonius Jerocades casalis Pargheliae hujus Diocesis
utriusque juris atque sac. Theologiae Doctor. Professor publicus in
Universitate Neapolis, sexaginta quatuor fere annis natus, munitus sacramentis
poenitentiae et Eucharistiae postea subita morte peremptus, animam exspiravit,
eiusque cadaver in ecclesia archipresbiterali casalis Pargheliae tumulatum
fuit. Franciscus Antonius Grillo Vito Capialbi, precisando che
Jerocades fu sacerdote, che "dopo varie, che diresti romanzesche
vicissitudini, involuto nelle tristissime vicende dal 1793 al 1799, e fino al 1802
andonne ramingo in Francia, ed in altri Regni d'Europa; e già era rientrato
nella patria in seguito del trattato di Firenze del 1802. Finalmente, stando
nella casa de' PP del SS. Redentore di Tropea, morissi ai 18 novembre
1805". Per concludere che "più copiose notizie di questo vasto,
e stravagante ingegno si riferiranno nelle nostre Centurie degli scrittori
calabresi". Di questo periodo della vita esausta dell'abate
Jerocades sono state dette certamente delle esagerazioni (il tetro carcere - la
cella - le punizioni - le torture... il veleno - cfr Didier), non suffragate da
alcuna documentazione, ma solo ampiando voci e dicerie, ma tante altre cose
sono state taciute. Stupisce però che il vescovo Mele, nella visita ad
limina del 1804, presenti una visione idilliaca del clero e della diocesi,
mentre nella visita pastorale del 1808 e in altri documenti conservati
nell'Archivio storico di Tropea tuoni contro la disobbedienza e
l'ingovernabilità del clero e contro l'immoralità dilagante: nessuna nota
abbiamo potuto rintracciare relativa al caso Jerocades, tranne tracce indirette
nell'Archivio Meligrana di Parghelia e la lettera del P. Migliaccio al vescovo
Mele... Nell'archivio dei PP Redentoristi della casa provinciale spero
possa essere trovato del materiale documentario che già lascia intravvedere il
P. Giuseppe Orlandi, storico dell'ordine, il quale in Specimen Historicum
CSSR-A.XLII.1994.FI "I Redentoristi napoletani tra ricoluzione e
restaurazione" dedica pagine interessanti all'abate Jerocades. Era
comune che le autorità inviassero dei condannati al soggiorno abbligato a
scontare la loro pena in qualcuna delle case della Congregazione. "Per
quelle calabresi - scrive Orlandi - si trattava di un compito assegnatogli dal
dispaccio regio del 22 marzo 1790: 'Qualora i vescovi diocesani o vicini
per correzione volessero mandare dei preti o chierici a fare gli esercisi
spirituali nelle loro case, dovranno sempre riceverli, con esigere anche per
compensare del loro incommodo quell'oblazione che non venga eccedere il tarino al
giorno, pel tempo della dimora che da quei preti o chierici si sia fatta presso
di loro' "". L'ordine reale veniva poi eseguito dai
vescoli. Pertanto i Redentoristi "si trovavano nell'impossibilità di
sottrarsi a questo forzato esercizio dell'ospitalità, che tra l'altro non era
sempre immune da rischi, come nel caso Jerocades." Nella lettera del
P. Migliaccio si afferma con forza: " Il superiore passato non dovea pure
firmare quell'obbligo, ch'egli non era fatto castellano, o carceriero".
Il Padre Giuseppe Orlandi, storico dei Redentoristi, riporta un passo di
Giuseppe Capasso (Un abate massone del secolo XVIII, Parma, 1884).
"Che in questa nuova relegazione il Jerocades abbia continuato a mostrarsi
secondo i casi massone e rivoluzionario, si può facilmente ammettere, anche
perchè è certo che non cessò mai dallo scrivere ed improvvisare al modo antico.
Ma l'esilio, quantunque raddolcito dalle cure di chi l'assisteva, diè l'ultimo
crollo al suo cervello, di già a bastanza indebolito". Naturalmente,
se a Jerocades era sgradito soggiornare a Tropea, ai Redentoristi lo era ancor
più il doverlo ospitare: "Durava da un anno quello stato di cose,
quando il Ierocades ottenne di poter passeggiare fuori clausura, accompagnato
da uno di quei frati. Ma, proprio il giorno in cui cominciava a fruire di tale
concessione, intavolato col compagno una discussione di teologia, non essendo
contento delle risposte dell'altro, passò dagli argomenti alle impertinenze, e
poi "usando dell'estro poetico", sepellì il frate sotto una valanga
di contumelie. Ricorse perfino al bastone, e buon per il frate che riuscì a
scansarlo". La lettera del padre Migliaccio sopra riportata conferma
quanto scrive il Capasso. Il padre Orlandi conclude che "invano i
Redentoristi ricorsero ripetutamente alla corte per essere liberati dalla
sgradita presenza di Jerocades che rimase a Tropea fino alla morte".
Il teologo Raffaele Paladini ci lascia una testimonianza di prima mano. Dopo un
giudizio fortemente negativo: "Fiorì soprattutto a' suoi tempi [del
vescovo Monforte] D. Antonio Jerocades di Parghelia noto nella repubblica
letteraria per talenti e cognizioni; non sempre tuttavia seppe scriver bene
soprattutto nella prosa; volle poi trovare per tutto i delirii massonici; e fu
traditore degli stessi sedotti da lui; in breve il suo stile fu imperfetto, la
sua scienza non retta, la sua morale non buona". Il teologo ci lascia
questo racconto della morte di Jerocades: "Morì ai suoi tempi [del vescovo
Mele] D. Antonio Jerocades. Questi, ritornato dalla Francia dov'era stato
in esilio dopo il 1799, fu denunziato da Giuseppe Costanzo, da Parghelia quale
autore di autore di una orazione funebre di un suo fratello, dove parlava male
del Cardinale Ruffa ricuperatore di questo regno; quindi fu chiuso dal Ministro
Pirrotta tra i Padri del Santissimo Redentore di Tropea sotto il rettore
Pappaona. Ivi sulle prime viveva nella quiete, ma, cominciando al suo
solito a satirizzare, perdé la confidenza de' religiosi. Caduto infine in
delirio malinconico, e dubitandosi di sua vita, il Vescovo delegò tre membri
del Capitolo, cioè l'Arciprete e il Penitenziere Mazzitelli e il Teologo
Paladini a ricevere la sua professione di fede. Egli, invitato a ciò, diè
segno di approvazione, come il diè in tutta la lettura di detta professione.
Richiesto a sottoscrivere, prese la penna, e scrisse le due prime lettere del
suo nome A ed n, ma poi invece di seguire a scrivere il t col resto, scrisse g.
Allora il padre Migliaccio gli rimproverò forte ch'ei volea dirsi Angelus, con
fargli altresì delle minacce per questa e per quella vita: per lo contrario il
Teologo disse: o egli in questo momento è nel delirio, ed a chi parliamo noi? o
è in retta ragione e sarebbe meglio prima indurlo al dovere con convincerlo,
con pregarlo ecc. Intanto l'ammalato proseguì la sottoscrizione col rimaner
sempre il g, ma col fare il r e tutt'altro, come gli dettarono i tre delegati.
Munito poi de' sacramenti dal Parroco, morì e fu trasportato ad essere
seppellito in Parghelia." Questo racconto ci fa intravedere quali
fossero le preoccupazioni del vescovo Mele (solo formali e... di salvare
un'anima!) e quali fossero i sentimenti del Paladini, il cui zio Gaetano
l'abate aveva fortemente fustigato e vilipeso nel Terremoto del Capo. Sul
versante laico il racconto di Charles Didier (1805-1864) in L'Italie
pittoresque, Pigoreau, Paris, 1835, appare assai ricco di anticlericalismo e di
spirito romantico: Jerocades, autore della Lira focense "fu crudelmente
perseguitato. Relagato nella sua città natale nel 1815 (sic!), ebbe per
prigione un convento in cui i monaci, razza fanatica, ritenendolo ateo e
giocobino, si resero compiacenti esecutori delle vendette reazionarie dei
Borboni di Napoli. Investiti da questo ministero poco cristiano, l'esercitarono
con una barbarie meticolosa e veramente monacale. Non vi sono torture che essi
non inflissero al carbonaro poeta: il povero prigioniero morì presto, e colui
che gridava, in uno slancio di benedizione, "Vita, dono del ciel, sei
bella, ti amo. Perchè ti so...", vide i suoi giorni spegnersi nella
prigionia oscura, silenziosa d'un chiostro fanatico e persecutore. La salma del
martire riposa a Tropea in attesa del Pantheon riparatore che riunirà in un
solo altare tutti i martiri dispersi della libertà italiana. La terra sia
loro leggera fino al giorno prossimo delle riabilitazioni!" La fonte
del Didier era certamente legata allo spirito patriottico che aveva bisogno di
creare i martiri. Questo spiega anche la data errata del 1815 e il riferimento
alla salma che riposa a Tropea mentre sappiamo che Jerocades fu seppellito a
Parghelia. Nella prefazione alla Lira Focense pubblicata a Cosenza nel
1812, Francesco Migliaccio accentua il carattere persecutorio: "fu dalle
calunnie, dalle persecuzioni e da mille disastri assalito ed oppresso. Credette
farsi schermo e difese [...] negli occulti recessi della sua patria. Ma per la
malvagità dei tempi... fu nella sua veneranda vecchiezza rinchiuso nella casa
di Missionarj di Tropea. Quivi nella indigenza, schiacciato dalla ferrea mano
che l'oprimeva chiuse i suoi giorni". A parte i comprensibili toni
romantici del Didier e di Francesco Migliaccio, l'abate Jerocades chiuse i suoi
giorni nell'abbandono e nella solitudine, senza un'ombra di affetto o di pietà.
Neppure la visita del Pepe a Tropea potè dare ristoro al vecchio poeta, che non
trovava più motivi al suo canto. La sua voce, un tempo bellissima e
ammirata, adesso era solo il lamento di un uomo finito che vedeva stroncarsi
senza rimedio il suo cocente anelito alla libertà. La morte improvvisa che lo
colse dopo aver ricevuto i sacramenti della penitenza e dell'Eucarestia ha
trovato un uomo distrutto e che nelle parole del salmo 50 da lui amato ha
trovato l'ultimo motivo per affidare alla forza della parola l'anelito del
cuore. UN DIGNITOSO CONGEDO Non fu una morte normale quella di
Jerocades: nella sua inquietudine non bastò la famiglia dei liberi muratori,
non soccorse l'avventura giacobina, diede sofferenza la chiesa alla quale
apparteneva. Nella post-fazione dedicatoria l'abate Jerocades ricorda che
alcune poesie che formano la Lira focense sono sacre e ricavate dai libri
cristiani e ne dà una spiegazione storica; ma a me sembra che egli voglia darci
atto di non aver mai abbandonato la certezza cristiana come in questa Salve
piena di affetto e di fiducia. O Regina, il Ciel ti salvi. Di Dio
madre, e sposa, e figlia, Volgi, ah volgi a noi le ciglia, Bella
madre di pietà. Mostra vita, e nostro bene, Nostra speme, e nostro
amore, Volgi a noi quel tuo bel core, Ch'è la stessa carità.
Figli di Eva, abbandonati, Dell'esiglio a' lunghi affanni, Dal
furor dei rei tiranni Chi ci salvi, oh Dio! non c'è. Senti il
grido, ascolta il pianto Di chi giace in ree catene, Bella Madre,
in tante pene Ci volgiamo afflitti a te. Dunque o nostra
Protettrice, Volgi a noi quel tuo bel ciglio; Mostra a noi quel tuo
bel figlio, Quando ha fine il lungo error. Tu sei madre assai
pietosa, Bella Vergine Maria; Tu sei dolce, e tu sei pia,
Tutta pace, e tutta amor. E mi appare persino commovente la
Novena alla Madonna di Portosalvo, che l'abate Jerocades dedica a Raffaele suo
nipote, figlio del fratello Vincenzo: "Nel Castello dell'Ovo, villa
un dì di Lucullo, ove fui tre anni prigioniero di stato dopo tre anni di esilio
e in altri prigioni e in altri esili, dopo Dio non ho altro obbiettivo delle
nie cure e delle mie preci che la Madre di Dio. Serbando fede alla
patria, l'ho sempre invocata col nome di Madonna di Porto Salvo, e questo
conveniva ancora al mio stato perchè nelle tempeste si cerca un porto e nelle
battaglie si cerca un asilo, impaziente di altra dimora: "Ch'io son
vivo al desir, morto alla spema". Gravato d'anni e d'affanni, ho
scritto questa Novena che a voi, caro nipote, offro e consacro qual dono e qual
debito. Io ve la consacro qual dono poichè è frutto dei miei studi e dei
miei talenti. Sono povero di fortuna e quel che mi ha dato la natura, spetta
anche a voi quando non disdegnaste di dirvi mio nipote". A me
quest'ultima frase appare commovente per la carica emotiva che sottende. Ma c'è
dell'altro che Antonio Jerocades dice ancora come credente e come
sacerdote: "Chi sono i testimoni della fede? I vecchi. Io, che
vecchio pur sono, così presbitero, qual attestato maggiore di questo donarvi
della religione e fede di Cristo? A te, Raffaele, e all'eredità del padre
e dell'avo aggiungerete la mia. A te, e nella Chiesa di Porto Salvo fra i
suoi monumenti della pietà dell'avo e del padre appenderete ancora s'è degna
questa Novena, in cui leggerete le grazie e le glorie di Maria, da noi venerata
sotto il nome di Madonna di Porto Salvo". Il senso di verecondia che
traspare da queste parole non ci rivela forse il dramma di un uomo, di un
credente, di un sacerdote che, guardando indietro alla sua vita tormentata fa
un bilancio coraggioso e definitivo? "Dopo Dio non ho altro obietto
delle mie cure e delle mie preci che la Madre di Dio"
Antonio
Jerocades. Jerocades. Keywords: filosofia della massoneria, Esopo in Italia,
lira focense, giaccobinismo, ‘repubblica
romana” “repubblica partenopea”le odi di pindaro – Grice on Plato’s Republic. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754276139/in/dateposted-public/
Grice e Jervolino –
ermeneutica del dialogo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sorrento). Filosofo. Grice: “I like Jervolino, but then I like any
philosopher of language! He is a Ricoeurian, and I’m a Griceian!”essential
Italian philosopher. Allievo di Piovani. Insegna a Napoli. Collabora con
diverse riviste specialistiche di filosofia (Filosofia e Teologia, Studium).
Esamina aspetti riguardanti a Ricoeur, tra cui:
la ricerca di un filo conduttore unitario all'interno della sterminata
ermeneutica (“Il cogito e l'ermeneutica: La questione del soggetto e la
inte-azione” (Procaccini, Napoli). Messa in questione del soggetto chomskyano auto-centrato
e auto-trasparente. Ricoeur appare nei
suoi studi come caratterizzato dall'attenzione verso le peripezie del Cogito
che, ferito e spezzato nella sua autosufficienza, cerca di ritrovare sé stesso
attraverso un lavoro ermeneutico. Individua come centrale il paradigma della
trans-ductio, trans-implicatura, trans-patia, come modello fondato sulla
co-ospitalità conversazionale e la co-apertura all'altro conversazionale. Altre
saggi:“Il cogitamus e l'ermeneutica. La questione del soggetto e sui
interazione” (Procaccini, Napoli); “La filosofia senza assoluto” (Athena,
Napoli) – cfr. H. P. Grice, “Absolutes” --; “Logica del concreto, logica dell’astratto” --
“Ermeneutica della vita morale.” Newman, Blondel, Piovani, Morano, Napoli); “L'amore”
(Studium, Roma); “Il segno della prassi. Saggi di ermeneutica, Città del sole,
Napoli);“Trans-ductio, trans-implicatura” (Morcelliana, Brescia); “Ermeneutica
ed implicatura” (Guerini, Milano); La traduzione, la traditio -- etica, Morcelliana,
Brescia, “Etica e morale, Morcelliana, Brescia, Ricoeur e la psico-analisi (Angeli,
Milano); Quei ragazzi di nome Fausto
Bertinotti Boys – Archivio Panorama. Grice: Jervolino is playing with Calvino.
You see, Calvino, a rather unimaginative writer, wrote a collection of things
he titled, in the whole thing and in the first part, “Glia mori difficili” –
People would have forgotten about it had it not been for Nino Manfredi who
brilliantly played the ‘soldato’ (to Bulco’s vedova) in ‘L’amore difficile’,
sic in the singular but indeed, ‘L’avventura del soldato’ – in that collective
film. Jervolino is having in mind this, and now poses Ricoeur as the widow and
himself as the soldier. On top, he invites Ricoeur to write the prologue which
he stupidly agrees to! Caputo has analysed the reciprocity of love and the
stupidity of seeing it as ‘difficile’. The blame is Calvino – the original sin
– who could have checked with the etymology of ‘difficilis’!” Domenico Jervolino. Jervolino. Keywords:
ermeneutica del dialogo. Refs.: Luigi Speranza, “Girce e Jervolino” -- “Two
cartesian egos”. “Peripezie conversazionale”. “Peripezia ed implicatura”.
“Cogitamus.” – The Swimming-Pool Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753615386/in/dateposted-public/
Grice e Jommelli –
musicista filosofo – filosofia italiana – muovere l’aria – l’azione melodrammatica
-- Luigi Speranza (Aversa).
Filosofo. Essential Italian
philosopher. Mattei riporta il seguente aneddoto sul suo soggiorno in questa
città. Andato in visita a Martini (già considerato come uno dei più sapienti
musicisti d'Italia), si era presentato a lui come allievo, chiedendo di entrare
nella sua scuola. Il maestro gli diede un soggetto di fuga che egli trattò con
molta abilità. -«Chi siete voi?», chiese Martini, «volete burlarvi di me? Sono
io che voglio apprendere da voi!» - «Il mio nome è Jommelli, sono io il maestro
che deve scrivere l'opera per il teatro di questa città» - «È un grande onore
per questo teatro avere un musicista filosofo come voi, ma vi auguro di non
trovarvi in mezzo a gentaglia corruttrice del gusto musicale». Grice: “I like
Jommelli. Like Speranza, I play the piano. My avant-garde compositions are
thought to be too avant-garde, too. I especially recall with affection how I
would trio with my father on the violin and my younger brother Dereck on the
cello. Dereck became a professional cellist with Hampshire. My obituary might
well read, “Professional philosopher and amateur cricketer” – well, Dereck is a
professional cellist. With Jommelli we never know where the amour is!” La
teoria degli affetti (in tedesco Affektenlehre) può considerarsi la prima forma
retorica (in tedesco Figurenlehre) adottata nella storia della musica, infatti
puntava a muovere gli affetti dell'uditorio; già i greci avevano la concezione
che la musica potesse suscitare emozioni: è proprio da questo concetto che i
teorici e i musicisti dell'epoca attingono per applicarlo alla loro musica (si
parla nelle prime cronache rinascimentali di interi pubblici commossi dalla
musica). Le autorità civili ed ecclesiastiche, consapevoli del forte potere
della musica sulla psiche, la utilizzarono come veicolo dei propri messaggi
propagandistici. Durante il '400 Marsilio Ficinoapprezzava di più le forme
semplici e comunicative rispetto alla polifonia poiché la prima era
maggiormente capace di muovere gli affetti, suscitare o placare le passioni
umane rispetto alla seconda, che era vista come artificiosa e innaturale. Dello
stesso parere era Vincenzo Galilei, che preferiva la musica greca per le sue
capacità affettive. Tra il '500 ed il '600 la teoria musicale identificava
ogni affetto con un diverso stato dell'animo (es. gioia, dolore, angoscia)
identificati da specifiche figure musicali definite figurae o licentiae
(licenze). La loro particolarità era contraddistinta da anomalie nel
contrappunto, negli intervalli e nell'andamento armonico, appositamente
inserite per suscitare una particolare suggestione. Athanasius Kircher –
gesuita matematico, musicologo ed occultista tedesco – nel suo Musurgia
universalis (1650) afferma: «La retorica [...] ora allieta l'animo, ora
lo rattrista, poi lo incita all'ira, poi alla commiserazione, all'indignazione,
alla vendetta, alle passioni violente e ad altri effetti; e ottenuto il
turbamento emotivo, porta infine l'uditore destinato ad essere persuaso a ciò
cui tende l'oratore. Allo stesso modo la musica, combinando variamente i
periodi e i suoni, commuove l'animo con vario esito.» (Athanasius
Kircher, Musurgia universalis, Cap II, 1650) Questo trattato, conosciuto
durante tutto il secolo XVIII, fu stampato anche a Roma nel 1650 e tradotto dal
tedesco nel 1662. Tra le classificazioni e distinzioni degli affetti umani
compilate nel Seicento, è da menzionare quella di Cartesio che, nel trattato
Les passions de l'âme del 1649, ne distingueva sei ritenuti principali, quali
meraviglia, amore, odio, desiderio, gioia e tristezza. Invece Giovanni
Maria Artusi ne L'Artusi, ovvero Delle imperfettioni della moderna musica
(Venezia, 1600), attacca questa nuova forma musicale che utilizzava intervalli
"così assoluti et scoperti", poiché trasgredivano le regole
contrappuntistiche (per esempio le dissonanze non sempre sono precedute da una
consonanza per risolvere su di un'altra). Monteverdi difenderà quella che lui
definisce seconda pratica nell'Avvertimento del Libro quinto: queste licenze
hanno uno scopo preciso, e devono essere viste in un nuovo modo di comporre,
diverso dalla concezione musicale di Gioseffo Zarlino. Già dal Libro Terzo di
madrigali infatti Monteverdi con le dissonanze intensifica e rende maggiormente
pungenti le immagini proposte dal testo. Il Vologeso was written in 1766,
using a wordy libretto by Mattia Verazi, itself an extensive reworking of
Apostolo Zeno's Lucio Vero (1700). The plot deals with the constancy of love in
the face of great obstacles, in this case the love of Vologeso, king of the
Parthians, and his wife Berenice. The Roman general Lucio Vero has defeated and
captured Vologeso, fallen in love with Berenice, and spends most of Acts I and
II seducing and bullying her into abandoning her husband. When Lucilla, daughter
of the Roman emperor and Lucio's fiancee, turns up, she and the Roman emissary
Flavio are disgusted by his behavior; Flavio, assisted by Vologeso, leads a
revolt that results in Lucio's capitulation and the restoration of their
freedom and their kingdom to Vologeso and Berenice. The plot allows ample
opportunity for dramatic movement and spectacle, e.g., in Lucio's importunities
and their rejection by Berenice, Vologeso's confrontation with lions in an
arena, and the revolt that ends the opera. The music is conventional in
its use of recitative followed by arias, but forward-looking in that many of
the recitatives in Acts II and II are accompanied by the orchestra rather than
the traditional basso continuo - the arias are often in abbreviated da capo
form so that they do not slow up the action, and the chorus and orchestra play
a more considerable part in the proceedings than is usual in Baroque operas.
Jommelli had no great gift for melody and the opera offers few memorable tunes,
but he had a talent for brilliant vocal display and dramatic orchestral
effects. The total effect is imaginative, lively, and attractive. The
casting is odd; with only one male voice and five sopranos it's hard to tell
the characters apart. Odinius, Rossmanith, and Schneiderman all have good
voices and are comfortable with Baroque style and ornamentation and expressive
in their characterizations. Waschinski and Taylor are as good as most
falsettists, though as usual their uneven voice production and unfocused tones
set my teeth on edge, and Waschinski sounds much too feminine to make plausible
the heroic figure of Vologeso. (I really do not understand why conductors and
producers nowadays insist on using these voices in Baroque opera, a practice
that has neither historical nor aesthetic justification.). The Stuttgart
Chamber Orchestra is alert and responsive, Frieder Bernius keeps everything
moving along briskly, and the sound is excellent. Il Vologeso doesn't stand up
too well compared to the Italian operas of Handel or Gluck, but taken on its
own terms and as presented here, it is thoroughly enjoyable While
Mozart may have claimed Jommelli’s musical style to be passé by the 1770s,
Vologeso itself is a reworking of an already antiquated libretto by Apostolo
Zeno, originally called Lucio Vero and first set by Carlo Pollarolo for Venice
in 1700. Moreover, the version set by Jommelli and performed here by Classical
opera is in fact a modification of a modified libretto. The new librettist
Mattia Verazi had revised the by then popular version produced by Guido
Lucarelli for Rinaldo di Capua’s setting of 1739 rather than Zeno’s original.
The story is a familiar one, mingling political intrigue with love both
unrequited and true. In the eastern provinces of the Roman Empire, Lucio Vero
(Stuart Jackson) is victorious in battle and captures Berenice (Gemma
Summerfield), wife of the Parthian king Vologeso (Rachel Kelly). Captivated by
her beauty, Lucio Vero makes every effort to win her with the assistance of his
minister Aniceto (Tom Verney). Meanwhile, Vologeso attempts to assassinate
Lucio Vero but is recognised by Berenice, causing him too to be taken prisoner.
Further complicating matters, Lucio Vero’s betrothed, Lucilla (Angela Simkin),
has arrived in Ephesus with Flavio (Jennifer France), an ambassador from Lucio
Vero’s co-emperor, Marcus Aurelius. After many separations of the faithful
Vologeso and Berenice, increasingly cruel plots on Lucio Vero’s part to attain
the latter, and the threat of civil war from Marcus Aurelius, all is resolved
and the various couples are reunited without any blood being shed.
Although Zeno’s libretto is not remotely like those produced by later poets and
composers interested in reforming operatic conventions, the play’s enduring
appeal might well be attributed to its strong sense of spectacle, which
coincided neatly with the objectives for reform. Indeed, the play contains
on-stage depictions of Lucio Vero’s attempted assassination, Vologeso’s fight
with a lion in the arena, and at least one ‘mad scene’ for Berenice in addition
to traditional opera seria ingredients of triumphal marches, grand armies, and
the obligatory chorus announcing a lieto fine. Sometimes I felt that this
element of spectacle was lost in the context of a concert performance. Though
that is of course an unavoidable casualty of this mode of presentation, it was
further compounded by Jommelli’s own reluctance to capitalise on these aspects
of the play as did other contemporaries. Furthermore, artistic director Ian
Page writes in the introduction to the programme that besides the expected
editing of the recitative, he chose to cut not only a number of pieces in their
entirety, but also some arias’ middle-sections and their reprises in the
interests of ‘maximising our potential to appreciate and enjoy the opera’. Of
these, one was the opening chorus, which might have helped to restore some of
this sense of grandeur, if indeed Page’s goal was to get a feeling of
‘[experiencing] what a typical eighteenth-century opera was like’. Jommelli’s
musical style in this opera has clearly moved on from the grand and expansive
show pieces we find in his earlier operas, such as Didone abbandonata of 1747
(performed in London in 2014 and also reviewed here). With the exception of one
or two numbers which might be said to respond to a more traditional heroic
opera seria style, such Crede sol che a nuovi ardori, Flavio’s only aria, the
focus in Vologeso is instead on creating a more declamatory mode and
‘realistic’ rendering of the dramatic and emotional content of the text. As
such, the use of coloratura is generally much reduced and arias very often feel
more like ariosos, often to the point that it feels like accompanied recitative
intrudes upon melodic lines. The music is nevertheless still imbued with grace
and lyricism, and is marked by sometimes fussy, yet fine, delicate and
lace-like accompaniments. And there are some really good and interesting
numbers too: the quartet Quel silenzio, Lucio Vero’s Se tra ceppi, Lucilla’s
first aria Tutti di speme al core, the already mentioned Crede sol, as well as
some very effective and attractive accompagnatos. In spite of the title,
this version (or at least as it has been presented to us with the cuts)
nevertheless still focuses greatly on the character of Lucio Vero and his
relationship with Berenice. Stuart Jackson’s performance came across as
something of a slow burning affair, only really coming fully into the character
after interval and reaching the apogee of dramatic intensity in his final aria.
And yet it felt largely like Lucio Vero was being interpreted as being the
youthful hero, the primo uomo role usually reserved for a castrato. This may
well be due to Verazi’s redaction of the opera, which seems to me to result in
a somewhat schizophrenic character, vacillating between tyrannical, or rather
psychopathic, conqueror and lovelorn hero. This is effectively underlined by
the kind of music with which Jommelli furnishes the character: languid arias
with long, plangent melodic lines, such as his opening Luci belle and the
cavatina Che farò? in Act 2, and a handful of arias which verge on aria di
furia territory. To my mind, Lucio Vero’s actions are not driven by real love
for Berenice but rather an overwhelming desire for power: not only in and of
itself, but also power over others. To this end, his rejection of Lucilla is
not merely an amorous choice, but a rejection of the power of Rome and the
authority of his co-emperor Marcus Aurelius altogether. So too the
psychological manipulation of Berenice in an attempt to bend her to his will.
Thus, Stuart Jackson’s characterisation of Lucio Vero as the amorous lead did
not always sit quite well for me, in spite of a good voice and elegant
execution. The performance otherwise had much working in its favour. I
very much enjoyed Gemma Sutherfield’s portrayal of Berenice, and there was some
excellently judged acting from Rachel Kelly. I have already mentioned Jennifer
France, whose delightful aria was executed with all the charm and grace that
the butterfly described in her text required. One did feel slightly for Tom
Verney, his solid performance in his lone aria aside: his role of Aniceto was
decidedly minor in this version of Zeno’s play, with the character’s love for
Lucilla never really explored (again a shortcoming of the libretto). And, of
course, the orchestra itself was as sharp and on-point as we have come to
expect from Classical Opera. My overall impression from the programme
notes, however, is that Vologeso in and of itself was perhaps somewhat unconvincing
to the artistic team in the first instance. Indeed, Page writes further in his
introduction that ‘Jommelli does not belong among the truly great composers, to
be sure…’. While undoubtedly there are countless flops littering the
battlefields of eighteenth-century opera, and works that are best left to
languish in obscurity, credit must be given where credit is due. And Jommelli’s
legacy is by far too monumental to ignore. The assertion that ‘…much of the
music of contemporaneous composers… sounds quite like Mozart for much of the
time’ should rather be inverted: it is Mozart, his uniqueness notwithstanding,
who is effectively a product of his time! A final note: a future
Classical Opera concert this year is to feature some arias from Semiramide by
Josef Mysliveček, another figure well known to the Mozart family and whose work
has occasionally been misattributed to the young Wolfgang in the past. A full
opera of his at some point, further showing how Mozart was fully integrated
into the existing musical landscape, would be most welcome indeed! Jommelli. Keywords:
musicista filosofo, Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Jommelli” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754140329/in/dateposted-public/
Grice e Julia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Acri). Filosofo. Grice: “Julia was more of a poet
than a philosopher; but then for Heidegger, philosophy IS poetry and vice
versa!” -- essential Italian philosopher. Figlio di Antonio e da Maria Giuseppa
Balsàno. Studia a Cosenza sotto Focaracci. Direttore del Telesio, periodico. Strinse
grande amicizia Padula. La temperie culturale in ambito locale vede la
difficoltà della Calabria a integrarsi nella nuova entità politica. Area
essenzialmente contadina, la regione ha una classe dirigente che preferisce
assoggettarla al clientelismo e alla sua arretratezza piuttosto che metterla al
passo con zone del Paese più avanzate e progredite; perciò il mondo
intellettuale d'avanguardia, deluso dalle speranze del 1848 e conscio del
sottosviluppo, si volge verso il positivismo e il socialismo. Vive tra il tardo
romanticismo e l'affermarsi delle innovative correnti costituite dal
naturalismo e dal verismo, nella scia di Carducci e Verga. Le contraddizioni
della sua epoca lo formano come un intellettuale spiritualista che rifiutail
materialismo e in parte il mondo contemporaneo, e d'altra parte un sostenitore
degli ideali socialisti, del riscatto delle masse disagiate e della
glorificazione del passato della Calabria a partire dall'assedio degli
Aragonesi e dei suoi conterranei coevi illustri, fra i quali Miraglia, VPadula,
Quattromani, Tocco, oltre a Campanella. Accostatosi in un primo tempo al
misticismo di Gioberti, si converte al verismo, alla ricerca del pragmatismo e
di un modello di poesia di alto civismo che lo stesso Julia proclama nei suoi
Sonetti e liriche. Parte dai miti popolari e dalle ballate della tradizione
romantica per marcare orgogliosamente la storia della sua terra. Considerato il
padre della letteratura calabrese, si interessa alle origini della cultura
letteraria della regione analizzando anche alcune opere a lui precedenti. Il
suo impegno regionalistico si concretizza in uno studio su Selvaggi, nel quale
si individua un collegamento fra Galeazzo di Tarsia e le produzioni romantiche.
Vi fu poi un saggio su Padula e un esame delle liriche riferibili all'Accademia
Cosentina. Sa però spaziare oltre i confini delle sue terre, fino a richiamare Milton
nel suo scritto dedicato a Padula. Oltre a uno studio su Monti, produce dei
lavori anche su Mazzini, Poerio, Correnti, legati dall'attenzione alle
tematiche relative al Risorgimento e perciò in convergenza con il proprio
pensiero, che dal punto di vista della poetica si richiama ai modelli che il
letterato individua in Leopardi, Berchet e Giusti, oltre che in Prati. A.
Piromalli, La letteratura calabrese” (Pellegrini, Cosenza); Monografia su
calabriaonline, su calabriaonline.com. Digital Storytelling su Vincenzo Julia a
cura degli studenti del Liceo V. Julia di Acri, CS. Ovvero delle Famiglie
Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili di Napoli, al Libro d'Oro
Napolitano, appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate
chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che abbiano avuto un ruolo nelle
vicende del Sud Italia. Famiglia Julia A cura del Dott.
Francesco Paolo Dodaro Socio Corrispondente dell’Accademia
Cosentina Arma: d’azzurro alla fascia d’oro accompagnata nel capo da un
destrocherio di carnagione tenente un uccello di nero e in punta da un albero
radicato al naturale(1). Titolo: Nobile di Acri. Arma Famiglia La
famiglia Julia, in origine nota come de Giulia (2), figura fra le antiche e
nobili casate di Acri (3) (Cosenza), città dove risulta presente sin dal XVI
secolo. I Julia godettero sempre nella locale società di un buon livello di
prestigio sociale come testimoniato dalle alleanze matrimoniali contratte con
diverse famiglie patrizie fra le quali ricordiamo le seguenti: Benincasa,
Candia, Capalbo, de Simone, Dodaro, Falcone, Fusari. Simbolo della condizione
privilegiata della famiglia è il grande palazzo sito tra il rione Casalicchio
ed il quartiere Piazza. Tale edificio, al cui interno si conserva la ricca
biblioteca di famiglia, è abbellito da un portale lapideo sul quale spicca un
mascherone sormontato da un’antica riproduzione in pietra dello stemma del
casato. Il suddetto blasone è timbrato dalla classica corona a cinque punte che
identifica i Julia come nobili. Acri, Palazzo Julia, portale Nel
1506, con atto del notaio Gaudinieri, il sacerdote Nicola Maria Julia fonda una
cappella privata sotto il titolo dell’Immacolata Concezione all’interno della
chiesa di San Nicola di Bari in Acri (4) (situata nel rione Casalicchio). Nel
1706, Fabrizio Julia vende a Giuseppe Leopoldo Sanseverino un terreno dove e
edificato l’imponente complesso del palazzo acrese dei principi di Bisignano,
permutandolo con la casa e il fondo Macchia(5). Dal matrimonio fra il dott.
Raffaele e la N.D. Giuseppina Capalbo nacquero Salvatore ed Antonio dei quali
il primo (deceduto nel 1851) fu rinomato avvocato mentre Antonio viene
ricordato come “Medico illustre” che “in età provetta, in pochi mesi, studiò
leggi presso il Focaracci e ne apprese quanto ne anno i più maturi; onde s’incentrarono
in lui il medico e l’avvocato” (6). Fra i personaggi celebri di questa famiglia
ricordiamo il citato Raffaele, Governatore di S. Giorgio e Vaccarizzo. La
figura cui si lega maggiormente la fama del casato è quella di Vincenzo Julia,
filosofo, letterato e poeta. Allo stesso è intitolato il Liceo Classico e
Scientifico di Acri. Nacque da Antonio e Maria Giuseppa Balsano (7), svolse gli
studi presso l’istituto Molinari di Acri ed il seminario di S. Marco Argentano
(8). Frequenta il seminario di Bisignano dove ebbe come insegnante il Canonico
acrese Francesco Saverio Benvenuto, quest’ultimo colto latinista nonché
teologo, filosofo e parroco maggiore di Santa Maria in Acri (9). Intraprese gli
studi giuridici e per alcuni anni esercita la professione di avvocato poi
accantonata a favore dell’insegnamento di materie letterarie, filosofiche e
giuridiche (10). Quanto alla sua produzione filosofica questa fu “quella
del poligrafo (letteratura, filosofia, storia, cultura calabrese)” inoltre “Nei
suoi studi predilesse la valorizzazione e la riscoperta di figure regionali
poiché gli pareva che la Calabria fosse dimenticata e poco apprezzata dopo la
raggiunta Unità”(11). Fra le sue opere ricordiamo: Saggio sulla vita e le opere
di G.V. Gravina, Saggio di studi critici su Vincenzo Selvaggi e la Calabra
poesia, Terenzio Mamiani e i suoi dialoghi di scienza prima, Francesco
Fiorentino filosofo, Lettere al figlio Antonio su Cesare, De Sanctis in
Calabria, Vincenzo Monti. Nel 1864 sposò Gabriella Fusari(12) e da tale
matrimonio nacquero: Antonio, Francesco, Mariannina e Giulietta(13). Si spense
il 4 maggio del 1894 in Acri. “Telesio,” rivista codiretta da Vincenzo
Julia Antonio Julia, figlio di Vincenzo, fu avvocato e raffinato
poeta sposa, in prime nozze (14), Mariantonia Dodaro,
figlia dell’avv. Giovanbattista e di Cristina Benvenuto. Il loro fu un
matrimonio felice e allietato dalla nascita di Maria Gabriella(15), Vincenzo
(1896† 1924) e Antonietta(16) (1897 † 1978). Antonio Julia e sua moglie
Mariantonia Dodaro Antonio Julia fu legato da sincero amore a sua moglie
e quando questa prematuramente scomparve, riversò il suo dolore in alcuni
toccanti componimenti poetici che rappresentano una struggente testimonianza
del suo dramma interiore e assieme della sua spiccata sensibilità
d’animo. AL CROCIFISSO DEL SUO LETTO Non più le sue lucenti Pupille a te
si volgeran la sera; non più per le dolenti mie stanze echeggerà la sua
preghiera… O tu, che pendi ancora, mistico Iddio, sul vedovo mio letto,
volgi le luci ognora sovra i miei figli e sul paterno tetto! Dimmi che
ancor le rose Olezzano per te, vigile Iddio, le parole amorose che a te
rivolse, ne l’estremo addio… Dimmi che ancor tu senti La voce sua, ne
l’ombre de la sera, e che, in soavi accenti, mormora pe’ suoi figli una
preghiera!..(17) Note: (1) - Gli smalti dello stemma Julia sono noti
grazie ad una raffigurazione del blasone in oggetto riportata dallo storico
acrese Raffaele Capalbo (1843-1921) in un suo lavoro inedito sull’araldica
delle famiglie nobili di Acri. Nella riproduzione del blasone dei Julia,
visibile ancora oggi sul portale del loro palazzo in Acri, il destrocherio
appare vestito. (2) - Per approfondimenti si rimanda a M. G. CHIODO, L’Archivio
Privato della famiglia Iulia di Acri - Inventario sommario, in “Archivio
Storico per le Province Napoletane” (3) - Per un elenco completo delle famiglie
patrizie di Acri si veda R. CAPALBO, Memorie storiche di Acri, S. Giovanni in
Persiceto (BO), Edizioni Brenner, (4) - R. CAPALBO, op. cit., p. 88. (5) -
Ibidem (6) - Ibidem (7) - Quest’ultima, appartenente a una famiglia originaria
di Rogiano Gravina, era sorella di Ferdinando Balsan, letterato e deputato del regno d’Italia nonché
preside del liceo Telesio di Cosenza. Lo stesso figura tra i maestri del nipote
Vincenzo Julia. A. PIROMALLI, La Letteratura Calabrese, vol. I, Cosenza,
Pellegrini Editore, (8) Ibidem (9) - Ibidem (10) - Ibidem (11) - Ibidem
(12) - Per approfondimenti su alcune vicende storiche che interessarono la
famiglia Fusari si rimanda a R. CAPALBO, op.cit., (13) -
https://juliavincenzo.atavist.com (14) - Alcuni anni dopo il decesso
della prima moglie, si unirà in matrimonio con Maria Beatrice Antonietta Romano
di Acri. (15) - Poi sposatasi con Carlo Giannice (1887 † 1966). (16) - Andata
successivamente in sposa a Giuseppe dell’Armi (1877 † 1962). (17) - A. Iulia,
Momenti, S. Maria Capua a Vetere, Casa ed. Della Gioventù, p. 36. Si veda anche
il componimento intitolato “Alla Vergine della Sua Stanza”, Ivi p.37. VINCENZO
JULIA Questoegregio giovane,sucuifondiamo, abuondritto,non pic cola speranza,
per le diverse prove del suo nobile ingegno fin'ora dateci, coltiva con forte,
inteso amore le filosofiche discipline,tutto solo rannicchiato in piccol
paesuccio delle Calabrie, Acri. Egli, da quello n'è sembrato, predilige la
filosofia di quel sommo Torinese filosofo, che col suo Primato Civile e Mormale
D'Italia fanatizzò tutti isuoi connazionali per la dupla autonomia del
loroPaese,Libertà ed Indipendenza;econl'Introduzioneallostudio dellaFilosofia,
la Pro tologicaed altre opere speculative ispirò nei cultori di questa no
bilissima scienza l'amore delle nazionali dottrine. Vincenzo Julia a dunque è
un giobertiano , un ontologo , e per lui quindi sta che l'Ente, il Primo
Essere, Colui che dà l'essere a tutte cose, non però spezzandosi, non
diffondendosi, nè emanandole dal suo seno, c o m e ilragnoilragnatelo;ma
liberamente creandole;per luidico sta, che l'Ente, l'Assolutoreale, non
astratto,quale il pose,il procla mò Giorgio Hegel, è il Primo Filosofico, cioè
a dire è non solo il Primo Essere o Primo Ontologico ; ma anche la Prima Idea o
Pria mo Psicologico. Sicchè non solo anno le cose tutte da Dio l'essere loro,
ma anche la loro intelligibilità. Verità già insegnatadal fon datore
dell'Accademia , il divino Platone , il quale disse che l'Idea di Dio è
pelmondo intelligibile quello che il sole è pel mondo visibi le,e che l'essere
assoluto dà alle menti nostre l'esistenza e spande su loro e sugli obbietti
della scienza illume della verità« detí v 8.& Tlothuns oùoxv xai adnocías»
come il sole, che non solamente rende vi sibili le cose , m a dona loro
eziandio il nascimento , l'accrescimento e la maturita « τον ήλιον τοϊς
ορωμένοις ου μόνον , οίμαι τήν του οράσθαι δυναμιν παρέχειν φήσεις , αλλά και
την γένεσιν αυτών όντα ». Quindi pel'Julia sta quel metodo detto
deduttivo,osillogistico, che dai principii va alle conseguenze,ma noncome
pretendeva ilfondatoredelPeripato,ilqua le facea il sillogismo posteriore
all'induzione, ed il cui scopo non c o n sisteva in altro che in applicare i
principii alle cose particolari a meglio rifermarle. Il Julia ha capito bene ,
che l'induzione non può darci punto tanto iprincipii proprii a ciascuna
scienza, quanto iprincipii co muni ed assolutamente universali.I principii sono
ontologici edori ginalmente presenti alla intelligenza, secondo diceva ildivino
Pla tone,e nongià puramente logicied astratti,secondo diceva Aristo tile, che
livoleva prodotti la merce dell'intelligenza con gli elementi fornitici della
sensazione. Nè debbe dirsi che il Julia neghi l'indu zione : ei l'ammette, e
nel senso di venir essa provocata, sostenuta e guidata in noi dal lume di certe
idee generali sempre presenti al l'anima nostra,essendoun impossibile elevarsi
da qualche fatto in dividuale e variabile all'idea della legge generale e
permanente, sen za averci di già nella mente, almeno in una maniera vaga e
con fusa, l'idea di ordine, di generalità e di stabilità. Laonde
dice La foret nella sua Storia dellaFilosofia Antica,in parlando di Aristo tile
« Comment s'élever de la perception de faet contingents et relatif à l'idée de
principes nécessaires et absolus, si le necessaire et l'abso lu sont
entieremant étrangers à l'intelligence? ». Dunque pel Julia , come per ogni
giobertiano, si deve partire di Dio per costruire la scienza filosofica « ossia
dalla idea somma ed improdotta , perché è quel principio supremo che illumina e
rende conoscibili gli altri principiimeno generali e senza di cui non potrebbe
aversi quella sintesiobbiettiva,cheargomentadinecessitànelsuomoto organico la
gerarchia dei principii scientifici ; e deve radicarsi in un prin cipio
assoluto,supremo,universale,immutabile, ilquale, reggendo colla sua virtù ogni
singolar passo del procedimento razionale, ac corda ed unifica tutti imomenti
del discorso ideale, e tutta insieme 1.umana enciclopedia. Laonde diceva
saviamente nel suo dotto di scorso intorno alPanteismo il Prof. Enciro
Attanasio, direttore del Periodico La Carità diNapoli« Sintesi senza gerarchia
di priucipii io non intendo nell'ordine dell'idee, come non vedo nell'ordine u
mano sociale e nell'ordine fisico di natura. E ingradamento di ge rarchie che
ponga in atto una sintesi universale torna impossibile a concepire pur col
pensiero senza un principio supremo, essenzial mente uno ed immutabile, che sia
il centro immoto che governi i moti del multiplo e del diverso e tragga a sè ed
accordi il multi ploedildiverso».Laonde,lasciandochel'induzionenon condu ca ai
principii , a ciò che è universale , sia che dessa fosse posi tivistao come la
intende ilPositivismo moderno, siache fosse anche nel senso di Aristotile, ci
facciamo a lodare il Julia per avere ei scelto quel sistema, che parte
dall'idea dell'Assoluto reale per co struirela scienza,non
sipotendo,pertanteetanteragionidettee ridette,porsi per primo conoscibileciò
che non è prima cosa; per chè sarebbe, seguendo questa via, un turbare
l'armonia della scien za filosofica; giusta che vien fatto dai psicologi, i
quali partono dal contingente, ed oșano spiegare l'assioma degli assiomi, la
verità pri ma con la verità seconda, e separare l'ordine di esistenza da quel
lodiconoscenza, ilprimopsicologicodalprimoontologico,dando que
stoperprimofilosofico.Diquinonpotremmo essererimproveratiche
atorto,sedicessimo,che iseguacidelpsicologismo diAristotile,(non però di quelle
di S. Tommaso ch'è ben altro, siccome dimostrammo in un'articolo riguardante
questo S. Dottore, già publicato nell'Ate neo di Torino ) siam lontani da una
vera scienza; perché, come dicem mo di sopra, la scienza è con la sintesi, e la
sintesi co'principii,e la gerarchia dei principii scienziali nel principio
sommo, Dio, radica ta.Siechèscienzasull'analesiè
scienzaeffimera,èscienzadinome, essendo disgregazione, e tale è la filosofia di
Aristotile,siccome è conto da quei due principii ammessi da lui « Nihilest in
intellectu,quod prius non fuerit in sensu » e che l'anima nostra si rassomiglia
ed una tavolarasa« Δείδ'ούτωςώσπερενγραμματειωώμηθένυπάρχειεντελεχεία
γεγραμένον. 82 È quantunque fosse vero,che Aristotile ammettesse
l'intelletto at tivo profondamente distinto dalla sensibilità, essendo quello
che opera 83 $¢%su ciò che ci vien porto dalla sensazione, per
tirarne od indurne avec lemonde intelligible;sun intervention n'apportedonerien
de now eri veau à ce qui est déposé dans l'àme par suite de la perception des
0C sens, il nepeut qu'exercer son activité et travaillier sur ce qui est racu
dans l'intellect paseif. L'intellect actif d'Aristote nous semble jouer ,
redans la formation de la connaessance,un rôle exactement samblable à
1021"celui que joue la reflexion de Locke; ni l'un ni l'autre n'ajoutent
ta rien à l'objet fourni par la sensation, toute leur action seborné à éla:
)doaborer cet objet» Dunque nonpuò farsi ammeno di ammettere col ret.Julia e la
scuola giobertiana l'apprensione diretta ed immediata , din cioè l'intuito
dell'Assoluto, e ritenere essere questi la prima idea, la
l'oprimaconoscenza,che,perla viadiun primo guardare,vieneal. into:l'intelletto
umano nello stato d'intenebramento, che la riflessione di in poi, la quale èun
secondo intuito od un ripiegamento dello spirito e sopra il primo intuito,
chiarifica e fissa, e non già che la si acqui isti e conosca in forza del
raziocinio, passandosi dalla cognizione a iilistratta, ottenuta per la via
dell'induzione, a quella concreta del V e on& ro Assoluto, avendo ben
dimosorato altrove, che i psicologi si tro fost vino in grande errore, credendo
ed insegnando, che Dio siccome ve
fosesritàassiomatica,essendouniversale,necersariaed immutabile,debba 18 essere
astratta,e che vi bisogna di forza indispensabilmente il ra ley ziocinio per
ascendere, mediante essa verità astratta, al vero primo buik ed assoluto,
mentre, siccome facemmo notare in proposito del P. M i lone
Insomma,senzamenarla piùinlungo,dellainsignescuola on anda tologica è il Julia,
siccome l'ha mostrato co'suoi vari scritti di ar veratgomento
filosoficoeconquello, veramentestupendo,Discorsointorno
allavitaedalleoperediFernandoBalsano,incui,prendendoa consi ost: d e r a r e q
u e s t o d i s g r a z i a t o d o t t o C a l a b r e s e , d i v e n u t o v
i t t i m a d e l p u g n a ledi un assino, e,considerandolo non solo quale
oratore egregio ed acutocritico,ma anche qualeillustre cultore
dellescienzefilosofi cinc c h e , e f o r t e a m a t o r e d e l s i s t e m a
o n t o l o g i c o , p a l e s a a c h i a r e n o t e i s u o i O. * p e n s
a m e n t i i n f a t t o d i f i l o s o f i a , c h e s o n o i n d u b i t a
t a m e n t e q u e l l i d e l P l a diotonismo, cristianizzato da S.Agostino,ammirato
da S.Tommaso e på Dante, divulgato neitempi modernidalGioberti, ed
abbracciatodalla th, maggior parte de'pensatori nostrani. Questo libro del
Julia , che ci avemmo in dono da lui medesi i mo , palesa ad evidenza non solo
la scuola filosofica cui appartie ne; non solo la lucentezza delle idee , ond'è
corredata sua mente ; e
nonsolol'affettoperlapatriagrandezzaquantoapolitica,governo e
civile,scienze,lettereedarti;ma dàancheprovadellaperiziache l'universale ed
elevarci sino alla concezione dei principii; pure non to bisogna dimenticarci
che nella teoria dello Stagirita è desso affatto & vuoto, senza alcun
rapporto diretto col mondo intelligibile,da potersi pelo d i r e c h e n e l l
a c o n o s c e n z a e s e r c i t i l ' u f f i c i o n è p i ù n è m e n o d
e l l a r i ostruflessionediLocke.Edice bene ilLaforet «Danz latheorieduSta ta,
girite l'intellect actif est tout a fait vide et n'a nul rapport direct
«Profilo Bibliografico pubb. nella Rivista Itoliana di Palerino ela:Anno IV,N.
11,nonci ha cosa più chiara, che essa verità assio -artormatica primitiva è
obbiettiva in sommo grado,appunto per le sue veritacaratteristiche di
universalità, necessità ed iminutabilità. COSS me adal tile. // ne
84 ha ei nell'idioma nazionale. Sicchè è a rallegrarci con lui dei buoni
studi,dell'amoredellenazionalidottrine dell'eccellenzadelsiste ma che ha
adottatonelle scienze speculative,anteponendo (fra idue sistemi che veramente
possono dirsi i più perfetti, essendo ambo sin tesisti, cioè a dire
razionalo-empirici od empirico-razionali ) l'onto logismo
alpsicologismo,e,fuggendo, quelloche èpiù, gli eccessi del razionalismo e
dell'empirismo,e quei tali sistemi erronei, idea lismo epositivismo,pei
qualidelira lagioventù moderna,da cui cam minandosidiquestopasso,noncipossiamoattendere,senon
un ar veniresventurato. ProsegvailgiovaneJuliaisuoistudii filosofici, e ci
offra lavori speculativi di maggior lena, per poterlo vie meglio ammirarlo, e
rallegrarcene con lui. Delle dottrine filosofiche e civili di G. V.
Gravina per Fer dinando Balsano, con saggio sulla vita e sulle opere del
Gravinapelprof.VincenzoJulia.— Cosenza,Tip.Mi gliaccio, 1880 (un vol.di
pag.CIV-410). G. V. Gravina di Rogiano (1664-1718) è considerato dai più come
poeta e letterato segnatamente pel suo trattato della Ragione poetica,e come
insigne giureconsulto, specie per lasua opera De ortuetprogressujuriscivilis.Ma
eglime rita,sotto un certo rispetto,d'essere altresi considerato come filosofo
e per le dottrine speculative che professava e per quei sommi principii a cui
s'informano i suoi scritti di G i u risprudenza e di Filosofia civile, dovendo
le scienze partico lari e d'applicazione, quali sono appunto le discipline
giuri diche e pratiche.esser precedute ed illuminate da una scienza speculativa
più alta ed universale,cioè dalla Filosofia pro priamente detta. A nostri
giorni il calabrese Ferdinando Balsano si pro pose di far meglio conoscere le
dottrine filosofiche e civili del Gravina, studiando accuratamente e con
intelletto d'amore le opere del suo grande concittadino.Ma ilBalsano,non che
pubblicarlo,non potècompiereilsuolavoro,perchè trafitto dal
pugnaledell'assassino!Ilprof. Vincenzo Juliaha raccolto la sacra eredità del
suo venerato maestro,dettando un'eru dita ed ampia monografia sulla vita del
Gravina, e pubbli candola insieme al lavoro inedito del Balsano. In questa
vita e troviamo uno specchio breve ma fedele dei tempi del
Gra vina, specie riguardo agli studii; la pittura del carattere morale del
pensatore rogianese,un cenno de'suoi numerosi scritti e de'suoi meriti
letterarii. L'opera del Balsano,dettata in una forma quanto castigata
altrettanto elegante ed elevata,contiene una larga esposizione dei pensamenti
del Gravina diretti a coordinare tutte le sue meditazioni di filosofia
speculativa e di morale , di religione
edidiritto,diesteticaed'insegnamento,dipolitica edi civiltà.È
divisainduelibri.Nelprimosiragionadelledot trine civili. Quanto alla filosofia,
dal Balsamo si cerca dimo strare che il Gravina, studioso delle tradizioni
dell'antica filosofiaitalo-greca,siattenne specialmente alla dottrinepla
toniche(comeapparisceanchedall'OrazionesuaDe instaura tione
studiorum),armoneggiandole col progresso della civiltà cristiana,delle scienze
particolari e massime del Diritto,egli cheavevameditatoleoperedeisommi
giureconsultiromani, e che aveva piena la mente ed il petto della grandezza di
Roma antica. Le dottrine platoniche da lui professate gli fecero innalzare la
mente ai principii sommi del Diritto, a meditare la riforma delle dottrine
civili,ed a comprendere la sintesi el'armonia delle parti principalidel
sapere.Difatti, il Gravina vedeva la scienza umana come un'armonia e ricordava
la piramide in cui egli dice espressamente avere gli antichi savi simboleggiato
la scienza umana e la natura delle cose : il che significa che per lui l'ordine
della scienza risponde a quello della natura, l'idealità alla realità; e come
il primo vero è l'idea divina nota da principio all'intelletto creato, così il
primo essere è Dio creatore della scienza e dellanatura.Tutto
l'ordinedeicontingentirealihasuacausa efficiente nell'Assolutoche
licrea;tuttol'ordinedelle cono scenze empiriche ha sua origine nell'idea
eterna, presente sempre all'intelletto umano e norma o tipo a cui si riscon
trano le cose finiteapprese per esperienza sensibile(pag.162). E sotto questo
aspetto può dirsi che ilGravina precorresse al Gioberti,che in cima del sapere
e dell'essere doveva porre Diocreatore.Adunqueilcontemporaneo delViconon segui
le dottrine del Locke, ma invece quelle più elevate di Pla Vol. XXII. 225
Disp. 2. 15 tone e del Cartesio, quantunque non și mostrasse sempre
giusto verso Aristotile. Ma se al Gravina non può negarsi un certo valore filo
sofico, i suoi veri meriti risguardano, più che la Filossfia elaLetteratura,laGiurisprudenza.Preceduto
daAlberico Gentile, da Francesco Bacone e dal Grozio, il Gravina non solo
ricercava l'origine del Diritto e ne indagava iprogressi (De ortu et progressu
juris civilis), ma sapeva altresi elevarsi alle idealità o ai principii supremi
del Diritto. Quindi è che a lui debbono molto la Storia del Diritto,
specie,diquelloromanocheinsegnavainRomastessa,ela Filosofia del Diritto. Il
Gravina, esaminando l'origine e la natura del Diritto, non lo separava dalla
Morale come oggi fanno taluni, perchè nella legge morale,da cui scaturiscono
tutti i doveri umani, trova pure il suo primo e vero fon damento il Diritto.
Egli precorse al Savigny da un lato, al Vico e Montesquieu dall'altro,
interpretando con larghezza di veduta la storia civile e giuridica di Roma. Il
Balsano si era proposto di ritarrre ilGravina non solo qual eminente
giureconsulto, sì ancora qual filosofo civile, mostrando com'egli additasse le
norme eterne d'ogni società umana (che ammetteva come un portato della natura)
nella vita privata e pubblica, nell'ordine privato e politico. Ma
ripetiamo,ilBalsano non potè compiere l'opera sua;la quale delresto,merita di
essere conosciuta e studiatadai cultori della Filosofia e delle scienze
giuridiche, benchè ci sembri scritta con entusiasmo soverchio verso ilproprio
concittadino risguardato come filosofo. DISCORSO Recitato nella sala
dell' Accademia Cosentina ). Piansi,o Signori,nella mia pensosa solitudine,la
morte immatura del caro Fiorentino, che mi fu amico e fratello !; vengo ora a
glorificarne l'ingegno nel tempio della scienza, innanzi al simulacro del
vecchio Telesio, al cospetto di dotti Accademici,di fervidigiovani,dieletti
ingegni,di distinti Professori, che meglio di m e , nato e cresciuto nelle m o
n tagne, potrebbero valutarne i forti studi e la vasta intelli genza. Parlerò
con franchezza, senza adulazioni rettoriche, senza intemperanze di lodi;
dinanzi ad uomini gravi ed a u steri le apoteosi e la rettorica sono un
fuordopera. La pa rola mendace sarebbe un insulto alle ceneri di Fiorentino,
uomo sovero ed aperto, che disdegnò il lenocinio e le bel lezze oratorie, seppe
dire con schiettezza di calabrese la v e rità ad amici e nemici, e fu audace
demolitore del vecchio m o n d o ; inesorabile agl'ipocriti ed ai ciarlatani.
Nella rioca personalità del Fiorentino grandeggia il filosofo ed il pensa
tore;lascio,per ora,ad altri di me più competenti, esami nare il letterato, lo
scrittore, ed il cittadino; io vi parlerò soltanto dell'Autore del Giordano
Bruno;del Saggio Storico sulla Filosofia Greca ; del Pomponazzi e del Telesio;
quat tro titoli di gloria , che basteranno a rendere immortale il nome di
Francesco Fiorentino. 1 Vedi il mio articolo sul Fiorentino pubblicato
nell'Avanguardia n u meri 101-102, riprodotto dalla Gazzetta Calabrese e dal Calabro
in Catan zaro; dal Corriere del Mattino e dall'Ateneo, in Napoli. 74
GIORNALE NAPOLETANO FRANCESCO FIORENTINO 75 L'Italia , o Signori,
fu scossa nei principi del secolo, dopo la grande Rivoluzione dell'ottantanove
, dalla parola del nostro Galluppi, che il Gioberti chiamò il Nestore della
sapienza italiana. Senza mistiche intemperanze , senza voli metafisici, ei
richiamò, nuovo Socrate, la mente degli Ita- liani ad indagare il m e e la
coscienza ; a scrutare profon - damente ilsubbietto umano;e,rigettando
lequiddità scola- stiche ed il sensismo di Condillac e di Tracy, contribui à
rinnovare presso di noi il metodo naturale , e fu salutare reazione
all'esorbitanze speculative del secolo decimottavo , Conscio della esigenza
storioa del secolo decimonono,il Gal luppi iniziò presso di noi lo studio della
storia della filoso. fia ; indovino , pur combattendola fieramente ,
l'importanza speculativa della sintesi a priori, che in parte accetto ; e,
benchè avesse trascurata la Rinascenza,Telesio,Bruno, Cam . panella, può dirsi
, il vero educatore dello spirito filosofico in Italia. La Calabria, terra
delle grandi iniziative e delle magnanime audacie, si elevò col Galluppi
all'altezza del pensiero moderno, e fu, sarei per dire, la squilla settimon
tana del Campanella, che risvegliò in Italia il pensiero lai
caleedumano,ilpensieropuro eduniversale.IlFiorentino, nella sua prima gioventù
, studiò il Galluppi, ne comprese l'indirizzo storico, o gli piacque la nuova e
socratica spe culazione, che un modesto filosofo iniziava nella estrema
Calabria, sulle rive di quei mari, che ripetono ancor l'eco delle armonie
pitagoriche. Il Galluppi, con le sue serene e casalinghe meditazioni, non
bastava ad appagare il libero ed irrequieto ingegno del Fiorentino , aquila
delle montagne , che volea spezzare le pastoie del vecchio mondo e della
speculazione galluppiana. In mezzo a queste ansie intellet. tive sopravvenne il
Gioberti a scuotere le menti dei Meri. dionali con la magica parola ; ed il
Fiorentino, assetato di ideale e di patria, come tutti i forti ingegni di
Calabria, accettò anch'egli la mistica speculazione giobertiana , o fu
idealista platonico ed ortodosso. E chi potea, pria del ses santa,
resistere al fascino del Gioberti? Chi rinnegare la p a tria, ch'egli glorificò
nelle pagine immortali del Primato ? Il Guerrazzi chiamò il Gioberti scintilla
piovuta dal Vesu vio sulla cima delle Alpi : veramente ci è in lui l'audacia,
la fiamma profetica, la divinazione geniale del Mezzogiorno; ci è Vico e
Campanella , S. Tommaso o G. Bruno ; ci è la fede dei credenti, lo spirito
ribelle dei tempi nuovi, l'ome rica fantasia di Platone , l'austero sillogismo
di Aristotile. Nei dolori dell'esilio,egli scrisse la Teorica del Sopranna
turale, ch'è l'apoteosi della vecchia ortodossia ; riassunge nella Introduzione
tutto il passato teologico e tradizionale, rinnovò il realismo del Medio -Evo ,
sposandolo al pensiero moderno; risuscitò nel Primato, con l'entusiasmo del pro
feta, i titoli della nostra grandezza, e lanciandosi col volo dell'Aquila
alpigiana nel grembo dell'Essere , credette di averne interrogate le
profondità, ringiovanito il vecchio Dio della Scolastica , e sciolti tutti i
problemi con la formola ideale e con l'Ente creatore. Gioberti non arrestossi a
metà; e,ringagliardito da nuovi studî, ingegno audace e progres · sivo,
com'era, accettò gran parte della speculazione moder na, e, spastoiandosi dal
vecchio teologismo, dalle utopie del Primato , inaugurò la nuova Italia col
Rinnovamento ; la nuova Scienza con la Protologia, e la nuova Chiesa con la
Riforma Cattolica , e con la Filosofia della Rivelazione ; sebbene non
interamente emancipato dalla vecchia ortodos sia. Ai tempi che il Gioberti
pubblicò il Rinnovamento, ed il Massari le Opere postume del suo grande amico,
le C a labrie erano chiuse dalla muraglia cinese,ed ilnuovo pen siero laicale
del Gioberti non potè penetrare nei nostri b o schi. La gioventù era ancora
innamorata del misticismo e della formola ideale; i vecchi eroi della
Rinascenza non erano ancora conosciuti tra noi ; o B. Spaventa , esule a
Torino, dove pubblicò dal 54 al 56 i suoi stupendi Saggi Critici su Bruno e
Campanella, era quasi ignorato in Calabria. Il Fiorentino, non bisogna
nasconderlo,avea subito an. 1 FRANCESCO FIORENTINO 77 Scrisse allora a Napoli
il Giordano Bruno , un Saggio giovanile, come schiettamente confessa l'Autore ;
composto nel 1861 in tutta fretta nelle vacanze , e disteso in soli v e n totto
giorni.Quel Saggio, benchè imperfetto, segna ilprimo momento della critica
evoluzione del Nostro in filosofia, il passaggio , cioè , dal vecchio
dommatismo giobertiano alla speculazione libera e laicale dei tempi moderni.
Nello studio del passato il Fiorentino trovò la spiegazione dei posteriori
sistemi;e,poichè non poteva valutare le teoriche del Bruno, senza risalire alle
origini,guardò la Dialettica nelle scuole di Crotona , di Elea e di Alessandria
, e ne rilevò con sa gace giudizio l'importanza speculativa nel gran dramma del
greco pensiero.Si occupò,egli ilprimo,presso di noi,della stupenda Dialettica
del Cardinale di Cusa, e ne indagò i le gami col sistema del Nolano , dove
causa e principio sono una medesima cosa , e la esteriorità della causa e la
inte 1 Leggeva i SS. Padri in una cella di monaci: ne trascrisse molto ; e ne
pubblicò alcune opere nel 1858, a Messina, voltandole in italiano. 2 Stefano
Cusani; G. B. Aiello; Giuseppe del Re; E. Salvetti; S. Gatti; i Fratelli
Spaventa; P. E. Imbriani; De Meis; Tari; Savarese; Perez; M a n cini;De
Sanctis;Marselli;Trinchera;Turchiarulo;Floriano Del Zio;F. Quer cia ed
altri. pen siero germanico, diffuso nel Mezzogiorno dal 40 al 60 dai più
forti ingegni del Napolitano ?; indovinò la grandezza spe - culativa della
Rinascenza , e si sentì attratto dall'eroica fi gura del Nolano. ch'egli l'influsso
dei Santi Padri ',e,principalmente, come dicemmo, del filosofo Torinese, che da
lui studiato profon damente in gioventù, non fu dimenticato nella età matura,
in mezzo ai più splendidi trionfi del suo ingegno. Venne però il sessanta, con
le sue titaniche audacie, e con le sue immortali demolizioni a svegliare il
Fiorentino dalla sua fede dommatica e dal suo sonno ortodosso;e,benchè non
ancora emancipato dal vecchio Gioberti,si volse a studiare il riorità del principio si ricongiungono
nell'Uno ,ch'è insie me causa e principio. L 'Uno nel sistema del Nolano, è to
talità assoluta; vale a dire che come principio della forma zione dello cose è
minimo,come totalità perfetta ó massimo; come identità
delprincipioedellafinepigliailnome diUno, ove tutto si assorbe, come in vasto
ricettacolo; ove il pensiero e la realtà si confonde in una identità suprema.
In ciò con . siste il Panteismo di G. Bruno , che il Fiorentino rigetta,
soggiogato dal vecchio Gioberti , confutando l' eccletismo poco omogeneo , gli
ondeggiamenti e le contraddizioni del Nolano , che fonde insieme la Causa dei
Pitagorici, l'Uno degli Eleatici , ed il Principio degli Alessandrini. E pure ,
ad onta delle prevenzioni ortodosse e giobertiane , il F i o rentino non
disconosce le novità laicali, di cui è ricco il sistema del Bruno; la
maggioranza del pensiero, la menta lità, che splende come intelletto divino,
mondano , partico lare,ed ilconcetto direlazione,ch'è tanta parte dellaPro
tologia del Gioberti , e costituisce il verace assoluto ; l'asso luto , cioè ,
della moderna speculazione. Dallo oscillare del Bruno tra la Scolastica e la
Rinascenza deriva che il finito ora è una vana parvenza, ora la massima realtà;
ed il N o lano ondeggia tra Eraclito e Parmenide , tra il flusso c o n tinuo e
la rigida immobilità. Il Fiorentino mette Giordano Bruno in relazione con
Spinoza e Schelling , ne nota col solito acume le differenze e le somiglianze,
o conclude che i tre filosofi si rassomigliano nella prospettiva generale del
sistema, hanno il medesimo intendimento di unificare la scienza e
d'immedesimarla col mondo ; cercano fuori del pensiero il centro della loro
unità , e costituiscono quella serie di Panteisti, che si dicono obbiettivi;
l'Uno, la Sostan za,l'Assoluto sono tre creazioni parallele.Il Fiorentino ana
lizza del pari la Dialettica di Hegel e di Gioberti , m o n u menti immortali
della moderna speculazione, e nota che in Hegel e Gioberti contrastano due
tradizioni, due filosofie, e due nazioni; la filosofia della creazione e la
filosofia della identità, il cattolicismo ed il razionalismo,
l’Italia, patria di S. Tommaso o di Dante,e la Germania, patria di Lutero e di
Göthe. Fiorentino, senza sconoscere la importanza della filosofia tedesca,
glorifica la vecchia formola giobertiana, il cattolicismo e la rivelazione;
rigetta quasi il pensiero m o derno, desidera il rinnovamento della antica
filosofia italia, na,e,collocandosuglialtariilGiobertidella Teoricaedella
Introduzione, chiude il Saggio con queste parole: «Giova « netto ancora,sognava
che il nome di V. Gioberti suone « rebbe terribile sui campi di battaglia, e
venerando tra le « arcale della Università. Quel mio sogno giovanile si è av «
verato in gran parte e la indipendenza e l'unità della « mia patria,propugnata
da quel grande statista, è presso « a compiersi ; mi sarebbe ora assai dolce il
vedere una « scuola ed un'accademia iniziarsi, diffondersi , giganteg « giare
in quel nome si caro ad ogni italiano, con quella « formola,che assomma la
scienza e la fede dei nostripa. « dri. Da esse soltanto noi potremo sperare
giovani, c o m « pagni di quelli che combatterono a Curtatone, e cacciarono «
gli Austriaci da Varese e da Como.» Giordano Bruno portò il Fiorentino ad uno
studio più accurato della greca filosofia, di cui è anche specchio e ri produzione,inbuona
parte,laRinascenza italiana,dellaquale il Nolano è l'eroe ed il martire.
Professore straordinario di Storia di filosofia a Bologna nel 1862, il
Fiorentino si diede a studiare alacremente e con tenacità di calabrese
Aristotile e Platone.Si fatti studii, come racconta egli stesso,gli apri rono
nuovi orizzonti, gli allargarono la vista intellettiva, o gli fecero scorgere
ildifetto fondamentale della filosofia gio bertiana. Fiorentino si allontano
dal vecchio Gioberti, non colcuore,sibeneconlamente,ch:ifortiamori deigiovani
anni non possono dimenticarsi.Rude e franco calabrese,intel
lettoaustero,ilFiorentinosiemancipò dalla scuola filosofica ortodossa,quando si
convinse che il mito e la leggenda pre valevano sulla pura speculazione, sul
pensiero libero o lai FRANCESCO FIORENTINO 79 cale. La
critica, che Aristotile fa di Platone,a cui Gioberti si rassomiglia,fece schivo
il Nostro dal mescolare immagini ad idee, e lo inimicò con le metafore
filosofiche la severa, m a ineluttabile critica di Aristotile; non i Tedeschi
lo c o n vertirono alla nuova filosofia , degna dei tempi moderni, si bene il
rigido, inesorabile Aristotile !...' Cosi il Fiorentino scese, calabro atleta,
nella arena della greca filosofia, e gio vine ardente fu trasportato lungo le sponde
dell' Ilisso , tra gli alberi fragranti, che ne ombreggiano il margine ; sotto
il bel cielo di Omero , tra le dispute di Socrate, i simposî platonici , e le
austere meditazioni dell'Accademia. Sapeva egli fondere ed accordare insieme
l'idea greca all'idea ca labra, rappresentata nei tempi antichi da Pitagora, e
tutte e due al nuovo pensiero laicale del Rinascimento , rappre sentato presso
di noi da Telesio e Campanella. Ringiovani così il pensiero , irrigidito nelle
ferree strette della Scola stica e del vecchio Gioberti ; e farfalla , ch'esce
a poco a poco dal suo involucro ; montanaro calabrese, che si trasfi guraman
mano sottoilsoffiodeinuovi tempi,sisentìumano ed universale nei Dialoghi di
Platone e nella Metafisica di Aristotile.La Grecia fu infatti la terra dove
sbocciò ilfiore dell'Arte , e germogliò il seme dell'umana ragione ; fu la
patria del pensioro speculativo, della Dialettica, e della C a tegoria, a cui
metton capo ipiù vasti sistemi dell'antica e dellamoderna filosofia.Fu
lapatriadiPlatone,cheperge nialità e divinazione speculativa, per universalità
di pensa menti , per movimento drammatico , per colorito artistico e finezza di
dialogo, grandeggia su tutti i filosofi; egli fonde in sè l'eloquio facile e
maraviglioso di O m e r o e l'attica b e l lezza di Sofocle. La vecchia Grecia
s'idealizza e si trasfigura nel gran discepolo di Socrate;la speculazione
diviene arte e d r a m m a , e d il p e n s i e r o , c h i u s o n e i c a n c
e l l i d i T a l e t e e d i Eraclito, abbraccia ilmondo, si fa universale ed
umano,a n 80 GIORNALE NAPOLETANO 1 Vedi Filosofia Contemporanea in
Italia, p. 152, 153, Napoli, 1876. FRANCESCO FIORENTINO 81 ticipa
ilCristianesimo e preludia all'età moderna Egli fonde, come disse bene il
Ferrai, in una grande unità isofisti e i politici, gli artefici e i guerrieri ;
uomini , donne , vecchi, fanciulli, schiavi e liberi, e in questo mondo in
azione ti si fa duca e maestro, innalzandoti, migliorandoti, affinando le tue
facoltà, spesso spirandoti nell'anima un sacro entusiasmo per il buono , per il
vero ; quell'entusiasmo , aggiungo io , che crea i grandi fatti della storia, e
quei capolavori del l'arte, che si chiamano Convito ed il Fedro, ove si spec
chiatuttoilsorriso dell'Ionio mare,l'apollinea bellezzadei Greci , il fascino
di Diotima e di Aspasia ; la morbida poesia dell'Attica e l'arguta ironia di
Socrate ; divina bellezza , m u . sica arcana , che rende unica la Grecia tra
le nazioni più civili e più artistiche del mondo . N o n volendo abusare della
vostra bontà , o Signori , io m i restringo per ora a Platone ; che ci
porterebbe assai lungi il voler discorrere completamente del Saggio Storico
sulla filosofia Greca ; discutere ed esaminare Aristotele e quanto altro
riguarda le Categorie ed i problemi della filosofia m o derna , di cui si
occupa il Nostro nel suo stupendo lavoro. Il Fiorentino scrutò con animo libero
e spassionato la vec chia speculazione ellenica;laGrecia anteriore a
Socrate,ove campeggiano le grandiose figure di Talete, di Senofane, di Eraclito,
di Parmenide , di Anassagora ; o dove si elabora a poco a poco l'idea platonica
e la categoria aristotelica . È un quadro ricco di pensiero, ed anche di
poesia,che con vivi colori ci tratteggia ilFiorentino con quella sua ge
nialità, con quella lucida esposizione, che tanta grazia a g giunge ai suoi
lavori speculativi; incantevole lucidezza, che ritrae i limpidi Soli diffusi
sui patrî vigneti e sulle marine di Cotrone ... Il Saggio Storico sulla
filosofia Greca sarà s e m pre, secondo il nostro debole parere, l'opera più
bella, più geniale del Fiorentino ; ci è il profumo e l'entusiasmo della
gioventù, ci è la vita artistica, anche in mezzo alle severe meditazioni del
pensatore ; quella vita, che solo può dare la Giorn.Napol,Vol.I.- Gennaio 1885
(Nuovissima Serie). 6 gioventù , nella sua più rigogliosa
fioritura ed espansione. Ciò nonostante,spassionati estimatori dell'ingegno del
nostro amico , riconosciamo in quel saggio lacune ed imperfezioni, che l'autore
medesimo, uomo schietto e leale,vi riconobbe, ricco di nuovi studi sulla
lingua, sulla filosofia, sulla lette ratura greca ; dotto nel tedesco e
conoscitore profondo dei moderni lavori alemanni su Platone ed Aristotile.
Intanto facciamo notare che il cardine fondamentale della critica del
Fiorentino furono le idee platoniche e le categorie aristo teliche , che sono e
saranno sempre le colonne e le pietre granitiche dell'umano pensiero. La
critica platonica (come nota il Chiappelli nel dottissimo studio sulla
interpetrazione panteistica della dottrina platonica) si è a giorni nostri ri
fatta da capo ; e la quistione si aggira sui fondamenti di
tuttoilplatonismo,valeadire,sulgenuino valoredelladot trina delle idee, che
forma il centro del sistema platonico. Dalla interpetrazione di codesta
dottrina dipende quella di tutto il resto del sistema ; è il presupposto , da
cui , come tanti corollarii, scendono tutte le altre parti di questo m o
numento immortale del genio greco,che scosso dalla potente critica di
Aristotile , travisato dal Neo -platonismo , rivive anche oggi , dopo le
vicende di tanti secoli. Varie e con traddittorie in ogni tempo furono le
interpetrazioni delle idee platoniche;furono scambiate,ora con gl’ideali
estetici,che vagheggia l'artista, ora ritenuti come generi logici e c o n cetti
intellettivi,ed ora come gli eterni paradimmi del divino artefice,modelli
esemplari delle cose, e quindi esistenti per sė;laquale interpetrazione,che
sitrova diffusatraiNeo platonici,traiPadridella Chiesa,ed in tuttoilMedio-Evo,
anche oggi è sostenuta da valorosi critici. È certo poi che le idee in Platone
sono trascendenti , immobili e separate dalla materia,e che carattere
principale del Platonismo è la irreconciliabilità tra l'idea e la materia, tra
l'intelligibile ed ilsensibile:Le piùingegnose interpetrazionideicriticimo.
derni,e massime del Teicmuller,che fa di Platone un Pan. 82 GIORNALE
NAPOLETANO FRANCESCO FIORENTINO 83 teista,non han potuto colmare
l'abisso,che nel greco filosofo separa l'idea dal cosmo, l'elemento
intelligibile dall'elemento materiale. Relegate, come sono, le idee in un mondo
inac cessibile, non possono esercitare nessuna influenza, nè sul l'essere, nè
sul divenire delle cose sensibili, nė spiegare il formarsi delle cose
medesime.Anche la relazione delle ideo con Dio, osserva il Fiorentino ', rimane
indefinita; le idee non hanno causalità, perciò la causa efficiente deve
trovarsi accanto a loro , o concorrere con loro alla formazione dei mondo ...
Platone non tenta neppure di conciliare Iddio con le idee ; perciò accanto alla
speculazione tu trovi ancora il mito, non come semplice ornamento,ma come
elemento in tegrale del sistema... Solo è certo che l'altissima idea è per
Platone quella del Bene ; la quale ora s'immedesima con la ragione divina, ora
è quella, a cui guardando il Demiurgo dà forma al mondo ; se non che non si può
risolutamente affermare che il Bene s’immedesimi con Dio,ch'è un dato della
tradizione piuttosto che della filosofia , ed in Piatone non essendo chiara
quella immedesimazione , non riesce perfetto il collegamento tra le idee e la
mente divina, ed il sistema delle idee riesce poco coerente , e sempre o n
deggiante ed incerto.Il Fiorentino nel Saggio slorico rigettò la
interpetrazionedelle idee platoniche come riminiscenze di una vita anteriore,
come modelli e paradimmi del mondo, come pensieri divini ; e ritenne che
Platone non è sempre lo stesso ne'suoi Dialoghi ; giovane filosofo da poeta,m a
turo senti bisogno di spiegare la scienza,e ricorse alle idee ; negli ultimi
anni adottò il linguaggio pitagorico a proposito delle idee , e le considerò
come numeri. La dottrina delle idee platoniche , trattata davvero
scientificamente , consiste pel Fiorentino nei Dialoghi il Teeteto , il
Sofista, ed il P a r . menide. Il Sofista prepara il Parmenide, a cui dà il
fonda mento ed ilprincipio;ed ilParmenide sostituisceallame. 1 Manuale di
Storia della Filosofia, Parte I, p. 61-65, Napoli, 1879. 1 84
GIORNALE NAPOLETANO tessi ed ai simulacri la relazione, ch'è la vera natura e
la vera condizione di tutte le idee ; è la loro vita e fecondità .
IlFiorentino,austero intellettoelibero pensatore,preferiva alla lirica del
Fedro e del Simposio , alla epica narrazione del Timeo ildramma ideale del
Parmenide.Fiorentino scrutò profondamente i tre dialoghi platonici , o ne
rilevò il vero significato. La scienza, egli disse , non è sola sensazione e
sola opinione, come vogliono iJonici, ed ecco ilsignificato del Teeteto; la
scienza non è la sola cognizione dell'Uno,come pretende Parmenide,e neanco
dell'essenze immobili ed ir relative dei Megarici;ed ecco ilsignificato del
Sofista.La scienza è l'una e l'altra opinione e cognizione, relazione di
entrambe ; ed ecco il risultato ultimo del Parmenide ; tanto vero che, senza la
relatività delle idee, il Parmenide rimarra sempre un enimma, il sistema di
Platone un leggiadro tes suto di favole, di reminiscenze oltremondane ed
assurde, e di sperticate idealità. Scrutando meglio il Sofista ed il Par .
menide, Fiorentino asserisce che il principio da cni muove Platone nel Sofista
, ossia l'Ente , e quello da cui m u o v e nelParmenide,ossial'Uno,sonolostesso
principio;senon che l'ento è rigido, immobile, indeterminato, e l'Uno è d e t e
r m i n a t o , e p r o d u c e i M o l t i . L ' u n o è il m e d e s i m o e
d il d i . verso del Molli; come viceversa il Molti si può dire mede. simo ed
altro dell'Uno; tanto che, a parere del Fiorentino, abbiamo nel Parmenido
esplicito ildiverso e l'altro; sebbene rimanga in Platone nell'ombra la causa
della estrinsecazione della idea, e l'apparire della materia. Platone non colse
la vera natura dell'altro,che non può essere nè un'essenza,nė un'idea;sìbene
una relazione;egliperciò oscillò dall'uno all'altro di questi due termini,per
trovarvi la materia, ed, irresoluto, la fè credere una volta essenza,ed
un'altra idea. Pare che in tutte queste sottili ed ingegnose interpetrazioni
del Fiorentino entrasse un po ' il sistema e la critica moderna dell’Hegel ,
sempre caro al Nostro , come quegli che fu la sintesi più stupenda del pensiero
laicale tedesco,da Lutero FRANCESCO FIORENTINO 85 a Kant. Felice
Tocco, di cui tanto si onorano le Calabrie, nelle sue dotte Ricerche
Platoniche, esplicitamente osserva che il Fiorentino interpetra il Parmenide di
Platone alla maniera di Hegel , e che , ad onta delle argute considera zioni sulle
stonature della Dialettica platonica, nou tenne iu conto il fare negativo di
tutto il dialogo. Il trapasso, dalla teorica della metessi e degl’influssi a
quello della dialettica assoluta,èun
saltocosìsmisurato,chedifficilmentepotrebbe farsida un uomo,per vastissimo
ingegno ch'egli abbia,sopra tutto nel tempo,in cui la speculazione è ancora sul
nascere, ed i sistemi filosofici sono appena abbozzati.E ingiusto per ciò,
conchiude ilTocco,ilraccostamento della dialettica pla tonica all’egheliana, e
non bisogna interpetrare con Hegel Platone,etrasportare ilmondo antico nel
mondo moderno!! Alla origine e natura delle idee è intimamente legata la
Dialettica platonica ; essa non è altro , se non che la legge dell'intreccio
ideale, il modo come si forma il Logo , o la Ragione universale ed assoluta. Il
ritmo della Dialettica vera di Platone, secondo la interpetrazione del
Fiorentino,è nel Parmenide ; il contenuto del quale si risolve in una trilo
gia,di cui la prima parte presenta la idea solitaria dell'Uno, e l'annulla;la2.lamedesima
idea appaiata con quella del l'essere, e con essa in contraddizione ; la 3.
risolve la con traddizione nel momento, ch'è il diventare; momento e di
venire,che sono mutuati dalla dialettica Hegeliana,e rendono infide e
soverchiamente moderne le interpetrazioni del Fio rentino. Egli era convinto,
quando scrivea il Saggio Storico, che la dialettica Hegeliana è modellata sulla
platonica, e che le prime tre categorie del filosofo alemanno, l'essere,ilnon
essere,ed ildivenire ricordano l'uno, l'ente, ed ilmomento del Parmenide. La
Dialettica platonica , monumento gran dioso dell'umano pensiero, ispirò in ogni
tempo gli Artisti ed i Filosofi; ed ilFiorentino conchiude che Goethe
v'im 1 Op. Cit.pag. 132-133,Catanzaro, 1876. Lo studio della filosofia
greca fece rientrare il Fiorentino nel mondo moderno,ch'egli avea sfiorato col
lavoro giova- nile del G. Bruno ; il greco pensiero, che più degli altri è
pensiero umano ed universale, ricondusse il nostro alla R i nascenza,la quale,
se inizia l'epoca moderna con le ribel lioni speculative del Bruno, del Telesio
e del Pomponazzi , usufrutta con Telesio e con Bruno la parte viva ed immor .
tale della greca filosofia,ilconcetto della natura,autonoma od assoluta, e
l'idea dell'Infinito generante.Il Fiorentino,in gegno fecondo e
progressivo,accettò i pronunziati, gli ardi menti , o ,le ribellioni della
Rinascenza ; nelle fresche c o r renti della natura ei sentì ringiovanirsi, ed
il suo 'pensiero divenne più ampio ed umano . L'epoca della Rinascenza è, o
Signori , un'epoca gloriosa , battagliera , o titanica ; la Scolastica è
assottigliata ; la cavalleria ed il feudalismo se ne vanno;la Teocrazia perde
ilsuo prestigio,e la sua uni versalità ; la poesia si emancipa dai terrori
mistici ; alle fo. sche pitture del trecento succedono i freschi colori del T i
ziano e del Correggio ; nasce lo Stato laicale, e Machiavelli crea la storia
moderna. I filosofi rappresentarono in questo gran dramma una parte gloriosa,e
specialmente ilmantovano Pomponazzi,che per audacia speculativa,per energia di
ca rattere è uno degli eroi più spiccati del Rinascimento ita liano. Il
Fiorentino, che come fiero calabrese e libero pen satore,era naturalmente
attratto verso i grandi precursori ed apostoli, si mise a studiarlo con coscienza
di filosofo e p a zienza di critico; sgobbò sui polverosi volumi in folio, si
chiuse come un vecchio anacoreta nella sua cella di Bologna; ed affrontó con
leonino coraggio l'intolleranza e lo scherno degl'insipienti , le beffe dei
gaudenti, che senza forti stu lii, 86 GIORNALE NAPOLETANO parò la movenza
del Dialogo ; Hegel il severo ragionamento ; il Vico vi attinse lo schema della
Scienza Nuova ; Rosmini il principio del Nuovo Saggio ; ed a quell'opera
immortale bisognerà ricorrere ogni volta,che si vorranno scandagliare davvero
le origini dell'umano pensiero. FRANCESCO FIORENTINO senza accurato
lavoro vogliono , con la veduta corta di una spanna,giudicare gli uomini serî
ed austeri,gli uomini che sacrificano tutto sull'ara del pensiero e della
scienza ; i n domiti o tetragoni nei loro propositi ; Capanei,che muoiono e non
si arrendono... Il Pomponazzi insorse fieramente contro la Scolastica, e contro
la greca filosofia; e nello spiegare la natura dell'a nima, ed il processo del
conoscere non ha esitato punto,nè riprodotte, come altri fecero, le incertezze
aristoteliche. Sgombrate tali perplessità, il filosofo mantovano si liberò
dall' intelletto separato di Averroè , dell'intelletto agente dello Afrodisio ,
senza però emanciparsi del tutto dagl’in flussi e dalle intelligenze superiori;
ondeggiante ancora , c o m e tutti gli uomini della Rinascenza , tra la
Scolastica ed il mondo moderno ;tra S. Tommaso e Giordano Bruno. Stre mò , è
vero, il Pomponazzi la trascendenza in filosofia; con siderò l'intelletto umano
come sviluppato dalla potenza della materia ; ma non volle attribuire
all'intelletto dell'uomo la concezione dell'universale ; e disconobbe la vera m
e diazione,che l'uomo fa tra lecose eterne e caduche.Egli scruta insistente i
più ardui problemi metafisici, religiosi e m o r a l i , la P r o v v i d e n z
a , il F a t o , la L i b e r t à , la P r e d e s t i n a z i o n e e la
Grazia ; e porta in tutte queste discussioni la novità e l'audacia,proprie dei
filosofi del Rinascimento ;piega più dalla parte della determinazione fatale
degli Stoici che da quella della vuota determinabilità dell’Afrodisio; che
l'arbitrio non può essere primo movente;e l'aver compreso il difettodella
dottrina della libertà , come è in Alessandro ed in Aristo tile; l'aver intravveduto
nel fato stoico maggior ragione volezza costituisce uno dei massimi pregi della
critica del Pom ponazzi . Disconobbe inoltre il valore assoluto delle R e
ligioni; ne spiegò con ragioni naturali l'origine, il fiorire, la decadenza ;
le riconobbe portato dello spirito, eterno ed irrequieto viaggiatore, che tutto
rinnova e distrugge. Con questa divinazione il Pomponazzi fu anche precursore
dei 1 87 4 1 1 4 88 GIORNALE NAPOLETANO nuovi tempi, e della
scuola moderna ;se non che mancogli la perfetta coerenza nelle dottrine,e non
si sollevò al con cetto profondo dello spirito, come lo intendono i moderni.
L'ingegno del Pomponazzi , benchè novatore e ribelle, non si era completamente
spastoiato dal vecchio mondo scola stico ed aristotelico ;ei non poteva ai suoi
tempi cancellare del tutto il Dio di S. Agostino e di S. Anselmo; non po teva
scartare intieramente la Provvidenza oltremondana , von poteva combattere a
viso aperto le tradizioni della fede o r todossa. Ei però aveva intravveduto
che al Dio estramon dano , collocato fuori la coscienza , dovea fra poco
succedere il Dio intimo e vivente; che la vecchia forma religiosa do vea
ringiovanirsi e al Motore immobile di Aristotile dovea succedere l'Infinito di
G. Bruno. È questo il merito pre cipuo del Pomponazzi , che a buon dritto deve
chiamarsi il precursore della Riforma e del mondo laicale moderno ; e l'averlo
saputo rilevare con sagacia di critico coscienza di storico è gloria del
Fiorentino. Ciò segna un altro m o mento importante nella evoluzione critica e
speculativa del Nostro ; la quale avrà il suo compimento ed il suo massi - mo
splendore nel Telesio,e negli studii sulla idea della N a tura nel Risorgimento
italiano. Il Telesio infatti costituisce l'ultimo e più splendido momento
speculativo e storico del Fiorentino, il quale rap presenta perciò in Calabria
il più alto grado , la più alta manifestazione
dellacriticastorica,edilcompletosvegliarsi presso di noi della coscienza
laicale ed u m a n a ; rappresenta la continuazione della Rinascenza,ingrandita,
però,trasfor mata e divenuta pensiero europeo ed universale coi Saggi critici
di B. Spaventa. Fu primo lo Spaventa in Italia a dare la debita importanza a
Bruno ed a Campanella , ed a tutta la filosofia del Rinascimento , rivendicando
gli eroi del nostro pensiero, ed i martiri obbliati della ragione. « L ’ I
talia, disse B. Spaventa , apre le porte della civiltà m o « derna con una
falange di eroi del pensiero. Pomponazzi , FRANCESCO FIORENTINO 89
« Telesio,Bruno,Vanini, Campanella,Cesalpino paiono figli « di più nazioni.
Essi preludiano più o meno a tutti gl'in « dirizzi posteriori , che
costituiscono il periodo della filo « sofia da Cartesio a Kant ... Vico è il
vero precursore di « tutta l'Alemagna... » (Prolusione alle Lez.di fil.
nap.62). Le austere parole e i forti ragionamenti del filosofo abruzzese
eccitarono il potente ingegno di Fiorentino,e co.. ine il nostro schiettamente
confessa , lo fecero orientare in quell' arruffio, ch'è la speculazione della
Rinascenza , e lo innamorarono di quel periodo filosofico, che prima si con
tentava di ammirare, senza averne perfetta e matura cono
scenza,piuttosto,perseguire ifacili lodatori che per veder ne realmente
l'importanza coi proprii occhi. Educato dalla critica nuova e poderosa dello
Spaventa , Fiorentino percorso da padrone e da maestro il campo glorioso della
Rinascenza italiana, e v'impresse orme da gigante.Gli uomini nuovi od
audaci;imartiri dell'idea piacquero tanto a Fiorentino,ed eis'immedesimò
loro,aspirandone l'immortale profumo,ed il soffio della giovinezza. La
Calabria, che, senza conoscersi , spesso si vilipende e si schernisce,non era
per lui barbara c selvaggia, covo di briganti, e nido di cannibali; era in vece
terra di filosofi, di critici, di poeti ; culla di martiri e di eroi, terra
artistica ed originale,a cui,ultimo tra gl’in gegni calabresi,consacrai tutto
me stesso,e per la quale non cesserò di combattere, finché avrò forze, finchè
in Italia vi saranno uomini senza coscienza storica e senza carità di patria.
La Calabria (e perdonate questo amore indomabile alla mia patria nativa , alle
mie care montagne ) seppe a n ch'essa indovinare e comprendere i tempi nuovi ,
uscire dal fondo de'suoi burroni,e mettersi a paro coi più grandi eroi della
Rinascenzaitaliana.La Calabriaseppe anch'essa com battere con la sua selvaggia
vigoria lo impero , la scuola , edilpotereteocratico.Ilcalabropensiero,che
ancorasiac cusadiangustiaemunicipalità,è,com’iodimostrai,un pensie ro,non solo
nuovo ed originale,ma eziandio italiano,europeo 90 GIORNALE
NATOLETANO ed umano . Universale in filosofia, inizid con Telesio lo stu
dio dellanatura,sconosciutaaipadrinostri,velatapertanto tempo dalle ombre del
Medio-Evo;nel tetro carcere della Vicaria creò col Serra la scienza economica ;
con Galeazzo usci dal cerchio della poesia provinciale , e fuse nel calabro
Sonetto la vigoria di Dante e la musica del Petrarca ; pre corse col Campanella
a Descartes ; e con Gravina anticipo Vico e Montesquieu, o creò la nuova
critica italiana. Fiorentino , che , com'egli stesso canto , avea Saldo il
voler ne le virili imprese, E indomita la tempra calabrese, innamorato della
vecchia Calabria, fa rivivere con magiche tinte le belle ed eroiche figure dei
padri nostri, il P a r r a sio, A. Telesio, il Martirano, il Quattromani, il
Tarsia, T. Cornelio,M. A. Severino,loSchettiniecc.;filologi,poeti e critici
precursori , che usciti dal fondo dei nostri boschi illustrarono le prime
Università, e diedero un potente i m pulso al Rinascimento italiano, col
fondare e promuovere quella stupenda Accademia Cosentina, segno in tutti i
tempi di odio inestinguibile e di amore indomato,la quale è tanta parte del
dramma grandioso della Rinascenza;diede all'Ita lia grandi latinisti da emulare
il Poliziano , il Sannazaro , il Fracastoro , e sorpassarne altri con Coriolano
Martirano; porta scolpito il fatidico motto : Donec totum impleat orbem ;
decrescit numquam ,nec fulmine laeditur;e servi di modello a tutta Europa col
Telesio per la scoverta del vero metodo naturale. Sotto questo doppio aspetto la
vide l'occhio sagace del Fiorentino, e stupendamente la illustrò , sollevandola
a quel posto, che merita, e meriterà sempre, finchè le tradi zioni del pensiero
laicale ed umano rimarranno vive in C a labria,e ne trasformeranno
lavita,l'arte,elaspeculazione; finchè vi saranno uomini insigni come il
Presidente Sca glione,ed ilSegretario Greco,che ne accresceranno le glorie e
l'importanza , continuando l'esempio dei loro illustri a n tenati, che noi,
gaudenti e borghesi , abbiamo dimenticati, sconosciuti , e fino scherniti....
Il Fiorentino , che il dotto FRANCESCO FIORENTINO 91 Canonico
Scaglione avea precorso con lo studio sul Telesio, pubblicato negli atti
dell'Accademia fin dal 1843, studiando a fondo, al lume della nuova Critica, le
opere del filosofo cosentino, proclama che il Telesio inaugura i tempi moderni
, r i t i e n e l a N a t u r a , c o m e il p r i n c i p i o u n i v e r s a
l e d e l l e c o s e , il ricettacoloditutteleforme,e,come schietto
naturalista,ri. getta Aristotile e la Scolastica, la Teosofia, e la Magia . Il
Telesio, evitando la contraddizione aristotelica , che rompe l'unità della
natura,parte da una materia primitiva ed uni ca,e da una contrarietà
universalissima, ilcaldo ed ilfred do , nature agenti , dalla cui azione sulla materia
nasce la generazione e la corruzione. Telesio , pur ritenendo la necessità di
un'opposizione universale e di un'unica materia, il che era anche ammesso
d'Aristotile , ne ha profondamente modificato il valore. La forma aristotelica,
ch'era sempre assoluta ed estranaturale, non gli parve principio naturale , e
la sbandì , e la rigettò dalla sua filosofia, con la rude franchezza del
calabrese . In una parola , la natura non ha mestieri per essere spiegata di
principi, che non siano naturali; e così fu vinto e sor passato il Medio -Evo,
e la Filosofia delle Scuole. Il soffio giovine e fresco delle nostre montagne
spazzò lo nebbie sco. lastiche , e Telesio , meditando gli arcani della natura
nel suo ameno podere, sito sulle rive pittoresche del fiume Co. r a c i , f u v
e r a m e n t e il p r e c u r s o r e d i B r u n o e d i G a l i l e i , l '
u o . mo nuovo ed audace, che scrolla il vecchio mondo medie vale, ed inaugura
l'epoca moderna. Telesio, rigettando l'entelechia aristotelica, vi sostitui una
sostanza sottile , mobile , lucida, che per lui costituiva il principio della
vita;semplificò inoltre ilsistema del natu ralismo,tolse ildissidioimmenso,che
funel Medio-Evo tra la natura esterna e l'organismo vitale , e fuse insieme nel
suo novello sistema la Fisica e la Biologia . Fiero ed i n e sorabilo
calabrsse, rovescio tutto, non diè quartiere ad Ari stotile ed alla Scolastica
, o combattė senza ipocrisia , ed a fronte scoverta; diede una
nuova teorica dell'anima, sorpas. sando il Fedone platonico, e l'intelletto
universale di Ari stotile; fondò sul senso la conoscenza, ed ammise il mondo
etico come un effetto e risultato naturale. Nel vasto dramma telesiano, che il
Fiorentino stupen damente tratteggia, brilla di nuova luce il martire di Nola ,
il q u a l e , e b b r o d e l n u o v o D i o , d e l l ' I n f i n i t o g e
n e r a n t e , e d e l l a Natura,allarga efeconda iconcetti
delfilosofocosentino,éd accetta pienamente il naturalismo . Il vero assoluto
rimane però in lui un punto oscuro,dove i contrarii si affondano e spariscono;
il Nolano, più che cogliere con l'atto intellet tivo l'assoluto, vuole
trasformarsi in lui, e divenire Iddio. E leroico furore, che lo trasporta in
grembo dell'Infinito, non il sillogismo speculativo , e la serena meditazione ;
• l'ebbrezza dell'amante, che lo trasfigura in grembo alla di vina
Anfitrite.Bruno,uomo del Mezzogiorno, nato presso il Vesuvio,ha scosso in ogni
tempo la mente dei pensatori, ed il cuore dei poeti... Eroe leggendario del
pensiere, ca valiere errante della scienza , mistico 'o ribelle , inesorabile
flagellatore dei cucullati pedanti , egli che avea vestita la bianca tunica di
S. Domenico, ilBruno percorse,si può dire, da un capo all'altro l'Europa
disputando, combattendo,af. frontando ilvecchio Aristotile,laciarlataneria
delleScuole, e l'infallibilità dei dottori. Vilipeso e adorato, schernito
glorificato , ora debole innanzi a'suoi carnefici, ed ora su - blime ; tradito
a Venezia dal Mocenigo , suo discepolo ed ospite, è consegnato al Sant'Uffizio,
dissacrato e condan . nato a morte. Quando in Roma gli fu letta la sentenza ,
G. Bruno,con calma eroica e tremenda ironia, ha ilcorag. gio di profferire
innanzi ai giudici queste memorande parole: « Maggior timore provate voi nel
pronunciar la sentenza contro di me,che non io nel riceverla .»Il 17 Febbraio
1600, l'eroe della verità, e del pensiero laico fu legato come un volgare
malfattore ad un'antenna,e,bruciato vivo in Campo di Fiore, imperterrito il
Bruno non mandò nè un sospiro, 92 GIORNALE NAPOLETANO .
FRANCESCO FIORENTINO 93 nè un lamento; le fiamme furono la sua apoteosi;e
benchè le sue ceneri fossero state disperse al vento, corsero l'Eu ropa come
polline fecondatore , e vi propagarono i semi del libero pensiero, e della
filosofia moderna.... F. Fioren tino, pensatore e poeta,che dopo più maturi
studî avea ac cettata in tutta la sua pienezza la Rinascenza , ritorna su G.
Bruno , e lo vede nel Telesio sotto un nuovo punto di vista; e se prima,nel suo
lavoro giovanile, lo avea rigettato, come panteista ed antimistico, ora lo
guarda , e lo ammira come ilveroeroe delpensiero,l'araldoeilmartire della nuova
e liberafilosofia;degno, come disse B. Spaventa,di avere un posto accanto a
Prometeo ed a Socrate. Quel che Fiorentino scrisse di B. Spaventa , permettete
, o Signori, che io lo riferisca al nostro fiero concittadino : « Il grande «
ideale del filosofo per Fiorentino era il Bruno ; pari forse « avrebbero avuto
il fato, se fossero vissuti nella stessa età. « Fiorentino avrebbe guardato il
rogo con lo stesso corag . « gio; Giordano avrebb » disprezzato con la stessa
serenità, « non il rogo, ma qualcosa di peggio,quella rete sottilissi. « ma di
cabale, onde la turba ignara circonda gli animi al « teri;che tentano
slacciarsi da maltesi agguati:non ilrogo, «ma lacalunnia divota:dopo
ilTorquemada ilTartufo: < siamo ben progrediti noi. » Il vecchio Dio della
Scolastica si assottiglia in G. Bru . no; in lui si fondono Dio e l'Universo;
la creazione è svi luppo di Dio stesso, processo necessario , che rende cono
scibile e reale l'attività di Dio : in una parola, il Dio del Nolano non vive
se non per la natura,e nella natura:fuori e senza di lei sarebbe un'astrazione
ed un fossile. La n e cessità della creazione, che il Bruno insegna a viso
aperto, lo mette di accordo col futuro naturalismo spinoziano , e lo fa
precursore della moderna filosofia alemanna. La filosofia del Rinascimento ,
incarnata in Telesio ed in Bruno , per avere considerato l'assoluto , come
natura , ha preparato il grande avvenimento dello Spirito, la cui speculaziane
inco 1 2 1 mincia con la coscienza cartesiana. L'infinita
natura , ini ziata da un Sofo di Calabria,è la gran parola della R i n a scenza
e dei tempi moderni !... Telegio e Bruno preparano inoltre la vasta speculazione
di Tommaso Campanella,indo mito Frate, che sopporta,con la fiera costanza del
Calabrese 26 anni di carcere,ed un giorno intero di torture. Permet tete,o
Signori,ch'io m’inchini al martirio di Campanella, ed al rogo di G. Bruno ;
martirio e rogo , che sono la gloria del Mezzogiorno,e del libero pensiero;la
condanna più elo. quente dei feroci persecutori dell'umana ragione !... C a m p
a nella, che sublimò alla dignità di principio speculativo la divinità latente
del Bruno , è il vero tipo dell'uomo cala bro, ricco d'ingegno e di cuore,
intemperante, battagliero, audace , iniziatore. È uomo originale e
contraddittorio ; fa l'apoteosi della Teocrazia e della Spagna,della Scolastica
, del Medio-Evo,e poi scrive laCittà delSole, e vagheggia la democrazia ed il
socialismo, la sovranità del libero pen siero, e lo Stato laico moderno . Ei
fonde in sè due età di verso , la età della fede , e l'età della ragione ;
Platone ed Aristotile , Telesio ed il Cusano ; l'austero sillogismo del
pensatore,e le vaporosità dell’Astrologo;le apocalittiche vi. sioni dell’Abate
Gioacchino , o la fredda sottigliezza del M a chiavelli ; l'ossequio alle somme
chiavi , e l'audace ribel l i o n e d i L u t e r o .... C a m p a n e l l a ,
s t u p e n d a m e n t e t r a t t e g g i a t o da Fiorentino , ritorna ,
come metafisico , a Platone , ed al Medio-Evo;come sensista e psicologo,
anticipa,nella teorica del senso e della cognizione, Cartesio, ed il mondo
moder no . Ei proclama la identità del pensiero e dell'essere ; se non che sì
fatta unità non acquista la forza di vero prin cipio,e Campanella,ad onta delle
sue stupende divinazioni, ondeggia ancora tra lo schietto naturalismo ed il
sistema delle cause finali. Alla filosofia naturale , che tolse in p r e stito
ed usufruttuò dal nostro Telesio,Campanella aggiunse una metafisica, che ne
rimase staccata; mettendo ogni sforzo per levarsi alle categorie supreme della
natura e dell'essere, 94 GIORNALE NAPOLETANO : > FRANCESCO
FIORENTINO 95 non seppe applicarle alla natura, e con tutta l'energia p o
derosa di assurgere all'Unità, restò nella opposizione , ch'è il carattere
principale del naturalismo. Il solo naturalismo, chiarendosi col Campanella
impotente a spiegare la genesi della Natura,non potė, esso solo, sciogliere il
gran proble. ma del mondo moderno,e conciliare l'universale col parti- colar :;
ricomprendere il senso in una forma di pensiero più larga, dove l'opposizione
riapparisse trasformata ed unificata in una sintesi suprema e dialettica. Tale
fu il progresso a p portato nel naturalismo,o nella filosofia moderna da
Galileo e Descartes; tali sono le glorie del nuovo pensiero, antimi stico e
laicale , iniziato da due filosofi , nati tra i selvaggi burroni delle nostre
Calabrie... Fiorentino,dopo aver richia mato alla memoria degli Italiani Tommaso
Cornelio , e M. A. Severino , glorie dell'Università Napoletana , e filosofi
telesiani; dopo aver valutato la importanza del Galilei e del Bacone , si
arresta col Descartes alla soglia della filosofia moderna, lieto che la
speculazione filosofica si stacchi dalle scienze naturali,preliminare,per
altro,necessario nella evo luzione del pensiero moderno,e siposi nel Cogito
cartesia no.La natura si emancipa, il pensiero si scioglie, e diviene più
libero e più snello; lo Spirito , che tutto ringiovanisce e trasforma , fondo
ed armonizza Telesio e Bruno , C a m p a nella e Galileo , Bacone e Descartes ,
e la silvosa Calabria entra co'suoi filosofi, e coi suoi profeti, co’suoi
martiri, e co'suoi precursori nel dramma glorioso del mondo moder no... Vi
rientra sotto l'impulso del Fiorentino , che, nato presso Stilo, tocca di nuovo
la squilla dimenticata del C a m panella , annunzia ai giovani calabresi
l'aurora di nuovi giorni, la completa emancipazione dalla Scolastica e dal Me .
dio-Evo;larisurrezione delpensierodellaMagna-Grecia, fuso,
ingrandito,trasformato nel pensiero moderno...La Ca labria e l'Accademia
Cosentina non potranno dimenticarlo ; non potranno disconoscere l'austero
filosofo, che ne illustrò stupendamente le glorie, e con magico pennello ne
ritrasse 96 GIORNALE NAPULETANO gli apostoli , e gli eroi ,
rivendicando i padri nostri al c o spetto di un secolo banchiere eborghese ...
La morte lo colse ancor giovine sulla soglia del tempio del Rinascimento; glo.
ria al virile sacerdote della scienza,che muore,adempiendo il suo dovere ,
mentre si folleggia , deridendo gli eroi del pensiero,imodesti operai del mondo
moderno,e sigittalo scherno sulle ossa dei grandi precursori della nuova Filoso
fia e della nuova Critica.... Io ho fede che la gioventù ca labrese,così ricca
d'ingegno e di cuore, cosi amante delle patrie glorie,avrà un culto per gli
uomini,che muoiono sulla breccia , martiri della scienza e della patria ; per
le anime generose,che non curano le amarezze della vita, l'esilio,la povertà,
la carcere,ed accettano, fino le torture di Campa
nella,finoilrogodiG.Bruno.....Ho fedechelaCalabria si rinnovi nel lavacro della
Rinascenza e negli studii virili delpassato,elagentileedottaCosenza,riccaperme
di care e dolorose memorie,prodiga di tanto sangue alla patria, di tanto
contributo d'ingegno alla storia del pensiero ita- liano, s'ispiri nell'austera
figura del più grande dei suoi figli, il cui busto parla tra il verde degli
alberi la gran p a rola del Risorgimento alla nostra gioventù... Ho fede che
l'austera parola del filosofo di Sambiase non suoni più nel deserto, e la sua
tomba, su cui piansero amici e nemici,sia un'ara dove le novelle generazioni
attingano iforti propo siti, e, quel che più ci preme,la serietà della vita,
l'abne gazione,ilsacrifizio,ed illibero pensiero....Così,o gio vani, non sarò
costretto a ripetere gli amari versi dell’au - stero poeta di Recanati : Oggi è
nefando stile Di schiatta ignava e finta Virtù viva sprezzar lodare
estinta!....Vincenzo Julia. Julia. Keywords: implicatura, filosofia calabrese,
Campanella, Telesio, Sanctis, Leopardi, Mazzini, Garibaldi, Gioberti, Spaventa,
Hegel, Aligheri, Serra, Bruno. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Julia” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688613097/in/photolist-2mPVkio-2mPysn2-2mKxDSr-2mJ4GHU-2mDUFSN-RkfqJ3-Bq5Z5y-CkaHMd-i7brtE
Grice e Juvalta – implicatura – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Chiavenna). Filosofo. Grice: “At Harvard, I said I was ‘enough of a
rationalist,’ but perhaps Juvalta would say that wasn’t enough!” – Grice:
“Juvalta has explored the limits of rationalism, in connection with value and
reason: if value is irrational, how can co-operation be rational in terms of an
accord to follow conversational maxims?” essential Italian philosopher. Ogni
sforzo di derivare una valutazione morale da qualche cosa di cui non sia già
riconosciuto il valore morale è dunque vano e illusorio. O non dà quel che si
cerca, o presuppone quel che si pretende di fondare.» I genitori sono il
barone Corrado Juvalta, cancelliere della locale pretura originario di Villa di
Tirano, e Teresa Zanetti di Tirano. Dopo gli studi liceali trascorsi tra Como e
Sondrio, si iscrisse a Pavia dove si laureò con una tesi su Spinoza, sotto la
guida di Cantoni. Successivamente insegna a Caltanissetta, Potenza, Spoleto. Vinse
il concorso per la cattedra di filosofia a Torino. Le tematiche accademiche
prevalentemente trattate riguardarono soprattutto i valori di “libertà” e di
“giustizia” con ampie riflessioni etiche. Convinto della loro generalità e
universalità, arriva ad auspicarne una loro applicazione anche nello studio
delle categorie politiche ed economiche. La filosofia di Juvalta è una profonda riflessione sull'etica portata
avanti con il metodo dell'analisi. Anche se, come risulta dalla sua, non
troviamo nei suoi scritti importanti contributi sul piano gnoseologico ed
epistemologico, dal momento che il suo principale campo d'indagine fu
prevalentemente il Sistema morale, possiamo affermare senza dubbio che sia il kantismo
che il Positivismo costituirono il nucleo di fondo della sua posizione, da cui
sviluppò la sua impostazione metodologica. Il positivismo, in particolare,
è stato il primo grande sistema filosofico con cui si è misurato nella prima
fase della sua elaborazione concettuale. Tuttavia Juvalta sarà costretto a
prendere presto le distanze da una siffatta visione della morale. I motivi di
questa rottura sono da imputare principalmente al suo fermo rifiuto di
accogliere come sostenibile la pretesa positivistica di fondare l'etica sulla
scienza. Il giudizio con il quale si afferma il valore di un oggetto è diverso
e non deducibile dal giudizio col quale ne afferma l'esistenza o la possibilità
o la connessione modale o condizionale con altri soggetti. Apprendere come le
cose sono, è tutt'altra cosa dal valutarle. Dal momento che l’etica si concreta
nella costruzione di una teoria ed in particolare di un sistema coerente di
valori morali, il giudizio che sta alla base di una qualsivoglia teoria etica
deve configurarsi come “un giudizio originario” che ha una natura eminentemente
etica, quindi non scientifica né tantomeno metafisica. Se però una etica
scientifica appare insostenibile per il motivo dell'indebita derivazione di un
giudizio di valore, di natura morale, dal giudizio ‘aletico,’ di natura
fattuale, è indubbio che la costruzione di un sistema morale debba essere
condotta con criteri di scientificità. Nella misura in cui ogni teoria si basa su
criteri logico-deduttivi e viene definita dalle relazioni logiche che
intrattengono in essa i propri elementi costitutivi, così anche la costruzione
di un sistema etico deve seguire la stessa metodologia e mostrare possibilmente
l'identica costruzione formale. Questo sistema di valori ha l'obbligo di
mantenere al loro interno un imprescindibile grado di coerenza, se vogliono
risultare sostenibili ed essere così accettati dalla ragione (pratica). Quando
parla di ‘teoria’ dell’etica lo fa proprio pensando a questo carattere logico-deduttivo
dei valori all'interno di un sistema. In particolare vede garantita la coerenza
di un sistema morale nella misura in cui un coerente insieme di valori viene
rigorosamente derivato (volitativamente) da un postulato, imperativo
categorica, o assioma, di valore morale capace di fungere da premessa
all'intero sistema (allora come insieme di massime universalisabili). Una volta
prese le distanze dai positivisti, si avvicina successivamente al Kantismo; in
particolare accoglierà, anche se con alcune riserve, molte delle posizioni
assunte dal cosiddetto Neokantismo, il movimento di pensiero che ha come
obiettivo la ri-valutazione piena del filosofo di Konisberg riadattando i
contenuti del suo pensiero ad esigenze e problematiche tipiche della
contemporaneità. Vede in Kant il più grande filosofo della modernità, colui che
meglio di qualsiasi altro pensatore ha saputo cogliere il vero senso
dell'autonomia della morale, svincolando per sempre l'etica dai saperi di
natura conoscitiva (aletica, pura, o giudicativa), i quali, proprio in quanto
si rivolgono all'ambito del fenomeno, non riescono a coglier interamente tutto
ciò che ha a che fare con la sfera dei valori (come per esempio la scienza e in
generale l'ambito teoretico). L'indipendenza e l'indeducibilità del valore
morale da qualsiasi speculazione teoretica fu, come tutti sanno, riconosciuta e
affermata, nella forma più esplicita e con grandissimo vigore dal Kant. Kant ha
il grande merito di consegnare alla morale uno speciale statuto di autonomia e di
indipendenza. La morale esprime questo suo carattere di autonomia e di “auto-assiomaticità”
per poter continuare ad essere coerente e allo stesso tempo attendibile sotto
il profilo puramente teorico. Abbracciare l'idea di autonomia della morale
significa accettare una visione anti-fondazionalista dell'etica. L’etica non
può prendere le mosse che da se stessa. Ogni tentativo di fondare l’etica su
ambiti del sapere diversi da quello morale, finisce con il configurarsi come
un'indebita pretesa di intromissione da parte di chi si illude di derivare un
contenuto del valore morale da una premessa fattuale o metafisica o estetica.
Alla base di un sistema coerente del valore morale, cioè un sistema morale
costruito deduttivamente, deve esserci un postulato originario (assioma o
imperative categorico) di natura etica e non di natura aletica o peggio ancora
metafisica, e questo per questioni eminentemente logico-analitiche, che
impongono ad ogni sistema coerente di evitare la fallacia logica della petitio
principii, cioè l'errore di voler caparbiamente dimostrare ciò che invece
abbiamo già implicitamente accettato nelle premesse. Una volta
riconosciuto il contenuto di quel postulato morale e pensato come un valore che
può essere vissuto ed accettato da un soggetto agente e concreto, allora si
creano i presupposti di base perché una coscienza riconosca in esso
un'intrinseca validità, che trova una sua precisa giustificazione solo a
partire dalla sua intima natura assiologica. È proprio questo suo riferimento
al contenuto del valore morale che lo costringe a rivedere i limiti di una
filosofia morale incardinata su binari formalistici e a non accettare tout
court la filosofia morale di Kant. L'ambito della giustificazione e
l'ambito esecutivo. Assumere come principi della ricerca etica l'autonomia,
l'antifondazionalismo, l'antiformalismo porta Juvalta a distinguere l'ambito della
giustificazione, cioè il momento riflessivo che ci vede impegla ricerca di ragioni
che possano difendere razionalmente la scelta di un fine e di un valore morale,
dall'ambito esecutivo che invece coinvolge il momento motivazionale dell'azione
ed è fortemente condizionato da elementi contingenti legati al momento storico,
inter-soggetivo, e culturale nel quale il soggeto si trova ad agire. Con un
atteggiamento tipicamente moderno difende la possibilità dell'esistenza di una
pluralità di fini morali sia sul piano teorico che pratico, e con la stessa
energia cerca di trovare una soluzione per definire le precondizioni teoriche
che rendano possibile una compatibilità tra i diversi valori. La
modernità define un passaggio epocale e pieno di tensione nel campo della
filosofia morale ed ha segnato il tramonto di un'unica, grande e coerente
visione dell'etica. Con l'avvento dell'epoca moderna si è fatta strada l'idea
del tutto legittima dell'accettazione di differenti sistemi di valori e di
diverse visioni del mondo, i quali trovano, da questo momento, una loro precisa
dignità e legittimità in virtù delle ragioni che le diverse dottrine
filosofiche hanno saputo elaborare in favore della loro sostenibilità. Invita a
prendere coscienza di questo cambiamento di prospettiva e a considerarlo,
asetticamente, come un passaggio dal vecchio problema della morale, in cui il
fine principale era la ricerca di una fondazione dell'etica e di una
giustificazione dell'esigenza del bisogno di moralità all'interno di ogni
coscienza, al nuovo problema della morale riassumibile nella domanda; come
possiamo decidere i beni e i valori desiderabili in sé una volta che abbiamo
accertato l'esistenza di una pluralità dei postulati di valutazione
morale? La scelta del fine supremo e i limiti del razionalismo etico
Juvalta vede nel momento della determinazione della scelta del fine supremo, il
cui contenuto costituisce la base per il postulato di valore primario, il
principale limite del razionalismo etico. La razionalità può solamente
giustificare, cioè portare ragionamenti a favore di una tesi, o stabilire
relazioni e deduzioni tra elementi di un sistema, in questo caso valori, che
sono legati dalla loro stessa natura; ma essa non può imporre i fini. La
razionalità accetta, per così dire, il giudizio di valore morale come un dato,
ma non lo può stabilire lei in via preliminare perché nel campo etico la
razionalità non riesce a cogliere interamente la natura dei nostri giudizi di
valore. La ragione dei mezzi per quanto si faccia non dà valori; la
ragione esige la coerenza; teorica: dei giudizi fra di loro e con i principi e
i dati su cui si fondano; pratica: delle valutazioni derivate e mediate con le
valutazioni direttamente o postulate, e delle azioni con le valutazioni. Le valutazioni
sono, come espressioni di una esperienza interiore sui generis, valide di per
sé…” I valori ultimi di Libertà e Giustizia Tuttavia il messaggio di
Juvalta contiene anche un aspetto propositivo, non secondario. Anche se esiste
una pluralità di valori che la coscienza può scegliere come fini, i quali si
costituiscono come le linee guida della nostra condotta individuale, una volta
adottato il criterio razionale di ‘universalizzazione’ del valore è possibile
intuire che le scelte si riducono rispetto a quelle che la ragione può
immaginare come possibili e, soprattutto, viene meno la completa arbitrarietà
della scelta originaria. E convinto che due valori su tutti debbano essere
visti come i fini supremi su cui improntare la nostra vita e organizzare
le nostre società, vale a dire, primo, il valore morale della libertà; secondo
il valore morale della giustizia. Libertà e giustizia costituiscono le pre-condizioni
della vita morale e gli unici due valori morali, tra quelli possibili, che
risultano “universalizzabili”. Essi sono le sole precondizioni che permettono
ad ogni essere umano di realizzare il proprio fine e di raggiungere i propri
beni (valori), in vista di una totale e piena realizzazione della natura umana,
senza limitare la ricerca della moralità dell’altro. Libertà e giustizia
rappresentano per così dire i cardini di ogni sistema morale con i quali poter
impostare se non un vero e proprio ripensamento di ogni pratica umana almeno
una profonda critica ai modelli di società dominanti quali l'individualismo
liberale, l'autoritarismo o la proposta socialista. La libertà esprime
l'esigenza delle condizioni inter-soggettive necessarie a fare dell'uomo una
persona padrona di sé di fronte a sé e di fronte ad ogni altro. La giustizia
esprime l'esigenza delle condizioni inter-soggetive necessarie all'esercizio
universalmente efficace di questa libertà. Non fu un pensatore sistematico e
non cercò mai di definire un sistema filosofico che rendesse ragione
dell'organicità del suo pensiero. E sostanzialmente contrario a ingabbiare la
riflessione filosofica in grandi narrazioni o in arbitrari sistemi, dal momento
che era fermamente convinto che il pensiero soprattutto etico sfuggisse per
così dire all'idea di sistematicità e organicità che aveva così profondamente
caratterizzato la maggior parte del lavoro filosofico ottocentesco. D'altra parte questo non significa che non
esiste un'evoluzione all'interno della sua riflessione, o che la sua proposta
nel campo della filosofia morale non trovi una sua coerenza e una struttura di fondo
ben definita. Saggi: “I due limiti del razionalismo etico: liberta e giustizia”
(Einuadi, Torino). Contiene:“ Prolegomeni a una morale distinta dalla filosofia”
(Bizzoni, Pavia); “Le dottrine delle due etiche” in «Rivista filosofica», “Per
una scienza normativa morale”; in «Rivista filosofica», “Il fondamento
intrinseco del diritto”; “Su i limiti della morale” (Bocca, Torino); “Il metodo
dell'ECONOMIA pura nell'etica, in «Rivista filosofica»); “Postulati etici e
postulati metafisici”; in «Rivista di filosofia»: “Postulati etici e imperativo
categorico,” «Atti congresso di filosofia» (Bologna)(Formiggini, Genova); “Sula
pluralità dei postulati di valutazione morale” in «Atti del congresso della
società filosofica» (Genova) (Formiggini, Genova); “l vecchio e il nuovo
problema della morale” (Zanichelli, Bologna); “In cerca di chiarezza”; “Questioni
di morale”; “I limiti del razionalismo etico” (Lattes, Torino); “Il con-flitto
morale”; in «Rivista di filosofia»; “La dottrina morale di Spinoza”; in «Rivista
di filosofia», “D. Basciani, L’etica della giustizia” (Desclèe, Roma); F.
Picardi, La morale in Juvalta” (Filosofia, Marzorati, Milano); M. Viroli, “L'etica
laica” (Angeli, Milano); Juvalta, «Rivista di storia della filosofia», Angeli, Milano, Dizionario Biografico degli
Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, Guido Scaramellini,
Chiavennaschi nella Storia, Chiavenna, Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “Again, these Italians! I know that
I had I been one, I had been ‘il filosofo di Harborne’ – now Juvalta, they
doubt as to how Italian he can be seeing that he is listed in Scaramellini’s
little book, “Schiavennaschi nella storia”!” Grice: “Unlike me, Juvalta is a
baron, from the ‘grigioni’ – i. e. the grey league – because of the grey wool
they wore --. ‘grissone,’ as in my surname, so in a way we ARE related!” ” IL
VECCHIO E IL NUOVO PROBLEMA DELLA MORALE Su la pluralità dei postulati di
valutazione morale Erminio Juvalta PARTE PRIMA IL FONDAMENTO DELLA MORALE
4 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta
CAPITOLO PRIMO IL CARATTERE DEL PROBLEMA E LE SUE FORME Se la saldezza di un giudizio
dovesse giudicarsi dall'accordo delle dottrine che cercano di stabilirne il
fondamento, nessuna specie di giudizi sarebbe piú incerta dei giudizi morali.
Se così non è, se i giudizi, o almeno alcuni, sono, nonostante l'incertezza del
fondamento, riconosciuti e ac- colti come validi incontestabilmente, può
apparire legittimo il dubbio, o che il «vero» fondamento non sia ancora
trovato, o che non si possa trovare: cioè che il problema sia insolubile. E in
questo caso: se sia insolubile per difetto di mezzi, ossia per radicale nostra
incapacità a risolverlo; o perché è un problema mal posto, cioè nella forma con
la quale si presenta, illusorio e fittizio. Dichiarando subito che a mio
credere il problema è insolubile, ed è insolubile perché fittizio, m'è appena
necessario di soggiungere che ciò non equivale in nessun modo (come potrebbe
parere a prima vista) a ritenere prive di significato ed infeconde le indagini
e le discussioni delle quali fu lie- vito, né tanto meno ad ammettere che,
rimosso il problema fittizio, nessun problema gli sottentri, anzi non ne
rampollino piú altri al luogo suo. Mostrare come e perché un problema sia mal
posto, non è altro in effetto che la preparazione necessaria a sostituirgliene
degli altri. ** * Il problema del fondamento è ispirato primamente e dominato,
si può dire, in tutte le sue forme da una preoccupazione pratica e apologetica:
Bisogna dimostrare che la morale ha ragione; che quel che essa suggerisce o
prescrive è veramente bene che la sua autorità è legittima e deve es- sere
rispettata. Ora un tal modo di porre il problema presuppone manifestamente che
su ciò che la coscienza morale prescrive non cada dubbio; o che, se il dubbio
sorge nasca non da incoerenza o opposizione di criteri diversi o contrastanti,
ma da errore e confusione di interpretazioni e di giudi- zio nelle applicazioni
concrete. Il che si accorda con la osservazione di fatto che fino a quando il
presupposto è legittimo, cioè nei limiti nei quali corrisponde a una
convinzione universale salda- mente stabilita, non è questa o quella dottrina
sul fondamento della morale che fa accettare o re- spingere i dettami della
coscienza morale, secondo che si accordano o no con la dottrina, ma sono le
convinzioni morali che fanno accettare e respingere una dottrina secondo che è
o appare adatta o disadatta a dar ragione della loro certezza, a mostrarne la
validità. Questa preoccupazione pratica spiega l'insistenza e la pertinacia
degli sforzi volti a risolvere un problema radicalmente insolubile: di
giustificare ciò che è presupposto in ogni giustificazione; di derivare da
delle idee una volontà; di creare con dei ragionamenti un potere; illusione che
si rivela nelle forme piú svariate e negli indirizzi piú diversi, e per la
quale accade, cosa notissima, che a cia- scun sistema riesce assai piú facile
dimostrare l'insufficienza degli altri, che provare la sufficienza propria. Il
problema fu infatti inteso in modi diversi, e la soluzione cercata in direzioni
corrisponden- ti, distinte e chiaramente separabili; sebbene il piú delle volte
variamente intrecciate e sovrapposte l'una all'altra in un medesimo indirizzo
di pensiero e anche in uno stesso sistema. Infatti la domanda: «Perché dobbiamo
noi fare, cioè volere ciò che la coscienza morale ci detta», che è la forma piú
larga e indifferenziata in cui il problema si esprime, suggerisce quattro te-
si o tipi di soluzione diversi: I. Considerare i principi e le norme morali
come «verità» di cui si cerca il fondamento in una realtà obbiettivamente data
alla coscienza. II. Dimostrare la bontà di ciò che la morale prescrive, cioè
derivarne le norme da un fine ossia da un bene o ordine di beni (qualunque ne
sia poi la natura) che ne giustifichi l'osservanza. 5 Su la pluralità dei
postulati di valutazione morale Erminio Juvalta III. Provarne l'autorità; e
cercare di questa autorità il fondamento: a) sia nella storia; b) sia in una
volontà distinta dal volere personale e che si impone ad esso. Ciascuno di
questi tipi di soluzione deve essere esaminato piú brevemente che sia
possibile, ma esaurientemente. 6 Su la pluralità dei postulati di
valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO SECONDO IL FONDAMENTO CERCATO NELLA
REALTÀ La persuasione che i principi morali, i criteri di valutazione, le norme
della condotta, non so- lo possano ma debbano avere il loro fondamento in un
ordine di verità accertabile teoricamente, cioè si possano ricavare da rapporti
o leggi validi obbiettivamente, in nessuna altra forma forse ap- pare piú
chiaramente che in quella della questione, dibattuta con tanto accanimento, se
la morale si fondi sulla scienza o sulla metafisica, e nella natura degli
argomenti messi in campo così dall'una come dall'altra parte. Perché la
«scienza» si sforzava di dimostrare che la realtà a cui faceva appello la
metafisica era immaginaria o inverosimile, e in ogni caso arbitraria ed
incerta, e quindi non poteva su di essa fondarsi nulla di obbiettivamente
valido; e la «metafisica» insisteva nel porre in evidenza la relativi- tà, la
contingenza, la limitatezza della conoscenza empirica; e l'impossibilità di
attingere in essa al- cuna verità necessaria ed universale, e perciò una
qualsiasi validità né di forma, né di fine, né di do- veri. Ora l'uno e l'altro
tipo di argomentazione si svolgevano e si svolgono appunto nell'ambito di
questo presupposto: che i principi morali debbano fondarsi su qualche cosa
d'altro, che li legittimi, che ne dimostri la certezza, che ne faccia
riconoscere la verità; senza avvertire che il fatto stesso del discutere, cioè
dell'ammettere la buona fede, cioè dunque la moralità del contraddittore,
smentisce il presupposto. Il che concorda con l'osservazione ovvia ma non
negabile per la sua massiccia eviden- za: che si trovano degli uomini di
sincera e provata rettitudine morale fra i seguaci delle piú diverse dottrine.
Né vale l'obbiezione che si può fare e si fa: che non si tratta di vedere se ci
siano delle per- sone morali, tra i seguaci di una dottrina, ma se questi siano
logici o siano coerenti con se stessi; os- sia se con quelle dottrine si possa
ragionevolmente conciliare quel modo di giudicare e di valutare. Perché una
tale obbiezione non esce dall'ambito del presupposto, anzi lo implica, appunto
perché ammette come pacifico che un criterio di valutazione morale abbia una
connessione necessa- ria, cioè logica, con certi principi teorici, e che non
possa essere accettato se non in grazia di quei principi. Ma è il presupposto
del fondamento teorico che bisogna provare; e non si prova con una petizione di
principio. Il criterio morale a non si legittima se non col principio teorico
A; se trovia- mo accettato a con B con C con D e non con A, vuol dire che
quella coscienza è illogica, incoerente. Ma perché diciamo noi che sono
illogiche le menti che non connettono a con A invece di riconosce- re
semplicemente l'altra alternativa: che è possibile così l'una come l'altra
connessione, che non vi è nessuna necessità intrinseca di dipendenza di a da A?
Appunto perché, se si ammettesse che un medesimo criterio morale può accordarsi
con prin- cipi teorici diversi, si dovrebbe ammettere che non si fonda né
sull'uno né sull'altro, cioè che la fon- dazione teorica è illusoria. Insomma
il ragionamento si riduce a un procedimento di questo genere: per dar certezza
a una valutazione morale è necessaria una certa fondazione teorica; ciò importa
che, o non si debba trovare quella certezza senza questa fondazione, o che se
si trova, essa sia una certezza erronea, una certezza irragionevole illogica,
una certezza che non ci dovrebbe essere. «Tu qui! Ma è impossibi- le!» dice la
metafisica alla morale quando la vede in casa dell'empirista; e il medesimo
rimbecca l'empirista alla morale del metafisico. Ed ambedue hanno torto, perché
dove la morale si trova, ella è in casa sua anche quando paia a chi dimora con
lei di averla ospite1 in casa propria. 1 Neppure vale a toglier peso al fatto
l'osservazione che questa possibilità di coesistenza indifferente è soltanto
apparente, perché dovuta a difetto di riflessione e di rigore logico; e sia
inattendibile, perché dove si avvera, manca la 7 Su la pluralità
dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta ** * Ma se questa
fondazione extra-morale della morale è illusoria, donde nasce l'illusione e di
che si alimenta? Quando il sociologo afferma che le norme morali esprimono le
esigenze della vita sociale e si fondano sulle leggi della sociologia, ciò che
si tratta di vedere non è già se veramente le norme morali corrispondono o no a
tali esigenze e soltanto a quelle; né quali siano, tra le innumerevoli «leggi»
scoperte e che si vanno scoprendo, quelle nelle quali la morale trova il suo
fondamento; ma si tratta di vedere se dalla sociologia si possa ricavare il
valore della società, dalle leggi della vita il valore della vita, dal processo
di formazione e di incremento della civiltà il valore della civiltà, in una
parola, dai rapporti condizionali il valore del condizionato. Ora una scienza,
qualunque scienza, formula dei rapporti, non dà valori; i rapporti possono
bensì far attribuire un pregio a qualchecosa, se stabiliscono la dipendenza
condizionale e causale di un valore da ciò che, appunto per tale connessione,
diventa a sua volta un valore mediato; ma il πρῶτον ἄξιον deve essere già dato,
posto, riconosciuto come valore, perché sia possibile qualsiasi giudizio
assiologico su ciò che ha relazione con esso. Tutte le piú complicate e piú
delicate meraviglie della vita non bastano a darle il benché mi- nimo pregio se
non si riconosce già come bene o la vita stessa o almeno alcuni dei fini ai
quali può esser volta: anzi non sono «meraviglie» se non perché si illuminano
di questo valore finale. Che la civiltà e la cultura siano da preferire alla
barbarie e all'incultura sembra dimostrabile; ed è infatti; ma quando sia
ammesso o sottinteso — come accade in effetto — che abbiano piú di pregio o di
dignità o di desiderabilità certe facoltà e attività e forme di condotta che
certe altre, cioè quando sia già posto e accettato un criterio di valutazione.
Pare a prima vista una pedanteria. — Non si riconosce infatti da tutti che la
vita valga la pe- na di essere vissuta? e anche quelli che la negano a parole,
non sentono nell'istinto profondo smenti- re la loro negazione? Ammettiamo
senza discutere, sebbene la cosa non sia così liquida come pare, l'universalità
del consenso od almeno dell'istinto. Si tratta qui di vedere se questo
apprezzamento della società e della vita, questo riconoscimento di valore è
posto, è dato dalla scienza; se questa voce dell'istinto, questa volontà di
vivere abbia o no l'autorità che le si attribuisce o suppone. Cioè si tratta di
sapere, insomma, se chi vedesse nella società e nei suoi frutti un groviglio di
miserie e di vergogne possa trovar mai nella sociologia la confutazione del suo
giudizio; e se a chi trovasse la vita un limbo in- differente possano le leggi
della biologia farla apparire desiderabile; e se sia la conoscenza della so-
ciologia o della biologia o della psicologia che darebbe voce all'istinto se
fosse muto, e autorità, se non ne avesse, alla sua voce2. competenza richiesta.
Un libriccino pubblicato dal LALANDE alcuni anni fa (Précis raisonné de Morale
pratique, Alcan, 1907) si distingue dai molti consimili nostrani e di fuori
(qui non occorre accennare ad altri pregi) per questa circostan- za
caratteristica: che il catechismo morale che vi è esposto e spiegato era stato
sottoposto all'esame e aveva raccolto il consenso esplicito dei piú noti e
autorevoli moralisti di credenze e di opinioni filosofiche diversissime. La
testimonianza dei «competenti» veniva in questa occasione a confermare quello
che è un luogo comune della storia delle dottrine e della pratica morale: che
sul valore e sul contenuto delle norme morali siamo tutti d'accordo, perché
tutti siamo d'accor- do, quanto all'essenziale, nel giudicare la nostra
condotta o l'altrui: Tutti «quali che siano le convinzioni filosofiche e
religiose ed anche se non abbiamo in proposito convinzioni di sorta» (VARISCO,
Massimi e problemi, Nota VI: Metafi- sica e morale. E il Varisco, come è noto,
è persuaso che una vera morale implichi una Metafisica «definitiva»). Quanto
all'accordo sul «contenuto» forse, come si vedrà in seguito, pare piú largo di
quel che in realtà non sia. Ma qui si tratta del valore. Quanto poi alla
«Metafisica... definitiva» si chiede: a che stregua si giudicherà la metafisica
adatta a fondare la morale? Non si ammette già che il criterio sarà fornito
dall'accordo con la «vera morale» e cioè, dunque, che la vera morale è già data
prima e fuori della Metafisica? 2 Neanche è da credere che tutto si riduca a
questo salto; e che superato il passaggio incolmabile dall'effetto al fine e
dalla conoscenza al valore, fatto proprio dalla scienza il presupposto iniziale
di valutazione che essa non può dare, ogni difficoltà di questo genere sia
allontanata. 8 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio
Juvalta ** * Quel che non può dare una conoscenza empirica non può dare una
conoscenza metafisica, se non a patto di intendere già per conoscenza
metafisica la conoscenza non di una realtà «intelligibi- le» e in quanto è
intelligibile, ma di una realtà già apprezzata o apprezzabile; non la
conoscenza di enti ma la conoscenza di valori. Quando il Rosmini si sforza con
grande vigore di dimostrare che la conoscenza dell'essere è conoscenza del
grado di entità, e quindi del grado di perfezione delle cose, e che perciò la
stima speculativa (la conoscenza del grado di perfezione) può e deve diventare
modello e norma della stima pratica (l'assenso del nostro volere), egli assume
già nel concetto dell'essere quello di bene, nel concetto di realtà quello di perfezione,
cioè di valore; e non deriva il secondo termine dal primo se non perché lo ha
surrettiziamente già identificato con esso. La sua «stima speculativa» in
quanto è stima, cioè apprezzamento e valutazione, è già pratica, perché non ha
luogo se non in rapporto alle «potenze pratiche»; in quanto è speculativa cioè
conoscenza obbiettiva, intellezione della realtà, non implica nessun
apprezzamento. Insomma, in quanto è stima non è speculativa, in quanto è
speculativa non è stima. La cosa appare anche piú manifesta se si bada che
l'essere non può servire di criterio alla stima se non perché si ammette un
ordine, una gradazione di enti, e quindi di realtà. Ma la realtà, in quanto
esistenza, non ha gradi; ciò che si può graduare è il pregio o il valore (in qualunque
entità esso sia riconosciuto), non l'esistenza delle cose; e la realtà è
graduata perché sono graduati pregi, o i beni, o i valori che essa ci presenta
realizzati. Che i due termini siano diversi e l'uno non deducibile dall'altro
appare manifesto dalla ne- cessità di assumere, secondo la profonda e costante
tendenza del platonismo, il concetto di perfe- zione come sintesi dei due
concetti del reale e del bene, o con espressioni piú moderne, dell'esisten- za
e del valore. Ora la perfezione non si può intendere se non in relazione con un
modello, con un disegno attuato o da attuarsi, con una finalità; e la finalità
implica una valutazione, cioè una scelta, cioè una volontà. Ed eccoci alla
sorgente unica e comune della impossibilità di derivare un criterio di morale
dalla realtà obbiettiva, empirica o metempirica, da qualsiasi dato o legge o
induzione o verità teore- tica, sia scientifica, sia metafisica. Una realtà
data o possibile non può dare un criterio di valutazione se non la si considera
co- me una finalità, ossia se non le si riconosce un valore. E il giudizio con
il quale si afferma il valore di un oggetto è diverso e non deducibile dal
giudizio col quale ne affermiamo l'esistenza o la possi- bilità o la
connessione modale o condizionale con altri oggetti. Apprendere come le cose
sono, è tut- t'altra cosa dal valutarle3. Per interpretare le leggi naturali
come leggi morali bisogna scegliere tra le leggi necessarie e le condizioni
utili a una forma di vita e le leggi e condizioni utili a una forma diversa. Ad
ogni nuovo passo, ad ogni bivio si sostituisce alla conoscenza obbiettiva la
valutazione, si rende necessaria una scelta; e la valutazione se anche non è
espressa, e sot- tintesa. Caratteristica, a questo proposito è la affermazione
del Levy-Bruhl che «la conquista metodica della realtà» cioè «un'arte razionale
fondata sulla scienza della realtà sociale» deve prendere il posto della
«concezione immaginaria di un ideale» (La Morale et la Scienze des mœurs, Cap.
V). Questa «conquista metodica» della realtà sarà pur guidata, — e non può
essere altrimenti — se non da un idea- le, ché ogni ideale è soppresso,
dall'idea di qualche cosa che si pone come piú desiderabile o migliore. Ma
quale è il cri- terio di questo meglio? di quella amélioration che, come dice
poche righe piú sotto delle parole citate, non bisogna di- sperare di portarvi?
Questo criterio non può essere il reale stesso che bisogna modificare e
migliorare; sarà dunque, di nuovo, in ideale o qualche cosa che lo sostituisce.
«L'ombra sua torna ch'era dipartita». 3 Il pragmatismo, anche per chi è
pragmatista, qui non ha nulla da vedere. Può essere verissimo che anche la
nostra conoscenza sia stimolata, sorretta, guidata, controllata da un interesse
(l'interesse teorico) e come tale sia, anzi è senz'altro, un valore
(intellettuale): ma ciò non muta d'un ette la distinzione notata. 9
Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Ora la
conoscenza, o è teoretica, e ci dà oggetti e fatti e rapporti di oggetti e di
fatti come so- no, cioè come dobbiamo concepirli per comprenderli; o li
interpreta e li giudica come utili o nocivi, buoni o cattivi, preferibili o non
preferibili, superiori o inferiori, e non è piú conoscenza, o almeno non piú
conoscenza soltanto; e il criterio del buono e del cattivo, dell'utile e del
disutile, del bello e del brutto è criterio di preferenza, di scelta, di
valutazione che essa non trova nelle cose se non per- ché ve l'ha già posto, e
ponendovelo ha ubbidito, consciamente o no, a un interesse che non è teori- co,
ma è pratico nel senso che può restare a questa parola anche dopo le analisi
del pragmatismo: pratico nel senso che, se si suppone tolta la volontà, è tolta
non soltanto la molla che spinge a ricer- care e a trovare le distinzioni tra gli
oggetti, ma sparisce la distinzione stessa tra gli oggetti. Ora, quando si
intenda chiaramente e in tutta la sua portata questa irreducibilità dei giudizi
di valore ai giudizi di esistenza o causali o teoretici (o percettivi, come mi
parrebbe preferibile chiamarli), e la conseguente impossibilità di ricavare gli
uni dagli altri, di pretendere che un giudi- zio di ciò che è, possa servir di
fondamento a un giudizio di ciò che vale o che merita di essere, ap- parirà piú
manifesta la insolubilità della questione del fondamento intesa in questo senso
e cercata in questa direzione, e le ragioni di questa insolubilità. E con ciò
si chiarisce anche l'inanità della controversia accennata fra metafisica e
scienza e se ne spiega nello stesso tempo l'insistenza. ** * In breve (e
trascurando le inevitabili inesattezze delle formule riassuntive): La realtà si
può interpretare come sistema di forze e come sistema di valori. Se si
interpreta come sistema di forze se ne fa una costruzione puramente
intelligibile, cono- scitiva, anassiologica, estranea ad ogni moralità perché
estranea ad ogni valutazione; sia essa co- struzione scientifica, sia
metafisica, empirica o a priori, monistica, dualistica o pluralistica. Se
queste forze si giudicano cioè si valutano, cioè si vede o si pone in esse, o
operante per esse, un ordine, o un conflitto, o un processo di attuazione di
fini, allora la conoscenza della realtà diventa conoscenza dei valori, e i fini
della natura o della Provvidenza diventano il modello o il cri- terio del giudicare
morale; e il fondamento della morale si troverà nella conoscenza di questa
realtà; si consideri essa come scienza o come metafisica. Ma perché quelle
forze siano apprezzate come valori occorre che siano dati i valori a cui si
ragguagliano tali forze; e perché i fini della natura siano i fini di una
Provvidenza è necessario che il processo della natura sia riferito ad uno scopo
il cui valore di bontà è già dato e riconosciuto. Così il criterio della
valutazione non si ricava dalla conoscenza della realtà se non perché la realtà
era già stata valutata secondo il principio che si pretende di ricavarne; e non
si trova in essa il fondamento della morale se non perché la coscienza morale
ha spirato nell'intimo della realtà quell'anima di be- ne che crede di estrarne
come suo principio e fondamento. Ed è anche facile comprendere perché gli
assertori della fondazione metafisica si sentissero meglio armati alla difesa e
piú vivaci nell'attacco. La scienza interdicendosi — nel programma se non
nell'attuazione — ogni interpretazione finalistica, e quindi ogni valutazione
della realtà, si trovava piú manifestamente a disagio quando pretendeva di
derivare dai suoi rapporti obbiettivi un criterio, che ne aveva deliberatamente
escluso. E quando voleva trovare nelle leggi un valore morale troppo facilmente
rendeva palese la propria incoerenza. Perciò volgeva i suoi sforzi a
considerare e a spiegare la moralità come un prodotto na- turale o un risultato
meccanico di un giuoco di forze per sé spoglio di ogni finalità. Onde la
tenden- Senza volontà di conoscere non ci sarebbe conoscenza; sta benissimo, o
almeno possiamo qui lasciar di discu- tere; ma la conoscenza è volontà di
conoscere le cose come sono cioè come appaiono a chi non è mosso da altro inte-
resse che quello del conoscere; e il valutare è giudicare le cose così
conosciute (cioè costruite in conformità all'interesse teoretico) rispetto a
finalità distinte da quelle del conoscere, cioè a interessi di altro genere,
edonistico, estetico, morale, e via dicendo. Altro è dire che in Engadina fa
fresco e altro dire che amano il fresco quei che vi passano l'estate. 10
Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta za
costante dell'«etica scientifica» a identificare il problema nel fondamento col
problema dell'ori- gine, la valutazione con la spiegazione; e a considerare una
reale o pretesa naturalità come criterio di moralità. E la metafisica poteva
tanto piú trionfalmente mettere in chiaro l'equivoco, e dimostrare l'impotenza
assiologica della scienza quanto piú sentiva non solo non estranea, ma
legittima, ma implicita nella propria costruzione della realtà, una
interpretazione teleologica; ed era avvezza a considerare la morale come sua
pupilla perché... ne amministrava il patrimonio. ** * Ma se il problema della
fondazione teorica, nella forma classica, e, direi (nel senso piú bello della
parola), ingenua, di derivazione dei valori da una realtà, è insolubile, perché
o urta contro una radicale irreducibilità, o si riduce a una petizione di
principio, essa non sparisce se non per lasciar scoperto dietro di sé il
problema che nascondeva o adombrava, e nel quale attraverso Kant si è ve- nuto
via via trasfigurando. Non si tratta piú di trovare nella conoscenza della
realtà la prova che le nostre valutazioni sono «vere», poiché le valutazioni
sono, come espressioni di una esperienza interiore sui generis, valide per sé;
ma di sapere se su questi dati valutativi si può costruire una conoscenza
oggettiva; se i valori morali siano prova dell'esistenza di certe condizioni e
di quali; se sia possibile, non trovare nella realtà il fondamento del valore,
ma trovare nel valore il fondamento della realtà. Il problema si aggira sempre
in ultimo attorno al medesimo dubbio: se il mondo, la natura, la vita abbiano
un si- gnificato morale, se l'anima dell'universo guardi al medesimo fine che
la coscienza morale; se gli sforzi della volontà buona siano fecondi di frutti
durevoli o siano un lavoro di Sisifo, che ogni co- scienza riprende
faticosamente per lasciare che ciascun'altra rifaccia, destinato in ultimo a
cadere pur esso nel nulla, uno sforzo piú grande. Ma l'atteggiamento è diverso.
L'ontologismo metafisico subordinava, almeno nella riflessio- ne consapevole e
nella costruzione logica, il giudizio di valore al giudizio di realtà. Nella
filosofia dei valori il giudizio di realtà è subordinato, anche nel processo
riflessivo e costruttivo, al giudizio di valore. Il momento che
nell'intellettualismo ontologico era nascosto e inconsapevole, quello della
assunzione tacita del concetto di valore nel concetto di realtà, nella
filosofia dei valori diventa chia- ro e consapevole e si allarga nel tentativo
di tradurre il passaggio psicologico in processo discorsivo e di fondare un
sistema di verità teoretiche su quella certezza che veramente era ed è il dato
iniziale, l'ubi consistam di ogni costruzione etica, sia scientifica o
metafisica, progressiva o regressiva, a- scendente o discendente: la certezza
diretta e intuitiva dei valori morali. 11 Su la pluralità dei postulati
di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO TERZO IL FONDAMENTO CERCATO IN
UNA GIUSTIFICAZIONE FINALE Illusione poco meno antica accompagnata da sforzi
parimenti tenaci, e forse piú multiformi di tradurla in dottrina rigorosa, è
quella di credere che si possa ricavare la valutazione morale da qualche bene
indiscutibilmente supremo, del quale essa esprima le esigenze e formuli le
condizioni necessarie. Questo sommo bene, questo fine supremo, questo valore,
sorgente prima, termine ultimo di tutti i valori si credette di trovare: o in
un dato della coscienza empirica, un fine inerente alla vita e subordinante di
fatto tutte le tendenze, aspirazioni e attività dell'uomo; o in un fine che
domina ben- sì, ma trascende la vita e la natura umana, e subordina di diritto
ogni altra forma di bene e ogni cri- terio di valutazione. Alle due diverse
concezioni del fine rispondono due tipi principali di dottrine morali, dei
quali è facile rilevare la corrispondenza coi due tipi di dottrine sulla
fondazione di cui si è detto nel capitolo precedente. Ma la corrispondenza non
è coincidenza. Là l'origine dell'illusione era nella pretesa di derivare la
valutazione morale da una realtà la cui conoscenza si impone all'intelletto;
qui di derivarla da fin bene il cui valore è ammesso, o si suppone che debba
essere ammesso inconte- stabilmente come supremo o massimo, o almeno superiore
ad ogni altro. Ora l'illusorietà della pretesa consiste in ciò: che il valore
morale non è morale se non a patto che se ne riconosca, o, meglio, se ne senta
la superiorità, la preminenza su ogni altro valore; il suo essere morale
consiste (con ciò non si escludono gli altri caratteri) in questa sua
supremazia. Perciò ogni tentativo di assegnare un bene supremo che lo
giustifichi, si riduce all'uno od al- l'altro termine di questa alternativa: o
di ammettere che questo bene è già esso stesso il valore mora- le che si crede
di derivarne, o di mostrare che ciò a cui si dà valore morale, è valore anche
per altri rispetti; cioè sarebbe un valore (di altro genere) anche se non fosse
valore morale. I tentativi che si raccolgono intorno al primo tipo (fine: la
felicità, o il piacere) riescono di solito (quando e nella misura che possono)
a quest'ultimo risultato; quelli del secondo tipo (fine: il possesso del divino,
l'avvicinamento a Dio, la santità) riescono di solito al primo: a presupporre
quel che credono di derivare. ** * Dell'utilitarismo in generale e delle sue
diverse forme sarebbe fastidioso, e non è qui neces- sario, ripetere per la
centesima volta le critiche note. Basta mettere in chiaro quel che meno fu
notato e che piú importa al nostro scopo: cioè non tanto le lacune, le
insufficienze e le incongruenze dei tentativi, ingegnosi assai piú che
fortunati, di ricondurre le norme morali al criterio dell'utilità, e di
mostrare le coincidenze tra il contenuto delle norme morali e il contenuto
delle regole utilitarie, quanto la ragione per la quale la derivazione è
impossibile; o, quando appare possibile, dissimula in realtà una petizione di
principio. Supponiamo pure che si ammettano cose troppo manifestamente
arbitrarie: che la felicità sia non un nome vago, un recipiente vuoto nel quale
ciascuno versa il liquido preferito (e che non è sempre neppure per la stessa
persona il medesimo) ma abbia un contenuto determinato (poniamo l'acquisto o il
possesso di certi beni: salute, amore, potenza, gloria, simpatia, cultura,
ingegno, soddisfazione della propria co- scienza; e che tra questi beni sia
possibile perfetta conciliazione ed armonia); e che si possa dimo- strare
davvero, e non per salti o per ripieghi, che il nodo non pure piú sicuro, ma il
solo veramente sicuro e indispensabile per raggiungerla, sia l'osservanza
costante delle norme morali. 12 Su la pluralità dei postulati di
valutazione morale Erminio Juvalta Con ciò non si sarebbe dimostrato che ciò
che fa il valore morale delle norme consiste nella loro utilità come guida
della felicità; ma soltanto che i valori morali sono anche valori eudemono-
logici; che il contenuto della valutazione morale e quello della valutazione
utilitaria coincidono; non mai che il valor morale di un'azione consista nel
suo esser mezzo alla felicità. Resta fuor di questione (s'intende e deve esser
quasi superfluo avvertirlo) la considerazione dell'efficacia pratica o
esecutiva; se sia o no piú persuasiva o piú impulsiva l'una o l'altra
valutazio- ne. Si può anche ammettere, senza soverchio sforzo immaginativo, che
sia per lo piú la edonistica; ma ciò non prova affatto che questa si confonda o
si identifichi con la valutazione morale, o valga a sostituirla. Dimostrare a
un giudice che il dar sentenze imparziali è il modo piú sicuro di far carriera,
potrebbe essere, in ipotesi, un mezzo efficace a promuovere l'imparzialità. Ma
nessuno sognerà di far consistere l'onestà del giudice nel suo desiderio di far
carriera. Ma in realtà, come tutti sanno, il contenuto della felicità non è
determinato, né determinabile se non ad arbitrio4; e solo significato comune e
costante del termine finisce per essere quello di ap- pagamento dei desideri, di
soddisfazione, di piacere, o di liberazione dal dolore, che si pensa dover- si
trovare nel raggiungimento di ogni fine. E la diversità persiste e risorge
nella molteplicità varia e contrastante dei desideri e dei pia- ceri, e non
basta raccoglierli sotto uno stesso nome per ridurli a unità e farne un unico
fine. Perché se l'unità ci deve essere davvero, allora è necessaria o una
riduzione o una gradazione e subordinazione; e questa spunta infatti nella
storia dell'utilitarismo con il criterio della qualità so- vrapposto e in
effetto sostituito dal Mill a quello della quantità. E allora si capisce come
possa avvenire che il criterio della felicità finisca per accordarsi con quello
della valutazione morale; se le soddisfazioni migliori sono le soddisfazioni morali,
e il bene piú desiderabile l'appagamento della coscienza morale, l'accordo tra
i due criteri quanto al contenu- to è, non solo possibile, ma necessario. Ma è
troppo facile vedere a quale patto è raggiunto. Il valore di quella felicità
alla cui stregua si pretende di giudicare il valore morale è assunto come
supremo perché e in quanto contiene questo valore morale ed è graduato esso
stesso secondo un criterio mo- rale; approva e disapprova in nome della
felicità quel che trova approvato e disapprovato in nome della coscienza
morale. Viene in mente il modo, col quale un marito sincero si vantava di aver
risolto il problema di una pace coniugale perfetta: dove marito e moglie erano
dello stesso avviso era la moglie che se- guiva il parere del marito, dove
erano di avviso contrario era il marito che faceva la volontà della moglie.
Adunque, anche ridotta a questa forma, la felicità non fornisce il criterio
della valutazione morale se non in quanto è foggiata essa stessa su un criterio
morale; e quel che pretende di aggiun- gervi come giustificazione, non è ciò
che costituisce il valore morale, ma è qualchecosa di distinto, di sopraggiunto
ad esso (giusta la veduta di Aristotele) sebbene lo accompagni; è una
valutazione secondaria, edonistica od egotistica (non oserei dire egoistica)
del valore morale5. ** * Porre come bene supremo la santità (il divino in
quanto è sentito e voluto come modello o norma della vita si determina in un
ideale di santità) è derivare il valore morale dal valore religioso, concepito
come principio e termine di ogni valore, e del quale esso valor morale è un
elemento; o 4 Ne ho parlato altrove (La dottrina delle due etiche di H. Spencer
e la morale come scienza, pp. e 120-121) e non occorre insistervi qui. 5
Sebbene il parlare della soddisfazione della propria coscienza come di un bene
desiderabilissimo sia legitti- mo, non è legittimo, né conforme alla verità
psicologica, considerarlo come il fine della condotta morale. Il fine è
l'attuazione di quel valore che la coscienza riconosce come morale; e non è
l'altezza della soddisfazio- ne che se ne possa attendere, che costituisce il
pregio dell'azione, ma è il pregio dell'azione che misura l'altezza della
soddisfazione; la quale è pura soltanto a patto che non se ne faccia lo scopo
dell'operare. 13 Su la pluralità dei postulati di valutazione
morale Erminio Juvalta meglio, l'attuazione di questo è voluta come una
condizione, o un momento dell'attuazione, di quel- lo. E qui giova premettere
due osservazioni non peregrine ma utili alla chiarezza: 1° Che questo valore
supremo del divino, della santità e, in termini piú generali, il valo- re
religioso non può essere dimostrato o insegnato con lo stesso processo
conoscitivo, con il quale si dimostrano, si insegnano e si comunicano delle
proposizioni o verità teoretiche, e, in quel che han di contenuto teoretico, i
dogmi stessi delle dottrine religiose. Questo valore è sentito, è, come si dice
con frase piú suggestiva che chiara, vissuto dalla coscienza; e quanto è sicuro
ed efficace l'appello ad esso, dove è vivo, altrettanto è vano dove non vive.
Fondare la valutazione morale sui valori reli- giosi è dunque presupporre che
siano sentiti e vissuti nella loro forma e natura specifica quei valori
religiosi da cui si fanno sgorgare i morali. Ma dove essi valori religiosi non
siano sentiti e vissuti, nessuna dottrina teologica e nessun catechismo può
crearli6 o sostituirli. 2° Che, per converso, nessuno sforzo d'analisi e nessun
ragionamento basta a spogliare, nell'anima di un mistico, i valori morali da
quel sentimento del divino, a svestirli di quell'alone reli- gioso del quale
egli investe non solo questi ma anche gli altri valori spirituali; come sarebbe
diffici- le nella intuizione e nel sentimento di un esteta di sottrarre i
valori morali e i valori religiosi a una valutazione estetica. Come accade
sempre dove un grande interesse spirituale predomina sugli altri, cioè dove una
categoria di valori occupa, per dir cosí, il centro della coscienza, e
raccoglie ad unità, come attorno ad un nucleo, i valori di altre specie; che è
quel che suole piú comunemente e nor- malmente avvenire per i valori morali. Ma
fatta (come dicono i legali) questa riserva, bisogna riconoscere che nessuna
valutazione morale si potrebbe ricavare da qualsivoglia valore religioso, se
non vi sia già esplicitamente o im- plicitamente contenuta; cioè se non a patto
che si sia incorporata nel valore religioso una valutazio- ne morale la cui
validità sussiste o sussisterebbe anche all'infuori di quello; ed è la ragione
per la quale viene assunta nel valore religioso. Non è necessario, a
persuadersene, di discutere il problema formidabile della essenza del va- lore
religioso. Se si accetta l'opinione del Höffding che il nucleo essenziale della
religione è la credenza nella conservazione dei valori, e, s'intende bene,
soprattutto dei valori morali, la indipendenza e la priorità di questi sono, re
ipsa, riconosciute. In effetto quali si possano essere le reazioni di tale
credenza sulle valutazioni, resta pur sem- pre che non è l'esigenza della
conservazione quella che dà ai valori la loro qualità di morali, ma il loro
esser sentiti, il loro valere come morali che ne fa postulare la conservazione.
Di che ho già det- to altrove7, e non occorre del resto insistervi. ** * Se
invece si ammette, come io credo, che la natura specifica, la «forma» del
valore religioso non sia riducibile a quella credenza, e che sia essenziale e
caratteristico del sentimento e della valu- tazione religiosa il riferimento
del nostro pensare, del nostro sentire e del nostro fare, anzi di tutto il
nostro essere, ad un altro essere; sommità dell'aspirazione religiosa l'esserne
penetrati e posseduti; e misura del valore religioso, la devozione ad esso,
l'abbandono di sé alla volontà che ne realizza le perfezioni; allora il valore
religioso è per sé altra cosa del valore morale; ma, se non si risolve in
questo, neppure lo pone, ma se lo appropria ed incorpora. E se può sembrare
all'anima religiosa che esso sgorghi da questa idealità e se ne alimenti, la
ragione sta in ciò, come si è accennato: che al mi- 6 È appena superfluo
aggiungere che non penso neppur per sogno di negare una possibile efficacia
all'insegna- mento religioso in quanto esso, come ogni insegnamento, non è mai
(salvo forse agli occhi di chi lo misura col tassame- tro) pura comunicazione
di notizie o di idee, ma è vigore di convinzione, calore di affetti, opera di
formazione; insom- ma, educazione. Ma anche l'educazione suppone le condizioni
dell'educabilità. E si suppone poi sempre che chi legge faccia uso del consueto
grano di sale. 7 Cfr. Postulati etici e postulati metafisici, p. 199.
14 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta
stico riesce impossibile di concepire altrimenti che perfetto, cioè perfetto
anzitutto e soprattutto mo- ralmente, l'Essere che adora, e nel quale vede non
un bene, ma ogni bene, il Bene. Ma la perfezione che vede in lui, a quale
stregua è giudicata tale? L'ideale che trova realizza- to in quello non è
foggiato secondo un criterio di valutazione morale la cui validità è accettata
e ri- conosciuta all'infuori dell'atteggiamento religioso della devozione a
Dio? Anzi non è quella perfe- zione morale che lo fa degno di adorazione? Un
mistico a cui si domandasse se concepisce Dio perfetto perché lo adora o se lo adora
per- ché è perfetto, forse non saprebbe rispondere, e troverebbe che la domanda
scompone quel che è per lui uno e indissolubile. Ma ciò non toglie che la
devozione e la adorazione non costituiscano per sé i pregi e le doti di ciò che
è adorato; e nessuna coscienza potrebbe trovare in Dio i valori morali se non
li conoscesse già come valori, e non li distinguesse come morali dai valori di
altro genere. Questa priorità e questa indipendenza, questo sussistere per sé,
questa selbständigkeit della valutazione morale, appare confermata dalle
discussioni sul valore delle religioni, il cui termine di confronto piú
consueto e piú decisivo è dato dal rispettivo contenuto morale. Il che implica
manife- stamente che questo contenuto possa esser giudicato e apprezzato per
sé. E il prevalere sempre piú largo delle preoccupazioni morali nelle
controversie di indole religiosa (per esempio la lotta intorno al modernismo)
mostra che la validità del criterio morale è tenuta come certa di una certezza
che è data e riconosciuta indipendentemente da ogni valutazione religiosa.
Quanto all'affermazione che la morale non può reggersi senza religione, essa,
sebbene ambi- gua nella forma, non significa affatto, come è facile capire, che
non sia possibile sentire e giudicare ciò, che è giusto o ingiusto, buono o
cattivo se non con un criterio e da un punto di vista religioso; vuol dire
invece che non è o non si crede possibile una moralità salda e costante, cioè
una sicura conformità della condotta alle valutazioni morali, se la valutazione
morale non è sorretta, conforta- ta, fatta praticamente efficace dalla
connessione dei valori morali con una finalità religiosa; cioè dal considerare
i valori morali come preparazione e condizione necessaria di quel fine; e
quindi i pre- cetti morali come precetti religiosi. Che è tutt'altra cosa;
importantissima dal punto di vista propriamente pratico o esecutivo, ma
estranea alla questione presente e da trattarsi a parte, analogamente a quel
che si è accennato sopra della possibile importanza pratica di una valutazione
edonistica. Dire che l'olmo sorregge la vite, non è dire che la vite sia una
propaggine dell'olmo, e nep- pure che sia l'olmo che porta l'uva; sebbene sia
anche vero che, dove la vite non si regge da sé, non dovrebbe parer savio tagliar
l'olmo anche a chi ami soltanto la vite. ** * Quel che si è detto dei tentativi
di una fondazione edonistica e di una fondazione religiosa si potrebbe ripetere
di ogni altro tipo di morale di cui si pretenda di trovare il fondamento in un
inte- resse diverso dall'interesse propriamente e specificamente etico
(notevolissima fra le altre la morale estetica), e dalle forme miste e
intermedie; le quali, se sono dottrinalmente fiacche e spesso incoe- renti,
hanno però in realtà largo consenso nelle credenze e nelle opinioni piú comuni.
Di queste ultime meritano di essere ricordate, perché piú significative, le due
forme, nelle quali si mescolano e si sovrappongono i due tipi di valutazione
qui sopra brevemente analizzati, la edonistica e la religiosa; che sembrano a
prima vista i piú lontani e l'uno all'altro opposti. Si può avere cosí una
interpretazione edonistica della valutazione religiosa (esempio l'utilita-
rismo teologico) e un'interpretazione religiosa della valutazione utilitaria
(altruismo comtiano, mi- sticismo umanitario). ** * Da quanto si è discorso
pare si debba concludere che queste indagini (spesso nei particolari
ingegnosissime e suggestive) nelle quali si cerca la ragione del valore morale
nella sua connessione 15 Su la pluralità dei postulati di valutazione
morale Erminio Juvalta o congruenza con altri valori, abbiano importanza
solamente nel rispetto strettamente pratico o ese- cutivo; in altre parole una
importanza parenetica o pedagogica, in quanto una tale connessione con- forta,
sorregge o surroga con motivi di altra natura e sgorganti da interessi diversi
il motivo specifi- camente morale. Sarebbero dunque analisi ed indagini
preziose per l'educatore e per l'uomo politico (dato che si propongano fini
morali), ma senza interesse per lo scopo a cui mirano, di costituire il
fondamento o la giustificazione dei valori morali, perché radicalmente viziate
dal falso supposto che la ragione della supremazia dei valori morali si possa
cercare in qualchecosa che non abbia già essa per sé valore morale. Ma questa
conclusione sarebbe precipitata e eccessiva. Intanto è fuor di questione che,
no- nostante il carattere di artificiosità che si trova piú o meno largamente
diffuso nelle costruzioni di questo genere, come nei sonetti a rime obbligate,
vi è in tutte una parte notevole di verità; verità s'intende non in quel che
credono di dimostrare, ma nei rapporti e nelle concordanze e nelle diffe- renze
rilevate, e che dovrebbero servire alla dimostrazione. Questa parte di verità
ha radice nel fatto, troppo noto e troppo chiaro perché ci sia bisogno di
illustrarlo, e già sottinteso a piú riprese in questo capitolo, che non vi è
giudizio sul valore morale di un oggetto, qualità, tendenza, azione, del quale
non si possa trovare la ragione, oltreché nella forma speciale di interesse o
di esigenza che gli dà questo carattere specifico di valore morale, anche in un
interesse diretto o indiretto d'altra natura: non vi è bene morale che non sia
bene anche per altri ri- spetti; come d'altra parte non vi è bene di altro
genere che non sia o non possa diventare, diretta- mente o indirettamente, un
bene morale. I valori delle diverse specie si connettono, si intrecciano e si
complicano fra loro in mille guise. È bensì vero che ciò che fa esser morale un
valore (e analogamente si potrebbe dire dei valori di ogni altra specie) non è,
come s'è visto, il suo coincidere o il suo essere connesso sia pure per un
rapporto di condizionalità costante, con un valore — per quanto grande — di
altro genere, o anche con piú altri ordini di valori o con tutti; ed è perciò
che nessuna sottigliezza di logica può estrarre un valore morale se non di là
dove esso si sia già posto o insinuato; e che credere di poter trovare un
valore morale tra valori che non siano già morali è fare a un dipresso come chi
vada frugando fra le idee degli altri con la speranza di trovarvi le proprie.
Ma è pur vero che sussistono altri valori, e sussistono le relazioni fra i
valori; e ciò che è og- getto di valutazione morale, poniamo la sincerità, può
essere apprezzato dal punto di vista dell'inte- resse conoscitivo od artistico
o economico; e, per converso, ciò che è oggetto di valutazione edoni- stica o
estetica o d'altro genere, la ricchezza, l'arte, la dottrina, può essere
valutato anche come bene di ordine morale. Ora: È possibile una conciliazione
dei valori morali con gli altri valori e di questi fra di loro? E se non è
possibile, quale è il criterio della loro graduazione e subordinazione? Vi è,
per rispetto alla natura delle relazioni o connessioni tra valori di diversa
specie, qual- che differenza caratteristica che distingue i valori morali dai
valori non morali anche per il contenu- to? E vi è, segnata ancora dalla sfera
delle relazioni condizionali o strumentali con valori di altro genere, una
differenza che distingue, rispetto al contenuto, gli stessi valori morali fra
di loro? E non potrebbe questa considerazione giovare a intendere le incoerenze
e i contrasti tra valu- tazioni diverse e anche opposte, che pure si presentano
col medesimo carattere di valutazioni mora- li? Cosí, dietro i tentativi
illusori di cercare fuori e al di là dei valori morali il fondamento della
valutazione morale e la ragione decisiva che ne giustifichi la supremazia,
restano i problemi: della valutazione indiretta o rivalutazione condizionale o
strumentale, di una graduazione delle diverse categorie di valori; e della
possibilità della loro conciliazione. Della quale, la conciliazione tra virtù e
felicità non è che un aspetto particolare, e forse non il piú importante. 16
Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO
QUARTO IL FONDAMENTO CERCATO NELL'AUTORITÀ Il carattere di autorevolezza col
quale si presenta alla coscienza il giudizio morale, che noi approviamo bensì
come nostro, ma che ci pare nello stesso tempo sgorgare da una sorgente piú
alta o piú profonda, e quello di precetto imperativo nel quale si traduce,
tendono a far derivare questi ca- ratteri, e, quando siano considerati
essenziali della moralità, lo stesso giudizio morale, da un'autorità distinta
dalla coscienza, e che, pur rivelandosi in essa, la trascende e la supera. Il
fondamento di questa autorità fu riposto o nel processo stesso di formazione,
consapevole o inconsapevole, delle idee e dei sentimenti morali che danno
contenuto alla valutazione; o in un volere superiore e distinto dal volere
individuale, al quale si riconosce potestà imperativa e alla cui scelta o
decisione si riconduce in ultimo il criterio della valutazione morale.
L'autorità delle valutazioni morali avrebbe dunque in ultimo, come ogni altra
minore autorità politica o sociale, il suo fondamento e la sua legittimazione o
nei titoli di una sua nobiltà storica, o nella volontà di un potere sovrano. a)
Della storia. L'appello alla storia può assumere, assunse in effetto, forma e
apparato e significazione di- versi, secondoché si credette di fondare
l'autorità della valutazione in un processo genetico di evo- luzione selettiva
operante attraverso l'esperienza organizzata della specie; o in un processo
storico di svolgimento e di elevazione progressiva dei costumi, della cultura,
degli istituti e delle idealità etiche nei popoli civili; o nella elaborazione
logica di un pensiero riflesso rintracciato nella succes- sione storica delle
dottrine e dei sistemi. La prima delle forme accennate che si connette alla
dottrina dell'evoluzione e che culmina nella tesi di un progressivo adattamento
dei bisogni, dei sentimenti, delle attività alle condizioni di una vita sociale
sempre piú elevata, piú complessa e piú armonica (lasciando ogni questione che
non sarebbe oggi piú neanche di buon gusto sulla consistenza scientifica della
dottrine), si risolve in ultima analisi, come fondazione etica, nel postulare
quella superiorità e quella autorità dei sentimen- ti e delle norme di condotta
morali, che pretende di provare derivandola dal processo di selezione
progressiva che ne ha costituito e consolidato la prevalenza nel corso
dell'evoluzione. Infatti il criterio, per il quale giudichiamo progressiva
piuttosto che regressiva o indifferente l'evoluzione o la selezione delle idee
e dei sentimenti, è un criterio di valutazione di cui si riconosce e si accetta
la validità indipendentemente dal processo di cui sarebbe — nell'ipotesi — il
prodotto; (e del quale processo, anzi, è esso stesso, questo prodotto, che ci
fa riconoscere il valore). Ed è troppo chiaro che non è perché il «progresso»
del senso giuridico ha portato all'aboli- zione della tortura che noi
condanniamo la tortura, ma è perché condanniamo la tortura che ravvi- siamo
nella sua abolizione un progresso etico nello svolgimento del diritto. Ché se
si obbietta derivare l'autorità delle norme morali dalla loro convenienza e
corrispon- denza alle forme di vita «superiore», ai tipi di relazioni «più
elevati» dei quali esprimono le esigen- ze, si dimentica che all'infuori di un
criterio — quale esso sia — di valutazione non vi sono forme superiori o
inferiori, tipi derivati e tipi bassi. E un criterio di valutazione è, sempre,
necessariamen- te, in modo esplicito o implicito, assunto o sottinteso. Tanto
ciò è vero, che il massimo rappresentante e sistematore dell'evoluzionismo, lo
Spencer, fu condotto a sovrapporre, per giustificarlo — al criterio genetico
dell'adattamento pro- gressivo a un tipo di vita completa — il criterio
edonistico di un piacere puro corrispondente all'a- dattamento completo. ** *
17 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Se
a una selezione esteriore e meccanica, nella quale la coscienza è risultato e
non attività, si sostituisce uno svolgimento interiore e psichico — nel quale
la coscienza etica viene costruendo ed elaborando le sue valutazioni le sue
norme le sue idealità sempre piú alte e sempre piú ampie nel passaggio da età
ad età e da popoli a popoli in sfere di civiltà piú larghe, e, sulla via che
l'induzione storica rivela attraverso le soste, le deviazioni, gli oscuramenti
e i ritorni apparenti, si scorge col Wundt la direzione ideale e si disegnano i
fini, i motivi, le norme in cui la coscienza morale viene raccogliendo le sue conquiste
— la concezione della formazione storica è senza dubbio piú propria, piú
adeguata e piú probabile; ma non è tolto il vizio d'origine, l'errore, direi di
prospettiva, comune a ogni tentativo di fondamentazione storica dei valori
morali. (E il medesimo sarebbe da dire per le altre specie di valori). Lasciamo
pure la vecchia calunnia (se bene le calunnie sogliono aggrapparsi a qualche
unci- no di verità) fatta alla storia: Hic liber est in quo quaerit sua dogmata
quisque; e neppure discutiamo della possibilità e dei limiti di una induzione
legittima sui fatti storici; ciò che importa, e che basta notare, è che questa
induzione, posto che fosse legittima, e non avesse già per filo conduttore e
regolatore quella direzione ideale che vi rintraccia ingegnosamente, non pone
essa il valore delle conclusioni a cui giunge, non è essa che ci fa riconoscere
la bontà, la elevatezza, la eccellenza morale delle idealità che segnano la
meta. Questa valutazione è irreducibile alla storicità; ed è anzi dalla storia
— in quanto voglia es- sere giudizio comparativo di valori umani — sempre e
inevitabilmente presupposta. Di che è prova il fatto che, mutato il criterio
valutativo, sostituita all'una un'altra scala di valori, la prospettiva si
rovescia; e Nietzsche vede una nefasta degenerazione dove il democratico e
l'umanitario ravvisano l'indice sicuro di un felice progresso morale. E se il
criterio valutativo della coscienza si contrappone a quello che ha o sembra
avere a un momento dato il conforto della storia, non vi è in questo nessuna
ragione intrinseca di superiorità o di inferiorità dell'uno sull'altro dal
punto di vista etico, che è quello che importa; anzi neppure dal punto di vista
storico, perché quel conforto (quale esso sia) della storia, che oggi fa
difetto al primo, non è escluso che lo assista domani. La storia è
conservazione e svolgimento, ma anche innovazione e opposizione; non è, di-
ciamo pure, con termini hegeliani, una cosa se non perché è nello stesso tempo
l'altra. ** * Se passiamo ora ad esaminare lo svolgimento storico nel pensiero
riflesso, troviamo che il problema attorno al quale sembra disegnarsi meglio la
continuità logica della speculazione morale nella successione dei sistemi, è,
nella sua forma piú generale, il seguente: Come dobbiamo concepi- re la realtà
perché essa risponda alle esigenze delle nostre intuizioni morali; e se e come
siano pos- sibili le condizioni di una tale realtà. Lo svolgimento logico e
dialettico delle dottrine riguarda so- prattutto, se non esclusivamente, i
problemi che nascono da questo problema centrale; le forme di- verse sotto le
quali si presentano; e il processo di sostituzione e di eliminazione e di
superamento, per il quale i problemi antichi trapassano nei problemi nuovi. Ma
la sostanza delle intuizioni morali non è data, e non potrebbe essere, né da
questo o quel sistema, né dalla successione fosse pur continua e rigorosamente
coerente dei sistemi, che ne scopre e ne snoda le esigenze, e viene cercando
una risposta alle domande che queste esigenze sollevano e presentano alla
riflessione critica. In questo sforzo essenzialmente speculativo di
sistemazione, e per dir cosí, di inquadramento delle intuizioni morali in una
concezione unitaria della realtà che ne ac- colga le postulazioni, sarebbe fuor
di luogo pretendere di trovare la ragione d'essere di quelle valu- tazioni,
dalle quali la speculazione prende le mosse, e che ne ispirano e alimentano le
indagini. È bensí vero che a questo travaglio di costruzione speculativa si
annoda e si intreccia l'anali- si e l'indagine di indole propriamente etica,
sulla natura dei diversi principî e criteri valutativi, che ne saggia la
fecondità, ne svolge le conseguenze, mette in luce i rapporti di accordo e di
contrasto 18 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio
Juvalta tra le valutazioni morali attinenti a sfere di esperienza diverse,
svela i legami spesso sottili e inattesi che stringono in gruppi di affinità
alcune di queste intuizioni sia tra di loro, sia con valutazioni di altro
genere, noetiche estetiche e religiose. Ma questa elaborazione che è pure di
importanza capita- le per rendersi conto della «rilevanza» e della portata dei
criteri di valutazione e per tentarne la uni- ficazione in una dottrina etica
strettamente intesa (che è altra cosa da un sistema filosofico di etica), si
svolge attorno a un contenuto valutativo, fornito dalla immediata esperienza
morale; assume co- me validi per sé i giudizi apprezzativi che ne costituiscono
gli elementi, i punti saldi di riferimento, i dati, alla cui validità è legata
la consistenza della costruzione. E vi può essere finalmente nei sistemi
morali, e certamente si trova nei piú grandi e signifi- cativi, un filone piú o
meno ricco di intuizioni morali nuove, che si aggiungono o sovrappongono o
sostituiscono alle intuizioni date nell'esperienza della coscienza morale
comune, e segnano la crea- zione di nuovi valori e aprono la visione di una
regione morale inesplorata. È la parte che spetta al genio morale ed è il sale
di quella dottrina etica, in cui l'intuizione è accolta, ospite o signora. Ma
questa novità di intuizione, questo allargamento, o arricchimento, o
soprattutto, orientamento diver- so di valori, nessuno vorrà considerare come
il frutto di una deduzione logica, anche se nel sistema ne vestisse le forme:
anche se fosse esclusivamente opera dei grandi costruttori di sistemi e si ac-
compagnasse sempre con una riflessione critica acuta e una meditazione
ostinata. Questa concomitanza (che del resto non si può dire costante, perché
novità di intuizioni mo- rali si trova pure in dottrine, pensamenti, apostolati
estranei, almeno in origine, ad una costruzione sistematica) significa soltanto
che quella medesima profondità di intuizione e intenso ardore di en- tusiasmo
morale dai quali erompe la nuova idealità, promuovono e preparano, quando
secondino le forze dell'intelletto, i grandi sistemi morali. Cosí anche questa
affermazione o posizione di valori nuovi8, non importa qui cercare da quale
concorso di circostanze interiori od esteriori suscitata o svincolata, non è la
conclusione di u- n'indagine scientifica o filosofica, ma è un penetrare o un
irrompere della coscienza morale nella corrente del pensiero riflesso; che non
li dà esso, ma li accoglie; li illumina, ma non li crea. b) Il fondamento
cercato in una volontà. La forma di precetto imperativo nella quale si traduce
l'esigenza di conformare l'azione al giudizio morale fa considerare la moralità
come l'adempimento di un obbligo e questo come l'obbe- dienza a un'autorità
inconcussa e indiscutibile. A questo momento della moralità corrisponde la
tendenza a cercare il fondamento del valore morale stesso in un Potere (che, in
quanto si esercita in vista di un fine o in conformità a una norma, è Volere)
immanente o trascendente, personale o soprapersonale, del quale i giudizi
morali espri- mono i comandi. L'autorità della coscienza morale rispecchia
l'autorità di quel potere, e risuona l'eco di quel comando nel tono imperativo
dei suoi precetti. Ora qui è necessario sgombrare il terreno dagli equivoci che
nascono dal trasportare un me- desimo termine da uno ad altri concetti connessi
ma diversi, o dal costringere in un solo concetto momenti distinti di un
processo psicologico complesso. Quando si parla del dovere, come di una
caratteristica della valutazione morale, si cade in un equivoco di questo
genere. Il dovere non è dovere di valutare, ma di conformare l'azione alla
valu- tazione. 8 È forse superfluo avvertire che qui si parla di valori nuovi
immediati e diretti; non di valori indiretti o mediati. Di questi altri, anzi,
ogni incremento del sapere moltiplica il numero e le gradazioni; ed è in questa
derivazione e dedu- zione dei valori indiretti e mediati dai diretti e
immediati, che l'etica applicata prende a prestito dalla conoscenza scienti-
fica le premesse minori dei suoi sillogismi valutativi. 19 Su la
pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta La valutazione
morale precede, nell'ordine delle esigenze ideali, l'obbligo e lo giustifica; e
non inversamente; anche se nella pratica coincidessero sempre e questo fosse la
ratio cognoscendi di quella. E qui occorre una analisi alquanto sottile e una
riflessione un po' attenta. ** * La valutazione morale è preferenza, scelta,
opzione fra qualità o proprietà, cioè modi possi- bili di essere o di agire,
tra i quali non vi è gradazione, ma opposizione, e dei quali non può realiz-
zarsi l'uno senza che sia tolto l'altro. Porre l'uno come valore è insieme
porre l'altro come non valore o disvalore. Approvare la sincerità, la fortezza,
l'alacrità come valori, implica disapprovare l'ipocrisia, la fiacchezza, la
pigri- zia. Il valutare morale è dunque un prendere partito per l'uno contro
l'altro di due soli atteggia- menti possibili; ma poiché, e questo punto è di
importanza decisiva, i valori morali, a differenza de- gli altri valori, non
possono attuarsi o vivere in noi se non sono voluti e solo in quanto sono
voluti (la volizione implica per quanto sono eseguibili tutte le azioni che ne
dipendono, anzi consiste nel- l'ordinare e nel promuovere queste azioni), cosí
non è possibile riconoscere un valore morale (che è quanto dire constatare
l'opzione, la posizione ideale dell'uno e la negazione dell'altro, la esigenza
che l'un termine acquisti o conservi sussistenza e l'altro la perda) senza
approvare l'atteggiamento richiesto a porlo in essere; anzi, senza pensare la
volontà nell'atto di realizzarlo. Ancora: gli altri valori soffrono di essere
commisurati tra di loro e posposti ai valori morali senza perdere la loro
qualità di valori, cioè senza che questo posporli smentisca il loro riconosci-
mento. I valori morali invece non soffrono di essere posposti senza essere
smentiti; perché non sono morali se non a patto di essere sovraordinati a ogni
altro valore, e in quanto esprimono non stati singoli, ma modi di essere, non
atti, ma modi di operare posti come costantemente normativi della volontà. Ne
segue che riconoscere un valore morale implica approvare, se si rivela come
dato, esige- re, se è concepito solo come possibile o potenziale,
l'atteggiamento costante della volontà col quale esso valore è posto; costante,
cioè tale che si attui ad ogni presentarsi della stessa alternativa. Perché non
si può pensare che cessi di esser voluto senza pensare che cessi di esistere e
che sia posto con- tro di esso la sua negazione, il non-valore, per atto di
quella stessa volontà il cui atteggiamento posi- tivo è un'esigenza implicita
nel riconoscimento di quel valore come morale, cioè è idealmente po- stulato
nella valutazione. Perciò, se accade che chi ritiene valore morale, poniamo, la
sincerità, si sia lasciato trascor- rere a una menzogna, l'atto presente e
momentaneo del mentire appare a lui come un rinnegamento del suo proprio
volere; il quale rimane potenzialmente e conativamente morale pur nel momento
della volizione singola che gli si oppone e lo nega. Perché il valore non cessa
di essere sentito e ri- conosciuto come morale, cioè come valore che esige per
essere tale di essere attuato ossia voluto costantemente9. Ora il dovere, in
quanto è proprio e caratteristico della moralità, cioè in quanto è interiore e
non riducibile al sentimento di una coazione esterna (ossia all'obbligo di cui
si dirà tra poco), è la coscienza di questa esigenza del valore morale e si
manifesta — come necessità di rispettare questa esigenza, di tener fermo nelle
volizioni singole il valore morale, — nella sua forma piú chiara, quando è in
contrasto con motivi di altra natura. Ma è presente anche se non vi sia
attualmente que- sto conflitto, in quanto è presente alla coscienza la possibilità
di impulsi contrastanti. 9 Di qui nasce la tendenza incoercibile, manifesta nei
maggiori pensatori, a identificare il volere puro, il volere che esprime
l'essenza della personalità umana, il volere libero e autonomo, il «vero»
volere col volere morale; e a con- siderare gli atti immorali come prodotti non
dalla volontà, ma da difetto di volontà, da qualche cosa di esterno ad essa;
non come espressione di attività e libertà, ma di passività e servitù.
20 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Da
quel che si è detto risulta che non si può parlare di dovere nel senso ora
chiarito, cioè di dovere morale, se non presupponendo data una valutazione
morale. I valori morali devono già essere sentiti voluti come tali: se non
sono, non vi può essere do- vere. E non avrebbe senso parlare di un dovere di
riconoscere dei valori morali a una coscienza che fosse chiusa ad ogni
valutazione etica; di un suo dovere di affermare la superiorità su ogni altro
valore, di qualche cosa a cui non riconosce alcun valore. Non avrebbe senso piú
di quel che avrebbe il pretendere che debba capire che ci son anche dei suoni e
che valgon piú dei rumori chi non avesse udito mai che rumori, e i suoni stessi
non li sentisse se non in forma di rumori. E quando si dice, poniamo, che un
uomo deve pur sentire che la lealtà vale di piú del tradi- mento, il «deve» o
non ha senso, o ha un senso al tutto diverso da quello propriamente morale. Non
ha senso se si vuol dire che nella realtà tutti lo riconoscono, cioè se si vuol
affermare o constatare una verità di fatto. Ha un senso diverso se si vuol dire
che per essere uomini bisogna sen- tire cosí, che non si può chiamar uomo o che
non merita questo nome chi sente e giudica altrimenti, cioè se si afferma che
al concetto di uomo è essenziale quella nota. Che è tutt'altra cosa. Perché si-
gnifica non che abbia il dovere di sentire in un modo chi non sente che in un
altro, ma che non sia veramente uomo se non chi sente cosí. Il che anche se
fosse del tutto arbitrario non sarebbe assurdo. ** * Ma dunque i «sordi
morali», se ve ne sono, non hanno doveri? Non ne hanno: perché non possono
sentire l'esigenza di conformarsi a una valutazione che non han fatta e che non
fanno, di at- tuare dei valori che non riconoscono come tali. — Ma hanno
tuttavia e possono avere degli obbli- ghi. L'obbligo di operare come se
riconoscessero, se non tutti i valori morali, almeno alcuni, i piú grossolani e
massicci e coercibili esteriormente, cioè suscettivi di esser presentati come
motivi ap- prezzabili anche da una coscienza non morale. È questo obbligo,
quello del quale si è tessuta con grande abbondanza di passaggi e di fasi la
genesi psicologica e l'origine sociale nelle sanzioni esterne, e si è discusso
a perdifiato se bastasse o non bastasse a dar ragione del dovere (ed
evidentemente non basterebbe a darne ragione anche se bastasse a spiegarne la
formazione); e questo obbligo implica necessariamente il riferimento a un
potere superiore e distinto dal volere individuale. E come questo Potere si impone
in vista di un fine e in conformità a certe norme, è concepito come potere di
una Volontà che comanda l'osservanza di quelle norme. Senonché anche
quest'obbligo può prendere forma e significato morale; come può non avere altro
valore che di costrizione subita: appunto come le pene del codice per i
galantuomini di princi- sbecco. E anche qui occorre un po' di pazienza. ** *
Quella esigenza interiore che s'è visto sopra esser posta nella valutazione
stessa e per la qua- le il valore morale si fa sentire come norma e si esprime
nella coscienza del dovere (dovere di non negare nelle singole volizioni il
volere costante implicito nella valutazione morale) si accompagna, come si è
pure accennato, alla consapevolezza — data nell'esperienza e suggerita dalla forma
stessa antitetica della valutazione normale — della possibilità di volizioni,
cioè di azioni, immorali; o (che torna il medesimo) della esistenza di
tendenze, impulsi, motivi antagonistici al volere morale. Il volere morale si
manifesta perciò (in quanto tali motivi antagonistici tendono a contrastar- ne
l'attuazione) come esigenza della subordinazione costante di questi motivi,
come appello a una forza coercitrice che li soverchi, sovrapponendo ad essi
altri motivi opposti dello stesso ordine, e rovesciandone per tal modo il
valore. 21 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio
Juvalta Questa disposizione di spirito fa che si approvi l'obbligo e si approvi
il Potere obbligante, se esiste o si concepisce che esista; se ne ponga la
necessità e se ne invochi la presenza dove e quando manchi; cioè fa che si
riconosca giusto l'obbligo, giusta la sanzione dell'obbligo, e giusto il Potere
che lo pone. In questa disposizione per la quale l'obbligo e la sanzione sono
interiormente approvati e vo- luti come garanzia di moralità, e il Potere
obbligante è invocato e idealmente posto in nome della esigenza morale, sta la
caratteristica differenza che dà all'obbligo valore morale, e lo distingue dal-
l'obbligo sentito come pura costrizione esterna; che distingue il potere che
merita rispetto dalla for- za che si deve subire; l'autorità dall'arbitrio; sia
che il comando di questa autorità si consideri limita- to a una certa sfera di
valori morali, sia che si faccia coincidere collo stesso valore morale e si
iden- tifichi con esso. Ma cosí nell'uno come nell'altro caso resta la
medesima, di fronte all'obbligo e al Potere ob- bligante, la differenza di
atteggiamento tra la coscienza che valuta moralmente e la coscienza che sia
chiusa, per ipotesi, alla valutazione morale. Per la prima è la valutazione
morale che fa riconoscere e rispettare l'obbligo. Per la seconda è l'obbligo
che fa riconoscere i valori morali; i quali valgono non perché sono morali, ma
perché sono riconosciuti, in forza dell'obbligo e della sanzione, come valori
strumentali di altri valori, co- me condizione imposta e inevitabile di quei
beni che soli la coscienza amorale desidera e apprezza. L'osservanza
dell'obbligo non è interiore moralità, ma è conformità esteriore a certi
comandi che valgono quel che vale la sanzione che li accompagna. La valutazione
propriamente e specificamente morale manca, ed è surrogata da una valutazione
del tutto diversa. Il suono dei valori morali non può farsi sentire, per questa
sordità morale, se non diventa il rumore di un interesse diverso. ** *
Raccogliamo i risultati dell'analisi e vediamo che cosa ne segue. Il dovere
esprime l'esigenza di conformare l'atto al giudizio, di non smentire, con la
volizio- ne attuale, la preferenza, la opzione che si afferma, come criterio di
apprezzamento nel giudicare l'operare proprio e l'altrui, nella valutazione
morale; di non opporre il mio volere in quanto è stimo- lo e causa dell'azione,
potere di produrre movimenti, al mio volere in quanto è scelta fra posizioni
possibili opposte, e attribuzione continua e persistente di valore all'una, e
di disvalore all'altra. Se si separa la volontà come causa delle volizioni
attuali e contingenti, come potere di ese- cuzione, dalla volontà che pone i
valori e si esprime nella valutazione, il dovere si presenta come l'esigenza
dell'obbedienza del Volere operante al Volere valutante, del volere esecutivo
al volere le- gislativo, del volere a cui spetta attuare i valori morali nelle
contingenze mutevoli di luogo e di tempo, al volere che li ha posti e li fa
sentire e riconoscere come tali. Ora, quando la incertezza, l'incostanza, la
debolezza del carattere, il prepotere di istinti, di impulsi e di tendenze
opposte in noi e negli altri, facciano sentire alla coscienza morale la necessità
di un Potere che assicuri la preminenza di fatto e non soltanto di diritto dei
valori morali, e ne tuteli l'osservanza, il valore morale di questo Potere e
delle sanzioni con le quali impone i suoi comandi, viene manifestamente
dall'essere questo Potere pensato come conforme all'esigenza morale, come
proprio di una volontà, che si accorda, in tutto o in parte, con quel che si è
detto il Volere valutante; cioè di una Volontà che tende all'attuazione dei
valori morali. Se quel Potere è pensato senza limiti e attribuito a una volontà
perfettamente morale cioè a una volontà la cui norma si identifichi con quella
del mio Volere-valutante, questa Volontà — in cui il potere adegua il valutare
e per la quale la attuazione dei valori morali adegua la posizione di essi
valori come tali, cioè come degni di essere attuati — sarà pensata non solo
come un potere che im- pone, ma come Autorità che merita, un'obbedienza
incondizionata; e apparirà che derivino da un'u- nica sorgente cosí il comando
che esprime la potenza operante di quella volontà, come la valutazio- ne morale
che ne esprime la norma; cioè apparirà fondato su quell'Autorità il criterio
stesso della valutazione. 22 Su la pluralità dei postulati di valutazione
morale Erminio Juvalta Ma lasciando ogni questione sulla legittimità delle
postulazioni implicite in questi processi costruitivi e sulla possibilità della
loro sintesi, è facile vedere come rimanga sempre inevitabilmente distinta e
presupposta nel concetto dell'autorità imperante la valutazione, che giustifica
il comando, che dà autorità al potere, che suggerisce l'identificazione di un
Volere onnipotente con un Volere legiferante; la valutazione data nella
coscienza morale, la quale rimane il postulato inespugnabile; non derivabile e
non superabile; anche dove è sottinteso e dove sembra, a primo aspetto,
derivato o subordinato. Cosí se il teologo ammonisce di non biasimare come
ingiusto o cattivo ciò che la Provviden- za dispone o permette, non contrappone
alla valutazione morale una valutazione diversa, ma sosti- tuisce e sovrappone
alla «veduta corta d'una spanna» una sapienza infinita la quale vede i fini
remo- ti di quell'ordine che a noi rimane occulto; e per il quale in realtà è
bene quel che fuori di quell'ordi- ne a noi appare un male. Ma appunto il
criterio di questa bontà è il criterio morale; ed è il non sapere conciliare i
fini apparenti con l'esigenza morale che induce l'opinione o la certezza di
fini ulteriori che si accordino con essa. ** * Dopo quanto s'è detto riuscirà
piú chiara l'analisi delle forme principali nelle quali si presen- ta, e si è
presentata storicamente, la dottrina del fondamento autoritativo della morale.
Se la distinzione tra il potere e l'esigenza morale che lo legittima non è
superata, come s'è vi- sto, neppure quando si unificano i due termini nel
concetto di un'autorità che sia insieme irresisti- bilmente potente e
indefettibilmente morale, tanto piú manifesta sussisterà nelle forme in cui
l'unifi- cazione non è posta, o l'adeguazione è incompleta. Ma restano, almeno
all'apparenza, due vie: a) o negare ogni valore alla coscienza morale come
tale, e fondare ogni valutazione, sul potere che la pone a suo arbitrio; b) o
trasferire il criterio della valutazione morale dalla coscienza personale a
un'altra coscienza, impersonale o collettiva, la cui autorità viene da qualche
cosa di diverso che dal suo accordarsi totale o parziale con la coscien- za
della persona. a) Sulla prima tesi non c'è da osservare che questo: Che essa o
non risponde alla domanda alla quale pretende di rispondere; perché non è dire
donde venga l'autorità della valutazione morale negarle ogni valore, per
riconoscere soltanto il pote- re che la impone, ma che potrebbe imporre il
contrario. O non toglie se non a parole la distinzione, che ritorna attraverso a
qualsiasi sottigliezza, tra l'arbitrio e la giustizia, tra la forza e il bene.
E quando il Callicle platonico condanna le leggi come un'imposizione dei molti
ai pochi, degli inetti e fiacchi agli ingegnosi e ai forti, egli deve, per non
contraddire se stesso, non escludere, ma includere nel suo biasimo un criterio
morale, un criterio superiore alla forza; poiché serve a giudicarla, a
distinguere quella degli ingegnosi, degli intelligen- ti, dei superiori, da
quella del numero; a riconoscere che v'è una forza che dovrebbe valere di piú e
che non è giusto sia sopraffatta dall'altra. Ma dunque non è piú la forza che
costituisce la giustizia? E il potere illimitato del Sovrano, al quale l'Hobbes
riconduce ogni criterio di morale e di di- ritto, esclude solo in prima
istanza, cioè in apparenza, ogni valutazione diversa: perché, come tutti sanno,
l'arbitrio di questo potere è legittimato da un'esigenza diversa; quella stessa
per cui si suol riconoscere che è meglio una legge cattiva che nessuna legge, e
un governo tirannico che nessun governo. ** * b) La seconda delle vie indicate
conduce a far riconoscere l'autorità morale come propria, o della collettività
concepita come aggregato dei singoli, o dello stato come distinto e superiore
alle 23 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio
Juvalta persone: sia come organo della società ai cui fini sono subordinati i
fini individuali, sia come Volere universale al quale devono inchinarsi le
volontà particolari. Le due tesi hanno, come è noto ed è facile capire,
significato e valore diverso. I) Se la collettività è intesa come semplice
aggregato e somma di singoli, non si può evitare il criterio della maggioranza,
cioè in ultimo della forza. Un giudizio morale che non è valido se cor-
risponde alla valutazione di n-1 coscienze, diventa valido se quell'una cambia
parere. È il criterio della democrazia politica; di cui non si discute ora il
valore come criterio politico (cioè come crite- rio di preferenza tra i mezzi,
non di giustizia tra i fini); ma del quale nessuno riconosce sul serio il
valore di criterio morale supremo; per la stessa o analoga ragione per cui il
buon senso non è il sen- so comune, e il discorrere concludente di un solo vale
piú che il chiacchierare sconclusionato di cento; e per la quale la maggioranza
dei votanti può bastare a fare una legge ma non a farne ricono- scere l'equità.
Ché se l'autorità morale della valutazione collettiva vale in quanto essa
esprime l'unanimità dei singoli, e perciò serve a distinguere la sfera piú o
meno ampia di valutazioni in cui tutte le co- scienze concordano, da quelle
sulle quali l'accordo sparisce, si riconoscono due cose: 1° che per cia- scuna
persona non vi può essere autorità morale superiore a quella della propria
coscienza; 2° che la distinzione la quale può essere di importanza capitale per
i rapporti tra morale e politica, cioè tra norme etiche e norme giuridiche, non
ha valore morale se non a patto di essere fondata essa stessa su una
distinzione di valore apprezzata o apprezzabile (non importa ora cercar come)
dalla coscien- za morale personale che la deve riconoscere. Manca dunque sempre
il qualche cosa di diverso dalla coscienza personale, a cui dovrebbe ricondursi
l'autorità della coscienza collettiva. ** * II) Quando si parla di fini della
società diversi dai fini individuali, e di coscienza sociale di- stinta dalla
coscienza personale, si corre facilmente nell'equivoco di opporre come
separati, o, peg- gio ancora, precedenti l'uno all'altro due termini
correlativi; e si dimentica o si trascura di tener pre- sente che i fini della
società non sono fini se non per gli esseri associati che li concepiscono e li
fan propri; e che la coscienza sociale non esiste e non si rivela che nelle
coscienze individuali; come, per converso, che i fini individuali sono nello
stesso tempo, o direttamente o indirettamente, fini della società; e un certo
grado di distinzione e differenziazione delle coscienze individuali è correla-
tivo a un grado corrispondente di coscienza sociale. Ciò non significa negare
il fattore sociale e le esigenze della socialità. Ma significa che quando si
parla di individui e di coscienza individuale, questo individuo è già il socio;
è esso, e nel- lo stesso tempo la società a cui appartiene; e la coscienza
personale sua è insieme coscienza di sé individuo e coscienza di altri e del
tutto: ed è cosí legittimo dire che esprime le esigenze dell'io di fronte a
quelle della società, come dire che esprime quelle della società di fronte a
quelle dell'io. Fatta questa avvertenza, che non sarebbe a rigore necessaria
per la discussione presente, rie- sce meno strana l'affermazione che i valori
sociali non sono morali se non perché e in quanto sono sentiti e valutati come
tali dalla coscienza personale; e che dal punto di vista etico non è la società
che dà valore ai miei criteri morali, ma sono i miei criteri morali che danno
valore alla società. La socialità stessa, come tendenza e come esigenza, può
essere ed è valutata alla stregua del- la esigenza morale. Derivare la
valutazione morale da fini sociali significa dunque derivarla da qualche cosa
il cui valore è giudicato e posto in grazia di quella stessa valutazione che se
ne vuol trarre. Di che si può trovare la prova in due considerazioni non
difficili. La prima è questa: che il giudizio sulla maggiore o minore
eccellenza e dignità dei fini designati come sociali e delle istitu- zioni,
delle leggi, dei tipi di società, ammette o sottintende postulati morali; e che
non v'è riforma sociale piccola o grande che non invochi e non debba affrontare
il giudizio della coscienza morale. 24 Su la pluralità dei postulati di
valutazione morale Erminio Juvalta Quella stessa dottrina sociale (il marxismo)
che formulò piú apertamente il proposito del piú risoluto amoralismo per
fondarsi su un rigoroso determinismo storico, vede dissiparsi il suo baga- glio
scientifico, e star saldo quel nocciolo di idealità etiche per le quali
professava in vista il piú a- perto dispregio, e che in realtà avevan dato
l'anima alla dottrina e l'ali alla certezza. L'altra osservazione è questa; che
appunto quel che vi è di vivo e di vitale e di durevole nella fede («fede è
sostanza di cose sperate») che prende il nome dal socialismo, è sociale non nel
fine, ma nel mezzo; mentre è, nel fine, e non potrebbe non essere, suggerito e
alimentato da un ideale morale che ha per oggetto e per centro l'individuo, la
unità personale umana. Poiché la proprietà collettiva è concepita, attesa,
voluta come condizione necessaria a rendere effettiva la libertà di tutti, a
far veramente di ogni individuo umano una persona umana. Che poi quella sia la
condizione necessaria, e che sia sufficiente; o che gli effetti siano per
essere diversi o opposti da quelli sperati, è tutt'altro discorso. La vieta
analogia biologica che fa degli individui le cellule dell'organizzazione
sociale, se anche rispondesse a verità per quel che riguarda le condizioni
dell'esistenza, dovrebbe sempre venir rovesciata nel rispetto della valutazione
morale. Perché soltanto nella cellula-individuo l'organismo- società acquista
coscienza di sé; e soltanto nella coscienza dell'individuo vale come organismo,
e per essa soltanto potrebbe acquistar valore di finalità riconosciuta e voluta
da lui come superiore a se stesso. Né concluderebbe il dire che non si tratta
in ultimo che di un «punto di vista diverso»; e che, se dal punto di vista
dell'individuo i valori sociali sono valori individuali, dal punto di vista
della società è vero l'inverso: perché la coscienza che pone i valori sociali,
e che giudica e valuta dal «punto di vista» sociale, che funge da coscienza
sociale, è ancora, sempre, inevitabilmente, una co- scienza individuale. ** *
Più breve discorso è da fare per il proposito nostro, della dottrina assai piú
sottile e compli- cata che concentra ogni autorità e ogni finalità sociale
nello stato e fa dello stato l'organo dell'Etici- tà. Perché in quanto la
volontà dello stato sovrano si identifica col Volere universale cioè col volere
morale, non c'è che da ripetere quel che si è detto sopra a proposito
dell'identificazione del Volere- potere col Volere-valutazione. Ciò che fa
essere lo stato arbitro della valutazione, e l'autorità dei suoi comandi
criterio supremo dei valori morali, è questa affermata identità del Volere
dello stato col Volere morale che si viene attuando nella Storia. Le difficoltà
che possono nascere dagli sforzi di conciliare lo stato com'è con lo stato
com'è concepito, e di interpretare i processi reali del suo divenire storico
come momenti di attuazione del- lo Spirito universale cioè del Volere morale,
rimangono estranee al punto in questione; il quale è questo: che il valore
etico dello stato nasce dall'essere esso e esso solo l'organo adeguato di quel
Volere universale, il quale è lo stesso Volere etico, che informa di sé la
coscienza personale e si fa valere in essa. Cosi qualunque sia il Potere e
qualunque il Volere a cui si voglia ricondurre l'autorità della coscienza
morale, sempre si trova dietro a quel Potere e dietro a quella Volontà,
inevitabilmente da- to o presupposto, quel valore morale che legittima il primo
e dà autorità al secondo; come dietro la firma dell'uomo d'affari sia, non
vista e non detta, ma sottintesa, la ricchezza reale o supposta, che fa della
sua cambiale un valore. ** * Ma se l'autorità della valutazione morale non è
derivabile da nessun'altra autorità superiore diversa da quella della coscienza
personale, bisogna ammettere: o che le valutazioni morali delle diverse
coscienze coincidano totalmente, cioè che le coscienze personali non siano che
copie o e- 25 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio
Juvalta semplari di una medesima coscienza morale che si esprime per mille voci
uguali di tono e di conte- nuto; o altrimenti che si trovi, nella natura stessa
dei valori morali, posta, insieme con la esigenza dell'accordo rispetto ad
alcuni, quella della differenza e dell'opposizione rispetto ad altri valori. E
in questo caso al problema della fondazione storica e della fondazione
consensuale della valutazione morale si sostituisce l'altro problema: Quali
sono i valori morali nel cui riconoscimento l'autorità dell'induzione storica e
l'autorità del consenso universale coincidono con quella della co- scienza
personale? E in che cosa differiscono dai valori morali per i quali manca tale
accordo? È legittima, e perché ed entro quali limiti, una subordinazione (che
in ogni caso non potreb- be né in fatto né in diritto estendersi
all'atteggiamento interiore, ma valere soltanto rispetto alle ma- nifestazioni
esteriori) dei secondi ai primi? E del pari si trasforma il problema sul fondamento
del dovere. Il dovere non riguarda, come s'è visto, il valutare, ma il
conformare la condotta alla valuta- zione; e suppone il rapporto tra due
volontà distinte o concepite come distinte, tra un volere presen- te e
momentaneo che si rivela nella volizione attuale e concreta, e il volere
dell'io persona, il Volere valutante o normativo, che le dà unità. Se l'io
momentaneo o contingente è dominato totalmente e assorbito dall'io persona, e
il Volere operante si identifica col Volere valutante, il dovere si attenua e
svanisce perché sparisce il termine subordinato; se il Volere valutante manca e
l'io non è che ag- gregato temporaneo e variabile di impulsi e di tendenze
accidentali, il dovere non sorge perché manca il termine subordinante. Il
problema del dovere è perciò il problema di questo rapporto, e delle difficoltà
che nasco- no, sia dal concepire il Volere operante come uno e identico col
Volere valutante; sia dal concepirlo come distinto e diverso; sia infine dal
concepire, secondo importa la necessità di una conciliazione, le due volontà
come distinte e diverse nell'uomo individuo, ma come una e identica in un
Potere so- prapersonale del quale il valore morale esprime la legge nella
coscienza individuale. 26 Su la pluralità dei postulati di valutazione
morale Erminio Juvalta CAPITOLO QUINTO LA INVERSIONE DEI PROBLEMI RELATIVI AL
FONDAMENTO DELLA MORALE Ogni sforzo di derivare una valutazione morale da
qualche cosa di cui non sia già ricono- sciuto il valore morale è dunque vano o
illusorio. O non dà quel che si cerca, o presuppone quel che si pretende di
fondare. In realtà i valori morali o valgono per sé o sono tali in grazia di
altri valori che valgono essi come morali per sé. Epperò ogni ragionamento col
quale si dimostri per esempio che un'azione è buona o giusta, si risolve o nel
ricondurre quell'azione a una classe di azioni, a un modo di operare già
riconosciuto come morale, o nel dimostrare che questa azione fu od è voluta
come condizione o mezzo di attua- zione di un valore morale. I valori morali
diretti e immediati, apprezzati e voluti per sé, sono dunque dati di una espe-
rienza morale non riducibile ad altre forme di esperienza e i giudizi nei quali
questa validità diretta e immediata è ammessa o riconosciuta, sono postulati di
valutazione morale (postulati etici in pro- prio senso). E una dottrina morale
in quanto è sistema di valutazioni si fonda in ultimo sui postulati etici,
espressi o sottintesi, di cui si assume che sia ammessa la validità: cioè che
siano dati immediati del- la coscienza morale. Quando sia chiaramente
riconosciuta questa indipendenza, questa validità per sé o autoassia dei
postulati etici, le costruzioni dottrinali rivolte a cercare fuori della morale
un fondamento che essa né può trovare né ha bisogno di cercare altrove,
prendono un carattere e un significato diverso se non opposto; e forse
considerate da questo aspetto rivelano meglio la tendenza profonda che muove e
avviva in forme sempre risorgenti di tentativi diversi, i tipi di costruzione
morale esaminati nei capi precedenti. L'idea centrale dell'intellettualismo
morale di cercare il fondamento morale in una realtà ob- biettivamente data, e,
in una conoscenza di questa realtà, dei suoi gradi di entità e di perfezione,
il criterio della valutazione morale, diventa, guardata da questo aspetto,
un'espressione della tendenza profonda e incoercibile, di trovare nel valore il
senso e la ragion d'essere della realtà, nel criterio morale la chiave della
sua interpretazione; di commisurare la realtà alla dignità, e riconoscere come
esistente veramente soltanto ciò che è degno di esistere, facendo del bene il
solo vero reale, e del male un mancamento, un difetto di realtà, l'irreale.
Dietro il pensiero che muove i tentativi dell'utilitarismo sotto qualunque
forma si presenti (non soltanto edonistico, ma estetico, noetico, umanitario,
religioso) di trovare la ragione del valore morale in un bene supremo o
maggiore o piú alto di ogni altro, che ne persuada l'utilità o ne giusti- fichi
l'autorità, appare la convinzione che anche sotto il rispetto soggettivo della
felicità (per l'uomo patologico, direbbe il Kant) non è in ultimo veramente
bene se non ciò che è morale, o ciò a cui la moralità apre la via. Tutto ciò
che ha valore, in quanto ha valore davvero, non può contrastare, ma si accorda,
de- ve accordarsi coi valori morali, consistere in questi, o essere — in ultimo
— condizionato da questi. E quando si tormenta la storia (storia esterna e
storia interna della civiltà) per trovare nel processo di svolgimento, nella
selezione subita o nel trionfo conquistato, i titoli di nobiltà che spie- ghino
e legittimino l'autorità della morale, della nostra morale, si agita dietro
l'acume e la sotti- gliezza delle indagini e sotto gli accorgimenti
dell'induzione storica, il bisogno di trovare nella sto- ria l'attuazione di un
disegno etico, di fare dell'accadere storico un divenire morale, di confermare
con l'esperienza morale del passato l'esperienza del presente, la nostra
esperienza morale, la mia. 27 Su la pluralità dei postulati di valutazione
morale Erminio Juvalta Come l'appello al consenso universale degli uomini,
meglio che allo scopo di fondare su questo consenso la mia certezza morale,
risponde alla esigenza che realmente abbiano valore per ogni coscienza quei
valori che sono posti come universali dalla mia, e costituiscono non il mio
sol- tanto, ma il patrimonio ideale piú prezioso di ogni uomo, dell'uomo. E
finalmente, quando dell'Autorità si cerca il fondamento in una Volontà
superiore e distinta dalla volontà di ciascuno, che si impone a questa e ha il
potere di obbligarla, l'esigenza a cui si ob- bedisce è quella stessa di cui si
alimenta la coscienza del dovere: l'esigenza che il volere piú alto e il piú
degno di autorità perché è il volere che pone i valori morali, sia nello stesso
tempo un potere a- deguato al compito suo, il potere piú forte10; sia, come il
vero volere, cosí il supremo potere. ** * La forma generale, con la quale si
presentano da questo punto di vista i problemi, è dunque inversa a quella nella
quale sono posti e considerati nelle dottrine che cercano fuori della morale il
fondamento della morale. Si tratta non già di vedere quale ragione d'essere, e
d'esser tali piuttosto che altri o diversi, trovino i valori morali nella
realtà che conosciamo, nei beni d'altro genere che desideriamo, nelle
tradizioni e negli esempi del passato, nei giudizi dei contemporanei, nel
comando di un Volere onnipotente; ma di vedere se e come sia possibile e sia
legittimo costruire una realtà, graduare dei valori, interpretare la storia,
pretendere il consenso, postulare una Volontà in cui si a- degui il potere al
volere, sul fondamento della certezza e validità immediata e diretta dei valori
mo- rali, e delle esigenze che essi implicano. La formulazione generale di quei
problemi dal punto di vista morale è dunque segnata da questo procedimento:
Quali sono i valori morali; e quali sono le esigenze derivanti dalla loro posi-
zione; se e quali postulazioni di ordine teoretico siano richieste a soddisfare
queste esigenze; se e quale legittimità abbiano le postulazioni teoretiche
fondate sopra di esse. Ma qualunque cosa si pensi di questi problemi e delle
loro soluzioni, sussiste, indipendente da ogni giudizio su di essi, e rimane
stabilita chiaramente e incontestabilmente, la primarietà, la in- dipendenza,
la autoassiomaticità delle valutazioni morali. A fondamento dei giudizi morali
non vi sono e non vi possono essere che dati e postulati di valutazione
morale. 10 L'idea di «potere» è un elemento inespugnabile del concetto di
volontà, perché la volontà è produzione, crea- zione, iniziativa. Dove si
ravvisa o si presume che ci sia o ci debba essere una volontà, ivi si presume
una forza (non è anzi la volontà la prima, e la sola forza, cioè attività che
ci sia rivelata dall'esperienza diretta?); e una forza tanto mag- giore quanto
più grande e difficile è il compito che la volontà si pone. Ed è perciò che
questa forza appare nella forma più chiara, quando il volere morale si traduce
in atto contro gli impulsi di ogni altro genere ed a prezzo dei più gravi
sacrifici; è perciò che il sacrifizio è la prova più alta e la testimo- nianza
più sicura (nell'espressione stupenda del Cristianesimo testimonio è il
martire) della saldezza, della serietà del volere morale. Ed è anche per ciò
che appare inevitabilmente pietoso o ridicolo un volere senza potere; e che il
senso comune si fa beffe dei padri Zappata. Dei due elementi della volontà, la
direzione consapevole e la forza, il senso co- mune è tratto senza esitazione a
fare maggior stima della forza. Ha torto? ha ragione? 28 Su la pluralità
dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta PARTE SECONDA LA PLURALITÀ
DEI CRITERI MORALI 29 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale
Erminio Juvalta CAPITOLO PRIMO IL CRITERIO FORMALE DI VALUTAZIONE DEL KANT
L'indipendenza e l'indeducibilità dei grandi valori morali da qualsiasi
speculazione teoretica fu, come tutti sanno, riconosciuta e affermata, nella
forma piú esplicita e con grandissimo vigore dal Kant. Perciò le conclusioni
riassunte nell'ultimo capitolo sembrano mettere capo alla sua dottrina e alla
soluzione data da lui al problema che l'analisi precedente pone come il
problema veramente centrale dell'etica: quale sia il dato o quali siano i dati
indeducibili della morale; o, che torna lo stes- so: quale sia il criterio (o
quali i criteri) a cui si riconduce la valutazione morale. Bisogna dunque
cercare prima di tutto se questa soluzione sia veramente esauriente. Ma giova
intanto avvertire subito, per evitare le facili confusioni e gli equivoci
indotti da connessioni abituali di idee e di dottrine, che la indeducibilità
dei valori morali, come non implica necessaria- mente i principi e i
procedimenti tenuti dal Kant nel riconoscerla (poiché vi si giunge, come abbiam
visto, anche per altra via), cosí non richiede, per sé, né che si accettino né
che si ricusino le conclu- sioni alle quali si arriva. La connessione fra le
diverse tesi che si raccolgono attorno alla autonomia kantiana può es- sere,
anzi veramente è, nel suo pensiero una connessione necessaria, ma non è
necessaria fuori di esso e fuori del sistema di dottrine che lo esprime. Cosí
il «primato della ragione pratica» nella soluzione dei problemi metafisici non
è una conseguenza logicamente inevitabile della indipendenza e validità per sé
dei valori morali; benché possa essere e sia anzi facilmente accolta da chi
riconosce questa indipendenza e validità. Ciò che si presenta come conseguenza
di questo riconoscimento è il problema della conci- liazione tra le esigenze
della speculazione teoretica e le esigenze della valutazione morale; del qual
problema il primato della ragion pratica esprime una soluzione o traccia la via
per la quale il Kant l'ha cercata. ** * Ma veniamo al punto che ci interessa.
Il concetto fondamentale dal quale il Kant prende le mosse è, come è noto,
quello del volere buono. Il volere buono è il volere che si determina non per
un oggetto, qualunque esso sia, che ab- bia un valore di fine per chi lo vuole
(motivo «patologico»), ma per il dovere: cioè per il rispetto al- la legge
perché è legge; non già in vista di quel che la legge comanda, ossia delle
conseguenze che il volere conforme alla legge apporta. Il rispetto della legge
in quanto è legge, astrazione fatta dal suo contenuto, è dunque il ri- spetto
di ciò che la fa esser legge, della sua validità universale. L'universalità è
la forma della ragione che si pone come esigenza del volere puro; è la ragio-
ne stessa in quanto si manifesta come volontà, è la ragione pura pratica. Se
l'uomo fosse pura ragione, cioè se non fosse insieme un essere sensibile
soggetto a ten- denze, a impulsi di altre specie, il suo volere sarebbe santo,
e non si potrebbe parlare di dovere. In- vece il dovere c'è perché c'è
l'esigenza di conformare l'azione alla ragione e non agli impulsi della
sensibilità. E il volere buono e appunto il volere che posto fra la legge e
quegli impulsi — di qua- lunque specie siano — si determina per la legge, cioè
per l'universalità, che è la forma della volontà razionale. Il criterio supremo
della moralità è perciò espresso nella nota prima formula dell'imperativo
categorico, di cui si dice piú sotto. ** * 30 Su la pluralità dei
postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Come si deve intendere quella
universalità? E basta essa ed essa soltanto a fornire la caratte- ristica della
valutazione etica, a distinguere ciò che vale moralmente da ciò che non vale?
Quando la prima formula dell'imperativo dice: «Opera soltanto secondo quella
massima che tu puoi volere nello stesso tempo che diventi una legge universale»,
— questa possibilità di voler che la massima diventi legge universale può esser
presa in due significati diversi. Può voler dire la possibilità che sia seguita
universalmente senza che l'osservanza da parte degli uni tolga o impedisca o
limiti la possibilità della medesima osservanza da parte degli altri; la
possibilità di pensarla senza contraddizione come legge universalmente valida;
o può significare invece la possibilità che il valore universale della massima
sia riconosciuto senza che questo riconoscimento contraddica o neghi il valore,
che è o si suppone già ammesso, di un principio piú generale; ossia che si
possa volere l'universale validità della massima senza disvo- lere
l'universalità di una massima piú generale che la comprende, e si suppone che
già sia o debba essere ammessa come legge. I due significati sono profondamente
diversi, sebbene possa parere a prima vista che coinci- dano. Che, negli esempi
che dà e nei commenti con cui li accompagna, lo stesso Kant non mescoli qualche
volta i due sensi e non ne oscuri le differenze, non oserei negare; ma non
parmi si possa dubitare che il vero significato inteso e voluto da lui sia il
secondo e non il primo. 1. Se s'intende l'universalità nel primo senso bisogna
riconoscere che: a) non soltanto si può concepire, ma può darsi in effetto che
sia seguita universalmente, una massima senza che perciò se ne ammetta il
valore morale; come per converso: b) può darsi che di una massima di condotta
non sia possibile l'osservanza universale senza che perciò se ne riconosca
l'immoralità. a) Come esempi del primo caso basta citare uno di quelli addotti
dallo stesso Kant (il 3° della Fondazione) in sostegno del criterio
dell'universalità: l'esempio dell'uomo d'ingegno che pre- ferisce il darsi buon
tempo alla fatica di esercitare e perfezionare le sue doti naturali (dove è
chiaro che non vi è nessuna impossibilità di concepire che tutti seguano quella
medesima massima, sebbe- ne questo non importi nessun riconoscimento di valore
morale); e quello (addotto dallo Schopen- hauer contro il Kant) della ragione
del piú forte. Anche qui è possibilissimo ammettere che dappertutto dove vi è
un forte di fronte al debole il primo sopraffaccia il secondo, cioè che la
subordinazione del debole al forte sia fatta valere uni- versalmente come
legge, senza che perciò se ne ammetta la moralità. b) Per converso, tra le
massime che non possono pensarsi universalmente osservate sen- za
contraddizione vi sono non solo massime comunemente riconosciute come immorali,
per esem- pio, che ciascuno possa appropriarsi l'altrui, ma anche massime come
l'opposta: che ciascuno ceda il proprio a vantaggio d'altri. Della quale, se
non gli economisti, almeno San Francesco e i suoi ammi- ratori non metteranno
in dubbio la santità. Ed è manifestamente del pari impossibile pensare
universalmente praticate cosí la seconda come la prima. 2. Ben diverso è il
secondo significato; per il quale la possibilità o l'impossibilità di univer-
salizzare la massima non riguarda l'osservanza, ma la compatibilità o l'incompatibilità
di questa u- niversalizzazione della massima con la volontà che la pone.
Senonché questa incompatibilità (restringo, per semplificare, l'esame alla
forma negativa che è anche la piú importante) può esprimere due specie diverse
di contrasto: può voler dire che univer- salizzando la massima si viene a
togliere la ragione per la quale si è accolta, ossia a negare il motivo
stesso che la giustifica; oppure che si nega il valore di un'altra massima che
già vale, o si ammette che valga o debba valere per la volontà, come legge
universale. I due casi debbono essere considerati a parte e si possono chiarire
facilmente con esempi. 2'. Supponiamo che oggi io, piú forte, trovandomi di
fronte a un debole lo costringa a fare il piacer mio, e che giustifichi la mia
prepotenza con la massima che il forte ha diritto di soggiogare il debole. Se
il motivo, che mi ha indotto a formulare la massima è l'interesse egoistico,
accadrà che in 31 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale
Erminio Juvalta nome di questo stesso interesse io dovrò negare la massima
quando le vicende facciano di me, del piú forte di ieri, il debole di oggi.
Ossia la massima non può essere universalizzata, senza che venga posta con ciò
la possibili- tà che sia negato il principio (cioè il motivo o l'interesse) in
grazia del quale l'ho accolta. 2''. Se si suppone invece che io riconosca
essere nella forza il fattore di ogni elevazione mo- rale, e nell'esercizio
incondizionato di essa il valore morale piú alto, la massima della prepotenza
che approvo quando il piú forte sono io, dovrà essere parimente approvata —
anche se hic et nunc mi dispiaccia — quando il piú forte sia altri; e
l'universalità della massima potrà esser voluta senza contraddizioni, perché si
accorda con il mio supremo criterio morale (che è quanto dire universale) di
valutazione; ossia perché è una forma subordinata di un'altra massima già posta
dal mio volere come legge universale11. Il significato nel quale è preso dal
Kant il criterio della universalizzazione, è, come si è det- to, il secondo; e
propriamente quella forma del secondo che risponde all'ultimo dei casi ora
esami- nati (2"). Né potrebbe cadere sotto qualsiasi altra la
considerazione, che è la sola veramente decisiva, fatta da lui per provare che non
potrebbe essere universalizzata la massima proposta nel 3° esempio, già citato,
dell'uomo che ha ingegno e rinuncia a coltivarlo. «Egli vede bene che senza
dubbio una natura, malgrado una tale legge universale, potrebbe sempre ancora
sussistere, anche quando l'uo- mo (come l'abitatore del Mar del Sud) lasciasse
arrugginire i suoi talenti e non pensasse che a vol- gere la sua vita verso
l'ozio, il piacere, la propagazione della specie, in una parola, verso il
godimen- to; ma egli non può assolutamente volere che questa divenga una legge
universale della natura e che ciò sia innato in noi come istinto naturale.
Perché come essere ragionevole egli vuole necessaria- mente che tutte le
facoltà siano sviluppate in lui». (Fondazione, Parte II). La medesima considerazione
è ripetuta a proposito dall'altro esempio (il 4°) in cui si fa l'ipo- tesi del
brav'uomo, che si propone di non far del male a nessuno, ma quanto
all'adoperarsi nei biso- gni altrui è del parere: ciascuno per sé, e Dio per
tutti. «Quantunque sia possibile che sussista una legge universale della natura
conforme a quella massima, è impossibile di volere che un tale princi- pio
valga come legge della natura»12. ** * Per il Kant dunque l'universalità della
massima non è criterio della sua bontà e del valore morale della volontà che vi
si conforma, se non perché essa è una prova dell'accordarsi della mas- sima
seguita nell'azione con la natura dell'essere ragionevole, con la legge posta
dalla Ragione, che è la legge stessa morale13. Soltanto intesa cosí la formula
(la 3a della Fondazione) della volontà di ogni essere ragionevole che
istituisce per mezzo delle sue massime una legislazione universale, o nei
termini della Critica della ragion pratica (op. cit., p. 30): «Opera in modo
che la massima del 11 Con quel che risulta evidente da questa ipotesi si
accorda il fatto assai notevole della profonda diversità di valore che può
assumere nel nostro giudizio morale la medesima regola pratica, secondoché noi
vediamo dietro di essa un motivo soprasoggettivo e impersonale (anche se
contrario al nostro criterio di valutazione) o un motivo soggettivo e
personale; a seconda che ci appare una massima accettata veramente da chi opera
come norma, o un comodo pretesto o compromesso del momento; cioè a seconda che
vi si trova o no quella condizione necessaria, se non sufficiente, del ca-
rattere morale, che è la coerenza dei giudizi tra di loro e delle azioni coi
giudizi. 12 La ragione di natura egoistica che Kant fa seguire può valere
tutt'al più come un tentativo poco felice di giu- stificare la simpatia dal
punto di vista dell'interesse individuale, ma non varrebbe per sé in alcun modo
a dimostrare l'impossibilità di volere di cui si parla, se non a patto di
identificare (pericolo forse non avvertito) il volere dell'uomo «come essere
ragionevole» col volere del «caro Io». (Il corsivo delle parole sottolineate in
questa e nella citazione precedente è mio, tranne per la parola volere spa-
zieggiata). Cito per la Fondazione della metafisica dei costumi la bella
traduzione del Vidari (Pavia, Mattei Speroni e C., 1910); per la Critica della
ragion pratica mi riferisco al testo originale nella edizione della R.
Accademia di Prussia (Kant's Gesammelte Schriften, vol. V, G. Reimer, Berlin,
1908). 13 Kritik der praktischen Vernunft, I, 1, 1, §. 7, Folg. p. 31 32
Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta tuo
volere possa valere insieme come principio di una legislazione universale»; e
coll'autonomia del volere come principio di tutte le leggi morali e dei doveri
conformi ad esse (op. cit., p. 33). E soltan- to cosí si può intendere come
egli creda di derivare dall'universalità la formula famosa e piú fecon- da (ma
feconda in quanto dà un contenuto all'universalità, non in quanto semplicemente
ne riceve la forma): «Opera in modo da trattare l'umanità, sia nella tua
persona sia in quella di ogni altro, sem- pre ad un tempo come fine e non mai
soltanto come mezzo». Ma intesa cosí l'universalità, essa non esprime che una
doppia esigenza: dell'universale con- formità delle massime alla ragione, alla
legge morale, al volere puro come principio di una legisla- zione universale,
vale a dire, alla legge morale; e della universale validità delle massime come
co- mandi, cioè dell'universalità del dovere. Ma né dall'universale
imperatività delle massime, né dalla universale loro conformità alla legge
morale è possibile ricavare quali sono i modi di operare che le massime
impongono, quale sia la legge universale che la volontà per mezzo delle sue
massime pone a se stessa. Se ora vogliamo, e possiamo ormai farlo
legittimamente, uscire dalla terminologia kantiana e servirci dei termini usati
nella parte precedente, possiamo raccogliere e completare l'analisi del
criterio kantiano in una forma forse piú chiara. ** * I valori morali sono
valori riconosciuti dalla pura ragione, valori che esprimono la volontà
dell'uomo in quanto è essere ragionevole. La esigenza caratteristica sentita
profondamente dal Kant, che i valori morali siano superiori ed estranei ad ogni
interesse egoistico, e apprezzati e voluti per sé, indipendentemente da ogni
considerazione delle loro conseguenze, lo spinge (poiché la volontà come
potenza pratica gli sembra inevitabilmente legata a tendenze e impulsi
sensibili, a fini, cioè a rappresentazioni di conseguenze valutabili solo in
rapporto alla sensibilità del soggetto) a fare dei valori morali degli enti di
ragione, a trarli dalla ragione pura, a fare della ragione pura la ragione
pratica («la ragione pura è per se stessa pratica»). Ma la ragione per quanto si
faccia non dà valori; la ragione esige o impone la coerenza; teo- rica: dei
giudizi fra di loro e con i principi e i dati su cui si fondano; pratica: delle
valutazioni deri- vate e mediate con le valutazioni direttamente date o
postillate, e delle azioni con le valutazioni. Non dà dunque le valutazioni,
sebbene sia tutt'altro che trascurabile, anche per questo rispetto, l'uf- ficio
di confronto, riduzione, subordinazione, unificazione che le è proprio. Non è
meraviglia che a voler cavare, da essa soltanto, i valori morali, non se ne
estragga in ultimo che questa esigenza di una universale coerenza della volontà
con se stessa; esigenza necessa- ria e caratteristica di ogni uomo che sia
persona, perché sottintesa, affermata, voluta (anche quando coi fatti la smentiamo,
ma sempre a malincuore) costantemente, come prova e testimonianza a noi stessi
della unità spirituale, della esistenza e continuità dell'io come persona. Ma
essa per sé non ci dice né che cosa sono i valori, né quali sono i valori sui
quali si fonda e ai quali deve far capo l'esi- genza unificatrice della
coerenza. La ragione appresta, scegliendoli dal groviglio delle conoscenze, i
riti adatti a fornir la trama dell'ordito. Ma i fili dell'ordito, i valori
fondamentali sono dati dalla vo- lontà; né si può derivarne la natura dalla
natura della trama; né dal disegno della tela. ** * Né maggior luce può venire
dalla Volontà come il Kant la concepisce; né dal concetto del Volere puro né da
quello del Volere buono. Il Volere puro, il Volere autonomo, il Volere spoglio
come s'è detto, di ogni impulso sensi- bile, e capace di volere i valori morali
per sé, non può esser per lui che il Volere che vuole la ragio- ne, la ragione
stessa in quanto è pratica, in quanto è forma legislatrice, e non dà che questa
medesi- ma universalità. 33 Su la pluralità dei postulati di valutazione
morale Erminio Juvalta Quanto al concetto del Volere buono, esso aggiunge bensì
alla nota dell'universalità (rispetto della legge perché è legge) la nota
dell'obbligatorietà (un'azione è buona quando è compiuta per il dovere); ma
questa nota è possibile nel volere buono soltanto in causa del conflitto tra il
rispetto della legge morale — col quale si identificherebbe per sé il volere
puro — e gli impulsi sensibili. È dunque un carattere che riguarda la moralità,
non la valutazione morale, e che esprime il pregio la eccellenza la supremazia
dei valori morali in confronto degli altri valori; ma non dice in che
consistano i valori, né donde nasca questa eccellenza (se non dall'universalità
della legge). In ogni caso anche se il dovere è, nella conoscenza dell'uomo
empirico, la ratio cognoscendi della leg- ge, sta però nella legge la ragion
d'essere del dovere e non nel dovere la ragion d'essere della legge. Sapere che
i valori morali debbono essere attuati non è sapere in che consistono, né
sapere perché meritano che si debba attuarli. Che debbano essere scritti con la
iniziale maiuscola tutti i sostantivi che viene imparando, potrebbe anche
essere per uno scolaro tedesco il criterio per distinguerli come tali dalle
altre voci del discorso; ma non è l'obbligo di scriverli con l'iniziale
maiuscola che li fa essere e diventare so- stantivi. ** * Resta da esaminare la
forma che il criterio di valutazione assume nella 2a delle note formule; quella
in cui si assegna alla legge un contenuto cioè un fine; e il rispetto della
legge perché legge, diventa rispetto dell'umanità o della persona umana come
fine in sé. Ma è facile vedere come questa pretesa derivazione dalla prima
formula, o è veramente chiusa nei limiti di una derivazione e non dice nulla di
piú di quella onde è dedotta; o assume dav- vero un contenuto, e questo
costituisce per sé un criterio di valutazione distinto e diverso da quello da
cui si pretende dedurlo. Il quale non si esaurisce piú nell'universalità della
valutazione morale ma richiede un riferi- mento agli oggetti della valutazione;
ed è un criterio non piú formale soltanto, ma anche materiale. Se, anche inteso
cosí, sia adeguato al bisogno resterà da vedere piú innanzi. Il termine che
media il passaggio kantiano dalla legge come forma all'umanità come fine è il
rispetto della natura ragionevole. — Poiché la legge è la ragione, il rispetto
della legge, cioè della ragione, importa il rispetto dell'essere ragionevole,
come tale; della natura di essere ragionevole e della persona umana nella quale
si manifesta a noi questa natura. Si potrebbe già discutere, a rigore, sulla
legittimità di passare dal rispetto della ragione al ri- spetto di una natura
ragionevole, perché ciò che impone rispetto nella ragione è secondo il Kant la
sua forma legislatrice e non il soggetto, qualunque sia, che la porta, e in cui
si realizza questa forma. Tuttavia, finché si pensa l'essere ragionevole come
puramente tale cioè come costituito di sola ragione ed esaurientesi in essa, il
passaggio si riduce in fondo ad una ipostasi, e il contenuto non muta. Ma
quando si deve venire all'uomo, il trapasso è ben diverso. L'uomo è essere
ragionevo- le, ma non tutto, e non soltanto ragione. Ora: quando si dice rispetto
della persona umana, si intende rispetto di tutta la persona in quanto nella
persona si rivela una coscienza uno spirito (che la com- prende sí, ma è ben
lungi dall'esaurirsi nella ragione), oppure si intende la persona in quanto è
essa stessa ragione e null'altro, cioè in quel che ha di universale, di
medesimo in tutti gli uomini, di (co- me si dice, sebbene il dirlo qui paia un
bisticcio) impersonale? Non c'è che da ripetere quel che s'è detto già;
dall'assumere come fine questa persona- ragione vuota di ogni altro contenuto
non si ricava altro criterio che sempre e ancora il rispetto della ragione come
tale. E solo verrebbe fatto di chiedersi se questo inchinarsi davanti alla
persona, soltanto per quel che vi è in essa di medesimezza e di identità con ogni
altra persona e non anche per quel che vi è di 34 Su la pluralità dei
postulati di valutazione morale Erminio Juvalta proprio originale, individuale
e irriducibile, non si assomigli all'inchinarsi davanti a un apparecchio
telefonico per il rispetto dovuto alla voce autorevole che in esso risuona.
Oppure si intende che la ragione (o meglio un Volere razionale) conferisce
dignità all'uomo, a tutto l'uomo, a tutte le facoltà e attività che essa ordina
e fonde nella unità inscindibile del mede- simo e del diverso, del comune e del
proprio, dell'universale e dell'individuale; che non la ragione, ma lo spirito
umano nella interezza delle sue manifestazioni, la coscienza vivente in ogni
persona merita questo rispetto; e allora, allora soltanto, si può parlare di un
contenuto che non si esaurisce nella forma. Ma è troppo evidente che inteso
cosí il rispetto alla persona non si può derivare dal rispetto alla ragione e
alla legge perché legge. Intesa cosí la persona umana, essa non è piú
l'universalità vuota e astratta di una legge fine a se stessa, ma è la sorgente
di quei valori morali dei quali la «ragione» constata la universale validità e
la riconosciuta sovranità sugli altri valori, mette in luce le esigenze,
determina le condizioni di at- tuabilità; (e potrà poi indagare se e come tali
esigenze e condizioni si possano conciliare con quelle degli altri ordini di
valori e in particolare con quello del sapere); di quei valori morali che il
«Volere puro» pone in forma di legge, e il «Volere buono» attua in forma di
doveri. ** * Che per la natura ragionevole dell'uomo si intenda non soltanto la
pura forma della ragione, ma anche altre facoltà, disposizioni, modi di essere
e forme di attività, e che il Volere ragionevole non riconosca come valore
morale soltanto la conformità alla forma della ragione, ma la conserva- zione
l'incremento l'esercizio di queste altre facoltà e attività spirituali, appare
in forma tipicamente significativa nel commento già riferito sopra con
l'esempio (il 3° della Fondazione) a cui si riferi- sce: «Come essere
ragionevole egli (l'uomo) vuole necessariamente che tutte le facoltà siano svi-
luppate in lui, visto che gli sono state date per servirgli ad ogni sorta di
fini possibili». Questo volere dell'uomo ragionevole, che è il volere puro, il
volere autonomo, morale, è dunque il volere che vuole «necessariamente» lo
sviluppo di tutte le facoltà, cioè il volere di cui si pensa e si ammette che
il contenuto sia costituito da valori già dati e riconosciuti senza contesta-
zione come fini di un volere buono cioè come valori morali14. E appare
manifesto che la riduzione del criterio di valutazione morale a criterio
puramente formale suppone che siano già noti, quanto al contenuto, i fini
dell'operare morale; già conosciuti e determinati, quanto all'oggetto loro, i
doveri. E risponde alla domanda: quand'è che l'intenzione del- l'operare è
veramente buona, che un atto è veramente morale? ma non alla domanda: quali
sono le azioni, in cui questa buona intenzione si deve tradurre; quali sono i
fini a cui il volere buono deve rivolgersi; ossia quali sono i valori, nella
cui attuazione fatta con purità di volere consiste la morali- tà? 14 E che
veramente si sottintendano come già noti e riconosciuti è confermato
all'evidenza dall'analisi di ciò che costituisce veramente il presupposto
fondamentale non solo di quella citata ma dalle altre esemplificazioni; con le
quali si prova — non già, come s'è visto, l'impossibilità per sé di
universalizzare — ma l'impossibilità di volere che una tal massima valga come universale.
Infatti la ragione per la quale non si può erigere a massima universale il
principio che chi è stanco della vita può uccidersi (1° esempio) non è già
l'impossibilità di concepire seguíta una tal massima da tutti quelli che sono
stanchi della vita, ma l'impossibilità di volere che sia riconosciuta e
adottata; perché essa implica che si affermi la superiorità del piacere sui
valori morali (dei quali la vita è condizione); mentre, appunto perché li
riconosciamo come morali, af- fermiamo e vogliamo il contrario. Così nel
secondo, il dato contro cui urta la universalizzazione della massima — che sia
lecito promettere con l'intenzione di non mantenere — è la superiorità
sottintesa della sincerità e della lealtà sull'interesse egoistico; e la con-
seguente impossibilità di volere che cessi di essere riconosciuta
universalmente quella superiorità di cui noi siamo certi. Del terzo esempio si
è detto, e si è accennato anche al quarto; nel quale ultimo è sottinteso
manifestamente il valore della simpatia e della benevolenza, che non possiamo
ammettere sia subordinato al valore della propria quiete o dei propri
comodi. 35 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale
Erminio Juvalta Alla quale domanda si presume dunque che la risposta sia già
data dalla coscienza morale. E la risposta è data infatti, e non può esser
data, che da lei. Ma se la risposta non fosse univoca? Se, supposto pari in due
coscienze il rispetto della legge, la legge comandasse all'una quel che vieta o
non comanda all'altra, potrebbe bastare a dirimere il contrasto tra le due
leggi il sapere che il volere è buono quando si determina per rispetto alla
legge, e che la moralità consiste nel compiere il dovere per il dovere?
36 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta
CAPITOLO SECONDO LA DIVERSITÀ DEI CRITERI MORALI Non vi è una coscienza morale,
ma vi sono, a rigor di termini, tante coscienze morali quante sono le coscienze
personali nelle quali sono riconosciuti come supremi e normativi e validi
indipen- dentemente dal flusso momentaneo e variabile delle valutazioni
transitorie e accidentali, certi valo- ri; ed è riconosciuta l'esigenza che il
criterio di valutazione corrispondente possa valere non solo come norma
costante del giudicare e del volere proprio, ma anche come norma costante del
giudica- re e del volere altrui; ossia come norma universale del giudicare e
del volere di ogni persona. Se si ammette o si suppone che quei certi valori
siano per tutte le coscienze i medesimi, si può parlare della coscienza morale,
come una ed identica non solo di forma, ma anche di contenuto; se si ammette il
contrario, si deve riconoscere una pluralità di coscienze morali piú o meno
discor- danti e una pluralità di criteri di valutazione che si presentano alle
diverse coscienze con la medesi- ma autorità di valutazioni morali, cioè con la
medesima forma. Il fascino singolare che esercitò ed esercita la morale di Kant
viene non dal suo formalismo per sé, ma dal fatto che, mentre spoglia e
purifica la moralità da ogni fine materiale e quindi dal pe- ricolo di ogni
considerazione soggettiva, la dottrina è sostenuta e vivificata dalla fiducia
salda e in- crollabile che si debba riconoscere o si possa dimostrare che
dentro quella forma cape, e non può capire che un solo contenuto; dietro quella
legge si debbano trovare infallibilmente i fini che la co- scienza morale
riconosce come buoni, e quelli soltanto. Ma s'è visto che lo sforzo è, e non
poteva non essere, vano. Il criterio formale di Kant sem- bra convenire ad un
solo e unico contenuto, a certi valori ed a quelli soltanto, perché si ammette
già che la coscienza morale sia unica; che la sua voce non soltanto parli in
ogni coscienza con lo stesso tono, ma dica le medesime cose. In realtà il
criterio formale non esprime che l'esigenza della razionalità: una legge non è
leg- ge se non è valida sempre nei medesimi casi; una norma non è suprema se
non a patto che ogni altra norma sia subordinata ad essa; un criterio di
valutazione non è piú un criterio, ma un capriccio, se i miei giudizi di valore
non si accordano costantemente con quello; se io non riconosco legittimo —
fatto da qualsiasi altro — il giudizio che quel criterio esigerebbe da me nel
medesimo caso. Ma è un'illusione credere che possa bastare la razionalità per
sé a distinguere i valori dai non valori; i valori morali dai valori non
morali, a farci riconoscere — senza appello diretto o indi- retto a qualche
dato o postulato non razionale — il valore di un oggetto qualsiasi (di un
contenuto), ideale o reale. Si governa non meno razionalmente l'avaro, quando
giudica ed opera in ogni caso come se il danaro fosse l'unico bene per sé, il
supremo bene, purché riconosca legittimo che ogni altro giudichi e operi allo
stesso modo, di quel che faccia l'esteta quando ragguaglia ogni cosa a un
ideale di bel- lezza, o l'intellettuale che non riconosca altro scopo degno
alla vita che la ricerca della verità. E quando si dice o si crede di
dimostrare che è «contrario alla ragione» non un giudizio apprezzativo che
contraddice al criterio accettato, ma il criterio stesso come tale, non si può
affermare o dimo- strare questa contrarietà se non perché si sottintende che vi
sono — cioè sono riconosciuti e deside- rati — altri valori diversi, superiori
o non subordinabili a quello dal quale è tratto il criterio in que- stione; e
si trova contrario alla ragione che non si tenga conto di quest'altri valori,
che si giudichi e si operi come se questi non esistessero, o fossero inferiori
mentre sono superiori, o incondizionati mentre sono condizionati. Ma se si fa
l'ipotesi che questi altri valori non siano tali per un Tizio che li ignora,
qualsiasi istanza di irragionevolezza contro di lui cadrebbe a vuoto, anzi
sarebbe essa irragionevole. ** * 37 Su la pluralità dei postulati di
valutazione morale Erminio Juvalta Adunque il criterio del Kant non supera,
dato che ci siano, le differenze di contenuto valuta- tivo. Se in nome della
mia coscienza morale io pongo il valore dell'umiltà, e in nome della propria
coscienza morale un'altra persona lo nega, l'universalizzare le massime che
rispondono alle due va- lutazioni opposte non mi fa avanzare d'un passo verso
una soluzione del conflitto, se non a questa condizione: che io creda di poter
dimostrare che una delle massime si accorda e l'altra contrasta con una terza
massima nella quale è affermata l'esigenza di un volere riconosciuto o ammesso
inconte- stabilmente come morale. E si presenta inevitabilmente, senza che sia
possibile eluderla, la domanda: C'è o non c'è questa pluralità di contenuti
discordanti nella valutazione morale? C'è. ** * Si è osservato piú sopra (Parte
I, Cap. 3°) che ogni oggetto ideale o contenuto di valutazione morale ha o può
avere nello stesso tempo valore per altri rispetti, cioè può essere considerato
come un valore di altra specie. Anzi è per questa relazione dei valori morali
con valori di ordine diverso che si è cercato e si è creduto di poter trovare
il fondamento della valutazione, la ragione d'essere del valore morale in una
finalità di natura edonistica (egoistica o altruistica) o noetica o estetica o
religiosa. Se si considera una tale rivalutazione eterogenea come pretesa di
far valere — con questa e per questa ragione — per morale, un valore che non
sia già sentito come morale, il tentativo, è come s'è visto, del tutto illusorio.
Ma se si considera, al contrario, come espressione di una finalità che può
assumere in questa o quella coscienza importanza prevalente, che può o potrebbe
— all'infuori del carattere specifico di eticità per il quale è posto da quella
stessa coscienza come valore morale — essere sentita come su- periore in pregio
ai fini di ogni altro ordine, e degno di subordinarli, essa contiene in sé la
ragione capitale della diversità e discordanza dei fini e dei criteri, che
pretendono di valere ciascuno come supremo nella valutazione del contenuto
proprio dei valori morali. L'esteta si foggia un suo modo ideale di bellezza
per il quale i valori si ordinano da sé in una scala determinata dalle
connessioni di inerenza e di condizionalità degli altri valori, con i valori e-
stetici; e il mistico un ideale di santità, al quale subordina gli altri
valori, accogliendoli e graduando- li in quanto convengono, negandoli in quanto
disconvengono; e cosí lo spirito contemplativo che ama sopra ogni cosa la
verità, e cosí l'egoista calcolatore e l'altruista generoso. I valori che, per
essere morali, hanno già una validità e un'autorità intrinseca che li distingue
dagli altri valori, si vestono di necessità nella coscienza dell'esteta del
mistico e cosí degli altri, di quel particolare colore, che li fa sentire e
riconoscere rispettivamente come valori estetici, religiosi, noetici e via
dicendo; e se continuano a valere per la forma come morali, valgono — per il
contenu- to — soprattutto come valori di quell'ordine che è nella coscienza il
dominante. Basta per convin- cersene badare alle differenze caratteristiche
della motivazione, con la quale ciascuno dei tipi di co- scienza supposto
giustifica a sé e agli altri il valore che riconosce, poniamo, alla temperanza,
o alla forza di volontà, o alla veracità, o ad altra virtù. Ora questo
coincidere e fondersi, quanto al contenuto, del valore morale col valore
dell'ordi- ne che esprime l'orientamento prevalente della coscienza — anche
quando non è in giuoco la valu- tazione etica — non solo conduce alla
transvalutazione notata, ma tende a indurre insieme un pro- cesso di
transvalutazione inversa; cioè a dar colore e calore di convinzione e di
apprezzamento mo- rale ai valori di quell'ordine, a riconoscerli come morali e
a pretendere che siano riconosciuti per tali anche dalle persone, nelle quali
non si afferma il medesimo orientamento. Ed è istruttivo (e non è sfuggito agli
umoristi) il calore col quale parla di diritti offesi e ri- vendica gli
interessi sacrosanti della giustizia l'egoista gretto che vede frustrato un suo
piccolo cal- colo ingegnoso che aveva a mala pena il pregio di non urtare nel
Codice penale; e quello (sia pure 38 Su la pluralità dei postulati di
valutazione morale Erminio Juvalta di dignità fuor di paragone diversa)
dell'artista, che grida allo scandalo e invoca un preciso dovere dello stato a
reprimerla, se offenda il suo senso estetico, la trascuranza per un tronco di
colonna di- menticato. E si potrebbe continuare, in modo anche piú evidente,
per gli altri. Cosí ciascuno degli orientamenti valutativi tende ad allargare
nella direzione corrispondente la sfera dei valori morali, includendovi un
contenuto proprio diverso, e non coestensivo al contenuto di ciascun altro. E
perciò accade che i diversi sistemi di valutazione — animati come sono e
pervasi da un interesse tipicamente diverso — abbiano in realtà in comune
soltanto una parte di quei valori che ognun d'essi, per l'esigenza sua propria,
riconosce come morali; abbiano cioè comuni soltanto quei valori morali che sono
nello stesso tempo valori diretti o indiretti del proprio genere, o che al-
meno non contrastano e non negano quella propria specifica esigenza. I diversi
sistemi assomigliano cosí a cerchi eccentrici di vario raggio che si
intersechino fra di loro; dei quali è minima la superfi- cie comune a tutti, ed
è sempre piú grande la parte d'estensione rispettivamente comune a un nume- ro
di cerchi minore; e in misura variabile, secondo che sono meno o piú eccentrici
fra di loro. ** * D'altra parte, anche la coscienza nella quale l'orientamento
tipico è dato dall'interesse stesso morale (la coscienza dell'homo ethicus) si
trova a dover considerare nei valori estetici religiosi intel- lettuali
economici il valore morale diretto o indiretto che assumono o possono assumere
in grazia di relazioni analoghe a quelle considerate sopra (il valore p. es.
che l'attività scientifica e l'estetica e le doti richieste e promosse da
questa attività possono avere per la cultura morale). E non solo: ma per la
considerazione felicemente messa in evidenza dal Moore sul valore organico (il
«quanto» per il quale il valore di un tutto eccede il valore di uno dei suoi
fattori non è necessariamente eguale a quello del fattore che rimane: ethics,
Cap. VII: Intrinsic value), si trova a dovere apprezzare diversamente l'oggetto
ideale della valutazione morale, quando esso è nello stes- so tempo oggetto di
una valutazione diversa, intellettuale, per es., od estetica. (Non è senza
signifi- cato anche per questo rispetto che il Sommo Bene sia stato
identificato col Sommo Bello). Si aggiunga finalmente (il «finalmente» chiude
ma non esaurisce le osservazioni su questo proposito) che il carattere di
interiorità dei valori morali, il quale si fa tanto piú spiccato quanto piú la
coscienza personale è concepita come sorgente e creatrice autonoma dei valori,
tende a staccare, anche nella coscienza dell'homo ethicus, il valore morale
dagli schemi che esprimono una esteriore conformità alla valutazione, per
riconoscere un pregio preminente alle note interiori di spontaneità, di
libertà, di autonomia; il che porta ad estendere la dignità intrinseca dei
valori morali anche a que- gli altri valori spirituali nei quali splende un
raggio di quelle medesime luci; e non tanto a distingue- re i valori morali da
altri valori spirituali, quanto a distinguere il contenuto interiore e
spirituale dei valori dal contenuto esterno e materiale nel quale si traducono.
** * Cosí nella coscienza personale si attenua e si fa piú incerta, e
trasmutabile per molti modi, la distinzione tra i valori morali e gli altri
valori spirituali. In altri termini: mentre, si può dire a un di- presso, dal
trionfo dell'etica cristiana fino al Kant la valutazione morale aveva avuto per
le diverse coscienze della stessa civiltà e cultura un contenuto comune
determinato e costante (e, in ogni caso, la parte di contenuto sulla quale
cadeva il dissenso finiva per essere praticamente quasi trascurabi- le), a
partire dalla «Dichiarazione dei diritti» della Rivoluzione francese, si
delinea e si allarga nel campo della valutazione morale una sempre maggiore
differenza di contenuto tra coscienza e co- scienza; e si fa piú frequente e
piú profondo il contrasto tra i criteri di valutazione rispettivamente accolti
come supremi. E i sistemi nei quali i valori morali sono ricondotti a un
criterio intellettuale, o estetico, o re- ligioso, o etnico, o umanitario, o
filogenetico, o solidaristico, o egotistico, o quale altro si voglia, non sono
piú, guardati per questo rispetto, tentativi dispersi, ma, per cosí dire,
paralleli di giustifica- 39 Su la pluralità dei postulati di valutazione
morale Erminio Juvalta re o di «fondare» il valore di un medesimo contenuto;
essi esprimono invece, nella parte forse mag- giore e piú significativa, una
diversità di contenuti contrastanti; e soltanto in parte un contenuto co- mune,
che si colora pur esso diversamente, secondo la fiamma a cui si riscalda.
Perciò, considerata nell'interiorità della coscienza personale, la parte di
contenuto etico nella quale essa sente di concordare colle altre non ha per sé
autorità maggiore o diversa delle parti per le quali discorda. A meno che la
coscienza stessa possa o debba riconoscere, senza abbandonare il proprio
criterio di valutazione, una qualche differenza, se non di natura, di grado, tra
quella e que- ste. 40 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale
Erminio Juvalta CAPITOLO TERZO LA CONDIZIONALITÀ NEI VALORI MORALI Se si
suppone, per un'ipotesi inverosimile, che lo spirito filantropico, lo
speculativo, il reli- gioso, l'estetico, non riconoscano rispettivamente altri
valori all'infuori di quelli che si possono commisurare al criterio di
valutazione proprio di ciascheduno, si troverà tuttavia che certe doti spiri-
tuali, poniamo, l'alacrità, la tenacia, il dominio di sé, l'ardimento, sono e
debbono essere considerate come valori da tutti indistintamente i tipi
supposti; perché tutti (nell'ipotesi, sottintesa, che siano in- telligenti)
debbono riconoscere che quelle doti personali sono condizioni o indispensabili
o som- mamente utili alle forme di attività corrispondenti, cioè all'attuazione
di quell'ordine di valori che ciascuno ha posto a sé come tali. Per la medesima
ragione si troverà (la deduzione è troppo ovvia perché occorra piú che l'ac-
cenno) che debbono essere riconosciuti come valori il rispetto della integrità
e della libertà persona- le, l'osservanza dei patti, lo scambio dei servizi e
via dicendo, e con essi i costumi, le istituzioni, le leggi che assicurano la
conservazione e l'incremento di queste condizioni sociali; e le disposizioni di
spirito (lealtà, imparzialità, simpatia) che ne avvalorano il rispetto nella
coscienza personale. Adunque tutti i tipi suddetti, e gli altri che si
potrebbero analogamente supporre, saranno portati a riconoscere e ad apprezzare
in sé e negli altri — astrazion fatta da ogni valutazione morale — dei valori,
sia propriamente personali (doti della persona che possono sussistere nel
soggetto in- dipendentemente dal suo atteggiarsi rispetto ad altre persone);
sia sociali (doti che riguardano questi atteggiamenti); valori che nascono dal
rapporto di condizionalità costante che li stringe a ciascuno degli ordini
supposti. Di piú: il rapporto di condizionalità dal quale viene ai valori
citati in esempio il carattere di strumentalità, è diverso, come è facile
vedere, da quella strumentalità esterna accidentale e variabile che lega il
blocco di marmo all'opera dello scultore, o la conferenza di propaganda al
disegno del- l'altruista, o un libro agiografico all'interesse del mistico, o
la scala dell'Osservatorio agli studi del- l'astronomo: appunto perché là si
tratta di condizioni preliminari indispensabili e permanenti, il cui valore non
solo non si esaurisce nell'atto singolo che ne dipende, ma non è sostituibile
da alcun altro strumento o condizione. È dunque una condizionalità necessaria,
permanente e insurrogabile, in forza della quale ciascuno dei detti tipi dovrà
riconoscere a siffatti valori condizionanti una superiorità, se non di pre- gio
intrinseco, di precedenza imprescindibile sui valori diretti e finali che ne
dipendono. ** * Non occorre lungo discorso per intendere come per effetto del
medesimo rapporto il filan- tropo potrà essere condotto a riconoscere i detti
caratteri di condizionalità anche a qualità attitudini forme di attività, alle
quali o non potrà attribuirli o dovrà forse attribuire un valore negativo, o di
o- stacolo, ossia un disvalore, il mistico o l'esteta; e inversamente; e come
perciò sarà possibile una di- stinzione tra i valori propri esclusivamente di
ciascun tipo di valutazione, e i valori condizionanti comuni a qualsiasi
ordine, dato (come gli esempi citati dimostrano possibile) che ve ne siano di
co- siffatti. Questi valori comuni avranno dunque oltre ai caratteri già
notati, anche quello di essere strumentali rispetto a quale si voglia criterio
di valutazione che sia posto come normativo; cioè a- vranno una condizionalità
universalmente necessaria permanente e insurrogabile. ** * 41 Su la
pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Aggiungiamo ora
un nuovo elemento all'ipotesi; e supponiamo che tanto il filantropo quanto lo
speculativo e il mistico e l'esteta riconoscano, ciascuno, come l'ordine dei
valori morali, quell'or- dine di valori che risponde alla direzione tipica
della propria coscienza. Accadrà che la valutazione morale dell'uno coinciderà
quanto al contenuto con la valutazione morale di ciascun altro soltanto per
quei valori nei quali si riscontra la sopraddetta condizione; e che mentre
ciascuno interiormen- te riconoscerà come una esigenza morale l'attuazione di
tutti i valori posti e dichiarati dalla sua co- scienza a lui come morali,
dovrà riconoscere in pari tempo, che, per le volontà per le quali vale co- me
normativo un ordine di valori diverso, la detta esigenza non comprende tutti
questi medesimi va- lori, ma soltanto quelli la cui strumentalità condizionale
è universalmente necessaria. Cioè dovrà ri- conoscere che, esteriormente alla
propria coscienza, l'imperatività del proprio criterio è limitata a questa piú
ristretta sfera di valori. In altri termini, non potrà esser posto come
criterio morale e co- mune se non un criterio di valutazione che assuma, come
universalmente validi e costantemente su- bordinanti ogni altro valore, quei
valori appunto nei quali si riscontra la detta priorità condizionale; ma che
insieme non neghi, e non escluda i valori morali propri di ciascuna coscienza
in particolare, cioè nessuno di quegli ordini di valori, nel quale si inquadra
e si giustifica per ciascuna coscienza individuale quel contenuto comune. ** *
Si delinea dunque, per la riflessione critica obbiettiva, una distinzione tra i
valori la cui at- tuazione è riconosciuta come un'esigenza universale e
costante per qualsiasi coscienza capace di moralità, e i valori la cui
attuazione è un'esigenza soltanto per la coscienza che li pone a sé come
morali; tra i valori per i quali ogni coscienza può riconoscere legittima una
legislazione esterna che ne imponga la validità; e i valori dei quali una
legislazione esterna deve soltanto non escludere la possibilità; tra i valori
che possono essere oggetto di una obbligazione a un tempo interna ed ester- na,
e i valori che, non possono essere oggetto che di una obbligazione interna. **
* Gli esempi addotti in principio di questo capitolo per chiarire il concetto
di un contenuto comune universalmente valido, non rispondono a una
determinazione rigorosa; e hanno soltanto un carattere provvisorio di
opportunità. Se ora cerchiamo di fissare con precisione quali sono propria-
mente i valori che lo costituiscono, troveremo facilmente che essi si assommano
in due condizioni riconosciute in effetto (e non potrebbe essere altrimenti)
come valori primari fondamentali da ogni sistema morale: la libertà e la
giustizia. La libertà esprime l'esigenza delle condizioni soggettive necessarie
a fare dell'uomo una per- sona padrona di sé di fronte a sé e di fronte a ogni
altra persona; la giustizia esprime l'esigenza delle condizioni obbiettive
necessarie all'esercizio universalmente efficace di questa libertà. L'attuare
in sé e in ogni altra persona questi valori di libertà e di giustizia (ed i
valori impli- citi in questi) deve dunque essere riconosciuto come un dovere
universalmente valido, anzi come il solo dovere (o la sola categoria di doveri)
veramente universale. Ma qui è da notare una circostanza rilevante. La libertà
non è una condizione di fatto, un possesso dato; ma è, come vide e affermò
fervi- damente il Fichte, una conquista da fare, una idealità che si viene
realizzando e che richiede sforzi sempre nuovi e impone sempre nuovi doveri. E
il medesimo è da dire della giustizia che è lo spec- chio sociale della
libertà. Ora se il valore della libertà e della giustizia (e la validità dei
doveri che ne derivano) consi- ste, come apparirebbe dalla deduzione fattane
qui, soltanto nel loro essere condizione necessaria ad ogni ordine di valori; è
continua ed inevitabile la possibilità di un contrasto nella coscienza dell'in-
tellettuale, dell'esteta, dell'altruista, tra l'interesse sempre presente,
diretto della conoscenza o della bellezza o della simpatia e i doveri mediati e
indiretti della libertà e della giustizia; o, in termini ge- 42 Su la
pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta nerali, tra i
valori diretti e per la coscienza individuale supremi, e i valori che per lei
appaiono sol- tanto indiretti e strumentali. ** * Cosí obbiettivamente
nell'ordine di una possibile legislazione esterna, sarebbero doveri pri- mari,
soli veri doveri, quelli appunto che soggettivamente per la legislazione
interna di molte se non di tutte le coscienze individuali, valgono come doveri
derivati, cioè tali soltanto in grazia di doveri d'altro ordine, dei quali
l'obbligatorietà esterna tutela subordinatamente, ma non impone l'osservan- za.
E resta in ogni caso la questione: Quei valori che una coscienza riconosce come
valori in sé, e a cui commisura gli altri valori sono posti ad arbitrio?
43 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta
CAPITOLO QUARTO IL PRESUPPOSTO DI OGNI VALUTAZIONE MORALE E L'OPPOSIZIONE
FONDAMENTALE DEI CRITERI La distinzione stabilita nel capitolo precedente
implica che siano valori morali diretti, cioè supremi e normativa per ogni
coscienza, soltanto quelli che la coscienza stessa pone a sé e ricono- sce come
tali; e non dà ragione del fatto che siano posti e riconosciuti come valori
morali diretti, cioè valori per sé, anche quei valori di libertà e di giustizia
che appaiono, nella deduzione che se n'è fatta qui sopra, come valori morali
universali soltanto in grazia del rapporto necessario di preceden- za
condizionale che li lega ai primi. E ciò significa che la distinzione stessa
non ha che un valore provvisorio, finché non si ammette quella tesi, e non si
dà ragione di questo fatto. ** * C'è, sottinteso, nella tesi del resto inevitabile
— che siano valori morali per ciascuna co- scienza quei valori che essa pone a
sé come supremi e normativi, qualche presupposto? E qual è questo presupposto?
Non è difficile scoprirlo. Perché un ordine di valori, diciamo per comodità di
espressione, una idealità, sia riconosciu- ta da una coscienza come suprema e
normativa si richiedono due condizioni imprescindibilmente: 1° che la detta
idealità possa costituire un criterio di valutazione atto a subordinare ogni
altro valore, a dare unità coerente alle valutazioni e a segnare una direzione
costante alla volontà; 2° che essa sia in effetto posta dalla volontà come
suprema e riconosciuta degna di diri- gerla; e perciò che l'attuazione di
quella e la esclusione di ogni atto che la neghi sia sentita come un esigenza
incondizionata (esigenza di non smentire con la volizione la volontà, con
l'atto la valuta- zione); e sia sentito o posto idealmente come dovere il
subordinare ad essa ogni altro valore e il ne- gare ogni interesse che
contrasti con quello. Ma queste due condizioni sono le condizioni stesse che
fanno dell'io temporaneo disgregato e molteplice una unità, cioè una Volontà
consapevole e coerente, un carattere, una persona; sono in una parola le
condizioni della personalità. Riconoscere il valore supremo di ciò che
costituisce l'unità personale, di ciò per cui l'indivi- duo si afferma ed
esprime la sua volontà di essere persona, implica dunque il presupposto del
valore diretto, originario, incomparabile e incommensurabile, cioè assoluto,
della persona umana, come volontà di essere tale e come coscienza di questa
volontà. Questo valore per sé, intrinseco e assoluto della persona, è dunque il
presupposto implicito, il postulato sottinteso in ogni valutazione morale;
perché non si può riconoscere il valore morale di nessun oggetto o fine o
idealità senza postulare il valore della volontà personale che lo pone, e fuori
della quale non avrebbe senso l'esigenza normativa che lo fa essere morale. Ed
è vana, anzi in sé contraddittoria, ogni discussione sulla sua legittimità.
Perché discutere di questa legittimità non è possibile senza ammettere e
postulare come dato e fuori di ogni contesta- zione, qualche valore intrinseco,
al quale si possa riferire e col quale si possa confrontare e commi- surare il valore
in discorso. E poiché il valore che dovrebbe servire di termine di confronto e
di dato incontestabile per giudicarlo, implica necessariamente la validità di
ciò che deve essere giudicato, cioè la legittimità del presupposto del quale si
discute, ogni contesa assiologica intorno ad esso si avvolge irrimedia-
bilmente in un circolo vizioso. Avviene, mutatis verbis, qualche cosa di
perfettamente analogo a quel che accade nel campo della conoscenza, quando si
discute del valore teorico della ragione. Ogni critica presuppone neces-
sariamente la validità di quella ragione che è chiamata in causa. 44 Su
la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta ** * Bisogna
dunque accettare o respingere la legittimità del presupposto; accettando o respin-
gendo insieme ciò che si regge sulla sua validità. Non c'è via di mezzo
possibile. Ricusarlo vuol dire negare ogni valore morale; accettarlo vuol dire
riconoscere valore morale a ciò che costituisce la personalità, a ciò che le è
essenziale, e che la fa essere non la personalità astratta e comune che non
sussiste per sé e non basta a costituire questa o quella persona, la mia
persona; ma la persona individuata viva e concreta, in quel che ha di
universale e di comune e in quel che ha di proprio, di suo, di individuale;
l'umanità non dell'uomo genere, dell'uomo tipo, ma di questo o di quell'uomo.
In quanto è uomo, senza dubbio; ma anche in quanto è questo. L'uomo-ragione dà,
come s'è detto e ripetuto, la sola coerenza. Non è poco, ma non è tutto. L'uomo-volontà
pone questa coerenza come legge del mio valutare e del mio fare, impone a me
che l'idealità posta e riconosciuta come suprema valga veramente come suprema,
che io ne af- fermi il valore intrinseco, ne approvi o ne accetti le esigenze
sempre dovunque si presentano, in me e fuori di me; mi impone, in una parola,
di essere persona; e di volere che ogni uomo sia persona. Ma non è ancor tutto.
Quel che io devo essere per valere come persona, l'idealità che deve dare unità
al mio io, e in cui si esprime non la volontà in genere, ma la mia volontà di
essere perso- na, è posta da questa mia volontà ed ha valore per me perché è
posta da lei. Certo, la mia coerenza deve essere e non può essere altro che la
coerenza della ragione; l'e- sigenza che la mia volontà impone a me di essere
persona è quella medesima esigenza che la volon- tà di ciascun altro (capace di
moralità) impone a lui, e che a me e a lui e a ciascun altro impone il rispetto
della persona come tale; ma l'una e l'altra esigenza non investono il medesimo
contenuto spirituale in me e negli altri. Limitano le categorie di valori,
nelle quali l'io può attingere l'idealità regolatrice, ma non determinano per
tutte la medesima idealità. La mia volontà deve — per far di me una persona —
uniformarsi a quelle due esigenze che sono le esigenze necessarie e costanti di
ogni personalità (non solo reale, ma anche fittizia); e deve perciò superare
l'io transitorio, l'io degli interessi momentanei e mutevoli (dei quali non si
misura il valore che dal loro effetto su di me), e appuntarsi in una idealità
che le sia norma; ma non può usci- re di sé per diventare una volontà diversa,
non può cessare di essere quella certa volontà, che fa di me non la persona
umana in generale, ma la mia persona. Insomma non può volere l'unità se non di
quello spirito di cui è la volontà. ** * Ma quale è la prova che questa
idealità non è un capriccio dell'io transitorio e mutevole, ma è veramente
legge delle mie valutazioni e delle mie azioni? La prova non è e non può essere
data se non a me stesso, da me, dall'attestazione della mia coscienza. Ed è
perciò che la legittimità dei valori posti da me non è contestabile da altri né
control- labile. Ma vi è tuttavia una prova esterna, di fatto, tenuta
normalmente valida nel giudizio comune; e che è veramente necessaria, anche se
non è sempre sufficiente; e questa prova è il sacrificio. Ap- punto perché il
sacrificio attesta che ogni mia facoltà, ogni mio potere si raccoglie e si
appunta nella volontà di attuazione di quel valore; e che io nego e respingo da
me ciò che mi costringerebbe a ne- garla. Cosí è che il valore della vita si
misura dal valore di ciò a cui si è disposti a sacrificarla; e che, per
converso, l'esser pronti alla morte apparisce l'affermazione piú decisiva del
valore di ciò a cui si è devoti. ** * 45 Su la pluralità dei postulati di
valutazione morale Erminio Juvalta Le esigenze costitutive della personalità si
attuano dunque informando di sé un contenuto spirituale che è sempre in qualche
parte proprio e caratteristico di ciascuna coscienza individuale; come raggi di
una medesima luce che tralucono per cristalli diversi; e ciò fa di quel
particolare con- tenuto la condizione o il mezzo per il quale la personalità si
pone e si realizza nell'io individuale e concreto; la materia che si suggella
di quella forma. E il valore morale di questo contenuto nasce da questo suo
essere lo strumento il tramite, per il quale si esprime nella coscienza
individuale il valore assoluto della personalità umana. Per tal modo
l'idealità, nella quale si concreta per la coscienza delle persone singole il
crite- rio o la legge della valutazione morale, costituisce per ciascuno
l'affermazione della unità spirituale della sua volontà di essere persona,
della sua libertà. Cosí la libertà, che nella deduzione esteriore ed empirica
del capitolo precedente acquista valore solo strumentalmente universale e
necessario, in quanto l'attuazione dei valori di libertà ap- pare la condizione
comune e imprescindibile della attuazione di ogni ordine di valori, è invece
qui valore per sé immediatamente universale; e sorgente di quegli stessi valori
che valgono per le co- scienze singole come supremi soltanto perché sono lo
strumento del realizzarsi di essa libertà in cia- scheduna. È, quindi, la
sorgente cosí dei valori costitutivi della personalità in astratto, come dei
va- lori costitutivi delle diverse personalità in concreto; cosí dei valori
universali della persona ideale come dei valori propri della persona reale. Nel
presupposto stesso di ogni valutazione morale ha dunque radice cosí l'esigenza
dell'uni- versale come l'esigenza dell'individuale; l'esigenza di una
valutazione comune e l'esigenza di una valutazione singolare e propria; ossia
l'esigenza che la volontà personale si affermi ad un tempo, come riconoscimento
dell'una e dell'altra, o, meglio, dell'una nell'altra. L'imperativo della
libertà è ad un tempo: sii persona, e: sii la tua persona; sii uomo, e: sii
quel che tu devi essere per essere uomo; rispetta l'umanità, e: rispetta in te
e in ogni altro l'espres- sione individuale e concreta dell'umanità. ** * A
nessuno verrà in mente di credere che si intenda di stabilire cosí il dovere di
creare nuovi valori, di affermare nuove intuizioni morali; e porre accanto al
dovere di essere giusti, quello di es- sere originali. Sarebbe come voler
obbligare uno scienziato a fare delle scoperte, almeno nel senso che si suol
dare comunemente alla parola. Le intuizioni morali nuove, come le scoperte
scientifiche, come le nuove forme di arte, si presentano a chi... le trova.
Spiritus flat ubi vult. Ma vi sono, in un certo senso piú modesto, come nella
ricerca scientifica le piccole continue scoperte di indagatori e di studiosi
mediocri ma coscienziosi, che cavano e puliscono la selce e tem- prano
l'acciarino, dai quali l'uomo di genio farà sprizzare la scintilla, cosí nella
vita morale le picco- le nuove intuizioni e nuove interpretazioni, e
connessioni, ed elevazioni di valori morali, che prepa- rano il solco alla
semente dei grandi. Vi è, a guardar bene, perfino nell'apparente applicazione
mo- notona di una medesima massima alla medesima classe di azioni, un'impronta,
un segno, una sfu- matura, nella quale si rivela l'originalità morale della
persona; originalità di finezza, di delicatezza, di grazia, di abnegazione, di
calore, di fantasia, di acume; gradazioni e colorazioni diverse di valori noti,
combinazioni nuove di pregi prima disgiunti. Ciò che è proprio di una persona
anche comune (sia venia al bisticcio) non è tanto il rivelarsi di una
proprietà, o dote, o qualità diversa; di un nuovo elemento di valore (che non è
novità frequente neanche nei grandi); quanto questo modo, col quale si
raccolgono, si mescolano e si fondono per lui in sintesi nuove i valori
elementari già intuiti. Ciò che è caratteristico dell'individuo consiste anche
qui, se si dà alla parola il suo significato originario, in una
«idiosincrasia». ** * 46 Su la pluralità dei postulati di valutazione
morale Erminio Juvalta Queste minori e, nella loro infinita varietà
inafferrabili, differenze individuali, si raccolgono però, come accade, attorno
a tipi diversi, segnati soprattutto dal prevalere, conforme a quel che si è
accennato già, di un ordine di valori sugli altri. Dal che possono derivare non
solo differenze assai grandi, ma opposizioni recise. E qui sta appunto la
sorgente dei contrasti tra valutazioni morali diverse, di fronte ai quali la
critica non può fare che opera di constatazione e di sistemazione. Come possa
adempiere a questo ufficio e quali frutti se ne possano attendere non è qui il
luogo di esaminare. Qui importa solo notare come questa indagine e sistemazione
critica non potrà che presenta- re, nella forma tipica piú compiuta e recisa e
col massimo rilievo, i contrasti che sorgono natural- mente dal prevalere,
nella unificazione morale della coscienza personale, di uno piuttostoché di un
altro ordine di valori, e dalla misura di questa prevalenza. Ma la forma
fondamentale sarà data dal contrasto tra i valori universali morali — i valori
di libertà e di giustizia — e quelli che valgono come supremi (cioè che
pretendono, come i morali, la direzione suprema della valutazione), nella
coscienza individuale. Se la libertà e la sua sorella germana, la giustizia,
fossero patrimonio acquisito e non come è, come deve essere, una conquista
faticosa del genere umano che dura e durerà nei secoli, il problema non
esisterebbe se non nella forma di esigenza della conciliazione di quei valori
spirituali che non si presentano come necessariamente e universalmente morali.
Problema formidabile anche questo, ma non tale da segnare una antitesi di
criteri non conci- liabili; antitesi che rende necessaria la subordinazione
dell'uno dei due all'altro, ma che può legitti- mare nella coscienza personale
cosí l'una come l'altra soluzione. Questa antitesi è, in breve, tra i valori di
giustizia e i valori di cultura; tra l'esigenza che ogni uomo sia o possa
diventare persona, cioè volontà libera consapevole e coerente, e l'esigenza che
si accresca e si arricchisca di nuovi valori l'uomo che è già persona, che è
già, se non l'uomo libero del Fichte, l'uomo che ha coscienza del suo dover e
del suo poter farsi libero, e che vi tende come al suo supremo valore. È, in
termini forse meno precisi ma piú recisi, l'antitesi tra il numero e la
qualità, tra l'esten- sione e l'intensità; tra il dovere di rendere partecipi
(di porre la possibilità che si facciano partecipi) dei valori di libertà —
accessibili soltanto ad alcuni —, quelli che non ne sono partecipi, e il dovere
di accrescere in quelli che già li possiedono i valori di cultura, che sono
pure, almeno mediatamen- te, incremento dei valori di libertà. L'umanità (la
persona umana) si rispetta elevandone in sé e negli altri il valore; si eleva
cosí nell'uno come nell'altro dei modi anzidetti. Le due vie sono convergenti?
Speriamo che siano; ma, nella valutazione presente, tra l'incremento di una
cultura, dalla quale sono esclusi i piú tra quelli che pur ne sono strumento
necessario, e la possibilità di togliere o scemare questa esclusione, quale è
l'esigenza morale prevalente? Dire che la cultura dei pochi è necessariamente
elevazione di tutti, o dire che l'elevazione di tutti è necessariamente
incremento della cultura, è baloccarsi con parole; è un ripetere su un altro
verso le vecchie coincidenze del bene generale col bene individuale. Il dire
non basta a porre in es- sere quel che si dice. 47 Su la pluralità dei
postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO QUINTO15 L'ATTUAZIONE
DEI VALORI MORALI E I RAPPORTI DELLA MORALE CON LA POLITICA E LA RELIGIONE 1. -
Alla distinzione fondamentale che ha origine nel presupposto stesso di ogni
valutazione morale (il valore assoluto della persona umana), tra valori morali
universali e valori morali pro- priamente personali, corrisponde naturalmente
una distinzione nel carattere di obbligatorietà che as- sume rispettivamente
nella coscienza l'attuazione degli uni e quella degli altri. Ai primi
corrisponde, o si concepisce che debba e possa corrispondere una obbligatorietà
ad un tempo interna ed esterna, ai secondi solamente una obbligazione interna.
In quanto la società or- ganizzata, lo stato, il Potere politico è posto come
potere che fonda e garantisce le condizioni ester- ne della moralità, l'ideale
politico è una derivazione necessaria e un elemento dell'idealità morale; e
rivestendo per tutti ugualmente il medesimo carattere formale di Potere giusto,
cioè di Potere la cui esistenza e validità è affermata e voluta in grazia
dell'esigenza morale a cui soddisfa, assume tutta- via per ciascuno un
contenuto in misura maggiore o minore diversa, secondo il modo nel quale è
concepita la giustizia che si potrebbe dir costitutiva; cioè la giustizia come
posizione e conservazio- ne delle condizioni esterne necessarie alla libertà di
tutti. È notissimo, e sarebbe superfluo chiarire questo punto, che qui si
disegnano due orientamen- ti di coscienza diversi e in alcuni, se non tutti i
postulati pratici, opposti; e due concezioni politiche corrispondenti, tra le
quali intercorrono gradazioni varie di partiti. E sono: l'indirizzo che prende
norme dal liberalismo conservatore: — la giustizia è la garan- zia della
libertà di tutti nelle condizioni sociali storicamente date e quello che prende
impropria- mente nome dal socialismo16: — la giustizia è la costituzione di
condizioni sociali tali che ciascuno trovi in esse la medesima possibilità
esterna di valere come persona — (che coincide con l'interpre- tazione piú
universalmente radicale della famosa seconda formula della Fondazione di Kant).
Ciò che qui importa di notare è piuttosto che in essa si rivela una forma del
conflitto fonda- mentale di cui si è toccato, nel modo di intendere la
conciliazione o meglio la subordinazione delle due esigenze costitutive della
personalità: l'esigenza universale e l'esigenza individuale. Senonché, appunto
perché il conflitto tra queste due esigenze è considerato soltanto in rela-
zione alle condizioni esteriori, esso prende quanto alla forma veste giuridica
e quanto al contenuto natura economica; si presenta come negazione o posizione
nel Potere politico della facoltà di sotto- porre ad una legislazione esterna
il possesso e l'uso dei mezzi di produzione e i modi di distribuzio- ne della
ricchezza. La quale limitazione del carattere del conflitto è dovuta non
solamente e non tanto all'abbas- samento inevitabile che ogni idealità subisce
nel tramutarsi da esigenza etica in programma politico, quanto ad una necessità
intrinseca alla costituzione stessa del Potere e alle condizioni della sua
vali- dità. ** * 15 Questo capitolo presenta soltanto nei suoi lineamenti più generali
una materia che deve essere trattata diste- samente a parte 16 Il quale dal
punto di vista etico trova, e non potrebbe essere altrimenti, (come si è notato
sopra, P. I, Cap. IV, B) la sua giustificazione in una finalità di contenuto
individuale. È individualismo; universalistico si, ma individuali- smo. Una
prova di ciò assai significativa è appunto la deduzione che il Fichte fa dal
dovere che ciascuno ha di attuare in sé la massima libertà, del diritto alla
formazione ed educazione morale di sé, alla cultura, ai mezzi necessari alla
cultura, al lavoro. Insomma, ai medesimi postulati del socialismo; salvo che
là... sono detti in modo diverso. 48 Su la pluralità dei postulati
di valutazione morale Erminio Juvalta Nell'esemplificazione introdotta qui sopra
(Parte II, Cap. III) si è supposto che l'idealità normatrice potesse avere per
contenuto un ordine di valori noetici o estetici o religiosi o edonistico-
altruistici, ma non si è considerato distintamente il caso che l'ordine
normativo dei valori fosse dato dall'edonismo egoistico; perché esso,
nell'opinione comune, che risponde anche solitamente a veri- tà, non presenta
quei caratteri formali di validità morale e di esigenza normativa, con i quali
può, o si concepisce che possa, presentarsi nella coscienza il contenuto
costituito dagli altri ordini di valori. Ma questo non toglie che anche
l'egoismo possa erigersi a massima di condotta, a principio normativo, purché,
si intende, l'egoista razionalizzi il suo egoismo; cioè riconosca legittimo che
valga nelle medesime condizioni per tutti quello stesso criterio di
valutazione, che assume come va- lido per sé, e che dà, per ipotesi, coerenza
al suo giudicare e al suo fare. Ora è da notare che dal puro calcolo egoistico
razionalizzato si deduce quel medesimo ordi- ne di valori universalmente
strumentali di libertà e di giustizia, che si deduce da ciascuna delle i-
dealità normative supposte. E basta a persuadercene il fatto che l'economia
pura assume come presupposto, cioè come norma universale di condotta dell'homo
oeconomicus, appunto un postulato edonistico, non solo, ma
edonistico-egoistico. Ed è noto che il liberalismo politico è modellato —
s'intende sempre nel suo aspetto puramente politico, cioè esteriore — sul
liberismo economico. Questa considerazione contraddice solo in apparenza la
tesi, per la quale non può essere normativo che un valore considerato come
valore per sé distinto dagli impulsi e dai desideri transi- tori e variabili
del soggetto; perché il valore che l'economia contempla in realtà, non è il
piacere, o la soddisfazione soggettiva, ma la ricchezza. La quale ha bensì
sempre normalmente soltanto un va- lore strumentale, ma (anche lasciando in
pace l'esempio dell'avaro) può essere — ed è in effetto dal- l'economista —
considerata come valore per sé, e come comune termine di riferimento di ogni
spe- cie di valori edonistici; e perciò di ogni ordine di valori in quanto sono
considerati e valutati nel loro effetto edonistico, nel quanto di soddisfazione
e di godimento che se ne trae e che è misurato ob- biettivamente dal quanto di
ricchezza necessario a procacciarli. Ne segue che il Potere politico e il
sistema giuridico che riceve da esso sanzione e validità di diritto positivo,
possono assumere un significato e un valore al tutto diversi — pur avendo per
con- tenuto una medesima materia — secondo che questo contenuto è valutato come
un ordine di valori strumentali che trova la sua ragion d'essere e la sua
giustificazione soltanto nel suo carattere di con- dizione necessaria della
coesistenza degli egoismi individuali, o secondo che è considerato come un
ordine di valori morali diretti e immediati, come un'esigenza del valore
primario assoluto della per- sona umana, e della libertà che ne è la nota
essenziale. E ne segue parallelamente che si possa ravvi- sare nell'ordine
giuridico cosí la realizzazione di un'esigenza etica, come un sistema di
condizioni che precede idealmente l'esigenza etica e la rende possibile, ma che
sussiste e sussisterebbe per sé indipendentemente da essa. In realtà, siccome
il valore morale non è valore e non è morale se non per la coscienza che lo
sente e lo riconosce come tale, l'alternativa che ne nasce è questa: che o si
riconosce come ordine di valori per sé, suscettivo di assumere in alcune o in
molte delle coscienze individuali carattere e for- ma di valori morali, anche
l'ordine dei valori edonistico-egoistici, o si deve ammettere che il conte-
nuto del diritto, in quanto fosse legittimato soltanto da una deduzione etica e
non dal principio della convenienza egoistica, resterebbe estraneo all'egoista;
subito da lui, ma non approvato e non voluto. Cioè tale che non si potrebbe
pretendere ragionevolmente da lui che lo riconosca e lo accetti. Dal che nasce
la conseguenza che la deduzione etica del diritto deve coincidere, quando al
contenuto, con la deduzione puramente egoistica, cioè che le norme di diritto
devono essere stabilite come se la loro ragion d'essere fosse unicamente
l'utilità egoistica. E il fatto — inevitabile — che la sanzione (premio o pena)
ha un contenuto egoistico, cioè si risolve in un motivo egoistico
dell'osservanza del diritto, sembra confermare tale conseguenza. ** * 49
Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Di qui
seguono due corollari non trascurabili per la valutazione dei rapporti tra
morale e po- litica. Il primo è questo: che il Potere politico, in quanto è
forza di coazione che pone come ester- namente obbligatorie certe condizioni
quali si siano (negative o positive) dell'attività dei singoli, non è mai per sé,
direttamente, organo morale; perché il valore morale, che è del tutto
interiore, in- sindacabile e incoercibile, sfugge a questa azione; e perché i
mezzi di cui la legislazione esterna può disporre — sia di persuasione (premi),
sia di costrizione (pena) — non possono presentarsi che co- me motivi di ordine
egoistico; e hanno per sé un valore o premorale (cioè di condizione di fatto
an- teriori alla moralità ed estranei ad essa) o pro-morale (cioè tengono luogo
del motivo morale o ne surrogano l'efficacia pratica quanto agli effetti
esteriori della condotta). Perciò gli istituti politici non sono in sé né
morali né immorali se non in quanto sono valutati come tali interiormente dalla
coscienza dei singoli. Il secondo è questo: che dovendo l'ordine giuridico poter
essere giustificato da un punto di vista puramente egoistico, affinché il
Potere politico possa avere un contenuto, non soltanto negati- vo, ma positivo,
comune col contenuto delle diverse idealità tipiche morali (essere o diventare
orga- no promotore e fautore dei mezzi di cultura), è necessario che il
contenuto di queste idealità sia o possa essere considerato insieme come il
medesimo, o come elemento o condizione essenziale del contenuto medesimo, delle
soddisfazioni egoistiche; o in altri termini, che i valori, poniamo, intel-
lettuali, estetici, simpatetici, religiosi, siano nello stesso tempo i valori
piú desiderati o desiderabili nel rispetto edonistico, o elementi o condizioni
essenziali dei valori egoistici. E ciò equivale a dire che la funzione primaria
e preliminare del Potere politico come organo di cultura è quella di ordinare i
mezzi atti a dare ai motivi edonistici un contenuto sempre piú spiri- tuale e
morale, ossia ad elevare e affinare nei singoli la capacità di sentire e
apprezzare come beni migliori e piú desiderabili di ogni altro i valori
spirituali. La funzione positiva preliminare è dunque quella di apprestare i
mezzi o le condizioni ester- ne necessarie alla possibile educazione ed
elevazione spirituale di ciascuno. ** * Fin qui si è considerato il Potere
politico soltanto come organo di obbligatorietà esteriore ri- spetto ai singoli
soci, dalla cui volontà è idealmente posto, astrazione fatta da ogni relazione
dello stesso potere con altri poteri; cioè come stato di fronte ad altri stati.
Ma se si considera per questo rispetto, esso assume ipso facto natura e
funzione di Persona in rapporto con altre Persone e raccoglie in sé, unifica e
fonde in un'unica Volontà e personalità le volontà e le persone dei singoli. I
quali per rispetto agli stati esteri spariscono come volontà distinte, e sono
sostituite nel loro valore assoluto di persona dallo stato. Il che significa
nello stesso tempo che per questo rispetto la volontà dello stato è per la
coscienza di ciascuno la propria volontà, e che lo stato diventa esso soggetto
e sorgente di idealità etiche. Non è possibile e non è necessario esaminare
distesamente le conseguenze che nascono da questo diverso significato e valore
che lo stato assume in forza dei suoi rapporti con altri stati; ma non è
difficile vedere l'antinomia che ne deriva nei rapporti tra il cittadino e lo
stato, secondoché lo stato è considerato nella sua azione interna o nella sua
condotta esterna. Rispetto a quella il Potere politico è, dal punto di vista
etico, mezzo, e la persona singola, fine; rispetto a questa lo stato è fine e
il singolo è mezzo. Nel primo rispetto il cittadino non ha doveri verso il
Potere politico, se non in quanto vede nell'osservanza di questi doveri una
condizione necessaria alla tutela dei propri diritti; nel secondo rispetto non
ha diritti di fronte alle stato, se non in quanto la garanzia di questi diritti
sia una condizione necessaria all'adempimento del suo dovere verso di esso. Dai
suoi rapporti col Potere, considerato per quel rispetto, è esclusa (almeno
idealmente) ogni esigenza di sacrifizio di sé; considerato per questo, tale
esigenza è necessaria. Di qui la tendenza a far prevalere il secondo ordine di
concetti nei partiti politici che consi- derano come insuperabile l'opposizione
degli stati ed eticamente incondizionata la sovranità di cia- 50 Su la
pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta scuno; e la
tendenza opposta nei partiti, che credono superabile l'opposizione, e
condizionata etica- mente la sovranità degli stati nelle loro mutue relazioni.
** * Si è avuto occasione di notare nel capitolo precedente che per la ragione
stessa per la quale la idealità è concepita e voluta dalla coscienza di
ciascuno come normativa di tutta la condotta, per questa ragione la subordinazione
di ogni interesse individuale e, quando sia richiesto, il sacrifizio di sé
individuo all'idealità etica che lo costituisce in persona, diventano la prova
viva e continua del valore intrinseco supremo riconosciuto all'idealità; della
conformità, per adoperare termini già usati, del volere operante o esecutivo
col volere valutante o legislativo. In questa devozione a un Valore sentito e
voluto come valido per sé all'infuori di ogni inte- resse puramente soggettivo
e accidentale dell'individuo è già la nota caratteristica della religiosità;
nota che è rilevata, sebbene con qualche incertezza e confusione, anche nel
linguaggio comune. Dove il verbo «adorare» significa appunto devozione a un
oggetto, al quale si riconosce un valore incomparabile e a cui si è disposti a
sacrificare ogni altro bene. Ma questa devozione all'idealità, perché sia
piena, effettiva e costante, suppone o richiede le disposizioni spirituali, le
condizioni soggettive, nelle quali e per le quali si viene attuando; richiede
da noi, in noi, il potere di tenerle fede. Ora, quando noi concepiamo l'ideale
morale come un Ente, una Virtualità, una sorgente di energie spirituali, a cui
attingiamo il potere nostro di realizzarlo in noi stessi, e a cui possono
attin- gere i partecipi della stessa idealità il medesimo potere, e quella
virtualità è sentita come divina, e lo spirito perfetto che lo realizza in sé
come Dio, la nostra devozione è religione. ** * Vi è dunque per questo rispetto
una certa analogia nei rapporti della Morale con la Politica e con la
Religione. Il Potere politico realizza le condizioni esteriori della moralità,
la Virtù divina rea- lizza le condizioni interiori. E poiché l'attuazione del
valore morale consiste essenzialmente nell'atto del volere, cioè è interiore e spirituale,
e la conformità materiale ed esteriore trae il suo valore dalla prima; cosí il
Po- tere politico potrà apparire alla coscienza religiosa come mezzo e
strumento del Potere religioso. Anzi dovrà apparir tale finché essa considera
le condizioni esterne della convivenza come ideal- mente poste e giustificate
soltanto in forza della propria idealità, e non giustificabili fuori di quella.
Ma se si guarda un po' piú dentro si vede che la coscienza stessa religiosa
deve esser condot- ta a riconoscere che quella subordinazione non è neppure per
essa necessaria; perché la legislazione esterna trova la sua giustificazione in
quella stessa esigenza etica fondamentale, in nome della quale essa coscienza
riconosce il valore supremo della propria idealità, e l'autorità divina del
Potere che la realizza. È la esigenza del rispetto della persona umana come
sorgente di ogni valore; del valore stes- so e della inviolabilità della fede
che essa attesta, e che oppone a ogni altra fede. Ed implica quella libertà che
essa non può negare in altra persona senza negarne il valore per sé: che ogni
altro deve riconoscere a lei per non vilipendere la propria; che è il principio
da cui muove e il termine a cui riesce ogni elevazione dello spirito. Inoltre:
Ogni sforzo che si faccia per tradurre un dovere religioso in obbligo giuridico
e dar- gli una sanzione materiale esterna, contraddice, nel momento stesso che
sembra affermarla, l'esi- genza della religiosità. Perché tende a sostituire al
motivo religioso — del tutto interiore — della devozione e della adorazione, un
motivo esteriore e di necessità egoistico; il motivo della sanzione. Il quale
si trova cosí invocato a garantire ciò di cui è la negazione: la disposizione
interiore dello spirito, e la purità delle intenzioni. 51 Su la pluralità
dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta ** * Ed è poi, questa
distinzione e indipendenza del Potere politico e della legislazione esterna da
ogni particolare fede religiosa, da un punto di vista obbiettivo, inevitabile
non meno che la indipen- denza già notata da ogni particolare idealità morale.
Perché ciò che fa la certezza e la inconfutabilità della convinzione religiosa
è insieme ciò che ne fa la incomunicabilità e la indimostrabilità. È certo che
la «esperienza religiosa» del mistico non può essere negata da altri. Le
intuizioni alle quali essa si riconduce sono, per la coscienza che le prova,
certe di una certezza diretta, cioè an- teriore a ogni prova, non meno delle
«sensazioni». Ma al pari di queste non sono comunicabili ad una coscienza che
non le prova e non le vive. Potrebbe parere materia di discussione
l'interpretazione che il mistico fa di questi dati, il momento (che l'analisi
obbiettiva può distinguere dal momento dell'intuizione) per il quale la co-
scienza trapassa dalla intuizione sua, dall'esperienza propria diretta,
all'affermazione del divino in sé, come oggetto dell'intuizione. Ma anche
questo processo sfugge alla discussione perché non è logico ma psicologico:
anzi non è per la coscienza del mistico un passaggio, una argomentazione, ma
una integrazione che si pone coll'atto stesso dell'intuizione e che è vissuta
con la medesima certezza. Perciò, chi vuol sotto- porre dal di fuori questo
processo ad analisi critica, analizza in realtà qualche cosa di diverso. Ana-
lizza il processo discorsivo che dovrebbe fare, per provare la validità della
sua conclusione, una co- scienza che non senta già la certezza di questa
conclusione; o, piú esattamente, che consideri come conclusione di un passaggio
logico, quel che per il mistico non è conclusione logica, ma è evidenza
psicologica. E d'altra parte è pur vero che questo medesimo carattere di
evidenza immediata che rende la certezza del mistico invulnerabile ad ogni
attacco di critica, le toglie nel medesimo tempo ogni pos- sibilità di
dimostrazione. Se poi la certezza religiosa si fonda sull'autorità e non
sull'«esperienza» non ne è perciò me- no inevitabile la individualità e la
incomunicabilità. Perché se l'autorità della rivelazione è accettata come tale
per un atto di ossequio, di riverenza e di devozione alla divinità dalla quale
è data, essa è un atto di volontà, non di ragionamento, e presuppone quella
certezza del divino, alla quale essa ri- velazione dà bensì un contenuto
dogmatico, ma non dà, se non lo trova, il valore di certezza. E se la mia
coscienza la accoglie in virtù di prove teoriche o storiche o morali, per le
quali sia indotta a riconoscere nella rivelazione stessa un'origine divina, le
prove della rivelazione (sup- ponendo pure superati tutti i problemi che vi si
riferiscono) non sono prove della certezza che io ho del divino, ma sono prove
che mi inducono a riconoscere nella rivelazione un segno di quel divino, di cui
ho la certezza. ** * Ma il riconoscere questo carattere interiore personale e
insindacabile cosí delle diverse idea- lità etiche come delle diverse credenze
religiose (anche se si accompagni alla consapevolezza che ciò che costituisce
la legittimità e inviolabilità dell'una è, nello stesso tempo, ciò che
costituisce la medesima legittimità e inviolabilità di ciascun'altra), non è la
medesima cosa che spogliare ognuna di esse di quella tendenza alla negazione
non solo, ma alla esclusione delle dottrine opposte, che è propria di ogni
fede, vale a dire della affermazione del valore intrinseco di una idealità, che
per ciò si riconosce come degna di valere universalmente. In questa diversità e
molteplicità varia e inesauribile di valutazioni sta la fonte di ogni in-
cremento della cultura e di ogni elevazione spirituale. Ciascuna di queste voci
è una voce umana, la voce di una persona; e ciascuna deve poter farsi sentire.
Ma quella ragione medesima che pone questa esigenza ne pone il limite; e i
limiti sono i valori morali universali il cui contenuto si allarga e si
arricchisce della potenzialità di sempre nuo- 52 Su la pluralità dei
postulati di valutazione morale Erminio Juvalta vi valori nella esperienza
dolorosa e gloriosa dei secoli; e che tralucono per tutto dove è qualche lume
di umanità, perché sono il pregio a cui si riconosce l'uomo e si misura la sua
dignità di uomo. Liberum esse hominem est necesse; vivere non est necesse.Ho
cercato di mostrare altrove1 come e perché sorga logicamente — e, si può dire,
dalla ne- cessità intrinseca dello svolgimento morale — il problema di una
pluralità di contenuto nella co- scienza morale; sorga, quando si abbandoni il
presupposto che è la forza segreta del formalismo kantiano, che l'imperativo
categorico, l'universalità della legge, la razionalità del volere convengano a
un solo, a quel solo contenuto, che si pretende poi, nelle deduzioni della
dottrina del Diritto e della Virtú, di ricavarne; in termini piú chiari e meno
tecnici, quando si cessi di ammettere che la co- scienza morale sia una e la
medesima in tutti; non solo per il tono con cui parla dentro ogni persona, ma
per le cose che dice; non solo per l'autorità con la quale comanda, ma per ciò
che comanda. Questo problema viene a sovrapporsi o meglio ad anteporsi (se non
anche a sostituirsi), — e in ogni caso (come pure ho cercato di dimostrare) a mutar
senso e posizione — al problema che è tuttora, almeno nella forma consueta,
considerato come il problema centrale, il vero problema del- l'etica: quello
del fondamento. La quale forma di trattazione sembra supporre — già nel modo di
porre il problema (filosofia della morale) — che sul contenuto concreto di ciò
che si chiama morali- tà, sul modo di condotta che si distingue come morale,
sui criteri coi quali giudichiamo del giusto e dell'ingiusto, del bene e del
male, non cada dubbio; e il dubbio riguardi le ragioni per le quali si de- ve
veramente tener giusto e buono quel modo di condotta, e legittimo quel
criterio; e ingiusto e ille- gittimo il contrario2. Che questo presupposto sia
ora, dico non solo nella letteratura, ma nella coscienza viva con- temporanea,
arbitrariamente assunto; che nel decidere — se ciò che vale di piú sia la
verità, o la bel- lezza, o la giustizia, o la carità, o la forza;
l'affermazione di sé o la rinunzia, l'umiltà o l'orgoglio, la disciplina o
l'indipendenza non tutte le coscienze vadano d'accordo; che nella stessa
coscienza di una persona non volgare e non ignara dei problemi morali, né
estranea alla consuetudine di una sin- cera e severa meditazione, si
presentino, tra questi valori diversi, contrasti e opposizioni non sempre e non
facilmente superabili, è ciò che nessuno potrà e vorrà negare; ed è in ogni
caso una realtà che non cesserebbe di sussistere e di imporsi all'attenzione,
anche se fosse negata. Lo stesso apparire nelle discussioni dottrinali e nelle
storie generali e particolari dell'Etica di teorie dette immoralistiche,
dimostra che le differenze ci sono e che giungono a tale da dar luogo non solo
a contrasti ma ad opposizioni contraddittorie. E qualunque sia il giudizio
anche sommario che si voglia portare su di esse bisogna ricono- scere che non
avrebbe senso qualificare immorale una dottrina, se il contenuto suo non si
opponesse appunto a quello delle dottrine morali come specie a specie nel
medesimo genere; cioè se non pre- tendesse di valutare e regolare — in modo
diverso — la medesima materia3. Ciò basta a confermare, se di conferma vi è
bisogno, che il problema di una pluralità di con- tenuti della morale, ossia di
una pluralità di criteri di valutazione, non è un problema di semplice
possibilità astratta, cioè una curiosità scientifica e filosofica, ma è un
problema d'attualità concreta e viva; è, veramente, a mio giudizio, il problema
per eccellenza della coscienza morale contempora- nea. 1 Su la pluralità dei
postulati di valutazione morale; Il Vecchio ed il nuovo Problema della morale
(Parte II, capitoli 2—4). 2 Questo modo di vedere è favorito, se non
conservato, dal preconcetto, del tutto arbitrario, che la morale sia una
dipendenza della filosofia teoretica; e che nella filosofia teoretica sia da
cercare la ragione dei criteri e dei principi che reggono e giustificano la
condotta. Il quale preconcetto è all'incirca così ragionevole, come quello di
chi andasse a cercare nella luce che viene a illuminare una sala, la
spiegazione degli atteggiamenti nei quali sono veduti quelli che vi si trovano.
3 Né in sede di discussione e di critica si può respingere senz'altro come
amorali o immorali dottrine che hanno pure un loro contenuto valutativo senza
assumere come valido appunto quel contenuto di cui le dottrine in questione
contestano la validità. Non si comincia un dibattimento giudiziario con una
sentenza di condanna. Su la pluralità dei postulati di valutazione
morale Erminio Juvalta ** * Del resto, se può parere nuovo il problema, a cui
dà luogo — quando si fa piú aperta e mani- festa — la pluralità dei criteri,
non è nuova questa pluralità. Anzi, forse non vi è sistema, per quanto vi
domini potente lo sforzo logico della coerenza, che non nasconda sotto l'unità,
apparentemente raggiunta, del criterio supremo, una piú o meno lar- ga e
profonda pluralità o almeno dualità di contenuto. Per non ricordare con
Aristotele la duplicità di felicità e virtù — ben vivere e ben fare — e per
lasciare l'antica e non mai del tutto superata dualità di vita attiva e di vita
contemplativa, l'unità reale di criteri nella valutazione della condotta non è
raggiunta se non in apparenza, nella stessa mo- rale teologica cristiana; la
quale, mentre non rinunzia, e non può rinunziare, a regolare la condotta umana
anche nel rispetto della vita terrena finita, si sforza poi invano di
ricondurre i precetti che re- golano questa al medesimo criterio di valutazione
che è suggerito o imposto dal contenuto sopran- naturale del fine che la
giustifica. E il distacco logico inevitabile tra il fine invocato a
giustificare le norme e il criterio usato a determinarle, è dissimulato ma non
superato, nell'unità della rivelazione o della intuizione religiosa. Perfino
nell'età del razionalismo, nella quale l'unità di natura e l'identità di doveri
e di diritti di tutti gli uomini è affermata col massimo di consenso e di
calore, indipendentemente da ogni par- ticolare dogmatismo confessionale,
l'unità della valutazione morale si può dire raggiunta soltanto perché se ne
restringe la considerazione al campo propriamente etico-giuridico, e si
trascura o si la- scia nell'ombra la parte piú specialmente personale e che
tocca gli aspetti e le forme della vita inte- riore. E quell'unità parziale di
contenuto sembra essere il segno e la prova di un unico supremo cri- terio di
valutazione morale, perché viene comunemente ricondotto a un fine che
dissimula, sotto l'i- dentità nominale del termine, la possibilità di
determinazioni diverse per quel che tocca la parte del- la condotta etica che
sfugge all'attenzione di quel tempo; e che riguarda i fini propri della
persona, e le forme della vita interiore. ** * Ma il romanticismo e lo
storicismo, per vie diverse ma cospiranti, posero in luce quel che il
razionalismo aveva lasciato nell'ombra o trascurato; e l'uno affermando,
illustrando ed esaltando la ricchezza, la varietà, il valore, se non esclusivo,
superiore della vita spirituale e della attività interio- re, originale,
spontanea; l'altro cercando nella realtà storica la ragione e la
giustificazione delle for- me di vita sociale, religiosa, politica che in nome
della natura e della ragione erano state condanna- te, avevano condotto a
questo doppio risultato: per un verso, ad allargare smisuratamente l'ambito
della vita interiore, raccogliendo e quasi contraendo in essa tutte le attività
spirituali, facendone il campo piú degno, e, se non esclusivo, certo dominante
della condotta morale, e comprendendovi della vita sociale, al più, quel che in
essa si dispiega di spontaneo e d'ingenuo: la pietà, la carità, l'amore, con l'aperta
tendenza a distinguerlo non solo, ma a staccarlo dalle attività considerate
come esteriori, della vita politica e giuridica. Per l'altro verso, a negare,
non solo ogni realtà ed ogni fon- damento storico, ma ogni valore, alle
costruzioni politiche e giuridiche del giusnaturalismo; alle dottrine dello
stato di natura, del contratto sociale, dei diritti innati; e a considerare
come un prodot- to storico le forme politiche e giuridiche; le quali trovano,
nelle condizioni che le hanno generate e che le rendono adatte rispettivamente
alle esigenze dei popoli diversi in luoghi e tempi diversi, la loro
giustificazione necessaria e sufficiente; e quindi a fare il diritto estraneo
all'etica e indipendente da qualsiasi giustificazione morale, lasciando aperto
il campo alle piú svariate forme di relativismo: biologico, sociologico,
storico. Cosí quel che per il razionalismo del secolo XVIII era il contenuto
comune della coscienza morale, finiva per essere considerato quasi estraneo
alla morale. E mentre si faceva piú largo e piú profondo il distacco tra
interiorità e esteriorità, si attenuava sempre piú la distinzione tra i valori
morali e i valori spirituali di diversa specie e di diverso contenuto, e
prendeva colore e calore di va- 4 Su la pluralità dei postulati di
valutazione morale Erminio Juvalta lutazione morale una molteplicità sempre piú
varia di tendenze, di aspirazioni, di attività, di fini di- versi. Per tal modo
penetra nella vita e nella cultura, e si manifesta non solo nella filosofia, ma
in quella che si chiama piú propriamente letteratura, quella molteplicità di
indirizzi, di opinioni, di ere- sie morali che è la caratteristica del secolo
XIX, e che esprime, per dir cosí, la maturità storica del problema, prima
dissimulato e trascurato. ** * Non si vuol dire, né sarebbe a priori probabile,
che ad ogni novità di intuizione particolare, geniale o no, su questa o quella
forma di vita e di attività individuale, su nuovi aspetti della cultura
speculativa o religiosa o sentimentale, su nuove direzioni della volontà, sul
valore dei tipi di istituti, familiari, politici, economici (reali o
immaginati) corrisponda una diversità di criteri morali; né tan- to meno che
ciascuno esprima una orientazione di coscienza morale radicalmente diversa
dalle al- tre; ma neppure è possibile dissimulare che questa molteplicità è
altra cosa dalla «dualità» notissi- ma, che nella tradizione e nella credenza
comune e nella dottrina piú largamente diffusa, raccoglie- va e, direi,
polarizzava attorno a due termini contrari i valori della vita, opponendo i
beni razionali ai beni sensibili, e negando a questi ogni valore morale.
Perché, lasciando pur fuori di questione ciò che tocca i beni detti sensibili
(per semplicità di discorso, non perché anche su questo punto le que- stioni
sieno escluse di fatto, o siano da escludere a priori), la caratteristica nuova
e piú rilevante di tale molteplicità, è appunto questa: che è nel regno stesso
dei beni razionali, che la diversità delle tendenze si è venuta delineando
sempre piú spiccata. E i contrasti di tendenze e di opinioni si rive- lano
anche, anzi soprattutto, nel campo di quei valori che era pacifico considerare
come patrimonio, se non uno e indivisibile, almeno indiviso, e non costituito
di parti discordanti. E mentre si venivan disegnando, cosí, conflitti di
primato, se non contrasti irreducibili, tra i valori stessi tenuti
tradizionalmente come superiori, si presentavano: di là, idealizzate, e sotto
veste di valori razionali — o giustificate in nome di esigenze razionali —
tendenze e forme di vita spon- tanee, passionali, o istintive, considerate già
come estranee se non contrarie alla vita morale: e di qua si esaltavano come
centro e culmine dei valori morali le forme religiose, intuitive, sentimentali
e mistiche, avverse, almeno in apparenza, ad ogni pretesa di procedimento
razionale, e che ad ogni modo si affermavano in atti di aperta sfida contro la
ragione. E insieme si negava ogni significato etico — anche nella loro forma di
idealità sociali e politiche — a quei principî razionali del diritto, nei quali
il secolo precedente aveva visto ad un tempo il segno piú alto della dignità
umana e il maggior trionfo della ragione. ** * Di fronte a cosí grande e cosí
varia pluralità di contrasti tra criteri di valutazione, o tra «scale di valori»
diverse, può bastare a risolvere i conflitti e a ricostituire — posto che sia
necessaria — l'unità del contenuto, e l'universalità del consenso, affermare
che la morale è universale perché è ra- zionale, o è razionale perché è
universale? Né è possibile fare appello alla ragione come autorità morale
suprema quando i moralisti che se ne fanno interpreti non riescono, pur
affilandone tutte le armi, né a convincere né a vincere i de- trattori, se non
argomentando ad hominem cioè facendo appello a qualche principio o criterio da
quelli stessi assunto od ammesso. E i detrattori non riescono a formulare
neppure una sentenza di condanna che abbia, non si dice un valore, ma un
significato quale si sia, senza servirsi di quella ra- gione che coprono di
contumelie, e che presta pure la sua assistenza, con divina larghezza, anche a
chi la bestemmia. Dal che parrebbe di dover ragionevolmente concludere che
della ragione non si può fare a meno, in materia di morale piú che in qualsiasi
altro campo; ma che non si può trovare in essa la sorgente delle valutazioni
morali. 5 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio
Juvalta E tuttavia non solo fu — nell'età aurea del razionalismo — ma è tuttora
largamente sostenuta ed accolta, non senza che la tenacia degli sforzi abbia un
profondo significato, l'idea di cercare nella ragione anche ciò che la ragione
non può dare; e di riferire a lei non soltanto l'esigenza della coe- renza,
dell'unità, e quindi di leggi, di criteri e massime, ma anche di certe leggi e
di certi criteri, piuttosto che di leggi e criteri diversi. Ma l'idea è
illusoria. E l'illusione sta in ciò essenzialmente: nel credere che la ragione
obbli- ghi ad ammettere non soltanto certi giudizi, dato che se ne accettano
certi altri, certe conseguenze, se si accettano certe premesse; ma obblighi
senz'altro ad accettare certi giudizi: quei giudizi stessi che fanno da
premessa; che «esser ragionevole» voglia dire non soltanto osservare le leggi
della lo- gica, rispettare quei principi logici senza dei quali non è possibile
nessun ragionamento e nessun «uso della ragione», ma voglia dire essere
obbligati a riconoscere "certe verità", ad ammettere certi principî;
principî non logici o formali, ma materiali; dati o postulati che facciano da sostegno
al ra- gionamento, e comunichino la loro certezza ai giudizi che se ne
ricavano. Ora io lascio di considera- re, perché non è necessario qui, il campo
dei giudizi propriamente teoretici e la distinzione che sa- rebbe necessaria
tra giudizi condizionali e giudizi di esistenza; e mi restringo al campo
«pratico». In questo adunque la ragione sarebbe essa che pone ad un tempo
l'esigenza della legge e la legge; cioè, non solo l'esigenza dell'unità e le
norme da osservare per realizzarla, ma anche i criteri attorno a cui si deve
raccogliere questa unità; quei giudizi stessi che non si giustificano, ma che
servono di fon- damento alla giustificazione. 6 Su la pluralità dei
postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO SECONDO LA RAGIONE E I
GIUDIZI DI VALORE Questa «funzione pratica»4 della ragione si può intendere in
tre modi diversi: — O i criteri di valutazione, i giudizi di valore che stanno
a fondamento dei giudizi morali, hanno la stessa validità e si possono o
dimostrare o porre con la stessa necessità od evidenza con la quale si impone
la validità delle forme logiche. — Oppure — se il dato o principio che sia a
fondamento delle valutazioni è diverso dalle verità teoretiche, assunto dalla
ragione, non posto da lei ma offerto a lei, questo dato è tale che essa non ha
che da scoprirlo, da formularlo, da presentarlo alla riflessione di ogni uomo
ragionevole per- ché ne sia riconosciuta ed ammessa come indiscussa e
indiscutibile la validità. — O finalmente è la ragione stessa che pone la
legge, ed è l'esigenza razionale che basta a determinarla, senza che a
costituire la validità della legge e del contenuto che essa incorpora in con-
formità della sua esigenza, sia necessario riconoscere la validità di alcun
dato o principio materiale estraneo alla forma stessa della legge. Non vi sono
che queste tre vie possibili; e sono le vie che anche storicamente il
Nazionali- smo ha seguito con maggiore o minore sforzo di argomentazioni e
varietà e ricchezza di gradazioni particolari. ** * La prima via, la piú
antica, quella aperta da Socrate quando si presentò per la prima volta il
problema morale in condizioni analoghe per certi rispetti (nessuno pensa a dire
uguali) a quelle che lo fanno risorgere ora in una forma somigliante (il
contrasto nelle opinioni intorno a ciò che è bene, o in breve, il problema
della pluralità dei criteri morali), è la via che si direbbe piú propriamente
in- tellettualistica. I principî morali sono verità5 della medesima natura
delle altre, accertabili teoreti- camente, o deducibili da verità teoretiche. È
l'indirizzo del quale ho parlato già altrove6 e il cui vizio radicale consiste
nel fare dei giudizi di valore giudizi teoretici, e pretendere di derivare
quelli da questi. Ma quanto alla derivazione nessuno sforzo logico può fare che
concluda con un giudizio di valore un ragionamento che non abbia per premessa,
espressa o sottintesa, un giudizio di valore. Quanto alla certezza immediata
nessuna evidenza logica può fare che sia contraddittorio in sé stimare di piú
il proprio cane che il prossimo, se non si suppone che io ammetta che un uomo 4
Questa espressione può avere in morale tre sensi diversi che importa
distinguere. Si può intendere che dipen- da dalla ragione il valutare, cioè
riconoscere e graduare i valori; o che dipenda dalla ragione il conformare la
condotta alla valutazione, muovere la volontà: e questi sono i due sensi che
rispondono all'uso piú comune del termine «pratico» e che pur si confondono tra
di loro, benché siano diversissimi; come è diverso riconoscere la giustizia o
la bontà di una norma e osservarla, stimare la virtú e praticarla. Ciò che è in
discussione qui e nel seguito è sempre, se non si dica espressamente il
contrario, il primo signifi- cato. Finalmente vi è un terzo senso, quello
propriamente kantiano, che consiste nel riconoscere la possibilità e la le-
gittimità di affermare per il bisogno morale l'esistenza di ciò che la ragione
speculativa non può conoscere; di fondare sulla morale una certezza metafisica
che è preclusa all'uso teoretico della ragione; ed è a un tal uso che si
riferisce, come tutti sanno, la notissima espressione «primato della ragion
pratica». 5 La tesi morale di Socrate è duplice come tutti sanno: 1°che il bene
e il male si possono conoscere (se ne pos- sono fare dei concetti veri) come si
conoscono le altre cose. 2°che conoscere il bene e praticarlo è il medesimo,
ossia che la moralità (la pratica del bene) è sapere; chi fa il male lo fa
perché ignora che cosa sia il bene. La prima tesi sta in- dipendentemente dalla
seconda che qui è lasciata in disparte. Di solito quando si parla della tesi di
Socrate in tema di morale si intende dire di questa seconda e non di
quell'altra, la quale anzi è comunemente ascritta, e in un certo senso
giustamente, a merito di lui. 6 Vecchio e nuovo Problema, Parte I, Cap. II.
7 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio
Juvalta qualsiasi vale piú di un qualsivoglia cane, o che dove c'è pensiero,
ivi c'è una dignità incomparabile con qualsiasi pregio di natura diversa. Ma in
questo caso la contraddizione è tra un mio giudizio e un altro mio giudizio;
che si suppone pure ammesso da me e per me valido. Ma chi o che cosa mi obbliga
ad ammettere questo valore del pensiero? E perché cadrei nell'assurdo se lo
negassi? Forse perché con ciò diminuisco o nego un valore che è anche mio?
Sarebbe dunque il rispetto e la stima di sé un principio logico? E la despectio
sui del Geulinx contiene dunque una contraddizione in termini? ** * Se si
incalza che il giudizio sulla inerenza all'uomo di proprietà o doti che mancano
al cane è di evidenza oggettiva e che riconoscere un maggior valore all'uomo
che al cane è la stessa cosa che riconoscere all'uomo una maggior realtà, cioè
una maggior perfezione, è facile avvertire che in que- sta identificazione si
assume appunto ciò che è in questione: che la perfezione o il pregio delle cose
e delle proprietà delle cose sia accertata o accertabile teoreticamente come la
loro esistenza e appar- tenenza; mentre basta una non lunga riflessione per
accorgersi che il giudizio sul pregio e sul valore o il «grado di perfezione»
di qualsiasi ente o proprietà implica il riferimento a una gerarchia, a un
ordine, a un disegno, cioè in ultimo, a un modello, e quindi a un fine attuato
o da attuarsi. E, che possa o debba valere come fine, che meriti di valere, non
è un giudizio in realtà; tanto che il negar- gli questo valore non implica
negare sia la realtà, sia la possibilità, sia alcuna delle proprietà dell'en-
te; cosí come negare alla sfera il valore di forma perfetta che le davano i peripatetici,
non implicava per Galileo la negazione né della costruibilità della sfera, né
di alcuna qualesivoglia delle sue pro- prietà geometriche. La sfera rimane la
sfera. Si potrà o non si potrà ammettere che essa abbia, in grazia di quelle
proprietà, un pregio particolare, ma l'ammetterlo o negarlo non appartiene alla
ge- ometria; e mentre io rinuncio ad essere intelligente se non capisco il
concetto della sfera, e rinunzio ad essere ragionevole, se non ammetto tutte le
proprietà che ha o avrebbe una sfera reale costruita secondo quel concetto, non
rinunzio né all'intelligenza né alla ragione se nego che la sfera valga piú del
cubo o della piramide. Lo stesso, mutatis verbis , vale per l'esempio allegato
del cane e dell'uo- mo. Senonché qui un rosminiano potrebbe insistere, che il
caso è appunto diverso e che la diversità ha un suo significato: perché mentre
io non provo internamente alcuna ripugnanza ad ammettere che la sfera non valga
piú della piramide, non posso senza ripugnanza invincibile, ammettere che il
cane valga quanto l'uomo. Che è questa ripugnanza, se non il segno della
«contraddizione che nol consente»? Che nell'esempio citato (non per nulla nella
scelta il Rosmini ebbe la mano felice) la repu- gnanza ci sia, è innegabile —
sebbene le tenerezze di certe dame possano far dubitare della univer- salità
del riconoscimento —; ma questa ripugnanza è una ripugnanza morale, non una
incongruenza o contraddizione teoretica, ed è comune nella misura in cui è
comune la valutazione su cui si fonda. Anche qui, ancora e sempre: negando
questa differenza di valore tra il cane e l'uomo io non nego nessuna delle
differenze di realtà che esistono e che si possono conoscere; non nego nessuno
dei ca- ratteri e delle proprietà dell'uomo o del cane, qualunque poi sia il
giudizio che faccio sul valore di- retto o indiretto di ciascuna di quelle doti
e di tutte insieme, e degli esseri che le posseggono. Che io faccia maggior
conto del potere di astrazione dell'uno che della finezza di odorato
dell'altro, o che apprezzi di piú l'amore della libertà dell'uomo che la
ubbidienza cieca del cane, non è per nulla una implicazione necessaria del
riconoscere rispettivamente nell'uomo quella proprietà che nego nell'al- tro. E
il giudizio potrebbe essere rovesciato, e un grossolano estimatore di tartufi
potrebbe preferire il fiuto del suo cane a quel qualunque potere di astrazione
che la natura prodiga ha largito a lui pure, senza che muti di un ette la
verità riconosciuta da ambedue: che l'uomo ha un certo senso meno fine del cane,
e il cane manca di un potere che ha l'uomo. — E se finalmente accadesse
davvero, come parrebbe anche naturale, che nessuno potesse disconoscere la
differenza di valore tra i due, questa universalità di riconoscimento non
cesserebbe di essere, per la sua natura e per il suo fondamento, diversa da
quella. L'essere universalmente ammessa una differenza di valore fra i due
enti, prova, 8 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale
Erminio Juvalta nel caso, che è universalmente ammessa o sentita l'esigenza
morale in grazia della quale quella dif- ferenza è posta: ma non prova che il
giudizio di valore, cosí espresso, sia una conoscenza teoretica; ossia,
comunque, riducibile alla conoscenza oggettiva dei due esseri, o ricavabile da
questa. ** * La verità è che i giudizi morali (come ogni altro giudizio di
valutazione) paiono della stessa natura dei giudizi teoretici perché sono nella
massima parte, e con una frequenza di gran lunga maggiore, giudizi derivati e
possono presentarsi sotto forma di giudizi derivati, anche quando sono
considerati, sotto un altro rispetto, come primari e assunti come tali in una
costruzione diversa. Ora nei giudizi derivati, la validità della valutazione è
ricondotta alla validità di un altro giudizio (primi- tivo o primario o diretto)
con un processo, che non differisce in nulla, quanto alle leggi logiche che ne
governano la legittimità, dal comune processo di dimostrazione col quale si
prova la connessione necessaria di certe conseguenze con certe premesse. Con
questa circostanza, per dir cosí, aggravan- te: che, come s'è accennato, accade
di frequente, anzi solitamente, che quegli stessi giudizi che figu- rano in un
processo di giustificazione come premessa o principio, compaiono o possono
comparire in un altro ragionamento come conseguenza o conclusione. Tanto che
riesce difficile decidere, quando si tratta di valutazione, quali siano i
giudizi primitivi, e quali i derivati, comparendo a volta a volta secondo le
costruzioni diverse e i diversi punti di vista e talvolta nello stesso autore
(e senza che si possa per ciò solo appuntare i ragionamenti corrispondenti di
circolo vizioso e di petizione di principio), come giudizi derivati, dei
giudizi che figurarono in altro luogo, e per un altro proposito, come
primitivi, e inversamente; al contrario di quel che accade di solito nelle
costruzioni scientifi- che: dove i principî o proposizioni fondamentali hanno e
conservano costantemente il loro carattere e il loro ufficio7. Sfuggendo cosí
all'osservazione, per la vicenda di ufficio logico al quale possono a volta a
volta essere assunti, quali siano i giudizi di valore primitivi, cioè quelli in
cui si assume la validità diretta e immediata (senza che sia ricondotta alla
validità di qualche altro giudizio), riesce piú difficile, o almeno si presenta
meno frequente e meno aperta, la opportunità o la necessità di e- saminare la
natura e di coglierne questo carattere di diversità, radicale e irreducibile,
dai giudizi teo- retici. ** * La quale diversità può sfuggire anche piú
facilmente o essere posta in luce tanto piú diffi- cilmente, per un'altra
circostanza che ha a quest'effetto un influsso anche piú decisivo. E la circo-
stanza è questa: che una parte considerevole dei giudizi valutativi che
assumono piú frequentemente valore di primari, o sono abitualmente sottintesi
(tanto sono o si suppongono incontestati), o sono incorporati e quasi assorbiti
nei giudizi teoretici, senza che l'apprezzamento, per lunga consuetudine
congiunto all'idea dell'oggetto, o della proprietà, o dell'atto, o dell'effetto
possibile, sia formulato in un giudizio distinto; anzi, talvolta, neppure sia
espresso piú nell'enunciazione del giudizio stesso da una di quelle particelle
(aggettivi, avverbi, interiezioni) che portano nel giudizio la espressione di
una valutazione, o, come si può dire con forma piú generale, la nota del
sentimento; la quale non appare talvolta che nel tono di voce dell'interprete o
lettore, o si rifugia nella scelta sapiente delle parole e delle sfumature
suggestive, di cui è ricca una lingua satura di civiltà. Dire di un uomo che è
indolente o che è intemperante, è, se non si parla a vanvera, attribuir- gli
una qualità, della quale è possibile dimostrare che veramente gli spetta, cioè
si posson dare delle prove oggettivamente certe e accertabili: è un giudizio
teoretico. Ma ognun vede che vi è tacitamen- 7 È tuttavia da notare anche qui
una tendenza a considerare l'ufficio logico rispettivo di principî e di conse-
guenze, suscettivo di essere invertito. Così nella piú rigorosa delle scienze
deduttive, la geometria, si può vedere la pos- sibilità, sfruttata per ragioni
didattiche o anche per maggior semplicità o eleganza di costruzione, di
invertire la dedu- zioni; assumendo come dato quel che si è ricavato, e
inversamente; come avviene del resto nelle dimostrazioni della connessione
reciproca di due proprietà fra di loro. 9 Su la pluralità dei
postulati di valutazione morale Erminio Juvalta te assunto insieme un giudizio
di valutazione, nella misura che l'indolenza o l'intemperanza sono per chi parla
o per chi ascolta qualità non pregevoli, o biasimevoli; il che diventa
evidentissimo quando si tratti di qualità o di attributi, o modi di operare piú
gravemente e piú universalmente biasimati, come si dicesse: bugiardo, venale,
falsario e simili. Anzi, i giudizi di valutazione sono gravi in pro- porzione
della loro prova teoretica assai piú che delle espressioni di biasimo che li
accompagna; ap- punto perché il biasimo può essere piú facilmente sottinteso. E
non per nulla la diffamazione è puni- ta piú dell'ingiuria. Cosí il giudizio
valutativo (sottinteso) sembra essere fondato su prove, come si dice, di fatto,
ossia su giudizi teoretici; mentre i giudizi teoretici provano bensì
l'esistenza del fatto o la legittimità dell'imputazione, ma non provano in
nessun modo il valore dell'azione. Il qual valore è già riconosciuto e ammesso
e incorporato nell'idea di quel modo di operare, di quel difetto o colpa di cui
l'azione è prova, e non ha bisogno di essere formulato a parte perché tutti lo
sentono e tutti lo sottintendono. ** * Ora i giudizi di valore a cui si dà
ufficio di primari, cioè che si assumono a fondamento degli altri e alla cui
validità si riconduce la validità di questi, sono presi, solitamente, tra i
giudizi il cui valore per essere comunemente riconosciuto e, come si dice,
pacifico, è appunto piú facilmente sot- tinteso. Quando si è detto a una
persona intelligente «bada che quella pistola è carica», non occorre altro
discorso per persuaderla a maneggiarla con prudenza; e nessuno pensa che è sottinteso,
o me- glio, nessuno ha bisogno di pensare distintamente che è sottinteso, un
giudizio sul valore della vita, e che l'avvertimento non avrebbe peso se la
vita non valesse piú di una cartuccia. Ora il giudizio: la vita è un bene; che
qui è sottinteso, può essere considerato come primario, per esempio in tutti i
precetti dell'igiene (dove anzi fa da primario un giudizio, che è già esso
derivato rispetto a questo, sul valore della sanità): ma può essere non
primario per chi giustifica a sua volta il valore della vita col valore del
sapere, o del bello, o della giustizia, o della carità, o della potenza, o
della gloria, o di qualsiasi altro ordine di fini o di attività o di godimenti.
Ma poi, quando si dice che l'arte, o la scienza, o la pietà sono un conforto
della vita, si fa di ciascuno di quei beni che sopra sono assunti come beni per
sé, un bene derivato rispetto a quello della vita. E cosí se si dice che il
sapere accresce la ricchezza, o la giustizia assicura la tranquillità, o
l'onestà alimenta la fiducia reciproca, si pongono, almeno occasionalmente,
come derivati, dei valo- ri primari, e si assumono come primari rispetto ad
essi, dei valori derivati. ** * È adunque chiaro che i giudizi di valore si
legano fra di loro in una catena continua, anzi in un groviglio di catene, del
quale non è necessario qui cercar di capire piú particolarmente la struttu- ra;
e che per queste mutue e varie connessioni delle diverse valutazioni fra di
loro, si può assumere come primario in un sistema di deduzioni un giudizio di
valore che figura come derivato in un si- stema diverso. Ma in qualsiasi
processo di giustificazione, questo giudizio primario di valore e- spresso o
sottinteso ci deve essere; e si tratta di vedere — nel caso di valutazioni
morali — non se spetta alla ragione giustificare la scelta, ossia dimostrare da
che cosa nasca l'attribuzione di valore (che sarebbe precisamente fare del
valore diretto un valore derivato; la quale dimostrazione, se è possibile,
nessuno dubita che sia un processo razionale); ma, se ci sia un principio di
valutazione, una affermazione diretta o primaria di valore che sia razionale in
sé, e che si distingua come razio- nale da altre valutazioni primarie, che non
siano in sé razionali; cioè che non sia razionale accetta- re, che la ragione
impedisca di ammettere. 10 Su la pluralità dei postulati di valutazione
morale Erminio Juvalta CAPITOLO TERZO RAGIONE ED EGOISMO Se si tien conto di
quanto s'è avvertito sopra, la questione della razionalità o irrazionalità
dell'egoismo si riduce a vedere se l'egoista, accettando il principio
assiologico che assume come primario quando giustifica il suo sistema di
valutazioni egoistiche e le massime di condotta corri- spondenti, rinneghi la
ragione, e quindi, poiché è ragionevole, si trovi in contraddizione con se
stes- so. E cadrebbe in contraddizione: O perché operando da egoista non
raggiunge lo scopo al quale è rivolta la sua opera8. O perché il criterio
egoistico contrasta con altri che l'egoista stesso in quanto egoista non può
fare a meno di accettare e di ammettere. ** * È certo che l'egoista spesso
sbaglia i conti e fallisce lo scopo; ma questo non ha che fare nel- la
questione. I conti li sbagliano un po' tutti, o li possiamo sbagliare, senza
che ciò voglia dire nulla circa il valore o il disvalore, la dignità o
l'indegnità dei nostri scopi. Lo sbagliare riguarda la scelta o l'uso dei mezzi
e dà luogo ad un giudizio di abilità o inabilità, di successo o di insuccesso;
e sba- gliano i conti i filantropi forse piú spesso degli egoisti. Lasciamo
dunque le delusioni che possono venire agli egoisti da errori di calcolo.
Concludente invece, anzi decisiva, sarebbe, se valesse, l'altra obbiezione che
non si possa essere egoisti senza contraddirsi. La quale però ha il torto di
configurare un egoista incoerente (an- che se in realtà è il tipo comune, anzi
forse cedendo appunto alla suggestione della realtà) cioè, che pretende bensì
di subordinare ogni interesse, di qualunque genere, degli altri al suo
interesse pro- prio, ma pretende insieme che gli altri non facciano cosí; e ha
l'aria di dire agli altri: ma, insomma, se fate gli egoisti anche voi, come
faccio io a servirmi di voi per i miei comodi? — Naturalmente quando si è
foggiato un egoista su questo tipo, è facile dimostrare che si contraddice. Non
è mai, in generale, molto difficile ritrovare in qualche cosa qualcos'altro che
vi sia posto dentro prima. Ma non vi può essere un egoista coerente? E come si
dimostrerebbe che non vi può essere? Vediamo come dovrebbe essere; e se,
essendo coerente, cesserebbe di essere egoista. Questa è ma- nifestamente la
tesi che si deve dimostrare per concludere alla irrazionalità dell'egoismo.
Egoista coerente è chi riconosce buono l'operare di ciascuno quando è dettato
dal suo inte- resse maggiore, ossia buono per ciascuno il modo di operare che
procura ad esso operante il mag- gior numero di vantaggi e il minor numero di
danni; ossia, un egoista coerente è esso senza riguardi 8 Non si può
considerare come esempio di contraddizione intrinseca dell'egoismo il caso frequentissimo
e co- munissimamente notato di chi si mostra in questa o quella circostanza
egoista perché opera da egoista o come se fosse egoista, mentre sente dentro di
sé di «aver torto», sente che la sua azione presente è disforme da quel modo di
operare che la sua coscienza morale riconosce come giusto; quel modo di operare
che egli approva quando giudica le azioni de- gli altri e che egli stesso
seguirebbe se non fosse in gioco. Ossia egli sente che dovrebbe fare così e
sente che farebbe così se il fare non gli costasse un sacrifizio; il sacrifizio
di quella certa sua piú o meno grande comodità. Ora certamente qui (ed è il
caso comune, tipico, notato migliaia di volte del contrasto, dello scontento
interiore e del rimorso) questa discordia interna è colta e segnalata dalla
ragione. È una esigenza razionale l'unità delle valutazio- ni, la costanza dei
criteri, la coerenza tra il valutare e il fare, ed è un processo razionale che
rivela le incoerenze e i con- trasti. Ma la questione non sta qui. Il contrasto
segnalato per il quale chi opera da egoista è colto in fallo e deve riconoscere
il suo torto, è possibile perché il supposto egoista ha operato bensí da
egoista, ma sente e giudica e valuta conforme a giustizia. Egli è in con-
traddizione perché il criterio di valutazione, cioè di scelta tra i motivi,
seguíto nella sua azione concreta è contrario al criterio di valutazione che
egli accetta come persona morale, che applica nel giudizio sulle azioni altrui
e, in quanto rie- sce ad essere imparziale in causa propria anche a se stesso.
E la vera questione qui sarebbe di vedere se quel criterio di valutazione che
egli accetta come persona morale è posto dalla ragione; se dato che non fosse
sentito e accettato dalla sua coscienza, potrebbe un processo razionale farlo
sorgere. 11 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale
Erminio Juvalta per gli altri, ma ammette e trova naturale e legittimo nello
stesso tempo, che ciascun altro sia senza riguardi per lui. È pronto a
sopraffare, potendo farlo senza danno, gli altri; ma non protesta se altri,
potendo, sopraffà lui. — Dov'è qui la contraddizione? ** * Si dirà che cosí
facendo si riesce all'uno o all'altro di questi risultati: o alla limitazione
reci- proca degli egoismi per mezzo di norme di condotta che li renda
compatibili, e abolisca lo spettro hobbesiano del «bellum omnium contra omnes»;
o al riconoscimento del valore supremo, della for- za come criterio ultimo
della condotta. Ora il primo risultato — si dirà — è la negazione dell'egoismo;
l'egoismo, diventando ragio- nevole sbocca in un criterio diverso, anzi
contrario: si fa legge, cioè diritto, cioè giustizia. Il secondo tiene sospesa
sull'egoista la spada di Damocle della sua condanna: il piú forte d'oggi può
essere piú debole domani, il piú forte contro i singoli è meno forte contro la
coalizione dei singoli. Il numero, il «gregge» può sopraffarlo; e se lo
sopraffà esso ha ragione perché è il piú forte. Per sostenere che il criterio
della forza deve valere soltanto tra i singoli e singolarmente presi,
occorrerebbe un altro presupposto, un altro giudizio, un altro criterio fuori
della forza, che valga a distinguere entro quali limiti l'uso della forza è
legittimo. Ma fuori di questa clausola (che ricondur- rebbe al risultato
precedente), la forza contiene in sé la propria condanna perché genera da sé la
propria negazione. Né l'uno né l'altro di questi discorsi che paiono vittoriosi
è, se si guarda spassionatamente, concludente. ** * Cominciamo dal secondo. È
bensì vero che l'egoismo se non scende a patti con gli egoismi che gli si
possono contrapporre sbocca nel criterio della forza; ma il criterio della
forza non si nega e non si smentisce finché si ammette che esso valga per
tutti9, che la mia volontà sia legge finché il piú forte sono io, e che sia legge
la volontà degli altri quando piú forti sono gli altri. Sarebbe invece smentita
appunto, quando valesse finché il piú forte sono io e non valesse piú se il piú
forte è un al- tro. Si può dunque dire che il criterio della forza può
riservare delle sorprese, e portare, a chi l'accet- ta, piú danni che utili. Ma
non si può dire che sia in sé contraddittorio; come non è contraddittorio per
un giocatore accettare la legge del gioco coi suoi rischi e le sue promesse,
anche se queste sono superate da quelli. Ciò riguarda dunque, non la coerenza
intrinseca del criterio, ma la questione se a un egoista accorto convenga o no
di farne la sua legge. Se ci pensa bene, se pesa il pro e il contro con pruden-
za, forse non sceglierà una strada nella quale i pericoli sono superiori alle
speranze. ** * 9 Se si trova difficoltà a immaginare seguíto questo criterio
fra gli individui, non c'è che da pensare al principio che ha regolato in
ultima istanza, fino a ieri, se non fino ad oggi, i rapporti fra gli stati, e
che dovrebbe regolarli sempre secondo l'imperativo nazionalistico o etnico o
storico, che passò e passa tuttora - agli occhi di molti - come il solo impe-
rativo «seriamente» politico. In questa concezione dei rapporti fra gli stati
non domina forse nella sua forma rigorosa quella tesi estrema - che lo Stirner
formulò per i singoli individui - e che parve ad alcuni per il suo stesso
rigore una caricatura ironica dell'a- narchismo di una società di egoisti, che
vale fin che mi giova e dura finché mi piace? O si vorrebbe dire che non sono
«ragionevoli» i politici, filosofi o no, che accettano e difendono questo
crite- rio, non solo come l'unico criterio possibile, - in determinate
circostanze storiche, - ma come il solo «razionale?» Se- nonché anche la
razionalità dell'egoismo statale non è data, ma presupposta, o fondata su un
presupposto: che l'interes- se, anzi, un certo interesse dello stato abbia un
valore incondizionatamente supremo. 12 Su la pluralità dei
postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Ed ecco l'altra alternativa:
l'egoismo che si limita e si fa diritto10. Ma qui è ancora piú facile scorgere
l'equivoco e può parer superfluo il metterlo in evidenza. L'egoista che accetta
il diritto come garanzia della sua sicurezza, della sua tranquillità, della sua
li- bertà, cioè la limitazione dell'egoismo per motivi egoistici, non cessa
perciò solo di essere egoista, e non v'è nessuna contraddizione intrinseca, per
lui, nell'accettare condizioni che per lui sono vantag- giose. Che un diritto
cosí giustificato non abbia valore morale e non debba identificarsi con la giu-
stizia è evidente: che un diritto il quale non abbia altro fondamento che
questo calcolo egoistico sia poco saldo e non abbia piú consistenza di realtà
storica che lo stato di natura, è inutile dire; ma non si può dire in nessun
modo che l'egoista contraddica se stesso quando accetta e riconosce una legge
che limita il suo egoismo. E l'economia politica assume, come tutti sanno,
l'ipotesi dell'uomo che produce e scambia la ricchezza secondo motivi egoistici
e per puri motivi egoistici, ma osserva per- fettamente le altre forme
giuridiche piú rigorose della giustizia, senza che questa osservanza venga a
contraddire menomamente il presupposto egoistico. Anzi, ognuno sa che la
limitazione piú rigida e piú incondizionata dei fini particolari di ciascuno
sotto la legge di un dispotismo senza limiti e senza controllo, è giustificata
dal Hobbes in nome dell'egoismo e dell'espressione piú elementare e piú
grossolana dell'egoismo (la conservazione della vita); e che a un calcolo
puramente egoistico si riconducono dall'Helvetius (cosa parimenti notissima)
ogni forma di condotta ed ogni azione uma- na. E nelle dottrine che prendono
nome di utilitarie (con un battesimo antonomastico che non si ca- pisce se faccia
piú torto, come si crede, alle dottrine, o a chi le ha designate con questo
nome11), la difficoltà piú grave, la sola difficoltà insormontabile dal punto
di vista del proposito che le ispira, è quella che nasce dalla esigenza di
conciliare la utilità individuale con la utilità sociale: alla quale e- sigenza
si crede di soddisfare nel modo piú efficace, facendo dell'utile della società,
il mezzo e la condizione dell'utile individuale; cioè giustificando da un punto
di vista egoistico, le norme della vi- ta sociale. E questo stesso sforzo di
giustificare con una motivazione egoistica ogni ordine di attività anche piú
elevata non solo dimostra che è tutt'altro che evidente la contraddizione
intrinseca e la ir- razionalità dell'egoismo, ma fa pensare piuttosto il
contrario: che l'illusione di questa possibilità sia nata, e la tenacia dello
sforzo alimentata, appunto dall'opinione che la via migliore, se non l'unica,
di persuadere che l'operare moralmente è conforme alla ragione, sia di mostrare
che le norme morali coincidono con quelle di un bene inteso cioè di un
intelligente egoismo. Ma con ciò si suppone o si accetta, ma non si pone la
pretesa legittimità evidente per sé del- l'egoismo, come norma suprema di
condotta, accanto o contro la legittimità del criterio opposto. Ed è sempre
sottinteso il presupposto arbitrario che vi sia un criterio di valutazione il
quale è per sua natura conforme alla ragione, di fronte ad altri criteri
contrari. Mentre contrario alla ragione non è né l'uno né l'altro criterio per
sé. Ma è soltanto la pretesa di accettare un certo criterio e insieme non
accettarlo, di ammetterlo come norma di condotta e non applicarlo. 10 Chiedo
scusa al lettore se adopero questa volta frasi di questo genere - adatte piú ad
effetti stilistici che a precisione di pensiero - per segnalarne il pericolo.
Non bisogna dimenticare che in queste espressioni «l'egoismo che si nega»,
«l'arbitrio che limita se stesso» e molte altre somiglianti, il senso voluto
significare è reso possibile perché e in quanto il termine in questione
(egoismo o altro) è preso a indicare in una due significazioni diverse:
nell'una è l'astratto (la connotazione comune a tutti egoismi); nell'altra è il
collettivo (l'insieme degli egoismi particolari e degli arbitri diversi che si
contrastano). 11 Il quale è un tacito riconoscimento che gli uomini considerano
veramente utili soltanto le azioni che servono a certi fini e a certe
soddisfazioni loro. Ma utili in qualche modo sono tutte le azioni; se no (ah
questo sí), non sarebbero ragionevoli. Sono utili, o credute utili, al fine a
cui sono dirette, economico, scientifico, estetico, religioso, politico, ecc.
Che siano dette utili soltanto le prime, parrebbe dunque significare che
abbiano vera importanza per l'uomo soltanto quei certi fini, che poi si
dimostra con molti discorsi che sono meno nobili degli altri. 13 Su
la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO
QUARTO LA RICERCA DEL FINE SUPREMO Con ciò la tesi egoistica cerca di porsi su
quella medesima via che è nella tradizione dei si- stemi e delle scuole la via
piú comune del razionalismo morale, ed è in effetto la piú semplice, si di-
rebbe quasi la piú ovvia ed ingenua: quella notissima di ricondurre le norme a
un bene, a un fine, a un ideale, di cui si è riconosciuto o si debba
riconoscere incontestabile il valore supremo. Qui ciò che fa da principio della
dimostrazione da «assioma medio» o proprio della costru- zione morale, è il
giudizio in cui si assume questo valore e questa dignità suprema del fine. Posto
che il fine assunto sia il fine che l'uomo riconosce come supremo e che si
dimostri come le norme morali siano ordinate ad esso, la loro legittimità è
dimostrata. Quale sia questo fine e in che consista spetta alla ragione di
trovare o di giudicare; di trovare e formulare, se questo fine supremo è dato e
si assume come riconosciuta e incontestata la sua vali- dità di supremo; — di
giudicare, se su questo valore cade dubbio, o se si pensa che non basti un ri-
conoscimento di fatto, ma sia necessario un riconoscimento di diritto; che
spetti alla ragione, non già o non soltanto di scoprire, se vi è, un tal fine,
ma di giudicare perché esso debba valere. Nella prima maniera il valore del
fine e quindi del criterio supremo che la costruzione logica assume, e sul
quale si fonda la giustificazione delle norme morali, è manifestamente dato
alla ragione, non posto da lei; ma l'assumerlo può apparire e appare
praticamente legittimo, finché è ammesso e fuori di contestazione che il fine è
supremo, perché è in realtà il fine unico, segnato dalla stessa «natura u-
mana»; quello a cui si riducono tutti i fini particolari; che li comprende, li
concilia e li subordina tutti. Tale è nella sostanza il procedimento logico
delle dottrine che assumono come fine naturale — al quale necessariamente si
riconduce o mette capo qualsivoglia fine parziale — la felicità o la perfezione
o altro preteso fine dello stesso tipo, che li compendii tutti. Ma è appena
necessario os- servare come quegli stessi caratteri per i quali pare cosí naturale,
cosí evidente e cosí «ragionevole», riconoscere questo fine come il fine per
eccellenza, senza contestazione e senza eccezione comune e costante e
incoercibile della natura umana, sono quei medesimi che fanno di questo fine
apparen- temente unico, un termine vago e vacuo di ogni contenuto determinato e
concreto; del quale nessu- no contesta che sia supremo, finché ciascuno può
dare a quel termine il significato che si accorda, per lui, col valore che gli
si attribuisce di supremo. Ma perché una qualsiasi costruzione sia possibile è
necessario che il termine assuma un cer- to contenuto determinato; il quale
contenuto è esso che serve di fondamento alla deduzione; mentre ciò di cui si
riconosce come supremo e fuori di contestazione il valore è quella Felicità (o
Perfezio- ne, o altro Bene) della quale quel contenuto assume la veste, il
titolo e le prerogative; e in nome del- la quale si presenta appunto come fine.
E cosí accade che, mentre nell'apparenza il fine è uno, in re- altà è duplice:
uno è il fine nominalmente assunto, a significazione indeterminata e che per sé
non potrebbe servire a costruirvi sopra che delle tautologie inconcludenti, ma
che reca il titolo e le inse- gne, e quasi la formula magica, della sua
sovranità: ed è la felicità (o quell'altro termine dello stesso genere);
l'altro è il fine realmente assunto. Il contenuto determinato che serve alla
deduzione, che regge la dottrina, e che fornisce veramente il criterio al quale
si riconduce logicamente la legittimità delle norme, dei precetti e dei giudizi
che se ne ricavano. Cosí resta giustificato in nome della felicità ciò che
viene determinato in conformità a quel certo contenuto. L'uno serve a
costruire, l'altro a dar valore alla costruzione. ** * Ora finché si ammette
che la felicità o quel qualsiasi altro termine che lo sostituisce consiste
veramente in quel contenuto sul quale si è costruita la dottrina, e l'accordo
sulle deduzioni favorisce e conforta questa certezza, la distinzione fra il
dato della costruzione e il supposto che lo investe del 14 Su la
pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta valore di fine,
non ha luogo, o apparirebbe ingiustificata o pedantesca. È, o si ammette come
pacifi- co, che il dato e il supposto coincidono, che l'uno esprime il significato
dell'altro. Ma se, sotto l'apparente unità del termine si mostrano le
differenze di contenuto; e i fini par- ticolari che si credevano fusi e,
unificati in quell'unico fine, rivelano la loro incompatibilità; e un fi- ne e
un ordine o specie di fini pretende di valere come sommo, subordinando a sé od
escludendo gli altri; allora è necessario scegliere. E la scelta tra due o piú
specie di "Felicità" (come tra due o piú forme di «Perfezione») non
può essere fatta in nome della felicità. Tra due o piú ordini di fini che si
presentano come fini della «natura umana» non si può sentenziare in nome della
natura; oppure si deve ricorrere a distinzioni tra felicità e felicità, tra
natura e natura, che rivelano l'assunzione aperta o tacita di un criterio che serve
a distinguere la vera da una falsa o apparente felicità, e a determinare in che
consista e in che si appunti la «vera» natura umana. «Considerate la vostra
semenza...» ** * E cosí il riconoscimento di fatto si muta in riconoscimento di
diritto. Non è questo davvero, finalmente, il compito della ragione? Di far
capire, di persuadere, di dimostrare che alcuni fini sono degni e altri sono
indegni dell'uomo, alcuni superiori, altri inferiori? E fare questa scelta non
vuol dire fare una gradazione di fini, e giudicare quale meriti di essere
riconosciuto come il fine supremo che serva di termine di confronto, per
subordinare quelli che si conciliano ed escludere quelli che sono
inconciliabili con esso? Qui adunque pare veramente che sia razionale, non solo
il processo di deduzione dal fine, ma razionale la scelta stessa del fine, il
riconoscimento del valore che esso deve avere di fine supremo. Senonché non è
difficile scorgere l'equivoco e trovarne la origine. Il criterio in base al
quale la ragione giudica la dignità dei fini, ne fa la scelta, la
subordinazione e la esclusione, è desunto dal- la coscienza morale, cioè in
ultimo da quelle stesse valutazioni che la costruzione razionale è chia- mata a
giustificare. In realtà il giudizio della ragione è il frutto di un processo
che è bensì esso ra- zionale, ma che si fonda su dati di valutazione morale. Il
processo reale, palese o nascosto, è, in breve, questo: La coscienza morale
dice all'uomo quale è la condotta buona, la condotta che è giusto che segua,
che deve seguire. La ragione mostra (non cerchiamo se con regressione del tutto
rigorosa e univoca, ma in o- gni caso adempiendo un ufficio che è propriamente
e incontestabilmente suo), mostra, dico, che quella condotta è ordinata a certi
effetti, raggiunge un fine che è perciò — dal punto di vista dedut- tivo e
giustificativo dell'esigenza razionale che vuole l'unità e la coerenza — il
Bene morale; e poi- ché non sarebbe morale se non valesse come sommo, questo
Bene deve essere riconosciuto e posto come supremo. Non è dunque perché la
ragione lo giudica supremo che esso vale come fine morale; ma è perché esso
deve valere come fine morale, deve adempiere a questo ufficio nella unità
logica del si- stema, che la ragione gli riconosce questo valore di fine
supremo. Il che viene a dire che il titolo sul quale il giudizio della ragione
è fondato, il criterio seguito nella scelta è il carattere che esso assu- me, o
è capace di assumere, di fine morale. Riconoscergli questa attitudine, questa
capacità a dar ragione dei giudizi morali, a servire ad essi di principio di
giustificazione, cioè di dato dal quale razionalmente si ricavano le norme,
equi- vale a riconoscerlo come fine morale; e assumerlo come tale, equivale ad
assumerlo come supremo. Adunque è bensì la ragione che giudica questa
attitudine o questa capacità che ha il fine di servire di giustificazione dei
giudizi morali. Ma il valore morale di queste valutazioni è dato, deve essere
ammesso o presupposto. La ragione porta il suggello di questo valore su quel
fine del quale essa mostra la congruenza con le valutazioni morali. 15 Su
la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta ** * Se in
questo proposito di ricondurre le valutazioni della coscienza morale a un fine
unico, possa riuscire o no, e, dato che possa, entro quali limiti e con quali
frutti, è una questione che qui può essere lasciata in disparte. Ciò che
importa notare è che quel «Fine» ha valore supremo per l'uomo dotato di
coscienza morale; per una natura umana per la quale valga l'esigenza morale e
valgano le valutazioni che essa richiede e che la esprimono. È supremo dunque
nell'ipotesi che l'uomo senta la superiorità di certe aspirazioni su certe
altre, di certe attività su certe altre, di una «natura» su l'altra. Per far
riconoscere il valore supremo di questo fine noi dobbiamo dunque supporre
ammes- so il valore di quei giudizi morali, dei quali dimostreremo poi
razionalmente la validità, deducendo- li da quel fine. Sono questi giudizi, di
cui è o si assume incontestabile il valore morale, il dato o i dati primi della
costruzione assiologica; e la ricerca del fine supremo non è che lo sforzo
logico di ricondurli a un solo principio di valutazione, a un unico criterio;
di costruirli in sistema. Del quale perciò la va- lidità logica, la coerenza
necessaria, l'unità di sistema è posta dall'esigenza razionale; ma la validità
assiologica esprime una esigenza morale, la quale è già data o postulata
16 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta
CAPITOLO QUINTO «MASSIME RAGIONEVOLI» E «PRINCIPÎ RAZIONALI» Se i giudizi
primari di valore, i criteri ultimi, attorno a cui si raccolgono e ai quali si
subor- dinano le valutazioni, sono assunti e non posti dalla ragione, come si
può parlare — e manifesta- mente se ne parla con fondamento — di massime di
condotta sulle quali tutte le persone «ragione- voli» vanno d'accordo, e il
dissentire delle quali è tenuto come segno patente di irragionevolezza? Che
significa ciò se non questo per l'appunto, che basta per riconoscere la bontà
di quelle massime, essere ragionevoli, cioè dunque, che basta la ragione a
giustificarle? Pare infatti di sí, a prima vista, e si può anche entro certi
limiti accettare dall'uso questa for- ma di espressione senza inconvenienti; ma
ciò non toglie che l'espressione sia impropria e che l'os- servazione notissima
e comunissima prova qualchecosa d'altro; un fatto assai notevole, e a cui si
collega una considerazione d'importanza capitale per il modo d'intendere i
rapporti tra valori morali e valori di altre specie: che le massime delle quali
si discorre, esprimono o valutazioni primarie e- lementari, di cui è superflua,
perché è comune e manifesta, ogni giustificazione, oppure delle valu- tazioni
nelle quali si incontrano criteri assiologici tra loro diversi. Sono queste
valutazioni mediate o indirette che si possono ricondurre cosí all'uno come a
ciascun altro dei criteri suddetti; quasi ponte di passaggio a cui mettano capo
strade di origine diversa, o linea di intersezione di piani diversi. Cosí nel
raccomandare i precetti della temperanza si incontrano stoici ed epicurei,
edonisti e mistici, egoisti ed altruisti, sia pure per motivi diversi, ossia in
vista di fini diversi e anche opposti tra di lo- ro; e nel raccomandare
l'osservanza dei patti, l'homo œconomicus e l'homo ethicus si trovano pie-
namente d'accordo12; ossia qualunque possa essere, tra quelli che sono
comunemente accolti, il cri- terio assunto, chi lo accetta, deve
ragionevolmente accettare quella norma; o, in altri termini, qua- lunque sia,
tra i normalmente possibili, il fine accolto come supremo, chi lo accetta deve
riconosce- re che esso richiede come suo mezzo o condizione quel modo di
operare. Non riconoscerlo vorrebbe dire volere il fine e non il mezzo. Ora
riconoscere che se si vuole il fine bisogna volere il mezzo, che se si accetta
un principio bisogna accettare le conseguenze, que- sto è appunto, essere
ragionevole. E poiché dai diversi principi tra i quali suole essere cercato,
se- condo le tendenze, quello che si assume come criterio, la deduzione logica
conduce a quel medesi- mo precetto, questo precetto appare fondato in ragione,
ragionevole per sé. E in effetto, non si po- trebbe giustificare se non per
mezzo della ragione; appunto perché è essa che ne dimostra volta a volta la connessione
necessaria con ciascuno dei criteri che possono essere rispettivamente assunti
per legittimarlo. Ma il valore di questi criteri primi o supremi è, per
ciascuno dei casi, ammesso o presupposto. Di che si ha la riprova nel fatto che
se, per ipotesi, si assume un criterio le cui conse- guenze valutative non
coincidono con le valutazioni comuni, cessa di apparire «ragionevole» quel modo
di operare che è ritenuto — ed è in effetto — tale, finché sono considerati
come legittimi i criteri consueti. Usar pietà diventa irragionevole se chi usa
pietà è persuaso che il fine piú degno è la forma- zione del superuomo e che a
formare il superuomo è necessario essere spietati. Questo esempio può parere
poco convincente perché troppo remoto dalla probabilità di essere riconosciuto
e accolto. Ma, lasciando pure di notare che esso sarebbe probativo anche se
fosse del tutto ipotetico13, è da os- 12 Anzi su questa circostanza si fonda la
considerazione, a cui ho accennato, di importanza capitale per l'etica e di cui
ho trattato di proposito altrove (confronta Vecchio e nuovo problema, Parte I,
Cap. II, Parte II, Cap. II): cioè che una qualità, una virtù, un modo di
operare che ha valore per un rispetto, può aver valore anche per altri rispetti
diversi. Un atto morale può avere, anzi di solito ha, anche un valore di
utilità individuale o sociale e così via. Il che spiega: 1° come avvenga che la
giustificazione delle medesime norme morali si sia potuta cercare in fini di
natura diversa; 2° co- me sia possibile, anzi sia la sola soluzione legittima
del problema, di giustificare, ricavandolo da un fine diverso, il pre- cetto
morale, questa: di considerare la pretesa giustificazione come una
rivalutazione sotto un rispetto diverso (edonisti- co o sociale o d'altro
genere) di ciò che ha già un valore per sé, morale. 13 E non è, come
tutti sanno. 17 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale
Erminio Juvalta servare che pur prescindendo da negazioni e contrasti cosí
recisi, sull'accordo tra le persone ragio- nevoli sono da fare assai piú
riserve che non paia a prima vista; appunto perché, dove il consenso abituale
del costume e l'accordo delle opinioni accettate senza critica non sopraffà o
non nasconde le divergenze, e soprattutto nel campo della vita interiore,
queste sono assai maggiori che non si creda. Anzi si può dire che su certi
campi l'accordo tra persone di tendenze e di indirizzi morali di- versi è
raggiunto, non in grazia della ragione, ma nonostante la ragione, la quale se
fosse rigorosa- mente applicata, richiederebbe un modo diverso di valutare e di
giudicare l'azione. Il che viene a di- re che qui l'accordo c'è, non perché
tutti sono ragionevoli, ma perché alcuni si dimenticano di esse- re, o credono
di essere mentre non sono. ** * Nell'esempio allegato sopra si ha la prova di
un giudizio di valore tenuto come contrario alla ragione, che appare conforme a
ragione quando muti il criterio al quale si riconduce. Non meno, anzi piú
significativo è il caso inverso, di principî tenuti come razionali che ces-
sano di essere riconosciuti tali, se cessano di essere ammessi certi dati o
postulati dei quali si sottin- tendeva che non potessero essere ragionevolmente
negati. Di che l'esempio storico piú insigne e piú istruttivo è offerto da quei
principî etico-giuridici che passano come il modello caratteristico di una
costruzione puramente razionale. Anzi, su questa idea che la costruzione
giuridica del secolo XVIII — della quale l'espressio- ne piú nota è la
Dichiarazione dei diritti dell'8914 — sia una pura astrazione razionale, è
fondata la critica ormai stereotipa che si ripete in nome del senso storico;
mentre nella elaborazione e nella si- stemazione di quei principi ebbe la sua
parte, e la adempì magistralmente, la ragione; ma non era e non è la ragione
che ne pone la validità e ne fa sentire la giustizia. Il vero difetto della
costruzione razionale non è di aver per soggetto l'uomo astratto in luogo
dell'uomo storico (qualsiasi costruzione, non solo sistematica, ma anche
storica, non può fare a me- no dell'astratto), ma è di aver assunto a
fondamento della propria costruzione un astratto (l'uomo- ragione)
insufficiente a reggere l'edificio che si voleva fondare su di esso. Infatti
l'uomo-ragione supposto dal razionalismo non è soltanto ragione; è, insieme e
impre- scindibilmente, nel concetto razionalistico, l'uomo che ammette certi
principî, espressi o sottintesi, che sono incorporati e assorbiti, almeno
nell'opinione comune, surrettiziamente e inconsapevol- mente nel concetto di
uomo-ragione. Non si capisce la razionalità dei diritti dell'uomo e del
cittadino, se non supponendo che sia un dato razionale ammettere che nessun
uomo debba essere trattato come strumento della volontà altrui; cioè senza
supporre il valore assoluto dell'uomo come tale, e il postulato giuridico
corrispon- dente, dell'uguaglianza di diritti di tutti gli uomini. È in effetto
per questo soltanto che ad ogni uomo in quanto cittadino15 sono riconosciuti di
fronte allo stato tutti quei diritti che fanno scandalizzare Comte, sogghignare
Marx e sorridere l'ho- mo historicus. Né si dica che il Nietzsche è finito al
manicomio; ciò non proverebbe nulla: l° perché non è teoria solo del Nie-
tzsche ma di molti: e divenne in veste politica, dottrina di un popolo o di una
razza; 2° perché quando il Nietzsche la pensò non era pazzo; 3° perché anche se
fosse stato pazzo, la teoria di un pazzo non è necessariamente una teoria
pazza; 4° perché in ogni caso sarebbe da dire non che è irragionevole la
massima, la quale, poste quelle premesse, è ragionevo- lissima, ma che è
inumano, o ripugnante, o indegno, accettare una o l'altra delle premesse, o
ambedue. 14 Ma è tutt'altro che l'unica perché fu preceduta, come è noto, non
solo delle dottrine del liberalismo inglese, ma anche dai Bills of Rights dei
diversi stati dell'Unione Americana. E quanto al luogo comune delle «Ideologie
france- si» ha ragione il Janet, di rilevare che in un testo scolastico
universitario inglese, «Philosophiae moralis institutio com- pendiaria»,
stampato a Glasgow nel 1742, di un autore tutt'altro che ignoto, l'Hutcheson,
si parla come di cosa pacifica, venti anni prima del Rousseau, del patto
primitivo degli uomini fra di loro, e dei sudditi col loro governo. 15 Un altro
luogo topico che potrebbe senza danno essere lasciato in disparte, è quello che
vede nei famosi dirit- ti l'affermazione estrema dell'individualismo e la tesi
dell'individuo-fine e dello stato-mezzo. Mentre il riconoscimento di quei
diritti esprime a parte singuli la garanzia della libertà individuale, ma
esprime insieme l'ufficio fondamentale e preliminare di ogni stato: la tutela
della giustizia. E combattere le violazioni della libertà e della giustizia,
fatte in nome 18 Su la pluralità dei postulati di valutazione
morale Erminio Juvalta Mentre, se si esclude quel supposto e si ammette che lo
stato abbia un valore in sé superiore a quello della persona, o se si ammette
che i diritti debbano essere subordinati alla cultura, alla po- sizione
sociale, alla costituzione politica dello stato, quei diritti «naturali» non
hanno piú nessuna ragione di essere riconosciuti come diritti. Ma il principio
che la persona umana ha valore per sé e che non è giusto usare la persona come
mezzo, è un postulato di valore (cosí come è un postulato di valore il
principio che ogni uo- mo, in quanto soggetto di diritti, valga quanto
qualsiasi altro); i quali possono essere assunti e pos- sono essere negati
senza che chi li accetta o li nega cessi, per questo fatto dell'accettarli o
negarli, di essere ragionevole, o diventi ragionevole se non era. Perciò non è
da meravigliare che quando i postulati di valore impliciti in quella
costruzione razionale del diritto sono messi in dubbio o negati, la costruzione
debba sembrare campata in aria. Mentre non era campata in aria, e non è, per
chi assume come soggetto di quei diritti un uomo che è dotato di ragione non
solo, ma insieme di una certa coscienza morale e giuridica; la coscienza mo-
rale e giuridica che si raccoglie nei detti postulati e si può dedurre da essi.
** * Questi postulati il razionalismo aveva torto di pensare che fossero
impliciti necessariamente nella ragione, ossia di credere che «uomo
ragionevole» volesse dire insieme uomo che accetta quei principî di
valutazione. (Il che non vuol dire, si badi bene, che avesse torto
nell'accettarli e nell'as- sumerli come degni di essere accettati). Ma se si
ammette o si suppone che siano accettati, la costruzione razionale che se ne
ricava, come dottrina dei rapporti etici e giuridici che governerebbero
qualsiasi società umana, nella quale essi fossero sanciti come criteri supremi
della condotta, in ogni sua forma — sia dei cittadini tra di loro, sia dei
cittadini verso lo stato, e inversamente, sia degli stati fra di loro —, non
solo non è ille- gittima, ma è la sola legittima. E il suo valore etico, giova affermarlo,
sussiste, se c'è, qualunque possa essere la distanza che si osserva o si
immagina intercedere fra uno stato conforme a quella esigenza ideale, e questa
o quella forma di realtà storica e concreta. Anzi, per chi assume
quell'esigenza come avente valore morale supremo, i doveri corrispon- denti
all'attuazione e all'osservanza di quei rapporti saranno i doveri fondamentali
precedenti in au- torità e in obbligatorietà ogni altra sfera di doveri, e i
diritti correlativi esprimeranno i valori sociali e politici supremi
indipendentemente da ogni giudizio sulla realtà e attuabilità delle forme
ideali di Enti o di rapporti tra gli Enti cosí configurati16. Per converso, chi
respinge questo postulato, non solo può, ma deve, ragionevolmente, nega- re
ogni valore alla costruzione razionale corrispondente (sebbene avrebbe
l'obbligo — in sede di di un preteso interesse della collettività e dello
stato, non è negare l'interesse della Società, ma piuttosto difenderlo. Anzi
l'homo ethicus del secolo XVIII è povero di contenuto appunto perché si
esaurisce nei doveri del cittadino, cioè nei va- lori giuridici e politici, e
dimentica o trascura i valori propri della vita personale interiore. Il che
prova che sono lasciati nell'ombra non solo i fini propri dello stato (uffici
positivi) ma anche i fini spe- ciali dei singoli; appunto perché domina e vince
ogni altra preoccupazione quella dei fini comuni universali e fonda- mentali -
così per la vita individuale come per la vita sociale - della libertà e della
giustizia. 16 Chiamare la concezione ideale di una forma di diritto una
astrattezza e usare questo termine a dispregio, non è esatto e non è giusto se
non quando questa forma ideale sia concepita fuori dalle condizioni necessarie
a farlo essere diritto. Nel qual caso sarebbe legittimo dire che il diritto
ideale è un diritto impossibile, e sarebbe sciocco e vano conce- pirlo e
parlarne. Ma un diritto ideale concepito nelle condizioni che sarebbero
richieste a farlo sussistere come diritto positivo, non è piú astratto che un
diritto positivo qualsiasi concepito nelle sue condizioni storiche. Salvo che
nel secondo caso le condizioni esterne del diritto sono reali, nel primo sono
possibili; nel concetto dell'un diritto l'idea delle condizioni che ne fanno o
ne hanno fatto un diritto positivo, trova corrispondenza nella realtà, e nel
concetto dell'altro l'idea delle con- dizioni che farebbero del diritto ideale
un diritto positivo, non ha trovato o non trova più, in una forma storica di
realtà, la sua corrispondenza. 19 Su la pluralità dei postulati di
valutazione morale Erminio Juvalta morale — di chiarire quale postulato assuma
al posto di quello che respinge, e quale sarebbe il si- stema etico-giuridico
che ne discende). Ma commette una grossolana fallacia elenchi, quando pretende
di confutare o condannare quella costruzione etico-giuridica in nome della
realtà o della storia. Perché la realtà e la storia da- ranno la stregua della
attuabilità dei rapporti prospettati nella costruzione ideale, ma non del
valore di questi rapporti. ** * Cosí il razionalismo assume erroneamente come
dati razionali dei postulati di valore e si il- lude di poter imporre in nome
della ragione dei principi che non valgono se non supponendo accet- tati quei
postulati che li giustificano: e lo storicismo si illude di togliere ogni
valore alle costruzioni fondate su quei postulati dimostrando che la realtà
storica è diversa da quelle costruzioni. Come se il riconoscere che gli uomini
non hanno nelle condizioni di fatto eguali diritti, o che la società non è
fondata sul contratto, o che non v'è diritto naturale, ma vi sono soltanto
diritti positivi, equivalga a dimostrare: che non sia bene l'eguaglianza dei
diritti; e che non possa essere apprezzata e apprezza- bile una società
ordinata in modo tale da poter pensare che non sarebbe diversa se fosse
costituita per contratto volontario di tutti i cittadini; o non possa essere
piú desiderabile che abbia sanzione di diritto e valga come tale un ordine di
rapporti conforme a certi criteri piuttosto che a certi altri. A risolvere
queste questioni, il sapere storico non è competente. D'altra parte lo storico
non potrebbe risolverle senza cessare di essere storico e diventare «moralista»
o «ideologo», «reaziona- rio» o «rivoluzionario», «conservatore» o «riformatore».
Perché non vi è altra via: O ricusa certi postulati di valore per assumerne
altri diversi, pure di valore. O rinunzia, non solo a qualunque giudizio, ma a
qualunque intervento della volontà uma- na nella storia, cioè nella produzione
degli eventi umani. Perché ogni azione umana, cioè consape- vole e volontaria,
implica una direzione verso un risultato che si giudica preferibile tra i
possibili, cioè implica una scelta, e quindi una valutazione. Tanto nel
«razionalismo» quanto nel «realismo» o «storicismo», i criteri di valutazione
pos- sono bensí essere ricondotti a un postulato di valore, ma questo postulato
non è posto dalla ragione né è dato dalla realtà17. Approvarlo o disapprovarlo,
ammetterlo o respingerlo, non vuol dire né rispettare o rinnega- re la ragione,
né riconoscere o misconoscere la storia; avere o non avere senso storico. Il
che è la prova piú manifesta che non è un dato della ragione il postulato di
valore a cui si riconduce l'esi- genza espressa nella dottrina del diritto
razionale, come non è un dato della storia il postulato, pure di valore, a cui
si riconduce l'esigenza implicita nella dottrina del diritto storico. ** *
Resta da osservare al nostro proposito per quel che riguarda il razionalismo
etico-giuridico, come da questa illusione che l'universalità della ragione
volesse dire anche universalità di consenso nei postulati valutativi
incorporati surrettiziamente in essa, derivò l'errore di credere che potesse
ba- 17 A questa differenza fondamentale tra valutazione e giudizio storico, è
da ricondurre, a mio giudizio, la que- stione del rapporto tra Spirito
rivoluzionario e senso storico, di cui tratta dottamente e sottilmente il
Mondolfo in un ar- ticolo del «Nuova rivista storica» (anno I, fasc. III). Il
rivoluzionario (come del resto ogni innovatore di grandi o anche di piccole
cose, anzi ogni uomo di iniziati- ve) è, o si pone, fuori della storia in
quanto valuta, cioè giudica e opta per un ideale; (anche se questo ideale è un
pro- dotto storico, non è perché è un prodotto della storia che è stimato
desiderabile, preferito e voluto). È nella storia e deve aver senso storico in
quanto è uomo politico, cioè vuole agire sulle condizioni presenti nella
direzione voluta. Insomma: in quanto sceglie tra diverse direzioni concepite
come possibili (cioè come tali da potere essere favo- rite e contrastate dalle
nostre azioni), non è nelle storia, se non in quanto sono nella storia e della
storia le sue stesse ide- alità morali. In quanto si rende conto della realtà
sulla quale vuole agire e del modo col quale la sua azione può inserirsi
efficacemente su tale realtà, è nella storia. 20 Su la pluralità
dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta stare per fare accettare
questi postulati «illuminare» le menti, dissipare «i pregiudizi», ragionare;
come è nata per contrasto l'illusione inversa che per respingere le
applicazioni, le «conseguenze pra- tiche» di quegli stessi postulati e dei
criteri che ne derivano, non ci fosse altra via che di far tacere la ragione o
screditarla e dare a lei la colpa, non solo delle conseguenze, che essa secondo
l'ufficio suo veniva svolgendo e costruendo in sistema coerente, ma degli
errori e delle violenze commesse da quelli che smentivano con l'opera i
principî o li applicavano a rovescio, e piú spesso senza cono- scenza degli
uomini e delle cose, cioè senza tener conto della realtà concreta e della
storia. E cosí si passava da una ragione fatta soggetto di meriti non suoi, a
una ragione fatta oggetto di biasimi non meritati. Ma la ragione è al di là di
quei meriti, e di questa imputazione. La ragione ha un compito inestimabile;
necessario, anzi imprescindibile, ma arduo e non fi- nito mai; di costruire
incessantemente l'unità della persona; l'unità dell'uomo teoretico, l'unità
del- l'uomo pratico e l'unità (a cui bisogna pur mirare, come miravano gli
antichi) dell'uomo teoretico con l'uomo pratico. Ha un ufficio di continua
eliminazione e ricostituzione; un ufficio nella vita spi- rituale della persona
analogo, direi, a quello che ha nella vita fisica la circolazione del sangue.
Ma non si può pretendere di ricavare da essa il principio dell'esistenza, ossia
il dato o i dati attorno ai quali si possa affermare la realtà obbiettiva di
ciò che è oggetto del sapere; né si possono trovare in essa, o ricavare da essa
i criteri sui quali si fonda la valutazione e attorno ai quali la ragione
unifica i giudizi di valore. Come non dà essa la certezza dell'esistenza, cosí
non dà essa la coscienza del valore. 21 Su la pluralità dei postulati di
valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO SESTO RAGIONE E LEGGE Resta
un'ultima via, la terza (vedi Cap. II); la piú audace e radicale. È la ragione
che pone la legge morale; ma perché la ponga non è necessario che ricorra a
nessun dato o principio materiale, sia stabilito o fondato su verità di ordine
teoretico o dimostrabili o evidenti per sé, sia cercato in un fine a cui possa
ricondursi il contenuto della legge. È la esigenza razionale che si pone come
legge, senza che a costituirla sia necessario fare appello al valore di qualche
oggetto o risultato dell'azione e dare a quel qualsiasi contenuto materia- le
che venga assunto dalla legge, un valore morale pur che sia, all'infuori da
quello che gli viene dalla forma di legge che lo impronta. È, come ognun vede,
la tesi di Kant, che è non solo la piú vigorosa, ma la sola veramente ri-
gorosa del razionalismo morale. La prima delle vie indicate (Cap. II), quella
del platonismo, e in modo particolare quella dei platonici della scuola di
Cambridge, riconduce la morale alla ragione perché la riconduce a principi
teoretici di cui si crede che la ragione dimostri la verità o faccia rico-
noscere l'evidenza: la certezza morale è razionale perché è razionale (o è
assunta come tale) la cer- tezza teoretica. È, si può dire, veramente, un intellettualismo
morale. Per Kant invece, non solo i principi pratici non si fondano su dati
teoretici; ma è soltanto nell'uso «pratico» che la ragione può varcare i limiti
del fenomeno, e affermare del noumeno ciò che è conforme all'esigenza della
morale, ciò che la ragione postula per il suo bisogno pratico. E i postulati
pratici sono veramente, non postulati etici, ma postulati metafisici affermati
sul fondamento dell'esigenza etica. Or dunque l'esigenza razionale che è
esigenza formale di una legge in generale, in morale è esigenza della legge, di
quella legge che è essa la sola razionalmente necessaria. ** * Ma essendo
incontrastato per Kant questo punto, sono possibili sul rapporto della forma e
della legge col contenuto tre soluzioni: I. O si può intendere che la legge
morale è una forma senza nessun contenuto; cioè che la forma dà il valore
morale alla legge e il criterio per osservarla e praticarla, senza che occorra
una qualsiasi determinazione del contenuto. II. O si può pensare che occorre
bensì un contenuto che si adatti a quella forma, che sia su- scettivo di
assumerla o di esserne investito; ma non importa che esso sia tale piuttosto
che diverso. Insomma: è necessario un contenuto, ma è indifferente quale esso
sia, purché possa essere contenu- to di quella forma. Non è perciò escluso a
priori che possano essere piú, fra di loro diversi. III. Si può pensare che la
forma razionale, la forma della legge morale conviene a un solo contenuto, quel
contenuto che si concreta appunto in relazione con quella forma. Ossia, che
l'esi- genza razionale basti a determinare univocamente il contenuto della
legge18. La prima interpretazione che sembra la piú semplice e sulla quale s'è
fatto un gran discutere, è insostenibile, perché si risolve in un circolo
vizioso, dal quale non è possibile uscire in nessun modo. 18 Forse a queste tre
interpretazioni, teoricamente possibili, si può trovare che corrispondano le
tre formule note dell'imperativo kantiano; corrispondano almeno nel senso che
ciascuna delle tre si avvicina di più rispettivamente a una delle
interpretazioni possibili che alle altre due. Così la prima formula
(dell'universalità) sembra rendere possibile la prima interpretazione. La
formula (terza) dell'autonomia del volere come principio di tutte le leggi morali
e dei doveri conformi ad esse, pare che possa convenire alla seconda
interpretazione. E finalmente la seconda formula (tratta la per- sona umana
come fine, ecc.) pare che risponda meglio alla terza interpretazione di un
contenuto determinato inequivo- cabile. 22 Su la pluralità dei
postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Quella stessa illustrazione
kantiana che sembra legittimarla mette capo a una formula, che fu bensì intesa
spesso e trattata come puro criterio dell'universalità sic et simpliciter (la
possibilità di concepire la massima come legge universale dell'operare), ma
che, nei termini precisi in cui è e- spressa, implica di necessità il
riferimento a un qualche contenuto senza del quale mancherebbe o- gni
possibilità di adoperarla come norma di quell'operare del quale vuole esprimere
l'obbligatorietà. Secondo quella formula, il criterio per giudicare della bontà
della massima è che io possa volere che valga come legge universale. Ma io
posso volere che una massima valga universalmente, soltanto quando, o meglio,
se, la massima cosí universalizzata non contraddice al mio Volere puro, alla
Ragione, cioè (che è tutt'uno) al Volere morale; alla legge, dunque, che fa
morale il mio volere; il che viene a dire che una massima è morale quando è conforme
alla legge del volere morale, ossia quando è conforme alla legge morale. Il
valore morale dell'azione si giudica dalla possibilità che la massima sia
voluta come legge, ma questa possibilità di essere voluta come legge, si
riconosce dall'accordo della massima con quel- la legge morale della quale non
è dato altro carattere che l'universalità, e altra applicazione che cer- care
se il modo di operare corrispondente si possa universalizzare in massima. Che
il riferimento a un contenuto sia anche nel pensiero di Kant necessariamente
implicito nel criterio, appare poi mani- festamente, non dico dagli esempi, ma
da una chiosa che non si capisce se non a patto di ritenerlo ammesso in modo
espresso o sottinteso. A proposito del quarto esempio della Fondazione (il bra-
v'uomo che non fa male a nessuno ma bada ai fatti suoi e non si cura d'altro)
chiosa il Kant in forma decisiva: «quantunque sia possibile che esista una
legge universale della natura conforme a tale massima, è impossibile di volere
che un tale principio valga come legge della natura». Ma perché è impossibile?
Manifestamente perché il Volere razionale vuole già qualchecosa che è
incompatibile con ciò che è espresso dalla massima «ciascuno per sé» (la quale
tuttavia è pos- sibile che esista come legge universale della natura); vuole
qualchecosa che ogni uomo come essere ragionevole vuole necessariamente.
Insomma, il criterio dell'universalizzazione vale in quanto è possibile
confrontare la legge, a cui darebbe luogo la massima se valesse universalmente,
con una certa legge che abbia una qualche determinazione, cioè un contenuto.
Senza questo riferimento, questo ubi consistam della volontà, non è possibile
sapere se la massima dell'azione19 abbia o non abbia i requisiti necessari,
perché si possa volere che valga come legge universale. ** * Con ciò il
pensiero di Kant sembra escludere non soltanto la prima, ma anche la seconda
in- terpretazione (che la forma razionale possa convenire a piú di un
contenuto, cioè che possano pre- sentarsi come leggi morali, modi di valutare o
sistemi di norme fra di loro diversi); e ammettere che a dare all'esigenza
razionale sussistenza effettiva di legge, determinazione di oggetto che la
renda applicabile, non sia adatto che un solo ed unico contenuto; e che la
legge voluta dall'essere ragione- vole, non possa essere che quella certa
legge. Che questo sia veramente il pensiero di Kant credo sia indubitabile, né
importa insistervi qui. Piuttosto è necessario rilevare come questa pretesa di
deter- minare la legge, quella legge soltanto in funzione della forma, possa
parere possibile e legittima finché è sottinteso o ammesso che la legge morale
deve essere universale non soltanto nella forma, ma anche nel contenuto; e che
perciò le massime in discorso sono soltanto le massime di quel certo operare
che ne resta quindi determinato in modo univoco. E cosí il criterio
dell'universalizzabilità coincide praticamente con quel contenuto di cui si sa
già e si ammette riconosciuto universalmente 19 E va da sé che anche l'azione,
di cui si vuole saggiare a questa stregua la massima, deve avere un contenuto
che la fa essere quella azione, conforme o disforme da una massima. Se no, non
si può parlare di massime dell'operare, anzi neanche di un'azione
qualsiasi. 23 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale
Erminio Juvalta il valore, di cui quindi si sa che è impossibile volere che
valga come morale una massima che lo ne- ga20. Adunque questa impossibilità non
sorge dall'esigenza razionale se non in quanto questa e- sigenza si trova
essere l'esigenza di un essere ragionevole, che è insieme una volontà che vuole
cer- ti valori; o piú chiaramente ancora questa impossibilità non emerge
necessariamente dalla ragione, ma dalla natura dell'essere ragionevole; la
quale natura è ragione, ma è insieme un volere che vuole ciò di cui la ragione
formula la legge. Ora, se si suppone che quel Volere non ponga come assoluti e
supremi quei valori, cessa o- gni ragione di volere quella legge piuttosto che
un'altra, e quindi è tolta ogni impossibilità di volere che valga come legge
una massima che è incompatibile con questa. Adunque, posto che un volere non
voglia quei valori e ne voglia altri, cessa questo Volere di essere il Volere
di un essere ragione- vole? Cessa di essere un Volere ragionevole quello che
riconosce l'esigenza di porre e di osservare la legge che ordina e unifica le
massime della condotta in conformità a quegli altri valori che esso riconosce
come morali? Non è anche in questa ipotesi salva l'esigenza razionale? ** *
Questa ipotesi (che la realtà della coscienza morale contemporanea prova, come
s'è visto, non essere pura ipotesi), conferma in concreto quel che l'analisi
della formula rivela inoppugnabil- mente: che il dato iniziale, originario o
primario della legge morale è presupposto dalla ragione, non posto; presupposto
come oggetto o contenuto di una Volontà la quale è bensì razionale in quanto
pone a sé come legge la norma dell'operare corrispondente; ma non è né
razionale né irrazionale in quel che riguarda la posizione di quei valori
primari, che costituiscono il terminus ad quem dell'o- perare, l'oggetto della
volontà, attorno al quale l'esigenza razionale stringe la condotta in unità
coe- rente di legge. ** * A una conclusione del medesimo genere riesce per
altra via la difesa che del formalismo kantiano fa il Martinetti in una sua
memoria densa e vigorosa21 nella quale egli si sforza di salvare il carattere
formale della legge pur riconoscendo la necessità di un contenuto; e lo salva
facendone la forma, non di un contenuto sensibile, ma di un contenuto
soprasensibile. Ma questa soluzione urta contro nuove difficoltà inerenti alla
concezione di questo fine tra- scendente o di questo mondo soprasensibile che è
l'oggetto proprio della legge morale. Perché delle due l'una: O si ammette che
di questo mondo soprasensibile non possiamo af- fermare altro, se non appunto
questo: che esso è il mondo nel quale trova piena attuazione la legge morale,
il mondo nel quale la legge morale vale come legge naturale, senza che se ne
diano altre de- terminazioni di sorta. Ovvero questa realtà ha altre
determinazioni, attua un certo ordine di rapporti, 20 Mi sia lecito riferirmi
per la chiarezza a uno degli esempi di Kant. La ragione per la quale non si può
volere erigere a massima universale il principio che chi è stanco della vita
può uccidersi (1° esempio), non è già che sia impos- sibile concepire seguita
una tal massima universalmente (non c'è nessuna contraddizione intrinseca nel
pensare che tutti quelli che sono stanchi della vita si uccidano); e neanche
che non sia possibile a una volontà che vuole una legge - ma che sia
indifferente per ipotesi ai valori morali, e apprezzi sopra ogni cosa il
piacere o la liberazione del dolore - volere che valga universalmente. (È così
possibile che, come tutti sanno, non mancò chi la praticasse e la predicasse
anche tra i filosofi). Ma è impossibile che voglia una tal legge chi ammette la
superiorità dei valori morali. Ossia l'irrazionalità del- la massima emerge,
non da un'impossibilità intrinseca della massima e neppure dalla impossibilità
di sussistere di un Volere che sia indifferente a certi valori, ma dal suo
contrasto con un Volere che riconosce la superiorità di certi valori (morali)
sugli altri (egoistici); e quindi non può volere che valga come legge una
massima che smentisce questa superio- rità. 21 Sul formalismo della morale
kantiana estratto dalla Miscellanea di studi pubblicata per il cinquantenario
del- la R. Accademia scientifico-letteraria di Milano. Inserito poi in Saggi e
Discorsi, Libreria Editrice lombarda, Milano, 1929. 24 Su la
pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta che non possiamo
conoscere speculativamente, ma di cui possiamo tuttavia essere certi e
affermare e riconoscerne la perfezione, la bontà, il valore. Se si ammette la
prima tesi, l'affermare una realtà soprasensibile di cui non possiamo dir al-
tro se non che è il contenuto della forma morale, non ci dice in che consiste
questo contenuto, e non ci fa uscire da questa forma. Dice che vi è un mondo
conforme alla legge morale, ma non dice quale sia, come sia fatto questo mondo.
Non ci illumina dunque, su questo punto, piú di quel che valga a far capire
quali sono le disposizioni di una legge, il pensare che questa legge sia
perfettamente os- servata. Per uscire davvero dalla forma e da questo circolo
vizioso di un mondo di cui non si sa altro se non che è governato dalla legge
morale, e di una legge morale che ha valore perché è la legge di quel mondo,
bisogna dunque attenersi alla seconda tesi; la quale, come pensa il Martinetti,
e come io credo, risponde veramente al pensiero di Kant, se non come si mostra
punto per punto nelle stret- toie della sua esposizione, come risponde
all'intento fondamentale che anima la sua dottrina del primato della ragione
pratica e piú chiaramente ancora al proposito esplicitamente ammesso da lui
nella prefazione alla seconda edizione della Critica della Ragion pura22. In
realtà «l'uso pratico» della ragione consiste nello spalancare all'esigenza
morale quelle porte della metafisica che sono chiuse alla speculazione
teoretica; nel lasciar libero alla fede il cam- po del soprasensibile vietato
alla conoscenza; nell'ammettere, se vogliamo usare espressioni corren- ti, piú
che il diritto la necessità di credere, la necessità «razionale» di ammettere
quel che la ragione, in quanto è garanzia di certezza teoretica, non può né
dimostrare né affermare; di oltrepassare — per rendersi conto della possibilità
del dovere — il campo dell'esperienza sensibile e postulare l'esi- stenza di
una realtà che trascende l'esperienza. Ma questo ufficio pratico sarebbe senza
frutto23, se una certezza diversa dalla scientifica, ma non minore, non potesse
valicare quelle porte del soprasensibile che la ragione apre soltanto all'esi-
genza morale, ma apre per lei e in nome suo. Sulla soglia del soprasensibile la
ragione sembra dire all'esigenza morale quel che Virgilio a Dante all'entrata
del Paradiso terrestre: «...Se' venuto in parte Ov'io per me piú oltre non
discerno». Ma la fede fondata sull'esigenza morale entra e procede sicura in
questo mondo, dinanzi al quale la conoscenza si arresta. Come se venuta meno
ogni luce dal di fuori, questo mondo si illumi- ni della luce che la certezza
morale accende in sé e sprigiona da sé e diffonde attorno a sé in quello che è
il suo regno. È questo mondo soprasensibile l'oggetto del Volere razionale, la
realtà di cui la legge morale è la forma. Il contenuto sensibile al quale nel
mondo dell'esperienza si applica la legge, non ha valore per sé, ma perché e in
quanto partecipa di questa forma che è forma di una realtà superiore alla qua-
le la realtà inferiore deve essere subordinata. ** * 22 Il concetto dominante
di questa prefazione (che è da raccomandare all'attenzione di quanti credono
che la soluzione dei problemi morali sia un corollario di dottrine speculative)
si può considerare riassunto in questa, che direi confessione caratteristica:
«Ich musste also das Wissen (si intende, del mondo soprasensibile) aufheben um
zum Glau- ben Platz zu bekommen» (Kritik der reinen Vernunft. Vorrede zur
zweiten Auflage, ed. Cassirer, vol. III p. 25). 23 Nella prefazione citata, a
proposito della limitazione che la critica della ragion pura porta alla ragione
specu- lativa negandole la possibilità di una conoscenza del soprasensibile,
Kant nota che il «vantaggio d'una metafisica così purificata» non è soltanto
negativo ma anche positivo perché permette l'uso pratico della ragione. E
osserva con un pa- ragone assai significativo che negare «a questo servizio
della critica il vantaggio positivo sarebbe come dire che la poli- zia non dà
nessun vantaggio positivo perché il suo compito principale è soltanto di tenere
in freno la violenza; affinché ciascuno possa attendere ai suoi affari
tranquillo e sicuro» (ib., pag. 23; il corsivo è mio). 25 Su la
pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta In questa
interpretazione24 il termine di paragone c'è, il Volere razionale ha un
oggetto, il circolo vizioso — del valore di una legge che si rimanda a un
contenuto e del valore di un contenuto che si rimanda a un Volere che vuole la
legge — è rotto. Ma è facile vedere che il dato primo a cui la costruzione
valutativa si appoggia, è il valore di questo mondo soprasensibile postulato
dalla ragione in nome della esigenza morale; ma che appun- to per ciò non è un
dato della ragione, ma della certezza morale. E l'affermazione della realtà di
quel mondo è riconosciuta legittima, perché la sua esistenza è richiesta da
questa certezza. Qui è an- cora, per Kant, la Ragione che riconosce la legittimità
della postulazione metafisica; ma la ricono- sce in quanto accetta come
incontestabile la certezza morale; la quale è certezza di valori, non evi-
denza razionale. ** * Cosí adunque anche la tesi della trascendenza della legge
morale implica accanto alla esi- genza razionale un oggetto della Volontà, un
ordine di valori, un dato valutativo irreducibile alla pura razionalità e che
trae la sua validità d'altronde. Quale ne sia la sorgente, non si può cercare
u- tilmente in breve, e non è facile; forse la sua origine è in quella stessa
attività volontaria nella quale bisogna cercare la fonte della credenza in una
esistenza obbiettiva del mondo. La volontà è direzione ed è forza. In quanto è
forza, e si esercita come forza e si rivela come sforzo (il quale richiede e
suppo- ne una resistenza) è il dato irreducibile della credenza in una realtà
obbiettiva distinta dal soggetto. In quanto è direzione, cioè scelta, cioè
azione in vista di un risultato, è il fondamento irredu- cibile dei giudizi
primari di valore, i quali esprimono le direzioni originarie della volontà,
delle qua- li acquistiamo consapevolezza attraverso le forme fondamentali del
sentimento. 24 Non è il caso di cercare qui se e che cosa il Martinetti abbia
messo di suo e di postkantiano nella sua inter- pretazione, né di vedere se e
fino a che punto il fondo mistico del pensiero di Kant si accordi con la
dottrina che do- vrebbe sottrarlo ad ogni pericolo. Qui basta notare la
difficoltà radicale in cui vengono a cadere le soluzioni del mede- simo genere.
La quale è inerente al modo di concepire il rapporto tra il contenuto sensibile
che, per essere applicabile alla realtà empirica, la legge morale deve pure
assumere, e il mondo sovrasensibile che è l'oggetto proprio della legge morale,
quello che ha valore per sé e dà valore di simbolo o di partecipazione (qui
ritornano i dubbi del platonismo) al contenuto sensibile. Infatti delle due
l'una: o si ammette che il contenuto atto a farsi suggello di quella forma,
differisce da un con- tenuto diverso oltreché per il valore formale (nel quale
si esaurirebbe il valore morale), anche per un valore di altro ge- nere. E
allora vi è luogo a cercare se vi sia o no una connessione necessaria,
intrinseca tra questo suo valore specifico e il valore formale; e in ogni caso
si riconosce che il contenuto sensibile della legge morale ha un suo valore
proprio che sussiste ed è riconosciuto anche all'infuori dell'impronta formale.
O si ammette che questo contenuto sensibile non ha nessun altro valore, cioè è
per sé indifferente; che ciò che la legge morale comanda non vale, per rispetto
a questo mondo empirico, di più di ciò che essa vieta, cioè se non fosse questo
riferimento a un mondo superiore non vi sarebbe nessuna ragione di anteporre un
modo di operare ad un altro; e le difficoltà si moltiplicano. Per lasciare le
intrinseche e più sottili, basti rilevare qui da un punto di vista diciamo pure
«profano» la stra- nezza quasi ironica del contrasto tra la soluzione del
problema e l'intento che la esprime. Perché nell'atto di affermare l'esigenza
di una osservanza incondizionata della legge morale si nega ogni valore
intrinseco a ciò che la legge coman- da; e mentre si dà alla legge un'autorità
incontrastabile perché trascendente qualsiasi valutazione empirica, si toglie
ad essa ogni ragione di venir applicata (e se si guarda bene ogni possibilità
di applicazione) a quel mondo sensibile di fron- te al quale deve essere fatta
valere questa sua autorità. Infatti, togliendo all'operare ogni valore, che
dipenda dalla direzione verso un fine empirico qualunque esso sia, non resta a
costituire la moralità, cioè la bontà del volere, che questo affisarsi nel
mondo soprasensibile, questo ten- dere a una realtà trascendente, nella quale
consiste ogni valore. Ma questa soluzione non isfugge a quella singolare
commistione dì forza e di debolezza che è caratteristica di ogni morale
rigorosamente mistica: forza, in quanto è intui- zione, atto di fede, certezza
interiore inespugnabile; debolezza, in quanto voglia farsi deduzione ragionata
di valutazioni empiriche. La quale urta nella impossibilità di stabilire
logicamente, ossia dimostrare discorsivamente, una relazione necessaria tra la
condotta che deve valere come morale nel mondo sensibile e quel mondo
soprasensibile che ne costi- tuisce l'oggetto e il termine; di superare un
distacco logico del genere di quello accennato sopra [Cap. I § 3°] tra il
crite- rio usato a determinare le norme di quella condotta e l'ordine di valori
invocato a giustificarle. 26 Su la pluralità dei postulati di
valutazione morale Erminio Juvalta L'intento di Kant di liberare la legge
morale da ogni mescolanza e contaminazione «patolo- gica» di sentimenti, di
inclinazioni, di tendenze — che si traduce in isforzi laboriosi ed ingegnosis-
simi ma vani — forse non sarebbe stato proseguito con cosí risoluta tenacia se
il Kant, meno preoc- cupato dal preconcetto (alimentato dalle dottrine
eudemonistiche del tempo) che ogni forma di sen- timento e qualsiasi genere di
fini, sia inevitabilmente soggettivo, relativo, interessato, fosse stato di-
sposto a riconoscere che vi possono essere forme universali di valutazione
intrinseca, cosí come vi sono forme disinteressate e universali di sentimento. JVALTA,
ERMINIO JL M -jf, É..^ M...^ • IL
METODO DELL'ECONOMIA PLACE:
BIZZONI DATE: 1907
COLUMBIA UNIVERSITY LIBRARIES PRESERVATION DEPARTMENT
RTRTìOnRAPHIC MICROFORM TARGET Master Negative #
Originai Material as Filmed - Exisling Bibliographic Record
r .170 hi V.2
■ I l ■! ■ ■' I < I» ■■ ■<■ '
» ■ " ' > t mm'mm'^^mmt^i^n
<9 I tli i n Juvalla, ]]r]iiiìio
Il netoilo doll'econonia pura noli 'etica. Pavia. Dizioni, 1907.
• ?:ì p. 24 cn in ZG}: cn. At head of title: E.
Juvalta. Estratto dalla Rivista filonofica, novcnbre-di-
cenbre 1907 • VoluiTio of poinplilets
Restrictions on Use: FILM SIZE: ZS^I^
TECHNICAL MICROFORM DATA REDUCTION RATIO:
//x IMAGE PLACEMENT: lA fllM IB IIB
DATE FILMED: J^mAj-_ INITIALS_?5_ HLMEDBY: RESEARCH f
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Avenue, Suite 1100 Silver Spring, Maryland 20910
301/587-8202 Centimeter 1 2 3
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— II. III. La Dottrina delle due
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PREMIATO STABILIMENTO TIPOGRAFICO SUCC. BIZZONI Corso Vittorio
Emaniu'e — Telefono 92 1907. ')
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OEUECfliiOMm mi. mrmu (1) /,'
«"iJi! hypotheses fingo.
;i ì I. L'Economia Pura assume,
come è noto, l'ipotesi che gli xwmiìii nel produrrCy consiunare, distribuirsi
e far circola-re la -ricchezza siano 7nossi esclusivameìiie dal
desiderio di coyisegiiire la maggior possibile soddisfa- zione dei loro
bisogni mediante il minore possibile sa- crifizio individuale. Alla
costi-uzione deduttiva, che se ne ricava, dei teoremi economici, ossia
delle leggi della condotta àeW Jiomo oeconoìnicus, è indiffei-ente la
questione se il postulato edonistico esprima vei'amente una condizione
di fatto; ossia se l'ipotesi — da cui si deduce ogni verità
economica — coincida o diverga ed in quale misui-a dai motivi che
effettivamente determinano le azioni umane '^2); come è indifferente
qualsiasi valutazione che e del postulato assunto, e della condotta óeìV
uomo econo77iico, e degli ef- fetti di questa condotta, si possa fare da
un punto di vista morale. In effetto il giudizio sul valoi-e
di giustizia o di bontà del motivo economico e delle leggi che ne
discendono, variò, (1) Fa parte degli Atti del Congresso Filosofico
di Parma, al quale do- veva essere presentato coi titolo più generale : €
Condizioni e limiti di una trattazione scientifica dell' Etica ».
(2 Cfr. Pantaleoni. — Principii di Economia Pura. - Capo I e li.
^■ -il \-
f V l\ \-
IL METODO dell'economia PURA XELl'eTICA come
tutti sanno, da un illimitato ottimismo al pessimismo piir radicale; e il
giudizio sulla coii'ispondenza delTipotesi colla realtà varia del pari,
da quelli che riconoscono nel motivo assunto l'unico motivo di tutta
quanta l'attività umana, a quelli che lo considerano come uno dei
fattori, non l'unico, nel campo stesso dell'economia; i quali, appunto
perchè l'economia cosi intesa studia soltanto l'azione di un fat-
toi'e, isolato per asti-azione dal complesso degli altri la cui efficacia
si esercita in realtà simultaneamente, non ricono- scono alle sue leggi
che un valore ipotetico, correlativo al cai'attere ipotetico dell' uomo
economico e dello Stato eco- nomico. Ma qualunque sia cosi
l'uno come l'alti'O giudizio, il carattere scientifico della costruzione
deduttiva rimane in- contestabile. Nella misura che la corrispondenza
colla realtà psicologica è inadeguata, si dovrà riconoscere
l'arbitrarietà del postulato, e della costruzione che ne dipetide, in
quanto pretenda di porsi come scienza della realtà ; e a secoruìa
che si ammette o si nega che il postulato abbia valore morale, si
ammetterà o si negherà valore morale alla di- sciplina precettiva che se
ne volesse ricavare. Ma in ogni caso restano incontestati questi due punti:
1.* che la ri- cerca intorno alla corrispondenza colla realtà
psicologica e storica del motivo economico e delle condizioni nelle
quali si suppone che agisca, è diversa e distinta dalla co- struzione
deduttiva dei teoremi economici ; la quale è va- lida, 7iei limiti dell'
ipotesi, sempre, qualunque sia il grado di questa corrispondenza. 2° Che
qualsiasi indagine valu- tativa del postulato, e delle leggi, e degli
effetti sia pros- simi sia remoti che ne derivano o ne deriverebbero, è
pa- rimenti distinta, ed estranea alla costruzione scientifica
il metodo dell'economia pura nell'etica 6
<iometale; la quale rimane la medesima tanto se il motivo
economico è considerato come morale quanto se è tenuto come immorale, o
amorale, e quali che siano le ragioni di questa valutazioue.
Supponiamo ora che il postulato edonistico sia ricono-
sciuto universalmente e accettato come postulato morale. E chiaro che la
disciplina precettiva derivata o derivabile dall'economia pura avrebbe
valore e carattere di precet- tistica morale; sia che il valore morale
del motivo econo- mico fosse accettato per se come un dato primo e
imme- diato, sia che venisse derivato, ossia giustificato alla sua
volta, da un fine o da una esigenza ulteriore; e qualunque fosse questa
ulteriore giustificazione. E opportuno su questo punto un breve
chiarimento. Nella supposizione ora fatta che il valoi'e morale
<iel motivo economico sia universalmente riconosciuto, non è in
alcun modo implicita l'aff'ermazione che sia riconosciuto da tutti per la
medesima, o per le medesime ragioni. Si po- trebbe ammettei'e che esso si
fondi per alcuni sulla legitti- mità, senz'altro ammessa dell' « egoismo
individuale » o del- l' < egoismo di specie )>'come regola di
condotta; da altri sul cai-attere atti-ibuito alle leggi economiche di
leggi na- turali e necessarie e non modificabili dalla volontà del-
l'uomo; da altri sopra una interpretazione ottimistica delle leggi stesse
o degli effetti o risultati che l'osservanza piena ed universale di esse
produce o tende a produrre. E si pò- irebbe del pari ammettere che V
ordine di relazioni con- forme al principio economico sia considerato
come provvi- denziale o divino e si riversi su di esso il prestigio e
l'au- torità di sentimenti e di credenze religiose o metafìsiche.
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METODO dell'economia PURA XELl'eTICA A
Anzi si può affermare a priori che questa ulteriore giu-
stificazione o valutazione, dato che si faccia, sarà diversa per le
diverse coscienze a seconda delle opinioni religiose o filosofiche
diverse sulla «latura e sul fondamento della moralità.
E tuttavia il valore morale della massima conforme al motivo
economico e delle norme che ne dei'ivano potrebbe, nella disciplina
precettiva supposta, essere legittimamente assunto come un dato di fatto
e trovare in questo la sua giustificazione immediata, astrazion fatta
dalla diversità delle ulteriori valutazioni. E in questo caso
si avvererebbero le seguenti condi- zioni : 1.0 Rimane fuori
di discussione il carattere scien- tifico della costruzione e della
disciplina precettiva che se ne ricava, il quale è dato dalla validità
logica delle con- clusioni, cioè dal rigore col quale sono dedotte dal
po- stulato. 2.° Rimane del pari fuori di discussione la
elettiva va- lidità inorale del postulato il quale è, per ipotesi,
ricono- sciuto universalmente conforme all'esigenza morale.
3.° Questa validità morale del postulato (e del sistema di norme
che ne dipende) sussiste così se il detto ricono- scimento sia concepito
indipendente, come se sia concepito dipendente da un' ulteriore
motivazione, e in questo caso, qualunque sia il fondamento ultimo di
questa valutazione ulteriore. E resterebbe perciò
distinto dal campo della costruzione deduttiva il campo delle indagini
intorno alla natura e al fondamento dell' esigenza morale, e intorno alle
condizioni soggettive della sua validità e della sua efficacia : ossia
il campo «Iella ricerca propriamente filosofica o metafisica e
IL METODO DELl'eCOXOMLV PURA XELl'eTICA 7 quello della
ricerca propriamente psicologica e, nelle sue applicazioni, pedagogica.
Ma, (,ui' avverandosi queste condizioni, anzi appunto per il
loro avverarsi, la costruzione scientifica in discorso non potrebbe
tuttavia sfuggii-e alle due limitazioni seguenti : a) Non poti-ebbe
dirsi la scienza della condotta morale, ma la scienza della
condotta richiesta da an ceì'to motivo inorale (quello di cui si è
;H)stulata come un dato di fatto la conformità all'esigenza
morale). Perchè rimai'rebbe sempre da risolvere la questione; se
quel motivo esaurisca tutto il contenuto dell'esigenza morale, o
questa non comprenda altri motivi irreducibili ìì (|uello ; e
quindi se le norme contemplino tutta la condotta morale nella sua
estensione e nella sua complessità o ne contemplino solo una parte
od un aspetto. h) Essa non esprimerebbe le norme di una
condotta attuabile sic et simpliciter in una forma reale
storicamente data di società; m:. di una condotta la cui piena
attuazione non è possibile se non nelle condizioni astrattamente
sup- poste ; cioè la condotta delT uomo morale ipotetico in una
società morale ipotetica. II. Oi'a il
concetto che ho sostenuto e sostengo intorno alla possibilità, al
cai-attere e ai limiti della morale come scienza (1) coincide, nei suoi
lineamenti formali, con quello che risulta dall'ipotesi qui sopra
abbozzata, lo penso che sia (1) Mi permetto di riferirmi qui e nel
seguito di questo articolo ad altri scritti precedenti: Prolegomeni a una
Morale distinta dalla Metafìsica. Pavia, Bizzoai, 1901 ; e Su la
possibilità e i limiti della morale come Scienza. Torino. Bocca,
1907. fm'mmme'9mmm>é'>f A
s IL METODO DELLPXONOMIA PURA NELL ETICA
* 7 ^-i^^7> essenziale
cosi all'esigenza pratica come all'esigenza teo- rica (ìi una trattazione
morale, il costiruii'si di una scienza Etica, nella forma e con un
procedimento analoghi a quelli dell' economia pura (1); e colla })ieiia
consapevolezza che la validità normativa e la applicabilità della
disciplina pre- cettiva che se ne ricavi sono possibili alle condizioni e
dentro i limiti che si sono oi- ora accennati. Ma una
costruzione etica analoga a quella dell'economia pui'a presenta una
difficoltà preliminare, che non si è su- perata, ma soltanto lasciata in
disparte, supponendo, corno si è fatto arlificiosamente, riconosciuto
valore morale al motivo economico. CI) Se qualche critico
osservasse che é fuor di proposito voler traspor- tare neir Etica un
metodo e un procedimento che neir economia stessa é « oramai superato », o
almeno r ripudiato, dalla scuola storica in nome della realtà, e dalle
varie tendenze moralistiche in nome delle esigenze etiche, potrei
accontentarmi di rispondere che dell'obbiezione si dovrà tener conto
quando i moralisti avranno fatto nel fondare una trattazione scientifica
deir Etica tanto cammino, quanto ne lece nel campo dell'economia la
Scuola Classica ; e che a mettere in canzone le ipotesi e le «
Robinsonate » degli economisti si cominciò dopo che le ipotesi avevano
già reso i più importanti servigi e perchè si era preteso di scambiare
senz' altro le astrazioni con la realtà. iMa si può anche aggiungere che
il metodo e il procedimento della scuola deduttiva, accompagnati da una
chiara coscienza delle condizioni e dei limiti della validità delle loro
conclusioni, sono i)iù vivi che mai nei cultori né pochi né oscuri
dell'economia pura; e che la scuola storica, se ha il merito di cercare e
mettere in evidenza la mutabilità e la relatività delle categorie e delle
pretese leggi economiche, si muove pur sempre entro i quadri posti dalla
Scuola deduttiva (cfr. Gide, Principes d' Ec. Poi. Noi. Gen. V) e ne
presuppone le leggi determinandone le deviazioni e le limita- zioni nelle
diverse (orme storiche. I.e scuole moralistiche poi, in quanto si
rivolgono a criticare e correggere i concetti e i precetti dell'economia
classica non ne negano il valore scien- tifico nei limiti deiripotesi, ma
ne negano il preteso valore morale : negano cioè il carattere di
giustizia e di inviolat)ilità attril)UÌto arbitrariamente alle leo-i/i
economiche. Ed é facile avvertire che gli economisti di queste scuole
(con qualunque nome si chiamino) in realtà sono moralisti che cercano di
'il IL METODO dell'economia PURA XELl'eTICA
9 La difficoltà l'iguai'da la scelta e la determinazione del
postulato; il quale deve soddisfai-e a due condizioni : Tuna comune
all'etica e all'economia, F altra esclusiva dell'etica. La condizione
comune è l'applicabilità universale del po- stulato come principici
informatore di tutta la condotta; la condizione propria dell'etica è che
il motivo, di cui si po- stula questa universale e incontrastata
efficacia, abbia va- lore morale. Ora, VI è un motivo, del
quale si possa legittimamente presumere che sia riconosciuto
universalmente il valore morale, e del quale sia insieme possibile
Tapplicazione uni- versale e simultanea a tutta quanta la condotta
individuale e collettiva ? A questa domanda ho già cercato
altrove di trovare una l'isposta; esaminando prima in che consista
l'esigenza caratteristica di una norma morale ; e poi se vi sia e
quale volgere a uno scopo pratico (nella scelta del quale sono
guidati da un criterio etico) delle conoscenze fornite dalle dottrine e
dalle indagini economiche : e la forma-limite di questa tendenza é una
intera ricostruzione su basi etiche dei rapporti eeonomici. Fanno dunque
quello che da un pezzo avrebbero dovuto fare i moralisti; cioè sentono la
necessità di considerare l'esigenza etica estesa alla stessa struttura,
non soltanto politica, ma anche economica della società. Ma
ciò che più ini])orta di osservare a questo proposito é che una cri- tica
radicale — da un punto di vista etico — della realtà dei rapporti eco-
nomici porterebbe, a guardar bene, a rimproverare all'economia pura non un
eccesso ma un difetto di astrazione. E il difetto di astrazione si rivela
in ciò: che mentre l'economia pura si propone di studiare l'azione
isolata del motivo economico, e perciò suppone ridotta l'azione dello
Stato ada tu- tela dell'uguale libertà per tutti, assume nello stesso
tempo — come condi- zioni di uguale libertà ~ certe condizioni (p. es. la
proprietà fondiaria, il capitalismo e il salariato) che limitano o
alterano T universalità o l'eflicacia del motivo. Cioè o considera, per
questo rispetto arbitrariamente, come ca- tegorie necessarie^deWe
categorie 5ioric/ie, o considera, pure arbitrariamente, come eonforrni
all'ipotesi delle condizioni disformi. *-> -f
V " ■*'**i 10 IL METODO
1)P:LLE('ONOMIA FURA NKLL ETRA IL METODO DELL'ECONOMIA Pl'RA
XELL'eTICA 11 poss.'i essere il fine che
abbia il carattei'e <ìi uiìivei'sale e pi'einiiif'iite desiderabilità
richiesto a «^nustificai'e il valore normativo del motivo corrispondente.
La conclusione di questa analisi era la seguente^ : — La
desidei'al)ilità di un ordine di effetti, che si as- suma come fine non
viene tanto dalla desiderabilità che gli si l'iconosca come bene, cioè
come oggetto diretto e immediato di godimento, quanto dalla
desidei-abilità degli effetti, lei (juali esso apjiarisca la condizione
necessaria. E perciò, inenti-e è vano andar cercando quale sia il
fine ultimo, il quale non si trov.a mai, o si risolve in una pura
espressione verbale, il fine che può valei'e come su premo si deve cercai'e
non nelT uno o nell'altro de: fini a cui si riconosca valore per sé, ma
in un ordiiM^ di effetti, in un sistema di condizioni, dato che sia
assegna- bih*, nel quale si possa l'iconoscere questo carattere ap-
[)unt() di condizione necessaria non di alcuni, ma di tutti quei beni, ai
quali si attril)uisce valore per se. E quimii il fine che può avei'e
universalmente una desiderabilità superioi'e a ogni altro, non juiò
consistere se non m un ordine genei'ale e, si potrebbe dire, preliminare
di condizioni, la cui attuazione apparisca necessaria perchè sia
possiì)ile universalmente la ricerca ulteriore <li ([uei beni. Non può
essei'e cioè supremo nel senso di una gerar- chia, della quale segni il
culmine, nò nel senso di una grandezza o quantità, di cui sia il massimo,
ma nel senso (iella precedenza necessaria o della indispensabilità;
per la (juale venga a l'accogliersi su di esso come in un unico
foco la luce e il calore di desidei-abilità che irraggia dai fini ai
quali apre universalmente la via. E perciò, ammesso che
qualsivoglia fìne lancino abbia, come ha in l'ealtà, per condizione la
convivenza e la coo- perazione sociale, il fine che può
avere questo valore di precedenza necessaria sugli altri deve essere di
necessità il raggiungimento o il mantenimento di certe condizioni
di convivenza e di cooperazione sociale, cioè di una qualche forma di
società. Ma perchè a.] una forma di società possa essere riconosciuto
questo carattere universalmente, occorre che le condizioni della sua
esistenza abbiano per tutti un valore potenzialmente uguale; ossia che
nessuno dei fini dei quali quella forma di cooperazione pone la
possibilità e dai quali attinge il suo valore, sia, per dato e fatto
delle esigenze di essa forma, precluso o impedito a nessuno dei
componenti la società. in altri termini che tutti i .socn trovino nelle
condizioni di esistenza della società la mede- sima equivalente
possibilità esteriore d\ rivolgere la loro attività alla ricerca di
qualsivoglia dei fini, dei quali la convivenza e cooperazione sociale è
condizione — (Su la possibilità ecc. L Gap. VII, 8). Ora se
si riconosce come esigenza della giustizia, questa esigenza alla quale
deve soddisfare una forma sociale perchè abbia universalmente valore di
fine prossimamente supremo, determinare questo fine equivale a
determinare un tipo di società nel quale siano attuate le condizioni
richieste d^lla giustizia cosi intesa, ossia un tipo ideale - conforme a
questa esigenza - di homo iustus e di socielas insta. E ciò
equivale a cercare quale sistema di relazioni risulterebbe
effettuato neU: ipotesi che gli uomini, sia come collettività sia
in- dividualmente, ossia in qualunque forma di azione o di
in/Iuenza che si eserciti cosi dalla società come da ciascuno dei
singoli, subordinassero universabne^ite e costantemente qualsiasi altro
motivo o desiderio al de- siderio della giustizia. E se
supponiamo che con un procedimento analogo a Ou
\ i m ,_.J. IH (
Afa 12 IL METODO r)?:LlV
ECONOMIA PURA NELL ETICA r ■ ■■'■'
J quello tenuto dall'ecoiioinia pura (1) il .sistema
Hi l'elazioni che iji avverei'ebbe nell'ipotesi, fosse già detet-niinato,
noi avremmo una Scienza pura della Giustizia, una « Diceo- logia »
piD'a, alla quale sarebbei-o totalmente applicabili le considerazioni
fatte sopra (v. pag. 6-7) circa i cai'atteri e le limitazioni che
pi'esenta una costi'uzione siffatta. Ili,
Posto, adunque, che fosse costruita (questa Scienza pura della
giustizia, si poti'ebbero muovere ad essa, fondandole sulle limitazioni
notate, tre obbiezioni capitali : di essere una costruzione aì'bitraria,
oziosa, e, in ogni cas(ì, monca. Di queste obbiezioni occoi're
chiaiMre la portata. 1. — L'aid)itrarietà della costruzione
supposta pU(') es- sei'e intesa in due sensi : nel senso che la validità
delle norme che se ne ricavano è relativa alla validità del postu-
lato, il cui valore è bensì assunto come un dato di fatto, ma senza una
ragione perentoria che obblighi ad accettarlo; oppure nel senso che è
difjbrrne dalla realtà e insussistente r ipotesi di una condotta
subordinata universalmente e co- stantemente all'esigenza della
giustizia. a) Se si intende 1' arbitrarietà nel primo senso,
qua- lunque dottrina etica è aidjitraria ; perchè il valore del
postulato fondamentale (ossia del motivo, o del tine, o del (1)
L'economia dà al postulato edonistico un contenuto materiale deter-
minato considerando come « soddisfazioni » le soddisfazioni di certi
biso<'-ni. e come « sacrifìci » certe privazioni e certe pene; mentre
al postulato della giustizia il contenuto materiale, al quale se ne deve
fare l'applicazione, é dato (la tutte le specie d'attivuà o da tutte le
categorie di fini (esclusi sol- tanto quelli la cui ricerca o
proseguimento importano la negazione del prin- cipio regolatort^
supposto) che in una società data sono possibili. ili
IL METODO dell'economia PURA NELL'etICA 13 criterio di
valutazione) quale si sia, è sempre ammesso assunto, ossia si suppone o
si ammette che sia ricono- scinto come tale; e nessuna dottrina etica può
compiere il miracolo di obbligare a.l accettarlo. Perchè, la ragione
pe- rentoria - se è una ragione, - non può consistei-e che nel
ricondurre il valore del postulato a quello di un altro fine o di
un'altra esigenza ulteriore, della quale si ammette o SI suppone ancora
che la validità sia riconosciuta. E se si dice che è prop.-io del fine o
dell'esigenza morale il pre- sentarsi alla coscienza come un valore che
non si può di- sconoscere, si auìmette che questo carattere è già dato
nel fatto stesso che l'esigenza è i-iconosciuta come morale; anzi
che il motivo vale assolutamente, appunto perchè vale come morale; il che
vuol dire che impone il proprio va- lore solamente in quanto la coscienza
lo accetta, e che è sempre in ultima analisi il valore morale
dell'esigenza che é preso come un dato primo o come un postulato.
Se si intende dunque in questo senso, qualsivoglia dottrina etica è,
perchè etica, arbitraria. Se poi si pone come caratteristica del
valore morale la possibile validità universale della 7nassima
corrispondente, nessuna esigenza è piti radicalmente universale di
quella che esprime la condizione stessa di questa possibilità.
h) Che all'esigenza assunta sia o no riconosciuto in effetto valore
morale, ossia che il postulato corrisponda o non corrisponda e più o meno
adeguatamente a un dato della realtà psicologica rivelato dall'analisi
della coscienza moi-ale, è una questione diversa. E se l'arbitrarietà
s'in- tende in questo secondo senso, come difetto totale o par-
ziale di questa corrispondenza, essa consiste, nel caso nostro, non nel
considerare come morale l'esigenza della giustizia, ma neir assumere
questo motivo come il motivo morale. fi
JH^ffriaililfffiìliilì" l'^Srftt'^i'-
!£? |^iftU>&t-M»'^**'*>'*^'*WlWiiw3».W'.ifc^
4 14 IL METODO DELI/FXONOMrA PURA NELL
ETICA IL METODO dell'economia PUKA XELl'eTICA
15 menti'e la realtà empirica ne pi*esenta anche altri
; e nel considerai'lo isolato da questi, mentre nella realtà sono
più o meno strettamente connessi e coopei'anti o contra- stanti con q
ìlei lo. Non ho nessuna ditlicoltà a riconoscere che la
costru- zione supposta è, anche per questo ris[)etto, arbitraria ;
al modo stesso che è sempre pili o meno arhiti'ario qualunque
sistema di deduzioni ricavate da un' ipotesi. Ma un' arbi- trarietà di
questo genere non implica nessuna fallacia finché non si pretende che essa
espi'ima la i*ealtà del mondo mt)- l'ale dato ; e la costruzione si dà
per quel che è, cioè per una scienza che sai-ebbe la « vei'a scienza »
della morale com' è , se le condizioni dell' ipotesi rispecchiassero
la realtà — Intendo quel che si può dire: — Perchè supporre che il
motivo egemonico sia la giustizia, e non un alti'(\ poniamo il motivo
altruistico? 0, meglio, perchè non as- sumere come motivi morali, o
l'ispondenti all'esigenza mo- rale, tutti i motivi che la realtà
psicologica l'ivela valere in effetto come tali? La l'isposta all'una e
all'altra domanda non è diffìcile. L'assumere come
rispondenti all'esigenza morale i cri- tei'i molte[)lici che si i-ivelano
nelle norme empiricamente date come morali costi'ingerebbe in ultimo ad
assumere l'esigenza stessa moi'ale come in sé contraddittoria e a
co- sti'uire non una scienza, ma una veste da Arlecchino. Perchè la
morale empii'icamente data rivela criteri non di rado opposti, e del
medesimo ci'iterio le applicazioni più artifi- ciose e vai-iabili (1).
Ora, che l'esigenza morale possa U) Tralasciando pure di insistere,
come lio già osservato altrove, perchè è cosa troppo nota, sull'antitesi
fondamentale esistente tra le norme di con- dotta che valgono come morali
rispettivamente nelle condizioni di pace e di guerra, e sui contrasti,
tragici talvolta, tra i « doveri » famigliari e i « do-
co„,poru,.e criter, ,ì,ver.i e anche opposti ,fi val,„az,one senza
cessare di essere morale, s, potrà aocl.e ammettere (purché s, s.a
disposti ad accettarne le conseguenze;; ma che si possa, assumendo
criteri contraddittori!, costruire una <iotti'ina coerente, non si può
sostenere. Bisogna dunque scegliere; e la scelta ,iel motivo
della giustizia, se è arbitraria hi quanto e seella ,U uno fra più
"on e arbitraria in guanto mandnno le ragioni della scelt.. Poiché è
facile rilevare che il motivo delia giustizia e 'I solo al quale si possa
supporre che risponda in effetto universalmente e costantemente tutta la
condotta senza che l osservanza da parte degli uni richieda o
presup. ponga l inosservanza da parte degli altri. L'altruismo come
fu già notato, non potrebbe essere oss.Tvato univer' salmente, se non a
patto che fosse subordinato alla sua voka a mia norma di giustizia. Infatti,
affinché sia possibile I abnegazione e la rinuncia incondizionata di sé
agli altri, veri ,, sociali, bisogna osservare che le „or,„e date e
accettate come morali o.o,.o contemplare e contemplano realn.ente, almeno
,„ parte, de„e rela- wL ; T ' ,•'" ' ^^■■»'°"» — P-"^i"
"> S-iadi relazioni pr.ma,,e e fondan.entah, che le „orn,e
non contemplano e che sono la ne- gazione del crueno applicato in qne.le
norme. Mi sia lecito spiegarmi e „ ruiieTau: r"'T, '"^'
t"'- '- ^ ^"""""^ ^'- "- ■-- - -'-
I iano i In ""'.T""" '"""
''"""■^"••^ '"■• '"" "-^-'^ cercare
,,uale a qu le concila la minima fatica del primo col minimo
disagio del secondo crueno seguito qu, é un criterio d, equità; si
riconosce ciocche non sa- omodi;T'"'.° ""'°"° °
"'"^ '" ■-^^""° "«' "-■ " P--''-e tutte
le comodità per se senza tenere in conto le comodità dell'altro. .Ma se
questo crueno (seguito nello stabilire la condotta migliore, Jata ,,uella
conLol <i.ve,.a de, due, fosse applicato a determinare la rela.one
t,-a i due p,Jl Z^JT'"" '■'■^''-'™-"- P~« e portato,
questa .:J^::Z TorT "T"" '»™"'--'>^^ colle
p,.opr,e gambe. Ossia la norma nor. le regola nel caso supposto un
rapporto che non esis,e,.ebbe, o sai-ebbe tutto d,verso, se essa fosse applicata
al sorgere di quel .-apporto NH itì'i^tli^'^'iiÉi'Tiiii^i
«ì.»lA:.m.iLlMiì-. Hif ^••s«ì»?T<P7**
*3«iaw*»*jsf^wsw«/ tì-^ Ifi
IL METODO dell'economia PURA NELl'eTICA
/ fttTi--' bisogna chf^ gli nni si
.saci'ifichii)0 e gli altri o qualche alti-o accattino il sacnfi/io ;
cioè bisogna che gli uni os^or- vino la massima (lell'altruismo, e gli
altri o qualche altro quella dell'egoismo. Se poi si ammette che nessuno
debba poter saci'ifìcarsi più di un altro qualsiasi (lasciando di
osservare che in tal caso praticamente i sacrifici si eli<le-
rebber.)) fiisogna che la condottta altruistica di ciascuno non impedisca
una pari condotta altruistica degli altri ; cioè bisogna che fattività
altruistica alla sua \olta sia governata da una norma di giustizia.
Ciò viene a dire che la famosa formula Kantiana, se si considera
nella possibilità della sua applicazione simultanea per tutti a tutta la
coìidotia e.sterna non è suscettiva d'altra inter[)retazi()ne che di
massima univeisale di giustizia nel senso sopra chiarito (1).
(1) In un Saggio originale e sucrgestivo, che vale bene più di
qualche grosso volume inconcludente, Mario Calderoni illustrò
recentemente una concezione economica della morale (che non tocca in
nulla, benché a prima vista sembri antitetica, il concetto qui esposto)
nella quale egli osserva giu- stamente come la maggior parte delle azioni
« virtuose » non siano considerate come tali se non perchè «sono prodotte
in quantità inferiore alla domanda»; e son per noi un « dovere » appunto
perché gli altri uomini non le lanno,' e rimangono tali a condizione che
non siano troppi gli uomini capaci e vo- lonterosi di imitarle. E trae da
questa considerazione la conseguenza che la formula di Kant è del tutto
inapplicabile. Ora è certo che il Kant intendeva di parlare di
validità universale del motivo a cui si informa Ta/ione. che può essere
quindi variabile secondo le circostanze, pur rimanendo il medesimo il
motivo che la detta; e che non può richiedere uniformità di condotta
esterna se non nel caso che si tratti della medesima attività esercitata
nelle medesime condizioni esterne. Ma (juando m supponga avverato
questo caso, si troverà che T unico mo- tivo, il quale comporti
uniformità universale di condotta è il motivo della giustizia; e che
intesa così, la formula di Kant resisterebbe alla critica anche dal punto
di vista del Calderoni. {Disarmonie Economiche e Disar- monie morali -
Firenze, Lumachi. 1906. V.» Cap. Ili: La marginalità nella Morale).
tt-"K ^tkiìAtmm l i aiAl iì i
ilfiW i r^Mftm i r m
\^^A>m»mtm\ì^iMu\,ìiimàai>im.'^ÌM<-ii^uéM'n^'^
■■ -r I irr-* uriii^iiii H. METODO dell'economia PURA
XELl'etICA 17 2 - Assumetelo
dunque, se cosi vi piace, codesto vostro postulato, e costru.tevi la vostra
. Scenza pura della giustizia ». Cile ne farete poi? — A che
c<,sa propriamente potrebbe servire costruita elle fosse, non si può
con esattezza determinare ,n prece- 'lenza. Si potrà vedere, nel caso,
quando sia fatta o pi ut- "«to, a mano a mano elle si venga facendo.
Troppe ricerche . el resto non si farebbero se si aspettasse di averne
diino- strato 1 utilità; e ,li troppe altre , risultati portarono
frutti <lel tutto remoti da ogni previsione. E dato pure che
riu- scisse inconcludente, nessuno tiirà che «ia „é la prima „ó
u'iica ,n questo genere, specialmente nel campo della morale. E t,.a le
molte curiosità, perchè non dovrebbe trovar posto anche questa : ,ii
sapere come andrebbero le faccende di questo mondo se gli uomini si
decidessero ad essere tutti e sempre e in ogni contingenza della vita
so- liratutto e prima di tutto giusti? M.-i è pur naturale
d'altra parte che debba intravederne almeno qualche possibilità ,li
applicazione eh, la propone e che ne debba dire qualche cosa.
Le applicazioni possono essere principalmente due: come mezzo di
interpretazione o di sistemazione scientifica della realta morale ,lata;
e come fondamento di una disciplina precettiva, ossia di un'Etica
applicata della giustizia. a) Se 1 osservazione psicologica
dimostra che è arbi- traria, nel senso che s'è detto, l'assunzione del
motivo della giustizia come unico motivo morale, dimostra pure
<die quel valore gli è però realmente riconosciuto: e che se non
., riconduce ad esso effettivamente ogni valutazione
18 IL METODO dell'economia PURA XELl'eTICA
^nica, esso entra però come elemento o fattore di valuta-
zione in qualunque giudizio morale. Può essere dunque opportuno, a uno
scopo di sistemazione coerente delle norme effettivamente vigenti,
conoscere quali sarebbero se questa esigenza operasse isolatamente, cioè
se tutte si ispirassero unicamente ad essa; e considerai-e, con un
artifizio di cui tutte le scienze offrono innumerevoli esempi, come
devia- zioni limitazioni risultanti dalla presenza di alti'i
motivi, le norme che non coincidono con quelle astrattamente
dedotce. Sarebbero, per un vei'so, da considerare come tali
le norme della condotta politica interna ed esterna ispii-ate dall'interesse
dello Stato, o del maggioi- numero, o di una classe, in quanto al
rispetto di queste esigenze sia atti-ibuito valoi'e morale (1).
E sarebbe, pei- un altro vei'so, possibile interpi'etare le norme
della beneficenza come espressioni della stessa esi- genza della
giustizia, in quanto si considerano rivolte a sanare o a lenire gli
effetti che ne accompagnano 1' inos- sei'vanza, e le deviazioni o le
limitazioni. h) Ma l'applicazione più rilevante riguarderebbe
l'Etica propriamente intesa come disciplina normativa. La
< scienza pui'a della Giustizia » appunto perchè considera già
raggiunte e attuate tutte le condizioni richieste dalla esigenza che essa
postula, ossia, in termini equivalenti, fa astrazione da ogni circostanza
interna od esterna che ne impedisca o ne limiti 1' efìTicacia, configura
un sistema di relazioni sociali e un tipo di condotta, cioè formula
fi) Sarebbe possibile per questa via togliere — dico nella trattazione
teo- rica — certe contraddizioni o antinomie davanti alle quali si
arrestano solitamente i filosofi del diritto quando ne determinano le «
esigenze razio- nali ». ••■<
IL METODO DELl'kCOXOSIIA PURA NELl'eTICA 19
•delle leggi, le quali possono valere come tali soltanto
nelle condizioni contemplate dall' ipotesi ,- vale a Hn^e non sono
suscettive ,li applicazione, sic et simpliciler, a condizioni iliverse.
Ma se si ammette che T onime di relazioni ipote- ticamente costruito
abbia valore di fine, cioè se si ammette come normativa l'esigenza della
giustizia, vi sarà luo-^o a cercare e a .leterminare (bencbè questa
determinazlne debba riuscire, come è facile prevedere, assai difficile
e complicata) quale sia in condizioni reali storicamente date la
condotta, die nei limiti imposti da queste, è ini, atta a favorirne la
trasformazione nella direzione segnala dalle condizioni ideali
contemplate nell'ipotesi. Ossia si potrà ricavarne un'Etica
applicata della Giu- stizia, alla quale la realtà storica fornirà la
conoscenza delle condizioni tra le quali si deve spiegare e dei
mezzi ai quali deve ad.-guarsi, per essere praticamente efficace la
condotta rivolta a quel fi ne ; cosi come darà la conoscenza 'Ielle varie
specie di attività che l'esigenza .iella giustizia e chiamata a regolare;
cioè darà, volta a volta, alla forma <lella giustizia il contenuto
materiale. E le norme, cosi ricavate da questa applicazione a
una realtà data delle leggi .Idia Giustizia pura, saranno valide,
se SI accetta come fine morale prossimamente supremo, cioè precedente a
ogni altro fine generale e speciale, l'attuazione del sistema di
relazioni contemplato da quella, e come mo- rale la condotta
corrispomlente. IV. 3. Cosi questa Etica
applicata, come la Scienza Pura dalla quale essa si ricava, è
indipendente da qualsiasi dot- trina metafisica, ma non pretende di
sostituirla. Ignora i jl '4i*f
••ti«3g-#^Bt 'mws--**smmm»pmmmmmmm.<mK^^''mm-Mmà 20
IL METODO DELl'fXONOMIA PURA NKIJ/ ETICA
problemi metafìsici ; ma nel senso che non no richiede e non ne assume
una certa soluzione piuttosto che un'alti*a; non nel senso che ne neghi
l'esistenza o ne escluda la trat- tazione. Ilimane di fronte ad ossa
iinpi'ogiudicata, e da essa distinta, ogni questione sulla natura e sul
fondamento ukinìo delTesigenza stessa morale; così come rimane
impi'egiudicato il pi'oblema pratico, o pi'opriamente psicologico e
pedagogico, intorno al valoi-e e all' efficacia delle credenze religiose
o metafìsiche come condizioni o fattori sof^^-jcttivi dolla moralità.
Ma, ciò nonostante, o forse appunto pei'ciò, è verisimile che sia
giudicata, specialmente alla stregua delle tendenze più apei'tamente
dominanti nel p(insiei*o contcmpoi'aneo, doppiamente monca ; monca
considerata come dotti'ina ; monca considerata rispetto alla efficacia
pratica. a) Cei'tamente può parere strana se non ingenua
Tnlea di segnai'e una divisione di competetjza tra T indagine
scien- tifìca e rin(iagine proprianifMite filosofìca e metafìsica,
men- ti'e pai'e di assistere a una specie di «atto di coiitrizion<'
» delle stesse scienze speciali già formate ; le quali, dopo es-
sersi staccate e aver pi'oclamato la loro indipendenza dalla filosofìa,
sentono il bisogno di ritornare ad essa e di rin- tracciare in lei le
origini della loi'o vita e la ragione del loro valore. Tuttavia una
considerazione un po' più attenta può mosti-are die il contrasto è
soltanto a})parente e che la tendenza delle scienze speciali all'
inter|)retazione e alla integrazione filosofìca dei loro presupposti e
dei loro risultati non esclude, ma piuttosto include, la legittimità di
una di- stinzione anche nel campo delia morale. Perche essa })re-
suppone appunto che le scienze abbiano i ÌOt'O postulati , i loro metodi
i Ioì'O risultati, e che i sistemi speciali di dottrine cosi edifìcati
sussistano ed abbiano una validità propria, sia pure limitata e
provvisoria, all'infuori dell'in- i,*~'
;«*\ltj IL METODO dell'economia PURA XELl'eTICA
21 terpretazione e della valutazione che ne debba o ne possa
■ fare la metafìsica. In questa specie di Conferenza perma- nente dell'
Aia (sia detto senza intenzioni maligne) che è la mutua collaborazione
delle diverse discipline alla critica e alla integrazione del sapere e
del valere umano, sono gli Stati che hanno territorio e giurisdizione
propria che possono far sentire la loro voce. I delegati della
Corea sono esclusi. Intendo quello che si può dire: - La
morale è essa stessa la metafisica, e pone essa le esigenze alle quali
è subordinata la valutazione di tutte le altre discipline dei loro
principii e delle loro conclusioni. - Fosse pure, o, piut- tosto, dovesse
pure essere cosi. Quali sono queste esigenze della morale ? Come si
determinano ? Qual' è, fra i molti sistemi diversi opposti e anche
contraddittorii, quello auto- rizzato a rappresentare « la morale *, e a
far valere le sue esigenze come esigenze ideila morale *ì E se si
può distinguere una esigenza immediala e caratteristica, dato che
SI trovi, della valutazione morale, dalle esigenze ulte- non, argomentale
o poste da questo o da quel sistema per interpretarla o giustificarla,
allora è nello stesso tempo data la distinzione tra esigenza propriamente
morale ed esigenze avanzate ,ia una interpretazione o integrazione
metafìsica della esigenza morale; e si delinea insieme una
separazione legittima tra V indagine che cerca di risalire
dall'esigenza morale ai postulati metafisici, e l'indagine che ricava
dal- l'esigenza morale le applicazioni che logicamente ne discen- dono.
- Ma, nella realtà viva e vissuta della coscienza, valutazione
morale e valutazione metafisica formano un tutto unico; e separando
l'esigenza etica dalla fede me- tafisica colla quale è fusa e della quale
si alimenta, s, \ \ è
22 IL METODO dell'economia TURA XELl'eTICA
IL METODO dell'economia PURA NELL'eTICA
23 spezza r unità della coscienza , si oscura o si
cancella il signitìcato e il valore interiore della moralità, e si
pre- senta come vita morale lo scheletro o, meglio, lo stampo esterno
e quasi l'impronta fossile dell'atto morale. — Sarà verissimo; ma
nessuna costi-uzione dotti-inaU può sfuggire a questa obbiezione. Tutto
ciò che la logica tocca e che è fatto oggetto di conoscenza riflessa e
i-agionata diventa perciò stesso un tipo, uno stampo, un fossile; anzi
stampo è la parola, stampo ò la stessa rappresentazione artistica
se non è vivificata e i-isvegliata da chi la deve intendere e gustare;
anzi sono diventate ormai stereotipe, per colmo di evidenza probativa,
perfino le fi*asi e le immagini usate a mostrare la « i-icchezza e la
varietà inesauribile» della coscienza e delle sue ci'eazioni.
E quanto al sepai«are nella teoria ciò che nella realtà è unito,
bisogna pur rassegnarvisi. Pei'chè ogni nctM'ca è prima di tutto
distinzione, sepai-azione, asti'azione; il fatto stesso, ogni fatto
(diceva già un chimico, il Chevreul,) è un' astrazione. Ciò che importa
veramente è di non dimen- ticare che l'astrazione non è tutta la
realtà. Ora, sceverando dal complesso degli elementi, onde la
vita etica nella coscienza personale iMsiilta o può risultare, quello che
è suscettivo della più universale applicazione, e costruendo il tipo di
vita che ne risulterebbe, non si pre- tende di esaurire il contenuto
della coscienza, ma soltanto di distinguere le norme di condotta a
giustificare le quali basta uu certo postulato, dalle norme e dalle forme
di vita morale che si fondano sopra altre esigenze ossia l'ichie-
dono altri postulati. E chi crede che la chiarezza dei concetti e
il l'igoi-e del procedimento si debbano poi'iare, fin dove è
possibile, anche nella speculazione etica, ammettei-à che può
essei-e que- utile
allo scopo, se non anche necessario, il seguir( sta via (].).
— Rimangono altri problemi. - E chi lo nega? Ma prima condizione
per cercar di risolverli con frutto è di non confonderli tra di
loro. h) E nasce da una confusione di problemi diversi
l'obbiezione, che si potrebbe dire pragmatistica, del difetto di
efficacia pratica, o più esattamente parenetica o pedago- gica, di una
dottrina morale che faccia astrazione da ogni valutazione metafìsica, e
presenti un sistema di norme che ha di necessità soltanto un valore
ipotetico, cioè, nel caso nostro, condizionato al valore che può avere
nella co- scienza il motivo impersonale della giustizia. (lì
Le espressioni di più d' un antiintellettualista indurrebbero 4uasi ad
ammettere che la morale sia una specie di grande imbroglio, nel quale a
voler vederci chiaro, si finisce per non credere più. Ora, altro è
riconoscere Cile ogni valutazione é in ultimo data alla intelligenza e
non dalla intelli- genza, e che nessuna conoscenza e nessun ragionamento
può far volere un fine che non sia già voluto, o per sé, o come condizione
a un altro fine- altro è credere ed aOermare che T intelligenza o la
ragione sia « in contrasto » colla moralità. Come potrebbe
essere ? Non certamente in quanto si rivolge a determinare 1 mezzi
necessari e convenienti a un fine. Nel qual caso non è nemica, ma ancella
della volontà in generale, e, se la volontà é « buona ». della volontà
morale. Non potrebbe essere, dunque, se non in quanto toglie o muta la
va- lutazione del fine (cioè delP oggetto o contenuto materiale del
motivo mo- rale) mostrandone \^ connessione, prima ignorata o trascurata,
con qualche cosa d' altro, che sia oggetto di una valutazione diversa;
diciamo, per co- modità, negativa o repulsiva. E allora, poiché la
valutazione di questo qualcosa d'altro non può venire dall' intelligenza
(la quale, come si sa. chia- risce rapporti, non dà valori),
manifestamente non si possono dare che due casi : ha origine
nel motivo stesso morale; e la conoscenza non avrà fatto che mettere in
chiaro come quel fine che gli si riteneva in tutto conforme, sia in
realtà più o meno disforme in forza della connessione notata. Ma ciò non
^'Ìitffl^-Él TBrti^tea^. JjW smÈj^i^ K
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24 IL METODO DELL ECONOMIA PURA XELl'eTICA
ffi. Poiché è uggioso a se e agli alti-i
l'ipetere cose già dette, e su questo punto ho insistito a lungo altrove,
mi restringo qui a riafTermare la legittimità, anzi la necessità
logica e la convenienza morale, di tenei- separata netta- mente ogni
ricerca che si volge a detei-minare quali siano le norme di condotta
richieste da un certo fine, dalla ri- cerca delle condizioni e dei
fattori dai quali dipende o può dipendere Fosservanza delle norme (1). La
legittimità delle deduzioni, dato che ci sia, e la validità dei precetti
rispetto al fine sussistono indipendentemente dalla presenza o
dalla assenza dei motivi che ne persuadono o ne impongono l'os-
servanza, e dalla natura di questi motivi. Come il conte- nuto e la
giustificazione delle prescrizioni d'un medico non dipendono dalla
disohbedienza o dall' obbedienza dell' am- malato nò dalle ragioni di
questa obbedienza. tocca in nulla il valore e l'efficacia del
motivo morale. Ammettere il contra- rio sarebbe come dire che cessa di
amare la giustizia chi cessa di difendere una causa che ha riconosciuto
ingiusta. ha origine in un motivo non morale (poniamo in un
interesse egoistico); e anche qui l' intelligenza non farebbe che
rivelare una condizione di fatto : la presenza e Tefficacia di motivi non
morali nella valutazione dei fini e :lella condotta. La conoscenza
dunque, anche in questo caso, non altera il valore del motivo morale; può
eventualmente mostrare che il valore e T efficacia sua non è esclusiva, o
incontrastata come si supj)oneva. Ma correggere un errore di giudizio non
é cambiare uno stato di fatto. Potrebbe dunque, tutt' al più,
togliere un' illusione. Ma è nell' illudersi d'esser morali che consiste
la moralità? (1) Questo conformarsi o non conformarsi si suole a
torto, per abuso di linguaggio, attribuire a una pretesa « efiicacia
pratica » delle norme; men- tre le norme - perse - hanno, a promuovere
l'azione corrispondente, una efficacia non maggiore di quella che abbiano
i fanali di una strada a muo- vere le gambe dei nottambuli. E un simile
abuso di linguaggio, che nasce da un difetto d'analisi, ha alimentato la
confusione tra esigenza giustifica- tiva e esigenza esecutiva, tra
l'obbligo e la giustificazione dell'obbligo, e la pretesa illusoria che
una norma possa o debba avere in sé forza obbligativa. Cfr. Prolegomeni
ecc. , e. I: (L'esigenza esecutiva) ; e Studi su la possibilità I, Gap.
III. (La pregiudiziale dell'imperativo categorico).
^é^^l^ f à'K^m^,^ i^^'^tliÈ '^f^i IL METODO dell'economia
PURA XELL'eTICA 26 La reale presenza ed
efficacia di motivi «ufficienii a determinare T osservanza è in ogni caso
si>,pposta , non . posla da qualnnque costi-uzione precettiva; e il
«„ppori-e operativo d motivo della giustizia non esclude, ma piut-
i tosto include, una ulteriore valutazione del motivo stesso '
ogniqualvolta nella realtà esso derivi in tutto o in parte la sua forza
da questa sopravalutazioiie. Ma anche in questo caso non bisogna
dimenticare che una tale efficacia .sarebbe sempre essa stessa
posMata come un dato di fatto, non comunicata o la,-g,la da una
fon.ìazione qualsivoglia. Perchè anche una fondazione re- ligiosa o
metafisica non pone essa le credenze, ma le sup. pone già viventi e
.operanti. Il suo valore come motiva- zione morale dipende dal valore
reale che esse hanno nella coscienza, dalla loro forza operativa. Essa fa
appello a questa forza, ma non dà, essa, la forza; ossia vale ,,el-
i ipolesi che valga in effetto nella coscienza la fede nei dati assunti
da lei. E se questa fede mancasse, una fon- <iaz,one metafisica o
religiosa, qualunque fosse, avrebbe sulla condotta una efficacia non
diversa né maggiore di qualsi- voglia costruzione arbitraria.
Senonchè si potrebbe, su basi pragmatistiche, osservare che SI
,ie^e appunto volere quella fede dalla quale si può aspettarsi
l'incremento del motivo morale, e che, poiché SI tratta di « optare»,
conviene dal punto di vista' pratico optare per una fede moralizzatrice.
E compito del moralista «ara perciò di affermare e suggerire quella fede
come presidio e cnforro, utile se non necessario, della moia- l'tà,
e presentare la dottrina morale connessa e incorpo- rata con quella
fede. Su un discorso di questo genere ci sarebbero da .lire
molte' cose; notiamone poche. E prima di tulio convien pur ripetere
che un tal compilo. t^ 1
2i') IL METODO dell'economia PIRA NELl'eTICA fc
m (lato che spetti al inoi-alista, ^Hi spetta in quanto è o
pre- tende (li essere educatore o apostolo, non in quanto si
propone di cercare quali concernenze ini[)liclii V accetta- zione di un
cei-t() postulato e si contenti di atierniare che chi accetta il
postulato deve accettai-e le hoimikì che ne discendoiHi. I due uffici non
si identificano ; chi ha slo//(i di ricercatore può non avere
stoft";i di a[)()stolo o di avvo- cato ; e potrehhe in og"ni
caso invocare aiiche qui il prin- cipio delhi divisione del lavoro.
Ma dal [)unto di vista stesso pedagogico la tesi è tut- t' altro
che incontestahile. Suggerire e infondere una fede! E presto detto. Ma in
che modo o per (jual via? Partendo dall'esigenza pratica per arrivare
alla credenza, cioè pre- sentando la fede a[)punto come sostegno e
guarentigia della ni orai ita ? Lasciamo pui'e di indagare se
con ciò non si nega in effetto, neir atto stesso che si afferma, il
valore assoluto dei postulati religiosi o metatisici, dal inoinetito che
essi sono affermati o posti come condizioni o fattori nella pro-
<luzione di certi effetti, cioè sono valutati utilitariamente; e se
non si offende il sentimento religioso, considerandolo unicamente come un
motivo sussidiano invocato a sup- plii'e alla fiacchezza del uiotivo
morale. Un pragmatist.a conseguente potrehhe non avere (ii «juesti
scru[)oli. Ma lo scopo stesso a cui mira il pragmatista vieti
meno in realtà dacché, per tal via, si suppone dato ciò che si vuol
produire; ossia si pone a sostegno del motivo morale un sentimento che
vien fondato sopra esso, e vale in forza di esso. Con un risultato non
dissimile da quello che hanno di solito le discussioni ; dove le rai'ioni
usate a sostenei'e un'opinione persuadono soltanto chi è già persuaso;
cioè hanno in effetto tanto maggior [)eso quanto più è superfluo
servirsene. ''^P^«^«f^^i^pS?R,fwpp«*f^9f?i^!wp|^r^^
IL METODO DELl'eCOXOML\ PIRA NELl' ETICA
27 Se si tiene invece una via diversa, e si intende di
edi- ficare la credenza su una educazione propriamente dog- matico-religiosa,
dov'è più la ^ opzione^, la affermazione libera e spontanea della
coscienza? E come può il moralista educatore presentare o im-
porre come unica e definitiva una iede, o una credenza religiosa o
filosotìca^che egli sappia essere personale e « vo- lontaria » ?
La vei-ità è che mentre nel valore morale (posto che sia
riconosciuto) del postulato che si assume a fonda- mento della
costruzione scientifica, è necessariamente im- plicito il valore morale
delle norme che ne esprimono l'applicazione, non è necessariamente
implicita l'accetta- zione di certi piuttosto che di cert' altri
postulati metafi- sici. Mentre, accettato un postulato di cui sia
possibile r applicazione alla condotta umana, la coerenza logica basta
a dare la legittimità delle norme che se ne deducono, la coerenza logica
n07i basta a porre come necessariamente richiesta da quel postulato una
determinata fede religiosa filosofica ad esclusione di qualsiasi altra.
La salita al cielo dei postulati metafisici non si fa colle scale della
lo- gica. (Il che, come tutti sanno, ha il suo riscontro nel fatto
che possono trovarsi concordi nelT accettare e nell' osser- vare la
medesima esigenza morale uomini di opinioni i-e- ligiose e filosofiche diverse;
come, inversamente, può la stessa fede religiosa e filosofica
presentarsi, nella realtà storica e psicologica, connessa con norme
morali discordanti). E la « libertà dì coscienza > sarebbe una frase
vuota di senso o piena di immoralità^ se il voler la giustizia e Tesser
giusti richiedesse o l'esclusione di ogni fede o l'accettazione della
medesima fede. E. JUVALTA. \
ài ^ *l fondata dal Prof. Sen. C;
Estratto dalla Rivista Filosofica VRLO Cantoni
(Novembre-Dicembre 1907)
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Ja*»'*'.*'"' •j»^». .ii
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V * . JUVflliTfl La Possibilità l
I e i Limiti MORALE STUDI
TORIflO FRATELLI BOCCA EDITORI 1907
A 1 /
VERTENZA In questo volume sono raccolti tre scritti pubblicati
in più riprese nella Rivista Filosofica diretta dal mio in¬
dimenticabile maestro ed amico Carlo Cantoni, al quale il profondo e
tenace convincimento delle proprie dottrine non tolse mai di rispettare e
stimare sopra tutto, anche nei di¬ scepoli, la lil>ertà e la
sincerità. Benché diversi di titolo, i tre studi che ora
ripubblico riveduti e in parte aumentati, sono lo svolgimento del
me¬ desimo pensiero fondamentale, e presuppongono quasi, cia¬ scuno
dei successivi, i precedenti. Anzi il primo dì essi è, alla sufi*
volta, continuazione di un altro pubblicato anteriormente col, titàlol «
Prolegomeni a una Morale distinta dalla Metafisica » ; nel quale è
esa¬ minato il problema della possibilità di un’ Etica
normativa indipendente da qualsivoglia soluzione, positiva o
negativa, dei problemi di natura metafisica. E perciò spero di essere
scusato se mi riferisco qualche volta anche ad esso ; e se in in questo
volume sono lasciate in disparte, o trattate con bre¬ vità che altrimenti
sarebbe soverchia, alcune questioni delle quali s’è già discorso in
quello. Anche to' importa di avvertire, sempre a proposito
dello Studio « La Dottrina delle Due Etiche di H. Spencer e la
Morale come Scienza », che — se nella esposizione sia generale, sia
particolare, della dottrina esaminata, ho cercato % _
2 — studiosissima mente dì rendere intiero ed esatto il pensiero
dello Spencer — nella critica ho considerato la dottrina dal punto
di vista speciale additato dall’intento essenzialmente teoretico che
assegnavano a questa ricerca le conclusioni dello studio precedente. E
per questa ragione ho tralasciato deliberata¬ mente non solo qualsiasi
digressione, ma ogni discussione che non fosse strettamente necessaria
allo scopo mio parti¬ colare. A ciò si deve la mancanza quasi totale di
accenni alle critiche anteriori, anche dei più valorosi.
Pavia, Settembre 1900. E. Jl’VAI/TA.
e la Morale come Scienza
INDICE Introduzione .* 1. Movente etico-sociale
dell’opera dello Spencer. — 2. Conse¬ guenze nella valutazione delle suo
dottrine. 3. Scopo dello studio presente. PARTE I"
(Cap. I. e li.) Esposizione. Cap. I. — La
Dottrina etica in yenerale .P“g- 15 1. 11 concetto informatore. —
2. La distinzione delle due Eti¬ che. — 8. Il metodo dell’ Etica. — 4. I
dati dell’ Etica. — 5. Soluzione dell’ antitesi tra fine e metodo ,
e possi¬ bilità di conciliazione fra i dati dell’ Etica. Cap.
II. — La dottrina delle due Etiche . P a g- 25 1. Due questioni
fondamentali , attorno a cui si raccoglie la dottrina. — 2. Il giusto assoluto.
— 3. Il giusto relativo. — 4. Errore comune nel modo di concepire
la condotta ideale. — 5. La priorità scientifica dell’ Etica
Assoluta «sull’Etica Relativa. — 6. n confronto colle altre
scienze. PARTE H“ (Cap. m.-V.) Critica
Preliminare : Le Questioni Pregiudiziali e il preconcetto dal quale hanno
origine. Gap. III. — La pregiudiziale dell’ imperativo cateyorico
pag. 40 Partizione della Critica. — 1. L’imperative categorico. —
2. L’ obbligo e la giustificazione. — 3. La progiudiziale dell’ obbligo
categorico è estranea alla determinazione e alla giustificazione della
norma. — 4. In che consista la differenza caratteristica tra 1’ Etica e
le altre costruzioni precettive. Compito dell’ Etica.
— 6 — Cai*. IV. — La pregiudiziale, .sul modo di
intendere il compito normativo dell’ Etica .P a S - *
5. La progiudiziale sul compito normativo dell’Etica. G. Co¬ me
esso sia inteso nei due indirizzi prevalenti. 7. Due presupposti
arbitrari comuni ad ambedue : a) che le norme siano già determinate e
note. — 8. b) che si accordino fra di loro. -- Necessità di un criterio
per la determina¬ zione. — 9. La soluzione dell’indirizzo sociologico -
Suo difetto capitale: non vale a giustificare le norme. — 10. La
soluzione dell’ indirizzo prammatistico-idealistico. 11. Difetto capitale
: la costruzione metafisica postulata, come qualsiasi costruzione
metafisica, non serve a determinai e 10 norme. Cap. V.
— Il preconcetto fondamentale .P»g- G6 12. Presupposto comune ai
due indirizzi. Da questo nasce l’an¬ titesi tra esigenza scientifica
(determinazione) ed esigenza etica (giustificazione). — 13. Legittimità
di porre il pio- bleina in una forma diversa. — 14. Conclusione della
Cri¬ tica Preliminare. PARTE III.* (Cap.
Vl.-IX.) La dottrina delle due Etiche e le esigenze di una
scienza normativa morale. Cap. VI. — Il criterio del limite dell'
evoluzione e del¬ l’adattamento completo non serve a determinare
11 tipo di condotta cercato . l )a S- 71 Due tesi distinte
nella dottrina delle due Etiche; la validità dell’ una non dipende
da quella dell’ altra. — 1. 11 tipo di società giusta non è determinato
dal limite dell’ evo¬ luzione. — 2. Nè dall’ adattamento completo. — 3.
Su quali dati sia costruito veramente ; quale posto tenga nella
costruzione dello S. il postulato dell adattamento com¬ pleto.
Cap. VII. — Il criterio del piacere puro, corrispondente
all’adattamento completo, non serve a giusti¬ ficare il tipo di condotta
proposto .pag. 82 4 e 5. Il piacere puro non
può essere il criterio della massima desiderabilità. — 6. La questione
del « fine » e dei fini - Soluzione illusoria trovata nel termine
felicità e altri equi¬ valenti. — 7. Equivoco nell’identificazione dell’
oggetto dell’ attività col piacere. — 8. Quale possa essere il fine
che soddisfa alla doppia esigenza della determinazione e della
giustificazione delle norme. Vili. — Il tipo di .società giusta
dello Spencer . . pag. 94 9. Come concepisca la società giusta lo
Spencer. Presupposto illegittimamente assunto dalla biologia. 10.
Difetto fondamentale : Incocrenza fra il tipo dell’ uomo giusto c
il tipo della società giusta. — 11. Difetto che ne deriva nella relazione
tra giustizia e beneficenza. — 12. L’ in¬ dividualismo dello Spencer e il
postulato della giustizia. XX. — Ufficio e limiti di una
costruzione scienti¬ fica dell' Etica .. • • P a S- 100 13.
Come debba concepirsi un tipo ideale di società giusta. _ 14 .
Etica Pura ed Etica Applicata. — 15. Conclusioni della Critica. —
16. Presupposto fondamentale, e carat¬ tere ipotetico dell’Etica come
scienza normativa. INTRODUZIONE
1. — Pubblicando nel Giugno del 1879 I dati dell’Etica prima che fossero
composti il II e il III volume dei Principii di Sociologia, lo Spencer
giu¬ stificava questa deviazione dall’ordine del suo pro¬ gramma
col timore di non poter compiere l’opera finale della serie: I principii
di Etica. « Degli indizi che in questi ultimi anni si ripetono con
maggior frequenza e chiarezza m’hanno avvertito che la salute, se non
la vita, mi può venir meno per sempre, prima che io compia l’ultima
parte del compito che ho assegnato a me stesso. Quest'ultima parte è
quella per la quale io considero come sussidiarie tutte le parti pre¬
cedenti. Il mio primo Saggio su L’Ufficio proprio del Governo scritto fin
dal 1842 indicava vagamente il mio pensiero intorno a certi principi
generali di bene e di male nella condotta politica ; e da quel tempo in
poi il mio fine ultimo , lasciando indietro tutti i fini prossimi, è
stato quello di trovare una base scientifica ai prìncipi del giusto e
dell’ingiusto nella condotta in tutta la sua estensione. Lasciare
incompiuto questo fine, dopo aver fatta una preparazione cosi ampia per
raggiungerlo, sarebbe una sventura alla cui proba¬ bilità non posso
pensare senza sgomento^_e_sono ansioso di evitarla, se non del tutto,
almeno in parte ». (1). (1) The Principles of Ethics. Pref. to
Part. I. (wheu first issued separately.) London 1892. Voi. 1. p. VII.
— 10 — Qualche cosa di simile alla
catastrofe preveduta sopraggiunse infatti; perchè dopo un lento
decadi¬ mento e indebolimento progressivo egli fu costretto dal 80
al 90 a sospendere qualsiasi lavoro. Fortu¬ natamente nel 90 potè
riprenderlo: ed anche allora, la sua prima preoccupazione fu
quella di compiere i principi di Etica; e pose subito mano a quella
parte della Morale, che dopo i Dati gli pareva più importante: la IV a
(Giustizia) (1). Colle parole e col fatto egli mostrava
dunque che Tintento supremo al quale consapevolmente convergevano
tutti i risultati della sua specu¬ lazione, era u n intento mor ale. Par
che riecheggi in lui la voce di Spinoza: Finis in scientiis est
unicus ad quem omnes sunt dirigendae (2). E in p realtà, come le
idee madri della sua teoria pene¬ trano e illuminano tutti gli scritti
suoi, anche i minori, così vi circola dentro e li riscalda il
soffio vigoroso del suo ottimismo; e la dottrina dell’evo¬ luzione,
par che diventi nel suo pensiero sopratutto la comprensione del processo
naturale e necessario che produrrà in un avvenire lontano ma sicuro
una umanità giusta e felice. Animata cosi di speranza, la dottrina
prende colore di fede. E veramente egli la professò come una fede; non
soltanto visse per la sua dottrina, ma visse la sua dottrina. E i
prin- (1) Op. cit. Pref. to Part. IV. (wlien first iss.
sep.) Voi. 2. p. Vili. (2) De. Intell. Emend. II, 16 nota.
— 11 — cipi che pone a fondamento della morale e del
diritto, € di cui vuol trovare le ragioni nelle leggi stesse
dell’universo, ispirano e governano con indomita costanza tutti i suoi
giudizi e tutte le sue opinioni, da quelle sulla Educazione a quelle
sull’Etica delle carceri, dalle idee sulla Morale Politica Assoluta
alle proteste contro il « br igantaggio politi co », dalle ironie contro
«la Sapienza collettiva» a quelle contro « i diecimila sacerdoti della
religione d’amore che! non apron bocca quando la nazione è mossa dalla
' religione dell’odio. » 2. — Quell a unità e solidarietà di
pr i ncipi teo¬ r ici e pratici , p er cui la sua mora le si presenta
come s cienz a ella sua scienza come una morale, e questo continuo
cimentare che egli faceva i suoi principi con tutti i problemi più vivi
del suo tempo, onde la sua dottrina pareva prender veste di programma
so¬ ciale e politico, hanno certamente contribuito a pro¬ durre^
questo doppio effetto: che la preoccupaz ione , » morali' si insinuasse
anche nella critica delle sue dottrine teoriche; e che l’opera sua,
considerata prevalentemente, se non talora quasi esclusiva- mente,
come l’espressione di certe tendenze e di un certo indirizzo religioso
morale economico poli¬ tico, apparisse, col prevalere di tendenze e di
aspi¬ razioni diverse, invecchiata c oltrepassata di più, e più
presto, di quel che altrimenti sarebbe apparso. E cosi potè
facilmente accadere che anche certi cì tu? ■fot** v* w
— 12 — principi,
certi metodi e certe ipotesi fossero lasciati in disparte, o si
stimassero superati e come logori e fuori d’uso, non perchò se ne fosse
mostrata la falsità o la infondatezza, ma perchò apparivano con¬
nessi e solidali con quel sistema o quell’indirizzo che si giudicavano
superati. Ora se è vero che a intendere il significato e il
valore di una dottrina particolare è necessario con¬ siderarla nelle
relazioni col sistema di dottrine di cui fa parte, non è perciò meno
legittimo conside¬ rare se essa possa aver valore e segnare un
acquisto, anche all’infuori della validità di quel sistema e di
quelle altre dottrine, colle quali primamente si svolse. 3. —
L’intento di questo scritto ó appunto di esaminare il valore teorico e
metodico della distin¬ zione tra Etica Assolut a ed Etica Relativa; la
quale ò bensì, nel pensiero dello Spencer, parte integrante del suo
sistema, ma hg, secondo il mio avviso, ra¬ gione di essere,
indipendentemente dall’applicazione che egli ne fa e dai postulati che
l’hanno suggerita. Perciò si divide naturalmente in due parti:
espo¬ sitiva e critica; la prima rivolta a mettere in chiaro le
ragioni e il significato della distinzione nel pen¬ siero dello Spencer;
la seconda a esaminare la pos¬ sibilità e la utilità di mantenerla e
applicarla sotto una forma diversa. L’esposizione comprenderà
pure necessariamente due parti: una che richiama, in
modo breve quanto è possibile ma esatto, il concetto informatore e
i lineamenti fondamentali di tutta l’Etica; l’altra che traccia più
distesamente la dottrina particolare esaminata.
Parte I ESPOSIZIONE Gap. I. — La
dottrina etica in generale. 1. — Q uella legge di evoluzione , che
si mani¬ festa nell’intero univ erso visibi le, nel sistema solare
come un tutto, nella terra come parte di questo, nella vita in generale,
e nella vita di ciascun orga- nismo individuale, nei feno meni ment ali
degli esseri animati fino al più elevato; qu ella stessa legge si
manifesta nei fenomeni della vita umana e sociale é quindi a nche in quei
fenomeni della cond otta, dei q uali tratta la morale . In conformità di
questa legge] j^etWnr.<****** e delle leggi via via subordinate in cui
essa si ri¬ frangevi produce una el evazione^progres siva nelle **
forme della vita sub-umana ed umana, la quale si traduce in un a
dattamento s empre migliore, più esteso e più durevole alle condizioni da
cui dipende l’esistenza dell’individuo, e l’esistenza della specie;
e, dove la vita sociale apparisca, l’esistenza della società. Per l’uomo
adunque l’adattamento riguarda tre ordini di condizioni; ossia è di tre
forme; e, benché si possa astrattamente considerare ciascuna forma
per sè, tuttavia, per la connessione naturale e necessaria dei fattori
dai quali dipendono, le tre V 1- 1 1 hu>«1J * •*» ^
...J ìS I f. .V> ( | w •v.etrii <
ut» ■yjUÌ* Ij.h* fif Tri Jr « 4* G VY. »Y *
l. yJ* ^ ' n -r?
— 16 — b ^
'• W\« ab yfa c f l<» Hit , .
UsJS a j^jr^w<Mitr /***yn« mi l|«*i# uUli"
» forme d’adattamento nella realtà procedono di con¬ serva
con mutue azioni creazioni continue; cosicché a ogni progresso in una
forma di adattamento cor¬ risponde un progresso nelle altre forme.
11_limite, ver so il q ua le tend ^questo processo, è
l’adattamento completo a tutte le condizioni della vita umana più
elevata; per il quale il massimo svolgimento della vita individuale, e
della parentale, e della sociale, non solo si conciliano, ma si
favoriscono a vicenda. Questo adattamento completo implica non
sol¬ tanto una perfetta conformità esteriore dell’operare alle
esigenze di una tal vita; ma implica del pari una conformità correlativa
e della struttura, e delle attività, fisiologiche e psichiche; è insomma
ad un tempo adattamento della condotta e adattamento dei fattori
interni della condotta. Quindi anche le idee, i sentimenti, le tendenze
sono, nella loro qualità e intensità e gradi di subordinazione,
pienamente adatti e conformati ai bisogni e alle esigenze della
vita in tutte le sue manifestazioni, e trovano nelle forme di condotta
corrispondenti il loro appaga¬ mento pieno e concordante. 11 che viene a
dire che l’adattamento completo attua in sé le condizioni della
massima felicità . Adunque, ma ssim a elevazione della vita,
adat¬ tamento eoj puleto . m assima felicità, sono per lo Spencer
tre concetti che coincidono; o, meglio, sono faccie o aspetti diversi di
un medesimo risultato ò'yrwrC
— 17 finale, ed esprimono il limite verso il quale
tende l’evoluzione della vita umana nello stato sociale. 2. —
E’ appunto per q uesta ide ntificazione, che sta in fondo al pensiero
dello Spencer, tra evoluzione e aumento di felicità, che egli può porre
come ottima la cpndotta rispondente al limite della evoluzione.
Perchè lo Spencer, come è noto, ammette esplici¬ tamente che il fine
ultimo, espresso o so ttinteso, d ell’operare, non può essere che una
forma di co ¬ s cienza desiderab ile, cioè di piacere ; e che la
con¬ dotta ò buona nella misura che essa apporta, tenuto conto di
tutti gli effetti presenti e futuri sopra di sè e sopra gli altri, un
avanzo dei piaceri sui dolori. Totalmente buona, dunque, o
perfetta, non è che la forma di condotta che coyà&ponde a quel
limite; ogni altra forma diversa, ossia adatta a gradi di evoluzione più
o meno lontani dal limite, non può essere che imperfetta, ossia buona
relati¬ vamente, non assolutamente. Quindi due Etiche : Etica
Assoluta che determina le leggi della condotta ottima; ed Etica Relativa
che cerca di stabilire per a pprossi mazione quale sia la condotta relativamente
buona, ossia la condotta, che, date certe condizioni reali di svolgimento
e di adattamento incompleto, è la migliore, o la meno lontana dalla
condotta per¬ fetta. E quindi la necessità, e la priorità logica del¬
l’Etica Assoluta; le cui determinazioni riguardano
<&• at*'*J)* ch> i V* i rt -. <
'f* (■ 3>u7 PK<kJf J* fattiti^ ,
r f d f I ^ fa t o ^ if y\
— 18 — relazioni più
generali, più semplici, più esattamente definite di quelle contemplate
dall’Etica Relativa. 3. — Or come si costruirà l’Etica Assoluta?
ossia quale sarà il metodo? L o Spencer si accorda cog li
Utilitarist i che lo precedono nell’assumere come cri¬ terio per
giudicare la condotta e determinarne le norme l a natura degli effetti o
dei risulta ti. Ma se ne distingue subito per il pr ocedim ento col
quale egli crede che questi effetti dei diversi modi di con¬ dotta
si possano e debbano conoscere. Per gli Utili¬ taristi che lo precedono è
l’induzione empirica, per lui la deduzione. Non si tratta per
lo Spencer di trovare che, in un certo numero di casi, certi danni o
certe utilità si accompagnano con certi atti o cert’altri, e di in¬
ferirne che rapporti simili si manterranno nell’av¬ venire; si tratta
invece di determinare comee^er- chè alcuni modi di condotta siano dannosi
e altri utili; o più chiaramente, quale condotta debba essere
dannosa e quale debba essere utile. Non è dunque sopra certe relazioni
empiricamente osservate, ma sulla connessione causale necessaria tra le
azioni ed i loro effetti che deve fondarsi la determinazione delle
norme morali. E, poiché questa connessione deve essere alla sua volta una
conseguenza neces¬ saria della costituzione delle cose, deve essere pos-
sib ile dedu rre da principii fondamentali quali specie di azioni tendano
a produrre felicità e quali a prò- —
19 durre infelicità. E le deduzioni così ottenute
deb¬ bono essere riconosciute come leggi di condotta e aver valore
indipendentemente da una estimazione diretta (individuale e occasionale)
del piacere e del dolore. Ciò che distingue adunque
l’Utilitarismo che lo Spencer chiama Razionale, dall’Empirico, e dà
ca¬ rattere di rigore scientifico alla ricerca morale, è il
riconoscimento pieno e adeguato della causalità naturale dei fenomeni
della condotta; e il vero me¬ todo scientifico dell’ Etica, come delle
altre scienze che abbiano superato lo stadio empirico, deve con¬
sistere nel cercare e nel costruire in sistema non alcune relazioni empiricamente
stabilite, ma le re¬ lazioni necessariamente esistenti tra cause ed
ef¬ fetti in tutta quanta la condotta. 4.— Ma se le leggi
della condotta debbono de¬ terminarsi per deduzione necessaria, quali
sono i dati sui quali questa deduzione deve fondarsi ? I fatti di
cui si occupa l’Etica non costituiscono un ordine nuovo che si distacchi
da un ordine infe¬ riore o precedente, come, per es., le formazioni
or¬ ganiche rispetto alle inorganiche, o i fenomeni sociali
rispetto ai biologici : ma appartengono per un verso alla biologia (1) in
quanto sono effetti in- UU 0 If-r'i (1) Lo Spencer li
considera anche come appartenenti alla fisica, in quanto, esaminati
esternamente, si riducono a movimenti e combinazioni di movimenti che
cooperano a produrre una forma di V-fT
* — 20 — terni ed esterni di fenomeni vitali prodotti
nel tipo più elevato degli animali; e per un altro alla psi¬
cologia in quanto sono coordinamenti di azioni su¬ scitati dai sentimenti
e guidati dalla intelligenza ; finalmente in quanto queste azioni
direttamente o indirettamente riguardano esseri associati, appar¬
tengono alla sociologia. La condotta è adunque ad un tempo una formazione
biologica, una formazione psichica, e una formazione sociale: e perciò è
nei risultati delle scienze corrispondenti che si devono cercare i
principii fondamentali, i dati dell’Etica. E quindi i dati da cui si
debbono dedurre le norme dell’Etica Assoluta sono forniti dalle
condizioni che la biologia, la psicologia e la sociologia indicano
rispettivamente come proprie di un adattamento completo. Ora,
in conformità alle leggi di queste scienze, la condotta corrispondente a
un adattamento com¬ pleto ossia la condotta ottima, è
caratterizzata dalle condizioni che si possono riassumere nei se¬
guenti tre punti : I. Condizioni biologiche : Co rrispon denza
per¬ fetta tra gli organi e facoltà umane e le attività necessarie
alla vita completa. Il che importa che tutte le attività necessarie al
massimo svolgimento equilibrio più o meno regolare e durevole. Ma
questa considera¬ zione (aspetto fìsico della condotta) può qui senza
danno essere tra¬ lasciata. I
— 21 — della vita per sò e per gli altri trovino il loro
com¬ pimento nell’ esercizio spontaneo di facoltà debita¬ mente
proporzionate e producenti quando entrano in azione il loro quantum di
soddisfazione (cioè di piacere). II. Condizioni psicologiche:
Corrispondenza per- fet ta dei sentimenti, come motivi deir operare,
ai I nsog ni. 11 che importa che i piaceri e i dolori, cui danno
origine i sentimenti distinti come morali, siano, al pari dei piaceri e
dolori fisici, impulsi positivi e negativi proporzionati nella loro
forza ai modi di operare richiesti. III. Condizioni sociologiche
: Accordo perfetto t rp le attività dei consocia ti. Il che importa
che tutte le attività conducenti alla vita completa di ciascuno non
solo non impediscano direttamente nè indirettamente, ma favoriscano la
vita completa di tutti. (Stato di pace permanente; cooperazione vo¬
lontaria; nessuna aggressione diretta o indiretta; scambio di servizi
gratuiti (1). La condotta ottima è dunque quella che sod-
(1) Non è difficile vedere come l’assumere le condizioni sue¬
sposte equivalga a supporre direttamente o indirettamente eliminate tre
antinomie che sotto varie forme compaiono , si può dire , in tutta la
storia della morale ; 1’ antinomia tra il piacere presente e il piacere
futuro, cioè tra piacere e utilità; l’antinomia tra il bene proprio e il
bene degli altri, tra ciò che è richiesto dalla felicità individuale e
ciò che è richiesto dalla felicità generale ; e 1’ anti- nojnia tra
sentimenti egoistici e sentimenti altruistici, tra la ten¬ denza al
piacere e la coscienza del dovere.
_ 22 — disfa a tutte queste condizioni ad un tempo; e
però compito dell’Etica Assoluta resta quello di dedurre da queste
condizioni le norme a cui tutte le forme di attività umana, a qualunque
fine siano volte, debbono conformarsi per essere totalmente buone.
5. — Per tal modo sono determinati i principi o i dati sui quali
deve costruirsi l’Etica Assoluta: le condizioni della vita umana,
individuale, paren¬ tale e sociale, proprie dello stato di adattamento
perfetto; è determinato il metodo: la deduzione; ed è posto fuori di
contestazione il fine ultimo clic giustifica le norme così dedotte e dà
alla condotta proposta valore di ottima: la massima felicità uni¬
versale. Ma restano d ue grandi difflcol tà : una incoc¬
renza, almeno apparente, da togliere, e una lacuna da colmare.
L’incoerenza è questa : Come si può sostenere che il fine della condotta
buona è la fe¬ licità, se le norme di essa condotta devono essere
dedotte dalle leggi necessarie della vita nello stato sociale, e devono
valere indipendentemente da ogni estimazione diretta e individuale del
piacere e del dolore ì 0 , in altri termini, come si risolve
l’antitesi tra il fine assunto e il metodo proposto? La
lacuna è la seguente : Le condizioni che si pongono come proprie della
condotta ottima e che la deduzione morale deve prendere come dati ,
sono esse possibili, o non esprimono delle esigenze in tvT*
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— 23 — tutto o in parte incompatibili fra di loro? Insomma
quello stato finale di adattamento completo sotto tutti i rispetti, nel
quale le condizioni contemplate sono raggiunte, in qual modo e per qual
via può ottenersi ì (1). L’incocrenza è risolta così: Il fine
è la felicità; ma questa, a mano a mano che la vita si eleva,
dipende da una serie sempre più lunga e compli¬ cata di mezzi, ciascuna
delle quali deve essere rag¬ giunta perché sia possibile il fine. Le
norme mo¬ rali rappresentano la serie più generale e prelimi¬ nare
di mezzi, appunto perchè costituiscono la serie più lontana dal fine, e
quella che deve essere osservata prima di tutte le altre; la
condizione delle altre condizioni. Ora siccome tutte le attività
necessarie alla vita tendono a diventare una sor¬ gente diretta di piacere,
(perchè i piaceri sono relativi alla struttura e questa si modifica
se¬ condo le attività) così le fo rme di attività morale, appunto
perchè necessarie, debbono diventare una sorgente diretta di piacere. Per
tal modo, l’os¬ servanza delle condizioni che conducono alla fe¬
licità diventa direttamente piacevole, ed è adem¬ piuta. senza che essa
felicità (che rimane il fine (1) L’analisi e la soluzione di
queste due questioni, le quali si legano per parecchi nessi tra di loro,
ma che per chiarezza bisogna considerare a parte , occupano i cap. IX-XtV
della I.» Parte dei Principi di Etica. ultimo)
sia lo scopo diretto e immediato della condotta ; ossia, (ed è un
pensiero che fa ricordare Aristotele) lo stato di godimento finale
sopraggiunge come una conseguenza, non direttamente voluta nò
chiaramente rappresentata, all’ esercizio delle atti¬ vità morali
divenuto per sè immediatamente gra¬ devole. La soluzione
della seconda difficoltà derivante dalla lacuna notata, si trova nella conciliazione
oggettiva , tra bene proprio e bene altrui, e nella conciliazione
soggettiva, tra egoismo e altruismo, raggiunte per effetto e della
solidarietà crescente tra le condizioni di vita dei singoli e quelle del
tutto, e dello sviluppo concomitante della simpatia. Colla
soluzione di queste due difficoltà lo Spen¬ cer intende dunque che sia
dimostrata la possibilità — dal punto di vista scientifico — e la
legittimità dal punto di vista morale — della sua costruzione; e
con questa dimostrazione il pensiero che informa la trattazione
dell’Etica, è nelle sue linee generali, compiuto (1). Ed ora
, tracciato il disegno in cui si inquadra (1) La II. a Parte (Le
induzioni dell’Etica), che nella traduzione francese porta il titolo di
Morale de* differente peuples, dall’esame delle diversità di idee e
sentimenti morali dei diversi popoli rac¬ coglie la conferma di alcuni
dei principi fondamentali dedotti dalle leggi della vita nello stato
sociale ; e principalmente della estrema variabilità dei sentimenti
morali, e della corrispondenza generale di due tipi opposti di moralità
ai due tipi di coesistenza e coope- - 25 — la
dottrina particolare che più direttamente ci in¬ teressa, diciamo
alquanto piii distintamente di que¬ sta. Cap. II. — La
dottrina delle due Etiche. I. S’è visto come nel pensiero dello
Spencer la condotta ottima sia la condotta pienamente adatta, la
condotta che c orrispon de al limite dell’evolu¬ zione; mentre l e forme
di condotta più n _mpnn lon¬ tane da quel limite so no, di molto o di
poco, meno adatte, cioè meno buone; onde la distinzione di Etic A
ssoluta ed Eftej> (1). Ora si presentano spontanee due domande:
l.° Perchè introduce lo Spencer, contro il modo comune di
comprendere 1’ ufficio dell’ Etica, questa distinzione t ra Moral e
A ssoluta e Relativa ? Non è forse compito del l’Etica
(/ razione sociale (tipo militare e tipo industriale). Le
altre quattro parti, Etica della Vita Individuale (IH. a ), ed Etica
della Vita So¬ ciale : la Giustizia (IV.»), la Beneficenza Negativa (V. a
) e la Be¬ neficenza Positiva (VL S ) contengono le dednzioni o
applicazioni particolari ; nelle quali, in conformità ai principi e al
metodo ac¬ cennati, vogliono essere determinate le norme della vita
privata e deila vita pubblica quali risultano rispettivamente dalle
condizioni contemplate dall’ Etica Assoluta e da quelle contemplate dall’
Etica Relativ a. (1) Notiamo subito, benché l’avvertenza
debba parer quasi inu¬ tile , che per lo Spencer la parol i
fl.v<vofn^o non ha nè può a vere n ell’Etica un significato metafisi
co ; le norme etiche per lui non hanno ragione di essere all’ infuori
dell’ esistenza animata quale si manifesta fenomenicamente; all’infuori
di esseri capaci di pia¬ ceri e di dolori. 2
— 26 —
quello di stabilire le norme della condotta retta, della giustizia pura,
e, senza curare gli impedi¬ menti e le imperfezioni che i difetti della
natura umana possono ingenerare, presentare il tijoo ideale di pe
rfezio ne al quale ciascuno deve cercare di av¬ vicinarsi? E se così è.
non ò del tutto oziosa_e vi- ziosa la distinzione ? 2.”
Ammesso che dal punto di vista speciale dello Spencer questa distinzione
sia legittima, non è un fuor d’opera l’Etica Assoluta, dal momento
elle la realtà presente ci dà uno stato di adatta¬ mento imperfetto,
ossia assai diverso da quello che essa suppone ?
L’esposizione del pensiero dello Spencer intorno -alle foie Etiche
( 1 ) mi pare si possa acconciamente raccogliere in due parti, nelle
quali trovi succes¬ sivamente risposta ciascuna delle due questioni.
Co¬ minciamo dalla prima. 2. — Si crede comunemente che si
possa deter¬ minare un tipo di condotta assolutamente giusta in
condizioni reali di esistenza imperfetta, mentre questa determinazione
non è possibile; e, se fosse, non darebbe il tipo voluto. Sia nei giudizi
dei mo¬ ralisti, sia nei discorsi comuni, djie postulati^ sono
tacitamente accettati come veri; e pare infatti che senza di essi non sia
possibile giudizio morale, per- (1) Op. cit. Ch. XV : Absolute and
Relative Etkics. — 27 —
che la distinzione stessa tra atti giusti e atti in¬ giusti sembra
implicarli necessariamente. Sono que¬ sti: l.° Che in ogni caso vi sia un
modo di operare / \ ^assolutamente giusto. 2.° Che sia possibile
stabilire quale sia. Ma l’analisi di un gran numero di azioni
dimostra che in casi assai numerosi non è possi¬ bile il giusto, ma
soltanto un minimo ingiusto; e in casi pure numerosi non è nemmeno
possibile determinare in che cosa questo minimo ingiusto
consista. Il giusto assoluto esclude del tutto il dnltw che è
il correlativo di qualche specie di male, di qual¬ che divergenza da
quell’adattamento perfetto che soddisfa pienamente a tutte le esigenze
della vita completa. Se il concetto di condotta buona è, in ultima
analisi (1), il concetto di una condotta che produce in qualche parte un
avanzo di piacere; e di condotta cattiva, che produce un avanzo di do¬
lore; il bene o il giusto assoluto nella condotta può esser quello
soltanto che produce p iacere pur o, pi acere non misto a dolore di sorta
. E quindi la condotta che produce qualche conseguenza dolorosa ò
parzialmente cattiva, e la forma più elevata che una condotta cosifatta
può raggiungere ò il mi¬ nimo ingiusto, il giusto relativo.
Ora le forme di adattamento incompleto pre- (1) Per questa
analisi v. op. cit. Parte I.» Cap. IV.
— 28 — WÙ («ino;
>1 'è ntiJj 1 sentano, più o meno vasto e grave, un
doppio di¬ fetto : Discordanza od antitesi fra i tre ordini di fini
della vita, per la quale atti che producono uti¬ lità o piacere all’
individuo o alla prole portano danno e dolore agli altri, e viceversa ; e
discordanza anche nello stesso ordine tra fini immediati e me¬
diati, presenti e futuri ; per la quale 1’ azione ri¬ chiesta dall’ utile
avvenire può esser sorgente di dolore nel presente, o la soddisfazione di
un desi¬ derio immediato può impedir di raggiungere un bene lontano
e mediato, o esser causa di un male futuro. Nella misura in cui queste
due specie di incongruenze (le quali si incrociano e si complicano
fra di loro) fanno sentire i loro effetti, le azioni devono produrre una
certa somma di dolore sia sull’agente sia sugli altri. Ora « finché v’ ò
dolore v ’è male ; e la condotta che apporta qualche male non può
esser giusta assolutamente ». A chiarire questa distinzione lo
Spencer cita degli esempi di azioni assolutame nte giuste e di
altre solo relativamente giuste. Una madre sana che allatta un bimbo
sano, un padre che, dotato di eccitabilità simpatica, partecipa ai
giuochi del figlio e li guida, sono esempi della prima specie;
nell’un caso e nell’altro l’azione produce piacere a chi la fa e a chi la
riceve; e aiutando lo svi¬ luppo fisico o quello psichico, o l’uno e
l’altro in¬ sieme, è utile al benessere futuro ; cioè produce di-
— 29 — rettamente e indirettamente soltanto piacere
senza dolore. Del pari imo scambio fatto di pieno accordo e con
soddisfazione e utilità reciproca ; e gli atti di benevolenza di chi
fornisce una notizia o un consiglio, o chiarisce un equivoco, o compone
un dissidio tra amici, possono essere classificati come giusti
assolutamente per la medesima ragione. Degli esempi addotti dallo
Spencer di azioni solo relativamente giuste, scelgo due che mi
paiono tipici anche per il contrasto che offrono col modo di
giudicare comune: La cura di molti figli cagiona a una madre assai
dolori, ma le sofferenze imme¬ diate e le lontane che l’incuria
apporterebbe supe¬ rerebbero di gran lunga quei dolori. La condotta
giudicata buona in questo caso è quella che pro¬ duce minor male ; ma non
è ottima. È la meno in¬ giusta. non 1’ assolutamente giusta. Così 1’
allonta¬ namento dei clienti da un negoziante che esiga prezzi
troppo alti o venda merci scadenti, o falsi la misura, fa diminuire il
suo benessere e forse apporta danni e dolori ad altre persone a lui
con¬ giunte; ma il salvar lui da questi mali e sopportar quelli che
la sua condotta cagiona, produrrebbe un male assai più grave e generale.
L’abbandono è perciò giustificato: ma l’atto è solo relativamente
giusto. 3 — Riconosciuta così la verità che una gran parte
della condotta umana non è giusta assoluta- —
Bu¬ rnente, si deve riconoscere 1’ altra verità che in molti casi
non é possibile stabilire quale sia il mi¬ nimo ingiusto. É facile
trovarne le ragioni, se si considerano gli effetti che quella stessa
discordanza, già rilevata, tra i fini della vita, deve produrre. V’
è un limite fino al quale é relativamente giusto che un genitore faccia
sacrifizio di sè stesso pel vantaggio dei figli, e v’è un limite oltre il
quale l’abnegazione non può spingersi senza ch’egli ap¬ porti non
soltanto a sò ma a tutta la famiglia danni maggiori di quelli che il
sacrifizio tende ad impedire. Chi può dire quale sia questo limite?
Dipendendo esso dalla costituzione e dai bisogni delle persone in causa,
non è neppure in due casi il medesimo, e non può essere per ciascun caso
più che una congettura. Un commerciante che sia tra¬ volto nel
fallimento d’un suo debitore e posto nella necessità di fallire egli
stesso se non è aiutato, deve o no domandai^un prestito a un amico?
Il prestito potrebbe trarlo dalle difficoltà, e in questo caso non
sarebbe cosa ingiusta verso i suoi credi¬ tori non chiederlo ? Ma
fors’anco non lo salverebbe, e allora non è una frode procurarselo?
Benché in casi estremi possa esser facile decidere, come sa¬ rebbe
possibile in tutti quei casi in cui anche il più intelligente e
competente non può calcolare le probabilità ? 4 — Questo
doppio errore del confondere il r — 31 —
giusto assoluto col minimo ingiusto, e del credere che si possa in
ogni caso stabilire quale sia, nasce dall’ errore che si commette nel
concepire il tipo della condotta, la condotta dell’ uomo ideale.
Si suppone clic l’uomo ideale viva e agisca nelle condizioni
sociali esistenti. Ciò che si cerca determinare è, non quali
sa¬ rebbero le sue azioni in circostanze tutte- insieme mutate, ma
quali sarebbero, date le condizioni pre¬ senti. E questa ricerca ò vana
per due ragioni : La coesistenza di un uomo perfetto e di una
società imperfetta è impossibile ; dato che potessero coesi¬ stere,
la condotta che ne seguirebbe non fornirebbe il tipo morale
cercato. « In primo luogo, date le leggi della vita come esse
sono, un uomo di natura ideale non può es¬ sere prodotto in una società
composta di uomini- che hanno una natura lontana dall’ ideale.
Aspet¬ tarsi che tra uomini organicamente immorali ne- sorga uno
organicamente morale è come aspettarsi di veder nascere tra i Negri un
bambino di tipa inglese. Se non si vuol negare che il carattere di¬
penda dalla struttura ereditata, si deve ammettere che in ogni società
ciascun individuo discende da uno stipite, che risalendo a poche
generazioni si ramifica per ogni parte nella società e partecipa
della natura media di questa ; e che quindi, nono¬ stante spiccate
differenze individuali, deve conser- — 32 — varsi una
comunanza di natura tale da impedire che un uomo, qualunque sia,
raggiunga un tipo ideale, finché il resto della società rimane di
gran lunga inferiore. « In secondo luogo, la condotta ideale,
quale è contemplata dalla teoria morale, non è possibile per P uomo
ideale in mezzo ad uomini costituiti diversamente. Una persona
assolutamente giusta c perfettamente simpatica non potrebbe vivere
e operare in conformità alla natura sua in una tribù di cannibali.
Tra un popolo perfido e al tutto privo di scrupoli, una intiera
veridicità e franchezza deb¬ bono apportare rovina. Se tutti intorno a
lui rico¬ nóscono solo la legge del più forte, un uomo la cui
natura non gli permetta di inlliggere dolore agli altri deve soccombere.
Fra la condotta di ciascun membro della società e la condotta degli altri
vi deve essere per necessità una certa congruenza. Un modo di
operare interamente diverso dai modi di operare prevalenti non può
continuare con buon esito, ma deve condurre alla morte dell’ agente,
o della sua discendenza, o di ambedue » (1). Adunque perchè
l’uomo ideale possa servire di tipo, egli deve essere concepito non a sé,
senza re¬ lazione colle condizioni che sono necessarie perchè la
condotta possa essere giusta, ma in corrispon- (1) Ib. § 106 p.
279-80 dell’ed. cit. — 33 — denza con queste ; V uomo
ideale deve essere con¬ siderato come esistente in una società
ideale. Perciò, secondo l’idea dello Spencer, il voler, per
esempio, stabilire quale sarebbe la condotta deiruomo ideale quando fosse
posto nel bivio o di farsi gettare sul lastrico colla famiglia, o di
men¬ tire alle sue convinzioni politiche, sarebbe perfet¬ tamente
vano ; perchè le condizioni cosi supposte contraddicono a quelle
richieste dalla definizione dell’uomo ideale. In una società ideale,
nella quale soltanto può concepirsi 1’ uomo ideale, non esiste
violenza e non esistono abusi ; nè vi può essere collisione tra i modi di
sentire e di operare richiesti dal bene proprio e della discendenza,
e chiesti dal bene pubblico. Viene in mente, e
lo ricordo perchè può servire di commento al pensiero
delloCéàencer, ma perchè la somiglianza è significativa, queh^ udjko
^ dei Promessi Sposi, nel quale il padre Cristoforo è invitato a
far da giudice in una questione di cavalleria. Suonava rumorosa la
disputa tra i com¬ mensali di Don Rodrigo su questo punto: se fosse
lecito a un cavaliere bastonare il messo che gli consegna un cartello di sfida
senza avergliene chie¬ sto licenza ; e il padre Cristoforo, chiamato in
causa, dopo essersi invano schermito, esce finalmente in quella
sentenza che fa meravigliare, tanto pare fuor di proposito, tutti quei
dialettici della cavai- S — 34 —
leria : « 11 mio debole parere sarebbe clic non vi fossero nò sfide, nè
portatori, nè bastonate ». Ecco riconosciuta nel caso particolare
l’esigenza fondamentale dell’Etica Assoluta dello Spencer: Non vi
può essere condotta giusta finché vi sono condizioni contrarie alla giustizia.
Ma la realtà presente e viva è appunto così. « Oh ! questa è grossa
», risponde infatti il conte At¬ tilio. « Mi perdoni, padre, ma ò grossa.
Si vede che lei non conosce il mondo ». E se è il mondo coni’è
quello con cui si ha a fare, 1* ufficio dell’ Etica non sarà quello di
stabi¬ lire quale deve essere la condotta nel mondo reale presente,
non in un mondo ideale avvenire? 0, almeno, non ò inutile, anche ammessa
la distin¬ zione Spenceriana, correr dietro al fantasma di una
condotta ottima, adatta a uno stato di perfe¬ zione, che l’evoluzione
apporterà, sia pure, ma che per noi non esiste ? 5 — A questa
seconda domanda risponde la di¬ mostrazione della precedenza necessaria —
nell’or¬ dine della trattazione scientifica — dell’Etica As¬ soluta
sull’ Etica Relativa. In qualunque ordine di ricerche le verità
scien¬ tifiche si sono raggiunte trascurando prima i fat¬ tori di
perturbazione, che alterano ed oscurano l’azione dei fattori fondamentali,
e tenendo conto soltanto di questi. — 35 —
Quando la estimazione di questi fattori fonda¬ mentali, non, come si
presentano nella realtà, ma¬ scherati e complicati di elementi secondari,
ma quali si suppongono idealmente con un processo di astrazione, ha
aperto la via a conoscere e formu¬ lare le leggi generali, allora diventa
possibile la estimazione dei casi concreti, tenendo copto dei fat¬
tori accidentali che nella realtà alterano i rapporti i deali contemplati
da quel le leg gi. Ma le leggi ge¬ nerali, le verità fondamentali, solo
per questa via si possono ricercare e scoprire, e solo con questo
procedimento il sapere passa dalla sua forma em¬ pirica alla sua forma
razionale. Per ottenere la formula che esprime il potere
-ifjicfip»tv* della leva s i suppone N una leva che non si pieghi ,
iàz<Jbz ma sia assolutamente/rigid a ; un fulcro che non
abbia, come nella realtà, una certa superficie; e si suppone che la
potenza e la resistenza si esercitino su un punto, invéce che su una parte
più o meno estesa della leva. Del pari la determinazione del corso
di un proiettile si ottiene trascurando dap¬ prima tutte le deviazioni
prodotte dalla sua forma e dalla resistenza dell’ aria. E il medesimo
negli altri casi. St abilite così q u este verità ideali, diventa possibile
tener conto degli elementi dai quali si è fatta astrazione, delle
complicazioni risultanti dal¬ l’attrito, dalla plasticità, dalla
coesione, dalla resi¬ stenza dell’aria : e ottenere così una
determinazione ' Jt- ^ "(VOM, P-O
— 36 — sempre più esattamente
approssimata al l'atto reale. Qui è manifesta la re lazione tra certe
verità assolute della meccanica e certe verità relative che impli¬
cano le prime, come è manifesto che non si possono stabilire
scientificamente le verità relative finché non sieno formulate
indipendentemente da queste le verità assolute. Il che equivale a dire
che la ! scienza meccanica applicala può svilupparsi soltanto
dopo che si è sviluppata la scienza meccanica ideale. Le medesime
considerazioni valgono per la scienza morale. È impossibile determinare
con ap¬ prossimazione scientifica quale sia, date certe cir¬
costanze reali, il modo di operare meno ingiusto, se non si conosce quale
sarebbe il modo di operare giusto ; e questo non si può conoscere se non
si suppongono eliminate tutte le circostanze che lo impediscono o
lo limitano e ne falsano i caratteri ed i risultati: cioè, in breve, se
non si suppongono, scevre da ogni perturbazione, le condizioni ideali,
nelle quali è possibile l’operare assolutamente giusto. A chiarir
meglio questa relazione tra Etica As¬ soluta ed Etica Relativa lo Spencer
ricorre a un altro esempio di relazione analoga preso dalle scienze
biologiche; la relazione tra la Fisiologia e la Pa¬ tologia. La
Fisiologia, nello studio degli organi e delle funzioni che combinate
costituiscono e con¬ servano la vita, suppone l’organismo sano e le
funzioni sane, non tenendo conto dei difetti, degli
— 37 — eccessi, delle anomalie di cui si occupa la
Pato¬ logia : e questa poi presuppone quella, perchè le idee anche
più rozze intorno alle malattie suppon¬ gono idee di stati sani di cui le
malattie sono de¬ viazioni; e la conoscenza degli stati e dei
processi anormali e morbosi può diventare scientifica sol¬ tanto
quando vi sia già una conoscenza scientifica di stati e processi non
morbosi. Si milmeste l a Morale Assolut a deve precedere
laJSl orak ^llclativa ; la quale non deve applicare sic et simpliciter alle
condizioni particolari della vita reale le conclusioni dell’ Etica
Assoluta ; ma riconoscendo ciò che vi è di diverso nella condotta
che corrisponde a uno stadio di vita imperfetta, deve determinare di
quanto essa si allontana dal giusto e come si possa ottenere, date queste
condi¬ zioni reali imperfette, la massima approssimazione al giusto
contemplato dall’ Etica Assoluta. 6 — Questi confronti coi quali lo
Spencer in¬ tendeva illustrare il suo concetto intorno alla re¬
lazione fra le due Etiche e alla priorità logica del- 1’ Etica Assoluta
sull’ Etica Relativa, si direbbe che abbiano servito ad abbuiarlo ; e
però non è fuor di luogo qualche breve chiarimento.
Dall’esposizione che precede deve essere apparso, spero, che è per
una esigenza inerente alla natura della ricerca scientifica che lo
Spencer sostiene la. V | necessità che l’Etica
Assoluta prec^g la Relativa; lì — 38
— e appunto por chiarire questa precedenza neces¬ saria egli
cita l’esempio della precedenza analoga della Meccanica Razionale
rispetto alla Meccanica Applicata, e della Fisiologia Normale rispetto
alla Fisiologia Fatologica. Nel pensiero dello Spencer la priorità
dell’ Etica Assoluta non è che l’applicazione a un campo particolare di
ricerche di un suo cri- <--- 7 terio metodico
generale; del quale egli trova la conferma in tutte le scienze, che hanno
superato 10 stadio empirico. Il paragone non è dunque, pro¬
priamente, tra la sua Etica Assoluta e la Meccanica Razionale o la
Fisiologia Normale, nè tra la sua Etica Relativa e la Meccanica applicata
o la Fisio¬ logia Patologica; non è, voglio dire, di quelle scienze
pure tra di loro, o di queste scienze appli¬ cate tra di loro ; ma è
paragone tra le loro rela¬ zioni. E il significato del confronto è questo
: che tra le due Etiche, come le concepisce lo Spencer, corre una
relazione analoga a quella che intercede rispettivamente tra le due
Meccaniche (diciamo così) e tra le due Fisiologie. E in
questo senso che il paragone deve essere inteso ; e in questo senso è
appropriato. Perciò, quando la critica obietta che l’Etica ha
caratteri ed esigenze diverse dalla Meccanica e dalla Fisio¬ logia,
può essere che abbia ragione, ma interpreta 11 confronto in un
senso diverso da quello voluto dallo Spencer. Perchè il concetto, per il
quale il — 39 — paragone è
assunto è, nella sua espressione più semplice, questo: che anche per
l’Etica la solu¬ zione scientifica o scientificamente approssimata
dei problemi più complessi richiede la soluzione dei problemi più
semplici. Il paragone non deve dunque essere staccato da questo concetto
e preso con una significazione diversa; altrimenti si frain¬ tende
e paragone e concetto ; e rimane oscurato uno dei punti più importanti
della dottrina par¬ ticolare ora esposta. La quale non ebbe
mai molta fortuna nò presso i fautori di una morale scientifica, nè
presso gli av versa ri. Questi, preoccupati forse in generale dal
pensiero di mostrare la insufficienza dell’indirizzo naturalistico, hanno
veduto nella dottrina delle due Etiche (illustrata da quei confronti!)
sopratutto una fi gliazione de l concetto meccanistico, e f’hanno
com¬ battuta in nome delle esigenze della Morale; quelli hanno
notato nella affermata necessità di costruire un’Etica Assoluta, una
contraddizione colla teoria dell’evoluzione, e col principio della
relatività della morale e del diritto: e l’hanno combattuta in nome
delle esigenze della scienza. Gli uni e gli altri hanno considerato la
dottrina particolare unicamente in relazione colla dottrina generale
colla quale si pre¬ sentava connessa, senza badare alle ragioni che
la possono legittimare all’infuori del sistema e della forma
speciale di applicazione che in esso ha trovato. Parte IJ.
CRITICA PRELIMINARE: LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI E IL
PRECONCETTO DAL QUALE HANNO ORIGINE. Cap. III. — La
pregiudiziale dell’imperativo categorico. La dottrina esposta
traccia il piano che lo Spen¬ cer si è proposto di seguire per soddisfare
al compito da lui assegnato all’Etica: quello di determinare,
scientificamente le norme della condotta morale.] Ma già intorno a
questo modo di intendere l’uf¬ ficio dell’Etica incalzano lejtifficoltà e
le obbiezioni; le quali devono essere, almeno nel loro contenuto
sostanziale, esaminate. Perchè, se non si riconosce la legittimità del
suo concetto sull’ufficio dell’Etica è vano discutere della possibilità e
legittimità del piano proposto per attuarlo. L’esame critico
si distingue perciò naturalmente in due parti; delle quali la prima
potrebbe dirsi critica preliminare. » * « 1 —
L’Elica può, o non può, essere scienza nor¬ mativa? Ecco una prima
questione pregiudiziale, che, a giudizio di un profano, (solamente dei
profani ?) po¬ trebbe dare un’idea poco lusinghiera dei progressi e
dei frutti della speculazione morale. — 41
— L’opinione se non universalmente, certo gene¬ ralmente.
dominante è che non possa. L’opinione dominante par che si chiuda in
questa alternativa: l’etica o è scienza, e non è più normativa; o ò
nor¬ mativa, e non è più scienza. La ragione dell’anti¬ tesi, che
così si pone, tra le esigenze della scienza e le esigenze della morale, è
nota. Dicono i puri moralisti: — Una morale che non dia alla norma
carattere di obbligatorietà non può essere vera mo¬ rale; e darle
obbligatorietà assoluta non si può senza uscire dal campo della scienza.
Nel latto, una con¬ dotta che si ponga scientificamente come morale,
è obbligatoria soltanto se si accetta il fine, al quale è ordinata
la norma; cioè è obbligatoria ipotetica- , mente, non categoricamente. E
se non c’è i m perat ivo categorico, non c’è m orale. — E i puri
scienziati rincalzano: — La scienza è scienza delle cose e dei
latti come_sonq_e non come dovrebbero essere. Si può cercare quali sono i
caratteri e i fattori, la formazione e le trasformazioni dei modi di
operare, dei sentimenti delle credenze distinti come morali; si
potrà anche, tracciati i lineamenti generali del processo di formazione,
argomentare induttivamente una possibile evoluzione ulteriore con qualche
pro¬ babilità; ma la scienza non sa di bene e di male; cerca ciò
ciò che è; tenta di prevedere, se le riesce, quel che sarà; dimostrando
che certi effetti dipen¬ dono da certe condizioni, ci fa capire che se vo-
3 — 42 —
gliamo gli effetti dobbiamo volere quelle condizioni, ma non può
obbligare nè à volerle nè a disvolerle. Gli uni e gii altri,
accordandosi nell’ammettere che la scienza non possa dare un imperativo
ca¬ tegorico, par che ammettano esplicitamente o im¬ plicitamente
che la morale debba o possa essere una dottrina che determina la norma
obbligatoria, ossia una teoria da cui si ricava il dovere. Ora. se
hanno ragione nell’ ammettere la prima cosa, hanno torto di supporre la
seconda ; hanno torto di credere che compito dell’Etica possa essere
quello di dimostrare l’obbligatorietà, e di supporre che una
dottrina religiosa o metafisica possa fondare quel che riconoscono non
poter essere fondato da una dottrina puramente scientifica; possa
fondare il « tu devi » (1). 2 — 11 « tu devi » è un giudizio
di constata¬ zione e non può essere altro. Dicendo « tu devi » io
non posso intendere che l’una o l’altra di queste due cose: o « tu senti
dentro di te qualchecosa che (1) Ho già mostrato altrove, in un
capitolo rivolto direttamente a questo esame (Prolegomeni a una Morale
distinta dalla Metafì¬ sica Cap. I. Pavia, Bizzoni 1901) come e perchè
sia perfettamente va no e illusorio credere che da una costruzione ,
teorica l sojjmtificn n no. nossa ricavarsi in qualsiasi modo una norma
obbligatoria , se l’obbligatorietà non è già per altra via data o assunta
o supposta; e come nasca e si mantenga 1’ illusione, e lo sforzo di
credere che non è un’ illusione. Ma 1’ argomento è di capitale importanza
; e , del resto, la breve trattazione che segue, benché concluda il
mede¬ simo, è fatta da un punto di vista diverso.
— 43 — ti spinge, senti di essere obbligato a
non fare o a fare »; oppure quest’altra: « c’è una volontà cbe ha
il potere di obbligarti ». Nel primo caso si fa appello alla coscienza ;
a uno stato o a un fatto di coscienza che esiste o si suppone che esista
; nel secondo caso si fa appello a un potere, che pari- menti o
esiste o si ammette che esista. Ma nell’uno e nell’ altro caso nessuno
sforzo dialettico può ri¬ cavare l’obbligo dalla natura della cosa
comandata o proibita; nessuna costruzione dottrinale può far
esistere, se non esiste già, nò quel fatto di coscienza, nè questo potere.
Si dirà che v’è un altro senso. È vero; ma un senso improprio. « Tu
devi » può voler dire: « È giusto che tu faccia; è giusto che ti senta
obbli¬ gato a fare, o che ci sia chi ti obbliga ». Ma se vuol dir
questo, l’espressione è equivoca. Che sia giusto il fare e che sia giusto
T obbligo di fare (quando questo fare sia già sentito come un ob¬
bligo) si raccoglie d al contenu to, non dal tono del comando: e non
basta a porre l’obbligo, lo giusti- fica dato die ci sia, e potrà far
desiderare che esista, dato che non ci sia. Ma porre le ragioni che
giustificano l’obbligo, non è porre in essere la forza o il potere o
l’impulso (con qualunque nome si chiami) che obbliga. Ed è così vero che
le due cose .sono diverse e non confondibili tra di loro, che non
si può ridurre 1’una all’altra senza togliere
44 — L* <MìWM una delle due. Non si può
derivare l’obbligo dalle ragioni che giustificano la norma, senza ricono¬
scere che l’obbligo vale solamente in quanto val¬ gono queste ragioni;
fcioè senza assegnargli un va¬ lore ipotetico, non più categorico. Nè si
può rica¬ vare la giustificazione della norma dall’obbligo ca¬
tegorico, senza riconoscere che la norma vale so lo i n quanto esiste
l’obbli go; ossia senza negare qual¬ sivoglia giustificazione, cioè
riconoscere che il con¬ tenuto della norma non avrebbe nessun valore
se P obbligo mancasse. 3 — Gli è che quando si dice essere il
dovere condizione necessaria della morale, si scambia la morale
colla 'moralità, la norma colla conformità alla norma. Ma l’obbligo
riguarda l’osservanza, <*/J» non ] a determinazione della
norma. Ora, che del¬ l’osservanza della norma sia condizione
necessaria e caratteristica il dovere, è cosa che potrà o
non potrà ammettersi, ma ha ad ogni modo un senso; che sia
essenziale alla determinazione della norma, non è neppure discutibile,
perchè non ha senso. Sarebbe come dire che è essenziale alla
costruzione della scienza medica l’obbligo di prendere le me¬
dicine. È verissimo che sarebbero perfettamente inutili le prescrizioni
mediche se non si supponesse che vengano osservate ; ma è non meno vero
che l’obbligo di osservarle, posto che ci fosse, non mu¬ terebbe in
nulla il contenuto e il valore delle pre-
scrizioni. L’obbedienza del cliente non muta la scienza del medico. E le
condizioni da cui dipende l’osservanza sono così distinte dalle ragioni
che giustificano una norma , che fi ufficio di tutte le scienze
precettive si fa consistere nel cercare e de¬ terminare le relazioni tra
certi mezzi e un certo fine, nella supposizione che il fine sia voluto, e
ai- fi infuori da ogni preoccupazione che riguardi la reale
esistenza ed efficacia del desiderio o dell’ ob¬ bligo di conseguirlo. Il
che si vede manifestissi¬ mamente in una scienza precettiva, che, a
rigore, costituisce un capitolo dell’ Etica ; nella quale la
questione dell’ osservanza delle norme (e dell’ ob¬ bligo di questa
osservanza) è rimasta perfettamente distinta dalla questione della
ricerca e della deter¬ minazione delle norme; forse appunto perchè
fu considerata e trattata indipendentemente dalla mo¬ rale; voglio
dire nell’igiene. Dove a nessuno viene in mente di pretendere' che sia
una condizione della legittimità o del valore delle norme dettate da
lei, questa: ch e il conformarsi ad esse sia sentito com e un d
over e. E se accade, come può accadere in ef¬ fetto, che l’osservanza di
qualcuno dei suoi pre¬ cetti sia già tenuto come un dovere, il
riconoscere che questo precetto è ordinato a un fine, al quale si
dà valore di bene, fa che fi obbligo stesso ap¬ paia giusto. Ma in questo
caso è facile vedere che la giustificazione dell’ obbligo riesce in
ultimo a • — 46 — questo :
a dare un valore ipotetico all’ obbligo ca¬ tegorico; cioè à dimostrare
che sarebbe bene osser¬ vare il precetto, anche se non ci fosse V
obbligo. Ora lo stesso vale, nè più nè meno, per la mo¬ rale.
Altro è cercare quali siano le norme da os¬ servare per raggiungere un
certo ordine di effetti (quello che la morale ponga come fine) e altro
è cercare da quali condizioni dipenda che l’osservare queste norme
possa essere sentito e posto come un dovere. E l’importanza che questo
secondo pro¬ blema può avere non toglie che esso sia diverso e debba
essere distinto dal primo. La pregiudiziale dell’obbligo categorico
non tocca dunque la c ostruzione dottrinale delle norm e; in primo
luogo perchè l’obbligo categorico si constata o si assume, e non si
dimostra, nè si ricava da una dottrina qualsiasi. In secondo luogo perchè
se si intende, come si intende in effetto, che 1’ Etica deve dare
non V obbligo, ma la giustificazione del- l’obbligo, questa
giustificazione non può consistere che nel mostrare come la norma abbia
valore an¬ che indipendentemente dall’ obbligo ; cioè che sa¬ rebbe
bene o sarebbe giusto conformarsi ad essa anche se il conformarsi non
fosse sentito come un dovere indiscutibile. Ossia, poiché dimostrare il
va¬ lore di una norma vuol dire mostrar la deriva¬ zione di una norma
da un fine a cui sia ricono¬ sciuto quel valore, giustificare 1’ obbligo
viene a — 47 — dire derivare la norma da
un fine, il cui valore si ammetta non dipendere dall’ esistenza dell’
ob¬ bligo, e al quale perciò rimane del tutto estranea la
considerazione dell’obbligo e delle condizioni che lo rendono
possibile. A — La caratteristi ca di una dottrina etica no n
sta dunque nell’ obb ligatorietà, ma sta nel valore d el fine che si
assume (1). Ed eccoci alla vera ed j unica differenza tra 1’ Etica e le
altre costruzioni precettive; che è questa. Qualsivoglia scienza
pre¬ cettiva si riduce a un sistema di relazioni e di leggi che
hanno valore di norme da seguire per chi si propone come fine quell’
effetto o quell’ ordine di effetti, del quale esse leggi esprimono
le condizioni $ ed i fattori ; cioè suppone la
desiderabilità che dà valore di fine a quell’effetto; ma non pretende
nè che questa desiderabilità sia riconosciuta univer¬ salmente, nè
che essa sia, pure universalmente, ri- conosciuta come superiore e
preminente rispetto a quella di qualsiasi altro fine. Ma questo
appunto (1) Sono lieto di notare che in un articolo dal titolo
Ethic.s, a xcience pubblicato nella Philo.sophical Review (Novembre 1903,
Vo¬ lume XII, G) il prof. E. B. McGilvary insiste sul concetto, clip
è conforme a quel che ho sostenuto e sostengo , che 1’ Etica , come
scienza, è indicativa non imperativa. Senonchè, per un verso, non si
capisce dall’ articolo se egli ammetta o escluda il medesimo di
qualsivoglia costruzione dottrinale; per l’altro, egli non tien conto di
quella differenza, nella quale consiste a mio giudizio la earat-
teristica dell’Etica. —
48 — pretende l’Etica. Onde il compito dell’Etica si spe¬
cifica in due punti, di cui il primo segna la sua caratteristica: l.°
cercare se vi sia e quale sia l’ef¬ fetto o l’ordine di effetti che possa
avere un tal valore, cioè il fine del quale possa essere ammessa la
universale desiderabilità sopra ogni altro, 2." de¬ terminare le
condizioni e i fattori da cui quell’ ef¬ fetto dipende. E, nel supposto
che dipenda dall’azione umana individuale e collettiva, determinare la
con¬ dotta, ossia le norme dell’operare, corrispondente. Se il
fine di cui può essera assunta questa uni¬ versale e preminente
desiderabilità è umanamente possibile, cioè tale che se ne riconosca
possibile il raggiungimento senza assumere o postulare nessun
intervento sopranaturale e sopraumano, la costru¬ zione etica sarà
scientifica; se no, sarà religiosa o metafisica. E quindi il problema
della possibilità di un’Etica scientifica assume questa forma: se si
possa assegnare un fine, naturalmente cioè umanamente possibile, al
quale sia riconosciuto un valore supe¬ riore a ogni altro fine. La
determinazione delle norme morali sarebbe data dalle relazioni
trovate o da trovarsi tra quel fine e la condotta indivi¬ duale e
collettiva da essa richiesta. Ed eccoci a una seconda questione
pregiudiziale. Gap. IV. — La pregiudiziale sul modo di
intendere il compito normativo dell’ Etica. 5. — Non è
improbabile che qualche lettore trovi que sto modo di porre il problema
intorno al co mpito dell’Etica , antiqua to e fuori della realtà.
Sento dirmi: «Nella realtà il compito dell’Etica è concepito e proseguito
in modo assai diversp anzi opposto. Le n prme della condotta morale sono
già d ate e conosc iute. Ciò è tanto vero, che sulla deter¬
minazione concreta dei precetti particolari, di quelli che si chiamano «
d over i » e che si raccolgono nella parte comunemente chiamata Morale
Speciale, non cadono sostanzialmente dubbi o contestazioni, e i
filosofi della morale ne sdegnano quasi la tratta¬ zione o ne danno
soltanto le linee generali. Nella realtà dunque l’indagine morale non ha
per iscopo di cercare e determinare le norme ricavandole da un
certo fine; ma di costruire la sistemazione teo¬ rica di un codice di
condotta già dato, raccogliendo e unificando le norme particolari in una
norma ge¬ nerale, della quale si cerca quale possa essere la
giustificazione; anche se la costruzione induttiva¬ mente così ottenuta
rivesta poi l’apparenza logica di una costruzione deduttiva. Quindi è
antiscienti¬ fico e inutile andar cercando fuori della realtà, nel
campo di una possibilità, ipotetica, un fine — po¬ niamo pure che sia
possibile trovarlo — il quale —
50 — risponda a quelle esigenze, per il gusto di ricavarne
delle norme. Le quali, o si accorderanno con quelle riconosciute in
effetto e vigenti come morali, o discorderanno. Se si accordano, ciò vuol
dire che la pretesa derivazione deduttiva delle norme da quel fine
nasconde una reale derivazione induttiva del fine dalle norme; se
discordano, questa discor¬ danza viene a dimostrare l’inutilità, a dir
poco, di norme elle contrastano con quelle riconosciute e
accettate, e a far respingere come non morali o utopistiche le norme e il
fine dal quale sono rica¬ vate ». 6. — Io non ho difficoltà a
riconoscere che i due indirizzi prevalenti nella speculazione morale
con- temporanea— l’indirizzo sociol ogico-storico. e l’in- dirizzo
idealistico-prammatistico — si accordano fon¬ damentalmente nel
respingere le costruzioni etiche razionali o pure, e nell’assumere come
punto di par¬ tenza legittimo la realtà dei dati morali ; dei quali
l’uno considera principalmente l’aspetto esterno, sociale, e l’altro
l’aspetto interno, psicologico. Ma noto subito che la novità nel punto di
partenza e nel processo di costruzione, è soltanto apparente; o,
per essere più esatto, la novità consiste (1) nel- (1) Adagio però
anche con questa novità. Perchè, almeno quanto al riconoscere
esplicitamente la legittimità del procedimento regres¬ sivo, all’
invertire deliberatamente la costruzione morale, il Kant avrebbe de’
diritti d’autore da rivendicare.
— 51 — l’assumere la legittimità di un procedimento,
che inconsapevolmente domina in generale la specula¬ zione etica, e
che si scorge più evidente in quei sistemi i quali hanno raccolto
rispettivamente nei diversi tempi e luoghi più largo consenso;
(consenso non verbale, si intende, ma reale). In altri termini non
si fa che seguire in modo consapevole e riflesso quella stessa tendenza e
preoccupazione, a cui ha obbedito in generale la speculazione morale,
almeno nella forma riconosciuta rispettivamente nei diversi tempi
come ortodossa, o retta, o sana che si voglia dire; la preoccupaziono di
giustificare, il modo di operare, di sentire e di giudicare già tenuto
come buono. Ora il rendersi conto che la costruzione etica — sotto
l’apparenza logica di una deduzione progressiva di certi precetti
particolari da una nor¬ ma generale e di questa da un fine posto
come supremo — fu sempre, in sostanza, regressiva (dai precetti
particolari alla norma' generale e da questa ai principi che la
giustificano), segna certamente un progresso e un acquisto quanto alla
conoscenza del processo reale storico e psicologico di formazione
dei sistemi morali. Ma altro è conoscere quale sia stato il processo realmente
seguito, altro ò affermare la legittimità del processo. Certo sarebbe un
fortis¬ simo argomento di probabilità, se avesse fatto buona prova.
Ma se si guarda ai risultati, vien fatto piut¬ tosto di pensare il
contrario; di pensare, che la 52 — speculazione
morale sia viziata nelle origini appunto dal preconcetto che la domina e
dal procedimento che il preconcetto suggerisce. Ed è da questo pre¬
concetto che nasce, a mio giudizio, così il diletto della soluzione a cui
riesce l’indirizzo sociologico, come di quella a cui fa capo l’indirizzo
pramma- tistico. 7. — In primo luogo importa notare che
am¬ bedue gli indirizzi, appunto perchè hanno comune il presupposto
che compito dell’Etica sia quello di unificare le norme già date, risalendo
da esse ai principi o ai postulati, sembrano ammettere questi due
punti: 1°. Che le norme morali siano già tutte conosciute e determinate,
o che dalle norme cono¬ sciute si ricavi il criterio per quelle non
determi¬ nate. 2°. Che le norme date siano fra di loro con¬
cordanti o compatibili, o almeno non in contraddi¬ zione l’una
coll’altra. Ora nè 1’ una nè l’altra di queste condizioni si
avvera nel fatto. E prima di tutto non è esatto che le norme della
condotta siano già date e conosciute. Anche se lo Spencer ha torto, come
io credo e si vedrà più in¬ nanzi, di assumere a criterio del giusto
l’adatta¬ mento perfetto o il piacere puro, ha ragione nel
sostenere che in un gran numero di casi la coscienza non ci dice quale
sia il modo di operare giusto o approssimativamente meno ingiusto. Ma,
oltre ai — 53 — casi del genere di quelli
citati da lui, (nei quali si potrebbe dire, che se non riusciamo a
determinare quale sia la migliore applicazione del criterio, sap¬
piamo però quale sia il criterio da usare) vi sono sfere intere di
azioni, per le quali la coscienza non saprebbe suggerirci una scelta
sicura, e per le quali non ci dice, come per altre, «non è giusto» o
«è giusto». Difenderò io il divorzio o lo combatterò? Approverò o
non approverò l’allargamento del suf¬ fragio politico? Sarò
conservatoreoliberale, monar¬ chico o repubblicano, individualista o
socialista, liberista o protezionista? In quali circostanze ed
entro quali limiti seguirò l’uno o l’altro indirizzo? Non serve
rispondere che ciascuno deve operare in queste materie secondo la propria
coscienza. Si tratta di sapere come una coscienza onesta deve
operare perchè alla bontà delle intenzioni (che è presupposta)
corrisponda la bontà degli effetti. E abbandonando questo giudizio alla
coscienza indi¬ viduale si riconosce o che possono coesistere
criteri morali diversi, o che lo stesso criterio morale può
legittimare ugualmente modi di operare opposti, o finalmente che quelle
parti della condotta escono dal campo della morale. Ma se
possono legittimamente coesistere per certe parti della condotta criteri
morali opposti, quale sarà il criterio superiore che serve a decidere
fra questi criteri contrastanti? o altrimenti, perchè non
— 54 si ammette che possano del pari legittimamente
coesistere criteri contrastanti anche per le altre parti della condotta?
Se poi lo stesso criterio morale può legittimare due modi di operare
opposti, ciò non può essere che per mancanza di determinazione
delle circostanze; e prova in ogni modo che le norme particolari
della condotta morale non sono tutte de¬ terminate e conosciute. E se
finalmente quelle parti della condotta escono dal campo della morale,
quale norma suprema è mai quella che non ha nulla da dire intorno a
una parte così grande dell’operare, come è, per esempio, tutta la
condotta politica del¬ l’individuo e della società? Si dirà che per
questa parte, per la quale le norme non sono date, il cri¬ terio si
ricava de quelle già date e accettate come morali? Urtiamo in una seconda
difficoltà. 8. — Per ricavare dalle norme già date il cri¬
terio cercato, per unificarle cioè in una norma più generale, occorre che
le norme date concordino fra di loro, che in tutte si possa riconoscere
appunto questa unità di criterio. Ora, tralasciando pure di
insistere, perchè è cosa troppo nota, sull’antitesi fondamentale
esistente tra le norme di condotta che valgono come morali
rispettivamente nelle condi¬ zioni di pace e di guerra, o sui contrasti,
tragici talvolta, tra i «doveri» famigliari e i «doveri» sociali,
bisogna osservare che le norme date e accet¬ tate come morali possono
contemplare e contemplano realmente, almeno in
parte, delle relazioni, direi, secondarie, le quali esistono e sono
possibili in gra¬ zia di relazioni primarie e fondamentali, che le
norme non contemplano e che sono la negazione del criterio applicato in
quelle norme. Mi sia lecito spiegarmi con un esempio ipotetico assai
semplice. Se si suppone che un uomo sia saltato sulle spalle di un
altro e si faccia portare da lui, v’è luogo a cercare quale sia la
posizione migliore per il por¬ tante e per il portato; sia quella,
poniamo, la quale concilia la minima fatica del primo col minimo
disa¬ gio del secondo. I l criterio seguito qu i è un criterio d i
equit à; si riconosce cioè che non sarebbe o giusto, o buono o utile per
nessuno dei due, il pretendere tutte le comodità per sè senza tenere in
conto le comodità dell’altro. Ma se questo criterio (seguito nello
stabilire la condotta migliore, data, quella con¬ dizione diversa dei
due) fosse applicato a determi¬ nare la relazione tra i due ,prima che
siano divenuti rispettivamente portatore e portato, questa condi¬
zione sparirebbe, e ciascuno camminerebbe colle sue gambe. Ossia la norma
morale regola nel caso sup¬ posto un rapporto che non esisterebbe se essa
fosse applicata al sorgere di quel rapporto. E può avve¬ rarsi,
così, delle norme morali qualchecosa di ana¬ logo a quel che racconta di
sé Senofonte, che all’o¬ racolo chiedeva quale via dovesse tenere per
giun¬ gere più felicemente in Asia, guardandosi bene dal chiedere
prima se era bene o male che andasse. — 56 —
Un sociologo potrebbe stringersi nelle spalle e osservare che è colla
realtà data che bisogna fare i conti, e che è ozioso andar cercando come
sarebbe giusto che essa fosse; non resta che acconciarvisi alla
meno peggio. — Vedremo ora come questa po¬ sizione di puro adattamento
passivo sia, per forza stessa della realtà, che diviene e muta,
insosteni¬ bile: ma ò opportuno notar subito che quando si renda
palese un contrasto del genere notato, colla consapevolezza di questo
contrasto è inevitabile che nasca nella coscienza morale l’aspirazione a
una realtà diversa; e quindi l’aspirazione o a modifi¬ care la
realtà se essa appare mutabile, o a cercare la ragione della giustizia
fuori della realtà. Queste lacune e queste incongruenze delle
norme in effetto vigenti come morali in un dato tempo e luogo,
dimostrano intanto due cose: che, quale sia la condotta migliore in un
determinato momento storico, non è una semplice constatazione da
fare, ma è un problema da risolvere ; e un problema assai più
difficile e complicato di quel che possa apparire e si sia abituati a
considerarlo; e che in ogni caso è necessario assumere un criterio il
quale valga come guida a colmare le lacune, e a risol¬ vere o
giustificare le incoerenze. Ma un criterio, comunque assunto, a cui si
attribuisca questo uf¬ ficio e questo valore, è un criterio alla stregua
del quale devono essere valutate anche le norme par-
titolari già riconosciute come certe, poiché deve valere per tutta
la condotta. E ciò viene a dire che il processo di determinazione di
tutte lo norme si deve fondare sul criterio assunto, allo stesso
modo che se le norme si dovessero tutte determinare ex novo,
astrazion fatta e indipendentemente dalle norme in effetto già accettate
e seguite. (Il che del resto è precisamente quello che avviene in
tutte le scienze precettive; dove, se anche i precetti scien¬
tificamente stabiliti si trovano a coincidere coi pre¬ cetti
empiricamente seguiti, la determinazione scien¬ tifica procede come se
spettasse ad essa di deter¬ minarli e giustificarli). E allora il problema
torna ad essere quello del criterio che deve essere as¬
sunto. 9. — Ora il criterio che l’indirizzo sociologico
suggerisce è, come è noto, — e conforme al con¬ cetto , che esso pone in
evidenza, della relatività della morale e del diritto — la corrispondenza
alle esigenze sociali del momento storico che si consi¬ dera. Il
codice morale di un dato tempo e luogo delinca la forma di condotta
richiesta dalle condi¬ zioni dell’ esistenza sociale in quel tempo e
luogo, e trova in esso la sua giustificazione. A nessuno può
venire in mente di negare la reale ed effettiva dipendenza delle norme
morali dalle esigenze della vita sociale. Ma se queste esi¬ genze
possono spiegare come si sia formato stori-
— òs¬ camente e psicologicamente il codice di condotta
correlativo finché sono inconsapevolmente identi¬ ficate colle esigenze
della coscienza morale, esse non bastano più, neppure a determinare quale
sia la condotta adatta in un certo momento storico, una volta che
siano assunte come criterio riflesso e consapevolmente seguito; non
bastano, tranne che in un caso: nel caso che le condizioni di esi¬
stenza, da cui quelle esigenze emergono, siano con¬ siderate come
immutabili o come assolutamente sottratte ad ogni azione od efficacia che
possa esercitare su di esse la condotta umana , indivi¬ duale e
collettiva. Perchè quando intervenga la con¬ sapevolezza di una possibile
efficacia modificatrice della condotta umana sulle condizioni sociali e
sulle esigenze che ne nascono, allora entra di necessità nella
valutazione della condotta la considerazione di questa efficacia; la
quale, richiede il confronto tra lo stato presente e uno stato futuro,
tra uno stato reale e uno stato possibile. E la ragione della
scelta tra i due non può essere data dalla realtà dello stato presente,
ma dalla diversa desiderabilità dei due stati messi a confronto; e quindi
non sol¬ tanto dalle esigenze dello stato reale, ma anche da quelle
dello stato possibile o creduto tale. Per con¬ seguenza, condotta buona
apparirà non quella sem¬ plicemente che è richiesta dalle condizioni di
fatto, ma quella che, nei limiti imposti dalle condizioni
— 59 — reali, tenda a modificarla nella direzione segnata
dallo stato più desiderabile (1). Soltanto in un caso, puramente teorico,
la condotta tracciata in confor¬ mità con questo criterio, coinciderebbe
colla pura e semplice corrispondenza alla realtà delle condi¬ zioni
fiate; nel caso che lo stato reale presente ap¬ parisse universalmente e sotto
ogni rispetto più de¬ siderabile di ogni altro. Ma anche in questo
caso la valutazione è data dalla desiderabilità, non dalla
realtà. Insomma, altro è comprendere che una forma di
condotta è conforme a certe condizioni, altro è (1) Di qui si vede
quanto sia abusiva l’espressione comunemente ripetuta, sopratutto dai
seguaci più rigidi del materialismo storico, che la condotta giusta è ad
ogni momento quella che è resa neces¬ saria dalle condizioni del momento;
i quali poi sono spesso ardenti e anche non di rado generosi fautori e
propugnatori di riforme e di innovazioni anche radicalissime nelle
condizioni e nella strut¬ tura stessa della società. Sento 1’ obbiezione
: « Gli è che noi pre¬ vediamo necessario e inevitabile il mutamento in quella
direzione, e ci affatichiamo , come la levatrice , a rendere meno
doloroso il parto del futuro dai fianchi del presente ». Lasciamo, per
restare nella metafora, che altro è voler agevolare il parto e altro
voler affrettarlo. Ma, insomma, vi affatichereste voi a prepararlo,
questo futuro, se non vi apparisse desiderabile in confronto del presente
? E che (iosa vuol dire render meno doloroso il parto, se non
appre¬ stare con un intervento consapevole e riflesso certe condizioni che
altrimenti non si realizzerebbero ? Adunque l’apprestare queste con¬
dizioni , pensate che sia desiderabile e possa dipendere dall’ opera
vostra; cioè nel giudicare ciò che è giusto, sovrapponete, almeno per
questa parte, il criterio della desiderabilità a quello della obiet¬ tiva
ed esteriore necessità. — Cosi la condotta corregge la dottrina. «
Gran.... ist alle Theorie— Und grilli des Lébeus goldner Baiati ».
— 60 — aver coscienza della bontà di quella condotta
; la quale non può nascere che dalla coscienza della bontà di un
fine a cui la condotta ò, o si crede che sia, ordinata; altra cosa è la
necessità di certe con¬ dizioni, altra è la loro desiderabilità; altra
cosa è la spiegazione storica, e altra la giustificazione etica.
10 — Di questa esigenza di una giustificazione, alla quale, una
volta che sia sorto il lavorìo ri¬ flesso della comparazione e della
critica, nessuna costruzione etica può sottrarsi, si preoccupa
invece il nuovo prnmmnt.iid.ico. il cui presente successo si
deve, come credo, in gran parte, alla insu fficienza d el rel ativismo
sociologico e storico nel campo della morale. Esso è in sostanza,
come è noto, un ritorno alla metafìsica in nome delle esigenze
pratiche; la affermazione del diritto di cie- dere alì’ esistenza reale
di quelle condizioni che si pongano come necessarie a dare un fondamento
og¬ gettivo al valore delle norme e dei motivi morali. In questa
reazione a difesa della fede il nuovo idea¬ lismo, fatto audace
cìàPfavore delle circostanze e dalla debolezza degli avversari, è
passato, come ac¬ cade, dalla difensiva alla offensiva; e non solo
af¬ ferma la legittimità del proprio indirizzo nel campo della
morale e della religione, o, come si dice, nel campo dei valori pratici;
ma anche nel campo della scienza, o d ei valori teoretici ; pretendendo
che in ultimo anche il sapere teoretico, benché non se ne
accorga o si dia l’aria di non accorgersene,
non ab¬ bia altra ragione per giustificare i principi e i po¬
stulati che assume a fondamento delle sue inter¬ pretazioni dei fatti e
delle leggi particolari, se non una ragione di convenienza ; il valore
che quei principi hanno come mezzi per la sistemazione del sapere,
cioè in ultimo per la soddisfazione di un bisogno speculativo.
Qui non è il luogo di discutere ciò che nella dottrina ci può
essere di vero — più come intui¬ zione di un aspetto trascurato della
realtà psicolo¬ gica, che come legittimazione di un metodo — per
quel che riguarda la ricerca scientifica (1); la con- (1) Però non
posso fare a meno di notare l'equivoco che, a mio giudizio, si nasconde
sotto la pretesa analogia tra la ragione che legittima i principi
teorici, e la ragione che il prammatismo in¬ voca a legittimare i principi
pratici. L’ equivoco è questo : E ve¬ rissimo che 1’ im rva Ira tura
d<jl sanerò teor ico (a proposito, si può parlare di un sapere non
teorico?) è ìjj^tgriali, diciamo cosi,
grovvisori^dijmstulati^e^dijmtesi che si assumono perditi e in quanto possono
servire. Ma servire a che ? A unificare e siste¬ mare le cognizioni delle
cose dei fatti e dei rapporti come nono n on come desideriamo che nan o ;
a costruire non quella verità che piace a noi di ammettere, ma la verità
senz’ altro, sia o non sia conforme ai nostri desideri e ai nostri
capricci. Perchè il bisogno teoretico o scientifico è appunto il bi sogno
di .salier e le cose che s^no jejxmejsono, e non che desideriamo e come
le desideriamo. E qualunque sia il senso che noi diamo all’espressione «
come sono » esso è sempre distinto e diverso da quello che può aver 1’
espres¬ sione « come desideriamo che sieno ». Perciò non è il caso di
ripe¬ tere qui, sotto veste gnoseologica, la domanda di Pilato.
Perchè quando si parla, per es., delle leggi di gravità, si può bensì
soste- sidero nel campo della morale, c
soltanto rispetto- ali’argomento che ci riguarda. Per questo
rispetto la soluzione che essa dà del problema della giusti¬
ficazione etica, non dilferisce sostanzialmente dalle altre soluzioni di
carattere metafisico, se non per il fondamento. A proposito del quale,
siccome, se anche se ne ammetta la validità, questa non toglie il
difetto che nasce dal 'carattere metafisico della soluzione, mi
accontento di osservare, per quelli che credono di sfuggire per questa
via all’utilita¬ rismo, che essa conduce a una forma, mistica se si
vuole, ma ad una forma di utilitarismo ; anzi alla forma estrema e più
radicale : la valutazione delle stesse credenze metafisiche e religiose
dal punto di vista di un interesse umano ; sia pure questo
interesse il massimo, il termine di confronto di tutti gli altri. Perchè
conduce a considerare la credenza come un sostegno della moralità, ossia
in ultima analisi come un mezzo pedagogico. E non nere che
questo è un modo nostro di formulare e unificare i fatti ; ma i fatti
sono quelli, e a nessuno viene in mente di pensare che noi li crediamo
veri perchè abbiamo bisogno di reggerci in piedi. E anche chi ammette che
1’ acqua sia stata fatta a posta per ca¬ varci la sete, sa benissimo
(diamine !) che altro è dire che in un pozzo c’ è dell’ acqua, e altro
dire che hanno sete quei che vi guar¬ dano dentro. Di questa
indebita intrusione di argomenti gnoseologici in que¬ stioni scientifiche,
(fisiche ecc.) tratta esaurientemente, con profon¬ dità e con chiarezza,
c ome suole, il Varisco (V.* in particolare : Introduzione alla Filosofia
Naturale, e Studi di Filosofia Naturale, Cap. I). è
escluso il dubbio che, a questo modo, proprio nel mentre ehe si pone il
valore della credenza, si venga a togliere valore all’ oggetto della
credenza. 11 — Venendo ora al nostro argomento, è certo che l
a soluzione del prammatism o, come in genere le altre soluzioni di
carattere metafisico, soddisfa a quella esigenza della giustificazione
etica, alla quale non soddisfa il relativismo storico. Ma an¬
eli’essa presenta — dico all’infuori da ogni con¬ tesa sulla legittimità
del fondamento e sulla vali¬ dità teoretica dei principi e dei postulati
ammessi — il difetto capitale delle costruzioni metafisiche. Ed è
che il fine di ordine sopranaturale cosi po¬ stulato, non può servire a
determinare le norme. Non può servire, per la ragione perentoria che
la relazione tra un fine, che è al di fuori e al di so¬ pra della
vita umana naturale e finita, e una con¬ dotta, qualunque essa sia, che
si deve dispiegare nell’ ambito delle leggi naturali e i cui effetti
de¬ terminabili sono contenuti nei limiti della vita finita
individuale e sociale, una relazione di questo genere, dico, non può
essere in nessun modo dimo¬ strata, ma soltanto affermata. Ne è prova il
fatto che lo stesso fine sopranaturale, la stessa costru¬ zione
metafisica può essere assunta a giustificare norme concrete di condotta non
soltanto diverse, ma opposte, senza che si possa ricavare da essa
nessuna ragione per la quale tra due forme di — 64 —
condotta diverse, una possa o debba giudicarsi pre¬ feribile
all’altra. Gilè, se si trova una ragione di preferenza nell’ ordine degli
effetti, che le due con¬ dotte rispettivamente producono o tendono a
pro¬ durre, quest’ordine di effetti, dà alla condotta cor¬ relativa
un valore che sussiste indipendentemente dal fine sopranaturale, e
diventa il fine naturale della condotta medesima. Con questa
differenza tra i due fini: che mentre dato il primo, non si può (se non
facendo appello a una rivelazione, cioè a una autorità, e quindi a
una pura affermazione) ricavare da esso quale sia la condotta atta a
raggiungerlo; dato questo fine naturale, le norme si ricavano appunto
dalle con¬ dizioni da cui il fine dipende, cioè dalla connessione
naturale tra la condotta e gli effetti della condotta. Ossia un fine
sopranaturale non può fornire esso il criterio per determinare la
condotta, se non a patto che — implicitamente o esplicitamente — si
assuma, come subordinato ad esso e da esso richie¬ sto un fine, o un
ordine di fini, naturale, in rela¬ zione al quale in realtà le norme sono
stabilite. Nè concluderebbe nulla in contrario l’osservare
che il criterio desunto dagli effetti che l’azione tende a produrre,
riguarda la condotta esterna, non la interna, nella quale sopratutto
consiste il valore morale. In primo luogo anche se per le due con¬
dotte, esterna e interna, valessero criteri diversi, — 65
— bisognerebbe pur sempre riconoscere che, poicliò anche la
condotta esterna conta pure qualchecosa, sarebbe ancora necessario
ammettere un criterio che valga a determinarla. In secondo luogo,
benché siano, in ultima analisi le tendenze, le aspirazioni i
sentimenti che hanno valore e danno valore alle cose e alle azioni, e
ogni valutazione si riduca a valutazione comparativa di tendenze o
sentimenti diversi; non bisogna dimenticare che i sentimenti, come
le aspirazioni, si distinguono per il loro con¬ tenuto rappresentativo,
cioè pe 1’oggetto a cui si riferiscono; e che anche le intenzioni sono
sempre intenzioni di qualche cosa. E finalmente, una forma di
perfezione interiore che si consideri come fine, a cui Tuomo possa giungere
o avvicinarsi, non può essa stessa fornire il criterio per determinare
quale sia la condotta richiesta a questo scopo, se non in quanto
questa perfezione si consideri come un ef¬ fetto o un ordine di effetti
che dipende natural¬ mente (in parte al meno se non in tutto) da
certe condizioni, ossia da certi mezzi. Le pratiche del¬
l’ascetismo non avrebbero senso se non si ricono¬ scesse a loro questo
carattere di mezzi atti a pro¬ durre certi effetti. ' Concludendo:
la soluzione metafisica a cui fa appello l’indirizzo prammatistico, come
ogni altra soluzione di carattere metafisico, non può avere, anche
se non si ponga in dubbio la sua legittimità, — r,o —
che un ufficio consolatore, non regolatore; può ser¬ vire a dare o
aggiunger valore a certe norme e ai fini umani connessi con queste, ma
non può ser¬ vire a determinarle ; può fornire un principio di
giustificazione, non un criterio di derivazione. E perciò lascia da parte
o suppone risoluto il problema che riguarda la determinazione delle
norme; il che ò quanto dire che lascia sussistere il problema, e la
validità delle ragioni per le quali si pone, e se ne cerca la
soluzione. Cap. V. — Il preconcetto fondamentale. 12 —
Così dei due tipi diversi di costruzione etica corrispondenti ai due
indirizzi esaminati, l’uno q « — quello del relativismo storico — se
anche può offrire un criterio di determinazione scientifica
di un sistema di norme, non soddisfa all’esigenza mo¬ rale, ossia
non giustifica il valore che ad esse si vuole attribuire. Perchè, alle
norme stabilite in conformità al criterio della corrispondenza alle
esi¬ genze della vita sociale, non si può riconoscere un valore
superiore a ogni altra norma, se non sup¬ ponendo che la forma di
esistenza sociale correla¬ tiva si riconosca universalmente e sotto ogni
ri¬ spetto più desiderabile di ogni altra; presupposto che non è
per nulla legittimato, nè si può ricavare . dal criterio assunto. L’altro
— quello dell’i dealism o — 67
— prammatistico — in quanto fa capo a principi e postulati
metafisici, serve a giustificare il valore che si attribuisce alle norme
morali, ma ò radi¬ calmente impotente a fornire un criterio di
deter¬ minazione delle norme. Il primo può determinare le
norme, ma non giustificarle ; il secondo può giustificarle ma non
determinarle. L’uno e l’altro tipo di soluzione hanno comune
il preconcetto fondamentale che compito dell’Etica debba essere quello di
trova re le rag ioni sulle_quali ò fondata la bont à o la giustiz ia di
quella forma di condotta, che già teniamo come buona. Ammesso —
tacitamente o esplicitamente — questo presup¬ posto, l ’esigenza
scientifica porta a riconoscere le connessioni naturali tra quella forma
di condotta e i bisogni della vita sociale del momento storico, e
quindi ad assumere come criterio etico la corri¬ spondenza a questi
bisogni ; l ’esigenza morale o giustificativa porta a cercare a quali
patti o con¬ dizioni quella forma di condotta possa veramente
essere riconosciuta come buona, e quindi ad assu¬ mere come fine della
condotta un bene il quale soddisfaccia a quel requisito di universale e
pre¬ minente desiderabilità, che non si trova in quel fine , che è
in realtà il fine naturale della con¬ dotta (I). (1) E i
moralisti che cercano di conciliarle ambedue, e soddi¬ sfare all’esigenza
scientifica senza rinunciare alla esigenza giusti- —
68 — 13 — E allora la conseguenza legittima è que¬ sta : che
una scienza normativa morale è possibile soltanto se il fine naturale che
serve a determi¬ nare le norme vale anche a giustificarle. Ma
il fatto — che questa esigenza non ò sod¬ disfatta finché si cerca la
giustificazione di un co¬ dice di condotta già dato, assumendo questo come
punto di partenza, e quindi come fine la forma di convivenza e di
cooperazione sociale alla quale esso codice corrisponde, — non prova V
impossibilità di una etica normativa scientifica; prova al più la
impossibilità di una tale scienza finche si intende £0 il compito dell’ Etica
in quel modo, [ CeMJ Anf ibio. Ora perché non sarà possibile e
lecito porre il problema in un modo diverso: cercare quale possa
essere il fine che soddisfa a questa esigenza, e dalle condizioni che
esso richiede ricavare le norme della condotta? Il porre il problema in
questa forma non è forse legittimato dalle difficoltà che abbiamo
visto nascere dal porlo in forma diversa, e dall’analogia
ficativa, tentano di risolvere l’antinomia assumendo in conformità all’ esigenza
scientifica il criterio , e in conformità all’ esigenza morale la
giustificazione ; ossia attribuendo un valore metafisico al fine
umano-sociale al quale in realtà sono ordinate e dal quale si possono
ricavare le norme. Senonchè i due principi assunti e in apparenza unificati
restano sempre distinti : e quando si tratta di stabilire quale è la
condotta da tenere, compare 1’ uno; e quando si tratta di dire perchè
quella condotta è giusta, compare 1’ altro ; senza che si veda nessuna
ragione perchè il secondo debba essere cosi pronto a trovar giusto quello
che 1’ altro suggerisce. — 69 — (che l’esigenza
caratteristica della norma etica non toglie) colle altre scienze
precettive ? Sento risorgere V obbiezione : Posto pure che
l’impresa riuscisse, a che cosa gioverebbe? Ma ò facile la risposta. In
primo luogo, anche se non servisse praticamente a nulla, non cesserebbe
di avere un valore teorico il sistema di rapporti che per tal modo
-si venisse a conoscere. In secondo luogo a nessuno ò dato affermare a
priori l’inu¬ tilità pratica di una cognizione scientifica, sia
pure che riguardi dati ipotetici. (E quale cognizione scientifica
non contempla dati, almeno in parte, ipotetici?). E finalmente a queste
due ragioni ge¬ nerali se ne può aggiungere una terza particolare.
Chi può dire clic al modo stesso, almeno, col quale può essere utile la
conoscenza delle relazioni che esistono tra forme diverse di moralità e
condizioni storiche diverse, non possa tornare utile la cono¬ scenza
delle relazioni scientificamente stabilite tra una forma di condotta
possibile c un ordine di con¬ dizioni possibili ? 14 —
Concludo : il problema, s e una scienza normativa etica sia possibile,
non è un problema risoluto, ma è un problema da ris olve re. Se si
possa e si debba risolvere nel modo tenuto dallo Spencer, è
questione diversa e clic rimane da esaminare. E questa critica
preliminare mentre avrà servito, come spero, a dimostrare che il
presupposto fondamen- — To¬ tale dello
Spencer intorno al compito dell’Etica non può essere a priori escluso, ha
posto in chiaro le esigenze fondamentali alle quali una scienza
nor¬ mativa morale deve soddisfare. E così ci fornisce una
guida per la critica della dottrina. Parte
III. LA. DOTTRINA DELLE DUE ETICHE E LE ESIGENZE
DI UNA SCIENZA NORMATIVA MORALE Cap. VI. — Il criterio del
tinnite dell ’ evoluzione e dell’ adattamento completo nm^se^e a
determi¬ nare il tipo di condotta cercato. Il p rogra mma che
lo Spencer traccia e si pro¬ pone di seguire (non dico che in realtà gli
sia ri¬ masto fedele) per costruire una scienza normativa etica, si
può raccogliere, in queste due te si: I.° La necessità di assumere come
tipo della condotta mo¬ rale la condotta dell’ uomo giusto in una
Società giusta ; e la necessità conseguente d ella disti nzione
'ìdfn fv** i ^ tra E tica Pura (Ji/icr Assoluta) ed Etica Applicata
parevo*)» f ( Etica_ Relativa) e della precedenza teorica della prima
sulla seconda. II. 0 La identificazione della condotta giusta, oggetto
dell’oca Assoluta, col tipo di condotta che egli pone come proprio
del limite dell’evoluzione. Ora, benché nel pensiero dello
Spencer le due tesi siano solidalmente connesse, e la seconda sia
ilei'quadro del sistema la
fondamentale e quella che legittima e rende possibile ad un tempo la
sua costruzione, non ò difficile vedere come da un punto di vista
critico esse possono e debbono essere con¬ siderate a parte. La prima,
infatti, formula una veduta metodica ; la seconda esprime la
speciale applicazione che di quella veduta metodica lo Spen¬ cer ba
creduto di fare. In altri termini, è astrat¬ tamente possibile
riconoscere che il tipo ideale del- 1’ uomo giusto non possa determinarsi
se non in relazione con una società giusta e clic per deter¬ minare
la condotta giusta relativamente a certe condizioni reali, sia necessario
aver prima ricono¬ sciuto quale sarebbe la condotta giusta in
condi¬ zioni idealmente supposte, anche se non si accetta che il
tipo ideale di condotta giusta possa essere concepito in quella forma e
su quel fondamento che lo Spencer crede di dovergli assegnare.
Anzi io penso che la veduta espressa nella prima tesi non solo si
possa, ma si debba accettare come legittima e necessaria, e che in essa
si racchiuda come in germe un concetto fecondo. Certo, credo, se
una scienza normativa morale ò possibile, è pos¬ sibile per quella via; e
i difetti della costruzione etica dello Spencer nascono non dall’averla
seguita, ma piuttosto dall’ essersene allontanato. Cosicché la
critica stessa della seconda tesi riesce a confermare la legittimità
della prima. — 73 — 1- — As sumendo come tipo
ideale di condott a ^ insta la condotta corrispondente al limite dellV
vn- ! azione, lo Spencer riconosce, esplicitamente o im¬
plicitamente, alla forma di vita individuale e so¬ ciale che segna quel
limite, valore di fine morale. Ora. lasciando la difficoltà, sulla
quale altri ha già zifjf.'w’Ui insistito, che uno s tato concepito come
il risultato necessario dell’evoluzione naturale possa aver va¬
lore di fine liberamente e deliberatamente voluto e proseguito?
difficoltà che non mi pare insupera- ' bile (1), io credo che questa
identificazion e presenta He due difetti capitali : essa non vale,
per se, a for- O' La difficoltà nasce dal modo di intendere
la possibilità e la necessità. — Affermare la possibilità die si produca
un fatto, non è altro che riconoscere o ammettere la presenza reale dei
fattori, l’azione dei quali, qumido non incontrasse ostacoli,
produrrebbe, secondo i rapporti causali noti, cioè necessariamente, quel
fatto. Ora lo stesso effetto che può apparire necessario in quanto si
am¬ mette la reale e adeguata efficacia di tutti i fattori da cui
dipende, ' può essere proposto come fine quando tra i detti fattori entri
l'azione MI'uomo, cioè quando la « necessità . dell’effetto sia
condizionata dalla presenza e dalla efficacia di certe idee, sentimenti,
aspira¬ zioni : cioè in una parola dalla presenza e dalla efficacia
adeguata del desiderio ili quell' effetto. In questo caso non è escluso
che l’ef¬ fetto m questione possa aver valore di fine, anzi è incluso
elio 1’ abbia ; perchè la « necessità » dell’effetto è subordinata
appunto al valore che gli si riconosca di fine, e al dispiegarsi, nell’
azione corrispondente, della volontà di raggiungerlo. Che
questa interpretazione sia compatibile coi principii dell’evo¬ luzionismo
Spenceriano è questione che, come si vedrà, rimane estranea all’ intento
di questo studio, e che i più risolvono nega¬ tivamente (cfr., tra gli
altri, L. Zeccante : La dottrina della co-
— 74 — ni re un criterio per la
derivazione delle norme morali (nella realtà, come si vedrà più innanzi,
il tipo ideale è determinato dallo Spencer sopra un altro
fondamento); e non è sufficiente come prin¬ cipio di giustificazione.
Cominciamo dal primo. Il concetto di evoluzione, come quello di
tempo, del quale esso è, in fondo, nuli’altro che la tra¬ duzione
in termini di causalità naturale, esclude l’idea di limite, inteso almeno
come termine fisso, oltre il quale ogni processo di trasformazione,
cioè di causazione, si arresti. Il processo stesso di dis¬
soluzione che, secondo il pensiero dello Spencer, si alterna a periodi indefinitamente
grandi con quello di evoluzione, non segna il termine di un periodo
e l’inizio d’ uno nuovo se non dal punto di vista scienza movale
nello Spencer Cap. XXXI, p. 194; e G. V ijiaki : Rosmini e Spencer p. 209
e seg. Di queste, come di tutte le ob¬ biezioni mosse all' Etica dello
Spencer, a cominciare dal Guyau e dal Sidgwick fino ai critici più
recenti, tratta con grande larghezza e ricchezza di notizie il Dr. G.
Salvadori nell’opàra « L’Etica Evo¬ luzionista » che è una apologia entusiastica
di tutto il sistema Spencer iano). Colgo questa occasione per
dichiarare che ho dovuto astenermi da ogni richiamo sia delle obbiezioni
e discussioni di questi, come di altri critici valorosi (tra i quali sia
ricordato a titolo d’ onore il compianto Icilio Vanni), sia delle varie
opinioni che si connet¬ tono colle questioni generali toccate, per due
ragioni : in primo luogo perchè il punto di vista dal quale è qui
considerata la dot¬ trina delle due Etiche è diverso, e diversa la via
seguita ; in se¬ condo luogo perchè se avessi voluto per ogni questione
toccata di¬ scutere le diverse opinioni, avrei dovuto fare, a commento di
un breve scritto, tutta, o poco meno, la storia della morale.
— 75 — di una valutazione umana o teologica. In
realtà il cammino non si arresta per tracciar di segni che l’uomo
faccia sulla via della natura. Nè, del resto, quando lo Spencer parla di
limite dell’ evoluzione della vita umana, intende di significare il
momento in cui la vita si arresta o si spegno, ma quello in
cui la vita raggiunge il massimo svolgimento. Senonchò questo
massimo svolgimento non può es¬ sere. necessariamente, che relativo a
forme date e conosciute o comunque determinate di vita, cioè di
organi, di funzioni, e di attività ; e, anche in¬ teso cosi, non può
venir stabilito se non fissando un grado che si consideri come
massimo; cioè, in¬ somma, segnando nel processo (non importa ora
con quale criterio) un momento , che sia punto di arrivo di una serie
(della quale sia rappresentato da punto di vista teleologico come fine),
ma che potrebbe essere preso, con un criterio diverso, come punto
di partenza di una serie ulteriore. È sufficiente a segnare questo
momento il criterio dell’adattamento completo ai tre ordini di
fini: della vita individuale, della vita della specie e della vita
sociale? 2. — È subito chiaro che questo adattamento completo
non può bastare esso stesso, se non si determina quali siano le sfere di
attività e di fini, l’adattamento ai quali serve di criterio per
stabi¬ lire se il limite è raggiunto. Perchè se si intende
per adattamento completo un adattamento definitivo a tutti i fini di
tutti e tre gli ordini, termine fìsso e insuperabile al quale si arresti,
e oltre il quale non sorgano nuove aspirazioni e nuovi fini, noi
non potremmo argomentare nò che un tale limite sia per essere raggiunto
mai, nò, (ciò clic qui im¬ porta di più) dato che si raggiunga, quale sia
il grado o la forma di vita, che un tale adattamento sia per fissare
e suggellare come definitivo. Perchè i fini sono, come ognuno sa,
correlativi ai desideri o ai bisogni. Ora a mano a mano che le
forme di attività si moltiplicano c si differen¬ ziano, si moltiplicano i
bisogni e quindi i fini; nò si può nò induttivamente, nè deduttivamente
de¬ terminare a qual punto questo processo possa o debba
arrestarsi. Pcrchò, pur non uscendo dalla tesi evoluzionista, ogni
adattamento implica dimi¬ nuzione di sforzo e quindi, ceteris paribus,
avanzo di energia; la quale appunto perciò si viene di¬ spiegando
in nuoA r e forme di attività, c quindi nella ricerca di nuovi fini. Anzi
il sorgere di ogni forma più complessa di attività, — ad esempio ogni
fun¬ zione più elevata — presuppone normalmente l’a¬ dattamento già
avvenuto delle attività meno com¬ plesse e relativamente elementari, —
funzioni più semplici — di cui essa ò una nuova ordinazione. Onde
per questo rispetto l’adattamento a certi fini, ò parallelo all’
insorgere di fini nuovi indefinita- mente. Oltredichè
il processo stesso del conoscere portando a scoprire sempre nuovi
rapporti di cose e di fatti, viene continuamente riversando la
desi¬ derabilità dei beni conosciuti su nuovi oggetti che
acquistano valore di utilità, c moltiplica così i beni, cioè i desideri e
i bisogni; o trova nel mutare delle condizioni esterne nuovi modi di
soddisfare ai bi¬ sogni già esistenti ailìnandoli ed elevandoli; o
apre la via a nuove aspirazioni, alle quali la soddisfa¬ zione già
assicurata dei vecchi bisogni, permette che si rivolgano gli sforzi e
l’opere. Cosi ogni adat¬ tamento raggiunto è condizione e stimolo a
nuove forme di attività al modo stesso che ogni cono¬ scenza
acquistata fa sorgere nuovi problemi, e na¬ scere « a guisa di rampollo,
appiè del vero il dub¬ bio ». Si dirà che lo Spencer intende
l’adattamento completo nel senso di mutuo adattamento dei tre
ordini di lini fra di loro; intende cioè la concilia¬ zione c 1 accordo
tra le esigenze della vita indivi¬ duale quelle della vita della specie e
quelle della vita sociale. Ma lasciando di notare che la
difficoltà sopra notata risorge a proposito di questa conciliazione
perfetta, si presenta la domanda: A quali patti si fa questa
conciliazione ? Perchè se è vero, come lo Spencer ha cura di
ripeter spesso, che nelle condizioni presenti di esi-
— 78 — stenza i fini di un ordine non possono essere
pro¬ se-miti c raggiunti senza sacrificio almeno parziale dei fini
di un altro ordine, bisogna evidentemente perchè la conciliazione si
faccia, che intervenga una cessazione, o una modificazione o una
sostituzione nei fini o di uno o di due o di tutti tre gli ordini
considerati ; ossia una modificazione nei bisogni e nelle esigenze
dell’individuo, o della specie, o della società. Supponiamo ora per
semplicità di discorso che i fini individuali e i fini della specie si
possano considerare fin dal presente conciliati; o, per usare i
termini dall’economia pura, che si possa assu¬ mere 1’ egoismo di specie
come comprendente m se l’egoismo individuale (il che è in gran parte
con¬ forme alle vedute stesse dello Spencer); la conci¬ liazione
resterebbe da farsi tra i fini della vita individuale e i fini della vita
sociale. E allora il problema è il seguente: Nello stato di conciliazione
contemplato, fino a qual punto sono i bisogni e i fini individuali da noi
conosciuti o immaginati che avranno mutato di specie, di
estensione, di intensità, per adattamento alle esi¬ genze sociali, e fino
a qual punto si troveranno invece modificate le esigenze sociali per
adatta¬ mento ai fini della vita individuale? E manifesto che per
conoscere in che cosa la conciliazione sia per consistere bisogna o che
sia definita la sfera delle esigenze individuali, in corrispondenza
colla aliale si possa determinare la sfera delle „
sociali che con quelle si accordi; o sia definii sfera delle esigenze
sociali per una determinazione tersa; o finalmente siano definite certe
corni z on (qualunque sia il modo tenuto per assegnarle) 1 H vacano,
esse, a determinare ad un tempo , limiti «Ielle une e delle
altro. :ì _ Queste condizioni lo Spencer ricava dalle
esigenze del “r ■» ™<ità induetnale !«<*<»' cui si
suppone realizzato il puro «gnu» ' u ?» tratto sotlo la leggo
dell'uguale liberta ; e> 4“““* il limite dell'evoluzione è in realtà
,1 ^ della società industriale del suo temp , tamento
completo consist co¬ struttiva biologica e psicologica 1
nenti la società umana a questo tipo d, convivenza e di cooperazione (I).
Per conseguenza non è un (1) qua.» riatto «no «i *“
Spencer che qui il Etta , (cio4 quando que- biella II. n
edizione dei ‘ de i System of et’ opera fu ^pubblicata come
Synth. Phil.) si trova aggiun e cbe eva stato lo stesso
titolo « Conciliarne • pubbliC azione, fu dettato prima; ma, smarrì
o poi Qra in quel ca pitolo gei- sostituito da quello che figura ne
. . ident ifi c hiuo provare la possibilità che le attività
^«isMche ^ colle egoistiche, si citano gli mse 1 s ’ nism i
di- «e—. - * “ - 80 —
certo tipo di vita completa che serve a determi¬ nare il tipo
ideale della società giusta, ma è il tipo considerato come ideale di
società giusta che de¬ termina la vita completa. Adunque, poiché la
con¬ ciliazione dei diversi ordini di fini è subordinata all’
attuarsi delle condizioni che definiscono il tipo ideale di società ed è
relativa a queste, è il tipo ideale di società clic in edotto è assunto
come fine, e sono le condizioni proprie di quel tipo che ser¬ vono
a determinare le norme. benessere individuale non maggiore di
quello che è necessario alla conservazione della vita individuale ; ed
esser possibile il formarsi negli individui di una organizzazione tale
che la ricerca delle sod¬ disfazioni che la natura loro richiede, porti
ad esercitare quelle at¬ tività che il benessere della comunità richiede.
(Voi. cit. p. 300-302). Si noti che, aggiungendo in appendice il capitolo
che contiene questo passo, lo Spencer non fa riserve di nessun genere, anzi
dice espli¬ citamente che esso può servire a chiarire e compiere il
pensiero espresso nel testo (ih. p. 2S9). Un altro luogo in
cui è ribadito in forma diversa, ma non meno recisa, lo stesso concetto
fondamentale, si trova nella seconda let¬ tera di risposta alle critiche
del Rev. J. L. Davies sull’ obbliga¬ zione morale, pubblicata col resto
della polemica nella- Appendice C. alla Giustizia : « Lasciatemi ripetere
qui una verità sulla quale ho altrove insistito : che appunto come il
cibo è giustamente preso quando è preso per soddisfare la fame, mentre il
doverlo prendere quando manca l’appetito implica uno stato fisico
disordinato ; cosi una buona azione o un atto di dovere è fatto
giustamente soltanto se è fatto per soddisfare, un sentimento immediato ;
mentre se è fatto per la considerazione di certi risultati finali in
questo o in un altro mondo, implica uno stato morale « imperfetto » — (A.
Si- stem ecc. Voi. X. App. C. « The Moral Motive p. 450. — Nella
trad. it. della Giustizia edita dal Lapi questa appendice è omessa).
— 81 Ma se così è, quanto alla determinazione
delle nolane il postulato dell’adattamento completo, posto clic si
possa assumose, non serve a nulla; equivale semplicemente a supporre clic
tutti gli individui i quali compongono la società ideale abbiano una
na¬ tura così latta, che l’osservanza della condotta cor¬
rispondente costituisca per essi un bisogno o un desiderio superiore a
ogni altro, senza possibilità di conflitto con altri bisogni o desideri;
cioè, tiene nella costruzione etica lo stesso posto che nei si¬
stemi morali è comunemente tenuto dal dovere , e nelle scienze precettive
in genere dalla supposizione che esista un desiderio o un bisogno
specifico cor¬ rispondente al fine da cui si ricavano le norme.
E quindi allo stesso modo che l’esistenza e la natura specifica dei
motivi da cui può dipendere l’osservanza di una norma, non hanno che
fare colla determinazione teorica di essa, così l’ipotesi dell’
adattamento completo dei bisogni e desideri individuali a certe
condizioni di convivenza e coo¬ perazione sociale, non ha che fare colla
determi¬ nazione di queste norme. Perchè le norme sono ri¬ cavate
appunto da quelle condizioni, alle quali si suppone avvenuto l’adattamento;
e che perciò ser¬ vono esse di critetio e per determinare le norme
e per conoscere se l’adattamento è raggiunto. — 82 —
Uljh&MJ? Jabot* Gap. VII. — Il criterio del
piacere puro, corrispon¬ dente all’ adattamento completo, n on ser re
a giustificare il tipo di condotta proposto. ì. — Ma perchè
assume lo Spencer come pro¬ prio della Società ideale un adattamento
completo, che, mentre esclude arbitrariamente ogni evolu¬ zione
ulteriore, non serve a definire questa Società ideale perchè è definito
esso stesso in relazione con quella ? Perchè soltanto quando
esso sia raggiunto, la condotta umana in tutta la sua estensione
apporta a sè e agli altri nel presente c nel futuro puro pia¬ cere,
piacere non misto a dolore di sorta ; e per I l o Spencer, come s’è
visto, il giusto assoluto e sclude • il dolore . E perciò il tipo ideale
contemplato dal- 1’ Etica Assoluta non può essere se non quello nel
quale la condotta apporta puro piacere. L’ adattamento completo
darebbe dunque al tipo ideale di convivenza e cooperazione sociale
quel carattere di universale e preminente desiderabilità, che deve
avere il fine assunto dall’Etica. Lo dà veramente ? Benché a
prima vista possa parere strano il dubbio e inutile la discussione,
bisogna riconoscere che un tipo di esistenza individuale e sociale
nel quale tutta quanta la condotta in tutta la sua esten¬ sione
porti sempre e soltanto piacere, non è, date le leggi
psisologiche conosciute, e non può essere, un fine.universalmente
desiderabile sopra ogni altro. Lascio di discutere se,
supposta una condotta, diciamo così per brevità, totalmente piacevole,
il piacere stesso non verrebbe a sparire, come stato di coscienza
distinto, per mancanza di quel con¬ trasto e di quell’ alternanza fra gli
stati psichici (così bene illustrata tra gli altri dall’ Hòffding),
senza della quale anche i godimenti più forti il¬ languidiscono e
vaniscono nella ripetizione abituale; e di considerare se la forma di
vita corrispondente non riuscirebbe a sopprimere in ultimo anche
ogni forma di coscienza riflessiva e di deliberazione vo¬ lontaria,
cioè l’intelligenza stessa e la volontà, al¬ meno nelle loro forme più
elevate riducendo la vita a una sorta di automatismo istintivo, al
quale corrisponderebbe la fissazione stereotipa di modelli d’
uomini meccanizza ti. Certo, se si bada clic l’at¬ tenzione attiva è
sempre, in grado maggiore o mi¬ nore, sforzo, e clic lo sforzo è
alimentato princi¬ palmente, se non unicamente, dal dolore e non dal
piacere, bisogna riconoscere che la capacità dello sforzo e l’esercizio
dell’ attenzione tenderebbero a svanire collo sparir del dolore; e il
vigore dell’in¬ telligenza si affievolirebbe; come già si può
osser¬ vare in quelle persone sfaccendate e sonnolente, le quali
abbiano in pronto senza alcuna fatica o cura — 84
tutto quel che desiderano, e non sentano l’aculeo di altri
bisogni, e di aspirazioni diverse. E lo stesso discorso sarebbe da
ripetere a maggior ragione per la volontà. Certamente le
leggi psicologiche conosciute ten¬ dono ad escludere, per le ragioni
accennate sopra a proposito dell’adattamento completo, che un tale
stato possa avverarsi ; ma, dato che potesse attuarsi, non ci sarebbe
nessuna ragione per negare, in forza delle medesime leggi, l’eventualità
se non della soppressione, di un oscuramento progressivo delle
facoltà psichiche più elevate. E allora si presenta subito la questione,
se, ammessa pure soltanto la possibilità che a un tale stato si
accom¬ pagnasse questo effetto, potrebbe una forma di esistenza
siffatta apparire desiderabile sopra ogni altra. 5. — Si
potrebbe dire: Che importa l’oscura¬ mento e anche la soppressione dell’
intelligenza e della volontà, purché sparisca il dolore? E quando
non vi siano altri bisogni e altri desideri che quelli appunto che
trovano già una soddisfazione adeguata, ossia, quindi, non ci sia più
nemmeno la possibilità di rappresentarsi bisogni e beni di¬ versi,
non è una tal vita nel suo genere beata ; anzi la sola beata perché é esclusa
la capacità di provare altri bisogni ? Ora che un tale stato
possa, anzi debba apparire — 85 — il più desiderabile
quando si supponga l’adattamento già raggiunto, è fuori di contestazione;
ma qui si tratta di vedere se un tale stato possa essere
preferibile per chi ne ò fuori, e dovrebbe proporsi come scopo di
raggiungerlo. Se, cioè, a chi esercita certe forme di attività possa
parere desiderabile sopra ogni altro un tipo di vita, nel quale per
avventura quelle attività fossero oscurate o sop¬ presse. In questo caso
possono valere l’osservazione notissima del Mill e la ragione colla quale
la con¬ forta ; che, certo, non avrebbero valore nel primo caso
(1). Ma anche lasciando questo aspetto della que¬ stione, non
bisogna dimenticare che appunto perchè il piacere puro è il correlato
subiettivo dell’ adat¬ tamento completo, la medesima condizione di
una condotta totalmente piacevole, — per le ragioni dette a
proposito dell’indeterminatezza nel numero e nella specie dei (ini, rispetto
ai quali l’adattamento (1) « È meglio essere un nomo i nfelice che
un jjj^o.ap,ddi.sfotto : è meglio essere So crate malcontento che un
imbecille beato ». Ora la ragione addotta dal Mill vale per l’uomo, ma
non per l’animale, e l’Hoffding non ha torto di spendere, come egli dice
graziosa- munte, (i nalch e parola hi difesa del porco e dell’ imbecille.
E nota infatti che un uomo il (piale abbia ottenuto la soddisfazione
in¬ tera dei suoi desideri, non ha nessuna ragione di paragonare il
suo stato con quello di altri uomini. Senonchè riconosce poi che la
conoscenza di gradi più elevati farebbe nascere anche nell’uomo felice il
« desiderio ardente di giungervi » che è appunto ciò che <pii importa.
(Hoffding - Morale, VII. 3 tr. fr. p. 116-119).
— 8(i — potrebbe essere raggiunto — può concepirsi
attuata non in una sola ma in più forme di vita fra di loro diverse
; e resterebbe sempre da trovare un criterio comparativo della desiderabilità,
o da am¬ mettere che tutti i tipi di vita, per i quali si
concepisce possibile una conciliazione fra i tre ordini di fini (anche se
la conciliazione fosse ottenuta allo stesso modo che nelle società
animali, cfr. la nota qui sopra a pag. 79), siano ugualmente desi¬
derabili. Il che importerebbe la legittimazione a pari titolo di forme di
condotta fra di loro diverse e anche opposte; e si dovrebbe ricavare
daltronde che dal piacere puro il fondamento della legitti¬
mazione. E qui tocchiamo un argomento il quale si al¬ larga
fuori del campo particolare della dottrina dello Spencer e riguarda nello
stesso tempo una questione più generale: la natura del fine.
6. — Siccome il carattere che si richiede nel fine assunto a
giustificare le norme morali è, come s’è ripetutamente detto, quello
della universale e preminente desiderabilità sopra ogni altro, si
pensa che esso debba essere il fine dei fini, il fine ultimo e
supremo ; uno stato definitivo , oltre il quale, e al di là, non ci sia
più nulla da desiderare e da cercare. E allora non resta che questa
alternativa : o si cerca un fine il quale contenga e comprenda in
sò tutti i fini ; e prendono forma i fantasmi di
— 87 — felicità, di beatitudine, di perfezione, noi quali si
fd"-'.- figurano definitivamente appagati tutti i desideri, e
scomparsi o sommersi quelli che non vi trovano appagamento ; oppure si
considera come fine la forma colla quale si presenta alla coscienza
la soddisfazione di qualsiasi desiderio; cioè il piacere o la liberazione
dal dolore. Ma tanto 1’ una quanto l’altra delle soluzioni
non sono che apparenti, o si risolvono in una vana tautologia. Porre come
fine la felicità senza deter¬ minare quale sia o in che consista la
felicità di cui si discorre, è certamente un modo per conciliare
verbalmente tutte le differenze di opinioni e supe¬ rare tutte le
difficoltà; ma nella realtà non le concilia e non le supera, più di quel
che valgano a togliere le diversità di opinioni politiche e a
raccogliere i partiti ad unità di intenti certi « or¬ dini del giorno »
in cui si afferma all’ unanimità essere fine supremo per tutti il « bene
della patria » o la « prosperità della nazione » o altre formule
somiglianti. E se si determina in che si faccia consistere la
felicità, quali siano i fini che si comprendono nel fine unico chiamato
con questo nome, allora delle due l’una : o i diversi fini così
compendiati e com¬ presi nel fine unico, sono veramente unificati,
e, perchè ciò sia. occorre che essi possano ridursi ad uno; e
quindi diesi
possa dimostrare che uno fra essi è causa o condizione degli
altri, o che tutti dipendono da una medesima condizione o ordine di
condizioni ; e in questo caso la felicità è caratte¬ rizzata o da quel
fine o dal conseguimento di questa condizione, che diventa esso fine,
perchè su esso si riversa la desiderabilità di tutti ; e il ter¬
mine felicità non è che.un duplicato di quel certo fine o di questa
condizione. Oppure i diversi fini non sono clic sommati insieme, e
giustaposti l’uno all’altro, rimanendo in realtà distinti e senza
che si veda la necessità della loro connessione; e allora 1’ unità
non è che verbale, e in realtà invece di un fine, si hanno più fini,
ciascuno nel suo genere supremo. Si dirà che si dà alla
felicità non il senso di un certo contenuto determinato che la
costituisca, ma il senso di appagamento dei desideri, di soddi¬
sfazione dei bisogni, senza clic si definisca quali ne siano per essere
il numero e le specie; nel qual senso si può affermare che la felicità
rimane sempre il fine ultimo pur restandone indeterminato il
contenuto ? E si riesce allora alla seconda alterna¬ tiva, di considerare
come fine ciò che si ammette esservi di comune e di costante nel
raggiungimento di qualsiasi fine; cioè, come s’è detto, la forma
sotto la quale si presenta la soddisfazione di qua¬ lunque desiderio : il
piacere o la liberazione dal dolore. Ma dire che il fine ultimo è il
piacere è — 89 — come dire che il line
ultimo è il godimento che accompagna il raggiungimento del fine o dei
fini, o che lo scopo dei desideri è.... la soddisfazione dei
desideri. E allora si vede perchè il puro piacere non possa dare un
criterio di legittimazione e di valutazione comparativa dei fini e quindi
delle forme di condotta. Perchè o si prende come criterio la
quantità del piacere, la intensità della soddisfa¬ zione, senza badare
alla natura del desiderio a cui corrisponde, e non è possibile assegnare
un solo desiderio che abbia lo stesso valore, nonché per due
coscienze diverse, neppure per la stessa coscienza in momenti diversi. 0
si valuta la soddisfazione secondo i desideri cui corrisponde, e allora
ciò che distingue un desiderio dall’altro non è la soddisfa¬ zione
ma V oggetto a cui il desiderio si rivolge; non l’effetto soggettivo
gradevole, ma le condizioni che lo producono, non è il godimento del
bene, ma il bene. 7. — Ora è qui che si nasconde 1’ equivoco
: nell identificare il b ene col piacere ; il fine, cioè l’ordine
di effetti che costituisce l ’oggetto del desiderio, collo stato
soggettivo che è il godimento (quando ci sia) del fine raggiunto. È bensì
vero che un bene di cui si concepisse che nessuno mai potesse
godere in nessun modo, non avrebbe valore di bene; ma è non meno vero che
un godimento del quale non si sapesse assegnare nessuna causa
n o condizione o mezzo atto a produrlo, non
potrebbe mai essere proposto o assunto come scopo di un'at¬ tività
qualesivoglia. Ora quando si parla di un fine desiderabile sopra ogni
altro al quale sia or¬ dinata la condotta, non si può intendere che
un bene, il quale sia bensì, direttamente o indiretta¬ mente causa
o mezzo o condizione di godimento, senza di che non sarebbe bene; ma che
non può consistere nel godimento stesso, ma in un certo effetto o
ordine di effetti determinabile e possibile, che possa costituire
l’oggetto di una ricerca attiva, •cioè di una certa condotta (1).
Senonchè bisogna evitare anche qui lo stesso e quivoco che conduce
a riporre il fine nella feli - cità o nel piacere ; l’equivoco che
questo effetto o ordine di effetti debba costituire un fine ultimo,
uno stato definitivo, al di là del quale non siano assegnabili altri
fini. Uno stato, o un ordine di effetti definitivo è contraddittorio non
soltanto colle leggi della vita, per le ragioni già dette, ina col
presupposto stesso fondamentale che si assume di necessità quando si
voglia determinare scientifi¬ camente un sistema di norme. Perchè
qualunque (1) Non altrimenti avviene nel campo speciale
dell’economia. E bensì vero che se non si supponesse la possibilità del
consumo, cioè del godimento dei diversi beni che costituiscono la
ricchezza, questa non avrebbe valore, e non avrebbe senso la produzione ;
ma 1’ oggetto a cui si volge 1* attività produttrice e del quale si
cer¬ cano le leggi, è la ricchezza, non il consumo. —
91 — fine rappresentato come umanamente possibile, ap¬ punto
perchè deve essere concepito come un effetto, che si produce, date certe condizioni,
è a sua volta pensato come condizione di altri effetti, cioè mezzo
ad altri fini. Pensare un effetto naturalmente pos¬ sibile che sia
ultimo, è come pensare chiusa e fi¬ nita a un momento dato la serie della
causazione, abolita e spenta in un effetto che sia stato pro¬ dotto
ogni efficacia causativa ; e allora vien meno ogni ragione di pensare
come dipendente da certi mezzi, cioè da certe cause, anche l’effetto
stesso che si considera come fine ultimo; e quindi è tolto ogni
fondamento a qualsivoglia determinazione di rapporti tra mezzi e fini, e
perciò anche a qual¬ siasi determinazione di norme. Si dirà
che si intende « ultimo » rispetto alla salutazione, cioè talea cui si
riconosca valore per sé, indipendentemente da ogni considerazione ulteriore.
Ma se si ammette che da quel fine, quando sia rag¬ giunto, dipendono
altri effetti, nell'atto stesso che lo si pensa condizione di tali
effetti ulteriori, la valutazione di questi (che non può essere
esclusa) •muta il valore del fine egli dà nello stesso tempo valore
di mezzo. 8. — Dal che nasce questa conseguenza assai
notevole: che la desiderabilità di un ordine di ef¬ fetti, che si assuma
come fine, non viene tanto dalla desiderabilità che gli si riconosca come
bene. cioè come oggetto diretto e immediato di godimento,
quanto dalla desiderabilità degli effetti, dei quali esso apparisca la
condizione necessaria. E che per¬ ciò, mentre è vano andar cercando quale
sia il fine ultimo, il quale non si trova mai, o si risolve in una
pura espressione verbale, il fine che può valere come supremo si deve
cercare non nell’uno o nell’altro degli scopi a cui si riconosca
valore per sè, ma in un ordine di effetti, in un sistema di
condizioni, dato che sia assegnabile, nel quale si possa riconoscere
questo carattere appunto di con¬ dizione necessaria, non di alcuni, ma di
tutti quei beni, ai quali si attribuisce valore per sè. E quindi il
fine che può avere universalmente una deside¬ rabilità superiore a ogni
altro, non può consistere se non in un ordine generale e, si potrebbe
dire, preliminare di condizioni, la cui attuazione appa¬ risca
necessaria perchè sia possibile universalmente la ricerca ulteriore di
quei beni. Non può essere cioè supremo nel senso di una gerarchia, della
qiiale segni il culmine, nè nel senso di una grandezza o quantità,
di cui sia il massimo, ma nel senso della precedenza necessaria o della
indispensebilità; per la quale venga a raccogliersi su di esso come
in un unico foco la luce e il calore di desiderabi¬ lità che irraggia dai
fini ai quali apre universal¬ mente la via. E perciò, ammesso
che qualsivoglia fine umano — 93 — abbia, come
ha in realtà, per condizione la convi¬ venza e la cooperazione sociale,
il line che può avere questo valore di precedenza necessaria sugli
altri deve essere di necessità il raggiungimento o il mantenimento di
certe condizioni ili convivenza e di cooperazione sociale, cioè di una
qualche forma di società. Ma perchè ad una forma di so¬ cietà possa
essere riconosciuto questo carattere uni¬ versalmente, occorre che le
condizioni della sua esistenza abbiano per tutti un valore
potenzial¬ mente uguale : ossia che nessuno dei fini, dei quali
quella forma di cooperazione pone la possibilità e dai quali attinge il
suo valore, sia, per dato e fatto delle esigenze di essa forma, precluso
o impedito a nessuno dei componenti la società. 0, in altri
termini, sia qualsivoglia il fine che si suppone cercato, ciascuno trovi
nelle condizioni proprie di quella forma sociale la medesima esteriore
possibi- bilità di rivolgere a quella ricerca l’attività pro¬ pria.
che vi trova qualsiasi altro (1). L’analisi ci ha dunque portato a
queste con¬ clusioni : a riconoscere che il limite dell’evoluzione,
1’ adattamento completo, la massima felicità, nè for- (1) Il che
non implica, occorre appena avvertirlo, una ugua¬ glianza nei risultati
ottenuti, o come si dice inesattamente, una « uguale distribuzione di
felicità » la quale supporrebbe, insieme colla condizione notata, anche
una uguaglianza di attitudini, di at¬ tività e di preferenze.
— 94 — nisce un criterio ili determinazione delle
norme, nò basta come principio di giustificazione; a rico¬ noscere
la legittimità del concetto, clic bisogna assumere come fine un tipo
ideale di società ; e a stabilire le esigenze fondamentali, alle quali
questo tipo deve soddisfare. Ed ora è facile vedere per quali
ragioni i l tipo sul quale in realtà lo Spencer ha modellato la sua
società giusta non soddisfaccia a queste esigenze. Gap. Vili. — Il
tipo di società giusta dello Spencer . i). — In un articolo di
risposta ad alcune cri¬ tiche mosse ai « Dati dell’ Etica » lo Spencer
po¬ lemizzando col prof. Means così si esprimeva a proposito del
modo di intendere la giustizia: << A molti sembra ingiusto che la
dura fatica di un bi- folcogli faccia guadagnare in una settimana
meno di quanto un medico guadagna facilmente in un quarto d’ora.
Molti sostengono essere ingiusto che i figli del povero non possano avere
i vantaggi del l’educazione che hanno i figli del ricco. Ma quest e
defi cenze nelle quote di felicità che alcuni ritrag¬ gono dalla
cooperazione, sicc ome clerivano da ere¬ ditata inferiorità di natura, o
da inferiorità di c oMizioniMn cui i loro antenati inferiori sono c a- ^
~ ^ cinti, sono deficienze colle quali la giustizia, come io la
intendo, non ha nulla che fare. L’ingiustizia che
— 95 — trasmette alla discendenza
malattie c deformità, l’ingiustizia che infligge alla prole le
conseguenze penose delle stupidità e della cattiva condotta dei
genitori, la ingiustizia che costringe quelli che ereditano delle inc
apac ità, a lottare colle difficoltà clic ne derivano, l’ ingiustizia che
lascia in relativa p overtà la gran maggioranza, le cui facoltà,.di or
- < 1 i ne inferiore, apportano ad essi scarsi profitti, 6 una
specie di ingiustizia estranea alla mia tesi ». il i cose stab
ilii'-, quantunque in forza di esso, una ' inferiorità della quale
l’individuo non ha colpa produca i suoi mali, e una superiorità della
quale egli non può vantare nessun merito, apporti i suoi benefìzi;
e dobbiamo accettare, come possiamo, tutte quelle disuguaglianze che ne
deri vftrm vantaggi che i cittadini si procacciane
rispettive attività » (1). Ho citato questo passo, non
perchè gli stessi con¬ cetti qui espressi non siano, esplicitamente o
impli¬ citamente, sostenuti in tutta quanta la sociologia e la
morale dello Spencer, ma perchè forse in nessun altro luogo appare piu manifesto
il presupposto che vizia la sua concezione della società ideale.
Assu¬ mendo come elemento del concetto di giustizia — accanto a
quello dell’ uguale libertà — la condi¬ li) Replie to Criticism on « The
Data of Etihcs » in Mitid Jan. 1881 p. 93.
zionc ricavata dalla biologia, che la vita
progre¬ disce c si eleva soltanto a patto che gli individui
superiori godano i vantaggi della loro superiorità e gli inferiori
subiscano i danni della loro inferio¬ rità, egli identifica la
inferiorità fisiologica e psi¬ chica colla inferiorità sociale; la
inferiorità obesi potrebbe chiamare nativa o costituzionale colla
in¬ feriorità clic si potrebbe dire di posizione. Ora, che un
uomo debole non possa vincere le medesime resistenze che uno forte, che
un bambino poco intelligente impari meno e peggio di un in¬
telligente, è naturale e necessario; ma non si può dire che sia giusto nè
ingiusto. Che i figli eredi¬ tino F ingegno o l’ottusità, la sensibilità
o l’in¬ sensibilità, il vigore o l’infermità dei genitori, e che i
primi godano i vantaggi e i secondi sop¬ portino i danni che sono
conseguenza rispettiva¬ mente di questa loro soperiorità o inferiorità
ere¬ ditata, sarà del pari biologicamente necessario, ma non è
ancora nè giusto nè ingiusto; diventa bensì giusto o ingiusto rispettare
o violare questa rela¬ zione naturale, soltanto se si considera questa
re¬ lazione come condizione di una elevazione pro¬ gressiva delle
specie che sia assunta come effetto universalmente desiderabile, cioè come
fine. Ma che i figli del contadino non abbiano la pos¬
sibilità di venire istruiti o educati, non dipende dalla costituzione
fìsica e mentale loro propria, ere- — 97 — ditata o
no, ma dipende da una inferiorità sociale, la quale toglierebbe ad essi
questa possibilità anche se la loro costituzione fisica e mentale Cosse
attis¬ sima a questa coltura. Ora, mentre l’analogia della
selezione biologica importerebbe che i figli del con¬ tadino al pari di
quelli del lord potessero porsi allo stesso cimento, salvo a ricavare
dalle loro ri¬ spettive capacità e sforzi frutti maggiori o minori,
la diversità delle condizioni sociali esclude gli uni dalla gara c toglie
non solo la necessita ma la pos¬ sibilità clic l’opera di selezione si
rinnovi tra i superstiti di ogni nuova generazione sull’unico fon¬
damento delle loro rispettive attitudini e attività. Sul che non è
necessario insistere dopo le cri¬ tiche note e ripetute ; ma valga
l’accenno per ri¬ levare che a torto lo Spencer identifica colla
infe¬ riorità biologica, o meglio, costituzionale, l’infe¬ riorità
clic deriva dalle condizioni sociali, e crede che possa valere a
giustificare le conseguenze della seconda, lo stesso fine che invoca a
giustificare le conseguenze della prima. Perchè la limitazione alla
sfera dei beni conseguibili che è imposta da con¬ dizioni esteriori è
cosa affatto diversa dalla limi¬ tazione clic nasce dalla capacità e
dalle doti in¬ trinseche; e se questa è giusta, posto che si prenda
per fine superiore a ogni altro V elevazione della specie (e dato che ne
sia condizione), quella è giusta soltanto se si considera come fine
superiore quella certa forma ili cooperazione sociale che
la rende necessaria. Anzi quella limitazione d* origine so¬ ciale
che si ponga come giusta per quest’ ultimo rispetto, appare ingiusta per
l’altro. E l’ammettere che sia giusta la condizione « che ciascuno
sopporti i danni della sua inferiorità e goda i vantaggi della sua
superiorità » non include, ma piuttosto esclude 1 altra condizione, a
torto dallo Spencer compresa o conglobata con quella ; che ciascuno
sopporti i danni o goda i vantaggi che sono con¬ seguenza di una
inferiorità o di una superiorità, la quale risulta non dalle sue doti fisiche
e men¬ tali, ma dalla assenza o dalla presenza di certe cir¬
costanze esteriori. E in verità sarebbe da meravigliare che
lo Spencer non abbia rilevato la differenza, o non ne abbia tenuto
conto, se non si ricordasse che il punto di partenza, il foco centrale da
cui muove e attorno a cui si raccoglie la sua speculazione, è, come
s’ò detto in principio, un ideale etico, anzi propriamente sociale e
politico; onde l’intento prin¬ cipale diventa quello di trovare la
giustificazione del suo ideale nelle leggi della vita, e per esse
nelle leggi stesse dell’ universo. l ( h Ora il suo ideale sociale
e politico è in sostanza quello stesso del liberalismo, in cui
crebbe e si maturò il suo pensiero, che era già compiuto e definito
nelle sue parti quando uscì il « Pro- —
99 spectus » (1800); e perciò nel costruire la sua « So¬
cietà di uomini giusti », per quel che si attiene alla struttura sociale,
egli non fa che supporre rea¬ lizzati i desiderati teorici, o già
riconosciuti espres¬ samente, o ricavati logicamente dai postulati
eco- n omici e politici di quel liberalismo . 11 quale era bensì
arditamente coerente nella affermazione dei principi e dei corollari
riassunti nella formula della giustizia (la uguale libertà per tutti), ma
conside¬ rava o come anteriori ed estranee a questa legge, o come
naturali ad un tempo e conformi ad essa, le dive rsità storicamente date
di condizione econ o- mica degli individui e delle classi socia li. Onde
lo Spencer non tenne conto della disuguaglianza ef¬ fettiva, che
nell’ esercizio di quella libertà, formal¬ mente uguale per tutti, porta
1’ esistenza di quella diversità, che egli credeva giustificata dalle
leggi biologiche . 1 frinii* • Ne segue che mentre nella sua
società ideale egli costruisce l’individuo giusto facendo
astrazione da tutto ciò che nei fini individuali vi può essere di
incompatibile non solo colla cooperazione, ma anche colla simpatia ; n el
costruire invece la so - cietà giusta fa ben s ì astrazione da ogni forma
di aggre ssione esterna e interna che si esercit i, dato « lo stato
di cose stabilito », ma non fa astrazione da quelle con dizioni che
importano una reale li¬ mitazione diversa nella sfera delle attività é
dei
100 — fini conseguibili dei singoli ; e però
la sua non è una società giusto, ma una società di uomini giusti ;
giusti, dirci, secondimi quid; la cui giustizia, cioè, è modellata sulle
esigenze di una certa struttura sociale, nel configurare la quale egli non
tien conto di quelle condizioni che pur suppone soddisfatte nel
formare il tipo dell’ uomo giusto. E cosi si avvera qui una i n eoe
ronz a del genere che si ò accennato più sopra (IV, 8): che le
norme della sua giustizia siano applicate a regolare delle
relazioni derivate, le quali esistono e sono possibili in grazia di
relazioni primarie e fondamentali, che le norme non contemplano e che
sono la negazione del criterio applicato in quelle. Perchè mentre
sup¬ pone che gli individui seguano nella loro condotta una perfetta
imparzialità subordinando alle esi¬ genze della giustizia o dell’ uguale
libertà — fine prossimamente supremo — tutti gli altri fini ge¬
nerali e particolari, suppone poi, come proprie di una tale cooperazione
di uomini giusti, condizioni che sono in tutto o in parte la negazione
dell’im¬ parzialità, e che non esisterebbero se lo stesso cri¬
terio dell’ imparzialità fosse seguito nel costruire il tipo della
società giusta. E in questo senso che, accennando incidental¬
mente altrove all’Etica Assoluta dello Spencer, no¬ tavo come un vizio di
essa non un eccesso, ma piuttosto un difetto di astrazione; perchè egli
as- — 101 suine abusivamente come
esigenze costanti e uni¬ versali di ogni forma di cooperazionc, e
quindi anche del suo tipo ideale, le condizioni proprie di un certo
momento storico; e pone come dati fon¬ damentali di una cooperazione
regolata dalla legge della uguale limitazione per tutti, delle
condizioni che importano una limitazione disuguale. Stando
così le cose, il raggiungimento o l’ap¬ prossimazione a un tale tipo di
società, non può apparire come fine universalmente preferibile, nè
le norme che esprimono la condotta richiesta da quel tipo possono avere
carattere di universale os- servabilità sopra ogni altra, E ciò da un
doppio punto di vista. Agli individui delle classi sociali
poste, per ef¬ fetto di quella disuguale limitazione, in condizione
di inferiorità, questa inferiorità che non è conse¬ guenza della propria
condotta, deve apparire una menomazione ingiusta dei diritti; agli
individui delle, classi sociali poste in condizioni di superiorità,
questa superiorità, che parimenti non è conseguenza della propria
condotta, deve apparire, se la coscienza si elevi a una imparzialità
universale e coerente, una menomazione ingiusta dei doveri,
il. — E nasce di qui quel se greto rancore in chi riceve, e quel
senso indefinito di malcontento e quasi di rimorso in chi dà, clic
avvelenano talvolta dalle sorgenti la simpatia, oscurando la serenità
— 102 — della beneficenza, se la accompagni il
dubbio che essa non sia se non un compenso parziale e tardivo di
ingiustizie patite e di ingiustizie godute. La simpatia non può
essere schietta dove non regna la giustizia (1); e non si possono
definire le forme e i limiti della beneficenza se non dopo die
siano definite, e siano o si suppongano osser¬ vate le norme della
giustizia; onde la necessità logica che il tipo ideale della società
giusta sia determinato all’ infuori da ogni supposta efficacia
modificatrice che la simpatia e la beneficenza eser¬ citino sulle
condizioni e sulla condotta dei singoli e della società. Soltanto così è
possibile accertare se il tipo di cooperazione assunto come ideale possa
essere universalmente desiderabile, e soltanto così è possibile
determinare dove la giustizia finisca e la beneficenza cominci ; dove
finiscano le relazioni di diritto e dove comincino le relazioni di
simpatia. * ^ _ Ora il tipo di società ideale dello Spencer
pre- i cti'Qlf senta anche questo difetto che deriva
inevitabil- mente dal primo; di supporre realizzate le condi-
yCH&Ue'ìt- f zioni della perfetta simpatia
in una società nella (1) Questo si riflette con tutta chiarezza
nella pratica quando si tratta di rapporti semplici e sulla giustizia dei
quali non cada dubbio; poniamo tra due commercianti onesti che abbiano
relazioni d’affari e relazioni di amicizia. Dove gli scambi di cortesie
che sono frutto della simpatia, non mutano di un ette i diritti e
gli obblighi del dare e dell’avere; e se li mutano, oscurano e
tingono d’ altro colore i rapporti di simpatia.
103 quale non sono realizzate le condizioni della
giu¬ stizia. La sua società è una società più o meno ingiusta di
uomini perfettamente simpatetici ; dalla quale egli ricava per un verso
le norme della giustizia, e per l’altro le norme della simpatia;
invece di essere una società giusta di uomini giusti, quando si tratti di
determinare le norme della giustizia ; e una società giusta di uomini
perfetta¬ mente simpatizzanti quando si tratti di determinare le
norme della simpatia e della beneficenza. Ma anche supposto che per
questa guisa la perfetta simpatia venga a sanare gli effetti delle
inferiorità imposte dalla cooperazione sociale, il tipo che ne risulta
presenterebbe sempre questo difetto: che la ricerca e il raggiungimento
di alcuni dei fini, ai quali la cooperazione serve, apparirebbe per
una parte dei cooperanti subordinata alla be¬ nevolenza di un’ altra
parte. Il qual difetto baste¬ rebbe per togliere, nel giudizio di una
coscienza imparziale, a quel tipo di cooperazione il carattere di
univers ale preferibilità. 12. — Ma il difetto era, come s’ò detto,
dato il presupposto dello Spencer, inevitabile. La simpatia è pe r
lui il m ezzo di conciliazione dell’egoismo col l’altruismo. M a poiché i
limiti rispettivi dell’e- goismo e dell’altruismo sono segnati dalle
esigenze del suo tipo sociale, la perfetta simpatia è in ultimo la
condizione dell’adattamento psicologico dei sin-
— 104 — goli a queste esigenze. Ed ò
caratteristico a questo riguardo il latto che il capitolo, nel quale si
tratta dello svolgimento progressivo della simpatia come l’attore
della conciliazione , porta lo stesso titolo e sostituisce nei « Dati »
il capitolo smarrito e ag¬ giunto poi in appendice, che ho citato più
sopra (v. nota a pag. 70), nel quale si cita come esempio di
conciliazione tra l’egoismo e l’altruismo l’adat¬ tamento alle esigenze
della vita sociale delle api e delle formiche. Per questo rispetto direi,
se non sembrasse un paradosso, che il grande assertore e
propugnatore dell’individualismo, è in fondo, senza che se ne accorga, un
difensore della subordinazione totale e definitiva dell’individuo a un
tipo di coo¬ perazione sociale, che egli considera bensì come la
condizione necessaria alla vita più elevata delPin- dividuo e della
specie, ma che in realtà vincola il grado di elevazione della vita di un
gran numero se non di tutti gli individui, alle esigenze di una
certa struttura economica. E quando egli combatte l’intervento
della società nel regolare i rapporti economici, in nome dei
diritti dell’individuo, dimentica che una parte con¬ siderevole di quei
diritti, sono in realtà diritti di alcuni soltanto, e non di tutti, c che
questa dispa- 0 rità ha la sua radice nella costituzione economica,
che lo Stato, come egli lo vuole, interviene pure a sancire e a
difendere. La quale osservazione, —
105 — giova notarlo, non ■vale per sè nè prò nè contro il
cosidetto Socialismo di Stato; vale soltanto a provare che
l’individualismo dello Spencer non è, come pare, un individualismo
universale, ma un individualismo particolare. Cosi, i l difetto
capitale del tipo di società dello Spencer come in genere del cosidetto «
Stato di diritto » nasce non da quel che afferma, ma da quel che
dimentica ; non dal riconoscere e difendere le esigenze della uguale
libertà per tutti, ma dal non riconoscerle tutte; cioè dal trascurare o
dal- 1 omettere, come se fossero soddisfatte, mentre non sono, le
condizioni che rendono possibile 1’ uguale libertà (1). E, ad
esprimerlo in termini kantiani, il difetto si riduce a questo: Dove vi è
cooperazione con effettiva parità di diritti, ciascuno dei
cooperanti ha ad un tempo riguardo a qualsiasi degli scopi della
cooperazione, per un rispetto ragione di mezzo e per l’altro ragione di
fine. Se invece le esigenze della cooperazione interdicono a qualsivoglia
dei (1) Nota il Loria che quando si grida contro la concorrenza
come causa di una infinità di mali, si attribuisce alla concorrenza
la produzione di effetti che nascono « dalla mancanza di
concorrenza, cioè dal monopolio. Perchè la concorrenza domina soltanto nel
campo innocente della circolazione, e qui ha una influenza benefica.
Mentre i mali lamentati nascono dalla distribuzione , e sono il ri¬
sultato, anziché della concorrenza che qui non esiste, della mancanza di
concorrenza fra lavoratori e capitalisti ». ( Cost. Ec. odierna 0. 11. 3.
6. ; p. 175, cfr. anche p. 60 e passim). 7
— 100 — cooperanti la ricerca di una parte dei
beni, a cui ò condizione necessaria la cooperazione di tutti, per
questa parte 1’ escluso ha soltanto ragione di mezzo, e non ragione di
fine. Il che avviene appunto, malgrado il riconosci¬ mento
formale, o meglio, verbale, della uguale libertà, anche nella società
ideale dello Spencer. La quale perciò non può aver valore di
universale e preminente desiderabilità perchè non soddisfa alla
condizione richiesta : che tutti i sodi trovino nelle condizioni di
esistenza della società la mede¬ sima o equivalente possibilità esteriore
di rivolgere la loro attività alla ricerca di qualsivoglia dei
beni, ai quali la cooperazione sociale è mezzo. Questo è il
postulato caratteristico della univer¬ sale desiderabilità di una forma
di convivenza, ossia è il postulato caratteristico della giustizia;
e supporre una società giusta di uomini giusti equivale a supporre
riconosciuta e applicata uni¬ versalmente e costantemente in qualunque
specie di azione o di influenza che si eserciti, così dalla società
come da ciascuno dei singoli, l’esigenza di quel postulato.
Gap. IX. — Ufficio e limiti (li una costruzione scien¬ tifica dell’
Etica. 13. — La società giusta così intesa non rappre¬ senta
dunque un tipo definitivo della vita più — 107 —
elevata possibile, analogo ai tanti regni dell’Utopia che la
fantasia morale ò venuta fingendo nei diversi tempi. Anzi per questo rispetto
una mag¬ giore o minore elevatezza, complessità o intensità di
vita, di attività, di fini, non ò affatto implicita nel postulato nè si
può ricavare da esso ; e si può concepire (e non ne mancano in effetto
gli esempi) una forma di società in cui sia, almeno parzialmente^
l'aggiunto un grado assai elevato di civiltà, la quale sia tuttavia
meno giusta di un’altra più semplice e meno civile. Appunto perchè la
giustizia riguarda la universale possibilità di cercare i beni, ai
quali è condizione la convivenza e la coopera¬ zione sociale, e non
include che questi beni siano di molte o di poche specie, di maggiore o
di minor pregio. Onde è pienamente compatibile col
postulato anche la concezione pessimistica della vita ; perchè,
anche dal punto di vista del pessimismo, uno stato di giustizia, che è la
condizione necessaria della universalità della simpatia e quindi della
compas¬ sione, deve apparire preferibile a ogni altro. E se anche
si riguardasse come fine ultimo la negazione universale della volontà di
vivere, lo stato di giu¬ stizia apparirebbe la condizione più
favorevole perchè 1’ uomo prenda coscienza della necessità naturale
c inevitabile della propria infelicità, spo¬ gliandosi dell’illusione che
essa sia occasionale e
— 108 — contingente, ed effetto di malvagità
degli uomini o di iniquità degli istituti sociali. E questa desi¬
derabilità dello stato di giustizia anche rispetto al pessimismo è forse
una conferma non trascurabile del valore di universale preferibilità che
gli si è riconosciuto, e a un tempo della sua indipendenza da ogni
particolare concezione metafisica. Adunque, poiché uno stato di
giustizia non è caratterizzato da altro se non dall’ ipotesi che le
esigenze di quel postulato siano soddisfatte, non si può nè si deve
pretendere di ricavare dal po¬ stulato un contenuto determinato, ma
soltanto la forma generale delle norme. Il contenuto specifico deve
essere ricavato dai fini, ai quali si riconosce o si suppone che la cooperazione
sociale sia o debba essere mezzo, e in relazione al quali si
possano definire le condizioni richieste dal postulato della
giustizia. Quali siano questi fini non si può stabilire se
non o per constatazione o per ipotesi. Per consta¬ tazione, quando
corrispondano alla osservazione della realtà psicologica in un dato
momento sto¬ rico, ossia in una forma di civiltà. Per ipotesi,
quando si voglia cercare preliminarmente quali sa¬ rebbero le condizioni
richieste dalla possibilità di ciascuno dei fini isolatamente preso o di
un gruppo. (Ed è inutile a questo proposito insistere qui sulla
eventuale opportunità o necessità di ricorrere a —
109 — tali ipotesi specialmente nelle ricerche, come questa,
nelle quali non è possibile la sperimentazione). 14. — Ma tanto
nell’uno quanto Dell’altro caso le condizioni che se ne ricavino e che
vengano sta¬ bilite come proprie del tipo di società giusta con¬
siderato, presentano questo carattere : che non sono date, ma costruite,
che non sono reali, ma ideali. Ora, se noi determiniamo quali siano le
norme di condotta corrispondenti a quelle condizioni, queste norme
esprimeranno quale sarebbe il modo di ope¬ rare nella supposizione che
esse siano già date e reali, e non quale sia il modo di operare che
tende a realizzarle, mentre sono date condizioni piu o meno
diverse. La prima determinazione è oggetto di un’ Etica Pura
: la seconda di un ' Etica Applicata, nella quale si consideri come fine
il raggiungimento delle con¬ dizioni ideali che sono assunte nell’ Etica
Pura, e si stabilisca per approssimazione quale sia in un dato
momento storico la condotta sociale e indivi¬ duale, che, nei limiti
necessariamente imposti dalle condizioni reali date, ò più atta a
favorire la tra¬ sformazione di queste nella direzione segnata da
quelle. Soltanto così l’Etica può evitare un errore del
genere di quello nel quale cadevano gli economisti della scuola Classica
; i quali, dopo aver supposto l 'homo oeconomicus mosso unicamente
dall’interesse 110 — personale,
il che avevano diritto di fare, lo consi¬ derarono poi come reale e die
dero valore di leggi n aturali e necessarie alle conclusioni ricavate
da questo e dagli altri dati astratti supposti (1). Ora appunto
percliò le condizioni soggettive e oggettive dell’ homo iustus e della
societas insta, sono supposte e non reali, le norme che esprimono quale
sarebbe la condotta dell’ homo iustus e della societas iusta non
sono immediatamente nè integralmente appli¬ cabili in condizioni diverse
dalle supposte. I « do¬ veri » e i « diritti » dell’ uomo giusto nella
so¬ cietà giusta non coincidono coi doveri e i diritti dell’ uomo
storico in determinate condizioni sto¬ riche; alla stessa guisa che i « diritti
naturali » dei filosofi dello stato di Natura non coincidevano coi
diritti positivi delle società in cui vivevano. Ma se si dà valore di
fine all’attuazione delle con¬ dizioni proprie della societas iusta, i
doveri e i di¬ ritti 1 dell’ homo iustus diventano il modello al
quale si riconosce desiderabile che cerchi di avvicinarsi il
sistema di doveri e di diritti che vale come giusto in una società reale
data. Alla stessa guisa, se la costituzione di una società foggiata in
con¬ formità all’ipotesi dello Stato di Natura e del Con¬ tratto,
si fosse riconosciuta (con verisimiglianza maggiore ed evitando la
confusione fra giustifica¬ ci) Cfr. Ch. Gide. Principes d’ éc.
poi. p. 20-22. - Ili —
zione etica e spiegazione storica) come fine da rag¬ giungere invece che
come stato originario, il « di¬ ritto naturale » ricavatone
sarebbe legittimam ente apparso come il tipo idealmente giusto, al
quale il diritto positivo doveva avvicinarsi e adattarsi.
Adunque/qu ando si eviti l’errore di scambiare i dati ipotetici coi
dati reali, c la pretensione uto¬ pistica di applicare direttamente e
integralmente le conclusioni ricavate dai primi alle relazioni che
sono imposte dai secondi A a ppare evi dente ad un tempo e la 1 (
frittimi t à della distinzione, e la prio¬ rità logica dell’Etica Pura
surf mica Applicata (1). 15. — Raccogliamo in breve i resultati
dell’ a¬ nalisi. 0 Una scienza
normativa etica non differisce dalle altre scienze precettive se non pe ^
il valore, che si ^ attribuisce al line suo: il quale deve essere des
i¬ d erabile univ ersalm ente jyjjma e_a preferenza di ogni
a ltro , se si vuole che sia riconosciuto lo stesso carattere alle
norme ricavate da esso. Questo fine universalmente preferibile non nuò
essere che un fine relativamente prossimo, il quale (abbia o no
anche valore per sè) sia mezzo o condizione di tutti i fini che si
considerano come « ultimi » ; e quindi non può essere che una forma di
convivenza e di */ . amw* (l) Per maggiori chiarimenti
sulla relazione fra le due Etiche cosi intese e sulle parti di ciascuna,
mi sia lecito riferirmi a quanto ebbi occasione di dire nei « Prolegomeni
ecc. » già citati. — 112
— coopcrazione, nella quale 1’ universalità dei singoli
possa riconoscere tale requisito. Ma una società siffatta ò supposta, non
reale, e le norme di con¬ dotta che se ne ricavano regolano delle
relazioni che sono parimenti assunte per ipotesi, e non sono perciò
applicabili direttamente a relazioni più o meno diverse. Tuttavia la loro
determinazione è non soltanto utile, ma necessaria; necessaria dal
punto di vista scientifico alla determinazione delle norme che debbono
regolare le relazioni più com¬ plicate della realtà ; necessaria dal
punto di vista etico alla giustificazione di queste norme ; perchè
esse sono valide in quanto esprimono ravvicina¬ mento, nei limiti del
possibile, di queste relazioni reali a quelle relazioni ideali. Il che
viene a dire che l’Etica Pura fornisce all’Etica Applicata il
criterio per determinare le norme, e il valore che le giustifica.
16. — Ma non bisogna dimenticare che le norme, sia dell’Etica Pura,
sia dell’Etica Applicata, hanno il valore che si assegna a loro, nella
ipotesi fonda¬ mentale che si accetti come valido e fuori di conte-
stazione il postulato della giustizia. Ossia hanno valore se si suppone
che ogni « socio » riconosca che una forma di convivenza e di
cooperazione nella quale ciascuno abbia, quanto alle limitazioni esterne,
valore di fine a pari titolo di qualunque altro è preferibile a una forma
di cooperazione — 113 — nella quale una parte dei
<? socii » abbia, per uno o più rispetti, soltanto valore di mezzo e
non di fine. Quindi, è bensì vero clic l’assunzione di
quel postulato è la condizione necessaria all’ universale
riconoscimento della norma, e clic perciò, se si pone come caratteristica
della norma morale 1’ u- niversalità, rinunciare a quello vuol dire
rinunciare a questa ; ma ciò non toglie che si debba affermare chiaramente
e senza sottintesi che il sistema di norme per tal guisa stabilito ha,
come qualunque altro sistema di norme, del quale si richieda una
giustificazione, valore ipotetico ; e che perciò questo valore ò
incontestabile solo in quanto si riconosce incontestabile il
postulato. Appare di qui che è vano e illusorio cercare la
giustificazione di una norma morale nelle leggi | naturali (i). Perchè
ciò che giustifica una norma di condotta non è la naturalità, ma la desiderabilità
dell’ effetto contemplato ; e le leggi naturali stesse possono apparire
giuste od ingiuste secondochè si assumano come universalmente
desiderabili o no i resultati, ai quali la conformità della
condotta / ' fi 1 affo irafic-li itr [v yJ.tA
ttfilk t**' he* ìtU 'o jqie j. (1) La conoscenza delle leggi
naturali suggerirà i mezzi neces¬ sari a raggiungere un fine; e darà modo
di giudicare della come- yuibìlità di questo o quel fine che eia proposto
; ma non serve a dar valore di universale desiderabilità a un ordine di
effetti, per il solo fatto che ce ne riveli la produzione « naturale
». — 114 — a quelle leggi conduce, o ò creduta
condurre. Può essere vero (e non è da discutere qui) che l’essere o
no un ordine di effetti desiderabile (ossia, in ultimo, l’essere o no
presenti ed efficaci nella co¬ scienza umana certi bisogni, desideri,
aspirazioni, credenze), sia un portato necessario della natura
stessa delle cose e dell’ uomo, e che le tendenze umane, si siano, rebus
ipsis dictantibus, modellate cosi da condurre a riconoscere nella
osservanza delle leggi naturali un valore di giustizia e di bontà;
ma anche in questo caso non ò la naturalità, che ne fa ammettere la
giustizia e la bontà, ma è la loro, diretta o indiretta, desiderabilità.
Onde per questo rispetto nulla vieta che si concepiscano possibili,
almeno teoricamente, più Etiche diverse; possibile, per esempio, (sebbene
l’accoppiamento esplicito dei termini ripugni) un’Etica dell’ingiu¬
stizia, quando si assuma come postulato la prefe- ribilità di una
comunione sociale in cui una parte non abbia che diritti e un’altra non
abbia che do¬ veri. Benché allora 1’ Etica si sdoppierebbe in due
Etiche diverse, anzi opposte : l’Etica degli uomini- fini c l’Etica degli
uomini-mezzi; o, per usare le parole del Nietzsche, la Morale dei padroni
e la Morale degli schiavi ; e la medesima condotta sa¬ rebbe,
seguita dagli uni, giusta, seguita dagli altri, ingiusta. Che
una « giustizia » di questo genere ripugni — 115 —
alla psiche del socius per una ragione analoga a •quella per la
quale ripugna alla psiche dell’ uomo logico ammettere che un rapporto tra
due cose o fatti, sia vero per gli uni, e falso per gli altri, è
credibile; (sul presupposto di quella ripugnanza, si fonda, io credo, la
giustificazione etica della coazione e delle sanzioni). E certamente
rimane aperto qui un campo ulteriore di indagini intorno ai
problemi che riguardano il come e il perchè il postulato che assumiamo
possa e debba essere ac¬ cettato ; e se alla esigenza che esso esprime
si possa o si debba assegnare un ufficio, e quale, nella
interpretazionetotale del mondo, dell’ uomo e della storia. Ma da queste
indagini, le quali sono di natura metafisica, la costruzione scientifica
del- l’Etica, come qui fu abbozzata, può e deve tenersi
indipendente, per una ragione analoga a quella per la quale l’igiene è e
si mantiene indipendente da ogni questione intorno al fondamento e al
valore del postulato assunto da lei, e dal quale deriva il valore
normativo dei suoi precetti: — che un or¬ ganismo sano sia preferibile a
un organismo ma¬ lato. — Perciò, finché si rimane nel campo
della ri¬ cerca scientifica, la sincerità richiede che, anche
nell’Etica, malgrado ogni interiore certezza, questa condizionalità del
valore delle norme sia esplicita¬ mente riconosciuta, e che anche nei
termini si « — 116 —
eviti 1 ’ equivoco, e fin dalle parole sia bandita ogni pretensione
a un valore che non sia condizionato al presupposto assunto.
Per questa ragione, oltreché per fissare rispetto alla dottrina
dello Spencer le differenze notate nel modo di intendere il fine, e di
concepire la società * giusta e 1 ’ uomo giusto, e la
priorità non soltanto logica ma giustificativa di un’Etica rispetto
all’altra, LUa p«A* è conveniente, sostituire ai termini « Etica
Asso- ‘fvulfyh luta ed Etica Relat iva » i termini « Etica P ura
V'.',:r , ì '■ pvi n l iuta i v a » i ieri mmi « e~=r . 1
", della giustizia ed Etica Applicata della giustizia ». (^ 3 ;
n*fac- E se tosso poi, c'Sfne~r _ l n effetto, necessario od
'GlfiULiffil opportuno determinare quali dovrebbero essere le norme di
condotta nell’ ipotesi che, osservate pre¬ liminarmente le condizioni
della giustizia, fosse assunto come fine l’adempimento delle
condizioni richieste dalla universale solidarietà, si avrebbero due
ulteriori sezioni dell’Etica : l’ Etica Pura della Simpatia e 1’ Etica
Applicata della Simpatia. della J **1
»
—-PER UMA SCIENZA FORMATIVA MORALE * -
\
1
PER UNA SCIENZA NORMATIVA MORALE A leggere questo titolo,
quelli che il Varisco ha chiamato felicemente « i filosofi dell’ oramai»
e quegli altri che si potrebbero chiamare i girasoli della
filosofia (i due tipi coincidono in parte, ma non in tutto) c’è da
scommettere che sorrideranno. — Non è « oramai » pacifico che di una
scienza della morale non si può parlare? E vale la pena di perdere
il tempo attorno a un problema « oltre¬ passato »? — Io mi rassegnerò a
lasciarli sorridere; ma non son persuaso dell’ oramai, e trovo che
il problema è tutt’ altro che superato. La quale per¬ suasione per
altro non garantisce nulla, pur troppo, rispetto all’ altra faccenda del
perder tempo ; per¬ chè il tempo si può perdere, e far perdere,
come sappiamo benissimo tutti, anche trattando di ar¬ gomenti non «
oltrepassati ». 'Dico dunque che il problema, almeno nel modo
nel quale credo che debba essere posto e ho cer¬ cato di porlo, è più
vivo che mai e di interesse capitale così per l’Etica come per la
Filosofia del diritto. E chiedo scusa fin da ora al lettore se do-
8 — 122 — vrò, richiamandomi a cose già
dette, parlare, più spesso che le buone regole non consiglino, in
prima persona. • • 1. — Quando sostengo la
possibilità e la legit¬ timità di una scienza normativa morale, non
in¬ tendo che una tale « scienza » possa o debba so¬ stituire la
metafisica, e bandirla proprio da quel campo che è il vero vivaio dei
problemi metafisici, il campo delle idee e dei sentimenti morali. E
nem¬ meno che possa pretendere di costruire la morale , « F unica
vera morale » erigendo a norme della condotta certe leggi naturali cosmiche,
o biologiche o psichiche o sociologiche o storiche, alle quali si
presuma di dare valore imperativo. La tesi che ho sostenuto e sostengo è
diversa. Una scienza normativa etica, non può, al pari di
qualsivoglia scienza pre¬ cettiva, consistere in altro che in u n sistema
di re ¬ l azioni e di legg i, le quali hanno valore di norme da
seguire nell’ ipotesi che sia assunto come fine quel- F effet to o
quell'ordine di effetti, del quale esse ’-ggi esprimono le condizioni e i
fattori. Ma dibo¬ sco dalle altre, perchè s uppone che al fine suo
[MJLjcTalfA Ò)lCJUjLt> 'ittl- ,
del quale esse ’Sl'Kp tkf si a rico n osc iuto
un valore di universale pref eribilità e precedenza sopra ogni
altro fine. Perciò una determinazione scientifica di norme
etiche richiede due condizioni : l.° Che il fine sia
— 123 — umanamente possibile; cioò tale che se ne
possa stabilire la dipendenza condizionale da una certa forma di
condotta collettiva e individuale. Di qui dipende il carattere
scientifico della costruzione ; perché la relazione che lega le norme con
quel fine potrà essere lunga, complicata e difficile, ma non
richiede ad essere conosciuta altri mezzi che quelli di una indagine
scientifica. 2.° Che sia ammesso come postulato che il ri¬
conoscere al fine assunto valore di universale pre- feribilità e
precedenza rispetto a qualsivoglia altro fine umanamente possibile, è un
'esigenza morale. É ovvio di per sè che se si ricusa di
ammettere questo postulato o se ne nega la legittimità, la de¬
terminazione delle norme di condotta richieste dal fine contemplato non
perde nulla del suo carattere scientifico ; ma le norme non hanno valore
morale. •Ossia, il valore morale delle norme così ricavate ò
relativo alla accettazione del postulato; e la de¬ rivazione scentifica
di un sistema di norme dal fine in discorso non ò, a rigor di termini, la
scienza della condotta morale; ma la scienza di una certa condotta;
la quale è la condotta morale, se si am¬ mette e in quanto si ammette quel
postulato. Ma è altrettanto ovvio che non avrebbe senso, o
sarebbe al tutto arbitrario e fuori di proposito, l’attribuire in ipotesi
al fine un valore che nes- ’ v '’’ suno fosse disposto a
riconoscergli, e assumere come Ua esigenza morale una esigenza che
non trovasse nella */ r f>' r \ c < ’• ' a • fi «.e ^ 0
$/» Uiv - — 124 — l Vt
p*|Ut-U4« ^vw * realtà nessuna corrispondenza. Ed è perciò
che ho- cercato di porre in chiaro in primo luogo quale fosse
l’esigenza caratteristica del valore morale di una norma ; poi, se si
potesse assegnare un fine umano, e quale potesse essere, che rispondesse
a queste condizioni. Non è il caso di ripetere il già detto
(1); qui ne ricordo soltanto le conclusioni : — che l ’esi- genza
che assum o, e, credo aver dimostrato, legit¬ timamente, come
caratteristica di una norma mo- r ale ò quella di una universale
giustizia ; e che il fine che soddisfa a questa esigenza non può
essere che una forma di società umana tale, che tutti i sodi trovino
nelle sue stesse condizioni di esistenza la medesima o equivalente
possibilità esteriore di rivolgere la loro attività alla ricerca di
qualsivo¬ glia dei beni ai quali la convivenza e cooperazione
sociale è mezzo. — Supponendo dunque ammesso il postulato sopra detto,
non ho fatto e non faccio una ipotesi arbitraria; poiché Tesigenza della
giu¬ stizia, alla quale il postulato fa appello, è la più profonda
e più tenace e più incoercibile dell’uomo in quanto è socius, cioè
in quanto è soggetto di moralità e considera se stesso, ed è
considerato, come persona a pari titolo di ogni altro socio.
(1) Mi riferisco, qui e nel corso di questo scritto, a quello clie che lo
precede nel presente volume, e a un altro studio : Prolego¬ meni a una Morale
indipendente dalla Metafisica, Pavia, Biz- zoni, 1901.
— 125 — Tuttavia per quanto possa
parere ed essere le¬ gittimo prendere per concesso qu esto postulato,
non bisogna dimenticare, ma anzi importa rilevare chia¬ ramente ,
che il fine e le norme corrispondenti hanno quel valore che si
attribuisce a loro, soltanto nell’ ipotesi che lo si accetti come valido
e fuori di contestazione. Se non 6 ammesso, ò vano pretendere
clic la costruzione normativa valga a farlo accettare o possa
obbligare ad accettarlo. Essa non può che mostrare la coerenza delle
norme proposte col fine assunto, e di questo colla esigenza della
giustizia ; e mostrare con ciò che non si può ragionevolmente
ammettere questa esigenza senza ammettere il va¬ lore di universale
priorità attribuito al fine, e quindi alle norme. Ma che l’esigenza
invocata sia ammessa in realtà, o sentita come tale, ò un dato di
fatto che la costruzione normativa trova, se c’è; ma che non pone essa,
ne per sò vale a mutare. 2. — Adunque la scienza normativa morale
così intesa si riduce alla determinazione delle norme di condotta
valide per una coscienza che anteponga a ogni altra esigenza l’esigenza
della universale giu¬ stizia. Se in ipotesi volesse determinare le
norme di condotta per una coscienza per la quale valga come suprema
l’esigenza egoistica, le norme risul¬ terebbero diverse. Ma il
procedimento sarebbe il medesimo ; la deduzione sarebbe, o si può
concepire *1 lyO che
potrebbe essere, ugualmente ragionata e scien¬ tifica. E del pari se si
assumesse come regolatrice l’esigenza dell’abnegazione o della rinuncia
incon¬ dizionata di sò agli altri, o qualsivoglia altra esi¬ genza
e un fine possibile corrispondente. Di qui si vede quanto sia
superficiale c vuota di significato l’opinione tante-volte ripetuta, e
che forma quasi il leitmotiv di un’ opera che ha latto gran rumore,
che la ragione non ci comanda che l’egoismo. La ragione per sè non
comanda nulla ; né l’egoismo, nè l’altruismo, nè la giustizia. La
ragione cerca, e mostra, se le riesce, i mezzi che servono a conservar la
vita a chi la vuol conser¬ vare, a distruggerla a chi la vuol
distruggere; ad¬ dita ai pietosi le vie della pietà, ai giusti le
vie della giustizia, e le vie del proprio tornaconto agli uomini
senza scrupoli. Ma l’egoismo non 6 per sè più « razionale »
dell’altruismo, nè il regresso più razionale del progresso, nè la
conservazione del- l’individuo più razionale di quella della specie, nè
1’ utile proprio più razionale che 1’ utile della col¬ lettività.
Razionali non sono i fini, ma le relazioni dei mezzi ai fini (1).
Ed è così ragionevole che dia la (1) Dire che la ragione non
consiglia che 1’ egoismo equivale a dire che una condotta non egoistica
non si può ragionevolmente giustificare ; ossia viene a dire una di
queste due cose : 0 che di un fine non egoistico non si possono assegnare
mezzi possibili, e — 127 — vita per un’idea chi
pregia più l’idea che la vita, come che taccia la verità per un ciondolo
chi ama più i ciondoli che la verità. Ma forse dicendo così
si è ancora giusti verso la ragione. Perchè se ciò che si chiama uso
della ragione può avere, come non dubito che abbia, una efficacia
indiretta nella valutazione dei fini, non è dubbio che questa efficacia
si esercita in favore di quei fini e di quelle norme che rispondono
alla quindi non si può determinare quale sia la condotta atta a
rag¬ giungerlo ; cioè che si tratta di un fine fuori di ogni efficienza
umana. E in questo caso non ci sarebbe senso a proporlo come fine dell’
operare nè in nome della ragione nè in nome di qualsivoglia altra cosa,
dal momento che qualsiasi condotta sarebbe rispetto ad esso indifferente.
Oppure che un fine non egoistico non è mai fine per sfi, ma ha bisogno di
essere giustificato da un fine egoistico al quale sia mezzo o condizione.
Ma il valore per sè di questo fine egoistico ultimo, al quale si riporta
la giustificazione, non può es¬ sere alla sua volta giustificato, ma deve
essere un dato di fatto reale o supposto ; il quale dunque, appunto per
ciò, è fuori di ogni ragionamento. E il vero senso dell’ affermazione in
discorso è al¬ lora non che « la ragione consiglia l’egoismo » ; ma che «
gli uo¬ mini sono tutti e sempre e inevitabilmente egoisti (poiché i fini
ai quali soltanto riconoscono valore per sè sono fini egoistici) ; e
quindi, finché sono e rimangono egoisti, non possono trovar ragionevole
altra condotta all’ infuori di quella suggerita dall’ egoismo ».
Sapevhm- celo ; ma non vuol dire che l 'essere egoisti sia più
ragionevole die il non essere. D’altra parte, posto che gli
uomini fossero inevitabilmente egoisti, anche il precetto o il consiglio
di non seguire la ragione, dovrebbe, per avere valore pratico, fare appello
in ultima istanza a in fine egoi¬ stico, nè più nè meno di quel che
farebbero nello stessè caso i con¬ sigli della ragione. Con questo bel
risultato : che gli uomini rinun¬ cino ad essere ragionevoli per....
continuare ad essere egoisti. tendenza caratteristica
dell’attività razionale : l’uni¬ versalità. Ora nel campo dell’attività
pratica il fine del quale soltanto si può concepire universale il
raggiungimento, e la norma, della quale soltanto si può concepire universale
V osservanza, sono un fine e una norma conformi all’esigenza della
giu¬ stizia (1). Ma, tornando al nostro argomento, anche il
ri¬ conoscere che il fino e le norme determinate in conformità al
postulato hanno, e possono avere essi solamente, la nota razionale dell’universalità,
non ne toglie il carattere necessariamente e insupera¬ bilmente
ipotetico; perchè se il loro valore si fa dipendere da questa loro
universalità, si prende per concesso che l’universalità sia assunta
come criterio di valutazione; ossia che dell’esigenza ra- (1)
iSon trovo che si sia dato il peso dovuto alla considerazione che non
solo l’egoismo, ma neppure l’altruismo può fornire una regola di
condotta, che si possa concepire nei rapporti tra gli uo¬ mini universalmente
e costantemente osservata, senza contraddizione, o senza che sia
necessario supporla subordinata alla sua volta a una norma di giustizia.
Perchè sia possibile l’abnegazione e la ri¬ nuncia incondizionata di sè
agli altri, bisogna che gli uni si sa¬ crifichino, e gli altri o qualche
altro accettino il sacrifizio ; cioè che gli uni seguano la massima dell’
altruismo, e gli altri o qual¬ che altro quella dell’egoismo. Se poi si
ammette che nessuno debba poter sacrificarsi piu di un altro, (oltreché il
sacrifizio si riduce a un tacito scambio di servigi reciproci), bisogna
che la condotta altrui¬ stica di ciascuno non impedisca o limiti una pari
condotta altrui¬ stica degli altri ; cioè bisogna che 1’ altruismo alla
sua volta sia governato da una norma di giustizia.
— 129 — zionalc e teoretica dell' universalità la
coscienza faccia una stima pratica, attribuendole un valore e un’
autorità superiore ad ogni altra esigenza. Concludendo: la scienza
normativa etica, alla quale mi riferisco, è la scienza della condotta
ri¬ chiesta da un fine conforme all’ esigenza detta. Se si
riconosce come caratteristica del valor morale di un fine e delle norme
che ne dipendono una esigenza diversa, o se si pone come congruo ad
essa un fine incongruo, o si assumono come con¬ dizioni conformi
all’esigenza di una universale giu¬ stizia delle condizioni clic negano o
limitano questa universalità, le norme riconosciute e accettate
come morali saranno diverse. 3. — Ma non concluderebbe nulla
contro la tesi che difendo l’opporre che le norme o alcune delle
norme in effetto tenute o seguite come morali sono diverse o contrarie a
quelle proposte e ricavate in conformità al postulato assunto. Perchè qui
non si tratta già di esporre (piali sono le norme accettate, o di
farne l’apologia ; nè di cercare che cosa bi¬ sogna ammettere per
accettarle; ma di determinare quali sarebbero le norme della condotta
morale nel- l’ ipotesi che si accetti il postulato. Insomma
si fa un’ ipotesi e si cerca che cosa ne segua. Ma per negare
valore scientifico a una tale co¬ struzione ipotetica bisogna negare la
dipendenza — 180 — condizionale del fine assunto da
una certa condotta collettiva e individuale; e per negarle valore
mo¬ rale (1), bisogna negare il valore morale dell’esi¬ genza, o
ammettere che essa è o dove essere subor¬ dinata a un’esigenza diversa.
Finché non si giu¬ stifica nè l’una nè l’altra negazione, il
dichiarare « oltrepassato » il problema vale poco; e il sorri¬ dere
vale anche meno. Perchè esponendo questo concetto io non mi
sono dissimulato le difficoltà e le obbiezioni possi¬ bili; sopratutto
quelle che fanno capo alla afferma¬ zione comune della impossibilità di
una determi¬ nazione di norme morali che non si fondi sopra una
dottrina metafisica. Questa questione anzi ho esaminato di proposito, e
le conclusioni di quell’ana¬ lisi non furono confutate. Avrei dunque, «
in tesi di diritto » ragione di ritenere spostato l’obbligo della
prova. Ma nel fatto, come tutti sanno, ò sempre chi dissente
dalle opinioni stabilite che ha torto; e deve rassegnarsi a battere e
ribattere per tutti i versi lo stesso chiodo. ì. — E prima
di tutto occorre qualche parola su quella che si potrebbe chiamare la
tesi scettica, (,1) Che essa possa e debba aver valore anche dal
punto di vista del Diritto è cosa evidente ; ma come c quanto non sono
questioni da risolvere cosi di sfuggita. — 181
— della impossibilità di una qualsiasi determinazione di
norme morali. — Il fatto etico è contingente, multiforme e
va¬ riabile in ogni circostanza, e sfugge ad ogni ten¬ tativo di
determinazione razionale. Oltredichè esso dipende dal sentimento e dalla
volontà e non dalla conoscenza, e non si può ricavare da un processo
di deduzione logica. — Questa tesi ha il grave torto di confondere
la morale colla mora lità ; confusione sulla quale dovrò tornare
anche più innanzi. « Il fatto etico ò variabile ». Certamente. E
il fatto giuridico, che ò una specie dell’ etico, non ò esso pure
variabile? E forse perciò non si stabili¬ scono nonne giuridiche
determinate e precise, e non si considera questa determinazione come
un’e¬ sigenza della vita sociale, e non si misura dalla sua
precisione e coerenza il progresso della vita e della coscienza giuridica
? E non è un luogo comune la lode fatta a Roma di maestra del diritto ?
Non si venga a dire che il f atto "iuridico riguarda solo la
non, come la inorale, anche e sopra tutto la interna ; qui si
fa questione, anche per la morale, appunto, della con¬ d otta ester
na, nella quale la moralità interiore deve pur tradursi ; ed è assurdo
dire, per esempio, che non ha senso il precetto « non frodare », e
vano cercar di determinare in che la frode consista, per- La.
•H. i tìtou -
— 132 — w/# i-yW t
Aj.oiU? dolori* ché la frode è, forse più che
qualunque altra cosa al mondo, contingente multiforme e variabile.
È pur fuori di dubbio che l’operare in un modo piuttosto che in un
altro, dipende dal sentimen to e dall a vo lontà, e non dalla co noscenza
del pre- 1 CJA k> W <Mj aI* VtU'f’N®
. j r ‘ r , * cetto ; e che non si può dedurre da nessuna com¬
binazione di premesse l’azione. Nessun congegno di premesse, nessun
processo logico, nessun sistema di conoscenze pone in essere la benché
minima cosa ; .A}* VcttmaJ. ’l| conseguenza di un ragionamento ò sempre
fin g iudiz io, non un ’azion e ; nella morale come in qua¬
lunque altro campo; l’azione., potrà.. o non potrà seguire, secondo che
le disposizioni sentimentali c. volitiv e sono tali o tali altre; potrà
anche seguire senza che ci sia il giudizio. Verissimo e
giustissimo. Ma non conclude nulla al proposito. Perché qui è
questione non di fare, ma di sapere quel che con¬ venga fare, chi si
proponga e ammesso che si pro¬ ponga un certo fine. Ora lo stabil ire
queste rela¬ zioni tra un certo fine_e certe operazioni necessarie
a raggiungerla é ufficio della conoscenza, non della volontà ; e io spero
che nessun voluntarista vorrà sostenere che è indifferen te a chi vuol
andare, po¬ niamo, a Canossa, conoscere quale sia la strada per
arrivarvi. E il dire che non è la conoscenza nè di un certo effetto, nè
dei mezzi, ciò che fa vo¬ lere l’effetto e volere i mezzi, non toglie
nulla al- Pufficio specifico della conoscenza; anzi, e appunto
— 183
— perciò, lo determina. E rimproverare a un sistema di norme
di essere per sè inefficace a muovere Fa¬ zione non ha senso ; come non
avrebbe senso pre¬ tendere che una formula chimica produca essa il
composto del quale indica la combinazione. L’ uf¬ ficio delle norme
morali, come di ogni altro sistema di norme qualesivoglia, non può essere
che un uf¬ ficio informativo, non formativo ; di guida, non di
stimolo, di indicatore, non di propulsore. E quelli che adducono, per
mostr are l a inanità di una co¬ s truzione norma tiva, l a dipendenza
dell’ azione dal se ntimento e dalla volontà , non si accorgono di
confondere essi il conoscere coll’operare, cioè, come' s’è detto, la ni
qrfllo_nnIlp mo ralità, la determina- zio ne_delle norm e colla c
onformità alle norm e. Senonchò si può soggiungere che la
determina¬ zione in questo campo non serve, perchè la cono¬ scenza
delle norme si sprigiona volta per volta come da sè fuor dalle
circostanze, per un intuito naturale che è più fine e delicato di
qualunque de¬ duzione scientifica. E così viene in campo, accanto
alla tesi dell’ impossibilità, quella dell’ inutilità : — l a cos cienza
morale rende inutile la dottrina mo¬ rale. — - '* -** '
Lasciamo per ora la difficoltà capitale che nasce dal fatto
stesso da cui è nata la riflessione critica della morale: il fatto della
diversità di contenuto nelle coscienze morali diverse; e poniamo —
senza * —
134 — concedere — che 1*i ntuit o basti per tutti e sempre a
segnare caso per caso la via. Non ne seguirebbe ancora l’inutilità di una
ricerca che si proponesse la determi nazione sistema tica del fine a cui
.intui ¬ ti vamente tend e e delle norme che intuitivamente segue
la co scienza mora le. Come la guida istintiva dei bisogni
(^feUe^enTazioni non basta a rendere inutile l’igiene; o come non basta a
condannare la conoscenza fisiologica, per esempio, della dige¬
stione, il fatto che digeriscono bene, anzi di solito digeriscono meglio,
quelli che non sanno di quelli che sanno come la digestione
avvenga. E veniamo alle obbiezioni che toccano diretta-
mente la nostra tesi. 5. — In primo luogo si può osservare che
la p retesa scienza della mora le, nell’ atto stesso che dichiara
di voler tenersi estranea a qualunque af¬ fermazione di carattere
metafisico, presuppone una certa soluzione di un problema essenzialmente
me¬ tafisico. Perchè, assumendo come fine morale un ordine di effetti
umanamente possibile, pone come risoluto il problema se il fine supremo
possa o debba essere umano o sovrumano, relativo o asso¬ luto;
risolve cioè, sia pure negativamente, un pro¬ blema metafisico.
— 135 — Cerchiamo di intenderci. Si supporrebbe
risoluto il problema, se assumendo un fine (diciamo per brevità)
umano, si ponesse questo fine come ultimo assolutamente, come
definitivamente supremo; cioè se gli si assegnasse un valore assoluto ; e
si ne¬ gasse la possibilità di una ulteriore valutazione del fine
stesso ; di una sopravalutazwWe^Tciafisica, per la quale sia creduto
mezzo alla sua volta, o condi¬ zione o preparazione di un fine
sopraumano. Ma questa possibilità 1* ipotesi non la esclude. Si
dirà che in tal caso il fine umano non è più il vero fine; e che perciò
le norme debbono essere ricavate da quello a cui si dà davvero valore
di fine ultimo, valore assolutamente, non relativamente, supremo; e
che questa necessità riporta il problema della determinazione delle norme
in piena metafì¬ sica. Ma è questo che io nego ; e dichiaro di non
capire come da un fine assoluto si possano ricavare delle norme per la
condotta in condizioni finite, da un al di là le norme per un al di qua;
e dubito che quelli i quali dichiarassero di capire, equivo¬ chino
sui termini. Perchè non si potrà mai dimo¬ strare un legame di
condizionalità tra un certo modo di operare o un fine sopra natura le ;
essendo il proprio e caratteristico del sopranaturale c del
sopraumano di esser fuori dalla efficienza naturale e umana. Se si
considera il fine sovraumano come un effetto che può essere condizionato
da mezzi pu- — 136 — ramente umani esso cessa
di essere sovraumano. Ma se invece rimane tale, cioè trascende la
effi¬ cienza umana, si potrà bensì credere ed affermare che a
raggiungerlo si richiede una certa condotta, ma non si può assegnare una
relazione di condi¬ zione tra la condotta ed il fine, cioè non si
può ricavare dal fine la norma. La riprova si ha nel fatto, evidente
ad ogni osservatore non del tutto superficiale, che, anche nei sistemi di
morale teo¬ logica o metafisica, quando si tratta di determinare le
norme che debbono regolare la condotta nelle relazioni della vita comune,
famigliare e sociale, non è più il fine assoluto quello da cui si
deducono le norme, ma un fine umano, sia prossimo, sia re¬ moto; un
certo ordine e un certo tipo di vita in¬ dividuale e sociale.
Le norme dedotte da questo fine subordinato si presentano bensì
come derivate aneli’esse dal fine assoluto, perchè si assume quello come
posto o vo¬ luto o necessitato da questo ; ma in che modo dal fine
assoluto si ricavi il fine relativo, come e per¬ chè, per raggiungere o
approssimarsi a quel fine sopraumano, sia necessario tendere a questo
fine umano, non si dimostra nè si può dimostrare. E quando par che
si dimostri, gli è che si è assunto tacitamente e come incorporato in
modo surrettizio nel fine assoluto il fine relativo, che poi se ne
deriva ; cioè in ultima analisi non si è fatto altro
che porre o assegnare un valore sopraumano al fine umano; ossia si
è fatta (fucila che ho chia¬ mata una sopravaluta;ione metafisica di quel
certo fine umano dal quale in realtà sono ricavate le norme.
Xon è dunque vero che assumendo un fine umano si risolva, o si
postuli una certa risoluzione di un problema metafisico. Non si la che
ubbidire a una esigenza, la quale sussiste sia che si risolva
positivamente, sia che si risolva negativamente il problema intorno alla
natura del fine assolutamente ultimo o supremo; un’esigenza logica alla
quale non si può sfuggire: che un sistema di norme di condotta
individuale e sociale non si può stabilire se non in relazione a un certo
fine, esplicitamente o implicitamente assunto, che dipenda
condizional¬ mente dalla condotta, cioè che sia umanamente
possibile. 0. — Ma non è un’altra esigenza, un’ esigenza
propriamente morale, che il fine abbia un valore assoluto e non soltanto
relativo? — Non discuto se sia o non sia ; perchè si tratta
in ultimo di constatare un fatto di coscienza, e per la constatazione di
un fatto la discussione non ap¬ proda. Poniamo che sia. Forsechè le
dottrine che pon gono un fine assoluto fanno qualcluTco^ ~~di me
glio che postulare la possibilità di quel fi ne e postularne il valore ?
Cioè supporre che quella pos- — 138 —
4t> siljilità e questo valore siano dati nelle
intuizioni o nelle credenze, dalle quali li prendono, per dir cosi,
a prestito, e sulle quali fanno assegnamento ? E se è cosi, e non può
essere altrimenti, se la cre¬ denza nel fine e il riconoscimento del suo
valore assoluto, e la derivazione da esso del (ine o dei fini
relativi della vita finita, non possono essere dati o fondati dalla dottrina,
ma soltanto assunti o affermati, è facile vedere che la dottrina
vale per la coscienza clic la sente e, direi, la vive già, e che
accetta Vaffermazione perchè la trova corri¬ spondere a ciò che è già
dato in lei stessa ; ma non vale essa, la dottrina, a far accettare
queste sue affermazioni a una coscienza che intuisca e senta c
creda diversamente. La costruzione dottrinale metafisica non riesce
dunque clic a fare appello a un a intuizione o a una v alufazio ne di cui
ammette o suppone 1’ esistenza, ma n on a farla sorgere dove manca
; e quindi, di fronte a una coscienza diversa da quella che essa suppone,
si trova nella stessa condizione della costruzione non metafisica.
Cioè vien meno alla ragione per la quale il valore as¬ soluto del
fine è richiesto. Questa ragione, se il valore assoluto del
fine non è già assunto come una constatazione di fatto, consiste
nella pretesa illusoria che la dottrina possa e debba assicurare per
questo modo alle norme una validità universalmente riconosciuta ; e
nasce Mm&i ^5_ 13<1
•da una preoccupazione pratica analoga a quella dalla quale è
ispirata l'altra pretesa che l’Etica dia alle norme autorità
imperativa. 7. — Ed eccoci all’argomento capitale: 1’ esi- •
gonza del carattere imperativo della norma. — Ho già ripetutamente
segnalato l’equivoco sul quale si fonda la pretesa esigenza
dell’obligatorietà della norma morale. È in fondo il medesimo già
notato più sopra a proposito della istanza sulla inefficacia •della
conoscenza a determinare l’azione ; l’equivoco di con fondere la morale
colla moralità, la norma col la conformità alla norma : e quindi di
preten¬ dere da una dottrina quello che nessuna dottrina nè
metafisica nè non metafisica può dare : la ga¬ ranzia dell’osservanza,
cioè 1’efficacia esecutiva. Il linguaggio favorisce anche qui il
persistere dell’er¬ rore; e l’uso di definire 1’ Etica la scie nza o
la dottrina de i -doveri, contribuisce a ribadire il pre¬ concetto.
nato dalla preoccupazione pratica, che compito di una dottrina morale
possa o debba es¬ sere quello di costruire o fondare delle norme
ób- hliyatorie. Mentre l’etica, dico qualunque dottrina etica,__non
può fare altro che dedurre, o indurre, o comporre a sistema, delle norme
o ilei precetti, i quali hanno valore di doveri, se e in quanto la
coscienza concepisce, o meglio sente e vuole , come dovere, l’osservanza
dei precetti stessi, o la prose¬ cuzione del fine (o dei fini) dal (piale
quei precetti Yi (yivuni l&u vuxnrib I
nei — 140 — sono derivati.
E se anche tutte le coscienze uni¬ versalmente, in ogni tempo e luogo,
concordassero nel sentire come obbligatoria 1’ osservanza di una
certa norma, non per questo si potrebbe dire che l’imperativo è un
carattere della norma ; l'impe¬ rativo sarebbe sempre anche in questo
caso un ca¬ rattere del motivo che spinge all’ osservanza della
norma ; un dato della coscienza che la abbraccia, che la riveste e la
investe di questo motivo, clic la sente così. Quale sia la
preoccupazione pratica da cui nasce e si alimenta il preconcetto, e.
quale, sia il processo per cui si viene ad assegnare alla costruzione
nor¬ mativa un compito al quale essa non può soddisfare in nessun
modo, ho pure già cercato di mostrare altrove, e non serve di ripetere.
Piuttosto non mi par privo di interesse mettere in chiaro con 1’ a-
nalisi come i modi, nei quali può essere interpre¬ tato e tentato il
proposito di « fondare una norma obbligatoria » si riducano a postulare
l’esistenza dell’ obbligo, quando non riescono a una forma più o
meno larvata di imperativo ipotetico. E come poi, per il verso opposto,
assumendo l’imperativo categorico per dato o postulato, non se ne
possa ricavare la determinazione delle norme; ma si ri¬ chieda perciò
l’assunzione espressa o sottintesa di un fine, o di un criterio di
valutazione e deriva¬ zione, estraneo e indipendente da quello.
— 141 8. — Il compito di assegnare una norma che
abbia autorità obbligatoria può essere, e lu in ef¬ fetto, inteso in più
significati diversi ; i quali si possono ridurre ai quattro tipi seguenti
: 1. ° Dimostrare che la norma proposta corri¬ sponde a un
sentimento, a un motivo, a una di¬ sposizione che si manifesta nella
coscienza come •obbligo. — Allora il senso reale ò, non già che la
do ttrina dia essa autorità o bbligatoria alle su e norme; bensì questo:
che essa riduca, traduca o formuli in norme i modi di condotta ai quali
la coscienz a si sente obbligata. Ma così la categoricità del
precetto è constatata e assunta, non posta, nè fondata dalla dottrina ; e
la norma obbliga solo se •ed in quanto i suoi comandi ripetono i
comandi della coscienza; il suo tono imperativo è un’eco, e vien
meno se tace la voce della quale assume il tono. 2. °
Presentare le norme come ordini di un Potere (qualunque ne sia la natura)
irresistibile, che costringe volenti e nolenti a seguirlo. — In¬
tesa così l’autorità non viene nò dalla natura delle norme, nò da quella
del fine a cui sono ordinate, ma da quel Potere del quale l’Etica fa, per
dir così, la presentazione ; anzi il suo ufficio si riduce
— 142 — in realtà a quello di interprete ed araldo di
quel Potere ; che essa non pone, ma a cui là appello, e che suppone
sia riconosciuto dalle coscienze alle quali parla in nome suo.
Ad ogni modo l’espressione analizzata, se si usa ad indicar questo
ullìcio, è del tutto abus iva; l’espressione esatta ò questa: compito
dell’Etica ò di determinare quale sia la legge imposta da quel
potere indis cutibile e irresist ibile, di cui si am¬ mette o si
riconosce l’esistenza. 3." Dimostrare che ciò che la norma
prescrive dovrebbe esser voluto dall’ uomo, sopra ogni altra cosa :
cioè sarebbe voluto in effetto, se, invece di essere come ò, 1’ uomo
fosse diverso ; seguisse la sua vera natura, fosse giusto, o perfetto, o
realiz¬ zasse un certo tipo ideale. Ma è chiaro che in questo
senso non si là che o determinare il fine in l'unzione di un certo
tipo ideale, o il tipo in funzione del line ; ossia, in al¬ tre
parole, determinare la relazione che sussiste tra una certa natura e una
certa condotta. La qual relazione per necessaria che sia, non si vede
come [tossa far nascere la coscienza d’ un obbligo. Se si pensa di
fondare in tal modo 1’ obbligatorietà, ma¬ nifestamente si suppone ebe il
conformarsi a un certo tipo, il realizzare un certo ideale sia già
sentito come obbligo; e si rientra, quanto al fon¬ damento di questo, nel
primo dei casi enumerati. — 143 —
Se poi si intendesse dire che chi vuoi essere uomo davvero, giusto, o
perfetto, deve proporsi un certo fine o seguire una certa condotta, si
avrebbe non piii un imperativo categorico, ma un imperativo
ipotetico. 4.° Dimostrare che ciò che la norma prescrive,
dece essere voluto universalmenta e incondiziona¬ tamente. — Questo ò
manifestamente il significato che pare più proprio, e nel quale intesero
e inten¬ dono l’esigenza i moralisti i quali credono di po¬ ter
ricavare l’obbligo dalla natura del fine che assumono come ideale etico.
Ma l’intendere la tesi così, implica che si ammetta la possibilità di
una di queste due vie : a) o derivare 1’ obbligatorietà dal valore
riconosciuto al fine, assumendo questo riconoscimento come dato o
postulato ; h) o deri¬ vare dalla natura del fine l’ obbligo di
riconoscere al fine stesso un tal valore. E l’una e l’altra di
queste due tesi deve essere considerata distinta- mente e un po’ più a
lungo. 9. — a) — Posto pure che al fine assunto fosse
riconosciuto in realtà universalmente valore di sommo bene, non ne
seguirebbe in nessun modo che il sentirlo e riconoscerlo come sommo
bene porti con se il sentirsi obbligati a volerlo e cercarlo.
Questo riconoscimento non genera la coscienza del- Pobbligo, bensì ne
mostra la ragionevolezza, fa che la coscienza approvi l’autori tà ob
bligante; cioè • — 144 — giustifica P
obbligo, posto che ci sia. Ora una tale giustificazione riesce a questa
alternativa: o serve a dimostrare che Insognerebbe ragionevolmente
tro¬ var buona e seguire la norma anche se non si sen¬ tisse
Vobbligo, perchè la norma è ordinata a quel certo fine che è riconosciuto
come sommamente desiderabile. E in questa forma la pretesa fonda¬
zione dell’ imperativo categorico si riduce alla for¬ mulazione di un
imperativo ipotetico, che si sosti¬ tuisce o si aggiunge al categorico. 0
riesce a un’ar¬ gomentazione di questo genere : Siccome è bene
sommo il fine, è bene l’osservanza della norma; e poiché si ammette o si
suppone che la coscienza d’un obbligo assoluto sia necessaria a
garantire questa osservanza, l’imperativo categorico appare la
condizione sine qua non, acquista valore di mgzzo indispensabile al
proseguimento del fine. Nel primo modo si viene a dire che
l’impera¬ tivo categorico è giustificato perchè è bene ciò che esso
comanda; nel secondo che è giustificato per¬ chè è bene che esso comandi
in quel tono. Ma nè l’uno nè l’altro modo nè ambedue insieme
riescono a fondare l’obbligo assoluto; anzi appunto perchè 10
giustificano gli tolgono il carattere di categorico. 11 che se nel
primo caso è più evidente, non è meno vero nel secondo. Infatti, posto
pure che la cate¬ goricità dell’ imperativo sia condizione
necessaria all’osservanza della norma, non ne viene perciò —
145 - che l’obbligo sia categorico, ma soltanto che sa¬
rebbe bene che fosse, che è desiderabile che sia: os¬ sia la pretesa
derivazione che se ne fa, mostra la necessità di una condizione, non la
pone in atto se manca; pone in chiaro un’esigenza, non la sod¬
disfa. In secondo luogo la dimostrazione stessa di questa esigenza è
contradditoria, perchè a convin¬ cere la necessità dell’obbligo
categorico ne assegna le ragioni ; il che equivale ad ammettere che
ve¬ nendo meno queste ragioni verrebbe meno quella necessità; ossia
che l’obbligo dovrebbe valere come categorico, finché è utile che valga;
come chi di¬ cesse un’ autorità che si fa valere incondizionata¬
mente .. .. sotto certe condizioni (1). Adunque, se la c Qscienza
d’un obbligo asso luto manca, la derivazione che se ne pretenda fare
da un fine, qualunque sia il valore che gli si attri¬ buisce, non
può farla sorgere; se c’è, la giustifi¬ cazione riesce ad assegnare le
condizioni della sua validità, cioè a togliergli il carattere di obbligo
incondizionato. (1) Il che può però aver un senso, se si guarda
bene ; ma in un caso soltanto : nel caso che la coscienza la quale si
rende ragione delle condizioni che importano questa necessità o utilità
dell’ im¬ perativo categorico, e la coscienza nella quale 1’ imperativo
vale come categorico, siano due coscienze diverse ; ossia nel caso
che una coscienza riconosca la necessità che 1’ imperativo valga
incon¬ dizionatamente per un’altra coscienza. Che è un senso
assai meno strano di quel che possa parere a prima vista.
— 14U — b) — Oppure finalmente si intende che
ap¬ prendere ciò clic è posto come line equivalga per ciascuno a
dover riconoscerlo come tale; che non si possa conoscere la natura del
line senza sentirsi obbligati a riconoscergli valore di bene supremo
; cioè che la conoscenza generi la coscienza d’un obbligo. — Questa
che è in sostanza la tesi di¬ fesa, tra gli altri, con grande vigore dal
nostro Rosmini, è veramente l’interpretazione tipica, più audace e
radicale, del pensiero di derivare l’obbligo dal fine, o di dare
all’obbligo un fondamento og¬ gettivo nella natura stessa di
quello. Ma — senza dilungarmi su questo tema in una critica
troppo nota — è inevitabile questa alter¬ nativa : o il dover riconoscere
esprime una neces¬ sità puramente logica, e non può dare quello a
cui è invocata, cioè nè il valore né l’obbligo di riconoscere il valore;
o vuol esprimere una neces¬ sità diversa, e si riduce a un paralogismo;
perchè pretende ricavare da una determinazione obbiet¬ tiva la
constatazione di uno stato subiettivo, la quale presuppone appunto
resistenza di quella co¬ scienza dell’obbligo, che crede di far nascere
e senza della quale la constatazione non è possibile. E per tal
modo si ricade ancora una volta nel primo tipo di interpretazione (V. p.
141); quando non si voglia ammettere questa tesi : che è obbligo
rico¬ noscere quel fine come sommo bene e volerlo, così
— 147 — se lo si crede tale, come se non lo si
crede; cioè sia che la coscienza senta sia che non senta di dover
attribuirgli quel valore. Ossia non si am¬ metta la tesi dell’obbligo di
credere anche senza o contro l’attestazione della coscienza. Il che
ren¬ derebbe inevitabile l’appello a una autorità esterna, alla
quale la coscienza si deve inchinare; e farebbe della morale del bene
oggettivo una morale dom- matica, che rientra nel secondo tipo.
10. — Adunque l’analisi dei modi nei quali può essere interpretato
e tentato il compito di fon¬ dare una norma obbligatoria conduce a questa
con¬ clusione: o si intende che « fondare una norma obbligatoria »
voglia dire derivare l’autorità della norma dal valore del fine; e
allora, come s’è visto, c come avea notato chiarissimamente il Kant,
non si può per questa via riuscire che a un imperativo ipotetico; o
si intende che voglia dire assumere come dato l’obbligo e determinare le
norme in conformità a questo dato. Nel primo caso 1’ esigenza
in questione non è soddisfatta. Nel secondo 1’ obbligazione è assunta
, non posta o dimostrata; ossia o esiste: e la sua esistenza e
validità sussiste all’ infuori della co¬ struzione dottrinale, che la
postula, ma non la fa essere; o non esiste: e il fatto di assumerla
come esistente non la pone in essere, nè ne legittima per sè
l’assunzione. — 148 — IL — Per tal modo,
se il difetto capitale di una scienza normativa etica conforme al
concetto esposto sul suo ufficio e i suoi limiti, è quello di non^
poter presentare le norme col carattere di im¬ perativo categorico,
questo difetto è comune, e non potrebbe essere altrimenti, a qualsiasi
costruz ione dottrinale. die non si proponga di derivare le norme
da un imperativo categorico assunto come dato. Ed allora resta da
vedere se. prendendo l’impe¬ rativo categorico per dato o postulato, si
possa ri¬ cavare da esso la determinazione delle norme; o se non si
debba ancora ricorrere all’ assunzione espressa o sottintesa di un fine,
o di un criterio di valutazione e di derivazione, estraneo e
indipen¬ dente da quello. CJie^ i 1 dato dell’ imperatività
sia per sè in suffi¬ ci ente alla d eterni i nazione .-dei le jparmc
morali è manifesto, qualora si intenda con esso assumere null a più
che la forma destinata a rivestire un con¬ tenuto qualsiasi ricavato
d’altronde: nel qual caso è pur manifesto che, appunto perciò, il dato
dell’obbli- gazione rimane estraneo alla costruzione dottrinale.
Ma non è altrettanto evidente, quando si ammetta che nel dato dell’
obbligazione è contenuta ad un tempo la forma dell’ imperativo e la m
ater ia del precetto ; ossia che da questo dato si possa ricavare,
hjUifot vtA »pUóh UàwtiH o
ad esso debba conformarsi e subordinarsi sia la determinazione del fine
sia il contenuto delle norme. Senonchè, quando si prenda come
dato non la pura ferina soltanto ma un cer to contenuto, si è
inevitabilmente condotti, come l’analisi precedente ha dimostrato, a
fondare la morale .sull’autorità, superiore ad ogni discussione, di una
certa rivela¬ zione, interna o esterna ; e ad assegnare all’ Etica
1’ ufficio di espositrice e interprete di questa. Rilevando questa
conseguenza io non intendo affatto di darle il valore di una
dimostrazione per assurdo. La tesi nella forma a cui è ridotta ò
tut- t’altro che nuova e straordinaria; ed ha, in con¬ fronto dell’
affermazione generica e ambigua che « la morale deve dare norme
obbligatorie » il pregio di essere chiara e non equivoca. .Ma
appunto perciò essa fa apparire manifesta la difficoltà, a cui si
trova di fronte. 12. — Tanto se si intende che la ri velazio
ne da interpretare sia in|£g^ quanto se si intende che sia esterna,
si presenta la medesima difficoltà; quella difficoltà, antica e
notissima, dalla quale t ciu* oìaI
'R\)l£lp2:\0h/& l'ileo ila. £|Avh<*
venne il primo stimolo alla riflessione e alla cri¬ tica nel campo
della morale: l a pluralità delle ri- velazioni. Poiché i
responsi della cosc ienza morale sono s toricamente diversi e anch
e-apposti, come sono di- ✓ vèrse e in parte op poste le
rivelazioni religio se, resta, o che si riconosca a tutte la medesima
auto¬ rità, cosi co me i l tono imperativo è. il medesimo; o
che si scelga. f Quan to alle. religion i ò .troppo chiaro
che nessun criterio ricavato dalla rivelazione stessa può valere a
dimostrar l’autorità di una piuttosto che del- 1’altra, poiché t utte si
danno come assolutament e certe e indiscutib ili ; e le stesse prove
sulle quali una rilevazione attesta la sua autorità sono ado¬ perate
da ciascun’ altra per asserire la propria, e da tutte risuona sui
precetti morali diversi il me¬ desimo tono di comando. Si
cercherà il criterio della scelta nella natur a del le cose co mandate o
proibite, come avviene quando si parla di m aggior sapienz a o el evatez
za o n obiltà de i prec etti morali di una religione rispetto a
quelli di un’altra? Allora è i ^conte nuto dei precetti mo¬ rali
che viene assunto come criterio dell’autorità della rivelazione.
E il valore di questo contenuto, che è così usato a provare la
superiorità di una rivelazione sulle altre, si può dunque
riconoscere indipendentemente dal suo presentarsi sotto la forma di un
comando rivelato, dal momento che è esso invocato a pro¬ vare
l’autorità del comando. Ma allora I’ulhcio dell’Etica lungi dall’essere
quello di interprete e
— 151 — araldo di una rivelazione, 6 quell,o_di giudice
_deHc % U- t ? ^ rivelazio ni. Il che importa a ben più forte
ragione che tanto il fine quanto le norme morali si sup¬ pone che
possano e debbano essere conosciute c de¬ terminate a ll’ infuori di ogni
snodale rivelazione. cioè all’infuori da ogni appello
all’autorità. Ciò che vale per l’autorità di una rivelazione
esterna, vale per quella di una rivelazione interna. Tra due coscienze,
delle quali rispetto alla mede¬ sima azione una ponga come obbligo il
fare e l’altra il non fare, il criterio di valutazione comparativa
non può esser dato dal carattere imperativo, che è comune ad ambedue, ma
deve essere un altro. Ed anche allora il criterio che serve alla
valu¬ tazione comparativa sarebbe esso in realtà quello da cui
dipende cosi la determinazione come la giu¬ stificazione delle
norme. l i. — Non resterebbe che riconoscere ja mede¬ sim a
autorità a tutte le rivelazion i. Il che importa l’una e l’altra di
queste conseguenze: o la asso¬ luta indifferenza del contenuto per
qualsiasi luogo -“ -- e tempo; o la limitazione a
determinate condizio ni storiche dell’autorità e del valore di
ciascuna. Se non si vuol accettare la prima (1), si pre¬
senta la domanda: Questa limitazione ha o non ha
Uva*» (1) Mi permetto di non fermarmi ad esaminare la tesi
della as¬ soluta indifferenza del contenuto. Sarebbe come sostenere nel
campo della terapeutica che ciò che importa nella ricetta è la firma
del — 152 — la sua
ragion di essere nelle condizioni storiche, dalla cui presenza è
circoscritta la sua validità? Se la limitazione non dipende da
queste condi¬ zioni, ma essa pure non ha altra ragione di es¬ sere
all’ infuori dell’ autorità o del carattere impe¬ rativo col quale hic et
nunc si presenta, allora si ammette che, astrazion l'atta da questo
carattere di obbligatorietà col quale una certa norma si pre¬ senta
in quel certo tempo e luogo, non vi sarebbe nessuna ragione di preferire
nelle stesse circostanze una norma ad un’ altra, cioè si giunge per un
al¬ tra via all’indifferenza del contenuto (1). Se poi questa
limitazione ha la sua ragione di essere nelle condizioni storiche stesse,
entro le quali è valida, cioè in una parola se__ò relativa a queste
condizioni, allora si ammette che sono queste condizioni il criterio
della limitazione ed è la corri¬ spondenza a queste condizioni storiche
il criterio della validità. Cioè si ammette che vi è qualche cosa
che dà alla norma il suo valore all’ infuori del- 1’ obbligazione e al
disopra dell’autorità obbligante, medico, e le prescrizioni di
qualunque genere si equivalgono 1’ una l’altra. E forse è ancor meno
manifestamente falso questo che quello. Non sarà però
inopportuno avvertire che ogni questione intorno al merito dell’ agente
rimane qui al tutto in disparte. (lT E lascio^ le difficoltà che
nascono dalla necessità di ammet¬ tere un’ altra rivelazione alla cui
autorità si possa ricondurre la limitazione in discorso.
— 153 — dal momento che esso serve anche a stabilire
i limiti entro i quali 1 autorità è riconosciuta come valida. Cioò
si viene a riconoscere ancora come 1’ ob¬ bligazione non possa essere un
dato sufficiente alla determinazione e valutazione delle norme, e
come per essa non solo non possa essere negata, ma venga confermata
la legittimità di una scienza nor¬ mativa morale. 15. —
Senoncliè a questo punto mi sento op¬ porre un nome, un gran nome: Kant.
Ma dunque non ^esiste la Morale Kantiana ? Non ricava egli dalla
volontà buona, dal dovere, dall’ osservanza della l egge perda legge, la
norma morale suprema, nella notissima formula, nella quale,
indipendente¬ mente da ogni particolare rivelazione storica, c
sopra ogni speciale contenuto materiale, si raccoglie tutto un sistema di
norme razionali ? E s e la sua morale è f m^gle. cessa perciò
di avere il suo valore, e sopratutto cessa di esistere, e, a
fortiori, di essere possibile? — Certamente a nessuno può venire in
mente di negare la possibilità di un sistema che ò esistito ed
esiste, e a me, forse meno che ad altri, di ne¬ garne il valore.
Così la grande costruzione razionale dei doveri dell’ uomo del
Kant, come la grande costruzione razionale dei diritti dell’ 'uomo che
piglia nome dalla Rivoluzione Francese sono ben lungi dal me¬
lo — 154 — VFDFfiF
sr & )\<é 4 i'MSSfat ri
tare il facije compatimento col quale parlano di astrazioni e di
formalismo certi fonografi della so- ciologia. Ma qui al
proposito nostro importerebbe vedere la costruzione razionale del Kant
sia fondata sul d ato dell’ obbligazione, co me pare , o non ni ut trist
o sulbesigenza dell' universalitaTche nKanTcrede bensì trovare
implicita nel concetto del dovere, ma v* /v T<
ì»-^uAtv\ 7 u-iC' che è invec e caratteristica dell’ ide
a_di ' » senza la quale ci può essere Yobbligo, ma non Yap- p
robazione interiore dell’obbligo, che è propria della ^ -y j coscienza
del dovere (1). Perchè i l concetto iÌT"degg e che serve al
Kant per passare dal dato del dovere all’esigenza dell’uni¬
versalità, non è un elemento contenuto nel dato stesso e che possa
esserne ricavato analiticamente, ma (L una sintesi nella qual e insieme
coll’obbliga- zioneè già assunta l’esigenza dell’universalità che
la giustifica. Ed è questa e sigenza dell’ universalit à, non
il dato dell’ obbligazione che fornisce al Kant il cri¬ terio
supremo della morale. Ma a ben chiarire questo punto — come,
anche nella morale kantiana, l’imperatività non sia un dato
sufficiente alla determinazione delle norme, e come in realtà venga
assunto non solo un criterio (1) Di questo argomento ho trattato di
proposito altrove. Cfr. Prolegomeni ecc. pp. 19-88. (
C* «M. ÀtydL* UO-rutL <.TKv tff» }rlv \ltj ’V- r ' P i* "
I"," I ]( Lo'h YcMufr Vvvt7 VX 0 u dU
'um^ìvc^ÌO p c -‘ — ‘Oi "
— 155 — non ricavato da
quella, ma implicitamente anche un certo contenuto — occorrerebbe
un’analisi assai meno sommaria; poiché non è questo un argomento da
sbrigarsi così alla lesta. Basti per ora non aver omesso 1’
accenno. IL FONDAMENTO
INTRINSECO DEL DIRITTO secondo I il Vanni
Il Fondamento Intrinseco del Diritto SECONDO IL VANNI
(*) -- Nota Critica - Il volume dal titolo « Lezioni
di Filosofìa del Diritto », la cui pubblicazione fu curata con
rive¬ rente pietà e con devota ammirazione dalla Vedova e da alcuni
tra i più valenti Discepoli poco dopo la morte immatura dell’Autore, è
forse tra gli scritti del Vanni quello in cui la sua dottrina ap¬
pare più compiutamente ordinata a sistema, e nel quale a un tempo si
rivelano felicemente congiunte le qualità dello scienziato e dell’insegnante;
e ve¬ ramente si può considerare come il testamento scientifico del
celebrato Maestro. Certo, qualunque giudizio porti sul fondamento e sulla
validità in¬ trinseca del sistema, nessuno può disconoscere la
larghezza e la profondità della coltura filosofica e giuridica, e la
chiarezza della trattazione; e sopra¬ tutto la sincerità e, direi, 1’
onestà scientifica che ò propria di chi medita e scrive per amore
disin¬ teressato del vero. (1) Icilio Vanni. — Lezioni di
Filosofia del Diritto — Bologna, Zanichelli, 1904.
La l'ilosofia del Diritto abbraccia, secondo il ^
tre ricerche : la ricerca critica ; la ricerca sintetica o lcnomenologia
giuridica ; e la ricerca deontologica. Nella prima egli
comprende non soltanto la de¬ terminazione dell’oggetto, dei metodi e dei
rapporti della filosofia del diritto colle scienze affini, ma anche
una indagine preliminare di critica gnoseo¬ logica. che il Groppa li
accordandosi col Fraga pane ritiene, a mio giudizio giustamente, estranea
al compito di questa disciplina. Giustamente, finché si intende che
la filosofia del diritto debba istituire una sua propria ricerca
gnoseologica ; ma non se si intende anche di negare la opportunità di
pre¬ mettere, come in fondo fa il Vanni in queste Le¬ zioni, quali
sono i presupposti gnoseologici accettati. Poiché ogni dottrina deve pur
assumerne, di una o d’altra speeie, esplicitamente o
implicitamente. Ed è bensì vero che essi si possono sottintendere e
si applicano di solito nelle ricerche speciali taci¬ tamente. Ma compito
del filosofo è appunto, come osservava il Rosmini, di c omprendere e fo
rmulare elii aramente quello che gli altri sottintendon o.
Del resto il fatto che il Vanni voglia prender le mosse da una v
alutazione critica sulla natura e al sapere giuridico, prova quanta
larghezza di pen¬ siero, e direi, di coscienza filosofica egli
portasse nelle sue ricerche, e con
quanto scrupolo sentisse l’obbligo di rendersi conto anche dei più
lontani e generali presupposti della sua dottrina. La seconda
ricerca si sdoppia in due parti : statica, che determina la nozione
logica del diritto, inducendola dell’analisi del diritto positivo dei
po¬ poli più progrediti, e similmente dello Stato; dina¬ mica
(genetica o storica) che studia la genesi e la formazione storica del
Diritto e dello Stato; e si potrebbe anche chiamare filosofìa della
storia del diritto. Alle quali due ricerche corrispondono le parti
II® e III® del volume. Finalmente la terza ricerca di carattere
etico o valutativo ha per oggetto il problema della Giu¬ stizia,
ossia del fondamento intrinseco e delle esi¬ genze razionali del diritto.
Questa, che costituisce la parte IV® ed ultima, ò senza dubbio la più
im¬ portante, perchè riguarda quello che è il problema centrale
della filosofìa del diritto; e nella cui so¬ luzione principalmente Si
manifesta la nota carat¬ teristica delle diverse dottrine. E la dottrina
del Vanni, benché l’indirizzo e. direi, la moda oggi prevalente la
consideri oltrepassata, merita di es¬ sere ricordata e discussa; perchè
mentre intende il compito della filosofia del diritto non soltanto
come storico-genetico, ma anche come normativo, (nel che si accorda
coll’ idealismo) si propone di assol¬ vere questo compito tenendosi nei
limiti d’una co- 16 2 — struzionc puramente
scientifica, ed escludendo ogni postulato di natura metafisica; nel che
consente col proposito, se non col metodo, dello storicismo c del
positivismo. Ora il difetto principale della sua dottrina, non
nasce, come può parere a prima vista, dalla pre¬ tesa e comunemente
ammessa inconciliabilità tra il compito normativo e la validità
scientifica ; chè anzi questo intendimento, chiaramente concepito e
tenacemente proseguito, di una costruzione nor¬ mativa scientifica del
diritto, è a mio giudizio, un alto titolo di merito; ma nasce
dall’essersi fermato, direi, a mezza via nel rilevare a quali
condizioni sia possibile una costruzione etico-giuridica che sod¬
disfaccia a un tempo ad ambedue le esigenze. La jiottrina del Vann
i, per quel che riguarda il fondamento intrinseco del diritto e il
metodo, si può considerare come una forma di quella che lo Spencer
ha propugnato e difeso col nome di utili¬ tarismo razionale: e infatti,
pur rilevando giusta¬ mente l’importanza e il valore del pensiero
del Romagnosi, egli la riconosce come il precedente più immediato e
più notevole della sua. Ma la trova erronea per tre rispetti ; perchè
ammette un diritto naturale; perchè pretende di costruire una norma
etico-giuridica assoluta ; e perchè
Analmente lo Spencer intende le condizioni di esistenza da cui le
norme devono essere dedotte, in un senso pura¬ mente biologico.
Principalmente su questo ultimo punto egli accentua il suo dissenso,
prendendo come base, non le condizioni dell’esistenza individuale e
la legge della sopravvivenza dei più adatti, ma le condizioni
dell’esistenza sociale. Il fondamento dell’ etica sta dunque nella
necessità per chi vive in società (e la socialità è la esigenza suprema
del- 1’esistenza umana) di uniformarsi alle condizioni ed alle
esigenze poste dallo stato sociale ; e l’etica dimostra intrinsecamente
necessarie quelle forme e quei modi di condotta che sono richiesti dalle
con¬ dizioni della vita in comune. Fra queste condizioni ve ne sono
alcune che hanno un’ importanza fon¬ damentale e primaria, in quanto
rappresentano l’indispensabile per la convivenza e la cooperazione;
e nell’osservanza delle quali consiste la giustizia. Ma poiché queste
potrebbero non essere spontanea¬ mente osservate, è necessario che le
azioni relative ad esse non restino abbandonate alla buona volontà
e alla spontaneità e che « con una norma di con¬ dotta irrefragabilmente
obbligatoria ed eventual¬ mente coattiva s’induca all’osservanza anche
il volere recalcitrante. Quindi in altri termini la ne¬ cessità del
diritto, il quale ci apparisce allora come una norma che ha da garantire
le condizioni fon- — 164 — (lamentali per
la coesistenza e la cooperazione umana. Cosi non soltanto l’Etica, ma
anche il Di¬ ritto viene ad avere un fondamento intrinseco, e viene
ad averlo anche lo Stato, il quale è indispen¬ sabile alla funzionalità
(tei Diritto » (pag. 314). Xon è necessario un lungo discorso per
vedere che quando il Vanni crede di fondare in questo modo F
esigenza razionale del diritto finisce per assumere in realtà come
presupposto il principio che egli vuole, e crede di dovere, derivare
apodit¬ ticamente, e al quale appunto è subordinato il va¬ lore di
necessità razionale assegnato alle norme ideali che devono servire di
modello e di criterio di valutazione. Infatti la relazione naturale e
ne¬ cessaria tra una certa condotta e certe condizioni, necessarie
alla loro volta alla convivenza e coope¬ razione sociale, serve bensì a
stabilire che quella condotta deve essere riconosciuta come un
mezzo necessario al fine di conservare e promuovere la convivenza e
la cooperazione sociale, posto che questo sia riconosciuto e voluto come
fine ; ma non vale a stabilire la necessità razionale di
riconoscerlo come fine; e fine precedente in valore e autorità ad
ogni altro. Il \ anni par che intenda superare la difficoltà
osservando che la necessità puramente naturale in quanto è pensata dalla
mente si trasforma appunto in una esigenza ed in una necessità razionale.
« Essa — 105 — allora
esprime un principio logico fondamentale, il principio di contraddizione
». Se in forza della na¬ tura stessa delle cose c dei rapporti causali, per
ottenere un certo fine è indispensabile un certo mezzo, e per raggiungere
un certo risultato è in¬ dispensabile un certo modo di condotta,
impliche¬ rebbe contraddizione che si potesse impiegare un mezzo
diverso o seguire una condotta diversa (p. 315). Ma ò facile
vedere 1’ equivoco. Contraddizione vi è certamente tra il pensare che una
condotta è indispensabile a raggiungere un certo fine e pen¬ sare
che questo stesso fine possa essere raggiunto con una condotta diversa ;
ma io non violo nes¬ sun principio logico e non sono punto in con¬
traddizione con me stesso se, ammettendo che un certo fine dipende da
certi mezzi, non voglio il fine e non voglio perciò neanche i
mezzi. E neppure vale il ricongiungere Vordine sociale all’
ordine cosmico, considerandolo come la forma più alta a cui riesce 'iì
processo della^ evoluzione universale. Perchè non si fa altro in questo
modo, che spostare il presupposto; cioè ammettere, an¬ cora e
sempre, che si riconosca valore di fine su¬ biremo a questo adattamento
all’ ordine cosmico. Il quale presupposto potrà o non potrà
venir legittimamente assunto come dato o postulato ; ma è e rimane
un presupposto. E perciò le norme ideali che se ne
deducono hanno questo valore di nonne nell’ ipotesi che si accetti come
fine supremo quel- P ordine di effetti dal quale sono dedotte.
« Ma rilevando cosi il carattere necessariamente
ipotetico della costruzione, alla quale riesce anche il « sistema delle
condizioni della vita in comune » del Vanni, io non intendo, anzi
escludo, che questo carattere ipotetico costituisca per sò un vizio
pro¬ prio di questa e di tutta una classe di costruzioni
etico-giuridiche, come pretende P idealismo metafì¬ sico. Il quale si
illude di poter esso sfuggire a questo carattere ipotetico riallacciando
quel tipo di convivenza e di relazioni sociali, che assume come
modello e in conformità al quale determina le norme ideali, a un fine di
natura metafìsica, che abbia perciò valore assoluto. Dove sono da notare,
sia detto di passata, due circostanze, a mio giudizio, decisive : Primo :
che le norme ideali sono pur sempre ricavate o dedotte, malgrado ogni
sforzo od ogni apparenza contraria, dal tipo sociale as¬ sunto come
modello, e non dal fine metafisico, della cui autorità e del cui valore
esso si riveste. Secondo: che il valore assoluto di questo fine
metafisico non può essere che assunto aneli’esso o come dato o come
postulato. La verità è semplicemente che un sistema di norme
giuridiche contempla di necessità un certo — i<;7
ordino di vita individuale e sociale; e che la va¬ lidità dello
norme dipende dal valore che si sup¬ pone riconosciuto a questo ordine di
vita. Questo riconoscimento di valore, questa valutazione del fine
è dunque il presupposto inevitabile della va¬ lidità etica del sistema
(la quale non esclude la va¬ lidità scientifica, ma non si esaurisce in
questa); e la questione si riduce a decidere se si pub o non si può
assumere legittimamente come dato o come postulato questo riconoscimento
del valore che nel sistema è assegnato al fine. Ora è nel
rispondere a questa questione, non nel carattere ipotetico, che si rivela
l’insufficienza del sistema del Vanni e dell’ indirizzo naturalistico
in genere; e alla quale del resto non riesce a sfug¬ gire neppure
l’indirizzo metafisico. Infatti una ri¬ sposta adeguata alla questione
esige che si deter¬ minino le condizioni richieste perchè a un
ordine di convivenza e di cooperazione si riconosca valore di fine
universalmente regolatore, valore, direi, (piuttosto che di summum bonum
) di primum de¬ siderabile ; ossia perchè si possa ammettere che
tutti i soci consentano liberamente nel valutarlo e vo¬ lerlo come
tale. E che si assuma poi, come modello per dedurne le norme ideali, il
tipo sociale che soddisfa a questa esigenza ; cioè il tipo sociale
con¬ figurato in conformità di quelle condizioni. Ma non è
rispondere alla questione il dimostrare la
naturalità della convivenza sociale in genere, o di un certo tipo che si
assuma volta a volta come modello. Questa dimostrazione può servire a
farmi trovar buona o giusta o desiderabile P osservanza dell’ordine
naturale, se io trovo già buono o giusto o degno di essere voluto, quel
tipo di vita sociale, cbe si presenta come suo effetto ; ma non
inversa¬ mente. E se, non trovandolo tale, mi rassegnassi a subirlo
per la coscienza della sua necessità natu¬ rale. chi potrebbe
legittimamente scambiare questo subire con un volere . e la rassegnazione
a un male con la aspirazione a un bene ? Nemmeno gioverebbe,
d’altra parte, il ricorrere a postulati metafisici. Posto che io non
riconosca l’ordine sociaie ideale contemplato da un sistema come
degno di essere voluto, in qual modo si può presumere legittimamente che
valga a farmelo ri¬ conoscere tale Vaffermazione (poiché qui di
dimo¬ strazione non si potrebbe parlare) che esso .ha un fondamento
o una giustificazione metafisica, se la ragione per la quale il sistema
gli assegna questo fondamento consiste appunto nel valore di fine
che esso gli attribuisce e cbe io, per ipotesi, non gli riconosco
? Ma il Vanni (per restringermi a lui. poiché al- 1
indirizzo metafisico non ho accennato qui se non per debito di sincerità
e di chiarezza) obietterebbe — 169 — con
tutta probabilità che per la via indicata come la sola legittima si
riesce a una costruzione pura¬ mente astratta, di un tipo utopistico di
società che non trova nella realtà storica nessuna corri¬
spondenza; e che si ricade nei difetti (ai quali ap¬ punto egli,
d’accordo in ciò con la scuola storica, s’ è proposto di sfuggire) o del
puro formalismo, o di un diritto assoluto valevole per tutto c
sempre, e senza riferimento possibile alla variabilità dei rapporti
sociali. Mentre riponendo, come egli fa, il fondamento
intrinseco del Diritto n ella conformità della co n¬ d otta alle
condizioni richieste dalla vita in comu ne, questo riferimento non solo
appare possibile ma inevitabile. Infatti, insiste egli nel rilevare, le con¬
dizioni della vita in comune non sfuggono al moto dell’ evoluzione e
della storia ; e se anche alcune hanno il carattere d’una certa
uniformità e co¬ stanza, altre invece variano correlativamente al
grado di sviluppo umano e alle forme di organiz¬ zazione sociale, e sono
proprie di ciascun grado e di ciascuna forma. Il che importa che debbono
va¬ riare corrispondentemente le norme regolatrici ; os¬ sia che
nell’applicazione « il sistema etico-giuridico fondato sulle condizioni
di esistenza va combinato col principio di evoluzione e subordinato al
criterio della relatività storica » (p. 318). Ora, lasciando
di rilevare come con questa su- / it
bordinazione si assuma sempre per presupposto che
l’osservanza delle condizioni richieste dal tipo so¬ ciale storicamente
dato, abbia, per il solo l'atto che la coscienza* ne riconosce la
necessità storica, anche valore di fine, importa notare come si venga
con ciò a rinunziare ad ogni valutazione comparativa delle diverse
forme storiche del diritto. Perchè una valutazione comparativa richiede
di necessità un criterio, il quale non può essere dato dalla corri¬
spondenza alle condizioni storiche. E se si prende un criterio diverso,
allora è la conformità a questo criterio e non la necessità storica, che
si assume come esigenza razionale o come giustificazione in¬
trinseca del diritto. È certo che se una costruzione
etico-giuridica per essere razionale dovesse rimanere sospesa, come
gli Dei d’Epicuro, tra cielo e terra, e fuori di ogni possibilità di
applicazione alla condotta in¬ dividuale e collettiva, bisognerebbe
accettare la tesi del fenomenismo, e negare alla filosofia del
diritto qualsiasi funzione pratica riconducendola nell’ am¬ bito
della pura sociologia. Ma esiste davvero questa incompatibilità?
E non potrebbe essa dipendere, invece che dalla ra¬ dicale
sterilità di una costruzione veramente ra¬ zionale (1), dalla
preoccupazione di giustificare eti- (1) Se, e a quali condizioni,
una tale costruzione sia possibile, è argomento del quale s 1 è già
discorso altrove e che non può es¬ sere toccato di sfuggita.
— 171 — camentc forme di diritto che non sono
eticamente giustificabili, di assumere come condizioni richieste
dalla giustizia e conformi ad essa certe condizioni, reali sì, e
storicamente date, ma che sono la nega¬ zione di quelle richieste dalle
esigenze ideali? Per¬ chè se fosse cosi, Ih conclusione da trarne
sarebbe non che la costruzione razionale ò inapplicabile come
criterio di valutazione e come modello nor¬ mativo, ma che, essendo le
condizioni reali diverse da quelle idealmente contemplate, le norme
ideali non possono essere applicate simpliciter a condizioni
diverse dalle supposte. Ma esse potranno, anzi do¬ vranno ugualmente servire
come criterio per de¬ terminare quale sia in un dato momento
storico la condotta sociale e individuale che, nei bifidi delle
esigenze reali necessariamente imposte dalle condizioni in effetto
esistenti, è più acconcia a favo¬ rire la trasformazione di queste nella
direzione se¬ gnata da qualle esigenze ideali, ossia tende ad at¬
tuarle. il che importa che le esigenze corrispondenti alle condizioni
proprie di un certo momento storico non siano assunte esse come esigenze razionali
del diritto, ma forniscano il criterio per stabilire entro quali
limiti sia possibile -tradurre in norme di di¬ ritto positivo le norme
ideali. Ossia in breve : l’esigenza razionale segna le
condizioni a cui deve soddisfare un ordino sociale perchè possa aver valore
di fine; la realtà storica 1
> Indice Generale 1. ° La
Dottrina delle Due Etiche di H. Spencer e la Morale
come Scienza .... Pag. 3 ' * • , 2. ° Per Una
Scienza Normativa Morale .„ 119 3. ° Il Fondamento
Intrinseco del Diritto secondo il Vanni 157Erminio
Volfango Francesco Juvalta. Herren von Juvalt. Juvalta. Keywords: implicature,
il metodo dell’economia pura nell’etica --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Juvalta on the categorical imperative,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689131181/in/photolist-2mLQdrQ-2mKbfaU-2mKAiSV
Grice e Labriola – implicature – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Cassino). Filosofo. Grice: “Labriola is good; he reminds me of pinko Oxford!” -- Essential
Italian philosopher -- Con particolari interessi nel campo del
marxismo. Nacque da Francesco Saverio, insegnante ginnasiale di lettere, e
da Francesca Ponari. Il padre, oriundo di Brienza, era nipote diretto di Pagano.
Si iscrisse alla facoltà di filosofia di Napoli, città nella quale la famiglia
si era trasferita. Qui studia con Vera e Spaventa, il cui appoggio gli procura un
posto di applicato di pubblica sicurezza nella segreteria del
prefetto. Scrive Una risposta alla prolusione di Zeller, un'opera in cui
osteggia il neokantismo contro ogni ipotesi di un ritorno a Kant. Rivendica
l'attualità dell'hegelismo. Conseguì il diploma di abilitazione e insegnò nel
ginnasio Principe Umberto di Napoli. Il suo saggio, premiato dall'Napoli, sull'”Origine
e natura delle passioni”: una significativa presa di distanze dall'idealismo in
favore del materialismo. Scrive “La dottrina di Socrate secondo Senofonte,
Platone ed Aristotele”, premiata dalla
Reale Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli. Consegue la libera
docenza in filosofia della storia e si mette in aspettativa in attesa di
ottenere un incarico nell'Università; scrive la dissertazione “Esposizione critica
della dottrina di G. B. Vico” e collabora con il giornale svizzero "Basler
Nachrichten", al quale invia corrispondenze politiche, al quotidiano
napoletano "Il Piccolo", fondato e diretto da Rocco De Zerbi, futuro
deputato e leader dell'Unione liberale, un gruppo politico al quale Labriola
aderisce. Entra anche nella redazione della "Gazzetta di Napoli" e,
nel febbraio 1872, in quella de L'Unità Nazionale, diretta da Ruggiero Bonghi,
al Monitore di Bologna e alla Nazione di Firenze, nella quale escono le sue dieci
Lettere napoletane. Si dichiara herbartiano in psicologia e in morale,
pubblicando a Napoli i saggi Della libertà morale, dedicata ad Arturo Graf e
Morale e religione. Trasferitosi a Roma, ove muore di difterite il figlio
Michelangelo, supera il concorso alla
cattedra di filosofia e pedagogia all'Roma. Pubblica il saggio
Dell'insegnamento della storia e l'anno dopo è direttore del Museo di
istruzione e di educazione: sono anni in cui Labriola mostra un particolare
impegno verso il miglioramento del livello professionale degli insegnanti e la
diffusione dell'istruzione di base della popolazione, inteso come primo passo
per una maggiore democrazia del paese. A questo scopo s'informa sugli
ordinamenti scolastici dei paesi europei: nel 1880 pubblica gli Appunti
sull'insegnamento secondario privato in altri Stati e nel 1881 l'Ordinamento
della scuola popolare in diversi paesi. Contemporaneamente Labriola abbandona
le convinzioni politiche di moderato liberalismo per approdare a posizioni
radicali: oltre alla lotta all'analfabetismo, auspica l'intervento dello Stato
nell'economia, una politica sociale di assistenza ai poveri, il suffragio
universale che permetta anche a candidati operai l'ingresso al Parlamento. Ottiene
la cattedra di filosofia della storia all'Roma e inizia un corso di storia del
socialismo. A seguito di notizie che danno imminente la stipula del Concordato
con il Vaticano, Labriola tiene all'Università la conferenza Della Chiesa e
dello Stato a proposito della conciliazione, considerando una minaccia per la
libertà di pensiero ogni accordo con la Chiesa, temendone l'ingerenza nella
vita pubblica italiana. Il quotidiano
romano La Tribuna pubblica una sua lettera in cui, tra l'altro, scrive di
essere «teoricamente socialista ed avversario esplicito delle dottrine cattoliche»
e nella conferenza Della scuola popolare, auspica l'abolizione dell'insegnamento
religioso. Sul giornale Il Messaggero, depreca l'uso della forza pubblica
contro le manifestazioni; tiene agli operai di Terni un discorso su Le idee
della democrazia e le presenti condizioni dell'Italia, in cui afferma di
impegnarsi personalmente in politica e dichiara di desiderare un «governo del
popolo mediante il popolo stesso» e la formazione di un grande partito popolare.
Scrive che «I parlamenti, come forma transitoria della vita democratica
d'origine borghese, spariranno col trionfo del proletario» e il 20 giugno tiene
nel Circolo operaio romano di studi sociali il discorso Del socialismo
commemorando la Comune di Parigi. Nell'ottobre Labriola saluta il
congresso della socialdemocrazia tedesca a Halle scrivendo che «Il proletariato
militante procederà sicuro sulla via che mena diritto alla socializzazione dei
mezzi di produzione ed l'abolizione del presente sistema di salariato, fidando
solo nei suoi propri mezzi e nelle sue proprie forze». Nel 1890 entra in
rapporto epistolare con Engels, che conoscerà a Zurigo, e con i maggiori
dirigenti socialisti europei, Kautsky, Liebknecht, Bebel, Lafargue, mentre
rimprovera a Filippo Turati, il più prestigioso leader socialista italiano e
direttore della rivista Critica sociale, superficialità teorica e
arrendevolezza nei confronti degli avversari politici. Vuole che il Partito
socialista, che deve nascere ufficialmente con il Congresso di Genova del 14
agosto 1892, sia un partito di operai e non di intellettuali positivisti
borghesi. Vede nei Fasci siciliani un concreto esempio di socialismo popolare e
rivoluzionario e lamenta che il marxismo non riesca a essere compreso in
Italia. Fa lezione sul Manifesto di Marx ed Engels e scrive a quest'ultimo,
di star facendo un nuovo corso «su la genesi del socialismo moderno» ma di non
riuscire a risolversi a scriverne un saggio per l'ignoranza su tanti «fatti,
persone, teorie, etc, che sono tante fasi, tanti momenti né sentiti né
conosciuti in Italia», come ribadisce a Victor Adler che «il marxismo non
piglia piede in Italia». Su sollecitazione del Sorel, scrive In memoria
del Manifesto dei comunisti, il primo dei suoi saggi sulla concezione
materialistica della storia, che esce in francese sulla rivista del Sorel, Le
Devenir social; lo spedisce a Engels in luglio, ricevendone le lodi. Anche il
giovane Croceche ne promuove la stampa in Italiane è influenzato tanto da
attraversare il suo pur breve periodo di adesione al marxismo. Nei due anni
successivi Labriola scrive altri due saggi, Del materialismo storico,
dilucidazione preliminare e Discorrendo di socialismo e di filosofia. È
sepolto presso il cimitero acattolico di Roma. Schematicamente, possiamo
suddividere il percorso filosofico e politico di Labriola in tre diversi
momenti: innanzitutto fu propugnatore dell'idealismo hegeliano (influenzato da
Bertrando Spaventa, del quale fu allievo a Napoli); successivamente, possiamo
distinguere una fase contrassegnata dal rifiuto dell'idealismo in nome del
realismo herbartiano, ed infine, il momento della maturità, in cui aderisce
pienamente al marxismo. L'approccio di Labriola al marxismo è influenzato
da Hegel e Herbart, per cui è più aperto dell'approccio di marxisti ortodossi
come Karl Kautsky. Egli vide il marxismo non come una schematizzazione
ideologica ed autonoma dalla storia, ma piuttosto come una filosofia
autosufficiente per capire la struttura economica della società e le conseguenti
relazioni umane. Era necessario aderire alla realtà sociale del proprio tempo
storico se il marxismo voleva considerare la complessità dei processi sociali e
la varietà di forze operanti nella storia. Il marxismo doveva essere inteso
come una teoria ‘critica', nel senso che esso non asserisce verità eterne ed
immutabili ed è pronto ad interpretare le contraddizioni sociali secondo le
diverse fasi storiche, avendo al centro della sua analisi il lavoro e le
condizioni dei lavoratori e dunque la concreta e materiale "prassi"
umana. La sua descrizione del marxismo come "filosofia della prassi"
verrà ripresa nei Quaderni dal carcere di Gramsci. In pedagogia Labriola
avvertì l'esigenza collettiva dei tempi nuovi, il bisogno di una scuola
popolare che servisse da reale tessuto connettivo dell'Italia post-unitaria,
una lotta dunque per la civiltà, mezzo e fine dell'evoluzione morale (e
complessiva) delle classi subalterne. Nella monografia Dell'insegnamento
della storia, del 1876, dedicata alle più importanti questioni della pedagogia
generale, Labriola aveva asserito la centralità dell'educazione alla socialità:
il metodo pedagogico doveva essere quello della ricerca critica e di dibattito
e di sperimentazione, unica via capace di condurre alla padronanza del pensiero
logico-razionale e in grado di formare personalità aperte alla ricerca e al
confronto (non a caso i primi studi di Labriola erano stati rivolti a Socrate e
al metodo socratico). Traducendo in un linguaggio pedagogico moderno, per
Labriola era necessaria un'attenzione maggiore ai prerequisiti logici piuttosto
che alla struttura interna disciplinare, che comunque va indagata attraverso
quella che egli chiama un'epigenesi analitica. Celebre fu una sua
conferenza tenuta nell'Aula Magna dell'Roma, discorso sollecitato dalla stessa Società
degli Insegnanti della capitale, che poi ne curò la pubblicazione in
opuscolo. Era necessario dare concretezza a piani di istituzioni
scolastiche entro le quali le didattiche si sviluppassero non da una deduzione della
teoria, ma come risultato di lotte politiche, di ideali sociali, di tradizioni
storiche, di condizioni ambientali. Per Labriola proprio l'azione dell'ambiente
storico sociale sugli uomini e la loro reazione ad esso costituiscono il tema
dell'educazione. Per cui « le idee non cascano dal cielo ». Il metodo deve
partire dalla prassi, dalla pratica e non dalle idee, dai principi
astratti. Il nucleo essenziale della pedagogia della « prassi » sta nella
percezione della connessione dell'opera educativa con le condizioni dello
sviluppo economico-sociale. Trockij conobbe «con entusiasmo» l'opera di
Labriola nel 1898, quand'era detenuto nel carcere di Odessa. Egli scrive nelle
sue memorie che «come pochi scrittori latini, Labriola possedeva la dialettica
materialistica, se non nella politica, dov'era impacciato, certo nel campo
della filosofia della storia. Sotto quel dilettantismo brillante c'era vera
profondità. Labriola liquida egregiamente la teoria dei fattori molteplici che
popolano l'olimpo della storia guidando di lassù i nostri destini». Trockij
aggiunge che dopo 30 anni continuava a rimanergli in mente «il ritornello Le
idee non cascano dal cielo». Opere Una risposta alla prolusione di Zeller,
Origine e natura delle passioni secondo l’Etica di Spinoza, La dottrina di
Socrate secondo Senofonte, Platone ed Aristotele, Napoli, Stamperia della Regia
Università, Della libertà morale,
Napoli, Tipografia Ferrante-Strada, Morale e religione, Napoli, Tipografia
Ferrante, Dell'insegnamento della storia. Studio pedagogico, Roma, Loescher, L'ordinamento
della scuola popolare in diversi paesi. Note, Roma, Tip. eredi Botta, I problemi della filosofia della storia.
Prelezione letta nella Roma, Roma, Loescher, 1Della scuola popolare. Conferenza
tenuta nell'aula magna della Università, Roma, Fratelli Centenari, Al comitato
per la commemorazione di G. Bruno in Pisa. Lettera, Roma, Aldina,Del
socialismo. Conferenza, Roma, Perino, Proletariato e radicali. Lettera ad
Ettore Socci a proposito del Congresso democratico, Roma, La cooperativa, Saggi intorno alla concezione materialistica
della storia I, In memoria del manifesto dei comunisti, Roma, Loescher, Del
materialismo storico. Dilucidazione preliminare, Roma, Loescher, Discorrendo di
socialismo e di filosofia. Lettere a G. Sorel, Roma, Loescher, B. Croce, Bari,
Laterza, Da un secolo all'altro.
Considerazioni retrospettive e presagi, Bologna, Cappelli, L'università e la
libertà della scienza, Napoli, Tipi Veraldi, A proposito della crisi del
marxismo, in "Rivista italiana di sociologia", Scritti varii editi e
inediti di filosofia e politica, raccolti e pubblicati da Benedetto Croce,
Bari, Laterza, Socrate, Benedetto Croce, Bari, Laterza, La concezione
materialistica della storia, con un'aggiunta di B. Croce sulla critica del
marxismo in Italia, Bari, Laterza, re prelezioni sulla storia e il materialismo
storico; In memoria del Manifesto dei comunisti, Brescia, Studio Editoriale
Vivi, Lettere a Engels, Roma, Rinascita, Democrazia e socialismo in Italia,
Milano, Cooperativa del libro popolare, Opere, Luigi Dal Pane, I, Scritti e
appunti su Zeller e su Spinoza, Milano, Feltrinelli, La dottrina di Socrate
secondo Senofonte, Platone ed Aristotele, Milano, Feltrinelli, Ricerche sul
problema della libertà e altri scritti di filosofia, Milano, Feltrinelli, Scritti
di pedagogia e di politica scolastica, Dina Bertoni Jovine, Roma, Editori
Riuniti, Saggi sul materialismo storico, Valentino Gerratana e Augusto Guerra,
Roma, Editori Riuniti, introduzione e cura di Antonio A. Santucci, Il
materialismo storico, antologia sistematica Carlo Poni, Firenze, Le Monnier, Pedagogia
e società. Antologia degli scritti educativi, scelta e introduzioni di Demiro
Marchi, Firenze, La nuova Italia,Scritti politici. Valentino Gerratana, Bari,
Laterza, Opere, Franco Sbarberi, Napoli, Rossi, Scritti filosofici e politici, Franco
Sbarberi, Torino, Einaudi, Lettere a Benedetto Croce. Napoli, Istituto italiano
per gli studi storici, Dal secolo XIX al secolo XX. Dall'era della concorrenza
al monopolio. Nascita e lotte del socialismo. IV saggio, incompiuto, della
concezione materialistica della storia, Lecce, Milella, Scritti liberali, Bari,
De Donato, Scritti pedagogici, Nicola Siciliani De Cumis, Torino, POMBA, Epistolario
Roma, Editori Riuniti, Roma, Editori Riuniti, Roma, Editori Riuniti, Lettere inedite. Roma, Istituto storico
italiano per l'età moderna e contemporanea, La politica italiana Corrispondenze
alle “Basler Nachrichten”, a cura e con introduzione di Stefano Miccolis,
Napoli, Bibliopolis, Del materialismo storico e altri scritti, Milano, M&B
Publishing, Del socialismo e altri scritti politici, Milano, UNICOPLI, Giordano
Bruno. Scritti editi e inediti Napoli, Bibliopolis, Fra Dolcino, Pisa, Edizioni
della Normale,. Tutti gli scritti
filosofici e di teoria dell'educazione, Milano, Bompiani Il pensiero occidentale,.
Edizione nazionale La casa editrice Bibliopolis ha in corso di pubblicazione
l'edizione nazionale delle opere di Antonio Labriola, istituita con decreto del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Tra Hegel e Spinoza. Scritti, A.Savorelli
e A. Zanardo, Bibliopolis, I problemi della filosofia della storia e recensioni
G. Cacciatore e M. Martirano, Bibliopolis, Da un secolo all'altro. Stefano
Miccolis e Alessandro Savorelli, Bibliopolis,. Copia archiviata, su
archividifamiglia-sapienza.beniculturali. L. Trotzkij, La mia vita,Carlo
Fiorilli, Antonio Labriola. Ricordi di giovinezza, in «Nuova Antologia», Giuseppe
Berti, Per uno studio della vita e del pensiero di Antonio Labriola, Roma, Ernesto
Ragionieri, Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani: Milano, Luigi
Cortesi, La costituzione del Partito socialista italiano, Milano, Sergio Neri,
Antonio Labriola educatore e pedagogista, Modena, 1968. Luigi Dal Pane, Antonio
Labriola, la vita e il pensiero, Bologna, Demiro Marchi, La pedagogia di
Antonio Labriola, Firenze, Luigi Dal Pane, Antonio Labriola nella politica e
nella cultura italiana, Torino, Stefano Poggi, Antonio Labriola. Herbartismo e
scienze dello spirito alle origini del marxismo italiano, Milano, Giuseppe
Trebisacce, Marxismo e educazione in Antonio Labriola, Roma, Filippo Turati,
Socialismo e riformismo nella storia d'Italia. Scritti politici, Milano, 1979.
Nicola Siciliani de Cumis, Scritti liberali, Bari, Stefano Poggi, Introduzione
a Labriola, Roma-Bari, Beatrice Centi, Antonio Labriola. Dalla filosofia di
Herbart al materialismo storico, Bari, Franco Livorsi, Turati. Cinquant'anni di
socialismo italiano, Milano, Franco Sbarberi, Ordinamento politico e società
nel marxismo di Antonio Labriola, Milano, Antonio Areddu, Sulle lettere di
Antonio Labriola a Benedetto Croce, Firenze, Renzo Martinelli, Antonio
Labriola, Roma, Antonio Areddu, A. Labriola e B. Croce nelle vicende del marxismo
teorico italiano, in “Behemoth”,Antonio Areddu, A. Labriola e B. Croce nelle
vicende del marxismo teorico italiano, in “Behemoth”, X, Luca Michelini,
"Antonio Labriola e la scienza economica. Marxismo e marginalismo",
in "Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale M. Guidi e L. Michelini, Annali della
Fondazione Feltrinelli, Milano, Alberto Burgio, Antonio Labriola nella storia e
nella cultura della nuova Italia, Macerata, Antonio Areddu, Il pensiero di A.
Labriola, "Il Cronista", Antonio Labriola e la sua Università. Mostra
documentaria per i Settecento anni della “Sapienza” A cento anni dalla morte di
Antonio Labriola, Nicola Siciliani de Cumis, Roma, Nicola D'Antuono, Saggio
introduttivo e commento a A. Labriola, Discorrendo di socialismo e filosofia,
Bologna, Nicola Siciliani de Cumis, Antonio Labriola e «La Sapienza». Tra testi,
contesti, pretesti, con la collaborazione di A. Sanzo e D. Scalzo, Roma, 2007.
Stefano Miccolis, Antonio Labriola. Saggi per una biografia politica,
Alessandro Savorelli e Stefania Miccolis, Milano,. Nicola Siciliani de Cumis,
Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d'archivio, ricerche, didattica,
Postfazione di G. Mastroianni, Pisa,. Alessandro Sanzo, Studi su Antonio
Labriola e il Museo d'Istruzione e di educazione, Roma,, Alessandro Sanzo, L'opera pedagogico-museale
di Antonio Labriola. Carte d'archivio e prospettive euristiche, Roma, Pietro
Mandré. Antonio Labriola, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana,. Antonio Labriola, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Antonio Labriola, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Antonio Labriola, su Liber
Liber. Opere di Antonio Labriola, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Antonio Labriola,. Opere di Antonio
Labriola, su Progetto Gutenberg.
L'Archivio Antonio Labriola, su marxists.org. Alberto Burgio, Antonio
Labriola, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Roma. La personalità storica di
Socrate I. Socrate o gli Ateniesi pag. 1-10. —II. Educazione e svi- luppo della
coscienza di Socrate pag. 10-20. — III. Carattere di Socrate pag. 20-22.
—Osservazioni su le fonti, pag. 22-23. II. —Orizzonte delia coscienza socratica
I. Posizione di Socrate nella storia della religione greca pag. 25-33. —II.
Elementi della coscienza di Socrate pag. 33-30. III. —Del valore filosofico di
Socrate I. Formalismo logico pag. 40-43. — II. Determinazione del valore del
formalismo logico pag. 43-46. —Osservazioni —1) Li- mitazione del sapere umano
pag. 46-47. — 2) Socrate e i Solisti pag. 48-52. —Pretesa soggettività di
Socrate pag. 52-54. — 4) Preteso misticismo di Socrate pag. 54-55. IV. —Del
metodo di Socrate I. Presupposti storici e psicologici pag. 58-60. — II. Motivo
e sviluppo del metodo socratico pag. 60-67. — Osservazioni.— 1) Imprecisione
formale del metodo socratico pag. 68-70. — 2) Della differenza fra
rappresentazione e concetto, e del prin- cipio d'identità pag. 71-72. pag. 1-
23 V. — Dell' etica socratica in generale, e del concetto del bene . . •
Osservazioni pag. 80-82. VI. — Conoscere e volere I. Equazione fra volere c
sapere (ptù&i cautdv) pag. 85-89. — II. Fondamento della pedagogia
socratica pag. 89-92. * » » 24- 30 37- 55 56- 72 73- 82 83- 92 VII.
— Le forme concrete della vita elica È Socrale un riformatore? pag. 93-98. — I.
L’individuo e le sue relazioni domC5tiche pag. 08-103. — II. L’ individuo e lo
stato pag. 104-108. Vili. —Delle virtù Generalità pag. 109-112. — I. Il
concetto delle virtù nell'o- rizzonte socratico pag. 112-113. — II.
Identificazione della virtù e del sapere. Ignoranza degli elementi naturali
pag. 117-119. IX. — Di nuovo del bene, della felicità c del sapere I. Del bone
pag. 121-120. — IL Della felicità pag. 12G-127. — III. Del sapere pag. 127-129.
X. —Della Divinila e dell’anima umana nell’orizzonte socratico . I. Il Concetto
della Divinità png. 181-138. — IL II concetto dell’ anima pag. 138-140. XI. —
Riepilogo e conclusione La personalità storica di Socrate. . . 1-42
I. Socrate e gli Ateniesi pag. 3-18. — II. Educazione e sviluppo
della coscienza di Socrate pag. 18-86. — III. Carattere di Socrate
pag. 37-39. — Osservazioni su le fonti pag. 40-42. II. —
Orizzonte della coscienza socratica . . 43-68 I. Posizione di
Socrate nella storia della religione greca pag. 47-62. — II.
Elementi della coscienza di Socrate pag. 62-68. II r. — Del valore
filosofico di Socrate. . . 69-104 I. Formalismo logico pag. 77-82.
— II. Determinazione del valore del forma- lismo logico pag. 83-88.
— Osservazioni — i) Limitazione del sapere umano pag. 88- 90. — 2)
Socrate e i Sofisti. Pretesa soggettività di Socrate pag. 98- 102. — 4)
Preteso misticismo di Socrate pag. 103-104. IV. — Del metodo di
Socrate 105-135 I. Presupposti storici e psicologici pa- gine
111-115. — II. Motivo e sviluppo del metodo socratico pag. 115-127. —
Osser- vazioni. — i) Imprecisione formale del metodo socratico pag.
127-133. — 2) Della differenza fra rappresentazione e concetto,
p^^- e del principio d'identità pag. 133-135. V. — Dell'etica
socratica i?i generale, e del concetto del bene 137-156
Osservazioni pag. 153-156. VI. — Conoscere e volere
157-176 I. Equazione fra volere e sapere (yvttjtì-t. aauxóv)
pag. 163-171. — II. Fondamento della pedagogia socratica pag.
171-176. VII. — Le forme concrete della vita etica . 177-206
È Socrate un riformatore? pag. 179-189. I. L'individuo e le sue
relazioni dome- stiche pag. 189-198. — II. L'individuo e lo Stato
pag. 198-206. VIII. — Delle viriti 207-226 Generalità
pag. 209-215. — I. Il concetto delle virtù nell'orizzonte socratico p.
215- 217. — II. Identificazione della virtù e del sapere pag.
217-223. — III. Igno- ranza degli elementi naturali pag. 223-226.
IX. — Di nuovo del bene, della felicità e del sapere ...
227-246 I. Del bene pag. 230-239. — II. Della felicità pag.
239-242. — III. Del sapere pag. 242-246. X. — Della Divinità
e dell'anima umana nel- l'orizzonte socratico 247-267
I. Il Concetto della Divinità pag. 251- 263. — II. Il concetto
dell'anima pa- gine 263-267. XI. — Riepilogo e conchcsione
269-279 Formalismo logico. Senofonte e Platone (') mettono in bocca
agl'interlocutori di Socrate questa notevole accusa, ch'egli solesse ripeter
sempre le me- desime cose, e sempre nel medesimo modo, interrompendo il libero
corso all'esposizione dell'avversario. Socrate in fatti non sapea esprimere il
suo pensiero in un discorso con- cepito in forma oratoria, alla maniera di Gor-
gia e di Protagora suoi interlocutori, né potea vagare in tutto il campo dello
scibile come Ippia il polistore, o adattarsi alla maniera sdegnosa e virulenta
di Callide e Trasimaco: una certa innata sobrietà di spirito, ed una
moderazione a tutta pruova, che era divenuta natura, lo conteneano in certi
limiti costanti, ai quali egli cercava ridurre i suoi uditori ('). Questo fare
era monotono, ed avea l'aria di pedanteria: tanto più, perchè rinunziare al
mezzo tanto potente della persuasione ora- (i) Sen. Meni. IV, 4, 6. Plat. Gorg.
p. 490 E. (2) Lo Strùmpell fa rilevare molto vivamente la differenza che correa
fra i Sofisti e Socrate, nell'uso del ragionamento formale; vedi in generale
op. cit., cap. II, pp. 72-115. 78 SOCRATE toria non potea non
sembrar cosa strana in una democrazia, dove tutte le pubbliche fac- cende
dipendeano dall'arte della parola. Ma tornava forse Socrate di continuo
all'afferma- zione di questa o quella massima morale, per ripeterla ogni
istante, ed improntarla nell'ani- mo degli uditori ? (') Era egli forse un
mora- lista bello e compiuto, che catechizza e pre- dica; o tenea forse in
serbo uno schema logico, che andava applicando ad ogni sorta di qui- stioni ?
Nulla di tutto ciò. Il suo discorso ca- dea sopra oggetti disparatissimi, e
quali l'oc- casione prossima li venisse offrendo: nessuno studio nella scelta
degli argomenti potea di- sporre il suo animo alla ripetizione monotona delle
medesime cose, né dalla sua occupazione dialogica risultò mai un complesso di
pronun- ziati, che prendessero forma di massime e di precetti. Le condizioni
stesse della coltura etica ed artistica non consentiano, che a quel tempo si
potesse apprendere, come avvenne (i) Lo Zeller ha molto bene criticata
l'opinione or- dinaria, che fa di Socrate un moralista popolare, op. cit., voi.
II, p. 73; ma noi non ci accordiamo con lui nella determinazione del valore
filosofico del dialogo socra- tico; la qual cosa abbiamo voluto dire qui recisamente,
per evitare ogni ulteriore polemica. più tardi, le relazioni morali
nell'astratta uni- versalità della massima, o formulare netta- mente una
esigenza logica; tanto è vero, che i discepoli o seguaci che voglia dirsi di
Socrate ebbero più a sviluppare, ciascuno per proprio conto, i pfermi che avean
raccolto dalle acci- dentali conversazioni del maestro, che a di- scutere sul
valore positivo di questo o quel principio ('). Quella monotonia notata dagli
avversari non concerneva che l'esigenza della formale evidenza e certezza del
discorso; ed era quindi l'intenzionale ritorno ai medesimi presuppo- sti, nel
lato formale d'ogni quistione. Ma questo formalismo non apparisce ancora in
Socrate come già isolato, e distinto dall'og- getto della ricerca, e come
presente alla co- scienza del filosofo per sé ed obbiettivamente; perchè agisce
solo come reale esigenza di • (i) Vedi su questo punto Hermann: Gescìiichte
ecc., p. 257 e seg.; e lo stesso autore Prof. Ritler's Dar- stellung der
sokratischeti Systeme, Heidelberg, 1833. Hegel è stato uno dei primi a
riconoscere l'importanza delle scuole socratiche per la determinazione del
prin- cipio filosofico di Socrate, op. cit., voi. II, p. 105 e seg., e cfr.
Biese: Die Philosophie des Aristoicles, voi. I, p. 28 e seg. 8o
SOCRATE colui, che ragionando avverte per la prima volta, che il ragionamento
dev'essere conse- guente, fondato ed evidente. La maniera corretta e cosciente
del ragio- nare è nella nostra coltura filosofica cosa troppo ovvia, e la nostra
educazione ci for- nisce ben presto dello schema logico della definizione,
della pruova ecc., in guisa, che possiamo al tempo stesso indurre, dedurre, ed
argomentare perfettamente, ed aver co- scienza della forma logica per sé
stessa, e studiarla nei suoi caratteri e nel suo valore : ma tutto ciò era
allora impossibile. In So- crate l'esigenza del sapere esatto e formal- mente
corretto è ancora un semplice atto di personale energia, un bisogno intrinseco
di certezza e di acquiescenza alla normalità di una opinione chiaramente
concepita, un la- voro che si compie per la necessaria coeffi- cienza dei vari
elementi etici della coltura e della tradizione, e non può ancora presen- tarsi
allo spirito come un dato di estrinseca evidenza. Se noi ci sforziamo per poco
di rappre- sentarci il mondo, secondo l'immagine, che la coscienza anche più
colta dei contempo- ranei di Socrate ne avea espressa nella storia, nella
poesia, nelle leggende, nelle mas- sime e nei detti dei sapienti; e se
guardiamo poi quanta differenza corra da quella pienezza ed inconsapevolezza d'
intuizione, alle aporie della ricerca, solo allora intendiamo quanta profondità
filosofica fosse nelle ricerche di Socrate, e la parsimonia stessa dei mezzi da
lui adoperati diverrà più degna di ammira- zione, perchè è pruova evidente
della ener- gia, con la quale egli seppe avvertire la ne- cessità di correggere
ad una stregua costante tutte le incertezze della conoscenza ordina- ria, e
fermarsi poi ed insistere tutta la vita nel criterio acquistato. I presupposti logici,
ai quali tutte le qui- stioni del dialogo socratico sono riducibili, consistono
nella epagoge e nella definizione; e noi cercheremo in séguito di esporre il
modo, come queste due funzioni si sono spie- gate in quell'orizzonte
scientifico che Socrate s'era tracciato. Per ora basterà aver notato, come
questa è la prima volta che nello spi- rito umano si sia fatto palese il
bisogno, che prima di determinare la natura, il fine, ed il valore degli
oggetti, bisogna acquistare una coscienza precisa ed inalterabile delle condi-
zioni in cui deve trovarsi la conoscenza, per- Labriola — Socrate.
!Hl<^3 82 SOCRATE che possa dirsi certa ed evidente. Tutto
quello che la speculazione posteriore ha strettamente designato come elemento
logico del sapere, e che ha cercato successivamente di sceve- rare dalla natura
immediata e dalle condi- zioni incerte e fluttuanti del soggetto pen- sante,
apparisce nella sfera della ricerca so- cratica come qualcosa di affatto
connaturato con le esigenze pratiche di colui che ricer- cava; e senza isolarsi
dai motivi che l'aveano praticamente prodotto, acquistò un grado di sufficiente
evidenza nella coscienza, tanto da rimanere, non solo principio efficace in So-
crate, ma costante centro ed impulso di ogni posteriore attività scientifica
('). (i) Indem die Philosophie des Sokrates kein Zuriick- ziehen aus dem Dasein
und der Gegenwart in die freien reinen Regionen des Gedankens, sondern aus
einem Stucke mit seineni I-eben ist, so schreitet sie nicht zu einem Systeme
fort etc. Hegel, op. cit., p. 51. Da questo e da altri luoghi può scorgersi,
come Hegel avesse un concetto più schietto della filosofia socratica, di quello
che hanno formulato molti scrittori posteriori, non escluso lo Zeller; il
quale, sebbene dica di non volerlo, parla sempre in una maniera troppo astratta
del principio del sapere, e ricade nell'errore di Schleier- macher e di
Brandis. Determinazione del valore del formalismo logico La
caratteristica, che noi abbiamo data dell'attività filosofica di Socrate in
generale, pare risponda a quello che già s'è detto da altri; e che non serva se
non a rifermare un'opinione corrente, secondo la quale So- crate sarebbe stato
il primo che avesse avuta una chiara coscienza del valore del sapere ('). Si è,
infatti, detto più volte, che l'idea del sapere sia la scoverta di Socrate, e
che ces- sando per opera sua la esclusiva ricerca del mondo naturale, la
filosofia fosse divenuta la scienza dell'idea, del soggetto, dello spi- rito e
così via (^). Senza la pretensione della novità, noi riteniamo per erronee una
gran parte di quelle caratteristiche; e perchè at- tribuiscono a Socrate una
consapevolezza maggiore di quella ch'egli s'avesse, e perchè devono poi fare
molte congetture per spiegare ed intendere la natura dell'etica socratica. Ba-
(i) Per es. Schleiermacher, op. cit. p. 300. , (2) La forma più esagerata è
quella del Ròtscher, il quale parla di Socrate come d'un filosofo moderno, op.
cit., passim. 84 SOCRATE sterà notare solo questo, che partendosi
dalla supposizione, che Socrate avesse avuto co- scienza del sapere preso per
sé stesso, come forma o attività in generale, non solo si cade
nell'inconveniente di non poter trovare un solo luogo di Senofonte che confermi
questa opi- nione, ma si è poi obbligati a fare una qui- stione oziosa su la
natura empirica o a priori del sapere socratico, che non c'è motivo al mondo
per proporsela; e, in ultimo, si è poi costretti a ritenere, che Socrate abbia
in virtù di una scelta, e per certe ragioni teoretiche, limitato le sue
ricerche all'etica ('); mentre la repugnanza contro le indagini naturali deve
in lui ammettersi, non come un risultato dei criteri logici che applicava, ma
invece come una prima e semplice esigenza delle sue con- vinzioni religiose.
Abbiamo invero detto, che il valore filo- sofico di Socrate consiste nella
esigenza di un sapere normale e certo; ma la forma li- mitativa, con la quale
abbiamo espressa que- sta opinione, esclude di fatto tutte le caratte- ristiche
alle quali può in apparenza sembrare (i) Vedi specialmente il Bòhringer, op.
cit., p. 2 e seg. che ci avviciniamo. Che il sapere figuri allora per la
prima volta come una potenza deter- minata, e serva a correggere l'opinione e
la tradizione, ed a condurre come norma sicura la ricerca del filosofo in tutte
le complica- zioni e le incertezze del dialogo, ciò non vuol dire, che il
concetto del sapere abbia rag- giunta una tale importanza ed obbiettività, da
segnare esso stesso il termine e lo scopo della ricerca. E quando in fine, dal
confi-onto di Socrate coi precedenti tentativi filosofici si vuole arguire la
consapevolezza che egli ha potuto raggiungere della sua posizione storica ('),
si viene a confondere due ordini di criteri del tutto diversi perchè dal giu- ;
dizio che noi riportiamo su la importanza di una personalità storica, non può
indursi qual grado di consapevolezza quella persona stessa abbia raggiunto. Il
valore filosofico di Socrate sta in rela- zióne diretta con l'orizzonte della
sua co- (i) L'Alberti specialmente fa di Socrate un filosofo dotato di una piena
coscienza del proprio valore sto- rico; e non potea evitare un simile errore,
dal momento che s'era proposto di seguire il dialogo platonico come un
documento biografico; vedi op. cit., p, 13 e seg. 86 SOCRATE
scienza; nel quale noi abbiamo rinvenuti mo- tivi di natura più immediata, più
complessa, e più personale di quelli che conducono esclu- sivamente alla
conoscenza speculativa. Questa determinazione intrinseca della sua attività ci
fornisce ora di mezzi sufficienti, per rifare indirettamente, e mediante la
congettura, il processo genetico della sua coscienza filoso- fica, che è stato
impossibile d'intendere su la semplice testimonianza delle fonti storiche.
Socrate non occupa immediatamente un posto nella storia della filosofia, mercè
l'ac- cettazione o la critica di una tradizione teo- retica; e per questa
ragione stessa non arrivò all'affermazione astratta del principio logico della
certezza, come regolativo della ricerca e correttivo del conoscere comune ed
incon- sapevole. Le condizioni speciali del suo ca- rattere lo aveano
predisposto a sentire prò-, fondamente il bisogno di una religione intima e
depurata dalle esteriorità della tradizione; e di una certezza etica che lo
tenesse libero dalle fluttuazioni dei momentanei interessi e delle opinioni
correnti: e quella naturale pre- disposizione toccò il suo soddisfacimento in
un concetto della divinità, che riconosceva insiememente la bellezza ed armonia
del mondo, e la libertà umana come predeter- minata al bene. La costanza,
la fermezza d'animo, il naturale sentimento del giusto, la morale certezza
della inalterabilità della legge, la perpetua acquiescenza al corso delle cose
perchè riconosciuto provvidenziale, — tutte queste tendenze sollecitarono la
sua in- telligenza, predisposta alla riflessione, a cer- care una norma
costante dei giudizi, e tro- vatala egli persistette ad applicarla come stregua
alla condotta morale sua propria, e dei suoi concittadini. E scorgendo egli,
che il materiale delle opinioni e dei giudizi etici, qual era raccolto nella
lingua e nella tradi- zione ed espresso nella coscienza politica dei
contemporanei, se a prima vista potea avere il suo fondamento nelle costanti
con- dizioni della natura umana, non corrispondeva sempre a quel grado di
consapevolezza, che le sue abitudini riflessive gli aveano reso connaturale, il
bisogno di fare entrare nel- l'animo altrui l'intimità e lo spirito di con-
seguenza lo fece divenire maestro di morale, ed educatore della gioventù. In
questa nostra maniera d'intendere l'at- tività filosofica di Socrate trovano un
posto na- turale alcune opinioni, che incontestabilmente 88 SOCRATE
gli appartengono, e che altrimenti non sa- rebbero spiegabili ; ed, oltre a
ciò, molte quistioni, che si son sollevate su la dottrina socratica, rimansfono
escluse di fatto. Tocche- remo alcuni di questi punti. Nel concetto che
Socrate s'era fatto dello Stato apparisce, più vivamente che in qua- lunque
altra delle sue definizioni, il contrasto (i) Meni., II, 4, 6 e seg.; id., 6,
21-29. (2) Vedi il Jacobs, Vermischte Schrifteii, voi. II, p. 251: Jene Sitte
enthalt ebeti so, wie die Liebe zum andern Geschlechte, alle Elèmente des
Edelsten und des Nichtswiirdigsten, des Lasters, des Besten und des
Schlechtesten in sich. che correa
fra la novità delle sue filosofiche esiorenze e la naturale tendenza alla
conser- vazione delle sostanziali relazioni della vita etica, che in lui era
sussidiata dal convinci- mento religioso e da una profonda abnega- zione. Il
principio normativo della consape- volezza non gli consentiva di ammettere che
la potenza, o il dritto ereditario, o la scelta del popolo mediante i voti
potessero costi- tuire la capacità dell'individuo a trattare le faccende dello
Stato ('). Solo la piena coscienza della propria capacità e la speciale cono-
scenza delle faccende da trattare possono e devono invogliare l'individuo ad
una legit- tima ambizione politica (^); e questa diviene per sé stessa un
dovere, quando è sorretta dal fermo convincimento, che l'attitudine e la
specifica intelligenza dell'individuo rispondono alle normali esigenze della
vita politica. Al- l'attuazione pratica di questa massima solea Socrate
disporre i suoi uditori, sviluppando nel loro animo il bisogno di acquistare
una chiara e perfetta notizia degli obblighi spe- (i) Mem., Ili, 5, 21 e 9, io;
e cfr. ibid., I, 2, 9; e Plat. Apol., 31, E. (2) Mem., Ili, 6; e IV, 2, 6 e
seg. SOCRATE ciali che spettano a questo o a quello fra gli
amministratori dello Stato, e riassumeva tutta la sua politica nel principio
che solo chi sa deve e può fare, ossia che il potere sta nel sapere.
L'importanza di questa massima in- novatrice ci fa apparire l'attività
socratica in una manifesta opposizione con tutti i concetti tradizionali della
politica greca, perchè, in virtù di essa, il dritto ereditario della monar-
chia e dell'aristocrazia, ed il concetto demo- cratico della maoraioranza erano
recisi nella loro radice e subordinati alla necessità di una generale
rettificazione di tutte le forme sociali dal punto di vista della consapevo-
lezza. Ma pur nondimeno la cosa non andava tant'oltre, e noi non sappiamo
scorgere in tutto questo l'esigenza o il presentimento di una radicale riforma
dello Stato, o, come altri ha detto, di una teoria sociale fondata sul
principio della conoscenza esatta. Il sa- pere, di cui parlava Socrate, non era
qualcosa di distinto dalla conoscenza empirica dei vari rami della pubblica
amministrazione, e non era costituito in un insieme di teorie univer- sali e
scientifiche. Egli non potea quindi, come più tardi fece Platone, ideare la
costituzione di uno Stato, in cui la coordinazione e subordinazione delle sfere
sociali fossero determi- nate dal concetto psicologico della gradazione della
conoscenza. Il suo concetto non ha co- lorito e carattere esclusivo di una
tendenza filosofica, che voglia imporsi alle pratiche esi- genze della vita per
regolarle a sua posta; ma rimane subordinato alla varietà estrinseca delle
sfere sociali, e non ne sconosce la ori- ginalità per farla rientrare nei
confini di uno schema astratto. Di qui procede, che, mal- grado l'apparenza di
una dichiarata riforma, Socrate riconobbe l'ubbidienza alle leggi come
impreteribile ('); e, fedele all'antico principio ellenico della sostanzialità
dello Stato, fece dipendere il bene dell'individuo da quello della comunità
(^); e considerando la sua at- tività filosofica come parte integrale dei suoi
doveri di cittadino morì nel rispetto alle leggi, e nel convincimento, che la
condanna pronun- ziata contro di lui non fosse che una legittima manifestazione
dell'attività dello Stato (•^). L'opposizione fra il vecchio e il nuovo, fra il
concetto sostanziale e l'esigenza di una per- (i) Mem., IV, 6, 6. (2) Mem., HI,
7, 9. (3) Mem., IV, 4, 4: Plat. Apol., 34 D e seg.; e cfr. Phaed., 98 C e
seg. 202 SOCRATE sonale sodisfazione nello Stato, si chiarì mag-
giormente nelle scuole socratiche; e special- mente in Platone, il cui ideale
politico non deve essere inteso, né come ripristinazione dello Stato dorico
('), né come un segno pre- cursore del Cristianesimo (^), ma conviene sia spiegato
come un progresso teoretico del principio enunciato da Socrate, che il potere
deve consistere nel sapere. Che i concetti da noi più sopra esposti non
avessero una tendenza dichiaratamente riformatrice, apparisce ancora di più dal
modo del tutto pratico come Senofonte introduce il suo eroe a discutere con
questo o quello dell'esercizio speciale delle diverse arti, che conferiscono al
pubblico bene o al manteni- mento delle sociali relazioni. Una sola è l'idea
fondamentale di tutti quei dialoghi: rettificare mediante la definizione il
concetto del fine cui l'attività è rivolta, per far convergere tutti gli sforzi
dell' individuo all'acquisto di una norma costante, che ne regoli la pratica
senza (i) Come vuole l'Hermann. (2) Come vuole il Baur. Vedi su questa
quistione lo Zeller, Der Plato7iische Staat, in seiner Bedeutung fiìr die
Folgezeit, nei citati Vortràge ecc., pp. 62-82 incertezza e
divagazioni. Sotto questo riguardo il calzolaio e lo scultore, il pastore e
l'arconte, il marinaioedilgeneraleecc.,perquantovarie le loro occupazioni e
diversi i finì cui sono rivolti, devono tutti convenire nella norma
dell'esercizio metodico delle loro funzioni, e sostituire alla pratica
istintiva, tradizionale ed incosciente la norma del sapere. Senza entrare nella
specializzata esposizione di que- sto o quel dialogo, perchè in tutti gli sva-
riati casi non rileveremmo che una sola con- clusione, basterà qui dire che
Socrate è stato il primo, che abbia nettamente formulata l'esi- genza di una
tecnica speciale delle arti e ravvisata la necessità, che a capo di ogni
pratica occupazione deve esser collocata la riflessione normativa: e, per le
cose già espo- ste, non fa mestieri che chiariamo meglio questo pensiero,
perchè altri non creda, che egli intendesse conciliare la pratica e la teo-
ria, l'arte e la scienza. E qui cade in acconcio di osservare che la
meraviglia, con la quale molti hanno ri- guardato il dialogo che Senofonte
riferisce con la meretrice Teodota ('), non ha fonda- (i) Mem., Ili, cap.
ii, 204 SOCRATE mento che nella natura delle nostre morali
convinzioni. Quel dialogo, che non deve es- sere addotto a provare che la
principale preoc- cupazione di Socrate fosse la ricerca dei con- cetti ('), né
può essere inteso come interamente derisorio (^), perchè l'ironia è un momento
ofenerale della conversazione socratica, mo- stra, a nostro parere, che il
mestiere della meretrice potesse anch'esso nei suoi elementi affettivi venir
subordinato al criterio socra- tico di un esercizio normale e riflesso. Quel-
l'arte non destava allora gli scrupoli esage- rati, che noi moderni siamo
soliti di provare contro ogni divagazione della natura dalla norma assoluta di
una morale precettistica (^); anzi, per le speciali condizioni della famiglia
greca, sviluppava soventi nelle donne libere un grado di cultura superiore di
gran lunga (i) Come fa Io Zeller, op. cit., p. 75, nota 2=*. (2) Questa è
l'opinione di Brandis: Enhvickelun- gen ecc., p. 236, nota 49. (3) Vedi su
questo argomento l'Hermann: Priva- talterthilmer, \ 29, con tutte le autorità
ivi addotte, e specialmente John : The Hellenes, the history of the mannei's of
the ancient Greeks, Londra, 1844, voi. Il, p. 42. LE FORME CONCRETE
DELLA VITA ETICA 205 a quello della donna legalmente ritenuta nelle angustie
del gineceo ('). E a terminare questo schizzo della co- scienza politica e
sociale di Socrate osser- veremo, che egli, col rilevare l' importanza
dell'attività cosciente, nobilitò il concetto del lavoro, facendone uno degli
elementi costi- tutivi dello Stato e della famiglia. Questa ve- duta era allora
qualcosa di nuovo, perchè diretta a reagire contro un pregiudizio, fon- dato
nella costituzione sociale dell'antica Gre- cia e già da gran tempo invalso,
che facea considerare come indegna dell'uomo libero la produzione ottenuta col
lavoro manuale. Se Socrate abbia o no superato il particola- rismo ellenico, e
se ritenesse per giusta come vuole Senofonte (^), o per ingiusta come vuole
Platone p), l'offesa arrecata al -nemico, nella grande incertezza dei criteri
seguiti dai vari espositori noi non sappiamo affermare {*). Ad ogni modo,
l'autorità di Senofonte ci par- (i) Vedi Jacobs: Vertnischte Schriften, IV, p.
379 e seg. (2) Meni., II, 6, 35 e cfr. Ili, 9, 8. (3)Crit.,49Aeseg.ecfr.Rep.,I,
334Beseg. (4) Questa è anche l'opinione dello Zeller, op. cit., p. 114.
2o6 SOCRATE rebbe da preferire, e la maniera arbitraria come si è voluto
da alcuni interpetrarla ci pare infondata e priva di ogni verosomi- glianza
('). (i) Il Meiners: Geschichte der Wissenschaften, II, p. 456 (*), pone una
distinzione arbitraria fra il male arrecato sensibilmente all'inimico, e quello
che può toccareil suobenessereinterno,negandochequest'ul- timo sia incluso nel
xaxcòj iioistv di Senofonte. Né meno infondata è la supposizione del Brandis,
secondo la quale Senofonte non avrebbe espresso interamente il pensiero di
Socrate. Cfr. lo Strùmpell, op. cit., p. 179, che ha tentato supplire Senofonte
col Gorgia, p. 481.Antonio Labriola. Labriola. Keywords: implicature,
comunismo, socialismo, partito socialista italiano, il vico di Labriola, il
Bruno di Labriola, Labriola su Herbart, Labriola su Zeller, comune, sociale,
filosofia della storia, dialettica socratica, fra dulcino, carteggio con Croce,
all’origine del socialismo comunismo materialista in Italia – l’avvento
creative del comunismo in Italia. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Labriola," “Grice
e il Vico di Labriola” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51686128490/in/photolist-2mRgKq7-2mQBLt7-2mQerAd-2mMQbzj-2mLP4Rj-2mLQdrQ-2mLGjg5-2mKw3hq-2mKjVho
Grice e
Lagalla – filosofia italiana –la teoria geocentrica – la terra al centro
del universe -- Luigi Speranza (Padula). Filosofo. Grice: “I love Lagalla: the
fact that he was an Aristotelian when everybody in Florence was a Platonist!” Figlio
di Roberto, alto funzionario della burocrazia vicereale, e Vittoria Rosa.
Studia filosofia. Ancora bambino, perdette i genitori e fu affidato con i
fratelli alla tutela di uno zio paterno, Girolamo Lagalla, che lo avviò agli
studi di filosofia. Volle trasferirsi a Napoli per proseguire nella sua
formazione. Si iscrisse ai corsi di filosofia dello Studio ed ebbe come maestri
G. Stillabota, F.A. Vivoli e B. Longo. Affidato dal Collegio degli archiatri a
G. Provenzale e G. Caro per un periodo di tirocinio, sembra vi si fosse
condotto con una tale competenza da meritare, nel 1589, i gradi accademici
"nulla pecuniarum solutione". Nello stesso anno, grazie a Longo,
divenne l'ufficiale sanitario di una squadra navale pontificia di stanza a
Napoli, con la quale si diresse verso le coste laziali, per giungere poi a
Roma. A Roma avrebbe conseguito una
nuova laurea, in seguito alla quale entrò al servizio di Santori, per il cui
interessamento ottenne da Clemente VIII l'incarico di lettore di filosofia
presso la Sapienza romana. Cura per Facciottola stampa di un commento ad
Aristotele, “De immortalitate animae ex sententia Aristotelis libri septem”, precoce
manifestazione di un interesse verso la questione dell'anima, intorno alla
quale Lagalla si interrogò per buona parte della sua vita intellettuale e che
contribuì ad attirargli sospetti di eterodossia. Altre opera: “La circuncisione di Cristo”. Al
problema dell'anima Lagalla. dedicò corsi della lettura ordinaria di filosofia,
che tenne alla Sapienza. Queste lezioni furono raccolte in un manoscritto dal
titolo “De anima commentarii”. Allo stesso argomento è dedicato il penultimo
volume dato alle stampe dal L., il “De immortalitate animorum ex Aristotelis
sententia libri tres” (Roma). Lagalla, pur riaffermando le posizioni della
tradizione tomistica sulla questione dell'anima umana, secondo le quali l'anima
intellettiva è “forma informans” del corpo ed è molteplice, accetta quelle di
Alessandro di Afrodisia a proposito dell'animazione dei cieli, ritenendo che
non abbiano l'intelligenza come forma assistente che li muove eternamente, ma
piuttosto come “forma informante”. Morto Santori, si fosse avvicina a Pietro Aldobrandini,
entrando al suo servizio. Conobbe Cesi, al quale fu legato da una cordiale
amicizia. Se questa non diede luogo a un'ascrizione all'Accademia dei Lincei,
malgrado una precisa richiesta da parte di Lagalla., fu solo a causa della sua
marcata professione aristotelica[. Cesi lo presentò comunque a Galilei quando
quest'ultimo si recò a Roma per sottoporre il suo telescopio e le scoperte con
esso realizzate al giudizio degli autorevoli astronomi del Collegio romano,
nonché di influenti membri della Curia pontificia e dello stesso Paolo V. Ne
derivarono alcuni incontri, durante i quali Lagalla., incuriosito dall'
"occhialino" galileiano, lo sperimentò e fu intrattenuto da Galilei
con l'esibizione delle "pietre lucifere di Bologna". Da ciò che vide,
trasse spunto per due scritti, pubblicati in un unico volume, il “De
phoenomenis in orbe Lunae novi telescopii usu a d. Gallileo Gallileo nunc
iterum suscitatis physica disputatio… nec non de luce et lumine altera
disputatio” (Venezia). Atteso con
impazienza da Galilei, che fu costantemente informato da Cesi dei progressi
nella composizione, il libro deluse l'ambiente linceo. Nel primo dei due scritti, pur difendendo la
verità ottica di ciò che mostrava il telescopio, cerca di spiegare l'irregolare (la scabrosità
della superficie lunare) come prodotto del regolare, attraverso una sorta di
estensione di un principio di regolarità (invariabilità dei cieli e dei corpi e
fenomeni inclusi in essi), cui risponde l'intera fisica celeste aristotelica.
Le asperità lunari dovevano dunque consistere in parti più dense di
"etere", più opache alla luce, e in parti meno dense, più chiare. Nel
secondo scritto Lagala. racconta una discussione sulla natura della luce avuta
con Galilei, Cesi, G. De Misiani e G. Clementi: dopo aver ribadito che la luce
non è una sostanza, ma un accidente o una qualità reale, tratta delle
"pietre lucifere" e, contro l'interpretazione di Galilei, osserva che
la luminescenza delle pietre non è una proprietà del minerale non trattato, ma
una conseguenza del processo di calcificazione, che rende la pietra porosa e in
grado di assorbire una certa quantità di fuoco e di luce, poi lentamente
rilasciata; con ciò esclude che possa essere il prodotto della riflessione
della luce solare sulla Terra da parte della Luna. A proposito del primo dei due scritti,
Galilei meditò di fornire una risposta pubblica, sollecitata dallo stesso Lagalla,
di cui le note di lettura al volume in questione, sembrano essere il lavoro
preparatorio. Tale risposta non arrivò, ma i rapporti tra i due divennero più
stretti, forse per effetto di un lento avvicinamento delle rispettive posizioni
scientifiche. In occasione dell'osservazione di una cometa, scrisse il
Tractatus “de metheoro quod die nona novembris anni presentisin Urbe apparuit
sopra collem Pincium” e poiché quest'opera pareva, in alcuni punti, accogliere
le posizioni di Galilei, fu attaccato di scarso aristotelismo. Si convinse così
a chiedere a Galilei e a Cesi il sostegno per una lettura a Psa. Pur non
mancando l'occasione (la morte di Papazzoni aveva reso vacante un posto), non
se ne fece niente, ma anche in questo caso i rapporti tra i tre uomini rimasero
saldi. Aumenta intanto la sua
insofferenza verso gli ambienti romani che lo guardavano con crescente
sospetto. La sua “De coelo animato disputatio” e in Germania, per l'interessamento
di Allacci. Non rinuncia a coltivare la speranza di ottenere un adeguato
incarico al di fuori della capitale pontificia, tanto da valutare con
attenzione la proposta di trasferirsi alla corte di Sigismondo III. Le
compromesse condizioni di salute (soffriva di una malattia urinaria, forse una
ipertrofia prostatica con complicanze) e il timore che l'inclemente clima
polacco potesse peggiorarle lo portarono a rifiutare. Continua a praticare la filosofia,
l'astronomia, e segue il suo protettore Aldobrandini in diversi viaggi in vari
luoghi d'Italia. Gli è stato dedicato il cratere Lagalla sulla Luna. Altre
saggi: “De phaenomenis in orbe lunae
novi telescopii usu nunc iterum suscitatis” (Venezia); “De metheoro quod die
nona novembris anni presentisin urbe apparuit sopra collem Pincium”; “De luce
et lumine altera disputatio”; “De immortalitate animorum ex Aristotelis
Sententia”(Roma); Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 323; cfr. Kristeller,
II,444 cfr. Edizione naz. delle opera, Firenze, Biblioteca nazionale, Galil., Favaro,
nell'ed. naz. delle opere di Galilei, X indica una stampa apparentemente
irreperibile, Roma; ma Heidelbergae. Dizionario biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Giano Nicio Eritreo [Gian Vittorio Rossi],
Pinacotheca imaginum illustrium doctrinae vel ingenii laude virorum, I, Coloniae
Agrippina, Leone Allacci, Vita, Parigi, T. Alfani, Istoria degli anni santi” (Napoli);
“Dizionario istorico” (Napoli); F. Colangelo, Storia dei filosofi e dei
matematici napolitani, Napoli Stefano Gradi, Leonis Allatii vita, in Novae
patrum bibliothecae, A. Mai, Romae, E. Wohlwill, V. Spampanato, “Bruno” (Messina);
G. Crescenzo, Dizionario storico-biografico degli illustri e benemeriti salernitani,
Salerno); “I maestri della Sapienza di Roma, E. Conte, Roma, ad ind.; M. Bucciantini,
Contro Galileo, Firenze, Italo Gallo, Figure e momenti della cultura
salernitana dall'umanesimo ad oggi, Salerno, Paul Oskar Kristeller, Iter Italicum, Lettere
del Lagalla, o di altri con notizie su di lui, si trovano nell'Edizione
nazionale delle opere diGalilei, a cura di A. Favaro, Firenze, ad indices, è
pubblicato il “De phoenomenis in orbe Lunae” con postille di Galilei); G.
Gabrieli, Carteggio linceo, Roma. CoMLOL, Grice: “The more I read secondary
bibliography about this one qualifying as ‘napoletano’ – la ‘filosofia
napoletana’ ‘il filosofo napoletano’ – the less I’m inclined to consider him
Italian!” -- Iulius Caesar Lagalla. Giulio Cesare Lagalla. “Un aristotelico che
dialogava con Galilei”. Lagalla. Keywords: implicatura, the earth is flat; la
terra e al centro dell’universo, la pietra di Bologna, la kryptonite, la luna, l’immortalita
dell’anima, animo, spirare, peripatetici, licei.Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Lagalla” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690418222/in/photolist-2mKGUth
Grice e
Lamanna – il risorgimento fiorentino – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Matera). Filosofo. Grice: “I like
Lamanna – a very systematic philosopher especially interested in the
longitudinal history of philosophy – he wrote on economics during controversial
times, too!” Linceo. Figlio di Angelo Raffaele Lamanna, calzolaio, e da Maria
Bruna Pizzilli, filandaia. Fece i primi studi in seminario e poi nel Liceo
classico della sua città. Si trasferì a Firenze, laureandosi con Sarlo. Insegna
a Messina e Firenze. Pubblicò un commento alla Dottrina. Autore di un fortunato
manuale di storia della filosofia. Membro dell'Accademia nazionale dei Lincei.
Diresse la "Collana di Filosofia" delle Edizioni Morano di Napoli. Stabilito,
per Lamanna, che la religiosità sia un'esigenza naturale dello spirito umano,
egli rileva le contraddizioni percepite dalla coscienza fra l'”essere” (“is”) e
il dover essere (“ought”) -- fra l'esigenza di una realtà concepita come
razionalità e ordine, e la percezione di una realtà che appare irrazionale e
disordinata, così come fra la concezione dell'assolutezza dello spirito e la
concreta limitatezza della realtà umana. Da queste contraddizioni deduce la
necessità dell'esistenza di Dio. Analoga
antinomia gli sembra esistere tra morale e politica che a suo avviso può essere
risolta trasportando nell'attività pratica la riconosciuta razionalità
dell'ordine trascendente e divino, che è di per sé bene assoluto. In questo
modo l'operare umano si fa etico ossia, secondo Lamanna, realmente politico,
realizzandosi concretamente nell'ordinamento giuridico e, così come
nell'operare razionale si concreta la vita morale, da questa si raggiunge
l'armonia in cui consiste la bellezza. Saggi: “Lo spirito – l’ispirante” (Firenze),
Kant, Milano, “La polizia di Platone e gl’uomini”, Milano, “Filosofi italici
d’eta antica” (Firenze); La filosofia del Novecento, Firenze); “Il bene per il
bene” (Firenze); “Il regno di fini” (Firenze); Scritti storici e pensieri sulla
storia, Padova); P. Piovani (Torino); Pietro Piovani, Tra etica e storia,
Napoli); G. Martano, L'esperienza speculative, in «Filosofia», G. Calò, Il
pensiero, Napoli, G. Calò, Studi e testimonianze, Matera, Dizionario biografico
degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. Grice: “Lamanna
was concerned about the idea of the state, which is not an easy thing. More
specifically, the concept of the ITALIAN state. In his history of philosophy
for ‘i licei classici’, he rewrote his Manuale di filosofia into a ‘Sommario’.
– The history goes smoothly up to Kant. The third volume is about MUSSOLINI. He
is the only philosopher he cares to capitalize. He also capitalizes fascism
into FASCISMO, which is odd seeing that his main source is Mussolini’s own
entry for ‘fascismo’ in the Treccani which does not give it such a status. The
third volume is ITALO-CENTRIC, from Vico onwards, Farlingieri, and notably
Gentile to end with MUSSOLINI. The idea is presented by Lamanna as a
‘riconstruzione dello stato’ – we are talking of the ‘stato moderno’ – il stato
liberale Borghese is in ruins – and although he plays with the ‘socialist
state’ he does not consider it within the realm of the proper history of
philosophy when he talks of French illuminism. So his concern is wht the idea
of the state in the liberal party – the philosophy of the laissez faire. It
provides NEGATIVE freedom. Freedom from the other. And there is competition.
Also as he notes, liberalism lies in that the ‘condizioni iniziali’ are hardly
‘equal’ for every member of society, so that liberalism only pays lip service
to liberale. With the socialist state, the problem is the opposite: the state
becomes a gestore – and there is this idea of an endless dialectic among the
classes. So how does Mussolini reconstruct all this. He calls it ‘stato
fascista’ – Had Lamanna continued from Kant to Fichte and Hegel, the student
would be more prepared! Mussolini’s idea of the state is Hegel’s – it is the
NAZIONE-STATO. While Mussolini speaks of the ‘individui’ of this nazione, he
means the Italians (not the Jews, etc.). SO this NAZIONE however, is MORE than
the sum of its individui. Individui come and go – but the state remains. The
state becomes governo. Mussolini’s prose is machist and homosocial, and Lamanna
has to lower down the rhetoric, but nothing is said about Germany. It is ITALY
which is seen as proposing this new or novel idea of the state (after la
rivoluzione fascista of 1923) with a Kantian approach. Since Lamanna has only
read Kant seriously, he applies Kantian categories here: Mussolini’s fascist
state gives each individual POSITIVE freedom – to be a slave to the CAPO or
Duce who ‘knows’ how to command. Lamanna quotes from Cicero to the effect that
it is obeying the law that makes us free. The emphasis is constantly on th
azione or prassi, which is understandable since the pupils are supposed to
learn about philosophy. So where is the dotttina? Mussolini is candid about
this. In 1914, when ‘I all started it’ I did not know where I was going. It was
the ANTI-PARTY movement --. Lamanna provides the editorial. During the
ventennio, this action, which is the INSTINCTIVE FORCE OF THE SPIRIT OF THE
NATION, becomes legalistic, a party is formed, and indeed a government
(polizia, politeia) established. But Mussolini accepts castes in society. Even
the religion, a civil religion, is subdued and one can very well be allowed to
worthip the God of the Heroes.It is an ‘etica guerriera’ and it targets the
giuventu – the youth or male youth --. Being commanded by one know knows is a
privilege. Ths is interesting because this was conceived after the temporary
successes in Africa – Mussolini romano e africano – and before the problems of
the second world war. For the first time, Italians FEEL they are part of a
NATION. The seeds were in the Risorgimento, but this got stuck with a liberal
kind of state, which only provided negative freedom, and where the initial
conditions were unequal. Lo stato fascista does not play with parlamentarism,
so the Congress is closed, and the only party is the national party. Jews are
excluded from PUBLIC service (even if some wrote panegirici for fascism, like
Mondolfo). The philosophical foundations are found in Hegel. If Hegel
concentrated all in the Kaiser of Prussia, Mussolini does so with himself.
Gentile did not really help, although he was the official voice of fascist
philosophy --. The student of philosophy then was taught the lessons of history
(philosophy was IDENTIFIED with its history) and indoctrinated in the final stages
into a particular IDEOLOGY. The tone is catechistic, and there is no idea of
dissent. Lamanna however emphasizes that the stato fascista still recognizes
the indidivuality and the personality of each member – as the stato comunista
or socialista would not!” Eustachio Paolo Lamanna. E[ustachio] P. Lamanna. E.
Paolo Lamanna. E. P. Lamanna. Lamanna. Keywords: il risorgimento fiorentino. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Lamanna” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754314550/in/dateposted-public/
Grice e
Lami – la ragione degl’antichi – la tradizione della polizia romana --
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I like Lami; he has written
interesting approaches to Plato and Aristotle.” Si laurea e insegna a Roma. Saggi:
"La ragione degli antichi” (Giuffrè, Roma); "La politica di Platone”
(Rubettino, Cosenza); "Tra utopia e utopismo" (Cerchio, Rimini)
"Qui ed ora -- per una filosofia dell'eterno presente" (Cerchio,
Rimini); "Il libro Manifesto – in difesa dell’oggettività" (Heliopolis,
Pesaro); G. Sessa, "Voegelin -- Ordine e Storia” (Angeli, Roma, Filosofia
politica Filosofia della storia Nuova Destra. Letteratura e Tradizione//miro
renzaglia.org letteratura-tradizione-il-resoconto/ Scuola Romana di Filosofia
Politica//centro studi la runa Fondazione Julius Evola. E’ davvero difficile
per me, ricordare Gian Franco Lami. In questi giorni, ho dovuto farlo più
volte, intervenendo a pubbliche commemorazioni della Sua memoria, a cominciare
da domenica 23 Gennaio quando, in un gelido pomeriggio invernale, improvvisa e
sorprendente, ci è giunta la notizia della Sua dipartita, durante la
presentazione di un libro, alla quale avrebbe dovuto essere presente, come
relatore, anche lui. Immediatamente, il pensiero è corso al nostro primo
incontro, quando io, giovane studente di filosofia, lo conobbi in qualità di
assistente di Augusto Del Noce. Fin da allora, non si trattò di un semplice
rapporto professionale, in quanto Lami seppe trasmettere a noi giovani che lo
frequentavamo, l’amore per il sapere autentico, quello che si tramuta in testimonianza,
in vita. Mi coinvolse immediatamente in un progetto ambizioso: quello di
introdurre in un paese dominato culturalmente dalla Sinistra, il filosofo della
storia Eric Voegelin, allora praticamente sconosciuto. Il risultato di questa
ricerca, alla quale ebbi l’onore e il piacere di partecipare in prima persona,
assieme a Giuliano Borghi e pochi altri, si concretizzò nella pubblicazione di
una serie di antologie voegeliniane (qui è bene rinviare a Eric Voegelin: un
interprete del totalitarismo, Astra 1978), che fecero ampiamente discutere. Il
merito maggiore, conseguito da Lami, in questo ambito di studi, fu di
individuare nel filosofo austro-americano, un diagnosta della crisi della
modernità. In particolare, attraverso l’analisi e la traduzione di Ordine e
storia, opera monumentale, Egli presentò l’esperienza classica della ragione,
quale unica terapia possibile delle devianze neo-gnostiche contemporanee (si
veda, prefazione a Eric Voegelin, Israele e rivelazione, Aracne 2004, ma anche
G. F. Lami, Introduzione a E. Voegelin, Giuffré 1993). Fece propria, in
modo critico e originale, l’eredità di Del Noce, secondo modalità più profonde
rispetto a chi, tra i suoi presunti discepoli, scelse, come il Maestro, una via
di fede. La cosa, è facilmente deducibile dalla lettura dell’organica
monografia che egli dedicò al filosofo cattolico (Introduzione a Augusto Del
Noce, Pellicani 1999), da cui si evincono tanto la gratitudine per il
discepolato e per gli insegnamenti ricevuti, sostanziati da un metodo rigoroso
d’analisi quanto le differenze speculative essenziali, dovute alla
valorizzazione filosofica, propria di Lami, delle qualità virtuose dei singoli,
nell’ambito pratico-politico. A questa scelta, che peraltro individua, nello
specifico, il campo d’indagine della Scuola Romana di Filosofia politica, che a
Lui faceva e fa, tuttora, riferimento, hanno fortemente contribuito gli
interessi per gli autori dimenticati del novecento. Tra essi, Adriano Tilgher e
Julius Evola. Al primo, dedicò un volume significativo (Adriano Tilgher, un
pensatore liberale, Seam 2000), nel quale evidenziò il tema della pluralità
delle morali, come caratterizzante il pensatore napoletano. Ciò, secondo Lami,
lo avvicinava al filosofo tradizionalista, poiché il suo pensiero, individuava effettive
vie realizzative in grado di determinare le tipologie umane dell’eroe, del
santo, dell’asceta, del saggio e del dotto. Sul secondo, dette alle stampe la
prima monografia filosofica (Introduzione a J. Evola. Un passo per la vita e un
passo per il pensiero, Volpe 1980). Inoltre, quale collaboratore della
Fondazione Evola, ha curato diversi volumi della “Biblioteca evoliana” nei
quali, come pochi, è riuscito a contestualizzare storicamente l’opera del
pensatore romano e a coglierne il valore, in un lavoro esegetico sempre aperto
alla comparazione. E’ proprio Evola, l’autore attorno al quale si sono
dipanate, nel corso degli anni, le nostre discussioni. Mi pare, infatti, che
Egli leggesse Evola, tentando, almeno su certi aspetti, di andare, con gli strumenti
della tradizione platonico-aristotelica, oltre le posizioni consuete a
quest’ultimo, interpretando, al medesimo tempo, la consolidata lettura di
matrice cristiana del pensiero classico, alla luce dell’esegesi evoliana.
Stigmatizzò sempre negativamente l’abbandono, dovuto all’irruzione della
visione del mondo ebraico-cristiana, della dimensione civico-virtuosa, sulla
quale la civiltà greco-romana tanto aveva insistito. La cosa, è particolarmente
chiara nello studio dedicato a questo specifico tema (Socrate Platone
Aristotele, Rubbettino 2005), nel quale tentò di presentare il simbolo epocale
del mondo antico, la “vita contemplativa”, come realizzantesi pienamente nella
dimensione della Città, a testimoniare della contrapposizione tra tensione
utopica tradizionale, e scacco utopistico, tipicamente moderno. Tema questo,
attorno al quale spese le sue energie intellettuali nel recente volume Tra
utopia e utopismo (Il Cerchio, 2008). Corrispondere a quella che è stata
la via da lui indicata, ad un tempo ideale ed esistenziale, a quella che egli
definiva una filosofia dei pochi, del divino e dell’ordine, è compito complesso
e gravoso, al quale comunque, chi come me, gli è stato vicino, non può
permettersi il lusso di sottrarsi. Sarà la memoria della Sua luce interiore,
che accendeva anche negli studenti della “Sapienza”, o in chi lo ascoltava
nelle innumerevoli occasioni culturali per le quali tanto lavorava, dai
Convegni alle presentazioni librarie, a sostenerci nella Sua assenza. Ma, più
in particolare, l’idea di una tradizione sempre viva e presente, che si
realizza, addirittura nella comunanza dei vivi e dei morti, come Roma (ma non
solo) ci ha insegnato, e che rappresenta il suo testamento spirituale più
prezioso (al riguardo si veda, Qui e ora. Per una filosofia dell’eterno
presente, di prossima pubblicazione per i tipi de Il Cerchio). L’università di
Roma, con Lui ha perso una delle ultime personalità carismatiche, in grado di
fare Scuola. Personalmente, non posso che ringraziarlo per avermi onorato, in questo
mondo, della Sua amicizia, rara e preziosa: quella di un Signore. Tratto
da Area. Grice: “Lami touches some crucial points. For one, he criticizes
Jowett for mistranslating Plato. What Plato wrote is fair and simple, ‘Police’
– Politeia --. Lami as a Roman hates the Pope – who does he think he is? The
Papal dynasty is take in that they cannot reproduce. So we must go to the
civil-political organization of the Romans, as seen from the the heroic ‘eta’
of Romolo. La citta. La Civilta. La tradizione. La tradizione una. Espressione
varie e tradizione una. With the birth
of Christ, Roman words acquired new implicatures, for bad. Pagan started to
mean ‘heathen’, and ‘ethnicus’ (ennico) more or less the same. Of course the
old Romans were anything but PAGAN or heathen – they did almost EVERYTHING for
Marzio, to whom they dedicated the downtown gym! (Campo Marzio). Lami knows all
this – and more --. Gian Franco Lami. Lami. Keywords: la ragione degl’antichi, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lami” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752587207/in/dateposted-public/
Grice e
Landi – semiotica economica – prinzipio di economia dello sforzo razionale -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I would call
Landi a Griceian; but he’d call me a Landian!” Studioso della dottrina del
‘segno,’ vis-à-vis- scienze umane e antropologia, apportato un notevole
contributo agli sviluppi alla semantica (senso) e la pragmatica (prassi,
pratica – ragione pratica) -- crt, cercando di unificare la dialettica romana e
fiorentina con quella oxoniense. Diplomato
al Regio Liceo Ginnasio Alessandro Manzoni, si laurea a Milano. Studia a Pavia.
Insegna a Padova, Lecce. Riceve, e Trieste. La sua opera si può suddividere in
tre fasi. La prima riguarda studi su la prassi (ragione pratica), nonché
l'analisi dei processi di “segno.” La seconda fase propone una teoria della “produzione”
del segno intendendola come teoria del lavoro cui fondamento è l'omologia tra
la teoria del segno e so-miscalled aeco-nomia. (cf. Grice, P. E. R. E.). La
terza fase studia l'intricato rapporto tra il segno e la ideologia e teorizza l'”alienazione”
dell’usuario del segno (ego/alter/alien). Opere: Pratica communicativa (Bocca,
Milano); “Segno” (Manni, Lecce); “Significato, comunicazione e parlare comune,”
– cfr. Grice, “SignificARE, communicARE, impiegare, implicARE, -- ‘common’ is
Landi for Grice’s ‘ordinary’ as opposed to extra-ordinario. Marsilio, Padova.
La semiotica e “Segnare” come lavoro e mercato,
-- cf. Grice against an utilitarian and pro a Kantian account of the rational
effort – but remarks in the “Retrospective Epilogue” about his concern with
‘rationality’ as being co-operative. And Grice’s remarks about the independence
of the two thesis: semiosis as rational and semiosis as cooperatively rational.
Bompiani, Milano, Segno ed ideologia (Bompiani, Milano), “Segnare” (Bompiani,
Milano); “Ideologia” (Mondadori, Milano); “Metodica filosofica e semiotica -- scienza
dei segni, o teoria? – cf. Grice on philosophical psychology,’ folk science of
psychology – ceteris paribus – ‘law’ of the science of psychology --. The laws
of psychology – “That’s why we call them ‘psycho-logical’ concepts, or
theoretical terms, -- psychological theory --. Theory Th. (Bompiani, Milano). Cf. Grice on the
boundaries of ‘mean,’ and the idea of ‘consequence,’ y is a consequence of x, x
means y. Il corpo del testo tra riproduzione sociale ed eccedenza, Scritti su
G. Ryle e la filosofia analitica” (il Poligrafo, Padova); “Semiotica Filosofia
del linguaggio su ferrucciorossilandi.c om.
Grice: “Landi takes economics seriously, as did Aristotle – unfortunately,
those researching onto Landi hardly quote from Aristotle!” “While the Italians
think that Landi is being very Original, we at Oxford don’t! Game theory,
strategy theory, and efficiency theory are all basic to ‘oeconomica’ in most
pragmatic models of efficient communication – “Information is like money!” – Cf.
la teoria del valore e le formulae dell’egoismo, l’altruismo o non-egoismo,
Meinong. Teoria formale del valore. I valori egoistici risultano espressi con
le lettere T e e te1 Hay Ja, Un Un,, Tv Uy. Gli valori altruistici sono
espresso con le lettere: i. I valori neutrali sono espresso colle lettere : Ym.
Siccome non si propone di dare una teoria compiuta dei fatti concomitanti di
questo o quello valore, ma solo di ANALIZZARE tal unicasi va speciali, così, quando adopera i simboli
senza l'indice soscritto, intende significare il valore egoistico – con la
lettere ‘e’ sottoittesa. Questi simboli possono esprimere questo o quello BENE,
ma anche questa o quella volizione a questo o quello BENE riferentisi. Per
indicare una volizione, si adopera il stesso segno *fra parentesi quadratti*.
Infine, si suppone, di regola ceteris paribus,che la circostanza concomitante
sia sempre una sola, la quale, insieme alla volizione, formi ciò che chiamamo
il “bi-nomio” della volizione. Se le circostanze sono più, allora si forma un
“poli-nomio” della volizione. La precedenza di una lettera in un binomio o un
polimonioindica il valore principale, sia desiderato o sia attuato. In che modo
i fatti concomitanti del valore sono connessi collo scopo della volizione?
Siccome ogni scopo di volizione è anche un oggetto di valutazione, la domanda
può formularsi così. Come i valori possono entrare in connessione tra loro? Si
noti però che la connessione deve stabilirsi prima del cominciamento della
volizione, giacchè questa volizione deve tenerne conto. Le co-esistenze casuali
restano naturalmente escluse. Tra lo scopo dellla volizione e l'oggetto della
valutazione concomitante possono correre varie relazioni. C’e una relazione
d’identità. Ciò che il artista o un
politico come Mussolini crea non soddisfa lui SOL tanto, apparirà sempre in
qualche modo come un BENEFICATORE di tutta una sfera di uomini – la nazione
italiana. C’e una relazione di CO-ESISTENZA di più qualità di una stessa cosa,
o anche di più cose. Per esempio, un tale VUOL comprare un piano che ha (+) un
bel tono. Ma il piano ha anche (-) una cattiva meccanica. O un cane da guardia
molto vigile (+), il quale però morde (-). O una macchina automobile che lavora
bene (+), ma che fa rumore e fumo (-) ,ecc. C’e un nesso causale, nelle sue due
forme: a) lo scopo è CAUSA di conseguenze valutabili. Il politico chi, per
esempio, promuove il movimento e l' industria dei forestieri, mira ad
arricchire la sua nazione (+), ma anche la de-moralizz (-). b) lo scopo non si
può raggiungere che come EFFETO di dati valori morali. Per esempio: un
fabbricante per . Ora torniamo alla domanda principale. In che modo il
valore morale di una valutazione dipende dai valori concomitanti, e,in caso di
un simple bi-nomio della volunta, dal valore concomitante? Abbiamo distinto
quattro categorie di valori, “g”, “T”, “u”, e “u”, le quali si applicano anche
ai fatti concomitanti. Però il caso u si può omettere, perchè non accadrà mai,
CHE SI VOGLIA UN PROPRIO NON-VALORE PER sè stesso. Rimangono così tre
possibilità, le quali, liberamente combinate, dànno *dodici* casi che
costituiscono la tavola dei valori. Per l'esame di questi casi bisogna pensare
che ad un oggetto di volizione si aggiungano gli altri come fatti concomitanti,
e osservare le variazioni di valore che questo intervento produce. La VOLIZIONE
‘POSITIVAMENTE ALTRUISTICA’ (benevolenza e beneficenza) è data da una formula.
Il momento più importante è qui l'associazione della circostanza concomitante
u, IL PROPRIO DANNO. È evidente che l'aggiunta di questo secondo momento
accresce il valore di (i) e di tanto, quanto più grande sarà il sacrificio
proprio. Indicando il valore con “W” ,si avrà dunque: W(ru) > WV. Se invece
si aggiunge “u”, IL DANNO ALTRUI, sia dello stesso beneficato (quando il
beneficio produce pure un MALE al beneficato), sia di persone estranee al
rapporto (quando per beneficare uno si danneggia altri), allora il valore della
volizione con questa circostanza concomitante diventerà minore. E la formula
sarà: W(ru) < W(r). Se la circostanza concomitante è pure in favore del beneficato,
allora la formula sarà indubbiamente: guadagnare di più deve migliorare la
condizione materiale dei suoi operai. W (rr)> Wr. glianze.
Invece L’AGGIUNTA DEL VANTAGGIO PROPRIO AL BENE ALTRUI nè diminuisce, nè
aumenta il valore. La volizione egoistica è espressa dalla formula, la
modificazione più grave qui si ha, quando al caso si aggiunge la circostanza
del MALE ALTRUI. Allora si avrà:
W(gu)<W(9). Se la circostanza concomitante è invece “r”, il valore della volizione
egoistica si eleva: W(gr) > W(g). Che poi alla volizione egoistica si
aggiunga la circostanza secon aria di un ALTRO PROPRIO VANTAGGIO (plusvalia) o
anche di un proprio danno, non modifica il valore di (g). Si avranno quindi le
due egua W (99)= W (g)= 0 W(gu)= W(9)=0. Così pure si aumenta il non-valore, se
oltre al danno principale si aggiungono altri danni. Epperò: W (UU)< W (U).
Per quanto il caso sia inusitato, si può prevedere anche, che al male altrui si
associ una qualche conseguenza buona, indiretta, W (rg)= Wr. La volizione
altruistica negativa o anti-altruistica è espressa con una formula. Se per
attuare il danno altrui, si fa anche il danno proprio u, questa circostanza
aggrava il male e aumenta il non-valore: W (uu) < W (u). W(UY) >
W(u). Il fatto concomitante della propria utilità non aggiunge nè toglie al
valore della volizione principale anti-altruistica. Si avrà quindi
l'eguaglianza: W (ug)= W u. La somma dei risultati ottenuti si può disporre in
un Quadro. W(rr) > W(v)? W(gr )> W(g)? W(ur)> W (U)? W(yg)=W(r) W(99)=W(g)=0
W(ug)=W(U) W(ru)<W(Y) W(gu)<W(g) W(UU)<WU) W(ru)>W(V) W(gu)=W(g)=0
W(uu)<W(U). Da questo quadro si rileva che le circostanze concomitanti con
segno negativo non sono più feconde di effetti di quelle con segno positivo. Di
queste ultime, “g” non modifica nulla, e “r” non dà risultati sicuri, come
indica il punto interrogativo. L'influenza dei fatti concomitanti si può dunque
riassumere così. Agisce aumentando debolmente il valore. ‘g’ non modifica
nulla. ‘u’ diminuisce grandemente il valore. ‘u’ opera secondo lo scopo della
volizione -- ora aumentando, ora diminuendo e ora non-modificando il valore. Si
è già detto che sarebbe uni-laterale il voler giudicare del valore morale di
una volizione dallo scopo ;che però, in quanto lo scopo prende parte alla
determinazione del valore, l'altruismo positivo è buono, L’EGOISMO è
INDIFFERENTE. L’altruismo NEGATIVO (malevolenza e maleficenza) è cattivo. Ora è
importante constatare, che il senso in cui i tre momenti valutativi operano sui
fatti concomitanti è completamente lo stesso La validità della tavola dei
valori, dianzi tracciata, ma pure prevista. Allora il non-valore si
ridurrà, nel modo indicato dalla in-eguaglianza: subisce variazioni, se cambia
la qualità della volizione? Itendendo per qualità la differenza tra appetizione
e repulsione, che però non deve equipararsi a una contra-posizione logica tra
affermazione e negazione, i cui termini si escludano a vicenda, ma considerarsi
come una doppia possibilità psicologica, di cui l'una abbia altret tanta realtà
indipendente, quanto l'altra. Un'analisi della NOLIZIONE mostra, che esse si
comportano egualmente come la volizione, solo che si applicano di regola ai
valori “T”, “u” ed “u”, RITTENENDOSI ASSURDO (IRRAZIONALE) IL NON VOLVERE IL
PROPRIO VANTAGGIO ‘g’. Indicando le nolizioni con (T) (ū) (T) = (non- T) = (U)
(U = (non-- U) = ( ) (ū)=(non u) = (g). Lo stato subbiettivo di
rappresentazioni ed i predisposizioni anteriore alla volizione è indicato con
il concetto di “Progetto”. E siccome in questo stato abbiamo supposta anche la
cognizione delle circostanze concomitanti valutabili, così al binomio della
volizione o al polinomio della volizione corrisponde un binomio o un polinomio
del progetto. Per indicare questi stati si adopera gli stessi simboli *senza la
parentesi quadratti*. Osservando le volizioni in rapporto agli stati
predisposizionali, l'analisi delle valutazioni dei fatti concomitanti può
rendersi più esatta. (ū) si possono fare le seguenti sostituzioni, che
aiutano a trovare il corrispondente valore nella tavola relativa alle
volizioni. Si ponga, per esempio, un bi-nomio iniziale della volizione “uu”,
che esprima il mio desiderio di far male, al momento opportuno, a una persona,
ma che non mi sia possible evitare, ciò facendo, conseguenze dannose pe rme,u.
Se ildesiderio di non danneggiarmi prevale, allora non si avrà più il binomio
(uu), ma l'altro (ūr), il quale dice che la volizione è risultata nel senso di
non volere il male proprio, pur ammettendo che questa volizione abbia per
circostanza concomitante y, cioè il bene altrui. In forma positiva la volizione
finale sarà (gr). E così da una situazione iniziale negativa “vu” si riesce
nella opposta gr (1). Questi sono i co-ordinati fra loro due bi-nomi di
progetti, dai quali procedano due volizioni formalmente concordanti. Anche i
due bi-nomi di queste volizioni saranno coordinati fra loro. Essaminemo la
coppia dei due binomi yu-gu, dei binomi, cioè, che hanno la maggiore importanza
pratica. Il primo bi-nomio esprime l'altrui bene col proprio danno. Il secondo
bi-nomio esprime il bene proprio col danno altrui. Nel primo rientrano, nel
senso o grado *massimale*, tutte le occasioni in cui si può affermare la
grandezza morale di un uomo (magnanimita). Nel senso o grado minimale, i casi
della più comune fedeltà al proprio dovere (to do one’s duty). La sezione di
linea dei valori morali che comprende il MERITORIO e IL CORRETTO è tutta
espressa da questo bi-nomio del Progetto. Laddove la sezione che va dal punto
d'INDIFFERENZA al TOLLERABILE e al RIPROVEVOLE corrisponde alla negazione di
questo binomio del progretto. Nel binomio “gu” sono espressi tutti i casi che
vanno dal più SANO EGOISMO alle negazioni più delittuose dell'altruismo.
Reciprocamente, la rinunzia a siffatte volizioni va dal semplicemente dove ROSO
ALL’EROICO. Le volizioni che procedono da questi due bi-nomi comprendono
adunque tutte le quattro classi di valori, caratterizzati in principio. I due
bi-nomi anzidetti suppongono un CONFLITTO (non coooperazione) fra l'interesse
proprio e l'interesse altrui. È evidente che dalla grandezza di questi
interessi, dalla portata di “g” e di “Y”, dipende il valore morale della
valutazione. I momenti “u” e “u” s'intendono compresi nella negazione di “g” e
“y”. Intanto è certo che il VALORE EGOISTICO in cui “g” è congiunto con “u” ,
“W(gu)”, si trova sempre al di sotto del zero della scala, ed ha segno
negativo. Mentre il valore altruistico in cui è congiunto con “u”, “W(ru)”, si
trova al di sopra del zero ed ha segno positivo. Ciò posto, la funzione
valutativa tra i termini dei due binomi dei pogretti si può scoprire
agevolmente con una semplice osservazione. Sacrificare un piccolo interesse
proprio a un grande interesse altrui ha un VALORE POSITIVO MINORE che il
sacrificare a un piccolo interesse altrui un grande interesse proprio. D'altra
parte chi non pospone a un grande interesse altrui un piccolo interesse proprio
produce un non-valore morale più basso, che non colui il quale per una utilità
propria rilevante non tien conto di utilità altrui tras curabili. Questo abbozzo
di una LEGGE del valore si può esprimere nelle formule, nelle quali “C” e “C'”
indicano le costanti proporzionali sconosciute, condizionate dalla qualità
delle due unità “g” e “r”. Nell'applicazione di queste due formule
all'esperienza si rendono necessarie talune modificazioni. Se poniamo I valori
“r” o “g” eguali ai limiti 0 e 0 ,allora i calcoli diventano molto esatti. Per
g per g. L’ESPERIENZA NON è però SEMPRE D’ACCORDO CON QUESTE FORMULE. Ognuno
ammetterà che l'adoperarsi nell'interesse altrui si accosti l punto morale
d’INDIFFERENZA, quanto più grande è quest'inteesse; e che il trascurarlo
divenga nella stessa misura RIPROVEVOLE, “u” pposto costante e limitato
l'interesse proprio da sacrificare. È F , 1 W(ru) = Cg -0 Y Y g W (gu) =
- C per r = 00 per r = 0 lim W (ru) = 0, lim W(ru)= 0, lim W (ru)= 0 limW(ru)=
0, lim W (gu) = - 0 0 limW (gu)= 0 lim W (gu)= 0 lim W (gu)= – 00. pure
evidente, che la trascuranza di un interesse altrui diviene tanto più
INDIFFERENTE quanto più IRRILEVANTE è questo interesse. Epperò non si ammetterà
da tutti, che il valore dell'altruismo di venga allora infinito, come nella
seconda formula. Osservando però bene, questi casi non rientrano nel campo
della morale. Si contrasterà pure che il valore del sacrificio di un bene proprio
per l'altrui, cresca colla grandezza del bene sacrificato (formula terza). Ma
l'esperienza prova che l'esitazione al sacrificio si fa maggiore quanto più
grande è il bene cui si sta per rinunziare. Invece è da riconoscersi che non è
esatta la quarta formula. Non si può negare ogni valore al bene che si fa ad
altri, solo perchè NON si determina un CONFLITTO con un bene proprio. Le
formule anzidette si debbono mitigare nella loro assolutezza, perchè si
accostino di più alla realtà. Per far ciò, basta attenuare il valore di “g”, il
che si può ottenere aggiungendo a “g” ogni volta una costante “c” o “c '”. Queste formule non modificano i limiti
funzionali dianzi ottenuti, ponendo r = 00, T = 0 0 g = 00. Cambia bensì la
formula del quarto limite. Se g= 0: lim W (ru) = C, lim W(gu) = - ' Sin qui
abbiamo considerato l'una variabile IN-DIPENDENTE dall'altra. Che avverrà però,
se le variazioni si compiranno in entrambe le variabili congiuntamente,
supponendo che “r” e “g” rimangano uguali fra loro per grandezza di valore?
Sostituendo a “g” il simbolo “r”, le formule diverranno altri. Si avranno così
le formule. Tr W (ru) = 0 9 + c g +di e
Y W(gu)= W(gu)=-C' ito Y W(ru)= C y- to' . Da questo risulta che il non-valore
deve crescere e diminuire nello stesso senso o grado limite di “r” e “g”, e il
valore in senso o grado di limite contrario. Consultando l'esperienza, si può
riscontrare agevolmente che un oggetto, per esempio un dono, abbia lo stesso
valore per chi lo dà e per chi lo riceve. Ora si domanda, regalare di più avrà
un valore più alto o più basso del regalare di meno? Senza dubbio più alto. E
se si contrapponga vita a vita, CHI SACRIFICHI LA PROPRIA VITA per conservare
quella di un altro, suscita di fatto grande ammirazione. QUESTO è però IL
CONTRARIO DI ciò che quelle formule esprimono. O “c” corre adunque correggere
le formule e per far ciò introducemo un esponente di “g”, più grande
dell'unità, e lo indicamo colle lettere “k” e “k'”. Le due formule diverranno
così, rimettendo “y” al posto di “r”. Sicchè si avranno i seguenti limiti. A
questo punto, il concetto di limite non hanno più bisogno di alcun'altra
correzione. Per semplicità di espressione ponendo C= 1ek =2, la formula del
binomio divienne W(gu)= T. È questa una formula a discuttere. . g2+1 ghto Y gkilt
o W(gu)= W (ru)= C per r= 9 perr= g= 0 T g2+1 W (ru)= e Y e limW(ru)=00 lim
W(gu) = 0 limW(ru)=0 limW(gv)=0. Preliminarmente non si ne ricava alcune
conseguenze. Ogni pr getto offre a colui, che dovrà reagire con una volizione,l
a doppia possibilità di fare o di tralasciare. Le due volizioni staranno,
secondo la formula principale or ora ricavata, in un rapporto di
RECIPROCITà negativa, per ciò che ri guarda il loro valore morale. In secondo
luogo, siccome una volizione di grande valore (positivo o negativo) o e
MERITORIA O RIPROVEVOLE. Quella volizione di piccolo valore o e CORRETTA o
TOLLERABILE, così potrà dirsi in generale che quanto PIù DISTANTI sono il
NUMERATORE E IL DE-NOMINATORE della formula in una scala ordinale (1, 2, 3, …
n), tanto più il valore della volizione e indicato dalle parti estreme
superiore o inferiore della linea dei valori. Quanto più vicini o meno distanti
sono invece quei numeri, tanto più l'indice del valore cadde verso il punto di
mezzo di detta linea. La formula si applica inoltre anche ai casi di una
volizione I cui scopo non siano accompagnati da circostanze concomitanti. Basta
ridurla. W(9)=0(1). UU. Mentre la prima coppia esprime il caso di CONFLITTO
D’INTERESSI, la caratteristica della seconda formula è la CONCOORDANZA O
INTERSEZZIONE O COOPERAZIONE O CONDIVIZIONE gl'interessi propri con gli altrui,
positive, o, come nella guerra o il duello, negativi. Se il progetto offre l'occasione di
congiungere con la mia utilità l'altrui, o se mi rappresenta un pericolo altrui
nel quale scorgo un pericolo mio, la volizione corrispondente e espressa con
(gr). V'è però anche la rappresentazione del desiderio di un male altrui, cui
si associa anche la previsione di un danno proprio. La corrispondente volizione
e espressa con “(uu)”. Il conflitto qui non esiste fra “g” e “y”, ma fra “g”
e”v”, cio è fra “g” e -Y Questa riflessione ci fa subito applicare al caso
attuale la formula principale del primo binomio. Così, go+1 Y. W(uu)= W (Y)=
>. Passamo ora ad esaminare un'altra
coppia di binomi: gr g+1 1 T (go+
1)r. Mantenendo anche in questo caso il principio della RECIPROCITà negativa
dei due binomi di progetto, l'altro binomio diverrà epperò la seconda formula
principale così ottenuta e (1): W(uu)= -(g2+ 1)r. Le costanze rilevate in queste
formule dimostrano sufficientemente che il valore morale è in relazione tanto
con lo scopo principale della volizione quanto con i fatti valutabili
concomitanti, com’era di sperare! Ferruccio Rossi-Landi. Landi. Keywords:
implicature. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Landi,” The Swimming-Pool Library,
Villa SPeranza, Luigi Speranza, “Grice e Rossi-Landi a Oxford.” Luigi Speranza,
“Grice’s principle of economy of rational effort and Rossi-Landi’s economical
semiotics.” Luigi Speranza, “Grice and Rossi-Landi: over-informativeness and
excess: the implicature” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701883411/in/photolist-2mRkgtK-2mRcn9c-2mPVkio-2mPYy6p-2mPUHFB-2mPyn68-2mPiqeP-2mMRLT9-2mLHEEX-2mKKMt4-2mKCQBD-2mPtp3t-2mKQqs3-2mKiPND-R1eT5f-Fk4dhM-G768cb-G9rj7p-DndBhH-AcDUcp-T3H8P3-nNK6N1-o1cZ1Z-nYkP5S-nzsfjR-nsj5ZA-nuoDVU-ncSabS-nnvnLQ-nr43e9-nRpz1J-nRxV4g-nz47iC-nREe6x-nupBjR-nu822k-nupzLa-nsn1sJ-i65ZAc-i65CuK-hMNyRg
Grice e
Landino – La sforziade degl’italiani -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze).
Filosofo. Grice: “I love the way a philosopher can be judged by his fellow
citizens and by furriners: Landino’s “De Anima” fascinates the Germans, for
example! While his poetry fascinates the Americans, as I Tatti testifies!” Nacque
da una famiglia originaria di Pratovecchio, nel Casentino, e compì gli studi in
materie letterarie e giuridiche a Volterra. Gli venne affidata presso lo Studio
fiorentino la cattedra di oratoria e poetica che era stata del suo maestro
Marsuppini: Landino, sostenuto dai Medici, era stato avversato da non pochi
personaggi in vista, come Alamanno Rinuccini e Donato Acciaiuoli. Tra i suoi
allievi ci furono Poliziano e Ficino. In quel periodo ricoprì anche incarichi
pubblici, facendo parte della segreteria di Parte guelfa e della prima
Cancelleria. Tra i suoi viaggi, spicca quello a Roma. La sua prima
attività fu poetica, con la Xandra, una raccolta di componimenti dedicata
inizialmente ad Alberti e de' Medici. In campo filosofico scrisse tre dialoghi:
il De anima, le Disputationes Camaldulenses e il De vera nobilitate. La maggiore fama nei
secoli di Landino fu però legata alla sua attività di commentatore dei
classici. Diede alle stampe il Comento sopra la Comedia di Dante, su Orazio e
su Virgilio. Traduttore dal latino in fiorentino della Storia natural di Plinio
e la Sforziade di Giovanni Simonetta Il volgarizzamento pliniano fu un vero e
proprio evento: per la prima volta anche chi non conosceva il latino poteva
leggere la più importante e vasta enciclopedia del mondo antico (tra i suoi
lettori Pulci, Colombo e Vinci). Per i meriti acquisiti, la Signoria
fiorentina gli assegnò una torre nel Casentino e una pensione. Venne
ritratto tra illustri fiorentini a lui contemporanei da Domenico Ghirlandaio
nella Cappella Tornabuoni di Santa Maria Novella. Saggi: “Orazione alla
Signoria fiorentina incipit della Historia naturale tradocta di lingua
latina in fiorentina”; Xandra, “De anima”; “Disputationes Camaldulenses; “De
vera nobilitated”; “Comento sopra la Comedia di Dante”; “Commento a Orazio”; “Commento
all’epopea eroica di Virgilio”; “Historia naturale di Caio Plinio Secondo
tradocta di lingua latina in fiorentina
al serenissimo Ferdinando re di Napoli”; “Orazione alla Signoria
fiorentina quando presenta il suo Commento di Dante, Firenze, Niccolò di
Lorenzo, Formulario di epistole, Firenze, Bartolomeo de' Libri. Il testo si può
leggere in edizione critica. Carmina omnia ex codicibus manuscriptis primum edidit
A. Perosa (Firenze); “Disputationes Camaldulenses” Lohe (Firenze, Sansoni); C “De
vera nobilitate, M. T. Liaci, (Firenze, Olschki); R. Cardini, La critica del Landino”
(Firenze, Sansoni). Dallo stesso studioso è stata allestita la raccolta: C.
Landino, Scritti critici e teorici, Cardini, Roma, Bulzoni, Comento sopra la
Comedia, I-IVProcaccioli, Roma, Salerno editrice, Questo commento è stato solo
parzialmente edito (la sezione relativa all'Ars poetica): Cristoforo Landino,
In Quinti Horatii Flacci Artem poeticam ad Pisones interpretationes, G. Bugada,
Firenze, Sismel, R. Fubini, Quattrocento fiorentino. Politica, diplomazia,
cultura, Pisa, R. M. Comanducci, Nota sulla versione landiniana della Sforziade
di Giovanni Simonetta, «Interpres» Uno studio complessivo, sia filologico sia
storico-culturale, dell'opera in A. Antonazzo, Il volgarizzamento pliniano” (Messina,
Centro di Studi Umanistici). Questo testo proviene in parte dalla relativa voce
del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto
Museo di Storia della Scienza di Firenze, Orazio, “Artem poeticam ad Pisones
interpretationes. G. Bugada, Firenze, Sismel-Società internazionale per lo
studio del Medioevo latino, Galluzzo, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, A. Antonazzo, Il volgarizzamento pliniano Messina,
di Studi Umanistici, Treccani Enciclopedie
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Lee Sorensen. ALCUIN,
Ratisbona. Liba fecundus uautEandetn otionanft in anibus
denrchedas. Ars enim natnratn quoad ua Itt feropq imitatur . Sed nefeio
quo pado cum de eqmaloquoditi uita K iriorio iMispanaturanucttigadum
nobis propofuannus:iam fecundo in naturam rcla« bor.lta^ bacomifla ad
illud tademrueamusipcimuniq^ omnibus philofopbis
omnibmi^cbtifiianisaudoribusnonin eoquodabadioneproueninfcdin fo» h
ratione coUocemus.Non enim quid fadum iinfed qua mente fadum animad
uettunt.Q_uapropter quatuor ueluti principia ponunt.Cum enim fe nobis ilu
quid offert:mouctuc ea te fic oblata uis quzdam animorum nofttorumsut
illam cognofcat:tandem<p decernit aliud bonum efTc/aliud contra
maium:Q_uapto ptrrcumiam feferes obtuleritrcum iam fecundo loco (it de ea
iudicium fadumt adtamr tertio loco uoluntast ut hoc quidem fequamur:
illud uero fugiamus. Q_ua quidem uoluntate ita iubente motus poftremo in
corpora infurgut : ut id
tncmbraezcquanturquodnoiunusanceadecreuerit.Ncffi igitur a duobus illis
ptimisprindpiisnetp ab boc poftremo uitiumfpedatur:led a uoluntate qua in
ordine tertiam pofuimustNon enim eo V erres pcccauit quod tabulz ftgnac^
ac reliqua ftculorum preriofilTima fupeliez illi fefe ofFerretiNon rurfus
quia iudica ret forefibi ex ufu huiufccmodi ornatu abundaretfcd quia
rapere uoluit cu uf«p adeocz fola uoluntate res pendat: ut etiam ft non
rapuerit :tamen quia rapere uo luerit fitelus commifllim fitxNon enim
interfecerit ne an non interfecerit: fed uo lueiitne interficere in culpa
eft:Defueruntuires.P.CIodio quominus Annium Milonem oeddere pofTetxQ^ua
quidem in re fi naturz uitium quzras t pcccauit ea uis:quzmentis
propofitum non implcuit:fi uero ad morem teconuertas non aduscorpord
motus fed uoluntatis adus crimen concipit: Dicetur^ iure homi< dda
Clodius quia Milonem uoluit ocddere:Fac autem ocddifte cum minime ta men
uoluerit exddere ftarim crimine abfoluetur:Q_ui enim non ex uoluntate:
fed uel ex infirmitate uirium quas modo pofiii uel ex infdiia rem quampiam
c6 mittunnii non modo culpa carent:uCTum etiam cdmiferationefzpiftime
digni putanmr.Q_^uis enim cum illud de Cephalo in procrin legit etiam fi
fabulofum putetmon iolum illum crimine liberat:Sed fumma
infupercomifetatione profe quituRcum animaduertat hominem ex infdria dum
feram uulnerarc putat : ca^ tifiimam fibi coniugem percuEiffeteuius morte
in fummum moerorem acludu paulo poftcafuruseifettVidesigiturauolutatisadu
ueluti a fua origine uitium in monbus flum: Verum cum iam conftet
imbedllitatem adionis prouenire ex infirmitate primi agentis rem hanc
planius exponendam cenfeo: Videamus ita^ in quo defidatuoluntas ante
commifllim fadnus.Q_ui quidem defedusfibi a natura non
erinfemperenimadbzrct/femp^ pcccaret:ne^ rurfus eftcafu bc for luna:eflet
enim extra nos:Eft igitur uOluurius.S'ed ut uideasundeifit error boc
aedpe. Visdus rd quz agit ab eo agente perficittu quod fupra fe eft:Donec
enim id quod fecundo loco agit perfeuerat in ordine primi agentis munus
fuum abfo lute peragit:Sinautemao illo declinet nullum iam remedium eflqn
aut fiatim aut paulo poftdefidattin gyrum uertitutdrculus qui manu humana
torquef» Hic idem fi nunu dedinet a mom ceflabit: Ergo igitur ut ad rem
redeam nupa dicebam duo cflic pdndpiarquae uoluntatcm aateire nttRes quz
fefe nobis oSu a : k [ t Oerumniobonp nttitt K
uii gucdam ilfas oblatu fufdpiatt At cum qiiicgd bnhi!!»ttb£ A Ut
moueri poffifaliguidhabeat proprium a quo moucaturmoo omnis pcrap& di
uis omnem appetitum mouebit.Nim quz fmlibilia percipit cum dutaiatape
petitum qui a renfibus e(i mouere ualaiRatio autem proprie uoluntatem
mouc bitiRurfuscum latio uaria bonorum genera percipere
poiritcuiuilibetautcm& proprius finistEtit uoluntatis quoq^ pprius
nnis k primum quo moueatiu n5 bonum quodlibetifed certum aliquod ac
pncfizum.Siigit" mensnofira acuolo tas perceptione eius
rati6ismoueac7quz tedum bonorum malotu^ iudiciuiB teneat reda indeadio
exorictur.Sinautem ab iis ezorit" quz falfo fenfuum iudb do bona
efle deaeta Tunticum minime flnt bona Ibtim peccat in uiu 6tmorib9
uoluntas.Peiueriio igit" ordinis qui cft ad rationem & ad proprium
finem gignit peccatum in adione. Ad rationem quidem cum ad fubium fec
fiis perceptionem uoluntas fertunin id quod fi rede pcrfpidas bonum non
efiifcd quia fuis ilicee* brisrcnrusdemulfitiaDillisbonumiudicatat.Efirurrus
cum ratio ipfa minime decepta id bonum efle decemittquod uere bonum dici
potcft.Hcx tamen tepo* re aut hocmodobonumefie negatur. Voluntas tamen in
id fertur nu llam ordi* nis tanonem babens.huiufccmodi igitut ordinis
peruerfio uoluntaria eihpptc* reaqi uitio non caretsLoquacior fortalTc
fum q par cfi in natura mali. Addam ta men ex iis argumentationibus
quibus demonftracum efimalum nullam efienda am eflesati^ ob eam tem per
fe fubfifierenon polle: facile animaduerti id aliquo in bono feroper efle
oportere: Verum idem hac quoip ratione probatur : Cu ma* Ium dicimus
priuationem dicimus:hoc enim iam conuicnPnuatio autem ipla K foima qua
res priuatut in eodem funt.ld autem quod formz fubiidtur huiuTce* modi
cil/ut fua natius facultate formam fufeipere ualeat:Hoc autem quis bona
negabit cum eodem in genere & ipfa fiue facultas fiue potentia Scadus qui
inde cll omnino confilhnt.Prxterea malum ta folum ratione malum didiT
quia nev cct. At non ncKct malo.ElTc enim bonum fi malo pemitirm
afiFcrrct.Nocet igitur bono.Nonautefi de rei forma loquamur noceret nifi
in eoelTet.Q^uzenimcz citas polyphcmo nocebitinifi fit in polyphemo
excitas: Verum cum uulum boa no opponatur:quo pado utn^ idem erit
fubiedum.oppofiro 9 t enim altc^/alte tum pellinhoc fi dicas ita tibi
refpondebo.Q^uicquid ens did poteft idem 8C boa num dicitunNon autem
abfurdum cll ut non ens in ente fit:quzlibct enim ptia uatio in aliqua
elTentia c(l:quz cll ens tamen non efi in ente fibi oppofito. Si enim
czeitatem dico hoc non eos comune quide minime eft ut uifum ubi^ tola
lat:Ergo non ell in uifu uelud in fuo fubicdo fcd in animaote.Q_ux quide
om nia eo teduntiut non pofliit iu fummum malum inueniri:ut inuenitur
fummn bonum.Q^uod enim fummum malum fututum fit id fine alicuius boni cofora
tio elTc oportet. At nullum malum a bono omnino feparatu efle
inuehies.C^ua doquidem ut paulo ante ofiendimus fuas in bono radices malu
egit:& in eo luu ut Ita loquar fundamentum iedt:Ptztctea fi mihi
dabis aliquid fummum malis fututum effe id ita fua eflentia malum futurum
erit/ut fua eflenda fummum bo num clfc uidemus. At malum eflentiam nullam
babae iam demonfiratu efi. Ita quod ptiouUD pdndpiii eft eus cflcpo^too
cogn ellet pti^ IaP.Vitg«M.AIl^o.Liba tettius cipranificflctcauraiitidepcadcretttDafiautcaurambotiucfre
dirimus. A 4 de & boc^uTa enim qux per fe caufa diatunfcmpcr prior
eft illa quz per accidens caula dicitur. At malum non efi caufa niri per
accidens.Non igitur inuenimr (u Inum malum.Hatc funt quae de plurimis
longecp «ccllenrioribus quz Leo Ba ptifia memoriter diluride ac copiofe
in tantorum uirotum confriTu difputauit t mcminilTe ualui.ln quibus cum
abunde Laurentio fatilTadum efletxfol^ ia me* ridiemalccndi(ret:nos omnes
ita adbottante Mariotto hofpite libetaMimo to» Kzimusiillumf fecuti ad
tefidenda corpora difi:ellimus. CHRISTOPHORI LANDINI FLORENTINI
CAMALDVLENSL VM DISPVTATiONVM AD ILLVSTREM FEDERICVM VRBINA- TVM
PRINCIPEM LIBER TERTIVS IN.P. VIRGILII MARONIS ALLEGORIAS. I Vm
Satuiffem cum fermonem Illuftriilime Federice litteris mandate/quem Leo
BAPTISTA Albeitus no finefumma
oiumquia&cruntadmirarione:at(^ftuporede iis Hgmeris
habuiflct>inqbus.P.VirgiIius j>fundiflimam illam fcietiam i
occultatcqua fummu bois bonum diuinitus defcribit:& quU ^ uia ad id ^
Hcircamur/mirificc exprimit: uercbar ne in nonui 1 holum
reprehcnlionem incidcrem:qui cunria ex fui ingenii imbecillitate
tnericntcs:& Maronem ipfum nihil przter fabellas:quibus ociofas auditoru
au« icsdcledaret/cdmctum rae credant:& nos pro arbitrio nodro quz
dicimus ottu uia finxilTe exifiimcnt.Q^ui quidetn fi quid poctz fint: fi
quam eorum origo ue tufia appareat fecum teputentifi q magna/q uaria
dodrina plurimi in eo artifii<
rioflorucrint/confidcTcnncogoofccntprofedoidquod grauilTimorum philo*
fophorum iudido comprobatum uidemus/nullum efie feriptorum genus : qui
autmagnitudine cloquentiz.aut diuinitate iapictiz poetis pates fuerintr
Q_ua quidem ce Arifiotelem uirum excellenti ingenio & dodrina pofi
Platonem om nino fingulari motum crediderimrut eofdem prifds temporibus
theologos poe tafi} fuine a£btmet;Et profedo fi poefis ipfa quid fit
diligentius inturamur:fad k erit nofle non cfle illam unam ex iis
artibusrquas noflri maiores/quoniam reli quis excellentiores
funt/libctalesappcllarunnin quarum una altera ue fiqui 0 o* lucrunttin
maximo funt femper pretio habiti:fed cfi res quzdam diuiniortquz
uniuerfas illas compledcns certis quibufdam nu meris aftridatcerris
quibufdam pedibus ptogrcdienstuariifi^ luminibus ac floribus diftinda/quzcutp
homines qjotnt/quaecn^ norint: quzeu^ contemplati fuerint: ea miris
figmetis exoractr atip in alias quafdam fpedes traducattut cum aliud
quippii multo inferiusimul (09 humilius narrare uideantur:aut cum metas
fabellas ad ceflantium aures ob kftmdas ludere credantur:tum maxime
cxcclla quzdatfic in ipfo diuinitaris fbn tctecondita pTonunt:Q_uo quidem
gratilTimo errore tandem animaduerfo au ditoc non Colum in fummam rerum
cognitionem deucniat: fed mira eriam uolu ptatccz figmento pctfundatuc.Q_uam
quidem temdiuinam potius s humani f iii fn.P.Virg.M.AIItgo*
cfle cu! potius f Platoni credidcrimnilr rnim in lonr dicit pot ffm non
arte yana tradi;f<d diuino furore npftras tnentesirrepne.ln co aurem
qui phxdrua infcnbitur/cum tria alia diuini furoris genera expliraflet/quaitum
furoretn/quc poeticum elfe uult/huiurcemodi([ni fallor^fentcntia
exprimir.Rcfeit enim da ibcxleftibusredibusucrfarcntur animi no(lri/&
cius harmonix quxinxtema dei mente confiftitiK eius quxcxlorum motibus
conficitur/illos participes fuit fe. Verum cum deinde monalium rerum
cupiditate degrauati/propterca^ ad ia feriora iam deuoluti corporibus
incluti tint:tunc terrenis artubus ac monbodia membris impeditos/uix eos
concentus qui humano artiHno comparantur/auri bus padperc poflerqui &
Ii a cxledi harmonia longe abfintinihilominus quoni om ucluti fimulacra
quxdam ac imagines illius funt/nos in tacitam quadam cx< Icftium
recordationem inducuntiacardcntiifiroa cupiditate ad antiquam patrw am
reuolandi inflammanciut ueram ipfam muficam/cuius hxc adumbrata ima go
lit/pnofcamus.interim uero quo ad pemiolcdilT mum corporis carcerem noa
bis licet/bac noftra illam imitari cdtedimus.non uocum modulationibus
ueluti uulgares quidi & leuiores mulici cofucueruntrquos aunu frufus
demulcete po( fe no negauerimtquicq aut prxterea prxihre polTe no
cocedorSed grauiori quo« dam iudicio diuinam harmonia imitati/ pfundos
inrimof<^ mentis fenfus elega ti arminc exprimutsat^ diuino furore
concitati res frpe adeo mirabilesiadcoq^ fupra humanas uirescofticutas
gradi fpiritu proferunt: ut cum paulo poft furoc ille iam
refedetitifeipfosadmirentVat^ obllupercant.Q_uapropter non folum auribus
adulant" ifed fuaui nedarc/& diuina ambrolia mentes demulcet . hi
igic diuini uates funt/& faai mufarum facerdotesihi iure optimo
fandti ab Ennio ap E elbnt":his folum diuiniiuscocefl'umeft/ut
carmine modo iocude fuauiteripla entitmodo grauiter alteq; furgetitmodo
uchemeti impetu ruerirmodo in leda ti amnis morem fluetiinonunq copiofe exundantiinonunq
breuiicr atqt copref fef gredicnti/quocui^ uelint auditorem
rapiat.quiobrcm quonia diuimor uche metior^ in iilisfpiritusinfurgitiab
huiufmodi ueheroeria uates appcllant.Grxa dautipfos poetasdixeruntteo
quod apud illos facere figniriut. At .di» ces fonafle none 8C
reliqui feriptores fuo^ libto^ poetx id eft effedores iuie dici poiTunt (
poflunt illi quide. Veru quoniam hi foii & dicedo limul &
intelligedo ni reliquos oes longe fuperant/nomen id quod oibus
feriptoribus comune etie opottuitsucluti fuum ac pprium fibi
uedicauerunt.Etpiedo quicuqi uates boc noie digni fueriitiii fupra
humanamuim aliqd pofle uili funticuius rei teftimoe DIO elTe poflunt
prifei illi uiri:quos poetas fuifliecoflatinam apud hebrxos Moy fes uir
bello inuidus:qui 6C xgyptios ab xthiopibus SC ab xg 3 tptiis hebrxos
lib^; rauitmdne cius ucrlibusiuerlibus enim uolume cofalplitiocm
diuinitate cofai plitiocm diuinitate coplexus cft.uir adeo prifeus/u t
cum odoginta iam natus an nos iudxos e leruitute educeretrCecrops athrnis
r^aret.Nam qux ea fint qux Idumxus lob fuiscanninibus madauit:ormine ex
iis chriflianis qui paulo dudi ores babet /latere puto. At hic ut ex
libro fuo coiedari licet tertia xtate poli iftael tutPcftincc nuc
{>fcqr quata qliaue fint qux catminib^^Oauid regis:q d^iiJii Si
Jonumis i qux dcutctonomiuquc Ibix catico codnent" tEgregiu dno
inudu/^ Lib« tertiiur ' cotitinuab dekiceps ferie r<rfiiper
rctetitum : ut iion modo poe tx : uerum exte^ ri 9uo(^
rcriptorcsquicutK^remaliguam maiorem litteris mandarent:eam ua^ tiisHgmentis/uariisfigurarum
integumentis obfcurarent : putabant enim fo teii negodumdifibcilius
ccdderent : ut fi: gux rciip(i{rent: maiorcmeflentdi> gnitatem
audoritatemc^ habitura : 8C 9U1 percepiffent : guoniam non fine la^ borc
at(^ induftria id afreguerenturtea pluris elTe faduros.maiorem^ inde
uoluptatem percepturos fi guz ipfi tenerent minime fibi cum indodis commu
ciaclfent.Hac igitur ratione a fandis facrifi^ rebus profanos arcebant*
non inuidiamoti/fed ut aliguod inter follertem at<^ mentem diferimen
appareret: cum non idem ociofusguod ftudiofus affeguetetur: fic enim dC
premia guz dodis debentur folis illis proponebantur exteri ut iifdem
artibus quando leKguis noD prohccrent / niterentur fummopere
accendebantur. Difficultate enim inopia rei mortalium ingenia acuuntur :
uindt^ onmia la bor impro bus: & du ris um ens in rebus egeftas 2
Q_uam guiiguam feribendi ratione grxi* d guoi^lccutimntfguortim &
Orpheum thracem:& atheniefem Mufeum/& thebanum Linum antiguiflimos
fuiffe accepimus: Verum Lini Mufei^ uiz uciligia eztant: Orphd autem
poemata in quibus multa deui diuinainecpau ca dererumnatura continentur 2
ad eam quam diaimus formam confcnptitaf fe/fadle efl cognofeere 2 de
reliquis uero qui deinceps doruerunt/nihil dicam: Fabularum enim
figtUenta quibus aut deorum/aut rerum naturam /aut ea gu» ad uitam&
mores pertinent obfcuriusquidem/fed maxima cum dignitate ex^ primunt :
rem manifeffam reddunt • (Quapropter cui mirum uideatur:fi otn*
nisxtas:omnesnationes:Omnesguialigua ufguamdodrinacxcelluerint: poc
tasfemper maximi fecerint.Nam ut reliquos adprzfens omittam/q multos q
maximos in philofophia locos Ariftotelestanms uir poetarum tcflimonio
cot<» roboranquibus quidem nifi tatu tribuifletmunqua netpde poetis duosme^
de arte poetica tres libros accuratiffime confaipfiflet . (Quanti autem hoc
bomi num genus Piato fadat: ipfe in libro de re.p.fadle offendit: q
uoniam n ihil uei» jbementius mentis intima penetrare/qua poefim affirma.
At dicet aliquis no ne in libro de legibus idem Plato poefim reiidendam
ccnfctmufquam ille hoc. Sed eam rdidenda/dmonet: qux more tragico
pturbatos animos imitatur;qux uee to laudes canit deoru:patria inffituta
defcribitimores edocet:probosuiros extol ]it:iroprobos deprimit/aedpiendam
iubet.Deni^ nonullis in lods aliquod poe tarum genus uitupetari ab hoc
philofopho inuenias. Poefim autem ipfam qua
donoutdiuinamextollit.quasquidem res cum diligentius fecu reputauerint
qui confilium noftrum damnantifentetiam illos fuam immutaturos exiffimo:
qui tamen fi nos carpere uoluerint:potius temeritatis arguantiquoniam ea
qux fupranoftrasuires funt/aggreffi fuerimus: qua aliquid quod Maro non
uidc^ tit 2 nos uidifTe putent 2 Ego autem quauis non tantum mihi arrogem
:ut hu^ ius poetx diuinitatem fatis pro dignitate explicare pofIim:non
tamen inutile fii turum putauirH noff ra indufiria/quantulacunc^ ea
fit/dodiores uicos ad tnaioif ra de Aeneide demonftrandaexdtar 02 qui cum
nos non omnia potuiffeintelli indigo^oiK no otn&mq ioiufta aduerfus
nos induti^utbca^ca coi* Ia.P.Virg<M.AnegoJ nim lutun erga
Iiuiurcemodi dodris» cupidos adtadiS errata Uoftra conS gant i ii qua
detint addant t Q_ua quide in re non modo emendari me xquo animo
fctam:r<d ultro iam nunc omnes qui hoc polTunt ut id faciant uebemc
ter oro. dam »m maxi me propriu m hominis p utem» 8t quod jpfe. uiderit
U> ^ter aliis oftendet er & qu od ne^t fiudipie adijj^ercum in hoc
fibi Ipii in il lo reliquis profuturus iitu^o 6c uitam inftitui s ut fic
quicquid in me efi iiberalif fime effundamtflC a nullo mortalium quz mihi
delint/fumere dedigner:ad que autem nofha hrc potius qualiacun<p imt
fcribamiquam ad te iUui^ime Fcde tice:qui& Maronis
pra;tercaKeTos&udiofiirimusremperfuetist& cum reliqui iulue
principes in eo omnem indufiriam ponannut quamaximos fibi tbc£uitos
comparent i auri^ at^ argenti aceruus magis magifi^ indies aefcatitu maxu
mam tuarum opum partem in mularum /& eorum qui mulas colunt omsmen ta
liberaliffime effun^s : ut iam quemadmodum Homericus ille Agamenon
coniidebat/fi decem aliifibiNefimesadeircntiforeut breui Troiam apturus
eflett fienospro comperto habeamus fi Itali populi non diam decem ut
iliet fcd duos przteta Fedcricos haberent t breui futurum /ut uniuetfa
italia alterz AthenzfutunfitrfeddeczterisaliolocoiNon enim in hunc
fermonem hoc tempore uemmus t ut quequam arpamus t fcd ut te fic dc
litteratis hominibus meritum/quamaiimispofTumuslaudibus profequamuri qui
quauisfolus ex omnibus qui in imperio confiituti funt/has parta tuearis :
amen iu late patet tua in oes litteratos liberalitas: Ut non pauciora ez
a fiC poetae BC ontorat & om niuffl rerum feriptora prouenturi
fintsqua ii fuerint t quos olim Nicolaus lUe quintus pontifex
mazimus:quem omnes uidimus fuis pulcherrimis muneris bus/ac maximis
pretniisprouoauittqui quidem tuo beneficioad ftudia czdta ti:8t fibi
gloriam fua dodrina fua^ eloquentia ucndiabunt.6: te ulem roufape E
atronu etiam tuc cum multorum principum /qui & nuc uiuunt/& olim
regna« ut/fama fepulta iacebit in xtema femper^ recenti memoria uiuum
retinebut. Veru haec quoniam omni luce clariora fuDt;longiusprofequenda
non cenfeot Praefertim cu ipfa iam ra poftuletaut diuinum dodimmi uiti
Baptiftz Termone ego quantum memoria repetere poteto/Tuo ordine
referam.Ille enim cum bci> ne mane ad confuctum locum ueniflemus : 8i
min audiendi cupiditate inflam mati ab eius ore Tummo cum
filentiopenderemus/huiufccmodi principio dil/ putationem exorfus cfi|£)um
eius poctz mentem tibi Laurenti aperiri cupias r qui uel ex omnibus re^onibusaquarumbabiatorcshifioriacognofant
suci cxotnnibuslzculissqukadnofhamur^memoriamfcriptorum beneficio
per uenerintsfi non primus primo tamen par aequalif(^ exifiatsno poflfum
meo oea tionbingreflu tantzrei magnitudine non penitus pctturbaii.Ncmo
modome diocri fit dodrina imbutus hunc uirn ui ac copia dicendi ipfnn(^ut
ita loquar) eloquentia fuperare unquam dubitauit.Nam cumtraindidionefiue
figurae rrnt/fiuc charaderasin quotum uno fiquis excelluerit maximam fit
glotL - am adeptus. Quis non uidetnon folum in lingulis fuis uoluminibus
fiiv* mlos adimplet Verum paucis liepe uctfibtis ita
omnacofudific/aepennL: fcuific/ut miro quodam temperamento
uclotifidiucifcuocBcoocctuMluaf^ t«a Z iotl dk\ M aia uFdi £ II
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fw (p, Liber tcrtiiu bSlfimu
cottfiaabt/incredibilefli auribus uoluptate pariat. Ex quatuor aut
riie& di generibus ita opus contcxitiut ne^ocio copiame^ negocio
breuitas defit. Vi dcbisquxdaruaficdtatc at<j ariditate
placerctquzdamuetoueluri flofculis ib lufhau at^diftintSa deledare.Sunt
deni^ eunda eo attifido confirudaiut un# deoiaadoe elocutionis genus
exempla potius qbincrumas/fcriptumDulIum inuenias.Adde ad haec
cognitionem hifioriatai Adde quadiligentillimus and» quitaristt
oonmodonofliaturctuifed&grzcaru/&omm nationu inuelliga#
torcxriterittqptilconjmuaborumobretuatiinmusfueritiq elegata quxdain Boua
ex fe fotmaucritiqua f pric omniu uim tenuerit . Prxterco ius duile: omit
loiuspontiridu.nihil dicodeiurcauguratqus; oiaita tenuitaitnonab aliis
accepilTeifed ipfc conftituiOie uideatue.Hzc igitur & cotum limilia fi a me
tibi ex« pheanda pctaestac ut fifiguk» in eo poeta locos diligeorius
apetiiem contende tes: 8C operofum fimul & difiidle mihi negociu
imponetes.Q_ uis enim illa pub chetrima cxcdlentiiliinaf/ac fummo
artifido tccondita non ludicct: fed funt ta nicri a multis iifdcm^
dodisuitis patefada.Q^uodaute petis id & multo di» uiiuuscfttKmagisinobrcuroUtetiKanullo
quod ego quide rdam/badenus fua ferie patcfadum.quod ne^ gtimaricus nc^
tbetot nouerit.fed fi ex intimis philofophtx arcanis eruendum. Vis enim
nolTe quid per fua illa enigmata de Ae ncaectrotibusidc^ dus hominis in italia
profei^one fibi Maro uoluerit.Q^ua qua (untnonulli/qui di ea quae paulo
ante dicebam promaximb admirentutt at^ in ipfis fuma abfolutam^ poetx
laudem contineri putent: nihil maius in eo uate fu^icent' :Q_uos tamen fi
roges quid fibi in ea te Virgilius perficere uolue ritiHometumimitandu
fibi propofumeafibtmabut: Addent^ ne^ ingeniu ne dodrinamtquo minus id
pilare pofTet fibi defuifreiQ^uod nobis cu dederint fuccubat penitus
necefle efl. Habemus enim ^ut gramaiicope iiinita pene tutba omitta^multoseofde^grauifTimosphilofophostqu i
Homerii ocm zgypriopi dodrina haufilTctca^ more illote uariis hgmetis
adubraffe cotcdat.Q^ua in fen tcnria nili Ariflotelcsfuiiret
nunquahomeriaruambiguitatii libros fexfcripfif fet.Na quid Balilius Bi
dodrinz magnitudie/K mo^ fanditate magnus co^o minatus de homine
fentianfacileefi iudicare:qui tota Homeri pocfim laude/ uittutis
continete dixit /fccutus ut puto Anaxagoram Claxomeniiitqui quidem idem
de hoc poeta aSirmauit t Arcbefiias ucto mediz academiz inudor tra Ho
mero tribuitiut nunqua fe iniedu tecepcritiquin prius aliquid ex eo legerit:
Sed & inlucem le ad amauum ite dicebatiquo hin dus legendi maior
copia daretur, yctum quid reliquos nunc colligamtcum unius Platonis
tefiimonio nihil fit, quod probari non polTitlls igitur in eo uolumine
quod de (umo bono fcripfit . omnes artes huc diuinz fiue humanz illz fint
in unum Homeri poema uciuti r in proprium receptaculum confluxifle
afHrmat.Q_uamobrem animaduettens Mato dodrinam huius hominis ex
zgyptiorum (acerdotum fontibus bauftam fimillimamcum Platonicist quorum
QudiofifTimus fuit/rauonem babere eam uT^adeo admiratus dl:ut idem in fuo
Aenea efficere uolucrit : quod ille antea in Vlyxc finxerat^ Q_uaproptet
pulcherrimis poeticif:^ figmentis eum nobis unw i^oiinai^qui pluri^, a^
aux^nis u itiis pauwim expiatusue dckeps 'i4'1 4^; , r»v I
f •*/ .«■MI inr ; iRft.
Ia.P.Virg.M.AIfegdi' mitis uiituHbiu
IlluftratusidquodfummahotmnibdliaeStquoiI^ tufi &pl
ip6t/tatnnlal^equnec^VcTdcu illud mrera diuinanunfpcca msnullusafTequii latione
conlidcre a Platone didioirctylimul SC illud didicit co antbt minime
perueniripofle/q animi nofhiuirtutibns illissquz deuiu K moribus funtex^
piati penitus reddantur.Cum Socrates i pfe puru impuioiittiogetc fas
c$/cfle neget >Q_uapropcet non folumflnes bonoru nobis
miririceezpreirittVerum etiam qua uia qua ue ratione eo cuadere tandem
homini liceat demonftrauitt Ne qua pars eius philofophia; /qui gtxd
ethicen/nos de uita & moribus nomp namus:prxtermitteretur:in ea enim
nos nihil aliud quammus nili primum bo notum malorum^
iincstdeindeofScia/quibusueluti uia quadam ad eosdem ducamur.Laboriofum
omnino negodum/at^ omni difficultate plcnum:diui num tamen & quo uno
foelix limul atip fapiens homo effidaturtdeo^ iungaf* Soli enim fapienti
fas eft ufi^ adeo deo c6iungi:ut nihil quod feparcr/intercink ce poflit.
Deus enim ueritas eft .Q^uis aut nefdat qui uerum mente non pettin
gat/eum lapientem efle minime poiTet^os autem cum quatuor lint qu 2 in
feru ptoris mente aperienda inue(tigemus*in rem nolfram futurum puto: ut
certos ia terminos drcufaibamus: quos in poeta interpretando egredi non
liceat. ES igitur cum id quod geffum Iit quxrimus: quam
hilforiamappelbnt/ut cum le gimus apud Matonem haud ptocul inde dtx Meda
indiue^ qoadrigxdiSa lerant.C^uxrimus itidem non quid geSum litifed qua
ratione geSum nt:ut eS illud At tu didis albanemanetes.Nam eoloco
dcmonfhatproptereadifcerptu a quadrigis elTcalbanorum regem /quoniam
illein fide non manlilTet.hic gta&« dethimologiam dictuit.Q_uxrimus&
tertio in loco an ea qux dicantur pu^ gnantia inter fe lintr Alibi enim
didt ChriSus patrem fe maiorem efle:alibi ego &pater Idem
fumus.Q_uapropter cum ita interpteumur/ bxc ut minime intec
fediiridereo()endamus:Analogiam (equimur. Interpretamur poftremo aliqd
per allegoriamtquod tunc fit cum non qux uaba (ignificant
intclligimus:fed quiddam aliud fub figura obfcuratum.Scribuntpoetx
Amphionis lyra motos m lapides/ut fua fponte in thebanorum moenium
flruduram coirettper quod figmentu quid aliud intelligimus:nili
fapientillimi uiri cloquetia effedum eifer ut Boetii populi qui hadenus
ad omne rone ueluti lapides Supidi:K aduetfus oem humanitate durilfimi
czi(ferent:e fyluis ac luflris in duitatem uenirentrac poSremo legibus
qux ad comunem ufum latx cfTennultro fefe rubiicerct. Nos igitur reliqua
tria genera hoc tempore omittemus:at(^ in ipfa fola allegoria uet
fabimur:ut quid per Troia(n:quidpCTxneam:quid per italia/ reliqua^
huiu& modifibiuelituideamus. froixigit" oritur Aeneasrperquautberedeut
puo to prima bois asutem intelligemus.in qua cu ro adhuc ois cofopita
(lufolus fen fusregnat: At^ ipli mottales/quia ea xtate fapientia ne
furpicaot' quide ea fola fibi proponut qux philofophi prima naturx
appellat.Ni cu oe aial (ibi a natura comendatu (it:in primis feipfum
diligit:deinde o^s corporis partes ita integras: ualidafip hne cupit ut
ufui (imul fit pulchritudini fibi (int: maxime autem uohi ptatibus
demulcetur flc quauis animum fefimul corpur^efTeintelligattat^ Utru^
faluum efb cupiautamen in iis qux in animo apetenda funt/ quoniam k Liber
tertitu BOO dbm plane ilhcogOolat minus laboratsea autem quz
corpori corporeilm uoiuptanBus conducunt/anxie expetit. Sunt enimflbi
abipfoortu iamnotif.> fima>Q_uaptopteiT cum in hac zutcnaturxui
potius trahamur/g nofharum adionum domini efTeualeamusmel minimum ucl
omnino nullum uirtuduw do^ locum relinguamus:cum que agimus
eanccuoiuntariaflnt:neccum de ledu aliquo fiant . Ita^ in puero uirtutem
e(1'e nemo dicet. Verum ubi iam pro gtcflu ztatis rationis lumine aliquo
illufirari indpit mens noftra s tum demum tanm in nobis conlilii
apparet:uta prauisreda difcerncrcualeamus.Eft enim iam ad illud
pythagoricxlitterxbiuiumpcrucntum/fic iatnuitzneTciuseiton utcil apud
P^um.Deduxit trepidas ramofa in compita mentes. Vnde cum di fceflciimus
nccefle efitut uel reda pergamus : uel in finifira deiledamus . Nam quz
deinceps agimus/quoniam ceru quadi ratione agimus/fi reda fuerint uit
tutitfin contra uitioadlcribuntur.Troiz igitur 8t Aeneas limul fit
Parisa/un tur. Verum alter quoniam Venerem Paladi ideft uirtuti f
uoluptatem ante« poni neceife efitut una cum Troia pereat. Alter autem
ducematie Venere fe ab omni incendio explicat. Q_uod quid aliud
intelligamus/nifi cos/ qui ma^ gno amore inflammati ad uen cognitionem
impclluntur/omnia facile confer qui pofle. (Quapropter Venerem diuinum
amorem rede interpretabimur. Sed tuLAVRENTl ncfdo quid iam diu uclle
dicere uiderisiCupio quidem inquit LAVRENTIVS t Ni uerear perpetuum tux
difputationis filum intec nimpae.lmmo potius iflo modo inquit BAPTISTA:
Nam cum uniuerfus hiefermo non ad oflentandum ingenium/ neq; ad gloriam
comparandam a nobis infticutus fit : fed ut honeflifiimx- uoluntati tux
obtemperem: fit fi quid in me dodrinx efi/id libenter cfiFundam :
interroga : interpeilaiobiice: confuta pro arbitrio tuo.Hac enim uia id
quod quxrimus uerum/ dilucidius appare^ bit. Vtar quod mihi
permittis/arbitrio inquit LAVRENTIVS utrum id non tui confutandi : fed
mei erudiendi caula . Miror igitur cur tu Venerem amo.« rem interpreteris
eum prafertim amorem : qui non modo cadus/ uerum cti« am diuinus fit. Ego
enim Venerem non folum apud poetas : fed etiam apud reliquos
feriptoresita fumptam uideo: ut per eam nonnifi maris foeminz^
coniundionem fignificarc uelinr.hinc illud Terentianum, ^e Cerere fit Bac
chouenaemfrigefceretEt ipfc in bucolicis: Parta mez uenerifunt munera.
(Quapropter fi uenerem pro huiufcemodi'coniundioneponas:quxbadenua
dixidi/ea omnia inter fe pugnate uidebuntur . Sed eft fit aliud qu^ nifi tu
mi< ili petfpicuum reddas ego minime explicare ualeam. (Qui enim fit
ut cum duo fintuiri Aeneas at^ Paris: Alter quoniam Palladi Venerem
prxponattnecefle fit ut una cum Troia pereat : Alter ueto quoniam
prxeipienti Veneri obtempe reriomne periculum incolumis cuadat.Ego enim
non uideo cur fi bona fit Ve nus Paridi noccat:fi mala prqfitAenex.(Qux
quidem dum cogito/in eorum potius Icntenciam labor:qui rem omnem ad eam
flellam qux hoc nomine ap pellet'':flt ad ipfam bidoria referut : Putat
enim qd* te no fugit/qua hora a Troia Italia uerfus jificifcerct
Aeneas:librz fignu qd* domiciliu ucnetis 6ad nfm hoc hcaifpcpu
afiacdifli^lpfam Y^ete in medio czlo loui fuide
roniundam. i T MLO' It (k 1 l •M »,H'. In.P.V>rg.M.AUego<.'
Q_uibus oibus poftendebat" foelidtas illi tegtia^ per muliere
peruentufoioJo' uem enim regnU ptzeflc non ra odo H omerus (ignificat qui
reges ; id enim eS a loue nutritos rcribit.Sed & mathematici ide
ditant.Salutareenini omnino ITduseQsquonia inter Saturni frigus K Marcis
ardorem colloatu opti moeemperamento Iit: 8i propterea eundis euentibus
profpcrum . Nam cum ui tam noftram praxipuefol&luna gubernet: iccirco
lupitet omnium nobis fa luberrimus eihquia foli per omnes
numeros/iunzautem per plurimos coniuo dus eft.Refecunr etiam in initio
mundanzfabricziouem in ariete dotniciiio tuncafcendcnte fui/Te. Volunt
illum inducere leges/caliicatem/mirericordiam in egenos K calamitate
opprelTos. Veridicos homines fadt/& uere amicos fine fraude fine
dolo: Saturni fzuitiam frangit fiCquzcun^ ille mala infert:hicaut tollit
aut minuit.Q^uapropterfcite Petii us . Satutnumip grauem nolito loue
frihgimu s una: Oeni^ fi in alicuius ortu fe bene habeaticum ille hominem
for tunatumreddit.bfinimehzc dilpliccnt inquit BAPTISTA. Sunt enim ex
15 ma dodtina eruta: 8C hifioriz uehementer accommodata. Verum cum
omnis nofira difputatio nullam hilloriz ratione habeat i Sed eam qui
totiens gtzco uabo allegoriam nomino/exprimete conetut/non uideo cur ea
qua adhibui in terpretatio iure amitti non pofiit : Si enim iis omilTis
quz de Aenea deqj cztctis troianis prifei faiptores tradidere/pro
arbitrio licuifiet poetz non modo finge te:fed SL peruertere & addere
& fubtrahere.Si deni^ nulla hifioriz ratione liabi ta id folum
tentaret quo pado per Aeneam cum nobis uirum informaret: qui ta dem
fapiens beatufqj citet futurus/nonueneremfortafiefed cupidinem aliud ue
numen pofuiflet.Sed cum ita poeticum figmentum profequi inSituifiet: ut
tamen ab hilloria non difccderet:cum Aenez matrem fuilTe & exilii ducem
na# uiganti filio fc przQitilTe Vennem IcgilTenfuit cx iis quz aderant
res perficiedat non autem nomina fingenda. Hoc enim plus negocii poetz
cll qua reliquis/ qui alio figmento rem obfcurateuolunc. Illi enim ab omni
hiftoria foluti pro arbitrio ea cominifcuntunquz magis rei fuzjpromendz
quadrent. Q_uodut ! )lanius teneas/unum de multis excmplicaula proponendum
cenfeo.Placuitil I primo huius fabulz audori ollendcrc quz in tempore ex
materia gignuntur: ea omnia in interitum cadae/ quatuor dutaxat clementis
exceptis: quz principia (unt oibus rebus generadis.Duos igitut comentus
ell deos Saturnii at^ Opima & illum temporis fjmbolu obtinere
uoluittquod gtzcu nomen indicat. Cro# nos enim qui Saturnus ell ab eo
fubtrada harpitatioe deducifrquem ipfi chro non appellant. At quis ntfdat
tempus grzce chronon dici. Per Saturnum igitut teropus:perOpim
fiuerhcamterramintelligit. Addit deinde Saturnu pmnes quos de
thearufccpilTct filios uoralTe prztcr loue lunonc Neptunnu Pluto nem.Q^ua
fabula exprimit omnia quz ex materia funt prartctipla quatuoc elementa
tempore conteri : at^ in interitum deduci. Q_uorfum igitur hzc ne
reliquum fabulz profequar : nempe utintelligas licuilTe huic homini pro
arbitrio quzeum^ uolebat fingere: ut quod de rerum procreatione fentie##
bat : commode exprimeret : cum nihil aliud prztcr phyfices particulam
fibi propofuiflc.Maroni» autcih longe alia rado cfi: qui cum Aeneae res
io laudem' I II Litxr tertius AngulH ezoritatidas t ft librum iprum
omnibus poeddsluminibasitluftrandum fibi fumpfiflet t non iis qux ipfe
uio ingenio digeret t (ed iis quz hiftoria porrigit banc fuprcmam ingemi
fui laudem comparat . Mirus profedo uir qui non ex op tads fed ex datis
ha opus intexat : ut cum hiftonam minime deferat :pet eam rame
illaedibili integumento humanam fcelicitatem exprimatiHabcs^ut opinor^qua
ratione uenaem pro diuino amore ponae coadus iit . Q_uod ita tamen rede
pro cedit < ut ni£ ab iniquis reprehendi non poiTit. Videmus enim
Platonem in eo fa mone quem phatdtum nominat : Aphr^iten/quaic nos uenaem
nuncupamus: oqn lafouololum fed & diuino amori ptaxiTci Verum quam
uenerem piatonie cua poeta Aenez matrem eife uoluerit : faale
intelligemus ii quzdam paulo altu uscxipfoPlatone repetamus. PauCmiasigiturin
fympofio duas ueneres comme morat/aketam czlcfiem/uulgarem alraam .
prinum autem czio natam refert: cui nulla mater iit . Q_uod cum lingit
eam intelligentiam iignihcat/quz in angeli me te poiita amore ingenito ad
dei pulchntudinem intelligendam rapirur/quam quo
numproculabomnifflaterizconfortiolitiinc matre prodiidam dicit. Secudam
uao uenaem mundi animz tribuitiita ut patre loue : matre uero Dione eam
na» tam feribat . Manat enim ab ea ui quz in anima mundi eft : & uim
creat quz infe« hora bzc omnia gignat & mundi fyluam fubeat : Vtra^
igitur fibi ingenito amo ce rapitur czlefiia ilU ad dei pulchritudinem
intuendam : hzc uao ut eandem pul chritudinem e fylua conforma. Sed hzc
parum ad rem: Animus autem noda cum&ipGe fimilesquafdamuires habeat
inteliigendi at<y gignendi / duas itidem ueiierahabaedicitur/quas
gemini comitentur cupidines. Cum enim corporea puichnmdo oculis nodtis
obiicitucrmcns noftra^quz piima uenus eft}eam non quia corporea litillcd
quia limulaaum diuini decori admiratunar^ diligitiea quz ueluu uia quadam
ad czlos effenur : Gignendi aurem uis: quz fecunda uenus ell formam
gignae huic limilem concupifcir . uapropter uterqi amor iure dicitur
utaltcrcontemplandzaltergignendzpulchficudinis defidcrium fit. Nemo igU
tur nifi totius rationis expas fit duos iflos amores damnare audebit t cum
uta qj humanz naturz neceflariusfit: Nerp enim diu efremortalium genus
finefo bolis propagatione t neij ruifus beneefte fmcueri inuefligatione
potait.Prza ttantiuri igimr illa ucnae duce in italiam perucnire potuit
zneasiAc dices cui hzc fecunda fi bonacfl paridi nocuit: quia illa male
ufuscfl. Vir enimgignen« di autdior quam reda ratio didatfitin ea re plus
quam oportet occupatus /in Ibiis corporas uoluputibus meretur . Q_uo fit ut
6i primam quz ad fummutn bonum dudt omninn deferat : & fecunda
pcffime abutatur : proptaearp in om nes animi petturbanones incidat:
ueritater^ defpctata mifaq^ efifedusin omne indignitatem dcfccndat^Efi ut
dixi diuious amor fi Platoni credimus dcfideti« um redeundi a corporea
pulchritudine ad diuinam contemplandam: Non ta« uencum diuinam
defidetamus eam quz oculis pcrcipitur/contemnimus.Nam qui aliquid appetit
hunc illius quom rei : quam appetit imagine delcdari ne« ceffe cfi. Verum
funt quidam ita hebeti ingenio: ut mentem a fcnfibus nullo modo feuocate
poffint: hi ueiam pulchritudinem non norunt. Huiufccmodi igitui amot
adultctinus cfl / & a uao degenoans: quem lafduia ac
pcocadtas g In.P.VJrg.M.AIIego» frtnpff cotnit3tnr:quem diffiniunt
cupidinem eius uoluptatist que e cotpdo rea Forma percipitur rrede qux
dicunt cum ardorem animi in fuo cotporetnot tui in alieno uiuenns i quod
fecums poeta quidam dixit J , I Plato ucio ait illum
natum ab humanis morbis follicitudineqi plenum . At quis non uideat
illum nerp confilium in fe nc^ modum ullum habere. InefTci^ in
coiniurias/furpi# dones/ ac reliquas illas omnes peftes : quas fidelis
Feruus Terentiano phzdtix prudenter oftcndit.Habes(urputn^dupliccm amorem
uerum illum fidiuino: de quo paulo ante dicebam /& hunc falfum &
adulterinum: & qui uetoamo ri talis fit qualem aut amico adulatorem:
aut medico coquum efifeuidemus: cui quidem cum fe totum dedidiffet Paris
uiia cum Troia periit. Aeneas autem cz lelii illo duce paulatim ex troiano
incendio ideftex corporearum uoluputum ardore fe expediens li non reda
nauigatione id enim humanz condidoni : aut nunquam aut raro conceditur:
ut eodem remporelicfiulcitiam exuat. &rapiens efficiatur: tamen poft
multos errores in luliamad ueram fapieutiam pcrucnit. Q^uam quidem
nauigationem cumfudorislabonfi^ plcniliima fit/nemouna quam nili
fummoillius amore inccnfus difficultatem omnem perferre paratus fit
/penitus perficiet. Amor enim uerus/ut apud eundem Platonem /offendit
Eriximachi oratio omnium naturalium rerum creator effat^ feruator : eo
emn fimilia omnia ad eaquz fibi fimilia funt perhenni concordia
ttahuntur.Effitt dem omnium maximorum artium magiffer. Nemo enim aut
artem inuenitiaut ab alio inurntam addifcit : nili inueftigationis
obiedatio/K difeendi cupido ia dtet . uam quidem rem fi non apette
offendit : obfcudus tamen ut poeta« rummos efl / figuificat noffer
Virgilius.Cum enim in georgicis fe uen cogni» donem reliquis rebus
prxponere dicat difficultatem ipfamfumma amoris ui fu peraturum his
ueibis demonffrat.Me uero pnmum dulces ante omnia mulas Q^uarum facra
fero ingenti pnculfus amore Accipiant . Ingenti ergoamotela« boies
fummos:quiin factis mufarum/ id eff in rerum cognitione fubeuodi funt fe
laturum affirmat |0 uinus enim amor/nii aliud meditatur: nil molicurmui
Ia alia in re laborat t nihil tentat: nihil nititur /nili utiam corporex
pulcbritu^’ dinis afpedu concitus addiuinam nos pulchritudinem rapiat.
Dum enim cor/ porcis tenebris demetfi funt animi noffti diuin i non
recognofeunt : nifi umbris & fimulacris quibufdamtqux fefenoffris
lentibus obiidunt . Q^uam quidem rem non folum exprefferunt prifei ex
grzcia pbilofophi : in quibus Pythago» ram Empedoclem Heraclitum :fed
longe ante alios Platonem enumerare poC* fiim tSed Bi chrifhani ab eadem
fententia minime difcedunt: Nam & Paulus & qui Pauli auditor fuit
Dionyfius areopagita cxleffuac diuina : qux in fetu fus non cadunt/pet ea
qux fenfibus percipiuntur /cerni uolunt . Inxc eff igu tur illa uera
uenus: qux mentem noffram ad diuina erigit: qua matre quisoc Idat natum
xneam nomen abeo quod effxneos id eff a laude dedudum.Vb rum enim ad
omnia magna dCexccIfa natum : quis non fummis laudibus proe fequaturf
Verum&ipfea uolunrate delinitusdrca Troiz defenfionem laborat
Xioiamcoimpdiuatuturztin quibus, uoluptatescorpotex plurimum uigent/
Liba totius intoprctari licet : prima enim >tate’cum ipfa
ratio non dum fe exdtare : ft fuas ui CCS explicare poflit / etiam qui
magni at^ admirandi uiri futuri funt uoluptate de mulcentur: prima naturas
ueluri fumma admirantur: di quoniam diuina qux fint nem nouaunt :
beatiflimam eam uitam putant : per quam uoluptate frui lice at * Hi
igitur quid fummurn bemum rit : nondum compei tum habent: Veni cum illius
acquirendi fummo ardore inflammentunpaulatim bxc omnia qux dixi pri ma
tiaturx aduca momentaneai^ efle animaduertunt. H abet enim hanc irim ue
tus amor : ut paulo ante dixi / ut mentem ucbementn exacuat : magifterep illi
re^ cum inuenieodarum paulatim fit t ut nibil eam latae poflit . Q^uapropta
egre« ^eillud qi^ £Ulete poifit atuanton : Deinde cum nihil dfficik puta
/ modo re amata potiatur : omnes labores tolaat : omnes difficultates
fupetat . Hxc eff ue* nus illa non uulgaris ; qux materix admixta utm
haba ^gnendi/fed illa cxicflis ab omtii materia remota : qux a mente
noflra eft : ipfamq; mentem excitat;& Iu* cem illi liiam nobis
badenus incognita in node id enim efl in nofita infritia oflen dit t fc^
deam &taurfeenim indicans fua diuinitatem demonftrat : admonet^ non
peme feruari Troiam id eft originem corporis qux necefle eft ut pneat .
Hxc eadem oftendit uoluptates cotporeas non Tolum ab ipa lacena id eft a
feipfts/ut in beftema difputatione diximus cotrumpi : fed ab lunone a
Pallade at^ a exteris di is: Nam deos Troiam populati quis ignoret
fDiuina enim omnia uoluptatibus aduafantuc . Sed in primis Pallas . Hxc
enim fapientix fjmbolum obtinet. Sapi entia autem non folum uoluptates
contemnit : uerum eriam (fummopae exhore ret. eft quod de lunone quifquam
dubita : qux quamuis regnomm dea ha beOiiriproptaca^ in hxc caduca ac
mottalia magis ptopenfa uideatur: tamen cumlidmmes imperandi aipiditate
nullum labotem pafetre recufent t omnibus uoluptatibus bellum indiaint :
modo eo perueniant unde poflint reliquis impe* ritare: Deos autem minime
uida Aeneasdum pronoluptate pugnat . Nubium cniBiteilebtiscnnnis ei
ptorpedus eripitur . Sunt enim animi noftri ita a deo aea diutfuapte
natura facile omnem utritatemconfequantur . Sed a materia corpo* ea quam
philofopfaifyluam appellant: omnia nobis mala proueniunt.llla enim tardat
heb^t at^ pemirbat mentes noftras:: at<^ tenebris obfcutat . Sioiim ex
in fritia omnia uitia ptoueniunt : Q_uaproptcr & Chty lippus &
reliqui ftoici per* turintiones omnes a fallis opinionibus oriri dicunt
:(^uodtamai longe ante feoferat Mercurius ille: quem grxciob ingenii
diuinitatem Trimaxinnimappei* hnt.. Siigitur omnia uitia ex infritia
ptoueniunt . Infrit ia autem ex corpotea calu ginecft/utPIato putat
/erunt omnia uitia a corpore. Q_uam caufam prxeipu* am fuH&idixerini
/ ut is quem paulo ante nominaui Meteutius fyluam malignita*
temappella:fedderyluacommodiordifputandi locuspaulopoft dabitur. Pu* gnat
igitur xneas pro uita uoluptuofa: illat^ demerfus deos uidae nequit. Verum
cuminhuiufcemodi miferia non delit amor neri inueftigandi / ualetipfeamot
mentem excitare:utfecoUigens tenebras difaitiat:flt uideat quibus
numinibus Trcria cuertatur . Ducetp eodem amore pa medias flammas at^
hoftes ita tutum anipit . Et profedo uolenti ad tes arduas profleifri /
hinc mira quxdam'uolupta* tum : qux defoendx funt cupiditas ucluti flamma
quxdam illinc laborum ^difiS*. In.P.Virg.M.AIIego.
cultatutntp terror / qui aduerfus honeftatem afliduo pugnet fefe
opponfit. Q_uz omnia ducente Venere Araex cedunt. Nam niii amor abfit :
netp ram blandas oo luptatescontcmnere>ne<^ tam duras difficultates
fuperare pofTemus. Venit igu tur domum ut familiam omnem componat : at^
inde ex urbe proficifatur. Ri^ dit enim in fe ipfum animus t omnef^ fuas
uires : at<p uirtutcs gux uariz funnad profcAionem / id enim eif ad
ueri cognitionem / quam Troix nunquam afTeque^ retur : fuo ordine
componit / omnia^ (ibi ex uoto fuccederent : (1 pater filium fe qui
uelit.Verum negatAnchifesfe ex Troia difcefTurum» Hoc ueroquid (ibi ue lit
: (i me roges ego (ic puto. Aeneas huiufcemodi parentibus natus efi : ut
Venus dea : Anchifcs mortalis (it : homo enim ex animo qui immortalis
diuinufip eftiK ex corporemortali Kcito in interitum
cafuroconftactMmsigitur originem fuam femperfufpicit: ad eamcp redire
cupiens Troiam auidiflime dcferit . Senfus au« tcm qui a corpore funt
corporea incorporeis pratponunt . Hinc igitur alTiduum atrox<^
certamen illud exoritur rpiritusaduerfus carnem ut noftti dicunt t cum
mens totum hominem ad diuina trahae conetur t BC fenfus in potefiatem
tedige« re / 8 C fibi obtemperantes reddere cupiat . Contra uao fenfus
feculcnto elementa rum potu ebrii / 8 C lahea obliuione grauati nihil
nili caducum & tenenum cupi» unr . Anchifes igitur id efi tenenus
pata i 8 i ea qux a chrilHanis uabo parum tri» tofcnfualitas appellatur 2
Troiam fedeferturum negat .Mauult enim perire fen» fus / quam uoluptate
priuari . Mox tamen cum filium omnemq; domum t id eft totum hominem
periturum audiat 2 cump cxleftibus monihis meliora monea» tur 2 mutat
fententiam/ab Aeneai^ fublatus exportatur : molliltitna enim bxc at« ^
eneruata animi pars ad fummum bonum nunquam fat t fed i pfa potius
inficr» tur . Hxc de ancbife j Aeneas autem cum iam incendii 2 armorumcp
pericula eua» ftlVct ; atep incolumis urbem e(Tct egrelTus : ingentem
comitum afduxilfc nouo# rum inuenitadmiransnumaumtqui quidem undi^
conuenerant animis opi» buf^ parati in quafcunt^ uriit pelago deducere
tereas.t & rede quidem. Nani ca tandcmcferuitioincendioi^ uoluptatum
fumus liberatit e(f<^ iam animus redi uaiqtinueniendiauidus/tum plunmx
animorum uires 2 quxhadenus ignauia torprbant :ucbementa excitantur 2 8 C
bene in(fitutammentcra quocunt^ uocae uerit / fequuntur. Q_uo quidem
tempore ne a redo itinere omnino aberraret xneas / Iam iugis fummx
Turgebat luciret idx t Ducebattp diem . Eff enim ludBtr uenerisfydust
quodurfolem lunamip omittam 2 omnium quinque fteliarum quas nolfri
aratiles grxei planctas uocitantt lucidiflimumlitizodiacum autem odo ac
quadraginta diebus fupra trecentos perficit / nunquam a fole longius fex
& quadraginta unius (igni partibus difcedens . Verum/quoniam modo
pcxcedit/ modo TubTequitur 2 folem non eandem (lellam fed duas eife
prifei crcdidcrunttpti mum autem Pytbagoram extitiffe ferunt :qui in eo
apud grxeos unum depreben derit .Cum igitur folem prxuenit lucifer
dicitur : uefperus autem cum fubfequi» tur . Rede autem lucifer prxuius
foli eff . Stella enim uennis/is enim amor efi ue ri inueniendi / ei
exoritur 2 qui iam uiram uoluptari obnoxiam deferir 2 dudt^ di em 2 nam
rationem excitat talis amor / cuius luce illuSrati uetum noffe ualeamus.
Apparet autem a idamonu id eft a pulchritudine.Idos eoimapudgntos formam
figaificat. Amor autem apud Platonem pulchittudioisdefideri um diffii
S , Q_uapropter in ipfo pudor nos a turpibus auoc^: cupiditas ucro
czcellen quztj boneiia rapit . Fertur igitur Aeneas duce m are exui in
alt um incertus quo fata ferant ubi iiftae detur . Q uz omnia non fine
fumma fapientia a poeta ponuntur: facile enim cognofeit Troiam
relinquendam :&fummi boni princi' panun uoluptati minime e(Te
tradendum. In qua autem re fummum bonum coii
tiatnondumcognofcit.lureigitur exui appellatur. Nam ab eoquod habuit cie
dus eft : ne^ dum id quod ucluti proprium poflideat inuenit . Mari autem
fermt quia animi nofiri quocun^ moucantw nulla alia re niii appetitu
mouentur : qui quam fimilis mari iit paulo poft aperiam ii pauca prius de
appetitu dixeto^ft igi^ tur fenfus & uis quzdam in animis nofiris t
quam cogitandi nominant : cui bono tum malorum*^ iudicium a natura
demandatum efi , Non nunquam autem ita iudicat buiufcemodi uis : ut nihil
prarter fenfus refpiciens : 8L ueluti illorum illc« cebris attrada &
uoiuptatis oblato ptzmio corrupta quod pecudis bonum eft i{v fa hominis
bonum decernat . Si autem eadem cogitandi uis falutari rationis lumi ne
illuftretur : & eius norma dirigatur : non id bonum eife iudicat / quo
fenfus de mulcentur ; fed quod reda didat ratio : quod uemm (implexi^
bonum cui iit ne« ^interire ne^ corrumpi pofiit. Cum igitur huiufcemodi
uis bcx bonum illud ucro malum elfedeacuerit excitatur in nobis alia
quzdam uis quz ad bonum afei Icendum / malum^ declinandum infurgat .
Huncautem appetitum omnes ap« pellant . Sed &, eum duplicem efle oportetialtrtum
qui ab eo iudicio quod folus fenlus fcdt femper pendeat : nibil^ cum
ratione expetat : alterum qui nihil omni no fcqiutur t niii quod ratio
prius pra^epent : primum illum libidinem : hunc fe eundum uoluptatem
nuncupamus . uaptopter erit appetitus quo animi honii num ad bonum
afdicendum/maium^ declinandum moucantur / redus quU
demiiaratione/contraii a fenfu.Q_uaptopter pulcherrimo enygmate diuinus
Elato cum animum noibum ueluti cunum pofuilTet : aurigam ilii duofep equos
adiungit . Nam ueluti equis currus trahitur : iic animus ab appetitu duatur .
Fe.< mnt autem equi non fuo arbitrio : fed imperio aurigz a quo
reguntur eodem pa» do appetitus nihil ex fe agendum decernit . Sed quod
iam ab aii a ui deaetu m eli fequitur . Q^uarc autem equorum alterum
album pulchettimum^ i at^ hono« tis cupidum : Bi qui non minis ui<^ /
fed cohortatione ratione^ regatur. Alterum nigrum inglorium &
contumacem hnzerit ex iis quz paulo ante a me de duplici appetitu
dicebantur perfpicuum eft. ExprefVit enim per bonum rationalem : per B^um
ucro irrationalem appetitum quo animus fertur : at<^ hzc de appetitu :
quem quidem mari limillimumelTe quis negaueritr Videmus enim mareftnuL»
lis uentis uetbcretur fedatum tranquiliumtp perdurare. Sin autem
diuerfistun datur uentis: in geauiflimas turbulentiflimaftp tcmpeftates
infurgir : Sed hzc eadem in appetitu dcprzhendastFac illum uacarc a
pcttutbationibust nihil ni fi rede appetet : Fac rurfus iliis uehementer
uezari : quos iam ftudus quasuc procellas intuebere: (Quapropter
illud elegannflime u^tio^ irarum 6)s d^t (ftu. Illud autem tibi fortalTc
occurren/ quod non bene iis quz diximus cohzrere uideatur : Nam fi
radonali appethufertur zneas : fi iam uitam uoluptu g ii*
In.P.Virg.M.AIIego. ofatn damnault t unde nunc illud quod
patnx liHota lachrimajupotfutnij^KliQ* quit . Q_uod enim odifle iatn
coeperimus: id non lachrimantes : fed Izti fugcR fo letnus t Sed uoluic
Virgilius primum a uolupcatc ad uirtutem difcelTum demoo' I firare . In
quo cum temperati non dum fed continentes fimus : agimus illud qui> I
dem t fed cum diu uoluptati aifueti illius illecebris demulceamur t non nili
zgte , ab ea diuellimur : imitemur^ fenes tioianos : qui cum Helena ut
grxconun tro> ianorumtp certamen fpedarct mcenia confcendilTet
admirabatur cum (hiporemu lieris pulchritudinem t ea^ uehementer
deledabantur : uetum tantorum maltv rum illam caufam eflie
animiduertentcs : abeat dicebant potius Helena: quamp pter illam pereat
Troia . Q_^uod ut plaiuus intelligas . Q_ucmadmodnm tordnk do uirtus eft
/ qua dura omnis ar^ afpera inuido animo ferimus : lic tempcran» tia
aduerfus uoluptates armamur : in qua quoniam iam habitum contraximus li
ne ulla difficultate aut moleffia negocium conficimus. Q_uod li habitus
nem dum contratSus Iit : Si tamen illud idem efficere tentamus t tandem^
effiamusfi nitimum quoddam 6C uiriuti proximum nancifeimur / ut nondum
temperantes effedi / tamen abftineamus quamuis xgre & non line luda :
Q_uz contmenna di citur in qua li diu exerceamur : paulatim temperantiam
acquirimus : htij uirtus id quod hadenus uirtus non erat : fed ingrelfus
ad uirtutem . Hoc igitut intcrcft
intcttempcrantiamfiicontincntiam.Namquamuisutrai^ idem przdet:conti« nens
tamen eo detenor eft/quia cum dolore ablhnetmec ctt fatis Armus aduerfus
uoluptates • Tempuans uero bene uolens Iztufk^ abffinet.quod li itidem de
ineo Anente intemperantem inuelliges: facile ell uidere quanto a
temperantia condoe da fuperatur i tanto incontinmte ipfum intemperantem pemitioliorem
elfe : I na continens enim quia non dum in uitii habitu ell rationem
difeemit : prindpiui| Knct:pugnatm aduerfus malum: fed tadem magnitudine
cupiditatis & fui animi imbecillitate uidusucluticmtiuus in
feruitutem rapitur . Vetum uc qua; uctbts adumbro ea exemplo exprediora
reddantur t dicimus continenum a pruicipiofii ilTc Didonem: quz quamuis
Acnez amore teneretur : tamen adeo lunliter repua gnat/utmori malit :q
pudorem uiolare. Incontinens autem paulo polf redditui cum fororis
oratione uida pudorem foluit . Prius enim fortiufcula adhuc ita pua
gnabat : ut uidrix cuaderet . Deinde eneruats omnino pugnando
fuccumbit.pua gnatenim incontinens/fedfupaatur. Intemperans autem in
habitu uitiiconfti< tutus omnem rationem amiDti ne^ pugnat aduerfuscupiditates:
quin illis uo» lens gaudmfqi obtemperat : quippe in quo adeo deprauamm
Iit iudidumtut qdf tnalum fit bonum rlTe dicat . Sed ut iam ad inffitutum
redeamus : non dum tem' perantia munitus erat zneas : nuper enim ea ratio
in homine uluxcrat: ut uolupts tum fordes intueri poffet : nei^ rurfus
tempeians : aut incontinensinon enim io de fe expedilTet . Sed cum
hincilleccbrx uoluptatum traherent : illinc honefti uui pulchritudo ad
omnia excclfa cum erigeret/demuiccbatur quidem a uoluptate cam^
feolibusfuauilTtmam iudicabat : non potccatip non zgte ab ea diuelli.51i
da enim adulatrix voluptas efi.uehementcr^fenlibus applaudit: ut etiam
gcQ’tolioiit animi qui funt illa capiantur .lu cnim fuauiter nos irrepit aut
totos pau lanm occupcttSmgjt igitm comn ucac ft guis lachiimaiu taincta littcin
tioiaiu ti s h P U Ii 9 si Q lu ia K a» 10 k liu tic adi li] tu »1
I» bi » m inii tta ip DOi tUU) aoi pqai V» 'Z tiO*
iJuti idtai am i&:l» oap jiua riKil apoi at(p
tdib ;iup» ib<#
ico^ Jki» «0 lolf J 0
t ^0 'Df> 0f Libettmiiu Klinquittquonii
c6tines.Q_uod H unam tcpnitii adcptua fuifTn no lacbrimSs fcd lema
reliquidet : po<ta enim non ipfum a principio fapientem fingit:£C una
uircure ornatum t (icd cum qui a perturbationibus animum uendica» K
cupiens fe paulatim a uitiis redimat t k poft uarios errores in italiam id
eft aducram fapicatiam pnumiat» Nam quznos de continentia dc^
incontinen eia diximusan quibus fenfus pugnat U ratioiuidiTim^
uincuntacuincunmr. eadem de reliquis uitiis ac uirtunbusintelligas mtn
quas mediae funtaffcdio nes nullo adhuc habitu latis Hrmxifcdquz modo ad
has modo ad illaimpel lantiquisfortadeinuiu ciuiiiin qua quz ad bonum tendunt
incohau potius quam pctfcda lepenas/non nulli uittutes nominarent . Sed
profici fcatur iam no &rAcncastuerum quo tandem exui pn altum
feretur: Nempe in thraciamre^ gionem patrue fininmam/fiC terram Matd
confcaatamnnquanupn Polynco ftoc holpitem fuum Polydorum ut auro
potiretur interemerati Erit autem aua titia; fjtnbolum thtada.Nam ipfe
paulo poft : Fuge littus auarum . Vnum cum duplex auaritix genus fit. Eft
enim auarus 8C iis qui inde rapit unde minime con ucnitideis qui cui
dandum eft ei minime dat.primum illud genus perthraciam cxpdmimroi enim
in illa Mars colitur.-quisncldt habendi cupi ditate plurima a mortalibus
bella geri. Sed ne^ Polyneftor borpitisintcrfedots6( Tuorum bo» Domm
raptor quicquam expreftius quam auaritiam rapinaft^ denoubit < Cur igi
tur prima inthraciam AeneznauigatioeftrQ^uiacuma uolupute difceftimus
at<j non dum uerae uirtutis habitum contraximus facile ex ilia in aliam
cupidita« tcminadimusiinfurgitip habendi libidoibeatilTimam enim uitam
multi feade< ptos putantifi opibus maximifip diuitiis reliquos
mortales fupecet:Q_ua cupidi tace inflammati non dubitant non modo
nefaria: uerum etiam laboribus pericu lil^ refcitiftima bella fuTciper e.
Ingens profedo ftultitia:6i ab coanimo profeda: qui & fi uoluptates
contempferitcnihil adhuc altum furapete poiTit.Habet enim auaritia
pccuniz ftudiumiquam nemo unquam fapiens optauit. Nihil enim illa
mobiliusinihil quod magis fottunz temeritati fubiiciatar.Q_uapropter rede
Sa luftius auahtiam ita malis uenenis imbutam dixittut animum cotpufij
uirilc cf< foemineuquando quidem Si ad omnem humilitatem infimaTqi
fordes dcTcende
tccogic:&inomnemcrudelitatemproreuili(Iimainfurgete.lpra enim
perfidia am pctiuriumip edocet:cot fraudibus: linguam mendaciis:manum
uenenis/fer.» to^ in aliorum pemitiem inftruit. Apud eam quid fandum efle
poteft: cum ho.*tes quoip qu^Polydori exemplo docet poeta minime incolumes
fint. Nemi nem tamen mirari oportet fi Ancas fapientiz quidem cupidus
minime tamen ad buc fapiens in huiurcemodiuitiumprolapTus fit. plurima
enim inuiu humana Uidemusiquzquauis caduca momcntaneaip finntamen morulcs
pro maximis admirantur: quz quidem omnia cum ucnalia efteuideantipecuniz
prz czte^ ris ftudent.Q_uotus enim quifi^ repetitur: qui non putet quod
genus ficfoc mm regina pecunia donat t quis non totus commouetur : cum
auditi Si b^ ne numatum decorat fuadela Venuf^ . Verum qui duce Venere
fertur Si tna gnarum rerum amore incenius cfi/pauladm errorem
recognoliit. uitiumip abominans Xfaradz auariflimutn lictas fugit , At^
cum iam fecundo deceptus i In.P.Virg^.AlIego. falli
deinceps turpi/Timum mirerrimumep iudicet Apollinem: cuius oracula ue
riiTima e(Te audient confulendum iudicac: Retur enim (i ex illius dei
ptxut pris uitam inftituat futurum. ut mifet ciTe non pofTit. Q^uaproptei
nauiga> donem in delum fumit: per Apollinem autem qui fol cft: quid
aliud quam lapientiam intelligemusf^Nam ut id omittam quod ut fole eunda
qux in lien fum cadunt illuftrantur:(ic lapientia illuftiatus animus
eunda profpicete ua. leat uideamus reliquam eius plancta: naturam. Sed
illud in primis. Nam cum Heraclitus fontem caelefiis luds appellat.
Cicero ueto ducem carterorum lu« minum ea ratione dixit: quoniam fui
luminis maiellate praecedit: dixh itidem ptindpem dixit moderatorem: Nam
SC ita eminet/ ut ptopterea quod buiut> modi folus appareat fol
uodtetur : curfus reliquorum recurfuf^ipre mode ramr. Nam certa
fptii diffinitio eS ad quod cum quaim erratica ftdia recc' deos a fole
peruenerit tanquam ultedus accedere prohioeatur agitur retro. Rurfus
autem cum certam partem recedendo attigerit : ad diredi curfuscon fueta
reuocatur.Q^uapropter non iniuria & mens mundi cor czliapri«
fcisdidus ell:Q_uz omnianon ne fapientiz quadrant Non ne fapien^ tia
reliquas animi uires przcedit : non ne illis moderatur C Q_uin etiam li
uim huius fyderis diligentius aduertas iurc datur fapientiz dicetur: Nam
ut a Saturno ratiodnandi a loue agendi uim : ut a Marte animorum uehe«
mentiam at^ calorem aedpimus; uta Venere deliderii motum fumimus: &
quod loquimur atqi intcrptztamur a Mercurio cft: ut deni^ a luna quod grz
ci phyticon idcll gignendi augendic^ uim habemus; (ic ipfe fol quod
friamus: quod^ opinemur nobis prxllat : Sed hzc de Apolline. Deli autem
nomen S ipfumnon nihil ad rem affert, grzce enim manifeflum flgnificat.
Loca enim quibus fapientia przfidet : clara femper manifefta^ fuat.Q_uod
autem tot»> us infulz Anius imperet: qui & rex hominuni.&
deorum facerdos iittnonca ret ratione : Sapientia enim humanarum rerum
cognitionem continet. Q_ua ptopternihilnouum fapienti accidere poteft:
quippe qui omnia iam percepo> rit : quam quidem rem nomen regis
oftendit. Anius enim didtut quali id elf (inc nouo . Hic igitur
hofpitio Aeneam fufdpit: SC pio* fedoipfa fapientia animi nolfti aluntur
. Veneratur autem templa : at^ ea retn pia quz faxo uetullo conftuida
fint.Nam quid obfecro te: aut flabilius im* mobiliufi^ : aut antiquius
ipfa fapientia deprehenditur : quam fapientiflimus ille omnium bebrzorum
S^omon ab initio Si ante fzcula creatam fxcula aea ta effe uerilfime
didt.Sed tu quid me o LAVRENTI fubridens fpedas.Non polfum inquit
LAVRENTI VS dodillimorum uirotum ingenia non admirati lztuf(|:quz a
principio de hifioiia decp allegoria dixilli mecu repeto :Q_^uis enim non
obfiupefcat huius poetz confilium .Q_uicum apud Cioatiumueri
umlegilTetinDelo aram elfc Apollinis genitoris: in qua nullum animal
facrifi atur: quam Pythagoram ueluti inuiolatam adorauiffe fetunt :
legiffct eti^ am Sc apud Epaphum : Delon ne<^ antea nem pofiea tettz
motu uexatam: femper eodem manere luo legiifet: & apud Thucydidem non
mirum elfc fi przlidio tebgionis tuta infula femper fit : cum teucreruia
locotumfibi acccficrit Liber tertius
coBtltiuafaxIeiurdetn firmitate: Cum igitur bacc legilTet itafcnblt/ ut
eodem tempore ex antiquitate hifioriam eruatiponit enim Aeneam Tolis
przcibui deum uenerari:K templa antiquo Taxo confirudaefTe/ficbxc cum
ponit fimul ea affert quz per allegoriam Tapientiz conueniant . Dices
quid in cacteris : hoc idem. Sed nefdoquo pado hic me locus in quo
hifioria non minus qua allegoria latet:mul to magis mouinSed perge
obTcaomolo enim mea interpellatione mihi ipfi audi endi cupidiffimo
moleftiam ex mora afferre. Datur igitur ab Apolline oraculu inquit
BAPTISTA zDardanidx duri quz uos a fiirpe parentumzPrima tulit tel^ Ius
eadem uos ubere Izto Accipiet reduces:antiquam exquirite matremzHic do#
mus znez eundis dominabitur oris:Et nati natorum 8C qui nafeentur ab
illis. Q_uo quidem oraculo quid diuinius excogitari poffit non
reperio:Q^uid enim faomini(alutarius:quidconducibiliusefi:qu3 originem
Tuam noffexin quam cu redire potuerit /tum demum fit futurus beatiffimus:
Dixit igitur pluribus/ne a poeta difcederet Maroxquod grzci duobus tm
uerbis expediutxqui omnium ora# culorum quz Apollini tribuuntur maximum
effeuolunt i«r</7>> V nofceteipfumxVerumut haxea nobis planius
explicenturxOmnesquicuh^un# quam de fummo bono feripTerunt philofophi in
eo fi non uerbis re Taltem con# IraTeruntxutbenebeate^ uiuere fit apte
conuenienterq; naturz uiuere t Verum ubicoiamdeuenturn efl/ut fit hominis
natura diffinienda : tunc innumerabi# les pemitiofilTimi^ errores
emanant: cum animorum nofirorum ui ignorata plufquampar efi corpori
attribuatur. Nam cum ex animo corpore^ conflare bomo dicatur . &
alterum brutum/caducumt^ at(^ facile in interitum pronuma Alter
mcorrufmbiiis immortalis diuinuft^ fitxpaud omnino ita mentem a fcnfi#
busfeuocat: ut feanimi nobilitate imniortales cogoofcant: corpufcp in
nulla pene parte habendum cenTeant.praedpitur ergo Troianis ut eo
reuertantur de originem ducunt . Duplex autem illis origo efi.Nam Teucer
Scamandri cu# iufdam filius profedus ex creta infula in Phrygiam uenit;62
una cum Dardano Kgnau:t ; Dardanus autem prius SCipfe in Phrygiam
ueneratatnon ex creta: ut ille fed ex italia: nec mortali patre natusxfed
ex deo loue. Veniunt igitur am# bo in Phrygiam id efl in uitam: &
pnmam ztatem quam perTroiam fignificari di ximusxfed hic a czlo ille a
mortali. Ad huius enim animantis /quem hominem dicimus compofitionem
animus a cziefii corpus a mortali patre prouenit.Q_^ua# propter cum
primam nofiram onginem inquirere nos Apollo iubeticuius ora# culum efl
Nqfce te ip Tum : non quid corpus fitxquid ue illi conducat inuefiiga# re
iubct.Sed quid animus fit 8C quo pado fecundum animi natutam uiuere fodi
ces effepoflimus inquirendum mandatxQ^uam quidem rem ut ezpreflius
fignifi caietannquam didtxEfi enim animus fi non tempore/ut Platonid
uolunt digni tate Tua at(^ excellentia prior: Optimum igitur oraculum:
Sed quid prodeft fi illud male interpretatur Anchifes . Hic mortalis Aenez
parens omnia ad lenfns referens ibi (edes collocandas cenfet ubi prima
corporis origo fit. quafl prima naturz non animi fed corporis fpedanda
fint t Q_^uaraobrem non ia Italiam fed in Cretam enauigandum proponit:
qua in infula multa mala Tubi# bui fint Ttoiani* Nam cum (ummum bonum non
iis quae animum: fed quaa In.P,Vtrg.M.AlIego. corpus
fpcdcnt natura noftra ignorata reponimus necefle eft/guoniaft illa
pati> io po(Hnpe(lem/ac demum in interitum cafuraiint/ut non
bearirredmiferi fiu turi (imus:TuIerunt ergo prxrium ob ftuitiriam
Troiani:gui in italiam nauiga» te iulTi actam ptticrint:Si enim in
italiam.i.in originem animi redeant Troiam percipiunt cognitionem rerum
diuinarum in qua fola flabiles & manfuras feda inueniuBt ; Hic enim
domus Aenea; eundis dominabitur oris:Et nati rutorum & qui nafeantur
ab illis . In aeta enim nullum e(l Aenex imperium. Na corpus ne^ fe nerp
aliud mouet:fed iners brutum^: 8C line fenfu iacetrnec quicquara Ii ne
animi auxilio ualet.ln italia uero imperium latepatet.Corports enim
domina tor & redor eft animusrin nullam^ nin uolens fauitutem cadit .
Cunda autem fue cognitioni rabiiciuSe enim pafe uideticum autem deum
cognofccie tem/ ptat fuz menris acie ad fuperiora erigimr. Colidaado oia
fpedat:Rimatut occulta. Videt abfeiitia:breuicp temporis momento
uniuerTas mundi oras anv bit:Defcendit ad interiora: Afcendit cxlum .
Adxret deo: in quo efl patria fua:Et ? uoniam imorulis eft hxc
femper facit : Q_uapropta eius imperiu eft aeterna : ixcaprincipioquauisdiuiniscflentmomtiprxcepris
cognoicere no potuerat Troiani: Nunc uao calamitates
eipaticognofamt.Epimetheo quidem ferius: Sed uidete quxfo quam admirabili
ingenio reliqua profequaturtCum pefie labo rarent Troiani danmatfuam
oraculi interpretationem Anchifes.Nam poftqui diutius debaccliatus eft
homo dum fenfibus obtemperans omnem fpem in rebus caducis reponit/tandem
ufu Si experientia dodior redditus animadueftit no fua« fifle acta
Apollincm.i.nunqua pofleefte homines beatos ex iis qux mortalia fntt Cenfaigimr
alibi quxrendamfoelicitatenuVenmi non dum tanta metiris arie
ualenutquainrcconliftatdifcernercpoiritrNa humiproftratusanimus/St fieri
gi nitatur tamen corpote'obrutus qu x in/cxcclfo collocata funt non nili poft
mui tum tempus difeemit: At dii penates eadem dicent qux didurus efliet
ApolIotPu tabantenim antiqui deos penates elfe ex animisiuotummatoTumtqui
clari ilhi^ ftref(^ multis egregtiftp uirtutibus fuilTent quali deos
domcfticos: Ergo Si hos animoru noftro^ excellentiores uires intapretabimur:quales
funt ratio intelle# dus atqr iDtelligcntia:Q_ux hadenus furentibus
fenlibust Si omnia tumultu co plentibus nihil fanuiudicare poterat: Nunc
autcpoftquamfuograui damnoeu pertus eft homo fenfuu iudicium falfum elfe
illos a tribunali quod tumultuo&oc cupaucrant deiicit:& luris
dicundi potcftatem iisjuiribus quas paulo ante nomii>
nauipermittinillx autem cum iam fcnlibus parentioribus ut atuc:quippequipu
dorc confufi nihil amplius audeant/K cum eorum iudicium diuturnus iam
ufus at^ experientia confutauerinparaciam non amplius prxeipne
deaeucrintrfc a tumulmcolligunt:at (pfeipfascxdtant:fumma (^
contentioeruftitix nebulis fua luce fugatis mentem^ ab^iniquiffimo
fenfuum iudido prouocauit ita a aetenfi domicilio abfoluunt : ut tamen
italicam profedionem fuo dcacto 'edicant, /ii* dunt^ proptnea fux
fententix ftandum:quoniam eadem iubeant quxipfe Apol lo a quo mittuntur
didurus fit: Etprofcdomcns noftra multatum rerum ufu iam dodior reddita
multa, 'ex fe cognofdt:qux fapientia ptxdpere confueuitt Nec ucto quempiam
moueatli deorum pcnatii oratione pctfuadcatut
Andrifas I t ( I I P n u d fi D B
B< P> h Jrj-B S ® Liber
tergus Nitn ubi ndo pneualerc iitn crprrit : appetitus Hli
rubiicitunMuItS iatn profeoe nintdiipcnatessquiquz obfcunus Apollo
fignificauerat prrfpicue enodaruntt docent«piniuIuadrcrum diuinarum
cognitionem enauigandum rfle: Beatus profedo Aeneas (i decretis ftarett
(i quod bonum efTe cognouit:id ita mordicus arriperet ut nulla re inde
po(Tet auclli:Non enim totiens a redo curfu deiicere^ s Veru non is adhuc
uir eft qui conftanti habitu in hisobdurauerit:& per (uma t&
perantiam a rerum moruliu cupiditatibus (it penitus purgatustfed inter
contine tia; at(^ incontinentiz uarios frudus uacillans fzpe cum ad aliquod
Tparium fuo uento procelTerit: nauisfubito a redo curfu deiicitur . Non
enim is gubernator clauum tenet qui fummo nauigandi artiBdo arperrimam
etiam tempeftatetn fupcrarcualeattfed Palinurus t qui poftquam ceruleus
fupra caputaftiiit imber nodem hyememt^fercns.poftquam inhorruit unda
tenebris : poftquam conti» nuouenti uoluiit maretmagna^
rurguntzquora:& quz fequuntur.ipfe diem nodemt^ negat difcernereczios
nec raeminifTeuiz: Diximus a ptindpio foloap petitu moueri
aniraumtdiximus itidem duplicem e(Te appetitum alterum qui a fblis
feniibusexdtetutitationi^ aduerfeturidicatnttp libidotalterum qui ratione
pareat:uoluntaf(^iure nuncupetur . Q_^ui quidem (inauiprzfuifTetiporerat
ea am aduafantibus uentis iter redum tenere, oed przFuit Palinurustis
enim eft qui folisfeniibasob temperatiuirefij aduerfus uentosinterprxtari
poteft enimgrzce retro uentis didtur quali qui in contrarium refe.»
tat. Hic igitur infurgcntibus pertutbationibus/uehementioriburi^
cupiditatibus uelutitcncbiisanimuminuoluetibuscum ipfenulla rationis luce
illuRracus (it dicsanodibusideftucrumafairodifcerncrenrgat.Magna profedo
hominum ioldtiatmazima^ fenruum perturbatio qui ita rationi aduerfanturi
ut quauisil la fzpe infarg.it t ut animum ab illorum nefaria tyrannide
feruituteq; eripiattipfa uclutiiulbirima regina ueramuelit inducere
libertatemitamen cum nondum uiresfuasrecupetaueritmDpercp a diuturno
exilio reuerfa a paucis fuorum ciuin cognofeatur fzpe antea qua dus regni
quod (ibi iure dcbctur/polfeinonem recu» peret ab lilis repellitunquippe
qui multos iam annos tyrannidum tenentes omni largitionum genere
appetitum corruperint : illum cp adeo demulfcrinttur malit io feruitute
uolaptuofc degere qua honorifice in libertate laborare. uamob» temcum
acbrainterillos przliac6mittantur:difcedic fzpeuida ratio, lllicnim
parere rccuCiDS Palinurus nihil (anum fentit : Eiufcp ilultitiaatcptrmeiitate
cd» mittirurtuc dedituto curfu t quem penates dii prasceperantin
(Itophadas infu» lasdeclinetur. Hunc autem locum nos ni fallor auaritizuitium
redeinterprzta bimur/non illud tamen quo inde rapimus tunde minime
conuenitiid enim nobis Thrada ddignauit. Verum aliud quod tunc patratur:
cum ex iis qux iam peperimus minime illis (ubuenimus : quibus tus
naturacp ac humanz fo detatis uinculum fubueniendum poftulat . Oodus
enim'iam Fragilitate rerum buroanarum Aeneas ad diuina ratione id
efflagitante / ferebatur. Sed appeti* tus aduerfus illam adhuc contumax
ftaredeaetis non potuit. Verum ad ea quae uulgus admiratur rurfus
conuerfus diuitias cupit. At quoniam multum de pti*
fiuufcritateitniautufuctaUndui nc^rapiaisilJafibicompatatecoBteodit: fcd
In.P.Vitg.M.AIIego. per (oBUS fordes plus qustn psr eft
parto pacens nullo libmlitatis munere fiigiei DC(p (ibi nc(^ Tuis beneficus
eft.Q_ux quidem cum facit fe parcum non auarutn prsdicatiprzfert enim
fpeciem boni uiri cum peflfimus Ar. Q_uaproptcrnon io« iuna harpyz ipfz
uirginea facie Angunturdimulanc enim pudorcmimodtfHaou
robrietatem^iomneri^ uirtutesprzfe ferunt. At earu ucntris ptoluuies
fcedifli< tna eft.Q_uisenim po(TetauaritizfordesexpIicare:quis qui
turpis hominis di uitis eiufdemtp tenacis uita fdt latis referrer Cum
furor bau d dubius s cum ftene As manifefta At egenus uiuereiut diues
moriaris : Q_uid miru igitur A earum fu des palidafcmperc fame &
macilenta AtiNarahuiulizmodi homines iure tanta • locomparamussqui inter
aquas.interi^ uaria poma confbtutus Ati tamen at^ fameconAdturiNam
utcumulusdiuitiarumacrcatiprcinterim ruum/utillete« . centianus Gcta
defraudans genium partis abfbnct ac timet uti:Q_uod autem ua ds Angantur
manibus ratione non aretiNihil enim remittunt quod femel ctpe>
nntauariiQ_uinfunt adeoperainoA auarinxundiut hominem ad dtuma qua dam
natum ab alnlTimis curis ad hzcinfenoratrahantifiC uelutide czioin terras
K e lucidis fjderibus in profudilTima tartara trudant. Auertit enim nos at^
feuo« cat habendi cupiditas a cognitione carum reru quibus folis Axiiz
animus ciTe po( At. Sapienter igitur adiugit.TrilHus baudillis mdiltunec
fzuior ulla peAisidtjia deum ftygiis fefe extulit undis: Non autc Aulta
rado poetas impulittut ex Thau« inante patre: matre Helcdraoceani Alia
natas harpyas fabulentur.Thauroan« tem tede admiratione dicemus grzci
enim admiran dicunt. Cu cnimobfummafiultitiam diuicias maxima bona
putemus cum aut bona non Antaut minima bonaiproptcreaq^ illas
adrairamut:cuenit:utcx ca admiratione cupiditas habendi nosinflamct.Ncmo
enim cupit caquz negligit:at(j contenv nit.Suntautem ex eamatrequzAt
Oceani Aiia:Nam liquis maieriam diuinarn diligentius conAderct:omnia mari
Amillima in ea uidebit.Vt enim mare in afli' duo motu cAicundac^
incofacilemifcentunat^ pcnurbanturaAc diuitiis ai<jf opibus nihil
Auxibilius inuenias:multiq) tumultus ac fzuiAima bella inde ezota tur. Hz
igitur c£.'n paflim armenta gtegcfij pafcant : nihil inde Abi ad ncccAiu
tem fumunt. nihil aliis rumerepermittunqvcrumfiC ab hocquoq^ regenereaua
tinz quando^ explicat uir fummi boni acquiredi cupidus. Relin querat olim
uo luptates.indderat in rapinasiquibusquo^ damnatis otacuium confuliti A
quo accipitnofceteipfum:in quo errat Ancbifcscum ea ad corpus refcrctrquz
de ani tno przcipiebanturicauturqi^ruo damno fadus errorem cognofat:
conAlium inutat:rclida(^ creta tendit in lauum . Verum rurfus
perturbationibus uexatus animus ad diuicias rutfus refluit: non tamen ad
eas quas rapinis ut hadeoust fed quas nimis fordida pat Amonia comparet :
Sed & boc quo<^ uinum effc cognofccns / proptetea^ damnans < ad
Helenum per hoftcsproAafatui. bes igitur quare in harpyarum infulam
delatum mixcrit Aeneam y?^uod ue^ IO ab ipAs uefd prohiberetur iam
parariscpulis inde efliqnia eam uim habet auarina/ ut qui etiam dinflimi
Antfame penrequamuci minimam acerui par« Aculam imminuae malint JAcmis
tamen eas pepulerunt Troiani: Nam di aua AAacxifflbcdllitateat^ builitate
animi tuliaf':qiiz ci cAiut&fctia & tnulict«' i-% « % % t ik tltl
I- 11 1 1 1 1 1 ^ I J J- 1 1* I i I- 1- i •j mii
oa* iff Liber toriiu <aIcgux'tninori animo
runtauarioresTemp^e pncbeact/tunc Fadle pellitur fi foitemgcnercfum^
fumamus animum ^6Ilcedit e fitopbadibus a;neas t fed non prius quam cnfle
a ccleno oraculum aedpiat < mendax omnino uates Bc in E s
fubdola } & quz uctborum firepitu honorem inde incutere uelit unde ni
timendum : bed profedo hoc morbo laborant auari i Nam fi quando ho« ncOa
quzdam SC una ratio lilos ad diuina exploranda erigat < propterea^
huma na bzcfiC mortalia negligendafuadeatrihtiminfuigit ex auaritia metus
(i rem noftram familiarem negiigentius curemus fore ut (i fame pereundum
x Sed ne« fiauot fiuItilTimt homines quam paucis natura contenta (it i
quam facile t quam minimo fumptu eius diuitiz comparentur: Efi autem
fames iis timenda qui in anesqui infinitas cupiditates & quz ne^
neceifariz ne<^ naturales lint fibi exple das propofuaint : quorum uotago
um lata tam profunda efi : ut nulla auri ui t nullo gemmatum iapillorumtp
cumulo repleri queat . Q_ ui autem ita uitam ia* fiituerunt > ut fola
fe uirtute bntos putent : animum^ non corpus ditandum ^ ponant : his
omnia femper abunde adaunt t Q_uam quidem rcm:quo tibi pia* nius exprimam
:at^ adeo potius oculis fubiiaam.ptopone tibi duos diuetlifii^ mz quidem
fottunz/fedeiufdem pene ztatis utros Alexadrummacedonumte gem/&
Cynicum Liogenem utrum ditiorem iuch'cabis:uide quid dicas. Maximi
Alexandro thcCiuri erant plurimi tobuRiflimi^ exerdtus (ibi militabant :
Impe# rium latilTimum poflidebat.Innumerz pene nationes acpopuli ex
Europa A(ia* ^uedigales huic erant.Diogene autem quid
potcftangu(liusexcogitari:qui prz tet rimofum illud uas e figulo acceptum
: quo l'e recipetet ut e frigore calorctp tuf tuselletnetuguriolum quidem
haberet : quem eodem panno in utroi^ folftirio obfitum confpiccrcs :
cuius auda olera etiam nullo file al*perfa beati (limorum re gum dapes
fuperarent. Vttum igitur horum ditiorem Laurenti iudicabisr Ego q dem
inquit LA VRENTl VS h a deptauatilTima confuetudine : quz altera pene in
nobis natura cfl dirce{l'eto/& rem totam fenfiiu iudicio exclufo rationi
cogno» lixndam tradam beablfimum Diogenem:miferrimum Alexandrum proferre
no dubitabo . Vehementer enim iis aifentior : qui in diuitiis penfiiandis
non quam tum tuii^ adiit : fed quam abunde id quod adeft fibi futurum (it
animaduerien» dum cenfent.Si emm is diues eft cuius cupiditanbus adeo
fatis fupercp fadum (it ut nihil pczterea defidcret quis Diogene ditior
:qui cum (lue pafiurem (iue arato rem quendam cauis manibus aquam e fonte
ad potum haurientem uidiifet : po culum quod ad eundem ufum hdile gerebat
ueluti fuperuacaneum abnaedum putiuu . Q^uis rutfus Alexandro pauperior :
qui podquam a Democrito ut p\i* tophilofophoplureselfe mundos audiuaat :
lamentari non crilauit tanquam nulla ratione diues effici poffet nili
illos prius imperio fuo adiecilfcif Rede o Lau tenti de utro^fentis
inquit BAPTISTA. Q^uamobtem cum idem rex motus animi tranquilliute quam
in Cynico cognouerat ita pronuciaiTcticupcrem Dio* genes e(Te nifi cifem
Alexander : magna ex parte fiultitiam fuam indicauit : cum in fummis
opibus zgere : quam in fumma inopia ditefeae mallet . Q^uamobte difeant
homines quam paucis natura contenta fic s quod cum didicennttoracu# ium a
Cclcno zditum &cile tldcbunt:quamuis ipla ut otadoni liiz fidem
faciat r lD.P. Virg.M.Allcgo. diat fe ca pronunciare guz
Phabo pater otnnipoteos flbi Pbccbus Apollo pn« dixit . Natn rempn auari
qui funt : uiriutn quo laborant fallis uirtutum limula» cbtis tegere
conantur. NatnquzmoEraauaritia eftream patlimoniatn uocants & aut
deorum t aut maximorum uirorum audoritate famem timendam pctfua» dete
conantur . Oolofa profedo cupiditas : & quz cos etiam quos
prudendotes putamus fzpe decipiat . Aduerfus cuius fraudes illud unicum
remedium cft nof fe ea quz hominum ftultilfima cupido ad uitam degendam
neceffaria putabnoa modo nihil peodelTc i fed omnium noftrorum malorum
caulam exiiiae. Deferens igitur Harpyarum infulam Aeneas ad Helenum
enauigatrEll au» tem Helenus 8C uates K conduis«|Q_uapropccr rede ilium
dicemus ingeni» tam nobis rationem & ueri lumen quod natura in nobis
refulget,: quod nos fallis bonis decepti confulhnus ut in redam uiam ab
erroribus reducat» Ipfe autem uates uera przdicere poteft : fed ditfidle
eft ad illum petuenitei cum Iit itet pn medios hoftes tenendum : Nam 8i
fenfus omnes 8i apped» tus fenlibus obtempetans uolentibus nobis in uetum
iudidum delcendcrc (em» per aduerfantur:,At(p adeo nobis confultantibus
obfirepunt: ut uix radonem adire & uera bona a fallis fecetnerc
poflimus. Verum cum ad Helenum perucne rimus iuuat cualilfe tot urbes
argolicas medios fu^m ten uilfe pa hgges : Supe» rads emm perturbationibus
iratiquilla'quTdai^ r^nquitut mens: in qua lecxd tans lux radonis nobis
ucrum oftendit : Q^uo dodior fada mens agnofeit itali» am t quam
propinquam elfe putabat uia inuia longe diuidi : multum^ matis ef
fedreueundumi & ad inferosdefeendendum antea quam quietas in Italia
fedu collocet : uz quidem omnia quanta ratione dicantur ; faulius cS
mente coo pledi quam uerbis exprimeret poliquam enim animus non dico
profligatis /fed magna ex parte repreitis uitiis per medios / ut diximus
hoftes in lumen luz luca defeeudit Itum demum aduertitfummum bonum: quod
in propinquo coUo« catum habemus putabat poculabclleioporterei^ nos amplo
dreuituMariamo ftris obfelfa peraauigare : Nam inter ipfam
contemplationem : hanc quam ui uimus uiuminteriacet is quem iam totiens
appetitum nomino uelutiturbulcn» liifimum mare: quod fcyllacharibdifcp
pernitiofiirima monlha infeftum red» dant: Si tamen eft pei hzc loca
enauigandum li in Italiam uenire nolumus : Oi» ximus enim a principio (i
rede memini nulla alia ui nilT appetitu animum motu ti . Sed quoniam de
duobus iis monftris dicitur a poeta : facile eft ex ipfis fabulis quid
fibi uelit coniedari : Nam cum eas foeminas rapaci fhmas fuilfe memorizf
proditum Iit : non ne per eas commode exprimi animi nimias cupiditates
dice» mus : quarum prindpes luxuriem at^ auaritiam eife nemo dubitat .
Scjlla e^o s glauco adamata ucneteasuoluptates exprimet: quz maxime rebus
nofttis fio» rcndbus uigent : Nam quod eius uniunia pubes m canes
latrantes conuerlafu/? uantum ad negodum faciat : fadle eft cognofccre.
Chanbdim ueroipli quof Icrculiboucs quondam fubripereaufam quis non
intelligat limulai tum no» bis auandz refene : 8I qnoniam ab ca non ita
in rebus fxliatei fuccedenubus ut gemur quemadmodum a libidine. Sed tunc
potius cumnimisanguftiisdiuida nun terminis incluli uidemur : ac ob eam
oufam minime nobis noUxa placent
: ii •p. a MI ia Bi
■P ■ itk iw “!f lab ipoK
imi». okib! abii l{DKd
biW uocA \^2Dli
.qmX (uitbi SUID* jniisi^
uin®^ iCID# aajb crlb<
jola* OUfl^ 1^1^' amba* mfiaeKccT^ eflcopinaiaut t
iccirco dextrum a fcylla : Icuum a cbarybdi latus obfi dcri Mato dixit
(quoniam altera in rebus quas aduetfas putamus t altaa in iis quibus uebcmenter
deleAamur : nimis nos urget • Q_uz cum Baptifta dixiflct : at^ refumendi
fpiritus caufa aliquantulum obdcuiflet . Admiror inquit Lauren dus tam
magnx tam^ reconditx dodrinz diuinitatem . Verum quanto me iffa tnagis
deleant / tanto magis cupio : ne minima quidc m in tota re mibi dubita»
donem relinqui . (tai^ utar ea quam mihi conceiTi^ libertate uel licentia
potius : At^ ut iamioulligas quid illud (it (quod nili tibi aliter
uideamr/ planius heri cupio . Odenderas a principio ea ratione politum
ellc a Marone Troiam zneam cekquifle t quoniam lam uir ille corporeas
uoluptates contempriflet t per thraci» amuero at^ dropbadas utrun^
auaridx genus exprelTum cfTe uoluidi : Cur igi» tur (i buiufccmodi iam
uitia exuerat Aeneas ( rurfusnunc ut illa uitet ab Heleno moneturC Dcle&at
me tua interrogado o Laurend inquit BAPTISTA t Oden» dit cnimmaion quodam
iudicio quam idbxc xtas gerere foleat te ea qux dixi c6 fideralTe: Veium
quo omnia tibi plane pateant: memineris non eum uinim a Vir^lio produci
Aeneam: in quo uirtutum habitus conoboratus fit. fcdqui pro
uirtuteaduetfus uida ita pugnet tut non (inemulta difficultate per
continen dam uincat : nonnunquam etiam uelud incondnensuincatur.Q^ui
ueroin Ita liam id enim ed ad diurnarum retum inueibgarionem uentuius ed/
huic non fa dsed : ut continens fit . Nam quamuis condnentia a
cupiditatibus arceatitamen S uoniam in affiduo certamine
uerfatur:non przdat eam animis nodris tranquil
tatcm/quaadrestamexcclfascognofccndas opus ed . Q_uimobrcm egenus ipfa
temperantia uirrute undi^abfoluta: & in ipfo pene cerdo uirtutum
ordine corroborata /qua qui inlbudi fuirt/nonfolumonuies cupiditates
TupcTantiue» lum edam illatum penitus obiiuiftuntut . H oc autem habitu
nemo mortalium fe corroboratum in confidat : nili plurimis afliduif^
adionibus prius ad eum co fequendum fe exercuerit : Q_^ux res line
longioris temporis interuallo effici nem poted . Huiufcemodi igitur
temporis moram Virgilius poetice quidem fed opd me tamc exprelTic : cum
dixit : Prxdat trinaaii moeras ludrare pachtnni . Ceffan tem longos/ Sedteunfledere
curfus . Q_uod autem moneat ut eo quem dixi ha» bieurn fe con firmet
xneas uerfus unus indicio elTe pet^d . Adiungit enim quam fcmel informem
uadouidilfefub antro rcy1lam:Q_uamobrem icdiflime uni» uerfum locum
concludemus neminem poffeipram dminitatem attingere : nili perlongum
prius intefuallumeuih: quem dixi habitum ita contraxerit: ut non modo non
rapiatur a fcjlla : fed ne femel quidem ipfam uideat . uod quid ali
nd fibi nuit : nili ita obiiuifeatut cupiditatum omnlumtut nunquam illx
in con ipedum fuxmentisredeantrperpulchrc per^ commode omnia ida inquit
LAV RENTIVS. Verum quid tibi paulo ante explicare libuerit: triplici illo
ordine oir tutnm non plane intclIigo.Res inquit BAPTISTA huiufcemodi ed :
qux &: Iz pe alias maximo tibi ufui & prxfcnti fermoni apprime
neceffaria futura linOiui» nus enim Plato cum uirtutes de uita Sl motibus
eafdem quas exteri pofuilTet:ita sd podremum illas diueilis Gue ordinibus
Gue generibus didinguit :.ut alia qua dam ratione ab iis illas coli odendat
: qui ccetus ac duitates adamant t alia ab iia h ii i
} I *• ![ i ■ tl'<:
In.P.Virg.M.AIIcgo. qui omnan mortalitatem dedifcnc cupimtes/ft humanatum
rerum odio taoii •d fula diurna rognofccnda eriguntur : alia poftrcmo ab
iis qui ab omni iamc6« tagionc expiati in folis diuinis ueriinturtprimas
igitur ciuiles dixir/fecundas pw gatorias/ac tertias animi iam
puigati.Eft enim triplex hominum rcAe & ex ratitv oe uiuenbum
ordo.Horum trium inferior eft eoru qui io fudali acciuili uita dt gentes
rerum publicarum adminiftrationem fufcipiut.His {iximi fed m ercdioti
gradu confiituti ii funtiqui a publicis adionibus ueluti tepcftuoflsiac
procellolis Kin qbus fortuna; temeritas oino dominet'' :fe in portum
tranqllitatis trafferuot & a turba io odum fe tecipietes/ quirta
uitam degutinon ita tn ut no aliqd adhne tefictaduerfus quodIudadumlit.SupremoautIocoeoscerncsqui
penitusa re« rum humanatu concurfitionerac tumultu remoti nihil cuius
panitcdum (it/c& mittut.Eft autem oibus his ordinibus hoc c6munr/ut
uirtute dure ciida ad boni redi^ normam dirigati Verum qa in uita duili
cupiditaribusiac pturbationibus omnia tumultuant hifip non oiu xgre
refifti^ rdicunt in ea hoium genere uiitm
tesiDcohataspotiusqabfolutastQ_uaproptetidinillbptadcntiac6tendit/utm
bil agatuticuius non polTit ratio (^tem probabilis reddi i Fortitudo uero
animd fupra omne piculum at<p moetum affett : & nihil nifi turpia
timenda admonet. Tcm{watia autem oftedit fola honefta appeicdainulla in
re moderationis legnn excellcdamioea cupiditates iugo
ronisrubiidendasiluftitta; poftremoptesfuni:
utunicuimruumredd»’'iutxquoiureoesuiuant.lnrccudoautilioh>iumgene
tctqui ea it ronea negodo in odum uendicat/ut liberius poflit rerum
diuinaium conicplationi incubcrcifunget munetefuoprudciiafifpretis oibus
mortalibus rebus &cxleflium collatione pro nihilo habitis omni cura
omnim cogitatione ad diuina copuertat" .Temperitia autem cum ea
folum nobis cdce(Utit/bne qui* busferuari uita non polTiticaitera omnia
fcueriffimoiudidocontenendarf^upeii datp pronuciabit.Sed necaberit
fortiiudo qu* afliduo pridpiatiut nullum meo moduminullumlaboreminullu
periculum horrefeamus/quo minus redo 8£w petuo^uti**' - j 1 n- ». • •
tuo^ut ita loquar)curfu ad cxlcftia & ad origine fuam icdat animus.Diccs q d
luIhtia.Hoc jifcdo minus libi imponctiut reliquarum uinutu cofenfum in
hu* iulcemodi ppoAtum firdatilfti
quo^utrupiarcsaduafuspturbationcspugnit fcd fadiius fupcratsfei^ paulatim
expi .tos reddunt.Q^uapropter uirtutes ipCrin illis purgatoriz appellantur.
Verum audi iam tertium illud eorum genus/quota animi ab omni uitiorumlabe
^cul abAnt.Hi igit' in eo prudentiam exered/non ut deledu quodam habito
diuma terrenb prxferantifed iit illa fola nofcantifuU J ueluti
nibil aliud At intueantur. Adhibent autem temperantura non ut cupi*
tatescoberceatifed lilas penitus ignorent.Eadem ratio erit
fortitudinis.llla eni pernitbariones non uincicifed ignoratiQ^uin opubic
dura at^ horreuda Abi of ferrirnon ut uidoriamaiTequacurired ut in
eorum obliuione perpetua riimiuts ^
'ifidiligentetinfpides/fadiecognofcesidabhelenoadmo
petduret.Q_uxomniaf ^ neri xneam
non pofle illum fedes in Italia qetas ftabi colloare/niA priiis ad
boc tertium uirtutum genus peruenerit : (^uid ergo hadenus : nonne
Troiam deftrueiatjacthradamftrophadefipteliquerat.Defenieiatquidemjred
nondum $mca uitia fugiflct/illadcdilutc poterat Jiunc autem non ut
Moliirnt^iP Liber tettiai «Birittaib^ deponatt^od tam
feceratered ita de tnte deleat: ita perpetue obK tuooi roaadntut nunquam
eorum memoria illum rubeat:Cu autem prz omni bus rcbua iterum at(p iterum
1 unonem pbcandam moneatsqua quidem adua •imte Italiam nunqua podturua
(itmdnc nobis documentum eftroaximum nui Ium ex innumeris uahif^ uitus
eflieta quo etiam ii qui ad quzip ezceifa eriguiu lur t scgriiu liberetur
quam ab bonorum imperii^ cupiditate.Fadle eft enim cd temnere uoluptatesa
qui iam maiora mente conccpit.Diuittasuero &li fpecie maximorum
bonorum a principio nobis oftendantipoftrcmo tamen ab excelle tianimo
negiiguotur.Atucrohooorcsmagiftratus& imperia quoniam exedi' lens
quodda & eminens in fe cotinere uidetuunfpecie decori at<p magnifici
ztu* mum etiam excclfum deripiuntiNamcum cupiat ille fefe qua proximii
deo red deretanimaduertac autem nulla alia te nos magis deo fimiles efle
qua dandis bc ncficiisiNt^ hzc przftari ab hominibus pofle nifi in fumma
reru poteftate coo flinitifintiaocenduuruebcmenti quadam cupnditate ut
reliquos antecedat: Eft enim natura nobis iditu/utfcnm (upiores in rebus
oibus euadere cupiamusiCe dcrcauteautfuccumbeieturpimmumputemus.Q_uz
quidem naturalis cupv» ditas nifi reda ronc temperer in ambitione ac
pofttcmo in tyrannide nos rapit: in qua muka aduerius humanitatem audelia
tetra nefariaip comitthnus : cu natura ipla nifi deprauata fuerit
ad magnanimitatem erigat nos ad fupetbiam ft dominatum omnia rapimus.Hinc
fraudes:hinc czdes : hinc reliqua imania
fiagitiainfurgunt.Q^uibustcbusipfam humanitatem exuri in truculcntilTima
monfiu conueitimur.Non igitur fine fiimma lapinia ad Cyclopum littora
ht> Dti dedudt diuinus poctatut ofiendat qui magna quzdam &
cxccifa petuntten nulla certaratio anima reganfefe falli & pro animi
magnitudine in imanitaicla bi.Scd hzcquocp loca miferia ad fc fugientis
uiri admonitus qua primu cifugit Acncas.Q^uid enim aliud nobis cxprciTius
cfiFmgerc:at^ipfis(^ucica loquar^ oculis fubuccrcpotcfiambitiolarofiC
fumma efferitate deteflandam 1)^300103 uitam quam cyciops Polipbemu$:qui
procul ab omni hominum confortio hu manis carnibus paicatur^^ inter luflra
feraru fola uita agat . Nonne enim iure Andropophagostfic enim eos
appellant grzci qui humanis arnibus uefeun' nmilloscl Te dicemus: non qui
carentia iam anima corpora id enim multo ma gnto Uerandumefiiinfuas
epulas conucTruntifed qui uiuentes omnibus ctu» oatibuscrudelilTimc
exeduntiqui ut aut tytannidem|fibi comparentiaut iam cd
paratamtutcnturioptimumqueipuirum & iufhzqui ac libertatis
amatoicm lzuifiiimemteTficiuat. Q_ui utfcelerariirimi uori
compotcsc£Ficiantut:aonmo do fingulos homines ttuddanttfed totam
urbem:ne^ folum totam urbemifed integras nationes ferroigni fameij
populantuncun^ libidini militari fubiid« imttQ_ui nc^ agris cultoribus
fpoliaietne^ hominum pecudum^ przdas abi gete uomturiqui pueros tcncraf^
uirgines ex parentum complexu aut ad mor tcmautadlibidinemrapiunnqui
caftarum mationara pudicitiam expugnat: qui publica acpriuata faaa
ptofanacpzdificia funditus cuertunt:S qui modo in florcnrifiinu re
publica ampIifTimum dignitatis gradum fumma cu gloria ob tincbantitot
nunc oibux foituiuslpoliatosmmiraritni feruttutc abducunu ■ V'
I.4 In.P .Virg-M.AIIego. uos igitur cydo^quos leftrigonas cum
iftorum imani fcttida cofErcnaif Q_^uimobrtm uir iummi boni cupidus qui
antea non bene infttcuta animi (oi magnitudine quacun^ uia ad honores
imperia^ nitebaturmunc demum tam nefariam crudelitatem quam primum eam
nouit deteftatunnouit autem a ma dlenta rqualenci<| achemenide forma
per quii lapiens poeU omnes calatnittla quz ex tyrannide generi humano
perueniunt s latenter (ignilicauiticum dues paulo ante omnibus
ampiifhmotum honorum gradibus honefiati/ ad rern ino piam cxtremai^
famem cdpellunturicum illudiis mortis moetu latere ct^un^t Rclida
enim ariffmu patna ignobililfimis obfcurilbmirip lods exulant: Q_ua:
quidem miferia edam li in graium hominem & Aenex hodem cadatitame non
poted ipfequi uit bonusauc fu aut elTe dudat ad fummultyrannidis odium no
impelli*Q_udigitur Maronis fapiendamnoniureadmiretunqui uirumm ita
liamuentutum maria at^adiaceda littora tam horrendis mondris obfefla ita
caute dreuire iubetiut illis omnibus euitads in Siciliam incolumis perueniat
un de breuidiffius curfus in italia dc.Fadle enim ed homni qui fe ab omni
ii auari» dxfpcdecxpediucntomnemip iniuditiaatipeiFentateexuedtiadreru
magnis rum cognitionem edgi iprxfctdm fi iam in Sidliam uenerit.Ed aut
Sidlia nue in(u Ia olim uero italix coiumdai Bt condnends parstfed uenit
medio in pontus K undis hefpenum (iculo latus abfddittarua^ Si utbes
littore didudas angudo interluit zdu.lta enim abimortali deoapnndpioaeataed
diuinitas animoti nodrorumiut una cademi^ dt pars infedot rdniside qua
paulo pod ent didin^ dius difputandum di parte rupertori.Scd quoniaipfa
,in agendis rebua uerfaf drea ea quz loco 6i tempore citcdfcnpta adiduam
mutadonem redpiunt euenit ut interucnientibus Uanis
pettutbadonibusiquibus prudenda decepta (xpe pto bonis mala cligitiratio
ipfa inferior illis uelun uehemcdlTimit fludibus alfiduO
percu(riabitaliatandemdiuellacur:6(aruperiodradonead appedtum defid>
at Q_uz omnia quauis ita fint unde tamen breuiot ciufusad italiam.i.ad
eo»' teplatiunciquz m ipfa ratione fupedod polita ediquaa ratione
inferiod quz per Siciliam lignidcatur nihil repedes przferdm humato
patenteique nos mol bticm quanda eneruata homini a fenfibus prouenienteinterpraetati
fumus.NS quam enim ad ueram contemplationem deuenicmusinifi pdus ipafut
ebddia notum uerbo utar)fenfualitasnon modo earinda uerii eria penitus
fepulta in nobis fuerit. Q_uapropterli rede animaduerds de Anchife mocte
meminit poeta de fepultura non meminittno enim in iuliam ed uenturus.ln
quinto ueto libto celebratur funusiut demu fepuito Anchife in italiam
cotenderc lice «.Apparatis itai^ rebus oibus Aeneas ex dciliafoluens
paulo pod italix pot/ tus fubite fperat.Ne(p fuilfet a fua fpe deceptus
(i lunonem aduerdiTimam . bi dea ex Heleni przcepto antea
placauiffct.Odendimus paulo ante lunonoa honopi impcriiij cupiditate
expnmeredn qua quidc « fi Aeneas ita fe geiatiut nihil iniude/nihil
audeliter in reru adminidtadone aduius fit.faocenima Po lyphemo fuga
indicauit nihilominus cum in confpedu Italix iam fiti& in li nunc
pene fpeculandi conditurus: Animadueitat^ non poife in rerum diuiu
nuncognidonedcucnidsnifi humana haec omnia cotenat/nidtut ille quidf Liber
tettiiu rem perficere . Std appetitus qui nou dum ratione fubiedus
fit omnino ro> pugaat:faKU 9 argumentationibus perfuadet
noncireaurneg]igendoihono« tes/autimpia relinquenda .PercomodeotnqiUate
inquit LAVRENTfVS tC ad rem uehementer appofitx.Sed unum efl de quo SC fi
fortafTe confentanea fu fpicer > tamen fentendam tuam uehementer
cupiam.Na quid fibi obfecro uult ^fficilis ilia & apprime moiofa dea
luno. Si enim manentibus TroixTtoianis iiafcebaturscur deinceps iifdem
illis in italiam enauigatibus adeo boftili animo aductlatunan
fortaiTequiautracp uiuambltiofoK imperii cupido aduerfa Et. ifibne ipfum
inquit BAPTISTA. Atnbitiois enim dea olim Aenex irafeebatun
quiuoluptatibus dclinitui nihil honorificum quacreretmunc autem rurfus
ira fdtnncum uideat illum ad altiora quxdam eredum ea qux exteri mortales
in admiratione habentsotnnino contemnere. Omittens enim illa que
primum gradum in uita duili tenent non motulia amplius ifed immortalia
quxrin mi rifice ictura poeta. Vix e confpeduSicuIx telluris
in altum Veb dabant Ixd j K fpumas falis xre ruebant. Cum
luno xtemum feruaru fub pedore uulnus: quae deinceps fequuntur: Ratio
enim uiuendiiqux honoribus inferuit cum animadueitatfc ab Aenea deferiia
quo olimquo^cu ille uoluptatemtociu^ amaret negledafuaatyuehementadolet.Cognofcit
enimfiRomanu imperi umcdfhtuuturforeiutfua Carthago ruituta Et:
Q^uisenimnon intelligat E ad c6tcplationem:qui ptxftanti ingenio funt
uiti accefferint/illos ciuiles actio.* nes ccdercrturos.Oolet igitur St
pfeotiiniutia admonita pteiitotutcminifdt. Manet enim alta mente
repoEum ludicium paridisfpretx^ iniuria formx. Et genus
inuifum & rapti ganymedis honores. Q_ux quidem fabulx E
diligentius conEderentur nihil aliud nobis prader de* ditauoluptanbusuitam
referct:Nam Paridis ludicium in quo lunonl Venus prxferturiquid aliud
cefeasniEuitx honorum cupide molle enetuata^ 8(uo luptatibusaddidam
prxponi: Genus autc inuifum.i.louis Eledtxt^ adulteri' um:acpoSremo
raptum Ganymede nemo modo mediocriter eruditus Et alia
traduccuHisigituraccenla luno naufragio Troianos perdere tentat . Verunx
ne noseaquxfubhuiufcemodi tempeftatis Egmento recondita funt ulla ex
pattelateant:neuequidluno:quidxolusiquidneptunnusEbi uelit incogni' tum
relinquatur:pauca de animorum noEroruui at<^ natura repetenda funt.
Illud tamen pmonebo cuenireiut eadem ad multos locos enodandos adhiben da
Ent t Q_u« E fcmel a’me expteEa exteris deiceps in locis ueluti ia cognita
file tioptacanc luideo me qd* fumopete cupio breuitati inferulturu.Sed
rurfus cu eodieteprKc/EEcagamus/duplextibionusipoEturus Emieritenim eode
tpe 8C memoria qd alibi didum Et repetendum: K quod interim perpetuo
oratio nis filo contexif' : Ene ulla inteccapedine:percipiendum malo
loquacior etk/q oomittere ne ingeniu eodem mometuo in plura diEradum:ucl
minima difpu lationis paidcula incogmta ptaucrmlttcre cogaturiCum igitur
ad id quod pro Ia.P.Virg>M^IIfgo* tPrn/f
<«•’<»' «*• 'v'»^ prium noSnim^ tft:quod(^ a noftrz
onginls diuimtate traximus t id eSsdt» tiocinandum/ad concemplandum/ad
intelligendum mgitDut:eam animi pai> tcmadhibcmus:quamgrzci nos mentem
nuncupamus. Verum hae mutiifed przcipuc Platonici chriffiani^
philofophi duplicem elTe uolueruntt 4 alteracu inrctiorem quam rationem
appcllant:diuiniorem alteram & fuperioro TIfct. qu- i
4eIIedumnuncupant.Q_U3propterfapienter Auicena animos noftroi ur t
alterum lanu duplici ore inllgnitos e(Te dizitiut hoc furfum uerTum ptia
r .na altilTima per (apientiam rufpiciamus.lllo uero res mortales &
adioneshua manas per prudentiam adminifhemus.Diuiditur igitur mens in duo
rurfum in tapientiara/deorfum in prudendamrquz Ht reda rerum agendarum
ratio qua iiinuirumfiC mulieremrutuirrupcnor iit ®at:Mulier
inferior 8l regatUR Q_uapropteregregiei!lud:^lioieiliniquitas uiriiqui
mulier bencfadensrnd ^ enim przponitur iniquitas uiriliszquitari
muliebri: Sed commode exprimitut * I 'tedius eum
agereiquideiideriorerumczieftium raptus plurima corporis &fo cialis
uitz commoda negligat: quz res uideturiniquatquam eum : qui ut nuW Ium
uitae ciuilis officium deferat:czlcftium rerum curam omittit : (^uz cura
ita (intiuideamus quz a Marone dicuntur: Nrmpe zoium lunonis przdbus
uentostquoslouis iulTu regere debet/in mare cmififTeiqua tempeflate obrui
poterant Troiani nili illis aNeptunno rubuentumfuilTct.Q^uoinloco fi ui
tz ciuilis cupiditas (it luno commode zoium inferiorem: neptunum uerofu«
periorem hominis rationem interprztabimur. Non igitur mirum liabhono»
rumae imperii ardentilTima cupiditate ratio illa inferior (lediturrattp de
fuo gradu deiieiiur .Referunt fabulz zoium uentisprzpolitum aloueefleiut
iuC> TuAioillos BC intra carcerem cohiberet&indeemmcreceru quadam
lege ualc4 at. Q^uamobrem celfa fedet znius arce Seeprta unfDS mpHit^
apimos: K teinperatiras:_8£,iilud N i faciat maria ac terra stcilumq:
profundum;Q_uippc fei^tfec^ rapidi : uertantep per auras. Et
profrdOt&infiituti funt animi noflri ^etum omnium fumnioatcfiitcdotut
cum Iit in nobis ea pars quz ad tes afeifeendas fugiendaf^ inlurgit :
przponatur libi ea rationis particula : quz infenor cum(it:adres omnes
agendas rede appetitum moueat. Ratio auum - Iplis mortalibus indita non a
corpore efttfcd aloue.Hzciguurdumfuo co ditori obtemperat celfa arce
fedet:quia nihil humile cogitat: fed quztp aigre^ gia: attp excelfa
meditatur : teneti^ fceptra.Nam totius uitzadminifttatianein habet:
mollit^ animos /& temperat itas: cum nimiis cupidiutibui appetii tum
cohercet : at^ inna modelliz fines continet : Sin autem ita lunonis
blan>' ditiis demulceaturiut fuz naturz propriz^ originis immemot
rerum rettena rum cupiditatibus irretiatur/ totum lilife przbet : eiult^
iuffu non autem lo uisuentos/hi enim penuibationcsrunt/emittit.llli uao
mare quem apped<> tum cflic diximus paulo ante tranquillum ex
diuafispartibus ferientes bor« tendas tempeflatcs excitant: hebetant enim
tadonis adem honorum cupidi tatesrquz uelud nubibus obdudauerum bonum a
falfo non difccrnitiip fumcp appedmm : qui a fenfibus originem dudt: non
modo non refhnguit ardaemractum ultro inflamat: &gcntemiunonisinimicaseaautcft
mens no / » Liba totius ItlbulluQanitn rnunicotit^tm:diuinatuin
autftn cupida/mratiis perturbati poibusobtuae nititur.Scd rcaeo ad
lunonemillla enim cum tecencitiiuriaanti / MUm (H)i uulnus refrkafictiira
plena in zoiiatn tendit. Kimbofum in patriam loca fceta furentibus
auibis. Cidlidaomnino dea guz regionem ad ea quzcupiebatpaHcienda
fibi deligat nott'ignotauic:Cum enim raum humanarum amor nos ad diuinarum
cogniti onem abfttabae nititurrin zoiiam patriam uento^rad enim eft in
appeti tum p tuibationibus expofitum ueniat necefle efi. Verum iouis
iuflli hoc regnum zoio commiffum cds Nam ri deo obtempaemus rationi fempa
obtemperabit appeti tU&Redifljme enim Platonicum illud bpnp uiro
legem deum ellr : malo autem bbidincm:Q^ uaobrem huiulcemodi
rarionemdeprauare aggreditur Iuno:& ue iuriti qui caufz (iiz
diflFiduntrfit fallis rationibus perfuadae/& largitionibus cor tumpae
iudices patanttita ipla zolum adoriturteonaturep oftendere zquum elTc
4tillc gentem fibi inimicam Italiam attingne prohibeat. Perfuade^ zolustfe^
cn da M iulTu lunonis fadurum redpit:Q_uin quicqd imperii habet/id omne a
iu BoUe tecognofcit.Nam nili inflametur appetitus cupiditate rerum
terrenaruiatrp illp uduti mare ucntls turbet rminime uideretur indigere
uita nofira impio ratio tus.Hocigi^ padotromnia lunoni debere ratio
fatetur ueluriquz(^nifi pturba lioaesaflint^aibil habeat in quo fuum
impium exerceatrac decepta cupiditate ea tum raum quas magnas putatmentis
habenas remittit/ac mare perturbattquoni •tUturbulemimis cupiditatibus
appetitum codut.Q_^uibuszneasqui ad cxle^ Bium rerum contcplarioncm
tedit/adeo labo^ paiculorut^ magnitudine infrio giturtuta
jppolitodciiciat" :Et ^fedo cum appetitus quo folo animus moueturr
ftquonosad fummum bonum duci oportet/aKonosrapiat/infurgit atrorilTima
iUa tempeftasrin qua eripiunt fubito nubes czlui^ diemt^ teucroru ex oculis .
Na qui paulo ante tranqllo appetitu
adrpeculationemfaebant"tinfurgentibuspa.* turiMtionibus adeo illis
oixzcant" :ut quicqd luminis a rdnepueniebat/peniti» tollat tVnde
fit ut nox atra ponto incubet. Appetitus enim qui hadenus luce ra.>
tionis illulhabac'/nuc illa amilTa in tenebris uetfatur. Adeot^ zfi uat hoc
maretuc lii aqlone fetuntur/hzc enim elatio quzdam elliquz a rebus
fecundis profluit. Alii in fummo fludu pendentmam fupra fuas uires
difficilia ardua^ aggrediens tes amdi foliciti^ perpaua expedatione
pendet. Alii terram inter fludus tangens tcsabipfa fortuna dnedi
mifetiarum cumulo obruuntur.Sunt deniip qui in fas alatcntiacontorqurantur.Nam
multi cum impetu perturbationum ad huiuf^ cemodi cupiditates explendas
ternae ferunturiin uariatp pericula fibi improuifa inddunt.Sunt poftremo
quos auaricia ueluri in fyrtes ttahat.Nam quis non uis daefle aiam quorum
nauis demergatur. Vnde utre omnino apparent rari nan tes in gurgite
uaftoiNam ex inumera mortalium turbaiquos perturbationum p
cclh]dcmagit:paud emagae ualentiFado enim habitu pauci ad portum enare
pofluntiprzfertim cum ipfe gubernator a temone tcuulfus imo in przceptls
deie dus in profundum ruitiCum enim ea animi pars quz uitz regedz
przpolita eft fuaiicde deiidtur/adum iam de uniuafa te cite quis non
putarHzc autem otns Iliacum lunonis zoli^ culpa acddiftenttinterim
Neptunnus commotus graui* i In. P.Virg.M.AIlego.
tate t<tnpcfta^sf>Ia'd(]uin caput ex fumma unda
cxtuIk.N(ptaliutn mum macia deum cfTe finxerunt: Dico aut fummumiguia
alia quo^smaf^o» mina extann&ptofcdo plutea uires appetitui
prxfantimouet' enimilfe iudit» fcnfuumrmouct" tonis inferionsifummum
tamen impium fupioii ronirefenu tur.haec igif r^tio quam nuc neptrai
nomine (ignifiat poeta cum oibuspturba« tionibus rapi uexariip
uideat:caput e fumma unda ueiuti ex fpecula rifetttVnde ipfius appetitus
fludus jicellafip animaduertes aium illius furore in pram pinum rapi
cognofcitinei^ folum tcpe(htemfmtit:fed etiam ipfam lunonisdolisexdta tam
intucc :Nouit enim reda ratio aium ita afFedum:,ppterea in hasmiferiasitw
ddiffeiquonia falfa bonop: fpe decepta inferior ratio urntos no modo non cohi>
buerit:fed ultro emiferinC^uamobre utfubitn tato malo remedi uni affecat
cuje zephyrui^iac reliquos uctos ad feconuocas grauirer increpariqui
impio titanum fanguineorti/deo^i regnum infeftareaudeanReferut enim
fabuix uctos Aftrd filios fuilTeiAftreum aut unum ex iis titanibus
eifedicunquiimani impietate ad« uerfus deos imortales temeratiu bellum
fumere lint aufi.Hxcigi^ in fabulis rcr> periesiNon aut
(iQceronemreliquofip dodiflimos uirosaudiamusiquidoa ali ud cum diis
bellum gerere qnaturxnolhx repugnare interptabimur;Q_ua qui dem re quid
magis temeratiu rflepolTit non rcperio:nam queadmodutn cosUi demum
fapietes Bi dicimus Sc frntimus:qui naturam optimam ducem fequund ita
illos (hiltos temerariofep putabimus:qui ab ea oino dcfcifcut.lure igic' uentM
c titanibus ortos iinxeruuquonia ptuibjtioncs a temerario fempi&nalurc
repu gnante iudicio pueniunt. Audax igitur facinus comittunt
perturbationes i qux flultitia 6i temeritate humana gente appetitum
diuinitatis nolhx id eft tonis itm perio fubiedum turbare audeant.Q_uaraobrcm
iufte a neptuno obiurganifues ti:fu(lcc^ impium pelagi fibi uedicat
ncptunus/cum in bene inftituto animo hw iufcrmodi illud e(fc oporteat ut
folo mentis iudicio moueatur. Ad huiufccmodi igitur fentemiam commode
polfe ttanffcrri xolum/at^ neptunum putaui.Q^d (1 qua in parte fatis tibi
fadum non e(l:aut li quid in mentem urnitiquod aptius IcKo quadret:promas
illud licet: Nihil enim c(l quod uereatis:aut pudore impe< diaris:Nam
neminem ex omnibus qui uiuuntiuucnics/qui aut xquiori animo refutari
patiatur:q ego fero/aut auidiusqucxlnefcicntaddifcat: Necp eft etiam quod
dicas huiufccmodi fenem ego adolefcens. Vidi enim multos ex iis qui &
ha bentur & funt dodiflimi nonnunq admonitu etiam indodilTimi hominis
in at rum rerum cognitionem ueni(Te:in quam fuo ingenio tam diuturno
nunquatD tempore hadenus uenerant.Ego inquit Laurentius quid aliis
euenerit ncfaoiiiu hi tamen nunq tantum arrogabo. Verum quia accidere in
tanta rerum copia at^ uirictatc dodilTimis quibufc^ folet/ut cum plurima
eodem tempore fefe med of ferant: nonnulla fint:qux fic fi non
explicent" :facile umen Sc reliquorum fimili* tudine percipi
pofiint.Sint etiam & alia qux quamuis enucleate planecp ediflicrae
turihcbetiori tamen ingenio qui funt illa minime confequant":utar ea quam
mi hi pamittis licentia:& quoniam de confugio xoIi:at(^ deiopex nihil
a te didum cftipetam nifi id omnino inutile ducas:ut fi quid ea in
fabella fitiquod ad rcno< fisata confciat/nobis explices. At dices n
unquid tibi m mentem uenit i ac edam Liber tertiuf
|nthinuHorib^tne(!erat!ges«Vcnicqdetn.Kamaiffi nKo adiuiDis ad
humana abducenda cftinullum pene maius przmium proponi pote(l:g pulchrum
cafiu^ m coniugium:inde enim cupiditas ilia naturalis:quz eft
coniundionis maris SC fttminaeezpIetur.lndefoboliseft|>pagatio:quxquidem
non fotum uoluptatiii tuul ac ufui nobis cd;uetuffl etiam pofteritati
confulit/ut etia morrui aliquo mo do ih illis uiuamus.Ulbucipfum inquit
BAPTI5TA nec modo |>po(itx quxlH oni rationem habcas/quicq eft
prxterea defiderandum.Nam id hoc in loco aperi amiquod alio paulo pofi
foret aperiedum*Prifci igit" illi qui de deoni natura fcii»
pferunritria ibeologiz genera pofuerutiunum fabulofum/quod grzci mithicon
nomtnant:quo quidem populum ociofum in theatro oblec^rent: Alterum nata
rale/idenimeft phy ficonrper quod comode uimnaturxexprimuntiut cum per
iatumumhlios omnes przter illos quatuoruorantem tempus nebis denotant:
^itodii quatuor elementa ezcipias:omniafua edacitate confumit.Tertium
uero iccirco ciuiJeappcllant:quia inde ad benebeareqj uiuendum przcepta
promatur Coofueuerc igitur poetx quibus nihil dodius reperias/hzc omnia
ita confunde* re:at<p m unum comifcereiut optimo quodam temperameto
eodem tempore & aures fummauoluptacedemulceant:& mentem recondita
dodrina alantiac nos adredum at^ honeftum & ad ipfum fummum bonum
deducant: Nos aur quo^ ciam A hzc omnia exadius in Marone ^fequi
uoIuiiremus:nimis operofum ne godum |>poni uidebat" duobus primis
generibus obmiiTis intra ciuilis generis ca cellos difputationem noAram
mcluAmus.Q_uapropter illud paululumtqd mo* do de fabula
decerpferas/noftro operi conducet: Nam reliqua phy Acen fpedanr. Dicunt
enim Pbccbi Aurorzi^ Alias.xiiii.fuiiTe eafcp lunoni nymphas attributas
exiliorum enim intcrptatione luno aer cA* Aeri autem feptem quzdam
attributa fuiit.Septem itidem in aere^ignum''.Q_uz omnia ipAus folis tunc
maxime cum in noftro hcmifpcrio ueriat :opera proucniunt.Sed ut de primis
priori loco dica tur eft aeris ut leuisAt:ut mobilis:utcalidus:ut
humidus: utferenus: uttacitumP Utlpirabilisxbasigic ueluti feptem nymphas
finxerunt poctz:earutn autem quz in aere gignunt pi imam ponunt quz Ins
appellac'':Cui etiam attnbuut tres ueiu li minittras pluuiam grandinem
niuem.ln his enim contingit ut nubes fuli oppo Dat :fcd eft id^ut ita
loquar^nubiu corpus ut alia fui parte denfum/ut alia denii^ us/alu den Aflunum
At.Q_^uapropter a prima fubrubeus/a fecuda ccruleus/a ter<« tia niger
color perucnitxContra ucro partes quz in ca purz funt croceumiquz ue ro
puriores uindemxquz poftremo puriftimz album colorem remittuntibzc igi
tur piima ex alus feptem nympha eftxquam deinde fex fequutur phy thon
come.* ta fulmen ronitruumxcxhalatio ac tcrremotustdeqbusfuo ordine
difpacarc no grauereniuriniii ex tnbus illis quz dixi generibus ciuile
folum profequi conftitu ilTemus: Vaum cum uoies bzc probe & quid qua
ratione gignantur: faci* ]ccognofccs.Sunteniminiisquzmeteora
appellanturab Ariftotele quidem pr acute:ab Aiberto uero cui magno
cognomen eft etiam aperte petferipta . Q_^uod autem dciopeam omnium
pulcherrimam fe daturam pollicetur luno ratione no carenEft enim ca in
aere facies quz ferenitas didtur.(^uz res autein magis io cu pidiutem
tcruin humanarum trahere zolumpotetauqDamfctena czii facies ; p
1 1 I'. Perplacent ifiainquicLA VRENTlVSs at<^ ita
perplacentuit nihil in iis prxt» rea deiideretn:perplacent quo^ quz tu de
ratione appetitu^ diziftitfed uide at pugnantia
Ioquaris.Natn(ire^tnemini/tu paulo ante xoluminferioiemratu
netnelTcuoIuiditnuncncptunum fuperiorem ponis:redeutru^:Verumcn hic
impetiutn fibi non autrtn illi datum dicattnon uideo cur zolo quotp non
conoe datur:ut mare uel io mittendis uel coheteendis uentis:aut extollat
aut fcdett No co inficias inquit Baptifta pertinere ad hanc inferiorem
rationrmiut cum deage dis rebus iudicium habeat/ipfa appetitum & ad
raquz afeifeenda funtimpellati & ab iis quzfunt fugienda auocet.Vcrum
quemadmodum in bene inlhtutare publica fupremus quidam
magifiratuscreaturicuiusatbitrio £d ii omnia getan^t alii tamen aifunt
minores magiQratusiquibus fingulis fmgula committantunili totius uitz
imperium in mente confi(ht:ita tamen ut infenor ratio appetitui ea Ic ge
propolita (itsut nihil niii rede iudicet.Q_^uod ii illecebris rerum
humanatum decepta non rede fentiat:fcd iint eius iudteta falfa/adeft
fupremus ille magifha* tus ad quem prouocare liceat:Q_uapropter rede
faipcura eil zoium no niii clau fo carcere regnare: quoniam in uita hac
communi ac ciuili potius cohibetur appe titus ui quadam rationistquam
quietus tranquilluf^ tcddatur:non enim in bo nas
affcdionesconucrtuntur:red potius moderatione cohercenturjRatio autm
fuperior cum caput ex undis exculittemiiTamt^ a lunonc hiemem
cognouitteun da in tranquillitatem redigit. Emittit enim raput ex undis
cum fe a corporea mo letqua hadenus obruta opprimebatur ucndicans ipfa fe
excitaUat^afeniibus fe uocattquo tempore non folum cognofeit qua hieme
opprimatur zneasne in Ita liam tendat:uerum etiam tantorum malorum caufam
lunonem id eft rerum bu manarum cupiditatem ei1'einteliigit;(^uamobrem
uentosqprimumanutire* mouet : Nam uacuuspertutbationibus appetitus
rationi obtemperantior reddi tut lllofq) ut deterreat maiores poenas fibi
daturos minitatur : quam illi ab Aenea acceperint: nec iniuria . Nam appetitus
a perturbationibus inuafusad tempus uexatur « Intelligentia autem illa
fuprrma fi imperium fibi uendicae tit/ quoniam fummo lumine animus
illufiratus nunquam deinceps nec ded pitut:nec labitur : neccfle eft ut
perturbationes: quarum genitrix falfa opinio fuerat in nobis penitus
fepultz reddantur. Q_uapropter non fimili pasnaco milTa uenti Neptuno
luent. Sed undz quz fequantur . Remotis uentis ou« bes dirperfas in unum
colligit Neptunnus: at«^ colledas fugat: Efi enimboc intelligcntiz:ut a
principio fingulas falfas opiniones profequatur : in unum congerat : atq^
demum confutet: quibus confutatis tum demum folis lUe ce: ea enim efi
ueri cognitio eunda iiluftrantur. Q^uio 81 dmothoe & totos naues a
fcopulis abducunt. Cimothoe per undas currens fi gtzcum uerbum aduertas
faale interpretatur. Triton autem neptunni tubicen babetur. Iftaigi tur
duo numina afcopulis cupiditatum naues reducuntr quia cum tedumDO
uerimus/uana relinquimus. Scientiam autem autnofiro ingenio alTequimun
cum id fua uclodtatc pet eunda difeunat t aut dodtina aliunde accepta pd«
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tertius tnumilluddmotlioesuelodtasciprimir hoc autem tnton (ignifiat.Mam
ut Cubidaes fuo przconio mandata prindpis manifcftiQtidc dodrina quid
ucriras 4ieIitaperit:(^uod autem prorpcrocurfu per pacatum mare utatur
neptunus fadleprobatur.Nam cum pacatus eftab omnibus perturbationibus
appetitus ita per eum labitur ratioiut nufquam ofFendat.Diximus de
tempeftate.Nuc ad reliqua pergamus: Neptuni beneficio ex tam manifefto
peri culo erepti Troiani cum fefu fradi(p Italiam utpote longinquam
terram contingere pofTe defpera** tent:extemporaneo ac^ minime
przmeditato confiiio ad propinquum carebam ginenfium littus uela
dirigunt: puto uosmeminifTeitaliam fpecu!ationis:cartha ginem adionis
figuram habere.Q__uapropter id nunc exprimit poeta quod in humana uita
fxpe ufu ucnire uidemus sSunt enim multi:qui cum ne<^ in uoi^
luptatcne^ in diuitiisnet^ poftremo in honoribus fummum bonum inueni^ ant
ad ueri cognitionem fefe conferant; Verum cum fe humana omnia Facile
poircconcemncrci&reorfum ab hominum coctu contemplationi incumbere
cxiftimenniamtp rem aggrediantur uix illam reliquerunt cum tantum relidam
tum rerum defiderium infurgitiadeo^ ex recordatione tantarum illecebrarum
cffeminanrur : utrurfusin fummaspcrruibationes incidant : qux quauts tan«
dem fumma ratione fedentur:adeo tamen defefTi defacigatit^ relinquuntur ant
mi nodriteum non fine difficultate tam horrendam tcmpdiatem euaferintiut
latis fupert^egiffe putent fi focietatem humanam incolentes qux immania
8i humano generi pernitiofa funtuitia effugiant. Virtutes autem fi non
exadas; ati^perfcdas/incohatas tamen retineantifi: cum difficultate dus
uitzqux in ucnfpeculatione'pofitaefideccrreantut:animaduettantqux
hutufccmodi ui^ tz genus humanam pene imbecillitatem excedere cum
Arifioteles maius aliV quid quam hominem effe qui hzec poffir affirmet
fecum fic ratiocinantur.Non- parum erit uoluptatum incendia euafiffe :
Thracenfium rapinas euicaffe : hac harpyarum fordes & Cyclopum
immanitatem refugiffe . Nunc ucro fi id non. pofiumus: quod diuinitatis
potiusiquam humanitatis effe uidetunillud quis reprehendet ut in hominum
locierate ad quam colend >m tucndamiaugendam ^ nati fumustuerfati
prudenter iufte fortiter deniqi ac temperate uiuamus/ pa rati pro pania
ac parentibus nullum laboreminullum periculum deuicemus.. In omnes qui
nobis fangumeconiundifunt pietatem obferuemus: Ciuibus nofiris aut egenis
liberaliterfubucniamus: aut errantibus redam uiam demo- firemusiaut
iniuriaoppreffos confiiio opera gratia audontate<^ noffra fub«'
leuemus.Speculationem ucro magnarum rerum in maturiorem zratem anp
inipfam fenedutem : quz a multis perturbationibus i quibus huiufcemodf
uita maxime impeditur liberior effefolcC reiiciamusiquamquidem fententt
am iis quz de Hyfach magni Abraz filio dicuntur : tueri fe poffe
confidunt: Nam quod de patriarcha lilo legitur egreffum effe ad
meditandum in agrum inclinata iam die ita interpretantur exiffc illum a
corporeis fenfibus adme ditandum in agrum quafi feorfum ab humana frequentia
inclinata iam die/ id enim efi circa fenedutem iam femore fanguinis ceffante.Conanr
prztereii Cuamcaufam grauiffimotu uiioium teffimonio corroborareiqui
ufutn potius lQ.P.Virg.M.AIIcgo< triqaam aufamunde
bonum (it confidcrantesadionem contemplationi aiw teponunt. Pcxfcrtim in
uiridiori aetate: in qua philofophum agere, dicere rem publicam
adminiftrare militare at^ imperare iubemtoftenduntip Platon ip tum
uakdioribus annis K nauigationes io (Iciliam : & (iudia in Dione
exerciM retSencfccotem autem in academia circa ueri inqai(itione
quieuilTe: Xen ophi» tem quorp adolefccntem in rebus agendis fummopere
laudant:Srn:m ueto in fpcculatione admirantur: & beatum propter odum
putant: Q_ui n etiam mub tos ut fapiendorex fierent plurimos populos
paagrafle oftedunt : Q^iuproptct K Homerus Vlyxem fapientem propterea
dicit:quod multorum hominum ut bes ac mores nouerit:Huiurcemodi igitur ac
plura alia in unum collig^es/qux tu fummo artificio ac prudentia nudius
tertius cum hoc genus uiucdi laudibus efferes enumerabas fpeculandi
propofimm in feriorem ztatem rdiciunt i at^ ad res ciuilcs agendas
interim fe conuertunt:Q_uod quidem uitx genus qui ui tuperabit/is profedo
iuflam ut ab om nibus uituperetur caufam prxbebit.Sunt enim fua (ibi
qutxp muneraiSt plutima quidem at^ przclaraiquibus (i rede fu gaturi&czteris
utilitatem ficfibi gloriam tranquillitaremip quoad imbedllitai bumana
patitur (ine controuer(ia pariet:Q_uapropter non (ine fumma ratione tutus
tranquillnfip portus in caithaginen(i littore defcribituricuius formam
li< tum^quzfo diligentius infpidte.Eftenim in fece(fu longo locus:quem
infula portum ef&datiMortalium enim uita continentem: ea enim terra
eft quz marU nis fludibus minus e(f expolita nufquam hibct.lnfulam autem
habet zfiuinti busafliduofurentibafip undis undu^perculVam.Sed quz tamen
ita fua mole beteat: ut aduerfus omnem uentorum undarumip impetu
immobilis fimpcr obduret : Nam cum hzc quz momentanea funt:& tamen (f
ultitia humana bo na putantur fortunz temeritad fubieda (inticut^ amore
fui mentes humanas in Cendant conficerent profedo nos nili infula in
medio mari (imus : quz quauis unditp mari mndaturitamen uirtutibus
(fabilita non mergitur.Eif autem in 16 gofccefTuiNam animus uirtutibus
aduerfus fortunz impetus munitus procul a perturbationibus
feiunduscft.lllz enim obiedu laterum repelluntur. Cu hin: fortitudo
contra res aducrfasihinc temperantia aduerfus res fecundas opponar i
rede^ uafte rupes appellantur. Virtus enim in diffidli luco polita etf.Aode
qtf ita medium tenet:ut quocunt^ te inde araoueas:ad extrema peiuemi ndutn
liu unde tanquie^piti rupe labatis gemini^ minamurinczlum fcopuli.
Nam non folum noUra prudentia freti res magnas aggredimur. Vei um multo
magu diuinoconfilioconfili.NcctemetedidumeQfubrcopulorumuettice
zquota tuta li(ere.Nam appetitus duplid lumine illuftratus ab omni
feniper pemiiba tione liba cfi.C^uod autem defupafczna corrufeis filuis6t
atrum nemus horrenti umbra imminettnon caret rationeiNullo enim in homine
prudenti' am inueniasiqut earum rerum quas fua temeritate fortuna uafat
cuentus pem tus przuideaticum tortam^ diuerfis caiibus cxponamuriut
pcrfzpe Si quz nocitura (int fummis uotis expaamusi6C ea quzfieuenircnt
falutiufui^ ef fcntiueluti noxia omni indufltna fugiamus tOeni^ in aduafa
fronteaquz dulces depizbcnduntur.Nam cum procul a uatiaium cupiditatum
fludilMis Liber totius ^botiSftifflunezur^
buiufcctnodi uita:quz (ioo beata omntae e quieta tamen 'tcanquiUa^ (it.H
uiufcemodi igitur pottum Tubcunt: qui fuprema diu fedati ac poRrrmo
difficultate deteriti fe in uitam focialc contccucnin qua ciuilibus
uirtutibua exculticuinuerrentuc laudem non medioaem reportanti longe ta«
^en ab ea diuinitate qua quairimus abfunt . Q^uod aute feptem nauibus huc
iubicritiquodi^ reliquos c (copulo profpiciens requirerenquod detnu focioru
inopiam raritu uinoij rublenaunic buc pertinent ut intclligamus eu qui rc
pu« bJicamadminiflrandam fumat oes labores omnia incdmodafubire
oportera ut illoru quz fuz fidei cdmifTi funt falutem incolumitatcmi^
conrcruet:Q_ua/r iptopter fit Acate$(^ea enim principis cura efl^
igneexcitabit/id eft dcfides ad tes agendasaccendetiutquz ad
uidumncceffana funt minime defintifit fcopulos Buendens abrentes
requiretiquos (i tutari non poterit iis qui afTunt confulitiillo tnm^
inopiam cu fublcuauerit etiam oratione confolabituc:optimif(^ pcepds ita
in^oet/ut admoneat non effe huiufcemodi hoc uitz genus ut m eo fedes
& gere uelimusiSed effe omnes labores ac difFiculutes fuperandas /ut
in italia per ucniamusiubi demum fedes quietas muenietiubi etiam Troia
reforgetiNam cu uitauoluptuofaibiquzreretur
eaaderatuoluptasiquzafenfibusprofeda cor porca edet fit caduca: fit qua
(latim poenitentia fequebatur.In italia autem uolua ptasfuma
prouenictadiuinaturaum fpeculatione.quz uera fimplexcp fituo luptas quz
perpetuaiquae ztema qua nullus moeror fubfequac .Hzc enim opti tni
principis adminidratio eft:na cu u ideat ciuile adione humanz indigencizt
non aute ei quz io nobis efl diuinicati inferuiteiita in illa uerfabic :utcu
quz ad mottaliu inopiineceflaria funt ^uidetinfuotutame animos ad diuina
etigatt iubebit^ eos aduerfusfortunzcafus durare: fit fe rebus
fecundisquas in latio inucniet feruare.O diuinum ingeaiu.O uitu inter
ratidimos uitos omnino ex cellencemifit poetz nomine.uere dignumiqui non
chridianus omnia tamc chri dianopr ueridimz dodrinz fimi liima
proKrat.lege apodolu Paulu. libet enim unum hinc ex omnibus ucluti nodrz
religionis caput nominareiqui uitam hu manam ad huiufcemodi notmam
dirigitiut ne^ corporis necedatia fubtrahen da:flt uero inuedigando femper
uacandu cenfeat.Q_uid enim ille fufe late<^ de Cmbinquod hic poeticis
an gudiis non coardetiMiraprofedo restut fingula pe ne uerba longidimas e
platonicaiaridotelicac^ re publica:fentetias ampledi ua IcantiSed nolo
quod quidem hadenusnurquainfeci:itaexade hunc IcKum profequi:ut reliqua
deinceps aut omittenda:aut ea celeritate przteruolanda fintiut idem nobis
eueniatiquod longam piduram in citatiiTimo curfu per« (piciennbus euenire
folet.Ii enim in puado teraporisicum id etiam magnope tecontendanticolorcs
notare uix poffuntiliniamenta autemifit corporu fimu Iaera fit quam grzci
fjmettiam nominant ne uix quidem. Q_uapropter relu quaadtnaiusocium
differantun^Oratio autem Venerisad iouemrurfuftp lo« uisad Venerem meram
textus (criem continere placet.lnferuiut enim omnia poetico f)gmento:ita
tamen:ut non nihil de mathematicis decerpat Maro: fit unde luboyt
familiam in primis autem Augudu laudet.Nam quz ad allegori am tcfcitc
uoluffius iude folu accetfenda cefeo unde duc^.fiu fpote fcquanf
In.P.Virg.M.AIItgo. Sin 3utc ui ingenii inuitamuntur/twtu de
grauitateruaamittunttatridtada pene reddaqtuttluc^ omittamus anxias
interprxtationes:ea(p folumaflim» tnus/quz non modo in abdico non
latentsfed ultro Tefe quxrehtibus offerant. Q_uod autem paulo ante ad
mathematica pertinere dixi pauds quidem fcd ,uc temporu anguSiz ferebat
no oino obfcurz in principio expolitu clTe puto.Ita^ teuertor ad Acnea^lc
enim per node plurima mete repeti ftatuit ut prima illa ccfceret loco^t
natura diUgctius exploraretSt hoics ne an ferz teneit inucdigarc. Q_uibus
untibus qualem oporteat eife rei publicz adminiftratorem egregie, a
{timit. At^ in primis illud bomericd approbat. Q_uis enim cui tot
mortalium cura c6mi£Qi Iit uu' uerfam nodem fomno impendet. Id aurem
fumma (apientia didum omnes fatebuntunEft cnim’optimi principis uel
praecipuum munus cum loca inculta uideaciut homines ne an ferz inhabitent
iibi exquirendum proponat. Na qui uitam ciuilem diligenter intueturmaria
hominum ingenia;uaria fiudia uario^ q motes inueniet. Sunt enim qui redo
honefto^ r(mperincubant:ciuili con cordiz faueancsLibertatem (aluam
eflecupiantmeroinc plufqua leges intepui blia ualete uelint.Iniuria
oppreflbs fubleuent . Superbiam fcditiolorumciuid deiedam cupiant.
Maieftatem publicam pro uiribus augeant.Religionem de« ni^iac iufticia
omnibus rebus przferat.Hi igitur iure hoics appellari polTunt: quoniam
humanz naturz officia non deferunt.Contra autem plurimos repeti as/quotum
pctulantifTima libido nihil fandum/nihil pudicum relinquat: pluri mos qui
fuma auaritia acccli/omnia uenalia habeat:& aut ueluti uulpeculz do
lisiinftdiif^p incautos decipiat:auc uiribus fuperiores cum iTnt opibus quo^
fit honoribus eos anteite uelint:quibus fapientia ac uirtute longe
fintintetioress buiufccmodi igitur uitiis deprauati homines quauis
effigiem mebra:^ humana retineant/tamen quoniam mores ferinos
induerunt/no amplius hominesifed immaniffimz ferz putandi
funt.Q^uapropter in humanis coetibus longe plu« ra funt illa;quz uitiorum
uepretis at<^ fenticetis unq inculu hortent: quam ea quz ingenuis
artibus prxclarifd^ uirtutibus exculta nitefeant: progreditur igif Aeneas
ut fingula diligenter exploretinon temere tamen:fed Acacem tidiffima
comitem fecum ducit:8( armis inffrudusincedit:Nam quis unquam rede re
publicam admini(lrauit:cuius animus aut cura ac diligentia uacuus fit:aut
for tiCudinecareat. Iliis enim quz agenda funt multo antea przuidemus.bac
au tem nequid ex iis quz magna ac przclara puidimus ob moetu infedu
relinqua turtcfiffimusiCum igitur rciedo in aliud tempus contemplationis
propoiito adeiuilem uitam digrediatur Aeneas:Sit^& in ea multum
elaboridd/opus eft ut & duce matre ad illam perueniat.Nifi enim amote
catum reru quz age dz funt calefcat animus aduerfustantos:tam^uarios
labores obtorpeatnc.> ceffe eft.Fit ergo illi obuiam mater no tamen
cofeffa dea/qualif(^ uideri czlieo lis & quanta foletiEam enim fe tuc
offendit cu filium a uoluptate eo cdtilio ab ducebat/ut ad fumu
tenderct:Q_uo tempore oportebat ed inflamari amote di uinaru rerutqui
& ipfe diuinus ab omni materia 8C corpore jicul abfit.Hic adt catum
reru amote incendit" :quz corpotez Bi magna ex parte
mataiademafz Liber lotiui li
io “!• lA ab ife «pg bb aS sua tsb mt
s'4U *•. utii at». ia? r i*f
aO liii ga< 'fb fihhQ_^uapro{iter
non deam confcfTaafed humana fotma diRiffluTata fefe filio
offcit:ftin(yiuaotueiiatriziIIiappartt:Q_uem quidem locu planius uobis nf
primamati pauca omnino necniu ea qux nrcriTaria funt prius de fylua
rxpofur^io.Omnium tetum qux funt redum quendam ordinem eiiflere :
Trifmegiftus Homerus ac Piato oftenderunt: Atm ut quot fentirent
dilucidius exprimeret au ream cathenama naturx fonte ad innmam ufep Fecem
demitti finxeruntiqua fa> is gradibus eunda connedanturteuius origo
cifentia dei cum (it eo ordiue proce ditut ut fecundo in loco
potentiaztertio fap'entia:at<p quarto uoluntas collocet t bxc fequitur
fatum attp illud anima munditdeinceps funt cxieltes demonest (iit
xtbnriifunt aereisfunt bumedeitfunt deni^ terreni. VItima autem omnium by
le^quam nos fyluamdidmus^in infimo refidetiPoifemfingula non fine fum<
mo ufu atip uoluptate oratione mea profequi. Sed quoniam difputatidi
noftrx neceflarianon funt brcuitaticonfuIam.Q_uamobrem exteris obmiffis
deu prin apium lyluam extremum in catbena ponemus.Nihil igitur deo
fuperius . Nihil fjlua interius.nibil hocprxftantius.nihil illa uilius .
Media uero inferiora fupe« nntta fupetioribusuincuntur.Eft igitur deus
& fyluathxc autem niatetia efttex qua omnia corpora funt . Vt enim
lignarius faber materiam ex qua eunda fadat luam habet . Continet enim
illa rude adhuc lignum s K informe: Sed quo tamen innata fibi facultate formas
omnes redpere ualeatifaber autem in quafcun^ uult formas illud tradudt
tcadem ratione ad deum materia eft.Deus enim for masomncsabxtcmitate complexuseft.
Materia uero fi illius naturam infpicias formam nullam certam expreffam habet.
Verum innata fibi recipiendi faculta te t & ut ita loquar confufe
omnes continere uidetur. Materiam uero quia matet fit didtur. Ceus autem
pater: forma uero prole$.Deus enim dat.fylua redpit. *fotma nafeitur .
Q^uapropter rede Trifmegifhis patrem matremtp xtemos: pro lem uero
mortalem didt . Mater cfi materia quia finum prxfiat. Deus gignit : 8C
oeat : ac fua quidem ui . fila autem ex alterius immiztione condpit .Condpit
au teminfufione fpiritus diuinitquam animam mundi nominat Tnfmegiffus
t Q_ux res eum mouet: ut deo ofiidum patris tribuat : quoniam infundit:
SyU ux uero mattis t quia a deo condpiat: Animam denicp mundi uim feminis
hsb> bere dicit : quia a deo ipfa infpiretur in fylux gremium .
Prxtereo plurima nomi aatquibus uariasfyluxproprietatesexprimit:Illaenim
nihil ad hxcqux agi« mus : Sxpe umen totam materiam appellat malignitatem
:ne« iniuria.lpfa eni IblacauQefitutresmintentumcadant.Namquodamateria
feparatumefitid nunquam interit: Nunquam enim quod fibi contrarium fit
capiti fed illud fu« gitat femper at^ declinat: Quod vero fylux gremio
continetur: iccirco in la^ teritumiabitur: quoniam fylua/cum ad omnes quas
qualitates appellant xque lebabeatcuenittutuelutialteraHelenaintra teda
uocet Menelaum:ac limina pandat. N^m dum foimas illis quas hadenus
receperat contrarias admittit: fc« cile fit ut cxtemx irrumpentes
domefticasextinguant.Q^uapropter quis illam malignam non dixerit t qux
familiares fotmas prodatiignotas admittat: K uelu ti fufiepri iam in fuam
fide m clientis caufam deferens : aduerfariiqi fufcipies per timtnam
perfidiam p eaoiaticeruf i Tardat etiam & perturbat noftras mctesfyb k rn.P.Virg.M.AIIego«
Ui t omae ab ea uiHum nunat. Viaa enim mfcitia igaotatioa [«St
At ignorationem ipfam cz craflitudine caligine^ corporis prouenire &
Plato S plaeri^ cz iis qui grauiflimi habetur philofophi audorcs
funt.Huiurcemedi igi tur rationcmotus diuinus Maro cum rerum
humaiurum:8;qua; corpore no a rent:proptrrca^ in uariis erroribus
uerrenmr:amore inflametui is qui in re pu> blica princeps effe
cupittuenerem Tub mortali forma inducit Sc in tpia lylua:guo niam eunda
quz agimus in materia demerla funt illam ponit.Nec temere umv tricis
habitu ezomat : Eas enim feras de quibus paulo ante dizimus fibi infedai
das proponiuquifuis cibus rcdcconrulturuseO.Acneas tamen non nihil diuir
nitatisin ea etiam iic diiTimulante cognofcit.nam Si (i populorum temperatocai
circa humanas adiones uerfenturuamen quoniam honelhim redum^ tuentor
eodem illo amoroquo hzc caduca appetimus / originem nollram diuinam eflie
fcntimus.cum enim reIigioncm:cum luditiam : cum animi magnitudinem atb
amamus : uerfantur hzc profedo circa adiones .Sed tamen quis non uideat
illa a diuinitate proiteifei C Eft tamen oratio uenetis non ut dcz : fcd
ut hominb: K tamen nefeio quam diuinitatem redolens : Nam cum Carthaginem
proficiid lii adeat:argumentationibusab humana prudentia profedis utitur:
Nam K quz de hilioria Didonis eruit : ea omnia falutis fpem afferunt : Si
cum aliquid funp rum przdicitmon ut deaifcd ut augut ex cygnorum uolatu
przdicit . Illud aute fumma fapientia czcogitauit poeta : ut in orationis
fine fe deam manifeftatet Ve nus : Nam cum in uita ciuili quz reda Si
honefta funt diu coluerimus ez illotn pulchritudine ad diuina quotum hzc
ueluti (imulaaa funt erigimur.His igitur rationibus a matre perfuafus
Carthaginem tendit oblitus tamen tenebris : ne illi us conatus aliquis
impediret . Et profedo fic fe res habet . Nam qui magna pru< dentia
przditi funt uiri cztnam multitudinem quam adminiftrandam fufeipi unt ita ad
redum honefl um^ trahunt : ut fua conlilia fzpilTime tegant:quz q> dem
fi palam facerent/autzmuloruminuidia: aut dulcorum infcicia impediti illa
ad ezitum minime perducerent: Vtenim prudentes medici zgrotos(^qucv tum
libido nihil falubre ezpetit])perrzpe fallunt : Sic optimi prinapes
fimutan^ do aut dilTimulando fua conlilia occulcant . Nam ut cztera
obmittam nonne qui leges tuleruntiquo maior ei audoritas inelfet/fua
conlilia alicui deo actnbu^ erunt fCunda enim ez Egerie nymphz przceptis
Numa Pompilius facere finiu labatilusciuileSpatthanorumez Apollinis
fententia faiplifife iinzit Licurgust Q uicquid Zautrades apud Atimafpos
conltituitid a bono numine accepilTedi cwt.Zamolzis autem quzcuis Scythis
tradiditiin Vedam reculitxNam q mul ta q difBdlia inter tumultus
militares rede ad ninidrauit.Q_. Sertorius cum fe ii la a Diana per
ceruam accepilfe diditarct tSed nimis multa dere przfertim ta tna nifeda:
Carthaginem ueto e loco fuperiore cernunt: quoniam ut nudius quo^ tertius
difputatum ed nuquam optimis indituris Si
legibus temperata erit res pub.nili qui illi przfunt eunda qu aut
przcipiunt aut prohibent ad eotu qax per rerum magnatum speculationemuideritu
regulam ac normam sapiennllb tne diligant. Cum autem Carthaginenlium
operam indudriam circa urbem difiandam dclaibit/nonnc pauciflimis ueifibug
onuiia colligit: quae^ iia 9 c*\Ili «f
m ii m ta ai lU U Kl iiM ib gia \tt\ th ‘S ipn iii^
F! jpb (f ob 09
0* xb s 3 ib <1 Liber' tertiui edam
(apfari(Cine de re pub.latprerut)t:noa ni/i pluribus libris exprimuntur tamum
enim ea parant ibiis aduarus ho(tiles impetus tuti (t nt:
uibus V^^fe contra czliiniurias priuatisxdifidisfedefenduntiHzcenim
duoprx^ fiant ut duitas efle pofiit.Poft bzc uero ad iura &
magilhatus fe conuertunt : ut nonmodoe/Te fed quod proprium hominis e/l i
cede bonefte^ e/Teualeant: Quoniam autem ad magnificentiam & ad
liberaliutem &ad uim propulfan^dam publicz opes in primis utiles
funtipottus optimi/efiiciundi ratio habetur t Poftrcmo autem (icznz ac
theatri cura non negligitunubi & corpora ad ualitudi nem &robur
exetceri:& animi publicis priuatifi^ negodis defatigatiihonefii/Ti*
mis ludis relaxati pofiint: Qua autem mente & quo confilio illos apibus
com« paraucrit : quzfo diligentius animaduertite t Si enim huius inferti
naturam con fideretis nihil illo aut induflria ac folertiaacuriusraut
a/Tiduo labore indefe/Tius (eperietis*Ouccm in primis habent quem
fequanturt cuius impenum nuquam contemnannlabores inter fefumma
zquitatediftribuuntiSummaconcordia 8C opera fua fadunt & boftes
arcent.Q^uicquid quzrituriid omne in comune qux iituriQ_ uz quidem omnia fi
in rem pu.aliquam tranfferasiplatonicam ciuitate cxmfiitues.Erat autem in
media urbe templum lunoni facrumiut ofiendatur ni bil oportere in re
pub.antiquius religione eife • Et quoniam primx in uita cluili przces
funt/utimperium non folum conferueturifcd etiam augeaturmo fuit ab re
templum ipfum lunoniiqux imperiorum dea habeturiomni cultu confcaare
longior fim:at<p etiam minutior/q tantz rei conueniat fi fingula quz in
templo depida erantiquz a regina adminiftrabantur : quz ab opificibus
efiiciebanf idU fiindiusrefetamiMultactiara in Ilionei at^ Didonis
orationecontinentur:plu« ra in congtefTu zneziplurima in conuiuio Si in
coiimdione hofpitalitacis deprz hendasiquibus uita fiatufi^ ciuilis
expnmituriQ^uoniam uero nouerat fapictif fimus uatrs primordia rerum
pub.& imperiorum uirtutibus niti: Veriiep effe Sa« lufiianum illud fi
imperia iifdem artibus retineientur/quibus acquirunturind ef fe tot
mutationes habituras res humanastiedreo primum regis reginzq; congref fum
ateligione/a bberalitate/St abomni genere uirtutum profidfci uult.Srd ita
paulatim in deterius labantur/ut quz pudidflima fuerat mulier/K in re
pub.ad« minifiranda uigiIantiiTima:turpi amore uida in odum lafciuiamip
labat ui« bus omnibus oftenditur q fadle rebus fecundis humanz
mentis a labore in libi« dinem declinent.Q_^uotiiam autem uirtutes tn uiu
fodali potius inchoatz q ab Iblutz funtiHic autem ita de uita duili
agituriut uelit exprimere quod paulo an te dicebam fundameta rerum.p.qux
ex paruis aefeunt/habere meliora initia / q exitus; iccirco reginam a
prindpio in omni re temperatam pofuit:paulo uero po fiea amote infutgente
paulatim ex temperantia in continentiam labitur : pofire» mo uida amore
incontinens iu redditur:ut demum in fummam intemperaiui»
aminddat,/Moueturautemaprindpio Dido/ut znramamet/non folum uittu^ te
quam urum in uita cotemplationi dedita intuemur:Sed iis qux humanis cm
tibus non folum bona uerum etiam fumma bona babentunC^uis enim in ge«
neris nobiliutemiquis formx dignitatemiat^ excellentiamrquis deni^ multo
ornatu infignetn orationem inter fumma non enumaetiCurn in foro/cum in fe
t loP.Virg.M. Allego* oituhzc BOB fapieBtum ftatcmfed populari
trutina pondereBtarfX^uofliia utro ta uica comuni pmulti hitcreii quibus
cofulroribus utaris.Muiti cnitn aut tnalo exrinplo motiiaut rorum quos
caros habrnt non re^s fuationibus impui n ad praua raoum^ snon fuit
abfonum ut Didonrm fororis hortatu impudici fadam inducat.Mifere enim
amis mulier plurimu^ iam de eo animi robore rt* mittens: quod inteperata hadenusapparueratcontinctem
in primis uabis qux ad fotorem facit fefe oftedit;Nam quis amore urgeaiT
/atgre quidem/fed tameilli reftftitiSororis autem oratio ex uita comuni
uniuerCi fumif iNon enim ex philo fophia fumptis argumctationibusifrd aut
uoluptate ppoiitasaut ihcetu earu te* rum quxtantopeietimendxnon
funtiniedoiaut fpc nec firma necfolidapror pofita in fuam fentctiam
adducere conaftut deniip fpem det dubiz meri : foluat qi pudorem.Q_ua
quidem re acciditi ut uidam in incotinentiam probbertt:ln ea uero cum uerfaretunpaulatim
impudica confuetudine eo redada eftsut nulla amplius obflantr pudore
furriuum amorem minime mediteturifed impudenUi ma tffeda turpem libidinem
honefto nomine appellet: In qbus omnibus quid aliud teneat/quid conat'
diuinius poeta/nill ut Didonem grauifTimum nobis ex cmplar ^ponat/quatum
detrimetum iis qui fub imperio luiit j>ueniat/cum prin cipum mentes
pro induftria ac labore luxuria at<pignauiairrepai:lila enim qua:
paulo ante extetnos at<j peregrinos non nili breuiter ac demilTo uultu
alloqueba tut:Cuius religio fumma in deos/liberalitas in
hofpites/cofilium in urbis ex *dv ficmone/iuftitia in fuos ad czlum
ferebat ;qu* in publico nili aut diuiu* aut pu blicz rei caufa cofpici
nefariu facinus putabat. Cuius aius pudore munitus aboi pturbatione liber
pfcuerabatmuc eo furore agitat ut tota urbe ames uaget :aut li domi fine
amato fecorineat ucluti li fola fit/ar^ aboibusdeferta fummomaro*
letabefcat. Publica aut opa ita negligat/ut qu* badenus fua curatfuifip fupnbust
quz fuoyt ciuium labore ac (ludio fumma cum celeritate erigebant
iniicimperfe da interruptatp pendeat; Aeneas aut cuius cdfilium italiam
fibi propofuerat/ue* tum difficultate rerum defatigatus Canhaginem no ut
illic fcdes ponereufed ut claffem reficeret digtefliis fuerat illecebris
Didonis illedus fipofuum ^fiafcmdi abiiat:Nec deefl I uno.Q_u* ne res
tomanz oriantur/ Aenez Didonifi^ coniugi um Carthagine facicdum curet.
Verum cum id fine uenais opera pfia nonpop (et: Venus aut filium non
Carthagine uerfari:(ed in Italiam enauigare cupetihac deam dolis aggtedif
lunoiut quz Catthaginenfiomcaula faceret: eaoia Aenez beneficio fieri
uiderent .Q_uz cum dicit Maro diuina pene lapientia uitam foa
alrmdepingitiinquacumita quidam excelfoanimoucrfenfiut humana cotem nentes
ex hoc primo uirtutum genere paulo pofl in eas uenturi fmtiquaspurga^
torias appellatiat^ inde ad illas tandem quz funt animi purgati puenire
conten dantitn illecebris rerum terrenaru ita molliunt" lutczlefhum
quas fibi folasppo fuetant/peneobliuifcanf. Libido enim imperadi Aeneam
Didoni coniugete: id aut eft uiru excellete regno przficere cupit:Sed rem
pficere non ualct nifi alfeotv atur eius amor: Amor autem aiaduertit
huiuiccmodi coniudione no Aenez/ftd Didoni cofuli /no enim animis hotum
ad maiota natistfed ipfi impio condodt» ptzfiat Dobisad uctam fapicmiatn
^ ficild/quam in adioni^ uciDwfcd - Liber tertius
cetum sdtnitiiftratioa (apientibusii deferatur adum iit de rebus
hutnatirs opor trtifta^quauis falia e(recogoofcat:quae libido regnandi
perfuadet tjmen ailin titur;iiuc iam illa inetitusllt ifiueeorum quibus
confulendum cft mifaicordia motus sCcldiratur autem huiufcemodi
matamonium in uenatione:de qua quid femiremptulo ante latis ut opinor
uobisdiludde explicaui:Q^uodaute in fpelunca loco fubtercaneo
conuenerint:quidnam aliud indicare crediderim/ nifi cos qui honores/qui
opes/qui imperia quzrunt intra corporeas caducafc^
tesanimuminclufumgerererCuicdnubio prarter tellurem &lunonem;prxtet ^
nemorum bibitarrices nymphas uides numen nullum afiFuilTe: Q^uz omnia iis
quz de fpelunca diceba apte quadrare uideotunirrentus igitur Didonis amo
K Aeneas abeundi propolitum abiidt:& hieme quam longa eft in fummo
lu<» zu conterere non pudet.Hoc uero quid libi aliud uult nili
egregios quo<^ uiros interdum a redo curfu ambitione aduerti:&
honorum imperii^ uoluptate de« linitos hiemis afperitatem& enauigandi
in italiam dilhculcatcm exhoirefcerc» Q^uapropter nili diuinitusfubuentum
Iit excellentilfimzatc^ immortales bo^ mmumuirtutes tam pemiriofapefte
pereunt; Id ingenii at<^ beneiiciiin Circe fuilTe fcruntxut Vlyxis
fodos in uana monllra tranlFormaret: Illam tamen ica in luam potclhtem
ttaduxifle Vlyxem audimusiut Forma priftina fociis fit relhtu*'
ta.Neccgoid admiratus fuerim.Excello enim animo qui funt corporeas
Iibidi^ ties fadle contcnunt;Q_uin & cos qui illis dediti funt rede
monendo a tanra fer uitute in libertatem uendicant. At luDonemfuperare
ranOimi mortales potuco tunt:Nam qui imperandi cupiditate non tangiturxeum
omnem iam humanitas tem ruperalfe &ad dioinitatem proxime accemfTe
crediderim:Q_^uapropter ena quos in fumma admiratione habemus: cos ita
frangi huiufcemodi cupiditate ui
demusxutrelidauerauictuteinligniaulrtutisueJuti umbram fedentut: Fadle
enim ell Sardanapalli aut Heliogabali molliflimas delitiasacluxum
cotenere: At^ adeo odilTctCum uero nobisaut Alexandrum
macedonemtautlulmcz*' larem proponimus eorum res geftas:in quibus utrum^
a uero cedo^ difcedcre fzpe uidemustra glonz cupiditate admiramur:ut
illud ex Euryde impium oma nmo& dignum eo rege a quo profertur
interdum approbare non dubitemus; putem uf^ homini conducere li regnandi
caufa iu$ uiolet : Q_uz quide res una mouit poctas/ut Herculem quem
fapiente ferunt:&; rebus a fe przclanlTime ge ftisczlumafiledaircuoluntpriusomniamonllradomaire/qua
lunouis fzuitu amfuperalTelingeceac.Illa enim non mater fed iniuftilTima
nouerca magnord uiioium rede dicitur* Non enim mortaliuroCut plzriq^
credunt } fed czleftiu rerum cupiditas eas uirtutes parit quibus ad fummum
bonum peruenire licet: (^uor^uide nili placata prius iunone id autem
intelligjmus aid fedara ambi^ dooeallcqui no potuit HercuIes:Q_,uis
igitur hoc Aenz non condonaueritxac potius quis illius no
comifercanliDondu in italiaexillensxtis eoimeft fumaru uirtutu
habitus.fcd in ipfo curriculo ut illhuc^Edfcai:’' adhuc coftitutusiu luno
nis dolis apiat"' :uc matnmoniu cu Didone initu fedibus libi a fatis
cocel&s ppch» nat;& colilio abeudi abiedo arces Carchag^s
fudaretac teda nouare iftituac t pur^ puea^ SC ento lapillis
aon^umtquasqu impetti Uignia funt gelbrc gaudeat: '
In.P.Virg.M.AlIego*Non eft o LA VRENTI non inqui eft hutnan* itnbedllitatls.red
cmol damfacul»ti«qua tamen condmo noOra arduum-.tatntp «xcelfum tetum
culmen ‘U»**®* BAPTl ST Ai K (imul fuo ordine de reliqui* difpuututui
uidaetut Mani^ hofpes nofter fiuuilTimus tum ex diei fpatio in iis qu*
hai^u* dida effcni civ fum^oitum ex multitudine eorum qux adhuc
dicenda quum lucis effet in ea di fputatione abfuroptum in colligens non
pertmtam
in 3uitruauifl'.miuiri:utcontrac6modumual.tudinem<jno(bam^qu.b^^?uidiuapudmeeriris:mibiomnid.ligentu«nfuJendi^!^^^
difputatio longius ptoducaturiAtquiegoitidm.nqmtLAVK£NW^ idem
cenfebaraifed ne tanti uiti oratione moleftii« intapell«em/pudore i^ diebar
prxfenim cu te o Manotte tuas partes fuo tepore equide mquit MariottusiK
fimul fua lolita feftiuitate BAPTISTAM manuap prehendem/nos ad cellulas
ubi menfx paratx erant reduxu. rURISrOPHORI LANDINI FLORENTINI
CAMALDVLENSIa vM niivTASvM ^ laVSTREMFEDERlCVM VRBINA- jKSrJbER
^IaRIVS 1N.P. VlRGIUl MARONIS allegorias incipit feliciter, S
Eruenerat iam fuperior libet Inclyte ac InuiiSi^me Fedence in
quotundaro hominum manus 1 qui cum dofli linti dry aiffimi quocp &
haberi 8£ dici uoluntiQ^ui quidem quauis 'de Maronis Aeneide antehac
longe aliter dC fenfiffent/8: pri* 'dicahenticouiai tamen ut puto iis
argumentanonibus : qux I nobis in probamio illius libri expofitx
fuerantimulta in eo F li rnnfcrinta elTe necate non audentiSed ea
huiufcemodi el fe Jowmduntiut non ad ethicen ut nos longa oratione
difputauimus s fed a J IhvSferendafint:ptoferunt 5 ad id qued
defendere cupiunt probandum
fcriptoresquipauloantenoararoxtatcmfueiut minime illiiteratosiqui non J L/indelMos«
acute & doaeinmpretati naturam tetum il is exponi conttn los
inde locos K ac „fpondendum ctnfemus/ut multa in eam qua diA SmriorisquoJdieifermonenosdixifl-ememiniyirgilm
nlura deorum genera inueniffet s confulto ita fcnpfifle fl£ A
^ ;,FMmffeuteademilla& aduitammottfip: 8 Caduimnaturas:Kad
wriuruoluputtm f eferantur.Verum cum confilium mettmij
tcstotafufceftacftnoircuolumusiidcenfco femper ipfo
hn«qu3nf.bie.ration.fcriptotpropomt: ^um
fipttahujomnuiniiriludingttut» ipfcqcquid narrat iqcqd tctninv \ 1 1 Ir £
I- 8- r K ^ P -B -t.-« . Libet ii iuiatnr referat. Hoc oun ita
fit quis non uideat ea quae ille ttadiutamdegett» M damt& ad
fununum bonum acquirendum (^dantia fcripfit no iccirco fcripfiC' B Cuquo
naturz uim ezprimeret.Sed contra cum iugi:perpctua^ oratione ea pro (eqiutut
m quibus & uitia damnet<& uirtutis pulchritudinem eztoIlat.& ad
ue I» riinuefligationem perducat/ nonnullaadiunxifTe&omandi
& deledandi cao Ia b qua: fint ab ipfa phyfice repedta s Q_uz omnia
cum non propter fe t fed eoru li quae dixi caula confaipfetit equis
non uidet id fulcepti operis primum efle feu ^ malis ultimum dicere >
quod nos hefiemo fermone perpetuo quodam filo ita ia intezuimusrut
nibilineointerruptumquzn poiTis. Nam ad idquodaptinci Sh pio przpofituffi
cfl omnia deducuntur Si fcquentia iis quz antecmerunt/uebe menta
cobzTcnt:Q_uapropta quz ab iis quorum audoiitate nituntur/ad pby
fictnrclatafuntminime damno. Nam quauisca ne^ multa fmtine^intafc haaliud
cz alio pendat > ut non potius membra quzdam diuulfaequam integrn corpus
uideantur t tamen non incommode traducuntur : ne<j fententiz nofoz
ccpognantiScd fac repugnare an plus apud me reda rado qua iliorum audori^
tas ualebitrprzferdmcumfi audoriute certandum fit eos proferte poifimus/
quorum fplendoteiiti uclud folis luce noduz hebetentur : Nam ut omicta
eos quos diligendilimus omnium grammadeorum Seruius fingulos libros in
fiogu los huius poctz locos commemorat: ut taceam quzaMacrobio exceliend
inta platonicos phiiofophotut nihil diam de iisquz&adiuoHieronymo
& a di. uo Augufiino in hanc fententiam apud Maronem interpretantur :
nonne e noftrisOantbcm uirum omni dodnna excultum grauilTimum audorem
faabe« mus: qui eius idneris quo mundum omnem ab imis tartaris ad
fuprzmum ufi^ czhimpcragcatiineolibiillum ducem fingit/in quofummum
hominis bona paquitens/miro quodam ingenio uniam Aeneida imitandam
proponiciut cu paua omnino inde excerpae uideatur: nunquam tamen (i
diligentius infpicie . mus ab a difcedat : Nam nonne fiatim a principio
ea quz de medio ztatis tem ) 3ore:quz de fyluatquz de tribus
ferisrquz de montis fublimiiam folis radiis il uftntoconfaipfit:binc
omnia funt. Mitto caetera: quz ita abdita in Oantfais poemate funt:ut non
nili a paucis iifdem^ dodiffimis dcptzhendi pofiint. przponit igitur libi
ducem Maronem in u re quz ad fummum bonum.non au
tcmadpbyiiccrpedetifeduideo me nimis cunofum in eo fuilfe : quod paruo
omnino n^odo confutari poterat . (Quapropter ego inilitutum repetam . Tu
autem indyte atip inuidilTime Fedence ut cztera fuperiora fic Si ilh quz
in ultima quaru diei duputationc continentur/diligentillime leges . Multa
enim illic inuenies propta quz te cum dTc : qui Si nunc es Si fempet
fuifti fummo» pae lactahacict^norcef^ ex deo confilium tuum fuilfe : quos
a primis annia bpientiz amore flagrans ita te bonarum artium
fludiisaddiafti: ut quanto ta dic tua ztas grauior fitttanto ardentius
illis incumbastnam quod reliqui prin» dpes apprime regium ducunt:ut aut
multo odo uanifip ludis mircelcit:aut au cupiis ucnarionibuf^ oe tempus
tcrant:tu ne libero quide homine nili relaxan dimtaduai aula dignu efle
duxiflitred oportac eum qui aliis imperaturus fit nWB omni dodrina
excultu itddaaquq no fibi folatfed & iis qui fuz fidei co} In. P.Virg.M.AIIegflu
mifll rantjK dum «fit agit «emplo: «dum fapienter inontt pncepto
maplo limum prodifft po(Tit.Q_ui rigis munus clTe ducat non alieno labore
ueluri fu cus inter apes alisfed pro aliorum falute
laborare.^uiinnoaiosabiniuriupro hibtrr/fceleftorura<j petulantiam compnmeretoibuafe
«quum prxbere curcts Hrc autem folaphilofophia nobis pracftat.
Aphilofophia enim habrmuatui pie uiuamus tui pietatem ocmabhominemuft« ab
omni fcelereabibneaniust b uapropter uere iliud ufurpabat Ariftoteles fe
id a pbilofophia afleculum efle/ Ut ea beneuolens/« cumuolupute
ficerettquzmaliuinlegumatufaccrectv I gunrurtbonis enimCut piato ait)lex
deus eatmalis autsm libido.huiufcctnodi Igitur fludia teita
exculturo/ita omni ex parte expolitum reddiderunt/ut cum a inultis quod
crimen fortunx eft imperiis finibus fupereristiis tamen uirtutibiisi
finequibusnemounquamiedeimperauit/omnesexcedas.Sed cartera omoa quibus ex
mortali humuculo te immotulem ducem reddidifli ad prxfw omit
to>Ptxcipuam autem in mnfaium ac philofophix cultores benignitate
tacinii prxterire nullo modo polTumtium animaduertam te ea in reiure
omnibus prx ferri poffe.Scimus in tata admiratione apud antiquos fuifle
Ptolomxu philadel phum ut ptxclariffimorum faiptorum laudibus etiam poft
tot fiecula florentit fima fama celebretur.Et profedo fingulatis fuit in
eo rege iuftina mitabilifip cie mentia.In te autem militarimec uirtus
illi/nec fortuna unquam drfuinSed nb bil in fuis omnibus
aaionibusmagisextolliturtqua quod regnum fuM libera liffimu oibus
litteratis hofpitiu efle uoluerit . Tantu autem iis qui aliquid fcripfif
(ent debere putauittut Demetrio phalereo no folum philofopbo
grauiflimotfed oratori copiofilTimo negocium dcdentsut fibi ad quin^
faltem milia librorum in fuam bibliothecam congerenda curaret. Q_ua
quidem io re quos furoptus fe cetitttunc optime conieiSati poterimustcum
uidetimus quantu in fola mofaya lege elaboraueriti ut illam interpretadam
ac in grxeam linguam conuenendam abhebrxisinterprctatetur.Primo
enimoesiudzos quifuperionbusbelliscapti in fuo regno fetuirent/diligmter
inudligandosiat^ tingulos uicrnis drachmu redimendos/& in patriam
incolumes diraittedosmandauit: quorum numerus adeo ingens fuinut foluta
fint a rege fexcenta ulenu fupta fexaginta milia. Dtf inde legatos ad
Eleazatum iudxorum pontificem uitos (umx audori tatis mifit Arifteaside
quo paulo ante dixi & Andtea prxfcdumfuuiMifitptxterea men< hm
auteam/craterefej ac phialas donaria in hierofolymitano templo ponendi.
Mateiia uero hoium uaforum fuit auri quinquagintatargenti uetofeptuaginta
ulenuigemmatum autem atqj lapillotum/quibus uafa omab dilUnctatp funt/ ad
quinm milia adhibuit/qui omnes mira elfentmagnitudine. Q_ux liberalit« adeo
accepta gratacp Eleazaro fuittut duos ac feptuaginu ftatim ad regem mi'
fent i non plxbeos illos quidem/fed ex principibus dodiflimis ita elrdos/ut
ex fingulis tribus fenos fumeret s qui legem dei in grxeam linguam
Ptolotnxo conuerterent. Q^uorfum igitur hxef Nempe ut intelligant qui
diligennus rem confiderauennt Magnificentiam tuam erga dodrinas noOra
tempelb' tt non minorem efle / quam oLm Ptolomxi fuerit s Hoc enim folis
luce cla/ liua apparebit ; Si Imperium Imperio 1 Si Sumptus
Sumptibus conferantur. Libtt guattui
nfeaumnonfdlamutiiuerrzxgyptiopulentiitiimum regnum poHidebat/un^
dcaurt argenti^ inaedibilisuisproueDiretired Tyriz quo^ ac phcnictz
tnaxi^ mam partem ucdigalem babcbat.Tuos autem bnes nemo ignorat. Adde
quod quo tempore Ptolomeus regnauit/plurimos A(ia at^ Europa prineipes
habuit • qui poetas t qui pbilofophos/qui oratores/qui hiftoricos benore
opibufi^ bone |^rent:ut & li fuo ingenito (hidio illa faceret magna
tamen cx parte emulatione quadam excitari uidereturme quos opibus
uinccoatxabiifdem huiufcemodi glo tix genere fuperaretur.Tua uero
benignitas in ea tempora ineidir/ur nili ardeUi*
tilbmafittfacileczterorumprincipum auaritia extinguaturxQ^uaproptcr nulla
omnino eorum munerum quz in mulas con fers/gratia noftro fzculo eft
bahim' daxinquo neminem reperias ex iis qui nunc imperat:cu*us exemplo
excitari pof» lis.Sed quicqd estes autemres omnino przcIarifTima/id
omnetuo ingenio;'U3^ ^ innata humanitate cs.Nam ab aliorum moribus procul
dircedens/unieum te exemplar ofiFersrquem & ad fummam liberaliutem
czteraf<^ omnes redas adid aes/&ad ueri inueftigarionem reliqui
fcquantur.lta enim uirtuiem adamas: ut illam non glona dudus/fed eius
amore alledus ampledaris.Euenit rame ut qud admodum umbra corpus (emper
fequitur: etiam li id corpus non quzrarxHc < ua pie
iuHe/clementeti^/ac fortiter fada non adumbrata quzdam & inanisiTed
foli da cxprclTa^ gloria fcquatutxScd res polhilatxutiam ad noftriim
heroa rrutrra^ murxin cuius adionibus tu mores tuos ac uitx inlliiutum
facile recognofces.Co ucneramus igitur eodem in loco bene mane quarta
huius difputationis dic. AN ^ cum miro deliderio BaptiHz fermonem
expetere uultu gcftucp fignificarcm^ illexurquz explicaturus eilet iis
quziamdida fuerant commodius annedrrrt: buiuiinodi difputatiotii fux
prindpium adhibuit. Vidimus badenus dodilTimi uiri qua piudmiia ac animi
magnitudine omnibus iis fotdibusxqux a corpore^ ueniunt fc explicauerit
zneasxNamne troiz periret: 8C corporeis uoluptanbus pe
nitusobruerctucmondubitauit exui in altum ferri quis incertus quo fata
ferret: pod hzc thracenfes rapinas uc eas primum cognouit mira celeritate
effugit. Ar« ^ mox in rebus dubiis a fapicnria conlilium coepir :
deceptufi]^ Anchife interprz tatione.Namquz a corpore funt facile
corporea fequunuir.uitam duilem in Oeta fibi propofuit * Sed nec piguit
errore cognito uela uentis iam tertio dare . Delatu!^ mlhropbadasaducrfusharpyarumauaritiam
inuidus pugnauit. Nec per medios hoftes ad Helenum enauigare foimidauit:
Prztereoqua prudentia qua animi przdantia iam ab hcleno dodior reddirus
immanitatem cyciopu de<< ciinauem : qua indudria ac celeritate
fcyllz charibdif^ mondra euirauenr : quo fiudio atramentis ardore defundo
iam in licilta parente nauigationem in lra.< liam rufeeperit. Verum cum
lunonis dolis :zoli<^ ac uentorumuiribus parcis fc non pollet :
celTicilIequidim conlilio ad ueri inucdigationemin aliud trm
pusreicdoinaphricam eo animo diuertit: ut quam primum per tnaris id
edap> petitus tempellarem liceret : in Italiam tenderet • Verum in
ditione aduerlilTimz dezconditutus : & amore Didonis delinitus/Vide
quid pTolfit ambitio : quantu ^ ad mentes maximorum etiam uirorum
euertendas ual eat / regnandi i nquam cupiditate dclmitus is qui reliquos
iam perturbationes ac uirufupctauerant di<« In.P. Virg.M.
Allego. uinilTifflumcoafiliatnio Italiam enauigandiomiiTtttotum^rein
eo dednatt ut regnum carthaginmfium coSabiliret : perrcueraflctcp in
errore ni(i acczpifb a Mercurio non placere loui ur pulchram urbem
uxorius extruat . Regni autem & rerum Tuarum obliuifcatur :
Prxcipitur enim homini a fumrno deo ut ad fu« am originem
rcuertiuelitrQ^ux praecepta nobis dodrina quam litteratilTmKv rum uirorum
uel Termonibus uel libris accipimus i facile tradit . Rede igitur ar«
guitur arncM/quod uxods urbis t ea enim eft uita in adione polita
adminifbatio nem TuTcepeiit . Suiautem regni 8c totius contemplationis
qua Tola mentes hu> manz regnant Iit oblitus : Maximei^ hoc urgetur/ut
Ii tantarum rerum gloria ip fum non mouet i Afcanio Taltem
tuerediTuccefloricp Tuo conTulat < cui regnum lulia; t ac romana
tellus debetur: quo in loco quidnam aliud ATcanium intelligcmus nili futuram
ztemami^ uitam: qua: huic breui Atmomentanea; Tuccedit. Nam li dum intra
bzccorpu Tculauer Tanturanimino lhitantisrerum terrenarii illecebris
demulcenturiut carleflium contemplationem de Terant/ memineriot 11 in
futuram uitam uitiotum labe inquinati & nulla dodrina exculti
migraaerint foce ut nulla unquam ueritatis luce illuftren tur: Q uapropter
regnabit Aiani< us:nuIIuT<^Tuoimpecioiiniseritnilieoapatre dmaudecur
i futura enim uita ab hac quam uiuimus ea rationeiquam oftendi iure gigni
dicitur : ab eadem^ li focdida 6i uitiis tenebriTcj inuoluta Iit: tanto
bono denaudatur. Sin contra manebit fcelix at^ a:tcma : Nam
Hic domus xnez totis dominabitur oris. Et nati natorum & qui
nafcentur ab illo: Q_uzquidem mandata cum acczpilTetzneas:quid mirum
li uehementercom< motus Iit : Erat enim in eo animus qui excclTa
Temper TuTpiceret. Ita^ Te tandem excitas cupit qptimum abire: &
terras quamuis dulces relinquere. Alluetusenim poteftatibus at^ imperio
uirfi£ dulcedine captus non line dificultate diTcedit. Sed cum ucrum
bonum ab eo quod falTa opinione bonum putat" diTcetneteptv
tueritiillud tamen anteponit: Cum uero poli diuturnam conTuItationem
inla« lutata inTcia^ Didone diTcederedecemat. Nouerat enim no efle pal Turam
illum diTcedete fi IdlTct/egregie admonet cum ab huiuTcemodi rebus animum
abduce re uolumus non efle molliores animi partes confulendas: Ted clam
illis uela in Ita Itam facienda:Talia enim bzc Tunttut quanto blandius ea
appellemus : quato^ familiarius Talutemus/tanto maiori contumacia
aduerTcntur . Sentit tamen d(v los regina :&iniquo animo fert uita
ciuilis a uiro excellenti deTeritpradcrtitn li non fit alius Tapiens/qui
Icxro illius Tuccedat.binc illz quzrelz nulla libizx znca robolcmfuperciTe.Q^uamobrem
ratio inferior quam mulierem appellari dixi' mus huiuTcemodi
argumentationibus uirum egregium in uita ciuili retinereitt a speculandi
propofito auertete nititur i Primum enim ita urget ut quzrat quo modo eam
deiicrete Tublbncatia qua tam ardenter ametur. Amat enim ucbementer virum
excellentem vita duilis. lllius enim cunfiliis imperia non modo paran
tur/& parta con Teruanfuriuetum etiam augentur. Sed nec illud retinet
nonTet' uate illumlidcm quam dederat. Suavitare enim imperandi iam totum
Te admi« niHtarioni dederat zneasi Q^uio di Te moritiuam Ti dc Teiptur
edocet ; Nccinub 1i I I I t t t P u 9 0 9 u n I» P“ ca nii da ttico: iKg da dd od R.! dia b&' ht
loj on IBU' «n
I 1« tii AV u tua 8“ liii Ml LlOfi Odi nsilii ntoi iU IIlBl' lO* loli
niii jA«< Dlli tffll*' yb
BD^ a<? J»!*Libo gimttu to alito eucf UKloIcb Namdcflituta
a uimite agendi facultas pereat necefle cft: Dctcnetezdif&cukate
hiemalis navigationis. (^uare (Tgnifiantut labores ma^ jdmi t quos (i in
Italiam uenite uolumus fubituri fumus.pofiremo in hoc uche>< mentet
mlifiit/li reuotetetur ad Ttinam Bl ad uitam uoluptuol^ t non tamen illi
efle concedendum: ut honores relinqueret t multo autem minus cum loca
fi bi incognita petat t nondum enim nouerat Ipeculandi uitam.Dcmum ad c6mi< fetarionemconuer{alachriinaseffundit.connubium,
incoeptum ad memoriam reducit . Q^uicquid fuaue oUm a fe acczpiflict
exprobat:& ne domum labent em dcioatobuftatur. Pofluntenim
uchementercommoueri mitiora ingcniaicuia parcntes/cum liberi aattiif
(anguine coniundi/cum amici/cum patM ne dcfci' ratrogantrne incoeptam
fcxictatem relinquat przfertim cum uer^umfitineim perium a bonis uiris
defiitutum/aut Pigmaleonis auaritiaiaut larbc tyram*de in« uadaf
.Q^uodtunemagu ucnoemur cum alius (apies qui (ibi fucceclat no telin quaf
sQ_uz quidem omnia cum rerum agedatum rado animis noSris obiidatr non
pollumus non uebemeto comoueriiSuccurnt enim platonicum illud quo quttum
generi humano debramus/grauifiimeadmonetiut humanitate eruere uideamur/fi
humani focietatedeferamusiucru cum aladuettatmagnus uir men tem fola
eficiqua boies fumus; ea<^ no agendo fed cognoiicedo pcrhdrid^ louis
pcaneptucfieimotusmanetiat obnixus curas fub corde prraut.habet aut
quo|> pofitu opnme tueri poiTittNon enim inficiaf bene ^meriti ciTe
reginam. Q_uis enim no uideat magna humanx hnbecillitad adiumeta ab hcK
uitx genere fue* nirc:(^um BC polliceffe illius recordaturu dum fpintus
hos reget attus:Nam eu derua abfoludflimu appellabimus:qui iu in
fpecmadone dum uiuit uetfef : ut uicifliW cum ccs poftulat agat.Etgo no
fugit a uita agedi < fed inde recedit: qa cu ea no cotraxerat
matriffioniu.Non enim nati fumus ut drea mortalia uerfemur: illif{^
coniugamur.Sed neceiCtatis caufa efi illis in(iftcdum:ut tanta opere impd
damus:quantnad fodctatcconfcruandam fat fit:quaptopter (i Dido Carthagine
deledac :hoc autem efifi in adione inferior rado libenter uerfaf liceat: fit
fuperi^ ori Italia dclcdan poflem mulca ciufdcm otadonis ad eadem
fentendam trilTa^ ce. Sed fit aliquid ex mera hiftoda didumiRcIiqua ueto
qux ad plurimos uerfus dicunmt:eam uhn babet/ut libidinofum K corruptum
amorem detefienf :at^ tantxfceminx grauifiimocxcmplo nosadmooeat:ut tam
mrpem/tam pctnitio.« (am pefie fugiamus:comode aut eunda qux a PauEmia in
platonis fympofio de tutpi amore dida funtiad bde locum ttan(Feremus:ex
quibus pauca qux a nobis cum de Paride uerba fcdmus dida funt : memoria
(i repeteris intelligeris umSu mum effe Ptoperrianum illudiDurius in
terris nihil efi quod uiuat amate .Q^d* autem magno pedore curas
pcrCmfcrit xneas:fit tamen mens immota man ferit/ oftendic uirum qui
deorum prxeepris parete deacuerittiam ab inconrinenria in quam Didonis
illecebris ptol^fus fuerat/ad continendam redi(rc:tt quis amore
urgetetuntamen hone&umuoIuptariprxpofui(re.Oidonis ueto interitus
nobis pcrfpicue oflendit perire ncceffe c& eas res publicas qux a
fapientibua deferanf. Non tamen aberrabimus fi amandum at^ amentium
furorem cxtrcmainij de* f^aarionem huiulcemodi exde oilendi putemus.
Aeneas igitur deorum admi}« 1 ti In. P.Virg<M. Allego»
nitu in Italiam enaiugat. Verum infurgente uentopt u! palinurus nauis
gubertia tor negat ea tcpeftate Italiam peQ poiTc.anenticur zneasiut in
Sidliam in qua in fula extindus parens nondum debitis exequi is oraatusiacebat/dcfledat.
^uo in loco quid fibi palinurusuelitline ncgocioex iisquz de illo paulo
fupra expt’ fi cogDolcerepotcttsicum enim huiufcemodi appetitus facile
pturbationib^ob tuar' inon modo a tedo cuifu auertic' :fed znea( haec aut
excelleris uiri mens eft} pctixpc infuam femetiam trahiteut ad patre»
hanc autem imbecillitatem quama corpore cotrahit aius iam ciTe
diximustbeet intelligere ad patrem inq/quis iam de fundum redeat»(i uero
ad memoriam ea teuocaueris qua: de ficilia lam diximux non ab re
cftipfistroianisiut in eam infulam redeaaundebreuifiima (it in lulia
nauigatio»Poeta tamen cuius cofiliumefi no folii ut grauiffimas res
j>ferat:fedil Iaauatiaiocudiutciuafpergat:uttcdiumtrifiitia« pfundarum
rerum comites penitus amoueat/uaria ludopt genera interponit.Hzc igit' iu
adminiriobantut abznea ut paulo poft oibus ablolutisin Italiam elfct
foluturus.luno uerocui^in troianos o^um/nec ulla calamitas/ncc tpis
diuturnitas explere poterat : qa quo illosltaliz j>pinquiorcscerneret:eomagisaccenderet'
oblatam occafionem non 5 rztermittit:Cum enim feorfum a uiris
imbecille mulierum genus deliderio ta< em quiefcedi mcedius cofpicare^
pa irim illis ut naucs incedat pfuaden Q_uz qdem (ic accipiteirerum
terrenarum cupiditas no uiros/nam pars fupior rationis non facile his
rebus frangit' :fed ipfam inferiotenr tonem a fupiori dUluudam p
fuadetiut rerum magnatum ^poficotcicdo tedium longioris nauigationisrefii
giaud^ubieficonfidcaCiMuUetcsigit quibus inglorium odumlongccarius (iu q
honelius labor prijtiio ambiguz miferuminter amorem pizfenris tertz
fatifq| uocatia regni malignis mare oculis ifpiciut.Namcum ratio
tnfmocquzafupe* tiocipfuaU illam ad quxqj xgregij Tequit'
nuceaabfentepaularimfenfuumiiiei cebris cncruac' idoncc tadtm uidi fc
iliupi potefiati pmittat.Naucs igi^ mulieres
inwcndioafrumeicaduriunt.Hoccumdicicportauolutatcquz ad res magnas,
ferebatur incendiocupidiutum perire o(lcdit:pen(rrtauttoticlanisnifi
Eumci Ius piculum (fatim ad zn eam reiuliffeciErat enim Eumelus uir ad
mulierum cu fiodiam telidusiNam huic parti inferioti metis acerrimus qdam
cofeietiz remoc fus/cui bonaceda^ cuiz fimp funt ftmp adcfiiHzcgtzce
fynderelis didturuis (.nobis ingenita qua animus Sc ad bonefta crigiturtK
a turpibus tefugit»Hacau lem nomen ipfum uii i ajpertc demondrat; enim
boni cura facir leinterptabimr»Hicigit^Iapfaiam in facinus muKere
temaduitutefcrt:Q_uo nuncio percepto primus Afeanius ad iiaues eripiendas
aduolat : Afcanius autem celer robuduli^ magno animo prxditus Aen»iiliuscft:quemiuceiatetptc
tari licet uigotem quendam ex ip(j mente natum : Hic autem nullo tenore
pto liibemr qum contra pericula pnmus feratur : Sequuntur reliqui t fed
io primis zncas : At mulieres uiris cogitis incoepti poenicet t A uiro
enim feiunda muli* er aduerfus appetitum minime repugnat <Q_uod (i
tutfus uiro coniungattirt iam robufbor fada/ SC ueluti e tenebris erepta
tum demum acata iam cetatt/Sl a lunonedcIuCam e(fe dolet pudet^: Non
tamen incendium facile tolli^a Nam optusalunoaeappeunuiacop^cueut ut
uoluntatcmsquae, nobis ad (uo»; tti «di r S 5 1? S B jr 3 .te
e Liber quarttu inutn bonum euehit/omnino perdat:fir^ mifera
in bomine diftradio t eu atio ratio dutat:aIio appetitus rapiat i Q^uo in
loco cum mms noRra fe tanto cer« tamini imparem cognofcattnititur illa
quidem fuis uinbus/fed limul etiam di uinum auxilium implorat id autem
impetrare meretur. Nam qui ita deu prae atur/utiaterimipfe quoad ualeat
libi non delinis adeo minime derenc.Nam
quodaSaluRiofcribiturnecprzcibusnec fuppliciis mulieribus auxilia deo«
cum pararitrededidumell.Non enim inerti ac delidi/ K qui in fummam rr^
tum defperationem prolapfus nihil contra pericula parat auxiliatur deus.
At qui magno aduetfus difih^ltatea animo infurgit:qui nihil inaufum:
nihil in« tentatumrelinquitiquincc periculis terreturmec laboribus
torpelattis profo* do fe dignum f^tcuius S dii d homines
commirereantur.Q_uapropter fapi« enter Aeneas ciun nec uires beroumtnec
aquarum uis infufa prodelTrt: ad prx* cesconucrtiturtauxilio^impetratotcum
iam quatuor naufsaiTumpraeeirentt teliquz ab incendio feruantunCum autem
naurs ad totam turbam tranfuehen dam deeflimt terat fenis nautz
conliliumutimbeallior turba in Sicilia reiin' quctctursutbfm illis
habitanda conderctur:hoc confilium oraculum paternum louis enim iulfu
locutus cR patens/ex ancipiti ratum hrmumt^ rcddidit:Q_ue iocum nili uos
aliter cenrcatis/itaintcrpreubimoi. Ad diuinarum rerum fpecuo lationem
fola mens omni uirtutum robore iam fuffulta acceditiReliquzenim animi
uires quz imbecilliores funt naues/illz enim fune uoluntas/quibus illuc
ucbantur incendio amifcrc:Q_uaproptcrreuocanda cR mens a frafibusihocau
tem confilium ab. eo uiroprohcifciturtcuimagiRra Pallas fueritteR enim a
fapi entu dodus : Approbatur autem ab Anchife fed iam fcpulto; Nam qui a
ra« bonetamfubadiruntfcnrus/facilein eius dicionem conccdunr/ przfemm
lo> ue iu iubencctconuertutur^ in rationem hoc ordinc/ut ratio ipfa
etiam fupeno remlocumarcendensafFiciacurintellcdus:llleautem£(iprein
altiorem gradu cuadens intclligcntia redditur. AR intelligentia in deum
comutatur . Hmuic&> modi igitur cofilio at^ oraculo utimrAenas.Non
tamen prius e lidlia foluict qua lacta pie tite^ faaatinorat enim qua
laboriofitquiip periculis plena lic h\u iuCccmodi nauigaboiNoueratquancz
molis erat romanam condere gentetSed nec Venus quicqui interea
remittitiquinuehementer pro faluce hlii anxia oia drcufpiciat.ln primis
autem Neptunum rogattac mare tranquillum reddauNa amor quo ad fummum
bonum rapimur fupiemam in bomine rationem horta tur/ut appetitum m fua
poteRate cemtineat: N epcun us om nia benign illima pol bcctuciNihii enim
denegat ipfa mens amori ad redum eam excitanti : Neqi ell ptocula
ratione/quod oRendat Venerema fuo regnoottamtlTetEReaim Ne« ptuncu regnum
marciquod quidem ducn ab illo regitur/ctanquillu eR. In hoc czii uitilia
lada dum agitanturifpumam gignunt ex qua oritur Venus . Supte« ma ergo
ratio appetitum intra fe continens in quem uiriliaczliiiccirco decide»,
re didmus/quia in appetit um a ratione adminiihatum uls quzdam cziitus ca
dittquz in eo agitata diuinarum rerum amorem proaeat t uod autem
oes prztcr unum Pahnuru incol umes in italiam peruenturos promittit i no
ne cz oxtdia^ut aiunt gtaxi^philofopbia erutu cR: Nam clalli in Italiam
tendenti In.P.Vtrg.M.AIl(go. flurimeaductbtut
appetitus /qiii a folofenAi profedustulul altum (iifpic^ Q_uapropter
rquadiu claiG prxfuitinunquam ttaliam tangere potuerunt Tnv unuSedundema
Tomno opptcfTus mari cztinguitur.Nam poftquam rado acarime ad
contemplationem conuettitur:& caducorum curam reliquit : Nt< hil
ex iis qux fenTum petmuicere pofltnt/appetiturt Vnde uniuetfus Uleappcdi»
tuspaulatimiapituctac fopmisezdnguitur:CIalCsautcmcnamline fuoguber
tutore tuta fcrtuc Neptuni promiiTis donec ad fyrenum fcopuJos deueniretrlbi
autem fluitate ciuncarpiiTet Aeneas temonem capiens nauem in undis noAur«
nistezitiNam animus nofler cum iam fibiitaliam propofucrit fccurus
fertur/ donec in uoluptatumfcopulos incidattTuncetum temonem capiat
oportet ap pedtus tationalisTquiaduerfantibusuoluptatibuscaiitra
obflfismEztmdoigw cur Palinuro Aeneas tandem poli diuturnos enores
euboids allabitur oris .In iuliam enim ucntumcll ad quam gubernatore
Palinuro nunquam perueiuflet 1 ingrefli funt Jn quo non idem curnit quod
in cartbagine Aeneasslam portum ingrefli funt :In quo non idem
curnit quod in cartbagine a portu euenifleoflcndit poeta. Ulic
enimnaues'ficli procul a rabiat fluduum in tranquillo efle uideremurmulla
tamc nant anchora alligatx.Q uapropter qua quam non omnino ucxabantuRin
aliquo tamen erant motu.1^ autem anebo ra fundabat naucs: quo oflenditur
eas ueluti fundamento nhex lint flabiles hx« rcrcoportere.Summum enim
illud bonum:quod in negociola & duiliuita a philoiophis ponitur: 8t
flinbuiufcemodireceflupofltumflt/utprocuia fotttu nx procellis uirtutum
benefido abflc:non tamen ita conflabilitum cfltquin la« bcfadan
poflit:Q_ui autem oi.'':} vum rerum libi contemplationem finem lU timum
propofuit/bic iu in tuto ac folido rationes fuascollocauit:ut nulla ui di
tnouere poirit.Nam aduentusin italiam oflendit habitum uirtutum um
con<< tradumiu:utaptopoiitauitanonfit difcefliirus Aeneas/non tame
earum uit tutumtquxfuntanimiiampurgatitNamnihil fibi diffidle iam
proponeretur/ fed earum quas dicunt purgatorias.Q^uod quidem propolitum
iam conflabis litum fortitudo fit animi robur non deferitinec ipfe ardor
rd aggrediendx. Q^uam quidem rem tunc ezpnmit cum ait luuenum manus
emicat ardens Lic tus in befpcrium: Manus enim indicat omnes animi uires
cocurreretqux e me« dio iam fublato Palinuro fefe menti ultro
fubieceranti quod autem ardens fit concurfus uehemcntiamindicatiNe^ ab te
efl quod fit manus iuucnum.Ofle dit enim animi bene affedi uires nnllo
fenio in quo tedium torpor^ ficigna«. uia efle (olet unquam aflid:Q_uapropter
non lento palTu rem agit/fed emican Verum quia dum in corpore ezulat
animus:quauis fe totum fpecuiatioai dc^ dati non potefl tamen non curare
neceflariat ea’ enumerat poeta quxnonuo luptatem fenfus: fed
incolumitatem uitx rcfpiciant. Nam quxnt parsfemi
nafiamisObfttuIainuenisfilicupatsdela feratu Teda rapit filuasinucta^ flu
mina moftratiinferiorcs igitur animi uires bxcagut. Aeneas aut quo nobis
m& exprimit" i Arces quibus altus Apollo prxfidctsHotridxip
procul feaeta fybil» kc: Antru imane petitt(^uod cu fadtad rea diutnas
cdtcpladas erigit t Na qui aliquid figurarum inuolucris fcribuntibuiufce modi
rpeculatioes per excelfu loca aprimBt. yadc illud e p(almoi(^uis afccdct
ia mdee duif A^ & illud = b Sj K n n i» la Ap OL ttl d bt ttn
lut % dt. QU RI bii iO
ni£ fid «w Ots sed| iae N «IK Liber
quartus Nam cum in ui^tum in contemplatione pofitarum finis uerum
fit/ quo fapi^ Clite efficimurtreiSe omnino folem huic rpeculationi
mopolicumeflediiitNa ut nox tenebrz infcitiam arguunt :ita lucis dator
fol ueriratcm fignificat: Cuius exemplum fecutus ciuis noder Damhes cum ab
ignorarione rerum ad ue- ri cognitionem progrefiiim ponit fe ez node
filua<]^egreflum montem cuius iu ga foleilluilrata fint/afcendere
reflatur. Addit pratterea antrum ibi efle Sybii« be magnam cui mentem
animum^ Delius infpitac uates aperitrp futura. (^u£ quidem locum ut
diluddius-ezpritnamus pauca prius de Sybilla percurr^mt mox ad rem de qua
agitur redibo. Conflat igimt Sybillasapud grzcoseas mu» iieres urxitati
folitas t qtiz furore diuinb afflatz futura praedicerent t Eft autem
Sybilla quafi id enim efl dei fentennatquoniam dei conlilium fitn
tuitura & enim aeoles deum dicunt : quem reliqui graeci nom^
nanttQ_uanquam (iimtquiuelint fatidicam muiiaem apud Ociphos bocno
mine appellatamta qua demdereliquz futurorum confcia: cognommatz linn
faas exuariis regionibus' decem fuifle colligit. M. Vano :Q_uas ego omnes
fi quid ad rem pertinacatbitearertfuo ordine proiequi non grauarenSed ut
ui> ^.nihil ad hoc de quo nunc agitur iQ^uamobccm fatis fuerit uidifle
Sybil lam facile rerum diuinarumdoi^inam interprztari.hzc autem nobis ca
qux Apollini nota fumifine mendacio przdicitt Nam fapientiam uericatcmtp
ape» m.quodueto antium ponitiexprimic ucritatem m obfcuto latete .
Nrtpreme» tetriuiz lucos Apollini templo adiungit: luna enim corpulenta
uebementei cflifiC reliquis lyderibus inferior . Q_uapropca rerum
humanarum quz diuinis longe inferiores funt/figuram iutc habdne : 1 lia
enim lucis przpouitur: res au» tcmhumanzin fylua obrutzfunt: non enim
corpore carent:& utiuna afoie lumen recipit t ita Si ipfz quiequid
habent a diuinis habent . Collige ergo cu lapientia non modo
diuiturumterum/fcd etiam humanarum faentialit re» de Apollinis templo
Dianz lucum adiungi. Templum dtumatum rerum lo»cus efl. fylua
macenanotat.Templum laoius zdiheium deo (aaumiin quo res
fdlasdiuinasagimustab reliquis abftinemus t quoniam cum illud mgrcdi»
muria negoaisceflamustfiC foli contemplationi incumbimus.Trmplum aute a
Ozdalo conditum ponit t Q^uid igitui aliud efl zdilicare templum Apollini
nifi reddere fe idoneum ad fapientiam capiendam.Q_uod quidem tunc dcnii^
fadmusicum ab omni corporea labe purum animum ad contemplanda diuina
tranfferimus.hocautem Ozdalusuiromnibusoptimisaitibusinflrudus fa»
cuepotefliin quo tantum ingenium fucriciut Si DzdaIaCitce& tellus
dzdala a poetis tunc maxime dicatuticum maximum ingenium
oflendercuolunt.Ve» tutantem non mariinontetrainec ad meridiem infimam
nobis mudi panemt fcd per fublimem acrem ad reptetrionemiNibil enim
humileinihil terrenum fit in camente/quz ad fpecuUtionem fertur I fed ad
fublimia czlefliai]p engaturt Efl autem primus fpeculandi ingteiTus a
uitiis. primam enim cogniuonem efie oportet circa mali naturam /ut
ualcamus ab eo abAinere. Nam nifi ex» piati a uitiis fuerimus i nunquam
diuina attingemus t Vt enim idem fiepu ut icfctam/ negat Dauid
quenquamalcendctepoflc in montem domini/nifi Ia.P.Virg-M.AlIfgo.
cum qui fit innoces ihanibus 8C mudo corde:(^uapp in foribus per qmt
etat in templum aditus homicidiu Androgei: Adulterium Pafipbzs& Icari
faftus i|>onic .Hzc ergo a principio fpeculatur Aeneas.In uitiorutn
autem cognitione 'non cft diutius imoradu.Nam Si (latim ea noile oportet:
& ftatim a noris dilco dere.Rede igitur^ fjrbillaquaiamprarmilTus
Acatesacceriieratadmonef Acne asine in tali fpedaculo Idgius tepus
cdterat:Nam excellentiores quoep uiri uad is uoluptatu illecebris alledi
labercnt :hi(i.eoru cura BC Ihidio eam elTent adrpd dodrinamtqua monemur
ut paululu illud uitae ac temporis:quod humanz ra dcoDccfrum eft non nili
magnis & excellis rebus conterendii ducamus.Hocau tem inter egregiu
uiru ac ftuliumintere&.Nam alter li femel labatur/non facile furiet
Altet liquonia corpore uac animuspauluquandotpeuia deflexerit/ flattm
adeft ab Achate accerlita fjbillatquzadredudeducattledmira profedo poetz
ingeniu:qui fapientiamipGm Tua fapientia nos edocettprima ita<^ dodri
na ea efl ut purgati mundicp templum ingrediamur : Deinde oflenditquiuis
mens nollra quzdam Tua SC a fummo deo fibi indiU ui cognofeere
poflit:eogai tionem tamen diuinarum retum huiufcemodi eflexut nili diuino
lumine extu .tusillulVremur:illamcondperenonpoirimus:Hoccum fit/quis non
uidetprz cibus & ficrificus rem efle a deo petendam: Elegit autem
feptem hoftiastquonii Teptenarium numerum multi pnilofophorum
perfediflimum putauenmttpro ptereatp fapientiz attribuitur:8t uirgo ac
pallas appellatur: Sacrificat igitur fepte qmrapientiioptat:Ne(p temere
didum efl quo late ducut aditus cctu:hoftiace tum:per aditas enim
multiplicem uariamt^ dodrinam expim!t:quaad fapien riam
ducamuriHoQiiueroquz quidem uenientibus:refe opponunt non pat uam in re
difficultatem oflenduntiHateautem non ante patebut : quam id prz dbus ab
imo pedore fufls impetrauerimus.Sumo enim animi ardore & mente illi
penitus deuota fapientia acquiritur: Vt aute Gpientiam aflequamuri promit
tit le templu Pbcebo & Dianz fadurum:fed de templo paulo fupra dixi:huc
ue to quare illud de folido mamiote Fadurum fe pollicetur / breuibus
expediam: marmor res dura ell:ac mirus in eo 6i candor & fplrndor
apparet: Vnde ab eo quod gratei fplendere dicunt nomen fumpflt:
C^uz omnia in ea mente/quz ad Ipcculationem erigitur infint nrcefle
eft:Brit cn m folida ut quemadmodum inunis fludibus fua duririz ita
obfllHt feopu^ lusutipfe integer maneat/illi ucto
illidantur:difruprir<^/rclidant:ltcmens nui lis perturbation bus
frangaturifed illas frangat: dicimus przterea aliquid ez fo lido marmore
clTe.cumnon marmoreis cruftis externe exornatum fit ; fed tota cx
tnaimore conftet.O uapropter 8i buiurcemodi mentem efle oportetiut no
figna quzdam quibumpientiam exoptet przfeTat:rcd tota exardefcensilli
fetn per incumbanErit itidem fummo candore nitens: ut nulla fit corporea
labe polluta.Q_uo enim padofplendore carere poflit ea meos cum fapimtiam
na qua perceptura fit:nifi prius multis dodrinis illuflrec%Teplu uero
Pbcebo Dia nzip ponir:qa^ut mo diceba ^ & diuinayt & buanape reru
cognitio cft rapictia* Dies aut fcftosfoli Apollini illituit:qauenis
cultus foKs diuinis debctur.polfi ctt & S jbilJz penetndia: in qbus
fuz fortes 8C arcana codanf : Na nifi alta totte I^bct giMrtus. rcpofita
maneant ea qax per dodnnam acquirimus 'ueluti rianai puelfa; alHduo
labonbimus:ne<p unquam pcrforarum uas adimplere uaI(bimus:Q_uapr(v
pter 6C uiri ledi fortibus przponendi funt t Nam excellentes funt uires animi
ad bbendx : quibusiqux didicerimus optime mandentur : Curadum autem in
pri Inis ne refponla frondibus (dipta tradantur: Sed ore pronuntient
ur:Non enim JibcUisfiCcommcnUrioIiSCTedmdafuntquzaddircimus:fed menti:
Ne^ ruro (iuleuium flultilium^ rerum eQ quaerenda dodrina ueluti qui in
dialedicorum fuperfluis apdunculis/ac uanis amphibologiis/autlnanibus
fabellis omne pen e tempusterunt: Vereautem illud didumeftfybillam circa
principiuih nondum pbcebi padentem eflie : Ea enim principium nondum
pheebi patientem effe: Ea enim quz cognitu difficillima funt/fuidpete non
ualent noftra ingeniola donec Apollonis enim eff neritas^nos componat :
ea enim inffrudis omnia Facilia redo •duntut : Sed audi quid dicat
Ijbilla . O tandem magnis pelagi defunde periclis: Sed toris grauiora
manent : Nihil grauius nihil uerius : Q_ui enim omiffa ciuili uitaad eam
peruenitiquz in contemplandis rebuspolitaeffiille relido pelago^ io
contipentem fefe recepit : Vita enim quz in adionibus uerfatur : fluduati
ma ti fimiliima eff : Videmus enim omnia quz in ea aguntur : fottunz
procellis ezo polita effe : Contemplatio autem cum ad ea uertatup : quz
eodem femper fe mo do habent: ne^ in intoitum cadunt in folido hzret :
Magnis itacp pelagi pericuo lisiadatus eft zneas prius quam longis
erroribus circumadus diuerfa horrendao ^ maris monffra uitare potuerit :
Diffeile enim fuit ut troianum incendium ino columis ruaderet :
laborioTum ut audelitate atep auaritia deterritus e tbracia abi ret :
Incommodum ut ambiguitate oraculi deceptus in trinacenfem pedem incio
deret . Q_uisautem barpyarum foedam illuuiem non abhomineturrQ_uamuis iter
ad Helenum per medios hofies non formidet . Q_uh cyclopum immanitao
tenonconffematurrMariaautemlicula ita caute obire: utneue Ttyllam neue
•baiybdim conrpidati^^ tempeftati a lunone zolo^ ezeitatz ita refidere:ne
nau &agium faciat non hominis fed herois eff . prztereo quz in fodis
in africano Kt« tore paffus eff : quas ilh fraudes luno parauerit : quo
amoris uinculo Dido illiga •erit : prztereo quz in Sidlia ex incendio
nauium damna acczperit: uz om« nia gtauia ac tunc periculis plena
cum perpeffus fuerit: quo nammodoin Italia duriora paffurus eff : Non
tamen procul a uero aberat fybilla : Cum enim a com muniuitaac hominum
coetu te in folitudinem ucndicaueris : tunc acriores quaf dam uduti faces
carum rcrum/quas rcliquiffi memoria admouet : & illarum de Gdepo
acenimi infurgunt morius : At^ cum obliuioni iam eam mandaffe puta tnus :
tum maxime illuum ingeminant curz : rurfufip refurgens fzuit amor':ut
nilifirmiffimaancbotaiuuesfundauerit/uideatur in Afncamrenaaigaturuve Non
enim 6C li firmum fit propofitum minime inde difccderc : tamen ceffat
ccr« tamen cum aliud illecebrzolimadzuitz aliud przfens confiliumfuadeat.
Ve» tutin Italiam Aeneas:uenim eo uimitumgcnerequipurgatoriz appellantur
a quibus antea quam penitus expiau fit mens necefle eff ut acerrimum
beliu quc« adsetidum nofftt aiunt fpiritus aduerfus carnem gerat : Nam
quanto magis hzc l^ta humanam imbedllitatem funt: tantnniainri
pcriculoaggtcdimUC.Hu<i tn la.P.Virg.M^AHcgOf
inaHani enim rodctitemcum deferimus/aut in ferinam lutam per tninian
U atram bilem degeneramuc/aut heroico robore fupra hominem
erigiimjt.Q_ua< propter intenogatus quidam qui in littore
folusuagabatur/quicum loquerctot rcrpondi(Tet<p mecuni loquor* Atqui
uide inquit ille ut cum bono homine 1» quaris/& rede quidem t Non
enhn facile Sicipionem inueniaaqui nunquam mi nus folua elTet quam cum
folui • propter huiufccraodi igitur difficultates ah Sj> bilJa fore/ut
cum in Italiam uenerint dardanida;/ii enim uiri tegregii funt / nolA
uenilTc. Inuenientenimaliumin latio Achillem.inuenientK lunonemaquV bus
non mediocriter uezandi Hnt i Ambitio enim quz ut in lunone ita ia bello
cofo uiro etprimitur quemadmodum troia; & uoluptati aduerfabatui i fic
& fpc culationi quam fibi przfcrri egre patitur aduerfabitur : Eft
autem ex dea natui achillcs / quia diuiiu quxdamgenerolitas in animis
noftnsiolita eft t qiuenctni ni parere i omnibus autem imperare uclit
> Hzc ft reda ratione excolatur/ueram fortitudinem parit i lin autem
contra rationem elata omnia in fuam libidinem coouertere
tenet/ambitionein creat t & regnandi cupiditatem t Q^uaproptet tt ft
uehementer degenerer a dea tamen id eft adiuina animi ui origiuem
du.itsNd autem eatolum t quz ucnturanntptzdicitSfbilla : uerum ftcaufain
tantorum malorum profert: Ait cnimuttroiamcuertuntnuptiz mulieris eatdnz:
lic ft in Italia lauinz coniugium bellum acerrimum concitabit t
coniungitur cztemz mulieri animus nofter cum omilla uirtute rebus caducis
deledatur . Q^uapio* pter uoluptas paridis troiam euertit . In Italia
uero cum nondum cupidiutem tc rum humanarum deponere ualeat animus bella
excitantur afpcta illa quidem / fed non in quibus ueluti apud troiam
ruocumbatt fed unde uidor triumphafiy parto regno redeat . Accommodate ut
mihi uidentur omnia hzc inquit LA Ve RENTl VS. At illud quare didum fit :
fed npn ueniiTc ualcnt non intelligo.NI (i eum qui iam ad fpeculationem
peruencrit firmo iam propolito ce oportet cur illum peenitentia fequatur
non uideo t Non enim infiaot uirum etiam grauem in huiufermodi ftabili
propoliro acri fzpe morfu affici : non tamen ita magnoaf fici puto ut ad
pmnitentiam redigatur i nifi fortalTe hoc didum fu : ut multa per quandam
hipctbolcm t (icenim grzci rupcriationcin appellant / dici confueuere ut
ex iis unbis quibus peenitentia (ignificatur non peenitentiam fed fumma
diC> ficultatemoftcndcreti Ifthuc ipfum inquit BAPTi&TA : uerum
uidramus qd rerpondeat zneas : nempe id quod qui uera dodrina imbuti fuot
femper obfer^ uant : Ait enim fe ita ptzmeditaium uenifle : ut antea
fecum animo omnia euoi uerit . uz enim ante a nobis ptouifa funt ea id
fpatium przbenr/ut antea qui ucniant uel cuitari poflint uel faltem
ne tantum Izdant prouideri : Cum animus ipfefuasuires colligens
tobuftioraduerfus difficuitates reddatur: Nam queme admodum ii boftes
incautos ac nihil tale metuentes inuadamus quamuis 81 Itv co & numero
auperiores flnt facile illos fuperamus. Contra uero uel exiguz eo* piz ii
fpatium ad ea paranda affit: quz prziio conducant lulidii Timo ezcrcitiB
pares fzpe inueniunturific & nos finobifcum cogitauerimus/ quamuis
multa per corporis cogitationem accidere pofTint/ animos tamen czleM
femine oetoa atfi focotdi» ignauixy Ide dederint: aullis laboribus t
nullis
difticultatibiill ul iJi M Stl eu P ffli «I IV.N a id ni ifi m M k d Pf Liber
quartus nuDa foitunz iniutia modo uelintimpediri pofle quo minus in
originem fuam redeant inui<3i ab omni perturbationum prxiio euademus .
Ha»; fecum cu iam diumcditatuseffetarneasnonpetitnuncdemumiila doceri. Verum
in limine contemplandarum rerum poAtus ad inferos deduci orat. Quo in
loco quid G* bi ueiit amez ad infaos dcfcenfus conabor paucis abfoluere i
Si pnus quid infer bus fit : Si quot modis ad eum deficendatur breuiter
demonfhaueto : Infemiim igitur plurimis ante chriQianum nomen fzculis no
folumhebrziuerum etiam cgyptii pofuerunt . Q_uz autem poft chtiftum natu
noftra religio fine ulla dubitatione de inferis de^ peenis t quas apud inferos
nocentutn animz luunt / af> firmat ea omnia ab hebrzis ni fallor
accaqrimus.Q^uz uero zgyptiorum monu mentis mandata funt ea primus ad
grzcos tranftulit Orpheus . Hzc deinde fu« is figmentis auxerut plaui^ ez
grzcorum poetis / quorum principes Homerum H^odumtEurypidem t
Arifiophanemm e(Tc uidemus . Q_uos deinde fecuti e nofirisfuntptzter
Maronem / Ouidius mlmonenfis/ biex bifpania Statius Pa» piniusacLucanus :
&quem plzri^ florenrinum fuilfe putant Claudianus: At> ^ ii omnes
inferomm ledes fubterraneas elTe & ad cctrum ufip : qui locus in fpe
ta infimus efi portendi aedidetunt: Q_uapropter fpeluncas quafdam ac
terrx hiatus przfemm fi ignem fumum ue euomant ingrmum ad inferos n5 line
mu liercularum ac rotius uulgi fummo afTenfu fabulati funt . Nam & in
laconica re< gionc Tenanis mons eft circa finem malei promontorii / e
cuius profundiifimo antro quoniam fpiritu id agente fhepitus auditur:
facile fuit uulgo petfuadere inde ad inferos defcendi.Acberufia autem
palus in epiro no procul ab beraclea abargiuo ut fauntHerculedidafpccum
habet per quam cerberum tricipitem Plutonis canem ab Hercule edudum
crediderit antiquitas : Nam de auemo lz> cu nihil efi quod referam:
uulgataenimresefi&a pizrifi^ decantata. Ac de poe tishadmus . Plato
uero eadem difciplina : qua & Orpheus imbutus ita fingula
ptofequicur/ut nihil aliud inferorum locum animis noflris efle ueiit quam
cor» pus ipfiim quo ueluti carcere includuntur . Ipfe em'm animos a fummo
deo ae* atos ponit : Q^ui quidem fuapte natura dudi In deum parentem fuum
conuer tuntur . Nec mirum . Nihil enim eft quod in originem luam cum
pollit non re uetutur. Videmus enim(^ut loco exepli hoc ponam}ignem
huc^ut ita loquar^ tenenum/quia fuperiotis ui ac femine genitus efl fuz
naturz impulfu ad fuperi ora erigi . Conuerfi autem in deum animi eius
radiis ita illuflrantur ut ubi hade nus eorum efientia per fe ueluti
informis fuerat : nunc ilb fulgore conformet' : fit 9 miro quodam modo ut
intra animi eifentiam receptus fulgor no ueluti ez^ terna quzclam Si
aduentitia res in ea refideat : fed ad illius capacitatem tradus ob foinor
quidem reddatur : 8C a fe ipfe degeneret : mend autem proprius ac nattis
talis efiiciatur.Q^uaptopter hoc duce in fui ipfius at^ omnium quz infra fe
ezi ftunt: ea enim corpora funt: cognitionem animus uenit: Deum uero Si
aav> ra quz fupra fe apparent : hoc lumine non cernit . Q_ui enim fi
iamconnamra« le fibi fadum efl ea quz fupra naturam fuam funt/illo
continget : I d tamen men ti noftrz przfiat : Nam per primam hanc ueluti
fcintillam deo propinquior fz> da aliud accipit lumen & clarius quidem/quo
iam czlefiiumquo^ Si fuperna* m ii ~ f l Ia. P. Virg.M.
Allego. nim remm cognitionem accipiat . Sed hxc te L A VRENTI
latere mmitne puto: Sunt enim non folum dode ac diftinde/fcd omnino
dilucide a Marfilio noftro in iis dialogis explicata : quos ille in
Platonis rympolium confaiptos fub tuo no mine zdidit : Q^uos quidem cum
quia ad te funt t tum maxime quoniam pluri mis acfeledilTimis rebus
abundant familiariflimosribi elTe cupio t Sunt illi qui» dem inquit LA
VRENTI VS. Verum przcipue locus ifte menti noftrzhzretsin quo geminum in
nobis lumen elucere demofttat : naturale unum & ingenitum ut dicebas
: diuinum alterum & infufum/quibus limul iundis animi noftri uelu ti
geminis fulFulti alis/totum hunc ruperiorem mundum pcruoLue poiTunt:
Ad dit^li diuino illo femper utantur fore t ut frmpet diuinis bxreant.
Infimus autem hic tctrz locus animante in quo ratio fit canturus uideatur.Q_uod
nefiat efrediuinainflitutumprouidentiatutanimusfui omnino potens
flt:ualeat<p pro fiio arbitrio uel utro<p fimul lumine cum libuerit
uti : uel altero (bIo:propte rea<^ fieri ut natura duce ad natiuum
lumen conuerfus fe s uirefi^ fuas : quz ad fabricandum corpus
fpedant/diuino lumine ad przfensomiflblolum confide.' tet : illafcp in
corpore conflruendo exercere cupiat . Rede ac memoriter tenes in* quit
Baptifla s confifHt igitur in czio ut Platoni quem poeta fequitur/placere
ui.< demus animus noder ipfius diuinz naturz contemplatione pcifiuens
: Verum il la quam dicebas cupiditate infedus & ipQi cogitationis
mole degrauatus in infe» ra defeendere indpit .Verum quoniam cum de
inferni finibus ex fententia Plato nisquzritur non fimpicx apud eius
philofophi fedatores opinio cdtnoscam boc tempote fequemur :quam &
animorum rationi magis congruam putamust & dodiotibus magis placere
cernimus . Hi igitur bipartitum mundum ponunt. Nam fupremum czium quod
Aplanes uocitatur dellis^ut cd apud poeta^arde.* tibus aptum fuperorum
regionem ede uolu erunt :eofq) campos elyfios ac beato Tum infulas
nominarunt : Saturni uero fpera ac fex reliquz quz fub illa funtrrut
fufep quicquid fpatii inter lunam terramc^interiacetripfami^ tenam inferis
at^ tribuerunt : Altiffima igitur pars illa qua uel fubdentatur diuina
uel condant/ne dar uocatur i di deorum potus ede ctedimr . Inferiorem
uero Icthzum/ac horni num pomm dicunt r in hunc enim cum a fupetiori czIo
per cancrum ea enim ho minum porta diciturrprolapfa fuerit anima in
ipfius hyles quz elcmctorum ma^ terta ed tumultum incidit: quo in loco
noui potus ebrietate degrauata& ueluri temulenta effedadiuinorum
obliuifcitur : terrenatum^ rerum cupiditate ilie« da ita per fubiedas
fperas dclabitur : ut ex lingulis czlotum ordinibus aliquem cotum
motuumtquibusufuradeincepsfitin corporibus acquirat:Nam ab ea quam
faturniamdellam nominant ratioanandi& intelligendia loue agendi a
marte audendi uim abducit : fol uero ut fciat ut etiam opinetur illi
cocedittMox a Venere excepta defiderii motum mutuatur : Inde per mercurii
ac lunz czlos de fcendens ab illo pronunciandi interpretandii^ ab hac
plantandi & augendi uires acquirit : Ac podremo ad terram ueluti ad
centrumtquo gtauia omnia feruntur delata:6C corpus quafi carcerem uel
potius fepulchmm ingreda iurc apud inferos relegata didtur: Moritur enim
in corpore anima uelut in fepulchto demerfar non ita tamen t ut
fauiufccmodi morte extinguatur : licd ut ad tempus obtusturt Liber
quartus quabdo quidem illius diuinitarem noxia corpora
tardatititertenishcbetaat artus moribunda^ metnbra.-habes^fed
breuiter^quid Platonidinf^um pu tcnt:& quem animatum ad ipfum
defcenfum ponant» Nam^ de tartaris fabii^ lanturpoetzea omnia animam in
corpore pati manifeftum eft . In materiam enim protrada nouam fyluz
ebrietatem haurit cum illam ueluti flumine dema gaturtFIumen autem ipfum
non line exadarationeinquatuor flumina ac flj giam paludem deducunt.
Lethzu achaonta ftygem cocytum ac phegechotu> tenitMateriz enim
admixta anima eunda quz in czlis uidaat obliuifcitur. Q_uaproptaiure
lethzum nomen ab eo quod elt. ficenimobbuifei grzd dicunt potare
finxerunt. Ex hoc autem Achaon ma« nat: quzrcs gaudii priuationem
denotat: quafi Nam quod in dd contemplatione purus exiflens animus
gaudium aedpiebattidom ne ex obliuioneamitdttquo quidem amiflbt flyx
quamfadletriflitiam intere pretaberis exonaturneccite efttftygisdemumpoflrema
zfluaria coitum e£fi.< dunbQ_uis enim ex triftitia in ludum non cadat:
te autem non fugit id grz cos dicere: quod latini lugae interpretantur.
Ex diu< tumo autem ludu in furoris infaniz^ ardorem inddere
roIemustquemphe.< gethontem nominant. Ex hyle igitur unico flumine
mala hzcomnja eueniV unt:Q_uapropternon fine fummadodrina ex letham
reliqua fluenta deriua« ci finxeruntrfed hzc in Phzdone a Soaate latius
explicantur : N obis autem de multis puea ad bunclocumtranffnenda fuerunt
:at(^ ea fola quibus defeen fus ad inferos ex Platonis fententia
perfpicuus redderetur: Noflri autem qui ita a deo animas aeari redifljme
fentiunt: ut eodem momento & creentur fi; fuis corporibus
infundanturrnon eas in hoc inferiori mundo uerfari uoluerut : ut commifla
purgarent :Q_uid enim fi ante corpus non fuerant : extra corpus
peccarepotuaunnfedutfuisrcdis adionibus: quas omnino liberas habent cz«
Io aliquando frui mererentur . Conceflit enim nobis deus : ut noflro arbitrio
Ii' bere utaemur:non ut per nequitiam delinqueremus: fed ut per
religionem fi; iuflitiam nobis fummum bonum acquireremus: Verum cum
perfummam fiultiriam illud negligcntes corporeis tetrife^ uoluptatibus
dciiniti maximis ua nilc^ fceleribus coinquinemur oportuit efle locum ubi
a corpore digreflx buiuf cemodi animz
fuorumfadnorumdebitiflimasposnaspcrderet.Himcautc lo cum arca terrz
centru maxime eflie uoluerut:Na cu fi; propheta eripuit deus ani ma mea
de iofernoinferiori dixerit fi; ipfc humani generis faluatorfe triduo in
corde terrxfuturuadmouerit facile couincitur centru eflctNihilenim
eflcctro infcrius:quin fi; ita in medio terrz confiflittut in medio
animante cor efle uide musiQ_ua in parte fi; tenebras exteriores/quonia a
luce remotiflimz fint:fi; de tiu flridorc quonia nulla folis uis illuc
defeendat efle nemo negauerit.Erit igitur in terrz cerro infernus:fed ita
erit ut etia ex iis quz fapietiflime a Gregorio colli gunc ad aere uflp
huc ex terrz fi; aquz caligine cralTioreptcdat^.Acrp deiferno hadenus ad
illu aut aias defcedere oe fere hominu genus dixit. Sed tn aliud alii
fentiut.Na przdpitatio illaaioru afuptcmoczloin hzc corpora ad inferos de
fccofuscdea Platone acdicuitCbriflianiuaofczleflo^ animasc fuiscoipotL
In.P.Vtrg.M. Allego. busad inferos trahi admonent. Dicimus
itidem uiuentes homines cuminid tialabuntur/ad inferos rueret Sunt quoc^
qui credant magicis artibus 6: cat< minibus fieri uelutidefcenfus
quidam/ut inde euocarianimx poflint. Verum praeter bos
quatuordefccfusqnrusquicftnonuideir omittendus: Na £( ad in« feros
tendimus/cum lumen rationis noftrx ac induihiam in mali ac omnium
oitiorum naturam fpeculandamdeiidmus. Ego igitur libenter de te
feifeitoro Laurenti cum haec omnia perceperis / quid putes hoc
Aenezdetcenfu Virgilu um exprimere uoIuifleTlamdudum quid agas uideo o
Baprifta inquit Lau» rcntius/ac pro eo maximas tibi gratias habeo :Q_^uis
enim non uideatuni. uetfamhanc difpuutionem nonfolum
meisptzabusdatam/uerum etiam a me fratremij meum erudiendum elaboratam :
'Nam fiCli caeteri t qui afTunt omnes mirifice tua otatione deledcnturt
tamen eft eorum ztas ac dodrina huiufcemodi t ut etiam fine duceipfi per
fe hzc omnia cognofeere ualeant. Hos igitur duos erudiendos cum
fuiceperis : propterea^ rede netan fecus quz hadenus difputafii teneamus
/ nofie cupias fine ulla cundationequaxd. ^ rogaueris / cerpondebo: fic
enim & errata facile emendare poteris : 8i fiqd rede teneo id
tuoiudicio confirmatum firmius hzrebit. Petit igitur afybilla quam tu iam
dodrinam interprztatus es/ut ad inferos K ad parentem dedo.> cat:
Q_uod cum petit oftendit mentem przmonfitante ipfa dodtina in fem
fualitatem defcendece . Vult enim nitia quz ab ea funt penitus cognofeere:
fed uide quantum tibi ex hac difputatione debeam : nam non folum
effeciftt ut hzc a Marone diuinitusdida tenerem: fed fimilitudine rerum
admonitus ia quidfibi nofierquoi^ Oanthesuoluerit facile coniedor. fed de
hoc alias: Tu ueto fi placet ad reliqua perge: Rede tu quidem inquit
Baptifiainterprztaris; Me autem tuum ifiud ingenium ac iudicium fummopere
deledant: Verum audiquidilli auaterefpondeatut.ln primis enim defcenfum
ad infetosnul'. lius negocii eiTc demon(lrat:cum nodes diefc^ datis ianua
pateat : Q^uod pro fedo nimis etiam q utilem uerum efi:Naracumprocliuesutfenexquo<^Te
rentianus conquzritur a labore ad libidinem fimus / facile in uitium
labimur. RcdilTime^ illud ab Hefiodo Redifiime quo^ 6i illud
uel claufis oculis illuc defeendi: Nam fiue delinquendo in uitia labimur
? [uoniam id per llultitiam fit: llultitia autem rariflimi carent; quid
obfccrote acilius inuenies : fiue:fed t^iquos defcenfus nunc mifibs facio
: quorum pro cliuitas pcrfpicue apparet : Id autem de quo nunc agitur :
quis non uidet . Mentem ipfam ac rationem facile in cognitionem fcnfuum
dcfcendcre.Ma ximum autem fit periculum ne dum cicca lingulas corporis
uoluptates uer.> famur / ita illarum illecebris demulceamur / ut
irretiti hzreamus : Facile igi.> tur fenfus defeendit mens / non autem
facile a fenfibus rcuocatur.Id enim eftab inferis redite: pauci enim quos
zquus amauit lupiter: aut ardens euexitad ztheca uirtus diis geniti
pomere : Tria ut uides hominum gene<a ra ponit quibus liceat ad
fuperos reuerti: Sed nos prius de duobus pofirei> mis dicemus : cenfet
Plato quod paulo fupta explicatiur demonfirauimus animos nofitos rerum
terrenarum cupiditate degrauatos incorpora dcfixt> Liber
giiaituf Jcre : (Quapropter qui prius imbroda nedare<p
ueTccbantunid enim eft deo 'fiuebantur t atqi inde mirum gaudium Tumebat
t nunc letheum rpoti in re» lum omnium obliuione mnli Tunt.CQuod (i intra
corpus conftitutus ani^ musillius cogitatione ac fordibus
inquineturttamdeoiis tenebris obducitur/ utnulla deinceps fpes (it ad
Tuperiorem lucem redeundi: Sin autem TcipTuni infccoIKgms integre cafte^
degat: 6ecorporis quoad potedeonfotrium de* clinet ipauladmcz illa
obliuione qua ueluti crapubuino(p opprtlTus obdor» tniTccbat
Teexatansualet libi geminas illas quas iam totiens nomino alascom patate.
Illis autem fuffultus facile ex inferis reiilit: &ad Tuperos rediens iii
re gionemfuam reuolattper duas igitur alas totidem uittutum genera
intclligi mus /& eas quz uitx adiones emendant: quas uno nomine
iuftitiam nun» cupatt&eas quibus in ueri cognitionem ducimur: quas
iure optimo religio» nem nominat. Illud igitur pauci quos ardens cuexit
ad aethera uinus:alam primam exprimit : & uittutes qux de uita &
motibus Tunt intelligit:cumde indeaddit diis geniti potuere figniHcat
alam fecundam :at<pipfam rrligionem quamexuirtutious iisquxad uerum
ducunt conftare uul: Placo : Hxc itaip auntopbilofopho mutuatur Maro
cuius quidem dodrinx non nihil ex ma» thematicorum fcntentia ita addidit
: ut nei^ ius Tuum ac libertatem animis adi merctmeip cxleftia corpora
fuaui priuaret:Nam li animis nolitis uimnecef» Utatcmqi f/dera afferre
dicamus/non modo id in religione noflra impium eiitr fed 6t a Tummorum
philoTophorum dodrina abhorrens : Verum ut intelli» gas ntip hoc a
Platonico dogmate alienum elfe / refert ille in Thimxo ratio» naiis animi
effedionem nulli nili deotribuendamiquoniam ipfe eiTentiam ac ^ rationem
animorum noftrorumcreat.Corpus autem ac exteras animi par» tcstuteaeffqux
concupifeit flC qux irafdCur nos ab animo mundi mutuarie Q_uapco{aer St
li mens ipTa nolha nullo fyderum imperio fubieda Iit : tamen quia nullam
adionrm ex iis unde uirtutes uitiam manant nili per fenTus ac ap» petitum
exercet: Illis autem quoniam a corpore funt uacias aut ad uirtutes affe»
dionesiauc in uitfa prcKliuitates inferunt fydera /permulti interelTe uidet ur
quo fydere nati fimus:Nr<^ folum ad bxcqux ad uicam & mores
pertinere diximusr ucrum d ad ea qux fpeculationem K ueri cognition cm
refpiciunn Nam li on» nes omnium animi eadem natura funtiunde nili a
corpore eritrquod alii inge» nioiudicio ac memoria excellentilTimirxillanttln
aliis hxcnulla appareanc: cu autem omnis nofira cognitio ab iis qux
efficiuntur ad cfficientiatn:& ab iis qux loco 8C tempore
nrcufcribuDtur ad infinira initium fumatrmulta obiicinir dif» licultas
animis noftristut intelligentiamut feientiam ut fapientiam alTequanturt
cumuircsillx:qux paulo ante dicebama membrotum : quibus ueluti inftru»
mentis utuntur deprauatione bebercant : nei^ fe explicare poflint: cura
igi» lurapud Platonem ruumlegilfet Maro nili geminas illas alas
recuperemus ad Superos redite non poffe : Cum itidem illarum
recuperationem a fyderibus caquam oilendi ratione impediri
aniroaduerterctiut a loue xquoamarrmur opus ciTe ofiendit . Hoc autem
nihil aliud eft / nili ut benignitate fydaun» ■ffcdionca ad icdaa adiooa acdpctcmt^Natacum
plancutum uuia uiafit ,1 In.P. Virg- M. Allego. Videmus
iouis natura hulufcemodt elTc: ut quos ille in fuo ortu benigfle a(^e dt
illi ad iuftitiam ac religionem proni reddinturrita ut ad eas quas diximus alas
recuperandas impelbtrcolligamusigiturnetnincmabinferis rcmeate/nili al^s
recuperet : id autem non clTe fadlc nili iis qui benignitateiiderum adfupera
eti guntur . Sed quid tu.L.Marfilium intuens clanculum rubmurmuraftit
Nempe id Tolum refpondit.L.quod paucis ante diebus cum T imxum Platonis
in maoi bus babetet:mibi de anima mundi dixerat Marlilius > Cautius
inquit.B. mihi progrediendum elTe uideorcum res nobis non modo cum dodo :
V erum etiam cum mcmoriolo litifed quod de mundi anima dicis/id 6L uerum
huic lo> co apprime quadrat : cenfet enim Plato rationis
fementem a deo fadamianitnof ^ nodros ab ipfo aeatos/ac deinde mundi
animz ueltiendos corpore traditos: ut £2 corpore uedircntur:& eius
pedilTequis uiribus informarentur: Aequum enim fuit:ut quoniam
concupiTcibilis irafcibilifi^ appetitus (alutis corporis gra na func:ii
ab eodem nobis darenturtqui nos corporibus inclulilfct: Vetumquia faz
partes lubricz funtipat fuit: ut qui nobis illasin deterius facile labeutcs
dedif fet idem ipfe aliqua ex parte aberrotibustueretur:labenter<jfubdetatct.Q_u3'
propter iuflit illi fummus pater/ut quando ipfetccirco animis nodris
caufaffl obiiuionisptzditiir<t:quoniam luteo corpore circundederit
hominibus fulgo, rcmueriutis infunderet. Huiufcemodi ita^ przccpbs
obtemperans mundi animus eos omnes quibus zquus ell/aut fomniis oraculis
& portentis autio. terao quodam motu Si ad futuri prouirionrm:6t ad
diuinz legis cognido. nem perducit : ut eo duce alas
recupctcmus.Huncautemmundianimumue tetes theologia qui illos fccuti funt
Platoiuci fzpe louem appellant. Hinc pbcus lupitet inquit pnmogenitus
eft:Iupiternouiflimus;lupitercapui:Iupb ter mediu.Vniuctfa autem e loue
nata funtihinchinc illud lupitet eft quodeo. ^ uides quodeun^ moueris i
Q_uin Si ipfe Maro A ioue principium mufz io. uis omnia plena. Sunt enim
omnia plena animo munducum ijle ita totus in to to mundo fl£ in qualibet
parte totus : ubi^ uigeantutnoftrianimiin fuison. pufculis : Hic deniip
czlumueluti citharam continens harmoniam cfificit ex di uerforum czlorum
fanis: quas cum mufas appcllentiute louisiiliz dicuntur eiremufz:Q_uantam
igitur dodrinamMato tribus uerfibusincluferit/ facili, tis mente concipio
: quamuerbis exprimam. Rede igitur pauci quos zquus amauitlupiter:aut
ardens euexit adzthera uictus.RedefiC illud tenent nia liluz : Ab hyle
enim(^ ut fupra dcmolhauimus ) eS omnis nodra duldtia/ & omnibus
ahimisconugio: quibus impediantur ne ad fuperos redeant. Ve tum de
remeandi difficultatibus badenus : Deinceps nero eas exponit rationa
quibus ita tuto defeendamus ut pateat reditus: Aures autem
lamusfapientiam nobis indicat dne quanonedfpcculado eligendarum
agendarum^ rerum iu dex . Ne^ mireris aurum fapientiz fymbolum apud hunc
poetam obtinere cum plzii^ idem faiptotes fecerint: Vndeillud bpiens
aurum & multitudo gfmmarum Si uas pretiofum labia fdentiz: Aunim enim
eft fapientiz uigor at(j fulgor. Ndium cx metallis auro pretiofius eft. Nibl in
rebus ^entia pluris facieadum. Fulget maxime aunim. Nihil
(apimciacll endi^ i (> i 01 ik IXI BS XD u m uv mt Bd:
od Nx m HC pn ioqi iHgg imc ttdi di(( dux BOC (jB) da. Bidi
BUi liuBi Btit imt «D!
feuii Uni OlC •Wl D« Lib«r
guartui £iu. Nulla eni^oe exeditur aurum : Nulla rea imminuit fapietitiam
t Nullis lordibusaurum coinquinatur t Nullis maculis Tapicntia deturpatur
t Sed latet arbore opaca: mulus cnim ac uariisinfeitiz tenebris ita
obruitur uerumft luco ca cnimcorpons^uc ita ioquar^bebetudo eft ita
tegitur t ut difficile omnino (it illud erueretScite enim Si a Ocmocrito
ufurpabatur natur^n in profundo ueri^ tatem demer(i(fe : Non tamen prius
in hanc contemplationem defeendere uaW mus : quam aureum ramum
deccrpfciimus . Proferpina enim ad fe ire quempi^ am (ine huiuCcemodi
munere uetat . Efi enim profeipina ipfa animi pars quz ni bil przter lenfus
contina : ad quam (i (ine fapientia accederemus nullum przte»
rearemediumdarcturiquomuiusdenobisadum eiTet.llla enim irretiti nulla
unquam effet fpes redeundi . Rede Si illud piimo^ auulfo non deficit alter
au« reus I fe ip(a enim alitur (apientu : at<p cuenit inueffigando/ut
aliud uerum ali< ud aperiat: nec quicquam percipiatur: quod ubi
perceptum (it ad aliud percipi* endum non diKat : Illud autem quis non
uideat de uero uenifime didum elTe . Nam alte inuefliganduse(l.diuina
enim &czleffia(^(i ueru inuenire uolumus^ non infima hzc at^ aduca
infpicienda funt : omnis enim dodrina a frientia ex iis efi: quz nullis
terminis circunictipta funt&in interitum non cadunt:lubet ptzterea
iam repertum rite a nobis carpi : & iure quidem ita iubet . Nam nili
cer* so quodam otdine pergamus/nibil unquam proficiemus; Addit enim
poffremu illum facile te fecututum i (i a fatis uoceris : fin autem non
uoceris : nec uiribus tunc nec duro ferro polfeconuelli.Virtutibus enim
quz mores corrigunt Si quz tedum zquumij relpiciunt ualct omnes ira
animum a fordibus purgareiut mu di e corporis migrent : Ad fupremam autem
illam rerum cognitione uenire pau ds ommno datur : at^ iis (blis qui a
facis uocantur . (Quapropter rede (i te fata uocant : Q^uod tamen ut
planius exprimam /uolunt Platonici deum poft fe ip* fum cognolcere .
Deinde omnes reliquas res : Tertio autem loco ea eunda effice lequz
cognouit : Poftrema ergo hzea fecunda : Secunda rurfus a prima depen* det
. Namomnes res ptodudt quia illas nouit : Nouit autem nulla alia ratione
: nili quia fe iplum in quo omnia funt contemplatur . Huiufcemodi itaip
ordine rria illa in deo ponunt iu ut pdmam fapientiam : Secundam
prouidentia : Ter* tium fatum nominent . Chnffiam autem cum haec eadem
(nt fallor^fentiant:Fa ti tamen nomen uiz ponere audent : non quia
Platoni irafcanturifed cum uidif fent clfe quafdam in pbilofophia
familias : quz eam fato necelTitatem imponat: ut nullam io adionibus
nobis decernendi libertatem relinquant fati nome odif fe uidentur. At nos
eum quem paulo ante dixi philofophum fecuti dicamus de* um retum caufas
id cft fe ipfum confiderare : Ddnde ortum ordinem : ac deni ^
gubematiunem rerum quas compleditur intueri t (Q uz ddneeps ita omnia
excquitut ut nullo mexio ualeat impediri i (Quam quidem rem fatum dicunt:
Q_uod fi ita eff uon abeiiant qui dicunt rationem ac ordinem rerum : quam
ita mente dd prouidentiam dicunt in rebus mobilibus ac loco Si tempore
dteuioi* pds fatum did.Te itaip fi f^ta concelTcriiu camus aureus uolens
fadiifcp feque^ c Datur igitur pauos Si id diuino quodam extra fortem
munere ab ipfa dei proui dendatcuiusconfilium ferutati nefas bomini
efirReduscoim dotdnus & reda Jn.P.Virg.M.AIIfgO*
confiliacius t fed qux mortali ingenio cotnprzhendi non poirint.Q_uis
rniffl adeo temerarius: ut noiTe contendat cur loanni: cur Pauioapoftolu
caapcruc« rit dominus : quz multis fandifrimisuirts& multa dodrina
illuftratis detegere coluerit : Q_uod exemplum late patet & ad omnes
qui in aliquo dodrinz gene te laborauerint ttanffetri poteft t ut cum
multa eodem (ludio dagrauerint t eatu dem^ operam ac laborem impenderint
alii fummum in eaatte attigerint: aliis autem uix in poftiemis confidere
licuerit . Habes quid aureus ramus meo iudb cio fibi uelit : Q^uod autrm
ad miferi funus pertinet (ic accipe . Mileri odiufa Ia us rede
interpietatur . Q^u ipropter erit eadem inanis quzdam gloria-Snt enim
fummo odio digm qui uiitutrm negligunt : unde folida exprrflai]^ manat
glo> tia . Honores ueto ac reliqua uirtutisiDfigniaredantur:Q_u 'm qui
in uita ct» Ulli res egregias adoriuntur in primis captare cunfueueiunt.
Hi cn<m non redi honedii^ amote : fed gloriz cupiditate laborant: quam
dum aSequi cupitmuS rem publicam fzpc perdunt x&infummumouium odium incidunt:
Egregie igitur luuenalis. Tanto maior famz (itis ed quam uirtutts.
Huiurccmodiigb' tur uiri animi excellentiam (iue a natura fibi in
litam/(iue indudna/atcp exetaca Cone comparatam penitus corrumpunt. Non
enim uirtutera ammt.^cd uita tutis infignia i qua; fzpius malis quam
bonis exhibentur . inanis igitur atip ad» umbrata gloria in rerum
publicarum adminidrationc exceliintioribus ferop ada hatret . Q_
uaproptet Hedoris quotj comitem mifernum fuille tingit . bi enim caritate
patriz magis quam cupidine gloriz moucretur huiufctmodi uiri beatifa
(Ima; omnino ciTent ciuitates : quibus illi przcfTcntiQ^ut igitur ad uitiorum
fpe culationrm ea gratia tendit: ut fe ab illis explicet : cum in primts
hu.ufcimodi gloriam abiiccre necciTe ed :Q_uaproptcr rede eo tempore roifcrnus
extinguitut quo zneas a fybilla prxeepta accipit . I nitium enim ueri
inuedigandi a onlctni m tcritu optime funiitiir : Ncc tamen fatis fuerat
illum extingui :nift etiam fepelu tur : ut nufq jam urdigium illius
appareat : nec unquam reuiuifcat : Q_^uud au tem illum tubicine fuiiVc
dicit : optime quadrat . Ed cnira huiufccmudi hutni« num : ut rrs a fe
gedas quam latilVimc diuulgmt : Si fuo przconio ommbus ofle dant : Ed
prztcrea zoii uentorum regis filius:Nam nibil uentoltus ed illi qui ne
gleda uirtute tc folida & cxprelfa adumbratam quandam & penitus inanem
glo riam aucupentur: unde & tumidi & inflati Si uentoli dicuntur
. Rede Si nlud quo non przdanrior alter aere ciere uiros martemtp
accendere cantu.Q_^uid eni aut Ninum aut Cyrum aut Xerfem ut hos folos de
innumeris aflaticis regibus te feram : quid qua;fo aliud impulit : ut non
contenti patriis Enibus multis popu/ lis ac nationibus beilum inferrent ;
Q_ uid apud grzcos fpartanos aut athenieo' fescxcitauit ut magnam Aftx
partem ruoimpetioadiungerent: Q^uidHvnni' bali ruafit ut
bifpaousgalliift^ fubadisromam orbis caput peteret: i^uidapud njod(os.L. Syllam
prius ac. C.Marium: Deinde luIiuro Czfartm.CD.^PompC'' ium ac podrcmo Odauium
K.M. Antonium eo furore accendit ut ciuiltfaogui occunt^ replerentur nili
infanz quzdam famz cupiditas: Cum gloriam miis rebus quzrerent : quz
dolidil Timum uulgus dupefeere quidem cogant i fapicn Us autem ad
iuihfumam indignaiioncm fummum^ odium concuent t at Q C*1 Gi d
DCt BIB I» '1 ip» a» K*» ,
tUH cnu cpi)iii 100 ad
siil itd
id* ^1 afi \0 «? |lP< <« Liber
guartui mo tnodo ipfe malus non Ct huiufnmodi uiros bonos dixerit. Sed
quid (i o{v dtni que^ m hominum Ibcictatc uiti : ac pro re publica emoti
ptomptiilimi prz ter id quod patriz caritate in manifedifTimam mortem
ruebant igloriz quoq; cu piditate extremum cafum zquiore animo ferebant :
uis enim ftbi perfuadeat aut Thcmifiocicm athenicnrcm in nauali
prziio apud Salamina gcflu t aut Epa« minundamin ea uidoria qua de
Lacedzmoniis potitus efiraut Spartanum Leo eidam in tbctmopylisuirilitcr
pugnantem nihil de gloria cogitaffe. Ego enim oet^ Brutum lingulari
certamine aduerfus regis exulis filium concurrentem : ne a Sczuolam tanti
animi confiantia dexteram exurentem: ne<^ Decios illos in co jf^ifimos
hoftes iiruentes : ne^ innumerabiles alios qui patnz libertatem fuz nitz
prztulerunt famam quam de fe pofieritati teliduri elTent nihil unquam fe*
dlTe arbitror. Sed nos in re omnibus manifefla nimium fortaffe moramur.
Ita« ^ redeo ad mifemum qui cum tritonem deum prouocare audeat : iute
demens appellari pofTittQ^uid enim fiultius quam (i inanis hzc gloria a
caducis ac cito perituris tebus ptofeda audeat fe illi : quz uera eft
& a diuinis rebus proficifeitur E fumtnam temeritatem
zquiperare.Q^uapropter facile ab ea obruitur. Sed cad rem noftiamtReliqua
autem quz circa funusdeferibuntur hidoriz attp aurium uoluptati
concedantur . Geminas autem columbas geminas illas alas qs d o fupra
diximus intellige . Illas enim ducibus ad contemplandas res tendit : t
autem uoluaes ucnetis : quia oportet illas elTe ab ardenti amore : Nec
iniu tia matrem inuocat : Nam tantam difficultatem nili rapiat amor
facile fugiut ho mines < Illz autem non femel aut uno impetu/fed
paulatim uolando ad locu du eunt : Non enim hominis ell omnia momento
uidete : fed ratiocinando gtada« timacognitisad incognita
uenire:Seduidcquidfequatur:inde ubiuenere ad fauces graue olentis
aueroi. Tollunt fe celeres liquidum^ per aera lapfz: Sedibus
oputis geminz fuper arbore fidunt: Nam quz ad cantarum raum
cognitionem duces fe przbent/eas rerum terrena^ tum contagionem id enim
ell auerni teter odor celerrimo uolatu effugere opor« tet. Duplex igitur
uirtutum genus nos ad ueritatem ducit: quam fine mora ra.> pit zneas /
ut eius luce ea quz per infernum obrcutiffima funt cernere pofTit.De
ioiprio ucro auerni naturalem lod litu demonftrat. Ne efl quod faaa ab
znea petada in feriem noflrz fentenriz digerere laboremus . Inferuiens
enim fuo ar.> gumento poeta eorum lacrorum quz ad ncaomantiam
adhibeant ueteres expli cat. Q_^um autem zneas nudo enfe Iter aifumere
lubeat 6C fi hoc in Ilfdem facris obferuare confucuerint : tamen
admonetur ipfe ut robuflo animo rem arduam acediatur . Aeneas ita^ ducem
haud timidis uadentem pafltbus zquat.Nam quis non uideat : quod dodrina
aliqua nobis oftendit id quam celerrime quam oiligentillime effe
arripiendum. Erat autem iter per obfcura : uel quia ut dixi ue ritatem in
obfcuto ab&rufit natura : uel quia uitiorum fedes procul a luce funt:
Q_ui enim rationis lumine illuflratut : is & uerum cognofeit /dc rede agit:
illam autem qui amiferint fua natura ignorata in ultia Incidunt •
Appellat przterea do plutonis uacuas & inania regna . Q^uo quid
ucrius dici poteftfEfi enim u ii 1 1 I!’,! i;l I
* i'i In.P.Vir g.M, Allego. nudiuftertius manifeiHs
rationibus ronuidum mala uitiatp nihil omnino ef fe; quando quidem nihil
afFcrant/fcd bonum pellant. Hoc cum prudens ue hemenf^ uates Perfius
intelligeTctrgrauilTime in eam exclamationem proru/ pit/O curas hominum
/O quantum eft in rebus inane :Vt autem quale eflet ad uin'a initium
expreflius poneret oftendit in tantis tenebris non nihil tamen lucis
apparuilTe.Nam 6C Amentis carcitate in uitium labamur a tamen circa
principia non omne penitus lumen tollitur: Prius enim incontinentes
cAicif mur quam intemperantiam cadamns.Miro autem iudidoquz
fequunturin inferorum ingreAii ponit: Si enim exfententia eius quem
fequitur Platonis deicenfum animorum in fua corpora defaibit / manifcAum
eA animum qui badenus omnium horum malorum expers fuerat in ea nunc omnia
corporis contagione incidere : Omnes enim perturbationes inde fentit:
Luduenimea riA^ angitur. Impendentia timet imotbos laboreAp experitur :
fame anp ege^ ftate urgetur : omnibus denitp quas ille enumerat
calamitatibus prxmitur : quas a corpore liber expertus unquam fuerat. Sin
autem prolapfum animor rum in uitia huiufcemodi defcenfu interpretari
uolumus non multum diuer fa ratio erit : Q_ua; enim res tanta ucloatate
commilTum facinus confequb tur quam fadi pernitentia . Q_u.r autem
pernitet is Ane ludu effe non po# teA . Adde quod confeientix Aim ulis
affiduo purgatur neceAe eA : Vrgent enim illum aAidux curx : qux ueluti
ultrices furix poenas Aagiriorum feueriAune extinguunt: uod quam dode
quam eleganter quam expteAe pofuetit lu' urnalis quxfo recordamini
. Exemplo enim inquit ille quocunip malo cotn* mittitur ipA difplicct
autori prima hxc eA ultio: quod feiudicenemo nocens abfoluitur. Ac paulo
poA; Nam fcoclus intra fc quicun^ cogitat ullum fadt crimen habet. cedo A
conata peregi perpetua anxietas nec menfx tempore cef fat . lure igitur
ultrices curx funt in ucAibulo poAtx : Nec mirabimur A paU lentes
habitent morbi oim Aoicorum acutiflimas argumentationes intelli^^ mus.
Aiunt enim quemadmodum temperantia fedeat appetitiones: &cmcit ut
illx redx rationi pareant iconfcruat^ conAderata iudida mentis : Ac huic
inimicam intemperantiam eiTcieamcp omnem animi Aatum inflammare cd
turbare ac incitare : eoq; pado omnes ex ea perturbationes gigni . Nam
ue» luti cum fanguis in corpore corruptus eA : aut pituitabilis uere
redundat morbi xgrotationcr(p nafeuntur: Ac prauarum perturbationum
diAotunta animum fanitate fpoliat : uehementerep petturbat : ex
perturbationibus ue» ro morbi conAciuntur qux illi uocant : deinde
xgrotationes qux appellantur : Q^uapropter perturbatio
quia inconAanter turbide^ fe iadant opiniones in motu femper cA .
Ve» rum cum iam huiufcemodi furor ac mentis concitatio inueterauerit :
&tan quam in uenis medullif^ infederit : tum exiAit motbus at^
xgrotatio.Na cum ex falfa quadam opinione qux plus tribuat diuitiis quam
tribuendum At pecuniarum cupiditate inflammemur : nec adhibeatur continuo
Socrati» a quxdam medicina : qux cupiditatem extinguat manat illa in
uenas efficit» ^ cum morbum at^ atgrotationem quam auaritiam nuncupamus.
Rede to Liber quartus ^detn demorbis ut mibi uideris
inquit Laurentius &|ad locum eiplica»> dum appoiitet Non enim
philofophi folum / ut tu probe demondraui: Sed & oratores BC poetx
non corporis folum fed & animi fcpiflime morbos di« eunt . Ergo ut
morbos inquit Baptifta ad animum ita SC fene Autem reAe refe ternus. Nam
cum ipfe adcmrobur<p mentis ueluti iuuentutem admireritt& ignauia
ac torpore quodam ueluti fenio tabefeit/ facile in uitia: ha;c autem
motsanimotum eS/ eum adere uidemus . Mala autem fuada fames quidnam aliud
quaauaritiadefignat: qua homines ad omne facinus impelluntur.' Q_ua; nam
enim res alia nobis fuadet aut iniuftilfimts bellis innoxios populos
iacef (iere I aut caidesiK rapinas exercere: aut inlatroaniis
grafTati:aut uenena pa« rate: aut fidem fallne: aut patriam at^ dues
prodete:ni(i auri facta famesf Q_uod quidem fi ita cft eodem quo<^ in
loco erit ponenda turpis zgefias.Cii cnim homines paupertatem: quam nemo
fapiens turpem exifiimauit turpilTk mam putent :eam^ ueluti fummum malum
exhorreant /nihil repugnat: nui Ius pudor obftat quin quo illam fugiant/
omnia uenalia habeant /nec abfunt tembilesuifuformzletum^ labof^:
Namquialuccexulcsinhistcncbrisuer • fiintur: nihil praeter defidiofumooum
quaerunt: Nec meminerunt homines adagendum ati^ fpeculandum natos nullum
laborem/qui quidem honefta^ dadiunAusfitelfe fugiendum: De lato ucto fic
accipe . Philofophi qui dt« ca prudentis
acquifitioncmuerfanturanimaduettunt corpus fi fociumad rem agendam
afiumatut maximo fibi eflie impedimento : Senfus cnim qui a.cor< pore
funt nihil in feueritatis: nihil fincen/utrcAe dc his rebus iudiute uale«
ant in fe continent ; Ex quo fit ut animus fi illis ad inueftigandum
utatnrtfzpe dedpiatur:& illorum illecebris ebrius nihil ptofpiciat .
Q_uapropter mentem quam maxime pofliint a fenfibus: BC a corpore
feuocant. Aic cnim in eo qui phe don inferibitut Plato nos tum denii^
beatos futuros fi a corporeis abfirahamur: ac deo fimiles reddamur . Hoc
autem quid aliud qua mori effe dicemusrQ^ua propter fijhuiufcemodi uiri
dum uiuunt mori medicantur: uenientem nemor tem illos trepidaturos
cenftbis.''Stulti autem qui nihil przter corpus nouerut: iniquifiimo
animo illud difiblui patientur.ReAe igitur is quem totiens nomi* no
Plato/ut illos philofophos fic iftosphilofomatosappeIlat:Q_uz omnia ca
probe nofiet Maro non illas terribiles formas elfeifed uideri terribiles
dixit.Re fiquaueroquz enumerantur &fopor& mala mentis gaudia ac
poftremo bcU luni/funz BC difeordia ad eandem rationem quicun^ uel
mediocri ingenio uir fuenc facile referet . Nam qui in uitio eft is
tanquun fomnolentus ad omnem honefiam rationem obtorpefeitrNe^ ullam
uoluptatem nifide rebus turpi.» bus capit . bellum autem ac difeordiam
non modo cum aliis : fed fecum geritt cum aliud libido aliud auatitia
fibi uelit.Oefidia illum ad odum : ambitio uero ad labores aduocet.Q_ua
animi difira Aide ueluti furiis exagitatur.in ultimi au tem deferiptione
idem quod BC paulo fupra ofienderac pulcherrimo nuc ac om nino poetico
figmeco depigit. Ipfa enim in medio polita magnu fpariu occupat:
fhiAaautnulluprzbctifedfola umbra nosdeleAattfic turpe facinus ea no«
bisonditiquz nihil folidi habcatifiCquzcu magna uideant /nihil finttut
phip Ia.P.Virg.M.Mlego. gii zfopi ncmplo telido
corpore umbram fedemur > Q^uod eo quo^ ezprcC> fius notat ciun
addat in Hngulis frondibus (Togula inlidere fomnia: at^ ea quidem uana:
Nihil leuius/nihil mutabilius eft frondibus: Ea autem in qui< bus
fummum bonum reponunt ftulti:& quorum gratia rapinas fraudesmul
taipalia flagitia patrant: ut honores diuitias ac reliqua alTequantur: in qua
fot tunastemeriute pofTta Ht/SCqua facile mutentur at^ defluant: nemo eft
qui ignoret: Q_uz etiamuanisfomniis uerilTime comparantur. Sunt eodem
in loco plurima monflra non temere polita: Nam (i ca monflra dicimus
qux przternaturx legem eueniunt/ eunda flagitia ueio nomine monflra appellax
buntur / cum pmer rationis legem qua lola homines fumus exoriantur.Me
fito autem Ixionis filii putantur centauri : nam ille contempta iuftitia
abm« pto^ humanitatis uinculo populos libetos iugo tyrannidis
oppre(Tu:Q_ua^ propter eius cogitationes apnneipio aliquid humanitatis
przferentes inim« manitatemat^ eficriutemquandam tandem degenerant: Non
infdte igitur Plutarchus dimonflrat / huiufcemodi homines tanquam
fimulachro uirtu» tis adhzrentes/ nihil ITncerum/nihil tedum/fed mixta
omnia at<p nota face* re: Cum fuam quif^ uoluptatem fequatur/fummis
petturbationibus ad fu* os impetus delatus: Prolixior limqua rerum
multitudo poflulat: 11 utran^ fcyllam profequar:in iift^ nimias
cupiditates exprimi oftendam: nam Hy* dra ad dolos fraudefi^ referti
facile potcft.Fuit enim Hydra Platone tcllefo* phiflaalidillimus: nam
cuueri inuelligandi duplex modus fitpetuetas alter alter pa
fophiftiasrationeshydracauillofasatq} deceptricesargumentationes ponimus:
Cuius uno capite czfo plura renafeantur . Nam una confutata r»> tione
ille fuis argutiis plurimos fubiungit. Hanc autem Hercules igne idefl
ingenii feruore extinguit.Nei^ eft quod & hoc inter monftra
enumerandum negesiNamut uera dialedica ab omnibus
dodiflimisfummoperefemperap probata eft t lic hanc captiofam grauilTimi
femper uiti abhominati fuot : Chi * meram aut ad iracundiam iGorgones ad
uoluptatum illecebras/ quibus ftul* d in faxum conuati iccirco dicuntur /
quia nimis illas obftupefcunt.Prudca tes uero & Palladis zgide 8i
Mercurii gladio facile interimunt refetn quis no uideat : Briarei autem
ac reliquorum qui aduetfus deos bella gelferunt / fabu lamrcdilfime
interpretatur Cicero /cum id nihil aliud lic qua bene monenti naturz
repugnate : Gerion uero 11 grzcum nomen interpreteris / terrz litem
exprimet . Lis autem zterna eft terrz id eft corporis aduerfus
fpiritum.Ecitita ^ Gerion pars elfccminatior animi a fenfibus ptofeda :
quz in homine uitio fo uniuerfz animz imperat. Q_uaproptet quoniam funt
ttes animz par** tes / tribus illum infulis impcralfe fabulantur : cuius
canis iccirco biceps cfit quia cupidiute llmul & timore laborat . His
igitur monftris pettenefa* dus Aeneas uim parabat. At Sybilla hominem
cotnmouefadens ea omnia fimulachrauanacfleoftendit:llIa^ non ui
fupcranda/fed radone cognolizn da: cognita^ fugienda iubet. Poft
huiufcemodi monftra ad Acherontem Si cocytum deuenitunde quibus
fluminibus Si 11 paulo fupta didum llt:ea tame alia quadi tone
ptofequamut.A cdcupilcentia nfa uelud a fonte manat aqua: Liber
quartus' que ttygnu palude cffidt.Ne a concupifeentia primu
j>uenit cogrtatio/drnide
adioquapeccamus:Achcronpo(lhzccoDatatiorfluuiusc(l:nain per cum tt*
ptimirur motusad dagitiarhic autem poft cogitationem excitatunNrqt prerer
rationem cft quod illum ingenti tumultu ferri Seneca dicat: Non entm
poteft animus Itnefirepitu reludantis confeientiz in facinus
ferti:Q^uoniam autem fauiufccmodi peccandi deliberatione uoluntas in
uitium traniitsiccirco in hoc flumine nauiculamnautamipponunt.Poftuero
buiufcemodi tranlltum id au tem cft poli peccatum/fequitur mceror/quem
refert ipfa flyx.pollrrmo maior ludus qui eft cocytus . Vt igitur ponatur
ante oculos illa^ut ita loquar} grada^ tioiprimolocoeliconfcientiz
motustfecundo deliberatio fufapiendi flagitiit poft hanc maeror ac demum
maior ludus:primum ita^ ac tertium (lyx fignifi» cat/fecundum
Acherontquattum cocytus .Sumopere me hzc deled.<nc inquit
LAVRENTlVS.nerpme offendit quod eofdem fluuios nonaduna/fed ad piares
rationes ttanfFeras. Videmus enim & grauiflimosin nollra theologia lo
cosuariismodisadodilTimisuiris intcrprctari.Habesigiturdrfluminibus in
quitBAPTlSTA:Nunc quid libi Charon uelit/confiderandu cenfeorNara
portitor has horrendas aquas: & flumina feruat terribili fqualote
charonicui plunma mento Canicies inculta iacet.uerum ut res fuo ordine
progrediatur/ non nautam folum: fed £Cniuem limul intcrprerabimurtSit
igitur nauis uolu> tas:licnautalibeteuoluntatisaibitriuni: Nauis
lurfus cocoinfuum cu fumdi ngitur.Hiceledionrm exprimittipra enim eiedionc
libetum aibitrium uolun tatem dirigit t Q_oin U per uela eziefles
incliuadones non erit abfurdum incel Iigere:Nam quo czii inclinant/id
libenter eligimusmili illis fefe ratio opponat: cuius tanta uisell/ut
etiam fyderibusdominetur.Pergrata hzc funt quz dicis inquit LAVREntius.
Video enim te chrillianorum dogma retinere: ut tamen mathematicos
oinonoirrideasiScdfequereobrecrotSenex cll chaio inquit bA PTlSTAtqmaiali
no tepore ut Platonici:quosfequic poeta/uolut dignitate faltem &
origine prior cil corpore. Adde qdzternacfl:zcemitate aut nthil ana
tiquius:Q_uaproptcr Si, arbitnu libetu in illis zternu:Sed auda deo uiridili^
fc ncdustqanuquamdeficit.Ellaut terribili fqualore &ex humeris
fordidustili amidusdepcndet.Q_uz omnia ad corpus tediflime ni fallor
referuncut : cor« pus enim ucluti ueltimemum ellanimz: quod alfiduo
mutatur ueterafeit: actz dem tabefcit.Addit duplicem oculis flimmam:quia
liberi cll arbitrii ad utmta ucliiflcdi/dC ad rationis fulgotem/8t ad
cupiditatum ardorem.non temere au tcmncc tine exadilTima quadam ratione
herebi nodifip flliusell Charon: Ce£ Iffcnim nox in nobis quz nihil aliud
ell nili ipiz ten(brz/quz abinfeinapro iieniut/nulla erit cofultatioe
opus:mens enim fumu bonu perfpicue nofccrcta &in illud line ulla dubitatione
ferret .nuquam enim eligimus nccelTatia/ac fub lata dubitatide ois
confultatio celTat :Q_ uapropter qui iam in tertio uirtutu gea
&erefunt:quas purgati animi appellani/ii prudentia in repe deledu no utunc'
t led przter ea quz lut uera bona nihil nouetutiea^ fola mtuent . Herebus
igi tur.quud uerbu grzce ab obfcuritate originem ducit:ita lefc rationi
opponit Utopuslit cofuitatioci
(^uoniauaoCutmddKeba}acmodeacccllarii&cota
la.P.Virg.M.AIlego» fuUc:opottuit bancuim ea libertate donatam
clTerut aut de plutibua unum/aut de uno <tt ne agendum pro fuo
arbitrio deccrtut. Hoc (i itaefta gratia didtuc Charon«Nibil enim iibaius
cft gratia cum fua fponteproueniattnon autem a cuiufquam merito
debcatur.Q_uaproptei cogi nullo pado uultsat(^ ea de au« fa cum Aeneam
pet tacitum nemus ucnite uidetific prior alIoquitur:Q_uiiiquit cs armatus
qui noiha ad iimina tcdis/Fare age quid uenias idbinc & comprime
grclTum>Nam cum etiam rationem ad (c ucnire uideat liberum arbitri
umsNon ante illam admiaere uult-quam difcutiat diligentius quid fibi
agendu fit.Q^ua» ptopter addiuNcc uero aladcm me Tum laetatus euntem
accepilte lacu > quu ne ad uirtutem quidem trahi uult liberum
arbitrium . Verum antea confultat i Et pofi confultarionem deledum
adhibet:Q_uam quidem rem animaduettensff
billa;(LuimrubiicinNuilxbciDndiznccuimtelaferunt;&: ut appareat illum
con cogi/fcd per confuitatiomm peifuaderi aureum ramum oftcndittllleaute
ad uifam fapientiam libenter conuetticur: fiC de natura hadenus.Nauis uero
a czruleo colore confiatilile autem ex albo nigrocp conEcitur.Conteplator
enim inter iofeitiam at^ cognitionem uerfatur.Non enim mouetur quifpiam
ad in» ueftigandum luli aliquid uideat: Rurfus cum omnia in ea re uidcrit
definit fpe culari.Eadem fere ranone futilis hngitunperceptis enim
percipienda adneditt Si autem futilis &, timofa.Nam antea quam
habeatur perfeda rerum cognitio/ non ctit ita perpetua rerum fenes/ ut
nullum intermedium relinquat: Animas uao quas ut Aeneam recipiat e naui
pellit:omnes animorum affedus qui ratio ni aduerlantur/interpretandas
opinor.Sed uos fortafie nimis cutiofam nimir(^ ineptam huiurccmodi
interpretationem exifiimabitisicum ita minute etiam tni nmiaptofcquar. An
tute cutiofum aut ifia minuta appellas inquit LAVRENTlVS:quxetiamli nimis
ingeniofe elicienda elTentidigna tamen funt io qui»
buscJaboresiNuncuerocum fe ultro offerant/quis ea repudietrQ^uin igitur
ptofequetetfiC qyz difputationi noftrx quadrant ne przteri. At^ in pnmis
quid libi Cerberus uclit/nobis apeiiiNam &quod cymba gemuetitifiCquodrimofa
inultam paludem acceperit : ego nifi tu aliter fentias fic accipio/ut in altero
fpeca lationis diificultatemiin altero terrenarum uolupratum illecebras :
qux furtim dum uitia fpeculamut interfluunt/exprimere uolueritiPromptum pa
immor» talem deum ingenium/^ ad omnia uerfanle in te elTe uideo LA VTENTi
in» quit bAPTlSTAtnei^ commodius ifia meintapretari potuiflie fateor: Ad
cer betu autem de quo audire cupis /paulo poftucniam:Interim pauca qux
omi(< fafunt/percutramus: Ad nautam omnes confluunt animxtomant^
pnmx tranlHuuiumpottariiteltdunt^ manus tipz ulterioris amore: Hic iguur
con» curfushocut puto fignificatomnes natura fdre.cupimus: natura autem
non omnes admittit: quia liberum menns arbitrium non omnes
ad.fpcculatiooe adtmttit : nam quod in humatorum animx cenmm annos
uagentutt de zgf* ptiorumconfuctudinc tradum: 6c Seruius & Seneca
affirmant i Q^uam rem deinde Orpheus^ad inferos tranfiulit: Vehementer
uero quadrat Palinurum a fybilla feuere calbgari: nefas enim efi cum
appetitum ad ueriinuefligatio» bem ttaduccre/qui aducHiis rationem
contumax fit r Sed redeo ad Aenca;^at at 0
jlU, DI ii a a » 0 3 i i Liboguartuf
tat) jcm charon ad ahetam lipam iocolumetn traducit.Ipfd «tiim poft
diutumu catamen rationis Kappetttus in fpeculationtm tradudtur.Q_uo in
loroaio^ uutn adunfus fc bellum cxdtari Tentit, Cerberus enim ha;c ingens
latratu regna tnfaud petfoiutaduerforecubans immanis in antro.Scd
animaduerte qua par» 1)0 negodo omnia a Sybilla pacata reddanturrOffam
enim latranri cani porngit Q_ua uorata ille in fomnum inndit.Q_uaptoptet
occupat zneas aditum cufto« de (iepultotCerberum igitur ea fortalTe
ratione tridpitem poetae tradideruttguo* biam illum terram gux trifanam
diuiditur/interpretantur.dicuntcp grzce quali Omnia enim corpora
uoratterra:quado quidem io ea omnia reddunt.Si i^‘tut terra eft cerberus :
quis non uideat porta noflrum per cciberi latratus noftri corporis
indigentiam exprimere uoIuifTe . Cu enim ad rerum magnarum cognitionem
eriginiunhoc profedo agimustut men tem quoad dus fieri potefi a fenfibus
reucKemusremoritp dircamustnon tamen ex buiulcemodi mortis comentarione
intereat corpus neerfle putestred cft illius ratio babenda.Reclamat enim
ne fibi neceflaria fubnahastlnmrgit^ trifaud lar ttam.Tribus enim rebus
indiget dbo potu ac fomnotin quibus nifi fatis illi a no bis fiat adeo
obflrepct/ut nihil egregium meditari (inat.C^uamobrem nullo par
donegligenda e(l cura corporisrlimplicitcr tamen modelle ac omnino
fobrie/re fidendumtut cum laboribus ruperetTepoflit: nimio tamen luxu
contumax adr uerfus animum non reddaturtpaucis enim natura contenta eft :
at<p ea huiufcer modi funt/ut fine labore: fine fumptu facile
comparentur. Nam ne fortafte ad ea re me te reuocare ardas quibus Ginicus
cotctuscfti^oflincuicmdumolusnul 10 etiam lalecoditum fuauilTimas epulas
prxbere pofnttaudi ea quibus uolupta* tum patronus Epicurus acquiefdt
:Num ipfe minus uiliflimo panno:quam aut purpurea aut ccKdna ucfte a
frigore defendi rxiftimat.nu fitim nifi chio aut aete 11 uinoatinguitnum
famem nifi exquiritiflimisregiin^ dapibus fedari pofte pu tat: Epicurus
inquam qui in corporis uoluptatefummum bonum ponit nullu aliud pulmentum
in coenaptzta famem ac fitim quzfiuit : quem etiam legimP ad panem raro
quicquam prztn cafeum addere folitum.Ficedulas autem ac par
Uoncsreliqua(| ilb flagitia quz & Maaobius in pontificalibus Tuorum
tempope ccenisdeteiiaturt&nosnoftratempeftateinromanorum przfulum
dipibus fir nefumma indignatione ac gemitu meminifte non poflumus ueluti
pemitiofilTi mamonftra exhorrebat : Q_ua quidem in te ego terni LAVRENTI
ficut inc zr teris temperantiz partibus iumma laude dignum puto;Nam przter
id quod plu timos iamannos utiunfiurarum articulorum dolores efFugias:uinum
non bi bis nonne pro miraculo haberi poteft/ut tu in tanta mum omnium
affluentia: in tanto urbis noftrz luxutin frequentibus
lautiflimir^proptaalTiduashofpita liutcs BC aebra fodalitia tuz domus
conuiuiis nihil intuum uidum nifi fimplex ac populare fumas: Q_uzdum
cogito redeunt mihi ad memoriam ea quo<^ quzdeFederico
Vrbinatumprindpcnon folum audiui:fed etiam propter antir quumhofpitiumfl Cueteremamidtia
fzpiflimeuidi:Inquoduce^& fiplurimz aliz^ ea magnitudine uirtutes
elucefcant/ut ueluti folis radiis minora fydera Oiancfcunt t ita hzc illatum
fplendote obruatuntamen quis non obftupefcat ta Id.P. Virg.M.AlIego;
tiu Meorinaumacrobrirtitf modicamincaftrisubiuJrtrolrt Wtn
f*t« inopia nullu inter fumtnfi duce ac extremos lyxas & alones d.(c^«
, elTe patn tfed domi quocj ac in aulatin qua cu ota ornamenta pana
fefe offerantmec uiq aut liberalitas/autmagnificeoa defideret s tamc
difcubent* illo nulli aut palalaSo aut nometano/fed Bi philofopho &
oraton ocw relin^ tur.lpfe enim a primis annis uini prciflT.mus fuiticuius
ufum paulatim intei^ tendo eo progtelTus eft/ut iam diu illud
omiferit/nemo eQ qm communioni epulis/nerao qui fimplidoribus
uefcatur/quibus dum corpons U.TO r fiaui(rimisinterimdWu«o™“‘l'fP““»°"J““'l?“perfipefii
dum lingulis annis ualitudinis oaanduj raufa romanos aumnmos Sfugiensadillumdiuertor:uidearmihiaSardanapall.c«rn.smAIano.conu.-
uium inddiffe/K ad aliquem foaaticum hofpitem deueniftim quo pnfc*
con. tinentix ueftigia tam uehementer me deledat/quamm notoojir hominum
qui rubris nigrifqj galeris:ac niueis riciniis totius fanditatis doannam
phtent luxm lafciuiam exaritat.Pudet enim pudet mi Uurenti pigetip
noftroju «orumm m totius rei publicx chriftianx curiam in qua integra
religione maximaij dodnia nonnullos optimos patres K tanto fenatu dignos
elTe non negaueom/iis homu nibus aditum quotidie patere uideamiquos ego
tunc demum fenatorium ordi. nem romx iure obtinere cenferem/li
Heliogabalus ib inferis redudus rurfusim peraret. Verum cu hxcme alio in
loco deploralTe meminenm agamus quod iltat. AtcB naturam noftram minimis
cotetam effe intelligamus.Q_uod cu expnmere cupet Maro
Sybillamquxueradodhinaeft inducit offam in qua & andu 8Cb^
mefcens fimul alimetum fit/Cerbero porrigetem/qua faale & fihm?
I*' det:& in fomnu inddat.Aureu pfedo prxceptu.Nam qui aut
Uutiflimis epulis corpori indulgetiaut uaria uina exqrit ipfa crapula
at(j ebrietate « c^us contu max fibi reddit/8J animi aciem ita hcbetat/ut
nihil altu fufpicere poflit . Upt^ quidem funt ifta qux dids inqt L A
VRENTl VS. Verum de Cerberonon idem TOCtas omnes fentire uideoiMaro enim
eum canem ita latratem inducit/ut non egredi fed ingredi cupientibus
aduerfet":cuius qdem rei rationem optime a te ex Mfitam effe
intelligo. Nam huiufcemodi corporis indigentia non iis allatrat qui
corpus curadum redeutifed iis qui illo negUao ad ueri cognitione £0“«“^
ItacK ut dixi ego qd Maro fibiuelit plane tenere uideot; Veru cum apud
Heli» dum poetam ut te non fugit nobiliflimum legerim Cerberum
uenietibusauda auribufm blandiriiExire ucro nemine patiiln infidiis enim
delitefcesjqucmcua extra ianuam offendatiftatim morfu laniat s no
intelligo quo nam modo hxcoi no inter fe diuctfa non fint nifi fortaffe
alium ad inferos defccfum um Maro exprimere uoluerit.Ingeniofe tu quidem
inquit ® dit enim ad infaos xneasiqa in uitiopr cognitione tcdit:Q_uod fi
ita eu ingit™ enti aduerfabic Cerberusrodit enim hxc corpusiFac aut aliu
no ut imU nan^ cognofcat inferos petereifed in ipfa uitia labi auribus 8i
cauda bladiet Cnbe^ qppe qui illu ingredi cupiatiNam qd aliud moliunt'
iquid aliud conant perd» boies nifi ut tridpitisbelluac non folii
indigeti* fatiffadatifed oes uoluptates plcanuQ^uod fi ide ifti nonunq
pdita uita reliqua «id enim eft infaos egteoi* - >4^».Liba guam»
tcnctit tuc latrat tunr mordtt canis.Rrde igtt'’ addubitaftt.Rrdt us aut
dubitatio orm fuluifii.brd ut ad Maronis cci bttutn rrdcam facile ille
(imp KnlTtnis rpuHs arquieuitsAcneasautnn celer ripam cuaditsNon enim
lente K cum fegritie bacc adtunda funcfcd omni contentione at<]t
ardore captiTcnda. Q_uc niam aut or* do in rebus huiufccmodi cft ut primo
uitia cognolcanf .Cognita deinde effuga» lunut pofirtmo illis purgati
rerum diuinatum in quibus fummumbrnum con fidit idonei contemplatores
eifiriamur/erat illi totius bumanz uitz curfus mrn< te repetendus/ut
peripicuc intelligeret no folum quato fe fcelere adnngit qui no biliore
fui parte neglcda in uno corpore:& in iis qux a corpore fum
uoluptatib? fpem omnem reponunt. Veium etiam quata miferia opptimanf.Earo
enim uir tutum armis quibus folis uidenes euadne potuilTi nt penitus
exuti nudelilTimis fortunzidibus nudos fefe obticiunt/& ut ca»era
aduerfa/qux innumera quoti« die aeddunt omittam /mortem ipfara qux
lingulis borarum momentis impedet uelub lummum omnium maloium rxlKHret.Q_ui
quidem matus enam Ii nui la alia ptutbanone adiaans ipfe unus nos nunq
refpirare linit.Q_uaprnpter hac iirpeipfosmfantesin pnmo uitz limine
petere oftedit.Hac & in fontibus p uim mferri edocet. Hac & libi
iplis eos afferre demonfiratiqui adeo imbecillo animo fimt/ut grauilTimis
quibufdam ptutbationibus fe pares gerere nequeat. Q^ux q dem omnia diUgenter
intuens xneas decernit tadem hoc in primis fapienti prx« fiandum elTe ut
culpa uacet/mortem autem ipfam inter naturx munera eoumc« ret/cum cz ea no
folum nihil mali nobis id eft animis noftris eueni» / fed contra fummum
bonum/quonia a tam tetro carcercfoluti in noftram nanira rcdeam5’. Q_ ua
qdem ratione faceti cogemur amice at<^ indulgentet cu illis efle adum
qui antea ad buUifcemodi miferiis erepti Itnt/quam in
casinciderint/diuind^omni
nomunusilludincIcobim/ttbitoDcalunonecollatumtquipfofuma in ipfam deam
arqi in matrem pietate moetemcofecuti fint/Cxtenlt^ omnibus natienb bus
ac populis fapietiotesclTe traufosputabimus/ii enim populi in thracia
funt qui fuorum onum multis lachrimis ac lamentationibus excipiunttquot
mala il« hsin uica cucnmra line enumerares. Obitum uero omni genere
lattitix ^ fcquua tur.Cogitant enim quot erunisq uariisgrauibufip fortunx
cafibus morte libera ti fint.Huiufcetoodi igitur rationibus paulanm xneas
moetum mortis deponit: Q_uin fi aur fe aut quempiam bonum uiium fupplicio
morte ue per fummaiiv iuiiam peti uidcbit non duliilHme ur Xanthippe illa
de (bcrate falrc merenti hoc cucnitetdicet.Scd quod uetumefferapientes
norunt Ihilti uero negant a nrmi« ne nifi a fe ipfo quenq Izdi polTc
affirmabitmetp quicq quod turpitudine careac in malis cuumerabiti^uin
Kfoaatica argumentatione couincctquicuipiniue fiecrudeliterip in aiiuiu
«gerit non illum fed fcipfum iniuria alficere.Eos autem omni odio
infcdandosducct/qui animum immortalem fiuptr natura itaro* bulium/ut
humana omnia contencre polTit adeo fua ftulttria enenuuerittadeo £ taua
confuetudinc imbecillum reddittut famineo amore incefus in eum pau» tim
furorem ptolapfus fittut fibi ipfc manus atruleritiK morte q fummum
tC> fetnalum putabatiid quo urgebatur malum effugere tentauerit . Q_ua
quidem in te pnmum ignauiam ai<f incttiam cotum damnat:quia fua culp
in eum Lbt o ii In.P.V;rg.MtAIkgo. dinofum
atnortin inciderint quem Plato ab humani» morbis natum affirmat: quoniam
illi eofoli afficiant qui uentri ac fomno dediti: & diuinitate fua
quam aroris denlis tenebris obrui pemuferut penitus obliti nihil praeter
caduca : & aut morbo aut aetate cito perituram corporis fortnaih
reTpidunn Q^uamobrem bis pcccant.Nam 8C a principio Tuo deiidioro ocio ac
libidinofa lafduia effedum e(l ut in rem follidtudine plenam inciderint.
Deinde cum morbum fua culpa cotn dum diutius pati ncqueant:fumma fc
impietate afttingunt qui a fummo deo in coipus ueluti in cuftodiam mifii
in iuflu ipiius illud deferunt.Specula^ poii bax extremam eorum hominum
inlaniam/qui cum perfummam iuffitiam intrati/ quillo fccuro^ odo degere
poflient/per fummara tame inturiam ac impietate pa cem pcrturbare/ac
omnia mifcere maluerut.Nam aut nulb iniuria affedi ipfi ul tto auatitia
ambitione ueimpulfi ferto igni fraude nihil tale merentes laceiletut/ aut
ipii lacelTiti nihil de iure quod hominis pprium eft difeeptantes ad uim
qux faamm ed fe contulerunt: Hinc genus humanum cui pa edeordiam in
fummo odo uiuere licuaat affiduo mifccri uidcmusiHinc multarum regionum
popula dones fiC infinito;: mortalium catdes oriri aiaduertimusmt cum
undi^ quzeu^ nobis calamitates eueniut colligerimus:nulla homini q homo
acerbior pedis in.> ueniat : Vides igit q exada lapietia hasc oia
poeticis ligmetis exponantur . quidem quoniam huiufccmodi clVe
animaduertit/ut & cum fcelae dant/ fit po£> fint etiam uido
carere/placuit ut una ac limplid cdmunit^ uia irecur.Cum autea Deipheebo
iam difccirum fuerit/quonia eam iam fefc contcplanda offerut / quz aut
penitus flagitiofa (int/aut pcul ab omni fcelae folam uittutem continet
du plicem iam efle uiam oportetrut altera in itnidram ad ui tia
defledaturcAltera uf/ to indutt^tnaduirmtesdcueniat^Hociglt inquit
LAVRENTIVS fitPytba goram illum exprimac uoluiife acdiderimtqui littaam
yadinuenit.Q_uod no latuit Perfiuspoeta/cuius cdillud.Et uitz nefeiusenor
C5eduxit trepidas ramola incompita mentes» Ifrhuc ipfum inquit
BAPTlSTA.Sed uideamus quzfequa/tur. Æneas fub rupe (inidra mcenia iata uidet
triplid circudata muto, fetifica p/ fcdu tartarotum defcriptio.Locus enim
exprimendus iam edin quo uarialole/ ta puniantut.Hzc grzci tartara ab eo
quod ed tarattiiid enim cd pettutbatetex p turbationibus enim uitia
oriunc .‘cademi^ paturbatam femper peccatoris meo» tem tencntilnduduntur
autem triplici muroiquia non una ac fimplid uia fcd tri plia
peccamus.ptimo enim quodam folo animi motu ab deprauata uoldtatc fce Ius
condpimus.Secundo deinceps loco accedit adus.Q_ui podtetno iteeum at/
iterum muItoticnf(^ repetitus habitum obdudt.Q^uamobrcmhzctria in tat
taris iure expreflit poaa quz procul a uiro beato edic tedatur laaoruffl
cartniiid uates.Ille enim fiatim a principio dc ordif :Beatus uir/qui non
abiit in condlio i piotum.Videsiammotumprimumanimiadrcclus.Ocindc fit in
uia pacatora non dctit.Q__uid enim aliud uia cd nid ipfa adioreitquz
depius repaita nd am piius in motu ed:fed iam fedcmdbi ponit fit redda in
habitu iam coadabilito. Rcde igit fit in cathedra pedilentiz non
fcdit.Q_uod autem flammifluo phlege thontbis flumine tartara
ambiant" :minimc abfurde dixit . Odendit enim aidp/ cem itacundiz:
fit arumotum zdus quibus id hominum genus alGduo torretuta Librr
quattuc Tantum fnim tH uittoruu odium/ut & qui illis delcdati
lutif tandftn pcraitoi tiamdcdudi uitaniprattcTitan]datnncnt:urhcinrntn(^
oderim i fibi uno ipfia aetnime iraiiantur . Nam tu donum cblTes
tranfifTc dies luretn^ palufttttn:Ca ptiui tamen unico habitus dnnui
inuiti trahuntur at(^ ira furore^ exeduntur. Q^uapfciptcr tapidus flammis
ambit torrentibus omnis t Tartareus phlegethon. Nulla cnun fomax/nulb
fabrorum oflirina magis exxfluat quam feeleratorum mens» Nam Taxa a
flumine contorta oflendunt quam graues quam molefli flnt buiufccmodi
motus ati^ «agitationes. Addit ad ba;c portam munitifilma fit foli do
adamante columnas: quibus locum ita munitum redditiut net^uirorumne ^
czluolarum ui efitingi poflit > Q uid ergo flbi uult dodiffimus uir:
Nempe hoc ut puto uiros flagitiofos ac permtos cum in tartara deuenerint
: id autem eft cutn longo habitu fcclaum mancipia cfFcdi fint/nullis
uirorum monitisinullis diuinisptxccptissnulladeniipfyderumclemmtiainde
eripi pofleiQ^uaprcs' pter iute tales homines fit larini perditos / fit
grxd afotos appellant.Erit igitur in quit LAVRENTl VS amifliim in illis
liberum mentis arbitrium / ut fit fl uelint aduirtutem redire nequeant.
Video fit in hoc ingenii tui acumen inquit BAPTi bTA . Nam breui
interrogatiuncula illa omniaconcitafli : quz a grauiflimis phr lofophis
de uoluntario dem inuoluntario quzri folent . ua quidem in re no
folum ingenium laudo/ redconfilium quotp uehrmenter approbo .Nam
cum multa liefe tibi offerant tquzfloc cuiufquam auxilio ipfe tibi
foluere polTis/ea tamen ab alio dici mauis/ut fit raodeftizquod nihil
tibi arroges: fit igmiiquod prudenter interroges flmul laudem feras .
Verum facile ita huic loco occurretur li dicemus non uoluiife poetam
ineuitabilem neceflitatrm/red eam difficultate quz impoflibilitati
proxima (it demonflrare.Sed fac etiam(^(T placet)omnrtn ex cidendi
facultatem adimere . Non tamen dicemus flagitia quz committunt in^
uoluntariacffe.quando illorum principium uoluntaiium ruit . Nouitenimin#
continens peccate curo adulterium committit: potefl^abflinerefi uult.
Peccat igitur uolcDS donecafliduishuiufcemodi deprauatis adionibiTs eo
perueniat/ut contrada iam intemperantia etiam fi uelit abfhnerc non
poffit/non tamen inui.' tus dicetur peccaffe/quamuis tunc nolit quoniam
licuerat a principio/modo uo luiffet in firmum illum intemperantiz
habitum non deuenireK^ uaproprer no magis inuituspeccaffe dicetur/q qui
fua fponte in quempiam lapidem iaciat de^ inde
pOEnitcntiadudusteuocatetfipoffet lapidem : qui per aerem fertur quoni
amnoUer hominem ferire. Ferit igitur fi! bene uolens : quoniam initium a
fua uoluntatc fuit. Sed hzclatiusapud Ariflotelem in libro de moribus
difputata inuenies . Itatp redeo ad zneam : qui ut uides urbem ipfam non
ihgredit .Nam qui uitiafpeculanmrnon uniantur interuitia
.lllorumuerouimat^ naturam a S)rbilla(^nam eunda edocet dodrina^penitus
intelligit . Procul tamen in limi ne Tyfiphonem uidet.ponit igitur furias
in limine tartari/de quib^plzra<]p quz a poetis finguntur uelutinotiffima
omittam . Plane aurem conflat placuiffe pri (as foiptonbus quicuni^
maiori flagidofeobflrinxetint a furiis uexari t ut in Horcfhs Alcmconifi^
matricidio uidemus . Q^uo in loco quidnam aliud expri tount furiz : nifi
inquietudinem aepotius uexationem quandam turbulentif
In.P.Virg.M.AUego. Narorima hxttd uluo quod fe ludia
neroonoanaabfolmtur. VtminU cts/ut mdida/ut d«d<cus/ut infamiam
effugias ; nemo uident : nemo a^ienfc Q
uitcftisdtaripolTitadcfttamenSp&confciennaiquxu “*8«* Sicium rapit .
|au.ff.mum tcftimonium dior i comnncjt ^am «jb
cod*,;U^uenaled.fc^^ ilU flacellai hi fcrpentum moifus quibus
fun* nos «agitant. Habes de tun t S aurem Ufcelera. at,
V «auilf.ma«iftunt a principio enumexat . Impietatem in S in
homincs.Nam & tianiam prolem flurni naulo ante dicebam /
confaentix cruciatum dodioreinterpretantu^ ?e enm ueluti Ceuiffmus
fcelcrum uindearqux flagitio obnoxujU^ i^ na affiduo nmarur : & dum
commilli in mentem dia corrodit /curafm afliduo excitat /nec eefpirandi fpanum
ueroK fxioncm tyrannidis exemplar effe uuir/quo* Upfura cadenti
imminet affimiUs: Nunquam enim fine pe^ione uiuunt . (^uod & Dionyfius ille
iyracufanus Uamodi tamilun L illum beanffimum putanti probe oftendit /
cum illam ita int« ^s epulas ac pretiofa unguenta coliocaflct /ur
umen metu fupta caput equina feta pendentis nulla poffet uoluptate
a la . mSlto rnelius\ofcunt h^ines quam detur modo impeni
acquirendi fa<tasttuitate fciant.Ncc ueto diffiale eft intelligne quid
ftbi te ora paratx regifico luxu; cur furiatum maxima luxta
ptohil^t contmgae menfas ; Neq, emm uerius neq, «prelf.us Le
potuittqux in eam homines dementiam protrabit/ut cumpluniM^
geffeS/tum maxime fame per, re malint / quam congefta fe
& pulchre Orarius Tantalo illos comptat / qui apud in miiima aquarum
pomotumtp copia fm fame^ torqueatur. Pulchre em am^ illud
tCongefiis undiq, Ciccis indormis inhians & tanq^uain SI
coceti* j pidi» unquam gaudete ubellis . Magna ptofedo ^nutn da qw
non norunt harum rerum poffelTioncm non propter fe ntef illatum
ufum.6 uapropttrbonailia nontede/uuliaautemtecteapp^. ^mus. Sed nimis
mulu quando multis iamin locis de auanua diximus /i «deliqua uidcamu* :
Saxum enim ingens ii uoluum i (Quotum uiu per Itm mam mftriamin eo
uerfaturiutCcmpcr ea prtantitamohn “ir ««/qux aut natiuam aut fortunam
fuam confbtuu efficere nequeant i o^el^ eoii« conatus irtiti mefficacefij
fint.Rourum uao udus dettndi pendere nmw ‘
Kdicuntur.quinibilranonefiiconfilM) ptzuidcnteiinihil “P‘“^, deo fe
fortunx conimittilnt/ut eius cafibusuelun inter eutyp fludibus ucw
affiduo totentur.ne« uittutem ullam habent in quatn ueluu in tutum
ttanq^ him^potturoW^tteapoepofliBuHuiufcemodiigitutuUttactchqnaquxpItt r- Liber
guaitiu rimi uaria^ fuot edocet Aeneam Sybilla / dodum^ flattci ut feiUis
«pii> ct admonet : ut punis campos clyfios ingredi poflit . ms igitur
Matontm a Platonis dogmate difcedcrc diat. lllc enim cumfummum bonum in
di' uinarumtetum cognitione pofuiiretiproptetea^ ccnittctomniuuiuium
gr^ nete excellere cum opottae : qui cum Iit futurus beatus / tamen ab
iis in< dpiendum cITc oftcndit qua: Ant in uiu & moribus poliiz .
Cum enim dv uioa / quae puriflima 6i ab omni labe corporea impolluta lunt
impurus nr-< mo attingere ualeatt pcrhuiufccmodi uirtutes expiemur
neccire cU/ illis ctjita tL uitia cogDolicimust SC cognita abhominamunat^
puiilliau ndiu i.xlo^ fiia ac immortalia egredi poAumusiHac igitur
ratione iinpuilus Maio cum ad tummum bonum perducae honunem uelitt ira
Acnram iiiflicuendum curati ut primo uitia omnia edoceat/ deinde illis
cum opiaium ad campos clyAos perducat. Cognita enim uitiorum turpitudine
totum odium Boa inepuiquz quidem prima omnino lapientia cft. Audirus cnim
ad il>« km/cA,ut fiulritia careamus . Sed tu nefcioquid mirabundus
tecum animo ooluisiifibuc ipfnm inquit LAVRENT1V6. Stduide.quantum tibi
extua diTputationc debeam. Dum cnim mihi planum icddeie Maronem
ttnusi id^ efficis eodem tempore in noAri duis diuinum poema induds .
Nunc cnim demum pcrfpido quid Abi uclit Oanihcs / qui piimum ad inferos
de< (cendattat^ inde emergens, nullam aliam uiamniA
pcrpurgatoiialocaadca; Ium inucniat : Made uiitutis adolcfccns inquit
liAPTlSTAi qui non ea ib lumquz dicam Si A diffidlia Ant facile acapias.
Seu quadam Aaulitudiueou dusinde ad alia accedas/ut cum ilk maximam
laudem ex diiigcntiilin<a qua « dam ingenii atrihd^ plena imitatione
alVccutus At : tu quoqi uuuciedio<> acm laudem mcrcaris.qui bzc
omnia/quanquam uebemcutcr dilliuiuJata lint in illo poeta rccognofcas.
Ego uero inquit.L. quantum cx huc merear ipfciu« dicabis tqtianquam
ueriorne nimio in me amureiaplus noAiutnlioc ingcnk um longe pluru
facias/ qua oportet.iliud tamen Si A alicnuni a ptopolito fcf<t mone
uideatur/non omittam .Tu autem quod dicam ea laiiunc amc dida aedas
ueliin / non ut meum ueluti decretum in tanta icponam / fed ut iudtci'
iitntuum quod ego onmium reliquorum ludicioaotcponomcu uerbis elici am •
Ego a prima pene puetma cx uiaufqi patentis m Aituio adeo famibate uni
uctfum opusAorentim poecz mihi reddidi / ut pauci omnino Ant in eu lod
quos ego Aquando illi huiufecmudi oblcdamcntt gciius rcquitcter.t/ non
fa« cilc ad uubum exprimerem. Sed quid poteram puer ex um dtumo uacc
ptet maa uerba pcteipcre.Nunc autem cum uniuetfum rci argurocniu mciice peu
curro tumma admirauone cius uiii ingenium ptofequor.Na oi lu upexe fuo te
xendo pauca onuiino Ala de uirgiliaiu teia mutuari uideac ttameii mde oia
pe ne Ant.l^uiobtcmnuncnd demum inteiligo/quod nos cx Cict-roms
peepto IzpenufflccoLidinus admonete folct cc in aliquo imitadu diligctcm
oino u* dooe adhibcnda.Nci^ enim id agendum uri idem funus qui fuut
miquos imi tamut.Scd cotum ita iimilcs : ut ipla Amilitudo uix illa
quidem neq^ oiA a do dia iatcUigauit.Sed tu A uidetut ad inceptum tedi.
Cum igitut inquit. & la.P .Virg.M.Allcgo. omnibus
iam uidis expiatum Aeneam ad eamm rerum cognitionem Mato deduAurus
elTettqua; in casiis funt noncxlum fed elyfios ampos nominat. Miro
profedo ingenio u3tes/& qui eodem tempore & figmento fu o Kuerita
tiin(eruiat:Nam& (i apud inferos poetarum more heroas relcgalTct i
tamen nt hzc omnia de czio ilium fentire animaduertamus largiorem ztherem
: ac fuum folem fua^ fydera illis tribuit / ut cum a figmento nufquam
difcedat philofophizumen ucritatem profequatur . Nos autem (i quos
uirosilleincz ios reponat diligentius confiderabimusiea omnia quz primo
difputationis die de utroi^uitz genere a nobis erporiiafunt acubflime
ilium elTe complexum animaduertemus / ut K qui in rerum cognitione
reIigiofe/8; qui in adionu bus ac uitaduiliiufte uafati Hnt digni omnino
exiftant: qui in czlumuelu« ti in originem fuam redeant i Q_uapropter BC
Orpheum Si Mufeum ac reli> quos qui cafti fuerunt facerdotes : qui
phoebo digna locuti uerum reliquis ape rite potueruntsqui uaharum aitiu
inuentioneuitamcxcultiorem reddiderunt tanquam
fpeculatorescotnmemorat.Nei^ tamen eosobmittit qui aut piisar< mis aut
confilio opera induftriaat^ audoritate rem publicam dcfendcruntiK in
duiliacfocialiuita ueifati funt.Huiufcemodi ita<^ animos ab omni cor«
porea contagione expiatos cum fimplidlfimz 8C omnino incorporez naturas
fint : SC maximarum rerum capaces exiftant mullis locorum anguftiis
arcuferi ptos / nullis regionum terminis inclufos eum animaduettac / fcd
liberrime per omnes mundi oras uagareuideat: ita Mufeum loquentem indudt:
ut often. dat nulli e(fe certam domum/ Q_uin & cum ita fenoit quz
gratia cunumiarmo rum^uiuis fuit quz cura nitentes pafcere equus eadem
fequitur tellure repo* flos, demonfkat non clTe fcimroemoremeotu quz&
diuinusPlatot placo, nicus Cicero de animis noftrisfentit.Cenfent emm
adminift ratores terum.p. cum in czium recepti fuerint regendorum hominum
curam non deponere. Net^folumii quiiuflepieqt uixerunt eodem audore
iifdcm (ludiis detinen. tur corpore exuti t quibus dum uita manebat
deledabantur: Verum llagttio. forum quotp animi / quoniam multum ex
fordibus quibus intta corpora fe fadauerunt/ fecum inde trahunt a
prilhnis curis difcederc nequeunt. Vidt« ftis ni fallor longum quidem
iter / ac difficultatibus erroribufi^ plenum: fed quo tandem uir uirtutis
amator finem diu concupitum attigent. Per uari. 05 enimcafus pertot
diferimina rerum initaliam tendam s OC in quietas f&. des deuenit
Aeneas. Q^uem quidem fi imitabimur nos corporeis pedibus liberati / SC
nitido uirtutum fonte irrigari eodem uitz genere SC dum intra hzc corpora
uerfabuntur animi nofiri gaudebimus /& cum inde uoiucrint innoftram
originem reuerfi zterno zuo fruemur.Q^uz cum ita a BAPTi.STA dida fuilTcnt : ut
difputationi finem impofuiffe uideretur/nihil polfutn inquit LA VRENTI V
S in ram longo fetmone defiderare.Nam a principio ad hunc uf^ locum ita
perpetuo tenore difputatio perduda edtut nihil aut inter* niptu/aut
diuulfum/aut ptzcipicatu t in quu inter mediu aliquod rclidn omif fum ue
fit qri poffu.Sut eni oia mirabili fetie colligata/& eo ordiecotextaiut
ni hil inde demi pofTintiquin quz tcliquutur manca fmt futuraiK nihil
addi qrf J M M S IJ i J i-S rg.§ ^ S l-l 1 t-i t 1 1^4"S fi-ll
tt Liber quartus quidem 6 ab/it /multopere
requlreudu uideat’.Ignofcens tamen nimiz cupidi tari no(trz/ri td nunc
rcquiram:quod cu uehementer mihi planum reddi cupii
idne^badcnusateezporituintclligisnc^locuinquo deinceps exponi poflit
teKdu uidei:Ezpefiabam enim non modo fufpenfo uerum etiam anxio animo
quid tu de iis fenrircsrquz furpiciens Anchifes fuo ordine pandit. T u ueto
dum rcbqua inter dirputandum fuis quz^ lods difiribuis/illa no ueluti
familiaria io iufteeiedarfcdtanqua aliena rine ulla iniuria czclufa
procul a tua difputatione amouifti . Q^uapropter incertus fum quid
agam:Nam ne<^ audeo te longa ora rione defatigatum
quicquaprztercarogareme^ is quz fcire cupio zquo aiu^ mopoilu carere. Hic
arridens BAPTISTA meminiife inquit te oportet oLau miri nos huiufcemodi
terminis aniuetram quzfiionem drcurcripiifre : ut quz ambagibus
quibufdam/atip allegoriz figmentis obfcurata effent aperienda pro
poncremusim autem ea tequins quz fuis uerbis fine ullo figmento enarramr.
Ego tamen non ita exada ratione tecum agam/utquodexpado debetur/id fo Ium
enumerem t Sedprauerid gratis aliquid in ea hbcraliiatc accedere uolo :
Id igitur quod Maro ut Principio czlum ac tenasicampofcp liquentes:
Lucentenv ^globum lanzritania^a(ha:Spiritus intus alit : huiufcemodi eri
utftoicora de diis opinionem refetat:Longum effe fi nunc omnium
antiquorum philofo« photum de diis immortalibus fententias referam: Q^uz
quidem tam diuetfx ta^ inter fe aduerfz funt/ut totidem pene
reperiantur/quot funt eorum qui feri
pfciuntcapita:Nonenimfingulzfolumfamilizfingulas fmccrias excogitari: Sed
fzpe inter fe eiufdem fedz uiri uehementer de re ipfa diffentiunt. Verum
ut reliqua ad przfcnsmiffa faciam & ad ea quz przfenti inquifitioni
confentanca funt deucniam:plzri^ ffoicotum:fed przfertim eorum princeps
Zeno uniuer« fum mundi globum mentem & ratione
&fummafapientiaprzdita habere ae« didaunt /eam^ effe ignem quendam
purifTimum ac tenuimmu . At ueluti ani mi noftri per fui corporis
particulas oes diffunduntur/ita illu per oia mundi me bta ueluti geniule
femen unde eunda procreantur/penetrarciquippe qoi uigot fcmeni^ fit omniu
procreandorum. Virgilius igitur quauis ui reliquis a Platone fuo nunqua
difcedat/tamc cum uidiffet Chiylippu in eo quem de natura deope limpfic
libro Orphei mufd Hefiodi at^ Homeri fabellas ita interpretari /ut ide
prifcosolim poetas fenliffeconeturoftendereiquod multis pofiea annis
(loici fenferuntifbtuithacinreneab iis poetis quorum fimilis effe
cupiebat diftiml> Iis putaretur/^ ipfc porticum fulcire ac floicis
adhauere.Na Platonis longe alia fententia eff. Ponit enim deu penitus
incorporeum:at^ extia omnem materia/ omnem^ mundum
inipfoczlidorfoexiflentem. Q^uapropteeillu hypcrcof^ mlon
appellatiquoniam eifentia fua fupra cxli uerricem mancaticum tamen ui ac
prouidentia nufquam abfit.fed omnia circufpiciens etiam minima curet.In
phzdro enim ait. Magnus in czio lupiter citans alatum curtum inccditJ^mua
exoinanscunda.Eodem^ in libro demonftrat locum illum neminem adhuc
laudaiTe poetaiummec unquam pro dignitate laudaturum.Q^uaroobrem cum
Platonici deum eztta mundum ponantiquibus etiam Ariflotelici
alfentiuntutt Stoici aut illu per omne ut dixi mundum diffundat, qs no
uiderit Virgiliutn /i in.P.Virg.W.AIIfgo. cutn
dcutn quctn in potticu uiderat dcfcripliiTcnnimorip noftros illius
partica bs elfe a Chrjiippo acccpilTe.Cu autem prouidcntiam dci multis in
loas prafe quatutinufquara a Phtune difcedit.Non enim idem omnes
rendum.Q_uzras fottaUe quid de mundo fentiat Plato.Ccufet quidem animam
eu babcrc/a qua reliquorum animantium animz (int.bominum autem animos
abeo deo que paulo ante dixi creah:££ ratione exornari uultiCorpus autem
atip cacterasoes uires/quaspranerrationemiabiseiTefamusbomiiaiabanimo
mundi elTe (ai bit.EQ enim lile dei uicatiusicuirjlua uniuetla ueluti fua
prouinda denudata Imltai^ illi uita moturai^ prxbet/non fuaui
autfacultate/ledquicquidagitid uelun dei in(humentuagit.Oeclinat igitur
paululum de uia Matotat^a Pia/ tonefuo difcedit.Cum autem dei
prouidentiaplunmis locis profcquicuri illi totus adbzret.Non enim idem
omnesfentiunt.Sunten:minfortunz qui calt bus omnia ponantiK nullo credat
mundum rectore moueti.Q^ua in fenten/ tia Leucippum abdaitem/eiufe^
conduc Oemoctimm: Protagoram quo^S Tbeodorum ac Epicurum repenasi^unt
itidem qui Andotelem fecuti non ita odofum deu ponauut nibil omnino
curare dicant. Illius tamen prouidentia Iu nz orbem
dclcenderenoaeduntiSunt deni^K tettiiqui fitliuniucifumper/ tingere illam
uelint maxima tamen dutaxat curatr/mininu ucro omnino negli gere opinent.
At Piato ut eunda a deo fada putat/ ftc eunda illum curare exifti
mauAtipbzcdedeo.Otbeucto quo uiallim animos nodtos ab inferis ad coc/
pustat^ inde rurfus ad inferos tranfirefaibit ab academiacftc non
negamus: Verum (i latius de re buiufccmodi dilTcrendum propofuilTcmusiextant
multo diuiniota quz a tato pbilofopbo de aiope corpore difcclTu pferre
poiTimustSed difficile oino eff um breui tempore res arduas/ longa
diligende^ otadone .ex/ plicandas bisanguftiis includere.ltaij quod
roluminffat/idagamus.lnuenies igitur apud Platonicos cu mille annos apud
inferos fuciint animi bominn ad corpora illosredireiatijinde uidffim ad
inferos remeate.ldi^ totiens facere do nec duodedm anno^ milia
tranliednt.Hunc enim orbe perfedu extChmat.Na eo fpado penitus purgari
aios CTcduti^ptcrea^ poffe illos tu demu purgatos/in fuam origine &
adezicifes fedes reduc: Q_uod iiquis fuerit qui pbilofophiz fe dcdacibuic
ta fadiis purgado obumit:ut aceat ei poft tria annopt milia ad fupe ros
euolate: Adduc ena fiqs teligiofc oino uixeritieu ante mille annos H
purga/ ti/S purgatu (fatim in fua origine redire: Eff prztcrea quemagnu
annu appcl/ ]at:quc cuc finiri aedunt cum fol una cu luna ac quin^
reliquis enatilibusffel lis ad eade zodiaci parte rcdieiint.Exado igitur
boc tpis circmtu:quc & (i uatta (itdodoru de illo uirorufententia/rex
tamen ac triginta millibus annoruconfi ci plzrii^ acdidere.ccafec
Plotinus omniu bominu animas ad eunde uitz babi tu
rcditutas.Hzcigif'& qualia (int/& quid facicnda/fadleexco libro
perapi cs/que nodu expolitu in manibus hic noffet Matfilius habet: nec
adhuc edidit. Vciu ego cum apud ipfum inbgbinenffdiueniffcm/cafuin cu
incides aperui/ locof^ quofdam fuma cum uoluptate percurri. Res omnino
magna eff LA V/ tcd/fl( magnis ingcniuinbus ttadata/Sprotfus digna in qua
labores. Poterit <nitn no tolum maxima ac pulcherrima &
homini fe ipfum noffc cupiend per quartus
aeeelTariatedocercrcdmrummatn quo(^ admirationem rapere. Scnbit
enim non phyticcCut plxri^ folent^ fed metaphyiicc de animoru noftroru
immorta litate/utplane poffit de ea re omnem dubitationem amouere:Q_uem
librum cu Icges/&ha;c quz deMaronereqiuris:&plzra^ alia quz nos
paulo antediuinif fima cfle non rumusmentiti/facilec^nofces:Qux quidem
res facit ut in iis quzpo(hilafiibreuiorquelles/forta(»fuerim.l^hil tamen
eft quod breuitad ^cenfeas. Nam cum ea requireres/quz nullis eius
difputationis quam pepige camus cancellis includerentur/poteram illa meo
iurefilentio przterire. Itacpid facile fi forte obiidatur diluam. Apud
uos uerododifTimiuiriquomodome purgem non inuenio .Video enim dum
pofiulanti LAVRENTIO nihil d&> ncgo/duplids errati culpam
inddifle.Nam quid me aut loquadus fingi poteft/ qui quarto iam die ea
eruditifiimis aunbus uefiris inculcare non delinam : quae quadodrina
efiis/uobisqua mihi notiora fint: aut audadusexcogitari:quiim
praemeditatus ad differendum de iis rebusaccelferim/quzadodilfiinis
iifdci^ diuprzmeditads uids uix faris eleganter/profua dignitate
explicari folcant. Im mo quid humanius/quid tua fadiitate dignius
refpondit Alamanus effid potu Itquameanobisodofisdilferere/quz tamen
magnis uehementercp urgentia bus occupationibus przponere non
dubitaremus.Nos autem inquit Petrus ac daiolus/uolo enim & pro fratre
meo refpondecc ne optare quidem id aulielfe^ tnuss quod ultro nobis arridens
fortuna attulitiut tu tali przditusfapientia at eloquentia uir ea deduplid
quzftione primis duobus diebus breuiter per.< Ipicueiabfoluteip in
unum congereresrquz non nili per fummum laborem:(i> mam^ indufiriamex
multis ac uariis fcnptoribus cruipolfunt .Nam Maro nis diligentifiima at^
multiplid dodrina referta interpretatio/in qua tertio ac quarto iam die
uetfarisitum quia pulcherrima/tum quia inaudita accidit no mi nori
Ihiporetqua deledationc nos alfecit.Non polfut fatis pro fua dignitate lau
dariquzatedidafunt inquit Antonius : Sed utinam Baptifia quoniam
reli« quamztatemRomzcon fumpfilb/ hanc tandem fenedutem patriz uel
optao ticodonare/uei illa tanquaafuociue exigenti corpore uelisutfzpius te
dema' gnis rebus difputantem audientes ciues tui dodiores indies
meliorefc^ reddan' tur: Verum has ego huius Marci partes ee ducoiTe enim
pro ea quz illi tecu in< terceditnecclfitudine modo nitat" facile
in fua fententia tradudurum confido. Q_uin ifihuc ia diu ago inquit
Marcusinec prius defina qua aut ronibus impc' trauero/autpraecibus
ezotnaueto / aut defatigando extorfero; Sed ut confido
muItummeineateiuuabitLAVRENTll acluliani ingeniu acftudiu.NI cu inultu
iam in litteris uter^pfeccrit : fitr^ multatu tetu addifceda^ ardentiffima
cupiditasrcu^ cztera illis & a natura 8C a fortuna adiumeta ad re
perficiendam abunde aifintind pariet'' ille diu adolefcentibus/quos
cariflimos habet/operam fua defiderari. At q liceat md iqt BAPTIfta ego
talib5’adoIefcctib9ounq deerot Sed furgamus ii/SC qm primo mane uobis e
in urbe redeudu.intellexifti cni pau lo an uurcriu publicis Ifis
accctfiri/qd' reliquu diei eft ualimdini ipedamus. Q^uzftionuCanuldulefiu
Cbrifiophori Ladini floeetini Q_uaitifiC ultimi libri Finis. CumPriuilegio.
-Z.sisqfc "Moibc scof. pf m-4-' r.: ;t '>.-. ?a
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JO' ,t»;. ;ai? Questo
lavoro porta nuovi elementi allo studio delle complesse vicende inerenti i
Rerum gestarum Francisci Sphortiae commentarii di Giovanni Simonetta e il
relativo volgarizzamento, la Sforziada di Cristoforo Landino. Nel saggio
introduttivo si indagano gli aspetti biografici, storici e filologici
riguardanti le due opere, partendo proprio da Giovanni Simonetta, attivo nella
cancelleria sforzesca assieme al piú noto fratello Cicco Simonetta, e ricostruendo
la storia testuale dei Commentarii dalle loro origini agli emendamenti eseguiti
dall’umanista Francesco Dal Pozzo in vista dell’editio princeps, senza
trascurare le vicende editoriali e le prime reazioni all’opera. Punto di forza
dell’analisi è l’aver ritrovato e studiato nel dettaglio il manoscritto
originale, nonché esemplare di dedica, dei Commentarii, già noto a Giovanni
Soranzo il secolo scorso quale ‘codice Castelbarco’. L’attenzione si sposta
quindi da Milano a Firenze, entrando nell’officina testuale di Cristoforo
Landino per sondare la Sforziada dal punto di vista metodologico e
contenutistico, con un conseguente particolare riguardo per le vicende
successive all’invio del manoscritto di dedica (copiato da Tommaso Baldinotti)
a Milano, dove il testo viene sottoposto dal Simonetta a numerosi interventi
visibili ancora oggi. Chiude la parte introduttiva un capitolo che vuole
delineare la storia dello sviluppo dei commentarii come genere nel quadro
storiografico dalle origini alla fine del Quattrocento. A seguire il lettore
troverà l’edizione critica della Sforziada in veste integrale, corredata di un
approfondito apparato comprensivo degli interventi che ne testimoniano la
ricezione a Milano. Grice: “Perhaps more interesting than the fact that he
loved the Achilleid, and commented on the Eneide, is that he sold the Sforzeide
– sull’eroe Milanese, l’invitto Francesco Sforza! Howell in I Medici. Cristoforo
Landino. Cristoforo Landino. Grice: “I love Landino; for one he wrote the first
Italian philosophical dialogue, “Disputationes” – for another, I love the setting!” Landino. Keywords:
dialettica fiorentina – implicatura fiorentina – la Sforziada di Simonetta. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Landino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689624803/in/photolist-2mKCQBD-nuoDVU-nsj5ZA-ncSabS-nnvnLQ-nr43e9
Grice e
Landucci – i misteri del delitto Gentile e le bestie senza stato di Vespucci –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Sarzana). Filosofo. Grice:
“If I had in Hardie a wonderful mentor to Aristotle, I missed Landucci’s
mentoring me into Kant!” – Si laurea a Pisa con Luporini. Insegna a Firenze. Saggi:
“Cultura e ideologia in Sanctis” (Milano, Feltrinelli); “I filosofi e i
selvaggi” (Bari, Laterza); “L’origine della scienza sociale” (Firenze,
Sansoni); “La co-scienza e la storia” (Firenze, Nuova Italia); “La contraddizione”
(Firenze, Nuova Italia); “Teodicea” (Napoli, Bibliopolis); “La Critica della
ragion pratica” (Roma, NIS), Sull'etica
di Kant, Milano, Guerini, La mente in Cartesio, Milano, F. Angeli, I filosofi e Dio, Roma-Bari, Laterza, La
doppia verità: conflitti di ragione e fede tra Medioevo e prima modernità, Milano,
Feltrinelli, A. Gnoli, Intervista, "Repubblica", Scheda biografica su
Einaudi. Sergio Landucci. Grice: “Basically, Landucci covers all the topics of
my interests, including that of the alleged ambiguity in Kant’s idea of a
‘reason’!” UCCI, UCCI SENTO ODOR DI SERGIO LANDUCCI – I MISTERI DEL DELITTO
GENTILE, IL LEGAME CON LUPORINI, IL '68 IN CATTEDRA ("FUMMO INVASI DAGLI
ANALFABETI") IL GRANDE FILOSOFO SI RACCONTA: “MI PIACEREBBE SCRIVERE UN LIBRO
SULLA DEMENZA SENILE CHE STA ATTANAGLIANDO L' OCCIDENTE. RICORDO UNA FRASE CHE
DICE: "GRANDEZZA È CIÒ CHE NOI NON SIAMO". HO LA SENSAZIONE CHE L'
ABBIAMO DIMENTICATA…” Antonio Gnoli per Robinson-la Repubblica
landucci LANDUCCI Per molto tempo il suo nome è rimasto
associato a un grande libro che quando apparve nei primi anni Settanta fu come
una meteora, tanto sembrò strano nel panorama delle cose che allora si
pubblicavano. Sto parlando de I filosofi e i selvaggi (uscì allora per l'
editore Laterza ed è stato ripubblicato, e aggiornato, qualche mese fa da
Einaudi). La sua lettura mi colpì allora e mi rimanda all'
oggi con i "selvaggi", sempre meno variopinti ed esotici, spinti
dalla disperazione ad abbandonare le loro terre martoriate. Il paragone turba
Sergio Landucci. Seduto nello studiolo mi guarda con la sua faccia triste. Sono
venuto a Firenze per incontrarlo. Si stupisce e quasi si scusa per il fastidio
che mi avrebbe arrecato: è un uomo timido, deluso, gentile ma altresì con un
retrogusto di indefinita rabbia. Landucci è stato allievo di Cesare
Luporini, ha insegnato all' università di Firenze, subendone, dice, tutti i
contraccolpi politici: «Divenni ordinario nel 1968. Quasi immediatamente
percepii un generale clima di ostilità e rassegnazione. Con una rapidità
incredibile la facoltà di filosofia adottò una selezione alla rovescia: vennero
avanti a passo di carica gli analfabeti, i carichi didattici furono
alleggeriti, i ruoli stravolti. Ho vissuto tremendamente male gli anni dell'
insegnamento e nel 2002 decisi per la pensione anticipata ».
È stato così frustrante il lavoro universitario? «Lo è stato
certamente per uno come me. Mi consideravo, come si diceva allora, un
"cane sciolto". Mi stupì constatare che la facoltà si era ridotta a
una grande cellula del Pci, su cui si incistò dopo il '68 la contestazione
studentesca». I punti di riferimento furono però due grandi personalità
di sinistra: Eugenio Garin e Cesare Luporini. «Maestri indiscussi.
Mi chiedo tuttavia quanto sia stata acuta la loro vista politica. Garin fu il
grande interprete di una filosofia come sapere storico, il suo storicismo era
totalmente in sintonia con le posizioni culturali del Pci. Quanto a Luporini c'
era un inquietudine ben maggiore che lo portò a misurarsi e a simpatizzare con
le ragioni degli studenti. Non stigmatizzo il loro magistero, cui peraltro devo
moltissimo, sostengo semplicemente che furono anni in cui la politica prese il
sopravvento». Era lo spirito del tempo. « Ne facevo
parte anch' io, ma senza tessere o bandiere. Del resto non sono mai stato
iscritto a nulla. Giunsi all' Università di Firenze nel 1960, come libero
assistente, chiamato da Luporini». Quali erano i vostri
rapporti? « Fu mio professore a Pisa e con lui mi laureai. Mi affascinava
quest' uomo che nel 1930 andò in Germania a occuparsi di esistenzialismo e
seguì i corsi di Heidegger». Credo sia stato uno dei pochi italiani a
frequentarne i seminari. «C' è un episodio rivelatore del rapporto con
Heidegger. Quando il filosofo tedesco pronunciò nel maggio del 1933 il
famigerato discorso con cui si insediava da Rettore a Friburgo, Luporini restò
sconcertato da quell' adesione al regime. Qualche giorno dopo incontrandolo gli
comunicò che lasciava Friburgo per Berlino. Heidegger gli chiese perché. Lui
rispose che era interessato ai corsi di Nicolai Hartmann. Il maestro lo liquidò
con un ironico "tanti auguri"».A proposito di filosofi si è spesso
detto che il " Vecchio Lupo", così era soprannominato Luporini, fosse
rimasto l' ultimo a sapere i dettagli dell' omicidio Gentile. Lei è a
conoscenza di qualche particolare? « C' è innanzitutto da ribadire il
legame che Luporini ebbe con Gentile, il quale lo chiamò come lettore di
tedesco a Pisa, in sostituzione di Oscar Kristeller, ebreo che dovette riparare
negli Stati Uniti dopo le leggi razziali del 1938. Gentile aiutò Kristeller,
come pure tanti antifascisti che si rifugiarono alla Treccani e all'
Università, fornendogli soldi e assistenza. Poi chiamò Luporini alle due di
notte dicendogli di decidere in fretta perché altrimenti sarebbe venuto
qualcuno dalla Germania, quasi certamente un insegnante di fede nazista».Questo
è lo sfondo. Poi cosa accadde? «Quando nel 1944 la situazione precipita.
Luporini va a casa di Gentile e lo scongiura di non entrare nella Repubblica
Sociale. Gli dice: professore c' è gente che non aspetta altro per
ucciderla».Gentile aderisce alla Rsi e viene ucciso in un attentato nell'
aprile del 1944. Si è detto che Luporini conoscesse i mandanti e gli esecutori dell'
omicidio. «Credo che il "Vecchio Lupo" non sapesse nulla, o
almeno nulla di diretto. Ci fu una sua dichiarazione radiofonica in tal senso,
ma credo fosse il frutto di un fraintendimento». La frase di Luporini era
questa: "Cose che forse non si possono ancora dire". Cosa le fa
supporre che fosse frutto di equivoco? « Il fatto che accreditasse la
versione offerta da Teresa Mattei, partigiana, che sull' argomento ha cambiato
più volte opinione. Fino a sostenere che dietro quell' omicidio ci fosse Ranuccio
Bianchi Bandinelli. Mai uno straccio di prova. Credo si sia perfino inventata
che fu lei a indicare al commando gappista la figura di Gentile, che non aveva
mai conosciuto. Poi c' è la testimonianza della moglie di Luporini: Maria
Bianca Gallinaro, la quale mi disse sconsolata che la storia che Luporini
sapesse era solo una leggenda, del tutto infondata». Possibile che non ci
fosse un grano di verità? « La sola cosa che riesco a pensare è che
Luporini era emotivamente coinvolto. Dopo l' attentato, Gentile fu trasportato
moribondo all' ospedale. Il fratello della signora, medico al Careggi, chiamò
Luporini dicendogli se voleva vedere per l' ultima volta Gentile. E lui andò e
vide il filosofo in fin di vita. Non credo sia stato un bello spettacolo. Questo
è tutto. Dopo quella dichiarazione radiofonica mi permisi di consigliare
Luporini a non pronunciare più quella frase».E lui? « Non so se fu una
mia impressione ma gli lessi negli occhi un certo imbarazzo». Negli anni
di Pisa chi frequentava? «Tra le persone che hanno avuto un peso: Delio
Cantimori e Sebastiano Timpanaro. Di quest' ultimo divenni grande
amico». So che Cantimori incuteva una certa paura per il modo di fare
lezione e interrogare. «A me, che non sono stato suo scolaro, suscitava
tenerezza». Cosa pensa della sua vita ideologica piuttosto
travagliata? « Se allude al passaggio dal fascismo al comunismo non
saprei cosa pensare. Come ad altri intellettuali gli è mancato il pensiero
liberale. Era dominato dai fatti e dall' idea che la storia sia guidata dal
potere. Dopo il 1956 uscì dal Pci. Non solo per i noti episodi di Ungheria ma
perché non ne poteva più del partito. Era un sopravvissuto a se stesso».
Cosa intende? GENTILE GENTILE « Deluso. Era convinto
che io fossi una specie di longa manus del Pci, non gli ho mai dato la
soddisfazione di smentirlo. A volte con ironia diceva: "Landucci, è vero
che non basta dire viva la bandiera rossa per essere intelligenti?". Gli
ultimi anni della sua vita li passò a insegnare a Firenze, in un ambiente che
non lo amava. Prima di morire andò a Princeton per un ciclo di lezioni e quando
tornò gli dissi: "Le ha fatto bene stare lontano da Firenze". Sì,
rispose, ho evitato la noia». Poi c' è Sebastiano Timpanaro. «Era
stato allievo di Giorgio Pasquali, ma invece di inseguire la carriera
universitaria, divenne un outsider della cultura. Motivò la sua scelta con una
certa difficoltà a parlare in pubblico. Ma io so che aveva orrore della
professione accademica. Ebbe rapporti difficili con il mondo e bellissimi con
le persone che amava. Per lungo tempo mi considerò tra queste. Solo negli
ultimi anni scese tra noi il silenzio. Non digerì, non accettò o forse non
seppe accogliere il fatto che mi fossi separato da mia moglie. Ma la vita va
dove deve andare e a volte non ci possiamo fare niente. Da lui ho appreso il
rigore filologico. Fu grandissimo nelle questioni leopardiane e in tutta la
riflessione sul materialismo. Ma anche sorprendentemente originale nella
lettura di Freud. È strano, ma ogni volta che penso alla vita di chiunque, mi
chiedo quanta parte vi avrà avuta il caso. Le coincidenze prese o mancate, per
lo più senza rendersene conto». Per lei il caso è stato così
incisivo? « Direi che il caso domina fin dalla famiglia di origine: un
ambiente che non scegliamo, e nel quale ci troviamo gettati». La sua
famiglia com' era? « Papà avvocato, ma frustrato perché ricopriva un
impiego modesto. Mia madre maestra. Vivevamo a Sarzana. Ricordo un padre
anziano e la mamma che gli proibì di venire a prenderci a scuola, me e mio
fratello, per paura che lo scambiassero per il nonno. Lo vivevo come un uomo di
altri tempi. Anche nel lessico ricordava la belle époque. Invece di autista
diceva chauffeur, vis à vis a posto di specchio e quando chiedeva l'
asciugamano diceva passami il Amava il melodramma italiano. Invece,
melodrammatica di suo fu mia madre. Risultato: ho sempre detestato la musica
lirica! Forse perfino più di quanto non abbia detestato che mi chiamassero
Sergio». jean jacques rousseau JEAN JACQUES ROUSSEAU
Dà l' impressione di un uomo provato dalla vita. «Sono molto amareggiato
dalla mia vita professionale e privata. Non ho né la forza né la voglia di
entrare nei dettagli, ma ho l' impressione di essere stato irriso e torturato
dalla vita. Il lavoro nelle biblioteche di mezza Europa e negli archivi è stata
la mia droga, la mia unica grazia. Non ho avuto nessun successo ma almeno mi ha
consentito di vivere». Non è vero, il suo libro sui "
Filosofi e i selvaggi" è un grande libro. «Non diciamo sciocchezze,
troppo carico di note, di troppe citazioni in originale e, in fondo, di inutile
erudizione. La sola cosa che ricordo è una stroncatura di Furio Diaz.
Scriverlo, fu un' idea casuale. Un libro nato senza nessun presupposto. Diciamo
che mi appassionava Montaigne». È il primo ad accorgersi della figura del
selvaggio e a prenderne le difese. « Non è il primo, ma in qualche modo
rovescia la posizione di Amerigo Vespucci che presenta i selvaggi simili alle
bestie. Diversamente da Colombo che sposa la tesi antica del mito del buon
selvaggio. Montaigne dice che il selvaggio non ha Stato, non ha costrizioni,
non ha religione, non ha falsità, è privo cioè di tutti quei caratteri che
soffocano la civiltà occidentale».È la scena che prevarrà? «È solo una
tesi che a Montaigne serve per screditare la chiesa e gli stati. Gli eccidi, la
violenza, il terrore che scuotono l' Europa delle guerre di religione e che
culminano nella notte di San Bartolomeo, sono messi in contrapposizione con la
mitezza del selvaggio ». È una tesi che riprenderà Rousseau. «Fino a
un certo punto, anche perché il suo selvaggio è un uomo felice ma violento. Non
conosce la corruzione né è posseduto dalla brama di potere, ma è
sostanzialmente un individuo aggressivo. Chi porterà alle estreme conseguenze
questa impostazione è Thomas Hobbes che rovescia la costruzione di
Montaigne». Hobbes parla di uno "stato di natura". firenze
'68 FIRENZE '68 «Dove tutti si fanno la guerra e dove la vita delle
persone è permanentemente in pericolo. L' immagine di questa condizione brutale
Hobbes la ricava dalle descrizioni che nel Cinquecento vengono fatte dei
selvaggi di America». Si può dire che l' Occidente fin dall' antichità si
sia servito di questo mito con le peggiori intenzioni? « È passata l' idea,
con qualche eccezione, che fossero troppo diversi da noi per ogni ipotetica
assimilazione». Al punto che ancora oggi questa diversità è vissuta come
una minaccia di contagio e sostituzione? Qualcuno, come lei sa, ha perfino
parlato di "uomo bianco" in pericolo di estinzione. «Nelle fasi
di grave fibrillazione sociale, quando il discredito si abbatte su ogni aspetto
della vita politica, il delirio - come strumento patologico - rischia di
trionfare. Mi pare di poter dire che è quanto sta accadendo e che contribuisce
ahimè ai miei stati depressivi. Sono convinto che non ci sia nessuna
giustificazione al male né all' imbecillità. Ho scritto un libro contro la
teodicea, mi piacerebbe scriverne uno sulla demenza senile che sta
attanagliando l' Occidente. Ma non credo di averne più la forza. Mi
resta questa infelicità che è come un che sovrasta le mie parole che non so più
maneggiare con delicatezza. Ricordo una frase che Luporini aveva ripreso dal
vecchio Burckhardt, è bellissima. Dice: "Grandezza è ciò che noi non siamo".
Ho la sensazione che l' abbiamo troppo spesso ignorata o, peggio ancora,
dimenticata». Grice: “Landucci has aptly explored the concept of the
‘barbarian’. It all starts with Montaigne, an anarchist – he assumes a fake
philosophical position just to justify his anarchisms: savages are fun, happy,
and they have no state! Vespucci moe or less thought the same, but for
different reasons. Just like an ape doesn’t have a state, Vespucci says, so a
savage!” -- Landucci. Keywords: i misteri del delitto Gentile. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Landucci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754198450/in/dateposted-public/
Grice
e Latini –l’implicatura rettorica di Publio e Cicerone -- implicatura –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze).
Filosofo. Grice: “Latini reminds me
of Hardie; he was Aligheri’s mentor; Hardie mine!” -- Grice: “People say it all
starts with Alighieri; but the real ‘filosofo’ behind Alighieri surely is Burnetto
– he has chapters on ‘Platone,’ ‘Aristotele,’ and the rest of them.” «Poi si rivolse, e parve di
coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro
quelli che vince, non colui che perde» (Divina Commedia). Figlio di Buonaccorso
e nipote di Latino Latini, appartenente ad una nobile famiglia. Le fonti
storiche e una serie di documenti autografi testimoniano la sua attiva
partecipazione alla vita politica di Firenze. Come egli stesso narra nel
Tesoretto, fu inviato dai suoi concittadini alla corte di Alfonso X per
richiedere il suo aiuto in favore dei guelfi. Tuttavia, la notizia della
vittoria dei ghibellini a Montaperti lo costrinse all'esilio in Francia. I cambiamenti politici
conseguenti alla vittoria di Carlo I da Benevento sconsentirono il suo ritorno in Italia. Fu risarcito del torto
subito, con il titolo di Segretario del Consiglio della repubblica, stimato ed
onorato dai suoi concittadini. La sua influenza divenne tale che a
partire si trova a malapena nella storia di Firenze un avvenimento pubblico
importante al quale non abbia preso parte. Contribuì notevolmente alla
riconciliazione temporanea tra guelfi e ghibellini detta "pace di
Latino". PPresiedette il congresso dei sindaci in cui fu decisa la
rovina di Pisa. Elevato alla dignità di Priore. Questi magistrati, in numero di
dodici, erano stati previsti nella costituzione. La sua parola si fa
frequentemente sentire nei Consigli generali della repubblica. Era uno degli
arringatori, od oratori, più frequentemente designati. Nel Canto XV
dell'Inferno Dante lo incontra tra i sodomiti, violenti contro Dio nella
natura. Siamo nel terzo girone del settimo cerchio; Dante e Virgilio camminano
su un piano rialzato rispetto alla landa desolata in cui i dannati procedono.
Alighieri, che era stato allievo di Latini, è profondamente scosso, e non
nasconde verso il maestro una persistente ammirazione. Latini è il primo nella
Commedia a toccare fisicamente Alighieri, tirandolo per la veste. Altre
opera:“Il Tesoretto,” poema (incompiuto o mutilo) scritto in volgare
fiorentino, in settenari a rima baciata, narrato in prima persona. L'autore definisce l'opera Tesoro, ma il nome “Tesoretto”
è presente già nei manoscritti più antichi,
presumibilmente per distinguerla dalle traduzioni italiane del “Tresor”.
Il protagonista, sconfortato dalla notizia della disfatta di Montaperti, si
perde in una "selva diversa". Nella sua peregrinazione si imbatte
nelle personificazioni della Natura e delle Virtù, che gli illustrano la
composizione del Mondo e i modelli di comportamento cortesi. Il “Tesoretto” si
interrompe nel momento in cui il protagonista incontra Tolomeo, che sta per
spiegargli i fondamenti dell'astronomia. Influenzato da un lato dal
romanzo cortese, dall'altro dai poemi allegorici, realizza un'opera che da una
parte della critica è ritenuta tra i precursori diretti della Commedia (Venezia,
Melchiorre Sessa il Vecchio); “Li livres dou Tresor” e la più celebre, scritta
durante l'esilio in Francia, in lingua vernaculare, perche "è la parlata
più dilettevole e più comune tra tutte le lingue.” Consta di tre libri e
risulta la prima enciclopedia volgare in senso proprio. Altri testimoni sono
stati segnalati in seguito da Squillacioti, Divizia e Giola. Il primo
libro tratta dell’origine di tutto. Tra gl’argomenti affrontati vi sono
un'ampia storia universale, dalle vicende dell'Antico e del Nuovo Testamento
alla battaglia di Montaperti, elementi di medicina, fisica, astronomia,
geografia, e architettura, e un bestiario. Si trova, in questo primo libro, una
delle menzioni più antiche che conosciamo di una bussola e l'indicazione della
sfericità della terra. Nel secondo libro si tratta dei vizi e delle virtù,
attingendo sostanzialmente dall'Etica Nicomachea. Il terzo libro riguarda
principalmente la retorica. Utilizza come fonti Platone, Aristotele, Senofane, il
romano Publio Vegezio e Cicerone. Altre opera: è inoltre autore di un
altro breve poemetto, “il Favolello”, di una “Rettorica” volgarizzamento e
commento del De inventione di Cicerone, nonché dei volgarizzamenti di tre
orazioni ciceroniane (Pro Ligario, Pro Marcello, Pro rege Deiòtaro). Jauss,
Alterità e modernità della letteratura medievale, Boringhieri S. Sarteschi, Dal
"Tesoretto" alla "Commedia": considerazioni su alcune
riprese dantesche dal testo di Latini, in "Rassegna di letteratura
italiana", B. Latini, Tresor; G. Beltrami Squillacioti Torri e S. Vatteroni”
(Torino, Einaudi); A. D'Agostino, Itinerari e forme della prosa, in Storia
della letteratura italiana” (Roma, Salerno); Tresor. Beltrami, Squillacioti,
Torri, Plinio, Torino). Aggiunte (e una sottrazione) al censimento dei codici
delle versioni italiane del "Tresor”, Medioevo romanzo, La tradizione dei volgarizzamenti toscani del
Tresor con un'edizione critica della redazione alfa. Verona. Edizione del
volgarizzamento toscano. La colonna
posta dove è stata riscoperta la sua tomba, Santa Maria Maggiore; “Livres dou
Tresor” (Vineggia, per Gioan Antonio & fratelli da Sabbio, ad instanza di N.
Garanta & Francesco da Salo); Dizionario biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tesoretto. In G. Contini, Poeti del
Duecento, Ricciardi, Milano. A scuola con ser Brunetto. Indagini sulla
ricezione dal Medioevo al Rinascimento. Atti del convegno di studi, Basilea, I.
Maffia Scariati, Firenze, Galluzzo, D'Arco Silvio Avalle, Ai luoghi di delizia
pieni, Ricciardi, Milano, A. Carrannante, "Implicazioni dantesche:
Brunetto Latini (Inf. XV)", "L'Alighieri", Enciclopedia
dantesca, ad vocem, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, P. Fornari,
Dante e Brunetto, Co-Op, Varese, Poi in: Pro Dantis virtute et honore, Co-Op
Varese, L. Frati, Brunetto Latini
speziale, "Il giornale dantesco", F. Maggini, La «Rettorica» Latini,
Firenze, Galletti e Cocci, U. Marchesini, Due studi biografici, Atti
dell'Istituto Veneto", "La posizione del Latini nel canto XV
dell'Inferno dantesco"). P. Merlo, E se Dante avesse collocato Brunetto
Latini tra gli uomini irreligiosi e non tra i sodomiti?, "La cultura",
Poi in: Saggi glottologici e letterari, Hoepli, Milano, Fausto Montanari, "Cultura
e scuola", Antonio Padula, Il Pataffio, Dante Alighieri, Milano, Roma e
Napoli, Manlio Pastore Stocchi, Delusione e giustizia nel canto XV
dell'Inferno, "Lettere italiane"(poi in: Letture classensi, Longo, Ravenna; "Representations", R.
Santangelo, "Tutti cherci e litterati grandi e di gran fama": "Il
sogno della farfalla. Rivista di psicoanalisi", M. Scherillo, Alcuni
capitoli della biografia di Dante, Loescher, Torino Thor Sundby, Della vita e
delle opera (Monnier, Firenze); Alighieri Storia di Firenze Divina Commedia, Il
Favolello Il Tesoretto. Treccan Enciclopedie
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, sRegesta
Imperii, su opac.regesta-imperii.de. Portal, su florin.ms. G. Orto, Brunetto
Latini. Tommaso Giartosio, Dante e Brunetto Latini. Tratto da: Perché non
possiamo non dirci. Letteratura, omosessualità, mondo, Feltrinelli, Milano, Concordanze
del libro del Tesoretto, su classicis tranieri, Li livres dou trésor, ed. par Polycarpe
Chabaille, Paris M. Giacomelli. La rettorica. Qui comincia lo 'usegnamento di
rettorica, lo quale è ritratto in vulgare de' libri di Tullio e di molti
filosofi per ser Burnetto Latino da Firenze. Là dove è la lettera grossa si è
il testo di Tullio, e la lettera sottile sono le parole de lo sponitore. Incomincia
il prologo. Sovente e molto ò io pensato in me medesimo se la copia
del DICERE e lo sommo studio dell’ELOQUENZA àe fatto più bene o più male
agl’uomini et alle città. Però che quando considero li dannaggii del
nostro comune e raccolgo nell' animo l’antiche aversitadi delle
grandissime città, veggio che non picciola parte di danni v’è messa per
uomini molto parlanti sanza sapienza. Qui parla lo sponitore. RETTORICA èe
SCIENZA di due manière. Una la quale insegna dire, e di questa tratta Tulio nel
suo saggio. L’altra insegna dittare, e di questa, perciò che esso non ne
trattò cosi del tutto apertamente, si nne tratterà lo sponitore nel
processo del saggio, in suo luogo e tempo come si converrà. Rettorica s'
insegna in due modi, altressì come l’altre scienzie, cioè di fuori e
dentro.Verbigrazia: Di fuori s'insegna dimostrando che è rettorica e di che
generazione, e quale sua materia e lo suo officio e le sue parti e lo
suo propio strumento e la fine e lo suo artifice. Ed in questo modo
tratta BOEZIO nel quarto della Topica. Dentro s'insegna questa arte quando si
dimostra che sia da fare sopra LA MATERIA DEL DIRE e del dittare, ciò
viene a dire come si debbia fare lo exordio e la narrazione e L’ALTRE
PARTI DELLA DICIERIA o della pistola, cioè d'una lettera dittata. Ed in
ciascuno di questi due modi ne tratta Tulio in questo suo saggio. Ma in
perciò che Tulio non dimostra che sia rettorica né quale è '1 suo
artefice, sì vuole lo sponitore per più chiarire l'opera dicere l'uno e
l'altro. Ed èe rettorica una scienzia DI BENE DIRE, ciò è rettorica quella
scienzia per la quale noi saperne ORNATAMENTE dire e dittare. Inn altra guisa è
così diffinita. Rettorica è scienzia di ben dire sopra la causa proposta,
cioè per la quale noi sapemo ornatamente dire sopra la quistione aposta.
Anco àe una più piena difiìnizione in questo modo. Rettorica è scienza d'usare
piena e PERFETTA ELOQUENZA nelle publiche cause e nelle private. Ciò
viene a dire scienzia per la quale noi sapemo parlare pienamente e
perfettamente nelle publiche e nelle private questioni. E certo
quelli parla pienamente e perfettamente che nella sua diceria mette
parole adorne, piene di buone sentenzie. Publiche questioni son quelle
nelle quali si tratta il convenentre d'alcuna città o comunanza di genti.
Private sono quelle nelle quali si tratta il convenentre d'alcuna spiciale
persona. E ttutta volta è lo 'ntendimento dello sponitore che queste
parole sopra '1 dittare altressì come sopra '1 dire siano, advegna che tal
puote sapere bene dittare che non àe ardimento o scienzia di profiferere
le sue parole davanti alle genti; ma chi bene sa dire puote bene sapere
dittare. Avemo detto che è rettorica, or diremo chi è lo suo artifice.
Dico che è doppio, uno è rector e l'altro è orator. Verbigi-azia. Rector è
quelli che 'nsegna questa scienzia SECONDO LE REGOLE e comandamenti
dell'arte. Orator è colui che poi che elli àe bene appresa l'arte, sì l’usa
in dire ed in dittare sopra le questione apposte, sì come sono li
buoni parlatori e dittatori, sì come fue maestro Piero dalle Vigne, il quale
perciò fue agozetto di Federigo II imperadore di Roma e tutto sire di lui e
dello 'mperio. Onde dice Vittorino che orator, cioè lo parlatore, è uomo
buono e bene insegnato di dire, lo quale usa piena e perfetta eloquenza nelle
cause publiche e private. Ora àe detto lo sponitore che è rettorica, e del
suo artifice, cioè di colui che la mette in opera, l'uno insegnando
l'altro dicendo. Ornai vuole dicere chi è l'autore, cioè il trovatore di
questo saggui, e che fue LA SUA INTENZIONE in questo saggio, e di che tratta, e
la cagione per che lo saggio è composto e che utilitade e che tittolo à
questo saggio. L' autore di questa opera è doppio. Uno che di tutti
i detti de' filosofi che fuoro davanti lui e dalla viva fonte del suo
ingegno fece suo libro di rettorica, ciò fue Marco Tulio Cicerone, il più
sapientissimo de' romani. Il secondo è Brunetto de’ Latini, cittadino di
Firenze, il quale mise tutto suo studio e suo intendimento ad isponere e
chiarire ciò che Tulio dice. Ed esso è quella persona cui questo saggio
appella sponitore, cioè ched ispone e fae intendere, per lo suo propio detto e
de' filosofi e maestri che sono passati, il saggio di Tulio, e tanto più
quanto all'arte bisogna di quel che fue intralasciato nel saggio di Tulio,
sì come il buono intenditore potràe intendere avanti. La sua
intenzione fue in questa opera dare insegnamento a colui per cui amore e' si
mette a fare questo trattato de parlare ornatamente sopra ciascuna questione
proposta. Et e' tratta secondo la forma del saggio di Tulio di tutte le
parti generali di rettorica. Verbigrazia. L’invenzione, cioè, il trovamento di
ciò che bisogna sopradire alla materia proposta; e dell'altre iiij° secondo che
sono nel secondo saggio che Tulio fa ad Erennio suo amico, sopra le quali il
conto dirà ciò che ssi converrà. La cagione per che questo saggio è
fatto si è cotale, che Latini, per cagione della guerra la quale fue
traile parti di Firenze, fue isbandito della terra quando la sua parte
guelfa, la quale si tenea col papa e colla chiesa di Roma, fue cacciata e
sbandita della terra. E poi si n'anda in Francia per procurare le sue
vicende, e là trova uno suo amico della sua città e della sua
parte, molto ricco d'avere, ben costumato e pieno de grande
senno, che Ili fece molto onore e grande utilitade, e perciò l'apella suo
porto, sì come in molte parti di questo saggio pare apertamente; et era
parlatore molto buono naturalmente, e molto disidera di sapere ciò che' savi
aveano detto intorno alla rettorica; e per lo suo amore Latini, lo quale
era l)uono intenditore di lettera et era molto intento allo studio di
rettorica, si mette a fare questo saggio, nella quale mette innanzi il
testo di Tulio per maggiore fermezza, e poi mette e giugne di sua
scienzia e dell'altrui quello che fa mistieri. L' utilitade di
questo saggio è grandissima, però che ciascuno che sa bene ciò che
comanda lo libro e l'arte, sì sa dire interamente sopra la questione
apposta. E in questo punto si parte elli da questa materia e ritorna al
propio intendimento del testo. In questa parte dice lo sponitore che
CICERONE, vogliendo che rettorica fosse amata e tenuta cara, la quale al
suo tempo e avuta per neente, mise davanti suo prolago in guisa di bene savi,
nel quale purga quelle cose che pareano a lui gravose. Che si come dice BOEZIO
nel commento sopra la Topica, chiunque scrive d'alcuna materia dee prima
purgare ciò che pare a lui che sia grave; e così fa CICERONE, che purga
tre cose gravose. Primieramente i mali che veniano per copia di dire. Apresso
la sentenza di Platone, e poi la sentenza d'Aristotele. La sentenza di Platone e
che rettorica non è arte, ma è NATURA per ciò che vede MOLTI BUONI
DICITORI PER NATURA e non per insegnamento d'arte. La sentenza
d'Aristotile fa cotale, che rettorica è ARTE, ma REA, per ciò che per eloquenza
parca che fosse a venuto più male che bene a' comuni e a' divisi. Onde CICERONE
purgando questi tre gravi articoli procede in questo modo. Che in prima
dice che sovente e molto ae pensato che effetto proviene d'eloquenza.
Nella seconda parte pruova lo bene e '1 male chende venia e qual più.
Nella terza parte dice tre cose. In prima , dice che pare a lui di
sapienzia; apresso dice che pare a lui d' eloquenzia. E poi dice che pare
a lui di sapienza ed eloquenzia congiunte insieme. Nella quarta parte sì
mette le pruove sopra questi tre articoli che sono detti, e conclude che
noi dovemo studiare in rettorica, recando a ciò molti argomenti, li quali
muovono d' onesto e d' utile e lo possibile e necessario. Nella quinta
parte mostra di che e come egli tratta in questo saggio. E poi che nel
suo cuminciamento dice come molte fiate e lungo tempo pensa del bene e
del male che fosse advenuto, immantenente dice del male
per accordarsi a' pensamenti delli uomini che si ricordano più d'uno
nuovo male che di molti beni antichi; e cosi Tulio, mostrando di non
ricordarsi delli antichi beni, s' infigne di biasraare questa scienzia per
potere più di sicuro lodare e difendere. E per le sue propie parole che
sono scritte nel testo di sopra potemo intendere apertamente che in
queste medesime parole ove dice che i mali che per eloquenza sono advenuti e
che non si possono celare, in quelle medesime la difende abassando e
menimando la malizia. Che là dove dice dannaggi si suona che siano lievi
danni de' quali poco cura la gente. E là dove dice del nostro comune
altressì abassa del male, acciò che più cura l'uomo del propio danno che del
comune; e dicendo NOSTRO comune intendo ROMA, però che Cicerone e cittadino di
Roma nuovo e di non grande altezza; ma per lo suo senno fue in sì
alto stato che TUTTA ROMA si tenea alla sua parola, e fue al tempo
di Catellina, di Pompeio e di Giulio Cesare, e per lo bene della terra fue al
tutto contrario a Catellina. Et poi nella guerra di Pompeio e di Giulio
Cesare si tenne con Pompeio, sicome tutti ' savi eh' amano lo stato
di Roma. E forse l'appella nostro comune però che ROMA èe capo del
mondo e comune d'ogne uomo. Et là dove dice l'antiche adversitadi
altressì abassa il male, acciò che delli antichi danni poco curiamo. Et
là dove dice grandissime cittadi altressì abassa '1 male, però che,
sì come dice il buono poeta LUCANO, non è conceduto alle
grandissime cose durare lungamente; e l'altro dice che le grandissime cose
rovinano. E così non pare che eloquenza sia la cagione (iel male che
viene alle grandissime città. E là dove dice che danni sono advenuti per
nomini molto parlanti 'sanza sapienza, manifestamente abassa '1 male e difende
rettorica, dicendo che '1 male è per cagione di molti parlanti ne'
quali non regna senno. E non dice che il male sia per eloquenza, che
dice Vittorino. Questa parola eloquenza suona bene. E del bene non puote male
nascere. Questo è bello colore rettorico, difendere quando mostra di biasmare ed
accusax'e quando pare che dica lode. E questo modo di parlare àe nome INSINUAZIONE,
O IMPLICATURA, del quale dice il saggio in suo luogo. Et qui si parte il
conto da quella prima parte del prologo nella quale CICERONE dice il suo
pensamento ed dice li mali avenuti, e ritorna alla seconda parte nella
quale dimostra de' beni che sono pervenuti per eloquenza. Sì come quando
ordino di ritrarre dell'anticiie scritte le cose che sono fatte lontane
dalla nostra ricordanza per loro antichezza, intendo che eloquenza
congiunta con ragione d'animo, cioè con sapienza, piìie agevolemente àe potuto
conquistare e mettere inn opera ad edifficare cittadi, a stutare molte
battaglie, fare fermissime compagnie et anovare santissime amicizie. Poi che Cicerone
divisa li mali che sono per eloquenza, sì divisa in questa parte li beni, e CONTA
PIU BENI CHE MALI perciò che più intende alle lode. E nota che dice son messe 5. ordinatamente
acciò che prima si raunaro gli uomini in- sieme a vivere ad una ragione
et a buoni costumi et a multiplicare d' avere ; e poi che furo divenuti
ricchi montò tra lloro invidia e per la 'nvidia le guerre e le
battaglie. Poi li savi parladori astutaro le battaglie, et apresso
gli 10. uomini fecero compagnie usando e mercatando insieme;
e di queste compagnie cuminciaro a ffare ferme amicizie per
eloquenzia e per sapienzia. 3. Ma ssi come dice e signifficano queste parole,
per più chiarire l'opera è bene convenevole di dimostrare qui che è
cittade e che è compagno e che è 15. amico e che è sapienzia e che
è eloquenzia, perciò che Ilo sponitore non vuole lasciare un solo motto
donde non dica tutto lo 'ntendimento. 4. Che è cittade. —
Cittade èe uno raunamento di gente fatto per vivere a ragione; onde non
sono detti cittadini 20. d'uno medesimo comune perchè siano insieme
accolti den- tro ad uno muro, ma quelli che insieme sono acolti a
vivere ad una ragione. 5. Che è compagno. — Compagno è quelli
che per alcuno patto si congiugne con un altro ad alcuna cosa fare; e
di 25. questi dice Vittorino che se sono fermi, per eloquenzia
poi divegnono fermissimi. 6. Che è amico. — Amico è quelli
che per uso di simile vita si congiugne con un altro per amore insto e
fedele. Verbigrazia: Acciò che alcuni siano amici conviene che
30. siano d'una vita e d'una costumanza, e però dice «per uso di
simile vita » ; e dice « giusto amore » perchè non sia a cagione di
luxuria o d' altre laide opere ; e dice « fedele i'-3.- M'
in compimento dell'altre parole ecc. — 3: Jf' cioè hediDcare — .»/
aslroppiarc, m a storpiare — 5.- M' caunano, corretto poi in raunarono —
Af ad avere una ragione, m "al avere una medesima ragione — 7 : M
l'uno, -If' fuor {cfr. Tesor., vii, 54) — il' montò loro — 9: M-m
parlando anno attutato - 9: m le guerre — il.' M forme amicitio, »» forme
d'amie— i^:mdichono— i^.- m dimostrare quello — io.- Af' 7 che sapientla 7 che
eloq. - 17: .»/' volle intralasciare — 18: .V de genti — 20: .V-m
raccolti - SI: m rachollì - 25: M son — S7 : M-m che è coiiipannia — M'
si i> — 28 : .V ad un altro — 30: .U' por- ciò — 31 . .tf ' conduco
insto am. fcerlo per scambio dell'abbreviatura di et con quella di con) —
32: U ad altre. - 11 - amore » perchè non sia
per gnadagneria o solo per utili- tade, ma sia per constante vertude. Et
cosi pare manife- mente che quella amistade eh' è per utilitade e per
dilet- tamento nonn è verace, ma partesi da che '1 diletto e
l'utti- 5. litade menoma. 7. Che è sajoiemia. — Sapienzia è
comprendere la verità delle cose si come elle sono. 8. Che è
eloquenzia. — Eloquenzia è sapere dire addome parole guernite di buone
sentenzie. 10. TnUio. 3. Et così me lungamente pensante
la ragione stessa mi mena in questa fermissima sentenza, che sapienzia
sanza eloquenzia sia poco utile a le cittadi, et eloquenzia sanza
sapienza è spessamente molto dampnosa e nulla fiata utile. Per la qual
cosa, se alcuno in- l.ó. tralascia li dirittissimi et onestissimi
studii di ragione e d'officio e consuma tutta sua opera in usare sola
parladura, cert' elli èe citta- dino inutile al sé e periglioso alla sua
cittade et al paese. Ma quelli il quale s' arma sie d'eloquenzia che non
possa guerriere contra il bene del paese, ma possa per esso pugnare,
questo mi pare uomo e 20. cittadino utilissimo et amicissimo alle
sue (>) et alle publiche ragioni. Lo sponitore. I.
Poi che Tulio avea dette le prime due parti del suo prologo, si comincia
la terza parte, nella quale dice tre cose. Imprima dico che pare a llui
di sapienzia, infino là dove 25. dice : « Per la qual cosa ». Et quivi
comincia la seconda, nella quale dice che pare a llui d'eloquenzia,
infino là ove dice : « Ma quello il quale s' arma ». Et quivi comincia
la terza, ne la quale dice che pare a llui dell'una e dell'altra
giunte insieme. 3: M' om. e — 4: M- pdesi — m diloclamento 7
l'util., .tf' l'utilitade 1 diloclo — 8-9: .»/ ad ongno parole, m ogni
parole — 13.- M-m om. sia.... sapienza — i-J : M' om. molto ^ i5: M-m
lassa indireotissimi (m idireuissimi) — IG: M-m sola la parlatura — 18:
3l-m sama — .)/ giuriare, m ingiuriare — Ì9-20.- .1/ luiomo cittadino, »i
mi pare cittadino — .V-»i a' suoi — .?3 • .1/ conincìa — S4 : M insini,
.)/' inlìn là ove (cfr. Tcsnr.. xi, 1074) — So: yr-ìii dice jiarla — M-m
qui - 26: M insino — m là dove — 28 : M-m la (|ual dice. (1) Questa
lezione è oonfennata dal § 5 del coniuiento: « utile a ssè et al suo
paese. Onde dice Vittorino: Se noi volemo mettere avac- ciamente in opera
alcuna cosa nelle cittadi, sì ne conviene avere sapienzia giunta con
eloquenzia, però che sai)ienzia sempre è tarda. Et questo appare
manifestamente in alcuno V 5. savio che non sia parlatore, dal quale se
noi domandassimo uno consiglio certe noUo darebbe tosto cosìe come se
fosse bene parlante. Ma se fosse savio e parlante inmantenente ne
farebbe credibile di quel che volesse. 3. Et in ciò che dice Tulio di
coloro che 'ntralasciano li studii di ragione 10. e d' officio,
intendo là dove dice « ragione » la sapienzia, e là dove dice « officio »
intendo le vertudi, ciò sono prodezza, giustizia e l'altre vertudi le
quali anno officio di mettere in opera che noi siamo discreti e giusti e
bene costumati. 4. Et però chi ssi parte da sapienzia e da le vertudi e
studia 15. pure in dire le parole, di lui adviene cotale frutto
che, però che non sente quel medesimo che dice, conviene che di lui
avegna male e danno a ssè et al paese, però che non sa trattare le propie
utilitadi uè Ile (i) comuni in questo tempo e luogo et ordine che
conviene. 5. Adunque colui che ssi 20. mette 1' arme d' eloquenzia
è utile a ssè et al suo paese. Per questa arme intendo la eloquenzia, e
per sapienzia intendo la forza; che sì come coli' arme ci
difendiamo da' nemici e colla forza sostenemo 1' arme, tutto
altressì per eloquenzia difendemo noi la nostra causa
dall'aversario 2.5. e per sapienzia ne sostenemo (2) di dire quello
che a noi potesse tenere danno. Et in questa parte è detta la
terzia parte del prologo di Tulio. 6. Dunque vae il conto alla
quarta parte del prologo, per provare ciò eh' è detto da- vanti et a
conducere che noi dovemo studiare in rettorica i : M Lande —
M' avacciatamente, ma L avacciamente — S: m si cci conv. — 0; m ODI.
cosio, M e' noi darebb»; cos'i tosto — 8- M' credibile quello, m di quello —
.)/' disse — 10: .Vi om. il 2' & — 12: .»/' et altro — 13: .»f' che
non siano — i4.- .V-m dall'altre ver- tufli — 15:m adiviene — 16 : jn a lini : solo L nelle ; (jli altri mss. e S nelli
(.)/' nel!) -- 19: M Adunque che colui — 22: M-m torma — M ne dil'ondono,
m noi ci difendiamo — 23: il l'armi - 23-24: Af difendo — m così altresì
la eloquenzia difendo noi dal nostro aversario la nostra cliausa — 25: m
om. ne; S non sostenemo — 26: m a noi potesse ave- jjire (li danno, .V
che noi potessimo tenere danno — 28-29: m dinanzi e; Jfi om. et.
(1) Cos'i richiede il senso; la lezione nelli ò nata certamente dall'aver
preso l'aggettivo comuni per un sostantivo. (2) Intendo ne
sostenemo = « ci tratteniamo, ci asteniamo », coni' è richiesto dal senso
e secondo gli esempii citati dal Vocabolario della Crusca. per avere
eloquenzia e sapienzia: e sopra ciò reca Tulio molti argomenti, li quali
debbono e possono così essere, e tali che conviene che sia pur così, e di
tali eh' è onesta cosa pur di cosi essere ; e sopra ciò ecco il testo di
Tulio in lettera grossa, e poi seguisce la disposta in lettera sot-
tile secondo la forma del libro. Tullio. 4i.
Dunque se noi volemo considerare il principio d'eloquenzia la quale sia
pervenuta in uomo per arte o per studio o per usanza lo. per forza
dì natura, noi troveremo che sia nato d'onestissime cagioni e che ssia
mosso d'ottima ragione, (e. li) Acciò che fue un tempo che in tutte parti
isvagavano gli uomini per li campi in guisa di bestie e conduceano lor
vita in modo di fiere, e facea ciascuno quasi tutte cose per forza di
corpo e non per ragione l.j. d'animo; et ancora in quello tempo la
divina religione né umano officio non erano avuti in reverenzia. Neuno
uomo avea veduto le- gittimo managio, nessuno avea connosciuti certi
figliuoli, né aveano pensato che utilitade fosse mantenere ragione et
agguallianza. E così per errore e per nescìtade la cieca e folle ardita
signorìa dell'animo, 20. cioè la cupìditade, per mettere in opera
sé medesima misusava le forze del corpo con aiuto dì pessimi
seguitatori. Lo sponitore. 1. In questa quarta
parte del prologo vogliendo Tulio dimostrare che eloquenzia nasce e
muove jper cagione e 2.5. per ragione ottima et onestissima, sì
dice come in alcuno tempo erano gli uomini rozzi e nessci come
bestie; e del- 3: ìl-m tale — .1/' jdii' che cosi sia - 4 :
m pure ili dovere così essere-, .1/' de pur essere — .5 J/ ' la
spositione — 9-tO: .»/' o per l'orca di natura o per usanca — H: m
d'ottime chagioni 7 ragione — 12: il-m in tempo — 13: it^ lor vita per li
campi in modo de bestie 7 de fiere — 14: i/' om. e [non p. r.| — 17 : M
maritaggio — M iihylosofi, m lilo- safi — 18: M j gualianoa - 19: il^-L
ignoranza, m necessitade — .»A' la cieca la folle 7 ardita — 20: M-m per
mette — M-m (fuivi susavano, l. masusavano — 21:31' seguitori — 23: M-1U
nm. quarta — 24: m om. e per ragione — 26: il' nefa, m noscii.
- 14 — l'uomo dicono li filosofi, e la santa scrittura il
conferma, che egli è fermamento di corpo e d' anima razionale, la
quale anima per la ragione eh' è in lei àe intero conoscimento delle
cose. 2. Onde dice Vittorino: Sì come menoma la forza 5. del vino per la
propietade del vasello nel quale è messo, cosie r anima muta la sua forza
per la propietade di quello corpo a cui ella si congiunge. Et però, se
quel corpo è mal di- sposto e compressionato di mali homori, la anima per
gra- vezza del corpo perde la conoscenza delle cose, sì che
10. appena puote discernere bene da male, sì come in tempo passato
neir anime di molti le W quali erano agravate de' pesi de' corpi, e però
quelli uomini erano sì falsi et indiscreti che non conosceano Dio né
lloro medesimi. Onde misusavano le forze del corpo uccidendo l'uno
l'altro, tol- 15. liendo le cose per forza e per furto, luxuriando
malamente, non connoscendo i loi'o proprii figliuoli né avendo
legittime mogli. 3. Ma tuttavolta la natura, cioè la divina
disposi- zione, non avea sparta quella bestialitade in tutti gli
uo- mini igualmente; ma fue alcuno savio e molto bello dici-
20. tore il quale, vedendo che gli uomini erano acconci a ra-
gionare, usò di parlare a lloro per recarli a divina conno- scenza, cioè
ad amare Idio e '1 proximo, sì come lo sponi- tore dicerà per innanzi in
suo luogo; e perciò dice Tulio nel testo di sopra che eloquenzia ebbe
cominciamento per 25. onestissime cagioni e dirittissime ragioni,
cioè per amare Idio e '1 proximo, che sanza ciò l' umana gente non
arebbe durato. 4. Et là dove dice il testo che gli uomini isvaga-
vano per li campi intendo che non aveano case né luogo, 1:
M' i figluoli (corretto poi lilosofi) — M' sucra — S : M' eh ehi ì\ l'ormato —
3: in- tero è in M'-L; il lùlo (incerto?), m inerito — 4: M Ondee — 7 : m
al (|uale — 8: M-m mali hiiomini — 9: m per la gravezza — .«' de corpo
iO: M bone dal mali', hi il bone dal male — il: M'-L animo — .V-m i quali
erano agravate, M'-L li quali orano aggra- vati — i2: W del peso de
corpi, L de' pesi del corpo — 13: .V in lor medesimo — 14: lU-m Ivi
susavano — 18: M-m nonn ào — M bestilitade — 10: M' oiii. savio o — SI: W
tralloro — 23: M' qa\ dinanzi - S4: W e cornine, >S ha cornine. — 26-27: »l'
non averla durata, L non avrìa durato — i« K colà. (1) È
lezione congetìurale, ma l'unica possìbile : le quali si cambiò
facilmente in li quali (o i quali) per effetto del molti che precedeva, e
da li quali, natural- mente, venne in M'-L anche il maschile angraoati
invece di aggravate. Che si tratti solo delle animo risulta da tutto il
periodo, e in particolare dallo parole - la anima per gravezza del corpo
». - 15 — ma andavano qua e là come bestie. 5.
Et là dove dice che viveano come fiere intendo che mangiavano carne
cruda, erbe crude et altri cibi come le fiere. 6. Et là dove dice «
tutte cose quasi faceauo per forza e non per ragione » 5. intendo che
dice « quasi » che non faceano però tutte cose per forza, ma alquante ne
faceano per ragione e per senno, cioè favellare, disidejare et altre cose
che ssi muovono dall' animo. 7. Et là dove dice che divina religione
non era reverita intendo che non sapeano che Dio (D fosse.
10. 8. Et là dove dice dell' umano ofiìcio intendo che non sa-
peano vivere a buoni costumi e non conosceano prudenzia né giustizia né
l'altre virtudi. 9. Et là dove dice che non mauteneano ragione intendo «
ragione » cioè giustizia, della quale dicono i libri della legge che
giustizia è perpetua e 15. ferma volontade d'animo che dae a
ciascuno sua ragione. IO. Et là dove dice « aguaglianza » intendo quella
ragione che dae igual i)ena al grande et al piccolo sopra li eguali
fatti. 11. Et là doye dice « cupiditade ■» intendo quel vizio eh' è
contrario di temperanza; e questo vizio ne -conduce 20. a
disidei-are alcuna cosa la quale noi non dovemo volere, et inforza nel
nostro animo un mal signoraggio, il quale noi permette rifrenare da' rei
movimenti. 12. Et là dove dice « nescitade » intendo eh' è nnone connoscere
utile et inutile; e però dice eh' è cupidità cieca per lo non
sapere, 25. e che non conosce il prode e '1 danno. 13. Et là dove
dice « folle ardita » intendo che folli arditi sono uomini matti e
ratti a ffare cose che non sono da ffare. 14. Et là dove dice « misusava
le forze del corpo » intendo misusare cioè i-2: M-m om. Et
là.... come licre — 3 : M erbi ciiiili, .1/' 7 erbe crude — 4-6: m l'a-
ceano quasi per forza; poi, saltando al 2° forza, continua: ma al([uanle ecc. —
7: .i/'-L dice quasi perciò ke ne faciano | tutte cose per forza 7 non
per ragione intendo Ice dice quasi, ma alquante ne faceano \ — 7: M' che
muovono — 9: M-m chi idio — 11: .1/' ne prudenza — 14: m' de legge —
14-15: m' ferma 7 perpetua voluntà — /": .1/ egual — 18: M'
mìsfacti — M lae — .V quello e poi rasura su cui altra mano scrisse
apetito, t quello che contrario, S quello appetito — 20: .V om. noi - 22:
M-m non permette M-m necessilade, .V ignoranza che non conosce il prode ol
danno ~ m intendo che non è — m dal danno — 27: .M-m e tratti, L orati —
2é?: J/ emusavano, jiiemisusavano — .u misusere, .V' misure, L misusare —
m che misusare è usare. Cioè « che Dio esistesse ». Così mi par
preferibile per il senso; e la lezione di M-m è facilmente spiegabile da
un che Mio diventato eh' idio, chi dio; è vero però che le ragioni
paleografiche varrebbero anche per il caso inverso. - 16
- usare in mala parte ; che dice Vittorino che forza di corpo
ci è data da Dio per usarla in fare cose utili et oneste, ma coloro
faceano tutto il contrario. Ora à detto lo sponi- tore sopra '1 testo di
Tulio le cagioni per le quali elo- 5- quenzia cominciò a parere. Omai
dicerae in che modo appario e come si trasse innanzi.
Tullio. 5. Nel quale tempo lue uno uomo grande e savio, il
quale cognobbe che materia e quanto aconciamento avea nelli animi
delli 10. uomini a grandissime cose chi Ili potesse dirizzare e
megliorare per comandamenti. Donde costrinse e raunò in uno luogo quelli
uomini che allora erano sparti per le campora e partiti per le
nascosaglie silvestre ; et inducendo loro a ssapere le cose utili et
oneste, tutto che alla prima paresse loro gravi per loro disusanza, poi T
udirò 15. studiosamente per la ragione e per bel dire; e ssì Ili
arecò umili e mansueti dalla fierezza e dalla crudeltà che aveano.
Lo sjaonitore. 1. In questa i)arte vuole Tulio dimostrare da
cui e come cominciò eloquenzia et in che cose ; et è la tema cotale
20. In quel tempo che Ila gente vivea così malamente, fue un uomo
grande per eloquenzia e savio per sapienzia, il quale cognobbe che
materia, cioè la ragione che l' uomo àe in sé naturalmente per la quale
puote l' uomo intendere e ragio nare, e l'acconciamento a fare
grandissime cose, cioè a 25. ttenere i)ace et amare Idio e '1
proximo, a ffai-e cittadi, castella e magioni e bel costume, et a ttenere
iustitia et a vivere ordinatamente se fosse chi Ili potesse
dirizzare, cioè ritrarre da bestiale vita, e mellioi-are per
comanda- menti, cioè per insegnamenti e per leggi e statuti che Ili
2: M' om. ci — 3-4: M-iii Or o della la sposilione — 5: M-m
loninciò (hi coro). 7 pare — M' oggimai — 6: M-m apparve — 8: il' uno
buono — iO: 31' adrinure — 12: M-m per campora — 12-13: M-w le nascose
selve 13: M-m et facciendo loro as- sapere — 14: M' grave - L'i: M' si Hi
recò — 16: M' crudelilà — 23: M-m nm. l'uomo — 24 : M-m el lo
ncomincianiento, L el chominciamenlo — 25: M'el ad amare ~ 26: M'
7datener — 27: M' chi le polesse adrifrure - m om. potesse — 28: M' enirare da
b. v. afrenasse (1). 2. Et qui cade una quistione, che
potrebbe alcuno dicere: « Come si potieno melliorare, da che non
erano buoni? >. A cciò rispondo che naturalmente era la ragione
dell'anima buona; adunque si potea migliorare nel 5. modo eh' è detto. 3.
Donde questo savio costrinse - e dice che i « costrinse » però che non si
voleano raunare - e raunò - e dice « raunò » poi che elli vollero. Che '1
savio uomo fece tanto per senno e per eloquenzia, mostrando belle ragioni,
assegnando utilitade e metendo del suo in 10. dare mangiare e belle
cene e belli desinari et altri piaceri, che ssi raunaro e patiero d'udire
le sue parole. Et elli in- segnava loro le cose utili dicendo: « State
bene insieme, aiuti l'uno l'altro, e sarete sicuri e forti; fate cittadi
e ville *. Et insegnava loro le cose oneste dicendo : « Il pic-
15. colo onori il grande, il figliuolo tema il suo padre » etc. 4.
Et tutto che, dalla prima, a questi che viveano bestial- mente paresser gravi
amonimenti di vivere a ragione et ad ordine, acciò eh' elli erano liberi
e franchi naturalmente e non si voleano mettere a signoraggio, poi,
udendo il bel dire 20. del savio uomo e considerando per ragione
che larga e li- bera licenzia di mal fare ritornava in lor gi"ave destruzione
et in periglio de l'umana generazione, udirò e miser cura a intendere
lui. Et in questa maniera il savio uomo li ri- trasse di loro fierezza e
di loro crudeltade - e dice « fierezza » perciò che viveano come fiere; e dice
« crudeltade » perciò che '1 padre e '1 figliuolo non si conosceano,
anzi uccidea l'uno l'altro - e feceli umili e mansueti, cioè vo-
lontarosi di ragioni e di virtudi e partitori (2) dal male.
1 : m rafrenasse, S affrenassono — J/ " Et acade, L e ecci una (\. —
2 : il poneno (cerio per falsa lettura di potieno; cfr. Wiese in Zeilsch.
f. Rom. Pini., VII, 330, g i33), m il' poteano — 4: m dunque — 6: it-iii
om. che i — 9: W l'utilitade — i^l' metendo '1 suo - 10: m mangiare cene
e desinari 19: il sottomettere — 20-23: it-m om. e considerando.... il
savio uomo — 23-24: m si ritrassono — 24: il lore fier., M' lor fior, — me
dalloro crud. — 24-25: H-m om. e dice.... crudeltade — 26: il' e li
figluoli (ma L el figliuolo) - 28: il' partito, l. e'dipirtironsi, s
partiti. (1) Parrebbe preferibile la lezióne di &'; ma è
significativo il fatto che tutti i mss. abbiano il singolare. Invece di
condannarlo come corruzione comune, basta pensare che sostantivi astratti
come « insegnamenti, leggi e statuti » siano con- siderati formanti un
complesso unico, sì da farli equivalere al singolare (p.es. «ciò»); e
quest'uso del verbo è attestato da un altro passo di Brunetto, IO, 3, e dal
Varchi, Ercolano, ediz. Bottari (Firenze, 17.S0), p. 225. (2)
Senza ricorrere ai facili accomodamenti, conservo la lezione di M inten-
dendo « partitore » in senso riflessivo : « colui che si parte, che si
allontana ». Cfr. Manuzzi, s. V., § 2. - 18 —
5. Or à detto Tulio chi cominciò eloquenzia et intra cui e come; or
dicerà per che ragione, eanza la quale non potea ciò fare.
Tullio. 5. 6. Per la qual cosa pare a me che Ha sapienzia
tacita e povera di parole non arebbe potuto fare tanto, che così
subitamente fossero quelli uomini dipartiti dall'antica e lunga usanza et
informati in diverse ragioni di vita. Lo sponitore.
10. 1. In questa parte dice Tulio la ragione sanza la quale
non si potea fare ciò che fece '1 savio uomo; e dice « sa- pienzia
tacita » quella di coloro che non danno insegna- mento per parole ma per
opera, come fanno ' romiti. Et dice « povera di parole » per coloro che
'1 lor senno non 15. sanno addornar di parole belle e piene di
sentenze a ffar credere ad altri il suo parere. Et per questo potemo
in- tendere che picciola forza è quella di sapienzia s'ella nonn è
congiunta con eloquenzia, e potemo connoscere che sopra tutte cose è
grande sapienzia congiunta con eloquenzia. 20. 2. Et là dove dice «
così subitamente » intendo che quello savio uomo arebbe bene potuto fare
queste cose per sapien- zia, ma non cosi avaccio né così subitamente come
fece abiendo eloquenzia e sapienzia. (i) Et là dove dice « in di-
verse ragioni di vita » intendo che uno fece cavalieri, un 25.
altro fece cherico, e così fece d'altri mistieri. Tullio.
7. Et così, poi che Ile cittadi e le ville fuoron fatte, impreser
gli uomini aver fede, tener giustizia et usarsi ad obedire l'uno l'altro
per propia volontarie et a sofferire pena et affanno non solamente
2 : M-m om. e come — sanza (luale — 5: M-m Per ((ualcosa - 7 : M'
luioniiiii quelli — 13: M' i romiti, m li romiti — 14: M-m alloro senno,
L in loro senno — i7: M-m om. che — i9: M' giunta — 22: Af' si avaccio —
23: M-m om. e sapienzia — 28: m ad avere lede 7 tenere.... adusarsi — M
l'uno a l'altro. (1) A qualcuno e sapienzia potrà sembrare
un'aggiunta arbitraria; ma siccome non è inutile, preferisco
mantenerlo. per la comune utilitade, ma voler morire per essa mantenere.
La qual cosa non s'arebbe potuta fare d) se gli uomini non avessor
po- tuto dimostrare e fare credere per parole, cioè per eloquenzia, ciò
che trovavano e pensavano per sapienzia. 8. Et certo chi avea forza
e 5. podere sopra altri molti non averla patito divenire pare di
coloro ch'elli potea segnoreggiare, se non l'avesse mosso sennata e
soave parladura; tanto era loro allegra la primiera usanza, la quale
era tanto durata lungamente che parea et era in loro convertita in
natura. Donde pare a me che così anticamente e da prima nasceo 10. e
mosse eloquenzia, e poi s'innalzò in altissime utilitadi delli uo- mini
nelle vicende di pace e di guerra. Lo sponitore. I. In
questa parte dice Tulio che cciò che sapienzia non avrebbe messo in
compimento per sé sola, ella fece 15. avendo in compagnia
eloquenzia; e però la tema èe cotale: Si come detto è davanti, fuoro gli
uomini raunati et inse- gnati di ben fare e d'amarsi insieme, e però
fecero cittadi e ville; poi che Ile cittadi fuor fatte impresero ad
avere fede. 2. Di questa parola intendo che coloro anno fede che
20. non ingannano altrui e che non vogliono che lite né di- scordia
sia nelle cittadi, e se vi fosse sì la mettono in pace. Et fede, sì come
dice un savio, è Ila speranza della cosa promessa; e dice la legge che
fede è quella che promette l'uno e l'altro l'attende. Ma Tulio medesimo
dice in un 25. altro libro delli offici che fede è fondamento di
giiistizia, veritade in parlare e fermezza delle promesse; e questa
ée quella virtude eh' é appellata lealtade. 3. E così sommata-
mente loda Tulio eloquenzia con sapienzia congiunta, che 2:
ilf'-£ potuto - M' om. non — 4: Jlf> Certo — 5: M-m vinavea charebbono
potuto divenire paii — 6: M-m chelli poteano, M^-L cui potea — M-m santa
— 7: M^-L allegrezza — 8-9 : M era converita la loro natura, m era
convertila in loro natura — 9 : m onde — 14-15: M^ il fece in compagnia
d'eloquentia.... si ò cotale — 16: M-m detto oe dinanci 19: 3/' fede, 7
di q. p. — PO : M^ om. e — M' o discordia — 21-22: M-m in pace et in fede
— m om. è - 23: M^ quello, ma L quella — 26: M-m et intermezza — M' de-
lenpromesse — 27: M legheltade (?«a cfr. Texor., XVII, 15) — M somatamente, m
asommatam. 28 : M' congiunta con sapienzia. (1) Sarà certo da
legger così, e non sarebbe si sarebbe, poiché di quest'uso dell'
ausiliare avere presso gli antichi non mancano esempli sicuri : cfr. la
nota di M. Barbi nella sua ediz. della Vita Nuova, xxxvii, 2, e ciò che
aggiunse il Parodi in Bullett. della Soc. Bant., N. S., XXI, 67-68. Lo
stesso si dica per s'areb- hono del commento, § 3. -
20 — sanza ciò le grandissime cose non s'arebbono potute met-
tere in compimento, e dice che poi àe molto de ben fatto in guerra et in
pace. Et per questa parola intendo che tutti i convenenti de' comuni e
delle speciali persone corrono per 5. due stati o di pace o di guerra, e
nell' uno e nell'altro bi- sogna la nostra rettorica sì al postutto, che
sanza lei non si potrebbono mantenere. Tullio. 9.
Ma poi che Ili uomini, malamente seguendo la vìrtude sanza 10. ragione
d'officio, apresero copia di parlare, usaro et inforzaro tutto loro
ingegno in malizia, per che convenne che ile cittadi sine gua- stassero e
li uomini si comprendessero di quella ruggine, (e. Ili) Et poi che detto
avemo la cumincianza del bene, contiamo come cuminciò questo male.
15. Lo sponitore. 1. Poi che Tulio avea detto davanti i beni
che sono advenuti per eloquenzia, in questa parte dice i mali che
sono advenuti per lei sola sanza sapienzia; ma perciò che Ila sua
intentione è più in laudarla, sì appone elli il male 20. a coloro
che Ila misusano e non a Ilei. 2. Et sopra ciò la tema è cotale: Furono
uomini folli sanza discrezione, li quali, vegga ndo che alquanti erano in
grande onoranza e montati in alto stato per lo bell.o parlare ch'usavano
se- condo li comandamenti di questa arte, sì studiaroO solo in
25. parlare e tralasciare lo studio di sapienzia, e divennero sì
copiosi in dire che, per l'abondanza del molto parlare sanza condimento
di senno, che (2) cumìnciaro a mettere 1 : M-m cioè — 2:
M-in che poi {ni, om. poi) a molli a Dio ben facto — -J: M om. i — 5: M'
duri stali — i 1 : M conviene, M' conveiiia — IS: M-m om. e li uomini si
compren- dessero — 13: M \a cunincianza (e cluininciò)3/' il
cuminciamento — 16: m ave... dinanzi — 18: M^ dopo advenuti ripete
per eloquenlia in quesUi parte (ma ri son trticiie di etpun- zione) — 19:
m om. elli — 20: M El perciii — 24: M' il comandamento.... studiavano
— 25 : ilf intralassai-o, m e lasciaro - 20: M' de molto — 27: m om.
elio. (1) Invece di si studiavo credo preferibile studiavo in senso
assoluto, come già si è trovato, 3, § 4: « e studia puro in dire le
parole *. (2) Sintatticamente questo che ò pleonastico; ma ò
attestato da ambedue le famiglie di codici e non costituisce una rarità
per il nostro volgare antico (anzi, per Brunetto stesso, cfr. IO, 1: «
avegna che... ma tutta volta»). - 21 - sedizione
e distruggi mento nelle cittadi e ne' comuni et a corrompere la vita
degli uomini; e questo divenia però ch'ellino aveano sembianza e vista di
sapienzia, della quale erano tutti nudi e vani. 3. Et dice Vittorino che
eloquenzia 5. sola èe appellata « la vista », perciò che ella fae parere
che sapienzia sia in coloro ne' quali ella non fae dimoro. Et
queste sono quelle persone che per avere li onori e F utti- litadi delle
comunanze parlano sanza sentimento di bene; così turbano le cittadi et
usano la gente a perversi costumi. 10. 4. Et poi dice Tulio: Da che noi
avemo contato '1 principio del bene, cioè de' beni che avenuti erano per
eloquenzia, si è convenevole di mettere in conto la 'ncumincianza
del male chende seguitò. Et dice in questo modo nel testo :
Tullio tratta della comincianza del male 15. adveniito per
eloquenzia. 10. Et certo molto mi pare verisimile: in alcuno tempo
gli uomini che non erano parlatori et uomini meno che savi non usa-
vano tramettersi delle publiche vicende, e che W gli uomini grandi e savi
parlieri non si trametteano delle cause private. E con ciò 20.
fosse cosa che sovrani uomini regessero le grandissime cose, io mi penso
che furo altri uomini callidi e vezzati i quali avennero a trattare le
picciole controversie delle private persone; nelle quali controversie
adusandosi gli uomini spessamente a stare fermi nella bugia incon- tra la
verità, imperseveramento di parlare nutricò arditanza 25. 11. Sì
che per le 'ngiurie de' cittadini convenne per necessitade che'
maggiori si contraparassono agli arditi e che ciascuno atoriasse le sue
bisogne; e così, parendo molte fiate che quello eh' avea impresa sola
eloquenzia sanza sapienzia fosse pare o talora più innanzi che quello che
avea eloquenzia congiunta con sapienzia, i-2: m nelle loro
ciltadi — M' om. et a corr.... uomini — 2: m avenia — 3 kelli aveano
sombianca de giusta sap. — 4: m om. Et — 6: M' li quali — 7: M' questi — 10: m
om. Et — 11: M' bone kavenuto era - 12: 1/' il cominciamento — i3: Jlf
chende seguita, j/i che ne seguita - 16: M et certo mo, la Certo modo M
meno di savi, m ch'erano meno che savi — 17-18: M-m non sapeano, L non
osavano — M-m om. e — 19: Jlf sin- trametteano dele cose — 21: M-m om.
uomini — M verrali — 3f' vennero — 22: M' om. delle pr.... controversie —
23: M-m om. spessamente — 24: M' il persev. - 26: M' aiutasse m adornasse
— 29: M' giunta. (1) Un costrutto più regolare si avrebbe
sopprimendo il che o inserendone un altro dopo verisimile; appunto. per
questo conservo' il che, non sembrando proba- bile che un copista volesse
complicare di suo. Questa maggiore libertà sintattica non è nuova.
- 22 — aveni'a che, per giudicio di moltitudine di
gente e di sé medesimo paresse essere (i) degno di reggiere le publiche
cose. 12. E certo non ingiustamente, poi che' folli arditi
impronti pervennero ad avere reggimenti delle comunanze, grandissime
e 5. miserissime tempestanze adveniano molto sovente; per la qual
cosa cadde eloquenzia in tanto odio et invidia che gli uomini
d'altissimo ingegno, quasi per scampare di torbida tempestade in sicuro
porto, così fuggiendo la discordiosa e tumultuosa vita si ritrassero ad
al- cuno altro queto studio {"). Per la qual cosa pare che per la
loro posa 10. li altri dritti et onesti studii molto perseverati
vennero in onore. 13. Ma questo studio di rettorica fue abandonato quasi
da tutti loro, e perciò tornò a neente, in tal tempo quando più
inforzatamente si dovea mantenere e più studiosamente crescere; perciò
che quando più indegnamente la presumptione e l'ardire de' folli impronti
mani- 15. mettea e guastava la cosa onestissima e dirittissima con
troppo gravoso danno dei comune, allora era più degna cosa contrastare
e consigliare la cosa publica. (e. I V) Della qual cosa non fugìo il
nostro Catone né Lelius né, al ver dire, il loro discepolo Àffricano, né
i Gracchi nepoti d' Àffricano, ne' quali uomini era sovrana virtude
et 20 altoritade acresciuta per la loro sovrana virtude; sì che la
loro eloquenzia era grande adornamento di loro et aiuto e
mantenimento della comunanza. Lo sponitore. 1. In
questa parte divisa Tulio come divennero quelli 25. due mali, cioè
turbare il buono stato delle cittadi e cor- rompere la buona vita e
costumanza delli uomini; et avegna che '1 suo testo sia recato in sie
piane parole che molto fae da intendere tutti, ma tutta volta lo
sponitore dirae alcune parole per più chiarezza. 2. Et è la tema cotale:
La elo- 1 : M-m avogiia — 2: M per essoi-o degno d'essere 7
di reggiere, M' paresse degno de reggere — 3: M' poi ke fuor iaiditi in
pronti, m enpronti — 4-5 : M' pervennero i reggìm. — 7 de miserissime
tempeste — spessamente — 7 : M' lempcstande — * : M-m la discordia (m
echontumulosa) — 9 : Tutti i mss. questo, S posato - M-m possa — i i : itf '
do tutto loro " i4: M dì [olii — 18-19: M ne nelilio - M-m om. nò i
G. n. d'AII'ricano — Jlf' erano sovrane vertudi — 26: M' la vita 7 la
buona costumanca - 27: M< suo stato — m in se — 28: itf' om. tutti, ma
— M' alcuna parola — S9: Af' Et la tema 6 cotale. De la el. ecc.
(1) È possibile tanto la lezione di Af quanto quella di m; ma proferisco
questa perchè corrisponde alle parole del commento, § 6: « pareano essere
degni». (2) Il testo latino ha studium aliquod quieUtm. Lo scambio
di queto por questo era facilissimo, e forse risalo r.llo iirimo
copio. - 23 - quenzia mise in sì alto stato i
parladori savi e guerniti di senno, che per loro si reggeano le cittadi e
le comunanze e le cose publiche, avendo le signorie e li officii e li
onori e le grandi cose, e non si trametteano delle cause private,
cioè 5. delle vicende delli uomini speciali, né di fare lavoriere
(i) né altre picciole cose. Ma erano altri uomini di due maniere:
l'una che non erano parlatori, l'autra che non aveano sa- pienzia, ma
erano gridatori e favellatori molto grandi; e questi non si trametteano
delle cose publiche, cioè delle 10. signorie e delli officii e
delle grandi cose del comune, ma impigliavansi a trattare le picciole
cose delle private per- sone, cioè delli speciali uomini. 3. Intra' quali
furono alcuni calidi e vezzati - cioè per la fraude e per la malizia che
in loro regnava parea ch'avesse in loro sapienzia-; e questi
15. s' ausarono tanto a parlare che, per molta usanza di dire
parole e di gridare sopra le vicende delle speciali persone, montare in
ardimento e presero audacia di favellare in guisa d'eloquenzia tanto e sì
malamente che teneano la menzogna e la fallacia ferma contra la veritade.
4. Onde, 20. per li grandi mali che di ciò adveniano, convenne
che' grandi, ciò sono i savi parladori che reggeano le grandi cose,
venissero et abassassero a trattare le picciole vicende di speciali
persone, per difendere i loro amici e per conta- stare a quelli arditi.
Et nota che arditi sono di due ma- 25. niere : l' una che pigliano
a fifare di grandi cose con prove- dimento di ragione, e questi sono
savi; li altri che pigliano a ffare le grandi cose sanza provedenza di
ragione, e questi sono folli arditi. 5. Donde in questo contrastare i
buoni e savi parlavano giustamente, ma i folli arditi, che non
aveano 30. studiato in sapienzia ma pure in eloquenzia, gridavano
e garriano a grandi boci e non si vergognavano di mentire e di dire
torto palese; sicché spessamente pareano pari di senno e di parlare e
talvolta migliori. Sì che per sentenza 4 : M' om. e non s.
t. d. cause — 5: M-m ont.aò — 6: m odaltre p. o. — 7 ■■ M< parliei-i —
iO: M' de comuni —11: M' dele piccole cose — 13-14 : M' cioè che jier la lYaude
ecc. parean (/^ parea) cavassero sapienlia— lo.- 3f< pei' la molta —
17: M^ presero baldanza — 19: M' con- tro alla verità — 20: A/' ohi. che
d. e. adveniano — m avenia — 21 :M' savi e parladori — m le cittadi — 23:
M' appilgliano a taro le g. e. — 26: M^ om. di ragione — L l'altra — 27:
L provedimento — 31-32: Me dire,moHi. mentire e di — 33:M' talocta m. visi che
p.s (1) Cosi leggo con M, piuttosto che lavogarie di ilf' o
lavorìi di m: oltre a lavareria, il Manuzzi registra esempii di
lavoriera. - 24 - del popolo, la quale è
sentenzia vana perciò che non muove da ragione, e per sentenza di sé medesimo,
la quale è per neente, pareano essere degni di covernare le publiche e
le grandi cose, e così furo messi a reggere le cittadi et alli 5.
officii et onori delle comunanze. 6. Et poi che cciò avenne, non fue
meraviglia se nelle cittadi veniano grandissime e miserissime tempestadi.
Et nota che dice « grandissime » per la quantità e che duraro lungamente,
e dice « mise- rissime » per la qualitade, ch'erano aspre e perilliose
chende 10. moriano le persone ; e dice « tempestanza » per
similitudine, che sì come la nave dimora in fortuna di mare e
talvolta crescono (i) in tanto che perisce, così dimora la cittade
per le discordie, et alla fiata montano sicché periscono in sé
medesime e patono distruzione. 7. « Per la qual cosa elo- 15.
quenzia cadde in tanto odio et invidia »... Et nota che odio non é altro
se nno ira invecchiata; e così i buoni savi erano stati lungamente irosi,
veggiendo i folli arditi segnoreggiare le cittadi. Et invidia è aflizione
che omo àe per altrui bene; donde i buoni savi aveano molta aflizione per
coloro ch'erano 20. segnori delle grandi cose et erano in onore. 8.
Et perciò li buoni d'altissimo ingegno si ritrassero di quelle cose
ad altri queti studii per scampare della tumultuosa vita in sicuro
porto. Et nota: là dove dice « altissimo ingegno » dimostra bene eh'
arebboro potuto e saputo contrastare 25. a' folli arditi, e perciò
che no '1 fecero furo bene da ripren- dere. Et in ciò che dice « queti
studi » intendo l' altre scienze di filosofia, sì come trattare le nature
delle divine cose e delle terrene, e sì come l'etica, che tratta le
virtudi e le costumanze; et appellali « queti studii » che non
trat- 30. tano di parlare in comune, e perciò che ssi stavano
partiti dal remore delle genti. Et appella « vita tumultuosa » che
2: Jl/i per ragione ~ 4: M furoro, M^ fuoro — 7 : M-m
ismisuratissime ~ 8: SI durano, m duravano — 9: M' quantitade.... s\
elione moriano - 10: M' tempestade — 14: M' medesimo ~ 15: m om. Et — 16:
m buoni e savi — 18: m om. Et — m i'uomo... l'al- trui — SO: M> et in
lionore erano — m ad altre — M-m questi, M' certi — 23 : M' om. Et noia
la dove — 25 : M-m non fecero — 26 : Tutti i mss questi — 27 : M de
trattare — 28: M-m sicome dice che l. — 29: M^ appellasi, L appellansi — mss.
questi — (1) Cosi hanno tutti i codici; ma forse dopo crescono è
andato perduto un sog- getto, richiesto dal senso o dalla sintassi, come
i venti o l'onde (abbiamo anche altrove la prova che le due famiglie di
codici risalgono a un capostipite già corrotto). Pure non sarebbe impossibile
sottintendere dal precedente fortuna un soggetto le fortune.
- 25 - spessamente l'iiuo uomo assaliva l'altro in cittade
coll'arme e talvolta l'uccideva. 9. Et poi che' savi intralassar lo
studio d'eloquenzia, ella tornò ad neente e non fue curata uè pre-
giata. Ma l'altre scienzie di filosofia, nelle quali studiaro, 5. montaro
in grande onore. 10. Et ora riprende Tulio questi savi e dice che fecior
questo a quel tempo che eloquenzia avea più grande bisogno per lo male
che faceano i folli arditi nelle cittadi, e perchè guastavano la cosa
onestis- sima e dirittissima, cioè eloquenzia che ssi pertiene alle
10. cose oneste e diritte. U. Dalla qual cosa non fugio il nostro
Catone né quelli altri savi ch'amavano drittamente il co- mune et aveano
senno e parlatura; ma dimoraro fermi a consigliare et a difendere il
comune da'garritori folli ar- diti; e però montaro in onore et in istato
sì grande che 15. le loro dicerie erano tenute sentenze, e perciò
dice che in loro era autoritade, che autoritade èe una dignitade
degna d' onore e di temenza. 12. Ma da questo si muove il conto e
ritorna a conchiudere per ragioni utili et oneste e pos- sibili e
necessare che dovemo studiare in eloquenzia, e 20. lodala in molte
guise. Tullio conclude che sia da studiare in rettorica.
14. Per la qual cosa, al mio animo, non perciò meno è da mettere
studio in eloquenzia s' alquanti la misusano in publiclie et in private
cose; ma tanto più clie ' malvagi non abbiano troppo di 25. podere
con grave danno de' buoni e con generale distruzione di tutti.
Maximamente cun ciò sia la verità che rettorica è una cosa la quale molto
s'appartiene a tutte cose, è publiche e private, e per essa diviene la
vita sicura, onesta, inlustre e iocunda; e per essa medesima molte
utilitadi avengono in comune se fia presta la modonatrice di tutte
30. cose, cioè sapienzia; e per lei medesima abonda a coloro che
H'acqui- stano lode, onore, dignitade; e per essa medesima anno li
amici certissimo e sicurissimo aiutorio. 1: M-m spesse
volte — 2: m tralassaro — 8: m le chose honestissime — 10: M (Iride, m
diritte — 3f' Dela q. e. — 11: M' dirittamente, m om. — 12: M' dimorato y
f. — 13: M 7 folli arditi, £ e da f. a. — 14: M^ J montaro perciò — 18: m e
torna, M 7 condoura tornerà per ragioni, L e mosterrà per rag. — Jlf-;»
honesti ~ 19: M -m ne- cessarie— 20: m lodarla — ^3: M* misuna, corretto
poi misusa — 27: M' molto pertièno devegna — 28: M> y hon. 7 illustra
7 gioconia, m illustra — 29: M sia — 31: M^-m 7 honore 7 dignitade.
26 - Lo sponitore. 1. La tema di
questo testo è cotale, (H che dice Tulio: Se alquanti di mala maniera
usano malamente eloquenzia, non rimane pertanto che 11' uomo non debbia
studiare in 5. eloquenzia, al mio animo (cioè per mia sentenza),
acciò che ' rei uomini non abbiano podere di malfare a' buoni né di
fare generale distruzione di tutti. Et nota che di- strutti sono coloro
che soleano essere in alto stato et in ricchezza e poi divennero in tanta
miseria che vanno men- 10. dicando. 2. Et poi dice le lode di
rettorica, come tocca al comune et al diviso, e come per lei diviene
l'uomo sicuro, cioè che sicuramente puote gire a trattare le cause, et
ap- pena troverai (2) chi '1 sappia contradiare ; e dice chende diviene
la vita « onesta », cioè laudato intra coloro che '1 15.
cognoscono; e dice «illustre», cioè laudato intra li strani; e dice «
ioconda », cioè vita piacevole, però che ' savi par- lieri molto
piacciono ad sé et altrui. 3. Et altressi molto bene n'aviene alle
comunanze jier eloquenzia, a questa con- dizione : se sapienzia sia
presta, cioè se ella sia adiunta con 20. eloquenzia. Et dice che
sapienzia è amodenatrice di tutte cose però che ella sae antivedere e
porre a tutte cose certo modo e certo fine. 4. Et poi dice che questi che
anno elo- quenzia giunta con sapienzia sono laudati, temuti et
amati; e dice che Ili amici loro possono di loro avere aiutorio si-
25. curissimo, però che appena fie chi Ili sappia contrastare,
poiché sanno parlare a compimento di senno. Et dice « cer- tissimo » però
che '1 buono e '1 savio uomo non si lascia 2: M-m Lo testo
èe cotale, M'-L La tema de questo è cotale — 3: M' aliijuanti — 6: M' de
fare male — 7: m om. nota — 9: il' divegnono — 11: M huomo siguro — 13:
M' troverà — 14: M-m laudata.... che cognoscono — 15: M' illustra, L illustro
— 17: A/' ad altri — M-m nm. Et altressi e n— 19: Hin presta — M' giunta
— 21 :M siae ad intivedere, m a ad antivedere — 22: m om. Et — 23: M^ 7
temuti — 25: m Tia chelli sappia, M' fie chelli il sappia — 37: M non so
lascia. Anche la lezione di ilf è possibile, ma forse nacque da un
accomodamento arbitrario del testo già corrotto. Invece quella di M' è
spiegabilissima collomis- sione della parola testo (la somiglianza con
questo rese più facile l' errore) e riceve conforma dal principio del
capitolo seguente, con quell'uniformità di espressione che è
caratteristica di tutto il commento. (2) Troverai è preferibile
come « lectio difflcillor ». Del resto anche in M' po- trebbe trattarsi
non di troverà, ma troverà'. - 27 - corrompere
per amore ne per prezzo né per altra simile cosa. Et qui si parte il
conto e fae nn' ultima conclusione in questo modo: Tullio
conclude in somma. Et però pare a me che gli uomini, i quali in molte
cose sono minori e più fievoli che Ile bestie, in questa una cosa
l'avan- zano, che possono parlare ; e donque pare che colui conquista
cosa nobile et altissima il quale sormonta li altri uomini in quella me-
desima cosa per la quale gli uomini avanzano le bestie. La tema in questo
testo è cotale : La veritade è che gli uomini in molte cose sono minori
che Ile bestie e più fievoli, acciò che sanza fallo il leofante e molti
altri ani- mali sono più grandi del corpo che nonn è l'uomo; e
certo 15. il leone e molte altre bestie sono più forti della
persona che ir uomo; e più ancora che in tutti e cinque ' sensi
sono certi animali che avanzano lo senso dell'uomo. Che sanza fallo
lo porco salvatico avanza l'uomo d'udire e '1 lupo cerviere del vedere e
la scimmia del saporare, e l'avóltore 20. dell' anasare ad odorare,
e '1 ragnol del toccare. 2. Ma in questa una cosa avanza 1' uomo tutte le
bestie et animali, che elli sa parlare. Donque quello uomo acquista bene
la sovrana cosa di tutte le buone, che di ben parlare soprastae
alli altri uomini. 25. Tullio dice di che elli tratterà-
16. Et questa altissima cosa, cioè eloquenzia, non si acquista
solamente per natura né solamente per usanza, ma per insegnamento d'arte
altressi. Donque non è disavenante di vedere ciò che dicono coloro i
quali sopra ciò ne lasciaro alquanti comandamenti. Ma anzi
S: il-m un'altra condictione — 7 : M' costui — il-m conquesta — 8: M-m la
quale; om. li — 9 : )» om. cosa e gli uomini — 11: il' de questo t. — 12:
M' molti huomini.... minori 7 più fievoli chelle bestie — 15: U-m om.
altre — 16: M' che tucti — 19-20: M-m 7 l'avóltore dell'odore, M']j
lavoltoio delanasare adodorare, L del savorare e odorare, S et l'avoltoio
del nasare et d'odorare — M-M' 7 rangnol, m il rangnolo (ohi. tulli gli e), L a
ra- gnolo — M'-L ne! toccare — 22: M' chelli sanno - 25: M dico che {ma
cfr. ^ \) — 27 : M' per la natura — 2S: M-m nm. d'arte — 29: m
certi. — 28 — che noi diciamo ciò che ssi
comanda in rettorica, pare che sia a trattare del genere d' essa arte e
del suo officio e della fine e della materia e delle sue parti; imperochè
sapute e cognosciute queste cose, più di legieri e più isbrigatamente
potrà l'animo di ciascuno 5. considerare la ragione e ia via
dell'arte. Lo sponitore. 1. Poi che Tulio avea lodata
Rettorica et era soprastato alle sue commendazioni in molte maniere, sì
ricomincia nel suo testo per dire di che cose elli tratterà nel suo
libro. 10. Ma prima dice alcuni belli dimostramenti, perchè l'animo
di ciascuno sia più intendente di quello che seguirà, e così pone fine al
suo prolago e viene al fatto in questo modo: Tullio ae fiìiito il
prolago, e comincia a dire di eloquenzia. Una ragione è delle cittadi la
quale richiede et è 15. di molte cose e di grandi, intra Ile quali è una
grande et ampia parte l' artificiosa eloquenzia, la quale è appellata
Rettorica. Che al ver dire né cci acordiamo con quelli che non credono
che Ila scienzia delle cittadi abbia bisogno d'eloquenzia, e molto ne
discordiamo da coloro che pensano ch'ella del tutto si tegna in forza et
in arte del 20. parladore. Per la qual cosa questa arte di rettorica
porremo in quel genere che noi diciamo ch'ella sia parte della civile scienzia,
cioè della scienzia delle cittadi. Lo sponitore.
I. In questa parte del testo procede Tulio a dimosti-are 25.
ordinatamente ciò che elli avea promesso nella fine del pro- lago. Et
primamente comincia a dicere il genere di questa arte. Ma anzi che Ho
sponitore vada innanzi sì vuole fare intendere che è genere, perchè l'
altre parole siano meglio intese. 2. Ogne cosa quasi o è generale, sicché
comprende 30. molte altre cose, o è parte di quella generale. Onde
questa 1-2: M' (la tratto, poi corr. da trattar.; — 3: M-m
generalmente della decta- arte — 3: m però che - 4: M-m più diligente, M'
nm. più — 8: M A rinconincia — 11 : M' (luelle, ma L quello — 14-13: M'-L
richiede molte cose grandi — 16: M-m cai ver diro — 18: M-m abbiano — 30:
M-m [lorromo quel genero — SG: m quella — S8: M-m y perchè — 29: M ìì
quasi generale, m è quasi geu. — 30: M onde jvirte quella gen.
parola, cioè « uomo », è generale, per ciò che comprende molti,
cioè Piero e Joanni etc, ma questa parola, cioè « Piero, » è una parte- A
questa somiglianza, per dire più in volgare, si puote intendere genere
cioè la schiatta; che 5. chi dice « i Tosinghi » comprende tutti coloro
di quella schiatta, ma chi dice « Davizzo » non comprende se no una
parte, cioè un uomo di quella schiatta. 3. Onde Tulio dice di rettorica
sotto quale genere si comprende, per meglio mostrare il fondamento e Ila
natura sua. Et dice così che Ila 10. ragione delle cittadi, cioè il
reggimento e Ila vita del co- mune e delle speciali persone, richiede molte
e grandi cose, in questo modo: che è in fatti e 'n detti. 4. In fatti è
la ra- gione delle cittadi sì come l'arte W de' fabbri, de' sartori,
de' pannar! e l' altre arti che si fanno con mani e con piedi. In
15. detti è la rettorica e l'altre scienze che sono in parlare.
Adonque la scienza del covernamento delle cittadi è cosa generale sotto
la quale si comprende rettorica, cioè l'arte del bene parlare. 5. Ma anzi
che Ilo sponitore vada più in- nanzi, pensando che Ha scienza delle
cittadi è parte d' un 20. altro generale che muove di filosofia, sì
vuole elli dire un poco che è filosofia, per provare la nobilitade e
l'altezza della scienzia di covernare le cittadi. Et provedendo ciò
ssi pruova l'altezza di rettorica. 6. Filosofia è quella sovrana
cosa la quale comprende 25. sotto sé tutte le scienze; et è questo
uno nome composto di due nomi greci : il primo nome si è phylos, e
vale tanto a dire quanto « amore », il secondo nome è sophya, e
vale - tanto a dire quanto « sapienzia ». Onde « filosofia » tanto
vale a dire come « amore della sapienzia » ; per la qual cosa
neuno 30. puote essere filosofo se non ama la sapienzia tanto eh'
elli intralasci tutte altre cose e dia ogne studio et opera ad avere
(2) intera sapienzia. Onde dice uno savio cotale difiì- / ■
M-m cioè che comprende — 2: Af' nm. o J cioè Piero — 5: M' ovi. chi —
4-6: m om. tutto il passo da che « quella schiatla — 8: m om. per — 9: M^
demostrare — 10: jU' i reggimenti — 12: M-m om. che b — 13: Af ' l'arti
(ma anche L l'arto) — m e de'pan- nali, .)/ 7 de sartori de panni —
16-17: m o parte d'un altro generale — 1M' de ben p. — 20: M in podio —
22: m om. della scienzia, 3/' niii. della scienzia l'al- tezza — 25: M
sotto di sé — 26: m fue fdos, .W filis — 27 : m om. nome — 29: M^ de la
scienza — 31: M-m tuote l'altre — J/' 7 da ~ 32: M-m. ad amare —' M'
Donde. (1) Anche arte potrebbe essere qui un plurale, come in
Tesar., X, 39-40; però lo ronde poco probabile la forma arti che subito
segue. (2) La lezione amare di M-m fu certo suggerita dai
precedenti amore e ama, e basterebbe a farla rifiutare la ripetizione di
concetto a cui si riduce. - 30 - nizione di
filosofia : ch'ella è inquisizione delle naturali cose e connoscimento
delle divine et umane cose, quanto a uomo è possibile d' interpetrare. Un
altro savio dice che filosofia è onestade di vita, studio di ben vivere,
rimembranza della 5. morte e spregio del secolo. Et sappie che
diflfinizione d'una cosa è dicere ciò che quella cosa è, (i) per tali
parole che non si convegnano ad un' altra cosa, e che se tu le
rivolvi tuttavia signiffichino quella cosa. Per bene chiarire sia questo
l'exemplo nella diffinizione dell'uomo, la quale 10. è questa: «
L'uomo è animale razionale mortale ». Certo queste parole si convegnono
sì all'uomo che non si puote intendere d'altro, né di bestia, né
d'uccello, né di pescie, però che in essi nonn à ragione; onde se tue
rivolvi le parole e di' cosi : « (/he è animale razionale e mortale ?
* 15. certo non si puote d' altro intendere se non dell'
uomo. 8. Or è vero che anticamente per nescietà delli uomini furon
mosse tre quistioni delle quali dubitavano, e uon senza cagione, però che
sopr'esse tre questioni si girano tutte le scienzie. La p-rima quistione
era che dovesse l'uomo 20. fare e che lasciare. La seconda
quistione era per che ra- gione dovesse quel fare e quell'altro lasciare.
La terza quistione era di sapere le nature di tutte cose che sono.
Et perciò che le questioni fuoro tre, sì convenne che' savi filosofi (2)
partissero filosofia in tre scienzie, cioè Teorica, 25. Pratica e
Logica, si come dimostra questo arbore. i: M inquistione, m
inquestione, L inqulslione — 2: M^ quando — 3: M enpossib'ile — (5: Mss.
quella cosa 7 per t. p. — 8: if-M' le rivuoli, L le rivolgi — il' el per bene
— .9-/0: if' lo quale questo, L la i[ualo questo — 16: m necessità, M'
neccssiladc — 16-17: .¥' luiomini in esse (L messe) — 18: sospeso, cnrr.
sopresse — 19: .1/' liuomo — 20: m la seconda che lasciare — 20-21: lU-m
om. la 2" quistione — 22.: M-m om. quistione — M-iii la natura — m
tutte le oliose - 23: M-m Et però quelle quistioni furono tre — 23-24 : M
si convenne i savi phylosoi)hy che partissero — jf > si conviene -^ 23: M mn.
e. (1) Si potrebbe anche leggere (con una costruzione più regolare
ma con una coordinazione poco opportuna) ciò eh' è quella cosa, e per
tali parole ecc. (2) Questa lezione ò comune a codici di ambedue le
famiglie, e perciò la pre- ferisco a quella di M, che pure si può
difendere facendo transitivo conreìtne e intendendo i -savi filosofi come
complem. oggetto. Et la prima di queste scienze, cioè pratica, è per
dimostrare la prima questione, cioè che debbia uomo fare e che lasciai'e.
La seconda scienzia, cioè logica, è per di- mostrare la seconda
quistione, cioè per che ragione dovesse quel fare e quello altro
lasciare. 10. Et questa scienza, cioè logica, sì ae tre parti, cioè
dialetica, efidica, soffistica. La prima tratta di questionare e
disputare l'uno coli' altro, e questa è dialetica; la seconda insegna
provare il detto del- l' uno (1) dell' altro per veraci argomenti, e
questa èe efi- dica; la terza insegna provare il detto dell'uno e
dell'altro per argomenti frodosi o per infinte provanze, e questa è
sofistica. Et questa divisione pare in questo arbore. La tex'za scienzia,
cioè teorica, si è per dimostrare le nature di tutte cose che sono, le
quali nature sono tre; 15. e però conviene che questa una scienza, cioè
teorica, sia pai'tita in tre scienzie, ciò sono Teologia, Fisica e
Mate- matica, sì come dimostra questo arbore. 4: m
cioè la ragione — 6: m sollislicha, epidicha, M' eflidica (un'altra mano
aggiunse sotìslicha) — 7: i/' tractare.... contra l'altro - 9:m, ìt', l e
dell'altro — i 1 : if infinite — M' argomenti frodolenti 7 jier infinita
pruova — 12: m apare. (1) Conservo invece di e, comune a quasi
tutti i codici, appunto per la sua singolarità e perchè sembra indicare
una differenza tra l'efldica e la sofistica- la prima dimostra la verità
di una delle due parti, la seconda pretende dimo- strare l'una e l'altra
parte. Onde la prima di queste tre scienze, cioè teologia, la quale
è appellata divinitade, si tratta la natura delle cose incorporali le
quali non conversano in traile corpora, sì come Dio e le divine cose. La
seconda scienzia, cioè 5. fisica, sì tratta le nature delle cose
corporali, si come sono animali e He cose che anno corpo; e di questa
scienzia fue ritratta l'.arte di medicina, che, poi che fue connosciuta
la natura dell'uomo e delli animali e de' loro cibi e dell'erbe e
delle cose, assai bene poteano li savi argomentare la sa- io, nezza e
curare la malizia. La terza scienzia, cioè matema- tica, sì tratta le
nature de le cose incorporali le quali sono intorno le corpora; e queste
nature sono quattro, e perciò conviene che matematica sia partita in
quattro scienze, ciò sono arismetrica, musica, geometria et astronomia,
sì come 15. appare in questo arbore: 13. La prima
scienzia, cioè arismetrica, tratta de' conti e de'nomeri, sì come l'abaco
e più fondatamente. La se- conda scienza, cioè musica, tratta di
concordare voci e suoni. La terza, cioè geometria, tratta delle misure e
delle 20. proporzioni. La quarta scienza, cioè astronomia, tratta
della disposizione del cielo e delle stelle. 14. Or si torna
il conto dello sponitore di questo libro alla prima parte di filosofia,
della quale è lungamente ta- ciuto, e dicerà tanto d'essa prima parte,
cioè di pratica, 25. che pervegna a dire della gloriosa Rettorica.
E sì come fue detto già indietro, questa pratica è quella scienza
che dimostra che ssia da ffare e che da lasciare, e questo è di
3:m traile corpora — 7: #' dela mudicina — 9: M' assai poteo bone
argomentare isani — 10-13 : M-m mltnno da matematica di l. 10 a l. 13 sia
partita (m si e) — 16: m om. scien- 7.ia — 17: M' noveri — 18: M [a
musica — SO: M astorlomia — M' tracta Io sponilore — 22: Af' si ritorna
(L ritorna), m Ora torna lo spoiiiloro alla prima p. — 33: m ae, Jtf' oo
— 24: m della prima parte — 25: m perverrà. tre
maniere: i>erciò conviene che di questa una siano tre scienze, cioè
sono Etica, Iconoiiiica e Politica, sì come mostra la figura di questo
arbore : 15. La prima di queste, cioè etica, sì è insegnamento
di 5. bene vivere e costumatamente, e dà connoscimento delle cose
oneste e dell'utili e del lor contrario; e questo fa per assennamento di
quatro vertudi, ciò sono prndenzia, iusti- zia, fortitudo e temperanza, e
per divieto de' vizi, ciò sono superbia, invidia, ira, avarizia, gula e
luxuria; e così dimo- io, stra etica clie sia da tenere e che da
lasciai-e jier vivere virtuosamente. 16. La seconda scienza, cioè
iconomica, sì 'nsegna che ssia da ffare e che da lasciare per covernare
e reggere il propio avere e la propia famiglia. 17. La terza scienza,
cioè politica, sì 'nsegna fare e mantenere e reggere 15. le cittadi e le
comunanze, e questa, sì come davanti è pro- vato, è in due guise, cioè in
fatti et in detti, sì come si vede in questo arbore:
18. Quella maniera eh' è in fatti sì sono l'arti e' magi- sterii che in
cittadi si fanno, (i) come fabbri e drappieri e li 1 : M-m
però clic convion(3 — 3.m am. la ligura — ;>: Af' accostumatamente M' om.
ira — 10: M^ da necnto — 1 1: m virtmliosamonte — 13: m avere, la patria
e la famiglia — 14: m fare, mantenere 7 r. — 16: M-M' 7 in due guise — M'
in detti. 18: m om. tutto il g 18 — M' 7 mestieri — 19 : M che cittadini
fanno (lì Si rimane incerti fra le due lezioni, perchè il senso è il
medesimo e anclie paleograficamente la differenza è lieve: forse ì
citladisi oxìgìno (i) cittadini'! Adot- tiamo la lezione un po' più
diffìcile. altri artieri, sanza i quali la cittade non
potrebbe durare. Quella eh' è in detti è quella scien^ia che ss' adopera
colla lingua solamente; et in questa si contiene tre scienze, ciò
sono Grramatica, Dialettica, Rettorica, si come dimostra 5. questo altro
albore: 19. Et che ciò sia la verità dice lo sponitore che
gra- matica è intrata e fondamento di tutte le liberali arti et
insegna drittamente parlare e drittamente scrivere, cioè per parole
propie sanza barbarismo e sanza sologismo (i). 10. Adunque sanza
gramatica non potrebbe alcuno bene dire né bene dittare. La seconda
scienza, cioè dialetica, sì pruova le sue parole per argomenti che danno
fede alle sue parole; e certo chi vuole bene dire e bene dittare conviene
che mo- stri ragioni per che, sicché le sue parole abbiano provanza
Ib. in tal guisa che Ili uditori le credano e diano fede a cciò che
dice. La terza S(!Ìenza ciò è Rettorica, la quale truova et adorna le
parole avenanti alla materia, per le quali l'udi- tore s'accheta e crede
e sta contento e muovesi a volere ciò eh' è detto. 20. Adonque le tre scienze
sono bisogno a 20. parlare et al dittare, che sanza loro sarebbe
neente, acciò che '1 buono dicitore e dittatore de' sì dire e scrivere
a diritto e per sì propie parole che sia inteso, e questo fae gra-
matica; e dee le sue parole provare e mostrare ragioni (2),
1 : Af ' artefici sanza quali le cittadi non potrebbero durare — 3: M^ ■]
questa si con- tiene — 6: m Et choncio sia la v., L Et cliome ciò sia —
7: M' l'arti liberali — 9: M- m om. e sanza sologismo; t-S silogismo —
10: M' om. alcuno — I-i: M ragione si che le s. p. — pruova — i7 : M-m
advoncnti — 18-19 : M' per bisogno al parliere et al dicta- tore — S3:
M-m mostrare con ragiono, L mostrare por ragione (1) Non credo
necessario, data l' impossibilità di distinguer la grafia dei copisti da
quella dell' autore, ristabilire la forma esatta solecismo; la stranezza della
pa- rola spiega pure l'omissione di M-m e lo sproposito di L-S.
(2) Che questa sia la giusta lezione è confermato dal § precedente, 1.16
(«ra- gioni per che ») ; e si noti che mostrare con ragione o per ragione
equivarrebbe a provare. - 35 - e questo
fae dialetica; e dee sì mettere et addornare il suo dire che, i)oi che
11' uditore crede, che stia contento e faccia quello eh' e' vuole, e
questo fa Rettorica. 21. Or dice lo spo- nitore che Ha civile scienza,
cioè la covernatrice delle cit- 5. tadi, la quale èe in detti si divide
in due: che ll'una è co llite e l'altra sanza lite. Quella co llite si è
quella che sisi fa do- mandando e rispondendo, si come dialetica,
rettoi'ica e lege; quella eh' è sanza lite si fa domandando e
rispondendo, ma non per lite, ma per dare alla gente insegnamento e via
di 10; ben fare, sì come sono i detti de' poeti che anno messo
inii iscritta l'antiche storie, le grandi battaglie e l'altre vicende
che muovono li animi a ben fare. 22. Altressì quella civile scienzia eh'
è con lite è di due maniere, eh' è ll'una artifi- ciosa, l'altra non
artificiosa. Artificiosa è quella nella quale 15. il parliere che
connosce bene la natura e Ilo stato della materia, vi reca suso argomenti
secondo che ssi conviene, e questo è in dialetica et in rettorica. Quella
che non è artificiale è quella nella quale si recano argomenti pur
per altoritade, si come legge, sopra la quale non si reca neuna
2'^ pruova né ragione per che, se non tanto l' altoritade dello
'mperadore che Ila fece. Et di questa che non è artificiale dice Boezio
nella Topica eh' è sanza arte e sanza parte di ragione. 23. Alla fine
conclude Tulio e dice che Rettorica è parte della civile scienzia. Ma
Vittorino sponendo quella 25. parola dice che rettorica è la
maggiore parte della civile scienzia; e dice « maggiore » per lo grande
effetto di lei, che certo per rettorica potemo noi muovere tutto '1
popolo, tutto '1 consiglio, il padre contra '1 figliuolo, l'amico
centra l'amico, e poi li rega(i) in pace e a benevoglienza. Or è
detto 30. del genere; omai dicerà Tulio dello oflfizio di rettorica
e del fine. 1: M ordinare, m e iliraeltero e ordinare
lo siidire — 3: M^ cliolll stea — 5: M-m si vede in due — 7: M' y
reclorica — 9: M' a. lo genti — i 1 : m-M in iscripto — M' 7 le g. b. 7
altro vicende — IS : M-m alla (certo da ((Ila), M' (|UOSta civ. — 13-14: mchS
l'ima e art. 7 l'altro non art., 3f' l'unaarl. l'altra none art. (X non
art.) — 16: m su argomenti che crede ohe si chenvieno, S secóndo la cosa
— 19: M sopralla quale — 21 : J/' di que- sta non artificiosa — S6: m e
M' alFecto, ma L el'ctto — S8 : m M' contro al f. — wchontro all'amico,
M' contra amico. — 29: m li reca, Af' recalgli a pace 7 benev., L-S recarli a
p. Q n h. — 80 : m M' oggimai. (1) Con libertà non nuova alla
nostra ling'.ia antica, si può sottintendere il soggetto, « rettorica »,
dalle parole « per rettorica » che precedono. La lezione ? ecarli, appunto
perchè piii semplice e chiara, mi par da scartare : non si vedrebbe
- 36 Tullio dice che è l'ufficio di questa
arte. 18. Officio di questa arte pare che sia dicere
appostatamente per fare credere, fine è far credere per lo dire. Intra
11' ufficio e Ila fine èe cotale divisamente : che nell'officio si
considera quello che 5. conviene alla fine e nella fine si considera
quello che conviene al- l'officio. Come noi dicemo l'ufficio del medico
curare apostatamente per sanare, il suo fine dicemo sanare per le
medicine, e così quello che noi dicemo officio di rettorica e quello che
noi dicemo fine in- tenderemo dicendo che officio sia quello che dee fare
il parliere, e 10. dicendo che Ila fine sia quello per cui cagione eili
dice. Lo sponitore. 1. In questa parte àe detto Tulio
che è l'officio di que- sta arte e che è lo suo fine; e perciò che '1
testo è molto aperto, sì sine passerà lo spouitore brevemente. Et
dice 15. cotale diffinizione : officio è dicere appostatamente per
fare credere. Et nota che dice « appostatamente », cioè ornare
parole di buone sentenze dette secondo che comanda que- st'arte; e questo
dice per divisare il parlare di questo di- citore dal parlare de'
gramatici, che non curanq d'ornare 20. parole. E dice « per far
credere », cioè dicere sì composta- mente che ir uditore creda ciò che
ssi dice. Et questo dice per divisare il detto de' poeti, che curano più
di dire belle pai-ole che di fare credere. 2. L' altra diffinizione è del
fine. Et dice che fine è far credere per lo dire. Et certo chi
25. considera la verità In questa arte e' troverà che tutto lo
'ntendimento del parliere è di far credere le sue parole all'uditore.
Donque questo è la fine, cioè far credere; che 2: M* om.
ilk'Oi'O — 3: M-M' 7 lar — M-m per 1 udire - 3-4: M' om. Inlra 11' udicio
e ripete è cotale ilivisumento che no l'ollicio — M 7 è colalo — 0: m il' e
curare — 9: t in- tenderemo cli6 olicio è quello ecc. — m om. e — JO: il
ella, mi e la — i3 : .tf' et che il lino — 15: il apostamonle — M-m
saltano dal l'ai ^ apposlatanicnto. — 10: .tf-m-.l/' or- nate — 20: m
diro si ornatamente et cliom))ost. — 21 : M-m mn. Kl c|uesto dice - 23:
M-m che farle credere - 24: M-m per 1 udire — 23: M 7 troverà - 26: M'
del parlare la ragione per cui fu mutata negli altri codici, mentre
ò facile ammettere che sia derivata da recahjli di M '. Quoista poi, a
sua volta, non è che una variante di ìi reca, con una estensione del
pronome enclitico a cui contraddice la cosiddetta legge del Mussafla
(cfr., anche per Dante, in Bull. d. Soc. Dani., N. S., XIV, 90-91)
- 37 - 'mmantenenle che l'uomo crede ciò eli' è detto si
rivolve (1) lo suo animo a volere et a ffare ciò che '1 dicitore
intende. 3. Ma dice Boezio nel quarto della Topica che '1 fine di
que- sta arte è doppio, uno nel parladore et un altro nell'uditore.
5. Il parladore sempre desidera questo fine in sé: che dica bene e che
sia tenuto d' aver bene detto. Neil' uditore è questo fine: che '1
dicitore a questo intende, che nell'udi- tore sia cotale fine che creda
quello che dice; e questo fine non desidera sempre il parlatore sì come
quello di sopra. 10. 4. Et per mostrare bene che è l' officio e che
è il fine e che divisamento àe dall'uno all'altro, sì dice Tulio che officio
è quello che '1 parliere de' fare nel suo parlamento secondo lo
'nsegnamento di questa arte. Ma fine è quello per cui cagione il parlieri
dice compostamente; e certo questa ca- 15. gione e questo fine nonn
è altro se non fare credere ciò che . dice. Et di ciò pone exemplo
del medico, e dice che Ilo officio del medico è medicare
compostamente per guerire r amalato; la fine del medico èe sanare
lo 'nfermo per lo suo medicare. 5. Già è detto sofficientemente dell'
officio 20. e della fine di rettorica; omai procederàe il conto a
dire della materia. Della materia. 19. Materia di
questa arte dicemo che ssia quella nella quale tutta l'arte e Ilo savere
che dell'arte s'apprende dimora. Come se noi 25. dicemo che Ile malizie e
le fedite sono materia del medico, perciò che 'ntorno quelle è ogne
medicina, altressì dicemo che quelle cose sopra le quali s'adopera questa
arte et il savere eh' è appreso (2) dell'arte sono materia di rettorica;
le quali cose alcuni pensaro che 1 : M sinvolve, m si
involve, M^-L si muove — S : M' quello olio. — 9 : M-m considera —
10: M' om. l)ene — 15: M-m non ae altro — m se none a faro — 16: Af ' in ciò
— 17-18 : M Olii, è medicare.... del medico — 19: M-m Già ae d. s. (mi s.
d.) — 20: M' del fine — ogimai procederà Tulio a dire — S,4: m e
tutta l'arte — Jlf ' e sapere — S3: M-m le malizie, cioè le malattie
(glossa) — 87: M e savere — tulli i inss, apresso (1) Questa è
senza dubbio la lezione richiesta dal senso e giustificabile con ragioni
paleografiche: un siriuolue in cui ri è parso un n ha originato il
sinvolve di M; da questo, per correzione arbitraria, è nato si muore di
Mi L. Invece di « si rivolve lo suo animo » (soggetto) si può anche
intendere « (l'uomo) si rivolve lo suo animo », ma forse l'espressione
riesce meno naturale. (2) La correzione è suggerita dalle parole
precedenti : « lo savere che dell'arte s'apprende». Il testo latino ha
facuUas oratoria. - 38 - fossero piusori et
altri meno. Che Gorgias Leontino, che fue quasi il più antichissimo
rettorico, fue in oppinione che el parladore possa molto bene dire di
tutte cose. Et questi pare che dea a questa arte grandissima materia
sanza fine. Ma Aristotile, il quale diede a questa 5. arte molti aiuti et
adornamenti, extimò che II' officio del parlatore sia sopra tre
generazioni di cose, ciò sono dimostrativo, diliberativo e
giudiciale. Lo sponitore. 1. In questa parte dice Tulio
che materia di rettorica 10. è quella cosa per cui cagione furo
pensati e trovati li co- mandamenti di questa arte, e per cui cagione
s'adoperala scienzia clie 11' uomo apprende per quelli
comandamenti. Così fuoro trovati li comandamenti di medicina e gli
ado- peramenti per le infertadi e per le ferute; et insomma 15.
quella è Ila materia sopr' alla quale conviene dicere. Et sopra ciò fue
trovata questa arte per dare insegnamento di ben dire secondo che Ila
materia richiede e per fare che ir uditore creda. 2. Et di questo è stata
diiferenzia tra' savi : che molti furo che diceano che materia
puote 20. essere ogne cosa sopr' alla quale convenisse parlare. Et
se questo fosse vero, donque sarebbe questa arte sanza fine, che
non puote essere; e di questi fue uno savio, Gorgias Leontino,
antichissimo rettorico; et in ciò che Tulio l'ap- pella antichissimo sì
dimostra che non sia da credere. 25. 3. Ma Aristotile, a cui è
molto da credere, perciò che diede molti aiuti et adornamenti a questa
arte in perciò che fece uno libro d' invenzione et un altro della parladura,
dice che rettorica èe sopra tre maniere di cose, e catuua maniera èe
genei'ale delle sue parti; e queste sono dimo- 30. strativo,
diliberativo e iudiciale, come in questi cercoletti apiiare :
2: m cliel parlaro — 3: M-m che (loggia (w dohbia) aiiiiistare —
6: M' generi — 7: M-m giiulicalivo - IS: M-m et per (incili comamlamenti.
Af' aiiiirondo per qua com., S per qiialnni|ue com. (t bene) -- 13-14:
M-m et por lo adoperamenlo et por lo inf. — M' fedito — 15: m. M'-L sopra
la quale — 19: M' dissero — ?0: m sopra la ipiale l'uomo chonviene
parlare, M' sopra la (pialo — SS: M-m di questo — S3-S4: M' 1 aix.'l-
lava — S6: M-m (lice molti aiuti — M' in ciò che, m però che — S7: Mdinvctione,
hi d'in- votione - S8: M-m materie — M' de cosa {ma L S di cose) — M^
ciasouna — 30-31: M-m om. come ecc. e la figura. Et a questa
sentenzia s'accorda Tulio, e sopra queste tre maniere è tutta l'arte di
rettorica. 4. Ma ben puote essere oh' e' maestri in questo punto fanno
divisamente intra dire e dittare; che pare che Ila materia di dittare sia
si generale 5. che quasi sopra ogne cosa si possa fare pistola, cioè
man- dare lettera. Ma dire non si puote per modo di rettorica se
non delle dette tre maniere, perciò che Tulio reca tutta la rettorica in
quistione di parole. Et intendo che quistione è una diceria nella quale
àe molte parole sie impigliate 10. che ssine puote sostenere l'una
parte e l'altra, cioè provare si e no' per atrebuti, cioè per propietadi
del fatto o della persona. 5. Et ecco l' exemplo in questa diceria che
fie pro- posta in questo modo: È da sbandire in exilio Marco Tulio
Cicero no, che davanti (i) al popolo di Roma fece anegare 15. molti
romani a tempo che '1 comune era in dubbio? In questa proposta à due
parti, una del sì et un'altra del no. Quella del sì è cotale : « Cicero è
da sbandire, perciò che à fatta la cotale cosa *. Quella del no è cotale:
« Non è da sbandire, che ricordando pure lo nome signififica buona
cosa 20. et isbandire et exìlio (2) sìgnifBca mala cosa, e non è da
cre- dere che buono uomo faccia quello che ssia da sbandire degno
né de exìlio ». 6. Grià è detto che è la materia di quest'arte, et
afferma Tulio la sentenza d'Aristotile. Et però che elli l' àe
confermata, sì dicerà di catuna dì quelle 25. tre maniere sì compiutamente
che per lui e per lo sponì- 1 : m sachosta — 2: Mi tucta —
3:m tra dire od. — 4:mL del dittare ~ 5 : M' si puote — 6: M' lectoro — 7
: 3f ' se non le docte — om. perciò — m tutta rettorica — 9: M' ov'a —
il: M-m et por atrebuti, M' per ai trebuti — m cioè i)roiiietadi — 12: M sie o
fie, m Ila, M'-L fu - 14: m om. Cicero — M^ Cicerone che davanti il p. —
15: M' al tempo — 16: M imposta — 19: M' il suo nome ò buona cosa — 20:
M' in exilio — 21-22: m dongno da sb., M' dengno di sbandire in oxilio —
24: J/' la conferma (1) Non e' è dubbio sul testo, in cui la
tradizione manoscritta è concorde; quanto all'interpretazione cfr.
Maggini, La Rettorica italiana di B. L., ediz. cit., p. 34. (2) Che
et e non in sia la lezione originaria è comprovato dal seguente né de
exilio (cambiato da M< in exilio per analogia colla prima
alterazione). ~ 40 — tore potrà quelli per cui è
fatto questo libro intendere la materia, lo movimento e la natura di
rettorica. Ma ben guardi d'intendere ciò che dice questo trattato e di
Con- noscere ciò che in esso si contiene, che altrimenti non po-
trebbe intendere quello che viene innanzi; e dicerà prima del
dimostrativo. Del dimostr amento. 20.
Dimostrativo è quello che ssi reca in laude o in vituperio d'una certa
persona- le. Lo sponitore. 1. In questa parte
dice Tulio che, con ciò sia cosa che Ile cause e Ile quistioni sopr'
alcuna vicenda indella quale l'uno afferma e l'altro niega siano di tre maniere,
sì inse- gna Tulio avanti quale causa è dimostrativa. Ma lo sponi-
15. tore non lascerà intanto che non dica la natura e Ila radice di
tutte e tre, oltx'e che dice il testo di Tulio; et in ciò dicerà chi è la
persona del parliere che dice sopra la causa, e dicerà che è il fatto
della causa. 2. La persona del par- liere è quella che viene in causa per
lo suo detto o per lo 20. suo fatto: et intendo « suo detto »
quello ch'elli disse o che ssi crede ragionevolemente ch'elli abbia
detto, avegna che detto noll'abbia; altressì intendo «fatto» quello che
fece o che ssi crede ragionevolemente che elli abbia fatto, avegna che
fatto non sia. 3. Il fatto della causa è quel detto o quel fatto
per 25. lo quale alcuno viene in causa e questione; et in ciò
sia cotale exemplo: Dice Pompeio a Catellina: « Tu fai tra-
1: in poUà collii —è: M' c\ inovini. ~ 5: .W Jioooia, L ilice ora — 6:
i/del dimoslratio, m (Iella dimostrationo — 8: S si moslra — 13-14: il'
sia in ti-o maniero.... tulio avanti, m Tulio inprima — M-m cosa — il'
sia doni. — 13: m oni. e la radice - lS-19: il-m Persona del ]). 7 quella
— 19-20: il' per lo suo facto o per lo suo dello, m per lo s. d. e per lo s.
f. intondo suo detto e latto (pielli (nni-he il (iiielli) - SS: il-m e
così intondo quello — S4 : il' ijucl detto — SS- il' et in ipiest., m.
ohi. — L siae -- 41 - dimento nel comune di
Roma». Et Catellina risponde: « Non fo ». In questo convenente Pompeio e
Catellina sono le persone de'parlieri; e la causa è questa: «Tu fai
tradi- mento » — « Non fo »; e chiamasi causa però che 11' uno ap-
5. pone e dice parole contra l'altro e mettelo in lite. 4. Et per
maggiore chiarezza dicerà lo sponitore che èe dimostra- mento e che
deliberazione e che iudicamento, e così sopra che è ciascuna maniera di
rettorica. Dimostramento. — 5. Dimostramento è una maniera di
10. cause tale che per sua propietade il parliere dimostra ch'al-
cuna cosa sia onesta o disonèsta, e per questo mostra che è da laudare e
che da vituperare; e questa causa dimostrativa è doppia: una speciale et
un'altra che non si puote partire. 6. La speciale dimostrativa è quella
nella quale i parlieri 15. si sforzano di provare una cosa essere
onesta o disonesta, non nominando alcuna certa persona; et intendo certa
per- sona a dire delli uomini e delle cittadi e delle battaglie e
di cotali certe cose e determinate tra Ile genti, non intendo
dell'altezza del cielo né della grandezza del sole o della 20.
luna, che questa quistione non pertiene a rettorica. 7. Et di questa
causa speciale dimostrativa sia cotale exemplo : « Il forte uomo è da
laudare ». Dice l'altro: « Non è, anzi è da vituperare ». E di questo
nasce quistione, se '1 forte è degno di lode o di vituperio, e perciò èe
dimostrativa, ma 25. non nomina certa persona, e perciò è speciale.
8. La causa dimostrativa che non si puote partire è quella nella
quale i parlieri vogliono mostrare alcuna cosa sia onesta o diso-
nesta nominando certa persona, in questo modo: « Marco Tulio Cicero è
degno di lode ». Dice 1' altro: « Non è »; e 30. di questo nasce
quistione, se sia da lodare o da vituperare. Et questa quistione
comprende due tempi : presente e pre- terito. Che al ver dire di ciò che
11' uomo fae presentemente è lodato biasmato, et altressì di ciò che fece
ne' tempi pas- sati. 9. Et sopra ciò dicono 1' antiche storie di Roma
che 35. questa causa dimostrativa si solca trattare in Campo
Marzio, 5: 3/' perciò maggioro — 7 : ìlt' cheo... cheo (ma L
clie... che) - saprà che è — 10: M' per sue propietadi il parladore — 14:
M' i parladori — m spellale o dimostrativa — 16: M' nm. et intendo certa
persona, vi om. et — 17: M' et dele ciltadi — 18: m cliase diterminate —
19: M-m et della gr. — 20: m non apartiene — ^i :?» om. speciale — M-m
dimostrata — M k cotale lessemplo - So: M-m om. è — 27: M' alcuna persona
essere — 31 : M-m di tre tempi — m pres., preter. e luturo — 32: M-m Et al ver
dire — 33 : M-m om. di - 42 - nel quale
s'asemblava la comunanza a llodare alcuna per- sona ch'era degna d'avere
dignitade e signoria et a bia- smare quella che non era degna. E già è
ben detto della causa dimostrativa; sì dicerà il maestro della causa
deli- 5. berativa. Del diliber amento. 21.
Diiiberativo è quello il quale, messo (^' a contendere et a dimandare
tra' cittadini, riceve detto per sentenzia. Lo sponitore.
10. 1. In questa parte dice Tulio che causa diliberativa è
quella eh' è messa e detta a' cittadini a contendere il lor pareri et a
domandare a lloro quello che nne sentono; e sopra ciò si dicono molte et
isvai'iate sentenze, perchè alla fine si possa prendere la migliore (2).
2. Et questo modo di 15. causare è quello che fanno tutto die i
signori e le podestà delle genti, che raunano li consillieri per
diliberare che ssia da fFare sopra alcuna vicenda e che da non fare;
e quasi ciascuno dice la sua sentenza, sicché alla fine si prende
quella che pare migliore. 3. Et in ciò sia questo 20. exemplo che
propone il senatore: « E da mandare oste in Macedonia? » Dice l'uno sì e
l'altro no. Et così diliberano qual sia lo meglio, e prendesi 1' una
sentenza. Et questa quistione si considera pure nel tempo futuro, che al
ver dire sopra le cose future prende l'uomo consiglio e dili-
25. bera che ssia da fare e che noe. 4. Et questa causa dilibe-
rativa è doppia: una speciale et un'altra che non si puote partire. 5.
Speciale è quella nella quale si considera d'ai cuna cosa s' ella è utile
o s' eli' è dannosa, non nominando 1-3: M alcuno cli'era
dengno — om. e signoria.... degna — 6: Tutti i mss. omesso, S è messo — H
: M-m che in essa - m M' i loro pareri, L illoro pareri — 12: M' da loro
- 13: M-m dicono — 14: M-m lo migliore — 15: M-m cassare (M 7 quello)
— 16: M-m raunavano — 17: M-m non daffare — 20: M' ressom])ro — M-m
che pone -22: M' il migliore — 24: m nel tempo futuro — ilf ' iirendo
huomo(»nn L S l'uomo) — 25-26 : M-m Questa ì; causa, cioè cosa,
diliberativa 7 doppia,. L e delib. e doppia — m una e spetiale — M-m om.
che — 27: M-m alcuna cosa — 28: M-m om. sellò (1) Il testo latino
non lascia alcun dubbio. La stessa corruzione, comune a tutti i codici, è
nel successivo § 22 (e posto), e il costrutto insolito la rendeva facile.
(2) Anche la lezione lo migliore è buona, ma preferisco quella di M'
perchè corrisponde esattamente alla fino del § 2. — 43
— alcuna certa persona. Et ecco l'exemplo: Dice uno: « Pace è
da tenere intra cristiani ». Dice l'altro: « Non è ». Et di ciò nasce
causa diliberativa speciale, se Ila pace è da tenere o no. 6. L'altra che
non si può partire è quella nella quale 5. i dicitori studiano di provare
e' alcuna cosa sia utile o dan- nosa, nominando certe persone, in questo
modo: Dice l'uno: « Pace è da tenere intra Melanesi e Cremonesi ». Dice
l'al- tro: «Non è». 7. Et già è detto della causa diliberativa;
omai dicerae il maestro del iudiciale. Ma questo sia conto 10. a
ciascuno, che Ila propietade della diliberazione èe mo- strare che ssia
utile e che dannoso in alcuno convenentre. Et questa diliberativa si
solca trattare nel senato, e prima diliberavano li savi privatamente che
era utile e che no e poi si recava il loro consiglio in parlamento e
quivi si 15. fermava la loro sentenza, e talvolta si ne prendea
un'altra migliore. Del iudiciale. 22. Judiciale è
quello il quale, posto In iudicio, à in sé accu- sazione e difensione o
petizione e recusazione. 20. Lo sponitore. l. La natura
di iudicamento si è una forma la quale si conviene al parladore per
cagione di mostrare la iustizia e la 'niustizia d'alcuna cosa, cioè per
mostrare d'una cosa s' ella è insta o centra iustizia, in cotal modo :
che uno ac- 25. cusa un altro e 11' accusato si difende elli
medesimo o un altro per lui; overo che uno fa sua petizione e
domanda guidardone per alcuna cosa eh' elli abbia ben fatta, et un
altro recusa e dice che non è da guidardonare, e talvolta dice : « Anzi è
degno di pena ». 2. Et questa causa si pone 30. in iudicio, cioè in
corte davante a' indici, acciò eh' elli in- dichino tra Ile parti quale
àe iustizia; e questo si fae in corte palese in saputa delle genti, acciò
che Ila pena del S. in Iva — 3: M-m e so la p. — 4: M'
L'altra la quale — 7 : Ai da melanesi, m tra mei. - Af ' e li crem. — M-m
l'altro dice — *: J/ E già detto — U-m cosa — 9 : M ' oggi- mai dicera del
giudioiale - 10: ;»/' om. a ciascuno — m e damostrare — 12: m ohe prima
14: m om. e — m M' in loro consiglio (ma L illoro cons.) — 14-15: A/' in loro
sententia si fermava — 18: Tuttiimss. e [tosto — i9: m accnsatione,
difensione, pctitiono — Tutta mas. recusatione {ma cfr. testo latino) —
24: m chontro a iust. — m om. che — 25: .V e me- desimo, L elli med. —
27: m fatta bene — 28: m om. e dice — 32: m traile genti. malfattore dia
exemplo di non malfare, e '1 guidardone de' benfattori sia exemplo agli
altri di ben fare. Et sopra questa materia dice uno savio: « I buoni si
guardano di peccare per amore della vertude, i malvagi si guardano
5. per paura della pena ». 3. Et è questa causa iudiciale dop- pia: una
speciale et un' altra che non si puote partire. Speciale è quella nella
quale il pai'lierc si sforza di mo- strare alcuna cosa che ssia insta o
iniusta, non nominando certa persona; in questo modo: « Il ladro èe da
'mpendere, 10. perchè commette furto ». Dice l'altro: « Non è ». 4.
Quella che non si puote partire è quella nella quale il parliere si
sforza di mostrare una cosa essere iusta o no, nominando certa persona;
in questo modo: « È da impendere Guido eh' à fatto furto, o no? » Od « E
da guidardonare Julio 15. Cesare eh' à conquistata Francia, o no? »
5. Et tutte que ste cause iudiciali si considerano sopra '1 tempo
preterito, perciò che di ciò che 11' uomo à fatto in arrietro è
guidar- donato o punito. Tullio dice la sua sentenzia della
materia di rettorica, 20. riprende quella d' Ermagoras. 23.
Et sì come porta la nostra oppinione, l'arte del parliere (0 e la
sua sctenzia è di questa materia partita in tre. (cai). VI) Che
certo non pare che Ermagoras attenda quello che dice ne attenda C^)
ciò che promette, acciò che dovide la materia di questa arte in
causa 25. et in questione. 1 : VI exempro allo
genti — -V far malo — M il guidardone — S: M' tini benfacloro — m om. VA
— 4: M' o li malvagi seno guardano — 6: U' et una che — 7: il' il
dicitore - 9: M-m om. modo — m è da mpichare — 10: M' un altro — 12-15:
M-m om. ila nominando alla fine del paragrafo — i6: il-m om. si — i7: m
per adietro — i8:m pulito SI : M-m parlare, M' parladore, L parlatore —
23: M Amagoras (1) Che sia da legger cosi dimostra non tanto la
variante di M' quanto, spe- cialmente, il trovare nel § 1 del commento lo
stesso errore di Mm di fronte a parliere di M'. (2) Conservo,
coi codici, i due attenda, quantunque il tosto latino abbia nel primo
caso attendere e nel secondo intellUjere: qui ci aspetteremmo dunque in-
tenda, e l'alterazione, per analogia col primo verbo, sarebbe spiegabilissima.
Ma anello con attenda il senso va bene; e forse una prova della
somiglianza sostan- ziale per l'autore fra attendere e intendere si ha
nel § 7 del commento, dove, riferendosi a questo passo, i due verbi sono
invertiti di posto: «non pare che Ermagoras intendesse quello che dicea,
nò che considerasse (= attendesse) quello che promettea ». Cfr. anche 25,
§ 7. 45 — Lo sponitore. 1. Poi
elle Tulio àe detto davanti le tre partite della materia di rettorica sì
come fue oppiuione d'Aristotile, in questa parte conferma Tulio la
sentej^izia d'Aristotile; e 5. dice che pare a llui quel medesimo, e
riprende la senten- zia d'Ermagoras, il quale diceva che Ila materia del
par- liere è di due partite, cioè causa e quistione. 2. Ma certo e'
dovea così riprendere coloro che giungeano alla materia di quest'arte
confortameuto e disconfortamento e consola- lo, mento; e lui riprende
Tulio nominatamente perciò ch'elli era più novello e però dovea elli
essere più sottile, e ri- prendelo ancora però che ssi traea più innanzi
dell'arte; e riprendendo lui pare che riprenda li altri. Ma però
che Tulio non disfina (D lo riprendimento delli altri, si vuole 15.
lo sponitore chiarire il loro fallimento, e dice così: 3. Vero è che, si
come mostrato è qua in adietro, l' officio del par- liere si è parlare
appostatamente per fare credere, e questo far credere è sopra quelle cose
che sono in lite, e' ancora non sono pervenute all' anima ; ma chi vuole
considerai*e 20. il vero, e' troverà che confortameuto e
disconfortamento sono solamente sopra quelle cose che già sono
pervenute all' anima. Verbigrazia : Lo sponitore avea propensato di
fare questo libro, ma per negligenzia lo intralasciava; onde da questa
negligenzia il potea bene alcuno ritrat- 25. tare ('-) per confortameuto,
e questo conforto viene sopra cosa la quale era già pervenuta all'anima,
cioè la negli- genzia. 4. Et se alcuno disconforta un altro che avea
pro- posto di malfare, tanto che ssinde rimane, altressi viene lo
sconforto in cosa la quale era già pervenuta all' anima. 30. Adunque è
provato che conforto né disconforto non pos- 1 : m dinanzi —
3: L dico e conferma — 4: M-m la sciencia — 6-7 : M-m parlaro — 10: M'-L
non mattamente —li: M-m om. elli — 14: m diffina (o anche disfina), ilf'-/y
non examina delli altri — m om. si — 16: M^ in qua dietro — m del parlare
— 17: M-m om. si — 18: M' et che ancora, m e anchora — SO: M' et trovare
— 21: m om. già - S3 : L pensato, S per pensato — 23: M lo tralassava, m
lo lasciava — 24: M' bene ritrarre alcuno, w lo potea alchuno ritrarre -
27 : vi sconforta — 30: M-m sconforto (1) Il Manuzzi registra
disfinire per « compiere » e anclie por « dichiarare », che mi sembra qui
il senso piìi adatto. (2) Non mancano esempii (cfr. Manuzzi, s. v.)
che permettono di mantenm-e questa parola in senso di «ritrarre», come
appunto sostituirono gh altri mss. altì- sono essere
materia di questa arte. 5. Ma consolamento puote anzi essere materia del
parliere, perciò che puote venire sopra cosa e' ancora non sia pervenuta
all' anima. Verbigrazia: Uno uomo avea fermato nel suo cuore di 5.
menare dolorosa vita per la morte d' una persona cui elli amava sopra
tutte cose. Ma un savio lo consolava, tanto elle propone d'avere
allegrezza, la quale non era ancora pervenuta all'anima. Ma perciò che in
questo consolamento non ha lite, perciò che '1 consolato non si difende
né non 10. allega ragioni contra il consolatore, non puote essere
ma- teria di questa arte. 6. Or è ben vero che altri dissen che
dimostrazione non era materia di questa arte, anzi era ma- teria di
poete, però eh' a' poete s' apartiene di lodare e di vituperare altrui. Et
avegna che Tulio no Ili riprenda no- 15. minatamente, assai si
puote intendere la riprensione di loro in ciò eh' e' conferma la sentenza
d'Aristotile che disse che dimostrazione e deliberazione e iudicazione
sono materia di questa arte. 7. Et sopra ciò nota che dimostrazione
per- tiene a' poeti et a' parlieri, ma in diversi modi : che '
poeti 20. lodano e biasmano sanza lite, che non è chi dica
contra, e '1 parlieri loda e vitupera con lite, che è chi dice
contra il suo dire. Et perciò dice Tulio che non pare che Erma-
goras intendesse quello che dicea, né che considerasse quello che
prometea, dicendo che tutte cause e questioni 25. proverebbe per
rettorica. Or dicerà Tulio le rii)rensioni d' Ermagoras sopra causa e
sopra questione. Tullio seguita Ermagoras della causa,
etc. 24. Causa dice che ssìa quella cosa nella quale abbia
contro- versia posta in dicere con interposizione di certe persone; le
quali 30. noi medesimo dicemo che è materia dell' arte e, sì come detto
avemo dinanzi, che sono tre parti : iudiciale, dimostrativo e
deliberativo. 2: M' innanzi — del parlatore — 3: m non 6
jiervenuta — 5-6: M ellamava — 6-7 : III lo chonsolò, M' il consola tutto
sì clid iiropone — 8: M-m che questo cons. — .9: in e non allega — i3: m
di poota.... a poeti, M' de poeti... ali poeti — M' o di vit. — i-i: M
nelle, m non le, M' non gli — i6: M' elicgli conferma — 17: m dim., dilib.
et iiivochationo — 19: M' ali poeti et ali pailadori— 5i : M II parlieri,
»i 11 parlieri?, 3/« E! parladore — m pero che è chi dicha chontro al suo
dire — S-1: A/' chelgli prom. — 26: m e questione, M' sopra questioni —
30: m nm. medesimo — itf' nm. o 47
Sponitore. 1. Poi che Tulio avea detto che Ei-magoras non
intese se stesso dicendo che causa e questione sono materia di
questa scienzia, sì dice in questa parte che Ermagoras 5. dicea che fosse
causa. 2. Et causa appella una cosa della quale molti sono in
controversia, perciò che 11' uno ne sente uno intendimento e l'altro ne
trae un'altra diversa intenzione; sicché sopr' a cciò contendono di
parole met- tendo e nominando alcuna certa persona, che non si
possa 10. partire e che propiamente e determinatamente si partenga
alle civili questioni. 3. Et di questo dice Tulio che ss' ac- corda co
llui, che ciò àe elli detto davanti per sé e per Aristotile; ma dicerà
omai com' elli errò in questione. Qtd rijivende Tullio
Ermagoì as- 1.5 25. Questione apella
quella che àe in se controversia posta in dicere sanza
interposizione di certe persone, a questo modo: Che èe bene fuori
d'onestade? Sono li senni (i) veri? Chente è la forma del mondo? Chente è
la grandezza del sole? Le quali questioni inten- demo tutti leggiermente
essere lontane dall'officio del parliere; 20. che molto n' è grande
mattezza e forseneria somettere al parliere in guisa di picciole cose
quelle nelle quali noi troviamo essere con- sumata la somma dello 'ngegno
de' filosofi con grandissima fatica. Sponitore. 1. Ora
dice Tulio che Ermagoras appellava questione 25. quella cosa sopra
la quale era controversia intra molti, sicché contendeano di parole
l'uno contra l'altro non no- 5: M diceva - m ch'era chausa —
7: M^ e un altro ne trae altra d. i., M na {sic) trae, m ne atrae — 8:
M-m contendemo — 10: M' nominatamente — m sautenga — 13: Jf' oggimai —
15: M' la quale ae — 16-17: M' che ben — M-iii li senni vari — M' om. h —
M-m la l'ama — 19: M-m del parlare — 20: M-m oiii. raaltozza, ilf ' om. e
for- seneria — JZ-w parlare, M' parladore — SI: l/Tiusta,//i in vista— 24
^/-w appella- lo: M' era questione — m tra molti — 26: M ne
contendeano (1) Traduce il latino sensus con una forma che ritorna
anche nel commento; è la stessa fusione, o confusione, cho troviamo nel
francese. - 48 - minando certa persona la quale
propiamente s'apartenesse alle civili questioni. 2. Et in ciò pone cotale
exemplo: «Che è bene fuori d'onestade?» Grande contraversia fue intra'
fi- losofi qual fosse il sovrano bene in vita: et erano molti 5. che
diceano d'onestade, e questi fuoro i parepatetici; altri erano che
diceano di volontade, e questi sono epicurii. 3. Altressì fue questione
se ' senni sono veri, perciò che alcuna fiata s'ingannano, che se noi
credemo che ricalco sia oro sanza fallo s' inganna il nostro senno. 4.
Altressì 10. fue questione della forma del mondo, però eh' alcuni
filosofi provavano che '1 mondo è tondo, altri dicono eh' è lungo,
o otangolo(l\ o quadrato. 5. Altressì era questione della gran-
dezza del sole, che alcuni dicono che '1 sole è otto tanti che Ila terra,
altri più et altri meno. Et questa misura si sforza- lo, vano di cogliere
i maestri di geometria misurando la terra, e per essa misura ritraeano
quella del sole. 6. Et perciò mostra Tulio che Ermagoras non intese
quello che dicea, ch'assai legiei'mente s'intende che queste cotali
questioni non toccano l'ufficio del parliere. Et nota che dice « officio
» 20. però che ben potrebbe essere che '1 parliere fosse filosofo,
e così toccherebbe bene a lini trattare di quelle questioni, ma ciò non
arebbe per officio di rettorica ma di filosofia. Donque ben è fuori della
mente e vano di senno quelli che dice che '1 parliere possa o debbia
trattare di queste que- 25. stioni, nelle quali tutto tempo si consumano
et affaticano i filosofi. 7. Or à provato Tulio che Ermagoras non
intese quello che disse. Ornai proverà come non attese quello che
promise, in ciò che promettea di trattare per rettorica ogne causa et
ogne questione. 8. Et ciò fae a guisa de' savi, i 1 : 3/' sì
plenesse - 3: M-m fuori con lioneslade, M'-l di l'iiuri 7 lioii. 4' ili
l'uori d'hon. — .W grande (juostione — mi traili lilosali — -I : m «m. et
— 5 : .V diceano hon. — M-m OHI. questi fuoro — il pai'ei)atoiici, .W
parclieiialetici — 6: il' diceano volontade (S ugg. cioè piacere) — 7:
M-m se songni - 8: M' chel ricalco — 9: S il nostro senti- mento — iO: il
perciò — id: il' diceano — IS: il Hangolo ('/), "i troangholo, .W'-i
triangolo, S otangolo — m quadro — i3: il' cotanti che terra, i cotanti
chella terj-a —16: m ritraevano la misura d. s. — 17: il' che elgli
diceva. Kt assai ecc. — S3: M' Dunque ben — M' chi dice — 24: M' debbia
parlare — 25: M' et faticano — S7: il-m non inteso — 28: M-m perche (>
rectorica — 29: M-m di savi (1) La lezione di M ò incerta, ma
sembra spiegata e confermata da quella di S che risalo all'altra famiglia
di codici ; un segno male interpretato come abbre- viatura di ri può aver
suggerito la lezione triangolo. Il commento di Vittorino a questo passo
non parla nò di triangolo né di ottangolo. (2) Il latino Ila in
ca. - 49 — quali vogliendo mostrare la loro
sapienzia sì 11' apongono ad alcuna arte per la quale non si puote
provare; come s' alcuno volesse trattare d' una questione di dialetica
et aponessela a gramatica, per la quale non si pruova né ssi 5.
potrebbe provare, e ciò mosterrebbe usando per argomenti la sua
sapienzia; e sopr'a cciò ecco '1 testo di Tulio. Tullio dice in
somma ciò ch'elli avea detto davanti. 26. Che se Ermagoras avesse
in queste cose avuto gran savere acquistato per istudio e per
insegnamento, parrebbe ch'elli, usando 10. la sua scienzia, avesse
ordinata una falsa cosa dell'arte del parliere, e non avesse sposto
quello che puote l'arte ma quello che potea elli. Ma ora è quella forza
nell'uomo ch'alcuno li tolga più tosto retto- rica che no-lli concedesse
filosofia. Ma perciò l' arte che fece non mi pare del tutto malmendosa,
ch'assai pare ch'elli abbia in essad) locate 15. cose elette
ingegnosamente e diligentemente ritratte delle antiche arti, et alcuna
v'àe messo di nuovo; ma molto è piccola cosa dire del- l'arte sì come
fece elli, e molto è grandissima parlare per l'arte, la qual cosa noi
vedemo ch'esso non poteo fare. Per la qual cosa pare a noi che materia di
rettorica è quella che disse Aristotile, della 20. quale noi avemo
detto qua indietro. Lo sponitore. I. In questa parte
dice Tulio che se Ermagoras fosse stato bene savio, sicché potesse
trattare le quistioni e le cause, parrebbe eh' avesse detto falso, cioè
che avesse dato 25. al parliere quello officio che nonn é suo; e così non
avrebbe mostrata la forza dell'arte, ma averebbe mostrata la sua.
2. «Ma ora è quella forza nell'uomo», cioè tal fue questo Ermagoras, che
neuno che dicesse eh' e' non sappia retto- rica no-lli concederae che
ssia filosofo. 3. « Ma perciò l'arte 1 : 3f siila pongono —
3: m trattare una q. — 4-5: M' per la quale non si porla provare — M' om.
per argomenti — 9: M^ o \)ev insegnamento parendo— 10: »i ordinato — M-m
del parlare — 11 : M-m non avesse posto (»m in et n.) — M' ([nello puote
— 13: M' che fece nolli cono. — 14-15: M-m messe, A/' in esse — M-m ^
locate le cose («4 nm. le cose) 7 lecte — 17: M dell'arti, in delle urti
— itf' grandissimo — 18: Jl/ potea, M' ]jotero — 19: ni sia quella — 20:
M' qua in adietro — S4: M-m ciò — M' cavesse detto — 25: Af a parliere —
28: M' ch'olii — 28-29: S che non lu veruno che dicesse ch'elli non
sappia retorica non dirà giù che egli sia philosopho (1) Il testo
latino ha in ea. che fece non pare in tutto rea ». In questa
parola il cuo- pre (1) Tulio e dimostra eh' elli avrebbe bene ijotuto
dire X^egio. Et dice « non è del tutto rea » perciò eh' elli àe
messo nel suo libro con molta diligenzia e con ingegno li 5. comandamenti
delli altri maestri di questa arte, et alcuna cosa nuova v' agiunse. Et
qui pare che Tulio lo lodi là ove il vitupera, dicendo che fosse furo in
perciò che delle scritte d' altri maestri fece il suo libro. 4. « Ma
molto è picciola cosa dire dell' arte », ciò viene a dire eh' al parliere
non 10. s'apartiene dare insegnamenti dell'arte, sì come fece
Er- magoras, ma apartiensi a llui in tutte guise parlare secondo li
'nsegnamenti e comandamenti dell" arte, la qual cosa non seppe fare
esso. 5. Adonque è da tenere la sentenzia d'Ari- stotile, che dice che
materia di questa arte è dimostrativo, 15. deliberativo e
iudiciale. Et ornai è detto sofficientemente e diligentemente del genere,
cioè generalmente, dell' officio e della fine di rettorica; or sì dicerà
il conto delle sue parti, sì come Tulio promise nel suo testo qua
indietro. Tullio dice le parti di rettorica. 20.
27. Le parti sono queste, sì come i più dicono: Inventio, di-
spositio, elocutio, memoria e pronuntiatio. Lo sponitore.
ì. Cinque parti dice Tulio che sono et assegna ragione per
che, e quella ragione metterà lo sponitore in suo luogo. 25. Ma
prima dicerà le ragioni che nne mostra Boezio nel quarto della
Topica, che dice che se alcuna di queste cin- 1-2: S scuopre
— 4: M' con non molto.... ingegni i com. — 6: J/' vi giiingnesse —
i>f-»i la dove — 7:M* fosse ladro — m poro che dello dette scritte - 8-9: M'
delli altri — om. Ma... arte — m cosa a dire — 10: M-m a dire — 12 : m
egli noi seppe fare — 14 : m dice materia — 15-17 : M' Et oggimai ae
solTicientemento detto del genere, dell' officio et del (ine dì
rectorica. Si dicerà l'autore déle sue parti — M sulficientemcnte dilig. — m
ora dirà — 20;mLLQ parti di rettoriclia — M' inveutione, dispositione,
ccc — 24: S questa — M-m che dico se alcuna Cioè «lo difonde». La
lezione scuopre di S sarà nata da un ilcuopre letto iscuopre; come senso
si ridurrebbe a una ripetizione di dimostra. - 51 -
que ijarti falla nella diceria, non è mai compiuta; e se queste
parti sono in una diceria o inn una lettera, certo l'arte di rettorica vi
fie altressì. 2. Un'altra ragione n'ase- giia Boezio: che però sono sue
parti perchè esse la 'nfor- 5. mano et ordinano e la fanno tutta essere,
altressì come '1 fondamento, la i)ai'ete e '1 tetto sono parti d'una casa
sì che la fanno essere, e s' alcuna ne fallisse non sarebbe la casa
compiuta. 3. Et dice Tulio che queste sono le parti di rettorica sì come
i più dicono, i)erò che furo alcuni che diceano che memoria non è parte
di rettorica perciò che non è scienzia, et altri diceano che dispositio
non è parte d' essa arte. Et così va oltre Cicerone e dicerà di
ciascuna parte perse, e primieramente dicerà della 'uven- zione, sì come
di piti degna; e veramente è più degna, però 15. ch'ella puote
essere e stare sanza l'altre, ma l'altre non possono essere sanza
lei. Tullio dice della invenzione. 28. Inventio
è apensamento a trovare cose vere o verisimili le quali facciano la causa
acconcia a provare. 20. Sponitore. I. Dice Tulio che
inventio è quella scienzia per la quale noi sapemo trovare cose vere,
cioè argomenti necessarii - e nota « necessarii », cioè a dire che
conviene che pure cosi sia - e sapemo trovare cose verisimili, cioè
argomenti ac- 25. conci a provare che così sia, per li quali
argomenti veri e verisimili si possa provare e fare credere il detto o
'1 fatto d'alcuna persona, la quale si difenda o che dica in-
contro ad un' altra. 2. E questo puote così intendere il porto dello
sponitore. Verbigrazia: Aviene una materia 30. sopra la quale
conviene dire parole, o difendendo 1' una i: .W manca — 3: m
vi (ia, M' vi l'u - 3-4: M' dice Boelius, che poroiù — 5: m fannola tutta
essere, Af' li fanno essere tutto alti-essi ecc. — 6: M' son parte — 8 : m
om. Et — 10: m non era ~ 11: M^ dispositlone — 12: M-m dell'arte — 13: m
primamente - 16: m essere o stare — 18: M' invontione (e coù semiire) — m
pensamento — il' overo simili — 19: il-m la cosa — S3: SI' om. a dire —
23-24: m pure che cos'i sia. E sap- piano — 25: M' nm. acconci ~ 26: M-m
el facto - 27-28: m chontro ad un altra - 52 -
parte o dicendo centra l'altra; o per aventura sia materia sopra la
quale si conviene dittare in lettera. Non sia don- que la lingua pronta a
parlare né la mano presta alla penna, ma consideri che '1 savio mette
alla bilancia le sue parole 5. tutto avanti clie Ile metta in dire né inn
iscritta. 3. Con- sideri ancora che '1 buono difficiatore e maestro poi
che propone di fare una casa, primieramente et anzi che metta le
mani a farla, sì pensa nella sua mente il modo della casa e truova nel
suo extimare come la casa sia migliore; e poi 10. eh' elli àe tutto
questo trovato per lo suo pensamento, sì comincia lo suo lavorio. Tutto
altressi dee fare il buono rettorico: pensare diligentemente la natura
della sua ma- teria, e sopra essa trovare argomenti veri o verisimili
sì che possa provare e fare credere ciò che dice. 4. Et già
15. é detto quello che è inventio. Ora procederà il conto a dire quello
che è dispositio. Dice Tullio de dispositio. 29.
Dispositio èe assettamento delle cose trovate per ordine.
Sponitore. 20. 1. Perciò che trovare argomenti per provare e
far cre- dere il suo dire non vale neente chi no Ili sae asettare
per ordine, cioè mettere ciascuno argomento in quella parte e luogo
che ssi conviene, per più affermamento della sua parte, sì dice Tulio che
è dispositio. 2. E dice eh' è quella 25. scienzia per la quale noi
sapemo ordinare li argomenti trovati in luogo convenevole, cioè i fermi
argomenti nel principio, i deboli nel mezzo, i fermissimi, co' quali
non si possa contrastare lievemente, nella fine. 3. Cosi fae il
difficatore della casa, che poi eh' elli àe trovato il modo 1
: m chontro all'altra - 2 .• M sopralla ([ualo - M' oiii. don(|uo - 3: in o la
mano alla penna - 5: m tutto prima, S tutto - m o in iscritta, M' o in
iscriptura — 6-S:.il diliciatore prima che metta lo mani a lare — mr=.)/,
ma o maestro - 9: m Poi - 10: M' U suo la- voro — i3: M-m si veri che
possa - 14-16: M E già liecto, mi Ora e detto - M' om- quello - M-m Ora
procederà il conto quello che è spositio, .«' Si procederà il conto a
dire che k dispositione - SO: m diro il suo criMloro - Sfì: M trovai -
,W-»i ohi. i, m om. argo- pienti — 27: M' ali (piali -
53 — nella sua mente, elli ordina il fondamento in quel luogo
che ssi conviene, e ila parete e '1 tetto, e poi 1' uscia e camere e
caminate, et a ciascuna dà il suo luogo. 4. Già è detto che è dispositio;
or diceva il conto che è elocutio. 5. Tullio dice della
locuzione. 30. Elocutio è aconciamento di parole e di sentenzie
avenanti alla invenzione. Sponitore. I. Perciò
che neente vale trovare od ordinare chi non 10. sae ornare lo suo
dire e mettere parole piacevoli e piene di buone sentenze secondo che ssi
conviene alla materia trovata, sì dice Tulio che è elocutio. Et dice che
è quella scienzia per la quale noi sapemo giungere ornamento di
parole e di sentenze a quello che noi avemo trovato et 15. ordinato.
2. E nota che ornamento di parole èe una digni- tade la quale proviene
per alcuna delle parole della diceria, per la quale tutta la diceria
risplende. Verbigrazia: « Il grande valore che in voi regna mi dà grande
speranza del vostro aiuto ». Certo questa parola, cioè « regna », fa
tutte 20. risplendere l'altre parole che ivi sono. 3. Altressì nota
che ornamento di sentenze è una dignitade la quale proviene di ciò
che in una diceria si giugne una sentenza con un'al- tra con piacevole
dilettamente. Verbigrazia : in queste pa- role di Salamene (1): «Melliori
sono le ferite dell'amico che' 25. frodosi basci del nemico». 4. Et
già è detto che è elocutio, cioè apparecchiamento di parole e di
sentenzie che facciano la di- ceria piacevole et ordinata di parole e di
sentenzie. Omai pro- cederà il conto alla quarta parte di retto rica,
cioè memoria. i-2: m in quello che si chonvienc et il
luogo.... l'ascia, charaere3: M^ cam- minate, ciascuna in suo luogo. Et
già ecc. — 0-7: M-m avenonti alla ntentione (anche S intenliono) — 9: M
om. od — 10: M' sa adornare il suo dire — 15: m om. E - 16: M dignità
della quale, m M' dignità la quale pervieneSO: M' vi sono — SI m ,»f'
perviene — 22 .- M-m om. Ai — M un'altra seutenfa con un altro, m in un'altra
diceria si giungne un'altra sententia chon un altro piacevole dil. — 23:
M-m dice Salamene — 25: M' li frodolenli basci — m om. Et — 26-27: M om.
e di sentenzie, m om. piacevole el; M om. che.... parole Ambedue le
lezioni sono possibili; ma con quella di M si spiega meglio una pretesa
correzione in dice (chi avrebbe pensato, invece, a cambiare dice indi?),
mentre poi il verbo dice renderebbe superflua l'espressione in queste
parole. — 54 - Dice Tulio della
memoria. 31. Memoria è fermo ricevimento nell'animo delle cose e
delle parole e dell'ordinamento d'esse. Sponitore.
5. 1. Et perciò che neente vale trovare, ordinare o acon-
ciare le parole, se noi nolle ritenemo nella memoria sicché ci'nde
ricordi quando volemo dire o dittare, sì dice Tulio che è memoria. Onde
nota che memoria èe di due maniere: una naturale et un'altra artificiale.
2. La naturale è quella 10. forza dell'anima per la quale noi
sapemo ritenere a memo- ria quello che noi aprendemo per alcuno senno del
corpo. 3. Artificiale è quella scienzia la quale s'acquista per in-
segnamenti delli filosofi, per li quali bene impresi noi pos- siamo
ritenere a memoria le cose che avemo udite o trovate 15. o aprese
per alcuno de' senni del corpo; e di questa memo- ria artificiale dice
Tulio eh' è parte di rettorica. 4. Et dice che memoria è quella scienzia
per la quale noi fermiamo nell'animo le cose e le parole eh' avemo
trovate et ordinate, sicché noi ci 'nde ricordiamo quando siemo a dire.
Et già é 20. detto che è memoria; si dicerà il conto la quinta et
ultima parte di rettorica, cioè pronuntiatio. Dice Tullio
della pronunziagione. 32. Pronuntiatio è avenimento della persona e
della voce se- condo la dignitade delle cose e delle parole.
25. Sponitore. 1. Et al ver dire poco vale trovare, ordinare,
ornare parole et avere memoria chi non sae profFerere e dicere le
sue parole con avenimento. Et perciò alla fine dice Tulio 5:
*' Però che niente — ot acconciai-e — 7: w» cene, Af' cine — M volere — 9:mom,
et — il: M' senso — IS: M' quella memoria — i-i: J»/' udito — i5: 4f' sensi —
16-, m nnu Et — i8 : m olle parole — i9: M' noi vegnamo a dire — SO- «
ultra parte, hi ora dirà il conto la quinta jiarte, .W" il maestro -
S6 : m o ornare — 27: in a chi non sae prollbrere o diro
-òs- che è pronuntiatio; e dice eh' è quella scienzia per la
quale noi sapemo profferere le nostre parole et amisurare et ac-
cordare la voce e '1 portamento della persona e delle mem- bra secondo la
qualitade del fatto e secondo la condizione 5. della diceria. 2. Che chi
vuole considerare il vero, altro modo vuole nelle voci e nel corpo
parlando di dolore che di letizia, et altro di pace che di guerra, ('he
'1 parliere che vuole somuovere il populo a guerra dee parlare ad
alta voce per franche parole e vittoriose, et avere argo- 10.
glioso advenimento di persona e niquitosa ciera contra ' ne- mici. 3. Et
se Ila condizione richiede che debbia parlamen- tare a cavallo, si dee
elli avere cavallo di grande rigoglio, sì che quando il segnore parla il
suo cavallo gridi et ana- trisca e razzi la terra col piede e levi la
polvere e soffi per 15. le nari e faccia tutta romire la piazza,
sicché paia che coninci lo stormo e sia nella battaglia. Et in questo
punto non pare che ssi disvegna a la fiata levare la mano o per
mostrare abondante animo o quasi per minaccia de' nemici. 4. Tutto
altrimenti dee in fatto di pace avere umile adve- 20. nimento del
corpo, la ciera amorevole, la voce soave, la parola paceffica, le mani
chete; e '1 suo cavallo dee essere chetissimo e pieno di tanta posa e' sì
guernito di soavitade che sopr'a llui non si muova un sol pelo, ma elli
medesimo paia factore della pace. 5. Et così in letizia de' 1
parlatore 25. tenere la testa levata, il viso allegro e tutte sue
parole e viste significhino allegrezza. Ma parlando in dolore sia
la testa inchinata, il viso triste e li occhi pieni di lagrime e
tutte sue parole e viste dolorose, sicché ciascuno sem- biante per sé e ciascuno
motto per sé muova l'animo del- 30. r uditore a piangere et a
dolore. 6.- Et già é detto delle cinque parti sustanziali di rettorica
interamente secondo l'oppinione di Tulio, e sì come lo sponitore le
puote fare meglio intendere al suo porto; sì ritorna Tulio a scu-
sare sé medesimo di ciò che non àe mostrato ragione perché
2: m e misurare ~ 5: M' che a chi vuole — 0: M' noia boce — 7 : M'
parlare, m Il parliere — 8: m smuovere — i/' om. il populo — 11 : M
parlantare, m p-are — 12: m mn. elli — 14-15: M' delle nari, vi sozzi le
anari — 16: il' incominci — 17: M-m om. per — 19-20: M' humili avenimenti
— m nel chorpo — 21 : M' le parole pacefiche — 22 : L di tanta jwssa — 24
: M' om. Et — mss. del parlatore — 25 : M-m levata in suso - il' le sue
parole — 26: il-m e signilichino — 27: m chinata, il' inchina, L inchinata
— 28 : M-m parole iuste e dolorose — 29: il' muove — 30: m piangerò a
dolore. Ora è detto — 31 : il' sustanziali parti — 32: M' il puote
— 56 — quello sia genere et ofifìcio e fine di rettorica
sì com' elli àe fatto della materia e delle parti, e dice in questo
modo. Tullio dice che tratterà della materia e delle parti.
33. Oramai dette brievemente queste cose, atermineremo in 5 altro
tempo le ragioni per le quali noi potessimo dimostrare il genere e
IPofficio e Ila fine di quest'arte, però che bisognano di molte parole e
non sono di tanta opera a mostrare la propietade e Ile comandamenta
dell'arte. Ma colui che scrive l'arte rettorica pare a noi che 'I convenga
scrivere dell'altre due, cioè della ma- io teria e delle parti. E io
perciò voglio trattare della materia e delle parti congiuntamente.
Adunque si dee considerare più intentivamente chente in tutti generi
delle cause debbia essere inventio, la quale è principessa di tutte le
parti. Sponitore. 15. 1. In questa parte dice Tulio che
non vuole ora pro- vare perchè quello sia genere di i-ettorica che
detto è davante, né Ilo officio né Ila fine, però che vorrebbe
lunglie parole e non sono di molto frutto, e però l' atermina nel-
r altro libro nel quale tratta sopr' a cciò; et in questo 20.
presente libro tratta della materia, cioè dimostrazione, deliberazione e
iudicazione, et altressì tratta delle pai'ti, cioè inventio, dispositio,
elocutio, memoria e pronuntiatio. 2. Et di tutte queste tratterà insieme
e comunemente. Ma però che inventio è la più degna parte, sì dicerà
Tulio 25. chente ella dee essere in ciascuno genere di
rettorica, cioè come noi dovemo trovare quando la materia sia di
causa dimostrativa, e quando sia deliberativa, e quando sia iudiciale; e
tratterà si comunemente che mosterrà come sia da trovare in catuna di
queste cause, e come 30. ordinare e come ornare la diceria, e come
tenere a me- moria e come profferere le sue parole. 1
: M-m quella — 4 : M' Ogimai — 7 : M admostrare, ni a dimostrare — M' le
pro- picladi — 9: M-m che convenga - iO-H : M-m om. K io....
congiuntamente — IS: M-m chente e — i3: Af' do tutte l'arti — 16: M-m
quella, M -L quel — M' detto davanti — 18: M' lo termina — 20: M-m
dimostrative — 23: M' congiuntamente; m om. e — 24: M-m om. SI dicerà
Tulio — i'S : M' om. sia — congiuntamente — S9: Af' come iu e. d. q. e.
sa da trovare — 30: iii nm. e come ornare - 57 —
Lo sponitore parla all' amico suo. — 3. Perciò lo sponi- tore
priega '1 suo porto, poi ch'elli àe impresa altezza di tanta opera come
questa èe, che a llui piaccia di si dare l'animo a cciò eh' è detto
davanti, spezialmente in conno- 5. scere il dimostrativo e '1 deliberativo
e '1 iudiciale che sono- il fondamento di tutta l'arte, e poi a quel che
siegue per innanzi, eh' elli intenda tutto '1 libro di tal guisa che, per
lo buono aprendimento e per lo bel dire che farà secondo lo
'nsegnamento dell' arte, il libro e lo sponitore ne riceve- JO. ranno
perpetua laude. Della constitnzione e delle quattro sue
parti. 34. (e. Vili) Ogne cosa la quale àe alcuna controversia
in diceria o in questione contiene in se questione di fatto o di
nome di genere o d'azione; e noi quella questione delia quale nasce
15. la causa apelliamo constituzione. E constitnzione è quella eh' è
prima pugna delle cause, la quale muove dal contastamento della
intenzione in questo modo : « Facesti » - « Non feci » o « Feci per
ragione ». Sponitore. 20. 1. Poi che Tulio àe detto di
mostrare e trattare della invenzione e della materia insieme, sì
mostra lo sponitore in che ordine trattò de l'inventio; ma per maggiore
chia- rezza dicerà tutto avanti in che significazione si prendono queste
parole, cioè causa, controversia, constituzione e stato. 25. 2.
Causa vale tanto a dire quanto il detto o '1 fatto d' al- cuno, per lo
quale è messo in lite, ed è appellato causa tutto '1 processo dell' una e
dell' altra parte. Et appellasi causa tutta la diceria e la contenzione
cominciando al prolago e tìniendo alla conclusione; donde dice
uomo: 3: M-m di darli l'animo — 7-10: M^ chel baono — ben
dire — per tua laude, M-m dello sponitore, M ne rlcevemo, m ne riceva -
13: m o questione, ilf ' om. contiene in se questione — 14 : M-m di
quella — 15: M^ constitutione ò la prima pugna — 21 : M' om. insieme — M'
mosterra, ma L mostra — SS : M delinventia, m della inventia, M^ della
inventione — 23: m tutto innanzi — Af' mi. si prendono — S7 : M' dell'una parte
7 del- l'altra — 28: M-m la 'nlentione — M' dal prol.
- 58 - « La mia causa è giusta » cioè « la mia parte è giusta
>. 3. Controversia vale a dire tanto come causa, e viene a dire
controversare cioè usare l'uno coli' altro di diverse ragioni e contrarie.
4. Questione tant' è a dire come '1 primo detto 5. di colui che comincia
contra un altro e '1 secondo detto di colui che ssi difende. Et appellasi
quistione una diceria nella quale àe due parti messe in guisa di
dubitazione, et appellasi questione per l'una e per l'altra parte della
que- stione. 5. Constituzione si prende et intende in quelle me-
10. desime significazioni che sono dette davanti. 6. Stato è ap-
pellato il detto e '1 fatto'l) dell'aversario, però che' parliere stanno
a provare quel detto o quel fatto; e questo medesimo è appellato
constituzione perciò che '1 parliere constituisce et ordina la sua
ragione e la sua parte di quel detto o di 15. quel fatto. Et per
ciò è appellato controversia che diversi diversamente sentono di quel
detto o di quel fatto. Qui dice lo sponitore come Tullio tratterà
della Invenzione. 7. Et poi che Ilo sponitore àe dette le significazioni
di que- ste parole, dicerà in chente ordine Tulio tratta della
'nven- 20. zione. Et certo primieramente insegna invenire e
trovare quelle questioni le quale trattano i parlieri, et appellale
constituzioni e dice la proprietade di constituzione e divi- dela in
parti. 8. Nel secondo luogo mostra qual causa sia simpla, cioè di due
divisioni, e qual sia composta, cioè di 25. quattro o di più. 9.
Nel terzo luogo mostra qual contra- versia sia in scritta e quale in
dicere. 10. Nel quarto luogo mostra quelle cose che nascono di
constituzione, cioè la diceria nella quale àe due divisioni e ragioni, e
Ila giudi- cazione e '1 fermamento. 11. Nel quinto luogo mostra in
30. che guisa si debbono trattare le parti della diceria secondo
rettorica. 12. Nel sesto luogo mostra quante sono esse parti e quali e
che sia da ffare in ciascuna. 13. Et disponesi cosi 2 : Af'
vale quasi tanto — 3: M' controversia — centra l'altro diverse ragioni —
4:M' k tanto a dire — M-m come primo — 5: m e secondo — 7: M-m parti in
essere — M dn- bitatione sanfa dubitatione — 9: M' i s'intende — 10: m
dinanzi — J8: m om. VA- IO: M' sì dicerà oggimai — 20: L a trovare — 23:
m In quattro parti — M-m dimostra - M qual cosa, m ciualo luogho — 26 :
M-m sia scripta - 28 : M'-L e la ragiono el iu- dicamento el fermamente —
29: m dimostra — 31: M luorao (tic) .— 32: M' ciascuno M Kt diponesi, m
('dispensi, M'-L Et dispone (1) Ci aspetteremmo o 'l fatto, anche
per uniformità colle frasi seguenti ; ma la concordia dei codici per e
lascia incerti sulla conesiione, che non è neppure indispensabile per il
senso. — 59 — il testo di Tulio per fare
intendere onde procedono le qui- stioni che toccano al parliere di questa
ai'te. Sponitore. - 14. Ogne cosa la quale àe in sé
controversia, cioè della quale i diversi diversamente sentono sicché
al- 5. cuna cosa dicono sopr' a cciò con inquisizione, cioè per
sapere se alcuna delle parti è vera o falsa, sì à' in sé que- stione di
fatto, cioè questione la quale muove di ciò che alcun fatto è apposto
altrui. Verbigrazia : Dice l'uno con- tra l'altro: « Tu mettesti fuoco
nel Campidoglio »; et esso 10. risponde: « Non misi ». Di questo nasce
una cotale que- stione, se elli fece questo fatto o no, et è appellata
que- stione di fatto per quello fatto che a llui è apposto, etc.
15. Od è questione di nome, cioè che 11' una parte appone un nome a
un fatto (D e l'altra parte n'appone un altro. 15. Verbigrazia:
Alcuno à furato d'una chiesa uno cavallo o altra cosa che non sia
sagrata. Dice 1' una parte contra lui : « Tu ài commesso sacrilegio ».
Dice l'altro: « Non sacrile- gio, ma furto ». Et nota che sacrilegio è
molto peggiore che furto, perciò che colui commette sacrilegio che
fura 20. cosa sacrata di luogo sacrato. Donde di questo nasce
una questione del nome di quel fatto, cioè se dee avere nome furto
sacrilegio, e però è appellata questione del nome. 16. Od è
questione del genere, cioè della qualitade d'alcuno fatto, in ciò che 11'
una parte appone a quel fatto una qua- 25. litade e l' altra un'
altra. Verbigrazia : Dice F uno : « Questi uccise la madre iustamente
perciò ch'ella avea morto il suo padre» - Dice l'altro: « Non è vero, ma
iniustamente l'à fatto»; e di ciò nasce cotal questione di questa
qualitade: se l'à fatto iustamente o iniustamente, e perciò è
appel- 30. lata questione di genere, cioè della qualità d'un fatto
e di che maniera sia. 17. Od è questione d'azione, cioè viene
a dire che contiene questione la quale procede di ciò, - e'
alcuna azione si muta d' un luogo ad altro e d'un tempo ad altro.
Verbigrazia : Dice uno contra un altro : « Tu m' ài 4: M'
diversi — 6: M' se l'una parte — 8: 3f' un facto — 8-9: M' uno contra un
altro — M' Elgli, mie— 12-13: m che 6 allui aposto, il/' perche il facto che
allui e e apposto da questione ecc. — M-m Onde questione — i4 : M-m in
nome o in facto, M' ialla dal 1° al 2° appone — 18: m M' oin. Et — M'
peggio — 20: m Onde — 21: M' del nome del facto — 22: m di nome — 23: M-m
Onde — m di genere — 25: M-m l'altro — 28: iW' OHI. e — 29: M-m om. se
l'à fatto — 30: M' o di che m. - 31 : M-m Onde — mcioò che viene — 32-34:
M' dico calcuna ad un altro — om. e.... ad altro — uno a un altro
(1) È lezione congetturale, ma sicura, come dimostra l'espressione
analoga del § 16. — 60 - furato un cavallo »; et
esso risponde: « Vero è, ma non tine rispondo in questo tempo, perciò che
ttu se' mio servo, o perciò eh' è tempo feriato, o perciò eh' io non
debbo rispon- derti in questa corte, ma in quella della mia terra >.
Onde di questo procede una questione, la quale Tulio dice che è
d'azione, cioè se colui dee rispondere o no. 18. Et dice Tulio che tutte
le quistioni che sono dette davanti sono appellate constituzioni, cioè
c'anno questo nome. Et dice che constituzione è la prima pugna delle
cause, cioè 10. quello sopra che da prima contendono i parlieri,
cioè il detto dell'uno e '1 detto dell'altro, e questo sopra che de
prima contendono i parlieri si è il nascimento, cioè che muove del
contrastamento della intenzione, cioè del detto di colui che ssi difende
contra le parole dell'accusatore. 15. 19. Onde contastamento è
appellato el primo detto del difen- sore e intentione è appellata il
primo detto dello accusa- tore. Et pare che il nascimento della
constituzione vegna della difensione ch'è della accusa, non che nasca
della di- fensione, ma perciò che del detto del difenditore si
puote 20. cognoscere se Ila causa o Ila questione è di fatto o di
ge- nere o di nome o d'azione, sì come appare nelli exempli che
sono messi davanti. 20. Et omai dicerà Tulio le nomora e Ile divisioni e
Ile proprietadi e He cagioni di tutte le dette questioni. 25.
Del fatto, et è detto congettìirale. 35. Quando la controversia è
di fatto, perciò che Ila causa si ferma per congetture, sì à nome
constituzione congetturale. Sponitore. 1. In
questa parte dice Tulio che quando la conten- 30. zione è per
alcuno fatto che sia apposto ad altrui, sì come davanti si dice, sì
conviene eh' ella sia provata per con- 1 : M' 0(1 cigli, VI
et e — 3: m e però ch'io — M' rispondere — 6 : M' se quelli — m OHI. Et —
10: M i parliero, vi quello dello quale contendono da prima — 14: M di-
fontu — 15: m M' il primo — 16: M' appellato - 17: M-m che nascimento — 19: M'
owi. del — 23-24: M' om. e Ilo cagioni, mn scrive le detto | cagioni I
(piestioni — SS: Moni. è — 26-27: M-vi om. è — per cometlere — 30: M'
apposto altrui — 61 — gettare, cioè per
suspezioni e per presunzioni. Verbigrazia: Dice uno contra un altro: «
Veramente tu uccidesti Aiaces, ch'io ti trovai e vidi traiere il coltello
del suo corpo ». 2. Et questa è faticosa questione, ciò dice Vittorino,
perciò 5. che a provarla si faticano molto i parlieri, perciò
ch'al- tressì ferme ragioni si possono inducere per 1' una parte
come per 1' altra. E poi eh' è detto della constituzione di fatto, sì
dicerà Tulio di quella eh' è di nome. Del nome, et è
appellata ilifjìnitiva. 10. 36. Quando è la controversia del nome,
perciò che Ila forza della parola si conviene diffinire per parole,
sì è nominata diffi- nitiva. Lo sponitore. 1. In
questa parte dice Tulio che quando la conten- 15 zione è del nome
del fatto, cioè come quel fatto eh' è ap- posto altrui abbia nome, quella
questione si è diffinitiva perciò che Ila forza, cioè la significazione
di quella parola e di quel nome si conviene diffinire, cioè aprire e
rispia- nare che viene a dire e che significa, non per exempli ma
20. per parole brevi e chiare et intendevole. 2. Verbigrazia : Un
uomo è accusato che tolse uno calice d' uno luogo sa- crato et è Ili
apposto che sia sacrilegio, et esso si difende dicendo che non è
sacrilegio ma furto. Or sopra questa con- troversia si è tutta la
questione per lo nome di questo fatto: 25. è sacrilegio o furto? 3.
Onde per sapere la veritade si con- viene diffinire l'uno nome e 11'
altro, cioè dire la signiffi- cazione e Ilo 'ntendimento di ciascuno
nome, e poi che fie chiarito per le parole quello che '1 nome significa,
assai bene si potrà intendere e provai*e qual nome si XJonga a
30. quel fatto. Et poi eh' è detto del nome, sì dicerà Tulio del
genere. 3: m e viJili trarre, M' ol ti vidi trarre — 5-6:
M'-L acciò che altress'i (L altre si) f. r. se ne possono — 7: in ora. E
— *: m om. sì — W: M' la controversia è — ii: M'-L appellata — 13: M-m
om. è — 3f ' 7 ilei facto — 16: M' om sì — 17:M' che ella airorca — M-m a
quella parola - 21-22: M' del luogo sacro — 23: M' ma e furto — 24-25:
AT» se questo facto è sacrilegio furto — 26: m l'altro — M-m dare - 28: M-m
che nome — 30: m om. Ei e si 62
Dice Tullio del genere, et è appellato generale. 37. Quando è
quistione della cosa qual sia, perciò clie Ila. controversia è della
forza e del genere del fatto, sì è vocata con- stituzione generale.
5. Lo sponitore. 1. In questa parte dice Tulio che
quando è questione della cosa quale ella sia, perciò che Ila controversia
è della forza del fatto, cioè della quantitade, e della
comparazione et altressì del genere, cioè della qualitade d'esso fatto,
si è 10. vocata constituzione generale. 2. Verbigrazia : La quanti-
tade del fatto si è cotale questione : se uno à fatto tanto quanto un
altro, si come fue questione se Tulio avea tanto servito al comune di
Homa quanto Catone. 3. La compa- razione del fatbo si è cotale: di due
partiti qual sia migliore, 15. si come fue questione quando i
Romani presono Cartagine qual era il meglio tra disfarla o lasciarla. 4.
11 genere del fatto si è questione della qualità del fatto sì come
davanti fue messo F exemplo, cioè se colui che fece il fatto fece
iustamente o iniustamente. 20. Dice Tullio dell'azione, et è
appellata translativa. 38. Ma quando la causa pende di ciò che non
pare che quella persona che ssi conviene muova la questione, o non la
muove contra cui si conviene, o non appo coloro che ssi conviene.d) o non
in tempo che ssi conviene, o non di quella lege o di quel peccato o di
quella 25. pena che ssi conviene, quella constituzione à nome
translativa, però che ir azione bisogna d' avere translazione e
tramutamento. 8: M-m o decta forfa — 9: M-m sia — M'
aiiiiellala — H : M-m senno - 14. m do fatto — i7: M-m qualità — 2'1: A/'
l'accusa — 24: M convenne, M-m nm. o non (1) La frase o non appo
coloro che ssi conviene manca in tutti i codici, ma si ricava dal latino
aid non apud qiios e dal § 4 dol commento. - 63
Lo sponitore. I. In questa parte dice Tulio della
controversia del- l'azione, che quando sopr'acciò è Ila questione e' si
conviene che U'azione si tramuti in tutto o in parte, e perciò à
nome 5. translativa, cioè trarautativa- Et questo è o puote essere
Ijer sette maniere, le quali sono nominate nel testo, cioè: 2. Quando non
muove la questione quella persona a cui la conviene di muovere.
Verbigrazia: Dice uno scoiaio contra ad un altro : « Tu se' venuto troppo
tardi a scuola ». Et 10. esso dice: « A te no'nde rispondo, che non
ti si conviene muovermi questione di ciò, ma conviensi al nostro
mae- stro ». 3. O non muove la questione contra quella persona che
ssi conviene. Verbigrazia : Fue trovato che in Roma si trattava
tradimento e fue alcuno che ll'aponea contra 15. lulio Cesare, et
esso dicea : « Contra me non si conviene muovere di ciò questione, ma
contra Catellina che 11' àe fatto e fa tutta fiata ». 4. non muove la
questione appo coloro che ssi conviene, cioè davanti a quelle persone
che dee. Verbigrazia : Fue accusato il vescovo di simonia da-
20. vanti al re di Navarra. Il vescovo dice: « Tu non m'accusi
davante a giudice eh' io debbia rispondere, ma io son bene tenuto di ciò
e d'altro davante l'appostolico ». 5. O non muove la quistione in quel
tempo che ssi conviene. Ver bigrazia : Uno fue accusato il giorno di
Pasqua ; esso di- 25. cea : « Non rispondo ora di questo, perciò
che oggi non è tempo d' attendere (1) a cotali convenenti». 6. non muove
questione a quella lege che ssi conviene. Verbigrazia : Uno cittadino di
Roma era in Parigi e volea piatire contra uno francesco secondo la legge
di Roma; ma quel francesco dice 3: Jtf -HI 7 si conviene,
3/' om. — 5: Af 7 puote, m e questo puole essere — M' in sette m. — 7-8:
m si conviene — M' in contro a un altro — 9-iO: M' Ed elgli, m et elli — M-m
om. ti — 12: M-m muovere, M' muove questione — i4: Af alcuna —16: m
questione di ciò, M' di ciò non si conv. m. q. — ' 17: m tuttavia — M-m
contra coloro — 18-19: M' che si dee.... Il vescovo fu acc. — 21: M
davante a giudici, m /> davanti a giudici, M' davanti giudice - 24: m
della Pasqua — egli — 25: M' non ti rispondo ora di ciò — 26: m M' da
rispondere — 29: M' la legge romana — m il Francesco (1) Questa è
la lezione miglioro per il senso, né si trova una valida ragione per
considerarla arbitraria, quantunque dalle due famiglie di codici sembri
risul- tare un da rispondere: sarà stato determinato dal rispondo con cui
comincia la frase. — 64 - che non dee rispondere
a quella legge ma a quella di Francia. 7. O non muove la questione di
quel peccato che ssi conviene. Verbigrazia : Fue accusato uno, che non
avea il membro masculino, ch'avesse corrotta una vergine; esso
5. dice: «Io non risponderò di questo peccato». 8. non muove
questione di quella pena che ssi conviene. Verbi- grazia : Fue uno
accusato ch'avea morto uno gallo et erali apposto che perciò dovea
perdere la testa; esso dicea: « Non rispondo a questa pena, perciò che non
tocca a questo pec- 10 cato ». 9. Donde tutte queste questioni sono
translative, cioè che ssi tramutano in altro fatto e stato, tal fiata
in tutto e tal fiata in parte, si come appare nelli exempli di
sopra. Dice Tullio se l'una delle dette quattro cose non
fosse 15. non sarebbe causa. 39. E così conviene che ssia l'
una di queste inn ogne ma- niera di cause, perciò che in qual causa no
'nde fosse alcuna, certo in quella non porrebbe avere contraversia, e
perciò conviene che non sia tenuta causa. 20. Lo sponitore.
1. Poi che Tulio àe divisate le parti della constituzione et àe
detto che e come è ciascuna di quelle parti e le loro nomerà, sì vuole
Tulio provare che quando l'una di queste questioni, che sono del fatto o
del nome o della qua- 25. lità del tramutare l'azione, non è intra
parlieri, certo intra loro non puote essere controversia ; e poi che
'ntra loro non à controversia, certo il fatto sopra il quale
dicessero parole non sarebbe causa, e così non sarebbe materia di questa
arte, cioè che non sarebbe dimostrativo né dilibe- 30. rativo né
iudiciale. 2. Et provando questo sì dimostra Tulio i: i non
si dee — 4-5: m M' Klgli dico -- 7: M' Fue accusalo uno — 8: M' nm_
perciò - m egli dice — M' non li lispondo — 9: M' non tocclia (piosto peccato —
ti: M' in altro slato, m om. e stalo - J2:M' paro — 16: M' luna de
ipicste sia - 17: M tn i|ualcosa, m in quale chosa - SS : M-M^ 7 ciascuna
- S3: m provare Tulio - S3-S6: M-m om. ^ — m tralloro - 30: m quando
([U'-sto - 65 - che Ile predette cose in questa
arte sono si congiunte in- sieme che qualuuiiue causa è dimostrativa o
deliberativa o iudiciale sì conviene che sia constituzione o del fatto o
del nome o della qualitade o dell' azione, et e converso che 5. qualunque
constituzione è del fatto o del nome o della qualità o dell'azione sì
conviene che sia dimostrativa o deliberativa o iudiciale. Et omai
perseverra Tulio sua ma- teria per dicere di ciascuna parte per sé.
Del fatto. 1(». 40. La contraversia del fatto si puote
distribuire in tutti tempi: che ssi puote fare quistione che è
essuto fatto, in questo modo: « Ulixes uccise Aiace o no ?» Et puotesi
fare questione che ssi fa ora, in questo modo : « Sono i Fregelliani in
buono animo verso lo comune o no ? » Et puotesi fare questione che ssi
farà, in questo 15. modo : « Se noi lasciamo Cartagine intera,
everranne bene al comune no? ». Lo spoìiitore. I.
In questa pai'te dice Tulio che Ila controversia la quale è di fatto che
ssia apposto ad altrui, la quale 20. àe nome constituzione
congetturale sì come fue detto in adietro e messo in exempli, sì puote
essere in tutti tempi, cioè preterito, presente e futuro. 2. Nel
preterito pone Tulio r exemplo della morte d' Aiaces, che fue
cotale. Stando l'assedio di Troia sì fue morto il buon Achilles,
25. et apresso la sua morte fue grande questione delle sue armi
intra Ulixes et Aiaces. 3. Et certo Ulixes fue, secondo che contano le
storie, il più savio uomo de' Greci e '1 milìor parliere, sicché per lo
grande senno che i-llui regnava e per lo bene dire niettea in compimento
le grandi vicende, 30. alle quali altre non sapea pervenire, e
perciò adoperò e' più di male contra' Troiani per lo suo senno che non
fecero 2: M dimoslraliva — 3: M' constitutione del facto —
4-6: M-m om. ot e conweiso.... dell'azione — 7 : M' Et oggimai perseguita
— 10: M' in dui tempi — 11: m clie exututo — 13: M* de buono animo — 14:
m om. che ssi farà — 15: M-m, L in terra — ikf' aver- ranne, m e
veramente bene — S3 : M' Tulio la morto — 24: M* a Troia — 26-27: M'
secondo che recitano le storie, fue M-m et niilior — 29: M* per .ben dire — 30:
Mie quali, m le quali oltre non sapeano — M adopio 7, m adoppio più, M'
adopero elgli — 31 : M' in contro a — la non fé, L non fece
-- 66 - quasi tutta l'oste per arme, et alla fine si parve
uianife- stameute, eh' elli fue trovatore del cavallo per lo quale
fue Troia perduta e tradita; ma veramente in guerra non si 5.
fatigava molto con arme e non era di gran prodezza, ma tuttavolta
dimandava che Ili fossono concedute V armi d'Achilles, e dicea che nn'era
degno e ch'avea in quella guerra ben fatta l'opera perchè etc 4. Et dall'
altra parte Aiaces era uno cavaliere franco e prode all'arme, di
gran 10. guisa, ma non era pieno di grande senno e sanza molto**
(D francamente avea portate l'armi in quella guerra, e perciò
domandava l'armi d'Achilles e dicea che non si conveniano ad Ulixes. 5.
Onde alla fine l'armi furono concedute ad Ulixes, per la qual cosa montò
tra lloro tanta invidia che 15. divennero nemici mortali ; et in
questo mezzo tempo fue morto Aiaces e fue della sua morte accusato
Ulixes, et esso si difendea e negava ; e di questo sì era questione
di fatto in preterito, cioè che già era fatto in tempo passato. 6.
Inol presente tempo mette Tulio l' exemplo de' Fragel- 20. lani,
che furo una gente i quali fui'ono accusati in Roma eh' elli aveano male
animo contra il comune. Et elli si di- fendeano e diceano che 11' aveano
buono e dritto ; e di ciò si era questione di fatto presente, cioè se
sono ora presen- temente di buono animo o no. 7. Nel futuro mette
Tulio 25. r exemplo di Cartagine, la quale fue una delle più
nobili cittadi e delle più poderose del mondo, e tenne guerra contro
a Roma, sì eh' alla fine i Romani vinsero e presero la terra ; e furo
alcuni che voleano che Ila cittade si di- sfacesse per lo bene di Roma,
et altri consigliaro del no, 30. perciò che '1 meglio ne potrebbe
advenire s' ella rimanesse intera, e di ciò è questione del tempo futuro,
cioè se bene o male n'averrà se Cartagine rimanesse intera o s'ella
si disfacesse. 8. Ma poi che Tulio à detto della controversia del fatto,
sì dicerà di quella del nome in questo modo. ■i: M' ne non
era. — 6: M' ben dengno — 7 : M' ben l'opera perchè, L bene adope- rato
perchè — 9: m orti, e sanza molto — 10: M-m provale — 14: m iim. mezzo —
15 : m 7 dela sua morte fue aco. — 16-17 : M-m onde di questo era già
(piestione... in perciò che già ecc. (vi om. in perciò) — 18: M' Fregiani
— 19: M' che fuoro accusati — SO: SI' comune de Roma — 22 : m om. si —
S6: M incontra — S7 : m om. e — M' vollero (ma L voleano) — 28: m om. et
— M' di no — ^9 : m pero che meglo ne potrebbe loro intervenire — 30 :
M-m, L in terra — Af' e questo nel tempo futuro — M-m che bene — 31: M, L'in
terra (1) Così hanno i mss. e perfino la stampa, ma evidentemente
manca qualche parola (anzi itf " dopo molto lascia uno spazio
bianco), come dire o parlare. Basti averlo notato, senza pretendere d'
indovinare. Del nome- Ai. Controversia del nome è quando lo fatto è
conceduto, ma è questione di quello eh' è fatto in che nome sia
appellato; et in questo conviene che sia controversia del nome, perciò
che non 5. s'accordano della cosa; non che del fatto non sia bene certo,
ma che quello ch'è fatto non pare all'uno quello eh' all' altro, e
perciò l'uno l'appella d'un nome e l'altro d'un altro. Per la qual
cosa in questa maniera la cosa dee essere diffinita per parole e
breve- mente discritta, come se alcuno à tolta una cosa sacrata d'uno
luogo 10. privato, se dee essere giudicato furo o sacrilego, che certo
in essa questione conviene difinire l'uno e l'altro, che sia furo e
che sacrilego, e mostrare per sua discrezione che Ila cosa conviene avere
altro nome che quello che dicono li aversarii. Lo
sponitore. 15. 1. In questa parte dice Tulio della controversia
del nome ; e perciò che di questo è molto detto davanti, sì
siue trapassa lo sponitore brevemente, dicendo solamente la tema
del testo, sopra '1 quale il caso è cotale: 2. Roberto accusa Gualtieri
ch'elli àe malamente tolta una cosa sa- 20. crata, si come uno
calice o altra simile cosa la quale sia diputata a' divini mistieri, e
dice che Ila tolse d'uno luogo privato, cioè d'una casa o d'altro luogo
non sacrato. Viene l'accusato e confessa il fatto. Dice l'accusatore: «
Tu ài fatto sacrilegio ». Dice l'accusato : « Non ò fatto
sacrilegio, 25. ma furto ». Et così sono in concordia del fatto, ma
non della cosa, cioè della proprietade per la quale si possa sa-
pere che nome abbia questo fatto, perciò eh' all' accusatore pare una,
che dice ch'è sacrilegio, et all'accusato pare un' altra, che dice eh' è
furto. 3. Onde in questa maniera 30. di controversia si conviene che
'1 parliere che dice sopra questa materia dififinisca e faccia conto in
brevi parole 3 : it 7 (li questo — 9 : M-m distrecta —10: M-
sacrato — M-m per furto o per sacri- legio, L furto sacrilegio —11: M-m
con l'altro — m furto — 12: M-m che sacrilegio, A/' che sia sacrilego —
il/' scriptione — 16:Mom. detto — M' nm. si — 18: m sopralla quale - J/'
Uberto — 19: M' tolto — 19 : m cosa simile — SI: M-m ad veruno mistieri (m
mistiere) — 23-24: M il l'atto. Et dice laccusato — m Non o, ma furto —
27-28: m però chellachusatorc... una diosa — 2H-29: M-m om.
sacrilegio.... cli'ò — 30: jV' jjarladore — 3t: M' didinita
- G8 - che cosa è sacrilegio e che è furto ; e così dee
mostrare come questo fatto non à quel nome che dice l'aversario. Et
è detto della controversia del nome; omai dicerà Tulio di quella del
genere, in questo modo : 5. Del genere. ^Z. (e.
IX) Controversia del genere è quando il fatto è conceduto e sono
certi del nome d' esso fatto, ma è questione della quantitade del
fatto o del modo o della qualitade, in questo modo : giusto
ingiusto - utile o inutile - e tutte cose nelle quali è que- 10.
stione chente sia quel fatto. Lo sponitore. l.
in questa parte dice Tulio della questione del genere, e di questa è
tanto detto dinanzi che 'n poche parole di- morerà lo sponitore ; e dice
che quella controversia è del 15. genere nella quale Y accusato
confessa il fatto et è in con- cordia coir accusatore del nome d' esso
fatto, ma sono in discordia della quantitade del fatto, cioè se grande o
pic- colo o molto o poco. 2. Verbigrazia : Un grande Romano quando
dovea cacciare i nemici del suo comune si fugìo. 20. Fue accusato
eh' avea fatto danno e male alla inaestà della città di Roma; l'accusato
confessa il fatto e '1 nome del facto. Dice l'accusatore: «Questo è
grande danno». Dice l'accusato : « Non è grande, ma piccolo ». Ed è la
discordia tra lloro della quantità, cioè se quel male è grande o
pic- 25. colo. 3. O sono in discordia del modo, cioè della
compara- zione del fatto, sì come fue detto qua indietro
nell'exemplo di Cartagine, qual fosse la migliore parte tra disfare o
la- sciare. 4. O sono in discordia della qualitade del fatto, sì
come pare in exemplo d'Orestes che uccise la sua madre, 30. e fue accusato
che U' avea morta ingiustamente ; et esso si difende e dice che U'à morta
giustamente, ma bene con- OM, 8: M'in
modo della qualitndo — 9: m o non giusto — 12: M' tracia — i3: M-m detto
— VI di questo — M die poclie p. — m dimora, Af' <limorra - 16-17: M' ohi.
ma sono.... del fatto — 20: M-m t>m. e male — S3: M-m nm. Ed — So:
>/' Or sono, M-m OHI. - 26: M' nm. si - 27 : M' o disfare - 2S : M-m
quantitade - 29 : M' nelexemplo di ((uestl , M-vi dotesles — 30-.il : m
nm. ot esso... giustamente, M' nm. si - M-m cliellavea - 69
— fessa il fatto e 1 nome del fatto; ma sono in discordia
della qualità, cioè se 11' àe fatto giustamente o ingiustamente. 5.
Ben è vero che Tulio non mette in exemplo della quàntitade nel
testo, né della comparazione, se non solamente della 5. qualitade ; e
questo fae perciò che più sovente ne vien tra Ile mani che non fanno
l'altre, e perciò dice che tutte cose nelle quali si confessa il fatto e
'1 nome del fatto, ma è questione della qualità d'esso fatto, sì è
controversia del genere. 6. Et poi che Tullio à detto di questa
questione 10. del genere secondo il suo parimento, sì procede
immante- nente a riprendere Ermagoras dell'errore suo in questa
controversia del genere. Dell' errore d' Ermagoras. 43.
A questo genere Ermagoras sottopuose quattro parti, ciò sono
deliberativo, demostrativo, iudiciale e negoziale. Il quale suo
fallimento non mezanamente pare che ssia da riprendere, ma in breve,
perciò che sse noi ci ne passiamo così tacendo fosse pensato che noi lo
seguissimo sanza cagione; o se lungamente soprastessimo in ciò, paia che
noi facessimo dimoro et impedimento agli altri insegnamenti. 44. Se
deliberamento e dimostramento sono generi delle cause, non possono essere
diritte parti d'alcuno genere di causa, perciò che una medesima cosa
puote bene essere genere d'una e parte d'un' altra, ma non puote essere
parte e genere d'una me- desima. Et certo deliberamento e dimostramento
sono genera delle cause. Ma o non è alcuno genere di cause, o è pur iudiciale
sola- mente, è iudiciale e dimostrativo e deliberativo. Dicere che
non sia alcun genere di cause, con ciò sia cosa eh' e' medesimo dice
che Ile cause sono molte e sopra esse dà insegnamento, è grande
for- seneria. Un genere, cioè pur iudiciale solamente, non puote
essere, acciò che diliberamento e dimostramento non sono simili intra
lloro e molto si discordano dal genere iudiciale, e ciascuno à suo
fine al quale si dee ritornare. Adunque è certo che tutti e tre son
ge- neri delle cause, e così deliberamento e dimostramento non
possono 4: M> nel testo exemiilo - 5: M' in tra le mani —
iO: m om. secondo il suo pari- mente — M mantenente — 13: M-m II (juale
lue — i7 : 3/' nm. i)erciò — cene passas- simo — 18: m stessomo - 19: M'
dimora, m imped. 7 dimoro — 20: M-m dim. — 22 : m M' causa — M-m genere 7
parte d' una medesima - 23 : M' Ma none, vi Ma anno ale. — 26: M-m om. e
deliberativo — 27: M' ch'elli - 28: M' essi... inseffnamenti — 28-29 : M
7 grandi; fors (?), m 7 grande forma, M' 7 grandi mattezze. Genere ere. — .12
: M 7 certo — 3:i : M' de cause... dimost. 7 del. essere a
diritto tenute parti d'alcuno genere dì causa. Dunque ma- lamente disse
ch'elli fossero parte della constituzione del genere. 46. (e. X) Et
s'elle non possono essere tenute diritte parti della causa del genere,
molto meno fien tenute parti della diritta parte 5. della causa; e parte
della causa è ogne constituzione; donde no la causa alla constituzione,
ma la constituzione s'acconcia alla causa. Ma dimostramento e diliberamento
non possono essere tenute diritte parti della causa del genere, perciò
che sono generi: donque molto meno debbono essere tenuti parte di quello
ch'esso dice. 46. Ap- 10. presso ciò, se Ila constituzione et essa
e ciascuna parte della con- stituzione è difensione contra quello eh' è
apposto, conviene che quella che no è difensione non sia constituzione ne
parte di consti- tuzione. Et certo deliberamento e dimostramento non sono
constitu- zione. Dunque se constituzione et ella e la sua parte è difensione
15. contra quello eh' è apposto, il dimostramento e '1 diliberamento
non è constituzione ne parte di constituzione. Ma piace a Itui che
ssia difensione. Dunque conviene che Ili piaccia che non sia
constituzione, né parte di constituzione. Et in altrettale isconvenevile
fie condotto, se esso dica che constituzione sia la prima confermazione
dell' ac- 20. cusatore o Ila prima preghiera del difenditore ; e
così seguiranno lui tutti questi sconvenevoli. 47. Appresso ciò, la causa
congettu- rale, cioè di fatto, non puote d'una medesima parte inn un
mede- simo genere essere congetturale e diffinitiva ; et altressì la
diffinitiva causa non puote essere d'una medesima parte inn uno
medesimo 25. genere diffinitiva e translativa. Et al postutto neuna
constituzione ne parte di constituzione puote avere e tenere la sua forza
et altrui; perciò che ciascuna è considerata semplicemente per sua natura
; se l'altra si prende, il nomerò delle constituzioni si radoppia, non
si cresce la forza della constituzione. Veramente la causa
deliberativa 30. insieme d'una medesima parte in un medesimo genere
suole avere la constituzione congetturale e generale e diffinitiva e
translativa, et alla fiata una e talvolta piusori. Adunque, essa non è
constituzione né parte di constituzione. Et questo medesimo suole
usatamente advenire della causa dimostrativa. Adunque sì come noi avemo
detto 3,5. davanti, questi, cioè deliberamento e dimostramento,
sono generi delle cause e non parti d'alcuna constituzione.
1 : M' a diricto essere tenute parte — 5: M-tn om. parto delln causa ì- —
vi om. no - 7: JV' tenuti — 9 : m tenute parti, il/' im. tenuti — M-m
cliossi dice — iO: M-m chella const. — 11: M-m ? difensione — M' (piella
- IS: M-m non sia la constitutione — 13: m om. Et — 14: M 1 dunque le
const., m Dunque la const. — 15: M' nm. e '1 dilibera- mento — 16-18: m
om. i due periodi — ^0 : m seguiteranno - l' 1 : M-m si convenevoli - 23:
M'^ diffinitiva, m chon dilf. — 25 : M-m om. e translativa - 26: M-m om. nk -
M' ne te- nere — 2S: m il novero — il/ sic radoppia — 31: m coniotturalc
generale — 32: i wim. illusori — (i Lo
sponitore. I. In questa parte dice Tulio che Ermagoras dicea
che Ila controversia del genere avea quattro parti sotto sé, ciò
sono deliberativo, demostrativo, iudiciale e negoziale; della 5. qual
cosa Tulio lo riprende in tutte guise, e mostra molte ragioni come
Ermagoras errava malamente, e questo pruova manifestamente per argomenti
dialetici: che dimostramento e deliberamento sono generi delle cause si
che Ile cause sono parti di loro; e poiché sono generi, cioè il tutto
delle 10. cause, non possono essere parte delle cause, acciò
ch'una cosa non puote essere tutto d'una cosa e parte di quella
medesima. 2. Et così per molte ragioni o vuoli argomenti conclude Tulio
che Ermagoras avea mal detto, e poi se- guentemente dice la sua sentenza
: quali sono le parti della 15. constituzione del genere, cioè
della quantitade e del modo e della qualitade del fatto, sì come qui
dinanzi fue detto. Et in ciò incomincia la sentenzia di Tullio in
questo modo : Le parti della constituzione generale.
20. ^S. (e. XI) Questa constituzione del genere pare a noi ch'ab-
bia due parti : Iudiciale e negoziale. Lo sponitore.
1. Poi che Tullio àe ripresa l' oppinione d' Ermagoras delle
quattro parti, si dice la sua sentenza e dice che sono 25. pur due parti,
cioè quelle altre due che dicea Ermagoras: iudiciale e negoziale ; et
immantenente detta la sua sen- tenza, la quale vince quella d' Ermagoras
e d'ogn' altro, sì dice e dimostra che è iudiciale e che è negoziale, in
questo modo : X,. ^'^ 4: M'
dimostrativo, deliberativo ecc. — 6: M-m provava — 9: m genero — 10: M el
acciò — 11 : M-m tiicta — 13:M^ conchiude Tulio Ermagoras avere — 17 : il/'
comincia — 23 : m ripreso — 28: M' che e iuridiciale {e cosi sempre), M-m
che iudiciale 7 che {ni om. che) negotiale — 72
Di Indiciate. 49. ludiciale è quella nella quale si
questiona la natura dì dritto e d' iguaglianza e la ragione di guiderdone
o di pena. Sponitore. 5. 1. La iudiciale coustituzioue
è quella nella quale per diritto, cioè per ragione provenuta per
usanza e per igual- lianza, cioè per ragione naturale o per ragione
scritta, si questiona sopra la quantitade o sopra la comparazione o
sopra la qualitade d'un fatto, per sapere se quel fatto è 10.
giusto o ingiusto o buono o reo. 2. Altressì è iudiciale quella nella
quale è questione d'alcuno per sapere s'egli è degno di pena o di merito.
Verbigrazia : « Alobroges è degno d'avere merito di ciò che manifestò la
congiurazione di Catenina?» e questionasi del sì o del no. Et anche
questo 15. exemplo : « È Giraldo degno di pena di ciò che
commise furto ?» e questionasi del si o del no. 3. Et poi che à
detto Tulio del iudiciale, si dicerà dell'altra parte, cioè della
negoziale. Di negoziale. 20. 50. Negoziale è quella
nella quale si considera chente ragione sìa per usanza civile o per
equitade, sopra alla quale diligenzia sono messi i savi di ragione.
Lo S2)onitore. 1. Dice Tulio che quella constituzione è
appellata ne- 25. goziale nella quale si considera per usanza
civile, cioè per quella ragione la quale i cittadini o paesani sono
usati di tenere i-lloro uso o in loi'o costuduti, o per equitade,
cioè per legi scritte, chente ragioni debbiano essere sopra
quella 2: m quello nel (juale — 3: M'-L ella ragione di
diritlo, S di merito — 6: m perve- nuta — 8.me sopra la comp. — 9: m se
questo giusto —il: M^ si questiona d'alcuno selglie ecc. — 12-14: m o di
morte — M-m o alabroges di Catenina et questionisi del si et del no (m di
si o di no), L e questo exemplo —16: m quistionìsi... om. Et — A/ 7 del
no — 16-17: M' Tulio a detto dela giuridicialo — 20: M' Di negotiale — 26: M'
om. paesani — 27 : M' i loro costuduti m illoro chostuduli, M' in loro
constituti — M-m equalitade — S8 : M' cliente ragione
debbia constituzione. 2. Et intra la iudiciale e la negoziale àe
co- tale differenzia : che Ila iudiciale tratta sopra le cose pas-
sate et intorno le leggi scritte e trovate ; ma la negoziale intende
intorno le presenti e future (1) et intorno le legi et 5. usanze che
saranno scritte e trovate. 3. Et questa è di molta fatica, perciò che'
parlieri s'affaticano di grande guisa a provarla et a formare nuove
ragioni et usanze allegando in ciò ragioni da simile o da contrario. Et
questa questione si tratta davante a' savi di legge e di ragione, ma in
pro- 10. vare la iudiciale basta dicere pur quello che Ila ragione
ne dice. 4. Et poi che Tulio à detto che è la iudiciale e che è la
negoziale, sì dicerà delle parti della iudiciale per meglio dimostrare lo
'ntendimento di ciascuno capitolo dell' Arte. 15. Di due
parti di Iudiciale. 51. La iudiciale dividesi in due parti, ciò
sono assoluta et assuntiva. Sponitore. 1. In
questa parte dice Tulio che quella questione la 20. quale è iudiciale, sì
come davanti è mostrato, sì à due parti : una eh' è appellata assoluta e
l'altra la quale è ap- pellata assuntiva ; e dicerà di catuna per
sé. 3 : M interno — 4: i mss. futuro — M' il presente — 8 :
m in se ragioni — 9 : M assaivi, m si tratta da savi — 10: M pur di
quello — 16: M' si divido — 21 : M' luna la quale è appellata - M-m e
assunptiva (1) Per quanto la lezione di -Jf' (il presente e futuro)
sembri ottima, prefe- risco ricorrere alla lieve correzione di futuro in
future.: M* ha tendenza a cam- biare, e quindi non è improbabile che,
trovando già l'errato futuro, abbia voluto accordare con esso l'aggettivo
precedente, le presenti. Non saprei invece come spiegare un cambiamento
inutile in M-m. Dell' asoluta. 52. Assoluta è quella che in
sé stessa contiene questione o di ragione o d' ingiuria. .Lo
sponitore. 5. 1. Dice Tulio che quella questione iudiciale del
genere èe appellata assoluta la quale in sé medesima è
disciolta e dilibera, sì che sanza niuna giunta di fuori contiene
in sé questione sopra la qualitade o sopra la quantitade o sopra la
comparazione del fatto, il qual fatto si cognosce 10. s'egli é di
ragione o d'ingiuria, cioè se quel fatto é giusto o ingiusto o buono o'
reo, sì come in questo exemplo donde fue cotale questione. 2. Verbigrazia
: Fecero quelli da Teba giusto o ingiusto quando per segnale della loro
vittoria fe- cero un trofeo di metallo? Et certo questo fatto, cioè
fare 15. un trofeo di metallo per segnale di vittoria, piace per
sé sanza neuna giunta et in sé contiene forza della pruova, perciò
ch'era cotale usanza. Asuntiva- 53. Assuntiva è quella
che per sé non dà alcuna ferma cosa 20. a difendere, ma di fuori prende
alcuna difensione ; e le sue parti sono quattro : concedere,
rimuovere lo peccato, riferire lo peccato e comparazione.
S:M-m slesso — 7: M-m nm. ai — fi: M-m «m. o sopra la (luantilude — 7
invece ili 0—9: M' in f|uel facto — 12: M-m Ino - »« di Teba — 14-13: m
et cerio questo trofeo fatto faro per sengnale della loro Victoria jiiuce
per so medesimo — 16: M' la forfa — 1 9 : M-m ohi. olio per sé non dà
alcuna Cicerone dice che quella constituzione è appellata as-
suntiva della quale nasce questione, la quale in sé non à fermezza per
difendersi da quello peccato eli' è allui appo- 5. sto, ma d'un altro
fatto di fuori da quello prende argo- mento da difendersi; si come nella
questione d'Orestes, che fue accusato eh' avea morta la sua madre, et
elli dicea che ll'avea morta giustamente. Et certo il suo dire parca
crudel fatto, sì che queste parole per sé non anno difensione
10. com'elli l'abbia fatto giustamente, ma prende sua difen- sione
d'un altro fatto di fuori e dice: « Io l'uccisi giusta- mente, perciò
ch'ella uccise il mio padre ». Et così pare che con questa giunta piaccia
la sua ragione. 2. Efc questa co- tale questione assuntìva à quattro
parti, delle quali il testo 15. dicerà di catuna perfettamente per
sé. Di concedere. 54. Concedere e concessione è quando
l'accusato non difende quello eh' è fatto ma addomanda che ssia perdonato
; e questa si divide in due parti, ciò sono purgazione e preghiera.
20. Sponitore. I. Poi che Tulio avea detto che è e quale la
questione assuntìva e com' ella si divide in quattro parti, sì vuole
di- cere di ciascuna per sé divisatamente perchè '1 convenentre sia
più aperto. 2. Et primieramente dice che é concedere, 25. e dice
che quella constituzione é appellata concessione quando l'accusato
concede il peccato e confessa d'averlo fatto, ma domanda che ssia
perdonato ; e questo puote es- sere in due maniere: o per purgazione o
jjer preghiera, e di ciascuna di queste dirà Tulio partitamente, e
prima 30. della purgazione. 3: M> non àe in
se — 5: M' di quello — 7 : M' Pt elli rispondea — 8-iO: M-m om. Kt
certo.... giustamente — i4: M' nm. assuntìva — 15: M' per se perfectamente —
17: M' o concessione - 18 : 3f ' domanda chelgli sia p. — m. 7 questo —
21 : m che e quale, M' che 7 quale 6 — 23: m di chatuna — 24: M-m concede
— 26: m confessa il pechato d'averlo facto - 76
T)i purgazione. 55. Purgazione è quando il
fatto si concede ma la colpa si ri- muove, e questa sì à tre parti :
imprudenzia, caso e necessitade. Sponitore. ■
5. I. Dice Tulio che quella maniera di concedere la quale è
per purgazione sì è et aviene quando l'accusato confessa, ma lievasi la
colpa e dice che quel fatto non fue sua colpa ; e questo puote fare in
tre maniere, delle quali è prima Imprudenzia, cioè non sapere. 2.
Verbigrazia : Mercatanti 10. fiorentini passavano in nave per
andare oltramare. Sorvenne loro crudel fortuna di tempo che Ili mise in
pericolosa paura, per la quale si botaro che s' elli scampassero e
per- venissero a porto che elli offerrebboro delle loro cose a
quello deo che là fosse, et e' medesimi F adorrebbero. Alla 15.
fine arrivaro ad uno porto nel quale era adorato Malco- metto ed era
tenuto deo. Questi mercatanti l' adoraro come idio e feciorli grande
offerta. Or furono accusati ch'aveano fatto contra la legge ; la qual
cosa bene confessavano, ma allegavano imprudenzia, cioè che non sapeano,
e perciò 20. diceano che fosse perdonato. Et di ciò era questione,
se doveano essere puniti o no. 3. La seconda maniera è caso, cioè
impedimento eh' adiviene, sì che non si puote fare quello che ssi dee
fare. Verbigrazia : Un mercatante caur- sino avea inprontato da uno
francesco una quantità di pe- 25. cunia a pagare in Parigi a certo
termine et a certa pena. 6: M-m om. b — 7 : M-m imi. non —
8: M' Kl puotesi l'art! — o In prima — tO: M per mare oltramare, di
passavano per maro in nave — Jf sopravenne — li: mi miseli, JV/' om. che
— 14: M' edelgli medesimi — 15: M' Macliometlo, m Maometto — 17: M'
fecero grande oHerta. Fiioro ecc., m mii. Or — 19: M' noi sapeano — 21: m
puliti — S4 : m inprontato moneta da uno franeesclio
Avenne che '1 debitore, portando la moneta, trovò il fiume di
Rodano si malamente cresciuto che non poteo passare né essere al termine
che era ordinato. Colui che dovea avere domandava la pena, l' altro
confessava bene eh' avea 5. fallito del termine, ma non per sua colpa, se
non che '1 caso era advenuto ch'avea impedimentitotU la sua venuta, e
però dicea che Ila pena non dovea pagare; e di ciò è questione, se
Ila dovea pagare o no. 4. La terza maniera è necessitade, cioè che
conviene che ssia così et altro non potea fare. 10. Verbigrazia :
Statuto era in Costantinopoli che qualunque nave viniziana arrivasse nel
porto loro, la nave e ciò che entro vi fosse si publicasse al segnore.
Avenne che merca- tanti genovesi allogare una nave di Vinegia e
passaro con grande carico d'avere. Convenne che per impeto di
15. tempo per forza di venti, (2) centra' quali non si poteano pa-
rare, pervennero nel porto e fue presa la nave e le cose per lo segnore.
Ben confessavano li mercatanti che Ila nave era veniziana, ma per necessitade
erano venuti in esso porto, e però diceano che non doveano perdere le
cose ; e di ciò 20. era questione, se Ile doveano perdere o no.
Tutto altressì i Veniziani, cui fue la nave, raddomandavano la nave o
la valenza; i mercatanti diceano che l'amenda non dovea es- sere domandata,
perciò che per necessitade e non per vo- lontade erano iti in quel porto.
5. Et poi' che Tullio àe detto 25. della purgazione e delle sue
parti, si dicerà della preghiera. Della preghiera. 56.
Preghiera è quando l'accusato confessa ch'elli àe commesso quel peccato e
confessa che 11' àe fatto pensatamente, ma sì domanda che Ili sia
perdonato, la qual cosa molte rade fiate puote advenire. 1 :
M-m avieno — S : M-m polea — 3: M' a. termine ordinato — 5 : M' al termine
- 5-6: M impedimento, M* ma nel caso era avennlo 7 avea impedimentita —
il: M' nel loro porto — 13: m una nave viniziana, 3/' una nave de
Viniziani 7 passavano — 14-15: M per un tempo per impetto 7 per f., if '
per impedimento, m di vento — 18: M^ in quel porlo — SO: M' ora la
questione — m dovea — 22: M' che por lamenda — 24 :m om. Et — 28-29: m
domandasi — M' om. molto (1) Questa lezione di w è confermata da
impedimentita di Jf*, cioè dall'altra fami- glia di codici. Lo scambio,
avvenuto in M, con impedimento era facilissimo e lo favoriva il fatto che
il senso restava quasi il medesimo : « la sua venuta avea avuto impedi-
mento ^>. (2) Così leggo con w, poiché in if e ilf ' il passo è
manifestamente guasto (impedimento è correzione arbitraria), mentre
l'espressione impeto di tempo, ana- loga, a quella del § 2 fortuna di
tempo, può bene corrispondere alla magna tempestas di cui parla l'esempio
ciceroniano {De Inv., II, 98) sul quale è modellato il nostro. Cicerone dimostra
in questa picciola parte del testo che cosa è appellata preghiera in
questa arte. Et dice che allotta è questione di preghiera quando
l'accusato confessa 5. e dice che fece quel peccato che gli è aposto e
ricognosce che ir à fatto pensatamente, ma tutta volta domanda per-
dono. 2. Onde nota che questa preghiera puote essere in due maniere, o
aperta o ascosa. Verbigrazia : In questo modo è la preghiera aperta :
Dice l' accusato : « Io confesso 10. bene ch'io feci questo fatto,
ma prego vi per amore e per reverenza di Dio che voi mi perdoniate ». La
preghiera ascosa è in questo modo : « Io confesso eh' io feci
questo fatto e non domando che voi mi perdoniate ; ma se voi
ripensaste quanto bene e come grande onore i' òe fatto al 15.
comune, ben sarebbe degna cosa che mi fosse perdonato ». 3. Ma ssì dice
Tullio che queste preghiere possono adve- nire rade volte, (l)
spezialmente davante a' giudici che sono giurati a lege sie che non anno
podere di perdonare. Ben puote alcuna fiata lo 'mperadore e '1 sanato
avere prove- 20. denza in perdonare gravi misfatti, sì come poteano
li an- ziani del popolo di Firenze ch'aveano podere di gravare e di
disgravale secondo lo loro parimento. 4. Et poi che Tullio àe detto della
prima parte della constituzione as- suntiva, cioè della concessione e che
cosa è concedere, et à 25. delle due maniere di concedere detto,
cioè di purgazione e di preghiera, sì dicerà della seconda parte, cioè
rimuo- vere lo peccato. Di rimuovere. 57.
Rimuovere lo peccato è quando l'accusato si sforza di 30. rimuovere quel
peccato da se e da sua colpa e metterlo sopra un S : M'
mostra — 5 : M' elicigli lece — 6' : M' nppensatainentc — 8 : M' nascosa
— 14: M' om. bene — 17 : M^ fiato (ma L volte) — li ([uali sono — 18: M
noniianno — 19: m prudenzia — SS: m eclisgravare, M> 7 disgravare — ni
lo loro parere, L illoro pa- rere, S il loro piacimento — m om. Et — So:
M' m e a detto delle duo maniere ecc. - 30 : M' mettelo (ma L
metterlo) (1) Conservo volte appunto perchè questa parola in itf è
meno frequente di fiate Q non si può considerare correzione arbitraria;
invece fiate sarà stato sosti- tuito per uniformità col testo tradotto
(v. pag. preced., 1. 29). - 79 - altro per forza
e per podestà di lui ; la qual cosa si puote fare in due guise: o mettere
la colpa o mettere lo fatto sopr'altrui. Et certo la colpa e la cagione
si mette sopra altrui dicendo che quel sia fatto per sua forza e per sua
podestade. Il fatto si mette sopr'altrui 5. dicendo che dovea un altro e
potea fare quel fatto. Sponitore. I. In questo
luogo dice Tullio eh' è rimuovere lo pec- cato e come si puote fare, et è
cotale il caso : Uno è accu- sato d'uno malificio, et elli vegnendo a sua
defensione si 10. leva da ssè quel maleficio e mettelo sopra un
altro, o dice bene che 11' à fatto, ma un altro cli'avea in lui forza e
si- gnoria il costrinse a ffare quel male ; e questo rimovimento
del peccato dice Tullio che ssi puote fare in due guise : l'una si mette
la colpa e la cagione sopra un altro, l'altra 15. si mette il fatto
sopra altrui. 2. Et certo la colpa e la ca- gione si mette sopì'' altrui
quando l'accusato dice che elli à fatto quel male per colpa d'alcuno il
quale à sopra lui forza e signoria. Verbigrazia : Il comune di Firenze
elesse ambasciadori e fue loro comandato che prendessero la paga
20. dal camarlingo per loro dispensa et immantenente andas- sero
alla presenzia di messer lo papa per contradiare il passamento de'
cavalieri che veniano di Cicilia in Toscana contra Firenze. Questi
ambasciadori domandare il paga- mento e '1 signore no '1 fece dare, e'I
camarlingo medesimo 25. negò la pecunia, sicché li ambasciadori non
andaro e' ca- valieri vennero. Della qual cosa questi ambasciadori
fuo- rono accusati, ma elli si levaro la colpa e la cagione e
3: m la chosa — 7: Af' die e rimuovere — 9: M' do malilicio - i4 :
m luna mette, M' l'una si e mettere — ^5: M' si e mettere — m om. Kt -
20: Af inmanlenenente, it/' incontanente — 21 : m cliontradire - 23: M-m
domandano — 24: M m il segnore — m e il chamarlengo — 25: m il nego di
dare la pecliunia — 26:m li anbasciadori — 27 :M' si levano
— 80 — miseria sopra '1 signore e sopra '1 camarlingo, i
quali aveano la forza e la seguoria e non fecero lo pagamento. 3.
Mettere il fatto sopr' altrui è quando l'accusato dice ch'egli quel fatto
non fece e non ebbe colpa né cagione 5. del fare, ma dice che alcuno
altro l'à fatto et ebbevi colpa e cagione, mostrando che quell'altro
sopra cui elli il mette dovea e potea fare quel male. Verbigrazia :
Catone e Ca- tenina andavano da Roma a Kieti, et incontrarono uno
parente di Catone, a cui Catellina portava grande maia- lo, voglienza per
cagione della coniurazione di Roma, e perciò in mezzo della via l'uccise;
né Catone non avea podere di difenderlo, perciò eh' era malato di suo
corpo, ma rimase intorno al morto per ordinare sua sopultura. Et
Catellina si n'andò inn altra parte molto avaccio e celatamente. In
que- 15. sto mezzo genti che passavano [per la via] per lo camino (i)
trovaro il morto di novello, e Catone intorno lui, sì pen- saro
certamente che Catone avesse fatto il malificio, e perciò fue esso
accusato di quella morte; ond'elli in sua defensione levava da ssè quel
fatto dicendo che fatto nol- 20. l'avea e che no'l dovea fare, perciò
ch'era suo parente, e dicea che noU'arebbe potuto fare, perciò eh' elli
era ma- lato di sua persona. Et così recava il fatto e la colpa
sopra Catellina, perciò che '1 dovea fare come di suo nemico e poteal
fare, eh' era sano e forte e di reo animo. 4. Et poi 25. che Tulio àe
insegnato rimuovere lo peccato, sì insegnerà in questa altra partita
riferire il peccato. Ttillio dice che è riferire il
peccato. 58. Riferire il peccato è quando si dice che ssia fatto
per ragione, in perciò che alcuno avea tutto avanti fatto a liuì 30.
ingiuria. i : m 7 al chamai-lingo — 4-ò: M om. ch'egli... ma
dice — m nel fare — 5 : Af ' che un altro — 9: VI om. grande — 12 : m di
suo corpo malato — 15: M^ gente — J/' m om. per la via - 16: m il novello
morto — 18 : M' tn fu elgli - 1!) : M' chelgli facto — 20-Sl : m avea nel
dovea fare — o?n. e dicea che — Jlf ' ohe noi potea fare ~ ohi. elli — 23:
m pero chelli dovea fare — 25: M-m om. si — M' insegna — 26: M' jxirte —
M-m refre- nare (sempre) — 29 : vi pero che — da\anti (1) Le
parole per la via sono con tutta probabilità una glossa o una variante di
per lo camino; infatti mancano in codici delle due famiglie.
81 Lo sponitore. I. Dice Tullio che
riferire il peccato è allora quando l'accusato dice ch'elli àe fatto a
ragione quello di che elli é accusato, perciò e' a Uui fue prima fatta
tale ingiuria che 5. dovea a rragione prendere tale vengianza, sì come
apare neir exemplo d' Orestes, che fue accusato della morte di sua
madre, et esso dicea che ll'avea morta a ragione, perciò che
primieramente avea ella fatta a llui ingiuria, cioè ch'avea morto il
padre d' Orestes; e di questo nasce cotale que- 10. stione se Orestes
fece quel fatto a ragione o no. 2. Et poi che Tullio àe insegnato riferire
lo peccato, sì insegnerà ornai che è comparazione.
Tullio dice che è comparazione- 59. Comparazione è quando
alcuno altro fatto si contende cfie 15. fue diritto et utile, e dicesi
che quello del quale è fatta la ripren- sione fue commesso perchè
quell'altro si potesse fare. Lo sjjonitore. I.
In questo luogo dice Tullio che quella questione è ap- pellata
comparazione nella quale l'accusato dice ch'à fatto 20. quello eh'
è a llui apposto, i^er cagione di poter fare un altro fatto utile e
diritto. Verbigrazia : Marco Tullio, stando nel più alto officio di Roma,
sentìo che coniurazione si facea per lo male del comune, ma non potea
sapere chi né come. Alla fine diede dell'avere del comune in grande
quantitade 25. ad una donna la qiiale avea nome Fulvia, et era
amica per amore di Quinto Curio, il quale era sapitore del tradimento
; e per lei trovò e seppe dinanzi tutte le cose in tale ma- niera
eh' elli difese la cittade e '1 comune della molt'alta tradigione. 2. Ma
alla fine fue ripreso ch'elli avea troppo ma- 2 : M' allocta
— 4 : M' facla prima — 5 : M' prenderne (ma L prendere) tale vendctla —
pare — 6: M' dela sua madre — 8: m prima — J/' facto, m aliai fatto - iO: m
om. El — 14: M-m quanto un altro — 16: M' per quell'altro - 18: JW in
questa parte — 19: M-m che facto — 26: M^ ora parteDce — 28: M' dela
mortalo — 82 - lamente dispeso l'avere di Roma.
Et elli in defensione di sé dicea che quelle spese avea fatte per fare un
altro fatto utile e diritto, cioè per scampare la terra di tanta
di- struzione, e quello scampamento non potea fare sanza 5. quella
dispesa; e cosi mostra che '1 fatto del quale elli è ripreso fue fatto
per bene. 3. Et poi che Tullio àe detto delle quattro parti della constituzione
assùntiva, la quale è parte della iudiciale sì come pare davanti nel
trattato della con- stituzione del genere, sì ridicerà elli brevemente
sopra la 10. questione traslativa, della quale fue assai detto in
adietro, per dire alcuna cosa che là fue intralasciata. Come
Ermagoras fue trovatore della questione translativa. 60. Nella
quarta questione, la quale noi appelliamo translativa, certo la
controversia d'essa questione è quando si tenciona a cui 15.
convegna fare la questione, o con cui od in che modo, o davante a cui,
per quale ragione, o in che tempo ; e sanza fallo tuttora è controversia
o per mutare o per indebolire l'azione. Et credesi che Ermagoras fue
trovatore di questa constituzione; non che molti an- tichi parlieri non l'
usassero spessamente, ma perciò che Ili scrittori 20. dell'arte non
pensaro che fosse delle capitane e non la misero in conto delle
constituzioni. Ma poi che da llui fue trovata, molti l'anno biasimata, i
quali noi pensamo e' anno fallito non pur in pru- denzia;(i) che certo
manifesta cosa è che sono impediti per invidia e per
maltrattamento. 25. Sponitore. I. Questo testo di
Tullio è assai aperto in sé medesimo, e spezialmente perciò che della
questione o constituzione translativa è assai sufficientemente trattato
indietro in i : M' l'avere del comune — 3:3/' diiicto 7
utile - 4: M' non si pelea fare — 7: M< om. assiintiva - 8: M'
iuridiciale — //: M-m che ella l'uo translassala — lS:M-m emargonis — 13:
M Uela quarta q. (e punto ilnpn translativa) — 15-1 (!: M' davanti cui —
M-m sanfa follia — 19: M' parladori — 23: M' cambiano - S4 : M' per mal.
(1) La traduzione non è esatta, poicliè il testo latino dice: quos non
tamim- prudentia falli indamus (res enim perspìcua est) quam invidia atque
óbtrectatione quadam inipediri. Si potrebbe proporre per congettura non
per imprudenzia ; ma non sembra contraddirvi il 8 -3 del commento
parlando di '' alquanti che non erano bene savi ,, ? altra
parte di questo libro, e là sono divisati molti exempli per dimostrare
come si tramuta 1' azione quando non muove la questione quelli che dee, o
centra cui dee, o in- nanzi cui dee, o per la ragione che dee, o nel
tempo che . 5. dee. Z.Sicchè al postutto in(i) questa translativa
conviene che sempre sia : o per tramutare l' azione in tutto, come
ap- pare indietro nell'exemplo di colui che risponde all'aver-
sario suo: « Io non ti risponderò di questo fatto né ora né giamai »; e
così in tutto tramuta l'azione dell'aversario etc. 10. O é per indebolire
l'azione in parte ma non del tutto, si come appare nell' exemplo di colui
che risponde all' aver- sario suo : « Io ti risponderò di questo fatto,
ma non in questo tempo» o «non davante a queste persone». 3. Et
dice Tullio che Ermagoras fue trovatore della translativa con-
15. stituzione, cioè che Ha mise nel conto delle quatro consti-
tuzioni sì come detto fue inn adietro. Et di ciò fue ripreso da alquanti
che non erano bene savi e che aveano invidia e maltrattamento contra lui.
Nota che invidia è dolore dell'altrui bene, e maltrattamento è dicere
male d'altrui. 20. Tullio dice che davanti diceva
exempli in ciascuna maniera di constituzioni (e. XII). 61.
Già avemo disposte le constituzioni e le loro parti; ma li axempli
di ciascuna maniera parrà che noi possiamo meglio divisare quando
noi daremo copia di ciascuno de' loro argomenti; perciò 25.
ch'allotta sarà più chiara la ragione d'argomentare, quando l'exemplo
si potrà a mano a mano aconciare al genere della causa. Lo
sponitore. 1. Vogliendo Tullio passare al processo del suo
libro, brievemente ripete ciò eh' à detto avanti, dicendo che dimo-
2: M-m si traclava — 3: M^ che dee conLra cui dee ~ 6: M come pare
— 8: M' non ti rispondo — iO: M-m Oo, M' Onde — M imparte — m non in
tutto — H : M' pare — 13 : Mi dinanzi a ([. — 14: M translatore, m
traslatotore — 15: M^ìa conto —17: 3f dal- quanti — 18 : M-m male
tractamento con altrui — 21: M-m construclioni — 22: M exposte le e. 7
loro parti — 24: Mi di loro argomenti — 25: M' de l'argomentare — 26:m della
cosa — 29: M ke detto, m che detto — Jlf ' dinanzi (1)
L'essere attestato in da tutti i codici rende esitanti a toglierlo, come
la sintassi e il senso sembrano richiedere. Forse si può sottintendere
dal periodo pre- cedente la parola questione : " conviene che sia
questione in questa transla- tiva „ ecc. - 84 -
strato à che sono le constituzioni e le loro parti, ma in altra
parte porrà certi exempli in ciascuno genere delle cause, cioè nel
deliberativo e nel dimostrativo e nel iudiciale, quando ti'atterà il
libro di ciascuno in suo stato. E da cciò si parte il conto e torna a
trattare secondo che ssi con- viene all' ordine del libro per
insegnamento dell' arte. Qual cai/sa sia simpla e quale congitmta.
62. Poi eh' è trovata la constituzìone della causa, ìmmantenente ne
piace di considerare se Ila causa è simpla o congiunta. Et s'ella 10. è
congiunta, si conviene considerare se ella è congiunta di piusori
questioni o d'alcuna comparazione. Lo sponitore.
1. Apresso al trattato nel quale Tullio àe insegnato tro- vare le
constituzioni e le sue parti, si vuole insegnare 1.5. qual causa sia
simpla, cioè pur d'uno fatto e qiiale sia con- giunta, cioè di due o di
più fatti, e quale sia congiunta d'alcuna comparazione, e di ciascuna
dice exemplo in questo modo : Della causa simpla.
20. 63. Simpla è quella la quale contiene In sé una questione
assoluta in questo modo: « Stanzieremo noi battaglia contra coloro
di Corinto o non ? ». Lo sponitore. l. Dice Tullio che
quella causa è simpla la quale è pur 25. d'uno fatto e che non è se
non d'una questione solamente. Verbigrazia : La città di Corinto
non stava ubidiente a Roma, onde i consoli di Roma misero a
consiglio se paresse 2 : M-m om. parte — m delle cose — 4-5
: J/' Et di ciò si diparte l'autore, m 7 accio — 8: M mantenente, m
inmantanento — 9: m simplice (sempre cos'i) M' sedella — li: M-m
compi^ratione — 13: M' il tractato — 15: M (|ualcosa, «i quale chosa — /*:
M< l'exeni- plo — 21: M' m (pielli — 25 : vi iliinn chosa — SO : M-m
<m. stava — A/' ali Romani - 85 — loi-o di
mandare oste a fai"e la battaglia centra loro, o no. Et così vedi
che causa simpla è pur d'una questione del sì o del no. Della
causa congiunta. 5. 64. Congiunta di piusori questioni è quella
nella quale sì dimanda di piusori cose in questo modo: « È
Cartagine da disfare da renderla a' Cartagiartesi, o è da menare inn
altra parte loro abitamento ? » d). Lo sponitore.
10. 1. Poi che Tullio à detto della causa simpla, sì dice della
congiunta, dicendo che quella causa è congiunta nella quale àe due
o tre o quattro o più questioni. Verbigrazia : I Romani vinsero a forza d'arme
la città di Cartagine, et erano alcuni che diceano che al postutto si
disfacesse; altri 1.5. diceano che Ila cittade fosse renduta agli
uomini della terra, altri diceano che Ila cittade si dovesse mutare di
quel luogo et abitare in altra parte. E così vedi che questa causa
è congiunta di tre questioni che sono dette. Della causa congiunta di
comparazione. Dì comparazione è quella nella quale contendendo si
que- stiona qual sia il meglio o qual sia finissimo, in questo modo
: « È da mandare oste in Macedonia contra Filippo inn aiuto a' com-
pagni, è da tenere in Italia per avere grandissima copia di genti contra
Anibal ? ». 25. . Lo spoìdtore. 1. Poi che Tullio avea
detto della causa la quale è con- giunta di piusori questioni, sì dice di
quella causa eh' è congiunta di comparazione di due o di tre o di quattro
o i : M-m o fare — 2 : M^ om. Et — Jlf om. b — 5 : M' om.
questioni — 6 : m di più sore — 7 : M' da. rendere a Cartaginesi — 12 : m
due tre o quattro questioni — J3: m per forza — om. la cittade di — J4:
M' elio a! postutto diceano cliella si disfacesse — 17: M-m om. che — 18:
m essere coniunta di tre (luestioni dette — 21: 3/' o quale finis- simo —
22: M' incontro a Filippo — 28: M-m di due, di tre — m om. o di quattro
(1) Certamente il traduttore ha frainteso il latino an eo colonia
deducatur. di più cose, nella quale si considera qual partito sia
il mi- gliore de' due o di tre o di più, e se tutti sono buoni e
l'uno migliore che 11' altro, per sape];e qual sia finissimo, cioè il
sovrano di tutti. 2. Verbigrazia : I Romani aveano 5. mandata oste in
Macedonia contrà Filippo re di quello paese, et in quello medesimo tempo
attendeano alla guerra d'Anibal, che venia contra loro ad oste. Onde
alcuni savi di Roma diceano che '1 migliore consiglio era mandare
gente in Macedonia, per attare l'altra loro oste la quale 10. era in
questa contrada; altri diceano che maggior senno era di ritenere la gente
in Italia, per adunare grandissima oste contra Anibal ; e così
contendeano qual fosse il mi- gliore o '1 finissimo partito : o tenere o
mandare la gente. Della contraversia inn iscritto et in
ragionamento. 15. 66. Poi è da pensare se Ila controversia è in
scritta o è in ragionamento. Lo sponitore.
1. Apresso ciò che Tulio à dimostrato qual causa è sim- pla e quale
è congiunta e quale di comf)arazione, sì vuole 20. fare intendere
quale contraversia nasce et aviene di cose e di parole scritte, e qual
nasce pur di ragionamento, cioè di dire parole e di cose che non sono
scritte ; e cosi vuole Tullio aj)ertamente insegnare per rettorica ciò e'
altre de' dire a ciascun ponto di tutte le cause che possano inter-
25, venire ; e perciò dicerà della scritta per sé e del ragiona-
mento per sé, e di ciascuno partitamente in questo modo : Della
contraversia che nasce di cose scritte. 67. Contraversia inn
iscritta è quella che nasce d'alcuna qua- litade di scrittura Ce.
XIII). Et certo le maniere di questa che 30. sono partite delle
constituzioni sono cinque : Che talvolta pare che Ile i-2: m
sia ihigloru ili lUie ecc. — il/' o Ire o iiifi — •/: iV/' ohi. cion il sovrano
— 5: M'-L (li i|iielli del paoso, S di c|iielli paesi 7: m om. ad
oste — * : hi elio mogio — iO: m J/i in ipiella contrada — il : M'
om. di — m a rilenore gente — 12 : M contra nibal, i» contro ad Anibal —
15: M-m e scripla, If' e in scriplo o in ragionamento — /*' : M-m i|ual
cosa — 19: m quale e — 22: M-m om. dire e che non sono scritte — 23: M'
mo- strare - 24: m possono — 25: M'E cosi — 29: M da. questa — 30:M' dale
constilutioni - 87 — parole medesimo iU siano
discordanti dalla sentenzia dello scrittore ; e talvolta pare che due
legi o più discordino intra sé stesse; e talvolta pare che quello eh' è
scritto signiffichi due cose o più ; e talvolta pare che di quello ch'è
scritto si truovi altro che non è 5. scritto ; e talvolta pare che ssi
questioni in che sia la forza della parola, quasi come in diffinitiva
constituzione. Per la qual cosa noi nominiamo la prima di queste maniere
di scritto e di sentenzia; il secondo appelliamo di legi contrarie, la
terza apelliamo dubiosa, la quarta appelliamo dì ragionevole, la quinta
apelliamo diffinitiva. 10. Lo sponitore. Poi che
Tullio à dimostrato qual causa sia pur d' un fatto o di più, immantenente
vuole dimostrare qual con- traversia è in scritta e quale in ragionamento;
et in questo dice primieramente di quella ch'è inn iscritto, cioè
che 15. nasce d'alcuna scrittura. Et questo puote essere in
cinque modi. 1. Il primo modo è appellato di scritto e di sentenza,
pei'ciò che Ile parole che sono scritte non pare che suonino come fue lo
'ntendimento di colui che Ile scrisse. Verbi- grazia: Una lege era nella
cittade di Lucca, nella quale 20. erano scritte queste parole: «
Chiunque aprirà la porta della cittade di notte, in tempo di guerra, sia
punito nella testa ». Avenne che uno cavaliere l'aperse per mettere
dentro cavalieri e genti che veniano inn aiuto a Lucca, e perciò fue
accusato che dovea perdere la testa secondo la legge scritta. L'accusato
si difendea dicendo che Ila sentenzia e lo 'ntendimento di colui che
scrisse e fece la legge fue che chi aprisse la porta per male fosse
punito ; e cosi pare che Ile parole scritte non siano accordanti
alla sentenzia dello scrittore, e di ciò nasce controversia intra
30. loro, se si debbia tenere la scritta o la sentenza. 2. La
seconda maniera è apiiellata di contrarie leggi, perciò che
1 : M' m medesime — m dalle sententie — 2: me téilora -- M' si discordino
— 3: M' significa — 4: M-m o talvolta — M' che nono che scripto — 6: M-m
nm. in — A/' mdilTì- nitiva ([uestione — 11: M-m qual cosa — 13: M-m e
Sbripta - m e in ragionamento — 14 : m primamente — 18 : M om. fue — 20:
M ai)iira, m apira — 21 : M-m om. in tempo di guerra — M' si sia punito
della testa — 23: M' si difende — 30: m se si dee — M' lo scritto — 31 :
M' om. maniera (1) Cfr. p. 46, 1. 30: nai medesimo.
— 88 - pare che due leggi o più discordino intra sé stesse.
Ver- bigrazia : Una legge era cotale, che chiunque uccidesse il
tiranno prendesse del senato cheunque merito volesse. Et nota che tiranno
è detto quelli che per forza di suo 5. corpo o d'avere o di gente
sottomette altrui al suo podere. Un'altra legge dice che morto il tiranno
dovessero essere uccisi cinque de' pili prossimani parenti. Or avenne
che una femina uccise il suo marito, il quale era tiranno, e
domandò al senato per guidardone e per nierito un suo 10. figlio:
la prima legge concede che ssia dato, l'altra co- manda che ssia morto.
Et così sono due leggi contrarie, e perciò nasce questione se alla femina
debbia essere ren- duto il suo figliuolo o se debbia essere morto. 3. La
terza maniera è apellata dubbiosa, perciò che pare che quel eh' è
15. scritto significhi due cose o più. Verbigrazia. Alexandro fece
testamento nel quale fece scrivere così: «Io comando che colui eh' è mia
reda dia a Cassandro cento vaselli d'oro e quali esso vorrà». Api^esso la
morte d'Alexandre venne Cassandro e domandava cento vaselli al suo volere
e che 20. a llui piacessero. Dice la reda : « Io ti debbo dare
que'ch'io vorrò ». Et cosi di quella parola scritta nel testamento,
cioè « i quali esso vorrà », si è dubbiosa a intendere del cui
volere Alexandro avea detto ; e di ciò nasce questione intra loro. 4. La
quarta maniera è appellata ragionevole, 25. perciò che di quello
eh' è discritto si truova e se ne ritrae altro che no è scritto.
Verbigrazia : Marcello entrò nella cliiesa di Santo Petro di Roma e ruppe
il crocifixo, e tagliò le imagini di là entro. Fue accusato, ma non si
truova neuna legge scritta sopra così fatto malificio, né conve-
30. nevole non era che nne scampasse sanza pena; e perciò il suo
adversario ritraeva d'altre leggi scritte quella pena che ssi convenia a
Marcello ragionevolemente. 5. La quinta maniera é appellata diffinitiva,
perciò che pare che ssi questioni la forza d'una parola scritta, sicché
conviene i : M' si discordino - M stesso — m tralloro - 5 :
M^ di genti - 6-7: m L essere morti - Jl/' om. de' — 7 : M'-L una femina
il suo marito.... uccise — 9 : m e merito — 10: M' che le sia dato,
l'altra leggie — iS: m nasce controversia — Mm sella femina — 13: m se
dee — 14-15: M' che lo scritto — i6: Jtf' cos'i scrivere — 1 7 : M-m om.
coUii eh' è — 18: M' i quali — 19: M' cento vaselli d'oro — 20: J/' la
rede. [o ti voglio dare - m om. dare - S3: M' 7 cosi - S5: M' che scripto
- S6 : M-m Martello - S7 : M' San Piero — 38 : M-m om. Fue accusato - /.
trovava — 29-30 : m alcuna legge.... colalo maliflcio, e convenevole non
era che scampasse — 32 :M' che si conviene — Mm Martello —
89 — che quella parola sia diffinita e dicasi il proprio
intendi- mento di quella parola. Verbigrazia : Dice una legge : «
Se '1 signore della nave n'abandona per fortuna di tempo et un altro va a
governarla e scampa la nave, sia sua ». 5. Avenne che una nave di Pisa
venia in Tunisi e presso al porto sorvenne sì forte tempesta nel mare,
che '1 signore uscio della nave et entrò inn una picciola barca; un
altro ch'era malato rimase nella nave e tennesi tanto là entro che
'1 mare tornò in bonaccia, e la nave campò in terra. 10. E perciò
dicea che Ila nave era sua secondo la legge, perciò che '1 segnore l'avea
abandonata et esso l'avea difesa. Il segnore dicea che perch'elli
entrasse nella picciola barca non abandonava perciò la nave ; e cosi era
questione intra loro sopra questa parola dell'abandono della nave ; e
per 15. sapere la forza d'essa parola conviene che ssi difinisca
e dicasi il proprio intendimento. 6. Già à detto Tullio di quella
contraversia la quale è in iscritta e delle sue cinque parti. Omai dicerà
di quella contraversia eh' è in ragio- namento. 20. Della
contraversia la quale nasce di ragionamento. 68. Ragionamento è
quando tutta la questione è inn alcuno argomento e non inn
ìscrittura. Lo sjaonitore. I. Quella è contraversia in
ragionamento nella quale 25. non si considera alcuna cosa che ssia per
scrittura, ma prendesi argomento e pruova per parole fuori di
scritta a dimostrare che dee essere sopra quella questione. Ver-
bigrazia : Dice Anibaldo che Italia è migliore paese che Frància ; dice
Lodoigo che no ; e di ciò era questione ti'a 30. lloro, e perciò conviene
recare argomenti in ragionando per mostrare che nne dee essere, e questo
senza scritta acciò che sopra questo no è legge né scrittura.
3: m om. della nave — M' labandona — S : M' de Pisani — M-m di
Tunisi — 6 : M sovenne, m venne, L sopravenne — M^ di mare — 7-8 : M'
usci di fuori — un altro corse a governare la nave — 9: m campo intera
—11: m et egli — 12: m pichola nave — 13: 3f' non avoa abbandonata perciò
1. n., m non pero elli abandonava la grande — 14: M' di questa parola, m
sopra questo abandono — 15: M-m la forma — m ripete conviene — 16: m
dicha — 22: m e none — 24 : M' Qurlla controversia 6 in rag. — 28: M' Anibal
— 29 : m lodovico, M'-L loodico, S dice l'altro, dico che no — 31 : m 7
questo e senza scritta — 90 - Delle quattro
parti della causa. 69. Adunque, poi che considerato è il genere
della causa e cognosciuta la constituzione et inteso quale è simpla e quale
è con- giunta, e veduto quale contraversia è di scritto e di
ragionamento, 5. ornai fie da vedere quale è la quistione e quale è la
ragione e quale è il giudicamento e quale è il fermamento della causa ;
le quali cose tutte convengono muovere della constituzione. In
questa parte dice Cicerone che poi ch'elli à insa- lo, gnato che è lo
genere delle cause, cioè dimostrativo e dili- berativo e giudiciale, et à
fatto cognoscere che è la consti- tuzione, cioè e qual sia congetturale e
quale diffinitiva e quale translativa e quale negoziale, et à fatto
intendere quale è simpla e quale congiunta, cioè qual contiene in
15. sé una questione o più, et à fatto vedere qual contraversia è inn
iscritto e quale in ragionamento, sì come tutti questi insegnamenti
paionsi adietro là dove lo sponitore l'à messo inn iscritto e trattato di
ciascuno sufficientemente, ornai vuole Tullio procedere e dimostrare
apertamente qual sia 20. la questione e la ragione e '1 giudicamento e '1
fermamento della causa ; le quali cose tutte muovono e nascono
della constituzione, ciò viene a dire che la constituzione è il
cominciamento di queste cose. Della qiiestione. 25. 70.
Questione è quella contraversia la quale s'ingenera del contastamento
delle cause in questo modo : « Non facesti a ragione - Io feci a
ragione». Questo è contastamento delle cause nella quaied)
2: m om. 6—3: m om. cognosciuta — M intesto — Af' qual congiunta — 4:
M-m quale conti'aversia <ii scripto — m o di ragionamento — 5: A/'
oggimai sarà — 5-6: M' ha sulo il primn b — M-m il confermamento — 6-7:
M-m 7 tucte i|UOSte cose le quali conv. - 9: M chelle, m chebbe
asengnato, M' che elgli 10: M' diliberativo, ilimostrativo — i2: in cioè
qual sia — 13: M-m a facto cognoscere — 14: m quale simplice - 17: M'
amaeslra- menti — M paio sàdietro, Mi-L jiaiono in adiotro — 18: M 7
tracio — 22: M-m um. ciò V. a d. e. la constituzione — 25 : M -L Di
(|uistione — m si genera — 26-27 : M' de cause — M-m om. a — M' il
contrastamento ~ L nele quali, S nel quale (1) Evidentemente
dovrebbe dire nel quale; ma appunto per questo non saprei spiegare come
alterazione volontaria né come svista il nella quale (dato tanto da M
quanto da ikf'), e lo crederei piuttosto dovuto a una distratta traduzione
del latino Causarum haec est conflictio, in qua constitiUio
constai. è la constituzìone, e di questa nasce contraversia la quale noi
ap- pelliamo questione, in questo modo: se fatto l'à a ragione o
no. Lo sponitore. 1. Nel testo il quale è detto davanti
insegna Tullio 5. cognoscere e sapere che è la questione; et in ciò dice
che questione è quella che ssi conviene considerare sopr' a cciò di
che le parti tencionano, e così s'ingenera del contasta- mento delle
parti, cioè di quello che 11' uno appone e l'altro difende. Verbigrazia :
Dice la parte che appone all'altra . 10. « Tu non ài fatta
i-agione, che tu prendesti il mio cavallo »; e la parte che ssi difende
risponde e dice : « Si, feci ra- gione ». Or è la causa ordinata, cioè
che ciascuna parte à detto, l'una accusando e l'altra difendendo, e
questa è ap- pellata constituzione. 2. Sopra questo si conviene sapere
se 15. n'accusato à fatta ragione o no. Questo è quello che
Tullio appella questione. Dunque potemo intendere che quando le
parti anno detto e quando l'accusatore àe apposto in. contra l'aversario
suo e l'accusato àe risposto o negando o confessando, sì è la causa
cominciata et ordinata ; e però 20. infine a questo punto èe
appellata constituzione, cioè viene a dire che Ila causa è cominciata et
ordinata ; da quinci innanzi, se l'accusato niega e diféndesi, si
conviene che ssi connosca se Ila sua defensione è dritta o no, cioè
quando dice : « Io feci ragione » conviensi trovare s' elli à fatto
25. ragione o no, e questa è appellata questione. 3. Et perciò che
la scusa dell'accusato, a dire pur così semplicemente: « Io feci ragione
», non vale neente se non ne mostra ra- gione per che e come, insegnerà
Tullio immantenente che ragione sia. 30. Di ragione.
71. Ragione è quella che contiene la causa, la quale se ne fosse
tolta non rimarrebbe alcuna cosa in contraversia. In questo modo mo
sterremo, per cagione d'insegnare, un leggieri e manifesto
4: M-m nel quale - 6: M' 6 quella — m sopra quello — 10: M' facto ragione
— i5: M dopo ragione ripete che tu prendesti il mio cavallo — 13: m luna
luna — M' {(uesto — 15: M^ m facto — 15-16: M' Et questo.... comune
questione — 17: M-m posto — 19: M S l'accusa - SO: M' m ciò viene a dire
— SS: M-m om. sì — S4: M' facta — S5: M' e facta questione — S6: M-m om.
Et - l'accusa — S7 : M' m se non mostra — S8 : M' si insegnerà — 31 : m
se non fosse — 3S : M' non vi rim. — 33: M-m d'insegnare leg- gere
manifesto exemplo exemplo. Se Orestres fosse accusato di matricidio
et elli non dicesse: « Io il feci a ragione, perciò eli' ella avea morto
il mio padre », non avrebbe difensione; e se non l'avesse non sarebbe
contraversia. Dunque la ragione dì questa causa è eh' ella uccise
Agamenon. 5. Lo sponitore. 1. Si come appare nel testo
di Tulio, ragione è quella clie sostiene la causa in tal modo che, chi
non assegna e mostra la ragione della sua causa, certo non sarà
contro- versia, cioè non à difensione; e cosi la causa
dell'aversario IO. rimane ferma e non à contastamento. 2.
Verbigrazia: Vero fue che Ila madre d'Orestres uccise Agamenon suo
marito e padre d'Orestres ; per la qual cosa Orestres, per movi-
mento di dolore, fece matricidio, cioè che uccise la madre. Fue accusato
di matricidio, et elli confessa, ma dice che '1 15. fece a ragione;
se non dice perchè e come, la sua difen- sione non vale neente, e se la
difensione non vale neente non è contraversia né questione. 3. Ma se dice
cosi : « Io lo feci a ragione perciò ch'ella uccise il mio padre »,
sì mantiene la sua causa e vale la sua difensa, mostrando la
20. ragione e la cagione perch'elli fece il matricidio. Et poi che
Tullio à dimostrato che è questione e che ragione, sì dimosterrà che è
giudicamento. Del giudicamento. 72. Giudicamento è
quella contraversia la quale nasce de lo 'nde- 25. bolire e del
confirmare la ragione. Et in ciò sia quel medesimo exemplo della ragione
che noi aven detta poco davanti : « Ella avea morto il mio padre ». Dice
il savio: « Sanza te figliuolo convenia eh' essa madre fosse uccisa ;
perciò che 'I suo fatto si potea bene punire sanza tuo perverso
adoperamento ». (e. XIV) Di questo 30. mostramento della ragione nasce
quella somma controversia la quale noi appelliamo giudicamento, la quale
è cotale: se fosse diritta cosa che Orestres uccidesse la madre, perciò
ch'ella avea morto il suo padre. i : m di martecidio — 2 :
M-m om. ella — 4 : M-ni chelluccise a ragione — 7-8 : M' mostra 7 assegna
ragione — 10: M' m 0111. Vero — 13: M' om. cioè.... di matricidio — 16:
M-m om. e so la difensione non vale neente (A/' ef))unge neente) —19: m difesa
— 20: m om. El — 22: M-m dimostra — 24: M' om. quella — M-m ohi. nasce —
25: M-m in ciò a quel med. — 26: M' aveino dello — 27 : M' Dice
l'avversario — 2S: M-m si potrà — 29 : M' sanila il tuo p. — — 31 : M' se
fu Cicerone dice e insegna che è ragione; et perciò che
della ragione nasce il giudicamento, sì tratta egli del giudicamento per
dimostrare come e quando et in che 5. luogo sia. Verbigrazia : L'accusato
assegna ragione perchè fece quel fatto e conferma la sua difensa per
quella ra- gione. L'accusatore dice contra questa difensa et
indebo- lisce la ragione dell'accusato, linde di ciò che conferma
l'uno et inforza la sua difensione e l'altro la infievolisce 10. e
falla debole, sì ne nasce una questione la quale è appel- lata
giudicamento, perciò che quando ella è provata si puote giudicare. 2. Et
in ciò sia quel medesimo exemplo di sopra : Orestres assegna la ragione
per la quale elli uccise Clitemesta sua madre: perciò ch'ella avea
morto 15. Agamenon ; e così conferma la sua defensione. Ma
contra lui dice l'aversario : « Tu non la dovei punire né non con-
venia ad te punirla di ciò, ma altre la dovea e potea pu- nire sanza tua
perversità, e sanza tua così crudele opera, come del figliuolo uccidere
sua madre ». Et così indebolia 20. la ragione d' Orestres e
mettealo in vituperoso abominio, e sopra questo, cioè sopra '1
confermamento e sopra lo 'nde- bolimento della ragione, nasce questione
la quale è appel- lata giudicamento perciò che ssi puote giudicare. 3. Et
omai à detto Tullio che è questione e che è ragione e che è
25. giudicamento ; sì dicerà che è fermamento. Del
fermamento. 73. Fermamento è il firmissimo et appostissimo
argomento al giudicamento, come se Orestres volesse dire che ll'animo il
quale la madre avea contra il suo padre, quel medesimo avea contra
lui 30. e contra le sue sorelle e contra il reame e contra l'alto
pregio della sua ingenerazione e della sua familia, sicché in tutte
guise doveano i suoi figliuoli prendere in lei la pena.
2: M-m om. è — 3-4: M-m che deliboragione nasce del iuilicamento por
dimostrare ecc. — 5: M' om. sia — M' assegno —7:3/' quella — 3/ difesa —
8-10: M' che rimo con- ferma 7 inforfa la sua ragione.... fa debole — M-m
isforca — m la indebolisce — IS : m a quello med. — 13: M' assegna
ragione — 16: M 7 non convenia, m e non si convenia — 17: m 7 convenia
punirla — 18-19: M' om. tua e del — m la sua madre — 21-22: M< sopra
confermamento dela ragione — 23: m om. Et — 24: M i ohe ragione, m nm. —
27: M-m om. è — 30: M' \n serocchie.... l'altro pregio - 94
- Lo sponitore. 1, Poi che Tullio aè dimostrato che è
questione e ra- gione e giudicamento, sì dice in questa parte che è
fer- mamento. E certo lo 'nsegnamento suo è molto ordinata-
5. , mente : che primieramente è questione intra Ile parti
sopr'alcuna cosa la qual'è aposta ad uno e detto sopra lui che non à
fatto bene o ragione, et elli in sua difesa dice ch'à fatto bene o ragione,
e di questo nasce la questione, cioè se esso à fatto ragione o no.
Apresso dice l'accusato 10. la cagione per la quale elli avea ragione di
fare ciò, e questa è appellata ragione. Et quando l'accusato à
detta la ragione, il suo adversario dice contra quella ragione et
indebolisce quello dove l'accusato ferma la ragione, e questa è appellata
giudicamento. 15 Fermamento.W 2. Poi che Ila questione
del giudicamento è nata, si conviene che ll'accusato tragga innanzi i
fermissimi argo- menti bene apposti contra il giudicamento. Verbigrazia
: Orestres à detto che uccise la madre perciò ch'ella avea
20. morto il padre, e così assegna la ragione perch'elli l'uccise;
il suo adversario mettendolo in questione di giudicamento dice c'a llui
non si convenia ma ad altrui, e così indebo- lisce la sua ragione. 3. Or
conviene che Orestres dica ma- nifesti argomenti, e dice così: « Tutto
altressì coni' ella 25. uccise il suo marito mio padre, così avea
ella conceputo d'uccidere me e le mie sorelle, cui ella avea
ingenerate di suo corpo, e mettere il nostro regno a distruzione et
abassare l'altezza del nostro sangue, e mettere in periglio la nostra
famiglia ». Ed in questi argomenti accoglie fer- 30. missima
defensione della sua ragione contra il giudicamento, e dice: « Perciò
ch'ella fece così disperato maleficio et 2: M-m ragione 7
((iiestione (m nm. 7) — 3: M' s\ dicerà (mn S dico) — 5: M-m que- stioni
— 6: M' sopralcuna causa la qua'.e appella ad uno 7 detto contra lui — 8: Mhii
om. ch'à fatto bene ragione — 9: M' se elgli, m selli — M' a l'acto a
ragione — H : M\ m* detto — i3;Jf fermava — i4: m questo e apellato -
17:,AV nelaccusalo trarre — 18: M» appostati - i9: M' clielgli uccise....
chella uccise — SI: A/ niente dolo - S3: M' om. sua — JW i fermissimi
argomenti — 29: M 7 dinquesti, »i 7 in <juesti, 3/' 7 di questi
(1) La rubrica di M (clie di regola seguo) ha qui ludicamento, certo per
effetto della parola precedente. avea pensato di fare cotanta
crudelitade, sì fue al postutto convenevole che Ili suoi propii figliuoli
ne le dessero pena e non altri >. Et questi sono fermissimi argomenti
ne' quali dice che '1 fatto della madre fue crudele, superbo e
mali- 5. zioso. 4. Et nota che quel fatto è appellato superbo il
quale alcuno adopera centra' maggiori, sì come quella fece ucci-
dendo il re Agamenon. Et quello è crudele fatto il quale alcuno adopera
contra' suoi, sì come quella fece contra la sua famiglia. Et quello è
malizioso fatto il quale è molto 10. fuori d'uso, sì com'è contra
naturale usanza ch'alcuna fe- mina uccida il suo marito e figliuoli e
distrugga un alto reame. 5. Onde questi fermissimi argomenti e' quali
l'ac- cusato mette davanti per confermare le sue ragioni et
incontra lo 'ndebolimento che facea l'aversario, sì è ap- 15.
pellato fei'mamento. In quale constiti izione non à
gindicamento. 74. Et certo neil'altre constituzioni si truovano
giudicamenti a questo medesimo modo ; ma nella congetturale constituzione,
perciò che in essa non s'asegna ragione (acciò che '1 fatto non si
concede) 20. non puote giudicamento nascere per dimostranza di ragione; e
però conviene che questione sia quel medesimo che giudicamento: «
fatto è, nonn è fatto, sé fatto o no ». Che al vero dire, quante
consti- tuzioni lor parti sono nella causa, conviene che vi si
truovino altrettante questioni, ragioni, giudicamenti e fermamenti.
25. Lo sponitore. 1. In questa parte del testo dice Tullio
che, sì come per lui è stato detto davanti, così si possono trovare giu-
dicamenti inn ogne constituzione; salvo che nella consti- tuzione
congetturale, della quale è molto trattato inn 30. adietro, perciò che in
essa l'accusato nonn asegna (i) neuna 1 : Af' avea pensala
cotanta crudeltade — 2: M nelle, ÌU-L lene dessero — 3 : Mi lor- lissimi
argomenti — 5: m nel quale — 7 : M Tde agnzenò {sic), m i ro Agamenon — m ohi.
è — 8: M' luomo adopera — 9: m om. è ambedue le volte — il : A/ un altro
— IS-i^-.M' om. et, 7» e contro allo — i7 : M' ì giudicamenti — 22: Mi se
facto e. no ~ quante questioni — 26 : m om. che — 28 : vi nella
questione (1) Si potrebbe anche leggere non n' asegna; ma in M' è
scritto qui e qual- che riga più sotto non assegna, mentre la grafia col
doppio n 6 frequente in M (cfr. pag. seg., 1. 6, nonn abisogna).
ragione, anzi niega, al postutto non ne puote nascere giu-
dicamento. 2. Verbigrazia : Uno accusò Ulixes ch'elli avea morto Aiaces.
Dice Ulixes : « Non feci » et cosi nega quel fatto che gli è apposto. Et
perciò non conviene che sopra '1 5. suo negare assegni alcuna ragione. Et
poi che nonn asegna ragione, il suo adversario nonn abisogna d'
indebolire la ragione dell'accusato. Dunque nonde puote nascere
giudi- camento ; e perciò conviene che in queste constituzioni
congetturali la questione e lo giudicamento siano ad una 10. cosa: che là
ove dice l'accusatore « Tu uccidesti » et Ulixes dice « Non uccisi », la
questione e '1 giudicamento fie sopi-a questo, cioè se ll'uccise o no. 3,
Poi dice Tullio che quante constituzioni à una causa, altrettante v'à
questioni e ra- gioni e giudicamenti e fermamenti. 15.
Dell'altre parti della causa. 75. Trovate nella causa tutte queste
cose, son poi da consi- derare ciascuna parte della causa ; eh' al ver
dire non si dee pur pensare prima ciò che ssi dee dicere in prima ;
perciò che se le parole che sono da dire in prima tu vuoli inforzatamente
congiungere 20. et adunare colla causa, conviene che d'esse medesime
traghe quelle che sono da dire poi. Sponitore.
1. Or dice Tullio : Dacché '1 parliere connosce la causa et àe
inteso ciò eh' elli n' àe insegnato per tutto il libro 25. insine a
questo luogo, quando alcuna causa viene sopra la quale convegna che dica,
sì dee il buono parliere pensare con molta diligenzia e considerare nella
sua mente, anzi che cominci a dire, tutte le parti della sua causa
insieme e non divise. Che s'elli pensasse in prima pur quella che
4: m chelli fu aposto - 6: M' non a bisogno, m non a ragione — 8:
M-m om. e — 9: M-m la constituzione — i 1 : M' sie sopra q., m fla — i3:
M-m otn. v'à — 17: M-m e al ver dire — 18: M' in prima quello — M-m om.
dicere — S che è da dire inprlma — 19: M-m om. in prima — M' tu le
vuoigli — M isforcatamonte, m sforfatamenie congiun- gnerle — 20: M' i
raunaro — M-m elio esse medesime — S4: M'-L tutto il titolo, i' tutto il
telo (tic) — S8: i/' causa sua — S9: M' pur quello che sia da dire (Z. aggiunge
in prima) - 97 - 10.
prima sia da dire e non pensasse ch'elli dovesse dire poi, senza
fallo il suo cominciamento si discorderebbe dal mezzo et il mezzo dalla
fine. 2. Ma chi accorda bene le sue parole colla natura della causa et in
innanzi pensa che ssi con- venga dire davanti e che poi, certo la
comincianza fie tale che nne nascerà ordinatamente il mezzo e la fine.
Tutto altressì fae il buono drappiere, che non pensa prima pur
della lana, ma considera tutto il drappo insieme anzi che Ilo cominci, e
de' aver (D la lana e '1 coloi*e e la grandezza del drappo, e provedesi
di tutte cose che sono mistieri, e poi comincia e fae il drappo.(2)
Di sei parti della diceria. 76. Per la qual cosa,
quando il giudicamento e quelli argo- menti che bisognano di trovare al
giudicamento saranno diligente- 15. mente trovati secondo l'arte e
trattati con cura e con cogitatione, ancora sono da ordinare l'altre
parti della diceria, le quali pare a nnoi ai tutto che siano sei :
Exordio, narrazione, partigione, confer- mamento, riprensione e
conclusione. Sjtoììitore. 20 _ I. Poi che Tullio
sufficientemente à dimostrato la chia- rezza delle cause et àe comandato
che '1 buono parliere innanzi pensi tutte le parti della causa per
accordare il mezzo e la fine colla comincianza del suo dire, si che
sia l'una parola nata dell'altra, sì dice esso medesimo che poi
25. che tutto questo eh' è fatto,(3) e trovato il giudicamento
della 1 : M' che sia da dire poi —4: M' m om. in — 5 : M' la
incomincianca, m il comin- ciamento — 6: M' che nostera (corr. moslera),
L mosterra, S mostra — 7: if ' in prima — 9-10: M' anzi che cominci....
accio mestieri — m sono mestiere — 11: M^ i\ suo drappo ordinatamente, L
affare il s. d. ordinatamente — 14 : M^ che si bisognano -17: M' che sono
sei.... petitione invece di partigione — 20 : M^ a sofficientemente dem. — S3:
M' el Dne con la incomincianpa — M-m om. sì — 24: M om. nata — 25: M^-L
questo e facto (1) Tutti i codici hanno 7 daver 7 davere, che può
esser nato facilmente dall'aver preso il de' per la preposizione di.
Tanto il senso quanto la sintassi sa- rebbero poco chiari leggendo e
d'aver. (2) Preferisco la lezione di M perchè non è probabile che
la parola ordinata- mente, che si trovava in evidenza in fine al
discorso, sia sfuggita al copista. Forse l'aggiunta If' (L) fu
determinata AaW ordinatamente di poche righe prima. (3) Cioè "
dopo che tutto questo è fatto „ . Per il che pleonastico cfr. p. 20, n.
2, p. 21, n. 1 e qui dopo p. 99, 1. 18. Le lezioni di M^ e di L si spiegano
con quelle di M-m, ma non viceversa. - 98 —
causa e ciò che vi bisogna secondo i comandamenti di ret- torica (i
quali si convengono trattare con molto studio e con grande deliberazione)
; anco sopra tutto questo si con- vengojio pensare l'altre parti della
diceria, delle quali non 5. è detto neente, e sono sei ; e di ciascuna
per sé tratterà il libro interamente. Lo sponitore chiarisce
tutto ciò eh' è detto inn adietro. 2. Et sopra questo punto, anzi
che '1 conto vada più innanzi, piace allo sponitore di pregare il suo
porto, per 10. cui amere è composto il presente libro non sanza
grande afanno di spirito, che '1 suo intendimento sia chiaro e lo
'ngegno aprenditore, e la memoria ritenente a intendere le parole che son
dette inn adietro e quelle che seguitano per innanzi, sì che sia, come desidera,
dittatore perfetto e 15. nobile parladore, della quale scienzia
questo libro è lu- miera e fontana. 3. Et avegna che '1 libro tratti pur
sopra controversie et insegni parlare sopra le cose che sono in
tendone, et insegna cognoscere le cause e Ile questioni, e per mettere
exempli dice sovente dell'accusato e dell' ac- 20. cusatore,
penserebbe per aventura un grosso intenditore che Tullio parlasse delle
piatora che sono in corte, e non d'altro. 4. Ma ben conosce lo sponitore
che '1 suo amico è guernito di tanto conoscimento ch'elli intende e vede
la propria intenzione del libro, e che Ile piatora s'aparten-
25. gono a trattare ai segnori legisti ; e che rettorica insegna
dire appostatamente sopra la causa proposta, la qual causa no è pur di
piatora né pur tra accusato et accusatore, ma é sopra l'altre vicende, sì
coinè di sapere dire inn amba- sciarie et in consigli de' signori e delle
comunanze et in 30. sapere componere una lettera bene dittata. 5.
Et se Tullio dice che nelle dicerie intra le parti sono le constituzioni
e questioni e ragioni e giudicamento e fermamento, ben si dee
pensare un buono intenditore che tuttodie ragionano le 1: M'
Olii, vi — S: vi làlluro — 3: M liberalione - M ancora, m aiicir — 4 : m le
IKirli — 5: M-m oiii. per sé — 8-9: Mi cliel maestro.... più avanti — iO: m
questo libro — i3: m mii. clie son — M' seguiranno — i4: in per lo
innanzi — i8: vi insegni — o»n. o dinanzi a per — i9:m exenpro — 20: M-vi
7 penserebbe — .?;: if' trattasse — S2:m ha bene — 24-2.^: Af si pertegnono
- m 7 a singnorì — M-m le giustitio — 26- M' ap- postamento — M' in
sapere — 29: M 7 nele comunanze, (L e dello), mi delle co- munanze — 31 :
m trailo parti - 32: M-m im. e ragioni, e l'ermamento — m ohi. si
— 99 - genti insieme di diverse materie, nelle quali adiviene
so- vente che ir uno ne dice il suo parere e dicelo in un suo modo
e l'altro dice il contrario, sì che sono in tencione ; e r uno appone e
l'altro difende, e perciò quelli che appone 5. contra l'alti-o è
appellato accusatore e quelli che difende èe appellato accusato, e quello
sopra che contendono è ap- pellata causa. 6. Onde se 11' uno appone e
l'altro niega, al postutto di questo non puote nascere questione se non
di sapere se quella cosa che niega elli l'à fatta o detta o no.
10. Ma quando l'uno appone e l'altro difende, sì è la causa
incominciata et ordinata tra lloro. Et questo è la consti- tuzione della
quale nasce la questione, cioè se Ila sua difesa è a ragione o no; e poi
ciascuno contende come pare a llui per confermare le sue parole e per
indebolire quelle del- 15. l'altro, sì come appare per adietro nel
trattato della que- stione e della ragione e del giudicamento e del
fermamento. 7 Onde non sia credenza d'alcuno che, sì come dicono li
exempli messi inn adietro, che Orestes fosse accusato in corte della
morte di sua madre ; ma le genti ne conten- 20. deano intra loro,
che 11' uno dicea che non avea fatto né bene né ragione, e questo è
appellato accusatore, un altro dicea in defensione d'Orestes ch'elli avea
fatto bene e ra- gione, e questo è appellato nel libro accusato.
De consiglieri. 25. 8. Così aviene intra' consiglieiù
de' signori e delle co- munanze, che poi che sono aserablati per
consigliare sopra alcuna vicenda, cioè sopra alcuna causa la quale è
messa e proposta davanti loro, all'uno pare una cosa et all'altro
pare un'altra; e cosi è già fatta la constituzione della causa, 30.
cioè eh' è cominciata la tencione tra lloro, e di ciò nasce questione s'
elli à ben consigliato o no. Et questo è quello che Tullio appella
questione. 9. Et perciò l' uno, poi ch'elli àe detto e consigliato quello
che llui ne pare, immante- 2 : M ndicc — M' di.cela — m in
suo modo ~ 3 : M' in contentione ~ 4: M n lalti-o appone, m laltio appone
— M-m quel — 6: M quello che, m quello di che — 7-9: m om. al
postutto.... che nioga — M che quella cosa — M' selgli la facta — il : m
cominciata — M' intra loro 7 questa — 13: M-m è ragione - 16: M om. il
1" e 3° e, hì il 1" e S° - 20 : m tralloro — dicea chelli — 21
: m o ragione — 22: m ave fatto — 25: M' adiviene - mi tra cons. — 27:
M-m. e in essa — 28: m davanti a loro — M-m om. cosa et — 30: M'
lantentione — 31 : M-m selli alta consigliato — 33 ■■ m che allui
nente assegna la ragione per la quale il suo consiglio èe buono e
diritto. Et questo è quello che Tullio appella ragione. 10. Et poi
ch'elli àe assegnata la cagione e la ra- gione per che, si sforza di
mostrare perchè s'alcuno consigliasse o facesse il contrario come sarebbe male
e non diritto ; e così infievolisce la partita che è contra il suo
consiglio; e questo è quello che CICERONE lappella GIUDICAMENTO. Et poi ch'elli
àe indebolita la contraria parte, sì raccoglie tutti i fermissimi
argomenti e le forti ragioni 10. che puote trovare per più
indebolire l'altra parte e per confermare la sua ragione ; e questo è
quello che Tullio appella fermamente. 12. Et certo queste quattro parti,
cioè questione, ragione, giudicamento e fermamento, possono essere
tutte nella diceria dell'uno de' parlatori, sì come appare in ciò eh' è
detto di sopra. Et puote bene essere la sua diceria pur dell'una, cioè
pur infine alla questione, dicendo il suo parere e non assegnando sopra
ciò altra ragione. Et puote bene essere pur di due, cioè dicendo il
suo parere et assegnando ragione per che. Et puote bene 20. essere
pur di tre, cioè dicendo il suo parere et assegnando ragione per che et
indebolendo la contraria parte. Et puote essere di tutte e quattro sì
come fue dimostrato di sopra. 13. Quest' è la diceria del primo parliere.
E poi ch'elli à consigliato e posto fine al suo dire, immantenente si
leva 25. un altro consigliere e dice tutto il contrario che àe
detto colui davanti ; e così è fatta la constituzione, cioè la
causa ordinata, e cominciata la tenciouB ; e sopra i loro detti,
che sono varii e diversi, nasce questione, se colui avea bene consigliato
o no. Poi dimostra la ragione perchè il suo 30. consiglio è
migliore. Apresso indebolisce il detto e '1 con- siglio di colui ch'avea
detto dinanzi da llui ; e poi ricon- ferma il consiglio suo per tutti i
più fermi argomenti che può trovare. Adunque le predette quattro cose o
parti possono essere nel detto del primo parliere e nel detto
35. del secondo e di ciascuno parlamentare. 14. Cosie usata-
3-4: M' la ragione 7 la cagione.... clie s'olciin — 6: M' a diriclo — m
la parie — 8:m om Et - i5: M-m cagione, ragione ecc. — i4: 3f' d'uno —
y5:3f'pare— i 6 : 3f-m om. cioè pur — 17: m pero — M' altre ragioni —
18-19: M-m ohi. pur ~ M-m in suo parere as- sengnanJo perche — SO: M' il
suo pare — 21 : M^ la contraria partita - SS: m di tulli e q. — 25-26:
Jlf' tutto il contrario di colui ca detto davanti — 27 : M' lunlcntione —
m la tencionc sopra — S8: M' om. sono -- M 7 se colui — 31-32: in rilennu
— 3/' il suo consiglio — 33: M' ([uattro jiarti — 33: M' ciascuno che
vuole parlamentare - 101 D.
10, mente adviene che due persone si tramettono lettere
l' uno all'altro o in latino o in proxa o in rima o in volgare o
inn altro, nelle quali contendono d'alcuna cosa, e così fanno tencione.
Altressi uno amante chiamando merzè alla sua donna dice parole e ragioni
molte, et ella si difende in suo dire et inforza le sue ragioni et
indebolisce quelle del pregatore. In questi et in molti altri exempli si
puote assai bene intendere che Ha rettorica di Tullio non è pure ad
insegnare piategiare alle corti di ragione, avegna che neuno possa buono
advocato essere né perfetto (2) se non favella secondo l'arte di rettorica.
15. Et ben è vero ohe Ilo 'nsegnamento ch'è scritto inn adietro
pare che ssia molto intorno quelle vicende che sono in tencione et in
contraversia tra alcune persone, le 15. quali contendano insieme 1' uno
incontra l'altro; e potrebbe alcuno dicere che molte fiate uno manda
lettera ad altro nela quale non pare che tendoni centra lui (altressi
come uno ama per amore e fa canzoni e versi della sua donna, nella
quale non à tencione alcuna intra llui e la donna), é di ciò riprenderebbe
il libro e biasmerebbe Tullio e lo sponitore medesimo di ciò che non
dessero insegnamento sopra ciò, maximamente a dittare lettere, le quali
si co- stumano e bisognano più sovente et a più genti, che non
fanno l'aringhiere e parlare intra genti. 16. Ma chi volesse bene
considerare la propietà d'una lettera o d'una can- zone, ben potrebbe
apertamente vedere che colui che Ila fa o che Ila manda intende ad alcuna
cosa che vuole che 20. 25.
1: m adiviene - 3: M^ om. o inn altro ~ 6: m slorza — 7 : m i molti — 9:
m in insegnare - M' piatire — 10: M-m neuno buono advocato possa essere
perfetto— 11: M della rectorica — 13 : «i intorno a (pielle — 15 : m
chontendono — M' conlra.... 7 parebbo — 16: Mi molte volte manda Inno
lectere alaltro, m molto volte uno manda lettere a un altro (ma ambedue
nela (piale) — 17 : M che contenda tencioni — 18: 1/' per amore, fa e, L
uno che ama per amore fa e. — 19: m tra lui — 23: M-m om. et — 24: m
traile genti (1) Le parole inn altro, che sembrano inutili,
non possono essere un'ag- giunta di copisti, ai quali invece doveva venir
fatto di ometterle, come in M* e in i.Dando a volgare il senso limitato
di "volgare italico,,, si intenderà l'altro per gli altri linguaggi,
specialmente il provenzale e il francese. (2) Brunetto vuol dire
che la Rettorica di Cicerone non serve solo ai legisti, " quantunque
nessuno possa divenire valente avvocato, e tanto meno perfetto, senza
averla studiata „. Questa è l'idea espressa dalla lezione di ilf • ; con quella
di M-m, più semplice a prima vista, non si spiega la relazione fra '' buono „
e " perfetto „ . - 102 — sia fatta
per colui a cui e' la manda. Et questo i)uote essere o pregando o
domandando o comandando o minac- ciando o confortando o consigliando ; e
in ciascuno di questi modi puote quelli a cui vae la lettera o la
canzone 5. o negare o difendersi per alcuna scusa. Ma quelli che
manda la sua lettera guernisce di parole ornate e piene di sentenzia e di
fermi argomenti, sì come crede poter muovere l'animo di colui a non
negare, e, s'elli avesse alcuna scusa, come la possa indebolire o
instornare in 10. tutto. Dunque è una tendone tacita intra loro, e
così sono quasi tutte le lettere e canzoni d'amore in modo di ten-
done o tacita o espressa ; e se cosi no è, Tullio dice ma- nifestamente,
intorno '1 principio di questo libro, che non sarebbe di rettorica. Ma
tuttavolta, o tencione o no 15. tencione che sia, Tullio medesimo,
luogo innanzi, isforza i suoi insegnamenti in parlare et in dittare
secondo la rettorica ; e là dove Tullio sine pasasse o paresse che
dica pur insegnamenti sopra dire tencionando, lo sponitore
isforzerà lo suo poco ingegno in dire tanto e sì intende- 20.
volemente che '1 suo amico potrà bene intendere l' una materia e l'altra.
18. Et ecco Tullio che incomincia a dire di quelle partite della diceria
o d'una lettera dittata, delle quali non avea detto neente in adietro: e
queste parti sono sei, sì come apare in questo arbore.
I e. 2 /
^'Olii' /^M/ 25. Queste sono le sei parti
che Tullio mostra certamente che sono nella diceria o nella
pistola, specialmente in i: m per cholui che la manda — 2:
M' essere pregando — 3: M-m o in — 6: Jf' manda guernisce la sua lederà
d'ornati^ parole — il : M tucto lelcrre, m tutte lettere o clianzoni, M'
o lo cannoni - iS: M-m o e tacita (mi o e sjirexa) - 13: m inloruo al pr.
- 14-15: M' o di tenciono o di non tencione — da quello luogo innanci
inforfa — 16: M' IH secondo rothorica ~ 18: M^ insegnauiento - 19: M'
islbiva - intendevole - 21: M' m comincia — 22 : M' ohi. o duna lettera
dittala - 23: M indietro - 24: il' pare in ipiesto albero - Nello gchetna
M' ha l" l>roomio, 3» Divisione, ó" Uisjwnsionc - SO: M-m 7
nella pistola (ma c/r. l. 22) quelle che sono tencionando, sì come
appare nel detto dello sponitore qui adietro ; e, sì come detto fue in
altra parte di questo libro, Tullio reca tutta la rettorica alle
cause le quali sono in contraversia et in tencione. Et ben . dice tutto a
certo che Ile parole che non si dicono per tencione d'una parte incontra
un'altra non sono per forma né per arte di rettorica. 19. Ma perciò che
Ila pistola, cioè la lettera dettata, spessamente non è per modo di
tencio- nare né di contendere, anzi è uno presente che uno manda
10. ad un altro, nel quale la mente favella et é udito colui che
tace e di lontana terra dimanda et acquista la grazia, la grazia ne
'nforza e l'amore ne fiorisce, e molte cose mette inn iscritta le quali
si temerebbe e non saprebbe dire a lingua in presenzia; sì dirae lo
sponitore un poco 15. dell'oppinione de' savi e della sua medesima
in quella parte di rettorica ch'apartene a dittare, si come promise al
co- minciamento di questo libro. 20. Et dice che dittare é un
dritto et ornato trattamento di ciascuna cosa, convene vo- lemente
aconcio a quella cosa. Questa è la diffinizione del 20. dittare, e
perciò conviene intendere ciascuna parola d'essa diffinizione. Unde nota
che dice « dritto trattamento » perciò che Ile parole che ssi mettono inn
una lettera dit- tata debbono essere messe a dritto, sicché s'accordi il
nome col verbo, e '1 MASCUNINO [sic] e '1 feminino, e lo singulare e
'1 25. plurale, e la prima persona e la seconda e la terza, e
l'altre cose che ssi 'nsegnano in gramatica, delle quali lo
sponitore dirà un poco in quella parte del libro che fie i)iù
avenente; e questo dritto trattamento si richiede in tutte le parti
di rettorica dicendo e dittando. 21. Et dice « ornato trat- 30. tamento
» perciò che tutta la pistola dee essere guernita di parole avenanti e
piacevoli e piene di buone sentenze; et anche questo ornato si richiede
in tutte le i)arti di ret- torica, sì come fue detto inn adietro sopra '1
testo di Tullio. 22. Et dice « trattamento di ciascuna cosa » perciò
che, 35. si come dice Boezio, ogne cosa proposta a dire puote
1:M' pare — 4:M oin. sono — m le quali e In contr. e tencione. Et
dico — 5-6: M' non sodono — m om. per te.ncione — a un altro — 8 : M'de
tencione — iO : M' 7 ae udito —il: M' om. la grazia — 12-13: M la gra —
M' sinlorca — m/ molte cose — M' m in iscriptura — Mi non, ma L e non —
14: m lo sponitore dira uno pocho — 16: M' om. di relto- rica — 19: M-m
aconcia a quella cosa, !/'-/> a quella cosa aconcia — 23: M-m adietro,
M' a diricto — 24-25: M' m el mascolino (m il maschulino)col leminino — 3/' el
plurale el singulare — M-m pulare — 27 : m fia — 32 : M' in tutte parti —
33 : M-m nel lesto — 34 : m om. Et — 35 : m si puote essere
materia del dittatore ; et in questo si divisa dalla sentenzia di Tullio,
che dice che Ila materia del parliere non è se non in tre cose, ciò sono
dimostrativo, deliberativo e iudiciale. Et dice « convenevolemente
aconcio a quella 5. cosa » perciò che conviene al dittatore asettare le
parole sue alla sua materia. Et ben potrebbe il dittatore dicere
parole diritte et ornate, ma non varrebbero neente s'elle non fossero
aconcie alla materia. 23. Così è divisato il dit- tatore da cciò che dice
Tullio; e perciò di queste due 10. materie, cioè del dire e del
dittare, e dello 'nsegnamento dell'uno e dell'altro potrà l'amico dello
sponitore prendere la dritta via. Et per questo divisamento conviene che
Ile parti della pistola si divisino da queste della diceria che Tullio
à detto che sono sei, ciò sono : exordio, narra- 15. zione,
partizione, conferm amento, riprensione e conclusione. 24. 1. E oppinione
di Tullio che exordio sia la prima parte della diceria, il quale
apparecchia l'animo dell' uditore a l'altre parole che rimagnono a dire,
e questo è appellato prologo della gente. //. Et dice che narrazione è
quella 20. parte della diceria nella quale si dicono le cose che
sono essute o che non sono essute, come se essute fossoro ; e
questo è quando uomo dice il fatto sopra '1 quale esso ferma la forma
della sua diceria. ///. Et dice che è parti- gione quando il parliere à
narrato e contato il fatto et 25. e' si viene partiendo la sua,
ragione e quella dell'aversario e dice : « Questo fue cosi, e quest'altro
così » ; et in questo modo acoglie quelle partite che sono a lini più
utili e pivi contrarie all'aversario, et afficcale all'animo dell'
uditore ; et allora pare ch'ai tutto abbia detto tutto '1 fatto. IV.
Et 30. dice che confermamento è quella parte della diceria
nella quale il parlieri reca argomenti et assegna ragioni per le
quali agiugne fede et altoritade alla sua causa. F. Et dice che
riprensione (1) è quella parte della diceria nella quale il
5: Mi agoisare — 6: m om. Et — 7 : M' non varrebbe — 8: M' j cosi e
divisato da ciò — 10: Jf maniere — i3: M^ da quelle — i6: M' Et oppinione
di Tulio e, m Op- pinione di Tulio e — M exordìa — 18: M rimagnono udite,
m om. a dire — 21 : M is- sate — 22: M 1 quando — M^ m l'uomo — om. esso
23 ■■ M' forma la sua diceria — 25 : M' edesso viene partendo, m e viene
ripetendo.... del chonpagno — 28 -. M7 nfììcale (?), m e ficliale, M' 7
afficcalle — 29: M' paro cabbia detto — m detto il fatto - 30 : M' con-
fermagione — 33: i mss. responsione — M-m 7 quella (1) Non esito a
scostarmi dai codici per la concorde lezione degli altri luoghi, che
corrisponde al latino reprehensio. Il passaggio da reprensione a responsione
è facilissimo attraverso un repensione. I)arliere reca
cagioni e ragioni et argomenti per li quali attuta e menoma et
indebolisce il confermamento dell'aver- sario. VI. Et dice che
conclusione è Ila fine e '1 termine di tutta la diceria. 25. Queste sono
le sei parti che dice 5. Tullio che sono e debbono essere nella diceria;
e di cia- scuna tratterà qua innanzi il libro sofficientemente. Ma
in questo eh' è detto puote uomo bene intendere che queste sei
medesime possono convenire inn una pistola, di tal ma- teria puote ella
essere. Ma tuttavolta, di qualunque materia 10. sia, nelle tre di
queste sei parti s'accorda bene la pistola colla diceria, cioè nello
exordio, narrazione e nella con- clusione; ma ll'altre tre, cioè
partigione, confermamento e reprensione, possono più lievemente rimanere
e non avere luogo nella pistola. Tutto altressì la pistola àe
cinque 15. parti, delle quali l'una può bene rimanere e non
avere luogo nella diceria, cioè «salutatio»; l'autra, cioè
«petitio», avegnachè Tulio no Ila nominasse in tra Ile parti della
diceria, sì vi puote e dee avere luogo in tal maniera ch'ap- pena pare
che diceria possa essere sanza petizione. Dunque 20. le parti della
pistola sono cinque, ciò sono salutazione, exordio, narrazione, petizione
e conclusione, sì come ap- pare in questo arbore :
26. Et se alcuno domandasse per qual cagione Tullio in- tralasciò la
salutazione e non ne trattò nel suo libro, certo 25. lo sponitore ne
renderà bene ragione in questo modo. Certa cosa è che Tullio nel suo
libro tratta delle dicerie che ssi l-S: m ragioni 7 cagioni
— Jlf' l'aiingatore — wn. cagioni e — per li ifiiali allassa - M-m il
fermamente — 3 : 3/' il line — 4-5 : m Questo.... che Tulio dico che debbono
essere — 6 : M' m illibro qua innanzi — 7 : jn luomo -- Af ' om. bone — m
che tutte 7 queste sei — 8-9 : M tal maniera — M-m da qualunque, M^ de
([ualunque — li : 3f' in exordio — M' m 7 conclusione —12: M' om. tre e
soitiiuisce di\hione rt partigione — 14: — M salta dal lo al 2" aver
luogo — 22: M' pare 'in questo albero — 24: ilf intrallassò, m lasciò — 25:
Af' ne renda, L ne rende - 26: M^ cliellibro di Tulio tracia
— 106 - fanno in presenzia, nelle quali non bisogna di
contare'!) il nome del parlieri né dell' uditore. Ma nella pistola
bisogna di mettere le nomora del mandante e del ricevente, c'altri-
mente non si puote sapere a certo né l'uno né l'altro. 5. Apresso ciò, la
salutazione pare che sia dell'exordio ; che sanza fallo chi saluta altrui
'per lettera già pare che co- minci suo exordio. Et Tullio trattòe dello
exordio com- piutamente, non curò di divisare della salutazione né
di- stendere il suo conto intorno le saluti, maximamente perciò
10. che pare che rechi tutta la rettorica a parlare et in con-
troversia tencionando. 27. Et in perciò furo alcuni che diceano che Ila
salutazione non era parte della pistolaj ma era un titolo fuor del fatto.
Et io dico che la salu- tazione è porta della pistola, la quale
ordinatamente chia- 15. risce le nomora e' meriti delle persone e
l'affezione del mandante. Et nota che dice « porta », cioè entrata
della pistola, e che chiarisce le nomora, cioè del mandante e del
ricevente; e dice «i meriti delle persone», cioè il grado e l'ordine suo,
sì come a dire: « Innocenzio papa», « Fe- 20. derigo Imperadore »,
« Acchilles cavaliere », « Oddofredi Judice », e cosi dell'altre gradora.
Et dice « ordinata- mente », cioè che mette il nome e '1 grado di
ciascuno come s'a viene; e dice «l'affezione del mandante», cioè
com'elli manda al ricevente salute o altra parola di bene, o per
25. aventura di male, secondo la sua affezione, cioè secondo la sua
volontade. 28. Adunque pare manifestamente che Ila salutazione è così
parte della pistola come l' occhio del- l' uomo. Et se l'occhio è nobile
membro del corpo dell'uomo, dunque la salutazione é nobile parte della
pistola, c'altressi 30. allumina tutta la lettera come l'occhio
allumina l'uomo. Et al ver dire, la pistola nella quale non à salutazione
è altrettale come la casa che non à porta né entrata e come '1
1 : M-m bisogna contare — S-3 : M' nome del dicitore — M-m bisogna
mettere - M 7 dell' uditore 7 del ricevente, m om. 7 del ricevente — M-m
7 altrimente — 4: M' non si porrebbe — 7-9: M-m om. dello exordio — non
curo divisare salutalione 7 distemdere - ìli intorno alle salutationi —
10: M' om. et — 11-12: M' Et jìerciò funro — ciie saluta- lione — 15: m e
mèli — 16: m om. Et -17: M-m om. 1° e, hi 01». cioè — S3 : M' om. di — 24
: M' 7 altra — 2,5 : M eirectione — m om. secondo la sua afTezione cioè — 26:
M' parte (ma t espunto) — 28 : M 3/' om. dell'uomo, m om. del corpo (A
completo) — 29: iW' e la salutatione n. p. — m e altres'i — 32 : il/' ne
jiorta (1) La lezione bisogna contare darebbe piuttosto il senso di
« conviene dire », mentre qui si richiede un «c'è bisogno di dire».
- Itì7 - corpo vivo che non à occhi. Et perciò falla
chi dice che salutazione è un titolo fuor del fatto; anzi si scrive e s'
in- chiude W e sugella dentro ; ma '1 titolo della pistola è la
soprascritta di fuori, la quale dice a cui sia data la lettera. 5. 29.
Ben dico c'alcuna volta il mandante non scrive la salu- tazione, o per
celare le persone se Ila lettera pervenisse ad altrui o per alcun' altra
cosa o cagione. (2) Né non dico che tutta fiata convenga salutare, ma o
per desiderio d'amore, o per solazzo, talora (3) si mandano altre parole
che 10. portano più incarnamento e giuoco che non fa a dire
pur salute. Et a' maggiori non dee uomo mandare salute, ma altre
parole che significhino reverenzia e devozione; e tal- volta no scrivemo
a' nemici altro che Ile nomora e tacemo la salute, o per aventura mettemo
alcuna altra parola che 15. significa indegnamento o conforto di
ben fare o altra cosa; sì come fa il papa che scrivendo a' giudei o ad
altri uomini che non sono della nostra catholica fede o a' nemici
della Santa Chiesa tace la salute, e talvolta mette in quel luogo
spirito di più sano consiglio o connoscere la via della veritade
20. o ahundare inn opera di pietade et altre simili cose. 30.
Adunque provedere dee il buono dittatore che, si- milemente come saluta
l'uno uomo l'antro trovandolo in persona, così il dee salutare in lettera
mettendo et ador- nando parole secondo che la condizione del ricevente
ri- 25. chiede. Che quando uomo va davante a messer lo papa o
davante ad imperadore o a alti-o segnore ecclesiastico o seculare, certo
elli va con molta reverenzia et inchina la testa, et alla fiata si mette
in terra ginocchioni per basciare 2-3: M' anche — M-ìn si
richiude — M' ma titolo — M 7 \a. s. — 5 •■ m iscrive salu- tatione —
6-7: M' venisse ilata altrui per alcuna cagione — Mo per cagione dalcunaltra
cosa cagione ; m id., ma oiii. cagione — 8-9 : M^-L ma ora per d. d'a. or
(ina L 0) per s. si man- dano, M-m per solazzo di loro si mandano — il:
M' a maggiore — M-m non debbono - 12: M* che significanza abbiano di
revercntia 7 dev. — 13-14: M' a nomici non scrivemo — M-m 7 per aventura
—16: M-m il papa scrivendo... om. altri —19: M-m di chonnoscere — M'
conoscere via de veritade— 20: M' opere (mai opera) — om. altre — 21 ■ il/'
dee prevedere — 22 ■■ M' un huomo un altro— ^ó:ni Quando luomo — 26:M'
davanti imperadore od altro, >« davante a lom- j)eradore — 27 : Jf
certo e va - ^S: in M una macchia cunpre in — M' ginocohione in terra
(1) S'inchiude è più esatto di si richiude. Lo scambio fra n e l'i
occorre altre volte: cfr. p. 37, n. 1. (2) In 3f e' è
qualcosa di troppo. Non importa dire che m ha accomodato di suo, perchè
la parola cagione come finale è confermata da M'; forse 1' errore nacque
dall'avere scritto subito pei- cagione e voler poi rimediare. (3)
Scrivo così per avere un senso, ma non presumo davvero di avere indo-
vinato; potrebbe anche mancare qualche parola. — 108 -
il piede al papa o allo 'mperadore. Tutto altressì dee lo dettatore
nominare lo ricevente e la sua dignitade coij parole di sua onoranza e
metterlo dinanzi ; apresso dee nominare sé medesimo e la sua dignitade, e
poi dee scri- 5. vere la sua affezione, cioè quello che desidera che
venga a colui che riceve la lettera, sì come salute o altro che sia
avenante, tuttavolta guardando che questa affezione sia di quella guisa e
di quelle parole che ssi convegnono al man- dante et al ricevente. 31.
Che quando noi scrivemo a' mag- io, giori di noi o di nostro paraggio o
di minore grado, noi dovemo mandare tali parole che ssiano accordanti
alle persone et allo stato loro. Et non pertanto eh' io abbia detto
che '1 nome del maggiore si de' mettere dinanzi e del pare altressì, io
oe ben veduto alcuna fiata che grandi 15. principi e signori scrivendo a
mercatanti o ad altri minori , mettono dinanzi il nome di colui a cui
mandano, e questo è contra l'arte ; ma fannolo per conseguire alcuna
utilitade. Perciò sia il dittatore accorto et adveduto in fare la
saluta- zione avenante e convenevole d'ogne canto, sicché in essa
me- 20. desima conquisti la grazia e la benivoglienza del
ricevente, sì come noi dimostramo avanti secondo la rettorica di
Tullio. 32. Et bene è questa materia sopr'alla quale lo sponitore
po- trebbe lungamente dire e non sanza grande utilitade. Ma
considerando che Ila subtilitade perché '1 verbo non si mette 25. nella
salutazione, e che "1 nome del mandante si mette in terza persona
per significamento di maggiore umilitade, e che tal fiata si scrive pur
la primiera lettera del nome, par che tocchi più a' dittatori in latino
che 'n volgare, sene passex'à lo sponitore brevemente e seguirà la
materia 30. di Tullio per dicere dell'altre parti della diceria e di
quelle della pistola, sì come porta l'ordine. 33. Et in questo
luogo si parte il conto della salutazione, e dirà dell' exordio in
due guise: l'una secondo ciò che nne dice Tullio e che i :
M' y allomperudoi'o — S-3: M-m dignilailo corporale di — m aggiunge di
reve- renza 7 ^ 4: M^ nm. S" e — 3: M-m oirectione — ([nella — 7 : m
tuttavia — M' guani ino clic l'airectione — 9-10: M' ali maggiori — M-m
ili nostro .grado — i2: M' alloro slato — M-m om. ch'io abbia dolio — i3:
in il nome — M' si debbia — 13-16: m sengnori — M-m scrivono -- m e
mellone — M' elgli mandano — 17: Af-w por sognile — 18: mom. et adveduto
— 19: M' dongiii jìarle — 20: M-mnm.ìa grazia e — 21-SS: il/' dimoslor-
remo, m dimostraiiio davanti — Af' m Et bene cpiesta — 24: JZ-m uhella
subtitade, A/' che sotti! itude — 23: M<- in salutalione 7 perche!
nome — 26: M-m utilitade — 27: M' 7 per- che.... pur una lederà — m la
prima — 28: m om. in Ialino — 31-32: L Et in questa parte — ilf' dala
salutalione — 33: M' om. ci6 — 109 - pare che
ss'apartegna a diceria, l'altra secondo che ssi con- viene ad una lettera
dittata et ad una medesima diceria, oltre quello che porta il testo di
Tullio. Exordio. 5. 77. Et perciò che exordio dee
essere principe di tutti, e noi primieramente daremo insegnamenti
in fare exordio. Sponitore- I. Vogliendo Tullio
trattare dell' exordio prima che dell'altre parti della diceria, sì
ll'apella principe dell'altre 10. parti tutte ; e certo è de ragione (i)
: l' una perciò che ssi mette e si dice tuttora davanti a l'autre,
l'altra perciò che nel exordio pare che noi aconciamo et
apparecchiamo r animo dell' uditore ad intendere tutto ciò che noi
vo- lemo dire di poi. 15. Dell' exordio. 78. (e.
XV) Exordio è un detto el quale acquista convene- volemente 1' animo
dell' uditore all' altre parole che sono a dire ; la qual cosa averrà se
farà l' uditore benivolo, intento e docile. Per la qual cosa chi vorrà
bene exordire la sua causa, ad lui 20. conviene diligentemente procedere
e conoscere davanti la qualitade della causa. Lo
sponitore. 1. Poi che Tullio avea contate le parti della
diceria, sì vuole in questa parte trattare di ciascuna per se
divi- 25. satamente, e prima dello exordio, del quale tratta in
questo 2 : Af' e la diceria medesima — 3: m oltre a quello —
5 : M-mom.e — 6: M' oxordii — iO: m nm. tutte — M-m certo e (m a)
ragione, L e certo eglie ragione — 10-li ■■ M' luna pei che, m luna che —
M-m 7 davanti si dice — 13-14 : m quello die noi poi volerne diro — M'
dire poi — 18: m dolce (cosi sempre in seguito) — 20 : M' converrà — om.
procedere e — 24 : M' divisamente, ma L divisatamente Questa
lezione è quella che spiega meglio le altre: soppresso il de, nacque è
ragione di M, che m, colla pretesa di accomodare,' peggiorò in a ragione; la
variante di L deriva certo dal non aver inteso il significato di de ragione (=
se- condo ragione). - no - modo:
Primieramente dice che è exordio, mostrando che tre cose dovemo noi lare
nell'exordio, cioè fare che 11' udi- tore davanti cui noi dicemo sia
inver noi benivolente et intento e docile a cciò che noi volemo dire. Et
perciò ne 5. conviene connoscere la qualitade del convenente sopra
'1 quale noi dovemo dire o dittare. 2. Nel secondo luogo divide
l'exordio in due parti, cioè principio et « insinuatio », e mo- strane in
qual convenentre noi dovemo usare principio et in quale « insinuatio ».
3. Nel terzo luogo ne fa intendere 10. donde noi potemo trarre le
ragioni per acquistare beni- voglienza et intenzione e docilitade, e come
noi dovemo queste tre usare in quello exordio eh' è appellato
principio e come in quello eh' è appellato « insinuatio ». 4. Nel
quarto luogo pone le virtù e' vizi dell'exordio. 5. Et perciò dice
15. che exordio è uno adornamento di parole le quali il par- lieri
e '1 dittatore propone davanti nel cominciamento del suo dire in maniera
di prolago, per lo quale si sforza di dire e di fare sì che l'uditore sia
benivolo verso lui, cioè che Ili piaccia esso e '1 suo parlamento, e
procacciasi di 20. dire e di fare sì che l'uditore sia intento a
llui et al suo detto; similemente si studia di dire e di fai'e sì che 11'
udi- tore sia docile, cioè che pi'enda et intenda la forza delle
parole. 6. Et perciò dico che immantenente che 11' uditore è docile
sicché voglia intendere e connoscere la natura 25. del fatto e la
forza delle parole, sì è elli intento ; ma perchè l' uditore sia intento
a udire, puote bene essere che non sia docile ad intendere. Et di
ciascuno di questi tre dirà il conto quando verrà il suo luogo. 7. Ma
perciò che '1 par- liere che non conosce dinanzi di che maniera e di
cliente 30. ingenerazione sia la sua causa non puote bene
advenire alle tre cose che sono dette inn adietro, cioè che 11'
uditore sia benivolo, intento e docile, si dicei'à Tullio quante e
quali sono le generazioni delle cause, in questo modo: 1 : m
Prima — MM' nm. è — 2-3 : m liiditore sia inverso noi benivolo intonlo 7
dolco a quello ecc. — 4-5: m ci conviene — 7-8: m nm. et — e mostra — 9:
M' nensegna, L insegna dove — JO: M' potremo — ii: M' ,allenlione - 13: M
nm. in — 15: m i parlieri, M' il parladore —17: M' perla (piai cosa — 19:
ni jiiaoci il suo p. — procliac- cisi — 20 : M-m 7 fare sicché — m
attento — 21 : M' 7 fare — 22 : il/' ciò che imprenda — «1 le parole —
^.5: hi nm. e la l'orza delle i>arole - 26: m che non 0—27: M' ohi. tre
— 28-29: M' vorrà suo luogo — chel dicitore — 7 di che ìnjj.
- Ili - Qualitadi delle cause. 79. Le qualitadi
delle cause sono cinque: onesto, mirabile vile, dubitoso et oscuro.
Sponitore. 5. I. In questa picciola parte nomina Tullio le
qualitadi delle cause, cioè di quante generazioni sono le
dicerie. Et s' alcuno m' aponesse che Tullio dice contra ciò che
esso medesimo avea detto in adietro, cioè che le generazioni e le
qualitadi sono tre, deliberativo, dimostrativo e iudiciale, 10. et
or dice che sono cinque, cioè onesto, mirabile, vile, du- bitoso et
oscuro, io risponderei che Ile primiere tre sono qualitadi substanziali
sie incarnate alhi causa che non si possono variare. Onde quella causa
eh' è deliberativa non puote essere non deliberativa, e quella eh' è
dimostrativa 15. non puote essere non dimostrativa ; altressì dico
della iudi- ciale. 2. Ma quella causa eh' è onesta puote bene essere non
onesta, e quella eh' è mirabile puote essere non mirabile, e così dico
della vile e della dubbiosa e della oscura. Adunque sono queste qualitadi
accidentali che possono 20. essere e non essere; ma le prime tre
sono substanziali che non si possono mutare.
Dell'onesta. 80. Onesta qualitade di causa è quella la quale
incontanente, sanza nostro exordio, piace all'animo dell'uditore.
25. Lo sponitore. I. Quella causa è onesta sopr'alla quale
dicendo parole, immantenente, sanza fare prolago, l' animo dell' uditore
si muove a credere et a piacere le parole che '1 parliere dice
sopra '1 convenente ; et in questo non fa bisogno usare pa-
3: M' dubbioso — 7 : M' m cholgli medesimo — 8: M-m om. elio - M^ li
generi — 10: M' dubbioso — 1 1: m io rispondo che le prime tre — 13 -.M'
puole — 13-14: M-m ml- lann dal lo al S° deliberativa — 15 : M-m essere
dimostrativa — 17 : L bone essere bene non mir. — 19: M-m om. queste —
23: M incontenenlo — 27: M-m mantenente iole per acquistare
la benivoglienza dell'uditore, perciò che ll'onestade della causa l'à già
acquistata per sua di- gnitade, sì come nella causa di colui che accusa
il furo o che difende il padre o l'orfano o le vedove o le chiese.
5. Mirabile. 81. Mirabile è quello dal quale è straniato
l'animo di colui che de' audìre. Sponitore. I.
Quella causa è appellata mirabile la quale è di tale 10. convenente che
dispiace all'uditore, perciò eh' è di sozza e di crudele operazione. Et
perciò l'animo dell'uditore è centra noi et è straniato dalla nostra parte;
et in questo abisogna d'acquistare benivolenzia sì che l'uditore
intenda, sì come nella causa di colui c'avesse morto il suo padre
15. o fatto furto o incendio. 2. Dunque potemo intendere che una medesima
causa puote essere onesta e mirabile : onesta dall'una parte, cioè di
colui che difende il suo padre, mi- rabile dall'altra parte, cioè di
colui medesimo che è coutra la sua madre propia. E di questo uno exemplo
si puote 20. intendere tutti i somiglianti. Del vile.
82. Vile è quello del quale non cura l'uditore e non pare che sia
da mettere grande opera a intendere. Lo sponitore. 25.
1. Quella causa è appellata vile la quale è di picciolo convenente,
sì che non pare che ne sia molto da curare e l'uditore non sine travaglia
molto ad intendere, sì come la causa d' una gallina o d'altra cosa che
sia di poco valere. Et in questa causa dovemo noi procacciare di fare sì
che 30. ir uditore sia intento alle nostre parole.
1: M' om. la — id: M' o l'uiiiino - i2: vi e straniato — i3: M' bisogna —
14: M-m om. nella oanaa di colui c'avcsso morto — 15: M a facto, m a
l'atto — 19: M\a sua iiropria madre — 26: M-m om. ne — 27 : M' non si
maraviglia — 28: hi di jioclio valoro, Jt/' de piccolo valoro — 89: Mi
nm. di l'are si Dubitoso è quello nel quale o la sentenzia è dubia
o la causa è In parte onesta et In parte è sozza e disonesta,
sicché Ingenera benlvolenzla e offenslone. 5.
Sponitore. I. Quella causa è appellata dubitosa nella quale
l'udi- tore non è certo a che la cosa debbia pervenire o a che
sentenzia alla fine torni, sì come nella causa d'Orestes che dicea
ch'avea morta la sua madi*e giustamente per due 10. ragioni : 1'
una perciò ch'ella avea morto il suo padre, l'altra perciò che '1 deo Apollo
glile comandò. Onde l'uditore non è certo la quale di queste due cagioni
cagia in sentenzia. 2. Altressì è dubitosa quella causa nella quale àe
parte d'onestade e perciò piace all'uditore, et àe parte di diso-
15 nestade e perciò dispiace all' uditore, si come nella causa de
filio: O d'un furo che fue accusato d'un furto e '1 suo figliuolo si
sforzava (ii difenderlo in tutte guise. Certo la causa era onesta quanto
in difender lo padre, ma era diso- nesta quanto in difendere lo
furo. 20. Dell'oscuro. 84. Oscuro è quello nel quale l'
uditore è tardo, o per aventura la causa è Iv^plgllata di convenentl
troppo malagevoli a conoscere. Lo sponitore. 1. Dice
Tullio che quella causa è appellata oscura nella 25. quale
l'uditore è tardo, cioè che non intende ciò che portano le parole
del dicitore sì bene ne sì tosto come si conviene, perciò che non è
forse ben savio o forse eh' è fatigato per 2: M-m eia
sentenzia — 3: M' in parte socca — 4: M-m o offensione — 7-8: M' o in
clie sententia torni ala fino — 10: m il suo marito — li: M chel deo
apellollil, m chello lio appello il, M^-L che dio appello glile comando —
13: M' quella parte dove parte — 16: M do fili?, *i demi?, Mi-L dun
figluolo dun ladro - do furto, el figUiolo ~ 17 : m s\ sforza — 19: M' lo
furto — 24: ino oschura apellata — 23-26: 3f-»i portava — del dicta- tore
- M' om. nò, L e si tosto, m o si tosto ~ 27:M' om. il 1" forse — M-m 7
forse - faligata (1) L'abbreviatura insolita ài M e m porta a
supporre una formula giuridica latina, quantunque tale abbreviatura non
sembri equivalere proprio a un de filio (la lezione di M'-L è certamente
secondaria). forse nella sigla si nasconde qualche nome proprio?
- 114 - li detti d'altri parlieri che aveano detto innanzi;
o per aventura la causa è impigliata di cose e di ragioni che sono
oscure e malagevoli ad intendere. Della divisione dell'
exordio. 5. 85. Et perciò che Ile qualitadi delle cause sono tanto
diverse, sì convene che li exordii siano diversi e dispari e non
simili in ciascuna qualitade di cause; per la qua! cosa exordio si divide
in due parti, ciò sono principio et « insinuatio ». Lo
sponitore. 10. I. Perciò - dice Tullio - che le generazioni e le
quali- tadi delle cause sono tanto diverse, cioè che sono in
cinque modi sì come detto è qui di sopra, e l'uno modo non è
accordante all'altro, sì conviene che in ciascuna qualità di cause et in
catuno de' detti cinque modi abbia suo modo 15. di fare exordio,
tale che ssi convegna alla qualitade so- pr'alla quale noi dovemo parlamentare
o dittare. 2, Et vogliendo Tullio insegnare ciò apertamente, sì dice
che exordio è di due maniere : una eh' è appellata principio et
un'altra ch'jè appellata « insinuatio » ; e di ciascuna dirà elli
20. interamente. E così dovemo e potemo sapere che le cause sopra
le quali dice alcuno parlieri o sopra le quali scrive alcuno dittatore
sono cinque, cioè sono: onesto, mirabile, vile, dubitoso et oscuro, sì
come apare in adietro. Et sopra tutte qualitadi sono due modi de exordio
e non più, cioè 25. principio et « insinuatio ». Del
principio. 86. Principio è un detto il quale apertamente et in
poche parole fa l'uditore benivolo o docile o intento. Lo
sponitore. 30. 1. Quella maniera de exordio è appellata
principio quando il parlieri o '1 dittatore quasi incontanente
alla 1 : M^ parladori — 3: M' mn. oscuro o — fi: m diversi,
dispari — 7:m di cose — 8:M' cioè principio 7 insiniiatione (sempre) — /
i : m dolio cose — M' dele qualitadi sono tante divei-se -- Melo che
sono— 13: M' coU'altro — i4-i5: M' si abbia s. m. in fare — A/' «hi.cìò —
18-19: m una che apjinllala ins. 7 una che ajiiiollata pr., M' uno che
sajiplla pr. 7 un altro che apellnlo ins.,7 di ciascuno — 21 : vi
.ilchimo parlinre dice — M-m 7 sopra — M' dice alcuno dictalon» — 22: M-m
honesta - 23: M* jiare — 31 : M' il dicitore ol dictatore — M-m
incontenonte - 115 — comincianza del suo dire,
sanza molte parole e sanza neuno infingimento ma parlando tutto fuori et
apertamente, fa l'animo dell'uditore benvolente a llui et alla sua
causa, o talora il fa docile o intento, si come fece Pompeio par-
5. landò a' Romani sopra '1 convenente della guerra con Julio Cesare, che
fece tale exordio : « Perciò che noi avemo il diritto dalla ifostra parte
e combattemo per difendere la nostra ragione e del nostro comune, si
dovemo noi avere sicura spei'anza che li dii saranno in nostro adiuto ».
(i) ■ 10. Dell' insimiatio. 87. Insinuatio è un detto
il quale, con infingimento parlando dintorno, covertamente entra nelF
animo dell'uditore. Lo sponitore. \. Tullio dice che
quella maniera de exordio è apellata 1.5. « insinuatio » quando il
parlieri o '1 dittatore fa dinanzi un lungo prolago di parole coverte,
infingendo di volere ciò che non vuole, o di non volere quello che dee
volere, e così va dintorno con molte parole per sorprendere l'animo
dell'uditore sì che sia benevolo o docile o intento; sì come 20.
disse Sino parlando a coloro che riteneano la sua persona in gravosi tormenti:
« Insin a oi"a v'ò io pregato che mi traeste di tante pene ; oimai
non dimando se non la morte, ma grandissimi tesauri avrei dato a chi m'
avesse scam- pato ». Et in questo modo covertamente s'infingea di
non 25. volere quello che volea, per venire in animo di loro che Ilo
scampassero per avere, da che mercè non valea. 2. Et cosie à divisato il
conto che è principio e che è «insinuatio»; omai dicerà quale di questi
due modi de exordio dovemo usare in ciascuno de' cinque modi delle cause,
cioè nell'onesto, 30. nel vile, nel mirabile, nel dubitoso e nell'
oscuro. i: M' alancomincianza — m sanza alcliuno - 2-- M'
om. et — 3: M' benivolente, m benivolo — M^ o ala sua causa — 4 : m come
fé — 5-6: M' a Romani parlando del convenente, — cotale — 9: M diede
saranno — IS: m intorno — 15: M-m i parlieri, M' il parliere — M o
dictatore — 17 : m quello che non vuole — iW' in (juello che vuole —
20-21 : L Sitio — m teneano... gravi tormenti — 2S: M' oggimai non domando io
— 23: M' dati — wi dato chi — 26: m merco domandare — 27: M' a divisatoli
maestro — 28 : M-m (|uali — M' noi dovemo — 29: M' de cause, M in
ciascuno di delle causo, m in ciascheduna delle chause (1)
Per tutte le citazioni di autori classici, che da questo punto alla fine
son molto frequenti, rimando al mio studio su La «Rettorica» italiana di
Brunetto Latini pp. 35-50; ivi son ricercate e discusse le fonti di
questi esempii, e così riesce anche piti facile rendersi conto della
costituzione del testo. — 116 — Della
mirabile. 88. Nella mirabile generazione di causa, se il'uditore
non fosse al tutto turbato contra noi, ben potemo acquistare
benivoglienza per principio. Ma s'ei troppo malamente fosse straniato ver
noi, allora 5. ne conviene rifuggire a « insinuatio », in però che
volere così isbri- gatamente pace e benivoglienza dalle persone adirate
non solamente non si truova, ma cresce et infiamasi l'odio.
Lo sponitore. 1. Inn adietro è bene detto che quella causa è
appel- lo, lata mirabile la quale è di rea operazione, sicché pare che
dispiaccia all'uditore. Et perciò dice Tullio che quando la nostra causa
è mirabile puote bene essere alcuna fiata che Il'uditore non sia del
tutto coruccioso contra noi. Et allora potemo noi acquistare la sua
benivolenza per quel modo 15. de exordio eh' è appellato principio, cioè
dicendo un breve prologo in parole aperte e poche. 2. Ma se 11' uditore
fosse adiroso e curicciato contra noi malamente, certo in quel caso
ne conviene ritornare ad altro modo de exordio, cioè « insi- nuatio », e
fare un bel prologo di parole infinte e coverte, 20. sicché noi possiamo
mitigare l' animo suo et acquistare la sua benivolenza e ritornare in suo
piacere. Ch'ai ver dire, quando l' uditore èe adirato e curiccioso, chi
volesse acqui- stare da llui pace così subitamente per poche et
aperte parole dicendo il fatto tutto fuori, certo non la
troverebbe, 25. ma crescerebbe l' ira et infiamerebbe l' odio ; e perciò
dee andare dintorno et entrarli sotto covertamente. Della
causa vile. 89. Nella causa la quale è di vile convenente, per
cagione di trarrela di vilanza e di dispetto, ne conviene fare l'uditore
intento. S : M-m Della mirabile — ?» e solluditoro — 3 : M^
del tutto — 4 : 3/' se — m se troppo fosse crucciato — 5: Mi fuggire — m
ci conviene.... chosi di presente - 7: m crescesi — 9: M-m ubiamo detto —
i2: M^ alcuna volta — 13: m crucciato — 14: M' potremo (ma L lìotemo) —
15: M-m in breve — 17 : M' iroso 7 crucciato verso noi, m adirato contra
noi molto, — 18: m tornarne — M alaltro modo —19: M-m nni. fare — converte — M
iulì- nito — 20: M' otii. la — SS: M^ cruccioso, m crucciato — S3: in per
i)Oclie )iaroIo 7 aperte — S6: M-m darò dintorno — M entrali, M'
intrarli, wi rilrarlo sottilmente sotto coverta — S8 : M e diviene convenente
m udiviene e. — S9 : M' trarla de viltanca 7 de dispregio
117 — Lo sponitore. I. Quando la nostra
causa ella è vile, cioè di piccolo convenente sicché l' uditore poco cura
d' intendere, allora ne conviene usare principio et in esso fare che 11'
uditore 5. sia intento alle nostre parole; e questo potenio ben
fare traendola di viltanza e facciendola grande et innalzandola, sì
come fece Virgilio volendo trattare de l'api: «Io dicerò cose molto
meravigliose e grandi delle picciole api ». Della dubbiosa
qualità. 10. 90. Nella dubbiosa qualità di causa, se Ila sentenza è
dubbia si conviene incominciare l'exordio dalla sentenzia medesima.
Ma se Ila causa è in parte onesta e in parte disonesta si conviene
acqui- stare benivolenzia, sicché paia che tutta la causa ritorni in
onesta qualitade. 15. Lo sponitore. I. La causa
dubitosa, si come fue detto in adietro, èe in due maniere: 1' una che Ila
sentenzia è dubbia, sì come apare nelF exemplo d' Orestes, che per due
ragioni e cagioni dicea ch'avea ben fatto d'uccidere la madre. Et in quel
caso 20. dovea elli incuninciare il suo exordio da quella
ragione dalla quale (0 elli più ferma nel suo animo di voler pro-
vare, e per la quale crede avere la sentenzia inn aiuto. 2. Ma se '1
convenente è dubitoso perciò che sia in parte onesto et in parte
disonesto, in quello caso dee il buono parlieri 25. neir exordio
acquistare la benivolenzia dell' uditore per principio, sicché tutta la
causa paia che sia onesta. 2: M' m om. ella — m cioè di vile
convenente 7 di picciolo — ,9: 3f' -Ldelontendere — 4-5 : M 7 mezzo, m e
mezzo a fare... atento — 6: m vilanza, >/' vllezza 7 inalr. et f. g. —
7 : m tràre — 8: M' om. molto — iO: M' Dela dubitosa — li: m cominciare — i2 :
M-in om. è in parte onesta — M' parte lionesla 7 parlo dis. — i7 : M-m
cliella causa — hi dub- biosa — i8: M> om. apare — cagioni 7 ragioni —
m om. 7 cagioni — 19-20 : m in questo dovea elli com. — 21 : M' la (juale
— 22: M-m 7 per qua! (?;i om. 7) — M' sigli crede davere — 23: m om. sia
— M'-L honesta.... disonesta — 25: M' acquistare nelexordio benivolenca
daluditore — M libenivolentia — 26 : M-m om. che sia (1) Cioè «
fondandof3i sulla quale egli si propone di dimostrare la sua causa >.
L'oscurità della frase ha determinato la falsa correzione in ilf'.
118 - La causa onesta. 91. Quando la causa
fie onesta, o potemo intralasciare lo prin- cipio, 0, se ne pare
convenevole, comincieremo alla narrazione o dalla legge, o d' alcuna
fermissima ragione della nostra diceria. 5. A\a se ne piace usare
principio, dovemo usare le parti di benivo- glienza per accrescere quella
che è. Lo sponitore. 1. Quando il conveniente sopra '1
quale ne conviene dire è onesto, certo per la natura del fatto propia
avemo noi la 10. benivoglienza dell'uditore sanza altro adornamento
di pa- role. Perciò quando noi venimo a dire (l) noi potemo bene
intralasciare lo principio e non fare neuno exordio né prolago di parole,
e cominciare la nostra diceria alla nar- razione, cioè pur dire lo fatto;
e bene potemo cominciare 15. da quella legge che tocca alla nostra
materia o da quella ragione che sia più fermo argomento e più certo. 2.
Ma se nne piace usare ijrincipio e fare alcuno prologo, certo noi
lo potemo bene, non per acquistare benivolenza ma per crescere quella che
v' è. Et perciò in detto caso il nostro 20. principio dee essere in
parole apropiate a benivolenza. Della causa ohscura.
92. (e. XVI) Nella causa la quale è oscura conviene che nel nostro
principio noi facciamo che ir uditore sia docile. Lo
sponitore. 25. 1. In adietro fue dimostrato qual causa e quando
sia oscura. Et perciò dice Tullio che nella causa la quale
sia 2 : M' m tia — 3 : i« / Se ci paro — -i : M-m o alla
legge, J/' o data leggo — M o alcuna, )/i adalcluina, Mi o dalcuna — 5:
Miw paro, m non paro — 6 : il/i om. che h - 9: M-m nm. certo - facto
pro])io — iO: M-m sanja molto ailorn. — i i : Mi j perciò — M noi doviamo
a dire, m noi doviamo diro — i2: m alchuno oxordio — 13-15: M-m no comin-
ciare ~ M' 1 cominciare do quella legge - M-m o a ([uolla ragione — 16: M' la
(jualo sia — 18: M' ben faro — 19: M-m il docto, M' in (juesto caso — 25:
M' mostrato (|ualo causa e 7 (juando sia (ma L ([uando sia) — 26: M' la
quale e (l) Cioè «quando cominciamo a parlare». L'accordo di Jlf e
JVf ' ronde sicuro a dire, e con questo si escludo la lezione, buona in
apparenza, di m {doviamo dire) come evidente accomodamento di M.
- 119 - oscura all' uditore a intendere noi dovemo
usare quella parte de exoi'dio la quale è appellata principio, et
in quello dovemo noi si dire che 11' uditore sia docile, cioè
ch'elli intenda e ch'elli senta la natura del fatto, in que- 5. sto modo:
che noi diremo in poche parole sommatamente la sustanzia del fatto dell'
una parte e dell' altra. Et poi che noi vedremo che U' uditore sia
apparecchiato in via d' intendere (1) il fatto, noi andremo innanzi a
dire la nostra ragione sì come si conviene al fatto. 10. Le
ragioni delle cose. 93. Et perciò che infìn ad ora noi avemo detto
che ssi con- viene fare nell' exordio, oimai rimane a dimostrare per
quali ra- gioni ciascuna cosa si possa fare.
Sponito7-e. 15. 1. Infino a questo luogo à insegnato Tullio
tutto ciò che ssi conviene dire o fare nello exordio; e perciò
ch'elli àe detto in quale exordio ed in qual causa ne conviene
usare parole per acquistare benivolenza, sì vuole elli da qui in-
nanzi mostrare le ragioni come si puote ciò fare ; e questo 20.
insegnamento fa bene di sapere. De' quattro luoghi della
temperanza. 94. Benivolenza s' acquista di quatro luogora : dalla
nostra persona, da quella de' nostri adversarii, da quella dell! giudici
e dalla causa. 25. Lo sponitore. I. In questa
parte insegna Tullio acquistare benivo- lenza, e perciò ch'ella non si
puote avere se non per quello che ss' apartiene alle persone et al fatto,
sì dice che quattro luogora sono dalle quali muove benivolenza. Il primo
luogp i: if-»» om. all'uditore a intendere — 2.M^As lexordio
— 4: Af' chela intenda et senta - 5: m dopo diremo r(pe(e in ([uesto modo
— 6:m la natura — om. Et — 7-8: 3f' apparec- chiato 7 intendere, m-L
appareccliiato a intendere — 12: m a mostrare — 15: M-m In ipiosto luogo
— om. tutto - 17: M-m 7 di qual causa, M' iu quale causa, i e in quale
causa — 2S: M-m luoghi, della nostra p. — 27-28: M' da quello... alla
persona (1) L' espressione certamente è ridondante {in via sembra
quasi una variante di apparecchiato), e perciò quasi tutti i testi l'
hanno ridotta alla forma pili sem- plice e comune. Il segno 7 di M'
deriva da una errata lettura di a, che anche in quel codice ha una forma
simile alla nota tironiana. si è la nostra persona e di coloro per
cui noi dicemo. Il secondo luogo si è la persona de' nostri adversarii e
di coloro contra cui noi dicemo. Il terzo luogo si è la persona de'
giudici, cioè la persona (l) di coloro davanti da cui noi 5. dicemo. Il
quarto luogo si è la causa e '1 fatto e '1 conve- nente sopra '1 quale
noi dicemo. E di ciascuno di questi dicerà il conto ordinatamente e
sofficientemente. Tallio sopra lo lìvolago. 95. Dalla
nostra persona se noi dicemo sanza superbia de' 10. nostri fatti e de'
nostri officii; e se noi ne leviamo le colpe che nne sono apposte e le
disoneste sospeccioni; e se noi contiamo i mali che nne sono advenuti et
li 'ncrescimenti che nne sono pre- senti; e se noi usiamo preghiera o
scongiuramento umile et inclino. Sponitore. 15. 1.
Conquistare benivolenza dalla nostra persona si è dicere della
persona nostra, o di coloro per cui noi dicemo, quelle pertenenze perle
quali l' uditore sia benivolo verso noi. Et sappie che certe cose s'
apartengono alle persone e certe alla causa; e di queste pertinenze
tratterà il conto 20. sofficientemente, e fie molto bella et utile
materia ad impren- dere. Et qui pone Tullio quattro modi d'acquistare
benivo- lenza dalla nostra persona. 2. Il i)rimo modo si è se noi
di- cemo sanza soperbia, dolcemente e cortesemente, de' no- stri
fatti e de' nostri officii. Et intendi (2) che dice « fatti » 25
quelli che noi facemo non per distretta di leggo o per forza, ma per
movimento di natura. Et così dicendo Dido 1 : m Olii, si —
2: M-m om. luogo — m ohi. si — 5 : m om. si — J : M-in om. la jiersoiia —
Afiia coloro — m davanti a chui, il/' davanti cui — 5: M^ il facto — m
om. ól convonento — 6-7 : M' om. di questi — dioera lautore — m om. e
soBìcientemento — 9-10: M-m Alla nostra p. — di nostri faoti — Ai' lo
nostre colpo — 12: il/' che sono presenti — 13: M' i scongiura- mento —
16: M^ dola nostra persona 7 di coloro — 17: m aparlenentle — 20: m om.
suflicientementc — M-mom. materia — 22: m om. moiio — 2-i:M-m intende, L
intendo — 25: m diciamo per distretta — 26: M-m dicendo didio
(1) Le parole la persona sono superflue, e perciò a prima vista si
preferirebbe la lozione di M-m; ma è molto più probabile l'omissione di
parole inutili che la loro aggiunta in Af'. (2) Scrivo cosi
per analogia col § 4; ma anche la lezione di Mm, intende, potrebbe conservarsi
come una forma di 2" persona dell' imperativo (per la desi- nenza e
non mancano esempii). - 121 - d' Eneas acquistò
la benivolenza degli uditori: « Io » dice ella, « accolsi e ricevetti in
sicura magione colui eh' era cacciato iu periglio di mare, et quasi anzi
eh' io udisse il nome suo li diedi il mio reame ». Et cosi dice che
ella 5. si mosse a pietade sopra Eneas quando elli fugia dalla
distruzione di Troia. 3. Et al ver dire noi avemo merzè e pietade delle
strane genti per natura, non per distretta. Ma offici sono quelle cose le
quali noi facemo per distretta, non per movimento di natura. Onde dice
Tullio che dell'uno 10. e dell'altro dovemo dire temperatamente
sanza superbia. 4. Il secondo modo si è se noi ne leviamo da dosso a noi
et a' nostri le colpe e le disoneste sospeccioni che cci sono messe et
apposte sopra; et intendi che colpe sono appellati que' peccati che sono
apposti altrui apertamente davanti al 15. viso, sì come fue apposto
a Boezio eh' elli avea composte lettere del tradimento dello 'mperadore.
Il quale pec- cato removeo elli per una pertenenza di sua persona,
cioè per sapienza, dicendo cosi: «Delle lettere composte falsa-
mente che convien dire ? la froda delle quali sarebbe mani- 20.
festamente paruta se noi fossimo essuti alla confessione dell' accusatore
». 5. Le disoneste sospeccioni sono le colpe eh' altre pensa in centra ad
un altro, ma nolle pone davante al viso, sì come molti pensavano che
Boezio adorasse i do- moni per desiderio d'avere le dignitadi; e questa
sospeccione 25. si levò elli parlando alla Filosofìa, che disse: «
Mentirò che pensaro ch'io sozzasse la mia coscienza per sacrilegio (o
per parlamento de' mali spiriti). Ma tu, filosofìa, commessa in me
cacciavi del mio animo ogne desiderio delle mortali cose ».• Et così
parve che volesse dire: « Poi che in me avea sapien- 30. zìa, non
era da credere che in me fosse così laido fallimento ». Tutto altressì
Elena, voglìendosi levare la sospeccione che '1 suo marito avea dì lei,
disse: «Elli che ssi fida in me della vita, dubita per la mia biltade; ma
cui assicura pro- dezza non dovrebbe impaurire l'altrui bellezza ». 6. Il
terzo 1 : M' deluditore — 2: S m sicuro porto — 4: M' il suo
nomo — Mìi dica — m il roame mio — 5: A/' dela — 7: m M' 7 non — 0: m L ^
non por m. — 13-14: m ci sono aposto (om. sopra) — M' appellate....
apjioste — 16: M \e lectoro — 17: M' elgli rimovca — ciò fu — 18: M'
falsamente composte — 20-21 : M-m jiartita ....stati.... dellaccusato —
22: m centra un altro — ^f' appone — 25: m parlando olii — 25-27: M-m Mentita
chi solcasse — om. per sacrilegio.... spiriti — 28: cacciavi (il latino
ha pellebas) è solo in L; M-m chaccia, Jf' cacciava con un i aggiunto tra
v e a, s caccia via — 29: M-m paro — 31 : m schusare 7 levare — 33: m
della biltade mia modo è se noi contiamo i mali elie sono advenuti
e li 'ncre- scimenti che sono presenti. Così Boezio, contando ciò
ch'ave- nuto era, acquistò la benivolenza dell'uditore dicendo: «
Per guidardone della verace vertude sofferò pene di falso incol- 5.
pamento ». Et Dido, dicendo i suoi mali dopo il dipartimento d'Eneas,
acquistò la benivolenza per la sua misa ventura, e disse : « Io sono
cacciata et abandono il mio paese e Ila casa del mio marito e vo fuggendo
i)er gravosi cammini in caccia de' nemici». Altressì Julio Cesare,
vedendosi in perillio di 10. guerra, contò i mali c'a llui poteano
advenire, per confortare i suoi a battaglia, e disse: «Ponete mente alle
pene di Ce- sare, guardate le catene e pensate che questa testa è
presta a' ferri e' membri a spezzamento». 7. Il quarto modo è se
noi usiamo preghiera o scongiuramento umile et inclino, 15. cioè
devotamente e con reverenza chiamare merzede con grande umilitade. Et
intendi che preghiera è appellata sanza congiuramento. Verbigrazia :
Pompeio, vegiendosi alla pugna della mortai guerra di Cesare, confortando
i suoi di battaglia disse: «Io vi priego de' miei ultimi fatti
20. e delli anni della mia fine, perchè non mi convenga essere
servo in vecchiezza, il quale sono usato di segnoreggiare in giovane
etade » (0. Et queste pi'eghiere talfiata sono aperte, sì come quelle di
Pompeio, talfiata sono ascose, sì come quelle di Dido in queste parole
ch'ella mandò ad 25. Eneas: «Io » disse ella « non dico queste parole
perch'io ti creda potere muovere; ma poi ch'io ao perduto il buon
4 : M-m fossero peno — 5 : M-m Et dicio dicondo — 6-7: m dicendo —
M-m chaccialo — 8: M el mio marito, m om. - 9: M Tullio Cosarn, m Tulio
corr. in .Tulio — 12-13 : itf' epresso — li membri — M 7 membri, m 7 i
membri — La sprezzamento — 14: M-m 7 scongiura- mento — Mi panclino, m e
parlino, M'-L o incliino - 13: m om. cioè — chiamando — 19: m abattagla —
20: M delli anni ilelli amici lino, m delli anni /siche — 21: M servo in vilezza
la (piale, m servo 7 in vilczza il quale — 22-23: M-m om. sono aperte, m
anlhe il 2° talfiata — 24: M di diedi — 26: M' o perduto, m chio
perduto (l) Il testo di Lucano (Fars., VII, 380), da cui è tradotto
questo esempio, ha ultima fata deprecar, tutti i codici della Eettorica
portano ultimi fatti. Non credo che si possa pensare a uno sbaglio dei
copisti, perchè un latinismo come fati (che del resto qui non sarebbe
traduzione esatta) manca di ogni probabilità in quel tempo; sarà dunque
da risalire a un'alterazione facilissima del latino, ultima facta, che
certo riusciva più intelligibile della frase poetica originale. Quanto al
servo in vecchiezza (che corrisponde a ne discam servire senex), se po-
tesse supporsi una forma vegliezza {eelUczza) si spiegherebbe meglio come sia
nato l'erroneo vilezza; ma è chiaro che la parola servo risvegliò l'idea
di «condizione vile, meschina». pregio e la castitade del
corpo e dell' animo, non è gran cosa a perdere le parole e le cose vili
». 8. Ma scongiura- mento è quando noi preghiamo alcuna persona per Dio
o per anima o per avere o per parenti o per altro modo di 5.
scongiurare, sì come Dido fece ad Eneas: «Io ti priego » disse ella « per
tuo padre, per le lance e per le saette de' tuoi fratelli e per li
compagnoni che teco fuggirò, per li dei o per l'altezza di Troia » etc.
9. Or à detto il conto del primo luogo donde muove la benivolenza,
cioè 10. della nostra persona e di coloro che sono a noi ; ornai
dirà il secondo luogo, cioè della persona delli adversarii e di coloro
contra cui noi dicemo. Sopra il secondo prolago.
96. Dalla persona delli aversarìi se no! li mettemo inn odio 15.
invidia o in dispetto. Lo sponitore. 1. Acquistai'e
benivolenza dalla persona de' nostri ad- versarii si è dire delle loro
persone quelle pertenenze per le quali l' uditore sia a noi benivolo et
contra 1' aversario 20. malivolo; et a cciò fare pone Tulio tre modi: Il
primo modo è dicere le pertenenze delle loro persone per le quali
siano inn odio dell'uditori; il secondo che siano in loro invidia; il
terzo che siano in loro dispetto; e di cia- scuno di questi tre modi dirà
il testo bene et interamente. 25. Tullio. 97. Inn odio
saranno messi dicendo com' ellino anno fatta alcuna cosa isnaturatamente
o superbiamente o crudelmente o ma- liziosamente. 2: M
om. a — 711 lo chose vili 7 le i»arole — 4: M' o per parenti por avere — m
oin. rli scongiurare — 6-7 : M' per lo tuo padre 7 per le 1. 7 [jor le s.
de tuoi f., per li compagni — M 7 per saette di tuoi I"., m per le
saette de tuoi parianti 7 per li compagni - 8-0 : M' om. etc. — Et ora a
detto il maestro — om. la — Ì0:m dalla nostra parte — YS: 3i' odindispregio
— 19: M-m om. a noi — 22-23: M' deluditore.... in invidia. Et il ter^^o che
sia — m loro in invidia.... loro in dispetto — 26-27: M' comelgli anno
alcuna cosa facta — vi 0»». isnatur. e o maliziosamente
Noi potemo i nostri adversarii mettere ina odio del- l' uditore se
noi dicemo eh' elli anno alcuna cosa fatta isna- turalmeute, contra
l'ordine di natura, si come mangiare 5. .calane umana et altre simili
cose delle quali lo sponitore si tace presentemente. O se noi dicemo eh'
elli abian fatto superbiamente, cioè non temendo né curando de' signori
né de' maggiori, avendoli per neente. O se noi dicemo ch'elli
abbiano fatto crudelmente, cioè non avendo pietà né mise- 10.
ricordia de' suoi minori né di persone povere, inferme o mi- sere. se noi
dicemo ch'elli abbiano fatto maliziosamente, cioè cosa falsa e rea, disleale,
disusata e contra buono uso. 2. Et di tutto questo avemo exemplo nelle
parole che Boezio dice contra Nero imperadore: « Ben sapemo quante
ruine 15. fece ardendo Roma, tagliando i parenti et uccidendo
il fratello e sparando la madre ». Altressì fue malizioso fatto il
qual racconta Eurifiles (l) di Medea, che stava scapigliata tra'
monimenti e ricogliea ossa di morti. 3. Omai à detto lo sponitore sopra
'1 testo di Tullio come noi potemo met- 20. tere il nostro adversario
in odio et in malavoglienza del- l' uditore. Da quinci innanzi dicerà
come noi li potemo mettere in loro invidia. Tullio.
98. In invidia dicendo la loro forza, la potenza, le ricchezze,
2.5. il parentado e le pecunie, e la loro fiera maniera da non sofferire,
e come più si confidano in queste cose che nella loro causa.
Sponitore. 1. Noi potemo conducere i nostri adversarii in
invidia et in disdegno dell' uditore se noi contiamo la foi'za del
3-4: M' chaWi ahh'ia. {poi aggiunto no dalla stessa maria) —
isnaluratamente contra online — 6: M' tace ora presentemente — m al
])rosonte — M-m 7 se noi dicemo che labian — 7-8: M tenendo M^ 7 non
venerando de sig,... 7 avendoli, m curando.... do maggiori — M-m 3/' che-
labbiano — 9-10: m misericordia.... di persone — H: M' 7 misero — M-m Et se
dicemo cliollabbiano — 12: Af' cosa rea falsa et disleale 7 disusata
contra b. u., m om. cosa — o disleale 7 contro a b. u. — 13: M' exemplo
avemo — lo : M' uccidendo i parenti, talgllaiido il fratello — M-m i fratelli
— 17 : S Euripide — M-m di medici — IS: M corresse moni- menti in
moUimenti — 20: m om. in odio et - Af' in malavoglienca — 21-22: M Da ipii
- 3f' diceremo.... li potremo mettere loro in invidia — 24 : M-m om. In
—26: M' si lidano — 28-29: Af' i nostri avorsari conducere
....degliuditori Cfr. Magoini, La ReUorica italiana di B. L., pp.
Bl-52. - 125 - corpo e dell' animo loro ad arme
e senza arme, et la po- tenza, cioè le dignitadi e le signorie, e le
ricchezze, cioè servi, ancille e posessioni, e '1 parentado, cioè
schiatta, lignaggio e parenti e seguito di genti, e le pecunie,
cioè 5. denari, auro et argento, in cotal modo che noi diremo come
' nostri adversarii usano queste cose malamente et increscevolemente con
male e con superbia, tanto che sof- ferire non si puote. 2. Cosi disse
Salustio a' Romani : « Ben dico che Catenina è estratto d'alto lignaggio
et à grande IO. forza di cuore e di corpo, ma tutto suo podere usa
in tra- dimenti e distruzioni di terre e di genti ». Così disse Ca-
tenina centra ' Romani : « Appo loro sono li onori e le potenzie, ma a
nnoi anno lasciati i pericoli e le povertadi >. 3. Et ora è detto
della invidia contra i nostri adversarii; sì dicerà il conto come noi li
potemo mettere in dispetto. Tullio. 99. In dispetto
degli uditori saranno messi dicendo che siano sanza arte, neghettosì,
lenti, e clie studiano in cose disusate e sono oziosi in iuxuria.
20. Sponitore. I. Noi potemo mettere i nostri adversarii in
dispetto degli uditori, cioè farli tenei'e a vile et a neente, se
noi diremo che sono uomini nescii sanza arte e sanza senno, da
neuno uopo e da neuna cosa; o che sono neghettosì, 25. che tuttora
si stanno e dormono e non sì muovono se non come per sonno; o diremo che
sono lenti e tardi a tutte cose; o diremo che studiano in cose che non
sono da neuno uso né d'alcuna utilitade; o diremo che sono oziosi in
Iu- xuria dando forza et opera in troppo mangiare, in nebriare,
30. in meretrici, in giuoco et in taverne. 2. Et ora à detto il
2-5: Af' om. e le signorie, poi continua: E le pecunie, ciò sono i
danari e seni 7 an- celle 7 possessioni. ¥A parentado... di genti, in
cotal modo ecc. — 6: M' come i nostri aversarii — 11 : M^ in tradimento 7
distructione de terra 7 <le gente, m in tradimenti distructioni — 12:
M-in a Romani — 13 : m lasciato — 14: M iì detta — L'i : M' o»i noi — in
dispregio (l. 17 idem) — 17: M' om. degli uditori — 18: M disulate — 19:
M octosi, m ottosi — 22: M' om. degli uditori — 23: 3f' siano, m sieno —
M' sanza sonno? sanza arte di neuno huopo - 24: m om. da neuno uopo e —
25 : m si stanno, dormono - 26: M' per sonno/ 7 diceremo, L per sogno —
27-28 : m alclumo uso — M ' 7 dicoremo — 29-30: M' de troppo mangiare .T
ebriare. in puttane — m 7 in bere — M in cliaverne — M' a decto luditore come
— )?t om. Et - 126 — conto come noi potemo
acqnistare la benivolienza dell'udi- tore dalla persona de' nostri
adversarii mettendoli inn odio et in invidia et in dispetto, et à insegnato
come si puote ciò fare. Ornai tornerà alla materia per dire come s'
acqui- 5. sta benivolenzia dalla persona dell' uditore, e questo è
il terzo luogo. La benivolenza dell'uditore. lOO.
Dalla persona dell'uditori s'acquista benivolenza dicendo che tutte cose
sono usati di fare fortemente e saviamente e man- 10. suetamente, e
dicendo quanto sia di coloro onesta credenza e quanto sia attesa la
sentenza e l'autoritade loro. Lo sponitore, (i) ' 1.
Noi potemo acquistare la benivolenza delli uditori dicendo le buone
pertenenze delle loro persone e lodando 15. le loro opere per
fortezza e per franchezza e per prodezza, per senno e per mansuetudine,
cioè per misurata umilitade, é dicendo come la gente crede di loro tutto
bene et one- stade, e come la gente aspetta la loro sentenza sopra
que- sto fatto, credendo fermamente che fie si giusta e di tanta
20. autoritade che in perpetuo si debbia così oservare nei si- mili
convenenti. 2. Di forte fatto Tulio lodò Cesare dicendo: « Tu ài domate
le genti barbare e vinte molte terre e sot- toposti ricchi paesi per tua
fortezza». 3. Di senno il lodò e' medesimo parlando di Marco Marcello:
«Tu nell'ira, 25. la quale è molto nemica di consellio, ti
ritenesti a consel- lio ». Di mansueto fatto il lodò Tulio dicendo: « Tu
nella vittoria, la quale naturalmente adduce superbia, ritenesti
mansuetudine ». 5. D' onesta credenza il lodò Tallio in 2-3:
M' in odio deluditore, M innodio 7 invidia, m in odio, in invidia — M-m om. si
— 8: Jf' m delludilore {ma il testo auditorum) ~ 9: M' sono usi — M-m 7
suavomento {m nm. 7) 10 : i mss., ambedue le volte, quando — M' di loro —
li: M-m intesa — 13: M-m om. delli uditori — M^ deluditore — 14: M'
dicendo che buone — 15 : M-m om. e per fran- chezza — M' 7 per senno —
17: m M' om. e — 19: Jtf' credendo che la loro sententia sia si giusta —
m che sia — SO: M-m ne in simili, M'-L ne simili — 23-84: m e lodo, M' il
lodano 7 medesimo parlano — m marche metcllo — 25 : M-m om. molto — Af tu
ritenesti a consellio, m tu ritenesti consiglio — 26: M ilio Tullio tu ecc., m
di mansueto fatto /7 nella vittoria — 27 : M adato, m adato, L odduce —
28: m om. credenza il lodò Tullio (1) In tutti 1 codici
l'interpunzione di questo passo è variamente errata, né metterebbe conto
darne notizia. - 127 - questo modo: Cesare volle
alcuna fiata male a Tullio, ma tutta volta lo ritenne in sua corte; e non
pertanto Tullio era sì turbato in sé medesimo che non potea intendere
a rettorica si come solea, insin a tanto che Cesare non li 5.
rendeo sua grazia. Et in ciò disse Tullio : « Tu ài renduto a me et alla
mia primiera vita V usanza che tolta m' era, ma in tutto ciò m'avevi
lasciata alcuna insegna per bene sperare »; e questo dicea perchè l'avea
ritenuto in corte, sicché tuttora avea buona credenza. 6. D' attendere la
sua 10. buona sentenza lodò Tullio Cesare parlando di Marco
Mar- cello: «La sentenza eh' é ora attesa da te sopra questo con-
venente non tocca pure ad una cosa, ma à ad convenire (D a tutte le
somiglianti, perciò che quello che voi giudicarete di lui atterranno
tutti li altri per loro ». 7. Or é detto come 15. s'acquista
benivolenzia dalle persone delli uditori; sì dirà Tullio coni' ella
s'acquista dalle cose. La benivolenza delle cose. Da esse
cose se noi per lode innalzeremo la nostra causa, per dispetto
abasseretno quella delii adversarii. 20. Sponitore. 1.
Noi potemo avere la benivolenza dell'uditori da esse cose, cioè da quelle
sopra le quali sono le dicerie, dicendo le pertenenze di quelle cose in
loda della nostra parte et in dispetto et in abassamento dell' altra; sì
come disse 25. Pompeio confortando la sua gente alla guerra di Cesare
: « La nostra causa piena di diritto e di giustizia, perciò eh'
ella è migliore che quella de' nemici, ne dà ferma spe- 4 : M'
om. non — 6: M-m la causa dm t. — i a me la mia primiera vila e liisanza
— 7: tutti, eccetto L, m'avea — M-m la sua insegna — 8 : M' 7 in questo
(?«re i et ((uesto) — 9: M' buona speranna — 10: M-m lodo Cesare di
Tullio - IS: M-m ma ad {m a) con- venire, M-L ma dee convenire - 14: Mt
per lui — i5: 3f' dele persone — i8:M-mom. so — L sar|uista bonivoglienza
se noi ecc. (ma nel latino manca) —19: M' m 7 per disp. — 21 : M'
deluditofo, m delli uditori — 24 : m nm. in dispetto — M-m om. idi — 25: M confer-
mando la sua gente — 26: m M'-L e piena — Lo pero chella — 27 : m forma
speranza (1) Aggiungo un' a, che nella scrittura del codice può
considerarsi fusa (come avviene nella pronunzia) con quella precedente di
ma con quella seguente di ad. Bel resto basterebbe anche « convenire,
quasi come un futuro (« converrà ») scomposto nei suoi elementi.
- 128 — ranza d'avere Dio in nostro adiuto(i)». 2, Et
ornai à divisato il conto le quattro luogora delle quali si coglie et
acquista la benivoglienza, molto apertamente et a compimento; sì
ritornerà a dire come noi potemo fare l'uditore intento. 5. Di fare
V uditore intento. 102. Intenti li faremo dimostrando che in ciò
che noi diremo siano cose grandi o nuove o non credevoli, o che quelle
cose toc- cano a tutti a coloro che 11' odono o ad alquanti uomini
illustri, ai dei immortali, a grandissimo stato del comune, o se noi
prof- 10. terremo di contare brevemente la nostra causa, o se noi
propor- remo la giudicazione, o le giudicazioni se sono piusori.
Sponitore. 1. Avendo Tullio dato (2) intero insegnamento
d'acqui- stare la benivolenza di quelle persone davante cui noi
15. proponemo le nostre parole, sì che l' animo s' adirizzi et
invìi in piacere di noi e della nostra causa e che siano contrarii e
malevoglienti a'nostri adversarìi, sì vuole Tullio medesimo in questa
parte del suo testo insegnare come noi I)otemo del nostro exordio, cioè
nel prologo e nel comin- 20. ciamento del nostro dire, fare intenti
coloro che noi odono, sì che vogliano achetare i loro animi e stare a
udire la nostra diceria; e di questo potemo noi fare in molti modi
de' quali sono specificati nel testo dinanti, et in altri simili casi. 2.
Et posso ben dire manifestamente che ciascuna per- 25. sona sarà intenta
e starà ad intendere se io nel mio comin- 1: m nm. Et — 3 :
3f' nm. la — hi odi. molto — 4: m alento — 8-9: A/' o aliquanlì.... o ali
iilii imm. o a — M |)iQrRremo, vi protreremo {lat. pollicebimur) — iO: M-m owi.
bre- vemente — VI proiroromo la giuil. — i3 •■ M-m Quamlo Tullio a dato —
14: — J/tlavento — — 7/1 (lavante a cimi — 13-16: 3/' loro siiivii 7
dlrirvi — 17: vi malagevoli — 19: M' nel nostro exorilio — vi nm. nel
coniiiiciamento — 21 : 3f' si che noi vogliamo — 32-23: 3f ' Et questo....
i (jua'.i.... davanti — vi om. el — 25: M-m sono noi mio com. (1)
Cfr. Lucano, Phars., VII, 349: " Causa iubet melior superos sperare
secun- dos „. Solo la lezione di M corrisponde anche per la forma
sintattica. (2) Si rimano alquanto in dubbio sulla lezione da
preferire, perchè tra un Avendo e un Quando la differenza grafica ò
lieve, data la somiglianza di una forma di A con Q. Ma il gerundio
Avendo, con una costruzione meno comune, più difficilmente può esser
dovuto a un copista; d'altra parte il quando in senso di " dopo che
„ non è dell'uso di Brunetto, clie adopra continuamente la formula "
Poi che Tullio ha detto „ "ha insegnato ,, (S'intende clie
l'inserzione di a davanti a dato diveniva necessaria leggendo
Quando). -ciamento dico eli' io voglia trattare di cose grandi e
d'alta materia, sì come fece il buono autore recitando la storia
d'Alexandro, che disse nel suo cominciamento : « Io diviserò e conterò
così alto convenente come di colui che conquistò ó. il mondo tutto
e miselo in sua signoria ». 3. Altressì fie inteso s' io dico eh' io
voglia trattare di cose nuove e con- tare novelle e dire eh' è avenuto o
puote advenire per le novitadi che fatte sono, sì come disse Catellina :
« Poi che Ila forza del comune è divenuta alle mani della minuta
10. gente et in podere del populo grasso, noi nobili, noi (i)
potenti a cui si convengono li onori, siemo divenuti vile populo sanza
onore e sanza grazia e sanza autoritade ». 4. Altressì fie intento s' io
dico eh' io voglia trattare di cose non credevoli, sì come '1 santo che
disse : « Il mio 15. dire sarà della benedetta donna la quale
ingenerò e par- turio figliuolo essendo tuttavolta intera vergine
davanti e poi »; la quale è cosa non credevole, i^erciò che pare
es- sere centra natura. Et si come diceano i Greci: « Non era cosa
da credere che Paris avesse tanto folle ardimento che 20. venisse
'n essa terra (2) a rapire Elena ». 5. Altressì fie intento s'io dico che
'1 convenente sopra '1 quale dee essere il mio parlamento a tutti tocca
od a coloro che 11' odono, sì come disse Gate parlando della
congiurazione di Catellina: « Con- giurato anno i nobilissimi cittadini
incendere e distruggere 1 : M traclai-e cose, m cliio voglia
di trattare chosa grande — 2 : M actoro, m attor.j — 4-5: M'
recontcro.... conquise.... 7 mise — 5-6: M' fia inlento sic dica.... 7
contrario no- velle - 7: M' 7 puote — 9: M storca — m e venuta.... gente
minuta — 10: m M'-L non potenti — iy : J>f' noi a cui — 13: M Altre si
— 14-15: M'-L sicome disse il santo che disse - i II mio dotto — 16: M'
partorie il figluplo — 17 : M^ -j di. poi — M-m om. la quale.... natura —
19: M-m oni. folle — m om. che venisse — SO: M nessa terra, m in essa
terra, M'-L nela nostra terra — M arape — 22: M' tocclia a tutti coloro -- 24:
M' anno nob. citt. dincendore (1) Nonostante l'accordo di
tutti gli altri codici, mi attengo a M, la cui lezione è confermata dal
testo di Sallustio: " omnes, strenui, boni, nobiles atque igno-
biles „ ecc. Brunetto non traduce esattamente, ma vuol mettere in rilievo
la dignità delle persone, e perciò ripete il noi; forse questa parola in
qualcuno dei primi apografi fu scritta no (no') e quindi scambiata colla
negazione: non potenti. Favoriva l'errore anche il tono insolito della
frase " noi nobili, noi potenti ,., mentre le parole " in
podere del populo grasso „ inducevano a considerare " non potenti „
i nobili. (•2) Intendo in essa terra (come scrive m), cioè "
nella patria stessa „ , in ipsa terra. Leggendo con 21f » nella nostra
terra si avrebbe lo stesso senso in forma più chiara; ma non saprei
allora spiegare la variante di M-m. È possibile che, omesso il nostra, un
nella sia stato letto nessa, che a prima vista non dà senso ? Invece
nulla di più facile del caso inverso, e.ssendo l's di forma allungata cosi
simile a l. — iso- la patria nostra, e '1 lor capitano
ne sta sopra capo. Adun- que dovete compensare clie voi dovete
sentenziare de' cru- delissimi cittadini che sono presi dentro nella
cittade » (l). 6. Altressì fie intento s' io dico clie Ila mia
diceria tocca 5. ad alquanti uomini illustri, cioè uomini di grande
pregio e d'alta nominanza in traile genti sì come disse
Pompeio parlando della battaglia civile: « Sappiate che l'arme de'
ne- mici sono appostate per abbattere l'alto e glorioso sanato ».
7. Altressì fie inteso s'io dico che Ile mie parole toccano a'dei,
10. si come fue detto di Catellina poi ch'elli ebbe conceputo di
fare cotanta iniquità: «Ma elli gridava ch'appena i dei di sopra
potrebbero ornai trarre il populo delle sue mani » (2). 8. Altressì
fie intento s' io dico nel principio di dire la mia causa brevemente et
in poche parole, sì come disse il poeta 15. per contare la storia
di Troia: «Io dirò la somma, come Elena fue rapita per solo inganno e
come Troia per solo inganno fue presa et abattuta ». 9. Altressì fie
intento s'io nel mio exordio propongo la giudicazione una o più,
cioè quella sopra che io voglio fondare il mio dire e fermerò 20.
la mia provanza, sì come fece Orestes dicendo: « Io pro- verò che
giustamente uccisi la mia madre, imperciò che dio Apollo il mi à
comandato, perciò che uccise il mio padre». IO. Et di tutti modi per fare
l'uditore intento potemo noi coUiere exempli in queste parole che disse
25. Tullio a Cesare parlando per Marco Marcello: « Tanta
1 : M-m 7 lor — M' ne sopra capo — 2-3 : m dovete pensare, Mi pensale —
M-m esmarn {m esimare) de nobilissimi citi. — M' ohe sono dentro ala
cittade (anche m dentro alla) — 4 : M fue, m M' (la — 5-6: M' cioè de gr.
— M-m 7 da tale nominanca — 7 : M-m che latine — 8: M-m sano, M' senato —
9: M' fia intonto — lO-ll: M-m poi chelll anno conceputo di faie tanti
iniipii mali gridava (m om. gridava) — 12: M apena ornai — 13: 3f' nel
cominciamento — 14: Jf' o in jioclie parole — 15-16: M' om. Io dirò.... e
come Troia, M om. Troia [spazio bianco) — 18: m diclio 7 propongo nel mio
exordio — 19: Mi sopra che infomliiro il mio dire e fondata — m sopralla
quale — 22: M-m che io ajmllo il mio comandato, 3f' chol dio Appello lo
ma com. (/.. lo mavea), 7 perciò cliella — 23: m atento — 24: M' exemiilo
— 25: M-m om. a — M' parlando a lui (1) Questo periodo è d'incerta
lezione, male varianti registrate in nota sono palesi accomodamenti,
specialmente il pensate di Jtf ' per evitare la ripetizione di dovete;
co.si esmare esimare può esser nato da una sigla di sentenziare (0 si
tratterà di fmare, fermare?). Glie sia poi da leggere crudelissimi cittadini ò
con- fermato, oltre che dal senso, dalla parola hostibiis che vi
corrisponde i\el tosto di Sallustio ; nobilissimi ò derivato dalla frase
del periodo precedente. (2) La lezione di M', che è tutta
accettabile, dà ragione degli errori di Mm: il primo elli parve plurale,
e quindi si fece elli anno; il ma unito con Mi divenne mali e portò con
sé altri cambiamenti. Ma non giurerei che tutto sia genuino"
mansuetudine e cosi inaudita e non usata pietade e cosi incredebile
e quasi divina sapienzia in nessuno modo mi posso io(l) tacere nò
sofferire ch'io non dica». Et poi che Tullio à pienamente insegnato come
per le nostre parole 5. noi potemo fare intento l'uditore, si dirà come
noi il po- terne fare docile. Come l'uditore sia
docile. 103. Docili faremo li uditori se noi proporremo apertamente
e brevemente la somma della causa, cioè in che sia la contraversia.
10. E certo quando tu il vuoti fare docile conviene che tu insieme
lo facci attento, in però che quelli è di grande guisa docile il
quale è intentissimamente apparecchiato d'udire.
Sponitore. I. Quelle persone davanti cui io debbo parlare
posso io 15 fare docili, cioè intenditori, da tal fatto: se io nel mio
exor- dio, alla 'ncviminciata della mia aringhiera, tocco un poco
d^l fatto sopra '1 quale io dicerò, cioè brevemente et aper- tamente
dicendo la somma della causa, cioè quel punto nel quale è la forza della
contenzione e della controversia. Cosi 20. fece Saiustio docile Tulio
dicendo: « Con ciò sia cosa ch'io in te non truovi modo né misura, brevemente
risponderò, che se tu ài presa alcuna volontade in mal dire, che tu la
perda in mal udire ». 2. Questo et altri molti exempli potrei io
mettere per fare l'uditore docile, si come buono intendi- 25. tore puote
vedere e sapere in ciò eh' è detto davanti. Et perciò che '1 conto à
trattato inn adietro di due maniere exordii, cioè di principio e
d'insinuazione, et àe divisato i : M consuetudine, m
sollicituiline, L inmansuetudine — M'-L nm. lo e cosi — M man- dila —
2-3: M-m mi possono, M*-L io posso — m om. Et — 5: M' luditore intento, M
nm. l'uditore — 8: M' Docile l'aremo luditore — M-m proi)onemo — iO: Af'
Et credo quando tu vuoli — 12 : m nm. è — M' attentissimamente — 14 : m
davanti a chui — 15 : 3/' docile cioè intenditori de tutto il facto — M-m
sarò nel mio ex. — 16: M' incomincianza — M ar- rincliiera, M' aringheria
— m cominciamo 7 toccho Af' om. dicendo — 19: M' nel quale e la
contentione — 20: M' om. cosa (ma non L) —21: m o misura — M' ti li-
spondo — 23 : M' om. io — 25 : m om. e sapere — 27 : M' doxordio
(1) È chiaro che posso io fu dall'archetipo di M-m trasformato in
possono perchè tutti i sostantivi che precedono parvero soggetti e non
complementi og- getti ; e vi dovè contribuire una falsa lettura (cfr. un
caso simile in 128, 23, seno per se io). La lezione di M'-L è solo un
facile accomodamento. ciò che ssi conviene fare e dire nel
principio per fare l'uditore benivolo, docile et intento, sì dirà lo
'nsegnamento della insinuazione in questo modo: Lo
'nsegnamento della Insinuazione. 5. 104. (e. XVII) Oramai pare che
sia a dire come si conviene trattare le insinuazioni. Insinuatio è
da usare quando la qualitade della causa è mirabile, cioè, sì come detto
avemo inn adietro, quando l'animo dell'uditore è contrario a noi; e questo
adiviene maxima- mente per tre cagioni: o che nella causa è alcuna
ladiezza, o coloro 10. e' anno detto davanti pare ch'abbiano alcuna cosa
fatta credere al- l'uditore, se in quel tempo si dà luogo alle parole,
perciò che quelli cui conviene udire sono già udendo fatigati; acciò che
di questa una cosa, non meno che per le due primiere, sovente s'of-
fende l'animo dell'uditore. In adietro è detto sofficientemente come noi
potemo acquistare la benivolenza dell" uditore e farlo docile et
in- tento in quella maniera de exordio la quale è appellata
principio. Oramai è convenevole d' insegnare queste mede- 20. sime
cose nell'autra maniera de exordio la quale è appellata « insinuatio ».
2. Et ben è detto qua indietro che « insinuatio » è uno modo di dicere
parole coverte e infinte in luogo di prologo. Et perciò dice Tullio che
questo tal prologo in- daurato dovemo noi usare quando la nostra causa è
laida 25. e disonesta inn alcuna guisa, la qual causa è appellata
mi- rabile, sì come pare in adietro là dove fue detto che sono
cinque qualità U) di cause, cioè onesta, mirabile, vile, du- biosa et
oscura. 3. E buonamente nelle quattro ne potemo noi passare per
principio; ma in questa una, cioè mirabile, 1 : M cioè — M'
om. fare e — S : M-m om. s\ — 6: 3f ' della ìnsinualiono — 7: m ohi. s'i
— 8 •■ M-m 7 di questo diviene — iS: L Kt di questa — Iti: M-m a detto — 20:
W nella maniera — 2i : m Bono dotto — S3: M-m cai prologo (m prolago
danrato), 3/' cotale prolago — S6: M-m nm. in adiotro — 27: M modi
([ualità (hi qui è corroso, vin lo spazio fa supporre lo slesso), M'-L
qualitadi dolio cause — 29: M' cioè nollamirabile (1) Conservo la
parola qualità attestata da ambedue le tradizioni, tanto più Clio anche
prima (cfr. p. Ili) Brunetto usa lo stesso vocabolo. In M abbiamo modi
qualità: probabilmente si tratta di una sostituziono o variante, che
venne poi introdotta nel testo (a mono clie non si voglia supporre un
modi o qualità). ne conviene usare insinuazione per sotrarre
1' animo del- l' uditore e tornare in piacere di lui ed in grazia quel
che pare "essere in suo odio. Adunque ne conviene vedere in
quanti e quali casi la nostra causa puote essere mirabile, 5 e poi vedere
come noi potemo contraparare a ciascuno; e sono tre casi. 4. Primo caso
si è quando sie nella causa alcuna ladiezza per cagione di mala persona o
di mala cosa ; che al vero dire molto si turba l'animo dell'uditore
contra il reo uomo e per una malvagia cosa. 5. Il secondo caso è
10. quando il parlieri ch'à detto davanti à sie et in tal guisa
proposta la sua causa, eh' è intrata nell'animo dell'uditore e pare già
che Ha creda sì come cosa vera; per la quale cosa r uditore, poi che
comincia a credere alle parole che ir una parte propone et extima che Ila
sua causa sia vera, apena si puote riducere a credere la causa dell'altra
parte, anzi sine strana et allunga (D. 6. Il terzo caso è d'altra
maniera: che sovente aviene che quelle persone davanti cui noi dovemo
proporre la nostra causa e dire i nostri con- venenti anno lungamente
udito e stati a intendere altri e' anno detto assai e molto, prima di noi,
donde l'animo dell' uditore è fatigato sì che non vuole né agrada
lui d'intendere le nostre parole; e questa è una cagione che
offende l'animo dell'uditore non meno che 11' altre due Et perciò
conviene a buon parliere mettere rimedi di pa- 25. role incontra
ciascuno caso contrario, secondo lo 'nsegnamento di Tulio. Della laidezza
della causa. Se la laidezza della causa mette l'offensione, conviene
mettere per colui da cui nasce l'offensione un altro uomo che sia
30. amato, o per la cosa nella quale s'offende un'altra cosa che
sia provata, o per la cosa uomo o per l'uomo cosa, sicché l'animo
dell'uditore si ritragga da quello che 'nnodia in quello ch'elli ama; et
infingerti di non difendere quello che pensano che tu voglie difendere, e
così, poi che 11' uditore fie più allenito, entrare in difendere a poco a poco
e dicere che quelle cose, le quali indegnano l'aversarii, a noi medesimi
paiono non degne. Et poi che tu avrai allenito colui che ode, dei
dimostrare che quelle cose non pertiene atte neente, e negare che tu non
dirai alcuna cosa dell' aversarii, ne questo ne quello, sì eh'
apertamente tu non danneggi coloro che sono amati, ma oscuramente
facciendolo allunghi quanto puoi da lloro la volontade dell'uditore; e
proferere la sentenzia d'altri in somiglianti cose, o altoritade che sia
degna d'essere seguita; et apresso dimostrare che presentemente si tratta
simile cosa, o maggiore minore. In questa parte dice Tullio che, se l’uditore
è turbato coutra noi per cagione della causa nostra che sia o che paia
laida per cagione di mala persona o di mala cosa, allora dovemo noi usare
insinuazione nelle nostre parole in 20. tal maniera, che in luogo
della persona coutra cui pare corucciato l'animo dell'uditore noi dovemo
recare un'altra persona amata e piacevole all'uditore, sì che per
cagione e per coverta della persona amata e buona noi appaghiamo
l'animo dell'uditore e ritraiallo del coruccio ch'avea coutra 25.
la persona che lui semblava rea; si come fece Aiax nella causa della
tendone che fue intra lui et Ulixes per l'arme eh' erano state
d'Acchilles. 2. Et tutto fosse Aiax un va- lente uomo dell'arme, non era
molto amato dalla gente né tenuto di buona maniera. Ma Ulixes, per lo
grande senno 30. che in lui regnava, era molto amato. Onde Aiax,
volendosi contraparare, nel suo dicere ricordò com' elli era nato
di Telamone, il quale altra fiata prese Troia al tempo del forte
Hercole; e così mettea la persona avanti amata e graziosa in luogo di sé
et in suo aiuto, per piacerne alla gente e per avere buona causa. E
quando la causa è laida per cagione di mala cosa, si dovemo noi recare nel
nostro parlamento un’altra cosa buona e piacevole. Si come fece
Catellina scusandosi della congiurazione che facea in Roma, che mise una
giusta cosa per coprire quella rea, dicendo. Elli è stata mia usanza di
prendere ad atare li miseri nelle loro cause.” Brunetto Latini. Latini. Keywords:
rettorica, le fonte della retorica di Latini: Cicerone e Publio Vegezio. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Latini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701084042/in/photolist-2mPVWbn-2mPRKiW-2mPAuFE-2mPowr2-2mNzeEc-2mLLZRD-2mLLwjC-2mLTVsg-2mLNi1Z-2mLDz3J-2mLExs3-2mKLVA3-2mKHAhF-2mKQ6Qt-2mKQqs3-2mKG3XG-2mKC3nj-2mKAsyK-2mKxnN1-2mKA5tC-2mJd7nN-2mJe9QJ-2mJ4GHU-2mGnP2f-25Lz6eJ-BNWJaB-BP5SQX-CfbuaM-Bq5PrV
Grice e Laurino – implicatura – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Laurino).
Filosofo. Duca di Aquara e di
Laurino, appartenente alla nobile famiglia napoletana degli
Spinelli. Figlio unico dell’ottavo duca di Laurino, e di Giovanna
Caracciolo, figlia di Ottavio, terzo Principe di Forino, eredita i titoli
paterni. Sposa Beatrice Caterina Pinto y Mendoza, terza Principessa di
Montacuto, figlia ed erede del principe Gregorio. Sposa in seconde nozze Donna
Ottavia Tuttavilla, figlia di Vincenzo II, sesto duca di
Calabritto. Allievo di Vico, si forma al Collegio Clementino a Roma e poi
all'Accademia di Loreto. Ritornato a Napoli, divenne amico di vari illuministi
napoletani, quali Filangieri e Galiani. Autore di varie opere di stampo
illuministico, in particolare nei campi della storia e dell'economia. Il suo
saggio a iù importante, le “Riflessioni politico-filosfiche sopra alcuni punti
della scienza della moneta,” rappresenta uno dei primi tentativi di metodo
geometrico applicato all'economia filosofica. In questo opuscolo, si oppone
alle teorie monetarie di Broggia. Fa attivamente parte della massoneria
napoletana, all'epoca diretta dal principe di Sansevero, Raimondo di
Sangro. Cavalerie del Real Ordine di San Gennaro. A Napoli, fa
ristrutturare il palazzo di famiglia, il palazzo Spinelli di Laurino,
trasformandolo in una delle più suggestive realizzazioni del Settecento
napoletano. Muore a Napoli e venne sepolto nella cappella di famiglia nella
chiesa di Santa Caterina a Formiello. Saggi: “Degl’affetti degl’uomini”
(Napoli, Muzio); “Della moneta” (Napoli); “Cronologia dei re di Napoli”
(Napoli, Bisogni); “Del nobile” (Porsile); “Lettera nella quale si dimostra non
esser nota di falsità, che nel diploma di fondazione della chiesa di Bagnara si
ritrovi l'anno 1085 segnato coll'indizione sesta correndo l'ottava del computo
volgare, s.d. Troiano Spinelli, Treccani
Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. -- ria che forma
la materia del presente saggio: E Metodo col quale questa siè composto. I tutte
le città e popoli dell'Italia ciascuno ha la sua particular forma di governo
prima, che sussestato vinto da’ romani. Ed anche dopo ciò, moltedelleCittàmedefi
me , quantunque al popolo di Roma veramente ubbedissero; pure così fattinomi, e
taleforma aveano di domeitica Polizia,che
libereincertomodofacevanleapparire:maessen: do stata dalla Legge Giulia a
ciascuna diquelle la Roma na Cittadinanza conceduta (1), che non da tutte senza
con Trans 1 AN 1x IN line ill G G I O TAVOLA G CRONOLOGICA compongono DI
NAPOLI Dallaseconda venuta de LONGOBARDI in Italiafino ,che quelle Terre furono
da N O R M A N N I della Puglia conquistate. PRO ΟEMIO trasto fu accettata
(2),elaquale da Marco Aurelio Anto nino Caracalla fu all'intiero orbe Romano
distesa , col vanto di esser parte del Capo , a Roma , ed a coloro , che la
ressero , furono tutte senza alcuna dubit. azione , anche nell'aspetto,
sottoposte. (3) tem Civitati anteferret Cic.pro Bal
Cicer.proBalban.8p.235Edit.Ve. bon.8p.236Edit.Venet.an1731. met an.1731.
(3)L.inorbeff.deStat.hom.L.Roma. Sigon.de AntiquoJur.Ital.lib.3.c.1.
ff.adbomnib.Rutil.Numan.itinerar. (2)InquomagnacontentioHeracliensium,
lib.icap.62.. > Giusep Aloja Ins : D E' PRINCIPI, E PIU'RAGUARDEVOLI
UFFICIALI, Che anno Signoreggiato, e retto le PROVINCIE , ch'ora : > Ι
Mich.Fiaschino Inven . e C.I. REGNO DI (1) Strabon.Geograph.lib.5p.210 E- dit.
Parifienf. Parsin Civitatibusfæderisfuiliberta e Neapolitanorumfuit,cummagna| I
LL 0 e Transferita però la Sede del Romano Imperadore in Costantinopoli,
varie barbare Nazioniconpiùfortunadiquello,cheaveanofattosotto laRomana Repu
blica,invasero l'Italia molte volte, e distrusfero.Radagasio Re de'Goti con
dugen to mila armati , cagionò danni gravissimi, all'Italia :m a in Toscana da
Stilicone restò con tutto il suo Esercitu vinto, e sconfitto . Alarico , ed
Ataulfo Re di que' medesimiBarbari che ove Alarico dimorò circa due anni, ed
ove morì, avidamente sacchegiarono.(3) Attila Re degli Unni incosìfattamanieraquellapartedell'Italia
av'egliera e n t r a t o , d e v a s t ò , c h e il F l a g e l l o d i Dio f u
n o m i n a t o . (4) Genserico Re de'Vandali chiamato dall'Africa da Eudossia
moglie di Valentiniano III. Imperadore , per vendicarsi di Massimo, che avea
costui ucciso , e lei igna ra in prima dell'infame assassinamento, sposata , ed
occupato d'Occidente l'Impero ;viene in Italia,ne scorre molte Provincie,
devasta la nostra Campania e m o l t e C i t t à d i e s s a a v e n d o d i s
t r u t t e, i n Ca r t a g i n e c a r i c o d i p r e d a s e n e r i t o r n
a. (: E finalmenteOdoacreco'suoiEruli,eTurcilingi,invadetuttal'Italia e Re de
Goti , che neila Pannonia , ove eglino dimoravano , aveano cominciato a
tumultuare,gliconcedèl'Italia, acciocchèneavesseOdoacre discacciato;ovvero,
come altri vogliono, lo stesso Teodorico senza laconceffione dell'Imperadore in
vase quella Provincia, ne discacciò Odoacre ( che poscia uccise ), e Ře se ne
fece nominare . (7) (1) Histor,Miscell. est cod. Ambrosiin.in Philostorg, hift.
Ecclesiast. Ma (7) Prosper. Aquitan. Chron. (3)S.Augut.deCivit.Deilib.icaIo.
Marcellin.Chron.inSirmond.t.2p.284. Philoftorg. hist.Eccl.lib.12 n.3
inVauclid.Chron.p.368.. les t. 3 p. 491 (e). Idatius in Chron. Isidor. Chron.
Goth. in rebo Got., Langobard. p.205,206. Jornand. de reb.Get. c. 57 p. 220
(a). A g n e l . P o n t i f i c. R a v e n . i n S . J o a n . Evagr.
Schol.hist.lib. 3.c.27 in Valef Ital. Murat . t. 1 p . 98 . Cassiod. in Conf.
Boet.Conf. X per essersi fermati poi nell'Occidente si dillero Vestrogoti
(1);amododilocusteRomadue volte(2),edunagranpartedellenostreProvincie,
Histor.Miscell,lið,15excod. Ambro. Olympiod. In Photii Biblioth. p.179.186.
Jian, in Murat.Rer.Ital.t.Ip.99. Sigebert. Chrona in an. 473. 474 · Jornand. de
reb.Goth. c. 30 . Histor. Miscell. lib.15excod. Ambros.p.98. Axon.Valesian.
Sigebert, in an.411. Procop. debellaGotb.lib.c .I t.3p.326(a). ) ܪ Re , e circa xiv . anni pacificamente la
possiede. (6) quista , se ne titola colle proprie forze d a quella l'Imperadore
Zenone vedendo di non poterlo Teodorico Perchè discacciare , evolendosi
renderbenevolo bella parie del suo Impero la con p.232. Reginon. Chron . lib. i
po 17 at. p . 2 1 1 Histor. Miscell. lib. 13 p. 91. 92. lib Paul, Disc, de
Gest. Langob . p. 415 * ex cod. Ambrofian ,p.98. .i Reginou.Chron.lib.1p.17 at.
Socrat.hist.Ecclefiafi.lib.7 c.10. Jornand.de reb.Goth. c.31 8 de re- Anon.
Cuspiniana Eusippiusin vita S. Severini. znor. success. . Anon Valesian. .
rer.Ital.Munic.t.Ip.99(a). (6)Marcellin.Chron.inSirmond.t.2 (2) L. 20 de
Tironib. C. Theodos. Z fimus Jornand.de reb.Goth.c.46 p.214 e Idat.Chron.in
Du-chesn.t.1p.186. de regnur,success.p.239. Prosper.
Aquitan.Chron.ibid.p.198.203.|Procop.de belio Goth.lib.I C. I p.246.
Marcellin.Coron.inSirmonds.2p.272.274 (a)247 (6).
Casiodor.Chron.p.267col.1366Edit. Spicil.Ravenn.histor.p.476. Ven.an.1731..
Isidor, Chron. Goth. Aimon. de Gest. Francor. lib. I c. 9 .
Sozomen.histor.Ecclefiaft.lib.9c.1.7. Sigebert.Chron.inan.473. 474. 9.
inVales.p.351 (c), la to Marii Aventic. Chron.in Du -chesne t. I
(5.).Evagr.Scholast.hist.Eccl.l.2c.7. Histor.Miscell.lib.15excod.Ambros. in
Valef. t. 3 p. 270 (d). t.Ip.211. p.99. 100. Histor.Miscell.ex
cod.Ambrof.inrer. Sigebert.Chron.inan.491– (4)Prosper.Aquit.Chron,inDu-Chefne
Marii Aventicenf.Chron.inDu-Chesne t. Ipa-200. (b) 208. (b) I Anon. Cuspin. M
a dopo di avere e codesto Principe , ed alcuni suoi successori in tal Regno per
molti anni signoreggiato ; circa l'anno della salutifera divina Incarnazione
535. l'Imperadore Giustiniano deliberò di toglierlo a codėsti Barbari , col
pretesto, che Teodato Re di essi non avea vendicata la morte daia ad Amalasunta
già loro Reina; perchè vi mandò Belisario , che in breve tempo occupò
conquistato (3). In cosi fatia espedizione furono in ajuto de'Greci iLongobardi
nazione che nella Pannonia dimorava (4 ): i quali dopo , che fu l'Italia
pacificata , ivi , e d in casa degli Amici più difordini commettevano ,che
contro gl'inimici farenon avrebbono potuto , perchè Narsete caricandoli di doni
, contenti nel loro Paese oltre a ciòavea discacciato dall'Italia i Francesi,
che sotto il lur Duca Bucelino tutta,oquasitutta,presa,e devasiata l'aveano
(6);perchè egli era rimastoin nome dell'Iinperadore , Supremo Governadore di
quella Provincia , che avea all' Impero restituita:quando perque'nembi,che
da'più vili,e fecciəsiluoghi al zandosi nelle Corri, oscurano gli astri più
luminosi , e più chiari , ad istanza de’ RomanifudatalGovernodaGiustino
cheerasuccedutoaGiustinianoImpe.
radore,rimosso(7):edall'ingiuriaunendoildisprezzo perchèeglieraEu. le
sevissuto,non avrebbe potuto distrigare.(9) Ed alla minaccia feguì l'effetto ,
dappoichè ritiratosi in Napoli , stimolò co'Melli (1) Comorimurtom Marcel lini
Chronic. in | . 428 Aimon, de Gest. Francor. lib. 2.c. 16. |Joan. Diac. Chron.
p. 300. (3)Jornand.deregnor.Success.p.242: Landul.Sagac.additam.adMiscell.p.180
Procop.debell.Goth.lib.4č.35p.368. Aimon.deGestisFranccr.lib.3.c.15
Agath.debell.Goth.lib.2 p.393. (10) Gregor.Mag.Dial.t.3c.38 E Excerpt. ex Agat.
hist. lib. 1 p. 381 . . 180 Aiuion.deGestiFrancor.lib.2.c.34.
Anast.Biblioth.invitaJoan.III.p. G)Paul.DiscodeGest.Langobard.lib. 133.
2c.5p.427 (b). و ) ) nuco l'ImperadriceSofiagliscrisse
chefosseandatoinCostantinopoliadi spensar la lana alle fanciulle (8) ; alla
qual cosa fi dice , che Narfete sdegnato risposto avesse , che tal tela egli lo
avrebbe ordita , ch'ella mentre avesse vis i sopradetti Longobardi a
conquistare l'Italia copiosa di tutte le naturali ric chezze , la sterile
Pannonia abbandonando . Il quale in vito allegri que'Barbari circa l'anno del
Signore 568. sotto il loro Re Albuino vennero abbracciando in Italia (10) :
nello spazio di sette anni la maggior parte colla 427
428.:utcitmpuellisinGynaceo (1)Gregor.Turon.histor.lib.4.C.35, lanarum
faceretpensadividere. Anast. Biblioth.p. 133.in Benedi&t. I. Landul.
Sagac.additam. ad Miscellap.|Aimon.deGest.Francor.lib.3.c.7.11, ? ) >
dellearmi neconquistarono(11); forza fu fama Ed indi sìinanzi estesero leloro
,cheAutariunodeloroRe fino conquiste,che in Regio fusse pervenuto,e cheavendo
194 (1), edindipartedell'Italia(2),édiessailrimanentedall'EunucoNarsete, che a
Belisario succede , dopo xvini, anni di asprissima guerra fu interamente 2..
Aimon.deGest.Francorum lib.2 c.33. O . 184 pist. lib. 5. la Sicilia rimandolli
. Avea Narsete , siccome si è veduto , vinto i Goti , ed eziandio gli Unni (5)
; ed (4) Histor. Miscell. lib. 4 p. 94 · Aimon . de Gest. Francor. lib. 2.c. 33
Isidor. Hifpal. Marius Aventic. xi 1 Aimon. de Gestis Franc. lib. 3.c. 15 .
(1)Procop.debell.Gotb.lib.2 C.29|(9)Paul.Diac.lib.Ic.5.7.p.427 p.300.(cde) .
(5) Paul. Diac. lib. 2. c. 5 p. 427 · (b) Ö)Gregor.Turon.hist.lib.4.cap.96
Histor.Miscell.lib. 17. A . Paul. Diac. lib. I c. 57 p. 427. 428 . Joan. Diac.
Chron. pe 300 . excerpt.Cron. per Fredeg. Scholaft. |Landul. Sagac. additam.ad
Miscell. pa hist. Miscell. c.50 . Aimon.de Gest.Franc.lib. 3.c. 15
(8)Paul.Diac.ibid.lib.ic.5.7.D. Sigebertus, alii. Joan. Diaz.Chron.p.300.
Paul.Diac.lib.2.ca32p.436. ) ivi ivitraleondedel mareunacolonnaritrovato
l'avessecollastapercoffa,ed avesse detto , fin quì saranno de'Longobardi i
confini. (1) Delle terre occupate da Longobardi inItalia se ne formò un Regno
il quale poscia ebbe alcuni Re Francesi , e dopo essi altri di diverse Nazioni
. Era l'Italia in tempo de'Re Longobardi in due Principati solamente divisa',
in quellodei longobardi,edinquellodeGreci.Ma passatoilRegnoaCarloMa gno , surse
in quella bella parte del Mondo il Principato di Benevento , da cui non molti
anni doponacque quello di Salerno , e finalmente quello di Capua · Nel tempo
de'quali Principati per le guerre , che arsero fra di loro furono in trodotti
nelle nostre parti i Saraceni , i quali non però , comeche molte Terre avessero
conquistate, a varij Capitani ubbedirono,almeno pressodi noinon mai e uno stato
formarono . Ed i medesimi Principati di Benevento , e di Salerno , e di Capua
durarono finchè furono da Normanni, che nella Puglia eransi stabiliti,
interamente conquistati. Imperochè alcuni Pellegrini di codefta Nazione
ritornan do dopo l'anno 1000.'del Signore da terra Santa ov'erano andati per la
fede a guerreggiare , ajutarono il Principe di Salerno da’Saraceni assediato; e
riman dati da costui a casa con grandissimi doni , allettarono a venire nelle
nostre P a r ti i Paesani loro , i quali discesivi, ed ora al soldo del uno de'
noftri Principi , oraa
quellodell'altrorimanendo,allafinefistabilirononelluogo,chediceafi in Octaba, e
la Città d'Aversa ivi edificarono : uno di loro, chiamato Rainol fo per Capo ,
Conte, o sia Console stabilendovi. Impresero i Greci inquel tempo di liberare
la Sicilia da’Saraceni , che la tenea. no per quasi due secolisottoposta ; e fu
capo dell'Efercito Greco Maniaco ,il quale chiamò a'suoi soldi una parte de
Normanni, ch'eranoin Aversa fermati, e costorovi andarono:mi dopo qualche tempo
disgustati della suaavarizia,ab bandonandolo se ne ritornarono a casa. La qual
cosa avendo conosciuto un cer to Auduino a'Gieci ribelle, propose a Rainulfo di
mandare una parte della sua gente in Puglia a torla alGreco Imperadore , che vi
signoreggiava : ed a cosi
fattarichiestaRainulfoacconsentendo',unbuonnumerode'suoisottododici Ca د pitani
ei mandovvi , i quali avendo di repente occupata Melfi Città di quella
Provincia , ed indi altre terre ; fiffarono in Melfi la sede loro , e diedero
princi. pioad un altro Principato,che continuoffi sottoiFigliuoli di
TancrediConte di Altavilla , Gentiluomo anche egli Normanno ; i quali in varj
tempi nelle n o ilsuoPrincipato.Ma
iNormanni,ch'eransistabilitiinMelfifortoiFigliuoli di Tancredi, di ben altre
conquiste saziarono la loro ambizione . Conquistarono
tutteleterre,cheiGreciaveanoin quelenostre Parti;tolseroa’Saracenila Sicilia,
ed a' Longobardi il Principato di Benevento , e di Salerno , e fino a'lo ro
medesimi Nazionali il Principato di Capua , siccome finalmente da una gran
parte del Ducato di Spoleti i Re d'Italia discacciarono , E di tutti così fatti
Principati un Regno essendosi formato in sul principio Regno di Sicilia del
Ducato diPuglia indidiSicilia,e l'altro diNapolifunominato.
Dituttelecosequisoprasommariamenteesposte,lapartepiùintrigata ed oscura è
quella, che vien compresa dalla seconda venuta de'Longobardi in l
talia,finchèlenostreProvincieda’Normanni,stabilitinellaPuglia,inun solcor po
forono ridotte. xii ) 9 1 e > stre parti poi vennero . IntantoiSuccessoridiRainulfoaveano
toltoa’LongobardilaCittàdiCapua,ed > Puglia , e di Calabria , e del
Principato di Capua fi
diske,edindiindueRegnidiviso,unofudettodiTrinacriaalcunavolta ed pl , fu detto
, ed il quale per anni 206. in circa fu de Longobardi, o fiad'Italia l'anno
774. discese Carlo Signoreggiato (2).Ma verso da Re di quella Nazione il Re
Desiderio ultimo Re Longo in quella Provincia,ed avendo preso Magno , senza
mutarne la natura il Regno bardo, trasferì nella sua Persona sopradetto, che
Regno I va. (1) Paul. Diac. lib. 3.c. 31 p . 431 • (2) Paul Diacon. fupplem .
Longobar. 179 I varj Principati , i quali in così fatto spazio di tempo ,
siccome fi è veduto , t e l a n a t u r a l f o r m a d i e s s e fi d e e a g
r a n f a t i g a , e m o l t o d u b b i o s a m e n t e i n d o v i n a r e .
De'Principati che sursero nelle Provincie le quali ora compongono ilRegno
diNapoli,intempicosìdubbiofi,edoscuri,ioho deliberatodiscrivereinuna Tavola
Cronologica i Principi , ed i più ragguardevoli Officiali ; gli anni de loro
Regni,ed ufficii, edelle loro morti;iloro matrimonii;e sommariamente i
fatti,chequelli,osovrani,od inalcunamanieradipendenti,o Tributarj posso
dimostrare ei diritti delle loro Signorie anno ftabilito ; ed oltre a 7
ciòdellistesiPrincipatiuna,perquantoiohopotutoesatta eparticolare
Geografia.EnellasuddettaTavolaCronologicaiohoraccoltotuttociò che da'
varj.Storici,o Sincroni,o quasi Sincroni , o molto antichi nella propofta m a t
e r i a si l e g g e s c r i t t o , e n a r r a t o , c o m e c h e d i s c o
r d i e g l i n o s i a n o t r a l o r o ramente appariscano;senza volerli
corregere , ( ove avesli potuto ) o concorda. r e ; d i e s a m i n a r e n e '
l o r o c e t t i il v e r o , o a m e m e d e s i m o i n a l t r o t e m p o
, o a d a l trui, che mi voglia in ciò precedere, riserbando ;Contentandomi per
orà di for nire solamente fecondi semi di una esatta ,e diffusa storia delle
nostrali cose m e Geografia non va ancora sotto il Torchio ,in un foglio quella
parte di essa ,ch' è n e c e s s a r i a a l l a p r e s e n t e o p e r a , '
e s p o n e r e ,' ر e d i m o s t r a r e h o v o l u t o : e d a l l a T a v
o l a dame scrittailTitolodiSAGGIO hoapposto;conoscendo che in efla mol.
tissime altre cose essere potrebbono a diritta ragione.o:da altri , o da me
stesso pervenisse a' Principi l'Impero in ciaseuno de' detti Principati; e
quale fuffe la natura degli Ufficj, a cui in essi il Reggimento di Terre cra
affidato ., presso ilPopolo , o presso una parte di esso, o presso un solo uomo
:dice Cie . cerone:Respublica reseftpopuli,cum bene,acjustegeritur,fiveab
unoRege, la seconda perchè suole essere degli Ostimati, ARISTOCR AZIA , e
l'ultima fi chiamaMONARCHIA osiaREGNO ilqualnomenonperdequantunque eomi , due ,
o tre.Principi regnino in essa collegati , com'è avvenuta sovente tra' Ro.
maniImperadori equasisempretra'PrincipiLongobardi,dequalinoide scriviamo la
Serie ; imperocchè una tal forma di Stato essendo molto più
distantedall'Aristocrazia,chedallaMonarchia,dallapiùvicinapiuttosto che
dallapiùlontana,deeprenderesenzaalcunfalloilsuonome.Ed oltreaciò
quello,ch'èstraordinario nondeecaggionarnelleartidivisioneregolare:nè codesti
pochi Principi costituiscono un Collegio legittimo , in cui ciascuno la
sentenza della maggior parte deeseguitare; ma ognuno riguardo alla sua.
amministrazione libero senza alcun fallo rimane . Scrive Ubero : Monarchiam ef
Se Io note , e più oscure . Ed acciocchè il tutto con chiarezza fi abbia ad
intendere , dappoichè la promessa S $. II. Quali siano le varie forme di
governo, ed i varj modi di acquistare iRegni . N, . xili . fursero in quella
felice parte del Mondo ,ora si aggrandirono ,ora si diminuiro po,ora dalle
Potenze maggiorifurono interamente absorti,equafi distrutti.Tal volta in essi
si viddero eliggersi i Principi, tal volta si viddero in effi succedere a'
padri i figliuoli nella Signoria . Quei , che vi regnavano , furono soventi fia
te uccisi, ed i Privati il loro luogo occupando, trasmisero a'loro Posteri
l'ini. quamenteacquistatoImpero.Ibarbarichiamatiperdifesadialcuni sistabi
lirono per ruina di tutti, e desolazione. In fine la faccia dell'Italia divenne
in que tempiassaidiversada quello,ch'eraprima,echefupoi,elasuaGeo. grafia non
mai stabile offervofli, e costante . Nè di tutti così varj , e moltipli. ci
accidenti vi fu chi la storia distintamente scrivesse ; m a da pochi , e quali
a frammenti quelli,ebarbaramente$ furonoesposti,opiuttostoaccennati:eleopere
de'Scrittoridi quei tempidasinegligentiCopistifuronotraseritte,chespessefia ,
> ) 9 > no . in un'altra Edizione,che sene facesse,aggiunte. M a prima di
ogni altra cosa io ho reputato di far manifesto per quali ragioni ' Di codeste
forme di Regimenti con voci greche la prima si dice D E M O C R A Z I A , feve
a paucis Optimatibes , five ab universo populo (i). > >
(1)Ci:.infragm.deRepubl.lib.3.p.I 533Edit.Ven.1731. b و i ) oye xiv se
unius imperium folo fatis vocabuli argumento constat . Qicod tamen ita præci Je
captari nolim , rat quasiescumque plures in uno Regno Domini esoftitere, toties
Reipublicæformam mutaristatuamus . Nequeenim recte exiftimaturusvidetur qui in
Romano imperiafiquandoplures Augustifuere , Principatum defiiffe con tenderet .
Cum enim longius ila societas Imperantium ab Aristocratia,quam a Monarchia
diftet , confentaneum eft, ut ab ea Specie, cui proxima eft , appella tio
petatur . ItaLacedemoniis duo Regesfuerunt , idque Regnum vocabatur necnon
verum fuisset Regnum ,fi poteftas vere summa fuisset.Præterquod extra
ordinarius,atqueutitaloquar, accidentalisilepluriumconcursusplerumque
babetur.UndeformaspeculiaresDyarchias outTriarchiasinArtemintroduce.
reneccongrueret,nequeexpediret;tametsifatendum Monarcbiævocabulum
tuncelleminuscommodum.Accedit,quod istiCondomini,uthivelbisfimiles a Germanis
Jurifconfultis appellantur , non constituant collegium , adeoque nec mus
plurium fententiam sequicompellatur.Nam ut hocjurisfit,opus eft.parto,
Condomini autem Imperium Civitatis habent eodem jure,quo plures eandem remi
fine tractatusSocietatis pro indivifo tenent. Quo cafu notum ejt;quemque
liberum J u c partis arbitrium , nec reliqucrum consensui obnoxium , retinere
la 28. ff. c o m m .divid.(1). Altri poi vi aggiungono quattro altre forti d
'Imperi , cioè i tre sopradetti , q u a n
dofonocorrotii,ovveroingiusti,edilquartoda'due oda trègiàesposti
insiemeuniti,maCiceronestessocondirittaragioneafferma chene'corrotti Imperi la
Repubblica non più esiste:onde di ella non possono essere così fatti Imperi:Cum
veroinjuftuseftRex,quemtyrannumvoca:aut injuftioptima
tes,quorumconfenfusfactioeft:autinjujtusipfePopulus cuinomenusitatum mullum
reperio nisi.utetiam ipfum tyrannum appellem : non jam vitiofa , rola ,
dappoiche essa nulla alla mia intenzione può giovare . Or nella Monarchia , o
sia nel Regno , abbia avuto egli il suo principio dalla for za(5),odalvolere de
Cittadini,odall'utile,odallapaurastimolari (6),
abbianoquestilafacoltàdistabiliresolamenteiRegnanti,o diconferirleanche
l'Impero:Aliter(diceÜbero),ediametroinstituunt,quiImperium imme diate a Deo ef
fe volunt . H i negant , Imperium ullo modo a voluntate populi
perdere,necacivibusquicquam jurisadimperantesmanare nec adeo caufam Monarchie
,aut ullius in Civitate potestatis effe populum , quos inter D. Ziegle
rusadGrotiumlib.1.c.3.,☺ c.4.Ethidictum P.Apostolianobisaliquoties adduétum
,qucd imperium sithumanæ creationis,interpretantur,quodfithomi nibus proprium ,
vel ratione cause instrumentalis , quia per homines exercetur Utuntur
argumentis èSacris , de poteftate folvendiligandi Sacramenta admi
niftrandi,quceMinistroEccleficecompetit.Quemadmodum igirurpopulus eligen
dopaftoremnonconfertpoteftatemillam necconferrepoteft,quianonhabet
eamipse,nihilqueagit,quamutpersonam eleétampoteftatiaDeoimmediati proficiscenti
applicet :fic etiam populus , quando eligit Regem , non confert pote (1) Huber.
de Jur. Civit. lib. 1 1. I pag. 265. 266 . 37 S. 31 p.442 . >
(4)Gudling. deJur.Nat.acGent.c.) Ic.7S.5p.81. ) > 9 9 omnino nulla
Respublica eft , quoniam non eft res populi fed cum tyrannus eam
factiovecapesat:nec ipfepopulus jam opulus eft,fifitinjustus,quoniam nonest
multitudojurisconfenfu,& utilitatiscommunionesociata(2):EBodinoegregiamente
dimostra , che il composto di alcuno , o di tutte le suddette tre formed'Impero
non può una Città , o sia Republica , che tale sia fecondo il fine, che si è
pro posto,cioèlapace,edilgiusto,costituire(3):OndeGudlingio ebbea dire: Talem
ReipubliceSpeciem qui appellant mixtam ,ferendi quadantenus funt , Si mixtum
idem fonet atque irregulare (4), della qual cosa io non faccio più pa. c.26 p.
533 Edit. Ven. 1731 . C. edit. Francf. an. 1641. Hobbes de (2)Cic.
fragm.deRepubl.lib.3.c.10 . . (5)Bodino de Republ.lib.4 cil p.579 fta Cive .
BdinodeRepubl.lib.2c.II(6)Hobbesde Civ.Cap.5Huber.lib. (3) Vedi P. 274
Edit.Francf.an.1641. l ftatem imperandi, fedperfonam electamproducit eamque
abhibet exercitio pote ftatis illia Deo immediateconferendse ego qualis,
quantainordineejusefedebeat;necquo minuspopulusimperium
retineat,fiidexpedirejudicet,Deusintercesit;multo
minusquopartemaliquamimperiireservaret,umquam prohibuit;quoddeMi nifterio Ecclefiæ
inftitutoque matrimonii nullo moda affirmare licet(1). Nel Regno dico , a sia
nella Monarchia i Principi anno due sorti di diritti :l’una, che ne costituisce
l'Impero in inezzo a' Popoli loro , l'altra , che determina il modo di averlo ;
o sia per la quale ilPrincipe Regna , o l'Impero pofliede che modo di
acquistarlo sipuò anche direttamente chiamare : Altera cautio eft ( dice Grozio
)aliud efede re quærere, aliud ese modo habendi,quod nonin corporalibustantum
fed& inincorporalibusprocedit(2) Ed.Ubero:Poft
SpeciesMonarchiefequunturmodi,quibus.Regnaacquiruntur.Hi funtvelordi
narii,velesctraordinarii.PrioresduofuntElectio,dosucceflio Extraordi.
nariiperindeduo,matrimonium O jusbelli.Dejurebelli o matrimonio d i é t u m q u
o d f a t i s f i t , i n f u p e r i o r i b u s; d e f o r t e n i h i l q u
i d e m , f e d n e c r a r i s i m e i n u f u e f t, a u t p r o e l e c t i
o n e f u n g i t u r ; u t o l i m a p u d P e r f a s i n D a r i o H . f t a
s p i d e ( 3 ) : EGudlingio::Idqueridignum,anperduretvitaŐ
animacivitatisuna,etiamfi vel Electio. obtineat , vel.Succellio ? E t putem id
contingentibus adnumerandum
queunitatemnecefficiuntprorsus,nectollunt.ScilicetElectio.& Succeffioper
Jonastangit,nonautemmodumregnandidefinit,necillum impedit imperanti dominica
insubjectos,tamquam inservos (proprios ), poteftascompetit.Appellaturetiam
Dominatus(6). Laqualforma diRegno fc giudico , che mai si possa ritrovare fra
gli uon.ini , salvo la. Teocrazia , benedelsuopopolo,enon
giàdilui,deeordinarelecose:scriveBodino:Rex eft,quisummapotestateconftitutus
naturælegibusnonminusobfequentemse præbet,quamsibisübditos,quorum
libertatem,acrerumdominiacequeacfuce tuctur , fore confilit. Subditorum
libertatem , ac rerum dominationem . adjecimus; ut n. 4. 5 p . 279 . t o e h l.
Jus Soc . , G e n t . n.Ip.277 273. m (1)Huber.deJur.Civit.lib.ICo.28
(4)Gudling.deJur.Nat.ac.Gent.c. |(4)Guiling,pergoNat.acGent.c. vel collate
.Nec sequitur , cedunt epopulielientis.voluntate ; primeva succedere videntur
(4). Riguardando la prima di codeile due sorti di diritti ne procedono tre
forme di reggimento,osianodiMonarchie unaincuiilRegnante de'Corpi,
Benide?Cittadinidispoticamentedispone,echeperciòErile o , o liaBarbarica vien
nominata , scrivendo Ubero :Dominatus finitur , quod fit Imperium , quo
Princepsfibifubjectisutpaterfamiliasservisimperat,omniumquetam quod ad (
p.243n.1498. > o civiliumnaturammaximeabeffectibusveftimandam. m o , r e r u
m m o r a l i u m , cujus limites excedere non licet Imperiiformam,&
tenorem SiDeuscertam ,ele&tionempersonefatemur ejusjurisviminfringerenon
populis,præfcripferit poteftauferrejusligandi e Solvendisuispa pole , quam
cætusfidelium invito adimere poteft . Sed hoc de magis uxorviro principatumdomus
storibus aut nonlegimusessedeterminatum .Hatenusquidem de imperio Civitatis a
Deo , cui omnis anima debeat bere aliquem ese ordinem imperandi ,atque parendi
ef ita excesti fefubie&to non tamen . resquamcorporaDominusexistens,
actionespublicasadsuampræcipueutilita temdirigit(5): EdArrigoKoehlero:ImperiumDominicumseuDespoticum
di citur ofia Governo di Dio . E l'altra delle suddette forme di Monarchia è
quella , nella quale il Principe pel . (2)Grot.
deJur.bell.acpac.lib.Icos(5)Huber.de Jur.Civit.lib.1c.27 . 21 .$ 3 و 37S.XI
.436. 3 > . > XV . 7 tumpromover.Imofucceffi opere nec mul ab.antecedente
electionependet;undequi luc o de' in quo Nec sequitur , ita pergit Zieglerus,
homines ab initioSponte adanéti infocietatem civilem coierunt exhoc
ortumhabetpoteftascivilis:Ergotalispoteftasorigineesthumana·Sic enimperindeliceretargumentari;Adam&
Evasponteadducticcieruntinma trimonium . Ergo matrimonium institutione non eft
divinum . S e d 1. 7 p. 273 . (3)Huber.deJur. Civit.lib.IC.28i(6)Heinr.
Toebl.JusSoc., ut Regis , ac Domini distin£tionem certam adhiberemus (1) : ed
effa dicesi Ci vile:leggendosiinUbero : NobisigiturpluresMonarchie Species nonfunt
con siderand.e,quamheeduce,Regnum,& Dominatus,fiveImperium,utAriftote les
loquitier , außacidendo , aut Baplaponèv . Regnum verum & plenum eft,ubi
Princepshabetfummam, liberampoteftatem faciendiincivitatequodere ☺ a petita.,
qui ed appresso : E x his tertia resultat dif ferentia , a fine diverso
ristabiliti,est utilitasRegnantis.Qucenec ipfa tamen absque commodo fubječbo
rumpoteftcuftodiri.Ex hisreliqu.edifferentie,interDominum,&.Reczorem,
fervos ac cives ,de quibus Claudius ad Meherdatem apud Tacitum 12.annal. c. c
11. quæque fimiliaperse intelliguntur (3):Ed anchecomune;Scrive Kochlero:
Imperium Civile eft juspræfcribendi ea , quæ ad commune civitatis bonum
promoven . dum faciuntS.896E.492.510.Ejufmodi ImperiumCivilediciturCommune ad
amplificationem boni civitatis communis tendat (4): E la terza delle due fo
pradetteformecomposta cheMistaviendetta:ScrivendoGrozio;Quisibi f i n g u l o s
S u b j i c e r e p o t e f t f e r v i t u t e p e r s o n a l i , n i h i l m
i r u m e f t f li i d o u n i v e r s o s f, i ve iliČivitasfuerunt, five
Civitatis pars,fubjicere sibi poteftfubje&tionefive mere civili ,five mere
herili , feve M I X T Á (5) Riguardando poi la seconda forte degli esposti
Diritti sorgono tre altre forme di nellaquale il Principe Regna per elezione
del suo Popolo forma dicesi ELETTIVA . La seconda,in cui il Principe
ricevel'Impero per Legge generale dello stesosuo Popolo o per consuetudine da
questo ricevuta , per trasmetterlo poi a colui, che dalla medesima Legge ,
viene stabilito ; sia egli il Primogenito del preterito Regnante ,o calui, che
glinacque nel Regno ;'fia egli il figliuolo legittimodi
quello,osiailnaturale:Maschiofiaegli, ofemmina;fiadellastessasuafa miglia ,o
dell'altrui; favorisca finalmente quella legge ipiù vecchi della Pro fapia , o
la linea del primo nato (6), la qual forma di Regno da tutti sichia ma
SUCCESSIVA, eda molti una specie della prima,cioèunadiversasorted'Ele
zioneesseresicrede:dappoichèfcriveUbero:Plane,originecujufquecivitatisinspecta,
nullumnonRegnumexvoluntatepopuliortum,fuitele&tivum Seddiversitas eft in
Regno Civili ordinaliter utilitasfubje&torum;Quamquam illafine commodo
Imperantium obtineri non poteft. In Dominatu originalisScopus Impe una parte di
esso ma pel tempo della suaviła solamente ;venga cotaleele zione,fatta
oespressamente,operviadiforte,odiDeputati;ecodesta electionis &
fucceffionis deincepsorta eft, cum quædam ex Imperiis itafunt > delata
Principibus, ut identidemfedes vacua perele&tionem repleretur .Quædam i t a
ut fucceßio fecundum ordinem certum propinqui sanguinis ab uno in alium
devolveretur,exprescripto Legis.Hanc quidemvocantElectionisSpeciem;quo modo AlthufiusinPolit.suac.19n.78,feqq.qui
negant,ullumdariImperiumjure familiehereditarium,fedtotum
apopulodependens,quodG' inAngliamulti opinan tur.Si
dicerent,fucceffionemelenihil,quamele&tionisprimevæcontinuationem,ni
hilerrarent.AtfijusImperiinumquam apopulisalienarivelint,resreditad Statum
disputationissupraaliquotiesperactze.Quaperelectionem,ipsumjusIm perii
independenter alienari pof fe probavimus , ad vitam ,vel etiam pro heredi
bus;Quie tunc eftfucceflio,non amplius a primis eligentibus dependens , fedfa
milie propria , per ačtum alienationis (7) : e Gudlingio : Id quæri dignum, an
perduretvitaį animacivitatisuna,etiamfivelelečžicobtineat,velfucceßio? (1) Bodin.
deRepibl.lib.2 3 in (5)Grot.dejur.bell.ac.pac.lib.4cm | xvi و Regni . La prima
, 3 > و c.37.n.12.13.14.15.16.p.436. (3)Huber.dejur.Civit.ibid.n.8. 1(7)Huber,dejur.Civ.lib.Ic.28
. (4)Koehler.deJur.Soc.G Gent.Spe- 3p.278. )5( و > . > 9 o sia di .
princ.p.302: dejur.Nat.acGent. (2) Huber.de jur.Civit.lib.I.c.27n.
(6)VediGudlingio 5p.272infin. :, communividebitur,Salvatamenciviumlibertate,
proprietatererum(2) cim.V.deImp.Civ.S.526. p.85. C. , ) 9 cum Et xvii Et
putem id contingentibus adnumerandunt , quæ unitatem nec efficiunt prorsus,
nectollunt.Sciliceteleftin,o lucceliopersonastangit non autem modum re. gnandi
definit , nec illum impedit ,nec multum promovet ;imo fucceßio pene ab
suo.Antecessore , ed ha l'arbitrio di lasciarlo a chi più gli piaccia , come
della fua Eredità privata fare ei potrebbe . E così fatti Regni diconfi E R E D
I T A R J . Intuttecodeste cinque formediRegnisonocomprese,siccome sarebbe
agevole il dimostrare, tutte le differenze , che de' supremi Imperi delle
Monarchie fi so gliono fare ; ele quali Ubero per modo di quistioni
propone:Junt qui ex alis q u o q u e r e b u s d i f f e r e n t i a m f u m m
e p o t e f t a t i s c o l l i g u n t '. P r i m o e n i m
Sottoposti;maquandovenneroinItaliavifondaronoilRegno,chefudettode Longo
bardi,ofiadell'Italiaedilquale,esottoiReloro,esottoiRe Francesi,edi altre
Nazioni finchè durò fusempre ELETTIVO . II. che EREDITARIO fuil Principato di Benevento.
III. che fimile , a lui fu il Principato di Salerno . IV. chenondiversodaeffiintalcosailPrincipatodiCapua
essersividde. Ma
dapoichèilpiùdellevoltedifficilcosaèildeterminareda'loroprincipjl'espo fieforme
de sopradettiPrincipati;Quindi è,cheneconvienesoventeimmitare i più Saggi
investigatori del vero nelle produzioni della Natura : iquali non potendo
vedere le occulte caggioni di essa , da ' continui , e costanti effetti loro ,
quando esterna violenza non li disturbi , sicuramentelededucono:scriveNevvton
traquellifilosofisenzaalcunfalloilpiùfamoso: Ideoque EFFECTUUM NA TURALIUM
EJUSDEM GENERISEÆDEM SUNT CAUSÆ .Uti respira tionis in Homine doo in Bestia ;
descensus Lapidum in Europa in Qualitates. corporum , que intendi o remitti o
nequeunt , queque corporibus omnibres competunt , in quibus experimenta
instituere Ticet nun ,a fibisemper confona . Extensiocorporum non nisipersensus
innotescit, nec in omnibus fentitur:fedquia fenfibilibus omnibus competit,de
universis affirmatur. Corpora plura dura este experimur ; Oritur autem durities
totius a duritie par tium,&
indenonhorumtantumcorporumquæfentiuntur,sedaliorumetiam omnium particulas
indivisas es se duras merito concludimus. Corpora omnia impe netrabilia es se
non ratione ; fed fenfu colligimus . Q u e tractamus impenetrabilia ; Lucis in
igne culinari do in sole ; reflexionis lucis in ter America ra in Planetis
inveniuntur, indeooncliedimusimpenetrabilitatem efeproprietatem corporum
univerforum.Corporaomniamobiliaefle,& viribusquibusdam(quasviresiner tiævocamus)perseverareinmotu,velquiete,exhifcecorporumviforum
pro prietatibus colligimus.Extenso,Durities,Impenetrabilitas,Mobilitas,&
Vis ) . (1)Gudling. dejur.Nat.,acGent.c.1(2).Huber. dejur.Civit.lib.I c.14
12 ; antecedente electionependet;unde quisuccedunt,epopulieligentisvoluntatepri
meva fuccederevidentur(1). E finalmente la terza nella quale il Principe
possiede il Regno per volere del git(2). . O r d i c h i a r a r i n e l l a m
a n i e r a s o p r a d e t t a l' e s p o s t e c o s e io d i c o . I. che
iLongobardi furono inprima nellaPannonia ad un Regno EREDITARIO > ) > 5 .
) vel plu ,proqualitatibus corporum univerforum habendesunt TES CORPORUM
NONNISI .Nam QUALIT A PER EXPERIMENT AINNOTESCUNT OQUE GENERALES STATUENDÆ ,IDE
MENTIS GENERALITER SUNT QUOTQUOT CUMEXPERI. possunt QUADRANT ; de quemimi
nonpoffunt auferri . Certe contra experimentorum tenorem fomnia non funt , nec
a Nature Analogia recedendum temere confingendo eft,cumeasimplex eflefoleat o ,
quaforma Reipublic.e Civitas gubernetur , Monarchia tant plurium dispoticum ,
an Civile Regnum . Patrimo rium imperio. Et in Monarchia ,sitne .Populovolente
an invitofit conftitutum .Eligantur, niale,anquasifructuarium ,an
perpetuafitpoteftas• Non an successionegaudeant Imperantes.Temporalis Imperii
variarivi parvitate vel magnitudine Civitatum jus jummi nullisquoque Species
hominum judiciafæpe perstrin fum.Denique,nominum titulorumque interesse p u
iner . . > n.Ip.128.129. 3 9 ) 37S.XI.p.435ad436. C. inertie
totius , oritur ab extenfione , duritie , impenetrabilitate
viribusinerticepartium: indeconcludimusomnesomniumcorporumpartes
minimasextendi,& durasele,o impenetrabiles,& mobiles viribus inertice
præditas(1).EnellafestamanierafcriveUbero,che s'abbiadagiudicarenelle
cosemorali,ecivili:Sedegoitaexistimorerummoralinm, civiliumnaturam maxime ab
effe&tibus ceftimandam (2). Perchè quando non neè conceduto diavere
documento dell'IstituzionedelleRepub
bliche,osiade'Principati,dicuiragioniamo;da quello,chefièveduto sempre accadere
in effi, quando estraneecaggioni l'ordine naturale non abbiano sconvolto,
l'istituzioni suddette possiamo dirittamente argomentare . Egli è vero non però
, che non di leggieri gl' Imperi Ereditarj da Succeffori con regola c o si
fatta fi possono distinguere,imperocchè io alcuna forte di Regni fuccessiviall'
ultimo Regnante succedono i figliuoli,od i più stretti Congionti ; E lo stesso
av . vieneneRegniEreditarjquandocoluisenza Testamento,osenzanominareal. cuno
Estraneo Erede lascia di vivere la vita : più foltobujoquellumefideeprendere,chesipuò,comechèpicciolo,ed
incer to egli sia . IlRegno de”Longobardifu prima Succellivo,aEreditario,ed
che,uscitidallaScandinavia(4)(ProvinciadettaVagina Gen tium), abitaronodiquadalDanubio
ediqualiWINILI eranochiama. ti(5):furonoposciadetti LONGOBARDI,o
dallefinte(6),odallevere lunghe loro barbe (7) , ovvero , secondo scrive
Guntero , che altri affermino da' Popoli della Sassonia detti Bardi (8).
Furonocoftoroinprimada'Duchi eposciadaRefignoreggiati(9);edilRe gno loro finchè
rimasero nel loro Paese, fu sempre Ereditario ovvero successivo.
(1)Nevuton.Philus.Natur.princ.Ma-|(6)Gregor.Turon. Excerp.Chron.ex Reg Fredeg.
Schol.hist.Miscell. c.65. rat. lib. 2.c. 13 • (5)Paul.Diac.de
GefieLangob.lib.1|(8)Gunt.lib.2. c.9p.411(a). mobilitate, 9 appreso Elettivo
. non potendofi che la naturale inchinazione del Sangue a figliuoli ed a
Cogionti , gli Estran)
gliabbiapermessodianteporre.ScrivendoGrozio:Succeflioabintefiato, de
quaagimus,nihilaliudeft,quam tacitumteftamentum exvoluntatisconjectura.
Quintilianus pater in 67. declamatione : Proximum locum a teftamentis habent
propinqui:&ita,siinteftatusquisacfineliberisdecefferit:Nonquoniam utique
jufium fit,adhospervenirebonadefunctorum:fedquoniamreliéta,& velutin
mediopositanullipropiusvidenturcontingere:Quod de bonisnoviterquæfitis
diximusex naturaliter proximis deferri , idem locum habebit in bonis paternis
avitisque,finecipsiaquibusvenerunt,neceorumliberiextent itautgratic Philuf.283
P«357.358edit.Am-i()PauloDiac.deGest.Langob.lib.i ftelod. 1714 C.9po411 (6).
(2)Huber.dejur.Civ.lib.Ic.28S.V. Reginon.Chron.inprinc.deRegnoWi.
(3)Grot.dejur.bell.acpac.lib.2c. nilorum. 7 S.10n.2p.297.298.
Constant.Porphyrog.deThemat.lib.2. (4)Gregor.Turon.Excerp.Chron.exc
OttoFrifingens.deGeft.FridericiImpe credere $.III. Ue Popoli Q° Agle xviii
relatiólocum noninveniat (3).
OndedaEqualieffettinonsipossonoargomentarediversecagioni.Ma nelGrice: “This
conceptual analysis of the noble is complicated – noble is the male who merits
recognition from his community.” Nono duca di Laurino. Troiano Spinelli, duca
di Aquara e di Laurino. Troiano Spinelli di Laurino. Spinelli di Laurino.
Laurino. Keywords: implicatura, analisi geometrico della’economia razionale,
Broggio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Laurino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753939944/in/dateposted-public/
Grice e
Lazzarelli – implicatura ermetico-esoterica -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (San Severino Marche). Filosofo. Grice: “I would call Lazzarelli a
Pythagorean; most Italian philosophers are, as most English philosophers are
Lockean!” -- Grice: “I would call Lazzarelli what Italians call ‘un filosofo
ermetico.’ He certainly flouts all my desiderata for conversational clarity!” Il
documento più importante per ricostruire la vita di Lazzarelli è Vita Lodovici
Lazzarelli Septempedani poetae laureati per Philippum fratrem ad Angelum
Colotium scritto dal fratello Filippo subito dopo la morte di Ludovico, e
indirizzato all'umanista Angelo Colocci. Lazzarelli fu educato e visse a Campli,
in Abruzzo, dove frequenta la biblioteca del Convento di San Bernardino da
Siena, che egli cita nella sua opera i Fasti Christianae Religionis, un poema
di ispirazione cristiana. Ricevette da Sforza un premio per un poema sulla
battaglia di San Flaviano. Ebbe contatti con i più importanti studiosi
dell'epoca e fu seguace dell'ermetismo. Raccolse il Pimander di Ficino,
l'Asclepio e tre trattati sull'ermetismo realizzando una versione che amplia il
corpus testi ermetici. Autore di opere a carattere ermetico come il “Crater
Hermetis,” in sintonia con il sincretismo religioso dei suoi tempi e in
anticipo sulla filosofia di Pico, con la fusione del cabalistico e il cristiano,
ma anche di poemetti a carattere allegorico come l'”Inno a Prometeo” o
didascalico-allegorici come il “Bombyx”. Altri saggi: “De apparatu Patavini
hastiludii (Padova); “De gentilium deorum imaginibus”, dedicato prima a Borso d'Este,
poi a Federico da Montefeltro; “Fasti christianae
religionis” con mss dedicati a Sisto IV, poi a Ferdinando I d'Aragona e ia Carlo VIII
(Bertolini, Napoli); Epistola Enoch (Brini, in Testi umanistici sull'ermetico”,
Roma; “Diffinitiones Asclepii”; De
bombyce (Lancellotti, Aesii); “Crater Hermetis edito in Pimander Mercurii
Trismegisti liber de sapientia et potestate Dei; “Asclepius eiusdem Mercurii
liber de voluntate divina”; “ Item Crater Hermetis a Lazarelo Septempedano” (Parigi);
Vademecum (M. Brini, in Testi umanistici sull'ermetico”, Roma); “Un carme per
la morte della duchessa d'Atri, Biblioteca del Seminario di Padova; “Carmen
bucolicum” (Biblioteca universitaria di Breslavia, Milich Collection); carmi di
occasione -- tra cui i versi che gli valsero l'incoronazione) (Biblioteca nazionale
di Napoli); epigrammi sullo Pseudo Dionigi l'Areopagita. Il testo dell'opera
può essere letto in M. Meloni ,"Lodovico Lazzarelli umanista settempedano
e il “De Gentilium deorum imaginibus”, in Studia picena, pubblicato in
appendice a C. Vasoli, Temi e fonti della tradizione ermetica in S. Champier,
in Umanesimo e esoterismo, l’esoterico E. Castelli, Padova, pG. Roellenbleck, Opusculum
de Bombyce, anche in edizione moderna integrale in C. Moreschini,
Dall'"Asclepius" al "Crater Hermetis" -- studi sull'ermetismo
latino tardo-antico e rinascimentale, Pisa, Dizionario Biografico degli
Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Filosofia ermetica, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere, su Ludovico lazzarelli. l rivista Campli Nostra Notizie, su campli nostra
notizie. LAZZARELLI, Ludovico. - Nacque a San Severino Marche il 4 febbr.
1447 da Alessandro, medico, e da Lorenza Tosti, di nobile famiglia di Campli.
La tradizionale data di nascita (1450) è stata recentemente corretta da
Tenerelli (pp. 9-12) sulla base di un'annotazione manoscritta che si legge
nella biografia del L. composta dal fratello Filippo (meglio trascritta da
Meloni, pp. 114 s.) e della notizia d'archivio riferita da Aleandri (p. 274),
secondo cui il padre risulta già morto nel 1448. Il L. stesso amava definirsi
"Septempedanus", dal nome dell'antica colonia romana che sorgeva nei
pressi dell'odierna San Severino Marche. Alla morte del padre, il L. si
trasferì con la madre e i cinque fratelli a Campli, presso Teramo, dove
ricevette la prima educazione e - stando alla citata biografia, non immune da
toni agiografici, scritta subito dopo la morte - egli dimostrò precocemente
inclinazioni poetiche, tanto da comporre, appena tredicenne, un carme sulla
battaglia di San Flaviano, che gli avrebbe meritato le lodi di Alessandro
Sforza, signore di Pesaro, oltre che l'appellativo di "antiquorum poetarum
simia". L'episodio è il primo di una serie di testimonianze che
permettono di ricostruire alcune tappe, peraltro dall'incerta cronologia, della
vita fitta di spostamenti condotta dal L. a partire dalla metà degli anni
Sessanta. Fu dapprima ad Atri, con l'ufficio di istitutore del figlio del
signore della città, Matteo Capuano, dove compose un carme esametrico per la
morte della duchessa Caterina Orsini Del Balzo, indirizzato con un'epistola
accompagnatoria al fratello Filippo, allora studente di diritto a Padova, che,
nella sua biografia, la definirà "sententiis quidem refertam quam optimis
ultra eius aetatem" (Vita Lodovici, p. 3). Per due anni fu a Teramo presso
Giovanni Antonio Campano, "ut eiusdem Campani fratrem amoenioribus artibus
inficeret simulque ut ipse viri familiaritate doctior fieret" (Lancellotti,
p. 7), dove si applicò allo studio del greco, dell'ebraico, della matematica e
dell'astrologia. Il fratello riferisce di essere stato testimone a Teramo di
una sua disputa con un tal Vitale ebreo, che negava la Trinità, e che sarebbe
stato vinto anche grazie all'allegazione da parte del L. di autorità
talmudiche. Di qui passò a Venezia, dove perfezionò lo studio del latino e del
greco alla scuola di Giorgio Merula. Il componimento esametrico De apparatu
Patavini hastiludii, scritto in occasione dei giochi svoltisi nel 1468 e nel
quale i componenti dell'Accademia padovana dei giuristi erano comparati a
personaggi mitici, rivela una buona dimestichezza con l'ambiente accademico
patavino. Forse su suggerimento di Merula compose un Carmen bucolicum, costituito
da dieci egloghe di soggetto sacro, dedicate ai principali misteri della vita
di Cristo: l'avvento preannunciato dai profeti, la natività della Vergine,
l'incarnazione del Verbo, la nascita, la passione e la morte, la discesa agli
inferi, la resurrezione, l'ascesa al cielo, la discesa dello Spirito Santo,
l'assunzione di Maria Vergine. Al soggiorno in Veneto è inoltre legato il più
importante riconoscimento pubblico dell'attività poetica del L.,
l'incoronazione per mano dell'imperatore Federico III, il 30 nov. 1468, nella
chiesa di S. Marco a Pordenone. Secondo il racconto del fratello, il L.
si sarebbe recato presso l'imperatore, di passaggio nel suo viaggio verso Roma,
e, colta un'occasione propizia, gli avrebbe declamato un suo carme esametrico, accolto
con plauso dall'imperatore che spontaneamente gli avrebbe conferito l'alloro
poetico. Il L. stesso celebrò poco più tardi l'evento nell'egloga Laurea.
Una serie di stampe, del tipo dei tarocchi del Mantegna, acquistata in una
bottega di Venezia, fornì al L. lo stimolo per la composizione dei due libri De
gentilium deorum imaginibus, poemetto di carattere mitologico-astrologico. I
più rilevanti testimoni dell'opera sono due manoscritti della Biblioteca
apostolica Vaticana (Urb. lat., 716, 717), entrambi di elegante fattura e
corredati da una serie di sontuose miniature (che ricordano, appunto, la
tipologia mantegnesca dei tarocchi). I due codici sono dedicati a Federico di
Montefeltro, ma la dedica del ms. 716 è vergata in modo evidente su una dedica
precedente abrasa, che Augusto Campana è riuscito a leggere parzialmente,
quanto basta però per riconoscervi il nome di Borso d'Este. È così possibile
datare il manufatto, e quindi l'ultimazione dell'opera, al lasso di tempo tra
il 14 apr. 1471, data di assunzione del titolo ducale di Ferrara da parte di
Borso, e il 19 agosto dello stesso anno, data della sua morte. Anche
all'interno del testo il nome di Borso è sistematicamente sostituito con
quello di Federico e i passi relativi sono adattati al nuovo dedicatario. Il
ms. 717 è portatore di una seconda redazione, fin dall'inizio dedicata a
Federico già insignito del titolo ducale di Urbino, quindi posteriore
all'agosto 1474. Meloni (pp. 99 s.) ipotizza che si possa riconoscere in
quest'ultimo il codice originariamente pervenuto a Urbino e che il ms. 716 vi
sia giunto più tardi, non solo riconfezionato come si è detto, ma anche
corredato di un ulteriore carme finale di congratulazioni per la guarigione di
Federico da una grave malattia, attribuibile alle conseguenze dell'incidente
occorso al duca nel novembre 1477. L'originaria dedica a Borso d'Este è
perfettamente congruente con la cultura astrologica praticata a Ferrara, ma non
estranea neppure alla corte urbinate. L'opera amplifica la consuetudine di "appropriare",
nel gioco praticato a corte, dei versi alle carte, secondo il modello dei
tarocchi boiardeschi. Ma il L. intende riscattare dall'uso ludico le antiche
immagini delle carte, diffuse anche presso il volgo, che "triumphos /
appellat tactu commaculatque rudi / priscorum formas […] et simulachra
deorum", per restituirle alla loro funzione astrologica e sapienziale di
rivelare il vero "obliquis figuris", poiché "invenere suis
corrispondentia rebus / signa olim vates et simulachra deum, / quae nunc pro
nihilo reputant, gens indiga sensus, / sacrilegi et ludis asseruere suis"
(I, 1, 127-140). Nel primo libro sono presentate e descritte, in successione,
le sfere celesti, dalla Prima causa alla Luna, con l'aggiunta di un carme
conclusivo dedicato alla Musica come prodotto delle sfere celesti. Dei pianeti,
identificati con gli dei antichi, sono descritte le immagini, indicate le
rispettive domus (i segni zodiacali), sinteticamente narrati i principali miti
che hanno come protagonista il dio eponimo, fornite essenziali notizie
astronomiche e illustrati gli influssi astrologici. Il secondo libro presenta
le immagini della Poesia, di Apollo e delle nove Muse, di Pallade, Giunone,
Nettuno, Plutone e, infine, della Vittoria (alla quale è dedicato un carme in
versi eroici, mentre tutti gli altri sono in distici elegiaci). Nei due codici
urbinati, come si è detto, la descrizione verbale trova riscontro e
integrazione nel ricco apparato iconografico che, a sua volta, può aver
ispirato elementi decorativi del palazzo ducale di Urbino. La vicenda
compositiva del poemetto probabilmente si compì durante il soggiorno del L. a
Camerino, dove era stato chiamato da Giulio Cesare da Varano per attendere
all'educazione del nipote Fabrizio. Il L. intraprese quindi la stesura di un
nuovo ambizioso poema, i Fasti Christianae religionis, che portò a compimento
in una prima redazione a Roma, dove si recò al seguito di Lorenzo Zane,
patriarca di Antiochia, presso il quale approfondì gli studi astronomici e
astrologici. La composizione del poema è dai biografi (e, in primis, dal
fratello) addotta a documento dell'ortodossia religiosa del L., contro i
sospetti di esercitare arti magiche: "Quidam, livore atque invidia
perfusi, et palam et in occulto Lodovicum criminari coeperunt, dicentes ipsum negromanticis
magicisque artibus, sive praecantationibus, operari" (Vita Lodovici, p.
7). Il L. avrebbe, in effetti, compiuti alcuni esorcismi, vaticini e
guarigioni, ma sempre attraverso il segno della Croce e la mediazione
dell'assistenza divina. Bertolini ha ricostruito la complessa vicenda
compositiva dei Fasti sulla base delle testimonianze manoscritte superstiti
(tra cui il ms. Vat. lat., 2853, autografo, nel quale si depositano varie fasi
redazionali) e delle indicazioni cronologiche interne, che permettono di
riconoscere tre redazioni: una prima, dedicata al pontefice Sisto IV, compiuta
entro il 1480; una seconda dedicata al re di Napoli Ferdinando d'Aragona e a
suo figlio Alfonso duca di Calabria, compiuta immediatamente dopo, entro il
1482; una terza più tarda, dedicata al re di Francia Carlo VIII, allestita non
prima del 1494 e probabilmente abbandonata dopo il fallimento dell'impresa
italiana del sovrano. Si tratta di un vasto poema in sedici libri, costruito
secondo il modello del Fastiovidiani. Sono descritte e celebrate le ricorrenze
liturgiche cristiane secondo la loro successione nel calendario; vengono
inoltre introdotte osservazioni di carattere astronomico e saltuarie
indicazioni relative alle attività agricole. I primi tre libri celebrano le
feste mobili del calendario liturgico, i dodici successivi sono dedicati ai
singoli mesi, cominciando da marzo, l'ultimo tratta del Giudizio finale.
Il poema ricevette onorata accoglienza da parte dell'ambiente romano,
come dimostrano i due epigrammi del Platina e di Paolo Marsi riferiti dal
fratello Filippo e pubblicati dal Lancellotti (pp. 27, 29), nei quali il poeta
è celebrato come una sorta di Ovidio reincarnato. Al Platina sono anche
indirizzati un paio di epigrammi del L., il secondo dei quali in morte (21
sett. 1481). Secondo Foà (p. 784), al 1481 daterebbe la conoscenza con
Giovanni da Correggio, alla quale lo stesso L. attribuisce un ruolo
fondamentale per la propria conversione alle dottrine ermetiche. L'episodio più
noto relativo al rapporto fra i due e al quale il L. stesso fa emblematicamente
riferimento risale però all'11 apr. 1484, domenica delle palme, sotto il
pontificato di Sisto IV, quando assistette all'apparizione romana di Giovanni
da Correggio che, a cavallo e coronato di spine, attraversò la città e, pur
privo di qualsiasi istruzione grammaticale e retorica, predicò al popolo
compiendo atti e riti simbolici e manifestando una sapienza teologica dovuta a
una sorta di mistica ispirazione che gli valse anche incontri con il pontefice
e vari prelati. Gli studi di Kristeller hanno infatti dimostrato
l'appartenenza al L. dell'Epistola Enoch de admiranda ac portendenti
apparitione novi atque divini prophetae ad omne humanum genus, dove è
diffusamente narrato il viaggio romano di Giovanni da Correggio seguito da una
dichiarazione dell'autore di piena adesione e di conversione: "quod novae
ac tantae rei sacramentale mysterium ego attonitis aspiciens oculis, mecumque
ipse attente et ex totis animi viribus tunc revolvens, ne diuturnior obesset
mora, relictis Parnasi collibus ceterisque omnibus, ad montem Syon primus eum
sum protinus insequutus" (ed. Brini, p. 44). Con lo stesso
pseudonimo di Enoch il L. firmò anche alcuni epigrammi dedicati agli scritti
dello Pseudo Dionigi l'Areopagita e, soprattutto, le prefazioni ai testi
contenuti nel ms. II.D.I.4 della Biblioteca comunale degli Ardenti di Viterbo,
una raccolta completa del corpus ermetico nella traduzione di Marsilio Ficino,
integrato dall'Asclepius attribuito ad Apuleio e dalle Definitiones Asclepii
(ignote a Ficino perché mancanti nel suo codice), tradotte per la prima volta
dallo stesso Lazzarelli. Nelle tre prefazioni, una delle quali in versi, il L.
indirizza la sua opera di raccoglitore e traduttore a Giovanni da Correggio,
nel tono solenne e sacrale dell'iniziato, affermando il sincretismo tra
teologia cristiana e teologia ermetica, sostenendo, contro Ficino, la maggiore
antichità di Ermete Trismegisto rispetto a Mosè e presentando la propria
conversione dalla poesia agli studi sacri come una vera e propria
rigenerazione: "quondam poeta nunc autem per novam regenerationem verae
sapientiae filius" (Kristeller, 1956, p. 242). Il L. entrò quindi in
rapporto con Francesco Colocci quando questi, avendo con sé il nipote Angelo,
si trovava nel Regno di Napoli come governatore di Ascoli Satriano. Secondo
Fanelli (p. 16 n.), i Colocci passarono nel Regno di Napoli dopo il 1485: poco
prima del 1490 andrebbero dunque collocate la composizione e la stampa del
poemetto del L. De bombyce, dedicato "ad Angelum Colotium honestae indolis
puerum". La datazione dell'opera è controversa e il più recente
editore, Roellenbleck, ne propone una molto più alta, che peraltro non si
concilia con la tematica ermetica del poemetto né con l'anno di nascita di Angelo
Colocci (il 1474), che pare dovesse avere un'età idonea a essere prescelto come
lettore esemplare ("lege sollicito mea carmina visu", v. 17), vero e
proprio filius da rigenerare (l'appellativo di puer può avere un'estensione
molto ampia). Il Bombyx si presenta, infatti, come un poemetto didascalico
dedicato all'allevamento del baco da seta, ma teso a svelarne, sulla traccia di
analogie già suggerite da s. Basilio, la simbologia cristologica e a farne il
simbolo di una rigenerazione alla quale tutti gli esseri umani sono chiamati,
compiuta la quale potranno a loro volta generare una prole divina:
"Surgite, terrigenae, bombycum exempla sequuti. / […] / Linquite corporeos
sensus, mens candida regnet / […]/ Sancta palingenesis vos complectatur et orti
/ rursus humo coelum penitus penetrate relicta / […]. / Gignite divinam
repetito semine prolem. / Quo pacto id fieri possit, mox forte docebo, / hic
gradus aethereo primus statuatur Olympo" (vv. 237, 243-244, 246-247,
253-255). L'ulteriore opera dedicata al tema della generazione divina,
annunciata in chiusura del Bombyx, può forse essere riconosciuta nel De summa
hominis dignitate dialogus qui inscribitur Crater Hermetis. Si tratta di un
dialogo in prosa, nel quale sono inseriti alcuni componimenti poetici, di vario
metro, nei momenti di maggiore intensità d'ispirazione e di proclamata
esaltazione mistica. Gli interlocutori sono lo stesso L., che ha ruolo di
maestro, e il re di Napoli Ferdinando d'Aragona, dopo che, ormai vecchio, ha
ceduto il governo dello Stato al primogenito Alfonso II. Queste indicazioni
permettono di collocare l'azione, e anche la composizione, tra il 1492 e il
1494, data della morte del re. Il recente editore, Moreschini, ha anche
riconosciuto due redazioni dell'opera, la più antica testimoniata dal ms. XIII.
A. A. 34 della Biblioteca nazionale di Napoli, la seriore dalla stampa
procurata nel 1505 da J. Lefèvre d'Étaples a Parigi. La differenza più evidente
tra le due redazioni consiste nella presenza, nella prima, di un terzo
interlocutore, Giovanni Pontano, con il ruolo, secondario ma non indifferente,
di affiancare il re, discepolo entusiasta e convinto, come poeta desideroso di
approfondire anche verità filosofiche e teologiche. L'origine del titolo è in
un passo del Corpus Hermeticum (IV, 3-4) in cui si parla di un crater inviato
da Ermete sulla terra affinché in esso gli uomini possano battezzarsi e
ricevere così l'intelletto che li rende capaci di partecipare alla gnosi. A
conclusione dell'opera il L. si autorappresenta come colto da una sublime
ispirazione che lo rende capace di rivelare il mistero della generazione di
anime divine da parte del vero uomo, che ha raggiunto la pienezza della
conoscenza e che si rende così simile a un dio. Moreschini (1985, pp. 206 s.)
osserva come nella seconda redazione il L. eviti di rendere troppo espliciti i
rapporti tra ermetismo e cristianesimo (lo stesso titolo, nella prima
redazione, recitava: … qui inscribitur via Christi et crater Hermetis),
attenuando, per esempio, le argomentazioni che tendevano ad attribuire
all'ermetismo priorità cronologica (e anche genetica) nei confronti di ebraismo
e cristianesimo. Lo scritto manifesta inoltre ampie conoscenze cabalistiche e
talmudiche, che tradizionalmente si ritenevano patrimonio, in quegli anni, del
solo Giovanni Pico della Mirandola. Ultima opera del L. sembrano essere i
De mathesi et astrologia libri, segnalati da Lancellotti (p. 10), che invano ne
aveva cercato copia presso gli eredi del poeta. Brini (p. 24) ne propone, ma
senza indizi veramente probanti, l'identificazione con un trattato di alchimia,
conservato nel ms. 984 della Biblioteca Riccardiana di Firenze: una raccolta di
preparazioni alchimistiche tratte da Raimondo Lullo e da altri, presentate dal
L. con un breve testo introduttivo che si apre con un epigramma di sei distici.
Il L. stesso, definendo questo suo libro vademecum, ne indica il contenuto:
"agemus in hoc libro Vade mecum […] de alchimia que est naturalis magia et
[…] vocatur astrologia terrestris". In questa scienza dichiara di essere
stato istruito "a Joane Ricardi de Branchis de Belgica provincia […] qui
in hoc fuit magister meus currente ab incarnatione verbi anno MCCCCXCV"
(ed. Brini, p. 76). Nella sua biografia il fratello attribuisce al L.
capacità divinatorie attraverso il sogno - "habebat […] somnia, quae
potius visiones, sive oracula dici potuissent" (Vita Lodovici, p. 10) - e
in sogno il L. avrebbe anche antiveduta la propria morte, intervenuta a San
Severino il 23 giugno 1500, a pochi giorni di distanza da quella del fratello
Girolamo. Delle opere del L. sono a stampa: De apparatu Patavini
hastiludii, Patavii 1629; De gentilium deorum imaginibus, a cura di W.J.
O'Neal, Lewiston, NY, 1997; Fasti Christianae religionis, a cura di M.
Bertolini, Napoli 1991; Epistola Enoch [Venezia, s.n., dopo il 1500] (cfr.
Indice generale degli incunaboli [IGI], VI, p. 225), ora a cura di M. Brini, in
Testi umanistici sull'ermetismo, Roma 1955, pp. 34-50; la traduzione delle
Diffinitiones Asclepii in appendice a C. Vasoli, Temi e fonti della tradizione
ermetica in uno scritto di Symphorien Champier, in Umanesimo e esoterismo, a
cura di E. Castelli, Padova 1960, pp. 251-259; le prefazioni del ms. II.D.I.4
della Biblioteca comunale degli Ardenti di Viterbo in appendice a P.O.
Kristeller, Marsilio Ficino e Lodovico Lazzerelli. Contributo alla diffusione
delle idee ermetiche nel Rinascimento, in Annali della R. Scuola superiore di
Pisa, s. 2, VII (1938), pp. 237-262, quindi in Id., Studies in Renaissance
thought and letters, Roma 1956, pp. 221-247; De bombyce [Roma, Eucharius
Silber, s.d.] (IGI, 5707), quindi in Bombix. Accesserunt ipsius aliorumque
poetarum carmina…, a cura di G.F. Lancellotti, Aesii 1765, e ora in G.
Roellenbleck, Ludovico Lazzarelli Opusculum de Bombyce, in Literatur und Spiritualität.
Hans Sckommodau zum siebzigsten Geburtstag, a cura di H. Rheinfelder - P.
Christophorov - E. Müller-Bochat, München 1978, pp. 213-231; Crater Hermetis
nel corpus di testi ermetici raccolti da J. Lefèvre d'Étaples: Pimander
Mercurii Trismegisti liber de sapientia et potestate Dei. Asclepius eiusdem
Mercurii liber de voluntate divina. Item Crater Hermetis a Lazarelo
Septempedano, Parisiis, in officina Henrici Stephani, 1505, quindi, in edizione
moderna, parzialmente, a cura di M. Brini in Testi umanistici sull'ermetismo,
cit., pp. 51-74 e, integralmente, in C. Moreschini, Il "Crater
Hermetis" di Ludovico Lazzarelli, in Id., Dall'"Asclepius" al
"Crater Hermetis". Studi sull'ermetismo latino tardo-antico e
rinascimentale, Pisa 1985, pp. 203-265; Vademecum, a cura di M. Brini, in Testi
umanistici sull'ermetismo, cit., pp. 75-77. Ampie sillogi di
scritti del L., frutto di compilazioni sette-ottocentesche, sono contenute nei
mss. 3 e 207 della Biblioteca comunale di San Severino Marche; il carme per la
morte della duchessa d'Atri è conservato nel ms. 598 della Biblioteca del
Seminario di Padova (cfr. A. Tissoni Benvenuti, Uno sconosciuto testimone delle
egloghe di Calpurnio e Nemesiano, in Italia medioevale e umanistica, XXIII
[1980], p. 384); il codice unico del Carmenbucolicum si trova nella Biblioteca
universitaria di Breslavia, Milich Collection, VIII.18; una silloge di carmi di
occasione (tra cui i versi che gli valsero l'incoronazione) è nel ms. V. E. 59
della Biblioteca nazionale di Napoli; gli epigrammi sullo Pseudo Dionigi
l'Areopagita si leggono nel ms. W.344 della Walters Art Gallery di
Baltimora. Fonti e Bibl.: San Severino Marche, Biblioteca comunale, Mss.,
3, pp. 1-12, 77-102: due copie di F. Lazzarelli, Vita Lodovici Lazarelli
Septempedani poetae laureati per Philippum fratrem ad Angelum Colotium, da cui
deriva in gran parte la biografia premessa da G.F. Lancellotti al poemetto del
L. Bombix…, cit., Aesii 1765; F. Vecchietti - F. Moro, Biblioteca picena, V,
Osimo 1796, pp. 238-244; V. Lancetti, Memorie intorno ai poeti laureati d'ogni
tempo e d'ogni nazione, Milano 1893, pp. 219 s.; V.E. Aleandri, La famiglia
Lazzarelli di Sanseverino (Marche), in Giorn. araldico genealogico diplomatico
italiano, XXII (1894), pp. 272-279; K. Ohly, Ioannes "Mercurius"
Corrigiensis, in Beiträge zur Inkunabelkunde, II (1938), pp. 133-141; L.
Thorndike, A history of magic and experimental science, V, New York 1941, pp.
533 s.; L. Donati, Le fonti iconografiche di alcuni manoscritti urbinati della
Biblioteca Vaticana, in La Bibliofilia, LX (1958), pp. 48-129 (vi è riferita,
p. 91, la lettura di A. Campana della dedica del ms. Urb. lat., 716); P.O.
Kristeller, Lodovico L. e Giovanni da Correggio, due ermetici del Quattrocento,
e il manoscritto II.D.I.4 della Biblioteca comunale degli Ardenti di Viterbo,
in Biblioteca degli Ardenti della città di Viterbo. Studi e ricerche nel 150°
della fondazione, a cura di A. Pepponi, Viterbo 1960, pp. 15-37; J. Delz, Ein
unbekannter Brief von Pomponius Laetus, in Italia medioevale e umanistica, IX
(1966), p. 419; F. Ubaldini, Vita di mons. Angelo Colocci, a cura di V.
Fanelli, Città del Vaticano 1969, pp. 15 s.; C. Moreschini, Il "Crater
Hermetis" di L. L., in Res publica litterarum, VIII (1984), pp. 161-170;
S. Sosti, Il "Crater Hermetis" di L. L., in Quaderni dell'Istituto
nazionale sul Rinascimento meridionale, I (1984), pp. 99-133; N. Tenerelli, L.
L. ed il rinascimento filosofico italiano, Bari 1991; M.P. Saci, L. L. da
Elicona a Sion, Roma 1999; S. Foà, Giovanni da Correggio, in Diz. biogr. degli
Italiani, LV, Roma 2000, pp. 784-786; D.P. Walker, Magia spirituale e magia
demoniaca da Ficino a Campanella, Torino 2000, pp. 88-99; M. Meloni, L. L.
umanista settempedano e il "De gentilium deorum imaginibus", in
Studia picena, LXVI (2001), pp. 91-173; P.O. Kristeller, Iter Italicum, ad
indices; Rep. fontium hist. Medii Aevi, VII, pp. 159-161.Luigi Lazzarelli.
Lodovico Lazzarelli. Ludovico Lazzarelli. Lazarelli. Keyword: implicatura
ermetica, mascolinita romana, religione officiale romana, campo marzio, marte,
dio della guerra, marte come pianeta, il simbolismo di marte nell’arte e la
filosofia, marte e apollo, marte e Nietzsche --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Lazzarelli” – The Swimming-Pool Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689355866/in/photolist-2mKBsEN
Grice e
Lecaldano – transpatia – l’impassibile di Ccerone -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Treviso). Filosofo. Grice: “Lecaldano is interested in altruism
as the basis for morality; I’m interested in morality as the basis for
altruism; he ain’t Kantian; I am!” -- Grice: “I love Lecaldano; perhaps because
he is an Italian, he focused on Scots! His analyses of Smith and Hume on
‘sympathy’ is ‘simpatico,’ as the Italians say.” Grice: “Lecaldano engages in
the kind of linguistic botanising I do when I reflect on ‘cooperation’ versus
‘benevolence’ versus ‘empathy’ versus ‘sympathy’ versus ‘compassion.’ Unlike
Lecaldano, I end up with a rationality-based account of cooperativeness – or
rather a narrowing of ‘co-operation’ to ‘rational co-operation’ – there are
others!” Si laurea a Roma, insegna a Siena e Roma. Fonda La Società Italiana di
Filosofia Analitica (“to keep us apart from non-analytics like Plato!”). Membro
della Società Filosofica Italiana. Le riflessioni di Lecaldano spaziano dalla
storia della filosofia morale sino alle discussioni contemporanee sulla
bioetica. Avvalendosi anche del rigore concettuale della filosofia analitica,
indirizza la sua ricerca alla ricostruzione storiografica della morale
anglosassone dal XVII al XIX secolo, con particolare riferimento ai filosofi
scozzesi (David Hume, Adam Smith). Ha inoltre indagato criticamente i problemi
della metaetica. In bioetica, Lecaldano si prefigge l'obiettivo di una
chiarificazione delle implicazioni morali legate alle bio-tecnologie, che
sfocia in una prospettiva laica per la pacifica gestione del conflitto morale che
le "tecnologie della vita" hanno prodotto. Saggi: “Le analisi del
linguaggio morale – “Buono" e "dovere" (Roma, Ateneo), “La
fallacia naturalista” (Roma, Laterza); “La lume della ragione, gl’iluminati””
(Torino, Loescher), “Lo scetticismo” (Roma, Laterza); “Etica, Torino, POMBA); “Bio-etica:
la scelta morale” (Roma, Laterza); “La morale” (Gaeta, Bibliotheca); “Dizionario
di bio-etica” (Roma, Laterza); “Un'etica secolare – senza Dio” (Roma, Laterza);
“Prima lezione di Filosofia Morale” (Roma, Laterza); “Simpatia, impassibile” (Milano,
Cortina); “Senza Dio – gl’atei romani” (Bologna, Mulino); -- la religione
officiale in Roma antica – “Sul senso della vita, Bologna, Mulino); “Bioetica
Comitato Nazionale per la Bioetica Biotecnologie); “La bioetica. Il punto di
vista morale di E. Lecaldano sulla nascita, la cura e la morte di Luca Corchia.
Riflessioni di Lecaldano sul Senso della Vita In Riflessioni. I significati di
simpatia tra conversazione comune e letteratura “La molteplicità di usi
di simpatia” È possibile riconoscere diversi significati nel termine
simpatia che di solito è accompagnato da un significato positivo, anche
se in realtà è possibile estendere il suo significato fino a usarlo con
connotazione negativa. Nel dizionario troviamo distinte 13 accezioni del
termine, dall’attrazione sentimentale alla condivisione di un
atteggiamento o posizione politica. Come notava Hume nel XVIII secolo, è
molto difficile parlare delle operazioni della nostra mente in termini del
tutto esatti, perché il linguaggio comune raramente fa delle sottili
distinzioni. Il termine simpatia viene compreso dalla gran parte delle
persone, ma paga la sua ampia diffusione con l'indeterminazione che ad esso
si accompagna. “La simpatia nei romanzi e nei film” In questo
campo è enorme l'utilizzazione che ha avuto la simpatia, sia in forma implicita
che esplicita. Lynn Hunt suggerisce che la nozione di simpatia sia la
prosecuzione di quella che nei testi illuministi viene analizzata come
simpatia; Hunt, poi, privilegia la simpatia assimilata alla compassione.
Già nel diciottesimo secolo Rousseau, assimilando la simpatia e la compassione,
la considerava una forma di pietà suscitata solo da pene e dolori. Mentre
Hume e Smith la consideravano come la capacità, più sviluppata negli
uomini che negli animali, di partecipare attivamente alle condizioni
altrui, sia dolorose che gioiose. E’ illuminante la tesi di Hunt secondo
cui il rafforzarsi della simpatia fra gli esseri umani nella cultura
europea del XVIII secolo (reso possibile dai romanzi) portò a riconoscere
l'eguaglianza di molti esseri umani che fino a quel momento erano stati
emarginati. Molti romanzi in secoli successivi accesero le emozioni e la
partecipazione simpatetica del pubblico. (es.pag.15) Verosimilmente anche
molta della forza espressiva del cinema può essere identificata nella
capacità di quest'arte di rendere conto, con le sue tecniche, degli stati
d'animo e della trasformazione delle emozioni dei personaggi. (Es. Pag. 17 e
discorso su Kundera pag. 18- 19) “Un percorso di
approfondimento” Lo sforzo di conoscere il funzionamento della simpatia
si connette con la questione relativa a quanto la simpatia si debba
ritenere essenziale per la genesi della pratica morale diffusa tra gli esseri
umani. Cercheremo di capire se la simpatia sia necessaria o meno per la
moralità ed esporremo le argomentazioni pro e contro questa tesi. Fermo
restando che la simpatia può essere considerata necessaria per la nostra
vita etica, ma non sufficiente. Simpatia può riferirsi a un'attitudine
conoscitiva tramite la quale riusciamo a cogliere le condizioni mentali altrui,
oppure a una reazione affettiva ed emotiva nei confronti dei sentimenti
altrui. Concordando con Stueber, andremo verso la simpatia intesa come
preoccupazione per le altre persone e le loro menti. Vi sono due criteri in
base ai quali individuare tipi diversi di simpatia: 1. Da una parte
quello che considera la simpatia come un'operazione mentale semplice e
istintiva, un contagio emozionale automatico; 2. Dall'altra quello
che considera la simpatia come un processo psicologico più complicato e
che comporta un minimo di riflessione. L'impostazione adeguata è
quella che non confonde i due livelli di simpatia e non semplifica le
cose, presentando una concezione riduttiva. Insisteremo inoltre sulla
connessione tra simpatia e la pratica non solo della moralità, ma della
giustizia, della politica, così come sulla sua incidenza nelle forme di
civilizzazione. Prenderemo le distanze dall'esportazione della simpatia sul
piano normativo che vede in essa ciò che è necessario e sufficiente per
la costruzione di una moralità umana. (contesto dell'autore pag.
25) Capitolo due- I significati di simpatia tra filosofia e scienza
“Una forza cosmica” La nozione di simpatia ha una lunga tradizione nella
storia della filosofia. La prima importante nozione di simpatia è quella
che le riconosce una forza cosmica che tiene insieme tutte le cose del
mondo. Nella cultura classica greca e latina, la simpatia utilizzata per
richiamare una connessione armonica che unisce fra loro esseri umani e
realtà naturali. Inoltre, la nozione di simpatia nella filosofia antica
viene usata per richiamare un processo che si sviluppa nel mondo fisico e
solo secondariamente in quello umano, infatti gli stoici si riferiscono
ad una simpatia universale per indicare l'affinità oggettiva esistente
fra tutte le cose. Gli stoici sono importanti per l'influenza che ebbero
sui moderni interessati alla simpatia come Hume e Smith. In Plotino troviamo
un'immagine che verrà ripresa da Hume (riferimento pag.31) Questo
concetto naturalistico della simpatia è il fondamento della magia e verrà
ripreso dai maghi del Rinascimento. Nella cultura antica la simpatia ha
un'estensione prevalentemente cosmologica e ontologica, identificandosi con un
fenomeno universale e con la forza che tiene insieme tutte le cose in una
relazione automatica. Fin dall'antichità, quindi, la simpatia ha
un'accezione positiva. Prima del passaggio alla modernità c'è
un'importante innovazione nell'uso della simpatia ad opera di Francesco
d'Assisi, che nel “Cantico delle creature” chiama suoi fratelli e
sorelle, animali, piante, ma anche il sole, la luna, l'acqua e il fuoco.
Questo atteggiamento è “empatia”. (oriente e Schopenhauer pag. 34) “Una
relazione attiva fra due poli” Nel secolo XVII, la simpatia conquista il
suo posto come forza dinamica della natura umana. Critica a Hobbes che
negava qualsiasi presenza di empatia nell'uomo, visto come essenzialmente egoista.
Significativi qui sono Shaftesbury e Hutchenson che però, pur riconoscendo agli
esseri umani un grado di apertura affettiva l'uno verso l'altro non ne
avevano realizzato quella completa soggettivizzazione che troviamo in
Hume e Smith. Shaftesbury, infatti, con l'impostazione platonizzante
tende a considerare la simpatia come una trama che si estende al di là del
mondo umano, creando armonia fra vite umane ed ordine universale.
Hutchenson, invece, preferisce il termine simpatia quello di “senso pubblico”,
facendo riferimento ad un contagio emotivo. (rif. pag. 38- 39). Hume
contesterà ad Hutchenson una trattazione della simpatia erronea perché incapace
di cogliere il suo collegamento con l'immaginazione e la riflessione. Ciò
non toglie che le analisi di Hutchenson siano tornate attuali nel XX
secolo. “Un principio di comunicazione e partecipazione” E’ nel
XVIII secolo che troviamo la trattazione più approfondita dell'idea di simpatia
e si può individuare nelle analisi di Hume e Smith due diverse concezioni
che influenzeranno molti pensatori. Hume e Smith concordano nel
considerare la simpatia solo come un dato della natura della psicologia
umana e non una forza cosmica. Per Hume la simpatia è un principio psicologico
che permette la comunicazione e la partecipazione fra gli esseri umani;
per Smith è altresì un principio psicologico, ma tende a distinguere fra
ciò che possiamo approvare e ciò che dobbiamo disapprovare. Queste
diversità tra i due autori incidono sulla connessione fra simpatia e
moralità: Smith la concepisce come necessaria e sufficiente, Hume solo
necessaria ma non sufficiente. Hume dedica alla simpatia molte analisi
nel “Trattato sulla natura umana”, in cui troviamo una linea
interpretativa ben riconoscibile che sarà illuminante. La simpatia viene
considerata da Hume un principio costitutivo della vita umana ed egli
fissa due punti fondamentali: 1. La simpatia non riguarda le relazioni
fra cose o oggetti, ma solo quelle fra esseri umani, nonostante coinvolga
anche relazioni con gli animali e tra loro stessi; Nella natura umana
esiste una gran tendenza a prestare agli oggetti esterni le stesse emozioni
che osserviamo in noi stessi. (tendenza che si manifesta nei bambini, nei
poeti e nei filosofi); 2. L'estensione della simpatia anche al rapporto
tra uomini e animali ed alla condotta di questi ultimi, è evidente che la
simpatia si manifesta anche negli animali suscitando le stesse emozioni
provocate nella nostra specie. Hume distingue due livelli di simpatia:
quella istintiva e automatica presente fin dall' infanzia, riscontrabile
anche negli animali (rif. pag. 47) e quella che opera in modo indiretto,
ricorrendo all'immaginazione riflessiva e non immediata che genera i
sentimenti morali. (pag. 49) A quest'ultima forma di simpatia può essere
ricondotto la trattazione della questione sul coincidere tra morale e
simpatia. Hume offre una lunga analisi per spiegare che la simpatia non è in
grado di rendere conto della distinzione che facciamo tra virtù e vizio.
“I sentimenti simpatici di uno spettatore imparziale” Nella “teoria dei
sentimenti morali” Adam Smith presenta una concezione della simpatia
alternativa a quella di Hume. Infatti, a Smith non interessa la simpatia
come contagio emozionale, ma anzi la identifica come una specie di
emozione che si prova quando si concorda con le emozioni e passioni
altrui. Provare simpatia per qualcuno significa provare piacere su nel
condividere emotivamente la risposta che l'altro dà alla situazione. In
Smith, approvare moralmente una condotta significa simpatizzare con essa.
(polemica con Hume sul piacere, pag. 53- 54) Per Smith la simpatia si
presenta come uno stato complesso e articolato: vi è un primo stadio che
è la capacità di ricostruire la passione e condotta dell'altro, o
spiacevole se comporta sofferenza o piacevole se provoca gioia; un
secondo stadio dato dall'approvazione o disapprovazione che si dà della
condotta altrui; infine, uno stadio in cui si troverà un piacere simpatetico,
se le nostre approvazioni concordano e un dispiacere se discordano.
Considerando la simpatia come approvazione, Smith cattura una nozione più
determinata di quella generica analizzata da Hume, ma molto più aperta
per ciò che riguarda il ruolo che gioca in essa l'immaginazione. La simpatia
come approvazione morale in Smith si allarga ad includere in ogni
relazione simpatetica l'intervento di uno spettatore immaginario capace
di far valere le esigenze di una più completa ricerca delle informazioni
rilevanti. (rif. pag. 56-58) “Una pietà o compassione per
l'umanità” Concezione diversa la possiamo trovare in Rousseau, il quale
si riferisce alla simpatia col ter. Grice: “While his research on sympathy is
erudite, he shows little sympathy! As far as his philosophy of laicity (an
Italian obsession) is concerned, he forgets for Romans religio WAS a matter of
state – those who did not submit were thrown to the lions!” – Grice: “Lecaldano
fails to recognize, but then he would, being a post-Lateran-pact traumatized
Italian – that not only religion was for the romans in the ‘eta antica’ a
matter of state, but that the STATE was a matter of religion. This was well
perceived by that branch of fascism who culticated the ‘paganismo’ which is a
misnomer and only applies to the birth of Christ! I would hardly say a Roman in
‘eta antica’ saw himself as ‘ethnic, ‘ethnicus, ennico, a pagan, or heathen!” Eugenio Lecaldano. Keywords: simpatia,
simpatico, antipatico, compassione, compassivo, empatia, impassibile,
transpatia, patia, patico, il patico, diapatia. Psi-transmission. Grice:
“Scheler uses ‘transpathy,’ but then he would use anything!” filosofi italiani
della simpatia, croce, l’intersoggetivo, simpatia ed amore, empatia,
impassibile, im- negative, im- enfatico – teorie della simpatia morale in
Italia --. Lecaldano. Keywords: illuminati e illuministi --. Refs.: transpatia,
dia-pathia, trans-passione – trans-passio. Luigi Speranza, “Grice e Lecaldano”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753491208/in/dateposted-public/
Grice e
Livi – consenso sociale – filosofia italiana – l’aporia: se cristiano, non
filosofo. Luigi Speranza (Prato). Filosofo. Grice: “Livi is one of
the few Italian philosophers who have taken Moore’s ‘common-sense’ seriously!”
– Grice: “The way Livi justifies common-sense, not unlike Moore, is via a
principle of ‘coherence’” Allievo di Gilson, collabora con Fabro, Noce
edAgazzi. Inizia la scuola filosofica del senso comune, rappresentata dalla
ISCA (International Science and Common Sense Association), che ha come organo
ufficiale la rivista "Sensus communis -- Alethic Logic". Tra i suoi
numerosi discepoli o estimatori vi sono Renzi (autore di importanti saggi di
Storia della Metafisica), Bettetini, Arecchi, Spatola (psichiatra),
Covino ed Arzillo. Fondatore della casa
editrice Leonardo da Vinci, fu membro associato della Pontificia Accademia di
San Tommaso, decano e professore emerito della Facoltà di Filosofia della
Pontificia Università Lateranense. Firmò con Giovanni Paolo II alcune parti
dell'enciclica Fides et ratio. «Senso comune» è il termine utilizzato da
Livi in chiave anti-cartesiana per individuare le certezze naturali e
incontrovertibili possedute da ogni uomo. Non si tratta di una facoltà o di
strutture cognitive a priori, ma di un sistema organico di certezze universali
e necessarie che derivano dall'esperienza immediata e sono la condizione di
possibilità di ogni ulteriore certezza. Ha per primo precisato quali siano
queste certezze e ha provato con il metodo della presupposizione che esse sono
in effetti il fondamento della conoscenza umana. Il senso comune comprende
dunque l'evidenza dell'esistenza del mondo come insieme di enti in movimento;
l'evidenza dell'io, come soggetto che si coglie nell'atto di conoscere il
mondo; l'evidenza di altri come propri simili; l'evidenza di una legge morale che
regola i rapporti di libertà e responsabilità tra i soggetti; l'evidenza di Dio
come fondamento razionale della realtà, prima causa e ultimo fine, conosciuto
nella sua esistenza indubitabile grazie a una inferenza immediata e spontanea,
la quale lascia però inattingibile il mistero della sua essenza, che è la
Trascendenza in senso proprio. Queste certezze sono a fondamento di un sistema
di logica aletica su base olistica. Tra gli studi recenti sul sistema
della logica aletica elaborato da lui vanno ricordati i saggi di Agazzi, "Valori
e limiti del senso comune" (Franco Angeli, Milano), Ottonello
("Livi", in "Profili", Marsilio, Venezia ), Vassallo
("La riabilitazione del senso comune", in "Memoria e
progresso", Fede & Cultura, Verona), di Arzillo, “Il fondamento del
giudizio -- una proposta teoretica a partire dalla filosofia del senso comune (Vinci,
Roma ); Renzi, La logica aletica e la sua funzione critica -- analisi della
proposta di Livi (Vinci, Roma). Hanno scritto su Livi anche Andolfo (storico
della filosofia antica), Sacchi, Cottier, Fisichella, Galeazzi, Pangallo e
Possenti. Da Gilson, Fabro ed Agazzi ha appreso ad affrontare i problemi
essenziali della speculazione metafisica in dialogo con grandi filosofi antichi
(Platone, Aristotele, gli Stoici, Agostino), del Medioevo (Anselmo, Aquino,
Duns Scoto) e dell'età moderna (Vico, Kierkegaard, Rosmini-Serbati). Convinto
assertore del metodo realistico di interpretazione dell'esperienza, ne ha
difeso le ragioni utilizzando sistematicamente gli strumenti dialettici offerti
dai pensatori della scuola analitica. Suoi critici più intransigenti sono
stati, da una parte, l’idealista Severino, e dall'altra il caposcuola del
pensiero debole, Vattimo. Altri saggi: “Cistiano e filosofo -- il problema (L'Aquila:
Japadre); “Cristiano e comunista” (Torre
del Benaco: Colibrì); “Filosofia del senso comune -- Logica della scienza (Milano:
Ares); “Il senso comune tra razionalismo e scetticismo in Vico” (Milano:
Massimo); “Lessico filosofico latino” (Milano: Ares); “Il principio di coerenza
-- senso comune e logica epistemica” (Roma: Armando); “Aquino: filosofo” (Milano:
Mondadori); “La filosofia in eta antica” (Roma: Alighieri); “Dizionario storico
della filosofia, Roma: Alighieri); “La ricerca della verità” (Roma, Vinci, Verità
del pensiero (Fondamenti di logica aletica) Roma: Lateran University Press); “Razionalità
della fede nella Rivelazione -- Un'analisi filosofica alla luce della logica
aletica” (Roma: Vinci); “La ricerca della verità -- Dal senso comune alla
dialettica” (Roma: Vinci); L'epistemologia di Aquino e le sue fonti” (Napoli: Comunicazioni
); “Senso comune e logica aletica” (Roma: Vinci); “Perché interessa la
filosofia e perché se ne studia la storia” (Roma: Vinci); “Storia sociale della
filosofia in eta antica: aspetti sociali” I: La filosofia antica e
medioevale; moderna; contemporanea, L'Ottocento; Il Novecento)
Roma: Alighieri); “Logica della testimonianza - quando credere è ragionevole” (Roma:
Lateran); “Senso comune e metafisica -- sullo statuto epistemologico della
filosofia prima” (Roma: Vinci); “Nuovo Dizionario storico della filosofia” (Roma,
Alighieri); “Premesse razionali della fede. Filosofi e teologi a confronto sui
praeambula fidei” (Roma: Lateran); “Etica dell'imprenditore. Le decisioni
aziendali, i criteri di valutazione e la dottirna sociale della Chiesa” (Roma: Vinci);
Dizionario critico della filosofia, Roma: Alighieri); “Teologia come braccio
della metafisica speziale” (Bologna: Edizioni Studio Domenicano); “Il senso
comune al vaglio della critica” (Roma: Vinci); “Filosofia del senso comune.
Logica della scienza e della fede” (Roma: Vinci); “Vera e falsa teologia. Come
distinguere l'autentica "scienza della fede" da un'equivoca
"filosofia religiosa" (Roma: Vinci); “L'istanza critica, Roma: Vinci);
“La certezza della verità. Il sistema della logica aletica e il procedimento
della giustificazione epistemica” (Roma: Vinci); “Dogma e pastorale.
L'ermeneutica del Magistero, dal Vaticano II al Sinodo sulla famiglia,
Roma:Vinci,. Le leggi del pensiero. Come la verità viene al soggetto” (Roma:
Vinci,. Teologia e Magistero” (Roma: Vinci); “Vera e falsa teologia. Come
distinguere l'autentica "scienza della fede" da un'equivoca
"filosofia religiosa", su Gli
equivoci della teologia morale dopo l’amoris Laetitia” (Roma: Vinci); “Aquino filosofo” in Antonio Piolanti San
Tommaso nella storia del pensiero” (Roma: Vaticana); “La filosofia di Etienne
Gilson", in Antonio Piolanti Etienne Gilson, filosofo cristiano, Roma: Vaticana,
"L'unità dell'esperienza nella
gnoseologia in Aquino", in Antonio Piolanti "Noetica, critica e
metafisica in chiave tomistica", Roma: Vaticana); “Senso comune e unità
delle scienze", in Rafael Martinez "Unità e autonomia del sapere: il
dibattito", Rome: Armando, E. Ledda, In memoriam: Corrispondenza Romana,
1º luglio. Sito di Antonio Livi su antoniolivi.com. Casa editrice Leonardo da
Vinci, su editriceleonardo.com. ISCA
International Science and Commonsense Association, su isca-news.org. Fides et
Ratio, su fidesetratio. Il Giudizio Cattolico, su ilgiudiziocattolico.com. Antonio
Livi. Keywords: ‘il senso commune in Vico” – Grice develops a sceptical defence
in his early “Common sense and scepticism,” “mainly motivated by what he sees
as a ‘cavalier attitude’ to the sceptic by, of all people, Malcolm.” – Grice:
“I’m not sure Livi would agree with my idea, but I think he would – certainly
Vico took the sceptic challenge possibly most seriously than anyone and Livi is
an expert on Vico. Vico’s line of defense lies on the connection, conceptual he
thinks, between ‘common sense’ and ‘consenso’: therefore, Malcolm and I have to
reach a consensus that we are going to use ‘know’ for things like ‘I know that
s is p,’ say, there is cheese on the table, there is a mermaid on the table.
Etc. And that “if I’m not dreaming” may not always be a conversationally
appropriate defeater!” – Livi. Keywords: consenso sociale, amoris laetitia,
Letizia dell’amore -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Livi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753478393/in/dateposted-public/
Leon
Grice e
Leoni – implicatura – filosofia italiana – il vincolo mi fa libero -- Luigi
Speranza (Ancona). Filosofo. Grice: “I love Bruno Leoni; my balance between
the principle of conversational self-love and the principle of conversational
benevolence is what all his philosophy is about!” – Grice: “Leoni has technical
concepts here: his is an individualism, i. e. subjectivisim, and he believes
that the ‘scambio’ or ‘inter-subjective,’ inter-individual exchange’ is
‘spontaneous – he calls it ‘ordine spontaneo.’ He doesn;’t see it necessarily
as ethical or meta-ethical – but descriptive; similarly I speak of
conversational maxims as different from ‘moral’ maxims!” “La situazione
paradossale del nostro tempo è che siamo governati da uomini non, come
pretenderebbe la classica teoria aristotelica, perché non siamo governati dal
diritto, ma esattamente perché lo siamo. Trascorse la sua vita tra Torino, Pavia,
e la Sardegna. Per le sue idee, viene associato ad un modello liberale e
anti-statalista della società. All'interno della filosofia del diritto, si inserisce nella tradizione del liberalismo
classico. Allievo di Solari, di cui fu pure assistente volontario, e collega di
Firpo, insegna a Pavia. Nel corso del conflitto, fece parte di A Force,
un'organizzazione segreta alleata incaricata di recuperare prigionieri e
salvare soldati. Inizia la sua attività accademica, insegnando Filosofia
del diritto e ricoprendo l'incarico di preside della facoltà di Scienze
Politiche. Muore in circostanze tragiche, ucciso. Un collaboratore del suo
studio legale, Quero, di professione tipografo ma che svolgeva amministrazioni
di condomini e palazzi, aveva perpetrato truffe e sottrazioni di denaro; quando
se ne accorse e minacciò di denunciarlo, Quero lo assassinò colpendolo ripetutamente
alla testa e nascose poi il corpo in un garage, inscenando un sequestro di
persona, ma venne subito scoperto. Negli anni della ricostruzione postbellica,
mentre in tutti i paesi europei si affermavano politiche economiche di stampo
statalista, andò controcorrente sostenendo il liberalismo, che ormai quasi più
nessuno era pronto a difendere.[senza fonte] Leoni criticava la logica
dell'intervento pubblico mentre esaltava la superiore razionalità e legittimità
degli ordini che emergono dal basso, per effetto del concorso delle volontà dei
singoli individui. Fondatore nel 1950 della rivista Il Politico, Leoni
svolse ugualmente un'intensa attività pubblicistica, soprattutto scrivendo
corsivi per il quotidiano economico Il Sole 24 ORE. Membro della «Mont Pelerin
Society» (di cui fu segretario e poi presidente), lo studioso torinese fu pure
molto impegnato nel Centro di Studi Metodologici della città piemontese e, in
seguito, nel Centro di Ricerca e Documentazione “Luigi Einaudi”. Studioso
poliedrico (giurista e filosofo, ma anche appassionato cultore della scienza
politica e della teoria economica, oltre che della storia delle dottrine
politiche), nel corso degli anni cinquanta e sessanta Leoni promosse le idee
liberali all'interno della cultura italiana: proponendo temi ed autori del
liberalismo contemporaneo, ma soprattutto aprendo prospettive ad una concezione
della società centrata sulla proprietà privata e il libero mercato. Per
comprendere quanto sia stata importante la sua azione tesa a favorire una
migliore conoscenza delle tesi più innovative, è sufficiente scorrere l'indice
della rivista da lui diretta per molti anni, Il Politico, in cui diede spazio
ad autori spesso a quel tempo poco noti, ma desti segnare le scienze
economiche. Con i suoi studi, inoltre, Leoni apre la strada a molti
orientamenti: dalla Teoria della scelta pubblica all'Analisi economica del
diritto (filoni di ricerca che esaminano la politica ed il diritto con gli
strumenti dell'economia), fino all'indagine interdisciplinare di quelle
istituzionitra cui il diritto che si sviluppano non già sulla base di decisioni
imposte dall'alto, ma grazie ad un'intrinseca capacità di auto-generarsi ed evolvere
dal basso. E stato quasi dimenticato: soprattutto in Italia. La sua opera
più conosciuta (frutto di lezioni ). L’ndividualismo integrale di Leoni risulta
ben poco in sintonia con la cultura del suo tempo. Il liberalismo dell'autore
di Freedom and the Law è pervaso da quella cultura che egli assimilò in
profondità grazie all'intensa frequentazione di alcuni tra i maggiori studiosi
di quell'universo intellettuale. Inoltre, seguì sempre con il massimo
interesse i protagonisti della Scuola austriaca (Mises e Hayek, soprattutto)
cheanche se europei proprio in America hanno scritto alcuni dei loro maggiori
contributi e in quel contesto hanno trovato folte schiere di allievi. In questo senso, bisogna rilevare che il
percorso intellettuale di Leoni sarebbe stato molto differente senza la Mont
Pelerin Society, nei cui convegni egli ebbe l'opportunità di entrare in
contatto con intellettuali e scuole di pensiero estranei al clima dominante
nell'Italia di allora. Per molti decenni, in effetti, l'associazione fondata da
Hayek ha rappresentato un'occasione di scambi e approfondimenti per quanti
cercavano interlocutori radicati nella cultura del liberalismo classico.
Per alcuni decenni dimenticato o quasi in Italia, il pensiero di Leoni ha
continuato a vivere fuori dei nostri confinigrazie alle iniziative, ai libri e
agli articoli dei suoi amici e, oltre a loro, all'interesse che i suoi lavori
hanno saputo suscitare nelle nuove generazioni di studiosi liberali. A
partire dalla metà degli anni novanta, però, la situazione è cambiata sotto più
punti di vista. Grazie soprattutto alla pubblicazione de “La libertà e la
legge,” filosofi di vario orientamento sono tor riflettere sulle pagine del torinese, dando vita ad una vera e propria
"riscoperta" che sta producendo numerosi frutti e grazie alla quale
si va finalmente riconoscendo a Leoni la sua giusta posizione tra i maggiori
filosofi del XX secolo. Oggi Leoni non è più considerato semplicisticamente un
epigono di Hayek o un semplice ripetitore delle sue tesi. In questo
senso, è interessante rilevare che perfino intellettuali lontani dalle
posizioni liberali e libertarian di Leoni avvertano sempre più il carattere
innovativo del suo pensiero, che nell'ambito della filosofia del diritto ha
saputo offrire una prospettiva alternativa ai modelli kelseniani del
normativismo dominante e all'ispirazione social-democratica che ancora prevale
all'interno delle scienze sociali. In particolare, mentre nel corso degli
ultimi due secoli il diritto è stato ripetutamente identificato con la semplice
volontà degli uomini al potere, uno dei contributi maggiori di Leoni è quello
di aver indicato un altro modo di guardare alla ‘norma giuridica’, sforzandosi
di cogliere ciò che vi è oltre la volontà dei politici e ben oltre la stessa
legislazione. Per questa ragione, si guarda alla teoria di Leoni come ad una
radicale alternativa rispetto al normativismo formulato da Kelsen, più volte criticato
da Leoni. Quella di Leoni, per giunta, è ancora oggi una proposta teorica
talmente liberale da indurre più di uno studioso a parlare di “La liberta e la
legge” come di un classico della tradizione libertarian, al cui interno sono
racchiuse idee e intuizioni che restiamo ben lontani dall'aver compreso e
sviluppato in tutte le loro potenzialità. Al fine di tenere viva la
lezione dell'autore è stato fondato l'Istituto Bruno Leoni, con sedi a Torino e
a Milano (animato da Lottieri, Mingardi e Stagnaro), che si propone di
affermare, all'interno del dibattito politico-economico, i principii liberali
difesi da Leoni stesso e di promuovere la conoscenza del pensiero di Leoni e,
in generale, delle teorie liberali e libertarian. Saggi: “Lo stato” (Soveria
Mannelli, Rubbettino); “Filosofia del diritto” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “La
libertà e la legge, InMacerata, Liberilibri); “Scienza politica e teoria del
diritto” (Milano, Giuffrè); “Le pretese e i poteri: le radici individuali del
diritto e della politica” (Milano, Società Aperta); “La sovranità del consumatore”
(Roma, Ideazione); “La libertà del
lavoro” collana IBL “Diritto, Mercato, Libertà”, Treviglio Soveria Mannelli,
Leonardo Facco Rubbettino, “Il diritto
come pretesa, A. Masala (Macerata, Liberi); Il pensiero politico moderno e
contemporaneo, A. Masala, Bassani, Macerata, Liberilibri, Istituto Bruno Leoni. L'idea di uno stato
privo di co-ercizioni nella filosofia del diritto; Un "austriaco" di
adozione Articolo su l'Unità. Il Luogo
dei Ricordi di O. Quero, su in mia memoria.com. Tra i pochissimi, in Italia,
che hanno continuato a sviluppare le ricerche di Leoni è da ricordare Stoppino.
Per merito di Cubeddu, che ha anche dedicato molti saggi e articoli alla teoria
leoniana. E necessario liberarelo dall'ombra
di Hayek, rendendo in tal modo possibile una più adeguata valutazione delle sue
tesi e del suo originalissimo contributo all'elaborazione di una filosofia del
diritto coerente con i principi del liberalismo e con i suoi stessi esiti
libertari. Masala, Il liberalismo (Soveria Mannelli, Rubbettino); la prima
monografia su Leoni. Antonio Masala La
teoria politica (Soveria Mannelli, Rubbettino); Lottieri, “Libertà e stato” in
Antonio Masala, a cura di, La teoria politica; Soveria Mannelli, Rubbettino, Lottieri,
Le ragioni del diritto. Libertà e ordine giuridico” (Soveria Mannelli,
Rubbettino); Approfondisce il tema di un libertarismo non ancora compiutamente
espresso in Leoni, ma già ampiamente riconoscibile nelle sue tesi fondamentali.
Favaro, Bruno Leoni. Dell'irrazionalità della legge per la spontaneità
dell'ordinamento, della Collana “L'Ircocervo. Saggi per una storia filosofica
del pensiero giuridico e politico italiano contemporaneo”, Napoli, ESI, Adriano
Gianturco Gulisano, Tra positivismo e giusnaturalismo. Il diritto evolutivo,
Foedrus. Gulisano, La «teoria empirica» di Leoni. La centralità dell'approccio
metodologico, Biblioteca delle liberta. Riscoprire Bruno Leoni, su
riscoprire.brunoleoni.com.Bruno Leoni, Bruno Leoni. Leoni. Keywords:
implicatura, freedom, il concetto di ‘freedom’ in Grice e il liberalism
italiano – il concetto di Freiheit in Kant e la tradizione liberale, Croce,
Enaudi, il partito liberale italiano, partito nazionale fascista,
protezionismo, fascismo, storia d’italia, storia del liberalismo italiano,
libero e vincolato, libero e fozato, libero e spontaneo -- Refs: Luigi Speranza, “Grice e Leoni” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685914949/in/photolist-2mRfi2Y-2mPYm4t-2mPyn68-2mPvJmk-2mKG3XG-2mKCfz1-2mKjsJY-2mKiPND-2mKbkhx-2mGnP2f-FcjdXJ-BxHGdd-BxCUgb-ACv1g9-BA2zDn-BzWNZR-ofSByR-ofNLLd-o6agE8-nND5Qv-jkUGMH-jkV9Zd-jrVuv1-jkXxGA-jhPgvk-jfN5te-hpMRc6
Grice e
Leoni – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Spoleto).
Filosofo. Grice: “In Italy, they like ‘renaissance men,’ but there’s a peril in
that: Leoni was a philosopher and a physician (to Medici) – when he died,
Medici did, Leoni was accused of malpractice (poisoning), strangled to death,
and thrown into a ditch. Categorie: philosophers in ditch – Thales, Leoni.” Di
famiglia aristocratica, studia a Roma. Insegna a Padova e Pisa. Fu qui che ebbe modo di entrare in contatto
con la cerchia di filosofi che gravitavano attorno a Lorenzo de’ Medici, a
Firenze. Inizia ad avere contatti e una fitta corrispondenza con Ficino e Pico. Venne considerato dai suoi contemporanei uno
dei più valenti uomini di scienza esistenti all'epoca. I più illustri
personaggi e sovrani dell'epoca, come il duca di Calabria, il re di Napoli,
Ludovico il Moro, forse anche IInnocenzo VIII, richiesero le sue cure, tanto
che divenne il medico personale dello stesso Lorenzo de Medici. All'indomani della morte di Lorenzo de Medici
venne ingiustamente sospettato di essere stato il responsabile del suo
avvelenamento, e venne quindi strangolato e gettato in un pozzo il giorno
seguente. Diverse fonti dell'epoca
sostengono che il mandante dell'uccisione del Pierleoni fosse stato il
figlio di Lorenzo, Piero il Fatuo. F.
Bacchelli, Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in. Dagli Annali di Ser Francesco Mugnoni da Trevi,
trascriz. D.Pietro Pirri (Estratto dall'Archivio per la Storia Ecclesiastica dell'Umbria):
"Era adpresso del dicto Lorenzo uno excellentissimo et famosissimo medico
de grandissima scientia in loica, in filosofia, strologia, nominato magistro
Pierleone de leonardo da Spolitj, reputato el più singulare valente homo in
dicte scientie che ogie dì viva. Era quisto homo in tanto prezzo adpresso del
dicto Lorenzo che, senza quisto clarissimo doctore, non podiva stare. Fo
conducto ad Pisa ad legere, ebbe mille ducatj de provisione per anno: poj fo
conducto ad Padua, ebbe mille et ducento ducatj per anno. Ad Pisa stecte multi
annj ad legere: et similemente ad Padua."
dagli Annali di Ser Francesco Mugnoni da Trevi, trascriz. D.Pietro Pirri
(Estratto dall'Archivio per la Storia Ecclesiastica dell'Umbria. "Lorenzo se amalò, mandò per luj, et andò
ad Fiorenza. Era quisto mastro Pierleone de tanta scientia de strologia, che
predisse la morte sua essere infra quatro misi. Et anda mal voluntierj ad
Fiereze. Tandem jonto ad Fiorenze trovò Lorenzo stare male: erano lì clarissimj
medicj et valentj et excellentj: poj ce venne el medico del duca de Milano: et
predisse mastro Perleone la morte de Lorenzo. Ipso non prestò may et non se mestecù
in alcuna medicina ne potione sue. Il cronista forse vuol dire che il Leoni non
s'ingerì affatto in ciò che riguardava l'assistenza sanitaria dell'infermo,
limitando l'opera sua alla pura diagnosi della malattia ed a consultazioni
astrologiche. E con ciò vuol, forse, velatamente intendere che niente ebbe a che
vedere Pierleone con quelle strane pozioni a base di gemme e perle triturate
somministrate da un altro medico, il Piacentino, le quali, attese le lesioni
viscerali che tormentavano il paziente, servirono forse ad accelerarne il
tracollo) ma solo ipso in consulendo et predicendo. Tandem venendo alla morte
Lorenzo, Perino, figliolo del dicto Lorenzo, homo de poca prudentia, reputato
homo bestiale et senza prudentia, ordinò che el dicto mastro Perleone fosse
morto. Lorenzo era in villa ad uno suo casale, et lì tucto dì stava mastro
Perleone. Essendo morto Lorenzo, et lì insino alla sera stando mastro Perleone,
volendo tornare luj allu solito loco, fo menato per uno Carlo o vero Alberto
martellj ad uno suo casale, et lì fo strangulato dicto mastro Perleone, et
buctato in uno pozo. Poj fo retracto et portato in Fierenze, et retenuto el suo
corpo con guardia et veneratione assay. Et de tanto tradimento et iniusta morte
se ne dolse tucta la ciptà, perché la bona memoria de Lorenzo amava quisto omo
più che homo vivesse, et tucti li secretj soj sapiva, savio, sapientissimo et
pieno de verità, bontà et integrità."
Nella sua "Storia della Letteratura Italiana" Tiraboschi
(Firenze, Molini Landi) riporta fonti dell'epoca, fra cui Scipione Ammirato. Cavossi
voce che egli vi si fosse gittato da se medesimo ma si rinvenne esservi gittato
da altri, secondo dice il Cambi, da due famigliari di Lorenzo". Lo stesso
testo riporta le affermazioni del Sanazzaro, il quale "non nomina l'autore
di questo misfatto. Ma è chiaro abbastanza ch'ei parla di Pietro de Medici,
figliuol di Lorenzo", e di Allegretti, storico senese contemporaneo di
Pierleoni, che riporta. Maestro Pier Leone da Spoleto, che lo medica (si
riferisce a Lorenzo) e gittato in un pozzo, perché e detto, che l'ha avvelenato,
nientedimeno si conclude per molti non esser vero. Dizionario Biografico degli
Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Corti M.: Sannazaro
Iacobo. Branca V: Dizionario critico della letteratura italiana. POMBA, Torino,
Cotta I., Klien F.: I Medici in rete” (Olschki, Firenze); C. Dionisotti, “Appunti
sulle rime del Sannazaro”, Giornale storico della Letteratura italiana, A. Mauro,
“Opere volgari” (Laterza, Bari); A. Montevecchi, “Storie fiorentine” (Rizzoli, Milano);
A. Nibby, “Analisi storico-topografica-antiquaria della carta de' dintorni di
Roma” (Belle Arti, Roma); H. Orio, “Le iscrittioni poste sotto le vere imagini
de gli huomini famosi il lettere” (Torrentino, Firenze); T. Pesenti, Professori
e promotori di medicina nello Studio di Padova, Repertorio bio-bibliografico, G. Radetti, Un'aggiunta
alla biblioteca di Pierleone Leoni da Spoleto. In.: Rinascimento: Rivista
dell'Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, Firenze, Ranalli F.: Istorie
Fiorentine con l'aggiunte di Scipione Ammirato il giovane, Batelli, Firenze, Rotzoll
M.: Pierleone da Spoleto: vita e opere di un medico del Rinascimento. Olschki,
Firenze. Achille Sansi: Storia del comune di Spoleto dal secolo XII al XVII:
seguita da alcune memorie dei tempi posteriori.
Pierleone Leoni, Piero Leoni, Pierleone, Pier Leone. Leone. Keywords.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Leoni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754095405/in/dateposted-public/
Grice e Leopardi – il favoloso – Leopardi
fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Recanati). Filosofo. Grice: “Oddly,
Leopardi’s philosophical semantics is negative; admittedly, he is wedded to the
Fido-‘Fido’ theory of meaning, so he thinks, pretty much like the first
Vitters, that language is a prison. Man has a need for ‘non-linguistic
thought,’ to think without naming – without conceptualizing! The oddest
philosophy of language for Italy’s greatest poet, one would first think!” -- Grice: “One could write a whole
dissertation on Leopardi’s implicata – not I My favourite expression would be
‘gli infiniti silenzi’” -- Grice: “While there is a philosophical griceianism,
seeing that my theories were stolen by non-philosophers, there is ‘leopardismo
filosofico,’ seeing that he wasn’t one!” -- essential Italian philosopher, and
founder of a whole movement, ‘leopardismo.’
Il conte Giacomo Leopardi, al battesimo Giacomo Taldegardo
Francesco di Sales Saverio Pietro Leopardi (Recanati), filosofo. È ritenuto il maggior poeta dell'Ottocento
italiano e una delle più importanti figure della letteratura mondiale, nonché
una delle principali del romanticismo letterario; la profondità della sua
riflessione sull'esistenza e sulla condizione umanadi ispirazione sensista e
materialistane fa anche un filosofo di spessore. La straordinaria qualità
lirica della sua poesia lo ha reso un protagonista centrale nel panorama
letterario e culturale europeo e internazionale, con ricadute che vanno molto
oltre la sua epoca. Leopardi, intellettuale dalla vastissima cultura,
inizialmente sostenitore del classicismo, ispirato alle opere dell'antichità
greco-romana, ammirata tramite le letture e le traduzioni di Mosco, Lucrezio,
Epitteto, Luciano ed altri, approdò al Romanticismo dopo la scoperta dei poeti
romantici europei, quali Byron, Shelley, Chateaubriand, Foscolo, divenendone un
esponente principale, pur non volendo mai definirsi romantico. Le sue posizioni
materialistederivate principalmente dall'Illuminismosi formarono invece sulla
lettura di filosofi come il barone d'Holbach, Pietro Verri e Condillac, a cui
egli unisce però il proprio pessimismo, originariamente probabile effetto di
una grave patologia che lo affliggeva ma sviluppatesi successivamente in un
compiuto sistema filosofico e poetico. Morì noco prima di compiere 39 anni, di
edema polmonare o scompenso cardiaco, durante la grande epidemia di colera di
Napoli. Il dibattito sull'opera leopardiana a partire dal Novecento,
specialmente in relazione al pensiero esistenzialista fra gli anni trenta e
cinquanta, ha portato gli esegeti ad approfondire l'analisi filosofica dei
contenuti e significati dei suoi testi. Per quanto resi specialmente nelle
opere in prosa, essi trovano precise corrispondenze a livello lirico in una
linea unitaria di atteggiamento esistenziale. Riflessione filosofica ed empito
poetico fanno sì che Leopardi, al pari di Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche
e più tardi di Kafka, possa essere visto come un esistenzialista o almeno un
precursore dell'Esistenzialismo. Giacomo Leopardi nacque nel 1798 a
Recanati, nello Stato pontificio (oggi in provincia di Macerata, nelle Marche),
da una delle più nobili famiglie del paese, primo di dieci figli. Quelli che
arrivarono all'età adulta furono, oltre a Giacomo, Carlo, Paolina, Luigi, e
Pierfrancesco. I genitori erano cugini fra di loro. Il padre, il conte Monaldo,
figlio del conte Giacomo e della marchesa Virginia Mosca di Pesaro, era uomo
amante degli studi e d'idee reazionarie; la madre, la marchesa Adelaide Antici,
era una donna energica, molto religiosa fino alla superstizione, legata alle
convenzioni sociali e ad un concetto profondo di dignità della famiglia, motivo
di sofferenza per il giovane Giacomo che non ricevette tutto l'affetto di cui
sentiva il bisogno. In conseguenza di alcune speculazioni azzardate fatte
dal marito, la marchesa prese in mano un patrimonio familiare fortemente
indebitato, riuscendo a rimetterlo in sesto solo grazie a una rigida economia
domestica. La rigidità della madre, contrastante con la tenerezza del padre, i
sacrifici economici e i pregiudizi nobiliari pesarono sul giovane
Giacomo. Fino al termine dell'infanzia Giacomo crebbe comunque allegro,
giocando volentieri con i suoi fratelli, soprattutto con Carlo e Paolina che
erano più vicini a lui d'età e che amava intrattenere con racconti ricchi di
fervida fantasia. La formazione giovanile La casa natale Ricevette
la prima educazione, come da tradizione familiare, da due precettori
ecclesiastici, il gesuita don Giuseppe Torres fino al 1808 e l'abate don Sebastiano
Sanchini che influirono sulla sua prima formazione con metodi improntati alla
scuola gesuitica. Tali metodi erano incentrati non solo sullo studio del
latino, della teologia e della filosofia, ma anche su una formazione
scientifica di buon livello contenutistico e metodologico. Nel Museo
leopardiano a Recanati è conservato, infatti, il frontespizio di un trattatello
sulla chimica, composto insieme al fratello Carlo. I momenti significativi
delle sue attività di studio, che si svolgono all'interno del nucleo familiare,
sono da rintracciare nei saggi finali, nei componimenti letterari da donare al
padre in occasione delle feste natalizie, la stesura di quaderni molto ordinati
ed accurati e qualche composizione di carattere religioso da recitare in
occasione della riunione della Congregazione dei nobili. Il ruolo avuto
dai precettori non impedì, comunque, al giovane Leopardi di intraprendere un
suo personale percorso di studi avvalendosi della biblioteca paterna molto
fornita (oltre ventimila volumi) e di altre biblioteche recanatesi, come quella
degli Antici, dei Roberti e probabilmente da quella di Giuseppe Antonio Vogel,
esule in Italia in seguito alla Rivoluzione francese e giunto a Recanati come
membro onorario della cattedrale della cittadina. Compone il sonetto intitolato
La morte di Ettore che, come lui stesso scrive nell'Indice delle produzioni di
me Giacomo Leopardi dall'anno 1809 in poi, è da considerarsi la sua prima
composizione poetica. Da questi anni ha inizio la produzione di tutti quegli scritti
chiamati "puerili". La produzione dei "puerili"
Puerili e abbozzi vari Il corpus delle opere cosiddette "puerili" dimostra
come il giovane Leopardi sapesse scrivere in latino fin dall'età di nove-dieci
anni e padroneggiare i metodi di versificazione italiana in voga nel
Settecento, come la metrica barbara di Fantoni, oltre ad avere una passione per
le burle in versi dirette al precettore e ai fratelli. Iniziò lo studio della
filosofia e due anni dopo, come sintesi della sua formazione giovanile, scrisse
le Dissertazioni filosofiche che riguardano argomenti di logica, filosofia,
morale, fisica teorica e sperimentale (astronomia, gravitazione, idrodinamica,
teoria dell'elettricità, eccetera). Tra queste è nota la Dissertazione sopra l'anima
delle bestie. Con la presentazione pubblica del suo saggio di studi che
discusse davanti ad esaminatori di vari ordini religiosi ed al vescovo, si può
far concludere il periodo della sua prima formazione che è soprattutto di tipo
sei-settecentesco ed evidenzia l'amore per l'erudizione oltre che uno spiccato
gusto arcadico. Si immerse totalmente in uno "studio matto e
disperatissimo" espressione da lui stesso coniata, che assorbì tutte le
sue energie e che recò gravi danni alla sua salute. Apprese perfettamente il
latino (sebbene si considerasse sempre "poco inclinato a tradurre" da
questa lingua in italiano) e, senza l'aiuto di maestri, il greco. Seppure in
modo più sommario apprese anche altre lingue: l'ebraico, il francese, l'inglese,
lo spagnolo e il tedesco (nello Zibaldone si trovano inoltre cenni ad altre
lingue antiche, come il sanscrito). Nel frattempo cessa la formazione
dell'abate Sanchini, il quale ritenne inutile continuare la formazione del
giovane che ne sapeva ormai più di lui. Risalgono a questi anni la Storia
dell'astronomia, il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, diversi
discorsi su scrittori classici, alcune traduzioni poetiche, alcuni versi e tre
tragedie, mai rappresentate durante la sua vita, La virtù indiana, Pompeo in
Egitto e Maria Antonietta (rimasta incompiuta). Per quanto riguarda la
compilazione della Storia dell'astronomia Leopardi si avvalse di numerose
fonti: il testo di base fu sicuramente la Storia dell’astronomia di Bailly,
ridotta in compendio dal signor Francesco Milizia, a partire dalle Histoires
del celebre astronomo francese Jean Sylvain Bailly. L'opera termina con la
scoperta del pianeta Urano da parte di Herschel. Invece il lavoro di Leopardi
presenta ulteriori aggiornamenti, come ad esempio la scoperta di Cerere,
Pallade, Giunone e della cometa. Per l'elaborazione del suo testo, Leopardi
fece uso, anche, dell’Abrégé d’astronomie di Jérôme Lalande (presente nella
biblioteca di casa Leopardi), del Dictionnaire de Physique di Aimé-Henri
Paulian e delle storie di matematica inserite nel Tacquet e nel Wolff. Inoltre
Leopardi adoperò diverse opere generali come la Storia della letteratura
italiana di Girolamo Tiraboschi, gli Scrittori d’Italia di Mazzuchelli e varie
raccolte biografiche di alcuni ordini religiosi: Wadding per i francescani,
Quétif e Échard per i domenicani e così via. L'elenco di questi testi dimostra
l’erudizione raggiunta dal giovane Leopardi. Nella Storia dell'astronomia
Leopardi lasciò anche trasparire i limiti del suo interesse per la matematica.
Nulla, probabilmente sapeva a proposito dei logaritmi (ai quali invece il
Bailly-Milizia aveva dedicato due pagine illustratrici), e sull'argomento si
limitò a scrivere che «Enrico Briggs avendo udita la invenzione de’ logaritmi
fatta da Giovanni Neper» aveva pubblicato un’opera al riguardo. Probabilmente
infatti Leopardi non studiò mai i logaritmi, così come si arrestò alla
geometria cartesiana e al calcolo differenziale. Iniziò nello stesso periodo anche le prime
pubblicazioni e lavorò alle traduzioni dal latino e dal greco, dimostrando
sempre di più il suo interesse per l'attività filologica. Sono questi anche gli
anni dedicati alle traduzioni dal latino e dal greco, corredate di discorsi
introduttivi e di note, tra i quali gli Scherzi epigrammatici, tradotti dal
greco e pubblicati in occasione delle nozze Santacroce-Torre dalla Tipografia
Frattini di Reca, la Batracomiomachia e pubblicata su «Lo Spettatore italiano»,
gli idilli di Mosco, il Saggio di traduzioni dell'Odissea, la Traduzione del
libro secondo dell'Eneide, il Moretum (un poemetto pseudo-virgiliano), e la
Titanomachia di Esiodo, pubblicata su «Lo Spettatore italiano». La conversione
letteraria: dall'erudizione al bello Tra Si avverte in Leopardi un forte cambiamento,
frutto di una profonda crisi spirituale, che lo porterà ad abbandonare
l'erudizione per dedicarsi alla poesia. Egli si rivolge, pertanto, ai classici
non più come ad arido materiale adatto a considerazioni filologiche, ma come a
modelli di poesia da studiare. Seguiranno le letture di autori moderni come
Alfieri, Parini,[40] Foscolo e Vincenzo Monti, che serviranno a maturare la sua
sensibilità romantica. Ben presto egli legge I dolori del giovane Werther di
Goethe, le opere di Chateaubriand, di Byron, di Madame de Staël. In questo modo
Leopardi inizia a liberarsi dall'educazione paterna accademica e sterile, a
rendersi conto della ristrettezza della cultura recanatese ed a porre le basi
per liberarsi dai condizionamenti familiari. Appartengono a questo periodo
alcune poesie significative come Le Rimembranze, L'Appressamento della morte e
l'Inno a Nettuno, nonché la celebre e non pubblicata Lettera ai compilatori
della Biblioteca Italiana, indirizzata ai redattori della rivista milanese, in
risposta alla lettera Sulla maniera e utilità delle traduzioni di Madame de
Staël, apparsa sul primo numero, nel gennaio dello stesso anno. Destinato dal
padre alla carriera ecclesiastica per la sua fragile salute, rifiuterà di
intraprendere questa strada. Fu colpito da alcuni seri problemi fisici di tipo
reumatico e disagi psicologici che egli attribuì almeno in partecome la
presunta scoliosiall'eccessivo studio, isolamento ed immobilità in posizioni
scomode delle lunghe giornate passate nella biblioteca di Monaldo. La malattia
esordì con affezione polmonare e febbre e in seguito gli causò la deviazione
della spina dorsale (da cui la doppia "gobba"), con dolore e
conseguenti problemi cardiaci, circolatori, gastrointestinali (forse colite
ulcerosa o malattia di Crohn) e respiratori (asma e tosse), una crescita
stentata, problemi neurologici alle gambe (debolezza, parestesia con freddo
intenso[44]), alle braccia ed alla vista, disturbi disparati e stanchezza
continua. Era convinto di essere sul punto di morire. Il marchese Filippo
Solari di Loreto scrive poco dopo a Monaldo Leopardi: «L'ho lasciato sano e
dritto, lo trovo dopo cinque anni consunto e scontorto, con avanti e dietro
qualcosa di veramente orribile.» Egli stesso si ispira a questi seri
problemi di salute, di cui parlerà anche a Pietro Giordani, per la lunga
cantica L'appressamento della morte e, anni dopo, per Le ricordanze, in cui
ripensa a questo e definisce la sua malattia come un "cieco malor",
cioè un male di non chiara origine, che gli fa pensare al suicidio assieme
all'angusto ambiente: «Mi sedetti colà su la fontana / Pensoso di cessar dentro
quell'acque la speme e il dolor mio. Poscia, per cieco malor, condotto della
vita in forse, piansi la bella giovanezza, e il fiore de' miei poveri dì, che
sì per tempo cadeva. L'ipotesi più accreditata per lungo tempo (diffusa e
sostenuta da medici di Recanati e da Pietro Citati) è che Leopardi soffrisse
della malattia di Pott (gli studiosi scartano la diagnosi dell'epoca, più volte
riproposta anche nel Novecento, di una normale scoliosi dell'età evolutiva),
cioè tubercolosi ossea o spondilite tubercolare, oppure dalla spondilite
anchilosante giovanile (secondo ErikSganzerla), una sindrome reumatica
autoimmune che porta a una progressiva ossificazione dei legamenti vertebrali
con deformazione e rigidità del rachide, uniti ad ampi disturbi infiammatori
sistemici, oculari e neurologici-compressivi in casi gravi, il tutto unitamente
a problemi nervosi. Alcune di queste sindromi hanno predisposizione genetica,
derivabile dal matrimonio tra consanguinei dei genitori. Tutti i fratelli
Leopardi furono deboli di salute, con l'eccezione di Carlo, forse però sterile,
e Paolina, la quale presentava solo una leggera asimmetria del viso. Pietro
Citati afferma che avesse anche dei disturbi urinari e di probabile impotenza,
e sarebbero stati questi, più che l'aspetto fisico (a cui poteva ovviare
essendo un nobile benestante) la causa del suo rapporto difficile con le donne
e la sessualità. Nel decennio seguente l'apparire dei disturbi, alcuni medici
fiorentini, come altri medici consultati in gioventù, a parte la deformità
fisica asserirannoprobabilmente in maniera erroneache numerosi disturbi del
Leopardi erano dovuti a neurastenia di origine psicologica (sempre in questo
periodo comincia a soffrire di crisi depressive che taluni attribuiscono
all'impatto psicologico della malattia fisica), come lui stesso a tratti
sostenne, anche contro il parere di numerosi dottori. «Ma io non aveva
appena vent’anni, quando da quella infermità di nervi e di viscere, che
privandomi della mia vita, non mi dà speranza della morte, quel mio solo bene
mi fu ridotto a meno che a mezzo; poi, due anni prima dei trenta, mi è stato
tolto del tutto, e credo oramai per sempre.» (Lettera dedicatoria dei Canti,
agli amici di Toscana) Secondo il neurologo Sganzerla, propositore della tesi
sulla spondilite al posto della tubercolosi, Leopardi non mostrava invece alcun
segno di vera depressione psicotica, sfatando il mito sostenuto da Citati e dai
lombrosiani come Patrizi e Sergi. Queste patologie comunque, se non
condizionarono il suo pensiero in maniera diretta (come ribadito spesso da
Leopardi), influenzarono comunque il suo pessimismo filosofico e lo spinsero a
indagare le cause della sofferenza umana e il significato della vita da una
prospettiva originale, divenendo, come affermato dal critico Sebastiano
Timpanaro, "un formidabile strumento conoscitivo". Dopo il
primo passo verso il distacco dall'ambiente giovanile e con la maturazione di
una nuova ideologia e sensibilità che lo portò a scoprire il bello in senso non
arcaico, ma neoclassico, si annuncia quel passaggio dalla poesia di
immaginazione degli antichi alla poesia sentimentale che il poeta definì
l'unica ricca di riflessioni e convincimenti filosofici. E per Leopardi, che
giunto alle soglie dei diciannove anni aveva avvertito, in tutta la sua
intensità, il peso dei suoi mali e della condizione infelice che ne derivava,
un anno decisivo che determinò nel suo animo profondi mutamenti. Consapevole
ormai del suo desiderio di gloria ed insofferente dell'angusto confine in cui,
fino a quel momento, era stato costretto a vivere, sentì l'urgente desiderio di
uscire, in qualche modo, dall'ambiente recanatese. Gli avvenimenti seguenti
incideranno sulla sua vita e sulla sua attività intellettuale in modo
determinante. In questo periodo è anche la prima formulazione della
"teoria del piacere", una concezione filosofica postulata da Leopardi
nel corso della sua vita. La maggior parte della teorizzazione di tale
concezione è contenuta nello Zibaldone, in cui il poeta cerca di esporre in
modo organico la sua visione delle passioni umane. Il lavoro di sviluppo del
pensiero leopardiano in questi termini avviene. Scrisve al classicista Pietro
Giordani che aveva letto la traduzione leopardiana del II libro dell'Eneide e,
avendo compreso la grandezza del giovane, lo aveva incoraggiato. Ebbero inizio
così una fitta corrispondenza ed un rapporto di amicizia che durerà nel tempo. In
una delle prime lettere scritte al nuovo amico, il giovane Leopardi sfogherà il
suo malessere non con atteggiamento remissivo, ma polemico ed aggressive. Mi
ritengono un ragazzo, e i più ci aggiungono i titoli di saccentuzzo, di
filosofo, di eremita, e che so io. Di maniera che s'io m'arrischio di
confortare chicchessia a comprare un libro, o mi risponde con una risata, o mi
si mette in sul serio e mi dice che non è più quel tempo. Unico divertimento in
Recanati è lo studio: unico divertimento è quello che mi ammazza: tutto il
resto è noia» Egli vuole uscire da quel "centro dell'inciviltà e
dell'ignoranza europea" perché sa che al di fuori c'è quella vita alla
quale egli si è preparato ad inserirsi con impegno e con studio profondo. Fissa
le prime osservazioni all'interno di un diario di pensiero che prenderà poi il
nome di Zibaldone, in dicembre si innamorerà della cugina, provando per la
prima volta il sentimento d'amore. Pietro Giordani riconosce l'abilità di
scrittura di Leopardi e lo incita a dedicarsi alla scrittura; inoltre lo
presenta all'ambiente del periodico «Biblioteca Italiana» e lo fa partecipare
al dibattito culturale tra classicisti e romantici. Leopardi difende la cultura
classica e ringrazia Dio di aver incontrato Giordani che reputa l'unica persona
che riesce a comprenderlo. Il primo amore «Oimè, se quest'è amor, com'ei
travaglia!» (Il primo amore, v.3) Geltrude Cassi Lazzari con i
figli, illustrazione di Giuseppe Chiarini per la Vita di Giacomo Leopardi. Inizia
a compilare lo Zibaldone, nel quale registrerà le sue riflessioni, le note
filologiche e gli spunti di opere. Lesse la vita di Alfieri e compilò il
sonetto "Letta la vita scritta da esso" che toccava i temi della
gloria e della fama. Un altro avvenimento lo colpì profondamente: l'incontro,
nel dicembre dello stesso anno, con Geltrude Cassi Lazzari, una cugina di
Monaldo, che fu ospite presso la famiglia per alcuni giorni e per la quale
provò un amore inespresso. Scrisse in questa occasione il "Diario del
primo amore" e l'"Elegia I" che verrà in seguito inclusa nei
"Canti" con il titolo "Il primo amore". La posizione di
Leopardi verso il Romanticismo, che stava suscitando in quegli anni forti
polemiche ed aveva ispirato la pubblicazione del Conciliatore, va maturando e
se ne possono avvertire le tracce in numerosi passi dello Zibaldone ed in due
saggi, la Lettera ai Sigg. compilatori della "Biblioteca italiana", in
risposta a quella di Madama la baronessa di Staël, ed il Discorso di un
italiano attorno alla poesia romantica, scritto in risposta alle Osservazioni
di Di Breme sul Giaurro di Byron. Le due opere mostrano l'avversione, sul piano
più strettamente concettuale, al Romanticismo. La posizione di Leopardi rimane
fondamentalmente montiana e neoclassica. Tuttavia, come si vedrà, quello che
professava sulla pagina critica si rivelerà, poi, profondamente diverso dai
risultati ottenuti nella poesia dove i temi e lo spirito saranno, invece,
perfettamente in sintonia con la mentalità romantica. Aveva, intanto, scritto
le due canzoni ispirate a motivi patriottici All'Italia e Sopra il monumento di
Dante che stanno ad attestare il suo spirito liberale e la sua adesione a quel
tipo di letteratura di impegno civile che aveva appreso dal Giordani. Il suo
materialismo ateo si pone in contrapposizione al Romanticismo cattolico
predominante, dal quale lo separavano notevolmente anche il suo rifiuto di ogni
speranza di progresso nella conquista della libertà politica e dell'unità
nazionale, la sua mancanza di interesse per una visione storicistica del
passato e per le esigenze di popolarità e di realismo nei contenuti e nella
lingua. E il naufragar m'è dolce in questo mare.» (Giacomo Leopardi,
L'infinito, v.15). Si riacutizzarono i problemi agli occhi.Tra il luglio e
l'agosto progettò la fuga e cercò di procurarsi un passaporto per il
Lombardo-Veneto, da un amico di famiglia, il conte Saverio Broglio d'Ajano, ma
il padre lo venne a sapere e il progetto di fuga fallì. Fu nei mesi di
depressione che seguirono che il Leopardi elaborò le prime basi della sua
filosofia e, riflettendo sulla vanità delle speranze e l'ineluttabilità del
dolore, scoprì la nullità delle cose e del dolore stesso. Iniziò intanto la
composizione di quei canti che verranno in seguito pubblicati con il titolo di
Idilli e scrisse L'infinito, La sera del dì di festa, Alla luna
(originariamente, i titoli di queste ultime erano La sera del giorno festivo e
La ricordanza), La vita solitaria, Il sogno, Lo spavento notturno. Sono i
cosiddetti "primi idilli" o "piccoli idilli". Qui
confluirono i rimpianti per la giovinezza perduta e la presa di coscienza
dell'impossibilità di essere felici. Ottenne dai genitori il permesso di
recarsi a Roma, dove rimase dal novembre all'aprile dell'anno successivo,
ospite dello zio materno, Carlo Antici. A Leopardi Roma apparve squallida e
modesta al confronto con l'immagine idealizzata che egli si era figurata
studiando i classici. Lo colpirono la corruzione della Curia e l'alto numero di
prostitute che gli fece abbandonare l'immagine idealizzata della donna, come
scrive in una lettera al fratello Carlo. Rimase invece entusiasta della tomba
di Torquato Tasso, al quale si sentiva accomunato dall'innata infelicità (verso
il Tasso, che renderà protagonista di una delle Operette morali, sarà debitore
a livello stilistico e nella scelta di alcuni nomi più famosi dei suoi
componimenti, come Nerina e Silvia, tratti dall'Aminta). Nell'ambiente culturale
romano Leopardi visse isolato e frequentò solamente studiosi stranieri, tra cui
i filologi Christian Bunsen (poi ministro del regno di Prussia e fondatore
dell'Istituto di Archeologia a Roma) e Barthold Niebuhr; quest'ultimo si
interessò per farlo entrare nella carriera dell'amministrazione pontificia, ma
Leopardi rifiutò. Ritorna a Recanati dopo aver constatato che il mondo al di
fuori di esso non era quello sperato. Tornato a Recanati, Leopardi si dedicò
alle canzoni di contenuto filosofico o dottrinale compose buona parte delle
Operette morali. Lontano da Recanati: Milano, Bologna, Firenze, Pisa. Il poeta,
invitato dall'editore Antonio Fortunato Stella, si recò a Milano con l'incarico
di dirigere l'edizione completa delle opere di Cicerone ed altre edizioni di
classici latini e italiani. A Milano, però, egli non rimase a lungo perché il
clima gli era dannoso alla salute e l'ambiente culturale, troppo polarizzato
intorno al Monti, gli recava noia. Ritratto di Leopardi a metà degli anni '30,
da alcuni indicato come una realistica proto-fotografia, probabilmente una
riproduzione in eliografia (o altri tipi) di un'incisione; in alternativa
realizzata con la tecnica della camera oscura da artista: tramite bulino oppure
immagine fissata secondo il metodo di Joseph Nicéphore Niépce (sali d'argento o
bitume e lunga esposizione). Recanati, casa Leopardi. Decise, così, di
trasferirsi a Bologna dove visse (al numero 33 di via Santo Stefano), tranne
una breve permanenza a Reca mantenendosi con l'assegno mensile dello Stella e
dando lezioni private. Nell'ambiente bolognese Leopardi conobbe il conte Carlo
Pepoli, patriota e letterato, al quale dedicò un'epistola in versi intitolata
Al conte Carlo Pepoli che lesse il 28 marzo 1826 nell'Accademia dei Felsinei. Nell'autunno
iniziò a compilare, per ordine di Stella, una "Crestomazia",
antologia di prosatori italiani dal Trecento al Settecento alla quale fece
seguito una "Crestomazia" poetica. A Bologna conobbe anche la
contessa Teresa Carniani Malvezzi, della quale si innamorò senza essere
corrisposto. Leopardi frequentò i Malvezzi per quasi un anno, ma poi la donna
lo allontanò spinta anche dal marito, mal tollerante del fatto che il poeta si
trattenesse con la moglie fino alla mezzanotte.Leopardi si sfoga in una lettera
ad un corrispondente, usando parole molto dure verso di lei. Uscivano intanto
presso Stella le sue Operette morali. Frequentò anche la casa del medico
Giacomo Tommasini e strinse amicizia con la moglie Antonietta, patriota, e la
figlia Adelaide (coniugata Maestri), sue ammiratrici,[84][85] con la famiglia
Brighenti e la cantante modenese Rosa Simonazzi Padovani. Leopardi in un
ritratto postumo del 1845 (olio su tavola), commissionato da Antonio Ranieri al
giovane pittore Domenico Morelli sulla base della maschera mortuaria, del
ritratto di Leopardi sul letto di morte di Angelini e delle descrizioni fisiche
fatte da Ranieri, da Paolina, sorella di quest'ultimo; Morelli vi lavorò per
molto tempo, a causa delle insistenze di Ranieri sui particolari, ma alla fine
il quadro venne ritenuto, dal Ranieri stesso e da altri testimoni, come il più
fedele e realistico dei ritratti di Leopardi, con l'aspetto che aveva verso la
fine della sua vita, soprattutto nei tratti del volto, oltre che il vestiario e
l'acconciatura che portava negli anni napoletani; i critici hanno però
argomentato che sia un ritratto comunque "idealizzato", in quanto Morelli
non vide mai Leopardi dal vivo, ma solo nella maschera mortuaria in gesso e nei
ritratti eseguiti da altri. Nel giugno dello stesso anno si trasferì a Firenze,
dove conobbe il gruppo di letterati appartenenti al circolo Vieusseux tra i
quali Gino Capponi,[89] Giovanni Battista Niccolini (amico e corrispondente di
Ugo Foscolo allora esiliato a Londra), Pietro Colletta, Niccolò Tommaseo ed
anche il Manzoni, che si trovava a Firenze per rivedere dal punto di vista
linguistico i suoi Promessi Sposi. Divenne amico particolarmente del Colletta,
ma fu in buoni rapporti anche con Capponi e Manzoni, sebbene quest'ultimo non
condividesse le idee di Leopardi. Fu invece conflittuale il rapporto col
Tommaseo, cattolico liberale, ma fortemente avverso al razionalismo ed al
materialismo, il quale giunse a provare una forte avversione per Leopardi, attaccandolo
ripetutamente su vari giornali (anche se riconosceva l'abilità stilistica nella
prosa); Tommaseo arrivò a denigrare Leopardi per il suo aspetto fisico (cosa
che farà, però solo in lettere private rivolte ad altri, anche il Capponi
stesso irritato per la Palinodia). Leopardi risponderà nel 1836 con un
epigramma diretto contro Tommaseo, oltre che nell'ottava strofa della detta
Palinodia. Al marchese Gino Capponi. Nel novembre del 1827 si recò a Pisa, dove
rimase. Qui strinse un'affettuosa amicizia con la giovane cognata del padrone
del pensionato, Teresa Lucignani, a cui dedica una breve lirica rimasta a lungo
inedita. Grazie all'inverno mite, la sua salute migliorò e Leopardi tornò alla
poesia, che taceva dal 1823 (con l'eccezione della poco riuscita epistola in
versi Al conte Carlo Pepoli e del Coro di lo studio di Federico Ruysch
contenuto nel Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie delle Operette
morali); compose la canzonetta in strofe metastasiane Il Risorgimento e il
canto A Silvia (figura forse ispirata, secondo i critici che si basano su
appunti dello Zibaldone e dichiarazioni del fratello Carlo, alla figlia del
cocchiere di Monaldo, morta giovane, Teresa Fattorini), inaugurando il periodo
creativo detto dei Canti "pisano-recanatesi", chiamati anche
"grandi idilli", in cui il poeta si cimenta nella cosiddetta canzone
libera o leopardiana, il cui primo sperimentatore era stato Alessandro Guidi,
dalla cui lettura ne era venuto a conoscenza. Vaghe stelle dell'orsa, io non
credea tornare ancor per uso a contemplarvi» (Le ricordanze) Il periodo
di benessere era finito ed il poeta, colpito nuovamente dalle sofferenze e
dall'aggravarsi del disturbo agli occhi, fu costretto a sciogliere il contratto
con Stella e già durante l'estate del '28 si recò a Firenze nella speranza di
riuscire a vivere in modo indipendente. Chiese aiuto ad alcuni amici:
Tommasini,il più bello, gli propose una cattedra di Mineralogia e Zoologia a
Milano, ma il compenso era troppo basso e la materia poco consona alle conoscenze
di Leopardi; Bunsen gli offrì la possibilità di una cattedra a Bonn o Berlino,
ma il poeta dovette subito declinare l'invito, poiché il clima tedesco era
troppo rigido e freddo per la sua salute malferma. Leopardi allora progettò di
mantenersi con un lavoro qualsiasi, ma le sue condizioni di salute non gli
permisero nemmeno questo e fu quindi costretto a ritornare a Recanati, dove
rimase. In questi «sedici mesi di notte orribile. Si dedica nuovamente alla
poesia e scrisse alcune delle sue liriche più importanti, tra cui Le ricordanze
(la cui ultima parte è dedicata ad una giovane recanatese morta poco prima,
Maria Belardinelli, da Leopardi chiamata Nerina), La quiete dopo la tempesta,
Il sabato del villaggio, Il passero solitario (forse su un abbozzo giovanile) e
il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia. Queste poesie, a lungo
denominate dai critici "grandi idilli" o anche "secondi
idilli", sono ora conosciute, insieme ad A Silvia anche come "canti
pisano-recanatesi". In questo
periodo l'insofferenza per la sua città natale, da lui definita "natio
borgo selvaggio", aumenta, proporzionalmente all'avversione per i
recanatesi (gente zotica, vil), che lo ritenevano un intellettuale superbo, tanto
che anche i ragazzini del paese, secondo testimonianze postume, cantavano in
sua presenza canzoncine denigranti del tipo: "Gobbus esto fammi un
canestro, fammelo cupo gobbo fottuto. A Firenze dal Perì l'inganno estremo,
ch'eterno io mi credei.» (A se stesso). Fanny Targioni Tozzetti Intanto, il
Colletta, al quale il poeta scriveva della sua vita infelice, gli offrì, grazie
ad una sottoscrizione degli "amici di Toscana", l'opportunità di
tornare a Firenze, dove fu eletto socio dell'Accademia della Crusca. Per
mantenersi accettò la sottoscrizione e progettò un giornale che avrebbe curato
quasi da solo, Lo spettatore fiorentino, ma che non realizzerà a causa della
burocrazia e del timore della censura. A Firenze cura un'edizione dei
"Canti", partecipò ai convegni dei liberali fiorentini e strinse
infine una salda amicizia col giovane esule napoletano Antonio Ranieri, futuro
senatore del Regno d'Italia, che durerà fino alla morte. Grazie alla fama di
personalità liberale, fu eletto deputato dell'assemblea del governo provvisorio
di Bologna (sorto dai moti), su designazione del Pubblico Consiglio di
Recanati, ma non fa in tempo ad accettare la nomina (peraltro mai richiesta)
che gli austriaci restaurano il governo pontificio. I genitori decidono infine
di concedergli un modesto assegno mensile che gli permette di sopravvivere;
Leopardi accetta ma, reputandolo umiliante, decide di non tornare mai più a
Recanati. Risale sempre a questo periodo la forte passione amorosa per Fanny
Targioni Tozzetti (terzo e ultimo amore secondo i biografi, dopo la Cassi
Lazzari e la Malvezzi), moglie del medico fiorentino Antonio Targioni Tozzetti
e forse amante di Ranieri, conclusasi in una delusione, che gli ispirò il
cosiddetto "ciclo di Aspasia", una raccolta di poesie che contiene:
Il pensiero dominante, Amore e morte, Consalvo (in cui l'amore è visto ancora
positivamente), la drammatica e scarna A se stesso e Aspasia. In questa
raccolta si manifestò il Leopardi più disilluso e disperato, orfano anche di
quella tristezza nostalgica degli Idilli, nella perdita dell'ultima illusione che
gli era rimasta, quella dell'amore (l'inganno estremo).[108] Aspasia, seppur
piena di rancore e sarcasmo contro Fanny, è considerata l'unica poesia d'amore
(seppur per un amore ormai finito) scritta per una donna che egli frequentò
realmente e intimamente, anche se solo in maniera romantica e intellettiva (per
parte di lui; lei lo descrisse sempre come un amico e dopo la morte come una
persona "disgraziata" a cui non voleva dare alcuna illusione);
tuttavia nei primi versi, contenenti la descrizione fisica e caratteriale della
Targioni, presentata come una "donna fatale", si nota anche una
tensione erotica molto rara in Leopardi, il quale ribadisce ripetutamente il
fascino esteriore esercitato dalla nobildonna. L'identificazione della donna
con l'Aspasia poetica è data, più che dalle lettere di Leopardi, dalle
affermazioni di Ranieri nei Sette anni di sodalizio e da alcune lettere tra lui
e la Targioni Tozzetti. Tuttavia, se Aspasia accenna anche a toni polemici e
misogini, in cui Leopardi si dice felice di essersi perlomeno liberato della
dipendenza affettiva verso l'amica, che descrive quasi come un servilismo
morale di cui si vergogna, un giogo ormai spezzato, in una lettera a Fanny dei
primi tempi si scorgono invece le riflessioni sull'amore e la morte del
periodo, che trovano l'esatta corrispondenza con alcuni versi di Consalvo e con
Amore e morte: «E pure certamente l'amore e la morte sono le sole cose belle
che ha il mondo, e le sole solissime degne di essere desiderate. Pensiamo, se
l'amore fa l'uomo infelice, che faranno le altre cose che non sono né belle né
degne dell'uomo. Ranieri da Bologna mi aveva chiesto più volte le vostre nuove:
gli spedii la vostra letterina subito ierlaltro. Addio, bella e graziosa Fanny.
Appena ardisco pregarvi di comandarmi, sapendo che non posso nulla. Ma se, come
si dice, il desiderio e la volontà danno valore, potete stimarmi attissimo ad
ubbidirvi. Ricordatemi alle bambine, e credetemi sempre vostro.» (Lettera
da Roma, 6 agosto 1832) «Due cose belle ha il mondo: / amore e morte. All'una
il ciel mi guida / in sul fior dell'età; nell'altro, assai / fortunato mi
tengo.» (Consalvo, vv. 102) Lo spostamento del Consalvo nei Canti molto
precedenti al ciclo, avvenuto dall'edizione napoletana, ha fatto pensare che il
personaggio di Elvira sia ispirato anche a Teresa Carniani Malvezzi e non solo
a Fanny. Per circa 4 anni frequenta molto spesso casa Targioni, cercando di
avvicinarsi alla padrona di casa procurandole moltissimi autografi di scrittori
e personaggi famosi, che lei collezionava. In questo periodo Leopardi diviene
amico anche della contessa Carlotta Lenzoni de' Medici di Ottajano, affascinata
dalla grandezza intellettuale del poeta e conosciuta nel 1827, ma poi se ne
allontanò. Secondo un'opinione minoritaria, la donna descritta negativamente
come Aspasia sarebbe stata la Lenzoni. Si reca a Roma con Ranieri per ritornare
a Firenze e nel corso di questo anno scrisse i due ultimi dialoghi delle
"Operette", Il Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un
passeggere e il Dialogo di Tristano e di un amico. Continuò a corrispondere
epistolarmente per un periodo con la Targioni Tozzetti, seppure in maniera più
fredda e distaccata. Quando Ranieri tornò a Napoli, tra i due iniziò una
fitta corrispondenza che ha fatto a taluni ritenere che tra Leopardi e Ranieri
vi fosse un rapporto amoroso. Pietro Citati però precisa che si sarebbe
trattato di un semplice e intenso affetto "platonico" assai diffuso
nel XIX secolo, senza traccia di omosessualità, come quello rivolto a suo tempo
al Giordani. In una di queste lettere il poeta scrive a Ranieri: Antonio
Ranieri, tra gli anni '40 e '60 «Ranieri mio, tu non mi abbandonerai però mai,
né ti raffredderai nell'amarmi. Io non voglio che tu ti sacrifichi per me, anzi
desidero ardentemente che tu provvegga prima d'ogni cosa al tuo benessere; ma
qualunque partito tu pigli, tu disporrai le cose in modo che noi viviamo l'uno
per l'altro, o almeno io per te, sola ed ultima mia speranza. Addio, anima mia.
Ti stringo al mio cuore, che in ogni evento possibile e non possibile, sarà
eternamente tuo. Dopo aver ottenuto il modesto assegno dalla famiglia, partì
per Napoli con Ranieri sperando che il clima mite di quella città potesse
giovare alla sua salute. Sugli anni a Napoli, Antonio Ranieri dichiarò: «Quivi
Leopardi, mentre che io, lasciatone il mio antico letto, dormiva in una camera
non mia (cosa che, nelle consuetudini del paese, massime in quei tempi, toccava
quasi lo scandalo), per dormire accanto a lui, ebbe, una notte, la strana
allucinazione, che la signora di casa avesse fatto disegno sopra una sua
cassetta, nella quale egli non riponeva mai altro che non nettissimi arnesi da
ravviare i capelli, e le cesoie. Pare infatti che la padrona di casa volesse
cacciarli, per timore che Leopardi fosse portatore di tubercolosi polmonare
infettiva e lui stesso sosteneva, invece, che la donna volesse rubargli oggetti
di sua proprietà, mentre Ranieri credeva che soffrisse di paranoie, e non ci
faceva caso. Ricevette visita da August von Platen, che nel suo diario scrisse.
«Leopardi ist klein und bucklicht, sein Gesicht bleich und leidend er den Tag
zur Nacht macht und umgekehrt führt er allerdings ein trauriges Leben. Bei
näherer Bekanntschaft verschwindet jedoch alles die Feinheit seiner klassischen
Bildung und das Gemütliche seines Wesens nehmen für ihn ein. Leopardi è piccolo
e gobbo, il viso ha pallido e sofferente fa del giorno notte e viceversa conduce
una delle più miserevoli vite che si possano immaginare. Tuttavia, conoscendolo
più da vicino la finezza della sua educazione classica e la cordialità del suo
fare dispongon l'animo in suo favore. Busto del poeta presente a Villa
Doria d'Angri Intanto le Operette morali subirono una nuova censura da parte
delle autorità borboniche, a cui seguirà la messa all'Indice dei libri proibiti
dopo la censura pontificia, a causa delle idee materialiste esposte in alcuni
"dialoghi". Leopardi così ne parlava in una lettera a Luigi De
Sinner: «La mia filosofia è dispiaciuta ai preti, i quali e qui e in tutto il
mondo, sotto un nome o sotto un altro, possono ancora e potranno eternamente
tutto». Durante gli anni trascorsi a Napoli si dedicò alla stesura dei
Pensieri, che raccolse probabilmente riprendendo molti appunti già scritti
nello Zibaldone, e riprese i Paralipomeni della Batracomiomachia che, iniziati
nel 1831, aveva interrotto. A quest'ultima opera lavorò, assistito dal Ranieri,
fino agli ultimi giorni di vita. Di quest'opera incompiuta, in ottave,
ampiamente influenzata sia dallo pseudo Omero della Batracomiomachia, (che già
Leopardi aveva tradotta in gioventù, e di cui continua la trama) che dal poema
Gli animali parlanti di Giovanni Battista Casti, rimane autografo il solo primo
canto. Ranieri affermò sempre che gli altri, di sua mano, furono scritti sotto
dettatura del Leopardi. Le ultime ottave sarebbero state dettate da Leopardi
morente poco dopo aver terminato l'ultima poesia, Il tramonto della luna.
Qualche dubbio può nascere, se si pensa che Ranieri investì soldi dopo la morte
del poeta per farli pubblicare come autentici, con poco successo finanziario. Quando
a Napoli scoppiò l'epidemia di colera, Leopardi si recò con Ranieri e la
sorella di questi, Paolina, nella Villa Ferrigni a Torre del Greco, dove rimase
dall'estate di quell'anno al febbraio del 1837 e dove scrisse La ginestra o il
fiore del deserto. Paolina Ranieri assisterà, personalmente e con profondo
affetto, Leopardi nei suoi ultimi anni, all'aggravamento delle sue condizioni
fisiche. Paolina e l'unica donna che lo amò, sebbene si trattasse di un amore
fraterno. A Napoli Leopardi lavora incessantemente, nonostante la salute in
peggioramento, componendo varie liriche e satire; non segue le raccomandazioni
dei medici, e conduce una vita abbastanza sregolata per una persona dalla
salute fragile come la sua: dorme di giorno, si alza al pomeriggio e sta
sveglio la notte, mangia molti dolci (particolarmente sorbetti e gelati),
talvolta frequenta la mensa pubblica (anche durante il periodo del colera) e beve
moltissimi caffè. La morte Leopardi sul letto di morte, ritratto a matita
di Tito Angelini, anch'esso simile alla maschera mortuaria e quindi molto
realistico e verosimile In Campania egli compose gli ultimi Canti La ginestra o
il fiore del deserto (il suo testamento poetico, nel quale si coglie
l'invocazione ad una fraterna solidarietà contro l'oppressione della natura) e
Il tramonto della luna (compiuto solo poche ore prima di morire). Progettava
anche di tornare a Recanati, per vedere il padre, o partire per la Francia. Leopardi
aveva infatti intenzione di riconciliarsi umanamente col padre di persona (il
tono delle lettere a Monaldo diventa molto affettuoso negli ultimi tempi, dal
formale e nobiliare "signor padre" e al voi delle lettere giovanili
passa all'incipit "carissimo papà" e al tu). In questo periodo
cominciò ad ignorare le prescrizioni, pensando che non potesse comunque
decidere il suo destino. In una lettera al conte Leopardi, una delle ultime di
Giacomo, il poeta avverte la morte come imminente e spera che avvenga, non sopportando
più i suoi mali. Ritorna a Napoli con Ranieri e la sorella, ma le sue
condizioni si aggravarono verso maggio, anche se non in modo tale da far
sospettare ai medici o a Ranieri il reale stato di salute. Il 14 giugno
di quell'anno, Leopardi si sentì male al termine di un pranzo (che abitualmente
consumava all'inconsueto orario delle 17); quel mattino, aveva mangiato circa
un chilo e mezzo di confetti cannellini comprati da Paolina Ranieri in
occasione dell'onomastico di Antonio e bevuto una cioccolata, poi una minestra
calda e una limonata (o granita fredda) verso sera. Fu colpito da malore poco prima di partire per
Villa Carafa d'Andria Ferrigni, come era stato programmato, e nonostante
l'intervento del medico l'asma peggiorò e poche ore dopo il poeta morì. Secondo
la testimonianza di Antonio Ranieri, Leopardi si spense alle ore 21 fra le sue
braccia. Le sue ultime parole furono "Addio, Totonno, non veggo più
luce". La morte fu dichiarata all'ufficio dello stato civile il giorno
successivo da Giuseppe e Lucio Ranieri, i quali fecero registrare l'indirizzo
del decesso (vico Pero 2, nel territorio della parrocchia della SS. Annunziata
a Fonseca) e indicarono che il fatto era avvenuto "alle ore venti". Tre
giorni dopo il decesso, Antonio Ranieri pubblicò un necrologio sul giornale Il
Progresso. La morte del poeta è stata analizzata da studiosi di medicina già a
partire dall'inizio del XX secolo. Molte sono state le ipotesi, dalla più
accreditata, pericardite acuta con conseguente scompenso, oppure scompenso
cardiorespiratorio dovuto a cuore polmonare e cardiomiopatia, seguite a
problemi polmonari e reumatici cronici, a quelle più fantasiose[146], fino al
colera stesso.Nessuna delle tesi alternative, tuttavia, è riuscita a smentire
il referto ufficiale, diffuso dall'amico Antonio Ranieri: idropisia polmonare
("idropisia di cuore" o idropericardio), il che è comunque
verosimile, dati i suoi problemi respiratori, dovuti alla deformazione della
colonna vertebrale; è anche possibile che l'edema fosse una delle conseguenze
dei problemi cronici di cui soffriva, e che la causa principale fosse un
problema cardiaco, forse accelerata da una forma fulminante di colera che
avrebbe ucciso il debilitato Leopardi (che notoriamente soffriva di disturbi
cronici all'apparato gastrointestinale, i quali potevano mascherare la
gastroenterite colerosa) in poche ore. Leopardi era morto all'età di quasi 39
anni, in un periodo in cui il colera stava colpendo la città di Napoli. Grazie
ad Antonio Ranieri, che fece interessare della questione il ministro di
Polizia, le sue spogliequesta la versione accettata dalla maggioranza dei
biografinon furono gettate in una fossa comune, come le severe norme igieniche
richiedevano a causa dell'epidemia, ma inumate nella cripta e poi, dopo una breve
riesumazione alla presenza di Ranieri che volle anche aprire la cassa, nell'atrio
della chiesa di San Vitale Martire (oggi Chiesa del Buon Pastore), sulla via di
Pozzuoli presso Fuorigrotta. La lapide, spostata poi con la tomba, fu dettata
da Pietro Giordani: «Al conte Giacomo Leopardi recanatese filologo
ammirato fuori d'Italia scrittore di filosofia e di poesie altissimo da
paragonare solamente coi greci che finì di XXXIX anni la vita per continue
malattie miserissima fece Antonio Ranieri per sette anni fino all'estrema ora
congiunto all'amico adorato MDCCCXXXVII» Il ministro avrebbe accettato la
richiesta del Ranieri solo dopo che un chirurgo, non il medico curante
Mannella, ebbe eseguita una sorta di sommaria autopsia per poter dichiarare che
la morte non fu dovuta a colera. In realtà fin dall'inizio il racconto di
Ranieri era apparso pieno di contraddizioni e molti furono i dubbi che
avvolsero quanto egli aveva dichiarato, anche perché le sue versioni furono
molte e diverse a seconda dell'interlocutore, facendo sospettare che il corpo
del poeta fosse finito nelle fosse comuni del cimitero delle Fontanelle, o in
quello dei colerosi (o nell'attiguo cimitero delle 366 Fosse), destinati in
quel periodo ai morti per colera o per altre cause, come attesta il registro
delle sepolture della chiesa della SS. Annunziata a Fonseca di Napoli
(riportante la dicitura "cimitero dei colerosi" e "sepolto
id.") o addirittura occultate nella casa di vico Pero, e che Ranieri
avesse inscenato, per un motivo recondito, un funerale a bara vuota, con la
partecipazione dei suoi fratelli, del chirurgo e di un parroco compiacente a
cui avrebbe regalato dei pesci freschi. La lapide originale,
traslata nel parco Vergiliano Comunque, Ranieri continuò ad affermare che le
ossa erano nell'atrio della chiesa di S. Vitale e che il certificato
d'inumazione fosse un falso redatto dal parroco su richiesta del ministro di
Polizia, onde aggirare la legge sulle sepolture in tempo di epidemia. Nel 1898
avvenne una prima ricognizione; secondo il senatore Mariotti, smentito da
altri, durante i lavori di restauro di alcuni anni prima, un muratore ruppe
inavvertitamente la cassa, danneggiata dalla troppa umidità, frantumando le
ossa e provocando la perdita di parte dei resti contenuti, forse gettati
nell'ossario comune o addirittura con i calcinacci, mescolando i resti con
altre ossa. La tomba di Leopardi (Parco Vergiliano a Piedigrotta o Parco
della Tomba di Virgilio, Napoli). Alla presenza dei rappresentanti regi e del
comune di Napoli, venne effettuata la ricognizione ufficiale delle spoglie del
recanatese e nella cassa (in realtà un mobile adattato allo scopo clandestino
dai fratelli Ranieri), troppo piccola per contenere lo scheletro di un uomo con
doppia gibbosità, vennero rinvenuti soltanto frammenti d'ossa (tra cui residui
delle costole, delle vertebre recanti segni di deformità, e un femore sinistro
intero, forse troppo lungo per una persona di bassa statura, e un altro femore
a pezzi), una tavola di legno (con cui gli operai avevano tentato di riparare
il danno alla cassa), una scarpa col tacco e alcuni stracci, mentre nessuna
traccia vi era del cranio e del resto dello scheletro, per cui in seguito si
arrivò anche a formulare la teoria di un suo trafugamento da parte di studiosi
lombrosiani di frenologia amici del Ranieri. Nonostante i dubbi, la questione
venne ben presto chiusa; secondo l'incaricato professor Zuccarelli, era
plausibile che quelli fossero parte dei resti di Leopardi. Il medico parla
esplicitamente di aver rinvenuto una parte di rachide e una di sterno entrambe
deviate. Alcuni, pur pensando ad un'effettiva morte per colera, credettero
comunque che Ranieri fosse riuscito davvero nell'intento di salvare il corpo
dalla fossa comune corrompendo, se non il ministro, perlomeno dei funzionari
incaricati. La scarpa ritrovata, o quello che ne rimaneva, venne poi acquistata
dal tenore Beniamino Gigli, concittadino di Leopardi, e donata alla città di
Recanati.Dopo vari tentativi di traslare i presunti resti a Recanati o a
Firenze nella basilica di Santa Croce accanto a quelli di grandi italiani del
passato, la cassa, per volontà di Benito Mussolini che esaudì una richiesta
dell'Accademia d'Italia, venne con regio decreto di Vittorio Emanuele III che
ne stabiliva l'identificazione, riesumata di nuovo e spostata al Parco
Vergiliano a Piedigrotta (altrimenti detto Parco della tomba di Virgilio) nel
quartiere Mergellinail luogo fu dichiarato monumento nazionaledove tuttora
sorge appunto il secondo sepolcro del poeta, eretto quello stesso anno; nei
pressi venne traslata anche la lapide originale, mentre parte del monumento
venne portata a Recanati. Questa versione è quella sostenuta ufficialmente dal
Centro Nazionale Studi Leopardiani. Nel 2004 venne anche chiesta (da parte
dello studioso leonardiano Silvano Vinceti, che si è occupato anche della
riesumazione e identificazione dei resti di Caravaggio, Boiardo, Pico della
Mirandola e Monna Lisa) la terza riesumazione, onde verificare se quei pochi
resti fossero davvero di Leopardi tramite l'esame del DNA e del mtDNA,
comparato con quello degli attuali eredi dei conti Leopardi (Vanni Leopardi e
la figlia Olimpia, discendenti diretti del fratello minore del poeta
Pierfrancesco) e dei marchesi Antici, ma la richiesta fu respinta, sia dalla
Soprintendenza sia dalla famiglia Leopardi (tramite la contessa Anna del
Pero-Leopardi, vedova del conte Pierfrancesco "Franco" Leopardi e
madre di Vanni). La posizione ufficiale della famiglia Leopardi (esplicitata
dal 1898 in poi) e della Fondazione Casa Leopardi da loro presieduta
(presidente fino al conte Vanni
Leopardi) è invece che i resti nel parco Vergiliano non siano comunque del
poeta e Ranieri abbia mentito, che il corpo si trovi alle Fontanelle e che
quindi la riesumazione sia inutile, occorrendo altresì rispettare la tomba-cenotafio
lì situata. Un altro membro della famiglia, chiamato anche lui Pierfrancesco,
si è invece detto disponibile. Tale esame non è stato finora
autorizzato. «Cantare il dolore fu per lui rimedio al dolore, cantare la
disperazione salvezza dalla disperazione, cantare l'infelicità fu per lui, e
non per gioco di parole, l'unica felicità. n quei canti veramente divini il
Leopardi trasformò l'angoscia in contemplativa dolcezza, il lamento in musica
soave, il rimpianto dei giorni morti in visioni di splendore.» (Giovanni
Papini, Felicità di Giacomo Leopardi) Il pensiero di Leopardi è caratterizzato,
attraverso le fasi del suo pessimismo, dall'ambivalenza tra l'aspetto
lirico-ascetico della sua poetica, che lo spinge a credere nelle «illusioni» e
lusinghe della natura, e la razionalità speculativo-teorica presente nelle sue
riflessioni filosofiche, che invece considera vane quelle illusioni, negando ad
esse qualunque contenuto ontologico. La contraddizione tra anelito alla vita e
disillusione, tra sentimento e ragione, tra filosofia del sì e filosofia del no, era del resto ben presente allo stesso
Leopardi, il quale, secondo Karl Vossler, si adoperò costantemente per
ricomporle, non rassegnandosi mai allo scetticismo, convinto che la vera filosofia
dovesse in ogni caso mantenere i legami con l'immaginazione e la poesia. Come
ha rilevato De Sanctis. Leopardi non crede al progresso, e te lo fa desiderare;
non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l'amore, la gloria,
la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto. È scettico e ti fa
credente; e mentre non crede possibile un avvenire men triste per la patria
comune, ti desta in seno un vivo amore per quella e t'infiamma a nobili fatti. Francesco
De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi,Luoghi leopardiani A Recanati Targa
della piazzuola del Sabato del Villaggio Palazzo Leopardi: è la casa natale del
poeta. Tuttora il palazzo è abitato dai discendenti e aperto al pubblico. Esso
venne ristrutturato nelle forme attuali dall'architetto Carlo Orazio Leopardi
verso la metà del XVIII secolo. L'ambiente più suggestivo è senza dubbio la
biblioteca, che custodisce oltre 20.000 volumi, tra cui incunaboli ed antichi
volumi, raccolti dal padre del poeta, Monaldo Leopardi. Piazzuola del Sabato
del Villaggio: sulla quale si affaccia Palazzo Leopardi. Ivi si trova la casa
di Silvia e la chiesa di Santa Maria in Montemorello, nel cui fonte battesimale
fu battezzato Giacomo Leopardi nel 1798. Colle dell'Infinito: è la sommità del
Monte Tabor da cui si domina un panorama vastissimo verso le montagne e che
ispirò l'omonima poesia composta dal poeta a soli 21 anni. All'interno del
parco si trova il Centro Mondiale della Poesia e della Cultura, sede di
convegni, seminari, conferenze e manifestazioni culturali. Il Colle
dell'Infinito è diventato un Bene del Fai aperto a tutti. Palazzo Antici-Mattei: casa della madre di
Leopardi, Adelaide Antici Mattei, edificio dalle linee semplici ed eleganti con
iscrizioni in latino. Torre del Passero Solitario: nel cortile del chiostro di
Sant'Agostino è visibile la torre, decapitata da un fulmine e resa celebre
dalla poesia Il passero solitario. Chiesa di San Leopardo (XIX secolo): venne
fatta edificare dalla famiglia Leopardi insieme e nei pressi della villa
affidando la progettazione all'architetto Gaetano Koch. La cripta, a cui si
accede esternamente, è la tomba gentilizia della famiglia Leopardi. Chiesa di
Santa Maria di Varano (XV secolo): costruita nel 1450 per i Minori Osservanti
insieme al Convento annesso, dal 1873, cacciati i frati e abbattuti due lati
del convento, l'orto divenne quello che ancora è il civico cimitero di
Recanati. Vi si conserva ancora il pozzo di San Giacomo della Marca ed
affreschi nelle lunette del portico. All'interno è la tomba di famiglia dei
Leopardi ove sono sepolti Monaldo e Paolina, Altrove Spoleto, Albergo della
Posta (corso Garibaldi), Palazzo Antici
Mattei (Roma, via Michelangelo Caetani), dove fu ospite.Roma, tomba del Tasso
in Sant'Onofrio al Gianicolo, "uno dei posti più belli della terra, in
mezzo agli aranci e ai lecci". Bologna ("ospitalissima"),
convento di San Francesco (piazza Malpighi), primo soggiorno bolognese. Casa
dell'editore Anton Fortunato Stella, vicino al Teatro alla Scala a Milano
("veramente insociale") (Casa Badini, vicino al teatro del Corso
(oggi via Santo Stefano, 33) a Bologna ("tutto è bello, e niente
magnifico"). Locanda della Pace, via del Corso, a Bologna, Ravenna (qui si
vive quietissimi), ospite del marchese Antonio Cavalli. Firenze, "sporchissima
e fetidissima città", Locanda della Fonte, nei pressi del mercato del grano
e di Palazzo Vecchio Targa sull'ultimo domicilio di Leopardi a Napoli Casa
delle sorelle Busdraghi, via del Fosso (oggi via Verdi), Firenze. Palazzo
Buondelmonti, abitazione di Giovan Pietro Vieusseux, a Firenze. Pisa ("una
beatitudine"), via Fagiuoli (casa Soderini). Il Lungarno pisano
("spettacolo così ampio, così magnifico, così gaio, così ridente, che
innamora"). "Una certa strada deliziosa" da lui battezzata
"Via delle Rimembranze", dove va a passeggiare a Pisa (lettera a
Paolina Leopardi). Levane, Camucia e Perugia, di passaggio. Roma (città oziosa,
dissipata, senza metodo), via dei Condotti 81 (spendo qui un abisso), con
Antonio Ranieri, da ottobre 1831 a marzo 1832. Napoli, piazza Ferdinando; poi
Strada nuova di Santa Maria Ognibene (casa Cammarota); poi vico Pero (tre
appartamenti affittati con Ranieri e la sorella di lui Paolina). Villa
Ferrigni, detta villa delle Ginestre, a Torre del Greco, alle pendici dello
"sterminator Vesevo". Opere di Giacomo Leopardi. Copertina
della prima edizione dello Zibaldone di pensieri. Epistolario Di Giacomo
Leopardi ci sono rimaste oltre novecento lettere, composte nell'arco di una
vita e indirizzate a circa cento destinatari, tra amici e familiari
(soprattutto al padre e al fratello Carlo). L'intero corpus epistolare di
Leopardi è raccolto dall'Epistolario, che malgrado le origini si può leggere
come un'opera autonoma: questa raccolta di prose private, infatti, costituisce
un fondamentale documento non solo per seguire le vicende biografiche del
poeta, ma anche per comprendere l'evoluzione del suo pensiero, dei suoi stati
d'animo e delle sue riflessioni culturali.[176] Gli interventi nel
dibattito classico-romantico Nel 1816 il giovane Leopardi prese parte
all'acceso dibattito culturale innescato dalla pubblicazione del saggio Sulla
maniera e utilità delle traduzioni di Madame de Staël: questa polemica vide
schierarsi da una parte i difensori del classicismo, quali Pietro Giordani, e
dall'altra i sostenitori della nuova poetica romantica. Leopardi, amico
del Giordani, si allineò alle tesi classiciste, mettendo per iscritto il
proprio pensiero nella Lettera ai compositori della Biblioteca italiana e nel
Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, rimasti entrambi inediti
sino al 1906. Nella prima Leopardi, pur riconoscendo la bontà dell'intervento
dell'autrice ginevrina, assume una posizione contraria alle istanze della
lettera, nella quale si invitava il popolo italiano ad aprirsi alle nuove
letterature europee. Secondo il poeta di Recanati, infatti, si tratta di un
«vanissimo consiglio», essendo la letteratura italiana quella più vicina alle
uniche letterature universalmente valide, ovvero quella greca e quella latina.
Nel Discorso, invece, Leopardi approfondì la sua riflessione poetica in merito
al dibattito, introducendo temi che poi diverranno centrali della poesia
leopardiana, come l'opposizione tra i concetti di «natura» e civilizzazione. Zibaldone
Lo Zibaldone di pensieri è una raccolta di 4526 pagine autografe nelle quali
Leopardi depositò ragionamenti e brevi scritti sugli argomenti più vari.
Inizialmente l'opera non era dotata dell'organicità di un testo letterario,
essendo semplicemente il frutto di una scrittura immediata, di getto: Leopardi
iniziò a datare i singoli testi solo a partire dal 1820, così da orientarsi
agevolmente nel mare magnum di appunti (da lui definiti un «immenso
scartafaccio»), arrivando perfino a stilare due indici. Il Discorso sopra lo stato
presente dei costumi degl'italiani Il Discorso sopra lo stato presente dei
costumi degl'italiani, composto a Recanati tra la primavera e l’estate del 1824
e rimasto inedito fino al 1906, è un breve trattato filosofico dove Leopardi
analizza le peculiarità che contraddistinguono la società italiana, e le
compara con il carattere, la mentalità e la moralità delle altre nazioni
d'Europa. Alla fine dell'opera Leopardi giunge all'amara conclusione che
l'Italia, dilaniata da un esasperato individualismo, è troppo poco civile per
godere dei benefici del progresso (come in Francia, Germania ed Inghilterra),
ma troppo civile per godere dei benefici dello «stato di natura», come accadeva
nelle nazioni meno sviluppate, quali Portogallo, Spagna e Russia. Secondo manoscritto
autografo dell'Infinito Le Operette morali, per usare le parole dello stesso
poeta, sono un «libro di sogni poetici, d’invenzioni e di capricci
malinconici»: è ancora Leopardi a descrivere la propria opera in una lettera
del 1826 indirizzata all'editore Stella, sottolineando «quel tuono ironico che
regna in esse» e specificando che Timandro ed Eleandro sono una specie di
prefazione, ed un’apologia dell’opera contro i filosofi moderni». Le Operette,
oggi considerate la più alta espressione del pensiero leopardiano, racchiudono
l'essenza del pessimismo del poeta, trattando argomenti quali la condizione
esistenziale dell'uomo, la tristezza, la gloria, la morte e l'indifferenza
della Natura. I Canti, considerati il capolavoro di Leopardi, racchiudono trentasei
liriche composte da Leopardi. Tra i componimenti poetici inclusi nei Canti
ricordiamo Sopra il monumento di Dante, l'Ultimo canto di Saffo, Il passero
solitario, La sera del dì di festa, Alla luna, A Silvia, il Canto notturno di
un pastore errante dell'Asia, Il sabato del villaggio, La ginestra e infine
L'infinito, uno dei testi più rappresentativi della poetica leopardiana.
Le ultime opere Durante gli anni napoletani Leopardi scrisse due opere, i
Paralipomeni della Batracomiomachia e I nuovi credenti. Il primo è un poemetto
in ottave con protagonisti animali: «Paralipomeni», infatti, significa
«continuazione» mentre Batracomiomachia è battaglia dei topi e delle rane,
ovvero un'opera pseudoomerica che Leopardi aveva tradotto in gioventù. Dietro
la finzione comica Leopardi qui stigmatizza il fallimento dei moti rivoluzionari
napoletani. I topi infatti, simboleggiano i liberali, generosi ma velleitari,
mentre le rane sono i conservatori papalini, che non esitano a chiamare a sé i
granchi-austriaci, feroci e stupidi. nuovi credenti, invece, sono un capitolo
satirico in terza rima composto nel 1835 dove Leopardi esprime una spietata
satira contro gli esponenti dello spiritualismo napoletano, dei quali condanna
la religiosità di facciata e lo sciocco ottimismo. Parole d'autore A Giacomo
Leopardi si devono numerosi neologismi divenuti patrimonio diffuso (perlomeno
in un linguaggio colto e sorvegliato), come "erompere", "fratricida",
"improbo", "incombere",Al suo tempo, questa vena creativa
di Leopardi non fu apprezzata e fu oggetto degli strali di un atteggiamento
purista che opponeva resistenze all'adozione, e all'accoglimento nei lessici,
di neologismi d'uso forgiati in epoca successiva all'«aureo Trecento» In un
caso, un frutto della sua creatività, "procombere", gli guadagnò
accuse postume mossegli da Niccolò Tommaseo, coautore del Dizionario della
lingua italiana. Poesia e musica A sé stesso, romanza, versi di Giacomo
Leopardi, musica di Francesco Paolo Frontini, Milano, Edizioni Ricordi.Coro di
morti, versi di G. Leopardi (dal Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie,
Operette morali), musica di Goffredo Petrassi, per coro e strumenti. Tre
liriche di Goffredo Petrassi, per baritono e pianoforte, testi di Leopardi,
Foscolo e Montale. Epistolario di Giacomo Leopardi. Leopardi nell'immaginario
collettivo Il fatto che l'opera di Leopardi sia stata e sia ogni anno oggetto
dello studio di migliaia di studenti ha determinato (come per Dante) che molte
locuzioni delle sue opere siano divenute d'uso corrente. Fra le
principali: studio matto e disperatissimo (in: lettera a Pietro Giordani e Zibaldone di pensieri); passata è la
tempesta... (in: La quiete dopo la tempesta, 1829); che fai tu, luna, in ciel?
dimmi, che fai... (in: Canto notturno di un pastore errante dell'Asia,
1829-1930); natio borgo selvaggio... (in: Le ricordanze); la donzelletta vien
dalla campagna... (in: Il sabato del villaggio); godi, fanciullo mio; stato
soave... (in: Il sabato del villaggio);...e naufragar m'è dolce in questo mare
(in: L'infinito). Il pittore e scultore maceratese Valeriano Trubbiani realizzò
una serie di 12 pirografie sul tema Viaggi e transiti, dedicata ai viaggi del
poeta nelle varie città della penisola: Recanati, Macerata, Roma, Bologna, Pisa,
Firenze, Milano, Napoli. Tali opere sono esposte nel CARTCentro
permanente per la Documentazione dell'Arte Contemporanea di Falconara
Marittima, che conserva anche altre opere di Trubbiani dedicate a
Leopardi: 10 disegni originali realizzati sul tema "Leopardi
figurativo", 8 incisioni a colori, una scultura del 1990 in rame, bronzo e
argento con il Poeta pensoso in osservazione di un gregge di pecore (“Move la
greggia oltre pel campo e vede greggi”, ispirata al Canto notturno di un
pastore errante dell'Asia, un'installazione scultorea sulla Batracomiomachia
("battaglia dei topi e delle rane") ispirata ai Paralipomeni della
Batracomiomachia leopardiani. L'ispirazione prodotta in Trubbiani dall'opera
leopardiana è raccontata dall'artista nel breve documentario "Le Marche di
Leopardi", patrocinato dalla Regione Marche. Leopardi nella musica
pop italiana Leopardi è citato nella Canzone per Piero di Francesco Guccini e
in Stai bene lì di Renato Zero; i suoi versi sono citati anche nei titoli di
Canto notturno (di un pastore errante dell'aria) e Il cielo capovolto (ultimo
canto di Saffo), entrambe di Roberto Vecchioni. Giorgio Gaber, nella
canzone "Benvenuto il luogo dove", contenuto nell'album "Gaber"
del 1984, dedicata all'Italia, parla della penisola come il luogo "dove i
poeti sono nati tutti a Recanati. Opere cinematografiche su Leopardi Dialogo di
un venditore di almanacchi e di un passeggiere, cortometraggio di Ermanno Olmi.
Pisa, donne e Leopardi (), mediometraggio di Roberto Merlino. Leopardi è
interpretato da Orazio Cioffi; Il giovane favoloso, film di Mario Martone.
Leopardi è interpretato da Elio Germano. Vari brani del film sono presenti nel
programma televisivo"Leopardi, il rivoluzionario" di Giancarlo
Mancini, puntata della rubrica "Il tempo e la storia"; "Le
Marche di Leopardi", breve documentario diretto da Alessandro Scilitani,
patrocinato dalla Regione Marche. Video in rete su Leopardi "Leopardi, il
rivoluzionario" di Giancarlo Mancini, puntata della rubrica televisiva
"Il tempo e la storia" con Massimo Bernardini e lo storico Lucio
Villari; "Giacomo Leopardi e l`importanza di Recanati", per Rai
Storia, vita e opere di Giacomo Leopardi nel commento del critico teatrale Guido
Davico Bonino. L’attore Umberto Ceriani legge: L'infinito, La sera del dì di
festa, Alla luna, La vita solitaria; "Ecco il vero Colle dell'Infinito descritto
da Giacomo Leopardi"]: Francesco Guzzini del Centro Studi Leopardiani
mostra l'itinerario che il Poeta compiva per recarsi dalla propria abitazione
al punto di osservazione del paesaggio che gli ispirò L'infinito; "Marche,
le scoprirai all'infinito", spot turistico della Regione Marche con il
noto attore statunitense Dustin Hoffman che tenta di recitare in italiano
L'infinito. Regia di Giampiero Solari; "A casa di Giacomo Leopardi",
intervista di Pippo Baudo alla contessa Olimpia Leopardi all'interno del Palazzo
Leopardi di Recanati; "Un Leopardi inedito" raccontato da Novella
Bellucci e Franco D'Intino nella puntata di "Visionari" programma
televisivo condotto da Corrado Augias su Rai 3. "L'arte di essere
fragilicome Leopardi può salvarti la vita", intervista allo scrittore
Alessandro D'Avenia sul suo omonimo libro e spettacolo teatrale. Inoltre, sono
pubblicate in rete numerose letture/interpretazioni dei principali canti
leopardiani da parte dei più importanti attori italiani. Fra questi si possono
ascoltare: Vittorio Gassman: L'infinito, A Silvia, La sera del dì di
festa, Amore e Morte, La quiete dopo la tempest, A se stesso; Carmelo Bene:
L'infinito, Passero solitario, La ginestra (o Il fiore del deserto) Alla
luna, La sera del dì di festa, Il sabato
del villaggio, Le ricordanze, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia[210],
Inno ad Arimane, Amore e Morte; Arnoldo Foà: L'infinito, Passero solitario, A
Silvia[217], Il sabato del villaggio, La sera del dì di festa, Canto notturno
di un pastore errante dell'Asia, Le ricordanze, La ginestra (o Il fiore del
deserto), Il tramonto della luna, All'Italia, Alla luna; Giorgio Albertazzi:
L'infinito; Nando Gazzolo: L'infinito; Gabriele Lavia: L'infinito, Lavia dice Leopardi; Alberto Lupo: Ultimo
canto di Saffo; Elio Germano, nel film Il giovane favoloso di Mario Martone:
L'infinito], parte de La ginestra (o Il fiore del deserto) la prima parte de La
sera del dì di festa, un brano di Amore e Morte, l'ultima parte di Aspasia. Leopardi
"testimonial" della Regione Marche La Regione Marche, dopo aver più
volte utilizzato l'immagine del poeta recanatese per la promozione turistica
del proprio territorio ed anche della propria offerta enological commissionò
una discussa campagna pubblicitaria attraverso un video, per la regia di
Giampiero Solari, trasmesso sui principali canali televisivi italiani ed anche
esteri, con protagonista il noto attore statunitense Dustin Hoffman[236], già
conoscitore delle Marche per aver interpretato nel 1972 ad Ascoli Piceno il
film di Pietro Germi "Alfredo, Alfredo", assieme ad una giovane
Stefania Sandrelli. Questa la descrizione della sceneggiatura dello spot
per la promozione della stagione turistica: «Un uomo legge una delle
poesie più note della letteratura italiano, l’Infinito di Giacomo Leopardi, la
cui emozionalità è strettamente legata alle visioni, alle luci, ai colori della
terra marchigiana. L’uomo legge la poesia camminando, cerca di capire e
pronunciare bene la lingua non stando fermo, dietro una scrivania, ma
immergendosi nella terra che ha visto nascere questo capolavoro; legge,
riprova, si arrabbia, vuole assolutamente penetrare la lingua, il sentimento di
questa poesia, l’anima di questa terra e riprova e riprova. Nel sottofondo le
note sublimi del Tancredi di Rossini, che accompagnano il silenzio di questa
meditazione nuova che l’uomo cerca per sé: l’uomo cerca emozioni, vuole fare
un’esperienza nuova, e leggere l’Infinito nelle Marche che l’hanno generato è
un’esperienza nuova, formidabile, ma difficile e faticosa. Ma ne vale la pena.
Provare e alla fine sorridere, la poesia è mia, le Marche sono la mia meta
faticosamente conosciuta, capita e raggiunta.» (dal comunicato stampa
della Regione Marche) Nello spot Hoffman tenta di recitare i versi
dell'Infinito in un italiano "condito" dal suo marcato accento
californiano. Un accento tanto forte e straniante da suscitare numerose
critiche all'operato della Regione. Tra queste, quella di Mina[239], che nella
sua rubrica sulle pagine de "La Stampa", ebbe a scrivere:
«Leopardi bisogna meritarselo. Sarebbe andato benissimo anche Oliver Hardy. Al
quale, paradossalmente, in questa demoralizzante «performance», mi sembra che
assomigli. Non so come l'avrebbe fatta Ollio. Non peggio, credo... Sentire la
nostra potente, meravigliosa lingua strapazzata dal pur bravo divo americano mi
ha rigettato giù nella nostra condizione di sempiterna colonia... il mondo
della pubblicità è un mondo di matti. A volte geniale, ma più spesso volgare e
irrispettoso. Dustin Hoffman, from Los Angeles, sarà pure un nome che tira, ma
non li avevamo noi degli attori al suo livello? E che parlano l’italiano? E che
conoscono la musica dell’andamento di un’esposizione poetica?» (Mina
Mazzini) Al contrario, l'operazione promozionale fu elogiata da Giorgio De
Rienzo, linguista e critico letterario, da Francesco Sabatini e Francesco Erspamer,
rispettivamente presidente onorario e presidente emerito dell’Accademia della
Crusca; quest'ultimo commentò lo spot con queste parole: «Sprovincializza la
lingua italiana» Comunque sia, lo scopo perseguito fu raggiunto: anche grazie
alle polemiche, la versione non definitiva del video della Regione Marche,
inserito su YouTube, totalizzò quasi 21.200 visualizzazioni in tutto il mondo
solo nella prima settimana. Visto il successo del, Dustin Hoffman fu
confermato per la campagna promozionale della stagione turistica. Niente più
lettura dei versi leopardiani, ma, come sottolineò Aldo Grasso sul
"Corriere della Sera", nella nuova edizione «il volto del testimonial
diventa più importante dell’oggetto da reclamizzare. Attraverso gli scatti di
Bryan Adams, si snoda un racconto tutto personale: i cinque sensi di Dustin
Hoffman dichiarano infinito amore per le suggestioni concrete che la regione
riesce a offrire: la gastronomia, l’arte, la musica, i vini e i paesaggi. Nella
campagna promozionale del Dustin Hoffman
fu sostituito dall'attore marchigiano Neri Marcorè. Continuò comunque
l'utilizzo a scopi promozionali dell'immagine di Leopardi: sull'onda del
successo del film "Il giovane favoloso", diretto dal registra Mario
Martone e interpretato dall'attore Elio Germano, la Regione mise in campo una
serie di iniziative per promuovere la visione del film e di conseguenza del
territorio marchigiano che ne aveva ospitato le location, tra cui un
"movie-tour", consentito gratuitamente a tutti gli spettatori muniti
del biglietto del cinema. La Regione ha patrocinato la realizzazione di un
breve documentario, "Le Marche di Leopardi", diretto da Alessandro
Scilitani, nel quale l'assessore alla cultura dell'epoca tratteggiava il
riepilogo delle iniziative regionali per valorizzare la figura del poeta
recanatese. Seguono una breve biografia di Leopardi, con le immagini di
Recanati, e gli interventi di vari operatori culturali marchigiani che,
rifacendosi a veri o presunti collegamenti con la vita ed il pensiero del
Poeta, introducono ad altri importanti personaggi nati o presenti nella Regione
(Gioacchino Rossini, Antonio Canova, Terenzio Mamiani, Valeriano Trubbiani,
Osvaldo Licini), il tutto "condito" dalle musiche di musicisti
marchigiani (Giovan Battista Pergolesi, Gaspare Spontini) e da squarci
paesaggistici di varie località della regione.Opere biografiche su Leopardi
Giacomo Leopardi, Puerili e abbozzi vari, Bari, G. Laterza & f.i,Antonio
Ranieri, Sette anni di sodalizio con Leopardi, Milano-Napoli: Ricciardi, 1920;
poi Milano: Garzanti, (con una nota di Alberto Arbasino); Milano: Mursia
(Raffaella Bertazzoli); Milano: SE, Mario Picchi, Storie di casa Leopardi,
Milano: Camunia; poi Milano: Rizzoli, 1990 Renato Minore, Leopardi. L'infanzia,
le città, gli amori, Milano: Bompiani, Rolando Damiani, Album Leopardi, Milano:
Mondadori «I Meridiani», Attilio Brilli, In viaggio con Leopardi, Bologna:
Il Mulino, Rolando Damiani, All'apparir del vero. Vita di Giacomo Leopardi,
Milano: Mondadori «Oscar Saggi» Marcello D'Orta, All'apparir del vero: il
mistero della conversione e della morte di Giacomo Leopardi, Piemme,. Pietro
Citati, Leopardi, Milano, Mondadori,. Il Centro Nazionale di Studi Leopardiani nel
primo centenario della morte del poeta, fu istituito a Reca Centro Nazionale di
Studi Leopardiani. Esso ha come scopo la promozione di ricerche e studi
su Giacomo Leopardi in campo storico, biografico, critico, linguistico, filologico,
artistico, filosofico. Roberto Tanoni, L'aspetto di Giacomo Leopardi, Effettivamente
il titolo di conte con cui Leopardi veniva talvolta appellato, e che egli
stesso usava, in quanto primogenito dei conti Leopardi, era un "titolo di
cortesia", in quanto il vero titolo nobiliare era ancora in capo a
Monaldo, finché fu in vita. Uno
sconosciuto: l'ateo filantropo barone d'Holbach, su elapsus. ). Giulio Ferroni, La poesia del dolore: Giacomo
Leopardi, su emsf.rai). Forse la
malattia di Pott o la spondilite anchilosante. Erik Pietro Sganzerla,
Malattia e morte di Giacomo Leopardi. Osservazioni critiche e nuova
interpretazione diagnostica con documenti inediti, Booktime,: «Questo libretto
rende giustizia a un uomo che soffriva di numerosi problemi fisici, che ebbe
una vita non felice e una cartella clinica in cui sono posti in evidenza i
sintomi e il loro decorso temporale, l’età d’esordio della progressiva
deformità spinale e dei problemi visivi e gastrointestinali, l’influenza delle
condizioni psichiche e ambientali nell’accentuazione o remissione dei segnali. altamente
probabile la diagnosi di Spondilite Anchilopoietica Giovanile»; viene poi
sostenuto che Leopardi «affetto da una pneumopatia restrittiva con
insufficienza respiratoria cronica, aggravata da episodi infettivi
intercorrenti, sia morto per uno scompenso cardiorespiratorio terminale in
paziente affetto da cuore polmonare e possibile miocardiopatia. Questo io
conosco e sento, che degli eterni giri, Che dell'esser mio frale, qualche bene
o contento avrà fors'altri; a me la vita è male» (Giacomo Leopardi, Canto
notturno di un pastore errante dell'Asia)
Renato Minore, Leopardi. L'infanzia, le città, gli amori, Milano, Lettera
di G. Leopardi (Recanati) a Pietro Colletta (Livorno), ed atteso ancora che il
patrimonio di casa mia, benché sia de' maggiori di queste parti, è sommerso nei
debiti. Emilio Cecchi e Natalino
Sapegno, Storia della letteratura italiana. Milano L'Ottocento Zibaldone «Il Chimico italiano. Rossella Lalli, Si
spegne la contessa Leopardi, erede e custode della memoria del poeta, newnotizie,Scritti
vari inediti di Giacomo Leopardi dalle carte napoletane, Firenze, successori Le
Monnier, Maria Corti in «Giacomo Leopardi. Tutti gli scritti inediti, rari e
editi», Milano, Bompiani 1972
Citati20-25. Cecchi, Sapegno, oGiuseppe
BonghiBiografia di Giacomo Leopardi, su classicitaliani. Lettera a Pietro
Giordani a Milano, Recanati,in Epistolario di Giacomo Leopardi con le
iscrizioni greche triopee da lui tradotte e lettere di Pietro Giordani e Pietro
Colletta all'Autore, raccolto e ordinato da Prospero Viani, I, Napoli, Lettera all'Avv. Pietro Brighenti
a Bologna, Recanati, in Epistolario di Giacomo Leopardi con le iscrizioni ecc.
Il padre Monaldo lo vide parlare, con sorpresa, in questa lingua con un rabbino
di Ancona, secondo quanto riportato dallo storico Lucio Villari nella
trasmissione RAI Il tempo e la storia di Massimo Bernardini (puntata
"Leopardi, il rivoluzionario", 15 ottobre, RaiTre-RaiStoria) Sarà la lingua utilizzata nelle lettere allo
Jacopssen Il programma delle
celebrazioni leopardiane, su giornale.regione.marche. Il sanscrito nella teoria
linguistica di Giacomo Leopardi, in Leopardi e l'Oriente. Atti del Convegno
Internazionale, Recanati a c. di F.
Mignini, Macerata, Provincia di Macerata, M. T. Borgato, L. Pepe, Leopardi e le
scienze matematiche, 5-8. Aimé-Henri Paulian su data.bnf.fr. Un episodio della sua vita farà da spunto a
una delle Operette morali, Il Parini ovvero della gloria Cecchi, Sapegno, Spesso nell'epistolario
afferma di soffrire il freddo e di coprirsi le gambe con una coperta di
lana. C 33 esegg. Giuseppe Bortone, Il "morire
giovane" in Leopardi, su moscati..: "frequenti mi occorrono febbri
maligne, catarri e sputi di sangue…" scrive nel testo Alessandro Livi, giacomo leopardi, le
malattie ed i misteri sulla morte e sepoltura, alessandrolivistudiomedico, 28
novembre. 1º gennaio Paolo Signore,
Giacomo Leopardi: il genio di Recanati favoloso e malato, su Rotari Club Fermo,
«Di contenti, d'angosce e di desio, /
Morte chiamai più volte, e lungamente / Mi sedetti colà su la fontana / Pensoso
di cessar dentro quell'acque / La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco /
Malor, condotto della vita in forse, / Piansi la bella giovanezza, e il fiore /
De' miei poveri dì, che sì per tempo / Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso /
Sul conscio letto, dolorosamente / Alla fioca lucerna poetando, / Lamentai co'
silenzi e con la notte / Il fuggitivo spirto, ed a me stesso / In sul languir
cantai funereo canto» (Le ricordanze, Il Giacomo Leopardi torrese, su torreomnia.
Giuseppe Sergi e Giovanni Pascoli furono i primi a ipotizzare la malattia,
"diagnosi" ripresa poi da Pietro Citati e altri, e considerata
probabile causa della deformità fisica e dei problemi di salute di Leopardi
anche da una ricerca scientifica condotta nel 2005 da due medici pediatri
recanatesi, Edoardo Bartolotta e Sergio Beccacece. Es. sindrome della cauda equina Alcuni propongono altre diagnosi: diabete
giovanile con retinopatia e neuropatia, tracoma oculare con sindrome di
Scheuermann alla schiena e disturbo bipolare, sindrome di Ehlers-Danlos di tipo
cifoscoliotico, rachitismo e neuropatia periferica originate da celiachia o
malassorbimento, sifilide congenita con tabe dorsale (Antonio Ranieri, negli
anni napoletani, arrivò a pensaresalvo poi smentireaffermando che Leopardi morì
vergine (cosa dibattuta), a pag. 99 di Sette anni di sodalizio con Giacomo
Leopardi che avesse contratto la sifilide o che l'avesse ereditata dal padre.
cfr. R. Di Ferdinando, L'amarezza del lauro. Storia clinica di Giacomo
Leopardi, Cappelli, Bologna, Con un'analisi postuma molto contestata poiché
basata sulle teorie pseudoscientifiche dell'antropologia criminale e della
frenologia, Cesare Lombroso e i suoi allievi Patrizi e Giuseppe Sergi
affermarono che Leopardi aveva l'epilessia, e avesse disturbi ereditari come
tutta la sua famiglia. Cfr.: M_ L_Patrizi.
Prof. M. L. Patrizi, Saggio psico-antropologico su Giacomo Leopardi e la
sua famiglia, Torino, Fratelli Bocca Editori, M_L_Patrizi. G. Chiarini, Vita di
G. Leopardi453. E. Galavotti, Letterati
italiani Lettera di Paolina Leopardi a G.P. Vieusseux, G. Leopardi, Lettera ad
Adelaide Maestri, Lettera ad Antonietta Tommasini, G. Leopardi, Zibaldone,
autografo, Scritti vari inediti di Giacomo Leopardi dalle carte napoletane, cUn'analisi
critica del Discorso, insieme a un saggio sui Paralipomeni alla
Batracomiomachia si trova in: Riccardo Bonavita, Leopardi: Descrizione di una
battaglia, Nino Aragno Ed., Torino, Aldo Giudice, Giovanni Bruni, Problemi e
scrittori della letteratura italiana, 3,
tomo 1, Paravia, Cfr. pag. 118 del ms. dello Zibaldone, con pensiero. Dove
privato dell'uso della vista, e della continua distrazione della lettura,
cominciai a sentire la mia infelicità in un modo assai più
tenebroso. Cecchi, Sapegno Lasciando da parte lo spirito e la letteratura, di
cui vi parlerò altra volta (avendo già conosciuto non pochi letterati di Roma),
mi ristringerò solamente alle donne, e alla fortuna che voi forse credete che
sia facile di far con esse nelle città grandi. V'assicuro che è propriamente
tutto il contrario. Al passeggio, in Chiesa, andando per le strade, non trovate
una befana che vi guardi. Trattando, è così difficile il fermare una donna in
Roma come a Recanati, anzi molto più, a cagione dell'eccessiva frivolezza e
dissipatezza di queste bestie femminine, che oltre di ciò non ispirano un
interesse al mondo, sono piene d'ipocrisia, non amano altro che il girare e divertirsi
non si sa come, non (omissis) (credetemi) se non con quelle infinite difficoltà
che si provano negli altri paesi. Il tutto si riduce alle donne pubbliche, le
quali trovo ora che sono molto più circospette d'una volta, e in ogni modo sono
così pericolose come sapete.» Il passo omesso dalla pubblicazione
dell'epistolario venne censurato alla prima edizione ed è stato ripristinato
solo in edizioni recenti, come quella dei Meridiani del 2006, poiché troppo
esplicito ("non la danno"); cfr. Il senso di Leopardi per la donna di
città. Pierluigi Panza, La casa di Silvia (amata da Leopardi) restaurata e
aperta, in Corriere della Sera L'eliografia, metodo di riproduzione messo a
punto da Joseph Nicéphore Niépce nel 1822, fu da questi usato per la prima
fotografia (precedente di 13 anni il dagherrotipo). Giuseppe Bonghi, Biografia di Leopardi, su
classicitaliani. La donna nelle parole di Leopardi, su casatea.com. Paolo
Ruffilli, Introduzione alle Operette morali, Garzanti Citati226 e segg. Bortolo Martinelli, Leopardi oggi: incontri
per il bicentenario della nascita del poeta: Brescia, Salò, Orzinuovi, Vita e
Pensiero, Fotografia della maschera
(JPG), Centro Nazionale di Studi Leopardiani Recanati. 1º gennaio (archiviato il 1º gennaio ). Donatella Donati, Leopardi a Napoli, Centro
nazionale di studi leopardianiCentro mondiale della poesia e della cultura
"G.Leopardi"Recanati Città della poesia, Per lui scrisse, nel 1835,
la celebre Palinodia al marchese Gino Capponi
Niccolini era già stato l'ispiratore del personaggio di Lorenzo Alderani
delle Ultime lettere di Jacopo Ortis
«Ora bisogna che io scriva a quel maledetto gobbo, che s'è messo in capo
di coglionarmi» (Lettera di Gino Capponi a Gian Pietro Vieusseux) Una stroncatura per il Leopardi Archiviato il
26 febbraio in.; mentre fu più meditato
e indulgente il giudizio dato dal Capponi stesso, in tarda età, sulla poesia e
su Leopardi stesso. Introduzione alla
Palinodia G. Leopardi, Epigramma contro
il Tommaseo, su fregnani. Giuseppe Bonghi, Analisi di "A Silvia", su
classicitaliani.Carlo Leopardi così ricordava, su ilgiardinodigiacomo.wordpress.com.
Cfr. lettera di G. Leopardi (Recanati) a Pietro Colletta (Livorno), in cui
dichiara di aver percepito venti scudi romani (diciannove fiorentini) al
mese. Lettera aColletta dcome citato in
Marco Moneta, L'officina delle aporie: Leopardi e la riflessione sul male negli
anni dello Zibaldone, FrancoAngeli, Milano, in CitaTO Luperini, Cataldi,
Marchiani, La scrittura e l'interpretazione, Palermo, Palumbo, Le ricordanze,
v. 30. Gente che m'odia e fugge, per invidia
non già, che non mi tiene maggior di sé, ma perché tale estima ch'io mi tenga
in cor mio, in Le ricordanze, Camillo Antona-Traversi, I genitori di Giacomo
Leopardi: scaramucce e battaglie, Recanati, A. Simboli, Cecchi, Sapegno. Giacomo
Leopardi, in Catalogo degli Accademici, Accademia della Crusca. CNote ad Aspasia, nei Canti, edizione
Garzanti Donne fatali 2: Giacomo
Leopardi e Aspasia"Io non ho mai sentito tanto di vivere quanto amando...",
su sulromanzo. "Tu vivi / bella non
solo ancor, ma bella tanto, / al parer mio, che tutte l'altre
avanzi"Aspasia, G. Sarra, Dizionario Biografico degli Italiani,
riferimenti e link in. Giovanni Mèstica,
Gli amori di G. Leopardi, in Fanfulla della domenica, (Fonte DBI). Altri ritengono che il canto
alluda piuttosto alla sola Fanny Targioni Tozzetti, tra questi, Giovanni Iorio
nel commento ai Canti, edizione Signorelli, Roma. Leopardi: dama invaghita del
poeta non fu ricambiata ma evitata, su adnkronos.com. 1M. de Rubris, Confidenze
di Massimo d'Azeglio. Dal carteggio con Teresa Targioni Tozzetti, Milano,
Arnoldo Mondadori, Paolo Abbate, La vita erotica di Giacomo Leopardi, C.I.
Edizioni, Napoli 2000 Giovanni
Dall'Orto, Sempre caro mi fu, pubblicato in "Babilonia" Robert
Aldrich e Garry Wotherspoon, Who's who in gay and lesbian history, 1, ad vocem
Leopardi gay? Vietato dirlo, su ricerca.repubblica. Simone D'Andrea,
Normalmente diverso, su Giacomo Leopardi. Epistolario, BrioschiLandi, Sansoni Antonio
Ranieri, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, Garzanti, Milano. D'Orta12.
Cfr. anche la lettera di Stanislao Gatteschi a Monaldo Leopardi in Giacomo
Leopardi. Epistolario, BrioschiLandi, Sansoni È stravagantissimo nelle
abitudini del vivere. Si leva verso le due pomeridiane, mangia ad orari
irregolari, va a letto verso il fare del giorno. La sua vita non può esser
longeva per i complicati mali onde è gravato." e Antonio Ranieri, Sette
anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, Garzanti, 1 "Durante tutta la sua
vita, egli fece, appresso a poco, della notte giorno, e viceversa." Traduzione in Michele Scherillo, Vita di
Giacomo Leopardi, Greco Editori, Milano, Epistolario, lettera. Leopardi e le
donne una storia tormentata, su ricerca.repubblica. Maria Teresa Moro, Ranieri
Paola (Paolina), su treccani. 2D'Orta25.
Leopardi. Il poeta della sofferenza, su archiviostorico.corriere. Teorie
alternative sulla morte del conte Giacomo Leopardi sono state trattate e
documentate negli studi condotti dal Prof. Gennaro Cesaro (cfr. Sfrondando gli
allori della poesia) Lettera di Antonio
Ranieri a Fanny Targioni-Tozzetti, Napoli Confronta anche Pietro Citati,
Leopardi, Mondadori,, Milano, Secondo originale dell'atto di morte di Giacomo
Leopardi, su dl.antenati.san.beniculturali.
Il Progresso delle Scienze, delle Lettere e delle Arti, Napoli dalla Tipografia
Plautina, cfr. anche Notizia della morte
del Conte Giacomo Leopardi Angelo Fregnani Archiviato il 30 ottobre in..
Ad esempio cibo avariato, congestione, coma diabetico o
indigestione Cenni storiciFu
un'indigestione a causare la morte di Leopardi?, su spaghettitaliani.com. Napoli
e Leopardi, su ildelsud.org. Ecco i confetti che uccisero Leopardi. Al Suor
Orsola la collezione Ruggiero, su corrieredelmezzogiorno.corriere. in Lettera
di Antonio Ranieri a Fanny Targioni-Tozzetti, Napoli, 1 idem in Lettera di A.
R. a Monaldo Leopardi, Napoli, in Opere inedite di Giacomo Leopardi, G.
Cugnoni, I, Halle, Max Niemeyer Editore,
Nuovi documenti intorno alla vita e agli scritti di Giacomo Leopardi, G.
Piergili, Firenze, Le Monnier, in.;
"Idrotorace" in Lettera di A. R. a De Sinner, Napoli, idropisia di
petto" dice Paolina Leopardi in una lettera a Marianna Brighenti Biografia sulla Treccani, su treccani. are
LB, Matthay MA. Acute pulmonary edema. N Engl J Med Giovanni Bonsignore, Bellia
Vincenzo, Malattie dell'apparato respiratorio terza edizione, Milano,
McGraw-Hill, Mario Picchi, Storie di casa Leopardi, BUR, Dalla foto pubblicata
qui, su rete.comuni-italiani. Cfr. anche Effemeridi scientifiche e letterarie
per la Sicilia, Palermo, dalla tipografia di Filippo Solli, Opere di Pietro
Giordani, Scritti editi e postumi di
Pietro Giordani, VI, pubblicati da
Antonio Gussalli, Milano presso Francesco Sanvito, Riproduzione, che presenta
lieve variazione di testo, sotto forma di disegno in Opere di Giacomo Leopardi,
edizione accresciuta, ordinata e corretta secondo l'ultimo intendimento dell'autore,
da Antonio Ranieri, Firenze, Successori
Le Monnier, 1889, fuori testo Archiviato il 10 ottobre in..
Pasquale Stanzione, Giacomo LeopardiUna tomba vuota a Fuorigrotta, su
pasqualestanzione. Foto del Registro (JPG), su pasqualestanzione. 7
maggio (archiviato il 13 maggio ).
Ingrandimento (JPG), su pasqualestanzione.Nuove scoperte su Leopardi? Occorre
cautela Archiviato il il 5 febbraio
in. da Cronache maceratesi Luciano Garofano, Giorgio Gruppioni,
Silvano VincetiDelitti e misteri del passato: Sei casi da RIS dall'agguato a
Giulio Cesare all'omicidio di Pier Paolo Pasolini, Rizzoli PIER FRANCESCO
LEOPARDI: SONO DISPONIBILE ALLA PROVA DEL DNA, MA I RECANATESI SONO
D’ACCORDO? Loretta Marcon, Un giallo a
Napoli. La seconda morte di Giacomo Leopardi, Guida,,Ida Palisi, Leopardi,
strane ipotesi su morte e sepoltura, “Il Mattino di Napoli”, 19.8.; recensione
a: Loretta Marcon, Un giallo a Napoli. La seconda morte di Giacomo Leopardi,
Guida, Mario Picchi, Storie di casa
Leopardi. Si riporta anche il verbale ufficiale delle persone presenti.
E' vuota la tomba di Leopardi. Guerra sulla riesumazione dei resti, su
ricerca.repubblica. La Vita Leopardi,
sito gestito dal CNSL Si torna a parlare
dei resti di Leopardi, nato comitato per l'esumazione dal sacello del parco
Virgiliano di Napoli, su ilcittadinodirecanati. Il ritratto della pinacoteca di
Recanati, su cdn.studenti.stbm. In Opera Omnia, Milano, Mondadori, Cfr. in proposito anche gli studi che il
filosofo Giovanni Gentile ha dedicato a Leopardi, in particolare: Manzoni e
Leopardi: saggi critici (Milano, Treves, Poesia e filosofia di Giacomo Leopardi
(Firenze, Sansoni). Paolo Emilio
Castagnola, Osservazioni intorno ai Pensieri di Giacomo Leopardi, pag. 26, Tipografia
del Mediatore, Gino Tellini, Filologia e storiografia. Da Tasso al
Novecento, 153-154, Roma, Ed. di Storia
e Letteratura, Sebastian Neumeister, Giacomo Leopardi e la percezione estetica
del mondo Peter Lang, In Saggi critici,
L. Russo, Bari, Laterza Chiese e Santuari Comune di Recanati, su comune.recanati.mc. Per Giacomo Leopardi, su pergiacomoleopardi.altervista.org.
Tutte le indicazioni su luoghi e viaggi sono prese da Attilio Brilli, In
viaggio con Leopardi, Il Mulino, Bologna Tra virgolette le parole di Leopardi,
tratte da sue lettere. Marta Sambugar, Gabriella Sarà, Visibile parlare,
da Leopardi a Ungaretti, Milano, RCS Libri, Marta Sambugar, Gabriella Sarà,
Visibile parlare, da Leopardi a Ungaretti, Milano, RCS Libri, Operette morali,
su internetculturale. Marta Sambugar, Gabriella Sarà, Visibile parlare, da
Leopardi a Ungaretti, Milano, RCS Libri, Fabio Marri, Neologismi Enciclopedia
dell'Italiano (), Istituto dell'Enciclopedia italiana. Catalogo della mostra "Viaggi e transiti
opere leopardiane di Valeriano Trubbiani" realizzata in occasione
dell'inaugurazione del Centro culturale "Pergoli" di Falconara Marittima
Comune di Falconara Marittima, Aniballi Grafiche, Ancona, 2005 Vedi la scheda dedicata al CARTCentro
permanente per la Documentazione dell'Arte Contemporanea di Falconara Marittima
nel sito "La memoria dei luoghi" del Sistema Museale della Provincia
di Ancona: CARTCentro permanente per la documentazione dell'Arte contemporanea,
su Associazione "Sistema Museale della Provincia di Ancona".
"Le Marche di Leopardi", breve documentario diretto da Alessandro
Scilitani, patrocinato dalla Regione Marche: youtube.com /watch?v= Km1EK0MH6Sg ascolta la canzone nel sito della Fondazione
Giorgio Gaber:// Giorgio gaber/ discografia-album/ benvenuto-il-luogo-dove-testo
Archiviato il 6 settembre in. vedi il testo dell'Operetta morale in Operette
_morali /Dialogo _di_ un_ venditore_ d%27 almanacchi_ e_di_un_passeggere. Il
cortometraggio di Ermanno Olmi Dialogo di un venditore di almanacchi e di un
passeggiere: youtube. com/ watch? v=hiJOBKJZNaU
Il cortometraggio di Ermanno Olmi Dialogo di un venditore di almanacchi
e di un passeggiere è inoltre visibile all'interno del programma
"Leopardi, il rivoluzionario" di Giancarlo Mancini, puntata della
rubrica televisiva di Rai Storia "Il tempo e la storia" con Massimo Bernardini
e lo storico Lucio Villari://raistoria.rai/articoli/leopardi- il-rivoluzionario/25794/default.aspx
"Leopardi, il rivoluzionario" di Giancarlo Mancini, puntata della
rubrica "Il tempo e la storia" con Massimo Bernardini e lo storico
Lucio Villari://raistoria.rai/articoli/leopardi-il-rivoluzionario/25794/default.aspx
in. Rai Storia, "Giacomo Leopardi e
l`importanza di
Recanati"://raiscuola.rai/articoli/giacomo-leopardi-parte-prima/3205/default.aspx
Archiviato l'8 settembre in. Nel sito web de "La Stampa",
Francesco Guzzini del Centro Studi Leopardiani mostra l'itinerario che il Poeta
compiva per recarsi dalla propria abitazione al punto di osservazione del
paesaggio che gli ispirò
L'infinito://lastampa//07/16/multimedia/societa/viaggi/ecco-il-vero-colle-dellinfinito-descritto-da-giacomo-leopardi-fncjkba7fEJyVoUSrazy1H/pagina.html.
Lo spot turistico sulle Marche con Dustin Hoffman con la regia di Giampiero
Solari: youtube.com/watch?v=gEndornqlHo Archiviato il 22 agosto in.
"A casa di Giacomo Leopardi", intervista di Pippo Baudo alla
contessa Olimpia Leopardi all'interno del Palazzo Leopardi di Recanati:
youtube.com/watch?v=oNlkBu0E "Un
Leopardi inedito" raccontato da Novella Bellucci e Franco D'Intino nella
puntata di "Visionari" del 15 giugno, programma televisivo condotto
da Corrado Augias su Rai 3: youtube.com/watch?v=KwFnKv0TBaI Intervista allo scrittore Alessandro D'Avenia
sul suo libro e spettacolo teatrale “L'arte di essere fragilicome Leopardi può
salvarti la vita” nel sito di RepubblicaTv ():
youtube.com/watch?v=oXGh3g6lQsM Vittorio
Gassman interpreta L'infinito, su youtube.com. 15 settembre (archiviato il 23 maggio ). V. Gassman interpreta A Silvia:
youtube.com/watch?v=7hEbvxBi2ZQ Archiviato il 29 marzo in.
Vittorio Gassman interpreta La sera del dì di festa:
youtube.com/watch?v=TPpCs6tws_U Vittorio
Gassman interpreta Amore e Morte: youtube Vittorio Gassman interpreta La quiete
dopo la tempesta: youtube.com/watch?v=- 8jasZDrV2U Vittorio Gassman interpreta
A se stesso: youtube.com/watch?v=F0lhF2s_5s4
Carmelo Bene interpreta L'infinito: youtube.co Carmelo Bene interpreta Passero solitario:
youtube.com/ watch?v=IZz Qbnzpaok
Carmelo Bene interpreta La ginestra (o Il fiore del deserto):
youtube.com /watch?v=ZqzVXF3Fx4Y C. Bene
interpreta Alla luna: youtube.com/watch?v=v9IriaUNWQk Carmelo Bene interpreta La sera del dì di
festa: youtube.com/ watch?v=qydGUiV1wwI
Carmelo Bene interpreta Il sabato del villaggio: youtube. com/watch?v=vI9PJfCtWw4 Carmelo Bene interpreta Le ricordanze:
youtube.com/watch?v=jyB0eM9AOoM C. Bene
interpreta Canto notturno di un pastore errante dell'Asia: youtube Carmelo Bene
interpreta Inno ad Arimane: youtube.com/ watch?v=f2-QAubKbLE vedi su Inno ad Arimane: Canti_ (superiori )#
Le_ posizioni_ contro _ l.27 ottimismo _progressista Archiviato il 15
settembre in. leggi il testo di Inno ad Arimane in
Wikisource: it.wikisource.org/wiki/Puerili_(Leopardi)/Ad_Arimane Archiviato il
15 settembre in. Carmelo Bene interpreta Amore e Morte:
youtube.com/watch?v=epYU4-n2jGw Arnoldo
Foà interpreta L'infinito: youtube Arnoldo Foà interpreta Passero solitario:
youtube.com/watch?v= nOr3Qbceuhg Arnoldo
Foà interpreta A Silvia: youtube Arnoldo Foà interpreta Il sabato del
villaggio: youtube.com/watch?v=kmk_gd-48XE
Arnoldo Foà interpreta La sera del dì di festa:
youtube.com/watch?v=aWOJfMZeCVo Arnoldo
Foà interpreta Canto notturno di un pastore errante dell'Asia: youtube Arnoldo
Foà interpreta Le ricordanze: youtube.com/watch?v=hL855FC_juA A. Foà interpreta
La ginestra (o Il fiore del deserto): youtube.com/watch?v=zBnDqu8X5fk Arnoldo Foà interpreta Il tramonto della
luna: youtube Arnoldo Foà interpreta All'Italia:
youtube.com/watch?v=iNHqhHiIqok Arnoldo
Foà interpreta Alla luna: youtube.com/watch?v=oxzCzwR05WE G. Albertazzi interpreta L'infinito:
youtube.com/watch?v=BLmhOx6IuCw Archiviato il 1º giugno in.
Nando Gazzolo interpreta L'infinito:
youtube.com/watch?v=Te8tyDDsh2A Gabriele
Lavia interpreta L'infinito: youtube.com/watch?v=oSV7eBa-_Ao Gabriele Lavia discetta sull'opera di
Leopardi, prima della "dizione" delle opere di Leopardi: youtube Alberto
Lupo interpreta Ultimo canto di Saffo: youtube Elio Germano, nel film Il giovane favoloso di
M. Martone, interpreta L'infinito: youtube.com/watch?v=jIvzQvi75rQ Elio Germano, nel film Il giovane favoloso di
Mario Martone, interpreta La ginestra (o Il fiore del deserto):
youtube.com/watch?v=U5e___IGHm4 Elio
Germano, nel film Il giovane favoloso di M.nMartone, interpreta la pri ma parte
de La sera del dì di festa: youtube.com/watch?v NgI8uekF6H4 Elio Germano, nel film Il giovane favoloso di
Mario Martone, interpreta un brano di Amore e Morte: youtube Elio Germano, nel
film Il giovane favoloso di Mario Martone, interpreta l'ultima parte di
Aspasia: youtube nito», su corriere,/turismo.marche/Portals/1/Leopardi/Leopardi%2
0nel%20mondo.pdf Il backstage dello spot
promozionale della Regione Marche con Dustin Hoffman ed il regista Giampiero
Solari: youtube.com/watch?v=zi-UJTIBatM
La stroncatura di Mina allo spot della Regione Marche: youtube.co riportato
in: "Il cittadino di Recanati", Anche Mina nella sua rubrica su
"La Stampa" affonda lo spot con L'infinito, su ilcittadinodirecanati,
"Il Resto del Carlino" Ancona, "Leopardi bisogna
meritarselo" Mina critica lo spot della Regione, su ilrestodelcarlino, "Il Resto del Carlino" Ancona, Spot
di Hoffman, su YouTube 21 mila visualizzazioni, su il resto del carlino, Dustin
Hoffman ancora sponsor delle Marche. Ma sembra lo spot di se stesso, su
blitzquotidiano. 6 settembre (archiviato
il 6 settembre ). vedi la serie di spot
"Le Marche non ti abbandonano mai" interpretati dall'attore
marchigiano Neri Marcorè, con la regia di Rovero Impiglia e Giacomo Cagnelli:
youtube Marco Minnucci, La regione Marche rispedisce Dustin Hoffman in America
e pone fine allo stupro di Leopardi, su qelsi, su Giacomo Leopardi. Edizioni delle opere
Giacomo Leopardi, [Opere. Poesia], Bari, G. Laterza, Epistolario Epistolario di
Giacomo Leopardi, Francesco Moroncini, Firenze: Le Monnier, Lettere, Sergio
Solmi e Raffaella Solmi, Milano-Napoli: Ricciardi, poi Torino: Einaudi
«Classici Ricciardi» Il Monarca delle Indie. Corrispondenza tra Giacomo e
Monaldo Leopardi, Graziella Pulce, introduzione di Giorgio Manganelli, Milano:
Adelphi «Biblioteca» Franco Brioschi e Patrizia Landi, Torino: Bollati
Boringhieri, 1998 Rolando Damiani, Milano: Arnoldo Mondadori Editore «I
Meridiani», Zibaldone Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura,
Giosuè Carducci e altri, Firenze: Le Monnier, Pensieri di varia filosofia,
Ferdinando Santoro, Lanciano: Carabba, Attraverso lo Zibaldone, Valentino
Piccoli, Torino: Pomba scelto e annotato
con introduzione e indice analitico Giuseppe De Robertis, Firenze: Le Monnier, Il
testamento letterario, pensieri scelti, annotati e ordinati in sei capitoli da
«La Ronda», Roma: La Ronda, con prefazione e note di Flavio Colutta, Milano:
Sonzogno, Opere, volume III: Zibaldone scelto, Giuseppe De Robertis, Milano:
Rizzoli, Francesco Flora, Milano:
Mondadori, in Antologia leopardiana: Canti, Operette morali, Pensieri,
Zibaldone ed Epistolario, Giuseppe Morpurgo, Torino: Lattes, in Opere, Sergio
Solmi e Raffaella Solmi, Milano-Napoli: Ricciardi, poi parzialmente Torino:
Einaudi, «Classici di Ricciardi», in Tutte le opere, introduzione e cura di
Walter Binni, con la collaborazione di Enrico Ghidetti, Firenze: Sansoni); Anna
Maria Moroni, saggi introduttivi di Sergio Solmi e Giuseppe De Robertis, Milano:
Mondadori «Oscar» (con uno scritto di Giuseppe Ungaretti) e edizione
fotografica dell'autografo con gli indici e lo schedario, Emilio Peruzzi, Pisa:
Scuola normale superiore, Il testamento letterario, pensieri dello Zibaldone
scelti annotati e ordinati da Vincenzo Cardarelli, con una premessa di P. Buscaroli,
Torino: Fogoli, Pensieri anarchici scelti Francesco Biondolillo, Napoli:
Procaccini, edizione critica e annotata Giuseppe Pacella, Milano: Garzanti «I
Libri della Spiga», Rolando Damiani, Milano: Mondadori, «I Meridiani», Teoria
del piacere, scelta di pensieri con note, introduzione e postfazione di
Vincenzo Gueglio, Milano: Greco e Greco, edizione tematica stabilita sugli
indici leopardiani, Fabiana Cacciapuoti, prefazione di Antonio Prete, Roma: Donzelli
Editore, Lucio Felici, premessa di Emanuele Trevi, indici filologici di Marco
Dondero, indice tematico e analitico di Marco Dondero e Wanda Marra, Roma:
Newton Compton, «Mammut», Tutto e nulla, antologia Mario Andrea Rigoni, Milano:
Rizzoli «BUR», edizione critica Fiorenza Ceragioli e Monica Ballerini, Bologna:
Zanichelli, Canti con note per cura di Francesco Moroncini, Leopardi, Giacomo,
Canti: commentati da lui stesso, Palermo: R. Sandron, Niccolò Gallo e Cesare
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di Francesco Moroncini, Bologna: Cappelli, 1929 introduzione cura di Antonio Prete,
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Leopardi, Operette morali, Bari, Laterza, Pensieri Giacomo Leopardi, Pensieri,
Bari, G. Laterza e Figli Edit. Tip., introduzione cura di Antonio Prete,
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Italiani e opere complete interbooks.eu
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autografi della Biblioteca Nazionale di Napoli, su bnnonline. Il Pessimismo in
Leopardi e Schopenhauer [collegamento interrotto], su gheminga. Opere integrali
in più volumi dalla collana digitalizzata "Scrittori d'Italia"
Laterza Opere di Giacomo Leopardi, testi con concordanze, lista delle parole e
lista di frequenza Leopardi: Dialogo di un Fisico e di un Metafisico. Arte di
prolungare la vita o arte della felicità?, su giornaledifilosofia.net. Concordanze
delle Lettere su classicistranieri.com. Autobiografia (Monaldo Leopardi)/Monaldo
Leopardi, la satira a servizio della fede, su totustuus.biz. Nietzsche e
Leopardi a confronto, su agenziaimpronta.net. Leopardi ottimista: un mito del
Novecento, su cle.ens-lyon.fr 10 gennaio ). Cesare Angelini, "Sereno in
Leopardi", su cesareangelini. Mario Buonofiglio, "L'inquietudine
ritmica dell'in(de)finito", su academia.edu. STUDI LEOPARDIANI. Il
primo di questi scritti usci nella Rassegna bibliografica della letteratura
italiana di A. D'Ancona, xv (1907). Il secondo nella Critica, IX (1911),
142-51 e 467-80. Il terzo nella stessa Critica, XV (1917), 384-88. Tutti
e tre furono riprodotti nei Frammenti di Estetica e Letteratura,
Lanciano, Carabba, 1921, pp. 299-346. LA FILOSOFIA DEL LEOPARDI
Si ha alle stampe un’ Esposizione del sistema filosofico di
Giacomo Leopardi *. E una dissertazione di laurea, e reca infatti
l’impronta comune a tutti i lavori giovanili. L’inesperienza apparisce nello
stesso titolo del libro, un po’ troppo prosaico, e incongruo col
contenuto del libro, che non vuol essere propriamente un’esposizione
fatta dall’autore del sistema filosofico del Leopardi; ma ap¬ punto
questo sistema, portato innanzi al lettore con le stesse parole del
Leopardi; non volendo l’autore da parte sua aggiungervi se non
prefazione, note ed epilogo. Metodo anche questo alquanto ingenuo e da
scrittore che non vede ancora la necessità, chi voglia rappresen¬
tare nella sua unità logica e nell’organismo delle sue parti il pensiero
d’un filosofo, d’appropriarsi questo pensiero, entrarvi dentro,
mettendosi allo stesso punto di vista del filosofo, e quindi in grado di
rielaborare il suo pensiero, chiarendolo con le attinenze storiche a cui
è legato, e con le dilucidazioni intrinseche di cui logica¬ mente è
suscettibile, salvo a mostrarne, ove occorra, la inconsistenza: in modo
che l’esposizione riesca una vita nuova del sistema filosofico nella
mente dell’espositore. ’ Pasquale Gatti, Esposizione del sistema
filosofico di Giacomo Leopardi, saggio sullo Zibaldone, Firenze, Le
Monnier, 1906, 2 voli. Lavoro difficile, certo, e che non riesce
felicemente se non agli scrittori provetti; ma che nessuno
ordinaria¬ mente crede di potere schivare, se non limiti il proprio
ufficio a quello di semplice editore; e tutti ne escono alla meglio,
esponendo i vari sistemi come ciascuno li ha intesi. L’autore
di questo libro, invece, ha voluto mettere insieme i passi dello Zibaldone
leopardiano, mostrando come fil filo un pensiero si svolgesse dall’altro;
e dove la connessione non appariva evidente nelle parole del testo,
ha supplito di suo i legamenti opportuni, ma con¬ tinuando a parlare, in
prima persona, a nome del Leo¬ pardi: proprio come se questi avesse
riordinata e orga¬ nizzata quella copiosa congerie di riflessioni già via
via segnate sulla carta a schiarimento del proprio pensiero e a
sfogo della sua malinconia. Né ha lontanamente so¬ spettato il rischio, e
stavo per dire la responsabilità, a cui andava incontro, facendo parlare
per la sua bocca lui, il Leopardi. Ha creduto che nello Zibaldone
stesse, pezzo per pezzo, tutto un sistema; e non ha saputo re¬
sistere al seducente disegno d’innalzare, con la semplice composizione
degli stessi materiali leopardiani, la statua del filosofo sul
piedestallo finora vuoto. Laddove è chiaro che, se anche nei pensieri
inediti del Leopardi fosse im¬ plicito un sistema perfetto di filosofia,
la via di ritro- varvelo e dimostrarvelo non poteva essere questa
scelta dall’autore. Ma veniamo all’argomento. L’autore, come
già altri, ha creduto che, se le opere edite ci avevan dato il Leopardi
poeta, questi inediti Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
venuti ultimamente in luce, ci scopris¬ sero il Leopardi filosofo. Questa
era anche la tesi dello Zumbini nel suo studio Attraverso lo Zilbaldone,
da cui il nuovo studioso manifestamente prende le mosse, distinguendo due
fasi principali della filosofia pessimistica del Leopardi: nella prima
delle quali il dolore sarebbe conseguenza della civiltà; nella seconda,
della stessa natura; donde prima una concezione storica del pessi-
niismo, e poi una concezione cosmica. Ma lo Zumbini non insisteva sul
valore sistematico di questa filosofia leopardiana; e, d’altra parte, nel
secondo volume dei suoi Studi sul Leopardi, esaminando le Operette
morali, veniva in realtà a mostrare come tutto il succo di quelle
riflessioni dello Zibaldone, le conclusioni di quel lungo soliloquio che
dal 1817 il Leopardi aveva fatto seco stesso per iscritto, fossero
appunto condensate nelle Operette. Gatti, invece, ha esagerato fuor di
misura la tesi dello Zumbini, cominciando col cancellare quelle
differenze cronologiche, che lo Zumbini aveva badato bene a man¬
tenere tra i vari Pensieri (datati, com’ è noto, dal Leo¬ pardi) :
cancellarle a disegno, per poter adoperare i singoli pensieri liberamente
come parti integranti d’un sistema logico. Ora, lo Zibaldone comprende
centinaia e centi¬ naia di pensieri annotati come si formavano giorno
per giorno nella mente del Leopardi attraverso ben (juindici anni
{1817-32) : periodo lungo per ogni vita, lunghissimo per quella del
Leopai'di, che in 39 anni forse non visse meno che il Manzoni in 78. Esso
è anzi il diario degli anni in cui si svolse la vita morale del poeta, e
offre perciò, com’ è stato notato, un riscontro a tutti i senti¬
menti, a tutti i pensieri già noti dai canti e dalle prose da lui stesso
pubblicate. Ed è chiaro che, se in questi sette volumi abbiamo, per dir
così, i segreti documenti di tutto il lavorìo intimo di quello spirito,
non potremo apprezzarli nel loro giusto valore, se prescindiamo
dalle loro rispettive date; perché a chi scrive ogni giorno le
proprie riflessioni, la verità è quasi la verità di quel giorno: e quel
lavoro di sistemazione e organizzazione, per cui di tutti i pensieri
slegati si possa fare un tutto coerente, manca. *— Gentile,
ifa» 2 ont e Leopardi. Il Gatti protesta che non va imputato a sua
«poca accortezza qualche salto anacronico, a dir così, facile a
rilevarsi, che qua e là avvicinerà pensieri cronologicamente molto
lontani fra loro ». E la sua ragione sarebbe questa : «Tali salti, mentre
da un lato ci forniscono ancora una prova evidentissima e incontrastabile
della profonda ri¬ pugnanza.... provata dal Leopardi per una
concezione cosmica del dolore, rivelano nettamente, d’altronde, il
proposito nell’Autore di rifare spesso a ritroso coll’ im¬ maginazione la
via già percorsa dal pensiero allo scopo di viemmeglio assicurarsi che
non battesse falsa strada, e così riprendere, sempre jiiù sicuro di sé,
il cammino, allorché quella linea immaginaria d’orientamento non
gli avrà mostrata altra via da battere per giungere alla mèta
prefìssa» (I, 70). Cioè, se ho capito bene; a dilucida¬ zione di pensieri
anteriori il Gatti stima di poter addurre pensieri di un tempo più
avanzato, anche quando occorra ammettere avvenuto nell’ intervallo un
cambiamento sostanziale di pensiero, iierché il Leopardi rifà
talvolta con l’immaginazione la via già percorsa col pensiero, e
già superata. Ci sarebbero certi « pensieri di ritorno », o « ritorni
immaginari », per cui, secondo il Gatti, non bisogna credere che il
Leopardi contraddica al suo jien- siero posteriormente acquisito, anzi lo
lasci intatto, ma, per certa ripugnanza sentimentale alle più accoranti
ve¬ rità, per un bisogno del cuore ili certi temperamenti, torni
per un momento agli ameni inganni, o alla mezza filosofia d’una volta. Ma
per immaginario che sia, un ritorno siffatto nella mente del Leopardi, se
noi crediamo di poter fissare questa nella coerenza di certi pen¬ sieri
definitivi, è evidente che non può essere altro che una contraddizione.
Di che, qua e là, il Gatti è costretto, quasi suo malgrado, ad
accorgersi, e a cercarvi una sa¬ natoria. Sanatoria inutile, se egli
avesse rinunziato a pretendere dal Leopardi, nelle sue stesse intime
confessioni, queU’unità sistematica che non era nella natura di tali
confessioni. E non era neppure nella natura dello spirito del
Leo¬ pardi, che fu un poeta, un grande, un divino poeta, ma non fu
un vero e proprio filosofo. Che fa che egli abbia tante volte protestato
di possedere una sua filosofia ? Allo stesso modo del Leopardi, più o
meno, chiunque si ritiene in grado di giudicare dei sistemi dei
filosofi, ossia di mettersi, non dico alla pari, ma al di sopra di
costoro, e insomma di affermare una filosofia propria che possa aver
ragione di quei sistemi. E dal proprio punto di vista chiunque, così
facendo, ha ragione; e aveva ragione il Leopardi ; perché in fondo a ogni
mente umana, sopra tutto in fondo a quella dei grandi poeti, è
incon¬ testabile l’esistenza di una filosofia: e però è lecito par¬
lare così di una filo.sofia del Leopardi, come di una filo¬ sofia del
Manzoni, dell’Ariosto, di Shakespeare, di Omero. Ma questa filosofia dei
poeti non è la filosofia dei filosofi, e bisogna trattarla, per non
snaturarla e non distrug¬ gerla, con molta delicatezza. Una
delle differenze più notabili tra la filosofia dei poeti e quella dei
filosofi è che il poeta può averne una, se è capace di averla, in ogni
singola poesia; laddove il filosofo che dice e disdice, e muta sempre la
sua dot¬ trina, non ha nessuna dottrina. Il Leopardi è in pieno
diritto, come poeta, di affrontare il problema del dolore, sempre da
capo, con nuovo animo, con considerazioni nuove, da un nuovo aspetto, ora
maledicendo alla virtù, ora inneggiando all’amore onde l’umana compagnia deve
stringersi contro il fato. Ogni poesia, ogni prosa del Leo¬ pardi è
infatti una situazione d’animo nuova; quindi una nuova vista dello stesso
dolore che domina l’anima del poeta; un nuovo concetto, una filosofia
nuova, che solo trascurando le differenze essenziali, che in una
poesia e in una prosa del genere di quelle del Leopardi son tutto, si può
rappresentare come sempre identica. Egli è che il poeta,
checché si proponga e dica di aver fatto, non espone propriamente una
filosofia: ma esprime soltanto un suo stato d animo, occupato,
deter¬ minato e quasi colorito da certi pensieri dominanti. Abbozza
in se medesimo (e quindi in un diario intimo) una filosofia
prov\TÌsoriamente sufficiente ad appagare i bisogni della propria ragione
(che non sono poi grandi in uno spirito prevalentemente poetico); e
questa filo¬ sofia, in quanto profondamente sentita, in quanto vita
della propria anima, diventa materia di poesia. Di poesia anche in prosa;
perché, in sostanza la prosa leopardiana è anch’essa poesia, cioè espressione
piena di certi stati d’animo del Poeta, diversi da quelU manifestati nei
Canti per lo sforzo che nella prosa come nei Paralipomeni il
Leopardi fa di costringere il sentimento spontaneo dentro r intenzione
ironica, satirica, che gli fece appunto pre- f0rire la prosa al verso. Ma
in realtà, nelle Operette come nei Canti c’ è il Leopardi con la sua
filosofia tetra e col suo candore, col suo disprezzo degli uomini e col
suo grande amore per essi; con tutte quelle contraddizioni, che
altri ha studiosamente cercate in lui, e che sono il vero segno
caratteristico del suo spirito poetico e non filosofico. La
filosofia vera e propria non deve aver niente del¬ l’anima individuale di
chi la costruisce. Essa è una li¬ berazione assoluta compiuta dal
filosofo dai limiti della soggettività; è una contemplazione, diciamo
così, d’una verità eterna, in cui il filosofo, come persona
particolare, si dimentica di se stesso, e dei suoi dolori, e di tutte
le tendenze affettive dell’animo suo. La filosofia di Spi¬ noza, la
cui \dta e il cui animo han parecchi punti di somiglianza con quelli del
Leopardi non presenta nes- • Cfr. F. Tocco, Biografia di B.
Spinoza, nella Rivista d’ Italia, a. II (1899). voi. I. pp. 262-63.
suna traccia, non offre nessuno indizio di sentimenti personali. K
veramente una visione del mondo sub specie aeternitatis, come egli
diceva, in cui la personalità del filosofo scompare. La filosofia dei
poeti, si potrebbe dire, scompare nell’animo dei poeti stessi; l’animo
dei filo¬ sofi. invece, scompare nella loro filosofia. Onde una
volta noi abbiamo innanzi una persona determinata, viva in tutto
l’agitarsi dell’animo suo; un’altra volta, un si¬ stema di concetti, in
sé. Certo, tra le due filosofie non c’ è un taglio netto, che
divida i filosofi dai poeti; ma il pessimismo leopar¬ diano è, come è
stato tante volte osservato, così impre¬ gnato di elementi ottimistici,
così logicamente frammen¬ tario e contradittorio, e d’altra parte così
poeticamente coerente e vivo, che lo scambio non è possibile. Noi
pos¬ siamo studiare, dunque, la sua filosofia, ma come vita del suo
spirito, materia della sua poesia. Studio, ripeto, molto delicato; perché
in esso non bisogna mai lasciarsi sfuggire che la realtà vera, a cui
bisogna aver l’occhio, non è questa filosofia in se medesima, astratta
materia della poesia, ma la poesia appunto, in cui quella filosofia
è per acquistare la vita che uno spirito poetico è capace di comunicarle.
La filosofia quindi va studiata per inten¬ dere la poesia, e valutata in
quanto poesia, per quella vita poetica che riuscì a vivere nello spirito
del Poeta. La pubblicaizione dello Zibaldone ha fortemente
con¬ tribuito a fare smarrire questo criterio. Ci s’ è trovata innanzi
la materia grezza della poesia leopardiana, quella tal filosofia, che il
Leopardi rimuginava dentro se stesso, e che, per quanto confidata a uno
Zibaldone, non aveva pregato nessuno di mettere in pubblico: quella
filosofia, che egli destinava a far materia di espressione più per¬
fetta, cioè di opera poetica; e che infatti divenne in parte materia di
canti e di dialoghi (com’ è stato osser¬ vato, ma merita di essere
particolarmente studiato). E dimenticando che pel Leopardi tutti questi
materiali non avevano valore per sé, ma l’avrebbero acquistato
soltanto quando egli li avrebbe trasformati, qualcuno s’è detto : o
eccoci finalmente innanzi la filosofia del Leopardi! — No, questi sono i
detriti della sua poesia: tutto ciò che la sua forza poetica non avvivò,
non tra¬ sfigurò, o rinnovò interamente, avvivandolo e trasfigu¬
randolo nel suo canto e nella sua satira. E produce davvero una
strana impressione il proce¬ dimento seguito dal dott. Gatti, che
riferisce nel testo certe informi osservazioni dello Zibaldone, e a
sussidio di esse, in nota, luoghi delle Operette o versi dei Canti,
in cui gli stessi pensieri assursero a forma artistica. Il perfetto fatto
servire all’imperfetto; la poesia ridotta a documento d’un suo documento
! Ecco un esempio di filosofia documentata con poesia. In un
pensiero del io luglio 1823 * il Leopardi s era domandato; — Che vale per
noi questa «miracolosa e stupenda opera della natura, e l’immensa
egualmente che artificiosa macchina e mole dei mondi ? ». A che
serve, dunque, questo ’ « infinito e misterioso spettacolo dell’esistenza
e della vita delle cose », se « né resistenza e vita nostra, né quella
degli altri esseri giova veramente nulla a noi, non valendoci punto ad
esser felici ? ed es¬ sendo per noi l’esistenza, così nostra come
universale, scompagnata dalla felicità, eh’ è la perfezione e il
fine dell’esistenza, anzi l’unica utilità che resistenza rechi a
quello ch’esiste ?» — Qui, in verità c’ e tutta la Idosofia del Leopardi.
Ma che significano queste sue interroga¬ zioni ? Esse non possono aver
altro significato che questo, che, non sapendo concepire il fine
dell’esistenza umana * Zibald., V. 88-89. ^ Queste
giunture frapposte alle parole del Leopardi sono del Gatti, che riassumo
e in questo caso mi pare modifichi leggermente il senso del testo.
e mondiale se non come felicità, e non vedendo, d’altronde,
che tal fine sia o possa mai esser raggiunto, egli, Giacomo Leopardi,
finisce col non sapersi più spiegare quale possa essere il fine di quest’universo,
che pur nella sua arti¬ ficiosa costruzione e nella sua vasta armonia
farebbe pensare a un’ intima finalità. Qui non è affermata una
verità obbiettiva; è bensì manifestata la situazione per¬ sonale del
poeta: situazione, che sarà jierfettamente espressa quando il Leopardi ci
dirà tutta la risonanza che questo suo ondeggiare tra il concetto di una
finalità eudemonistica universale e il dubbio suUa validità di tal
concetto ha neU’animo suo; quando da questo suo per¬ petuo ondeggiare (che
non è filosofia, ma atteggiamento filosofico, o filosofia soltanto
iniziale e potenziale), egli sarà ispirato al Canto notturno di un
pastore errante del¬ l’Asia (1829-30), che il Gatti reca a confronto e
conforto di quelle note dello Zibaldone. Nel Canto notturno il Leo¬
pardi dice con l’energia della fantasia commossa quello che nelle note
fugaci del diario era sommariamente ac¬ cennato, quasi appunto o traccia
del canto. E quando miro in cielo arder le stelle. Dico
fra me pensando: A che tante facelle ? Che fa l’aria
infinita, e quel profondo Infinito seren ? che vuol dir questa
Solitudine immensa ? ed io che sono ? Cosi meco ragiono: e della
stanza Smisurata e superba, E dell' innumerabile
famiglia; Poi di tanto adoprar, di tanti moti D’ogni celeste,
ogni terrena cosa. Girando senza posa. Per tornar
sempre là donde son mosse; Uso alcuno, alcun frutto Indovinar
non so. Qui veramente c’ è l’anima tormentata dal dubbio che
non ci sia un fine nel mondo; e non è il dubbio astratto di un filosofo,
ma il dubbio che irrompe neH’anima di un poeta, che mira in cielo arder
le stelle, quasi tante faci accese a illuminare il mondo; e sente
l’infinità del¬ l’aria, il sereno profondo infinito (elementi di grande
commozione, com’ è noto, per il Leopardi), e l’immensità della solitudine
attorno alla propria persona non dimen¬ ticata {ed io che sono P) né
dimenticabUe perché palpi¬ tante; ecc. Qui c’è, non più il germe d’una
filosofia, ma l’uomo Leopardi, intero, con l’ansia e il terrore che
gh desta lo spettacolo dell’ infinito misterioso, muto al dolore di lui
che vi si sente dentro smarrito. C’ è anche, innegabilmente, un dubbio
filosofico : semphce dubbio («qualche bene o contento avrà
/o;'s’altri.... Forse s’avess’ io l’ale.... più febee sarei, o forse erra
dal vero b mio pensiero, Forse in qual forma.... è funesto a chi
nasce il dì natale); ma come elemento o momento della lirica
grande. La pubblicazione dello Zibaldone, badiamo bene, è
stata, in fondo, una certa quale indelicatezza, che nessun onesto avrebbe
giustificato, vivo il Leopardi, e che non si permise infatti il Ranieri,
intimo del Poeta e conscio deUe sue intenzioni e del valore da lui
attribuito al pro¬ prio diario. Ognuno che scriva e stampi, pubblica
soltanto queUo che gli par compiuto secondo il fine a cui, più o
meno consapevolmente, mira scrivendo. Un poeta non beenzia al pubbbeo le
tracce e gli abbozzi delle sue poesie. Anzi, questi antecedenti naturali
del suo prodotto arti¬ stico, ha un certo schivo pudore di mostrarli al
pub¬ bbeo: sono il suo segreto. Sono infatti cosa sua perso¬ nale;
laddove quello che egli crede arte, gb par bene appartenga, o possa
appartenere, a tutti gb spiriti. Certo, r interesse storico, il legittimo
e nobile desiderio d’in¬ tendere le opere del genio, mediante la
conoscenza più larga che sia possibile della sua anima, bastano a
giu¬ stificare la pubblicazione di siffatti abbozzi, come degb
epistolari intimi, che svelano, senza riguardi, i più gelosi segreti
delle persone, le quali a un certo punto si finisce col credere che
appartengano agli altri più che a se stesse. Ma questa giustificazione
non deve farci dimenticare che gli abbozzi del poeta, sono abbozzi delle
sue poesie, come gli appunti provvisori del filosofo sono antecedenti
spesso superati e rifiutati della sua filosofia. Ad ogni modo non
si dovrà mai pretendere d’attribuire ad essi altro valore che di sussidio
a intendere quelle opere, che rappresen¬ tano la conclusione definitiva
del poeta e del filosofo. Tutto questo, si potrebbe osservare, sarà
un bel di¬ scorso; ma è troppo generale ed astratto. Bisogna vedere
al fatto, se il Leopardi, dopo gli studi del dott. Gatti, ci apparisca
nello Zibaldone un vero filosofo. Potrei ri¬ spondere con un altro
discorso astratto, sostenendo che è ben difficile che uno stesso genio
possa essere insieme poeta e filosofo; richiedendosi alla poesia
un’attività, che la filosofia necessariamente combatte e mortifica.
Ma penso a Dante: unico, secondo me, e se non sempre, quasi
costantemente mirabilissimo esempio dell’energia, onde è capace lo
spirito umano, di individualizzare e stringere nella fantasia e nel
sentimento di un’anima singolarmente potente il sistema più intellettuahstica-
mente universale ed astratto che la storia della filosofia ci presenti:
penso a quella fusione e unità quasi sempre perfetta d’un sistema
miracolosamente vario e armonico di fantasmi che son pure astratti
concetti: unità, che non si finisce e non si finirà mai di studiare nella
Divina Commedia ». E preferisco perciò una risposta particolare e
concreta, che è questa. Tutto il mio discorso generale io r ho fatto
appunto a proposito del Leopardi, dopo ■ Alla quale per questo
rispetto non credo si possa paragonare, ma a distanza grandissima, altro
che il Faust: dove l’unità dell’opera, come arte e come filosofia, rimase
lungi dall’esser raggiunta. aver letto attentamente il saggio del
Gatti. Libro, che non ò certo inutile, perché molti schiarimenti particolari
a concetti del Leopardi da uno studio così attento e minuzioso dei
Pensieri si hanno; c molti istruttiva raf¬ fronti, oltre quelli già fatti
dal Losacco e dal Giani, vi sono opportunamente istituiti tra pensieri
del Leopardi e luoghi di Helvétius, di Rousseau, di Maupertuis e
degli altri autori del Poeta; ma insufficiente a dimostrarci la
tesi che il Gatti s’era proposta, che nella mente del Leo¬ pardi si fosse
organizzato un sistema filosofico; atto anzi a dimostrare il contrario,
per lo stesso esame accurato che ci dà dei Pensieri leopardiani con
l’intento di ca¬ varne un sistema. 11 sistema non c’ è. C’ è la
travagliosa meditazione sui fantasmi del Poeta; ci sono le accorate
riflessioni, che gli suggerirono quei jiroblemi che furono il tormento e
la musa perpetua del suo spirito: ma non più di questo. Il Leopardi lo
ritroveremo sempre nel disperato lamento de’ suoi canti e nel sorriso
amaris¬ simo e pur soave delle prose. 11 materialismo della
sua metafisica, il sensismo della sua gnoseologia, lo scetticismo finale
della sua episte¬ mologia, l’eudemonismo pessimistico della sua etica
sono nei pensieri inediti, come in tutti gli altri scritti già
noti, i motivi costanti del breve filosofare leoparebano : ma sono
spunti filosofici, anzi che principii d’un pensiero sistematico; sono
credenze d’uno spirito addolorato, anzi che veri teoremi di un organismo
speculativo. Le sue pretese dimostrazioni non vanno mai al di là
dell’osser¬ vazione empirica; e non servono ad altro che a dirci
come vedev^a le cose Giacomo Leopardi. In lui non trovi né anche
una critica della ragione, come in Montaigne o in Pascal, a cui per molti
riguardi somiglia. Ma un prendere di qua e di là proposizioni
contestabili, e accettarle come verità assiomatiche e principii di
deduzioni pessimistiche. Passione v^era per a speculazione il Leopardi non
ebbe mai. Non studiò nessun grande sistema filosofico: egli, conoscitore
e stu¬ dioso dei classici, non si sforzò mai d’intendere il pen¬
siero di Platone e di Aristotele. La sua storia della filo¬ sofia antica
ò tratta da Diogene Laerzio, da Plutarco o altri dossografi. Del Medio
Evo non studiò nessuna filsofia. Di Cartesio, di Spinoza, di Hume non
conobbe neppur nulla. Lesse Locke, ma come si leggeva nel se¬ colo
XVIII. Di Leibniz sorrise come Voltaire, non so¬ spettando in alcun modo
la profondità del suo pensiero Ebbe una vernice di cultura filosofica,
come l’avevano allora tutti i letterati; ed ebbe velleità di filosofo; ma
la sua vera indole, quella che noi dobbiamo guardare in lui, è r indole
poetica, convinti che fuori della sua poesia il suo pensiero, a
considerarlo nel \-alore filoso¬ fico, è molto mediocre. Non
entrerò nei particolari della esposizione del Gatti. Ma non voglio tacere
che quella filosofia pratica edilicatrice, che egli, con lo Zumbini,
giirstamente mette in rilievo di contro alle conseguenze negative della
sua filosofia teoretica, non ha niente che vedere coH’odierna
filosofia prammatistica, a cui egli studiosamente la rac¬ costa, per
dimostrare così la modernità del pensiero leopardiano. Quella filosofia
pratica è il retaggio dello scetticismo da Pirrone in poi: il quale ha
contrapposto sempre la vita alla scienza, e salvata almeno quella
dal naufragio di questa. Salvataggio operato ora con la na¬ tura,
ora col sentimento, ora con la volontà, e in gene¬ rale con un principio
irrazionale, o concepito come tale, che, appunto perciò, non contraddice
aUo scetticismo fondamentale. Il Leopardi ricorre all’ immaginazione e
a un certo qual senso dell’animo, che fan contrappeso agli
argomenti dolorosi della ragione e bastano a confortarci a vivere. Né
anche questo principio, del resto, è svilup¬ pato. Certo, esso non giova
a chi presuma di vedere nel 44 GIOVANNI GENTILE
Recanatese un precursore del James e degli altri pram- matisti
d’oggi, i quali non sono scettici, benché in realtà abbiano una dottrina
negativa del conoscere; non vedono nell’attività pratica un surrogato dell’attività
teoretica: ma unificano le due attività, e immedesimano la verità
con l’utile, in modo che quel che giova credere, sia esso stesso il vero;
laddove quel che gioverebbe credere, secondo Leopardi, sarebbe né più né
meno che un’ illu¬ sione. La differenza tra Leopardi e James è la
differenza profonda tra lo scetticismo di tutti i tempi e il nuovo
prammatismo, che si professa dottrina essenzialmente dommatica e
positiva. II. UNA STORIA DEL PENSIERO
LEOPARDIANO Gli studi del Gatti furono ripresi cinque anni dopo
(1911) da Giulio A. Levi *, uno degl’ ingegni più fini tra gh studiosi di
letteratura italiana, e dei più valenti e competenti interpreti del
pensiero leopardiano; ma con altro criterio e altro intendimento. E io
son lieto di leg¬ gere al principio del suo libro le seguenti parole;
«Fu tentato da Pasquale Gatti, e parzialmente dal Cantella, di
ordinare e comporre in un sistema filosofico i ]')ensieri dello Zibaldone
leopardiano; con esito che non poteva essere altro che infelice; quando
si pensi che sono rifles¬ sioni scritte giorno per giorno, senza disegno
prestabilito, per lo spazio di circa quindici anni, da quando prima
il poeta adolescente cominciò a voler pensare col suo cervello, fino aUa
sua piena maturità ». Che fu uno degli argomenti principali che a suo
tempo io opposi al ten- ' storia del pensiero di C. L., Torino,
Bocca, 1911. tativo del Gatti. E sono interamente d’accordo
col Levi che lo Zibaldone, con gli ondeggiamenti e gli sforzi spe¬
culativi di cui ci conserva i documenti, può esser ma¬ teria alla storia
(anzi, alla preistoria) del pensiero del poeta, la cui forma definitiva
va piuttosto cercata nei prodotti più maturi, dove parve all’autore
d’avere im¬ pressa l’orma definitiva del suo spirito, nei Canti e
nelle Operette. Questa è, in sostanza, l’idea centrale del saggio
del Levi, e conferma pienamente il mio giudizio sul va¬ lore e sull’
interesse dello Zibaldone. Questa idea bensì nel libro del Levi non
apparisce netta e ferma quanto si potrebbe desiderare, costretta
com’ è dall’autore ad andare in compagnia di certi prin- cipii direttivi,
che oscurano, a mio avviso, la visione esatta di taluni momenti dello
sviluppo del pensiero leo¬ pardiano e turbano il giudizio sulla sua forma
ultima. Cosi, quando comincia a notare che io ho ecceduto « ne¬
gando a priori allo Zibaldone ogni interesse speculativo, per la qualità
stessa dell’autore; il quale sarebbe bensì un osservatore acuto, ma
troppo essenzialmente poeta, dominato interamente dal sentimento, e perciò
di pen¬ siero incoerente, mutevole e spesso contradittorio », egli,
da una parte, esagera e àltera il mio giudizio sullo Zi¬ baldone e, in
generale, su tutta l’opera del Leopardi; e dall’altra, accenna a un
concetto (che non manca su¬ bito dopo di dichiarare esplicitamente), il
quale non gli può consentire una ricostruzione storica non arbitra¬
riamente soggettiva, ma razionalmente giustificabile del pensiero
leopardiano. In primo luogo, non è esatto che io abbia negato
o voglia negare ogni interesse speculativo allo Zibaldone e tanto
meno alle poesie e alle Operette morali', anzi sono disposto a
riconoscere che tutta la poesia del Leopardi non abbia altro contenuto,
in tutte le sue forme e in tutti i suoi gradi, che il problema speculativo,
nei termini, s’intende, in cui egli poteva e doveva porlo. Quel che
ho negato e nego è; i) che nello Zibaldone ci sia del pensiero del
Leopardi qualche cosa di più che non fosse negli scritti da lui
pubblicati; qualche cosa che, dal punto di vista del Leopardi, fosse già
pervenuto a quel punto di maturità spirituale, di verità, in cui il
Leopardi s’acquetò, a giudicare dalle opere con cui egli stesso volle
entrare nella nostra letteratura; qualche cosa che possa nello Zibaldone
farci vedere nulla di diverso {si parva licei componere magnis) da quelle
note, onde ognuno di noi si prepara ai suoi lavori, e che, compiuti
questi, quando ci pare d'averne spremuto bene tutto il succo, si
buttano al fuoco; e tanto più volentieri, quando dalle note alla stesura
dei nostri scritti le idee nostre si siano venute correggendo e
integrando in più logica compat¬ tezza ' ; 2) che si possa adeguatamente
valutare la gran¬ dezza del Leopardi, facendogli il conto del tanto di
ve¬ rità speculativa che è nella sua poesia: poiché, a pre¬
scindere da ogni dottrina sulla natura della poesia, basta considerare le
critiche profonde e ineluttabili, onde quella verità fu superata da uno
spirito, che ebbe inizialmente una profonda simpatia congeniale col
Leopardi, il Gio¬ berti (specialmente nella Teorica del
sovrannaturale. ' A p. vili il Levi scrive: « Fii detto che la
pubblicazione del Diario sia stata un'indelicatezza, quando il Leopardi
medesimo di questa pubblicazione non aveva pregato nessuno. Oh si, sarebbe
un indeli¬ catezza esporre quelle cose agli occhi bene aperti d’un
pubblico di pedanti, i cjuali spiegherebbero con trionfo gli errori del
grand'uomo che si viene formando. Ma chi ha già imparato ad amarlo e a
vene¬ rarlo, può accostarsi senza scrupoli a tutte quante le sue
reliquie... ». Se il Levi con le prime parole si riferisce a quel che
scrissi io nella Rass. bibl. tett. U., xv (1907), p. 179 [ora qui sopra
p. 40] mi rincresce di dovergli rispondere che egli non ha inteso lo
spirito della mia affer¬ mazione. La quale mirava soltanto a chiarire che
dello Zibaldone non ci si può servire se non come di documento della
formazione del pen¬ siero del Leopardi, la cui forma ultima dobbiamo per
altro cercare sempre nelle opere che da <iuegli abbozzi trasse
l'autore, e pubblicò egli stesso come sole degne di sé. nel Gesuita
e nella Protologia), in pagine che il Levi non anteporrebbe di certo né
pur a quelle dello Zi¬ baldone. L vero che « nei sistemi
filosofici le parti più caduche sono spesso quelle dovute alle esigenze
di sistema ». Ma ciò non dimostra che la filosofia non è sistema, anzi
di¬ mostra che è: perché gli errori di questo genere non si
scoiarono dal critico se non come errori della costruzione del sistema,
ossia come divergenze dalla costruzione che, secondo lui, sarebbe più
conforme alle verità fondamen¬ tali intuite d<al filosofo. E se U
critico non rifacesse per suo conto la costruzione del sistema, non
avrebbe modo di discernere nel sistema criticato il vero dal falso,
nato dunque non dal sistema, ma dal falso sistema. Giacché un
giudizio che affermasse immediatamente : questo è vero, e questo è falso,
senza dimostrazione di sorta, non credo che pel Levi sarebbe un giudizio
per davvero. E vero, d’altra parte, che la coerenza del pensiero
non è privilegio dei filosofi, di contro ai yioeti; se per filosofi
s’intende i filosofi storicamente esistenti, Socrate, Pla¬ tone,
Aristotele ecc., e per poeti quelli che sono realmente vissuti o vivranno.
Omero, Dante, Shakespeare, ecc. Per tutti costoro, non c’ è dubbio,
secondo me, Iliacos intra muros peccatur et extra. D’incoerenze, di
maglie rotte nel sistema, ce n’ è state, e ce ne sarà sempre, da
una parte e dall’altra. Ma noi non possiamo parlare di Omero poeta e di
Platone filosofo senza un concetto del poeta e del filosofo, e cioè della
poesia e della filo¬ sofia: le quali, come funzioni dello spirito,
trascendono la storia, che è la concretezza stessa della realtà
spiri¬ tuale. E soltanto alla poesia e alla filosofia come funzioni
trascendentali dello spirito si possono assegnare caratteri distinti, dei
quali quello che è della poesia in quanto tale non sarà della filosofia,
e per converso. Nella storia tutte le funzioni concorrono in
un’unità concreta, in cui il poeta, essendo anche filosofo,
partecipa del carattere dello spirito che è filosofia; e il
filosofo, essendo pure poeta, partecipa del carattere dello spirito
che è poesia, sempre. E la rigida e salda distinzione delle funzioni
astratte cede il luogo alla plastica e mobile di¬ stinzione della storia,
che fa essa stessa la divisione dei grandi spiriti nelle due schiere dei
poeti e dei filosofi, secondo che negli uni prevale il momento poetico e
negli altri il momento filosofico; onde la distinzione e però la
categorizzazione del giudizio critico sono poi, ogni volta, funzioni di
giudizio storico, concreto. Perché il Leopardi va considerato come
poeta, e non come filosofo ? Perché, se conosco il Leopardi sto¬
rico, quale si formò e quale si espresse nel suo canto, io ci vedo bensì
dentro una filosofia; ma questa filosofia la vedo chiusa, compressa, fusa
e assorbita nella intui¬ zione immediata che questo spirito ha della sua
perso¬ nalità materiata di cosiffatta filosofia; per cui dico che
egli non rappresenta una filosofia, ma la sua anima; e poiché il suo
occhio è tutto intento alla risonanza tutta soggettiva, in cui vive per
lui un certo, oscuro, vago e frammentario concetto del mondo, la verità è
per lui, e dev’essere per me che lo giudico, non in questo con¬
cetto, ma nella vita di esso, in quella tale risonanza, nella sua Urica.
Beninteso che, per quanto oscuro, vago e frammentario, quel concetto sarà
pure un concetto, che avrà una chiarezza e saldezza organica sufficiente
alla logicità dello spirito lirico, e quindi per lui assoluta. E non ci
sono principii astratti ed estrastorici che pos¬ sano segnare a priori i
limiti della filosoficità del concetto che vive neUa Urica del poeta. Ma
ciò non toglie che la distinzione non perda mai la sua ragion d’essere, e
che non si possa mai trascurare, volendo rilevare, a volta a volta,
il valore deUo spirito rispetto alle sue forme es- senziaU ed
assolute. r Ma,
dice il Levi, «la grandezza in tutte le sue forme è in fondo una sola,
grandezza morale ed umana; e se è suprema esigenza etica che la nostra
vita sia azione, ed abbia un senso; non sarà fuor di luogo nei poeti,
di cui sentiamo la grandezza, sospettare qualche cosa di più che la
passività del sentimento, o l’attività dell’espres¬ sione: sospettare e
cercare un’attività etica con un suo senso determinato e costante ».
Ond’egli si propone di cercare negli scritti del Leopardi «per quah vie
egli giunse alla sua profonda intuizione, e potè prendere un atteg¬
giamento interiore costante e sicuro di fronte all’uni¬ verso ». —
Ebbene, tutto questo è molto vago perché possa servire di criterio alla
storia del pensiero di un poeta. Se la grandezza in tutte le sue forme è
una sola soltanto « in fondo », bisogna pure che si rispettino le
differenze tra le varie forme, in cui unicamente è pos¬ sibile che quello
che è in fondo venga su, e si manifesti, e assuma così una forma storica
determinata. E se è suprema esigenza etica che la nostra vita sia azione,
posto, com’ è necessario, che le suddette forme della I grandezza, o, più
modestamente, dello spirito, siano più d’una, oltre la suprema esigenza
etica, ci saranno (dato pure c non concesso che questa sia la radice di
tutte) altre esigenze supreme : come quella che la vita sia poesia,
e che la vita sia filosofia; le quah, se il Levi ci riflette bene,
s’avvedrà che non sono meno supreme, anche per la sua posizione, in cui
l’azione è fondamentalmente un ^ atteggiamento dell’uomo di fronte
all’universo : poiché ; quest’atteggiamento o è un pensiero, o
l’imphca; e questo pensiero, dovendo essere una filosofia, non può
non es¬ sere anche una poesia. ' In realtà, quel che cerca il
Levi nel poeta, non è la ! soddisfazione di una esigenza etica,
bensì una metafisica, I una rivelazione della ragione dell’esser nostro o
del regno soprannaturale dei fini: e con l’occhio a questa mèta.
4. —- Gentile, Manzoni e LeoiHirdi. pur accennando
qua e là all’ identità del valore poetico e del valore del contenuto
filosofico della poesia, egli non si propone nemmeno, in nessun punto del
suo libro, il problema dei rapporti tra arte e filosofia, e non
mira quasi mai al giudizio estetico dell’arte leopardiana; ma si
restringe a tracciare la linea di svolgimento del pensiero che c’ è
dentro, e che egli crede abbia assunto la sua forma finale in una specie
di individualismo romantico corrispondente alle tendenze dello stesso
Levi. Dirò bensì che la distinzione tra arte e filosofia accenna a
svanire nel pensiero dell’autore appunto pel concetto meramente
estetico, più che etico, di questa filosofia romantica a cui egli
aderisce: quantunque pur in questo concetto la differenza permanga e
obblighi il Levi a far violenza, qua e là, al pensiero del Leopardi per
dargli queUa siste¬ maticità, che è necessaria anche a una filosofia
indivi¬ dualistica. Il risultato degli studi del Levi, in
breve, è questo. Nel pensiero del Leopardi si devono distinguere
due pe¬ riodi; uno come di distruzione e dissoluzione dell’uomo,
l’altro di affermazione e ricostruzione dell’uomo stesso; ; il quale
allora si contrappone aUa natura pessimistici^- ! mente e agnosticamente
concepita in cui termina il primo periodo, e si aderge in tutta la sua
grandezza, che è la j sua stessa infeUcità, o piuttosto la coscienza
della sua p infelicità. 11 primo periodo terminerebbe verso la fine
| del 1823, e sarebbe rappresentato, sostanzialmente, dallo 1
Zibaldone', il secondo comincerebbe, presso a poco, nel J gennaio 1824, quando
il Leopardi pose mano alle Ope- ^ rette morali', a proposito delle quali
il Levi scrive giusta- # mente ; « Fa onore al buon gusto e al senso
critico del 1 Leopardi l’aver lasciato da parte tutto quello ch’egU
l sentiva estremamente ipotetico nelle sue teorie inrorno jS alla
storia dell’ incivilimento e agli intenti dcUa natura, ?. e l’aver
esposto definitivamente per il pubblico solo il nocciolo essenziale dei suoi
pensieri intorno alla virtù e alla felicità umana » *. Insomma,
anche pel Levi, lo Zibaldone è il periodo jelle indagini e dei tentativi
(de’ suoi sette volumi i primi sei giungono al 23 aprile 1824): il
periodo, in cui il Leopardi cerca tuttavia se stesso, e ancora non si
ri¬ trova qual era nella sua giovinezza e all’ inizio del suo
speculare: «pieno d’ardore per la virtù, e assetato di felicità, di
bellezza e di grandezza ». La riflessione, in questo periodo, che
comincia intorno al ’20, si stringe addosso a quest’ ideali, che erano la
vita dello spirito leopardiano; e non riesce a giustificarli, anzi h
corrode e distrugge. Che cosa è il bello ? e il bene ? e il vero ?
e il talento ? Movendo dal sensismo, che negava lo spi¬ rito e non vedeva
altro che la natura, tutti i valori dello spirito si dileguano facilmente
dagli occhi del giovane pensatore, poiché perdono tutti la loro
assolutezza, la loro apriorità. Ma da ultimo la vita stessa, che
prende in lui il dolore di questo dileguo di tutti gl’ ideah, si
desta nell'esser suo di coscienza, e prorompe in una espressione
ingenua della verità disconosciuta: espressione, che ferma giustamente
l’attenzione del Levi; e giustamente gli fa segnare questo momento come
principio d’un nuovo periodo dello svolgimento del Leopardi, ma comincia
ad essere interpretata alla stregua del difettoso concetto che egli
ha delle attinenze della poesia con la filosofia, e a far deviare quindi
tutta la sua interpretazione del secondo periodo. 11
Leopardi, il 27 novembre 1823, scriveva nel suo Diario : « Bisogna
accuratamente distinguere la forza dciranima dalla forza del corpo.
L’amor proprio risiede neH’animo. L’uomo è tanto più infelice
generalmente quanto è più forte e viva in lui quella parte che si
chiama * Storia, p. 121 . anima. Che la parte
detta corporale sia più forte, ciò per se medesimo non fa ch’egli sia più
infelice, né ac¬ cresce il suo amor proprio. — Nel totale e sotto il
più dei rispetti [l’infelicità e l’amor proprio] sono in ragione
inversa della forza propriamente corporale.... La vita è il sentimento
dell’esistenza. — La materia (cioè quella parte delle cose e dell’uomo
che noi più pecuharmente chiamiamo materia) non vive, e il materiale non
può esser vivo e non ha che far colla vita, ma solamente
coll’esistenza, la quale, considerata senza vita, non è capace di amor
proprio, né d’ infelicità ». « Quello che in questo luogo il
Leopardi chiama sen¬ timento vitale, o vita», avverte esattamente il
T.evi, « è manifestamente la coscienza ». Ma continua : « Di qui
innanzi egli negherà ancora in astratto la no¬ zione metafisica dello
spirito (al che egli ha avuto cura di tenersi aperta la strada colle
circonlocuzioni ■ quella parte dell’uomo che noi chiamiamo spirituale ’
e ' quella parte delle cose e dell’uomo che noi più peculiar¬ mente
chiamiamo materia'). A questo lo movevano il suo bisogno di concretezza,
e l’avversione a tutto 1 accattato e il falso ch’ei sentiva negli
entusiasmi spiritualistici dei romantici. Ma, praticamente, rispetto a sé
e rispetto all’uomo in generale, egli ha fermato con suffi¬ ciente
sicurezza la nozione di ciò che in esso è di natura spirituale e della
sua dignità». Ora qui è il piincipio del maggiore equivoco, in cui si
dibatte poi il Levi in tutta la sua interpretazione del Leopardi. Nel
luogo citato del Diario c’ è la coscienza della vita, ma non c è la
coscienza (il concetto) di questa coscienza; il Leopardi sente la
pro¬ pria grandezza come uomo sugh animaU e sugli esseri inferiori,
e la propria grandezza come Leopardi sugli uomini comuni, come potenza di
essere infehce. ma non pone mente che egli è grande, non perché infelice,
ma perché conscio della sua infelicità ; cioè non vede 1 esser cuo
nella coscienza che si eleva al di sopra del dolore, e lo impietra,
nell’arte; e però non si può a niun patto asserire che possegga la
nozione della propria natura spi¬ rituale e della propria dignità di
contro alla natura. Infatti il possederla praticamente (e soltanto
praticamente) come vuole il Levi, che significa se non che non la
pos¬ siede come nozione, bensì con quella immediatezza onde
10 spirito ha, qualunque sistema si professi, coscienza di sé ? Che
se egli ne raggiungesse la nozione, il suo pes¬ simismo, che è il
contenuto della sua poesia (attualità reale del suo spirito), sarebbe superato;
poiché sarebbe risoluto nella poesia diventata essa stessa contenuto
od oggetto dello spirito consapevole della propria vittoria sulla
natura, come opposizione e limite dello spirito, e quindi sorgente dell’
infelicità. Il pessimismo è assolutamente inconciliabile col
con¬ cetto del valore dello spirito; e questa è la vera e pro¬
fonda ripugnanza che prova il Leopardi, — pur quando intravvede nella
vivacità stessa della sua spiritualità l’essenza propria del reale, che è
sentimento, com’egli s’esprime, dell'esistenza — ad affermare quella
realtà che non ha posto nella visione pessimistica del mondo in cui
si chiude e fissa l’anima sua; e però ricorre a quelle circonlocuzioni «
quella parte dell’uomo che noi chia¬ miamo spirituale » ecc. ;
circonlocuzioni, che sono la pa¬ tente documentazione del fatto, che il
Leopardi non si solleva al concetto dell’essenza dello spirito. Che se
questo concetto si fosse rivelato comunque alla sua mente, con
tutta la sua « avversione all’accattato e al falso che ei sentiva negli
entusiasmi spiritualistici dei romantici », con tutto « il suo bisogno di
concretezza », come avrebbe potuto egh chiudere gli occhi alla luce, e
non vedere che 11 sentimento dell’esistenza, non essendo
materia..., non è materia, e che la presunta concretezza della
materia come tale non è altro che un’astrazione, dal momento
54 GIOVANNI GENTILE che essa non ci può esser
nota altrimenti che pel senti¬ mento che ne ha il vivente ?
Orbene questa contraddizione intrinseca tra il senti¬ mento, non
elevato a concetto, dell’umana grandezza, e il concetto (contenuto della
poesia leopardiana) della nullità dell’uomo di fronte alla natura e
quindi della fa¬ talità assoluta del dolore, questa è la grande
situazione poetica del Leopardi rappresentata così splendidamente
dal De Sanctis nel saggio sullo Schopenhauer » : « Leo¬ pardi produce
l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te
lo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama
illusioni l’amore, la gloria, la virtù, e te ne accende in petto un
desiderio inesausto. E non puoi lasciarlo, che non ti senta
migliore; e non puoi accostartegli, che non cerchi innanzi di rac¬
coglierti e purilìcarti, perché non abbi ad arrossire al suo cospetto. È
scettico, e ti fa credente; e mentre non crede possibile un avvenire men
tristo per la patria comune, ti desta in seno un vivo amore per quella e
t’infiamma a nobili fatti. Ha così basso concetto dell’umanità, e
la sua anima alta, gentile e pura la onora e la nobilita ».
Appunto, questo flagrante contrasto tra il suo concetto e la sua anima è
la forma e il valore speciale della sua poesia: ma non perviene mai a
distinta coscienza degli opposti motivi che vi concorrono senza scoppiare
dentro il contenuto (astrattamente considerato come filosofia) in
manifesta contraddizione logica, come avviene nella Ginestra: con quanto
vantaggio della poesia non so. Certo, la forma leopardiana si regge
sull’equilibrio di questi opposti motivi, che sono la personalità del
poeta e il suo mondo pessimistico: equilibrio che si mantiene
perfettamente, per esempio nell’ Ultimo canto di Saffo, ‘ Saggi
critici, pp. 297-98. à nel canto A Silvia, nel
Canto notturno e, in modo tipico, nei versi All' infinito, dove la
personalità si dimentica nel suo mondo, lo pervade e ne è la forma
poetica : laddove, appena vi si contrapponga, come parte di contenuto
(che qui coscienza che il poeta ha di se medesimo) accanto al¬
l'altra parte affatto ahena, tende necessariamente a spezzare l’unità del
fantasma, che è la logica del pensiero poetico. Di tale contrasto
il Levi, poeteggiando anche lui per interpretare il Leopardi, non vedo
abbia chiara coscienza; e però scambia la forma col contenuto dell’arte
leopar¬ diana, e vede una filosofìa (quella con cui piace a lui
d’interpretare l'anima umana) dov’ è soltanto l’anima, e cioè la poesia
del Leopardi. Tralascio i bei capitoli, che il Levi consacra alla
storia della concezione storica del pessimismo, quale si disegna
già nella critica dello Stato e della civiltà, della scienza e della
filosofia e nella teoria delle illusioni attraverso 10 stesso
Zibaldone per trovare in fine la sua espressione nei primi canti; Nelle
nozze della sorella Paolina, A un vincitore nel pallone. Bruto minore.
Ultimo canto di Saffo, Alla primavera e Inno ai Patriarchi. ’E vengo al
secondo periodo. 11 Levi studia gl’ indizi della coscienza che il
Leopardi comincia ad acquistare della propria grandezza dopo la dimora
che fa in Roma dal novembre 1822 al maggio 1823: coscienza culminante da
ultimo, a mezzo 11 1823, in questa nota del Diario: «Ninna cosa
maggior¬ mente dimostra la grandezza e la potenza dell’umano intelletto,
che il poter l’uomo conoscere e interamente comprendere e fortemente
sentire la sua piccolezza.... E veramente quanto gli esseri più son
grandi, quale sopra tutti gli esseri terrestri è l’uomo, tanto sono
più capaci della conoscenza, e del sentimento della propria
piccolezza » ». Quindi s’inizia il secondo periodo, il cui '
Zibald., V, 223 . pensiero il Levi vede maturarsi tutto nelle
prose degli anni 1824 e '25 {Storia del genere umano, Dialogo della
Natura e di un'Anima, Dialogo della Natura e di un Islandese, Frammento
apocrifo di Stratone) e nelle note sincrone dello Zibaldone. In questo
secondo periodo dall’uomo il Leopardi ritrae la causa del dolore
universale nella natura; alla concezione storica del pessimismo
sot¬ tentra quella cosmica; ma di fronte alla natura ineso¬ rabile
artefice del nostro doloroso destino e imperscruta¬ bile prosecutricc di
fini divergenti dai fini dell’uomo s’accampa questo con la coscienza del
proprio valore: dell’uomo, secondo intende il Levi, in quanto individuo,
e pur creatore del suo valore nel virile disdegno d’ogni illusione, nella
magnanima sfida al Potere ascoso: nel¬ l’affermazione, insomma, di sé
come coscienza del dolore. Onde il Leopardi acquista una serenità, una
sicurezza ignota a quell’angoscioso piegarsi e stridere dell’anima
sotto il dolore, che è l’atteggiamento del primo jieriodo. Questo mi
pare, se ho bene inteso il cenno più che espo¬ sizione del Levi, il suo
modo d’intendere questa forma suprema dello spirito leopardiano.
Ma contro questa interpretazione vedo due princijiali difficoltà,
la prima delle quali confesso di proporre con qualche esitazione, perché
non sono sicuro di cogliere interamente il pensiero del Levi. Ed è che
non vedo i documenti dell’ interpretazione del Levi per ciò che riguarda
l’individualità dell’uomo, che in questo secondo periodo starebbe di
contro alla natura. Nell’allegoria dell’Amore, alla fine della Storia del
genere umano, la de¬ signazione dei « cuori più teneri e più gentiU,
delle per¬ sone più generose e magnanime », che vengono a provare «
piuttosto verità che rassomiglianza di beatitudine », comprende bensì il
Leopardi, anzi rappresenta soltanto il Leopardi: ma non come individuo
che crea se stesso, col suo valore. Non è coscienza del dovere dell’ individuo.
che può nello spirito vincere l’avversa natura e toccare (juindi
la beatitudine da questa contesagli ; ma è l’im- niediata condizione
spirituale del Poeta, la cui serenità estetica si diffonde per tutta la
Storia e ne placa il dolore. 11 ragionamento dimostra la vanità delle
illusioni, e di ogni desiderio della felicità ignota e aliena alla
natura dell’universo, e l’amarezza dei frutti del sapere; ma della
beatitudine che spira intorno al nume, figliuolo di Venere celeste, non
v’ è giustificazione, né quindi concetto. « Dove egli si posa, dintorno a
quello si aggirano, invisibili a tutti gli altri, le stupende larve, già
segregate dalla consuetudine umana; le quali esso Dio riconduce per
questo effetto in sulla terra, permettendolo Giove, né potendo essere
vietato dalla Verità, quantunque ini- micissima a quei fantasmi ». — Qui
dunque c’ è l’anima che non s’arrende alla verità; ma non la verità,
come concetto dell’anima. E l’anima è appunto quella dolce serenità
che si diffonde per tutta la prosa: ossia la forma, la poe.sia, non il
contenuto, la filosofia, del pensiero leo¬ pardiano.
Altrettanto, mulatis mutandis, ' mi pare sia da osser¬ vare di
quella individualità che il Levi vede nelle varie prose al di sopra del
pessimismo cosmico, fino a Tristano che non si sottomette alla sua
infelicità, né piega il capo al destino, né viene seco a patti, come
fanno gli altri uomini. L'affermazione di Tristano è piuttosto
negazione: « E ardisco desiderare la morte, e desiderarla sopra
ogni cosa, con tanto ardore e con tanta sincerità, con quanta credo
fermamente che non sia desiderata al mondo se non da pochissimi.... In
altri tempi ho invidiato.... quelli che hanno un gran concetto di se
medesimi; e volentieri mi sarei cambiato con alcuno di loro. Oggi non
invidio più né stolti né savi.... Invidio i morti, e solamente con
loro mi cambierei... ». In secondo luogo, di questo disdegnoso
gusto, o come altrimenti si manifesti la vittoria dell'uomo sulla natura,
perché e come potrà farsi una caratteristica del secondo periodo se nel
primo periodo resta, per esempio, il Bruto minore col « prode » di cedere
inesperto, che guerreggia teco Guerra mortale, eterna, o fato
indegno; e resta 1 ’ Ultimo canto di Saffo, in cui l’uomo si
erge magnanimo contro i numi e l’empia sorte, e, conscio della
propria grandezza al di sopra del « velo indegno », emenda il crudo fallo
del cieco dispensator dei casi ? Però credo che nell’esame dei
canti del secondo pe¬ riodo, cui è consacrato l’ultimo capitolo
dell’acuto e suggestivo studio del Levi, la poesia leopardiana sia
più d’una volta tormentata affinché risponda docilmente ai
preconcetti filosofici costruttivi dell'autore. Nel Risorgi¬ mento
sarebbe celebrata « con gioconda sicurezza la su¬ periorità della vita
affettiva sulla conoscenza e su tutto, e la forza invitta con cui l’io
profondo si afferma, non ostante la contraddizione di tutto l’universo ».
Ma, se il Leopardi canta: Proprii mi diede i palpiti
Natura, e i dolci inganni; Sopire in me gli affanni
L’ingenita virtù. Non l’annullàr, non vinsela Il fato e la
sventura; Non con la vista impura L'infausta verità . .
. Pur sento in me rivivere Gl’ inganni aperti e noti;
E de’ suoi proprii moti Si maraviglia il sen. la
chiave, l’intonazione della poesia è in questo mera- vigharsi dell’animo
di fronte al risorgimento dell’ ingenita virtù: a questo miraeoi novo,
che, appunto perché tale. j^on è menomamente sicura coscienza della
superiorità della vita affettiva sulla conoscenza. Data la
sicurezza, perché meravigliarsi ? E se togliete questa meraviglia,
questo stupore innanzi al subito rianimarsi del mondo al risorgere del
vecchio cuore, la poesia è svanita. Un altro esempio significativo.
Nei versi .4 se stesso, secondo il Levi, « ancora una volta si sfoga
riaffermando, disperatamente, ma pure ancora superbissimamente,
l’as¬ soluta solitudine della sua grandezza » ; e cita i versi ;
Non vai cosa nessuna I moti tuoi, né di .so.spiri è degna La
terra. Amaro e noia La vita, altro mai nulla; e fango è il
mondo. Ma dov’ è qui la solitudine della grandezza, se il
Leo¬ pardi vi nega ogni finalità ai moti stessi del cuore, se cioè
non crede che il cuore possa aspirare a nulla, e tutti i versi sono uno schiacciamento
del cuore stanco sotto r immane fatalità ? Infine : « La
Ginestra », dice il Levi, « è da taluni, non senza un po’ di retorica,
esaltata per il suo conte¬ nuto morale; da altri è trovata troppo arida e
razioci¬ nativa. A me sembra una cosa grande, anche per quella
maschia e dantesca sprezzatura, onde il poeta non rifugge, per rispetto
all’ intento morale, dall’ interrompere la sua melodiosa poesia colle
pagine ossute di ragionamenti in versi. Certo le parti più belle sono le
meditazioni intorno all’ immensità dell’universo e alla piccolezza
dell’uomo, eppoi la straordinaria descrizione delle eruzioni vesu¬
viane. La bellezza di questa nasce da cosa molto più alta che non sia
l’eccellenza espressiva : e questa è l’in¬ tensità tragica del pensiero
universale simboleggiato, e la potenza di una personalità, che si colloca
di fronte alla natura, e ne abbraccia e comprende la terribile
gran¬ dezza senza lasciarsene opprimere ». — Ma io direi che
la Ginestra non può esser cosa grande per la cosiddetta sprezzatura
dantesca d’interrompere la poesia con pagine di ragionamenti. Se vi sono
ragiona¬ menti che interrompono davvero la poesia, il Leopardi, mi
pare, sarebbe stato più grande non interrompendo la sua poesia; dato che
la grandezza della poesia non possa essere altro die il carattere
eccellente di una poesia, tanto più poetica, di certo, quanto più ò fusa
e una, e tutta poetica. Vero è che soltanto la retorica può persua¬
dere ad esaltare la Ginestra per il suo contenuto morale; poiché questa
parte appunto (oltre che la polemica contro la filosofia del secolo XIX e
contro il Mamiani) è quella in cui è compromesso l’equilibrio lirico
della poesia; ma mi pare anche un errore staccare la bellezza delle
meditazioni sul contrasto tra la grandezza sterminata dell’universo e la
piccolezza deU’uomo, o ciucila della descrizione dell’eruzione,
dall’organismo, dalla vita di tutta la ])oesia, dove é la vera e sola
bellezza, da cui le altre particolari sono irradiate: e che è, credo, la
bel¬ lezza della ginestra, del fior gentile, immagine del Leo¬
pardi, che, mentre tutto intorno una mina involve, al cielo
Di dolcis.simo odor manda un profumo. Che il deserto
consola: l'espressione più delicata della divina poesia leojìardiana.
E dove il Levi afferma con intenzione, che la bellezza non so se della
descrizione delle eruzioni vesuviane o se di tutta la Ginestra, « nasce
da cosa molto più alta che non sia l’eccellenza espressiva » alludendo a
una dottrina estetica, che dice altrove di non poter accettare,
noterò che egli mostra di non aver forse compreso che s’intende in
questa dottrina per espressione : perché l’intensità tragica che egli vi
contrappone non è niente di diverso dalla espressione, se di questa intensità
tragica intende parlare in quanto la vede nella Ginestra] poiché
l’espres¬ sione va cercata nell’atteggiamento individuale che lo
spirito assume di fronte a una certa materia, e questa, quindi, in
lui. Ma c’ è poi quella personalità, che si colloca di fronte
alla natura.... senza lasciarsene opprimere ? — Qui sa¬ rebbe il proprio
della interpretazione del Levi. Né sup¬ plicazioni codarde, né forsennato
orgoglio. Ma la ginestra non supplica semplicemente perché, più saggia
dell’uomo, non crede sue stirpi immortali, e sa pertanto che supph-
cherebbe indarno al futuro oppressore. Non c’ è, dunque, né pur qui,
l’individuo che si contrappone alla crudel possanza, ma la serenità
pacata della coscienza della sua inesorabihtà ; insensibiUtà di saggio
antico, più che affermazione romantica dell’umana personalità.
In conchiusione, anche al nuovo schema filosofico la poesia
leopardiana si sottrae e repugna, per richiudersi sempre ostinata nella
naturai veste del suo pathos lirico. ^l//o scritto precedente il
prof. Levi rispose con alcune osservazioni ingegnose ^ a cui fu replicato
con la seguente lettera : Egregio Professore, Mi
par difficile discutere delle interpretazioni parti¬ colari di questa o
quella poesia o altro documento del pensiero leopardiano senza rimettere
in discussione il concetto generale e quindi i canoni critici del Suo
lavoro. Perché le mie osservazioni singole non miravano a con¬
futare singole opinioni e determinati giudizi, né a mo¬ strare piccole
infedeltà ed inesattezze, sì bene a far ve¬ dere in atto r illegittimità
del criterio fondamentale con cui aveva Ella ricostruito la sostanza
dello spirito leo- ‘ Si possono leggere nella Critica, IX, 1911,
pp. 473-76. pardiano. Così, nella risjiosta che Ella dà a
talune delle mie critiche particolari, mi pare si sia lasciato
sfuggire r intento generale e il significato complessivo del mio
articolo. Per esempio, perché, pur consentendo che nel luogo citato dello
Zibaldone (VI, 296) con vita o sentimento dell’esistenza H Leopardi
intenda la coscienza, 10 negavo che si dimostrasse la coscienza,
ossia il concetto, della coscienza ? Perché questo concetto, in quanto
tale, in quanto parte di una generale intuizione del mondo, era ciò
di cui Ella aveva bisogno per cominciare a vedere nel Leopardi la
filosofia individualistica, in cui Ella in¬ tende riporre l’essenza della
più alta poesia leopardiana. Con ciò io non dovevo attribuire al Leopardi
soltanto 11 possesso immediato della coscienza (com’Ella mi
fa dire), che sarebbe stato invero troppo poco: ma solo un senso
vago o, se vuole, una nozione imperfetta, o magari un concetto, che però
non era un vero concetto, della coscienza. Il Leoparch insomma vede lì la
coscienza, ma non la pensa; sicché per lui pensatore questa
coscienza è come se non fosse ; e non può dirsi perciò, che « pra¬
ticamente, rispetto a sé e rispetto all’uomo in generale, egli ha fermato
con sufficiente sicurezza la nozione di ciò che in esso è di natura
spirituale e della sua dignità ». Il senso della spiritualità e della
dignità spirituale di sé e dell’uomo in generale sì; e questo appunto io
dicevo essere non il contenuto (la filosofia, il concetto) della
poesia leopardiana, ma la forma (la poesia, la lirica, l’espressione
della personalità del poeta, superiore alla sua filosofia).
Così, sarà verissimo che il Leopardi si creda infelice perché
grande, piuttosto che grande jierché infelice. Ma questo non ha che
vedere con la mia osservazione che, se egli avesse avuto il concetto
della coscienza, avrebbe veduto la propria grandezza in un grado
spiri¬ tuale che è al di sopra del dolore e della infelicità.
La coscienza per lui era la stessa sensibilità, non la coscienza
vera e propria, il superamento della sensibilità, la filosofia del
dolore, che, come filosofia e quindi oggettivazione e vi¬ sione sub
specie aeterni del dolore stesso, non può non liberare da esso il
soggetto. Nel Dialogo della Natura e di un Anima il Leopardi, phi che far
dipendere l’infe¬ licità dalla grandezza, identifica l’una con l’altra.
L’Anima domanda : « Ma, dimmi, eccellenza e infehcità straordi¬
naria sono sostanzialmente una cosa stessa? o quando sieno due cose, non
le potresti tu scompagnare l’una dall’altra?» e la Natura risponde;
«Nelle anime degli uomini, e proporzionatamente in quelle di tutti i
generi di animah, si può dire che l’una e l’altra cosa sieno quasi
il medesimo : perché l’eccellenza delle anime importa maggiore intensione
della loro vita; la qual cosa im¬ porta maggior sentimento dell’
infelicità propria ; che è come se io dicessi maggiore infelicità ». Dove
è chiaro che la infelicità maggiore è maggiore sensibilità, cioè
eccellenza, grandezza spirituale: perché l’infelicità è tale in quanto è
sentimento di essa, cioè quella vita, nella cui intensione consiste
l’eccellenza dell’animale. E però il Leopardi deve ad ogni modo
commisurare la propria grandezza con la propria infelicità ; ciò che egli
non avrebbe fatto, se avesse fermato con sicurezza, sia pure prati¬
camente, la nozione della vera realtà spirituale, che in lui
spontaneamente s’afferma quando, come per esem¬ pio nella sua lettera del
15 febbraio 1828, tra i « mag¬ giori frutti » che si proponeva e sperava
da’ suoi versi annoverava «il piacere che si jirova in gustare e
apprez¬ zare i propri! lavori, e contemplare da sé, compiacendo¬
sene, le bellezze e i pregi di un figliuolo proprio, non con altra
soddisfazione, che di aver fatta una cosa bella al mondo ; sia essa o non
sia conosciuta per tale da altrui ». Dove c’ è quel dolore impietrato, di
cui io parlavo come dell’unica forma possibile del dolore in quanto
contenuto della coscienza « ; ma di questa coscienza, e quindi di
quella vita del dolore che non è più dolore nella vita dello spirito il
Leopardi non ha coscienza. E però il contrasto interiore che io
vedo nella poesia del Leopardi è identico a quello che ci vedeva il De
Sanctis, anche se, nel passo citato da me, rappresentato da un solo
aspetto; il contrasto tra la ricchezza spirituale della personalità del
poeta e la povertà, per non dire nega¬ zione, di ogni sostanzialità
spirituale, propria del con¬ tenuto della sua poesia. Del
Dialogo di Tristano e di un amico non è esatto che il primo periodo
citato da me sia ; « E ardisco desi¬ derare la morte ecc. ». Le parole
precedenti erano state pur da me riferite immediatamente prima: «....fino
a Tristano che non si sottomette alla sua infelicità, né piega il
capo al destino, né viene seco a patti, come fanno gli altri uomini » Ma
queste parole non potevano im¬ pedirmi di vedere in quel che segue, e in
cui confluisce il pensiero di quelle stesse parole, e però in tutto il
Dia¬ logo, una negazione piuttosto che un’affermazione: e negazione non
soltanto, come Ella dice, della propria per¬ sona empirica; perché la
morte, pel Leopardi, non di¬ strugge soltanto la persona empirica, ma
tutto l’essere dell’ mdividuo. ' Mi piace ricordare la
felice osservazione del Db Sanctis {Studio sul Leopardi *, p. 213) ; «
Egli [il Leopardi] aveva la forza di sottoporrei il suo stato morale alla
riflessione e analizzarlo e generalizzarlo, e fab¬ bricarvi su uno stato
conforme del genere umano. Ed aveva anche la forza di poetizzarlo, e
cavarne impressioni e immagini e melodie, e fondarvi su una poesia nuova.
Egli può poetizzare sino il .suicidio, e appunto perché può trasferirlo
nella sua anima di artista e immaginare] Bruto e Saffo, non c’ è pericolo
che voglia imitarU. Anzi, se ci sono stati momenti di felicità, sono stati
appunto questi. Chi più felice del poeta o del filosofo nell'atto del
lavoro ? — L’anima, attirata nella contemplazione, esaltata dalla
ispirazione, ride negli occhi, illumina la faccia..., >. z
Cfr. sopra, p. 57. Quanto alla differenza di disposizione
spirituale tra ;j pruto minore, per esempio, e il Dialogo tra Plotino
e Porfirio o VAmore e morte, dove si anela alla morte, ma la si
attende serenamente, deposto ogni disperato pen¬ siero di suicidio, non
occorre negarla per non vedere né anche nei componimenti più tardi quella
coscienza jel valore della propria individualità, che Ella ci vede.
^'el detto Dialogo non si cela, almeno io non riesco a scorgere, « quella
robusta fede nella grandezza umana, riconosciuta possibile sempre, perché
bastevole a se stessa ». Se l’essere dell’uomo è la sua vita, quivi si
dice che «la vita è cosa di tanto piccolo rilievo, che l’uomo, in
quanto a sé, non dovrebbe esser molto sollecito né di ritenerla né di
lasciarla ». E, se non m’inganno, la nota fondamentale del dialogo è
nelle ragioni della tol¬ lerabilità della vita, per misera che sia: le
quali ragioni sono bensì la critica del pessimismo materialistico
del Leopardi, ma restano nella forma di sentimento, baste¬ vole a
conferire al dialogo quell’ intonazione affettuosa che gli è propria, e
sono veramente l’opposto di quella affermazione dell’ individualità dello
spirito, di cui si va in cerca : « Aver per nulla il dolore della
disgiunzione e della perdita dei parenti, degl’intrinsechi, dei compagni;
0 non essere atto a sentire di sì fatta cosa dolore alcuno; non è di
sapiente, ma di barbaro. Non far ninna stima di addolorare colla
uccisione propria gli amici e i do¬ mestici; è di non curante d’altrui, e
di troppo curante di se medesimo. E in vero, colui che si uccide da se
stesso non ha cura né pensiero alcuno degli altri; non cerca se non
la utilità propria; si gitta, per così dire, dietro alle spalle i suoi
prossimi, e tutto il genere umano; tanto che in questa azione del
privarsi di vita, apparisce il più schietto, il più sordido, o certo il
men bello e men liberale amore di se medesimo, che si trovi al mondo
». Se prendessimo atto di questa critica del suicidio — che.
5. —- Gentile, Manzoni e Leopardi. risolvendosi in una serie
di asserzioni, vale certo come effusione di stati immediati deU’animo, ma
non come filosofìa — che filosofia diverrebbe questa del Poeta che
ha ragionato sempresul presupposto che la vita dell’uomo sia racchiusa
nella sua sensibilità, e che tutto il mondo all’uomo non si rappresenti
se non nella breve sfera del piacere e del dolore suo individuale ? Ma,
d’altra parte, senza questa contraddizione interna tra la filosofia
do¬ minante nel dialogo e il senso affettuoso onde il poeta è
avvinto ai suoi prossimi e a tutto il genere umano (cfr. la Ginestra) e
che pervade tutta la conversazione intima di Plotino con Porfirio, dove
se n’andrebbe la poesia del commovente dialogo ? Nell’
intendere come ho inteso il Risorgimento posso sbagliarmi; e la sicurezza
con cui Ella crede si debba intendere altrimenti, mi fa dubitare forte
del mio giu¬ dizio. Ma la ragione che mi oppone non mi riesce molto
persuasiva; c’è, di sicuro, nella poesia una risposta alle domande: «Chi
dalla grave, immemore Quiete or mi ridesta ? Che virtù nova è questa ?...
Chi mi ridona il piangere Dopo cotanto oblio ? » ecc. ; Da
te, mio cor, quest’ultimo Spirto e l’ardor natio. Ogni
conforto mio Solo da te mi vien; ed è vero che nella quartina
precedente l’accento mag¬ giore è nel terzo verso. Ma è anche vero che
questa ri¬ sposta è la soluzione del problema, in cui consiste la
poesia : l’inaspettato, il miracoloso risorgimento del vec¬ chio cuore. E
quindi il sentimento che regge tutta la poesia mi pare la meraviglia.
Ragione, invece. Ella ha certamente nel correggere il significato da me
attribuito ‘ • In un periodo ora non più ristampato dello scritto
precedente. agli ultimi versi del canto A se siesso; ma pur
dopo la correzione, il significato del canto non è punto favore¬
vole alla tesi dell’affermazione della propria grandezza, gi a quella del
grido della disperazione, comune a quasi tutta la poesia
leopardiana. E nella Ginestra chi negherà il motivo da Lei richia-
luato, della personahtà del Poeta che non si lascia op¬ primere dalla
crudel possanza della natura ? Ma bisogna vedere quanto questo motivo sia
attenuato qui dall’umile coscienza delle proprie sorti («che con franca
hngua.... Confessa il mal che ci fu dato in sorte, E il basso stato
e frale...; ma non eretto Con forsennato orgoglio inver le stelle. Né sul
deserto.... » ecc.), e quasi rammoUito e sciolto nell’amore con cui
l’animo abbraccia tutti gli uomini fra sé confederati, e nella poesia
consolatrice che, commiserando i danni altrui, manda al cielo, come
la ginestra, un profumo di dolcissimo amore, che consola il
deserto. Anche la ginestra, che piegherà il suo capo innocente sotto il
fascio mortai, insino allora non pie¬ gherà indarno codardamente supplicando
innanzi al fu¬ turo oppressor; ma ciò non toglie nulla alla
gentilezza del fiore di tristi lochi e dal mondo abbandonati
amante, né alla solenne rassegnata pacatezza del vero sapiente
cantata dal Leopardi. Certamente, tutte queste cose meriterebbero
di essere chiarite con un’anahsi più accurata degli scritti leopar¬
diani; e io voglio sperare che questa discussione possa invogliar Lei,
che ha studiato tutte le cose del nostro grande Poeta con tanto acume e
con tanto amore, a non staccarsene senza prima avervi gittate su la luce
di nuove ricerche. IL LEOPARDI MAESTRO DI VITA • ^
Maestro di vita Giacomo Leopardi ? Il prof. Bertacchi > si è
proposto appunto di « raccogliere dagli scritti di Giacomo Leopardi e di
comporre in multiforme unità gli elementi dell’opera sua nei quali
parlino più alto le feconde ragioni della vita»: «quanto di sereno o di
mcn ; triste ricorre neUe pagine del Nostro; quanto di attivo e di
energico, pur nello stesso dolore, risulta dal senti- j mento, e
dal pensiero di lui.... allo scopo di integrar, ^ se pos’sibUe, la figura
del grande Scrittore ». Per dire la ' cosa più semplicemente e
chiaramente, egli intende illu- | j strare tutti gli elementi ottimistici
propri della poesia .‘1 leopardiana. 1; Elementi che
non mancano certamente nella detta 'i poesia; e costituiscono la
singolare caratteristica del suo j pessimismo, come già osservava
sessant’anm fa il De San- ' ctis nel suo dialogo sullo Schopenhauer (dopo
che allo stesso concetto aveva accennato un ventennio prima *
Alessandro Poerio, in una sua lirica rimasta inedita); , e conferiscono
infatti agli scritti di questo dolente e de- I solato pessimista un’alta
virtù educativa e consolatrice. | E molti studi diligentissimi furono
fatti in questo senso i da Giovanni Negri, nelle sue Divagazioni, che
pare siano t rimaste ignote al Bertacchi. Ma c’è ottimismo e otti-
s mismo; e la ricerca del Bertacchi mi pare avviata m una J
direzione, che potrà condurre a falsificare interamente il , carattere
dello spirito leopardiano, attribuendogli un ot- l timismo edonistico od
estetico, che solo un lettore di- ■ . A proposito del libro di
Giovanni Bertacchi, Un rft vita-. Sag^o leopardiano, Part. 1 : Il
poeta e la natura, Bologna, /a nichelli, igi?-
stratto e superficiale può vedere in alcuni aspetti della sua
sublime poesia. Giacché l’ottimismo del Leopardi è la fede e
l’esaltazione della virtù, della grandezza e della lenza dello spirito,
di quelle necessarie illusioni, come egli le chiama, a cui non trova
posto nel mondo, guar¬ dato come cieco crudele meccanismo naturale; ma
che non perciò egli abbandona, anzi afferma sempre più
vigorosamente: di guisa che il suo mondo triste e dolo¬ roso viene da
ultimo purificato e rasserenato in questa intuizione schiettamente
spiritualistica. La quale, d’altra parte, non a\Tebbe il suo proprio
particolar significato, disgiunta dalla negazione pessimistica della vita
dei pia¬ ceri e delle gioie naturah, che ne è come la base o il contenuto.
In questa contraddizione intima tra la natura cattiva e lo spirito buono
che in sé accoglie la visione di cotesta natura, consiste proprio la
radice, da cui trae alimento tutta la poesia del Leopardi; per intender
la quale non bisogna lasciarsi sfuggire né l’uno né l’altro dei due
elementi contradittorii. 11 prof. Bertacchi invece crede di poter
quasi cogliere in fallo il Poeta ogni volta che il vivo senso delle
bel¬ lezze naturali (poiché in questa prima parte egli studia il
Poeta in rapporto con la natura) fa lampeggiare dentro ai suoi canti una
sensazione di letizia; per modo che, contro r intenzione del Poeta, la
sua poesia tratto tratto scoprirebbe nella stessa realtà naturale
ravvivata dal¬ l’anima dello stesso Poeta le ragioni della vita;
ossia una fonte di dolcezza, a cui il Poeta inconsapevole pur seppe
attingere. Poiché, per lui, « vita è sentire e far sentire il bello e il
sereno di natura; vita ravvisare e creare le fide corrispondenze con essa
», e poi « l’uscirle incontro così, con gli occhi luminosi di gioia o
impre¬ gnati di pianto, narrarle le anime nostre, consenta o
contrasti essa con noi, moltiplicarci, nel suo cospetto, di atteggiamenti
e di modi, circuirla di umani argomenti. dedurre dal suo stesso
sensibile le conchiusioni jiiù nostre e i significati inattesi » ecc., e
il Poeta studiato « ne’ suoi fedeli commerci con la natura esteriore »
apparirebbe maestro di vita «spirito vigile e attivo. ])ronto a
fecon¬ darsi d’intorno e a moltiplicarsi le cose » ■ che sdoppia e
ingrandisce e abbellisce con la sua fantasia. Insomma la vita di cui
sarebbe maestro il Leopardi è una vita di piacere | del piacere procurato
dalla intuizione estetica della natura. Tesi in parte ingenua
e oziosa, in parte falsa. Perché se si volesse dire soltanto che il
Leopardi insegna a guar¬ dare esteticamente la natura e in generale a dar
vita estetica al mondo sensibile, questo sarebbe verissimo, ma così
del Leopardi come, più o meno, di ogni grande poeta; e non c’ è nessun
bisogno di dimostrare questa tautologia, che un’opera d’arte, qualunque
essa sia, è rappresenta¬ zione estetica; e quel che può avere un
interesse e un significato, è dimostrare nel caso particolare in che
modo un artista rappresenti il suo mondo. Ma la tesi del Ber- tacchi
ha in più la pretesa d’indicare attraverso questo vagheggiamento
fantastico della bella natura una vita diversa da quella apparsa triste
al Poeta: quasi che questi ne avesse avuto innanzi due, una bella e
luminosa e 1 altra squaUida e buia, e gli occhi di lui, senza ch’egli se
ne accorgesse, fossero attratti più dalla prima, e la luce di
questa s’effondesse sull’altra. Che è una pretesa affatto erronea; e
giustificabile soltanto col criterio dal Bertacchi candidamente esposto
fin dalla prima pagina del suo libro, come norma fondamentale del suo
metodo critico. Quivi infatti dice essere «comunissima sentenza
che l’opera d’uno scrittore non valga solo per sé, ma anche per il
modo diverso ond’essa, quasi, si adatta a ciascuno di noi », poiché «
spesso dalla parola d’un autore, acco- 1 O. c., pp. 84-85,
136-37- r stata alle anime nostre, si svolgono
sensi ulteriori che l’autore non previde, ma che le affinità degli
spiriti e le somiglianze dei casi vi sanno naturalmente ritrovare....
Il creatore è creato a sua volta, è rinnovato via via di significazioni e
di uffici ». Sicché il Leopardi maestro di vita è il Leopardi dei sensi
ulteriori e non il Leopardi storico; il Leopardi creato più che il
creatore: creato, s’intende, in questo caso, dal Bertacchi. 11 quale,
una volta sul punto di creare, non è più legato da nessuno dei
vincoli onde ogni critico e storico è legato alle opere che intende
interpretare; e può scegliere tra gli scritti leopardiani quelli soli o
di alcuni di essi quelle parti soltanto, in cui meglio può vedere
adombrata l’imma- I gine del maestro di vita che desidera
raffigurare. Così comincerà con lo scartare le prose ; perché «
nella voluta terribile aridità » di queste, « il pensatore sinistro
svolge i suoi tristi argomenti, e noi non abbiamo agio di aggiungervi
nulla del nostro » (nessun senso tiUeriore !) ; «egh non suscita in noi
altro moto che non sia d’atten¬ zione a quella sua logica amara ». E il
Bertacchi vuol dire che lì c’ è il pensiero del Leopardi, e non c’ è la
na¬ tura nei suoi aspetti suscitatori d’immagini belle: il che non
è poi vero, se si considerano almeno la Storia del genere umano, il
Dialogo della Natura e di un Islandese, La Scommessa di Prometeo e V Elogio
degli Uccelli. Pel Bertacchi le Operette morali sono filosofia e non
poesia. — Da scartare poi le poesie in cui il Poeta «trasferisce
nel canto quella materia medesima», malgrado «la maggior seduzione portata
dall’onda del verso, dal periodar musicale, dalle pur rare imagini che
infiorano il discorso qua e là ». E con questi caratteri il Bertacchi non
si pe¬ rita di designare, oltre 1 ’ Epistola al Pepoli, la
Palinodia ed / miovi credenti, canti come II pensiero dominante.
Amore e morte, il Bassorilievo antico e il Ritratto di bella donna ;
definite « Uriche anch’esse di pensiero e infuse di sentimento » ! —
Scartate, almeno questa volta, le poesie in cui il Leopardi parla bensì
diretto al nostro cuore {Sogno, Consalvo, A se stesso, Aspasia), ma
can¬ tando se stesso non esce dall’ambito umano e sdegna ogni
elemento esteriore : giacché « chi legge, anche in tal caso, è legato
alla parola del poeta, e solo la rielabora in sé in quanto essa gli desti
nel cuore un moto di passioni consimili che il cuore abbia provato esso stesso
». — Da escludersi infine i canti civili {AW Italia, Monumento di
Dante, Ad .-l. Mai, Alla sorella Paolina, A un vinci¬ tore nel pallone) ;
sempre per lo stesso motivo, che « si resta, sebbene con ampiezza
maggiore (?), nell’ordine voluto dal poeta ». Restano le altre poesie,
dove il Leopardi « canta all’aperto » ed effonde il canto dell’anima al
cospetto della natura: «vive con la natura, o almeno, nella natura. E
questa natura, poi, è quasi sempre serena ». Qui il ])oeta
Bertacchi, creatore del creatore, può spaziare a suo agio nel vasto cielo
dei sensi ulteriori. Ecco; «1 paesaggi campestri, le scene umili o
grandi in cui si veniva a comporre l’anima del dolente poeta, sono
sempre evocati nei loro aspetti più belli ; soleg¬ giati sono i suoi
giorni; le sue notti sono stellate e inar¬ gentate di luna. La pioggia,
che appar malinconica in un dei giovanili b'ranintenti, e procellosa in
un altro, riappare in Vita solitaria con fresca dolcezza mattutina,
attraversata dal sole che entro vi trema sorgendo». E questa presenza
della natura « non è senza effetto per noi ». Creare qui si può. « Egli,
il poeta, potrà bene, contro ogni serena bellezza, accampar le sue tristi
fortune, o le innate sventure di tutto il genere umano, o l’arcano
terribile dell’esistenza; noi potremmo bene, com’ei vuole, seguirlo nei
suoi tristi argomenti, veder quella bella natura velarsi del dolore di
lui, sentir vivo il contrasto che si agita tra quel poeta e quel mondo:
ma, poi, non possiamo impedire che alcunché di quel bello, di quel
sereno che egli evoca, si apprenda alle anime nostre, e festi in noi
quasi a sé, quasi distinto dai sensi che il poeta vi associa,
congiungendosi, anzi, dentro di noi con quante visioni di giorni dorati e
di pure notti profonde vi si raccolsero negli anni ». Che sarà — anche,
come si sarà avver- t^ito, neh’ onda del verso — una poesia
bertacchiana, un senso ulteriore, che il Leopardi non ci mise (come
il Dante della novella sacchettiana), ma non ha più niente che vedere
colla poesia del Leopardi. E dove pare si accenni a un giudizio critico,
non può essere altro che una vaga e soggettiva impressione priva d’ogni
valore. Così il Bertacchi ci dirà che nel Sabato del
villaggio e nella Quiete dopo la tempesta « il poeta ha compromesso
il filosofo versandoci con troppa pienezza (?) nel cuore tutta la poesia
soave, tutta l’ondata di vita che tra¬ bocca dalle ore descritteci » ».
Che, come giudizio, è un errore, perché tutta quella poesia traboccante è
l’incar¬ nazione deU’ idea stessa del filosofo, che nel Sabato non
si esibisce già nella sentenza finale (« Questo di sette è il più gradito
giorno, Pien di speme e di gioia; Diman tristezza e noia Recheran l’ore
»), ma vive in tutta la rappresentazione precedente: dove tutta la gioia
è la gioia d’una speranza guardata coi mesti occhi della pro¬ vata
delusione: è la soavità della fanciullezza ma non quale la sente il
fanciullo, bensì come la rimpiange l’uomo già esperto della vita, in cui
ad una ad una si son dile¬ guate le speranze lusingatrici della prima
età. E bisogna non vedere questa pietosa malinconia, che prorompe
da ultimo, ma s’annunzia già dalla malinconica donzelletta tornante
dalla fatica dei campi sul calar del sole, cioè chiudere gli occhi su
tutta la poesia, per parlare d’un dualismo tra poeta e filosofo, e d’un
poeta che prende la mano al filosofo. ■ O. c., p. IO.
Altro esempio, o L'idillio A llu Lufiu e 1 altro La vtla, solitaria...,
pur movendo da uno stato di tristezza, la¬ sciano tanto agio alle malie
naturali, da non permettere a queUa di farsi vero dolore, la mantengono
in una so¬ spensione fluttuante, nella quale diresti che il poeta
sia perplesso sul proprio stato » >. Ora, il breve idiUio Alla \
luna non fluttua punto, ma esprime nettissimamente il piacere deUa
ricordanza sia pur nel noverare l’età del proprio dolore; il grato
«rimembrar delle passate cose, ancor che triste, e che l’affanno duri». E
la Vita solitaria fluttua soltanto agli occhi di chi non vegga l’umtà
e la sintesi che ne è tema (neU’anima, s’intende, del poeta, e
quindi in ogni parte della sua poesia) tra la fresca c solenne beUezza
della natura e il sospirante solingo muto, che non trova in essa pietà («
E tu pur volgi Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando le sciagure e gh
affanni, alla reina FeUcità servi, o natura »). Ma in
tutto il volumetto non si trova una pagina in cui propriamente il
Bertacchi affisi la poesia del Leo¬ pardi invece di vagare nei suoi cari
sensi ulteriori. Dei quali a volte sente come il bisogno di
scusarsi, dicendo per esempio delle Ricordanze che, dopo avere sentito
col poe¬ ta, «poi è naturale, è umano che noi, da p a r t e n o s t r
a, riviviamo tutti quei sensi di vita che, sia pure a cagione di
rimpianto, quivi il poeta rievoca; che essi nell’anima nostra, non
afflitta da queUe cagioni, lascino pure qualcosa della originaria
dolcezza; è umano che le stelle dell Orsa e le lucciole del giardino e il
canto della rana remota e j viah odorati e i cipressi e il chiaror delle
nevi si ag¬ giungano, come sorte da noi, alle sensazioni già
nostre, ai retaggi deU’essere nostro»». Umano, troppo umano, certamente.
Ma che lavoro sarà questo ? > O. c., p. 19- » O. C., p.
12- Sarà poesia sulla poesia ? Dovrebbe essere. Ma la poesia, per
dir la verità, non so vederla nella prosa ag¬ ghindata, saltellante e
retoricamente sonante del Ber- tacchi. « Ma il dono che G. Leopardi fece
a se stesso ed a noi, godendo e mettendoci a parte di tante scene
se¬ rene, non è il significato maggiore della complessa sua opera,
cede, per importanza, alla virtù ivi profusa di vivere della natura e di
comunicare con essa, quali ne siano gli aspetti, quali ne siano gli
effetti ». « Corrispon¬ denza tra la natura e lui, che era in se stessa,
per lui, elemento e ahmento di vita ». « Quelle mitologie che, sia
pure fingendo e trasfigurando, ci definiscono innanzi la visione delle
cose, non le sgombrano forse di quell’aura d’arcano e di vago che è tanto
cara al poeta, conforme all’ inconscio e aU’ ignoto onde è come infusa ed
effusa la fanciullezza dei singoli, la giovinezza dei popoli ».
«Momenti e motivi reali, più che di pura idea, sono que’ tocchi ed
accenni di cui venimmo parlando; son temi di canto, perché ci son dati da
tale che tutto era uso ad avvolgere in aura di poesia.... i temi son temi
e temi che, comunque, ci attestano come la stessa malia delle
sensazioni infinite fosse cagione per lui a meglio indugiar sulle cose ed
a sorprenderle meglio ne’ loro attimi sacri » ». Né sarà poesia la
ritmica prosa, in cui il Bertacchi ama troppo spesso cullarsi per jiagine
e pagine, dove forse i sensi ulteriori gli soccorrono più lenti alla
fan¬ tasia. Ecco, per un esempio, la chiusa d’un capitolo > : «
Come Saffo e Bruto, pur la Ginestra e il Pastor, le grandi liriche
sorelle nate dalle notti d’ Italia, aggiungono alle notti medesime
qualcosa che prima non c’era. Molti di noi certamente, in qualche grande
ora deU’anima, guar¬ dando i cieli notturni, sentirono ripioversi in
cuore un’eco ' 0 . c., pp. 31, 39, 2, 128. * 0 . c., p.
108. di quei canti stellati, e ripensando al poeta congiunto
da quei canti a quei cieli, ridissero a se medesimi: — Egli è passato di
là ». Squarci, dunque, di eloquenza, anzi di oratoria ritmica ; alla
quale potranno non mancare gli ammiratori; ma in cui non direi che sia
ricreato i] Leopardi. Proprio il Leopardi ! Meglio, molto meglio
che quest’oratoria si volgesse a qualche altro tema di ri¬ sonanze
ulteriori: per esempio a un Cavallotti. Ili
INTRODUZIONE A LEOPARDI Prolusione al Corso di letture
leopardiane che il Comitato della Dante Alighieri di Macerata istituì nel
1927 presso quella Università; nella cui Aula Magna questo discorso venne
pronunaiato il 13 feb¬ braio '27; quindi pubblicato nella Nuova Antologia
del 1“ novembre '27. I. A inaugurare oggi in
Italia un corso perpetuo di letture leopardiane c’ è da essere assaliti
da un certo sgomento, per la responsabilità che si assume. E ciò
per un doppio motivo. L’uno, il più ovvio, è che il Leo¬ pardi si
rajjpresenta generalmente come un maestro di pessimismo; ed alzare una
cattedra a illustrazione del suo pensiero e della sua poesia può parere
perciò tutt’altro che opportuno in un paese che ha bisogno di reagire
a vecchie e radicate tradizioni d’indifferentismo e scetti¬ cismo e
di allargare il petto ad energici sentimenti di fiducia nelle proprie
forze e ad alte convinzioni di fede nella vita che è chiamato a vivere.
Oggi sopra tutto, che il popolo italiano è raccolto nella coscienza di
grandi doveri da assolvere e nel senso della necessità di rifare
nella disciplina, nel lavoro, negli ordinamenti civili, nella educazione
della gioventù a maschi propositi e metodi di vita l’antica fibra del carattere
nazionale. E sarebbe questo il momento di diffondere nei giovani e nel
popolo gli ammaestramenti pessimistici del poeta, la cui poesia non
si gusta senza sentire con lui tutta la miseria di questa vita e
l’inanità d’ogni sforzo che si faccia per medicarla? Motivo grave
di esitazione e titubanza; ma che, lo confesso, non turba tanto l’animo
mio quanto l’altro che vi si aggiunge a far temere un pericolo nella
istitu¬ zione che oggi si inaugura. Giacché chi abbia anche una
elementare conoscenza della poesia leopardiana, sa bene che il suo
pessimismo non ha mai fiaccato, anzi ha rinvigorito gli animi; e lungi dallo
spegnere, ha infiam¬ mato nei cuori la fede nella vita, nella virtù e
negl’ ideali che fanno degna e feconda la vita umana degl individui
e dei popoh. Ma il più preoccupante sospetto è che Leo¬ pardi, come già
altri poeti e sopra tutto Dante, argo¬ mento di letture pel pubbhco,
diventi anche lui materia di quel malfamato genere letterario che troppo
è stato coltivato negh ultimi tempi dagl’ Italiani, e che dicesi
delle «conferenze»; genere che vorremmo avesse fatto il suo tempo, e
potesse ormai relegarsi tra le smesse abi¬ tudini dell’anteguerra.
Giacché bisogna che gl’ Italiani si persuadano che, se si vuol far
davvero, e stare tra le grandi Potenze, ed essere un popolo vivo, serio,
temibile, realmente concorrente con gli altri popoli che sono alla
testa della civiltà nel dominio del mondo materiale e morale, bisogna
romperla col passato. Dico col jiassato dell’accademia e della
«letteratura», dei sonetti e delle cicalate, degli eleganti ozi e
trattenimenti per dame e colti signori in cerca di onesti passatempi, più
o meno noiosi; in cui ogni argomento era buono purché legger¬
mente, discretamente, spiritosamente trattato, o agitato con oratoria
adatta a mover gli affetti e guadagnare gli applausi: ma in cui né
dicitore mai, né ascoltatori debbano sentirsi impegnati, pel solo fatto
di parlare o di ascoltare, a sentire seriamente, schiettamente, con
tutta l’anima, e a pensare, a trarre da quel che si dice o si
apiilaudisce, conseguenze che siano norme di con¬ dotta e quasi cambiali
che prima o poi scadranno e si dovranno scontare. La conferenza, si sa,
non è un di¬ scorso da comizio, in cui oratore e pubblico, in buona
fede, e anche in mala fede, compiono un’azione e si pre¬ parano a
compierne altre; e non vuol essere una predica, che debba edificare un
uditorio di fedeli. L’ ideale è che nessuno vi sbadigh ma neppure vi s
interessi tropjio, nessuno vi si riscaldi; e a trattenimento finito,
ognuno Si ge ne torni a casa con lo stesso animo —
vuoto — con è venuto alla conferenza. Ideale vecchio
per gl’ Italiani. Sorse e si sviluppò durante il Rinascimento, quando
dall’umanista venne fuori il letterato, e nacquero, fungaia che si estese
rapi¬ damente per tutto il suolo del bel Paese, tutte quelle
accademie dai nomi strani e burleschi che attestavano es«i stessi la
frivolezza dei propositi e la spensieratezza jegli studiosi perditempo
che ■\’i si riunivano; accademie, che pullularono in tutte le città e
borghi d’ Italia dalla nietà del Cinquecento in poi, e di cui molte
ancora resi¬ stono al sorriso, al sarcasmo e al fastidio degli
spiriti nioderni e alla storia, e vivacchiano oscuramente sul margine
dei bilanci dello Stato nelle provincie e anche nelle maggiori città
ricche di tradizioni letterarie, a danno delie istituzioni più utili e
più serie. All’ombra delle ac¬ cademie vegetò tutta la vecchia cultura
italiana, esanime e priva d’un profondo contenuto e interesse
religioso, morale, filosofico, umano; poesia senza ispirazione,
filo¬ sofia alla moda, erudizione per l’erudizione, scienza per la
scienza, nessuna fiassione, né anche nella letteratura politica, che legasse
il pensiero alla persona e la persona al suo pensiero. Una repubblica
delle lettere, in cui l’uomo non era cittadino della sua patria, né padre
della sua famiglia, né credente della sua religione, ma puro
spirito innamorato di astratte forme, senza attinenza con la pratica
della vita e con la realtà degl’ interessi personali. Cultura
intellettualistica, di cervelli magari pieni zeppi di notizie peregrine e
di squisite nozioni e raffinatezze di arte, ma senz’anima, senza cuore,
senza né odi né amori. Cultura estranea alla vita; che era poi vita senza
cultura, cioè senza riflessione e senza idealità ; la vita degli
uomini proni alla frivolità e agl’ interessi particolari, chiusi ad
ogni alto e generoso sentimento e ad ogni idea la cui attuazione
richiedesse fatica e sforzo. 6. — Gentile, MaiXrZoni e
Leopardi. Chi non conosce queste debolezze dello spirito italiana
nei secoli della decadenza ? Chi non sa che 1’ Italia ^ risorta tra le
nazioni quando s’ è vergognata di quella cultura e di quella letteratura,
e con Parini ed Allieri ha cominciato a sentire che il poeta dev’essere
pur uoiuo e che poesia, come ogni altra forma d’ingegno, vuoi dire
pure volontà, carattere, umanità ? Chi non sa che j)ur dopo la miracolosa
risurrezione di quest’attesa fra le genti, come fu delta 1’ Italia, si
sentì che essa sarebbe stata una creazione effimera ed insignificante
senza gl; Italiani ? Cioè senza Italiani che cominciassero a unire
e a fondere insieme quel che avevan sempre diviso, l’in. teUigenza e la
volontà, la letteratura e la vita, la scienza e gl’ interessi concreti e
attuali deH’uomo, facendola finita jier sempre con l’accademismo e con la
rettorica e con tutta la vecchia sapienza scettica dell’ « altro è
il dire e altro è il fare », per cominciare a prender sul serio
tutto, a lavorare tenacemente, a sentire come proprio r interesse comune,
a stringere la propria sorte a quella della patria, a sentirla perciò
questa patria come intima a sé e tale da meritare che per lei si viva e
che per lei si muoia ? Chi non sa che la vecchia Italia rifatta di
fuori si doveva pur rifare di dentro ? Questa almeno
l’aspirazione del Risorgimento. Ma venuto meno lo slancio morale di
quell’età eroica, tale aspirazione si attenuò e fu meno sentita; e nei
riposati tempi di pace e di raccoglimento succeduti al periodo
agitato della rivoluzione e della formazione del Regno, certi vecchi
spiriti dell’anima italiana tornarono a galla; nel rifiorire della
cultura (che certamente molto s’av¬ vantaggiò di quei decennii ultimi del
secolo scorso, in cui r Italia parve godersi le prospere condizioni
acquistate con l’unità) risorse con gioia l’antico gusto idillico c
ar¬ cadico della letteratura, della cultura intellettualistica ed
elegante; e da Firenze, centro di questa rifioritura letagraria, fecero epoca
le conferenze prima sulla vita ita¬ liana e ]50Ì sulla Divina Commedia.
L’esem]no fu imitato jn tutte le principali città, e i conferenzieri più
brillanti f celebrati viaggiavano da una tribuna all’altra recando j„
giro le loro arguzie, i loro motti ed aneddoti, le loro pagine patetiche
e scintillanti, a gran diletto, si diceva, del lor^^ pubblico di
dilettanti di cultura a buon mercato. Perché a certe conferenze, con
certi nomi, di dire che l’ora é lunga a passare pochi hanno il
coraggio. Leopardi non può esser materia di conferenze ! Vi
si ribella la pudica delicatezza della sua anima sensibilis¬ sima,
che cerca i luoghi solinghi e i silenzi della notte dove il suo canto
possa spandersi in una religiosa ele¬ vazione di tutto il cuore verso
l’eterno e l’infinito; dove il pastore po.ssa interrogare la luna, e
l’uomo stare a fronte della natura, e ragionare tra sé e sé de’ più
gelosi segreti del suo cuore. Vi si ribella la religiosa austerità
del suo spirito tormentato dal mistero del dolore univer¬ sale. Non
amerebbe egli, schivo com’era e orgoglioso della sua solitaria grandezza,
mostrarsi al pubblico e far suonare la sua voce esile e tremante di
commozione in mezzo a un numeroso uditorio distratto e proclive a
mondani pensieri e a cure di frivola oziosità o di vanità
letteraria. No, quanti amano il Poeta, non tollereranno che
anche Leopardi venga alle mani dei pedanti, dei letterati, dei
conferenzieri; e che ei diventi materia e pretesto di vane esercitazioni
onde gli animi si alienino dai problemi che fanno yiensoso ogni uomo che
viva e rifletta sulla sua vita con vigilante coscienza morale. E io
inizio questo corso formulando il voto e, per cyuanto è da me, fermando
il programma, che qui sia sempre vivo e presente il Leo¬ pardi poeta, che
è il Leopardi degli uomini, e non il Leo¬ pardi dei letterati, degli
accademici, dei curiosi, dei pet¬ tegoli e dei perditempo.
li. Giacché Giacomo Leopardi fu anche un erudito ap.
passionatissimo ; anzi, ricorderete, si rovinò la comples. sione e si
precluse la via a ogni godimento della vita per la furia con cui nella
età più giovanile si gettò sugli studi per puro amore di sapere. Per
molti anni aspirò, finché la perduta salute e la vista indebohta non gli
ebbero create difficoltà insormontabili, ad essere un filologo
consumato. Delle questioni letterarie, un tempo delizia degli accademici,
fu anche lui studiosissimo, ancorché ironicamente guardasse dall’alto,
per la coscienza che ebbe del suo più squisito gusto e della sua più
perfetta dottrina, le accademie italiane antiche e recenti. Ma la
sua anima non si chiuse né nella filologia, né nella letteratura. Se ne
servì come di strumenti a vedere e sentire più addentro nel proprio animo,
e di grado in grado elevarsi alla sua forma di poetare. Egli (e la
prova più manifesta è in quel suo diario dello Zibaldone) visse
sempre raccolto e concentrato in se stesso: osservando la vita, studiando
gli uomini, speculando sulla natura e sull’anima umana, indagando i
destini dei mortali e le forme onde l’uomo rifrange nel suo cuore e nel
suo iiensiero la luce di tutte le cose, da cui si vede attorniato. Il
suo pensiero è una continua, commossa meditazione su se stesso, in
forma che ora rimane un filosofema, ora as¬ surge a fantasma, e vibra e
rifulge agli interni occhi trepidanti. Leopardi, con diversa
temperie spirituale e cultura diversissima, è dell’età stessa del Manzoni
: figlio di quella nuova Italia che guarda la vita religiosamente,
e ne sente il valore e la serietà; profondamente differente da
quella anteriore aH’Alfieri e al Farmi, quando i poeti italiani
cominciarono ad accorgersi che nella stessa poesia c’è il vuoto se non
c’è tutto l’uomo; l’uomo, che è legaio da intìniti vincoli e in
tutti gl’ istanti della sua vita a una divina realtà, governata da
leggi che domano e annientano ogni arbitraria velleità dei singoli; a
una realtà, in cui il singolo uomo viene a trovarsi nascendo da cui
si diparte morendo, ma in cui deve inserire e jnserisce, con 0 senza
frutto e vantaggio, ogni sua azione, ogni suo gesto, ogni sua parola,
ogni suo pensiero o sen¬ timento, durante tutta la vita, dal dì della
nascita a quello jella morte. Anche Leopardi, razionalista e irrisore
di superstizioni e di dommi, è uno spirito profondamente religioso,
sempre faccia a faccia del destino: incapace di abbandonarsi a qualsiasi
sorta di dilettantismo, e di prendere alla leggiera i problemi della
vita. Sul suo viso è sempre un sorriso di austera, solenne mestizia, e
si scorge il pacato accoramento dell’uomo che non riesce a
distrarsi in vani divertimenti, neppure nel mondo sub- biettivo del
pensiero e dell’ imaginazione : tutto preso dalla considerazione ine\'itabile
del mondo, in cui l’uomo, ed egli in particolare, si sforza di vincere il
dolore. Per questa sua costituzionale religiosità Leopardi non fu
soltanto un poeta, ma fu anche un filosofo, allo stesso titolo e per la
stessa ragione del Manzoni. HI. Bisogna intendersi. Se
domandate ai filosofi, diciam così, di professione, ai filosofi cioè che
tengono a distin¬ guersi dal resto degli uomini, essi vi risponderanno
che Leopardi filosofo non fu, non ebbe un sistema; e le idee
speculative che si formò per la lettura dei filosofi recenti più affini
al suo modo di sentire, non ebbero da lui svol¬ gimento e impronta
personale, perché non furono fecon¬ date da una sua speciale ispirazione.
Accettò, riecheggiò, Ria senza elaborare quel che accettò, senza
svilupparlo, ordinarlo e potenziarlo a nuova forma sua propria di verità.
In una storia della filosofia ei perciò non può trovar posto; quantunque
di lui non si possa non parlare di¬ stesamente in un quadro della cultura
filosofica della prima metà del secolo passato. In questo senso,
d’ac¬ cordo, Leopardi non fu un filosofo. Ma c' è un altro
senso in cui si deve parlare della filosofia; ed è quello poi per cui la
stessa filosofia dei filosofi è una cosa seria, va rispettata, e può interessare
tutti gli uomini, e non essere una malinconica fantasti¬ cheria di gente
che viva fuori del mondo. Ed è quello per cui c’ è la filosofia di quelli
che inventano nuovi si¬ stemi filosofici; ma c’è anche la filosofia di
quelh che, senza inventarne, li cercano questi sistemi nei libri
dove sono esposti, e leggono questi libri, li studiano, ne fanno
prò, li gustano, han bisogno di farsene nutrimento e forza dello spirito,
in cerca di risposta a domande che sorgono spontanee dal fondo della loro
anima, insistenti, invincibili, e che essi perciò non saprebbero
reprimere e far tacere. Talvolta questi filosofi-lettori sentono il
pun¬ golo dei problemi dei filosofi-autori, e fanno perciò ressa
intorno a costoro, jjer averne soddisfazione ai bisogni da cui sono senza
tregua assillati. Giacché, insomma, la filo¬ sofia, come la poesia, non è
privilegio né monopoho dei pochi quos aequus amavit luppiter] ma è in
fondo allo spirito umano, e quindi nell’animo di tutti. Soltanto,
c’ è chi si distrae e corre e si disperde per le cose e gl’ in¬ teressi
esteriori, senza mai per altro dissiparsi a tal punto nelle esteriorità
da non portare in tutto l’accento, per quanto leggiero, della sua
personalità; e c’ è chi si ripiega e raccoglie in sé, e dentro di sé
cerca, trova e coltiva il germe della sua vita e del suo mondo.
In questo senso più largo e fondamentale il Leopardi fu
squisitamente filosofo: e stette sempre anche lui con gli occhi intenti,
ansiosi, sopra il mistero della vita, quale ad ogni uomo che sente e che
pensa esso si presenta in jiìczzo a tutte le idee quotidiane, di tra il
confuso agitarsi passioni svariate che gli tumultuano
incessantemente pel cuore. Giacché ogni uomo che sente, non può
vivere così spensierato e abbandonato all’ istinto da non av¬ vertire
che la sua vita non scorre tranquilla com’acqua sopr^ un letto già
scavato e terso. Sono sempre ostacoli da superare, bisogni da soddisfare,
desideri! non ancora appagati e ondeggianti tra la speranza e il timore;
e la gioia offuscata sempre dal dolore, che, vinto, risorge in
mezzo allo stesso ]ùacere; e nell’alterna vicenda di vittorie e
sconfitte, cadute e risorgimenti, speranze e disinganni, giubilo e
scoramento, in fondo, alla fine, uno sparire totale di tutto, un disseccarsi
e inaridirsi definitivo della sorgente stessa, a cui l’uomo accosta ad
ora ad ora le sue labbra assetate; il nulla, la morte. La morte, che ci
at¬ terrisce prima di colpirci, toghendoci per sempre e an¬
nientando intorno a noi tante delle nostre persone care, con cui ci era
comune la vita, in guisa che la morte loro ci pare la morte di una parte
di noi. E che è questa morte ? e che questa vita che precipita fatalmente
nella morte ? Che è questo bisogno di cui viviamo, di non
arrenderci a questo fato, che infrange ad una ad una tutte le nostre
speranze, disperde tutte le nostre gioie, ci priva di tutti i nostri
beni, ci chiude dentro mille osta¬ coli. ci combatte, c’ insegue, ci
sbarra la via, e non ci concede tregua finché non ci abbatta per sempre ?
Nascere è entrare in una lotta, che di giorno in giorno richiede
sempre nuove e maggiori forze, e una volontà sempre più agguerrita, per
vincere una battaglia sempre più aspra. Svegliarsi ogni mattina è, presto
o tardi, pronti 0 lenti, rispondere all’appello delle cose, della natura,
del destino, che ci attende, e ci spinge a nuove fatiche per
soddisfare i nuovi bisogni che riempiranno tutta la no¬ stra giornata.
Per gli uni la vita sarà più facile, o men difficile: ma per tutti è una
scala, che bisogna salire; salire sempre; da un gradino all’altro: sempre
più senza fermarsi mai. Ma, appena l’uomo che ha un cuore,
sente quest affanno e scorge, anche da lungi, la tragedia e la
catastrofe” non può non interrogarsi e riflettere se a questa lotta
ché par destinata a una sconfitta assoluta egli abbia forz.
sufficienti, o se non sia un’ illusione questa jier cui egfi confida a
volta a volta di poter affrontare la lotta stessa per conquistarsela la
sua gioia, e farsi insomma una vita sua, quale ei la vagheggia, filiera
dai mali la cui minaccia mette in moto la sua attività; e se egli non
debba aprire gli occhi, e riconoscersi vittima del giuoco
inesorabile della natura, granello di polvere sperduto nel turbine,
o ruota di un ingranaggio universale, il cui combinato movimento
non s’arresterà né devierà mai, e dentro i] quale ogni sforzo di volontà
non può essere, esso mede¬ simo, al pari delle idee e dei sentimenti che
lo solleci¬ tano, se non un necessario effetto di una causa
necessaria predeterminato ab eterno in eterno. £ il mondo, in cui
si svolge la nostra vita, una realtà massiccia, tutta chiusa neUa sua
natura e nelle sue leggi, immodificabile, e noi dentro di esso, tutt’uno
con tutte le altre cose, anche noi mossi dalla forza irresistibile del
destino ? 0 siamo noi veramente capaci di metterci di fronte a
ciuesto mondo, modificarlo con la nostra opera, con la nostra
volontà, e al di sopra delle ferree leggi del meccanismo naturale col
nostro amore, con l’impeto dell’animo no¬ stro innamorato dell’ ideale,
instaurare una legge che sia la norma del bene e di un mondo spirituale
dotato di un valore assoluto ? E se non fosse possibile questo
mondo superiore, in cui il bene si distingue dal male, e c è una verità
che si oppone all’errore, come si potrebbe pensare lo stesso mondo
inferiore e quella natura spie¬ tata tutta chiusa nel suo meccanismo, la
cui afferma¬ zione implica che si ritenga vera? E se a questo
mondo superiore, alla cui esistenza occorre l’attività libera dello
spirito che sceglie il bene e si apprende alla verità re- sping^n*^®
contrario, se ne contrappone un altro che è la nepzione della hbertà,
come si farà ad ammettere che sia libera la natura umana, circondata e
condizio¬ nata da una natura che è l’opposto della hbertà ?
Pensieri, che il filosofo più esperto mette in formule stringenti,
e scruta a fondo; ma che confusamente, e non perciò meno tormentosamente,
affiorano in ogni umana coscienza, e ora vi gettano lo sgomento, ora v’
in¬ fondono la fede di cui ogni uomo ha bisogno per non fermarsi e
cadere. Giacché 1 uomo non dà un passo senza credere di poterlo dare;
senza pensare che c’è una mèta innanzi a lui da raggiungere, e che quella
è la via buona per giungervi. E quando questa convinzione gli manchi,
e gli manchi del tutto, allora non gli resta che rifugiarsi nell’ Èrebo,
come la misera Saffo. O la fede, o la morte. Ci sono mezzi termini,
ma per gh uomini che pen¬ sano e sentono poco, e perciò si cUstraggono.
Nessuno invece sentì mai cosi acutamente come il nostro Leo¬ pardi.
nessuno vi pensò mai con tanta insistenza, e ne trasse espressioni di
tanta umanità. Poiché il Leopardi se fu un filosofo in largo senso, fu
poi, viceversa, un poeta in senso stretto. Il che vuol dire, che le sue convinzioni
filosofiche non gli rimasero nella testa; ma gli scesero al cuore, e \'i
si abbarbicarono, e furono la sua persona, lui stesso, la sua anima, 1
immediato sentimento, in cui \ibrò a volta a volta tutto il suo cuore. La
sua concezione della vita, come or ora vedremo, si chiuse in poche
idee, ma queste si fusero e colarono ardenti sulla stessa fiamma
della sua passione viva, e quindi fiammeggiarono in accenti e fantasmi di
poesia. La quale questo ha di pro¬ prio, a differenza della scienza
ragionata e del sapere speculativo; che in questi il pensiero si
spersonahzza e si stende in una tela universale, che ogni intelligenza
può SÌ ritenere, e far sua, e viverne anche, ma elevandosi sopra di
sé e quasi uscendo da sé, e mediandosi, cioè svolgendosi, e quasi aprendo
e dilatando il nucleo vivente della sua individualità, in guisa da parere
che non senta più né affetti, né passioni, né gioie, né dolori,
assorta nella contemplazione del suo oggetto. Laddove la poesia, lungi
dall’alienare da sé il soggetto, lo stringe a se stesso, e lo fa vedere
immediatamente così come esso è, dentro di se medesimo, chiuso nel suo
sentire, fremente nel brivido della sua subbiettiva interiorità, nel suo
essere e nel suo atteggiamento non ancora mediato, sviluppato,
riflesso, ragionato e disindividuato. Lo scienziato cerca e trova la
verità che è di tutti, astrattamente obbiettiva, in guisa che non par più
né anche spettacolo di occhi umani od oggetto conformato alla mente che
lo pensa; e il poeta in^’ece non cerca e non trova se non se
stesso: l'amore o qual’altra passione gli detta dentro le parole in
cui egli si esjirime. In questa immediatezza, spontaneità e quasi
natu¬ ralità dello spirito poetico è il segreto della miracolosa
potenza della poesia, raffigurata dagli antichi nella virtù incantatrice
della lira di Orfeo, che traeva a sé e trasci¬ nava non pure gli uomini
che riflettono, ma le fiere che solo sentono. Perciò la poesia,
quantunque richieda anch’essa cultura e finezza spirituale, risultato di
studio e di educazione, s’appiglia al cuore dei semplici e delle
moltitudini, invade gli animi, conquide e trae seco non per virtù di
persuasivi e irresistibili raziocinii, ma, ap¬ punto, d’un tratto,
immediatamente, quasi per divino miracolo. Perciò Tefficacia e la virtù
diffusiva dell’arte è senza paragone superiore a quella della
filosofia. Perciò quella filosofia, che fu nel Leopardi
sentimento e diventò sublime poesia, ha una potenza infinitamente
maggiore di qualunque più sistematica filosofia; e se si chiudesse nel
gretto circolo di una concezione pessimistica della vita, non sarebbe, a dir
vero, prudente accor¬ gimento di educatori del popolo italiano erigere
qui una cattedra a commento ed esaltazione di essa. I filosofi, per
raggiungere la loro verità, devono salire l’erta fati¬ cosa del monte; e
giunti alla cima, vi restano per solito in una solitudine magnanima,
anche a malgrado della moltitudine che dal basso sogguarda e sogghigna. I
poeti si traggono dietro il popolo, toccandone il cuore anche
lievemente, con quella loro arte che « tutto fa, nulla si scopre ». Il
Leopardi è tra essi; ma materia del suo canto è la sua filosofia.
IV. E qual è dunque il contenuto di questa sua filosofia
? Quello che abbiamo già detto dei problemi filosofici, che
spontaneamente sorgono dal fondo del pensiero umano, ci apre la via a
chiarire le idee che furono la vita intel¬ lettuale e sentimentale del
nostro Poeta. 11 quale su quei problemi martellò il suo pensiero; e di quei
problemi vagheggiò soluzioni, che scossero profondamente il suo
animo. E sono i problemi fondamentah o massimi della filosofia: che è
pensiero umano derivante dal bisogno di assicurare all’uomo la fede che
gli è indispensabile per vivere: la fede nella propria libertà; ossia
nella pos¬ sibilità che egli ha, e deve avere, di esercitare un suo
giudizio, di conoscere una verità, di agire, e farsi un suo mondo,
conforme cioè alle sue aspirazioni e a’ suoi ideali e non dibattersi
vanamente in una rete di illusioni e di sforzi infecondi. Bisogno,
rispetto al quale ogni filo¬ sofia materiahstica, evidentemente, è una
filosofia fallita; la quale, logicamente, se l’uomo non si risolvesse
da ultimo a non lasciarsi più guidare dalla logica e ad ab¬ bandonarsi
all’ istinto, dovrebbe condurre l’uomo, come ho detto, al suicidio.
Ora Giacomo Leopardi, ogni volta che si trovò a fare di proposito una
professione di fede, fu esplicito nel manifestare la sua adesione alla
filosofia sensualistica e materialistica del secolo XVllI; e il Frammento
apocrifo di Stratone di Lampsaco, inserito nelle Operette morali, è
una dichiarazione del suo proprio pensiero, quale, per altro, si
ripercuote in una buona metà de’ suoi scritti in prosa e in verso. Poiché
da per tutto egh si vede in¬ nanzi quella natura simbolicamente
rappresentata nel Dialogo della Natura e di un Islandese', la quale non
sa e non si cura dei desiderii né delle sofferenze umane; natura
grande, enorme, infinita, la quale racchiude in sé tutto, e non conosce
perciò l’uomo che pretende di contrapporsele, di deviarla dal suo corso,
piegarla alle proprie tendenze, conformarla a quei fantasmi di una
vita bella ideale, che egli si finge e pretende di far valere in concorrenza
della dura, quadrata realtà che lo fron¬ teggia. Questa perciò,
conosciuta che sia, spezza ogni umana velleità, e aggioga l’uomo al
dominio universale delle leggi di natura: dove non c’è bene né male,
ma tutto è necessario, tutto accade perché, data la causa che lo
determina, non può non accadere; e la stessa ne¬ cessità ha ogni umano
pensiero o volere, che non deriva da un principio autonomo, che si faccia
centro di una vita superiore e indipendente, avente in sé la
propria misura, ma è effetto del generale meccanismo, che si
abbatte sulla così detta anima umana attraverso le sen¬ sazioni e gh
appetiti che queste producono. Filosofia materialistica, dunque. Ma
è questa, in conclusione, la filosofia del Leopardi ? Io \’i invito a ri¬
flettere che c’ è due modi di giungere a conclusioni ma¬ terialistiche :
uno proprio degh spiriti poco sensibih, che, raggiunte quelle
conclusioni, vi si rassegnano: le trovano inevitabili, e si fanno un
dovere, il cui adempimento non costa a loro grande fatica, di accettarle
senza reazione di sorta; e l’altro invece proprio di quegli altri, che
se non trovano la via di affrancarsene, e scoprirne l’errore e la
manchevolezza, ne soffrono, e vi reagiscono contro, e vi si ribellano con
tutta la forza del loro sentimento, che ò come dire della loro stessa
personalità. I secondi non riescono ad affisarsi tanto nella visione di
quella natura che è opposta alle esigenze morali proprie del¬
l’uomo, da restarvi come assorbiti, dimenticandosi af¬ fatto di queste
esigenze, e cioè della lor propria natura. Il loro tormento, la loro
angoscia nasce appunto da questo stridente contrasto, di cui essi infine
vengono a fare l’esperienza, e a vivere. La realtà finale, al cui
cospetto vengono a trovarsi, non è una sola, ma duplice: da una
parte, la natura disumana, in cui tutte le luci onde s’il¬ lumina la via
dello spirito si spengono; e dall’altra, questa realtà fiammeggiante e
splendida, che arde dentro di loro, e alla cui luce, infine, essi
comunque guardano e vedono la prima. Giacché anche questa è oggetto
di una affermazione, in cui lo spirito umano manifesta la fede che
ha nelle proprie forze e nella propria capacità di distinguere il vero
dal falso, e di appigliarsi al primo in quanto esso è opposto al secondo.
La realtà che è lì di fronte allo spirito, è sì quella realtà naturale,
materiale, meccanica, chiusa e impervia ad ogni idealità, inconci¬
liabile con qualsiasi concetto di libertà; ma il contrap¬ porsi di essa
allo spirito importa pure l’opporsi dello spirito ad essa: dello spirito,
che è una realtà dotata di attributi contrari a quelli con cui vien
pensata l’altra. E per ammettere questa, bisogna ammettere prima quella
; senza la quale mancherebbe lo stesso pensiero, a cui si chiede
tale ammissione. E chi dice pensiero, dice libertà. Dunque ? Siamo liberi
? Possiamo cioè col nostro pensiero, con la nostra volontà, crearci il
mondo che ci sorride alle menti innamorate; il mondo della verità, delle
cose belle e buone, a cui il nostro cuore tende con irresistibile
slancio ? E come spiegar l’ali, onde noi vorremmo in- nalzarci nel libero
cielo dell’ ideale, se esse urtano sul muro di bronzo di questa materiale
natura, che ci at¬ tornia e stringe da tutte le parti, dalla nascita alla
morte ? Ecco l’esperienza del Leopardi, ecco la sua
lìlosofìa, che è molto ]ùù complessa del semjjlicismo
materialistico; ed essa è il reale contenuto della poesia
leopardiana: quella filosofia fatta sentimento e persona, che ho
detto esser materia al canto del Poeta recanatese. 11 quale non si
rassegna alla pura affermazione materialistica, perché la ricca e
sensibilissima vita morale che gli riempie il cuore, è la negazione del
materialismo; e poi perché egli è un poeta, e come ogni poeta crede nel
suo mondo, lo prende sul serio; e questo suo mondo è la ])rova più
luminosa della sua capacità creatrice e della sua libertà. Si
consideri che questo è uno dei caratteri principali dell’arte : che
laddove l’uomo pratico, lo scienziato, l’uomo religioso, lo stesso filosofo
può sentirsi legato a una realtà che prcesiste alla sua azione, alla sua
ricerca scientifica, alla sua preghiera o alla sua speculazione, che è in
sé quello che è, con le sue leggi, a cui l’uomo deve arren¬ dersi e
subordinarsi, l’artista crea il suo mondo e, pre¬ scindendo nella sua
fantasia dalla realtà preesistente, celebra la sua assoluta libertà,
arbitro della nuova realtà che egli si finge, e in cui vive, e si aliena
dal mondo natu¬ rale dell’uomo comune e della sua stessa vita
ordinaria: sì che il suo sogno diventa a lui cosa salda, e si slarga
a orizzonti infiniti, e gli fa sentire il gusto deH’cterno e del
divino. La poesia del Leopardi ribocca e freme di tre¬ pidante tenerezza
per le vaghe immagini figlie dell’arte sua: per quelle dolci parvenze che
un po’ gli sorridono e poi, a un tratto, lo abbandonano rapite via dalla
cor¬ rente di quella disumana realtà, che ignora il dolore che essa
cagiona ai cuori teneri e gentili. E insieme con le immagini belle, gli
arridono tutte quelle che una volta egli dice le « beate larve »,
familiari agli uomini non an¬ cora giunti alla conoscenza del tristo
vero, ossia non ancora spinti dalla malsana riflessione alla
disperazione (ji quella mezza filosofia, che è il materialismo: le
beate lar\e, che allietano e confortano la vita agli uomini, nelle
antiche età, e nei primi anni della fanciullezza e della gioventù quando
non ancora si sono appressate le labbra all’amaro calice della vita; e
nelle prime ore del mattino, (juando incomincia il giorno e Tuomo non
ha riassaporato per anco la realtà, e se ne foggia con 1’ im¬
maginazione una che lo anima e alletta alla nuova fatica. Le beate larve
delle illusioni naturali e necessarie : di tutte, cioè, le idee che
formano il pregio della vita, e che quella filosofia materialistica non
potrà giustificare come dotate di un legittimo fondamento, e pur non
potrà sradicare dallo spirito umano. Perche illusione la
virtù ? Perché illusione ogni idea onde ebbe pregio il mondo ? Perché la
vita che noi cono¬ sciamo, risponde il Leopardi, ne è la negazione.
Ricordate il dialoghetto di un venditore d’almanacchi e di un passeggere
? L’almanacco promette per l’anno nuovo tante cose belle; ma il
passeggere è scettico; «quella vita eh’ è una cosa bella non è la vita
che si conosce, ma (jueUa che non si conosce ; non la vita passata, ma la
vita futura ». La quale però un giorno sarà passata, e allora si
cono¬ scerà, e apparirà quale sarà aneli'essa, una volta sperimentata;
brutta, come tutta la vita passata. 11 futuro è il mondo che vi finge lo
spirito; il mondo, dice il Leo¬ pardi, delle illusioni. Lì è la virtù che
vince il male e trionfa; lì è il sacrifizio dell'uomo per l’uomo; lì è
l’amore; lì è la fede e l’amicizia; lì è la gioia, ecc. Ma quello
non è il mondo reale. Infatti il futuro bisogna che avvenga, e
diventi passato. La realtà realizzata, quale noi possiamo averla innanzi
a noi, ed effettivamente conoscerla, quella ci disillude, e ci dimostra
che la virtù è un nome vano. e che tutte le più vaghe speranze e gl’
ideali più cari finiscono nel nulla. Tant’ è che Tuomo
conchiuda o per condannare come semplici ombre fallaci tutte le
illusioni, e dire che la vita non si può governare se non in rapporto al
reale all’esistente, al mondo qual è (che è poi il passato); o per
risolversi animosamente a dir no a questo mondo reale (che è il passato
senza futuro) e a governarsi con l’occhio all’avvenire, dove lo trae la
sua natura di es¬ sere pensante, e perciò creatore di ideali e vagheggiatore
di una vita superiore a quella puramente naturale. E Leo¬ pardi dice
questo no con tutta la forza del suo animo, con tutto r impeto della sua
possente poesia. Egli è tutto proteso verso il futuro, verso l’ideale, e
torce con co¬ scienza prometeica lo sguardo dalla legge fatale che
incatena l’uomo come essere naturale alla ferrata ne¬ cessità di morte.
Egli, di cedere inesperto, disprezza il brutto poter che ascoso a comun
danno impera e V infinita vanità del tutto. Per lui Nobil
natura è quella Ch’a sollevar s’ardisce Gli occhi mortali
incontra Al comun fato. E quanto a sé non cederà certo ; e
alla morte può dire : Erta la fronte, armato, E
renitente al fato. I.a man che flagellando si colora Nel mio
sangue innocente Non ricolmar di lode. Non benedir....
Solo aspettar sereno Quel dì eh’ io pieghi addormentato il
volto Nel tuo virgineo seno. Egli è conscio dell’ invitta
potenza dell’anima umana pur nell’estrema miseria. Vivi, dice la Natura
all’Anima jn uno de’ suoi dialoghi; vivi, e sii grande e infelice.
Infelice perché grande; perché sentire la infehcità è solo jelle anime
grandi, che con la loro gagharda natura si jnettono al di sopra del
mondo, che le fa soffrire, e re¬ gnano sovrane in quella superiore realtà
che è propria dello spirito. Leopardi sa che la grandezza del suo
dolore si commisura alla grandezza del suo pensiero che lo sente e
analizza e ne fa materia al suo altissimo canto; e che un’anima volgare e
torpida non saprebbe provare tutto il dolore del Poeta, che il volgo
infatti non intende e irride. Leopardi sa che la coscienza dell’umana
miseria è già segno di grandezza. Sa che ancor che tristo, ha suoi
di¬ letti il vero: che l'acerbo vero, a investigarlo, dà un amaro gusto
che piace. E poi quando l’anima, disillusa e stanca della vita che non
mantiene mai le sue promesse, si ri¬ duca infatti all’estremo della
infelicità, che non è la di¬ sperazione, ma la noia >, la morte ncUa
vita, non dolore né piacere, ma il sentimento della nullità, questo
terri¬ bile privilegio degli uomini, a cui la natura non ha provveduto
perché non ha neppur sospettato che l’uomo vi potesse cadere; quella noia
che, a simiglianza dell’aria «la quale riempie tutti gl’intervalli degh
altri oggetti, e corre subito a stare là donde questi si partono, se
altri oggetti non gli rimpiazzino », « corre sempre e immedia¬
tamente a riempire tutti i vuoti che lasciano negli animi de’ viventi il
piacere e il dispiacere » ’ ; ebbene, anche allora l’anima non cade, non
è vinta. Giacché, secondo Leopardi, « la noia è in qualche modo il più
sublime dei sentimenti umani.... Il non potere essere soddisfatto
da ’ « La disperazione è molto, ma molto più piacevole della
noia. La natura ha provveduto, ha medicato tutti i nostri mali
possibili, anche i più crudeli ed estremi, anche la morte, a tutti ha
misto del bene, a tutti.... fuorché alla noia» (Zibald., IV, 112).
* Zibald., IV, 112 e VI, 126. — Giuntile, Manzoni e
Leopardi. alcuna cosa terrena, né, per dir così, dalla terra
intera; considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il nu¬
mero e la mole maravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e
piccino alla capacità dell’animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi
infinito, e 1 universo infinito, e sentire che l’animo e il desiderio
nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto universo; e sempre
accu- sg^re le cose d’insufficienza e di nullità, e patire manca¬
mento e vóto, e pero noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di
nobiltà, che si vegga della natura umana. Perciò la noia è poco nota agh
uomini di nes¬ sun momento, e pochissimo o nulla agli altri animali »
■. V. Su tutte le delusioni, su tutti i dolori, su
tutte le miserie, al di sopra della mole sterminata di quest’uni¬ verso,
in cui s’infrangono tutte le speranze e si spen¬ gono tutti gl’ideah,
l’infinità dello spirito. Quindi la hbertà, quindi la possibilità di
crearsi una vita superiore degna delle più nobili aspirazioni connaturate
all’animo umano. Anche pel Leopardi, poca scienza pregiudica e
mortifica, ma molta scienza ravviva e ringaghardisce la fede di cui
l’uomo ha bisogno per vivere. E questa natura, che la mezza filosofia del
materialista ci rappresenta in voley mutyignu, è pur quella natura che
mette nel¬ l’animo nostro le illusioni; e se non sopravvenga la ri¬
flessione e l’opera dcU’ irrequieto ingegno dell’uomo non più contento
delle condizioni naturali della vita che egli dapprima vive
istintivamente, conforta l’uomo con l’amore, con la pietà, con tutti gli
affetti gentili che riempiono il cuore di dolci consolazioni e di
magnanimi ardimenti. Pensieri, N. 68. Questa natura che
governa Tuomo, madre benigna e pia nell’età dei Patriarchi, nei tempi
oscuri e favolosi del genere umano, e risorge amorosa nella prima età
di ciascun uomo a infondergli con la virtù del caro imma¬ ginare la
speranza nel futuro a cui egli va incontro; questa natura, che nell’amore
torna sempre a rinverdire le speranze, e che ci fa conoscere una « verità
piuttosto che rassomighanza di beatitudine»; essa torna da capo,
quando l’uomo ha tutto conosciuto il tristo vero e vuo¬ tato il calice
amaro, torna a confortare l’uomo, amica e consolatrice. La natura del
materialista è via; ma non è punto di partenza, né punto d’arrivo. 11
savio torna fanciullo, e alla fine, come al principio, l’uomo è
alla presenza di un mondo il quale non è quello del mecca¬ nismo,
che tutto travolge e distrugge quanto a lui è più caro, ma quello del
pensiero, dello spirito umano, del¬ l’amore, della virtù. Onde ai
suggerimenti egoistici della filosofia (nel Dialogo di Plotino e di
Porfirio) che indur¬ rebbe il filosofo al suicidio, Plotino può
rispondere : <iPorgiamo orecchio piuttosto alla natura che alla
ragione»'. alla natura primitiva « madre nostra e dell’universo »,
la quale ci ha infuso un certo senso dell’animo, che è amore degli altri
e che ferma la mano al suicida ricor¬ dandogli la famigha, gli amici e
quanti si dorrebbero della sua morte. Perciò a Porfirio, il filosofo che
vorrebbe togliersi la vita, il filosofo più savio, il maestro,
Plotino dirà: Viviamo, e confortiamoci a vicenda; non
ricusiamo di por¬ tare quella parte che il destino ci ha stabilita dei
mali della nostra specie ! Sì bene attendiamo a tenerci compagnia
l’un l’altro; e andiamoci incoraggiando e dando mano e soccorso
scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della
vita.E quando la morte verrà, allora non ci dorremo : e anche in
quell’ultimo tempo gli amici e i compagni ci conforteran¬ no: e ci
rallegrerà il pensiero che, poi che saremo spenti, cosi molte volte ci
ricorderanno, e ci ameranno ancora. Perciò il De Sanctis paragonando
Schopenhauer a Leopardi, notava questo grande divario tra n filosofo
tedesco e il poeta italiano: che questi quanto più mette in luce il
deserto desolante e disamabile della vita, tanto più ce la fa amare;
quanto più dichiara illusione la virtù, tanto più ce ne accende vivo nel
petto il desiderio e il bisogno. Perciò la lettura del Leopardi non sarà
mai pericolosa, anzi salutare e corroborante a chi saprà leg- gergh
nel fondo dell’anima. E di lui può dirsi che preso per metà è il più nero
dei pessimisti; preso tutto intero, è uno dei più sani e vigorosi
ottimisti che ci possano apprendere il segreto della vita operosa e
feconda. La morte, anche la morte, il simbolo della fatalità
avversa che opprime ogni sforzo umano, e che pare mi¬ nacci sempre da
lungi e ammonisca della inanità d’ogni speranza e d’ogni fatica, e della
nullità della vita a cui ci sentiamo tutti legati, la stessa morte al
Poeta, nella maturità piena della sua poesia, quando il suo animo
ha più nettamente ravvisato e sentito nel profondo la sua verità, e quasi
toccato il fondo di se stesso, diventa germana di Amore, che è pel
Leopardi, come s’ è veduto, ciò che dà verità più che rassomiglianza di
beatitudine. Fratelli, a un tempo stesso. Amore e Morte
Ingenerò la sorte. Cose quaggiù si belle Altre il
mondo non ha, non han le stelle. Morte diviene una bellissima
fanciulla, dolce a ve¬ dere; e gode accompagnar sovente Amore:
E sorvolano insiem la via mortale. Primi conforti d’ogni
saggio core. 1 Cfr. sopra, p. 54. 2 Non vedo che abbia
attirata l'attenzione della critica, come merita, uno studio recente del
prof. Cirillo Berardi, Ottimismo leo¬ pardiano, Treviso, bongo e
Zoppelli, 1925- Il Poeta
sente che Quando noveUamente Nasce nel cor profondo Un
amoroso affetto. Languido e stanco insiem con esso in petto
Un desiderio di morir si sente: Come, non so: ma tale
D’amor vero e possente è il primo effetto. Il Poeta vuol
rendersi ragione di questa coincidenza, e non vi riesce. Ma ben sente che
quando si ama, non ha più valore la vita naturale dell’ inditdduo chiuso
nei suoi limiti, di là dai quah spazia quell’ infinita natura che
fiacca ogni umana possa. Che anzi l’individuo per l’amore scopre che la
sua vera vita è di là da questi hmiti; e che bisogna ch’egli perciò muoia
a se medesimo, e spezzi r involucro della sua individuahtà naturale,
centro di ogni egoismo, per attingere la vera vita. Perciò la morte
opti gran dolore, ogni gran male annulla. Perciò la morte è liberatrice,
affrancando lo spirito umano dai vincoli onde ogni uomo è da natura
incatenato a se medesimo, chiuso in sé, in mezzo agli altri esseri e
forze naturali, incapace di libertà e di virtù. Amare è redimersi,
en¬ trare nel mondo morale, che è il mondo della libertà.
Questo il concetto che il Poeta sentì e visse: questa la materia
del suo canto. Formiamo oggi l’augurio, che attraverso il corso di queste
letture, che inauguriamo, tale concetto apparisca in luce sempre più
chiara. ■ t WS, '»■ ' r s»^ : 'f^’^ - 4L„-LjrvYw
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LS;l; :>-i .1 :-.*^ LE OPERETTE MORALI
1 Pubblicato la prima volta negli Annali delle
Università toscane (Pisa, 1916) e come proemio alla edizione con note
delle Operette morali di G. L., da me curata, Bologna, Zanichelli, 1918;
2» ed. 1925. I. Se si volesse
considerare le Operette morali come una raccolta delle varie parti, in
cui il libro è diviso, sarebbe tutt’altro che agevole stabilirne la
cronologia. Certo, non sarebbe consentito di starsene alle indicazioni
fornite con perentoria precisione dallo stesso autore innanzi alla
terza edizione iniziata a Napoli nel 1834. * * Queste Ope¬ rette », egli
diceva, « composte nel 1824, pubblicate la prima volta a Milano nel 1827,
ristampate in Firenze nel 1834 coll’aggiunta del Dialogo di un Venditore
di almanacchi e di un Passeggere, e di quello di Tristano e di un
Amico, composti nel 1832; tornano ora alla luce ricorrette notabilmente,
ed accresciute del Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco scritto nel
1825, del Copernico e del Dialogo di Plotino e di Porfirio,
composti nel 1827 » Intanto, non tutte le Operette furono pub¬
blicate la prima volta a Milano nel '27; giacché tre di esse, come «
primo saggio », avevano visto la luce a Fi¬ renze nel gennaio 1826, nell’
Antologia e quell’anno stesso erano state riprodotte a Milano nel Nuovo
Rico¬ glitore. Ed è pur vero che tutte le Operette, ad eccezione di
quelle che nella notizia testé riferita sono assegnate dall’autore al
’25, al '27 e al ’32, furori composte nel 1824; perché l’autografo
originale, che è tra le carte leopardiane della Biblioteca Nazionale di
Napoli, ce ne • Scritti letterari, ed. Mestica, li, 386; cfr. p.
388. • 61, pp. 25-43. fa sicura
testimonianza con le date apposte alle operette singole, e tutte correnti
dal 19 gennaio al 13 dicembre di quell’anno Ma si dovrebbe pure
distinguere il tempo in cui ciascuno scritto fu steso, da quello in cui
prima fu concepito, o ne cadde il motivo fondamentale e inspi¬
ratore nell’animo del Leopardi. Giacché con qual fonda¬ mento si
toglierebbe l’una o l’altra delle Operette a docu¬ mento di quel periodo
spirituale che si suole infatti at¬ tribuire agli anni tra il canto Alla
sua donna (settembre 1823) con i Frammenti dal greco di Simonide
(apparte¬ nenti probabilmente a quello stesso tempo), e l’epistola
Al Conte Carlo Pepoli (marzo 1826), o II Risorgimento (aprile 1828), se
quei pensieri che sono caratteristici delle Operette risalgono ad epoca
più remota ? Fu già osservato j che negli Abbozzi e appunti per opere da
comporre, che sono fra le carte napoletane, «scritti in piccoli
foglietti staccati senza indicazione di tempo » 3 , è segnato un
I Ecco le singole date, già in parte pubblicate dal Chiarini, Vita
di G. Leopardi, Firenze, Barbèra, 1905, pp. 237-38 (cfr. p. 222) e da me
riscontrate tutte sul manoscritto autografo (che si conserva tra le Carte
della Biblioteca Nazionale di Napoli): Storia del genere umano (18
gennaio-7 febbraio 1824); Dialogo d' Ercole e di Atlante (10-13 feb¬ braio);
Dialogo della Moda e della Morte (15-18 febbraio); Proposta di premi
(22-25 febbraio); Dialogo di un Lettore di umanità e di Sal¬ lustio
(26-27 febbraio) ; Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo (2-6 marzo) ;
Dialogo di Malamhruno e di Farfarello (1-3 aprile); Dialogo della Na¬
tura e di un’.dnima (9-14 aprile); Dialogo della Terra e della Luna (24-
28 aprile); La scommessa di Prometeo (30 aprile-8 maggio); Dialogo di un
Fisico e di un Metafisico (14-19 maggio); Dialogo della Natura e di un
Islandese (21-27-30 maggio); Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio
familiare (i-io giugno); Dialogo di Timandro e di Eleandro (14-24
giugno); Il Parini, ovvero della gloria (6 luglio-13 agosto); Dia¬ logo
di Federico Ruysck e delle sue Mummie (16-23 agosto); Detti me¬ morabili
di Filippo Ottonieri (29 agosto-26 settembre; e precisamente il cap. II
ha la data del 3 settembre; il III, 9 settembre; il IV, 14 set¬ tembre;
il V, 21 settembre; il VI, 24 settembre; il VII, 25 settem¬ bre) ;
Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez (19-25 ottobre);
Elogio degli Uccelli (25 ottobre-5 novembre) ; Cantico del Gallo
silvestre (10-16 novembre); Note (7-13 dicembre). * Da N.
Serban, L. et la France, Paris, Champion, I 9 i 3 - P- ^ 5 ^ ”• 3
Avvertenza premessa agli Scritti vari ined. di G. L. dalle carte
napoletane, Firenze, Le Monnier, 1910, p. v’ii. <,
Dialogo della natura e dell’uomo, sul proposito di quella parlata della
natura, all’uomo, che Volney le mette in bocca nelle Ruines sulla fine, o
vero nel Catéchisme » ' ; dialogo, che si trova nelle Operette col titolo
di Dialogo della Natura e di un'Anima) il quale, dunque, al tempo
di quell’appunto non era scritto. Pure nello stesso fo¬ glietto, segue un
« TrattateUo degli errori popolari degli antichi Greci e Romani » (che
non può essere la stessa cosa del Saggio), e quindi subito dopo: «
Comento e ri¬ flessioni sopra diversi luoghi di diversi autori,
sull’andare di quelle ch’io fo in un capitolo del F. Ottonieri»;
ossia nel penultimo capitolo dei Detti memorabili, che è delle
ultime operette del '24. Ora, se questi appunti sono per¬ tanto da
ascrivere ad epoca posteriore a tale data, in qual modo spiegarsi che del
suo Dialogo della Natura e di un’Anima l’autore parlasse come di opera da
com¬ porre ? O egli non aveva neppur composti i Detti me¬ morabili,
e si riferiva ai materiali che vi avrebbe messi a profitto, e che già,
come vedremo, possedeva ? Comunque, in altra serie di appunti,
relativi, come par probabile, a dialoghi tuttavia da scrivere, e
tutti segnati nel medesimo foglietto, s’incontrano, tra gli altri,
i seguenti argomenti: Salto di Leucade) Egesia pisitanato) Natura ed
Anima) Tasso e Genio) Galan¬ tuomo e mondo) Il sole e l’ora prima, o Copernico.
Ed ecco, da capo, il Dialogo della Natura e di un’Anima, ma ac¬
canto a un altro dialogo. Galantuomo e mondo, che l’autore abbozzò nel
1822, per tornarvi sopra nel '24, senza con¬ durlo tuttavia a termine e
la sua prima idea pertanto deve risalire almeno al 1822. E secondo lo
stesso docu¬ mento, contemporanei sono i disegni primitivi di altre
' 0 . c., p. 400. * Vedi abbozzo negli Scritti vari, pp.
318-31. Il foglietto relativo, riscontrato per me dall’amico prof. V.
Spampanato, è nelle Carte leo¬ pardiane della Bibl. Nazionale di Napoli,
nel pacchetto X, fase. 12. io8
quattro operette, due del '24 e due del '27. Giacché, oltre il Dialogo
del Tasso e del suo Genio e il Copernico, qui son pure facilmente
ravvisabili in Egesia pisitanato la prima idea del Dialogo di Plotino e
di Porfirio > ; e nel Salto di Leucade quella del Dialogo di
Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez e in Misénore e Filénore
quella del Dialogo di Timandro e Eleandro 3. E il documento certamente
dimostra che del Plotino e del Copernico, scritti entrambi, come s’ è
veduto, nel '27, non solo il concetto, ma anche la forma in cui il
concetto si ])re- sentò alla mente del Leopardi, non è posteriore
alle Operette del '24. E c’ è altro. Stando alla cronologia
dataci dai docu¬ menti, r Ottonieri fu composto nell’ultimo mese
d’estate del 1824; ma un’anahsi molto accurata dei singoli Detti,
riscontrati coi Pensieri di varia filosofia e di bella lette¬ ratura, ha
dimostrato, in modo incontestabile, che in questo scritto « liberamente
il Leopardi raccolse dal suo Zibaldone gh appunti più singolari e
umoristici; certo intendendo a una vaga e libera somiglianza e
rispec¬ chiamento delle proprie opinioni, ma più col fine di
pubblicare qualche parte del materiale accumulato giorno per giorno».
Sicché s’è creduto poter conchiudere che nell’ Ottonieri al
Leopardi « venne fatto un centone, non un’operetta come le altre
organicamente intessuta » 4. Scegliamo infatti un paio d’esempi, tra i
tanti che si potrebbero riferire. Nel cap. Ili dell’ Ottonieri si legge
: > Egesia infatti è ricordato nel Plotino: p. 308.
* Cfr. quel che dice di questo Salto il Colombo a p. 233; e Pen¬
sieri, 1, 193. 3 Questo dialogo infatti originariamente recava il
titolo di Dia¬ logo di Filénore e di Misénore. 4 F. P. Luiso,
Sui Pensieri di G. L., nella Rassegna Nazionale, 1“ maggio 1899, p.
119. Diceva che la negligenza e l’inconsideratezza sono causa
di commettere infinite cose crudeli o malvage; e spessissimo hanno
apparenza di malvagità o crudeltà; come, a cagione di esempio, in uno che
trattenendosi fuori di casa in qualche suo passatempo, lascia i servi in
luogo scoperto infracidare alla pioggia; non per animo duro e spietato,
ma non pensandovi, o non misurando colla mente il loro disagio. E stimava
che negli uomini l’incon¬ sideratezza sia molto più comune della
malvagità, della inu¬ manità e simili; e da quella abbia origine un
numero assai mag¬ giore di cattive opere; e che una grandissima parte delle
azioni e dei portamenti degli uomini che si attribuiscono a qualche
pessima qualità morale, non sieno veramente altro che incon¬
siderati. Idee che fin dall’ ii settembre 1820 il Leopardi
aveva sbozzate nello Zibaldone dei suoi Pensieri, scrivendo:
La negligenza e l’irriflessione spessissimo ha l’apparenza e
produce gh effetti della malvagità e brutaUtà. E merita di esser
considerata come una delle principali cagioni della tristizia degli
uomini e delle azioni. Passeggiando con un amico assai filosofo c sensibile,
vedemmo un giovinastro che con un gros.so bastone, passando, sbadatamente
e come per giuoco, menò un buon colpo a un povero cane che se ne stava
pe’ fatti suoi senza infastidir nessuno. E parve segno all’amico di
pessimo carattere in quel giovane. A me parve segno di brutale
irriflessione. Questa molte volte c’induce a far cose dannosissime e
penosissime altrui, senza che ce ne accorgiamo (parlo anche della vita
più ordinaria e giornaliera, come di un padrone che per trascuraggine
lasci pe¬ nare il suo servitore alla pioggia ecc.), e avvedutici, ce ne
duole; molte altre volte, come nel caso detto di sopra, sappiamo
bene quello che facciamo, ma non ci curiamo di considerarlo e lo
fac¬ ciamo cosi alla buona; considerandolo bene, noi non lo faremmo.
Così la trascuranza prende tutto l’aspetto e produce lo stessis¬ simo
effetto della malvagità e crudeltà, non ostante che ogni volta che tu
rifletti, fossi molto alieno dalla volontà di produrre quel tale effetto,
e che la malvagità e crudeltà non abbia che fare col tuo carattere
• Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura, I, 334-35.
no Voltando appena pagina, nell’ Ottonieri si torna a
leggere; Ho udito anche riferire come sua, questa sentenza. Noi
siamo inclinati e soliti a presupporre, in quelli coi quali ci avviene
di conversare, molta acutezza e maestria per iscorgere i nostri
pregi veri, o che noi c’ immaginiamo, e per conoscere la bellezza o
qualunque altra virtù d’ogni nostro detto o fatto; come ancora molta profondità,
ed un abito grande di meditare, e molta me¬ moria, per considerare esse
virtù ed essi pregi, e tenerli poi sem¬ pre a mente: eziandio che in
rispetto ad ogni altra cosa, o non iscopriamo in coloro queste tali
parti, o non confessiamo tra noi di scoprirvele. E anche
questo pensiero, quantunque in forma com¬ pendiata a mo’ di appunto, era
già nello Zibaldone, fin dal 23 luglio 1820; Noi supponiamo
sempre negli altri una grande e straordi¬ naria penetrazione per rilevare
i nostri pregi, veri o immaginari che sieno, e profondità di riflessione
per considerarli, quando anche ricusiamo di riconoscere in loro queste
qualità rispetto a qualunque altra cosa. E il numero di
simili riscontri è tale che pochi sono i luoghi dell’ Ottonieri di cui
non si trovi la prima prova nei Pensieri degh anni anteriori. Non sarà
dunque da dire che nel ’24 l’autore abbia dato soltanto la forma
defini¬ tiva a questa operetta, facendone, come ad altri è sem¬
brato, un centone di sue osservazioni di tre e quattro anni prima ?
Né la domanda vale unicamente per l’ Ottonieri. Anche del Parini è
stato notato che la sostanza è già nei Pensieri scritti tra il ’20 e il
’23 b Caratteristico questo luogo del cap. IX, dove l’autore fa dire al
Parini; Come città piccole mancano per lo più di mezzi e di
sussidi onde altri venga all’eccellenza nelle lettere e nelle dottrine;
e * V. tra gli altri B. Zumbini, Studi sul L., Firenze, Barbèra,
1902- 04, II, 42; e Losacco, in Giorn. stor. letter. Hai., XXXIV,
208. come tutto il raro e il pregevole concorre e si aduna nelle
città grandi; perciò le piccole.... sogliono tenere tanto basso
conto, non solo della dottrina e della sapienza, ma della stes.sa
fama che alcuno si ha procacciata con questi mezzi, che l’una e l'altre
in quei luoghi non sono pur materia d’invidia. E se per caso qualche
persona riguardevole o anche straordinaria d’ingegno e di studi, si trova
abitare in luogo piccolo. Tesservi al tutto unica, non tanto non le
accresce pregio, ma le nuoce in modo, che spesse volte, quando anche
famosa al di fuori, ella è, nella consuetudine di quegli uomini, la più
negletta e oscura persona del luogo.... E tanto egli è lungi da potere
essere onorato in simili luoghi, che bene spesso egli vi è riputato
maggiore che non è in fatti, né perciò tenuto in alcuna stima. Al tempo
che, giovanetto, io mi riduceva talvolta nel mio piccolo Bosisio;
conosciutosi per la terra eh’ io soleva attendere agli studi, e mi
esercitava alcun poco nello scrivere; i terrazzani mi riputavano poeta,
filosofo, fisico, matematico, medico, legista, teologo, e perito di tutte
le lingue del mondo; e m’interrogavano, senza fare una menoma
differenza, sopra qualunque punto di qual si sia disciplina o fa¬ vella
intervenisse per alcun accidente nel ragionare. E non per questa loro
opinione mi stimavano da molto; anzi mi credevano minore assai di tutti
gli uomini dotti degli altri luoghi. Ma se io li lasciava venire in
dubbio che la mia dottrina fosse pure un poco meno smisurata che essi non
pensavano, io scadeva ancora moltissimo nel loro concetto, e all’ultimo
si persuadevano che essa mia dottrina non si stendesse niente più che la
loro. Mirabile pagina, piena di verità. Ma essa trae origine
da riflessioni jiersonali e autobiografiche già dal Leopardi segnate
sulla carta fin dall’ottobre 1820; Spessissimo quelli che sono
incapaci di giudicare di un pregio, se ne formeranno un concetto molto
più grande che non dovreb¬ bero, lo crederanno maggiore assolutamente, e
contuttociò la stima che ne faranno sarà infinitamente minor del giusto,
sicché relativamente considereranno quel tal pregio come molto
minore. Nella mia patria, dove sapevano eh’ io ero dedito agli
studi, credevano eh’ io possedessi tutte le lingue e m’interrogavano
indifferentemente sopra qualunque di esse. Mi stimavano poeta, rettorico,
fisico, matematico, politico, medico, teologo ecc., in¬ somma
enciclopedicissimo. E non perciò mi credevano una gran cosa, e per T
ignoranza, non sapendo che cosa sia un letterato. non mi credevano
paragonabile ai letterati forestieri, malgrado la detta opinione che
avevano di me. Anzi uno di coloro, volendo lodarmi, un giorno mi disse: A
voi non disconverrebbe di vivere qualche tempo in una buona città, perché
quasi quasi possiamo dire che siate un letterato. Ma, s’ io mostravo che
le mie cogni¬ zioni fossero un poco minori ch’essi non credevano, la loro
stima scemava ancora e non poco, e finalmente io passavo per uno
del loro grado II. Né soltanto la cronologia diventa
un problema di difficile soluzione, una volta sulla via di siffatti
riscontri. I quali però non sono possibili se non dove si consideri
ciascun elemento del pensiero del Leopardi astratto dalla forma che esso
ha nelle Of erette. Che se si guarda a questa, è facile scorgere, per
esempio, la superficialità del giu¬ dizio, che abbiamo ricordato, per cui
l ’Ottonieri non sarebbe nient’altro che un centone di luoghi dello
Zi- baldme. E si badi, d’altra parte, a non prendere né anche
questa forma in astratto, quasi la forma speciale del tale passo delle
Operette, il quale abbia un antecedente più o meno prossimo nello
Zibaldone (quantunque, pur così intesa, essa sia sempre nei due casi
profondamente diversa). Anche questa è una forma astratta; perché
la vera forma assunta in concreto da ciascuna parte di un’opera è quella
tal forma soltanto in relazione con tutta l’opera, in conseguenza del
motivo fondamentale, ossia di quel certo atteggiamento spirituale, in cui
l’autore si trovò componendola. Sicché un centone si può certa¬
mente trovare anche in un’opera che abbia una salda e vivente unità
organica, ma solo pel fatto che si pre¬ scinda da questa unità, e si
cominci a indagarne il con¬ tenuto, decomposto meccanicamente nelle
singole parti, • Pensieri, I, 359. dalla cui somma a chi se
ne lasci sfuggire lo spirito pare che l’opera risulti. Che è quello che è
stato fatto per le prose leopardiane da tutti i critici che se ne sono
oc¬ cupati, ora considerando e giudicando le singole operette ad
una ad una, ora sminuzzando Cuna o l’altra di esse in una serie di
frammenti facilmente rintracciabili in altri scritti, in verso e in
prosa, dello stesso Leopardi (dando l’idea d’un Leopardi che ripeta
inutilmente se stesso), o in precedenti scrittori, massime francesi
del secolo XVIII (in confronto dei quali poi tutta l’origina¬ lità
dello scrittore svanirebbe). Il maggior critico che il Leopardi abbia
avuto, il De Sanctis; se ha sdegnato ogni ricerca analitica e mortificante
di fonti e confronti, fermo nella dottrina, che è sua gloria, dell’
inseparabilità del contenuto dalla forma nell’opera d’arte, e perciò
della necessità di cercare il valore e la vita di quest’opera
nell’accento personale, nell’ impronta propria, onde ogni vero artista
trasfigura la sua materia; non s’è guardato tuttavia né pur lui, di
cercare la vita nelle parti, la cui serie forma il contenuto del libro,
anzi che nel tutto, nell unità, dove soltanto può essere l’anima e
l’origina¬ lità dello scrittore. E ha creduto di poter cercare, per
così dire, un Leopardi in ciascuna delle operette, presa a sé, invece di
cercare il Leopardi di tutte le operette, che sono un’opera sola.
In primo luogo, sta di fatto che, ad eccezione del Venditore di
almanacchi e del Tristano, con cui nel '32 l’autore volle tornare a
suggellare il pensiero delle Ope¬ rette, tutte le altre pullularono
dall’animo del Leopardi nello stesso tempo, da un medesimo germe d’idee e
di sentimenti, da una stessa vita. Abbiamo visto che il Copernico e
il Plotino erano già in mente al poeta quand’ei vagheggiava il suo Tasso,
il Colombo e fin lo stesso Ti- mandro; e meditava insomma quegli stessi
pensieri, che presero corpo nelle Operette del '24; con le quah
infatti, — Gkntilb, Manzoni e Leopardi. poiché nel '27 l’ebbe
scritte, l’autore sentì che dovevano accompagnarsi. 11 21 giugno del '32
all’amico De Sinner, che gh chiedeva scritti inediti da potersi
pubblicare a Parigi, scriveva : « Ho bensì due dialoghi da essere
aggiunti alle Operette, l’uno di Plotino e Porfirio sopra il
suicidio, l’altro di Copernico sopra la nullità del genere umano.
Di queste due prose voi siete il padrone di chsporre a vostro piacere:
solo bisogna eh’ io abbia il tempo di farle copiare, e di rivedere la copia.
Esse non potrebbero facilmente pubbhcarsi in Italia » '. Ma avvertiva
subito, che da soU questi dialoghi non potevano andare; e il 31
luglio tornava a scrivere al De Sinner: «Dubito che le mie due prose
inedite abbiano un interesse sufficiente per comparir separate dal corpo
delle Operette morali, al quale erano destinate»*. Quanto al
Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco, esso è del ’25; cioè
immediatamente posteriore alle altre prose compagne; anteriore ad ogni
tentativo fatto dall’autore per pubbli¬ care le Operette. Alle quali,
nelle edizioni parziali e totali fattene a Firenze e a Milano, era ovvio
che l’autore non potesse pensare ad includerlo a causa del crudo
mate¬ rialismo che vi è professato, c che le Censure non avreb¬ bero
lasciato passare. Ma, lasciando per ora da parte queste cinque
ope¬ rette [Stratone, Copernico, Plotino, Venditore d’almanacchi e
Tristano) che vennero successivamente ad aggiungersi alle prime venti, è
certo che queste venti, composte tutte di seguito in un anno di lavoro
felice, furono dall’autore scritte e considerate come parti d’un solo
tutto. E quando ebbe in ordine il suo manoscritto completo, escluse
che le singole operette potessero venire in luce alla spic¬ ciolata.
Nel novembre del ’25 sperò poterle pubblicare • Epistolario,
Firenze, Le Monnier, 1907, voi. II, p. 486. * Epistolario, II,
496. nella raccolta delle sue Opere, che un editore amico
vo¬ leva fare allora in Bologna; e, andato a monte quel di¬ segno,
fece assegnamento sugli aiuti efficaci del Giordani, al quale consegnò il
manoscritto affinché gli trovasse un editore: con tanto desiderio di
vedere stampata la sua opera, che il 16 gennaio del '26 già scriveva
impaziente al Papadopoli : « I miei Dialoghi si stamperanno presto,
perché se Giordani, che ha il manoscritto a Firenze, non ci pensa punto,
come credo, io me lo farò rendere, e lo manderò a Milano » >. Ma da
Firenze scrivevagh il Vieus- seux il 1° marzo : « Giordani, usando della
facoltà lascia¬ tagli, mi passò il bel manoscritto che gli avevate
confidato, dal quale abbiamo estratto alcuni dialoghi, che
troverete riferiti nel n. 61 deWAntologia, ora pubbhcato, eh’ io ho
il piacere di mandarvi. Graditelo come un pegno del mio fervido desiderio
di vedere il mio giornale spesso fregiato del vostro nome; e più del nome
ancora, dei vostri eccel¬ lenti scritti. Sento che queste Operette morali
verranno probabilmente pubbhcate costà, e ne godo assai pel
pubblico, e per voi, tanto più che sembrano meglio fatte per comparire
riunite in una raccolta, che spartite in un giornale » ». Quella prima
pubblicazione, dunque, non fu altro che un saggio. Del quale il 5 lugho
il Leopardi scri¬ veva all’amico Puccinotti: «I miei Dialoghi stampati
ntW Antologia non avevano ad essere altro che un saggio, e però furono
così pochi e brevi ». E soggiungeva 1 « La scelta fu fatta dal Giordani,
che senza mia saputa mise l’ultimo per primo » 3 ; affermando così che
tra i dialoghi c’era un ordine, e ciascuno doveva tenere il suo
posto. Proponendo pertanto la stampa dell’opera intera al¬
l’editore Stella di Milano, gli scriveva: « Ha ella veduto • Lett.
del 9 nov. al fratello Carlo, in Epist., II, 47. » Nell' Epist. del L.,
Ili, 237-38. 3 Epist., II, 142-43. il numero 6i dell’ An
tologia, gennaio 1826 ? E pene¬ trato, ed ha avuto corso in cotesti Stati
? Vi ha ella ve¬ duto il Saggio delle mie Operette morali ? Le parlai
già. in Milano [agosto-settembre '25] di questo mio mano¬ scritto.
Ne abbiamo pubblicato questo saggio in Firenze per provare se il
manoscritto passerebbe in Lombardia. Giudica ella che faccia a proposito
per lei ?... Tutte le altre operette sono del genere del Saggio, se non
che ve ne ha parecchie di un tono più piacevole. Del resto, in quel
manoscritto consiste, si può dire, il frutto della mia vita finora
passata, e io 1’ ho più caro de’ miei oc¬ chi » '. Questa lettera è del
12 marzo ’26. 11 22 di quel mese lo Stella rispondeva : « Ho letto il
Saggio ; ed ella ha ben ragione d’amar cotanto quel suo manoscritto
». 11 fascicolo dell’Antologia era stato ammesso dalla Cen¬ sura,
ma l’editore non credeva di poterne tuttavia sperare altresì
l’approvazione per la stampa Avrebbe provato: intanto gli facesse sapere
la mole del manoscritto. E il Leopardi subito a riscrivergli, il 26 : «
Confesso che mi sento molto lusingato e superbo del voto favorevole
che ella accorda alle predilette mie Operette morali. 11 ma¬
noscritto è di 311 pagine, precisamente della forma del ms. d’Isocrate
che le ho spedito, scrittura egualmente fitta di mio carattere. Sarei ben
contento se ella volesse e potesse esserne l’editore.... La prego a darmi
una ri¬ sposta concreta in questo proposito tosto ch’ella potrà »
i. Lo Stella, per saggiare le disposizioni della Censura mi¬
lanese, chiese licenza di ristampare nel suo Nuovo Ri¬ coglitore i
dialoghi usciti nell’ A ntologia ; « de’ quali », scriveva all’autore il
1° aprile, « poi formerò un opuscolo a parte che mi farà strada a pubblicar
tutte queste, da ■ 0 . c., II. iio-ii. » O. c., Ili,
335-36. 3 O. c., II, 118-19. Lei chiamate Operette, che lo saranno
per la mole, non pel pregio certamente » «. Perciò il 7 il Leopardi
affret- tavasi a mandargli la nota dei molti errori incorsi nella
stampa fiorentina, insistendo nel desiderio che lo Stella assumesse
Tedizione del libro intero ; che il 26 si disponeva a inviargli : « Debbo
però pregarla caldamente di una cosa. Mi dicono che costì la Censura non
restituisce i manoscritti che non passano. Mi contenterei assai più
di perder la testa che questo manoscritto, e però la sup¬ plico a non
avventurarlo formalmente alla Censura senza una assoluta certezza, o che
esso sia per passare, o che sarà restituito in ogni caso » ^ E il prezioso
manoscritto partì infatti sulla fine del mese per Milano 3, e lo
Stella j)oté il 13 maggio informare l’autore d’averlo ricevuto. 11
27 poi gli scriveva; « Nei brevi ritagli di tempo che mi restano, vo
leggendo le Operette sue morali, le quali quanto mi allettano....
altrettanto temo che trovar deb¬ bono degli ostacoli per la Censura.
Forse il rimedio po¬ trebbe esser quello di darle prima nel Ricoglitore,
per poi stamparle a parte, e in fine fare una nuova edizione di
tutte in piccola forma » 4. Ancora uno smembramento delle care Operette ?
La proposta ferì al vivo l’animo del Leopardi, che, a volta di corriere,
il 31 rispose: «Se a far passare costì le Operette morali non v’ è altro
mezzo che stamparle nel Ricoglitore, assolutamente e istante- mente
la prego ad aver la bontà di rimandarmi il mano¬ scritto al più presto
possibile. O potrò pubblicarle altrove, o preferisco di tenerle sempre
inedite al dispiacer di vedere un’opera che mi costa fatiche infinite,
pubbli¬ cata a brani.... » 5. Furono infatti pubblicate in volume
' O. c.. Ili, 337-38. ^ O. c.. Il, 131. 3 O. e.. Il,
133. 4 O, C., Ili, 346. 5 O. c.. Il, 140. l’anno
seguente, come l’autore ardentemente desiderava, conscio dell’organicità
del corpo di tutte le venti ope¬ rette, nate come venti capitoli di
un’opera sola. All’unità della quale ei certamente mirò
nell’ordina¬ mento definitivo che fece delle singole parti, quando
le ebbe condotte a termine tutte. Abbiamo veduto come tenesse a
rilevare e attribuire al Giordani l’inversione avvenuta nei tre dialoghi
ceduti dlVAntologia. Il Ti- mandro doveva essere l’ultimo, egli avA^erte.
Infatti era stato scritto dopo il Tasso-, ma era stato pure scritto
prima del Colombo. Anzi nell’ordine cronologico • era quattordicesimo,
sui venti del 1824: ma evidentemente fin da principio era destinato al
ventesimo o, comunque, ultimo posto, che tenne nella edizione milanese
del '27. È invero un’apologià del libro; e l’apologià non poteva
essere se non la conclusione e il giudizio, che, nell’atto di Ucenziare
il libro, l’autore voleva se ne facesse. Ma, nel passaggio dall’ordine
cronologico a quello ideale che il Leopardi ebbe da ultimo ragione di
preferire, non sol¬ tanto il Timandro venne spostato. Infatti tra il Dialogo
di un Fisico e di un Metafisico e il Dialogo della Natura e di un
Islandese, scritti successivamente, con un solo giorno di riposo tra
l’uno e l’altro, parve opportuno frammettere il Dialogo di Torquato Tasso
e del suo Genio familiare, a cui il Leopardi pose mano appena
finito quello della Natura e di tm Islandese. È ovvio che senza una
ragione né anche quest’ordine sarebbe mutato; ed è ovvio Mtresì che la
ragione non potrà consistere se non negli scambievoh rapporti da cui
questi dialoghi eran legati, agli occhi di chi li scrisse. Va da sé poi
che i vari scritti devono per lo più esser nati già con questi rap¬
porti, l’un dopo l’altro, secondo che il pensiero germo- ghava via via
nella sua spontaneità organica; ma dove ■ Cfr. sopra, p. io6, n.
i. una ripresa di idee già non sufficientemente svolte, e il
risorgere di un’ ispirazione che era parsa esaurita, traeva l’autore a
tornéire su se stesso, è pur naturale che l’ordine cronologico non
corrispondesse più allo svolgimento e alla coerenza del pensiero. Così il
Tasso, scritto appena levata la mano dall’ Islandese, nasce come un
anello che salda questo dialogo a quello del Fisico col Metafisico;
e se tra il 14 e il 24 giugno l’autore scrive il Timandro, bisogna
pensare che, saldato così l’ Islandese agli ante¬ cedenti dell’opera,
egli dovè per un momento credere esaurito il suo tema; credere perciò di
potersi arrestare a quella fiera rappresentazione finale AtW Islandese:
e quindi volgersi indietro a giudicare e difendere il libro.
Passarono infatti dodici giorni senza che si sentisse riat¬ tirato verso
il suo lavoro, ripreso il 6 luglio col Panni, e condotto innanzi a sbalzi
fino alla fine dell’anno, quando fu compiuto il Cantico del Gallo
silvestre ; altre sei operette in tutto, che s’ è condotti a pensare
formino un gruppo distinto, nato da questo risorgimento, seguito al
Ti¬ mandro, del motivo ispiratore delle operette. III.
Ma tutto ciò, si può dire, non prova nulla per l’or¬ ganismo e
unità dell’opera leopardiana, se questa unità non si trova effettivamente
nel suo intimo. Ed è vero. Com’ è pur vero che quando tale unità fosse
messa bene in luce con lo studio interno del hbro, potrebbe anche
apparire inutile tutto questo preambolo, indirizzato ad argomentare che
l’unità ci doveva essere. Ma è infine non meno vero che non si trova quel
che non si cerca; e che l’unità delle Operette leopardiane, ritenute
general¬ mente una semplice raccolta, aumentabile (con la Com¬
parazione delle sentenze di Bruto minore e di Teofrasto, come tutti
fanno), o riducibile (come pure han creduto gli autori delle varie scelte
di prose leopardiane) non si è mai indagata, perché si sono ignorati o
trascurati tutti questi indizi di un disegno, che lo stesso autore
ritenne essenziale. Intanto, lo spostamento osservato del
Timandro epilogo, in origine, delle Operette, ci ha condotto a
scor¬ gere un gruppo, che non è forse il solo tra questi singoli
scritti, così come vennero quasi rampollando Tuno dal- l’altro.
Sottraendo, oltre il Timandro, destinato ad epi¬ logo, la Storia del
genere umano, che, ])er il suo distacco formale dal resto dell’opera (è
la sola infatti che abbia la forma di un mito), e la sua
rajipresentazione comples¬ siva, in iscorcio, di tutto il destino del
genere umano a parte a parte ritratto poscia nelle varie prose, si
può a ragione considerare come un prologo; le diciotto ope¬ rette
intermedie, formanti il corpo del libro, si distribui¬ scono naturalmente
in tre gruppi, di sei ciascuno, come tre ritmi attraverso i quali passa
l’animo del Leopardi. Innanzi al terzo, nato, come s’ è veduto, da una
ripresa dell’ ispirazione originaria, si spiega il secondo, che co¬
mincia col Dialogo della Natura e di un’Anima e si compie, (]uasi
ritornando al suo principio, con l’altro Dialogo della Natura e di un
Islandese. Precede, e inizia la tri¬ logia, un primo grujipo, aperto dal
Dialogo d’Ercole e di Atlante e conchiuso da un dialogo parallelo, in
cui all’eroe classico della potenza e della forza. Ercole, sot¬
tentra un eroe della potenza dello spirito immaginato dalle superstizioni
moderne, un mago, Malambruno, dia¬ logante con un Atlante spirituale, un
diavolo. Farfarello. Disposizione simmetrica, sulla quale non giova
certo insistere troppo, ma che non può apparire arbitraria o
fortuita quando si osservino gl’ intimi rapporti spirituali onde sono
insieme congiunte e connesse, in tale ordina¬ mento, le diverse
operette. Ascoltiamo dalle parole stesse del Leopardi la
nota fondamentale di ciascuna operetta; e vediamo se le varie note
degli scritti appartenenti a ciascun gruppo non for¬ niino per avventura
un solo ritmo. Cominciamo dal primo gruppo. Ercole va a
trovare Atlante per addossarsi qualche Qja il peso della Terra, come
aveva fatto già parecchi secoli fa, tanto che Atlante pigli fiato e si
riposi un poco. j(a la Terra da allora è diventata leggerissima; e
quando Ercole se la reca sulla mano, scopre un’altra novità più
nieravigliosa. L’altra volta che l’aveva portata, gli « bat¬ teva forte
sul dosso, come fa il cuore degh animali; e metteva un rombo continuo,
che pareva un vespaio. Ma ora quanto al battere, si rassomiglia a un
orinolo che abbia rotta la molla »; e quanto al ronzare, Ercole non
vi ode uno zitto. E già gran tempo, dice Atlante, « che il mondo
finì di fare ogni moto o ogni romore sensibile; e io per me stetti con
grandissimo sospetto che fosse morto, aspettandomi di giorno in giorno
che m’infettasse col puzzo; e pensava come e in che luogo lo potessi sep¬
pellire, e l’epitaffio che gli dovessi porre ». È lo stesso grido, come
si vede, de La sera del dì di festa'. Kcco è fuggito 11
dì festivo, ed al festivo il giorno Volgar succede, e se ne porta il
tempo Ogni umano accidente. Or dov’ è il suono Di quei popoli
antichi ? Or dov’ è il grido De’ nostri avi famosi, e il grande
impero Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio Che n’andò per la
terra e l’oceano ? Tutto è pace e silenzio, e tutto posa li
mondo, e più di lor non si ragiona. Perché questo silenzio e questa
morte ? Ecco che la Moda, sorella germana della Morte, vien a dirlo
essa questo perché alla Morte stessa: poiché i soh frivoli e
accidiosi costumi dei nuovi tempi possono spiegare i
122 GIOVANNI GENTILE « lacci dell’antico sopor
» che, pel Poeta, non stringono soltanto «l’itale menti»; i costumi «di
questo secol morto, al quale incombe tanta nebbia di tedio », e
pgj. cui il Poeta domandava agli eroi già dimenticati e ri¬
scoperti dai filologi, « se in tutto non siam periti » t La Moda spiega
infatti aUa Morte: «A poco per volta ma il più in questi ultimi tempi, io
per favorirti ho man¬ dato in disuso e in dimenticanza le fatiche e gli
esercizi che giovano al ben essere corporale, e introdottone o
recato in pregio innumerabih che abbattono il corpo in mille modi e
scorciano la vita. Oltre di questo ho messo nel mondo tali ordini e tali
costumi, che la vita stessa, così per rispetto del corpo come dell’animo,
è più morta che viva; tanto che questo secolo si può dire con
verità che sia proprio il secolo della morte ». Morti gli
uomini, spenta la forza dei corpi, infranto il vigore degli animi. In
compenso, si fabbricano mac¬ chine, e H secol morto può dirsi «l’età
delle macchine». L’Accademia dei SUlografi ne fa la satira nel suo bizzarro
bando di concorso per l’invenzione di tre macchine, che restituiscano al
mondo quel che agli occhi del Poeta costituisce il pregio maggiore della
vita, anzi la vita stessa, quale fu una volta: ramicizia, lo spirito
delle opere vir¬ tuose e magnanime, e la donna: quella donna, che
fu r ideale degli spiriti gentili, e fu pur ora cantata come la «
sua donna » da esso il Leopardi : Forse tu l’innocente
Secol beasti che dall’oro ha nome. Or leve intra la
gente Anima voli ? o te la sorte avara Ch’a noi
t’asconde, agli avvenir prepara ? Viva mirarti ornai Nulla
spene m’avanza 3 . ' Sopra il monumento di Dante (rSrS), vv.
3-4. » Ad Angelo Mai (1820), vv. 4-5, 27-28, 32-33. 3
Alla sua donna (settembre 1823) vv. 7-13. fbbene, una macchina ne
adempia gli uffici, essendo «espedientissimo che gh uomini si rimuovano
dai negozi jjeUa vita il più che si possa, e che a poco a poco
diano luogo, sottentrando le macchine in loro scambio ». Questa I
la morte dell’uomo ; la morte dell’amicizia e dell’amore, la morte degh
ideali che già fecero virtuoso e magna¬ nimo l’uomo antico, finito con
Bruto minore; il quale non può sopravvivere alla maledizione scaghata
alla stolta virtù, che ei respinge da sé nelle cave nebbie e nei
campi dell’ inquiete larve. Onde se un romano, e 5Ìa Catihna, può
credere, secondo Sallustio, d’infiam¬ mare i soci alla battaglia,
parlando ad essi non solo delle ricchezze, ma dell’onore, della gloria,
della libertà, della patria, affidate alle loro destre, un moderno
lettore d’uma¬ nità non può senza peccato d’ipocrisia vedere nel
testo di Sallustio quella gradazione ascendente che il luogo, a
norma di rettorica, richiederebbe. La patria ? Non si trova più se non
nel vocabolario. La libertà ? Guai a proferir questo nome. Di essa, dice
il Leopardi, che ne sa anche lui qualche cosa « non si ha da far conto
». La gloria ? Piacerebbe, se non costasse incomodo e fatica.
Insomma, la ricchezza è il solo vero bene: è quella cosa «che gh uomini
per ottenerla sono pronti a dare in ogni occasione la patria, la hbertà,
la gloria, l’onore ». Sicché il testo è da restituire, per travestirlo
alla moderna, fa¬ cendo dire a Catilina: Et quum proelinm inibitis,
memi- neritis, vos gloriam, decus, divitias, fraeterea spectacula,
epulas, scorta, animam denique vestram in dextris vestris portare.
Animam vestram, la vita: quella vita, che non hanno ! Quella \dta,
che Sabazio, l’eterno Dioniso, dio della vita * A. D’Ancona, nel
Fanfulla della domenica del 29 novembre *895: G. Carducci, Degli spiriti
e delle forme nella poesia di G. L., Bologna, Zanichelli, 1898, pp.
207-08. e della morte, è in sospetto anche lui sia cessata da un
pezzo in qua; e però manda su dalle viscere della terra uno spiritello,
uno Gnomo, ad accertarsene. E uno spi rito dell’aria, un Folletto, può
dirgli infatti che «gjj uomini sono tutti morti e la razza è perduta ».
Mancati tutti: «parte guerreggiando tra loro, parte navigando parte
mangiandosi l’un l’altro, parte ammazzandosi nori pochi di propria mano,
parte infracidando nell’ozio, parte stillandosi il cervello sui libri,
parte gozzovigliando, e disordinando in mille cose; in fine, studiando
tutte le vie di far contro la propria natura » ; studiandole tutte
con queir « irrequieto ingegno, demenza maggiore » che « (juel-
l’antico error », di cui « grido antico ragiona », onde fu negletta la
mano dell’altrice natura, come il Leopardi aveva appreso dal
Rousseau. Oh contra il nostro Scellerato ardimento inermi
regni Della saggia natura ! ' Morto l’uomo; e «le altre
cose.... ancora durano e procedono come prima ». E l’uomo che presumeva
il mondo tutto fatto e mantenuto per lui solo ! Il Folletto invece
crede fosse fatto e mantenuto per i folletti; come lo Gnomo per gli gnomi
! La vanità umana pareggia essa la nullità dell’uomo. Ecco, gli uomini «
sono tutti spariti, la terra non sente che le manchi nuUa, e i fiumi non
sono stanchi di correre.... e le stelle e i pianeti non mancano di
nascere e di tramontare... ». La saggia, l’altrice natura non si commuove
allo sterminio di sé a cui l'uomo è tratto dal suo ardimento.
Fu certo, fu {né d’error vano e d’ombra L’aonio canto e della fama
il grido Pasce l’avida plebe) amica un tempo » Inno ai
Patriarchi (luglio 1822), vv. no-112. Al sangue nostro e
dilettosa e cara Questa misera piaggia, ed aurea corse Nostra
caduca età. Non che di latte Onda rigasse intemerata il fianco
Delle balze materne, o con le greggi Mista la tigre ai consueti
ovili Né guidasse per gioco i lupi al fonte Il pastorei; ma di suo
fato ignara E degli affanni suoi, vota d'affanno Visse l’umana
stirpe.... ' Amica è la natura a chi sta contento della vita
spon¬ tanea e irrifiessa, qual’ è appunto la vita della natura. Lo
svegliarsi dell’ intelligenza (scellerato ardimento !) è il principio
della perdizione. E invano l’uomo cercherà col pensiero di restaurare la
sua vita e riconquistare la dilettosa e cara piaggia d’un tempo! Faust lo
sa* *; Malambruno che mvoca gli spiriti d’abisso, che vengano con
piena potestà di usare tutte le forze d’inferno in suo servigio, lo
riapprende da Farfarello, impotente a farlo felice un momento di tempo.
La felicità è la vita che si V’iva sentendo che mette conto di viverla: è
la vita col suo valore. E il Leopardi pare la intenda come un
diletto infinito ; il cui bisogno nasce dall’ infinito amore che
ogni uomo ha di se stesso, ma non può esser soddisfatto mai, perché
nessun diletto è infinito, nessun piacere tale che appaghi il nostro
desiderio naturale. Onde il vivere sen¬ tendo la vita è infelicità; e
questa non è interrotta se non dal sonno, o da uno sfinimento o altro che
sospenda l’uso dei sensi: non mai cessa mentre sentiamo la nostra
vita ; e se vivere è sentire, « assolutamente parlando », il non vivere è
meglio del vivere. La vita non ha valore. È, a rigore, l’ultima
conclu- ' Inno cit., vv. 87-99. * Malambruno è Faust,
non Manfredo, come mostra d' intendere il Losacco, Leopardiana, in Giornale
storico della letteratura italiana, XXVIII (1896), p. 275.
sione di quella premessa, che la felicità o valore della vita consista
nel diletto; il quale non può essere altro che limitato, e quindi mai
mero diletto, senza mistura di amarezza. IV. Tale
il concetto del primo gruppo delle Operette, che pone l’animo del poeta
in faccia alla morte e al nulla: ossia al vuoto della vita, non più degna
d'esser vissuta: poiché degna sarebbe la vita inconscia, e la vita
dell’uomo è senso, coscienza. La vita nella felicità è la natura; e
l’uomo se ne dilunga ogni giorno più con la civiltà, con r irrequieto
ingegno, che assottiglia la vita, e la consuma. Ed ecco il problema
e il tormento dell’anima del Leopardi: l’uomo in faccia alla natura. La
natura, che è quella del dialogo dello Gnomo e del Folletto; e
l’uomo, che è, non quella ciurmaglia già spenta, da cui lo Gnomo
avrebbe caro > che uno risuscitasse per sapere quello che egli
penserebbe della già sua vantata grandezza: è anzi quest’uno, Malambruno,
che pensa e vede tutti gli uo¬ mini morti e la natura viva, muta,
indifferente. Pro¬ blema affrontato nel Dialogo della Natura e di
un’Anima, il primo del nuovo gruppo, dove la natura dice all’anima,
dandole la vita: «Va’, figliuola mia prediletta, che tale sarai tenuta e
chiamata per lungo ordine di secoli. Vivi, e sii grande e infelice ».
Giacché, come poi le spiegherà, « nelle anime degli uomini, e
proporzionatamente in quelle di tutti i generi di animali, si può dire
che l’una e l’altra cosa sieno quasi il medesimo: perché l’eccellenza
delle I « Ben avrei caro che uno o due di quella ciurmaglia
risuscitas¬ sero, e sapere quello che penserebbero vedendo che le altre
co.se, ben¬ ché sia dileguato il genere umano, ancora durano e procedono
come prima, dove si credevano che tutto il mondo fosse fatto e
mantenuto per loro soli » (Operette morali, ed. Gentile, Zanichelli,
Bologna, 2“ ed. 1925. P- 52). jjiinie importa maggior
sentimento dell’ infelicità pro- ria; che è come se io dicessi maggiore
infelicità»; e l’uomo « ha maggior copia di vita, e maggior
sentimento, che niun altro animale; per essere di tutti i viventi
il niù perfetto »; e però è il più infelice. E il meglio è per
l’anima spogliarsi della propria umanità, o almeno delle (loti che
possono nobilitarla, e farsi « conforme al più stupido e insensato
spirito umano » che la natura abbia jjjai prodotto in alcun tempo.
Di guisa che quella morte dell’umanità, che nei dia¬ loghi del
primo gruppo poteva parere una colpa dei de¬ generi nepoti, ecco, apparisce
il destino dell’uomo : la cui storia non può avere altra conchiusione che
la ri¬ nunzia alla propria umanità. La quale, dice il poeta col suo
amaro sorriso, scacciata dalla Terra, non si rifugia e raccoglie nella
Luna, come immaginò l’Ariosto di tutto ciò che ciascun uomo va perdendo.
La Luna, a cui la Terra, nel dialogo che da esse s’intitola, ne
domanda, non solo la convince che l’immaginazione ariostesca è
semplice immaginazione, ma in tutto il dialogo dimostra che il linguaggio
umano e relativo allo stato degli uomini, che la Terra usa, non ha
significato fuori di questa: e che insomma non ha base in natura quello
che gli uomini considerano pregio della loro ^^ta, e che, non
trovandolo fondato in natura, riconoscono quindi mera illusione.
Ma il concetto più direttamente è trattato nella Scommessa di
Prometeo: scommessa perduta con Momo (che è lo stesso spirito satirico
pessimista con cui il Leo¬ pardi guarda la \'ita nella sua
vanità).'Perduta, perché Prometeo deve confessare che alla prova il suo
genere umano, che avrebbe dovuto essere il più perfetto genere
dell’universo, « la migliore opera degl’ immortali », gli era fallito,
dimostrandosi, dallo stato selvaggio degli antro- pofagi a quello più
incivilito dei suicidi per tedio della vita, il più sciagurato e
imperfetto. Prometeo paga la scommessa senza volerne sapere più oltre, quando a
Londra vede gran moltitudine affollarsi innanzi a una porta ed
entra, e scorge «sopra un letto un uomo disteso su! pino, che aveva nella
ritta una pistola; ferito nel petto e morto; e accanto a lui giacere due
fanciullini, mede¬ simamente morti»: sciagurato padre, che per
dispera- zione ha ucciso prima i figliuoli e poi se stesso: (juan-
tunque fosse ricchissimo, e stimato, e non curante di amore, e favorito
in corte: ma caduto in disperazione «per tedio della vita, secondo che ha
lasciato scritto». Il tedio della vita ! Ecco la scoperta che si è
fatta andando in cerca di quella felicità, di cui si pose il pro¬
blema nel primo dialogo di questo secondo gruppo. E i due seguenti
dialoghi hanno questo argomento. Il Dialogo di un Fisico e di un
Metafisico dimostra la vita non es¬ sere bene da se medesima, e non esser
vero che ciascuno la desideri e l’ami naturalmente: ma la desidera ed
ama come « istrumento o subbietto » della felicità, che è ciò che
veramente vale. E questa, guardata più da vicino, consistere
nell’efficacia e copia delle sensazioni, nelle affezioni e passioni e
operazioni, e insomma, non nel puro essere, ma nella sensazione
dell’essere e nel far essere (come ben si può dire) l’essere stesso. Non
l’inerzia e la vuota durata, ma la mobilità, la vivacità, il gran
numero e la gagliardia delle impressioni, e cioè il tempo pieno, questo è
l’oggetto dei nostri desiderii: e la vita degli uomini « fu sempre non
dirò felice, ma tanto meno infelice, quanto più fortemente agitata, e in
maggior parte occupata, senza dolore né disagio ». La vita vacua,
che è la vita «piena d’ozio e di tedio», è morte; anzi peggio della morte,
che è senza senso. Infine, dice lo stesso Metafisico (che ha cominciato
negando che la felicità sia vivere), «la vita debb’esser viva»: cioè la
vera felicita, in fondo, è sì nella vita ; ma la vita (il Leopardi così
sente) non è vita; è la morte; quella morte di cui s’ è acqui-
MANZONI E LEOPARDI 129 stata la certezza nelle
operette del primo gruppo; e che non è pura morte, ma la morte sentita;
la morte nella coscienza dell’uomo che non conosce altra realtà che
l’eterna natura, di là dall’opera sua, e non può sperare perciò di far
nulla che abbia valore. La morte è dolore perché è tedio: quel \moto dove
dovrebbe essere il pieno; la morte al posto della vita. E
questo tedio è la malattia, il segreto tormento del Tasso, che ne ragiona
col suo Genio: del Tasso già dal ’zo, quando fu scritta la canzone Ad
Angelo Mai, apparso al Leopardi come suo spirito gemello, al par di lui «
mi¬ serando esemplo di sciagura » : O Torquato, o Torquato, a
noi l'eccelsa Tua niente allora, il pianto A te, non altro,
preparava il cielo. Oh misero Torquato ! il dolce canto Non
valse a consolarti o a sciorre il gelo Onde l’alma t’avean, ch’era sì
calda. Cinta l’odio e l’immondo Livor privato e de’
tiranni. .Amore, Amor, di nostra vita ultimo inganno.
T’abbandonava. Ombra reale e salda Ti parve il nulla, e il mondo
Inabitata piaggia. Torquato Tasso medesimo, che non trova nel
mondo altro più che il nulla, e si rifugia nei sogni e nel vago
inunaginare, dal quale più duro bensì gli riesce il ritorno alla realtà;
questo Torquato parla nel Dialogo del Tasso e del suo Genio ', e non si
lagna già del dolore, ma della noia, che sola lo affligge e lo uccide. La
quale gli pare abbia la stessa natura dcU’aria: «riempie tutti gli
spazi interposti alle altre cose materiali, e tutti i vani
contenuti in ciascuna di loro; e donde un corpo si parte, e altro
non gh sottentra, quivi ella succede immediatamente. Così tutti gl’
intervalli della vita umana frapposti ai piaceri e ai dispiaceri, sono occupati
dalla noia. E però. come nel mondo materiale, secondo i
Peripatetici, non si dà vóto alcuno; così nella vita nostra non si dà
vóto»; e poiché piacere non si trova, la vita è composta parte di
dolore parte di noia. E la vita tutta uguale monotona del povero
prigioniero — immagine d’ogni uomo di fronte alla immutabile natura — si
viene via via votando cosi del piacere come del dolore, e riempiendo
tutta della tristezza soffocante del tedio. L’uomo prigioniero
della natura ritorna ncll’ultinio dialogo del gruppo, in cui si presenta
da capo la Natura a render conto di sé all’uomo: al povero Islandese,
che la vicn fuggendo per tutte le parti della terra, e se la vede
sempre innanzi, addosso, incubo schiacciante: e l’ha innanzi, prima di morire,
in effigie di donna, di forme smisurate, seduta in terra, col busto
ritto, ap¬ poggiato il dosso e il gomito a una montagna; viva, di
volto tra bello e terribile, occhi e capelli nerissimi, con 10
sguardo fisso e intento. — Perché, le chiede il povero errante, tu sei «
carnefice della tua propria famiglia, de’ tuoi figliuoli e, per dir così,
del tuo sangue e delle tue viscere », e « per niuna cagione, non lasci
mai d’incalzarci, finché ci opprimi ?» — « Se io vi diletto o vi be¬
nedico, io non lo so », risponde la Natura. La vita del¬ l’universo è un
circolo perpetuo di produzione e distru¬ zione. — Ma, riprende 1’
Islandese, poiché chi è distrutto patisce, e chi distrugge sarà
distrutto, « dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a
chi giova cotesta vita infelicissima dell’universo, conservata con
danno e con morte di tutte le cose che lo compon¬ gono ?» — E prima di
aver la risposta 1’ Islandese è mangiato dai leoni, già così rifiniti e
maceri dall’ inedia, che con quel pasto si tennero in vita ancora per
quel giorno, e non più. Questa Natura, che non sa il bene e
11 male dell’uomo, è la Natura che al principio ha detto aU’anima:
— Sii grande, e infelice. — La vita infatti È infelicità, in quanto
è noia; e noia è, perché vuota; e non può non esser vuota, se l’uomo è di
fronte a questa Matura terribile nel cui perpetuo giro esso rientra,
mo¬ lecola ignorata, e senza valore, non appena con la sua
coscienza si stacchi dalle cose, e vi si contrapponga. L’uomo dunque è
veramente infelice, come s’è detto nel primo dialogo, perché con la sua
attività (che è l’anima, il sentire) non ha posto nella natura, che è poi
tutto. Perciò l’anima è vuota, e la vita è tedio. V.
E qui potè parere al Leopardi, come osservammo, di aver esaurito il
proprio tema; e, prevedendo le facili critiche, che non sarebbero mancate
al piccolo e doloroso libro, ritenne opportuno difenderlo col
Timandro. Ma poi considerò che la sua dimostrazione non era
veramente perfetta. Il dolce canto non era valso a con¬ solare Torquato;
ma potrebbe dunque il canto consolare Panimo addolorato ? Gino Capponi,
l’amico del Tom¬ maseo, che fu giudice sempre acerbo e ingiusto al
grande Recanatese b scrisse una volta ^ : « Il Leopardi comincia uno
de’ suoi Dialoghi, inducendo la natura che scara¬ venta nel mondo
un’anima con queste parole: — Vi\d e sii grande ed infelice. — Io per me
credo proprio il rovescio, e che le anime nostre non sieno infelici se
non in quanto sono esse piccole.... £ cosa facile esser grandi
uomini, se basti a ciò essere infehci, ed il Leopardi in¬ segnò a molti
la via della infelicità; ma non l’aveva imparata egh quando produsse
quelle canzoni per cui ‘ .Acerbo e ingiusto anche nel giudizio,
che pur contiene sensazioni profonde di alcuni aspetti dell'arte
leopardiana, raccolto nel volume La donna, Milano, .Agnelli, 1872, pp.
380-81. Vedi i miei Albori della nuova Italia, Lanciano, Carabba, 1923,
I, 167 ss. - Scritti ed. ed ined., Firenze, Barbèra, 1877, II, 445-46.
sta in alto il nome suo »>. E il De Sanctis doveva
osser\’are più tardi: «Quel suo nullismo nelle azioni e nei lini
della vita, che lo rendeva inetto al fare e al godere, era riem¬
piuto dalla colta e acuta intelligenza e dalla ricca im¬ maginazione, che
gli procuravano uno svago e gli fa, cevano materia di diletto quello
stesso soffrire. Egli aveva la forza di sottoporre il suo stato morale
alla riflessione e analizzarlo e generalizzarlo, e fabbricarvi su uno
stato conforme del genere umano. Ed aveva anche la forza di
poetizzarlo, e cavarne impressioni e immagini e melodie, e fondarvi su
una poesia nuova. Egli può poetizzare sino il suicidio, e appunto perché
può trasferirlo nella sua anima di artista e immaginare Bruto e Saffo,
non c’è pericolo che voglia imitarli. Anzi, se ci sono stati mo¬
menti di felicità, sono stati appunto questi. Chi più felice del poeta o
del filosofo nell’atto del lavoro ? » >. Ma né il Capponi, né il De
Sanctis avvertivano cosa sfuggita al Leopardi. È suo, del 1820, questo
pensiero vero e pro¬ fondo ; « L’uomo si disannoia per lo stesso
sentimento vivo della noia universale e necessaria ». E suo è
ciuesto altro che lo precede ; « Hanno questo di proprio le opere
di genio, che, quando anche rappresentino al vivo la nul¬ lità delle
cose, quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire 1
inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le più
terribili disperazioni, tuttavia ad un animo grande, che si trovi anche
in uno stato di estremo abbattimento, disinganno, nullità, noia e
sco¬ raggiamento della vita o nelle più acerbe e mortifere
disgrazie.... servono sempre di consolazione, raccendono l’entusiasmo; e
non trattando né rappresentando altro che la morte, gh rendono, almeno
momentaneamente, quella vita che aveva perduta » I Studio su G. L..
Napoli, Morano, 1905, p. 2 i 3 - ^ Pensieri. I, 351. 340- Cfr. lett. del
6 maggio 1825; . M avveggo ora bene che, spente che sieno le passioni,
non resta negli studi aura Ebbene,
sentire ripullular questa vita, che il razio¬ cinio aveva dimostrata
morta, era pur sentire il bisogno (ji riprendere la dimostrazione. Il
Leopardi non affronta nelle Operette, né in altro dei suoi scritti, il
problema di questa vita incoercibile che risorge dalla sua più
fiera negazione. Ma sente oscuramente questa diificoltà, non
superata nei primi due gruppi de’ suoi dialoghi. Tutto l’argomentare
della sua filosofia non genera la convin¬ zione che ne dovrebbe deri\
are: la convinzione che arma la mano di Bruto contro se stesso, e fa
gittare dalla mi¬ sera Saffo « il velo indegno », per rifuggirsi ignudo
animo a Dite, e così emendare il crudo fallo del destino. L’amor
della vita non è vinto: la Natura ha detto all’Anima che le infinite
difficoltà e miserie, a cui vanno incontro i grandi, « sono ricompensate
abbondantemente dalla fama, dalle lodi e dagli onori che frutta a questi
egregi spiriti la loro grandezza, e dalla durabilità della ricor¬
danza che essi lasciano di sé ai loro posteri ». Ebbene, questa
gloria, che già non arride all’anima, quando natura gliel’addita, questa
gloria abbelliva pure agli occhi del Leopardi questo mondo di morti, in
cui gli sembrava di vivere. Filippo Ottonieri, che è lui stesso,
potrà esser « vissuto ozioso e disutile, e morto senza fama », come dice
il suo epitaffio, ma sentiva bene d’esser « nato alle opere virtuose e
alla gloria ». Questa gloria, che è il premio della grandezza e la
sublime consola¬ zione dei grandi infehci, che tanto più saran grandi
quanto più sentiranno la loro infehcità, e più quindi saranno
infelici, è la lode che nell’animo degli altri e pei secoli riecheggia la
lode stessa che il grande tributa egli alla loute e fondamento di
piacere che una vana curiosità, la soddisfazione della quale ha pur molta
forza di dilettare: cosa che per Taddietro, finché mi è rimasta nel cuore
l'ultima scintilla, io non potevo com¬ prendere », Epist,, I,
547-48. 134 GIOVANNI GENTILE
propria grandezza nella coscienza felice del suo genio. La sua sostanza è
veramente in questa lode interna e soggettiva: la sua esteriorità è in
quella eco che si ri¬ percuote lontano, e ferma, e pare consolidi il
valore onde il genio vede illuminata la propria opera. 11 Leopardi,
nudrito la mente dei concetti classici e delle idee mate¬ rialistiche del
sec. XVIII, cerca la realtà di questa gloria, in cui lo spirito attinge
la propria liberazione da tutte le miserie, in quella eco esterna, in
quel consenso che in fatto altri verrà tributando alla nostra grandezza.
E perciò si trova in faccia al problema del valore tuttavia
superstite della grandezza spirituale, veduto in questa forma; l’anima
grande e infelice è destinata essa alla gloria ? o la speranza è fallace,
come tutte quelle che ei rimpiangerà dileguate nelle Ricordanze ? ' Ed
ecco il Farmi, che tante
difficoltà mostra opporsi all’acquisto di questa gloria,
specialmente nell’età moderna e nel mondo presente, da farla apparire
mèta inattingibile. Talché vien meno anche questa aspettazione, e al
grande non rimane che seguire il suo fato, dove che egli lo tragga,
con animo forte, adoprandosi nella virtù, perché la na¬ tura stessa lo
fece nascere alle lettere e alle dottrine. Dileguata quest’ultima
consolazione, la sola che si possa chiedere alla stessa eccellenza
dell’animo, quando altra realtà, e fonte eventuale di gioia, non si
vegga da quella che l’animo mira esterna a se stesso, qual porto
rimane allo stanco spirito umano ? Vivere infeUce ? ' Dove, nel
1829, canterà: O speranze, speranze; ameni inganni Della mia
prima età ! sempre, parlando. Ritorno a voi; ché per andar di
tempo. Per variar d'alletti e di pensieri, Obbliarvi non so.
Fantasmi, intendo, Son la gloria e l’onor; diletti e beni Mero
desio; non ha la vita un frutto. Inutile miseria. E sia; ma
se non si può né anche farsi un monumento della propria infelicità
? Sola nel mondo, eterna, a cui si volve Ogni creata
cosa. In te, morte, si posa Nostra ignuda natura.
Lieta no, ma sicura ■Dall'antico dolor. La risposta
viene dai morti, che si sveghano per un quarto d’ora nello studio di
Ruysch, e cantano, e descri¬ vono questa loro sicurezza dall’antico
dolor, nella quale vivono immortah; senza speme, ma non in desio, come
le anime del limbo dantesco: Profonda notte Nella confusa
mente Il pensier grave oscura; Alla speme, al desio, l’arido
spirto Lena mancar si sente: Così d’affanno e di temenza è
sciolto, E l’età vote e lente Senza tedio consuma.
■Vita vuota, dunque, anche quella: ma senza senti¬ mento. Vero
porto, in cui il povero Islandese finalmente avrà pace, e in cui si può
giungere in un languore di sensi senza patimento, com’ è degli ultimi
istanti della vita, quando sopravvive solo un senso « non molto
dissimile dal diletto che è cagionato agli uomini dal languore del
sonno, nel tempo che si vengono addormentando ». Dolce morte hberatrice !
— Ma prima che la morte ci abbia sciolti dal tedio ? — Filosofare, come
Filippo Ot- tonieri, il socratico, che « spesso, come Socrate,
s’intrat¬ teneva una buona parte del giorno ragionando filosofi¬
camente ora con uno ora con altro, e massime con alcuni suoi familiari,
sopra qualunque materia gli era sommini¬ strata dall’occasione ». E per
tal modo filosofava sempre. non per farne trattati (ché, al pari di
Socrate, non cre¬ deva giovasse mettere la filosofìa in iscritto e
irrigidir]^ in formule che non risponderanno piti ai mutevoli bi¬
sogni dell’animo), ma per intendere senza pregiudizi e senza illusioni la
vita, e adattarvisi da saggio, tralasciando ogni vana querimonia: come
aveva detto Spinoza: non ridere, non liigere, neque detestari, sed
intelligere. Questo r ideale dell’ Ottonieri, che vivrà ozioso e disutile
e morrà senza fama, ma « non ignaro della natura né della fortuna
sua »>. E con la sua pacata magnanimità e la sua bonaria ironia
rinnoverà l’immagine di Socrate anche in questa modesta, anzi umile
coscienza del sa¬ pere, e quindi, per lui, del potere umano. L’
Ottonieri vuol essere quasi la filosofia delle Operette fatta vita e
persona. Ma, oltre la filosofia, non v’ è altro rimedio alla noia
? Sì : c’ è la rupe di Leucade. Ce lo insegna Cristoforo Co¬ lombo,
in una bella notte vegliata sull’oceano .stermi¬ nato e inesplorato col
fido Gutierrez, confidando all’amico che anche in lui vacilla la fede e
che, in verità, « ha posto la vita sua e de’ compagni sul fondamento
d’una sem- phee opinione speculativa » che può fallirgli. Ma, egli
soggiunge, « quando altro frutto non venga da questa navigazione, a me
]iare che ella ci sia profittevolissima in quanto che per un tempo essa
ci tiene liberi dalla noia, ci fa cara la vita, ci fa prege\'oli molte
cose che altrimenti non avremmo in considerazione. Scrivono gli
antichi, come avrai letto o udito, che gli amanti infehei, gittan-
dosi dal sasso di Santa Maura (che allora si diceva di Leucade) giù nella
marina, e scampandone, restavano, per grazia di Apollo, liberi dalla
passione amorosa. Io non so se egli si. debba credere che ottenessero
questo effetto; ma so bene che, usciti di quel pericolo, avranno
per un poco di tempo, anco senza il favore di Apollo, avuta cara la vita,
che prima avevano in odio; o pure avuta più cara e più pregiata che
innanzi. Ciascuna pavigazione è, per giudizio mio, quasi un salto
dalla fxipe di Leucade » >. E navigazione è ogni rischio della
vita, ogni azione eroica. O filosofare, dunque, come Ot- tonieri; o
navigare come Colombo, e far guerra al tedio, P riafferrarsi insomma alla
vita, finché la morte non ce ne liberi. E lo stesso giorno *
che finiva di scrivere il Dialogo a Colombo e Gutierrez (25 ottobre 1824)
il Leopardi, nel fervore dell’animo commosso da questa coscienza
del valore e quasi gusto della vita riconquistato mercé l’attività, — di
questa grandezza felice, — mette mano al bellissimo Elogio degli uccelli:
Urica stupenda, sgor- gatagU dal pieno petto, al guizzo d’una immagine
Ucta e ridente: di queste creature amiche delle campagne verdi,
delle vallette fertili e delle acque pure e lucenti, del paese bello e
dei soli splendidi, delle arie cristalline e dolci e di tutto ciò che è
ameno e leggiadro, e rasserena e allegra gli animi; e che, col perpetuo
movimento e col canto che è un riso, sono simbolo di quella vita piena
d’impressioni, che non conosce tedio, anzi è tutta una gioia. E ci fanno
amar la natura, che ebbe un pensiero d’amore, assegnando a un medesimo
genere d’animali il canto e il volo ; « in guisa che quelli che avevano a
ri¬ creare gU altri viventi colla voce, fossero per l’ordinario in
luogo alto ; donde ella si spandesse all’ intorno per maggiore spazio, e
pervenisse a maggior numero di udi¬ tori ». Così viva è r intuizione
della gioia gentile che il poeta riceve da questa vaga immagine degU ucceUi,
che è già appagato il desiderio finale di questo Elogio: ♦ lo vorrei, per
un poco di tempo, essere convertito in uccello, per provare quella
contentezza e letizia della loro vita ». Non ha cantato qui anch’egU la
gioia ? ’ Cfr. Pens., I, 193. Cfr. sopra, p. 116, «.
i. E un favoloso
uccello, il Gallo silvestre, di cui parlano alcuni scrittori ebrei, che
sta sulla terra coi piedi, e tocca colla cresta e col becco il cielo, con
un altro cantico vi¬ brante gli dirà Tultima parola di questa filosofia
della vita, attenuando bensì il tono della lirica precedente, c
smorzando l'entusiasmo, al quale mai come in questo caso s’era
abbandonata l’anima del poeta; e additandogli anzi lontano il pauroso
nulla di tutte le cose, e la morte a cui ogni parte deH’universo
s’affretta infaticabilmente, ma pur rasserenandogli l’animo con la fresca
sensazione del puro e frizzante aer mattutino, ravvivatore e rin-
francatore. Sensazione già nota al Poeta: La mattutina pioggia,
allor che l'ale Battendo esulta nella chiusa stanza La gallinella,
ed al balcon s’affaccia L’abitator de’ campi, e il sol che nasce I
suoi tremuli rai fra le cadenti Stille saetta, alla capanna mia
Dolcemente picchiando, mi risveglia; E sorgo, e i lievi nugoletti,
e il primo Degli augelli sussurro, e l’aura fresca, E le
ridenti piagge benedico.... • Canta il Gallo silvestre per destare
i mortali dal sonno; « Il dì rinasce : torna la verità in sulla terra, e
parton- sene le immagini vane. Sorgete; ripigliatevi la soma della
vita : riducetevi dal mondo falso nel vero ». La fiera soma! Meglio,
meglio dormire, e non destarsi; ma verrà la morte a liberar dalla vita. «
Ad ogni modo », dice il Gallo, la terribile voce che riempie di sé il
mondo, c canta questa corsa universale alla morte, « ad ogni modo,
il primo tempo del giorno suol essere ai viventi il più comportabile.
Pochi in sullo svegliarsi ritrovano nella loro mente pensieri dilettosi e
lieti; ma quasi tutti se ne • La Vita solitaria (1821), vv. i-io.
producono e formano di presente; giacché gli animi in quell’ora
eziandio senza materia alcuna speciale e de¬ terminata, inclinano sopra
tutto alla giocondità, o sono disposti più che negli altri tempi alla
pazienza dei mali. Onde se alcuno, quando fu sopraggiunto dal sonno,
tro- vavasi occupato dalla disperazione; destandosi, accetta
uovamente neU’anima la speranza, quantunque ella in niun modo se gli
convenga ». Ed ecco, dunque, la spe¬ ranza risorgere ogni giorno, anche
se la sera finì nella disperazione ; e se il Gallo silvestre paragona la
vita dell'universo al giorno, che comincia col mattino ma va alla
notte, e alla vita umana che muove dalla heta gio¬ vinezza incontro alla
vecchiaia e alla morte: e se ter¬ mina annunziando che tempo verrà, che
la stessa natura sarà spenta, e « un silenzio nudo e una quiete
altissima empieranno lo spazio immenso »; il dolce gusto della spe¬
ranza mattutina e giovanile non è distrutto: perché quel tempo è molto
remoto e (secondo avvertì più tardi l’autore in una nota della seconda
edizione) non verrà mai: e la vita mortale ritorna sempre dalla notte al
mat¬ tino, e la speranza risorge, e la vita rinasce di continuo.
VI. Le operette dunque del terzo gruppo ricostruiscono,
nella misura e nel modo che si può secondo il Leopardi, quello che le
prime dodici hanno abbattuto. Ricostrui¬ scono, movendo dall’estrema mina
in cui è caduta anche la speranza della gloria, nel Parini. Il quale lega
il terzo gruppo ai precedenti; e fu ritirato dopo le prime due
edizioni verso il principio, e attratto nell’orbita del se¬ condo gruppo,
poiché tra la Storia del genere umano e il Timandro l’autore non voUe più
il Sallustio] e lo ri¬ fiutò e gli sostituì il Frammento di Stratone,
collocato al diciannovesimo posto, innanzi al Timandro. Allora
il gruppo ricomprese il Dialogo della Natura e di un'Anima e il
secondo II Parini. E il Frammento, lì sulla fine del- l’opera, innanzi
all’epilogo apologetico, fu come l’inter¬ pretazione metafisica che da
ultimo il pensiero, ripie¬ gatosi su se medesimo, diede della propria
intuizione filosofica: concezione, sullo stile delle teorie
cosmolo¬ giche greche più antiche, di un universo go\'ernato da
pure leggi meccaniche, com’era quello che giaceva in fondo a ogni concetto
pessimistico del Leopardi; onde si tenta suggellare, nell’ intenzione del
Poeta, l’immagine di quella Natura che eternamente passa, e che negli
ul¬ timi detti del Gallo silvestre è rimasta «arcano mirabile e
spaventoso ». Si noti che il Sallustio fu conservato tra le venti
ope¬ rette primitive anche nell’edizione di Firenze del '34.
quantunque in questa fossero aggiunti i due nuovi dialoghi del Venditore
d’Almanacchi e di Tristano] e si noti che in questa edizione invece non
potè entrare il Frammento di Stratone molto probabilmente per le
difficoltà già ac¬ cennate, derivanti dalla materia di esso, poiché è il
solo scritto crudamente materialistico, che sia tra le Operette. 11
che, se si pensa pure al fatto che il Frammento fu scritto verso il
maggio del '25 • (quando il Leopardi aveva tut¬ tavia presso di sé il
manoscritto delle Operette, e a\ rebbe già fin d’aUora pensato ad
incorporarvelo, se questa aggiunta non avesse disordinato il disegno
simmetrico del hbro), dimostra all’evidenza che i dialoghi fiorentini
della stampa del ’34, che sappiamo scritti a Firenze due anni prima,
formano un nuovo gruppo a sé, che si viene ad aggiungere alle prhnitive
operette, senza fondervisi: come avverrà del Frammento, appena l’autore
crederà potere e dover tralasciare il Sallustio, e sostituirlo.
Perché tralasciarlo ? « Forse », risponde il Mestica I Cfr.
Chi.\rini, O.C., p. 251. * Scritti letter. di G. L., li, p.
418. perché gli parve troppo scolastico e di materia non [
abbastanza originale, sebbene i pensieri in esso conte¬ nuti siano
conformi al suo filosofare ». « Il dialogo ha poco movimento e scarso
valore artistico », osserva lo Zinga- [ felli ' : « l’invenzione è
misera, e sull’attrattiva dello strano e del fantastico prevale nel
lettore un senso d’in¬ credulità. Per queste ragioni l’autore dovette
rifiutarlo, e forse anche per rispetto a Sallustio medesimo. Forse
anche col passar degli anni, il Leopardi non credè più che tutta la
grandezza antica perisse con Bruto e per opera di Cesare e dei cesariani
». Più si è accostato al L vero questa volta il Della Giovanna > : «
Forse egli si sarà I pentito delle parole crudissime che usa parlando
della I libertà e della patria. È ben vero che anche altrove egli
f lamenta la mancanza d’amor patrio e di libertà, ma in modo
più vago ». Il Sallustio, in questo cinico pessimismo, contraddice al
motivo fondamentale delle Operette: logico nell’ordine di pensieri da cui
sorse, ma ripugnante a quei sentimenti più profondi, onde la personahtà
del poeta abbraccia in sé e contiene, e tempera quindi e solleva a
un suo particolar significato, siffatti pensieri. I quali non sono qui un
sistema filosofico astratto, ma l’alimento segreto di un’anima che si
riversa ed esprime in una poesia di grande respiro, la quale in tutta la
sua unità risuona all’anima del lettore come una musica, secondo
che osservò un amico del poeta, il Montani i, appena I operette
morali di G. L., p. 53. ’ Le prose morali di G. L., p. 276.
3 Vedi la sua recensione ncWAntologia del gennaio 1828, X. 85, pp.
157-61, che incomincia; «Non vi è mai avvenuto una sera d’opera nuova, di
entrare in teatro a sinfonia cominciata, e imaginandovi un motivo
musicale diverso dal vero, trovar men bello e men significante ciò che
poi dee sembrarvi meraviglioso ? — Quando VAntologia, or son due anni,
pubblicò un saggio dell’operette del L. ancora inedite.... io non ne fui
che leggermente colpito; mi mancava il motivo della musica. Intesone il
motivo, al pubblicarsi delle operette insieme unite, mi parve d'aver
acquistato nuovo orecchio e nuovo sentimento. E ne scrissi al Giordani,
ch’era a Pisa, ov’oggi è il L., il quale allora stava potè leggere tutta
la collana delle Operette. Questo rrio tivo fondamentale facilmente si
riconosce nel preI^^]i^^ e nell’epilogo, onde è inquadrata nella sua
naturale cor nice la trilogia delle operette : ossia nella Storia del
genere umano e nel Timandro: due operette, che sono affatto
estranee a qucUo spirito, che si può dir proprio di tutte le altre, ad
eccezione dell’ Elogio degli uccelli, dove ji^re qua e là s’insinua a
frenare l’impeto Urico di gioia e d’entusiasmo; a quello spirito, che si
può definire con le parole stesse con cui il Leopardi ritrae se medesimo
in una lettera al Giordani del 6 maggio 1825 (del tempo in cui
forse raggiunse nel Frammento di Stratone l’estremo termine di questo suo
stato d’animo) : « Quanto al ge¬ nere degli studi che io fo, come sono
mutato da quel che io fui, così gli studi sono mutati. Ogni cosa che tenga
di affettuoso e di eloquente mi annoia, mi sa di scherzo e di
fanciullaggine ridicola. Non cerco altro più fuorché il vero, che ho già
tanto odiato e detestato. Mi compiaccio di sempre meglio scoprire e
toccar con mano la miseria degli uomini e delle cose, e di inorridire
freddamente, speculando questo arcano infelice e terribile della
vita dell’universo ». Lo stesso animo, non altrettanto feli¬
cemente, ma con maggior abbandono, esprimerà tut¬ tavia, nel ’26, nell’
Epistola al Pepoli : Ben mille volte Fortunato colui che la
caduca Virtù del caro immaginar non perde Per volger d’anni; a cui
serbare eterna La gioventù del cor diedero i fati.... qui
nel più quieto degli alberghi (già ridotto d’allegra gente a’ di del
Boccaccio), dicendogli che dalla porta di questo alla camera del suo
amico più non salirei che a cappello cavato. Le operette del L. sono
musica altamente melanconica... ». La recensione contiene più d’una
osservazione notabile. Fu scritta il 28 febbraio 1828. SuU’amicizia del
L. col Montani, vedi G. Mestica, Studi leopardiani, Firenze, Le Mou¬
nier, 1901, pp. 332-42. (si ricordi il Cantico del Gallo
silvestre)] Della prima stagione i dolci inganni Mancar già
sento, e dileguar dagli occhi Le dilettoso immagini, che tanto
Amai, che sempre inlino all’ora estrema Mi fieno, a ricordar, bramate e
piante. Or quando al tutto irrigidito e freddo Questo petto
sarà, né degli aprichi Campi il sereno e solitario riso. Né
degli augelli mattutini il canto Di primavera, né per colli e
piagge Sotto limpido ciel tacita luna Commoverammi il cor; quando
mi fia Ogni bel tate o di natura o d’arte. Fatta inanime e
muta; ogni alto senso. Ogni tenero affetto, ignoto o strano; Del
mio solo conforto allor mendico. Altri studi men dolci, in eh’ io
riponga L’ingrato avanzo della ferrea vita, Eleggerò.
L’acerbo vero, i ciechi Destini investigar delle mortaU E
dell’eteme cose.... In questo specolar gh ozi traendo Verrò:
che conosciuto, ancor che tristo. Ila suoi diletti il vero.
Questo era stato il suo ideale nelle Operette] speculare, scoprire,
frugare la miseria degli uomini e di tutto, e inorridire, ma con petto
irrigidito e freddo. Se non che nel '25, nel caldo ancora dell’opera, poteva
credere di aver raggiunto già questo stato d’animo; l’anno dopo
egli, più ingenuamente, o meglio con maggior consape¬ volezza, sente che
il suo petto sarà forse un giorno, non è ancora, al tutto irrigidito e
freddo; non è eterna la gioventù del cuore, né in lui, né in altri, ma
non è ancora del tutto tramontata. Così nelle Operette il freddo
inor¬ ridire e il disprezzo d’ogni cosa che tenga di affettuoso e
di eloquente è un desiderio, un programma, un propo¬ sito; ma non è, né
può essere il suo stile, poiché né ogni bellezza ancora gli è inanime e
muta, né ogni alto senso ogni tenero affetto ignoto e strano. E questo
sente liené e proclama il Poeta nel dialogo di Timandro e di Elean-
dro; dove a Timandro che, secondo la filosofia di moda fa alta stima
dell’uomo e del progresso di cui egli è capace' ed è insomma un
ottimista, il pessimista, che sente invece per l’uomo un’alta pietà, il
futuro cantore della Ginestra protesta di non essere un Timone (per
quanto non abbia sdegnato la parte di Momo di fronte a Prometeo) ; «
Sono nato ad amare, ho amato, e forse con tanto affetto quanto può
mai cadere in anima viva Oggi, benché non sono ancora, come vedete, in
età naturalmente fredda, né forse anco tepida » (aveva appena ventisei
anni !) ; « non mi vergogno a dire che non amo nessuno, fuorché me
stesso, per necessità di natura, e il meno che mi è pos¬ sibile ». Dove
ognun vede che realmente certo invinciliile pudore arresta Eleandro
innanzi alla conseguenza delle sue dottrine; e si ripigha subito infatti:
« Contuttociò sono solito e pronto a eleggere di patire piuttosto io,
che esser cagione di patimento ad altri. E di questo, per poca
notizia che abbiate de’ miei costumi, credo mi possiate essere testimonio
». L’amore degli altri si ri¬ bella alla negazione che se n’ è voluto
fare, e s’appella all’ intima e irreprimibile attestazione del cuore.
Altro che freddezza e petto irrigidito ! E da ultimo Eleandro
conchiude; «Se ne’ miei scritti io ricordo alcune verità dure e triste, o
per isfogo deU’animo, o per consolarmene col riso, e non per altro ; io
non lascio tuttavia negli stessi libri di deplorare, sconsigUare e
riprendere lo studio di quel misero e freddo vero, la cognizione del
quale è fonte o di noncuranza e infingardaggine, o di bassezza d’animo,
• Ed ecco perché, scritto il dialogo, sentì di non doverlo più
inti¬ tolare, come aveva pensato da principio, di Misinore e Filénore :
egli non era davvero quell’odiatore dell’uorao (ixio-TjVcop) che poteva
pa¬ rere; né vero Filénore poteva dirsi l’ottimista.
iniquità e disonestà di azioni, e perversità di costumi: laddove, per lo
contrario, lodo ed esalto quelle opinioni, benché false, che generano
atti e pensieri nobili, forti, magnanimi, \nrtuosi, e utili al bene comune
o privato; quelle immaginazioni belle e felici, ancorché vane, che
danno pregio alla vdta; le illusioni naturali dell’animo ; e in line gli
errori antichi, diversi assai dagh errori bar¬ bari; i quali, solamente,
e non quelli, sarebbero dovuti cadere per opera della civiltà moderna e
della filosofia ». Dunque, ogni alto senso e tenero affetto,
destato da queste illusioni, non sarà spiegabile nel mondo a cui si
volgono gh occhi del Leopardi, — il mondo di Stratone da Lampsaco, o la
natura dell’ Islandese, — come non è spiegabile nel mondo che solo esiste
per la scienza; ma non perciò è ignorato, o è divenuto estraneo al
cuore del Poeta. 11 quale non è Timandro, ma è bene Eleandro; e a
dispetto di quella natura, che è il vero, ama gli uomini e la virtù,
dichiarandola un’illusione, ma naturale, e quindi vera, quantunque
contradittoria a quell’altra na¬ tura, che non conosce né amore, né bene.
Inorridire fred¬ damente, sì; ma inorridire, ed elevarsi quindi al
di sopra della universale miseria, sentita come tale, e non
assentirvi, non semplicemente intelligere, come Spinoza avrebbe
voluto. Così nella Storia del genere umano, vero preludio
alla sinfonia delle Operette, quando l’uomo è pervenuto all’ uno fondo di
cotesta miseria, rappresentato dall’ap- parire in terra della Verità,
spunta egualmente una divina pietà al soccorso dell’ infelicità
intollerabile dei mortali : « La pietà, la quale negli animi dei celesti
non è mai spenta, commosse, non è gran tempo, la volontà di Giove
sopra tanta infehcità; e massime sopra quella di alcuni uomini singolari
per finezza d’ intelletto, con¬ giunta a nobiltà di costumi e integrità
di vita; i quali egli vedeva essere comunemente oppressi ed afflitti
più IO. — (‘tKSTli.y.. iicnz* ni r L'-'p ’rtìi.
che alcun altro, dalla potenza e dalla dura dominazione di quel
genio»: ossia appunto, della Verità. Giove, «com¬ passionando alla nostra
somma infelicità, propose agjj immortali se alcuno di loro fosse per
indurre l’animo a visitare, come avevano usato in antico, e
racconsolare in tanto travaglio questa loro progenie, e
particolarmente quelli che dimostravano essere, quanto a se,
indegni della sciagura universale». Tacciono tutti gli altri Dei¬
ma si offre Amore, figliuolo di Venere Celeste, «questo massimo iddio »,
che « non prima si volse a visitare i mortali, che eglino fossero
sottoposti all’ imperio della Verità ». Di rado egli scende, e poco si
ferma, e perché la gente umana ne è generalmente indegna, e perché
gli Dei molestissimamente sopportano la sua lontananza. EgU è dunque
premio, che l’uomo conquista con la sua grandezza. La quale perciò è
condannata sì all’ infelicità del vero; ma è pur redenta e beatificata da
Amore. « Quando viene in sulla terra, sceglie i cuori più teneri e
più gentih delle persone più generose e magnanime; e quivi siede per
breve spazio; diffondendovi sì pellegrina e mirabile soavità, ed
empiendoh di affetti sì nobili, e di tanta virtù e fortezza, che eglino
allora provano, cosa al tutto nuova nel genere umano, piuttosto verità
che rassomiglianza di beatitudine. Rarissimamente congiunge due
cuori insieme, abbracciando l’uno e l’altro a un me¬ desimo tempo, e
inducendo scambievole ardore e desi¬ derio in ambedue; benché pregatone
con grandissima istanza da tutti coloro che egli occupa: ma Giove
non gli consente di compiacerli, trattone alcuni pochi; perché la
felicità che nasce da tale beneficio, è di troppo breve intervallo
superata dalla divina. A ogni modo, l’essere pieni del suo nume vince per
se qualunque più fortunata condizione fosse in alcun uomo ai migliori
tempi ». Ed ecco perché il Poeta inorridisce, sia pur freddamente,
allo spettacolo del tristo vero. La sua anima è calda (iel divino
beneficio di Amore. Né può in lui la verità (quella mezza verità) contro
le sacre illusioni, che né egli può respingere, né altri egli ha
consigliato mai a respingere. « Dove egli si posa, dintorno a quello si
ag¬ girano, invisibili a tutti gli altri, le stupende larve, già
segregate dalla consuetudine umana; le quali esso Dio riconduce per
questo effetto in sulla terra, permettendolo Giove, né potendo essere
vietato dalla Verità, quantunque inimicissima a quei fantasmi, e
nell’animo grandemente offesa del loro ritorno: ma non è dato alla natura
dei geni di contrastare agli Dei ». Non può, cioè, la nostra logica
non render l’arme all’arcano, che resta pel Poeta questa natura, la quale
mette in cuore il bisogno della virtfi, e la fa apparire poi stolta a
Bruto. Infine, quella stessa giovinezza e freschezza mattinale, arrisa e
ringa¬ gliardita dalla speranza, ecco, risorge per x’irtù di questo
Amore ; « E siccome i fati lo dotarono di fanciullezza eterna, quindi
esso, convenientemente a questa sua na¬ tura, adempie per qualche modo
quel primo voto degli uomini, che fu di essere tornati alla condizione
della pue¬ rizia. Perciocché negli animi che egh si elegge ad
abitare, suscita e rinverdisce, per tutto il tempo che egh vi
siede, l’infinita speranza e le belle e care immaginazioni degli
anni teneri. Molti mortah, inesjierti c incapaci de’ suoi diletti, lo
scherniscono e mordono tutto giorno, sì lontano come presente, con
isfrenatissima audacia: ma esso non ode i costoro obbrobri; e quando gli
udisse, niun sup- phzio ne prenderebbe: tanto è da natura magnanimo
e mansueto ». Qui non c’ è satira, né riso, né fredda anahsi;
ma la più ferma fede e l’anima stessa del Poeta, che con la pietà
di Giove accenna già da lungi alla pietà di Elean- dro: e raccoghe in
questo suo magnanimo e mansueto amore tutta la infehcità degli uomini e
delle cose, e la purifica e sana nel gran mare tranquillo del cuore,
dove le illusioni rinverdiscono ad ora ad ora in una perpetua
giovinezza; e la vita vera non è quella dell’egoismo e della barbarie, ma
dell’affetto che lega le anime con nodi divini, e della bellezza, della
libertà, della patria, e di tutte le cose nobili e alte che fan grande
l’uomo. Questo amore, che dà piuttosto verità che ras¬
somiglianza di beatitudine, e ristaura tutta la vita umana, questo è il
vero spirito delle Operette morali. Pes¬ simista, sì, ma alla Pascal, che
disse; L’homme n’est qu’un roscau, le plus faible de la nature] mais
c’est un roseau pen- sant. Il ne faut pas que l’univers entier s’arme
pour l’écraser ; une vapeur, une gcmtte d'eau, suffit pour le tuer.
d/a/s, quand l’univers l’écraiserait, l' homme serait encore plus
noble que ce qui le tue, par ce qu’ il sait qu’ il meiirt, et l’avantage
que l’univers a sur lui] l’univers n’en sait rien\ sicché la grandeur de
l’homme est grande en ce qu’ il se connaU misérable E il Leopardi
nell’agosto del ’23, alla vigilia delle Operette, e quando il concetto di
esse era già ma¬ turo ; « Niuna cosa maggiormente dimostra la
grandezza e la potenza dell’umano intelletto, ossia 1 altezza e no¬
biltà deH’uomo, che il poter l’uomo conoscere e intera¬ mente comprendere
e fortemente sentire la sua piccolezza. Quando egli considerando la
pluralità dei mondi, si sente essere infinitesima parte di un globo che è
minima parte degh infiniti sistemi che compongono il mondo, e in
questa considerazione stupisce della sua piccolezza e pro¬ fondamente
sentendola e intensamente riguardandola, si confonde quasi col nulla, e
perde quasi se stesso nel pen¬ siero della immensità delle cose, e si
trova come smarrito nella vastità incomprensibile dell’esistenza; allora
con que¬ sto atto e con questo pensiero egli dà la maggior piova
della sua nobiltà, della forza e della immensa capacità della sua
mente, la quale, rinchiusa in sì piccolo e menomo essere. I
Pensées, NN. 347 e 397 (Brunschvicg). è jiotuta pervenire a
conoscere e intendere cose tanto superiori alla natura di lui, e può
abbracciare e con¬ tener col pensiero questa immensità medesima della
esistenza e delle cose » *. Questa coscienza dell’umana grandezza e
sovranità sulla trista natura il Leopardi non smarrì mai; ed è
l’anima di tutta la sua poesia, in cui queste Operette rientrano. E chi
voglia intenderle, deve nel loro insieme e in ogni singola parte che le
costituisce, aver l’occhio a questo punto centrale, da cui s’irradia la
luce che tutte le investe e compenetra. Tutte, ad eccezione del
Sallustio, che è negazione fredda, senza l’orrore, la ri- beUione
dell’animo, il dolore, sia pur mascherato da amaro sorriso, che si
diffonde in tutte le altre. E questo parmi il giusto motivo che indusse
l’autore a sopprimerlo. VII. Quando nel ’27 una nuova
ripresa della primitiva ispirazione diede il Copernico e il Plotino,
venutisi quindi ad aggiungere alle prime Operette già formanti un
orga¬ nismo, r ispirazione non era punto mutata. Giacché il
Copernico dimostra, secondo il detto dello stesso autore, la nullità del
genere umano; e la dimostra ripigliando un’ idea che contro i Timandri medievali
attardati aveano già nel Cinque e Seicento svolta Bruno nella Cena
delle ceneri e Galileo nei Massimi sistemi] donde la conclu¬ sione
necessaria che Porfirio ricava nell’altro dialogo (che sarebbe poi la
conclusione rigorosamente logica di tutta la parte negativa delle
Operette) : che sia ragio¬ nevole uccidersi. Ed egh vince a furia di
argomentare (movendo da premesse, che son quel che sono, ma a lui
paiono ben fondate) il suo stesso maestro, Plotino. Ma ' Pensieri,
V, 223; cfr. VII, 106. Plotino può opporgli una sapienza
assai più profonda più vera: «Sia ragionevole l’uccidersi; sia contro
ragion^ 1 accomodar l’animo alla vita : certamente quello è u ^
atto fiero e inumano. E non dee piacer più, né vuoP elegger piuttosto di
essere secondo ragione un mostr^' che secondo natura uomo ».
Perché contro natura e contro umanità il suicidio ancorché
conclusione di logica inesorabile? Porgiam ’ orecchio, dice Plotino,
«piuttosto aUa natura che alh ragione. E dico a quella natura primitiva,
a quella madre nostra e deU’universo; la quale se bene non ha
mostrato di amarci, e se bene ci ha fatti infelici, tuttavia ci è
stata assai meno inimica e malefica, che non siamo stati noi coir
ingegno proprio, colla curiosità incessabile e smisu¬ rata, colle speculazioni,
coi discorsi, coi sogni, colle opi¬ nioni e dottrine misere: e
particolarmente, si è sforzata ella di medicare la nostra infelicità con
occultarcene, o con trasfigurarcene, la maggior parte. E quantunque
sia grande 1 alterazione nostra, e diminuita in noi la jjo- tenza
della natura; pur questa non è ridotta a nulla né siamo noi mutati e
innovati tanto, che non resti in ciascuno gran parte dell’uomo antico. Il
che, mal grado che n’abbia la stoltezza nostra, mai non potrà
essere altrimenti. Ecco, questo che tu nomini error di com¬ puto;
veramente errore, e non meno grande che palpabile; pur si commette di
continuo; e non dagli stupidi so¬ lamente e dagl’idioti, ma
dagl’ingegnosi, dai dotti, dai saggi; e si commetterà in eterno, se la
natura, che ha prodotto questo nostro genere, essa medesima, e non già
il raziocinio e la propria mano degli uomini, non lo spegne.
E credi a me, che non è fastidio della vita, non disperazione, non
senso della nulhtà delle cose, della vanità deUe cure, della solitudine
dell’uomo; non odio del mondo e di se medesimo, che possa durare
assai: benché queste disposizioni dell’animo sieno ragionevolissime, e le
lor contrarie irragionevoli. Ma contuttociò, passato un poco di tempo,
mutata leggermente la dispo- sizion del corpo; a poco a poco, e spesse
volte in un subito, per cagioni menomissime, e appena possibili a
notare; rilassi il gusto della vita, nasce or questa or quella speranza
nuova, e le cose umane ripigliano quella loro apparenza, e mostransi non
indegne di qualche cura; non veramente all’ intelletto, ma sì, per modo
di dire, al senso dell’animo » •. E infine, conclude Plotino,
questo senso, non 1 ’ intelletto, è quello che ci governa. Sicché è
evidente che non la filosofia negativa, che spazia dal Dialogo d’ Ercole
e di Atlante fino al Cantico del Gallo silvestre e al Frammento di
Stratone, e poi nel Copernico, opera di puro intelletto, è la somma della
sapienza leo¬ pardiana; ma questa stessa filosofia in quanto dichiarata
stoltezza dalla natura e da questo « senso dell’animo ». Senso
dell'animo, che è sempre amore per il Leopardi. Giacché non la sola
natura ci riattacca alla vita, sì anche un bisogno d’amore, che a noi
spetta di alimentare: « E perché », chiede Plotino, « anche non vorremo
noi avere alcuna considerazione degh amici; dei congiunti di
sangue; dei figliuoli, dei frateUi, dei genitori, della moglie; delle
persone familiari e domestiche, colle quali siamo usati di vivere da gran
tempo; che, morendo, bisogna lasciare per sempre : e non sentiremo in
cuor nostro dolore alcuno di questa separazione; né terremo conto
di quello che sentiranno essi, e per la perdita di persona cara o
consueta, e per l’atrocità del caso ? ». E dice la parola, che si va
cercando attraverso tutte le Operette, ma di cui può dirsi quello stesso
che Tacito dell’ imma- * Il solo, a mia notizia, che abbia
rilevato l’importanza che questo «senso dell'animo» ha nel sistema dello
spirito leopardiano, come principio di redenzione dal pessimismo, è stato
il prof. Giovanni Negri, nelle sue Divagazioni leopardiane (6 volumi,
Pavia, 1894-99), passim, e specialmente voi. V, pp. lys-yy.
1gine di Bruto mancante ai funerali della sorella: prae- fulgebat
eo ipso gitoci non visebatiir. « E in vero, colui che si uccide da se
stesso, non ha cura né pensiero alcuno degli altri; non cerca se non la
utilità propria; si gitta per così dire, dietro alle spalle i suoi
prossimi, e tutto il genere umano: tanto che in questa azione del
privarsi della vita, apparisce il più schietto, il più sordido, o
certo il men bello e men liberale amore di se medesimo, che si
trovi al mondo ». Dunque quella grandezza non è infelicità;
perché l’uomo infelice dovrebbe darsi la morte; e si ucciderebbe se
vivesse per la felicità e si attenesse quindi al calcolo dell’utile. Ma
la vera vita è non sembianza, sì verità di beatitudine se è amore, in cui
l’uomo non distingue più sé dagli altri, né agli altri antepone più se
stesso. E questa è la A’irtù, la magnanimità, di cui parla tanto spesso
il Leopardi, che non è più il dolore incomportabile che ci fa
invidiare i morti, ma questo amore che ci stringe ai viventi, e ci
ammonisce dal fondo del nostro cuore di uomini, come Plotino con voce tremante
di affetto dice al suo Porfirio: «Viviamo, e confortiamoci a
vicenda; non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha
stabìhta, dei mali della nostra specie. Sì bene atten¬ diamo a tenerci
compagnia l’un l'altro; e andiamoci incoraggiando e dando mano e soccorso
scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della
vita». Questo amore, che ci regge e riempie la vita, ci conforta la
morte e ci abbellisce l’idea di questo mondo, da cui non spariremo senza
sopravvivere. « E quando la morte verrà, allora non ci dorremo: e anche
in quell’ultimo momento gli amici e i compagni ci conforteranno: e
ci rallegrerà il pensiero che, poi che saremo sjienti, così molte
volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora ». Vili.
Amore è la prima e l’ultima parola delle Operette. Le quali ebbero
ancora una ripresa, come dicemmo, nel '32, nei due dialoghi fiorentini:
il Venditore d’Alma¬ nacchi e Tristano. Nel primo ritorna il motivo del
Can- tico del Gallo silvestre. Il venditore d’almanacchi col suo grido
festoso annunzia l’anno nuovo, il tempo che ri¬ comincia, e risveglia le
speranze e promette. Ma il pas¬ seggero in cui s’incontra oppone la sua
fredda riflessione a quell’ impeto di vaghe e indefinite speranze, e lo
con¬ duce a considerare che « quella vita eh’ è una cosa bella, non
è la vita che si conosce, ma quella che non si co¬ nosce ; non la vita
passata, ma la futura ». La vita che si conosce è la passata, mista di
beni e di mali, e a cagione di questi ultimi tale che nessuno vorrebbe riviverla:
vita brutta, dunque. La futura è quella che non si conosce, e che sarà
egualmente brutta quando sarà passata; e sarebbe perciò non meno brutta,
se noi ce la vedessimo venire incontro quale in effetti sarà. Dunque ? Il
Leo¬ pardi non conchiude ; ma la conclusione è quella che viene
dalle Operette: sperare non è ragionevole, poiché, come cantava il Gallo
silvestre, già si corre alla morte; ma non sperare non si può; perché, è
evidente, il futuro sarà brutto quando sarà passato; ma bello è finché
fu¬ turo; né di questo futuro potrà mai tanto passarne che non ce
ne sia sempre dell’altro, in cui possa rifugiarsi la speranza, o innanzi
a cui non possa il Gallo intonare il suo canto consolatore. E la vita
resta sempre con queste due facce ; a vedersela innanzi, qual’ è, una
mi¬ seria disperante; a viverla, a \'iverci dentro col nostro
cuore, i nostri fantasmi, le nostre speculazioni e il no¬ stro amore, una
beatitudine divina. Il 1832 fu per Giacomo l’anno della tragica
prova della sua fede. Dopo dieci anni tornò la misera Saffo
a rivivere nel suo animo; non però luminosa immagine della fantasia,
come nell’ Ultimo canto, ma vita del cuore stesso di Giacomo.
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella Sei tu, rorida terra.
Airi di cotesta Infinita beltà parte nessuna Alla misera Saffo i
numi e l’empia Sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni Vile, o
natura, e grave ospite addetta, E dispregiata amante, alle
vezzose Tue forme il core e le pupille invano Supplichevole
intendo Non meno supplichevole Giacomo guarda ad Aspasia;
onde ricorderà: Or ti vanta, che il puoi.... .... Narra
che prima, E spero ultima certo, il ciglio mio Supplichevol
vedesti, a te dinanzi Me timido, tremante (ardo in ridirlo Di
sdegno e di rossor), me di me privo. Ogni tua voglia, ogni parola,
ogni atto Spiar sommessamente, a’ tuoi superbi Fastidi
impallidir.... * *. E cadde l’inganno, e la vita, orba d’affetto e
del gentile errore, fu « notte senza stelle a mezzo U verno ». Ma
Saffo proruppe nel grido disperato ; — Morremo ! — e violenta cercò
l’atra notte e la silente riva. Leopardi scrisse invece Amore e morte]
dove la morte non è più l’orrido Dite di Saffo, anzi si palesa in tutta
la sua gen¬ tilezza fino alla donzeUa timidetta e schiva. È sorella
d’Amore ; 1 Ultimo canto di Saffo (1822). * Aspasia
(1834). Bellissima fanciulla, Dolce a veder, non
quale La si dipinge la codarda gente. Gode il fanciullo
Amore Accompagnar sovente; E sorvolano insiem la via
mortale. Primi conforti d'ogni saggio core £ la morte
sospirata dall’amante, nel languido e stanco desiderio di morire, che si
sente Quando novellamente Nasce nel cor profondo Un
amoroso affetto, perché già a’ suoi occhi la vita diviene un
deserto: a se la terra Forse il mortale inabitabil
fatta Vede ornai senza quella Nova, sola, infinita Felicità
che il suo pensier figura; Ma per cagion di lei grave
procella Presentendo in suo cor, brama quiete. Brama raccorsi
in porto Dinanzi al fier disio. Che già. rugghiando, intorno
intorno oscura. E a questa morte consolatrice, che insieme con
amore è quanto di bello ha il mondo, a questa morte, senza armare
la mano, anzi con umile e mansueto animo, vol- gesi il Poeta con un sospiro
di religiosa preghiera: Bella morte, pietosa Tu sola al
mondo dei terreni affanni. Se celebrata mai F'osti da
me, s’al tuo divino stato L’onte del volgo ingrato Ricompensar
tentai. • Amore e morte (1832). Non tardar più,
t’inchina A disusati preghi. Chiudi alla luce ornai
Questi occhi tristi, o dell’età reina. Non già che amore e
morte abbian potere di cancellare la fatale infelicità: né che l’uomo e
il Leopardi abbiano mercé loro, a lodarsi del fato. Quando Morte
spiegherà le penne al suo pregare, lo troverà Erta la fronte,
armato, E renitente al fato. La man che flagellando si
colora Nel suo sangue innocente Non ricolmar di lode.
Non benedir.... La morte è consolatrice e liberatrice da
questo fato cru¬ dele: ma già Leopardi aspetta sereno quel dì ch’ei
pieghi addormentato il volto nel vergineo seno di lei; e il fato è
vinto nel suo animo gentile da questa aspettazione: vinto nella stessa
vita. E questo è Tanimo di Tristano; il quale, dopo avere con amara
ironia fatta la palinodia del suo libro, conchiude che il meglio sarebbe
di bru¬ ciarlo : « non lo volendo bruciare, serbarlo come un libro
di sogni poetici, d’invenzioni e di capricci malinconici, ovvero come
un’espressione dell’infelicità dell’autore»; perché, soggiunge al suo
amico Tristano, con accento che viene dal cuore e vibra di commozione, «
perché in confidenza, mio caro amico, io credo febee voi e felici
tutti gli altri; ma io, quanto a me, con licenza vostra e del secolo,
sono infebeisshno: e tale mi credo; e tutti i giornali de’ due mondi non
mi persuaderanno il contrario ». Egb è flagellato dallo stesso fato di
Amore e morte. «E di più vi dico francamente eh’ io non mi sottometto
alla mia infelicità, né piego il capo al destino, o vengo seco a
patti, come fanno gli altri uomini; e ardisco desiderare la morte, e
desiderarla sopra ogni altra cosa.... Né vi parlerei così se non fossi
ben certo che, giunta l’ora, il fatto non ismentirà le mie parole.... In
altri tempi ho invidiato gli sciocchi e gh stolti, e quelli che hanno
un gran concetto di se medesimi; e volentieri mi sarei cam¬ biato
con qualcuno di loro. Oggi non in\'idio più né stolti né savi, né grandi
né piccoli, né deboli né potenti. In¬ vidio i morti»: i morti di Ruysch,
già sicuri àzH’antico dolori E quest'invidia, questo desiderio intenso
della morte, è fiducia confortata da una speranza che non falhrà, e
che già allieta di sé Tanimo sottratto per lei a quella vita che è
dolore: a quella cosa arcana e stupenda, che i morti di Ruysch possono ricordare
senza tema, poiché è un passato irrevocabile: «Ogni immaginazione
piacevole, ogni pensiero dell’avvenire, ch’io fo, come accade nella mia
solitudine, e con cui vo passando il tempo, consiste nella morte»: che è
un avvenire, adun¬ que, quale il venditore di almanacchi lo
prometteva. In conclusione, ancora una volta, e sempre,
l’amore trionfa del dolore, anche nella morte, che ci libera infine
da quella vita che la natura e il fato danno all’uomo « di cedere inesperto
». Cederebbe il suicida egoista, non il magnanimo che allarga la sua
persona nell’amore, e guarda sereno alla morte amica che lo sottrarrà, e
lo sottrae, alla miseria di Saffo e dell’ Islandese. Quanta
differenza tra la morte di cui Ercole ragiona con Atlante 0 quella che s’incontra
nella Moda, al principio delle Operette) e questa morte, a cui l’animo si
volge desioso alla fine delle Operette stesse ! Il filo aureo che
dall’una conduce all altra è già nella Storia del genere umano'.
Amore figlio di Venere celeste. 'Vt ■** ^ ■ ' ^1
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. ‘yt --. 'lÉ^4. .' "*4 PROSA E POESIA NEL LEOPARDI . Questo
scritto fu pubblicato prima nel Messaggero della dome¬ nica, a. II, nn. 8
e 9, 23 febbraio e 2 marzo 1919: poi nei Frammenti di estetica e
letteratura, pp. 347-66. A proposito del Leopardi toma sempre in
campo la questione delia differenza e del rapporto tra filosofia e
poesia: poiché questo poeta voUe essere, e per certi rispetti nessuno può
negare sia stato infatti un filosofo; ma, d’altra parte, egli stesso pare
abbia voluto distin¬ guere una cosa dall’altra, come res dissociabiles, e
in un libro di prosa volle in forma più sistematica e più ra¬
zionalmente convincente esporre quel suo pensiero da cui traeva intanto
ispirazione il suo canto nelle poesie. E non importa se non ci sia una
sola delle sue poesie in cui il Leopardi non ragioni la sua fede e non si
sforzi di dimostrare la verità del concetto ch’egli s’era formato
della vita, e che attraverso una determinata situazione personale, un
paesaggio, un ’immagine, si sforza costan¬ temente di mettere in piena
luce. Non importa se nessuna delle prose raccolte nelle Operette morali
si presenti sotto la forma di scolastica dimostrazione e scevra di
quel sentimento, di quella viva commozione, in cui \dbra la
personalità del poeta così nelle Operette come nei Canti. La distinzione
pare tuttavia innegabile, poiché, non po- tenilo altro, se ne fa una
questione di quantità e di più e di meno: affermando che l’elemento
filosofico predomina nelle Operette, e l’elemento hrico nei Canti. E si
crede così di salvare la tesi generale, che bisogna rinunziare alla
filosofia per esser poeti, e viceversa: giacché la loro natura è così
diversa e ripugnante, che l’una non può esser l’altra e una sempre deve essere
sacrificata. Ma io non voglio ora affrontare la questione,
che potrà sembrare tanto teoricamente difficile e dehcata
li. — Gkntilk, Òfamoni e Leopardi.
quanto praticamente inutile e oziosa. Nel caso del Leo¬ pardi la
questione di principio è priva d’ogni interesse, perché il Leopardi,
anche nelle sue prose, è indubbiamente poeta ; temperamento poetico
sempre, che, canti o ragioni, cioè si proponga Luna o l’altra cosa, in
realtà non riesce se non ad esprimere se stesso; a vivere di quella verità
che gli invade l’anima e non gli lascia modo di dubitare e di
assoggettarla a quella più alta razionalità, a quella critica oggettiva
che s’inquadra in un sistema, e in cui consiste propriamente una
filosofia *. 11 che non vuol dire che non abbia anche lui la sua
filosofìa; ma è una filosofìa fatta vita e persona, fatta vibrazione e
ritmo del suo stesso sentimento, incapace come tale d’acquistare
intera coscienza di sé, e perciò di superarsi. E, cioè, un certo suo
atteggiamento spirituale, che s’effonde nella divina ingenuità della
poesia, e che riesce perciò superiore a quella dottrina che l’autore si
sforza consapevolmente di formulare. Superiore perché, —
ormai è noto agh studiosi più attenti della sua poesia — questa ha pel
poeta un conte¬ nuto pessimistico, e per noi, invece, ha un
contenuto ottimistico. La vita infelice, necessariamente e fatal¬
mente infelice, è ciò che il poeta aveva innanzi agli occhi, vedeva e si
proponeva di cantare. Ma poiché quella \nta che ogni poeta canta non è
quella che ha innanzi agli occhi, bensì quella che ha dentro al cuore, e
però ogni poeta canta non la vita quale egli la vede, ma il cuore
con cui egli la guarda; e poiché il cuore di Giacomo Leo¬ pardi era, come
egli disse una volta, << nato ad amare », ed aveva « amato, e forse
con tanto affetto quanto ]iuò mai cadere in anima vdva », così, in
realtà, tema del suo I Vedi ora il mio scritto Arte e religione,
nel Giorn. crii. d. filos- Hai., T (1920), pp. 262-76; e nel voi. Dante e
Manzoni, Firenze, Vai- lecchi, 1923. MANZONI E
LEOPARDI 163 canto non fu mai quella brutta vita, che
è piena di do¬ lore, ma quell’altra che egli più profondamente
sentiva, redenta dall’amore, la quale «dà piuttosto verità che
rassomiglianza di beatitudine » Poiché appunto qui è il divario tra
pessimismo e ot¬ timismo: che il primo vede la vita quale apparisce
nella natura considerata dal punto di vista materialistico,
brutale, sorda ai bisogni e alle finalità dello spirito, chiusa in sé di contro
alle aspirazioni dell’anima umana biso¬ gnosa di amore e di consenso,
ossia di un mondo conforme alla sua vita e a lei consentaneo; e l’altro
invece crede nello spirito, nel valore de’ suoi ideali, e
nell’energia dell’amore che sola è capace di reahzzare un tale
valore. 11 mondo del pessimista è il mondo dell’egoismo, per cui il
dovere e la \nrtù sono mere illusioni, e il mondo del¬ l'ottimista è il
mondo in cui la più salda e vera realtà è quella che risponde alle esigenze
dell’animo. E la verità è questa: che il Leopardi, pessimista di
filosofia, e ijuasi alla superficie, fu invece ottimista di cuore, e nel
pro¬ fondo dell’animo: tanto più acutamente pessimista, col
progresso della riflessione, e tanto più altamente e uma¬ namente ottimista.
Basta confrontare la canzone Al- /’ Italia con La Ginestra. Di qui la
sublime bellezza della sua poesia, dove la bestemmia e lo strazio della
dispe¬ razione si smorzano e dissolvono nella commossa e tenera
effusione di un’anima angosciosamente agitata da un bisogno di amore
universale e da un’ incoercibile fede nella virtù e nella realtà dell’
ideale. Egli non ha la filo¬ sofia di questo superiore ottimismo in cui
rimane assor¬ bita la sua iniziale visione pessimistica; e continua a
dire che la sua è sempre la filosofia del Bruto Minore^-, ma
l’anima, che non perviene al concetto filosofico di quella '
storia del genere umano. - Lett. al De Sinner del 24 maggio
1832. realtà che è per lei la vera e suprema realtà,
raggiungo bensì la forma poetica della sua espressione in modo
pieno e perfetto. Se cerchiamo in lui il filosofo, avremo lo
scettico, ironista, materialista piuttosto mediocre nell’
invenzione, dove riesce facile scoprire quanto egli debba ai libri
che lesse, e come pronto fosse ad attingere dalle fonti ph,
disparate tutto ciò che comunque paresse giovare a con¬ ferma delle sue
idee: mediocre nell'esposizione od ela¬ borazione della materia, per
evidente inesperienza del metodo lìlosofìco e insufficiente familiarità coi
grandi pensatori di tutti i tempi. Ma chi legga il Leopardi e si
fermi a ciò che in lui è mediocre, non ha occhi né anima per vedere che
cosa c’ è propriamente in lui che è vivo ed eterno e grande: ciò per cui
anche a chi pedanteggi la sua poesia s’impone e suscita un’eco solenne
nell’animo. In questo senso bisogna pur dire che in Leopardi non si
deve cercare e non c’ è il filosofo: ma c è un anima, che rifulge in
tutto lo splendore della sua grandissima uma¬ nità. C’ è insomma il
poeta. Anche nelle sue Operette. Le quali io credo di avere
definitivamente dimostrato \ con argomenti esterni, at¬ testanti nella
maniera più esplicita 1’ intenzione di esso il Leopardi, e con argomenti
interni, desunti dallo svol¬ gimento del pensiero e dagli evidenti legami
onde le singole operette sono congiunte tra loro per graduali
passaggi di atteggiamenti spirituali e di sentimenti dal primo all’ultimo
anello, che non sono una raccolta, ma un organismo, un tutto unico, che
si articola dentro di se stesso e si conchiude. Si conchiude tra un
preludio e un epilogo in una opera, che è un poema, e non è un
trattato: un libro di poesia, anch’esso, e non di conte¬ nuto didascalico
e speculativo. Il quale si compone 01 i- I Vedi il capitolo
precedente. MANZONI E LEOPARDI 165
ginariamente di venti capitoli, scritti tutti nel 1824, in un anno di
lavoro felice, ma con un intervallo tra i primi quattordici e gli altri
sei: in guisa da suggerire il so¬ spetto che la ripresa, da cui trasse
origine Tultima parte, svolgendosi in sei capitoli, potesse trovare
riscontro nella prima serie: dalla quale sottraendo il primo e
l’ultimo capitolo, quello perché introduzione e questo perché
apologia e conchiusione di tutta la serie, si ottengono infatti dodici
capitoli, che naturalmente si dividono in due gruppi di sei capitoli
ciascuno; e ciascun gruppo è destinato a svolgere un certo motivo, e
quindi forma un ritmo a sé. Sospetto confermato da alcuni
spostamenti dall’autore introdotti nel primitivo ordine
cronologico, e poi costantemente mantenuti, salvo una sostituzione
che nella terza edizione del libro (1834) mise uno scritto del 1825, per
l’innanzi non potuto mai pubbhcare, al posto di un capitolo del primo
gruppo: capitolo abolito allora perché infatti non armonico né col
gruppo, né con tutta l’opera. La distribuzione, è ovvio, non
può avere se non una importanza relativa. £ ragionevole pensare che
fosse voluta e curata dall’autore. Il quale egualmente non volle
mai rispettare l’ordine cronologico nelle edizioni da lui curate dei
Canti, e diede loro un ordinamento ideale, che per lui aveva un \'alore,
e che per i lettori ed inter¬ preti non può essere perciò trascurabile.
Ma il fatto stesso che tutte e venti le operette furono scritte
successiva¬ mente, l’una dopo l’altra, nello stesso periodo di
tempo, e hanno tutte un prologo generale e un unico epilogo,
dimostra evidentemente che i loro singoli gruppi non si possono
considerare separatamente, quasi ognun d’essi formasse un tutto a
sé. La distribuzione del nucleo principale delle Operette in
tre gruppi di sei capitoli ciascuno, con a capo un ca¬ pitolo
introduttivo e in fondo un altro capitolo conclusivo, può servire soltanto a
renderci attenti per leggere le varie parti del libro cercandovi tre
motivi fondamentali che nel pensiero deU’autore si fondo no in un
solo ritmj complessivo, e formano l’unità organica del libro; e in
questo modo può servire quasi di chiave a un libro, che fino a ieri si
leggeva qua e là, scegliendo l’uno o l’altro capitolo, come se ciascuno
stesse da sé. E non occorre dire che ci vuole discrezione, e non bisogna
pretendere un taglio netto tra un gruppo e l'altro, e una soluzione
di continuità che non si sa perché l’autore avrebbe do¬ vuto introdurre
una prima e una seconda volta nel corso della sua unica opera.
Discrezione che non vedo, per esempio, nel professor Faggi ',
quando del Dialogo di Malambrmio e Farfarello che resta collocato alla
fine del primo gruppo e da ser¬ vire quindi come passaggio al secondo, mi
domanda: « Ma non potrebbe stare anche nel secondo, poiché è una
affermazione chiara ed esplicita dell’ infelicità as¬ soluta
dell’esistenza, onde si conchiude che, assoluta- mente parlando, il non
vivere è sempre meglio del vi¬ vere ? ». Ma io non avevo eretto nessuna
muraglia tra il primo gruppo concluso da questo dialogo di
Malambruno e Farfarello e il secondo aperto da quello della Natura
e di un’Anima: anzi, dopo aver mostrato il pensiero dominante nel primo
gruppo, additavo in Malambruno quell’anima che si ritrova di fronte alla
Natura al prin¬ cipio del nuovo ciclo; e tra i due dialoghi successivi
non un salto, anzi un passaggio naturale e come insensibile ove non
si osservi che quella che nel primo ciclo è una constatazione,
un'osservazione di fatto, diventa nel se¬ condo ciclo il problema.
Il Faggi, tratto forse in inganno da alcune parole * Una
nuova edizione delle fn Operette movali n di G. L., nel Mar¬ zocco del 2
febbraio 1919. MANZONI E LEONARDI 167
da me usate incidentalmente, mi fa dire che la diffe¬ renza tra
primo e secondo periodo in questa trilogia delle Operette consisterebbe,
secondo me, in ciò: che nel primo « r infelicità del genere umano si
considera parti¬ colarmente nell’età moderna come effetto più che
altro della volontà pervertita dell’uomo e della civiltà », e nel
secondo invece, « questa infelicità si considera come legge
imprescindibile e ineluttabile dell’umanità o del mondo in genere»; sicché
«la Natura, che nella prima ipotesi apparisce fonte in se ancora
inesausta di vita e di fehcità, apparisce invece nella seconda vero
principio di ogni male e di ogni dolore ». Cotesta sarebbe la
nota differenza osservata dallo Zumbini tra la prima fase « storica » del
pessimismo leopardiano, e la seconda metafisica o cosmica. Ma non
corrisponde per l’appunto alla distinzione da me indi¬ cata, tra il
concetto del primo e quello del secondo gruppo delle Operette. Nel primo,
io dissi, l’animo del poeta vien posto in faccia alla morte e al nulla :
« ossia al vuoto della vita, non più degna d’essere vissuta; poiché
degna sarebbe la vita inconscia, e la vita dell’uomo è senso,
coscienza. La vita nella fehcità è la natura; e l’uomo se ne dilunga ogni
giorno più con la civiltà, con l’irre¬ quieto ingegno, che assottiglia la
vita, e la consuma ». Qui il pessimismo storico è già superato, e
Malam- bruno può dire che « assolutamente parlando » il non vivere
è meglio del vivere. Lo può affermare, perché la vita umana, fin da
principio e per sua natura, è senso, coscienza, e si è strappata a quell’
ingenuità istintiva e affatto inconsapevole, che è pura animalità. « Può
pa¬ rere », scrissi io, « che la morte dell’umanità, la sua nul-
htà o infelicità sia, nei dialoghi del primo gruppo, una colpa dei
degeneri nepoti » : poiché infatti civiltà è au¬ mento progressivo di
coscienza e di pensiero. Ma in realtà, fin dalle origini, insieme col
sapere, che fa uomo l’uomo. c’ è già il dolore, ed il destino
dell’uomo è fissato. Ma- lambruno perciò è benissimo al suo luogo alla
fine del primo ciclo. Il secondo ciclo ricava la conseguenza
pratica della verità scoperta nel primo. E si apre infatti col
Dialogo della Natura e di un’Anima, nel quale dalla proporzione del
dolore con la grandezza dell’uomo (il cui progresso e perfezione consiste
nell’acquisto di sempre maggior copia di sentimento che gli fa sentire
sempre più acuto il dolore dell’esistenza) deduce, che dunque è
meglio spogliarsi deU’umanità, o delle doti che la nobilitano, e
farsi « conforme al più stupido e insensato spirito umano * che la natura
abbia mai prodotto in alcun tempo. Negare l’umanità, rinunziare a ciò che
fa il pregio della \ùta, rinunziare ad affiatarsi con la Natura
indifferente, che ci respinge da sé, ossia rinunziare alla vita: e
rassegnarsi alla vita vuota, al tedio, all’ inerzia. Laddove il
primo ciclo addita aU’uomo l’abisso che con la coscienza s’è aperto
tra lui e la natura, il secondo gli fa sentire il de¬ stino a cui gli
conviene di rassegnarsi, rinunziando a quella natura che non è per lui, e
a quella vita che sol¬ tanto nella natura potrebbe spiegarsi.
Il primo ciclo è una negazione, per così dire teo¬ retica; il
secondo è la negazione pratica, che consegue dalla prima negazione. La
conclusione dovrebbe essere quella di Bruto minore e di Saffo, il
suicidio; non ò però la conclusione del Leopardi, il quale non finisce
con r Ultimo canto di Saffo, ma con la Ginestra. E perché quella di
Bruto non sia la sua conclusione è detto nel terzo ciclo delle Operette.
Il quale svolge questo motivo: che quella vita che certamente non ha
valore, perché è dolore e perciò negazione della vita che noi
vorremmo vivere, ripullula rigogliosa e incoercibile dalla sua
stessa negazione. La \àta è abbarbicata aH’anima umana; e
questa, attraverso le attrattive e le lusinghe della gloria, la
stessa contemplazione della morte liberatrice, porto sicuro da
tutte le tempeste, come la cantano i morti di Ruysch, attraverso una
filosofia che sappia intendere e sorridere con la magnanimità bonaria di
un Ottonieri, attraverso gli stessi rischi in cui la vita si perde e si
riconquista col gusto di una cosa nuova, e in generale attraverso
l’attività, il movimento, la passione e la speranza che non vien mai
meno; ma sopra tutto, attraverso l’amore che ci fa ricercare nell’uomo,
neW’umana compagnia, quello che la natura ci nega anche nella piena
coscienza della propria infelicità fatale e immedicabile, vive e sente
la gioia d’una vita che trionfa del destino fatto all’uomo dalla
natura. Una soluzione dunque del problema della vita nei tre
cicU delle Operette morali c’ è. Ma è una filosofia ? È evi¬ dente che
no: perché la via che filosoficamente si do¬ vrebbe seguire per superare il
pessimismo radicale dei primi due cich è, senza dubbio, quella per cui
l’anima dello scrittore si avvia e spontaneamente e vigorosamente
procede nel terzo; ma questo non è una dottrina, bensì 10 slancio
naturale dello spirito che risorge con tutte le sue forze dalla negazione
pessimistica. E il pessimismo, in linea di teoria, rimane la verità
assoluta e insuperabile. 11 Leopardi sente bensì e vive la verità
superiore, ma non riesce a darle forma riflessa e speculativa. Egli
spe¬ rimenta in sé ed attesta coi moti del suo animo la po¬ tenza
dello spirito, che anche nell’uomo che s’imma¬ gina scliiavo e vittima
della natura, trionfa della forza tirannica e feroce di questo brutto
potere, e vive, e gusta la gioia di questa sua vita in cui consiste la
realtà dello spirito. E in questo balsamo, che il suo animo sparge
così su tutte le piaghe che ha aperte e che ha fissate inorridito, in
questa dolcezza che sana ogni dolore, in quest’ idealità che sopravvive a
ogni negazione, qui la personalità, qui è la poesia del Leopardi. Così,
ripeto nelle Operette, come nei Canti. Si rilegga
l’affettuosa parlata di Eleandro onde si conchiuse da prima tutta la
serie delle Operette-, o il di. scorso di Plotino, con cui il libro tornò
ad essere suggei. lato nelle aggiunte posteriori; e si neghi, se è
possibile, che il centro e l’accento principale dello spirito
leojiar- diano è in quel « senso dell’animo », com’egli dice, che,
agli occhi suoi, lega l’uomo all’uomo, e con l’amore, vin- colo soave
insieme ed eroico, instaura un ordine morale inespugnabile a ogni
riflessione scettica, e superstite infatti (coni’ è detto nella Storia
del genere umano) a quella fuga di tutti i lieti fantasmi che è prodotta
dal sorgere della verità tra gli uomini. L’animo del Leopardi, come
quello di Porfirio, non si scioglie dalla vita, anzi vi si stringe
vieppiù, e la trova, malgrado tutto, degna d’esser vissuta, per quel che
dice appunto Plotino: «E perché non vorremo noi avere alcuna considerazione
degli amici; dei congiunti di sangue; dei figliuoli, dei fratelli, dei
genitori, della moglie; delle persone familiari e domestiche, colle quali
siamo usati di vivere da gran tempo: che morendo, bisogna lasciare per
sempre: e non sentiremo in cuor nostro dolore di questa
separazione; né terremo conto di quello che sentiranno essi, per la
perdita di persona cara e consueta, e per l’atrocità del caso ? ». Questo
non è un argomento filosofico, ma un cuore che trema in ogni parola; e
ogni parola si sente come velata dal pianto dell’anima che il dolore apre
ed espande nell’amore. — Ma è proprio vero, torna a
domandarmi il profes¬ sor Faggi, che amore sia la prima e l’ultima parola
delle Operette ? — Ecco: che la Storia del genere umano faccia
consistere tutto il pregio, la bellezza e la felicità della vita
nell’amore, mi pare sia così chiaro dalle ultime pagine del mito, che nessuno
possa dubitarne. E non vedo che ne dubiti lo stesso Faggi. Il quale
dubita piuttosto che amore sia l’ultima parola del libro. Non gli pare
che sia nella prima forma di questo, quando finiva col Dialogo a
Timandro e di Eleandro\ né che sia nella forma defi¬ nitiva, quando
all’ultimo posto fu collocato il Dialogo di Tristano e di un Amico. La
compassione di Eleandro, egli dice, « non è amore : tant’ è vero che
questo dialogo dovea dapprincipio intitolarsi Misénore e Filénore,
e Mis nore, cioè odiatore dell’uomo, doveva essere il Leo¬ pardi ».
Ma il Faggi non ha badato che (come avrebbe potuto vedere da tutte le
varianti che io ho tratte dal¬ l’autografo) cotesto titolo, poi mutato
dall’autore nel¬ l’altro con cui pubblicò il dialogo, non solo fu
ideato quando ancora il dialogo era da scrivere, ma mantenuto fino
alla fine della composizione del dialogo stesso. Sicché il concetto di
Mist'nore è puntualmente quel medesimo che vediamo incarnato in Eleandro:
in chi cioè non si oppone propriamente all’amatore degli uomini, ma
si oppone soltanto a chi, anzi che Filénore, merita d’esser detto
Timandro, perché eccessivamente valuta, col domma della perfettibilità
progressiva, il potere umano di impa¬ dronirsi della feheità. L’uomo del
Leopardi non è l’uomo vantato e millantato dagl’ illuministi del secolo
XVIII e dai progressisti del suo secolo: l’uomo dalle magnifiche
sorti e progressive del Mamiani: è l’uomo vittima della natura e però
degno di compassione. La compassione non è amore; certo. Ma ne è la
ra¬ dice. E perciò Giove, mosso da pietà, nella Storia del genere
umano, manda Amore fra gli uomini. Perché solo l’amore lenisce i dolori,
per cui si commisera l’infelice ; e se Eleandro, dopo aver protestato con
un grido che gli si sprigiona dal più profondo del cuore: «Sono
nato ad amare, ho amato, e forse con tanto affetto quanto può mai
cadere in anima viva », soggiunge : « Oggi non mi vergogno a
dire che non amo nessuno, fuorché nie stesso, per necessità di natura, e
il meno possibile»- l’aggiunta è un’asserzione voluta dalla coerenza del
si' sterna pessimistico della vita che Eleandro oppone al dommatico
ottimismo di Timandro; ma si smentisce subito continuando : « Con tutto
ciò sono solito e pronto a eleggere di patire piuttosto io, che esser
cagione di pa¬ timenti ad altri ». E questa è compassione, che è
pnrg una sorta di amore. Che se Tristano non sa più pensare
se non alla morte questa morte (come credo di aver chiarito
abbastanza col riscontro di quel dialogo con i canti dell’amore
fio¬ rentino, Aspasia e Amore e morte), non è la disperazione della
vita, cantata da Bruto minore e da Saffo, ma è la bellissima fanciulla
che Gode il fanciullo Amore Accompagnar sovente;
la bella morte, pietosa, sospirata in quel languido e stanco
desiderio di morire che sorge col nascere d’un amoroso affetto. E r
ironia, così nel Timandro come nel Tristano, non è rivolta contro la vita
confortata dall’amore, bensì contro quel volgare ottimismo che parla il
fatuo lin¬ guaggio di Timandro e deH’amico di Tristano. Vero
è che per leggere Leopardi non bisogna tanto badare a quello che egli
dice, ma al modo piuttosto in cui lo dice, al tono delle sue parole, in
cui propriamente consiste la sua anima, e quindi la vita e il valore
della sua prosa. Che io perciò desidero considerare più come poesia
che come argomentazione. E perciò non posso accettare quel che il Faggi
dice del Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare e dell’
Elogio degli uccelli. Come mai, mi domanda del primo, «appartiene
al secondo gruppo e non al terzo ? Anche questo dialogo è senza
dubbio.... una ricostruzione; e, per questo lato. vale il Dialogo
di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez ». Infatti, egli osserva, «
non dee spaventare la differenza che c’ è fra un uomo chiuso nelle
quattro mura d’una prigione e un altro che corre a vele spiegate 1’
Oceano infinito. 11 Tasso prova nello spirituale colloquio col suo
Genio familiare press’a poco la stessa soddisfazione che il grande
Genovese nel suo fortunoso viaggio. Tutt’e due han trovato la maniera di
fuggire la noia, questa com¬ pagna indivisibile dell’esistenza. Quando
altro frutto non ci venga da questa navigazione, dice Cristoforo
Colombo a Pietro Gutierrez, a me pare che ella ci sia profitte¬
volissima in quanto che per lungo tempo essa ci tiene Uberi dalla noia,
ci fa cara la vita, ci fa pregevoli molte cose che altrimenti non avremmo
in considerazione. E il povero Tasso ha ricevuto tale conforto dalla
con¬ versazione col suo Genio, che, si può ritenere, il consigUo da
questo datogli di ricercarlo, ov’ei lo voglia, in qualche Uquore
generoso, non andrà perduto. Tutt’e due, tra fantasticare o navigare, van
consumando la vita: non con altra utiUtà che di consumarla; che questo è
l’unico frutto che al mondo se ne può avere: e l’unico ‘intento che
l’uomo deve proporsi ogni mattina in sullo sve¬ gliarsi ’ ».
Ora tutto ciò, se si guarda alla nota fondamentale dei due
dialoghi, non credo si possa sostenere. Lo spunto del Colombo ci è
indicato dallo stesso Leopardi, che, come io ho mostrato, aveva prima
concepito questo scritto col titolo di Salto di Leucade\ e il senso o
nucleo del dia¬ logo va quindi cercato nel passo che segue alle
parole citate dal Faggi, dove Colombo dice: « Scrivono gU antichi,
come avrai letto o udito, che gli amanti infelici, gittan- dosi dal sasso
di Santa Maura (che allora si diceva di Leucade) giù nella marina, e
scampandone, restavano per grazia di Apollo, liberi dalla passione
amorosa. Io non so se egli si debba credere che ottenessero questo
effetto; ma so bene che, usciti di quel pericolo, avranno per un poco di
tempo, anco senza il favore di Apollo avuta cara la vita, che prima
avevano in odio; o pm-g avuta più cara e più pregiata che innanzi.
Ciascuna na vigazione è, per giudizio mio, quasi un salto dalla
rupe di Leucade; producendo le medesime utihtcà, ma pj(, durevoli
che quello non produrrebbe; al quale, per questo conto, ella è superiore
assai. Credesi comunemente che gli uomini di mare e di guerra, essendo a
ogni poco in pericolo di morire, facciano meno stima della vita
pro¬ pria, che non fanno gli altri della loro. Io per Io stesso
rispetto giudico che la vita si abbia da molto poche per¬ sone in tanto
amore e pregio come da’ navigatori e soldati ». Non il
consumai'e la vita è l'utilità del rischio, a cui Colombo espone sé e i
suoi marinai, ma la gioia di riaf¬ ferrarsi aUa vita che nell’oceano
sterminato si teme sfug¬ gita per sempre: il gusto che si prova per ogni
piccolo bene, appena ci paia di averlo perduto, se lo riacqui¬
stiamo. 11 Colombo è questa gioia del pericolo vinto, ma che bisogna
perciò affrontare per vincerlo. Il Tasso è tutt’altra cosa. Il
navigatore pregusta il piacere della vista di un cantuccio di terra: ma
il povero prigioniero non conosce né spera mutamento alla sua
sorte, e lasciando, com’egli dice, anche da parte i dolori, la noia solo
lo uccide. La noia, di cui egli può parlare perché ne ha esperienza; ma
che gh pare il destino uni¬ versale degh uomini, quasi la sua prigione
fosse simbolo della natura, che circonda e chiude dentro di sé
l’uomo: « A me pare che la noia sia della natura dell’aria : la
(juale riempie tutti gli spazi interposti alle altre cose matcriah, e
tutti i vani contenuti in ciascuna di loro: e donde un corpo si parte, e
l’altro non gli sottentra, quivi ella succede immediatamente. Così tutti
gl’ inter¬ valli della vita umana frapposti ai piaceri e ai
dispiaceri, sono occupati dalla noia. E però, come nel mondo mate¬
riale, secondo i Peripatetici, non si dà vóto alcuno; così nella vita
nostra non si dà vóto : se non quando la mente per qualsivoglia causa
intermette l’uso del pensiero. Per tutto il resto del tempo, l’animo,
considerato anche in se proprio e come disgiunto dal corpo, si trova
con¬ tenere qualche passione; come quello a cui l’essere vacuo da
ogni piacere e dispiacere, importa essere pieno di noia; la quale anco è
passione, non altrimenti che il dolore e il diletto ». Che
egli consumi pure un po’ di tempo nel colloquio col suo Genio, è vero. Ma
lo consuma senza dolcezza, ]ier confermarsi nella convinzione della sua
immedicabile tri¬ stezza: «Senti. La tua conversazione mi riconforta pure
as¬ sai. Non che ella interrompa la mia tristezza, ma questa per la
più parte del tempo è come una notte oscurissima, senza luna né stelle ;
mentre son teco, somiglia al bruno dei crepuscoli, piuttosto grato che
molesto. Acciò da ora innanzi io ti possa chiamare o trovare quando
mi bisogni, dimmi dove sei solito di abi¬ tare ». Il Genio
risponderà con amara ironia che la sua abi¬ tazione è in qualche liquore
generoso. Ma il Faggi crede sul serio che ci sia qui un consiglio da
prendersi alla let¬ tera ? « Cruda ironia », scrisse il Della Giovanna,
che ebbe pure la strana idea di cercare negh scritti del Tasso
l’eventuale fondamento storico di questo tratto. Il quale, per chi legga
la prosa leopardiana con animo sensibile all’angoscia desolata che vi è
sparsa dentro, non può significare altro che un realistico strappo che 1
autore vuol dare alla stessa poetica illusione consolatrice del- r
infelice prigioniero. E porgendo l’orecchio all’accento commosso
dello scrittore io credetti di poter dire 1 Elogio degli uccelli
lirica stupenda sgorgata al Leopardi dal pieno petto al guizzo d’una immagine
lieta e ridente, e come un canto di gioia. No, oppone il Faggi, « è un
elogio degli uccelli un’opera non d’ispirazione, ma, in massima parte
(jj riflessione; benché questa sia ravvivata dal soffio della
poesia inerente al soggetto. Il Leopardi non intendeva di fare altro ».
Piuttosto egli penserebbe al Passero no litario) ma avverte subito da sé
il carattere del tutto estrinseco del ravvicinamento, e nota che « anche
quello non è un canto di gioia ». Anche nell’ Elogio, secondo il
Faggi, il Leopardi è filosofo, e non è poeta. « Non ha creduto di
spogliare del tutto la giornea del filosofo- che anzi egli parla per
bocca di un Amelio, filosofo soli¬ tario come egli dice, che si potrebbe
credere il neopla¬ tonico, scolare di Plotino, se non lo cogliessimo a
citare Dante e Tasso. .Scrive, e ha davanti i suoi libri, soprat¬
tutto le opere del Buffon; si difende in una lunga digres¬ sione
sull’origine e la natura del riso, suggeritagli dal¬ l’osservazione che
il canto è, come a dire, un riso che fa l’uccello ; e, intorbidando
l’immaginazione lieta e se¬ rena in cui l’animo suo volea riposarsi, si
lascia attrarre a considerare il riso umano nello scettico, nel pazzo
e nell’ebbro; che non è più manifestazione sincera, o spon¬ tanea
dell’animo, e non ha jùù quindi relazione col canto degli uccelli
». Donde s’avrebbe a concludere che il Leopardi abbia voluto
scrivere sul serio l’elogio degli uccelli, propo¬ nendosi una tesi
ritenuta da senno per vera, e industrian¬ dosi di dimostrarla nel miglior
modo per tale. — No, per Dio, non mi prendete alla lettera —
ci ammonirebbe il poeta. Il quale ad altro proposito scri¬ veva al
padre scandalizzato dalle forme pagane di Gia¬ como : « Io le giuro che
l’intenzione mia fu di far poesia in prosa, come s’usa oggi, e però
seguire ora una mito¬ logia ed ora un’altra ad arbitrio; come si fa in
versi, senza essere perciò creduti pagani, maomettani, buddisti ecc.
» Senza essere creduti perciò zoologi o filosofi, possiamo aggiungere
noi. — E del resto a quella conclu¬ sione io non credo che il Faggi abbia
voluto andare in¬ contro intenzionalmente, poiché egli pure vede «
l'ima¬ ginazione beta o serena in cui l’animo del Leopardi volea
riposarsi » ; e rispetto alla quale gli uccelli non sono dav¬ vero gli
uccelli dello zoologo; ancorché nella tessitura dell’ Elogio l’autore si
giovi spesso di reminiscenze delle sue letture del Buffon (che è poi un
poeta, anche lui, della storia naturale) ; ma sono appunto un’
immagine, simbolo di quella vita piena d’impressioni, che non co¬
nosce tedio, anzi è tutta una gioia. La cui espansione e penetrazione nel
cuore del poeta si vede bene dove a questo si svegha nell’animo un senso
di gratitudine verso quella Provvidenza, che volle il dolce canto degli
uccelli a conforto degli uomini e d’ogni altro vivente. «Certo fu
notabile prowedimento della natura l’assegnare a un medesimo genere di
animali il canto e il volo; in guisa che quelli che avevano a ricreare
gli altri viventi colla voce, fossero per l’ordinario in luogo alto,
donde ella si spandesse all’ intorno per maggiore spazio e
pervenisse a maggior numero di uditori. E in guisa che l’aria, la
quale si è l’elemento destinato al suono, fosse popolata di creature
vocali e musiche. Veramente molto conforto e diletto ci porge, e non
meno, per mio parere, agli altri animali che agli uomini, l’udire il
canto degli uccelli ». La prosa tranquilla e contenuta vuol essere
nella sua forma esteriore l’eloquio didascalico di un filosofo, ma
tanto più perciò essa fa sentire la dolcezza gioiosa che vi si agita
dentro, con quella stessa mobilità irrequieta, che fa dal poeta
contrapporre all’ozio pigro e sonnolento degli uomini la vispezza dei
volatili. « Gli uccelli per lo con¬ trario, pochissimo soprastanno in un
medesimo luogo; van- I Episiol., lett. 703. 12. —
Gentile, Manzoni e Leopardi. no e vengono di continuo senza necessità
veruna ; usano T volare per sollazzo; e talvolta, andati a diporto più
cen tinaia di miglia dal paese dove sogliono praticare, i] medesimo
in sul vespro vi si riducono. Anche nel piccol tempo che soprasseggono in
un luogo, tu non h ved^ stare mai fermi della persona; sempre si volgono
cjua I là, sempre si aggirano, si piegano, si protendono, si croK
lano, si dimenano; con quella \ds]iezza, queU'agUità quella prestezza di
moti indicibile ». E con la stessa intenzione del contrasto tra
l’espo¬ sizione solenne e dotta del filosofo e il sentimento che ’
deve vibrare dentro, si spiegano i ricordi anacreontd che il Faggi dice
eruditi e freddi, e che tali vogliono es¬ sere infatti, nella conclusione
dell’ Elogio, nel desiderio finale di Amelio: «.... Similmente io vorrei,
per un poco di tempo, essere convertito in uccello, per provare
quella contentezza e letizia della loro vita ». Ultime parole dell’
Elogio, che ne sono quasi la chiave, e che reca me¬ raviglia non vedere
intese esattamente nepjmr dal Faggi Già il Della Giovanna, che, mi
rincresce dirlo, troppo pedanteggiò irriverentemente nel suo commento
erudito ma offuscatore assai più spesso che rischiaratore del ni¬
tido pensiero leopardiano, postillò: n Per un poco di tempo. Meno male !
chè dopo la vantata perfezione degli uccelli, c era da aspettarsi una
conclusione meno re¬ strittiva ». E il Faggi rincara: «Fa quasi
sospettare che Amelio non sia riuscito a convincere pienamente se
stesso, o il suo entusiasmo non sia stato davvero troppo pro¬ fondo
». Come se si trattasse di convincere ! A me pare ci sia un modo
più ragionevole d’inten¬ dere quell’inciso; ed è quello che verrà subito
in mente ad ognuno, che rifletta che se il filosofo avesse espresso
il desiderio d’essere convertito per sempre in uccello, avrebbe fatto
ridere. Che diamine, il poeta invidia degh uccelli la contentezza, la
letizia; e ora essi non sono altro per lui, ma né anche la contentezza e
la letizia per lui sono tutto, ed egli ama troppo la propria umanità
per essere disposto a barattarla con esse per sempre. Anche la
morte potrebbe essere per lui, come per Porfirio, la soluzione del
problema dell’esistenza. Ma il «senso del¬ l’animo» lo ammonisce colle
parole di Plotino: «In vero, colui che si uccide da se stesso non ha cura
né pensiero alcuno degh altri; non cerca se non la utilità propria;
si gitta, per così dire, dietro alle spalle i suoi prossimi, e tutto il
genere umano; tanto che in questa azione del privarsi di vita, apparisce
il più schietto, il più sordido, o certo il men bello e men liberale
amore di se mede¬ simo che si trovi al mondo ». LA POESIA DEL
LEOPARDI. Commemorazione tenuta il 29 giugno 1927 nell’Aula Magna del
Palazzo Comunale di Recanati; e pubblicata nel fascicolo giugno- luglio
dello stesso anno del periodico “Educazione fascista”. Il modo più degno di
commemorare un poeta è quello di entrare nella sua poesia, cioè nel suo
animo, nel mondo dei suoi fantasmi, come egli li vide e li sentì. Gli
elementi della sua biografia, tutti, dalla data di nascita a quella
di morte, i casi della sua vita, le persone e le cose in mezzo alle quali
questa vita si svolse, le idee stesse che egh accolse e che professò, le
correnti spirituali ante¬ cedenti o contemporanee di cui partecipò, sono
semplici generahtà, paragonabili alle note d’un passaporto; le
quah, ove non si accompagnino e precisino con una fo¬ tografia, rimangono
appunto generalità, riferibili a mi¬ gliaia di persone. Ogni
uomo è una determinata personalità in quanto è un’anima. La quale, quando
si conosca da vicino e cioè per davvero, è singolare e inconfondibile:
unica. E la sua singolarità in fondo consiste non nella periferia
del mondo di cui l’uomo fu centro, ma in quello piuttosto che egli fu, al
centro di questo mondo, col suo modo di reagire a questo mondo che era il
suo, raccolto nel suo pensiero e nel suo sentimento. Due possono nascere
nello stesso anno e nello stesso giorno, vivere nello stesso luogo
e quasi cogli stessi spettacoli dinanzi agli occhi, tra gli stessi uomini
e quasi con le stesse voci negli orec¬ chi; e ricevere la stessa
educazione, incorrere magari nelle stesse malattie, e insomma viv'ere
tutta material¬ mente la stessa vita e concorrere perfino nelle
stesse idee, ed essere come due anime gemelle. Eppure ciascuna di
queste anime, se vi provate ad entrare nel suo intern è se stessa,
diversa, assolutamente diversa dall’altra quel certo suo dèmone ascoso,
che tratto tratto si senr nel timbro della voce o lampeggia nelle
pupille, svelane!^ subitamente l’essere dell’indi\dduo : quell’essere
eh” ognuno di noi, nella vita, spia e riesce a scoprire atti e
nelle parole delle persone che frequenta. Quest dèmone interno, sorgente
segreta da cui scaturisce in verità tutta la vita effettiva dell’uomo non
soltanto quale essa è, ma quale è sentita e perciò nel valore che
ha, è quello che i filosofi dicono 1’ Io: il soggetto, che è la base
d’ogni individualità umana. Qualcosa d’inaf¬ ferrabile in se stesso,
perché infatti non si manifesta se non in quanto si realizza nelle
concrete determinazioni del carattere, nel complesso degh atti e delle
parole, che formano la trama della vita dell’ individuo. 11 centro
non è rappresentabile se non in rapporto alla sua circonferenza.
Ora questo demone segreto che si cela e si svela nella vita di
ciascun uomo, è la fonte viva dell’ispirazione del poeta. Il quale non si
distingue dagli altri uomini se non jierché riesce a stampare una più
profonda impronta di questa segreta potenza nelle espressioni del suo
essere. E pare che per lui innanzi agli occhi meravigliati della
moltitudine si levi e grandeggi in una solitudine infinita l’immagine di
un’anima divina, creatrice, che di sé fa il suo universo; e quelli che
per gli altri sono sogni e ombre, per la virtù sua onnipossente son corpi
saldi, vi¬ venti e luminosi, e riempiono tutta la immensa scena del
mondo che il poeta sostituisce a quello della comune esperienza. Nel
poeta, in quanto tale, tutto ciò che egli vede e tutto ciò che può dirci
è la sua anima, anzi questo dèmone che si cela nella sua anima.
Nel caso del Leopardi, quanto difficile cercarla e tro- v'arla
questa scaturigine della sua poesia: e quanto perciò s e girato e si gira
tuttavia intorno al segreto della sua grandezza ! Questa poesia da un
secolo e più conquide tutti i cuori, trova la via di tutte le anime, che
sponta¬ neamente si aprono alle soavi commozioni di essa. Ma
studiata lungamente, pertinacemente, ingegnosamente da mille ingegni,
alla luce di mille sistemi e sulla base di mille preconcetti, analizzata,
tormentata dalla preten¬ siosa volontà indagatrice della critica,
impegnata per lo più nella superba impresa di ricostruire l’arte dagli
sparsi frammenti esanimi ottenuti attraverso una fredda ope¬
razione anatomica, essa si è sottratta e sfugge ancora alla intelligenza
riflessa, che si sforza di coglierne l’es¬ senza e chiuderla in una
definizione. Negli ultimi tempi vi si son provati critici di
grande levatura e dottrina; e si sono avuti saggi, di cui non
disconoscerò io il merito insigne. Questi scritti giovano indubbiamente
alla comprensione della poesia leopar¬ diana; ma solo in quanto ne scoprono
alcuni aspetti. 11 loro comune difetto è quello di trascurare la
verità, che io ritengo evidente e indiscutibile, dalla quale ho
creduto opportuno prender le mosse. Trascuranza il cui effetto è questo:
che il critico non sente la necessità di risalire sino alla sorgente da
cui la poesia leopardiana sgorga, e in cui soltanto è possibile scorgere
l’unità della sua ispirazione e rendersi conto della varietà dei
motivi in essa dominanti. Così accade che si aprano i canti e le
prose del Leopardi, e si dica: — Nelle prose, manco a dirlo, non c’ è
poesia. C’ è una pretesa filosofia, che è una filosofia per modo di dire.
Lambiccatura di cervello che si sforza di dimostrare sistematicamente uno
stato d’animo personale; e perciò si mette fuori di questo stato
d’animo; e quindi riesce amaro, falso, estraneo al vero e profondo
sentire dello stesso scrittore, e perciò freddo, sofistico. Né filosofia,
né poesia. Nei canti, bisogna distin¬ guere: c’è poesia e non poesia. Vi
sono strofe o versi in cui il poeta trova se stesso e parla serio e
commosso; e lì è il poeta; il poeta le cui parole non si dimenticano
e tornano da sé a risuonare nell’animo, a commuoverci col calore e la
passione della vita che ogni uomo vive e sente. Ma ci sono negli stessi
canti poesie giovanili retto- ricamente patriottiche; ci sono poesie
filosofiche non meno fredde e artifiziate delle prose: ci sono pezzi
ora- torii, in cui il poeta cerca l’effetto e pensa al lettore e
non si dimentica nello schietto moto della sua anima Manca qua e là negli
stessi canti più felici il caldo di queir ispirazione, che s’apprende
immediatamente al¬ l’animo di ogni uomo. Risorge il ragionatore a
freddo che vede il mondo dall’angustissimo foro che le sciagure
fisiche e le tristi condizioni personali gli han lasciato aperto sulla
grande scena della vita, e vien meno il poeta che accoglie beato nel suo
petto la voce naturale del mondo e il vasto respiro delle cose. — £
fortuna se alla prova di questa critica si salva qualche frammento
della poesia del Leopardi. Ma si salva davvero ? Io vorrei
invitare questi critici a ristampare Leopardi purgandolo da tutte le
scorie della sua poesia, per darcene il fiore, un’antologia; con¬
tenente i soli pezzi ^'eramente poetici a cui si fa grazia. Temo che al
fatto questa antologia riescirebbe estrema- mente difficile, se non
impossibile: poiché non solo il significato di ciascun verso risulta dal
contesto a cui appartiene, e ogni strofa ha il suo valore nel
complesso del componimento; ma, si sa, ogni parola ha sempre un
accento, in cui è la sua anima e individuahtà; e quel¬ l’accento non si
può sentire se non nel ritmo dell’ insieme. Isolare una parola è impresa
vana ed assurda. E se si crede il contrario, ciò accade perché in realtà
quella parola che ci pare di isolare, noi la facciamo nostra e la
fondiamo in un nuovo nesso, in un ritmo da noi creato, in cui non è più
la parola di quel poeta, ma l’espressione del nostro animo. II
Leopardi non è soltanto il poeta degl’ idillii, dove il suo petto si allarga
e s’inebria del profumo della na¬ tura, e il suo cuore batte all’unisono
col grande cuore del mondo, commosso dal senso della vita che ride a
pri¬ mavera nei campi, brilla a notte nel mite chiarore della luna,
imporpora il viso alle fanciulle innamorate, tuona tra le nubi nell’
infuriar della tempesta, e ridesta ad ora ad ora negli animi stanchi e
delusi la speranza e la dol¬ cezza dell’amore. Il Leopardi è anche
Tristano ed Elean- dro; ed è Copernico e Filippo Ottonieri; ed è
Colombo e il Tasso visitato nel mesto carcere dal suo Genio fami¬
liare; ed è Stratone e Plotino; ed è 1’ Islandese al co¬ spetto della
Natura dal volto « mezzo tra bello e ter¬ ribile »; ed è il gallo
silvestre che sta in sulla terra coi piedi, e tocca colla cresta e col
becco il cielo, e riempie del suo canto l’universo e dice di questo «
arcano mi¬ rabile e spaventoso dell’esistenza universale » che, «
in¬ nanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e per-
derassi ». E insomma il Leopardi pacato e placato nel sentimento solenne
e religioso del dolore e del mistero e della vanità dell’opera umana, e
pur raccolto nell’ in¬ tima soavità dell’amore, onde gh uomini vincono
ogni travagho c gustano una beatitudine divina, ancorché confusa a
certo mistico senso del proprio dissolvimento nella vita universale. Ed è
anche il poeta che come ita¬ liano vede le colonne e i simulacri e le
ruine della gran¬ dezza antica, ma non vede più la gloria e le armi
dei padri; e non sa rivolgersi indietro a (juella schiera infinita
d’immortah, che onorarono già la nostra terra, senza pianto e disdegno
per la presente viltà; e sente in cuore la disperazione di Bruto per
l’impotenza della virtù sconfitta dalla perversa fortuna e lo strazio
della misera Saffo, spregiata amante, vile e grave ospite nei
superbi regni della natura bellissima. Ma non sì che l’animo non gli
si esalti nell’ idea della guerra mortale che il prode di cedere
inesperto, guerreggerà sempre contro l’indegno fato, e in cui anche il
virile animo di Saffo si sentirà sparso a terra il velo indegno, di
emendare il crudo fallo del cieco dispensator dei casi. E anche l’uomo
che si leva col pensiero al di sopra della ferrea vita e sentendo
che conosciuto, ancor che tristo, ha suoi diletti il vero, si compiace
d’investigar Yacerbo vero e i ciechi destini delle mortali e delle eterne
cose] e trae gli ozi in questo specu¬ lare. E in fine l’uomo che si
rifugia con questo altissimo sentimento della invitta potenza del
pensiero umano nella rocca inespugnabile della noia: di questo che
egli dice « in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani »,
poiché « il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per
dir così, dalla terra intera; consi¬ derare l’ampiezza inestimabile dello
spazio, n numero e la mole maravighosa dei mondi, e trovare che tutto
è ])oco e piccino alla capacità deU’animo proprio; imma¬ ginarsi il
numero dei mondi infinito, e l’universo infinito, e sentire che l’animo e
il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto universo; e
sempre accusare le cose d’insufficienza e di nullità, e patire
mancamento e vóto, e però noia, pare a me il maggior segno di gran¬
dezza e di nobiltà, che si vegga della natura umana » >. E perciò anche
il Leopardi, nel colmo della sua delusione, può giungere a fermare in se
stesso ogni desiderio e ogni moto, a disprezzare perfino se stesso, come
la natura, il brutto Poter che, ascoso, a comun danno impera, E V
in¬ finita vanità del tutto: e, pur caduto l’incanto che gli fece
vedere e amare in una donna mortale la Dea della sua mente, pur vedendo
ormai nella propria vita una notte senza stelle a mezzo il verno, può
trovare al suo fato • Pensieri, n. 68. mortale
bastante conforto e vendetta nella coscienza di se medesimo:
su l’erba Qui neglùttoso immobile giacendo, Il
mar, la terra e il ciel miro, e sorrido. Se noi rinunciamo a questi
ed altrettali motivi della poesia leopardiana, per restringerci al dolce
gusto di quell’ idillico che è la prima e immediata forma di questa
poesia, noi avremo sì elementi di una poesia squisita, ma perderemo la
poesia propria del Leopardi. Nella quale quella prima forma è solo uno
degli elementi del dramma e del fiero contrasto, nella cui superiore solu¬
zione la poesia leopardiana per l’appunto consiste. III.
L’i dilli o è certo alla base del Leopardi poeta. Ne risuona il
motivo di continuo nell’ Epistolario, nello Zibaldone, nei Canti, nelle
Operette morali. Se volete ren¬ dervi conto della natura dell’ idillio, come
il Leopardi r intese e lo sentì, rileggete l’ Infinito, quei quindici
versi che gittano la fantasia del Poeta al di là della siepe in
spazi interminati, sovrumani silenzi e profondissima quiete: dove
l’infinito silenzio e l’eterno assorbono in sé e annichilano la voce del
vento che stormisce tra le piante e il suono delle lotte e delle fatiche
umane: Così tra questa Immensità s’annega il pensier
mio E il naufragar m’ è dolce in questo mare. L’uomo scioglie
il suo pensiero, ond’egli riflettendo si distingue e si oppone alla
natura, e si confonde con essa. Ricordate il Canto notturno di un pastore
errante dell’Asia, che dice alla sua greggia: Quando tu siedi
all’ombra, sovra l’erbe. Tu .se’ quieta e contenta; E
gran parte dell’anno Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra, E un fastidio
m’ingombra La mente, ed uno spron quasi mi punge Si che, sedendo,
più che mai son lunge Da trovar pace o loco. Nell’ Inno ai
Patriarchi il Poeta rammenta l'antico mito della colpa che sottopose
Vuman seme alla tiranna Possa de’ morbi e di sciagura ; e attribuisce
all’ irrequieto ingegno dell’uomo la prima origine dei suoi dolori.
La noia, la sublime noia, è il privilegio del pensiero. Finché la
riflessione non è sorta, e il pastore errante non è an¬ cora in grado di
domandare alla luna il fine di tanti moti, e che sia Questo
viver terreno. Il patir nostro, il sospirar che sia;
Che sia questo morir, questo supremo Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno .‘Vd ogni usata, amante
compagnia; egh può esser queto e contento come la sua
greggia. Pensare è distinguersi dalla vita, opporvisi, sentirsene
fuori, cercare e non trovare, sentire la vanità di tutto: non aver più né
contentezza né pace. Il Leopardi intanto sa bene che senza pensiero non
c’ è grandezza. Perciò in uno de’ suoi dialoghi la Natura dice a
un’Anima: « Va’, figliuola mia prediletta, che tale sarai tenuta e
chiamata per lungo ordine di secoli. Vivi, e sii grande e infelice ».
Perciò il Poeta dice ai « nuovi credenti » che non credono al
dolore: A voi non tocca DeU’umana miseria alcuna parte,
Ché misera non è la gente sciocca.... Dico, ch’a noia in voi,
ch’a doglia alcuna Kon è dagli astri alcun poter concesso.
Non al dolor, perché alla vostra cuna Assiste, e poi sull’asinina
stampa 11 pie’ per ogni via pon la fortuna. E se talor la
vostra vita inciampa. Come ad alcun di voi, d’ogni cordoglio
Il non sentire e il non saper vi scampa. Noia non puote in voi,
ch’a questo scoglio Rompon l’alme ben nate.... Ma se il
pensiero è la sorgente del dolore, bisogna pur distinguere tra pensiero e
pensiero. E anche questo è avvertito dal Leopardi. C’ è un pensiero che è
la stessa natura deU’uomo ; deiruomo che sente e crede nell amore e
nella virtù ; che sente e crede nella bellezza della natura e della vita;
che spera e apre l’animo alla gioia delle il¬ lusioni, che tali si
dimostreranno al cimento della espe¬ rienza, ma che la natura stessa
risusciterà sempre dal fondo del cuore umano a rendere amabile o almen
sop¬ portabile la vita. Questo è pensiero. Ma c’ è un altro
pensiero, che si sovrappone a questo primo e lo critica e lo demolisce e
lo irride, e, scoprendone tutte le debo¬ lezze e gli arbitrii, gitta lo
sconforto nel cuore umano e lo inonda d’immedicabile amarezza. Non
occorre per¬ tanto che l’uomo si abbrutisca come il gregge per sot¬
trarsi al dolore. Può essergli simile, e al pari di esso ri¬ maner
congiunto con la natura e godere del benefizio di essa, se si abbandona,
per dir così, al pensiero naturale, e vede la vita con quegli occhi che
la natura gh ha dati. Vive nel suo stesso pensiero la vita spontanea e
istintiva che è propria di tutti gli esseri naturali, senza che questa
natura sia sconvolta o turbata dal suo irrequieto ingegno. Così fa il
fanciullo, così tutti gli spiriti semplici e sani. Questa è la giovinezza
sempre rinascente del genere umano; dell’anima aperta alla speranza e
fortificata dalla fede: dell’anima quale ogni uomo la ritrova in se
stesso al mattino sul primo svegliarsi, all’ inizio d’ogni suo giorno,
come d’ogni nuovo periodo della sua vita « Il primo tempo del giorno »,
canta anche il gallo silvestre « suol essere ai viventi il più
comportabile. Pochi in sullo svegliarsi ritrovano nella mente pensieri
dilettosi o lieti- ma quasi tutti se ne producono e formano di
presente perocché gli animi in quell’ora, eziandio senza materia
alcuna speciale e determinata, inclinano .sopra tutto alla giocondità, o
sono disposti più che negli altri tempi alla pazienza dei mah. Onde se
alcuno, quando fu soprag¬ giunto dal sonno, trovavasi occupato daUa
disperazione; destandosi, accetta novamente nell’animo la speranza
ciuantunque cUa in niun modo se gli convenga. Molti infortuni e travagli
propri, molte cause di timore o di affanno, paiono in quel tempo minori
assai, che non parvero la sera innanzi. Spesso ancora, le angosce
del dì passato sono volte in dispregio, e quasi per poco in riso,
come effetto di errori e d’immaginazioni vane. La sera è comparabile alla
vecchiaia; per lo contrario, il principio del mattino somiglia alla
giovanezza ». Cresce l’esperienza della vita, sopraggiunge la
rifles¬ sione, la speranza dilegua: sottentra il dolore e la noia:
tanto più acuto quello, tanto più grave questa, quanto più viva fu la
speranza e ardente la fede nella vita. Quindi la grande importanza del
momento idillico, o giovanile, spontaneo, naturale in una poesia che,
come quella del Leopardi, accentua poi il momento negativo del
distacco e della opposizione, che è il momento del dolore. Questo
dolore è materiato, si può dire, dalla stessa dolcezza dell’ idiUio. Odi
et amo. La negazione non avrebbe mai il suo significato lirico se non
corrispondesse a un’afferma¬ zione vigorosa e potente. Appunto perché la
vita è così bella agli occhi del Poeta, ed egh ne sente sì forte il
fascino nel fondo del suo cuore, egli si duole tanto di non possederla.
Al disperato affetto di Saffo non arride spet- tacol molle: ma questo
spettacolo pur le è fitto negli occhi e nel petto; Placida
notte, e verecondo raggio Della cadente luna; e tu che spunti Fra
la tacita selva in su la rupe, Nunzio del giorno; oh dilettoso e
care Mentre ignote mi fur l’erinni e il fato. Sembianze agli
occhi miei.... Del resto questo molle spettacolo non fugge da’
suoi occhi senza che questi si volgano desiosi ad altri spetta¬
coli di natura, meglio rispondenti al suo stato d’animo; Noi r
insueto allor gaudio ravviva Quando per l’etra liquido si voi ve E
per li campi trepidanti il flutto Polveroso de’ Noti, e quando il
carro. Grave carro di Giove a noi sul capo. Tonando, il
tenebroso aere divide. Noi per le balze e le profonde valli
Natar giova tra’ nembi, e noi la vasta Fuga de’ greggi sbigottiti, o
d’alto Fiume alla dubbia sponda Il suono e la vittrice ira
dell’onda. Saffo ha l’animo popolato di ridenti immagini di
questa natura di cui ella si vede prole negletta: , Bello il tuo
manto, o divo cielo, e bella Sei tu, rorida terra.... A
me non ride L’aprico margo, e dall’eterea porta Il mattutino
albor; me non il canto De’ colorati augelli, e non de’ faggi Il
murmure saluta: e dove all’ombra Degl' inchinati salici dispiega
Candido rivo il puro seno, al mio Lubrico pie’ le flessuose linfe
Disdegnando sottragge, E preme in fuga l’odorate spiagge.
13. — GkktIx<s, Manzoni e heopardi. Bruto minore, fermo già di
morire, percote l’aura sonnolenta di feroci note. Ma tra queste note se
ne odono di soavi, affettuose, per quanto solenni, come queste:
E tu dal mar cui nostro sangue irriga. Candida luna,
sorgi, E l’inquieta notte e la funesta All’ausonio valor
campagna esplori. Cognati petti il vincitor calpesta,
Fremono i poggi, dalle somme vette Roma antica mina; Tu
si placida sei ? Tu la nascente Lavinia prole, e gli anni
Lieti vedesti, e i memorandi allori; E tu su l'alpe
l'immutato raggio Tacita verserai quando ne’ danni Del .servo italo
nome. Sotto barbaro piede Rintronerà quella solinga
sede. Ecco tra nudi sassi o in verde ramo E la fera e
l’augello. Del consueto obblio gravido il petto. L’alta
mina ignora e le mutate Sorti del mondo: e come prima il tetto
Rosseggerà del villanello industre. Al mattutino canto
Quel desterà le valli, e per le balze Quella r inferma
plebe Agiterà delle minori belve. D’altra parte, fin da
quando, tra il 1819 e il ’ai, il Poeta ascolta nel suo profondo questa
voce antica ed eternamente giovanile della santa natura e del
mondo, contro cui si volgerà sempre più risentito e dolorante, egli
sente nel petto Nell’ imo petto, grave, salda, immota Come
colonna adamantma, quella noia immortale, di cui parlerà
nell’epistola Al Conte Carlo Pepoli. E nello stesso Infinito, nella Sera
del dì di festa e negli altri piccoli e grandi idilli che altro, in¬
fine, si canta se non il dolore ? Dolce e chiara è la notte e senza
vento, E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti Posa la
luna, e di lontan rivela Serena ogni montagna. O donna mia.
Già tace ogni sentiero, e pei balconi Rara traluce la notturna
lampa: Tu dormi, che t’accolse agevol soimo Nelle tue chete
stanze; e non ti morde Cura nessuna; e già non sai né pensi Quanta
piaga m’apristi in mezzo al petto. Tu dormi: io questo ciel, che si
benigno Appare in vista, a salutar m’affaccio, E l’antica
natura onnipossente. Che mi fece all’affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro Non brillin gli occhi tuoi se
non di pianto. La serenità, il dolce chiarore lunare dei primi
versi e lo stesso sonno tranquillo e scevro d’affanni de lla donna
formano lo sfondo del quadro, in cui risalta la personalità di
quest’uomo, a cui la speranza è negata e i cui occhi non brilleranno mai
se non di lagrime. L’amarezza di questa anima desolata nasce dal
contrasto. La donna sogna forse a quanti oggi piacque e quanti piacquero
a lei. Fantasmi e sentimenti pieni di dolcezza; ma sorgono alla
mente del Poeta soltanto per fargli sentire che egli ne è escluso:
.... non io, non già eh’ io speri, .à.1 pensier ti ricorro.
Egli non dorme, non posa, non sogna. Si getta per terra, grida,
freme. E il suo pensiero si insinua nella gioia altrui e vi soffia dentro
il vento della riflessione che l’inaridisce: Ahi, per la
via Odo non lungo il solitario canto Dell’artigian, che riede
a tarda notte. Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core, A pensar come tutto al
mondo passa, E quasi orma non lascia. L’artigiano
probabilmente non fa questa malinconica riflessione. Probabilmente egli,
come la donna, rimembra i sollazzi del giorno, la cui memoria non è
spenta e basta tuttavia a riempirgli e consolargli l’animo. Ma su
quel mondo festivo e gorgogliante ancora di sensazioni dilet- tose
il Poeta riversa l’angoscia fredda del suo cuore de¬ solato.
E altrettanto si i)uò osservare di tutte queste sue poesie, che il
Leopardi stesso definì idillii, e in cui più forte risuona la corda
dell’animo commosso e vibrante della stessa vita del mondo.
Citerò ancora il primo periodo della Vita solitaria che
comincia; La mattutina pioggia, allor che l’ale Battendo
esulta nella chiusa stanza La gallinella, ed al balcon s’afìaccia
L’abitator de’ campi, e il Sol che nasce I suoi tremiili rai fra le
cadenti Stille saetta, alla capanna mia Dolcemente picchiando, mi
risveglia; E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo Degli
augelli susurro, e l’aura fresca, E le ridenti piagge benedico;
per rivolgersi subito contro le cittadine infauste mura, e per
concludere; In cielo. In terra amico agh infehci
alcuno E rifugio non resta altro che il ferro. Principio
idillico, conclusione tragica. Tragica quanto è idillico il principio. I
due termini si corrispondono e si congiungono insieme in un nesso
inscindibile. Togliete al Leopardi la commozione e l’amore per la natura,
per la vita, per la donna, ])er la bellezza, per la forza ma¬
gnanima, per l’ardimento generoso, per la virtù, j>er la patria, per i
parenti, per gli amici, per tutto ciò che rende amabile e santa la vita,
e non intenderete più lo strazio delle sue delusioni. Prescindete dal
fermo con¬ vincimento, che la sua filosofìa gli ha piantato nel
petto, della arbitraria soggettività degli ideali in cui l’uomo, non
ancora caduto in preda al pensiero, crede provvi¬ denzialmente; chiudete
gli occhi sull’amarissimo gusto con cui egli, tornando sempre ad
esaminare i suoi pen¬ sieri e la vita e il proprio essere e il fato
universale degli uomini, ribadisce sempre quel suo convincimento; e
non potrete più sentire il tumulto con cui il suo cuore s’attacca a
questa vita fallace e il tremito giovanile e sto per dire virgineo con
cui tutto il suo essere si stringe al mondo, che non può, malgrado tutto,
non amare. Leggete II pensiero dominante e V Aspasia, dove culmina l’arte
del Poeta. Quel pensiero, cagion diletta d' infiniti affanni, è
gioia ed è dolore. Quella donna, per cui egli ha vaneg¬ giato, ma il cui
incanto è caduto, risorge nella sua me¬ moria e nel suo cuore superba
visione, sua delizia ed erinni'. e l’angehca sua forma, sempre viva e
presente, torna sempre a imprimergli a forza nel fianco lo strale,
che già lo fece per tanto tempo ululare. L’atteggiamento negativo
ed ostile, quando non si scompagni dal suo contrario, che gli dà vigore e
signi¬ ficato, si può intendere e s’intende anche in quelle forme
di fredda ironia e di affettata irrisione, che assume in qualche raro
tratto dei Canti e in parecchie delle Ope¬ rette morali. Di cui si è potuto
parlar con sì distratta intelligenza da vedervi lampeggiare non so che
sorriso cattivo e sinistro: mentre chi legge ed ama Leopardi, sa che
nulla è più alieno dal suo spirito. Ma questi critici sono i critici del
frammento. Si fermano a una pagina delle Operette leopardiane, e non
curano di guardarne l’insieme; e così si lasciano sfuggire quella vivente
unità organica, da cui esse nacquero tutte ad una ad una, sotto la
stessa ispirazione, nel pensiero e nel sentimento dell’autore. Così
vedono Momo, i sillografi, Stratone; ma non vedono il principio e la fine
del libro. E si lasciano sfuggire il significato e l’accento del mito
iniziale, la Storia del genere umano, vaga immaginazione tutta per-
v'asa di una commozione contenuta e pudica di un amore gentilissimo; come
si lasciano sfuggire le meditazioni finali di Eleandro e di Plotino,
tutte umanità ed affetto. Non vedono perciò lo spirito complessivo e
centrale e quell’onda viva di universale e irresistibile simpatia,
che abbraccia uomini e cose, e in sé scioglie i sentimenti più duri, più
pungenti, più amari, onde l’animo del Poeta è colpito allo spettacolo del
freddo vero. L’incanto della jioesia è qui, in questa unità dei
due opposti motivi, che si fondono insieme e infondono nello spirito
del Leopardi l’impeto della sua lirica sublime. La quale nel momento
stesso che pare prostri gli animi nel più disperato dolore, li solleva,
conforta ed esalta, aspergendoli di non so che affettuosa soa\ ita.
Idilho e dolore. L’uomo che vive lietamente e serenamente la vita;
e l’uomo che diffida di essa, e se ne apparta ed estrania; e fattosene
spettatore deluso e sconsolato, sente dentro di sé un vuoto infinito. Due
cuori diversi, ma non posti l’uno accanto all’altro, bensì unificati in
un cuore solo. Questa tragedia, che non è ottimismo, né ])cssi-
mismo, ma il commosso e serio concetto della nobiltà, del valore e della
superiore letizia della vita, tremenda insieme e adorabile, angosciosa e
febee : questa è 1 es¬ senza della poesia leopardiana.
IV. In verità, l’origine del dolore è nel pensiero. Ma il
Poeta sa, e soprattutto sperimenta in se stesso, che quel pensiero che
ferisce, sana esso stesso le sue ferite. 11 pen¬ siero che sfronda l’albero
della vita di tutte le sue illu¬ sioni, e specula e scopre l’infinita
vanità di tutto, è lo stesso pensiero dentro eh cui quell’albero ad ora
ad ora rinverdisce di nuove fronde. Non si può negare che esso
faccia guerra continua alla nativa confidenza deH’uomo nella natura; ed
esso certamente spegne nei cuori la fede e la speranza. Ecco, da una
parte. Saffo supphchevole ; e dall’altra, il ruscello che al piede della
misera donna, la quale tenta d’immergervisi e sentirne il
refrigerio, sottrae disdegnoso le flessuose acque, e fugge e
s’affretta per le piagge odorate. Se non che questo pensiero
devastatore e distruttore della originaria unità dell’uomo con la natura,
è esso stesso una nuov'a natura : è la natura di quell anima grande
perché infelice, e infehee perché grande, onde il Poeta insuperbisce
sopra la turba degli sciocchi. E in verità sempre che il pensiero non si
guardi dal di fuori, ma si pensi, si attui, si viva, esso non è più nulla
di estraneo alla vita, ma è la vita stessa. E in esso, ancorché
rivolto ed affisso alle idee più dolorose e più aride, ri¬ fluisce l’onda
della vita e si risveglia il palpito della gioia. Allora, ecco, il
Leopardi acquista coscienza della felicità superiore in cui si purifica e
rinvigorisce il suo spirito attraverso al pensiero e al canto; poiché
(come egli dice) « ninna cosa maggiormente dimostra la grandezza e
la potenza dell’umano intelletto, ossia l’altezza e nobiltà
dell’uomo, che il poter l’uomo conoscere e interamente comprendere e
fortemente sentire la sua piccolezza » I Pens. di varia filos., V,
223. Vedi sopra pp. 132, 148-49. Allora egli sente che lo stesso
intìnito, in cui gli è dolce naufragare, è contenuto nel suo pensiero,
che lo abbraccia spaziando più oltre. Allora egli, piccolo ed esile
fiore sull’arida schiena del Vesuvio sterminatore, s’inebria del
profumo della sua poesia, che consola il deserto. Allora egh ritrova in
sé, nel genio che nessuna forza maligna gli può strappare, nel demone
divino e onnipotente che fa insieme la sua infelicità e la sua grandezza,
la gioia e il fervore della vera vita; in cui, a dispetto dei
ragio¬ namenti, risorgono le speranze e si riaccende l’amcre con
cui gli uomini, malgrado tutte le delusioni, si riat¬ taccano alla vita e
han la forza di vivere e di morire. A Porfirio che a conclusione d’un
rigoroso ragionamento si vuol togliere la vita, Plotino ammonisce che «
non dee piacer più, né vuoisi elegger piuttosto di essere secondo
ragione un mostro, che secondo natura uomo » ». Mostro chi non cerca se
non la utilità propria, e si gitta, per cosi dire, dietro alle spalle i
suoi prossimi, e tutto il genere umano. Uomo chi l’amore di se medesimo
pospone al¬ l’amore degli altri. Ma questa natura, che ci fa
uomini, è proprio contraria alla ragione che ci farebbe mostri ? O
non ci sono, per dir così, due ragioni: una, inferiore, che ci trarrebbe
al suicidio attraverso il più sordido amore di noi medesimi, e una
superiore, che ci libera dal giogo di questo amore, e ci fa amare la vita
e gli uomini che ci amano ? Si cliiami ragione o poesia, certo questa
non è la natura primitiva e inconsapevole, ma Tumanità che soffre
ed ama e canta. Quale in notte solinga Sovra campagne
inargentate ed acque. Là 've zefiro aleggia, E mille
vaghi aspetti E ingannevoli obbietti 1 Operette, p.
310. Fingon l’ombre lontane Infra Tonde
tranquille E rami e siepi e collinette e ville; Giunta
al confin del cielo. Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno
Nell’ infinito seno Scende la luna; e si scolora il mondo;
Spariscon Tombre, ed una Oscurità la valle e il monte
imbruna; Orba la notte resta, E cantando, con mesta
melodia. L’estremo albor della fuggente luce. Che
dianzi gli fu duce. Saluta il carrettier dalla sua via;
Tal si dilegua, e tale Lascia l’età mortale La
giovinezza. La luna è tramontata, e il carrettiere canta. La
gio¬ vinezza si dilegua; ma l’uomo resta, e intona il suo canto. In
questo canto, nella sua mesta melodia, è il più alto segno dello spirito
del Poeta. Qui la sua poesia. NEL CENTENARIO DELLA MORTE DEL
I-EOPARDI. Conunemorazione centenaria letta alla R. Accademia Nazionale
dei T .inr ei neUa seduta reale del 6 giugno 19371 e pubbUcata, oltre che
ncgU Atti dell’Accademia, nella Nuova Antologia del i» lugUo dello stesso
anno. Ripubblicata in Poesia e filosofia di Giacomo Leopardi (Firenze,
Sansoni, 1939 )- Tra pochi giorni sarà un secolo dalla morte di
Gia¬ como Leopardi. Secolo, segnatamente per 1’ Italia, pieno di
grandi eventi ; storia mossa e agitata da fedi e interessi in massima
parte estranei all’animo del Leopardi, anzi osteggiati e a volte irrisi
da lui. Altra filosofia, altro uomo. E gli effetti sono stati così
cospicui, così impor¬ tanti, anche secondo il modo di vedere del Leopardi,
da riuscire un’aperta condanna delle sue convinzioni e de’ suoi giudizi
storici. Secolo, si può dire, antileopar¬ diano, culminante in questa
Italia, potente, imperiale, creazione audace della stessa Italia che alla
fantasia gio¬ vanile del Leopardi apparve inerme, anzi di catene
carche ambe le braccia, seduta in terra, negletta e sconsolata, la
faccia nascosta tra le ginocchia, piangente. Eppure lungo questo
secolo la fama del Leopardi è venuta crescendo; s’è dilatata nel mondo,
ma in Italia ha messo radici sempre più profonde nei cuori.
L’intel¬ ligenza della sua poesia, della sua anima ha acquistato
d’anno in anno, e quasi giorno per giorno, di penetra¬ zione, di
comprensione e di intima simpatia a mano a mano che gl’ Italiani da prima
si svegliavano e in una coscienza più seria e positiva della vita e de
propri doveri e delle proprie forze risorgevano a dignità civile e
politica. Scendevano quindi in campo contro gli oppres¬ sori e li
affrontavano nei congressi, e accordavano rivo¬ luzione e forze conservatrici
dimostrando maturità di accorgimento e di patriottismo da meravigliare 1
Eu¬ ropa ; e tra audacie e negoziati facevano dell’ Italia archeologica,
letteraria ed artistica una nazione viva, operante e presente nella
storia dell’ Europa e del mondo. Intanto sentivano il bisogno di farsi un
nuovo pensiero, una nuova scienza, una nuova cultura, adeguata
all’altezza dell’assunto politico; e creavano un esercito nazionale;
e sviluppavano, in una più attiva collaborazione alla vita
economica internazionale, le loro industrie e i loro traf¬ fici; e
creavano le scuole, organizzando tutto un sistema nuovo di pubblica
istruzione e portando via via la luce neUe menti delle plebi abbandonate
da secoli all’igno¬ ranza e alla superstizione ; e negli esperimenti di
un si¬ stema politico aperto alle lotte e alle competizioni di
tutte le energie individuali si venivano educando al senso e alla
tecnica dello Stato; e infine, in una riscossa della coscienza nazionale
che si era venuta formando negli animi più giovanili in un fermento nuovo
d’idee reli¬ giose sociali c filosofiche, si trovavano pronti alla
più grande guerra della storia; combattevano con grande onore, e
contribuivano più d’ogni altra nazione alleata alla vittoria finale. E
dopo questa prova stupenda del¬ l’antico valore, arditamente si
accingevano con una pro¬ fonda rivoluzione politica e sociale a fare una
nuova Itaha e una nuova Roma. Quanto cammino! E quanta vita in
quella moribonda Italia, di cui parlava Leopardi nel 1818 ! Eppure,
dicevo, il miracoloso progresso di quesb cento anni, lungi
dall’allontanare 1’ Italia dal Leopardi, r ha portata sempre più vicino a
lui, a misurare la sua grandezza. La bibliografia leopardiana è una delle
più ricche tra quante se ne siano formate intorno ai maggiori poeti
e pensatori itaUani, da gareggiare con la dantesca. Segno visibile del
vasto interesse che ha suscitato e su¬ scita la personalità del Leopardi
con i suoi scritti e con i casi della sua vita. Selva foltissima, di
grandi alberi che soprastano con le loro alte cime al vento, da De
San- ctis a Carducci e a Pascoli, per non citare viventi, e
di fitta boscaglia pullulante per tutto, ai piedi dei grossi
tronchi. Intorno al Leopardi non pure letterati, deside- sori di esattamente
conoscere tutti i particolari della bio¬ grafia e dello svolgimento
graduale del genio, e di risol¬ vere tutti i problemi che lo studio di
tal materia fa na¬ scere; ma filosofi e storici della filosofia, poiché
il Leopardi ebbe il gusto degli alti concetti speculativi, e nel
suo stesso vocabolario riecheggiano detti e pensieri di dottrine
celebri a cui egli, a suo modo, aderì; e insieme scienziati (antropologi
e fisiologi) entrati a un tratto in sospetto che certi limiti nell’orizzonte
spirituale del Poeta deri¬ vino da non so qual limite somatico; sospetto
nascente da improvvisate teorie e appoggiato a improvvisate os¬
servazioni di fatto; ma fecondo tuttavia di costruzioni e
interpretazioni, se oggi cadute di moda, utili tuttavia a chi voglia
farsi un pieno concetto del lavoro compiuto in questo secolo intorno al
Leopardi. Fortunatamente, peraltro, se ci sono state deviazioni ed eresie
critiche e storture di metodi materialistici suggeriti da pigrizia
intellettuale di letterati ottusi, o da presunzione pseudo¬ scientifica
di cervelli rozzi e ignari dei rudimenti di qual¬ siasi serio concetto
intorno ai valori dello spirito, ci sono stati pur saggi di quella
critica magistrale che attraverso le forme storiche e letterarie e i
conseguenti atteggiamenti della espressione artistica sa scoprire il
principio profondo dell’ ispirazione, che è l’anima del poeta e 1 essenza
di quell’eterna poesia che lo fa immortale. Critica che in Italia,
in questo secolo, da Leopardi a noi, ha avuto esempi da fare epoca, e che
hanno infatti educato nel¬ l’universale la coscienza del solo metodo che
ci sia per raggiungere il poeta là dove egli e poeta. Così in
questa selva della letteratura leopardiana noi non abbiamo smarrito il
Poeta. Anzi, a capo di questo secolo antileopardiano si può dire
che egli sia stato prima scoperto, e poi veduto più e più giganteggiare
come uno dei più grandi spiriti della storia del mondo, e come il
creatore della più intensa poesia che si sia prodotta mai in Italia. Fu
scoperto quando un nostro grande critico, che lo aveva conosciuto di
persona, gentile e mansueto come era, e molto ne aveva studiato ed amato
gh scritti, e acutamente investigato lo spirito che ci vive dentro,
non poteva paragonarlo allo Schopenhauer senza sentire la infinita
differenza tra il pessimismo amaro del filosofo tedesco e il pessimismo
sui generis del poeta itahano. « Leopardi », diceva, « produce l’effetto
contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa
desi¬ derare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama
illusioni l’amore, la gloria, la virtù, e te ne accende in petto un
desiderio inesausto. E non puoi lasciarlo, che non ti senta migliore; e
non puoi accostar tigli, che non cerchi innanzi di raccogherti e
purificarti, perché non abbi ad arrossire al suo cospetto. È scettico, e
ti fa credente; e mentre non crede possibile un avvenire men tristo
per la patria comune, ti desta in seno un vivo amore per quella e
t’infiamma a nobili fatti. Ha così basso concetto dell’umanità, e la sua
anima alta, gentile e pura l’onora e la nobilita. E se il destino gli
avesse prolungata la vita infino al Quarantotto, senti che te
l’avresti trovato accanto, confortatore e combattitore ».
Atteggiamento contradittorio ? Lo aveva confessato il Leopardi
medesimo, in quel libro in cui più freddamente si provò ad abbattere le
umane illusioni, che agli occhi dell’uomo il quale si affidi allo istinto
dell’anima senza indagare il mistero dell’universo, fanno la vita bella
e degna di esser vissuta, ossia nelle Operette morali. Dove esce
candidamente a dire « che non è fastidio della vita, non disperazione,
non senso della nuUità delle cose, della vanità delle cure, della
solitudine dell’uomo; non odio del mondo e di se medesimo; che
possa durare assai; benché queste disposizioni dell’animo siano
ragionevo¬ lissime e le lor contrarie irragionevoli. Ma
contuttociò, passato un poco di tempo, mutata leggermente la dispo¬
sizione del corpo; a poco a poco, e spesse volte in un subito, per
cagioni menomissime e appena possibih a notare; rilassi il gusto alla
vita, nasce or questa or quella speranza nuova, e le cose umane
ripigliano quella loro apparenza, e mostransi non indegne di qualche
cura; non veramente all’ intelletto, ma sì, per modo di dire, al
senso dell’animo ». Benedetto «senso deU’animo», che salva l’uomo
dal sapiente: l’uomo che non odia e non fugge l’uomo, poiché sente
di dover affermare, come fa il Leopardi : « Sono nato ad amare, ho amato,
e forse con tanto affetto quanto può mai cadere in anima viva », « sohto
e pronto a eleg¬ gere di patire piuttosto io, che essere cagione di
pati¬ mento agli altri ». Questo senso dell’animo gh fa dire :
<( Se ne’ miei scritti io ricordo alcune verità dure e triste, o jier
isfogo dell’animo, o per consolarmene col riso, e non per altro; io non
lascio tuttavia negli stessi libri di deplorare, sconsigliare e
riprendere lo studio di (juel misero e freddo vero, la cognizione del
quale è fonte o di noncuranza e infingardaggine, o di bassezza
d’animo, iniquità e disonestà di azioni, o perversità di costumi;
laddove, per Io contrario, lodo ed esalto quelle opinioni, benché false,
che generano atti e pensieri nobili, forti, magnanimi, virtuosi, ed utili
al ben comune e privato; quelle immaginazioni belle e felici, ancorché
vane, che dànno pregio alla vita; illusioni naturali dell’animo; e
infine gli errori antichi, diversi assai dagli errori barbari; i quali
solamente, e non quelli, sarebbero dovuti cadere per opera della civiltà
moderna e della filosofia ». Così aveva pensato fin dal 1815, quando
scriveva con animo di credente il Saggio sopra gli errori popolari degli
antichi. 14 . — Gbntilb, Manzoni e Leopardi.
Così continuava a pensare, da miscredente, sette anni dopo, nella
canzone Alla primavera, o delle favole antiche. Non si può credere
al Poeta, quando, raccogliendo il succo dell’amarissima esperienza
amorosa fiorentina e as¬ saporandone il fiero gusto, rivolge .4 se stesso
nel '33 quegli accenti disperati ed empi; In noi di cari
inganni Non che la speme, il desiderio è spento. ....
Amaro e noia La vita, altro mai nulla ; e fango è il mondo.
.... Al gener nostro il fato Non donò che il morire. Ornai
disprezza Te, la natura, il br\itto Poter che, ascoso,
a comun danno impera, E r infinita vanità del tutto.
Momento satanico, ma un solo momento: voce sì dell’anima
leopardiana, ma che il lettore attento non può ascoltare se non commista
in armonia profonda a voci più alte che sgorgano da polle maggiori; e che
lo stesso Poeta ascolta dentro il suo petto come espressione più
schietta della sua propria natura. Alla quale egli non può rinunziare,
convinto che sia da fare « poco stima di quella poesia che, letta e
meditata, non lascia al let¬ tore nell’animo un tal sentimento nobile,
che per mez¬ z’ora gl’ impedisca di ammettere un pensier vile, e di
fare un’azione indegna ». Il momento satanico ricorre spesso nel
Leopardi. Ma esso è la prima e fondamentale ribellione di questa
forza incoercibile che egli sente insorgere di dentro a se medesimo, di
fronte e a dispetto della natura, ossia di questo universal meccanismo
che regge il mondo concepito, come il Leopardi aveva appreso a
concepirlo, in maniera rigorosamente materialistica: quel mondo in
cui non c’ è posto per la libertà, né quindi per la virtù, né per
l’immortalità; per nulla di ciò che forma l’essenza umana
dell’uomo, e gli conferisce la forza d’una fede, e la fiducia nella sua
forza di contrastare alla natura, di dominarla e farne strumento di una
vita spirituale sem¬ pre più ricca. Lampeggia sì da lungi
allo spirito del Poeta l’im¬ magine enorme e tremenda di quella Natura
disumana, che stritola e annienta l’uomo e tutte le pretese del suo
audace ingegno. Si vegga, p. e., come ella gli si presenta nel Dialogo
della Natura e di un Islandese: dove all’uomo che aveva fuggito quasi
tutto il tempo della sua vita per cento parti la Natura e la fuggiva da
ultimo nel- r interno dell’Africa, sotto la hnca equinoziale, in un
luogo non mai prima penetrato da uomo alcuno, ecco che gli interviene
qualche cosa di simile che a Vasco di Gama nel passare il Capo di Buona
Speranza; e s’im¬ batte nella stessa Natura in petto e in persona: «Vide
da lontano un busto grandissimo; che da principio im¬ maginò doveva
essere di pietra, e a somiglianza degli ermi colossali veduti da lui,
molti anni prima neh’ isola di Pasqua. Ma fattosi jiiù da vicino, trovò
che era una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto
ritto, appoggiato il dorso e il gomito a una montagna; e non finta
ma viva; di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e capelli
nerissimi ; la quale guardavalo fissamente ». La Natura è infatti qui
nelle parti dove si dimostra più che altrove la sua potenza. E alle molte
parole con cui 1 ’ Islandese si lagna delle tribolazioni che
affliggono l’uomo in questa vita a cui non egli ha chiesto di
nascere, risponde breve che « la vita di quest’universo è un per¬
petuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di
maniera, che ciascheduna serve con¬ tinuamente all’altra, ed alla
conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra
di loro, ver¬ rebbe parimente in dissoluzione ». Intanto
sopraggiun¬ gono « due leoni, così rifiniti e maceri dall’ inedia,
che appena ebbero forza di mangiarsi quell’ Islandese; come
fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno.
Ma sono alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo vento,
levatosi mentre che r Islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gh
edificò un superbissimo mausoleo di sabbia; sotto il quale colui
disseccato perfettamente, e divenuto una bella mum¬ mia, fu poi ritrovato
da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale città di
Europa ». Ma lo stesso tono malinconicamente beffardo della
prosa dimostra con qual animo il Poeta accolga questa immagine deUa
Natura. E spesso gli torna alle labbra una dichiarazione esphcita: che
cioè egli si compiace d’indagare questo mistero enorme delbumverso non
per addolorarsi del disperato destino deU’uomo, anzi per riderne.
L’ideale deUa sua personalità è Fihppo Otto- nieri, filosofo socratico,
che con occhi di lince scopre tutto il vano e il doloroso della vita, ma
ne ragiona con impcrturbabUe pacatezza di savio che sta al di sopra
e al di fuori della vita, e la ironizza. ^ Insomma, l’uomo Leopardi
non fa la fine dell Islan¬ dese; non soggiace aUa natura, pasto dei leoni
o còlto improvvisamente dalla sabbia del deserto. Guarda dal¬
l’alto e sorride, e sente la propria umanità superiore nell’ intelligenza
vittoriosa e nello stesso potere di rea¬ gire al fato col sentimento. £
Bruto minore che dispregia n plebeo il quale, non valendo a cessare gli
oltraggi del destino, si consola con la necessità dei danni, quasi
fosse men duro un male senza riparo o non sentisse dolore chi è
privo di speranza. No, Guerra mortale, eterna, o fato indegno,
Teco il prode guerreggia. Di cedere inesperto. È
Saffo la misera Saffo, misera e magnanima, riso luta ad emendare il crudo
fallo del cieco dispensator de casi. A quel modo di emenda a cui
s’induce Saffo, Leo¬ pardi, a pensarci, non potrà consentire, come
sappiamo. Ma per lui resterà sempre, che al fato l’uomo non
devecedere. Resterà sempre la grandezza dell’animo che col
pen¬ siero si leva al di sopra del fato, intende, comprende e
sorride ; Che se d'affetti Orba la vita, e di gentili
errori, È notte senza stelle a mezzo il verno. Già del
fato mortale a me bastante E conforto e vendetta è che su l’erba.
Qui neghittoso immobile giacendo. Il mar, la terra e il cielo
miro e sorrido. Grandezza eroica, a cui il petto del Poeta si
allarga allo spegnersi del caldo raggio di amore di donna che fece
battere un momento il suo cuore di speranza e di felicità. Ma questa
eroica grandezza non basta; poco stante, nella piena maturità delle sue
esperienze morali, tornata la calma dopo la tempesta della patita
delusione e del sospettato scherno femminile, egli lascerà venir su
dal cuore la risposta più vera che si deve al cieco dispensator dei
casi. Quando, presso Portici, nel 1836, mirerà i campi cosparsi di ceneri
infeconde e ricoperti d’ impietrata lava, là dove erano state liete ville
e ricche messi e armenti e città famose, e ora tutto intorno una ruma
involve, il suo occhio poserà sul gentile fiore della ginestra,
che, quasi i danni altrui commiscrando, di dolcissimo odor manda un
profumo, che il deserto consola: simbolo della sua poesia, del suo animo,
che da questa spietata empia natura sa che c’ è un conforto e un riparo
nella umana compagnia e nell’amore che la stringe insieme incontro
al destino: Nobil natura è quella Che a sollevar
s'ardisce Gli occhi mortali incontra Al comun
fato, e che con franca lingua, Nulla al ver detraendo.
Confessa il mal che ci fu dato in sorte. E non si rivolge
stoltamente contro gli uomini, ma con¬ tro la natura che sola è
rea: che de’ mortali Madre è di parto e di voler
matrigna. Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando. Siccome è il vero, ed ordinata in
pria L'umana compagnia. Tutti fra sé confederati estima
Gh uomini, e tutti abbraccia Con vero amor, porgendo Valida e
pronta ed aspettando aita Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Oh l’alta meraviglia del Leopardi, dopo circa
un lustro di sforzi fatti per affisarsi in quel concetto desolato
del mondo che le meditate dottrine gli mettevano innanzi, e spogliarsi
d’ogni personale sentire, e obliarsi nella spe¬ culazione dell’acerbo
vero (non più acerbo del resto a chi lo gusti, poiché conosciuto, come
dice lo stesso Poeta, ancor che tristo ha suoi diletti il vero) ; dopo
avere scritto le Operette che sono la filosofia del Leopardi, ma
sono pure un momento essenziale dello svolgimento della sua poesia;
dopo avere scritto il prosaico programma della sua vita avvenire
nell’epistola Al conte Carlo Pepoli (1826); dopo aver preso quel freddo
bagno nella filologia italiana, che furono per lui le cure spese intorno
alle Rime del Petrarca e la compilazione della Crestomazia italiana
■. oh l’alta meraviglia, quando si sentì rifluire in petto la vita ! Non
che risorgesse la speranza; non che la natura gli apparisse sott’altra
luce; non che si accorgesse comunque d’errore alcuno ne’ suoi
filosofemi. Ma insomma. Proprii mi diede i
palpiti Natura, e i dolci inganni. Sopirò in me gli affanni
L’ingenita virtù ; Non l'annullàr: non vinsela Il fato e la
sventura; Non con la vista impura L’ infausta verità.
Dalle mie vaghe immagini So ben ch’ella discorda; 50
che natura è sorda. Che miserar non sa .... Il mondo,
in ogni parte, è proprio qual egli 1 ’ ha raffi¬ gurato nelle
Operette: Pur sento in me rivivere Gl’inganni aperti e
noti; E de’ suoi propri moti 51 maraviglia il
sen. Da te. mio cor, quest’ultimo Spirto, e l’ardor
natio. Ogni conforto mio Solo da te mi vien.
Saffo ha ragione quando afferma; Mancano, il sento,
aH’anima Alta, gentile e pura. La sorte, la natura.
Il mondo e la beltà. Saffo però ha dimenticato il suo
cuore: Ma, se tu vivi, o misero. Se non concedi al
fato. Non chiamerò spietato Chi lo spirar mi dà.
Ecco, Tanima si calma, torna la vita con le sue attrattive, con la
sua gioia; risorge la poesia. Torna al cuore del 2 i 6
Poeta Silvia, la giovinetta Silvia splendente di bellezza negli
occhi ridenti e fuggitivi, lieta e pensosa; toma l’onda di beate
speranze, di pensieri soavi che gli riempi¬ vano il petto, al suon della
sua voce; quando questa voce gli faceva lasciare gli studi leggiadri per
affacciarsi al balcone della casa paterna: Mirava il ciel
sereno. Le vie dorate e gli orti, E quindi il mar da
lungi, e quindi il monte. Lingua mortai non dice Ouel eh’ io
sentiva in seno. E pur lo aveva detto la sua lingua, dieci anni
prima, in quel capolavoro che è l’idillio scolpito nei quindici
versi de L’ infinito, quando, nel fondo dell’empia ma¬ trigna, della
spietata natura, aveva intravvista, sentita, amata un’altra Natura;
l’immensa Natura, verso la quale dal limite stesso della prossima siepe
l’anima è lanciata con un impeto di raccoglimento infuso di mi¬
stica dolcezza: interminati Spazi di là da quella, e
sovrumani Silenzi, e profondissima quiete .... ove per
poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste
piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando; e
mi sovvien l’eterno, E le morte stagioni, e la presente E
viva, e il suon di lei. Cosi tra questa Immensità s’annega il pensier
mio; E il naufragar m’ è dolce in questo mare. Di
questo momento mistico del Leopardi poco s’è parlato; ed è momento di
grande valore per la compren¬ sione della sua anima, che in
quest’atteggiamento reli¬ gioso placa definitivamente il fiero contrasto
tra la sua indomita soggettività e la realtà onnipotente e
infinita, in cui quella par destinata ad infrangersi. Lo placa in
una situazione idillica che, riportando l’individuo alla natura madre,
infonde in lui la fiducia rinfrancatrice, di cui l’uomo ha bisogno per
vivere, abbandonarsi al¬ l’azione e sentire nel proprio petto il respiro
eterno e r infallibile sostegno divino del tutto. Negli idilli
perciò, com’egh stesso chiamò i primi pubblicati nel ’25-26,
risalenti al triennio 1819-21, e quelli posteriori, i grandi idilli che
dal canto a Silvia vanno a quello del pastore errante dell’Asia, scritti
tra il ’zq e il ’30, anni della più potente espansione e della lirica più
piena e felice del Poeta, è la chiave di vòlta di tutta la poesia
leopardiana. Quando si legge la lettera del 6 marzo 1820 al
Gior¬ dani : « Poche sere addietro, prima di coricarmi, aperta la
finestra della mia stanza, e vedendo un cielo puro e un bel raggio di
luna, e sentendo un’aria tepida e certi cani che abbaiavano da lontano,
mi si svegliarono alcune immagini antiche, e mi parve di sentire un moto
nel cuore, onde mi posi a gridare come un forsennato, do¬ mandando
misericordia alla Natura, la cui voce mi parve di udire dopo tanto tempo
»; non si può non essere com¬ mossi da questo prorompere di così alta
vena mistica la cui scaturigine evidentemente si cela nel centro
vivo più remoto della personalità leopardiana. E allora
s’intende l’invocazione ansiosa della can¬ zone Alla primavera:
Vivi tu, vivi, o santa Natura ? Allora si ode quasi il
lento respiro queto e dolce e l’ar¬ cana soave mestizia della Vita
solitaria: Talor m’assido in solitaria parte, Sovra un rialto,
al margine d’un lago Di taciturne piante incoronato.
Ivi, quando il meriggio in ciel si volve. La sua
tranquilla imago il sol dipinge. Ed erba o foglia non si crolla al
vento; E non onda incresparsi, e non cicala Strider, né
batter peima augello in ramo, Né farfalla ronzar, né voce o
moto Da presso né da lunge odi né vedi. Tien quelle rive
altissima quiete; Ond’ io quasi me stesso e il mondo obblio
Sedendo immoto; e già mi par che sciolte Giaccian le membra mie, né
spirto o senso Più le coramova, e lor quiete antica Co' silenzi del
loco si confonda. Allora, infine, si scorge il tono vero del Canto
del Pa¬ store, così buio e pur così luminoso, così accorato e pur
così sereno, con i suoi perché disperati, e col suo funereo sigillo (è
funesto a chi nasce il dì natale) e la sua alata poesia :
Forse s'avess’ io l’ale Da volar su le nubi, E noverar
le stelle ad una ad una, O come il tuono errar di giogo in
giogo. Più felice sarei.... Poiché il pastore vede che
la sua greggia è beata, quasi libera d’affanno, e che, sopra tutto, tedio
non -prova, a differenza di lui, che non ha pace anche sedendo
sopra l’erba, all’ombra, poiché un fastidio gl’ ingombra la mente e
uno sprone lo punge di dentro e non gli lascia riposo. E ogni animale
giacendo, a bell’agio, ozioso, si appaga. Vede il pastore che nel seno
della natura è la felicità; e l’affanno nasce dall’opporsi a lei con
l’irre¬ quieto ingegno destinato ad avvolgersi in un insolubile
intrigo, in una fatica vana senza speranza. Tutta la poesia del
Leopardi attinge in quel punto mistico del ritorno alla gran madre la
pace e la gioia. Allora egli parla dei pensieri immensi e dolci sogni
che gli ispirò sempre, nello stesso modesto giardino della
casa paterna, « la vista di quel lontano mar, quei monti azzurri ». Per
lui, come pel jiassero solitario, non sollazzi, né riso, né amore: ma
cantare sì, come ruccellino che dalla vetta della torre antica va
cantando, alla campagna, finché non muore il giorno; ed erra l’armonia
per la valle, mentre Primavera d’intorno Brilla
nciraria, e per li campi esulta. Si ch’a mirarla intenerisce il
core. L'uccellino non si tormenta col pensiero della gio¬
vinezza che passa e della morte che s’avvicina: poiché di natura è frutto
ogni sua vaghezza e in lei non è affanno : e da lei sgorga pure il suo
canto; il canto che aduna nel cuore la dolcezza della primavera che fa
brillare l’aria e esultare le campagne. Anche uomini di alto
intelletto, come Gino Capponi, han voluto dar sulla voce al Leopardi per
quel suo con¬ cetto della infehcità che cresce negli uomini in
propor¬ zione della loro grandezza: ossia del loro ingegno e sa¬
pere. Come se questo stesso lamento non uscisse dalle Sacre Carte ! E gli
han voluto far osservare che felice era certo egh stesso mentre componeva
i suoi canti, e riusciva ad essere Leopardi. Come se non fosse
questo il significato di tutta la poesia leopardiana, e la sorgente
del suo irresistibile incanto ! Leopardi lo sapeva bene, e sotto la data
del 30 novembre 1828 ne’ suoi Pensieri annotava: «Felicità da me provata
nel tempo del com¬ porre, il miglior tempo eh’ io abbia passato in mia
vita, e nel quale mi contenterei di durare finch’ io vivo ! Passar
le giornate senz’accorgermene e parermi le ore cortissime, e
meravigliarmi sovente io medesimo di tanta facilità di passarle ». E
nell’agosto del '23 non aveva egli scritto, tra gli stessi Pensieri, che
« ninna cosa maggiormente dimostra la grandezza e la potenza deU’umano
intelletto.... che il poter l’uomo conoscere e interamente comprendere e
fortemente sentire la sua piccolezza » ? Tale il suo canto; il più
squisito frutto dell’operare della natura santa e onnipossente, raccolta,
per dir così, a far la più alta prova del suo potere dentro il
genio dell’uomo. Il quale, pertanto, in se stesso, infine, trova se
stesso, scoperta che abbia la fonte della sua vita: quel divino, che ha
in sé e gli colora il mondo delle beate larve, e lo solleva da questa
vicenda perpetua di nascere e di morire, di fallaci promesse e di v'ane
speranze, al regno immortale della vita dello spirito. E quando
scopre questa sorgente, egh è veramente lui, il genio; e sente
l’amore che abbellisce e conforta, e crede nella potenza e nella grandezza
dell’umana intelligenza, e torna ad amare la vita nobilitata dall’
ideale. E pur con le dolenti parole suggeritegli dallo spettacolo del
mondo esteriore in cui l’uomo rischia di smarrirsi, sente l’ineffabile
gusto dello spirito che si ritrae in se stesso e nel sentimento del
proprio valore, quale si svela al contatto di quella natura eterna, in
cui è il suo principio e con cui perciò deve immedesimarsi per trovare le
radici del suo proprio essere. E il naufragar m è dolce in questo
mare. Qui la grandezza del Poeta; qui l’incanto della sua
poesia, che i giovani amano per l’amore della giovinezza che vi spira
dentro; che gh uomini maturi ed esperti della vita amano non meno per il
lucido specchio che essa offre degli aspetti dolorosi dell’esistenza,
attraverso i quah si deve avere il coraggio di vivere, malgrado
ogni disinganno; che tutti gli uomini, piccoh e grandi, dotti o
ignoranti, considerano come uno dei doni più preziosi di Dio all’umanità.
Piccolo libro, in cui un gran cuore parla a tutti i cuori, e li unisce
(poiché unirsi devono per sedvarsi) in un sentimento acuto della miseria
inne- gabile della vita e della non meno innegabile azione
dello spirito che affranca da ogni miseria e infonde la fede per
cui si ha la forza di vivere. Piccolo hbro, sacro per gl’ Itahani e per
tutti gli uomini, come tutti i libri in cui grandi pensieri si sono fatti
semplici e chiari e perciò faciU, com’ è al passero solitario il suo
perpetuo canto : anima della sua anima. Piccolo libro da leggere
bensì non a brani e frammenti, ma intero, affinché non sia
frainteso, dimostri tutta la sua bellezza e spieghi insieme la sua dolce
virtù consolatrice e animatrice. POESIA E FILOSOFIA
DEL LEOPAEDI Conferenza tenuta al Lyceum di Firenze il 6 aprile
1938 e pubblicata nel volume di letture Giacomo Leopardi a cura di J.
De Blasi (Firenze. Sansoni, 1938). Ripubblicata in Poesia e filosofia
di Giacomo Leopardi (Firenze, Sansoni, 1939)- A parlare
della filosofia di un poeta, e di un grande poeta, o, che è lo stesso,
delle relazioni del pensiero di questo poeta con la filosofia, un pover
uomo, per discreto che voglia essere, si espone al rischio di toccare un
tasto falso e di riuscire uggioso e molesto fin dalle prime parole.
Ripugna infatti al senso poetico di cui ogni spirito ben¬ nato è più o
meno riccamente dotato, questa ricerca che ha tutta l’aria d’una pretesa
pedantesca, illegittima e affatto arbitraria : questa ricerca di mettere
quel che pensa un poeta, sopra tutto, ripeto, se è un grande poeta,
e cioè un poeta vero, quel che egli riesce a dire, ossia quello che egli
sente, e sente profondamente, al paragone degh astratti schemi in cui
ogni filosofia va a finire. Non già che i poeti non abbiano anch’essi la
loro filosofia, un loro concetto della vita, una loro fede. Oh se 1’
hanno ! Non c’ è uomo che non ne abbia una. Anzi con la vivezza e
col vigore del suo sentire la sostanza della propria vita spirituale,
nessuno così fortemente come il poeta afferma la propria fede e la oppone
ad ogni più meditata dottrina che si esibisca da coloro che passano per
gh autorizzati interpreti della filosofia; nessuno più di lui è
convinto d’avere una sua filosofia capace di sbaraghare tutte le
altre. Ma le battaglie che il poeta combatte e vince, si svolgono dentro
al chiuso della sua fantasia. E gh pos¬ sono bensì procurare la gioia
della vittoria, ma una gioia tutta soggettiva come di chi in sogno viene
a capo del suo più arduo desiderio e coglie il fiore più bello del
giar¬ dino della vita. E nella storia — che giudica tutti gli
15. — Gbntilb, Manzoni e Leopardi. individui e le opere
loro, perché con la ragione sovrana prima o poi valuta le ragioni di
ciascuno — di fronte al poeta rimane sempre il filosofo, che scopre le
contrad¬ dizioni del primo, il carattere dommatico e gratuito delle
sue asserzioni, l’immediatezza irrazionale della sua fede; e insomma i
difetti e le debolezze del suo pensiero ; e viene così a trovarsi nella
impossibilità di scorgere la grandezza della sua personalità se a
misurarla non adotti un metro diverso. E che cosa di più irriverente e
ottusamente inu¬ mano e brutale che accostarsi ai grandi uomini per
guar¬ darli da tutti i lati, anche da queUi che lasciano scorgere i
loro difetti, e non guardarli mai da quell’unico aspetto in cui rifulge
la loro grandezza ? Fu detto che non c’ è grande uomo per il suo
cameriere; e potrebbe parere che in fine il filosofo sia, per tale
rispetto, il cameriere del poeta; gli spazzola i vestiti, gli allaccia le
scarpe, ma non lo guarda mai in faccia. Oh la servitù
numerosa che sta intorno al poeta ! C’ è il filosofo; ma c’ è anche
l’antropologo e lo psico¬ logo ; c’ è lo storico puro e c’ è il filologo
; schiere e schiere di scienziati, servitori dalle più vistose livree; i
quah, per quel garbo e quella riservatezza che sono tra i requi¬
siti più elementari del mestiere che esercitano, non al¬ zano mai gli
occhi verso il padrone, per entrargli nel¬ l’anima e scrutarne la passione,
intenderla, sentirla, parte¬ ciparvi. Certo non si permetterebbero mai
tanta confidenza! Nessuna mera^'iglia ]ioi se il poeta guarda
dall’alto tutto questo servitorame, e sta sulle sue, per non con¬
fondersi, per salvare se stesso e \fivere la sua vita supe¬ riore, di cui
è geloso come del suo tesoro. Talora può concedere un sorriso di umana
indulgenza o signorile degnazione; ma il più spesso guarda con que’ suoi
acuti occhi che penetrano negh ascosi pensieri — così labo¬ riosi,
così opachi, così grevi; — e negh angoh della bocca il sorriso diventa
ironia, sarcasmo. E allora la povera ÌIANZONl E LEOPARDI
227 filosofia, anche pel poeta, come per tutti gli uomini
che la filosofia assedia, assilla e infastidisce con le sue inces¬
santi inchieste e pretese, diventa materia di satira. Allora, il
Leopardi esce in un’osservazione di gusto volteriano, come questa che è
nello Zibaldone, sotto la data del 7 novembre 1820: «L’apice del sapere
umano e della filosofia consiste a conoscere la di lei propria inutilità
se l’uomo fosse ancora qual era da principio; consiste a correggere i
danni ch’essa medesima ha fatti, a rimetter l’uomo in quella condizione
in cui sarebbe sempre stato s’ella non fosse mai nata. E perciò solo è
utile la som¬ mità della filosofia, perché ci libera e disinganna
dalla filosofia ». Osservazione che ama ripetere il 21 maggio 1823,
dandola come un «suo principio»: «La sommità della sapienza consiste nel
conoscere la propria inutihtà, e come gli uomini sarebbero già sapientissimi
s’ella non fosse mai nata: e la sua maggiore utilità, o almeno il
suo primo e proprio scopo, nel ricondurre l’intelletto umano (s’ è
possibile) appresso a poco a quello stato in cui era prima del di lei
nascimento ». E in assai più nitida forma tornerà a ribadirla infine come
uno de’ capisaldi delle sue più profonde convinzioni, nel ’zq, nel
Dialogo di Timandro e di Eleandro: «L’ultima conclusione che si
ricava dalla filosofia vera e perfetta, si è, che non bi¬ sogna filosofare
». Nei Paralipomeni (IV’, 14) degli ultimi anni, anzi degli
ultimi giorni della sua vita, più amaramente dirà; Non è filosofia
se non un'arte La qual di ciò che l'uomo è risoluto Di creder circa
a qualsivoglia parte. Come meglio alla fin 1 ’ è conceduto.
Le ragioni assegnando empie le carte O le orecchie talor per
instituto Con più d'ingegno o men, giusta il potere Che il maestro
o l'autor si trova avere. Eppure, s’ingannerebbe sul vero pensiero
del Leo¬ pardi chi si limitasse a leggere questa sola ottava dei
Paralipomeni, come chi si diverte a ripetere col Petrarca. Povera e nuda
vai filosofia, dimenticando o ignorando che il Petrarca continua; Dice la
turba al vii guadagno intesa. Dopo l’ottava che ho letta, il Leopardi
infatti si ripiglia nella seguente, e precisa, compiendolo, il pen-
sier suo in questo modo: Quella filosofia dico che impera Nel
secol nostro senza guerra alcuna, E che con guerra più o men
leggera Ebbe negli altri non minor fortuna, Fuor nel prossimo
a questo, ove, se intera La mia mente oso dir, portò ciascuna
Facoltà nostra a quelle cime il passo Onde fosto inchinar 1 ’ è forza al
basso. La filosofia, dunque, che il Leopardi schernisce è
quella teologica, come allora si diceva, dommatica, spiritua¬
listica; la filosofia della Restaurazione e del Romanti¬ cismo. La
filosofia imperante al suo tempo: non ogni filosofia. Anzi la filosofia
imperante, tutta ottimistica, presuntuosa, intollerabile alla mentalità
leopardiana per¬ ché in contrasto coi fatti e con le necessità di ogni
li¬ bera mente, proveniente, come pur quivi si dice, da
quella Forma di ragionar diritta e sana Ch’a priori in iscola
ancor s'appella, Appo cui ciascun’altra oggi par vana.
La qual per certo alcun principio pone E tutto l'altro poi a quel
piega e compone; cotesta filosofia non è satireggiata qui
propriamente dalla poesia, ma dalla filosofia stessa, o, se si vuole,
da un’altra filosofia. Si tratta deUa filosofia falsa che è com¬
battuta e debellata dalla vera: ossia da quella che all’au¬ tore par
vera. Neanche si può dire quel che dice il Man- zoni degli
avversari della filosofia respinta in tutte le sue forme e in generale,
quando osserva che anch’essi, questi avversari della filosofia, senza
saperlo, hanno una loro filosofia, servitori senza livrea. Il Leopardi sa
di avere la sua filosofia; anzi, per cominciare ad intenderci, egli
propriamente professa di averne due. Dico cU più: senza r intelligenza di
questa sua duphce filosofia si rischia di fare, a proposito del Leopardi,
di quella esegesi filo¬ sofica, ov\’ero sia di quella filosofia, che s’ è
soliti fare, e che s’ è sempre fatta fin dal tempo del Leopardi;
una filosofia infarcita di luoghi comuni e di massiccia pedan¬
teria: filosofia da camerieri che allacciano le scarpe e non guardano in
faccia. Con la filosofia cosiffatta va a braccetto una
critica che si chiama infatti filosofica, presuntuosa non meno,
tutta chiusa alla intelligenza dell’anima del Poeta e però della sua
poesia. La quale critica io mi permetto di con¬ dannare per una ragione
di metodo, che ritengo fonda- mentale. Ed è questa: che l’essenza della
poesia non è nel pensiero del poeta, ma nel sentimento che il poeta
ha del suo pensiero: non è nel mondo che egh vede, ma negh occhi con cui
lo vede e lo accoglie, lo fa vibrare e vivere nel suo interno. Fuori del
quale ogni realtà, sen¬ sibile o ideale, è semphce astrattezza
inafferrabile. Lì, nel trepido moto dell’ intimo sentire, in cui il
mondo ha il suo centro di vita, è l’attuahtà di quanto si vede o si
pensa, o si può vedere e pensare; e lì è la sorgente della poesia. Perciò
una critica che innanzi alle Operette morali si ferma allo «spirito
angusto, retrivo e reazio¬ nario », cioè alle idee negative che vi
spaziano dentro, e per ciò non riesce a scorgere quanto v’ è di umano
e cioè di positivo ed eterno, è critica radicalmente sbaghata, che
scambia le ombre con i corpi saldi. Poiché le idee, una volta astratte
dall’atteggiamento che l’anima assume verso di esse, ossia dal concreto
atto vitale a cui esse partecipano e da cui traggono il loro
significato vivente, sono pallide ombre che il critico si fingerà
astrattamente, ma non {lotrà mai abbracciare al suo petto.
Nel caso del Leopardi poi c’ è di più; perché, come ho accennato,
se egli ha una filosofia tutta negativa, natu- rahstica e materialistica,
che gli sembra inoppugnabile e che fa materia di assiduo pensare e
ispirazione altresì del suo canto, egli ha la filosofia di cotesta sua
filosofia. E in questa filosofia superiore che è negazione della
ne¬ gazione, e che afferma perciò, come abbiamo udito da Eleandro,
ultima conclusione della filosofia v'era e per¬ fetta esser quella, che
non bisogna filosofare; in questa filosofia superiore è il senso serio e
profondo di quella che a primo aspetto ci è parsa condanna beffarda
della filosofia, giudicata inutile anzi dannosa. Lo stesso
Leopardi, teorizzando questa filosofia su¬ periore, in cui fa consistere
la cima della sapienza, la chiama, nello Zibaldone (7 giugno 1820),
«ultrafilosofia»: una filosofia « che conoscendo l’intero e l’intimo
delle cose, ci ravvicini alla natura » : filosofia naturale, spon¬
tanea, primitiva, barbara; più che alle origini, si trova nella maturità
della intelhgenza umana. Sentiamo da capo Eleandro, che nel suo stesso
nome vuol essere 1 ’ in¬ terprete della filosofia leopardiana contro la
pretensiosa filosofia ottimistica alla moda di Timandro: «S’ingan¬
nano grandemente », egli dice, « quelli che dicono e pre¬ dicano che la
perfezione dell’uomo consiste nella cono¬ scenza del vero, e tutti i suoi
mali provengono dalle opinioni false e dalla ignoranza, e che il genere
umano allora finalmente sarà febee, quando ciascuno o i più degli
uomini conosceranno il vero, e a norma di quello solo comporranno e
governeranno la loro vita. E queste cose le dicono poco meno che tutti i
filosofi antichi e moderni ». Timandro ha concesso ad Eleandro che
tutti sono infelici; gli ha concesso la necessità della
nostra miseria, e la vanità della vita, e l’imbecillità e picco¬
lezza della specie umana, e la naturale malvagità degli uomini; gli ha
concesso che in queste verità si assommi la sostanza di tutta la
filosofia; ma deplora egh che tali verità vengano divulgate col solo frutto
di spogliare gli uomini della stima di se medesimi («primo
fondamento della vita onesta, della utile, della gloriosa ») e
distorh dal procurare il loro bene. — Ma dunque, ribatte Ele-
andro, « quelle verità che sono la sostanza di tutta la filosofia, si
debbono occultare alla maggior parte degli uomini; e credo che facilmente
consentireste che deb¬ bano essere ignorate o dimenticate da tutti:
perché sa¬ pute, e ritenute nell’animo, non possono altro che nuo¬
cere. 11 che è quanto dire che la filosofia si debba estir¬ pare dal
mondo ». Dunque, non bisogna filosofare, come s’ è detto.
Dunque, incalza Eleandro, « la filosofia primieramente è inutile,
perché a questo effetto di non filosofare non fa di bisogno di essere
filosofo; secondariamente è dan¬ nosissima, perché cjuella ultima
conclusione non vi s im¬ para se non alle proprie spese, e imparata che
sia, non si può mettere in opera; non essendo in arbitrio degli
uomini dimenticare le verità conosciute, e dcponenclosi più facilmente qualunque
altro abito che quello di filosofare ». Non si può mettere in
opera. Il che significa che rultrafilosofia — che è la conclusione
perfetta e perciò la vera filosofia — non estirpa e distrugge l’altra,
falsa o insufficiente. La quale, buona o cattiva che sia, è quella
che è: e, una volta piantata nel cervello dell’uomo, vi resta confitta
incrollabilmente, anche suo malgrado, quantunque insieme con essa e al
disopra di essa ci sia una verità certamente più umana e degna dell’uomo,
diretta a ricostruire quel che la prima ha demolito. Verità ? Se
per verità s’intende solamente quel che si conosce per mezzo
deU’esperienza e di quello schietto ragionare che s’appoggia sempre ai
fatti osservati, questa della filosofia superiore non è verità, ma
esigenza del¬ l’animo, e voce misteriosa della più profonda natura,
che la filosofia più tenace e più pervicace non riuscirà mai a spegnere.
Ma se verità è la mèta raggiunta filoso¬ fando, questa è la verità
assoluta, perché messaci innanzi dalla stessa filosofia quando sia
riuscita ad elevarsi fino alla sommità della sapienza. Dove, volendo pur
non contraddire alle verità via via accertate e sempre più
strettamente connesse e saldate insieme in irrepugnabile sistema, bisognerà
sì rassegnarsi a dire errori in sem¬ bianza di verità, illusioni,
fantasmi, tutte quelle altre verità che come tali si rappresentano
all’uomo il quale a quella sommità sia pervenuto; e quindi veda
rivivere il mondo nella pienezza rigogliosa della sua vita primi¬
tiva, felice, ridente, soffusa di una divina aura di giovi¬ nezza ignara
e fidente. L’uomo Leopardi non può non filosofare; non può non passare
attraverso la prima filo¬ sofia; ma non può né anche non giungere infine
alla se¬ conda e superiore. Dove egli ritrova tutto quello che ha
perduto. Lo ritrova, s’intende, com’ è possibile soltanto
dopo averlo perduto; poiché dimenticare quel che ha saputo e sa,
non potrà mai ; a quel modo che può tornar fanciullo un uomo che ha vissuto
e sofferto tutte le delusioni e le amarezze del mondo, e può riacquistare
il gusto della virtù chi abbia una volta bevuto al calice del bene
e del male. Chi distingue nel pessimismo leopardiano due fasi
o forme, la prima di un pessimismo storico in cui tutto il male è
frutto dell’ « irrequieto ingegno » e dello « scel¬ lerato ardimento »
degli uomini contro gl’ inermi regni della saggia natura (di cui
si parla nell’ Inno ai Patriarchi), e l’altra di un pessimismo cosmico
che fa gli stessi uomini vittime incolpevoli della immane natura, si
lascia sfug¬ gire l’unità fondamentale dello spirito del Poeta, dov’
è, ripeto, il segreto della sua poesia; di quella dolcezza che ci
suona dentro alla lettura dei canti dal primo all’ultimo, e in forma più palese
e più sistematicamente determinata, almeno nell’ intenzione dello
scrittore, nelle Operette mo¬ rali: dolcezza che vince, per così dire,
tutta l’amarezza che negli uni e nelle altre si riversa nelle più varie
forme dell’anima di quest’uomo, che fu certamente tanto grande
quanto infelice, e seppe accogliere nella vasta onda della sua poesia
tutto il dolore del mondo, ma non per avvol¬ gere il mondo stesso nella
tenebra della disperazione, anzi per illuminarlo coi raggi d’una indomata
fede nella vita con i suoi ideali e con i suoi entusiasmi. La
verità è quella che ci viene apertamente attestata nello stesso disegno
delle Operette. Le quali cominciano col mito delle origini della umanità
governate dall’amore e finiscono nella conclusione di Eleandro : « Se ne’
miei scritti io ricordo alcune verità dure e triste, o per isfogo
dell’animo, o per consolarmene col riso, e non per altro [e dunque egli
ha sfogato, e s’è consolato e ora può parlare con animo pacato e sereno],
io non lascio tuttavia negli stessi libri di deplorare, sconsigliare e
riprendere lo studio di quel misero e freddo vero, la cognizione del
quale è fonte o di noncuranza e infingardaggine, o di bassezza
d’animo, iniquità e disonestà di azioni, e perversità di costumi: laddove,
per lo contrario, lodo ed esalto quelle opinioni, benché false, che
generano atti e pensieri nobili, forti, magnanimi, virtuosi, ed utili al
ben comune e pri¬ vato; quelle immaginazioni belle e felici, ancorché
vane, che dànno pregio alla vita; le illusioni naturali dell’animo;
e in fine gli errori antichi, diversi assai dagli errori barbari.
i quali solamente, e non quelli, sarebbero dovuti cadere per opera
della civiltà moderna e della filosofia ». E più tardi l’autore aggiungerà
il Dialogo di Plotino e di Por¬ firio, dove l’accento torna sull’amore
come sovrana legge della vita e rintuzza la volontà suicida dell’egoista
giunto al fondo della disperazione della sua vita senz’amore. Prima
parola ed ultima, amore. Quella stessa che risuona in fondo ai Canti,
nella Ginestra. E contraddice certa¬ mente al freddo vero dell’ Epistola
al Popoli e dello Zi¬ baldone, e delle Operette e dei Pensieri e dei
Paralipo¬ meni e dei Nuovi credenti e insomma a tutto il contenuto
prosaico della poesia leopardiana; voglio dire a tutto quel sistema di
filosofia che era, nel vocabolario del Leo¬ pardi, la verità in
opposizione agli errori: a tutto il com¬ plesso degli insegnamenti di
quella filosofia secolo XVIII che, per altro, negli stessi Paralipomeni,
dove più espres¬ samente essa viene esaltata, non impedisce al
Leopardi di uscire in quel famoso grido del cuore (V, 47):
Bella virtù, qualor di te s’awede. Come per lieto avvenimento
esulta Lo spirto mio. Cotesta filosofia, non occorre esporla.
Tutti la cono¬ scono. E quella concezione del mondo, che giustifica
un empirismo assoluto. Lo spirito vuoto; e tutto quello che in esso
può mai trovarsi, un derivato meccanico dal¬ l’esterno attraverso i
sensi. Quindi lo stesso spirito, il quale da chi tenga fermo al concetto
delle sue esigenze imprescindibili, non può non raffigurarsi dotato di
liberta, e quindi appartenente a quel mondo dei valori per cui è
possibile un pensare logico che sia vero in opposizione al falso, o un
volere buono in contrasto col malvagio, e un’arte creatrice di bellezza
che si libri nel puro aere ideale e sovrasti alla miseria di tutte le
cose brutte; lo stesso spirito, dico, tratto a sentirsi, nel vuoto
assoluto K LliOPAltm che si trova dentro,
nulla: assoluto nulla, in cui libertà e verità e virtù e bellezza non
possono essere, in fondo, altro che vane larve e falsi miraggi di un’
immaginazione ingenua e fanciullesca. E il tutto è natura: cioè
questa realtà che si rappresenta a un tratto tutta spiegata ncUo
spazio e nel tempo, materiale, risultante da infinite parti e particelle
che si condizionano a vicenda in guisa che ciascuna sia 0 si muova in
conseguenza di tutte le altre; in un meccanismo universale, dove tutto
quel che accade, è fatale di una necessità che schiaccia e stritola
ogni vana pretesa dell’uomo che si ])rovi a mutare il corso del
destino. Tutto. Anche il sentimento che sboccia nel cuore degli uomini, e
che soltanto l’irriflessione e l’igno¬ ranza ci possono far giudicare buono
o cattivo; anche il giudizio con cui ci s’illude di distinguere il vero
dal falso. Anche la volontà che non sceglie, come si favo¬ leggia,
tra bene o male, ma scoppia in un senso o nel¬ l’altro con la stessa
cieca necessità del fulmine nelle tempeste della natura. La
natura dunque è tutto, e l’uomo nulla. La natura, perché meccanica,
incomprensibile, opaca, ripugnante a ogni razionalità (perché la ragione
è discriminazione, scelta, libertà). Un mistero. Così dice
cotesta filosofia, come se tutto questo, che essa dice con tanta
sicurezza, fosse possibile; come se cioè fosse possibile un mondo in cui,
se non altro, la ve¬ rità sia una parola vana, e ci sia nondimeno posto
per l’uomo che, in mezzo a questo universale meccanismo, nel mistero
di questa tenebra profonda e per definizione invincibile, abbia pure il
diritto di affermare che la ve¬ rità sia proprio quella che egli
asserisce ! Come se fosse possi¬ bile salvare una verità qualsiasi dal
naufragio d’ogni verità. Filosofia dunque essenzialmente contradditoria,
che nei filosofi empiristi, naturalisti, materialisti, tipo secolo XVIII,
è ignara di questa sua immanente contrad¬ dizione, tra la ragione che si
nega e la ragione che per negarsi rivendica di fatto il proprio potere e
valore. Filosofia accettata dal Leopardi, ma con un’anima che
troppo sente le conseguenze dolorose di essa e troppo è naturalmente
dotata di quella forza con cui lo spirito reagisce ai hmiti che si
oppongono alla sua libertà, e quindi al dolore, per non aver coscienza di
tale contraddizione. E questa coscienza è in lui acutissima. L’uomo,
pertanto, che dovrebbe prostrarsi di fronte alla natura nel senso
angoscioso del proprio niente, non piega, invece, non s’accascia, non
rinunzia alle sue verità, anche se battezzate fantasmi. Il dolore, attraverso
la potente reazione di tutto il suo spirito nel senso gagliardo e tenace
con cui l’apprende e lo ferma nel cristallo della sua divina
fantasia, si trasfigura: non è più il limite della sua forza e della sua
libertà; è poesia, cioè umanità; è grandezza umana, trionfo della potenza
creatrice, che è Ubera e infinita potenza. Qui l’anima del
Leopardi, qui il fascino deUa sua poesia. La quale non trae la sua
ispirazione centrale dall’astratto concetto di quel crudo materialismo,
che annienta l’uomo e fiacca perciò ogni velleità di vivere a
proprio modo, a norma de’ propri ideaU, in un mondo qual egU perciò lo
vagheggi, liberamente, ma da questo senso profondo, or cupo e straziante,
or placato e sereno, che gli \aene dalla sua « ultrafilosofia », dal
bisogno di respingere come antiumana e contradditoria alla incoer¬
cibile natura dell’uomo cotesta filosofia negativa e sof¬ focante. Ora è
Bruto minore, nudo di speranza, ma prode, di cedere inesperti), neUa sua
guerra mortale contro il fato indegno, in atto di sfida magnanima contro
il Destino, che egU vince, violento irrompendo nel Tar¬ taro: e la
tiranna Tua destra, allor che vincitrice il grava.
Indomito scrollando si pompeggia. Quando nell’alto lato
L’amaro ferro intride, E maligno alle nere ombre sorride.
Ora è la misera Saffo, grave ospite di natura, estranea alla
infinita beltà di questa, consapevole del prode ingegno che pur le venne
in sorte assegnato, delle proprie virili imprese, del dotto canto, della
virtù insomma che può vantare; ed ecco, è risoluta di spargere a terra il
velo indegno ricevuto da natura, primo principio della sua
infehcità; e morire, ed emendare così «il crudo fallo del cieco
dispensator de’ casi ». Ora è il Poeta stesso, che invoca la morte
hberatrice; Ma certo troverai, qual si sia l’ora Che tu le
penne al mio pregar dispieghi. Erta la fronte, armato,
E renitente al fato. La man che flagellando si colora
Nel mio sangue innocente Non ricolmar di lode. Non benedir,
com’usa Per antica viltà l’umana gente; Ogni vana
speranza onde consola Sé coi fanciulli il mondo. Ogni
conforto stolto Gittar da me. O che, stanco di sperare e
disperare, sente in sé spento anche il desiderio, e vuol acquetarsi
nell’ultima dispera¬ zione e cliiudersi in un superbo disdegno di se
medesimo, della natura e di questa « infinita vanità del tutto » ;
nel disprezzo del « brutto poter che, ascoso, a comun danno impera
». Ora invece, il Poeta s’accosta a questa Natura mi¬
steriosa, arcana, e si scioglie in un mistico sentimento della sua vita
infinita e divina. Giacché si sa che il na¬ turalismo è stretto parente
della mistica, che ugualmente oppone la realtà all’uomo al punto da non
lasciargli più modo di distinguersene e spingerlo perciò al
desiderio d’immergersi e immedesimarsi col tutto infinito che gli è
davanti e lo attrae. E allora il Leopardi ricompone il suo volto dal
ghigno della ribellione, e scioglie il suo dolore, ossia quella sua soggettività
solitaria e disperata di uomo che, perduta la giovinezza, vede intorno a
sé il deserto e il buio della sera e deH’orrida vecchiezza, nella
languida consolazione degli Idilli: de l’Infinito, dove il poeta non
canta più il suo dolore, ma il dolce gusto dell’eterno: Co.sì
tra questa Immensità s’annega il pensier mio; E il
naufragar m’ è dolce in questo mare; de La sera del dì di festa,
dove il cuore si stringe A pensar come tutto al mondo passa E
quasi orma non lascia; e il suono delle umane glorie e degl’ imperi
più famosi cede come il canto dell’artigiano che riede a tarda
notte al suo povero ostello poiché la festa è finita: Tutto è
pace e silenzio, e tutto posa Il mondo; e risvegha nella
memoria del poeta una immagine ac¬ corante insieme e viva divenutagli
familiare: ed alla tarda notte Un canto che s’udia per li
.sentieri Lontanando morire a poco a poco...; de La vita
solitaria, dove « l’altissima quiete » del me¬ riggio presso all’ immoto
specchio del lago di taciturne piante incoronato gli fa obliare se stesso
e il mondo: e già mi par che sciolte Giaccian le membra mie, né
spirto o senso Più le commova, e lor quiete antica Co’ silenzi del
loco si confonda. Estasi; estasi mistica che fa risalire dal petto
il tre¬ pido grido dell’angoscia religiosa, che echeggia nel canto
Alla primavera, 0 delle favole antiche: Vivi tu, vivi, o
santa Natura ? e quello anche ])iù antico della stupenda
lettera al Gior¬ dani del marzo 1821, che convien rileggere: «Poche
sere addietro, prima di coricarmi, aperta la finestra della mia
stanza, e vedendo un cielo puro e un bel raggio di luna, e sentendo
un’aria tepida e certi cani che abbaiavano da lontano, mi si svegharono
alcune immagini antiche, e mi parve di sentire un moto nel cuore, onde mi
posi a gridare come un forsennato, domandando misericordia alla
Natura, la cui voce mi parve di udire dopo tanto tempo ». A
questa religione, da cui la filosofia inferiore allontana, riconduce quella
superiore, la ultrafilosofia. Quando il Leopardi annota nello Zibaldone
(1° die. 1820) che « la filosofia.... s’ ha per capitai nemica della
Religione, ed è vero », egli parla (com’ è evidente dal seguito
della sua nota) della filosofia inferiore. Egli stesso ha il
pensiero a una diversa filosofia quando, sotto la data del 5 ottobre
1821, segna cjuesto pensiero profondo: «1 tedeschi si strisciano sempre
intorno e appiedi alla verità; di rado l’afferrano con mano robusta: la
seguono indefes¬ samente per tutti gli andirivieni di questo
laberinto della natura, mentre l’uomo caldo di entusiasmo, di sen¬
timento, di fantasia, di genio, e fino di grandi illusioni, situato su di
una eminenza, scorge d’un’occhiata tutto il laberinto, e la verità che
sebben fuggente non se gli può nascondere ». La mano robusta dunque non si
con¬ tenta della ragione, ma vuole anche cuore, fede, natura o «
senso dell’animo », genio ; e cioè, non sa che farsi della piccola
ragione, poiché ha bisogno della grande. La quale non s’illude di aver spiegato
tutto quando ha spiegato la natura, e non ha spiegato e si mette in
condizioni di non poter più spiegare l’uomo, e deve rassegnarsi a
dire errori quelle verità che sono fondamento alla \'ita umana. L’uomo,
che è poi colui che si propone il pro¬ blema della natura, e senza del
quale {pertanto il pro¬ blema stesso non sorgerebbe mai. L’uomo, che
quella mezza filosofia della ragione piccola rinserra e schiaccia
nel meccanismo della natura e condanna alla schiavitù del nulla, ma che
risorge in tutta la sua libertà e nel suo valore infinito appena la
grande ragione gh faccia sentire la sua grandezza nella sua stessa
infehcità: « Niuna cosa » infatti, come si legge nello Zibaldone (12
agosto 1823), « maggiormente dimostra la grandezza e la po¬ tenza
dell’umano intelletto.... che il poter l’uomo co¬ noscere e interamente
comprendere e fortemente sentire la sua piccolezza » ; e provare la gioia
del comporre, del cantare, del pensare, del sentire !
L’infehcità, essa stessa, poiché sentita, intesa, espressa, è grandezza,
eccellenza. E perciò l’uomo non soggiace alla natura, e può non temere la
morte, e può, come la ginestra, consolare il deserto col profumo del suo
divino alito spirituale. Perciò infine il poeta c’ insegna, in una
forma lapidaria che fa parere il suo detto quasi proverbio, che « nessun
maggior segno d’essere poco filosofo e poco savio, che voler savia e
filosofica tutta la vita » (Pens., n. 27). Verità infatti che merita di
passare in proverbio tra i filosofi. E pel Leopardi vuol dire che nella
vita non c’ è soltanto la filosofia : c’ è altro ancora, che è poi
sempre filosofia. La vera però, che afferra la verità con mano
robusta, non quella falsa che sola par vera all’angusto MANZONI E
LEOPARDI 241 intelletto del filosofo chiuso nel
bozzolo del suo intel¬ lettualismo. La quale filosofia, si
ponga mente, una volta, come s’è veduto, il Poeta la chiama
ultrafilosofia; ma non è poi altro propriamente che la sua personalità,
il suo modo di vedere e di sentire la vita, quell’ingenita virtù
che prorompe nel Risorgimento, quando l’anima si ri¬ svegliò e rivide
meravigliata salire su dal profondo i palpiti naturali, i dolci inganni,
la speranza, e il senti¬ mento della natura (« Meco ritorna a vivere, La
piaggia, il bosco, il monte; Parla al mio core il fonte. Meco fa¬
vella il mar ») : quella ingenita virtù, che gli affanni po¬ terono
sopire; Non l’annullàr: non vinsela Il fato e la
sventura; Non con la vista impura L’infausta verità.
La virtù da cui sgorga la poesia; e che è, io dico, la stessa
poesia, depurata dalle forme in cui il pensiero la determina e attua.
Giacché io non vorrei che nelle parole, nelle formule, nei concreti
pensieri, come sistematica- mente si possono comporre ad unità nelle
esposizioni che l’autore non fece delle sue idee, e che, sempre a
fatica e non senza arbitrarie glosse, continuano a imbandirci quei
camerieri del Leopardi che sono i suoi interpreti, pronti a sobbarcarsi a
scriver loro sulla filosofia del Leo¬ pardi i volumi che questi non pensò
mai di scrivere; non vorrei, dico, si ricercasse una vera e formata
filosofia come opera riflessa e logicamente costruita su’ suoi fon¬
damentali convincimenti e orientamenti ’ Mi perdoni la grande e
austera ombra del Poeta questa parola cara oggi a certi spiriti spigoUsti
e vanitosi, che ogni giorno che il Padre manda in terra, suonano a stormo
per adunar gente e catechiz¬ zarla tra un sorriso mellifluo e un ohibò di
pelosa carità, e disporla a cercare con essi l’orientamento che essi non
riescono mai a trovare. 16 . — G-BNTlLE, Xtnnznni <•
heopardi. No; le parole, i pensieri più o meno frammentari e sparsi,
le sentenze assai spesso felicemente formulate non possono essere pel
critico altro che accenni, spie dell’anima del Poeta. La cui
individualità è caratteriz¬ zata e, propriamente, individuata da un certo
atteg¬ giamento, che è la concreta filosofia dell'uomo: quella che,
conferendo all’uomo un carattere, non ci spiega tanto le sue parole,
spesso espressioni di cose pensate e non sentite, ma le azioni in cui
l’uomo opera come sente nel suo più intimo essere; là dove egli, arrivi o
no ad averne coscienza in un sistema chiaro e bene organato di
idee, è quello che è : quello che l’uomo nella sua singo¬ lare e
inconfondibile individualità si mamfesta e si fa conoscere non per quel
che dice ma per il modo in cui lo dice, non pel contenuto delle sue
parole ma pel colore che esse hanno sulla sua bocca, per l’accento con
cui la sua anima vi suona dentro. Stile, essenza della poesia
d’ogni uomo. Sicché, infine, a parlare degnamente della filosofia del
Leopardi, non bisogna ridursi alla parte del cameriere. Conviene guardare
il Poeta negh occhi, dove la pupilla trema della commozione segreta:
ascoltare il suo canto, dove la sua filosofia è la sua stessa poesia. Giacomo Leopardi. Leopardi. Keywords: il favoloso. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e gli usi di Leopardi nella filosofia
italiana," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51673483528/in/photolist-2mN8ym7-2mMSyLM-2mLP9qE-2mLP3hz-2mLExs3-2mKQ5j7-2mKNNqN-2mKPQMm-2mKC3nj-2mKCnei-2mPNG7N-2mKEPJE-2mKDwcr-2mKEJsY-2mKDLrD-2mKjsJY-2mKbfaU-2mKiTu1-2mJq2uE-2mJd7mv-2mJd7kD-2mJ7Kmy-2mJfkMq-2mJgmew-2mJfkPu-2mJbSzH-2mJbSX6-2mJd7mf-2mJgmcC-2mJbSYD-2mJbSXr-2mJfkQb-2mJbSZf-2mJfkPj-2mJgmf8-2mJgmeG-2mJbSXm-2mJd7nN-2mKbTKy-2mKgHKe-2mJfkPe-2mJfk8z-2mJfkMk-2mJgmcx-2mJfkN2-2mJgmdu-2mJgmdK-2mJ7KkB-2mJe9QJ-2mJ4GHU
Grice e Leopardi – 1150 – implicatura – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Recanati). Filosofo. Grice: “We don’t have at Oxford
a ‘chip off the old block’ as they have in Recanati!” -- Importante esponente del
pensiero controrivoluzionario e padre di Leopardi. Leopardi, targa
commemorativa apposta sui portici di piazza Leopardi a Recanati Figlio
primogenito del conte Giacomo e di Virginia dei marchesi Mosca, nacque in una
delle famiglie più preminenti di Recanati. Rimasto a quattro anni orfano del
padre, crebbe con la madre (che non volle risposarsi per accudire i quattro
figli), gli zii paterni rimasti celibi e i fratelli. Educato in casa dal
precettore Giuseppe Torres, padre gesuita fuggito dalla Spagna a seguito della
cacciata dell'ordine dal regno, ricevette una formazione improntata agli ideali
cristiani, cui rimase fedele per tutto il resto della sua vita. Fu sottoposto
alla tutela di un prozio, non potendo amministrare direttamente il patrimonio
familiare per disposizione testamentaria. Ottenne tuttavia da papa Pio VI la
deroga alla disposizione paterna e, all'età di 18 anni, assunse
l'amministrazione della propria eredità. Dopo un primo progetto di nozze andato a
monte, sposò nel 1797 la marchesa Adelaide Antici, sua lontana parente. Il
matrimonio fu un matrimonio d'amore strenuamente osteggiato dalla famiglia di
Monaldo, in base ad antiche dispute tra casati e per questioni economiche
(mancanza di una dote adeguata), che per manifestare la propria contrarietà non
partecipò al matrimonio, che venne infatti celebrato nella sala detta
"galleria" di palazzo Antici a Recanati. Il patrimonio di famiglia,
dalle mani di Monaldo, passò in quelle della moglie, a causa dei debiti del
prozio che il conte non riusciva a ripianare. Frutto di questa unione tra
opposti caratteri furono numerosi figli: di questi, raggiunsero l'età adulta
Giacomo, Carlo, Paolina, Luigi, e Pierfrancesco. A causa della impossibilità di
gestirli (dovuta alla sua indole caritatevole verso i poveri, agli sperperi dei
parenti e all'invasione giacobina), l'amministrazione dei beni di famiglia
passò nelle mani della consorte, donna energica e severa; Monaldo poté così
dedicarsi totalmente alla sua passione, gli studi e le lettere. Tra i suoi
molti meriti vi è aver grandemente contribuito alla formazione del nucleo fondamentale
della biblioteca di famiglia dei Leopardi, nella quale il giovane Giacomo passò
i suoi anni di "studio matto e disperatissimo" (compresi i libri
proibiti per i quali il conte ottenne la dispensa della Santa Sede, per
metterli a disposizione dei figli) e che Monaldo donò all'intera cittadinanza
recanatese, come ricorda la lapide apposta nella cosiddetta "prima
stanza". L'impegno civico Angolo della biblioteca di palazzo
Leopardi negli anni Cinquanta, con i ritratti di Monaldo, Adelaide e
Giacomo Il medico e naturalista britannico Edward Jenner La sua opera è
rappresentativa del concetto di reazione (per es., la demolizione
dell'egualitarismo nel Catechismo sulle rivoluzioni), inoltre gli vanno
riconosciuti diversi meriti acquisiti durante lo svolgersi della sua vita
politica, indirizzata nei confronti di Recanati, città in cui visse.
Monaldo fu consigliere comunale a diciotto anni, governatore della città, amministratore
dell'annona. Fu tra coloro che si mantennero fedeli al papa Pio VI nel periodo
dell'occupazione francese. S'adopera per mantenere tranquilla la popolazione in
tumulto contro le forze dei rivoluzionari francesi e, in accordo con i suoi
principî morali e religiosi, rifiutò di assumere incarichi pubblici durante la
Repubblica Romana e il primo ed effimero Regno d'Italia. Fu gonfaloniere di
Recanati, la massima carica amministrativa, e si occupò della costruzione di
strade e di ospedali, dell'illuminazione notturna, del sostegno ai meno
abbienti, della riduzione delle tasse, del rilancio degli studi pubblici e
delle attività teatrali. Sebbene fosse preoccupato per le conseguenze
della meccanizzazione sull'occupazione, ritenne che le ferrovie e le macchine a
vapore fossero tutt'altro che inconciliabili con una società cristiana. Stimolò
inoltre il diboscamento del suolo, la messa a coltura dei prati, lo
stabilimento di case coloniche e l'applicazione di nuove colture, come il
cotone o la patata. Fu anche il primo a introdurre nello Stato Pontificio il
vaccino antivaioloso dell'inglese Edward Jenner e lo fece sperimentare sui
propri figli; poi, da gonfaloniere, rese obbligatoria la vaccinazione che
svolgeva personalmente (in ciò smentendo la raffigurazione caricaturale di
"retrogrado" che si attribuì ideologicamente alla sua figura da parte
della critica novecentesca). Sostenne anche un progetto per la fondazione di
un'università nella sua città natale, che però alla sua morte non ebbe
seguito. Infine, durante la carestia, fece erogare gratuitamente i
medicinali ai più bisognosi e creò occasioni di lavoro, sia maschile, con la
costruzione di strade, sia femminile, con la tessitura della canapa. Come
scrisse una volta, quelle attività riformatrici non erano in contrasto con le
sue idee controrivoluzionarie; infatti dichiarò: «Oggi si pretende di costruire
il mondo per una eternità e si soffoca ogni residuo e ogni speranza del bene
presente sotto il progetto mostruoso del perfezionamento universale» Morì
il celebre figlio Giacomo: nonostante tra i due i rapporti non fossero distesi,
la perdita gli causò grave dolore. Si spense nella città natale e fu sepolto
nella tomba di famiglia presso la chiesa di Santa Maria in Varano a
Recanati. Dei molti scritti religiosi, storici, letterari, eruditi e
filosofici di Leopardi, i più famosi sono i “Dialoghetti sulle materie
correnti” usciti con lo pseudonimo di "1150", MCL in cifre romane,
ovvero le iniziali di "Monaldo Conte Leopardi". Ebbero immediatamente
un grande successo, ben sei edizioni in cinque mesi, furono tradotti in più
lingue e divennero notissimi nelle corti europee. Il figlio Giacomo, da Roma,
ne informa il padre in una lettera dell'8 marzo: «I Dialoghetti, di cui
la ringrazio di cuore, continuano qui ad essere ricercatissimi. Io non ne ho
più in proprietà se non una copia, la quale però non so quando mi tornerà in
mano.» Per umiltà lasciò i molti guadagni allo stampatore, il Nobili. È
probabile che con quest'opera Monaldo volesse contrapporsi alle Operette morali
del figlio, che giudicava negativamente e riteneva contrarie alla fede
cristiana. In essi, infatti, esprimeva gli ideali della reazione (o anche
controrivoluzione). Tra le tesi sostenute, la necessità della restituzione della
città di Avignone al papato e del ducato di Parma ai Borbone, la critica a
Luigi XVIII di Francia per la concessione della costituzione (che violerebbe il
sacro principio dell'autorità dei re che "non viene dai popoli, ma viene
addirittura da Dio"), la proposta della suddivisione del territorio
francese fra Inghilterra, Spagna, Austria, Russia, Olanda, iera e Piemonte, la
difesa della dominazione turca sul popolo greco, in quegli anni impegnato nella
lotta per l'indipendenza. Risalgono alcune opere di satira politica:
Monaldo era infatti ottimo satirico e disseminava le sue opere di scherzi
letterari. Tra esse, il Viaggio di Pulcinella e le Prediche recitate al popolo
liberale da don Muso Duro, curato nel paese della Verità e nella contrada della
Poca Pazienza (versione digitalizzata). Fu inoltre autore di ricerche erudite,
ammonimenti ai fedeli cattolici e articoli su varie riviste, tra cui si
segnalano «La Voce della Verità» di Modena e «La Voce della Ragione» di Pesaro,
che Leopardi stesso diresse. La rivista ottenne un buon successo, come
dimostrano i 2000 abbonamenti sottoscritti in tutta Italia, tuttavia fu
soppressa d'autorità. Rimasero inediti, invece, i suoi Annali recanatesi
dalle origini della città ae la sua Autobiografia: in quest'ultima la prosa di
Monaldo si arricchisce di leggerezza, ironia e umorismo. Negli ultimi
anni di vita Monaldo visse appartato (non amava allontanarsi da Recanati: la
sua più lunga assenza dalla casa paterna consistette in 2 mesi a Roma), deluso
dalle caute aperture liberali del governo pontificio e degli esordi del regno
di papa Pio VI. Collaborò al periodico svizzero Il Cattolico, di Lugano,
tornando poi, negli ultimi anni, agli studi storici su Recanati, coltivati in
gioventù. Opere digitalizzate Monaldo Leopardi, La Santa Casa di Loreto.
Discussioni storiche e critiche, Lugano, presso Francesco Veladini e C. Monaldo
Leopardi, Istoria evangelica scritta in latino con le sole parole dei sacri
Evangelisti, spiegata in italiano e dilucidata con annotazioni, Pesaro, pei
tipi di A. Nobili. Monaldo Leopardi, Dialoghetti sulle materie correnti
dell'anno, Leopardi, Prediche recitate al popolo liberale da don Muso Duro,
curato nel paese della verità e nella contrada della poca pazienza. Rapporto
con il figlio ritratto di Giacomo Leopardi. Nonostante la vulgata dica il
contrario, il rapporto con il figlio illustre appare buono: senz'altro nei
primi anni Monaldo dovette essere orgoglioso della precocità del ragazzo, e
nelle opere giovanili di Giacomo, ad esempio il Saggio sopra gli errori
popolari degli antichi, si avverte ancora l'influenza delle idee del padre. Ben
presto, però, i loro spiriti presero strade diametralmente opposte: la
crescente autonomia di pensiero di Giacomo preoccupava Monaldo. La
lettura del carteggio fra i due rivela una relazione affettuosa, soprattutto
negli ultimi anni. La lettera più sincera scritta da Giacomo al padre è quella
che quest'ultimo non lesse mai: si tratta della missiva datata luglio 1819,
quando il poeta progettava la fuga, e che non fu mai spedita, perché egli
dovette rinunciare ai suoi piani. «Mio Signor Padre. Per quanto Ella
possa aver cattiva opinione di quei pochi talenti che il cielo mi ha conceduti,
Ella non potrà negar fede intieramente a quanti uomini stimabili e famosi mi
hanno conosciuto, ed hanno portato di me quel giudizio ch'Ella sa, e ch'io non
debbo ripetere. Era cosa mirabile come ognuno che avesse avuto anche momentanea
cognizione di me, immancabilmente si maravigliasse ch'io vivessi tuttavia in
questa città, e com'Ella sola fra tutti, fosse di contraria opinione, e
persistesse in quella irremovibilmente. Io so che la felicità dell'uomo
consiste nell'esser contento, e però più facilmente potrò esser felice
mendicando, che in mezzo a quanti agi corporali possa godere in questo luogo.
Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d'ogni grande
azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla
conservazione di questa infelice vita senz'altro pensiero.» Finalmente,
Giacomo lascia Recanati, per farvi ritorno solo saltuariamente. Da lontano, il
padre assiste alla crescita della sua fama nel mondo intellettuale italiano, ma
non riesce a comprendere la grandezza del figlio: disapprova la pubblicazione
delle Operette morali, scrivendogli in una lettera (perduta) le "cose che
non andavano bene", suggerimenti che nella risposta Giacomo promette di
prendere in considerazione, ma che di fatto non sono mai accolti. La
pubblicazione dei Dialoghetti di Monaldo è causa di attrito fra padre e figlio.
Giacomo Leopardi si trovava a Firenze: nell'ambiente iniziò a circolare la voce
che fosse lui l'autore dell'opera, espressione delle tesi reazionarie, cosa che
egli fu costretto a smentire seccamente sul giornale Antologia di Giovan Pietro
Vieusseux. Si sfogò poi per lettera con l'amico Giuseppe Melchiorri: «Non
voglio più comparire con questa macchia sul viso. D'aver fatto quell'infame,
infamissimo, scelleratissimo libro. Quasi tutti lo credono mio: perché Leopardi
n'è l'autore, mio padre è sconosciutissimo, io sono conosciuto, dunque l'autore
sono io. Fino il governo m'è divenuto poco amico per causa di quei sozzi,
fanatici dialogacci. A Roma io non potevo più nominarmi o essere nominato in
nessun luogo, che non sentissi dire: ah, l'autore dei dialoghetti.» In
toni decisamente più miti ne scrive poi a Monaldo il 28: «Nell'ultimo
numero dell'Antologia... nel Diario di Roma, e forse in altri Giornali, Ella
vedrà o avrà veduto una mia dichiarazione portante ch'io non sono l'autore dei
Dialoghetti. Ella deve sapere che attesa l'identità del nome e della famiglia,
e atteso l'esser io conosciuto personalmente da molti, il sapersi che quel
libro è di Leopardi l'ha fatto assai generalmente attribuire a me. E
dappertutto si parla di questa mia che alcuni chiamano conversione, ed altri
apostasia, ec. ec. Io ho esitato 4 mesi, e infine mi son deciso a parlare, per
due ragioni. L'una, che mi è parso indegno l'usurpare in certo modo ciò ch'è
dovuto ad altri, o massimamente a Lei. Non son io l'uomo che sopporti di farsi bello
degli altrui meriti. [ L'altra, ch'io non voglio né debbo soffrire di passare
per convertito, né di essere assomigliato al Monti, ec. ec. Io non sono stato
mai né irreligioso, né rivoluzionario di fatto né di massime. Se i miei
principii non sono precisamente quelli che si professano ne' Dialoghetti, e
ch'io rispetto in Lei, ed in chiunque li professa in buona fede, non sono stati
però mai tali, ch'io dovessi né debba né voglia disapprovarli.» Nelle
ultime lettere Giacomo esprime la volontà di rivedere il padre, passando dai
toni formali a quelli affettuosi ("carissimo papà" nell'ultima
lettera). Monaldo sopravvisse 10 anni al figlio. L'incompatibilità fra i
due rimaneva però ancora evidente nel 1845, otto anni dopo la morte di Giacomo,
non accettando lui le idee areligiose del poeta; la sorella di lui, Paolina,
scriveva a Marianna Brighenti: «Di Giacomo poi, della gloria nostra,
abbiam dovuto tacere più che mai tutto quello che di lui veniva fatto di
sapere, come di quello che non combinava punto col pensiero di papà e colle sue
idee. Pertanto, non abbiamo fatto mai parola con lui delle nuove edizioni delle
sue opere, e quando le abbiamo comprate le abbiamo tenute nascoste e le teniamo
ancora, acciocché per cagion nostra non si rinnovi più acerbo il dolore.»
Su richiesta dell'ultimo amico di Leopardi, Antonio Ranieri, pochi giorni dopo
la morte del figlio, Monaldo gli spedì un Memoriale con cenni biografici su
Giacomo, con aneddoti e curiosità, in cui si avverte il dolore per la rottura
fra i due e l'incapacità del padre di capire la direzione intrapresa dal
figlio; il Memoriale si interrompe: "Tutto ciò che riguarda il tratto
successivo è più noto a Lei che a me", scrive infatti. Nonostante ciò,
Monaldo piangerà con dolore la perdita di Giacomo, al punto che quando redigerà
il proprio testamento nel 1839, alla settima volontà scrisse: «Voglio che
ogni anno in perpetuo si facciano celebrare dieci messe nel giorno anniversario
della mia morte, altre dieci il giorno 14 giugno in cui morì il mio diletto figlio
Giacomo...» Manetti, Giacomo
Leopardi e la sua famiglia, Bietti, Milano. La famiglia Leopardi è protagonista
del romanzo fantastico di Michele Mari Io venìa pien d'angoscia a rimirarti,
del 1998. Monaldo Leopardi, di Sandro
Petrucci Monaldo In viaggio per
Leopardi, Leopardi fu chiamato alla collaborazione a tale rivista dal suo
fondatore, il Principe di Canosa Antonio Capece Minutolo. Giacomo Leopardi, Carissimo Signor Padre.
Lettere a Monaldo, Venosa, Osanna ed., Giacomo Leopardi, Il monarca delle
Indie. Corrispondenza tra Giacomo e Monaldo Leopardi, Graziella Pulce,
introduzione di Giorgio Manganelli, Milano, Adelphi,Monaldo Leopardi. La
giustizia nei contratti e l'usura. Modena, Soliani, Monaldo Leopardi,
Autobiografia, con un saggio di Giulio Cattaneo, Roma, Dell'Altana ed., Antonio
Ranieri, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, Mursia ed., (L'ultimo amico del poeta narra di un suo
incontro con Monaldo mentre era di passaggio a Recanati). Monaldo Leopardi,
Catechismo filosofico e Catechismo sulle rivoluzioni, Fede&Cultura, 2006
Monaldo Leopardi, Dialoghetti sulle materie correnti e Il viaggio di
Pulcinella, in, L'Europa giudicata da un reazionario. Un confronto sui
Dialoghetti di Monaldo Leopardi, Diabasis, 2004 Nicola Raponi, Due centenari. A
proposito dell'autobiografia di Monaldo Leopardi, Quaderni del Bicentenario.
Pubblicazione periodica per il bicentenario del trattato di Tolentino, n. 4, Tolentino, Giuseppe Manitta, Giacomo
Leopardi. Percorsi critici e bibliografici, Il Convivio, Anna Maria Trepaoli,
Gubbio, i Leopardi, Recanati: un legame da riscoprire, Perugia, Fabrizio Fabbri
editore, Pasquale Tuscano, Monaldo Leopardi. Uomo, politico, scrittore,
Lanciano, Casa Editrice Rocco Carabba,, Giacomo Leopardi Leopardi (famiglia)
Pierfrancesco Leopardi. Monaldo
Leopardi, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Giovanni Ferretti, Monaldo
Leopardi, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nicola Del Corno, Monaldo Leopardi, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Monaldo Leopardi, su
siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. Opere di
Monaldo Leopardi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Monaldo
Leopardi,.Dizionario del pensiero forte, IDISIstituto per la Dottrina e
l'Informazione Sociale, sito "alleanzacattoliga.org". Il conte
Monaldo Leopardi. Monaldo Leopardi, conte di San Leopardo. Cf. Il Leopardi
anti-italiano. che
dopo questa vila comincia un'altra vila,bisogna ripudiare lulli
isofismieluttelemenzognedella filosofia.Que. ste sono le norme del saggio ,
questi sono i doveridelgalantuomo,equestesonoleve rità proposte,dimostrate e
raccomandate dalla Voce della Ragione. FILOSOFIA Ponam Civitatem
hanc in stur em etinsibilum, SCENA PRIMA La Filosofia e il Cervello. La
Filosofia.Già vihodeltochedopotanti anni di fatiche e di pensieri per
accomodare il mondo a mio modo , questo veccbio con serva ancora certi suoi
pregiudizi , e non trovo in esso una sola cillà la quale sia in lutto e per
tullo secondo le mie regole e se condo il mio cuore.Perciò ho risolutodi
fab bricarpe una nuova , e chi sa che a poco a poco non diventi la capitale di
un grande impero. Cer. Tutto questo va bene , e polete fab bricare e fondare
quanto volete,ma come ci entro io con le vostre fabbriche e con le v o stre
fondazioni ? Fil.Oh Diavolo ! volete che la filosofia vada avanli in una
impresa similesenza cervello? LA CITTÀ a DELLA Il Cervello. In somma , si
può sapere cosa volele da me ? Cer.Finora avele sempre operalo senza di me , e
potete seguitare a procedere da pazza ---- Cer. Fin quì non dite
male , ma alla fine dei conli che giudizio è questo vostro con cui volete
mandare sollosopra il mondo ? Fil. Oh bella , ognuno ba i suoi gusti , e
degustibusnonestdisputandum.Epoiiode sidero diguastareilmondo,perchè voglioàca
comodarne un altro meglio di questo. Cer. Vi darà poi l'animo di fare un altro
mondo migliore del primo ? Fil. Proviamoci : cosa sarà ? Non si tratta
poidiunagrancosa,esenon riesceci penserà chi vuole. Via cervellaccio mio, ve
nile con me e datemi una mano a fabbricare
Filosofopoli.Giàadessononavetealtroda fa re , perchè nessuno vi vuole ; e al
mondo si fa tutto senza di voi. Cer. Anche questo è vero ,e giacchè non si
trova più a campare coi savi sarà meglio accomodarsi al servizio dei malti.
Fil. Bravo , bravissimo. Vedrele che bella città stabiliremo assieme.Ha da
essere ilre gno della elà dell'oro , il paese della cucca- goa , e la vera
meraviglia del mondo. 95 come in addietro, senza curarvi neppure adesso
della mia compaggia. Fil. Chi lo dice che ho operato da pazza e senza cervello?
A buon conto io chevole. va guastare ilmondo l'homandato sottosopra, e quelli
che avevano obbligo é desiderio di conservarlo lo hanno mandato e lo mandano
soltosopra peggio di m e . Chi vi pare dunque cbe abbia piùcervello,chi
guastaquelloche vuol guastare , o cbi guasta quello che vuol conservare ?
> Fil. Oh per questo non dubitale.Sono cen t'anni che ho mandalo
fuori gli editti e sac cio mille smorfie per chiamare la gente, co me fa la
civella sul mazzuolo per uccellare i merlolli ; sicchè gli abitatori di
Filosofopoli non potranno mancare.Anzi ecco qualchedu. no che si avvicina.
Meltiamoci dunque sul sodo , e incominciamo le nostre operazioni fi losofiche e
cervelloliche. SCENA SECONDA La Filosofia , il Cervello e il Governo. La
Filosofia. Chi siete e cosa volete ? Gov. Quanto a questo farete quello che vi
pare , ed io starò nelle vostre mani a rice. vere quella forma che vorrete
darmi , come l'argilla in mano dello stovigliere. Già oggi 96 Cer. Chi
verrà poi ad abitare in questa nuova cillà ? Il Governo. Io sono il governo,e
domando di essere ammesso nella vostra nuova città , perchè immagino che non
vorrete stabilirla senza governo. Fil.Sicuro che un poco di governo ce lo
vogliamo,> almenopourbienséance,eperser vire alle apparenze,e alle formalilà
come l'apparatura nelle feste. Ma intendiamoci bene ; noi non vogliamo un
governo all'an > tica , il quale pretenda di governare davve ro , ma bensì
un governo filosofico ; e vale a dire un ombra , un simulacro , un brodo di
ranocchie e niente di più. 97 questa è una cosa da nulla , ed è più
facile preparare un governo che lavorare un boccale. Fil. E bene ; nella cillà
e nel regno di Fi ; losofopoli la vostra forma sarà quella di una
monarcbia . Cer. Bravo!quesla scelta mi piace perchè il governo monarchico è il
più naturale e il più semplice , ed è ancora il più robusto di tullj . Fil.
Oibd , oibù ; se fosse questo non vor remmo saperneniente,esivede bene che voi
v'intendele poco di filosofia,e non avele una giusta idea del mondo nuovo.Nel m
o n do vecchio i monarchi erano certamente forti, rispettatietemuli,perchèsostenevano
diavere ricevuto il loro potere da Dio , e nessuno si azzardava di slendere la
mano contro una au lorità la quale si riputava stabilita per diritto divino. Ma
nel mondo nuovo i monarchi si contenlano di regnare per grazia e volere del
popolo,ricevonoilsalario esilasciano incar. tare dal popolo e conseguentemente
devono essere il trasiullo e lo scherno del popolo.Il governo monarchico
adunque,lavoralo secon do le regole della filosofia, riesce ilpiù co m o d o e
il più leggiero di tulli, e i filosofi si adallano a lasciarsi governare da un
re falto dal popolo,perchèchipuòfarepuòguastare, ed è più facile sbalzare dal
trono un monar. ca costituzionale, che licenziare dal servizio un gualtero di
cucina.Sentite dunque signor governo , e imparate bene cosa ha da essere il
governo monarchico nella cillà e nel regno della filosofia. 6 Fil.
Prima di tutto, il re ha da essere un re di carta , o vogliamo dire che tulta
la sua autorilà deve consistere in un pezzo di carta , esso medesimo deve
riconoscerla tutta intiera dalla carta , e guai a lui se si allontana un
capello da quella carta. Fil. Inoltre non deve pretendere di dettar le leggi,
ma deve riceverle belle e fatte dalla nazione;e,se si tratti di farne delle
nuove, gli è permesso di mandare i suoi ministri a sfiatarsi e raccomandarsi
nella camera dei d e putati , ma alla fine deve sempre cedere alla voloplà
della camera. Quando poi la camera ha fatto una legge e il re l'ha soltoscritta
per amore o per forza , e per una semplice for malità , sua maestà di carta
deve subito pi gliare la frusta e andare in piazza a menare le mani facendo
eseguire idecreti del popolo. Gov. Benissimo. Fil. Di più non deve impicciarsi
nè bene nè male con la giustizia,e deve lasciare che i giudici facciano di ogni
erba un fascio sen. za essere ripresi e molestati da nessuno.Anzi se l'istesso
monarca cittadino riceverà una coltellala ovvero una schioppeltata non potrà
far altro che dare una querela a quell'imper linenle,ese igiudici condanneranno
coluia tregiornidipaneeacqua,ilredovràam mirare e ringraziare la imparzialità e
la se verità della giustizia. Gov. Benissimo. 98 Gov. Dile pure,che
iosono qui a ricevere i vostri comandi . Gov. Benissimo. Fil.
Similmente il monarca filosofico costi. tuzionale non avrà l'ardire d'imporre
nessu na tassa , e di toccare un quattrino senza il beneplacito e la licenza
del popolo.Quando ci sarà bisogno di denari per l'andamento del go verno anderà
a domandarli come un pitocco alla cainera dei deputali , e dopo ricevuli li
spenderà bene o male,che questo importa po co ,e sulla revisione dei conti non
si guarda tanto in sollile.Se però la camera non vorrà darglieli ,lascerà che
il governo cammini da per sè stesso, e resterà colle mani incrociale sul petto
come fa il cuoco , allorchè il pa drone non gli dà iquattrini per fare la
spesa. Fil. Per ultimo se qualche volta il popolo vorrà divertirsi un poco con
sua maestà,ac . compagnandolo con le fischiate ovvero con le sassale, dovrà
averci pazienza, e se anche in una giornata gloriosa il popolo vorrà strac
ciarelacarta,cambiare la dinastia,edi scacciare il re con tutta la sua maestà e
la Gov. Benissimo. Fil.Siccome poi lacartaaccordaalmonar ca il diritto di
far grazia, il re cittadino de ve sapere che quel dirillo gli viene accordato
per burla , e che egli pad usarne soltanto a beneplacilo e a capriccio del
popolo. Percið se itribunali condanneranno giustamente uno scellerato il quale
sia benveduto dal popolo , sua maestà di carta lo dovrà liberare , e se
condanneranno ingiustamente un innocente malveduto dal popolo , sua maestà di
carta dovrà farlo impiccare. Gov. Benissimo. 99 sua inviolabilità ,
il monarca cittadino dovrà andarsene col bordone in mano , e avere di caro e
grazia di salvare la pelle,perchè alla five dei conti nell'impero della
Filosofia la care ta, il trono , il governo , lullo è del popolo, e ilmonarca
costituzionale è un bawboccio vestitodareperserviredipassatempoalpo polo. Gov.
Benissimo,benissimo,ameraviglia;e vado subito nella cillà a preparare uo trono
di cartone per Pulcinella l.monarca cilladino di Filosofopoli. Fil.Cosa
nedilecompare Cervello?Vipare cbe abbiamo stabilito una monarchia vera mente
solida , dignitosa e utile al buon reg gimento dei popoli?
Fil.Sappiatechecisivapensando,eforse col progresso dell'incivilimento si troverà
il modo di fare una macchina che muova la le. sta e ci serva da re,senza
bisogno di pagare un re cilladino , il quale non è poi tanto a buon mercato
quaplo si crede. Intanto però bisogna contentarsi di un re costituzionale, fin.
chè non si può averne un altro lutto affallo di legno.Ma zillo che si accosta
altra gente per veoire a populare ilregno della Filosofia. 100 Cer. Mi
pare cbe quando i monarchi filo sofici debbano essere lavorali sopra queslo m o
dello , un re dipinlo ,ovvero un re di paglia potrebbe servire nello stesso
modo. SCENA TERZA LaFilosofia.Chisiete,ecosavolete? La
Giustizia.Iosono laGiustiziaedoman do di essere ammessa nella vostra nuova
cillà. Fil. Cosa ne dite compare Cervello ? non si potrebbe fare a meno di
questa femmina ? Fil. Alcuni litiganti , i quali hanno inolla pratica dei
tribunali,mi banno assicuratoche considerando bene certe giustizie presenti, sa
rebbe meglio cavare a sorte la vincita e la perdita delle cause,ovvero
giuocarsi alla m o r ra il torto e la ragione. Così almeno si ri sparmierebbero
le spese. Cer. Con questo metodo pazzo e scellerato si confonderebbero il
giusto con l'ingiusto , l'innocente col reo,e il galanluomo con l'as sassino.
Giu . Parlate pura giacchè sono venula a p 101 La Filosofia , il Cervello,
a la Giustizia. 本 Cer. Come ! vorreste
stabilire una città ed ungoverno senza tribunaleesenzagiustizia? Fil. Questo
sarebbe poco male perchè ora mai lulle queste cose sono tanto confuse che non
se ne raceapezza più niente. Considero però che se non ci fosse qualche
cosa,chia mata giustizia , gli avvocati e i procuratori resterebbero in
camicia, e questo non si ac comoderebbe con le idee filosofiche sulla dif
fusione dei godimenti e dei beni.È d'uopo dunque per un altro poco adattarsi al
siste ma antico , e perciò venile avanli madonna Giustizia e facciamo i nostri
palli. posta per imparare cosa deve essere la giu. stizia nel paese
della filosofia. Fil. Prima di tutto lenetevi bene in m e n te che i liberali
tauto palesi come occulli non devono avere mai lorlo,e la giustizia deve essere
una vera cortigiana consacrata e ven. dula sfacciatamente al servizio dei
liberali. Giu.Benissimo,ed io mi venderò e mi prostituiròinverecondamente per
compiacere iliberali.Ma ditemi un poco:come ho da fare per favorirli nelle cause
, quando stan no evidentissimamente dalla parte del torto ? Giu. Quei giudici
però i quali procederan no con ingiustizia manifesta potranno essere
discacciati e puniti. 102 re che questo non è proibilo ; e non manca il
modo di stancare e assassinare un povero liligante buttando la polvere sugli
occhi al mondo,esostenendochesioperaperlagiu stizia.Se però qualcbe volta vi
troverelealle strelle , rinunziale pure a qualunque pudo re,invocate ilnome
diDio,egiudicatenel nome del diavolo,purchè la villoria sia sem pre assicurala
per i liberali. pu. Fil. Finchè potete conservare cerle appa renze e salvare la
capra e l'orto , falelo Fil.Non dubitatediquesto,eigiudicinon temano di niente
quando sono protetti dai liberali. Primieramenle nel regno della filo sofia i
giudicisono una potenza assolutache non dipende da nessuno ; e poi i liberali
si mellono per tutto , e coperlamente , ovvero scopertamente comandano in lulli
i dicasteri, sicchè alla fine del conto lutto si fa a modo loro , e
a chiunque la prende con essi toc cano sempre la mazza e le corna. Giu.Ho
capilo: e lasciatevi servire.Segui tale pure la vostra lezione. Fil. Inoltre se
s'incontrano a litigare un uomo indifferenle e un inimico dei liberali, dale
sempre ragioneall'uomoindifferente an corchè fosse uù ruffiano, ovvero un capo
la dro , e date sempre lorlo agl'inimici dei li. berali , acciocchè quesla
capaglia impari a rispettare la filosofia e la liberalilà. Fil. In questi casi
potete consollare i vo stri affelli privali, ovvero ilvostro interesse; potete
farvi merito con qualche Ciprigna ;e in somma fale pure quello che vi pare, che
alla filosofia non gliene importa niente.Cosa ne dile compare Cervello ?
Fil.Questo sarebbe un partito troppo gras. so per i galantuomini i quali
giuocherebbero alla pari,enelregno filosoficoiliberalihan. no da godere sempre
qualche vantaggio. A vete capito bene madonna Giustizia ? 103 Giu.Ho
capito anche questo e non mi al lonlanerò dai vostri suggerimenti : ma come si
dovrà procedere in parilà di circostanze o sia quando s'incontrany a litigare
due uo. mini indifferenti , ovvero due liberali ? Cer. Vedo bene che hanno
ragione quelli iqualidesiderano,che ildirillo eiltorlo si estraggano allasorte
oppure vengano giuo catiallamorra.Difalliquando laGiustizia non ha da essere
veramente giustizia è m e glio ridurla al giuoco della bianca e della nera
. UH 104 Giu. Ho capito benissimo,e fascialevi per servire. E nelle
cause criminali come dovrò regofarmi ? Fil. Generalmente parlando lenele sempre
per la parte dei malfaltori,e ricordalevi che nel regno della filosofia non si
vuole la m a n naia del boia , e piuttosto si gradisce ilcol tello degli
assassini. Se la giustizia dovesse essere quella di una volta non si trovereb
bero le gloriose giornate,e noi vogliamo sla re allegramente, e non vogliamo
morire di malinconia. Nei casi poi particolari regolate vi come vi bo già detto
per la giustizia ci vile. Se alcuno abballe una croce , Salegli grazia
eseunaltroguardatortolabaq diera di tre colori, ammazzatelo.Se uno be stemmia
ovvero calpesla il Sacramento , te. neteloin prigione mezz'ora,quando pon pos
siatefaredimeoo;eseunaltrodicemez za parola contro la carta, fatelo fucilare.Se
laluno prende a calci un prete, un frale, vescovo dite che non ci è luogo a
procedere; e se i preli , i frali, i vescovi negano la se poltura ecclesiastica
a qualche scomunicato mandateli in galera o fateli scorticare.Se il re viene
accusato a dirillo,o a torlo di ave re fatto una sconcordanza , caccialelo in
esi. lio, ovvero tagliategli la testa, e se ilpopolo prende a sassale il re e
si ribella contro il re , distribuite le pensioni e le decorazioni ai capi dei
sollevali. In somma regolatevi in modo da far conoscere che nel regno del la
fi'osofia tutto è permesso fuorcbè toc care colla puola delle dila i liberali e
la fi Giu . H o capito tullo benissimo , e vado a stabilire i
tribunali e a portare in trionfo la giustizia nel regno della filosofia. Fil.
Vedo bene compare mio che i miei ordinamenti fondamentali non incontrano trop.
po il vostro genio ; ma finchè sarele un cer vello all'anlica tullo pieno di
pregiudizi, nonvimetterele livellocoilumidelsecolo, c non potrele figurare nel
regno della filoso. fia. Speriamo però che a poco a poco ancho il cervello
perderà il cervello , e allora le dottrine e le pratiche della filosofia si
diran no regolale col cervello. Fraltanlo diamo u. dienza agli altri che
vengono per abitare nel. la nostra nuova cillà. L a Filosofia, il Cervello e la
Proprietà . La Filosofia. Certamente ebe nel inio regno ci hanno da essere i
proprielari,ma anche 105 1 losofia. Se poi talvolta doveste per rispetto
umano proferire qualchecondanna nou viaf fliggete per questo, perchè ire
dominati na. scostamente dai liberali faranno sempre la grazia , e non ci sarà
mai pericolo , che la scure del manigoldo ardisea di toccare il col lo di un
liberale. SCENA QUARTA La Proprietà. Io sono la Proprietà e vengo a stabilirmi
nel vostro puovo impero,imma ginando che anche nel vostro regno ci do. vranno
essere i proprietari, e non vorrela che sia pieno lullo quanto di
mascalzoni. Pro. Mi pare cbe non ci sia gran cosa da rinnovare
intorno alla proprietà , e lulle le leggi devono consistere in questo, che
ognu. no possa tenere e godere tranquillamente ilsuo. Fil. Sopra cid ci sarebbe
qualche cosa da dire , m a siccome ancora non siamo arrivati al punto , basterà
stabilire per adesso alcu ne misure e alcuni miglioramenti preliminari. Cer. E
che ! vorreste forse che nei vostri paesi la proprietà non fosse più
proprietà,e il proprietario non fosse più il padrone delle proprie sostanze?
Cosa pensereste di fare per introdurre nel vostro nuovo impero anche questo
sproposito ? Fil. Si potrebbe benissimo stabilire una di visione generale dei
beni ovvero una legge agrarja , intorno alla quale sono già tantise. coli che
sospirano lutti i disperati e tutli i falliti del mondo,ma per quanto la
filosofia propenda per questo partito definitivo , l'in civilimento ancora non
è giunto al segno , e il mondo non è ancora maluro per tanta fe licità. Basta
dunque per ora che tutte le leg gi , tutti i regolamenti e tutte le pratiche
go. vernative tendano a procurare lamaggiordif fusione de'beni. Pro. Cosa si
avrà da fare perchè i beni si diffondano e diventino come una nebbia di cui
abbia ognuno la sua porzione uguale ? 106 voi signora Proprietà dovrete
adattarvi alle regole fondamentali della Olosofia, Fil. Parlando in generale si
deve sempre avere in mira di spogliare iricchi,i signori e i
benestanti; e di arricchire i cialtroni , e a questo scopo salulare e filosofico
devono essere sempre diretle la politica e l'arte dei governanti.Parlandopoi
inparticolare,a desso vi dard alcuni precetti con l'osservan-,'. za dei quali
si è fallogià ungrancammino, e si arriverà quanto prima all'incivilimento
completo del genere umano. Cer. Stiamo a sentire queste altre filosofi cbe
buscarale. Cer.E che bene verrà da questo volontario dissipamento ? Fil. Ne
verranno due risultati filosofici di una importanza incredibile. Primieramente
il governo scialacquando il denaro dello Sta to senza misuraesenzagiudizio,dovrà
imporre tasse gravissime , e siccome alla fi 107 ne Fil.Prima di
tuttosideve ingannareilgo verno per farlo spendere come un matto e butlare
iquattrini da tutte le parti, inducen dolo a fare tutti gli spropositi
possibili e a scegliere tuiti imodi di amministrazione più rovinosi e più
dispendiosi. dei conli le tasse si pagano sempre da chi ha,il denaro delle
tasse levato per forza a chi ba >, anderà naturalmente in mano di
chinonba,concheladiffusionedeibeniver rà egregiamente aiutata.Secondariamente
poi con questo scialacquo del pubblico denaro, e con questo scorticamento dei
benestanti si dif fonderà immancabilmente il malcontento nel popolo,e la
filosofiaci avrà un gusto matto, perchè di un popolo scontento si fa presto a
faroe un popolo liberale e ribelle. Avele ca pito,signora Proprietà ?
Pro. Ho capito a meraviglia, e passate ad un altro precello. Fil. Il
secondo precello filosofico consiste in questo , che bisogna stabilire nello
Sta. to un diluvio veramente spaventoso d'impie gati ancorchè sieno inutili e
non debbano far altro che grattarsi la pancia e divorare la so stanza della
nazione.Più ce ne sono e più bi sogna amniellerne; e invece di pigliare a calci
nelle natiche tulta quella canaglia che asse-, dia le anticamere , perchè si
oslina a voler vivere nell'ozio e nella opulenza a spalle dei mincbioni , se
gli impieghi non bastano per contentare lulli questi parassiti bisogna crear ne
degli altri.Fra i postulanli poi sidevono sempre preferire i più indegni , i
più asini e i più lemerari, e così si deve correre ra pidissimamente verso la
diffusione universale dei beni , e verso il perfezionamento filoso fico della
civillà. Cer. Quelli però che governano lo Stalo non si contenteranno che venga
così manomesso e saccheggiato . Fil.Messo in molo una volta l'appelilo de. gli
ingordi e dei poltroni , diffusa l'idea che tulli gli sfaccendali e spiantali
devono m a n lenersi a carico dello Stato , e rotto l'argi ne al torrenle
scandaloso delle raccoman . dazioni , igoverni e i ministri del governo
verranno strascinati da quella piena , e non potranno più impedire l'assassinio
di tutte le proprielà e ladiffusione dei beni.La più bella di luttesarà poi,cbe
quellistessi,iqualide clamano contro questo disordine e sono vera
108 mente affezionati allo Stato,daranno mano al
l'assassinioeconomico delloStato.Imperciocchè tutli i grandi hanno la loro
affezioncella pri vata,ed hanno qualcheduno che li mena pel paso sicchè in
gražia della affezioncella e del condottiere nasale, lulli metteranno avanti
qualche loro protello , tutti diranno che quella è la eccezione della regola ,
e tulli"daranno mano perchè la pubblica finanza si dilapidi sempre di
più.Costui dovrà essere provvedulo perchè altempo delle rivoltenonsi è rivol
tato,e colui che si adoperò per fare una ri voluzione deve essere provveduto,
acciocchè non simaneggiper farneun'altra;questode ve essere impiegalo perchè
furono impiegali ilpadre,ilnonno eilbisnonno,e lasua fa miglia ha acquistato il
privilegio di vivere a spalledelpubblico,equellodeveessereim piegato perchè non
ebbe mai niente , e non è dovere che nel giorno della cuccagna un galantuomo
rimangacoldenteasciulto.Ilme rito dell'individuoeilbisognodelloStatonon
dovranno contarsi per niente; le petizioni, i clamori e le raccomandazioni assordiranno
l'a ria; il ministero non saprà più dove dare la testa,e le sostanze di chi ha
anderanno per amore o per forza , a depositarsi nella pan cia di chi non ha.
Pro. Vedo bene che questo sarà un ottimo metodo per operare la diffusione dei
beni , o sia per assassinare le proprietà del pabbli co e dei privali;ma se mai
la multiplicazione inutile degli impieghi non bastasse per sa - tollare
l'ingordigiadi tutti gli infingardi e 109 7 110 sfacciali,
non vi sarebbe qualche altro modo da contentare questa povera gente ? Fil.
Sicuramente che ci è un altro modo ancora più efficace del primo, e questo con
siste nell'acconsentire senza riserva a tutte le invereconde domande delle
pensioni e delle giubilazioni. Appena un impiegato vuole ri tirarsi a casa per vivere
da vero poltrone, e produce l'altestato di un medico per provare che patisce di
pedignoni ; ovvero di raffred dori, non importa che quel pelulante abbia
prestato un servizio di pochi mesi,non im porla che sia un giovanotto, ovvero
un uomo sano e robuslo ; e non importa che lascian do un impiego per mentita
impotenza, assu ma poi sfacciatamente altri incarichi più la boriosi dei primi
, ma subito sideve m a n darlo a casa accordandogli la giubilazione ri chiesta,
con che si ottiene il doppio vantag gio di sprecare quella ginbilazione, e di
avere un posto vacante per provvedere un altro pro tello affamato.Le mogli
poidegli impiegati, i figli degli impiegati, le sorelle degli impie gali,le
mamme e le nonne degli impiegali, gli amici e le amiche dei grandi e dei con
dottieri nasali dei grandi , e sino le zitelle , le vedove e le vecchie ,
pericolate , perico lose, e pericolanti, tulli e tulle devono ave. re una
pensione veramente sprecata,e lulli devono vivere a spalle dello Stato.E avver
tite bene che secondo gli stabilimenti della fi losofia i salari degli impieghi
, e le pensio ni,e legiubilazioninondevono ridursiapic cole cose baslevoli
soltanto a mantenere la vila > nellafrugalilà,ma
gl'impiegati,igiubilati, e i pensionati devono sguazzare e scialare, d e vono
andare in carrozza o almeno in carret tella, e devono fare i fichi in faccia ai
po veri contribuenti annichiliti e distrulli per la diffusione filosofica dei
beni e della proprietà. Pro. Questi sono gli stabilimenti veramente grandiosi e
giganteschi , e ci voleva proprio un Ercole per immagioare un modo così pron lo
per sconquassare da capo a fondo la pro prielàemandareperariauno stato.Suppon
go che basteranno queste pratiche e che non avrele altriprecelli da darmi per
operare la diffusione dei beni. Fil.Questi metodi sono senza dubbio effi
cacissimi;ma sitrovaancoraqualchealtra ricelta per arrivare più presto alla
dirama zione e livellazione filosofica dei beni,o sia al disfacimento generale
della proprietà.Una tas sa, per esempio, pazza e spropositata per le funzioni e
le competenze dei notarie dei pro curatori servirà a maraviglia per disossare a
poco apocoilitigantifacendo passareleloro sostanze nelle tasche dei difensori,
e ridurre isignori a piedi mandando incarrozzaino. tari,gli avvocali e i
coriali; e così di mano in mano vi anderd dando aliri non meno gio vevoli e
preziosi suggerimenti. Fraltanto vi raccomando di non perdere di occhio le
casse di risparmio, le quali oggi sembrano una cosa da niente, ma coll'andare
del tempo potreb b e r o e s s e r e d i g r a n d e u s o p e r m e t t e r e
il m o n dosottosopra mantenereillivellamentoso ciale. 111
Fil.Sicuramente;equantunque l'artifi zio sia un poco sollile,potevate
sospellarne, vedendo tanto raccomandate queste cose dai raccomandatori
perpetuidellafilosofia.Udite. mi , siguor Cervello, e imparate come pen sano
quelli che hanno cervello.Idenariche si vanno depositando dalla plebe nelle
casse di risparmio non devono tenersi morti in quelle casse , m a devono
investirsi dandoli a frullo con le convenienti ipoteche sopra le sostanze
possedute dalla proprietà, perlochè ogni b a iocco depositato nella cassa da un
ciallrone diventa un debito della classe dei propriela rii verso la classe dei
cialtroni. Finchè sare mo nei principi gli effetti di questa mano vra non
saranno sensibili,ma quando lecasse di risparmio avranno un capitale di più m i
lioni, e saranno creditrici di tutti i proprie tari e ancora dello stato ,
allora si manife steranno le forze di questa nuova occulta p o tenza,allora si vedranno
compenetrale in quel le casse tulle le proprielà , e allora si toc cherà con
mano che la classe dei ciallroni è diventata la vera padrona delloStato.Soccor.
rere adunque i poveri con elemosine propor zionate, stabilire imonti
d'impreslito per aiu. larli nei loro bisogni,e ricoverarli nell'ospe dale
quando languiscono infermi, queste sono le opere della prudenza e della carità
; ma dichiararsi i fattori e gli economi di talli i pezzenti , aprire un
salvadenaro ovvero una 112 Cer.Come!ancbe lecasse di risparmio so no un
mezzo filosofico per arrivare alla dif fusione dei beni ? 113 a
banca per il moltiplico di tutti i mezzi ba iocchi risparmiali alla bellola
ovvero rubati nelle bolteghe, e aiutare la feccia della ple be2,perchè monti a
cavallo sul collo delle clas si elevate e diventi formidabile agli stessi go.
verni, questo è propriamente secondo la dol trina della diffusione del potere e
dei beni, ed è la vera quintessenza della filosofica malignità. Cer. Confesso
il vero che mi avele sor preso , e non credeva cbe la filosofia la sa. pesse
tanto lunga , e pensasse di assassina re il mondo anche sotto pretesto di fare
la carità ai poverelli. Ma in conclusione quali saranno i vantaggi sociali che
proveranno da questa dilapidazione universale della proprie tào
vogliamodiredalladiffusionedeibeni? Fil.Compare mio,chiunque sitrovaco. modo
non cerca di mutar posto , 3 e così quelli che stanno bene ed hanno molto da
perdere non sono mai gli amici delle ri volte. Inoltre le ricchezze acquistate
onesla mente e stabiliteda più generazioni nelle fa miglie nobili e benestanti
, rendono per l'or dinario ereditarie in quelle famiglie la buo na educazione e
la buona morale , il deside rio dell'ordine , l'altaccamento al governo e la
considerazione del popolo ; e perciò finchè quelle famiglie non sarannoavvilite
e degra date dalla miseria , sarà sempre difficile sol levare
ilpopolo,sovvertirel'ordine,distrug gere i governi e corrompere totalmente la
moralee icostumidellanazione.Quando pe rò tulle le proprietà sarango livellate
, o per meglio dire quando lulli isignori saranno spiantati ;
quando le famiglie patrizie e le classi superiori ridotle incamicia saranno
diventate il ludibrio dei mascalzoni ; quan : do sarà scomparsa ogni idea di
dignità e di rispello; quando tutti o quasi tulli a. vranno da guadagnare nei
torbidi e nei su surri e quando infine tolta la barriera della ricchezza e
della nobillà , o vogliamo dire tolta la barriera della aristocrazia , le
sassate della plebe potranno arrivarea diril tura alla'cervice dei re,allora
tulto il mon. do sarà un perpétuo bordello,saràpiù faci le fare una rivoluzione
che cambiarsi un v e stilo , e le gloriose giornate saranno sempre a libera
disposizione della filosofia. Questo e non altro è quello che si cerca procurando
la diffusione dei beni , o vogliamo dire l'as sassinio di tutte le proprietà.
Fil.Capiscoquelloche volele dire, ma Cer.Certocheivostriproponimenti 80
no veramenti giudiziosiebenefici,ed il ge nere umano vi deve essere sommamente
ob bligato che lo abbiate acconciato per le fesie ; ma in ogni modo levale le
proprietà ai possessori presenti passeranno in di altri ; a poco a poco si
formeranno altre ricchezze,sorgeranno nuove famiglie, si costi tuiranno di
nuovo le classi distinte e l'aristo crazia,e ladiffusionedeibeni,ossial'assassi
nio filosofico della socielà , non potranno es sere permanenti e durevoli ,
perchè l'egua glianza delle proprietà è in opposizionecon gli ordinamenti della
natura. 115 sfasciata da capo a fondo una casa ci vuole il suo
tempo per edificarla di nuovo , sì quando avremo subissata ben beno la 80 cietà
, non si polrà riorganizzarla in un giorno ; e ci saranno disordini e pianto
per tutti quelli che vivono e per i figliuoli di quelli che vivono. Sterminate
le famiglie il lustri e potenti, degradate le educazioni e i costumi ,distrutte
nelle menti del volgo le idee e le abiludini del rispetto , tolte le proprie là
agliattuali possessori per metterle nelle mani degli usurai, degli ebreie
deipidoc. cbiosi arriccbiti, e consegnato il dominio del mondo all'arbitrio dei
sanculotti, non baste ranno cent'anni per ristabilire le cose , e la filosofia
non avrà fatto poco se avrà polulo assicurare il bordello , il susurro , e la m
i seriadi un secolo.Quanto poi ai secoli suc- cessivi, speriamo,che anch'essi
avranno iloro filosofi,e non mancherà chi pensi alla futura prosperità del
mondo. Orsù dunque,madama Proprietà , ci siamo iplesi. Entrate allegra mente
nel mio paese, soltoponetevi ai miei be nefici regolamenti , e ricordatevi che
nel re gno dellafilosofiasidevelavorare con lemani e coi piedi per la
diffusione dei beni e delle proprietà , o sia per assassinare tulle quante le
proprielà. eCO 116 La Filosofia , il Cervello ,
l'Insegnamento e l'Incivilimento. Fil. Ecco altre persone che si avvanzano per
venire a stabilirsi nella nostra cillà. Cer. Chi è colui che finge di sludiare
e tiene il libro a rovescio? E chi è quell'altro talto smorfie e vezzisguaiati
che rassembra un maestro di ballo ? Fil. Questi sono l'insegnamento e l'incivi
limento ; sono fratelli carnali , e amici tan to sviscerali che non vanno mai
uno senza dell'altro. Cer.L'insegnamento el'incivilimentouna volta erano
persone di garbo e godevano buon nome , ma bisogna dire che l'aria del paese
della filosofia abbia la prerogativa di corrom pere tulle le cose buone ,
perchè questi due cbe si avanzano hanno la cera d'impostori e birbanti.
Fil.Alcontrario:questisonoilfiorede' galanluomini e senza di essi non si
potrebbe stabiliregiammaiilregnodella Filosofia.Ve nite avanti , signori , facciamo
i nostri patti, e poi andale subito ad ammaestrare ed inci vilire i Popoli
della mia nuova cillà. SCENA QUINTA L'Ins. Parlate pure perchè noi siamo
pron . fi ad eseguire tulli i vostri comandi. Fil. Prima di tulio bisogna
incomincia re dall'insegnamento, giacchè la diffusione de lumi è quella appunto
con cui si olliene Fil.Dibò,oibo.Tutti vidico,tuttiquanti
sonogliuomini,tüllidevonoessereammae strati e civili. Cer.Ma,echicifarà
poilescarpe, Fil.Oh bella! nel nostro paese come in tutti gli altri ci saranno
i calzolari, i cuochi, e i facchini. Cer.E pretendeteche gliuominiinciviliti e
genlili si preslino volentieri agli uffizi bassi della società , e che anche i
guatleri , i cia vallini e i mozzi di stalla debbano essere fi. losofi ,
letlerati e dottori ? Fil. Tant'è; questo è il voto prediletto della filosofia,
e senza questo non si può ar > chi scoperà le strade, e chi attenderà
alla cucina? 117 la diffusione della civillà.Voi dunque , signor Josegnamento ,
dovete mettervi in testa d'in segnare a tutti di rendere tulti eruditi , let
terati e saccenti, e di fare in modo che non ci resti un solo ignorante e
sempliciano in talla la nostra filosofica dominazione. C e r : P i a n o u n p
o c o ,m a d o n n a F i l o s o f i a , V o i vorrete dire che si ammaestrino
e si coltivi no nelle scienze tutti quelli che dalla natura,
dallalorocondizionee. dagliordinamentiso. ciali sono destinati a trarne
vantaggio e di letto per se medesimi,e a rendersiutilicol
lorosapereallasocietà;ma quantoalleclassi del basso volgo che la natura e
lacondizione destino agli esercizi rustici e grossolani , que stinon vorrete
che apprendanoquelledottri ne le quali non servirebbero ad altro che a renderli
oziosi,indocili e scontenti diseme desimi , e gravosi e molesti agli altri.
rivare alla diffusione generale dei lumi,e al l'incivilimento universale
del mondo. Cer. Facciamoci a parlar chiaro. Qualora si giungesse ad ottenere
questo incivilmenlo universale tanto raccomandato dai vostri scon siderati
seguaci , qual utile ne verrebbe per un grandissimo numero d'individui , e qual
utile ne verrebbe per tulto il corpo sociale? Fil. A dirla schiella per
moltissimi indivi dui sarebbe meglio restare nella loro rusticità e semplicità,
giacchè una infarinatura di dot trina non può servire ad altro che ad empir- '
gli la testa di errori e a renderli scontenti del loro basso stalo,e così la
società in generale sarebbe più tranquilla col suo popolo di vil lapi ignoranti
, e col suo popolo di artegiani contenti di sapere quanto basta al rispellivo
mestiere.Quello però che conviene agli indi vidui e alla società non conviene
alla filoso fia , la quale vuole il movimento e non vuole la quiete , vuole il
susurro e lo scandalo, e non l'ordine e la tranquillità. Se predicando
l'incivilimento e la collura tutti gli uomini p o lessero giungere alla vera
sapienza, che con siste nella cognizione della verità e nel do. minio
dellepassioni;ecosìsepotesserogiun gere alla vera civillà cbe consiste nella m
o rigeratezza dei costumi e nella custodia dei modi convenevoli al proprio
grado , la filoso fia non vorrebbe saperne niente e prediche rebbe contro la
diffusione dei lumi e della ci viltà. Siccome però è certo che la grande plu
ralità degli uomini non arriva alle perfezio ni , e che ostacoli insormontabili
naturali e 118 > civili si oppongono alla troppa
diffusione dei lumiedellaciviltà,cosìècertachelapro pagazione smoderala
dell'ammaestramento e dell'incivilimento empirà il mondo solamente di mezzi
dolli , di scioli , di sapulelli teme rari e presuntuosi, iqualiappunto ci
voglio no per secondare la grand'opera della filoso fia.L'uomo grossolano e di
buona fede crede più al curato che alle pappole dei liberali,e rispellando e
temendo il sovrano non pensa , neppure quando si trova ubriaco , di essere esso
stesso un sovrano.Chi non sa leggere o non presume un poco di letteratura e di
ci villà non legge le gazzelte e non modella il suo modo di pensare sui
giornali e sui liber coli della propaganda;e senza le gazzelle,senza i
libercoli e senza igiornali,come si rendereb bero fuoridimoda
iprecettideldecalogo eil calecbismo del Bellarinino ? e dove si trovereb bero
gli uomini e le sassale per atlerrare le croci,per abballereitroni,eper
fareleglo riose giornate?Vedete dunque,carocompare Cervello,che la filosofia non
opera senza cer vello , e che sa ben essa cosa vuole quando predica la
diffusione dei lumi,e della civillà. 119 L'Inc. Orsù , non perdiamo più
tempo perchè io muoro di voglia d'incominciare la mia missione , e di andare a
diffondere i lumi e la sapienza del secolo.Ditemi piutlo sto quali scienze vi
piace che vengano inse goateapreferenza,equalilibricredeleme glio adattati per
affascinare la mente e cor rompere il cuore della gioventù. Fil.Quanto
allescienze,generalmentepar: L'ins. Ho capito bene quanto alle
scienze e lasciatevi pure servire;e quanto ai libri co me dovrò regolarmi? Fil.
Tutti i libri che mettono in ridicolo i preti , i frali, la chiesa e le
pratiche della chiesa;tulli quelli che parlano contro l'aulo rità del Papa e
dei principi; e lulti quelli che trattanoscopertamente ovvero copertamen. te di
materie scandalose e lascive lusingando > > . 120 lando , potete
secondare il genio dei giovani, purchè avvertiate sempre di oscurargli la v e
rilà e di allerare nel loro cuore igermi della virtù. Parlando poi
specialmente, le vostre lezioni più frequenti devono essere sulla m e tafisica
e su i dirilli dell'uomo , le quali scien . zc adoperate dalla filosofia
liberale riescono benissimo adattate per diffondere le dollrine dell’empielà e
per suscitarelospiritodellale. merità.Sevoinon capilenientedimelafisica,
importa poco;purchè viriescad'imbrogliare la testa dei vostri allievi,di
farlidubitaredi fattoediridurlianonsapere,seilmondo fu l'opera di un
esserenecessario,ovverouscì dai vorlicidelcaso,comeesconoilerniele cinquine del
lotto e se essi medesimi sono animali viventi , oppure ciolloli del torrenle o
ravanelli dell'orto. Così se di dirillo natu. rale e civile non ne sapele un
acca ,queslo purenon importa niente,purchèivostridi scepoli ubriacali coi
vostri sofismi rimangano persuasi che la ragione delle genti consiste nella
libertà, nell'uguaglianza,nella sovrani tà del popolo e nel diritto sacro
d'insorgere contro i re e di fare le gloriose giornate.... L'Ins.Ho
capitotuttoameraviglia,evado subito a mettere in pratica le vostre lezioni.
Immagino poi che l'ammaestramento dovrà farsi sempre in lingua volgare.....
Cer. Come ! Nelle scuole filosofiche non si dovrà più usare la lingua latina?
Fil. Signor no che non si deve usare, per chè questa lingua già morta è stata
abiurata e ripudiata dalla filosofia,e a poco a pocoè d'uopo sbandirla affallo
non solamente dalle scuole,madatuttoilcommercio letterario sociale.Che ragioni
avele voi,compare Cer vello , per desiderare che venga conservato l'uso della lingua
latina? gli appelili e scatenando la furia delle pas sioni, tutti questi
libri generalmente grandi epiccoli,inversieinprosa,anlichiemo derni, lulti sono
altrettanti evangeli della fi losofia, e lulti vi serviranno meravigliosamente
per diffondere i lumi ,per incivilire la socie > là , o sia per ridurre
iullo il genere umano una massa abbominevole di corruzione.Per re
golarvipoineicasiparticolarivoidovete sce gliere un buon giornale
letterarioilqualesia scrillo con erudizione e con grazie per ac cappiare meglio
imerlolli,ma ildicuivero fine sia la rigenerazione filosofioa , o voglia mo
direl'assassiniodelmondo.Alloraandate a colpo sicuro e non polele
sbagliare,perchè è quasi impossibile che un libro lodato da quel giornale non
abbia il suo veleno e non possa servirvi in qualche modo a sollecitare il
pervertimento degli uomini. Fil. Questo già s'intende senza n e m m e n o p a r
larne . 121 122 Cer. Le ragioni che raccomandano la con servazione
e l'esercizio della lingua latina sono mollissime,mavenericorderòdue princi
pali,le quali dovranno venire riconosciule da chiunque non abbia ripudialo
l'uso della ra gione. In primo luogo la lingua latina, essen do la lingua della
chiesa e delle scienze, vie pe inseguata e diffusa in lullo il mondo , serve a
legare tutle le nazioni del mondo coi vincoli religiosi e letterarî, civili,
commer ciali e sociali. Perciò sbandire l'uso di questa lingua universale e
comune sarebbe lostesso che rinnovare la confusione di Babele, e lo gliere alle
nazioni il modo d'iolendersi l'una con l'altra ut non audiat unusquisque vocem
proximi sui.Insecondoluogoènecessarioap e punto l'uso di una lingua morta
per custo dire le tradizioni , i monumenti e le opere delle lingue viventi
,perchè quella si conser va sempre immutabile,passando direttamente dagli
scrilli dei nostri anlichi padri fino al l'intelligenza nostra e alle nostre
calledre, lad dove le lingue volgari regolate dalla moda , allerale dal
mescolamento di voci nuove 0 straniere , e logorate e guastale dall'uso ,
si mulano e s'invecchiano giornalmente,ebasta il corso di pochi secoli per
soltrarle all'intel ligenza comune.Di falli mentre tulli glisco lari intendono
il latino di Cicerone e le ope re scritte in latino dieci secoli addietro dagli
italiani , dai francesi , dai goli e dagli arabi , i libri scritti in ilaliano
e in francese sei o sette secoli addietro sono diventali arabici e golici , e
non si possono intendere senza distil ė 主 Fil.Ma noncapitechelalingualatinac'in
comoda precisamente per questo , e che vo gliamo levarcela di altorno appunto ,
perchè è la lingua dei preli e della chiesa ? Finchè quel corpo gigantesco
della dottrina ecclesia stica resterà in piedi , vantando diciotto se. coli
d’inalterata antichità , i preti e i frati , i vescovi , i papi e i cristiani ce
lo sbatte ranno sempre sul viso ; le dottrine della filo soflasarannosempre
subissatedaquellamas sa; e gli eretici e i filosofi liberali verranno sempre
riconosciuti come apostati e disertori dalla dottrina dei padri e dalla luce
della ve. rilà e della ragione. Quando però la lingua latina non sarà
conosciuta più da nessuno,e quando la bibbia e l'evangelio, la collezione dei
concili e delle decretali , e la bibliotheca patrum avranno servilo per
accendere il fuoco e per involtare il salame,allora saremo tulli del paro ; la
parola di un prele edi un papa varrà quanto quella di un filosofo liberale , e
allora si potrà liberamente rigenerare il mondo secondo il gusto della
filosofia. Cer. Non può negarsi che l'angelo della malizia non vi abbia dato un
suggerimento 123 larsi il cervello è senza il soccorso malsicuro dei
commenli.E sevenissedisprezzatoequasi eli minato l'uso della lingua lalina,chi
garanti rebbe l'autenticità e l'intelligenza delle scrit ture divine ? e cosa
diventerebbero i canoni dei concili , i placiti dei pontefici, le opere dei
padri e dei dottori , e tutto il corpo a u gusto e maraviglioso della dottrina
del cristia nesimo ? . 124 giudizioso e veramente da suo pari , ma
in primo luogo è assicurato dall'alto che le po lenze alleale dell'inferno e
della filosofia non prevaleranno contro la chiesa e contro le dot
trinedellachiesa,einsecondo luogoi go verni conoscendo l'ulililà della lingua
latina e sospettando sulle trame della filosofia non permetteranno mai
l'espressa o tacita aboli: zione di quella lingua. Fil. Non sapete che i
governi si lasciano menare per il naso, e che con lutti gli edilti e con
tuttelescomuniche ilregimedeglistati resta sempre a disposizione dei
liberali?An zi in questi ullimitempi on governo il qua le più di tutti gli
altri dovrebbe essere in leressato a sostenere la lingua latina l'ha
discacciata dai tribunali dove aveva regnalo pacificamente per due dozzine di
secoli ,e con ciò le ha dato un grande incamminamen lo verso l'ultima sua
rovina. Cer. Questo certamente è stato un passo falso carpito dai clamori
dei liberali e da quel maledetto giusto mezzo nazionale e straniero, che
presume di salvare la casa aprendo la porta ai ladri :e una tale concessione
rub bata dalla violenza e falta contro la volontà, è appunto una di quelle
riforme che bisogna guastare, se non si vuole che l'ardire della filosofia e i
danni religiosi e sociali diventi. nosempremaggiori.Siateperòcertachepo co
prima o poco dopo le ossa si rimelteran no al loro poslo, la lingua lalina sarà
rista bilita nei tribunali , e con questo neppure i litiganli faranno nessuna
perdita, essendo indifferente per essi che gli alli giudiziali si
facciano in volgare ovvero in lalino. Fil. Credete forse che i liberali non lo
co noscano e che vogliano la lingua volgare nei tribunali per l'interesse e per
ilcomodo dei litiganti? I litiganti stannoin mano degli av vocali e dei
procuratori come gli ammalati stanno in mano dei medici e degli speziali ; e
siccome per gl'infermi è lull'uno che le ricelte sieno scritte in latino ovvero
in vol gare , giacchèin qualunque modo bisogna che prendano il beverone sulla
parola del dot tore e sulla fede del farmacista , così litiganti è lo stesso
che le citazioni e le c a u se si scrivano nell'una ovvero nell'altra lin. gua
, giacchè alla fine dei conti devono sem . pre fidarsi dei loro difensori e dei
loro cu riali. Abbiamo però altre buone ragioni per desiderare sbandita la
lingua latina dal foro : Fil. La prima è quella ragione generale di
cuigiàabbiamoparlato,giacchè tollialla lingua latina i tribunali si toglie a
questa linguailcinquantapercentodellasua im portanza e della sua familiarità ,
si rende sempre più sconosciuta e straniera,e si spin ge a gran passi verso il
suo totale deperi mento. L'altra poi è quella di dilataremag giormente
l'incivilimento aprendo la carrie ra forense,l'accessoai tribunali,a e tutti
gli impieghi giudiziali a qualanque sortadim a scalzoni. Imperciocchè dove gli
alti giudi ziali si faranno sempre in lalino , dove ico. dici e i commentari
saranno scrilti in la per i Cer. E quali sono queste ragioni? 125
126 tino , e dove il foro sarà chiuso per chi non ha sludiato
illatino,icursori,iprocuratori, i curiali , gli avvocati e i giusdicenti nelle
proporzioni rispettive avranno sempre un poco d'educazione e di
dottrina,saranno per sone bennale e non saranno ciallroni cavali dal fango, e
somari calzali e vestiti.Quando però sarà levato l'ostacolo insormontabile di
quella lingua , gl'impegni , le protezioni e la cabala faranno il resto ; il
foro , i tribunali e le sedie del pretorio saranno aperte a tutti gli asini e a
lulli i facchini;e la piena del l'incivilimento correrà senza ritegno a diffon
dersi sopra tulla quanta la canaglia sociale. Vedo già , compare Cervello, che
le mie ra gioni vi hanno lasciato a bocca aperta,e per cið senza altre
chiacchiere , voi signor Jose gnamento ,andate a prostituirvi in volgare nella
città della filosofia, e a diffondere spie tatamenteilumielapestesopra
tutteleclassi del popolo; e voi signor Incivilimento, venite avanti a ricevere
la vostra lezione. L'Inc.Eccomi a ricevere le vostre istruzioni e i vostri
comandi. Fil. Prima di tutto dovete avvertire di non lasciarvi sedurre dal
vostro nome, persuaden dovi, che la civillà di adesso non deve essere come
quella di una volta, e che l'incivilimen. tonel regno
dellafilosofiahadaessereilfra. tello carnale dell'insegnamento,regolato secon
do i precetti della filosofia. L'Inc.Spiegatevi pure chiaramenteenon mi
allontanerò dai vostri precetti. Fil. Una volta adunque la vera civiltà con. e
L'Inc. Ho capito benissimo,e non dubitate che sarele servila. Fil.
Inoltre una volta la decenza e la m a gnificenza del portamento e del vestiario
era no l'indizioelagaranzia dellaciviltà,ma oggi la decenza e la magnificenza
non le vogliamo più , e la civillà presente deve consistere nel ripudio della
decenza e della magnificenza. Per ciò accreditate pure la moda e lasciate pure
cheigiovaniconsuminoiltempoeildenaro, sludiando sul figurino e riformando il
vestito una volta per settimana,ma quando si viene alla conclusione , un'abito
d'arlecchino , una balla di pelo sul volto e un sigaro nella bocca sieno sempre
il vestito di gala e il gran co slume accreditato dalla civiltà. L'Inc. Ho
capilo anche questo e non dubi tate che sarete servita. Fil. Per ultimo,una
volta il modello della civillà erano le corli e igran signori,e ipro. 127
sistevanell'onesláenelpudore;maoggique ste cose non servono , e al più si deve
con servare l'apparenza dell'onestà e l'affeltazione del pudore. Percið
scansate con qualche cura le inverecondie sfacciate e i discorsi d'oscenità
dichiarata e brutale , predicando per lutti gli angoli che queste riserve sono
il frutto della civiltà , m a rendele poi familiari negli scritti e nei
trattenimenti sociali le allusioni impu diche,ifrizzilascivi,ledanze
seducentiei sali e i motteggi dell'empietà, e queste allu sioni e
questifrizzi,questi motteggi e queste tresche siano per opera vostra il vanto e
il diletto delle più colle e delle più civili società. 128
L'Inc.Hocapito tullo,vadoaservirviin tutto,efrapocotuttoilmondodivenleràuna
gran beltola per opera della civiltà. Fil. Andate pure , e vi accompagnino cou
lelorobenedizionituttigliangeli custodidella filosofia. SCENA SESTA N
Cervello,laFilosofiaeilCullo. Fil.Cosane dite,compareCervello?Mi pa re che la
nostra fondazione vada riuscendo a meraviglia, e che la città di Filosofopoli
non sarà scarsa di abitatori. Cer. Credo bene, che coi privilegi accordati
dalla filosofia, nel suo paese non ci sarà scar sezza di cilladini;ma sospello
che una selva gressi dell'incivilimento spingevano ad imitare i modi e le
costumanze dei grandi , ma oggi la civiltà deve consistere nel giusto mezzo , e
l'incilimento deve esercitare il doppio uffizio di esaltare gli umili e di
umiliare sempre i superbi. Voi dunque , andando sempre contro natura,dovele
mettere in tuttiifacchini la vo. glia e la superbia d'imilare i signori , e d o
vele meltere in tutti i signori il prurilo e la viltà d'imitare i facchini ,
siccbè queste due estremità sociali s'incontrino nei caffè e nei bordelli,
passeggino a bracciello nelle strade, e avvicinate e amalgamale2,per opera
vostra costituiscano una sola famiglia filosofica,o vo gliamodire,una sola
canaglia sociale.E que. sto è il risullato definitivo cui devono sempre mirare
la diffusione dei lumi e della civillà. abitata dagli orsi sarebbe
meglio di una città regolataconquestiprincipieconqueste leggi. Fil. Non lo
conosco neppur io,e dubilo che sia qualche mallo,ma adessoloconosceremo.
Galantuomo venite avanti, e dile chi siele e che desiderate. Fil. Cosa sono
tutti quegli imbrogli e tutte quelle vesti nelle quali siele imbacuccato
? 129 Fil. Voi vi ostinale apensare all'antica, mi la grandissima
meraviglia che il n 1 0 vo pensare del mondo ancora non vada d'ac cordo col
cervello.Noi per altrofaremo tan to e diremo tanlo finché a poco a poco an che
il Cervello perderà le sue abitudini di una volla,enon
glidaràl'animodivederelecose con altri occhiali che con quelli della filosofia.
Jilanlo atlendiamo a quelli che seguitano a presentarsi per entrare nel nostro
regno. Cer.Cbi sarà mai costui ilquale siavan za foggiato in tanti modi, e
ammanlalo con lanta varielà di vestiti che si prenderebbe per un buffone ovvero
per una cortegiana? Culto. Io sono il Culto e vengo a prendere servizio nella vostra
nuova cillà. Fil. Veramente i veri filosofi non sanno che farsi di voi,e quando
il mondo sarà lullo il luminato polrele cercarvi un alloggio nel di zionario
della favola . Finlanlo però che non si olliene una vittoria intiera contro i
pregiudi zi volgari vi terremo come un servitore pro visorio,eservireleper
trastullareilpopolo e per fare ridere le persone civilizzate. Culto.Giacchè
oramai per me non sitrova di meglio, bisognerà contentarsi di questo , e verrò
provisoriamente al vostro servizio. Cullo. Sono gli ordegni,e gli
abili del mio mestiere,eliboportatididiversesorteper adaliarmi a quel Culto che
vorrelé stabilire nel vostro paese. Fil. Quando è così avele falto bene a por
tarvi una bottega di ordegni e un guardaroba di paludamenti,perchè nella città
della Filo sofia deve esserci libertà amplissima per tutti i culti.
Cer.Come!nelvostropaesevoleleammel terci tolti i culii ?
Cer.Perchèlaveritàèunasola,emet terla del pari con l'errore è lo stesso che ri
pudiarla. IlCullo consiste nel professare una religione enell'osservarne
iprecetti,lepra tiche e i riti ; e siccome una sola religione può esser vera e
tutte le altre devono essere false , così un solo cullo può essere sauto e
gralo a Dio , e lulli gli altri devono essere allrellanle imposture e mascherate
, ridicole agli occhi degli uomini e oltraggiose alla maestà di Dio. Fil. Per
adesso non ho voglia di entrare in discussioni di leologia e di scandalizzarvi
con le doitrine filosoficheintornoalla religio. ne.Di questoparleremo a suo
tempo,ma in tanto dovele considerare che il fondamento della filosofia liberale
è la libertà , che la principale di tutte le liberlà è quella della coscienza ,
e che una città dove non ci fosse la libertà della coscienza e del culto non p
o 130 Fil.Giàsisa,olullio nessuno.Percbè si dovrebbe usare parzialilà e
sceglierne uno. facendo torto agli altri ? trebbe essere la citla
della Filosofia. Orsù dunque , signor Culto,entrate pure nella mia residenza
con tutti i vostri ordegni e con tutti i vostri vestiti : credele quello che vi
pare , operate come vi pare , e incensate quel che
vipare,chedituttoquestoamenon im porla niente. Cul. Quando è cosi vengo subito
ad inca sarmi nel vostro slalo,e vi conduco tutto il mio seguito. Fil.Chi è
tutta questa gente dalla quale siele corteggiato? Cul. Sono tulte persone di
diverse religio pi,didiversiculti,lequalivengonoago dere i vostri favori,
accettando la tolleranza e la libertà. Falevi avanti signori un pochi per volta
, e venile a ringraziare la signora Filosofia e a dirle qualche parola sulle vo
stre rispettive dottrine.È giusto che essa sappia che venite a fare in casa
sua. Fil. Queslo veramente non è necessario , percbè nei paesi della filosofia
ci è il datur omnibus , e ciascheduno può fare di ogni er. ba un fascio.
Nulladimeno questa specie di rassegna ci servirà per ridere come le vedu te
della lanterna magica. Chi siele dunque voi cbe venite avanti di tutti ? Tur.
lo sono un turco , e la religione dei turchi è la più comoda di lulle. Pensiamo
a mangiare a bere e dormire, e per l'avveni resaràquelchesarà.Intantoviviamo vo
luttuosamente nei nostri serragli , come vi vono i galli nel pollaio e i becchi
nel peco rile,e la dollrina del padre Maometto cias 131
sicura che troveremo pollaiepecorili ancora nell'altro mondo , e che l'abbondanza
delle galline e delle pecore sarà il guiderdone del. la virtù. Fil. E
pure,compare mio,questa mi sem bra una religione più comoda e più giusta di
tulle le altre. Anzi a dirla schietta , questa , poco più poco meno , è la
religione dei fi losofi liberali, i quali non sanno capacitarsi, perchè non
debba essere accordata alli due sessi del genere umano quella libertà che si
godono ibruti animali. Esaminate pure e analizzate quanto volete le doltrine e
i sofi. smi del secolo illuminato , il libertinaggio animalesco libera è il
compendio di lulti i voti e lo scopo principale del liberali smo. Per questo
mondo un pecorile o vo gliamo dire un serraglio , e per l'altro sarà quel che
sarà: in quesso consiste tutto l'evan. geliodellafilosofia.Voi dunque,signorTur
comiocaro,entratepurenellamia nuova cillà , esercitatevi il vostro culto
liberamente, e non dubitale che i pollai , i pecorili e i porcili non saranno
mai perseguitati dalla fi losofia. E voi che venile appresso chi siete ? Dei.
Io sono un Deisla e credo che ci sia un Dio , ma siccome non so cosa vuole que
sloIddio,nonm'intrigonèdiculli,nèdi religioni,nèdicomandamenli,emi vado
regolando alla meglio secondo il mio giu dizio. 132 Cer. Basta non esser
bestie per conoscere che questa è una religioneeuna dottrinada bestie , 1
Fil. Anche questa dottrina non mi dispia. ce e si può accordare molto
bene con la fi losofia. Imperciocchè un Dio il quale cred il mondo per
passatempo e poi lo lascia anda re senza pensarci più , e non gli volge mai nè uno
sguardo , nè una parola ; questo Id dio è come se non ci fosse , si può benissi
mo riconoscerlosenzaempirsilatestadipre giudizi , e la dottrina del Deismo non
con trasta con quella del libertinaggio e del pe corile.Perciò,signor
Deista,siateilbeuve nuto con tulli i vostri compagni , ed entrale pure a
stabilirvi vei domini della filosofia. Avanti dunque un altro. Chi siete? Aleo.
lo sono un Ateo e non credo all'esi. stenza di Dio. Non so se il mondo è elerno
ovvero se incomincið casualmente per una combinazione fortuita della materia ;
non so se ha durare sempre questo mondo , o v v e ro se col tempo prenderà
qualche altra figu ra , e non so cosa sia l'uomo e se finirà di essere quando
finirà di muovere le gambe : ma so che chiudo gli occhi per non vedere
nell'esistenza degli esseri e negli ordini del la natura la mano di Dio , e a
dispetto di tutte l'evidenze e di tutti i raziocini , voglio dire che non c'è
Dio. Fil. Quanto a questo ognuno è libero di credere e di direquello che gli
pare; e inol tre se il Dio dei deisti ha da essere un Dio senza braccia e senza
lingua come se fosse di s'ucco, l'essere Ateo e l'essere Deisla è una m e
desima cosa . Sopra tutto quando la dottrina degli atei ci lascia il pecorile ,
o il sarà quel 8 > 133 7 che sarà , può accomodarsi benissimo
con la dottrina della filosofia. Entrate dunque voi pure a godere la tolleranza
e la protezione filosofica, e venga avanti chi siegue.Chi sie te voi? Ido. Io
sono tutto al contrario di quelli che mi hanno preceduto,giacchè insieme coi
miei compagni riconosciamo un diluvio di divini tà e facciamo professione
d'idolatria. Noi a doriamo il sole e la luna, gli animali, i sas si e le piante
; ci facciamo le divinità di le gno e di cocco , e onoriamo con gli incensi į
galli, i sorci e le lucerte , è fino le cipolle e gli erbaggi dell'orto,
Cer.Comare,questo è un branco dimatli, e immagino che non vorrele riceverli nel
vo. stro paese. 134 Fil. E perchè no ? Questa povera gente non fa nè bene
nè male, e se la idolatria non è secondo i dellami della filosofia, almeno non
riesce molesta alla filosofia. Anzi al Dio M e r curio protettore dei ladri,
nel regno dei filo sofi non mancheranno adoratori ,e a quella cara Venere,
deessa della voluttà si dovreb bero erigere altari in luttiicantonidelmon do.
Ditemi un poco galantuomo : suppongo che la morale di tutti voi sarà abbastanza
rilasciata , e che contro il libertinaggio non ci avrete niente che dire ?
Idol. Potete immaginare cosa debbano es sere la morale e i costumi dove le
divinità sono lavorate nelle botteghe dei falegnami e degli sloviglieri.
Nulladimeno il fanalismo e l'imposlura si intrudono per lullo sotto lea p
Ris. Noi siamo riformati e protestanti, lu terani, calvinisti,
zuingliani,anglicani, quac queri, puritani, presbiteriani; insomma fra di noi
ci è di ogni sorta un poco, é venia mo astabilireinostricollinellavostranuo. va
città. Fil. Immagino che sarete tuiti quanti per suasi di essere una gabbia di
matli , e co noscerele che essendo una sola la verità, la maggior parte almeno
di voi altri deve esse re lontana dalla verità. Rif. Certo che a parlare sul
sodo la veri tà non può trovarsi fuorchè in una sola dot trina, e lo stesso
tollerarci che facciamo con indifferenza uno con l'altro è una prova che siamo
tulli quanti fuori di strada. Per que. sto se ci mettiamo a predicare e fare i
zelanli ridiamo di noi medesimi e conosciamo di reci tare in commedia, ma
l'interesse, il comodo 135 parenze della pielà, e anche noi abbiamo i
nostri sacerdoti e le nostre vestali, e abbia mo i nostri penitenti e i nostri
continenti. Fil. Tanto peggio per essi ; e poi ognuno ha i suoi gusti, e noi
non dobbiamo inquie tarci se i Bonzi e i Dervis vogliono digiuna re e
scorlicarsi in onore delle loro divinità . Quelle credenze e quelle pratiche
religiose che non disturbano la società devono essere accolte e protette nel
regno della filosofia. Andale d u n que tutti liberamente ; incensate quanto vi
pare sorci, gatti, porci e somari, e vivele si cuci della nostra filosofica
fraternità. Adesso venga avanti chi seguita.Che cos'ètutta que sta turba di
gente ? 136 Rif. Per ultimo il nostro clero è disinvol. to e
sociale e non intende di rinunziare alle soddisfazioni della natura ;
perlocchè, abbia mo in abbondanza pretesse,curalesse e ve scovesse, e se fra
noi ci fossero il papa e i cardinali avremmo ancora le papesse e le
cardinalesse. Eb.IosonounEbreo,einsiemecoimiei compagni vogliamo aprire le
nostre sinago ghe nei vostri domini. e l'impegno ci conservano nel nostro
rispet livo partilo, e quanlunque fra di noi venia mo spesso a capelli siamo
sempre d'accordo in quanto a mantenerci disertori dalla Chiesa romana .
Fil.Questoèbenissimofatto,perchèvo lendo godere i privilegi dell'errore , e non
volendo assoggettarsi alle seccature della ve. rità è d'uopo lenersi lontani da
quella dot tora che presame d'insegnare essa sola la verità. Rif. Inoltre non
abbiamo nè scomuniche, nè frati, nè confessionari, e conoscele bene che questa
è una grandissima comodità per la vila. Fil. Sicurissimamente; e levato quel
tram pino del confessionale, il libertinaggio non si contrasta più da nessuno,
Fil. Bravissimi, bravissimi , e questo si chiama essere cristiani a buon
mercato: pro priamente secondo il gusto della filosofia. Entrale dunque anche
voi col vostro mezzo evangelo , perchè lanto è mezzo quanto è niente, e venga
avanti chi resta. Fil. Senlite, figliuoli miei, nel regno della
filosofia ci deve essere senza dubbio il luogo per lulli,ma voi altri giudei
avevale tanti pregiudizi e tante pretensioni che non so se starele d'accordo cogli
altri, e non vorrei che mi melteste sussurri. Eb. Levatevi pure ogni
dubbio,perchè gli ebrei di adesso non sono più di quelli di pri m a , e anche
noi abbiamo ripudiato Mosè con tulli li patriarchi per arruolarci sollo le in
segne della Filosofia. Ci resta un poco di cir concisione, perchè ce la ficcano
quando non possiamo parlare, ma questa non si vede,e in tull'altro siamo una
vera canaglia , nata fatta per venire a figurare nei vostri paesi.
Fil.Questoanderebbebene,ma intanto puzzatecenlomiglialontano, nonvorrei che
facesle venire il vomilo a lulli i miei popoli. Eb. Neppur questo è vero,perchè
oggi nei paesi meglio civilizzati noi siamo il fiore della nobillà, veniamo
ammessi nelle corti , portiamo titoli e decorazioni, trattiamo fami gliarmente
coi signori,e se volessimo degnar. cene faremmo ancora i nostri parentali coi
gran signori. Fil.Quando è così entrale pure anche voi, fate le vostre
sinagogbe, circoncidetevi a modo vostro,e non dubitale che non vimanche ranno
libertà e protezione nel regno della fi losofia. E voi che siete rimasto cbi
siete ? Cat. Io sono un cattolico , e insieme coi miei compagni desideriamo di
professare li 137 e per ultimo 138
Cat.Eperchèmaiinunpaesedovesifa professione di ammettere tutte le religioni e
tulli icalli, la sola religione cattolica dovrà essere esclusa ? Fil. Perchè
voi altri cattolici siete intol leranti. Cat. Ciò non è vero nel senso in cui
voi lo intendele , e non polrete provare in nes sun modo cbe noi siamo
intolleranti. Fil. Non è forse vero che pretendete di es sere i soli a credere
e insegnare la verità , che fuori della vostra chiesa lulli sono p o veri
ciechi deviati dalla strada della salute ? Cat. Questo si chiama essere
conseguenti e non già essere intolleranli ; imperciocchè al di là della verilà
non può trovarsi niente al iro fuorcbè l'errore,e chiunque è persuasodi
trovarsi nella strada della verità deve essere ancora persuaso che quelli i
quali cammina no fuori di quella strada procedono nella via dell'orrcre.Anzi
perconvincersi cheiseguaci delle altre religioni sono lungi dalla verilà basta
solo considerare qualınente essi accor dano che anche fuori delle loro dottrine
si trova la verità. In conclusione poi noi non costringiamo nessuno a
farsicattolico perfor za,compiangiamo enon perseguitiamoquelli che vivono in
un'altra credenza , e neppure ci vendichiamo quando veniamo oltraggiati e
beramente nei paesi della filosofiala religio ne callolica. Fil.Un cattolico!un
cattolico!eavreste la presunzione di stabilire nel regoo dei filo sofi la fede
e ilculto cattolico ? e 139 perseguitati ; perlocchè in luogo di
essere in tolleranti , noi fra tulti í credenli siamo i più mansueti e i più
tolleranli. Fil. Inoltre voi vorreste empire lo stato di monache , di frati e
di claustrali di tutti i colori,e queste associazionie corporazioni non vanno a
genio della filosofia. Cat. Ma , se è vero che nei paesi costituiti
filosoficamente, ognuno deve godere amplissi ma liberlà,perchèalcuni
uominiealcune donne unanimi nel pensiero , e animali dallo stesso desiderio ,
non potranno albergare in una medesima casa,vestire un medesimo abi to , vivere
come gli pare e godere anch'essi la loro libertà? esegiusta i principi della
vostra tolleranza non podresle escludere dal vostro regno i Bonzi dei Cinesi e
dei giappo nesi , e i Dervis dei maomettani , perchè lo vostre esclusioni
saranno riservate privaliva mente per i soli frati cristiani ? Fil. Tutta la
vostra capaglia di frati vuol vivere senza far niente e campare a spalle degli
altri. Cat. I preti e i frati callolici predicano la parola di Dio ,
istruiscono la gioventù , so stengono il ministero del culto , assistono gli
infermi , consolano i moribondi e tutto questo dovrebbe essere qualche cosa
ancora agli oc chi della filosofia ; e quanto al vivere a spe
sedeglialtri,forseinostri prelieinostri frati campano per forza , assassinando
i pas saggieri in mezzo alla strada ? forse i predi
canlieisacerdotidellealtrereligioni rice vono il villo e il vestito dalle
nuvole e non 1 $ Fil. E non contate per niente il celibato
del vostro clero il quale naoce alla socielà col l'impedire la molliplicazione
del popolo? Cat.Sarebbefacileildimostrarvichelapro sperità di uno Slalo non
consiste nell'eccessiva moltiplicazione degli abitanti, ma bensì nella giusta
proporzione fra le risorse nazionali e il numero della popolazione. Senza però
entrare in queste discussioni, e seguendo solamente i canoni della libertà ,
forse secondo le regole della filosofia sarà libero ai lurchi di avere cento
mogli, e non sarà libero ai preti callo. lici di vivere senza moglie ? E forse
sarà li bero alle infami dicongregarsiaviverein un bordello, e non sarà libero
alle vergini cri sliane di chiudersi in un convento per prega
reilSignoreeviverelontanedalbordello? Fil. Dite pure quanto volele, ma quel vo
stro culto è troppo serio , troppo pubblico , troppo pomposo e solenne, e non
può essere mai gradito nel regno della filosofia. Cat. Nelle terre del
paganesimo,e dovela religione callolica èappena conosciuta, sappia mo
contenlarci di esercitare il nostro culto privatamente,ma
inquelleterrecristianein cui la religione cattolica è la dominante , ov.
veroèlareligionedelloSlalo,oalmenoèla 140 viene ad essi somministrato dai
rispettivi cre: denli ? O forse ci sarà libertà di donare ai conventi di Dervis
e di Bonzi, alle moschee, allepagode,allesinagoghe,epoifarelaca rità alla
chiesa e ai ministri della chiesa sa rà contrario alla filosofia e ai dellami
della n a tura ? 2 > 2 1 religione della maggior parte dei
nazionali , sarà giusto che si eserciti con pubblicilà o con solennità il culto
dominante , ovvero il culto dello Slato , o almeno il culto della maggior parte
dei nazionali. E poi non avete voi pro clamala la libertà dei culli , e non
avele di. chiarato cbe quelle credenze e quelle pratiche religiose le quali non
disturbano la società,de vono essere accolte e protette nel regno della fi
losofia ? Ebbene ; noi stiamo alle vostre parole e non vi domandiamo niente di
più. Fil.Ditepureesfiatateviquanto volele; in ogni modo... Cer. Ma via,comare
mia ;questa vostra mi Fil.Perchè non vogliovoaccordareilliber. tinaggio. Tant'è
: il libertinaggio è la con clusione di tutti gli argomenti e il lapisphi.
losophorum della filosofia;e chi non l'accorda il libertinaggio avrà sempre
ipimici i filosofi liberali e la filosofia.Voi dunque,signor cat. tolico, avete
inteso , e oramai sapete come vi dovele regolare. Se volete accordarci que sla
bagallella entrate pure nei nostri paesi con tutti i vostri frati, col vostro
cullo e col 141 1 pare una perfidia,e si vede che volele pro priamente
chiudere gli occhi alla ragione. Fil.Cosavoletefarci?Argomentatepuree
convincetemi di contraddizione quanto vi pare, i filosofi liberali non si
accordano mai coi cal tolici , e non li possono vedere. Cer. E perchè tutto
quest'odio e tutto que slo controgenio ? Fil. Volete saperlo veramente il
perchè ? Cer. Dite pure e sentiamo. B 142 vostro evangelo , perchè
accomodata quella piccola differenza tulle queste cose cidaran no poco fastidio
e serviranno per ridere e stareallegramente;ma sevioslinateneivo stri pregiudizi
e non volete accordarci il bru tismo , le terre della filosofia non fanno per
voi. Oramai è venuto il tempo di par lar chiaro ; e non c'è più bisogno di
pallia menli, di sutterfugi e di misteri. O libertini o niente. I frati dunque
, i preti e i cat tolici pensino ai casi loro ; il mondo ca pisca una volta
questa dottrina , e inlanto Turchi, atei, deisti, idolatri, scismatici, giu dei
e filosofi liberali,entriamotutti allegra mente della città di FILOSOFOPOLI e
por tiamo in trionfo IL LIBERTINAGGIO,nel re gno della filosofia. per si
1, Bert mert doi efis scar cont dang rita fusi Si aprono le porte della nuova
città , o la sciati di fuori il Cervello e il Culto 'cattolico entra la
filosofia accompagnata da tutto il suo ministero liberale, e viene festeggiata
con allegrissimo Charivari all'usanza di quelli con cui il popolo sovrano
accoglie i suoi rappre sentanti, quando tornano dalla camera dei de putati.La
sovranitàpopolareinqualitàdisi gnora della festa offre lo spettacolo gratuito
dellebarricate,distribuisce un generosorinfre. sco di mattonelle, e dà segno
per l'incomincia mento del ballo. La Giustizia dopo quattro sal ti si lascia
cadere le bilance,perde l'equilibrio, sirompeleanche,evazoppicandoperlasa la
appoggiatasulle stampelle. La Proprietà bal lando ballando viene distribuendo i
suoi vestiti con dare a questo il cappello e a quell'altro la ca rive pres spec
sce CAS un miciuola, finchè restata in pennazza si ritira per non
servire di scandalo. L'Insegnamento fa un ballo equestre a cavallo sull'asino,
epoi si mette in disparte a compitare il libro di Bertoldo. L'incivilimento con
un corleggio n u meroso di guatteri e di facchini vestiti secon do il figurino
, fa la sua danza pippando , e fischiando, e poi corre ai bettolino a rinfrea
scarsicon un bocale.ICultiliberiballanouna contradanza, e poi si mettono a
ridere guara dandosi uno con l'altro. Il libertinaggio in vita tutti a ballare
il vallz, e con cið la dif fusione del potere, dei beni, dei lumi , e della
civiltà si rende asfatlo completa. Frattanto a r riva il Disinganno
accompagnato dal Cervello, prendono a calci la Filosofia, mandano all'o spedale
dei maiti i filosofi liberali, e così fini sce la comedia. Gli spettatori
nelritornare a casa vanno dicendo:èstata troppo lunga. llanouna
contradanza, e poi si mettono a ridere guara
dandosi uno con
l'altro. Il libertinaggio in vita tutti a ballare il vallz, e con cið la dif
fusione del potere, dei beni, dei lumi , e della civiltà si rende asfatlo
completa. Frattanto a r riva il Disinganno accompagnato dal Cervello, prendono
a calci la Filosofia, mandano all'o spedale dei maiti i filosofi liberali, e
così fini sce la comedia. Gli spettatori nelritornare a
casa vanno
dicendo:èstata troppo lunga.
FINE.
llanouna
contradanza, e poi si mettono a ridere guara dandosi uno con l'altro. Il
libertinaggio in vita tutti a ballare il vallz, e con cið la dif fusione del
potere, dei beni, dei lumi , e della civiltà si rende asfatlo completa.
Frattanto a r riva il Disinganno accompagnato dal Cervello, prendono a calci la
Filosofia, mandano all'o spedale dei maiti i filosofi liberali, e così fini sce
la comedia. Gli spettatori nelritornare a casa vanno dicendo:èstata troppo
lunga. FINE. 143 > 702960 INDICE DEL LE III. La Libertà.
VI.La Sovranità VII. La Costituzione VIII. Il Governo. X. La Rivoluzione
XI.IPoleri XIV.La Patria. XVI . Conclusione. La Città della Filosofia. Scena
Prima La Filosofia ed il Cer vello. Scenaseconda— La Filosofia,ilCervel Scena
Terza -- La Filosofia, il Cervello , ScenaQuarta- LaFilosofia,ilCervello 23
Scena'Quinta LaFilosofia,ilCervel lo,l'insegnamentoe l'incivilimento» 116
FINE. CAPITOLO PRIMO.La Filosofia. Pag. 11 » mampu XIII. La Civiltà. e la
Giustizia MATERIE >> 83 » 91 14 II.La Società. )) 17 ivi 49 54 58 52 64 C
» 96 » 101 » 105 » 128 lo e ilGoverno. 14.^ ^ » » 45 IV. L'Uguaglianza . V. I
Dirilli dell'uomo 30 34 40 IX. La Leggiltimità. >> XII.Le Opinioni. XV.La
Indipendenza e la Proprietà . Scena Sesta -IlCervello,laFilosofiae il Cullo 116
>> 75 94 M. DROSTE- dellaPacefralaChie sa e gli Stati gr. 8.
Considerazioni sulla rivoluzione del 1848. Sulla scomunica controgliusurpatori
del dominio ecclesiastico- E sul monopolio universitario. gr. 4. tonio Parenti.
gr. 41. M
Leopardi. Keywords: 1150. – the coding of a name. The philosophical
Leopardi. The Leopardi fascista – interpretazione fascista da Gentile
dell’ultra-filosofia di Leopardi – l’ultrafilosofia di Leopardi padre. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Leopardi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689805879/in/photolist-2mN8ym7-2mMSyLM-2mLP9qE-2mLP3hz-2mLExs3-2mKQ5j7-2mKNNqN-2mKPQMm-2mKC3nj-2mKCnei-2mPNG7N-2mKEPJE-2mKDwcr-2mKEJsY-2mKDLrD-2mKjsJY-2mKbfaU-2mKiTu1-2mJq2uE-2mJd7mv-2mJd7kD-2mJ7Kmy-2mJfkMq-2mJgmew-2mJfkPu-2mJbSzH-2mJbSX6-2mJd7mf-2mJgmcC-2mJbSYD-2mJbSXr-2mJfkQb-2mJbSZf-2mJfkPj-2mJgmf8-2mJgmeG-2mJbSXm-2mJd7nN-2mKbTKy-2mKgHKe-2mJfkPe-2mJfk8z-2mJfkMk-2mJgmcx-2mJfkN2-2mJgmdu-2mJgmdK-2mJ7KkB-2mJe9QJ-2mJ4GHU
Grice e Lettieri – implicature – filosofia
siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Messina). Filosofo. Grice: “Lettieri rightly contrasts sensualism in the
practical sphere of reason as ‘egoism’ – my ‘principle of conversational
self-love’ – but focuses on benfeficence, and solidarity – as ‘rational’ – my
principle of conversational benevolence, -- or conversational helfpfulness.” Grice:
“I like Lettieri for two reasons: he uses ‘diritto razionale’ which we at
Oxford don’t! – He cherishes the ‘dialogo filosofico’ as a genre as we Aristotelians
at Oxford don’t – he wrote one on ‘l’intuito’ – While he wrote on ‘sensualism,’
he also explored the idea of ‘man’ and ‘ragione,’ or ragiun, as he put it in
his vernacular!” Insegna a Messina. Presidente della Real Accademia Peloritana
dei Pericolanti. Molto apprezzato da Mamiani,
Gioberti e Galluppi. Saggi: “Il sensualismo” Dissertazione (Messina,
Capra); “La fisiologia calunniata di materialismo” (Messina, Nobolo); “La
potenza del pensiero” (Palermo, Console); “Etica e diritto naturale” (Messina,
Amico); “L’intuito: dialogo filosofico” (Messina, Arena); “L'omu nun avi l'usu
di la ragiuni -- cicalata di lu professuri cav. A. Catara- Lettieri (Messina,
Amico); “Introduzione alla filosofia morale e al diritto razionale, -- Grice:
“I like the idea of ‘rational’ right!” (Messina, Amico); “La cognizione del
dovere -- poche nozioni dirette all'operaio e ad ogni classe di cittadini” (Messina,
Amico); “Ricordi storici intorno al movimento filosofico in Sicilia” (Messina,
Amico); “L’uomo” Pensieri” (Messina, Amico); Via Lettieri, Messina. Lettieri
basis his moral system on rationality – solidarity, beneficence and all the
conversational principles appealed by Grice find room in Lettieri’s system –
‘dovere verso l’altri” o “il prossimo” – The fundamental one is that of
equality, as when Chomsky says that competence is an ideal natuve speaker with
another one --. Grice: “Lettieri would hardly consider hiseself an Italian
philosopher, seeing that he wrote a trattarello on ‘filosofia in Sicilia’
meaning that Italy does not belong to him, nor does he belong to her!” – Antonio Catara Lettieri. Antono
Catara-Lettieri. Antonio Catara-Lettieri. Lettieri. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lettiere: la
ragione conversazionale” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690264580/in/photolist-2mKG7Nh-2mKCUJb
Grice e
Liberatore – implicatura – L’ULIVO DELLA PACE -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Salerno). Filosofo.. Grice: “One could write a whole dissertation
– especially in Italy: their erudition has no bounds – about Liberatore’s
choice of the sign being conventional, ‘ramo d’olivo’ = pace. It’s so obscure!
Aeneas held one, against the Phyrgians – but did the Phyrgians know? And if
Mars is often represented wearing an olive wreath, one would not think there is
a ‘patto’ between Aeneas and the Phyrgian commander about that!” Grice: “I like Liberatore – a systematic
philosopher, as I am! His logic has the expected discussion on ‘sign.’ A
conventional sign he says is a branch of olive ‘signifying’ peace – as opposed
to smoke naturally meaning fire – As a footnote, one should note that in Noah’s
days, the signification of the dove was ALSO natural – although not strictly
‘factive’ – but then not ALL smoke (e. g. dry ice smoke) signifies fire, as
every actor knows!” “Ma il difetto molto
comune degli Economisti è il mancare di giuste idee filosofiche, e con ciò non
ostante voler sovente filosofare.”Entra nel collegio dei gesuiti di Napoli e chiese
di far parte della Compagnia di Gesù. Insegna filosofia. Fonda a Napoli “La
Scienza e la Fede” con lo scopo di criticare le nuove idee del razionalismo,
dell'idealismo e del liberalismo, dalle pagine del quale veniva sostenuta una
strenua battaglia in favore del brigantaggio, interpretato come movimento
politico contrario all'unità d'Italia, ovvero: "La cagione del
brigantaggio è politica, cioè l'odio al nuovo governo". Fonda “La Civiltà”
per diffondere Aquino. Uno degli estensori dell'enciclica Rerum Novarum di
Leone XIII. Studia Aquino. Pubblica “Corso di filosofia”. Membro dell'Accademia
Romana,. Combatté il razionalismo e l'ontologismo, così come le idee del
Rosmini. Sostenne che il brigantaggio fu la legittima resistenza di un
popolo a una conquista non solo territoriale, ma soprattutto ideologica. Difensore
dei diritti della Chiesa e studioso dei problemi della vita cristiana, delle
relazioni tra Chiesa e stato, tra la morale e la vita sociale. I filosofi
della sua scuola mettono in evidenza a acutezza dei giudizi, la forza degli
argomenti, la sequenza logica del pensiero, la stretta osservazione dei fatti,
la conoscenza dell'uomo e del mondo, la semplicità ed eleganza dello
stile. All'inizio Professore era giudicato da molti nella Chiesa
cattolica il più grande filosofo dei suoi tempi. Si riteneva che vivesse
santamente, e si scorgeva in lui un profondo spirito religioso. Considerato
uno dei precursori del personalismo economico.
Saggi: “Logica, metafisica, etica e diritto naturale, e in
particolare: “Dialoghi filosofici” (Napoli); “Institutiones logicae et metaphysicae”
(Napoli);“Theses ex metaphysica selectae quas suscipit propugnandas Franciscus
Pirenzio in collegio neapolitano S. J. ab. divi Sebastiani Quinto” (Napoli); “Dialogo
sopra l'origine delle idee” (Napoli); “Il panteismo trascendentale: dialogo” (Napoli);
“Il Progresso: dialogo filosofico” (Genova); “Ethicae et juris naturae elementa”
(Napoli); “Elementi di filosofia” (Napoli); “Institutiones philosophicae” (Napoli);
“Della conoscenza intellettuale” (Napoli); “Compendium logicae et metaphysicae”
(Roma); “Sopra la teoria scolastica della composizione sostanziale dei corpi” (Roma);
“Risposta ad una lettera sopra la teoria scolastica della composizione sostanziale
dei corpi” (Roma); “Dell'uomo” (Roma); “La Filosofia di Alighieri”; In Omaggio
a Aligh. dei Cattolici ital. (Roma); “Ethica et ius naturae” (Roma, Typis
civilitatis catholicae); “Lo stato italiano” (Napoli, Real tipografia Giannini);
“Della composizione sostanziale dei corpi” (Napoli, Giannini); “L'auto-crazia dell'ente”
(Napoli); “Degl’universali -- confutazione della filosofia di Rosmini-Serbati”
(Roma); “Principii di economia politica” (Roma, Befani); “La proposta
dell'imperatore germanico di un accordo internazionale in favore degl’operai”;
“Le associazioni operaie”; “Dell'intervenzione governativa nel regolamento del
lavoro”; “L'Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII”; “De conditione opificium”;
“La civiltà cattolica spiega nei dettagli il clima di "difesa" in cui
la chiesa si sente. Il ritorno ad Aquino dov’essere orientato alle sue dottrine
originarie. Convinto che dopo di lui ben poco di nuovo ha prodotto il pensiero
umano. Brigantaggio. Legittima difesa
del Sud. Gli articoli della "Civiltà Cattolica" introduzione di Turco (Napoli, Giglio); “Per
l'atteggiamento arroccato in difesa della Chiesa vedi ad esempio Sillabo # La
"cupa scia" del Sillabo V.
Nardini, Manca di verità e si oppone ad Aquino la soluzione di un alto problema
metafisico abbracciata da Liberatore” (Roma, Pallotta); “Lettere edificanti
della provincia napoletana della Compagnia di Gesù, in La Civiltà cattolica, Civiltà
cattolica:, antologia G. Rosa, [ma San
Giovanni Valdarno] ad ind.; G. Mellinato, Carteggio inedito Liberatore Cornoldi
in lotta per la filosofia di Aquino (Roma, Volpe, I gesuiti nel Napoletano,
Napoli, Dezza, Alle origini del tomismo, Milano, Devizzi, La critica all'ontologismo,
in Rivista di filosofia neo-scolastica, Mirabella, Il pensiero politico di ed
il suo contributo ai rapporti tra Chiesa e Stato, Milano, Scaduto, Il pensiero
politico ed il contributo ai rapporti tra la Chiesa e lo Stato, in Archivum
historicum Societatis Iesu, Giuseppe Rossini-Serbati, Roma G. Rosa, Storia del
movimento cattolico in Italia, Bari ad ind.; Lombardi, La Civiltà cattolica e
la stesura della "Rerum novarum". Nuovi documenti sul contributo, La
Civiltà cattolica, Dante, Storia della "Civiltà cattolica", Roma Nomenclator
literarius theologiae catholicae, Grande
antologia filosofica, Milano, C. Curci, Compagnia di Gesù La Civiltà Cattolica
Rerum Novarum Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana., presentazione del libro su La Civiltà Cattolica
e il brigantaggio. Segno è generalmente tutto ciò, che alla potenza conoscitiva
rappresenta alcuna cosa,da se distinta.Perciò taldenominazione ben
siaddicealconcetto,ilquale,come sièdetto,esprimeal vivo e rappresenta alla
mente l'obbietto, intorno a cui si aggira . M a il c o n c e t t o è i n t e r
n o a l l ' a n i m o ; e p e r p a l e s a r s i d i f u o r a h a b i sogno
di un segno esterno.Questo segno esterno consiste ne'vo i
caboli;iqualitratuttiisegoi ottennero la preminenza iq.or CAPO PRIMO ARTICOLO
I. 11 dine alla manifestazione delle cose , che internamente conce
piamo. C o s ì il t e r m i n e m e n t a l e , c i o è il c o n c e t t o , e
d il t e r m i n e o r a l e cioè il vocabolo , convengono tra loronella
generica ragione di segno.Ma sidifferenziano grandemente nella ragione
specifica. I m p e r o c c h è , p r i m i e r a m e n t e il c o n c e t t o è
s e g n o n a t u r a l e ; il v o cabolo è segno convenzionale.Dicesi segno
naturale quello,che di per sè e per sua natura mena alla cognizione di un'altra
cosa; c o m e il f u m o , p e r e s e m p i o , r i s p e t t o a l f u o c o
, e g e n e r a l m e n t e o g n i effetto,
riguardoallacausa.Dicesisegnoconvenzionalequello, che arbitrariamente o per
patto vien destinato a dinotare alcuna c o s a ; c o m e il r a m o d ' o l i v
o si a d o p e r a p e r 3.°Iltermineorale, benchè prossimamentesignifichiilcon
cetto,nondimeno medianteilconcettosignificalostessooggetto. A n z i , p o i c h
è d a c h i p a r l a è a d o p e r a t o p e r d i n o t a r e il c o n c e t
t o n o n subbiettivamente m a obbiettivamente, cioè in quanto è espres- sione
della cosa percepita;ne segue che,quanto alla significazio ne,esso
siconfondequasicolconcetto,dicuiècome lavestee l'esterna apparizione. E però la
Logica a buon diritto tratta per 12 > Ora
niunvocaboloèdisuanaturaconnessoconundeterminatocon cetto ; e però tanta
varietà di loquela si scorge presso le diverse n a z i o n i . A l c o n t r a
r i o , il c o n c e t t o d i p e r s è e n e c e s s a r i a m e n t e r a p
presental'obbietto,essendoneuna naturalrassomiglianza;epe rò il discorso
mentale è lo stesso appo tutti. Inoltre il concetto è segno
formale;ilvocaboloèsegno istrumentale.Ad intendere q u e s t a d i f f e r e n
z a , è n e c e s s a r i o o s s e r v a r e , c h e il v o c a b o l o p e r
m e narci alla conoscenza della cosa significala, ha mestieri d'esser prima dạ
noi compreso. E perd appartiene a quel genere di se gni ,a cui può applicarsi
la seguente definizione :Segno è ciò che, conosciuto,adduce
allaconoscenzadiun'altracosa.Ma delcon cetto non è così:giacchè esso,senza
bisogno d'esser prima cono sciuto ,col solo attuare la mente , ci mena alla
conoscenza del l'obbietto, sicchè questo appunto sia ilprimo ad essere diretta
mente percepito. Ciò di leggieri apparisce, tanto solo che si con
sidericheilconcettononpuòpercepirsi,senon percognizione riflessa e pel ritorno
della mente sopra sè stessa. Laonde quello che sipercepisce per prima e diretta
cognizione, non può essere essoconcetto,ma
necessariamenteèunaqualchecosadiversadal medesimo.A dinotarepertanto una
taldifferenza,venne intro dotta la distinzione del segno formale e del segno
istrumentale Viene in quarto luogo l'abuso del linguaggio che è il mezzo
dato all'uomo per esternare ad altrui gl’interni con cepimenti
dell'animo.L'apalisi de'vocaboli è ordinariamente un grande aiuto allo spirilo
per rischiarare le idee,merce chè essi sovente tengonchiusisottolalorospoglia
iconcelli comuni dell'uomo. Ma accade altresì che si arroghino più
diquellochelorodiragionsicompele,etentinonondies. sere esaminali e giudicali
dall'intellello,ma manciparselo e deltargli legge acapriccio.Per quattro
maniere principalmente i vocaboli introducono falsi concetti nell'animo.Prima
per la loro ambiguità e confusione. Imperocchè ci ha delle voci d'incerlo
significato, le quali han bisogno d'esser delermi. nale nel senso in cui si
tolgono , altrimenti ingenerano con : cetto vago e mal fermo da cui procedon
poi fallaci giudizii. Tale è a cagion d'esempio la voce natura,laquale suol
pren dersiadesprimereorl'essenzadiunacosa,orilmondosen sibile; or l'autore
dell'universo, or lull'altro a lalento di c o foi
chel'usa.Parimenteleideesignificatepe'vocaboliso vente sono assai complesse e
complicate ;e pero ove non bene sirisolvanoperviad'analisine’loroelementi,son
cagioneche siformiun assaiconfusoedinformeconcetto.Secondo,tal volta i vocaboli
vengono adoperati a significar mere negazio ni o prodotti arbitrarii della
immaginativa ,o semplici astrazioni dell'animo ; come la voce
cecità,fortuna,centauro, località, e
somiglianti.Oravvienecheperdifettodidebitaconsidera zione si cada nella
credenza ch'esse esprimano cose positive e reali si nell'essere che nel modo
onde sou concepite.Ter. zamente , ivocaboli delle cose immateriali son formati
d'ordi nario per analogia presa dagli obbielli materiali,equindi av viene che
talora si confondano le une cogli altri.In quarto Juogo ne'nomi derivati
sebbene spesso l'origine e l'elimoa Jogiadel
vocabolocoincidecolsensoinchecomunementesi prende, tuttavia non rade volte se
ne dilunga. Nel qual caso per mancanza di allenzione può avvenire che l'una
coll'altro si scambi.A queste cause può aggiugnersi lanovità de'voca boli di
che taluni stranamente si piacciono, e l'uso incostante che fanno di quelli
stessi che fuor di ragione introdussero.La H i l o s o f i a p e r q u a n t o
p u ò n e l l ' a d o p e r a r e il l i n g u a g g i o n o n d e v e
scostarsi dall’uso comune,nè cambiare a capriccio il senso delle voci ricevute
o da sè stessa una volta determinale. 13. Da ultimo una indebila applicazione
de'mezzi di co noscenzaè radicemalnalad'errore.Accadeciòinprimadal non bene
distinguere con quali facoltàdebba l'oggetto.con cepirsi;come a cagion
d'esempio in chi con la fantasia volesse comprender ciò che allrimenti non si
può che con l'intellelto. Dippiù si bada talora più alla vivacità e felicità
della rappre sentanza, che alla fermezza delmotivo che spinge all'assen so. E
così le cose che vivacemente e prestamente feriscono l'animo più di leggieri si
ammettono che allre non fornite di questa dote, ma più salde per forza di
argomenti.Inoltre si procede temerariamente a giudizii senza prima considerare
se l'obbietto è debitamente proposto giusta le leggi e le c o n dizioni volute
dalla natura .Quinci le fallaciede'sensi,lo scam biarsi per i principii
proposizioni arbitrarie, il formare as siomi illegittimi, ildedurre conseguenze
erronee da sofistici ragionamenti.E
perciocchèloschivarquestimalirichiedela 35 36 conoscenza del
dritto cammino che deve tener la mente per le vie del vero, passiamo a traltar
diligentemente questa m a teria, alla quale premettiamo ilseguente articolo,che
ad essa valga come d'introduzione. Cum animi nostri sensus cogitationesque
animo ipso la teant , nec per sese ceteris patefiant ; h o m o , qui ad
societatem cum aliis coëundam enascitur, idoneis mediis a provido naturae
Auctore instructus est, ut ideas suas aliis, quibuscum vivit, m a nifestet.
Haec media signa quaedam sunt ; sic enim nominan tur quaecumque ad res alias
innuendas sive natura sive volun tate sunt instituta.Ompibus vere signis,
quibus conceptus nostros 28 LOGICAE De idearum signis. PARS
PRIMA 29 et affectus animi patefacimus, maximopere vocabula praestant. Etsi
enim suspiria , gemitus , nutus, sensa animi nostri signifi cent; minime tamen
id efficiunt eadem facilitate, perspicuitate, distinctione ac varietate, quae
vocabulorum propria est. Q u a m quam non diffitear gestuum loquelam , si vivax
sit, vehementius commovere , propterea quod imaginationem vividius feriat, et
rem veluti ponat ob oculos. Vocabulum definiri potest : vox articulate prolata
ad ideam aliquam significandam . Ex quo intelligitur , ope vocabulorum proxime
et immediate conceptus, vi autem conceptuum ipsa ob iecta significari. 6. Ad originem
sermonis guod spectat, nemini dubium est quin , etsi vis loquendi ingenita
nobis sit , verborum tamen determinatio ab arbitrio generatim pendeat. Secus si
quodlibet determinatum verbum determinatam rem natura sua innueret; qui fieri
posset ut verbum idem apud diversas gentes , quibus certe eadem natura inest,
non idem exprimat ? De hoc nulla est controversia; at quaestio in eo est utrum
absolutae necessitatis fuerit ut sermo aliquis primis hominibus a Deo
communicaretur, an homo sermocinandi tantum virtute ornatus sermonem ipse
repererit vel saltem reperire potuerit. Qua de re in contrarias sententias
philosophi distrahuntur.Nonnulli enim non modo pos sibilitatem , sed factum
etiam tuentur, atque hominem sermone destitutum sermonis auctorem fuisse autumant.Alii
id neutiquam evenire potuisse arbitrantur , cum sermo sine usu intelligentiae.
efforinari nequeat , et ad usum intelligentiae sermonem necessa rium esse
putent. Equidem sic existimo :ad absolutam possibilitatem quod at tinet,
hominem per se potuisse ex insita propensione et facultate loquendi, quam
accepit, determinatum sensum vocibus quibus dam tribuere,etsicspontesua
efformaresermonem .Quid enim repugnasset ut homo rem sensibus occurrentem nutu
aliquo com mopstraret aliis, atque ex innata viloquendi sonum syllabis qui
busdam distinctum proferret et ad commonstratam rem signifi candam libere
determinaret ? Expressis autem rebus sensibilibus, ad insensibiles
significandas gradatim pervenire impossibile sane non erat; cum ad has
exprimendas nomina quaedam ex rebus ; 30 LOGICAE
materialibus, propter analogiam , quam homo inter utrasque per spicit,
transferri facile potuissent. At si non de absoluta et abstracta possibilitate,
sed de f a cto loquimur , rem aliter contigisse certum est. N a m ex sacris
litteris indubie colligimus elementa sermonis primo homini a Deo tributa esse ,
quantum saltem sufficeret ad domesticam societa tem , in qua ille conditus est,
retinendam . Cuius rei congruen tia vel inde patet, quod si, ut supra dictum
est, ad divinam pertinuit providentiam opportuna scientia instruere protoparen
tem ; hoc multo magis de usu sermonis dicendum sit,cuius longe maior necessitas
imminebat. An sapienter cogitari poterit totius generis humani parens et
magister , qui quasi principium et fun damentum constituebatur futurae
societatis civilis et sacrae,sine actuali copia illorum mediorum , quae ad
munus hoc adimplen dum tantopere requirebantur? Accedit, quod eruditorum
vestigationes, qui de origine lin guarum tractarunt, huc tandem concludendo devenerunt,
ut omnes linguae tamquam dialecti linguae cuiusdam primitivae , quae perierit,
habendae sint. At si sermo inventio esset h u m a na, singulae familiae, quae
diversis populis originem dederunt, linguam sibi omnino propriam atque ab aliis
radicitus discrepan tem creavissent. 7. De utilitate vero, quam ex sermone pro
rerum intelligen tia mens capit , permulta fabulati sunt philosophi quidam , in
primisque Condillachius.Putarunt enim illum esse necessarium ad analysim et
synthesim idearum habendam , nec sine ipso ideas ge nerales efformari
posse.Quin etiam eo progressi sunt,ut dicerent ipsam intelligentiam nonnisi ex
usu loquelae progigni. At enim haec esse ridicula optimus quisque iudicabit,
modo cogitet non posse loquendi usum concipi nisi iam antea intelligentia subau
diatur. Non enim quia loquimur intelligimus, sed viceversa quia intelligimus
loquimur. Unde bruta,quia intelligentia carent, id circo loquendi facultate
privantur. Quod si intelligentia e ser mone non pendet , poterit illa quidem
suis uti viribus ad ideas sive dividendas sive componendas sive etiam
abstrahendas, quin idcirco sermo velut causa aut instrumentum adhibeatur. Sed
de hac re fusius erit in Metaphysica disputandum . Vera igitur
emolumenta sermonis his continentur : I. Prae terquam quod ad ideas
communicandas inserviat, ac proinde ve luti vinculum sit societatis ;
intellectui subvenit, quatenus loco phantasmatum verba ut signa sensibilia in
imagioatione substi tuit. II. Memoriae opitulatur ad ideas semel habitas
revocan das. III. Mentis attentionem figit detinetque in obiecto , quod
exprimit , quae secus ad alia contemplanda statim raperetur. IV. Mentis
opificia conservat, efficitque, ut illa postquam con templationis suae partus
vocabulis scriptura exaratis ad retinen dum tradiderit, soluta curis ad nova
speculanda impune progredi possit. Hae potissimum utilitates e sermone in
hominem profi ciscuntur ; ceterae, quae a nonnullis nimium exaggerantur, sine
fundamento ponuntur, et animo humano sunt dedecori. Denique ad dotes loquendi
quod attinet, sermo sit perspicuus, usitatus, brevis; non ea tamen
brevitate,qua obscurior sententia fiat; sed ea , q u a m rite descripsit
Tullius , ubi inquit brevitatem appellandamessecum verbum nullum
redundat,velcum tantum verborum est, quantum necesse est 1. ANTICHITÀ PER
L'INTELLIGENZA DELL'ISTORIA ANTICA E DEGLI AUTORI GRECI E LATINI DELL'ABATE
DECLAUSTRE TRADUZIONE DAL FRANCESE. TOMO III. Wwwna IN VENEZIA CO'TORCHI DI
GIUSEPPE MOLINARI ED. M. DCCC. XXVII. 1 MITOLOGICHE SLIEHE HE
KOS WIEN HOFBIBLION KA + ! 1 1 eeeeeeeeexe erele cele
;egliAteniesileeresserodellestatue.Ellafuancora piùcelebra ta presso i R o m a
n i , i quali le innalzarono il più grande ed il più m a
goificotempiochefossein Roma.Questo tempia, le cui rovineed anche una parte delle
volte restano ancora io piedi, fu cominciato da Agrippina,eposciacompiuto da
Vespasiano.Scrive Giuseppe, che gl'imperadori Vespasiano e Tito deposero nel
tempio della Pace le ric chespoglie,cheaveanolevatealtempiodi Gerusalemme.In
questa tempio della Pace siadunavano quelli che professavano le belle arti per
disputarvisopraleloroprerogative,acciocchèallapresenzadella dea
restassebanditaqualsivogliaasprezzapelleloro dispute.Questotem. pio fu rovinato
da un incendio al tempo dell'imperator Commodo. PressoiGrecilaPacevenivarappresentata
in questa maniera.Una donoaportavasullamanoildioPluto
fanciullo.PressoiRomanipoi sitrovaperordinariorappresentatalaPace cop un ramo
di ulivo PACIFERA.InunamedagliadiMarcoAurelioMinervaviene chiamata pacifera ; e
in u n a di Massimino si legge Marte puciferus , qmegli,o quella che porta la
pace, PACTIA.SudditodeiPersiani,alriferired'Erodoto, essendosi ricoperato a
Cuma città greca,iPersiani non mancarono di mandare a d i m a n d a r l o , a c
c i o c c h è l o r o f o s s e c o n s e g n a t o n e l l e m a n i. I C u m
e i f o . dea P Pace.IGreciediRomanionoravanolaPacecome unagran qualche
volta colle ali,tenendo un caduceo,e con un serpente ai piedi,
Ledannoancorailcornucopia,el'ulivoèilsimbolo della Pace,eil caduceoèilsimbolodel
MercurioNegoziatore,peradditarelanego. ziazione,da cui n'è seguita la Pace.In
una medaglia di Antonino Pio tiene in una mano un ramo di ulivo, e colla
sinistra dà fuoco ad alcu di scudi,e corazze, j P A L A M E D E
.Figliuolo di Nauplio re dell'isolad'Eubea,coman daya gli Eubei nell'assedio di
Troja. Vi si fece molto stimare per la s u a p r u d e n z a , p e l s u o c o
r a g g i o , e d e s p e r i e n z a n e l l' a r t e m i l i t a r e ; e d i
. cono che insegnasse ai Greci il formare i battagliopi, e lo schierarsi. Gli
attribuiscono l'invenzione di dar la parola delle sentipeļle,quel la di molti
giuochi,come dei dadi e degli scacchi,per servire di trat tenimento ugualmente
all'ufficiale e al soldato nella noja di up lungo assedio. 4 ΡΑ 1 CHE tott
an que 9 be 8Q CO 32 ti 8 $1 AL sto fu çerp ipcontapepte ricercare l'oracolo
de'Branchidi, per sapere come doveano
contenersi;el'oracolorispose,cheloconsegnassero.Aristo
dico,unodeiprincipalidellacittà,ilquale noneradiquestoparere, o t t e n n e c o
l s u o c r e d i t o , c h e și m a n d a s s e u n ' a l t r a v o l t a a d
i n t e r r o g a r e l'oracolo,ed eglistessosifecemettere nelnumero
deideputati.L'o. racolo non diede altra risposta, che quella avea data prima.
Poco sod disfatto Aristodico, penso nel passeggi. The branch of ‘ulivo’ is
represented in the reverse of a coin of Antonius Pius --. Matteo Liberatore.
“Segno e cio che, conosciuto, adduce alla conosence di un’altra cosa” – cf.
Eco’s tesi su Aquino. Liberatore. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Liberatore” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689405106/in/photolist-2mPvmTf-2mGnP2f-2mKBHiL
Grice e
Liceti – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Rapallo).
Filosofo. Grice: “Liceti is a
fascinating philosopher; must say my favourite of his oeuvre is “Geroglifici,”
which as he knows it’s a coded message – the old Egyptian priests kept this
‘figurata’ away from the plebs!” – Grice: “Alice once wondered what the good of
a piece of philosophy is without ‘illustrations;’ surely Liceti’s beats them
all!” Allievo ed erede di Cremonini. Nacque prematuro (6 mesi), venendo
alla luce su una nave presa da tempesta lungo le coste tra Recco e Rapallo.
Sempre secondo la tradizione orale suo padre, un medicoo, lo mise in una
scatola di cotone dentro un forno, come si faceva per far schiudere le uova,
inventando così il prototipo della moderna incubatrice. Dopo aver compiuto i
primi studi letterari a Rapallo, venne inviato a Bologna per compiere e
approfondire gli studi legati alla filosofia. Insegna a Pisa. Padova, e
Bologna. Ascritto ai “Ricovrati” (oggi
Accademia Galileiana di scienze, lettere ed arti). Quando comparve in
cielo una cometa, si riaccese una controversia analoga a quella suscitata dalla
stella nova ma questa volta le difese
della teoria aristotelica furono assunte dal Liceti ed il compito di
attaccarla, partito ormai Galileo, fu assunto dal suo successore sulla cattedra
di matematica, Gloriosi, che se la prese appunto col Liceti. Questi rispose
pubblicando un suo De novis astris et cometis, in cui, oltre a difendere
Aristotele, critica i moderni scienziati, tra i quali anche Galileo, ma con
espressioni molto rispettose e lusinghiere. A questo scritto Galileo fece
rispondere dal suo amico Guiducci col Discorso sulle comete.» Srisse
numerose opere di filosofia, tra le quali “De monstruorum causis, natura et
differentiis”, (Padova), con aggiunte di
G. Blaes, nei quali riprese le soluzioni aristoteliche sul problema delle
anomalie genetiche, e “De spontaneo viventium ortu” nei quali sostenne la
generazione spontanea degli animali inferiori. Altri testi importanti per
la ricerca furono “De lucernis antiquorum reconditis” apprezzato da Berigardus,
e la “Silloge Hieroglyphica, sive antiqua schemata gemmarum anularium>” Trattò
inoltre la questione dell'anima delle bestie nel “De feriis altricis animae
nemeseticae disputationes” Le sue opere furono chiaramente ispirate ad
Aristotele, in particolare gli studi sul problema della generazione vivente e
sul cosmo, entrando talvolta in contrasto con Galilei, specialmente per quanto
riguarda la struttura dei cieli e della Luna, che Liceti considerava una sfera
perfetta e trasparente la cui luminosità non era un riflesso della luce solare,
ma veniva generata al suo interno.Al centro di questo dissenso cosmologico,
c'era, infatti, il tentativo di spiegare il fenomeno luminescente della pietra
di Bologna, che Liceti considera un frammento di materia lunare. Alcuni scritti
del Liceti rimasero inediti a causa delle ampie discussioni riportate sulle
novità astronomiche del XVII secolo. Nella congerie immensa dei suoi
scritti e commenti va notata la difesa della pietas d'Aristotele; quella pietas
così vivacemente messa in forse alcuni anni più tardi dal platonicissimo
cappuccino Valeriano Magno, che tacciò d'ateismo il sistema dello Stagirita. Il
Liceto invece disserta «de gradu pietatis Aristotelis erga Deum et homines», e
nell'opera sua «Philosophi sententiae plurimae, fidelium auditui durae,
salubribus explicationibus emollitae, ad pias aures accommodantur, illaeso
genuino sensu Aristotelis». E ad epigrafe dell'opera sua si compiace del
distico Vulgus Aristotelem gravat impietate, Licetus Doctorem purgat. Numquid
uterque pius? La città di Padova ed Spinola di Roccaforte resero omaggio al
filosofo facendo erigere una statua in marmo scolpita dallo scultore padovano
Rizzi. A Rapallo, sua città natale, vi è dedicata una via nel centro
storico. Gli è stato dedicato il cratere “Licetus” sulla Luna. Saggi: “De
centro et circumferentia”’ “De regulari motu minimaque parallaxi cometarum
caelestium disputationes”Vtini, Nicola Schiratti, Vicetiae, Domenico Amadio,
Francesco Bolzetta Encyclopaedia ad aram mysticam Nonarii Terrigenae, Patauii,
Gaspare Crivellari“Allegoria peripatetica de generatione, amicitia, et
privatione in aristotelicum aenigma elia lelia crispis. Ad aram lemniam
Dosiadae, poëtae vetustissimi et obscurissimi, encyclopaedia, Parisiis: apud C.
Cottard “Ad Syringam publilianam encyclopaedia, Patauii, Pasquato, Bortolo, “Ad
Epei Securim Encyclopaedia Genuensis philosophi, ac medici, Bononiae, Monti, “De
centro et circumferentia, Vtini, Nicola Schiratti, “De luminis natura et efficientia,
Vtini, Schiratti, “Litheosphorus, siue De lapide Bononiensi lucem in se
conceptam ab ambiente claro mox in tenebris mire conservante, Vtini, Schiratti, “Ad alas amoris diuini a Simmia
Rhodio compactas, Patavii, Giulio Crivellari,“De lucidis in sublimi ingenuarum
exercitationum liber, Patauii, Crivellari “De Lunae Sub-obscura Luce prope
coniunctiones, “Hieroglyphica, Patavii, Sebastiano Sardi, “Hydrologiae
peripateticae disputationes, Vtini, Schiratti, Ad syringam a Theocrito Syracusio
compactam et inflatam Encyclopaedia, Vtini, Schiratti, Baldassarri, La pietra
di Bologna da Descartes a Spallanzani. Sviluppo di un modello scientifico tra
curiosità, metodo, analogia, esempio e prova empirica, Nel nome di Lazzaro.
Saggi di storia della scienza e delle istituzioni scientifiche, Garin, La
filosofia, Milano, Vallardi, Questo testo proviene in
parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera
del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, Caspar
Bartholin, Institutiones anatomicae, Lugduni Batavorum, Jean Riolan, Opuscula
anatomica nova, in Id., Opera anatomica, LPombaiae Parisiorum, Bartholin,
Epistolarum medicinalium centuria I et II, Hafniae (lettere); Vesling,
Observationes anatomicae et epistolae medicae, Hafniae, lettere al Liceti; Dallari,
I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio Bolognese, Bologna ad ind.;
Edizione nazionale delle opere di Galilei, Firenze ad indices; Acta nationis Germanicae
artistarum, Rossetti, Padova, ad ind.; Rossetti, AGamba, Padova, ad ind.;
Giornale della gloriosissima Accademia Ricovrata, A: verbali delle adunanze, Gamba, Rossetti, Trieste ad ind.; Salomoni, Urbis
Patavinae inscriptions, Patavii Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Patavii, Tiraboschi,
Storia della letteratura italiana, Modena, Renan, Averroès et l'averroïsme,
Paris Taruffi, “Storia della teratologia” IBologna, Favaro, Amici e
corrispondenti di Galilei, Gloriosi, in Atti del R. Istituto veneto di scienze,
lettere ed arti, Favaro, Saggio di dello
Studio di Padova, I, Venezia, Ducceschi, L'epistolario di Severino, in Rivista
di storia delle scienze mediche e naturali, Castiglioni, Storia della medicina,
Milano, Ducceschi, Un epistolario inedito di dotti padovani in Atti e memorie
della R. Accademia di scienze lettere ed arti in Padova, Alberti, La prima
incubatrice per prematuri, in Minerva medica varia, G. Boffito, Battaglia di
marche tipografiche di Bella e l'ultima
memoria scientifica dettata da Galilei, in La Bibliofilia, Pesce, La
iconografia di Liceti, in Genova. Rivista mensile del Comune, Geymonat, Galilei,
Torino, Rossetti, L'ultima opera di Liceti in un manoscritto inedito della
Biblioteca del Seminario vescovile di Padova, in Studia Patavina, Bertolaso,
Ricerche d'archivio su alcuni aspetti dell'insegnamento medico presso l'Padova,
in Acta medicae historiae Patavinae, Ongaro, Contributi alla biografia di Alpini,
Tomba, Gli originali di Galileo in Physis, Ongaro, L'opera medica di Liceti, in
Atti del Congresso di storia della medicina, Roma, Ongaro, La generazione e il
"moto" del sangue nel pensiero di Liceti, in Castalia,Rizza, Peiresc
e l'Italia, Torino A. Simili, Una dedica autografa di Galilei a Liceti e il
clima delle loro concezioni scientifiche e relazioni epistolari, in Galileo
nella storia e nella filosofia della scienza. Atti del Symposium internazionale,
Firenze-Pisa, Firenze Mirandola, Naudé a Padova. Contributo allo studio del
mito italiano, in Lettere italiane, Castellani, Marangio, I problemi della
scienza nel carteggio con Galilei, in Bollettino di storia della filosofia
dell'Università degli studi di Lecce, Marilena Marangio, La disputa sul centro
dell'universo nel "De Terra" di Liceti, Soppelsa, Genesi del metodo
galileiano e tramonto dell'aristotelismo nella Scuola di Padova, Padova, Agosto
et al., Rapallo, Berti, Galileo e l'aristotelismo patavino del suo tempo, in
Studia Patavina, Ongaro, Atomismo e aristotelismo nel pensiero medico-biologico
di Liceti, in Scienza e cultura, Galilei e Morgagni, Padova. Brizzolara, Per
una storia degli studi antiquari in Studi e memorie per la storia dell'Bologna,
nZanca, Liceti e la scienza dei mostri in Europa, in Atti del Congresso della
Società italiana di storia della medicina, Padova, Trieste, Padova Re, "De
lucernis antiquorum reconditis": il capolavoro calcografico di Schiratti,
in Ce fastu? Lohr, Latin Aristotle commentaries, Firenze, Basso, erudito ed
antiquario, con particolare riguardo agli studi di sfragistica, in Forum Iulii,
Basso, "Fortasse licebit". La marca tipografica di Schiratti e l'impresa
accademica di Liceti, in Quaderni Artisti Cattolici Ellero, Ongaro, La scoperta
del condotto pancreatico, in Scienza e cultura, Poppi, Il "De caelesti
substantia" di Ferchio fra tradizione e innovazione, in Galileo e la
cultura padovana, Santinello, Padova, Kristeller, Iter Italicum, I-VI, ad indices.
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. sapere, De Agostini, Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Al von Ruff. Fortunio
Liceti. Beerbohm: “Send me a letter; I live in Rapallo.” “How should I address
it.” “Beerbohm, Rapallo” “Do not worry, there is only one Rapallo.” “Vico
Fortunio Liceti, Rapallo” – “Statua a Fortunio Liceti da Rizzi, Spinelli
Roccaforte, Padova. Liiri Primi Cafiu fixdecim. o... . f JADXHn'AI
: I N'D E X xstril.minnstiiiUAiTiO Stjftdsb iupon LIBRORVM- ET CAPITVM
Ratfatiainquatuor librosDehis, quidiuvi- P uunt fine alimento. P1?- 1, Liber
Pnmus.in quo eaptobatiffimisautonbusaf feruntur obferuationes eorum, qui vitra
biduu . ab omni obo .potuque abftmuere. Abttincntiae vana: intra fepumam diem
conclu- .ffaec. Caputprimum. Abfimenu, a iepfmoad decimum diem extenfj.
Abftmentixi decimo ad vigefiraumdieraprotc- fe.cap.£. . . Abftinentij ad menfem
produAfe. cap.4. Abttincntiae a primo ad tertium menfem produ- . Ax.cap.J. © .
. . Iehmium populorum Lucomonaead quinque me .'des quotannis mire produftum.
cap.d. Abftinentia Oftimeftns in muliete Patauina. c.7. Abftinentia pueli*
Tufer ad feitumdecunum- Spiritusnonaliaere.cap.<5. Aerem in mitto viuente
non ali aere intrinlecus quoraodocunqucattraAo.cap.7. lenem in mitto non
abfumerc acrcm.cap.8. Partes animalis 4 przdommio aereas non ali aere
infpirato.cap.p. nui) . . Aerem hunc, quem inffiramus, non efle alendo &
creari c “ 'i*t. fpintus.cap. Ad nutricationem metaphoricam non femper cd-
fequi veram ; 51 Rondelctij difficilis alfertio. cap. 11. ... Soluuntur
argumenta.quibus. nititur pnor opinio, menfem protradla. cap. 8. Abftinentix ad
duos annos produAx.cap.51. Ablhncntix ad tres annos protenf*. cap.i«. Hiftoria
puellae Spirenfis quadriennium abftinen- . tiscap.it. . - Abftinentt* a quarto
ad duodecimum annum de- duAx.cap.11. Abftinenn* vitra duodecim annos longifiime
pro duA* varia exempla.cap. 1 3 Abftinenti$diuturnaeincertotemporis fpatioad- ’
i' mentr.cip.14. Difficultatem negotij nos retrahere non debere a •
propofito.cap.1 j. Curanteomniaoporteatnosaliorumdogmatade
Chatnxleontcm,acViperasnonahaerecap.19. propol i t c tpeudere. cap. 1 d
Librifecundi Capita CCXXU. Prxfatio.inqua omnesaliorum opiniones exami- nand*
breui catalogonumerantur. Liber Iccundus.tn quo examinantur (apientum vi rorum
opiniones de natura , & caudis tam diu- turni lciumj. Prima opinio
Argenteoj ,& aliorum cxiftimantiu abftmcntcs nomos nutriri aere inlpirato.
cap. 1. Cancmlcucm, & Manucodiatam apud Indos non alucrc.cap.ao. . .
Secunda opmio Medici Clariflimt ex Augento, Si .M a nardo contendentis
abftinentt* ncftrosalf odoribus,fle* exhala tione aerem obfidente c a r
Examinatur propofita fcntenua,&: primum often diturnon elfe in topi acre
vaporem , ac cxhala- tioncm.cap.a». Exhalationem infpiratam vi calori? humant
non pofle cogi in fanguincm.St^ alimentum.cap 1 j Exhalationem non alere
1eiunantcs.cap.14. Expenditurallataopiniodemonttrandoprimum Nonomnefapidu111alere.cap.1J
caloris aAionein 10 humorem non elle conti- nuam ;caqueiugi,nonidco affiduam
clfc debe- re nutricationem, cap.i. intus in animali aereos non efltjfcd
igneos. C. J. aimores proprie non ali.cap.4. Spmtus in viuenni corpore r,ou
nutriri.cap. J Odores non alere,quia non funt miftorum fpccits, prima ratio
Arifiotchs aduerfus Pythagoricos c1phcatur.cap.2d. Secunda ratio Anftotclis
demonttrans odores n6 alere , quia per coAioncm a calore non podint ex odoribus
excrementa lcgrcgan.cap.17. b Omne gene- ra,(cd vnicum ottcnditurj nec ali
omnia qiuecu__ que diffluunt in viufnteA^" reftauritionc indi-
gent.cap.13. Acrem ml piratum pon efle miftum , nec adeo ut fit alendo
corpori.cap. 14. Explicantur allata dogmata Galeni de eo quod ctt ipiritus aere
nutriri, cap.i J. Alexandri, Nicolai, Ciceronis, ac Thcophraflirii- fla
confiderantur.de eo , qupd eft att:m alerem fpiritus,& calorem; & ad A
rittotclis, ac Hippo- cratis ccnfuram rediguntur.cap.x tf. Hippocratis afiettio
dc triplici alimento illuftra- tlir.Cap.i7. 0 Olimpiodori.ic Platonicorum dogma
'de horni mbus acre, ac radijs folartbus enutritis expendi tur.cap.18. * primo
noridari trianutrinientorum trrfsT
Omnealimentum,feuexternum,feuinternumco • coqui deberc,coftioneque
aberctementispur- Odorem n aloris ita concoqui non poffe , vcab excrementis
dicatur expurgari quia limplicem, l'eu nutriendo corpori omnino diflimilcm
natu- ram obtineat, cap. 29. Ab odore vi caloris concoqnenris nec tenue, nec
craflum fegregari excrementum.cap.j». Tertia ratio Arillotelisoftcndcns odorem
nonale requiacoftioneacalorenonincraffatur.cajt Quarta ratio, qua Ariftotcles
probae odorem non Ci£,&quandopropemareambulantes falfura*. re fenrianr,
& alsarum faporem quos prope ab- finthii fuccus agitatur.cap, j <S.
Tertia opimo doitiilimi Co/lii prxeeptoris exiftf m.mns abflinente» nofttos
aqua enutrita» cap. 57. primumofle- Propoli ta fententia confideratnr, ac Ari*
ditur ex autorita te Platonis ^Haiqpupoacmrantoins a,lere,
ftotehs,Galeni,&Auicennp cap. 58. Aquamvi calorisnoncraflefcere,ideoqu-everH
ahftinentemalerc.cap 44. Pvrauftas non ali exhalatione illi connmili
crementoarugmeri fine ten^ imminutione, ca.7o. Plantae non Canemleucm non ali
rore, cap.47. Manucodiatain rore non pafc1.cap.48. Argumentum duci non polle a
brutomm alimen- to ad nutrimentum hominis.cap 49. Quo fcnfu verum fit Quod
ftpit nutrit, cap. 50. Exhalationem acri permiftam 116 efle fapidl c 5 t
Exhalationem non efle odoriferam , & Allomos
noneffe,quiodoribusnutriantur,quicqurdFici nusfenfcnt.cap.51. Democritum , Homerum
odonbus vitam libi prorogafle ceu medicamentis , non vt alimcn- tis.cap.53.
Animo delinquentes odotibus recrearr non ut ali- mentis,fcd vt medicamentis
cap.54’ Hippocratis dogma vulgatum de ctlcir nutncatio Aqua nihil inefle
lcntiatur,nec epota ne per odoratum lUuitratur cap 55 * .,; INDEXCAPI
TVM. non poffc in alendi fubflantiam. cap- 59
effealendocorpori,quianonferaturadmem- Aquamcoflionenonfienfimilemalendocorpo-
bra nutrimentis dicau.cap.31. Quinto confirmat Ariftotcles odorem non alere, quia
nonnifi per accidens fertur w fontem ali- menti. cap. 3 J. Odor effe
medicamentum , non alimentum texta ratione probatur, cap. 34
Ccnfurarefponfionum dcraonftratiombus Antro telicisab
Argcntcnoallatarum.cap.jp. Rclpondetur ad argumenta, quibbs nititur fenten fupenor,
ac primum oftendirur exhalatione de terra Turgentem non ubique pntfto fuiffe
ab- ftinentibus, nec effe milium, cap.jd. Bxhalationetn odore tciro afferam
efle , lapidam ri,vt decet alimentum cap.do. effe Aquam non effe tale
mtftom/juale oportet ali roentum.capdr. Aquam effe vehiculum alimenti,
alimenniracap.dx. Satisfit rationibus quibus nititut & propterea non
aliquot primoque decernitur cur ablhnentium hu- aquam potarent;
quoniarmadpiocualbeihc,afpm^c3- mido inftauretur huraidum Aqua nec plantas ali,nec
aquatdia. campf.tArfu.mcnto, Vium non feruartccaalloroirse
pvarbualnoi:mc*alorem vtcon- humorem non efleaquammecaqueum.cap.d5i Aqua non
reftmn quod aqueume corporibus ef- fluxerit.cap.dd. alimento, &cauf
carnem,5tlac;quxpluatpoftca.cap.39. AquaexAnflotelcquomodofit obigratia,fi
noneffe.cap.37. , . ,a Exhalationem a calore non condenlan. cap.3 Exhalationem
in acre cogi non poffc infanguine Qua ratione potuerit animalia pluere,ac
fpeciatim vitulum,pifces,ranas,atque lemmer. cap 40. Hippocratis dogma illuftratur
de cxhalatrone ve Solis attrafta ex animalium corporibus.cap.41. Rorem non effe
vaporem vi caloris c6crctum,ncc alimentum cicadarum.cap.41. Mannam non fieri ex
vapore vi caloris dentato in aere,nec folam alere poffc ad Hxbraic* mannas
difcnmcn.cap 43. Mei non effe purum rorem concretum, nec tale quid fine alio
nutrimento diu pofle hominem fa ftcrilitatis,& pilobus affumatur non vere
alit cap 67. adeo ex igno, Animatu quomodo conftituantnuurtriantur aqua_>
& aqua,vt moucanlur nigonee,ft vere alimentum. Hippocrati ; cui aqua
cap.<8. Quod ex ciborum folidieofrleumaquam ;& quomodo bis in alimentum
nonpondere reljxsndeant Hip- aflumptis excreta in • quam Quomodo , alimentumnon
alat mfi dJutumAri* inlpirarcdicunturabftinentes,necvtnfquerd6 llotcl1.cap.7t.miftumnutricationi.
aptumac» Rhinuccmvcnto,&aere,autrorenonah.cap4(.
lorcnoftr0.cap.c7asl.oris,etfifummefr.igi.danon efle pofle genus ahmenti.cap.
45. Aquam non fieri . putantis abilincntes ali nec humore vt confumptionem
tingat exungui ad humoris pociati : dequevmfu.lctaip.hdcyr. iccundc coctionis
ex veneno fit, & Ariftoteli ve- ineflecaliduro c.7J. redicatur in aqua
paucaluemndo idoneum.etfi ter- Aquam non efle nmoinftcuarmeat, alij fue
excrementis, renis partibus ‘ cap. 74. HippocratTi'id.icatur potcntiori- Mulla
quomodo folam potantes diutius vi- qua,&L.curaquamabltincntcs fi
uant,qu.momnino , aqua nona- dicaturommumpotulcn Aqua Celfoqua rationenon alat
cap-7d. torum imbrcilhma.li Quarta opinio Bopaiinnincaiti caloris fumrnam imbc-
potuifli aquaob cilhtatcm.cap 77. & oftcnditur neque Expenditur prupoiita
opinio, allata lententia» fubflantia cedit no- & Aquam moflratem
Tolam non eiTe id,quo alantur N I D E X C A P I T V M.
fuffraganteHippocrate^cAriflotelc.cap. iox. Lupi fame vrgente cur terram
comedani,fi ea non alumur.cap.107. Serpentes etfi latentes non ali terra ,
& cu r terram comedere dicantur.cap. 1 04. Bufones terra non vefci communi
,& argumento non efle ad humanum alimentum demonflran- duin dKcaci.cap. 1
05. animantiaimbecillocalorepraedita,cap.80.
Columbicurtunbslateribus,&rubricavcTcantur, Aquam notlratcm non continere
milium , quod fi terra nonaluntur.cap.io4. futficiat fuftinendo calori exiguo,
cap.81. Elephas Ariftoteb quomodo lapidem vorer,ac ter
A(Ira,&cauda;regentesmundumquid,&~quo- ram; devfuOpi)apudAfianos.cap.107.
abdinentescommemoratos,nequeabfolutcqui bus exilis calor incft.aqua lola diu
viuerc,ac nu- triri potTe.cap.78. Rclpondciur argumentis allatam opinionemco-
niumcntibus;ac primum dilquimur an calor ex aqua fpintum gignat, collibeat ,
animet. cap-7p. modoinaquamagant.cap.8a. Aquahacfentiliquomodononnullanutriri
dixe- rit Ariftotelcs. cap. 87. An inter plantarocunum aqua fola nutriatur,
cap. 84. Cicadas excrementis non carere, nec rhintaccm. cap.Sj. Cicadas non ali
rorc-cap. 8rf. Rorem non efle aquam Gcco aflcftam ,vt eo nu- triente aquam
dicas nutrire.cap.87. Etfi ros alerct,non tamen ideo alere polTc aquam. cap.88.
Aquamfolamcalore digetlaranon degenerarein
quoddamtertium,quodiitaluncntumplanta- E» fcrro.St lapide vi calcris^c fpiritus
interni,nul Sitim^acfamemclTeapetitumalimenti,vtobicdri,
lumfuccuinalimentareuicducqnccrubiginiim quo fcnlu verum fit: non tamcu ideo
aqua nu- alere.cap. 1 1 7. tnet,quzinlitiexpetitur,cap.5.0.
Terra,&lapidesvtmiftafintjquamnoshabeamus Sapor,&fuauitasvtIitalimenticonditio,&aqua
cumplantisfimilitudinem;&curvnitertiofi- rum. cap. 89. t fapida, luaui Tjuc
fit, etfi non alat, cap.p 1 . Quomodo Anflotcli pituita dicatur altrc permi-
tia cum cibo puro, ablque eo quod aqua; vum tribuatalendi.cap.pi. Theophraflo
quomodo plantae alantur aqua pura, quxverenonalit.cap.97. Aqua etfi Galeno
dicatur bilelccre, cur infangui- tur, non ideo cx cafblanutrietur.cap.i 17.
QuomodoAnflotcliaquadicatureilepotiusa-
SextaopiniododiillimiMediciopinantisteiunan- Cameluscurbibiturusfontempedeturbet;
Stru- thiocamelusautemcurtcrram,ofla,lapides, ferrum comedat; an ca digerat
fibi in alimcniu. cap. 1 08. Mures farios',& Armadillos ,Codertofquc Indi-
cos non oflenderc abflincntibus noflris terram ceflblcinalimcntum cap. 109. Lacertum
indicum no ait arenulis, aut lapillis, etfi ijsonuflum ventriculum gerat. cap.
1 1 o. Noii omne mutum humido pingui fcatcrc ; nec omne bumidum pingue
alcrc.cap.i 1 1. Homo terram edeus non alitur luto facto ex ter-
ra,&Taliua/cupituitainventriculoexundante, cap1 ii. 1 ncm,6d" in
alimentum conucru nequeat. c-P4- queumquid, miltum quamaqua,&Jim- , plex
cap.pf. Quomodo inaqua gigni polfint Arifloteli (lirpes, 6t animalia, cui
tamenaqua non alu.cap.pd. Vrricam marinam non ali aqua lola. cap.97. Quinta
opimo Clanfiimi viri putantis abtfinentes commemoratos ab terra clanddlmc
comcla. tesnoflrosaciboquidemomniabflinuifle;at vmi potione vfosj vnde
alimentum fibi compa- raucrint.tap. 1 1 8. Examinatur allata fentenna
oflendendo abflinen- tcs noflros non vlbs , nec enutritos funlcvmo; folumque
vinum alere no pofie partes corpons folidiores ; nec fuificere ad alimentum
multo tempore.cap.t 19. Cap 98. Expenditurallatafententia,oflcnditurqucprimu
Occurriturargumentisprobantibusabflinentcs abflinentcs noflros terra,& calce
non enutritos, cap 99- Terram,& calcem nulb viucnti, ac pnefertim nui li
homini alimento efle pofle.cap. 1 00. Allacc , profcillarquc opinionis
fundamentadiri- noflros folovino enutritos, oflcnditurquc pn- mum quomodo,fi
foio fanguine alimur,lolo vi- no ali non poflimus; quod tamen in fanguinem
verti poteflt licet non abiblute id pronuncian- dumiic.cap.no. milia inter lc
non iint neceflano fimilia. c. 1 14. Vteademfitaniinabbus materia generationis,
alimenti ; vtque mures Thebani e terra nalcan- tui.cap.1 15. Hominis etymologia
non conuinci nobis ortum, itviciumcfolaterraeflevalere,cap.1 6. Cur fi homo a
Deo cx terra fola condi uis efle dica muntur,oflendendoprimumabflinentcsno-
Vinumvtfitlinguisterras: nonomnifanguine., flros non comedille terram , nec ea
nutritos, li- cet appeuilc illam,fuauitcrque comedille pona- tur.cap.101. nos
ah poffc: an vinum fit venenum cicutz , vt fcrtur.cap.iii. De vmi,&
ianguinis mutua proportione Alexan- Abflinentcs non fuifle malo habitu, &
cachexiam non efle abundantiam prauorum fuccorummcc ncccflano femper fieri ab
clu tcrr9.sc prxlercim uoftris iciunantibus,fi qui fuenutcacheducv Vino folo fi
carccratus vixit ad vigmn dies . li fc- dri placitum explicatur, cap. 1 1 s.
Vini, lafiis proportio explicaturi & vtrum ladle lolo totam vitam viuerc
p0flimus.cap.n7. ba nes . NIDEX CAPITVM. nes maxime vtantur Platoni
, & graciles Gale- tia ad alimentum. cap. 143.
no;nontamenabrt.nentesalipotuifle.cap.114
QuomodoexGalenoquisabfquenutrimentoper Alimentum maxime proprium an' folum ftifficut
alendo corpori; vinumque vt fit alimentum ta- le,quod omni viuenti competat ,
brutis przfer- tuu,acplanus,cap.1 15. Vlcimum alimentum vule quod fit; an ex
vino fo- lo liat; vtrum omnibus partibus alendis fuf- fic1at.cap.i2d.
yinofedari famem non poflc,fitim pofle; fame fi- inul ac fiti animal angi non
pofle; famemque,ac fitini ad varias partes attinere ;& quid proprie fit
fames,ac ficis explicatur, cap. 1 17. manens ob virium lecons imbecillitatem
diu fuificerepoflit. cap. 144. Abfiincntes an crcuennt; deque vnguium,ac pilo
rumincrementomabftmentcConfolcnunca. cap.145. Fetus in vtero vt fimul non fiat
animal, homo; quid ptoprie fit anteaquam humanam induat naturam; nos non ali vt
aluntur plantz; Arifio- telefquc a crimine liberatur, cap. 1 4d. Crudiori
fucco,& pituitae cur nullum a natura da- tum fit receptaculum, fcd cum
fanguinclaba- tur.cap.147. Hippocrati vinum iedare famem vt medicamen-
tum,nonvtalimentum;Galenoautemvinum OlfauaopimoCardanireferentisabflincntinm.
folum nutrire inter alios liquores, non corpus vmuerfum fufficientcr alere,
cap.i »8. Septima opinio decernens abflinentes noftros ali pituita,St loccis
crudioribus , qui vltcrion calo- ris aftionc'in probum alimentum vertantur;
quod Magni Alberti placitum recepere pluri- mi.cap.isp. Examinatur allata
rententia,oflenditurque prirau abilinentes non fuiffc calore imbecillo, cui
fudi nendo ad multum tempus fola pituita fufficiat. cap.1 5o. Abflinentes nec
pituita craffa.cruditatibufue abu dalfe.ncc enutritos fuiffc. cap. iji.
nofirorum ieiunium in copiam humoris mclan chohci cx lentis, Si eradi,
humoribus exoru. irap.148. Perpenditur Cardani fententia demonfirado cauf
lasdiuturaj abftinentia: redigendas non ede in aerem^ut in reliquias
ingluuici,aut in mclacho ham.cap.i 49. Diluuntur Cardani rationes offendendo
cicadas non aluere; comparatum cx ingluuic non fuffi ccrc ad ieiunium multorum
meiifium,& anno- rum;caudasifiasinabfiinentibusnofinsnon_. concurrere; nec
humorem melancholicum una cumalijsconditionibus propofitis huius abfti- nen tia:
cauffam eflc.cap. 1 5 o Satisfit argumentis communientibus Alberti fen-
tcntiam,&offenditurprimovoracitatemnon
NonaopinioBonamicifiatuentisiciunantcsali neceflimo pendere a frigiditate , nec
effe caufsa colliquamentis internarum partium, cap. ijr. cruditatum,nechaberelocuminabifinenubus
Perpenditurallatafententiadcmonflrandoabiti- cap. 132. Ablfincntitim cutem
noefle ita euaporationi clau fiim, vt retrocedant femperdenuo vapores in a- •
I11nentum.cap.133. Vndc oriatur naulia, mappetentia,6c. ciborum o- dium ,-an
hfcomnia fuerint in abflinentibus; & vtrum a pituita fedari pofTit appeti
tus,& fiat femper inertia. cap. 1 34. Quo fcnfu Hippocrati, &T Galeno
pituitofi dican tur medum ferre prxter conluetum, &abcs_» vtilitatem
pcrcipcre.cap. t 3 5. Animalia voracia qu* fint Ariflotcli,6t_ quomo- do
abundantia pituita minus cibum decoquat, cap.i ) 6. Hippocrati fines cur
ieiunium tolerent,& quomo do frigidi fiaruantur.cap.137. Auiccnnx vt cibi
ncceffitas fit ad infiaurationem deperditi; vt appetitus dcijciatur,&
ocictur; vt vrii,& latentia bieme alamur, cap. 1 38. Humorem,qui vomitu
reddebatur abftinentibus, nonfuiffcpartemeius,quoalebamur,cap.139. Calorem non
ncccflano icrnpcr abfumcrchumi- dum, necnecellarionifi confumprum humniu
alimentis rellaurctur, vitam Citocxtinftam iri. cap. 140. Semina fiirpium extra
terram non ali humore in- ternopituita:corrcfpondentecap.141 Pullulas pituitz
copiam non indicall'e,qua nutrire nentes noftros non potuiiTc abundare , nec
enu- triri colliquamentis. cap. 132. Explicantur argumenta confirmantia
profcilTani opinionem,5tprimodcccmiturquomcdoexfc mine dixerit Anllotclesfien
languinein,offen- dendo etiam colliquamenta non nccdlario ven tnculum
petere.cap. 1 5 3. An obzli gracilibus fuperuiuantin abfiinentia; id tamen haud
fieri quia illi pinguedine liquata nu trantur.cap.154. Calor na tiuus fime non
intendi offenditur, ficcita te non acui,ncque colliquanuus cfsc in famis, cap.
15 5. In fuinma neccffitatc ali menti colliquamenta non confluere ad
ftomachum,velur adeommuno proraptuanum vmuerfi alimenti, cap. 1 ;d. Quo fcnfu
Arifioteh colliquamcntum liat vt ali- mentum tnconcoifium,& an ventriculus
fitlo- cus ahmenu inconcufli. cap. 157. Quomodo Anftotch diuturna fame
laborantes colltquentur,&colliquamentafi adlocumci- bo deftiuatum influxerint,
pro cibo corpori ap- plicentur: & Plutarchi placitum expenditur, cap. 158.
Qua ratione Hippocrati ventriculus vacuus dica- tur frui corpore colliquefcentc
; ac partibuscol- liquatishuinoradventriculumdefluat,fi non alimur
colliquamentis. cap. 1 59. turpuellaGermanica,necabfiinensalia.c-142.
Decimaopinioputantiumabflinentesalimcflrui Appetitus rtlc habeat ad
indigentiam,& mdigen fanguims portione ab vtero materno libi recon-
dita. dita.cap.tdo. Examinatur allata fententia dcmonftrando ieiu- nantibus
alimento non efle menftruura beni- gnum ex vtcro matris comportatum cap.itfi.
Refpondetur argumentis allata; opinionis,demon Arando fetum in vtcro non litue
; mcnftruum haud fatis ede nutriendis adultis; nec fium pel- lere. cap. 1 da..
VarioIis,& morbillis origo an fit ex menllruo fan- guine ab vtero
comportato, &_ quomodo, cap.ifj. Vndacima opinio Brafauolz, aliorumque pu
an- num quod circunfcrtur de abfiincntia plurium menfium,V annorum, fabulofum
quid efieo, atque fiAitium. cap. 1 84. Dccimaquinu opinio exiftimantium
abftinente* noftros non clfe corpora viua,fed cadaucn Dae mombus afliimpta.cap.
178. Cribratur addufta opinio,dcmonftrando pofie cor poraphyficc viuentia diu
viuere fine alimentis; & a Dxinombus aflumpta cibarijs vti valere cap. 1
79. Refpondetur argumentis allatae opinionis, often- dendo quo fcnlii
Ariftotcli fien non poftit vt vi uatur fine alimento; vtrum alimentis vti
pofiint viuentia zquiuocc, fine anima vcgetali cap. 1 80. Dccimafexta opinio
afferentium abftinentes no- ftros ellc homines, at nonviuere vitam huma- nam,
led Datmomam, quz cibis non indigct,vt ait lamb!ichus.cap. 181. 7.... 8.
... INDEXCAPI TVM. fumptionem pabuli.cap.t77J Expenditur allata opimo,
monftrando quorum- abfiincntiadiuturnaveraxfuerit, quorum Libraturadduftaopinio,demonftandoDzmo-
mendax, & fabulofa dici potuerit: qualeuc fit alimentum.cap.i<5j.
Soluuntur argumenta profeiflse opinionis du- fla ex automate veterum, BC
iuniorum— cap.irfd. Caloreminfitumnonrefrigerarialimentisintrin-
fecusalfumptis.cap i6-j. Duodecima opinio Harueti, & aliorum exiftiman
tiumprxfatos homines fraudolenter abftinen- tumfimulaflecapr <58. Examinatur
allata opimo,demonftnndoqui dolo feieinnium fimulauermt ; & qui verea cibis
ab- ftinucrint ; pucllxquc Tufca- hifioria explica- tur. cap. idp. Diluuntur
argumenta virorum fublimium,often- dendo alimentum, refpirationem haud efie ad
vitam fimplicitcrnecellaria, licet eam con- ferucnt.cap.170. Decimatcrtia
opinio eiufdem Harueti cum alijs dicentis huiufmodi ieiunium a fopranatura- li
caufia prodire , ac miraculofum edo cap. 171. nes non pofle in rebus phyficis
naturz limi- tesegredi;necomnibusabftinentibus, clan- deftinum alimentum
fubminiArailc cap. 182. Tolluntur argumenta fuperioris opinionis mon-
ftrandoquomodoex Iamblicho, Apuleio Damon poftit dfc caula eorum , qua; perti-
nent ad aftiones hominum admirabiles cap. 183.
QuarationeAriftotelifiantfomniafuturorum- prxnuncia, &t_attiones hominum
referantur innaturam, cafum, <V m fizmonium-. cap. 1 84. Quo icnfu cx
Ariftotelc alimentum ad animatum referatur, & fit non fecundum accidens,
led per fc: ac vtrum per fe includat ncccilitatem. cap. 185. Dccunafcptima
opinio Apponenfi,&poft eum- Rugcni Baccomj cauflam diuturnx abftmen- tiz
referentis in virtutes aftrorum , nuas vo- cant alij peculiares influentias, a
quibus pen- det tum magnetis conuerfio ad polum, tum— maris xftus, tum
frigiditas in hxc infera, Expenditur allata opinio , monftrando quale nam
miraculofitadfcnbendumieiunium, quale cap.18<5. naturz vinbus.cap. 17,.
Satisfit rationibus allata; opinionis, declarando quid fit Hippocrati Diuinum m
moribus ; ablh nentes non omnes pgrotare ; nec feptioue diei abftinennain effc
letalem, cap. 177. Decimaquarta opinio ex Diogene Laertio, ac De metno fiatuens
ieiunantes clam ali eonfueuifie cxlitus ab Angelis cibo aliquo pretiofifiimo
eap.174. Perpenditur adduflt opinio monftrando nonom nes commemoratos
abftinentes enutritos effej czlitus ope A ngelorum clam illis opumum ali-
mentum fuggcrentium. cap. 175. Occurritur allatis rationibus in oppofitum;&
pri- mo explicatur vtrum nutrientis aninuf quiesa fua operatione fit mors. cap.
1 6. Quomodo Ariftotcli alimentum 110 fumentia ani
malia,&plantzcorrumpantur; Biquaratione
ignisparuusamagnocxtinguatur,finonadcon Ponderatur addufta fententia,
monftrando cauf- lam adeo longi iciunij referendam non efle in-
v1rtutcsaftrorum.cap.187. Diftoluuntur argumenta propoli tx fententix , aC
primum Celn, BC Apponenfis au toritate libra- ta, oftenditur non femper horum
notitiam aes lis auipiciandam efle. cap. 1 88. Influentias non cflecauflas
iciumi.aliorumueeffe ftuum abditorum , ac fpecianm conucrfiones magnetis ad
po!um.cap. 1 9. Diuturnam abftincntiam , marifque fluxum, ac refluxum non;
communicare m ortu a mo- tu, lumine, aut influentijs cxli ; led hunc ab
exhalationibus de terra turgentibus ; il- lam ab alia caufa pendere cap. 19*.
Frigiditatem in his fublunaribus pendere non-
abInfluentijs,fedacriorumimmobilitate,vt verumfitcx Ariftotde.cap.191. b }
Decima Dcciitiiofliua opinio decernens longioris abfti- nentix caudam referendam
ede m ly mparhiam complexionis cum aere,6c. antipathiam cum_, cibis, cap. ipz.
ludicium promitur de hac opinione, offenditur- que hominis temperamentum eam
cum acre iympathiam non habere , vt fine alimentis illo fudineatur. cap ipj.
Dilfoluuntur argumenta, quibus probatur ieiu- nium pendere a fympathia cum
aere, & antipa- thia cum alimentis; odenditurque vi 1'ympa- t hix aerem non
pode in alimentum cedere, ve- nenum vero polle, cap. 1 94.
Decimanonaopiniocxiltimantiumdiuturnotem pore a cibis abdincre proprietatem
cdcindiui- dualem.cap.ipy. Penditur hxc opimo, aperiendo quid Phyfiologo
fentiendum (it de proprietatibus occultis tum fpccificis, tum quoque
indiuidualibus appella- tis.cap. 1 pif. Soluuntur rationes viri egregii, ac
demonftratur autorem problematum non dfe A phrodifxura; cur odor thuris , &
rufarum alios male habeat, alios recreet; alijsaluum loluat.ahjsaddrin- gat;
&T Galeni, Thcopraftique dogma expli- catur. cap. 197. Vigefima opimo
Abulenfis, cui tam longa; abfii- ncntixoneocftexEcdafi quaieiunandum , anima
quali ii corpore alienata canfucta munia non obeat. cap. 198. Eiaminaturallata
opinio, demondrando Ecffa- dm non cdccaudam immediatam longioris ab ftincntix ;
ac tandiu ici unantes haud omnes £c flafimpados fuille, cap.rpp. leant:
Porphyrio, & Galeno explicat» cap.iO<5.
Abdincndbusanaliquideffluatecorpore,&quid exire valeat.cap.a07.
Vigcdmateriia Opinio Citefij dicenris diuturne abdmenrix caulfam fuifle
conffnftioncm, fiue comnreffionem vifcerum nihil nutrimenti ad- mittentium.cap.208.
Examinaturo iniopropolita,demondrandocoar ifiationcin vifcerum iciumj caufsam
non ede, atpotiusctfcftum; nulloquemodofamem,fi- ti mue tollere, fed augere,
cap. jop. Satisfit radonibus propoli tx fententix , aperiendo
quarationearftccinflipeflore,acventremi- nus comedere podit.cap.2 1 o.
Vigefimaq uarta opimo Ioannis Langij exidiman tis longum hoc iciunium a morbo
pendere , ni- mirum a tabe iecons, ac ventriculi ffupore, ac
omninoabatrophia.cap.ii 1. Expenditur allata fententia,odendendo caudam cur diu
viuant aliqui fine cibo non ede morbo- lamaffeftionem. cap.ir*. Occurritur
allatis rationibus , declarando difieren tiam iciunij fan£torum,&
prophanorum: non_> femper ex morbo intermitti funiiiones vitx: quxue
operationis lilio morbum fequatur. cap.i tj. VigelimaquintaopinioQucrcetanireferendsab-
ilinenttx caudam in petrificationcm partium .
ventrisimi,&nutricatumaliarumexaere,ac odoribus.cap. 1 14. Expenditurallata
lentenda offendendo longum ieiunium haud ortum ede a pctnficatione par- tium
naturahum,& a nutricatu aliarum cx aere in vlkiabdinente. cap. 1 1 5. INDEX
CAPITVM. Soluuntur allatx rationes hanc opinionem robo- rantes, de dilcriminc
inter Ecdafim,ac fom- num;VinterEcdafimgrauem,acleuema- gcntes.cap.aoo.
viralianonaerenutrita,necalijsvitamcommu- Vigcfimapriraa opinio Podhij
afferentis homines diu ab alrmemo abdincre , anima illorum pec cataphoram,&
intendorem fomnum vacante a proprijsofficijs. cap.ioi. Examinatur, &
improbatur opinio decernes ab- ftincntiam diuturnam abalto,&t_ profundiori
fomno prodirc.cap.201. Refpondctur ad argumenta de (omni differen- dis, &
de longum tempus dormientibus, cap.ioj. Vigefimalecunda opinio Benedilti,
Montui,& Mercuriales dicendum caudam longi iciunij ede condri&ionem
cutis, pororumque occlu- fionem quidquain ecorpore diffluere non per- uri
ttentem.cap.2a4. Expenditur allata lententia demondrando vfum, ac necelficatem
alimentorum non ede abfolute indaurationcm deperditi, fcd m alium finem : nec
ita meatus omnes occludi pode,vt nihil ef- fluat ccorpore.cap.105. Soluuntur
Beucdifli, & Montui radones , oflen- dendo cur cxlum alimends non egear;
& quo- modo corpora , c quibus nihil effluat, ali va- nicade. cap.j 16.
Vigefimafcxta opinio decernens abdinantes no-
ftrosdiufinecibo,potuqueviuercviherbx, ac medicamendcuiuldamfamem,fiumquepellen
tu.op.a17. Expenditur allata fentenda offendendo abdinen-' tesnodros nullius
hcrbx,autmcdicamenu vir- tute adeo longum pruduxideiciumum. c.x 1 8. Occurntur
argumentis allatam fentenuam corfir- manubus, confiderando naturam
herbarum,& pharmacorum fitmem dumque pellentium cap.a 19. Vigclimaicptima
opinio ex Valeriola referens caudam aiuturnxabdinendxin puram confue
tudmcm.cap.ziO. Expenditur propofita fentenda , offendendo con- tuet udinem non
patere tam longam abffinen- tiatrccap.2 2 r. Satisfit rationibus viri
Clariffimi, offendendo qua rarionemedicamenta,&venenanonagantin_.
aduetos;&quomodofc habeat confuctudo ad cibum, & potum, cap.aaa.
Soluuntur argumenta Quercetani odendendo ab (linentis vilcera naturalia non
fuide petnficata; libri . •* Libri Tertij Capita centum
Prifatio,inqua& difla dicendis attexuntur, tam mitti Diftnbuitur viucnrium
genus m fuas fpccies fupre Ariftotcli mus.cap.r. minem Quomodo fe habeant ad
alimenta propofira vi- cap.2p. ucntiura fpecies vniucrfim. cap.z. Semen animalium
St in vtero, extra vtrmm . femper viuere fine alimento, cap.3. In animalium
mortalium genere aurelias, 8r nym phas appellatas nunquam vllo alimento vri:
co. paraturque generatio infefli ex verme cum ge- Ariflotele in tex- pofle
Ariflo neratione hominis.cap.4. Semen plantarum non tota fui vita, fed tamen
fine alimento viuere.cap.y. Oua diu fine alimento viuere, quamuis non diu
peratione viuere ex definitionibus nflotclepromulgatis,cap. 2. 3 Deducitur hoc
ipfum cx tngefimo De anima, cap.33. o- animae ab A- fexto fecundi vitam fine
alimento viuant. cap.tf Ligna,fcu ramos,&arboresextra humum totam diu fine
Adijcittir his definitio vira in Tamis exarata propofitam iniermiflionem nis
adftruens. cap. 34. naturalibus nutricatio- alimento viuere. cap.7. Stirpes terra
infixas diu, ac fpeciarim tota fine alimento viuere pofle. cap.8. Brutorum
imperfeftioris naturi plurimas hieme Ariftotclihocidemplacuiflcin Moralium,
cap. 33. primo Magnorum diu fine ali mento viuere pofle: ac fpeciarim
icuinio,&ortu brutorum viucnrium intra ioli- diflimos,imperuiofquc lapides
copertorum.c. Aues quampluresdiu abftmere incolumes, c.ro. Pifces diuturnam
tolerareabftincnriam. cap. Tcrrcftrium brutorum perferorum plurima tumumagere
ieiunium. cap.r Homines diu a cibo,potuque abftincrc pofle.c.r Quotuplex,quique
caufla dc propofito nobis in- quirenda fit.cap.14.
Quotuplex,quiquefitcommunisidea vniuerfa- , lilque forma diuturni abfhncntra.
cap. 1 y. E quibufnam fontibus hauriantur argumenta 40. caufla efficiens urqs
abftinentes non ali confirmantia, cap. Homines in diuturno ieiunio nutriendi
Quid.dr' quomodo radicalis cap 41. humoris a calore na- ^nem intermittere pofle
ratione aninra.cap.17. Nos diuabftinctes pofle a nutricatione toto co tf-
penitus prohibere peffit. ponstraiiuociari corporis habita rarione.c. 1 De- d
ifferentia originis xt 8. citra vitfdifpendiuhabitaquoqjrationecaloris.c. jr.
iqualitatum mifli, deque Homines diu pofle nutriendi munere priuari ongtne
radicalis humoris. Differentia cflentu tnum squalitatum eflcntia natiui
calonsfliumidique dicalis explicatur. cap4y. 1 Pofle diuturnam nos agere vitam
citra nutrica- tumex ratione vira, fcu viuentis totius, quod ex anima &
corpore mediante calore conftitui. tur.cap.10. Diu intermini pofle
nutricationem abhomine ra- propofi- tioneipfiusmct nutricationis. cap.11 Diu
pofle intermitti funrtionem alendi ratione peramentorum, miflorumaqualium
tcfcunt; a quibus feiungirur aequalitas humoris primigeni;, Differentia
promulgatarum ipecierum hu , , om- natiui mons quicalorifubditusefledicitur cap.4<5.
nino ratione fpirituum. cap. 1 2. Confirmatur diu fine opera nutneatus
viuerepof- fe homines dc lententia principium autorum, ac pnmum Hippocratis,
cap.23. Nutricatione diu intermitti ex decreto Ocian diu nos pofle 3 nutriendi
munere penes durationcm. cap Qui fitiqualitas impediens confumptionem
Celfi.c.14, ad aures Galeni ex illuftn fentcnria m opere it lotis ait hu-
natiui , SC humidi radicalis reperiri pofle. cap. 49. & humoris naturalia
30. Quomo- ffir.cap.15, - caloris, ... I tf DEX CAPITvi dicendorum ratio ,
naturaque proponitur. LiberTertius,inquoexrei natura difquiruntur
caufisephyficx tara longum ieiunium confti- tuentes,efficientes, conferuantes,
terminantes , ac diftinguetcs cum generarim, tum fpeciarim. fpecies
Hominemdiutius nutricatione intermittere pof- no- 1 6. funflio- diutunra huius
abftinentii. ' Aequalitatem virium in homine diu fcruari pofle. cap. de lc de
mente Ariftotelis in y. problemate prtmit 9. 1 j. diu- frOionis.aif.j6.
Ariflotele fuppofuifle,ac potius exprefle 3. Laurentio nutricationem vira
ncceflariam non fe.cap.3p. ef- Idipfum confirmatur ex eodem Galeno Corrtcli/
fententiam approbante, propofi- cap. 26. Confirmaturhomincmfine aflione alendi
ftercpofle conii- diu de mete Galeni excorni 1 feOionis. cap.t7_ ' t.a'phor.
Operationem virtutis nutririuse in atrophia ex Auicemra fententia. cap. quoque
pnuatum aflionc nutriendi 18. viuere pofle intextuij.hb.i.dc Confirmatur id
ipfum ex eodem tu 14-e1ufdcmoperis.cap.50. Nutricationem inviuente intermitti
ho- anima. teleautorein yltimo problemate dteimtt fOio- rir.cap.51. Confirmatur
hominem pofleabfquenuiricndi dccreuif- fe viuentia funflionem alendi
poffeintcruutte- re,quod ena notauit Auerroes s.dcan. Marcello nutricationem in
viucntibus pofle. cap.38. t. 5.C.37 intermica Colligitur forma, 8^" idea
vniuerfaJit abftincnrra noftrum iciunantium. cap Quptuplex,qu*qile fit
vniuerialis riuo confumpeionem cap.4z. Quotuplex efle pofllt *qualitas in —
mifto. cap.4?. tarum; ra Difcrimen trium earundem xqualitatum ratione
leuradicah. squalitas quantitatis diferera; vnde mnumcry fpecies 47. moris
radicalis a calore nanuo. cap.48. Aequalitatem caloris quoad virtutis in homine
cip.46. inter- te- inno- caloris Quomodo aequalitas virium caloris
natiui, <V tu- midi radicats fit cauda diuturni leiuiuj - cap.51. Quibus
pneferrim xqualitas virium caloris, & hu- moris fit caudilciunij. cap.52.
Dcijs,qux perfedeftruu ntaliam ieiunij caudam, proportionem fcdicct 'firium
caloris & humo, ris.ac fpcciatim de er.tnnkcus accidentibus cap 74
ptio.cap.yj. Proportionem hanc humidi radicalis ad calorem natiuum,in qua lente
humor a calore confutua- tur,in homine reperiri pofle. cap.54. Commcnfurationcm
hanc humidi, & caloris in_, homine diu feruan pofle. cap.f 5. Proportio hzc
natiui caloris humoris quomo- do Iit: caulla longioris abdinenti*. cap. 5 <5
. Quibus prxfertim Iit caulfaieium; liare proportio calons ad humorem, cap.57.
Quomodo fe habeant ad inuiccm propofit* du* humeris radicalis pofle datui
caudas iciumj eo- munes omnibus abdinentibus ab mirio enume- ratis. cap.
Manifcftaturcxhis caudis diuturnum hoc ieiu- nium prodcilci rei naturam
condderanti. cap.tfo. Confirmatur hoc ipfum argumento defumpto a lucernis ve
tudillimis, qux noftris temporibus in fcpulchris ardentes reperiu ntur. cap.di
Dexqualiratispropofit*intervirescaloris,&hu- morisvaricratecffcnriali.cap.
<5i. Proportionis inter eadem vitf principia propofit* varietas edentulis.
cap.fij. dunt, in quo non podunt intcrmilTum alimenti vfum repetere. cap.8 1 De
caudis communibus varietatis, feu differentia rumtemporis,(eudurationismonentislongum
ieiunium a fubiefto defumptis. cap. 81. Dccaudisvarietatis in durahone ieiunij
abefB- cienubus,&" confcruantibus abftinenuam de- promptis. cap.Sj. De
caudis varietatis in duratione ieiunij defum- ptisj finientibus,acterminantibusabdinenttf.
cap.84. Dc fontibus, vnde hauriantur caudae fpeciales va- ...... INDEXCAPI TVM.
De interna cauda per fe pnmo proportionem vi-
DcalteracaudahuiusaHmirabilisieiunij,quanon numcalonsAchumoriseuertente.cap^y.
tollituromnmo,udintardaturhumidiconfum Decaudisperaccidenseuertentibuseandemvi.
numcaloris,&humoris proportionemabftine. tis procreatricem. cap.7<5. De
forma, fiue idea termini Uhus, in quem definit longum ieiumum. cap.77. De
his.qui coft ieiumum lani remanent, atque ad interminum ciborum vlum necedano
redunt. cap.78. De his,qui ex longo iciunio tandem moriuntur cap.79. De his,qui
ex longo iciunio incidunt in sgritudi- ncin.a qua conualefcere poliunt
redeuntes ad caufli: in producendo iciunio. cap. 58.
Aequalitatem,&proportionemcalorisnatiui,&
Dehis,quiexlongioriabdinenriamorbuminci- rix durationis abdinentue quoad
fingulos gra- Quibusabftinenubusaprimogeneretumsqua- dus.cap.85. litatis, tum
proportionis vinum caloris & hu- Diflribuuntur gndus iciunorum penes
durationis moris interni ieiumum ortum duxerit, varietatem incerta capita,
cap.jd. cap.<54. Decaudisabdinenti*intrafeptunaminclude,qui Quibus
abdinentibus longi ieiunij cauda fit e fe- cundo genere tuin squalitatis, tum
proportio- nis,qu* funteum valido calore, cap.dj Quibus longs abdinenti* caufla
fuerit squalitas, <St proportio vinum humoris, calons medio eris in tertio
genere, cap . 66. De difcriinme trium horum grnerum squalita- tis,ac
proportionis virium caloris, humoris in producendo 1c1un10.cap.d7. Decaudis
terminantibus ieiumum generarim. cap.dS. De caud a per fe tollere valente
virium caloris,^ humoris squalitatem, & odendituream non_. elfe calorcm.ncc
humorem,nec animam, fed ex tnnfecus 0ccurlant1a.cap.d9. De caudis per accidens
gcncratim euertentibus x- qualitatem virium caloris, humoris interni cap.70.
Explicantur ex ternx cauffr per accidens xqualita tem propofium deltruentcs.
cap.7 1. Afferuntur caulis interne per accidens euerten- tesxqualiutcm virium
caloris,&' humon; qua rum vna offenditur ellc anima, cap.7:. Enucleatur
altera interna caulla per accidens hu- lu Imodi squali tatem deilruens. cap.
73. efl primus gradus longi ieiunij,inter quas nume ratur fanguims copia in
venofo genere , quam-, protulit Bottonnus mfignis Medicus . cap.87. De caudis
ieiunij ad nonam diem produfti.in qui bus locum habere videtur alienatio ammz a
vi- txmuneribus Ecdadsnuncupata,quamexeo* gitauit Abulenfis.cap.88. De caulfis
abdinenti* ad duodecim dies proroga- te* quarum cenfu non rcmouetur caloris im-
becillius a IXxftiflimo Bonainico piopofita. cap.89. De caudis abdinentix
quindecim dicrum.quaru vna perhibetur ede morbola coadituuo autore Brafauolo.
cap.jo. Dccauilis ieiunij viginri dierum, e quarum nume ro legitur pituitz
copia cum Alagno Albcrto; attexiturquepropomisnoua hidoru longioris abdinenti*
Canonici Leod1cnfis.cap.91. De caudis ieiunij trigrnu dierum, cap.92. De caudis
abdinenti* quadraginta dierum, quas inter numeratur vim pouo; rluxque mirabiles
hidorix longioris ieiunij lupenonbus adijciun- tur ; & fupcrnaturahs,
lanctorumque vnorum abftinentia explicatur, cap.pj. vfum alimentorum, cap. 80.
Dc caudis .... .., INDEX CAPITVM.
Decauffisieiuniiblmeflns,intcrquasreponimus
AquamnonideocfTemiliumalendoaptum,quia meatuumcutisadftriaionemcumBencditto,
tuitunonfentiaturiummefrigida,&gufluper & iMontuo.cap.94.
Cecauflisicium»trime(IrisAexplicaturquomo-
doammaliaquzdamlinenutneatuptnguclcat: Adijciturijuc promulgatu noua longiffimi
ieiu nij obicruatio. cap. $>5 Decaufia leiunij fcauftns. cap.pd. De caufTis
abflinentiz, quz ad annum integrum- prorugatur.cap.57. De caums abflinctise
vitra annum praten fac. cp8. frater cauflas phy Ii cardudum allatas, tres alias
re pennvalerediuturnihuiusiciuntj procreatri- ccs.cap.pp. Caufiarum
propofitarum ablbnentix comparatio ad inuicem. cap. 1 Oj. c i libri quarti
Capita ccnlunt quinque cipiatur varij liiporis.cap. 1 6.
Aquispermilhnnnonedeacrem,cap.1 7. Aqu*terramnoncflepermillam,cuiterne fapo-
res mnnt.cap. 1 8. Aquam motu, ac ventis non incalefccreAcurmo ta dicatur
viua.cap. 1 p. Aqua hieme calida mtfli rationem no habct.c.io. Aquam non
congelalcere,cui nihil iniit caloris, et fi
fngotecongelatacalorediffluat,cap.21 Quomodoaquafrigidiffimaquumfit abexterno
frigorevertaturinglaciem,cap.22. Pratcr qualitates aituales de genere
accidentis meile cuique elemento habituales qualitates de genere fubllantias,
qux funt forma;,ac differen- tia: conflitutnccs.cap.i;. Vrqualitatcs aftuofz,
ac potiffimum frigiditasin Praelatio, in qua notatur difficultatum explican-
darumnatura,&agendorumordo. Platonisallcrtuindeelementorumfirapliatatcct
Liber Quartus, in quo enodantur difKcilia,quz ha /fenus explicatis obftare , ac
obi/ci polTc viden- tur. plicatur, cap. 16. Pilees in pifcims ex lapide
eonflruitis no ali aqua; & Ariilotehs locus explicatur de terra, St aqua,
Decere Philofophum de re aliqua ex profeflb tra- nantem tum omnes aliorum
opiniones de pro- politoexpendere,tumilluflnorestantum: vn-
deinnotefeuntferibentiumfines,officia,crimi-
Pifcibusinvafisvitreisconferuatis,finonaqua-y naAconemplationumvarietates cap1.
Dicere Phyfiologo inter expendendas opiniones aliorum,nouasa femctiplb
comminifciAvehit alienas examinare ; exquo putet coguitionum
varietas,irordo.cap.2. 'Alimentum omne a viucntibus neccfiario prodi- , re, nec
ali ferro llruthiocamelum: quo czno a- laturanimal,&planta, cap.;. A
mortuis vt nobis alimenta,jugumenta, & femi- na fuppeditentur apud
Hippocratem, exercita- tio cum acutiffimo Scahgero. cap. 4. Exper inento haud
probari aurum putabile pofle nutrire.cap.y.
Hominesfziiololoandiualivaleantvtiiumen- Eondcletiiratiodenutricareexaere,&aquapen
ta.cap.d. Venena in alimentum nulla ratione poffe conce- dere. cap.7. - f ,Vt
homoAomnino animal fuauiter olere valeat fponte nareric.cap.8.
Vtfrigusnoningrediaturoperanaturz; acprzfcr diturad Anflotclis trutnnain. cap.
57. Qui Nnodo mutatio fit fimplicis in milium, ac vi- cilfiinA' omnino inter
oppolita ; vnde tollitur Olimpiodouratio probans aquam alere, ca. ;8. Aqua fi
non alit, quomodo Annoteli vercdicatut
alimentoefle,acproindeilliusmutatiomorbo- timvtquxcunqueexputrioriunturacaloregi-
ia.cap.;9- gnantur.cap.p. Quomodo aqua feruens remoto calefaciente fc-
metipftin tefngcretcap. 10. Abflinen tes a cibo, potuque omni prius affligi, 8c
mori fiti, quam farne, cap. 1 1 Vt aqua potabilis calore putrciccre non poffit,
at- que amman.cap.i2M Ex putri fbrmaliter animatum procreari non pof- le. cap.t
;. CyprimsA^alijspifciculis fponte natis non efle
ortum^utviftumexaqualbla.cap.14. Pilees feu frigida nutriri cur aquafo- Ja
viucrc non dicendi, cap, 1 5. , quomodo ex ea ver- materia denfiori
fitintcnfior.cap.24. Aqua: calorem non olfendia pclluciditate.c.15. ' cap. 27.
Pifciumin perforatis nauiculis quodnam fitalimf tum.cap.28.
quidinalimentumcedat.cap.29. Oflrca, mytulos holuturia non ali aqua^». cap.;o.
Lepades,ac mugiles aqua fola non ali. cap. Sardinas,fitaphyasaquanonali.cap.;r.
T Plantas marinas lola non ali aqua. cap.;;. Si vinum,(anguis^ac,cetcnquc
liquores nutriant, nonideoaquamalerc.cap.;4. Anguillas non oriri, nec ali aqua
pnth, fcd ca ali js decaulfisobleitari Ariflotcli.cap.;;. Aquatilia tum
branchias habentia, tum fiflulam flr' fpeciatim tcflacca non ali aqua ex
Anllote- lc.cap. ;d. Niucm non e(Tc aquam mes oriantur, & nutriantur,
lcporefque Plinio. cap.40. Aquam vino additam quomodo Ariflotcles dicat in
vinum mutari,^ vinum in aquam, qu* m- miflumperfcttigencns, atque adeo matimen-
tumconuertinequit.cap.41. ) Lentem paluflrem non oriri, neque nutriri ex a- ' ;
b Quomodo putredo Iit propria miflipafficv&aquf conueniat.cap.4;. ' iui;
Aquam quomodo calor concoquat Hipoocntr, B ca coitione non vertitur in
alimentum,cap-44- quafola.cap.42. ; 1 Vtmx Vtnix efientiam non
habeat terra participem ,ac iptunuiam,exercitatio cura lubuhiiimo Scaligc
ru.cap.41. Qua ratione nix fecunditatem afferat agris, fi ter- ra particeps,
non cft cap 46. Vtputredoablblutc Iit corruptio propnj caloris. _ «P47- Cur
muta imperferta vmentibus in alimentum ce dere non valeant , 6c_ fpeciatim cur
aqua nufia cumalimentis nonalat. cap.«3. Vt alimentum iimplicitcr huuudum efle
opor- teat.cap.49. CurIitioccurratmagi»vinumquamaqua.cap. o 5 Vt litis fit
defideriuin alimenti. can. 5 1. Vtfamesquatenusellleniusindigentis,quem_
anunalcin, dicimus, fit affertto lolius oris ventri culi, non ctiain aliarum
partium. cap.fz.. Vtdolorfamem.aclitimprxcedat vcluti caulfa nonfubicquaturquafieffertus.cap.
5. 5 Cur pi iguedo.fit^adpes alere non pofiit cap.54. Vt medulla non Iit
alimentum , fed excrementum 0fiium.cap.5j. Ieiuma per •iccidcns.Sr' apparenter
calefacere.ve- rc,ac per fe calorem non acucrc,licet p>er fe fitim procreent
cap. 5 <5. Vt allinentis per fe non refrigeretur vlla ratione-, calor
nauuus.cap.57. Anflotclis difficilis locus explicatur de refrigerio calor.s ab
alimento.cap. 58. Galeno nem alimentum non refrigerare calortm natiumn, nili
per accidens, fed per fcilluin au- gere. cap.59. Vtalimentis augeatur caloris
innati gradus, feu qualitas;nonfolamateriacalida exercitatio ; cumdortilfimo
Fcrnelio. cap.do. Vt alimentis non pofiit caloris virtus mtfdi abfq; Vt verne
melerei de ventrtenld , inteftinis f» gant alimentum non expertato fine
cortioms. cap.7i. Vt folia, ttores, frurtus, & femina plantarum pars tes
vere non fint, fed excrementa potius, ca.y7. Vt cx co, ouod oua,& femina
citra nutricatum vi uant,colligere polfimus perferta quoque anima lia vitam polle
traducere ablquc alimentorum vfu. cap.74. . ., . ., INDEX CAPITVM, co quod
fubicrta calori materia augeatur. c.d 1 Vt
animanutriensartumhabeatimmediatum,& Curnonfintfrequentioresnofiri
abfiinentes, fed proprium, in quo edendo no v tat ur organo cor» porco.cap.dx.
Calorem natiuum in nobis,quin etiam ignis riam-
tnamapudnos,nonindigerencccllariohumo- ris,quo vcluti pabulo nutriatur, cap.
67. Cur calor humorem in milio, & in viuentc prxfer- tim d:palcatur,&
intentum procuret, exercita- tio cum liibtililfiino Scaligcro. cap. 154. Vttn
Ecllali ceffct anima nutriens ab alcndimu- nei4.capd5. Vt Ecftafis non Iit
priuatio munerum animi intcl ligeutis, exercitatio cu virodortiliiino, ex Sca-
ligero.cap.dd. Vehementi fiupore^hjsque plurimis de caudis de 1. Jertabanimopolleomnesnouones,&habitus,
cap. 67. Vtalimentivfusnonfitadrefiaurationemdeper- di ti,fcd ad auocandum
calorem a cita conlum- tione humons: exercitatio cum Magno Al- crto.cap.(58 .
Cur femen maris in vtero femina: concipientis no alatur.cap.09. Vt IcmcnnonIit
parsanimati,inquoeff.cap.-»o. Vt ou»iubutntancaliat ammata.cap.71 cap.8<5.
raro admodum vilimtur. cap. Vc alimentorum indigentia infit viuenti quatenus
miftumcfi.cap.88. CurabliinentesobxquaJiatemviriumcaloris,& humoris interni
iuonantur,feu non femper to- tam vitam degant in ieiunio,fed plerunque re-
deant ad ciborum vfum. cap.89. Vt agentia fecundum virtutem aequalia inuicenL.
agant.cap.90. VtexGalenolubfiantiacorporis iVomninohu‘ , midum [fubltantificum
dilfipetur a calore nari- uo,non iolum ab adfcititio,cxerciatio cum Car dano,
cap.pi rnojC Vt Ariftoteh calor internus ablumat humidunu,
fubfianttficum.cap.91. Vt cx rei natura non colligatur a calore natiuo no
abfunuhumidumfubfiantificum, <Vprimo quia calor fit anima:
inftrumcntum.cap.pj. Vtcalor non ideo dicatur non confumerc humi- dum quia in
miftu elementa non fine in artu fe cundo,Vquahatibus rtfrartis,fubditil'que for
mx luenti compolitum . cap. 94. Vtcalormfitusnonideononconliimatpartium-,
lubfiantiam,quiafitearumtbrma.cap.95. - Vtcalo- Vt facultas alens pofiit a
nutriendi funrtione r1.cap.75. ocia Cur materia corporis nofiri per alimentum
femper non debeat innouan, vt cenfet Albertus cap. 76
Inhis,quidiuanutriendimunereociantur ftra non cfie ven triculu m,iecur,&
alia membta nutricatui dicata, cap. Vt ratione caloris animal tiinrtioaem
alendi diu intermittere ualeat.cap.78. V piper, pyrethrum, finapi, thapfiaque
fit homi- t ne cahd10r.cap.7p. Vt viuenti non repugnet nutricationem intermit-
tere, fiucvt animal pofiit abfque nutricatu vi- ucre qua viuens cfi. cap. 80.
Vt tini nutricationis formahter non obrteteius pcrauonis intermifiio. cap. 8 1
Vtin atrophia faculas alens penitus ocictur cap.81. o- i Vt cx Galeni fententia
nutriendi funrtio non ' homininccefiaria.cap.87. 1 Vtex Flotini lententia
nutricatio iugis ' debeat in corpore viuenris.cap.84. Vteffcrtui priuatiuo
caufla politiua pofiit, afiign* ri,noTqueid fecerimus in fupenonbus.cap.85. Vt
mors viucntibusconuenut fecundum natura fcu quomodo interitus viuentibus fit
naturalis. 77. 87. , fru- non efie-> Digil qt fit mK cuerti naturae
lr| Calor, definiendo^ non^UfrAr.cap.8*. o Vt calor iniitus igneo pro|
iCrefpondcnscoi cum femetipfo coUlgaturitluod vcgcticficak.re,&hieme
tiamehushabeant.cap.ioi. aa ,.:j) mi Ha.t.gMUlCifsklJlli l"v'i fcwnq..4,.
-..i.-.wfjO, . « .Hi i i .k VViiiUa»: .’t.' W. r .. . «.t»» .V«m .t
{}.{ioli>>* 1. :S utrori''- » . 1 . 1 ) r tluf. tvi. 11 . 5 . un. l M-k
'V' t -'iiklia^.Ohtvn.i,*!* i!,» lRttift j 1? ' m. .j.j.il r.cvt • -.• .1 r4 .1
a» c ii t.ojSjva nm.iinhijjafc. Btiftt remtr.il buUma ttiu^bi' iV. INDEX.CAP1
TVM. min vituentCe fiuniftionecs UDt inirn^» mari cap.8d. Mntehumorem
abfumert.dicatur.BnOoniidoaw» rf.u.bkrAt^natnitii<f«iiciuimn
abKfumnantr.rcanp ti noi Vtabmfito calore corpu* non deftru» ex co qwv mA , :
eadem eiuldem rei poffitefie caulia perl^^ac. Yt accidens,cap.i03. i '
Eftpe&rum.cuiutcaulsas qoi» noujt,cur noniem tione non refp6deat, fit
humiotim. perisidemprocrearevaleatcap.i04. Caloreminnatumradiolihumoriadeocon^»
Perorauototiusoperu.capUtvltimum. i flriM l‘Ut '...ftUi -bvt..:; ana.y,ami»1m«i
“thVt»Ws0'tV.s. t.\11.a.tm.*"'V;^0•. iiontti tJ H» .1 kf.l »bc. • Mi-
>\«i>.tthtij . t .1 Sei.t e«10»rilrurfvht 1 - ? 9* i >v fp wuiMe' 1 •
7^^ **t :.i i** : ir.i * Wv • ...v . t,- 11 v -Ol'-. •e l»i5 •'•{! a.l8-t.
aavttt '»wj.iW'i'i :.!.wtversqiR*t . J.vrf>u iv-ri^s tvnvr.iltbv. .Mti.t
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u4 VUl.tella DtUsfpk vh.l&o tv ' tVSSansUiiV. [ - •x "SlI "y t
.ulmwtviM ««iiir ...kJvT^ •t 'O.i.jt i .«nmr^sk aw mpiv.fi ;.'iti:'.V, .(i .itt
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njV-bkit^rjei iTbk. » .Mbl.t tiUtAiLBi\tVi ••T.^.b.v.n' . \Bo*r»ta t.r.ift.k
uiwji. TM5iimv . nuamiimtifiu .i.tfl.f ,iyi»9;rt * . . .aktVaie. tiV ,! • alqaiir
p . n e«n*d vmtMrVSV. e; VyM 1 .|Tvf. 4-ul:i> I •j.r.bf I t.ini ,'lncril
y:«v.:ivl>r^ atrtWb i*W~..pt'. 1 lW"llI ..• ftvftv. t.-...
sno.-.vsts^a^i a> iU»iriSiLBfl' xAuitiilb ’ .ur/i-ii ittr' ,-• n..r ' ' -
-~lUlV- 1 tatv.viTuue' 1 . .> jyr*1’ uiuw. - * Oa.A... ,.i1 »4>e» -.*-c
tiVa humorem \ .s-u.-ue . K. INDEX ,i .1 • i/.XIA'*' 'VtrQ\i,' "i'. l
9\a.1 .•' . . r’ .av.iii.pi iA.ivr1 .As.ftla, . i) ,at ;.. yi juajm.ih.
i1" riumdicaviipfuiacunfuaitreYalcat.0^.1^ AwimtarUiAnti«naV.v,?y. .«ri*a:£•<>
NDEX TITVLORVM , ET CAPITVM OPERIS .
TriumCupidinum;Voluptuofumtyrannidemin Animæ facultas,concupiscibilisvtinanima
vin AmotescurAlatifingantur.cap.IX. Cur Amores Nudifingantur. cap.X. 23 De
Amoristergeminipulchritudine.cap.xi.24 Amor curnoncæcus inSchemate fidus. XII
28 sa,gercnsincacuminevolucrem,& caueam De
fructuarborissapientiæ,nostroinSchema Inter.viros
altafapientiaprestantes,efequi nonvocedocerefintapts, fedtantum, Schema
III.Gemme. Sapientium ,sciendi cupidos edocere valen: tium
,tresesseclasses.cap.xxvij. 7 7 Coruicumvirofapientiæscriptoredetegitur
analogia. xxix. 78 SchematisAmorumtriumexplicatioMedica.
DevolumineMufices,invnguibusCoruimy ab Alciato,consideracur. cap.X V . 3 7
Schema IV.Gemma. Explicatio viri eruditi de Amore nocturnas Ræfatio . Amoris
origo mirabilis; a Platone polica 5 7 ,de
Defrondibus,&Aoribushwnanæsapientiæ. claratur. cap.IV. cap.XXV Amor
voluptuolus veergabellicum,& litera 40
Amorfapiêtiæcúrnudusefictus.cap.xix.41.
Decergeminasignificationeftellæprælucen. Amor sapientiæcuralatus,& quænam
finteius cisin Schemate poni caput viripsallentis. Alæ. cap.*** :43 Quomodo
fapientiæsymbolumsitarboranno 90 pag. 1. . P 36
AmorisEmblemanoftroperfimile,propofitum voce tantumodo docere valeant. 20 43
cap.xxxv. 5 Schema primç Gemma . De arboris 48 in Schemate piata coinparatione
65 cap.V. cap.XI. cap. VII. сар.Хxxiii. 16 busomnibus, cap.VIII, modo fcriptis.
cap.XIII. geminos Amoresprobaspassomexercere, çatirascibilem ,& rationalem,
cap.yl. 12 A m o r cur a veteribus Diuinitatc donatus , Explicatio Schematis ab
incerto propolica consideratur.cap. X I V . Yeiundas. XXXiii. 73 83 38
cap.xxxiv. DepriscisAnulariumGemmarum Sche maribus cxplicandis. C a p .I. Amor
sapientiæcur,præteralas,adhibearetiam brachiamanusquegeminas,quibusfuniculo
riuin impcriolam tyrannidem exerceat. 9 Sapientiam apprehendi ab Animo Doctrinę
H u m a n u s animus crga sapientiam cur se habeat sermone vocali discendi
cupidos crudi. ente :primumque de biformis inferoa parte 32
fticicanentis,repræsentat(1.cap.xxx. Inter viros dostos inueniri , qui non
fcriptis , at 86 Amorsapientiæcureffictusingemmapuellus
Supremamonftriparshunanadeclaratur. vtAmorpusio,corporepusilo.cap.xvi.39
imocens,arq;moribusfimplex.cap.xvij.40. gallumreferente. cap.xxxi'.
pientiacomparatur. cap.xxii. adarboremscientiæboni& malı,dudum a De
fru&uarborisscientiæboni& mali,primæ uæ inParadiso. xxvi. cantilenas ad
amicam personante perpen 62 89 duplicisecollarinaltum..cap.xxi..' 43
LicetiResponsiodeVeterumGemmarumex- Demagnoconatu,ingentiquelabore,quofa plicationcadcunda.cap.II.
Amorisdifferentiætrescxplicatæ.cap.III. 3 13 Cur Amores ætate pueri fingantur a
veteri sedulalectione,acintentaAufcultatione. Schema II. Gemme. ditur.
cap.xxxi. Propria proponitur explicatiode viro fapien.
AmorfapientiæcuringemmafiAusefteffigie DeBarbito,seulyradigitishumanispulfara
pusionis,acinfantis.cap.xviii. Deo inParadiso.creatam . cap.xxiv. cedelincatæ.
cap.xxvii. te , 85 88 Pror PropositoSchematicomparauraliudFabij
SeptentiamViricl.hocsensusunprám,nocon cundiatoris, cap.xxxvj, exterminatione
confiftere, SchemaV.Gemmę. 94 uenire Schematis imaginibus,oftendirur. Propria
Schematis explicatio prior eft, de AmicoveromọitainAmaci& defunctime. 102
De Armışoffendentibus,HeroicoAmoribel licodatis inSchemare. cap.xliv, 133
DeCun&ationebellicaperAmoremftantem ProponiturexpofitiopropriadeamoręCa.
indicata,cap.xli, tofis: cap.xlvi. postulan. Amicumverum inaduerfitate
dignofces, cile fót: vél Tetbydis, aut Veneris Amores:velÆgyptusludens ditur.
cap.Ivii. Prima cxplicatio noftra moralis ,de formola Peleum ,velVencris ad
Anchisen delatione, formofitas, do oscaffo, Şecunda Schematisexplicatio,de
Amico vc cap.lviii, cap,li. 1 107 Pulchramulier,permarevitavagarsadare D
e Amoris bel lici clypeo hieroglyphicum , Cur Amor istebellicusPedes,non
Equesef, Super incrementa Nili. A m i c i d e f u n é t i m e m o r i a f e m p
e r i n c o r d e c o n f e r . raptaproponitur,&adhistoricamfidemrc d i g
i t u r , c a p , l x i. I21 1 131 cap.ly, Amoris bellici, cap.xlii. 134
cap.xliji, cap. xlv, cap.xlix, 139 118 ro , qui dignoscitur in aduersa fortuna,
III I14 cap.lix. Schema X. Gemma, exarmati,pendicur.cap. xxxvii.
indignacionem.cap.liv. Coniugalis Amor armis offendentibusexpolia. 95.
Proprjasententiaproponitur,quæ’est,obocu losooni Schemate noftro proprietares A
m o risirascibilis,fiuemilitaris:primumquede Schema VIII.Gemme. Index Titulorum
, De Amorisbellicivultufæuo,seuero,actan.
ExplicatioSchematisacl.Viropropolita,de cumnontoruo,minaçique. cap.xxxix.99 105
De propriafignificationeGaleæincapito dicitiamMatriş-familias.cap.lvi. Schema
VI.Gemm &. D e A m o r e civili,qui vocatur Amicitia,vta tri muliere,quæ
nimium extra domum vagans ad arbitrium ,vel eft,vel euadit impudica ,
yanda;& Amantemnonredamatum,indi- 143 Propria explicatio G e m m æ
proponitur , d e gnabundumextinguerequam affectionem, Schema VII. Gemmx .
TriconepulchramNympham marinam yo, Aliena Viri cl.explicatio,de A m o r e
monftran . lentematq;lubentemcomplecterte,perqs maria ferentc.cap.lxi.
redamato,syumAmorem extinguente per 129 AmoremHeroicummilitiamagisinconferuatio
Secunduseruditivirisensusexplicatur,& neDucis,&
Exercitusoportuneceleris, & cunctantis,quaminhoftium expenditur,cap.lij.
129 moriam eonseruante, cap,lij, 1 3 9 Opinio,dicenshocesehieroglyphicumAmo
SecundaŞchematisexplicatio,deAmantenon ris concupiscibilis per visam negociofam
corporemilicisgeneratim.cap.xxxviij. 97
DeAmorisbelliciceleritace,perAlaşindica- ca.cap.xl,
CupidineindigneferenteSibifpiculanegari aVenere,proponitur,& expenditur,
filius in Schematę noftræ Gemmulæ , IN Schemą IX.Gemma Smithi anaexplicatiode
Nereideper falum A m i c u s v s q u e a d A r a m A m i c o illicila 109 140
busanteadeclaratis,Concupiscibili,Ra. Secundaexplicatiofabulofa,velTethydisad
rionali,& irascibilicontradistinguitur. OpiniopononshocessesymbolumAmorisvo-
TerrinexplicatiophysicadeÆgyprolafciui luptuosi,expenditur,cap. xlvij. 115
entesuperincrementaNiliocap.IX. 141 Rapinapuellasdealiasrespulchrasexponit
Propria declaratio prima de Amico vsque ad Aras., cap.xlviii. Fur & pudica
Maire- familias. piugali,exarmatospiculisoffensjonisperpu
bitrium,velimpudicaeft,velimpudicafa. equo marinoveda,proponitur,& cxpene
Sententia virieruditide puella vere a Tritong 146
tccun&ashumanasresessevanas,proponi-
Secundacxplicatio,deTijroneraptāpuellam tur,&explicaturprimosensu.cap.L.
123 noftratélubvndasasportāte,cap.lxii,146 Tertia 141 &
CapicumOperis. Tertiamoraliseftexplicatio,depiratis,acpræ-
DeorationeMentalisubhieroglyphiconudæ mortali. cap.lxviii. 1 5 9 Propria
Schematisexplicatio,declarans spe tem ,& faciemintergaversain,cumligneum
scipionem. cap.lxxx. De forma templi Delphici inSchemate. De
consulentisDelphicumoraculumbaculo, 193 Mundi Systema,partesquevniuerfuminte.
grantes,explicantur. 200 200 ASTV'S DEV DITVR ASTV. 158
Incognitiviriexplicatioindicataexsenis 168 datotibus,aliisquemaritimaclasserapienti-
mulierisgenuflexæ,sedentis,& vicumque busresalicnas.cap.Ixiv. S e n t e n t
i a C l . viri , d e p r i m o q u a d r i g a r u m i n 180 uentore proponitur
ac expenditur. OraculorumDiuinorumpropriumest,homini, deEricthonioaPallade,ceu
filiofpurio,& tanquam presentes. Schema xij.'Gemma. 163 De
Papauere,simulachrosomni,aquoprima De rupe templo Delphico subiect:.
cap.lxxxiij. cap. Ixxiij. 185 196 cap.Ixv. 166 cap.lxxxvj. > Cap.1xvii. 158
Propriafententiaproponitur:primumquecal sumitexordia,& inquodimidiumsuædura
cap.lxxxij. giliapatratarum,perenneininconftantiam. cap.1xxxiv. cap.lxxi.
cap.lxxii. Proprialententiaproponitur,& confirmatur, impuro proicão.
cap.Ixvi. bus euentusfuturosdemonftrare Schema xv.Gemme. Alienadeclaratioproponitur,&
explicatur. ciarim arborem in lacus propeod ntem ,&
hominiscõsulentisoraculumcumpailijpar De Papilionc,lignificantebreuitatemhuma-
næ vitæ.cap.Ixix. 189 De Simulachro in templo Delphico. De Canopo ,Deo
Aepytiorum ,superante 170 Iouisfiguravesitaptum Terræhieroglyphicũ.
cap.Ixxxviij. OratioVocalisatqueMentalisvnacon pirantes Pallas nuda ve fignct
ignis Elementun . Ixxxix. Deum flectunt,ob efficaciterexorant. Schema
xiv,Gemma. De Mercurij ligno,Elementum Aeris repræ de.cap.lxxiv. 174
Detribusorandimodisantiquis:ftatario,ad
Beneficij,velabrutisaccepsi,Deumefegratum remuneratorem .
geniculato,&sedentario. cap.Ixxv. decoreftantis,ambabusmanibusDeocor
offerentis. Deque antiquo more tenendi cap.Ixxxj. I91 Pallijmotus in terga
declaratur. c.lxxxv. 192 ExplicationoftradeMundi Syftemate,parti
tumAquæ.cap.xci. uariælymbolummedium explicaturdevita Dc
Rota,lignantehumanarumactionum,invi. 165 189 205 Schema xi. Genoma.
cap.lxxviij. tionishabet humana vita. cap lxx. De
Vrnasepulchrali,adquamterminantur a&iones omnes humanæ vitæ mortalis.
Schema xij. Gemme. Deum Chaldæorum Ignem , viâorem om. nium aliorum Numinum
Gentilitatis. buiqueintegrantibus,proponitur;primum que Zodiaci declaratur
imago , pro toto Cælo.cap.lxxxvij. 179 D e oraçione Mentali vereres profanos egisse.
Facici mira versio in tergus explicata. Schema xvi. Gemma , corroboratur.
cap.xcij. 190 191 153 Voca- DeNepturo,repræsentantetotumElemen D e viribus
& proprietatibus orationis 2 0 2 lis ,a t q u e M e n t a l i s ,D e o A c
c e n d o p o r r i g e n . sentante, cap.XC. Poeta HEROV M FILII NOX £ .
autoribus proponitur & Humanavitaeftmorsvndiquemiserysobfella. cap.lxxix.
expenditur. 175 D e oratione Vocali , fignata per mulieremic.
miamittam,quædexteralacinian tenet,fini- Schema xvy. Gemma, ExplicatioViriCl.re&taproponitur,&
latius ftraserpentemporrigit.cap.Ixxvj. 177 Aras ab orantibus. cap.Ixxvij.
197 Poetabonus,ad Lgraincanerenescius:vel 207 Propria Schemaris
explicatio proponitur , de canere nescio. cap.xciv. Secunda Schematis explicatio
depromitur ex pium naturagenerica,Proserpinæ Schema Schema xix,Gemm &.
ponendisaprefacilequedislidijstumánimo rum dilceptantium ,tum corporca violen:.
NoftraexplicatiodeDucisexercituumeripli- SacrilegusBrenusadAltaresempliDelphici
ciproprietate. cap.xcvii. Tertia declaratio nultra de Amoris genitabilis
fcibilis,& Rationalis,explicariSchemare. produnturinSchemate.cap.c. mortem
fibimetipfifponteconscisceredebuis, AuroranettensAtheraterris,prouchit oria
diem . Schema xxi,Gemma. Auroradiejnuncia,celeriterorbem terrarum circuit.
cap.ciij. tiabelligerantur, cap.cvii. 235 setranfuerberat. 241
absolute,frustra laboráns. Hesiodo poeta bono carmita sua ad lyram 209 adagio
veçusto de viro fruftra laborante . PRINCIPATVS ANIMALIVM,
Ducisexercituumproprietates: Amorisgenitalisimperiosapotestas, G Amoris tres
differentia, Elementa vitalia. imperiosapotestate. cap.xcviii. vel 248 Ampli il
cap,xcix. cap.xcv . 210 regna benegubernantur, Explicatio viri Cl.de Principatu
animalium . 212 220 2II cap.xcvj. ·212 cap.cx. 216 altronomo Lunæ,liderumque
seruante, cap.cij. phasesob- DeAjacesemetipsuminterficiente,gladiodu dum
abHe&oresibidonato.cap.cxij:247 terramcum Plutoneraptoremanente,totie dem
supracerráapudmatremdegente,my. numSahemapossitintelligi.cap.cix 242 245 dam
fra&tam supplente,affertur,& expen ditur, cap.xciij. Schema xxų.Gemma.
De CererisfiliaProserpina,sexmenses intra Amoris
tresdifferentias,Irascibilis,Concupi 213 Elementa viuentium fcracia,&
altricia,terna Anonymisententiade Decio proponitur,& cxpenditur,cap.cviii.
obferuatoris hieroglyphicum. Schema xx Gemme, numpoflicimago Schematis
interprecari. 244 Explicatio fabulosa , seu poetica viri do &i de Schema
xvij Gemme. De MercurioCanicipite,Regnum Acgyptium optimegubernante, cap.cvj.
233 Schema xxiv.Gemench. De viribusSapientiæ,acEloquentiæincom.
Ajaxfurens,obAchillisarmfaibinegata, Schema xxv Gemma. D e Catone
Veicense,semetipfum cõfodiente, Proponitur explicatio propria ,de Brenno ,
Proditoremnunquamplacereviroforti,etiam cui sot vtilis prodirio nesati hoftis,
Schema xvij.Gemm... Explicatiovirido&ideCicada,citharæchor Pulchra
fæcunditas ,a terracalore rapta,fex menfeslaterintraterraviscera,totidem . que
fupra terram in aere degit, C. Sapientia,donEloquentia litigantes,atque
pugnantesanimos apsefaciley,componit. Aftrorum Lunariummotuum ,& phasium
EndymioneaDianaadamato,cap.ci. 219 P r o p r i a S c h e m a t i s e x p l i c
a r i o p r o p o n i t u r d e Gallorum Duce facrilego ,qui semetipsum
confecerit ad Aram Apollinis in templo Index Titulorum ,
thologiacómunisexplicata.cap.civ.227 Propria explicatio de vegetabilium , feu
stir te,fabulisquerepræsentata,cap.cv. 229 Sapientia,&
fortitudine,fagaciqueprudentia De Bruto ,separiter pugione confodiente, D e l p
h i c o . c a p . c x i. Schema xxvi Gemme. De offAuCæsarisaccipientiscaput
Pompeij Magni a proditore,qui virum interfecerat, cap.(Xiu. 224
Schema xxvij.Gemma. Larma.fiueperfonaDramaticumPoctamoftendit. Sue
prijcisacrificabantvbigfingulisfereDijs vitaprecellentibus, ta vetusta . 238
251 AftNo . 281 Schema xxxiv,Gemma, Schema xxvj.Gemma.
Virtutefortunamsuperari.cap.cxxi. Dc QliadrigainAnulosignatorioPlinijSca
cundilunioris,& RanafignatoriaMecæna 278 cap.cxxiii. eis. cap.cxiv.
tasmaximoperedecet. Schema xxix.Gemme. cultatibusincolumem .
Martialesvirimulierumraptoresprimi,par: Centauricuerentis,& fagitcantis
tergeminum 284 novelfatuplenum,&excrinsecusoleolisi.
GenerofasindoleseducaridebereabHeroibus ujoueperundum. cap.r8011. 258
Lætarineminemoporterefraude;quum& ip- se consimili capi valeat. cap .cxx. 2
7 5 298 Propriæ fententiæ declaratio,devitæconcem . cap. CXXV 292 267 &
Capitum Operis. AmpliDominijsplendornonofuseatsideraviro
Virumingenio,probitate,fortitudinequepolen? thiuminbonoPrincipe,Magnoque Mini,
Stro,quem taciturnitas atque celeri. sememergeredefawienrisfortunediffi Gerimis
Anulorum insculpiconsucuisse vultus gemina,fugax,dprocax,mysticerepre.
JenialacaleftiSagittario. insigniumvirorum ,adillorummemoriam, cultum ,&
imitationem. cap.cxv. 253 DeHominisinAlinumtransformationeper
maleficālibidineabutentem.cap.cxvi.255 myfteriumexplicatur,primumquedeScr
monishumanidifferentia,& velocitace.
VeterumsaltatioIudicrasupervtresplenos, & extrinfecusvnitosexplicaia. Eodem
Hieroglyphico denotari humanæ vitæ naturam fugacem , geminaquc differentia D e
vererumludicra(alcationesuper vtrem vi. Schema xxxi.Gemms.
PersonamnonattribuiPoetæLyrico,velEpi-
ChironCentaurus,vtviruina&uofæfimul& contemplatiuæ vitæperitumindicet
adomnia:jeaprecipueVeneriadpuritatem coniugý;dfæcunduarem prolisinNuprijs.
Schema xxxviii. Gemma. Furum ex rapto viuentium antiquitus condi Schema xxxir.
Genome , De SacrificioSuisapudantiquos.c.cxix.261
Fraudulentiparifraudecapiuniør: do Vitecontemplatricisverumacgenuinum
hieroglyphicum. Schema xxxix.Gemma. Gandium& Mærorviciffomfibifuccedunt.
Schema xxxiii.Gemme. Anonymi sententia perpendicur de Psyche
Pyralidisalasbabente,ansitAnimesymbo fomquediffamati. Humani Sermonis ; do
bumana vite natura inactuosapariter& incontemplatrice Schema xxrvii.Gemmt.
Furacisrapacitatistypus,& inftrumen. 286 ViroruminfigniumimaginesAnulisinfculpifo:
litas,adeorum memoriam ,culium , Mulierumraptoresprimos,& paffim fuissevi
ros bellicolos. cxxii. imitationem . LibidinisatqueMagia prauapoteftasingens,
Schema xxx.Gemma, virtutis,& vitijdistinctam ,maximeque libi. dinosam.
cxxiv. coledellepropriumfymbolumDramatici. aprum cducaregenerosa
indolisadolcicencs. cap.cxviii. 260 De Marlyageminatætibiæinucntorcfabula menio
latjusexplicato. Schema xxxv.Gemme. Schemaxxxvi.Gemma. tionesexplicatæ.
cap.cxxvi. lum absolute. cap.cxxvii. platricisintimisattributis. cap.cxxviii:299
AtuosavitaprimafpeciesBigisinludorum
AliaPanosexplicatiodevniuerfoproponitur.• Circensium Schemare currentibus
hieroglyphiceinterpretata. 329 332 Aftuofavitasecundaspecies,Moralis&Actiua
luftaZelotypamulierisindignatio,familjemaeft: nuncupata,Quadrigarumfpectaculomy.
ftice representata. Schema xliv. Gemme . 345
deEquoTroianoproposita,&expensa: PropriaSchematisexplicatio 340 primumque
Darctis Phrygij deNaturalicu narratio. piditatesciendi. cap.cxliii.
cap.cxxxviij. 338 . 321 VirorumHeroicavirtutepreftantiumvultus
Potentiorumprædeopulenti:Tellurisoccupatio apudantiquosmerorieacimitationisergo
cap.CXXX1 Dilly's Cretensis Ephemeridum inuentio , 342 400 . communis receptio.
cap.cxxxii. 312 veterum, cap.cxxxiv. 343 cap.cxlv. 328 310 cap. cxliv. Achillisimagoqualis,&
curinSchemace. vltionem , Bigarum cursus in stadio ve indicet Artificum vitam
effe&ricem.cap.cxxxix. cóprehendere fatagientis.cap.cxxxix. 33 !
ResponsioLicetidenneac formasuisymboli Schema xli.Gemmik.
Sophiftaperimitindocius,adoctisinterficitur in literario mundo . Quadrigarum
cursu signariviram Adiuam, Naturaliscupidosciendiqu.erielatentesrerum
præcipuequeMilicarem.cap.cxxx. 305 que Aduerfushoftesinbelloiusto,dolis S c h e
m a xlij. G e m m a , expenduntur. cap.cxli. paratur,ac desingulistribuscensura
pro mulgatur. cap.cxxxiij. interitus , Schema xlvij. Gemma. pafjem effigiatos.
haberi. a fortioribus: Agraria Legis occafio , do egoAmicitia cogens ad iustam
PerfeisimulacrocurfignaueritAlexander, cur vsiveteresin Numis .
Multiplexænigmatisexplicatio:& primade potentioribus diripientibus aliorum
opes. De Anulis,quos adsignandum habebatMa- gnusAlexander. cap.cxxxvi. Secunda
Schematis explicatio nostra est,de robustioribus,terræ dominium ,acpofsef
PanosHieroglyphica,deSermone,deque Vniuerfo declarata .
TertiaexplicatiopoliticanoftraSchematis,de
terrædistributionemilitibusvi&toribus,per Schema xlv. Gemma . Platonica
Panos explicatio,de conditionibus, Legem Agrariam ,affertur. cap.cxlvii. 348
QuartaSchematisexplicationoftraeftphysi. Auctarium . Schema xlvi. Gemima. ca,de
typo Agriculturæ. cap.cxlviii Hostiumdonfaufpectafempereffedebere.nam .
Poetarum& historicorumcommunisopinio, Veriores fententiæ deSphinge
proponuntur exalijs,cap.cxlij. TertiafententiaPlinij,Pausaniæque de Troia-
110Equoproponitur,& allatisanteacom Arcana Numinis,&
ediftaPrincipumnonime telligentem ,acnonobferuantemmanet Schemaxlij.Gemme.'
cap.cxXXV. vis:Agriculturetypus:Ægyptus: Schema xlvii.Gemma, &
proprianaturaSermonishumanipropo- nitur. cap.CXXXVII. .351 QuintanoftriSchematisexplicacio,deregione
302 327 fionemfibioccupantibus.cap.cxlvi. 346 licerarij. cap.cxl. inuentis
ingenia macerat. Schema x! Gemme . aqueacviribusvtendum . Aliorum
opinionesdeSphingereferuntur,& Propria Schematis explicatio proponitur de
Troiano Equo secundum senfa poetarum Principum,& nonintelligentesoracula.
Index Titulorum, D e Schemate noftri Mercurij Pana fugientem caufas, quibus
inuentiscellat, non 326 Sphinxcurinterimatnonobseruantesedi&a 325 326
Ægypti.cap.cxlix. 353 Postres i 1 & Capitum Operis. PoftreinaSchematisexplicatioest,deAmici-
. CrucifixiPredicatores,Pifcatoreshominum: ciæ , ad vindictam injuriarum
cxcrcitum.co. ChiorumantiquainHomerumobseruantiapu 357 Explicatio prima Smethiæ
G e m m æ de Crucie cap.clxiii. 373 374 ExplicatioprimæGemmæRhodianæ,rife,
PropriaSchematisexplicariodeMulaThalia rentis obseruatores cæleftium luminumn .
proponitur,& comprobatur.cap.clvii.376 402
Curantiquisacerdotesofferrentaliquandola SecundaexplicatioGemmæ,dehomineforcu
crificiaNuminisedentes,cap.clix. 384 licibello Cælaris Augusti nata ,Belisarja.
411 AfferturgenuinadeclaratioNumi Comitis11 391 Comica lafcime gaudet
fermone Thalia : vel Sccunda noftra Schematis affertur explicatio 399 dia
gentium comparari. Salute patratum . 379 natomarehumanævitænauigante ventose.
406 chariftie Sacramento.cap.clxv• 395 390 394 409 Schema lių.Gemme.
cap.clxxii. cap .clxviii, 377 ad veritatis imaginem . Felicishominis,feu
formuaritypus, Nawigans cum ventis in V'tre conclufis. culo. cap.cxx. 1 1 408
gențis,hieroglyphico, cap.cl. 355 VniuersalisIudicijtypus: Mirabileconuiuium in
Deserto; Virosfapientespublicismonumentisefecolendos Schemą IL.Numifmatis,
Schemą liv, Gemm . De Smithianagemma.cap.clxii, Animopacatofacrificandum,&
fupplicandum, Fructuumatquefrugum vbertatem concors Schema lij. Gemma.
Concordia,& fidedata,feruataquçmirificam Miles
atrocibellafuperftesinærumnofam incidit inopiam fæpiffime. .369
duobuspiscibusmirifice,cap.clxv. QuartacxplicatioGemmæ,deSacrofan&oEu
Schema lvi.Gemma. cundoadarbitrium,fincracionis guberna cap,clxxi, blica.cli,
Comparantur Numismati de-Lazara duo ali NumiabAugustinopropositi.cap.cliv rá
curba in deserto quinque panibus & ExplicatiovirieruditideVenere,loco,&
C u pidineproponitur, cap.clv. Schema LI, Gemma , De Amore fơecundante
criainferaelementa. cap.clxix. apud homines promoucri bonorum ome niumybercarem
,cap.clx, Şchemalvý,Gemma Belisarij,& Horatijpoetæpaupertas,exinfc
Fortiondinis audar facinus,pro Patrie næ calamitatisfere çoinpar exprimitur.
DigreffiodeCicuræmedicamentis,&veneno. MutijSczuolæRomanigrandefacinus,&
inli- ResponsioLicetideCicutæviribus:& pri mum
,cusnonhabeatvimcxpurgandicor & EucharistiaSymbolum. fixiprædicatoribus
hominum piscatoribus. Schema lv. Gemmila luftriss,loannisdeLazara,cap.clii. 359
De sepulchrorumdifferentijs,& Homericu. Secunda explicatio G e m m æ
,finale iudiciuin mulo, cap,cliii. 364 PoetaComici,Lyriciuelafciuiorisactus,
Schema Ļ.Gemma, Celestium obferuationivacandum animo curis
vacuo,quiescentequecorporeprorsus ExpendunturallarıSchematis imagines,&
sensaViricl.cap.clvi, Aftronomioblernaca,& Aftrologiludicia,vc
exarretieridebcant.cap.clxvii. 398 myftice referentiş.cap.clxiv. 3 9 2
TertiaexplicatioGemmæ ,desaturatainnume dePoerafcuÇomico,feulyricolafciua
fupidoMaria,Terras doAeremfæcundans: carmina pangențe , cap.clviii, gnis erga
Patriam Pictas atquc fortitudo detegiturinGemma cap.clxi. 387 pora çiçuræplanta
:deque duplici genere Cicutarum,cap.clxxii. 413 Sale.
beatmolliendi. cap.clxxviii. etiamproba,plerumque multum nocet fibi , dum
viro coniugi , C u p i d o a u o l a n s a P s y c h c fibi n o n m o r i g e r
a , Amaritudomunuscælitusdatumhumanænaty. raadprocreandasmultasbonasactiones.
Schema lix. Gemma . Q u a t u o r N o u i s s i m o r u m e x p l i c a t i o
in G e m m a D e Mortis memoria , per Anulum Schematis De
secundonouiffimo,quodeftludiciumDei poftobitumhominum ,perperdentiscorum p o f
t l u d i c i u m l u e n d i s a v i t a d e f u n & is p e r perenni poft
obitum , aut purgationem in cælispossidenda,perStellam ,Lunam, & Cicadam
hieroglyphicefignata. 428 PeroratiototiusOperis,Caputvlcimum.440 n quo agitur de Monftris
generatim. Cap. I. ^^^^J^ Onflri varia ftgnijicatio 5 (^^02 propria efi , ac
noflri inflituti^. deteoitHr, Cap. 1 1. Monjlri etymologia vulgaris , quaft res
eventnras monjiret^confiitatidr; vem(^propriaproponttur» Cap.III.
DeMonjlroriimHnmanorumrealiexiHentia, Cap. IV. Realts extftentta Monjlrornm
irrationalium natH- ram non eoredientium patefit, Cap. V. OBenditur in
fiirpibus etiam revera MonBra contingere, Cap. VI De Mon''horHmcauffis generatim
ijtiot ^qu^ecjue fint, Cap. VII. MonflrorumcaujfaHnalis generatim
(jtiQtupLex^qucec^He fit. Cap.VIII,
DeMonflrorumcattffaformaligeneratim,quotuplex^quaquefit, Cap.IX.
DeMoniirorumcaufiaejfetiricegeneratim,quotaplex, qu&quefit» Cap. X. De MonflrorHm
caiifiaeffeflricegeneratimtquotupleXiqucequefit, Cap XI. Propria
Alonfiriffeneratim accepti definitioinvefiigatur» Cap. XII. Inventa Monfiri
definitioexplicatur. Cap.XIII.
Monfridivifioinfuasfpeciesfupremasmtiltiplexaffertur,fedaptior eltgitur,. ^tP
J-tl BBIL INDEX LIBER SECUNDUS. In quo fpeciatim agitur de Monftris
tjumanis. PRAFATIO Attexensdi6iisdicenda^&dkendorumordinempromulgans. Cap.
I. ORige^^canjfdMon^fOYPimh^manorumcommHmsqti<e^ "wplexejfe valeat.
Cap, II. Monftrorum in humana f^ecie mutilorum realis exiftentia ex Uiflo-
ricis elicitur, Cap. III. Origo , (^ prima caujfa monBri uniformis mutili
educitur ex propria materits defe^u. Cap. IV. Secunda caujjfa^ C=f orfgo MonHri
mutili oHenditurejfe ex dehilitate, ac defe^uvirtutis formatricis, Cap.V.
Tertiacaufa,(^origoMonBrimutilijlatuiturinangufiiauteri, acloci f(stum
continentis, Cap.VI.
^uartamutiliMonjlricaujfa^(^origoadmateriaineptitudinemredigitUY. Cap. VIL
Q^inta Mon(iri mutiLicaujja^ (£ origo eft ex parente itidem trunco. Cap. VIII.
Sexta cauffa, (3 origo Monflri mutili admorhumfoetus attinere dicitur, Cap• IX.
Monflramuttlaeximaginationisparentumviexoririnonpojfc Cap. X. Monjiri uniformis
excedentis redis exifientia ex hiHoricis item compro- batur, (tajia,
Cap.XI.Monjiriexcedentisnatura, G?caujfa.primaeliciturexparentumphan- Cap. XII.
Secunda cau^a , (^ origo Monjlri excedentis in materics nimio excejfu ejje
perhibetur. CapXIII.
NonomniaA^fonjlraexcedentiaexmateri^srednndantiaexoririiJed
aliquaexcedeniiumfuicaajfamtertiolocoinunamateriaepenuriaobtinere. Cap.XI V.
^jiarta canfa, (^ oriuo Monjlri excedentis infkperfcetattone collocatur, Cap, X
V. .^inta caujja , ^ origo Monjlri excedentis rejolvitur in iteratam ejfu^
Jionem maternifeminis in uterum citrafispeYfQ^tattonem. CapXVI. Sextacauffa, £?
origo Monjtri excedemis pertinet ad anguHiam uteri„ Cap. XVil. Septima caujfi ,
c^ origo Adonftri excedentis exparentibus monjirofts elicitur. C^p XVIII. OUava
origo , ^ caujfa Monftri excedentis in vitio nutricationis confiftcre
perhibetur„ Cap. XIX. Nona ratto , (^ canfja Monftri excedentis monftratnr in
animipajfio* nibus parentes aJJicientibHS : ex^rciiatio cum Cavdano , (^ Parxo.
, Cap, C A P I T U M. Cap.XX»Decimacaujfa3
(^origoMonjiriexcedentisinviolentafKaternicorpo^ ns concnljione reponimr, Cap.XXI.U/idecimacmjpi,
^origoMon^riexcedentisrefertnradmorhnm foetus, Cap. XXII. Monjlrorum ancipitis
natur^efHbfillentia realis demonflratnr, Cap.XXIII. Jldonftrianctpitisorigo,
C^cauUa.communisinjtntiaturj ermturque prima. ex ?nateriet diverfce dcfe^H, ac excejja.
Cap.XXIV. SecmdaAlondrfancipitisorigo, ^caujjaextiteriangufiia, (^de"
feSiu virtuttsformatricis explicatur* Cap.XXV. Tertia Monjtnancipitisorigo ,
^cau^ainmorhofmtm, ^ffiperfce' tatiom deteqitur^ Cap. XXVI. ^iarta Mon^ri
ancipitis origo , («? caujfa refertur in materi<e ine- ptitudinem,
^iteratammaterntjeminis, (^fanguinisejjluxtoftemaduterum, citra
fiperfostationsm, Cap.XXVII. ^intaMonjlriancipitisorigo,
^caujfadepromiturexparentum - corpore Monjlrojb.
Cap.XXVIII.SextaMonjlriancipitisorigoy C^caujfaexvehemeniiparentum
imaginationei (^ vitio nutricationis in faetu enucleatur^ Cap . XXIX, Mofiflri
ancipitis origo , Cs* caujja feptima reponitur in arte, peccata JSfatura^
imitante, ac nonfine ai^ilio Naturiz operante. Cap,XXX. Mon^ridijformisexiBentiaexhiHoricispromalgatur.
Cap. XX Xh De Monjlri dijformis natura, ^ caujfis ; primaque illius origo refoU
vitur in malam uteri conformationem^ Cap.XXXII.
SecundaMonjlridijformisorigo,&caujfaJpe5latadmalumjitum placenta nuncupatas
: cujus ufns explicatur, Cap.XXX11/,
TertiadijformisMonfhicaujfa,(^origoexmoladepromitur. Cap.XXXIl^,
,^artaMonjiridiffhrmisorigo,(^canjfaofienditurexmotu, Cap. XXXF. ^^inta Monjlri
dijformis origOj (^ caujfa flatuitur imhecillitas fa- cuttatis difcretricis,
Cap. XXXyi. S.exta origo, (^ caujfa Monjiri dijformis ad nimiam materiie vifet-
ditatem rediaitur, Cap. XXXf^lI. Monflrainformia , dehitammemhrorum figuram non
retinentia^^ reipfa inveniri.
Cap.XXXVlIl.DeAdonflrovuminformiumorigine,&caujfa; qu^primlmde» ducitur ex
imbecillitatefacultatis formatricis. Cap.XXXiX.SecundaMonfirtinformisorigo,
(^caujfj,exanguliiautericolli" gitur. Cap . XL. Tertia informium
monfirorum caujfa , (^ origo in motu inordinato repO" nltur„.
INDEX C^p. XLL ^arta informis Monflri origoi^ caufpi d(?prmiturifi mola^
(^ fLicema , tumore utm^concuTYmie virtHtisform^trkn imhcilliime , acmatem
tertceweptimdifie, Cap. XLII. ^inta informis Monflri orlgo j ($' C(^0jj4 ex
imMgimtio^e parmtum vehementiexi^ltcatHr» Cap,XLIH,SexiatnformisMonftricauffa^
^origoinnsonflrofoparentedete* gttMY, Cap.XLIV.SeptimainformisMonjlriorigQ^
^caajfnrefertmadmenflrmYHm fliixum tempore conceptus, Cap. XLV.
MonjirienormisexiHentiapatefit, Cap. XLVL Monjlra enormia^ & omnino monfira
mn ejfe infantcs candidos e fareKtibus JEihioipibws ortos • necviciffm
iEthiopum moremgros e cmdidis: (^decolore Aadromeds. Cap. XL VIL Monflri
enormis origo , ^ caujfa prima ejje in imaginatione paren» tHmperhibetur:
^miiltadeaureocri^re Pythagorse confiderantHr,
Cap.XLVIILSecundaMonfirienormisaureofemorecaujfa, (^origoreponitur tn
exhalationeigneadecorporeviveniis efliMente,
Cap.XLIX.TertiaMonfirienormisameofemorecaufia, ^origorefblvitHYin morbum
regium, Cap. L. ,^ana Monfiri enormiter pilofi caujfa i (^ origo ex craffitiei
(^ fuligi* num copia extruditptr ; ubiplura de cordepilofo Ariftomenis.
Cap.LL,^intaManflrienormiterpilofiorigo, (^cauffaexparentepariterpih» Jo
petenda eft. Cap. LII. Sexta Monflri enormiter Upidefcentis origo , &
caujja ex intempefiei tic materiae ineptttudine dedudtur^ Cap.LIII. Mon^rimuilttformtsineademfpeciefnbfMentiapatefit;
ubidecapi-' le ytrtli ^ mulieris corpori ajfixo -^ ^ de Hermapbrodttts mira
quadam expla" viantur. Cap.LlV.
Monfirimultiformisineademfpecie^muUerisnempeviritecaputha- benits origo ,
ej" cauffa prima ex hetero^e»ea feminis natura educitur j ^ defemi»
nis'Vulgotnwiafculosmutatts; Qfdemnfculisefieminatis, Cap. LV. Secund.4 canfia
ejufdem mo-ftlhi multiformis ^ (^ ori<To excutitur ex de^ jtdu fminis
m^fcpilei Cap- LVI. Tenia Monjiri multiformis in eadsmfpecie origo , (£ cauJfarefertHf
i,id pdrentumimairinMionem. CapLVH.^t^ariuorigo,
(^cauffaMonfirimuliiformisineademfpecieadpa^ rent^s conjimilem natnram attinef,
Cap. L V i I L Monfira mnltiformia ^diverfas animulium fpecies in ecdem ge*
nere proxmoreferemta fnonefie figmsnta ^jed in rernmnatura reperiri» -'-
Cap. C A P I T U M. Cap. LIX. J^donjlYt midtiformis diverfas
animaliHmfpecies in eodem geneYepYO^ ximo referentiSy canjfa^ c^ origo frima
depromitur ex apparentia. Cap. LX. Secmida caujfa, G? origo Jkfanflri , mtiltiplicis
fpeciei animalia referen' tts , ex imbecillitate generantis pendere
demon(lrattir, Cap. LXL Tertia canjfa, Cs* origo Adonflri multiformi animalium
fpecie elicitur ex deirenerata fsminis anima in nattiram alienam. Cap, LXII.
.^arta Aionflri mnltiformis varias animaliam fpecies referentis origo, (^ cmffa
ermtm ex materialifostus principio, Cap. LXIII. ^jtinta Monflri lotimani
hrntalem effigiem habentis orioo , (^ cattjfa ex virtnt is alentis vitio
elicitptr, Cap.LXIV.Ssxtahominismonflroseferinasparteshabentisoritroj
(^caujfain altmentaris materiis. vitio reperitar, Cap,LXV. Septimacanjfa,
(^origoMonflrihitmaniferinameffigiemhabentisex morboelicitur. Cap.LXVI•
O^avacauffa, (^origoMonflrihnmaniybrtitorumejflgieminmem' bris habentiSfjx
imaginatione parentum defttmitHr» Cap. LX V^II. Nona caufja , c^ origo Alonflri
varias animalitim effigies habentis agnofcitnr ex parentzbfis monflrofs, Cap.
LXVIII. Decima catiffa , (3 origo Monflri partes habentisbrtitorum mem-^ bra^
(^ hnmana referentes, explicatur exfeminum miHione, ac nefaria venere. Cap,
LXIX. Dttbitafiones propofltam theoriam. urgentes diluuntur , (3 prima edn^a ex
Ariftotele , alicubi n^gante monjlrtim fieri ex animalibus diverfs fpeciei.
Cap, LXX. AlteradubitatiQ Maniliana, G? Lucretiana diluitur,negans qtiiA
ejfenobiscommunecumferis, (^plantisadinvicem {nam Caftronianam ver^
bistemerefttffttltam,nonautemrationibusinnixam, latedifcujfimusinopett deFeriis
Aitricis Anim3?,difputat. xxv.& xxvi. Cap. LXXl. Tertia dubitatio viri
eximii negantis ex variis fpeciebus poffe ejuid uni tantum parenti congeneum
nafci : Exercitatio cum acutiffimo Delrio. Cap. LXXII . Di^in^le magis
explicatur origo humani monflri ex fera nafcentis, Cap. LXXIII. Vndecima
cauffa, & origo Monfiri y varics fpeciei anirmliumi partes habentis, ex
cacodamonis opera elicitur, Cap. LXXIV. Monflra muhiformia fuijfe conflruUa ex
partibus referentibus animantia diverfl qeneris,
Cap.LXXV.MonflrihttmanimembravHiorumanimaliumhabentisorigo, (^' caujfa prima in
apparentiam refertur. Cap. LXXVL S^cunda Monfira diverp generis origo » (S
cauffa ex imbeciUitatsj vtrtutis generamis colligitur. INDEX
Cap.LXXVII.TertiaMonflridmffigemiorigo, ^emffainMilifatefcrma- tricis repomtnr»
Cap.LXXVI11. ^artacmujfa,c^origoMonflrimnlngemie?cimbecillitatcviv' tmisfeparatricis
dedHcttm. Cap, LXXIX. ^inta caujfa , ^ erigo Monflri multigenei referturad
femims degeneranoncm. Cap. LXXX. Sexta caujfa Monflri poligenii materice
ineptitudo ejfe offenditur. Cap.LXXXI.Septimacaujfa,
^origoMonflrimultigeneidejumiturexdebili- tate virtmis alentisfoetum, Cap.
LXXXII. O^tava caujfa, ^ origo Monflri diverftgenii ex inepto partium alimento
educitur, Cap, LXXXIIL Nona cauffa , ^ origo Monflri multigenii ex morbofostus
ad- ducitur, Cap^ LXXXIV. Decima caujfa, G? origo Monflri multtgenii ex parentum
imagi' natione hauritur. Cap. LXXXV. Vndecima cauflaj Gf origo Monflri diverft
generis adparentes mon^Yofosrefertur, Cap. LXXXVI, Duodecima
cauffa y (^ origo Monflripoligenii habetur infemi- " tiumpermifiione, Cap.
LXXXVII. Decima tertia caujfa originis Medufaei tapitis in ovogallin<s..
Cap.LXXXVIII.Decimaquartacaujfa, (^origoMonjirimultigeniiadvim mali Diemonis
refertur, Cap. LXXXIX. Monftricacodamonis eff.giem referentisexiBentia patefit.
Cap»CX-Monjiricacodamonisejflgiemhabentisorigo, (^caujfaprimadefumi-^ tur ex
parentum imaginatione, Cap.XCI.MonftriDismoniformisalteracaufla,
^origoexplicaturexcauffls prius addu^is. Cap. XCII. Vewv&tio totius operis.Licetus. Fortunio Liceti. Liceti.
Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Liceti” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690416537/in/photolist-2mKGTYe
Grice e
Liguori – implicatura critica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo. Grice: “Personally, my
favourite of Liguori’s metaphors is ‘the abyss of reason,’ since Speranza has
elaborated on this: it’s Gide’s ‘mise-en-abyme’ no less, which breaks my
principle of ‘conversational perspicuity’ – a mise-en-abyme text is just
untextable!” -- Grice: “Liguori has
studied the metamorphosis of language in one of his philosophical noble
ancestors!” “I like Liguori: he has the gift of the gab for metaphor: ‘i
baratri della ragione,” “la fucina del filosofo,” “l’alambicco dell’anima,” “la
condizione del senso” ‘il razionale dello irrazionale” o “le ragione
dell’irrazionale” “le ambiguita della ragione,” “Trasimaco ha ragione”
“Giustizia e carita” Ritratto. Frequenta il liceo classico presso i padri
gesuiti dell’Istituto Massimo di Roma. Studia alla Sapienza. “Scherzi della
memoria.” Si laurea con la tesi “Lo scetticismo giuridico.” Insegna a Lecce ed
Ostuni. Si dedica alla storia della filosofia. Insegna a Bari, Urbino, Ferrara,
Trento, Salento, Torino, Firenze, Lecce, Cassino, Napoli, e Noceto. Con “E il
vero baratro della ragione umana” – cf. H. P. Grice, “Mise-en-abyme
conversazionale” -- viene riconosciuto
come uno studioso di Kant, Graf, Leopardi, e Cartesio. Tratta Positivismo di Sergi, Lombroso, Morselli e Vignoli; dello
scetticismo di Rensi ponendolo in critica relazione tra Leopardi e Pirandello;
ha scritto di de' Liguori e di Benedictis, detto l'Aletino. Collabora con
l'Istituto Italiano per gli Studi filosofici di Napoli. Ha tenuto rapporti
epistolari con Garin, Bobbio, Augias, Binni, Donini, Ferrarotti e Timpanaro. Fonda
ad Ostuni (BR) il Circolo Culturale “Sic et Non”, cui aderiscono e
collaborano note personalità della politica e della cultura quali Donini, Fiore, Radice, matematico e fondatore e direttore di
“Riforma della scuola” e docenti delle Bari, Roma e Lecce. “Sic et Non” si
impegna in complesse battaglie civili come quella per un dialogo tra marxisti e
cattolici, ed altre incombenti questioni sociali come la campagna per il
divorzio. Stringe intese, oltre che con moti uomini politici e studiosi di
chiara fama, con il gruppo dei cattolici del Gallo di Genova e coi fiorentini
seguaci di Giorgio La Pira, i quali si riunivano intorno alla rivista “Testimonianze”
diretta da Balducci e Zolo, nonché con i ragazzi della Scuola di Barbiana,
diretta da Don Lorenzo Milani. Manifesto editoriale del "Sic et Non"
è la rivista Presenza, da lui diretta, che testimonia questa attività politica
allora pionieristica per una piccola provincia del Sud Italia. I sette numeri
pubblicati della rivista Presenza, e altra documentazione di tale impegno
politico, sono attualmente depositati presso la Biblioteca Comunale di Ostuni
(BR) intitolata a Francesco Trinchera e comunque ampiamente documentati
nell'unico libro autobiografico dello stesso autore. Critica e commenti
sull'opera di Girolamo de Liguori Carteggio con illustri studiosi Bobbio: Il
libro mi pare di grande interesse, per l’ampiezza e la serietà della ricerca su
un tema, se non sbaglio, mai scandagliato a fondo, eppure importante
nell'ambito più vasto della storia della filosofia positiva, della critica
letteraria e della cultura torinese (argomento a me particolarmente caro). Sono
convinto che si tratta di un lavoro di prim'ordine, che rende giustizia a uno
studioso e a uno scrittore (e poeta) che è stato sì, ricordato più volte dai
suoi discepoli, ma è stato poi dimenticato dagli storici. Credo che questo
libro sia un effettivo contributo alla migliore di quel periodo della nostra
storia che la cultura idealistica aveva disdegnato: un contributo di cui
soprattutto noi piemontesi dobbiamo essere grati». Sebastiano Timpanaro: «[…]
Mi sembra, e non lo dico per adulazione, ma con piena sincerità, un'opera di
livello davvero eccezionalmente alto, per la caratterizzazione del protagonista
e di tutto il suo ambiente, per tutto ciò che finora ignoto essa porta alla
luce. E’ venuto fuori cosi un lavoro che molto di rado accade di leggere».
Ambrogio Donini: “Mi pare, ad un primo esame, fondamentale per la conoscenza
del periodo ancora poco conosciuto. Apprezzo moltissimo tale metodo di indagine
e la serietà della documentazione. Uno studio di questo genere è certamente
costato decenni di intensa documentazione». Guido Oldrini: ho letto subito il
volume su Arturo Graf così ricco e con non poco profitto. Quando l’autore, in
un punto se la prende con gli storici della filosofia italiana che trascurano il
Arturo Graf, anzi noni menzionano affatto, mi sento in colpa; e tanto più in
quanto io, studioso della cultura napoletana, mi son lasciato sfuggire quei
nessi di Arturo Graf con Napoli che il volume di de Liguori illustra con tanta
passione». Franco Contorbia: “poche volte accade di fare i conti con un libro
così fatto, stratificato, totalizzante; ad apertura di pagina si avverte
l’impegno, il grado di coinvolgimento appassionato con cui lei ha condotto
avanti negli anni una così impegnativa ricerca peculiare, quasi il centro della
sua esistenza intellettuale, il punto di arrivo (e a un tempo di partenza) di
un confronto che è culturale ma anche morale e politico.La qualità di un tale
lavoro, mi pare, fuori dell’ordinario». Donato Valli: «L’autore ha consegnato
alla critica e alla conoscenza uno studio così complesso da poter essere
considerato un esaustivo panorama della cultura del secondo Ottocento italiano
e non solo italiano]». Recensioni di illustri studiosi Paolo Rossi, “L'autore…
ha fatto emergere un quadro ricco e articolato dove accanto alle ombre brillano
alcune luci importanti». Recensione sulla rivista «Panorama» riguardante
il di de Liguori Materialismo inquieto,
edito da Laterza. Cosmacini, «Il lavoro di de Liguori è largamente meritorio
oltreché ampiamente documentato». Recensione uscita su «Il Corriere della sera»
riguardante il di de Liguori
Materialismo inquieto, edito da Laterza. Marti::Dalle appassionate e diuturne
indagini dell’autore su Arturo Graf e il suo tempo è venuto fuori il ponderoso,
massiccio volume, che ho ricevuto come caro e preziosissimo dono. Davvero
lusinghiera la “presentazione” di un grande Maestro come Eugenio Garin, e
accattivante e simpatica l’”Avvertenza”. Tutto il resto è da leggere».
Recensione al volume di de Liguori su Graf, uscita sul «Giornale storico della
letteratura italiana». Corrado Augias: «Quella di De Liguori è infatti una
storia meridionale che parte da una finzione narrativa di gusto classico ma
così classico da poterla ritrovare in alcuni capolavori tanto celebri che non
vale nemmeno la pena di citarli. Saggi:
“Trasimaco ha ragione” (La Rassegna pugliese); “Giustizia e
carità” “fra filosofia e vita” Ivi “Lo scetticismo giuridico di Rensi” (Rivista
di Filosofia del diritto); “Una moderna enciclopedia del sapere, «La Rassegna
pugliese», II“Efirov e la filosofia italiana, «Problemi», “Un Leopardi anti-progressivo”
(Dimensioni); In tema di materialismo comunista, Ivi, “Gioberti e la filosofia
leopardiana -- momenti del conflitto tra l’ideologia cattolico borghese e la
protesta leopardiana” (Problemi); “Un episodio di solitudine. Rassegna di studi
su Graf,” Ivi “Leopardi e i gesuiti -- appunti per la storia della censura
leopardiana, «La Rassegna della Letteratura italiana», Quel povero “Diavolo” di
Graf, «Giornale critico della Filosofia italiana», Le «Scandalose razzie». Scienza,
politica, fede in Graf Ivi, Scetticismo e religiosità in una rivista militante:
«Pietre» in, La filosofia italiana attraverso le riviste, A. Verri, Micella,
Lecce, “La condizione del senso”; “Per
una riconsiderazione della lettura grafiana di Leopardi” «La Rassegna della
Lett. It.», Il mito e la storia” – “Le ragioni dell’irrazionale in Graf,
«Problemi», Quella «dubitante religiosità». Graf e il modernismo, «Giornale cr.
della fil. It.», Doria tra platonismo e riformismo, «GCFI», Il sodalizio
Labriola-Graf negli anni della loro formazione «Studi Piemontesi», Un anti-cartesiano di Terra d’Otranto: Benedictis,
in, Miscellanea di Storia Ligure, Genova); “Materialismo e positivism -- questioni
di metodo” (Facoltà di Filosofia, Bari); “Aletino e le polemiche anti-cartesiane
a Napoli” (Rivista di storia della filosofia); “L’araba fenice: ossia la
filosofia nella secondaria, «Idee», “E il vero baratro della ragione umana” – “Graf
e la cultura” Prefazione di E. Garin, Lacaita, Manduria, “Le ambiguità della ragione” – cf. Grice:
‘the equi-vocality of ‘reason’ Grice: “Liguori has a taste for unnecessary
plurals: the abysses – the ambiguities -- ” -- «Idee», “Per la storia della
psico-fisica in Italia”; “Il materialismo psico-fisico e il dibattito sulle
teorie parallelistiche in Italia -- Masci e Faggi «Teorie e modelli», “Di una
rinnovata attenzione al materialism” (Idee); “Mito e scienza nell’antropologia
e nella storiografia del positivismo italiano”; “La filosofia tra tecnica e
mito, Atti del Convegno della SFI, Assisi, Porziuncola); Dimensioni», Livorno, Materialismo
inquieto. Vicende dello scientismo in Italia nell’età del positivism” (Laterza
Bari); “Tommasi e la filosofia zoologica di Siciliani, Rileggere Siciliani, G.
Invitto e N. Paparella, Capone, LecceI Presupposti epistemologici e immagine
della scienza in Morselli e Graf, Filosofia e politica a Genova nell’età del
positivismo, Atti del Conv. dell’Associazione filosofica Ligure-- Cofrancesco,
Compagnia dei Librai, Genova, pMaterialismo e scienze dell’uomo; Kant e
la religiosità filosofica di Martinetti, iA partire da Kant; L’eredità della
“Critica della ragion pura”, A. Fabris e L. Baccelli. Introduzione di Marcucci,
Angeli, Milano, Materialismo e scienze dell’uomo -- Il dibattito su scienze e
filosofia, Lacaita, Manduria, La fondazione razionale della fede in Martinetti,
Dimensioni, Livorno, Darwinismo e teorie dell’evoluzione nella prospettiva
monistica di Morselli, Il nucleo filosofico
della scienza, Cimino, Congedo, Galatina, L’immagine della donna nel paradigma
positivistico della degenerazione, Morelli. Emancipazione e democrazia, G.
Conti Odorisio, Scientif. Ital., Napoli, La cultura filosofica in Torino, Rivista
di filosofia», Presupposti torinesi della singolarità filosofica di Martinetti,
«Studi Piemontesi», E’ possibile la
storia dello scetticismo?, “Segni e comprensione»”; “ filosofi delle
bancarelle». Per la critica della storiografia filosofica, «Lavoro critico», Il sentiero dei perplessi -- scetticismo,
nichilismo e critica della religione in Italia da Nietzsche a Pirandello, La
città del Sole, Napoli, La reazione a Cartesio in Napoli, Giovambattista De
Benedictis, «GCFI», La revisione della storiografia sul mezzogiorno, «Segni e comprensione»,
Positivismo e letteratura. Antologia di testi, con Introd. e note, Graphis
Bari, La lezione scettica di Rensi, Critica liberale,- La psicofisica in
Italia, La psicologia in Italia, a cura
di Cimino e Dazzi, Led, Milano, Vignoli e la psicologia animale e comparata,
Ivi, Pensatori dell’area torinese --Percorsi», Quaderni del Centro Frassati,
Torino, Il ritorno di Stratone. Per la collocazione del materialismo
leopardiano, in Biscuso e Gallo, Leopardi anti-italiano, Manifesto libri, Roma,
Kant e le scienze della natura -- in margine alle lezioni kantiane di Geografia
fisica, in Filosofia, Lecce, Lacaita Manduria, Cattaneo, Psicologia delle menti
associate, G. de L., Riuniti, Roma, Antropologia, psicologia comparata e
scienze naturali in Vignoli, «Teorie e modelli», Geymonat, Treccani. Antropologia e tassonomia
in Kant. Da Blumembach a Buffon, Atti del Convegno sulla Geo-fisica kantiana,
Congedo Lecce, Antropologia, psicologia comparata e scienze naturali in Vignoli,
«Teorie e modelli», Cronache di
filosofia del diritto in Italia. Sforza e i suoi corrispondenti, in «Quaderni
di Storia dell’Torino», Per Mucciarelli:
positivismo psicologia e storia, «Segni e comprensione», Geymonat e il
“materialismo verso il basso”, GCFI, Il materialismo di Timpanaro, «Critica
liberale», Lettere di Timpanaro a Liguori,
in Il Ponte, Da Teofrasto a Stratone. L’itinerario filosofico di Leopardi,
«Quaderni materialisti», Labriola e Graf -- Principio e fine di un sodalizio di
vita e di pensiero, in Labriola e la sua università. Mostra documentaria per
settecento anni della “Sapienza” Aracne, Roma, A. Graf, Memorie, Introduzione,
commento e cura, “Gli Arsilli”, Edizioni dell’Orso, Alessandria Un catalogo per
Labriola, «Critica Sociologica», Utilità dell’inutile. Dalla elaborazione
concettuale alla programmazione e alla costruzione di un catalogo, «Itinerari»,
I Gesuiti. Le polemiche sui riti confuciani tra l’Aletino e i missionari
domenicani, «Studi filosofici»,Le «imbrogliate bestemmie germaniche». Moleschott
e la medicina materialistica, «Physis», La fucina del filosofo. «Segni e
comprensione», Filosofia teologia e fisica di Cartesio nella Difesa della Terza
lettera apologetica dell’Aletino, «Il Cannocchiale», Liguori e la filosofia del
suo tempo: Spinoza, Bayle, Hobbes e Locke, «Rivista di Storia della Filosofia»,
“Libido Sciendi”. Immagini dell’empietà nell’apologetica cattolica tra Sei e
Settecento (da Magalotti a Valsecchi), GCFI, Scherzi della memoria. Mappa di un
itinerario non turistico tra politica e cultura in una provincia del Sud, Prefazione
di Ferrarotti; Postafazione di Cumis, Salvatore Sciascia, Medicina e filosofia
in Italia tra evoluzionismo e scientismo. Da Tommasi a Morse, «Il cannocchiale»,, L’ ”il lambicco dell’anima”.
Note sul Mind body problem in Italia nell’età del positivismo, in Anima, mente
e cervello. Alle origini del problema mente-corpo, P. Quintili, Unicopoli, L’ateo smascherato. Immagini dell’ateismo e
del materialismo nell’apologetica cattolica da Cartesio a Kant, Le Monnier
/Università, Le sorelle Vadalà. Quattro storie più una, Romanzo con pefazione
di C. Augias Movimedia, Lecce, Pensatori dell’area torinese tra i due secoli,
in Quaderni Noce, Marco, Lungro di Cosenza, Ateismo e filosofia.
Considerazioni sull’ateismo latente nel pensiero moderno e sul rapporto tra
fede e ragione, «Il Cannocchiale», Le metamorfosi del linguaggio nella
controversistica e nella pratica missionaria, Le metamorfosi dei linguaggi, Borghero
e Loretelli, Edizioni di Storia e
letteratura, Roma, Dannazione e redenzione dell'Eros. Soggetti e figure
dell'emarginazione: la donna come oggetto determinante nella invenzione
cattolica del peccato di lussuria in «Bollettino della Società filosofica
italiana», Le cose che non sono, in
«Critica Liberale», Prefazione di E. Garin, Manduria (TA), Bari,
Roma, Lacaita, Gemoynat Treccani, Le Carteggio privato (corrispondenza
autografa) tra Liguori e i singoli autori citati P. Rossi, Viaggio nel Positivismo, in
Panorama, Arnoldo Mondadori, Girolamo de Liguori, Materialismo inquieto.
Vicende dello scientismo in Italia nell’età del positivism, Bari, Roma, Laterza,
Giorgio Cosmacini, Povero medico condannato al materialismo, in Corriere della
Sera, M. Marti, Recensione a I baratri
della ragione in Giornale storico della
letteratura italiana, Le sorelle Vadalà. Quattro storie più una, [Romanzo],
Prefazione di Augias, Lecce, Movimedia. Dannazione e redenzione
dell’eros. Soggetti e figure dell’emarginazione: la donna come oggetto
determinante nell’invenzione cattolica del “peccato” di lussuria di Girolamo de
Liguori Il Cristianesimo ha maledetto la carne, ha infamato l’amore. L’atto
vario e molteplice nei modi, ma uno nel principio, per il quale le creature si
riproducono e a cui gli antichi avevano preposta una della maggiori fra le
divinità dell’Olimpo, è, agli occhi del cristiano, essenzialmente malvagio e
turpe e la malvagità e turpitudine sua possono a mala pena, nella progenitura
d’Adamo, essere emendate dal sacramento. Il celibato è pel cristiano, se non
altro in teoria, condizione di vita assai più pregevole e degna che non il
coniugio e la continenza è virtù che va tra le maggiori. A. Graf1 Abstract The
paper examines the story of Eros, from ancient Greece to the age of
Enlightenment, and tries to underline relevant connections with other events of
thought and religious traditions as well as European popular customs. The
ideological conflict with Christian ethics and Catholic church is particularly
highlighted thanks to a specific textu- al analysis, particularly during 17th
and 18th centuries. Keywords: Subjects and Figures of Marginalization, Woman
Condi- tion, Ethics and Christianity, St. Alphonsus M. de’ Liguori. 1 A. Graf,
Il Diavolo, (nuova ed. con apparato critico, dopo l’originale, Treves 1889, in
sedicesimo) a cura di C. Perrone, introduzione di L. Firpo, Salerno editrice,
Roma 1981, p. 99. Avverto l’eventuale lettore che lo scritto che segue ha
natura meramente divulgativa e di mera indicazione didattica nei confronti dei
docenti di discipline storico-filosofiche. Nasce dall’assemblaggio di appunti
per il canovaccio di uno spettacolo tenutosi a Parma al Teatro del Vicolo il 3
maggio 2013, dal titolo Eros e Poesia. M’è d’obbligo infine rimandare
sull’argomento che qui espongo, agli interventi di alta e corretta
divulgazione, curati per Rai Educational, di Simona Argentieri, Umberto Curi e
Sergio Moravia, in Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche
dell’aprile 1998. 29 1. Raccolta e catalogazione dei materiali Non
partiamo dalla consueta e abusata presunzione ontologica; non di- ciamo che le
cose sono, piuttosto ci limitiamo, cartesianamente, a scoprire in noi il
pensiero e, col pensiero il corpo e la sua capacità di rapportarci ad altri
corpi attraverso quelli che chiamiamo i sensi. Ci hanno preceduto i
sensi sti: nulla è dentro la nostra mente che non ci viene fornito dai
sensi. E così la fantasia, la logica, la ragione, la fede altro non sono che
gli strumenti più raffinati di un corpo tra i corpi (materia) che, come
l’infima creatura che emette pseudopodi, procede dal coacervato all’ameba e
arriva all’uo- mo, cuspide di presunzione, anelito più che sensata pregnanza di
vita.. Non lasciamoci impressionare dai prodotti di questo strumentario
intellettuale: arti, religioni, presenze invisibili, futurologie improbabili,
paradisi perduti o escatologici disegni, virtualità effimere come sogni, denunciate
già dal fol- le di Danimarca una volta per tutte. Sono sirene lusingatrici di
contro al cui canto ammaliante hanno ancora buona validità i tappi di cera
nelle orecchie usati da Odisseo, navigante curioso, per escludere i suoi
compagni2. Qualcuno sostiene che le cose non sono se non create. Qui noi non
soste- niamo l’inesistenza delle cose: in tal caso dovremmo postulare e
ammettere la trascendenza, laddove noi riteniamo l’oltre una autonoma creazione
(se vogliamo mantenere il termine) del nostro pensiero. Abbiamo raggiunto (a
livello di pensiero puro, non certo di pensiero soggettivo) un tale grado di
evoluzione da creare dal niente, come aveva, in termini tutti romanti- ci,
spiegato Fichte enunciando i tre celebri principi della sua dottrina della scienza!
Ma gli sviluppi delle neuroscienze, in particolare, hanno reso sterili tali
tentativi di esplicazione del reale. Idealismo e religione fanno a gara a
rincorrersi nella loro foga di raggiungere la verità eterna! Meglio perciò
rinchiudere i filosofi nel trittico che si sono costruiti con secolare pazienza
della Metafisica, Teodicea e Ontologia. Che farnetichino in eterno sull’ori-
gine dell’anima, sul rapporto col corpo e sul destino futuro della umanità. Si
potrà, una volta sgombrato il terreno dalla zavorra, procedere in modo più
lineare, ordinato ed onesto alla diagnosi del male di vivere: del nascere e
morire. Tolta di mezzo la pretesa razionalità e la scientificità teologica (e
teleologica) con la sua saccenteria, gli strumenti dei sensi come la fantasia,
la fede, la ragione potranno riprendere legittimamente la loro funzione di
guida o di orientamento. Se partiamo dalla nostra “condizione umana” (senza
scomodare Mal- reau) vera e concreta, viene prepotente in ballo, la nostra
sensualità, prima ancora che la nostra sensitività. Avvertiti da Freud, che va
ascoltato con la 2 Vedi quanto scrive, F. Berto, L’esistenza non è logica. Dal
quadrato rotondo ai mondi impossibili, Laterza, Roma-Bari 2010. 30 dovuta
prudenza filosofica, ci accorgiamo facilmente che è l’eros la molla
privilegiata delle nostre azioni o inazioni. Tanto è vero che sul terreno della
storia è con l’eros che il Cristianesimo ha ingaggiato fin dalle sue prime
origini la sua battaglia aperta, dagli erotici furori degli anacoreti fino ai ra-
ziocinanti dogmatismi teologici dei nostri giorni. Conviene delinearne un breve
profilo. 2. Profilo storico dell’Eros in Occidente. Dal mito di Venere a Maria
Vergine È proprio nel mondo romano, e in quella che gli storici designano come
età tardo-antica, che si compie una storica metamorfosi della mitologia pa-
gana: il suo graduale trasferimento da religione delle classi colte e dominanti
a religione dei campi (pagi = pagani), della plebe rurale. Indicativo tra tutti
il passaggio di Venere, dea della bellezza, dell’amore e della fecondità, da un
canto, a quella di Demonio, Lucifero (portatore di luce), stella del mattino,
per i suoi referenti legati alla sessualità, e, dall’altro, a quella della
Vergine Maria, madre di Gesù Bisogna ricordare che mentre avanza il
Cristianesimo, il mito di Roma non solo permane ma, sotto mutate spoglie,
cresce e si svolge fino ai nostri giorni. Perde la sua valenza politica, la sua
forza sugli eventi immediati ma guadagna nell’immaginario. Entra a far parte
del grande patrimonio del- la memoria collettiva. Ma in tale processo, se perde
i suoi caratteri storici, obbiettivi, acquista una rinnovata immagine
fantastica, rispondente alle esigenze delle masse. Soprattutto il Medioevo
trasforma Roma, i suoi dei, la sua cultura in nuova mitologia sincretica, mista
di elementi tradiziona- li e di apporti nuovi conferiti dalle differenti
popolazioni d’Europa, attinti soprattutto alla nuova fede cristiana che diventa
l’amalgama di germane- simo, usanze barbariche, romanità, orientalismi, ecc.
Roma continuava ad avere un suo primato nell’immaginario o mondo incantato dei
miti e delle leggende3, come l’aveva avuto in quello, storico, politico
culturale e civile. Ricordiamo l’accorato rimpianto di Rutilio Namaziano
Fecisti patriam diversis gentibus unam [...] Urbem fecisti quae prius orbis
erat Nella cultura illuministica, tra Settecento e Ottocento, il mito di Roma
si veste di forme neo classiche. Goethe, Winkelmann, e lord George Byron che 3
Cfr. F. Denis, Le monde enchanté,. Cosmographie et histoire naturelle
fantastiques du Moyen Âge, richiamato da Graf, Miti, leggende e superstizioni
del Medio Evo, 2 voll., Loe- scher, Torino 1892-1893. Ma vedi, dello stesso,
Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medio evo, 2 voll., Loescher, Torino
1882. 31 ne fa la patria ideale delle genti Oh Rome! My country! City of
the soul! The orphans of th heart must turne to thee, Lon mother of dead
impires! Tale trasformazione della mitologia classica, porta con sé
naturalmente un radicale cambiamento della maniera di concepire l’amore e di
vivere l’e- ros. L’amore tra uomo e donna acquista differenti valenze e si
prepara quella teorizzazione dell’amore tutto spirituale che verrà dommatizzato
e praticato per tutto il Medioevo e, nella forma più angelicata e sublime, da
Dante al Petrarca, ...quel dolce di Calliope labbro che amore nudo in Grecia e
nudo in Roma, d’un velo candidissimo adornando, rendeva in grembo a Venere
celeste. Dilagheranno per tutta Europa fenomeni di sessuofobia completamente
ignoti alla società greca e latina, quale ad es. il fenomeno dell’ascetismo.
Sorgerà la figura, del tutto nuova e inconcepibile per il mondo classico,
dell’anacoreta e, d’altro canto, l’immagine del peccato prenderà aspetto dia-
bolico orripilante, venendo a popolare tutta una nuova mitologia di presen- ze
infernali che accompagnano e turbano la vita degli uomini del Medioevo. Molte e
varie le rappresentazioni tipiche della diabolicità mostruosa, frutto, in
particolare, del peccato di lussuria, quali il mosaico nel Battistero di Fi-
renze, opera popolaresca di Coppo di Marcovaldo che tanto impressionò Dante
fanciullo, il poema predantesco di Bonvesin della Riva, Il libro delle tre
scritture o il De Babilonia di Giacomino da Verona e i vari “precursori” di
Dante, fino alle allucinate raffigurazioni de il Giardino delle delizie di
Bosch al Museo del Prado4. Ma che accadeva? Venere, scacciata, veniva
ugualmente a tentare gli sciagurati che volevano sfuggirle, quali monaci ed
asceti; e, come ci ricorda sempre Graf, «invadeva le loro celle ugualmente,
immagine vagheggiata e detestata a un tempo». Siamo nell’epoca delle
tentazioni. Ecco l’autorevolis- sima testimonianza di San Girolamo, il grande
dottore della Chiesa, autore indiscutibile della Volgata, l’edizione ufficiale della
Sacra Scrittura, in una sua lettera alla vergine Eustochia: 4 Si ricordi, P.
Villari, Alcune leggende e tradizioni che illustrano la Divina Commedia,
«Annali delle Univ. Toscane», t. VIII, Pisa 1866, pp. 153 e sgg. Soprattutto,
A. D’Ancona, I precursori di Dante, Sansoni, Firenze 1874, p. 52, in
particolare. Per ulteriori e dettagliati riferimenti, cfr. il mio, I baratri
della ragione. A. Graf e la cultura del secondo Ottocento, prefazione di E.
Garin, Lacaita, Manduria 1986, pp. 228-248. 32 Oh quante volte, essendo
io nel deserto, in quella vasta solitudine arsa dal sole, che porge ai monaci
orrenda abitazione, immaginavo d’essere tra le de- lizie di Roma! Sedeva solo,
piena l’anima d’amarezza, vestito di turpe sacco e fatto nelle carni simile a
un Etiope. Non passava giorno, senza lagrime, senza gemiti e quando mi vinceva,
mio malgrado, il sonno, m’era letto la nuda terra. [...] E quell’io, che per
timor dell’inferno m’era dannato a tal vita e a non avere altra compagnia che
di scorpioni e di fiere, spesso m’im- maginava d’essere in mezzo a schiere di
fanciulle danzanti. Il mio volto era fatto pallido dai digiuni, ma nel frigido
corpo l’anima ardeva di desideri e nell’uomo, quanto alla carne già morto,
divampavano gli incendi della libidine5. E qui l’iconografia sacra ha lavorato
sul santo, riempiendo di San Giro- lami, atteggiati in guise diverse, tele,
altari, absidi, pale, trittici per tutto il medioevo e il Rinascimento. Da
Dürer a Caravaggio, da Cima da Conegliano a Masolino, da Masaccio a Tiziano,
dalle tentazioni di Giovanni Girolamo Savoldo al Perugino, fino alla
compostezza gotico-geometrica di Antonello, ecc.Si assiste ad una evoluzione
storica dell’eros, che si arricchisce, per così dire, dell’idea stessa del
peccato. Simboleggiato dal frutto proibito, l’atto carnale tra Adamo ed Eva nel
Paradiso terrestre viene stigmatizzato come “peccato originale”, una sorta di
marchio che da quel momento in poi mac- chierà ogni creatura. Homo vulneratus
est naturaliter, sanziona definitiva- mente San Paolo! Anche se la dottrina
della chiesa troverà il modo di recu- perare in positivo quella ferita, quella
malattia costituzionale, con il concet- to dell’agape, nel quale l’eros si
diluisce in amicizia includente la mediazione del Cristo. Ma la cosa più sorprendente
è che Venere, simbolo dell’amore carnale, cantata da Lucrezio, poeta epicureo,
come colei che presiede alla bellezza della fecondazione sia di piante che di
animali, e perciò come voluttà d’uo- mini e di dei, subisce nel corso della
storia differenti e impensabili metamor- fosi. Da un canto, come quasi tutte le
divinità pagane, trapassa a popolare la mitologia cristiana di nuove figure
positive e negative, arrivando a iden- tificarsi dapprima con il Demonio in
persona, poi con la stella portatrice di luce, (Lucifero, angelo caduto e
stella del mattino); infine, fattasi mite e mise- ricordiosa, gradualmente
perdendo i suoi più accesi caratteri erotici di beltà voluttuosa, assurge
addirittura al ruolo di Maria Vergine, concepita senza peccato, Madre di Gesù,
figlio unigenito di Dio! Siamo di fronte a un feno- meno storico noto agli
storici e agli antropologi come sincretismo religioso 5 Trad. fedele di Graf da
S. Gerolamo, Epistolae, II, 22, 7, in Patrologia latina, a cura di J.-P. Migne,
Parigi 1879-1970, vol. XXII, pp. 398-399. Cfr. A. Graf, Il Diavolo, cit., pp.
99-100. 33 per cui le divinità pagane continuano una loro vita, si
direbbe più dimessa e quasi nascosta, nei pagi, nelle campagne tra la povera
gente, trasformandosi, e sovente confondendosi, coi santi e le divinità della
nuova religione cristia- na. Ne è un esempio la favola di Tanhäuser, il
cavaliere francone di cui la dea Venere si innamora6. È nel mondo romano in
sfacelo che gli dei di Roma si avviano alla loro metamorfosi (quello che non era
accaduto agli dei ellenici). Da un canto si rintanano nei pagi, nei campi, tra
la povera gente di campagna e ne conti- nuano a propiziare raccolti, a
combattere carestie ad aiutare la gente misera nelle quotidiane disgrazie che
affliggevano gli umili e gli indifesi; dall’altro lato, in questa storica
trasformazione, raccolgono in loro tutto il male ese- crabile del mondo antico:
il turpe, il diabolico, l’illecito, il peccaminoso del mondo romano di origine
greca. Soprattutto l’osceno (ciò che è dietro alla scena e, pertanto, non è
visibile) e il sensuale nei rapporti amorosi. Gli dei pagani si trasformano
così in demoni. Si passa dalla celebrazione dell’amore fisico, cantato dai
poeti, da Ovidio, Catullo (i neoteroi) a Tito Lucrezio Caro, che lo inserisce
nel fluire e divenire dei fenomeni naturali, alla definitiva divaricazione
della sessualità dall’amore spirituale, come aspetti di una pas- sionalità di
differente e contrapposta natura. Si ricordi l’inno a Venere di Lucrezio:
Aeneadum gentirix, hominum divomquae voluptas, Alma Venus, caeli subter
labentia signa quae mare navigerum, quae terras frugiferentes, concelebras, per
te quoniam genus omne animantum concipitur visitqae exortum lumina solis; Ma
ecco come espone Arturo Graf, storico dei miti romani nel Medio- evo, la
sottile trasformazione degli dei di Roma (quelli stessi che Virgilio, guida di
Dante, aveva chiamati, falsi e bugiardi) in divinità o potenze demo- niache
cristiane: I numi che avevano avuto altari e templi non muoiono, non dileguano,
ma si trasformano in demoni, perdendo alcuni l’antica formosità seduttrice,
ser- bando tutti la gravità antica, accrescendola. Giove, Giunone, Diana,
Apollo, Mercurio, Nettuno, Vulcano, Cerbero e fauni e satiri sopravvivono al
cul- to che loro era reso, ricompaiono fra le tenebre dell’inferno cristiano,
in- gombrano di strani terrori le menti, provocano fantasie e leggende paurose.
Diana, mutata in demonio meridiano, invaderà i disaccorti troppo obliosi di lor
salute, e la notte, pei silenzi dei cieli stellati, si trarrà dietro a volo le
6 G. Paris, Legendes du Moyen Age, Hachette, Paris 1903, dove esamina la storia
e la dif- fusione della leggenda (La légende de Tanuhäuser). Fonte delle
varianti della stessa leggenda resta Guglielmo di Malmesbury (XII secolo). Vedi
Graf, Il Diavolo, cit., pp. 143 e sgg. 34 squadre delle maliarde,
istruite da lei. Venere sempre accesa d’amore, non meno bella demonio che dea,
userà negli uomini l’arti antiche, inspirerà ardori inestinguibili, usurperà il
letto alle spose, si trarrà fra le braccia, sot- terra, il cavaliere Tanhäuser,
ebbro di desiderio, non più curante di Cristo, avido di dannazione7. 3.
Scienza, filosofia e fantasia: il pensiero femminile e la ”teoria e pratica
della dimenticanza”. Il rapporto latente tra il sapere e il credere Ogni
proposta gnoseologica parte opportunamente da quelle ben note premesse che
Galileo autorevolmente chiamava le “sensate esperienze”, an- che se le poneva
in relazione con le “certe dimostrazioni”. Così, prudente- mente procedendo,
ogni teoria della conoscenza, pur restando legata alla dimensione
esperienziale, per così dire, non escludeva né poteva escludere l’elaborazione
successiva di ipotesi con l’ausilio della fantasia, della fede, dell’intuizione
oltre che della facoltà razionale con la quale da sempre la mente umana ha
provato ad elaborare i portati sensoriali, di volta in volta vari e complicati.
Proviamo a valutare, ad esempio, non le nostre idee, o i nostri elaborati
razionali ma alcuni particolari sentimenti o pulsioni come l’amore, l’eroti-
smo, o, addirittura, la poesia con cui ci accostiamo ad una persona o ad uno
scenario naturale quale, che so? la volta celeste di kantiana memoria. Gli eroi
greci per comprendere una verità nascosta, scendevano nell’Ade, entravano nel
regno imperscrutabile delle ombre. Da altra prospettiva, sub specie feminae, da
quel che oggi chiamiamo «pensiero femminile», ci viene incontro, spalancandoci
una diversa rinnovata visuale, un modo solitamen- te desueto di scrutare
l’imperscrutabile. Abbiamo davanti un continente dissepolto, il nostro Ade,
tutto da esplorare. È così che – s’è detto e sostenuto da parte delle donne –
«le poesie vivono delle voci narranti che, appassiona- tamente, riflettono su
un passato da abbandonare»:8 Quel che sembrava finito Era nascosto entro i
luoghi del cuore... Da tale prospettiva, in conclusione, «per giungere a tanto
bisognava scen- dere all’Ade», come fa il viaggiatore Odisseo: «provare i
dolori più cupi e le delusioni più cocenti a cui seguono le esperienze».
S’entra così nell’universo del senso fantastico senza ripudiare la possibilità
razionale di elaborare non 7 A. Graf, Il Diavolo, riedizione cit., pp. 52-53. 8
Utilizzo in questo paragrafo, frammettendone brani a mie riflessioni e
commenti, il testo originale inedito, cortesemente messo a mia disposizione,
dalla filosofa della mente G. Bussolati, Teoria e pratica della dimenticanza.
35 più ciò che è nei sensi ma quanto ribolle nella fantasia. Un esempio
potrebbe fornircelo il Leopardi dell’infinito laddove dalla esperienza
sensibile (la sie- pe, il vento, lo stormir delle foglie) che non si lascia
elaborare razionalmente, sale, quasi spinozianamente, ad un sapere più
complesso: una sorta d’amor dei intellectualis che s’apre al mistero sia della
poesia che dell’amore... ...E come il vento odo stormir tra queste piante, io
quello infinito silenzio e questa voce vo comparando e mi sovviene l’eterno e
le morte stagioni e la presente e viva e il suon di lei.... E, ancora, entrando
nel campo intricato del male di vivere, addirittu- ra nelle patologie del
comportamento, delle ossessioni, delle schizofrenie, laddove ci siamo chiesti,
con l’angoscia nel cuore, se questo è un uomo, pro- viamo a proporre la teoria
e pratica della dimenticanza: l’obliviologia. È cer- to come un lavoro di
scavo; ma non abbiamo da riportare al celeste raggio nessuna sepolta Pompei;
non procediamo, in senso freudiano, a rimestare nella memoria, nel sogno,
recuperando oggetti rimossi, tutt’altro. L’oggetto è diventato uno scheletro
che va dimenticato, ritenuto per non posto: mai esistito. La dimenticanza è
dapprima una sola pratica; quasi l’abitudine a dimenticare le chiavi di casa.
Poi assurge a tecnica e, infine a teoria e pratica dell’oblio. Corre, in un
certo senso, parallela alla terapia farmacologica del sonno, indotto da dosi
opportune di psicofarmaci. Si tratta di togliere le fissazioni tramite la
dimenticanza: di riportare il conosciuto agli elementi puri ma allo scopo di
favorire un intervento di maggior forza ectoplasmica sugli oggetti e sugli eventi
esterni, e per eliminare il noto processo di invec- chiamento e, infine, di
morte mentale. Scendendo al piano sperimentale, abbiamo cancellato i
sovraccarichi delle impressioni mnemonizzatrici e fatto sparire le figure
retoriche fanta- smatiche, i “mostri” o “giganti” che si fissano e si ripetono
continuamente, oberando la mente affralita. Dimenticare diventa così l’ausilio
migliore del vivere senza alcun sforzo il presente. Non è la panacea, non si
raggiunge il Nirvana; non si recuperano paradi- si perduti. Si vive
riconquistando un più corretto rapporto col corpo, i sensi, la natura. La
memoria deve servirci, non turbarci. Se è una soffitta ingombra rischia di
confonderci nel suo disordine; dobbiamo far pulizia perché la vita va vissuta
non sopportata E arriviamo infine a una considerazione alquanto complessa ma di
facile comprensione. Quella stessa nostra propensione che chiamiamo fede altro
non è, finanche nella sua forma più umile, che sempre e soltanto costruzio-
36 ne della ragione, in quanto ogni fede presuppone sempre un giudizio
della ragione. Da tale considerazione deriva la plateale conseguenza che la
fede non è altro, alla fin fine, che la nostra visione più o meno razionale
della realtà; pertanto quella fede nel numinoso e nel fantastico che è la fede
re- ligiosa dei fedeli e che alla nostra razionalità più sofisticata ripugna, è
solo un puro e semplice equivoco, imposto dall’educazione, dalle convenzioni e
mai può derivare dalla nostra libera scelta intelligente che in tal modo si
contraddirebbe9. Credere, altro non è che atto razionale; in quanto, rigoro-
samente, non c’è fede senza il sostegno della ragione. Ma, ci si chiede, fino a
che punto? Il limite è il sano buon senso. Oltre c’è la follia e l’assurdo; ma
follia, sempre ed esclusivamente della ragione stessa, unico vero soggetto di
quanto chiamiamo fede! 4. Emarginazione femminile e non. La donna da oggetto a
soggetto di pensiero Da differente angolatura l’oggetto del mistero che
chiamano la verità, si svela gradatamente, di sotto il velame delli versi
strani. Del resto, a ben pensare, quando penso, penso al maschile, ho sempre
pensato al maschile. La storia, la civiltà tutta, occidentale e orientale,
hanno pensato soltanto al maschile. Non solo: per secoli, il vero, il bene, il
bello sono stati visti, si al maschile, ma ancora nella implicita
insignificanza oltre che della donna, di altre figure sociali di grande
rilevanza: del bambino, del disadattato o del diseredato o escluso dalla
comunità, dell’alienato o del demente. Interi uni- versi come continenti
inesplorati si sono schiusi appena abbiamo provato a visitarli. Erano emersi,
nella dannazione dell’inferno dantesco, nei mosaici e negli affreschi
allucinati di Coppo, nei battisteri, nelle chiese medioevali, nelle
allucinazioni di raffiguratori fantasiosi fino al paradosso come in Bo- sch o
in Goja, nei racconti favolosi delle mitiche origini di intere popolazio- 9
Cfr. P. Martinetti, Scritti di metafisica e di filosofia della religione, a
cura di E. Agazzi, Ed. di Comunità, Milano 1976, vol. II, pp. 470-475, dove tra
l’altro si legge: «Anche la filo- sofia è [...] sotto certi rispetti una fede;
in quanto essa è uno sforzo verso l’unità sistematica che in ogni grado
raggiunto si pone come una visione definitiva della realtà; ciò che non può
fare che trasformandosi in una fede razionale; la fede nella dottrina kantiana.
D’altra parte la fede comune non è assolutamente irrazionale; è una razionalità
adatta alla mente comune, ma è una forma di razionalità; non v’è sistema di
dogmi così assurdo che non tenti subito una razionalizzazione [...] Ogni
esposizione d’un sistema di filosofia è, sotto questo riguardo, l’esposizione
di una fede [...] Non ha quindi ragion d’essere la contrapposizione della
ragione e della fede (come qualcosa di irrazionale): la fede è l’espressione
stessa di una formazione razionale; ogni grado della vita razionale in quanto
si esprime, si fissa e diventa una realtà operante, è una fede». Più analitica
esposizione della questione si trova nel mio, Ateismo e filosofia.
Considerazioni sull’ateismo latente nel pensiero moderno e contempora- neo e
sul conflitto tra la fede e la ragione, «Il Cannocchiale», I (2011), pp. 32-34.
37 ni, tramandate oralmente nei miti e nelle leggende che correvano per
l’Eu- ropa come fiumi carsici, uscendo di tanto in tanto al “celeste raggio”,
dove l’oblio di secoli li aveva segregati....Soltanto oggi cominciamo a
prenderne consapevolezza, filosofica e scientifica: scopriamo un nuovo
continente spe- culativo, il pensiero al femminile come rinnovato modo di
guardare la vita, la storia, la natura. Proviamo a riandare di qualche secolo
addietro. Le cosiddette scienze umane ci si erano accostate per via di quel
loro par- ticolare porsi dalla prospettiva del diverso, ma solo l’assurgere di
quell’og- getto alla dignità di soggetto pensante e determinante trasforma del
tutto la prospettiva. La partecipazione del femminile come quella del diverso,
del disadattato alla ricerca della verità completa veramente il mondo storico
della cultura portandolo al suo stadio più alto, fuori da ogni gilepposo pa-
ternalismo o indulgente concessione caritatevole. Del tutto trascurati o
stipati alla rinfusa nella soffitta anodina della eru- dizione, alcuni sprazzi
di consapevole disponibilità al diverso erano emersi già nel passato, in ambito
borghese progressista, presso spiriti particolar- mente sensibili. Ma restava
un fatto isolato che non ha vissuto significanza o storicità. Sentite questa:
siamo nel 1898: E dei disadattati all’ambiente non è giusto parlar con tanto
disprezzo. Ol- trecché esercitano alcune funzioni non esercitate dagli altri,
essi sono un lievito sociale utile e necessario; tengon viva nell’organismo
collettivo un’inquietezza nemica delle stagnazioni prolungate, e non avvien
mutazio- ne alla quale in qualche maniera non cooperino [...] che se i geni
fossero pazzi davvero [...] bisognerebbe riconoscereche i più disadattati fra i
disa- dattati, quali son per l’appunto i pazzi, resero alla misera umanità più
di un buon servigio. Da altra banda è da considerare che un perfetto
adattamento all’ambiente farebbe gli uomini supinamente contenti e tranquilli e
porte- rebbe fine al moto della storia, per la ragione potentissima che chi sta
bene non si muove. Lo direi il vademecum per l’onest’uomo del nostro tempo! Ma
molto an- cora resta da fare: e questa è la vergogna del nostro tempo. La
chiesa cat- tolica ad es., che ha chiesto, solo di recente, con un pontefice
tormentato e disponibile al dialogo, perdono al mondo islamico, ha ancora da
chiedere scusa alle donne, ai bambini, alle coppie di fatto, agli omosessuali,
agli atei, agli agnostici, agli scienziati onesti e laici che dalle dottrine e
dai dogmi della chiesa vengono quotidianamente offesi, respinti e vilipesi.
38 5. I libri proibiti e il rapporto sessuale come “peccato” contro il
sesto precetto del Decalogo Tra i compiti primari che si assunsero al loro
tempo gli apologisti catto- lici e i controversisti, figura subito in primo
piano quello della lotta ai libri proibiti, che è come dire a tutta la prodizione
libraria moderna. Prendo an- cora ad es. emblematico il santo teologo moralista
e dottore autorevole della Chiesa: Alfonso de Liguori. Ne La vera sposa di Gesù
Cristo10, a dimostrazio- ne di quanto possa essere pericolosa la lettura in
genere, sconsiglia alle Mo- nache addirittura lo studio sia della Teologia
Morale che di quella Mistica. Parimenti libri inutili ordinariamente sono, ed
alle volte anche nocivi per le Religiose, i libri di Teologia Morale, poiché
ivi facilmente possono inquie- tarsi con la coscienza oppure apprendere ciò che
lor giova non sapere. An- che nociva può essere a taluna la lettura dei libri
di Teologia Mistica, giacché può essere che ella si invogli dell’orazion
soprannaturale, e così lascerà la via ordinaria della sua orazione solita, in
meditare e fare affetti, e così resterà digiuna dell’una e dell’altra. Vige,
come una sentenza inappellabile, il motto lapidario di San Paolo: Sapienza
carnis inimica est Deo. L’amore del sapere viene paragonato ad un vizio, alla
libidine sessuale: libido sciendi11. Circa i classici del pensiero che pur
contengono delle verità, si domanda con San Girolamo: «Che bisogno hai di andar
cercando un poco d’oro in mezzo a tanto fango, quando puoi leggere i libri
devoti, dove troverai tutt’o- ro senza fango?». La lettura è importante,
fondamentale anche alla via della salute, ma ha dei rigorosi limiti. Quanto è
nociva la lettura de’libri cattivi, altrettanto è profittevole quella de’buoni
[...]. Il primo autore de’libri devoti è lo Spirito di Dio; ma de’li- bri
perniciosi l’autore n’è lo spirito del Demonio, il quale spesso usa l’arte con
alcune persone di nascondere il veleno, che v’è in tali suoi libri, sotto il
pretesto di apprendersi ivi il modo di ben parlare, e la scienza delle cose del
mondo per ben governarsi, o almeno di passare il tempo senza tedio. Con
determinate categorie di persone, l’esclusione si fa radicale. Alle suore
scrive così: Ma che danno fanno i romanzi e le poesie profane, dove non sono
parole 10 Cito dall’ed. Remondini, Bassano, del 1781, pp. 112-121. 11 Vedi
l’uso di tale espressione nella denuncia controversistica cattolica
(aristotelica) della filosofia cartesiana e moderna nel saggio di chi scrive,
«Libido sciendi». Immagini dell’empietà nell’apologetica cattolica tra Sei e Settecento
(Dal Magalotti al padre Valsecchi), «Giornale critico della filosofia
italiana», III/1(2007), pp. 53-85. 39 immodeste? Che danno voi dite?
Eccolo: ivi si accende la concupiscenza de’ sensi, si svegliano specialmente le
passioni, e queste poi facilmente si gua- dagnano la volontà, o almeno la
rendono così debole, che venendo appresso l’occasione di qualche affezione non
pura verso qualche persona, il Demo- nio trova l’anima già disposta per farla
precipitare12. Contro il risveglio delle passioni e contro “la concupiscenza
dei sensi”, i controversisti scagliano i loro dardi infuocati e avviano le loro
sottili disqui- zioni teologiche su quanto vada considerato peccato mortale. Ed
è questo un fardello che la chiesa si porta dietro così come uno ster- corale
si rotola la sua palla di escrementi. L’ossessione del sesso: la cura me-
ticolosa con cui si prova da secoli a disciplinarlo, legittimarlo,
canalizzarlo, evirandolo della sua essenza: la ricerca del piacere e
costringendolo alla sola funzione riproduttiva. Ci serviremo non di un semplice
scrittore di opere di pietà ma di un autorevole moralista della chiesa
cattolica, santo per giunta, dottore della chiesa, uomo di grande pietà e
d’erudizione: che Croce defini- va il più santo dei napoletani, il più
napoletano dei santi. Ecco cosa scrive il nostro moralista sul sesto precetto
del Decalogo e in che modo espone le sue precauzioni con cui anticipa una
minuziosa tratta- zione di quanto potremo chiamare la fattispecie del peccato
mortale. Il peccato contro questo precetto è la materia più ordinaria delle
Confessio- ni, ed è quel vizio che riempie d’Anime l’Inferno; onde su questo
precetto parleremo delle cose più minutamente; e le diremo in latino, affinché
non si leggano facilmente da altri che dai confessori, o da quei sacerdoti che
in- tendano abilitarsi a prendere la Confessione; e preghiamo costoro a non
leg- gere né in questo né in altro libro di quella materia (che colla sola
lezione o discorso infetta la mente) se non dopo tutti gli altri trattati e
quando ormai sono prossimi ad amministrare il Sacramento della Penitenza13.
Affronta perciò subito lo scabroso tema della fornicazione, e dei rapporti
carnali con l’altro sesso con minuta casistica sessuofobica: de tactibus, de
muliebre permittente se tangere, an puella oppressa teneatur clamare, an pos-
sit unquam permittere sua violationem, de aspectis, de verbis, de audientibus
verba turpie, ecc. Ma non manca di precisare: Ante omnia advertendum, quod in
materia luxuriae (quidquid alii dicant de levi attrectatione manus foeminae,
vel de in torsione digiti) non datur par- vitas materiae; ita uti omnis
delectaio carnalis, cum plena advertentia, et consensu capta, mortale peccatum
est. 12 La vera Sposa di G.C., 1760, pp. 113-121. 13 A. M. de Liguori, Istruzione
e pratica per li Confessori, Giuseppe Di Domenico, Napo- li, MDCCLXV, I, p. 333
e sgg., anche per le citaz. successive. 40 Il pio moralista, scaltrito
nella casistica giuridica, sa che bisogna scende- re nei minimi particolari per
trovare la situazione peccaminosa: se grave o lieve o poco rilevante o,
addirittura, del tutto inesistente; perciò distingue gli atti sessuali compiuti
nel matrimonio o extra matrimonium. In situazio- ne extra coniugale, tutti i
toccamenti, oscula et amplexus ob delectatione, mortale sunt. Vi sono numerosi
casi dubbi da esplicitare: ne va di mezzo la salute delle anime, calate in
situazioni mondane sempre diverse e comunque sempre a stretto contatto con le
tentazioni della carne. Ad es., la donna o il fanciullo non peccano se si fanno
toccare secondo la consueta pudicizia dettata dalla simpatia o dalla buona
affettuosa disposizione; peccano invece se non si op- pongono a contatti
impudichi, o a baci insistenti (morosis) e furtivi. E anco- ra: la fanciulla
aggredita allo scopo di usarne violenza è tenuta a urlare ad se liberandam a
turpitudine? Nel caso non invocasse aiuto con la dovuta forza e insistenza lo
stupro si cambierebbe facilmente in consenso peccaminoso. Ma la questione resta
controversa se debba ritenersi consenso il non aver gridato o invocato aiuto,
secondo un’antica sentenza per la quale, praesume- batur puella non clamans
consentiente (p. 335). Perviene infine a definizioni accurate degli atti turpi,
differenziando quelli compiuti naturalmente da quelli innaturalmente. Ecco la
definizione di fornicazione e di concubinaggio, quali peccati mortali:
Fornicatio est coitus intersolutos ex mutuo consensu. Concubinatus autem non
est aliud quam continuata fornicatio, habita uxorio modo in eadem vel alia
domo; [e quella di stupro, come:] defloratio virginis ipsa invita, et ideo
praeter fornicationis malitiam habet etiam injustitiae. Attraverso una
minuziosa casistica quasi boccaccesca, buona – si direb- be - ad arricchire la
documentazione erotica di un romanziere libertino, il moralista passa in
rassegna le svariate forme di rapporti sessuali, da quelle legittime a quelle
addirittura più strane e peregrine, come l’accoppiarsi in luogo sacro, quali
una chiesa, il cimitero, l’oratorio, il monastero, ecc. Pone addirittura questioni
dubbie sulle maniere e le condizioni in cui tale rap- porto potrebbe
verificarsi. Pur ammettendosi il peccato, sorge la questio se si tratti o meno
di sacrilegio. Ad es. «an copula maritalis, aut occulta abita in Ecclesia, sit
sacrilegium?» Vi si potrebbero emanare tre sentenze differenti: una che ritiene
irrilevante la condizione di coniugi, un’altra la situazione occulta (che
l’abbiano fatto di nascosto) e una terza che ritiene essere sacri- lego l’atto
in ogni caso. Addirittura se si tratta di marito e moglie, secondo alcuni
teologi, l’atto consumato in chiesa potrebbe essere scusato, si ipsi sint in
morali necessitate coeundi, puta si ipsi in pericolo continentitiae, vel si diu
in Ecclesia permanere debeant. 41 Il lettore ne trae l’impressione che l’autore
(più che dietro suggerimenti letterari coevi) vada ad estirpare direttamente
dalla vita, dalle lussuriose esperienze dei peccatori, dalle situazione più
impensabili, apprese nelle lun- ghe ore passate al confessionale ad ascoltare
ed a sollecitare le confessioni più intime dei fedeli, tutte le forme, i modi
che la secolare ricerca del piacere ha suggerito di epoca in epoca all’uomo,
dalle più rozze e volgari maniere di accoppiamento fino alle più raffinate arti
di amare e trarre godimento che proprio i libertini del secolo XVIII andavano
perfezionando e praticando in forme sempre più sofisticate. La stessa lingua
latina – ma qui dovrebbe- ro dirla i linguisti – si fa molto particolare fino
all’uso di neologismi non presenti nei classici. Parlando della sodomia
distingue quella propriamente detta da quella impropria ed eterosessuale Coitum
viri in vase praepostero mulieris esse sodomiam imperfectam, specie distinctam
a perfecta. Si quis autem se pollueret inter crura aut brachia mu- lieres, duo
peccata diversa committeret, unum fornicationis inchoatae, alte- rum contra
naturam. An pollutio in ore fit diverse speciei? Affirmant aliqui, vocantque
hoc peccatum irrumantionem, dicentes quod sempre ac sit pollutio in alio vase
quan naturali, speciem mutat. Sed probabilius sentiunt [...] quod si pollutio
viri sit in ore maris est sodomia; si in ore feminae, sit fornicatio inchoata,
et in super peccatum contra naturam ut mox diximus... Arriva addirittura ad
ipotizzare il coito cum femina morta, che non rien- trerebbe nella fattispecie
dei rapporti bestiali ma nella polluzione e in quella che Alfonso chiama
fornicatio affectiva (p. 343). 6. Dalla sessuofobia all’erotismo peccaminoso:
Cortigiane poetesse e libertini filosofi. L’Eros redento Prendiamo due secoli di
storia molto emblematici: il Cinquecento e il Settecento. Dall’Italia delle
corti signorili alla Francia della grande rivolu- zione. Due secoli in cui
l’Eros vive una sua storia illustre, tra cortigiane raffinate poetesse e abati
filosofi e libertini. A dirla franca alla sua maniera sull’eros e a dargli
veste poetica disinibita, ci pensa subito Pietro Aretino: ma sempre da una
angolatura tutta maschile. Nonostante si salvi la dignità della partner che qui
giuoca un ruolo attivo di co-protagonista del rapporto amoroso, in cui l’atto
sessuale si trasforma in una sticomitia drammatica non priva di poetica
oscenità. Soltanto nel petrarcheggiare delle cortigiane, come la soave Veronica
Franco che riceve sotto le sue lenzuola di tela d’O- landa finanche Enrico III
di Valois, la donna trova finalmente il suo primo vero riscatto sul maschio,
con un suo modo raffinato (di alto erotismo) di 42 pilotare la barca
dell’Amorosa Dea; ad esse, tra principi, sovrani, alti prela- ti, pontefici
gaudenti, spetta il compito di riscattare dall’eterna dannazione l’Eros e
fargli recuperare il valore perduto col trionfo del Cristianesimo. Un recupero,
tutto al femminile, del paradiso perduto. Così canta il suo ufficio amoroso,
guidato da Apollo, la dolce Veronica. Febo che serve a l’ amorosa Dea E in
dolce guiderdon da lei ottiene Quel che via più che l’esser Dio il bea, A
rilevar nel mio pensier ne viene Quei modi che con lui Venere adopra Mentre in
soavi abbracciamenti il tiene. Ond’io instrutta a questi so dar opra, Si ben
nel letto, che d’Apollo all’Arte Questa ne va d’assai spazio di sopra E il mio
cantar e ‘l mio scrivere in carte S’oblia in chi mi prova in quella guisa Ch’a
suoi seguaci Venere comparte. Nel Settecento, cui ora vogliam far cenno, sia
pur per sommi capi, le cose stavano in modo ben differente da come ce le hanno
rappresentate quando a scuola ci hanno spiegato quel periodo. I libri del
Marchese de Sade rap- presentano, ad es., una nuova filosofia morale e non sono
la pura e semplice invenzione di tecniche erotiche pervertite, come comunemente
si crede. I recenti studi hanno sfatato quella immagine del divin marchese. “La
filo- sofia deve dire tutto”, egli ha affermato: tutto senza ipocrisie e
fingimenti. Egli non fu né il primo né il solo a sostenere i diritti della
carne, che grida la sua legittima soddisfazione contro le assurde costrizioni
della cosiddetta civiltà. Il celeberrimo sadismo: ricerca del piacere
attraverso il godimento per la sofferenza del partner, ha ben altre origini che
le sole discendenze da Sade. Bisognerebbe intanto rifarsi alle meticolese
ricerche di Jenny Skipp, dell’U- niv. di Leeds, che ha schedato tutti i testi
erotici inglesi del ‘700 scoprendovi come l’uso educativo della frusta e le
sculacciate a pelle nuda sui ragazzi, era praticato dai gesuiti in chiave
educativa e correttiva, ma finiva per confinare molto spesso con l’erotismo
portando addirittura all’orgasmo vero e pro- prio. Nacque un termine:
“orbinolismo” che vuol dire “smania di frustare” (Cfr. Rodez, Memorie storiche
sull’orbinolismo, 1760). Né si dimentichi, oltre la pratica, anche l’elogio
cattolico, presso non solo l’ordine dei gesuiti ma anche di Scolopi e
Salesiani, fatto in termini pedagogici della frusta e della sua frequente
pratica a scopi educativi e correttivi: virga tua et baculus tuus salus mea
fuerunt!.... A tali osservazioni sul costume del secolo va aggiunto che la
proverbia- le sporcizia che caratterizzava il ménage domestico dell’epoca anche
tra 43 le famiglie nobili e abbienti, non era poi così generalizzata. Soprattutto
le donne avevano introdotto l’uso davvero innovativo dell’erotico bidet (che ha
la forma di violino e, al tempo stesso, quella dei fianchi femminili) che
permetteva loro di mantenere igiene e pulizia in quelle parti del corpo che ne
avevano più bisogno. A tal proposito restano molto istruttive le pagine dei
romanzi erotici e libertini, tra i quali spicca Restif de La Breton con il suo
Anti Justine dove si nota l’uso frequente e generalizzato di tale strumento da
toilette, prima e dopo gli incontri amorosi.. Perciò, una volta sfatata
l’immagine stereotipata del Settecento illumi- nistico, astrattamente
razionalista, irreligioso e dai costumi depravati, pro- viamo a riguardare
sotto diversa luce e angolatura, libere da pregiudizi e remore moralistiche e
confessionali, la letteratura erotica e d’amore di quel secolo che, oltre
tutto, fu di Mozart, di Kant, di Bach, oltre che di Voltaire, di Rousseau e di
Goethe e ci lasciò in eredità non soltanto la grande rivoluzione dell’89 ma
anche quella che fu la più colossale e universale summa di sapere moderno:
l’Enciclopedia, ovverosia dizionario ragionato di tutte le scienze, le arti e i
mestieri contro la quale pullularono subito una serie di Anti-Enciclo- pedie
anche da noi in Italia per porre un argine all’avanzata di quelle idee di
libertà e di progresso civile. Il ricordare Leopardi è qui d’obbligo: Così ti
spiacque il vero, dell’aspra sorte e del depresso loco che natura ci diè, per
questo il tergo vigliaccamente rivolgesti al lume che il fe palese... Insomma
lo zelo sessuofobico, la guerra dichiarata all’istinto sessuale porta il
sacerdote, il ministro del culto cattolico, il confessore a scendere nei
particolari della vita sessuale singola e della coppia, sia entro che fuori del
matrimonio: a scoprire i più segreti momenti dell’intimità delle coppie fino a
scrutare e distinguere, entro le fantasie erotiche più raffinate, i comporta-
menti più o meno peccaminosi, cioè conformi a canoni tutti da verificare di
volta in volta (casistica). Una sorta di filo invisibile lega pertanto il pio
cen- sore al libertino e al peccatore o la peccatrice (lo denuncia la stessa
corrente espressione possessiva: il” mio” confessore!) tanto da diventare
complemen- tari, avvincersi in un legame indissolubile fino a non poter più
fare a meno l’uno dell’altro14. Ma il legame tra religiosità e libertinismo,
così come tra l’erotismo e la religione cattolica in particolare, si fa sempre
più stretto fino a dipendere l’uno dall’altro: come, in regime capitalistico,
domanda e offerta. Il cattoli- 14 Cfr., infine, “L’Asino” di Podrecca a
Galantara e le critiche positivistiche e anticlericali alla morale alfonsiana,
Feltrinelli, Milano 1970 (Reprint), pp. 78-79. 44 cesimo deve
disciplinare a suo modo il sesso e, in genere, tutta l’attività e la fantasia
umane; l’eros deve trovare entro una nuova coscienza storica la sua rinnovata
voluttà. Ecco allora il piacere stesso trovar vie differenti rispetto al
piacere degli antichi, allor quando quella ricerca non veniva combattuta, non
era un tabù, anzi era apprezzata come uno dei più ambiti doni della na- tura.
Vengono a far parte del piacere anche i marchingegni e i sotterfugi per eludere
le prescrizioni correnti e i limiti che le norme religiose impongono
dall’esterno. Finanche i pregiudizi - siano di ispirazione cattolica o meno -
diventano materia di raffinato erotismo. L’esecrabile peccato della lussu- ria,
prodotto tipico del Cristianesimo, diventa perciò stesso fonte di piacere (la
Jouissance illuministica), proprio perché vietato e esecrato: soprattutto
quando l’atto viene compiuto di nascosto, cogliendo quello che è diventato,
dopo la mitica cacciata dal Paradiso terrestre, il frutto proibito, il godimen-
to raggiunto di soppiatto e contro la legge o la morale corrente perciò più
seducente e ricercato per la sua illegtittimità! La letteratura è piena zeppa
di esempi e finisce per produrre un genere di scrittura narrativa particolare
che chiamiamo “erotica” o “pornografica”: di libri che s’han «da leggere con
una mano sola», un genere che non si spiegherebbe prima del cristianesimo e
della dannazione dell’eros e del piacere e che va dai canti carnascialeschi al
Decamerone, al Ruzante, all’Aretino, ai poeti dialettali: da Alvise Baffo,
veneziano, al grandissimo Belli, romanesco, al dimenticato Domenico Tem- pio,
siciliano (nato a Catania nel 1750) per arrivare alla letteratura erotica del
romanzo libertino francese in cui confluiscono le innumerevoli forme e modi di
estraniazione, di sogno, di fuga dalla realtà che delineano l’universo fantastico
che sarà la base della letteratura romantica europea e soprattut- to del
romanzo e della grande narrativa ottocentesca e contemporanea, da Balzac a
Flaubert, a Hugo a Dumas, dal romanzo russo al nostro Manzoni, a Zola, a Verga
alla miriade dei narratori dei nostri giorni15. In conclusio- ne, ma in una
maniera tutta nuova, possiamo ritenere avesse davvero visto giusto il grande
saggio napoletano Benedetto Croce, quando affermò che “non possiamo non dirci
cristiani”: se persino l’erotismo è stato – malgré lui - influenzato e
raffinato dal cristianesimo. Se ne stanno accorgendo anche in Francia dove
nacque la letteratura libertina e la illuminata filosofia del piacere: dal
materialista La Mettrie all’esecrato marchese De Sade16. 15 Emblematico, per
quanto qui si va rilevando, il romanzo libertino, non ancora tradot- to, D.A.F.
de SADE, Alina et Valcour, ovvero il romanzo filosofico (1788-1795). 16 Cfr.,
la Mostra: BNF, L’Enfer de la Biblioteque Nazionale. Eros au secret, Paris, 2
dic. 2007-22 mar. 2008. Ricco di 58 titoli, è venuto alla luce un significativo
numero di opere e autori soltanto nel 1983 ad opera di specialisti che li vanno
pubblicando e illustrando. In- tanto segnalo l’originale antologia da: J. O. de
La Mettrie e D. Diderot, curata da P. Quintili, L’Arte di godere. Testi dei
filosofi libertini del XVIII secolo, Manifestolibri, Roma 2006.Girolamo de
Liguori. Liguori. Keyword: “Associazione Filosofica Ligure” – Keywords:
implicature critica, ‘… is the true abyss of human reason” – “il baratro della
ragione conversazionale” – l’anima distilata – il lambicco dell’anima”,
redenzione dell’eros, la lussuria, la degenerazione, la metamorfosi dei
linguaggi – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753408938/in/dateposted-public/
Grice e
Lilla – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Francavilla Fontana).
Filosofo. Grice: “I like Lilla; for one, he ‘revindicated,’ as he puts it, the
philosophy of Vico, which, in Italy, is like at Oxford ‘revinidcare’ Locke!”
Formatosi nelle scuole dei Padri Scolopi aderì alle idee cattolico liberali divulgate
dai filosofi della prima metà dell'Ottocento: Gioberti, Minghetti, Balbo e
Rosmini al quale dedicherà molteplici studi subendone una marcata influenza.
Lascia Francavilla per l'ostentata contrarietà di tutto il clero alle sue idee patriottiche d'ispirazione
giobertiana, manifestate apertamente nel "Programma d'insegnamento
filosofico" pubblicato sul giornale il "Cittadino leccese",
decise di trasferirsi a Napoli ove ebbe modo di confrontarsi con le idee di
Sanctis, Spaventa, Settembrini, Tari e Vera. Si laurea e insegna a Napoli.
Durante questi anni videro la luce "La provvidenza e la libertà
considerate nella civiltà", "Dio e il mondo", e "La
personalità originaria e la personalità derivata" (Nappoli, Tip. Rocco), nei
quali getta le premesse degli studi filosofici e giuridici in cui si cimenterà
per tutta la vita: la storia della filosofia, la filosofia teoretica e la
filosofia del diritto; sviluppando altresì e precorrendo una moderna concezione
del rapporto tra "diritti umani e progresso scientifico" sin da “La
scienza e la vita” (Torino, Tip. G. Borgarelli) -- titolo paradigmatico del suo
saggio – cf. Grice, “Philosophical biology,” “Philosophy of Life” Insegna a
Messina. Furono quelli gli anni più fecondi della produzione scientifica volta
a perfezionare la sua concezione dello Stato, approfondire le fonti rosminiane,
confrontarsi con le teorie evoluzionistiche di Spencer e contemporaneamente
intrattenere contatti epistolari con alcuni fra i maggiori filosofi, giuristi,
patrioti e storici dell'epoca quali:
Jhering, Bluntschli, Roy, Tommaseo, Capponi e molti altri. Saggi: “Kant
e Rosmini” (Borgarelli, Torino); “Aquino” (Torino, Borgarelli); “Filosofia del
diritto,”“Critica della dottrina utilitarista liberale empirica etico-giuridica
di Mill”“Le supreme dottrine filosofiche e giuridiche di Vico ri-vendicate” --
“La pretesa persona giuridica e le funzioni personali degl’enti morali” (L.
Gargiulo); “Della Riforma civile di Spedalieri” (Messina, Amico); “Le fonti del
sistema filosofico di Serbati-Rosmini” (L.F. Cogliati); “Due meravigliose
scoperte di Rosmin-Serbatii: l'essere possibile e l'unità della storia dei
sistemi ideologici, L.F. Cogliati, Il Canonico Annibale Maria Di Francia e la
sua Pia Opera di beneficenza, Messina, San Giuseppe, Manuale di filosofia del
diritto, Milano, Società editrice , Pagine estratte. G. Martucci, Il concetto dello stato Antonio Tarantino, Diritti umani e progresso
scientifico: Polacco, La "Filosofia del diritto” (G.B. Randi); “Filosofia”
(Milano, Giuffré); Tarantino, “La filosofia della giustizia sociale, Milano”
(Giuffré) – cfr. H. P. Grice, “Social justice” in “The H. P. Grice Papers,”
Bancroft, MS. In occasione del conferimento della "Cittadinanza onoraria
(di Messina) alla memoria, su nettuno press.Tarantino, Diritti umani e
progresso scientifico: emeroteca.provincia.brindisi. Martucci,Il concetto dello
stato, su emeroteca.provincia.brindisi.
Treccani, su treccani. Lettere a Jhering. UN FRAMMENTO INEDITO di
G. B. VICO non accordabile col supremo principio della Scienza Nuova
Ilmiolavoro G.B.Vicorivendicato»meritòl'onoredi essere preso in considerazione
dai due più competenti degli stu dii vichiani, ed al giudizio dei competenti
bisogna dare gran peso, perchè effetto di conoscenza bene approfondita sopra un
determinato autore, specialmente se si mira ricostruire la mente di G. B.
Vico.Questi scrittori sono Luigi Ferri (1)e Vito Fornari i quali si trovarono
in pienissimo accordo, tanto da far supporro che fosse effetto di un concetto
prestabilito.L'accordo fu pie nissimo nella prima parte del lavoro di carattere
puramente critico e riconobbero che la rivendicazione delle dottrine filoso
fiche e giuridiche da tutte le fallaci interpetrazioni fatte in Europa Rivista
Italiana di Filosofia; anno XII, Vol. 2. (1) « Quando gli opuscoli hanno
un valore così notevole come quello qui sopra indicato del prof. Lilla , è
giusto segnalarli all'attenzione degli studiosi piuttosto che i volumi di gran
molo o di poca sostanza. Questo lavoro dice molto in poche pagine e il suo
intento è questo: rivedere i giu dizi che sulle dottrine del Vico sono stati
portati in Italia , in Germania e in Francia particolarmente, ricostruire
dietro indagino esatta il concetto di questa dottrina e questo intento ci pare
raggiunto. Il Vico non è sem plicemente un ontologista platonico, come parrebbe
dal giudizio del Gio berti,nè un razionalista kantiano,o piuttosto un
precursoredelKant ,co mesembravaaBertrando Spaventa,nèunpositivistacomo
furappresentatoda altri.Questi apprezzamentirisultaronodall'interpetrazioneparzialeesoggetti
va di qualche parte dei pensieri filosofici del Vico che nelle sue opero non
sono esposti in ordine sistematico , e che l'autore di questo lavoro con grande
dili genza raccoglie e combina riferendo le formole e le parole proprie dell'autore
della scienza nuova sparse nei moltiplici suoi scritti. » era
esauriente e condotta con criterii elevati. La mia interpe trazione sulla vera
mente di G. B. Vico (1)fu riconosciuta vera ed adeguata tanto che il Fornarì
mostrò vivissimo desiderio di veder fecondare quelle supreme linee con
svolgimenti ed appli cazioni. Dominato da tale pensiero concepii il disegno di
scrivere un lavoro di lena, mirante ad un triplice scopo di rivendicare,
illustrare, ed integrare la mente dell'autore della « Scienza Nuova»
Atalescopoindirizzaituttelemiericercheattingendo sempre maggiori lumi dalle sue
opere edite ed inedito e fin anche dai manoscritti che si conservano
gelosamente nella bi· blioteca Nazionale di Napoli. I grandi genii, e
segnatamente il Vico che, come non ha guari, fu appellato da un poderoso
intelletto di una delle più famose Università il più grande filosofo del mondo,
muovono da una idea madre fecondissima ed alla quale rannodava tutte le idee
secondarie e particolari. Uvità ed armonia cioè perfetto organismo è la nota
caratteristica del lavoro dei sommi.Ed io vado riunendo non poche idee per
ricostruire su solide basi quest'opera di architettura gigante e le mie
indagini non ric scono infruttuose, e ne è prova evidentissima questo frammento
inedito dal titolo « Pratica della Scienza nuova . » Non poche censure mosse la
turba dei filosofanti al Vico perchè s'ispirava a concezioni idealistiche
negligentando la pra tica della vita. Tale critica presenta apparenze di verità
tanto che il Vico stesso no rimase impressionato,ma raffrontando dot t r i n e
a d o t t r i n e si c o g l i e il g e n u i n o e l o r o v e r o s i g n i f
i c a t o . L a g r a n d o idealitàdiquestamassima
«lastoriaidealeeternadellenazioni» (1) « Il Lilla ha liberato la dottrina del
Vico da tutte le fallaci inter petrazioni. La sua dottrina che mi pare giusta,
merita di essere più larga mente svolta. » Nel volume delle Onoranze; pag.
29. -4 è una vera esagerazione , e chi si addentra nella
parte riposta del sistema Vichiano si accorgerà che non si possa ascrivere ad
essa une perfetta interpetrazione astratta e specialmente raffrottandola colla
psicologia sociale che sta a base del processo del filosofo napoletano. Bisogna
por mente innanzi tutto alle tre fasi che percorre l'umanità nella sua storica
evoluzione; età del senso, della fantasia, e della ragiono. E molto più alla
dottrina del corso e ricorso delle nazioni, cioè al loro periodo d'infanzia, di
giovinezza e di vecchiaia. Valga ciò a smentire l'assoluto idealismo del Vico
ilquale è puramente immaginario. Tutta la seconda Scienza nuova è derivata
dalla psicologia sociale evoli tiva e tutti i diritti, i costumi, le religioni,
le costituzioni p o litichedeglistatisonoemanazionidiquesto principio.Nelprimo
stadio tutto è divino, gli uomini inselvatichiti hanno un diritto
divino,tuttoprocededagliDei;ilGoverno teocraticorappresen ato dagli oracoli, la
lingua divina per atti muti di religiose cerimonie. In Giove e Giunone si
personifica ciò che si riferisce agli auspicii ed alle nozzo: laGiurisprudenza
è scienza d'inten d e r e i m i s t e r i d e l l a d i v i n a z i o n e ; il
g i u d i z i o d i v i n o , c i o è c h e n e i templi divini,tutte le azioni
sovo invocazioni agli Dei :ogni dritto è divino,ogni pena è sacrificio, ogni
guerra assume carat tere religioso ed ha giudici gli Dei : od il giudizio di
Dio si riduce a duello ed alle rappressaglie : tali categorie sono sim
boleggiate dal lituo, dall'acqua e fuoco sopra un altare. Seguo poi un ordine
di fatti eroici da cui deriva la natura eroica, o dei nati sotto gli auspicii
di Giove, il costumo eroico como quello di Achille, il governo civico o
aristocratico o dei for tissimi, la lingua eroica o delle armi gentilizie o
stemmi.I ca ratteri eroici come Achille ed Ulisse, che personificano tutte le
grandezze e i savii consigli. La giurisprudenza eroica, che stà nella solennità
delle formule della legge, la ragione di stato -5 conosciuta
dai pochi provetti del governo , il giudizio eroico che consiste nell'esatta
osservanza delle formule e precipua mente deriva il feudo dalla proprietà dei
forti. Infine c'è un or dine di fatti umani, cui corrisponde la natura umana
intelligente e perciò benigna,modesta, che riconosce per legge lacoscienza, la
ragione, il dovere, e poi il costume officiale, indi il diritto umano fondato
dalla ragione, il governo umano dettato dalla ragione,lalingua umana, Abbiamo
motivo di credere che il Vico impressionato dalle obiezioni dei contemporanei
vollo dichiarare il supremo princi pio della Scienza Nuova , cioè la storia
eterna ed ideale delle nazioni con questo frammento e senza addarsene
disconobbe l'efficacia positiva della Scienza nuova. Egli dotato di
mente speculativa, pratica e progressiva, non si poteva mai acconciare a
vivere di formule astratte e di umana , il parlare articolato , i
caratteri in telligibili, che la mente umana rivelò dai generi fantastici se
parando le forme e le proprietà dai subietti. La giurisprudenza umana che mira
non al certo, ma alvero delle leggi. L'auto rità umuna che nasce dalla
rinomanza di persone capaci e sa pienti nelle agibili ed intelligibili cose ,
la ragione umana 0 ragione naturale che divide a tutte le uguali utilità. Il
giu dizio umano velato di pudore naturale e mallevadore della buona •fode che
ai fatti applica benignamente le leggi temperandone ilrigore.E
questifattihannoancheilorosimbolinellabilanciache rappresenta le qualità civili
nelle repubbliche popolari, perchè la natura ragionevole è uguale in tutti gli
uomini. Questi tre ordinidifatti riposanointreprincipii, chesono:iltimore,
l'amore , il dolore, simboleggiati dallo altare, dalla pace e dal
l'urnacineraria,ecosì sifondarono loreligioni, imatrimoni e l'immortalità
dell'anima.In questiconcetti siriassume tutta la seconda Scienza nuova. 1 -6 )
(1) Rispettaro tutto quanto i nostri maggiori operarono di grande è la
disposizione più favorevole a quest'opera di conciliazione, ma perchè il ri
spettonon portiadelleideeesclusiveenonsoffochilalibertàdeinostri giudizi verso
lo scopo ultimo della scienza, avvicinata a questo scopo la pro duzione più
perfetta dell'uomo , ci rivela la sua imperfezione , in questo modo
èriconosciutalanecessitàdell'Ideale,perchè fossecriticatoemiglio rato il
presente. Nello spirito del Diritto Romano. -7 puri concetti metafisici,
poichè il processo inquisitivo che egli seguiva aveva un fondamento storico e
dava origine ad un temperato e ragionevole positivismo, pel quale non si poteva
disgiungere la scienza dalla vita.Egli ben vedeva che la scienza fuori la vita
era una vana supellettile intellettuale ,> un giuoco dialettico del pensiero
e non punto proficua al beninteso pro gresso delle nazioni. Esiste un ideale di
perfettibilità , supe riore , ma non indipendente dalla vita , verità questa
intuita dall'antesignano della scuola storica tedesca,da Savignys,ilquale era
ammiratore passionato delle istituzioni giuridiche romane nelle quali vedeva la
più alta manifestazione del progresso giu ridico. Ma fatto maturo di anni e di
senno confessò apertamente che per quanto possono sembrare perfette le
istituzioni romane, pure comparate all'idealità mostrano la loro
incompiutezza.(1) IlVico gittò le basi di una vasta costruzione scientifica
fondata nel processostorico– filosofico.E dàbiasimoaldivorziofraquesti due
processi metodici, in questa memoranda sentenza « Pecca rono per metà i
filosofi perchè non accertarono le loro idee coll’autorità dei filogici;
peccarono per metà i filologi perchè non inverarono la propria conoscenza
coll'autorità dei filosofi». La storia ci rivela il certo, l'origine, le fasi o
gl'incrementi degl'istituti politici, sociali giuridici, e la filosofia rivela
l'ele mento razionale e addita le perfezioni ideali, cui si possono
inalzare;veritáquestaintuitadaBaconedaVerulamin «Ifilosofi, >
dic'egli, scoprono molte cose belle a contemplarsi, ma impossi bile ad
essere attuate, ed i giuristi ragionanı) come prigionieri nelle catene » (1)
Alla mente del Vico si affacciò, un dubbio che poteva presentare questo supremo
principio della scienza studiossi ripararvi con questo frammento inedito. «
Tutla quesť opera è stata ragionata come una scienza puramente spe culativa
intorno alla comune natura dello nazioni:peròsembra per quest'istesso mancare
di soccorrere alla prudenza umana, ond'ella si adoperi perchè le nazioni, le
quali vanno a cadere o non ruinino affatto , o non s'affrettino alla loro ruina
ed in conseguenza mancare nella pratica , qual dev'essere di tutte le scienze ,
che si ravvalgono d'intorno a materie , le quali dipendano dall'umano arbitrio
, che tutte si chiamano at tive. > Anche nella coscienza dei grandi vi sono
delle oscil lazioni sulle loro concezioni. Il Vico nel fram . citato , dice che
la scienza pratica non si possa dare dai filosofi, ma i filo sofi civili e i
reggitori degli Stati possono creare costituzioni politiche e leggi, e
richiamare le nazioni al loro stato di perfe
zione.Nientedipiùvero:lenazionietuttoilmondo moralo creato dall'arbitrio umano
non può ridursi a categorie logiche, non può essere sottoposto alla legge
ferrea della necessità, e quindi la scienza puramente contemplativa o ideale
non può contenere nella sua orbita le leggi relative dei fatti umani. Se
quest'ordine è indipendente dalla necessità logica, può essere (1) Qui do
legibus scripserunt, omnes vel tanquam Philosophi, vel tan quam Jureconsulti,
argumentum illud tractaverunt. Atque Philosophi pro. ponunt multa dictu pulcra
, sed ab uso remoto. Jureconsulti autem ,suae quisque patria legum , vel etiam
Romanorum , aut Pontificiarum placctis
abnoxüetaddicti,judiciosincerononutuntur,sedtanquam evincolis sermocinantur.
Tractatus de dignite et augmentis scientiarum ; VIII, # -8- nuova, 7 >
7 9 solo regolato o disciplinato dalle scienze pratiche ed attive e
non dall'ordine puramente scientifico. Nel capitolo VIII della seconda Scienza
nuova pare che il Vico incorra in un'incoe renza, in quanto si propone di
trattare di una storia eterna sulla quale corre di tempo la storia di tutte le
nazioni con certo originiecerteperpetuità,e poidico chelescienze pratiche
possonoregolarelavita.Ma comesipuòparlared'unastoriaeterna, sulla quale sono
modellate le storie di tutte le nazioni se il mondo morale, con tutti i suoi
fattori , procede dall'arbitrio umano ? Questo ardito disegno del Filosofo
Napoletano racchiude un pen siero riposto. Questa Storia eterna delle nazioni,
modellatrice, esemplatrice di tutte le storie delle nazioni è uno dei più
grandi problemi della Scienza Nuova, che è assai bisognoso di com menti
illustrativi ed esplicativi. In questo capitolo si nasconde una speculazione
alta, e, dirò meglio, vertiginosa. Qui il Vico si rivela come idealista , o
meglio tale appare , poichè nello stabilire un ideale comune a tutte le nazioni
pare che proceda con un metodo astratto e formale, cioè como un ideale fanta
stico di pura creazione del cervello. Parvenza vana inganna trice! Ad un
pensatore meditativo apparisce,com'è infatti, una dottrina a fondo realistico ;
essa non è generata ma è ricavata da uno studio coscienzioso ed accurato dei
fatti. Il diritto naturale delle genti è reale quanto la natura umana, ed è la
fonte di questa dottrina. Secondo la mente del Vico non si potrà revocare in
dubbio l'esistenza d'un dritto naturale, comune a tutti i popoli. Cotal
diritto,comune a tutte le nazioni, ricavasi dalla psicologia sociale , la quale
ci attesta la natura comune sociale dei popoli. Questo argomento
comparativo trova la sua conferma nel fatto irrecusabile che questo diritto
comune,patrimonio di tutto lç genti, non poteva essere stato trasferito o
comunicato da p o polo a popolo, perchè fra loro non vi era,nè era
possibile nes suna comunanza di relazione.(1)Ponendo mente all'esistenza di un
diritto naturale identico a tutti, o perciò universale e necessa rio,non si può
negare un sicuro fondamento all'esistenza d'una sto ria eterna nella quale corrono
di tempo in tempo le storie di tutte le nazioni. Il diritto é uno, come uno è
il tipo umano. Nella varietà dei costumi dei popoli vi è qualche cosa che non
va ria nè si trasforma : dunque uno è il diritto, ed una è la storia ideale
delle nazioni , la quale è fondata sull'unità del diritto. Dunque dalla
medesimezza del costume, sigenera ildirittona turale,e da ciò nasce ildisegno
di una storia eterna delle na zioni Concetto ardito e profondo, poichè in tanto
è possibile una storia eterna ed ideale, in quanto vi è un tipo unico nel di
ritto e nel costume. I grandi genii hanno il presentimento di certe verità che
poscia approfondite dalle venture generazioni acquistano piena coscienza.
Questa divinazione del Vico oggi è rifermata dalla analisi comparativa degli
istituti giuridici e politici , e questa scienza divinata dal Vico è una delle
più belle glorie dei nostri tempi, a cui un forte ingegno siciliano addisse il
suo ingegno e ne abbozzò il primo disegno. E qui si adombrano le prime lince di
un metodo armonico fra il vero e il fatto, fra la Filosofia e la Storia La
Storia dei costumi deve emanare da due cause coefficienti:dall'ordine reale e
dell'ordine ideale,e così si avvera ilgran principio del Vico che « verum et
factum recipro cantur » Ma l'ordine ideale per non essere una chimera deve (1)
Ideo uniformi nate appo interi popoli fra essi loro non conosciuti, debbono
avere un motivo comune di vero. Scienza nuova,libro I. Dignitá XIII.
10 avere un'origine per quanto rimota,ma sempre realistica, non è
fantasmagorico, ma ricavato,o meglio osservato nell'elemento comune che
presenta il costume dei popoli,e perciò non è in fecondo e sterile,ma proficuo
alla vita. (1)Questo branoètoltodalcapitolo * Incoerenze di Giambattista Vico
> del mio lavoro inedito: La mente del Vico rivendicata, illustrata e inte
grata. A riassumere la dottrina giuridica di G. B. Vico è
indispensabile determinare i principi fondamentali dell» scuola
storico-filosofica da Ini splendidamente rappresentata. La
Scienza Nuova è lu riprova più sicura della «lenominazione apposta ; iu
quel lavoro di archi¬ tettura gigante si vede adombrato il disegno
del¬ l’armonia fra i principii razionali e il fatto sto¬
rico. La psicologia sociale è il substratum delle leggi,
delle religioni, delle lingue e di tutti gli altri ele¬ menti della
civiltà. In quella filosofia della storia contenuta in germe la filosofia
del diritto positivo, perchè le costituzioni civili, sociali e politiche
sono conseguenza necessaria della vita, della cultura e dei costumi
delle varie nazioni. Egli divide in tre grandi periodi la storia
civile delle nazioni, cioè l’età del senso, della fantasia e •Iella
ragione, e tutti i fattori deH’incivilimeiito, dalla religione alla
lingua, da questa alla giurisprudenza c infine alla politica rispecchiano
fedelmente le im¬ magini e i caratteri di quei tre grandi
avvenimenti '‘tarici. Anche nell’opera, De universi iurte et prtn-
ùfno et fine uno le ricerche del diritto filosofico som» accompagnate
dall’indagine storica e innumerevoli fi 2
TEORICA DI VICO applicazioni fa al diritto romano, da cui poi si
eleva ai supremi principii giuridici. Questo sapiente
indirizzo trova la ragion di es¬ sere in quel supremo pronunziato del «de
antiquis¬ sima Italorum sapientia » che « verum et factum re-
eiprocantur ». Il fatto adunque deve procedere di conserva col vero,
altrimenti si cade o nel forma¬ lismo astratto o nell’imperiamo
gretto. 2. E con questo criterio il Vico dà biasimo ai filosofi
ed ai filologi; mancarono per metà i filosofi perché non accertarono le
loro idee con l’autorità dei fi¬ lologi, e mancarono per meta i filologi
perchè non avverarono le loro idee con l’autorità dei filosofi. Il
vero e il fatto sono due termini convertibili, e, perchè convertibili,
l’indagine storica trova la sua vera integrazione nei principii di
ragione, e questi hanno il loro fondamento nell’ordine dei fatti
bene accertati. Storia e Ragione sono adunque i due fattori
del diritto filosofico^ e, quando si scinde il fatto dal vero, si
avrà del diritto un’idea esclusiva, incompiuta, o fallace. 3.
Il diritto, secondo il Vico, è un’idea umana, vale a dire un principio
ideale e storico, o meglio un principio ideale che si attua nella storia;
e tanto è vero ciò che mette radice nell’ordine eterno del¬
l’eterna ragione o dell’eterna volontà in quanto prescrive alia volontà
umana Vaequo bono. Secondo questa dottrina il diritto deriva da
due cause coefficienti, cioè : l’utile e l’eterna ragione ; l’una
dà la forma e l’altra la materia: «Utilità» fiiit occasio iuris, honestas
causa». Tutto ciò ri¬ sponde esattamente allo spirito del sistema
vichiano; infatti la plebe, insorgendo contro il patriziato, con¬
quistava i propri diritti, eppure era mossa dalla DigitizedbyGoOgle
TEORICA DI VICO 63 molla dell’interesse
; sicché il progresso morale e civile delle nazioni era occasionato dalle
passioni, «lagli interessi, i quali contribuivano a far ricono¬
scere i principii razionali: « Quao vis veri sen liu- mann ratio virtus
est quantuin cum cupiditate pu- gnat. Quantum utilitates diligit et
exquat, quao nnum universi iuris principium unusque iincs » (1).
L’utile non è per sè stesso né onesto nè turpe, ma pnò divenire
l’uno o l’altro quando è o confonne o disforme alla giustizia.
Ecco dunque come il diritto ha l’anima e il corpo, la materia e la
forma, ed lia un contenuto etico, che « applica nell’utile.
4. E da ciò segue la definizione del diritto: < Igitur iu8 est
in natura utile a eterno, coni- incusu acquale » (2). I punti salienti
nei quali si rias mine la teorica del Vico sono i seguenti :
l’inda¬ gine storica, base della ricerca razionale; conver¬
tibilità. del vero col fatto ; insidenza del diritto nel bene, incarnata
nella formula dell’equo buono : ine¬ renza dell’equo buono nell’ordine
eterno; futilità in quanto è regolata dalla ria veri; l’utile è
materia; e la ragione forma del diritto.Vincenzo Lilla. Lilla. Keywords: implicature,
Vico, Vico ri-vendicato, Vico ri-vendicate, Luigi Speranza, “Grice e Lilla: la
semiotica di Vico” – The Swimming-Pool Library. “Il Vico di Lilla” – The
Swimming-Pool Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690083954/in/photolist-2mPTxJB-2mKFc73/
Grice e Limone – simbolica del
potere – filosofia italiana – Luigi Speranza (Atella di Napoli). Grice: “I like Limone; like me, he has
explored the idea of value in terms of catastrophe – I didn’t. He has explored
the poetics of philosophy – and he has investigated on a concept that Strawson
and I always found fascinating, that of a person!” -- “Che cosa è, nel mondo
umano, la persona?” “Tutto.” “Che cosa è, nel mondo contemporaneo, la
persona?”” Nulla.” Persona e memoria,
Rubbettino. La sua ricerca filosofica si inserisce nel solco del personalismo
comunitario. Si laurea a Napoli e il
Roma. Studia a Parigi e a Châtenay-Malabry, sede dell'Association des
amis d'Emmanuel Mounier, presso la Comunità dei muri bianchi, cui appartenevano
Fraisse, Ricœur, Mounier, Domenach. Insegna a Napoli. I suoi interessi di
ricerca abbracciano aspetti epistemologici, etici, filosofico-pratici e simbolici.
Al centro della sua attenzione teoretica è “la persona”. Fondato la rivista
"Persona” e "Symbolicum" sulla simbolica. Sonda in profondità
l’idea di persona. Là dove la persona non è né la semplice nobilitazione
dell’essere umano in generale, né una singola unità seriale. Della persona si
può dare idea, non “concetto”, perché l’idea è aperta come la vita, mentre il
concetto è chiuso. L’idea di persona, però, non è l’idea di un quid ma di un “quis”
perché la persona è un “chi” non un “che” – That’s why it’s very wrong to call
“the chair is red” as third-person seeing that the chair is hardly a person!” è
l’idea di un’essenza che non può essere separata dalla concreta singola
esistenza, originalissima e dotata di dignità. In quanto idea di un “quis”, la
persona si presenta come l’altro versante del teorema d’incompletezza di Gödel.
Il significato della persona si delinea all’interno di una costellazione in cui
essa: -è realtà singolare e la sua idea; -è prospettiva ontologica sussistente
e la sua verità; -è la parte di un tutto che solo parzialmente è parte, perché
per altro verso si presenta come un tutto, in quanto è irriducibile al tutto e
indivisibile in sé; -è l’eccezione istituente una regola che riesce, e non
riesce, a farsene istituire; -è l’idea di qualcosa che resiste alla possibilità
di essere ricondotto a un’idea; -è l’idea di un appartenere che resiste
all’idea di appartenere. L’essere della persona richiama, a suo modo, il
problema delle antinomie di Russell. Un tale arcipelago di paradossi
costituisce, però, una forza virtuosa che interroga ogni sistema. La persona si
configura come invenzione teorica, paradosso logico e misura epistemologica, e
rappresenta il punto strutturale di base che istituisce la visione del gius-personalismo.
Opere: “Tempo della persona e sapienza del possibile: Valori, politica, diritto
(ESI, Napoli); “Tempo della persona e sapienza del possibile: Per una
teoretica, una critica e una metaforica del personalismo (ESI, Napoli); La
catastrofe come orizzonte del valore, Monduzzi, Milano. Bellezza e persona, su
“Aisthema” “La macchina delle regole, la verità della vita. Appunti sul
fondamentalismo macchinico nell’era contemporanea, in La macchina delle regole,
la verità della vita (Angeli, Milano); Che cos’è il gius-personalismo? Il
diritto di esistere come fondamento dell’esistere del diritto, Monduzzi, Milano.
Ars boni et aequi. Ovvero i paralipòmeni della scienza giuridica. Il diritto
fra scienza, arte, equità e tecnica (Angeli, Milano), Filosofia e poesia come
passioni dell’anima civile. La persona fra potere e memoria in Persona,
Artetetra, Capua. Persona e memoria – cf. Grice, “Personal identity” -- “Oltre
la maschera” il compito del pensare come diritto alla filosofia, Rubbettino,
Soveria Mannelli. Poesia Polifonia d’un vento (Salerno-Roma). Dentro il tempo
del sole (Salerno-Roma). Ore d’acqua (Salerno-Roma). Incontrando il possibile
re (Salerno-Roma). “Notte di fine millennio” (Bari). Fenicia, sogno di una
stella a nord-ovest (Roma). L'angelo sulle città, in onore del figlio (Roma ).
Le ceneri di Pasolini (Pasturana, Alessandria). Aforismi di un impiccato felice
(Salerno). Aforismi del passato duemila: distruzioni per l'uso (Salerno). Ossi
di limone. Aforismi di uno scostumato (Vatolla). Sierra Limone. Dai taccuini
fenici di Er Limonèro (Vatolla). NV. Melchiorre, Essere persona, Fondazione A.
e G. Boroli, Milano Fondazione roberto farina. Giuseppe Limone. Limone. Keywords:
simbolo, simbolismo, la dimensione del simbolo, ventennio, fascismo, simbolica del potere,
mistica fascista, damnatio memoriae, la composita, la simbolica, simbolo,
composito. Strawson, “The concept of a person” – Ayer: “The concept of a
person” – Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Limone: la composita” --. Luigi Speranza, “Grice e Limone: umano e
persona” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752294527/in/dateposted-public/
Grice e Lodovici – la virtù – verso
la meta – la meta è l’origine -- filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi
Speranza (Messina). Filosofo. – Grice: “I like Emanuele Samek
Lodovici – very Italian – his metamorfosi della gnosi is good!” -- samek
lodovici -- one of the two. Emanuele Samek Lodovici Il suo pensiero d'impronta metafisica si
oppone al materialismo e al riduzionismo. Esperto della filosofia di Plotino,
Sant'Agostino e Marx, si occupa dello gnosticismo che a suo parere si trova
ripresentato in diverse filosofie e ideologie dell'età moderna e
contemporanea. Figlio del bibliotecario e bibliografo Sergio Samek
Lodovici, nativo di Carrara, che lo chiamò come suo fratello maggiore, noto
medico e politico. Rimase in Sicilia per breve tempo per poi vivere sempre a Milano.
Scampò a soli cinque anni alla tragedia di Albenga, quando dopo il naufragio di
un'imbarcazione carica di bambini era stato inserito nel gruppo delle piccole
salme, ma il tempestivo intervento di un medico lo salvò. Di formazione e
cultura cattoliche, studiò a Milano dove si laurea con «Filosofia classica e
spiritualità cristiana nel Commento di Sant'Agostino al Vangelo di San
Giovanni». Insegna aTorino. Pubblicò due monografie, una su Agostino (con il
contributo del C.N.R.), e l'altra sulla gnosi moderna, che gli valsero la
cattedra di Filosofia a Trieste. In una
lettera Noce si riferiva così. Nella prima delle sue due opere fondamentali,
Dio e mondo, inizia considerando la grave accusa rivolta da Heidegger alla
metafisica, ovvero di non aver compreso che cos'è l'«essere» e di aver
reificato Dio, di averlo cioè reso una «cosa». Questa critica può essere
legittima ma non nei riguardi della metafisica neoplatonica nella forma in cui
è stata mediata da Agostino. Individua il fulcro di tale metafisica nella
dottrina della «partecipazione» delle idee col mondo, in forza della quale il
rapporto di Dio col mondo è una relazione sostanziale e non oggettualità.
In Metamorfosi della gnosi, delinea una fenomenologia della cultura come
influenzata da una mentalità inconsciamente gnostica. Tale mentalità ha assunto
in sé le tesi dello gnosticismo antico, ovvero la sostanziale negatività del
mondo, la possibilità di redenzione dalla oscurità del mondo attraverso un
sapere salvifico (gnosi) e la possibilità di un redenzione del mondo
realizzata, senza bisogno della grazia divina, dalla sola azione dell'uomo
tramite la politica e/o la scienza. Così nel pensiero gnostico la
finitezza e la creaturalità vengono disprezzate e rifiutate, con l'ambizione di
creare l'Uomo Nuovo e la Gerusalemme terrena. Insomma, sintesi del pensiero
gnostico è quella formulazione che trova il proprio culmine nel «rifiuto di non
poter essere Dio»; in tal modo nella visione gnostica non è più Dio, ma l'uomo
gnostico a identificarsi con l'infinito, sgravato com'è da qualsiasi
limite. Da ciò appaiono evidenti gli obiettivi polemici e critici di ogni
metamorfosi dello gnosticismo rappresentato nelle forme del riduzionismo
antireligioso, del prometeismo marxista, della filosofia radical-relativista
diffusa attraverso i media, della corruzione della memoria storica attuata
anche attraverso la corruzione del linguaggio ed infine nella strategia della
distruzione della famiglia, che è stata potentemente colpita in particolare con
la rivoluzione sessuale e con alcuni tipi di femminismo. Per quanto
riguarda la sua pars construens, Safferma che proprio a partire dalla
post-marxistica crisi del pensiero secolarista gnostico si deve delineare la
necessità di ritornare alla tradizione metafisica, da lui indicata sulla linea
di Platone, Plotino e soprattutto Agostino. In sintonia con l'ermeneutica contemporanea, e
pur evitandone le derive nichilistiche, riconosce la struttura storicamente
condizionante del linguaggio nei confronti dell'esistenza e della conoscenza,
secondo una sua favorita formula per cui «chi non ha le parole non ha le cose»,
e d'altra parte il filosofo riconosce anche la funzione inversa del linguaggio
per cui, oltre che elemento condizionante, esso è anche il mezzo con cui l'uomo
storico può trascendere i vincoli della storia e del linguaggio stesso (i
baconiani «idola fori» e «idola theatri») ed esprimere le verità eterne. Rievoca
la valenza dell'autocoscienza della ragione e delle sue vastissime
potenzialità, sia in bene che in male, e a partire da queste, ne ricorda i
limiti, i fallimenti storici e le costitutive incapacità che emergono
specialmente nel momento in cui essa viene elevata ad una illuministica
idolatria, concretizzandosi nella moderna vita di massa che «ha affermato la libertà politica da ogni
autorità spirituale, finendo per favorire il potere dell’uomo sull’uomo; ha
affermato la libertà dell’amore dalla morale per vanificarlo nel sesso; ha
affermato di lottare contro ogni religione in quanto superstizione, solo per
prepararne una più esiziale, quella della scienza e del successo.»
Piuttosto, una ragione accorta deve, restando autonoma, interagire con la
religione, per corroborarla e giustificarla razionalmente o per cercarvi le
risposte prime ed ultime. Tipica poi del suo pensiero è la «cultura del ricordo», intesa come
cultura non di una memoria archeologica bensì di una memoria che guardando ai
fallimenti del passato possa liberare il presente dalle menzogne ideologiche e
dai progetti utopistici che, ripetendosi nella storia, hanno generato i
totalitarismi del XX secolo, e che oggi producono la dittatura del relativismo
e del nichilismo. Così la memoria assume una funzione spirituale nel senso che «mi rende migliore di quello che sono». La
riflessione è dunque nel complesso di carattere etico-sapienzale, consapevole
che in ogni agire umano si esplica la ricerca della felicità, una ricerca che,
per essere efficace e compiuta, deve però essere immune da qualsiasi utopismo
onirico: è alla luce di questa precisazione che può affermare che «non vi è
nessuna felicità senza virtù, in altre parole non vi è nessuna felicità senza
quell'unica attività che è in grado di rendere l'uomo pienamente umano», perciò
«non si può pretendere che l'acquisto della felicità non passi attraverso lo
sforzo, la lotta, e in ultima analisi la sofferenza», ed è in tal modo che
trovano un senso il limite umano e la sofferenza. Non sfugge al filosofo la
coscienza della precarietà della felicità umana, però questa «ben lungi dallo
spingerci alla tristezza per l'insaziabilità dell'uomo, va tuttavia vistaottimisticamente,
come l'indizio che è un'altra la felicità conforme al livello spirituale degli
esseri umani», perché «ultima hominis felicitas non est in hac vita. Saggi: “
Plotino nel In Johannis Evangelium di Agostino, in Contributi dell'Istituto di filosofia, Vita e
Pensiero, La Lettera ai Galati” in Marcione e Tertulliano, in «Aevum», Milano, Agostino,
in Questioni di storiografia filosofica,
La Scuola, Brescia); Sul processo di Gesù e su Gesù e gli zeloti, Vita e
Pensiero, Marxismo o Cristianesimo, Ares, Sesso, matrimonio e concupiscenza in,
Etica sessuale (Milano); Tra cosmologia e metafisica. Note sul concetto di
cosmo, in “Il demoniaco nella musica, Giappichelli, La felicità e la crisi della cultura radicale
ed illuministica, in La crisi della
coscienza politica e il pensiero personalista, Libreria Gregoniana, “Dio e
mondo: relazione, causa e spazio” (EStudium); “Metamorfosi della gnosi” Ares, Dominio dell'istante, dominio della morte.
Alla ricerca di uno schema gnostico, in «Archivio di Filosofia», Istituto di
studi filosofici, Roma, “La gnosi e la genesi delle forme, in «Rivista di
Biologia», Il gusto del sapere, Universitas); “L'arte di non disperare. Il
gusto del sapere Estratti di L'arte di
non disperare M. Picker, Il mio professore di filosofia, Studi
Cattolici, G. Alabiso, La critica dell'attacco macro-strutturale al cristianesimo,
Catania. Giacomo Samek Lodovici, Profili. Emanuele Samek Lodovici, Studi
Cattolici, A. Sciffo, Le maschere della gnosi, «Avvenire», Gaspare Barbiellini
Amidei, Il filosofo che insegna l'arte della speranza., in «Corriere della
Sera», filosofo che insegna arte_della_co shtml G. Feyles, La battaglia di
Samek, in «Tempi», tempi la-battaglia-di-samek Sergio Fumagalli, Emanuele Samek
Lodovici e Noce: Gnosi e secolarizzazione, Santa Croce, Roma //sergiofumagalli/files/tesi.pdf
G. Taddeo, Verità e diritto, Trento G. Segre,
una vita per la Verità, «la Bussola Quotidiana» /la nuova bussola quotidiana.com/it/archivioStorico
Articolo-emanuele-samek-lodoviciuna vita-per-la-verit- A. Galli, Il ritorno della
gnosi, in «Avvenire», G. Anna, L'origine e la meta. Ares, Milano. Gnosticismo Cattolicesimo, Noce, Voegelin, Mathieu
su Santi, beati e testimoni, santiebeati. Il gusto del sapere Universitas, Documentazione
interdisciplinare di scienza e fede, Gnosi moderna e secolarizzazione nell'analisi”
S. Fumagalli, Pontificia Università della Santa Croce, Roma, “la gnosi come
vero avversario della verità di S. Restelli, sito "CulturaCattolica. Emanuele
Samek Lodovici. Lodivici. Keywords. la virtù, l’amore sessuuale, il sessuale – la sessualita, il maschile, il
machio, il sesso maschile, il vir, virile, virilita. Refs.: Luigi
Speranza, “ Grice e Lodovici” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753706739/in/dateposted-public/
Lodovici: “Giacomo
samek lodovici is the author of a fascinating essay on philosophical
psychology. Figlio di Emanuele Samek Ludovici.
Grice e
Lombardi – la filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo. Grice: “I like Lombardi;
he took seriously my idea of Philosophy’s Longitudinal Uniity, and like
Passmore or Warnock, engaged iin a study of the ‘last hundred years of Italian
philosophy. This shows that his interests on Kant, etc., are Italian-based,
mainly!” Il padre Giovanni fu avvocato e docente di diritto e procedura penale
a Napoli, già allievo prediletto di Bovio, deputato prima e dopo il fascismo,
autore di scritti vari di sociologia. La madre Rosa Pignatari fu nipote di Ciccotti, nella cui casa era cresciuta. Tradusse
alcuni degli scritti di Karl Marx nelle Opere edite dal Ciccotti e la Storia
del movimento operaio di Edouard Dolleans.
Laureato e libero docente in filosofia lavora in filosofia. Pubblica “Il
mondo degli uomini” (Firenze, Le Monnier) Insegna a Roma. Presidente della
Società Filosofica Italiana e (sin dalla fondazione) della Società filosofica
romana, diresse il "Centro di Ricerca per le Scienze Morali e
Sociali" presso l'Istituto di filosofia della Roma. Direttore della
rivista De Homine cui si è affiancato il Bollettino Bibliografico per le
Scienze morali e sociali. Membro dell’Accademia nazionale dei Lincei. Gli fu
conferito il premio nazionale "Benedetto Croce" per la filosofia. Saggi: “L'esperienza e l'uomo.”“Fondamenti di
una filosofia umanistica” (Firenze: Sansoni); “Il mondo morale;”“Feuerbach” (Firenze:
Nuova Italia); “Feuerbach e Marx: “Kierkegaard” (Firenze: La Nuova Italia); “La
libertà del volere” (Milano: Bocca); La filosofia critica, Roma: Tumminelli;
“Il problema kantiano, “Commento alla Critica della ragion pura” Kant vivo (Firenze:
Sansoni); Nascita del mondo modern (Firenze: Sansoni); Concetto e problemi di
Storia della filosofia” (Asti: Arethusa); “Le origini della filosofia” (Asti:
Arethusa); “Libertà” (Asti, Arethusa); “Dopo lo Storicismo” (Firenze: Sansoni);
“Ricostruzione filosofica” (Asti: Arethusa); “La filosofia italiana” Asti:
Arethusa, Il piano del nostro sapere, Asti: Arethusa); “La posizione dell'uomo
nell'universo, Firenze: Sansoni); “Problemi della libertà, Firenze: Sansoni, Filosofia e civiltà” (Firenze: Sansoni, Saggi
Manoscritti inediti Scritti vari di filosofia, Scritti politici Filosofia e
Società, Firenze: Sansoni, Filosofia e Società Firenze: Sansoni, Il senso della
storia” (Firenze: Sansoni); Aforismi inattuali sull'arte” (Firenze: Sansoni); Galileo:
un ante-signano”(Firenze: Sansoni, scritti per l'università, Firenze: Sansoni,
“Continuità e Rottura, Firenze: Sansoni, Una svolta di civiltà, n.d.: ERI, Gaetano
Calabrò, Torino: Filosofia, Atti del Congresso internazionale di Filosofia,
Milano: Castellani & C Editori, Il materialismo storico Atti del Congresso
internazionale di Filosofia; Roma: Fratelli Bocca, Il problema della filosofia
oggi Varie Taccuini di viaggio Dodici canzoni napoletane, su versi di Salvatore
Di Giacomo, Firenze: Forlivesi, Torino: Edizioni di Filosofia, Treccani
L'Enciclopedia italiana. Un contributo significativo per la costruzione della
filosofia italiana contemporanea, Lincei, in Biblioteca di Filosofi, Sapienza Roma.
Franco Lombardi. Lombardi. Keywords: la filosofia italiana, Galilei. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lombardi” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753642979/in/dateposted-public/
Grice e
Longano – dell’uomo naturale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ripalimosani).
Filosofo. Grice: “Longano took ‘naturalness’ so seriously that he would apply
it to anything: ‘man’ (‘uomo naturale’) and morals (‘morale naturale’).” “I
like Longano; he is a systematic logician, as I’m not – therefore he thinks
that to study semantics, which logic is, starts with studying signs – as I did
in my seminars on Peirce – so Longano is the one I was referring when I
mentioned what ‘people were at when they display an interest in natural versus
conventional signs; he also has interesting things to say about my favourite
parts of speech, syncategoremata!”” Figlio di Vito Longano e Dorotea Gentile,
fu allievo di Zurlo, si trasferì a
Campobasso e quindi a Napoli dove divenne allievo di Genovesi. Fece parte della
massoneria ed è considerato un importante esponente dell'illuminismo, fu
sostenitore dello stretto rapporto tra anima e corpo e di una visione dell'uomo
nella sua interezza. Propugnò la rinascita dell'Italia, proponendo un piano di
riforme e il superamento del feudalesimo.
Opere: “Piano di un corpo di filosofia morale; ossia, Estratto d'un
corso di Etica, di economia e di politica” (Napoli,“Dell'Uomo Natural Napoli,
“Saggio sul commercio” (Napoli, presso Vincenzo Flauto, Raccolta di Saggi
economici per gli abitanti delle due Sicilie, Napoli, I, presso Domenico Sangiacomo, II, presso Giuseppe Campo, “Dell'uomo e della
sua morale natural -- Esame fisico, e morale dell'uomo, Napoli, Michele
Morelli, Dell'uomo, e sua morale natural, Della morale naturale, Napoli, M. Morelli,
Dell'uomo Religioso e cristiano, Dell'uomo
religioso, Napoli, M. Morelli, “Logica” Viaggio per lo contado di Molise ovvero
descrizione fisica, economica e politica del medesimo, Napoli, Viaggio per la
Capitanata, Napoli, Domenico Sangiacomo, Il Purgatorio ragionato, F. Lepore,
postfazione di S. Martelli, Campobasso, Palladino, “Philosophiae rationalis
elementa” “De arte logica” (Napoli, “De metaphysica” (Napoli, Orsino); De Jure
humanae, Napoli, Biblioteca provinciale di Foggia; L'anno di Genovesi, su
biblioteca provincial foggia. Gaetano, su webcache .googleusercontent.com A. Rao,
L'amaro della feudalità: la devoluzione di Arnone e la questione feudale a
Napoli” (Guida), F. Rizzo, La civiltà
del Purgatorio: riformismo e anti-clericalismo nella provincia molisana del
XVIII secolo, S. Borgna, su delpt.unina, Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Longano. Longano.
Keywords: dell’uomo naturale, metafisica, logica. Luigi Speranza, “Grice e
Longano: esame fisico dell’uomo” “Grice e Longano: la semiotica” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690378392/in/photolist-2mQHwBB-2mKGGCy/
Grice e
Losano – filosofia del diritto romano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Casale
Monferrato). Filosofo. Grice: “I like Lossano;
his research overlap with that of H. L. A. Hart, but Losano is more interested
in the philosophy and he is obviously more continental, as he should, given the
prominence of Kelsen in the field!” Si occupa di filosofia del diritto e
informatica giuridica. Si laurea a Torino. Insegna a Milano e Alessandria, e
Torino. Si occupa di storia della filosofia del diritto; teoria generale del
diritto; circolazione mondiale delle idee giuridiche e sociali; filosofia
politica; diritti umani; geopolitica; informatica giuridica; privacy;
e-publishing; edizioni di archivi storici. Pubblica un completo panorama
sull'evoluzione della nozione di sistema nel diritto dalla Roma antica ad oggi.
Cura carteggi di Jhering ed opere di Jhering e di Kelsen. Curato l'edizione critica
delle corrispondenza di Roesler. Come informatico giuridico, ha pubblicato un
manualedi informatica giuridica e diritto informatico e un progetto di legge
sulla tutela della privacy; Presidente del "Centro di calcolo automatico”
a Milano. Saggi: “La dottrina pura del diritto” (Einaudi, Torino); La teoria di
Marx ed Engels sul diritto e sullo stato. Materiali per il seminario di
filosofia del diritto” (Milano. Anno Accademicom Cooperativa Libraria Università
Torinese, Torino); “Gius-cibernetica” Macchine e modelli cibernetici nel diritto,
Einaudi, Torino); Libia Materiali sui rapporti fra ideologia ed economia” (Milano.
Anno Accademico Cooperativa Libraria Università Torinese, Torino); “Lo scopo
nel diritto. Einaudi, Torino, Jhering, Lo scopo nel diritto” (Aragno, Torino, Corso
di informatica giuridica, Cooperativa Milano), Corso di informatica giuridica; L'elaborazione
dei dati non numerici, Unicopli, Milano; Il diritto dell'informatica, Unicopli,
Milano Corso di informatica giuridica; Stato
e automazione. Etas Kompass, Babbage: la macchina analitica. Un secolo di
calcolo automatico, Etas Kompass, Milano Scheutz: La macchina alle differenze.
Un secolo di calcolo automatico, Etas Libri, Milano); Invenzioni francesi del
Settecento. Testi originali con 15 tavole dell'epoca, Bottega d'Erasmo, Torino);
I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai diritti europei ed extra-europei,
Einaudi, Torino, I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai diritti europei ed
extraeuropei, Einaudi, Torino, I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai
diritti europei ed extraeuropei, Laterza, Roma Bari, L'informatica legislativa
regionale. L'esperimento del Consiglio Regionale della Lombardia, Rosenberg
& Sellier, Torino Forma e realtà in Kelsen, Comunità, Milano, Automi arabi
del XIII secolo. Dal "Libro sulla conoscenza degli ingegnosi
meccanismi" (Maestri, Milano); Automi d'Oriente. "Ingegnosi
meccanismi" arabi del XIII secolo, Milano Il diritto economico, Unicopli,
Milano); L'ammodernamento giuridico, Unicopli, Milano); Corso di informatica
giuridica: Informatica per le scienze sociali, Einaudi, Torino Il diritto
privato dell'informatica, Einaudi, Torino, Scritto con la luce. Il disco
compatto e la nuova editoria elettronica, Unicopli, Milano, L'informatica e
l'analisi delle procedure giuridiche, Unicopli, Milano, Diritto e CD-ROM.
Esperienze italiane, Giuffrè, Milano, Storie di automi. Dalla Grecia classica alla
Belle Époque, Einaudi, Torino Saggio sui fondamenti tecnologici della
democrazia, Quaderni della Fondazione Adriano Olivetti, Istituto per la
Documentazione Giuridica, Firenze, Kelsen Umberto Campagnolo, Diritto
internazionale e Stato sovrano. Mario G. Losano. Con un inedito di Hans Kelsen
e un saggio di Norberto Bobbio, Giuffrè, Milano, Un giurista tropicale. Tobias
Barreto fra Brasile reale e Germania ideale, Laterza, Roma); “Sistema e
struttura nel diritto: Dalle origini alla scuola storica” (Giuffrè, Milano, Il
Novecento” (Giuffrè, Milano); Dal Novecento alla postmodernità, Giuffrè, Milano
U. Campagnolo, Verso una costituzione federale per l'Europa. Una proposta
inedita. Giuffrè, Milano, "Cedant arma Un giudice e due leggi. Pluralismo
normative, Giuffrè, Milano, Funzione sociale della proprietà e latifondi
occupati, Diabasis, Reggio Emilia, Kelsen, Scritti autobiografici. Traduzione e
cura di Mario G. Losano, Diabasis, Reggio Emilia Peronismo e giustizialismo:
dal Sudamerica all'Italia, e ritorno. M. Rosti, Diabasis, Reggio Emilia, Memoria
dell'Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche,
Accademia delle Scienze, Torino Academia delle scienze editorial memorie morali
Campagnolo, Conversazioni con Kelsen. Documenti dell'esilio ginevrino Giuffrè,
Milano La geopolitica del Novecento. Dai Grandi Spazi delle dittature alla de-colonizzazione”
(Mondadori, Milano); Kelsen Arnaldo Volpicelli, Parlamentarismo, democrazia e
corporativismo” (Aragno, Torino); Alle origini della filosofia del diritto a
Torino: Albini. Con due documenti sulla collaborazione di Albini con
Mittermaier, Memorie della Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze
Morali, Storiche e Filologiche, Accademia delle Scienze, Torino accademia delle
scienze/attivita editorial periodici-e-collane/ memorie/morali I carteggi
di Albini con Sclopis e Mittermaier. Alle
origini della filosofia del diritto a Torino, Memoria dell'Accademia delle
Scienze di Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Accademia
delle Scienze, Torino accademia delle Scienze attivita editorial, periodici-e-collane/memorie
morali Alle origini della filosofia del diritto, Il corso di Alessandro
Paternostro a Tokyo. In appendice: A. Paternostro, Lexis, Torino I La Rete e lo
stato” (Mimesis, Milano); Norberto Bobbio. Una biografia culturale, Carocci,
Roma, Kelsen, Due saggi sulla democrazia
in difficoltà” (Aragno, Torino); “La libertà d’insegnamento in Brasile e
l’elezione del Presidente Bolsonaro” (Mimesis, Milano). Mario Giuseppe Losano. Losano.
Keywords: filosofia del diritto romano -- Luigi Speranza, “Grice e Losano:
storia del diritto romano – what Kelsen never had!” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753178578/in/dateposted-public/
Grice e Losurdo – il ribelle
aristocratico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sannicandro di Bari). Filosofo. Grice:
“Losurdo has contributed to a collection on ‘fatti normativi’ which is
fascinating!” -- Grice: “I like Losurdo:
describing Nietzsche as the aristocratic rebel is genial; he also engages in
some linguistic botanising with his ‘linguaggio dell’impero’: something Romans
and Brits know well – cf. ‘Great Britaiin’ and my little England!” -- losurdo, Italian philosopher, expert not on Grice,
but Nietzsche, “Nietzsche, ribelle aristocratico” -- essential Italian philosopher. Si laurea a Urbino sotto la guida
di Salvucci con la tesi, “La semantica di Rodbertus”. Direttore dell'Istituto
di Scienze filosofiche e pedagogiche "Pasquale Salvucci" all'Urbino,
insegnò storia della filosofia nella stessa università presso la facoltà di
Scienze della Formazione. Inoltre fu presidente dell'hegeliana Società
internazionale Hegel-Marx per il pensiero dialettico, membro della Società di
scienze di Leibniz a Berlino (un'associazione di scienziati che si rifà alla
settecentesca Accademia Reale Prussiana delle Scienze nella tradizione di GLeibniz)
e direttore dell'associazione politico-culturale Marx XXI. Dalla militanza
comunista alla condanna dell'imperialismo statunitense, fino allo studio della
questione afroamericana e di quella dei nativi, Losurdo fu studioso anche partecipe
della politica nazionale e internazionale. Di formazione marxista,
descritto sia come un «marxista controcorrente» sia come un «marxista
eterodosso» e un «comunista militante», la sua produzione spazia dai contributi
allo studio della filosofia kantiana (la cosiddetta autocensura di Immanuel
Kant e il suo nicodemismo politico), alla rivalutazione dell'idealismo classico
tedesco, specie di Hegel, nel tentativo di riproporne l'eredità (sulla scia di
György Lukács in particolare), alla riaffermazione dell'interpretazione del
marxismo tedesco e non (Antonio Gramsci e i fratelli Bertrando e Silvio
Spaventa), con incursioni nell'ambito del pensiero nietzscheano (la lettura di
un Friedrich Nietzsche radicale aristocratico) e di quello heideggeriano (in
particolare la questione dell'adesione al nazismo di Martin Heidegger).
La sua riflessione filosofico-politica, attenta alla contestualizzazione del
pensiero filosofico nel proprio tempo storico, muove in particolare dai temi
della critica radicale del liberalismo, del capitalismo, del colonialismo e
dell'imperialismo, nonché della concezione tradizionale del totalitarismo
(Hannah Arendt), nella prospettiva di una difesa della dialettica marxista e
del materialismo storico, dedicandosi anche allo studio dell'antirevisionismo
in ambito marxista-leninista. Losurdo ha una visione molto critica della
tradizione intellettuale europea del liberalismo, in particolare della
tradizione classica e delle sue origini, sostenendo che pur pretendendo di
enfatizzare l'importanza della libertà individuale in pratica il liberalismo
reale è a lungo contrassegnato dalla sua esclusione di persone da questi
diritti, con conseguente sfruttamento come razzismo, schiavitù e genocidio. Afferma
che le origini del nazismo si trovano in quelle che considera politiche
colonialiste e imperialiste del mondo occidentale. Esaminando le posizioni
intellettuali e politiche degli intellettuali sulla modernità, Kant e Hegel
furono i più grandi pensatori della modernità mentre Nietzsche fu il suo più grande
critico. I suoi lavori, che lui stesso fa rientrare nell'ambito della
storia delle idee, riguardano inoltre l'indagine delle questioni di storia e
politica contemporanee, con una attenzione critica costante al revisionismo
storico e la polemica contro le interpretazioni di François Furet e Ernst
Nolte. In particolare critica una tendenza reazionaria tra gli storici
contemporanei revisionisti riconoscibile nel lavoro di autori come Nolte, che
traccia l'impeto dietro l'Olocausto agli eccessi della rivoluzione russa; o
Furet, che collega le purghe staliniane a una «malattia» originata dalla
rivoluzione francese. Secondo Losurdo l'intenzione di questi revisionisti è di
sradicare la tradizione rivoluzionaria in quanto le loro vere motivazioni hanno
poco a che fare con la ricerca di una maggiore comprensione del passato, ma si
trovano nel clima e nei bisogni ideologici delle classi politiche, come è più
evidente nel lavoro dei revivalisti imperiali Johnson e Ferguson. Fornisce
inoltre una nuova prospettiva su rivoluzioni come quella inglese, americana,
francese, russa e quelle contro il colonialismo e l'imperialismo. Si discosta
anche dalle posizioni elogiative che la maggior parte delle biografie prende
nell'analisi di Gandhi e la nonviolenza. Losurdo volge la sua attenzione
alla storia politica della filosofia moderna tedesca da Kant a Marx e del
dibattito che su di essa si sviluppa in Germania nella seconda metà
dell'Ottocento e nel Novecento, per poi procedere a una rilettura della
tradizione del liberalismo, in particolare partendo dalla critica e dalle accuse
di ipocrisia rivolte a Locke per la sua partecipazione finanziaria alla tratta
degli schiavi. Riprendendo ciò che afferma Arendt in Le origini del
totalitarismo, per Losurdo il vero peccato originale del Novecento è
nell'impero coloniale di fine Ottocento, dove per la prima volta si manifesta
il totalitarismo e l'universo concentrazionario. Controversia degli
storici Losurdo critica il concetto di totalitarismo, sostenendo che fosse un concetto
polisemico con origini nella teologia cristiana e che applicarlo alla sfera
politica richiedeva un'operazione di schematismo astratto che
utilizza elementi isolati della realtà storica per collocare la Germania
nazista e altri regimi fascisti e l'Unione Sovietica e l'esperienza del
socialismo reale e di altri Stati socialisti nello stesso insieme, servendo
così l'anticomunismo degli intellettuali della guerra fredda piuttosto che
riflettere la ricerca intellettuale. Forte critico dell'equiparazione tra
nazismo e comunismo (in particolare quello sovietico) fatta da studiosi come Furet
e Nolte, ma anche da Arendt ePopper, nonché del concetto di «olocausto rosso»,
il suo Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, sollevò un dibattito
sulla figura di Iosif Stalin, sul quale a suo avviso peserebbe una sorta di
leggenda nera costruita per screditare tutto il comunismo. Porta l'esempio che
nel lager vi era volontà omicida esplicita in quanto l'ebreo che vi entrava era
destinato a non uscire più (vi è una despecificazione naturalistica) mentre nel
gulag no (si tratta di despecificazione politico-morale) e nel primo venivano
rinchiusi quelli che il nazismo chiamava Untermensch («sottouomini») mentre nel
secondo (in cui afferma finissero solo una parte dei dissidenti), pur essendo
una pratica da condannare, erano rinchiusi dissidenti da rieducare e non da
eliminare. Losurdo afferma che «il detenuto nel Gulag è un potenziale compagno
[la guardia stessa era tenuta a chiamarlo in questo modo] e dopo l'inizio del
biennio delle grandi purghe che seguono l'assassinio di Kirov] è comunque un
cittadino». Riprendendo anche l'opinione di Levi (internato ad Auschwitz,
secondo cui il lager era moralmente più grave del gulag) e contro Solženicyn
(internato in Siberia e che affermava l'equiparazione della volontà
sterminazionistica),sostiene che pur essendo grave che un Paese socialista nato
per abolire lo sfruttamento usi sistemi imperialisti e capitalisti, il gulag
sia analogo a molti campi di concentramento occidentali (i cui governi hanno
sostenuto e sostengono di essere paladini della libertà), che per certi versi
furono anche più affini al lager in quanto campo di sterminio e non di
rieducazione, riprendendo la storia del genocidio indiano. Egli sostiene anche
che i campi di concentramento e le colonie penali britanniche erano peggio di
qualsiasi gulag, accusando anche politici come Winston Churchill e Harry Truman
di essere autori di crimini di guerra e contro l'umanità pari (se non
peggiori) di quelli che sono stati poi attribuiti a Stalin. Losurdo ritiene
inoltre che i comunisti soffrano di autofobia, cioè paura di se stessi e della
propria storia, problema patologico che va affrontato, a differenza
dell'autocritica sana. Despecificazione politico-morale e despecificazione
naturalistica La despecificazione è l'esclusione di un individuo o di un gruppo
dalla comunità dei civili. Esistono due tipi di despecificazione: La
despecificazione politico-morale (in questo caso l'esclusione è dovuta a
fattori politici o morali). La despecificazione naturalistica (in questo caso
l'esclusione è dovuta a fattori biologici). Per Losurdo la despecificazione
naturalistica è qualitativamente peggiore rispetto a quella politico-morale.
Infatti mentre quest'ultima offre almeno una via di scampo mediante il cambio
di ideologia, questo non è possibile nel caso in cui sia in atto una
despecificazione naturalistica, che è irreversibile in quanto rimanda a fattori
biologici che sono di per sé immodificabili. A differenza di altri pensatori
ritiene quindi che l'olocausto degli ebrei non è incomparabile ed è quindi
disposto ad ammettere in questo caso una tragica peculiarità. La comparatistica
che Losurdo offre a proposito non vuole essere una relativizzazione o uno
sminuire, ma semplicemente considerare l'olocausto degli ebrei come
incomparabile significa perdere la prospettiva storica e dimenticarsi
dell'olocausto nero (l'olocausto dei neri) o dell'olocausto americano
(l'olocausto dei nativi indiani d'America ottenuto negli Stati Uniti mediante la
continua deportazione sempre più a ovest e la diffusione ad arte del vaiolo),
oltre ad altri stermini di massa come il genocidio armeno. Polemiche
riguardanti Stalin Una recensione effettuata nell'aprile del 2009 da Guido
Liguori su Liberazione (organo ufficiale del Partito della Rifondazione
Comunista) di Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, libro in cui
Losurdo critica la demonizzazione di Stalin effettuata dalla storiografia
maggioritaria e cerca di sottrarlo a quella che definisce «la leggenda nera su
di lui», è al centro di una polemica all'interno della redazione del suddetto
quotidiano. Venti redattori inviano una lettera di protesta al direttore del
giornale in cui si critica sia il tentativo di riabilitazione di Stalin
presente nel libro di Losurdo sia la recensione di Liguori (giudicata troppo
positiva nei confronti del libro), oltre che la scelta del direttore del
giornale di pubblicare tale recensione. Il libro riceve delle recensioni
critiche per le sue affermazioni e per la metodologia di lavoro utilizzata.I
critici di Losurdo lo accusano di essere un «neostalinista». Grover Furr,
autore di Krusciov mentì e descritto come un «revisionista storico», un
«revisionista in una ricerca lunga una carriera per scagionare Stalin» e un
«prezioso contributo alla scuola revisionista storica degli studi sovietici e
comunisti», elogia il lavoro di Losurdo, in particolare quello su Stalin, iniziando
un'amicizia reciproca. Nel introduce
Furr a un editore italiano che pubblica la traduzione italiana di Khruschev
mentì, per cui scrive l'introduzione. Aveva già scritto l'introduzione e il
retrocopertina del libro di Furr sull'assassinio di Sergej Mironovič Kirov che
rimane inedito. Negli estratti di un convegno organizzato per rivalutare la
figura di Stalin a cinquant'anni dalla morte critica le rivelazioni
contenute nel rapporto segreto di Nikita Sergeevič Chruščёv, l'allora
segretario generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica. Secondo
Losurdo la cattiva fama di Stalin deriverebbe non dai crimini commessi da
quest'ultimo (paragod altri del suo tempo), ma dalle falsità presenti in quel
rapporto che Chruščёv lesse nel corso del XX Congresso del febbraio 1956. Nella
relazione al convegno dà credito a una delle accuse principali che stavano alla
base della sanguinosa repressione staliniana contro gli oppositori, ovvero
l'esistenza nell'Unione Sovietica della «realtà corposa della quinta colonna»
pronta ad allearsi col nemico. Losurdo ribadisce di non voler riabilitare
Stalin, seppur calato nella sua epoca, volendo presentare solo un'analisi dei
fatti più neutrale e attuare un revisionismo sull'esperienza generale del
socialismo reale ritenuta passata, ma utile da studiare per capire le dinamiche
future del socialismo. Losurdo apparteneva alla corrente del
marxismo-leninismo, ma ammirava anche l'interpretazione che Mao Zedong diede
della pluralità della lotta di classe, da collocare nel contesto
dell'attenzione che rivolge al processo di emancipazione femminile e dei popoli
colonizzati. Vicino prima al Partito Comunista Italiano, poi al Partito della
Rifondazione Comunista e infine al Partito dei Comunisti Italiani, confluito
nel Partito Comunista d'Italia e nel Partito Comunista Italiano (), di cui è
stato membro, fu anche direttore dell'associazione politico-culturale Marx XXI.
Critico del liberalismo, della NATO e dell'imperialismo, in particolare quello
statunitense, Losurdo contestò l'assegnazione del Premio Nobel per la pace a Xiaobo,
considerato un sostenitore aperto del colonialismo occidentale, in particolare
per la sua idealizzazione del mondo occidentale e per aver affermato che ci
sarebbe bisogno di «300 anni di colonialismo. In 100 anni di colonialismo Hong
Kong è cambiata fino a diventare ciò che è oggi. Data la grandezza della Cina,
ovviamente ci vorrebbero 300 anni per trasformarla in quello che Hong Kong è
oggi. E ho dei dubbi che 300 anni siano abbastanza». Saggi: “Auto-censura e
compromesso” (Napoli, Bibliopolis); “La questione nazionale, restaurazione.
Presupposti e sviluppi di una battaglia politica” (Urbino, Università degli
Studi);“La rivoluzione e la crisi della cultura” (Roma, Riuniti); “Lukacs” Urbino,
Quattro venti, Il comunismo e sui critici (Urbino, Quattro venti, La catastrofe
e l'immagine” (Milano, Guerini, Metamorfosi del moderno.Urbino, Quattro venti);
“La tradizione liberale. Libertà, uguaglianza, Stato, Roma, Riuniti); “Tramonto
dell'Occidente? Atti del Convegno organizzato dall'Istituto italiano per gli
studi filosofici e dalla Biblioteca comunale di Cattolica. Cattolica, Urbino,
Quattro venti, Antropologia, prassi, emancipazione. Problemi del comunismo, e Urbino,
Quattro venti, Égalité-inégalité. Atti del Convegno organizzato dall'Istituto
italiano per gli studi filosofici e dalla Biblioteca comunale di Cattolica. Cattolica,
Urbino, Quattro venti, Prassi. Come orientarsi nel mondo. Atti del convegno
organizzato dall'Istituto Italiano per gli Studi filosofici e dalla Biblioteca
Comunale di Cattolica (Urbino, Quattro venti); La comunità, la morte,
l'Occidente. L’ideologia della guerra, Torino, Boringhieri, Massa folla
individuo. Atti del Convegno organizzato dall'Istituto italiano per gli studi
filosofici e dalla Biblioteca comunale di Cattolica. Cattolica, Urbino, Quattro
venti, La libertà dei moderni, Roma, Riuniti, Napoli, La scuola di Pitagora,.
Rivoluzione francese e filosofia, Urbino, Quattro venti); “Democrazia o
bonapartismo. Trionfo e decadenza del suffragio universale” (Torino, Bollati
Boringhieri, Il comunismo e il bilancio storico del Novecento, Gaeta,
Bibliotheca, Napoli, La scuola di Pitagora, Gramsci e l'Italia. Atti del
Convegno internazionale di Urbino, Napoli, La città del sole, La seconda
Repubblica. Liberismo, federalismo, post-fascismo, Torino, Boringhieri); “Autore,
attore, autorità” (Urbino, Quattro venti); Il revisionismo storico. Problemi e
miti, Roma, Laterza, Utopia e stato d'eccezione. Sull'esperienza storica del
socialismo reale, Napoli, Laboratorio politico, Ascesa e declino delle
repubbliche, Urbino, Quattro venti, Lenin, Atti del Convegno internazionale di
Urbino, Napoli, La città del sole, Metafisica. Il mondo Nascosto, Roma, Laterza,
Gramsci dal liberalismo al comunismo critic, Roma, Gamberetti, Dai fratelli
Spaventa a Gramsci. Per una storia politico-sociale della fortuna di Hegel in
Italia” (Napoli, La città del sole); “Hegel e la Germania. Filosofia e
questione nazionale tra rivoluzione e reazione, Milano, Guerini, Nietzsche. Per
una biografia politica, Roma, Manifesto); “Il peccato originale del Novecento,
Roma, Laterza, Dal Medio Oriente ai Balcani. L'alba di sangue del secolo
americano, Napoli, La città del sole, Fondamentalismi. Atti del Convegno
organizzato dall'Istituto italiano per gli studi filosofici e dalla Biblioteca
comunale di Cattolica. Cattolica Urbino, Quattro venti, URSS: bilancio di
un'esperienza. Atti del Convegno italo-russo. Urbino, Urbino, Quattro venti, L'ebreo,
il nero e l'indio nella storia dell'Occidente, Urbino, Quattro venti, Fuga
dalla storia? Il movimento comunista tra autocritica e auto-fobia, Napoli, La
città del sole, poi Fuga dalla storia? La rivoluzione russa e la rivoluzione
cinese oggi, La sinistra, la Cina e l'imperialismo, Napoli, La città del sole, Universalismo
e etno-centrismo nella storia dell'Occidente, Urbino, Quattro venti, La
comunità, la morte, l'Occidente. Heidegger e l'ideologia della guerra (Torino,
Boringhieri); “Nietzsche, il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e
bilancio critico, Torino, Boringhieri, Cinquant'anni
di storia della repubblica popolare cinese. Un incontro di culture tra Oriente
e Occidente. Atti del Convegno di Urbino, Napoli, La città del sole, Dalla
teoria della dittatura del proletariato al gulag?, Marx e Engels, Manifesto del
partito comunista, Laterza, Bari, Contro-storia del liberalismo, Roma, Laterza,
La tradizione filosofica napoletana e l'Istituto italiano per gli studi
filosofici, Napoli, nella sede dell'Istituto, Auto-censura e compromesso nel
pensiero politico di Kant, Napoli, Bibliopolis, Legittimità e critica del
moderno. Sul marxismo di Gramsci” (Napoli, La città del sole); “Il linguaggio
dell'Impero. Lessico dell'ideologia americana” (Roma-Bari, Laterza); “Stalin.
Storia e critica di una leggenda nera, Roma, Carocci); “Paradigmi e fatti
normativi. Tra etica, diritto e politica, Perugia, Morlacchi, La non-violenza.
Una storia fuori dal mito, Roma, Laterza, La lotta di classe. Una storia
politica e filosofica, Roma, Laterza, La sinistra assente. Crisi, società dello
spettacolo, guerra, Carocci,. Un mondo senza guerre. L'idea di pace dalle
promesse del passato alle tragedie del presente, Carocci. Il comunismo occidentale.
Come nacque, come morì, come può rinascere, Laterza. PCI Ancona: cordoglio per la scomparsa, su il
partito comuista italiano, A. Orsi, Scienza e militanza. Un ricordo, MicroMega,
Cordoglio, Il Metauro, Verso, Il linguaggio dell'Impero. Lessico dell'ideologia
americana, Roma, Laterza. Il comunista contro-corrente. Un comunista eterodosso.
Auto-censura e compromesso in Kant, Napoli, Bibliopolis, Hegel e la libertà dei
moderni, Roma, Riuniti, Napoli, La scuola di Pitagora, Lukacs, Urbino, Quattro
venti, Dai fratelli Spaventa a Gramsci. Per una
storia politico-sociale della fortuna di Hegel in Italia, Napoli, La città del
sole, Nietzsche. Il ribelle aristocratico. La comunità, la morte, l'Occidente.
Heidegger e l'deologia della guerra; Controstoria del liberalismo, Laterza, Revisionismo
storico. Peccato originale del
Novecento. La non-violenza. Una storia
fuori dal mito. La non-violenza. Una
storia fuori dal mito, su L'Ernesto, Associazione Marx, Dalla teoria della
dittatura del proletariato al gulag?, in
Marx, Engels, Manifesto del partito comunista, Editori Laterza, Bari David
Broder. Jacobin. Stalin. Storia e critica di una leggenda nera. URSS: bilancio
di un'esperienza. Atti del Convegno italo-russo. Urbino, Urbino, Quattro venti,
Popper falso profeta, Contro Popper, Armando Editore, B. Lai e L.
Albanese. Fuga dalla storia? Il movimento
comunista tra auto-critica e auto-fobia. Il linguaggio dell'impero. Lessico
dell'ideologia, Lettere su Stalin; Stalin. Storia e critica di una leggenda
nera, su sissco. Stalin. Storia e
critica di una leggenda nera. A.
Romano, Canfora e lo stalinismo che non
fa male, ilcannocchiale. In Memoriam, La Città del Sole, Stalin nella storia
del Novecento, R. Giacomini, Teti, Una teoria generale del conflitto
sociale", Intervento al Congresso Nazionale del PdCI. Il Consiglio Direttivo
dell'associazione Marx Il Nobel per la
pace» a un campione del colonialismo e della guerra, il cavallo oscuro della
letteratura, Open Magazine, Open Magazine, H. Arendt Controstoria del
liberalismo A. Gramsci Genocidio indiano Grandi purgh, Heidegger, Marx, Nietzsche
Olocausto, Stalin Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo" - blogspot.com.
Intervista RAI Filosofia, su filosofia.rai. Intervist RTV Svizzera, su you tube.com.
Domenico Losurdo. Losurdo. Keywords: il ribelle aristocratico. Refs.: Luigi Speranza, "Grice, Losurdo, e
Nietzsche, ribelle aristocratico," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51686031459/in/photolist-2mQtVUe-2mKbok1-2mKkkDV-2mKkwnU-2mKbFF3-2mKjqrr-2mKjfuc-2mKfHUx-2mKh7Nd-2mKjW3b/
Grice e Lottieri – bene commune – diritto individuale
– l’eta degl’eroi – la ragione del stato -- filosofia italiana – Luigi Speranza
(Brescia). Filosofo. Grice: “I like Lottieri; he has quoted Hobbes and Hume and
Gauthier from a game-theoretical approach to co-operation, conversational and
other – all very Griceian, if I may mayself so say it!” Allievo di Caracciolo,
studia a Genova, Ginevra e Parigi, su la filosofia di Mosca. Insegna a Siena e
Verona. Da vita all'Istituto Bruno Leoni, un istituto che si ispira alla tradizione
intellettuale di Einaudi e Ricossa, e di cui egli è direttore del dipartimento
Teoria Politica. Cura Leoni. La filosofia di Lottieri si sviluppa all'interno
del liberalismo classico e, grazie allo studio degli autori elitisti, si
delinea quale critica del sistema di dominio iscritto nei regimi democratici
rappresentativi. Mostra l'adesione a tale prospettiva, che rapidamente evolve
grazie al contatto con il libertarianismo. Il suo libertarianismo ottieri metta
in discussione "la psicologia regolamentativa e anti-innovativa del
burocrate", avverso a ogni forma di rischio e cambiamento. Il saggio
sul libertarismo evidenzia l'adesione ai temi classici del pensiero liberale
lockiano e giusnaturalista (difesa della proprietà, del mercato, dell'auto-nomia
negoziale), ma anche il maturare di questioni che sono invece tutte interne al
realismo politico: specie nel confronto con Schmitt, Brunner e Miglio.
Mentre il testo sul rapporto tra economia di mercato e ordine sociale/comunitario
(Denaro e comunità) è una critica della sociologia, a cui è rimproverato di
avere frainteso la natura inter-personale della moneta e delle relazioni di
mercato, il saggio su Leone muove dal pensatore torinese per delineare una
filosofia libertaria anche oltre la lettera stessa dell'autore di Freedom and
the Law. In particolare, in questa fase della riflessione Leoni viene
individuato come uno studioso in grado di dare una maggiore consapevolezza
filosofico-giuridica alla teoria libertaria, fino ad ora elaborata per lo più
da economisti e teorici politici. “Denaro e comunità: relazioni di mercato
e ordinamenti giuridici nella società liberale” (Napoli, Guida) “Il pensiero
libertario contemporaneo. Tesi e controversie sulla filosofia, sul diritto e
sul mercato, Macerata, Liberi “Le ragioni del diritto: libertà individuale e
ordine giuridico” (Treviglio Soveria Mannelli, Facco Rubbettino); “Come il
federalismo fiscale può salvare il Mezzogiorno” (Soveria Mannelli, Rubbettino);
“Credere nello Stato? Teologia politica e dissimulazione da Filippo il Bello a
WikiLeaks” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Liberali e non: (cf. Griceiani e
non.) percorsi di storia del pensiero politico” (Brescia, La Scuola); Guglielmo
Ferrero in Svizzera. Legittimità, libertà e potere, Roma, Studium, Un'idea elvetica di libertà. Nella crisi
della modernità europea” (Brescia, Scuola); ““Beni comuni, diritti individuali
e ordine evolutivo,”Torino, IBL. Nella sua filosofia sull'unificazione europea,
in particolare, è cruciale l'opposizione tra l'armonizzazione spontanea
emergente dal basso e l'unificazione coercitiva. Lottieri identifica quattro
superstizioni o quattro credenze erronee che sotto alla base dei tentativi di
creare un nuovo stato chiamato ‘Europa'. Primo, l'idea che la libertà
individuale e il poli-centrismo giuridico causino tensioni e, in definitiva,
conflitti; Secondo, che il mercato derivi dall'ordine giuridico creato dallo
Stato; Terzo, che l'esistenza di una distinta identità europea esiga la
costruzione di un singolo stato continentale; e quarto, che un'Europa unificata
e più armoniosa e meglio in grado di sostenere lo sviluppo delle sue componenti
più povere. Individuato come uno degl’esponenti di un liberalismo
particolarmente radicale e volto a proporre una sorta di fuga dallo stato:
Dario Fertlio, "Libertari 2001: la grande fuga dallo Stato, Corriere della
Sera. Una disamina molto critica al limite dell'insulto personale di tale
liberalismo libertarian si ha nella recensione che Vitale dedica al volume su
Rothbard scritto a quattro mani da lui assieme a Enrico Diciotti (basato su un
confronto assai franco tra prospettive molto diverse): una recensione che,
rivolgendosi al solo Diciotti, si chiudeva con l'invito per il futuro “ad
occuparsi di un autore più interessante con un autore più interessante” (E. Vitale,
“Rothbard, un Trasimaco piccolo piccolo. E una modestissima proposta”, Teoria politica).
P. Vernaglione, Il libertarismo. La teoria, gli autori, le politiche, Soveria
Mannelli, Rubbettino). Un riferimento garbatamente polemico alle sue posizioni
gius-naturaliste di si trova in D Antiseri (Laicità.. Le sue radici, le sue
ragioni, Rubbettino). La stessa contrapposizione è al fondo di una discussione
tra i due riguardante proprio i contenuti di quel
volume://blog.centrodietica/?p=2005. Questo
saggio e una presentazione completa e approfondita della filosofia libertaria
nelle sue diverse varianti, mentre si evidenzia anche un approccio libertario
ai problemi eco-logici. Ce sono riserve nei riguardi delle tesi libertarie e
dell'ispirazione anarchica della sua teoria del diritto. Nella sua monografia
su Leoni (L'ordine giuridico dei private” (Soveria Mannelli, Rubbettino) pure
Grondona sviluppa alcune critiche nei riguardi dell'interpretazione dello
studioso torinese offerta da lui mentre in maggiore sintonia con le sue posizioni
si trova A. Favaro (“ Dell'irrazionalità della legge per la spontaneità
dell'ordinamento” (Napoli, Scientifiche). Mostra che, contrariamente a
un'opinione diffusa, le distanze fra la concezione del diritto di Leoni e
quella di Hayek sono notevoli. In ogni caso non e Hayek a influenzare Leoni ma
il secondo a influenzare, almeno in parte, il primo. Per un'equilibrata analisi
del saggio si veda: M. Grondona, "Recensione Le ragioni del diritto", Nuova
Giurisprudenza Ligure. Carlo Lottieri. Lottieri. Keywords: bene commune,
diritto individuale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lottieri” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753125078/in/dateposted-public/
Grice e Luca – l’arte d’amare – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Marostica). Filosofo. Grice: “Luca expands on Alcibiades – I have
touched the topic of Alcibiade when discussing eudaemonia, as literally having
to do with the eudaemon – and the expression occurs in connection with
Socrate/Alcibiade -- Grice: “One good thing about Luca is that if my philosophy
revolves around ‘reason,’ his does it around ‘eros’!” -- Frequenta il Liceo
Ginnasio G.B. Brocchi di Bassano del Grappa. Si laurea a Firenze, con la tesi,
“Platone e il problema del linguaggio” con relatore Adorno. È stato incentrato inizialmente sulla
tematica dell’’amore’ nella tradizione greco-romana del Convitto e Fedro. Mmantenuto
però una costante apertura al ‘mythos’ di Omero, nella convinzione che per
quanto differenti possano essere i costumi o gli statuti sociali, rimane un
elemento per così dire “originario”, intrinsecamente umano, nell’approccio con
il desiderio, l’amore, l’amicizia, la sessualità. In Labirinti dell’Eros, pur
sviluppandosi la tematica all'interno di un arco di tempo definito, l’intento
non è quello di affrontare l’argomento nella sua unita longitudinale ma di
esprimere, senza costrizioni di un “per-corso pre-figurato” una distinzione
logico concettuale, attraverso la quale conseguire, almeno, un punto fermo
nell'amatoria. Riguarda anche lo sviluppo della tradizione
pitagorico-platonica, sia nelle sue caratteristiche peculiari ed in rapporto
alla metafisica, sia nell'accezione più ampia rispetto all'esigenza di dare
conto "dei fenomeni" o sensibilia. Si orientata alla tarda produzione
platonica e al pitagorismo di seconda generazione, che vengono analizzati anche
attraverso la cosmologia. Saggi: “Il Simposio, Nuova Italia, Firenze, Platone,
Fedro, Nuova Italia, Firenze, Eros e Epos: il lessico d'amore nei poemi
omerici, L’amatoria, L.S. Gruppo editoriale, Quarto Inferiore (BO); “Platone e
la sapienza antica. Matematica, filosofia e armonia, Marsilio, Venezia, Labirinti
dell’Eros. Da Omero a Platone, con un saggio, Marsilio Venezia. Roberto Luca. Luca.
Luca. Keywords: l’arte d’amare, Ovidio, il convito, I dialogui dell’amore: il
convito e Fedro, l’amore degl’eroi – achille e patroclo – niso ed eurialo – la
filosofia dell’amore nel convito, la morte di Patroclo, la morte di Niso, la
morte di Eurialo, l’eroe tragico, Achille eroe tragico, Eurialo e Niso, eroi tragici,
Enea, eroe tragico, Aiace, eroe tragico, Catone di Utica, eroe tragico, la
morte di Eurialo – la morte d’Eurialo – la pederastia – Eurialo piu giovane da
Niso. Luigi Speranza, “Grice e Luca: amatoria conversazionale: la massima o
principio dell’amore proprio conversazionale e la massima dell’amore all’altro.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Luca” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753506969/in/dateposted-public/
Grice e Lucrezio – alma figlia di
Giove – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pompei). Filosofo. Grice:
“By far the most important concept in Lucrezio’s philosoophy is that of
clinamen that Strawson translates as the ‘swerve.’ It was saved from extinction
by an Italian – as the novel tells you!” Grice: “While Strawson reads it in
Latin, I prefer the version in the vulgar!” – Grice: “And by the vulgar I mean
Marchetti!” Grice: “It’s amazing how well Marchetti interprets Lucezio – there
is a little treatise on Epicureanism in the Lucrezio by Marchetti which is
interesting. A real continuity in Italian philosophy!” -- possibly the most
important Italian philosopher. Seguace dell'epicureismo. Della sua vita ci
è ignoto quasi tutto: egli non compare mai sulla scena politica romana, né
sembra esistere negli scritti dei contemporanei, in cui non viene mai citato,
eccezion fatta per la lettera di Cicerone ad Quintum fratrem II 9, contenuta
nella sezione Ad familiares, in cui il celebre oratore accenna all'edizione,
forse postuma, del poema di Lucrezio, che egli starebbe curando. Ma in
scrittori romani successivi egli viene spesso citato: ne parlano Seneca,
Frontone, Marco Aurelio, Quintiliano, Ovidio, Vitruvio, Plinio il Vecchio,
senza tuttavia fornire nuove informazioni sulla vita. Questo però dimostra che
non si tratta di un personaggio inventato. Un'altra fonte che lo cita è
San Girolamo nel suo Chronicon o Temporum liber, di cinque secoli dopo, in cui,
ispirandosi ad alcuni dubbi passi di Svetonio, ci dice che sarebbe nato morto suicida. Tale dato non concorda
tuttavia con quanto affermato da Elio Donato, maestro di Girolamo stesso,
secondo il quale Lucrezio sarebbe morto quando indossò la toga virile,
nell'anno in cui erano consoli per la seconda volta Crasso e Pompeo. Questo
dato ha fatto propendere a credere che Lucrezio mori nel 55 a.C., all'età di quarantatré anni.
Queste vengono comunemente considerate le uniche notizie biografiche tramandate
direttamente dall'antichità. Ignoto risulta anche il luogo di nascita,
che tuttavia taluni hanno creduto essere Ercolano, per la presenza di un
Giardino Epicureo in quest'ultima città, in particolare, dall'analisi di
numerose epigrafi risalenti all'epoca dell'autore latino, risulta evidente
un'ingente presenza del cognome Carus nell'antico territorio campano, secondo
la critica recente la suddetta indagine prova fermamente (nei limiti del
probabile) le origini campane di Lucrezio. Neppure la sua militanza politica
sembra essere ricostruibile: il desiderio di pace accennato prima non sembra
affatto ricordare il drammatico rancore dell'aristocratico, per altro
solitamente stoico, che vede sgretolarsi la Repubblica e la libertà, ma il
desiderio dell'"amico" epicureo, che vede nella pace e nel benessere
di tutti la possibilità di fare accoliti e viver serenamente. È tuttavia rilevante
il fatto che la sua opera De rerum natura sia dedicata a Memmio, fine letterato
e appassionato di cultura greca, ma anche e soprattutto membro di spicco degli
optimates. Tale era, del resto, il suo desiderio di pace da auspicare
alla fine del proemio della sua opera una "placida pace" per i
Romani. Questo anelito così forte alla pace è peraltro riscontrabile non solo
in Lucrezio, ma anche in Catullo, Sallustio, Cicerone, Catone l'Uticense e
perfino in Cesare: esso rappresenta il desiderio di un'intera società dilaniata
da un secolo di guerre civili e lotte intestine. La scarsità delle fonti
sulla sua vita ha portato molti a interrogarsi persino sulla stessa esistenza
del filosofo, a volte considerato solo uno pseudonimo sotto il quale si celava
un anonimo filosofo per alcuni un amico epicureo di Cicerone, Tito Pomponio
Attico, che si suicidò, o persino lo stesso Cicerone. Secondo lo storico
Luciano Canfora, è possibile ricostruire una scarna biografia di Lucrezio:
nacque ad Ercolano, dove aveva una villa la famiglia nobiliare di un possibile
parente, Marco Lucrezio Frontone) appartenente quasi sicuramente all'antica
famiglia nobile dei Lucretii (qualcuno ne fa invece un liberto della stessa
famiglia). Studiò l'epicureismo proprio ad Ercolano, dove si trovava un centro
della "filosofia del giardino", diretta da Filodemo di Gadara, allora ospite nella villa
di Lucio Calpurnio Pisone, il ricco suocero di Cesare (la cosiddetta "villa
dei papiri"). Avrebbe sofferto di sbalzi d'umore, chiamati oggi
disturbo bipolare, ma non sarebbe stato pazzo, ma di questo umore alterno
risentì il suo lavoro. In disaccordo con le guerre civili, avrebbe lasciato
Roma e non sarebbe morto suicida ma avrebbe viaggiato ad Atene, nei luoghi del
maestro Epicuro, e oltre, essendo forse il suo nome conosciuto da Diogene di
Enoanda, quindi quasi in Asia minore, nelle cui famose incisioni sotto il
portico della sua casa si ricorda un certo "Caro" (nome poco
diffuso), romano, e sapiente epicureo. Non si sa se il poema fosse
diffuso nell'oriente, quindi è possibile che Lucrezio si fosse davvero recato
in Grecia. Lucrezio, spinto da una delusione d'amore, si sarebbe allontanato
lasciando incompiuto il suo poema, affidato forse a Cicerone stesso (che
difatti non parla effettivamente di suicidio ma afferma: «Lucretii poemata, ut
scribis, ita sunt: multis luminibus ingenii, multae tamen artis» ("le
poesie di Lucrezio, come tu mi scrivi, sono dotate di molti lumi di talento, e
tuttavia di molta arte"), ma, forse, senza impazzire e morire (che fosse
suicidandosi o perché assassinato), esagerazione della fonte di Girolamo o di
qualche altro avversario di Lucrezio, e sarebbe stato forse volutamente confuso
dallo stesso Girolamo con Lucullo, onde screditare l'epicureismo. Il
destinatario dell'opera, Gaio Memmio, caduto in disgrazia ed espulso dal Senato
per condotta immorale, andò ad Atene, causando una nuova delusione a Lucrezio,
che, tornato a Roma, sarebbe morto. La
notizia di un "filtro d'amore" velenoso somministratogli da una donna
di facili costumi, amante gelosa di Lucrezio, viene riportata anche da Svetonio
nei confronti di Caligola e della moglie Milonia Cesonia; in questo caso è
apparsa una semplice diceria, e, data l'ispirazione svetoniana (dal perduto De
poetis) del passo di Girolamo su Lucrezio, anche lì sembra essere una
spiegazione semplicistica, dovuta alla poca conoscenza dei disturbi psichici
che si aveva all'epoca (anche per Caligola si parlò, difatti, come per
Lucrezio, di epilessia e malattie fisiche misteriose che l'avrebbero fatto impazzire
improvvisamente, come, nel caso di studiosi moderni, l'avvelenamento da piombo,
oltre che dei detti "filtri"). Se Lucrezio soffrì di un disagio
psichico, che lo avrebbe spinto a cercare sollievo nella filosofia, non fu a
causa di un veleno, e se il suicidio ci fu (il che potrebbe spiegare
l'abbandono improvviso del poema), la causa potrebbe essere stata di natura
politica — come sarà più tardi il caso di Catone Uticense —, ovverosia la
rovina del suo protettore Memmio e della sua cerchia culturale. Virgilio, che
lo rispettava anche se era passato dall'epicureismo, abbracciato in gioventù,
alle teorie pitagoriche, parla di lui nelle Georgiche e nelle Bucoliche,
definendolo "felix" (ossia "prediletto dalla dea Fortuna") e
non "folle". Secondo Guido Della Valle, la V ecloga, che parla della
morte di un personaggio chiamato Dafni (a volte identificato con Cesare, a
volte con Flacco, il fratello di Virgilio), potrebbe riferirsi invece alla
morte dello stesso Lucrezio, definita "immatura e innaturale", cioè avvenuta
per cause traumatiche. Il movente politico e morale del gesto potrebbe essere
la causa del silenzio attorno ad esso e del fiorire di aneddoti per
giustificarlo, dato che non si poteva cancellare la grandezza filosofica di
Lucrezio, con una sorta di damnatio memoriae di solito riservata ai nemici
politici. Essi erano spesso vittime delle liste di proscrizione dei
vincitori, come quella di Marco Antonio che colpirà Cicerone, e molti si
toglievano la vita, in quanto morte onorevole per i costumi romani; Virgilio e
Orazio, estimatori di Lucrezio, facevano parte della corte di Augusto, e
dovevano quindi allinearsi alla linea culturale dettata dall'imperatore,
assertore dell'antica moralità e diffusore della leggenda di Cesare (per cui
venivano cancellate le espressioni scomode di dissenso), e dal suo amico
Mecenate, in cui l'epicureismo, se non sfumato come in Orazio appuntocosì come
ogni opera che non fosse celebrativa del princeps e della grandezza di Roma non
trovava spazio, per cui Lucrezio verrà ricordato solo come grande poeta,
tralasciandone l'aspetto filosofico. Secondo Della Valle, quindi,
Lucrezio si sarebbe tolto la vita come gesto di protesta contro la classe
politica in ascesa, o perché condannato a morte da essa. Lucrezio, per il
periodo in cui è vissuto, personaggio scomodo: gli ideali epicurei di cui era
profondamente intriso corrodevano le basi del potere di una Roma alla vigilia
della congiura di Catilina. In un'epoca di tensioni repubblicane, infatti,
isolarsi dalla realtà politica nell'hortus epicureo significa sottrarsi ai
negotia politici e uscire di conseguenza anche dalla sfera d'influenza del
potere. Le più forti correnti stoiche, ostili all'epicureismo, avevano permeato
la classe dirigente romana in quanto più conformi alla tradizione guerriera
dell'Urbe. L'epicureismo era invece presente anche attraverso il citato
Filodemo e altri in Campania, dove Virgilio avrebbe approfondito la sua
conoscenza dell'epicureismo. Orazio non lo nomina, ma è evidente che lo
conosce, e ideologicamente gli è più vicino di altri. La natura poetica del De
rerum natura fa sì che Lucrezio col suo pessimismo esistenziale avanzi profezie
apocalittiche, visioni quasi allucinate, critiche e ambigue espressioni (Grice),
che accompagnano il poema. Alcuni teologi come San Girolamo ed altri, hanno
dato di lui l'immagine di un ateo psicotico in preda alle forze del male.
Appoggiandosi alla psicoanalisi qualcuno ha sostenuto che in certi bruschi
cambiamenti di immagine e di pensiero ci fossero i sintomi di una pazzia delirante
o di problemi di ordine psichico. In realtà l'ipotizzata pazzia di Lucrezio
appare oggi più plausibilmente un tentativo di mistificazione per screditare il
poeta, così come la presunta morte per suicidio sarebbe stato l'esito di un
modo di pensare perverso, che travia chi lo segue. L'ipotesi dell'epilessia
poi, viene avanzata sulla base dell'arcaica credenza che il poeta fosse sempre
un invasato; elemento quest'ultimo da collegare alla credenza che gli
epilettici fossero sacri ad Apollo e da lui ispirati nelle loro creazioni. Comunque
altri scrittori cristiani come Arnobio e Lattanzio affermarono che egli non
fosse pazzo e che non si fosse ucciso. L'ipotesi della follia e del suicidio
attestata dal Chronicon di Girolamo si fondava su illazioni di Svetonio,
peraltro di difficile verifica. Potrebbe anche esserci stata una confusione
dovuta all'abbreviazione “Luc.,” impiegata indifferentemente nei codici latini
per indicare i nomi di Lucillius, Lucullus e Lucretius. Plutarco scrisse
infatti di un certo Licinio Lucullo, politico, generale e cultore dei piaceri,
che morì dopo essere impazzito a causa di un filtro d'amore. L'errore di
interpretazione dell'abbreviazione “Luc.” potrebbe così aver permesso lo scambio
dei due personaggi. A causa dell'impossibilità di ricostruire i momenti
salienti della sua vita, dunque, il progetto filosofico che egli volle
esprimere è ricostruibile interamente solo dalla sua opera, considerata tra le
più vigorose d'ogni età. Bisogna ora individuare le motivazioni che spinsero
Lucrezio a scrivere il De rerum natura, che fondamentalmente sono due. La prima
è una ragione etico-filosofica, in quanto Lucrezio, affascinato dalla filosofia
epicurea, desiderava invitare il lettore alla pratica di tale filosofia,
incitandolo a liberarsi dall'angoscia della morte e degli dèi. La seconda
motivazione invece è di carattere storico. Lucrezio era conscio che la
situazione politica a Roma peggiorasse di giorno in giorno: Roma era quadro
ormai di continui scontri bellici e conseguenti dissidi; giustappunto egli, con
un evidente positivismo, voleva incoraggiare il cittadino-lettore romano a non
perdere la fiducia verso un successivo miglioramento della situazione. Lucrezio
si proponeva di rivoluzionare il cammino di Roma, riportandolo all'epicureismo
che era stato declinato in favore dello stoicismo. La prima cosa da distruggere
era la convinzione provvidenzialistica stoica e più propriamente romana. Non
c'era un dovere romano di civilizzare "l'orbe terrifero e de le
acque", come farà dire Virgilio alla Sibilla Cumana in un colloquio con
Enea. Non c'è una ragione seminale universale responsabile della vita nel
cosmo, destinata a deflagrare per poi ricominciare un nuovo, identico, ciclo
esistenziale, come voleva la fisica stoica, ma un mondo che non è unico
nell'universo, peraltro infinito, essendo uno dei tanti possibili. Non c'è
quindi nessun fine provvidenziale di Roma, essa è una Grande fra le Grandi, ed
un giorno perirà nel suo tempo. La religione, considerata come Instrumentum
regni, deve essere non distrutta, ma integrata nel contesto del viver civile
come utile ma falsa. Egli afferma fin dal libro I del De rerum natura. Tanto
male poté suggerire la religione. Ma anche tu forse un giorno, vinto dai
terribili detti dei vati, forse cercherai di staccarti da noi. Davvero,
infatti, quante favole sanno inventare, tali da poter sconvolgere le norme
della vita e turbare ogni tuo benessere con vani timori! Giustamente, poiché se
gli uomini vedessero la sicura fine dei loro travagli, in qualche modo
potrebbero contrastare le superstizioni e insieme le minacce dei vati... Queste
tenebre, dunque, e questo terrore dell'animo occorre che non i raggi del sole
né i dardi lucenti del giorno disperdano, bensì la realtà naturale e la
scienza... E perciò, quando avremo veduto che nulla può nascere dal nulla,
allora già più agevolmente di qui potremo scoprire l'oggetto delle nostre
ricerche, da cosa abbia vita ogni essenza, e in qual modo ciascuna si compia
senza opera alcuna di dèi. Lucrezio colpiva direttamente la credenza negli dèi
latini sostenendo che non c'è preghiera che schiuda le fauci di una tempesta,
giacché essa è regolata da leggi fisiche e gli dèi, seppur esistenti e anche
loro composti da atomi così sottili che ne assicurano l'immortalità, non si
curano del mondo né lo reggono; ma la religione deve essere inglobata nella
scoperta e nello studio della natura, che rasserena l'animo e fa comprendere la
vera natura delle cose: infatti l'unico principio divino che regge il mondo è
la Divina Voluptas, Venere: il piacere, la vita stessa intesa come animazione
regge l'universo, ed è l'unica cosa in grado di fermare lo sfacelo che sta
portando Roma alla fine: Marte, ovvero la Guerra.[31] Proprio per questo, egli elogia
Atene, creatrice di quegli intelletti più grandi che hanno illuminato la natura
e quindi l'uomo stesso, ed in ultima istanza Epicuro, sole invitto della
conoscenza rasserenatrice. Non solo, egli stesso si sente quasi un poeta
rasserenatore delle tempeste umane e proprio per questo si sente profondamente
affine ai poeti delle origini, il cui luogo principe è in Empedocle (secondo
infatti per elogi solo a Epicuro) ma con una sola grande differenza: egli non è
portatore di una verità divina fra le umane genti, ma di una verità affatto
umana, universale e per tutti, che attecchirà ben presto per la salvezza di
Roma.[31] Epicuro è comunque, per Lucrezio, il più grande uomo mai esistito,
come risulta dai tre inni a lui dedicati (chiamati anche "trionfi" o
"elogi"): «E dunque trionfò la vivida forza del suo animo. E si
spinse lontano, oltre le mura fiammeggianti del mondo. E percorse con il cuore
e la mente l'immenso universo, da cui riporta a noi vittorioso quel che può
nascere, quel che non può, e infine per quale ragione ogni cosa ha un potere
definito e un termine profondamente connaturato. Perciò a sua volta abbattuta
sotto i piedi la religione è calpestata, mentre la vittoria ci eguaglia al
cielo. Il De rerum natura e un poema didascalico in esametri, di genere
scientifico-filosofico, suddiviso in sei libri (raccolti in diadi),
comprendente un totale di 7415 versi, che illustrano fenomeni di dimensioni
progressivamente più ampie: dagli atomi si passa al mondo umano per arrivare ai
fenomeni cosmici. Riproduce il modello prosastico e filosofico epicureo e la
struttura del poema Περὶ φύσεως di Empedocle (anche un'opera di Epicuro aveva
il medesimo titolo). Secondo i filologi vi sono corrispondenze e simmetrie
interne che corrisponderebbero ad un gusto alessandrino. L'opera infatti è
suddivisa in tre diadi, che hanno tutte un inizio solare ed una fine tragica.
Ogni diade contiene un inno ad Epicuro, mentre il secondo e il terzo libro (in
quest'ultimo è presente anche un'esposizione della sua estetica) si aprono entrambi
con un inno alla scienza. Essendo un poema didascalico, ha come modello Esiodo
e quindi anche Empedocle, che aveva preso il modello esiodeo come massimo
strumento per l'insegnamento della filosofia. Altri modelli potrebbero essere i
poeti ellenistici Arato e Nicandro di Colofone, che usavano il poema
didascalico come sfoggio di erudizione letteraria. Il destinatario e i
destinatari Il dedicatario dell'opera è la Memmi clara propago (I 42), ovvero
il rampollo della famiglia dei Memmi, che solitamente si identifica con Gaio
Memmio. Più in generale, si può dire che il destinatario che l'autore si
prefigge di conquistare è il giovane aperto ad ogni esperienza, che un giorno
prenderà il posto dei politici e attuerà quella rivoluzione propugnata con
tanto fervore da Lucrezio. Ma, almeno con Memmio, egli fallì: da adulto divenne
un dissoluto, fraintendendo il significato di piacere catastematico epicureo, e
fu allontanato dal Senato probri causa, cioè per immoralità. Riparò quindi in
Grecia, dove scrisse poesie licenziose e dove ce lo menziona anche Cicerone
(nelle Ad Familiares), intenzionato a distruggere la casa e il giardino in cui
proprio Epicuro risiedette, per costruirsi un palazzo, suscitando lo sdegno
degli epicurei che fecero istanza a Cicerone stesso di intervenire per
impedirglielo, senza che però Cicerone ci riuscisse. In un simile progetto
Lucrezio scelse di doversi rifare ad un modello di stile arcaico, che vedeva in
Livio Andronico, ma soprattutto in Ennio e in Pacuvio i modelli emuli, per motivi
fra loro quanto meno vari: l'egestas linguae (povertà della lingua), lo vede
costretto a dover arrangiare le lacune terminologiche e tecnicistiche con
l'arcaismo, ancora che proprio Lucrezio, insieme a Cicerone, sia uno dei
fondatori del lessico astratto e filosofico latino, e a colmare e ancor meglio
comprendere l'oscurità del filosofo con la mielosa luce della poesia. Discendendo
più in profondità nelle anguste gole del poema, si notano anche altri problemi
cui dovette far fronte: primo fra tutti, come tradurre parole di pregnanza
filosofica in latino, che ancora non aveva termini confacenti. Finché poté,
egli evitò la semplice translitterazione (ad es. "Atomus" per Ατομος)
e preferì invece usare altri termini presenti già nella sua lingua magari dandogli
altra accezione oppure (come mostrato anche sopra) creando neologismi. Ed è
proprio grazie all'arcaismo che Lucrezio riesce a rendere possibile tutto
questo: infatti era proprio dello stile arcaico il neologismo
"munificenza" ed anche un certo uso (convulso a detta di antichi e
moderni) delle figure di suono quali allitterazioni, consonanze, assonanze e
omoteleuti. Molto importante è anche il fatto che Lucrezio non si limitò a
trasmettere il messaggio di Epicuro con un arido scritto filosofico, ma lo fece
attraverso un poema che, a differenza del rigoroso linguaggio razionale della
filosofia, parla per squarci imaginifici. Sul piano teorico l'opera di Lucrezio
si caratterizza come una puntualizzazione di quella epicurea con alcune
esplicazioni che nel suo referente greco non erano abbastanza chiare. Il
concetto di parenklisis che Lucrezio tradurrà con clinamen mancava di
definizione chiara. Nella Lettera ad Erodoto Epicuro poneva infatti la
parenklisis ma poi parla piuttosto di una deviazione per urto. Il celebre
passaggio del libro II del De rerum natura dice: «Perciò è sempre più
necessario che i corpi deviino un poco; ma non più del minimo, affinché non ci
sembri di poter immaginare movimenti obliqui che la manifesta realtà smentisce.
Infatti è evidente, a portata della nostra vista, che i corpi gravi in se
stessi non possono spostarsi di sghembo quando precipitano dall’alto, come è
facile constatare. Ma chi può scorgere che essi non compiono affatto alcuna
deviazione dalla linea retta del loro percorso? Lucrezio precisa poi
ulteriormente le modalità del clinamen aggiungendo: «Infine, se ogni moto
è legato sempre ad altri e quello nuovo sorge dal moto precedente in ordine
certo, se i germi primordiali con l’inclinarsi non determinano un qualche inizio
di movimento che infranga le leggi del fato così che da tempo infinito causa
non sussegua a causa, donde ha origine sulla terra per i viventi questo libero
arbitrio, donde proviene, io dico, codesta volontà indipendente dai fati, in
virtù della quale procediamo dove il piacere ci guida, e deviamo il nostro
percorso non in un momento esatto, né in un punto preciso dello spazio, ma
quando lo decide la mente? Infatti senza alcun dubbio a ciascuno un proprio
volere suggerisce l’inizio di questi moti che da esso si irradiano nelle membra]»
Per quanto riguarda la sfera del vivente Lucrezio la collega direttamente agli
atomi nel loro processo creativo, scrivendo: «Così è difficile
rescindere da tutto il corpo le nature dell'animo e dell'anima, senza che tutto
si dissolva. Con particelle elementari così intrecciate tra loro fin
dall’origine, si producono insieme fornite d’una vita di eguale destino: ed è
chiaro che ognuna di per sé, senza l’energia dell’altra, le facoltà del corpo e
dell’anima separate, non potrebbero aver senso: ma con moti reciprocamente
comuni spira dall’una e dall’altra quel senso acceso in noi attraverso gli
organi. Lucrezio riprende in maniera radicale la tesi già di Epicuro. La
religione è la causa dei mali dell'uomo e della sua ignoranza. Egli ritiene che
la religione offuschi la ragione impedendo all'uomo di realizzarsi degnamente
e, soprattutto, di poter accedere alla felicità, da raggiungere attraverso la
liberazione dalla paura della morte. Il poema ha come argomenti principali la
lacerante antinomia fra ratio e religio, l'epicureismo e il progresso. La ratio
è vista da Lucrezio come quella chiarità folgorante della verità «che squarcia
le tenebre dell'oscurità», è il discorso razionale sulla natura del mondo e
dell'uomo, quindi la dottrina epicurea, mentre la religio è ottundimento
gnoseologico e cieca ignoranza, che lo stesso Lucrezio denomina spesso con il
termine "superstitio". Indica l'insieme di credenze e dunque di
comportamenti umani "superstiziosi" nei confronti degli dèi e della loro
potenza. Poiché la religio non si basa sulla ratio essa è falsa e pericolosa. Afferma
che sono evidenti le nefaste conseguenze della religione e adduce come esempio
il caso di Ifigenia, dicendo poi che il mito è una rappresentazione falsata
della realtà, come nell'Evemerismo. La religione è perciò la causa principale
dell'ignoranza e dell'infelicità degli uomini. Lucrezio riprende i temi
principali della dottrina epicurea, che sono: l'aggregazione atomistica e la
"parenklisis" (che egli ribattezza clinamen), la liberazione dalla
paura della morte, la spiegazione dei fenomeni naturali in termini meramente
fisici e biologici. Egli opera un completamento di essa in senso naturalistico
ed esistenzialistico, introducendo un elemento di pessimismo, assente in Epicuro,
probabilmente da attribuirsi a una personalità malinconica. Da un punto di
vista ontologico, secondo Lucrezio, tutte le specie viventi (animali e
vegetali) sono state "partorite" dalla Terra grazie al calore e
all'umidità originari. Ma egli avanza anche un nuovo criterio evoluzionistico:
le specie così prodotte sono infatti mutate nel corso del tempo, perché quelle
malformate si sono estinte, mentre quelle dotate degli organi necessari alla
conservazione della vita sono riuscite a riprodursi. Tale concezione atea,
materialista, antiprovvidenzialista e storica della natura sarà ereditata e
rielaborata da molti pensatori materialisti dell'età moderna, in particolare
gli illuministi Diderot, d'Holbach e La Mettrie, anch'essi atei dichiarati e a
loro volta divulgatori dell'ateismo; Lucrezio sarà inoltre seguito da Ugo
Foscolo e Giacomo Leopardi. Lucrezio nega ogni sorta di creazione, di
provvidenza e di beatitudine originaria e afferma che l'uomo si è affrancato
dalla condizione di bisogno tramite la produzione di tecniche, che sono
trasposizioni della natura. Però, il progresso non è positivo a priori, ma solo
finché libera l'uomo dall'oppressione. Se è invece fonte di degradazione
morale, lo condanna duramente. Lucrezio introduce nel III libro del De rerum
natura una chiarificazione che nel mondo latino era stata trascurata generando
non poche confusioni, circa il concetto di “animus” in rapporto a quello di
“anima” «Vi sono dunque calore e aria vitale nella sostanza stessa del corpo,
che abbandona i nostri arti morenti. Perciò, trovata quale sia la natura
dell'animo e dell'anima quasi una parte dell'uomo -, rigetta il nome di
armonia, recato ai musicisti già dall'alto Elicona, o che essi hanno forse
tratto d'altrove e trasferito a una cosa che prima non aveva un suo nome. Tu
ascolta le mie parole. Ora affermo che l'anima e l'animo sono tenuti Avvinti
tra loro, e formano tra sé una stessa natura. Ma è il capo, per così dire, è il
pensiero a dominare tutto il corpo: quello che noi denominiamo animo e mente e
che ha stabile sede nella zona centrale del petto. Qui palpitano infatti
l'angoscia e il timore, qui intorno le gioie provocano dolcezza; qui è dunque
la mente, l’animo. La restante parte dell’anima, diffusa per tutto il corpo,
obbedisce e si muove al volere e all’impulso della mente. Questa da sé sola
prende conoscenza, e da sé gioisce, quando nessuna cosa stimola l’anima e il
corpo. Lucrezio riprende il concetto ellenico di anima come "soffio vitale
che vivifica ed anima il corpo, ciò che i greci chiamavano psyché. Questo
soffio pervade tutto il corpo in ogni sua parte e lo abbandona solo “con
l'ultimo respiro". L'"animus" invece è identificabile col
"noùs" ellenico, traducibile in latino con mens. Dunque animus e mens
paiono essere o la stessa cosa o due elementi coniugati dell'unità mentale.
L'indicazione della “zona centrale del petto” come sede fa pensare al concetto
di “cuore”, ricorrente ancora oggi nel linguaggio comune per indicare la
sensibilità umana, centro dell'emozione e del sentimento. Parrebbe allora che
l'animus sia insieme e conoscenza e emozione, mentre l'anima è soffio vitale. L'angoscia
esistenziale Il De rerum natura è ricchissimo di elementi tipici
dell'esistenzialismo moderno, riscontrabile specialmente in Giacomo Leopardi,
che dell'opera di Lucrezio era un profondo conoscitore, anche se in realtà non
è noto il lasso di tempo in cui Leopardi lesse Lucrezio. Questi elementi di
angoscia hanno indotto alcuni studiosi a sottolineare il pessimismo di fondo
che si opporrebbe alla volontà di rinnovare il mondo a partire dalla filosofia
epicurea; in altre parole, in Lucrezio ci sarebbero due spinte contrapposte;
l'una dominata dalla razionalità e fiduciosa nel riscatto dell'uomo, l'altra
ossessionata dalla fragilità intrinseca degli esseri viventi e dal loro destino
di dolore e morte. Altri studiosi, però ritengono che l'insistenza di Lucrezio
sugli aspetti dolorosi della condizione umana non sia altro che una strategia
di propaganda, per fare emergere più fortemente la funzione salvifica della
ratio epicurea. S'intende, ciechi alla dottrina di Epicuro. Sul luogo di nascita: anche se c'è chi
afferma fosse nato a Roma, si ritiene quasi all'unanimità che fosse originario
della Campania: di Napoli, di Ercolano, o, secondo recenti studi epigrafici, di
Pompei, dove il nomen e il cognomen Tito e Lucrezio sono attestati, e la gens
Lucretia aveva delle ville cfr: Biografia di Lucrezio; o perlomeno vi avesse
abitato a lungo cfr. Enrico Borla, Ennio Foppiani, Bricolage per un naufragio.
Alla deriva nella notte del mondo, cfr. anche la Lucrezio Caro, Tito su
Enciclopedia Treccani Sulla data di
nascita: molti optano per il 98 a.C. o secondo altri 96 a.C. Secondo alcune fonti: Lucretius testimonia
vitae Luciano Canfora, Vita di Lucrezio, Sellerio, o secondo altri 53 a.C., cfr. Paolo Di Sacco,
M. Serio, "Odi et amoStoria e testi della letteratura latina" 1 "L'età arcaica e la repubblica",
Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Sezione 2, Modulo. Testimonianze su
Lucrezio Canfora. Lucrezio, De rerum
natura, Lucrezio, De rerum natura, Enrico Fichera, I "templa serena"
e il pessimismo di Lucrezio: echi lucreziani nella letteratura, Roma, Bonanno
edizioni, G. Lippold, Testo per Arndt-Bruckmann, Griech. u. röm. Porträts,
Monaco. Enciclopedia dell'arte antica
Cfr. Gerlo, Benedetto Coccia, Il mondo classico nell'immaginario
contemporaneo Nel romanzo epistolare di
Tiziano Colombi, Il segreto di Cicerone, Palermo, Sellerio, Nomi romani:
glossario Canfora, Cicerone, Ep. ad
Quintum fratrem, II 9. SLucrezio Canfora, Classici: Lucrezio e il De rerum
natura Aldo Oliviero, Il suicidio di Lucrezio, su lafrontieraalta.com. Ettore
Stampini, Il suicidio di Lucrezio, Messina, Tipografia D'Amico, La risposta di
Virgilio a Lucrezio Guido Della Valle
(Napoli), pedagogista e docente universitario, autore di Tito Lucrezio Caro e
l'epicureismo campano, Napoli, Accademia Pontaniana, Lucrezio in Enciclopedia
Italiana Lucrezio: informazioni
biografiche ibidem La natura delle cose, Milano, Rizzoli, Eneide,
libro VI. La natura delle cose, cit.
supra81. Lucrezio, La natura delle cose,
La natura delle cose. Il De rerum natura
di Lucrezio Introduzione a Lucrezio accesso= Memmio su Enciclopedia
Italiana Lo stile di Lucrezio C.
Craca, Le possibilità della poesia. Lucrezio e la madre frigia in «De rerum
natura» IBari, Edipuglia, Epicuro, Opere, E. Bignone, Laterza Lucrezio, La
natura delle cose, Biagio Conte, Milano, Rizzoli, La natura delle cose, cit. supra271. De rerum natura, Diego Fusaro, Tito Lucrezio
Caro, su filosofico.net. e rerum natura, VTasso segue Lucrezio stilisticamente,
non ideologicamente: vedasi la famosa similitudine del proemio del libro IV, ripresa
nel proemio della Gerusalemme liberate, La natura delle cose, cit. supra, De rerum natura, Mario Pazzaglia, Antologia
della letteratura italiana. Lucrezio,
introduzione Edizioni De rerum natura, (Brixiae), Thoma Fer(r)ando
auctore, De rerum natura libri sex nuper emendati, Venetiis, apud Aldum, In
Carum Lucretium poetam commentarij a Joanne Baptista Pio editi, Bononiae, in
ergasterio Hieronymi Baptistae de Benedictis, De rerum natura libri sex a
Dionysio Lambino emendati atque restituti & commentariis illustrati,
Parisiis, in Gulielmi Rovillij aedibus, De rerum natura libri VI, Patavii,
excudebat Josephus Cominus, De rerum natura libri sex, Revisione del testo,
commento e studi introduttivi di Carlo Giussani, Torino, E. Loescher (importante edizione critica, tuttora
fondamentale). De rerum natura, Edizione critica con introduzione e versione
Enrico Flores, 3 Napoli, Bibliopolis, Traduzioni italiane Della natura delle
cose libri sei tradotti da Alessandro Marchetti, Londra, per G. Pickard. La
natura, libri VI tradotti da Mario Rapisardi, Milano, G. Brigola, 1880. Della
natura, Armando Fellin, Torino, POMBA. Della natura, Versione, introduzione e
note di Enzio Cetrangolo, Firenze, Sansoni, La natura delle cose, Introduzione
di Gian Biagio Conte, Traduzione di Luca Canali, Testo latino e commento Ivano
Dionigi, Milano, Rizzoli, 1990. La natura, Introduzione, testo criticamente
riveduto, traduzione e commento di Francesco Giancotti, Milano, Garzanti (Per
la specifica sul De rerum natura si
rimanda a tale voce) V.E. Alfieri, Lucrezio, Firenze, Le Monnier, A.
Bartalucci, Lucrezio e la retorica, in: Studi classici in onore di Quintino
Cataudella, Catania, Edigraf, M. Bollack, La raison de Lucrece. Constitution
d'une poetique philosophique avec un essai d'interpretation de la critique
lucretienne, Parigi, Les editions de Minuit, 1978. G. Bonelli, I motivi
profondi della poesia lucreziana, Bruxelles, Latomus, Boyancé, Lucrezio e
l'epicureismo, Edizione italiana Alberto Grilli, Brescia, Paideia, D.
Camardese, Il mondo animale nella poesia lucreziana tra topos e osservazione
realistica, Bologna, Patron,. Luca Canali, Lucrezio poeta della ragione, Roma,
Editori Riuniti, Luciano Canfora, Vita di Lucrezio, Palermo, Sellerio, G. Della
Valle, Tito Lucrezio Caro e l'epicureismo campano, Seconda edizione con due
nuovi capitoli, Napoli, Accademia Pontaniana, 1935. A. Gerlo,
Pseudo-Lucretius?, in: «L'Antiquité Classique»,F. Giancotti, Lucrezio poeta
epicureo. Rettificazioni, Roma, G. Bardi, 1961. F. Giancotti, Religio, natura,
voluptas. Studi su Lucrezio con un'antologia di testi annotati e tradotti,
Bologna, Patron, 1989. G. Giardini, Lucrezio. La vita, il poema, i testi
esemplari, Milano, Accademia, 1974. S. Greenblatt, Il manoscritto. Come la
riscoperta di un libro perduto cambiò la storia della cultura europea,
traduzione di Roberta Zuppet, Milano, Rizzoli,
H. Jones, La tradizione epicurea, Genova, ECIG, R. Papa, Veterum
poetarum sermo et reliquiae quatenus Lucretiano carmine contineantur, Neapoli,
A. Loffredo, [1963]. L. Perelli, Lucrezio poeta dell'angoscia, Firenze, La Nuova
Italia, L. Perelli, Lucrezio. Letture critiche, Milano, Mursia, A. Pieri,
Lucrezio in Macrobio. Adattamenti al testo virgiliano, Messina, Casa Editrice
D'Anna, V. Prosperi, Di soavi licor gli orli del vaso. La fortuna di Lucrezio
dall'Umanesimo alla Controriforma, Torino, N. Aragno, G. Sasso, Il progresso e
la morte. Saggi su Lucrezio, Bologna, Il Mulino, R. ScarciaE. ParatoreG.
D'Anna, Ricerche di biografia lucreziana, Roma, Edizioni dell'Ateneo, O.
Tescari, Lucretiana, Torino, SEI,O. Tescari, Lucrezio, Roma, Edizioni Roma, A.
Traglia, De Lucretiano sermone ad philosophiam pertinente, Roma, Gismondi,
1947. Scritti letterari Luca Canali, Nei pleniluni sereni. Autobiografia
immaginaria di Tito Lucrezio Caro, Milano, Longanesi, E. Cetrangolo, Lucrezio.
Tragedia, Roma, Edizioni della Cometa, Tiziano Colombi, Il segreto di Cicerone,
Palermo, Sellerio, 1993. Piergiorgio Odifreddi, Come stanno le cose. Il mio
Lucrezio, la mia Venere, Milano, Rizzoli, Alieto Pieri, Non parlerò degli dèi.
Il romanzo di Lucrezio, Firenze, Le Lettere, Epicureismo Esistenzialismo ateo
Storia dell'ateismo Tito Lucrezio Caro, su TreccaniEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Tito Lucrezio Caro, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Tito Lucrezio Caro Opere di Tito Lucrezio Caro, su Liber Liber. openMLOL, Horizons Audiolibri di Tito
Lucrezio Caro, su LibriVox. Goodreads. De Rerum Natura: testo con concordanze e
liste di frequenza, su intratext.com. Intervista a Luca Canali su passioni e
razionalità in Lucrezio, dall'Enciclopedia multimediale delle scienze
filosofiche, su conoscenza.rai. Analisi critica del pensiero di Lucrezio, su
lucrezio.exactpages.com. V D M EpicureismoFilosofia Letteratura Letteratura Categorie: Poeti romaniFilosofi
romani 15 ottobre RomaTito Lucrezio CaroAtomistiEpicureiFilosofi
ateiLucretiiStoria dell'evoluzionismoPre-esistenzialistiPersonalità
dell'ateismo. Refs.: Lucretius, in The Stanford Encyclopaedia. Alma
figlia di Giove, inclita madre Del gran germe d'Enea, Venere bella,
Degli uomini piacere e degli Dei: Tu che sotto i girevoli e
lucenti Segni del cielo il mar profondo, e tutta D’ animai d'ogni
specie orni la terra, Che per se fora un vasto orror soUngo :
Te Dea , fnggono i venti: al primo arrivo Tuo svaniscon le nubi: a
te germoglia Erbe e fiori odorosi il suolo indnstre : Tu
rassereni i giorni foschi, e rendi Col dolce sguardo il mar chiaro e
tranquillo, E splender fai di maggior lume il ciclo. Qualor deposto
il freddo ispido manto L'anno ringiovanisce, « la soave Aura
feconda di Favonio spira,, Tosto tra fronde e fronde i vaghi
augelli. 34 T. LUCREZIO CARO Feriti il cor da'
tuoi pungenti dardi , Cantan festosi il tuo ritorno, o Diva;
Liete scorron saltando i grassi paschi Le fiere , e gonfi di nuor'
acqae i fìami Varcano a nuoto e i rapidi torrenti: Tal da'
teneri tuoi rezzi lascivi Dolcemente allettato ogni animale Desioso
ti segue ovunque il gnidi. In somma tu per mari e monti e
fiumi, Pe'boschi ombrosi e per gli aperti campi, Di piacevole amore
i petti accendi, E cosi fai che si conservi '1 mondo.
Or se tu sol della Natura il freno Reggi a tua voglia , e senza te
non vede Del di la luce desiata e bella, Nè lieta e amabil
fassi alcuna cosa: Te , Dea, te bramo per compagna all'opra,
In cui di scriver tento in nuovi carmi Di Natura i segreti e le
cagioni Al gran Memmo Gemello a te si caro , In ogni tempo, e
d’ogni laude ornato. Tu dunque , o Diva , ogni mio detto
aspergi D’eterna grazia, e fa’ cessare intanto E per mare e per
terra il fiero Marte, Tu, che sola puoi farlo : egli sovente
D’ amorosa ferita il cor trafitto Umil si posa nel divin tuo
grembo. Or mentr’ ei pasce il desioso sguardo Di tua beltà,
ch'ogni beltade avanza, E che l’anima sua da te sol pende,
Deh ! porgi a lui , vezzosa Dea , deh ! porgi A lui soavi preghi ,
e fa'ch’ ei renda Al popol suo la desiata pace. Che se la
patria nostra è da nemiche Armi abitata, io più seguir non posso
Con animo quieto il preso stile, Nè può di Memmo il generoso
figlio L I B R O l. aS l^egar sé stesso alla comaa
salate. Tu, gran prole di Memmo, ora mi porgi Grate ed
attente orecchie, e ti prepara, Lungi da te cacciando ogni altra
cura, Alle vere ragioni , e non volere I miei doni sprezzar
pria che gl’ intenda. Io narrerotti in che maniera il cielo
Con moto alterno ognnr si volga c giri j Degli Dei la natura, e delle
cose Gli alti principi , e come nasca il tutto ; Come poi -si
nutrichi, e come cresca, Ed in che finalmente ei si risolva :
£ ciò da noi nell’ avvenir dirassi Primo corpo, 9 materia, o primo
seme, O corpo genitale , essendo quello Onde prima si forma
ogni altro corpo: Che d'uopo é pur che’n somma eterna pace
Yivan gli Dei per lor natura , e lungi Stian dal governo delle cose umane
, Scevri d' ogni dolor, d' ogni periglio , Biechi sol
di lor stessi, e di lor fuori Di nulla bisognosi, e che nè metto
Nostro gli alletti, o colpa accenda ad ira. Giacca l’ umana vita
oppressa e stanca Sotto religìon grave e severa. Che mostrando
dal ciel l’altero capo Spaventevole in vista e minacciante Ne
soprastava. Un iiom d* Atene il primo Fu, che d’ ergerle incontra ebbe
ardimento Gli occhi ancor che mortali, e le s’oppose. Questi non
paventò nè eie! tonante Nè tremoto che ’l mondo empia d’ orrore ,
Nè fama degli Dei, nè fulmin torto j Ma qual acciar su dura alpina
cote Quanto s’agita più tanto più splende. Tal dell'animo suo
mai sempre invitto Nelle difficoltà crebbe il desio a
Digitized by Google T. LUCREZIO CARO
a6 Di spezzar pria d'ogni altro i saldi chiostri, E r ampie
porte di Natura aprirne. Cosi vins' egli , e con l' eccelsa
mente Varcando oltre a' confin del nostro mondo, Fu bastante a
capir spazio infinito. Quindi sicuramente egli n’ insegna Gid
che nasca o non nasca, ed in qual modo Ciò che racchiude l' Universo in
seno Ha poter limitato , e tcrmin certo : E la religion
co’pié calcata, L' alta vittoria sua c’ erge alle stelle.
Nè creder già che scelerate ed empie Sian le cose eh’ io parlo ;
anzi sovente L' altrui religion ne’ tempi^antichi Cose produsse
scelerate ed empie. Questa il fior degli eroi scelti per duci
Deir oste argiva in Aalide indusse Di Diana a macchiar l' ara
innocente Col sangue d' Ifigenia , allor che cinto Di bianca fascia
il beLvirgineo crine Vid’ella a se davanti in mesto volto Il padre,
e alni vicini i sacerdoti Celar 1’ aspra bipenne , e '1 popol tutto
Stillar per gli occhi in larga vena il pianto Sol per pietà di lei , che
muta e mesta Teneva a terra le ginocchia inchine. Nè giovi
punto all’ innocente e casta Povera verginella in tempo tale ,
Ch’ a nome della patria il prence avesse All’ esercito greco un re
donato ; Che tolta dalle man del suo consorte Fu condotta
all’ aitar tutta tremante: Non perchè terminato il
sacrifizio, Legata fosse col soave nodo D* un illustre imeneo
; ma per cadere Nel tempo stesso delle proprie nozze A* piè del
genitore ostia dolente I. 1 c n o I. 27
Per dar felice e fortunato evento All' armata navale. Error si
grave Persuader la religion poteo. Tu stesso dall' orribili
minacce De' poeti atterrito, a i detti nostri Di negar tenterai la
fe dovuta. Ed oh! quanti potrei fìngerti anch'io Sogni e
chimere, a sovvertir bastanti Del viver tuo la pace, e col timóre
Il sereno turbar della tua mente. Ed a ragion, che se prescritto il
fine Vedesse l'uomo alle miserie sue. Ben resister potrebbe
alle minacce Delle religioni, e de' poeti. Ma come mai
resister può, s' ei teme Dopo la morte aspri tormenti eterni.
Perchè dell' alma è a lui 1' essenza ignota: S' ella sia nata, od a chi
nasce infusa, E se morendo il corpo anch' ella muoia?
Se le tenebre dense , e se le vaste Paludi vegga del tremendo Inferno
, O s' entri ad informare altri animali Per ^divino voler,
siccome il nostro Ennio cantò , che pria d' ogn' altro colse In
riva d'Elicona eterni allori. Onde intrecciossi una ghirlanda al
crine Fra l'italiche genti illustre c chiara? Bench' ci ne' dotti
versi affermi ancora Che sulle sponde d' Acheronte s' erge Un
tempio sacro a gl' infernali Dei , Ove non 1' alme o i corpi nostri
stanno. Ma certi simulacri in ammirande Guise pallidi in
volto, e quivi narra D aver visto l'imagine d' Omero Piangere
amaramente, e di Natura Raccontargli i segreti e le cagioni.
Dunque non pnr de’più sublimi effetti Digilized by
Googic >8 T. LUCREZIO CARO
Cercar le cause, e dichiarar conviensi Della luna e del sole i morimenti
; Ma come possan generarsi in terra Tutte le cose, e con
ragion sagace Principalmente investigar dell' alma, £
dell'animo uman l’occulta essenza, E ciò che sia quel, che
vegliando infermi, £ sepolti nel sonno, in guisa n'empie D’alto
terror , che di veder presente Parne , e d’udir chi già per morte in
nude Ossa ò converso, e poca terra asconde. £ so ben io qual
malagevol’ opra Sia r illustrar de’ Greci in toschi carmi L’
oscure invenzioni, e quanto spesso Nuove parole converrammi usare,
Non per la povertà della mia lingua Ch’ alia greca non cede , e più
d’ ogn’ altra Piena è di proprie e di leggiadre vocij Ma per la
novità di quei concetti Ch’esprimer tento, e che nuli’ altro
espresse. Pur nondimcn la tua virtude ò tale , £ lo sperato
mio dolce conforto Della nostr’amistà, eh’ ognor mi sprona A
soffrir volentieri ogni fatica, E m’induce a vegliar le notti
intere, Sol per veder con quai parole io possa Portare
innanzi alla tua mente un lume, Ond’ ella vegga ogni cagione
occulta. Or si vano terror , si cieche tenebre Schiarir
bisogna, e via cacciar dall’ animo Non co’ be’ rai del sol, non già co’
lucidi Dardi del giorno a saettar poc’ abili Fuorché 1’ ombre
notturne e i sogni pallidi , Ma col mirar della Natura , e
intendere D’occulte cause e la velata imagine. Tu, se di
conseguir ciò brami, ascoltami. Sappi , che nulla per diyin
volere Digitized by Googl Pad dal nalla crearsi, onde
il timore, Che qaind'il cor d'ogni mortale ingombra , Vano è
del tutto, e se tu vedi ognora Formarsi molte cose in terra e ’n cielo,
nè d'esse intendi le cagioni, e pensi Perciò che Dio le faccia , erri e
deliri. Sia dunque mio principio il dimostrarti, Che nulla
mai si può crear dal nulla. Quindi assai meglio intenderemo il
resto £ come possa generarsi il lutto Senz'opra degli Dei. Or se
dal nnlla- Si creasser le cose, esse di seme Non avrian d'uopo, e
si vedrian produrre Uomini ed animai nel seti dell' acque,
Nel grembo della terra uccelli e pesci, £ nel vano dell’ aria
armenti e greggi; Pe' luoghi culli, e per gl' inculti il
parto D'ogni fera selvaggia incerto fora; Nè sempre ne darian
gl'istessi frutti Gli alberi , ma diversi ; anzi ciascuno D' ogni
specie a produrgli allo sarebbe. Poiché come potrian da certa madre
Nascer le cose, ove assegnati i propri Semi non fosser da ^Natura a tutte
1 Ma or perché ciascuna è da principi Certi creala , indi ha il
natale ed esce Lieta a godere i dolci rai del giorno , Ov'è
la sua materia e -i-vorpi primi: E quindi nascer d'ogni cosa il
tutto Non può, perchè fra loro alcune certe Cose hall l'interna
facoltà distinta. Inoltre ond' è che primavera adorna
Sempre è d’ erlie e di fior? che di mature Biade all' estiv' arsura
ondeggia il campo ? £ che sol quando Febo occupa i segni O di Libra
o di Scorpio, allor la vite Suda il dolce liquor che inebria i
sensi? 3o T. LUCREZIO CARO 5e non perché
a'ior tempi alcuni certi Semi in un concorrendo, atti a produrre
Son ciò che nasce, alJor che le stagioni Opportune il richieggono, e la
terra «I Di rigor genital piena c di succo , Puote all’ aure
inalzar sicuramente Le molli erbette e 1' altre cose tenere ì Che
se pur generate esser dal nulla Potessero, apparir dovrian repente
In contrarie stagioni e spazio incerto , Non vi essendo alcun seme
, che impedito Dall' Union feconda esser potesse O per ghiaccio o
per sol ne' tempi avversi. Né per crescer le cose avrian mestiere
Di spazio alcuno in cui si unisca il seme, i' elle fosser del nulla atte
a nutrirsi : Ma nati appena i pargoletti infanti Diverrebbero
adulti , e in un momento Si vedrebber le piante inverso il cielo
Erger da terra le robuste braccia. Il che mai non succede ; anzi
ogni cosa Cresce, come conviensi , a poco a poco, E
crescendo, conserva e rende eterna La propria specie. Or tu confessa
adunque Che della sua materia , e del suo seme Nasce, si nutre e
divien grande il tutto. S’arroge a ciò, che non daria la
terra Il dovuto alimento ai lieti parti. Se non cadesse a
fecondarle il seno Dal del 1' umida pioggia, e senza cibo Propagar
non potrebber gli animali La propria specie, e conservar la vita,
Ond' è ben verisimile, che molte Cose molti fra lor corpi
comuni Àbbian, come le voci han gli elementi j Anzi, che sia senza
principio alcuna. In somma ond' è che non formò Natura
LIBRO 1. 3l Uomini tanto grandi e si
robusti, Che potesser co’ piè del mar profondo Varcar l’
acque sonanti , e con la mano Sveller dall’imo lor l’alte montagne,
£ viver molt’ etadi , e molti secoli? Tito Lucrezio Caro. Lucrezio. Luigi Speranza, "Grice, Lucrezio, e la natura
delle cose," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia. Luigi Speranza, “Grice e Lucrezio: implicatura atomica”
– “implicatura e composizionalita” – “implicatura elementare” – “implicatura
simplex” “implicatura simplice” “implicatura complessa”, “alma figlia di Giove”
--.
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Grice e Luporini – i corpi di Vinci
– il leopardi fascita – leopardi fascisti – ultra-filosofico -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Ferrara).
Filosofo. Grice: “I like Luporini; I lerarned from him how silly Austin is when
talking of ‘material object’ – a contradiction in terminis for Kant who uses
‘materie’ very strictly; Luporini’s study of Leopardi is brilliant – and he has
explored the genius of Vinci, which is good!” Si recò a Friburgo, dove
frequenta le lezioni di Heidegger, e poi a Berlino, dove poté seguire le
lezioni di Hartmann. Si laurea a Firenze. Insegna a Cagliari, Pisa e Firenze.
Dopo un in interesse per l'esistenzialismo, aderì al marxismo, iscrivendosi al
Partito Comunista, per il quale fu eletto senatore nella terza legislature. Tra
le altre iniziative parlamentari, fu firmatario di un progetto di legge, "Istituzione
della scuola obbligatoria statale dai 6 ai 14 anni.” Fonda la rivista
Società. Collabora ai periodici
politico-culturali del PCI, Il Contemporaneo, Rinascita, Critica marxista.
Durante il dibattito che, a seguito degli eventi, porta alla trasformazione del
PCI in PDS, si schierò decisamente contro la "svolta" di Occhetto,
aderendo alla mozione "due" di opposizione interna, in un'orgogliosa
difesa e per un rilancio della prospettiva e degli ideali comunisti. Il
marxismo di Luporini si fonda su una critica radicale allo storicismo, sul
rifiuto di ogni concezione finalistica dello sviluppo storico: il comunismo,
quello marxista in particolare, non è assimilabile con la tematica tipicamente
storicista del progresso come traccia dell'evoluzione umana. Egli rifiuta
letture dogmatiche del marxismo e le sue deteriori forme di economicismo e
meccanicismo, ma, pur apprezzando lo strutturalismo di Althusser con cui cercò
di far dialogare tutto il marxismo italiano, non ne condivideva l'anti-umanismo,
in quanto il pensiero di Marx conserva per lui un profondo umanesimo, anche
negli scritti successivi alla "rottura epistemologica" in cui le
strutture, cioè i modelli interpretativi della società, non sono astratti ma in
funzione degli individui concreti, umani.
Nello stesso ambito marxista, tra i suoi obiettivi polemici vi furono
quelle posizioni che proponevano una interpretazione di radicale discontinuità
tra Marx e Hegel, cioè quelle di Volpe e della sua scuola. Centrale è infatti
per Luporini la nozione di “contra-dizione,” la marxiana "oggettività
reale", che lo pone comunque in relazione con Hegel. Marx deve essere
considerato una concezione aperta e complessa, dove materialismo e dialettica
compongono una sintesi mai totalizzante (da qui il suo interesse per
l'elaborazione di Gramsci) e parte fondamentale di una più generale teoria dei
condizionamenti umani. Fondamentale è il
concetto di formazione economico-sociale, espressione già utilizzata da Sereni,
ma in senso storicistico e cioè la possibilità per il marxismo di costituire un
modello per l'analisi degli specifici modi di produzione della società
capitalista, nonché per la previsione scientifica delle sue varie forme. La
legge generale delle formazioni economico-sociali è tratta dall’Introduzione ai
Lineamenti fondamentali di critica dell'economia politica di Marx. La struttura
economica va indagata secondo logica scientifica e bisogna stabilire un
"criterio oggettivo", il momento dominante che condiziona tutti gli
altri assetti produttivi. L'approccio
storico-genetico non è un continuum evoluzionistico come nella tradizione
storicistica, è la fase dell'osservazione e descrizione empirica del fenomeno
dalla sua origine ed è secondario rispetto all'approccio genetico-formale, cioè
all'indagine che permette di stabilire la categoria dominante di una
determinata fase storica della produzione. Il modello de Il Capitale può dunque
aspirare all'universalità, ma anche alla flessibilità di applicazione. La
formalizzazione di un “modello” attraverso il metodo genetico, individua anche
il processo per cui i rapporti di produzione si riflettono in qualcos’altro, la
coscienza dei singoli, le relazioni inters-oggettive (l’inter-azione’) e le
radici stesse della vita morale. È palese così il contrasto di Luporini ad ogni
disegno provvidenzialista e di filosofia della storia e anche in questo si
rende chiaro il rapporto dialettico-oppositivo tra Hegel e Marx. Per quanto
riguarda Leopardi, secondo Luporini, la sua poesia non è permeata solo di
pessimismo, ma ci invita anch'essa alla resistenza attiva. La formazione
filosofica di Leopardi, infatti, illuminista e materialista, permette di
leggere ad esempio, nelle "magnifiche sorti e progressive" de
"La Ginestra", una possibilità di rinnovamento politico-sociale non
in antitesi con la concezione della 'natura matrigna', un compito storico degli
esseri umani altrimenti o comunque destill'infelicità esistenziale. “Filosofia
e politica: scritti dedicati a Luporini, Firenze, La Nuova Italia, Una completa e aggiornata, L. Fonnesu, è stata
pubblicata nel numero speciale dedicato a Luporini di "Il Ponte"
(Firenze). Oltre agli studi sulla storia della filosofia e a un'elaborazione
teorica del marxismo incentrata sui temi etici, si ricordano, fra le sue opere
principali: “Situazione e libertà”
(Firenze, Monnier); “Filosofi vecchi e nuovi” (Firenze, Sansoni); “Spazio e
materia in Kant” (Firenze, Sansoni); “L'ideologia comunista” (Riuniti, Roma); “Dialettica
e materialismo, Roma, Riuniti, Il soggetto
e il comune, Il marxismo e la cultura italiana, in Storia d'Italia, I
documenti, Einaudi. Un'incidenza notevolissima ha sugli studi leopardiani il
suo saggio Leopardi progressivo. Sulle
lezioni di Heidegger e Hartmann vedi l'aneddoto in Intervista in "Repubblica",
E. Sereni, Da Marx a Lenin: la categoria di formazione economico-sociale, Quaderni
di Critica marxista, Realtà e storicità: economia e dialettica nel marxismo, in
Critica marxista, Per l'interpretazione della categoria formazione
economico-sociale, in Critica marxista, Le radici della vita morale, in Morale e società, Riuniti, Roma); S. Lanfranchi,
Dal Leopardi ottimista della critica fascista al Leopardi progressivo della
critica marxista, Saggi critici in Garin, Esistenza e libertà, in Critica marxista,
G. Mele, Esistenzialismo e significato della libertà, Critica Marxista, A. Zanardo,
Un orizzonte filosofico materialistico, in Critica marxista, C. Rocca,
Esistenzialismo e nichilismo «Belfagor», R. Mapelli, Milano, ed. Punto Rosso, Ponte,
Ponte, Convegni Quarant'anni di
filosofia in Italia. "Critica marxista", Il fascicolo contiene gli
atti delle due giornate di studio sulla sua filosofia oorganizzate dalla
Facoltà di Lettere e filosofia dell'Firenze e dalla fondazione Gramsci di Roma,
Feltrinelli. Nella loro maggior parte i contributi riprendono gli interventi al
Convegno promosso dall'Firenze e organizzato dal Dipartimento di Filosofia. Treccani
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Senato della Repubblica; Biblioteche dei
Filosofi (SNS), su picus unica. L'ultima lezione (una grande avventura
intellettuale attraverso il Novecento), su hyperpoli. Sebbene
questo titolo rimandi a questioni di critica letteraria, e di fatto i risultati
della critica leopardiana costituiscano l’oggetto principale da cui muove
questo studio, essi saranno presentati e analizzati nelle prossime pagine
innanzitutto come un ‘documento’ storico : un documento che forse non ci darà
risposte soddisfacenti per comprendere meglio il pensiero leopardiano, ma
contribuirà invece alla nostra riflessione sull’iter culturale e ideologico di
alcuni intellettuali italiani, tra il 1940 e il 1948. Per affrontare il
problema della transizione e tentare di isolare alcuni elementi di continuità e
di rottura, il discorso svolgerà un percorso circolare : partendo dal saggio
pubblicato da Cesare Luporini nel 1947, Leopardi progressivo, al quale, in un
primo momento, si accennerà solo molto brevemente ; seguendo poi un cammino a
ritroso per rintracciare l’itinerario e le origini anche abbastanza lontane del
dibattito – iniziato sin da prima del Ventennio – da cui trae origine questo
testo ; e tornando infine al 1947 e al libro di Luporini, molto noto, anche
fuori dalla cerchia degli specialisti di Leopardi, tanto da esser divenuto un
‘classico’ studiato spesso sin dal liceo1. 2 Scrive Sebastiano Timpanaro
a proposito del titolo scelto da Luporini : « un titolo che per un vers (...) 3
Si tratta del v. 51 della Ginestra, in G. Leopardi, Poesie e prose, vol. I,
Poesie, a cura di M. A. (...) 4 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 64.
2 La scelta dell’aggettivo progressivo, benché avesse un’eco politica
particolare nella cultura comunista del primissimo dopoguerra2, era dettata dal
richiamo letterario alle « magnifiche sorti e progressive » de La Ginestra di
Leopardi3. Ma nella citazione di Luporini l’aggettivo perdeva il sapore
amaramente ironico di quel verso leopardiano ed assumeva invece un significato
totalmente positivo, per indicare una forma di fiducia nel « generale progresso
dell’incivilimento »4 che, secondo il critico, emana dalla lettura complessiva
di una poesia come La Ginestra e, forse soprattutto, da un’attenta analisi
dello Zibaldone di Leopardi. Questa fiducia non risiede però, per Luporini,
nell’individuo, bensì nella moltitudine, ovvero nel popolo e nella sua virtù, e
sfocia in una dichiarazione di solidarietà tra gli uomini tutti, contro la
natura, per un progresso generale della condizione umana. 3 La vivacità
delle reazioni che suscitò il saggio quando fu pubblicato dà una preziosa
indicazione di quanto originale e quanto importante fosse l’interpretazione
proposta da Luporini. Per illustrare l’accoglienza che ricevette è
particolarmente utile la recente testimonianza di Franz Brunetti, che sarebbe
poi diventato professore di filosofia e specialista di Galilei, ma che allora
era ancora al terzo anno di studi della Scuola normale superiore di Pisa, dove
Luporini appunto insegnava. Brunetti ricorda perfettamente il Leopardi
progressivo, la cui lettura creò interesse e agitazione fra i normalisti : ne
discutevano animatamente nei corridoi, nelle stanze e durante i pasti nella
sala da pranzo soprattutto gli italianisti Giulio Bollati, Luigi Blasucci,
Dante della Terza, che trascinavano tutti gli altri. Era lecita una definizione
politica del poeta ? Era corretta siffatta operazione ideologica ? Non era
forse più opportuna una ricomposizione unitaria del pensiero leopardiano […]
? 5 F. Brunetti, Il « nostro » professore Cesare Luporini, in Cesare
Luporini 1909-1993, a cura di M. M (...) La discussione, animata e per certi
versi lacerante, si protrasse per giorni, riecheggiando sotto le volte dei
corridoi nel Palazzo dei Cavalieri. Fu però efficace, perché fece rientrare la
sensazione provocatoria del saggio e ricondurre l’elemento ideologico e il «
tecnicismo filosofico » nelle giuste dimensioni, sortendo d’altro canto
l’effetto di mettere in discussione l’apollineità in cui la critica crociana
mirava a rinchiudere la poesia e insieme il poeta. Non è un caso che da quello
stesso anno [1948] anche il lavoro critico di Luigi Russo si attestò in una
valorizzazione della « politicità » dei poeti, rompendo, proprio lui, il
dominante schema crociano. Una pietra gettata nello stagno, una fertile
provocazione intellettuale.5 4 Quanto racconta Brunetti è, per molti
aspetti, significativo e rappresentativo del clima ideologico e culturale di
quegli anni, e della transizione che si sta operando, anche nel piccolo mondo
della critica letteraria. 6 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p.
38 e 92. 7 W. Binni, La nuova poetica leopardiana, Firenze, Sansoni, 1947.
Sebbene molto diversi, il testo di (...) 5 Brunetti definisce il testo di
Luporini un’« operazione ideologica », in quanto offre una lettura non solo
eminentemente politica dell’opera leopardiana, ma una lettura esplicitamente
comunista. Luporini vede in Leopardi un « anticipatore di ulteriori dottrine »,
« fedele ai principi della democrazia rivoluzionaria, anche più avanzata »6. In
questo senso, il 1947 segna, col saggio di Luporini – e col saggio altrettanto
noto di Walter Binni, La nuova poetica leopardiana, pubblicato lo stesso anno7
– una svolta decisiva nella storia della fortuna leopardiana, inaugurando la
proficua stagione della critica leopardiana del secondo Novecento, segnatamente
della critica detta marxista. 6 D’altra parte, Brunetti considera che
l’opera di Luporini era, nel contesto culturale della seconda metà degli anni
Quaranta, una vera e propria « pietra gettata nello stagno » e una « fertile
provocazione intellettuale », in quanto rimetteva in questione il « dominante
schema crociano ». Con quest’ultima osservazione, Brunetti non rende, tuttavia,
conto di quanto fosse recente tale « dominio ». Se è vero, infatti, che il
metodo crociano si era imposto nel mondo culturale di quel primissimo
dopoguerra, durante tutto il Ventennio e anche durante la guerra esso era stato
sì prevalente, ma solo nella cerchia, in realtà abbastanza ristretta, degli
intellettuali ostili o estranei al fascismo. Di sicuro non era stato lo «
schema dominante » imposto negli studi letterari, nelle riviste, nelle
accademie e nelle università dell’Italia fascista. 8 Croce conia la voce
« allotrio » per indicare ciò che è estraneo all’estetica, rifacendosi al vocab
(...) 9 Per l’influenza di Giovanni Gentile sul mondo culturale in epoca
fascista, si veda in particolare G (...) 10 Il ruolo di Vittorio Cian
(1862-1951) negli studi letterari del Ventennio e nel periodo di transizi (...)
11 Arturo Marpicati (1891-1961) compie studi di letteratura italiana a Firenze,
pubblica alcune raccol (...) 12 Ecco quanto scriveva, ad esempio, Vittorio
Cian, nel 1933, rivolgendosi a Croce e ai suoi discepoli (...) 13 Mi sia
consentito di rimandare in questa sede a due testi miei, entrambi accessibili
in linea : S. (...) 7 In realtà, durante il Ventennio solo una minoranza
di critici – pur trattandosi di una minoranza quantitativamente e soprattutto
qualitativamente importante – aveva seguito l’idea crociana dell’autonomia
dell’arte, e quindi perlopiù evitato di dare una lettura apertamente politica
dei testi letterari. Erano relativamente pochi i critici che aderivano al
principio secondo cui gli elementi che in un’opera d’arte contengono un
messaggio dichiaratamente politico o morale sono « allotri »8, ovvero estranei
alla vera poesia del testo, perché non corrispondono allo slancio primo e
poetico dell’intuizione estetica. A questi si opponeva la critica di stampo
fascista, nelle cui file, ben più folte, troviamo uomini di grande influenza e
di grande potere nell’ambiente culturale ed accademico, come un Giovanni
Gentile9, un Vittorio Cian10, ma anche un Arturo Marpicati11. Essi
contestavano, anche violentemente, la lezione crociana12, mentre rivendicavano,
per tutti i testi letterari, la legittimità di una lettura morale, politica,
improntata all’attualità. La tendenza ad ‘attualizzare’ il significato delle
opere fu portata a tal segno da far loro presentare, talvolta e anzi spesso, i
classici della letteratura italiana come precursori del fascismo13. 8 Non
era dunque la prima volta che si buttavano pietre nello stagno della critica
crociana ; si potrebbe quasi dire, anzi, che non si era fatto altro che
buttarvi pietre durante tutto il Ventennio. 14 In realtà, i primi sintomi
di « insofferenza » Russo li diede sin dal 1941, mentre scriveva un arti (...)
15 Ibid., p. 4. 9 Perciò, quando Brunetti denuncia « l’apollineità » in cui
Croce rinchiude i poeti, e quando ricorda l’itinerario di Luigi Russo – che in
quegli anni, dopo esser stato a lungo un fedele discepolo crociano, da Croce
prende appunto le distanze14 – egli ci fa intuire non tanto una rottura, quanto
una ‘transizione’ interessante. Tra i critici che erano stati antifascisti negli
anni Venti e Trenta, molti cominciano, sin dai primissimi anni Quaranta, a
maturare un progressivo allontanamento dalla posizione crociana, proprio perché
si sentono vincolati da quell’implicito divieto di ‘allotrismo’ che
caratterizza la produzione critica crociana, rivendicando la possibilità di
considerare « la politicità nascosta » anche nella « grande poesia »15.
Arrivati al 1947 o 1948, sembrano ormai giunti al punto di rottura. Ma quel che
preme qui sottolineare è che vi è dunque una continuità, non certo nei
contenuti politici – affatto diversi – ma potremmo dire nel metodo e nei
presupposti teorici ed estetici che vengono opposti a Croce durante e dopo il
Ventennio, ovvero nella comune rivendicazione ‘allotrica’. 10 Il testo di
Luporini segna senz’altro una svolta nella fortuna critica di Leopardi nel
Novecento, quando lo si studia come punto di partenza di una tradizione
critica, e in questo modo esso viene generalmente e giustamente valutato.
L’intento di questo lavoro sarà invece di considerarlo come punto di approdo
problematico di un’altra tradizione critica, non posteriore ma anteriore,
vigente nel Ventennio e di stampo generalmente fascista, con cui il testo di
Luporini, nonostante le fondamentali differenze, ha in comune almeno due
aspetti essenziali. Il primo è appunto l’opposizione all’estetica crociana che
è già stata evocata e che potrebbe, senz’altro, esser estesa a gran parte della
critica letteraria, non trattandosi di una specificità leopardiana ; il secondo
è l’idea – sulla quale verterà più precisamente questo studio – di un
fondamentale ottimismo leopardiano. Ora, una certa paternità del tema
dell’ottimismo leopardiano, così come lo sviluppa Luporini, può essere
attribuita a Giovanni Gentile e ad un suo saggio sulle Operette morali di
Leopardi, scritto nel 1916. Questo, invece, è un discorso specifico, valido per
la sola critica leopardiana. 11 L’ipotesi di una continuità tra
l’interpretazione che Luporini dà di Leopardi nel 1947 e la produzione critica
degli anni Venti e Trenta, con una comune opposizione a Croce, ma anche una
comune matrice – almeno parziale – gentiliana, è convalidata sia dall’analisi
dei testi, come vedremo, che dalla stessa biografia di Luporini e da quanto lui
stesso racconta della propria esperienza. La vicenda umana, ideologica e
culturale di Luporini in quel decennio che va dalla seconda metà degli anni
Trenta alla fine degli anni Quaranta è, per molti aspetti, emblematica proprio
di quel profilo di intellettuale nella transizione tra fascismo e Repubblica.
16 C. Luporini, Critica e metafisica nella filosofia kantiana, « Rendiconti
della Reale Accademia Nazi (...) 17 Il testo faceva parte di un volume scritto
dai docenti del liceo dove Luporini insegnava, in occasi (...) 18 Nella sua
autobiografia, Norberto Bobbio cita un disegno di Renato Guttuso che illustra
una delle p (...) 19 C. Luporini, Qualcosa di me stesso (25 maggio 1979), in
Cesare Luporini 1909-1993, cit., p. 239. Qu (...) 12 Cesare Luporini
(1909-1993) si è laureato a Firenze nel 1935, dopo aver studiato anche in
Germania, dove fu in contatto con Heidegger e Hartmann. La sua tesi di
filosofia su Kant, d’impostazione esistenzialistica, è letta e molto apprezzata
da Gentile, il quale decide di presentarla, nel febbraio del 1935,
all’Accademia dei Lincei di cui era socio16. Dopo aver conseguito la laurea,
Luporini insegna al liceo, prima a Livorno, dove pubblica un primo testo su
Leopardi, di cui dà un’interpretazione esistenzialistica e la cui impostazione
reca già segni evidenti di anticrocianesimo17. Nel 1938 torna a Firenze ed
entra a far parte del movimento liberalsocialista di Aldo Capitini e Guido
Calogero, nel quale frequenta anche Norberto Bobbio, Renato Guttuso e Umberto
Morra18. Nel 1939 Gentile lo chiama alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove
era disponibile un posto di lettore di tedesco. C’era, tra Gentile e Luporini,
un rapporto che Luporini stesso ebbe a definire « di grande franchezza politica
», sin dal 1937, quando i due uomini si conobbero meglio, e fino alla morte di
Gentile, avvenuta nel 194419. Luporini non aveva approvato la decisione del
movimento liberalsocialista di confluire nel Partito d’Azione e si era perciò
ritirato nel 1942, per aderire invece, nell’agosto del 1943, al Partito
Comunista. Luporini si trovava quindi agli esatti antipodi politici di Gentile
: eppure egli stesso racconta di come avesse tentato, nel 1943, di convincerlo
ad abbandonare la Repubblica di Salò e avesse anche creduto di riuscire nel suo
intento, definendo « tragica » ma anche « consapevole » la sua fine : 20
Ibid., p. 240. Non mi soffermerò sull’ultima fase di Gentile, tragica. Ricordo
solo che, certo illusoriamente, cercai di persuaderlo a che si tirasse fuori
dal fascismo, nel frattempo divenuto la Repubblica di Salò. Nel novembre del ’43,
al Salviatino, dove abitava, ebbi con lui un incontro che non finiva mai,
perché non riuscivo a rimanere solo con lui. Quando ce la feci, lo misi al
corrente di quello che stava succedendo, dandogli delle notizie che
evidentemente non gli davano le autorità fasciste – era stato anche ucciso uno
del suo entourage – mentre io le avevo dalla rete clandestina in cui mi
trovavo. Me ne uscii con la sensazione che forse qualcosa avevo ottenuto.
Invece, non era così : due giorni dopo, venne fuori che il ministro Biggini
s’era recato lì, al Salviatino, per offrirgli la presidenza dell’Accademia
d’Italia, e che Gentile aveva accettato (ma, quand’ero stato da lui, non me
l’aveva detto). E così s’avviò verso un destino di cui in qualche modo aveva
consapevolezza.20 13 Poche settimane dopo quest’episodio, Gentile propone
a Luporini di diventare bibliotecario dell’Accademia d’Italia. Ma Luporini
rifiuta, sancendo così la fine del suo rapporto con Gentile : un rapporto che,
nella nostra prospettiva, è senz’altro importante e che invece è stato quasi
integralmente passato sotto silenzio. In realtà, di Luporini si ricorda
soprattutto l’attività posteriore al 1945, in particolare quella che svolse
come co-fondatore – con Bianchi Bandinelli – della rivista “Società”, e in
seguito come direttore della stessa. La storia di questa rivista illustra
l’evoluzione di molti intellettuali di sinistra dopo la Liberazione, proprio
per il vincolo che venne rapidamente a crearsi col partito comunista. Parlando
di « Società » e dei suoi intenti programmatici, Luporini dichiara nel 1979 che
per lui, l’idea principale era 21 Ibid., p. 244. d’una saldatura fra
quella cultura degli anni trenta di cui ho parlato – quella rottura con il
passato che eravamo venuti preparando lentamente, modestamente, molecolarmente
– e la cultura di quelli che venivano da fuori, soprattutto i dirigenti
comunisti, e segnatamente Togliatti. Perciò, non ero d’accordo con Vittorini,
con la sua idea, nel « Politecnico » d’una « nuova cultura ». I contenuti li
avevamo in comune, più o meno ; però io ero per un continuismo, non assoluto,
naturalmente, ma rispetto a quel che ho detto.21 22 Ibid., p. 241. 14 Per
illustrare meglio le forme di questo « continuismo », bisogna rifarsi alle
pagine che precedono questa citazione, in cui Luporini descrive l’ambiente
culturale della Firenze degli anni Trenta e il gruppo di intellettuali
antifascisti che vi frequentava. Luporini dichiara in quest’occasione che « da
un certo punto di vista la vera dittatura era proprio quella idealistica » e
che, nel campo specifico della letteratura e della storiografia, l’idealismo «
dittatoriale » era forse più crociano che non gentiliano22. Continua poi la
narrazione del proprio iterintellettuale, negli anni Trenta e Quaranta, che
Luporini descrive come un percorso che consta di due tappe fondamentali, due
svolte, anzi due transizioni. La prima avviene negli anni Trenta, quando
Luporini prende le distanze dall’idealismo crociano e scopre l’esistenzialismo
; la seconda, negli anni Quaranta, quando dall’esistenzialismo Luporini si
sposta verso posizioni marxiste. 15 Questi pochi elementi biografici
offrono due spunti notevoli per l’analisi della produzione di Luporini. In
primo luogo, il rapporto personale più approfondito che Luporini aveva con Gentile
e non con Croce induce a riconsiderare l’influenza dell’uno e dell’altro sulla
sua prima formazione, da giovane studente e studioso di filosofia e di
letteratura. In secondo luogo, nell’esprimere a posteriori il programma della
sua rivista « Società », Luporini formula una precisa volontà culturale ed
ideologica propria di quel periodo di transizione, che consiste nel superare
l’idealismo crociano e nel consentire una forma di « continuismo » tra una
certa cultura anticrociana degli anni Trenta e quella degli anni Quaranta.
Applicati alla critica leopardiana del dopoguerra, questi due elementi
dimostrano quanto fosse complessa e problematica l’eredità della critica
fascista e della critica idealista. 23 C. Luporini, Con Heidegger
1931-1933. Alcune riflessioni, oggi, tra filosofia e politica, in Heideg (...)
24 G. Gentile, Manzoni e Leopardi (1928), in Opere, vol. XXIV, Firenze,
Sansoni, 1960. 16 Leopardi, d’altronde, offre una prospettiva privilegiata per
analizzare il rapporto tra Croce, Gentile e Luporini. Era il poeta prediletto
di Luporini : « Leopardi è stato sempre il mio autore », dichiarava Luporini
nel 198923, e come tale, egli continuò a leggerlo e a rileggerlo da un capo
all’altro della sua vita. Ma era anche un poeta molto amato da Gentile – benché
numerose e importanti fossero le differenze tra il materialismo dell’uno e
l’attualismo dell’altro – e la costanza del suo interesse per Leopardi ci è
testimoniata dalla regolarità con la quale il filosofo siciliano pubblicò per
più di trent’anni, tra il 1907 e il 1938, testi sul pensiero e sulla poesia di
Leopardi, poi raccolti in un unico volume24. D’altro canto, invece, Leopardi
non è stato un autore particolarmente apprezzato né compreso da Croce. Citiamo
qui l’allegro commento di uno studioso che era stato suo discepolo, Vincenzo
Gerace, e che nel 1929 dichiarava : 25 V. Gerace, Leopardiana, in La
tradizione e la moderna barbarie. Prose critiche e filosofiche, Folig (...)
Croce non ama Leopardi. Non può amarlo. Gli dà forte sui filosofici nervi. Gli
è d’impaccio al teorico passo, uso a scalciare stizzoso, ovunque lo trovi, quel
terribile nemico della sua teoria estetica : l’intellettualismo e il moralismo
nel mondo dell’arte. Or se c’è un intellettualista e un moralista convinto e di
altissimo stile nella storia della nostra poesia, e tenace in teorie e in
fatti, questi è Leopardi.25 26 B. Croce, Leopardi in Poesia e non poesia,
Bari, Laterza, 1923, pp. 103-119. 27 Ibid., p. 107. 17 Gerace allude qui
senz’altro al celebre testo che Croce pubblica dapprima su « La Critica » e poi
nel volume Poesia e non poesia del 192326. La principale critica che Croce
rivolge alla poesia di Leopardi è di esser intrisa di elementi allotri, di
momenti meditativi, filosofici, polemici, che sono, per il critico idealista, profondamente
estranei alla pura ispirazione e intuizione poetica. Come tali, Croce non li
considera veramente poetici, tanto che, nel suo esame complessivo dei versi
leopardiani, egli considera che solo un numero relativamente ridotto
corrisponda alla sua definizione di poesia. Croce non emette riserve unicamente
sulla poesia di Leopardi, ma ne esprime di ancora più forti sul valore della
sua filosofia. Per Croce, il pensiero leopardiano è dettato innanzitutto dal
sentimento, anzi dal risentimento per una « vita strozzata », ed è dunque
troppo soggettivo per essere considerato un pensiero filosofico universale. In
questa prospettiva, Croce interpreta il pessimismo o ottimismo di Leopardi come
un indizio dell’origine prettamente sentimentale del suo pensiero, e quindi
come una prova della sua pochezza concettuale : « La filosofia », afferma
Croce, « in quanto pessimistica o ottimistica è sempre intrinsecamente
pseudo-filosofia, filosofia a uso privato »27. 28 I due testi si trovano
oggi nel volume di G. Gentile, Manzoni e Leopardi, cit. Il primo, Le Operett
(...) 29 Ibid., p. 164 30 Ibid., p. 163. 18 In queste pagine, Croce sta in
realtà dialogando con colui che era, da molti anni ma per pochi mesi ormai, un
amico ed un collaboratore, Giovanni Gentile, il quale aveva pubblicato, nel
1916 e nel 1919 due saggi – il primo sulle Operette morali, il secondo
intitolato Prosa e poesia nel Leopardi – decisivi per la questione della
filosofia pessimistica o ottimistica di Leopardi28. Anche Gentile, come Croce,
giudica severamente la qualità filosofica del pensiero leopardiano, dichiarando
che « se cerchiamo in lui il filosofo, avremo lo scettico, ironista,
materialista piuttosto mediocre nell’invenzione »29. Gentile formula, tuttavia,
un’interpretazione ben diversa, molto più feconda ed originale, della questione
del pessimismo o ottimismo di Leopardi. Senza negare del tutto il suo
pessimismo, Gentile lo ridimensiona attribuendolo storicamente e
concettualmente alla sola influenza della filosofia materialista, direttamente
ereditata dai Lumi. Si tratta quindi di un « pessimismo della ragione »
settecentesca, che Gentile giudica, tutto sommato, superficiale e poco
originale, e al quale oppone invece un « ottimismo del cuore », profondamente
radicato nell’animo leopardiano. Così scrive nel 1919 : « Il Leopardi,
pessimista di filosofia, e quasi alla superficie, fu invece ottimista di cuore,
e nel profondo dell’animo : tanto più acutamente pessimista col progresso della
riflessione, e tanto più altamente e umanamente ottimista »30. 31 Vi è,
nello Zibaldone, un’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia », come vi è,
del resto, un (...) 32 Ricordiamo, a tale proposito, il giudizio formulato da
Augusto Del Noce, secondo cui Gentile « sent (...) 33 F. Pasini, Tutto il pessimismo
leopardiano, Parenzo, Coanna, 1928, p. 5. 19 Gentile dà particolare rilievo
alla tesi di un’ultrafilosofialeopardiana31, supponendo l’esistenza di una
sorta di pensiero leopardiano oltre la filosofia pessimistica e materialistica
: un pensiero più autentico, perché più intimamente poetico, più spirituale e
quindi, per Gentile, più leopardiano32. La rivalutazione gentiliana delle
Operette morali e l’interpretazione in chiave ottimistica del pensiero
leopardiano segnano un momento importante nella storia della critica, avviando
un nuovo filone esegetico che gode di particolare successo durante il
Ventennio. Si assiste allora, come nota un critico nel 1928, ad un «
capovolgimento, del punto di vista dal quale si usava considerare Leopardi » :
da « poeta del pessimismo » che era « per tutti », Leopardi « è diventato il
poeta dell’ottimismo »33. 34 F. De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi, in
Scritti critici e Ricordi, Torino, Utet, 1986, p. 159. 35 Per una presentazione
dei testi, dei contenuti e degli autori di questa particolare produzione crit
(...) 20 Sin dall’Ottocento, De Sanctis aveva esaltato l’effettopositivo
prodotto dalla lettura della poesia leopardiana, dichiarando che « Leopardi
produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e
te lo fa desiderare ; non crede alla libertà, e te la fa amare »34. Negli anni
Venti e Trenta, tuttavia, l’intento della critica leopardiana è rivelare
elementi intrinsecamente positivi ed ottimistici, non nell’effetto prodotto sui
lettori, ma alla matrice stessa del pensiero leopardiano. L’opposizione
proposta da Gentile nel 1919, tra un pessimismo della ragione ed un ottimismo
del cuore viene ampliamente ripresa e riesplorata, dando adito a tutta una
serie di interpretazioni che potremmo definire irrazionali e fideistiche. Oltre
il pessimismo materialista, oltre il razionalismo disperato, la cui importanza
viene sistematicamente sminuita, molti critici cercano ed esaltano lo slancio
ottimistico della fede leopardiana : fede nella poesia, ma anche e spesso
soprattutto fede nella patria e nella stirpe italiana. In questo senso potremmo
interpretare alcune letture mistiche che vengono date di Leopardi e del suo
pensiero negli anni Trenta soprattutto35. 36 S. Lanfranchi, De centenaire
en centenaire. L’Italie fasciste célèbre ses poètes (Foscolo 1927, Leo (...) 21
Non è certo questo il luogo per analizzare questa produzione, vasta seppur
povera di elementi filologici e critici realmente nuovi. Ai fini del nostro
discorso, preme tuttavia osservare che un argomento ricorre sovente tra questi
testi, che consiste nel dare una spiegazione prettamente contestuale e storica
al pessimismo di Leopardi, negandogli di fatto un valore universale. Il motivo
fondamentale del pessimismo leopardiano è, per la critica di stampo fascista
degli anni Venti e Trenta, di natura politica, anzi patriottica. Morto nel
1837, Leopardi non ha assistito né agli albori del Risorgimento, né alla prima
guerra mondiale, né tanto meno alla marcia su Roma : se invece fosse stato
spettatore e attore di tali avvenimenti, egli – assicurano tali critici – non
sarebbe stato pessimista. Questo argomento costituisce un vero e proprio topos
oratorio, ripetuto centinaia di volte in occasione dei discorsi ufficiali e
delle commemorazioni del Ventennio, poiché, nonostante sia fondato su un
anacronismo e quindi scientificamente non abbia alcun valore, la sua efficacia
retorica è notevole. E segnatamente lo si trova nel 1937, quando, in occasione
del centenario della morte, il regime organizzò, spesso controllandoli e
canalizzandoli, tutta una serie di festeggiamenti ufficiali, in cui Leopardi
veniva molto spesso presentato come un precursore del fascismo36. 22 Vi
furono però alcune celebrazioni che riuscirono a rimanere in margine delle
commemorazioni ufficiali e quindi a garantire una certa libertà di espressione
rispetto alla produzione su Leopardi. Tra queste, troviamo l’annuario di un
liceo livornese, che nel 1938 pubblicò un numero speciale con vari studi
consacrati a Leopardi. Il secondo, intitolato Il pensiero di Leopardi, era
proprio il testo di Cesare Luporini, che in quel liceo appunto insegnava
filosofia. In questo saggio, l’intento primo di Luporini non è solo di
presentare un Leopardi esistenzialista, ma anche e forse soprattutto di
contestare la posizione dell’idealismo, sia crociano che gentiliano,
rivendicando innanzitutto il valore filosofico del pensiero leopardiano e
quindi anche del suo pessimismo. Luporini non esita a metterlo a confronto con
i maggiori filosofi dell’Occidente : 37 C. Luporini, Il pensiero di
Leopardi, cit., p. 68. Tra il pessimismo del Pascal, ultima grandiosa
affermazione del medioevo religioso e il pessimismo del Leopardi, c’è l’età
dell’illuminismo nei suoi ideali più alti, c’è Cartesio e Kant (che pur
Leopardi non conosceva), c’è insomma il pensiero moderno che fonda tutto il
valore dell’uomo nella sua dignità morale e questa sua dignità morale nella
verità che egli ha raggiunto colle proprie forze, rivelata alla sua
ragione.37 38 Secondo Sebastiano Timpanaro : « L’esperienza
esistenzialistica [Luporini] se l’era ormai lasciata (...) 39 C.
Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 97. 40 Ibid., pp. 101-102. 23 Sarebbe
opportuno comprendere se vi siano elementi comuni tra i due testi di Luporini
su Leopardi, scritti a distanza di dieci e decisivi anni. Sussistono poche
tracce del Leopardi esistenzialista del 1938 nel Leopardi progressivo del
194738. Un lascito più evidente consiste invece nella condanna duratura e
permanente di Croce – di cui Luporini cita esplicitamente « l’infelice giudizio
» su Leopardi39. Per Luporini, non solo la poesia di Leopardi è sempre vera
poesia, ma anche il suo pensiero, potremmo dire, è vero pensiero, vera
filosofia. Leopardi, dice Luporini nel 1947, « fu un pensatore progressivo ; in
certo modo, dentro i limiti della sua funzione di moralista, di non-tecnico
della filosofia né di alcuna disciplina particolare, il più progressivo che
abbia avuto l’Italia nel xix sec. »40. 24 L’interpretazione data da
Gentile – che invece Luporini nel suo testo non cita mai – e la stagione di
studi sul Leopardi ottimistico che essa inaugurò per il Ventennio fascista
lasciano invece dietro di sé, e sul saggio di Luporini in particolare,
un’eredità molto più complessa da cogliere e da valutare. Nell’insistere sul
materialismo del pensiero leopardiano, Luporini intendeva senz’altro opporsi
alla lettura idealistica e spirituale di Gentile. È inoltre significativa la
scelta di Luporini, che non parla di un Leopardi ottimista, ma progressivo,
rifacendosi perciò ad un lessico di tutt’altra connotazione ideologica. Vi
sono, tuttavia, anche alcuni elementi di continuità, e ci soffermeremo
brevemente su tre di questi. 41 Ibid., pp. 49 e 69. 42 S. Timpanaro,
Classicismo e illuminismo, cit., p. 180. 25 Il primo sta nell’origine
contestuale e storica che Luporini attribuisce al pessimismo leopardiano, il
quale deriva, secondo lui, da una delusione storica : la delusione della
Rivoluzione francese. « Questa delusione – scrive Luporini – non spiega solo il
pessimismo storico di Leopardi, ma il suo successivo e rapido ‘pessimismo
cosmico’ ; ossia spiega tutto il pensiero leopardiano. I due pessimismi nascono
da un unico germe, appartengono a un unico processo di pensiero »41. Nel 1965,
esprimendo un giudizio complessivamente molto positivo sul testo di Luporini,
Sebastiano Timpanaro emette la principale sua riserva proprio su questa
interpretazione, che giudica insufficiente in quanto non rende conto del «
valore permanente del pessimismo leopardiano »42. Nella nostra prospettiva, è
importante notare che la spiegazione storica, benché usasse altri mezzi e
perseguisse altri fini, era già usata in modo sistematico dalla critica
fascista, escludendo a priori l’idea di un pessimismo non fondato sulla storia,
ma sulla condizione umana in senso universale e astorico. 43 C. Luporini,
Leopardi progressivo, cit., p. 50. 44 Ibid., p. 60. 26 Il secondo elemento di
continuità sta nel giudizio, proprio di Luporini ma anche della critica
fascista, secondo cui nonostante il pessimismo scaturito dalla delusione
storica, vi fosse in Leopardi una “inconcussa e nascosta fede”43, qualcosa che
lo induceva comunque a sperare. Come Gentile, anche Luporini dà un notevole
rilievo a quell’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia » nello
Zibaldone, ma le attribruisce contenuti affatto diversi perché in essa « sembra
condensarsi la “disperata speranza” dell’individuo Leopardi »44. 45
Ibid., p. 38. Timpanaro considera che non era « accettabile » il « rimprovero »
mosso a Luporini, d (...) 27 Il terzo ed ultimo elemento di continuità, tra il
testo di Luporini e la produzione critica del Ventennio, sta infine nel
presentare Leopardi quale un « anticipatore di ulteriori dottrine »45. In
entrambi i casi, Leopardi diventa precursore politico di un’ideologia del
Novecento e, in entrambi i casi, diventa precursore di un’ideologia
strutturalmente ottimistica. L’ottimismo era, infatti, un aspetto culturale e
ideologico programmatico per il fascismo ma, d’altra parte, il progresso – e
quindi la visione ottimistica del divenire umano che lo sottende – è a sua
volta un perno essenziale dell’ideologia comunista. 46 C. Luporini,
Leopardi moderno, intervista a cura di F. Adornato, « L’Espresso », 1°marzo
1987, p. 1 (...) 28 Su questo punto vorremmo abbozzare le nostre prime rapide
conclusioni. Parallelamente al discorso critico più tradizionale e canonico,
che sin dall’Ottocento va definendo le varie fasi del pessimismo leopardiano,
si possono rintracciare nel Novecento le tappe di elaborazione del mito di un
Leopardi ottimista : un mito che forse proprio durante il Ventennio conosce la
maggiore diffusione, ma che non muore con la caduta del regime fascista. Il suo
permanere, sotto forme diverse, è forse proprio dovuto al vincolo che lo unisce
ad ideologie strutturalmente ottimistiche, le quali, quando designano nel
Leopardi un precursore, lo « piegano » naturalmente in questo senso. Alla luce
di queste considerazioni, assumono un significato particolare le parole che
pronuncia lo stesso Luporini, in un altro periodo di transizione, alla fine
degli anni Ottanta, davanti al crollo del regime comunista e davanti alla crisi
di quest’altra ideologia novecentesca. Non a caso, Luporini ritorna allora a
studiare Leopardi, per trovarvi l’espressione del suo sgomento : « Il sapersi soli
di fronte alla storia, senza speranze – senza nessuna garanzia, senza nessuna
ideologia, senza nessuna consolazione »46. Siamo molto lontani dal messaggio
ottimistico del Leopardi progressivo, e rimane poco delle antiche speranze (di
Luporini). Rimane però quello stesso amore per Leopardi, e quel sentimento
della sua ‘attualità’ più pregnante : 47 Ibid. Nella nostra epoca così
confusa e in fase di assestamento, nella crisi di tutte le categorie con le
quali ci siamo mossi finora, questa mi sembra un’idea liberatoria. Si può, anzi
si deve, essere disillusi : ma non per questo inerti e rassegnati. Essere
nichilisti e insieme attivi : ecco l’attualissimo messaggio di
Leopardi.47Débat Inizio pagina NOTE 1 Il testo Leopardi progressivo fu
pubblicato per la prima volta nel volume Filosofi vecchi e nuovi :
Scheler-Hegel-Kant-Fichte-Leopardi, Sansoni, Firenze, 1947. Come Luporini
scrive in un’avvertenza ad una nuova edizione, datata del febbraio 1980, «
questo Leopardi progressivoebbe subito una sua risonanza particolare, così che
poi, nel corso di tutti questi anni, molte volte sono stato sollecitato a
ripubblicarlo in edizione separata. Questa domanda proveniva da varie parti, ma
soprattutto dal mondo della scuola (insegnanti e studenti), il che mi ha sempre
fatto particolare piacere » (C. Luporini, Avvertenze dal 1980 al 1992, in Id.,
Leopardi progressivo, Roma, Editori Riuniti, 2006, p. ix). 2 Scrive
Sebastiano Timpanaro a proposito del titolo scelto da Luporini : « un titolo
che per un verso alludeva polemicamente alle “magnifiche sorti e progressive”
derise nella Ginestra (volendo indicare che il Leopardi, nemico del falso
progresso borghese-moderato, mirava ad un progresso molto più radicale, al di
là dell’orizzonte politico della propria epoca e del proprio ambiente), per un
altro accoglieva quell’accezione un po’ sottile e non immune da ambiguità che
questo aggettivo ebbe per alcuni anni nel linguaggio politico italiano : non
equivalente a “progressista” (che sapeva troppo di radicalismo borghese), ma piuttosto
a “democratico avanzato”, di una democrazia destinata, senza rivoluzione, a
sfociare nel socialismo. Gli equivoci politici di quest’uso di “progressivo” ne
causarono la rarefazione e poi la scomparsa quando era ancora in vita
Togliatti, che ne era stato, se non l’inventore, certo il massimo diffusore
attraverso la formula della “democrazia progressiva” » (S. Timpanaro,
Antileopardiani e neomoderati nella sinistra italiana, Pisa, ETS, 1982, p.
150). 3 Si tratta del v. 51 della Ginestra, in G. Leopardi, Poesie e
prose, vol. I, Poesie, a cura di M. A. Rigoni, con un saggio di C. Galimberti,
Milano, Mondadori (I Meridiani), 1987, p. 125. 4 C. Luporini, Leopardi
progressivo, cit., p. 64. 5 F. Brunetti, Il « nostro » professore Cesare
Luporini, in Cesare Luporini 1909-1993, a cura di M. Moneti, numero speciale
della rivista « Il Ponte », LXV, 11, 2009, p. 60. 6 C. Luporini, Leopardi
progressivo, cit., p. 38 e 92. 7 W. Binni, La nuova poetica leopardiana,
Firenze, Sansoni, 1947. Sebbene molto diversi, il testo di Luporini e quello di
Binni hanno in comune l’originalità dell’impostazione critica, che contribuì a
rinnovare gli studi leopardiani nel dopoguerra. La migliore illustrazione e
analisi di tale svolta critica si trova forse ancora nelle pagine, ormai non
più recenti, di S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento
italiano, Pisa, Nistri Lischi, 1965, p. 133-137. 8 Croce conia la voce «
allotrio » per indicare ciò che è estraneo all’estetica, rifacendosi al
vocabolario filosofico tedesco dell’Ottocento, e al greco ἀλλóτριος, che
signifca « estraneo, altrui ». 9 Per l’influenza di Giovanni Gentile sul
mondo culturale in epoca fascista, si veda in particolare G. Turi, Giovanni
Gentile : una biografia, Firenze, Giunti, 1996. 10 Il ruolo di Vittorio
Cian (1862-1951) negli studi letterari del Ventennio e nel periodo di
transizione è stato recentemente studiato da Clara Allasia in una serie di
lavori, tra cui « Il virus malefico » dell’ideologia nazionale e le illusioni
di un « maestro di metodo » : Vittorio Cian, in Fascisme et critique
littéraire. Les hommes, les idées, les institutions, a cura di C. Del Vento e
X. Tabet, vol. II, Caen, PUC (Transalpina 13), pp. 33-60. 11 Arturo
Marpicati (1891-1961) compie studi di letteratura italiana a Firenze, pubblica
alcune raccolte di poesie e vari testi di critica letteraria. Ma sin dalla
prima guerra mondiale mette da parte l’attività letteraria – alla quale si
consacra solo sporadicamente – per dedicarsi invece alla politica, dapprima a
Fiume, poi nella militanza e nel regime fascisti. Assume vari incarichi
prestigiosi, tra cui quello di Cancelliere dell’Accademia d’Italia dal 1929,
poi di direttore, nel 1930, dell’Istituto nazionale di cultura fascista, e
anche di vice segretario del Partito Nazionale Fascista dal 1931 al 1934.
12 Ecco quanto scriveva, ad esempio, Vittorio Cian, nel 1933, rivolgendosi a
Croce e ai suoi discepoli : « Questi cerebrali, più o meno giovini, chierici
sterili e sterilizzatori, officianti nella Cappella all’insegna dello Spegnitoio,
dovrebbero ormai decidersi. O smetterla, rassegnandosi a tacere e a sparire
dalla scena letteraria – e sarebbe tanto di guadagnato – oppure mettersi al
passo coi tempi nuovi » (V. Cian, Rassegna bibliografica, « Giornale Storico
della letteratura italiana », LI, 102, 1933, p. 120). 13 Mi sia
consentito di rimandare in questa sede a due testi miei, entrambi accessibili
in linea : S. Lanfranchi, La recherche des précurseurs, Lectures critiques et
scolaires de Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo et Giacomo Leopardi dans l’Italie
fasciste, 2008
[http://tel.archives-ouvertes.fr/docs/00/37/21/89/PDF/theseversion7-12-08.pdf]
; Id., « Verrà un dì l’Italia vera », Poesia e profezia dell’Italia futura nel
giudizio fascista, « California Italian Studies », II, 1, 2011
[http://escholarship.org/uc/ismrg_cisj], consultato in data 9 marzo 2012.
14 In realtà, i primi sintomi di « insofferenza » Russo li diede sin dal 1941,
mentre scriveva un articolo sulla critica foscoliana recente, nel quale
rivendicava la « politicità » di un testo come Le Grazie e la legittimità di
una lettura che non si attenesse ad un’analisi strettamente letteraria,
estetica e formale. Questo esempio viene a dimostrare quanto detto subito dopo
nel nostro studio, ovvero l’ipotesi di un allontanamento progressivo dalle
posizioni crociane durante gli anni Quaranta, che nel 1947-1948 giunge a
compimento (L. Russo, Le Grazie di Foscolo e la critica contemporanea, « Italia
che scrive », XXIV, 2, 1941, pp. 3-4). 15 Ibid., p. 4. 16 C. Luporini,
Critica e metafisica nella filosofia kantiana, « Rendiconti della Reale
Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e
filologiche », s. VI, XI, 1935, pp. 87-115. 17 Il testo faceva parte di
un volume scritto dai docenti del liceo dove Luporini insegnava, in occasione
del centenario della morte di Leopardi, nel 1937 : C. Luporini, Il pensiero di
Leopardi, in Studi su Leopardi, Livorno, Belfronte e C., 1938 (Pubblicazioni
del R. Liceo Scientifico « Costanzo Ciano », 1), pp. 41-69. 18 Nella sua
autobiografia, Norberto Bobbio cita un disegno di Renato Guttuso che illustra
una delle prime riunioni clandestine del movimento, riunito nella villa di
Umberto Morra, vicino a Cortona, nel 1939. Vi si vedono Bobbio, Luporini,
Capitini (con davanti a sé un testo che porta la scritta « Non violenza »),
Morra, lo stesso Guttuso e Calogero (con un altro testo intitolato invece «
Liberalismo sociale ») (N. Bobbio, Autobiografia, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp.
41 e 172). 19 C. Luporini, Qualcosa di me stesso (25 maggio 1979), in
Cesare Luporini 1909-1993, cit., p. 239. Questo testo è la trascrizione «
dell’ultima lezione tenuta, dall’autore, nella Facoltà di Lettere di Firenze,
al momento dell’andata fuori ruolo » (ibid., p. 233). 20 Ibid., p. 240.
21 Ibid., p. 244. 22 Ibid., p. 241. 23 C. Luporini, Con Heidegger
1931-1933. Alcune riflessioni, oggi, tra filosofia e politica, in Heidegger in
discussione, Atti del Convegno internazionale « L’eredità di Heidegger », Roma,
29-31 maggio 1989, a cura di F. Bianco, Milano, Franco Angeli, 1992, p.
39. 24 G. Gentile, Manzoni e Leopardi (1928), in Opere, vol. XXIV,
Firenze, Sansoni, 1960. 25 V. Gerace, Leopardiana, in La tradizione e la
moderna barbarie. Prose critiche e filosofiche, Foligno, Franco Campitelli
Editore, 1929, p. 194. 26 B. Croce, Leopardi in Poesia e non poesia,
Bari, Laterza, 1923, pp. 103-119. 27 Ibid., p. 107. 28 I due testi
si trovano oggi nel volume di G. Gentile, Manzoni e Leopardi, cit. Il primo, Le
Operette morali, fu pubblicato per la prima volta in « Annali delle Università
toscane », XXXV (1916), poi come proemio di un’edizione delle Operette morali
curata da Gentile nel 1918 (G. Leopardi, Operette morali, con proemio e note di
G. Gentile, Bologna, Zanichelli, 1918) ; il secondo, Prosa e poesia nel
Leopardi, fu invece pubblicato, dal febbraio al marzo del 1919, nel «
Messaggero della domenica ». 29 Ibid., p. 164 30 Ibid., p.
163. 31 Vi è, nello Zibaldone, un’unica occorrenza del termine «
ultrafilosofia », come vi è, del resto, una sola occorrenza del termine «
pessimismo », ma nella critica leopardiana questi due hapax hanno goduto di
grandissimo successo. Il 7 Giugno 1820, Leopardi scriveva : « E un popolo di
filosofi sarebbe il più piccolo e codardo del mondo. Perciò la nostra rigenerazione
dipende da una, per così dire, ultrafilosofia, che conoscendo l’intiero e
l’intimo delle cose, ci ravvicini alla natura. E questo dovrebb’essere il
frutto dei lumi straordinari di questo secolo » (p. 115 del manoscritto dello
Zibaldone). 32 Ricordiamo, a tale proposito, il giudizio formulato da
Augusto Del Noce, secondo cui Gentile « sentì se stesso come il filosofo di
Leopardi, come il suo vero continuatore perché l’attualismo avrebbe realizzato
quell’ultrafilosofia a cui Leopardi aspirava » : A. Del Noce, Giovanni Gentile
: per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, Il
Mulino, 1990, p. 134. 33 F. Pasini, Tutto il pessimismo leopardiano,
Parenzo, Coanna, 1928, p. 5. 34 F. De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi,
in Scritti critici e Ricordi, Torino, Utet, 1986, p. 159. 35 Per una
presentazione dei testi, dei contenuti e degli autori di questa particolare
produzione critica leopardiana, oggi poco nota, rimando alla mia già citata
tesi di dottorato (S. Lanfranchi, La recherche des précurseurs, cit., in
particolare le pp. 171-180). 36 S. Lanfranchi, De centenaire en
centenaire. L’Italie fasciste célèbre ses poètes (Foscolo 1927, Leopardi 1937),
in Fascisme et critique littéraire, cit., vol. I, Caen, PUC, 2009 (Transalpina
12), pp. 115-126. 37 C. Luporini, Il pensiero di Leopardi, cit., p.
68. 38 Secondo Sebastiano Timpanaro : « L’esperienza esistenzialistica
[Luporini] se l’era ormai lasciata decisamente alle spalle ; eppure essa aveva
lasciato una traccia nell’interesse per i temi leopardiani della “vitalità” e
del rapporto natura-ragione, nel rifiuto di un’interpretazione troppo
storicisticamente angusta del problema Leopardi ». (S. Timpanaro,
Antileopardiani e neomoderati, cit., p. 149) 39 C. Luporini, Leopardi
progressivo, cit., p. 97. 40 Ibid., pp. 101-102. 41 Ibid., pp. 49 e
69. 42 S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo, cit., p. 180. 43 C.
Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 50. 44 Ibid., p. 60. 45
Ibid., p. 38. Timpanaro considera che non era « accettabile » il « rimprovero »
mosso a Luporini, di aver fatto di Leopardi un « precursore del marxismo » (S.
Timpanaro, Classicismo e illuminismo, cit., p. 134). Ma certe pagine del libro
di Luporini e alcune formule in esse contenute (segnatamente quell’« anticipatore
di ulteriori dottrine ») se non rendono « accettabile » un tale giudizio,
perlomeno ne spiegano l’origine. 46 C. Luporini, Leopardi moderno,
intervista a cura di F. Adornato, « L’Espresso », 1°marzo 1987, p. 116.
47 Ibid.
Cesare Luporini.
Luporini. Keywords: corpo e mente, corpo animato – l’anima di Vinci – la mente
di Leonardo – i corpi di Vinci – il Leopardi fascista. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Luporini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753674705/in/dateposted-public/
Grice e Luzzago—implicature – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Brescia). Filosofo. Nato da Girolamo e da Paola Peschiera, in una delle più importanti
famiglie del patriziato cittadino, e educato alla pratica devota e
all'apostolato. Nel convento di S. Antonio dei gesuiti si impegna in un corso
di filosofia. Dibatte in pubblico 737 argomenti filosofici! Con l'aiuto di
Borromeo partecipa a Milano ai corsi di teologia dei gesuiti di Brera. Si
laurea a Padova. Desideroso di entrare a far parte della Compagnia di Gesù, le
difficoltà economiche della famiglia, causate da alcune transazioni inopportune
del padre, glielo impedirono. Conservatore dei Monti di Pietà, e protettore della Compagnia delle Dimesse di S.
Orsola e di altri due istituti caritativi bresciani: il Soccorso e le Zitelle.
Ri-organizza e da nuovo impulse a un'altra istituzione sorta dopo il Concilio
di Trento: la Scuola della dottrina cristiana. Fonda la Congregazione di S.
Caterina da Siena. Per far sì che il suo operato continuasse, fonda la
Congregazione dello Spirito Santo, che raccolse i membri della classe dirigente
cittadina con l'obiettivo di co-operare più efficacemente e concordemente al
sostegno di tutte le buone istituzioni e mantenere un clima di Concordia.
Infatti, intercede per la conciliazione delle famiglie nobili bresciane spesso
in conflitto. La sua indole caritativa
emerse soprattutto quando venne a far parte del Consiglio di Brescia, dove sa
armonizzare le strutture governative ed organismi canonici. Nelle opere scritte
vi sono indicazioni per i cavalieri di Malta, sulla carità, ispirati al modello
della Compagnia di Gesù. Durante il suo viaggio a Roma esamina le strutture di
beneficenza per poi proporle a Brescia. Ha la possibilità di conoscere F. Neri.
In un'epistola a Morosini, e informato che Clemente VIII, prende in
considerazione il suo nome per la carica di arcivescovo di Milano. Fu avviata
presso la Congregazione dei riti la causa di beatificazione. Leone XIII,
riconosciute le sue virtù eroiche, gli conferì il titolo di venerabile. Dizionario Biografico degli Italiani, A. Cottinelli,
Vita del venerabile patrizio bresciano: dedicata ai comitati parrocchiali,
Tipografia e libreria Salesiana, A. Cistellini, Il movimento cattolico a
Brescia, Morcelliana. A. Fappani, Enciclopedia bresciana, Opera San Francesco
di Sales, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, S. Negruzzo, L'allievo santo: Roccio precettore, in «Annali di Storia
dell'Educazione e delle Istituzioni Scolastiche», S. Negruzzo, Dalla scuola dell'ajo
al collegio dei gesuiti: il caso di Luzzago, in Dalla virtù al precetto.
L'educazione del gentiluomo, Brescia,
Fondazione Civiltà Bresciana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alessandro
Luzzago. Luzzago. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Luzzago” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691213851/in/photolist-2mKLYZ2
Grice e Machiavelli – il principe – Machiavelli at
Oxford -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “While Strawson prefers
‘The Prince,’ my favourite Machiavelli is the dialogo, discorso, ovvero dialogo
intorno della lingua –“ Grice: “The full title makes it sound slightly analytic
– ‘whether it should be called ‘florentine, Italian, or tooscana’ I mean, a
stipulation!” -- Grice: “Like me, we can call Machiavelli a philosopher of
language – the trend being very Florentine between Machiavelli and Varchi.” -- possibly
Italy’s greateset philosopher – Noto come il fondatore della scienza politica
moderna, i cui principi base emergono dalla sua opera più famosa, Il Principe,
nella quale è esposto il concetto di ragion di stato e la concezione ciclica
della storia. Questa definizione, secondo molti, descrive in maniera compiuta
sia l'uomo sia il letterato più del termine machiavellico, entrato peraltro nel
linguaggio corrente ad indicare un'intelligenza acuta e sottile, ma anche
spregiudicata e, proprio per questa connotazione negativa del termine, negli
ambiti letterari viene preferito il termine "machiavelliano".
L'ortografia del cognome è, purtroppo, ambigua: la versione
"Macchiavelli", quella della statua a lui dedicata agli Uffizi, in
attesa di chiarimenti dell'Ufficio Culturale del museo o dell'Accademia della
Crusca, andrebbe considerata ugualmente corretta in lingua italiana. L'analisi
della firma del filosofo, riportata qui accanto, farebbe propendere per la
"c" singola[senza fonte]. «Nacqui povero, ed imparai prima a
stentare che a godere.» (N. Machiavelli, Lettera a Francesco Vettori.)
Niccolò Machiavelli (scritto anche Macchiavelli sulla statua a lui dedicata
all'ingresso degli Uffizi) nacque a Firenze, terzo figlio, dopo le sorelle
Primavera e Margherita e prima del fratello Totto; figlio di Bernardo e di
Bartolomea Nelli. Anticamente originari della Val di Pesa, i Machiavelli sono
attestati popolani guelfi residenti almeno dal XIII secolo a Firenze, dove
occuparono uffici pubblici ed esercitarono il commercio. Il padre Bernardo era tuttavia
di così poca fortuna da esser considerato, non si sa quanto veritieramente,
figlio illegittimo: dottore in legge, risparmiatore per carattere o per
necessità, ebbe interesse agli studi di umanità, come risulta da un suo Libro
di Ricordi che è anche la principale fonte di notizie sull'infanzia di Niccolò.
La madre, secondo un suo lontano pronipote, avrebbe composto laude sacre,
rimaste peraltro sconosciute, dedicate proprio al figlio Niccolò. Cominciò
a studiare latino con un certo Matteo, l'anno dopo si dedicava allo studio della
grammatica con Poppi, all'aritmetica e
l'anno seguente affrontava le prove scritte di componimento in latino. Opere in
questa lingua esistevano nella biblioteca paterna: la I Deca di Tito Livio e
quelle di Flavio Biondo, opere di Cicerone, Macrobio, Prisciano e Marco
Giuniano Giustino. Adulto, maneggerà anche Lucrezio e la Historia persecutionis
vandalicae di Vittore Uticense. Non conobbe invece il greco, ma poté leggere le
traduzioni di alcuni degli storici più importanti, soprattutto Tucidide,
Polibio e Plutarco, da cui trasse importantissimi spunti per la sua riflessione
sulla Storia. S'interessò alla politica anche prima di avere degli incarichi
istituzionali, come dimostra una sua lettera, la seconda che di lui ci è pervenutala
prima è una richiesta al cardinale Giovanni Lopez, affinché si adoperi a
riconoscere alla sua famiglia un terreno contestato dalla famiglia dei
Pazziindirizzata probabilmente all'amico Ricciardo Becchi, ambasciatore
fiorentino a Roma, nella quale egli si esprime in modo critico contro Girolamo
Savonarola. Due sono le fasi che scandiscono la vita di Niccolò
Machiavelli: nella prima parte della sua esistenza egli è impegnato soprattutto
negli affari pubblici; nella successiva nella scrittura di testi di portata
teorica e speculativa. Si apre la seconda fase segnata dal forzato
allontanamento dello storico e filosofo toscano dalla politica
attiva. «Della persona fu ben proporzionato, di mezzana statura, di
corporatura magro, eretto nel portamento con piglio ardito. I capelli ebbe
neri, la carnagione bianca ma pendente all'ulivigno; piccolo il capo, il volto
ossuto, la fronte alta. Gli occhi vividissimi e la bocca sottile, serrata,
parevano sempre un poco ghignare. Di lui più ritratti ci rimangono, di buona
fattura, ma soltanto Leonardo, col quale ebbe pur che fare ai suoi prosperi
giorni, avrebbe potuto ritradurre in pensiero, col disegno e i colori, quel
fine ambiguo sorriso» (Roberto Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli)
Caterina Sforza Riario, ritratta da Lorenzo di Credi. Niccolò aveva già
presentato al Consiglio dei Richiesti, la propria candidatura a segretario
della Seconda Cancelleria della Repubblica fiorentina, ma gli fu preferito un
candidato savonaroliano. Pochi giorni però dopo la fine dell'avventura politica
e religiosa del frate ferrarese, Machiavelli fu nuovamente designato ed eletto
il 15 giugno dal Consiglio degli Ottanta, elezione ratificata dal Consiglio
maggiore, probabilmente grazie all'autorevole raccomandazione del Primo
segretario della Repubblica, Marcello Virgilio Adriani, che il Giovio asserisce
essere stato suo maestro. Per quanto i compiti delle due Cancellerie
siano stati spesso confusi, generalmente alla prima si attribuivano gli affari
esterni, e alla seconda quelli interni e la guerra: ma i compiti della seconda
Cancelleria, presto unificati con quelli della Cancelleria dei Dieci di libertà
e pace, consistevano nel tenere i rapporti con gli ambasciatori della
Repubblica, cosicché, essendogli stata affidata, ianche questa ulteriore
responsabilità, Machiavelli finì per doversi occupare di una tale somma di
compiti da essere storicamente considerato, senza ulteriori distinzioni, il
«Segretario fiorentino». Era il tempo nel quale, conclusa l'avventura
italiana di Carlo VIII, la maggiore preoccupazione di Firenze era volta alla
riconquista di Pisaresasi indipendente dopo che Piero de' Medici l'aveva data
in pegno al re di Francia- e alleata di Venezia che, intendendo impedire
l'espansione fiorentina, aveva invaso il Casentino, occupandolo a nome dei
Medici. Il pericolo venne fronteggiato dal capitano di ventura Paolo Vitelli, e
la mediazione del duca di Ferrara Ercole I, iriconsegnò il Casentino a Firenze,
autorizzandola altresì a riprendersi Pisa. In marzo venne inviato a Pontedera,
dove erano acquartierate le milizie del signore di Piombino, Jacopo d'Appiano,
alleato di Firenze. In maggio scrisse il Discorso della guerra di Pisa
per il magistrato dei Dieci: poiché «Pisa bisogna averla o per assedio o per
fame o per espugnazione, con andare con artiglieria alle mura», esaminate
diverse soluzioni, si esprime favorevole a un assedio di «un quaranta o
cinquanta dì ed in questo mezzo trarne tutti gli uomini da guerra potete, e non
solamente cavarne chi vuole uscire, ma premiare chi non ne volesse uscire,
perché se ne esca. Dipoi, passato detto tempo, fare in un subito quanti fanti
si può; fare due batterie, e quanto altro è necessario per accostarsi alle
mura; dare libera licenza che se ne esca chiunque vuole, donne, fanciulli, vecchi
ed ognuno, perché ognuno a difenderla è buono; e così trovandosi i Pisani voti
di difensori dentro, battuti dai tre lati, a tre o quattro assalti sarìa
impossibile che reggessero». Il 16 luglio 1499 si presentò a Forlì alla
contessa Caterina Sforza Riario, nipote di Ludovico il Moro e madre di
Ottaviano Riario, che era stato al soldo dei fiorentini, per rinnovare
l'alleanza e ottenere uomini e munizioni per la guerra pisana. Ottenne solo
vaghe promesse dalla contessa che era già impegnata a sostenere lo zio nella
difficile difesa del Ducato milanese dalle mire di Luigi XII e dovette
ripartire senza aver nulla ottenuto. Era nuovamente a Firenze in agosto, quando
le artiglierie fiorentine, provocata una breccia nelle mura pisane, aprivano la
via alla conquista della città, ma il Vitelli non seppe sfruttare l'occasione e
temporeggiò finché la malaria non ebbe ragione delle sue truppe, costringendolo
a togliere l'assedio. Invano ritentò l'impresa: sospettato di tradimento,
quello che «era il più reputato capitano d'Italia» fu decapitato. Nessuna
prova vi era che il Vitelli fosse stato corrotto dai Pisani ma la
giustificazione di Machiavelli, a nome della Repubblica, in risposta alle
critiche di un cancelliere di Lucca, fu che «o per non havere voluto, sendo corropto,
o per non havere potuto, non avendo la compagnia, ne sono nati per sua colpa
infiniti mali ad la nostra impresa, et merita l'uno o l'altro errore, o tuct'a
due insieme che possono stare, infinito castigo». Conquistato il Ducato di
Milano, in risposta alla richieste fiorentine Luigi XII mandò suoi soldati a
risolvere l'impresa di Pisa le cui mura furono bensì abbattute nel luglio del
1500 ma né gli svizzeri né i francesi entrarono in città anzi, lamentando che
Firenze non li pagasse, levarono l'assedio e sequestrarono il commissario
fiorentino Luca degli Albizzi, che fu rilasciato solo dietro riscatto. A
Machiavelli, presente ai fatti, non restava che informare la Repubblica, che
decise di mandarlo in Francia, insieme con Francesco della Casa, per cercare
nuovi accordi che risolvessero finalmente la guerra di Pisa. Il cardinale
di Rouen Georges d'Amboise raggiunsero la corte francese a Nevers, presentando
al re e al ministro, cardinale di Rouen, le rimostranze per il cattivo
comportamento dei loro soldati; sapendo che Firenze non aveva al momento denari
sufficienti a finanziare l'impresa, invitarono Luigi a intervenire direttamente
nella guerra, al termine della quale la Repubblica avrebbe ripagato la Francia
di tutte le spese. Il rifiuto dei francesiche richiedevano a Firenze il
mantenimento degli svizzeri rimasti accampati in Lunigiana e minacciavano la
rottura dell'alleanzamise i legati fiorentini, privi di istruzioni dalla
Repubblica, in difficoltà, acuite dalla ribellione di Pistoia e dalle iniziative
che frattanto aveva preso in Romagna Cesare Borgia, i cui ambiziosi e oscuri
piani potevano anche indirizzarsi contro gli interessi fiorentini.
Occorreva, pagando, mantenere buoni rapporti con la Franciascriveva da Tours il
21 novembree guardarsi dalle macchinazioni del papa: così, ottenuto dalla
Signoria il denaro richiesto dalla Francia, Machiavelli poteva finalmente
ritornare a Firenze. Quella lunga permanenza nella corte francese verrà
dislocata negli opuscoli De natura Gallorum, dove i francesi verranno descritti
come «humilissimi nella captiva fortuna; nella buona insolenti più cupidi de'
danari che del sangue vani et leggieri più tosto tachagni che prudenti», con
una bassa opinione degli Italiani, e nel successivo Ritratto delle cose di
Francia, dove, spostandosi su un piano d'analisi prettamente politica, finisce
col fare della Francia l'esemplare dello stato moderno. Soprattutto egli
insiste sul nesso fra la prosperità della monarchia e il raggiunto processo di
unificazione nazionale, sentito come la lezione peculiare delle "cose di
Francia". Cesare Borgia «Questo signore è molto splendido e
magnifico, e nelle armi è tanto animoso che non è sì gran cosa che non gli paia
piccola, e per gloria e per acquistare Stato mai si riposa né conosce fatica o
periculo: giugne prima in un luogo che se ne possa intendere la partita donde
si lieva; fassi ben volere a' suoi soldati; ha cappati e' migliori uomini
d'Italia: le quali cose lo fanno vittorioso e formidabile, aggiunte con una
perpetua fortuna» (Machiavelli, Lettera ai Dieci) La minaccia del Borgia
si fece presto concreta: fermato dalle minacce della Francia quando tentava
d'impadronirsi di Bologna, si volse contro Piombino, entrando nel territorio
della Repubblica e cercando di imporle tributi, dai quali Firenze fu nuovamente
fatta salva dall'intervento di Luigi. Fra una missione a Pistoia e un'altra a
Siena, Niccolò ebbe tempo di sposare. Marietta Corsini, donna di modesta
origine, dalla quale avrà sei figli: Primerana, Bernardo, Lodovico, Guido, Piero
e Baccina. Padrone di Piombino il 3 settembre 1501, il Borgia, per mezzo del
suo sodale Vitellozzo Vitelli s'impadronì di Arezzo, dove si stabilì Piero de'
Medici, poi delle terre di Valdichiana, di Cortona, di Anghiari e di Borgo San
Sepolcro e di lì passò a investire Camerino e Urbino, chiedendo nel contempo di
intavolare trattative con Firenze che, nel frattempo, vistasi stretta dai due
Borgia, padre e figlio, aveva rinnovato gli accordi con la Francia. lo
stesso giorno della caduta della città nelle mani di Cesare, partirono per
Urbino Machiavelli e il vescovo di Volterra, Francesco Soderini, fratello di
Piero: ricevuti, si sentirono ordinare di cambiare il governo della Repubblica,
pena la sua inimicizia. La crisi fu superata grazie all'intervento delle armi
francesi: avvicinandosi queste ad Arezzo, la città fu sgomberata e restituita,
insieme con le altre terre, ai Fiorentini. Riferimento a questi casi è il breve
scritto dell'anno successivo, Del modo di trattare i popoli della Valdichiana
ribellati, nel quale, preso esempio dal comportamento tenuto dagli antichi
Romani in caso di ribellioni, rimprovera il governo fiorentino di non aver
trattato severamente la ribelle città di Arezzo. Pensa che come i Romani
«fecero giudizio differente per esser differente il peccato di quelli popoli,
così dovevi fare voi, trovando ancora nei vostri ribellati differenza di
peccati giudico ben giudicato che a Cortona, Castiglione, il Borgo, Foiano, si
siano mantenuti i capitoli, siano vezzeggiati e vi siate ingegnati riguadagnarli
con i beneficii ma io non approvo che gli Aretini, simili ai Veliterni ed
Anziani non siano stati trattati come loro. I Romani pensarono una volta che i
popoli ribellati si debbano o beneficare o spegnere e che ogni altra via sia
pericolosissima.» Di fronte a quelli che apparivano tempi nuovi e
tempestosi, nei quali occorreva che uomini capaci prendessero pronte
risoluzioni, come prima riforma nell'organizzazione dello Stato fiorentino fu
resa vitalizia la carica di gonfaloniere, affidata a Pier Soderini, che
appariva uomo accetto tanto agli ottimati che ai popolani. La prima missione
che egli affidò a Machiavelli fu quella di prendere nuovamente contatto col
Borgia il quale, formalmente capitano delle truppe pontificie e finanziato da
quello Stato, intendeva tuttavia agire nel proprio interesse e in quello della
sua famiglia, stringendo un nuovo patto col Luigi XII e ottenendone libertà
d'azione nei suoi piani di espansione, non solo nei confronti di signorotti
quali gli Orsini, i Baglioni e il Vitelli, già suoi alleati, ma anche contro lo
stesso Bentivoglio di Bologna. Seguendo la tradizionale politica di alleanza
con la Francia, Firenzepur diffidando del Valentinointendeva confermargli la
sua amicizia, per non essere investita dai suoi aggressivi disegni.
Machiavelli giunse a Imola dal Borgia il 7 ottobre, confidandogli che Firenze
non aveva aderito all'offerta di amicizia propostale dagli Orsini e dai
Vitelli, congiurati a Magione contro il duca Valentino, e ne ricevette in
cambio un'offerta di alleanza, alla quale Niccolò, affascinato dalla figura di
Cesare Borgia, guardava con favore più di quanto non facesse il governo
fiorentino. Fu al seguito del Valentino per tutta la durata di quei tre mesi di
campagna militare e, due ore dopo l'uccisione a tradimento di Vitellozzo e di
Oliverotto da Fermo, ne raccolse le parole «savie e affezionatissime» per i
Fiorentini, invitati nuovamente a unirsi a lui per avventarsi contro Perugia e
Città di Castello. Firenze, a questo punto, decise di mandare presso il Borgia
un ambasciatore accreditato, Jacopo Salviati, così che il nostro Segretario lasciò
il campo di Città della Pieve per fare ritorno a Firenze. Vitellozzo Vitelli,
ritratto da Luca Signorelli. «Vitellozo, Pagolo et duca di Gravina in su muletti
ne andorno incontro al duca, accompagnati da pochi cavagli; et Vitellozo
disarmato, con una cappa foderata di verde, tucto aflicto se fussi conscio
della sua futura morte, dava di sé, conosciuta la virtù dello huomo et la
passata sua fortuna, qualche ammirationeArrivati adunque questi tre davanti al
duca, et salutatolo humanamente, furno da quello ricevuti con buono volto Ma,
veduto il duca come Liverotto vi mancava adciennò con l'occhio a don Michele,
al quale lLeverotto era demandata, che provedessi in modo che Liverotto non
schapassi Liverotto havendo facto riverenza, si adcompagnò con gli altri; et
entrati in Senigagla, et scavalcati tutti ad lo alloggiamento del duca, et
entrati seco in una stanza secreta, furno dal duca fatti prigioni venuta la
nocte al duca parve di fare admazare
Vitellozzo e Liverotto; et conductogli in uno luogo insieme, gli fe'
strangolare Pagolo et el duca di Gravina Orsini furno lasciati vivi per infino
che il duca intese che a Roma el papa haveva preso el cardinale Orsino, l'arcivescovo
di Firenze et messer Jacopo da Santa Croce; dopo la quale nuova, a dì 18 di
giennaio, ad Castel della Pieve furno anchora loro nel medesimo modo
strangolati» (Machiavelli, Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino
nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il
duca di Gravina Orsini). La morte di Alessandro VI privò Cesare Borgia delle
risorse finanziarie e politiche che gli occorrevano per mantenere il ducato di
Romagna, che si dissolse tornando a frammentarsi nelle vecchie signorie, mentre
Venezia s'impadronì di Imola e di Rimini. Dopo il brevissimo pontificato di Pio
III, Machiavelli fu inviato a Roma per il conclave che il 1º novembre elesse
Giulio II. Raccolse le ultime confidenze del Valentino, del quale pronosticò la
rovina imminente, e cercò di comprendere le intenzioni politiche del nuovo
papa, che egli sperava s'impegnasse contro i Veneziani, le cui mire espansionistiche
erano temute da Firenze. O la sarà una porta che aprirà loro tutta Italia, o
fia la rovina loro. A Roma gli giunse la notizia della nascita del
secondogenito Bernardo: «Somiglia voi, è bianco come la neve, ma gli ha il capo
che pare velluto nero, et è peloso come voi, e da che somiglia voi parmi
bello», gli scrive la moglie Marietta. E Machiavelli, che lungamente in questo
scorcio di tempo aveva frequentato la casa del cardinal Soderini, al quale
forse prospettò già il suo progetto di costituire una milizia nazionale che
sostituisse l'infida soldatesca mercenaria, s'avvia per Firenze. In
Francia Ingresso a Genova di Luigi XII, Le fortune della Francia in
Italia sembrarono declinare dopo la cacciata dal Napoletano ad opera
dell'armata spagnola di Gonzalo Fernández de Córdoba. Firenze, alleata di Luigi
XII, e timorosa delle prossime iniziative della Spagna, del papa e della nemica
tradizionale, la Siena di Pandolfo Petrucci, era interessata a conoscere i
progetti del re e a questo scopo alla sua corte mandò Machiavelli «a vedere in
viso le provvisioni che si fanno e scrivercene immediate, e aggiungervi la
coniettura e iudizio tuo». Machiavelli e a Milano per conferire con il
luogotenente Charles II d'Amboise, che non credeva in un attacco spagnolo in
Lombardia e rassicurò Niccolò sull'amicizia francese per Firenze.
Raggiunse la corte e l'ambasciatore Niccolò Valori a Lione il 27 gennaio,
ricevendo uguali rassicurazioni dal cardinale di Rouen e da Luigi stesso. In
marzo ripartiva per Firenze e di qui si recava per pochi giorni a Piombino da
Jacopo d'Appiano, per sondare la posizione di quel signorotto. È di questo
tempo la stesura del suo primo Decennale, una storia dei fatti notevoli occorsi
degli ultimi dieci anni volta in terzine: Machiavelli non è poeta, anche se
invoca Apollo nell'esordio del poemetto, ma a noi interessa il suo giudizio
sull'attualità della vicenda politica italiana e su quel che attende
Firenze: «L'imperador, con l'unica sua prole vuol presentarsi al
successor di Pietro al Gallo il colpo ricevuto duole; e Spagna che di Puglia
tien lo scetro va tendendo a' vicin laccioli e rete, per non tornar con le sue
imprese a retro; Marco, pien di paura e pien di sete, fra la pace e la guerra
tutto pende; e voi di Pisa troppa voglia avete. Onde l'animo mio tutto
s'infiamma or di speranza, or di timor si carca tanto che si consuma a dramma a
dramma, perché saper vorrebbe dove, carca di tanti incarchi debbe, o in qual
porto, con questi venti, andar la vostra barca. Pur si confida nel nocchier
accorto ne' remi, nelle vele e nelle sarte; ma sarebbe il cammin facile e corto
se voi el tempio riapriste a Marte» (Decennale primo, vv 529-549) I
tentativi d'impadronirsi di Pisa fallirono ancora: battuta a Ponte a Cappellese
il 27 marzo 1505, Firenze doveva anche guardarsi dalle manovre dei signori ai
loro confini. Machiavelli andò a Perugia l'11 aprile per conferire col
Baglioni, ora alleato con gli Orsini, con Lucca e con Siena, poi a Mantova, per
cercare invano accordi con il marchese Giovan Francesco Gonzaga e il 17 luglio
a Siena. In settembre, fallì un nuovo assalto a Pisa e Machiavelli ne trasse
spunto per presentare la proposta della creazione di un esercito cittadino.
Rimasti diffidenti i maggiorenti della cittàche temevano che un esercito
popolare potesse costituire una minaccia per i loro interessima appoggiato dal
Soderini, Machiavelli si mosse per mesi nei borghi toscani a far leva di
soldati, istruiti «alla tedesca», e finalmente, Firenze puo vedere la prima
parata di una milizia «nazionale» che peraltro non avrà nessun ruolo nella
successiva conquista di Pisa e si rivelerà di scarso affidamento nella difesa
di Prato del 1512. Con la pace concordata con la Francia nell'ottobre
1505, la Spagna, con Ferdinando II d'Aragona, aveva preso definitivamente
possesso del Regno di Napoli. I piccoli stati della penisola attendevano ora le
mosse di Giulio II, deciso a imporre la sua egemonia nell'Italia centrale: nel
luglio, il papa chiese a Firenze di partecipare alla guerra che egli intendeva
muovere al signore di Bologna, Giovanni Bentivoglio, che era alleato, come
Firenze, dei francesi, e perciò teoricamente amico, oltre che confinante, dei
Fiorentini. Si trattava di temporeggiare, osservando gli sviluppi dell'impresa
del papa al quale fu mandato Machiavelli, che lo incontrò a Nepi. Giulio II gli
dimostrò di godere dell'appoggio della Francia, che aveva promesso di inviare
truppe in suo aiuto, cosicché fu agevole a Machiavelli promettere aiuti a sua
voltadopo però che fossero arrivati quelli di re Luigie seguì papa Giulio che,
con la sua corte curiale e pochi armati se n'andava a Perugia, ottenendo, il 13
settembre, la resa senza combattimento di Giampaolo Baglioni che, con stupore e
rimprovero del Machiavelli e, un giorno, anche del Guicciardini, non ebbe il
coraggio di opporsi alle poche forze allora a disposizione del Papa. La corte
papale, dopo aver atteso a Cesena fino a ottobre l'arrivo dei francesi e, dopo
questi, dei Fiorentini di Marcantonio Colonna, entrò trionfante a Bologna l'11
novembre. Machiavelli, tornato a Firenze già alla fine d'ottobre, s'occupò
ancora dell'istituzione delle milizie fiorentine: il 6 dicembre furono creati i
Nove ufficiali dell'Ordinanza e Milizia fiorentina, eletti dal popolo,
responsabili militari della Repubblica. In Germania Massimiliano I
d'Asburgo Il nuovo anno si apre con le minacce del passaggio in Italia del «Re
dei Romani» Massimiliano, intenzionato a ribadire le proprie pretese di dominio
sulla penisola, a espellere i francesi e a farsi incoronare a Roma «imperatore
del Sacro Romano Impero». Si valutò a Firenze la possibilità di finanziargli
l'impresa in cambio della sua amicizia e del riconoscimento dell'indipendenza
della Repubblica: fu inviato a questo scopo l'ambasciatore Francesco Vettori e
lo stesso Machiavelli. Giunse a Bolzano, dove Massimiliano teneva corte, e le lunghe trattative sull'esborso preteso da
Massimiliano s'interruppero quando i Veneziani, sconfiggendolo più volte, gli
fecero comprendere la velleità dei suoi sogni di gloria. Da questa
esperienza Machiavelli trasse tre scritti, il Rapporto delle cose della Magna,
compost il giorno dopo il suo rientro a Firenze, il Discorso sopra le cose
della Magna e sopra l'Imperatore, del settembre 1509, e il più tardo Ritratto
delle cose della Magna, una rielaborazione del primo Rapporto. Rileva la grande
potenza della Germania, che «abunda di uomini, di ricchezze e d'arme»; le
popolazioni hanno «da mangiare e bere e ardere per uno anno: e così da lavorare
le industrie loro, per potere in una obsidione [assedio] pascere la plebe e
quelli che vivono delle braccia, per uno anno intero sanza perdita. In soldati
non spendono perché tengono li uomini loro armati ed esercitati; e li giorni
delle feste tali uomini, in cambio delli giuochi, chi si esercita collo
scoppietto, chi colla picca e chi con una arme e chi con un'altra, giocando tra
loro onori et similia, e quali tra loro poi si godono. In salari e in altre
cose spendono poco: talmente che ogni comunità si truova ricca in
publico». Importano e consumano poco perché «le loro necessità sono assai
minori delle nostre», ma esportano molte merci «di che quasi condiscono tutta
la Italia [...] e così si godono questa loro rozza vita e libertà e per questa
causa non vogliono ire alla guerra se non sono soprappagati e questo anche non
basterebbe loro, se non fussino comandati dalle loro comunità. E però bisogna a
uno imperadore molti più denari che a uno altro principe». Tanta forza
potenziale, che potrebbe fare la grandezza politica e militare dell'Imperatore,
è limitata dalle divisioni delle comunità governate dai singoli principi, una
realtà simile a quella italiana: nessun principe tedesco vuole favorire
l'imperatore, «perché, qualunque volta in proprietà lui avessi stati o fussi
potente, è domerebbe e abbasserebbe e principi e ridurrebbeli a una obedienzia
di sorte da potersene valere a posta sua e non quando pare a loro: come fa oggi
il re di Francia, e come fece già il re Luigi, quale con l'arme e ammazzarne
qualcuno li ridusse a quella obedienzia che ancora oggi si vede». La
conquista di Pisa Decisa a concludere le operazioni militari contro Pisa, Firenze
mandò Machiavelli a far leve di soldati: in agosto condusse soldati prelevati
da San Miniato e da Pescia all'assedio della città irriducibile. Riunite altre
milizie, si incaricò di tagliare i rifornimenti bloccando l'Arno; poi, il 4
marzo del 1509, andò prima a Lucca a intimare a quella Repubblica di cessare
ogni aiuto ai Pisani e, il 14, si recò a Piombino, incontrando gli ambasciatori
di Pisa per cercare invano un accordo di resa. Raccolte nuove truppe, in maggio
era presente all'assedio: Pisa, ormai stremata, trattava finalmente la pace.
Machiavelli accompagnò i legati pisani a Firenze dove fu firmata la resa e l'8
giugno poté entrare in Pisa con i commissari Niccolò Capponi, Antonio Filicaia
e Alamanno Salviati. Un ben più vasto incendio era intanto divampato
nell'Italia settentrionale: stipulata un'alleanza a Cambrai, Francia, Spagna,
Impero e papato si avventavano contro la Repubblica veneziana che a maggio
cedeva i suoi possedimenti lombardi e romagnoli e, in giugno, anche Verona,
Vicenza e Padova, consegnate a Massimiliano. Firenze, da parte sua, doveva
finanziare la nuova impresa imperiale: consegnato un primo acconto in ottobre, Machiavelli
era a Verona per consegnare il saldo a Massimiliano, che era stato però
costretto alla ritirata dalla controffensiva veneziana, resa possibile dalla
rivolta popolare contro i nuovi padroni. E Machiavelli commentava dei «due re,
che l'uno può fare la guerra e non vuol farla, l'altro ben vorrebbe farla e non
può», riferendosi a Luigi e a Massimiliano che se n'era tornato in Germania a
chiedere soldati e denari ai principi tedeschi. Atteso inutilmente il
ritorno dell'Imperatore, se ne tornò a Firenze. Venezia si salvò soprattutto
grazie alle divisioni degli alleati: mentre Luigi XII aveva tutto l'interesse
di ridurre all'impotenza Venezia per avere le mani libere nella pianura padana,
Giulio II la voleva abbastanza forte da opporsi alla Francia senza averne
contrasto alle proprie ambizioni di espansione. Per Firenze, amica della
Francia ma non nemica del papa, era necessario spiegarsi con il re francese, e
Machiavelli fu mandato a Blois, dove Luigi teneva la corte, incontrandolo.
Machiavelli confermò l'amicizia con la Francia ma disse di dubitare che la
Repubblica potesse impegnarsi in una guerra contro Giulio II, in grado di
volgere contro Firenze forze troppo superiori: meglio sarebbe stata una
mediazione che evitasse il conflitto e sottraesse, oltre tutto, Firenze dalla
responsabilità di un impegno nel quale era difficile trarre un guadagno.
Dovette tornare a Firenze il 19 ottobre, convinto che la guerra fosse
ineluttabile. Le vittorie militari non furono sfruttate da Luigi XII e la sua
indizione di un concilio a Pisa, che condannasse il papa, provocò l'interdetto
di Giulio II contro Firenze. Il 22 settembre 1511 Machiavelli era ancora in
Francia, ottenendo dal re soltanto un breve rinvio del concilio: dalla Francia
andò a Pisa e riuscì a ottenere il trasferimento del concilio a Milano.
Il ritorno dei Medici a Firenze Le fortune di Luigi XII volgevano al tramonto:
sconfitto dalla nuova coalizione guidata dal papa, era costretto ad abbandonare
la Lombardia, lasciando Firenze politicamente isolata e incapace di resistere
alle armi spagnole. Pier Soderini fuggì a Siena, i Medici rientrarono a
Firenze: disfatto il vecchio governo, il 7 novembre anche Machiavelli venne
rimosso dal suo incarico, il successivo 10 novembre fu confinato e multato
della grande somma di mille fiorini e il 17 gli fu interdetto l'ingresso a
Palazzo Vecchio. Giuliano de' Medici duca di Nemours Il nuovo
regime processò Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi, accusati di aver
complottato contro Giuliano de' Medici, condannandoli a morte. Anche
Machiavelli è sospettato: arrestato il 12 febbraio 1513, fu anche torturato
(gli fu somministrata la corda o, com'era chiamata allora a Firenze, la
"colla"). Scrisse allora a Giuliano di Lorenzo de' Medici duca di
Nemours due sonetti, per ricordargli, ma senza averne l'aria e in forma
scherzosa, la sua condizione di carcerato: «Io ho, Giuliano, in gamba un
paio di geti e sei tratti di fune in sulle spalle; l'altre miserie mie non vo'
contalle, poiché così si trattano i poeti Menon pidocchi queste parieti
grossi e paffuti che paion farfalle, né mai fu tanto puzzo in Roncisvalle o in
Sardigna fra quegli arboreti quanto nel mio sì delicato ostello» Giulio
II moriva intanto proprio in quei giorni e dal conclave uscì eletto l'11 marzo
il cardinale de' Medici con il nome di Leone X: era la fine dei pericoli di
guerra per Firenze e anche il tempo dell'amnistia. Uscito dal carcere,
Machiavelli cercò di ottenere favori dai Medici attraverso l'ambasciatore
Francesco Vettori e lo stesso Giuliano, ma invano. Si ritirò allora nel suo
podere dell'Albergaccio, a Sant'Andrea in Percussina, tra Firenze e San
Casciano in Val di Pesa. L'esilio dalla politica. «Il Principe» Qui, tra
le giornate rese lunghe dall'ozio forzato, comincia a scrivere i Discorsi sopra
la prima Deca di Tito Livio che, forse nel luglio 1513, interrompe per metter
mano al suo libro più famoso, il De Principatibus, dal solenne titolo latino ma
scritto in volgare e perciò divenuto ben più noto come Il Principe. Lo dedica dapprima
a Giuliano di Lorenzo de' Medici e, dopo la morte di questi nel 1516, a Lorenzo
de' Medici, figlio di Piero "fatuo"; ma il libro uscì solo postumo,
nel 1532. Certo, non doveva farsi illusioni che un Medici potesse mai essere
quel «redentore» atteso dall'Italia contro «questo barbaro dominio», ma da un
Medici si attendeva almeno la sua propria «redenzione» dall'inattività cui era
stato relegato dal ritorno a Firenze di quella famiglia. Sperava che
l'amico Vettori, ambasciatore a Roma, si facesse interprete del suo desiderio che
questi signori Medici mi cominciasseino adoperare», dal momento «che io sono
stato a studio all'arte dello stato [...] e doverrebbe ciascheduno aver caro
servirsi d'uno che alle spese d'altri fussi pieno d'esperienza. E della fede
mia non si doverrebbe dubitare, perché, avendo sempre osservato la fede, io non
debbo imparare ora a romperla; e chi è stato fedele e buono quarantatré anni
che io ho, non debbe potere mutare natura; e della fede e bontà mia ne è
testimonio la povertà mia». Delle ombre della sua povertà, ma anche delle sue
luci, Machiavelli scrive al Vettori in quella che è la più famosa lettera della
nostra letteratura: L'Albergaccio di Machiavelli a Sant'Andrea in
Percussina «Venuta la sera, mi ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio; e in
su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi
metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique
corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di
quel cibo che solum è mio e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno
parlare con loro e domandargli della ragione delle loro azioni; e quelli per
loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia;
sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte;
tutto mi trasferisco in loro. E perché Dante dice che non fa scienza sanza lo
ritenere lo avere inteso, io ho notato quello di che per la loro conversazione
ho fatto capitale, e composto uno opuscolo de Principatibus» (Lettera a
Francesco Vettori) Ritornato il 3 febbraio 1514 a Firenze, continuò a sperare a
lungo che il Vettori, al quale spedì il manoscritto del Principe, lo facesse
introdurre in qualche incarico nell'amministrazione cittadina, ma invano. Tutto
dipendeva dalla volontà del papa, e Leone non era affatto intenzionato a
favorire chi non si era mostrato, a suo tempo, favorevole agli interessi di
Casa Medici. Machiavelli, da parte sua, scriveva al Vettori di aver «lasciato i
pensieri delle cose grandi e gravi» e di non dilettarsi più di «leggere le cose
antiche, né ragionare delle moderne: tutte si sono converse in ragionamenti
dolci». Si era infatti innamorato di una «creatura tanto gentile, tanto
delicata, tanto nobile e per natura e per accidente, che io non potrei né tanto
laudarla né tanto amarla che la non meritasse più». La guerra, ripresa in
Italia dalla discesa del nuovo re di Francia Francesco I, si concluse nel
settembre 1515 con la sua grande vittoria a Marignano (oggi Melegnano) contro
la vecchia «Lega santa»: Leone X dovette accettare il dominio francese in
Lombardia e la stipula a Bologna di un concordato che riconosceva il controllo
reale sul clero francese. Si rifece impossessandosi, per conto del nipote
Lorenzo, capitano generale dei Fiorentini, del Ducato di Urbino. A quest'ultimo
invano dedicava Machiavelli il suo Principe: la sua esclusione dalla gestione
degli affari di Firenze continuava. Si diede a frequentare gli «Orti
Oricellari», latineggiamento che indica i giardini del Palazzo di Cosimo
Rucellai, dove si riunivano letterati, giuristi ed eruditi come Luigi Alamanni,
Jacopo da Diacceto, Jacopo Nardi, Zanobi Buondelmonti, Antonfrancesco degli
Albizi, Filippo de' Nerli e Battista della Palla. Qui vi lesse probabilmente qualche
capitolo di quell'Asino, poemetto in terzine che voleva essere una
contaminazione fra l'Asino d'oro di Apuleio e la Divina Commedia dantesca, ma
che lasciò presto interrotto: e al Rucellai e al Buondelmonti dedicò i Discorsi
sopra la prima Deca di Tito Livio. Machiavelli si era già cimentato, quando
ricopriva l'incarico di segretario della Repubblica, in composizioni teatrali:
una imitazione dell'Aulularia di Plauto e una commedia, Le maschere, ispirata a
Nebulae di Aristofane, sono tuttavia perdute. Al 1518 risale il suo capolavoro
letterario, la commedia Mandragola, nel cui prologo egli inserisce un accenno
autobiografico «scusatelo con questo, che s'ingegna con questi van
pensieri fare el suo tristo tempo più suave, perch'altrove non have dove voltare
el viso; ché gli è stato interciso mostrar con altre imprese altra virtue, non
sendo premio alle fatiche sue.» Intorno a quest'anno vanno collocate la
traduzione dell'Andria di Terenzio e stesura della novella di Belfagor
arcidiavolo o Novella del demonio che pigliò moglieil suo titolo preciso è
attualmente stabilito in Favolail cui tema di fondo è la visione pessimistica
dei rapporti che legano gli esseri umani, tutti intesi al proprio interesse a
danno, se necessario, di quello di ciascun altro. Il ritorno alla vita
politica Lorenzo de' Medici morì, lasciando il governo di Firenze al cardinale
Giulio. Costui, favorevole a Machiavelli, lo incaricò della stesura di una
storia della città sotto lauta retribuzione. Machiavelli, galvanizzato
dall'incarico, diede alle stampe nel 1521 l’Arte della guerra, dedicandola allo
stesso cardinal Giulio. Nello stesso anno fu inviato in missione diplomatica a
Carpi presso il governatore Francesco Guicciardini di cui, pur avendo opposte
visioni della Storia, divenne buon amico. Nel 1525 cercò di guadagnare il
favore di papa Clemente VII offrendogli le Istorie fiorentine. Nel frattempo
giunsero la revoca ufficiale dell'interdizione dalla vita pubblica e
l'affidamento di missioni militari in Romagna in collaborazione col
Guicciardini. I Medici furono
cacciati da Firenze e venne instaurata nuovamente la repubblica. Machiavelli si
propose come candidato alla carica di segretario della repubblica, ma venne
respinto in quanto ritenuto colluso coi Medici e soprattutto con papa Clemente
VII. La delusione per Machiavelli fu insopportabile. Ammalatosi repentinamente,
cominciò a peggiorare vistosamente fino alla morte. Abbandonato da tutti, fu
sepolto nel corso di una modesta cerimonia funebre nella tomba di famiglia
nella basilica di Santa Croce. La città di Firenze fece costruire un monumento
nella basilica stessa; esso raffigura la Diplomazia assisa su un sarcofago
marmoreo. Sulla lastra frontale sono incise le parole Tanto nomini nullum par
elogium (Nessun elogio sarà mai degno di tanto nome). Pensiero
Machiavelli e il Rinascimento Con il termine machiavellico si è spesso indicato
un atteggiamento spregiudicato e disinvolto nell'uso del potere: un buon
principe deve essere astuto per evitare le trappole tese dagli avversari, capace
di usare la forza se ciò si rivela necessario, abile manovratore negli
interessi propri e del suo popolo. Ciò si accompagna a un travaglio personale
che Machiavelli sentiva nella sua attività quotidiana e di teorico, secondo una
tradizione politica che già in Cicerone affermava: "un buon politico deve
avere le giuste conoscenze, stringere mani, vestire in modo elegante, tessere
amicizie clientelari per avere un'adeguata scorta di voti". Con
Machiavelli l'Italia ha conosciuto il più grande teorico della politica.
Secondo Machiavelli la politica è il campo nel quale l'uomo può mostrare nel
modo più evidente la propria capacità di iniziativa, il proprio ardimento, la
capacità di costruire il proprio destino secondo il classico modello del faber
fortunae suae. Nel suo pensiero si risolve il conflitto fra regole morali e
ragion di Stato che impone talvolta di sacrificare i propri princìpi in nome
del superiore interesse di un popolo. La politica deve essere autonoma da
teologia e morale e non ammette ideali, è un gioco di forze finalizzate al bene
della collettività e dello stato. La politica, svincolata da dogmatismi e
princìpi teorici, guarda alla realtà effettuale, ai "fatti": "Mi
è parso più conveniente andare dietro alla verità effettuale della cosa piuttosto
che alla immaginazione di essa". Si tratta di una visione antropocentrica
che si richiama all'Umanesimo quattrocentesco ed esprime gli ideali del
Rinascimento. Nel “Dialogo intorno alla nostra lingua” dà un giudizio severo su
Alighieri. Alighieri è rimproverato di negare la matrice fiorentina della
lingua della Commedia. Il passo assume i caratteri dell'invettiva contro
Aligheri, accusato di aver infangato la reputazione di Firenze:
«Alighieri il quale in ogni parte mostrò d'esser per ingegno, per dottrina et
per giuditio huomo eccellente, eccetto che dove egli hebbe a ragionare della
patria sua, la quale, fuori d'ogni humanità et filosofico instituto, perseguitò
con ogni spetie d'ingiuria. E non potendo altro fare che infamarla, accusò
quella d'ogni vitio, dannò gli uomini, biasimò il sito, disse male de' costumi
et delle legge di lei; et questo fece non solo in una parte de la sua cantica,
ma in tutta, et diversamente et in diversi modi: tanto l'offese l'ingiuria
dell'exilio, tanta vendetta ne desiderava. Ma la Fortuna, per farlo mendace et
per ricoprire con la gloria sua la calunnia falsa di quello, l'ha continuamente
prosperata et fatta celebre per tutte le province, et condotta al presente in
tanta felicità et sì tranquillo stato, che se Alighieri la vedessi, o egli
accuserebbe sé stesso, o ripercosso dai colpi di quella sua innata invidia,
vorrebbe essendo risuscitato di nuovo morire.» Poi, durante un altro
scambio immaginario con Aligheri, Mhiavelli rimprovera il carattere
"goffo", "osceno", addirittura "porco" del
registro utilizzato nell'Inferno: «Aligheri mio, io voglio che tu
t'emendi, et che tu consideri meglio il “parlare” fiorentino et la tua opera;
et vedrai che, se alcuno s'harà da vergognare, sarà più tosto Firenze che tu:
perché, se considererai bene a quel che tu hai detto, tu vedrai come ne' tuoi
versi non hai fuggito il goffo, come è quello: "Poi ci partimmo et
n'andavamo introcque"; non hai fuggito il porco, com'è quello:
"che merda fa di quel che si trangugia"; non hai fuggito l'osceno,
com'è: "le mani alzò con ambedue le fiche"; e non avendo
fuggito questo, che disonora tutta l'opera tua, tu non puoi haver fuggito
infiniti vocaboli patrii che non s'usano altrove che in quella» Autografo
delle Historiae Fiorentinae Per Machiavelli la storia è il punto di riferimento
verso il quale il politico deve sempre orientare la propria azione. La storia
fornisce i dati oggettivi su cui basarsi, i modelli da imitare, ma indica anche
le strade da non ripercorrere. Machiavelli si basa su una concezione ciclica
della storia: "Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li
medesimi". Ma ciò che allontana Machiavelli da una visione deterministica
della storia è l'importanza che egli attribuisce alla virtù, ovvero alla
capacità dell'uomo di dominare il corso degli eventi utilizzando opportunamente
le esperienze degli errori compiuti nel passato, nonché servendosi di tutti i
mezzi e di tutte le occasioni per la più alta finalità dello stato, facendo
anche violenza, se necessario, alla legge morale. Non a caso il Principe,
nella conclusione, abbandona il suo taglio cinico e pragmatico per esortare i
sovrani italiani, con una scrittura più solenne e venata di un certo idealismo,
a riconquistare la sovranità perduta e a cacciare l'invasore straniero. Non c'è
rassegnazione nel Principe, né tanto meno sfiducia nei confronti dell'uomo. La
storia è il prodotto dell'attività politica dell'uomo per finalità terrene
esclusivamente pratiche. Lo stato, oggetto di tale attività, nella situazione
politica e nel pensiero del tempo si identifica con la persona del
principe. Di conseguenza l'attività politica è riservata solo ai grandi
protagonisti, ai pochi capaci di agire, non al "vulgo" incapace di
decisione e di coraggio. L'obiettivo è creare o conservare lo stato, una
creazione individuale legata alle qualità e alla sorte del suo fondatore: la
fine del principe può determinare la fine del suo stato, come capitò ad esempio
a Cesare Borgia. Il Machiavelli ha dunque un'importanza fondamentale per la
scoperta che la politica è una forma particolare autonoma di attività umana, il
cui studio rende possibile la comprensione delle leggi da cui è perennemente
retta la storia; da quella scoperta discende, come suo naturale fondamento, una
vigorosa concezione della vita, incentrata unicamente sulla volontà e sulla
responsabilità dell'uomo. Una errata interpretazione del Novecento fece
del Machiavelli un precursore del movimento unitario italiano, ma la parola
nazione ha assunto l'attuale significato solo a partire dalla seconda metà del
Settecento, mentre il Machiavelli la usò in senso particolaristico e cittadino
(es. nazione fiorentina o, nel senso più generico di popolo, moltitudine). Tuttavia,
Machiavelli propugna un principato in grado di reggersi sull'unità etnica dell'Italia;
così facendo, e denunciando in tal modo una chiara coscienza dell'esistenza di
una civiltà italiana, Machiavelli predica la liberazione dell'Italia sotto il
patrocinio di un principe, criticando il dominio temporale dei Papi che
spezzava in due la penisola. Ma l'unità d'Italia resta in Machiavelli un
problema solo intuito. Non si può dubitare che avesse concepito l'idea
dell'unità italiana, ma tale idea restò indeterminata, poiché non trovò appigli
concreti nella realtà, restando perciò a livello di utopia, cui solo dava forma
la figura ideale del principe nuovo. Machiavelli dunque intraprese un viaggio
che identificò come spirituale in giro per il mondo. In seguito, tornato in
patria, ebbe una nuova visione sia del "popolo" che della
"nazione" (di qui quello che oggi definiamo rinnovamento
culturale). Il principe o De Principatibus. Niccolò Machiavelli nello
studio, Stefano Ussi, Emblematico è il modo di trattare argomenti delicati,
quali le mosse necessarie al Principe per organizzare uno stato ed ottenerne
uno stabile e duraturo consenso. Per esempio vi troviamo indicazioni
programmatiche, quali l'utilità nello "spegnere" gli stati abituati a
vivere liberi di modo da averli sotto il proprio diretto controllo (metodo
preferito al creare un'amministrazione locale "filo-principesca" o al
recarvisi e stabilirvisi personalmente, metodo però sempre tenuto da conto in
modo da avere un occhio sempre presente sulle proprie terre, e stabilire una
figura rispettata e conosciuta in loco). Altro elemento caratteristico
del trattato sta nella scelta dell'atteggiamento da tenere nei confronti dei
sudditi, culminante nell'annosa questione del "s'elli è meglio essere
amato che temuto o e converso" La risposta corretta si concretizzerebbe in
un ipotetico principe amato e temuto, ma essendo difficile o quasi impossibile
per una persona umana l'essere ambedue le cose, si conclude decretando che la
posizione più utile viene ad essere quella del Principe temuto (pur ricordando
che mai e poi mai il Principe dovrà rendersi odioso nei confronti del popolo,
fatto che porrebbe i prodromi della propria caduta). Qua appare indubbiamente
la concezione realistica e la concretezza del Machiavelli, il quale non viene a
proporre un ipotetico Principe perfetto, ma irrealizzabile nel concreto, bensì
una figura effettivamente possibile e soprattutto "umana".
Ulteriore atteggiamento principesco dovrà l'essere metaforicamente sia
"volpe" che "leone", in modo da potersi difendere dalle
avversità sia tramite l'astuzia (volpe) che tramite la violenza (leone).
Mantenendo un solo atteggiamento dei due non ci si potrà difendere da una
minaccia violenta o di astuzia. Spesso alla figura evocata dal Principe di
Machiavelli viene associata la figura di un uomo privo di scrupoli, di un
cinismo estremo, nemico della libertà. Inoltre gli viene erroneamente associata
la frase "il fine giustifica i mezzi", che invece mai enunciò. Questo
perché la parola "giustifica" evoca sempre un criterio morale, mentre
Machiavelli non vuole "giustificare" nulla, vuole solo valutare, in
base ad un altro metro di misura, se i mezzi utilizzati sono adatti a
conseguire il fine politico, l'unico fine da perseguire è il mantenimento dello
Stato. Machiavelli nella stesura del Principe si rifà alla reale
situazione che gli si presentava attorno, una situazione che necessitava essere
risolta con un atto deciso, forte, violento. Machiavelli non vuole proporre dei
mezzi giustificati da un fine, egli pone un programma politico che qualunque
Principe che voglia portare alla liberazione dell'Italia, da troppo tempo
schiava, dovrà seguire. Fuori dai suoi intenti una giustificazione morale dei
punti suggeriti: egli stende un vademecum necessariamente utile a quel Principe
che finalmente vorrà impugnare le armi. Alle accuse di sola illiberalità od
autoritarismo, si può dare una risposta leggendo il capitolo IX, "De
Principatu Civili", ritratto di un principe nascente dal e col consenso
del popolo, figura ben più solida del Principe nato dal consesso dei
"grandi", cioè dei grandi proprietari feudali. Non esiste un unico
tipo di principato, ma per ognuno troviamo un'ampia trattazione di pregi e dei
difetti. Controversie sul Principe «Quel grande / che temprando lo
scettro a' regnatori gli allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime
grondi e di che sangue» (Ugo Foscolo, Dei sepolcri) La gelida obiettività
e un certo cinismo con cui Machiavelli descriveva il comportamento freddo,
razionale ed eventualmente spietato che un capo di Stato deve mettere in atto,
colpì i critici. Così, da una parte vi è la linea di pensiero tradizionale,
secondo la quale "Il Principe" è un trattato di scienza politica
destinato al governante, che tramite esso saprà come affrontare i problemi,
spesso drammatici, posti dal suo ruolo di garante della stabilità dello stato.
Dall'altra, troviamo un'interpretazione secondo cui il trattato di Machiavelli,
che era originariamente un repubblicano, ha come vero scopo quello di mettere a
nudo, e quindi chiarire, le atrocità compiute dai principi dell'epoca, a vantaggio
del popolo, che di conseguenza avrebbe le dovute conoscenze per attuare le
precauzioni al fine di stare in guardia e difendersi quando si dimostra
necessario. Il principe è visto anche come figura assai drammatica, la quale,
per il bene dello stato stesso, non si può permettere di lasciare spazio al
proprio carattere, diventando così quasi un uomo-macchina. Secondo alcuni,
Machiavelli venne in realtà accusato da subito di nicodemismo, e: «...di
non aver mirato ad altro, in quel libro, che a condurre il tiranno a
precipitosa rovina, allettandolo con precetti a lui graditi...»
(Attribuita a Niccolò Machiavelli[28]). Machiavellismo § L'antimachiavellismo e
il repubblicanesimo. Gli esponenti di questa seconda interpretazione (la
cosiddetta "interpretazione obliqua", diffusa dal XVII secolo, e
avanzata per la prima volta da Alberico Gentili spirandosi a Reginald Pole, poi
ripresa da Traiano Boccalini e in seguito Baruch Spinoza)[31], furono numerosi
soprattutto in ambito illuminista (anche se venne rifiutata da Voltaire), che
vedeva in Machiavelli un precursore della politica laica e del
repubblicanesimo: la sostennero, dal Settecento, Jean-Jacques Rousseau[33],
Vittorio Alfieri[34], Giuseppe Baretti, Giuseppe Maria Galanti[36], gli
enciclopedisti (in primis Denis Diderot[3 Opere: Discorso 8] e Jean
Baptiste d'Alembert), Foscolo e Parini[, e ha avuto diffusione soprattutto
nell'Ottocento, prima e durante il Risorgimento[26]; ne è un esempio quello che
Foscolo scrive nei "Sepolcri": «Io quando il monumento / vidi ove
posa il corpo di quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori / gli
allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue».
Forse alcuni di essiad esempio, per quanto riguarda Foscolo, è un'ipotesi
alternativa di Spongano e riportata anche da Mario Pazzagliaritenevano anche
che, pur essendo Il principe un'opera fatta per i tiranni e i governanti, fosse
utile lo stesso per svelare al popolo gli intrighi del potere, ritenendo valida
l'interpretazione obliqua, qualunque fossero le intenzioni di Machiavelli. In generale, per i sostenitori di questa
lettura, Il principe avrebbe, come le satire (ad esempio Una modesta proposta
di Jonathan Swift), uno scopo opposto a quello apparente, come avverrà anche
per alcuni scritti di epoca romantica (Lettera semiseria di Grisostomo di
Giovanni Berchet o alcune Operette Morali di Giacomo Leopardi). In epoca
più recente, tuttavia, nella maggioranza dei critici è prevalsa la prima
interpretazione, quella tradizionale, dal quale risalta la libertà e
concretezza, anche spregiudicata, del pensiero di Machiavelli, che non descrive
mondi utopici, ma il mondo reale della politica dei suoi tempi,e la sua
concezione anticipatrice del realismo politico e della cosiddetta realpolitik. L'interpretazione
obliqua è stata riproposta in modo minoritario, ad esempio in alcuni monologhi
del drammaturgo e attore Dario Fo. Il modello linguistico prescelto da
Machiavelli è fondato sull'uso vivo più che sui modelli letterari; lo
scopo, esplicito soprattutto nel Principe, di scrivere qualcosa di utile e
chiaramente espressivo lo induce a scegliere spesso modi di dire proverbiali di
immediata evidenza. Il lessico impiegato dall'autore si rifà a quello
boccacciano, è ricco di parole comuni e i latinismi, seppure abbondanti,
provengono per lo più dal gergo cancelleresco. Nelle sue opere ricoprono un
ruolo assai rilevante anche le metafore, i paragoni e le immagini. La
concretezza è una delle caratteristiche salienti, l'esempio concreto ed
essenziale, tratto dalla storia sia antica che recente, è sempre preferito al
concetto astratto. In generale si parla di uno stile "fresco",
come lo ebbe a definire il filosofo Nietzsche in Al di là del bene e del male,
con un riferimento particolare all'uso della paratassi, a una certa
sentenziosità delle frasi, costruite secondo un criterio di chiarezza a scapito
di un maggior rigore logico-sintattico. Machiavelli rende evidenti concetti
che, se espressi con un linguaggio più elaborato, sarebbero molto difficili da
decifrare, e riesce a esprimere le sue tesi con originale capacità
espositiva. Opere Discorso fatto al magistrato de' Dieci sopra le cose di
Pisa, Parole da dirle sopra la provvisione del danaio, Descrizione del modo
tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da
Fermo, il Signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini, De natura Gallorum, Ritratto
delle cose di Francia, Ritratto delle cose della Magna, Il Principe, Discorsi
sopra la prima deca di Tito Livio, Dell'arte della guerra, La vita di Castruccio
Castracani da Lucca, Istorie fiorentine, )Riedizione Istorie fiorentine,
Venezia, 1546. Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua, Decennali
Mandragola, commedia teatrale Belfagor arcidiavolo, Epistolario, L'asino, Edizioni
critiche in pubblico dominio: Legazioni, commissarie, scritti di governo.
Fredi Chiappelli. Laterza, Roma-Bari. Drammaturgie minori Clizia, Andria,
traduzione-rifacimento dell'Andria di Terenzio Onori Nel 2009 Alitalia gli ha
dedicato uno dei suoi Airbus Nella cultura di massa Il suo nome, modificato in
"Makaveli", venne usato dal rapper statunitense Tupac Shakur tper
firmare molte sue canzoni e un album uscito postumo. Niccolò Machiavelli viene
proposto anche nel videogioco Assassin's Creed 2 e il seguito Assassin's Creed:
Brotherhood, in veste di Assassino. Proprio in quest'ultimo assume un ruolo
particolarmente importante, insieme ad altri personaggi dell'Italia
rinascimentale. Niccolò Machiavelli è, assieme a John Dee, il principale
antagonista della serie di romanzi fantasy I segreti di Nicholas Flamel,
l'immortale (come capo dei servizi segreti francesi), scritta da Michael Scott.
Nella mostra "Il Principe di Niccolò Machiavelli e il suo tempo"
(Roma, Complesso del Vittoriano, Salone Centrale, promossa dall'Istituto
dell'Enciclopedia Italiana e dalla sezione italiana di Aspen Institute, la
sezione "Machiavelli e il nostro tempo: usi e abusi" presenta, tra
altre "opere", Figurine Liebig, pacchetti di sigarette, schede
telefoniche, trading card, cartoline, francobolli, giochi da tavolo e
videogiochi dedicati a Machiavelli. Nella serie I Borgia di Neil Jordan è
interpretato da Julian Bleach. Machiavel è una band belga, catalogabile sotto
il genere progressive rock. Il nome della band è un chiaro omaggio a Niccolò
Machiavelli. Nella serie I Medici è interpretato da Vincenzo Crea, Edizione
nazionale delle opere Edizione Nazionale delle Opere di Niccolò Machiavelli,
Salerno Editrice di Roma: Il principe, Mario Martelli, corredo filologico
Nicoletta Marcelli, Discorsi sopra la
prima Deca di Tito Livio, Francesco Bausi, L'arte della guerra. Scritti
politici minori, Giorgio Masi, Jean Jacques Marchand, Denis Fachard, Opere storiche, Alessandro Montevecchi, Carlo
Varotti, ITeatro. Andria-Mandragola-Clizia,
Pasquale Stoppelli, Scritti in poesia e
in prosa, Antonio Corsaro, Paola Cosentino, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Filippo
Grazzini, Nicoletta Marcelli, coordinam. di Francesco Bausi, ILegazioni, Commissarie, Scritti di governo, Jean-Jacques
Marchand, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, Legazioni. Commissarie. Scritti
di governo, Jean-Jacques Marchand, Matteo Melera-Morettini, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo Denis Fachard, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo
Melera-Morettini, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo. Denis Fachard, Emanuele
Cutinelli-Rèndina, Legazioni. Commissarie.
Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo
Melera-Morettini. La famosa frase
"Il fine giustifica il mezzo" (o "i mezzi"), usata spesso
come esempio di machiavellismo, è del critico letterario Francesco de Sanctis,
con riferimento ad interpretazioni fuorvianti del pensiero di Machiavelli
espresso nel Principe. Il passo di De Sanctis, dal capitolo XV della sua Storia
della letteratura italiana, dedicato a Machiavelli, recita: "Ci è un
piccolo libro del Machiavelli, tradotto in tutte le lingue, il Principe, che ha
gittato nell'ombra le altre sue opere. L'autore è stato giudicato da questo
libro, e questo libro è stato giudicato non nel suo valore logico e
scientifico, ma nel suo valore morale. E hanno trovato che questo libro è un
codice di tirannia, fondato sulla turpe massima che il fine giustifica i mezzi,
e il successo loda l'opera. E hanno chiamato machiavellismo questa dottrina.
Molte difese sonosi fatte di questo libro ingegnosissime, attribuendosi
all'autore questa o quella intenzione più o meno lodevole. Così n'è uscita una
discussione limitata e un Machiavelli rimpiccinito". Celebrazioni per il V centenario del Principe
di Machiavelli, Accademia della Crusca, Opera di Santa Maria del Fiore, Libri
dei battesimi: Niccolò Piero e Michele di m. Bernardo Machiavellidi Santa
Trinita, nacque a dì 3 a hore 4, battezzato a dì 4 Dal Villani, nella sua Cronica. In Discorsi
di Architettura del senatore Giovan Battista Nelli,La sua trascrizione del De
rerum natura è nel manoscritto Vaticano Rossiano L. Canfora, Noi e gli antichi, Milano Giovio,
Elogia clarorum virorum, 1546, 55v: «Constat a Marcello Virgilio graecae atque
latinae linguae flores accepisse» R.
Ridolfi, Lettera Riccardo Bruscagli, "Machiavelli". Il Senato romano
fece distruggere Velletri e indebolì Anzio sottraendole la flotta: cfr. Livio, "La
sua vicinanza a Pier Soderini, vexillifer perpetuus, si accentua
progressivamente in uno sforzo di sottrarre Firenze a un immobilismo indotto
dal timore di un potere esecutivo più forte e irrispettoso di una lunga
tradizione di libertà repubblicano-oligarchica": Grazzini, Filippo, Ante
res perdita, post res perditas: dalle dediche del Decennale primo a quella del
Principe, Interpres: rivista di studi quattrocenteschi:Roma: Salerno,. Lettera. È un'ipotesi del Ridolfi, cDiscorsi
sopra la prima Deca di Tito Livio, «Giovanpagolo, il quale non stimava essere
incesto e publico parricida, non seppe, o, a dir meglio, non ardì, avendone
giusta occasione, fare una impresa, dove ciascuno avesse ammirato l'animo suo,
e avesse di sé lasciato memoria eterna, sendo il primo che avesse dimostro a'
prelati quanto sia poco uno che vive e regna come loro; ed avessi fatto una
cosa, la cui grandezza avesse superato ogni infamia, ogni pericolo, che da
quella potesse dependere» Nella sua
Storia d'Italia, il Guicciardini esprime lo stesso giudizio di Machiavelli Ritratto delle cose della Magna, in «Tutte le
opere storiche, politiche e letterarie2»
Lettera ai Dieci,Il carcere, la tortura e il ritiro all'Albergaccio, su
viv-it.org. Ottenendo un giudizio evasivo: cfr. la lettera del Vettori Lettera
a Francesco Vettori, David Quint, Armi e
nobiltà: Machiavelli, Guicciardini e le aristocrazie cittadine, Cadmo, Studi
italiani. De credulitate et pietate; et an sit melius amari quam timeri, vel e
contra. Il machiavellismo, su dizionariostoria.wordpress.com. Machiavellismo,
Treccani, 2Citata in Niccolò Machiavelli, Periodici Mondadori, A. Gentili, De
legationibus. R. Pole, Apologia ad Carolum V Caesarem de Unitate Ecclesiae che talvolta elogiarono però anche alcuni consigli
pragmatici dati al principe, come quello della religione come instrumentum
regnii; ad esempio Voltaire, nel capitolo Se sia utile mantenere il popolo
nella superstizione, del Trattato sulla tolleranza, afferma l'utilità, entro
certi limiti, di una forma di religione razionale per il popolo La fortuna di Machiavelli nei secoli, su
windoweb «Machiavelli era un uomo giusto e un buon cittadino; ma, essendo
legato alla corte dei Medici, non poteva velare il proprio amore per la libertà
nell'oppressione che imperava nel suo paese. La scelta di Cesare Borgia come
proprio eroe, ben evidenziò il suo intento segreto; e la contraddizione insita
negli insegnamenti del Principe e in quelli dei Discorsi e delle Istorie
fiorentine ben dimostra quanto questo profondo pensatore politico è stata
finora studiato solo dai lettori superficiali o corrotti. La Corte pontificia
vietò severamente la diffusione di quest'opera. Ci credo... in fondo, quanto
scritto la ritrae fedelmente. il libro dei repubblicani (...) fingendo di dare
lezioni ai re, ne ha date di grandi ai popoli». (Jean Jacques Rousseau, Il
contratto sociale), «Dal solo suo libro Del Principe si potrebbero qua e là
ricavare alcune massime immorali e tiranniche, e queste dall'autore son messe
in luce (a chi ben riflette) molto più per disvelare ai popoli le ambiziose ed
avvedute crudeltà dei principi che non certamente per insegnare ai principi a
praticarne... all'incontro, il Machiavelli nelle Storie, e nei Discorsi sopra
Tito Livio, ad ogni sua parola e pensiero, respira libertà, giustizia, acume,
verità, ed altezza d'animo somma, onde chiunque ben legge, e molto sente, e
nell'autore s'immedesima, non può riuscire se non un fuocoso entusiasta di
libertà, e un illuminatissimo amatore d'ogni politica virtù» (Del principe e
delle lettere,) «Con quel libro, se la
sapessimo tutta, egli si pensò forse di pigliare, come si suol dire, due
colombi ad una fava: presentando dall'un lato a' suoi Fiorentini come schietta
e naturale una caricata e mostruosa immagine d'un sovrano assoluto, affinché si
risolvessero a non averne mai alcuno; e cercando dall'altro di tirare
insidiosamente i Medici a governarsi in guisa che s'avessero poi a snodolare il
collo, seguendo i fraudolenti precetti da lui con molta adornezza sciorinati in
quella sua dannata opera.» G. Galanti,
Elogio di N. Machiavelli cittadino e segretario fiorentino Alessandro Arienzo, Gianfranco Borrelli,
Anglo-American Faces of Machiavelli, Voce "Machiavellismo"
dell'Encyclopedie Franco Ferrucci, Il
teatro della fortuna: potere e destino in Machiavelli e Shakespeare, Fazi
Editore, Mario Pazzaglia, Note ai Sepolcri, in Antologia della letteratura
italiana, vol I cfr. l'inizio del
Dialogo di Tristano e di un amico.
Introduzione a: Alfredo Oriani, Niccolò Machiavelli //repubblica/rubriche/la-parola
news/realpolitik Realpolitik Video di
Dario Fo che parla di Machiavelli (trasmissione tv Vieni via con me, su
youtube.com. Il Principe di Niccolò Machiavelli e il suo tempo. Catalogo della
mostra, Roma Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La su Machiavelli è sterminata. Tentativi di
redigerla sono stati realizzati da Achille Norsa, Il principio della forza nel
pensiero politico di Niccolò Machiavelli, seguito da un contributo
bibliografico, Milano Silvia Ruffo Fiore, Niccolò Machiavelli: an annotated
bibliography of modern criticism and scholarship, New York‑Westport‑London
1990; Daria Perocco, Rassegna di studi sulle opere letterarie del Machiavelli,
in "Lettere italiane",Emanuele Cutinelli‑Rendina, Rassegna di studi
sulle opere politiche e storiche di Niccolò Machiavelli, in "Lettere italiane",
Nel l'Istituto della Enciclopedia
Italiana Treccani ha pubblicato in 3 volumi l'opera Machiavelli: enciclopedia
machiavelliana. Di seguito una selezione di studi. Felix Gilbert, Machiavelli e
la vita culturale del suo tempo, Bologna, Il mulino, Claude Lefort, Le travail
de l'oeuvre Machiavel, Paris, Gallimard, Jean-Jacques Marchand, Niccolò
Machiavelli. I primi scritti politici Nascita di un pensiero e di uno stile,
Padova, Antenore, Riccardo Bruscagli, Niccolò Machiavelli, Firenze, La Nuova
Italia editrice, Roberto Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, Firenze,
Sansoni, Federico Chabod, Scritti su Machiavelli, Torino, Einaudi, John
Greville Agard Pocock, Il momento machiavelliano: il pensiero politico
fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone, Bologna, Il mulino,Carlo
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Machiavelli, Il pensiero politico; La
storiografia, Bologna, Il Mulino (Napoli) Giuliano Procacci, Machiavelli nella
cultura europea dell'età moderna, Roma-Bari, Laterza, Gennaro Sasso,
Machiavelli e gli antichi e altri saggi, I-IV, Milano-Napoli, Ricciardi, Maurizio
Viroli, Il sorriso di Niccolò, storia di Machiavelli, Roma-Bari, Laterza, Emanuele
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e poligrafici internazionali, Ugo Dotti, Machiavelli rivoluzionario: vita e
opere, Roma, Carocci, 2003 Francesco Bausi, Machiavelli, Roma, Salerno
editrice, Giorgio Inglese, Per Machiavelli. L'arte dello stato, la cognizione
delle storie, Roma, Carocci, Corrado Vivanti, Niccolò Machiavelli: i tempi
della politica, Roma, Donzelli, Andrea Guidi, Un segretario militante.
Politica, diplomazia e armi nel Cancelliere Machiavelli, Bologna, il Mulino,
2009 Gabriele Pedullà, Machiavelli in tumulto. Conquista, cittadinanza e
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libertino in fuga. Machiavelli e la genealogia di un modello culturale, Roma,
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Laterza,. Altri contributi A. Montevecchi, Machiavelli, la vita, il pensiero, i
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ecclesiastica e Machiavelli, in Monarchia della verità. Modelli culturali e
pedagogia della Controriforma, Napoli, Vivarium (La Ricerca Umanistica, Cosimo
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utopia, Aracne, Roma, Mascia Ferri, L'opinione pubblica e il sovrano in
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Marietti, Machiavel, Paris, Payot et Rivages, Enzo Sciacca, Principati e
repubbliche. Machiavelli, le forme politiche e il pensiero francese del
Cinquecento, Tep, Firenze 2005 Frédérique Verrier, Caterina Sforza et Machiavel
ou l'origine du monde, Vecchiarelli,Emanuele Cutinelli-Rendina, Introduzione a
Machiavelli, Roma-Bari, Laterza, Lettera a Francesco Vettori Letteratura
italiana Francesco Guicciardini Teoria della ragion di Stato Istorie fiorentine
Barbara Salutati Machiavellismo. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto
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machiavelli.letteraturaoperaomnia.org. Opere di Niccolò Machiavelli con giunta
di un nuovo indice generale delle cose notabili, Milano, per Giovanni
Silvestri,Rassegna bibliografica degli studi machiavelliani.Una ricognizione
dei contributi scientifici dedicati al Machiavelli negli ultimi decenni. Grice:
“L. J. Cohen told me that he once asked for the MS of The Prince at his college
– and they told him: ‘We cannot find it!’ --. Niccolò di Bernardo dei
Machiavelli. Niccolò Machiavelli. Marchiavelli. Keywords: il principe. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Machiavelli," per
il club anglo-italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51671843062/in/photolist-2mR9Kz4-2mQerAd-2mPAuFE-2mN8u25-2mNbFJE-2mNaHiH-2mN2sRt-2mMQbzj-2mLKtaD-2mLQdrQ-2mLGMqJ-2mLQkSq-2mLQifX-2mLHFAz-2mLHFZv-2mLM9xY-2mLGJnr-2mKQ5j7-2mKNUVi-2mPCgo1-2mKNWGs-2mKCfz1-2mKRUGT-2mKhkq2-2mKbihq-2mJ4GHU-2mJdd94-2mJ9YkM-2mJcdiU-2mJcdio-2mJ4Cow-2mJcdiD-2mJ9Yk6-2mJ4Cpi-2mJ8K4w-2mJdd8h-2mJ8K5o-2mJ9Ymi-2mJ9Ykg-2mJcdi8-2mGnP2f-2mKnqKE-2mKw6Bz-np1Srw-npxAy6-m3pEkK-m4x2n3
Grice e Màdera – la carta del senso – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Varese).
Filosofo. Grice: “I like Madera; especially because he uses words I love, like
‘sense’ – ‘la carta del senso’ and soul – anima --.” Insegna a Milano. Ha
insegnato a Calabria e Venezia. È membro dell'Associazione italiana di psicologia
analitica, del Laboratorio analitico delle immagini (LAI, associazione per lo
studio del gioco della sabbia nella pratica analitica), e fa parte della
redazione della Rivista di psicologia analitica. Fonda i Seminari aperti
di pratiche filosofiche di Venezia e di Milano e PhiloPratiche filosofiche a
Milano. Studia Jung. Define la sua proposta nel campo della ricerca e
della cura del senso "analisi biografica a orientamento filosofico",
formando la Società degli analisti filosofi. Fondat l'”Analisi Biografica A
Orientamento Filosofico”, pratica filosofica volta a utilizzare e a trasformare
il metodo psico-analitico, nata agli inizi Professoree oggi praticata in
diverse città. La pratica dell'analista filosofo si rivolge alle
dimensioni “sane” ed è volta alla ricerca di senso dell'esistenza
dell'analizzante. L’orientamento filosofico è inteso come ricerca di senso che,
a differenza della filosofia come modo di vivere dell’antichità, parte dalla
biografia storicamente, culturalmente e socialmente incarnata. Questo è un
tentativo di risposta alla crisi delle istituzioni tradizionalmente
riconosciute come orientanti l’esistenza; l'analista filosofo si propone di
riformulare su base biografica i processi formativi integrandoli con le
psicologie del “profondo”. L’aver cura “terapeutica” dell’insieme della
personalità e della vita dei gruppi è stato da sempre vocazione della
filosofia, riproposta come contenitore di diversi approcci e discipline delle
scienze umane, dalla psicoanalisi alla pedagogia. Il senso è inteso come il
fattore terapeutico fondamentale. L'analisi biografica a orientamento
filosofico non si occupa della cura delle psicopatologie, a meno che
l'analista filosofo non sia anche uno psicoterapeuta, psicologo o
psichiatra. Essendo una pratica filosofica, sono richiesti all'analista
non solo la competenza professionale ma anche l'indirizzo vocazionale della sua
vita alla filosofia, dedicandosi agli esercizi filosofici personali e
comunitari. L'ambito di esperienze e teorie da cui deriva riunisce
l'eredità delle psicologie del profondo, la filosofia intesa nel suo valore
terapeutico e come stile di vita, la pedagogia del corpo e le pratiche di
meditazione, la psicologia sistemica, il metodo autobiografico e biografico, la
narrazione delle storie di vita in una prospettiva sociologica. Saggi: “Identità
e feticismo” (Moizzi, Milano); “Dio il Mondo” (Coliseum, Milano); “L'alchimia
ribelle” (Palomar, Bari); ““Jung. Biografia e teoria,” Mondadori, Milano,
“L'animale visionario,” Saggiatore, Milano); “La filosofia come stile di vita, Mondadori, Milano, Ipoc, Milano, Il piacere di
vivere, Mondadori, Milano, "Che cosa è l'analisi biografica a orientamento
filosofico", in Pratiche filosofiche e cura di sé, Mondadori, Milano, Jung
come precursore di una filosofia per l'anima”, in, Il senso di psiche. Una
filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica. La carta del senso” Psicologia
del profondo e vita filosofica, Cortina, Milano,, Ipoc,
Una filosofia per l'anima. All'incrocio di psicologia analitica e
pratiche filosofiche, Ipoc, Milano Jung. L'opera al rosso, Feltrinelli, Milano. Sconfitta
e utopia. Identità e feticismo attraverso Marx e Nietzsche, Mimesis,
Milano “Che tipo di sapere potrebbe
essere quello della psicoanalisi?”, in Psiche. Rivista di cultura
psicoanalitica, “Dalla pseudo-speciazione
al capro espiatorio", in, Tabula rasa. Neuro-scienze e culture, Fondazione
Intercultura, Pratiche filosofiche e cura di sé, Mondadori, Milano, Le pratiche
filosofiche nella formazione, Adultità, Guerini, Milano Bartolini P., Mirabelli
C., L’analisi filosofica: avventure del senso e ricerca mito-biografica,
Mimesis, Milano-Udine Campanello L.,
"L'analisi biografica a orientamento filosofico e le cure palliative”, in
Tessere reti per una buona morte, Rivista Italiana di Cure Palliative, Campanello
L., Sono vivo ed è solo l'inizio, Mursia, Milano Daddi A. I., Filosofia del profondo,
formazione continua, cura di sé. Apologia di una psicoanalisi misconosciuta,
Ipoc, Milano, Daddi A. I., “Principio
Misericordia, perfezionismo morale e nuova etica. La proposta màderiana per
l'Occidente del terzo millennio”, in Rassegna storiografica decennale, Limina
Mentis, Monza, Diana M., Contaminazioni
necessarie. La cura dell'anima tra religioni, psicoterapia, counselling
filosofici, Moretti, Bergamo, Galimberti U., Dizionario di psicologia.
Psichiatria, psicoanalisi, neuro-scienze, voce “Biografico, Metodo”,
Feltrinelli, Milano Gamelli I., Mirabelli
C., Non solo a parole. Corpo e narrazione nella formazione e nella cura,
Cortina, Milano Janigro N., La vocazione
della psiche, Einaudi, Torino Janigro
N., Psicoanalisi. Un’eredità al futuro, Mimesis, Milano Malinconico A., "Dialettica di redazione
(ancora in tema di analisi biografica a orientamento filosofico)", in, Il
senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica, Malinconico
A., Psicologia Analitica e mito dell’immagine. Biblioteca di Vivarium,
Milano Montanari M., “Per una filosofia
del profondo”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di
psicologia analitica, Montanari M., La filosofia come cura, Mursia, Milano Montanari M., Vivere la filosofia, Mursia,
Milano Moreni L., “Intervista a tre
analisti filosofi”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista
di psicologia analitica, Sull’analisi biografica a orientamento filosofico Analisi biografica e cura di sé Una nuova formazione alla cura Psiche e città. La nuova politica nelle
parole di analisti e filosofi
Quattordici punti sull’analisi biografica a orientamento filosofico. Romano Màdera. Madera. Keywords: la carta del
senso, “profondo” “la grammatica profonda” “la grammatical del profondo” Tiefe
Grammatik – implicatura del profondo, implicatura del superficiale. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Madera” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752822935/in/datetaken/
Maffetone
(Napoli). Filosofo. Grice: “I like Maffetone; he tries, like I do,
to defend Socrates against Thrasymacus; in the proceedings, he provides his
view on the foundations of Italian liberalism – and has recently explored the
topic of what he calls ‘il valore della vita.’” Si laurea a Napoli. Ha
contribuito al dibattito scientifico sui temi di bioetica e etica dell'economia
e della politica, alla Rawls,, tentando di ricostruire i principi del
liberalismo applicandoli al contesto dell’economia. Insegna a Roma. Presidente
della Fondazione Ravello. Saggi: “I
fondamenti del liberalismo” (Laterza, Etica Pubblica, Il Saggiatore); “La
pensabilità del mondo” (Il Saggiatore, “Rawls” (Laterza). “Un mondo migliore.
Giustizia globale tra Leviatano e Cosmopoli, “Marx nel XXI secolo,” Luiss University
Press. Radio Radicale. Sebastiano Maffettone. Maffetone. Keywords:
contrattualismo. Rawls on Grice on personal identity. Keywords:
quasi-contrattualismo conversazionale, i due contrattanti – il contratto come
mito – contratto – marxismo, comunismo, laburismo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Maffetone” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Magalotti – di naturali esperienze (Roma). Filosofo. Grice: “I like Magalotti – very
philosophical” – Grice: “When a philosopher is a count, we don’t say that he
was a professional philosopher, but not an amateur philosopher either –
‘philosopher’ does!” – Grice: “I like his ‘saggi’ on ‘natural experience’ – he
is being Aristotelian: there is natural experience and there is trans-natural
experience – and there is supernatural experience!” Appartenente
all’aristocrazia, figlio di Orazio, prefetto dei corriere pontifici, e
Francesca Venturi. Studia a Roma e Pisa, dove e allievo di Viviani e Malpighi.
Segretario di Leopoldo de' Medici, segretario dell'Accademia del Cimento
(fondata da de’ Medici). Fa parte anche dell'Accademia della Crusca e
dell'Accademia dell'Arcadia, Dall'esperienza al Cimento nacque i “Saggi di
naturali esperienze, ossia le relazioni dell'attività dell'Accademia del
Cimento”. Passa al servizio di Cosimo III de' Medici iniziando così un'attività che lo porta a una
serie di viaggi per l'Europa (raccolse in diverse opere le sue vivaci e brillanti
relazioni di viaggio). Ottenne il titolo di conte e la nomina ad ambasciatore a
Vienna. Si ritira alla villa Magalotti, in Lonchio. Si dedica alla filosofia,
con particolare attenzione per la filosofia naturale di Galilei Opere: “Canzonette
anacreontiche di Lindoro Elateo, pastore arcade” “Delle lettere familiari del
conte Lorenzo Magalotti e di altri insigni uomini a lui scritte, Firenze, Diario di Francia, M.L. Doglio, Palermo,
Sellerio. “La donna immaginaria, canzoniere, con altre di lui leggiadrissime
composizioni inedited” (Lucca); “Lettere del conte Lorenzo Magalotti gentiluomo
fiorentino dedicate all'Ecc.mo e Clar.mo Sig. Senatore Carlo Ginori Cav.
dell'Ordine di S. Stefano, Segretario delle Riformagioni e delle Tratte, Lucca.
Lettere contro l'ateismo, Venezia. Lettere odorose, E. Falqui, Milano. Lettere
scientifiche. “Lettere” (Firenze). “Saggi di naturali esperienze fatte
nell'Accademia del cimento sotto la protezione del Serenissimo Principe
Leopoldo di Toscana e descritte dal Segretario di essa Accademia, Milano. “Scritti
di corte e di mondo” Enrico Falqui, Roma. “Varie operette del conte Lorenzo
Magalotti con giunta di otto lettere su le terre odorose d'Europa e d'America
dette volgarmente buccheri” Roma.Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Saggi di naturali esperienze fatte
nell'Accademia del Cimento sotto la protezione del serenissimo principe
Leopoldo di Toscana e descritte dal segretario di essa Accademia (Firenze: per
Giuseppe Cocchini all'Insegna della Stella); “La donna immaginaria canzoniere
del celebre conte Lorenzo Magalotti ora per la prima volta dato alla luce e
dedicato alle nobilissime dame italiane” (Firenze: Bonducci); “Canzonette
anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade” (Firenze: per Gio. Gaetano Tartini,
e Santi Franchi); “Il sidro poema in due canti di Giovanni Filips tradotto
dall'inglese in toscano dal celebre conte Lorenzo Magalotti ora per la prima
volta stampato con altre traduzioni, e componimenti di vari autori” (Firenze: appresso
Andrea Bonducci); Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond, Opere
slegate: precedute da un carteggio tra Magalotti e Saint-Évremond, tradotte in
toscano” (Roma: Edizioni dell'Ateneo). Scienza in Italia, opera del Museo Galileo.
Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, Elogio storico nell'edizione
de La donna immaginaria canzoniere del conte Lorenzo Magalotti con altre di lui
leggiadrissime composizioni inedite, raccolte e pubblicate da Gaetano Cambiagi,
In Lucca: nella stamperia di Gio. Riccomini, Dizionario critico della
letteratura italiana, Torino, POMBA, Lorenzo Magalotti, Relazioni di viaggio in
Inghilterra, Francia e Svezia” (Bari, G. Laterza). Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Crusca, Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia Lettere scientifiche ed erudite Comento sui primi cinque canti dell'Inferno
di Dante, e quattro lettere del conte Lorenzo Magalotti Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo
pastore arcade Lettere scientifiche ed
erudite La donna immaginaria Novelle
(il volume contiene anche opere di altri autori) Gli amori innocenti di
Sigismondo conte d'Arco con la Principessa Claudia Felice d'Inspruch. DICE
poldo di Toscana . Lettera III. SopralaLuce.AlSignorVincenzo Vi Sopra ildetto
del Galido, il Vino Signor Carlo Dati. Lettera V. 111 P relazione 13 28 un composto
d'umore e di luce. Al 48 394 refazione medesimo . Lettera II. . Fiore. Al
Serenissimo Principe L e o . Delveleno dellaVipera.AlSignorOt 78 ne
d'osservar la Cometa l'anno 1664. Leltera VII. Donde possa avvenire , che nel
giu dicar degli odori cosi sovente si prenda abbaglio. Al Signor Cavaliere
Giovanni Battista d'Ambra. Lettera re Giovanni Battista d'Ambra.Lette
Descrizione della Villa di Lonchio.Al Strozzi. Lettera X. Intorno all'Anima
de'Bruti,Al Padre secondo. Al Padre Lettore Don A n giolo Maria Quirini.
Lettera XIII. 262 INDICE 395 . : 126 Sopra un effetto della vista in
occasio Al Sigoor Abate Oilavio Falconieri. . Sopra gli odori . Al Signor
Cavalie Signor Marchese Giovanni Battista Sopra un passo di Tertulliano.Al Pa
Sopra un passo del Concilio Niceno Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N.
Lettera XIV. . Monsignor Leone Strozzi . Lettera XVII.. . 170 252 ra IX. VIII,
Іоо Letiore Don Angiolo Maria Quirini. Lettera XI. dre Lettore Don Angiolo
Maria Q u i rini.Lettera XI. Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera
XV. 85 157 279 Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XVI. 282 Sopra
un intaglio in un diamante. A 289 300 7 Conte Ferrante Capponi .
Lettera XIX. Sopra la lettera B , e perchè ella s'a doperi cosi spesso nel
principio de 396 INDICE. Sopra un passo di S. Agostino.Al Si gnor Abate
Lorenzo Maria Gianni. Lettera XVIII . . Sopra il Cascii . Al Signor Cavaliere
Cognomi. Al Signor Tommaso Buo naventuri . Lettera X X . . 338
FINE. SilAJilUsCEn il poeta per una lelva, per la quale tutta notte
aggiratosi, la mattina in su falba si trova a piè <l'uQa colliuciui.
Kipoaatosi alquanto ^ •! per voler aalire f quando y fattuegli
incontro una lonza, un leone e una lupa, h costretto a rifuggirsi alla
selva. In questo gli apparisce Fombra di Virgilio , il cui ajuto è da
esso caldamente implorato contro alla lupa, dalla quale il maggior
pencolo gli soprastava. Virgilio discorre lunga* mente della pessima
natura di quella 6era, onde cam« porne lo strazio , offerendogli sè per
guida | a tener altra Digiiized by Google a
Canto via lo conforta. Dante accetta Tofferta di Virgilio « e
te- nendogli dietro ti mette in cammino. V. I. Nel mezzo del
cammin tee. Keir età di 35 anni. Ciò non t'aTguìtee per
congetture; ma provasi manifestameute da un luogo del tuo Convivio,
nella aposizione della canzone : Le dolei rime eTamor, eh* io
eolia; dove 9 dividendo il cono della vita umana in quattro
parti, che tutte (anno il numero d'anni 70 « resta, che la metà del suo
corso, secondo la mente del poeta, sia ne' 35 . Che poi questo primo
verso debba intendersi letteralmente, cioò del numero degli anni, e non
alle- goricamente, come alcuni vogliono: si dimostra da un luogo
deir Inferno , caut. XV, nel quale domandato il poeta da Ser Bnmetto di
sua venuta, esso gli risponde, V. 49; Lassù di sopra in la
vUa serena * JUrpos* io lui • mi smarrì *n una valle , 1
Avanti (he Vetà mia fosse piena: riferendoli a questa selva» nella
quale racconta essersi smarrito nel mezzo del commin del suo
vivere. V, per una selva oscura. Forse questa selva ^
oltre al senso letterale, che fa giuoco al poeta per 1* intraduzione del
suo viaggio , ha sotto di s^ ((ualche senso allegorico • dei quale sono
ar- ricchite molte parti di questo primo canto ; e vuol per
avventura s guilicare la selva degli eiTori , per entro la quale assai di
leggieri si perde l' uomo nella sua Digitized by Coogle
FRIICO. 3 a<h>1etccnu; e cìie iia *1 vero
nel topraccitato luogo del •uo CoFwivio ti leggono queite formali parole
; È adunque dà f opere, che y ticcome quello, che mai non fosse stato
in una città , non saprebbe tener le vie -, senza l' insegnamento
di colui , che le ha usate : ro/1 V adolescente » che entra nella teloa
erronea di questa vita , non saprebbe tenere il buon co/m- mino y se da
suoi maggiori non gli fosse mostrato ; nè il mo- strar vatrebbe, se alli
loro coaiafidamenti non fosse obbediente, V. 8. Ma per trattar del
ben ecc. Del frutto, il qual ti ritrae dalla meditaiione di
quel miserabile stato pieno di pene e di rimordiinenti , mediante
la quale s' arriva alla caDtemplaaione d' Iddio , che è la fine
propostasi dal poeta. V. 1 3. Ma po* eh* »* fui appiè ecc.
Il colle è forse inteso per la virtù , la qual si solleva dalla
bassezza della selva. V. l6 vidi le sue spalle VestUe
già de* raggi del pianeta ecc. Il senso letterale è aperto ,
volendo dire , che la cima del colle era di già illustrata da' raggi del
nascente sole. Ma forse, che sotto questo senso n' è chiuso un altro
^ pigliando il sole per la grazia illuminante , la quale all' u-
sctr Dance dalla selva degli errori cominciava a trape- lare con qualche
raggio nella sua mente. V. ao. Che nel lago del cuor ecc. Por
che voglia insinuare , nella passione della paura commuoversi e
fortemente agitarsi il sangue nelle due cavità del cuore, dette
volgarmente ventricoli; de' quali, 4 Canto prrò
eh’ e' parla in lingolare , pigliando la parte pel tutto , vuol forae dir
principalmente del destro , che del sinistro i maggiore. Dante lo chiama
lago , credendosi forse che il sangue che v’ è , vi stagni , non essendo
in que’ tempi alcun lume della circolazione. Qui però cade molto a
proposito il considerare un luogo maraviglioso del Petrarca nella seconda
canzone degli occhi, finora, che io sappia, non avvertito da altri; nel
quale dice cosa intorno alla circolazione da far facilmente
credere, eh* egli quasi quasi se l’indovinasse, arrivandola, se non
con l'esperienza, con la propria speculazione. Dice dun- que così :
Dunque eh' i’ non mi sfaccia , Si frale oggetto a s\ possente
fuoco Non i proprio valor , che me ne scampi , Ma la paura un
poco , Che 7 sangue vago per le vene agghiaccia , insalda ’l
cor , perchè più tempo avvampi. Non ha piti dubbio-, eh* e’ si
parrebbe forte appassio- nato del poeta, che volesse ostinarsi a dire,
che il sen- timento di questi versi suppone necessariamente la
notizia della circolazione del sangue ; la quale , a dir vero , so fosse
stau immaginata , non che ricooosciuu dal Petrarca, non ha del verisimile
, eh’ ella si fosse morta nella sua mente, ma, da lui conferita e
discorsa con altri, per la grandezza del trovato avrebbe mossa fio d'
allora la cu- riosità de’ medici e de’ notomisti a procacciarne i
riscontri con resperienze. E ben degno di qualche maraviglia il
vedere , come , il poeta altro facendo , e forte altro in- tendendo di
voler dire , gli è venuto detto cosa , che spiega mirabilmeote quesu
dottrina; poiché, se ben si Digitized by Google
FUMO. 5 considera il lento de' lopraddetti Tersi
, ^ tale : Ma il cuore rìsalda un poco, cioè ritorna al suo esser di
flui- dezza il sangue , il quale nel vagar per le vene s'ag- ghiaccia
dalla paura , e ciò a fine di farlo arder misera- mente più lungo
tempo. Puoss' egli dilucidar più chiaramente Teffetto, che
opera nel sangue il ripassar cb* egli fa per la fornace del cuore,
dove si liquefi, s'allunga, s'assottiglia, e si stempera, caso che nel vagar
per le vene lontane o per paura, come in questo caso nel Petrarca, o per
qualsivoglia altra cagione si fosse punto aggrumato e stretto; onde
poi, novellamente fuso, e corrente divenuto, potesse ripigliare il nuovo
giro ed allungar la vita (la qual tanto dura, quanto dura il sangue a
muoversi), e si a render più luogo r incendio amoroso del poeta?
Ma ciò, per chiaio ch'ei sia ed aperto, ò tuttavia assai
oscuramente detto in paragone d'un luogo, del Da- vanzati nella sua
Lezione delle monete. Il luogo ò il se- guente : Jl danojo è il nerbo
della guerra, e della repuh~ hlica , dicono di gravi autori, e di
jolenni* Ma a me par egli più acconciamente detto il secondo sangue;
perchè, siccome il sangue , eh' è il rugo e la sostanza dei cibo
nel corpo naturale, correndo per le vene gì-osse nelle mi- nute ,
annaffia tutta la carne , ed ella il si Bee , com* arida terra bramata
pioggia, e rifà, e ristora, qucaUunque di tei per lo color naturale
s'asciuga, e svapora: così il danajo, eh* è sugo e sostanza ottima della
terra , come dicemmo , correndo per le borse grosse nelle minute , tutta
la gente rineaneuina di quel danajo, cheti spende, evaviacontl-
nuatnente nelle cose , che la vita consuma , per le quali nelle medesime
borse grosse rientra , e cos't rigirando man- tiene in vita il corpo
civile delta repubblica. Quindi assai Digitized by Coogle
6 Canto éi leggler ti tomprende , eh*
ogni ttato vuol una quantità di moneta, che rigiri^ come ogni corpo una
quantità di sangue , che corra» Che dunque diremo di queit*
autore ? Nuli* altro ceiv tamente , te non che , dove i profeMori delle
mediche facoludi non giunsero, se non dopo un grandissimo guasto d*
inomnerabili corpi, egli senz'altro coltello che con la forza d'un
perspicacissimo ingegno penetrò nel segreto di questo aumiirabile
ordigno, c tutto per filo e per segno ritrovò raltisstmo magistero di
quei movimenti, che noi vita appelliamo* V. 31 . £ qual è
quei, che con Una af annata ecc. MaravigUosa similitudine.
V. 35. CoA /'animo miò , eh* ancor fuggiva ecc. Rara maniera
d'esprimere una paura infinita. Bocc.*, Novella 77. Allora , quasi come
se *l mondo sotto i piedi venuto le foste meno , le fuggi Canitno , e
vinta cadde ro- paa '/ battuto della terre. V. 3 o* Si che 7
piè fermo ecc. Solamente camminandosi a piano : dicansì quel
che vogliono 1 commentatori, in ciò manifesraniente conviensi dalla
dimostrazione e dall' esperienza. £ vero, che il piè fermo retu sempre Ìl
più basso. Onde convien dire, che Dante non avesse ancor presa l'erta, il
che si convince anche più manifestamente da quel che segue :
V. 3 i. £d ecco, quoti al cominriar dell’ erta» La voce quoti
vuol significare ( e tanto più accompa- gnau con l'altra al cominciar t
che denota futuro), che Digitized by Google
PRIVO. 7 Verta era ben vicina, ma non cominciata; c pure in
fin allora avea camminato , adunque a piano. Nè li opponga quello,
ch’egli dice ne* veni innanzi, y. l3. Ma po’ eh’ i fui appii
d" un colle giunto ; poiché appiè d'un colle li dice anche in
qualche distanza; anzi t' e’ doveva comodamente vedergli le spalle, v. l
6 . Guarda’ in alto e vidi le sue spalle , tornava
meglio eh’ e’ ne fosse alquanto lontano. Molto meno dà dilEcoltà il
seguente v. 6 l. Mentre eh’ i’ rovinava in basso loco;
dicendo: dunque se ora egli scende, mostra, che dianzi saliva.
Saliva , ma dopo aver prima fatto il piano , per lo qual camminando il
pie fermo sempre era il più basso. Del resto il leone e la lonza non
poteron impedirgli il salire : solamente la lupa gli fe’ perder la
speranza dell’ al- tezza, cioè di condurti in cima del colle. Di qui
avvenne eh’ egli prete a rovinare in basso loco, V. 3a. Una
lonza ecc. Una pantera. Per essa , come animai sagacissimo , in-
tende veritimilmente la lussuria. V. 36. Ch’i’ fui, per ritornar,
pUi volte, volto. Bisticcio. Tibullo ti fe’ lecito anch’ egli per
nn^ volta un simile scherzo , Ub. IV , corm. VI , v. 9 . Sic
bene compones : ulli non ille puellat Seruire. 8
Canto £ Properzio te ne volle aacor etto cavar la voglia,
elcg. Xin, Ub. I, V. 5. Vum tiU Jecepiiì augfiur fama puellis
, CtTtus et in nuìlo quaeris amore moram. V. 39 quando
V amor divino Mone da prima quelle cose belle- Direi,
che per la motta di quelle cose belle non inten- dette altro il poeta,
che rattuazione dell* idee, o tì vero lo tpartimento dell* idea primaria
nell* idee tecondarie , che è il diramamento dell* uno nel diverto
tignificato nel triangolo platonico. In tomma la creazione dell*
univerto, allora quando formò il mondo temibile tutta a timile al
mondo archetipo o intelligibile creato ab eterno nella mente
divina. £ non è inveritimile, che Dante abbia voluto toccare
quetta dottrina platonica, nella quale, come appare ma- oifettamente da
altri luoghi della tua Commedia, e prin- cipalmente nell* XI del Paradito
, egli era vertatittimo , donde ti raccoglie e 1* intento amor delle
lettere e la pertpicacia del tuo finittimo intendimento , mentre in
un aecolo coti barbaro pot^ aver notizia delle opinioni pla-
toniche , quando i principali autori di quella tcuola o non erano ancor
tradotti dal greco idioma , o t*egli era- no, grandittima penuria vi
aveva de* codici tcritti a penna dove vederli e ttudiarli. Na t* io ben
m'avvito, tal dot- trina Incavò egli a capello da Boezio, del qual aurore
il poeta fu ttudioiittimo , dicendo nel tuo Convivio queite formali
parole : Tuttavia , dopo alquanto tempo , la mia mente» che s'argomentava
di tonare » provvide ( poi ne*l ai/o, nè Taltrui consolare valeva )
ritornare al modo» che Digitized by Google F ni
u o. 9 alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi; e
ansimi ad allegare e leggere quello , non conosciuto da molti ,
libro di Boezio ) ìlei quale » cattivo e discacciato , consolato si
aveva. Quivi adunque potè egli facilmente apprendere a intender Puniverso
aotto il nome di bello , e ti per la moMa delle cose belle intender la
mossa del mondo archetipo disegnato ab eterno nella mente d'iddio. 1
versi * di Boezio sono i seguenti: lib. Ili de consol. etc.^ metro
1\. O qui perpetua mundum radane guhemés» Terrarutn
caeUque salar , qui te/apus ab aeuo Ire iuhes , stabilisque nianeru das
cuncta moueri ; Quent non extemae pepulerunt fingere caussae Materiae
fluitantis opus uerum insita sutnmi Forma boni, liuore carens : tu cuncta
superno Ducis ab exeinplo : pulcrum pulcherrimus ipse Mundum mente
gerens , similiqtte imagine formans , Perfectasque iubens perfectum
absoluere partes. In numeris elemento ligas , ut frigora fiamtnis
y Arida conueniant liquidis : ne purinr ignis Fuolet , aut mersos
deducane pondera terras. Tu triplicU mediam naturae cuncta
mouentem Connectens animam per consona membra resoluis, etc.
Che poi per la motta intenda l'attuazione delle idre mondiali, ciò
si convince apertamente da un luogo ma- raviglioso del suo canzoniere
nella canzone : Amor y che nella mente mi ragiona; dove
parlando della sua donna dice cV ella fu T idea, che Iddio si propose
quando creò il uiondo sensibile, il qual atto di creare vien quivi
espresso con la voce mosse. IO Canto
Però qual donna sente sua beliate , Biasmar , per non parer
queta ed umile ^ Miri costei , eh' esemplo è d’umiltate»
Questuò colei, che umilia ogni perverso. Costei pensò , chi
mosse l* universo. Altri forse intenderà (tutto che i comentatorì
in questo luogo se la passino assai leggìensente ) per la mussa di
quelle cose belle, la mossa data ai pianeti per gli orbi loro; ma
trattandosi d"una mossa data dall" amor divino, panni assai più
degna opera la creazione dell'universo, che r imprimere il moto a piccol
numero di stelle. Dire dunque , che il sole nasceva con quelle stelle ,
eh* eran con lui quando Iddio creò il mondo : cioè eh' egli era in
Ariete , nella qu^d costellazione fu creato secondo Vopiniooe di
molti. V. 41 * a bene sperar vera cagione. Di quella
fera la gaietta pelle , L*ora del tempo , e la dolce
stagione. Può aver doppio significato : primo in questo modo ,
cioè : 51 che Vara del tempo , e la dolce stagione tu erano cagione di
bene sperare la gaietta fera di quella pelle; cioè, Si che l'ora della
mattina e la stagione di prima^ vera (avendo detto che il sole era in
ariete) mi davano buon augurio a rincer l'incontro di quella fiera, e
a riportarne la spoglia. £ in quest' altro : Sì che aggiunto all'
ora e alla bella stagione l' incontro di quella fiera adorna di sì vaga
pelle non poteva non isperar felici successi. Così rincontro d'uno o d'
un altro animale recavasi anticamente a buono o a tristo augurio.
Digitized by Googie F R I M O. (I V. 45. Za
vista, che m'apparve étun leone. Il leone è preio dal poeta per
limbolo della superbia. V. 4^. £d una lupa eco.
L'ararizia. V. Si. £ molte genti fe' già viver grame.
Ciò si può intender di coloro , l'aver de' quali è ingordamente
assorbito ddl' avwo , e per gli avari me- desimi, che ai consumano in
continui affanni per l'insa- ziabditi della lor cupidigia, onde chiama la
lupa bestia senza pace. V, 53 . Con la paura, eh’ uteia di
sua vista. Qui paura con bizzarra significazione vale spavento
in significato attivo, ed è forse l'unico esempio che se ne trovi.
Cosi l'addiettiva pauroso è preso attivamente, Infer. cant. 3 , V. 8
H. Temer si dee di sole (fucile cote , eh’ hanno potenza
di far altrui male , Deir altre no , che non son paurose.
Cioè non danno paura ; ma questo non è tanto sin» gulare , quanto
il sostantivo paura in significato di ter- rore, e f.tcllmente se ne
troveranno esenipj simili cosi ne'Crecif come nei Latini. Uno al presente
me ne sov- viene, ed ò di Tibullo, eleg. IV, lib. Il , v. q,
Stare uel insanis cautes obnoxia uentit , Naufraga quae uatii
tunderet unda maris ! V. 60 dove il sol tace. Verso l'onibra
della selva. I Digilized by Google
12 Canto V. 63 . Chi per lungo silenzio parta
fioro. Quriti è Virgilio, «otto la periona del quale pare,
che debba intendersi il lume della ragion naturale risve- gliato nella
mente del poeta dalla teologia figurata per ranima di Beatrice de*
Portinan in vita amata da Dante. V. 63 parta fioco. Dal
sento delle parole par, che Dante •* accorgesse , che Virgilio era fioco
dalla semplice vista, ma a bea considerare non è così. Perchè allora eh'
egli scrisse questo verso avevaio già udito favellare, onde può ben
dire qual era la sua voce, oltre al dire eh* e* Paveva veduto. Che
poi lo faccia fioco , ciò è furila per tacciar la bar- barie di quel
secolo , in cui allorché Dante si pose a cercar lo suo volume, cioè a leggere
e studiar TEneide, nino altro era che la cercasse o studiasse , onde
poteva dirsi Virgilio starsene muto ed in silenzio perpetuo.
V. 70. Nacqui suh JuliOt ancorché fosse tardi. Dice esser
nato sotto Giulio Cesare ancorché fosse tordi, cioè ancorché esso Giulio
Cesare rispetto al nascer di Virgilio fosse tardi, cioè indugiasse
qualche tempo ad aver Tassoluto imperio di Roma, onde si potesse
con verità dire che la geme nascesse sotto di lui. £ vera- mente
Virgilio nacque avanti a Cristo anui 70, agridi d'ottobre , e per
conseguenza avanti che Giulio Cesare fosse imperatore. V. 90.
Ch" ella mi fa tremar le vene e i polsi, piglia i polsi
universalmente per Parterìe, le quali eo\ loro strigoersi e dilatarsi con
contraria corrisponden- za alla sistole e alla diastole del cuore
continuamente Digitized by Coogle 7 R I li O.
i 3 dibatt^nfti. E qui è da notare ravvedutezza deì
poet mentre dice, che gli tremavano le vene ancora, come quegli che
beni»iÌmo sapea , che per non andar mai diigiunte dall* arterie, in una
violente commozione di queite, non può far di meno che quelle ancora
tanto quanto non •'alterino. V. 91. A te convien tenere altro
viario. Quasi dica; ben li può luituria e tuperbia vincere,
ma superare avarizia, ciò è all* umane forze impossibile. V. 100.
Molti son gii animali 1 a cui t’ammoglia. Molti vizj veogon
congiunti con Tavanzia. V. lOi. ... in finckè’l veltro ecc.
Questi è messer Cane della Scala veronese , onde la sua patria,
dice Dante, che sari tra Feltro e Feltro, perchè tra Monte Feltro dello
Stato d' Urbino e Feltro del Friuli si ritrova in mezzo Verona. Fu messer
Cane uomo d'alto affare in que' tempi, e d'animo grande e liberale;
ed essendo desideroso, che la sua generosità fosse per opera
conosciuta, intraprese ad onorare e soccorrer tutti coloro, che di gran
saliere fosser dotati, fra quali ricoverò anche il nostro poeta,
allorch'e'fu di Faenze cacciato co* Chi~ bellini intorno all'anno i 3
oS. V. io 3 * terra , nè peltro» Peltro^ stagno
raffinato con lega d’argento vivo. Qui per metallo in genere , onde il
scntimeaio è questo ; V. io 3 . Questi non ciberà terra , nè peltro
, Questi non si ciberà , cioè non sarà signoreggiato da
ambizione di stato > uè da cupidigia d'avere. 14 Canto
triuo. V. ic 6 . Di queìF umile Italia» Vinile y atteso
il tuo miserabile stato in que* tempi per rintestioe discordie, ond' ella
era sempre infestata. V. 111. Là onde invidia prima ecc.
O sia la prima invidia di Lucifero contro Iddio in Ciclo, o contro
l'uomo nel paradiso terrestre, o pure: V. IH. Là onde invidia prima
dipartiìla\ Là onde da prima inridia la diparti , preso quel
prima avverbialmente. V. iiS. Che la seconda morte ciascun
^rida. Allude al desiderio , che hanno i dannati della morte
deir anime loro dopo quella de* corpi per sourarsi alla crudeltà de'
tormenti, onde S. Luca, cap. aa, io persona di quelli : Monies cadile
super noi, et colles operile nos. V. lai. Anima fia ecc.
Beatrice de' Portinarì , la quale , siccome à detto di sopra , fn
io vita ardentissimamente amata dal poeta. In questo, che segue nel
primo canto, si consuma un giorno intero , eh' è il primo del viaggio di
Dante. Digitized by Google INFERNO.
CANTO SECONDO. ARGOMENTO. Si fa dall’ ioTOcar
le muae e l'ajuto della propria mente. Dipoi acconta , com' egli peniando
all' impreia di tal viaggio . cominciò a •gomrntoraeoe , e a
motirare a Virgilio eoo molte ragioni, di' e' non era dovere, ch'ei
ti mettewe ]>er niun conto a cimento >1 pericoloio. Dopo di che
narra, come Virgilio lo ripreie della tua viltà; e con dirgli, ch'egli
veniva in tuo aoccorto mandatovi da Beatrice, tutto di buon ardire lo
iraarrito animo gli rinfranca, ond'egli ti ditpone al tutto di volerlo teguitare.
V. 4 . ATapparetfhiava a sostemr la putirà , Si del cammino ,
e ti delta pittate. Il Boti, il Vellutello, ed altri comentatori
tpiegano qneito luogo coti ; M'apparecchiava a tiiperar le ilitE-
cultà del viaggio, e tollerar la noja della pietà, di' eraii per farmi
quei crudeliitimi tirar) , ond’ era per veder tormentare l’anmie de’
dannati. Io però ardirei proporre Digitized by Coogle
j6 Canto un* alfr.i roiuMcrazionc , le a sorte Dante avesse
piut- tosto voluto dire, eh’ ci •'apparecchiava a sostcoer la
{guerra della pirtare , cioè a ftf forza al suo animo per non prender
pietà de’ peccatori, avvegnaché U crudeltà de’ «upplizj. fosse per
muovergli un certo naturai affetto di comjiafsione , al quale ciafcun
uomo fi seme ordina- riamenTc incitare per la miseria altrui. £ veramente
il senso letterale pare , che favorisca mirabilmente questo
sentimento ; poiché , s’ei s’apparecchiava a sostener la guerra della
pietà, cioè la guerra, ch’era per Wgli la pietà , segno è eh' e* non
voleva lasciarsi vincer da quella, ma si resistere e comb.ucere con la
considera- rione, che quegl' infelici erano puniti giustamente,
anzi, come dicono t teologi, citra meritumt mentre avendo offeso
una Maestà inBnita, e sì infinita venendo a esser la loro colpa, questa
non può con pene finite soddisfarsi. Dico finite quanto all' intensione ,
non quanto all* estensione , la quale non ha dubbio , che durerà
eternamente. E chi porrà ben mence ad altri luoghi dell’Inferno, ne
troverà di quelli, che armano di piu salde conjetture il sentimento
da me addotto in questo passo. Tale è quello dell’Inferno, canto XIII,
dove, dopo il primo ragionamento dì Pier delle Vigne , Dante dice a
Virgilio, eh* c’ seguiti a do- mandare all* anima del suddetto Piero
qualche altro dubbio, imperocché a lui non ne dà Tanimo, tanto si
sente strignere dalla pietà del suo infelice stato, v. OntV io a
lui : dimandai tu ancora Di quel, che credi ^ ch‘ a me soddisfaccia
; eh* i non potrei: tanta pietà in accora. E piià apertamente
si vede questo star su la difesa, che fa Dante contro l’ importuna pietà
de* dannati, la qual Dìgitized by Coogle S B C O H D
O. >7 tenta di vincerlo al canto XXIX dell’ Inferno
, quando arrivato in tu ruldina costa di Malebolge dice cosi, v.
43^ Lamenti saeltaron me diversi , Che di pietà ferrati
avean gli strali : Ond" io gli orecchi con te man
coperti. Il qual terzetto par, che esprima troppo maraviglio-
samente un fierissimo assalto dato dalla pietà all’ animo del porta , e
la difesa di quello con turarsi gli orecchi. £ non solamente si troverà
difendersi dalla pietà , ma sovente incrudelire contro di essi, negando
loro conforto e compatimento. Così Inf. cant. XXXIII , richiesto da
Branca d’Oria, che gli distaccasse d' insieme le palpebre agghiacciate ,
non volle farlo , v. 148. Ma distendi ora mai in guà la mano
, Aprimi gli occhi I ed io non gliele aperti, E
cortesia fu lui tesser villarto. E Inf. XIV , vedendo Capaneo
disteso sotto la pioggia di fuoco, dice stargli il dovere, v. ^t.
Ma , com' io dissi lui , li tuoi dispetti Sono al suo petto assai
debiti fregi. Io però confesso di non aver per anche si fatta
pra- tica SU questo poema , eh' e' mi sovvengano così a un tratto
tutti i luoghi, ov’ e' favella di pietà in questa prima Cantica dell’
Inferno; e considero eh’ e’ mi se ne può addurre taluno ora non pensato
da me , il qual mostri così chiaro il contrario, eh’ e' metta a terra
tutto il pre- sente ragionamento. E considero , che altri potrebbe
ri- spondermi , che il far dimandare da Virgilio Pier delle Vigne ,
e ’l coprirsi gli orecchi con le mani posson i8 Canto
ambedue etter effetti dell' cuer Taiiimo del poeta troppo vinto
dalla pietà, e non dall' eaier a lei repugnante ; ma io non piglio per
aaiunto di provare , che egli si picchi di non calerti mai piegato a
pietà de' dannati , anzi che in molti luoghi confeita la aua caduta ,
qual è quella , Inf. canto V, v. 70. Poscia eh' i' thhi il
mio dottore udito Nomar le donne antiche e cavalieri , Pietà
mi vinse , e fui quasi smarrito. Nel qnal luogo non meno ti pare la
perdita del poeta, che il contratto antecedente; mentre, te egli non ti
fotte potto in animo di non latciarti andare alla compattione, non
avrebbe indugiato fin allora ad arrenderli , avendone avuta occatione
molto prima , cioè tubito eh' ei vide la miteria dei peccatori carnali.
Ivi, v. 3S. Or incomincian le dolenti note A [armisi sentire
: or son venuto , Xà dove molto pianto mi percuote. Ma
egli Ita forte il più eh' el potette : però , allora ch'egli ebbe
riconoteiuto quivi tanti valoroti uomini, e coti alte donne , piegò
l'aaimo alla compattione ; ond'egli dice , eh' ei fu quoti smarrito ,
cioè ti perdè d' animo , vedendoti vinto il pretto. Per lo che concludo, che,
te bene da quetto e da muli' altri luoghi ti comprende la vittoria
della pietà , ciò non toglie il vigore alla ipoti- zinne del preiente
patto , potendo benitiimo ilare in- lieme l'un e l'altro : cioè che Dante
ti ditponeiie a toitener la guerra della pietà , cioè a non compatire
i dannati ; e poi , come di animo gentile ed umano , di quando in
quando cedette. Digitized by Google SE con DO.
19 V. 8. O mente , che scru/etti ciò eK io vidi ecc.
Dopo ÌDTOcate le Muse, invoca la sua memoria, chia- mandola mente
che tcriite ciò eh' egli vide ; cioè, in cui a' impretaero le tpecie
degli oggetti vedati. V. IO. Io cominciai; Vi a’
intende a favellar di qncato tenore , e queata è maniera uaitatiaaima di
Dante per iafuggir la proliaaità dell' introduaioni de' ragionamenti ;
coal ed io a lui ed egli a me ; cio^ diaai e diaac , ed infiniti altri
aimili faci- lisaimi ad intenderai. Y. l 3 . Tu dici, de di
Silvie lo parente, CoirutlUile ancora , ad immortale Secolo andò ,
e fu tentibilmente. Tu dici. Tu hai laaciato aerino nella tna
Eneide , che Enea padre di Silvio , eaaendo ancora nel corrunibil
corpo, andò a aecolo immortale , cioè diaceae airinferno, e ciò non fu
per aogno o per eataai , ma aenaibilmente , cioè in carne e in oaaa.
V. 16. Però se I avversario d'agni male Cortese fu , pensando
I alto effetto , Ch'uscir dovea di lui, e ’l chi, e 'I guale
L’avversario d* ogni male è Iddio, e ‘I chi , Romolo fon- dator di
Roma , e 'I quale , e le aue alte qualità ; onde il aenao de' aeguenti
terzetti è tale : Se Iddio , penaando la aerie delle coac , che doveano
farai per Enea c la aua aucceaaione, conaentì l'andata e '1 ritotoo di
lui dall'Iu- ferno : ciò non parrà punto di atrano a qualunque
abbia punto d'intendimento, conaiderando eh' egli fu eletto per
.vutore di Roma e del romano imperio. 20 C
AVTO V. 22. La qual* e *l quale ecc. La qual Roma, e '1
qual imperio. V. 14. U* siedv il xuff<//or del «o^ior
Piero. Qui Piero per Pontefice , onde il maggior Piero viene
a eMer Cristo , e non S. Piero , come vogliono ì coni» mentatori; perchè
s'e* parlaste di S. Piero, non direbbe del maggiore y il qual ti dice
solo comparativamente ad altri minori ; il che toma appunto bene , però
eh* e* parla di Cristo, il quale rispettivamente a $. Piero può
vcrar mente chiamarti il maggiore* V. aS. Per quest* andata,
onde li dai tu vanto ecc. Onde cotanto T esalti fra gli uomini per
ralcissimo privilegio concedutogli. V. a6. Intese cose che
furon cagione Di sua vittoria , e del papale ammanto.
Allude alla predizione fatta da Anchise ad Enea nel sesto deir
Eneide ; per la quale egli intese la sua vitto- ria, da cui dopo lunga
serie di avvenimenti fu stabi** lito in Roma il papale ammauto , cioè
l'imperio sacro. V. a8. Andovvi poi lo Vas delezione ecc.
S. Paolo, quando fu rapito al terzo cielo. £ veramente ne recò
conforto alla nostra fede con l'oculata tettimo- niaaza delle cose
credute da essa. E notiti che Dajite da principio di questo suo discorso,
fatto qui a Virgilio, non si ristrinse a dir solo di quelli, i quali
ancor viventi pass;u*ono all* Inferno, ma di ciascuno, il quale,
sendo ancor corruttibile, andò a secolo immortale. Laonde non
solamente di Enea, ma del celeste viaggio di S, Paolo ancora saggiamente
piglia a ragionare. ; Digiiized by Google
SCCOHDO. ai V. 34. Perchè se del venire C tn ahhanJono
ecc. M* abbandono oon vuol dire, d* io mi tgomento di ve«
iiire , come spiegano tutti i couieou , ma come chiosa il Rifiorito :
Perchè s* ì mi lascio andare a venire , assai dubito del ritorno,
V. 37. E qual è quei che disvuoi ecc. Ci mette con mirabil
similitudine davanti agli occhi i contrasti d' un' anima, che dal male al
ben operar si rivolge. V. 41. Perchè» pensando consumai t
impresa y Che fu nel cominciar cotanto tosta. S'accorge Dante
d'averla un po' corsa» allora che nel primo canto, senza pensar nè che,
nè come, s'impegnò ad andar con Virgilio, dicendo, v. i 3 o.
Poeta t i ti richieggio Per quello Iddio, che tu non
conoscesti, jicciò eh* i' fugga questo male e ptggio. Che tu
mi meni là dov* or dicesti , Si eh* i vegga la porta di S. Pietro
, E color, che tu fai cotanto mesti. Onde ora confessa
, che , sbigottito dalle suddette con> siderazioni, l'amor
dell'impresa, da principio con sì lieto animo incominciata , era per tali
pensieri consumato e svanito. V. 43. Se io ho ben la tua
parola intesa , Rispose del magnanimo quell ombra , Vanima
tua è da viltate offesa. Rispose Virgilio : Con queste tue
riflesiioni , s' io 1 * ho ben'imesa, in loitanza tu ba* paura*
Digitized by Google 32 Cauto
V. Ss. I* tra tra color elle son tospeti, Nel Limba , dove nè
godono , nè dolgonti ranìme. V. 53 . E donna mi chiamò beata e
bella. Beatrice , la quale , ticcome è detto nel IV canto , è
poeta per la grazia perSciente o consumante, secondo i teologi dicono,
anzi per la stessa teologia; e ciò, secondo nota il Cello nella Lezione
duodecima topra F Inferno, per due cagioni : Una, perchè, siccome non ci
è scienza, la quale più alto ne levi nostro mortale intendimento
all’ altissima contemplazione d' Iddio e della teologia , così non avea
Dante, mentre eh’ e’ visse, trovato oggetto , che più gli facesse scala
all’ intelligenza delle celestiali cose, che, siccome scrive io più
luoghi, le sublimi virtù e l’altre doti esimie dell' anima di Beatrice.
L'altra ca- gione , per la quale sotto il nome di Beatrice intenda
allegoricamente la teologia, è per mantener la promessa, ch'egli avea fatta
nella sua Vita Nuova; dicendo, che, se Iddio gli avesse dato vita,
avrebbe scritto di lei più altamente, che aveste scritto altr' uomo di
donna mortale. Il che veramente ha egli molto bene osservato,
avendola posta in così bella e maravigliosa opera per la scienza
maestra in divinità. V. 54. Tal che di comandar i la
richiesi- La richiesi. In pregai, ch'ella alcuna cosa mi
comandasse. V. 55. Lucevan gli occhi suoi più che la stella.
Più che’l sole. V. 60. E durerà quanto 7 moto lontana.
Lontana, dal verbo lontanare. Quanto il molo lontana. Quanto il
moto s' allontana dal tempo presente : cioè la tua fama durerà quanto
dura il tempo. Digitized by Google SECONDO.
a3 Piglia moto per tempo ella peripatetica , definendo
Ariatotile il tempo : Tempus tJt aumenu mottu seoundwa prius et
poiierUu. V. 6i. L’ amico mìo, e non della ventura.
Dante , il quale per aver amato di puriaaimo amore le bellezze
dell' anima mia, e non le doti eaterne, che la fortuna coraparte a' corpi
terreni e corruttibili , fu veramente amico di me , cio^ di quel eh' era
mio , e non {Iella ventura , e non della bellezza, per la quale altri
di lui men faggio m’ averà riputata felice e ben avventurata.
V. 63. Nella diterta piaggia i impedito Si nel cammin , che
volto , e per paura. Impedito dalla lupa, e volto indietro per
paura di cita. V. 64. E temo eh' e' non ria già zi smarrito,
Ch’ io mi sia tardi al soccorso levata. Dubito, che postano i
vizj aver già preto in lui tanto piede , che l'ajuto celeste non giunga
in tempo. V. 67. Or muovi ecc. Muoviti , vanne : così
il Petrarca : Or muovi , non smarrir t altre compagne.
V. 71. Vegno di loco, ove tornar disio. Toma egualmente bene
al senso letterale e allegorico , cioà e a Beatrice e alla teologia, il
desiderio di ritornare in cielo ; il che imitando per avventura il
Petrarca nella canzone : Una donna più bella asstù che ’l
sole ; disse della teologia : 34
Cakto costei batte t ale Per tornar all* antico suo
ricetto. V. 72. Amor mi mosse ecc. É Vamor d* Iddio ,
pel qual e' desidera che ciascun nomo ti salvi, e questo è il eeoso
allegorico o vero se- condo la lettera ; la mosse la dolce memoria di
quell* aniur eh* eli* avea portato nel mondo a Dante , ond* ella il
chiamò, v. 61 , L'amico mio. V. 73 dinanzi al Signor mio»
Avanti a Dio. V. 74. Di te mi loderò sovente a lui.
Gran promessa, dicono alcuni, fa qui Beatrice a Vir- gUio 1 non
intendendo questi tali qual utile possa ritor- nare dair adempimento di essa
a uu* anima divisa per sempre dalla comunicazione della grazia e della
beatitu- dine. Dice in contrario il Vellutello , che Beatrice con
tal promessa promette a Virgilio in premio quello, che da lei dare, e da
lui ricevere in quello stato si potea maggiore ; ma non dice poi , perchè
, nè di ciò adduce alcuna prova. Na il Cello nella Lezione sopraccitata
spa- ne, che anche all* anime perdute si può (come dicono t teologi
) giovare con levar loro qualche parte di cagione di dolore, e in fra gli
altri mudi in questo, che sentendo elleno celebrar le lor memorie o esser
qualche compas- iione di loro in altrui, elle pigliano alquanto di
conforto ( » ei però può chiamarsi tale ) di non si vedere abban-
donate al tutto da ogn* uno , e tiiassituonieuic quelle, le quali non son
dannate per fallo alcimo enorme e brut- to, ma solo per non aver avuto
cognizione della fede Digitized by Google
SECONDO. sS cmtiana , come Virgilio. Diremo dunque « cYie non
»ia ▼ota d'ogni conaoUziune tal promeMa di Beatrice. V. ^ 6 .
O donna di virtù , sola , per cui L'umana spezie eccede ogni
contento Da quel Ciel , ch'ha minor li cerchi sui. Qui piglia
itrettUaimamentc Beatrice nel «eoso allego- rico; e dice, che per ewa,
cioè per la teologia, fuomo supera , ed è più nobile di tutte le creature
contenute dal ciel della luna;, essendo, che sopra di quello si dà
subito neir intelligenza movente Torbe lunare , la qual •enza dubbio sì
per pregio , si per eccellenza di chia- rissimo intendimento è alT uomo
superiore. £ che Dante portasse opinione delT intelligenze moventi
secondo la dottrina d' Aristotile, è manifesto per quel clT ei dice
in altro luogo di esse. Par. cant. Vili , v. 37. r’oiy che
intendendo il terzo Ciel movete. Ciò potrebbe anche intendersi in
quest* altro senso : O scienza, per cui l'uomo eccede, cioè trasvola con
T in- telletto dalle sublunari cose alle celestiali e divine.
V. 80. Che Vuhhidir , se già fosse , m'à tardi. Che se io
Tavessi obbedito in questo punto stesso , che m'hai comandato, pure la
mia obbedienza mi parrebbe tarda: tale e sì fatto è il desiderio, che ho
di eseguire i tuoi cenni. Or venga qualunque si pare, e mi poni da
altri poeti forme così maravigliose e piene di si forte espressiva.
Y. 91. Jo son fatta da Dio , sua mercè» tale ^ Che la vostra
miseria non mi tange , Nè fiamma cTesto incendio non m*
assale. Digilized by Google l6 Canto
Io lono , la Dio mercè , talmente fatata per Tacque della gloria,
che la vostra miseria, cioè die T infeliciti di voi altri ioaprai , non
mi tocca , nè fiamma deir in- cendio de' dannali non m' assale. E notili,
die quella dei aoapeai la chiama raiirria, non conaiaiendo in arnao
do- lorifico, ma in pura afflizione di apirito per la diiperata
viaion d' Iddio; dove quella de' dannau la chiama fiamma, perchè tormenta
poaitivamente il aenao. V. 94. DoTina e gentil nel Ciel, che si
compiange Di questo impedimento , ov" io ti mando , Si che
duro giudicio lassù frange. Quella donna , il cui nome è taciuto
dal poeta , è inteaa generalmente da' commentatori per la prima
grazia detta da' maeatrì in divinità grada data; la quale, perchè
viene per mera liberalità divina, è anche detta preve- niente, dal
prevenir di' dia fa il merito dell' azioni umane. Queata dunque
addirizzando la volontà del poeta nel buon proponimento d'uacir della
aelva del peccato, e di aalire il monte Bgurato per la virtù e per la
contemplazione, piega e rattempera il rigoroso giudicio d'iddio;
onde dice: che dal compiangerai di quella donna per l'itupe-
dimento, che trova della lupa, il buon voler del poeta, duro giudizio
laaaù frange, cioè muove Iddio a conipaa- aione , vedendo, che gli manca
più il potere, che il volere; onde merita d'aver in ajuto la aeconda
grazia deiu illu- minante , la quale ( ipongono i commentatori ) da
Dante è chiamata Lucia , dalla luce , eh' ella n'infonde nell'ani-
ma Questa seconda grazia chiama finalmente la terza , detta perficiente o
coniumante , espressa per Beatrice o per la teologia; dalla quale vien
condizionata la niente umana alla contem) dazione della divina etienza :
il che Digitized by Google SECOSDO.
Ottimamente li conacguiice col mental TÌaggio dell* In- ferno e del
Purgatorio , cioè a dire con la meditazione di quelle pene ; •! come
avviene al noetro poeta , il qual per tal cammino li conduce alla
fruizione del Paradiio , e ai alla contemplazione d' Iddio.
V. 97. Questa chiese Lucia in suo dimemdo, £ disse , Ora
abbisogna il tuo fedele Di te , ed io a le lo raccoaiando.
Lucia nimica di ciascun crudele Si mosse , e venne al loco , dov V
era : Che mi sedea con l'antica Rachele. Questa donna, cioè
la grazia preveniente, richieee con tua dimanda Lucia , cioè la grazia
illuminante , che aju- tatte il tuo fedele , cioè Dante ; il quale in
altro luogo dice di tè , eh* egli fu fedele a creder quella, in che
la grazia illuminante TammartlTava: e Lucia ti mette tubilo a
chiamar Beatrice, la qual ti sedea con l'antica Rachele; e ciò per tignificare,
che la teologia è indivitibil compa- gna della contemplazione, poiché
Rachele (che in verità fu moglie di Giacob ) nel vecchio teitamento ti
piglia per la vita contemplativa. V. Io 3 . Disse: Beatrice,
loda di Dio vera. Che non soccorri quei , che t'amò tanto ,
Ch' uscio per te della volgare schiera ? Disse , cioè Lucia Disse.
Loda di Dio vera. Chiama la teologia e la grazia vera lode d' Iddio ,
forte perchè dalla prima comprende l'uomo gli ecceUi attributi di
quello, ond* avvien a intiniiarne conceui più adeguati di qualunque altra
lode, che privi del lume di lei tlamo capaci di udirne; e dalla teconda
ti nvuùfctu raltiiiiiuo pregio delle tue miaericordie.
a8 Canto V. ic5. eh’ uscio per le /iella volgare schiera.
Per te toma bpne nel temo allegorico e nel letterale ; poiché Dante
non t|nccò meno al tuo tempo per la pro- fonda notitia della tacrata
teienza, che per le rime e per gli altri parti , a' quali tollerò il tuo
nobilittimo ingegno Tecceitivo amor di Beatrice. V. ic8. Su
la fiumana, ove'l mar non ha vanto ^ Qui il Fioretti , non
rinvenendoti qual tia qiietta fiu- Dtana , poitilla in queata forma : Che
fiumana ? ieslia. Ma noi , per ora latciando il Fioretti nella tua
tfacciata ignoranza , terberemo ad altro luogo la tpotizionc di
quetto verto. V. 109. Al mondo non fur mai ecc. Dice
Beatrice , che al mondo non fu mai pertona coti aoUecita a cercare il tuo
bene e fuggire il tuo male , com' ella dopo tale avvito del grave
pericolo di Dante fu pretta a venir laggiù dalla tua tedia beata.
V. 114. Ch'onora te, e quei, ch’udito V hanno. Perché le
poetie di Virgilio non tolamente onoran lui, che l’ha fatte, ma qualunque
ne diviene ttudioto; onde ditte di té medeiimo nel primo canto , T. 86.
Tu se’ solo colui , da cui io tolsi Lo hello stile , che m’ ha
fatto onore. V. lao. Che del bel monte il corto andar li
tolse. Ti fe' ritornare indietro , quando poco di viaggio ti
rimaneva per condurti alla cima del bel monte , cioè al tommo della virtù
o della contemplaiione. Digitized by Coogle
8ECOKDO. 39 V. i 39- Or va, eh" un tot
volere è efamendue. D’amendue noi ; il tuo cT andare , il mio di
venire. V. 143. Entrai per lo cammino alto , e tilvettro.
Spoogono i commentatori alto, cioè profondo. Io però m'aRerrei al
parere del Manetti nella tua ingegnoaa ope- retta circa il silo, forma, e
misura delf Inferno di Dante, dove intende alio nel ano proprio
tignificato, cioè d’ele- vato e aublime ; con ciò aia coaa che egli pone
Teotrata deir Inferno in aur un monte aalvatico , per entro il cui
aeno ruoli eh’ e’ ai cominci immediatamente a acendere. Ma di ciò non fia
mio intendimento al preaente di fa- vellare I potendo ciaacuno in queato
ed in ogn’ altra par- ticolarità del aito e della forma della atupenda
architet- tura di queato Inferno aaaai ampiamente aoddiafarai con
ana breve lettura del aoprammentovato autore. Digitized by
Google INFERNO. CANTO TER20.
ARGOMENTO. ]\^0STiiA in qaetto terzo canto (*) cTettersi
condotto per lo canunino alto e ailreitro alla porta dell* Inferno»
la cui Menzione comincia ex abrupto al principio del canto» come l'ei
leggeue. Di poi, acendendo per J' in- terne vie del monte, arrivato in
quella concaviti o ca- verna della terra, che è quali come un veitibolu
dell' In- ferno, ed è immediatamente sopra il primo cerchio, cioè
sopra il Limbo, vede quivi Tanime degli teiaurari, cioè di coloro, che
mentre vissero non furon buoni ni per aè , nè per altri , ninna buona o
rea cosa operando. Questi dice eh’ hanno per tormento il correr
perpetua- mente in giro dietro un' insegna che tutti li guida , c
(*> Dira qvslceia di riè che dir« il CrlU con r«atorità dal
iigliolo a dal nisota dì Dante, cha dal prima vcr.o dal quinta canta
comincia la narrationa dal paama. Calli, Uh. X.. Digitized by
Google 3a Cauto chr in cotal cono ton punti e
fieramente trafitti da tafani e da moaclie. Attraversato quello spazio
poi destinato alla girevoi carriera di quegf infelici , dice essersi
con- dotto al fiume d’ Acheronte , e quivi aver veduto venir
Caronte per l'anime de' dannati, e dopo, euer tramortito in su la riva di
quello. V. I. Per me si va ecc. Si finge, che parli
essa porta. Ferme, il senso it Per entro me. Y. 4 . Giustizia
mosse ‘I mio aito fattore. Veramente il motivo di fabbricar P
Inferno venne dalla giustizia, la qual si dovi far di Lucifero e degli
angeli suoi seguaci. V. 5. Feeemi la divina potestafe.
La rowaui sapienza , e 'I primo Amore. La Santissima Trinità,
della quale spiega le persone per gli attributi: il Padre per la potenza,
per la sapienza il Figliuolo, per l’amore lo Spirito Santo.
V. 7 . Dinanzi a me non far cose create, Se non eterne
ecc. Seguita a parlar la porta per esso Inferno; e dice, che
avanti a lui non fu altra specie di creature se non eterne. Per queste
intendono assai concordemente i commentatori la natura angelica ; la
quale, siccome dovette esser punita per la sua ribellione , cosi par
molto verisiiuile , che il carcere d' Inferno fosse fabbricato dopo il
peccato degli angeli; e sì dopo la loro creazione. Che poi Dante se
li chiami eterni, cioè in ritguardo dell'eternità avvenire.
Digitized by Coogle TSUZO. 33 p«r
la qaal dureranno, onde i teologi U chiamano eterni a pitrte post^ o,
come ad altri dì essi è piaciuto di no« minarli, sempiterni, a
distinzione delT eterno a parte ante, il che si conviene solamente a
Dio. Na siami qui lecito il metter in campo una mia con-
siderazione , la qual mi dichiaro , eh' io non intendo di proferire
altrimenti, che ne’ puri termini del potrebb* es- sere , a fine di
sottoporla al savio accorgimento di quello , al quale è unicamente
indirizzata questa mia deboi fatica. 10 discorro così : L’ Inferno
( secondo Dante ) fu creato col mondo , e ’l mondo fu creato in
istante. V. la. Perch* io : Maestro, il seruo lor m è duro.
Onde io ( vi s’ intende , dissi ) : O Maestro , il senso lor m* è
duro. Duro , cioè aspro , e non , com* altri vo~ gliono, oscuro. Perchè
leggendo Dante l’ immutabil de- creto di non uscire della porta d’
Inferno , a ragione di bel nuovo s’ intimorisce. V. i3. Ed
egli a me, tome persona accorta i Qui si convien lasciar ogni
sospetto. Da questa risposta di Virgilio si conferma il detto
di sopra , che Dame non disse essergli duro , cioè oscuro ,
11 senso deir iscrizione dell’ Inferno, ma duro, cioè aspro,
spaventoso ; perchè Virgilio non piglia ora a chiosargli la suddetta
iscrizione , ma lo conforta a francamente entrarvi. Così la Sibilla ad
Enea nel VI , v. a6i. Nunc aiwuis opus, Aenea ^ nane pectore
firmo. Ma io di qui avanti non mi fermerò a conciliare i
luoglìi simili di questo canto col sesto delP Eneide, come benissimo noti
, a chi scrivo, le non dove m'occorra di 34 Canto
fare apiccare l'eccellenia di alcuna di queati col para- gone di
quelli. V.i8 il ien étW intelletta. La viltà e la
cognoicenaa d'iddio. V, ai. Quivi sospiri , pimti , e ahi
guai. Ne* tre arguenti terzetti par , che Dante abbia voglia
di auperar Virgilio nell' eipreaiione della niiieria de’ dan- nati. S'ei
ae lo cavi o no , giudichilo chi farà confronto di quello luogo con
quello del VI dell’ Eneide, v. SS^, Bine txauJiri gemi/us , et saeua
sonare. V. iq. Sempre 'n queW aria , sema tempo , tinta.
I comineo latori apirgano eoa): Tinta senza tempo, eioh lenza
variazione di tempo al contraria dell' aria noatra, la qual ai tigne a
tempo come la notte , e ai riachiara da' raggi del aopravvegnrnte
iole. La Cruaea legge diagiuntamentr, Ària senza tempo, fintai
onde il Rifiorito apiega quel senza tempo, eterna, quaai che il
aentimento aia tale, aria eterna, e tinta. Coi) nel canto che aegue la
chiama eterna , v. i6. JVon avea pianto , ma che di sospiri.
Che l'aura eterna facevan tremare, Cooiidero di pii), che
l'epiteto di eterna in quello luogo del terzo canto corria[>oude al
perpetuo aggirarli delle voci de' dannati , v. a8. Farevan un
tumulto , il qual s'aggira Sempre in quell' aria , senza tempo , tinta
; poiclià , a’ e' a'aggira eternamente , torna molto brne il
dire, che eterna aia l'aria, nella quale s'aggira. £ poi Digitized
by Google TXBZO. 35 nè meno può dirti,
che rana deir Inferno aia tìnta senza tempo , cioè ( come tpongono i
commentatori ) eterna- mente , perchè ancorché Dante dica di etta ,
Inferno , cant. IV, r. io. Oscura , profonda era , t
nebulosa ’ Tanto , che , per ficcar lo viso al fondo , r non
vi disccrnea alcuna cosa, Ciò non toglie , eh' ella in alcuni
luoghi non fotte di continuo illuminata dal fuoco , come nel terto
girone de’ violenti , ed in queito medetimo degli teiaurad, dove te
non altro vi balenava , v. i33- La terra lagrimota diede vento
, Che balenò una luce vermiglia. V. 3l. £d io, eh' avea
d'errar la tetta tinta. Cinta d’errore, adombrata dall'ignoranza di
ciò ch’io ndiva. V. 35. Che visser sansca infamia , e sanxa
lodo. Che in queito mondo , nulla mai virtuoiamente ope-
rando, non latciaron di tè alcuna memoria. V. 37 . Mischiate tono a
quel cattivo coro Degli jingeli , che non furon ribelli ,
Ni far fedeli a Dio , ma per te foro. £ opinione , che nel
fatto di Lucifero fotte una terza Lizione d' angeli , la qual nè
t'accottaiie a Lucifero , nè ti dichiaraite per Iddio, ma ti teuetie neutrale.
Di queiti parla il poeta , e in pena della loro irreiolutezza li
mette con gli teiauratì. 36 Canto
V. 4 o> Cacciarla eie! , per non tster men belli: Nè lo profondo
Inferno gli riceve , Ck‘ alcuna gloria i rei avrebber d elli.
n tentimcnto ì tale; Pel Cielo ton troppo brutti, per rinferno aon troppo
belli ; coti ti atanno in quel mezzo, ciof nel veaubolo di euo Inferno.
Notiti ben , eh' egli dice, V. 41. Nè lo profondo Inferno gli
riceve ; volendo dire per Io profondo Inferno, coli, dove ti tor-
mentano i rei > i quali avrebbono alcuna gloria cT averli in lor
compagnia. Non come dicono gli i|>otitori.' ti glorierebbero per
vederti puniti del pari con etti , che non commitero altro peccato , che
d’etterti indiflfereoti tenuti, ma alcuna gloria v'avrebbero, perchè agli
occhi loro la piccola macchia di tale indifferenza non varrebbe ad
appannare il lustro di loro eccella natura, dalla quale ritrarrebbe alcun
taggio della gloria , e ti della celette beatitudine. V. 47.
E la lor cieca vita è tanto batta , Che ’nvidioti ton i ogn altra
torte. Non tolaniente di quella de' beati, ma in un certo
modo di quella de' peccatori. Tanto è riera, cioè vile ed oscura la
lor misera vita, onde dice, che misericordia e giusti- zia gli sdegna ,
quella che di loro non è avuta , questa , che per cosi dir li disjirezza
con distinguerli sì di luo- go, come di pene da’ peccatori. E credo, che
P intendi- mento del poeta sia J* inferire , che la maggior pena di
costoro èia vergogna di non esser almeno stati da tanto, poich’ a perder
s’aveano, di perdersi, come suol dirsi, per qualche cosa. Ond' egli
arrabbuno e mordonsi le Digitized by Coogle T E K Z
O. 37 ■lani di noo aver avnto tanto «pirito da irritar
almmend la divina giuttisia, la quale in « fatta guisa punendoli)
par loro , eh* ella « per così dir y non gli •cimi , e ai li Timproveri e
facciasi beffe della lor dappocaggine. V. Sa 9Ìdi un insegna
y Che y girando , correva tanto ratta , Che d’ogni posa
mi pareva indegna* Mette costoro rutti sotto un* istessa bandiera a
dinotare la simigUanaa dell* indegna lor vita. Li fa correre per
giu- stamente punir Tozio e Taccidia del tempo, eh* e* vissero.
V. S 4 . Che ^ogni cosa mi pareva indegna. Spiega il
Vellntello, eh* egli erano indegni d* alcun riposQ. Il Buti: Correva
quest* insegna t che mai non mi parca si dovesse posare , e forse meglio.
Non credo però , che nè Tuno, nè Taltro la colga. 11 Daniello e'I
Bonanni •e la passano senza dirne altro. In quanto a me direi : che
la mence del poeta sia stata di pigliar in questo luogo indegno per
incapace, o altra cosa equivalente ; e nel resto io credo, che Dance
abbia forse voluto dar da strologare a* grammatici toscani ; come fece
Ennio a* La- tini in quello indignas turres, dove da Girolamo
Colonna r indignas viene spiegato per magnaSy e dal medesimo vien
allegato in conformazione di ciò un luogo di Servio, il quale spiegando
quel verso di Virgilio nelP Egloga X indigno cum GaUus amore periret ,
spone indignutn per magnum, e quell* altro pur di Virgilio nelle
Ceiri: Verum haec sic nobìs grauia atque indigna fuere.
Nel quale Giulio Cesare Scaligero spiega indigna y cioè inefiabile
, e per trasUto , immenso. Digilized by Google 38
Carto V. 59 - Guardai, e vidi l’ombra di colui.
Che fece per viltatt il gran rifiuto. Intende di Piero d«l
Murrone , che fu Papa Cele- stino V , il quale , tra per la tua
sempliciti e l'altrui sottigliezza , s* indusse a rinunziare il papato.
Questi fu ne' tempi di Dante, onde non debbe tacciarsi d' iinpietà
il poeta, sapone nell’ Inferno l'anima di colui, che non essendo per
anche dal giudizio mai non errante di Santa Chiesa annoverato tra' santi
, come poi fu , poteva leci- tamente credersi soggetto ad errare, e si
interpretarsi in sinistro i (ini delle sue per altro santissime
operazioni. V, 63. ji Dio spiacenti , ed a’ nemici sui.
Corrisponde a quel eh' ha detto di sopra , eh’ e' non eran nè
di Dio, nè del Diavolo. * • V. 64 . che mai non fur
vivi. Morde acutamente con questa forma di dire la perduta
loro vita. V. 65. Erano ignudi , e stimolati molto.
Stimolati, risguarda anche questo la lor pigrizia. V. yS per
lo fioco lume. Traslazione mirabile di quel eh* è proprio della
voce, per esprimer con maggior forza quel che s' appartiene alla
vista. Similmente nel primo canto , v. 60 , per si- gnificare l'ombra
della selva disse, dove'l sol tace: qui con non minor vaghezza un lume
assai languido lo chiama fioco. V. 83. Un vecchio bianco, per
antico pelo. Forma assai rara e nobilissima per esprimer la
canizie del vecchio Caronte. Digitized by Google
V. 84* Gridando : Guai a coi anime prave : Non
isperale mai veder lo cielo ecc. Coinime mirabilmente otaervato,
ioduceme mollo mag- giore ipavento , l' imrodur Caronte minacciante
l'anime nell' atto d'accottarti alla riva, che introdurlo muto
verao di eaae , aiccome la Virgilio , il quale non lo fia parlar*
ae non con Enea. V. 88 viva , Partili da codesti , che son
morti. Kon diaae da codette , che aon morte , perché come
anime eran vive ; ma diaae , da codesti , cioè uomini , de’ quali ti
potea veramente dire, eh' e' foatcr morti. V. 91 . Disse; Per altre
vie, per altri porti Verrai a piaggia , non qui , per passare
: Più lieve legno eonvien , che ti porti. Intendono i
commentatori,, che Caronte predica a Dante la tua aalvazione , e che però
gli dica, che egli arriverà • piaggia per altre vie , per altri porti ,
intendendo del porto d' Oatia poato vicino alla foce del Tevere ,
dove finge il Poeta , che l'anime imbarchino per l' itola del
Purgatorio ; e che queato più lieve legno aia il vat- tello con cui vien
Vangelo a caricarle , di cui Furg. cani, n, V. 4 ^’- e quei
s‘en venne a riva Con un vasello snelletto , e leggiero ,
Tanto che t acqua nulla n inghiottiva. Il Rifiorito però
aaviamente contiderando (aecondo io pento ) quanto era cota impropria il
porre in bocca d'un Demonio coti fatto vaticinio , mi tpiega queato patto
in 40 Canto diverto lentimento. Prende egli
altri porti in quetro luogo per altra condotta, cioè per altri die ti
portino, e per lo più lieve legno intende l'angelo , che pattò
Dante aJdormentato dall' altra riva , tenta che egli te n' accor-
geue. Il che toma aitai meglio al rihuto che fa di lui Caronte ; mentre
di lì a poco li vede verificato quel eh’ egli dice, cioè che egli per
altra via verrà a piaggia, ticcome vedremo più a batto. V.
94. £ ‘I Duca a lui ecc. E Virgilio ditte luì. V. 99
ave' di fiamme ruote. Ave' con Tapottrofo per avea, non ave terta
pertona del meno nel preiente del verbo avere, come hanno alcuni
tetti. V. 104 e‘l teme Di lor temenza, e di lor
nasciiuenti. Gli avi e padri. Quelli tono il seme di lor semenza ,
quelli di lor nascimenti, perchè da etti immediatamente nacquero. Coti il
Rifiorito. V. Ili qualunque s'adagia. Qualunque ti
trattiene , non qualunque » accomoda nella barca , come tpone il Daniello
, che tarebbe alato tpropotito. V, li». Come t Autunno si
levan le foglie, L’una appretto delF altra , infin che 'I
rama Rende alla terra tutte le sue spoglie. Similitudine
tratu da Virgilio nel VI , v. 309. Quam multa in tyluit autwnni
frigore prima Lapta cadunt jolia etc. ; Digitized by Googlc
TBIZO. 41 ma adattata asiai meglio da Daate, nel cui
InTerno niuna deir anime era eacluia dall'imbarco, liccome niuna
delle foglie riman tu Palbero ; al contrario di quel di Virgilio,
nel quale tutti coloro, che non eran sepolti, erano lasciati in terra. E
poi elf i grwdemente nobilitata col prose- guimento di essa fino al
restare spogliato del ramo , pa- ragonato al restar voto il lido j dove
Virgilio la regge solamente nella prima parte del cader delle foglie ,
e dell' imbarcarti fanime ; passando poi subito a quella degli
uccelli , che passano oltramare. V. 1 18. Cori seis vanno tu per f
onda bruna. Bellissima ipotipoti , e che mette sotto agli occhi
il camminar della nave. V. lao. Anche di qua nuova tchiera
t'aduna. Di quelli, che continuamente e per ogni stante di tempo
muojon dannati. V. laS. Che la divina giuttizia gli tprona.
Si che la tema ti volge in detto. Chiese innanzi Dante a
Virgilio : perché quell* anime paressero si volonterose di passare il
fiume , v. qi. Maettro , or mi concedi , Ch’ io tappia ,
quali tono , e qual cottume Le fa parer di Irapattar ri pronte.
Ora gliene rende la ragione, mantenendogli nello stesso temp^ la
promessa, che glien' avea fatta in quc* versi 76. le cote li fien
conte. Quando noi fermerem li nottri patti Su la tritta
riviera d Acheronte. 4 4a Canto £
dice , che ciò accade , perché la divina giustizia le sprona ai, che la
tema §i volge in diblo. l*^eIU epoai/ione di queato paaao i coumieotatori
a* aggirano per diverae strade t non mancando di quelli, che ae la
paaaano eoo la mera apiegaaione allegorica, lo però , fìntanto che
non trovi meglio da aoddiafarmi, atarù nella mia npinionet la qual
è : che Dante abbia preteao d'eaprimere un terri- bile effetto delia
diaperazion de' dannati , per la quale paja ior nuir anni di precipitarai
ne' tormenti , ed empier in ai fatto modo l'atrociià delia divina
giuatiziat la quale, secondo loro , è sì vaga della loro ultima uiìaeria.
Coai abbiamo veduto di quelli i che oda rabbia, oda gelo- sia, o da
altra violenta paaaione ai tono indotti a darai morte volontaria per un
diadegnoao guato di aaziare il fiero animo di donna o di principe contro
di loro ade- gnato. Cosi Inf. cant. i3. Pier delle Vigne,
segretario dì Federigo imperatore, dice essersi per un aioiile
guato data la mone , v. L*anÌMO mio per disdrgnoso gusto
, Credendo col morir fuggir disdegno , Ingiusto fece we
, contro me giusto^ Un a’imil disperato affetto ai vede raramente
eapreaio da Seneca nel coro dell' atto primo drlT Edipo , dove
parlando in persona de' Tebanì ridotti all* ultima diapera- aione per
quell' orribile peauleoza, fa dir loro cosi : v. 88. Prostrata
iacet turba per orai, Oratque mori : solum koc facilee
Tribuere Dei. Delubro petunt; Jlaud ut uoto nuinina placent,
Sed iuuat ipsos satiare Deot. Digitized by Googic
TXXZO. 45 Ancora il Boccaccio fa
proromper la diaperata Fiani- metta in una aiiuil bettemmUf tacciando gli
Dii dell* in- gordigia , ch'egli hanno, di rovinar coloro, die da
esai aono inaggtormeote odiati. Fiam. lib. 1 . Ma gl* Iddìi a
coloro , co* cfuali essi sono adirati , benché della lor salme porgano
segiu> , nondimeno gli privano del conoscimento debito. E COSI ad un*
ora mostrano di fare il lor dovere « e saziano f ira loro» V.
117. Quinci non passa mai anima buona» Tutte ranime, che di qua
pattano , aon dannate; però tu Dante puoi ben comprendere la ragione ,
ond* egli ai motte a rigeuard dalla tua nave. V. i 3 o.
Finito questo, la bufa campagna TVemà forte, che dello spavento
La mente di sudore ancor mi bagna. La terra lagrimosa diede vento
, Che balenò una luce vermiglia , La quai tu vinse
ciascun sentimento: E caddi, come Vuom, cui sonno piglia,
Quetto luogo è a mio credere oteurittitno , e tengo per fermo , che
a volerne capire il vero tignificato , aia necettario intenderlo affatto
a roveteio di quel di' egli ò arato letto e apiegato 6nora. Poiché dicono
i commen- tatori, che la luce vermiglia fu l'angelo, il qual venne,
e addormentò Dante col terremoto, e coti addormentato lo prete e lo pattò
all' altra riva. Io qui non domanderò loro, com' e' tanno, che Dante
fotte pattato dall* angelo e non pintcotto da Virgilio o da qualche
demonio , potto che egli non ne dica da per tè nulla, dicendo tolaiueute
nel principio del IV canto , che, coin' e' fu desto, ti Digitized
by Google 44 Canto ♦roTÒ «Ter pasiato i! fiume
Acheronte. Tuttavia, perché di ciò ftimo, che §e ne potsa addurre qualche
probabi) conjettura , mi riitrignerò domandare : «e la luce
vermi> glia naace dal vento esalato dalla buja campagna nel auo
tremare ( intendo tempre di star tu la fona della lettera, che col
tegreto dell' allegoria benÌMÌmo ao guarirti di questi e d'altri maggiori
inveritimili ) , come ti può mai intender per etta vermiglia luce un
angelo venuto dal cielo ? E poi qual nuova virtù hanno i tuoni e
baleni di far addormentar le persone ? O qual necessità v'era
d'addormentar Dante ? E per averlo addormentato e pat- tato dormendo,
qual grande avvenimento ti cav' egli da questo tonno ? Il Vellutello è
stato a tocca e non tocca d* indovinarla, facendo nascere non il baleno
dal terre- moto , ma il terremoto dal balenare ; ma non ha poi
•piegato come ciò post* estere , stante il sentimento dei versi seguenti:
i33. La terra lagrimota diede vento ^ Che balenò una
luce vermiglia* Spiega il Landini; Che, cioè il qual vento balenò
una luce vermiglia. Dunque se fu il vento, che balenò , non fu il
baleno , che fe' tremar la campagna e spirare il vento; e per
conseguenza, se il baleno fu parte dell' aria infernale, non ti può dire,
eh' e' fosse l'angelo. Io però credo, che con pochissimo la lezione del
Vellutello si farebbe diventar ottima , cioè con legger quel Che
per Perchè, o Perciocché, o Conciossiacusachè ; si che il •enso
fosse ; La buja campagna tremò , la terra lagri- mosa diede vento ;
Perchè ? Ecco : Perchè balenò una luce vermiglia. Cosi toma quello, eh'
io diceva da prin- cipio, che a capire e a voler dar qualche sentimento
a Digitized by Google T B K Z O. 4S
quetto luogo era necenarìo intenderlo a roretcio di quello , eh'
egli era inteso universalmente ; cioè dove gli altri intendevano il
baleno per effetto del terremoto e del vento , intender il vento ed il
terremoto per effetto di esso baleno. In tal modo non i più veritimile ,
anzi torna mirabilmente l' interpretare il baleno per la venuta
deir angelo; il quale, oltre a quello, che n’accennò Ca- ronte quando
disse, v. 91. Per altre vie , per altri porti y errai a
piaggia , non qui , per passare , Più lieve legno convien , che ti
porti. si rende molto credibile, che foste più tosto egli,
cioè l’angelo , che Virgilio , o un demonio , il quale passasse
Dante, si per la gloria della luce, che balenò agli occhi del poeta, ti
perchè estendo il passar Dante di là dal fiume opera soprannaturale e
miracolosa, molto maggior dignità è farla operar per un angelo, che per
un’anima o per uno spirito ; e ti finalmente perchè altre volte ,
quando è stata da superare qualche gran difficoltà, come alla porta della
città di Dite , dice espresso , che venne un angelo a farla aprire. Che
poi alla venuta dell’ an- gelo la buja campagna tremaste, è nobilissimo
accidente, e proporzionata corritpondenia alla grandezza dell’ avve-
nimento. Lo stesso sappiamo esser avvenuto , quando v’arrivò Tanima di
Cristo Signor nostro per liberare i tanti del vecchio testamento; come ti
legge in S. Mattea al cap. XXVII e al cap. XXVIII più strettamente;
dove, scrivendo la venuta d’un grandissimo terremoto , ne dà per
cagione la scesa iTun angelo ; Et ecce terraemotus factus est ntagnus ;
Angelus enim Domini descendiS de taelo. Dove notisi, che quell' zaùn ha
la stessa forza, che 1 Digitized by Coogle
46 Canto io intendo dare a qnel che, cioè di perchè o
di percioc- ché , o di conciossiacotoché , arnia clic interroghi, nè
ciò aenia molti eaempj di prosa e di versi , come si può vedere al
Vocabolario, e più difltusamente appresso al Cinonio. Un
simil costume si vede anche osservato da' poeti gentili, come eh' e' lo
conobbero benissimo adattato alla dignità de’ celesti personaggi. Servio
: Opinio est sub oduentu Deorum moueri tempia. Seneca , nell’ Edipo
, atto 1.*, scena prima, dove Creonte ragguaglia lo stesso Edipo della
risposta dell’ Oracolo , v, ao. Vt sacrata tempia Phoehi supplici
intraui pede , Et pias , nutnen precatus , rile summisi manus
; Gemina Parnassi niualis mrx trucem sonitum dedit , Imminens
Phoeboea laurus treiimie, et mouu doutuau E Virgilio , Eneide ,
lib. Ili , v. 90. Vix ea fatus eram , tremere omnia uisa
repente Limina, laurusque Dei, totusque moueri Mons circum , et
nugire adytis cortina reclusis. Precede questo alF Oracolo d'Apollo
; luogo imitato da Callimaco nel principio delf inno in lode della
stessa Deità , V. I. *Oso« S Ttt’nóAAswoc iaiiaaro
Só^iroq ‘Ola, f ZXov TÒ fiéXaipoo' enàf , inàif , Sant
dXtSpót, Come s'e' egli mai scosso questo ramo £ alloro sacro ad
Apolline; Come s' e’ scossa questa spelonca l Fuara profani: fuora:
Lo Scoliaste dice, che ciò avvetiiva per la venuta dello Dio. Le
sue parole sono : itetdfigovvTOt Tov dfov. Come Digilized by
Coogle TERZO. 47 t"e’ icotto quitto
ramo, come i e' scossa questa spelonca! Non , Quanto s' è scosso questo
ramo ree. ; come traalata il traduttore di Callhnaco, lenza ponto
avvertire, che Io Scolialte greco l’ ha inteio in lenio di coinè e non
di quanto: Olov 5 rà ’II^A.X«vo{ ) 'Atri Toó o2at, Siro(. Or
reggili le l’ interprete doveva mai tradurre otog ovvero Sicmf per
quantus; e pur era un lolenne tradut- tore , e che li piccava iniioo di
icrivere veni greci. Virgilio nel VI fa lervire un limile avvenimento a
no- bilitar la venuta della Sibilla nelf Inferno , v. iS5.
Ecce autem primi sub lumina solit , et ortut , Sub pedibus
mugire solum, et juca coepta numeri St/luarum , tùtaeque canet ululare
per umbram , Aduentante Dea : Procul , o procul ette profani.
Coll Claudiano de Rap. Froterp. , lib. 3 , alla venuta di Plutone,
V. iSa. Ecce rrpens mugire fragor , confligere turres ,
Pronaque uibratis radicibus oppida uerti. Che poi Dante non dica
apertamente dell’ angelo , ciò è fatto ( come awertiice il Boti nel
Comento lopra il canto IV) con grandiiiimo accorgimento i poichò
egli non potea dire le non quel tanto, eh’ ei vide; e te dice, che
la luce vermiglia lo fe’ tramortire , vincendogli cia- •cun tentimento, e
che in questo fu panato di là dal fiume , sarebbe stato molto improprio ,
eh* egli ci aveste dato conto di quel eh’ accade durante questo suo
sveni- mento. Dico svenimento , non sonno , al contrario di tutti
gli tpositori , i quali , mi maraviglio , come in cosa tanto manifesta
abbiano preso un sì grosso equivoco. Dice Dante , che la luce vermiglia
gli vinse ciascun 48 Canto lentimento, cadde
come Tuoma preio dal loono. Dunque, a' ei piglia la limilicudme da colui,
che cade addormen- tato, ^ troppo chiaro, ch'egli cadde per altra
cagione; che non li piglia mai il paragone dalla iteiia cola para-
gonata. Qual freddura larebbe mai queita ? Caddi addor- mentato, come
cade quegli, che l' addormenta’ Tramortito bensì; e ciò ■' intende molto
bene, come polla derivare dallo ipavento del terremoto, e dall’
abbagliamento della luce vermiglia ; ma non già il lonno , il quale è
ami •cacciato , come vedremo nel principio del leguente canto, e
non luaingalo per un tuono. Un caio asiai limile li legge in Daniele al
cap. X , dove egli icrive di lè medesimo, che la vennta deir angelo, che
avea combattuto col re di Persia, avea ripieno di tale spavento
quelli eh' erano col profeta, che l'erano fuggiti; ond'egli, vinto
in ciascun sentimento e abbattuta ogni lua virtù , rimase solo a veder la
visione ; yidi auttm ego Daniel solus uisionem. Porro uiri , jui erant
mecwn non uiderunt , ted terror nimiue irruit super eoe, et fugeruni in
aiscondilum; ego autem relictut solus nidi uisionem grandem lume ,
et non remansit in me fortitudo, ted et species mea immutala est in
me , et emareui, nec habui quiiquam uirium. E poi diremo noi. Dante esser
caduto morto, per quel eh' ei dice al canto V dell’ Inferno , v.
140. E caddi , come corpo morto cade ? Dunque con qual
ragione or , di' e' piglia la similitu- dine dal cadere d'uno, che
l'addormenta, dir vorremo, eh' egli si cadesse addormentato ? Nè meno
volle Dante cavarci di questo dubbio della venuta dell' angelo ,
fa- cendosela narrare a Virgilio, siccome nel IX del Purga- torio
li fa dir, che Lucia Io prese dormendo, v. Sa. Digitized by Google
TEtZO. 49 Dianzi ntìf alba i cKe precide il
giorno , Quando f anima tua dentro dorniia , Sopra li
fiori , onde laggiuso è adorno , Venne uno donna , e ditte : /' ton
Lucia ; Latcialemi pigliar cotlui , che dorme : Si t agevolerò
per la tua via. avendo fone in ciA mira non tanto alla varietà e
alla bizzarria, quanto (come avvertUce io Smarrito ) a lalvar la
modeitia, per la quale non vuol coti pretto farti bello d'un tì alto
favore; riapetto , che manca poi nel Purgatorio , dove la tua anima per
la meditazione del- r Inferno era divenuta piti monda , e ti pili vicina
a pervenire all' altittima contemplazione d' Iddio. Veduto
del concetto principale di quetto luogo , è ora contegnentemente da
vedere con brevità d'alcune cote, che rimangono, per aver una piena
intelligenza anche de’ pai-ticolari tentimenti. V. i3o.
Finito quetto , la huja campagna Tremò ri forte, che dello
tpavenlo La mente di tudore ancor mi bagna. Qui mente per
fantaiia; e 'I tento à; La fantatia, ri- membrando l'alto tpavento, ancor
ancora muove tudore, il qual bagna me, e non \a mente, come t'accordano
con gran bontà a intendere il Vellntello e 'I Daniello. Coti ancora
vediamo quell' azione , liati dell' anima , o degli tpiriti, che i'
etprime con quetto vocabolo di fantatia, per allungare al palato, e
romper Pagrezza de’ frutti acerbi gagliardamente immaginati , muover
taliva. V. i33. La terra iagrimota diede vento ere.
So Canto terzo. Qurito è confuroie la volgare opioionei che
crede il terremoto produrti da aria terrata nelle vitcere della
tetra ; la qual opinione tappiamo ettere tlata leguitata da Dante , come
ti raccoglie da un luogo del XXI del Purgatorio ; dove in perenna di
Staiio rende la ragione de' terremoti, che t'odono intorno alla falda di
quella mon- tagna con quetti versi 55 e aeg. Trema forse
quaggiù poco , od assai ; Ma per venSo , che irs terra sì
nasconda. Non h dunque gran fatto , che , portando egli
quetta credenza, dica, che nel terremoto della buja campagna otc)
vento di terra, volendo inferire di quell' ana, che nello tcotimento , e
forte nell' aprimento della suddetta campagna ti sprigionava.
Digitized by Google INFERNO. CANTO
QUARTO. ARGOMENTO. Raccolta , eom’ an tuono Io f«ce
ritornare in , e come trovò aver pattato il (ìamc Acheronte dalP
al- tra riva, la qual fa orlo al catino de!!' Inferno, chiamato da
lui valle dolorosa d'abiuc. Dice poi , d'eticre tcrio nel primo cerchio
<^’ etto Inferno , che è il Limbo. Di- manda a Virgilio della venuta
di Critto in quel luogo , ed ode la tua ritpotta. Quindi patta a veder 1'
anime de* bambini innocenti , e dopo quelle di coloro , che visterò
secondo il lume delle virtò morali ; e con la motta per discender nel
secondo cerchio , termina il canto. V. 1 . Rufptmi t alto tonno
nella lesta Un greve tuono , ti eh' i" mi riscossi ,
Come persona, che per forza è desta. Statuì dio della similitudine
presa da chi dorme; onde chiama sonno quello , che in realtà era
tmarrimento di spiriti , e svenimento. Chiamalo alto , a differenza
del Digitized by Google Sì Canto «ODDO
naturale: anzi, a fine d'eeprimerlo alùiiiraot dice, che un greve tuono a
gran pena lo ritcofte , rome ai rìacuote persona, che per forza è desta*
£d ecco retta la comparazioDe fin all' ultimo^ dopo averla fatta
operar con grandisiimo artifizio in tutte le «uè parti. Il tuono
potrebbe a prima viata parere non eaaere auto altro, che il rumore degli
alilaaimi pianti, e delle mìaere atrida de* danoati, chiamate da Dante poco
pid abbaaao tuono. J tu la proda a mi trovai Della
valle d * abisso dolorosa , Che tuono accoglie d* infiniti
guai. Goal di aopra nel terzo canto , t. 3o , rasaomiglia i
gemiti degli aciauratì allo apìrar del turbo : qui , ove ai aeote il
pieno del triato coro dell' Inferno li rasaomiglia al tuono. Potrebbe
forse anclie dirai , che questo tuono venne dall' aria del terzo cerchio
della piova, dove aon puniti i golosi ; non essendo punto fuor di ragione
il credere, che insieme con la gragnuola venisiero aoche de* tuoni
, siccome veggiamo accadere nella noatr* aria , il che nell* Inferno ajuu
a far crescer la peoa e lo apa> vento de* peccatori. Considero dall*
altro canto , che in sì gran lontananza , qual è quella del terzo cerchio
, volev* essere un gran tuono per esser sentito da quei , eh* erano
in su la riva d* Acheronte. Ma bisogna ancora considerare, che quivi non
tuona all* aria aperta, come fa a noi , ma nel chiuso della valle ' d*
abisso sotto la volta della terra, che rintrona e rimbomba per ogni
banda, e sì lo strepito vien portato , come per cana> le , all*
orecchie di Dante ; e a chi farà rifiessione , a qual distaiza arrivi la
voce d* uno , che parli aoche pianamente per una canoa forata, forse non
parrà tanto Digitized by Google gUAKTo. 53
HiTerUtroile queito pensiero. Senxa che delle campane alla campagna
aperta, dov' elle abbiano il vento in favore, •'odono dieci o dodici
miglia lontano^ e rartiglierie tirate alta marina di Livorno s'odono
talvolta Hn di Firenze, che per retta linea aWà ben cinquanta miglia di
lonta* nanaa. Più coerentemente però al costume non meno , che alla
grandezza della fantasia di Dante, si dirà, che il tuono non fu altro,
che quello incominciato nel canto antecedente , di cui nel ritornare il
poeta in s^ , udendo lo strascico, non rinvenendosi (come accade a chi
dor- me, e molto meno a chi è svenuto) quanto tempo fosse stato
fuori de* sensi , lo credette ( stando assai bene io sul verisimile ) un
altro tuono. E di vero, per passare il fiume su l'ali d'una potenza
soprannaturale, non vi volea cosi lungo tempo , che giunto su l'altra
riva non potesse ancora udire il rintuono di quel tuono stesso, che
scop- piò col baleno , allorché Dante si ritrovava al di là dal
fiume ; maravigliosa osservanza di costume. Si desta na- turalmente,
perchè già il miracolo della sua trasmignv «ione era fornito, e udendo in
quello tuonare, mostra di credere d'essere stato desto dal tuono , come
farebbe ognuno, che si abbattesse a destarsi in quel eh* e' tuona.
V, 1. Rupptmi tolto tonno ecc. Questo luogo si vede imitato,
o per meglio dire stem- perato dal Bocc. Itb. I. Fiam, Fù it grave la
doglia del €uore t quella aspettante , thè tutto il corpo dormente
ritrosie , e ruppe il forte sonno. V. XI. Tanto che per ficcar lo
viso al fondo. Per invece di quantunque , ed opera
graziosissima- mence. Il senso è : Tanto che , quantunque io ficcassi
lo 54 C A H F o viso al fondo. Piglia ficcar la
viltà per Guare gli occhi ; maniera aliai biiiarra. V. i5. r
tarò primo, e tu sarai teconio. Queite parole di Virgilio aono
aliai chiare quanto alla lettera; ma vuol fon' anche lignificare euer
egli nato il primo a entrar a deicriver l' Inferno , lì come fece
nel VI dell' Eneide , e Dante dover eiiere il lecondo. A chi lia riuicito
più felicemente queito viaggio, aitai leggiermente ai può comprendere dal
paragone. V. 15 . Ed egli a me; V angoscia delle genti.
Che son quaggiù , nel viso mi dipinge Quella pietà, che tu per tema
tenti. Spiega r effetto dell' impallidire per la lua cagione
, che è il compatimento de' mortali affanni de' peccatori : forma
di dire veramente poetica, anzi divina. V. ai che tu per tema
tenti. Che tu interpreti per effetto di timore. V. a3.
Cosi ti mise, e coti mi fe' ‘ntrare Ne! primo cerchio , che V
abisso cigne. Qui incominciamo a icender dal piano dell' atrio
dell' In- ferno , cavato lotto la volta della terra , dove abbiamo
veduto eiier puniti gli iciaurati , e corrervi il fiume Ache- ronte.
Entran dunque nel primo cerchio, che è il Limbo. V. a5. Quivi ,
secondo che per ascoltare , Non uvea pianto , ma che di
sospiri. S* intende nel primo verto : Secomlo che ti potea
comprendere; cioè. Secondo che per l'udito ti potea Digitized by
Google quakto. ss Mcrorre ; poiché gli occhi non
icrvivano a ditccrnerlo , mercé dell’ aria oicura, profonda, e nebuloia
d' abliao. Ma che vale eccetto , aalvo , fuorché , aolaniente , pid
che. Forae da magit quatti de* Latini; onde con tal par- ticella vuol
lignificare , che non v’ era maggior pianto eh’ un leniplice lamentar di
aoipiri , lecondo che l’anime del Limbo non erano tormentate (dirò coli)
nel corpo, ma lolamente nell’ animo , per la privazione d’ Iddio.
Queito viene apiegato mirabilmente nel verio arguente a 8 . E ciò
avvenia di duol senza martiri. V. 33 innanzi che più ondi.
Andi leconda peraona dell’indicativo preaente del verbo Ando
diauaato , dalla railice uiata andare. • V. 34 e t' egli hanno
mercedi. Non basta, perch" e' non ebher batletmo; Ch‘ e'
porta della fede , che tu credi. Qui mercedi lo iteaao che meriti;
nè qurata è l’unica volta, che Dante l’ ha preao in tal lignificato.
Farad, cant. XXXII, V. ^ 3 . Dunque , senza merci di /or costume
, iMcate son , per gradi diferenti. Parla dell’ anime, che in
quello, che tono create, h.mno da Iddio , lenza lor merito o demerito ,
maggiore o mi- nor dote di grazia. Chiama il batteaimo porta della
Fede. Coll vien chiamato da’ maeitrì in diviniti lanua Sacra-
mentoruia, V. 37. E s' e’ fuTon dinanzi al Cristianesmo ,
Non adorar debitamente Iddio. 56 Canto
Parla de* gentili innocenti» cbe furono avanti alla ve- nuta di
Cristo ; i quali » ancorché non peccaiiero , anzi adorassero la Divinili,
non Tadoraron debitamente, cioè secondo il verace concetto , che si dee
aver d* Iddio , e secondo il legittimo culto prescritto dalla Legge
mosaica; ma lo riconobbero o nel Sole, o nella Luna, o nelle Sta-
tue , e sì Tadororono con riti profani ed abbominevoU. V. 41 e soi
di tatuo efesi. Che senza speme vivemo in disio. Vi •*
intende siamo. Cioè , e soì di tento , o vero » e sol io CIÒ siamo
efesi. Questa dice Virgilio esser la sola pena di quei del
Limbo , Ira* quali ha riposto sé ancora ; Aver vivo il desiderio, e morta
la speranza. V. 47* per ooler esser certo Di quella
fede, che vince ogni errore. Per aver un riscontro della verità
della nostra fede. V. 49. Uscinne mai alcuno, 0 per suo
merto, O per altrui , che poi foste beato ? Credeva
Dante ( che non v* é dubbio ) U liberazione degli antichi Padri operata
da Cristo nella sua resurre- zione ; pure da eh* egli avea sì bell*
occasione di chia- rirsi del vero , e con ottimo fine d* armarsi contro
qua- lunque titubaziooe gli potesse venire di così alto mistero,
non si potè tenere di domandar Virgilio , s* e* n* era uscito mai alcuno.
E notisi , com* egli dissimula bene il suo animo : domanda prima di quel
che sa , che non è , e che nulla gl* importa il sapere, cioè s* e* n*
uscì alcuno per suo proprio merito , per farsi strada a domandar»
Digilized by Google Q U A K T O. $7 di
quel, che gli preme aMaÌMÌmo Tesier fatto certo, lenza che Virgilio potaa
ombrarvi sopra od accorgersene. V. Sa. Rispose : I* era nuovo in
questo sfato , Quando ci vidi venire un possente , Con segno
di vittoria incoronato. Era di poco venuto Virgilio nel Limbo ,
quando ci vide venir Cristo nostro Signore , che mori intorno a
quarantott* anni dopo la morte di esso Virgilio; il quale, perocché si
non conobbe Cristo , però non lo nomina. Dice solo , eh* ci ci vide
venire un possente incoronato di palma. Possente dalle maraviglie, che
gli vide ope« rare in quel luogo , traendone sì gran novero d* anime
, ond* a ragione si persuadeva , quegli non poter esser altri , che
un grandissimo , e potentissimo principe. V, 6o. £ con Rachele ,
per cui tafito fe\ Vuol dire del lungo servizio di XIV anni reso a
Laban padre della fanciulla, per averla in isposa. V. 64.
JVon lasciavam rondar , perch' e* dicessi. Ancorch* e* favellasse ,
badavamo a ire. Lo stesso con« cetto lì ritrova replicato al XXIV, v, i
del Purgatorio, ma con dicitura così bizzarra , che ben duuostra la
ric« chezza della gran mente del poeta. . Nè 7 dir l'andar ,
nè l'andar lui più lento Ratea { ma ragionando andavam forte*
V. 66. La selva dico di spiriti spessi. Qui selva per
moltitudine : metafora assai f<untgliare Dante. Così nel piiiuo di
questa cantica selva chiamò 6 S8 Canto
gli errori giovanili, per entro la quale dice etieni egli amarrito
, e più apertamente nella »opraccitata apoiizione della canzone :
Le dolci Time d amor , eh' io eolia , dice amarrirviii l’uomo
all' entrare della tua adolezcenza. Ancora nel primo libro , cap. XV
della tua Volgare Eloquenza, rispetto ai diversi idiomi, che si
parlavano allora in Italia, chiama quell’ opera Italica telva; e
selva finalmente chiama in primo luogo una moltitudine di spiriti.
Così abbiamo nelle scritture : Secar decurtus aqua- rum plantauU dominus
uineam iuttorum. Qui molto giudi- ziosamente, trattandosi d'anime
dannate, piglia la metafora più ruvida di «/va. della quale, avvegnaché
si sia servito ancora S. Bernardo, è tuttavia da notare una doppia
limitazione. La prima, eh’ egli parla in quel luogo delle anime, o più
verisimilmenle delle diverse adunanze de’ nuovi cristiani, non già di
quelli della circoncisione, i quali erano toccati a S. Pietro, ma di
quelli venuti corì nudi e crudi dal paganesimo , onde oltre T esser
forse tutti per ancora e male istruiti nella fede, e peggio
riformati ne’ costumi , ve ne potevano esser molò de’ re- probi. La
seconda, che in questo luogo selva è pro- priamente metafora di metafora,
non pigliando il santo per piante di questa selva le anime a dirittura,
ma più tosto le varie adunanze delle anime , velate prima tali
adunanze sotto l’altra metafora di vigne, per viti delle quali vengono a
intendersi le anime particolari, e di ciascheduna di queste vigne cosi
numerose ne forma, per dir cosi, le piante d’una vastissima selva, che è
la metafora secondaria, come si vede manifestamente dalle seguenti
parole , che sono poco dopo il mezzo del Digitized by Google
QUARTO. $9 sermone XXX su U Cantica ; Merito et Paulo inter
gentet tam ingens tylua eredita ett uinearum. Anclir appresso gli
Arabi si trova usata la stessa figura, come si può vedere da quest*
esempio d' Harireo Basrense nel suo primo • Le sue parole sono le
seguenti : dLJLsNwc jivervio io dunque penetrato nelt
interna densissima teha per saper la cagione di quei pianti. Nè altro
intende per sehat che una grandusima calca di gente, che
s'affollava d'intorno a un ceno romito per udirlo predicare.
V« 67. Non era lungi ancor la nostra via Di qua dal sommo;
quancT 1 vidi un foco, CK ejairpm'o di tenebre vincia. Credo,
eh’ ei chiami sommo l'erta, per la quale d«l piano di sopra , dove corre
Acheronte , erano calati nel Limbo; e credo, eh' ei voglia dire, ch'egli
erano caiu- minati ancor poco per la pianura di esso , quando ei
vide un fuoco , che illuminava un emisferio di tenebre. Questo fuoco non
si rinviene molto chiaraiuente, dov'egli fosse, e come ei si stesse; nè i
commentatori si fermano troppo a esplicarlo. Pure dal chiaiuarlo col nome
di lu- miera, e dal lume, eh* aveva a rendere non meno fuori che
dentro alle mura de) castello, m'induco volentieri a credere , eh* ella
fosse una (ìsunnia librata in alto nell* aria, come vergiamo alle volte
alcune meteore di fuoco, le quali durano a vedersi nello stesso luogo,
inhn tanto che dura la lor materia a ardere , e prestar alimento
alla bo C A K T O 6(unina , pfT cui •! rcndon
vi«ibili. Nè è da star attaccato alla fona delle parole, dicendo, che, te
quetto fuoco illuacrava un eniieferio di tenebre, bitognava, eh’ ei
fotte in terra, poiché alando in aria veniva ad lUuttrare una
porzione maggiore della mezza tfera: poiché Dante in quetto luogo debbe
intenderti come poeta , e non come geometra; né è veritimile, eh’ ei
pigli itte allora le tette per miturare il giro dell’ aria
illuminata. V. 73. O tu, eh' onori tee. Parole di Dante
a Virgilio. V, y(j V onrata nominanza > Che di ior
suona sii ne la tua vita , Grazia acquista nel ciel , che gli
avanza. La fama e ’l pregio , che riman di loro nella tua
vita, cioè nella vita mortale , la qual tu godi ancora , o Dante ,
impetra loro quetta grazia dal Cielo. V. 81. L’ombra sua torna ,
eh' era dipartita. Partitti allora dal Limbo Virgilio , quando a’
preghi di Beatrice andò a trovar Dante nella telva oteura. V.
84. Sembianza avean né trista, né lieta; e però conlacevole al loro alato
nè di gioja, nè di tormento. V. 91. Peroeehb eiaseun mero si
eonviene Nel nome, ehe sonò la voee sola; Tannami onore , e
di ciò fanno bene. Mi fanno onore , e fanno bene a farmelo ; perchè
a tutt’ e quattro ti conviene il nome , che la voce d’ un
Digitized by Googl QUARTO. 6l •olo diede a me»
cio^ in quello di pòeta. In «ustanza: fanno bene a onorarmi, perchè siamo
tutti poeti, e f o- nore , che è fatto ad uno , toma sopra tutti.
Y. 94. Cast vidi adunar la bella scuola Di quel signor dell’
altissimo canto, D' Omero , dal quale hanno cavato tanto i poeti ,
e in particolare i quattr(\ posti qui da Dante. V. 9y. Da eh’
ehber ragionato insieme alquanto, Volsersi a me con salutevol cenno
: £ ’l mio maestro sorrise di tanto. Qui non accade
strologar molto quello , che Virgilio a costoro dicesse , vedendosi
manifestamente ( tanto è artifizioso questo terzetto), eh' egli li ragguagliò
dell* esser di Dante, del suo poetico spirito, e della sua
profondis- sima scienza- Ciò si discuopre dalla cortesia del
saluto, eh* essi gli fecero , e dal sorrider , che ne fece Virgilio
; poiché quel sorrise di tanto altro sicuramente non vuol signiBcare
, che di questo , cioè di tcmto che fu fatto. Nè quei grandissimi spiriti
si sarebbero mossi a far tanto di onore a Dante , se da Virgilio non ne
fosse loro stata fatta un* assai onorevol testimonianza, della quale
essendo frutto il cenno salutevole, esso ne sorride per compiacenza
di vedere , quanto fossero «tate autorevoli le sue parole. V. ICO.
E più d’onore assai ancor mi fenno ; C/f ei si mi fecer della loro
schiera, St eh’ V fui sesto tra cotanto senno. Cosi n andammo
insino alla lumiera, Parlando cose , che ’l tacere è bello ,
Si co/u era' i parlar, colà dop’ era. 6j Cauto
A chi noD aTCMC ancora Bnito d’ intendere quel , che Virgilio
ditcorreHe con Omero, e con gli altri tre, Dante con questi tenerti
finiace di dichiararlo , volendoci in austanza dire, che da quello, che
diaae di ane lodi Virgilio, fu di comun conaentiuiento giudicato
degno d' eaaer nirsao nella prima riga, e ai annoverato tra' mag-
giori poeti , eh* abbia avuto il mondo. Più dilhcile iin. presa stimo , che
sia I' indovinare quello , eh’ e’ discor- ressero in sesto , poiché Dante
si fu accoppiato con esso loro, non aprendosi egli ad altro, se non di'
e' parlaron cose , delle quali A bello il tacere , com' era bello
il parlare colà , dov' egli era. I commentatori hanno avuto in tal
veocrazione quest' arcano , eh' e' non si son pur anche ardili e spiarlo
con l' immaginazione. A me quadra molto un pensiero sovvenuto al
sottibssimo ingegno del Rifiorito. Stima egli, che tutto il discorso
fosse in lodar Dante, e perchA mostra, che ancor egli favellasse,
men- tre dice , v. io3. andammo infino alla lumiera.
Parlando cose , che ‘l tacer è hello. Il suo parlare non fu
per avventura altro , che recitare qualcuna delle sue canzoni , secondo
che da que' poeti ( siccome s' usa per atto di gentilezza ) ne fu
richiesto. E ciò non solamente torna bene al costume , ma ( che più
si dee attendere ) al sentimento de' versi ; essendo verissimo, che orala
modestia fa diventar bello il tacere quello, che allora bellissimo era a
parlare. V. Ila. Centi v' eran , con occhi tardi e gravi,
Di grand' autorità ne’ lor sembianti : Parlttvan rado , e con voci
soavi. Digilized by Google QUARTO. 63
Quello tertetto paò lerrir di norma a qualunque pi> glia,
deicrtvendo, a rappreiencare il coitnme di gran perionaggio.
V. il5. Traemmoei co/l dalF un de' canti In luogo aperto ,
luminoso , ed alto ; Si che veder si potén tutti quotili.
Dal dire, eh' e' li trauero da un canto del caatello, ai convince
manifeicamente , eh' ei non era murato a tondo, come alcuni si
persuadono, e fra gli altri il Vel- lutello : tanto pid eh' e' non si può
nè anche dire , che il castello era tondo bensì, ma che v' erano
diverse piazze o strade , le quali venivano a formar degli angolii
poiché non pare, che Dante figuri questo castello per altro , che per un
dilettevol prato intorniato di mura ; e s' ei potè mettersi in luogo da
poter veder tutti quanti , chiara cosa è , eh' e' non vi doveva essere
impedimento di mura, o di case, o d'altri edifizj. A tal che questo
canto, dond' e' si trassero Dante e Virgilio , mostra , che la pianu
delle mura non dovea esser circolare. Molto meno è veriiimile , eh'
elleno abbracciaiser il foro della valle, come è opinione cfalcuni, i
quali si lon falsamente immaginati, che tutto il piano dello scaglione
del Limbo fosse diviso , come in due armille concentriche , una
ester- na e maggiore, dove non arrivasse il lustro della lumiera, e
quivi stessero l' anime degl' innocenti morti senza bat- tesimo sospirando
continuameote , onde dice , v. a6. ffon avea pianto , ma che di
sospiri , Che laura eterna facevan tremare. minore
l'altra ed interna , ed illustrata dalla lumiera , è questa facesse prato
al castello de' Savj e degli Eroi. £ 64 Canto invrrUimile
I dico , tal optDÌone. Prima , perchè in pro> porzione dell* altr*
anime del Limbo y piccolisaimo è U numero di quelle* che sono ammesse per
tspecialissima grazia dentro al delizioso castello ; per lo che*
rimanendo loro un luogo sì vasto , vi sarebbero seminate più rade
che per un deserto. Secondo* perchè in qualunque luogo del prato si
fosser tratti Dante e Virgilio* posto die nel centro non potessero starvi
per essere sfondato * e ter- minar ivi la sboccatura del secondo cerchio
* sarebbe •tato impossibile discemer tutti quanti* a non supporre*
eh* e* sì fosser ridotti tutti in un mucchio vicino all* en- trata *
perchè da distanza assai minore , che non è quella del solo semidiametro
di questo prato * a farlo cale * qual se lo figurano costoro , si
smarrisce di vista un uomo dì statura ordinaria. Direi dunque * che il
castello fosse da una porle del piano o pavimento del Limbo * e che
per avventura nè meno arrivasse con le mura in su la sboc- catura
del secondo cerchio- E che sia *1 vero* usciti eh* e’ ne furono*, dice
Dante, eh* e* tornarono nelf aura* che trema* cioè in quella, dove
sospirano i padani in- nocenti, che l'aura eterna farevan tremare. Che se
per lo contrario il castrilo fosse stato abbracciato dall* armilla
esteriore* per discender nel secondo cerchio, non oc- correva, eh’ c*
ritornassero in quella, dove l’aria tre- mava. Kè vale il dire* che per
aria tremante si può in- tender anche l'aria del secondo cerchio; perchè
la sua agitazione (si come vedremo nel seguente canto) era altro
che un semplice tremare, dicendo il poeta di questo cerchio, v. a8.
J* venni in lungo <t ogni luce muto , Che mugghiai come fa
mar per tempesta, S" e* da contrari venti è combattuto.
Digilized by Google QUARTO. 65 Ecco dunque, che
il catCello era tutto dentro all* orlo del Limbo io su la mano , tu la
qual camminavano : e torna ottimamente allo scemarti la sesta compagnia
in due , essendo Omero , Orazio , Ovidio e Lucano rimasti dentro al
castello , e Dante e Virgilio essendone usciti o per altra porta, o per
la medesima, ood* erano en- trati , ma voltando all* altra mano , e
incamminandosi per altra via da quella, ond' erano venuti. Così si
condus- sero, dov' era il passo per discendere nel secondo cer- chio
; si come vedremo nel canto seguente. Dìgitized by Google
INFERNO. CANTO QUINTO. ARGOMENTO.
Xl }>eccato , che ii punisce in questo secondo cerchio , è la
lussuria, come il più compatibile all' umana fragilità, c per avventura
il meno grave. Fmge il poeta di tro- vare al primo ingresso Flinos
giudicante 1' anime. Di poi passa più oltre , e vede la pena de'
peccatori carnali , la qual dice essere un furiosissimo , e perpetuo nodo
di vento , il qual rapisce , e porta seco voltolando in giro queir
anime. Virgilio gliene dà a conoscere alcune , che erano già state al suo
tempo , ma di Francesca da Ra- venna intende dalla sua propria bocca la
cagione della sua morte , e insieme di quella di Paolo suo cognato ,
con r ombra del quale si raggirava per 1' aria del se- condo
cerchio. V. I. Cori discesi del cerchio primajo Giù nel
secondo , che men luogo cinghia, E Scatto più dolor, che pugne a
guajo. Digitized by Google 68 Canto ^
Discesi ; Io Dante diacesi. Men luogo cinghia ; si di- mostra
peripatetico f ponendo il luogo, distinto dall* esteiH sione della cosa
locata. Quindi è , eh* ei dice il pavi- mento del secondo cerchio
cignere, abbracciare, occupar minor luogo, in sostanza girar meno del
primo, secondo che per lo digradar della valle gii\ verso il centro
si discendeva. Così veggiamo ne* teatri dalla lor sommità i gradi
infmo all' iullmo venire , successivamente ordinati , sempre risirignendo
il cerchio loro. C ben vero , che quanto meno luogo cinghia, contiene in
sè altrettanto più di dolore, che non fa il primo. Poiché, dove
quello per esser solo dolor della mente , svapora in sospiri ,
questo, che alFligge il senso, pugne a guajo , cioè arriva a trar guai ,
pianti e lamenti dolorosissimi. Y. 4. 5 rauvs Afinos orriòilMente «
e ringhia. Qui orribilmente ha forza di esprimere P orrida
resi- denza , il tribunale formidabile , la fiera accompagnatura
de* ministri , e forse il ferocissimo aspetto dell* infernal giudice.
Bocc. Fdoc. Kb. 6 , 42. Quivi ancora si veggono tutti i nostri Iddìi
onorevolissimamente sopr ogn altra figura posti. Dove notisi , che per 1
* avverbio onorevolis^ simamenie ci dà ad intendere la preminenza del
luogo , quanto la ricchezza degli ornamenti sacri , ed ogni altra
nobile accompagnatura pertinente al culto degli Dii sud- detti. Ringhia:
accresce lo spavento, dicendosi il ringhiare de* cani , quando irritati,
digrignando i denti « e quasi brontolando, mostrano di voler
mordere. V. 6. Giudica , e manda , secondo eh* awvinghia.
Qui avvinghiare per cignere. Ciò che Ninos ai ci- gneise , viene
spiegato appresso. Digitized by Google 69
QUINTO V. IO. Vede qu«l luogo Inferno è da essa.
Da in luogo di Per, ed esprime attitudine , proprietà, c
convenevolezza. Cioè qual luogo d'infemoèprr essa, o vero convenevole ad
essa. Veggasi di ciò il Cinonio. V. li. Cignesi con la coda tante
volte ^ Quantunque gradi vuol ^ rAe sia messa. Conosce
il poeta T obbligo, ch'egli ha d* uscire il piti eh* ci può dall’
ordinario , rispetto al luogo , e a* perso- naggi , eh’ egli ha alle
mani. Quindi va trovando maniere strane ed inusitate di significare ì
loro concetti ; come in questo luogo fa, che Minos si cinga tante volte
la coda, quanti gradi hanno a collocarsi gid 1 * anime con-
dannate. Quantunque per quanto , nome indeclinabile. Bocc. introd. n. i.
Quantunque volte , graziosissime donne ^ meco pensando riguardo
ecc. V. i3. Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: Vanno
^ a vicenda y ciascun al giudizio: Dicono , e odono , e poi son giù
volte. In questi tre versi è compresa un* esattissima e
pun> tualissima forma di giudizio. V. a3. Vuoisi cosi colà
» dove si puote Ciò che si vuole ; e più non dimandare.
Le stesse parole per appunto furono usate da Virgilio a Caronte nel
canto terze, v. 9 S. V. a 8 . t venni in luogo d* ogni luce
muto. Notisi , come stando sempre su la medesima bizzarra
traslazione d* attribuire il proprio della voce al proprio della vista ,
va continuameDte crescendo» Nella selva , ~e Casto
dove r oicurit.\ e T ombra erano accidentali per l' im- pedimento
de' rami e delle foglie , diwe aolamcnte tacerai la luce , V. 6o.
Mi ripigneva là , dove 'I sol tace. Nell* atrio dell' Inferno
dà al lume aggiunto di JSoco , ac- cennando io tal guiaa , non eaier ciò
per accidente > tua per natura ; cauto HI , v. 75. Com’ io
discerno per lo fioco lume. Qui finalmente , dove a' ò innoltrato
nel profondo della valle, muto lo chiama; e vuol denotare, che le
tenebre di queato cerchio non aono accidentali , nè a tempo , nè
aaaottigliate da qualche apruzaolo di languidiaaima luce, ma apeaae ,
folte , oatiuate , ed eterne. V. 3l. Za bufera infernal , che mai
non retta. Mena gli spirti con la tua rapina: Voltando , e
percuotendo gli moietta. Il Buti definiace eoa! : Bufera è
aggiramento di venti , lo qual finge l’ autore , che sempre sia nel
secondo cerchio dell" Inferno. A chi pareaac queata voce o poco
nobile , o troppo atrana, ricordiai , che ai parla d' un vento in-
fernale , e che merita maggior lode il cercar la forza dell' eapreaaione
, che 1' ornamento delle parole ; ed è queata una pittura , che non
richiede vaghezza di colo- rito , ma forza; e tanto piti è bella, quanto
è meno liaciata ; estendo il naturale coti risentito , che non può
bene imitarsi , te non è fatto di colpi , e ricacciato ga- gliardo di
sbattimenti. Questa bufera adunque leva e mena gli spiriti con due
movimenti. Con uno gli aggira secondo il corto della tua corrente, che va
turno torno Digitized by Google ^UIHTO. 71
al cerchio ; con F altro ( e ciò fallo con la sua rapina , cioè col
tuo grandissimo impeto ) li va voltolando in lor medesimi. Cosi veggiamo
la pillotta e '1 pallone , i quali, se vengono spinti lentamente per
Taria, son por- tati con un solo moto ^ che è secondo la linea della
di- rezione del lor viaggio , ma dove urtino in muro , od in legno,
osi, cadendo in terra, ribalzino mcontanente, ne concepiscono un altro ,
Bglio di quel novello impeto , che gli aggira intorno ai proprio
asse. V. 34. Quando giungon dinanzi alla mina ; Qmvi le
strida t il compianto t e*l lamento'. Bestemmian quivi la virtù
divina. Qual sia questa rovina, i commentatori non lo dicono
, o se lo dicono, io confesso di non intendere quello che dicono.
Crederei, che per rovina intendesse T autore il dirupamento della sponda,
giù per la quale egli era ve- nuto ; e che questa fosse la foce , d' onde
metteise il vento , il quale foue cagione di maggiore sbatiimento a
quelle pover* anime , che vi passavano davanti. A simi- litudine d* un
legno o d'altro corpo , cui la corrente d'un fiume ne meni a galla , il
quale, se s* abbatte a passare, dove sbocca un torrente, o altra acqua,
che caschi con impeto da grand'altezza, questa se se lo coglie sotto
^ lo tuffa e rìtufia per molte fiate , e in qua e in lè con mille
avvolgimenti T aggira , e strabalza , in fin tanto eh' ei non è uscito di
quella dirittura , e non ha ritro- vato il filo della nuova corrente. Di
dove, e come possa quivi nascer questo vento , vedremo allora , che si
dirà della fiumana dell' eterno pianto, di cui nel canto se- eondo
mi rìserbai a discorrere in altro luogo* 71
ClISTO V. 40. E (ome gli stornei ne portan F ali Nel
freddo tempo a schiera larga e piena ; Così quel fiato gli spiriti
mali. Brllisùma iimiUtudlne , e cavata ( «ì come la «cgitcnte
poco appretto delle gru) con finitsimo accorgimento da animali tenuti in
niun pregio , e per ogni conto vilittimi. V. 43. Di qua , di là ,
di giù , di tu gli mena : Nulla speranza gli conforta mai Non che
di posa , ma di minor pena. Eipretiione felicistima ed inarrivabile
di quel tormento , e che vince quati il vedere ttetto degli occhi.
V. 48. Cori viiF io venir , traendo guai , Ombre portate
dalla detta briga. Qui briga vai lo ttetto che noja, fattidio,
travaglio; e briga preto nello ttetto significato d’ agitamento di
venti. Farad, can. Vili , v. 67. £ la bella Trinacria , che
caliga Tra Pachimo e Petoro sopra '/ golfo , Che riceve
da Euro maggior briga. cioè sopra ’l golfo , eh’ è più battuto
dallo scirocco. V. Si. Genti, che faer nero ri gastiga^
Corrisponde al detto di sopra, v. 18. I' venni in luogo iT ogni
luce muto. E cerumente la pena de’ carnali è pena data loro dall’
aria , poiché l’aria col solo agitarsi si li tormenta. V. 54.
Pu Imperadrice di motte favelle. Ebbe imperio sopra nazioni , che
parlavano diversi idiomi. Modo usato altre volte da Dante : distinguere ,
o Digitized by Google QUINTO. 73 denotare
i paeii dalle lingue , che vi ai parlano. Infer. cant. XXXIII , V.
79. Ahi Pila , vituperio delle genti Del bel patte là,
dove 'I ri tuona. V. 55 . A vizio di Lutturia fu ri rotta.
Che ’l libito fe' licito in tua legge , Per torre ’l biatmo ,
in che era eondoita. Aaaai è nota la legge della diioneatà
promulgata da Semiramide , per cui ella penaò di aottrarai all'
infamia de’ suoi vituperj. A vizio di Lutturia fu ri
rotta. Forma di dire assai singolare. V. 60. Tenne la
terra , che ’l Soldan corregge. Dice il Daniello , che Dante in
questo luogo piglia un equivoco ; e che abbia voluto dire, Semiramide
aver regnato in Egitto, ingannato dal nome di Babilonia, con cui
nel suo tempo chiamavasi volgarmente il Cairo , allora signoreggiato dal
snidano , non rinvenendosi dell' altra Babilonia fabbricata da Semiramide
nell’ Astiria. Di questo errore pretende scusarlo con fargli nome di
licenza lecita a pigliarsi da' poeti grandi, tra' quali gli dà per
compa- gno Virgilio in un certo patto , non so già quanto a pro-
posito , e con quanta ragione. Se io avesti a esaminarmi per la verità
dell' intenzione , che io credo , che abbia avuto Dante ; direi forte
ancor io , come il Daniello : tanto più che in que' tempi non ti aveva
coti esatta no- tizia della geografia, che sia sacrilegio l'ammettere,
che un poeta anche grandissimo abbia preso un equivoco in- torno a
una città, nella quale era facilittimo l’equivocare, 6
74 Cauto intrndendoii allora comuneniente per Babilonia
quella d'Egitto; ticcome oggi per Lione templicemente ('inten-
derebbe sempre quello di Francia, e per Vienna quella di Germania; e
quanto a questo, che Babilonia vi fosse in Egitto, e che fosse la stessa,
che dagli Europei si chiama oggi il Cairo , l' afferma Ortelio.
Il Boccaccio nel Decamerone, di tre volte, che nomina il Soldaoo ,
intende sempre quello d' Egitto ; e Dante stesso nell' XI del Farad. , t.
loo. E poi cht per la sete del martiro Alla presenza del
Soldan superba , Predici) Cristo , e gli altri , che 7
seguirò. Farla di S. Francesco , il quale i certo , che parla
del Soldano d' Egitto , e non di quello di Bagadet. Il Fe- trarca
dice anch' egli nel Sonetto; L'avara Babilonia ecc. non so che di
Soldano. 1 commenti l' intendono per quel d' Egitto ; e il Gesualdo , se
non erro , lo cava da una sua epistola , nella quale fa menzione delle
due Babilo- nie , d' Egitto e d' Assiria. Ma chi volesse
anche sostenere, che Dante non abbia errato , potrebbe farlo con dire ,
che per Soldano intese quegli stesso , che nel suo tempo signoreggiava la
vera Babilonia di Semiramide , essendo la voce Soldano nome di
dignità, e perciò convenevole ad ogni principe; e da Cedreno si raccoglie
essere stata comune ancora ai Co- liifi di Soria , particolarmente dove
parla di uno di essi, che ebbe guerra con Alessio Comneno. Siccome e
con- verso il Soldano d' Egitto aveva titolo di Cohffa , prima che
dal Saladino fosse unito l'un, e l'altro titolo insieme, quando egli di
semplice Sultano , eh' egli era , diventò Fun e l'altro, avendo ucciso il
ColilTa nell' andar a pigliar Digitized by Google 9 0
IRTO. 7$ da lui lecoudo il lolito l' ioicgne di Soldano. Fu
anche Soldano titolo d' ufTizio coinè ai cava da quoto luogo del
Ponti 6 cale romano citato dal Meunio ; Circa Ponti- fiiem , aliquando
ante , aliquando poit , equilabat Mare- icallus , siile Soldanus
Curiae. lila per vedere adeiao , con quanta poca ragione il
Daniello tacci Virgilio d’un timigliante equivoco , laiciaio di
riapondere a quello eh’ ei dice , che egli nel Sileno confondeaae la
favola d* lai e di Filomena , e nel terzo della Georgica acambiaaae
Caatore da Polluce , nel che vien Virgilio difeao molto giudiziosamente
dalla Cerda , vediamo il terzo equivoco notato dal aoprammentovato
apositore di Dante ne’ seguenti versi dell' Egloga del Sileno , T. 74
. Quid loquar? aut tcyllam Nisi? aut quamfama secuta est.
Candida surtinctam latrantihus inguina monstris, DutUhias ue rosse rales,
et gurgite in allo, Ah, timidos nautas canibus lacerasse marinis
? Qui dice il Daniello , senza allegarne alcuna ragione , che
Virgilio equivoca da Scilla hgliuola di Forco e d'Ecate, o, cum’ altri
vogliono, di Creteide, a quella figliuola di Niso re di Megara. Io credo
però di ritro- varla , e dubito che si possa dir del Daniello nella
spo- sizione di questo luogo di Virgilio, quello che di Virgilio
disse il Berni nell' imitazione di cpiell’ altro d’ Omero ; Perch’
e' m hem detto , che Virgilio ha preso Un granciporro in quel verso d
Omero, Chi egli , con reverenza , non ha inteso.
Noteremo dunque di passaggio , come bisogna , che quest’ autore si
sia cieduto , che Virgilio parli d’ una 76 C A H T O
loU Scilla , e che a queita attribuendo i moitri marini , e r
ingordigia degli altrui naufragi , liaii dato ad intendere , eh' egli
abbia voluto dire di quella di Forco 1 ond* egli nota r equivoco in
quelle parole : Quid loquar ? aux tcyllam Nisi ?
Sapendo, che Scilla figliuola di Niao fu cangiata in uc- cello , e
fu , come altri vogliono , appiccata alla prora della nave dell’ amato
Minoi) e finalmente gettata in mare, e non mai trasformata, come quella
di Forco, in moitro marino. Ma la verità ai à, che Virgilio intese
di parlare dell' una e dell' altra Scilla; e, toccando di pas-
saggio quella di Niso, si ferma a discorrer più diffusa- mente dell'
altra di Forco , come dalla lettura del luogo è assai facile a
comprendere ; ma forse il Daniello non s’ avvide di questo passaggio , e
trovandosi inaspettata- mente nella favola di Scilla di Forco, la
credette vestita a quella di Niso , equivocando egli medesimo nell'
equi- voco immaginato di Virgilio. V. 61. L'altra è colei,
che e’ aneUe amorosa, E ruppe fede al centr di Sicheo.
Didone , seguendo in ciò anch' egli 1 ' orribile anacro- nismo , ed
accreditando T infame calunnia d' impudiciaia datale da VirgUio. Eneide
IV, v. SSa. IVon servata fides eineri promissa SUhaeo.
V. 64. Siena vidi, per cui tanto reo Tempo ti volse.
Tocca di passaggio, e con maniera nobilissima la guerra de’ Greci ,
e l' ultime calamità de’ Trojani, Digitized by Google
71 Q U I » T O. V. 69. CK amar di nostra vita
dipartille. Della morte delle quali fu cagione Amore
illecitOi V. 7». i' cominciai ; Poeta , volentieri
Parlerei a que‘ duo , che ’nsieme vanno , E pajon st al vento
esser leggieri. Gli accoppia ioaieme , perchè iniieme avevano
peccata. S’accorae, ch’egli erano leggieri al vento , dalla facUitè
, anzi dalla furia, con la quale il vento li portava; e ciò molto
convenientemente, atteao il loro gravitaimo peccato , eaaendo atati per
affinità al atrettamente con- giunti, come più abbaaao udiremo.
V. 78. Per quell' amor, eh' ei mena, t quei verratmo. Per
quell' amore , eh' e' ai portarono , il qual fu ca- gione di queato loro
eterno infelice viaggio. Efficaciaaima preghiera , e convenientiaaima a
due amanti , acongiurarli per lo acambievole amore. Y. 80 O
anime afannate. Aggiunto di mirabil proprietà, e aenza dubbio il
più proprio , che dar mai ai poaaa ad anime tormentate da ai latta
pena. ' V. 8a. Quali colombe dal disio chiamale Con f
ali aperte e ferme al dolce nido Volan per F aere dal voler
portale. Grazioiiaaima aimilitudine , e piena di tenero e
com- paaaionevole affetto. Nè traendola Dante da coti gentili
animali , quali anno le colombe , vien a intaccar punto della lode , che
le gli dette poc’ anzi , per aver para- gonato gli apiriti di queito
cerchio agli atomelli e alle ^8 Cauto gru, 1’
una e l’altra ignobile «pezie d'uccelli, poicliè in ciueato luogo ha
maggior obbligo di far calzar la similitu- dine all' andar di compagnia,
che facevano i due amanti, il che ottimamente si ha dalla comparazione
delle co- lombe , che ad avvilire con un paragone ignobile quegli
spiriti in generale, come fece da principio. Del resto gli ultimi due
versi di questo terzetto posson aver due sen- timenti, l’un e l’altro
bello. Il primo è: Con Vali aperte * ferme al dolce nido volan per Vaere
, cioè volan per l’aere con l’ali aperte o ferme, cioè diritte al dolce
nido; o vero volano al dolce nido con l’ali aperte e ferme ,
descrivendo in cotal guisa il volo delle colombe, quando con l'ali tese
volano velocissimamenie senza punto dibat- terle, e in questa maniera di
volare par che si ratb- giiri un certo non so che pid di voglia e di
desiderio di giugnere. V. 88. O animai graziosa e benigno
, Che visitando vai per V aer perso Noi, che tignemmo'l mondo
di sanguigno. Ninna cosa odono o parlano pid volontieri gli
annuiti che del loro amore. Quindi è , che quest’ anima chiama
Dante grazioso e benigno per atto di gentilezza usatole in darle campo ,
raccontando i suoi avvenimenti , di dar alquanto di sfogo al dolore. Per
V aer perso. Il perso è un colore oscuro , di cui lo stesso Dante nel suo
Con- vivio sopra la canzone Le dolci rime ecc. dice esser com-
posto di rosso e di nero , ma che vince il nero ; e Inf. caut, VII, V.
io3. L' acqua era buja molto più , che persa. Digitized
by Google QUINTO. 79 V. 90. Noi che lignemmo il
mondo di ttmguigno. Scherza in la contrarietà di queiti due colori
; Fai visitando per F aria di color perso noi , che , per eaiere
arati ucciai in pena del noatro Callo , tignemsno il mondo di color di aangue.
V. 94. Uh Jttel , che udire , e che parlar ti picKe : Noi udiremo ,
e parleremo a vui. Non ì gran coaa (dice aaaai giudiiioaamente il
Landino) , che coatei a’ indovinaaae di quello , che Dante deaide-
rava d' udire. Una , perché di niun' altra coaa , fuori che de’ auoi
avrenimenti , potea ragioneTolmente cre- dere , eh* egli aveaae curioaità
di domandarla ; 1' altra , perché il coatume degli amanti é creder, che
tutti ab- biano quella voglia, che hanno eaai d' udire e parlare
de’ loro amori , tanto che aenza forai molto pregare non fanno careatla
di raccontarli anche a chi non ai cura aiperli. Che riapondeaae la donna
pid tosto che l’ uomo, ciò é molto adattato al coatume della loro
loquacità e leggerezza. V. 96. Mentre che ’/ vento , come fa
, si tace. n ripoaarai del vento non é coaa impropria , anzi
é accidente confacevole alla natura di quello , dimoitran- doci r
eaperienza , che egli non aoffia con aibilo con- tinuato , al come
corrono i fiumi , ma a volta a volta ricorre, come fanno Tonde marine.
Oltre che non aa- rebbe inveriaimile il dire , eh’ ei ai fermaaae per
divina diapoaizione , acciocché Dante potesse ammaestrarsi nella
considerazione di quelle pene , e riportar frutto dal suo prodigioso
viaggio. Per questa ragione vediamo nel canto IX spedito un angelo a
fargli spalancar le porte della 8o Canto cittì
di Dite, e altrove molt’ altre graxie tingolariuime, le quali la bontà
divina gli concedè, per condurlo final- uiente alla contemplazione della
aua euenza. V. 97. Siede la terra , dove nata fui , Su
la marina , dove ‘I Pò diicende Per aver pace co' teguaci tui.
Bavenna ; poco lontano dalla quale il Po inette nel- r Adriatico.
Discende per aver pace co’ sui seguaci. Ma- niera veramente poetica.
Dicono alcuni , per aver pace , cioè per trovar pace in mare della
guerra, ch'egli ha nel auo letto da' fiumi tuoi teguaci ; perocché ,
fecondo che quelli tgorgano in lui , lo conturbano e P agitano ,
onde ti può dire, che gli facciano guerra. Ma te Dante volette ttar tu
l’allegoria di quella guerra, non li chia- merebbe legnaci ; poiché ,
fintante che uno è teguace d’ un altro , non gli fa guerra, e ,
facendogli guerra, non |i può chiamar più teguace. Diremo dunque , eh' ei
vo- glia dire , che il Po co' tuoi teguaci diiceode in mare per
ripoiare dal lungo corto , eh' ei fa , per giugnervi , a fine di unirai
come parte al tuo tutto , eitendo queita unione la lola pace , alla quale
tutte le creature tono d.a inviiibil mano guidate. Veduto della patria ,
è ora da vedere chi folte coitei, che favella con Dante; per Io che
è da taperii , che quetta è Francetea figliuola di Guido da Polenta
tignor di Ravenna ; la quale , eitendo ttata dal padre mariuta a
Lanciotto figliuolo di Malatctta da Rimici , uomo valoroto in vero , e
nella teienza e inaeitria dell’ armi eiercitatittimo , ma zoppo e
deforme d' atpetto troppo più che ad appajar la grazia e la de-
licatezza di conci non era convenevole, fu cagione, che ella t'
invaghiate di Paolo tuo cognato , il quale non Digitized by
Google QtllJITO. 8l meno grazioio , e arvenente
del corpo , che leggiadro dell’ animo e de' coatumi , del di lei amore
ferventiiii- mamence era preao4 Ora arvenne ^ che , mentre , tcam-
bievolmence amandosi , in gran piacere e tranquillità si Tiveano ,
indistintamente usando , appostati un giorno da Lanciotto , furono da
esso colti sul fatto, e d'un sol colpo uccisi miseramente. V.
ICO. jimor , eh’ al cor gejuU ratto s' apprende. Prete costui della bella
persona , Che mi fu tolta, e '/ modo ancor m' offende.
Platone nel Convivio , tra le lodi , che dà Agatone ad Amore , dice
eh’ egli i ancora delicatissimo , argumentan- dolo da questo , eh’ egli i
ancor più tenero e gentile della Dea Ati , cioè della calamità , la quale
esser mollissima a delicatissima / argomentò Omero dal vedere , che ella
, schifando di toccar co’ piè terra , si tiene per t ordinario in
tu le lette degli uomini. Iliad. T, v. 93. .... Tvt pio 9 * ateahol
sróStc iv fàp in' ovSit nlAra^as , <2 A A’ apa f/j'S xai^ óvfpóv
xpoara fiaùani. Ma amore non solamente non mette mai piede in terra
, o in tu le teste , le quali , a dire il vero , non sono molto
toffei , ma di tutto V uomo la parte più gentile calpesta , e sceglie per
tua abitazione. Negli animi dunque , e ne’ temperamenti degli uomini, e
degli Dii pone il tuo trono Amore ; nè ciò fa egli alla cieca , e senza
veruna distin- zione ■ in ogni sorta <t animo la sua tede locando ,
ma quelli solamente , che in fra tutti gli altri p'ut gentili tono
, e pieghevoli con delicatissimo gusto va ritcegliendo. suStò 9
fizaiipii(;ipfits 6 pi^a tixpiipiusnpi *Epura Xtc araAòc óv qdp iirì TÙt
fiaivit, ovff tiri npavietr. 8a Cahto ( S, larn
iravv fiaX«ut<i) cy roif fMi^xararoig TS* S*T»T> KoÀ fiaivti Koì
oisut' iw )'àf> v6$at KOÌ XM àiiUpixfn rhf Sixqffiv iSpvxau,’
»ai oò» av f{>7( ir xóacui rati dXÀ,’ ^ riti iv vKXtipòv vio(
i;^ot<rv >* ’^XP dxtp^^iToi' ^ 9’ àt ftoAouiùy, oÌKÌ(ixcu.
£'l Petrarca nel toaetto : Come't ccmdido piiecc., ri- cavando con
maniera più morbida lo ateaao originale, fini di copiarlo anche nella
parte tralasciata da Dante , che rijguarda 1' avversione , che Amore ha
ordinariamente agli animi rosai e dori , dicendo : Amor , che
tolo i cuor leggiadri invesca , Nè cura di mostrar sua forza
altrove. E nella canaone; Amor, se vuoi, eh' io tomi ecc. ,
par- lando con Amore, tocca leggiadramente in ogni sua parte il
sopraccitato luogo di Platone , dicendo dell’ impeWo , eh' egli ha non
meno sopra gli Dii , che sopra gli uo- mini , con questi versi :
£ s’ egli è ver , che tua potenza sia Nel Ciri s) grande , come si
ragiona , E neir abisso ( perchè , qui fra noi Quel che tu
vali e puoi , Credo, ehe’l senta ogni gentil persona).
V. loi. Prese costui della bella persona , Che mi fu
tolta. Lo prese del bellissimo corpo , che mi fu spogliato
dalla morte , e ’l modo ancor m’ offende , perchè mi fu ' data
violentemente, e mentre mi suva tra le braccia del caro amante.
Digitized by Google 83 Q D I H T O.
V. io3. jimor , eh' a nullo amalo amar perdona , Mi prese del
costui piacer sì forte , Che , come vedi, ancor non m'
abbandona, Belliiiiina repetizione : Àmor , eh' al cuor gentil
ratto s' apprende, prese cosuù come gentile. Amor, eh' a nullo
amalo amar perdona, prese me come amata. Mi prese del costui piacer , del
piacer di costui. Costui nel secondo caso senza il suo segnò si trova
spesse volte usato dagli autori. Veggansene gli esempi presso il Cinonio.
Questo lungo può aver doppio significato. Hi prese del piacer di
costui, cioè del gusto, del piacimento , della gioja d’amar costui ; e mi
prese del piacer di costui , cioè del piacer che io faceva a costui, e
questo corrisponde ottimamente al detto poco innanzi : Autor , eh' a
nullo amato amar perdona ; mostrando non tanto essersi innamorata
per genio , quanto per vaghezza d' accorgersi di piacere e d’ esser
amata, e per cert' obbligo di gentil corrispondenza. V. io6. Amor
condusse noi ad una morte. Arroge forza con la terza replica , e con
grandit- aim' arte diminuisce il suo fallo , rovesciando sopra di
amore tutta la colpa. Tib. lib. l .° el. VII , v. aq. Non ego te
laesi prudens : ignosce fatemi, lussi! amor. Contro quis ferat arma Deos
? E'I Boccaccio, giornata IV, nov. I, conducendo GuU scardo
alla presenza del Principe Tancredi , non gli sa porre in bocca nè altra,
nè piò forte difesa per iscusar sè , che r incolpare Amore. Il quale (
cioè T.ancredi ) , tome il vide quasi piangendo disse : Guiscardo , la
mia benignità verso te non uvea meritato l'oltraggio e la
84 Casto vtrgogna, la quale nelle mie cose fatta m' hai;
eiccome io oggi vidi con gli occhi miei. Al quale Guiscardo niun
altra cosa ditte < te non questo : Amor può troppo più , che nè io ni
voi pottiamo. V. IO/. Caina attende chi'n vita ci spente.
Calila è la g)iiaccia, dove nel canto XXXII vedremo euer paniti
coloro , che bruttaron le mani col sangue de’ lor congiunti. Dice dunque
, che questa spera detta Caina sta aspettando Lanciotto marito di lei , e
fratello di Paolo , che fu il loro uccisore. V. Ila O latto
, Quanti dolci pentier , quanto detto Menò costoro al
dolorato patto ! Tenerissima riflessione , e propria d* animo
gentile , ma che non s’ abbandona a soperchia vilU col dimostrar
dolore. E qui notisi , come Dante per ancora sta forte all’ assalto della
pietA , la cui guerra si propose di voler sostenere al principio del
secondo canto, v. l. Lo giorno te n andava , e f aer bruno
Toglieva gli animai , che tono in terra Dalle fatiche loro; ed io Sol
uno M' apparecchiava a tottener la guerra fi del cammino , e sì
della pietose. £ che ciò sia’l vero, dopo eh’ ei non potò pid
rattener le lagrime , dice , che in questo pietoso oflìcio egli era
insieme, v. 117, tristo e pio-, dove mette in considera- zione , se quel
tristo si potesse in questo luogo intendere per iscellerato , malvagio ,
empio , e non per malcontento, mesto , e maninconoto , come vien preso
universalmente , Digiiized by Google QUINTO. 8S
e (1 come io con gli altri concorro a credere etier re-
ritirailmeote alata l' intenzione del poeta. Pure nel primo •ignificato
abbiamo nel XXIV dell* Inf. triatitiimO) r. 9I. Tra qutJt’ iniqua e
trutitiima copia Correvan genti ignude e spaventate. E di
vero tristo in aendmento d’ empio (a un belliatimo contrapposto con pio ,
venendo a estere il poeta in un medesimo tempo empio per compiagner la
giusta e do- vuta miseria de’ dannati , del cbe nel XX di questa
can- tica si fa riprender acremente da Virgilio, e gli la dire, che
è sciocchezza averne pietà , e somma scelleraggine aver sentimenti
contrarj al divino giudicio, che li pu- nisce , V. a 5 .
Certo V piangea poggiato a un de' rocchi Del duro scoglio , zi che
la mia scorta Mi disse : Ancor se' tu degli altri sciocchi ?
Qui vive la pietà-, quandi è ben morta. Chi è più scellerato
di colui, Ch' al giudicio divin passion porta ? Driaza
la letta , drizza ; e vedi , a cui ecc. E pio poteva dirsi il poeta
, per non poter vincere la naturai violenza di quell' affetto, che contro
a tua voglia lo cottrìgneva a lacrimare ; dove pigliando tristo in
si- gnificato di metto, avendo di già detto', eh' ei lacrimava, vi
vien a esser superfluo ; e non solamente tristo , ma pio ancora ;
chiarissima cosa estendo , che chi piange r altrui miseria , n' ha
rammarico e compatimento. V. lao. Che conosceste i dubbiosi desiri
? Pubiioti per non esserti ancora l’ un F altro diKoperd.
86 Canto V. I3I. Ed ella a me; nerrun
maggior dolore. Che ricordarsi del tempo felice Nella miseria
, e dà sa il tuo dottore. Quella lentenaa h di Boezio nel lecondo
libro de Consol. proia IV, Le lue parole iodo : In omni aduer si-
tate fortuna» infelùissimum genus inforlunii est , fuisse felieeiu. Tanto
che questa volta per il tuo dottore non debbo intendersi Virgilio, come,
dal Daniello in fuora, quasi tutti gli altri si sono ingannati a credere
, ma lo stesso Boezio , la cui sopraccitata opera Dante nel suo
esilio aveva sempre tra mano , e leggeva continuamente ; onde nel suo
Convivio scrive queste formali parole : Tuttavia , dopo alquanto tempo ,
la mia mente , che i ar- gomentava di sanare , provvide ( poi nè 'I mio ,
I altrui consolare valeva ) ritornare al modo , che alcuno sconso-
lato avea tenuto a consolarsi ; e misimi ad allegare e leggere quello,
non conosciuto da molti, libro di Boezio, nel quale , cattivo e
discacciato , consolato si aveva. V. ia4- Ho , s‘ a conoscer la
prima radice Del nostro amor tu hai cotanto affetto , farò ,
come colui , che piange , e dice. Sed si tantus amor casus
cognoscere nostros , Et breuiter Troiae supremum audire
laborem-. Quamquam animus meminisse horret, luctuque refugit ,
Incipiam. £n. lib. Il , v. io e seg. V. i» 7 - Noi leggiavamo un
giorno per diletto Di Lancillotto , come amor lo strinse.
Qui, prima di passar più avanti, giudico, che sia bene chiarir l'
intelligenza del rimanente di questo canto , con Digitized by
Google QUINTO. 87 riportar la atoria di Lancellotto
cavata da' romanzi fran- zcsi dal libro di Lancilolto Du Lac , e riferita
in quella dottiatiuia acrittura di Lucantonio Bidol6 , nella quale
in un dialogo fìnto in Lione tra Aleaaandro degli liberti e Claudio d'
Erberé gentiluomo franzeae apiega inge- gnoaamente varj luoghi diSicili
de' tre noatri autori Dante , il Petrarca , e '1 Boccaccio. Farla Claudio
( pag. 1 1 e acg.) Dovile dunque eapere > eome avendo
Galeaui figliuolo della iella Geanda acquitlalo per sua prodezza
trenta reami , s ave a posto in cuore di non voler <t essi coronarsi
, se prima a quelli il regno di Logres dal Re Arius posse- duto
aggiunto non aveste ■' £ per ciò , avendolo egli man- dato a Sfidare ,
furono le genti deir uno e dell' altro più volte alle mani. Dove Lancilolto
avendo in favore di Artus futa maravigliose pruove contro di Galeaui , e
avuto un giorno fra gli altri l'onore della battaglia , fu da esso
Galealto pregato, che volesse andare quella sera alloggiar seco;
promettendogli, se ciò facesse , di dargli quel dono, che da lui
addomandato gli faste. Accettò Lancilolto con quel patto /' invito , e
poi la mattina seguente , partendoti per ritornare alla battaglia
dichiarò il dono, che da Ga- lealio desiderava : il quale fu di
richiedere , e pregare esso Gale alto , che quando egli combattendo fatte
in quella gionuila alle gerui del Re Artu superiore , e certo d
averne a riportare la vittoria , volesse allora andare a chieder
merci ad esso Re , e in lui liberamente rimetterti. La qual cosa avendo Galeallo
fatta , non solamente ne nacque tra Lancillotto e Galealto grandissima
dimestichezza e amistà , ma ne divenne ancora etto Galealto , per cosi
cortese e magnanimo alto , molto del Re Artu , e della Regina Gi-
nevra tua moglie familiare. Alla quale per tal pubblico
PUI5T0. Amor, eh* a nuU* amato amar perdona, ' Mi
prese del costui piacer it forte , Che, come vedi, ancor non m*
abbandona. Qui ribadisce : Questi, che mai da me non
fia diviso. Nel che ti ponga niente a quante volte e in
quanti modi rioforra V espressioni d'un ferventissimo ed ostinato
amore , e con quant' arte s* ingegna d’ attrar le lacrime | e sviscerar
la pietà verso que* luiserissimi amanti. V. i3y. Galeotto fu il
libro, e chi lo scrisse. Il libro ) e Tautor , che lo scrisse , fece
tra Paolo e Francesca la parte , che fece Galeotto tra Lancillotto
e Ginevra ; onde 1' Àzzolino nella sua Satira contro U Lussuria
: In somma rime oscene , e versi infami Dell' altrui castità
sono incantesimo , E all* onestade altrui lacciuoli ed amU
Tal eh* io ti dico , e replico il medesimo .* Se stan cotali
usanze immote e fisse , La Poesia diventa un ruSianesùno.
E questo è quel , eh* apertamente disse Il Principe satirico in
quel verso : Galeotto /“ il libro , e ehi lo scrisse. Qui
è da notare incidentemente , come alcuni hanno voluto dire, che il
cognome di Principe Galeotto, attri- buito al Centonovelle del Boccaccio
, possa da questa storia esser derivato; perchè (dicono essi)
ragionandosi in codesto libro del Boccaccio di cose per la maggior
7 Digitized by Google 90 Cauto
quinto. parte alle gii dette di Ginevra e di Francesca simi-
glianti , pare , che quel cognome di Principe Galeotto meritamente te gli
convenga : in questa guisa inferir volendo , estere il Decamerone il
principal libro di tutti quelli , che contengono in loro cose attrattive
alla car> naie concupiscenza ; che tanto è a dire , quanto
dargli titolo di Primo Ruffiano , o vero di Principe de' Ruffiani.
Na di ciò reggati più particolarmente il Ridolfi nel so- prammentovato
dialogo, ove parlando assai diffusamente di tal opinione ti sforza di
mostrare , essere molto veru simile a credere tal disonesto cognome, come
anche quello di Decamerone estere stato posto al Centonovelle più
tosto da altri, che dal Boccaccio; il quale nel proemio della quarta
giornata avere scritte le* tue novelle senz’ al- cun titolo apertamente
si dichiara. V. i38. Quel giorno più non vi leggemmo ovante.
Aocenna con nobil tratto di modestia l’ inferrompimento della
lettura, ed in conseguenza il passaggio da’ tremanti baci agli amorosi
abbracciamenti.Il conte Lorenzo Magalotti. Villa Magalotti. Magalotti.
Keywords: di naturali esperienze, ‘naturali esperienze’ --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Magalotti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51751098137/in/datetaken/
Grice e
Maggi – implicatura ridicola – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pompiano).
FIlosofo. Grice: “I like his
portrait” – Grice: “My favourite of his essays is on the ridiculous; but his
most specifically philosophical stuff is the ‘lectiones philosophicae’ and the
‘consilia philosophica.’” La famiglia aveva possedimenti e anche un negozio di
farmacia. Il padre Francesco, uomo di lettere, fu il suo primo maestro.
Studia a Padova con Bagolino e frequenta attivamente gli ambienti culturali
della città. Si laurea e insegna filosofia. Membro dell'«Accademia degli
Infiammati», strinse amicizia con Barbaro, Lombardi, Piccolomini, Speroni,
Tomitano, Varchi, entrò quindi a far parte del circolo di Bembo, frequentando
insigni filosofi come Paleario, Lampridio e Emigli. Conobbe iPole, Vergerio, Flaminio
e Priuli. Il dibattito sulla questione della lingua e sui temi estetici legati
soprattutto all'interpretazione della Poetica aristotelica condusse alla
preparazione di un commento allo scritto di Aristotele che, iniziato da
Lombardi, fu proseguito, concluso e fatto pubblicare da Maggi, con altra sua
opera dedicata ad Orazio, a Venezia: le “In Aristotelis librum de Poetica
communes explanationes: Madii vero in eundem librum propriae annotations”,
dedicato a Madruzzo. Lascia Padova per entrare al servizio del duca Ercole
II d'Este come precettore del figlio Alfonso e, insieme, per insegnare
filosofia a Ferrara. Si conservano appunti delle sue lezioni sulla Poetica. Anche
della vita culturale della città estense fu protagonista, divenendo principe dell'«Accademia dei Filareti», che
vanta membri come Bentivoglio, Calcagnini, Giraldi e Cinzio, oltre a essere
amico degli umanisti Pigna, Porto e Ricci, che gli diede pubblicamente merito
di essere stato «il primo interprete della Poetica di Aristotele».
“Mulierum praeconium” o “De mulierum praestantia” e dedicata ad Anna d'Este, la
figlia di Ercole e di Renata di Francia, che nello stesso anno fu tradotta “Un
brieve trattato dell'eccellentia delle donne.” Comprende anche una Essortatione
a gli huomini perché non si lascino superar dalle donne, attribuita a Lando,
che si pone come corollario dell'orazione del Maggi. Alla chiusura
temporanea dell'Università, ritorna a Brescia, partecipando alle riunioni
dell'Accademia di Rezzato, fondata da Chizzola. Abita nella quadra della cittadella
vecchia, in contrada Santo Spirito. Sposa Francesca, figlia del nobile
Paris Rosa,. A Brescia sede nel Consiglio Generale e fu incluso nell'elenco dei
consiglieri comunali della città destilla reggenza delle podestarie maggiori
del territorio. Fu destinato alla Podestaria di Orzinuovi, ma vi rinunciò, come
rinunciò anche alla podestaria di Salò, e partecipò alle sedute del Consiglio
Generale. Altre saggi “Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne,
Brescia, Turlini “In Aristotelis librum de Poetica communes explanationes:
Madii vero in eundem librum propriae annotationes, Venetiis, Valgrisi; De
ridiculis, in Horatii librum de arte poetica interpretatio, Venetiis, Valgrisi,
“Lectiones philosophicae” Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. Expositio in libros de Coelo et Mundo, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, ms, Expositio de
Coelo, de Anima, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Quaestio de visione, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, Espositio super primo Coelo, Piacenza, Biblioteca Passerini-Landi,
ms Pollastrelli, Mulierum praeconium, Modena, Biblioteca Estense, ms Estensis latinus.
Oratio de cognitionis praestantia, Ferrariae, apud Franciscum Rubeum de
Valentia, Consilia philosophica, Vincentii Madii et Jo. Bap. Pignae in favorem
serenissimi Ferrariae ducis in ea praecedentia, Archivio di Stato, Casa e
Stato, Modena. Note In Alessandro Sardi, Estensis latinus 88,
Modena, Biblioteca Estense. G. Bertoni,
«Giornale storico della letteratura italiana», C.. Fahy, Un trattato sulle
donne e un'opera sconosciuta di Lando, in «Giornale storico della letteratura
italiana», Bruni, Speroni e l'Accademia
degli Infiammati, in «Filologia e letteratura», XIWeinberg, Trattati di
retorica e poetica, III, Roma-Bari, Laterza, Enrico Bisanti, interprete tridentino della Poetica di
Aristotele, Brescia, Geroldi, Giorgio Tortelli, Quattro Maggi in cerca
d'autore, in «Quaderni del Lombardo-Veneto», Padova, Vincenzo Maggi, su
Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. VEnciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Vincenzo
Maggi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Vincenzo Maggi. Maggi. Kewyords: implicatura ridicola, Eco, il nome
della rosa, Cicerone, il tragico, filosofia tragica, pessimism, l’eroe tragico,
Nietzsche, la tragedia per musica – I curiazi, catone in Utica – tragedia per
musica --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maggi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752553559/in/dateposted-public/
Grice e
Magi – l’uso delle parole – il mistico – I mistici – la scuola di mistica
fascista – il veintennio -- filosofia italiana – filosofia fascista -- Luigi
Speranza (Pesaro). Filosofo. Grice:
“A fascinating philosopher – “journey around the world in ten words,’ a gem!”
-- Insegna a 'Urbino. Si dedica alla
psicologia “trans-personale”. Fonda il Centro di Filosofia Comparativa (cf.
‘implicatura comparativa’) e “Incognita” a Pesaro, tesoreggiando
‘l’intelligenza del cuore’ e il principio dell’interiorità. Scrisse “I 36
stratagemmi” (Il Punto d'Incontro; dal, BestBUR). Il suo “Il Gioco dell'Eroe.
Le porte della percezione per essere straordinario in un mondo ordinario” vede
un clamoroso successo. “I 64 Enigmi. L'antica sapienza per vincere nel mondo” (Sperling & Kupfer
)è segnalato al primo posto dei libri
più attesi. Lo stato intermedio tratta l’argomento rimosso dei nostri tempi: la
morte, e abbraccia l'orizzonte ampio degli ambiti cari agli autori: filosofia, mistica,
psicologia transpersonale, esperienze ai confini della morte. Esce un
aggiornamento ampliato del Gioco dell'Eroe con il sottotitolo “La porta
dell'Immaginazione”. Vgetariano dichiarato., si focalizza sui modelli mistici per
approfondirne, oltre la portata metafisica e auto-realizzativa, i concetti di
efficacia ed efficienza: nel libro I 36 stratagemmi declina il taoismo nei suoi
aspetti di strategia psicologica; nel saggio "Le arti marziali della parola"
in La nobile arte dell'insulto (Einaudi) evidenzia come l'arte del
combattimento diventi arte retorica e dialettica. Nei saggi Il dito e la luna,
La via dell'umorismo e Il tesoro nascosto mostra il rilievo della comunicazione
metaforica e umoristica. Elabora e sviluppa la dimensione della psicologia
trans-personale all'interno del Gioco dell'Eroe, disciplina da lui creata e
imperniata sulla capacità umana dell'immaginazione. Altre saggi: “Il dharma
del sacrificio del mondo” (Panozzo); “La filosofia del linguaggio eterno” (cf.
Grice: ‘timeless’ meaning, versus ‘timeful’?). Urbino, “Quaderno indiano,” Scuola
superiore di filosofia comparativa di Rimini, “Il dito e la luna,” Il Punto
d'Incontro); I 36 stratagemmi (Il Punto d'Incontro, BestBur); Sanjiao. I tre
pilastri della sapienza, Il Punto d'Incontro, Einaudi, Uscite dal sogno della
veglia. Viaggio attraverso la filosofia della Liberazione, Scuola superiore di
filosofia comparativa di Rimini, La Via
dell'umorismo (Il Punto d'Incontro); La vita è uno stato mentale. Ovvero La
conta dei frutti delle azioni nel mondo evanescente, Bompiani, Kauṭilya, Il Codice del Potere (Arthaśāstra).
Arte della guerra e della strategia” (Il Punto d'Incontro, "Lo yoga segreto del perfetto
sovrano"; “Il Gioco dell'Eroe” (Il Punto d'Incontro); “I 64 Enigmi,
Sperling); Lo stato intermedio,, Arte di Essere,. Il tesoro nascosto. 100
lezioni sufi, Sperling); Il gioco dell'eroe. La porta dell'Immaginazione” (Il
Punto d'Incontro, 101 burle spirituali, Sperling); Recitato un cameo, nel ruolo
di se stesso, nel film Niente è come sembra, di F. Battiato, a fianco di
Jodorowsky. Jodorowsky scrive in seguito la presentazione di La Via dell'umorismo.Blog. «Fondai a Rimini il Centro di Filosofia Comparativa”.
Per spaziare in temi altissimi con una narrazione transdisciplinare. Attraverso
immaginazione, religioni, filosofie, arti e scienze». Incognita. Advanced Creativity Il Secolo XIX
(R. Onofrio) " 'Incognita' di Pesaro. Diario di viaggio nell'Oltre,
un'immersione interiore al di là dello spazio-tempo"31 Il Secolo XIX
(R. Onofrio) "Advanced Creativity Mind School. Per capire l'entrata
nell'epoca del post-umano" Per il titolo del suo album Dieci stratagemmi,
Battiato si è ispirato a I 36 stratagemmi di Gianluca Magi. Il sottotitolo,
"Attraversare il mare per ingannare il cielo" è il primo stratagemma
dei trentasei che compongono che il libro.
Stralcio della quinta puntata (youtube)
Modelli strategici. Corriere della Sera, (E. Camurri) wuz
Panorama (Anna Mazzone) wuz Panorama (O. Allegri) Il Secolo XIX 2 (Roberto Onofrio)
"Aprite le porte all'Immaginazione, c'è un mondo oltre la
quotidianità"42 Gianluca Magi, I 64
Enigmi, Sperling & Kupfer, Milano: «Diversi anni fa, in un’intervista, mi
chiesero perché sono vegetariano. La mia risposta fu molto sintetica (e la
penso ancora così): Non mangio animali. Non riesco a digerire l'agonia». La Repubblica (Michele Serra); Il Riformista
(Luca Mastrantonio); Il Venerdì di Repubblica (Brunella Schisa) Il Gioco dell'Eroe, Il Punto d'Incontro,.
Libro/ CD con prefazione di Franco Battiato
Il Gioco dell'EroeGianluca. Scena del film ove compaiono e A. Jodorowsky
(youtube) La Via dell'umorismo, Il Punto
d'Incontro, Vicenza, La Stampa (Il Premio è stato conferito dalle autorità
della Repubblica di San Marino con la motivazione: «Lo scrittore che ha
costruito attraverso la sua produzione e l'attività del Centro di Filosofia Comparativa
di Rimini ponti di comunicazione tra le antiche saggezze d'Oriente e
d'Occidente, attualizzandone, in teoria e in pratica, il loro messaggio
filosofico, psicologico e spirituale per l'uomo contemporaneo»). Gli altri
premi sono stati conferiti a: F. Battiato (Musica), A. Jodorowsky (Teatro), F. Mussida (Arti visive),
S. Agosti (Cinema), M. Gramellini (Giornalismo), Gabriele La Porta
(Televisione). Sito ufficiale di
Gianluca Magi (in cinque lingue) Incognita ◦ Advanced Creativity
"Psicologia transpersonale. Che cos'è?" Video Lectio brevis riflessionisul Senso della vita su
riflessioni. Gianluca Magi. Magi. Keywords: l’uso delle parole, il mistico,
‘implicatura comparativa’ mistico, scuola di mistica, l’uso di ‘scuola’ mistica
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magi”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752536704/in/datetaken/
Grice e Magnani – implicatura – la
linea e il punto -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sannazzaro de’ Burgondi). Filosofo.
Grice: “I like Magnani; he has written
about conceptual change, which I enjoyed!” -- Grice: “I like Magnani; his
treatise on the philosophy of geometry is brilliant!” -- essential Italian philosopher, not to be
confussed with Tenessee Williams’s favourite actress, Anna Magnani --. Insegna
a 'Pavia, dove dirige il Computational Philosophy Laboratory. Dedicatosi
allo studio della storia e della filosofia della geometriai, i suoi interessi
si sono poi rivolti all'analisi della tradizione neopositivista e post-positivista.
Si è poi dedicato al tema della scoperta scientifica e del ragionamento
creativo. Studia tematiche riguardanti il ragionamento diagnostico in medicina
in collegamento con il problema dell'abduzione, presto diventato fondamentale
nella sua ricerca. La sua attenzione si è anche indirizzata verso il cosiddetto
model-based reasoning. Fonda una serie di conferenze sul Model-Based Reasoning.
Trattai problemi di filosofia della tecnologia e di etica, rivolti anche al
tema trascurato in filosofia dell'analisi della violenza. I suoi
interessi di ricerca includono dunque la filosofia della scienza, la logica, le
scienze cognitive, l'intelligenza artificiale e la filosofia della medicina,
nonché i rapporti fra etica e tecnologia e tra etica e violenza. Ha contribuito
a diffondere il problema dell'abduzione. La sua ricerca storico-scientifica ha
riguardato principalmente la filosofia della geometria. Dirige la Collana di
Libri SAPERE. Opere: “Conoscenza come dovere. Moralità distribuita in un
mondo tecnologico” “Filosofia della violenza” “Rispetta gli altri come cose. Sviluppa
una teoria filosofica dei rapporti fra tecnologia ed etica in una prospettiva
naturalistica e cognitiva. Note Web Page
del Dipartimento di Studi Umanistici
Computational Philosophy Laboratory Web Site [Cfr. le varie pagine dedicate a questi convegni
in//www-3.unipv/webphilos_lab/cpl/index.php Computational Philosophy
Laboratory], Dipartimento di Studi Umanistici, Sezione di Filosofia, Pavia,
Pavia (Italia)] Sun Yat-sen Award Cerimonia
Book Series SAPERE Web Page Copia
archiviata, su lesacademies.org. Edizione cinese: Philosophy and Geometry Morality in a Technological WorldAcademic and
Professional BooksCambridge University Press
Abductive Cognition Understanding
Violence The Abductive Structure of
Scientific Creativity Author Web
Page Handbook of Model-Based
Science Logica e possibilità, su RAI
Filosofia, su filosofia.rai. Filosofia della violenza, su RAI Filosofia, su
filosofia.rai. Grice: “Philosophy of geometry, so mis-called – I call it the
theory of the line and the point – always amused me since Ayer misunderstood it
in 1936! Hoesle and Magnani prove that it’s less geometrical than you think!”
-- Lorenzo Magnani. Magnani. Refs. Luigi Speranza, "Grice e Magnani," per
il Club Anglo-Italiano -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685507828/in/photolist-2mLExs3-2mKAxx2-2mKgJMj
Grice e
Magni – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Grice: “I love Magni – He has gems like ‘Petrus is Petrus’ – I’m
talking about his “Principia et specimen philosophiae” – The titles for the
chapters are amusing, and he refers to ‘ratio essendi’ – and other stuff –
*Very* amusing --.”Figlio dal conte Costantino Magni e da Ottavia Carcassola, si
trasferì a Praga. Entrò nei cappuccini della provincia boema a Praga. Insegna filosofia
entrando, grazie al suo insegnamento, nelle grazie dell'imperatore. Presto fu
eletto Provinciale della Provincia austro-boema dell'ordine e divenne
apprezzato consigliere dell'imperatore e di altri principi europei. Il re Sigismondo
III gli affidò la missione cappuccina nel suo paese. Ferdinando II lo inviò in
missione diplomatica in Francia. Fu uno dei consiglieri del duca Massimiliano I
di iera. Dopo la battaglia della Montagna Bianca, sostenne l'arcivescovo di
Praga Ernesto Adalberto d'Harrach nella cattolicizzazione della popolazione e
nelle riforme diocesane. Prese parte in nome dell'imperatore ai negoziati con
il cardinale Richelieu sulla successione ereditaria al trono di Mantova. Divenne
consulente teologico nei negoziati per la pace di Praga e missionario
apostolico per l'elettorato di Sassonia, Assia, Brandeburgo e Danzica. Riprodusse
a Varsavia di fronte al re e alla corte l'esperimento di Torricelli usando un
tubo riempito di mercurio per produrre il vuoto. Riuscì a convertire il
conte Ernesto d'Assia-Rheinfels e sua moglie. Dopo che l'Praga venne
affidata ai Gesuiti, entrò in contrasto con i gesuiti, che lo fecero arrestare
a Vienna. Rilasciato dalla prigione per intervento dell'Imperatore e tornò a
Salisburgo, dove morì quello stesso anno. Frutto della sua polemica con i
protestanti è “De acatholicorum credendi regula judicium” in cui sostene che
senza l'autorità della Chiesa, la Bibbia da sola non era sufficiente come
regola di fede per i cristiani. Trata lo stesso argomento in “Judicium de
acatholicorum et catholicorum regula credenda”, le cui debolezze argomentative
scatenarono la contro-offensiva dei protestanti. Si occupa di metodologia,
logica, epistemologia, cosmologia, metafisica, matematica e scienze naturali.
Rifiuta i principi aristotelico-scolastici, ispirandosi alle dottrine di
Platone, Agostino e Bonaventura. Altre saggi: “Apologia contra imposturas
Jesuitarum,” “Christiana et catholica defensio adversus societatem Jesu,” “Opus
philosophicum,” “Commentarius de homine infami personato sub titulis Iocosi
Severi Medii,”:Concussio fundamentorum ecclesiae catholicae, iactata ab Herm.
Conringi, “Conringiana concussio sanctissimi in christo papae catholici
retorta,” “Echo Absurditatum Ulrici de Neufeld Blesa” “Epistola de responsione
H. Conringii” “Epistola de quaestione utrum Primatus Rom. Pontificis, “Principia
et specimen philosophiae, Acta disputationis habitae Rheinfelsae apud S.
Goarem, “Organum theologicum”; “Methodus convincendi et revocandi haereticos”;
“De luce mentium”; “Judicium de catholicorum ei acatholicorum regula credendi, “De
atheismo Aristotelis ad Mersennum, Demonstratio ocularis, loci sine locato:
corporis successiuè moti in vacuo, Bologna, Benatij. Vedi la voce nella
Enciclopedia Italiana. J. Cygan, “Vita prima”, operum recensio et
bibliographia, Romae, “Opera Valeriani Magni velut manuscripta tradita aut
typis impressa, «Collectanea Franciscana», A. Catalano, La Boemia e la ri-conquista
delle coscienze. Harrach e la Contro-Riforma, Roma, Storia, M. Bucciantini, La
discussione sul vuoto in Italia: Discussioni sul nulls, M. Lenzi e A. Maierù,
Firenze, Olschki, A. Napoli, La riforma
ecclesiastica in Boemia attraverso la corrispondenza della Congregazione de
Propaganda Fide, Centro Studi Cappuccini Lombardi, Biblioteca Francescana,
Milano. Relatio veridica de pio obitu R.P. Valeriani Magni, Lione, Ludwig von
Pastor, Storia dei papi, tRoma, Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, M. Bihl, G. Leroy. Ad vniuerfam Philofophiam,
CAPVT I. De Ordinc &Jl)lo Dottrimt. Oftii
Theophilcnullum entium affitmiri de alio cnte, fedfingulanegaridefingulis
: quae verd affirmanturde entibus nonluntcntia , fed habitudmes, quaeinterce-
dunt entia:Ego enim illa duntaxat nuncupaui entia,qu3e per al iquam
potentiam pofluni efTe,6c intelligi,feorfum abomni alioente.
Harumhabitudiuum,utdocui,aliaefuntiden:itatise(Tentiae, ut, Pe-
truseft Petrus.Alias identitatisrationis,ut Petruseft Paulo idem m ra-
tione naturaehumanae.Demum aliac funt efle aut principium , aut ter-
n)inumalicuiusmotus,vt Petrusgenerat,Paulusgenerarur.Ex quibus duntaxat
poteft demonftrari & exiftentia,& natura entium. Verum non
funt negligendae reliquae: Ille,enim,qua:referuntiden- titatem
eflentiae.fiue affirmatam,fiue negatam,inuoluunt Frequenter
niotumnoftraerationisa cognitionc imperfe&a, adperfe&ionem:
v.ghuiuspropo(itionis,Homo eftanimalrationale.-praedicatum^licec fit identicum
fubie<3:o,ipfum tamen explicat diftin&ius.
Quxautemconfiftuntin identitate rationis,fiueaffirmata, fiuene-
gata,coordinant cognofcimentum, & prsedicamenta , & in omni di-
£lione,iudicio,ac ratiocmatione praetendunt terminos,qui ab identi- tate
rationis,communi pluribus entibus,denominantur vniuerfales.
Etliceteiufmodiidentitatesrationisnon inferanturfyllogifmo,fed
cognoscantur fola collatione,feu comparatione terminorum , cogni-
torumautimmcdiate.autmedianteillationc : tamen haehabitudines tum fubeunt
illationem,cum ex identitate rationis affirmata,aut nega-
tadeduobusprincipijsalicuiusmotus, infertur proportionalis iden-
titasrationis,inter terminosillorum motuum,v.g.Quaeeft ratio enti-
tatisinter Petrum,& Paulum,eaeft mter filiosPetri,& Pauli. •
Quoniam vero in primo libro de per fe notis , per didboncm con-
nexam ordinaui in cognofcimento,& praedicamentis entia per fe no-
ta:coordinationem graduum entitatis, nomino cognofcimentum, & A
per iu* X 2 Vakriani Magni
per iudicium conncxum exhibui in clau^diftin&asomnes cntiurn
perfenotorum pra:cipuos motusper fe notos , quorumillos. quos quifquc
confcit in fe , ennarraui (atis accurats , inlibro demeicon- lcicntia:
fupercft, ad complementum appararus Philofophici.exhibe- re illas
propofuioncs.quarum veritasnon dependeat abentium cxi- ftentiajeda
rarionc a?tcrn^ > & incommutabili, cuiufmodi debent cf- fe
i!la?,qutfin fyllogifmodenominancuc maiores: Minores enimper fe nota?
propoliciones , exararaz in cra#atu de per fe noris , habenc ve-
rit3tem,pendulam ab exifteruia Ennum; v. g. Luna mouetur, qua? , fi
corrumpatur,inducit Falfiratem iliius propofitionis, Ac vero hxc:Id, quod
mouctur,neceiIari6 mouctur ab alio : eft vera,tametfi corrum- pancuromnia
mouentia & mobilia. Harum vero propofitionum incommutabilium
funt innumera^nc- quecft vllaclfYerentia motus, quaenon fibi
vendicetpropiias verica- te'S mcommutabiles:puta has.Id,quodLoco-mouetur
5 ncccfl'ari6 Lo- comoueturabalio:ld,quod alteratur,nccelTari6 alteratur
ab alio; U> qnod generatur , neceflanogeneratur abalio. Veium
haeomnesde- riuanc (ibi incommutabilitatem ab hac:Id quod mouetur,
ncccflariu mouecur ab aho>oporcetergo congercre invnum
craclacumillasim- fnutabilium,quas nulla ipccialis pars Philofophiae
pcrcra&ac , quate- nuSjvbiv.g. ventum ficad tra&acum de
generacionc. Ha?c, fd,quod geiif ratur, neceflariogeneratur
abalio.demonftracurperhanc : id, <juod mouetur,necefl.ui6 mouetur
abalioj quae fupponaturdcmon- (trata m ipfo veftibulo Philofophia?,ica vc
non fic opus in vllo ratiocir nco repeteredemonftiacionem fadtam.
Hiccrgotra&atuscomple&iturhaspropofitiones ajternas, &
ir>» commucabiles>in quas neccirario refoluancur omnes lllacioncs.
quas habebir,& habere poteft vniucrfa philofophia : has nuncupaui
Axio- mata,& licniiTec denominarc Maximas,veluc, quac influanc vim
iliati- uam propofitionibus maioribus. Exordioraucemtraclatum
ab habitudinibus idcmitatis elTentiar, deinde profequar illas,quac funt
efle pi incipium & ccrminum motus, casvero,quae funt ex
idcncitareracionis,poftrcmo lococommemora- bo.nimirum
ilIas,quacafficiuncmotum:mocum,inquam,icalem cx quo duntaxar argumentor
entium exiftencias & nacuras. Scd veiitus,nemeusftylustibi
vfquequao^ue probccur, voloprius ^cxcufareilla.qu^forcaflisexiftimabisnofaciicongrua
fini,mjcintcdo • Obijciturprimo loco oblcuritas, quxfuperec vulgarcm
conditio- nem Early European Books, Copyright©
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j4xiowata S ncm rhilofophantiura.-Refpondeo , quod
obfcurafas obuenit vcl ab obie&o,ve! a ftylo (cribentis.Meum ftylum
audafter dico tam darum quam quicflepoifitnatioenimfcribendicum
clariratccft mihi&rco- peccisfima,&familiaris.cxcerum grarulor
rhilolophiae obfcuriracem ab obie&o,quae aiceac plerofque ab hoc
ftudio,quiReipublica: vnlius opera,& aecace impendent in agro>in
mechamcis^in bcllo & iimilibus» Laudatur pasfim rraditio
do&rinae per quarftiones , quae rnouentuc de (uL,ie&o alicuius
fcicnciae>placecque numerata partino earum.Hanc methodum refolutiuam
Ego non adhibeo, fed compofiriuam : Haec enim exordicur a
nonslimis,&,prarcendens lucem eacenus partam, re-
uelatfemperobfcuriora : qui verdmouec quxftionem,obijcit tene- bras,quas
fubmoueac,(olucndo qua^ftionem propofiram. Uli,qui per qusftiones
cradunt lcientiam,ducunt argumenta ex om- nibus locis diale£ticis:Ego
proiequor lineam mocus , tfnde dunraxac infero enrium exiftencias,tSc
nacuras,ijsargumcncis, quadola poflunt efle dcmonftrariua,quarue,adnumerata
Diale&icis , digniratem pro- priam peflundant Memineris
vero,Thcophile, argumencum, quod inihi eft demonftratiuum, alicui
fortasfis vixerit probabile:(untenim plerique,quibus opus fu pharmaco
magis.quam fyllogifmo. Quoniam vero motiu func fubordinati >
demonltrationes anrece- dentesnancifcuntur,maiorem certitudinem , &
euidentiam a lubfe- ouentibus:fcilicer > exiftencia,& natura primi
mouentis confirmatur^ iecundis,alijfque fubfequentibus. Hxc
conditio ratiocinancis ex motu,e(t oppofita illi,quae ducitur ex nacura
Quanti difcreci f 6c continui •, nam in Mathematicis vix aliqua
demonftrationum anteccdentium pendec a iubfequenti- bus.
Tibiver6,legentimeostra£htus , occurent frequenter nonnulla amcnegle&a
, qiu? tuo iudicio debuiflenc dici; ied fcuo mehorrere confufionera,vcl
minimam,mareriaium>quas fuis locis deftinaui rra- £Undas;Ide6,Licet
fciam mulcum lucis acceflurum rci , quam expo- no.fi eo loci cognofcacur
aliquid,alio loco referuarum , ramen id fe- pono,& pra:ftoloL loco
congruo do&rinam,qua: no debec anticipari. Nil pono moieitius
obueniet cibi m m ea Philofophia, quam quod fcpono obiediones
manifeftas,dn#as ab exiftencia reru contra con- clufionnsillacasa
racionibusanernis,v.g.infero mouentem non pcfle quietcece in termino
trafeuntcqui fu fibi iCqualis in entitate.Cui co- clufioni videcur
aduerfan expeucua omniu generaciu fibi fimile in na- A i wraj
, - r" — ta....\....^x Early European
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CFMAGL. 1.6.401 4 V zlcriam Mdgni.
tttra^fed (tperpendasfolutiones eiufmodi
obiedlionurnjfacile/ntelli- ges eas^fi anteuertantur , neceflai io (us
deque conuerfuras vmuerlam Philofophiam, fine quarlira euidentia. Ponofi
vim a.gumenti con- clufionisillataealTequans facile inteliigcsrcrum
exiftennas, &naturas dependcrea rationeaetcrna.a.rumpra in
fyllogifmo.&fupponeslatere aliquid in entibus concretis,vndecaptas
occafionem errorrs. Confulcoabftineoa quamplurimis, quce alioqum
magna conten- tionecontrouertuncurintei Philofophos , fi tamenhzc
ncghgentu non detrahatfcientia^quamprxtendo : Commemoroadexempkira
differentiam interdiftin&iones formalem*rationis ratiocinat*e,&mo-
dalem.Eiufmodi enim contenrione.splunbus feculis agirarae, non ha- bent
momentum ad veritatcm quaefuam,quod pofcat difpucationern zuternam.
Noninfero cxconclufionibus.primo illatis, reliquasomnes, qur
infcrripoflunt/edillasduntaxatjquaecxponuntnaturamcntis, quoi fub»jciturratiocinio
: immopleraquc rranfilio , quxexdcmonftrati* non
obfciueprodcuntinlucem. s :
DemumnouerismenondocererespervocabuIa,fed res, confue- ta oratione
declaratas,fignifico per yocabuU vfitata,fi Hippetant , vci adhibeo aha
ad placitum meum. Capvt ir. -dxiomata ex identiutt
ejfentiali. Ursauternpr^miffisaggredior habitudincs identitatfs
eflenti». A Afeddebeopnusaflignarcrationemcommunem omnibus cnti'
bus quatenus hxc dodnna fit vniuetfal.ffima, Nofti
Theophile.fpecierum.quascognolcituri adhibcmus . jffiW eflc lenfib.les a
. as imag.nabiles.ali.. intelligib.tes/ enlib.lcs refeW aliquod
lenfib.le.non lolum quod aftu exiftat.fed & quod fi, p S n t.ffimum
fent.ent.: At vero imaginab.les . &,nrelh#b,lcs r-fe r ..m . J
nutum,magmantis&intcllige.Hisnonrolumentia^uexiftem
praefenua.fed abient,a,pr^erita,futura,poffib,), a , ac dcmum ab ft ra
Exphcaturuserg^Rationem.communem omnibusentibus eim
affignaredebeo.quxaffirmetur deentibuspr.fentibus affirmVk dc
pwtcri^affirmabitur defuturis , affirmaretur de poflibSus^f!
Tcnirenc X jixiomata S
venirent ad a£tum,qu#ue affiimatur de his, qux inrelliguntur,abftra-
hendoabimentione praeteritorum^praefentiumjfuturorum^ ac pofli-
bilium. Dicoigitur Ensefleid,quod exerceta&um eflendi, vt v.g
amans c(l id,quod exercet adtum amandi: Ctrm cogito Theophilum ,
coguo id ; quod cxercet a&um eflendi Theophilum : Leo exercet
a&umel- fendi Leonem:&: quodlibet entium exercct a&urn
eflendi feipfum,fe- cundum praecifam entitatem vniufcuiufque, ita vt Ego
, quinon fuin Theophilus, non poflim exercere a&um eflendi
Theophilum:nec Leo poteftexercereadtum eflendihominem.Qnaproprer ratio ,
commu- nis omnibus entibus,abftrahit ab omni fpeciali exercitio entitatis
: ita vt nuila fit,aut poflit intelligi communis omnibuscntibus , quam
quae nuuraliter concipuur ab omnjbus , quaeue habetur in ipfo
communi vocabulo.£«i:nimirum.id.quodaaumeflendi autexercet,
autexer- cuit,aut exercebit,aut potelt exercere,concipitur vt Ens, quod
aut eft, aut fuit,aut ent,auc efle poteit.Seclufa (citra negadonem ) omni
prae- cisa rationeentitatis vllius. Itaque id, quod non
exercet a&um eflendi,non eft Ens„ Pneterita non (unt.fed
fuerunt entia. Futura nonfunt/ederuncemia. ^
PofTibilianonlunt/edpofluntefle cntia, &confequentcmil ho-
r»meflens. \ Ens vero abftraftum ab intentione praefentis,
prarteriti , futuri, &C posfibi!is,denotat praedicata cflentialia
Entis,mter , quae nil eflentiali- us ipfo exercitio eflendi.
PorioGntiopponicur Non Ens,quodeft inintelligibile noncom-
teIle&oEnte:quienimdormiensnilomnium cogitat, non ideoin- tclligit
Non-Ens,quia nil entitim intclligat. Qm autem , int?Heclo
Ente,intelligitnilcfletefidui,tiensccirecab aaueflendi , isdemum
intclHgit,feucogitatNon-Ens. Quaproptcr dico,Rationem,communem
oronibus enubus , elie Rationcm Non-Entis,fi, poiitiua
intelleaione,intellicatur fublata: fcilicet Non Ens cft cns coguatum,vt
ceflauit ab a&ueflendt vel qua - tenusnonvcnita4aaumexiftcndi.
VerumNon-ens habetfuasd.t- fcrentias,& quidcm plures.has pcr ordinem
narrabo , exorfus a mim- ma Nonentitatcvfquead maximam.
Lapis,cxpeiscaloris,noneft calidus, arpotcftcalcre, fceatenusdi-
<icorcaiidiKin pocentia. Eflcensin potcntia cft minimus gradu*
m Early European Books, Copyright© 201 1
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6 VaUrUni Mignt Nan-E ntitatis:nam id,dequo negatur
caIor,eftens,tametfi Non-ca* lor fit Non- Ens:non tamen lapidi cfl mcrum
Non-Ens, quandoqui- dem lapis potcft efie cahdus. Lapis non
eft vifiuus colorati,nec poteft efle vifiuus : Non eflr vifi-
uum.nccpofleefle vifiuum,eft Non Ens:at verd h*c negatio pocen* i\x
vifiua? , eft de lapide^qui eft pns;ita vt, lapidem non efle vjfiuum, non
fic mcrum Non-Ens. Socratesccrto certius generabit filium;
quifilius eftNon-homo: non tameneftfic Non-homo.vtfunt Non-homines illi ,
qui none- runt:fedefthomofuturus:At verofuntalh , qiuceflcpoflunt.ncc ta-
menerunc;quotfunt animantium,quotex hominibus,qui poflent gc-
nerarcfilios.ncctaracngcncrabtint? Haccnon funtcntia fucuta, fed
denominantur posfibilia,qua: magis rccedunt ab cntitatc, quam qu* funt
futura. Entibus posfibilibus proxime accedunt entia prastcrita :
h*c enim fic non funt,vt nequeant efle ; nec tamen deficiunc ab omni
encitatc, quandoquidem fuerunt aliquando. Denique illa quae
neqne (unt,ncque erunt ; neque fuerunt , ncc eflc pofliint>videntur
efle mcra Non entia.-puta corpus re&ilincum bian- gulareiid enim imposfibilc
eft eflc,fuifle,aut fore. Non-cntium autem quaedam intelliguntur
oppofica negatiue alicui cnti prxcifo,ac fignato. Vnicum vero Non-Ens
incclligicur oppoli- tum negatiue omnibus entibus abfolutc confideratis
Si ribi oppono ncgatiu* Non-Ens,id Non entitatis,nuncupatur
Non-Theophiius- Cuiulmodi fonr Non-Pcti us,Non-hic Leo, & a!ia
innumcia. Non-
^nsautcm.oppofuuiuomnibusenribus.abfolutcconfidcratis nun
cupaturNihil. Porro intell.gereaut confiderare prxfata Non ! Entia
cftcautelaamulnphcibus, grauisfimifquecrroribus.proucnicoiibus exconfufa
fub.eaione, & predicationc huiulccmodi Non-Ennunv a quibus tibi
caucbis haud d.fficulcer, f, nouucris accurat8 . qu* (uh * lungo. ^ * iUU
" V.xeftaliquadiffcrcntiaNon cnritntis , qaamnon folcamus aut
^ Lapis non eft, fc J potcft eflc calidus,' d nuncupatut E W in potcn-
cun L d U P m g Td. eft ' ""P 0 ^^ ******
linsi.posfibncfc. Anti- Early European Books,
Copyright© 20 1 l ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of
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1.6.401 Jlxionuts 7 Antichriftus cfl furuius ,
dicitur Ens fumrum. Filiusi ; em non cognituri Mulierem,dicitur
ensposfibile. Abraham f ui t horno dieitur Ens prxreritum : Corpus
reiiilineum biangulare dicitut Ens abfolute imposfibile
Non-Theoph:Ius dicitur Negatio vniuscntis. Nihil, dicitur, Ncgario omnium
entium. Porr6nilhorumporeftcfFc< aut fubiectum aut praedicatum
reale, fi cxciptas Ens in ootentia , & ens imposfibile fecundum
quid:Iapis e- nim, quiaftirmaturcaIidusinpotentia,quiue abfolute
negaturvift- uus.eftens. Cetctum nil cntis eitquod fubijcias
reliquis Non-entibus , quod pcr fingulaexempla demnnftro.
Antichriftus eftfuturus. Antichriftusftat Loco fubie&i , qui in
eadem propofulone fup- poniturNon- ens,cum aiTeratur futurus. quocirca
fubiedtum illius pro- pofitionisnon eft ens.Eadem eft conditio
huius. Filius Petri,non cognituri mulierem,eft posfibilis.
Sciiicetfubie6lumillius propofuionis noneftens , fedpoteftetfe cns,
vt fupponitur, haec etiam : Abraham fuit Homo: ,
Habetfubiectumjquodfuppomturnoncfie , fedfuiffe Ens : dc-
naum ifta: Corpus reSiIineum biangulare eft imposfibile , non
fubijcit en<\ cum in ipfa propofuione afteratur non folum Non ens.led
Sc cfie im- posfibi)e,quod fu cns:Cauebis crgo ubi a multiplici er
rore,fi lupra di- dum confuetum modum enuntiandi ndh:beas
conlcius,ennumerata fubie&a di&arum propofitionum non erte
enti3. Hiscrgo eatenusexplicaris , ftaruo primas propofitiones
vniuer- falisfimasformatascxEnte& Non ente, abftradasab omni
difte- rentiaentitatis. Vidcote'1
heophiIum,&tuaccuratcinfpecT:us enuntias v.gde te ip(o,quodfis
coloratus,quod fiscerta figura determinatus, quaepro- pafuioncs non fum
il!atae l & tamen dcpendent a te, vt a termino fim-
pliciterdiiao.quiaccurareinfpeaus de fe enuntiar prasrata, & aha
eiufmodi. Verum hoc loco non ccnfidero habitndmcs , quarinter- ccdunr
terminos realiter diftinaos,fed eas duntaxat, quas nos com- minifcimur
interens , relatumad lemetipfum , & ad Non ens, cumcnim priroum ,
quod obiediue cadit in mentcrn noftram, fitcns,
ftlfl Early European Books, Copyright© 201 1 ProQuest
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? Valcrittni Magm fit Ens,fiid fimpliciterdidtum,feu
apprchenfum,referarur ad femet* ipfum , fefe pertinacifiimeenuntiat,
acrepetit Ens:vnde habemus hancpropofitionem, Ens eftens.
Qux eft prima Omnium per fe notarum incommutabilium , non folum
quia non fit lllata. fed ctiam quia non fit enuntiata , aut exarata abaho
terminofimpliciore,anobis accurate in(pe&o. Ex hac pro- pofitione
habetur hxc: Non-Ens eft Non-ens. Quae eft notiflima,citra
vllam illationcm: ignorarem tamen illam> fi nelcirem hanc Ens eft
ens. Porro quod ensfit ens,^£quipollere videtur huic. Enseft
feipfum. Hinc vero fubinfero alias propofitiones:Vnam ex eo, quod
ens eft ensiinnumeras ex eo, quod ens fit (c ipfumvfic ergo
argumentor; Hocenseft ens. Ens vero eft impo(Tibile,fit
Non-ens: Ergohoc ensnoneft Non ens. Hoc Enseft fe ipfum:
ld autcm,quod eftlc ipfum,imposfibileeftfit ullum aliorum entiu
Ergo hoc ens non eft vllum aliorum entium, fcilicet: Hoc ens non
cft ens,nuncupatum A.nequc ensnuncupatum E,neque vJlum aliud, ex
omnibus,quae exiftunt. Quoniam vero enri,vniuerfalisfime
confiderato , licet fubfumere quotquotfuntentium cxiftentium , 6c
exindeformare propofitiones, & ilIanones,prasfatisanalogas,vno
exemplo commonftro, vt ld fiat. Theophilus eft Thcophilus.
Theophilus eft fe ipfum, Hmc fic argumentot
Thcophilus eft Theophilus.
Id^quodeftTheophilus.imposfibileeft.fitfimul non Thcophilus. Ergo I
heophilus non eft fimul Non -Theophilus. Theophiluscft fc ipfum.
Id,quod eft fe ipfumiimposfibilc eft,fit vllum ahorum cntium. Er-
go Thcophilus non eft vllum nlioium cncium. Scilicet Theophilus non
ctl Pctius;non hic Lco,non hic lapis, non vllumaliorurn cntium.
QuoddixidcTheophilo,idverificaturde quocunquc alioente,
quo- Early European Books, Copyright© 201 1 ProQuest
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Centrale di Firenze. CFMAGL. 1.6.401
Axio<m*t* .quomodo libet confidermo.v.g.ens adtu eftenfac5Hi
; eft r e ipfum: Ens m porcnua,cft cns in porcntia,.elUe iplum. i.
urrens elt curtens,cft (e jpfum. Quin iramo aufim diceie Non
ens eft non-ens.eft fe ipfum. Sic enim argurnentor Non-Ens cft non-ens At
Non-cns cft impoflibilc fu Eus Ergo Non ens non eft Ens. Non-Theophiluseft
non theophilus, Atnon Theophiluseft im- poflibilcquod fit non-ens , aliud
anon theophilo Ergo Non-Theo- pfailus non eft no<i-ens,a!iud a
non-Iheophilo. N eque exiftimes harum propofitionum luillum eflc
vfum in Philo- fophuv.tu iplecxpericrisfreqnent!flimum,£ximiumque
(olatium ex-c- uidentiflima incommutabiluatehuiulmodi propohuonum :
faepius e- nim infertur condufio tam recondita, tantique momenti in
Phtlofa- phia,vt trepidi exhibeamus noftrum aflinfum. Verum
conie&i incamneceftitatem.qucc noscompellat,aut aflentiri illatfe
conclufio- m,aut negare ens effe fe ipfum,inttepidi aflentimur illatae
conclufioai. Ni>Haenimeftillatio,quae vimillatiuaranon fibi deriuet ab
hacpto- .pofuione. Ens eft.ens. Id vno fyllogifmo
oftendo Lunaloco-inouetur Id, quod-loco mauetur,neceflari61oco-inoiieturabaHo:
ErgolunaLoco mouetur ab alio.
Qu6dLoco-meueatur,cernisoculocorporali, quod vcroEnslo- co-motum
incommutabiluer moueatur ab alio.cernis oculo mentali. lraque pr^bueris
affenfum duabus illis prasmiflis,& tamen trepides af- feiuui
conclu(ioni,cogeris praebere affcnfum,fi animaduertas , ex nc- gata
concli»(ione,&: conceflis pr^miflis neceffario fequi,Lunam fimul
moueri & non moueri.Quod moueatur fupponitur in minore : <juod
loco morum neceflario moucaturabalio,concediiurin maiore. Ac impoflibile
eftjunam moueri Localiter,& non moueri locabiliter, fi non fit
poflibiIe,Ens fimul effc ens,& Non-ens.id sctb eft imposfibi- lccum
cns neceffario fit ens. Hzc confirmatio cuiufcunque illationis dicitur
a Philofophis pro- batio pet imposfib Ic
Itaqueensquodcunqucfimpliciter di&um « fefc cxerit inpropo-
fitionem hanc identicara. Early European Books,
Copyright© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. CFMAGL. 1.6.401
I o VtUrUni Mtgni EnseftHns Enseft
feipfum Exquibuscitraillationem>habemushas*
Non-Enseft Non Ens Non-Hns.eft fe ip(um I:x quibus
qualitcrcunqjtc ratiocinando habcmus has, Ensnondt Non Ens Non
Ensnon eit ens Habes ergo Thcophilcex rarione,comrauni omnibus
entibus , y- nam primam, vniuet falisfimamque propolirionem ,
incommutabi- lem,per fenotam,ex quaratiocinando intuli alias. At vero
nullacea- rumillationumfunrreales,quandoquidemhabitudo , aut
affirmata, aut neg3ta,noneft realis : Negata non eft realis , quia
nonnegatuc habitudo vlla, fed ipfum Ensdealio ente : Habitudoautcm non
eft Affirmatanon eftrealis.-namtermininonfunt realiter diftin-
ens cthpraratae enim habitudines affirmatae ,
funt habitudines identitatis, inquibusens, vt fubijcitur, non
diueifificatur afe , vt praedicatur.* lllx enim propolirones , quas in
Logica denominaui identicas , non fuiil i eales, immo nec funt
propofuioncs , (ed dnftiones. Vt enira is,qui dicit, fecernit ens dictum
a rdiquis Entibus, fic qui ftatuit lllud ipfum EnsclTe feipfum>&:
non e(Tc vllum aliorum entium , concipic Ens catenuscognitum , velut fit
indiuifum in fe,& d uifum ab alijs,jicl vcro nolTe de aliquo cnte,eft
dicere ens illud. Non tamen inuoluo di&ioni mdicium, fcdaio, iudicium
de illispropofitiombus non ef- fe realcjecquidem icio eiufmodi
affirmationes & negationes elle no- titias intellectuales
entium,cognitorum infra intelledioncm/ed hanc diftin&ionem reieruo in
alium locum. Grice e Grice, Grice ha Grice, Grice izz Grice, Grice hazz Grice. Valeriano
Magni. Magni. Keywords: implicatura. Luigi Speranza, “Grice e Magni: ‘Paolo e
Paolo: assiomi e principi metafisici” – The Swimming-Pool Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691212061/in/photolist-2mKLYsa-2mKG3XG-2mKHdnD-2mKCnei-2mKCewV-2mKyErQ-2mKCfz1-2mPHbXQ-2mJ3q6x-2dJBzoo-2cqrM6k-DhRHD2-BGqYJH-BinZds-2dP4KZM-2dP4KYV-DvhhWW-DndBhH-Bq5Mgn-BpPvHE-CntuMM-C7qnKU-BNRo71-BirTWs-Biqj5m-C8EsDB-BirMcL-BNN8LU-BGo3aB-C6mZj3-BGr99e-C6nrry-BNPpGE-CdD3Fy-C8DcKk-C8Epi8-BiuDdH-xtDwUA-Biqi5W-BGr4Mi-CfWTwn-CfUqQk-BNLS6s-BGrdHV-BNPyd7-CfTpSR-BNPA2h-C8BmeP-BNPuhS-Biuvvi
Grice e Mainardini – il popolo romano –
filosofia italiana – il consorzio degl’eroi -- Luigi Speranza (Padova). Filosofo. Grice: “Padova tries to institute the
‘regnum’ as between Aristotle’s ‘polis’ and the modern ‘stato,’ but in which
case, we wouldn’t call it ‘politeia’ anymore!” -- Grice: “When I studied change I focused on
von Wright – but then there is Padova and his ‘grammatica del mutamento’!” Nato da una
famiglia di giudici e notai – il padre: ‘di Giovanni’ -- che viveva vicino al
Duomo di Padova, completò i suoi studi a Parigi dove fu insignito dell'autorità
di rettore. Il tempo trascorso a Parigi influì moltissimo sull'evoluzione del
suo pensiero. Gli anni parigini furono molto importanti e fecondi per
l'evoluzione del suo pensiero e la visione dello stato di corruzione in cui
versava il clero lo portò a diventare anti-curialista. A Parigi incontrò
Occam e Jandun, con cui condivise passione politica e atteggiamento di
avversione verso il potere temporale della Chiesa. Con Jandun rimase legato da
grande amicizia e assieme a lui subì l'esilio. Mainardini dopo le sue
dure affermazioni contro la Chiesa venne bollato con l'epiteto di “figlio del
diavolo”. Mainardini si trova a Parigi quando si sviluppò la lotta tra
Filippo, re di Francia, e il Papato. Tutto ciò, assieme al vivace contesto
culturale in cui si muoveva, lo portò alla compilazione della sua opera
maggiore il Defensor Pacis, l'opera cui deve la sua fama e che influì
moltissimo sia sul pensiero filosofico-politico contemporaneo che su quello
successivo. A Parigi sperimentò una monarchia decisa ad accrescere il
proprio potere e la propria autorità su tutte le forze politiche centrifughe
del momento ivi compresa la Chiesa di Bonifacio VIII. Diventato consigliere
politico ed ecclesiastico di Ludovico il aro lo seguì a Roma nel 1327 in
occasione della sua incoronazione imperiale e qui fu nominato dallo stesso
Ludovico vicario spirituale della città. L'incoronazione imperiale avvenne ad
opera del popolo romano anziché del papa inaugurando, così, quella stagione
dell'impero laico che Mainardini vagheggiava e che avrebbe aperto la strada
alla laicizzazione dell'elezione imperiale e alla cosiddetta Bolla d'Oro di Carlo IV di Boemia. Con la Bolla
d'Oro fu eliminata ogni ingerenza del papa nell'elezione imperiale diventando
così un fatto esclusivamente tedesco. Fu ancora con Ludovico quando questi si
ritirò, dopo il fallimento dell'impresa romana, in Germania dove rimase fino
alla morte. È del periodo immediatamente antecedente la sua morte la
compilazione di alcune opere minori tra cui spicca il “Defensor Minor,” un
piccolo capolavoro. Si può definire l'opera di Marsilio come il prodotto di
tempi in cui confluiscono la virtù del cittadino, il nazionalismo francese e
l'imperialismo renano-germanico. Il Difensore della pace” è la sua opera
più conosciuta in cui, fra l'altro, tratta dell'origine della legge. Il
suo fondamento era il concetto di ‘pace,’ intesa come base indispensabile dello
Stato e come condizione essenziale dell'attività umana. Si tratta di un'opera
laica, chiara, priva di retorica, moderna e per alcuni versi ancora attuale. La
necessità dello Stato non discendeva più da finalità etico-religiose, ma dalla
natura umana nella ricerca di una vita sufficiente e dall'esigenza di
realizzare un fine prettamente umano e non altro. Da questa esigenza nascono le
varie comunità, dalla più piccola alla più grande e complessa, lo Stato. Ne
deriva la necessità di un ordinamento nella comunità che ne assicuri la
convivenza e l'esercizio delle proprie funzioni. Per Marsilio questa esigenza
ha caratteristiche prettamente umane che non rispondono a finalità etiche ma
civili, contingenti e storiche. Alla base dell'ordinamento c'è la volontà
comune dei cittadini, superiore a qualsiasi altra volontà. È la volontà dei
cittadini che attribuisce al Governo, “Pars Principans,” il potere di comandare
su tutte le altre parti, potere che sempre, e comunque, è un potere delegato,
esercitato in nome della “volontà popolare.” La conseguenza di questo principio
era che l'autorità politica non discendeva da Dio o dal papa, ma dal “popolo,” inteso
come “sanior et melior pars.” In questa ottica egli propone che i vescovi
venissero eletti da assemblee popolari e che il potere del papa fosse subordinato
a quello del concilio. Ludovico il aro Marsilio pone il problema, che
tratterà anche nel Defensor Minor, del rapporto con il Papato e con i suoi
principi politici costruiti. «occulta
valde, qua romanum imperium dudum laboravit, laboratque continuo, vehementer
contagiosa, nil minus et prona serpere in reliquas omnes civitates et regna
ipsorum iam plurima sui aviditate temptavit invadere segretamente, con i quali
aveva cercato, e continua a cercare, di insinuarsi subdolamente in tutte le
altre comunità e regni che aveva già tentato di attaccare con la propria enorme
avidità» (Defensor pacis) Il giudizio di Mainardini sulla chiesa come
istituzione è molto negativo e lo manifesta con la crudezza di linguaggio che
gli è solita quando affronta l'argomento dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa.
Lo scalpore suscitato da questa opera obbligò Mainardini a fuggire presso
l'imperatore Ludovico il aro, con il quale scese in Italia. Il Defensor minor
si colloca fra le opere minori di Mainardini, ma si distingue per la sua
importanza. Si differenzia dal Defensor pacis per essere un'opera più
propriamente teologica mentre l'altra è prevalentemente politica. Lo studio
condotto nel Defensor Minor riguarda la giurisdizione civile ed ecclesiastica,
la confessione auricolare, la penitenza, le indulgenze, le crociate, i
pellegrinaggi, la plenitudo potestatis, il potere legislativo, l'origine della
sovranità, il matrimonio e il divorzio. Il Tractatus de iurisdictione
imperatoris in causis matrimonialibus che Mainardini compila in occasione del
divorzio di Giovanni di Moravia e Margherita di Tirolo-Gorizia si trova
nell'ultima parte del Defensor Minor. Le relazioni tra i coniugi erano
tanto insostenibili che la sposa preferì fuggire. Intervenne l'Imperatore,
imparentato con la sposa, e progettò il matrimonio tra la fuggitiva e Ludovico
di Brandeburgo ma a ciò ostavano il precedente matrimonio e alcuni legami di
sangue. Il “Tractatus de translatione imperii” – “Trattato della translazione dei imperii” -- è un'opera che niente aggiunge alla fama
derivatagli dal Defensor Pacis anche se ebbe una certa diffusione. Si può
considerare questo trattato come una storia sintetica dell'Impero dalla
fondazione di Roma da Romolo fino al secolo XIV. In Mainardini lo “stato
romano” è concepito come prodotto umano, al di fuori da premesse teologiche
quali il peccato o simili. È fortemente affermato il principio della legge
quale prodotto della comunità dei cittadini, legge dotata di imperatività e co-attività
oltre che ispirata ad un ideale di giustizia. Questo ideale di giustizia deriva
dal con-sorzio (concerto) civile, l'unico soggetto che può stabilire ciò che è
giusto e ciò che non lo è. Per Mainardini, l'uomo deve essere inteso come
libero e consapevole. Nel Defensor Pacis appare diffuso un
costituzionalismo affermato fortemente nei confronti sia dello Stato che della
Chiesa. È tra i primi studiosi a distinguere e separare la legalita (ius) dalla
moralita (ethos, mos), attribuendo il primo alla vita civile e il secondo alla
coscienza. Mainardini è sempre un uomo del suo tempo, saldamente ancorato nella
sua epoca, ma con intuizioni che ne fanno un uomo nuovo, anticipatore per certi
versi del Rinascimento. La definizione del nuovo concetto di Stato, autonomo,
indipendente da qualsiasi altra istituzione umana o, a maggior ragione,
ecclesiastica è il grande merito di Mainardini. Anche nella Chiesa viene
affermata una forma di costituzionalismo contro il dilagante strapotere dei
vescovi e dei papi. È ancora l'universitas fidelium a prendere, attraverso il
Concilio, ogni decisione riguardante qualsiasi materia di ordine spirituale. Il
nostro autore non teme di scagliarsi contro la Chiesa, a negare il primato di
Pietro e di Roma, affermare la necessità del ritorno del clero a quella povertà
evangelica tanto cara ad alcune sette riformiste di cui lui certamente conobbe
e comprese il pensiero. Lotta contro la Chiesa ma solo per conservarne o
rivalutarne il più vero, autentico e originario contenuto e significato. Quasi
riformista e conservatore nello stesso tempo, riformista là dove è contro la
corruzione dilagante nella Chiesa di quel periodo, conservatore là dove accetta
la necessità di un ordine costituito, della religione, della morale, intese nel
senso più puro. La modernità di Mainardini consiste anche nel metodo
della sua trattazione e della terminologia che usa, sempre stringata ed
esaustiva, aliena da qualsiasi di quelle forme di retorica che era
caratteristica degli autori medievali. Altri saggi:: “Il difensore della
pace,” C. Vasoli. POMBA, Torino, BUR, Milano, Ancona E., C. Vasoli, MILANI,
Padova (collana Lex naturalis; Battaglia
F., La filosofia politica del medio Evo, Milano, CLUEB Battocchio R.,
Ecclesiologia e politica, Prefazione di G. Piaia, Padova, Istituto per la Storia
Ecclesiastica Padovana, Beonio-Brocchieri Fumagalli M.T., Storia della
filosofia medievale (Bari, Laterza,), Berti E., “Il ‘regno’ di Mainardini: tra
la civis romana e lo stato italiano,” Rivista di storia della filosofia
medievale, Briguglia G., Carocci
Editore, Cadili A., Amministratore della Chiesa di Milano, in Pensiero Politico
Medievale, Capitani O., Medioevo ereticale, Bologna, Il Mulino, Capitani O., Il
medioevo, Torino, POMBA, Cavallara C., La pace nella filosofia, Ferrara, Damiata
M., Plenitudo potestas e universitas civium, Firenze, Studi francescani, Del Prete D., Il pensiero politico ed
ecclesiologico, Annali di storia, Università degli studi di Lecce Dolcini C., Bari,
Laterza, Merlo M., Il pensiero della politica come grammatica del mutamento,
Milano, F. Angeli, Passerin d'Entréves A., Saggi di storia del pensiero
politico: dal medioevo alla società contemporanea, Milano Piaia G., Mainardini e dintorni: contributi
alla storia delle idee, Padova, Antenore, Piaia G., La Riforma e la
Controriforma: fortuna ed interpretazione, Padova, Antenore, Simonetta S., Dal
difensore della pace al Leviatano, Milano, UNICOPLI Toscano A., Marsilio da
Padova e Niccolo Machiavelli, Ravenna, Longo, Defensor pacis Defensor minor
Tractatus de translatione Imperii Tractatus de iurisdictione imperatoris in
causis matrimonialibus Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Marsilio da Padova, su sapere, De Agostini. Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. marsilio: essential Italian philosopher. Marsilio dei Mainardini,
Marsilio di Padova. Mainardini. Keyword: il popolo italiano, consorzio
conversazionale, difensore della pace, leviatano, allegoria del buon governo –
allegoria del buon governo-- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mainardini"
per il Club Anglo-Italiano; Luigi Speranza, “Grice e Mainardini – la massima
del consorzio conversazionale.” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752043673/in/datetaken/
Grice e
Malfitano – i quattro – il complesso sociale -- filosofia italiana – filosofi
siciliana -- Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo. Grice: “Malfitano, like me, is an emergentist – each ‘complesso’
grows (cresce) and the ‘complexity’ is thus best characterised as ‘crescente,’
– Malfitano uses ‘complexities’ in the plural – a theory of ‘complessita
crescenti’ – The whole point is that you get from one complex to the other.” Grice:
“I like Malfitano. His theory of ‘complessita crescente’ is admirable: he
distinguishes various ‘complesso’ – the material (subdivided into atomic, and
the ‘crescente complessita’ of the molecular), the biological complex (which
comprises the complex of the tissue, and the complex of tthe articular), the
social complex, i. e., the human being
in his inter-subjetctivity -- nd the ideological complex, the abstracta –
ideation, cognition, and conviction – there is a superior geometry, too!” Nacque
da Carmelo, commerciante e navigatore, e Santa Veneziano. Era l'ultimo di sette
fratelli. Frequentò il Liceo Classico Tommaso Gargallo, dove iniziò a nutrire
l'interesse per la materie scientifiche. Già da giovanissimo frequentava
assiduamente una nota farmacia del centro storico della città natale acquisendo
notevole interesse per la chimica e la biologia. Si iscrisse dunque alla
facoltà di chimica dell'Università degli Studi di Catania per frequentare le lezioni
del professor Alberto Peratoner. Malfitano continuò gli studi universitari a Palermo,
dove si trasferì al seguito di Peratoner e ottenne la laurea nel capoluogo
siciliano. Abbandona la Sicilia per spostarsi a Milano, dove intraprese
una breve carriera lavorativa nel campo della chimica industriale agli
stabilimenti Pirelli. Contemporaneamente frequentava la scuola di microbiologia
dell'Università degli Studi di Pavia, retta all'epoca da Camillo Golgi, futuro
Premio Nobel per la medicina nel 1906. Stimolato dall'ambiente favorevole,
Malfitano pubblica I” Comportamento dei microrganismi sotto l'effetto delle
compressioni gassose” -- Inizia in questo modo a farsi notare da colleghi e
professori, sia per la materia dei suoi studi, sia per il carattere disponibile
e solare, come ricorda iPensa, celebre anatomista milanese. La carriera prese una svolta definitiva quando, durante un
congresso internazionale a Pavia, venne notato dal futuro successore di Pasteur,
Duclaux. Venne dunque invitato a trasferirsi a Parigi, avendo ricevuto
l'offerta di un impiego all'istituto Pasteur. Una volta arrivato nella capitale
francese, Malfitano si dedicò in un primo momento alla micro-biologia,
pubblicando come risultati delle sue ricerche: Protease de l'aspergillus niger,
Influence de l'oxygen sur la proteolyse en presence de Clorophorme e
Bactericidie charbonneuse. Decise di ritornare a studiare la chimica pura,
campo d'indagine scientifica che lo rese definitivamente famoso. I suoi studi
sulla chimica colloidale, arrivarono a dimostrare la natura elettrochimica
delle micelle, e riuscì a misurare con notevole precisione la conducibilità
elettrica dei colloidi. In campo pratico, mise a punto i cosiddetti
ultrafiltri, necessari per gli studi in campo teorico sui colloidi. Divenne
capo di un laboratorio chimico all'Istituto Pasteur. Gli studi si interruppero
durante la gran guerra. Al termine di essa, sposò Vera, una studentessa russa.
Subito dopo il grande conflitto ebbe inizio l'elaborazione della più nota
dottrina del chimico siracusano, ovvero la teoria delle “complessità
crescenti,” concetto alla luce del quale Malfitano non indagò solo le micelle,
ma l'esistenza in generale. Pubblicò Complexité et micelle, e Les composés
micellaires selon la notion de complexité croissant. Le conclusioni non vennero
accettate da subito, ma si dovette attendere l'esperimento del premio Nobel
Theodor Svedberg che dimostrò l'esattezza delle intuizioni di Malfitano. Elaborò
negli anni Venti una teoria che tentava di spiegare la materia, attraverso
l'esame dei diversi livelli atomici e molecolari che la caratterizzano
strutturalmente. La materia, secondo lo scienziato siracusano, è suddivisibile
in atomi, molecole, plurimolecole (polimeri e complessi) e micelle. In ognuna
delle classi citate si possono distinguere tre tipi di unità materiali:
ioniche, polari e ionopolari. L'analisi compiuta sulla materia venne
estesa in campo social-ogico da Malfitano. Tenta di ricondurre la complessità
socio-antropologica alla complessità atomica. I quattro ordini di “complesso” che
costituiscono il mondo sono dunque. Primo, il complesso materiale (suddiviso in
due sub-complessi – primo sub-complesso: “complesso atomico” e secondo
sub-complesso materiale: “complesso molecolare”), il complesso biologico (suddiviso
in primo sub-complesso biologico: complesso istologico e – secondo
sub-complesso biologico: complesso citologico). Terzo, il complesso sociale (l'essere
umano). Al culmine di un'ipotetica piramide il quarto complesso: il “complesso
ideologico” (suddivisi in tre complessi: il primo sub-complesso ideologico: ideazione;
il secondo sub-complesso ideologico: la conoscenza, il terzonsub-complesso
ideologico: la convinzione). L'ultimo passo della speculazione e il
concetto di geometria superiore, un'armonia equilibrata e simmetrica che domina
gli eventi e la materia, una variabile fondamentale e al tempo stesso fuggevole
dell'esistenza, un concetto che rappresenta la libertà. In ultima analisi, il
compito era dunque quello di comprendere le leggi dell'armonia ordinatrice del
cosmo e di preservarne la bellezza e l'equilibrio. Soleva spesso tornare
in Sicilia seppur per brevi periodi, dovette rinunciare a questa abitudine.
L'aggravarsi della sua malattia, una cecità che gradualmente lo privò della
vista, e le sue convinzioni anti-fasciste, non gli permisero di rivedere il
paese natale dalla fine degli anni Trenta. Morì inell'alloggio assegnatogli
dell'Istituto Pasteur dove aveva trascorso gran parte della sua vita. Pubblica le
sue convinzioni filosofiche servendosi dello pseudonimo "Aporema",
termine che indicava l'impossibilità di ottenere una risposta precisa dallo studio
di un problema. Introdusse per primo a Siracusa la moda di bere il latte acido,
quello che abitualmente viene chiamato yogurt, come era già frequente nella
capitale francese. Durante una tempesta patita in mare Carmelo Malfitano
aveva fatto voto a Santa Lucia, patrona siracusana, di sposare un'orfana se
fosse riuscito a tornare incolume sulla terraferma. Carmelo sposò per questo
motivo Santa Veneziano, orfana di
entrambi i genitori. Da tale unione nacque Giovanni. Ad Repellendam
Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche Ad repellendam
Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche122. Antonio Pensa, Ricordi di vita universitaria (Citato
nel testo Ad Repellendam Pestem Storie di Medici e di Sanità nella terra di
Aretusa), Cisalpino Istituto Pasteur, su webext.pasteur.fr. Ad repellendam Pestem Storie di Medici e
Sanità nella terra di Aretusa, Tyche. Ad repellendam Pestem Storie di Medici e
Sanità nella terra di Aretusa, Tyche124.
Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa,
Tyche126. Ad repellendam Pestem Storie
di Medici e Sanità, Tyche125. Ad
repellendam Pestem. Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche,
Siracusa, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “Malfitano is right about the ‘social
complexus’ – however, as Talcott Parsons has shown there is more complexity in
the social compexus than Malfitano, a Sicilian, allows!” -- Grice: the fourth
stadia: -- il complesso sociale -- Giovanni Malifitano. Malifitano. Keywords: i
quattro. Refs.: H. P. Grice, “Pirotology,” – “The pirotological ascent,” in
“From the banal to the bizarre: a method for philosophical psychology” -- emergentismo
di Grice – emergentismo di Malfitano – l’organicismo della diada in Malfitano
--. Il complesso di azione e il complesso di inter-azione, il complesso sociale
--. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Malifitano” – The Swimming-Poo Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752411499/in/dateposted-public/
Grice e
Malipiero – il trionfo della ragione; ossia, confutazione del sistema del
contratto sociale – the breach of contract – or Romolo e Remo, I due
contrattanti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia).
Filosofo. Grice: “I love Malipiero’s approach to philosophy: hardly a
profession! As if someone were to be called ‘amateur cricketer’ – Malipiero
loves (‘ama’) philosophy and it shows!” – Grice: “There is philosophical wisdom
in any endevaour he finds himself in!” Grice: “One must love him for his
attempted ‘confutazione’ of Rousseau’s ‘sistema del contrato sociale’ as a
‘triumph of reason’!” -- Nacque da Angelo di Troilo e da Emilia Fracassetti.
Entrambi i genitori erano patrizi: il padre proveniva dalla storica casata dei
Malipiero (ramo "delle Procuratie Vecchie"), mentre la madre
apparteneva a una famiglia di mercanti bergamaschi nobilitata. Dichiarava di
abitare in un palazzo a Santa Maria Zobenigo (ereditato dal padre dopo
l'estinzione di un'altra linea della famiglia), cui si aggiungevano quattro
botteghe nei centralissimi quartieri di Rialto e San Moisè; altre cinque case
si trovavano tra Santa Margherita, San Gregorio e San Martino.Esordì in
politica con l'elezione a savio agli Ordini. Divenne provveditore alle Pompe,
ma non riuscì a prendere possesso della carica a causa della caduta della Repubblica.
A questo punto, lasciò la vita pubblica per dedicarsi alla filosofia analitica
del linguaggio ordinario. Fu un autore poliedrico, capace di spaziare
dall'attualità politica alla letteratura e alla tragedia di ambito neoclassico.
La prima opera pubblicata è il saggio di matematica “Dimostrazione sulla tri-plicazione
e tri-sezione dell'angolo effettuato colla retta e col cerchio.” Più tardi si
cimentò nella filosofia presentando l'opuscolo “Saggio sugli sforzi della
passione nell'intelletto e su' di lei effetti nel cuore,” in cui sostiene di
moderare il razionalismo perché nell'animo umano esso convivi in armonia con le
passioni. Questa idea, in contrasto con quanto
asserito da Rousseau, fu ribadita ne “La felicità della nazione realizzata dal
politico e dal sovrano,” uno dei suoi primi scritti in filosofia morale. In
questo lavoro Malipiero prese in esame la tendenza allo sfarzo di una parte
della società, analizzando come i governi avessero reagito al fenomeno in
epoche diverse. Nell'opera emerge la condanna al lusso sfrenato, ma anche
all'appiattimento estremo dettato da rivoluzionari e giacobini. Lo stesso pensiero moderato è ripreso nel “Trionfo
della ragione; ossia, confutazione del sistema del contratto sociale” -- ristampato,
senza grosse variazioni, come “Il trionfo della verità nella difesa dei diritti
del trono ossia Confutazione del contratto sociale.” Grice: “I find this
interesting, since I also oppose contractualism to rationalism!” -- Qui il
Malipiero cercò di dimostrare come la migliore forma di governo non fosse la
democrazia, ma la monarchia. La sua
linea anti-rivoluzionaria fu affermata anche quando si tenne distante dagli
organi della Municipalità istituita sul modello, o ‘sistema’ del contratto.
Accolse perciò con favore l'arrivo degli Austriaci, come dimostrano il ‘Testamento
della spirata libertà cisalpine” e l'annesso sonetto “Confronto fra il genio
della Romana Repubblica e quello dell'Austria.” Di grande importanza è quanto
emerge nella “Voce della verità,” una memoria autografa inviata al governatore
austriaco Mailath von Székhely all'indomani del suo insediamento a Venezia. Nell'opera,
divisa in capitoli dedicati ai problemi dell'amministrazione asburgica (polizia,
zecca, commercio, diritto ecc.), si chiede quale dovesse essere il criterio di
scelta per la nuova classe dirigente veneziana. Dimostrandosi critico nei
confronti degli ex funzionari della Repubblica di Venezia (ceto a cui lui
stesso apparteneva), nominati non in base ai meriti, ma per favoritismo,
auspicava di non concedere spazio a coloro che vivevano nel lusso, poiché
entravano in politica solo per il proprio tornaconto, e soprattutto verso i
trasformisti che cambiavano opinioni con l'avvicendarsi delle
amministrazioni. Con questo lavoro
anticipò le scelte del governo austriaco che, in effetti, estromise il
patriziato dalla vita politica e assegnando le cariche amministrative a
personalità lombarde o delle province ereditarie. Si dedicò, con un certo successo, anche alla
stesura di tragedie, a tema biblico, storico o mitologico, che potessero
presentare allo spettatore esempi da seguire o da evitare. Tra queste “Il
sacrifizio di Abramo,” “Camillo,” “Prometeo ossia La prodigiosa civilizzazione
delle genti,” “Medea.” Altre opere degne di nota sono “La bottega del caffè” “Quadro
critico morale, Lo scultore e la luce, azione mitologica in apoteosi del cav.
Canova,” Il conte Ugolino in fondo alla torre di Pisa. Sciolti, Atabiba ed
Huascar. Azione tragica di spettacolo; La Verità nello spirito dei tempi e nel
nuovo carattere di nostra età (sul congresso di Verona), Zanghira e Lemanza.
Quadro poetico nelle nozze Malipiero/Martinengo dalle Palle; Elogio di Giovanni II del mr. co. Martinengo
dalle Palle; Descrizione della Montagna ov'è la chiesa della Madonna della
Corona nelle alture di Montebello. Fu confermato nobile dell'Impero Austriaco,
assieme ai figli Angelo e Angela, nati dal matrimonio con Contarina di Vincenzo
Pisani. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Grice: “I would often rely on contractualism, but [Welsh philosopher
G> R.] Grice made a job out of it! I saw the cooperative principle as a
matter of quasi-contract – whatever that is. And if it’s a MYTH, what’s wrong
with it? Romolo mythically killed Remus because of a breach of contract, too!”
Grice: “My thought exactly replicates that of Malipiero back in the good old
days of Venetian republic – only there was more rhyme to reason in HIS scheme!”
-- Troilo. Malipiero. Keywords: il trionfo della ragione, ossia, confutazione
del sistema del contratto sociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Malipiero” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702171088/in/photolist-2mJq2uE-2mLK9bU-2mKBJ8m
Grice e
Mamiani – Beltrami contro Euclide – filosofia italiana – Luigi Speranza (San
Secondo Parmense). Filosofo. Grice: “I like Mamiani; unlike us at Oxford, he
takes ‘science’ seriously! But in an amusingly Italian way! He has explored
Newton on the apocalypse! My favourite of his treatises is the one on space
which reminds me of Strawson – Beltrami, unlike Strawson, is non-Euclideian,
and thinks Italian needs Euclideian verbs to match!” Linceo. Membro dell'Accademia dei Lincei ha insegnato
Storia del pensiero scientifico all'Parma, Udine e Ferrara. Si è occupato soprattutto di Isaac Newton,
del quale ha trascritto un trattato inedito sull'Apocalisse, di Cartesio e
dell'origine delle enciclopedie moderne.
Saggi: “J. M. Guyau Abbozzo di una morale senza obbligazione né
sanzione,” Firenze, Le Monnier, “Newton filosofo della natura” Le lezioni di
ottica e la genesi del metodo newtoniano, Firenze, La Nuova Italia, “Teorie
dello spazio” -- da Descartes a Newton, Milano, FrancoAngeli, “La mappa del sapere.” La classificazione
delle scienze nella Cyclopaedia di E. Chambers, Milano, Angeli, “Il prisma di Newton,”
Roma, Laterza, Introduzione a Newton, Roma: Laterza, “Trattato
sull'Apocalisse,” Torino, Boringhieri, I. Newton, Firenze, Giunti, Storia della
scienza moderna, Roma, Laterza, Scienza e Sacra scrittura, Napoli, Vivarium. I. Newton, Trattato sull'Apocalisse,Torino,
Bollati Boringhieri, Scienza e teologia studi in memoria, Firenze, Olschki, Studi
sul pensiero scientifico Ricordando Mamiani, "I castelli di Yale", Il
Poligrafo, Padova 2 La Rivoluzione scientificaI domini della conoscenza: La
sintesi newtoniana in Storia della Scienza, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana,. Newton e l'Apocalisse. Grice: “Mamiani should have left Newton to
the Lincolnshiremen, and concentrate on Galileo!” Maurizio Mamiani. Mamiani.
Keywords: Beltrami contro Euclide. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mamiani” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51751960368/in/datetaken/
Grice e
Mancini – kerygma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Schieti).
Filosofo. Grice: “I like Mancini: he
has expanded on the ethos of cooperation – and he has explored what he calls
‘linguaggio ontologico’ and ‘alienazione’ in connection with language – he
reviewed Pittau’s philosophy of language, and published a little thing on ‘language
and salvation.’ So how can you NOT like him?” Grice: “I like Mancini; if I dwell on
philosophical eschatology, he dwells on the real thing!” Grice: “He has studied
Kant thoroughly; all the interesting bits, like his idea of MALEVOLENTIA!” “La filosofia è il passaggio dal senso al
significato, attraverso le mediazioni culturali, dottrinali, attraverso la
struttura del puro pensare e attraverso le mediazioni della prassi.” Studia a Fano
e si laurea a Milano dove insegna. Bo lo vuole ad Urbino. Studia i massimi
teologi, curato le opera di Barth, Bultmann e Bonhoeffer pubblicando, su
quest'ultimo, anche una biografia e un'analisi dottrinale. Ha fondato
l'Istituto superiore di scienze religiose di Urbino, unico esempio, per molti
anni, di "facoltà teologica" in una università laica. Tra i
filosofi, si è dedicato molto a Kant, pubblicando una Guida alla Critica della
ragion pura. In questo senso è ancora
più importante "Kant e la teologia” dove tratta la filosofia della religione kantiana,
fondata su una concezione morale rigorosa resa possibile dall'Imperativo
categorico, che prospetta una trascendenza per l'uomo, attraverso i postulati
dell'immortalità dell'anima e dell'esistenza di Dio. Questa filosofia della
religione, in cui Kant mette in rapporto la “religione razionale” con la “religione
rivelata” (e che si contraddistingue per i concetti di “male radicale” e di “chiesa
invisibile”), è considerata feconda. Si è anche confrontato con Marx, allora
dominanti nella cultura filosofica e politica italiana. In Marx, tiene in
grande considerazione il concetto di “alienazione” -- presente soprattutto nei
Manoscritti filosofici. Questo concetto, che esprime l'estraneazione
dell'operaio in rapporto al lavoro salariato, a causa dei modi di produzione
capitalistici, capaci di sfruttare il lavoro come fosse una merce, deve essere
stimolo per la Dottrina Sociale della Chiesa. Ciò che Mancini critica in Marx è
l'ateismo e il materialismo, attraverso l'uso della dialettica hegeliana in una
prospettiva materialistica (materialismo storico). Questa concezione infatti
mette in discussione la libertà dell'uomo, inteso come persona, riducendolo
all'insieme dei suoi rapporti economici. Inoltre fa parte della redazione della
rivista Concilium. Fonda “Hermeneutica” ed edita da Morcelliana. La sua
posizione di pensiero verte su un cristianesimo di matrice liberale e
democratica d'impronta sociale, che cerca uno spazio autonomo e libero, dando
una risposta da credente alla cultura laicista e marxista di quegli anni sulle
orme del Concilio Vaticano II. Opere:“Ontologia fondamentale,” La Scuola,
Brescia “Rosmini” “la metafisica inedita, Argalìa, Urbino “Filosofi
esistenzialisti” Heidegger, Marcel, Wahl, Gilson, Lotze), Argalìa,
Urbino“Linguaggio e salvezza,” Vita e Pensiero, Milano “Filosofia della
religione,”Abete, Roma “Bonhoeffer, Vallecchi, Firenze “Teologia ideologia
utopia”Queriniana, Brescia “Kant e la teologia,”Cittadella, Assisi “Futuro
dell'uomo e spazio per l'invocazione”L'Astrogallo, Ancona “Con quale comunismo?”
Locusta, Vicenza, “Con quale cristianesimo” Coines, Roma, “Novecento
teologico”Vallecchi, Firenze “Teologia ideologia utopia” Queriniana, Brescia “Fede
e cultura”Genova, Marietti “Come continuare a credere” Rusconi, Milano “Negativismo giuridico” QuattroVenti,
Urbino “Guida alla Critica della ragion
pura” I, QuattroVenti, Urbino “ Lettera a un laureando” Urbino, Quattroventi “Il
pensiero negativo e la nuova destra”Mondadori, Milano “Il quinto evangelio come
violenza ermeneutica” in “Apocalisse e ragione”, testi di Carlo Bo e altri,
Urbino, Quattroventi “Hermeneutica”
“Filosofia della prassi,”Morcelliana, Brescia “Tre follie, Camunia, Milano “Guida
alla Critica della ragion pura”“L'Analitica” QuattroVenti, Urbino “Il male
radicale per Kant, in “La ragione e il male. Atti del terzo colloquio su
filosofia e religione”, Genova, Marietti 1 De profundis per la dialettica, in
“Metafisica e dialettica”, Genova, Tilgher Tornino i volti, Marietti, Genova Giustizia
per il creato, Urbino, Quattroventi, coll. "Il nuovo Leopardi"
L'Ethos dell'Occidente. Neoclassicismo etico, profezia cristiana, pensiero
critico moderno, Marietti, Genova Scritti cristiani. Per una teologia del paradosso,
Marietti, Genova Opere postume Diritto e società. Studi e testi, Urbino,
Quattroventi Come leggere Maritain, Brescia, Morcelliana Ethos e cultura nella cooperazione di
credito, Piergiorgio Grassi, Urbino, Associazione per la ricerca religiosa “S.
Bernardino”, Quattroventi Bonhoeffer; Morcelliana,
Brescia Frammento su Dio, Brescia,
Morcelliana Per Aldo Moro. Al di là della politica, Carlo BoMario LuziItalo Mancini,
Urbino, Quattroventi Opere scelte. Brescia,
Morcelliana Mancini Giorgio Rognini, Metafisica e sofferenza. Un itinerario critic
(Verona, Mazzian); A. Milano, Rivelazione ed ermeneutica” (Urbino, Quattroventi
"Biblioteca di Hermeneutica" P. Grassi, Intervista sulla teologia (Urbino,
Quattroventi "Il nuovo Leopardi"; La filosofia politica” (Urbino,
Quattroventi, Francesco D'Agostino, Filosofo del diritto, Urbino, Quattroventi,
"Il nuovo Leopardi" G. Ripanti, P. Grassi, Kerigma e prassi, Brescia,
Morcelliana, Hermeneutica, Studi in memoria, Napoli, Scientifiche, G. Crinella.
Dalla teoresi classica alla modernità come problema, Roma, Studium, A. Areddu,
Cristianesimo e marxismo Una rilettura in memoriam, Pistoia, Petite Plaisance
tra filosofia e teologia, in "Riv. di teologiaAsprenas", I A. Pitta, G.
Ripanti P. Grassi (a cura), Filosofia, teologia, politica. A partire da Mancini,
Brescia, Morcelliana, Hermeneutica Mariangela Petricola, Pensare la differenza
-- la questione di Dio nell'epoca della disgregazione del senso. Una rilettura
in “Dialegesthai. Riv. telematica di filosofia", mondo domani.org/
dialegesthai/ mpe. M. Petricola, Pensare
Dio. Il cristianesimo differente, Assisi, Cittadella Editrice Antonio Ascione, Fedele a Dio e alla terra.
L'avventura intellettuale di Italo Mancini, Benevento, Passione Educativa Valeria Sala, Italo Mancini. Filosofo del
diritto, Torino, Giappichelli, "Recta Ratio"sapere, Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Seminario in
memoriam, su pesaronotizie.com. Centro socio culturale "Don Italo
Mancini" presso il suo paese natale Schieti, su centroitalomancini. 15
gennaio 22 gennaio ). Pagina sul social
network Facebook, su facebook.com.
cronologica, su uniurb. L'Istituto di Scienze Religiose fondato da lui
su uniurb. Biblioteca personale "Ca' Fante", su uniurb. Rivista
"Hermeneutica" fondata da Italo Mancini, su uniurb. A. Aguti, Italo
Mancini, in Il pensiero filosofico-religioso italiano.org. Italo Mancini. Mancini.
Keywords: kerygma, “male radicale” “Kant” “radical evil” --. “cooperative di
credito” – “la massima della benevolenza conversazionale”, il problema del
vaticano – patti laternai, ventennio fascista e patti laterani --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Mancini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51751692436/in/datetaken/
Grice e
Mangione – alcuni aspetti del nazionalismo culturale nella logica italiana –
logica matematica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bagnara
Calabra). Filosofo. Grice: “I like
Mangione; for various reasons: He notes that logic is more related to
mathematics – indeed, for logicism mathematics IS logic – so the opposite to
‘formal’ logic is ‘material’ logic, not ‘informal’ as Ryle and Strawson want –
Mangione has studied ‘categories’ and talks of ‘logica matematica’ – he has
studied Frege’s ideografia, as he aptly translates his grundscrift, and he
tried to improve on the ‘nationalism’ which was ubiquitous in logic in Italy in
the ‘primo novecento’!” Insegna a Milano. Diresse le due collane matematiche
della casa editrice Progresso tecnico editoriale di Milano, appendice della A. Martello
editore. Presso l'editore Boringhieri di Torino ha diretto “Testi e manuali
della scienza contemporanea. “Serie di logica matematica.” Contribuito alla Storia della filosofia
pubblicata da Geymonat per Garzanti con specifici contributi sulla storia della
logica matematica. Amplia e sistematizza tali contributi nella Storia della
logica. Da Boole ai nostri giorni”. Il saggio costituisce un ampio ed esaustivo
lavoro di ricognizione e sintesi sugli ambiti di ricerca e sui risultati della
logica. Dirige la collana Muzzio scienze.
Insieme a E. Ballo, S. Bozzi, G. Lolli e P. Pagli cura Gödel
(Boringhieri). Saggi: “Logica matematica” (Torino, Boringhieri); “Giocando con
l'infinito: matematica per tutti, traduzione di G. Giorello (Milano,
Feltrinelli); “Matematica e calcolatore, Le Scienze quaderni, Milano, “Filosofia:
saggi in onore di Geymonat, Milano, Garzanti “Storia della logica, CUEM “Storia della logica”“Da Boole ai nostri
giorni” (Garzanti); “Frege. Logica e aritmetica” -- Torino, Boringhieri. E.
Regny, «Breve storia di una lunga amicizia», Franco Prattico, «Pubblicate tutte
le opere di Godel» dalla Repubblica, articolo disponibile sul database SWIF
dell'Bari. 6.Peano(4), A.Nagy(5), (1) Delbcedp J ,
Logiqìie algorithmique. Revue Philoso- phique (1876) quindi idem. Liège
et Bruxelles (1877). (2) Liard L., Les logiciens anglais
contemporains {ISIS). — Logique. Masson, Paris. — Cours
de philosophie. Logique (1884). (3) CouTURAT L., La logique
mathémaiique de M, Peano, " Revue de Métaphysique et de Morale „, a.
1899, p. 616. — La logique de Leibniz d'après dea documents
inédits. Paris, Alcan, 1901. L^ Algebre de la logique. Paris,
Gautliiers-Villars, ed. (1905). (4) Peano G., Calcolo
geometrico secondo VAusdehnungs- léhre di H, Grassmann, preceduto dalle
operazioni della logica deduttiva, Torino (1888). —
Arithmetices principia, nova methodo exposita {1SS2) . — I principi
di geometria logicamente esposti (1889). Torino, Bocca. —
Elementi di calcolo geometrico (1891). Principi di logica matematica
(1891). R. d. M., t. I. — Formule di logica matematica. R. d. M.,
t. I. — Sul concetto di numero. R. d. M., t. I. — Sui
fondamenti della geometria (1894). R. d. M., t. 4. — Saggio di
calcolo geometrico (1896). — Studi di logica matematica
(1897). — Les définitions matJtématiques (1900). Formulaire mathématique. (5) Nagy
a., Fondamenti del calcolo logico. Giornale di matematica. Voi. XXVIII.
Napoli (1890). — Sulla rappresentazione grafica delle quantità
logiche. Rend. R. Accademia dei Lincei. Voi. VI, pag. 50-56,
373-378 (1890). — Lo stato attuale ed i progressi della logica.
Rivista italiana di filosofia. Anno VI. Voi. II, Fase, novembre-
dicembre, pag. 301-319 (1891). 64 LOGICA FOBMALE
C. Burali-Forti (1), G. Vacca, G. Vailati, A. Padoa, M.
Pieri, F. Castellano, C. Ciamberlini, Giudice, Nagy a.,
Principi di logica esposti secondo le dottrine mo- derne. Torino,
Loescher (1892). — / teoremi funzionali nel calcolo logico, Riv. di
Mat., t. 2, pag. 177-179 (1892). — Ueher Beziehungen zwischen
logischen Ordssen. Mo- natshefte fur Mathematik. Wien, t. 4, pag. 147-153
(1893). — La logica tnatematica e il calcolo logico. Riv. Itai.
di Filos. Roma, t.8, I, pag. 389-395 (1893). — I primi dati
della logica. Id. Roma, t. 9, p. 33-70 (1894). — Ueber das
Jevons-Cliffordsche Problem. Monatshefbe far Mathematik. Wien, t. 5, pag.
331-345 (1894). — Sulla definizione e il compito della logica.
Roma, Balbi (1894). — Alcuni teoremi intorno alle funzioni
logiche. Riv. di Mat., t. 6, pag. 21-24 (1896). (1)
BuaAn-FoKTi C, Logica matetnatica. Milano (1894). — Exercice de
traduction en symholes de Logique Mathé- matique. Bulletin de
Mathématiques élémentaires (1897). — Sui simboli di logica
matematica. Il Pitagora, pagine 1-65-129 (1890). Padda A.,
Note di logica matematica. Riv. di Mat., t. 6, pag. 105. —
Conférences sur la Logique Mathématique. Université non velie de
Bruxelles (1898). — Essai d'une théorie algébrique des nombres
entiers, précède d'une introduction logique à une théorie déductive
quelconque. Congresso internaz. di filosofia. Parigi, 3 ag. 1900.
Vailati G., Un teorema di logica matematica. Riv. di Mat., t. 1,
pag. 103. — Sul carattere del contributo apportato dal
Leibniz allo sviluppo della logica formale. Rivista filos. e
scienze affini. Maggio-giugno 1905 (pagg. 338-344). Vacca G.
Sui precursori della logica matematica. Riv. di Mat., t. 6, pag.
121-183. PARTE I - TEORIA GENERALE 65 Bettazzi,
M. Chini, T. Boggio, A. Ramorino, M. Nassò, ecc. (1) in Italia.
(1) Tutti questi ultimi A. appartengono alla scuola del
Peano, al quale si deve la prima introduzione della Lo- gica matematica
in Italia coU'opera del 1888. In essa il Peano, esposti lucidamente gli
studi dello Schrodbr, del BooLE, ecc., dimostrò l'identità del calcolo
sulle classi, fatto da questi Autori, col calcolo sulle proposizioni
del Peirce, del Me Coll, ecc. L'opera de\VS9 {Arithmetices
principia...) contiene per la prima volta la teoria dei numeri interi
completamente ridotta in formòle facendo ricorso ad un
limitatissimo numero di idee logiche che espresse coi simboli: €,
D, = n, u, --, A. Di qui trasse origine la sua ideografia, in cui
ogni idea è rappresentata con un segno, e il suo strumento
analitico andò perfezionandosi rapidamente. Nel '92 comparve il
primo volume del Formulaire de Mathémathiques; nel '94 V Introduction^
quindi la pubbli- cazione completata, con nuove formule ed arriccbita
di numerose indicazioni storiche per la collaborazione di valenti
seguaci, procedette alacremente, raccogliendo e trattando completamente
in simboli tutte le proposizioni della matematica. L'importanza
filosofica di questo mo- vimento scientifico non è ancora stata
apprezzata conve- nientemente dai filosofi, e l'opera del Peano
comincia solo ora a richiamare sopra di se l'attenzione degli inse-
gnanti di logica pura. Questo ritardo filosofico è tanto più strano
quanto più chiara è la filiazione filosofica di questa ideografia.
Il Peano stesso non cessò mai di far notare che essa " è
basata su teoremi di Logica, scoperti successivamente da Leibniz fino ai
giorni nostri „. È noto infatti che l'ideografia completa o
pasigrafia fu intravista da Leibniz, col nome di Characteristica.
Ma se, con definizioni opportune, si potè ridurre le Pastore,
Logica formale. 5 LOGICA
FORMALE 3. Meriti dell' analitica moderna, — Da questo
rapido cenno dello sviluppo storico dei postulati del càlcolo logico e
degli autori che più hanno contribuito al progresso della logica pura e
sim- bolica in largo senso della parola (simboli lette- rali,
aritmetici, algebrici, geometrici, ideografici, ideofisici e via
dicendo), e pure in mezzo alle di- vergenze profonde e attraverso i vari
modi onde le forme logiche si manifestano e a quelli onde vengono
interpretate, è possibile scorgere il filo conduttore. Le
dottrine più recenti sopratutto, parte cri- ticando i metodi e i principi
sui quali le antiche erano costruite, parte proponendo metodi di
di- mostrazione più atti all'indagine logica, parte svolgendo fuori
dalla stessa analitica germi di idee nuove che vi rimanevano prima come
oscu- rati ed occulti, sono come una successione in- calzante di
fiotti vitali che, scaturendo dalle vette del pensiero, sono penetrati
nell'organismo della logica formale alimentandolo e sospingen-
idee di logica che si incontrano in molte parti della ma-
tematica ad un numero sempre più piccolo di idee pri- mitive, attualmente
ancora si desidera una riduzione analoga di tutte le idee di logica che
si incontrano nella logica pura. Questa riduzione presenta
invero seriissime difficoltà, ** ed e più facile il riconoscere quante e
quali siano le idee primitive in Aritmetica e in Geometria, che in
Lo- gica „ (Peano). In questo saggio, continuando le ricerche
cominciate nel precedente, che mi converrà di supporre conosciuto
al lettore, tento di portare un contributo alla soluzione del problema
suddetto. Corrado Mangione. Mangione. Keyword: “logica matematica”
“divertente”, “Sidney Harris” Peano, “not” “no” “and” “e” “or” “o” “if” “si”
“some (at least one)” “all” “the” “il” , Mangione, simbolistica, logica
simbolica, logica formale, logica materiale, semantica, semantica per un
sistema di deduzione naturale, SYMBOLO, whoof and proof, w’f ‘n’ proof. -- -. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e la proclama di
Mangione: logica matematica, la logica matematica deve essere divertente!” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51746531946/in/datetaken/
Grice e
Manfredi – liber de homine – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna).
Filosofo. Grice: “I like the “liber de homine.” It reminds me that among my
unpublications there’s a ‘Why’!” Grice: “While the Italians aptly use the same
particle for ‘why’ and ‘for’, the Anglo-Saxons didn’t! That must be because
‘for’ is usually otiose: “Why are you eating.” “For I am hungry, say I!” cf. “I
am hungry.” – Studia a Bologna e Ferrara. Entra in contatto con circoli
umanistici. Insegna a Bologna. Riceveva un compenso superiore alla media ed è
il docente più citato nei Libri partitorum. Esercita l'astrologia ee attaccato
da Pico (“Disputazione contro l’astrologia divinatrice””). La sua opera “Il Perché” fu un successo per
secoli. Altre saggi: “Tractato de la
pestilentia,” Bologna, Johann Schriber, “Pro-gnosticon anni 1490” (Bologna,
Bazaliero Bazalieri) “Liber de homine,” Impressum Bononiae, Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Girolamo Manfredi. Keyword:
divination. Those clouds mean rain – Those clouds mean death. --. Grice: “The
present budget means that we will have a bad year – Prognosticon anni 1490 --. “The
present budget means we’ll have a hard year, but we shan’t have.” – x means
that p entails p. The year 1490. In 1491, Pico approaches Manfredi, “You said
that the budget for 1490 meant that we would have a hard year, but we didn’t!” – Girolamo Manfredi. Manfredi.
Keywords: liber de homine, la tradizione pseudo-peripatetici dei problemi – il
problema – la questione di ‘per che’ – Grice sulle tipi di domanda – la domanda
dei bambini – la domanda di Grice a bambini, “Can a sweater be red and green
all over? No stripes allowed? – The philosopher’s question – ‘why is there
something rather than nothing? Why I am me and not you? Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Manfredi:
l’implicatura divinatrice” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51746753618/in/datetaken/
Grice e
Manicone – la filosofia del gargano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vico
del Gargano). Filosofo. Una delle
personalità più caratteristiche del suo tempo della Capitanata. Definito
il “monacello rivoluzionario” a causa della sua bassa statura, che
sembrerebbe di 1,40 m, la sua indole illuministica consiste in una sete di
sapere che non si placa con il dogmatismo, ma con l'esperienza diretta, lo
studio approfondito dei fenomeni naturali e della scienza, un'osservazione
empirica che poteva fornire una risposta valida e concreta alle varie
problematiche e quindi un aiuto pratico all'uomo, al suo benessere e sviluppo,
alla sua felicità. Ciò gli costò l'inimicizia di chi, seppur in pieno
illuminismo, diffidava e demonizzava la scienza. Lo sviluppo
economico-sociale che teorizza Manicone consiste in uno sviluppo connesso e,
per certi versi, dipendente dall'ambiente, perché egli riteneva che la natura
fosse una fonte primaria di ricchezza e la sua distruzione avrebbe potuto
segnare la fine dello sviluppo. Manicone può essere considerato un
profeta dello sviluppo sostenibile, perché in pieno Settecento, quando le
industrie erano inesistenti, ebbe un'ampiezza di vedute che gli consentì di
prevedere le conseguenze disastrose che avrebbe portato l'uso improprio e
scriteriato delle risorse naturali. Le opere in cui Manicone tratta, tra
gli altri, il tema dello sviluppo sostenibile, sono La Fisica Appula (cioè
dell'Apulia) e La Fisica Daunica (cioè della Daunia, antico nome della
Capitanata). Secondo il “monacello”, uno dei peggiori atti compiuti dall'uomo
del suo tempo era la cesinazione selvaggia dei boschi garganici, un tempo
rigogliosi, come anche attesto da Orazio nelle Epistole: «Garganum mugire putes
nemus». Riferisce che il disboscamento del promontorio iniziò nel 1764,
con il taglio “barbaro” dei pini nel territorio “Difesa” di Vico del Gargano e
la cesinazione degli ischi ad Ischitella, talmente “furiosa” che, ad inizio
Ottocento, l'Abate Longano denunciò la carenza di legna da ardere per gli
ischitellani. La causa di questo disboscamento fu la volontà di destinare
i suoli a coltura, anche quelli non adatti a questo scopo e più utili al
pascolo e alla produzione di legname, vista la “rocciosità” della terra sul
promontorio del Gargano. Manicone spiega anche la diminuzione della fauna
selvatica nel Gargano, sempre dovuta alla cesinazione, che diminuiva i
nascondigli per gli animali selvatici, e li rendeva più vulnerabili. Ne
“La Fisica Appula”, il frate dedica un intero libro al Mefitismo (insalubrità
dell'aria) e alle cause che lo generano. Egli sostiene che l'inquinamento può
avere cause naturali o accidentali (provocate dall'uomo), può essere anche
indigeno (proprio della zona) o esotico (derivante da altre zone). Secondo il
Manicone le principali cause accidentali del mefitismo erano: 1. Le
condizioni igieniche precarie delle strade e delle abitazioni; 2. L'insana
abitudine di depositare gli escrementi nelle strade; 3. La sepoltura dei centro abitato (consuetudine abolita con
l'Editto di Saint-Cloud, ma anticipata nel 1792 a Vico del Gargano da Pietro de
Finis, che fece costruire il cimitero monumentale di San Pietro); 4. Il taglio
dei boschi (invece gli alberi sono importanti perché emettono ossigeno e
assorbono anidride carbonica). Lo studio del frate sul territorio garganico fu
talmente minuzioso da fargli notare un mutamento climatico dalla metà del
Settecento all'Ottocento; in alcune zone del Gargano, ci furono sbalzi di
temperatura che provocarono un sensibile calo di precipitazioni nevose e
mitigarono parecchio gli inverni. Secondo il Manicone, la causa è attribuibile
al disboscamento. Il taglio delle foreste avrebbe consentito al sole di
riscaldare prima e maggiormente i suoli e soprattutto non avrebbe bloccato i
venti provenienti da Nord e da Sud, quindi le zone meridionali rispetto alle
alture garganiche si sarebbero raffreddate a causa dell'arrivo della Tramontana
da Nord, mentre nel Gargano settentrionale sarebbero arrivati maggiormente i
venti caldi del Sud. Un rimboschimento avrebbe reso più fertili le terre
coltivabili, ma Manicone stesso, dopo aver dato questo suggerimento, esprime la
consapevolezza di “aver cantato ai sordi”. Viaggiò molto per l'Europa,
studiando Medicina a Vienna e a Berlino, Scienze Fisiche a Londra e Scienze
Naturali a Bruxelles. È noto soprattutto per il suo trattato, La Fisica
Appula. in cui analizza le caratteristiche fisiche delle terre di Puglia e
soprattutto del Gargano. Al Manicone è intitolato il Centro Studi e
Documentazione del Parco Nazionale del Gargano sito presso il Convento di San
Matteo a San Marco in Lamis. Descrizione di Vico Del Gargano nella Fisica
daunica Al tempo di Manicone la popolazione vichese era di 6131 abitanti, circa
lo stesso numero di residenti effettivi attuali. L'area abitata era più
ristretta e consisteva nel nucleo originario (Casale, Civita e Terra) e i
quartieri nuovi di San Marco, Carmine, la Misericordia e Fuoriporta. L'incuria
delle istituzioni si manifestava nella scarsa attenzione verso l'igiene delle
acque del Casale (quartiere affollatissimo), originariamente buone e dolci ma
inquinate dall'incuria generale; anche le strade strette e ombrose della Civita
erano soggette ad abbandono e perennemente sporche. Soltanto i quartieri nuovi
erano larghi, puliti e soleggiati. Le Istituzioni mancavano anche laddove
era necessario rendere più agevole il lavoro dei contadini e dei pastori
vichesi, costruendo strade per diminuire gli ostacoli a cui erano sottoposti
quotidianamente questi uomini quando si recavano nelle loro campagne, poste
spesso in profonde valli o zone impervie. La popolazione vichese era
laboriosa e onesta e non c'erano grandi disuguaglianze economiche, tuttavia
Manicone descrive i suoi compaesani come barbari e incivili, infatti non hanno
riguardo per l'ambiente, ad esempio i pastori lasciano distruggere dalle loro
bestie le pianticelle fruttifere e le vigne, sono dediti all'alcol e spesso ciò
li porta a risse feroci. Le donne sono laboriose come gli uomini e sempre
gentili, il frate però critica fortemente l'usanza vichese, e delle donne dei
paesi del Sud in generale, di urlare e strepitare ai funerali, di portare il
lutto a vita e di vestire sfarzosamente i defunti; il primo comportamento
denota la selvatichezza della popolazione, il secondo uso può essere
anti-economico e negativo per la società e il terzo è uno spreco di denaro,
dato in pasto ai vermi. Un difetto presente in tutte le abitazioni
vichesi dell'epoca era il forno in casa, che poteva provocare incendi domestici
e inquinare l'aria interna. A Vico
molti boschi furono tagliati per lasciare spazio ai campi di grano, ma ciò fu
improduttivo economicamente e causò lo smottamento dei terreni in pendenza, non
più trattenuti dalle radici delle piante. Nella raccolta dell'ulivo, i vichesi
distruggevano gli alberi, picchiando forte con i bastoni per far cadere le
olive; questa errata abitudine provocava la mutilazione della pianta e una
maggiore esposizione al freddo, e conseguentemente minori raccolti per gli anni
successivi. Per Manicone, il mancato sviluppo del Gargano era da imputare
anche alla pigrizia e indolenza dei suoi abitanti, che non erano capaci di
valorizzare i loro prodotti (olive, agrumi, vino, fichi, etc.) e talvolta
acquistavano prodotti meno pregiati e ad alto prezzo da altre regioni. Al
fine di comprendere come le istituzioni del tempo fossero distanti dalle reali
necessità della popolazione, è interessante la situazione che riguardò l'uso
delle acque di Canneto, infatti veniva impedito ai vichesi (anche con la forza)
di utilizzare l'acqua per l'irrigazione dei campi, perché avrebbero disturbato
l'attività di un mulino sito nel territorio di Rodi Garganico. Il giudice diede
ragione ai rodiani ma, per fortuna, questa sentenza ingiusta e ingiustificata
fu annullata dalla Regia Camera. Dalla lettura di alcune pagine delle
opere di Manicone è emerso che, pur cambiando i tempi, gli usi, le risorse a
disposizione, le conoscenze e le attività, l'uomo garganico (e non solo) viveva
e produceva nell'ottica del profitto immediato, sottovalutando gli effetti che
avrebbero potuto causare i suoi comportamenti errati nella vita della futura
comunità. Opere di Michelangelo Manicone contesto – il contesto del
contesto. "Philosophers often say that context is very
important." "Let us
take this remark seriously.’ "Surely,
if we do, we shall want to consider this remark in its relation to this or that
problem, i. e., in context, but also in itself, i. e., out of
context.” H. P. Grice, "The
general theory of context." Michelangelo Manicone. Manicone. Keywords: la
filosofia del gargano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Manicone” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747122289/in/datetaken/
Grice e
Mannelli – gl’eroi di Virgilio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Grimaldi).
Filosofo. Grice: “Like me, Mannelli
loved Kant, Goethe, Schiller, Virgilio – and he has his own ‘palazzo’!” -- Fequenta
il ginnasio a Cosenza. Si trasferì con la famiglia prima ad Aosta, dove terminò
gli studi liceali, e poi a Roma. S’interessa sempre più al mondo politico e
dopo la laurea, conseguita con il massimo dei voti, ritorna a Cosenza e venne eletto Consigliere Provinciale. Proprio in qualità di membro del consiglio
provinciale, si adoperò in prima persona per arricchire e promuovere
l'ampliamento della Biblioteca Provinciale di Cosenza Si dedicò in tempi e con modi diversi
all'attività di approfondimento e divulgazione. Firmò una versione metrica della
Xenia di Goethe (Roma, Paravia. Fu tra
i maggiori contributori della più importante rivista di arti e lettere della
regione, la Calabria Letteraria. Presidente dell'Accademia Cosentina,
l'istituzione accademica calabrese che vanta un'esistenza plurisecolare e che
nel XVI secolo ebbe come presidente Telesio.
Opere: “Inaugurandosi il monumento al caduti grimaldesi: scultura di Cambellotti,
Reggio Calabria, Editore Il Giornale di Calabria, Paravia, Le storiche Terme
Luigiane: passato-presente-futuro, Cosenza, Cronaca di Calabria, L'Accademia
Cosentina nella sua storia secolare e nell'oggi, Cosenza, Tip. Vincenzo
Serafino. Biografia in Calabriaonline.com
M. Chiodo, L'Accademia cosentina e la sua biblioteca. Società e cultura
in Calabria. Xenia Edizione Paravia. nna
Vincenza Aversa, Dopoguerra calabrese: cultura e stampa, Editore Pellegrini,
Catanzaro, Accademia Cosentina
Biblioteca Civica di Cosenza Goethe
Poesia "Mamma" da "Come le nuvole” su Grimaldi Grimaldesi da ricordare, su digilander.libero.
Filippo Amantea Mannelli. Mannelli. Keywords: gl’eroi di Virgilio, gl’eroe di
Virgilio, l’eroe stoico, Acri, Enea come eroe stoico, gl’eroi di Vico. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Mannelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747099904/in/datetaken/
Grice e
Mantovani – i curiazi – percorsi di comunicazione – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Moncalieri). Filosofo. Insegna a Roma. Membro della Società Tommaso
D’Aquino. Gli ambiti delle sue ricerche spaziano sulla Filosofia della Storia,
l'Ontologia, la Teologia filosofica, e loro rapporti con la scienza. Ha
compiuto studi sulla storia del tomismo (cf. griceianismo). È uno dei maggiori
studiosi e conoscitori del realismo dinamico e di Demaria. Opere: “Fede e
ragione: opposizione, composizione?” Scaria Thuruthiyil, Mario Toso, Roma, LAS,
“Quale globalizzazione?: l'uomo planetario alle soglie della mondialità,” Scaria
Thuruthiyil, Roma, LAS, “Eleos: l'affanno della ragione: fra compassione e
misericordia,” Roma, LAS, “Sulle vie del tempo: un confronto filosofico sulla
storia e sulla libertà, Roma, LAS, “Paolo VI: fede, cultura, università,” “An Deus sit (Summa Theologiae I, q. 2). Fede,
cultura e scienza, Città del Vaticano, Libreria Vaticana, Didatttica delle
scienze: temi, esperienze, prospettive,” Vaticano: Libreria editrice vaticana,
“La discussione sull’esistenza di Dio nei teologi domenicani” “Oltre la crisi:
prospettive per un nuovo modello di sviluppo: il contributo del pensiero
realistico dinamico Demaria. Roma, LAS,,”Momenti
del logos: ricerche del "progetto LERS" (logos, episteme, ratio,
scientia): Roma, Nuova cultura, “Per una
finanza responsabile e solidale: problemi e prospettive, Roma, LAS, “Una
ricognizione sulla Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino” in Un pensiero per
abitare la frontiera: sulle tracce dell’ontologia trinitaria di Hemmerlie, Roma
Incisa Valdarno, Città Nuova Istituto
universitario Sophia, Lorenzo Cretti, La
quarta navigazione: realtà storica e metafisica organico-dinamica, Associazione
Nuova Costruttività -Tipografia Novastampa, Verona, Francisco de Vitoria, Sul
matrimonio, Roma, Scritti teologici inediti. Demaria; Roma,Editrice LAS. Pontifical
University of Saint Thomas Aquinas, su Angelicum. su avepro. glauco. L’Università
Salesiana, un servizio per l’educazione e la comunicazione La Stampa Autorità
accademiche «Il nostro impegno per la “civiltà dell’amore”. Come vuole don
Bosco» La Stampa, su lastampa, CRUIPRO Conferenza
Rettori delle Università e Istituzioni Pontificie Romane, su cruipro.net. redazione, Nuovi accordi di co-operazione
interuniversitaria, su FarodiRoma, Pontificia Accademia di Aquino, su
cultura.va. Direttorio, su S.I.T.A.. PREMI MEDITERRANEO, su Fondazione
mediterraneo. org. Mantovani, “Vita tua, vita mea”: l'insegnamento di Demaria è
più che mai attuale. Fondazione Adriano Olivetti. Mauro Mantovani. Mantovani. Keywords:
i curiazi, percorsi di comunicazione, Aquino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Mantovani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747300525/in/dateposted-public/
Grice e
Marassi – gl’eroi di Vico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cardano
al Campo). Filosofo. Grice: “I like Marassi; he has written a ‘natural’ history
of ‘man’ – which is interesting, ‘progetto uomo,’ he calls it!” -- Grice: “I
like Marassi; he has explored hermeneutics in the German tradition,
Schleimacher to be more specific; but has also written an essay on Heidegger;
his links with me come with his idea of metaphysics and transcendental
arguments which he takes from Kant, who he reads in both German and Italian,
unlike I, or me.” – Grice: “He has written an introduction to a comparative
study of the approaches to ‘the antique’ in both Italian and German philosophy
– a fascinating topic. I suppose the Oxonian approach, indeed Cliftonian, is a
mixture of both!” Allievo di Melchiorre, si laurea a Milano con la tesi “La differenza ontologica
in Heidegger, sotto la direzione di Melchiorre e con la co-relazione di Bontadini.
Ha discusso “Il profilo della presenza: Heidegger e il regno della pluralità”
con Melchiorre e Grassi. Insegna filosofia a Milano. Ha coordinato l'edizione
dell'Enciclopedia filosofica (Bompiani, Milano). Direttore del Dipartimento di Filosofia a
Milano. Dirige la Rivista di filosofia neo-scolastica. Dirige per la casa editrice AlboVersorio la
collana Epoche ed è membro del comitato del festival La Festa della
Filosofia. Si occupa di storia
dell'umanesimo (Bruni, Alberti, Vico), della scolastica, di ermeneutica (Grassi),
di filosofia trascendentale, del pensiero postmoderno. I temi della sua ricerca
ruotano attorno a tre temi principali: la riflessione sui modelli
storico-teorici della filosofia della storia, l'interpretazione dell'umanesimo
italiano (Alberti, Bruni, Vico) in riferimento alla dimensione storica e
morale, l'analisi della fondazione trascendentale del sapere. Saggi: “Ermeneutica
della differenza in Heidegger, Vita e Pensiero, Milano, Schleiermacher, “Ermeneutica,”
Rusconi, Milano, Bompiani, Milano; Kant, “Critica del giudizio,” Bompiani,
Milano, Metafisica e metodo trascendentale,”
Lotz, “La struttura dell'esperienza, Vita e Pensiero, Milano; “Metamorfosi della storia. Momus e Alberti,” Mimesis,
Milano/ Coordinamento generale e direzione redazionale della Enciclopedia filosofica,
Bompiani, Milano. docenti.unicatt. Marassi. Massimo Marassi. Marassi. Keywords:
gl’eroi di Vico, Alberti, Bruni, Vico, metamorfosi della storia – Alberti,
Momus, il concetto d’eroe in Vico, l’uomo come eroe – l’eroico, l’altruismo
eroico, la nudita eroica – la nudita eroica nella representazione
degl’imperatori romani, la nudita eroica in Giulio Cesare, la nudita eroica dell’atleta
– la postura eroica dell’eroe in nudita eroica – napoleone in nudita eroica –
Mussolini in nudita eroica, la statua equestre di Mussolini, la nudita eroica
del stadio dei marmori, Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Marassi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747036589/in/dateposted-public/
Grice e
Marchesini – l’educazione del soldato – l’implicatura del capitano – e l’amore
sessuale alla societa eugenica –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Noventa Vicentina). Filosofo.
Grice: “Cassatta has unearthed some opinions by Marchesini which are
revolutionary!” Esponente del positivismo.
Alievo di Ardigò, insegna filosofia a Padova. Direttore della Rivista di
Filosofia.Diresse, anche, un Dizionario delle scienze pedagogiche, edito dalla
Società Editrice Libraria di Milano. Tradusse, inoltre, un testo di Locke Pensieri,
edito da Sansoni. Opere: “La vita,” – Grie: “Sounds promising: a treatise on
life! Cf. my ‘Philosophy of Life’”). Montagnana, Tip. di A. Spighi, “Saggio sulla
naturale unità del pensiero,” Firenze, Sansoni, “Elementi di Psicologia tratti
dalle opere filosofiche di Ardigò,” Firenze, Sansoni, “ Elementi di logica” -- secondo
le opere di R. Ardigò, St. Mill, A. Bain ecc., prefazione di Ardigò, Firenze,
Sansoni,” Grice: “A fascinating little book: it reminded me of Strawson’s
Introduction to Logical Theory! Only Strawson would rather die than axe me to
foreword it!” –[ whereas Marchesini commissioned his tutor to drop a word “or
two””].—Grice: “Marchesini shouldn’t be so reverential towards Ardigo.” Grice:
“I count Marchesini’s oeuvre as being by Marchesini; if I want to read Ardigo,
I read Ardigo!” – “Elementi di morale, ad uso anche dei licei, secondo le opere
degli scienziati moderni, prefazione di Ardigò, Firenze, Sansoni, “Il positivismo
e il problema filosofico, Torino, F.lli Bocca, “Le amicizie di collegio” –
Grice: “I should note that Marchesini uses ‘amecizia’ in quotes! So it doesn’t
really apply to my Clifton days!” -- (con prefazione di E. Morselli e in
collaborazione con Obici), Roma, Società Ed. "Dante Alighieri ", “Elementi
di pedagogia: Con un'appendice di cento scelte citazioni, Firenze, Sansoni, Doveri
e diritti: ad uso delle scuole tecniche e complementari, Milano-Palermo, R.
Sandron, “La teoria dell'utile,” principi etici fondamentali e applicazioni, Milano-Palermo,
R. Sandron, “ Il Simbolismo nella conoscenza e nella morale, Torino, Fratelli
Bocca Editori, “ Il dominio dello spirito, ossia Il problema della personalità
e il diritto all'orgoglio, Torino, F.lli Bocca, Pedagogia, Torino, Paravia, Il
principio della indissolubilità del matrimonio e il divorzio, Pakdova-Verona,
Fratelli Drucker, “Elementi di logica,” ed. interamente rifusa, -- Grice: “This
makes me laugh! It’s like saying: my previous, Ardigo-based stuff, was
nonsense!” -- Firenze, Sansoni, Disegno storico delle dottrine pedagogiche,
Roma, Athenaeum, “La dottrina positiva delle idealità,” Roma, Athenaeum, “L'educazione
morale, Milano, F. Vallardi, “I problemi fondamentali della educazione,”
Torino, Paravia, “I problemi dell'Emilio” di G. G. Rousseau, Firenze, R. Bemporad
e Figlio, “La finzione dell'educazione o la pedagogia del Come se,” Torino,
Paravia, “L'educazione del soldato, con 50 problemi per esercitazioni,” Firenze,
Ed. La Voce, “Il problema della scienza nella storia delle scienze: per i licei
scientifici, Milano, Signorelli, “Dizionario delle scienze pedagogiche: opera
di consultazione pratica con un indice sistematico, direttore Marchesini,
collaboratori: Antonio Aliotta, Giuseppe Aliprandi e altri, Milano, Soc. Edit.
Libraria, Vedi Treccani L'Enciclopedia Italiana. Ultima ristampa: Firenze,
Sansoni, 1968. Mariantonella, Marchesini
e la «Rivista di filosofia e scienze affini». La crisi del positivismo
italiano, Collana di filosofia, Franco Angeli, Treccani L'Enciclopedia
Italiana. Origine ed evoluzione del linguaggio. - La que- stione del
linguaggio è ancora un po’ oscura, ma fra le ipotesi cbe su tale
questione si proposero, si può stabilire quale è la più legittima.
Si esclude innanzi tutto l’ ipotesi che il linguag- gio sia stato
inventato da un uomo più intelligente, e adottato dagli altri in virtù
d’nna convenzione; ipotesi forse erroneamente attribuita a
Democrito. E si esclude altresi che il linguaggio sia stato
l’opera di una rivelazione, o di un miracolo. Due filologi contemporanei,
Renan e Max Miiller, attribuirono l’ origine del linguaggio a una
specie d’ istinto. Nell’umanità primitiva ogni idea avrebbe
suggerito per sé stessa una parola, e la medesima parola a tutti gli
spiriti: questo istinto, col tempo, si sarebbe atrofizzato. A proposito
di questa ipo- tesi si osservò eh’ essa non spiega nulla , essendo
questo istinto per sé medesimo inesplicabile, ed es- b) A
proposito dei sofismi di parole ricorderemo ancora quel capitano greco clic
avendo conchiuso col nemico una tregua di dieci giorni, si credette
lecito attaccarlo di notte. E ricorderemo i seguenti sofismi di Eutidemo:
— Qualcuno che si trova in Sicilia e vede in questo momento, col
pensiero, il porto d’Atene, vede egli le due triremi che vi si trovano? E
se non vede le dne triremi, come può egli vedere il porto d'Atene? —
Quelli che imparano sono essi sapienti o ignoranti? Se sono gli
igno- ranti che imparano, devono apprendere ciò che non sanno; ma
come si può imparare quando non si sa neppure ciò che si devo imparare? E
se Clinia risponde che sono i sapienti che imparano, la difficoltà resta
la medesima: come possono i sapienti imparare dal momento che sanno? —
Chi Ba qualche cosa possiede il sa- pere, eli’ 6 tutto: dunque chi sa
qualche cosa sa tutto. CAPITOLO III 33
scudo esso stesso, per cosi dire, un miracolo. È strano infatti che quei
400 o 500 tipi fonetici, a cui il Mailer ridusse le parole delle varie
lingue, aspettino, a ma- nifestarsi, le idee rispettive. Il linguaggio,
disse Hum- boldt, è il prodotto necessario dello svolgimento dello
spirito umano; e sta bene; ma questo svolgimento non è spiegato dall’
istinto di Réuan e Max Mailer, mentre importa appunto stabilire come il
linguaggio si produca. Il filologo Whitney, nella sua opera
sulla Vita del linguaggio, dice che l’origine del linguaggio è
dovuta al concorso di tre cause, che s’ incontrano nella specie
umana: 1° la facoltà di emettere un’ infinità di suoni e di riprodurli a
volontà: 2° il desiderio, determinato da un bisogno di socialità
superiore, di comunicare le idee per mezzo di segni: 3“ la facoltà di
genera- lizzare, di giudicare, di concepire dei concetti e di per-
cepirne i rapporti. E queste sono infatti le condizioni del sorgere e
svilupparsi del linguaggio, ma come ef- fettivamente il linguaggio sia
sorto e si sia sviluppato, esse non dicono. Si paragonò
l’origine del linguaggio nelle razze, all’origine del linguaggio nel
bambino. Il bambino per attività puramente riflessa emette un grido
che manifesta in lui un dolore, un bisogno: al grido ac- corre la
nutrice, e accorre ogni volta che il grido si ripete; cosi si va fissando
un’ associazione mentale tra l’atto dell’ emettere il grido e il
successivo accorrere della nutrice, onde, a chiamar questa, finuli j^ uXr
ri- peterà, ma coscientemente , ìnlenzionalmew, il'^-WyoHl
Marchesini, Logica 34 ELEME NTI PI LOGICA fl
grido assumerà un significato logico. Tiù tardi altri suoni esprimeranno
il pensiero di lui, come quando egli indicherà gli oggetti imitandone in
qualche modo l’ impressione sensibile che ne riceve; dirà ad
esempio Jcolcò per indicare il pollo, mìàou per indicare il gatto:
riprodurrà un dato sensibile, nel nostro caso uditivo, a cui si associeranno
altri dati sensibili, come quelli visivi. Da prima designerà con questo
suono non sol- tanto gli oggetti dai quali l’ udì, ma anche altri
og- getti consimili, che hanno in comune, oltre a quelle, altre
qualità sensibili: con lo stesso suono sarà ad esempio da lui indicato,
da prima, ogni uccello. Le distinzioni di linguaggio verranno piti tardi,
mano mano che si distingueranno e aumenteranno nel bam- bino le
percezioni. Questa è, a larghi tratti, la formazione e lo
svol- gimento del linguaggio, nel bambino, a cui conti i- buiscono
in modo particolare gli ammaestramenti spe- ciali che egli riceve da chi
gli apprende la lingua. Si potrà inferirne che l’origine e lo sviluppo
del linguaggio d’ una razza, avviene come nel bambino? Con
tale inferenza si dimenticherebbe un fatto im- portantissimo, eh’ è
fondamento d’una netta distin- zione: il fatto che il fanciullo nascendo
porta anche per il linguaggio delle disposizioni funzionali orga-
niche-psichiche, diverse da quelle che potevano avere gli uomini primitivi;
il paragone adunque, e l’ infe- renza, non reggono. L’ipotesi
piu accreditata intorno all’origine del linguaggio è quella di Darwin,
illustrata particolar- CAPITOLO III 35
mente dallo Spencer, per cui il linguaggio è opera dell’evoluzione, come
ogni altro fatto naturale ed umano. Originariamente gli
uomini si servivano del gesto indicativo o imitativo ; poi, provveduti,
per evoluzione organica, di organi capaci di mandar suoni
articolati, accompagnarono questi al gesto, ed espressero cosi le
proprie sensazioni e i propri bisogni, e designarono gli oggetti. Tale
espressione e tale designazione avevano da prima carattere essenzialmente
imitativo, conser- vatosi, quanto al suono articolato, nell 'onomatopeici;
ed erano piuttosto istintive. In progresso di tempo i movimenti del gesto
e dell’ articolazione si utilizza- rono più largamente, e venne cosi a
sostituirsi al lin- guaggio naturale un linguaggio convenzionale.
Cominciato per evoluzione, il linguaggio di un po- polo (come
quello dell’individuo) continuò a svolgersi pure per legge evolutiva,
mediante i rapporti sempre più ampi e riflessi che si stabilirono
successivamente tra i segni e la cosa significata. Si ebbero cosi
nel linguaggio la forma mimica , l’ ideografica, e la fone- tica :
1 e la parola divenne per ultimo il linguaggio per eccellenza.
1 Presso certe tribù selvagge la parola non può comprendersi senza
il gesto. Anche presso gli antichi la mimica aveva la mas- sima
importanza, come presso i sordo-muti, che devouo esprimere il pensiero
col gesto proprio, naturale e artificiale. La l'orma ideografica, che
troviamo presso gli Egiziani, i Chinesi e altri popoli, è un disegno
abbreviato e più o meno convenzionale, in cui ogni carattere esprime direttamente
un'idea. I popoli ocei- ELEMENTI PI LOGICA 86
Innumerevoli sono le forme che la parola assunse presso i vari
popoli o razze, poiché ogni popolo o razza ebbe la sua lingua. Tuttavia
si riuscì a ricondurre tutte le lingue a un piccolo numero di tipi, che
sem- brano corrispondere agli stadi successivi dell evolu- zione
della parola. 1° Tipo: lingue monosillabiche (es. la chinese)
Sono composte di sillabe che costituiscono ciascuna una parola
rappresentante un’idea astratta e generale. Secondo l’ ordine nel quale i
monosillabi si dispongono, si esprimono le diverse combinazioni e
modificazioni delle idee. 2° Tipo: lingue agglutinanti o
•polisintetiche , (es. le lingue delle tribù americane). Sono composte di
ra- dici di cui le une esprimono le idee più importanti, le altre
le idee accessorie: messe insieme, cosi dal costituire spesso una parola
straordinariamente lunga c complessa, esprimono sia le modificazioni d’un
idea principale, sia una combinazione più o meno com- plessa di
idee principali e accessorie. 3° Tipo: lingue a flessione : (es. le
lingue semitiche, e indo-europee). Sono composte di parole ciascuna
delle quali esprime un’idea principale modificata da una accessoria; le
diverse modificazioni dell’idea prin- cipale si esprimono per il
modificarsi, per l’ inflettersi, della terminazione delle parole
stesse. dentali non se ne servono più se non per certi usi
(cifre, segni algebrici eoe.). Usano invece della scrittura fonetico,
in cui ciascun carattere è il seguo non d'nu idea uia di un suono.
Di questi tre tipi, il secondo sarebbe derivato dal primo, per Y
addizione delle radici accessorie alle ra- dici principali; e le lingue a
flessione sarebbero de- rivate da lingue agglutinanti piu antiche, per la
fu- sione delle radici accessorie con le radici principali. §
5. Trasformazione del significato dei termini. - Con le parole non
comunichiamo soltanto delle idee, ma anche delle credenze, dei fatti. E
poiché le no- stre credenze, le nostre rappresentazioni dei fatti,
e la interpretazione di questi, mutano, mutano anche i significati
delle parole. Una mutazione che si può ritenere primitiva,
quanto è costante, l' abbiamo nella trasformazione del senso di una
parola, da proprio a traslato-, ciò avviene per quella certa somiglianza
che si riconosce tra il signi- ficato proprio, o etimologico, e quello
traslato. Una casa grande e sontuosa oggi si chiama pa-
lazzo, parola che indicava prima una costruzione dei Romani più antichi,
eretta in onore della dea Pale. La parola palazzo oggi sopravvive, ma con
significato diverso dal primitivo. Pagano originariamente
significava 1’ abitante del pagus , poi significò l’idolatra, l’adoratore
di divinità antiche, perché, all’epoca in cui il cristianesimo si
propugnava, mentre gli abitanti delle città erano i primi a convertirsi
alla nuova fede, gli abitanti della campagna erano gli ultimi.
Villano si diceva, durante il regime feudale, chi era soggetto a
minori oneri, ed era, per conseguenza, oggetto di disprezzo da parte
dell’ aristocrazia mili- 38 ELEMENTI PI
LOGICA tare. A lui si attribuivano, con qualche esagerazione,
I vizi e delitti: villano divenne perciò una qualifica in-
giuriosa. _ . . 1 Il significato adunque di questi tre termini, pa-
■ lazzo , pagano, villano, si trasformò generalizzandosi J
come si trasformarono generalizzandosi., per citare an- j cora due
esempi, il termine sale, che da prima era soltanto il cloruro di sodio, e
il termine olio, che da prima indicava soltanto l’olio d’oliva.
Nella trasformazione della parola si ha pure un . processo inverso,
di specializzazione. Cosi il termine j vitriolo (da vitruni) che da prima
significava ogni corpo j cristallino, poi si attribui a una specie
particolare. Il termine oppio (da ònòg succo) che voleva dire un i
succo qualunque, ora indica soltanto il succo del pa- J pavero. E il
termine fecula (da foex, feccia) proprio a significare
originariamente ogni materia che si depo- j siti spontaneamente in un
liquido, poi lo si applicò al- 1’ amido che si deposita quando si agita,
nell’acqua, della farina di frumento. E il significato di questa
parola si specificò poi ancor più, venendo a indicare un principio
vegetale particolare che, come l’amido, è insolubile nell’acqua fredda,
ma è completamente solubile nell’acqua bollente, con la quale forma
una soluzione gelatinosa. ... Il cocchiere chiamai suoi
cavalli le mie bestie-, un cacciatore può intendere per uccelli le
pernici. V’ è adunque nel significato delle parole una tran-
sizione, della quale, nel loro uso, devesi tener conto. Si consideri, ad
esempio, il vario significato della parola lettera (lettera dell’ alfabeto,
lettera missiva, let- teratura) e della parola gusto (sentimento estetico,
e facoltà di distinguere il bello). E quanto alle meta- fore, si
consideri, ad esempio, il significato che la pa- rola luce acquista
quando si applica all’istruzione, e la parola fuoco applicata alla
collera e allo zelo: e si considerino le parole nascere e morire , che si
usano in un senso molto piu largo che non sia quello stret- tamente
biologico. A tale varietà di significato nelle medesime
parole, contribuiscono anche la metonimia (es. corona per re-
(/no), i suffissi (es. pregiudizio, difetto, illimitato), le pe- rifrasi
(es. padre della storia), la composizione (es. strada-ferrata, acquavite
ecc.). Vediamo adunque come, o per circostanze acciden- tali,
o per bisogni veri, si trasformi il significato di una parola, cosicché
non sarebbe né possibile né utile restar fedeli al significato primitivo.
E ciò dicasi sia del linguaggio tecnico di una scienza, che si muta
col progredire e con lo trasformarsi di questa, sia del linguaggio
familiare. Non possiamo pertanto accontentarci del dizio-
nario, dove il senso di una parola è spesso piuttosto indicato che non
esattamente precisato. La precisione del significato deriva dall’uso, nel
quale pertanto trovasi il migliore ammaestramento. Chi tenesse a sola
guida il dizionario, non riconoscerebbe somiglianze e diffe- renze,
e anche semplici sfumature di significato, di cui il dizionario non tiene
conto; come avvertiamo fa- cilmente in chi parla una lingua di cui non ha
il più sicuro e largo possesso. -10 — 1
ELEMENTI HI LOGICA Giovanni Marchesini. Keywords: “L’educazione del
soldato” --. Marchesini. Keywords: l’educazione del soldato, con il capitano
Ercole Meoli, la Societa di Genetica e Eugenica SIGE – Societa Italiana
diGeneica ed Eugenica – il simbolismo – la dottrina del simbolismo – I
simbolisti – I filosofi simbolisti – I artisti simbolisti – Welby, Ogden,
Grice, ‘il simbolo del simbolo’ -- il cammino del cavaliere, codigo
cavalleresco, cavalleria, cavallo, equites romano – tutii questi appartneno
all’altro Marchesini – questo Marchesini e tradizionale --. Resf.: Luigi Speranza, “Grice e Marchesini” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745511747/in/datetaken/
Grice e
Marchesini – postumanar, trasumanar – sovrumanar – eta degl’omini – vico --
umanar – equites romani -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna).
Filosofo. Grice: “I don’t think Marchesini has a philosophical background, but
he fascinates me! I especially liked his idea about ‘virility’ and the idea of
a knightly code – ‘codice cavalleresco’ – The other field that fascinates me is
his research on ‘inter-subjectivity’ in the living form – which he now extends
to plants – ‘vivente’ – Surely we don’t refer to a cat as an object – and the
philosophical keyword here is ‘threshold,’ that Marchesini aptly uses.” Cardine
della sua proposta filosoficariconducibile, seppur con caratteristiche proprie,
alla più ampia corrente del Post-humanè lo smascheramento di quell'errore
prospettico che pone l'uomo al centro e a misura dei suoi predicati.
«Comincerò il mio viaggio dal prato più bello, quello che l'aria non abbandona
un istante, il sole vi si intrappola da splendere pur di notte ed i profumi
vergini coesistono con quelli gravidi. È qui che il dio Pan cadde la notte dei
tempi, da qui iniziò il suo girovagare incerto, all'unico desiderio
d'amare» (R. Marchesini, Il dio Pan). Da sempre affascinato dalla natura
e, in particolare, dal regno animale, consegue la laurea a Bologna. Parallelamente
agli anni di formazione universitaria, spinto da un forte interesse verso il
comportamento animale, stringe una feconda collaborazione e amicizia con
l'etologo Giorgio Celli, con il quale inizia a indagare le interazioni sociali
degli imenotteri. Per cinque anni conduce ricerche “sul campo” e, con l'ausilio
della macrofotografia, è in grado di immortalare quegli attimi di vita animale
altrimenti nvisibili all'occhio nudo: rituali di corteggiamento, di
accoppiamento e di trofallassi tra gli insetti che diventeranno il viatico per
tutta la sua ricerca futura. Nei suoi studi di entomologia approfondisce
l'analisi dei sistemi feromonali che saranno tema di alcune pubblicazioni e
della successiva ricerca sul comportamento e sul benessere animale. Nella
seconda metà degli anni ottanta, sotto la guida del professor Franco Pezza,
dell'Università degli Studi di Milano, studia i metodi di allevamento, i
parametri di benessere nelle aziende zootecniche, i fattori di incidenza del
rischio in zootecnia, le modalità di individuazione dei sinistri, pubblicando
alcuni lavori sulla medicina veterinaria delle assicurazioni. Inizia così
la sua collaborazione con diversi atenei sui temi del comportamento animale, tenendo
corsi e master di etologia applicata e medicina comportamentale. Alla metà
degli anni novanta entra nel Consiglio Direttivo della Società di
Scienze Comportamentali Applicatedi cui diverrà Presidente focalizzando la
propria attenzione sul comportamento degli animali domestici, sugli stili di
relazione interspecifica, sui problemi e sulle patologie comportamentali.
Osservando sul campo le espressioni comportamentali e i processi di
apprendimento degli animali, inizia a considerare anacronistici e contraddittori
i modelli esplicativi tradizionali. In sintesi, quello che Marchesini
propone nel panorama delle scienze cognitive è un superamento dei tre modelli
interpretativi al comportamento animalequello behaviorista, quello etologico
classico e quello antropomorficoin virtù di un modello mentalistico unitario
(un'unità necessaria che la mente, come fenomeno unico, richiede), che valga
sia per i processi consapevoli che inconsapevoli e che descriva espressione e
apprendimento in termini elaborativi dell'informazione, sistemici o
composizionali dellecomponenti, solutivi e non reattivi, evolutivi e
relazionali nella realizzazione ontogenetica. Questo porterà alla pubblicazione
di tre testi dal forte impatto innovativo: Intelligenze plurime e Modelli
cognit ivi e comportamento animale ed Etologia cognitiva. Alla ricerca
della mente animale. Gli assunti di base della proposta di Marchesini sono i
seguenti: il soggetto è immerso in un campo di possibilità filogenetiche
che definiscono il tipo di intelligenza propensionale o specie-specificada cui
l'idea di pluralità cognitiva dove le diverse intelligenze sono comparabili ma
non commensurabili; il processo ontogenetico di costruzione dell'identità si
realizza grazie alle dotazioni innate, che ricche di virtualità evolutive,
possono essere organizzate in una molteplicità di modida cui l'idea di rapporto
dimensionale o direttamente proporzionale di innato e appreso; l'espressione
del soggetto è sempre proattiva, mossa cioè da un obiettivo, e quindi frutto di
una condizione problematica che il soggetto cerca di risolvere attraverso
ricette solutive fino al raggiungimento dell'obiettivoda cui il superamento del
concetto di rinforzo. Vi è quindi una ridefinizione della soggettività animale,
come possesso del suo qui e ora, e come capacità di mettere in dialogo tutte
quelle istanze (ontogenetiche e filogenetiche) che gli appartengono nella sua
relazione con il mondo. Bioetica e diritti animali Alla fine degli anni ottanta
si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Bologna, con l'intento di
sondare il rapporto uomo-natura da una prospettiva pedagogico-filosofica.
In questi anni inizia a portare nelle scuole percorsi progettati appositamente
a misura di bambini per permettere loro di conoscere la varietà del mondo animale
evitando letture antropomorfiche, quelle viziate, ad esempio, dai sedimentati
repertori culturali. È in questi anni che avviene uno degli snodi cardine
nell'attività di Marchesini: egli si accorge che le potenzialità che è in grado
di esprimere il binomio bambinoanimale (o più in generale uomoanimale) è da
ricercarsi non nella performatività quanto piuttosto nelle dinamiche che la
relazione, unica e irripetibile, è in grado di generare. L'animale coinvolto
nelle attività didattiche non è più un oggetto dal quale attingerequasi fosse
una fonte miracolosaelementi benefici al percorso formativo del bambino, ma è
nel suo essere soggetto e capace di stipulare un patto con il proprio
interlocutore che lo fa divenire elemento imprescindibile di ogni percorso formativo.
L'esperienza condotta all'interno delle scuole porta Marchesini alla stesura
del volume Natura e pedagogia, inizialmente nato per divenire la sua tesi di
laurea, ma pubblicato prima della conclusione degli studi umanistici. Le
attività con i bambini lo conducono in tutta Italia portando in evidenza due
aspetti: il divorzio che si è andato realizzando tra l'uomo e le altre
specie nella cultura contemporanea, con bambini che non sono in grado di
relazionarsi con gli animali e spesso nemmeno conoscono le specie domestiche;
la svalutazione degli animali e l'incapacità della società contemporanea di
avere consapevolezza dell'importanza della relazione con le altre specie per lo
sviluppo della personalità. Per Marchesini la svalutazione operata dalla società
contemporanea parte dalla perdita di quel rapporto di convivenza e di
ospitalità che viceversa ancora caratterizzava la cultura rurale. Nasce così il
Concetto di soglia (che esprime il bisogno di uscire dalla dicotomia
novecentesca dell'antropomorfismo e della reificazione dell'eterospecifico.
Temi già affrontati in due saggi precedenti, Animali di città, critico verso
l'antropomorfizzazione degli animali da compagnia, Oltre il Muro, critico verso
la reificazione dei cosiddetti animali da utilità. Sono gli anni in cui
riflette sul pensiero animalista e sulla bioetica animale fondando, insieme a
colei che diventerà la sua storica collaboratrice, Sabrina Golfetto, la casa
editrice Apeiron con lo scopo di creare un luogo dove ospitare riflessioni e
dibattiti su tali tematiche. Sono gli anni in cui abbraccia, senza più
abbandonarlo, il vegetarianesimo e dà vita assieme a Luisella Battaglia e a
Margherita Hack a un'intensa attività convegnistica che confluirà nella collana
Quaderni di bioetica di cui sarà direttore. Nel
sostituisce Caffo, che ne era stato fondatore e primo direttore, nella
direzione di Animal Studies: Rivista Italiana di Antispecismo. Nel
maggio esce per le Edizioni Sonda Contro
i diritti degli animali? Proposta per un antispecismo postumanista. Il saggio
affronta il tema dello specismo passando in rassegna le incongruenze e le
incoerenze nascoste nelle maglie di un dibattito filosofico e culturale che
pretende di sospendere l'antropocentrismo, rimanendo all'interno di una cornice
umanistica. Il testo vede i commenti finali di Rodotà, Sax, Vallauri e
Fadini. Porta la neonata zooantropologia in Italia, disciplina all'interno
della quale compie una sistematizzazione sia a livello teorico, accanto alle
antropologhe Eleonora Fiorani e Sabrina Tonutti, sia a livello applicativo con
la delineazione di protocolli operativi nelle aree educative e
assistenziali. Per ciò che concerne la zooantropologia teorica, l'ipotesi
di fondo proposta da Marchesini, e riconducibile alla sua teoria della zootropia,
è che gli animali nel corso della storia non abbiano funto solo da produttori
di prestazioni o di collezioni di modelli da imitare ma altresì da alterità
referenziale nei processi antropopoietici. Marchesini sviluppa il concetto di
"referenza animale", inteso come contributo di cambiamento offerto
all'uomo dalla relazione con l'etero-specifico. Gli uccelli non hanno
insegnato all'uomo l'arte di volare -- il modo di realizzare questa attività --
ma gli hanno ispirato la dimensione esistenziale del volare. Per Marchesini i
predicati umanicome la danza, la musica, la cosmesi, la tecnicavanno
considerati come frutti ibridi, esito cioè dell'incontro relazionale con le
altre specie. Il motore della cultura umana è quindi per Marchesini
rintracciabile nell'incontro con l'alterità animale che, nella forma di una
vera e propria epifania, è stato capace di re-direzionare l'uomo lontano dal
suo centro filogenetico e dalla sua solipsia di specie dando vita a nuove
possibilità esistenziali. Per ciò che concerne la zoo-antropologia applicata,
opera una trasformazione in alcuni settori delle attività di relazione con gli
animali, dalla pet therapy alla pedagogia cinofila, impostando i
"protocolli dimensionali", vale a dire individuando nel rapporto
delle dimensioni di relazione, ciascuna dotata di specificità sia di ordine
relazionale che referenziale. In pet therapy lavorare secondo l'approccio
dimensionale significa evitare l'incontro generico tra un paziente e un animale
ma individuare le dimensioni di relazione che sono utili al fruitore secondo i
suoi bisogni specifici e renderle operative attraverso attività
specifiche. Allo scopo di formare nuovi operatori in grado di lavorare
secondo i protocolli dimensionali fonda “Scuola di Inter-Azioone Uomo-Animale
on sede a Bologna. Sii fa co-promotore di Carta Modena (Carta dei Valori e
dei Principi della Pet-Relationship) che riceve il patrocinio del Ministero
della Salute. Il documento mira a tutelare, all'interno del panorama della
attività assistite dagli animali (A.A.A.) sia il fruitore, il benessere
dell'animale coinvolto e il principio inter-relazionale che dal binomio
scaturisce. Pubblica “Etologia filosofica: alla ricerca della inttersoggettività
animale” con il quale inaugura la riflessione ontologica sul carattere dell’intersoggettività
animale, vale a dire su che cosa differenzia un “oggetto” da un essere “vivente.”
Rilegge l'ontologia animale in termini di "desiderio". “Essere
animale” (essere vivente) significa prima di tutto "essere
desiderante", una condizione di *non*-equilibrio che rende due animali
protagonisti de loro divenire nonché capaci di definire il corso della
filogenesi di specie. L'etologia filosofica diviene ben presto un campo
di ricerca entro il quale dialogano allo scopo di ridefinire i contorni di ciò
che intendiamo con essere animale. Inizia la ricerca filosofica che va a
innestarsi nella costellazione di studi definita come post-human. È di
questo period della ri-definizione dell'umano quale entità ibrida,
puntualizzato nel dettato che vede l'uomo non più misura del mondo ma nemmeno
misura di se stesso. In tale corrente filosofica ci sono per Marchesini le
giuste premesse per poter articolare la propria riflessione in quanto il
concetto di “alterità” nel progetto post-human assume un significato molto più
vasto, abbracciando di fatto le entità non umane animali e macchiniche.
Collabora con la rivista Virus inaugurando una nuova estetica basata
sull'ibrido come manifestazione contemporanea del sublime. In tale luce il
Manifesto del Teriomorfismo rappresenta il documento attraverso il quale gli
artisti rifiutano il dettato antropocentrico e riconoscono la natura ibrida di
ogni processo creativo. All'interno di tale campo d'indagine pubblica
Animal Appeal e una feconda collaborazione che travalica i campi disciplinari e
rivela ancora una volta i debiti che la cultura, in questo caso l'arte, ha
contratto con le alterità. Conosce Salsano, storico, sociologo ed editor della
casa editrice Bollati Boringhieri, che affascinato dal lavoro di Marchesini
decide di pubblicare un primo saggio sul rapporto tra bios e techne dal titolo
La fabbrica delle chimere (1999), testo che si pone a cavallo tra le precedenti
esperienze in zooantropologia e bioetica e la nuova riflessione
postumanistica. Esce Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, testo
corposo, concettualmente denso e dalla molteplicità di riferimenti, che ha
suscitato un grande dibattito nel mondo accademico portando il suo autore a
divenire punto di riferimento per ogni ricognizione che vada ad indagare i
rapporti che intercorrono tra vivente (sia esso umano o animale) e tecnica.
Sempre nel medesimo anno fonda Il Centro Studi Filosofia Postumanista allo
scopo di promuovere e sviluppare le tematiche legate al post-human da diverse
prospettive, arte, letteratura, cinema, new media, formazione. Innumerevoli
saranno poi le pubblicazioni sul pensiero postumanista, che vedranno la
pubblicazione del saggio Il tramonto dell'uomo. Inoltre, traduce, cura e scrive
la postfazione dell'edizione italiana del testo The Companion Species Manifesto
di Haraway. Esce per Mimesis Epifania animale. L'oltreuomo come
rivelazione nel quale Marchesini evidenzia come la cultura non vada pensata in
modo antropocentrico come l'esito autarchico di un processo creativo
interamente svolto dall'uomo, pur avvalendosi di materiale zoomorfo, ma come
una rivelazione epifania ispirata dal non umano. Torna in libreria con un
volume interamente dedicato al rapporto tra bios e tecnica, Tecnosfera. Proiezioni
per un futuro postumano (Castelvecchi). Rilegge il connubio tra essere umano e
tecnologia come una partnership emersa dal corredo filogenetico della specie
Sapiens, mettendo in luce le potenzialità ibridatrici e plasmatrici della
tecnologia. Da questa prospettiva, ogni invenzione, ogni scoperta, ha un
effetto epifanico; apre, cioè, una nuova dimensione di imprevisto e di
opportunità che modifica i confini e la percezione di ciò che definiamo
umano. Il mondo degli insetti (“as I observed squarrels” – Grice) così
minuziosamente osservato risulta essere particolarmente evocativo anche da un
punto di vista estetico e narrativo tant'è che dà alla luce la raccolta di
racconti lirici “Il dio Pan,” frutto in parte anche delle osservazioni compiute
tra gli imenotteri. Nei brevi racconti dedicati al dio agreste della
mitologia greca, cerca di sfatare il mito di una natura, da un lato
meccanicistica (mera esecutrice dei dettami della genetica) e dall'altro lato
bucolica e idealizzata che nulla o poco rappresenta ciò che l'autore mira ad
affrescare: una natura reale, un mondo del vivente a volte crudele ma in grado
di interconnettere profondamente tutti i suoi abitanti: la preda e il
predatore, la cavalletta e la mantide. Il testo, recepito positivamente dall'ambiente
culturale bolognese, porta Marchesini a stretto contatto con il Roversi, altra
figura che influenzerà profondamente la sua attività futura portandola a
spingersi in plurimi territori e a cavallo di numerosi discipline: dalla
narrativa alla poesia, passando per la filosofia. Pubblica il romanzo Uscendo
da Lauril e la raccolta di racconti
Specchio animale che ospita la postfazione di Leonetti. Con la pubblicazione di
Uscendo da Lauril in particolare,intraprende l'esperimento di trasferire sul
piano narrativo le evocazioni postumanistiche partendo dalla poetica
cyber-punk. In entrambi i lavori è possibile ritrovare quegli elementi che
contraddistinguono la speculazione filosoficai: la dialettica tra identità
alterità, il rifiuto di qualsiasi mito della purezza originaria e di ogni forma
di antropocentrismo. Esce per la casa editrice Mursia Ricordi di animali,
l'autobiografia volta a raccogliere la storia di vita dell'etologo osservata
tramite la lente dei numerosi animali che ne hanno scandito le tappe
fondamentali. -- è invece la volta
de La filosofia del giardiniere, pubblicato dalla Graphe edizioni nella collana
Parva. Il libro è composto di due parti, nella prima il lettore è condotto
dalle parole a passeggiare nel giardino, novello atelier darwiniano, con
stupore e riverenza. Nella seconda sono le immagini di alcuni giardini del
mondo a far continuare la riflessioni sulla cura, portate avanti da
Marchesini. Roberto Marchesini nel Centro Studi di Galliera
(Bologna) Progetti esteri Roberto Marchesini tiene regolarmente conferenze in
diversi paesi del mondo tra i quali: Stati Uniti, dove dal tiene annualmente una lecture presso
l'Harvard, Brasile, Messico, Cile, India, Australia, Francia, dove è stato
ospite della Sorbona, Spagna, Portogallo. Cura la rubrica etologia a
cadenza settimanale "Gli animali che dunque siamo" per Il Corriere
della Sera. “Intelligenza emotiva versus intelligenza cognitive” in
Pluriverso, 3, La Nuova Italia, La via vegetariana per un mondo migliore,
Vimercate, La spiga vegetariana, pagina 2:// novalogos/drive /File/ LIBRO% 20ANIMAL
%20 STUDIES %201- novalogos// drive/File/
animalstudies. R. Marchesini, Teriomorfismo, Bologna, Apeiron. Bioetica,
diritti animali, pedagogia e scienze cognitive. Oltre al muro, Torino, Franco
Muzzio Editore, Natura e pedagogia, Roma, Theoria, Il concetto di soglia, Roma,
Theoria, Io e la natura, Forlì-Cesena, Macro Edizioni, La fabbrica delle
chimere. Biotecnologie applicate agli animali, Torino, Bollati Boringhieri, Bioetica e scienza veterinarie, Edizioni
Scientifiche Italiane, "Intelligenza emotiva versus intelligenza
cognitiva", In Pluriverso, Firenze, La Nuova Italia, Bioetica e
biotecnologie. Questioni morali nell'era biotech, Bologna, Apeiron,
Intelligenze plurime. Manuale di scienze cognitive animali, Bologna, Peridsa,
“Il galateo per il cane” Milano, Giunti, “Modelli cognitivi e comportamento
animale: Coordinate di interpretazione e protocolli applicative;; Contro i
diritti degli animali? Proposta per un anti-specismo post-umanista,
Alessandria, Edizioni Sonda, Vivere con
il cane. Come migliorare il rapporto fra cani, adulti e bambini, Firenze, De
Vecchi, Il bambino e l'animale. Fondamenti per una pedagogia zoo-antropologica,
Roma, Anicia, Etologia cognitiva. Alla
ricerca della mente animale, Bologna, Apeiron, Pluriversi cognitivi. Questioni
di filosofia ed etologia, Milano, Mimesis, Geometrie esistenziali. Le diverse
abilità nel mondo animale, Bologna, Apeiron, Zooantropologia. Animali e umani: analisi di
un rapporto, Como, Red, Animali in città. Manuale di zoo-antropologia urbana,
Como, Red, Homo Sapiens e mucca pazza. Antropologia del rapporto con il mondo
animale, Bari, Dedalo, R. Fondamenti di zooantropologia. Zooantropologia
applicata, Bologna, Perdisa, Manuale di zooantropologia, Roma, Meltemi, Il codice degli animali magici, Firenze, De
Vecchi, L'identità del cane. Storia di una implicatura conversazionale tra
specie; Bologna, Apeiron, L'identità del gatto. La forza della convivialità,
Bologna, Apeiron, Cane & Gatto. Due stili a confronto, Bologna, Apeiron, Etologia filosofia. Alla ricerca della inter-soggettività
animale, Milano, Mimesis, Emancipazione dell'animalità, Milano, Mimesis, Posthuman.
Verso nuovi modelli di esistenza, Torino, Bollati Boringhieri, Il problema del
corpo, tra umanesimo e postumanesimo, in Janus, Tecno-scienza e approccio post-umanistico, in
Millepiani, R. Marchesini, Il tramonto dell'uomo. La prospettiva postumanista,
Bari, Dedalo, R. Marchesini, Filosofia postumanista e antispecismo, in
Liberazioni. Rivista di critica antispecista, L. Caffo, R. Marchesini, Così
parlò il postumano, a cura di. E. Adorni, Aprilia, Novalogos,,R. Marchesini,
Epifania animale. L'oltreuomo come rivelazione, Milano, Mimesis, R. Marchesini, Ibridazioni e processi
evolutivi, in Formazione e post-umanesimo. Sentieri pedagogici nell'età della
tecnica, Milano, Raffello Cortina, Etologia filosofica. Alla ricerca della inter-soggettività
animale, Milano, Mimesis, Alterità. L'identità come relazione, Modena, Mucchi Editore, Tecno-sfera.
Proiezioni per un futuro postumano, Roma, Castelvecchi, Eco-ontologia. L'essere
come relazione, Bologna, Apeiron, R. Teriomorfismo, Bologna, Hybris, Poetiche postumaniste in Polimorfismo,
multimodalità, neobarocco, N. Dusi e C. Saba, Silvana Editore,, R. Marchesini, "Ontani. Argonauta
dell'ibridazione", in Ontani incontra Giorgio Morandi. Casamondo, Danilo
Montanari Editore, Il Dio Pan. Racconti
lirici, Firenze, Firenze Libri, Graphe edizioni, Perugia, Uscendo da Lauril,
Roma, Theoria, Specchio animale. Racconti di ibridazione, Roma, Castelvecchi, Ricordi
di animali, Milano, Mursia, Il cane secondo me. Vi racconto quello che ho imparato
dai cani, Alessandria, Sonda, La filosofia del giardiniere. Riflessioni sulla
cura, Perugia, Graphe edizioni. Blog
ufficiale, su marchesini etologia. vegetti della letteratura fantastica, Fantas
cienza Academia.edu. Sito ufficiale (Scuola di Inter-azione Uomo-Animale).
Centro Studi Filosofia Postumanista diretto da. Grice: “There are two Robeto
Marchesini – but only one is a philosopher. The other writes on ‘il cammino del
cavalier’ and the ‘codice caavlleresco’ and the equites romani, but he is not
recognized as a philosopher!” -- Roberto Marchesini. Marchesini. Keywords:
terio-morfismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchesini” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691135341/in/photolist-2mKLzDp
Grice e
Marchetti – filosofia italiana – della natura delle cose -- Luigi Speranza (Empoli).
Filosofo. Grice: “I love Marchetti;
for once, he had to find vulgar terms for all of Lucretius’s learned ones! The
Italians used to call their own tongue ‘volgare’ then --; this is not easy
matter (to translate Lucretius, not to call your tongue volgare), especially
since Lucretius was often unclear to himslf – talk of my conversational
desideratu of conversational perspicuity [sic]!” -- Grice: “I like him because
he axiomatised Galilei!” Professore a Pisa, contina le ricerche di Galileo n
come iViviani. Collabora con Papa.
Scrisse rime morali ed eroiche. L’opera cui deve la sua fama è la
traduzione “Della natura delle cose” di Lucrezio. Considerata come un manifesto
di razionalismo, “La natura dellle cose”
influì notevolmente sul gusto arcadico per la purezza della lingua e l'eleganza
dello stile. La diffusione di idee
materialiste attirò sul Marchetti l'accusa di empietà. Pur rifugiatosi nella
poesia, non riuscì ad evitare le indagini del Sant'Uffizio, ispirate
soprattutto da Vanni. Per altre sue opere di successo fu attaccato dagli
oppositori di Galileo. Membro dell’ Accademia dei Disuniti, Accademia
dell'Arcadia, Accademia dei Fisio-critici, Accademia dei Risvegliati, Accademia
della Crusca e Accademia Fiorentina. Saggi: “De resistentia solidorum” (Firenze,
typis Vincentij Vangelisti e Petri Matini (Grice: “Opera abbastanza interessante, basata sulla teoria
galileiana, cui Marchetti dà una struttura assiomatica – ripetto, ‘assiomatica’
-- rigorosa. Tratta in larga parte il problema dei solidi di uniforme
resistenza, precedendo di mezzo secolo l'importante trattato di Grandi), “Exercitationes
mechanicae” (Pisa, Ferretti); “Della natura delle comete,” “Lettera scritta
all'illustriss. sig. Francesco Redi,” Firenze, alla Condotta, “Saggio delle
rime eroiche morali e sacre,” dedicato all'altezza reale di Ferdinando principe
di Toscana” (Firenze, Bindi); “Anacreonte,” radotto in rime toscane, e da lui
dedicato all'altezza reale di Ferdinando principe di Toscana, In Lucca, per L.
Venturini. “Della natura delle cose libri sei” (per Giovanni Pickard) Vita e poesie
da Pistoja filosofo e matematico all'illustrissimo sig. cavaliere F. Feroni
marchese di Bellavista patrizio fiorentino e accademico della Crusca (Venezia,
aValvasense (Contiene poesie con la “Vita” scritta dal figlio Francesco). G. Costa,
Epicureismo e pederastia: il Lucrezio e
l'Anacreonte secondo il Sant'Uffizio, Firenze, Olschki, Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Mario Saccenti, “Lucrezio in Toscana: Studio
su Marchetti” (Firenze, Olschki); De
rerum natura Razionalismo, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Crusca. Alessandro
Marchetti. Marchetti. Keywords: implicatura, lucrezio, della natura delle cose,
pederastia, il poeta filosofo, l’essamero di Lucrezio, l’essameri di Lucrezi,
il poema filosofico latino, il genero filosofico nella poesia latina. Lucrezio,
alma figlia di giove, inclita madre. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchetti”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51638862376/in/photolist-2mNaHiH-2mF9EHo-2mKLXoX-nSNEUQ
Grice e
Marchi – la missione di Roma – la religione civile di Mussolini -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Potenza). Filosofo. Grice: “Marchi
displays a few features hardly found at Oxford: He edited a magazine,
“filosofia mazziniana” – I can imagine Bradley wanting to edit “Hegeliana” at
Oxford – and we do have a Gilbert Ryle Room, and an Occam Society! The other
trait is illustrated by his manifesto, “La missione di Roma,” – Churchill would
have equaled with something Anglian!” Generale di corpo d’armata italiano,
Medaglia d'oro dei Benemeriti dell'Educazione Nazionale. Insegna a Roma. Cura
la pubblicazione di diverse riviste in cui si confrontarono alcuni studiosi del
primo Novecento italiano come Varisco. Tra queste Dio e Popolo e “L'idealismo
realistico.” Dio e Popolo, rivista di ispirazione mazziniana, accoglie scritti
miranti alla ricostruzione della filosofia religiosa di Mazzini e i rapporti
tra religione e stato; nega l'ateismo e persegue l'ideale di “repubblica”. “L'idealismo
realistico” raccoglie teorie filosofiche di stampo anti-gentiliano. A lui è dedicato il Premio tesi di Laurea
“Vittore Marchi”, bandito da Roma Tre per i neolaureati che abbiano sostenuto
tesi su un argomento concernente il pensiero filosofico antico degne di essere
pubblicate; e un parco al Municipio IV. Saggi: “La filosofia religiosa di Mazzini,
in Dio e Popolo, “La missione di Roma” o, Atanòr Ed., Il concetto e il metodo
della ‘storia della filosofia,’ – Grice:
“His apt implicature is that if you are an idealist, don’t shed your
idealism when discussing J. J. C. Smart!” -- Filosofia e religione, La perseveranza
Ed., Potenza, La filosofia morale e
giuridica di Gentile, Stabilimento Tipografico F.lli Marchi, Camerino, Relazione
tra la filosofia teoretica e la filosofia pratica – Grice: “I would strongly
assert that it’s the same thing: ‘Poodle is our man in practical philosophy’
sounds obscene’” -- in L'idealismo
realistico, Roma, “Le prove dell'esistenza di Dio, in L'idealismo realistico,
Roma, Gli è stato dedicato un parco a Roma. Gramsci (J. A. Buttigiec), G. De
Turris, Fenomenologia dell'individuo assoluto, Roma, Edizioni Mediterranee.
//uniroma3/news.php?news=603. Vittore Arnaldo Marchi. Vittore Marchi. Marchi.
Keywords: la missione di Roma, Mazzini, filosofia mazziniana, rivista di
filosofia mazziniana, gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchi” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51717823923/in/photolist-2mQoEyX-2mQiU3r-2mPXNYj-2mPMBQM-2mPAuFE-2mPrb68-2mN8nen-2mLKtaD-2mLLy7L-2mLLy6U-2mLGvyP-2mLQZBN-2mLKeCe-2mLDFVG-2mLCU95-2mKTjot-2mPV6V9-2mKAuZM-ErqrPW-DvhhWW-DhRHD2-nBSZNh-hJHSQv
Grice e
Marchi – l’anima del corpo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia).
Filosofo. Grice: “His ‘poesia del
desiderio’ is confusing – he means tenderness, as Scruton does in his book on
“Sexual arousal”” -- Grice: “Perhaps Marchi’s most provocative piece is
“L’anima DEL corpo.” If I were to be tutored on that by Hardie, I can very well
imagine Hardie – he was a Scot – ‘what d’you mean, ‘of’?” Psicoterapeuta di
formazione reichiana, umanista, autore di scritti talvolta controversi perché a
scopo provocatorio, si define Solista ed ama stare «fuori
dall'Accademia». Psicologo clinico e sociale, politologo e autore
di numerosi saggi, è stato protagonista di varie battaglie per i diritti civili
e sessuali, riuscendo con una sentenza della Corte Suprema sulla “Vertenza tra
il Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Emilio Colombo, e Marchi”, ad ottenere la revoca dei divieti
penali all'informazione e all'assistenza anti-concezionale e ad avviare la
realizzazione di una rete di migliaia di consultori sessuologici e familiari
pubblici. Fonda l’'AIED, guidando l'Associazione in qualità di Segretario. Ha
dato per oltre quarant'anni un contributo determinante non solo alla
segnalazione della pericolosità dell'esplosione demografica (da lui definita
“la madre di tutte le tragedie”) e dei suoi corollari (fame, guerre, genocidi,
disastri ambientali, disoccupazione di massa, migrazioni disperate, crisi
energetica mondiale) ma anche al chiarimento dei meccanismi psicologici che
hanno finora impedito di comprendere e di affrontare questa tragedia
planetaria. Dimostrato con alcuni foto-romanzi interpretati da noti attori (Paola
Pitagora, Pagliai, Gassman, Zavattini e Valdemarin) che i messaggi mass-mediatici
associati alla psicologia motivazionale sono lo strumento più efficace per
indurre le masse alla regolazione delle nascite: una tesi oggi confermata da
varie organizzazioni internazionali. --Presidente italiano di tre
importanti Scuole di Psicoterapia da lui fondate: quella psico-corporea di Reich,
quella bioenergetica di Lowen e quella umanistica di Rogers. Marchi matura un
diverso punto di vista nei confronti degli approcci teorici di Reich, Lowen e
Rogers (a suo parere non avevano colto fino in fondo l'importanza della
coscienza e dell'angoscia della morte nella genesi delle patologie psichiche
umane) e propone una teoria della
cultura e della nevrosi in un libro (“Scimmietta ti amo -Psicologia Cultura
Esistenza: da Neanderthal agli scenari atomici ” Ed. Longanesi “Lo shock primario”,
Ultima Ed. Rai-Erit) che viene proclamato “Libro del Mese”. Fonda a Roma
l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale, oggi diretto da Filastro.
Pioniere della ricerca psico-sociale, è
stato Presidente Onorario della Società Italiana di Psicologia Politica. I suoi
contributi in questo campo sono stati: 1) la fondazione della Psicopolitica (un
metodo di analisi psicologica dei fenomeni socio-culturali che propone una “lettura” psicologica di tali
fenomeni, diversa da quelle di carattere marxista, idealista o istituzionalista
finora prevalse, con risultati fallimentari, nelle scienze sociali e politiche
tradizionali); 2) l'elaborazione d'una nuova "Psicologia Politica Liberale".
Si è interessato anche al teatro e alla televisione, creando programmi di cui Fellini
scrisse: “Ecco una nuova televisione culturale di cui c'è, oggi, bisogno”. E
per oltre due anni ha condotto un programma di psicologia su RaiUno ” La chiave
d'oro” con Baldini. Guzzanti ha scritto di lui: “ è un felice incrocio tra
Russell ed Allen”. Attivista per il riconoscimento dei diritti alla
contraccezione, al divorzio, all'interruzione di gravidanza e all'eutanasia, ha
fondato il Centro informazioni sterilizzazione aborto) che anticipò la legge sull'aborto
in Italia, e l'Associazione italiana per l'educazione demografica. Ha costantemente sostenuto l'importanza del
problema della crescita demografica e dei problemi economici, ecologici,
sociali e psicologici ad essa connessi. Pur essendo favorevole alla
chiusura dei manicomi, ha criticato la legge Basaglia in quanto scaricava sulle
famiglie il problema dei malati psichiatrici pericolosi; parlando dei delitti
in famiglia, evidenziò come il nucleo familiare resti il luogo principale in
cui avvengono gli omicidi, a suo giudizio "frutto del fallimento"
della legge 180 sulla salute mentale. Propose «una riforma radicale e
l'apertura di cliniche psichiatriche che non siano i vecchi manicomi ma
strutture umanizzate, oltre che di centri per l'attività riabilitativa».
Aderente al Partito Radicale, ha tenuto per tredici anni la rubrica
bisettimanale "Controluce" su Radio Radicale, in cui ha trattato temi
che venivano altrove trattati con conformismo: il sesso e l'amore, la
procreazione e la contraccezione, le malattie e la morte, il lavoro e le
rendite, la libertà e l'autoritarismo. È stato autore della "Teoria
liberale della lotta di classe", nel volume O noi o loro!. Istituto di
Psicologia Umanistica Esistenziale Modello, Fondatori e Storia della Scuola -- è
mosso dalle radici comuni teoriche ed epistemologiche riconducibili alla
fenomenologia e all'esistenzialismo, fondamentali correnti filosofiche del
‘900, e da alcuni autori significativi del movimento della psicologia
umanistico-esistenziale in particolare Carl Rogers, Rank, Frankl, Binswanger, Boss,
Jaspers, Minkowski. Eredita la particolare concezione dell'uomo e della vita,
che rivendica all'essere umano il diritto e la capacità di scelta.
Consapevole della sovrabbondanza di Scuole Psicologiche esistenti in Italia
esitò prima di fondare l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale. Preferì
lavorare nell'ambito di indirizzi già affermati, che sentiva geniali e creativi
e fu l'iniziatore della Scuola Reichiana in Italia Presidente dell'Istituto di
Bioenergetica W. Reich di Roma e per 6 anni Presidente dell'Istituto di
Psicologia Rogersiana (FDI) e inoltre concorse a riscoprire e valorizzare
l'opera pionieristica di Rank con la
pubblicazione della sua opera: "Rank pioniere misconosciuto" Melusina,
Esperienze personali drammatiche e ricerche in campo clinico e antropologico
imposero alla sua attenzione l'importanza dell'angoscia di morte come uno dei
più importanti fattori che contribuiscono alla sofferenza psicologica e
psicopatologica. Sentì allora l'esigenza di creare una nuova Scuola che
riuscisse a riconoscere la rilevanza di questa angoscia primaria dell'uomo e di
sviluppare un approccio originale, pluralista e non dogmatico alla sofferenza
umana, fondato sull'integrazione sinergica delle tre dimensioni, di approccio
simultaneoall'essere umano in terapia verbale, corporea ed esistenziale.
Si tratta di un modello che nasce sulla scia della filosofia esistenziale,
dalla quale eredita la concezione dell'uomo e della vita che rivendica
all'essere umano il diritto e la capacità di scelta e, intende: (1)
offrire la possibilità di elaborare e affrontare le tremende tensioni
esistenziali di ogni essere umano anche nel percorso di malattia psichica e
somatica nel clima di contatto empatico, di solidarietà, convogliando nel
processo terapeutico il grande potenziale di crescita e comunicazione del
paziente, la sua conoscenza dei propri bisogni, la sua creatività, l'apporto
decisivo della sua esperienza. 2) che si presenta multidimensionale,
integrato e non dogmatico alla sofferenza umana e psichica e costantemente
aperto ad arricchire la propria prospettiva teorica e clinica attraverso un
confronto critico e di fertilizzazione con altri approcci psicoterapici, e
interviene su 4 dimensioni fondamentali dell'esperienza umana: la
dimensione empatico relazionale, che definisce il nostro modo di essere nel
mondo con gli altri; la dimensione corporea, che spesso esprime sotto
forma di tensioni e dolori muscolari la sofferenza psicologica; la
dimensione esistenziale, che riconosce l'importanza del senso che si riesce a
dare alla propria esistenza; la dimensione cognitiva, che riconosce la
rilevanza sintomatica della sofferenza psicologica e
psicopatologica. Un esempio di
testo provocatorio, scritto senza avere alcuna competenza in infettivologia, è
il seguente sulla cospirazione dell'AIDS: AIDS......affare multi Miliardario,
su mednat.org. e Aids, la grande truffa
continua in: L. De Marchi, Il nuovo
pensiero forte. Marx è morto, Freud è morto e io mi sento molto meglio; altri
scritti di critica, più documentati, hanno riguardato le sue critiche alle
prassi della chemioterapia dei tumori e gli effetti collaterali, come in Kaputt
tutta la ricerca sul cancro? sempre in De Marchi, op. cit. lo psicologo che inventò l'Aied Repubblica Addio a Marchi, lo psicologo che inventò l'Aied L. De Marchi, Il Solista Autobiografia d'un
italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali, Luca Bagatin, articolo su Politica Magazine,
su lucabagatin.ilcannocchiale. Opere:“Sesso e civiltà,” Laterza; “L’orgasmo” Lerici,
Sociologia del sesso, Laterza, Repressione sessuale e oppressione sociale,
Sugar, Wilhelm Reich Biografia di un'idea, Sugar, Psico-politica, Sugar, Vita e
opere di Reich, Sugar, Scimmietta ti
amo, Longanesi, Lo shock primario. Le radici del fanatismo da Neandertal alle
Torri Gemelle, Poesia del desiderio, La Nuova Italia, Seam, Perché la Lega,
Mondadori, Il Manifesto dei Liberisti Le idee-forza del nuovo Umanesimo
Liberale, Seam, Aids. La grande truffa, Roma, Seam, O noi o loro! Produttori
contro Burocrati, ecco la vera lotta di classe della Rivoluzione Liberale, Bietti,
Il Solista Autobiografia d'un italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali,
Psicoterapia umanistica. L'anima del corpo: sviluppi (Franco Angeli, Reich Una formidabile avventura scientifica e
umana, Macro Edizioni, Il nuovo pensiero forte Marx è morto, Freud è morto e io
mi sento molto meglio, Spirali, Svolta a destra? Ovvero non è conservatore chi
combatte parassiti, fannulloni e sfruttatori, Armando Curcio Editore, La Psicologia
Umanistica Esistenziale Rivista delle Psicoterapie, Roma “La Sapienza”, Associazione italiana per l'educazione
demografica, Reich luigidemarchi.blogspot.com
openMLOL Horizons Unlimited srl. Radio Radicale. Istituto di Psicologia
Umanistica Esistenziale IPUE, su ipue. Archivio IPUE, su
luigidemarchi.wordpress.com. Archivio della rubrica "Controluce" che Marchi
teneva su Radio Radicale,, Renato Vignati Luigi De Marchi, un pioniere della
psicologia italiana in Psychomedia, R.Vignati Lo sguardo sulla persona.
Psicologia delle relazioni umane, Libreria universitaria edizioni, Padova.
Luigi De Marchi. Marchi. Keywords: l’anima del corpo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Marchi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703312928/in/photolist-2mQoEyX-2mQiU3r-2mPXNYj-2mPMBQM-2mPAuFE-2mPrb68-2mN8nen-2mLKtaD-2mLLy7L-2mLLy6U-2mLGvyP-2mLQZBN-2mLKeCe-2mLDFVG-2mLCU95-2mKTjot-2mPV6V9-2mKAuZM-ErqrPW-DvhhWW-DhRHD2-nBSZNh-hJHSQv
Grice e
Marconi – linguaggio private – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino).
Filosofo. Grice: “Perhaps his most brilliant exegesis on ‘Vitters’ is that
about what Marconi calls ‘linguaggio private,’ as in Robinson Crusoe. Not!” -- Grice:
“Marconi has attempted to ‘formalise’ dialectic – as in Oxonian dialectic –
which is what Zeno was trying to do with his reductio ad absurdum.” Grice:
“While Marconi starts alright, with Frege, he gets entangled with ‘Vitters;’
p’rhaps his innovative approach is best seen in phrases like ‘il significato
eluso’, which may describe my implicature; but points to an etymology: ‘eluso’
is indeed ‘eluso,’ and means ‘ex-ludic,’ out of the game. The idea being that
the game is a simulated fight, and by eluding a punch from your adversary, you
are, well, ‘implicating’!” Professore a Torino, studia con Pareyson a Torino e
con Rescher, Sellars e Thomason a Pittsburgh, dove studia Hegel. Grice: “In Italy, it is not considered
Italian to get your PhD without – not within – Italy. Similarly, at Oxford, you
cannot get your B. A. Lit. Hum. anywhere
else if you want to be regarded as Oxonian. That’s why I never considered B. A.
O. Williams an Oxonian!” -- Noto per i suoi contributi su ‘Vitters,’presenta
diversi risultati, specie riguardo alla semantica. Su questi temi ha pubblicato
“Filosofia e scienza cognitiva (Laterza). Cura con Ferraris la nuova edizione
della Enciclopedia filosofica Garzanti ed è stato presidente della Società
Italiana di Filosofia Analitica. Saggi: “Il mito del linguaggio scientifico” studio
su Vitters, Milano, Mursia, Dizionari e
enciclopedie, Torino, Giappichelli, “L'eredità di Vitters” Roma, Laterza, Lampi
di Stampa; “La competenza lessicale,” Roma, Laterza, “La filosofia del linguaggio.” Da Frege ai giorni
nostri, Torino, Pomba, “Filosofia e scienza cognitiva,”Roma, Laterza, “Per la verità: relativismo e la filosofia,”
Torino, Einaudi, “Verità, menzogna” – Grice: “The etymology is an interesting
one; since menzogna is cognate to my meaning, so Marconi actually means ‘truth’
versus ‘trust’ – or honesty versus dishonesty – seeing that one can ‘lie’ while
asserting a truth – provided the utterer thinks ‘p’ is ‘false’.” Grice: “But
this is a commissioned thing, so it shouldn’t count as it is Marconi discussing
with a priest!” Trento, Il Margine,; “Flosofia e professionismo,” – Grice: “His
implicature, and a right one, too, is that philosophy is a profession, which
reminds me of ‘A Room with a view’: “And what, Sir Cecil, is your profession?”
“I don’t HAVE a profession!” -- On the
other hand, his translation of my ‘metier’ (mestiere) is an interesting one
(The tiger’s métier is to tigerise). Torino, Einaudi,.“La formalizzazione della
dialettica”: Hegel, Marx e la logica,”Torino, Rosenberg); “Guida a Vitters Il
«Tractatus», dal «Tractatus» alle «Ricerche», Matematica, Regole e Linguaggio
privato, Psicologia, Certezza, Forme di vita. Roma, Laterza, Filosofia analitica,
Prospettive teoriche e revisioni storiografiche. Milano, Guerini, Vercelli,
Mercurio, Scritti sulla tolleranza di Locke, Torino, POMBA, Saggi su Marconi, “Il
significato eluso” saggi in onore di Marconi, numero monografico della «Rivista
di estetica», Treccan Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Intervista di M. Herbstritt, Rivista italiana di filosofia analitica,
sito dell'Università degli Studi di Milano. Diego Marconi. Marconi. Keywords:
linguaggio privato, il significato non eluso, alusione ed elusione, eludire,
aludire, l’alusion elusa, l’aluso eluso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marconi”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718224484/in/photolist-2mQ81kz-2mPoj9X-2mNaqiA-Dw1w1R-BNSPQL
Grice e
Mariano – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Capua).
Filosofo. Grice: “I like Mariano:
his study of Risorgimento applying the philosophy of history is brilliant” Fedelissimo
allievo di Vera, insegna a Napoli. La sua indagine e prevalentemente orientata verso
l'interpretazione di Hegel. Si colloca insieme a Vera in quella tendenza che
privilegia l'interpretazione sistematica e razionale. Inserì talvolta temi non
strettamente legati al pensiero di Hegel affermando tra l'altro che la
filosofia deve essere compiuta dalla religione" (Dall'idealismo nuovo a
quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine hegeliane),
trattando riguardo a ciò che dell'idealismo di Hegel è morto e di ciò che non
può morire", argomento precedentemente trattato da Croce, il quale
risponde aspramente alle argomentazioni proposte da Mariano. “Mariano non ha
mai capito nulla di tutto ciò che vi è di più sostanziale in Hegel come non ha
meditata seriamente nessuna grande filosofia; e (ora si può aggiungere) non ne
ha mai letto le opere. Immaginarsi che il Mariano si afferma hegeliano, mentre
sostiene che la conoscenza non è assoluta; che rimane insuperabile il mistero;
che dio esiste fuori del mondo e sarebbe dio anche senza il mondo; e che la
filosofia deve essere compiuta dalla religione! Insomma, ciò che di Hegel
"non può morire" sarebbe ciò che Hegel non ha mai detto perché
affatto indegno della sua mente altissima.» Si schierò a favore del
mantenimento della pena di morte in un dibattito sul tema, in accordo con iVera
(La pena di morte. Considerazioni in appoggio di Vera Napoli. ), uno dei più
autorevoli difensori del mantenimento di questa pratica. È ancora Croce che
commenta con grave disappunto l'argomento. “Notiamo in ultimo che sempre
riecheggiando i vaniloqui del Vera,Mariano si professa filosofico difensore
della pena di morte: come se la maggiore o minore opportunità di mettere i
delinquenti in segregazione cellulare, o d'impiccarli, ghigliottinarli,
garrottarlie impalarli, costituisse una questione filosofica. Ma Mariano ama
tutte le cause generose; e non è da meravigliare se per esse trascenda persino
i limiti della filosofia.» E anche saggista con un gusto per la
"critica della critica" (cit."Storia Letteraria d'Italia, Volume
III, Armando Balduino") – filosofica -- non trascurando l'arte che
annetteva strettamente alla morale. Rivolse la sua indagine anche al
rinascimento con un Saggio biografico critico su Bruno La vita e l'uomo.
Pubblica nche una monografia "apologetica" di Vera. La sua produzione
fu in un secondo momento soprattutto riferita alla storia, in particolare la
storia del cristianesimo e quella delle religioni in genere, argomenti affini
anche alla materia insegnata presso l'università napoletana. Non sono presenti
particolari innovazioni nella sua ricerca, ma fu uno dei primi a discutere la
tesi proposta da Croce riguardo alla riduzione della storia al concetto di
‘arte. Saggi: “L’Eraclito di Lassalle: saggio sulla filosofia hegeliana”
(Cf. Speranza e ill suo Grice: saggio sulla pragmatica oxoniense”), “Il Risorgimento italiano secondo i principi
della filosofia della storia,” ““La
libertà di coscienza,” Milano, Hoepli, “Vera.” Saggio critico, Roma, Civelli, “L'individuo
e lo Stato nel rapporto sociale. Milano, Treves, “Il Machiavelli di Villari, Roma,” Loescher, (cf.
“Il Grice dello Speranza”), Leopardi, Roma, Tip. Botta, La pena di morte.
Considerazioni in appoggio di Vera, Napoli. IlCarlo Maria Curci, Milano, Vallardi, Augusto
Vera. Necrologio, «Annuario Napoli», Dio secondo Platone, Aristotele ed Hegel,
«Acc. SMP Napoli. Atti», Biografie del
Machiavelli, 1Arte e religione, Il
brutto e il male nell'arte. Il brutto e il male nel romanzo moderno, Dall'idealismo
nuovo a quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine
hegeliane, La vita e l'uomo, I rapporti dello stato con la religione, Firenze,
Civelli, Il problema religioso in Italia, Roma, Civelli, La riforma
ecclesiastica in Italia, «Il diritto», Cristianesimo, cattolicesimo e civiltà, Papato
e socialismo ai giorni nostri. Studio, Roma, Artero, Buddismo e cristianesimo, La
Storia è una scienza o un'arte?, «Fanfulla della Domenica», La conversione del
mondo pagano al cristianesimo, Il cristianesimo dei primi secoli. Capua, gli ha
dedicato una strada, sede, tra l'altro, del Banco di Napoli. La Critica.
Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da Croce, Armando Balduino, Storia letteraria
d'ItaliaL'Ottocento, III, Piccin Nuova
Libraria, Piero di Giovanni, Gentile, La filosofia italiana tra idealismo e
anti-idealismo, Milano, cf. Luigi Speranza, “La pragmatica conversazionale: tra
griceianismo e anti-griceianismo.” Franco Angeli, Paolo Malerba, Luciano
Malusa,, sito della Società filosofica italiana
Guido Calogero, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Raffaele Mariano. Mariano. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Mariano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691817114/in/photolist-2mPMBQM-2mPtnaL-2mLP3hz-2mLGRht-2mPu6xB-2mKPS8q-2mKQ5j7-2mKyErQ-ocAPht-oaG3ms-nTjTm4-nfECL9-nhsYJ6-njfC9c-nfCCMe-njanDk-nfCAoX-njaa4a-nh7Q7B-nhFmUB
Grice e
Marin – l’ottimo precettore – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia).
Filosofo. Grice: “I like Giovanni Marin; for one, he loved, like I do, rhetoric
– in his own Venetian kind of way!” Nato
dal nobile Rosso Marin, studia con profitto sotto l'insegnamento di Feltre, dal
quale apprese la retorica. Frequenta il ginnasio, presso il quale recita
eloquenti orazioni in encomio agli uomini illustri veneziani. Si laurea a
Padova. Ambasciatore della Repubblica di Venezia presso gli Estensi e quindi
presso Firenze. Rosmini, Carlo de' Rosmini, Idea dell'ottimo precettore nella
vita e disciplina di Vittorino da Feltre e de' suoi discepoli, Rovereto. Giovanni
Marin. Marin. Keywords: l’ottimo precettore. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Marin” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747107065/in/datetaken/
Grice e
Marliani – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Grice: “I like Mariliani;
especially the cavalier way in which he refers to philosophers in his brilliant
“De secta philosophorum.” Austin would say that there possibly are sects and
sub-sects!” Fglio del patrizio milanese Castello Marliani. Studia a Pavia sotto
Pelacani. Entra nel Collegio dei intraprese una carriera nell'insegnamento della
filosofia e astrologia. Attivo a Milano e Pavia. Con l'ascesa della dinastia degli Sforza a
capo del Ducato di Milano, appartenente a una famiglia ghibellina, aumenta il prestigio.
Ottiene la concessione in esenzione dei diritti di sfruttamento delle acque del
Secchia nei pressi di Moglia, nel Mantovano.
Alla morte del duca Francesco Sforza, scrisse una lettera al nuovo duca
Galeazzo Maria Sforza in cui dichiara di essere stato richiesto da molti Studi
in diverse città d'Italia, sperando di poter essere trasferito da Pavia a
Milano e di ricevere un aumento di salario. Il Consiglio segreto di Milano
intercedette presso lo Sforza in favore di Marliani, esaltando la sua fama
anche oltre i confini del Ducato. Il duca Galeazzo Maria, dopo alcuni indugi,
acconsente per conferirgli un'assegnazione annua di 1 000 fiorini, il più alto
salario riconosciuto a chiunque nel Ducato. Sotto la reggenza di Ludovico il
Moro ottenne i dazi di Gallarate e della sua pieve. I suoi studi lo portarono
ad essere tra i più grandi scienziati dell'epoca e riuscì a mettere in
discussione Bradwardine e Sassonia. Nel
suo saggio, “Quaestio de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati
set de antiperistasis distingue la
temperatura dell'organismo dalla quantità e dalla produzione del calore
naturale del corpo e sostenne che la produzione del calore naturale è più
elevata in inverno che in estate. Si reca a Novara dal conte Gaspare Vimercati,
colpito da problemi respiratori e cura Rinaldo d'Este da una gravissima
malattia che lo colse durante una visita alla corte milanese. Raggiunse i
vertici della propria carriera e presta le sue doti di medico a Federico I
Gonzaga. Le opere del Marliani furono oggetto di studio da Vinci, che lo cita
in diverse occasioni nel suo Codice Atlantico. Ebbe tre figli: Paolo, Gerolamo e Pietro
Antonio, la discendenza del primo dei quali ottenne all'inizio. Saggi: “Quaestio
de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati set de
antiperistasi,” “Disputatio cum Iohanne Arculano de materiis ad philosophiam pertinentibus,”
“Quaestio de proportione motuum in velocitate,” “Algebra Algorismus de
minutiis,” “De secta philosophorum,” “Probatio cuiusdam sententiae,” “Calculatoris
de motu locali.” Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Giovanni Marliani. Marliani. Keywords: implicatura, Vinci. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Marliani e le sette filosofiche” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692205840/in/photolist-2mKS4Sh
Grice e
Marotta – Mario l’epicuro – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo. Grice: “I like Marotta; the idea of a library for the Istituto
Italiano per gli studi filosofici’ at Via Monte di Dio, 11, is a geniality!” Si
laurea con il massimo dei voti a Napoli, presentando la tesi, La concezione dello stato in Hegel.” Si
interessa presto di storia, letteratura e filosofia, avvicinandosi dapprima
all'Istituto Italiano per gli Studi Storici fondato da Croce, poi fondando
l'associazione Cultura Nuova che diresse organizzando manifestazioni e
conferenze rivolte ai filosofi che richiamarono tutte le più grandi personalità
della cultura Italiana. Incoraggiato
dagli auspici dell'allora Presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei
Cerulli, di Piovani e di Carratelli, fonda a Napoli l'Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, del quale è Presidente. Donato, all'Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, la biblioteca personale, con una dotazione di oltre 300.000
volumi frutto di trent'anni di appassionata ricerca. Per i suoi importantissimi
apporti al mondo della filosofia ha avuto numerosi riconoscimenti da centri di
ricerca e di formazione di rilievo internazionale. Ha vinto la sezione Premio Speciale del Premio
Cimitile. Gli è stata conferita la laurea ad honorem in Filosofia
dall'Bielefeld, dall'Università Erasmus di Rotterdam, dalla Sorbona di Parigi e
dalla Seconda Napoli. All'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici è stato
conferito, nell'aula magna dell'Roma, il Prix International pour la Paix
Jacques Muehlethaler, "Bidone d'Oro" per la cultura del Movimento
artistico culturale "Esasperatismo Logos & Bidone". G. Capaldo, Fondatore
dell’Istituto Studi Filosofici, su Diario Partenopeo, Claudio Piga (cur.), Per
Gerardo Marotta. Scritti editi e inediti raccolti dagli amici di Marotta, Arte
Tipografica, Napoli, Registrazioni di Gerardo Marotta, su Radio Radicale, Cinquantamila
Giorni de Il Corriere della Sera. Gerardo Marotta. Marotta. Keywords: Mario
l’epicuro, il concetto del stato, il risorgimento – la recezione di Hegel in
Italia --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marotta” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747077695/in/datetaken/
Marramao
– Kairós – apologia del tempo debito – filosofia italiana – Luigi Speranza (Catanzaro).
Filosofo. Grice: “Surely Marramao’s theory of
time-relative identity is more complex than Myro’s! (Myro never read Heidegeer
and was proud of it, can you believe it! He was born in Russia and studied in the New World – so
that’s understandable!” - Grice: “I like Marramao – he has philosophised on
many things, usually homoerotic: Kairos – the opportune time – and its iconography,
and Jesus against power” Essential Italian philosopher.
Allievo di Garin, si laurea Firenze. Pubblicato Comunismo, laburatismo e
revisionismo in Italia, rintraccia in Gentile la chiave di volta filosofica del
comunismo italiano. Insegna a Napoli. -- è uscito il suo saggio Il politico e
le trasformazioni, nel quale pone a confronto le tematiche del
comunismo/laburismo, con le analisi delle trasformazioni. A partire da “Potere
e secolarizzazione” elabora una teoria simbolica del potere (e del nesso
politica-tempo) incentrata sulla ricostruzione archeologica' dei presupposti
del razionalismo. Fondamentali, nel dibattito politico-culturale e filosofico le
sue collaborazioni a Laboratorio politico e il Centauro. Direttore della
Fondazione Basso-Issoco. Insegna a Roma. Muovendo dallo studio del comunismo italiano
(comunismo e laburatismo e revisionismo in Italia, Austr-omarxismo e socialismo
di sinistra fra le due guerre), analizza le categorie politiche (Potere e
secolarizzazione), proponendone, in dialogo con i francofortesi (Il politico e
le trasformazioni) e con M. Weber (L'ordine disincantato), una ricostruzione
simbolico-genealogica. Nelle forme di organizzazione sociale si depositano
significati che derivano da un processo di secolarizzazione civile di un contenuto
sacro religioso, ossia dalla ri-proposizione in dimensione mondana o secolare dell'orizzonte
sacro simbolico. Il laico o pro-fano ha il suo centro in un processo di
temporalizzazione della storia, in virtù del quale le categorie del tempo (che
traducono l'escatologia in una generica apertura al futuro: progresso, ri-voluzione,
liberazione, etc.) assumono centralità crescente nelle rappresentazioni
politiche. Su queste considerazioni, riprese anche in “Dopo il Leviatano, Passaggio
a Occidente. Filosofia e globalizzazione, La passione del presente, Contro il
potere, si è innestata via via una tematizzazione esplicita del problema della
tempo, che per molti aspetti anticipa sia le tesi oggi in voga intorno all’accelerazione
e al rapporto politica-velocità, sia i temi della svolta spaziale. Contro le
concezioni di Bergson e Heideggeri, che delineano con sfumature diverse una
forma pura della tempo, più originaria rispetto alla sua rappresentazione spaziale,
argomenta l'inscindibilità del nesso spazio-tempo e, richiamandosi tra l'altro
alla fisica, ri-conduce la struttura del tempo a un profilo a-poretico e
impuro, rispetto a cui la dimensione dello spazio costituisce il riferimento
formale per ri-solvere i paradossi. (Minima temporalia, e Kairós. Apologia del
tempo debito. Lectio magistralis. Roma
Tre, Enciclopedia di filosofia, Garzanti libri, Milano. Figure del conflitto.
Studi in onore. a c. di A. Martinengo, Casini,
Roma, D. Antiseri, S. Tagliabue, Storia della filosofia, Filosofi italiani contemporanei, Bompiani, Milano.
Roma Tre, su host.uniroma3. Video intervista al Festival della Filosofia su
asia. Giacomo Marramao. Marramao. Keywords: Grice – ontological Marxism,
marxismo ontologico, lavoro e essistenza, comunismo, Kairós – apologia del tempo debito, la
filosofia della storia nella antica Roma, storia lineale, storia circolare,
l’eterno retorno nella scuola di Crotone, Gentile, dopo il leviatano, il
comune. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e Marrameo," The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51746392138/in/datetaken/
Grice e
Marsili – il cimento – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena).
Filosofo. Grice: “I like Marsili,
and the founder of the ‘accademia del cimento.’ ‘Cimento’ you know, means
‘experiment,’ – only in Florence!” Si laurea a Siena. Insegna a Siena e Pisa. Conosce
Galilei. Dei cimentanti. Le sue convinzioni dichiaratamente lizie gli
impedirono di coglierne lo spirito innovatore. Propone un esperimento per
capire se lo spazio lasciato libero nel tubo barometrico durante l'esperienza di
Ruberti contenesse esalazioni di mercurio. Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alessandro Marsili. Marsili.
Keywords: il cimento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marsili” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685923179/in/photolist-2mQtVUe-2mQifgs-2mQjVch-2mQbx4U-2mQ8kJS-2mPTNKh-2mPVkio-2mPYy6p-2mPMBQM-2mPF8UJ-2mPAuFE-2mPyn68-2mPyUzx-2mPiqeP-2mPpwbZ-2mN8Hgb-2mN8ym7-2mN34bs-2mLKtaD-2mLP4Rj-2mLGvyP-2mLQyAA-2mLP3hz-2mLEGPt-2mPsfT9-2mKCfz1-2mGT6p1-2mGnP2f-2mKiSfx-G3tvCn-FcebeC-CRAGiK-Bq5PrV-BvUfSB-nuoDVU-nsj5ZA-ncSabS-nnvnLQ-nr43e9-nhKyUk
Grice e
Martelli –etica e storia: l’assassinio di Giulio Cesare – filosofia italiana –
Luigi Speranza (San Marco in Lamis). Filosofo. Grice: “I like Martelli: he wrote on Croce, Gramsci, and
Nietzsche!” Insegna a Urbino. Prtecipato a lungo alla lotta politica in formazioni
marxiste nate a cavallo del Sessantotto. D Ha diretto il master interfacoltà
«Management etico e Governance delle Organizzazioni». Collabora con MicroMega
(periodico). I suoi studi si sono
concentrati su Nietzsche, Gramsci, e di numerosi autori del Novecento,
affrontando alcune tra le più dibattute vicende e problematiche
filosofico-politiche dell'ultimo secolo. Si è occupato di temi di forte
attualità, elaborando l'idea di una filosofia volta ad una critica radicale del
dogmatismo e del fondamentalismo religioso e in generale di ogni forma di
assolutismo che minacci la libertà di pensiero, i diritti civili, le
istituzioni democratiche e la pace tra i popoli. Il suo aimpegno di saggista è
rivolto in particolare alla difesa della laicità, contro l'interventismo
politico delle gerarchie ecclesiastiche e vaticane. Saggi: “La felicità e i
suoi nemici: apologia dell'agnosticismo,” Manifesto, “Il laico impertinente: laicità
e democrazia nella crisi italiana,” Manifesto, “La Chiesa è compatibile con la democrazia?”
Manifestolibri, “Italy, Vatican State, Fazi, “Quando Dio entra in politica, Fazi,
Senza dogmi. L'antifilosofia di Papa Ratzinger, Editori riuniti, Teologia del
terrore. Filosofia, religione, politica dopo l'11 settembre, Manifesto, Il secolo
del male. Riflessioni sul Novecento, Manifesto, Etica e storia. Croce e Gramsci
a confronto, La città del sole, I filosofi e l'Urss. Per una critica del
«Socialismo reale», La città del sole, Gramsci filosofo della politica, Unicopli,
Nietzsche inattuale, Quattroventi, Filosofia e società in Nietzsche,
Quattroventi, Urbino "Carlo Bo" Antonio Gramsci Friedrich Nietzsche
Laicità Il laico impertinente: il blog
di Michele Martelli, su michelemartelli.blogspot.com. Michele Martelli. Martelli.
Keywords: l’assassinio di Giulio Cesare, il laico, la religione civile
dell’antica roma -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Martelli” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51746130291/in/datetaken/
Grice e
Martinetti –I veliani e l’amore alcibiadico – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Pont Canavese). Filosofo. Grice:
“I like Martinetti; he wrote about eros, or as the Italians call it, ‘amore,’ –
a different root from cupidus, too! He edited a platonic anthology.” “He also
has a strange treatise on ‘the number’ which post-dates Frege!” -- «Di sé
soleva dire di essere un neoplatonico trasmigrato troppo presto nel nostro
secolo» (Cesare Goretti). Professore di filosofia, si distinse per essere
stato l'unico filosofo che rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al
Fascismo. Fu il primo dei quattro figli (tre maschi e una femmina, senza
contare una bambina che morì piccolissima) dell'avvocato Francesco Martinetti e
di Rosalia Bertogliatti. Studi Dopo aver frequentato il Liceo classico Carlo
Botta di Ivrea, si iscrisse a Torino, dove ebbe come insegnanti Allievo, Bobba, Ercole, Flechia e Graf, laureandosi
con una tesi, “Il Sistema Sankhya: un Studio sulla filosofia nell’India”
discussa con Ercole, docente di filosofia teoretica, pubblicata a Torino da
Lattes e, grazie all'interessamento di Allievo,
risulta vincitrice del Premio Gautieri. Dopo la laurea Martinetti fece un
soggiorno di due semestri presso l'Lipsia, dove poté venire a conoscenza del
fondamentale studio di Garbe sulla filosofia Sāṃkhya da poco pubblicato. Si può
dunque "ipotizzare che tra gli scopi del viaggio vi fosse anzitutto quello
di approfondire gli studi dell’India, iniziati a Torino con Flechia e 'Ercole." L'insegnamento
Martinetti insegnò dapprima filosofia nei licei di Avellino, Correggio,
Vigevano, Ivrea, e per finire al Liceo Alfieri di Torino. Compone la
monumentale “Introduzione alla metafisica” e “Teoria della conoscenza”, ch
edopo che consegue la libera docenza in
Filosofia teoretica all'Torino gli valse di vincere il concorso per le cattedre
di filosofia teoretica e morale dell'Accademia scientifico-letteraria di Milano
(che diventa Regia Università degli Studî) nella quale insegna. Divenne socio
corrispondente della classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze
e lettere, fondato da Napoleone sul modello dell'Institut de France.
Il rifiuto della politica e la critica della guerra Martinetti fu una singolare
figura di intellettuale indipendente, estraneo alla tradizione cattolica come
ai contrasti politici che viziarono il suo tempo, non aderì né al Manifesto
degli intellettuali fascisti di Gentile né al Manifesto degli intellettuali
antifascisti di Croce. Fu uno dei rari intellettuali che criticarono la prima
guerra mondiale; scrisse infatti che la guerra è «sovvertitrice degli ordini
sociali pratici ed un'inversione di tutti i valori morali dà un primato
effettivo alla casta militare che è sia intellettualmente sia moralmente
l'ultima di tutte subordinando ad essa le parti migliori della nazione strappa
gli uomini ai loro focolari e li getta in mezzo ad una vita fatta di ozio, di
violenze e di dissolutezze. In seguito a quelle che qualifica di circostanze
pesantissime -- la marcia su Roma e la successiva nomina di Mussolini a
presidente del Consiglio -- rifiuta la nomina a socio corrispondente dei reali
lincei. Mentre nelle sue lezioni sviluppa un sistema di filosofia della
religione, inaugura a Milano una Società di studi filosofici, formata da un
gruppo di amici in piena e perfetta indipendenza da ogni vincolo dogmatico dove
si riunirono autorevoli intellettuali del panorama filosofico e in cui
organizzò una serie di conferenze. Le prime conferenze furono tenute da Banfi e
da Fossati oltre che, naturalmente, da Martinetti, le cui tre relazioni,
riunite sotto il titolo comune di “Il compito della filosofia nell'ora
presente” segnano la sua rottura con Gentile. In seguito ad una denuncia per vilipendio
della eucaristia» presentata a Mangiagalli, dove sottoscrivere un memoriale in
difesa dei propri corsi sulla filosofia della religione. Incaricato dalla
Società filosofica italiana, organizza e presiedette il congresso di filosofia.
L'evento e sospeso dopo solo due giorni da Mangiagalli a causa di
agitator. Il congresso e poi chiuso
d'imperio dal questore. Da un lato incise l'opposizione di A. Gemelli,
fondatore dell'Università Cattolica, che fac parte del Comitato organizzatore
(quale rappresentante dell'Università Cattolica) ma che, per scelta di Martinetti,
non era tra i relatori. Dall'altro lato la partecipazione, fortemente voluta da
Martinetti, di Buonaiuti, scomunicato "expresse vitandus" dal
Sant'Uffizio, dette ai filosofi cattolici neoscolastici la scusa per ritirarsi
dal congress. Le minute cronache del congresso hanno già messo in luce come
Martinetti nell'assolvere al compito di organizzatore dell'incontro, assunto
con una apparente riluttanza, operasse assai poco da ingenuo filosofo fuori dal
mondo. Al contrario, ricorrendo a una certa qual abile ruse egli mise assieme
un programma che costituiva quanto di più ostico potesse risultare ai palati
dei cattolici fascisti sia dei filosofi di regime. Martinetti firma con Cesare
Goretti (segretario del Congresso) una lettera di protesta al rettore
Mangiagalli: «Compiamo il dovere d'informarla che conforme al suo ordine
il congresso si è sciolto senza incidenti. Sciogliendosi ha votato
all'unanimità il seguente ordine del giorno di protesta: Il Congresso della
Società filosofica italiana riunito in Milano: avuta comunicazione che è stato
rivolto alla Presidenza un invito superiore achiudere i lavori del Congresso.
Protesta in nome della libertà degli studi e della tradizione italiana contro
un atto di violenza che impedisce l'esercizio della discussione filosofica ed
invano pretende di vincolare la vita del pensiero.» Martinetti fu il
direttore della Rivista di filosofia, ma per prudenza il suo nome non vi
comparve mai come tale. Tra i collaboratori della rivista vi furono: Ennio
Carando, Bobbio, Geymonat, Fossati (che
ufficialmente ne era il direttore responsabile), Solari, Levi, Grasselli, e
Goretti.. Quando il ministro dell'educazione Giuliano impose ai professori il Giuramento di fedeltà al Fascismo,
Martinetti fu uno dei pochi a rifiutare fin dal primo momento: “Eccellenza!
Ieri sono stato chiamato dal Rettore di questa Università che mi ha comunicato
le Sue cortesi parole, e vi ha aggiunto, con squisita gentilezza, le
considerazioni più persuasive. Sono addolorato di non poter rispondere con un
atto di obbedienza. Per prestare il giuramento richiesto dovrei tenere in
nessun conto o la lealtà del giuramento o le mie convinzioni morali più
profonde: due cose per me egualmente sacre. Ho prestato il giuramento richiesto
quattro anni or sono, perché esso vincolava solo la mia condotta di
funzionario: non posso prestare quello che oggi mi si chiede, perché esso
vincolerebbe e lederebbe la mia coscienza. Ho sempre diretta la mia
attività filosofica secondo le esigenze della mia coscienza, e non ho mai preso
in considerazione, neppure per un momento, la possibilità di subordinare queste
esigenze a direttive di qualsivoglia altro genere. Così ho sempre insegnato che
la sola luce, la sola direzione ed anche il solo conforto che l'uomo può avere
nella vita è la propria coscienza; e che il subordinarla a qualsiasi altra
considerazione, per quanto elevata essa sia, è un sacrilegio. Ora col
giuramento che mi è richiesto io verrei a smentire queste mie convinzioni ed a
smentire con esse tutta la mia vita; l'E.V. riconoscerà che questo non è
possibile. Con questo non intendo affatto declinare qualunque eventuale
conseguenza della mia decisione: soltanto sono lieto che l'E.V. mi abbia dato
la possibilità di mettere in chiaro che essa procede non da una disposizione
ribelle e proterva, ma dalla impossibilità morale di andare contro ai principî
che hanno retto tutta la mia vita. Dell'E.V. dev.mo Dr.” In una
lettera a Guido Cagnola scrive: «Ella ora saprà che io sono uno degli
undici (su 1225 professori universitari! ne arrossisco ancora) che hanno
rifiutato il giuramento di fedeltà e che perciò sono stati o saranno fra breve
espulsi dall'università. Mi consolo d'essere in buona compagnia: Ruffini, Carrara,
De Sanctis, Vida, Volterra, Buonaiuti e qualche altro. Mi rincresce non tanto
la cosa, quanto il modo: e mi rincresce che si sia fatto e si faccia rumore
intorno al mio nome. Ma come fare? Giurare per me era tanto impossibile quanto
una impossibilità fisica: sarei morto d'avvilimento. E in un'altra lettera ad
Adelchi Baratono. Io non ho voluto giurare (e così credo molti degli undici)
per un motivo religioso, per non subordinare le cose di Dio alle cose della
terra: dove sta per andare il rispetto della coscienza? Ciò è triste e annuncia
oscuramente un avvenire triste per tutti, anche per i persecutori.» Come
scrive al proposito Fabio Minazzi: «Martinetti ha infine opposto un netto
rifiuto a sottostare al giuramento preteso e voluto dalla dittatura da tutti i
docenti universitari italiani. Giustamente occorre sempre sottrarre,
criticamente, questo straordinario gesto martinettiano, invero assai
emblematico, da ogni ottundente e vacua retorica antifascista, onde
comprenderlo in tutta la sua genesi specifica. Nel caso di Martinetti non può
allora essere certamente negato, in sintonia con Alessio, il carattere
dichiaratamente religioso di questa sua scelta che, non per nulla, lo ha infine
indotto ad essere l'unico filosofo italiano universitario che ha avuto
l'incredibile capacità critica di sottrarsi nettamente e senza compromessi all'imposizione
del regime. In questa prospettiva Martinetti non ha giurato proprio perché
nutriva una particolare percezione critica dello stesso "giuramento"
in connessione con i suoi più profondi convincimenti morali che avevano
peraltro guidato tutta la sua attività di filosofo. Tuttavia, nel riconoscere
questa precisa matrice religiosa della sua scelta, non deve essere neppure
negato il suo specifico valore e il suo preciso significato civile, culturale e
anche filosofico.» Scrive in proposito Amedeo Vigorelli. Una
certaretorica resistenziale si è impadronita anche di Martinetti, impedendo un
approfondimento più serio e radicale dei tratti originali del suo antifascism0.
L'atto di Martinetti non era cioè solo
un monito contro l'oppressione totalitaria e antidemocratica, ma contro ogni
forma di politica compromissoria e concordataria, contro l'ambiguo connubio fra
religione e politica, sintomo di una profonda immaturità religiosa e premessa
di forme più o meno larvate di condizionamento della libertà di coscienza, non
sempre si ama ricordare che l'avversione di Martinetti al fascismo era innanzi
tutto avversione a ogni forma di retorica nazionalistica, ma anche
all'esaltazione demagogica delle masse popolari. Prima che della dittatura,
Martinetti fu critico altrettanto risoluto del socialismo marxista e della
democrazia, di cui colse gli aspetti degenerativi dell'affarismo e
dell'ultraparlamentarismo» In seguito a questo suo rifiuto, Martinetti
venne messo in pensione d'autorità e si
dedicò unicamente agli studi personali di filosofia, ritirandosi nella villa di
Spineto, frazione di Castellamonte, vicino al suo paese di nascita. In questo
lasso di tempo tradusse i suoi classici preferiti (Kant, Schopenhauer), studiò
approfonditamente Spinoza e ultimò la trilogia (iniziata con la Introduzione
alla metafisica e continuata con La
libertà) scrivendo Gesù Cristo e il Cristianesimo, Il Vangelo è del 1936;
Ragione e fede. Martinetti propose come suoi successori a Milano Baratono
e Banfi. Lontano da ogni forma di
impegno politico e critico severo sia nei confronti del socialismo marxista che
delle degenerazioni del parlamentarismo, prese ad annotare minuziosamente sul
suo diario gli episodi di corruzione e di violenza in cui erano coinvolti
esponenti fascisti. così ad esempio il 28 marzo 1928, a fronte di una serie di
scandali annotava "è dunque l'associaz[ione] dei malviventi
d'Italia!" Come persuadersi che uno stato senza leggi, senza traccia di
onestà pubblica, sostenuto soltanto dal terrore che desta nel popolo inerme
un'organizzazione di ribaldi messa al servizio del despota, odiata da tutte le
rette coscienze, disprezzata dagli intelligenti possa resistere, senza condurre
il popolo che lo soffre all'estrema rovina? Si scagliava nei suoi appunti
contro il dispotismo che accomunava socialismo marxista e fascismo: "Tutto
deve servire alla propaganda e alla educazione di stato. Non vi è più libertà
di pensiero, non vi è più pensiero". A questo proposito Amedeo Vigorelli
evidenzia «il valore pedagogico, di
educazione alla libertà, che l'esempio morale di Martinetti ebbe per quella
generazione di intellettuali antifacisti, che trovò negli anni Trenta un
decisivo punto di riferimento nella “Rivista di filosofia”, da lui informalmente
diretta» L'arresto e il carcere Martinetti fu arrestato in casa di Gioele
Solari, dov'era ospite, in seguito a una delazione fatta da Pitigrilli (Dino
Segre), agente dell'OVRA (delazione che porterà all'arresto e alla condanna al
confino di Antonicelli, Einaudi, Foa, Giua, Levi, Mila, Monti, Pavese, Zini e di due studenti,
Cavallera e Perelli, e all'ammonizione di Bobbio), e fu incarcerato a Torino per
sospetta connivenza con gli attivisti antifascisti di Giustizia e Libertà,
benché fosse del tutto estraneo alla congiura antifascista degli intellettuali
che facevano riferimento alla casa editrice Einaudi. Al momento dell'arresto, a
detta della signora Solari, Martinetti disse una frase che aveva già
sentito pronunciargli più volte: "Io sono un cittadino europeo, nato per
combinazione in Italia". Il suo declino fisico cominciò in seguito a una
trombosi che menomò le sue capacità mentali, consecutiva ad una caduta
accidentale da un pero nella tenuta di Spineto. Alla fine ubì una prima
operazione alla prostata. La sorella Teresa scriveva a Cagnola: "Il
Professore è da oltre un mese degente in quest'ospedale, ove venne d'urgenza
trasportato ed operato in seguito ad intossicamento urico grave. L'intervento
chirurgico avviene in questo caso in due tempi: operazione preliminare alla
vescica, per ovviare immediatamente alla causa diretta dell'intossicamento, e
susseguente operazione alla prostata che ne è la causa originale. La prima
operazione già venne effettuata e con buon esito, e l'operatore non attende che
il tempo opportuno per procedere alla seconda."[ Martinetti fu ricoverato
all'ospedale Molinette di Torino, sfollato a Cuorgnè, dove morì, dopo aver disposto che nessun prete
intervenisse con alcun segno sul suo corpo. Nonostante "l'invito del parroco di
Spineto di non dare onore alla salma dell'eretico, ateo e scandaloso anche
nella morte perché aveva disposto di essere cremato" una decina di persone
seguirono l'autofurgone che portò il corpo di Martinetti alla stazione, da dove
partì in treno per Torino, per la cremazione. In prossimità della morte Martinetti
lascia la sua biblioteca in legato a Nina Ruffini (nipote di F. Ruffini), G.
Solari e Cesare Goretti. La Biblioteca verrà poi conferita dai rispettivi eredi
alla "Fondazione Piero Martinetti per gli studi di storia filosofica e
religiosa" di Torino; oggi è posta nel palazzo del Rettorato alla Biblioteca
della Facoltà di Filosofia. La sua casa di Spineto è attualmente sede
della "Fondazione Casa e Archivio Piero Martinetti", che intende
promuovere la diffusione del suo pensiero e della sua operae. FiLa
filosofia di Martinetti è un'interpretazione originale dell'idealismo
post-kantiano, nella linea dell'idealismo razionalistico trascendente che va da
Platone a Kant, nel senso di un dualismo panteista trascendente,
un'interpretazione che lo avvicina a quel post-kantiano atipico che fu Spir, il
quale (ancor più di Kant, Schopenhauer o Spinoza) fu il filosofo preferito di
Martinetti, quello a cui fu più particolarmente legato, sulquale scrisse molti
studi e un denso saggio monografico e al
quale fece consacrare il terzo numero della Rivista di filosofia, filosofo che
fu come lui profondamente inattuale. Professò una altissima stima per
l'opera di questo solitario filosofo, tanto da considerarla "immortale: in
essa infatti vede un tentativo d'un rinnovamento speculativo-religioso di tutta
la filosofia. Il carattere speculativo
dell'interpretazione d iMartinetti dipese da particolarissime circostanze. La
speculazione di Spir esercitò sul pensiero suo un influsso profondo sin dagli
inizi; e anche nella costruzione dell'idealismo trascendente diMartinetti la
speculazione di A. Spir rivestì un peso pressoché decisivo. Oltre che in Kant,
in Schopenhauer e in Spinoza, le radici e la linfa dell'idealismo diMartinetti
si trovano nella speculazione di A. Spir. In nessun altro pensatore A. Spir
occupò tanto spazio ed ebbe un pari rilievo. D'altra parte, senza perdere la
configurazione sua propria, il pensiero di Spir viene trasposto da Martinetti entro
la sua propria filosofia, riferito in modo diretto al suo proprio pensiero,
così intimamente consonante con quello di Spir e cresciuto, per così dire,
anche su di esso. Proprio questo condusseMartinetti a penetrare e nell'atto
stesso a svolgere in armonia con il proprio il pensiero di A. Spir e questo si
trova come penetrato e attraversato da quello diMartinetti. In nessun altro
pensatore A. Spir fu tanto intimamente valorizzato e, in qualche misura,
continuato in ciò che della sua speculazione parve propriamente essenziale. La
lettura di Martinetti insiste sul nucleo metafisico di Spir, che gli pare
incarnare "la forma pura della visione religiosa". L'affermazione
fondamentale, in cui per Martinetti si riassume tutta la filosofia dello Spir,
è quella della dualità fondamentale tra il vero esserel'Unità incondizionata,
assoluta e trascendente in cui si esprime il divinoe l'essere apparente e
molteplice rivelato dal mondo dell'esperienza. L'approccio alla rivelazione di
tale realtà dualista mediante la teoria della conoscenza (l'idealismo
gnoseologico di Spir) non è che premessa e introduzione all'autentico nucleo
metafisico della sua filosofia, consistente in una forma di dualismo acosmista.
Il dualismo di realtà e apparenza è in effetti esso stesso apparente: "non
è fra due effettive realtà, ma fra un'unica realtà assoluta e l'irrealtà in cui
il mondo sprofonda."» Si può così dire che in Martinetti: «il motivo
desunto probabilmente da Spir, il contrasto tra "anormale" (il mondo
dell'esperienza empirico e molteplice) e "norma" (il principio
d'identità, rivelazione incoativa del divino in noi) si spoglia qui
dell'originario aspetto dualista per confluire in una visione coerentemente
monista dell'esperienza di coscienza. Monismo coscienzialista, quello martinettiano,
che non sfocia però in una forma di panteismo, in quanto il termine finale di
questa unificazione formale rimane trascendente. L'unica realtà metafisica
assolutasi afferma in conclusioneè l'"Unità formale assoluta", che
trascende l'intero processo dell'esperienza, che di tale unità è solo
un'espressione simbolica.» Della filosofia di Spir, Martinetti mantenne
sostanzialmente inalterata la morale, di derivazione kantiana, aveva d'altronde
dichiarato che dopo Kant nessun filosofo serio può non essere in Etica
"kantiano. L'intero percorso del pensiero martinettiano parte dal suo
anticlericalismo", e aggiunge: "la natura del suo anticlericalismo lo
portava a detestare la Massoneria. Ripetutamente mi disse di non essere mai
stato massone, di essere anzi assolutamente contrario a questa Chiesa cattolica
di segno rovesciato." Questo suo anticlericalismo l'ha portato ad un
antimarxismo, il marxismo essendo "secondo i termini in cui egli si
sarebbe espresso, la massima secolarizzazione concepibile della religione".
E Del Noce conclude: "Ora a mio giudizio il pensiero di Martinetti si
situa appunto come momento conclusivo del pessimismo religioso e come la sua
posizione più coerente e rigorosa. L'antologia Il Vangeloscrive Martinetti «lasciando
da parte l'elemento leggendario e dogmatico, cerca di disporre il materiale
evangelico nell'ordine logicamente più appropriato. Tutto quello che i vangeli
contengono di essenziale per la nostra coscienza religiosa è stato qui
conservato.» Il risultato di questo ordinamento logico è l'espunzionein
quanto elaborazione teologica successiva ai lòghia di Gesù o ancora propria
all'ebraismo da cui Gesù stesso non è immunedel Vangelo di Giovanni, degli Atti
degli Apostoli, delle Lettere (anche le Lettere di Paolo) e dell'Apocalisse.
Gesù di Nazaret, e non di Betlemme, è un profeta ebraico, l'ultimo e il più
grande dei profeti. Non quindi Figlio di Dio, nemmeno resuscitato dalla morte,
né apparso realmente ai suoi, Gesù in quanto Messia annuncia un regno
messianico a cui succederebbe escatologicamente il regno dei cieli, quello di
Dio. Tuttavia non chiarendo tale avvento escatologico, di fatto Gesù è
soprattutto un maestro di dottrina morale che esorta a rinunciare al mondo per
unirsi spiritualmente e interiormente a Dio, il bene supremo, amando il
prossimo. Per Martinetti bisogna aspirare ad una "Chiesa
invisibile", in cui si possano compendiare i valori moralmente più elevati
di tutte le culture religiose, dando vita così ad una società universale
fraternamenteunita, egli scrive: «In tutti i tempi, ma specialmente nelle
età come la nostra, la vera Chiesa non risiede in alcuna delle chiese visibili
che ci offrono il triste spettacolo dei loro dissensi, ma nell'unione
invisibile di tutte le anime sincere che si sono purificate dall'egoismo
naturale e nel culto della carità e della giustizia hanno avuto la rivelazione
della verità e la promessa della vita eterna» Gesù Cristo e il
Cristianesimo fu messo sotto sequestro dalla Prefettura non appena stampato, come Martinetti scrive a Guido Cagnola:
«Il mio libro venne terminato di stampare il 2 agosto e in tale giorno furono
mandati i 3 es.[emplari] al Prefetto. Il 3 di mattina venne il permesso; alle
17 dello stesso giorno esso era ritirato. Per quali influenze? Io non lo so.
Così il libro stette due mesi in sospeso: il 10 ottobre giunse (da Roma) il
decreto definitivo di sequestro.» Con decreto, “Gesù Cristo e il
Cristianesimo, Il Vangelo” e Ragione e fede furono messi all'Indice dei libri
proibiti della Chiesa cattolica. La rinascita del pensiero filosofico-religioso
martinettiano scaturisce alla fine degli anni novanta del secolo scorso in
virtù della rinnovata proposta ermeneutica di Chiara che cura l'inedito L'Amore,
Il Vangelo (Genova) e Pietà verso gli animali (Genova); in particolare l'interpretazione
elaborata da Chiara mette in luce gli aspetti gnostici della filosofia della
religione martinettiana per poi proporne una rilettura in chiave kantiana anche
attraverso un confronto con alcune sette separatiste vicine alla tradizione
spirituale dei quaccheri. Capitini rese visita a Martinetti, che a
proposito della nonviolenza gli disse: "Forse se discutessi con lei mi
convincerei, ma ora come ora le assicuro che se mi fosse detto che con
l'uccisione di diecimila persone si estirperebbe il male che c'è in Europa,
firmerei la sentenza senza esitazione." Negli scritti La psiche degli animali e Pietà
verso gli animali, Martinetti sostiene che gli animali, così come gli esseri
umani, possiedono intelletto e coscienza, quindi l'etica non deve limitarsi
alla regolazione dei rapporti infraumani, ma deve estendersi a ricercare il
benessere e la felicità anche per tutte quelle forme di vita senzienti (cioè
provviste di un sistema nervoso) che come l'uomo sono in grado di provare gioia
e dolore: «Nella relazione sulla psiche degli animali Martinetti tra
l'altro affronta il problema dello scandalo morale suscitato dall'indifferenza
delle grandi religioni positive occidentali di fronte all'inaudita sofferenza
degli animali provocata dagli uomini: gli animali hanno una forma
dell'intelligenza e della ragione, sono esseri affini a noi, possiamo leggere
nei loro occhi l'unità profonda che ad essi ci lega. Martinetti cita le prove di intelligenza che
sanno dare animali come cani e cavalli, ma anche la stupefacente capacità
organizzativa delle formiche e di altri piccoli insetti, che l'uomo ha il
dovere di rispettare, prestando attenzione a non distruggere ciò che la natura
costruisce. Nel proprio testamento dispose che una somma significativa
fosse versata alla Società Protettrice degli Animali; egli personalmente
nutriva per gli animali una profonda pietà e tale sentimento lo aveva persuaso
a darsi al vegetarismo, una scelta che assumeva per lui quasi il carattere di
un valore religioso. Scrive al proposito Amedeo Vigorelli: «La
scelta del vegetarianesimo non era "generica simpatia, e neppure un ideale
politico, bensì meditato atteggiamento filosofico", da porsi in relazione
sia con la sua profonda conoscenza della filosofia indiana sia con convinzioni
radicate in una personale metafisica, sulla "unicità" della sostanza
vivente e sul destino di "perennità" dello spirito.[67]» La
scelta della cremazione Martinetti fu un fautore della cremazione e una
testimonianza "ci dice come Martinetti portasse sempre con sé, in una busta,
le ceneri di sua madre."Secondo Paviolo, "Per i Martinetti la
cremazione era una specie di tradizione familiare e la cosa appare strana in
quei tempi nei quali, specie nei piccoli centri era pressoché ignota a tutti, e
oggetto di scandalo per il gran rumore che, in questi casi, ne facevano i
parroci." Non è però da escludere, nel caso preciso di Piero Martinetti,
che questa scelta, come quella del vegetarianesimo, avesse anche una relazione
con il suo interesse per la filosofia indiana, e dunque un valore filosofico e
religioso. I suoi resti sono tumulati nel cimitero di Castellamonte in
provincia di Torino. Opere: Una " martinettiana"
C. Ferronato si trova nel fascicolo speciale della Rivista di Filosofia
Pietro Rossi: nel cinquantenario della morte, Dopo questa data, di Martinetti
sono stati pubblicati. “Ragione e fede, Italo Sciuto, Gallone, Milano, Luca
Natali, Morcelliana, Brescia,. Il Vangelo, Alessandro Di Chiara, il nuovo
melangolo, Genova, L'amore, Alessandro
Di Chiara, Il nuovo melangolo, Genova, “Pietà verso gli animali” Alessandro Di
Chiara, Il nuovo melangolo, Genova, “La religione di Spinoza” Amedeo Vigorelli, Ghibli, Milano, “La Libertà” Aragno, Torino, Schopenhauer,
Mirko Fontemaggi, Il nuovo Melangolo, Genova, “Breviario spiritual” Anacleto
Verrecchia, POMBA, Torino, “L'educazione della volontà” Domenico Dario
Curtotti, Edizioni clandestine, Marina di Massa, “Conoscenza in Kant” Luca Natali, Franco Angeli, Milano, Pier
Giorgio Zunino, Piero Martinetti, “Lettere”, Firenze, Olschki, “Gesù Cristo e
il Cristianesimo” Castelvecchi, Roma,; edizione critica Luca Natali,
introduzione di Giovanni Filoramo, Morcelliana, Brescia, “Il Vangelo:
un'interpretazione” Castelvecchi, Roma,
“Spinoza, Etica, esposizione e comment”, Castelvecchi, Roma,. Il numero,
introduzione di Niccolò Argentieri, Castelvecchi, Roma, Luca Natali, Le carte di Piero Martinetti, Firenze,
Olschki, “Spinoza” Francesco Saverio Festa, Castelvecchi, Roma,. Riconoscimenti
Nella seduta del Senato Accademico dell’Università degli Studi di Milano del 19
settembre, è stata approvata ufficialmente la decisione del Dipartimento di
Filosofia di intitolarsi alla figura di Piero Martinetti.La città di Roma gli
ha intitolato una piazza il 27 gennaio, nel Giorno della Memoria. A Milano
Martinetti figura tra i nuovi Giusti che saranno onorati al Monte Stella dal
" nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo. Cesare Goretti, "Piero
Martinetti", Archivio della Cultura Italiana 1943, f. I81. Simonetta Fiori, I professori che dissero
"NO" al Duce, in La Repubblica,
«Ebbe molta influenza sulla scelta che Martinetti fece di iscriversi
alla facoltà di Filosofia, fu suo professore, ma non un Maestro. Scrisse di lui
Martinetti: "Era un uomo; quando andai a visitarlo l'ultima volta, pochi
giorni prima della sua morte, mi disse di avere un'unica certezza, che dopo
questa vita non c'è nulla. Le mie idee erano assolutamente opposte alle sue, su
questo come su tutti gli altri punti. Ma non potei non ammirare la fermezza
delle sue convinzioni"»: Paviolo.
«che morì proprio durante l'iter scolastico di Martinetti ma che ebbe
con lui, forse per la comune origine canavesana, un particolare rapporto»:
Paviolo 2 «Di una reale affinità tra Martinetti e i suoi maestri torinesi si
può parlare forse solo in un caso: quello di Arturo Graf, del cui dualismo e
pessimismo si può trovare qualche traccia nel pensiero del Nostro e alla cui
poesia, piena di dolente (e a tratti cupa) riflessività filosofica, Martinetti
tornerà anche negli anni maturi, come a una sorgente di ispirazione e conforto
spirituale. Più documentata è l'influenza sul giovane Martinetti di un'altra
singolare figura di poeta-filosofo: quel Pietro Ceretti da Intra (noto anche
con lo pseudonimo poetico di Alessandro Goreni e con quello di Theophilo
Eleuthero), alla cui postuma riscoperta si adoperarono intensamente Ercole e Alemanni,
nell'ultimo decennio del secolo scorso e ai primi del nostro. Nel breve verbale
relativo all'esame di laurea (qui il laureando è indicato come Pietro
Martinetti) si dice semplicemente che il candidato ha sostenuto durante
quaranta minuti innanzi alla commissione la disputa prescritta, sopra la
dissertazione da lui presentata e sopra le tesi annesse alla medesima; e ha
sostenuto anche la prova pratica assegnatagli dalla Commissione. La tesi
ottenne la votazione di 99/110. Il lavoro di tesi non ebbe, come noto, il
riconoscimento che meritavaanche a motivo di certe resistenze accademiche nel
settore filologico della Torino e forse per questo lo studioso sentì il bisogno
di attingere direttamente alle fonti dell'erudizione tedesca, fuori dal chiuso
ambiente provinciale. Del resto il suo intent e più filosofico che filologico, e la prima
suggestione a interessarsi del “Samkhya” poté venirgli, piuttosto che dalle
lezioni di Flechia, dalla conversazione con Ercole. Proprio del Samkhya, Ercole
si era interessato alcuni anni primi in una breve Memoria uscita sulla Rivista
Italiana di Filosofia diretta da Ferr. Di suo interesse costante per la
filosofia indiana testimonia il corso di lezioni tenuto a Milano e pubblicato a
Milano da Celuc, “La sapienza indiana. Corredata da un'antologia di testi Indù
e Buddhisti. Ma è antefatto significativo, giacché lascia intravedere ancora
una volta, questa volta sotto il rispetto particolare dei suoi primi contatti
coi testi di A. Spir, l'importanza della permanenza a Lipsia nella sua formazione
filosofica. Nella Lipsia conosciuta da lui sopravvive Drobitsch, lil maestro
herbartiano di Spir e dalla sua Lipsia si diffondevano le edizioni di A. Spir
entro il moto allora nascente in Germania dell'interesse per la filosofia sua. Il
pensiero di Spir, Torino, Albert Meynier. Anno che fu per lui particolarmente duro, vedi
Lettere ai famigliari dalla Siberia dell'Italia meridionale", F. Minazzi,
Il Protagora, Lettere. Prima che della dittatura fascista, e critico
altrettanto risoluto del comunismo e della democrazia, di cui colse gli aspetti
degenerativi dell'affarismo e dell'ultraparlamentarismo. Non si vede in chi e
in che cosa un uomo come lui che, per sua scelta culturale ma anche per
disposizione personale, agiva in modo disgiunto da ogni partito, movimento,
gruppo avrebbe pouto trovare un legame per immettersi in un flusso di attivo
anti-fascismo. Tra dittatura e inquisizione negli anni del Fascismo", in Lettere,
Firenze. Ringrazio la S.V. Ill.ma della cortese partecipazione e la prego di
esprimere la mia profonda gratitudine ai membri di codesta R. Accademia che
hanno voluto conferirmi un sì ambito onore. Ma circostanze pesantissime, sulle
quali non è il caso di [parola illeggibile] mi vietano nel modo più reciso
di poterlo accettare»: Lettera al presidente dei Lincei, e a L. Mangiagalli. Il
Congresso non ha altro fine che di essere una manifestazione della filosofia
italiana in quanto libera e appartata da ogni contingenza del momento: come
deve essere in qualunque tempo la filosofia. A T. Scotti. Che accusò
Martinetti, ricambiato, di disonestà intellettuale nel riguardo della filosofia
scolastica, cf. H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il
regime fascista, Firenze. Per Martinetti. Padre Gemelli è tutto fuorché un filosofo.
A B. Varisco, in: Lettere 33. H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti
universitari e il regime fascista, Firenze, Il congresso di filosofia. Tutto
l'affare è una montatura (come del resto anche il ritiro dei cattolici dal
Congresso), la quale ha la sua origine nel fatto che io non ho permesso a Gemelli
di spadroneggiare nel Congresso e di prepararvi qualcuna delle sue
rappresentazioni ciarlatanesche. A B. Varisco, a C. Goretti a L. Mangiagalli. Quando
Martinetti, con il rifiuto del giuramento di fedeltà al fascismo, abbandona
l'insegnamento non rinuncia a quegli incarichi o a quelle adesioni che non
erano a tale giuramento connesse: guarda di non compromettere quella sua
creatura che era diventata La Rivista di Filosofia e non ne volle la direzione
effettiva ma continua l'intensa e puntuale collaborazione redazionale sino a
che le sue condizioni di salute glielo permisero. A B. Giuliano, a G. Cagnola,
Ad. Baratono, D. Assael, Alle
origini della Scuola di Milano: Barié, Banfi, Milano. Ella già saprà certamente
che io, in seguito all'affare del negato giuramento, sono stato collocato a
riposo. Non appartengo quindi più all'Milano e non posso più esserle utile che
indirettamente»: a C. Gadda, 17 marzo 1932, in: Lettere 114. «del resto io sono perfettamente sereno come
chi ha fatto ciò che doveva fare: e non mi sarà discaro poter d'ora innanzi
applicare tutto il mio tempo ai miei studi, cioè agli studi veramente miei,
fatti per mè, per la mia personalità e la mia vita»: Lettera n. 110, Piero
Martinetti a Vittorio Enzo Alfieri, Sulla cui porta fece mettere un'indicazione
che diceva: "Piero Martinettiagricoltore": Paviolo«Perciò appunto non
ho dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che fossi tu a succedermi. In
questo senso ho scritto, "richiesto da Castiglioni stesso", che ora è
preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi
te per la F.[ilosofia] e Banfi per la Storia della Filosofia. A A. Baratono, Nel registro di
entrata delle Carceri Nuove di Torino egli è l'unico che nella scheda personale
si faccia registrare, nell'apposita voce, come "ateo", mentre tutti
gli altri non di religione israelitica (ossia Bobbio, Einaudi, Pavese, Antonicelli,
Salvatorelli e così via) si dichiarano "cattolici"alcune schede,
peraltro, tra cui quella di Mila, sono andate perse (il registro è conservato
all'Archivio di Stato di Torino, sezioni riunite, Casa circondariale di Torino,
Registro matricole)", in: Lettere.
"Martinetti veniva rinchiuso in una cella sulla cui porta veniva
apposto il cartellino "Politico: sorveglianza particolare". Il giorno
successivo cominciavano gli interrogatori che si ripetevano finché dopo alcuni
giorni d'arresto il Martinetti veniva finalmente scarcerato.",
Michelangelo Giorda, Piero Martinetti, Castellamonte, «Devo darle una notizia
terrificante, relativamente. Lunedì passato 8 corrente sono caduto malamente da
una pianta, per fortuna senza gravi conseguenze di nessuna specie, salvo un
leggero tramortimento durato qualche ora»: Lettera n. 241, Piero Martinetti a
Nina Ruffini, in: Lettere 2Cit. in: Lettere 245. «Si può comunque, in base a testimonianze
diverse, ritenere che Martinetti sia deceduto all'Ospedale Molinette sfollato a
Cuorgnè, ove si tentò inutilmente di salvarlo e che il corpo sia stato
immediatamente trasferito (abitudine che rimase in uso per decenni in
circostanze analoghe) alla casa d'abitazione, per evitare lungaggini
burocratiche e maggiori spese funerarie. L'atto di morte recita: " il g alle ore
quattro e minuti zero, nella casa posta in frazione Spineto n. 106 è morto
Martinetti Piero, anni 70, residente in Torino, professore pensionato"»:
Paviolo. Paviolo. "Per ultimo desidero di essere cremato e
che le mie ceneri riposino nel Camposanto di Castellamonte", frase finale
del testament, Paviolo. Il testamento di Martinetti, da lui riscritto, "in
una grafia incerta e in una forma in cui non si trova lo stile abituale del nostro
filosofo"(Paviolo) fu considerato da sua sorella Teresa come estorto:
"Le opere che al tempo del decesso di Piero erano ancora solo allo stato
di manoscritto vennero devolute ai beneficiari della biblioteca, la quale, a
dirtelo in assoluta confidenza, cadde in mano a tre estranei alla famiglia, per
un testamento fatto fare a nostra insaputa a Piero, a oltre un anno da che era
stato colpito da un insulto di trombosi al cervello [...] la preziosa
biblioteca, che per volontà recisa, assoluta di Piero a me da Lui ripetutamente
espressa alcuni mesi prima che fosse colpito dalla trombosi, doveva andare
all'Milano, prese altre vie e e sta presentemente ancora peregrinando in attesa
di destinazione definitiva." Lettera del 25 settembre 1947 di Teresa
Martinetti al cugino Giuseppe Bertogliatti, in: Paviolo Fondazione Casa e
Archivio. Allo Spir, un singolare pensatore solitario, al quale mi legano tante
affinità e tante simpatie, sarà dedicato il fascic. 3 della "Riv. di
Filosofia", che non mancherò di spedirle a suo tempo. Quante dottrine
dello Spir, specialmente nel rapporto morale e religioso, sembrano pensate per
il nostro tempo! Ma esse passeranno, come passarono, inavvertite. La lucequesto
passo del quarto Vangelo lo Spir volle inciso sul suo sepolcrovolle penetrare
le tenebre, ma le tenebre non l'accolsero»: Lettera n. 164, Piero Martinetti a
Nina Ruffini, 26 gennaio 1937, in: Lettere 155.. «io sono sempre stato un filosofo inattuale»:
Lettera n. 258, Piero Martinetti a Giorgio Borsa, 1942, in: Lettere Emilio
Agazzi, La filosofia di Piero Martinetti, Milano, Unicopli. Ma è stato Alessio
a dimostrare l'importanza e l'anteriorità, rispetto ad altri autori, della
lettura di Spir per la maturazione della metafisica martinettiana»: Vigorelli, F.
Alessio, Vigorelli Vigorelli Piero
Martinetti, Breviario spirituale, Bresci, Torino, Lettera Piero Martinetti a Guido Cagnola, Lettere.
Sulla riflessione religiosa di Martinetti vedi Franco Alessio, L'idealismo
religioso di Piero Martinetti, Brescia, Morcelliana, (Tesi di Pavia: relatore
Michele Federico Sciacca) Paviolo
Paviolo Amedeo Vigorelli,
"Martinetti e Capitini: attualità di un confronto", in: A. Vigorelli,
La nostra inquietudine. Martinetti, Banfi, Rebora, Cantoni, Paci, De Martino,
Rensi, Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini, Mondadori, Milano. E si conversa
a lungo della inumazione e della cremazione (aveva fatto cremare il cadavere
della mamma, per avere vicine le sue ceneri)" A. Capitini, Antifascismo
tra i giovani, Célèbes Trapani, Paviolo
Paviolo. L'eretico Martinetti, italiano per caso", Recensione di Raffaele
Liucci su Il fatto quotidiano, Libera cittadinanza Il Dipartimento di Filosofia "Piero
Martinetti a Milano Pierluigi Battista,
"Le vie dedicate ai razzisti spettano ai professori eroi che dissero no al
fascismo", Corriere della Sera, S. Chiale, "Dall'attivista curda al
pioniere green I nuovi Giusti del Monte Stella", Corriere della Sera, Cronaca
di Milano13. "Monte Stella I nuovi
Giusti in diretta su Facebook", Corriere della Sera, 7 marzo, Cronaca di
Milano9. , Commemorazione dTorino, Accademia delle Scienze, Giornata
Martinettiana, Torino, Edizioni di "Filosofia", Rivista di Filosofia,
E. Agazzi, "La storiografia filosofica", Rivista critica di storia
della filosofia, E. Agazzi, Sandro Mancini, Amedeo Vigorelli e Marzio
Zanantoni, Unicopli, Milano,. F. Alessio, L'idealismo religioso, Brescia,
Morcelliana, Franco Alessio, introduzione Il pensiero di Africano Spir,
Torino, Albert Meynier, Davide Assael, Alle origini della Scuola di
Milano: Martinetti, Barié, Banfi, Milano, Guerrini, A. Banfi, "Piero
Martinetti e il razionalismo religioso", in: Filosofi contemporanei, Firenze,
Parenti, Guido Bersellini Rivoli, Il fondamento eleatico della filosofia -- Milano,
Saggiatore, Guido Bersellini Rivoli, La fede laica, Appunti sul confronto religioso
e politico (in Italia e nel villaggio globale), Lecce, Manni, G. Rivoli,
Appunti sulla questione ebraica. Da Nello Rosselli a Piero Martinetti, Milano,
Angeli, Giorgio Boatti, Preferirei di no, Le storie dei dodici professori che
si opposero a Mussolini, Torino, Einaudi, B. Bonghi, La fiaccola sotto il moggio della
metafisica kantiana. Il Kant, Milano, Mimesis, F. Minazzi, Sulla filosofia italiana, Prospettive,
figure e problemi, Milano, Angeli); ranco Bosio, "L'uomo e
l'assoluto", in: Filosofie "minoritarie" in Italia tra le due
guerre Ceravolo, Roma, Aracne, Remo Cantoni, "L'illuminismo religioso” in:
Studi filosofici, G. Colombo, La filosofia come soteriologia. L'avventura
spirituale e intellettuale di Milano, Vita e Pensiero, E. Colorni, La malattia
della metafisica. Scritti autobiografici e filosofici, Torino, Einaudi, A. Noce,
Filosofi dell'esistenza e della libertà, Milano, Giuffrè, M. Pra, "Momenti
di riflessione sull'esperienza religiosa in Italia tra idealismo e razionalismo
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contemporanea di fronte all'esperienza religiosa, Parma, Pratiche); C.
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italiani, Salvatore Natoli, Genova, Marietti, G. Filoramo, Letture Martinetti.
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Martinetti: l'interpretazione di Kant nel quadro della filosofia italiana tra
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Martinetti, Bologna, Accademia delle Scienze, 1952. Eliodoro Mariani,
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Palladio, 1ora Riedizione Cosimo Scarcella e Introduzione di . Mas, Milano, Marzorati,
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Romano, Il pensiero filosofico di Piero Martinetti, Padova, Milani, Carlo M.
Santoro, Il problema della libertà, Lecce, Edizioni Milella, Cosimo Scarcella,
La dottrina politica di Piero Martinetti: aspetti teoretici ed aspetti pratici,
in Il Pensiero Politico, Firenze, Olschki Editore, Cosimo Scarcella, Piero
Martinetti. Politica e filosofia. Con alcuni ‘Pensieri' inediti, Napoli,
Collana La Cultura delle Idee diretta da Fulvio Tessitore e Giuliano Marini, Edizioni
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Editrice San Marco, Carlo Terzi, "Lettere inedite di Piero
Martinetti", in: Giornale di metafisica, Torino, Amedeo Vigorelli,
"Emilio Agazzi e la fortuna di Martinetti", in:, L'impegno della
ragione. Per Emilio Agazzi, Mario Cingoli, Marina Calloni, Antonio Ferraro,
Unicopli, Milano (nuova ed. "Emilio Agazzi e la "fortuna
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Mursia, Milano, A.Vigorelli, La nostra inquietudine. Banfi, Rebora, Cantoni,
Paci, De Martino, Rensi, Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini, Bruno
Mondadori, Milano 2007. Amedeo Vigorelli, Lettore di Spinoza. Il tempo e
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spinozismo in Italia (Atti delle Giornate di studio in ricordo di Emilia Giancotti,
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Cuozzo e Giuseppe Riconda, Trauben, Torino, Africano Spir, Scuola di Milano G. Solari
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Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. P Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. siusa. archivi.beniculturali, Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Torino, Biblioteca
della Fondazione Piero Martinetti, Torino. Fondazione Casa e Archivio Piero
Martinetti, su Fondazione piero martinetti. D. Fusaro sul sito Filosofico.net. G.
Colombo, La filosofia come soteriologia. A) La prima forma di comunione
fra esseri, quella che fonda le prime forme di società, quella che sussiste
anche in quei gradi della vita animale onde è esclusa ogni altra forma di
socievo lezza, è l’amore. Che cosa non è stato detto e iscritto in ogni tempo
intorno all’amore? Io non intendo qui certamente aggiun gere su questo
argomento nuove ed inutili speculazioni : voglio — 115 - solamente
trattarne in quanto aneli’esso è nella vita umana una sorgente di importanti
doveri. L’amore, qualunque possano essere le complicazioni senti mentali che
ne mutano profondamente la natura e possono dargli finalità più elevate, non ha
originariamente altro fine che la (pro pagazione Astica della specie. L’unione
fisica di due individui di sesso diverso ha per effetto l’estensione della vita
organica nel tempo : per essa l’individualità effimera si sottrae in un certo
modo alla morte e celebra l’eternità sua confondendosi per un istante con la
serie delle generazioni venture. La voluttà fisica non è che una forma di quel
piacere che accompagna ogni esten sione dell’individualità, ogni fusione delle
coscienze singole in un tutto capace d’una vita più alita e più larga. Sotto
questo aspetto la voluttà riveste un carattere ideale e direi quasi sacro : e
tutta la poesia dell’amore non è che la poesia del primo, del più universale
ideale umano. Ma il desiderio antico che in questo senso trae tutti i mortali è
diventato attraverso le innu merevoli generazioni mn istinto : e l ’ uomo
avendo volto lo sguardo verso forme più alte di unità e di vita si è abituato
a'Vedere in questo dovere della propagazione della vita solo il compimento
d’una funzione organica e nella voluttà un .semplice fremito del senso che non
deve interessare la personalità superiore e che anzi può essere per la medesima
un ostacolo ed un arresto. Di qui il duplice carattere dell’amore e della
voluttà : da un lato essi sono la secreta aspirazione d’ogmi vivente, il
movente di una gran parte delle attività umane; dall’altro appariscono come una
debolezza, una vittoria dell’essere inferiore sull’es sere superiore e
veramente umano. Nel pudore che accompagna l’unione dei due .sessi e tutto ciò
che la riflette vi è qualche cosa della riverenza che impone un sacro mistero e
della vergogna che desta l’esercizio di tutto ciò ohe è vita puramente animale.
Il complesso delle attività e delle facoltà che si riferiscono a questa
funzione costituisce, forse in modo più marcato che iper ogni altra funzione
umana, un tutto ben distinto, che si - 116- stacca nella personalità
complessiva come una personalità mi nore e subordinata : vi è in ogni
individuo umano una perso nalità sessuale che, per quanto non sempre
chiaramente co sciente, ha la sua sfera di visione, la sua vita, le sue oscure
tendenze e spesso influisce in misura non indifferente sopra lo svolgimento e
il destino di tutta la persona. Questa personalità sessuale è già in un certo
senso, per l’individualità organica bruta chiusa, nel suo egoismo repulsivo, un
essere ideale : l’in dividualità atta all’amore appare come qualche cosa di
deside rabile e di bello : ed è precisamente in questo carattere di idea lità
che circonfonde tutto ciò che all’amore serve, che ha avuto origine il senso
umano della bellezza. Il « tipo » estetico che le donne in genere e molti
uomini cercano di realizzare con tutti i mezzi che l’arte e la moda
suggeriscono non è altro che la presentazione della personalità sessuale :
questa costituisce per molti l’apice di tutte le aspirazioni e di tutti gli
ideali. D’altra parte la vita non si arresta all’amore e vi sono ideali più
alti che la perpetuazione fisica, della specie : quindi di fron te alla
personalità morale ed all’umanità vera la personalità sessuale appare come
qualche cosa di inferiore e di miserabile. Quando perciò essa si svolge in noi
senza alcun legame od in opposizione con i nostri sentimenti più elevati, noi
possiamo bensì cedere per un istante al suo fascino, ma la sua vita resta pure
sempre per noi qualche cosa di straniero che più tardi rigettiamo con vergogna
e con disprezzo. Non è però affatto necessario che la vita sessuale si svolga
nell’uomo senza alcuna continuità e senza accordo con le sfere più alte della
vita interiore. Nello stesso mondo animale essa svolge nella maternità e nella
famiglia una vera attività di ordine morale che la compie e la nobilita : e
nell’uomo tutta la storia dell’evoluzione della famiglia che altro è se non il
moralizzamento progressivo della funzione sessuale? Così puri ficato ed
elevato, il desiderio del senso si intreccia con i più nobili e delicati
sentimenti della vita morale, con i.1 sentimento • - 117- della,
protezione e della carità, dell’amicizia, della solidarietà, della fedeltà;
anzi, intellettualizzandosi vieppiù e collegandosi con le aspirazioni più
elevate, diventa comunione di vita inte riore, di gioie alte e pure : l’amore
animale e sensuale si tra sforma nelle forme più nobili dell’amore umano.
Certo il fattore sensuale non scompare mai : l’amore platonico non esiste o, se
esiste, non è una forma viva e sana dell’amore. Ma anch’esso si raffina e si
assimila : il piacere medesimo del possesso di venta, per la confusione della
spiritualità di due esseri elevati, più delicato e più profondo. Sopra tutto
poi esso elimina gra dualmente da sè tutto ciò che urna viva sensibilità
estetica e morale giudica o ignobile o incompatibile con le tendenze della
personalità superiore : così sorgono le virtù dell'amore, la leal tà, la
fedeltà, la castità. L’ amore sensuale vive del piacere dell’istante e cerca
nell’oggetto suo soltanto il soddisfacimento del suo ardore : esso non è che il
contatto superficiale e momen taneo di due personalità sessuali che si
avvincono e si confon dono mentre le anime restano straniere l’una all’altra
diffi denti, sordamente ostili. L’amore veramente umano si completa con
l’unione delle volontà, che esige urna reciproca dedizione intiera, leale,
duratura ed esclude come cose indegne la men zogna, l'ingiustizia e tutto ciò
che diminuisce questa perfetta comunione di vita. Così è possibile un amore che
sorge non dal senso, ma da tutta la personalità; un amore che purifica e no
bilita, che ispira ad alte cose e ¡santifica la voluttà stessa. Questo concetto
dell’amore traccia ad ogni uomo la via che deve seguire se egli sinceramente
sdegni di degradare sè stesso ; essa, è del resto anche la via più saggia sotto
l’aspetto della fe licità. Certo può sembrare un’ingenuità chiedere alla
ragione consigli contro una passione che si mde della ragione : mentre
l’eperienza quotidiana ci mostra con mille esempi come essa sconvolga talora le
menti più equilibrate, soffochi i sentimenti più sacri, precipiti nell
turbamento e spesso nella più irrepa rabile rovina esistenze, che
l’educazione, l’intelligenza, i vincoli — 118— sociali e morali
sembravano assicurare contro la prevalenza di ignobili tendenze. Tanta è del
resto la potenza di questo «niver i-sale e profondo istinto che esso è il
movente secreto o palese di gran parte dell’attiviità umana : la massima parte
dei ritrovi, delle feste, dei divertimenti sociali, la moda e per molti ri
spetti anche l’arte non hanno altra ragione d’essere; e i vizi che esso
alimenta danno origine ad un vero pubblico mercato e ad industrie fiorenti.
Come sperare dunque che la ragione possa qualche cosa contro una volontà oscura
e ribelle che sembra avere la violenza e la regolarità delle forze di natura?
La mo rale predica contro questa passione quasi soltanto come per sod disfare
un debito : la giovinezza, la fantasia e l’arte la rivestono dei più brillanti
colori e si ridono della morale : ed anche i predicatori più severi del resto
non sanno, tra un sermone e l’altro, esimersi da un sentimento che sta fra il
compatimento e la malrepressa invidia. Io non credo tuttavia che qui la
riflessione sia del tutto mutile. L ’ esperienza della vita insegna (e ciascuno
lo ricono scerà in stesso) che vi sono nella vita interiore dei momenti
decisivi nei quali una parola, un pensiero che sono caduti un giorno nell’anima
indifferente, si risvegliano e fortificano una nobile ispirazione, soffocano
una passione nascente, provocano un deciso cambiamento d’indirizzo. Questo è
vero anche della pas sione dell’amore. Certo è inutile invocar la ragione
quando la passione è ingigantita e il vizio è inveterato : ma questo non vale
egualmente di tutte le passioni? La ragione non può di struggere l’istinto, ma
può dirigerlo : e può dirigerlo se, come un medico accorto, cura il male nei
suoi inizi. Ora l’origine del male sta, come già videro i saggi antichi, nelle
illusioni che noi ci formiamo circa la realtà. L ’ uomo, sopratutto nella giovi
nezza, non si precipita verso i piaceri che l’amore promette se non perchè la
sua fantasia presenta al desiderio le immagini più allettatrici e riveste ila
¡realtà delle forme più ¡belle e più desi derabili. Lo spirito soggiace allora
ad una specie di limita zione del proprio orizzonte : esso si
chiude nei propri sogni e diventa cieco all’aspetto del vero essere delle cose.
In questo appùnto può intervenire efficacemente la ragione. Lo sforzo che si
deve e si può compiere in quel momento in cui sorgono le prime illusioni, è di
dissipare1queste visioni ingannevoli col tenere viva e presente diinnanzi al
pensiero la realtà che esse nascondono, col rievocare le esperienze dolorose,
col ravvivare le intuizioni profonde che ci svelano l’intima e vera natura
delle cose. In fondo a tutte le cose sta la tristezza, ha detto Amici : e
veramente l’aspetto ultimo delle cose è triste, mia anche fecondo di salutare
saggezza. L’aspetto supeSiciale della realtà è lieto, vario e giocondo come
l’aspetto d’una folla che popola le vie d’una città in un giorno di festa. Ma
quante cose sordide e tristi non nascondono anche qui le varie e splendide
apparenze! Ora in nessuna parte la fantasia è tanto fertile d’in ganni quanto
nelle cose dell'amore : ed in nessuna parte l’in- gànno è così lusinghiero ed
ostinato. Tanto anzi che qualcuno hai voluto vedere nell’amore una specie
d’inganno della natura ; che si serve dell’individuo per la propagazione e lo
sacrifica, viìttimn volontaria, alla specie. Ma la natura non è in questo caso
che la nostra natura inferiore ; noi soggiacciamo all’inganno solo perchè
l’istinto ci oscura l’intelligenza e noi non sappiamo più vedere che con gli
occhi della sensualità. Questa ci dipinge la via tutta sparsa di dolci
desiderii e di soavi ebbrezze; l’amore ci si offre dinnanzi come un palazzo
incantato pieno di misteri e di delizie. Bisogna invece che l’intelletto nastro
si sforzi di mantenere sempre a sé presente questa prima, considerazione : che
l’illusione sessuale ci mostra sotto un solo aspetto un es sere che
freddamente considerato ¡nella sua 'realtà, è il più delle volte tutt’altro che
desideratile. La personalità sessuale non è che un aspetto, uno stato della-
persona; è una specie di trasfi gurazione di tutto l ’ essere che in fondo
rimane così straniera alla persona come se fosse veramente un’altra
personalità. Per ciò quando la persona amata non è per sè stessa degna di
sti- - 120- una e d’amore, l’illusione sessuale è seguita
inevitabilmente da una profonda delusione : soddisfatto il desiderio l’immagine
ideale, oggetto d’un’adorazione appassionata, isi risolve in un essere prosaico
e volgare che ci 'meravigliamo d’avere deside rato. Bisogna, in .secondo luogo
tener presente quest’altra, consi derazione : che la «tessa personalità
sessuale, dato che in noi potesse persistere lo stato passionale
corrispondente, è ben lun gi dall’essere una sorgente di gioie pure ed
immutabili : la sen sualità è, come ogni passione, un fuoco che consuma se stesso.
Un amore puramente sensuale, non potrebbe lessero che un triste ed insaziato
ardore : la vita dominata dalla lussuria ap pare, freddamente considerata,
dolorosa ed ignobile nello stesso tempo. L ’ amore d’ una donna non rende beati
che quando può trasformarsi in un sentimento più alto, come accade nella fa
miglia, od associarsi la sentimenti ideali e diventare una co munione morale
ed intellettuale di due nobili spiriti. Anzi, nelle persone di più profondo
sentire l’attrazione sessuale maschera quasi sempre un’oscura aspirazione
spirituale, il bisogno d’una comunione di vita, che riempia l’anima loro, la
elevi e la consoli ; è un vago presentimento ideale sperduto nella sfera
sessuale. Perciò quando esse non riconoscono la vera natura del senti mento
che le attrae e, nella loro cecità, ne cercano la soddisfa zione nel senso, la
loro illusione finisce, il più delle volte, in una tragedia dolorosa. Bisogna
in terzo luogo ancora aver presente che, mentre per ogni animo 'ben nato vi
sono nella vita aspira zioni e soddisfazioni 'ben più alte che quelle
dell’amore, l’amore è spesso l'impedimento più forte a questa vita superiore.
La donna, come puro .essere sensuale, è la nemica naturale degli interessi
ideali dell’uomo; essa non vive che per sè stessa e per i suoi istinti : la
volontà sua egoistica è tutta tesa verso il piacere, il lusso, i godimenti
della vanità. In cambio della vo luttà l’uomo deve il più delle volte
sacrificare alla sua vanitosa ed insignificante persona il suo lavoro, il suo
benessere, il suo valore spirituale e disperdere in una vita di agitazioni vane
í quelle preziose qualità che potevano servire ad un ben più no
bile scopo. Quante nobili esistenze non ha /perduto il fuoco oscuro della
sensualità! Quante volte l’influenza funesta della donna non è stata causa dei
più gravi turbamenti nella vita dell’uomo; della decadenza della volontà, della
rinunzia ai fini più alti, e infine della completa rovina morale! Sopratutto
quindi è necessario, per resistere a queste sollecitazioni della vita
inferiore, suscitare e tener vivo nello spirito qualche alto e degno amore che
lo ©levi sopra la sfera della bellezza sensi bile. La passione ardente ohe
travolge qualunque considera zione e saggezza puramente umana, s’arresta
dinanzi alle vo lontà più aJlte dello spirito, che aprono all’uomo una realtà
d ’ un valore infinitamente superiore. E ’ vero che non sempre noi possiamo
rivolgere il nostro pensiero verso queste realità idea, li con tanta fermezza
che non possa essere vinto degli ardori del senso : ma la contemplazione e
¡l’amore delle cose ideali tra sforma sempre il nostro modo di vivere ed apre
i nostri occhi ad una luce che non va più .perduta. Quindi anche quando questo
amore non è per sé abbastanza forte, esso favorisce lo svolgersi della
riflessione critica e induce nell’anitmo una disposizione abituale in cui il
germe della passione non trova un terreno fa vorevole e viene soffocato prima
di svolgersi. Inoltre la con suetudine con una sfera più alta di vita crea un
sano e salutare orgoglio che respinge da sè, senza esitare, ogni ibassezza.
Un’i stintiva fierezza, permette al selvaggio di sopportare con viso
impassibile i più aspri tormenti : un uomo che sopporterebbe la povertà, la
fame e qualunque strazio per il suo dovere ed il suo onore, vorrà diventare lo
zimbello dei suoi istinti e sacri ficare tutto quello che di grande e di safro
ha per lui la vita per il possesso d’una donna? Da queste considerazioni
discende anzitutto la condanna di ogni degenerazione ignobile dell’amore. L’istinto
che tende ciecamente verso la sua isoddisfazione è soggetto a singolari
aberrazioni : e l’istinto sessuale umano può essere anche aiutato —
122 — in queste sue deviazioni dal ritorno atavico della associazione sua con
altri istinti ed altre tendenze; per es. coll’impulso alla crudeltà. Anzi anche
dall’associazione con sentimenti superiori non ignobili : come è avvenuto' per
es. nell’amore omosessuale greco. La cura estrema con la quale queste tendenze
vengono tenute segrete le fa apparire come eccezioni : ma coloro che se ne
occupano per dovere professionale sanno che esse sono tutt’altro che rare,
anche fra individui delle classi elevate. Esporre i pericoli e le vergogne a
cui queste degenerazioni con ducono è cosa inutile : coloro stessi che vi
soggiaccione li cono scono. Ogni animo non ignobile deve del resto essere
trattenuto sull’orlo di questo abisso dal rispetto di sè stesso. Ma se ciò noni
bastesse, egli deve rappresentare a sè chiaramente che, degradando la sua vita
in queste turpitudini, sacrifichereb be a misere, bestiali voluttà tutto ciò
che di migliore e di desi derabile può offrire la vita dell’ uomo. L ’ atto
dell’ uomo non è qualche cosa che si possa isolare dalla natura sua e se ne
stacchi, appena compiuto, come il frutto che cade dall’albero : esso ri mane
anche dopo e non si cancella. Seguire l’istinto nelle sue depravazioni vuole
dire rassegnarsi a diventare un essere be stialmente istintivo : non bisogna
illudersi di potere dopo ciò conservare in sè qualche cosa di veramente
elevato. E vuole dire quindi anche abbandonare la propria vita a tutte le mi
serie dolorose che accompagnano la vita d’un essere tutto con finato nella sua
animalità. Ma vi sono anche altre forme ddl’amore in apparenza più normali ed
elevate che vengono coinvolte in questa condanna. Non parlo dell’amore
prettamente mercenario, che è anch’esiso una forma di degenerazione : parlo
dell’amore vago che, pure fuggendo ogni attaccamento saldo, circonda il
godimento d’una parvenza di sentimentalità che sembra 'redimerlo e nobilitarlo
: è l’amore per l’amore, l’amore libero che comincia generalmente fra le rosee
illusioni e finisce quasi sempre nella vergogna e nel pianto. Non vi è uomo
quasi che non abbia- lasciato fra- le TM'wm-• - 123— sue spine qualche
illusione di giovinezza insieme con qualche brandello di felicità e di onore,
che, se avesse la magica arte dello ^scrittore, non potrebbe scrivere
anch’egli, come romanzo, una pagina della 'sua vita e dedicarla a suo figlio
«quando avrà vent’aoani». Non vi è da illudersi quindi che la saggezza degli
altri possa sostituire totalmente l’esperienza vissuta; ma essa potrà, se non
altro, aiutare a formarsi rapidamente questa esperienza e a non consumare
dolorosamente anni preziosi ad inseguire un vano fantasma che ci allontana
dalia felicità vera e durevole. L’amore tende per sua natura, in ogni animo ele
vato, a stringere un’unione indissolubile; quindi il correre ap presso ad un
amore che noi già sappiamo non poter condurre ad una simile unione è un
preparare a sè stesso, a scadenza più o meno lunga, una sicura infelicità. Vero
amore è soltanto l’a more che è legato da un senso profondo di pietà e di
respon sabilità : e questo senso impone all’uomo di rimanere sino alla fine
della vita al fianco della donna che gli si è data e di non ab bandonarla in
balia dell’incerto destino. Perciò ogni abbandono, ogni mutamento lascia amari
rimpianti e rimorsi : la slealtà e l’ingiustizia che l’uomo addossa alla
propria coscienza, quando viene meno alle ¡menzognere promesse, è una bassezza
che avvi lisce chi la commette. Del resto già sappiamo che un amore pu
raímente fìsico è sempre deluso : di qui ]’universale ed infrenabile desiderio
degli uomini attratti verso le donne non ancora cono sciute. Ma anche questo
errare, dato che potesse sempre avere soddisfazione, non sarebbe che un passare
continuo di delusione in delusione, di rimpianto in rimpianto. Non vi è quindi
in realtà vita più triste di quella passata nei facili amori : vita che è
inseparabile dal sentimento della propria degradazione, perchè l’amore che non
termina in altro, che non isi associa con i senti menti più elevati della
natura umana, è un ben misero fine : esso non è in ultimo, se lo si spoglia di
tutti i fronzoli sentimen tali, che pretta e pura sensualità. La ricerca
affannosa della donna 11011 è che la ricerca di una donna : l’amore vago e
libero — 124 — è la conquista, attraverso molte amare esperienze,
di questa semplice verità : che non vi può essere amore veramente felice se non
nel nobile sentimento che lega l’uomo con una sola donna per tutta la vita. Ohe
l’amore pertanto, io direi al giovane dinnanzi a cui si apre questo mondo di
vaghe lusinghe, non si disisoci mai in te, dai nobili principi d’urna coscienza
retta e pura! Anche at traverso le passioni e gli errori, sii un uomo onesto!
Non acqui stare il piacere d’un’ora a prezzo della rovina d’un povero essere
debole e indifeso : questo sarebbe un tradimento vile che nes suna riparazione
pecuniarda cancellerebbe dalla tua vita. Pensa che nessuna violenza di passione
può scusare la disonestà di chi non esita, per soddisfare un desiderio, a
gettare la vergogna e la disperazione in una famiglia : sebbene la leggerezza
del mondo biasimi l ’ adulterio quasi sorridendo, non vi è dinnanzi alla retta
coscienza morale infamia più bassa. E sopratutto pensa alla condizione di
quelli che la viltà dei loro genitori ha lasciato in abbandono e che una fredda
carità cresce agli stenti, alle tristezze, alle umiliazioni di all’esistenza
miserabile. Se vi è un pensiero che valga a farci vergognare dei bassi amori,
questo è bene il sospetto che forse ora in qualche parte del mondo vi sia
qualcuno che deve a noi la vita e che ha ragione di impre care, in mezzo alle
sue miserie, al nostro egoismo inumano. Sii dunque casto : la castità è la
virtù dell’amore. Essere casti non vuol dire andare in cerca d’una virtù
soprannaturale, ma saper rinunciare a ciò che è al di sotto della nostra
natura, alle soddisfazioni dei sensi che sono ignobili ed ingiuste. Essere casti
vuole dire anzitutto dunque essere forti, saper tenere lon tano da sè i vizi
vergognosi che minano ila salute e corrompono la, delicatezza e la dignità del
carattere : vuole dire inoltre essere giusti e pietosi e non cercare ili nostro
piacere a prezzo del disonore e della rovina di altri. Se tu vuoi che l’amore
non sia per te fonte di infelicità e di rimorsi, fa sì che esso sia l’armo, nia
di due volontà nobili e pure, per le quali l’amore non è che l’inizio d’una
comunione più alta di vita. Piero Martinetti. Martinetti. Keywords: l’amore
velia, antologia platonica, amore socratico, sezione sull’Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Martinetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718225454/in/photolist-2mNaqAj-2mKNNqN-2mKDGhr-2mKjsJY-2mKbfaU
Grice e
Martini – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cambiano).
Filosofo. Grice: “One would think
that his ‘discorsi filadelfici’ are about brotherly love, but they were
delivered at the Philadelphia American-Italian Philosophical Society!” – Grice:
“He wrote on Emilio and Narciso, and a story of philosophy – starting not from
Thales but Gioberti!” – Grice: “His science of the heart – scienza del cuore –
is a mystery!” Compì studi classici a Chieri e poi, ospitato al Real Collegio di
Torino, si rivolse allo studio delle scienze naturalistiche. Con la laurea in
medicina, cui seguirà anche quella in
filosofia, ottenne l'insegnamento al predetto Istituto, prima di conseguire una
brillante carriera nell'ateneo torinese. Qui, infatti, ottenne prima la docenza
in fisiologia e poi quella di medicina
legale, cattedra quest'ultima, istituita di cui fu il primo insegnante in
assoluto. Di Torino fu anche rettore,
negli anni in cui ebbe numerosi riconoscimenti, tra cui l'onorificenza di
cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Ma non mancarono episodi tragici, allorché,
pochi anni dopo le nozze, perse la moglie (figlia del chimico Giovanni Antonio
Giobert), dalla quale ancora non aveva avuti igli, né li avrebbe avuti in
seguito, visto che non si risposò, per dedicarsi completamente all'insegnamento
e alla stesura di saggi e manuali nelle discipline mediche. In questo filone,
il più ricco, vanno almeno segnalati gli “Elementa physiologiae” e “Lezioni di
fisiologia” così come “Medicina legale”, accanto agli Elementa medicinae
forensis, politiae medicae et hygienes, cui avrebbe fatto seguito il Manuale di
medicina legale. Il variegato percorso
saggistico non si limitò (e non si esaurì) a studi a carattere
medico-fisiologico e medico-legale. Anzi, forte del curriculum studiorum
seguito fin da giovanissimo, cercò di approfondire i pensatori classici, come
nel caso di un “Coompendio” dedicato a Platone, di cui peraltro riuscì a
terminare il manoscritto poco prima di morire, arrivando persino a stilare, sia pure non in forma sistematica, una Storia
della filosofia. Risultati migliori li
ebbe, tuttavia, nel campo educativo-pedagogico. Questo indirizzo è
testimoniato, oltre che dal saggio sulla Riforma della prima educazione dai
dodici volumi dell'Emilio. Qui, facendo leva della sua vasta cultura, tratta
emblematicamente di argomenti in cui si fondono, senza soluzione di continuità,
il "viver sano" e il "maritaggio", il "governo della
famiglia" e la felicità, le "tendenze morali" e la
"moderazione nella prosperità", passando per i modi attraverso i quali
"sopportare le avversità". Saggi: “Elementa physiologiae” (Pica,
Torino); “Dei vantaggi che la medicina apporta alle nazioni” (Chirio, Torino);
“Mdicina legale” (Marietti, Torino); “Medicina curativa” (Marietti, Torino); “Polizia
medica” (Fontana, Milano); “La scienza del cuore” (Fontana, Milano); “La colera
indica” (Fodratti, Torino); “Elementa medicinae forensis, politiae medicae et
hygienes,” Marinetti, Torino “Manuale
d'igiene,” Fontana, Milano “Lezioni di
fisiologia,” Pomba, Torino “Patologia
generale,” Elvetica, Capolago “Invito a'
medici piemontesi all'occasione del cholera morbus,” Cassone, Torino “Storia della fisiologia,” Cassone,
Torino “Manuale di medicina legale,” Fontana, Milano; “Emilio, Marietti, Torino “Della solitudine,” Marietti,
Torino “Narciso o regalo agli sposi,” Marietti, Torino “Guerra e pace dei sensi,”Tip. Marietti,
Torino “Emilio o sia del governo della vita,” Tip. Fontana, Milano “Discorsi
filadelfici; ossia, fasti dell'ingegno italiano,”Tip. Marietti, Torino “Riforma
della prima educazione,” Marietti, Torino “Della sapienza dei greci,” Cassone, Torino;
“Storia della filosofia,” Pirotta, Milano “Platone compendiato e comentato,” Elvetica,
Capolago “Alcune vite di donne celebri,”
Fontana, Milano “De clarissimo viro Thoma Tosio ex ordine Oratorum sacrae
facultatis professore in regio Taurinensi Athenaeo, Regia, Torino Vita del
conte Gian-Francesco Napolio, Bocca, Torino
Vita Francisci Canevarii, Torino Cenni biografici di Lagrangia, Cassone
e Marzorati, Torino Curatele A. von Haller, Poesie scelte, Reale, Torino J.L. Alibert, Riflessioni sulla fisiologia
delle passioni o nuova dottrina de' sentimenti morali, Marietti, Torino, F.
Redi, Consulti medici, Elvetica, Capolago, D. Alighieri, La Divina Commedia, Marietti,
Torino; G. Gianelli, L'uomo ed i codici
nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico.
Repertorio di studi applicati alla prosperità e cultura sociale», Milano.
G. Corniani, I secoli della letteratura italiana dopo il suo
risorgimento, F. Predari, Pomba,
Torino); S. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti del professore cavaliere,
s.e., Bologna); Emilio, Tip. Marietti, Torino); S. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti
del professore cavaliere, s.e., Bologna); G. Corniani, I secoli della
letteratura italiana dopo il suo risorgimento, F. Predari, Pomba, Torino G. Gerini, Due medici
pedagogisti. M. Bufalini, Tip. Bona, Torino, G. Gianelli, L'uomo ed i codici
nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico.
Repertorio di studi applicati alla prosperità e cultura sociale», Milano. Lorenzo Martini. Martini. Keywords:
storia della filosofia, ingegno italiano, il cratilo di Platone -- . Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Martini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689125956/in/photolist-2mPC6Zb-2mNaHiH-2mMQbzj-2mLKeCe-2mKTjot-2mPxhsE-2mKG3XG-2mKAhjQ-2mKAuZM-2mJqjKS-F7umuM-E4u3XA-CfauoK-BpZs2v-CeUwJB-BpMtYk-BNEpJR-CjSo87-BT1Hm1-BNU92d-BWhBA9-o41Nc1-o64ha8-o41PGf-o41NYS-nNyQ22-o5Wyo3-o5X8VS-nUgG6U-nu99CS-ncVsEb-nu8gmx-ncVsRq-nu8qHt-nsnnZS-nu92TE-nu8m8X-nu8fCZ-nwbR6a-nsnoPN-nwbQn6-nu8ZcY
Grice e Martino – la religione civile della
prima e unica Roma! – filosofia italiana – magismo filosofia Italian
meridionale – filosofia del sud -- Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I like Martino – and his interviewees – there is indeed a
‘discepolato’ around him.” Grice: “We don’t have anything like Martino at
Oxford – Hollis is the closest I can think.” Grice: “In his strictly
philosophical explorations, Martino aptly clashes with Croce!” -- Dopo la
laurea a Napoli con una tesi in Storia delle religioni sui gephyrismi eleusini
sotto la direzione di Adolfo Omodeo, si interessa alle discipline etnologiche.
Si iscrive ai GUF e alla Milizia Universitaria, collaborando a L'Universale di
Berto Ricci e facendo circolare in una cerchia ristretta di collaboratori un
Saggio sulla religione civile poi rimasto inedito. L'ingresso nel circolo
crociano «Erano quelli gli anni in cui Hitler sciamanizzava in Germania e in
Europa, e ancora lontano era il giorno in cui le rovine del palazzo della
Cancelleria avrebbero composto per questo atroce sciamano europeo la bara di
fuoco in cui egli tentava di seppellire il genere umano: ed erano anche gli
anni in cui una piccola parte della gioventù italiana cercava asilo nelle
severe e serene stanze di Palazzo Filomarino per risillabare il discorso
elementarmente umano altrove impossibile, persino nella propria famiglia».
Il suo saggio, “Naturalismo e storicismo nell'etnologia” è un tentativo di
sottoporre l'etnologia al vaglio critico della filosofia storicista di
Benedetto Croce. Secondo de Martino, l'etnologia solo attraverso la filosofia
storicista avrebbe potuto riscattarsi dal suo naturalismo (tratto che accomuna,
per de Martino, tanto la scuola sociologica francese che gli indirizzi
"pseudostorici" tedeschi e viennesi). Fu lo stesso Croce a introdurre
il giovane de Martino all'editore Laterza, suggerendo la pubblicazione del
libro, in cui, nonostante qualche ingenuità, si può già scorgere in nuce l'idea
del successivo lavoro sul "magismo etnologico". Scritto negli anni
della seconda guerra mondiale e pubblicato nel 1948, Il mondo magico è il libro
nel quale Ernesto de Martino elabora alcune delle idee che rimarranno centrali
in tutta la sua opera successiva. Qui de Martino costruisce la sua
interpretazione del magismo come epoca storica nella quale la labilità di una
"presenza" non ancora determinatasi, viene padroneggiata attraverso
la magia, in una dinamica di crisi e riscatto. In quel periodo, de Martino
comincia a militare nei partiti di sinistra. Prima, dal 1945, lavora come
segretario di federazione, in Puglia, per il Partito Socialista Italiano; influenzato
da Gramsci e da Levi, cinque anni dopo,
entra a far parte del Partito Comunista Italiano. Anche per questa ragione,
negli anni che seguono, de Martino comincia a interessarsi sempre di più allo
studio etnografico delle società contadine del sud Italia, in contemporanea con
le inchieste di Vittorini e l’opera documentaristica di Zavattini. Di questa
fase, talvolta detta "meridionalista", fanno parte le opere più note
al grande pubblico: Morte e pianto rituale, Sud e magia, La terra del
rimorso. Innovativo nelle sue ricerche fu l'approccio multidisciplinare,
che lo portò a costituire un'équipe di ricerca etnografica. La terra del
rimorso è la sintesi delle sue ricerche sul campo (il Salento) affiancato da
uno psichiatra (Giovanni Jervis), una psicologa (L. Jervis-Comba),
un'antropologa culturale (Amalia Signorelli), un etnomusicologo (D. Carpitella),
un fotografo (Franco Pinna) e dalla consulenza di un medico (S. Bettini). Nello
studio del fenomeno del tarantismo vengono utilizzati anche filmati girati tra
Copertino, Nardò e Galatina. A queste monografie segue la pubblicazione
dell'importante raccolta di saggi, “Furore Simbolo Valore”. E stato
collaboratore di R. Pettazzoni all'Università "La Sapienza" di Roma,
nell'ambito della Scuola romana di Storia delle religioni. Come ordinario di
Storia delle religioni e di Etnologia, dha insegnato all'Cagliari, dove ha
avuto uno stuolo di allievi. Con ACirese, Lilliu, Cases, la sua assistente CGallini,
e in seguito altri studiosi, quali P.
Cherchi, G. Angioni, P. Clemente, e P. Solinas, saranno esponenti di
una significativa, sebbene mai formalizzata, scuola antropologica all'Cagliari,
della quale de Martino è considerato uno dei fondatori. È considerato uno
dei più importanti antropologi dell’età contemporanea, fondatore in Italia
dell’umanesimo etnografico e dell’etnocentrismo critico. La presenza La
presenza in senso antropologico, nella definizione di de Martino è intesa come
la capacità di conservare nella coscienza le memorie e le esperienze necessarie
per rispondere in modo adeguato ad una determinata situazione storica,
partecipandovi attivamente attraverso l'iniziativa personale e andandovi oltre
attraverso l'azione. La presenza significa dunque esserci (il
"da-sein" heideggeriano) come persone dotate di senso, in un contesto
dotato di senso. Il rito aiuta l'uomo a sopportare una sorta di "crisi
della presenza" che esso avverte di fronte alla natura, sentendo
minacciata la propria stessa vita. I comportamenti stereotipati dei riti offrono
rassicuranti modelli da seguire, costruendo quella che viene in seguito
definita come "tradizione". 11spedizione in Lucania Se si vuole
rintracciare in de Martino un filo comune e unitario tra l’influenza marxista e
gramsciana della “triade meridionalista” (esplicita anche attraverso la sua
militanza diretta nel PCI negli anni ‘50) di Morte e pianto ritual, Sud e
magia e La terra del rimorso e gli
appunti e i dossiers preparati per La fine del mondo, in cui è presente
un’elaborazione filosofica più marcatamente sui piani ontologico,
esistenzialista e fenomenologico e che vedranno la luce solo posteriormente dal
riordino delle carte ad opera di Angelo Brelich e Clara Gallini, bisogna
rendere centrale il nesso tra presenza/crisi/riscatto e il processo di
destorificazione del negativo ad opera dell’ethos del trascendimento;
l’immaginazione simbolica collettiva è la realizzazione di un’ethos del
trascendimento che, come un mito di fondazione per il senso di appartenenza o
la sacralizzazione dell’”oggetto” per scopi espiatori, rende possibile il
superamento di una crisi, della “presenza” in quanto soggetto che opera nella
natura, che rischia di perdersi in essa senza riscatto (escaton). Il soggetto
dunque si ricolloca nella storia tramite la cultura, e la crisi si rivela
esistenziale nel rapporto tra se’ e il mondo “altro da se’”. Ma la crisi
affonda sempre nelle materiali condizioni di vita e nelle modalità concrete di
una prassi che deve tendere e tende incessantemente alla trasformazione
rivoluzionaria (che è escatologica nelle religioni) come base insopprimibile
della costituzione di sè come soggetto: “Vi è dunque un principio
trascendentale che rende intellegibile l’utilizzazione e le altre
valorizzazioni, e questo principio è l’ethos trascendentale del trascendimento
della vita nel valore: attività dunque, ma ethos, dover-essere-nel-mondo per il
valore, per la valorizzante attività che fa mondo il mondo, e lo fonda e lo
sostiene.” Costante, inoltre, nella ricerca sul campo, come nelle analisi
ed elaborazioni degli ultimi anni, fu l’indagine sul valore euristico assegnato
ai dati psicopapatologici, sempre legato a una riflessione critica sulla
trasferibilità delle relative nozioni in contesti culturali diversi e sulle
loro implicazioni sul piano antropologico e filosofico più generale: dalla
figura dello sciamano come “Cristo magico” ne Il mondo magico, ai fenomeni di
dissociazione e possessione (influenzato dalle letture di Shirokogoroff e PJanet)
nei riti della taranta, fino alle note sulle “apocalissi psicopatologiche” ne
La fine del mondo. Il folklore progressivo Il concetto di folklore, come
concezione del mondo regressiva, secondo le “osservazioni sul folklore” del
Quaderno XXVII di Gramsci “un agglomerato indigesto di frammenti di concezioni
del mondo e superstiti documenti mutili e contaminati”, ma anche di positiva
creatività delle classi subalterne (come i canti popolari), in opposizione alla
cultura dotta delle élite dirigenti, fu oggetto di riflessione dell’antropologo
partenopeo a partire dal 1949, con il saggio “Intorno ad una storia del mondo
popolare subalterno”, pubblicato su Società sul nr.3 di quell’anno, in cui
riprende studi e indagini della nuova etnologia sovietica (Tolstov, Hippius,
Cicerov, ispirati da Propp). In un saggio lo define come proposta consapevole
del popolo contro la propria condizione socialmente subalterna, o che commenta,
esprime in termini culturali, le lotte per emanciparsene.” Il concetto fu poi
ripreso, discusso problematicamente e allargato in particolare da Cirese (in
rapporto a Gramsci) e Satriani (il folklore come cultura di
contestazione). I “folkloristi” erano stati oggetto di critica di de
Martino già nella sua prima opera del 1941, Naturalismo e storicismo
nell’etnologia, in quanto puri descrittori e catalogatori con criterio
naturalistico e non storico-culturale: per cui il folklore rimane, pur
categorizzato come “progressivo”, come fenomeno di indagine antropologica nei
termini più complessivi di cultura popolare. Crisi della presenza e
destorificazione del negativo In quanto alla “crisi della presenza” come
spaesamento, ne La fine del mondo, Ernesto de Martino racconta di una volta in
Calabria quando, cercando una strada, egli e i suoi collaboratori fecero salire
in auto un anziano pastore perché indicasse loro la giusta direzione da
seguire, promettendogli di riportarlo poi al posto di partenza. L'uomo salì in
auto pieno di diffidenza, che si trasformò via via in una vera e propria
angoscia territoriale, non appena dalla visuale del finestrino sparì alla vista
il campanile di Marcellinara, il suo paese. Il campanile rappresentava per
l'uomo il punto di riferimento del suo circoscritto spazio domestico, senza il
quale egli si sentiva realmente spaesato. Quando lo riportarono indietro in
fretta l'uomo stava penosamente sporto fuori dal finestrino, scrutando
l'orizzonte per veder riapparire il campanile. Solo quando lo rivide, il suo
viso finalmente si riappacificò. In un altro esempio, per esprimere il
medesimo concetto, De Martino racconta degli Achilpa, cacciatori e raccoglitori
australiani, nomadi da sempre e per sopravvivenza, che avevano però l'usanza di
piantare al centro del loro accampamento un palo sacro, intorno al quale
celebravano un rito ogni volta che "approdavano" in un luogo nuovo.
Il giorno che il palo si spezzò, i membri della tribù si lasciarono morire,
sopraffatti dall'angoscia. Il concetto di spaesamento, come una
condizione molto "rischiosa" in cui gli individui temono di perdere i
propri riferimenti domestici, che in qualche modo fungono da "indici di
senso", viene inserito dunque da de Martino nelle sue categorie di “crisi
della presenza” e destorificazione del negativo. La crisi della presenza
caratterizza allora quelle condizioni diverse nelle quali l'individuo, al
cospetto di particolari eventi o situazioni (malattia, morte, conflitti morali,
migrazione), sperimenta un'incertezza, una crisi radicale del suo essere
storico (della "possibilità di esserci in una storia umana", scrive
de Martino) in quel dato momento scoprendosi incapace di agire e determinare la
propria azione. La destorificazione del negativo permette l'universalizzazione
della propria condizione umana in una dimensione mitico-simbolica, mediata
dalla religione e presente nel rito. Secondo Amalia Signorelli, antropologa ee
collaboratrice della spedizione nel Salento, "Il dato esistenziale
che ha scatenato la crisi (morte, malattia, paura e altro ancora) viene
mentalmente astratto dal contesto storico per entro il quale è stato esperito e
viene ricondotto a un tempo e a una vicenda mitici". Se il mito è
narrazione, il rito è un comportamento orientato ad uno scopo e ripetuto con
parole e gesti di significato altamente simbolico. È così che mito, rito e
simbolo diventano un circuito volto alla soluzione della crisi, astraendo dalla
storia reale in cui agisce il negativo. Quando è il negativo a prevalere,
e questo accade in fasi particolarmente drammatiche dell’esistenza umana (come
la morte di una persona cara), può manifestarsi una crisi radicale, una
“funesta miseria esistenziale”, per cui l’ethos del trascendimento non riesce
più a risolvere la crisi nel valore e la mancata valorizzazione fa perdere
anche l’operabilità sul reale. L’attività etica della valorizzazione è
necessaria per impedire la destrutturazione dell”esserci”, in quanto il
“vitale” vede per intero invaso il suo spazio, quello dell’intersoggettività e
il rapporto con il mondo. Avviene allora che “la presenza abdica senza
compenso”. L'elaborazione del lutto ed il pianto rituale antico
Magnifying glass icon mgx2.svg Morte di
Gesù negli studi antropologici e Planctus. Organizza una serie di spedizioni di
ricerca in Lucania, accompagnato da un’equipe interdisciplinare, tra cui
Vittoria De Palma, anche lei etnologa e compagna di vita e con l’utilizzo di
strumenti quali il magnetofono e la cinepresa, innovativi rispetto all’indagine
folklorica classica. Riconnettendosi a Il mondo magico, decide di concentrarsi
sul lamento funebre e la “crisi del cordoglio”, ai segni, al simbolismo delle
ritualità legate ad una crisi esistenziale tra le più gravi, come quella che
segue la perdita di un caro, e il pianto e il dolore collettivi che
rappresentano la “crisi della presenza”, della propria e di tutti, minacciata
dalla morte. Il pericolo del lutto è dunque quello dell’annullamento totale.
In Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria affronta
anche il senso della morte di Cristo in rapporto alla condizione esistenziale
dell'uomo nel mondo ed al momento traumatico della esperienza della morte dei
propri cari. Di fronte alla "crisi del cordoglio" che può portare al
crollo esistenziale, emerge la esigenza di elaborare culturalmente il lutto,
nella forma socialmente codificata del rito. La consolazione offerta dal credo
religioso riconduce a forme sopportabili la carica drammatica del lutto,
riferendola simbolicamente alla morte tragica di Cristo sulla croce, forme che
consentono di ritrovarsi uguali nel dolore, ma che diventano anche promessa di
resurrezione. «È possibile interpretare la genesi del protocristianesimo
come esemplarizzazione di una storica risoluzione del cordoglio che trasforma
Gesù morto in Cristo risorto e il morto che torna nel morto-risorto presente
nella chiesa e nel banchetto eucaristico. Le apparizioni di Cristo dopo la
morte testimoniano la Resurrezione e la presenza di Cristo nella chiesa sino al
compimento del piano temporale di salvezza. Dopo l'Ascensione la discesa dello
S.S. inaugura l'epoca in cui il morto-risorto è con i credenti sino alla fine,
per donare la spinta alla testimonianza missionaria. Il Cristianesimo diventa
un grande rituale funerario per una morte esemplare risolutiva del vario morire
storico e come pedagogia del distacco e del trascendimento rispetto a ciò che
muore (il che poteva aver luogo solo in quanto il morto era l'unto
dell'Uomo-Dio)". Abbiamo un esempio storico di soluzione della crisi e la
garanzia mediante la fede della presenza del Risorto nella comunità. La
celebrazione eucaristica rappresenta contemporaneamente l'evento passato di un
Cristo al centro del piano temporale di salvezza (mito che garantisce e fonda
la salvezza futura) e l'evento futuro della definitiva Parusia.» De
Martino indaga la persistenza, nelle realtà marginalizzate della Lucania, del
pianto funebre, come “riplasmazione” del planctus irrelativo, rito antichissimo
e diffuso prima del Cristianesimo in tutta l'area mediterranea. La
destorificazione dell’evento luttuoso, soggettivamente vissuto, permette di
riportarlo ad una dimensione mitico-rituale, e dunque al superamento della
crisi. Su questi temi si è soffermata una sua studentessa e
collaboratrice, la scrittrice Muzi Epifani, nella commedia La fuga, scritta a
dieci anni dalla sua scomparsa. Saggi: “Naturalismo e storicismo
nell'etnologia” (Laterza, Bari) – l’ennico – Grice: “Italians cannot pronounce
‘-tn-‘ so that the etnico becomes ‘ennico’!” --; “Il mondo magico: prolegomeni
a una storia del magismo” (Einaudi, Torino); “Morte e pianto rituale nel mondo
antico: dal lamento pagano al pianto di Maria” (Einaudi, Torino); “Sud e magia La terra del rimorso. Contributo
a una storia religiosa del Sud” (Feltrinelli, Milano); -- cf. Grice, magismo – two kinds of magic
travel, carpet route-travelling, routeless travel – the exercise of judgment --“Furore,
simbolo, valore” (Saggiatore, Milano); “Magia e civiltà. Un'antologia critica
fondamentale per lo studio del concetto di magia in occidente” (Garzanti, Milano);
“Mondo popolare e magia in Lucania” (Basilicata, Roma-Matera) -- Grice: “There
are two types of magic actually: carpet flying and disappearance!” – “La fine
del mondo -- contributo all'analisi dell’pocalissi” (Einaudi, Torino); “La collana
viola” (Boringhieri, Torino); “Re-ligione, comunismo [lavorismo] e psico-analisi”
(Altamura, Roma) Compagni e amici” (La nuova Italia, Firenze); “Storia e Meta-storia”“i
fondamenti di una teoria del sacro” (Argo, Lecce); “Note di campo: spedizione
in Lucania” (Argo, Lecce); “L'opera a cui lavoro: apparato critico e
documentario alla Spedizione etnologica in Lucania” (Argo, Lecce); “Una vicinanza
discrete” (Oleandro, Roma); “I viaggi nel Sud” (Boringhieri, Torino); “Panorami
e spedizioni” (Boringhieri, Torino); “Musiche tradizionali del Salento” (Squilibri,
Roma); “Scritti filosofici” (Mulino, Bologna); “Dal laboratorio del mondo magico”
(Argo, Lecce); “Ricerca sui guaritori e la loro clientele” (Argo, Lecce); “Etnografia
del tarantismo pugliese. I materiali della spedizione nel Salento” (Argo, Lecce);
“Promesse e minacce dell'etnologia”; G. Angioni, Una scuola antropologica
sarda?, in “Sardegna: idee, luoghi, processi culturali” (Roma, Donzelli); “Antropologia
e il comunismo del lavoro”; “Marxismo e religione”, “Il folklore pro-gressivo,
in l’Unita’, “Teoria antropologica e metodologia della ricerca, L'asino d'oro ;
Il mondo magico, ed., Torino, Rèpaci, G. Angioni, Fare dire sentire. L'identico
e il diverso nelle culture, Nuoro, Il Maestrale, M. Baldonato e B. Callieri,
Soglie dell'impensabile. Apocalissi e salvezza, Rivista sperimentale di freniatria:
la rivista dei servizi di salute mentale (Torino: [Milano: Centro Scientifico;
Angeli). R. Beneduce, Un'etno-psichiatria della crisi e del riscatto, "aut
aut", S. Fabio Berardini, Ethos Presenza Storia. La ricerca filosofica, Trento Giordana Charuty, Le precedenti vite di un
antropologo, Angeli, Milano, P. Cherchi,
Dalla crisi della presenza alla comunità (Napoli, Liguori); P. Cherchi, Il peso
dell'ombra: l'etnocentrismo critico e il problema dell'auto-coscienza culturale,
Napoli, Liguori, P. Cherchi, Il signore del limite: tre variazioni critiche (Napoli,
Liguori); S. Matteis, Il leone che cancella con la coda le tracce. L'itinerario
intellettuale, Napoli, d'If, Riccardo Di Donato, La Contraddizione felice? Martino
e gli altri, ETS, Pisa, M. Epifani, La fuga. Opera teatrale, Roma, riedita da La mongolfiera edizioni e
spettacoli; F. Faeta, I viaggi nel Sud, Boringhieri, collana «Nuova Cultura», F.
Cecla, Perdersi. L'uomo senza ambiente. Laterza, Bari); Dizionario Biografico degli
Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani Mariannita Lospinoso, Enciclopedia
Italiana, Appendice, Istituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani M. Massenzio, L’antropologia, in Il
Contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia, stituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani A. Momigliano, Recensione a "La terra
del rimorso", in Rivista storica italiana, Quarto contributo alla storia
degli studi classici e del mondo antico,
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, G. Sasso, Ernesto Fra religione
e filosofia, Napoli, Bibliopolis, P.Taviani, Ridere un mondo, Roma, Aracne,. C.
Zanardi, Sul filo della presenza. Fra filosofia e antropologia. Unicopli, Marco
Tabacchini, Dramma e salvezza: il carattere protettivo del mito in G. Leghissa,
Enrico Manera, Filosofie del mito nel Novecento, Carocci, Roma. A. Rigoli,
Magia ed etno-storia, Boringhieri, Torino); B. Croce Vittorio Lanternari Claude
Lévi-Strauss Diego Carpitella, “Tarantismo” -- Carlo Tullio Altan Alberto Mario
Cirese G. Angioni Antropologia culturale P. Cherchi Scuola antropologica di
Cagliari A. Gramsci Storia delle religioni Etnologia Pizzica, TreccaniEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
M. Lospinoso, Enciclopedia Italiana, Appendice, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, VDizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, siusa.archivi.beniculturali, Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Marcello Massenzio,
Ernesto De Martino e l'antropologia, in Il contributo italiano alla storia del
Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Recensione a Morte e
pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria. Recensione a Il
mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo. Pagina autore Liber Censor.net di Ernesto de Martino, Istituto Ernesto De
Martino, su iedm. Società di Mutuo Soccorso Ernesto de Martino, su sms de martino.noblogs.org.
Interpretazioni dell'apocalisse: le tre edizioni de La fine del mondo di Ernesto
de Martino, su L’analisi e la classe, "Intorno a una storia del mondo
popolare subalterno", su Academia.edu. Grice: “The more Martino speaks of
‘meridionale’ and ‘sud’ the less I’m willing to qualify him as an Italian
philosopher simpliciter – so I categorise him as a representative of ‘filosofia
del sud’ or ‘filosofia meridionale’. Ernesto de Martino. Martino. Keywords:
religione civile, magismo – essercizio del giudizio – viaggio magico en route –
carpet route travelling – o routeless --. Luigi Speranza, “Grice e Martino” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51746749229/in/datetaken/
Grice e
Masci – critica della critica della ragione – implicatura solidale – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Francavilla al Mare). Filosofo. Grice: “But perhaps more interesting
that his explorations on the judicative are Masci’s conceptual analysis, and
fascinating ‘natural’ history of the will, with a focus on Aristotle!” Grice:
“Like Masci, I make a conceptual connetction between willing and free-will.” –
or “volonta” e “liberta” in his words!” -- Grice: “I like Maci; he has
philosophised on forms of intuition and instincdt – cf. my “Needs’ – and what
he calls the psycho-physical materialism. Also on what he calls the
psychological parallelism – He spent a few essays on quantification and
measurement in atters of the soul -- -- and speaks of an ‘indirect measure’ in
psychology. He has opposed ‘conoscenza’ to ‘credenza’ (cf. my knowledge and
belief), and further, ‘conosecenza and pensiero’, knowledge and thought. Nato
in una famiglia della borghesia abruzzese, perse il padre Guglielmo all'età di
4 anni. Frequentò il collegio Giambattista Vico di Chieti e, completati gli
studi liceali, fu allievo del professor Mola, che gli insegnò filosofia,
scienze e matematica. Iniziò nel 1862 gli studi di giurisprudenza all'Napoli,
dove si laureò nel 1866, ed in seguito studiò scienze politico-amministrative.
Cominciò ad approfondire le sue conoscenze filosofiche grazie alle lezioni
tenute da Bertrando Spaventa nella stessa città. Influenzato dalla sua
formazione universitaria e dallo stesso Spaventa, al centro dei suoi primi
studi c'era il pensiero di Kant e Hegel. Ottenne la cattedra di
professore reggente di filosofia presso il liceo di Chieti, prima
dell'abilitazione che gli fu consegnata a Pisa. Inoltre venne nominato
vincitore di un concorso della Reale Accademia delle scienze morali e politiche
grazie ad un saggio sulla Critica della ragion pura. Divenne libero docente di
filosofia teoretica all'Napoli e, l'anno successivo, di storia della filosofia
presso l'Pavia. Abbandona l'insegnamento a Chieti per recarsi a Padova, dove
era stato nominato professore straordinario di filosofia morale. All'istituto
scolastico lasciò numerosi scritti sulla filosofia antica. Un anno dopo divenne
Professore all'Napoli. Ottenne la carica di rettore dell'Napoli e di
consigliere comunale della medesima città. Nel corso della sua carriera
politica fu eletto deputato dal collegio di Ortona al Mare per la XIX
legislatura e fu un sostenitore di
Annunzio. Entra nel Senato del Regno, dove intervenne più volte sul tema
dell'istruzione pubblica. Sosteneva la maggiore importanza della formazione
classica rispetto a quella tecnica o scientifica nelle scuole secondarie.
Liceo scientifico "Filippo Masci" a Chieti Fu Presidente
dell'Accademia di lettere ed arti della Società Reale di Napoli, socio della
Regia Accademia dei Lincei, membro del Consiglio superiore dell'Istruzione
Pubblica e di altre istituzioni culturali. Presso i lincei difese l'importanza
di Kant e Fichte in contrasto con le parole di Luigi Luzzati che li aveva
criticati per essere filosofi tedeschi. S’erige un busto commemorativo a
Francavilla al Mare e il neonato liceo scientifico di Chieti fu intitolato in
suo onore. Nel corso della sua carriera conobbe Scarfoglio e Annunzio, che
continuò a frequentare negli anni successivi. Inoltre fu tenuto in grande
considerazione da Spaventa. Compone “Pensiero e conoscenza”, in cui sono
racchiusi gli aspetti più importanti della sua filosofia. Ha molteplici
interessi (filosofia, psicologia, sociologia, pedagogia, diritto e storia) ed è
considerato uno dei più importanti esponenti del neo-kantismo o neo-criticismo,
avendo rifiutato sia alcune posizioni di Spaventa, sia l'affermato positivismo
di Ardigò, che esclude ogni possibile principio a priori della conoscenza. La
ripresa della filosofia di Kant e segnata dalla convinzione che e sbagliato
ridurre la realtà a pura rappresentazione, ma anche dal tentativo di studiare
la genesi psicologica delle categorie e quindi negare la loro formulazione
numericamente rigida. Nel materialismo psico-fisico cerca di dimostrare l'unità
tra anima e natura in una concezione psico-fisica della realtà, ma la sua
filosofia e criticata da Gentile, anche a causa della mancata adesione al ne-oidealismo.
Saggi: “Le forme dell'intuizione” (Vecchio, Chieti); “L’istinto” (Società Reale,
Napoli); “Il materialismo psico-fisico”“Il parallelismo in psicologia, “Atti
dell'Accademia di Napoli”, Napoli Intellettualismo e pragmatismo, “Atti della
Regia Accademia delle Scienze morali e politiche”, Napoli, “Quantità e misura
nei fenomeni psichici”Memoria letta all'Accademia di Scienze Morali e Politiche
della Società Reale di Napoli. Napoli: Federico Sangiovanni & Figlio, “Della
misura indiretta in psicologia.”Conoscenza scientifica e conoscenza matematica.
Napoli: Federico Sangiovanni & Figlio, “Credenza e conoscenza” -- “I like the latest bit, where he discusses
the reciprocity of the faculties” – Grice.)
Atti dell'Accademia di Napoli”, Napoli, “Pensiero e conoscenza,”Bocca
Editori, Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italian astrino per uniforme
ordinaria Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia Ufficiale dell'Ordine
dei Santi Maurizio e Lazzaronastrino per uniforme ordinariaUfficiale
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Note Schede di personalità
abruzzesi importanti nel campo della filosofia, Regione Abruzzo). Storia
del liceo F. Masci e biografia, Liceo F. Masci). Discorso di commiato per la morte di Masci,
su notes9.senato. 15 luglio. Alfonso
Pietrangeli, Filippo Masci e il suo neocriticismo, Milani, Padova 1962. Luigi
Gentile, Filippo Masci: dal criticismo kantiano al monismo psicofisico, Noubs,
Chieti 2003. Giuseppe Landolfi Petrone, Masci Filippo, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, ATreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Filippo Masci, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di Filippo Masci, su Liber Liber.
Opere di Filippo Masci, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Filippo Masci, su storia.camera, Camera dei
deputati. Filippo Masci, su Senatori
d'Italia, Senato della Repubblica. Differenza tra la Filosofiu'e'TI 11
Ut!!(!'!!#; particolari, oggetto della Filosofia, la Gnoseologia e la
Filosofia prima come parti fon¬ damentali della Filosofia generale, p. I
— § II. Distinzione dei si¬ stemi filosofici, loro significato e
importanza, p. 4 - § HI. Distin¬ zione delle altre parti della Filosofia
generale ed applicata, partizione e limiti della Filosofia elementare, p.
i». LOGICA PBELIMI NARI CAPO I.
CoNCKTTO DELLA LOGICA E SUE l'Alt TI § I. La Logica come
scienza formale e dimostrativa, sua definizio¬ ne, p. 15 — §11.
Importanza della Logii*, suo rapporto con le altre parti della Filosofia
e con la scienza, p.24 — § III. Pensiero e co¬ noscenza; divisione
generale della Logica, p. 2S — § IV. Nozioni pre¬ liminari sulle formo
elementari, concetto, giudizio, sillogismo; for¬ me metodiche, p.
31. CAPO II. I PRINCIPI! LOOICI. § I.
Determinazione dei principii, p. 40 — § II. Il principio d'iden¬ tità, p.
41 — § III. Il principio di contraddizione, valore di questo principio,
p. 42 — § IV. Il principio di terzo escluso, p. 47 — § V. Il principio
della ragion sufficiente, p. 49 — § VI. Valore dei principii logici, p.
52. APPENDICE.
Illustrazioni filologiche. i Logica, dialettica,
annliticn, elementi, c oncetto , nota, rappresen- zione, teoria. Teorema,
•'problema/Speculativo. Astratto e concreto, U soggetto ed
oggetto, contenuto ed estensione, analisi e sintesi), p. fili.
PARTE PRIMA. Teoria delle forme elementari. SEZIONE
PRIMA. Il concetto. CAPO I. Formazioni:
k natura dei. concetto. § I. Il concetto e 1 astrazione, p. 71 — §
II. L'iinagine concettuale,. P- 13 — •} ITI. Il concetto e la parola, p.
78 § IV. Caratteri del concetto, p. 81 — § V. Il concetto e
l'essenza, p. 84 — § VI. Il con¬ cetto e il giudizio, p. 87.
CAPO H. II. CONCETTO CONSIDERATO IN SR STESSO. S I. Lo
note , loro significato rispetto all'unità del concetto, e loro ordine in
esso, p. 00 — § IT. Concetti nstrutti e concreti; qualità, generi,
specie, forme diverse dell'astrazione, p. 04 — § III. Nota e parte,
concetti di relnzioue, p. 06 — l; IV. Contenuto ed estensione dei
concetti, rapporto tra il contenuto e 1' estensione, p. 08 §.V.
Contenuto ed estensione nei concetti di relaziono, p. 101 - § VI.
Della chiarezza del concetto, p. 103. CAPO III.
Il concetto considerato in rapporto ad altri concetti. § I.
Rapporto d identità e diversità, concetti equipollenti e con¬ cetti
reciproci, significato delle parole sinonimo ed omonimo , p. Idi
— 523 — --§ II. Rapporto d'opposizione, concetti limitativi
e privativi, con¬ cetti in opposizione contraria reciproca, p. 108 —$
III. Rapporto «li subordinazione e coordinazione, contiguità ed
interferenza dei con¬ cetti, i sistemi dei concetti, p. 113 — § IY.
Subordinazione e coor¬ dinazione dei concetti di relazione, condizione e
condiziauato, prin¬ cipio e conseguenza, p. 120. CAPO
IV. Le categorie. § I. Categorie grammaticali, logiche
e gnoseologiche, classifica¬ zione aristotelica delle categorie,
differenza tra le categorie logiche e le grammaticali, p. 122 — § II. Le
categorie gnoseologiche, la clas¬ sificazione kantiana, p. 120 — § III.
Le categorie di .sostanza e di causa; il numero come epicategoria, p.
120. APPENDICE. Grammatica e Logica. § I.
Elementi materiali ed elementi formali del linguaggio, p. 133. — § II.
Influenza del pensiero sul carattere formale della lingua, p, 105—§IU.
Influenza delle forme grammaticali sullo sviluppo del pensiero, p.
138. SEZIONE SECONDA. Il Giudizio. CAPO
I. Del giudizio in generale. § I. Definizione logica
del giudizio, le definizioni realistiche e le logiche, teoria del
Brentano, p. 140 — § II. Elementi dol giudizio, p. 147. CAPO
II. Della classificazione dei giudizu. $ I. La
classificazione tradizionale dei giudizii e il suo fonda¬ mento logico,
p. 150 — § II. Discussione delle obiezioni contro d i essa, p. 152 — §
III. Forme dei giudizii secondo la qualità ; a) il giu¬ dizio affermativo
e le varie specie d'identità da esso espresse; b) il
— 524 — giudizio negativo, sua essenza e sue forme principali,
limite della predicazione negativa; r) il giudizio infinito, se è una
forma a sé rapporto te» l affennaaione e la negazione nel giudizio
infinito,’ p. 154 - § IV. Jorme dei giudizi! secondo la quantità; a) il
giudi¬ zio universale, sue forme quantitativa e modale; b) il giudizio
par- 6 ÌUdUttÌV “' se sia ™specte «ordinata de universa ' 6
;^! 1 giudeo ind^du^e, sue forme si laro Polme ?-’ sua ,. ,rre f
ucibiIità al giudizio universale, p. ICO - § V Forme de. giudizi, d,
relazione; a) il giudizio categorico sua fun¬ zione sua irreducibilità;
») il giudizio ipotetico, se Sia .m giudeo Ino g j 17 - 1 1 ?°|.
etl ° 1 ' c> ’’ S lm,izio disgiuntivo, suo significato logico
condiziom di validità; si mostra che non iuchiudfn con catto della
re^rocità d' azione ed è un giudizio dell’estensione, ft* e
giuiUzi. modali, critica delle obiezioni del Sigivi | deMVundt
CAPO III. Dki GIUDIZII COMPOSTI. S I. Natura dei
giudizii composti, loro specie, p. 171 s U Ghi notti ::rr u >i r
f eiazìoue <,mogen,;u ■ 172 -§ m. (h^ CO m- post. a relazione
eterogenea, p. 174!- $ IV. Giudizii contratti, p. 175 - \ • Qnadro
generale di tutte le forme dei giudizii, p. no. CAPO IV.
Giudizi analitici e sintetici. r t i I | GÌ j d !? ÌÌ
analitici - sintetici, e sintetici a priori, p. 177 - S II -ritmile della
teoria dei giudizii sintetici a priori, significato vero di questa
teoria, p. 178 _# III, Giudizi! empirici e giudizii a priori. CAPO
V. Delle relazioni dei concetti nei giudizii K DELLE
RELAZIONI DEI GIUDIZII. § I. Attribuzione del predicato ni soggetto
nei giudizii, p . 181 _ s I. Dipendenza delle relazioni dei giudizii
dulie relazioni del loro contenuto, relazioni immediate, e mediate, e
specie della prima tecnica dei raziocina immediati, e schema della
subalternuzioue e dell opposizione dei giudizii, p. 184.
— 525 — CAPO VI. Delle trasformazioni dki
annui S I. Trasformazioni quantitative e modali per
subalternazione, p. 188 — $ II. Trasformazioni quantitativo-qualitative e
modali por opposizione, p. 101 — § IH. Trasformazioni por equipollenza
qua¬ litativa, per equipollenza della relazione, per equipollenza tra
la quantità o la modalità, p. 106 -§ IV. Teoria delle reciproche,
suo valore logico; teoria delle reciproche universali affermative ;
caso delle reciproche condizionali, (teorema di Hauberì.Lo reciproche
uni¬ versali negative. Lo reciproche particolari affermative e
negative, p. 2(X) — § V. Teoria della contrapposizione, p. 211 - jj VI.
Si prova che le reciproche e le contrapposto delle proposizioni
universali sono, quando sono possibili, vere illazioni, p. 215.
SEZIONE TERZA. Il Sillogismo. CAPO I.
Ragionamento e Sillogismo. § I. I gradi del sapere e le vie
della ricerca, sillogismo e indu¬ zione, p. 217 — S II. Strutturo del
sillogismo e sua definizione, p. 22U — § III. La sillogistica
aristotelica e la sillogistica delle scuole, generalizzazione logica e
generalizzazione scientifica, l'uni¬ versale come fondamento ili
qualunque dimostrazione, p. 222. CAPO II. Il
sillogismo categorico. § I. Regole gonerali del sillogismo, p. 225
— § li. Figure sillogi¬ stiche, p. 221) — § ili. Modi generali del
sillogismo, e modi speciali di ciascuna figura, p. 232 — § IV. Valore
delle figure sillogistiche, la quarta figuro, p. 234 — § V. Specie del
sillogismo; 1' entimema, la sentenza entimematica, l'epicherema, il
polisillogismo, p. 238 _ § VI. Il sorite; sorite deduttivo e sorite
induttivo, p. 241 — § VII. Rapporto tra la vorità dell’ illazione e la
verità delle premesse p. 244. CAPO III.
II. SILLOGISMO iroTETICO E IL SILLOGISMO DISGIUNTIVO. 6? I. Il
sillogismo ipotetico: impossibilità di ridurre 1 una all altra le forme
del sillogismo; sillogismo ipotetico con termine medio, sillogismo
ipotetico senza termine medio e suoi modi, p. 210 — § II. Il sillogismo
disgiuntivo e sue formo, p. 250— § III. Il dilem¬ ma, sue forme, sue
regole, p. 252. CAPO IV. Del riii Nciptp e dui.
valore del sillogismo. § I. Esposizione ed esame delle obiezioni
contro il valore dimo¬ strativo del sillogismo, p. 254 — § II. Critica
della teoria del Mill, che ogni ragionamento, e quindi anche il
sillogismo, e un inferenza dal particolare al particolare, p. 2(50 — §
HI. Esame della quistione se il sili ogismo sia la forma generale del
raziocinio, p. 202 § IV. Del p rincipio fondamentale del
sillogismo; se sia materiale o for¬ male; i principii aristotelici e
quelli del Lambert. Si dimostra che il sillogismo si fonda sugli assiomi
logici e sul principio della sosti¬ tuzione dell'Identico, p. 205.
PARTE SECONDA. Teoria pei. Metodo SEZIONE
PRIMA. Metodo sistematico § I. Oggetto e parti del
metodo; oggetto e parti del metodo si stemutico, p. 271. CAPO
I. La definizione. § I. Elementi della definizione ;
come 1' individuazione del con¬ cetto sia effetto della loro composizione,
p. 272 — § II. Le defini¬ zioni come principii proprii nelle scienze
deduttive e induttive, p. 275 — S III. Concetti indefinibili e loro
specie ; forme approssi¬ mate della definizione, e loro valore assoluto e
comparativo, p. 276 — — 527
— •§ IV. Definizione nominale e definizione reale, specie della
defini¬ zione nominale, la definizione nominale induttiva; la definizione
reale, definizioni riversibili, difficoltà opposte delle definizioni
metafisiche «d empiriche, metodo delle definizioni reali induttive,
definizioni reali deduttive, p. 281 — § V. Definizioni analitiche e
sintetiche, la defi¬ nizione genetica, p. 287 — tj VI. Regole delle
definizioni, P- 289. CAPO II. Divisione e Classificazione.
§ I. Concetto della divisione, e sue regole, p. 291 — § II. Da
dico¬ tomia, sue specie, suo valore logico, p. 293 — § HL La
classifica¬ zione scientifica, suo fino; le classificazioni per qualità
apparenti; la classificazione tassonomica e la classificazione per serio,
p. 29B — § IV. La classificazione per tipi , sue specie; inferiorità
della clas¬ sificazione per tipi alla classificazione per definizioni, p.
302 — § V. Le classificazioni genetiche ; come siono apparecchiate
dalla fase comparativa delle scienze; Jifficoltà delle classificazioni
gene¬ tiche, loro perfezione rispetto a tutte le altre, p. 303.
CAPO ID. PnOVA DEDUTTIVA K J'HOVA INOUTTIVA. § I.
Oggetto della prova; i principii di prova e loro specie; specie •della
prova, p. 305 — § II. La prova deduttiva, sue forme logica e causale,
analitica e sintetica. Procedimenti e modi varii della prova deduttiva
analitica, p. 300 — § III. Sqhema della prova induttiva; la teoria
dell’induzione in Aristotele, Bacone, Tlume e Stuart Alili; verità ed
errore della teoria del Mill; so il calcolo dello probabilit à, o il
principio d'identità possano essere fondamento deU'induziono, p. 311 — §
IV. Differenza dell'induzione dall' associazione psicolo¬ gica; solo
fondamento della logica dell'induzione la dipendenza della realtà da
principii a da cause come una legge necessaria del pensiero e
dell'essere. L'induzione come operazione inversa della de¬ duzione,
limiti di questa teoria, p. 315 — § V. Delle forme di ra¬ gionamento che
sembrano, ma non sono induzioni II postulato dell'uniformità delle leggi
di natura, come debba intendersi, e quali sieno propriamente leggi ili
naturu: rapporto del postulato col prin¬ cipio di causa; si mostra che
questo assicura non solo l’uniformità degli effetti, ma anche l'uniformità
delle cause, p. 320 — § VI. Gradi dell'induzione; di verse condizioni
della sua val idità nelle scienze della natura e in quelle dello spirito;
l'induzione nelle Matema¬ tiche, p. 325.
— 528 — CAPO IV. La PROVA KNT1MKMAT1CA K
L'ANALOGICA. § I. La prova entimematica, sue specie, suo uso o
valore essen¬ ziale nelle ricerche scientifiche, suo carattere deduttivo,
p, 329 — § li. Tecnica del ragionamefl4£jmjjlo£ieo, somiglianze e
differenze dall induzione, in che senso e in che limiti debba intendersi
che è un’inferenza dal particolare al particolare, p. 332 — § III.
Rap¬ porto tra l'analogia c l'as sociazione psicolo gica: il nesso tra la
fun¬ ziono logica e la psicologica come causa dell'uso larghissimo
del¬ l'analogia nella prova scientifica, e dei facili errori ili cui è
causa, p. 336 — § IV. L a ngioma perfetta e l'impe rfetta, grudi di
quest'ul- tima, e limiti della~sua validi^, p. ,'!tt "Tj Y.
L'analogia d'identità e l'analogia «li coordinuzione, p. 340.
CAPO V. La prova indiretta. § I. Tecnica della
prova indiretta , sue forme contraddittoria e disgiuntiva; e rrore d ella
Lo gica tradizionale che ammette solo l a prim a : critica delle
contrarie teorie del Sigsvart e del Wundt, p. 341 — § IL La prova
indiretta disgiuntiva multipla, e l’ alterna¬ tiva; la prova indiretta
contraddittoria, p. 345 — § III. Paragono tra la prova diretta e
l’indiretta; casi del loro uso cumulati vo, e fun¬ zioni in essi della
prova indiretta, p. 347. CAPO VI. 1 PUINUIPII DI
PROVA. gl. Necessità che vi siano princi pii primi ; j vr indpii
proprii, 1 >, 350— § II. Specie dei principii; d efinizi oni, ipotesi,
postulati, a ssio mi; caratteri logici di ciascuno di essi e loro
funzioni; discus¬ sione sui caratteri dell’assioma, p. 362 — § III. Il
criterio della cer¬ tezza consiste nell'inconcepibilità del
contraddittorio, e nei postu¬ lati della verit à d ell' esperienza ~~e
ifolLy informità della natura, p. 368. CAPO VII.
Sofismi . § I. Se la Sofistica sia una parte della Logica,
Difficoltà di dare una buona classificazione dei sofismi, esame delle
classificazioni di
— 520 — Aristotele, del Whately e dello Stuart
Alili; ragioni di ridurre i .so¬ fismi a tre classi secondo che
riguardano o le premesse, o l'illa¬ zione, o la conseguenza logica della
prova, n. 3( il - § n. Sofismi verbali e so fismi morali , p. Sili — §
III. Sofisrnìuigici relativi alle premesse; loro specie, premesso
apparentemente vere, petizione di principio , inversione tra principio e
conseguenza, p. 307 — § IV. Sofismi relativi all'i llazi one, loro
specie, 1 'ignorano elenchi, e il ai- auto» probare nihil probare, p. 372
— § V. So fismi r i rr» |a conse- SEZIONE SECONDA.
Metodo inventivo. I. Oggetto o parti del metodo
inventivo, p. 383. CAPO I. Dei metodi
ikdutitvi. S I- Analisi dell'idea di legge; leggi normative,
causati, matemati¬ che. Definizione della legge, p. 386 § II. Oggetto
della ricerca induttiva sono le leggi causali; distinzione ili esse
dalle leggi di coe¬ sistenza. Il c oncetto.sperimentale della ca usa.
Caratteri fondamen¬ tali della causalità nella natura; la pluralità delle
cause, lu molti- plicità delle serie causali, hi composizione a
collocazione delle causo, la trasformazione delle cause, la causalità
unilaterale e reciproca, p. 3‘.io — s III. L osservazione scientifi ca:
il suo carattere fondamen¬ tale è la prevalenza del ragionamento sulla
percezione. Precetti a cui deve conformarsi. Le tre operazioni nelle quali
si risolve sono, l'analisi, l'eliminazione, la generalizzazione.
Osservazione esterna od interna, p. 304 — § IV. L'esperimento, suo
maggior valore rispetto all induzione. Necessità di mezzi superiori di
ricerca sperimentale, i metodi induttivi, p. 401. Masci —
Logica. 34 ?■ o: t g uenza logica della p rova: s
ofismi dedu ttivi, loro specie, sofismi di conversione e di opposizione,
sofismi por inosservanza delle regole sillogistiche circa la qualità o
quantità dell'illazione in rapporto alla qualità e quantità dello
premesso, sofismi di divisione e di composizione, sofismi a dirlo
secondimi quid ad ilictum simplieiter, et secundunr alterimi quid. p. 373
— § VI. Sofismi induttivi; sofismi _ di osservazione, loro specie;
sofismi di generalizzazione, loro specie; i sofismi di falso analogio
derivanti dall'uso delle metafore sognano il limite di transizione dai
sofismi di pensiero ai verbali p. 377. oféeeH'
- f)30 — CAPO
II. Dki metodi induttivi. (muti nuaz unir)
§1.1 metodi induttivi in Bacone, Herschell e Stuart Mill, p. 404 §
li. Il metodo di concordanza, p. 406 — § III. Il metodo di diffe¬ renza,
e il metodo di concordanza negativa, p. 407 § IV. Il me¬ todo delle
variazioni, p. 410 — § V. Il metodo dei residui; uso cu¬ mulativo dei
metodi induttivi, p. 412 — § VI. Limiti del valoro dei metodi induttivi
dipendenti dalla mol teplicità delle cause p ^dOili di uno stesso effe
tto, e dalle complicazioni delle cause. Necessità dell'integrazione
deduttiva per ricollegare le parti del procedimento induttivo, p.
414. —* * capo in. Dei. metodo deduttivo.
t f*TCSÌ § I. Oggetto e forme del procedimento inventivo deduttivo
; uso di questo procedimento nelle scienze razionali, il valore delle
ijw- tcsi in queste dipende dall'inversione del procedimento
deduttivo. Applicazione del metodo alla risolupiona dei problemi ;
necessità della dcdueione dei concetti come fondamento di esso, p, 41S —§
II 11 proce dimento deduttivo nelle scienze eimteri che causali;
suppone l'induzione anteriore delle leggi causali più semplici, o
consiste o in una riduzione o in una sintesi. Necessità j ella
itjerificazioD e. p. 422— § III. Il procedimento deduttivo da i uotegi
causali. C ondizioni cIVih i- missibilità delle ipot esi, p. 425 — § IV.
Condizioni di neiificazione ; verificazione completa e incompleta.gradi
di ciascuna, osompii. p.tòO— § V. Discussione delle cr itiche mosse
all'uso dol imi unteci. Importan¬ za dello ipotesi, e largo uso di esse
in ogni ramo di scienze come condizione del loro progresso ; condizioni
soggettive ed oggettivo delle vere ipotesi scientifiche, p. 438.
CAPO rv. Haitouti tua l'induzione e la deduzione.
§ I. Divisione delle leggi in primitive e secondarie, o delle
secon¬ darie in empiriche e derivate ; limiti relativi della loro
estensione, p. 442 — § 11. Si mostra con l'esame dei variimodi di
spiegazione di un fenomeno, che spiegare è dedurre. Limiti della
generalizzazione nella scienza, p. 444 — § III. Significato relativo della
distinzione delle scienze in induttive e deduttive ; tendenza generale
delle scienze a diventare deduttive ; difficoltà di tale trasformazione,
ed Muti che riceve dall'applicazione del Calcolo, p. 447.
/ —
531 CAPO V. I P li O II 1 . K SI J, § 1.
Definizione logica del problema, distinzione dei problemi in ipotetici ed
assoluti, e modo di risolverli, p. 450 S lì. I problemi antitetici, modi
di risolverli, p. 452. CAPO VI. VEBISIMIOLIANZA QUALITATIVA.
S I. Verisimiglianza Qualitativa e verisimiglianza quantitativa:
nor¬ me logiche della prima, p. 454 — § li. Delle ragioni di non
credere alle testimoniauzo contrarie a leggi causali note, p. 457 — § Ul.
e alle uniformità non causali, p. 450 § IV. Delle ragioni della in¬
credibilità delle coincidenze e delle serie, p. 408. CAPO
VII. Veiusisik; manza quantitativa. § I. II calcolo
delle probabilità e le sue norme fondamentali, p. 402 — § II. I suoi
presupposti: in che senso e in che limiti è vero che il calcolo dello
probabilità suppone l'ignoranza delle condizioni qua¬ litative
dell'evento, p. 404 — s? III. Il calcolo delle probabilità come
procedimento di eliminazione del caso; concetto logico del caso, p. 400 —
§ IV. Eliminazione del caso rispetto all'effetto; olimiuaziona del caso
rispetto alla causa, p. 408. capo vin. Metodi delle
Matematiche. § I. Le Matematiche come scienze deduttive, p. 470 §
II. I Me¬ todi dell'Aritmetica come metodi di formazione dei
numeri; il siste¬ ma di numerazione, e le operazioni, p. 472 — § UT. L'
Algebra come scienza delle funzioni: notazioni algebriche; l'Algebra come
scienza dell'equivalenza dei modi di formazione delle quantità,p. 475 -
«j IV. La Geometria come scienza dell'equivalenza delle grandezze; i tre
metodi principali della Geometria elementare, la risoluzione delle
figure; le c ostruzioni ausilia rie, le c ostruzioni genetic he . p. 477
- S V- L'induzione in Matematica, p. 481 $ VI. Estensione e limiti
dell applicazioue dello Matematiche allo altre scienze, p. 482.
CAPO IX. METODI DKU.K SCIENZE BTOBIOHK.
S I. La testimonianza come nnirp [iri-mH-Jal Wvoi!i|-à 'lei fatt i
sto¬ rmi; valore Tjel rritijrio I ntrinse co, la verisijjiigliuuza;
necessità del criterio estrinseco, cioè desumo dalle reiasioni di tempoo
luogo del racconto col fatto. Valore della leggenda per la storia, p.
485- S li.Mo¬ numenti; monumenti preistorici, f ihdmria o s|^ ri,i p
.ts-. g m. Monumenti storici, maggior valore di essi in confronto con lu
testimo- niuiiza; le due quistioni possibili rispetto a questa,
l'autenticità e la credibilità; Iti credibilità è tanto maggiore (pianto
più è possibile riportare il racconto alla percezione diretta come a
causa- Maggior valore della tradizione scritta e suoi limiti,
L'autenticità è tanto maggiore quanto maggiore i- la possibilità di
escludere lo falsifica - zioni e le alterazioni, i ncertezza e limiti
della tradizione orale, esempio del valore storico dell’ epopea francese,
p. 489 — t? IV. I criteriidei numero e della credibilità dei testimoni,
p. 405 § V. Pas¬ saggio dai fatti alle leggi ; s cienze storiche e
sociul i. p. 407. CAPO X, Dei metodi ueij-k
scienze storiche, ( continuazione) § I. Tre specie di
melodi por la ricerca delle leggi storiche: cri¬ tica del metodo
deduttivo astratto,p. 408 SII- Critica della teoria antropologica, p. 499
§ III. Critica dell'analogia biologica, p. 501 — § IV ' Critica dal
materialismo storico . p 5j>3 — § V. Critica della aeuola .dorica, p.
506 — § VI. L'indeterminismo storico, e la scuola psicologica, p. 507 §
VII. Il metodo deduttivo inverso o storico, funzione essenziale
dell'Induzione in esso, le leggi storiche come lci/</i di tendenze, p,
510 § \ ili Insnflii-ionza iL-1 |n'i n• i■ < 1 i nn •( 1 1• » indutt
ivo desunta dalla natura delle uniformità accertate dalla
Statìstica, p. òli Si IX. Si mostra che lutti i metodi hanno n p valore
limit ato nella rìcercu delle leggi storiche,e che tutti possono essere
utili, se subordinati al metodo deduttivo inverso. Concetto della
Filosofia della storia, p. 516. LA SOCIETÀ, IL DIRITTO, LA
MORALITÀ CAPO I. L'aspetto sociale perla coscienza di sè, S I. L'io
sociale, sua formazione, sue fasi di sviluppo, p. 1– S II. Identificazione
dell'io sociale con l'io formale, l'io come principio sociale, p. 5. CAPO II.
LA SoCIETA'. S I. Condizioni comuni della vita sociale animale ed umana, e
condizioni proprie di questa. Le società animali, p. 7 – S II. Diffe renza tra
la società umana e l'animale. La teoria biologica, e l'ato mistico-contrattualista.
Se la società sia una realtà indipendente dalle coscienze individuali, p. 10 –
S III. Definizione della S o cietà, p. 15. CAPO III. LE FoRME soCIALI PRIMITIVE
E IL LoRo svILUPPo. S I. Il gruppo sociale primitivo, il costume, la sanzione
religiosa, organizzazioneprimitivadell'assicurazionesociale,p.17– SII.Ori gine
dello Stato, il diritto e lo Stato, p. 19. – 334 – CAPO IV.
DIRITTo E MoRALITA'. S I. Unità primitiva delle regole della condotta,
separazione pro gressiva della religione, della morale e del diritto, p. 22 – S
II. Dif ferenze tra la morale e il diritto, p. 25 – S III. Caratteri differen
ziali derivati, p. 31 – S IV. Rapporto fra il diritto e la moralità; concetto
dell'Etica come scienza, p. 34. SEZIONE I. La Coscienza morale. CAPO V. I
GIUDIzn vALUTATivi MoRALI. S I. Giudizii di cognizione e giudizii di
valutazione, i giudizii valutativimorali,p.37.– SII.La teoria dei valori in
Economia, p. 40 – S III. La teoria che pone il principio della valutazione m o
rale nel sentimento, p. 44 – S 1V. Una forma speciale di questa, la teoria dei
valori normali, p. 48– S V. Esame della teoria sentimen talistica, p. 49 – S
VI. Il senso morale, la simpatia, la pietà, p. 53. CAPO VI. I GIUDIziI
VALUTATIvi MortALl. (continuazione) S I. Il sentimento non può essere principio
di valutazione morale, perchè è mezzo non fine, e perchè è correlativo delle
idee, e prende nome da esse. Il sentimento del rispetto morale (Achtung)
secondo Kant. Si mostra che la ragione può operare sul sentimento, e che èilgiudiziodivalorequellochelodetermina,p.55–
SII.Esame della teoria appetitiva e della volontaristica dei valori morali, p.
62 – S III. La teoria biologica dei valori, p. 6ò– S IV. Il carattere ra
zionale della valutazione morale provato, a) dalla necessità del cre terio
morale, e dalla dipendenza del sentimento da esso; b) dalla sistemazione
finalistica dei valori morali; c) dal carattere scientifico dell'Etica; d)
dalla idealizzazione progressiva del sentimento m o rale, p. 66. –
335 – CAPO VII. ANALISI DELLA cosCIENZA MORALE. S I. Coscienza morale e
coscienza psicologica, genesi della c o scienza morale nell'individuo,
l'equazione personale della moralità, p.71–
SII.Genesidellacoscienzamoralesociale,suoprocedimento
dalparticolareall'universale,p.77– SIII.Contenutoedunitàdella
coscienzamorale,p.81– SIV.Autoritàdellacoscienzamorale,san zione, p. 84 – S V.
Sentimento morale, affinità del sentimento m o rale col sentimento religioso,
p. 85 – S VI. L'idea del dovere come categoria morale ultima; essa suppone il dualismo
morale, ed è la condizione del progresso morale. Critica della teoria
psicologica. Dovere e diritto. La subordinazione dei doveri dipende dal grado
della loro universalità. Coincidenza del dovere e del bene, p. 88. CAPO VIII.
ANALISI DELLA CosCIENZA MORALE. (continuazione) S I. La volontà morale, esame
della teoria che il fine giustifica i mezzi, p. 96 – S II. Il carattere
psicologico e il carattere morale, p. 98 – S III. Teoria aristotelica della
virtù, che è un abito, che è una medietà; critica di questo secondo carattere.
Classificazione ari stotelica delle virtù. La teoria kantiana, e sua
opposizione con la precedente. La loro conciliazione si può avere se si
concepisce la virtù come la sintesi superiore della coscienza morale, p. 100 –
S IV. Se possa concepirsi l'estinzione della coscienza morale, p., 109. SEZIONE
II. Le basi della moralità. CAPO IX. LA LIBERTA' MORALE. S I. Rapporto teorico
tra la libertà e la moralità, antinomia tra la libertà e la causalità, vicende
storiche del problema, i tre punti di vista dai quali deve essere considerato,
p. 112– S II. La libertà d'indifferenza, argomenti indeterministici, il numero
infinito, il nuovo, i casi d'indeterminazione nella natura, il caso, la
statistica. La li bertà intelligibile di Kant; teoria del Bergson, la causalità
ridotta all'identità, e la libertà creatrice, p. 114 – S III. La libertàela
te – 336 – stimonianza della coscienza; argomenti opposti dei
deterministi e degl'indeterministi; il risultato della disputa non è favorevole
alla libertà d'indifferenza, p. 122. CAPO X. LA LIBERTA' MORALE.
(continuazione) S I. La libertà e l'ordine morale, libertà e responsabilità,
loro nesso necessario. Contro di questo non valgono nè la critica dell'idea di
sanzione, che lo nega, nè l'idea dell'autonomia che non lo spiega, p. 126 – S
II. La libertà d'indifferenza in contrasto con la respon sabilità, questa
ammette la causalità del motivo; ilrimorso e lo sforzo morale ne sono prova, p.
129– S III. Esame del criterio della pre vedibilità degli effetti dell'azione,
p. 132 – S IV. La libertà morale s'identifica con la causalità dell'io; la
teoria psicologica dell'auto coscienza e quella della volontà, come potere
d'inibizione e d'im pulso proprio dell'io, sono la dimostrazione di questa
causalità. I n stabilità delle condizioni psicologiche della causalità dell'io,
con solidamento di esse nel carattere morale, p. 135 – S V. La respon sabilità
morale richiede come suo fondamento una formazione psi cologica identica per
tutti, quindi non potrebbe riconoscerlo nel temperamento o nel carattere
psicologico. Differenza del consenso teoretico e dell'adesione pratica in cui
consiste la libertà. Rapporto della responsabilità con lo stato d'integrità
della causalità dell'io,e loro variazioni correlative. Suo rapporto con
l'educazione della v o lontà. La libertà e la vita sociale, intimo rapporto
della libertà con la solidarietà, p. 139. CAPO XI. LA solIDARIETA' MORALE. S I.
Libertà e solidarietà; suggestione individuale e suggestione collettiva della
solidarietà; la solidarietà nel dolore e la solidarietà nel progresso; la
solidarietà e l'eguaglianza, p. 144– S II. La soli darietà economica, sua causa
la divisione del lavoro; influenza di questa causa sulle forme superiori della
vita sociale; anomalie. Li bertà, solidarietà, giustizia; loro nesso
necessario, giustizia ed egua glianza,p.146–
SIII.Seladivisionedellavoropossaesserecon siderata come il principio morale
della solidarietà nelle società superiori; solidarietà nel diritto, nella
storia, nell'arte, nella scienza, nella religione. L'unità morale della natura
umana, e la giustizia come condizione della solidarietà, p. 151. –
337 – CAPO XII. LA Giustizia, S I. La giustizia come idea morale fondamentale;
la giustizia come virtù, cenni storici, p. 156 – S II. La giustizia come norma;
teoria aristotelica, p. 158 – S I11. Teoria dello Stuart Mill, p. 162 – S IV.
La giustizia come unità della libertà e della solidarietà;lagiustizia
nell'ordine economico, p. 166 – S V. Giustizia e carità; il progresso morale,
p. 170. SEZIONE III. La legge morale. CAPO XIII. I sisTEM1 MoRALI. S I.
Classificazione dei sistemi morali, p. 174 – S II. La morale eteronoma, p. 175–
S III. La morale autonoma; isistemi sentimen talistici e gl'intellettualistici,
p. 176 – S IV. I sistemi aprioristici e gli empirici, p. 177 – S V. I sistemi
universalistici e gl'individuali stici, p. 181. CAPO XIV. I sistEMI MORALI.
(continuazione) SI.Isistemisoggettivi,l'edonismoel'eudemonismo, p. 186– S II. I
sistemi oggettivi, l' utilitarismo; utilitarismo individuale e utilitarismo
sociale, l'utilitarismo nella filosofia dell' evoluzione (Spencer), p. 190 – S
III. Altre forme della morale oggettiva, la morale della perfezione, la morale
del progresso, la morale del vi vere secondo natura, p. 196 – S IV. La morale biologica,
socialismo e individualismo biologico, p. 198 – S V. Critica della morale bio
logica. Necessità di una morale razionalistica, p. 200. CAPO XV. LA LEGGE
MORALE. S l. Differenza tra la legge naturale e la legge morale, carattere di
obbligazione, altri caratteri della legge morale, p. 203 – S II. Concetto del
Bene; la prima formula della legga morale, l'univer MAscI– Etica. -
22 – 338 – salità. La seconda formula della legge, la finalità. La
terza formula della legge, l'autonomia. Unità delle tre formule. Il sentimento
m o rale,p.205– SIII.Ilcarattereformaledellaleggemoralekantiana; vecchie e
nuove critiche contro di esso; parte innegabile di verità che è in esse.
Risoluzione del formalismo kantiano dal punto di vista gnoseologico, p. 210 – S
IV. Risoluzione del formalismo k a n tiano dal punto di vista oggettivo, p. 218
– S V. L'accentuazione formalistica della dottrina kantiana come conseguenza
dell'opposi zione contro l'empirismo morale, necessità della negazione del for
malismo morale, e del dissidio tra la ragione morale e il sentimento morale.
Valore storico e teorico dell'etica kantiana, p. 221. PARTE SECONDA LE FORME
DELLA COMUNITÀ MORALE. INTRODUZIONE S I. L'Etica come scienza sociale; suoi
aspetti ideale e storico. Le diverse forme della vita sociale: la famiglia, la
società civile, lo Stato, la società religiosa, p. 227. CAPO I. LA FAMIGLIA. S
I. Cenni sulla storia della famiglia, la famiglia paterna, p. 230 – S II.
L'idealità morale nella famiglia, p. 233 – S IIl. La famiglia dal punto di vista
giuridico e dal morale; monogamia, fedeltà, indisso lubilità, divorzio. Critica
della teoria che considera la famiglia come una forma transitoria della
comunità morale, p. 234 – S IV. Il m a trimonio civile e il religioso; i
rapporti tra i coniugi, e tra i geni tori e i figliuoli; la patria potestà, p.
243. CAPO II. - LA SociETA' CIVILE. SI. Concetto della società civile; in qual
senso e in quali limiti si può dire che la società civile derivi dalla
famiglia, la società ci vile e lo Stato, p. 245 – S II. Le classi sociali, gli
antagonismi so ciali e lo Stato, p. 248. CAPO III. LA SoCIETA' CIVILE COME
SISTEMA DEI DIRITTI PRIVAT1. S I. Diritti personali e diritti reali, loro
comune fondamento. D i ritto di libertà e sue specificazioni, la personalità morale
e giuridica – 339 – della donna, limitazione della seconda nella
sfera del diritto p u b blico; carattere sociale dei diritti personali, p. 251
– S II. Dei diritti reali, la proprietà, suo fondamento psicologico e suo
sviluppo sto rico; impossibilità di dare un fondamento esclusivo all'una o
all'altra delle sue forme, la proprietà delle opere dell'ingegno, p. 253 – S
III. Le obbligazioni,lorospecie;ildirittocontrattuale,suanatura,suoi
limiti,p.255– SIV.Ildirittodiassociazione,suanatura,suoifini, sua storia; le
corporazioni medievali e le libere associazioni m o d e r n e . Varie specie di
associazioni; le associazioni e lo Stato, p. 256. CAPO IV. DEL coNCETTO E DEI
FINI DELLO STATo. S I. Necessità dello Stato, elementi ideali del concetto
dello Stato, p. 259 – S II. Elementi materiali, il popolo e il territorio;
fattori naturaliefattorispiritualidellanazionalità,p.260– SIII.La so vranità,
suo fondamente razionale; lo Stato di diritto, la costituzione, la personalità
dello Stato, p. 264 – S IV. Definizione dello Stato, p. 268 – S V. I fini dello
Stato, loro distinzione in proprii e d'inte grazione, p. 270 – S VI. Limiti
dell'azione dello Stato, p. 272. CAPO V. I POTERI DELLO STATO. S I. Modi varii
di distinguere i poteri dello Stato, p. 273 – S II. Della divisione dei poteri,
suo carattere relativo, p. 274 – S III. Il diritto punitivo, suo sviluppo
storico, p. 276– S IV. Esame delle varie teorie sul fondamento del diritto di
punire, p. 279 – SV. G i u stizia civile e penale, delitto e pena, la pena come
limitazione della libertà; la pena di morte, l'infamia, la gogna. Valore
relativo degli altri fondamenti del diritto di punire, p. 282. CAPO VI. LA
cosTITUzioNE E LE FORME DELLO STATO. S 1. Le costituzioni degli Stati,
definizione, loro carattere storico, moltiplicità dei loro fattori, p. 287 – S
II. Le forme dello Stato, divi sione aristotelica, quali siano ancora vitali;
necessità del governo rappresentativo, sue forme repubblicana e monarchica, e
caratteri differenziali di queste, p. 289. – 340– CAPO VII. LE
RELAZIONI FRA GLI STATI E LA PATRIA. S I. Del diritto internazionale, se sia un
vero diritto, sua distin zione in diritto pubblico e privato, p. 296 – S II.
Cenni storici, p. 297 – S III. Diritto internazionale pubblico; la sovranità e
le sue limitazioni; la sovranità territoriale e la libertà dei mari. Diritto di
guerra e sue limitazioni. L'ideale della pace universale, p. 299 – S IV.
Diritto internazionale privato, statuti personali e reali, dispo sizioni
speciali, p. 304 – S V. Se l'idea di patria sia un'idea transi toria, sua
necessità storica e psicologica e doveri che ne derivano. Elementi più generali
di questa idea, e formazione storica diversa pei diversi popoli. Patriottismo e
imperialismo, p. 307. CAPO VIII. LA CoMUNITA' RELIGIOSA, CHIESA E STATo. S I.
Concetto della Religione, ReligioneeReligioni,p.313– SII. Le religioni positive
e la cultura; perennità dellavitareligiosa;suo adattamento ad ogni grado di
coscienza, p. 315 – S IIl. Importanza sociale delle religioni positive, e unità
primitiva della società reli giosa e della civile, p. 318 – S IV. Ragioni della
loro separazione, l'universalità della religione, e il principio della libertà
di coscienza; impossibilità per lo Stato di subordinare la cooperazione sociale
alla fede religiosa, p. 320– S V. I quattro sistemi di regolamento dei rapporti
tra la Chiesa e lo Stato; loro irrazionalità relativa, e confusione dei
medesimi nella politica pratica, p. 322 – S VI. Dif ficoltà teoriche e pratiche
del regime della separazione, p. 324 – S VII. Difficoltà speciali del regime
della separazione nei paesi cat - tolici; la separazione come meta ideale nei
rapporti tra la Chiesa e lo Stato, p. 326. Nati ra e classificazione
dei fatti psichici. ?cjyi&*pfO 0D <• * ha-C
'AW& § 1. Il fatto psichico come l'atto psicofisico, p.
10 — § II. Diffe¬ renze trai fatti psichici e i materiali; che s’intende
per stato di coscienza, conscio ed inconscio , p. 13 — § III. La teoria
delle facoltà e quella dell’ unità di composizione dei fenomeni
psichici; il rifesso psichico primitivo, le forme piu generali delle
attività psichiche cóme suoi momenti, loro distinzione progressiva, p.
10. CAPO III. Svi l,t'PP O DEI PATTI PSICHICI.
§ I. La coesistenza e la successione nei fatti psichici, fatti
psichici primarii e secondarii; l’associazione come loro legge ge¬
nerale; fatti psichici di terzo grado, loro rapporto con gli altri.
Partizione della Psicologia, p. 19 — La subordinazione progressiva dei
fatti psichici alla coscienza è indirizzata alla conoscenza — § II. Il
mondo dello spirito oggettivo, p. 25. —
— 486 — PARTE PRIMA.
La Psicologia della sensibilità. CAPO I. Delle
sensazioni in P£w.v« GENERALE. '*' t . "
§ I. Definizione e classificazione delle .sensazioni in loro
stesse e in rapporto agli stimoli , p. 29 — § li. Rapporti fra la geu
sa- /ione e lo stimolo quanto all intensità e all’estensione: soglio
e <iifferensa;quantità negativa; stimolo, eccitazione, sensazione,
p.31 — § 111. So ggetti vità delle sensazioni: limite del principio delle
energie specifiche; moltiplicità di sensazioni per uno stesso stimolo,
sen¬ sazioni di consenso. Le sinestesie. In che senso le sensazioni
si possono sostituire . p, 32 — § IV. L’ eccentricità non è, come
la spazialità, una proprietà primitiva delle sensazioni, p. 38 — §
V. Qualit à, intensità, t ono delle sensazioni. Irredncibilità delle
qualità. Lpgge di Weber sul rapporto tra la sensazione e lo sti¬ molo. La
legge di Fechner,c eltica de lla medesima, p. 39 — § VI. Che s‘ intende
per tono delle sensazioni; rapporto tra la qualità e l’in¬ tensità delle
sensazioni e il loro tono. p. 45. CAPO II. Le.
sensazioni in particolare. r % % § I. Le sensazioni
particolari si distinguono in piterne edjtf terne. e le prime "in
organiche 0 e muscolari" Le sensazioni orga¬ niche.'la coinestesia o
senso vitale; le sensazioni organiche spe¬ ciali. norma li e patologiche,
loro funzione biologica, loro tonalità, loro dipendenza da stimoli
periferici e da stimoli centrali e psi¬ chici, p. 48 — § li. Le s ensaz i
oni musco lari; diverse teorie intorno ad esse; si mostra che sono
sensazioni centripete del movimento eseguito, non dello stato organico
del muscolo. Contenuto quali¬ tativo e tono delle sensazioni muscolari.
Coinestesia, cinestesia e cinestesi, p. 51. <P
§ III. Le sensazioni esterne; differenziazioue ed isolamento degli
organi relativi, il loro numero un fatto d'esperienza soltanto, p. 57 —
t — 4S7 — S
IV. Il senso del tatto, sensazioni di contatto e sensazioni di
tamperàTuraT^SS^Tia ed altezza di stimolo per le sensazioni ter¬ miche:
rapporti tra la sensibilità termica e la tattile. Sensazioni di
pressione, di c ontatto . di discriminazione locale. Teoria del Weber
intorno alla discriminazione; i segni locali. Le sensazioni di forma, p.
58 - § V . 1 sensi chimici, loro carattere biologico; mancanza di
figurabili e quindi minore oggettività del loro conte¬ nuto. Il gusto,
stimoli e condizioni di questo senso, varie specie di sensazioni
gustative. Loro fusione e rimemorabilità, penetrazione e intensità. L’
olfatto, natura dello stimolo, penetrazione delle sen¬ sazioni
olfattive,loro intensità e fusione, loro classificazione, e scarso valore
oggettivo, loro valore emotivo e rimemorativo. p.67. § VI. L’
udito , stimoli delle sensazioni uditive. Qualità delle sensazioni
uditive, rumori e suoni. Percezioni spaziali dell’udito. L'udito e il
linguaggio, la musica. Altezza, intensità, timbio. Armonia, melodia,
ritmo, p. — § VII. La vista., stimoli delle sensazioni visive, corpi
luminosi, opachi, trasparenti. L'organo visivo.Percezione di spazio e di
forma; teorie empiriche e teorie nativiste. Percezioni di luce e di
colore. Colori tondamentali e derivati, acromatismo. Somiglianze e
deferenze tra la gamma dei colori e la scala musicale. Contrasto
successivo e contrasto si¬ multaneo. Luminosità proprie dei diversi
colori . colori caldi e freddi, saturi e non saturi, p. 90.
CAPO III. Il sentimento sensiti ivo ( -fcflt d thvsiittaxJ-
.V* * a f■* t * * § I. Definizione del sentimento , piacere
e dolore indefinibili e di qualità opposta, soggettività dei sentimenti,
finalità biologica dei sentimenti sensitivi, loro differenza dalle
sensazioni. Fisiologia del piacere e del dolore. Dipendenza degli stati
emotivi dai pre¬ sentativi, p. Ili — § IL II sentimento sensitivo e il
sentimento vitale 4 \\ punto neutro, p. 117 — § III. Dipendenza del
sentimento dallo stato del soggetto, dall’intensità dello stimolo, p. 121
— § IV. Rapporti vari! dei sentimenti sensitivi con l'oggettività,
la frequenza, e la qualità delle sensazioni. Dimostrazione
particola¬ ri raggiata del primo di questi rapporti, p. 123 § V.
Sentimenti sensitivi di natura estetica, loro dipendenza dalla forma
delle sen- j sazioni, armonia, euritmia, proporzione, p. 132.
-f< J #
3 •> Jfw ^><1 - 488 - CAPO
IV. s~ j—**«'■ u L\ TEND5ì^U-B L’ISTINTO. I
*L_ § I. L’ azioni? riflessasue proprietà e differenze.
Impulsività delle sensazioni, legge di diffusione e legge di
specificazione. La tendenza, p. 134 — § II. Definizione della te nden za,
sua dipendenza dal sentimento che ne è causa; ten denze primitive e
derivate; la tendenza, come stato psichico per sè, è il prodotto dell’inibizio¬
ne, p. 137. § III. Carattere biologico della tendenza, legge di
riversione tra l’azion volontaria e la riflessa. S viluppo dell’att
i¬ vi tà pratica mediante l’isolamento e la combinazione dei movi¬
menti. Differenza di s viluppo dell’attività prat ica nell’animale e
nell’uomo, e differenza di finalità. Funzione dell'imitazione in tale
sviluppo. L atti vità pratic a dir etta alle rappresentazioni, forme
dell'attenzione spontanea, p. 140 — § IV. L’istinto ; teorie opposte
sulla sua natura ed origine; teoria della lapsed intelli¬ gence
(Romanes). Errori del Komaues circa la natura dei fattori dell istinto, e
circa il loro rapporto. Natura dell’esperienza che è base dell istinto, 1
intelligema adattatine), suo carattere fram¬ mentario, sua
meccanizzazione. L’istinto cpme uno sviluppo ol- latepale deU’ attività
pratica, senza continuità con le forme supe¬ riori, p. 144.
PARTE SECONDA Le condizioni dello sviluppo psichico.
CAPO I. L’ ATTENZIONE. § 1. Natura dell attenzione;
attenzione spontanea e attenzione volontaria, specie della prima:
attenzione esterna ed interna. Fe¬ nomeni fisici dell’attenzione, p. 135
— § II. Intermittenza e ritmi¬ cità dell’ attenzione, p. 159 — § 111.
Attenzione e percezione, atten¬ zione e coscienza, p. 160 — § IV.
Carattere emotivo dell’attenzione spontanea, origine e sviluppo
dell’attenzione nella serie animale, P- *62 — § V. L’ attenzione
d’esperienza: e le sue forme singolari
dell' attenzione aspettante, dell’ inversione delle imagini, e dell
at tenzione marginale, p. 164—§ VI. L’attenzione interna, p. 167.
CAPO II. La memoria. § I. Analisi del fatto della
memoria, memoria organica e me¬ moria psicologica, loro riversione e sostituzione.
Non ci è una memoria come facoltà generale, ina un numero grande di
memorie particolari, p. 168 — § IL Condizioni della memoria,
anomalie mnemoniche, p. 17! — § 111. Stato primario e stato
secondario nella memoria, loro differenze, e loro rapporti, p. 174 — §
IV. Svi¬ luppo della memoria, prova desunta dalle amnesie, p. 176 §
V. La memoria psicologica e le sue leggi, p. 179 — § VI. La collocazione
nel tempo, p. 182. CAPO 111. L’ ABITUDINE.
Dell’abitudine dal punto di vista fisiologico e psichico, p.183—§
li. Effetti dell’abitudine, l’attenzione e l’abitudine, I' abitudine come
educazione di tutte le funzioni psichiche, p. 184 § 111. L’abitudine e la
volontà, p. 186. PARTE TERZA La psicologia della
conoscenza. CAPO 1. L» PERCEZIONE. § I.
Natura della percezione, sua differenza dall’associazione: la percezione
come integrazione. Condizioni della percezione,. |per- eezione ed
appercezione^ Altre prove dell’integrazione percettiva, p, igj)—§ IL
Cause soggettive ed oggettive delle integrazioni percettive, p. 196 — §
111. Misura del tempo della percezione, equazione personale,[variazioni,
percezione e sensazione, p. 198 — — 490 —
§ IV. Percezione sensitiva e percezione intellettiva, p. 200 —
§ V. La percezione interna, p. 204 — § VI. Le illusioni percettive
e loro specie, p. 205 — § VII. Le allucinazioni, diverse ipotesi sulle
loro cause, p. 207. CAPO II. L’ ASSOCIAZIONE.
§ I. Associazione e percezione, serie percettive e serie rappre¬
sentative, p. 209 — § II. Teorie intorno alla reviviscenza delle
rappresentazioni. Critica della teoria herbartiana, la teoria morfo¬
logica, p. 211 — § III. dell'associazione, p. 212 — § IV. Se siano
riducibili, p. 215 — § V. Condizioni prossime delle associa¬ zioni, p.
217 — § VI. Tempo di associazione, p. 224 — § VII. L’oblio, p. 224 — §
Vili. I sogni come fenome ni dell’associazione psic op ¬ a tica. Il son
no. Diverse specie di sogni. Cause, p.jjgó — § IX. Rap¬ porto tra le
cause positive e le negative dei sogni, la volontà nel sogno. Sogni
telepatici, p. 230. CAPO Ili. L’io. § I.
Associazione e coscienza, continuità e dinamismo delle serie
rappresentative, il pensiero delle cose e il pensiero dellMo. p. 232—
_,§ IL Varii significati della parola cosciente: la. fase irrelativa
e l’integrale oggettiva, p. 237 — § III. La.^u?cifenza \li sé
(formale) e 1' empirica o storica, elementi di quest’ ultima, pJ239 — §
IV. (u- deducibilità della coscienza di sè dall’associazione e
dall’astra¬ zione, unità e continuità della coscienza di sè. p. 244 — §
V. La_ coscienza dell’identità dell’io; funzióne della'memoria e
dell’asso¬ ciazione, casi di coscienza doppia, p. 246 — § VI. La
coscienza di sè e l'astrazione come caratteri distintivi della psiche
umana dall’animale, p. 249.
§ I. L’astrazione, p. 250 — § II. Il concetto, p. 252 — §
IH- U giudizio, p. 255 —§ IV. Il principiod'identità come
fondamento del raziocinio, natura dell’identità logica e sua invenzione.
Sin¬ tesi e analisi. L’intelligenza animale e l’umana. Il genio scien¬
tifico, p. 257 — § V. Dimostrazione del doppio procedimento del
raziocinio nel raziocinio quantitativo e nel qualitativo, p. 263 § VI. Le
forme dell' intuizione e le categorie, p. 266 — § VII - Psi¬ cologia e
linguistica: l’origine del linguaggio, p. 267—§ Vili. Rap¬ porto tra la
parola e il pensiero, p. 271 - § IX. Azione reciproca tra la parola e il
pensiero. Natura logica della lingua: suo svi¬ luppo dal concreto all'
astratto, p. 225. CAPO V. L’ IMAGINAZIONE.
§ 1. Rapporto dell’imaginazione con l’intelligenza e con 1 asso¬
ciazione; l’imaginazione riproduttrice, p. 282 — § IL Rapporto del-
l’imaginazione con la sensibilità e col pensiero astratto, p. 284 — 3 HI.
L’imaginazione artistica, sue funzioni, p. 287 — § IV. I,' una- ginazione
neiia scieuza^ p. 289 - § V. L’imaginazione nell’Arte: momeuto realistico
e momento idealistico. L’Arte e la Scienza, p. 290.
CAPO li. Relatività i>ei sentimenti. § 1. La
legge della relazione nel sentimento, p. 306 — § li-Il sentimento e le
altre funzioni psichiche, p. 310 — § III. L’ asso¬ ciazione e la memoria
dei sentimenti, p. 318. CAPO 111. Affetti e
passioni.' § I. Gli affetti, p. 322 — § 11. Le passioni, p.
323. CAPO IV. Classificazione dei sentimenti.
§ I. Metodo della classificazione; classificazione dello Spemi e
ilei Nahlosvski , p. 327 — § 11. La classificazione biologica e genetica,
e sua integrazione con la rappresentativa, p, 329 — § 111. Passaggio dai
sentimenti primitivi ai derivati, p. 334. CAPO V. 1 SENTIMENTI
MORVU. § I. Le teorie intorno ai sentimenti morali, p. 338—§ II.
Esame della teorìa empirica; se il sentimento morale sia il riflesso
delle sanzioni esterne, p. 339 — § III. Impossibilità di spiegare con
la morale empirica il sacrifizio defini tivo, p. 344 — § IV.
Erroi-' logico della dottrina empirica, parte di verità che è in essa, p.
346 • § V. La teoria razionalista; la direttrice psicologica e la
socia ;; la ragione e il sentimento, p. 348 — § VI. Classificazione ed a
.a- lisi dei sentimenti morali, p. 350 — § VII. La carità e la tu-
stizia, p. 354. — 493 —
CAPO VI. I sentimenti religiosi. § 1. Natura del
sentimento religioso, sua forma primitiva, di¬ rezione di sviluppo, p.
357 — § II- Il sentimento morale e il sen¬ timento religioso. Rapporto
tra l’intelligenza, il sentimento e la volontà nella religione , p. 359 —
§ HI. La forma superiore del sentimento religioso, p. 362 — 8 IV. Le tre
forme del sentimento religioso, p. 364. CAPO VII.
I SENTIMENTI ESTETICI. § I. Il sentimento estetico e il
sentimento del gioco , p. 367 II. I fattori del sentimento
estetico. La simpatia estetica, p. 360— § III. I fattori intellettuali.
La verità in Arte. Idea e forma, p. 372. CAPO Vili. I
SENTIMENTI INTELLETTUALI. § I. Le origini dei sentimenti
intellettuali ; la curiosità e il dubbio pratico, p. 374 —-§ IL II
sentimento intellettuale della ricerca, e quello del possesso della
verità, p. 377 — § III. Il sen¬ timento intellettuale e il sentimento di
sé, p. 380. APPENDICE Dei sentimenti estetici in
particolare. 1. Il sentiment o del bello ince nerale, p. 382 — § IL
li sen¬ tii .ento della bellezza finita e le sue forme: la bellezza
plastica, il arioso, il drammatico, p. 383—§ IH- Il sentimento del su¬
blime, sua natura, sua forma; il sublime naturale, l’intellettuale, il
morale, p. 389 — § IV. Il sentimento del comico , sua natura, suo
rapporto col sentimento di sè e col sentimento della libertà. Comicità ed
umorismo, p. 392 — § V. Il sentimento della natura,
sue forme diverse nell' età antica e nella moderna. Perche è la
forma più evidente della catarsi estetica, p. 397. La
Psicologia della Volontà. CAPO I. Il desiderio e la.
volontà. § 1. Il desiderio, p. 405 — § li. Fenomeni intensivi del
desi¬ derio. p. 407 —§ III. Le azioni volontarie nelle loro forme
deri¬ vate e contingenti; elementi essenziali dell'atto volontario, p.
409 — § IV. Il problema della causalità della volontà, p. 415.
CAPO 11. Teoria della volontà. § I. La teoria
metafisica della Volontà, p. 418 — § li. La teoria associazionista. p.
420 — § Ili. La volontà come facoltà del fine. e dei valori
razionali; la funzione d’inibizione come suo momenti essenziale,
p. 422 —§ IV. Il sentimento del conato volitivo, p. 426 — § V. In
che consistono e come sì producono l'inibizione e l’im¬ pulso, p.
429 — § VI. L’attenzione volontaria e le sue forme p&- K tologiche.
p. 433— § VII. La misura del tempo nelle volizioni, vj p. 438. ]
APPENDICE. Le malattie della Volontà, e l'ipnosi.
§ I. L'aboulia e la forza irresistibile, il capriccio isterico, 1
p. 441 — § II. L’estasi, p. 443 — § III. Fenomeni sensitivo-rap-
presentativi, mnemonici, e volitivi dell'ipnosi; suoi gradi, p. 444 —
§ IV. La suggestione normale e l’ipnotica; somiglianze e diffe¬
renze tra il sonno naturale e l’ipnosi: cause specifiche della sug¬
gestione ipuotiCa;*p. 449.
— 495 — CAPO III.
Temperamento e cvrattere. § I. Natura del temperamento, suo
rapporto col sentimento vitale, sua dipendenza dall’eredità, p. 454 — §
II. Il carattere, sua natura, sua unità col temperamento, p. 456 — § III.
La teoria ippocratico-galenica dei temperamenti, e le sue
interpretazioni fisiologiche, p. 457 — § IV. La classificazione
psicologica riunisce il temperamento e il carattere: forme varie di essa,
la classifica¬ zione del Ribot. p. 459 — § V. Della modificabilità del
tempera¬ mento e del carattere, p. 463 — § VI. Forme patologiche, p. 465.
CAPO IV. La volontà e le altre attività psichiche.
L’EDUCAZIONE DELLA VOLONTÀ. § l. La Volontà e P inconscio, p.
467 — § II. Mezzi di azione della volontà sull’ intelligenza : necessità
della limitazione della valutazione; forme patologiche, e forme estreme,
ma normali, dì questa limitazione, p. 471 - § III. Modi d’azione della
volontà sul sentimento, p. 476 — § IV. Azione delia volontà su sè
stessa; genesi della volontà comune, azione reciproca
dellajiilpiUàindi- viduale e della volontà comune, il costume,
la/fm(fl*A.' p p 7 g_§ V. Influenza della volontà iudividuajeV
sulla vomW^ comune: l’educazione, la gerarchia, la dittature/<Qe
sue du^rfiel la militare e la morale, p. 483. I, * lO K ' al
^47629 RIAssUNTOECONCLUSIONE. L’idea di giustizia comprende
le eguaglianze ari¬ stoteliche, e il carattere imperativo e di necessità
rilevati dallo Stuart Mill; ma perchè sia ben compresa ha bisogno
di essere guardata in rapporto alla solidarietà morale, dalla quale
l’eguaglianza in cui consiste deve attingere la norma. Se la giustizia si
fa derivare dall’utilità sociale, se ne assegna una derivazione che può
spesso esser falsa, (p. es. la necessità che taluno muoia pel popolo); e
se si oppongono la giustizia e la carità, si crea una scissura
nell’ordine morale, che toglie alla giustizia quel caldo sen¬ timento di
simpatia che deve renderla operosa , e si fa della carità qualche cosa
che va oltre il dovere, e che può essere anche ingiusta e nociva. Se
della giustizia si fa invece la sintesi, soggettiva e oggettiva, come
virtù e come norma, della libertà e della solidarietà, essa non solo
oltre¬ passa la sfera del diritto, ma appare come la sintesi su¬
periore della moralità, come progressiva nella ragione Digitized by
Google — 167 — stessa dei suoi due
fondamenti. Che siano progressive la libertà e la solidarietà è fatto
indubitabile della storia umana; la prima tende a ricomprendere tutti gli
uomini in un rapporto d’eguaglianza dal punto di vista morale; e la
seconda da questo stesso punto di vista, che è quello del valore di fine
che ogni persona morale ha in sè, tende ad estendersi dalle opere alla
persona come tale, a con¬ servarla, a promuoverla, anche quando soggiace
all’avversa fortuna e al dolore. Noi concepiamo la giustizia
come la forma dell’ unità della libertà e della solidarietà già raggiunta
dalla co¬ scienza morale; cioè come il giudizio della
proporzionalità degli utili agli sforzi, e della loro migliore
ripartizione tra gli sforzi individuali e i sociali, posto un minimum
di utilità spettante a ciascuno in forza del valore di fine che ha
la persona morale, e della solidarietà che stringe gli uomini tra
loro. A chiarire questo concetto gioverà vederne T applicazione
ad uno dei problemi più gravi del tempo nostro, quello relativo
alla migliore distribuzione della ricchezza, che ha preso il nome
di giustizia sociale. Il Fouillée indica tre teorie intorno ad essa,
la individualistica degli economisti smithiani, la collettivista ed egua¬
litaria del socialismo , l’idealistica che cerca di con temperare i
diritti deirindividuo e quelli della società. La teoria economica
considera troppo il lavoro come merce, e i lavoratori come cose o come
macchine di produzione. Ma dal punto di vista sociale e morale il lavoro
rappresenta le energie accumulate di esseri viventi, sensibili e
consapevoli , tra i quali ci è necessariamente la solidarietà che deriva
dal fine comune e dal lavoro comune. Di più questi esseri e queste
energie sono parte della società, e questa è una solidarietà più vasta
che ab¬ braccia come abbiamo visto tutte le energie dello spirito.
Nella prima metà del secolo passato T individualismo economico ebbe
libero corso, e la merce lavoro fu considerata a parte dalla per¬
sonalità del lavoratore, e dalla solidarietà sociale. Il lavoro fu
sfruttato prevalendosi della concorrenza dei lavoratori, e fu sfrut¬ tato
di più quello pagato meno, il lavoro delie donne e dei fan¬ ciulli; cosi
Tingiustizia più aperta fu legge. La sorte dei lavora- Digitized
by Google — 168 — tori fu
abbandonata al meccanismo della concorrenza, alle leggi che si dissero
naturali, e la società si disinteressò della protezione dei deboli.
Pareva che pei seguaci di questa scuola la ricchezza tosse tutto, l'uomo
nulla. La legge di Malthus e il darwinismo biologico fecero il resto
sottomettendo la persona umana alla concorrenza vitale, ed elevando la
voluta giustizia della natura a giustizia sociale. Della solidarietà
sociale non si davano nessun pensiero. Ma una società di esseri morali
non ci è solo per la produzione della ricchezza, e 1’ uomo è qualche cosa
di più che un accumulatore di capitale. La società umana sussiste per
rea¬ lizzare l’ideale umano; P idea di giustizia è umana, e non può
quindi prendersene il modello dalla natura, perchè essa non esiste nel
senso morale se non è fondata sulla solidarietà. Anche Peconomia
collettivista inculca una giustizia che non è quella dello spirito, ma
quella della natura. Facendo della lotta di classe una necessità sociale,
e del trionfo della classe più nu¬ merosa e [più forte l'esito necessario
di quella,cangia i termini della lotta economica, non la natura; la lotta
di classe non è meno brutale della concorrenza, ed è pari o maggiore il
disdegno delle ideologie nei collettivisti e negli economisti smithiani.
Se non che 1 primi non tengono conto che del solo lavoro materiale
nella produzione , e non badano che non ci è giustizia senza
libertà* Invece la parte del fattore sociale nella ricchezza, e
specialmente quella dovuta all'addizione di esso nel tempo è così grande,
che mal si potrebbe confonderla con quella che vi ha il lavoro
mate¬ riale in un'epoca determinata. Basta riflettere all’importanza
capi¬ tale che hanno le scoperte scientifiche in generale e le tecniche
in particolare nella produzione della ricchezza, per persuadersi
che la parte della mano d'opera è assai minore di quella che il
col¬ lettivismo afferma. Questa parte sociale, ovvero buona parte di
essa è dovuta all’iniziativa individuale, alla forza individuale di
lavoro, e non sarebbe giusto di togliere ad esse quello che senza di esse
non sussisterebbe, e sopprimere lo stimolo che le fa ope¬ rare togliendo
loro quello che producono. Anche solo nella pro¬ duzione della ricchezza
non si può giustamente sopprimere V alea a cui la potenza di lavoro
individuale va incontro con una speciale costituzione sociale. Poiché è
impossibile sopprimere le disugua¬ glianze naturali, come la forza fisica
e morale, la bellezza, il va¬ lore, il genio, così non si può prescindere
dalla potenza individuale di lavoro, perchè il prescinderne è contro la
giustizia distributiva, contro la libertà, e quindi contro il bene
sociale. L'idea di giu- Digitized by Google —
169 — stizia è la sintesi della libertà e della solidarietà e solo
quella forma di essa è vera, che non ripudia l’una per 1’ altra. Non
si può negare airindividuo la proprietà di quella parte di
ricchezza, che esso ha prodotto, più di quello che si possa negare a un
po¬ polo la proprietà del territorio sul quale si esercitò per secoli
il suo lavoro trasformatore e creatore. Sotto questo rispetto la
ne¬ gazione della proprietà individuale non sarebbe ingiustizia
minore dì quella di negare al popolo italiano o francese la
proprietà del territorio della patria in nome del diritto dei selvaggi
bru¬ ciati dal sole tropicale, o di quelli agghiacciati dai geli
delle regioni circum-polari. La giustizia, che accorda la
libertà e la solidarietà, considera il lavoro come una forza propria di
un essere personale, che deve essere padrone di se stesso. Quindi essa
riconosce la libertà di associazione e di resistenza dei lavoratori,
riconosce ad essi il diritto di trasportare dovunque la loro forza di
lavoro, ed evita che la libertà del lavoro sia manomessa con la schiavitù
forzata del lavoratore, qualunque forma questa possa assumere.
D’altra parte rassicurazione dagl’ infortunii, il riposo festivo, le ore
di lavoro, il divieto del lavoro notturno, la disciplina del lavoro
delle donne e dei fanciulli, e il riconoscimento infine del diritto al
lavoro , sono tutti atti di giustiziaci quali sostituiscono la carità
indeterminata e di pura coscienza che prima vigeva. È in forza del
principio della solidarietà che la società deve oggi far profittare anche
gli esclusi e i diseredati, dei beni stret¬ tamente necessarii alla
sussistenza, e di quelli che sono inesau¬ ribili dall'uso/come i beni
superiori dello spirito, la cultura. 1’ arte, la religione, È in forza
dello stesso principio che la so¬ cietà deve evitare che il profitto
individuale danneggi il sociale in rapporto al futuro. La società deve
conservare alle generazioni che verranno i beneficii del passato, come la
potenza di lavoro e la sanità della razza, cosi dal punto di vista fisico
che dal mo¬ rale. E rispetto al presente, il regolamento del lavoro non
può essere più quello di una volta, quando il lavoratore animato
es¬ sendo la sola fonte del lavoro , e l’utensile un semplice
organo aggiuntivo dell’individuo, tutti i rapporti del contratto di
lavoro potevano essere abbandonati al regolamento privato. Oggi il
la’ voro è collettivo, l’utensile si è trasformato in macchina, e
la forza di lavoro umana è diventata un accessorio della forza na¬
turale e meccanica resa dalla scienza strumento dei fini umani.
Digitized by LjOoq le - 170 — Il grande lavoro
è oggi, pel numero e per la qualità, un* opera sociale, e vuole quindi un
regolamento sociale. Se si considerano gli stadii dello sviluppo
etico-sociale, il primo è rappresentato da una giustizia nella quale
prepondera l’elemento della solidarietà, quindi la libertà individuale o
non esiste, o è in tutti i modi limitata dalla regola sociale. Diventati
sempre più complicati e più numerosi i rapporti sociali, si va
necessa¬ riamente all* individualismo, e la giustizia s* identifica con
la libertà individuale. Nel terzo stadio, il grado di massima com¬
plicazione dei rapporti esige il loro regolamento sociale; ma questo non
deve dimenticare gl' interessi connessi con la libertà, e che non sono
più individuali che sociali. La giustizia, in questo terzo stadio, è il
contemperamento della libertà con la solidarietà, che è anche il suo
ideale. Filippo
Masci. Masci. Keywords: implicatura, critica della critica, criticismo,
neo-criticismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masci” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688334027/in/photolist-2mPYm4t-2mKw3hq-2mNaqUA-2mPrdWj-2mKwdUT
Grice e
Masi – i peripatetici – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze).
Filosofo. Grice: “Unlike Masi, I don’t think ontology has reached its end – il
fine dell’ontologia” – Grice: “Masi has elaborated on the power of reason not
from an Ariskantian perspective but from a Plathegelian one! – Masi: “Il potere
della ragione: Eraclito, Platone, Hegel.” -- Grice: “It’s amazing Masi was implicating the
same things as I was on S izz P and P hazz S; he even managed a coinage, ‘uni-equivocity’
– I love it!”. Figlio di Enrico Masi, generale dell'Esercito Italiano, e Leda
Nutini. Ha compiuto i suoi studi a Bologna, conseguendo la maturità classica
presso il liceo statale L. Galvani. Iscrittosi a Bologna, vi si laureò con lode
con una tesi sul diritto di famiglia
negli Statuti Bolognesi. Assolse agli obblighi di leva e fu trattenuto alle
armi in base alle disposizioni di emergenza del periodo. Congedato, riprese gli
studi di filosofia a Bologna, dove conseguì la laurea con lode, discutendo co
Battaglia la tesi, “Individuo, società, famiglia in Rosmini”. La tesi gli valse
l'ammissione, con borsa di studio a Milano. Dopo il primo anno, fu richiamato
alle armi nel periodo bellico. Ottenuto il congedo definitivo, insegna
filosofia a Bologna. Participa ai principali convegni e congressi, come quelli
del Centro Studi Filosofici di Gallarate, come attesta la sua collaborazione
alla Enciclopedia filosofica quel Centro. Dona su collezione alla Pinacoteca
comunale di Pieve di Cento. L'interesse storiografico che muove Masi alla ricostruzione di Kierkegaard da un
profondo e originale impegno teoretico, volto ad approfondire il concetto
metafisico di "analogia", cui il discorso di Kierkegaard, come l'A.
si propone di illustrare nel suo saggio, risulta fortemente legato. Sotto un
profilo strettamente storiografico, il Masi approda, attraverso un'attenta
rilettura delle "opere edificanti" di Kierkegaard, ad un'interpretazione
che ridimensiona questo pensatore, scoraggiando molti luoghi comuni della
critica.." (A. Baboline). "Nel
linguaggio filosofico contemporaneo l'aggettivo "platonico", riferito
a una qualsiasi entità, vuole denotare l'immobilità a-storica, il suo permanere
in un'assoluta identità con sé medesima al di sopra delle alterne vicende del
divenire. Ciò deriva da una tradizione ermeneutica del platonismo. Uno degli
aspetti più rilevanti del volume di Masi risiede appunto nello sforzo operato a
de-mitizzare una tale ermeneutica... questa ricerca del Masi costituisce un
lucido esempio di come oggi una filosofia, che si presenta spiritualistica e
umanistica, sappia ripiegarsi a cogliere con consapevolezza trasparente e
spregiudicata, le proprie radici alle fonti più vive della tradizione culturale
dell'Occidente" (A. Babolin).
"Le zitelle è un libro divertente, curioso, strano. Il pregio
maggiore di questo libro è di essere tutto su di uno stesso tema musicale.” Saggi:“Esistenza”
(Bologna); “La verità” (Bologna); “La libertà,” Bologna, “Metafisica,” Milano,
“La fine dell'ontologia,” Milano, “Disperazione e speranza. Saggio sulle categorie
kierkegaardiane” (Padova, “Il potere della ragione,” Padova, “Il problema aristotelico,” Bologna,
“L'esistenzialismo,” “Grande antologia filosofica. Il pensiero contemporaneo,” Milano
“Il pensiero ellenistico,” Bologna, “L'uni-equivocità dell'essere in Aristotele
(Genova: Casa Editrice) – cf. Grice, “Aristotle on the multiplicity of being”
-- Tilgher “Lo spiritualismo” antico. Il pensiero religioso egiziano classico,
Bologna: Clueb, “Lo spiritualismo ellenistico.” La grande svolta del pensiero
occidentale, Bologna: Clueb, Lo spiritualismo dalle origini a Calcedonia,
Bologna: Clueb Origène o della riconciliazione universal, Bologna, “Lo
spiritualismo Dalle Upanishad al Buddha, Bologna: Clueb Lo spirito magico.
Saggi sul pensiero primitivo, Bologna: Clueb, Studi sul pensiero antico e
dintorni, Bologna L'idea barocca. Lezioni sul pensiero del Seicento, Bologna:
Clueb, Il concetto di cultura, Bologna:
Clueb, Commento al Timeo” (Bologna: Clueb); “Dell'eternità, e altri argomenti,’
Bologna: Clueb); “Penombre,” Torino: Casa Editrice A.B.C. S), “L'esile ombra, Torino:
Casa Editrice A.B.C. Le zitelle, Milano: Todariana Editrice, Il cane cinese, Roma:
Vincenzo Lo Faro Editore Il gatto siamese, Roma: Vincenzo Lo Faro Editore. Il figlio
dell'ufficiale, Marta, L'ultima estate, Firenze: Firenze Libri “La carriera di
un libertino,”La dea bambina, Firenze: Firenze “Oltre le dune,” Firenze:
Firenze Libri Le donne, Roma: Gabrieli); L'ignoto. Il sogno, Firenze: L'Autore Libri, Tra le quinte del
liceo. L'orologio a Pendolo, Firenze: L'Autore Libri, Il palloncino rosso e
altri racconti, Firenze: L'Autore Libri, La partenza, Firenze: L'Autore Libri
Il sogno, Roma: Gabrieli Angelina e altri racconti, Firenze: L'Autore Libri La
croce di Sant'Elpidio. Il cane cinese, Firenze Il lupo di Sestola, Firenze:
L'Autore; Apollo e Dafne, Padova: L'Edicola Le stagioni e i giorni, Padova:
L'Edicola, La tomba d'erba, Padova: L'Edicola Maremma tu, Milano: Todariana
Editrice. Premio Montediana di poesia, A. Babolin, rec. a Disperazione e
speranza, in "Riv. di Fil. Neosc.", A. Babolin, rec. a il potere della ragione, in:
"Riv. di Fil. Neosc.", F. Tombari, rec. a Le zitelle, Milano:
Todariana Editrice Nunzio Incardona. Giuseppe
Masi --. Keywords uni-equivociat dell’essere in Aristotele. Giuseppe Masi. Masi.
Keywords: i peripatetici, la carriera di un libertino. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Masi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744527477/in/datetaken/
Grice e
Massarenti – stramaledettamente implicaturale – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Eboli). Filosofo. Grice:
“His dictionary of non-common ideas I would give to Austin on his birthday; he
would hate it! He was all for common lingo!” -- “I like Massarenti: he can be
provocative. I like his study on what he calls a ‘neologissimo’ – and the idea
of the pocket-philosopher! I know I’m one! On the other hand, he has written on
‘la buona logica,’ but isn’t ‘logica’ already a value-paradeigmatic expression?
His study on god-damn logic is good – since that’s what I do, with my theory of
implicature. To say, “My wife is in the kitchen or the bedroom” when I know
where she is – and thus when I have truth-functional grounds to utter the
stronger disjunct, it’s still goddamn logic – I haven’t lied! True but misleading
– aka god-dman logic!” Responsabile del supplemento culturale Il Sole-24
Ore-Domenica, dove si occupa di storia e filosofia della scienza, filosofia
morale e politica, etica applicata, e dove tiene la rubrica Filosofia minima. Armando Massarenti vive a Milano, dove
dirige il supplemento culturale Domenica de Il Sole 24 Ore. Scrive L'etica da
applicare. Redatta il Manifesto di bioetica laica, che ha suscitato un vasto
dibattito. È stato membro dell'Osservatorio di Bioetica della Fondazione
Einaudi di Roma e dal fa parte del Comitato
etico della Fondazione Veronesi, presieduto da Giuliano Amato. Direttore della
rivista Etica ed economia (Nemetria). Cura e introduce diversi volumi di
argomento filosofico-scientifico, come “L'ingranaggio della libertà” (Liberi libri,
Macerata), la “Storia dell'astronomia” di Leopardi (Vita Felice, Milano), “Rifare
la filosofia di Dewey” (Donzelli, Roma).
Per Feltrinelli cura e introduce “Laicismo indiano” (Milano), una
raccolta di saggi di Sen. Cura il numero
monografico della Rivista di Estetica dedicato al dibattito su analitici e
continentali e, con Possenti, “Nichilismo, relativismo, verità. Un dibattito
(Rubbettino, Soveria Mannelli). Cura la collana I Grandi Filosofi (trenta
volumi sui protagonisti della storia del pensiero, da Socrate a Wittgenstein,
per i quali anche scrive le prefazioni, confluite ne Il filosofo tascabile. In
corso di pubblicazione una serie analoga dedicata ai grandi della scienza.
Scrive “Il lancio del nano e altri esercizi di filosofia minima” per il quale
gli sono stati conferiti il Premio Filosofico Castiglioncello e il premio di saggistica "Città delle
Rose. "Il lancio del nano” è anche oggetto di un esperimento didattico,
promosso dalla Società Filosofica Italiana attraverso il quale viene proposto
un metodo di motivare allo studio della filosofia e alla capacità di
argomentare in proprio. Dal saggio è stato tratto anche uno spettacolo
teatrale, per la regia di C. Longhi prodotto da Mimesis). Cura “Bi(bli)oetica.
Istruzioni per l'uso (Einaudi), un dizionario di bio-etica sui generis, dal
quale il regista L.Ronconi ha tratto l'omonimo spettacolo teatrale andato in
scena a Torino, per il progetto Domani delle Olimpiadi. Scrive Staminalia. le
cellule etiche e i nemici della ricerca, una ricostruzione del dibattito etico
e scientifico sulla ricerca sulle staminali. Scrive Il filosofo tascabile. Dai
presocratici a Wittgenstein. 44 ritratti per una storia del pensiero in
miniatura. In contemporanea è uscito “Stramaledettamente logico. Esercizi
filosofici su pellicola (Laterza, Roma-Bari) una raccolta di saggi su cinema e
filosofia (di Roberto Casati, Achille Varzi) di cui ha scritto introduzione e
saggio conclusivo. Insegna a Bologna, Lugano, Siena, Milano. Dirige per Mondadori
la collana "Scienza e filosofia".
Fa parte delle giurie di due premi per la divulgazione scientifica: il
Premio Giovanni Maria Pace, promosso dalla SISSA di Trieste, il Premio
letterario Galileo per la divulgazione scientifica, legato al Campiello
(Padova), e il premio Serono. È stato anche nella giuria del Premio del Giovedì
"Marisa Rusconi", conferito ogni anno a Milano a un romanzo italiano
opera prima. Ha vinto diversi premi: il Premio Dondi per la Storia della Scienza,
delle tecniche e dell'Industria (Padova); n il Premio Voltolino per la
divulgazione scientifica (Pisa); il Premio Mente e Cervello (Torino); il premio
Capri, il premio Argil e il premio Capalbio; il Premio Città di Como. Altri
saggi: “L'etica da applicare: una morale per prendere decisioni,” Milano, Il
Sole-24 Ore libri, “Il lancio del nano” -- e altri esercizi di “filosofia minima,”
Parma, Guanda); “Staminalia. “Le cellule” etiche e i nemici della ricerca,
Parma, Guanda, “Il filosofo tascabile” “dai
presocratici a Wittgenstein”“ritratti per una storia del pensiero in
miniatura,” Parma, Guanda, “Dizionario delle idee non comuni,”Parma, Guanda,.“Filosofia,
sapere di non sapere: le domande che hanno caratterizzato lo sviluppo del
pensiero” Firenze, Anna.“Perché pagare le tangenti è razionale ma non vi
conviene” e altri saggi di etica politica, Parma, Guanda,.“Istruzioni per
rendersi felici.”“Come il pensiero antico salverà gli spiriti moderni, Milano,
Guanda,.“La buona logica.” Imparare a pensare, Milano, Cortina, “Metti l'amore
sopra ogni cosa: una filosofia per stare bene con gl’altri” Milano, Mondadori, Treccani
Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana su italia libri.net. tangenti
e moralità, su filosofia rai. Armando Massarenti. Massarenti. Keywords:
stramaledettamente logico, stramaledettamente implicaturale --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Massarenti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745577163/in/dateposted-public/
Grice e Massari – filosofia
italiana – l’implicatura logistica di Petrarca e Boccaccio -- Luigi Speranza (Seminara). Filosofo. Bernardo
Massari -- calabro -- Barlaam: -- Grice: “Should it be under B – Barlam, under
Seminara, like Occam?” Barlaam Calabro –
di Calabria – Scrive di aritmetica, musica e acustica. E uno dei più convinti
fautori della riunificazione fra le Chiese d'oriente e occidente. È considerato
insieme ai suoi due allievi Leonzio Pilato e Boccaccio uno dei padri
dell'Umanesimo. Studia in Galatro, Calabria. Pare che il suo successo come
filosofo (un suo trattato sull'etica degli stoici è preservato) e ragione di
gelosia da parte di N. Gregorio. Nell'ambito delle trattative per la ri-unificazione
tra le due Chiese di Oriente e di Occidente, a lui venne affidata la difesa
delle ragioni greche; in tale occasione sviluppa le sue critiche verso
l'esicasmo e a sottolineare la differenza di valore tra la teologia scolastica
e la contemplazione mistica. E protagonista di una violenta polemica contro i
metodi ascetici e mistici di alcuni monaci dell'Athos e del loro sostenitore G.
Palamas. Il dibattito divenne sempre più acceso fino a culminare in un concilio
generale alla fine del quale venne costretto a sospendere ogni futuro attacco
verso l'esicasmo. Epigrafe a Gerace, tutore di Petrarca e Boccaccio, inviato
dall'imperatore Andronico III Paleologo in missione diplomatica a Napoli,
Avignone e Parigi per sollecitare le corti europee ad una crociata contro i turchi.
In quell'occasione costrue delle relazioni e una rete di amicizie su cui puo
fare conto quando, in seguito alla decisione conciliare, decise di aderire alla
Chiesa d'Occidente. Ad Avignone conosce Petrarca, a cui iniziò ad insegna il
greco. Petrarca si adoperò per fargli assegnare la diocesi di Gerace, così e nominato
vescovo di Clemente. La bolla relativa alla sua elezione al vescovato di Gerace
riporta, Monachus monasteri Sancti Heliae de Capasino Ordinis Sancti Basilii
Militensis Diocesis, in sacerdotio constitutum. Tutore di Petrarca e Boccaccio
che da un importante contributo, attraverso la riscoperta dei testi antichi,
anche a tutto ciò che non molto tempo dopo svilupa il movimento umanista. È
proprio Manetti il primo a menzionarlo nella sua biografia del Petrarca. Venne
inviato in missione diplomatica da Clemente in un rinnovato tentativo
ecumenico. Data la grande influenza di Palamas il tentativo, ancora una volta,
si risolse in un insuccesso. Fa ritorno ad Avignone dove muore. Saggi: Si
occupa anche di matematica lasciandoci una “Logistica” in cui spiega le regole
di calcolo con interi, frazioni generiche e frazioni sessagesimali. D. Mandaglio,
Barlaam Calabro: una vocazione unionista. C. Nanni Editore (Maggio). Salvatore
Impellizzeri, Calabro, Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani. Silvio Giuseppe Mercati, Calabro,
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ratisbona. Simone
Atomano. Barlaam Calabro di Seminara. BARLAAM Calabro. - Nacque a
Seminara (Reggio di Calabria) sul finire del sec. XIII, probabilmente verso il
1290. Il nome Barlaam par che sia quello assunto in religione, ma non è
documentato che il nome di battesimo fosse Bernardo, come si ripete sulle orme
dell'Ughelli (Italia Sacra, IX, p. 395). Mancano notizie sulla sua formazione
spirituale e culturale e sulla sua attività in Italia fino al suo passaggio a
Bisanzio. La bolla di Clemente VI (Reg.Vat. 152, f. 161 v, ep. 72), che lo
elevò al seggio episcopale di Gerace, ci informa soltanto che B. si preparò al
monacato e al sacerdozio nel monastero basiliano di Sant'Elia di Capasino
(Gàlatro), nella diocesi di Mileto. Certo è ormai, dopo gli studi recenti
(Schirò, Jugie, Giannelli), che B. nacque e fu educato nella fede dissidente
della Chiesa di Costantinopoli, cui molti continuavano ad aderire nell'Italia
meridionale di quell'età, nonostante l'unione alla Chiesa cattolica proclamata
dal concilio di Bari del 1098. È B. stesso a dirlo in uno degli opuscoli contro
la processione dello Spirito Santo a Patre Filioque (punto fondamentale di
dissenso tra le due Chiese: gli ortodossi credono che lo Spirito Santo proceda
e Patre solo): "Tale è la mia fede e la mia religione riguardo alla
Trinità, fede nella quale io fui allevato fin dall'infanzia e nella quale sono
vissuto sin qui" (cod. Parisinus graecus 1218, sec. XV, f. 506 v).
Problematica è invece la ricostruzione della sua formazione culturale. Appare
infatti evidente che le conoscenze del monaco calabrese, le quali non si
limitano a filosofi greci, quali Platone e Aristotele, ma si mostrano invece
profonde anche riguardo al pensiero di Tommaso d'Aquino e agli ultimi sviluppi
nominalistici della Scolastica occidentale, esorbitano dalla tradizione
culturale dei monasteri italo-greci di Calabria e presuppongono contatti più o
meno prolungati di B. con scuole filosofiche e teologiche dell'Italia
meridionale e centrale. Verso il 1328, quando il potere imperiale passò
da Andronico II ad Andronico III, troviamo B. a Costantinopoli, dove egli era
giunto dopo essersi trattenuto prima ad Arta, in Etolia, e a Tessalonica. Nella
capitale bizantina incontrò il favore della corte: vi dominava allora Anna di
Savoia, figlia di Amedeo V, sposata nel 1326 ad Andronico III, favorevole ai
Latini e all'unione delle Chiese. Presto ottenne larga fama di dotto e di
filosofo e divenne abate (igumeno) di uno dei più importanti conventi, quello
di S. Salvatore. Si diffondevano a Bisanzio i suoi scritti di logica e di
astronomia e il gran domestico Giovanni Cantacuzeno gli affidava una cattedra
nell'università della capitale. Ma la sua fama crescente doveva presto urtarsi
contro il tradizionale nazionalismo latinofobo dei Bizantini. Il primo scontro
avvenne col più cospicuo rappresentante dell'umanesimo bizantino, Niceforo
Gregoras, che teneva cattedra nel monastero di Cora. In una sfida accademica,
che dovette aver luogo verso il 1331, i due dotti più in vista della capitale
si trovarono di fronte a discuteresui campi più vari dello scibile, astronomia,
grammatica, retorica, poetica, fisica, dialettica, logica. Di questa tenzone
noi sappiamo soltanto attraverso un libello del Gregoras 02,OpiVrLO9 ~ 7rEpì
GOCPL'2q (edito da A. Jahn, in Archiv für Philologie und Pddagogik,
Supplementband, X [18441, pp. 485536). Il libello, una specie di dialogo mitico
di imitazione platonica, o meglio lucianea, naturalmente tendenzioso, asserisce
che l'agone si concluse con la completa sconfitta del dotto calabrese, che
dimostrò di avere soltanto qualche conoscenza di fisica e di dialettica
aristotelica e una certa superficiale infarinatura di logica. Ma nella persona
di B., Niceforo Gregoras vuol mettere in ridicolo tutta la scienza occidentale
limitata a poche nozioni aristoteliche e del tutto ignara di matematica, fisica
e astronomia, scienze in grande onore allora a Bisanzio. Secondo il Gregoras,
inoltre, in seguito a questa sconfitta, B. avrebbe abbandonato Costantinopoli
per rifugiarsi a Tessalonica. Par più probabile invece che egli facesse la
spola tra i due massimi centri culturali dell'impero. A Tessalonica comunque il
suo insegnamento continuava con successo e tra i suoi allievi si contavano
personalità di spicco come Gregorio Acindino, Nilo Cavasila, Demetrio
Cidone. Ma nemmeno presso la corte e gli ambienti ecclesiastici della
capitale il prestigio di B. dovette subire un offuscamento, se proprio lui fu
scelto dal patriarca Giovanni Caleca, come portavoce della Chiesa ortodossa,
quando giunsero a Bisanzio, al principio del 1334, i due domenicani Francesco
da Camerino, arcivescovo di Vosprum (Ker~-'), e Riccardo, vescovo di Cherson,
incaricati dal papa Giovanni XXII di rimuovere gli ostacoli dottrinali che si
frapponevano alla riconciliazione delle Chiese. La discussione tra i
prelati latini e il monaco calabrese si svolse ad un alto livello
teologico-filosofico. B. cercava di abbattere la barriera dogmatica della
processione dello Spirito Santo ricorrendo a un tipico argomento nominalistico:
egli si opponeva alla pretesa di poter conoscere Dio e di poter dimostrare
apoditticamente le cose divine. Ora, se Dio èinconoscibile, che valore potevano
avere discussioni sulla processione dello Spirito Santo basate sui sillogismi
apodittici? Sia i Latini, sia i Greci, quindi, in questioni di questo genere
non potevano rifarsi che ai Padri della Chiesa, la cui fonte di scienza è la
rivelazione e l'illuminazione divina. Ma poiché i Padri non sono
sufficientemente espliciti riguardo alla processione dello Spirito Santo, non
restava che assegnare alle divergenti dottrine un posto nelle opinioni
teologiche particolari, senza fame un ostacolo per l'unione. La posizione
di B. è in netto contrasto col realismo di s. Tommaso, assunto quale
atteggiamento ufficiale dalla teologia cattolica: essa si inserisce chiaramente
nel movimento volontaristico contemporaneo a B., che ebbe i suoi maggiori
rappresentanti in Duns Scoto e in Guglielmo d'Occam, teso a porre un netto
confine di separazione tra i campi della ragione e della fede. Non è un caso
che B. avesse consacrato il suo insegnamento universitario dalla cattedra di
Costantinopoli all'esegesi dello Pseudo-Dionigi l'Areopagita, il rappresentante
più coerente della dottrina "apofatica", della inconoscibilità, cioè,
del divino, la cui autorità era riconosciuta in Oriente e in Occidente.
Le trattative non approdarono a nulla: le tesi di B. difficilmente potevano
essere accettate dai legati latini, esponenti dell'ordine stesso cui
apparteneva anche s. Tommaso e inviati dal papa Giovanni XXII, che, elevando
agli onori dell'altare Tommaso, aveva fatto propria della Chiesa di Roma la sua
dottrina. Ma l'agnosticismo nominalistico di B. doveva anche urtare le
concezioni mistiche bizantine, rappresentate allora specialmente dal
monachesimo atonita. A campione di tale misticismo si ergeva Gregorio Palamas,
un monaco dell'Athos, che aveva già scritto due Discorsi apodittici contro la processione
dello Spirito Santo Filioque. Egli attaccava il metodo di discussione tenuto
dal calabrese dinanzi ai legati latini, dichiarando perfettamente dimostrabile
la posizione ortodossa in virtù della grazia illuminante che al cristiano
discende dall'incamazione, per cui la conoscenza soprannaturale è eminentemente
reale, più di qualunque conoscenza filosofica. Intanto B. veniva a
conoscenza delle pratiche mistiche dei monaci atoniti, che si isolavano per
abbandonarsi ad una quiete contemplativa Tali pratiche consistevano nel
ripetere indefinitamente la preghiera: "Signore Gesù Cristo, figlio di
Dio, abbi pietà di me!", trattenendo il fiato, col mento appoggiato al
petto e guardando l'ombelico, fino a raggiungere la visione corporea della luce
divina vista dagli Apostoli sul Tabor, nel giorno della trasfigurazione. Questa
concezione psico-fisica della divinità e, soprattutto, il metodo di preghiera
degli esicasti (così si chiamavano i seguaci di tal metodo) provocarono gli
attacchi ironici di B., che vedeva nell'esicasmo una grossolana superstizione,
i cui seguaci designò con lo sprezzante appellativo di ??? (umbilicanimi). Ma
la controversia ben presto si allargò sul piano filosofico-teologico. B.,
coerentemente alla sua formazione nominalistica, non poteva ammettere
contaminazione tra il divino e l'umano, tra l'etemo e il temporale. La luce del
Tabor, per esser vista nell'ascesi, dovrebbe essere etema e coincidere con la
divinità stessa, che sola è eterna e immutabile. Ma poiché la divinità è
invisibile, invisibile è anche la luce taborica. Gregorio Palamas oppose una
sottile dottrina emanazionistica di derivazione neoplatonica, che distingueva
una sostanza divina trascendente (oùaía) e delle energie divine (gvp-'pyztcxt o
Suváp.rLq), operazioni eterne di Dio, che per esse agisce nel mondo degli
uomini. E appunto la luce taborica visibile agli asceti, come l'amore, la
sapienza e la grazia di Dio, è una energia divina operante come intermediaria
tra Dio e gli uomini, un ponte tra l'etemo e il transeunte. Tra le due
opposte tesi non poteva essere accordo. La controversia filosoficoteologica
ebbe anche implicazioni politiche, come sempre avveniva a Bisanzio. B. allora
mosse accusa di eresia contro il Palamas dinanzi al patriarca Giovanni Caleca,
presentando il suo scritto Kwrà MoccrcrocXtocvCùv (Contro i Massaliani) in cui
la dottrina del Palamas veniva assimilata a precedenti eresie. Il Palamas
riuscì a ottenere una dichiarazione, favorevole alla fede esicasta,
sottoscritta dai monaci più importanti dell'Athos ('0 &ytopsvrtxòq
-ró[Log), mentre il patriarcato e il governo imperiale, pur non favorevoli al
palamismo, preoccupati com'erano di mantenere la pace religiosa tra i pericoli
incombenti dall'estemo, desideravano evitare una controversia dogmatica e cercavano
di far giungere le due opposte parti a una conciliazione. Si giunse così alla
riunione di un concilio in Santa Sofia, il 10 giugno 1341, presieduto
dall'imperatore Andronico III in persona. La sera dello stesso giorno il
concilio si chiudeva con un discorso dell'imperatore che celebrava la
riconciliazione generale. Ma in realtà fu il Palamas a trionfare: la dottrina
di B. venne formalmente condannata e il monaco calabrese dovette fare pubblica
ammenda agli esicasti e promettere di non dar loro più molestia. Il patriarca
pubblicava un'encicláca con cui condannava "ciò che il monaco B. aveva
detto contro i santi esicasti" e imponeva a tutti gli abitanti di
Costantinopoli e delle altre città di consegnare alle autorità gli scritti di
B. perché fossero pubblicamente distrutti. Questa scottante umiliazione e la
morte di Andronico III, avvenuta subito dopo, il 15 giugno 1341, indussero B. a
lasciare Costantinopoli e a ritornare in Occidente. A tal decisione forse
non erano state estranee le impressioni riportate nel viaggio in Occidente,
fatto nel 1339, e le conoscenze che aveva avuto occasione di fare (forse aveva
conosciuto anche il Petrarca). Nel vivo della lotta esicasta, B. era stato
richiamato da Andronico III, da Tessalonica, per un'importante missione diplomatica.
Urgeva che l'Occidente facesse una spedizione per allontanare da Costantinopoli
l'avanzata dei Turchi ottomani. Pare che allora B. avesse preparato un nuovo
progetto di unione, che aveva sottoposto al sinodo di Costantinopoli, in cui
ribadiva le posizioni teologiche che aveva sostenuto cinque anni prima, nelle
discussioni coi legati latini del papa. Il progetto non dovette soddisfare il
sinodo e d'altra parte un senso realistico della situazione politica doveva
consigliare di evitare lunghe quanto inutili dispute teologiche. B.
accompagnato da un esperto militare, il veneziano Stefano Dandolo, si era
recato presso Roberto d'Angiò e Filippo VI di Valois per chiedere aiuti
militari dal Regno di Napoli e dalla Francia, e infine presso la Curia di Avignone
per ottenere il consenso papale alla crociata. Al papa aveva presentato dei
memoriali in cui, facendo presenti i pericoli che sovrastavano alla cristianità
tutta per l'incombenza della minaccia turca, chiedeva che i Latini, mettendo da
parte i tradizionali odi, mandassero subito aiuti in Oriente per la guerra
contro gli infedeli; dopo, ottenuta la vittoria, si sarebbe riunito un concilio
ecumenico che avrebbe trattato dell'unione. La missione di B. era fallita sia
perché il papa pretendeva la realizzazione dell'unione prima di affrontare uno
sforzo militare, sia perché le condizioni politiche dell'Occidente (relazioni
tese tra Filippo VI ed Edoardo III d'Inghilterra) difficilmente avrebbero
permesso l'organizzazione di una crociata. B. tornò in Calabria nel
luglio 1341 e prosegui il suo viaggio fino a Napoli, dove aiutò, per la parte
greca, l'umanista Paolo da Perugia nella compilazione della sua opera sulla
mitologia dei pagani (Collectiones) e nell'ordinamento dei manoscritti greci
della libreria angioina, che era in rapida espansione. Poi, nell'agosto, passò
alla Curia avignonese, dove a Benedetto XII era successo Clemente VI, e vi
restò fino al novembre del 1342. In questo periodo egli si legò di amicizia col
Petrarca, a cui insegnò i primi rudimenti di greco, da lui acquistando
familiarità con la lingua latina, nella quale, per la sua educazione
prevalentemente greca e per la lunga dimora in Oriente, provava difficoltà ad
esprimersi (Petrarca, Famil., I. XVIII, ep. 2). Allora passò anche alla fede
cattolica e fu utilizzato dalla Curia per un insegnamento di greco, fino a che,
pare per intercessione del Petrarca, non fu elevato al seggio episcopale di
Gerace e consacrato dal cardinal Bertrando del Poggetto, il 2 ott. 1342. Oscuri
e duri furono gli anni dell'episcopato nella piccola diocesi calabrese a causa
di aspre dispute con la curia metropolitana di Reggio. Ma nel 1346 gli
veniva affidata la sua ultima missione diplomatica, questa volta da parte di
Clemente VI, per condurre trattative unioniste con l'imperatrice Anna di
Savoia, reggente l'impero di Bisanzio in nome del figlio Giovanni V. La
situazione a Bisanzio rendeva però ogni trattativa impossibile. Il 2 febbr.
1347 un sinodo aveva deposto il patriarca Giovanni Caleca, divenuto avversario
dichiarato del movimento esicasta, in conseguenza dell'evoluzione della
situazione politica dopo la morte di Andronico III (nel 1343 aveva fatto
arrestare il Palamas e l'anno successivo aveva fatto pronunciare contro di lui
la scomunica da un sinodo patriarcale), e aveva confermato la condanna di
Barlaam. La stessa sera Giovanni Cantacuzeno, favorevole agli esicasti, entrava
nella capitale e costringeva Anna ad accoglierlo come coimperatore accanto al
figlio. A B., considerato eresiarca, non restava che la via del ritorno, per
lasciare ad altri la ripresa delle trattative. Rientrò ad Avignone verso la
primavera del 1347 e quasi certamente vi rimase fino alla morte che avvenne al
primi di giugno del 1348. Infatti la bolla di nomina del suo successore, Simone
Atumano, nella sede episcopale di Gerace è del 23 giugno di quell'anno e
afferma come recente la morte di Barlaam. (Archivio segreto vaticano, Reg.
Clem. VI, a. VII, vol. 188, f- 31 v). B. scrisse molto. Quantunque una
parte della sua opera sia andata perduta, tuttavia si conservano ancora di lui
un buon numero di opuscoli di vario contenuto, in genere brevi, ma densi di
pensiero. La maggior parte di essi sono ancora inediti. Un elenco coi titoli e
gli incipit si trova in Fabricius, Bibliotheca Graeca, XI,Hamburgi 1808, pp.
462-470 (riprodotto in Migne, Patr. Graeca, CLI, coll. 1247-1256). I più
numerosi sono quelli di carattere teologico e riguardano l'attività unionista
del monaco calabrese: 3 contro la processione dello Spirito Santo Filioque, e
sul primato del papa. Tali opuscoli si trovano in un gran numero di
manoscritti. Ne contiene 20 (escluso uno sul primato del papa) il cod.
Parisinus 1278 del sec. XV (ff. 30 r-167 v). Di essi uno solo sul primato dei
papa, è stato pubblicato prima da Giovanni Luyd, con traduzione latina, Oxford
1592, e poi dal Salmasius, in greco, Hannover 1608 (riprodotto in Migne, Patr.
Graeca, CLI, Coll. 1255-1280). Due discorsi greci sull'unione delle
Chiese sono stati pubblicati e illustrati da C. Giannelli, Un progetto di Barlaam
Calabro Per l'unione delle chiese, in Miscellanea Giovanni Mercati, III, Città
del Vaticano 1946, pp. 157-208. Il primo di essi contiene il progetto di unione
elaborato da B. prima della sua missione diplomatica ad Avignone del 1339 e
presentato al sinodo di Costantinopoli; il secondo, pronunciato probabilmente
dinanzi al sinodo stesso, doveva illustrare il progetto contenuto nel primo. Di
tenore diverso sono tuttavia i due discorsi latini recitati, o piuttosto
presentati in forma di memoriali, in quell'occasione, al pontefice Benedetto
XII. Essi furono editi per la prima volta da L. Allacci, De Ecclesiae
Occidentalis atque Orientalis perpetua consensione...,Coloniae Agrippinae 1648,
coll. 789-794 e 796-798, donde furono riprodotti dal Migne, Patr. Graeca, CLI,
coll. 1332-1337, 1338-1340, e poi dal Raynaldi, Annales Ecclesiastici, ad an.
1339. Alla sua attività apologetica in favore della Chiesa cattolica svolta
dopo la conversione si riferiscono varie lettere ed opuscoli, di cui cinque, in
latino, si trovano in Migne, Patr.Graeca, C LI, coll. 1255-1330. Poco ci
resta degli scritti contro gli esicasti, che furono condannati alla
distruzione, dopo il concilio del 1341, dalla enciclica del patriarca Giovanni
Caleta (Synodicae Constitutiones, XXII, in Migne, Patr.Graeca,CLII, COI. 1241).
L'opera principale, più volte rimaneggiata, che portava il titolo KotTà
Mocaaa?,tocvi""v (Contro i Massaliani) da un'antìca setta ereticale a
cui B. polemicamente assimilava gli esicasti, ci è nota soltanto attraverso le
citazioni degli avversari. Di notevole importanza sono quindi le otto lettere
pubblicate con ampia introduzione da G. Schirò: Barlaam Calabro, Epistole
greche. I primordi episodici e dottrinari delle lotte esicaste, Palermo 1954,
che rivelano i primi sviluppi della controversia. Ma se più nota è
l'attività teologica di B., di non minore importanza, anche se finora meno
studiata, è quella filosofica e scientifica. Nell'operetta latina in due libri,
Ethica secundum Stoicos ex pluribus voluminibus eorumdem Stoicorum sub
compendio composita,edita per la prima volta da P. Canisius, Ingolstadt 1604,
riprodotta in Migne, Patr. Graeca,CLI, coll. 1341-1364, B. dà una chiara
esposizione della morale stoica e mostra ampia conoscenza di Platone. Inedita è
ancora un'altra opera di carattere fìlosofico, Le soluzioni dei dubbi proposti
da Giorgio Lapita (A~astq siq T&q è7rsvsy,0d'aocq ocù-ré,-,) &7rop(otq
7rocpì ro,3 ]Pe⟨,)pytou
roú Aa7r'tOou, contenuta in vari codici, di cui il più noto il Vatic.Graer.1110
(sec. XIV), ff. 80-94 v. Di matematica trattano l'Arithmetica
demonstratio eorum quae in secundo libro elementorum sunt in lineis et figuris
planis demonstrata,corfimentario al secondo libro di Euclide, edito
nell'euclide di C. Dasypodius con traduzione latina, Argentorati 1564, e
riprodotto, nel solo testo greco, nell'edizione di Euclide curata dallo
Heiberg, V, Lipsiae (Teubner) 1888, pp. 725-738; e la Aoytcr-rtx~ sive
arithmeticae, algebricae libri VI, edita per la prima volta,dallo stesso
Dasypodius con traduzione latina, Argentorati 15 72, e poi, con un commento, da
Jo. Chamberus, Logistica nunc primum latine reddita et scholiis illustrata,
Parisiis 1600, trattato di calcolo con frazioni ordinarie e sessagesimali con
applicazioni all'astronomia. Inedite sono due opere di astronomia: un
commentario alla teoria dell'ecclissi solare dell'ahnagesto tolemaico,
contenuto in parecchi manoscritti, in duplice redazione, e una regola per la
datazione della Pasqua. B. si occupò anche di acustica e di musica.
Abbiamo di lui la confutazione al rifacimento degli 'AptovLx& tolemaici di
Niceforo Gregoras, pubblicata da J. Franz, De musicis graecis commentatio,
Berlin 1840. Difficile è esprimere un giudizio preciso che illumini di
piena luce la personalità di B., sia perché moltissimi dei suoi scritti sono
ancora inediti, sia perché l'attenzione degli studiosi si è concentrata
particolarmente sulla sua attività teologica e diplomatica, che fu occasionale,
lasciando nell'ombra la sua opera di filosofo, di scienziato e di umanista, che
rispondeva alla sua vera vocazione. Sufficientemente chiara è ormai la
posizione del monaco calabrese verso le due Chiese: egli fu sincero credente
nella fede ortodossa fino a quando non passò al cattolicesimo, ad Avignone, in
seguito alla condanna espressa dal concilio del 1341. E fu sincero unionista,
anche se le sue posizioni teologico-filosofiche non dovevano contribuire alla
chiarificazione dei rapporti tra le due Chiese. A Bisanzio portò lo
spirito nuovo delle più avanzate speculazioni filosofiche dell'Occidente, che
preludevano all'umanesimo e alla Rinascita. Non facilmente valutabile è invece
il peso che egli ebbe nell'introduzione del greco nel mondo occidentale. Certo
è che, oltre alle sue lezioni avignonesi, iniziò alla cultura ellenica Paolo da
Perugia e il Petrarca. I suoi interessi per matematica, astronomia,
fisica e musica, oltre che per teologia e filosofia, gli assegnano un posto
eminente nella storia della cultura e lo fanno apparire uno degli spiriti più
versatili della sua età. Fonti e Bibl.: N. Gregoras, Byzantina
Historia, a cura di L. Schopen, I. XI, c. 10, in Corpus scriptorum historiae
Byzantinae, XXX, Bormae 1829, pp. 555-559; 1. XVIII, C. 7, C. 8, ibid., XXXI,
ibid. 1830, pp. 901, 905-907; 1. XIX, c: 1, ibid., pp. 909-935; G. Cantacuzeno,
Historiartum libri, a cura di L. Schopen, I. Il, capp. 39-40, ibid., XX, ibid.
1828, pp. 543-556; 'AYLOQEVILZò1; Tó~10(; in Migne, Patr. Graeca, CL, coll.
1225-1236; Filoteo, Gregorii Palamae encomium, ibid., CLI, coll. 551-656; Id.,
Contra Gregoram, XII, ibid., coll.1109 s.; i:uvobL>còg rópo; (Atti dei
concilio del 1341), ibid., coll. 679-692; Bénolt XII, Lettres closes,
patentes... se rapportant à la France, a cura di G. Daumet, Paris 1920, p. 383,
nn. 633-634; D. Taccone-Gallucci, Regesti dei romani pontefici per le chiese
della Calabria, Roma, 1902, pp. 202 s., n. 161; K. H. Schaefer, Die Ausgaben
der apostolischen Kammern unter Benedikt XII, Klemens VI und Innocenz VI
(1335-1362), Paderborn 1914, pp. 91, 138, 157, 198; F. Petrarca, Famil., I.XVIII,
ep. 2, a cura di V. Rossi, III, Firenze 1937, pp. 276 s.; I. XXIV, ep. 12, a
cura di V. Rossi, IV, Firenze 1942, p. 262; G. Boccaccio, Genealogia deorum
gentilium, I XV, a cura di V. Romano, Bari 1951, p. 761; G. Mandalari, Fra
Barlaamo Calabrese, maestro del Petrarca, Roma 1888; J. Gay, Le Pape Clément VI
et les affaires d'Orient, Paris S F. 1904, pp. 115 s. Lo Parco, Petrarca e B.,
Reggio Calabria 1905; Id., Gli ultimi oscuri anni di B. e la verità storica
sullo studio del greco di F. Petrarca, Napoli 1910; G. Gentile, Le traduzioni
medievali di Platone e F. Petrarca, in Studi sul Rinascimento, Firenze 1936,
pp. 23-83; M. jugie, Barlaam de Seminaria, in Dict.d'Hist. et de Géogr.
Ecclés., VI, coll.817834; Id., Barlaam est-il né catholique?, in Echos
d'Orient,XXXIX (1940), pp. 100-125; G. Schirò, Un documento inedito sulla fede
di B. C., in Arch.stor. per la Calabria e la Lucania, VIII (1938), pp. 155-166;
G. Sarton, Introduction to the history of science, III, Baltimore 1947, pp.
583-587; R. Weiss, The Greek culture of South Italy in the later MiddIe Ages,
in Proceedings of the British Acadetny, XXXVII (1951), pp. 45-47; J.
Meyendorff, Les débuts de la controverse hésychaste,in Byzantion, XXIII (1953),
pp. 83-120; Id., L'origine de la controverse palamite: la première lettre de
Palamas à Akindynos, in OEoloyca, XXV (1954), pp. 602-613; XXVI (1955), pp.
77-90; Id., Un mauvais théologien de l'Unité: Barlaam le Calabrais, in L'Eglise
et les Eglises. Etudes et travaux offerts à Dom Lambert Beauduin, II, Chévetogne
1955, pp. 4764; Id., Introduction à l'étude de Grégoire Palamas, Paris 1959,
pp. 65-95; Id., St. Grégoire Palamas et la mystique ortodoxe, Paris 1959, pp.
88-100; C. Giannelli, Francesco Petrarca o un altro Francesco, e quale, il
destinatario del "De Primatu Papae" di Barlaam Calabro?, in Studi in
onore di G. Funaioli, Roma 1955, pp. 83-97; K. M. Setton, The Byzantine
background to the Italian Renaissance, in The Proceedings of the American
Philosophical Society, C,1 (1956), pp. 40-45; R. J. Loenertz, Note sur la
correspondance de Barlaam, évéque de Gerace, avec ses amis de Grèce, in
Orientalia Christ. Periodica, XXXIII (1957), pp. 201 s.; H. G. Beck, Kirche und
theologische Literatur im byzantinischen Reich, München 1959, pp. 717-719; C.
Schmitt, Un pape réformateur... Bénoft XII, Quaracchi-Florence 1959, p. 320, n.
2; A. Pertusi. La scoperta di Euripide nel primo Umanesimo, in Italia Medievale
e Umanistica, III (1960), pp. 104-111.
Bernardo
Massari. Massari. Keywords: implicatura, logistica. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744498707/in/datetaken/
Grice e
Mastri – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Meldola). Filosofo.– Grice:
“One interesting fascinating bit about Mastri’s ‘Institutiones logicae’ is tha
it starts with a little ABC!” Grice: “Mastri has a chapter on fallacies, too,
which is fascinating!” -- Grice: “I love Mastri – of course at Oxford, if they
do history of logic, they’ll focus on Occam – Axe Kneale!” Grice: “But Mastri
explored quite a bit the square of opposition, and modal, too – what he says
about nomen, verbum, propositio, copula, ‘regulae’ for reasoning, and so forth,
is all relevant – especially seeing that his “Institutiones logicae” is just
one of his outputs: he made intensive commentaries on Aristotle’s whole
organon, and more importantly, also his metaphysics and his theory of the soul
– so Mastri certainly knows what he is talking about!” -- Grice: “He was a
logician, and so, according to the Bartlett, am I!”Saggi: “Disputationes physicorum
Aristotelis” (Grignano, Roma); “Disputationes in organum Aristotelis” (Ginamo,
Venezia); “Disputationes in de coelo et metheoris” (Ginamo, Venezia); “Disputationes
in de generatione et corruptione” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in
Aristotelis stagiritæ de anima” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in Aristotelis
stagiritæ libros physicorum” (Ginamo, Venezia); “Institutiones logicæ quas
vulgo summulas vel logicam parvam, nuncupant” (Ginammo, Venezia); ““Disputationes
in Aristotelis stagiritæ meta-physicorum” (Ginammo, Venezia); ““Scotus et
scotistæ Bellutus et Mastrius expurgati a probrosis querelis ferchianis”
(Succius, Ferrara); “Disputationes
theologicæ in Sententiarum” (Hertz, Storto, Valvasenso, Venezia); “Theologia
moralis ad mentem dd. Seraphici et Subtilis concinnata” (Herz, Venezia); “Theologia
moralis” (Milano, Mansutti), “Philosophiae ad mentem Scoti” (Pezzana, Venezia);
Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Forlivesi, Scotistarum princeps. Mastri
e il suo tempo, Centro Studi Antoniani, Padova,
M. Forlivesi, Mastri da Meldola, riformatore degl’imperfetti, Meldola, M. Forlivesi,
"Rem in seipsa cernere" (Poligrafo, Padova); T. Ossanna,Mastri conv.
Teologo dell'incarnazione, Miscellanea Francescana, Roma Mansutti, Quaderni di
sicurtà. Documenti di storia dell'assicurazione, M. Bonomelli, schede
bibliografiche di C. Di Battista, note critiche di F. Mansutti. Milano: Electa,
Hermann Busenbaum Bonaventura Belluto Giovanni Duns Scoto. Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. bumfignificarederiuatumeft. > > 4
> > > CA PVT II. quopatetfignumdicereordinem ,&adpotentiam
cognoscentein Sedadhucdubiuinestdenominibusipfissubstantiuisfolitarie
cuirepræsentat,&adremsignificatam,quamreprælentat:Diui
sumptis;&extrapropositionemspoflintnedicitermini,nam
diturporròfignuminforinale, 3 > 2 2 > >
cutlycurreresubiecti,atqueitavtverbahabererationemtermi- plicabimus. ni.Refp.currere,&
moueri effeverbatantum grammaticaliter atapudlogicumæquiualentnominibus
cursus,& motus,vndeapud . 2 Dubium tamen estde aduerbijs,
coniunctionibus,fignis quan
titatis;vtomnis,aliquis&c.cafibusobliquis,&fimilibus,an rationem
terminisubirepossintetiaminsecundaacceptione:Af De
Terminorummultiplicitaterationefignificationis, X
varijscapitibusfolentterminimultiplicari,& variæeo t
rumdiuisionesatlignari,exparteniiniruinsignificationis,
actufungaturmuneresubiecti,&prædicati,fediufficitaptitudo,
vtadtaleinunuspossitassumi,&noneamhabeat'repugnantiam quæ reperitur in
aduerbijs , conjunctionibus , & fimilibus
mensubstantiuumextrapropofitionemdiceturterminusnonineo
3QuoadalteramquxsitipartemTerminusvniuersiinsumptusdi-
uiditurininentalem,vocalein;&fcriptum vtnotat Tatar. tract.7.defuppofitionibuscomm.1.$.Secundosciendum,quædi-
uisiolumiturextriplicipropositionuingenere;hæceniinpropo-
inalteriuscognitionemvenire,vtimagorespectuCælaris,velt
giumrelpectuferætranfeuntis;quadecaulaScotus2.d.3.quæft.9. & q u o l . 1 4,
h o c f e c u n d u i n s i g n u m a p p e l l a t m e d i u m c o g n i t u m
, q u i a vcducatincognitionem fignati,priuspetitiplumcognolci , il
proprièdiciturfignum,&definiturabAuguft.citat,ea tamen
definitioetiamformaliconueniet,fiprimaparsdeinatur, & di caturfignumefe,quodfacitnosinalteriusreicognitionem
venire.Hæctamenfignidefcriptio,quamuisfitabAuguit,tra ParsPrimaInffit.Tract.I1.
Cap.1. elfobiectum ipsiusformalispropositionismentatis, & intticuiturin
HasauteintermiņiproprièfumptidefinitionesitàexplicatTatar. elepropofitionisobiectivapeream
,tanquam performamextrin vtfensussitterminumeleidsinquodtanquaminextremumpropo-
secam,itaquepropofitio.mentalisînhocsensu,"nimirumob
fitiocathegoricaeltinnediacerelolubilismediantecopulaverbali,
iectiuèsumpradiciturhabereterminos;&extrema,quiainse
&diciturimmediatè,adremonendumlitteras,&fyllabas,quia
continetsubiectum,& prædicatumconftitutaineffetaliumper
licetpropofitiorefoluaturinlitteras,&fyllabas,nontamenim- propofitionem
formalem :quarècumintellectusenunciatbomo > m e d i a t e , & i d e ò l
i t t e r æ ', & s y l l a b æ n o n d i c u n t u r t e r m i n i , e l e
f t s n i m a l i n t e r n a , & f o r m a l i s p r o p o f i t i o i n f
e n o n c o n t i n e t f u b tiamlicetpropofitiohypotheticaresoluaturinterminosmedia-
iectum,nequeprædicatum,necterininos,sedtantumpropofitio
tè,nontamenimmediatè;fedrefoluiturimmediatèinpropo-
objectiua;ytetiamhicbenènotauitOuuied.Nomineautemter
fitionesfimplices,exquibuscomponitur;possettamenabsque
minimentalisduopossuntintelligi,fcilicetresquæmenteconcipi
scrupuloetiampropofitiosimplexappellariterminus,quando
tur,aciplacognitio,seuvtalijloquunturconceptusformalis,
inhypotheticatenetlocumsubiecti,vtnotatArriag.Necobeit &obiectiuus;&
quidemsiinprimolentufumatur,fcilicet,pró illam etiamconftareterminis,nainbenèpoteltid,quodinTeeft
reconcepta,cerminusmentalisàvocali,& fcriptodifferrenon
quasitotum,efleparsrespectaalteriustotius,vtpatetinphysicis
videtur,eademenimprorsuseftres,quæinenteconcipitur,vo
decorporerespectutotiushominis,& inalijsmultis,vtdiscur,
cedeproinitur,&calamoexaratur;atinfecundosensu,fcilicet,,
renticonftabit.Etiuxtahancfecundam
terininiacceptionemcoproipforeiconceptudiffertàvocali,&scripto,&
diuidisoletin | & subiecti,& licetinpropofitionedesecundoadiacente,qua-
quiacumsitignarussignificationisvocabulorumlatinorum,conci
liseftiftaPetruscurrit,lýcurritvideaturfungimunereprædi-
pitfolummodovocisTonum,nonautemremperillamyocemfigni
cari,retamenveranontantuinhabetrationemprædicati,fedetiam ficatam,scilicet
hominem.PorròlicetLogicaproximèvertetur
habetvimcopulæ,cumfaciathuncsensuinPetrusestcurrens;yn-
circaterminosmentales;& vocalesnonnisirationementalium at
delicetvtgeritvicesprædicati,fitterminus,nontamenvegeritvi-
tendat,quiatamenterminivocalesfuntclariores,& pereosinno cescopulæ.Etfidicasinhacpropositionecurrereeftmoueri,lymo-
tescuntinentales,frequentiusagitLogicusdeterminisvocalibus,at ,
ueri,quodeftverbum,haberetantumrationemprædicati,fi-
queideonosetiaindeincepsdeiftisagemus,aceorumdiuisionesex
firmantaliqui,coquiainpropofitionepoffunthaberelocumprae-
expartemodisignificandi,&expartereifignificatæ:exprimo dicati
&subiecti,vtfidicaturPetruseftwliquis,omniseftter-capite,quantuinadpræsensspectat,foletinprimisdiuidivocalis
minussyncashegorematicus,preter,oftaduerbium, ,eftconiun-terminusinfignificatiuum,&nonsignificatiuun:ileeit,quialiquid
tie
&ficdealijs.ImmoFuent.cit.hacrationetenetetiamvocessignificat,vchæcvoxhomo,quinaturamfignificathumanam,ifter
non significatiuasefeterminos ,nam dicimus Bliterinihil fignificet, quinihilfignificat,
vtBlittri, Buf,Baf. Sedvtitadiuisio lit
cat.QuinetiainArriagaobidadditlitterasipfaseseterminos,quan-
reétètraditaintelligideberdeterminoinprimaacceptioneassignar
dosolzaccipiuntur,namdicimusAettlittera.Verùinprobabi-
tacap.præced.naminsecundaacceptioneomnesterminisuntsigni
liusalijnegant,quiaaduerbia,coniunctiones,&aliaidgenusnun-
ficatiui,cuniesepoflintfubiectum,&prædicatuminpropofitio quam
rationefui,&forinaliterfumptafungipoffuntmunerefubie-
ne:terminusigiturvocalisintotafualatitudinefumptusdiuiditur
éti,&prædicati,vndeinallatispropofitionibusfemperaliquod
insignificatiuum,&nonsignificatiuum:quædiuisiovtbenèper
substantiuumintelligitur,incuiusvirtutefungunturilaoficiolub
cipiatur,cumterminusyocalisconftituaturinrationefignifican iecti,&prædicati,vtinilapropositionePetruseftaliquisàparte
tispersignificationem,videndyınettquidfitfignificare,&quidfitfi
nosvenireincognitionemalterius scili
tainopposicionemsequivelimus,tunccumTatar,queinseq.Arriaga,
cetnaturæhumanæ,vndefignumdebetefetale,veilcoognitoper tract.1.com.3.ad1,dicendumeftadhoc,vtaliquidfitsubiectum
fenfus,medianteillodeindeveniamusincognitionem rei,cuinqua
inpropofitionefufficere,vtfitvoxfignificatiuanaturalitercommu-
lignumhabetconnexionem;hincfignificarenilaliuderit,quàm niter,ideft,vtpoßitrepræsentarefeipfam,quodeltfignificare
aliquidaliudàsedistinctumrepræsentarepotentiæcognofcenti;ex large. &
eftillud,quodabfquefuipræuia
Arift.definitioallatavideturiliscompeterefoluin,quandofuntin
cognitionealiudnobisrepræsentat,&ineiuscognitionem du propofitione.Verumnonitarigorosèintelligendaeltilladefinitio
cit,qualesfuntfpeciesimpreffa,&expreffarespectuproprijobie
namvealiquadictiodicaturterininus,noneitsempernecesse,quod
cti,&ininstrumentale,quodpræfuppofitafuicognitionefacitnos ; no
dita,&obcantiDoctorisauthoritatem abomnibus pallim ro
fitiohomoeftanimallifiatmente,diciturmentalis,sivoce,vo-
cepta,nonrecipituràPonciodifput.19.Log.quæit.i,eamqu
calis,lifcripto,diciturscripta;terminusergodiciturinentalis
impugnatquoadveramquepartem;quoadprimamquidem cum à > > .
pulaverbalis,seuverbum,vtverbum,rationemtermininequit
vleiinatum,&nonyltimatum;vltimatuseltconceptus,seucogai
habere,tumquiacopulanonettextremumpropofitionis,sedra-
tioreisignificatæpervocemaliquam,velícripturam,vtcumaudi tioconiungendiextremi;tumquiaineampropofitiorefoluinon
tavocehomoilludpercipimusanimal,quodeltrationale:nonylti
poteft,cumenimfitformalis,& expreffaextremorum
vnio,|matuseftconceptusipfiusvocis,velscripturæfignificantisnonyl
factaeorumdissolutionemanerenonpoteft;tumdemum,quia trafeextendensadreinsignificatam,&ideodiciturnonvltimatus;
> > ) > ve sensu,quodactuextraillamexerceatofficiumtermini,fedquia
ludveròprimumvocatpræcisèrationemcognofcendi,quatenus
intraillamfungipotefthocmunere;vndedicaturterminusnon præcisèeitquoaliudcognofcitur,&nonquodcognofcitur
. Si actu,sedpotentia;necaliudprobantComplut.cit.oppofitumfu-
gnumauteminftrumentaleelt,dequoagimusinpræienti,& quod itinentes. 2
>> > > Eumdimontesafignani . > > >
vocalis,velscriptus,proutsubiectum,velprædicatumpropofi- fignumeffeid,quodpræterfuicognitionem,quamingeritsenpbu
tionisetmentale,vocale,velscriptum.Solentextremaquoque doc.redarguit,
quianoncomplectituromnefignum , quia po
propofitionismentalisterminiappellari,quodquidemdepropoli- lentdariigna
fpiritualia,qux deducerentin cognitionem
tioneformali,quæeitactus,&fecundaoperatiointellectus,in-
aliarumrerum,necpoflentpercipiafenfibusmaterialibus
telligendumnoneft,nampropo.icioinhoclenluettynafimplex
Quoadaliamveròpartem,inquaait;quodfignum facit 7 venire opeiroincognitionemalteriuseam
impugnat ,tanquamab Arriag. 4modificat,& facittaliterfignificare,
ideltredditeius fignificatio.
raticam,quiaobie£tumfacitnosincognitionemsuivenire,&ta- nem ,velvniuerfalem
,velparticularem ,velaffirmatiuam,vel metbondiciturfignum.RursusDeusipfefacitnosvenireincogni-
negatiuam:& dicituraliqualiterfignificare,nonquiaverè,&pro
tionemmultarumreruineasnobisreuelando nectamenabvllo
priènonsignificet,sedquiafignificatumeiusnonrepræsentatur
vocaturfignumilarumrerum. Prætereàcognitio eftfignum vtresperfe,sedvemodusrei",idestexercendomodificationem
rei,quzcognosciturperipfam,&tamennonfacitnosincognitio-
alteriusrei,quadecausanegatArriag.sect.4.efeperfectèterminum. Demvenire.
AdditTatar.terminummixtumideftpartim cathegorematicum,par SednimisandacterinficiaturPoncius
doctrinam D. Augustini, timfyncathegorematicum , & eftile,quiimpofitus
ettad fignifi qaamomnesvenerantur .VtcommunisMagiftri,vndemirumesse
candumaliquid,feualiqua,& aliqualiterfimul,vthæc voxni.
nondebet,quodszpiushicAuctorminirmuobore fuffusudsoctri- hil,
quæimpofitaetadfignificandamnegationemomnisentis
namScotiprzceptorisaudeatimpugnare;Oprimaenimeitilla
hæcenimipsanegatioeftilludaliquid,quodfignificat,quatenus
descriptioquoadomnespartes,fibenèintelligatur,naimnduzæ
veròillamnegationemfignificatvniuerfalitercuiuscunqueentis,
folentafignariconditionesalicuius,vtalteriusreifignumdi-
diciturfignificarealiqualiter,ficeciamfignificarsubiectumpro
catur,vnaeft,quodnosducatinilliusreicognitionem,al-
pofitionisindefinitæ,naminmaterianecessariaæquiualetvniuer caraeft,quodducatineiuscognitionem
,quatenuscognicas lali,vthomoeftanimalæquiualethuic,omnishomoeftanimal,&
quarumconditionumvtramqueoprimèexprimitdefinitiofigni
inmateriacontingentiæquiualetparticulari, vthomocurrit
25Auguftinotradita;namperpriinampartemdefinitionissecun-
æquiualethuicaliquishomocurrit.Adhoctertiumgenusreducit
damexprimitconditionem;vulceniinrein,quæinseruirede-
Tolet.lib.1.cap.12.&Arriag.sect.4.omniaaduerbiav...som
betproalteriusfigno,priusnoitrissensibuscognitionemsuiin- pienter,doctè,conc.Sednonplacet,quiacumdiscrimenintertermi
gereredebere,pecificatautemfignumefedeberefenfibile,quia
noscathegorematicum,&lyncathegorematicumsumaturpræser.
vtnotarDoctor4.d.1.grætt.z.& 3.fignafenfibiliasuntmaximè
timinordineadpropofitionein ipesprofianuiftoexcitareintellectumconiunctumàsensuum
& perfepotefteffefubiectum,velprædicatumpropofitionis,ille
ministeriodependentem,vtinalteriusreicognitionem veniat;
verò,quinonpotefteffefubieétum,necprædicatum,nisicumad per alteram verò partem
definitionis altera quoque conditio e x - dito , consequenter aduerbia omnia
erunt termini fyncategorеinati primirur,contraquam nilvrgentinstantiæà
Poncioadducta ci,quiasesólis,&fineadditononpoffinteffefubiectum ,velpre
quiaobiectumfacitvenireincognitionemfui,nonalterius, dicatuinpropofitionis,&persenonsignificantaliquid,sedpotius
hocfacitvenireincognitionemlui,quatenuscognicum, vtfa- aliqualiter.
itlignum,sedquarenuscognoscibile ;necetiamDeushocmo-
Potiorirationeadhoctertiumgenusterminimixtinomina adie doadinftarfigniducitnosinrerumcognitionem,quatenus
ctiuareducipoffent,quamuisenimHurtad.disp.l.sect.10.mor
cognias,foreasreuelando,quod
adhucfacerepossec,etiam-dicuscontendatesseterminossyncategoremnaticos,quianonsigni
spriusànobisnon cognosceretur;cognitiodeniqueeffe ficantperse,sedconsignificant,v.g.bonus,nonsignificatperse,
bgnumreicognitxperipfam formale,vedicebamus,non
&determinatèaliquid,nisiaddaturalicui,v.g.Petrusbonus,Ta
auteminítrumeatale,quodfolumproprièdiciturfignum &
menfinominumadiectiuorumfignificatiobenèconfideretur,vide
abAug.definicus,&ideocognitioproprièloquendonondi
bimus,quodlicetindeterminacèaliquomodofignificent,ratione einerfacerenosvenire
in cognitionem rei , quam repræsen-
tamenformæfignificatæfecumafferuntaliquamdeterminationem , 126,quianonducit nos
in cognitionem illius rei.', quatenus nam do&us,v.g.doctrinam
importat,quodnoneucnitinfignisquan
cognica,leavtmediumcognitum,fedvtraciocognoscendi;so-
citatisomnis,nullms,doc.quænullainprorsus,remdeterminatam
lumautemfignuminftrumentaleeftillud,quodhicdefinitur. fignificant.Accedit,
quodnominaadiectiuapoffuntesefaltim præ Ethocigneminftrumentaleadhucduplexeft,
aliudnaturale, dicatuminpropofitionev.g.Petruseftdoctus,quodfignisquantita
keit,quodexnaturasuaindependenterabhominum voluntate
tisprorsusconuenirenonpotest,ergo nominaadiectiuacommodè
aliquidreprzsentat,vtfumusignem,& vniuersaliteromnisef-
adhoctertiumgenusterminipossuntreuocari,quodetiamtenent
sutusfuamcusum,quipræsertimfisensibiliserit,diceturtic
Casil.cap.3.&Arriag.cit.cumsignificentaliquid,&aliqualiter,vn
şuncauzjuxtàsensumdefinitionisallaræ.An veròitaècontra
deremanetfolanominasubstantiuaesseproprièterminoscategore
caladicipolefignumfuieffectus,negarHurtad.disput.1.fet.4.
maticos,quicquidhicdicatOuuied.
quiaeicauízcognitioducatincognitionemeffectus,tamen,
7.Rursusterminuscategorematicussubdiuiditurinfimplicem
bosetordinataadillumrepræsentandum .Sedplanènonmi-
seuincomplexum,&compositum,seucomplexum,quamdiuisio
mesordinataetcognitiocausæadnosducendumin
cognitionemquidamficexplicant,quodcomplexuseftille,quiconstatex
benefectusàpriori,quàmcognitioeffectusficordinataadnoti-
pluribusdictionibus,vthomoalbusincomplexus,quivnicagau
tiamanfzàpofteriori,quareratioHurtad.parumvalet.Acin-
derdictione,vthomo,&albus,itaRoccuslib.i.introd.cap.8. quinzalij,quodliceticaresfehabeat,solatamencognitio,qux
Blanc.libr.z.sect.2.AtvebenemonetTatar.tract.1.coin.4.hæcex
perfectumhabetur,diciturhaberipersignum,vndesolademon-
plicatiopotiusgrammaticaliseft;grammaticusenim vocemillam
Hracio,pofteriori,quzeltpereffectum,diciturasigno,& ideò
appellatcomplexam,quæconftatexpluribusvocibiis,&eamin
Solumefectusdicipoteftfignumcausæ,nonècontra.Verùmne-
complexam,quæconftatvnatantum,atnonficeftapudlogi quehocviget,licetenim
cognitiohabitapereffectumvelutisen- cum ,quinonattenditvnitatem, velpluralitatem
vocuin,ied Ebuioremcaula,magisproprièdicaturàligno,niltamenim-
conceptuminintellectu,cuiiltæsubordinantur,vndeetiamfifint
pedit,quin&cognitiohabitapercaufamposicdiciàfignoab-
pluresdi&tionesinterseconnexx,fitamenininentevnumtan folutèloquendo.Poceltigituretiamcausadicifignumfuieffectus,
tumgenerantconceptum,terininumconitituuntincomplexum
&przsertimquandosensibiliselt,vndeàTheologisfacramentadi-
vev.g.MarcusTulliusCicero,&ècontrafivnatantumfitdictio,
canturfignagratia,cujusfuntcausa,itaclarècolligiturexDo-
conceptumtamengeneretcomplexum,eritterminuscomplexus;vt
Gore.d.1.Juzit.2.$.Defecundoprincipali,& fequiturCafil.cit.&
nemo,amoSemper,quææquiualenthis,nullushomo;Sumamans,omni
Atriagadifputat.3.fect.2.Aliudveroeftlignumartificiale,feuad tempore. placitum,&et:quodexhominumimpofitionealiudrepræsen-
Alijproindeficexplicant,quodterminusincomplexuseftille, est,ficramisetlignum
venditionisvini,fonuscampangelt
cuiuspartesabinuicemfeparatænihilfignificant,autnon lignih
fgrumlectionis,&voxilliusrei,adquamfignificandumeitim-
cantillud,quodinintegradictionefignificabant,vtv.g.Dominus
pofita.Vbitameneftaduertendumetiaminvocibusipsisnon
eftterminusincoinplexus,quialicetpartes,inquaspoteltdiuidi
aprumfignificationemadplacitumrepeririposse,sedetiam natu- scilicetDo,&minusfintsignificatiuæ,tamenintoto,&
integra salem,veparetdegemicainfirmorum ,& latratucanum:& ideò
dictionehancfignificationem nonretinent:Complexusveròeftil
temiausvocalisfignificatiusfubdiuidifoletinfignificatiuumna- le,cuinsparteseandemretinentsignificationem,quamhabebant
licet,&adplacitum,&hicadDialecticusmpectatnonqui-
intotocomplexeo,tiamabinuiceinseparatæ,vthomoiultus,
enlecundimtuamrealementitatem,vevoxelt,&fonusquidamn
itaAmicusg.2.Ruuiusq.4.Complut.cap.3.Sot.lib.1.cap.9. decaufaeus,Idfecundumquodimpofituseftadresipsasfigni-
Ioan.deS.Thom.lib.fum.cap.4.&alijpaflim.Athocdupliciter
ledias,&conceptusmentisexprimendos,inhocenimlenluvo-
inteligipoteft,velita,quodterminusincomplexusfitile,cuius
seneredicunturadinftitutumDialecticum,vtdicemusdisp. partesIeparatænoneandemhabentsignificationem
,quamhabe vocibus,vbictiamdeclarabimus,perquidconstituaturratio
bantinintegradictioneetiafmigillatimfumptæ,inquofenfu10
quodcorianificatiuus,&ideopersenonsignificataliquid,necpo-
seca,acderevpatett.alVelscitoamipntoenlluingtitiulrla,nqoumodinpar,tevsetneortmaitnFioin
veelelubecom,&prædicatum inpropofitione,sedcumalte-
coinplexiseparatænonretinenteandem fignificationem,quamha consortio aliquis
inde de sumpdtiæctionis Refpublica lus, , vtnotatTatar.tract.7.com .1.§.TertioSciendum
,)cio vera elt , vt conftat partibus illius fins ,cuiusfignificationem
modificet wessatenusadiuncurcachegorematico
Bartolomeo Mastri. Mastri. Keywords: implicatura, Categories and
De Interpretatione, segno, segnare, segnans, segnato, notare, nota, notans,
notatum, notatura, segnatura. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mastri” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691207371/in/photolist-2mKLX4i
Grice e
Massolo – prime ricerche di Hegel – implicatura idealista di Plathegel e
Ariskant -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo).
Filosofo. Grice: “If I had to decide on my favourite Massolo, that would be his
‘historicity of metaphysics,’ way before when I was venturing with Strawson and
Pears to lecture the erudite audience of the BBC third programme on the topic!”
Dopo aver intrapreso gli studi presso il Liceo Classico Vittorio Emanuele II,
si laurea a Palermo con “L’individuo in Rosmini, con Allmayer. Fu autore di
alcuni volumi di poesia. In seguito ad
un periodo di docenza nei licei di Perugia, Catanzaro e Livorno, insegna a
Urbino e 'Pisa. Ha influenzato importanti figure del dibattito filosofico del
secondo Novecento, come Luporini, Badaloni, Sichirollo, Salvucci, Cazzaniga,
Barale, Bodei, Losurdo. Gli scambi epistolari avuti con numerosi intellettuali
(tra cui spiccano i nomi di Gentile, Spirito, Bo, Fortini, Russo, Capitini, Weil)
mostrano l’alta considerazione di cui Massolo godeva all’interno del panorama
culturale del secondo dopoguerra.
Partecipa alla fondazione della rivista Società, entrando nel comitato di
redazione. La rivista, nel primo anno della sua uscita, ospitò tre importanti
saggi di Massolo: Esistenzialismo e borghesismo, La hegeliana dialettica della quantità, L’essere
e la qualità in Hegel. Idea e fonda la collana «Socrates» dell’editore
Vallecchi, con la quale pubblicò “Filosofia e politica” di Weil, Vita di Hegel
di Rosenkranz e Dialettica e speranza di Bloch. I suoi studi su Hegel, inclini
a valorizzare la filosofia della storia e la dimensione realistica del filosofo
tedesco, contrastano tanto la lettura del neoidealismo italiano (Croce e
Gentile) quanto quella di Galvano Della Volpe. Nell’ambito della sua
riflessione Massolo ha posto le basi teoriche per una nuova ed originale
rilettura del rapporto Hegel-Marx, tanto da essere considerato da alcuni
interpreti l’avviatore dell’hegelo-marxismo in Italia. I suoi interessi teoretici si sono rivolti
principalmente alla filosofia classica tedesca da Kant ad Hegel, della quale ha
studiato, per più di un decennio, i principali momenti storico-teorici. In antitesi all’esegesi del neoidealismo
italiano, che tendeva ad attribuire alle filosofie di Fichte, Schelling ed
Hegel il superamento della finitezza umana che Kant aveva posto a fondamento
della sua filosofia, Massolo ha proceduto alla rilettura della genesi
dell’idealismo tedesco con l’idea che esso abbia storicizzato i dualismi
kantiani in un processo che si compie nella Fenomenologia dello spirito di
Hegel. Nelle fasi più mature della sua
riflessione ha tematizzato in vari saggi la problematica della scissione della
coscienza comune (Filosofia e coscienza comune, oggi), l’idea della completa
politicizzazione del filosofare (Politicità del filosofo, Frammento etico-politico), ed il problema
della storia della filosofia con particolare riferimento al ruolo della
coscienza riflettente del filosofo, nonché al rapporto dialettico tra Pensiero
e Realtà nella città-storia» (La storia della filosofia come problema,). Si dedica alla questione della dialettica
intesa come dialogo, ovvero quell’elemento dialettico-razionale mediante il
quale è possibile conciliare le differenti rappresentazioni dell’oggetto
storico-sociale e le contraddizioni all’interno della comunità. Tramite queste riflessioni, che lo hanno
condotto a porsi in diretta polemica con Nietzsche ed Heidegger, Massolo ha
contrastato l’idea del sapere come visione solitaria del singolo ed ha concettualizzato
l’idea del sapere come processo essenzialmente dialogico e comunicativo (La
storia della filosofia e il suo significato).
Saggi: “Mattutino,” versi (Palermo, Trimarchi); “Adolescenza” (Palermo);
“Convivio; storicità della meta-fisica” (Firenze, Monnier); “L’analitica di
Kant” (Firenze, Sansoni); “Fichte” (Firenze, Sansoni); “Schelling” (Firenze,
Sansoni); “Prime ricerche di Hegel” (Lettere e Filosofia, Urbino); “La storia
della filosofia come problema” – (Firenze, Vallecchi); “Logica idealista” (Salvucci,
Firenze, Giunti-Bemporad, “Della propedeutica filosofica” e altre pagine
sparse, Urbino, Montefeltro, S. Landucci, Arturo Massolo, "Belfagor, Remo
Bodei, Arturo Massolo, "Critica storica", Studi in onore di Arturo
Massolo, Livio Sichirollo, Urbino, Argalia, Nicola Badaloni, Ricordo di Arturo
Massolo, "Giornale critico della filosofia italiana", degli scritti
di Massolo, Burgio, Urbino,
QuattroVenti, “Il filosofo e la città: studi Nicola De Domenico e Gianni
Puglisi, Venezia, Marsilio. Arturo Massolo. Massolo. Keywords: prime ricerche
di Hegel, la logica di Hegel, Gentile, implicatura idealista, Ariskant and
Plathegel. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Massolo” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744469057/in/dateposted-public/
Grice e
Mastrofini – l’implicatura verbale di Romolo – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Monte Compatri). Filosofo.
Grice: “I like Mastrofini; for one, he found how old Roman evolves into
what we may call new Roman, or Italian!” – Grice: “And of course as a
philosopher, he focused on the philosophical terminology – it takes a
PHILOSOPHER to translate a philosophical text!” – Grice: “What I like about
Mastrofini” is that he mostly kept with the cognates. La Crusca adores him!” Noto
soprattutto per il volume “Le discussioni sull'usura” in cui sostenne che non è
reato far fruttare il danaro e che né la Sacra Scrittura, né i Vangeli, né la
tradizione ecclesiastica vietavano di ottenere un giusto interesse per danaro
dato a prestito. Questo diede luogo a molte discussioni ma anche apprezzamenti
lusinghieri da economisti dell'epoca e dall'opinione pubblica. In precedenza aveva scritto un'opera di
economia finanziaria, il Piano per riparare la moneta erosa relativa
all'inflazione nello Stato Pontificio, opera largamente utilizzata per la
riforma finanziaria dello Stato, intrapresa da Pio VII. L'edificio del Collegio Romano ove insegna. Insegna a Frascatii. Nel pieno della
crisi della Repubblica Romana, si trasfere a Roma dove venne nominato
professore di eloquenza presso il Collegio Romano.Torna a a Frascati. Si trasfere
definitivamente a Roma dove assume la carica di consultore della "Nuova
Congregazione cardinalizia per gli affari totius orbis". Produce le traduzioni dei capolavori di Floro,
“Sulle cose romane,” e di Ampelio, “Sulle cose memorabili del mondo e degli
imperi.” Traduce “Le Antichità romane” di Dionigi. Pubblica “Teoria e
prospetto; ossia, dipinto critico dei verbi italiani coniugati, specialmente
degli anomali o mal noti nelle cadenze,” opera che porta un grande contributo
allo studio dell'italiano, utilizzata dall'Accademia della Crusca nella
revisione del dizionario della lingua italiana. Pubblica “Della maniera di
misurare le lesioni enormi nei contratti e uno studio sulla patria potestà e
filiazione, che ha larga eco nei circoli giuridici romani, essendo allora in
corso una causa di riconoscimento di paternità per successione tra i Torlonia e
i Cesarini. Piazza di Monte Citorio. Nell'edificio
dove abitava e morì, in piazza di Monte Citorio il Comune di Roma appose una
lapide con il seguente ricordo: Abita in questa casa -- dotto in filologia,
teologo e filosofo assai più grande che celebrato fissa le incerte leggi dei
verbi investiga felicemente con l’uso della ragione i misteri della scienza
divina S.P.Q.R.» “Dissertazione filosofica” (Roma); “Piano per riparare la
moneta erosa” (Roma); “Ritratti poetici, storici, critici dei personaggi più
famosi nell'antico e nuovo Testamento” (Floro); “Sulle cose romane” (Roma, Ampelio);
“Sulle cose memorabili del mondo e degli imperi” (Roma); Dionigi di Alicarnasso
“Le Antichità romane”, Roma, “Dizionario dei verbi italiani” (Roma); “Metaphisica
sublimior de Deo triun et uno,” Roma, Appiano “Storia delle guerre civili dei Romani",
Roma, Arriano “La Storia”, Roma, ristampata da Sonzongo con il titolo “Delle
cose d'Italia” “Le usure,” Roma, “Amplissimi frutti da raccogliere sul
calendario gregoriano,” Roma, “L'anima umana e i suoi stati,” Roma, “Teorica dei nomi,” Roma, “Teorica e
prospetto de' verbi italiani conjgeniti,” Roma. Dizionario Biografico degli
Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
IlprimofondatorediRoma,edell'imperofuRo. molo,generatodaMarte,edaRea
Silvia(1).Tanto nellasuagravidanzaconfessavadi sèquesta sacerdotes
sa:nèlafamanednbitòquando poco appressoilfan. ciullo gettato con Remo suo
fratello nella corrente per a n . cennodiAmulio,non potèsoffocarsi.Imperocchèil
padre Tevere ritirò dal lido le acque : ed una lupa , la sciati isuoi parti , e
seguendo il suono de'vagiti , in boccò li sue mamelle a'fanciulli , presentando
in se stes sa una madre . Cosi trovatili un regio pastore presso di un'arbore ,
e portatili in casa (2 gli educò . Di que' giorni Alba , opera di Giulo , era
capitale nel Lazio : chè avea quegli dispregiata Lavinia , città del suo p a
dre(3).Amulio,già quarta decima generazione da vitàdiCristosecondol'eracomune.Soprattuttosembra
inc sattol'intervallodaAugustofinoaTrajano Eglilocrededi anni duecento ;
laddove è di anni cento due a!l'incircd . M a forse vi è sbaglio nel testo e
dee leggersi cento in lungo di duecento (1) Rea Silvia figliuola di Numitore
presedeva al sacerdo ziodiVesta QuindièdettaSacerdotessa. (2) Nel testo in
casam : questa voce può sign'ficare capan Tuttavia par verisimile che l'abituro
di un regio pasto re fosse alquanto migliore di una capanna . L'espressione ita
liana comprende ogni abitazione fosse capanna o no . av. Cr 1 776 av. R.
26. na • (3) Enea dopo finita la guerra con Turno foudo la città cui chiamò
Lavinia dal nome della moglie . Ascanio , ossia Giulo,peròdi luifigliuolo
dopolamortediEneafabbricò A!. ba Lunga la quale tu capitale del regno per
trecento anni Ani. dik . 3.av. Cr. essi
viregnava,avendonecacciatoilgermanosuoNu mitore , dalla cui figlia Romolo era
n..to . Adunque co stui nel primi bollore degli anni caccia Imulio suo Zio
dalprincipato,el'avoloviripone. Intantoegliaman tedelfiume
ede’monti,vicinoa'qualierastatoeduca to,meditavalemuradiunanuovacitt).Ma l'unoe
l'altro essendo gemelli; p acque loro consultare gl'ld dj , qual de’due le
fondasse e vi dominasse . Pertanto RemoandossenealmonteAventino,elaltroalPalati
no . Colui pel primo vide sci avoitoj : posteriormente videne l'altro , ma
dodici :evincitore negliaugurjinal Area fin quì fatto un'abozzo di citta ,
piuttosto che unacittà;mancandole gliabitanti.Ma siccome riina
nealevicinounbosco;eg! 2feceunasilo;edisubia tovisiadund
moltitudineprodigiosadiuomini,Lati n i , e T o s c a o i p a s t o r i , e G o
a n c o t r a s m a r i n i , sia d e ' F r i gj venuti con Enca , sia degli
Arcadi con Evan tro . Cosi quasida varj eleinenti , ne trasse un corpo solo ; e
fu per lui creato il popolo Romano . Vi quel pop lo di uomini era cosa di una
sola generazione . Si chiesero dunque de’matrimonj da'confinanti; e sccome non
si otteneano;furonoconlaforzaespugnati. Imperocchè finti de'giuochi equestri
,le vergini accorse per lo spets 747.
incirca.FinalinenteRomoloinalzòRomachediverrebbeca. C o .
zaunacittàpienodisperanza,cheguerriera diverreb be ; tanto ripromettendogli
quegli uccelli , consueti a 7 LIBio sangue e prede .Sembrava che in difesa
della puova cit tá basterebbe un vallo ; se non che deridendo Reno le angustie
di questo , anzi condannandole con saltarle , fu trucidato ;è dubbio se per
comando del fratello ; ma c e r t o e i n e fu l a p r i m a d e l l e v i t t
i m e ; e c o n s a c r ò c o l s a n gue suo le fortificazioni della nuova
città . > . Av. Cr. R.2 so 52 7 > ro dell'Italia e del mondo ,
PRIMO 13 (+) Spoglie opine eran quelle che un comandante toglieva
all'imperadore o supremo comandante nemico uccidendolo di suamano.Questefuronocosìrare;chesenecontano
ap pena tre . Le prime le riportò Romolo contro di Acrone : le seconde Cornelio
Cosso contro di Tolunnio , e le terza Marco Marcello su Viridomaro . Giove poi
fu detto Feretrie o perchè a lui ferebantur si portavano le spoglie opime , o
perchè ferisce col fulmine ; o perchè nell'acquistare le spoglie opime un
capitano feriva l'altro con la spada . (5) Era questo un bel mantenere le
promesse ! intendere di dare alla donzella gli scudi perchè gli scudi le
vibravano opprimendola . Questo metodo di mantenere le promesse , ras somiglia
a quello usato dalla fanciulla per consegnare una porta creduta da Floro senza
inganno o cone noi abbiamo tradotto , senza malizia , perchè non chiedeva
danaro , ma gli scudi o li braccialetti . Potrà inai persuadere questa ragio
ne?LaVergine,chequisiaddita,secondo ValerioMassi. mo
9.6.I.erafigliuoladiSpur.Tarpejoilqualeatempidi Romolo presedeva alla
fortezza:c coleiera uscitaper pren. derc acqua pe’santi riti, tacolo ,
furon preda , e cagione immediata di guerre . FuronoiVejentirespintiefugati:lacittàdi
Ceninafu presaediroccata:inoltrelostessomonarca neriportò con le sue mani
aGirve Feretrio lespoglie ooiine del r e (4 ) . M a le n o s t r e p o r t e f
u r o n d a t e a S a b i n i p ë r u n a donzella ; nè già con malizia : ma
chiesto avendone la fanciulla in ricompensa ciocchè essi portavano alle sini
stre ,gli scudi forse o li braccialetti ; coloro e per m a n tenere a leila
promessa e per vendicarsene la oppresse rocongliscudi(5.
Ricevutiintalmodofralemurai nemici ne sorse nel foro medesim »un'atroce
battaglia ; tanto che Romolo prego Giove che arrestasse la fuga vi tuperosa
de'suoi . Quindi ebbe origine il tempio , e Giove Statore . Finalmente le
donzelle in lacere chiome s'intrammiseroadessiche infierivano.Cosìfulapace
riordinata , e stabilita l'alleanza con Fazio . Donde ne . . diR.
Cr. bandonati i lor domicilj , sen passarono alla nuova cit tà , consociando
co'nuovi generi loro gliaviti beni per dote . Accresciute in poco tempo le
forze diede il sapien tissimo re quest: forma alla Repubblica . Fu la gioven.
tù divisa in tribà con cavalli ed armi perchè sorgesse nelle subire guerre :
fosse il consiglio su pubblici affari n e ' s e n i o r i , i q u a l i si c h
i a m a v a n o P a d r i arringando dinanzi la città presso la palude della ca
pra , fu di repente levato di vista . Alcuni pensano che i senatori lo
trucidassero per la ferocia dell'indole di lui: (1) Dopo la morte di Romoln il
trono restò privo di sovrano per un'anno, comandandointantoa vicendaiSenatoridicin
que incinquegiorni.QuellospaziofuchiamatoInterreono Il magistrato a forma
d'interregno ebbe luogo ancora ne'se. coli posteriori quando iconsoli occupati
in lontane azioni non potevano intervenire ai coinızj;o quando erano costretti
a depor. 14 LIBRO dir. seguitò,ciocchèèportentosoadire,cheinemiciab 7.av.
Cr. diR. 38. l'autorità , ma perlaetaS.nuto.Ordinate intalmodo lecose,egli 743
SI CONDO Tav. 37 av 713 so non che latempesta e l'oscurarsi del sole presentaro
ncincidleimnaginiconediunasantaoperazione: alla nuale poco appresso diè credito
Giulio Proculo coll'offermare ; che Ronolo si era a lui dato a vedere Cr 743.
informa piùaugustadellaconsueta;echeimponeva che per Dio se lo prendessero .
Piacere a'Numi che egli sichiamiVirinoinsulcielo.ContalmezoRoma con quisterebbe
le genti .E'naturadelVerbodiesprimerel'afermazioneelanegazione.E siccome Essere
e non essere esprimono appunto per se stessi l'affer mazione e la negazione; ne
seguita che il verbo Essere preso nuda mente, o preceduto dalla particella non,è
verbo per natura e per ec cellenza. Comunemente la voce essore è nota col nome
di verbo so slantivo, perchè esprime l'esistere, o l'essere di sostanza.
2.Lequalitàche siaffermanoonegano possonoaversidistinte o no,
dall'affermazione,o negazione.Nel primo caso l'affermazione o negazione si
addita col verbo essere,come si è detto:ma nel secon docaso risulta un nuovo
ordine di verbi più composti; appunto per chè in essi è riunita l'affermazione
o negazione colle qualità chesi a f f e r m a n o o n e g a n o : t a l i s o n
o a m a r e , g o d e r e , o d i a r e , p i a n g e r e & c. c h e
significano essere nell'amore, nel gaudio, tra l'odio, o tra 'l pianto. Questo
secondogenere di verbi ha servito incredibilmente a variare e fecondare il
discorso, in somma alla dolcezza della Eloquenza, e del la Poesia. 3. Chi
afferma e nega, o afferma e nega dise stesso,che sichia ma persona prima, o di
altri a cui parla, che si chiama persona se conda, o di soggetto a cui non si
parla,e si chiama persona terza. Per altro questepersone possono essere una, o
più, cioè possono ri guardarsi in singolare o plurale. E 'naturale che tanto
nella nostra q u a n to nella più parte delle lingue s'introducesse l'uso di
finire il verbo diversamente secondo ladiversità dellepersone,e del numero.E
quin di abbiamo amo ami ama,amiamo amate amano. 4. E potendo il discorso
riguardare cose presenti, cose comincia te enon
finite,cosepassate,piùchepassate,efuture;fubenevaria 5. Anzi siccome le
proprietà si affermano o negano assolutamen te, o sottocerti rapporti e
condizioni; cosi li verbidivennero parole terminate diversamente secondo la
persona, il numero , i tempi, e i modi di affermazioni e negazioni assolute o
relative. S. 1. re il verbo secondo la persona,il numero, e i tempi. a I
6. Questi modisono cinque:Indicativo, Imperativo, Ottativo, Con
giuntivo,ed Infinito.L'indicativo dimostra assolutamente cheuna co sa è, fu,
sard; e perd vien detto ancora assoluto e dimostrativo. Cosi Pietroaña
amòameràlescienze,formetuttedell'Indicativo,dichia. rano che Pietro amo ama ed
amerà, assolutamente, 7. L'Imperativo esprime comando, preghiera,avviso,
consiglio, esor tazione di far qualche cosa, e con una sola voce si vuol
esprimere il c o m a n d o , p r e g h i e r a & c , e l ' a z i o n e c h
e d e v e f a r s i. T a l e s a r e b b e a m a t u , amerai til, ameremo noi
& c. Pertanto si esprime l'azione ed il modo col quale si fa, cioè per
comando, preghiera & c; laddove nell'Indica tivo mancano questi rapporti.
8. L'Ottaliyo esprime desiderio di fare una cosa, giusta i varj tem pi; e per
questo è detto ancora desiderativo, e tale sarebbe: Oh se amassi,ioamerei, Oh
avessi amato,lo avreiamato &c. 9. Il Congiuntivo è così detto perché si
adopera quando si vuo le congiungere il discorso con altre cose precedenti, e
perd siegue le particole sebbene,quantunque,conciossiacosache&c.Tále
èqueldiPetr. Italia mia, benchè il parlar sia indarno & c. E talequel
diBocc.6.7.n.2.perl'amorediDio,comechèilfattosia& c. Tra i Greci l'Ottativo
ha le sue desinenze tutte diverse dal congiun tivo: ma nella lingua latina e
nella nostra l'ottativo adopera le stesse voci del congiuntivo, se ben si
rifletta. 10. Il verbo si dice di modo finito o deterininato finchè si conce
pisceindicativo,imperativo,ottativo,congiuntivo.Ma talvoltaesprime
indeterminatamente qualcheproprietàsenz'additarenepersona,nènu mero,comeamare,
leggere&c,ed allora si chiama di modo infinito cioè indefinito ossia non
determinato. 11. La varia desinenza di un verbo secondo le persone, il nume ro,
i tempi, ed i modi si chiama Conjugazione. Ed i verbi si dicono di una
conjugazione medesima o diversa, secondo che rassomigliano o no nel complesso
di queste desinenze.E siccome queste sidiversi ficano secondo la diversità
dell'infinito; e l'infinito pud terminare in are, in ere lungo e breve, ed in
ire; cosi tre sono le conjugazioni del. la nostra lingua. Tutti gli
infinititerminati in are si dicono della pri ma conjugazione come amare,
balzare, danzare: tutti quelli terminati in ere sichiamano della seconda,o
l'infinito sia lungo o breve, co me temère,cadère,giacère&c,e come credere,
discendere, volgere&c. I latini di queste due desinenze ne faceano due
conjugazioni diver se, come docère e legere. Nè mancato è purtra gl'Italianichi
abbia concepite diverse le conjugazioni secondo l'infinitolungo o breve. Ma
siccome, tolta la pronunzia lunga e breve dell' infinito, non vi sono altri
divari, parlando regolarmente; e siccome la pronunzia concerne
ilmododisignificarloinvoce,non laformadelverbo;cosìpiùra gionevoli sonoquelliche
rinnisconoinuna conjugazionegl'infinitiin ere lunghi o brevi. Spettano alla
terza tutti i verbi terminati in ire, come sentire,uscire&c. 2 canz.
29 12. Chi si propone per iscopo di presentare il prospetto
de'verbi Italiani dee porre sott'occhio le varie desinenze di essi giusta i m o
di, itempi, il numero, e le persone nelle varie conjugazioni. E cið ė
propriamente che noi cercheremo di eseguire. Per vedere però più da presso il
suggetto, anzi fin dalle origini, ed in tutta l'ampiezza sua, divideremo quesť
opera in due parti:la prima sarà tutta di Teoria e diProspettogenerale;ed
esporremoinessa 1.come leconjugazioni latine siansi trasformate e sitrasformino
nellepresenti d'Italia:2.la di pendenza comune de'nostri verbi dall'infinito, e
3. per ogni conjuga zioneilprospettodiqualcheverbocheservadinormain tuttiisi
mili e regolari: come del verbo amare per la prima,de'verbi temere e credere
per la seconda, e de'verbi sentire ed aborrire per la terza. Anteporremo per
altro a tutti il verbo essere come principio di ogni verbo, e quindi il verbo
avere che prossimo gli succede, esprimendo la sostanza, che passa ad ottenere
in generale delle proprietà. E ciò tanto più dee farsi; che senza questi due
verbi, però detti Ausiliari, non possono formarsi le tre conjugazioni divisate
degli altri verbi. D a to cosi principio e norma al prospetto di tutti i verbi
regolari; ver remo alla seconda parte ed esporremo ad uno ad uno per ordine al
fabetico i principali tra'verbi Anomali cioè quelli che in qualche tem po
escono dalla legge consueta, ed i quali servono spesso di regola per altri
anomali non dissimili. 13. Il prospetto sarà distinto in quattro colonne: nella
prima si avranno levoci corrette,nella seconda le antiche,nella terza le poe
tiche, e nella quarta lenon ben certe,gl'idiotismi e gli errori: si avverta che
non tutte le antiche sono affatto dismesse, anzi talvolta usate a tempo
adornano la scrittura: come pur le poetiche non tutte sono così della poesiache
non seryano talora alla prosa. Il che si conosceràdalle note.Glierrorison
sempre errori.Gl'idiotismipoi sono vociusate nel parlare e nello scrivere
familiare, non perd nelle belle scritture,sebbene talvolta vi scorrano per
incuria e per arbitrio degli scrittori che le decidon per buone, o vogliono
nobilitarle con la fama già da essi acquistata. 14. Per compimento dell'opera
spesso porremo in fine del pro spettoil participio ed il gerundio.Il primo é
propriamente un nome tratto dal verbo; dicesi participio perchè partecipa del
nome e del ver bo: e come nome si declina,e come tratto dal verbo esprime un
qual che significato di questo: tali sarebbono amante, amato.Tra’Latini si
aveano participj presenti, passati, futuri amans,amatus, amaturus.Pres. so noi
non si hanno che li presenti, e li passati che sono amante, amato,temente,
temuto.Tra’nostri antichi furono ideati anche i futuri come
fatturo,perituro&c,ma non ebbero buon successo,nè più vi si pensa.Il
participio passato sarà descritto per lo più nella formazione de'tempi più che
passati:laddove il participio presente si troverà nel finede'prospetti.Un
talparticipiopuò esseremessoinformadiag giunto e di attributo come se io
dicessi:la virtù possente,e la virtù a2 3 ,: ilparticipio si
riguarda anzi come adjettivo, che qualparticipio. Per chè sia participio con
ogni proprietà, dee, quando si risolva, signifi care come i participj latini:
come se dicesi canto possente a diletta re: schiere seguenti le altre & c.
E ciò rileva conoscere perchè non di raro si anno gli esempj anzi di adjettivi
che di participi , e noi pur he useremo in mancanza di participi, tali per ogni
rispetto. 4 15. Gerundio tra noi e tra' latini è una voce tratta dal verbo, la
qual significa le affezioni di questo, ma la quale non si declina come il nome,
nel che differisce dal participio: come amando,credená
do,temendo,sentendo.Da'qualiesempjrisultache ilGerundiodelle prime conjugazioni
finisce in ando e delle altre in endo. L'uso di tali gerundi è frequentissimo
nell'italiano in luogo ancora de'partici pj presenti.Ma veniamo all'argomento,
C o m e le Congiugazioni Latine siansi trasformate e si trasformina nelle
Conjugazioni presenti d'Italia. REGOLA PRIMA. Tutte le vocali latine, finali di
parole intere, nè seguite da consonanti, si conservano. Così in amo amare si
conserva l'O di amo, e l'E di amare. REGOLA
SECONDA.Tutteleconsonantifinalisitralascianoomutano:
leconsonantisonoM,S,T,NT,ST.NelcasodiNT sicambiailTin
O,eperònonsilasciacheilTamant amano,amarunt amarono: m a talvolta tutto l'N T
si muta in R O : amassent amassero: sebbe ne in questo e simili casi può sempre
rimanere la regola di mutare il solo T in o dicendosi ancora amassono. Vedi
ilprospetto di amare. REGOLA Terza.Tutti gli U finali seguiti da M o da S si
cam bianoin0:possumposso:amamusamiamo:ma segliUsono segui ti da N T si cambiano
in o nei presenti e nei passati, ma nei fu turi in A N .Così da legunt si trae
leggono, e da amabunt ameranno. REGOLA QUARTA.Tutti gli A ovverogli E
precedenti immedia tamente l'S finale si mutano in I amas ami, times temi: e
cosi da timeas abbiamo tu temi,e da legas tu legghi.Il che basta a conser. vare
la regola,ma ora si dice anche tutema, e tu legga. Tutti gli E,ogl'I
precedentigliA,oppure gliO finali,silascianoaffatto.Timea temo,timeam
icma.Sentio sento:sentiam io senta, 4 è possente: il fuoco bruciante, e
il fuoco è bruciante: ma in tal caso NOZIONI ARCHEOLOGICHE. 1. Non dee sperar
di comprendere il trattato che qui soggiungo se non chi conosce per le gli
altri ne differiscano la lettura. sue regole l'idioma Latino e l'Italiano: 3.
non si $. II. REGOLA QUINTA .Tuttigl'Iprecedenti gliSfinali in
singolare si conservano assumendo nel futuro un A precedente: legis leggi:a m a
bisamerai,edinpluralesimutanoinE: legitisleggele. REGOLA
Sesta.Tuttigl'IseguitidalsoloTfinalesubisconoun cambiamento secondo itempi.Ne'presentisicambiano
inE,ene'fu turiinA accentatolegiilegge,creditcrede:amabitameră,timebio temerà.
Per i preteriti perfetti ne diremo più innanzi. REGOLASETTIMA.TuttiiB
avantil'afinalenegl'imperfettisi cambianoinV consonante,ed avanti l'O,l'I,o l'U
finaledelfuturo, li B. caratteristichi della conjugazione del tempo si cambiano
in R. Quindi si trae amerò da amabo,ma da belabo si forma belerò senza mutarne
il primo B;perchè questo è proprio del verbo, e non della formazione del
futuro. 2. Queste regole sono ordinarie. Vediamolo. LATINO amatis est amamo
reg.3. e 2, ora amianio sono sono Ed eccone la maniera.Dalle regole 3. e 2. è
chiaro che la prima persona debba essere so e l'ultima sono.Ora dee sapersi che
appunto tra gli antichi si trova non poche volte so per sono in pri ma
persona.B. Jacop.Poes.Spirit.Venez. 1617. lib.4. cant.28. stanz. 12. sei
amamus es еè sumus somo este credit & c. ama reg. 2 credi reg. 2. amas
sentit & c. Amo reg.i. Vedo reg.4. vedireg.4. vede reg. 2. senti reg.2: Amo
amat amant amano reg. 2. Dicasi altrettanto di Video vides videt & c. credo
ITALIANO ami reg. 4. e 2. 3. Applichiamo queste regole al presente del verbo
sostantivo : Sum amate reg. 5. e 2, sente reg.6. credis credo So e finalmente
Sono i 5 se, estis semo siamo sunt sete siete sentio sentis crede reg. 6. sento
reg. 4. lo so nulla: ho peccalo: Mi exalto quantoposso. e cant. 3. st. 2. del
lib, stes. A pinger laer so dato. E GIUSTO de Conti nella bella
mano pag. 39. La seconda persona es fu trasposta e non altro , facendo prece
dere l'S. Quindi gli antichi dicevano comunissimamente se anche senz'apostrofo
per seconda persona: come Petrarca,Boccacci,Albertano,
edaltri:ALBERTAN.ediz.diFir.1610.cap.23.Selegaloamoglie? non domandare di
scioglierti. Se sciolto da moglie? non domandar di legarti.E
piùsotto:esìselenuloditantoamarlamoglie.PETRARC. canz. 26. v. 77.
ediz.Comminiana Spirto beato,quale 6 Se,quando altruifaitale? e altrove
più e più volte. IlDecamerone secondo la ediz.1718. col la data di Asterdam ne
è pieno.Senza questa origine che fa cono scerechesepersecondapersonaèvoce
interaenonaccorciata,non s'intenderebbe, perchè gli antichi spesso non
l'apostrofassero.Tutta viaperdistinguerla a prima vista da se
pronome,econdizionale,con venne in qualche modo contrassegnarla,e si fece uso
dell'apostrofo: e servendo questo a notare le voci scorciate; si riguardo se
persona seconda,come scorciata,quando nonera:eperchè tutteleseconde persone
singolari presenti dell'indicativo terminano inIReg.4.ese guendo le leggi
generali,tal personanelverbo sostantivoavrebbe do vuto essere u n I; così poco
a poco si ricongiunse se ed i in sei, ed ora si crede questa la voce intera di
tal persona.E cid supposto quan do si scrive se per indicarla, si apostrofa,
quasi fosse uno scorciodi Signornonè giovato Mostrarmi cortesia: Tanto so slato
ingrato ! e altrove spessissimo.E GUIDO Guinzelli Rime antic. appresso la bel
la mano ediz. di Firenz. 1715. Come io so avvolto nel Lenace visco; e se ne
hanno esempj ancora nelle letterediS.CATERINA,inFr.Gi. ROLAMO daSienanel1.Tom.delledeliziedeglieruditiToscani,ed
in altri:vedi vocab.diS.CATER.allavoce essere:ma so trovasipari mente persona
del verbo sapere,nata da sapio sapo sao so:ovvero da scio regola 5. scosso so:
la prima derivazione è di Menagio: a m e piacerebbelaseconda.Ma
torniamoall'intento:siccomesoeravoce ancora del verbo sapere, e siccome il
saper vero è di tanto posteriore all'essere; così per togliere ogni equivoco,
sivolle piuttosto ridurre ilso del verbo essere in sono che lasciarlo
indistinto col so del verbo sa pere. Chi dunque considera che ilprimo verbo
Italiano essere ha la vocesonoperesprimerelaprimasingolaree
laterzaplurale,sappia chequesto è stato un maledi origine, voglio dire è
provenutodalla figliolanza della Italiana dalla lingualatina,in forza delle
leggiuni versali,che per tanta combinazione dicircostanze cooperaronoatras
mutare l'una nell'altra . s e i : n è c h i p r o c e d e c o n t a
l v e d u t a p u ò r i p r e n d e r s i: m a i n o r i g i n e n o n vi era
bisogno, e più che apostrofarsi, avrebbe dovuto accentarsi. sero
eepere.ALBERTAN.Giud.cap.51.Dalsaviouomo eeda temere lo nimico. Or cid fecesi
per distinguere e del verbo,dalla congiunzione e, come pure dal pronomeei
solitoadapostofrarsi,edallacongiunzione e seguitadall'articoloplurale
iliqualiduee iriunitisirendeanopere:ma coltempo,la varietà dell'apostrofe e
dell'accento pote contrassegnare e diversificareabbastanza l’edelverbodagliedi
altrovalore:vediesseren.3. Trovasi ancora fra gli antichi este per è m a
rarissime volte: vedi G r a di di S.GIROLAM .ediz.Fir.1729. in finealla voce
este; finchè preval sero le regole generali anzidette. Da sumus uscirebbe sumo
o somo,e non semo:ma siccome tut te le prime persone plurali dell'indicativo
presente nelle seconde con jugazioni presero la desinenza in emo come
avemo,tememo&c.,cosìda sumus fu tratto semo:ovvero siccome tutte le persone
prime plurali ora pe'rincontri della forma loro anno rapporto con laseconda
per. sona singolare tanto che sono un composto di questa con qualche a g giunta,
come amiamo da ami ed amo,temiamo da temi ed amo & c;e siccome tal seconda
singolare era se nel presente indicativo di essere,
quindineuscisemoepoisiamo.Chi conoscegliantichisaquanto è familiare l'uso di
semo.Ne allego un esempio dalla vitanuova di Dante pag.13. perchè semo noi
venuti a queste donne ? E Fra Jacop. lib.1.sat,5. Uomo pensa di che semo. Di
che fummo,et a che gimo. Vedi ilprospettodelverbo Essere 2.4. In forza delle
regole generali la seconda plurale sarebbe estes. ma trasponendol'savantil'Ecomenelsingolareperuniformitàmag
giore con sono, sei, siamo; sen'ebbe sele, e questa appunto è la vo
cedegliantichi:siconsulti ilverboesserenot.5.finalmentesiag. giunse un I per
dolcezza o per distinguere tal voce da alcuni so stantivi e sen ebbe siete, che
ora è la voce più propria di questa per sona. Apparisce dunque per quali gradi
e per quali mutamenti siasi formato il presente come ora si usa del verbo
essere, La terza persona si esprime con la voce e, che appunto ri sponde
all'estlatino lasciatene le consonantisecondo la regola 2. ma gli antichi,prima
che la lingua si modellasse in tutto,non di raro dis 7 Preferiti
Imperfetti 意 4
Amabam amabas amabat amabamus amabatis amabant Amaya reg.2.7. amavireg.2.4.7.
amava reg.2.7. amavamo reg.7.3. 2. amavate reg.7.5.2. amayano reg.7. 2.
Temeva &c. legebam leggeva e e da sentiebam lasciatone l’I che è quel
di sentio reg. 4. si ha sen leva c o m e era nelle origini prime,nelle quali,
tutto risentiva di conjugazione seconda tra gl'italiani ne' verbi provenienti
dalla quarta de'latini:non è raro che senteva si oda anche ora tra' contadini
più corrotti che sono gli ultimi a correggersi: e finalmente fu detto sen tiya
sentivi & c.lasciando l'E per l'I. 5. Perqueste regole e questi progressi
apparisce che la prima persona dell'imperfetto doveva terminare in A amava
temeva legge va sentiva. Al presente i Filosofi ed i gramatici si meravigliano,per
chè la prima e terza persona singolare combinino, e perchè la prima non siasi
terminata inO. Ma la meraviglia cessa, seriflettasi che al cambiarsi del latino
nell'italiano, si prendevano di netto ivocaboli an tichi, nè si aveano di mira
che certe regole, come le indicate di so pra,per contornarlidi nuovo.E siccome
tutte le prime singolari degli imperfetti levatane la terminazione latina inM
;restavano amaba lege ba ec; cosi mutato il B in V non poté farsi a meno
d'incorrere nel lo scoglio anzidetto: molto più che in que'tempi non faceasi
poco, se le parole non sapevano di latino. 6. Veduto come siasi introdotto
l'equivoco, ora tocca ai Filosofi di emendarlo: tanto più che non siamo poi
scarsissimi di esempj an tichi pe'qualisi compionoin o le persone primesingolari
dell'inper fetto:de'quali mi piace allegarne qui alcuniriserbandone altri ailor
verbinelprospetto.Petrar.Vit.dePontef.edImperadori: vitadiCa ligola, lo pregavo
ogni giorno che Tiberio morissi. Così pure leggiamo inFr.
Jacop.1.4.can.38.Lacagiondelmalfuggivo.Cavalc.Epist.di S. Girol. ad Eusloch.
cap. 3. ediz. Rom . 1764. E vedendomi io venir meno quasi ogni rimedio ed esser
privato di ogni ajuto, gittavomi a' piedidiCristo&c....
iratoamemedesimoerigido,solomimet tevo per li diserti, e dove io trovavo più
oscure e aspre e profonde valli, e aspri monti o scogli pungenti o luoghi più
aspri e spinosi; ivi mi ponevo in orazione. Pulci.Morg.c.3.62. lo mi posavo in
queste selve strane. Da Timebam così pure si ebbe C.XI.83. Talch'io
pensavo d'aver acquistato. 8 ec.16.44 Per Dio,cugin,ch'i'sognavo alpresente,
Che un gran lion mi veniva assalire. Onď io gridavo, echiamavo altra gente E
però E con Frusberta il volevo ferire. e altrove più volte. Letter.San.CATER.di
Sien. ediz.di Aldo pag. 14. a tergo. Dicevo: Signor mio io ti priego & c. e
pag. 20. vi aggiunsi anzi che io volevo in voi la perfezione della carità
pag.92. desideravodivedervi:anzitalvoce'desideravosileggemolte
volte inquelle lettere.Vita B. COLOMBIN.ediz. di Roma pag.9.lo gode voévoinonmilasciatestare,epag.96.adirviilveroioandavo
a posarmi;pag.167.0 figliuoli,efratellimiei io non meritavo di es ser padre di
ianla buona gente;pag. 174. E questa la compagnia che
iodalesperavo,epag.299.pensavochequantoèmaggiorelasog gezione e l'unità ; lanto
si vien piuttosto ad aver libertà : Vedi ero n.6. verbo essere:e n.6. avere.
Eram Erant Erate reg. 5. e 2. e quindi Eravate avevano reg.7. 2. Imperocchè ben
è facilissimo concepire, che se cambiavasi in questo tempo in V il B precedente
l'A finale, potevasi cambiare in V pa rimente anche l'altro B:anzi parea
tropporagionevole,perchè non si notassetanto divariodi usiinparole
medesime,esifamiliari.E'poi noto, che tutto il verbo avere si scrivea
ne'principi, e si scrisse a n cor dopo per lunghissimo tempo con l'H precedente:
ed ora per un progresso, non saprei quanto considerato,si tralascia ancora
nelle vo ci,che forse ne abbisognano. 7. Ma giova esaminare ancora come
siansi trasformati gl'imper fettide'verbi ausiliari:Eccolo 9. Si possono da
tutto ciò comprendere le cause de'cambiamenti prodotti nel presente di
habco:seguiamoli via via, che'non sarà inu tilela ricerca Lasciato l'E dihabeo
reg. 4,e le altre consonanti,e cambiatele giusta le altre regole, risulta 9 Era
reg. 2. Eramo ed erale presentano Erano reg. 2. levocicome
sitraevanodallatinoinot. tima forma. Ma il va inserito eramus ed eratis Eras
Era reg. 2. in eravamo,ed eravate negli altri verbi, mentre in suppongono il B
cambiatoinV,come dunquedivainera questa consonante. Tale aggiunta affatto manca
la origine, nè fu, che una intrusione vamo ed eravate è contro per di altri
verbi,che usciva , nato dal sentire le voci consimili isbaglio amayate &c.
Il peggio no in quel modo,come amavamo , non dandosi quell'aggiunta fu che si
anche alle voci era tolse la uniformità tirannodelle lingue, autorizza erano
& c. Nondimeno l'uso, quel ,piùche lesemplicienaturali vamoederavale
essere,n.6.Ma diciamo si trovino pur queste. Vedi que risultasse. Eccone la
maniera fetto di avere, è come Haveva 8. Habebam habebas Habeva habevi era
eramo erate, quantun dell'imper Aveva reg.7. 2. habebamus aveva reg. 7. 2.
habebat habeva habevamo habevate habevano haveva havevamo avevamo reg.7.3.2.
avevate reg. 7. 5. 2. habebatis habebant havevate havevano Erat Eramus Eratis
Eri reg. 4. e 2. Eramo reg.3. e 2.e quindi Eravamo havevi avevireg.7. 4. 2.
b abbemo abbiamo &c. Forseil B fu raddoppiato per compensare la
perdita dell'E nell'ha beo.Sia comunque,abbosi legge ancora in Dante Infer. 25.
E quanto io l'abbo ingrado mentre io viva: E negliAMMAESTRAMENTI degli Antichi
pag.97. certamente abbo provato; e più sotto:ripensola seraa quello che iolo di
abbo detto.E nelle Vite de'SS.PP.ediz.Man.Fir,1731.,nellaVITA DI GIOSAFATTE
ediz.Rom.1734,e nelleNoyelle anticheFir,1572l'usodi abbo èco mune .Abbi è rimaso
nel Congiuntivo.E 'poi noto, che gli Antichi usa vano la seconda singolare
presente dell'Indicativo ancora nel Congiun tivo, come resta tuttora in molti
verbi,Così ami serve in tutti due i tempi alle due seconde persone singolari,e
cosi temi può servire ancora, sebbene ora vi siano dei divarj.Sopravvanza
nell'uso comune abbiamo; e siccome gliAntichi finivanole voci per tali persone
in eino, cosi non vi è dubbio che ne'principj sidicesse abbemo,quantunque negli
scritti forse non si trovi,per la rapidità di altri cambiamenti succeduti. 10.
Certamente l'uso di scambiare tutti iB nell'imperfetto di ha bere,di buon pra
scorse in alcune,o in tutte le voci del presente, e si trasse da Habo Avo habi
ave avemo avete habono avono ave resta tuttora tra'poeti, e fu non meno della
prosa. Vedi questa voce nel prospetto di avere. Avemo é comunissima tra gli
Antichi. Avete rimane per ogni scrittura;le altre tre voci presto furono cam
biate: perchè siccome l'V consonante ha un suono come di vi, o di un i
sibiloso; così specialmente se l'V sia doppio, l'avo,oppure avvo per abbo, fe
sentire nella pronunzia questo I quasi doppio.E quindi è che il B. JACOPONE
lib. 1. satir. 9. scrive Nè ferma fede per esempio ch'aja; Franc.BARBERINI
edizion.Roman.pag.189. Nonveggio ancor chi contento ajail core. E Francesco
SACCHBTTI disse ajolo per lo ajo,cioè per lohu.S'insinud tal cambiamento nella
seconda persona avi,é mutato l'V in I, se ne habet abbi 1 habemus habe
habemo habete abbe avi da Habeo Abbo habes Ch'io n'ajo una si dura e più sotto:
ajo portato in_core & c ,ed altrove più volte:anzi usa aja per
abbia:lib.1.sat.12.3. 10 Illuminato mostromi fore, E ch'aja umilitate nel core.
DÁN.Parad,17. fece huii, e col tempo hai. E questa è la causa, per
la quale ora ci troviamo con hai, seconda persona del presente dell'Indicativo,
senza che volgarmente se ne intenda la origine.Può notarsi però che in forza
della provenienza di hai l’i finale è risultato da un doppio i; e quindi
seguendo le origini, avrebbe dovuto scriversi haj: e ciò sa rebbe
statoopportunissimope' giorninostri,ne'quali vuolsi lasciare an che l'h
precedente. Imperciocchè chiarissimamente si distinguerebbe che aj è del
verbo,senza pericolo alcuno che si confondesse con l'ar ticolo plurale ai. 1.
La mutazione del doppio B in V ed inIdoppio o lungo,al meno quanto al suono,
porto l'altro cambiamento in aggio,aggi, ag giamo,aggia,aggiano: essendonoto
che l'J lungo si cambia spessis simointalmodo:equestaè
lacausaparimente,percuisidiceveg go veggiamo & c. Imperciocchè nelle prime
origini si disse ancora vejo vej veje per vedo vedivede: si consulti il
prospetto di vedere. Quindi 'Imperador Feder.Rim.ant. 114. Rispondimi Signor
ch'altro non chiejo. Da crejo è propriamente quello scorcio, che pur si usd
tra'poeti di cre' per credo, quasi crejo fosse cre io. Vedi il prospetto di
credere. Ant.Pucci nelsuo Centiloquio can.XI.terz.27. scrive: Gli comandò che
giù sedesse al piano. L'ultimo verso assai dimostra, che sie fu detto per
siedi: E siccome inDan.Inf.27.53.sitrovasie'persiede;parchiarocheambedue de
rivino da sejo. Allego un esempio di trajamo: Boc. g.8. n.5. lo vo glio che noi
gli trajamo quelle brache del tutto:da ciò ben apparisce la origine ditraggiamo
&c. 12. Ridotto havi ad hai;dovea sembrare che fosse di netto stato levato
l'V consonante , quando erasi inviscerato nell'j: e cið compa rendo,era facile
di lasciarlo pure nella terza persona have, e formar ne hae come si trova in
Fr. Jacop.,in Guid.Giud.,in ALBERTANO, Di voi,chiaritaspera. Rim .Allac.
408 Ciulo dal Camo Cose da non parlare. anzi avverto, che tra gli Antichi si
trova ancora crejo, chiejo, sejo,
trajamo,dondesonocreggio,chieggio,seggo,lraggiamo&c,enon dalla mutazione
del D inG comesitiene,forsemenopropriamente daiGram matici.Cosi Fr. Jac.lib.5.
c.3.12. secondo che io crejo:e nelleno te vi si legge: crejo,creggio,credo, e
lib.5. can.25. 12. II E vejo li sembjanti Quando ci passo e vejoti. F. Jac.
lib. sat. 3.9. la sera il vei seccato. lib. 6. can. 45. 4. Che vee con vista
acuda disse l'anziano: Sie giù a pena di cento fiorini: E volendo pagare a mano
a mano, E l'anziano a pena di dugento b2 12 e generalmente negli
Antichi.Cost Albertan. al càp. 12. L'avar7
semprehaelemanidistesepertorre...ivil'avaronon haesicura vita.I Grammatici han
creduto,che quell'E sia stato sopraggiunto all'ha per genio della lingua,chenon
amava finirele parolein accento: ma questosarebbevero,quando la parola
originale della terza persona
fosseha,ciòcheèfalso;essendoquestahabet,habe,have.Hae dun que non èche
have,toltone ”v per simiglianza di quanto era ac caduto in hai, ed in hajo. 13.
A questo proposito avverte, che non di raro fra gli Antichi si legge dae,fae,
slae per dà,fa, sta, come leggesi trae, e come hne per ha. Anche gli E di dae,
fae,stae, si credono aggiunti per la ra gione medesima: ma egli è falso
ugualmente; perchè dai ruderi an tichi della lingua può concludersi ta
esistenza degl'infiniti, daire,fai re, staire, come esiste traire. Ora da
quegl' infiniti daire & c. sorge n a
turalissimamentedae,fae,stae,cometrae,cheancorcirimane da trai re:vedi S. III.
di questa Prima Parte sotto il titolo Dipendenza delle
conjugazioniitalianedall'infiniton.2.E quindi puresono levoci dai,
fai,stai,come trai,che altronde sono inesplicabili.A dichiarare quanto dico
sappiasi,che Fr. Jacop. lib.6.c.10.st.20.scrive A chi gli dice villania &
c. Fra duo ladri allo staia. e lib. 4. c. 1o. E che al povero dala.
elib.6.c.43.5. Ch'eglièildaenteetiilricevitore: e lib.7. c.9. II. Staendo
in quest'altura dello mare: Vita S.MariaMad.É cosistaendolapoverettasìperl'amorechegid
ave v a c o n c e l t o d i G e s ù C r i s t o ,si p e r l a d o g l i a ; c o
m i n c i ò a p i a n g e r e . P a r i m e n t e inFr.Guitt.sileggepiùvolte
faiteallapag.36,efaieallapag.54.Enel TESORETTO:ponelemente al beneche
faiteperusaggio:e Franc.BARBE RINOpag.17.Faesseleidiquelpregiodegnare.NeiGRADI
diS.Girolamo allavoceFailenell'indicesidichiara,chel’idifaiteè un aggiunto,e
non più:ma faie,faesse,elevocislaca,daia &c.ne'verbi similipalesano il
contrario:e Traire si legge in Fr. Guit.lett.2. pag.9, ma traers spiega
ugualmente la originedi trae, come fae sorgerebbe ancora da faere, delquale
fece uso Franc. BARBERINO nel verso allegato. Per tanto gli E di dae, fae, stae
non sono aggiunti,come si pensa, m a sono naturali;ed ora non si è cessato diaggiungerli,
ma sono stati tolti. 14. Tornando alle voci hai ed hae, siccome in queste era
perito \'u consonante; così poco a poco si tento,ma non riusci,di farlo pe rire
nelle vociavemo, avete: e non è infrequente di udire aemo, aele; e nel futuro
dell'Indicativo, e negl'imperfetti dell'Ottativo trovasi scritto
arò,arai,arei,aresti'&c.come vedremo.Non prevalendo pero quel
tentativo,siriserbarono le voci avemo,avete,etalvoltaaviamo, aviate,
aggiamo,aggiate. Essendosi creduto, che l’E di hae fosse ag giunto; presto fu
stabilita ha per terza persona; talchè le prime tre fossero ho,hai,ha.La terza
plurale divenne harno;perchè dall'ha bent sifece haveno, haeno,
hano, hanno,ed esistono ancora'esempi di dano,fano & c.per danno e fanno,
voci similissime nella origine,com me è chiaro:vedi S. III. 12. 15. Ma passiamo
ad esaminare come dai perfetti de'verbi latini si traessero quelli presenti
d'Italia. Potrà ciò conoscersi ne'verbi co muni ad ambe le lingue,ma terminati
secondo i metodi di ciascuna: E noi su questi rifletteremo. ILatini
sincopizzavano il perfetto in più voci, togliendone il VI,o ilVe.Per avere dai
perfetti latini lita lianocorrispondente,silasciilVI,oVe intutte
lepersoneperquan to si può senza contradire alle regole generali del s. I.
Quindi nel la persona prima singolare dee lasciarsi ilsolo V , non potendosi to
gliere l'I finale, secondo la regola prima. Si noti, che la terza singo lare
risulterebbe simile ad alcuna voce del presente, e quindi nelle origini si
accentava: ma ora se la voce finisce in A, simuta in O accentato.La prima
plurale sarebbe amamo come nel presente,e quin di I'M si è raddoppiato. Del
resto in Gio. VILLANI nella edizione fatta procurare da Remigio Fiorentino in
Venezia si vede gran quan tità di persone prime plurali dei perfetti,scritte
con un semplice M : come tememo per tememmo.Altrettantosiosserva in Fazzo degli
Uber ti,nel Cavaliere Jacopo SALVIATI Tom . 18. Delizie degli eruditi To scani,
nella Cronica delPitti,ed in altriAntichi;indizioche pertali vie si passava dal
latino all'italiano in questo t e m p o . A n z i Celso C I T T A D I
ninellesueOriginidellaToscanafavellaosservaalcap.6.che iSanesiin tali
personenon davanoasentire che unM ,quasipronunziandoface mo,dicemo &c,ed
eglicon pari ortografia scrisse tali voci.Ma Giro lamo Gigli nel suo
Vocabolario di S. Caterina noto alla lettera M , che a'suoi tempi (vuol dire un
secolo dopo ilCittadini,) quell'uso era perduto. Serbate dunque anche le regole
generali del n .primo, avre di Ama(v)i ama (viisti ama(vit) ama(vi)mus ama(vi)stis
ama (verunt Amai amasti amd amamo amammo amaste amarono 16. Dai Latini si disse
ancora amávere: toltone il ve,si ebbe Vita Lano amare, e perché non si
confondesse con l'Infinito, si muto l'E i n o , e si e b b e a m a r o p e r a
l t r a t e r z a p e r s o n a p l u r a l e . I G r a m m a t i c i h a n
ereduto, che amaro sia precisamente una sincope di amarono, toltone il no.Á me
perd sembra,che amaro siavoce interain sestessa, e provenuta altronde, come ho
dichiarato. E questa è la ragione, per cui amaro può troncarsi ancora,e dirsi
amàr per amaro, laddove le troncature delle troncature non sono consuete,
almeno nella lingua, come ora si trova. 13 mo 17. II P. Bartoli nella sua
Ortografia riguarda come un incan to, che le terze plurali del Perfetto indicativo
scorciate tre volte s e m 14 pre significhinolo stessocon quadrupla
desinenza:amarono,amaron, amaro,amàr.Ma l'incanto,se ben siconsideri, non è che
un caro abbagliodiun animo,chealvederprimosiappaga,stancodellemo lestiedi
riflettere.Imperocchè da amarono sitragge amaron,e qui cesserebbe la
troncatura:ma perchè levato anche l'N ci troviamo da amaron in amaro ,
desinenza ancor buona ; si è creduto, che tal b o n tà risulti in forza di uno
scorcio:laddoveamaro già eralegittima de sinenza in se stessa: e perchè
tale,ammettevasi; non perchè nata da amaron,levatone l'N. A parlar dunque
propriamente si hanno due desinenze,amaro,ed amarono,edognuna ammetteuno
scorcio,ama rono porgendo amaron,ed amaro la voce amar,colvago incidente, che
se da amaron si spicca l'N finale;ci troviamo alladesinenza se conda, la quale
è amaro. E siccome amaro è desinenza intera in sestessa;di qui nasce, che gli
scrittori del buon secolo, ed alcuni ancora del cinquecento, come il DAVANZATI
ne fecero tanto uso: laddove le altre sincopi amar ed amaron sono assai più
rare,spacialmente in prosa. Anzi si noti, che nelle NOVELLE 'ANTICHE la
desinenza in aro è quasi la comune, lad dove l'altra in arono vi è scarsa, e
meno pregiata. 18. Ma proseguiamo l'esame de perfetti:eprima nella terza con
jugazione. Audi(vi audi(ve)runt Audii audisti audi audimmo audirono udiste
udiro. proviene udiro dall'audivere,come amaro dall'amavere.E'poinoto, che
nelle origini della lingua si disse in Italiano anche audire finchè l'au si
chiuse in o,cone nelle voci aurum, tesaurus,dalle quali si trasse oro, tesoro
&c, e se n’ebbe udii, udisti &c.Vedi questo verbo nel prospetto. Debui
debuimus debuerunt Devei , . Pertanto abbiamo da dové doveste udisti
audi(vi)t udi audi(vi)mus u d i m m o audi(vi)stis 19. Riguardo alle seconde
conjugazioni, avanti l'I finale vi è l'U vocale, e non consonante,quindi
regolarmente parlando tutto l'UI o l'UE si muta .in E semplice,avvertendo, che
l'1 finale nella prima persona dee conservarsi secondo i canonigenerali
debuisti Dovei deve, audiro devemmo, deveste, deverono, audi(vi)sti audi(vere)
debuit debuistis debuere doverono dovero. audiste devesti, dovesti devero,
Siccomel'U fu cambiato in E(dovei)gravatodi accento,quindinella terza persona
non potea non dirsi se non dovè seguendo leregole ge Udii udirono dovemmo
nerali, o dovèt, trascurando la regola sulle consonanti finali; e da que.
sto nacque che per istrascico di pronunzia fu detto ancora dovette, come dalla
voce Giudit PETRARC. Trionf.fam . c. 2. v. 119. Non fia Guiditlavedovellaardita,sièfattoGiuditta,ecome
daJosafat,DANTE Infer.10.v.8.Quando daJosafat qui
torneranno,sièprodottoGiosafalte comunemente.Fattosi dovei,dovė,o davèt,fecesi
quindi per coerenza do veltero e dovelti: e cosi questi preteriti ebbero doppia
desinenza: e si disse temci e temetti, teme e temette, temerono e temettero.
20. E' poi tanto vero, che questa è la origine di temetti, tèmel te & c ,
che siccome lo stesso argomento vale per le terze conjuga zioni; così talvolta
si scontra ancor questa desinenza applicata alle medesime. Ond'è che
trovasifuggi,fuggi & c; e nelle Vire de SS.PP.
ediz.Man.tom.1.pag.20.fuggitte,e nellapag.125 salitlepersa li: una
nolle,essendo questi ito,alla casa di una vergine Cristiana o per rubare,o per
altromalfare,salitte con certi ingegni il tetto della casa. Anzi questa ragione
è sì certa che spessissimo le desinenze in ilte come salitle & c.furono
modellate affatto a norma delle altre in elle, cioè di temelle,credette &
c. Quindi è che nel medesimo tom . 1. delleVit.deSS.PP.se inalcuniesemplarisileggefuggitte,inal
tri,sihafuggelte:allapag.101 ediz.citat.vièfuggettiperfuggii: nella 62 ,uscite
per uscì, nella 71 irrigidelle per irrigidi, nella 73 finette per fini, ed
Antonio Pucci versificatore famoso del trecento nel suo Centiloquio al can. 2.
st. 69 ha sentelle per senti; ed Oito impe rador che ciò sentette, e così altre
se ne veggono in altre pagine ed opere.Simileterminazionenon potevaaver
luogonellaprima conjuga zione,perchè l'amavit,secondol'usodi
cavarneilvolgare,cessadove èilsecondo a,dicendosi amo,e non cessanell'I con
farsentire un amavit: il che direttamente gli avrebbe causato la uniformità,
che'mai non ottenne:ora la desinenza in illi ed etti & c.è del tutto
abolita per l e t e r z e c o n j u g a z i o n i: r i m a n e a n c o r a l a
c a d e n z a i n e t t i e d e t t e & c . p e r l e seconde
conjugazioni;ma forse,almenoin piùverbi,è men cara che nelle origini della
lingua, come potrà rilevarsi dal prospetto de' verbi, che soggiungeremo. 21. E
giacchè consideriamoilrapporto fraledesinenze delleter,
zepersonede'preteritidell'indicativo,piacemi dilatare ancor più la serie delle
riflessioni,picciole sì,ma pur necessarie per chi brami co noscere intimamente
la lingua,e suoi movimenti. Ho detto di sopra, che dall'amavit,debuit,audivitsitragge
amò,dove,udi,abolendoin tutto,quel vit finale:ma questa è piuttostola
regola,che ora predo, mina.Del resto quando la linguapendeva incerta sul
fissare le sue desinenze, talvolta tentò rendere queste, tutte simili alla
cadenza del. la primaconjugazione, e tal altra a quella della seconda.E certo
quell'amavit ebbe talorauna desinenza come amao:di che produco un esempio
luminoso di FR.Jacop.lib. 2.can.2. Quando che in prima l'uomo peccdo Si guastò
l'ordin lullo dell'amore: / 15 E questa è la causa, per la
quale oradiciamo amarono, lassaro no, e non amorono, lassorono & c. vuol
dire questa è la causa, per la quale la sillaba antipenultima è un a, e non un
o. Tutte le ter ze plurali nascono nel preterito con aggiungere alla
terzasingolare un rono,o un semplice ro, ne'perfettianomali, o simili aglianoma
li. Così diciamo senti rono,temè rono,crede rono,sparse ro, videro & c.
Pardunquela originalterza personaquellade'contadiniamà,las sà & c. e quindi
sen ebbe ama rono, lassarono, e non amorono, las sorono &c.desinenza che
leggesi in molti Antichi: Così nelle Vite
de'PonteficidiPETRARCAvisileggeandorono,seccorono,esimili or dinariamente.Il
Venturi traduttore di Dionigi di Alicarnasso è pie no di tali cadenze.Forse a
dire amarono,lassarono &c.vi contribui pur la dolcezza per non avere
insieme tre o finali amorono, lasso rono & c. Nel modo poi che il vit era
supplito da un o nella prima con jugazione; lo fi pure nelleseconde e nelle
terze: e quindi sono le voci temeo,credeo,poteo, aprio,finio, udio, e
simili,tanto frequenti ne gli Scrittori. Ora queste desinenze, per le prime
conjugazioni sono spente in tutto: m a nelle altre conjugazioni rimangono
tuttavia per li poeti, e l'uso moderato può riuscire utile non meno che
dilettevole. Chi non bene conosceleprimizie della lingua,meravigliasiche imo di
poteo,lemeo,udio&c.fossero comunissimi.IGrammatici dissero,che l'o finale
si aggiunse per licenza poetica: ma cið non ispiega perchè voci di questoconio
abbiansi frequentissime ne'vecchi prosatori, come nelleStorie dei
Villani,nelDavanzati,ed in altri.Dir finalmente che l’osi accresceva per non
finireinaccento,era un luogo comune,un parlardiabitudine,enullapiù.
Sidovevaavvertire,chequest'ori ceveasi da tutte le conjugazioni nelle terze
persone singolari de'pre 16 Nell'amor proprio tanto l'abbracciao ; Che
n'antepose se al creatore. E la Giustizia tanto s'indignao; Che la spogliò di
tutto suo onore: Ciascheduna virtù l'abbandonao, Gli fu il demonio dato
possessore: Nel tom.12degliScrittor.Ital.delMURATORI trovasi inserita laMemoria
di Messer Lodovico di Buon Conto Monaldesti su la coronazione del P e
trarca:costui,che lavidediperse,cosìscrive:Poi comparve lo Sena tore in mezzo a
muti (molti)cittadini, e portao allo capo soio (suo) na corona di lauro,ese
assettao alla sedia, e poi s'inginocchiaoallo senatore & c. Si vede in
questi esempi, che si accento l a preceden te il vit,e questo vit fu supplito
con un o.Più volteho notato,che presso alcuni contadini appunto ne'dintorni di
Roma dicesi difforme mente amà ,lassà,&c.per amò,lasciò come ora è
laregola:Toccaal filologo accorto di rintracciarne le provenienze:esse non sono
che per lo scorcio naturale,che si faceva della lingua parlata sotto questo cie
lo da'nostri antenati. teriti , e la uniformità medesima avrebbe
fatto conoscere , che era un supplemento del vil, risecato dalle voci
latinecorrispondenti , o pure una proprietàdi cadenza;e con cið sarebbesi
dichiarato perchégliAn tichiusassero temeo,udio,e simili,promiscuamente in ogni
scrittura, senzascrupolodiriprensioni.E'poitantomanifestochequell'O non si
aggiungeva per non finire in accento , che nel Dittamondo si tro va unito anche
alle prime persone della terza conjugazione,leggen dovisi nel 3 lib. cap. 15
udio per udii : 22. Tornando al nostro principio , apparisce dal fin qui detto
che sitento chiudere in tutte le conjugazioni con desinenza simile allaprima:ma
perchè l'uso non eraancora ben fissoe comune, si tento per eguale maniera
terminare tutte le terze singolari d e' prete ritiinE,comeinEfiniscelaterzasingolarenellaseconda
conju gazione.Quindièchetroviamoamoe,teme,finie,esimilicon tan ta abbondanza di
esempj.Faz.Dittam.lib.4 cap.20 23.Lachiusadelle terzepersone
tutteinO,ovverotutteinE,de riyavadallevoci corrispondenti latine,finite tutte
in un modoamavil, timuit,audivit.Era
difficileabbandonareognisomiglianzanell'italiano, с 17 Passato poi
Suasina , io udio & c. e cap. 16 Secondo ch'io udio , e'l nome prese e cosi
nel lib. 4 cap. 4 vi si legge sentiu per io sentii, e nella Vin
LadiGiosaf.pag.31 uno essemplo tidicochel'udiodirea unomol to savio uomo :e
pag. 34 lo ritornerò nella mia casa onde io uscio. Novell.ANTIC. Firenz.1572
novel. 20 lo poi che mi partio,abbo avuto moglie efigliuoli. Etic.di Arist.
compend. da Ser BRUNET.ediz. Lion.1568 pag.100quandoioudioleloroparole,nonmidolea&c.
Gli o dunque di udio ,finio , lemeo & c. in terza persona , non sono
licenze di poeti,non aggiunteper iscansare gliaccenti,ma regole o modi di
terminazione , e risultati di una lingua , che in altra si trasmutava,come or
ora meglio dichiareremo. Che amoe si;che'lsipuò dir percerto. e cap. 20. Che
rifutoe l'onor di tanta manna . V i t . d e S S . P P . T o m . 1. p a g . 2 i
n c i a m p o e i n u n a p i e t r a , e f e c e a l c u no strepito: pag.10
con molte lagrime cantoe salmi, e pag.6 ľani male si levoe a corsa, e
fuggie:pag. 43 per la sele l'uno morie,e pag.47 udie una voce che gli disse
& c.'Or questa uniformità fa vede re,come dianzi ho pur detto,una proprietà
di cadenza nelle terze persone singolari del preterito in su le origini della
lingua, e quin di è che se ne abbiatanta copia ancora ne'prosatori;e tanto èlun
gi che l'E si aggiungesse perevitare l'accento,che ci è facile tro yare temè,ma
non temee;se non forse per la rima.Cosl Dante dis sePurg.3212 senzalavistaalquantoessermifee
permife,voce interain sestessa,come vedremo nella seconda parte al num.6 del
verbo Fare . dopo che le altre persone omologhe del preterito si
erano concordate nella desinenza.Così tutte le prime escono in I,amai,
temei,udii, tuttelesecondeinsti,amasti,temesti,udisti:e tuttelepluralihan pari
concordia di finale. Or come poteasi tralasciare quesť armonia nelle sole terze
del singolare? Questa è la origine vera degli O e d e gli E che si
aggiungevano, e non le sognate fra le minuzie di una grammatica, che
inaridisce. Col progressodel tempo sivolle trascurare
quellaparitàdicadenza,elevocisichiuseroin0,in E,inI,ac centandole finalmente,
sebbene quellechiuse in O si trovino spesso tra gli Antichi senz'accento
comeinFazio degliUBERTI,enelle No VELLE ANTICHE.Ed oranoi,lucidiesseridi
unsecolointelligente,go diamo su la idea dolcissima di una lingua perfezionata.
M a i gravis simiAntichi,colle mire ch'essi aveano,questi Antichi io dico,
risor gendo,ne sarebbero in tutto persuasi? 24. E cid su le terze persone
singolari de'preteriti: ora torniamo al verbo temere o dovere, dalle
considerazioni del quale siamo qui per venuti. Si noti che doverono e temerono
ammettono le tre solite scor ciature Lemeron,temero,temer,come
amaron,amaro,amàr,perchè da lemeron ci troviamo all'altra desinenza intera
temèro prodotta da ti muere,come
dovèrodadebuere:laddovedovellerononsopportacheuna scorciatura appena,potendosi
faredovetter,ma non proceder più oltre; perchè le nuove scorciature non ci
fanno casualmente trovare in altra desinenza compiuta in se stessa.Tanto è vero
quelloche siadditonel 3. 17. 25. E'certo che ne'perfetti delle seconde
conjugazioni italianeso no le irregolarità più grandi: ma non ho veduto che
altri notasse in esse un incontro curioso: cioè la irregolarità non concerne
mai se non la prima persona singolare,e le dueterze singolare e plurale,mentre
tutte le altre persone si trovan sempre comela regola chiederebbe. Cosi nel
preterito rompere abbiamo ruppi, ruppe, ruppero anomale; e le altrevocisono
rompesti,rompemmo,rompeste,come vorrebbe la indo le di un perfetto italiano
regolare rompei , rompè & c. Tal cosa è so vente osservata e confermata con
esempj nel prospetto. E m m i più vol. te nato il prurito d'indovinare onde sia
talearcano di lingua. A me ne sembra la origine dall'avere le terze persone
plurali una seconda desinenza derivatadal latino,per esempio rupere
ond'èruppero,enon daruperuntond'èrupperono,oromperonoBo'i reg.2,chepursitro ya
negli Antichi: vedi ilprospetto di questo verbo. Romperono ha l'ac cento,che
riposa in su l’E: e quindila terza singolare non può es. sereche
rompe,elaprimarompei;laddoverupperohal'accentonell'U, restandobrevelaE.Quindi
perleggedicorrispondenzalaterzasin golaredee tenere l'accento anch'essa nella
vocaleprecedente, e non nella finale; altrettanto dee succedere nella prima
singolare: e p e r ciddeemancarel'E diEInelladesinenza,giacchèl'E diEIintutte
leconjugazionisecondeègravatodiaccento;efinalmentedee cavar
seneruppi,ruppe,ruppero.Ma rompesti,rompeste,rompemmo non pos. 18
già 26.Ma diciamoqualchecosade'perfettide'verbiausiliari.Nascono
fuit fusti fosti C2 sono non avere l'accento sull'E in forza
dellaformazione loro,essen do in esse la E seguitata dalla doppia consonante S
T , M M . Quindi non possono non esser tali come romperono , quantunque poco o
nulla usate, come avviene in molti se provenissero da rompei, rompe, verbi
irregolari. E per cið l'anomalia de'preteriti non può concer nere se non la
prima singolare , e le due terze persone singolare e plurale de'perfetti.
Questo discorso vale eziandio ne'verbi ano mali di terza conjugazione ; dicendo
dell'I quanto si è detto dell'E. Potremo da ciðtantomeglio
persuadersi,cheamaro,temero,&c. sono desinenze piene in se stesse , e non
sincopi di amarono merono & c. fuisti Fui da Fui fuistis fuerunt fuere
fummo fuste foste furono 19 fuimus furo Questo tempo somiglia in tutto al
preterito debui o timui della se conda conjugazione latina,alla quale
appartiene ilverbo esse,o pure essere secondo che leggesi in Plauto. Pure esso
nelle persone non ha subito la legge di mutare l'UI:ma ciò non è stato senza
una ragio ne: Imperocchè dando luogo a tal mutazione, sarebbe risultato
fei, fe sti,fe & c, e questo è il preterito appunto del verbo fare:
purtroppo si osservano tra gli Antichi talvolta le voci del preterito del verbo
sostantivo piegate in quelle del verbo fare: Cosi Fazio degli UBERTI
nelsuoDitcam.1.4c.8 dissefoperfu.Perildiluviochefositene
broso:Filip.Vil,nelprologo allesueStorie:con lostilechealuifopos sibile:e
Faz.nelDitlam.lib.3cap.22 infinescrivefonno perfurono,e
Fr.Guitt.let.12,scrivefoe per fu:eFra Jacop.1.2can.172 scrive fom per fummo.Per
nonconfondere dunque una cosa con lealtre,non doveasi praticarela legge
anzidetta: nei tempi debui,debuisti periva in. tuttele personel'UI,eccettol'Ifinalenellaprima
perfareil cambiamen toindicato.Infuisti,fuimus&c.sièritenuto
l'U,edèperitol'I:edin fuerunt è peritol'E. Si noti cheil fuit dagli Antichi si
rendeva,e nesonopieniilibri,perfue.IGrammaticihancredutol'Edifue come una
giunta per non terminare quell'E non è che la E nella quale dovea mutarsi l'UI,
supplita in questo luogo per dare alla terza singolare del perfetto la
desinenza in E,comune a tutte le persone simili di altri verbi di questa con
jugazione, dicendosi lemè, iemelte, crede, ruppe & c. Tanto siam dunque
lontani che l'e di fue siasi una giunta, che anzi era lettera distinti va della
persona, ed una conseguenza dellamutazione, che aveasi a faredelUI
inE,comepiùsipoteva.Equandosparìquell'E,sitol fue fu in accento la semplicefu:mą
serealmente,non si cesso di aggiungerla.Ed ora ci rimane il sem plice fu,
voce cheesce affatto da ogni regola di terminazione. da Habui E le voci avesti,
aveste, avemmo sono comunissime: delle altre avei, avè, averono, se pur furono
in uso, non ho presente nemmeno un e s e m pio;e solamente mi ricordo che in
Fr. Jacop.si legge avi per ebbi, ed avvero per ebbero. Di buon ora s'introdusse
la irregolarità, la qua le concerne, come ho detto, la sola prima singolare, e
le due terze singolare e plurale, e si fece ebbi, ebbe, ebbero; presa la
occasione c o m e s'intende pel S. 17 dal habuere: perché se ne dovea cavare ha
. bero,con lapenultima breve,donde ne seguitava habe per terza sin golare, ed
habi per prima; e somigliando queste due voci ad altre d e l l ' a n t i c o p
r e s e n t e a b b o , a b b i & c , n o n p o t è n o n c a m b i a r s i
l ’ A in E , condirsiebi,ebe,ebero,ebbi,ebbe ebbero.IPoetitalvoltaco me
PETRARCA Trionfo Fam.cap. : ora investighiamo, come da’pre teriti più che
perfetti latini ne derivassero gl'italiani, che tanto sem brano differenti. E
certamente i Latini esprimevano col tempo la qua lità che si affermava, ossia
la cosa che siera fatta: e tali erano a m a yeram,fueram,habueram.Ma
negliitaliani sidecomposero gliattri buti, e si disse io aveva amato,io aveva
avuto,io era stato.Possiamo però conoscere che tra'Latini medesimi si aveano i
semi di simili riso. luzioni. Cosi Cic. nel 15 Fam . 20 disse , quantum ex tuis
litteris h a beo cognitum per cognovi:od in Verr.7 63 hodie sic homines ha bent
persuasum:cosìnel 4 Ac. comprehensum animo habere atque perceptum; ed altrove
assai volte. Pertanto nel passare da'preteriti
piùcheperfettilatiniagliitaliani,nonsifeceche ampliareciocchè giàsi usavadai
Latinimedesimi.Abbiamopiù voltenotato,che 20 per la rima scrivo. no ebe
con un b solo:qualche Antico ciò praticava quasi per abitu dine, come può
vedersi nel Dittamondo di Fazio degli UBERTI l'uso finalmente ha stabilito ebbi
, ebbe : ma ,ebbero:vociche varianonel principio e nel fine come appunto i
preteriti greci. 28.Ma bastisu'preteritisemplici avesti ayè avemmo aveste
averono avero. 27.Seguendo le leggi descritte dovea nascere ancora Habuisti
Habuit Habuimus Habuistis Habuerunt Habuere I Ayei v.92, li che incominciano ad
imparare il latino quel lo scordano,facilmente ,o che per disusoin parte
esprimono le azioni trapassate col verbo habe re,e col participiopassato
latino. va linguagl'Italiani erano Or siccome nelle originidella in rispetto
della lingua latina nuo puntochiprincipiaadapprenderla come ap , o chi per
disuso l'ha quasi di
menticata;cosìl'analogiaelavogliadiesprimersiinqualche modo
gl'indusseadecomporre,edireioavevaamato,io avevaavuto.&c; lasciando in
amalus ed habitus gli S finali, e mutando gli U in 0 secondoleleggidelş
ireg:2e3,dallequaliappuntorisultaamalo ed ayuto con i cambiamenti suggeriti
appresso dall'uso. 29. Quanto al verbo essere:il più che perfetto latino è fu
-eram , fu-eras,fu-erat&c:talivocisonocompostedi eram,eras,erat,e fuo fuit:
quasi dicasi io erafu:tu eri fu &c.Seguendo pertanto l'indole del tempo
aveasi ad indicare tal nozione che spontanea si presenta: cioè dovevasi
indicare che questo era spettante alfueram; non era indeterminato,e pendente
come chiamano i Grammaticil'imperfetto, ma era piuttosto di un tempo definito e
certo.E'noto che i Latini appuntocon la voce status, stata, statum upita al
giorno o tempo accennavano i giorni e tempi definiti. Cic.Offic. : 37 status
diessit cum hoste:o comePliniodissestatotempore.Quindiin tempo che la lingua
degenerava o si decomponeva si disse io era stato,cioè in
tempogiàfisso,giàpassato,e non pendente:tueristalo,cioèintempo f i s s o &
c, e g l i e r a s t a t o & c . L a v o c e s t a t o f u d u n q u e c o
m e u n a g i u n ta o segnodi cosa passata,e non altro:ed in seguito si
aggiunse a tutti itempi,che lo richiedevano nel verbo essere.I Grammatici han
creduto, che stato sia il participio del verbo stare applicato al verbo essere.
M a non dee presumersi che la formazione del verbo stare pre ceda quella di
essere, che èil primo de’verbi,e verbo per essenza: edaggiungo che sto,stas
tra'Latini,da'quali derivava in gran parte la lingua,se non è privo
diparticipio, certamente ne somministrava un uso ben raro, come può intendersi,
consultando il Forcellini sul verbo sto sta.Per taliriflessièda
concepire,cheilverbo esserenon abbia participio se non quello dedotto da
stalus, stala & c. usato in principio come segno e non più, di cose
precedenti e consumate. 30. E da ciònacque, che a poco a poco si tentò creare
un par ticipio proprio di essere,facendosi essuto,issulo, o suto. Quindi A l
BERTAN.Giud.cap.44pag.100 ediz.Fir.1610maggioronoreglisareb be essuto s'egli se
ne fosse rimaso. AmmAESTRAM . degli Antic.pag.93 Nella Grecia la Filosofia non
sarebbe stata in tanto onore s'ellanon fosse essuta invigorita per contenzione.
Collaz. Ab. Isac. pag. 59 E se l'uomo avesseconosciuto lasua infermilate
nelprincipio e avessela veduta ; non sarebbe essuto negligente. Questo
participio pareva il più naturale: pur si disse anche issuto; ma più di raro:
AMMAESTRAM.de gli Antic. pag. 303 la nuora il seguente di che è issuta menata,
di. manda &c.Ma più di tutti fu in uso ilparticipio sutopiùanalogo a
sono,sei &c,e molti nesonogliesempj in Boccaccio,nelle Croniche diLionardo
MORELLI,nelMorgante delPulci,nell'ARIOSTO,edinaltri: ne allego un solo tratto
da' FIORETTI di S. Francesco cap. 38 a.me si è suto rivelato che tu & c. A
fronte di tali sforzi non irragionevoli lavocestato,laqualenonera che
unsegno,divenneilparticipio legittimo, esclusone ogni altro, 21 Ed
eccone gli esempj.Fra JACOP. Poes, Spirit.lib.1satir.i averanno reg.2, 3,7
perchè se nell'habebo si cambiavano i due B in Vrisultava havevo e quindi
havevi,haveva &c.come nell'imperfetto:nonvolendosi dun que ritenere il
secondo B, fu necessità cambiarlo in altra consonante, e fu questa la R , e se
n'ebbe averò, averai, averà & c. in forza delle
regolegeneralicitate:mapresto sitolseanchel'Eintermedio,esi fece Ayrd Avremo
ayrai 22 Sempre serai in tenebria Ditlamon.lib.icap,25 eris erit erimus
eritis erunt avrete ayrà avranno serai sera seremo Serete seranno. LATINO
habebis AveròS.Ireg.7 31. Venendo ai futuri dirò prima come derivassero quelli
de’ver bi ausiliari. Nel verbo essere è il futuro Ben serai crudo se gli occhi
non bagni. FBA Guit, let. 3_pag. 13,e anche sera di molti. Dittamon. 1.2 c.31
L'ITALIANO nelle origini Sero Le cose quivi ne seran più conte. Novell,ANTIC,99
serannoquestelenovellecheioporterò.Chileg.
gegliAntichitrovaquesteésimilivocinon infrequenti.Manifesta mente dunque
derivano dalle latine con la giunta di un S in prin cipio per uniformarle con
sono, sei, siamo & c. Del resto eris,erit, giusta le regole, danno erai,
erà,S. 1, e quindi serai, serà. Presso al cuni popoli ancora si ode ladesinenza
serimo, serile, che presto fu ridotta in seremo, serețe & c. Al presente si
trova cangiato anche il pri mo E,dicendosisarò,sarai.Questo cambiamento
è1'usuale,ma non forse il migliore, secondo le regole. Vedi il verbo essere n.
13. Q u a n to al futuro di avere era il habebit averaiS.Ireg.5,e7 averemo
reg.2, 3 habebitis LATINO Ero Habebo habebimus avera S. i reg 6, 7 averete reg.
2,5, 7 habebunt L'ITALIA NO e talvolta a simiglianza delle
mutazioni occorse nel presente si tolse anche l'V,esen'ebbe Aremo arai arete
arà E stabilita una volta la cadenza de'futuri ne’primi verbiessereed avere
inserò, sarò,arò per continuadiscendenza dallatino;qualmeravi. glia che
siestendesseposcia ai futuri di ogni verbo, esi dicesse
amar),amerò,temerò&c. 32. Può nondimeno assegnarsi altra origine dei nostri
futuri, sem-" plice al paro che universale. Nel nascere della lingua si
scrisse raggioper amarò,faraggio perfaròcomeleggonelB.Jacop.lib.2c.15, elio
faraggio questaconvenenza:ediceraggioperdiròcome lostesso autore scriye lib.
2.c. 25 or m 'udite in cortesia Però crudele,villano,e nemico
Sarabbo,amor,sempre ver te se vale &c. In alcuni villaggi d'intorno a Roma
si ode anch'oggi la desinenza in ajo, come farajo, amerajo & c. A ben
riflettervi tali voci non senoncheamar-aggio,dicer-aggio,far-aggio &c:vuoldireaggioa
fare,aggio a dire,aggio adamare:formole intutto del futuro:per chè colui,il
quale ha afare, non ha fatto, nè fa, ma riserbasia fare: cioè dichiara l'azione
sua come futura. E perché in luogo di aggio si disse ancora ajo; quindi è che
si hanno pur le cadenze amerajo , farajo&c.Ma
siccomeinprogressoabbo,aggio,ajodegenerarononelle più semplici ho, hai, ha,
avemo, ayete, e per sincope aemo, aele, han no;cosìda
ultimosifeceaver-ho,aver-hai,aver-ha,enelpluraleaver emo,aver-ele, lasciato l'a
del dittongo in aemo, ed aete, e finalmente
aver-hanno:edepostol'hoziosonelmezzo ditalicomposizioni,sieb be
aver-o,aver-ai&c.Ma perchèho,ha,come monosillabe han suono tutto raccolto
in esse,e grave come per accento; quindi è che poco
apocosimiseancorl'accentonelleprimee terzesingolari,dicendo si averò, averà
& c. Pari è la origine di serò, serai, serà & c.voci del futuro del
verbo sostantivo, quali usarono da principio per sarò, sarai, sarà & c.
Risultavano dall'infinito essere,troncatene le due prime let tereES,come
insono,sei&c,tantocheseneavessesere,equindi aranno, come si scorge
ne'libri degli Antichi: Così Lell. 5 tra quelle del B. GIOVANNI delle Celle:
solo tanto l'arò a immutare, e nella letter. XI a Guido, arai Dio teco, e più
sotto, dove arai a stare in eterno , e lett. 13, che mai non arannofine. FR.
JACOP. lib. 2. cant. 3 pianto harete é dolore: tali yoci si hanno pure ne'
GRADI di S. Girolamo nell'Eneida di Annibal Ca'Ro , e nel Cavalca, e
comunissimamente nell'Orlando del BERNI. Diceraggiovi via via. FraGuit.ediz.Rom.1745lett,3
lamoremioparteraggio,elett.16 folle acquisto far mi guarderaggio: e tal volta
ne'scuri principj della lingua s'incontra la desinenzain abbo,farabbo,amerabbo
& c.per il futuro. GUITTON. d'Arez.Son. ame 23 Ard sono ser-ho,
ser-lai, ser-ha, ser-emo, ser-ete, ser-hanno:e finalmente sarò, sa
rai,sarà&c.Siapplichi lateoriadichiarataancheaglialtriverbi, ed avremo
amar-ò,amar-ai,amar-à,amar-emo,amar-ele,amai-anno, comesidisse
originalmente:leLetteredi $.Caterina di Siena ediz. di Aldo son piene di questa
desinenza,ed ilVarchi,egregio maestro di lingua,ne fa uso ben grande nelle
opere sue.Ora l'A precedente l'R fina. lesicambia inE,non sapreiperqual
vezzoirragionevole(vediama re nel futuro del prospetto:) e siè prodotto
amer-ò,amer-ai,amer-à, amer-emo &c. Dicasi cid proporzionatamente di
temerò,temer-ai,sentir-ò,sentir-ai & c. 33. Si noti, che la terza singolare
del presente di avere era have, hae,ha.Spessoinluogodiadoperarehanelcomporre
ilfuturo,fu adoperata la voce hae,con dire aver-lae, aver-ae, amer-hae , amer
-ae , far-hae,far-ae.Questadesinenzaèfrequentissimain alcuniantichi Scrittori.I
nostriGrammatici han creduto che l'Ediaverae,farae &c. fosse un aggiunta,
per genio della lingua, che non soffriva di termi nareinaccento:ma
essanonèchelaE dihave,hae;etantoèlun gichefosseun'aggiunta,che anzidicendosiora
averà,amerà,non già si è cessato di aggiungerla,ma si è tolta propriamente laE
spet tante all'have,hae.Siapplichi quanto ho detto alla desinenzaameroe per
amerò lemeroe,per temerò & c. E'difficile trovar parola italiana terminata
in anno,la quale si scorci,eccetto le terze persone hanno,danno,fanno,
stanno,vanno , formate tutte a simiglianza di hanno. Quindi le terze plurali
avran no, ameranno &c.non si dovrebbero troncare;ma perchèson esseun composto
di aver-hanno,amar-hanno;cosi queste voci non han po tuto perdere lo
scorciamento particolare di hanno, e degli altri dan no,fanno & c. foggiati
a simiglianza di esso, come si vedrà nel trat tare partitamente de'verbi.Anzi
aggiungo,che hanno,fanno, slan no &c.intanto si scorciano perchè nelle
origini si diceva fano,stano, e così forse hano:voci idonee tutte agli
scorci,restando han, fan, dan:e siccome pur queste sirinvengono mozzando
hanno,fanno&c, perciò sono ricevute. Chi volesse notomizzare più sottilmente
questa materia, potrebbe trovareforseletraccedelfuturo delpresentenelfuturo del
congiuntivo. Cosilasciatodaamavero,celavero&c.ilvepersimiglianza di quan to
si pratico nel fissare la derivazione dei preteriti, si avrebbe ed accentandoli
celaro 24 54. Riguardando a tal seconda spiegazione,i nostri futuri non
sa rebbero quei de'Latini trasmutati:ma solo deriverebbero quanto ne derivano
gl'infiniti de'verbi,ed il presente del verbo ave re, che ne sono gli elementi
componenti. dal latino da Ama(ve)ro cela(ve)ro amaro & c. 55. Quanto
agl'imperativi ognun vede che l'amato , il timelo, il
legito,el'auditode'Latini,altrononèche l'amatu,temitu,leggi Amaro
lu,odi lu degl'Italiani.Le altre voci italiane sono pur le latine tra
dotte:ma perchèquestesono lestessedei presenti,partedelcongiuntivo, eparte
dell'indicativo,overo del futuro dell'indicativo;cosìnon bi sogna se non
investigare come que'tempi si diramino dal latino,cioc chè si è fatto, e si
farà tuttavia. 36. Eccomi pertanto ad esaminare il congiuntivo de'Latini,dal
quale hanno origine tutte le voci del nostro ottativo e congiuntivo. Ames Amet
Amemus Ametis Ament Nelle voci amemus, ametis l’E si volge in IA, perchè nel
tradurle si riguardanotalivocicomedipendenti dallasecondasingolareconlagiun t a
d i a m o o d i a t e , a m i - a m o , a m i -a l e . D e l r e s t o s e b b
e n e l ’ E f i n a l e avanti la S dovea mutarsi in I; e la E di amem o di
amet dovea secondo leregole conservarsi; pure ne'principj non erano questi
limiti ab bastanza riconosciuti: e diceasi promiscuamente io ame,tu ame, que
gliame:desinenza era questa originale,perchè meno distante dalla latina,
taciutene le consonanti in fine, e resta tuttavia tra’Poeti, spe cialmente per
la rima:nondimeno si crede che questa sia termina zione di licenza , e non
primitiva e spontanea. Tale è ilprogresso delle cose,c h e dimentichiamo gli
usi più naturali, sostituendone altri men proprj ,che poscia il tempo
caratterizza come legittimi!Vedi amare num. 14. Nelle altre conjugazioni,
lasciate o mutate le consonanti finali se condo le regole S. 1 , e lasciato
l'E, o l'I precedente l’A finale, S. I reg.4,risulta dal LATINO Timeas Timeat
Timeamus Timeatis Timeant Tema Temi, e poi tema Tema Temiamo Temiate
Creda d 25 1 Timeam ITALIANO Ame,ed ora ami L'ITALIANO LATINO Amem Credam
Temano Credi, e poi creda Creda Crediamo Crediate Credano Credas Credat
Credamus Credatis Credant Ami Reg. 4 e 2 Ame,ed ora ami Amiamo Amiate
Amino. E ne verbi ausiliari. Nel qual mutamento l'EdiHabeam &
c.èdivenuta per eccezione o dolcez. za un I, ed ilB siè raddoppiato, osservate
ancora le regole generali. Quanto alsim,sis,sit,simus,sitis,sint,siccomeilverbo
essereèdi seconda conjugazione, e tutte le seconde conjugazioni anno il presen
te del congiuntivo terminato in A nel singolare, almeno nella prima
eterzapersona;quindièchesifeceiosia,tusia,o sii,quegli sia, noi siamo, siate,
siano. 37. Ma perchè nelle origini della lingua non era ben decisa la
terminazione, con cui chiudere levocidel presente nel congiunti vo, si tento
talvolta, o si dubito modificarle in tutte le conjugazioni, come nella prima. E
siccome la prima era terminata in io ame ovvero 38. Così pure essendosi
terminata la prima conjugazione in I nel presente del congiuntivo,siterminarono
talvoltain Ipurlevoci delle altre: e si trova abbi per abbia, giunghi per
giunga, vadi per vada &c,in
terzapersona:Lett.S.Cat.pag.31.Deh!nonsirendipiù il cuor nostro ambiguo,cieco,
e negligente.E quindi è che tra'Cin quecentisti generalmente le terze plurali
abbiano,temano,leggano fu Abbia Habeam 26 tu ame Ilabeas Habeat Habeamus
Habeatis Habeant Abbi ed abbia Abbia Abbiamo Abbiate Abbiano io ami quegli ame
quindi èche si quegli ami; trovano anche i verbi di altreconjugazioni figurati.
Così AB.Isac. Collaz.cap.2. cosi con scrive,abbie preziosa operazione: e cap.
12 abbie paura della superbia, ed ALBERTANO Giudice l'uno de Scrittori più
antichi assegnato all' anno 1260 in circa, scrive vece diabbia al principio del
cap. in 6 tu abbie: e si dice abbie cari tade e fa ciò che tu vuoi, e cap.9 dci
render lo beneficio all'amico con usura se puoi:e se no; abbie spesso lo
beneficio a te dato memoria: e cosi nel cap. 3 usa in pieper diche per dichi,
enel 5 in finesap sappi: e nel cap. 9 sie per sia. Sie largo di dar mangiare
Tuoi conti ecari amici,e nel alli cap• 38 de'tuoi beni e dello stato che Dio
l'ha dato ţi stie contento.Tali formole parrebbono a chi non guarda alle
origini, tutte licenziose, laddove ri naturali,quando erano modi primitivi e la
lingua pendeva ancora indecisa circa la desinen za.Ora eccettosie efie,le quali
pur vogliono gran parsimonia piùnon siuserebbono talivoci.Vediesserenot.17. ,
avverto che tali voci abbie Del resto io non all'imperativo ,sie&c.spettano
alcongiuntivo come . tu ami r o n o a b b i n o , t e m i n o , l e
g g h i n o & c ., c h e p o i l ' u s o r a g i o n e v o l m e n t e 27
ha ri pudiate, perchè rimanesse un divario tra le cadenze , onde riconoscer ne
le conjugazioni. ec.1491. Are ( avrebbe ) quelcolpo gillatigiù mille. E qual
sare'colei che nol facessi? In questo esempio il primo sare sta per sarei, e
l'altro per sarebbe . Eguali manieresiscontranoancora,ma più rare
assai,nell'Orlanda del BERNI:così nel c.5.16 39. Quanto all'imperfetto
amarem ,amares,amaret; taciutene le consonanti finali risultava amare , voce
non distinta dall'infinito: si aggiunse per cið un I finale, e si fece amerei:e
siccome il per fetto dell'indicativo termina in I, dicendosi amai, temei,
sentii, e da questa si ebbe per seconda persona amasti, temesli, sentisti; cosi
fu con progresso consimile terminata la seconda di questo tempo, dicen
dosiameresti,temeresti,sentirestiaggiunto un TI ad amares,timeres, sentires,il
quale in origine non era che un lu, e perciò trovasi tal volta ameres-tu,
vederes-tu per amaresti, vederesti &c.Cosi PASSAVAN ti nel suoSpecchio di
Penitenza pag.107.Avrestuoffeso intaleolal
cosa?&c.Laterzaamaret,gittatoilT,divenneamare nuovamente, e per
distinguerla si fece amerie,ovvero ameria per essere ne' prin cipii non ben
precisa la vocale distintiva da aggiungersi. Quindi in FRA Jacop.lib.4
cantic.30 silegge fariemiconsumare,permifaria consumare;e nellib.5can.27 si ha
vorrielo perlo vorria,eDan.Par. 29: 49 usa giungeriesi per sigiungeria. Nel
Morgante del Pulci s’in contra un uso speciale, ma certo molto analogo a dimostrare
la ori gine di questa persona.Egli più volte in vece di modificare diver
samente la voce, o desinenza amare, aggiunge un apostrofe ,e scrive
amere',sare',potre'perameria,saria,potria.Vedi c.12,13,c.13, 13 e 38. E son qui
per provarquelchel'hodetto. 'Amaremus diede ameremo mutatol'us in mo secondo le
regole generali: ma perchè ameremo è pur del futuro , si aggiunse un'M ,
facendosiameremmo:amaretisdiedeamereste,come daamarespro viene ameresti; o come
da amasti proviene amaste. amerieno da amerie; ovvero mutato il T di amarent in
secondo le regole,siccomerisultaamereno;cosi coll'inserirviun'I,sen'ebbe
amerieno.Amerie,ovveroameria,ecostamerienosonodunque desi nenze originali:e
questa è laragione, per cui ne'Prosatori antichi, come ne'Poeti, si trova tante
volte la cadenza inieno,amarieno,te merieno,farieno: la quale ora è mutata in
iano , ameriano , temeria AO & c.da ameria, cemeria, che prevalse sopra di
amerie, temerie E disse sare'io,ch'era pursaggia, Che a cosi degno amante non
piacessi, Purchè mai tempo e luogo accaggia; Ancormi dare il cord'uscirne
nello, ipo d2 chissimo usate fin da principio.I Poeti,sovrani
conoscitoridella dol cezza degl'idiomi, ritengono tuttora, usandola
amplissimamente ,la terminazione in ia ed iano. I Prosatori l'hanno quasi dismessa:
nè io credo che ciò seguisse con piena ragione: giacchè si allontanarono
davoci,lequalipresentanolaoriginelorodallalingualatina che ne era lamadre:e
potevano variare con ogni dolcezza ildiscorso. Inluogo di ameria,ameriano
sottentraronole altre amerebbe,ame rebbero, ovvero amerebbono. Queste voci a
somiglianza di quelle del futuro sono composte ancor esse, ma dall'infinito e
dalle terze del perfetto diavere,amar-ebbe,amar-ebbero,ovvero amar-ebbono.Può
no tarsilamarciaincostantedegli uomini:mentre sonostatiesclusi tantiB
dagl'imperfetti, e dai futuri,qui ne sono stati riprodotti con usura: la
desinenza è divenuta più lunga , e talvolta quasi indistinta, essen dovi alcune
terze 40. Resta a dire qualche cosa intorno la desinenza amassi,temes
si&c.laqualeesprimeilpresentedell'ottativo,e l'imperfetto del congiuntivo.
E 'manisesto che questo tempo è tratto dalle voci sinco p i z z a t e d e l p i
ù c h e p e r f e t t o d e ' L a t i n i n e l c o n g i u n t i v o , t o l t
o n e il v i come nel perfetto dell'indicativo, e serbate leregole generiche
delle vocali finali, lasciato l'M , e mutata l'E in I & c. Amassi Amasse
Amassimo Amaste Amasseno . del perfetto, che somigliano , come creb
be,increbbe,bebbe&c.E pocovedocosaabbiaafareebbeedebbero, vocidel perfetto,convocidelsoggiuntivo,lequalihannodell'imperfet
persone to, cioè che resta da fare. Possono osservarsi al verbo amare , dove
trattasi della desinenza in ia , ed iano, altre incongruenze. M a l'uso ha già
prevaluto,e chi parla dee parlare conl'uso. T a l e appunto sorse la terza
plurale: ed ancora n e restano degli esempj
FraGuit.let.Ipag.8se'reiabitasseno,elett.2ev'entrassenoalcore. PETRAR.son.154
che andassen sempre lei sola cantando&c.Ma po şteriormente di amasseno si
feceamassono,edoradicesi amassero co munissimamente.Si noti che la seconda
plurale amaste involge una mancanza di lingua: perchè non più vi resta il ssi o
sse, caratteristi co di questo tempo, e perché amaste è voce plurale ancora nel
per fetto dell'indicativo: ed è certo un difetto con unavoce stessa espri
meretempi,emoditantodifferenti.Forseènatodaciòchetalvolta s'in contra voi
avessi per voi aveste, come in Antonio Pucci Centiloquio cant.69 terz.58. Se
voi in qua non m'avessi menato. Anzi ho notato che MACCHIAVELLI tanto
conoscitore della sua lin Amassi nel suo 28 Ama (vi)ssem Ama (vi)sses Ama
(vi)sset Ama (vi)ssemus Ama (vi)ssetis Ama (vi)ssent Ma
primach'iosentissetalruina&c. FRA JACOP.lib.6 c. 18. 28. 42. E siccome
questo tempo nell'italiano esprime il presente dell'ottativo, e l'imperfetto
del congiuntivo, i quali non E cosìnella Gerus.8.24. : "Quel partissi
addita azione già fatta. 29 gua , spesso in tal tempo usa la seconda
singolare per la plurale con premettervi il pronome.Cosi nell'Arle della guerra
ediz. Co smopolipag.42 Farestevoidifferenzadiqualartevoiliscegliessi,e pag.63
iodcsiderereichevoivenissiaqualcheesempio,pag.233.so lovorrei che voimi
solvessiquesti dubbj,e 236 vorrei chemi dices si&c.Un
talescriveresidirebbeartifiziosoonegligente?Glieru diti decideranno se forse era
meno male così scrivere. Certo se repli chiamo nel singolare io amassi, tu
amassi,perchè non farlo nel plurale? Amassetesarebbestata,parmi,lavoce idoneae
conseguente:ma sealtri la dicesse ora , sarebbe uno sgraziato, un imperito .
Tanta è la prepon deranza degli abusi,resi venerandi per vecchiezza. 41.
L'origine di questo tempo è similissima in tutti gli altri v e r b i . C o s ì
d a t i m u i s s e m è t e m e s s i , d a l e g i s s e m è l e g g e s s i,
d a a u d i v i s s e m udissi&c.e nezliausiliaridafuissemfossi,dahabuissem
avessi,mu tato al solito il B in V , e ľ U I in É come in timuissem , timui
& c. e tutti soggiaccionoall'inconveniente anzidetto.Del resto ne'principj
della lingua pendette incerto alcun poco se avesse a farsi amassio amasse di
amassem , e così sentissi o sentisse di sensissem . Quindi Fazio nel Dittam.
lib. 1 c.29. loro discordano,ma provienedal latino,che eraun più che passa to;
così le di lui voci medesime scorrono a significare cose passate non senza un
pocodi confusione:ma eglièmalediorigine,esivuol condonare:peress.SEGNERI
Predic.358.10Visovviend'altroreo,che maitollerasseunaopiùtragicao
piùtirannicaformaditribunale? E'chiaro che quel collerasseesprime cosa
passata:tale è pur quello nelleVit.De'SS.PP.tom.1pag.83.E alloraconosceretechefuil
meglio per m e ch' io m i partissi molto fra D'amarli e di servir,quant'io
potesse. Franc.BARBER. pag. 2 ch'io gli mandasse a quello. Stor.Giosafat pag.
18 ed io non sarei savio se io tale cosa manifestasse. Novell. ANTIC.37
s'iovolesse dire una mia novella&c.Nel primo tom.delle
DeliziedegliErudiliToscanipag.CL.sinotanoaltriesempj disi mili desinenze. E se
piaciuto pur fosse là sopra Ch'iovi morissi,ilmeritai coll'opra. 43. Quanto
agli altri tempi amaverim , amavero & c. sono decom posti negl'italiani,che
io abbia amato, o io avrò amato & c. Sicchè non vi resta presso a poco da
osservare, se non quanto si disse in torno di habueram,fueram &c.
DIPENDENZA Delle Conjugazioni Italiane dall'Infinito, e loro somiglianza
generalissima. Conjugareiverbiitalianinonèchevariarediversamentel'in
finito,secondoimodi,itempi,lepersone,inumeri,come altrove si è detto.Or volendo
conoscere queste variazioni e somiglianzaloro generale,si avverta:Ogni infinito
termina in RE amare,lemere, cre dere, sentire; e quasi tutte le variazioni
succedono appunto in questo RE finale:solamente talvolta subisce de cambiamenti
anche la vocale precedenteilRE.Cos)per avere iparticipj presenti,il RE si muta
inNTE nelle primeeseconde conjugazioni,amante,credente &c.E nelle terze tutto
l'IRE, per ess. di sent-ire si muta in ente, sentente; ovveroilREsimuta
inENTE;obedi-re,obedi-ente.Per avereilpar ticipio passato,aparlar
generalmente,basta nella prima e terza con jugazionemutareilRE inTO
ama-re,ama-to,senti-re,senti-lo.nelle altreconjugazionisicambiatuttol'EREinUTO
lem-ere,tem-ulo, cred-ere, cred-uto. 2. Quanto ai tempi per avere il presente
singolare si lascia il RE dell'infinito,e lavocale precedente il RE simuta in 0
per le primepersone,edovebisognainIperleseconde;ma perle ter ze persone,toltoilRE,I'lsicambiainE
nelleterzeconiugazioni: nelle altre non bisogna variazione ulteriore. Ama-re
teme-re Crede-re a m a teme crede senti Ne'pluraliilRE
dell'infinitosimutainMO,TE,NO,perleprime seconde,e terze persone. Ama-mo
Teme-mo Crede-mo ama-te teme-te crede-te senti-te a m a -n o teme-no crede-no
Senti-mo 30 E cosi trovansi presso gli Antichi terminate le prime e terze
plurali. Vedi questiverbi ne'prospetti e nel S.II.2.E per dare qui un qual
ch'esempio su le terze plurali ,Baldassar CASTIGLIONE nel suo per fetto
Cortigiano usd commoveno, rivesteno, discerneno , occorreno , ca
deno,moveno,serveno,ed altremoltissime.NelVarchisihagiaceno, soggiaceno,ed
altre.Ma ora l'uso porta che anche le vocali prece denti il RE abbiano subito
de'cambiamenti ,dicendosi tutte le prime
personeamiamo,temiamo,crediamo,sentiamo:enelleultimedue con jugazioni
terminandosi le terze persone plurali in ono , temono , cre sente -n o 1 S.
III. 1. amo temo credo sento ami temi credi Senti-re sente 3.
Quanto ai verbi della terza conjugazione, ne'qualivi è la doppia cadenzacome
abborroeabborrisco(vediquestoverboinfine della prima parte ) sappiasi che la
cadenza in isco esce di regola nei pre senti dell'indicativo, imperativo,e
congiuntivo. Tutto il divario è che in questi presenti le persone, prima,
seconda , e terza singolare, si formano come prima secondo le regole, e che poi
alla vocale fi nale si antepone la sillaba ISC in ognuna di queste solamente,
on de si abbia: la terza plurale si trae dalla prima così mutata,aggiuntole ilN
O , segno della pluralità ne'verbi: abborrisco-no.Ossia all'infinito abborri
re, tolto il R E si congiunge sco, sci, sce, scono , abborri-sco , abbor
ri-sci, abborri-sce,abborri-scono. 4. Il Re dell'infinito si muta in VA VI VA
pel singolare a m a -re teme-re crede-re senti-re ama-va teme-va crede-va
sentiva N e plurali alla prima , o terza di ciascun singolare si aggiungono le
distintive dette di sopra MO,TE,NO. amaya-mo temeva-mo sentiva-mo amava -te
temeva-te credeva-te credeva-no sentiva.no Perfetti dell'Indicativo
Perlaterzapersonal'ultimoA diamasimutainOaccentato:nelle altre conjugazioni si
accentuano la E o l'I; masiaggiunge MMO 31 dono,sentono &c ,come se
aggiungasi ilNO alle prime persone, temo,temono,credo,credono,sento,sentono,laddove
essendole terze pluraliun multiplo diterza e non diprima persona singolare,non
doveasiaggiungereilNO,segnodipluralità,senonallaterza sin golare, come dicesi
ama, amano, e non amono. amava-no temeya -no STE 1) sentiva -te ama-vi ama -va
t e m e -vi teme-ya senti-va crede -vi senti-vi Imperfetti dell'Indicativo 2 )
personeplurali, RONO 3 crede-va c r e d e v a -m o abborr (isco abborr(isc)i
abborr(isc)e 5.ToltoilRe dell'infinitosiaggiungeIperlaprima,eSTIper laseconda
persona: per le senti-sti senti ama-mmo teme-mmo crede-mmo
senti.mmo amo teme crede ama-ste teme.ste crede-ste a m a -rono teme-rono 6.Ma
nelle seconde conjugazioni,come in temere e credere, ol tre la legge
universale,il RE dell'infinito spesso si muta per le pri m e in singolari in T
T I; per le terze singolari in T T E , e per le ter ze pluraliin TTERO ovvero
in TTONO dicendosi Temei temetti Credei credetti Temė Futuri dell'Indicativo 7.
Il solo E finale dell'infinito si muta, o cresce in O accentato 1 ) A I nelle
amar-o temer-6 sentire amar-ete creder-emo sentir-emo Presenti dell'Ottativo
8.IIRE simuta in senti-ste crede-rono senti-rono creder-o 33 ama-re t e m
e - r e c r e d e -r e ama-sti teme-sti crede-sti amar-emo temer-emo temer-ete
creder -ete sentir-ete amar-anno temer-anno I SSI SSI SSIMO SSE . STE SSERO
SSONO sentir-à senti i amar-ai temer-ai creder-ai sentir-ó amar-a temer-à
creder-à sentir-ai ama-i teme-i crede-i amar-e temer-e creder-e Credé Temerono
temettero temettono Crederono credettero credettono 2 ) del singolare A
accentato 3 EMO ETE nelle2) delplur. ANNO 3) temette credette Si noti che ora
si volge in E anche l'ultimo A di amare , almeno dagli Scrittori, non senza
equivoco. Vedi amare nel prospetto not.9. creder-anno sentir-anno
senti-re ama-re teme-re crede-re a m a -sse teme-sse crede-sse
crede-ssimo ama-ste teme-ste senti-ssi serti-ssimocic. BBERO 3 ) solamente
nella prima conjugazione si è presoilcostume ( forse non ragionevole)dicambiare
1A precedenteilRE dell'infinitoinE. sentire sentire-i credere-sti credere -bbe
credere-mmo sentire-mmo credere-ste sentire -ste credere-bbero sentire-bbero
credere-bbono sentire-bbono Si noti che le aggiunte che qui si fanno per le due
prime per sone singolari eplurali sonole stesse dei perfettie che quelle che si
fanno per le terze sono , direi , le terze del perfetto di avere, ebbe,
ebbero,ciocchè facilita di molto la formazione di questo tempo, Presente del
Congiuntivo AMO ATE credere credere -i sentire-sti sentire-bbe ama-ssi a
m a -ssi teme-ssi teme-ssi crede-ssi crede-ssi senti-re senti-ssi ama-ssimo
teme-ssimo Amare Io ami Imperfetto dell'Ottativo Conjugazione 1."
10.SitoglieilREdell'infinito,elavocaleprecedenteilRE si muta in I, enel plurale
siaggiunge 3 1 senti-sse crede-ste ama-sseroamassono teme-ssero teme-ssono
crede-ssero crede-ssono 33 I alla 1) S T I 2 ) del singolare BBE 3) MMO I) STE
2)delplurale amare amere-i amere-sti amere-bbe amere-m m o amere-ste
amere-bbero amere -bbono 9. L'infinito resta immutabile e si aggiungono Tu ami
Colui ami Ami-amo Ami-ate Ami-no temere temere -i temere-sti temere -bbe
temere-m m o temere-ste temere -bbero temere-bbono NO 2 person . La
vocale precedente il re dell'infinito si muta in a in tutto il sin. golare, e
nella terza plurale. Il resto è come nella prima :anzilla secondasingolarepuòterminare
comenellaprimaconjugazione;i che sarà considerato ne verbi rispettivi. Credere
Creda Creda o Credi Creda Credi-amo Credi-ate Creda -no Queste sono le
variazioni : gli altri tempi composti risultano da alcuno de' tempi già esposti
, presi da'verbi essere ed avere , e dal participio passato del verbo
particolare, il quale si usa ; e però non occorrono nuovi cambiamenti
nell'infinito .Quindi si dovranno cer care nel prospetto. Intanto si potranno
raccogliere alcune regole, e sono: 11. Tutte le prime persone singolari
dell'indicativo eccetto il perfetto e l'imperfetto finisconoin 0 :tutte
leseconde in I in ogni tempo: tutte le prime plurali in ogni tempo e modo in
mo,e le seconde in Te,eleterzeinNo oRoinalcunitempi.Maintutteleprime plurali
dei presentidi ogni modo,degl'imperfetti,e futuri dell'in dicativolaMè
semplice:amiamoamassimoamavamo ameremo,le miamo temessimo temevamo temeremo
&c.Ma ne'perfetti dell'indi cativo e negl'imperfetti dell'Ottativo la M è
doppia amammo ame remmo , temeremmo crederemmo & c. e cosi le seconde
pluraliin que stid u e tempi ed anche nel presente dell' ottativo anno la S
avanti ilTe finaledicendosiamásleamereste&c.!,lealtreannoilsempli ce
Te.Parimente questi tre tempi possono finire in No ed in Ro nelle terze
plurali:amaro amarono , amerebbero amerebbono, amas, ranno,amino. Gli Marco Mastrofini.
Mastrofini. Keywords: implicature, Delle cose romane di Floro, l’antichita
romane di Dionigio, le cose memorabilia di Ampelio, il sistema verbale della
lingua Latina – del verbo latino, aspetto verbale – la filosofia del verbo –
tempus, azione, la concettualizazione dell’evento e l’azione nel verbo latino
--, categorie sintattiche e morfologiche e semantiche e prammatiche
dell’aspetto verbale nella lingua Latina. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Mastrofini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689123226/in/photolist-2mKAgvL
Grice e Masullo – la scissione dell’intersoggetivo – I lottatori
della tribuna -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Avellino). Filosofo. Insegna a Napoli. Ha trascorso vari periodi di ricerca e di
insegnamento in Germania. Direttore del Dipartimento di Filosofia
dell'Napoli. È stato socio dell'Accademia Pontaniana, della Società Nazionale
di Scienze Lettere ed Arti di Napoli e dell'Accademia Pugliese delle
Scienze. È stato insignito della medaglia d'oro del Ministero per la
Pubblica Istruzione. Candidato nelle liste del Partito Comunista Italiano
prima e in quelle dei Democratici di Sinistra poi, ha ricoperto la carica di
Deputato, è stato Senatore della Repubblica. Trascorre i primi anni della sua
vita a Torino. Si trasferisce a a Nola, dove compie gli studi superiori
frequentando il liceo classico statale Giosuè Carducci. Fequenta il corso
di laurea in Filosofia all'Napoli. Si laurea con Nobile discutendo una tesi su
Benda. Napoli era dominata prevalentemente da Croce; esistevano comunque altri
personaggi capaci di una riflessione autonoma e originale come fu Aliotta che
con il suo sperimentalismo offrì importanti stimoli a Masullo. Studia
l'esistenzialismo che andava diffondendosi in Italia. Assistente volontario
alle cattedre di filosofia e tiene seminari per Nobile, Aliotta, e
Valle. Compie la sua formazione filosofica a Napoli soprattutto con Carbonara.
Carbonara era impegnato attraverso i suoi studi di estetica a ripensare
l'attualismo gentiliano. La sua posizione prende il nome di materialismo critico.
Attraverso il confronto con Carbonara, Masullo si addestra al rigore concettuale
e inizia ad elaborare una propria posizione originale. Nella formazione e
nella costruzione della prospettiva filosofica di Masullo si combinano diverse
componenti. Il neoidealismo, crociano e gentiliano, lo sperimentalismo di
Antonio Aliotta, e, tra idealismo e materialismo, il materialismo critico di
Cleto Carbonara. Masullo però, mosso dalle proprie inquietudini e dalle
impressioni suscitate dai tragici eventi bellici, studia anche
l'esistenzialismo e lo spiritualismo. Infine il bisogno di comprendere l'uomo
concreto e le sue reali tribolazioni lo conducono ad avvicinarsi alla
fenomenologia. Il soggiorno di studio a Friburgo del 1957-58 gli consente
di approfondire lo studio della fenomenologia e di conoscere Weizsäcker, il
quale aveva introdotto nel filosofese il concetto di “patico.” (cf.
anti-patico, sim-patico, em-patico). Esistenzialismo, spiritualismo, idealismo
e fenomenologia sono correnti di pensiero variamente intrecciate tra di loro.
Ciò che attraversa trasversalmente questi movimenti di pensiero è la radicale
problematizzazione del rapporto tra pensiero e vita, tra il pensiero e il suo
negativo, ciò che pensiero non è. Il pensiero Intuizione e discorso è un
testo in cui, avvalendosi degli stimoli che provenivano dalla epistemologia,
Masullo si confronta con l'idealismo attualistico e storicistico per riflettere
sul carattere “difettivo” della coscienza e sul suo rapporto con la
conoscenza. Masullo in Intuizione e discorso sostiene che i poli del
fatto e dell'idea, del senso e della coscienza, della vita e delle forme dello
spirito sono legati da un vincolo dialettico. Voler ridurre l'uno all'altro
conduce ad un idealismo soggettivistico o ad un empirismo cieco alle dimensioni
dello spirito. Bisogna comprendere le modalità del vincolo che lega spirito e
corpo. Il pensiero che voglia essere critico, cioè che non voglia ingannarsi,
deve riconoscere che esso si fonda su processi biologici e fisiologici che gli
sono irriducibili. Nel 1957-58 Masullo approfondisce in Germania lo studio
della fenomenologia, ancora poco diffusa in Italia. A Friburgo frequenta i
circoli husserliani capeggiati dall'allievo di Husserl Fink e conosce Weizsacker
del quale Masullo svilupperà il concetto di "patico". Masullo stesso,
tornato in Italia, traduce e commenta alcuni testi di Husserl in un piccolo
libriccino ormai introvabile (Logica, psicologia, filosofia. Un'introduzione
alla fenomenologia, Napoli, Il Tripode) il cui contenuto in parte è poi
confluito nel successivo truttura, soggetto, prassi. Masullo
considera Husserl un grande esploratore della coscienza. Husserl cerca di dare
un fondamento filosofico alle scienze positive indagando il modo in cui la
coscienza costituisce il mondo che la scienza prende ad oggetto delle proprie
particolari ricerche. Masullo però, elaborando gli stimoli dell'antropologia
medica di Weizsacker, lavora al passaggio dalla fenomenologia alla
patosofia. Struttura, soggetto, prassi (1962, 1994) è il testo che
documenta il rinnovamento della ricerca di Masullo. Fa riferimento alle scienze
positive per mostrare che la coscienza è qualcosa di vivo e concreto e non è
«intellettualisticamente sofisticata», trasparente a sé stessa, come vorrebbero
le filosofie speculative le quali riducono la vita psichica alla vita cosciente
e non tengono conto o minimizzano il peso della dimensione psichica inconscia,
svalutata come qualcosa di filosoficamente irrilevante. S. Non è
possibile una conoscenza diretta, per introspezione/riflessionecome vorrebbero
le filosofie speculativedi ciò che pensiero non è. Il pensiero come esperienza
intersoggettiva, sociale (lo Spirito, il Soggetto) può conoscere i suoi
prodotti, i pensieri, il pensato, ma non può conoscersi come processo,
esperienza del pensare, atto, tempo, «paticità» (cioè il pensare come
esperienza soggettiva, esistenza). D'altronde il pensiero come processo non può
essere conosciuto neanche per inferenza da parte delle scienze
positivo-sperimentali. Queste possono misurare i processi, ma non possono
misurarne i vissuti. Lo scacco, il limite della conoscenza è l'apertura
alla prassi e all'etica: riconoscere il nesso operativo tra senso e
significato, crisi e ordine, «patico» e cognitivo, corpo e mente. Analizza
i grandi modelli idealistici e fenomenologici della soggettività. In particolare,
seguendo un'indicazione di Fichte, sviluppa la tesi secondo la quale il
fondamento dell'uomo, cioè la condizione per la quale l'uomo assume i caratteri
della soggettività (libertà, storia, ricerca, progetto, autodeterminazione) è
l'intersoggettività. Di questo fondamento Masullo analizza le modalità di
funzionamento. Masullo, con i suoi studi sulla «intersoggettività» e il
«fondamento» degli anni sessanta e settanta (Lezioni sull'intersoggettività.
Fichte e Husserl, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, La storia e la morte, Napoli, Libreria
Scientifica Editrice, La comunità come fondamento. Fichte, Husserl, Sartre,
Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1965; Il senso del fondamento, Napoli,
Libreria Scientifica Editrice, Antimetafisica del fondamento, Napoli, Guida),
analizza le «operazioni nascoste» in base alle quali si costituisce l'io e in
base alle quali si costituisce l'oggettività del mondo e individua nella
originaria struttura intersoggettiva il fondamento del mondo umano. Il
fondamento è la comunità, ma essa funzionalmente rimane nascosta all'io per
permettergli di istituirsi ed operare, come ben spiega nell'importante saggio
Il fondamento perduto, in cui rielabora e sviluppa spunti presenti negli ultimi
capitoli di Il senso del fondamento e
raccoglie in modo compiuto i risultati teoretici di due decenni di ricerche
intorno al tema della comunità-intersoggettività come fondamento. Masullo
pubblica inoltre il testo Fichte. “L'intersoggettività e l'originario” in cui
riprende e aggiorna il saggio su Fichte contenuto in La comunità come
fondamento. Fichte, Husserl, Sartre. Pubblica Metafisica. Storia di un'idea. Il
capitolo finale, Il sentimento metafisico, è l'indicazione del passaggio a una
nuova fase del pensiero di Masullo, una fase in cui il tema
dell'intersoggettività lascia il posto alla esplorazione delle dimensioni del
vissuto del soggetto, quindi lascia il posto ai temi della paticità, del senso,
del tempo. In effetti anche i suoi corsi universitari di quegli anni
rivelano questo momento di transizione. Si dedicati al tema dell'inter-soggettività
ma vengono trattati anche i temi caratteristici della seconda stagione della
sua riflessione. Tratta della “difettività del soggetto”; nel corso invece si
occupa di “comprensione del tempo e interpretazione morale, definitivamente
centrati su “i patemi della ragione e l'inter-esse etico.” Nei studi su «tempo», «senso», «paticità»
(Filosofie del soggetto e diritto del senso, Genova, Marietti, “Il tempo e la
grazia. Per un'etica attiva della salvezza, Roma, Donzelli, “Paticità e
indifferenza” (Genova, Il Melangolo). Sostiene che il pensiero critico, nella
sua incapacità di pensare il passaggio, il processo, la trasformazione, il
cambiamento (sustenuto in La problematica del continuo in Aristotele e Zenone
di Elea, seppure solo sul piano logico) è incapace anche di pensare la
soggettività la quale è una forma particolare di cambiamento, è tempo, prodursi
delle differenze all'interno di un campo strutturato, fortemente centralizzato,
l'organismo umano, portatore della coscienza di sé. In questi studi degli
anni ottanta e novanta Masullo considera le modalità affettive e
psicobiologiche dell'esser soggetto. In “Filosofie del soggetto e diritto del
senso” Masullo si confronta con Kant, Hegel, Dilthey, Heidegger e
Merleau-Ponty, i quali storicamente hanno posto il tema della soggettività non
riconoscendo però la differenza tra «significato» e «senso». Masullo rivendica
il «diritto del senso» ad essere riconosciuto nella sua radicale e irriducibile
diversità dal significato. Molto più rilevante nella costruzione della
sua prospettiva filosofica è invece il saggio intitolato Il tempo e la grazia.
Per un'etica attiva della salvezza, nel quale Masullo illustra la sua
concezione della frammentazione della soggettività a partire da alcune
considerazioni sui concetti di esperienza e di tempo. I lessici delle lingue
europee antiche e moderne consentono di distinguere la dimensione orizzontale
dell'esperienza propriamente detta (έμττεŀρία, experientia, Erfahrung) la quale
ha un carattere prevalentemente cognitivo rispetto alla dimensione verticale
dell'esperienza meno propriamente detta (πάθος, affectio, Erlebnis), cioè il
vissuto, il quale ha invece un carattere affettivo anziché cognitivo. Da una
parte abbiamo il giudizio su ciò che abbiamo provato, dall'altra abbiamo il
provare come avvertimento immediato dell'accadermi di qualcosa. Ciò
introduce a un'ulteriore precisazione filologica che riguarda la differenza tra
il cambiamento e il tempo. Il tempo non è il cambiamento. Il cambiamento è il
continuo prodursi delle differenze nell'organizzazione delle forme della vita.
Il tempo è l'avvertimento interiore di questo cambiamento, cioè l'avvertimento
di sé attraverso il cambiamento. L'uomo, a differenza degli altri
viventi, è intrinsecamente tempo. Egli istituisce il tempo nel senso che mette
in relazione i cambiamenti a dei sistemi oggettivi di riferimento, ma ancor più
radicalmente l'uomo è tempo in quanto avverte i cambiamenti del mondo esterno
solo in relazione al proprio modificarsi. Questo avvertimento, il «senso»,
è l'indice della soggettività. L'avvertimento della perdita, il senso del
cambiamento, in una parola il tempo, accende l'allucinazione del sé, scatena il
desiderio di permanenza. Parallelamente alla esplorazione della
soggettività, in Il tempo e la grazia Masullo segue gli sviluppi di
un'emergente epistemologia caratterizzata anch'essa dalla contingenza e
irreversibilità del tempo fisico così come la cosmogenetica ce lo illustra. Il
versante umanistico e quello scientifico convergono nel disegnare
un'antropologia la cui etica non è più la moderna e rassicurante etica reattiva
che salva la società con le sue formulazioni sull'ordine del mondo.
L'etica che Masullo vede in prospettiva scaturire da questo nuovo contesto è
un'etica attiva che salva il tempo, cioè il soggetto, dal vivere la perdita
prodotta dal cambiamento come «disgrazia», mutilazione. La perdita è un momento
necessario nella vita di un essere, l'umano, che non semplicemente cambia, ma si
rinnova e costruisce intenzionalmente il proprio futuro. Una volta
riconosciuto il diritto del senso ad essere inteso nella sua irriducibilità al
cognitive; una volta esplorato il campo
del senso-tempo-patico alla luce della psicanalisi, della letteratura e della
filologia; una volta riconosciute le epocali trasformazioni degli scenari
epistemologici, antropologici ed etici, Masullo nel testo del 2003, Paticità e
indifferenza, si chiede quale può essere ancora, in questo nuovo contesto, il
ruolo della filosofia. La filosofia è «saper assaporare i sapori della vita,
gustare a fondo i sensi vissuti, … elevare i sensi sensibili a sensi ideali e
cogliere nei sensi ideali la possibilità dei sensibili, è la “sapienza del
patico” ovvero, se si ricalca interamente l'etimo greco, è la
“patosofia”». Da un pensiero così articolato derivano alcune indicazioni
e cautele etico-pedagogiche. Essendo l'uomo intrinsecamente temporale, essendo
la temporalità umana irreversibile, l'uomo non può essere fatto oggetto di conoscenza
come un qualsiasi ente. Masullo distingue la conoscenza dalla cura. Egli
inoltre distingue le esperienze (che sono comunicabili e sono i materiali sui
quali si costruisce la conoscenza) dai vissuti (che sono invece
costitutivamente «incomunicativi» in quanto riguardano l'immediatezza del
sentire individuale che non è mai trasparente neanche all'individuo stesso che
li vive). La conoscenza è la dimensione orizzontale dell'esistenza. Essa guarda
alla universalità. Mentre la cura ne è la dimensione verticale. Essa invece
guarda alla unicità-identità, ai vissuti da assaporare e da sublimare in valori
da condividere. Mentre la ricerca di Masullo prosegue in questi anni
curvando verso nuove direzioni, pubblica alcuni nuovi libri. Sscrive Filosofia
morale per una collana di libri che illustrano ciascuno il nucleo delle varie
discipline filosofiche. In effetti Filosofia morale non è un elenco di temi,
personaggi, concetti ma un percorso molto personale all'interno delle questioni
e dei nodi fondanti della disciplina: la specificità della filosofia morale e
la distinzione tra morale ed etica; il bene quale orientamento dell'azione
umana; il soggetto della vita morale, la persona; il dovere, la responsabilità
e il vincolo che ci lega agli altri. Scrive, intervistato dal giornalista
de Il Mattino, Claudio Scamardella, Napoli siccome immobile. Scamardella, in
uno degli ennesimi momenti difficili per la città di Napoli, cerca la figura di
un saggio, di un'autorità morale capace di interpretare il presente e prefigurare
il futuro di questa città malata. Trova questa figura in Aldo Masullo, filosofo
ma anche protagonista della vita civile e politica della città con concrete
iniziative quali, nel 2006, gli incontri con i giovani e la popolazione
nell'ambito del “Manifesto per salvare Napoli”. Il libro è un lungo dialogo
sulle tante debolezze della città presente che si conclude con un'analisi delle
risorse che danno speranza nel futuro. Masullo nel ha pubblicato La libertà e le occasioni, che
sviluppa il tema del suo ultimo seminario all'Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici di Napoli. L'impegno politico Negli anni sessanta e settanta
la contestazione studentesca segnalava il bisogno di rinnovamento
dell'università italiana. Masullo, per i caratteri originali del proprio
insegnamento, è considerato dagli studenti uno dei professori progressisti. Egli
in quegli anni fu eletto deputato come indipendente nelle liste del Partito
Comunista Italiano, ed in seguito come
senatore, si occupò sempre dei problemi del sistema scolastico. Inoltre come
parlamentare europeo lavorò al fianco di Nilde Iotti nella Commissione
legale. All'inizio degli anni ottanta alcuni importanti provvedimenti
modificano l'organizzazione didattica e gestionale dell'università (vengono
istituiti i dottorati di ricerca, riordinate le scuole di specializzazione,
creati i Dipartimenti). Terminato l'impegno parlamentare Masullo dirige per due
mandati il nuovo Dipartimento di Studi Filosofici dell'Napoli intitolato ad Aliotta.
Anche attraverso questo incarico egli incide sulle direzioni della ricerca
filosofica a Napoli. Masullo si mette di nuovo al servizio della politica
quando dopo la crisi politica e sociale degli anni ottanta, agli inizi degli
anni novanta si verifica un generale risveglio della coscienza collettiva. A
livello locale egli dapprima anima per oltre un anno, ale “Assise di Palazzo
Marigliano”, un movimento che si opponeva al progetto NeoNapoli previsto
dal preliminare di Piano Regolatore.l, del quale ottenne il rigetto, suggerendo
la demolizione e il rifacimento integrale dei Quartieri Spagnoli. Forte della
popolarità acquistata con questa esperienza è capolista del PDS nelle elezioni
amministrative e poi, protagonista a Napoli della innovativa esperienza della
"giunta del sindaco". A livello di politica nazionale Masullo è
di nuovo impegnato per due legislature al Senato. Egli è membro della
Commissione di vigilanza dei servizi radiotelevisivi e, come negli anni
settanta, della Commissione per l'istruzione pubblica e i beni culturali in
anni nei quali i provvedimenti relativi a istruzione, università e ricerca sono
numerosi e importanti. Amante dei libri e della cultura dei bambini, lo
spessore del Maestro filosofo emerge inoltre quando in aula si discutono
disegni di legge relativi a temi quali l'ergastolo o la procreazione
assistita. Saggi: “Intuizione e discorso,” – Grice: “Good connection.” (Napoli,
Scientifica); “La problematica del infinito del continuo – l’infinitesmale – la
categoria della quantita – flat and variable,” – Grice: “Excellent
philosophical problem.” Napoli, scientifica,
“Struttura soggetto prassi,”Napoli, scientifica “La comunità come fondamento,” Grice:
“Masullo’s first attempt at a conceptual analysis of the inter-subjective; but
it takes a philosopher to understand that that is what stands behind
‘community,’ or ‘population,’ as I prefer, or the conversational dyad.” Napoli,
scientifica, “Anti-metafisica del
fondamento” Napoli, Guida, “L'inter-soggettivo” Napoli, Guida, “Filosofie del
soggetto e diritto del senso,” Genova, Marietti, “Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva
della salvezza,” Roma, Donzelli, “Meta-fisica:
storia di un'idea,” – Grice: “Perhaps Aristotle never had an idea; after all
‘ta meta ta physica’ is later and means: “the stuff the master wrote after the
‘physika’!” Roma, Donzelli, “La potenza della scissione” o diaresis, Napoli, Scientifiche,
“Gografia e storia dell'idea di libertà,” Reggio Calabria, Falzea. – cfr.
Grice: “The history of ‘free’ is hardly a ‘natural history’!” “Paticità e in-differenza,”
Genova, Melangolo, -- Grice: “Masullo’s concept of ‘pathos’ is essential –
while you may have self-pathos, the implicaure is that there is ‘empathy.’” “Inter-soggettivo”
G. Cantillo, Napoli, Scientifica, “Filosofia
morale,” Roma, Riuniti, “Scienza e co-scienza” – Grice: “This pun is only
possible in Italian: conscious and science are less of a parallel word
formation!” “tra parola e silenzio” Grice: “This is my reading between the
lines – i. e. the implicature” atti del convegno (Monte Compatri), P.
Ciaravolo, Roma, Aracne, “Il senso del fondamento,” Napoli, scientifica, G.
Cantillo, Napoli, scientifica, Napoli, siccome immobile. Intervistato, Napoli,
Guida, La libertà e le occasioni,
Milano, Jaca, I linguaggi della follia e
i passi della salvezza. Il lavoro psichiatrico, in S. Piro. Maestri e allievi,
Napoli, Scientifica,. Il filosofo della coscienza, Corriere della Sera, La
grazia della filosofia e della politica, su rainews, Napoli, chi era il più
grande filosofo, su interris, A. Fioccola, Web Magazine dell'Università degli
Studi di Napoli l'Orientale. Aldo Masullo. Masullo. Keywords: l’intersoggetivo,
la scissione di Hegel, il continuo dei velini – velia, infinitesimal –
l’innamorato di Parmenide -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masullo” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Matassi – la filosofia della seduzione dei giocatori di calcio -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (San Benedetto del Tronto). Filosofo. Grice: “I like Matassi; but then I
like football – I was the football team captain at Corpus – and aesthesis, the
seductor seduced – “la condizione desiderante” indeed!” Allievo di Garroni, è
stato Professore di Filosofia morale, coordinatore scientifico della sezione
Filosofia, Comunicazione, Storia e Scienze del Linguaggio del Dipartimento di
Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell'Università Roma Tre; in precedenza
era stato direttore del Dipartimento di Filosofia. Si è occupato anche di
Estetica musicale. È stato Presidente
della Società Filosofica Romana e ha fatto parte del comitato direttivo
nazionale della Società Filosofica Italiana. È stato nel comitato d'onore della Fondazione
Amadeus. Presidente dell’Accademia Estetica di Rapallo, responsabile della
sezione filosofica di Villa Sciarra, Roma, membro della giunta del CAFIS
dell'Università Roma Tre. È stato anche membro del Comitato scientifico della
Fondazione Résonnance dell'Losanna. Ha
diretto la collana Musica e Filosofia per la Mimesis Edizioni di Milano e
quella su I Dilemmi dell'Etica per la casa editrice Epos di Palermo. Ha tenuto
un blog sul "Fatto quotidiano" sui temi che legano la filosofia alle
dimensioni del contemporaneo. Ha collaborato con la rubrica Ricercare, dedicata
alla filosofia della musica, al mensile Amadeus e al mensile Stilos. È stato
direttore della collana Italiana per Orthotes Editrice (Napoli). È stato anche
membro del comitato scientifico-direttivo delle seguenti riviste: Colloquium
philosophicum, Paradigmi,Quaderni di estetica e di critica, Bollettino di studi
sartriani, Filosofia e questioni pubbliche, Links, Lettera Internazionale,
Phasis, Itinerari, Prospettiva Persona, Metabolè, Babel online, Civitas et
Humanitas. Annali di cultura etico-politica. Per quanto concerne il settore
estetico-musicale è presente nel comitato direttivo della rivista internazionale
Ad Parnassum.Hortus Musicus, Civiltà musicale, Orpheus, Itamar. a ricoperto la
presidenza di giuria per il Premio Frascati Filosofia. Menzione speciale della giuria all'VIII
premio internazionale di saggistica “Salvatore Valitutti”, per Bloch e la
musica. È stato uno dei principali
collezionisti al mondo di incisioni relative alle esecuzioni delle sinfonie e
della liederistica di Mahler (circa mille tra vinili e compact disc). Pensiero Si è occupato di filosofia tedesca
dell'Ottocento e del Novecento, in particolare del pensiero di Hegel, delle
scuole hegeliane, del Neocriticismo tedesco, del marxismo occidentale e della
scuola di Francoforte. Il suo primo lavoro è stato dedicato alle Vorlesungen hegeliane di
filosofia del diritto e all'interpretazione fornitane daGans. Si è occupato di Lukács,
iutilizzando per la prima volta il celebre manoscritto "Dostoevskij"
si è poi occupato di Hemsterhuis, l'autore della celebre Lettera sui Desider e
del dialogo Alessio o dell'età dell'oro.
Le sue ricerche hanno riguardato la filosofia della musica moderna e
contemporanea e in particolare su quella di Bloch, di Benjamin e Adorno, fino ad elaborare un'originale
filosofia dell'ascolto, le cui suggestioni si possono rintracciare nella teoria
musicale moderna di Ernst Kurth, elaborata nei Fondamenti del contrappunto
lineare. In tale prospettiva di ricerca, filosofia della musica e filosofia
dell'ascolto sono strettamente compenetrate, fino a diventare il paradigma di
una rivoluzione formativa che mette al centro del sistema educativo
contemporaneo la musica nella sua declinazione storico-teorica come in quella
pratica. All'interno di tale prospettiva
svolge un ruolo centrale Mozart, il "più ascoltante tra gli
ascoltanti" come lo definì Martin Heidegger. Saggi: Le Vorlesungen-Nachschriften hegeliane
di filosofia del diritto” (Roma, Sansoni, Lukàcs. Saggio e sistema” Napoli,
Guida); “Hemsterhuis. Istanza critica e filosofia della storia, Napoli, Guida);
“Eredità hegeliane, Napoli, Morano, “Terra, Natura, Storia,” Soveria Mannelli,
Rubettino, “Bloch e la musica,” Salerno, Fondazione Menna, Marte editore, Musica
(Napoli, Guida) “Bellezza,” Soveria Mannelli, Rubettino); L'estetica. L'etica, Donzelli,
Roma, L'idea di musica assoluta, Nietzsche e Benjamin, Rapallo, Il ramo, “La
condizione desiderante. Le seduzioni dell'estetico”- Il nuovo melangolo,
Genova; Filosofia dell'ascolto” (Rapallo, Ramo); “Lukàcs. Saggio e Sistema” (Milano,
Mimesis); “La Pausa del Calcio, Rapallo, Il ramo. “Il calcio,” Rapallo.. In: Du
Nihilism à l'hermenéutique, Hemsterhuis Franciscus “Sulla scultura; a c. di
Elio Matassi. Palermo. Convegno sulla bellezza", presso il Centro di Studi
Rosminiani di Stresa, Musica e Creatività Intervista a Rai Notte "La
musica assoluta" Inconscio e Magia, Teatro dell'Opera di Roma, Seminario
di formazione del PD Le parole e le cose dei democratici Pisa, Palazzo dei
Congressi, Intervento alla Summer School della Fondazione Italiani-Europei, sui
rapporti tra democrazia e capitalismo, Commento al concerto jazz di M. Donà,
"Tutti in gioco", Porto Civitanova, Bloch e la musica. Utopia a
misura d'uomo. Intervista, Ornamenti, Arte, filosofia, letteratura, M. Latini,
Armando, Roma, RAI Filosofia, su filosofia.rai. Il Potere e la Gloria. Juventus
e Inter Il Fatto Quotidiano, s MLatini, in. tervista su Amare, ieri, di G.
Anders, rivista on-line «SWIF-Recensioni filosofiche», M. Latini, Doppia risonanza sul mondo (a
proposito di "Musica" Napoli), “Il Manifesto”, C. Serra, Recensione a
"Musica". Grice: “Unfortunately, Matassi, being Italian, or an
Italian, is more interested in Nordic Kierkegaard, to pour sorn on their
coldness, than in Ovid’s ‘ars amatoria’ which would interest an Oxonian!” -- Cf.
“La palestra di Platone”. Elio Matassi. Matassi. Keywords: la filosofia del
calcio, in-duzione, se-duzione – Ovidio, ars amatoria, desiderio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matassi” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703884255/in/photolist-2mLTVsg
Grice e
Matera – implicatura – I segni del zodiac e la semiotica di Peirce -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo. Grice: “Only in Southern Italy is a philosopher also responsible
for the astrological edification of the city’s cathedral!” Uno dei più grandi
studiosi e divulgatori di astrologia occidentale e filosofia dell'epoca. Insegna
dapprima a Matera, e successivamente a Napoli.
Vive nel periodo in cui la Contea materana era dominio degli Angioini e
su richiesta di Filippo IV detto "il bello", il re di Napoli Carlo II
d'Angiò, detto "lo zoppo", invia Alano a Parigi. Lì insegna e divenne
noto come dottore universale, profondamente versato in filosofia. In quegli
anni infatti astronomia e astrologia vieneno collegate poiché si crede che gli
astri potessero esercitare un influsso sulle azioni umane. Nei periodi di
soggiorno a Matera, abita, secondo Verricelli nella contrada di Lo Lapillo tra
il castello e il puzzo dove sorge l’acqua della fontana hera la sua vigna con
una casuccia di pietre, piccola, mal fatta casa propria di filosofo quale
oggidì si chiama la vigna e casa di Alano. Si tratta della collina dove poi fu
edificato il Castello Tramontano. In quella casetta il grande filosofo passava
intere notti ad osservare il cielo e gli astri con strumenti rudimentali. Di
Alano è il motto presente nel “Glora mundis”: La goccia perfora la pietra non
colpendola due volte con forza, bensì colpendola continuamente, così tu trai
profitto studiando non due volte ma continuamente. È l'esortazione con cui
invita a raddoppiare impegno e curiosità sulla strada della conoscenza. Secondo
alcuni, il perfetto orientamento delle facciate della Cattedrale di Matera e
del suo campanile lungo i punti cardinali si deve alle osservazioni
astronomiche di Alano.A Matera una strada, trasversale di via Nazionale, tra le
vie Salvemini e Di Vittorio, è dedicata ad Alano. G. Fortunato, Badie, feudi e
baroni della Valle di Vitalba, ed.Lacaita, Personaggi della storia materana,
Altrimedia, per i Quaderni della Biblioteca provinciale di Matera M. Morelli, Storia di Matera, ed. F. lli
Montemurro, F. Volpe, Memorie storiche di Matera, ed. Atesa, Dizionario
corografico del Reame di Napoli, ed. Civelli, Biografie dei personaggi illustri
di Matera, sassiweb. ntonio Giampietro,
Personaggi della storia materana, Alano di Matera. Matera. Matera. Keywords: implicature,
la collina del castello tramontanto, la catedrale di Matera, astrologia,
astronomia, dottore universale, Napoli, Bologna, Parigi, the semiotics of
astrology, Grice on zodiac signs, semiotic, semiology, astrology, astronomical
chart. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matera” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692257175/in/photolist-2mPZ2Vc-2mPpmMv-2mKC3nj-2mKHkna-2mKSk8n-nfKCoW-nivfse-nfKC96-nidYDE
Grice e
Mathieu – l’uomo aniamle ermeneutico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Varazze).
Filosofo. Grice: “There are various things I love about Mathieu: his idea of
the ‘uomo, animale ermeneutico’ is genial – and true!” Grice: “Mathieu rightly
focuses on Kant’s problems with emergentism, i.e. the fact that life (or
‘vivente’) cannot be reduced. I love that.” Grice: “Mathieu has emphasised the
irreductionism alla Bergson. I like that.” Grice: “Mathieu makes an apt analogy
between Goedel’s work for alethic systems – that they cannot self-reflect, and
deontic systems --.” Dopo il liceo, si iscrisse a orino. Si laureò con Guzzo,
filosofo rappresentante dello spiritualismo ced autore di importanti studi
su Kant (un filosofo che sarebbe stato
centrale nella vita intellettuale di Mathieu). Libero docente nella
filosofia, è stato professore incaricato, e Professore di filosofia teoretica a Trieste.
Primo vincitore del concorso di Storia della filosofia, è stato ordinario di
filosofia fino al ruolo di professore emerito di filosofia morale a Torino -- è
stato membro del Comitato del CNR; è
stato membro e poi vicepresidente del Consiglio esecutivo dell'UNESCO (Parigi).
È stato membro del Comitato Nazionale di Bioetic; è socio dell'Accademia dei
Lincei e membro del Comitato Premi della Fondazione Balzan. Ha fondato
con Berlusconi, Colletti ed altri il
movimento politico Forza Italia. Si è candidato al Senato della Repubblica nel
collegio di Settimo Torinese: sostenuto dal centro-destra (ma non dalla Lega
Nord), ottenne il 33,2% e venne sconfitto dal rappresentante dell'Ulivo, Tapparo.
Con il sindaco di Brindisi Mennitti ha dato vita alla Fondazione Ideazione, per
il cui quotidiano ha curato una rubrica fino alla chiusura della testata. Nel
luglio (in connessione con la sua carica
di presidente del collegio dei probiviri del PdL che è chiamato a giudicare
l'operato dei finiani di Generazione Italia) diversi organi di stampa
riprendono la voce, già circolante da tempo, di una sua adesione all'”Opus
Dei.” A tale proposito sono giunte alla redazione del Corriere della Sera che
aveva pubblicato la notizia le smentite sia dell'Opus Dei che dell'interessato. Ha
offerto contributi significativi in almeno quattro ambiti della ricerca
filosofica: la filosofia della scienza; la storia della filosofia;
l'estetica; la filosofia civile. Ha indagato i limiti interni ed i limiti
esterni della scienza. Tale indagine ha avuto due filosofi del passato come
suoi principali punti di riferimento: Kant e Bergson. Ha infatti ripreso e
sviluppato le ricerche di Kant sui limiti interni della scienza e sulla sua
fondazione. A tale riguardo pubblicò il saggio "Limitazione qualitativa della
conoscenza umana" a cui fece seguito, "L'oggettività nella scienza e
nella filosofia". Seguendo Bergson, ha valorizzato anche altre forme
della conoscenza e della espressività umane non riducibili alla cienza, ma non
per questo ad esse opposte. Ha infatti sempre ritenuto che la realtà, e
segnatamente la realtà umana, non possa essere esaurita dalla scienza, e
richieda invece una costante attività interpretativa.. L'uomo, dunque, è
chiamato ad essere scienziato della natura ed ermeneuta della cultura. Sarebbe
però riduttivo non ricordare che i suoi contributi alla filosofia della scienza
riguardano una pluralità estremamente diversificata di temi. Ad esempio, sono ddue
studi pionieristici sull'applicabilità del teorema di Gödel al diritto. Gödel
aveva scoperto che non si può dimostrare la coerenza di un sistema all'interno
del sistema stesso; Mathieu ritiene che, almeno analogicamente, la scoperta di
Gödel possa applicarsi al problema della fondazione di un sistema deontico. Uun'autorità
non può legittimarsi da sola in modo formale e, dunque, anche il diritto
richiede fondamenti esterni (etici, non emici): l'efficacia e la giustizia. Ha
realizzato alcune traduzioni fondamentali. E forse il suo contributo maggiore alla
storia della filosofia è consistito proprio in un'opera che combina traduzione
e ricostruzione critica, ovvero l'opus postumum di Kant. Tale opera affronta
questioni teoriche tutt'oggi aperte (soprattutto nella fisica e nella biologia
teoriche), come il problema della forma degli oggetti solidi o il problema del “vivente,”
cioè il problema della vita in quanto tale e non ridotta a semplice. Ha
curato poi le edizioni di opere di Leibniz: si è trattato di un ampio lavoro
che si è raccolto in "Scritti politici e di diritto naturale"
"Leibniz e des Bosses" "Saggi filosofici e lettere" e "Saggi
di teodicea: sulla bontà di Dio, sulla libertà dell'uomo, sull'origine del
male.” La sua estetica, pur nella varietà dei temi trattati, rimanda ad una
problematica essenzialmente ontologica: lo svelarsi dell'ente. Cioè, l'opera
d'arte è heideggerianamente concepita come il modo attraverso cui gli uomini
possono cogliere il passaggio dal nulla all'essere. Di estetica è "Goethe
e il suo diavolo custode", edito per i tipi di Adelphi. Al centro di
questa ricerca vi è la figura di Mefistofele, analizzata in tutta la sua
profondità e capacità genealogica. Nei suoi volumi
sull'estetica della musica sviluppa la tesi affascinante che ascoltare la
musica è un ascoltare il silenzio. Grande è la potenza significante di ciò che
non significa nulla, perché è il nulla a far emergere l'essere delle cose. E la
musica e la luce si situano proprio in questo iato insuperabile fra l'essere e
il nulla. Entro i suoi molteplici contributi alla filosofia civile, si staglia
netta, per importanza e originalità, una triade di saggi edicati a quello che
potremmo chiamare "stato spirituale dell'Occidente". Si tratta di
opere scritte in un periodo dunque estremamente critico per l'Italia, ma che
mantengono ancora una grande attualità. Fa percepire al lettore il pericolo
valoriale in cui è venuto a trovarsi l'Occidente e pone in essere una critica
serrata alle ideologie totalitarie o nichiliste. In questo senso, vi è un'aria
di famiglia con i lavori di quei filosofii come Horkheimerche ha prospettato i
rischi di un'eclisse dell'individuo nella società tecnologica di massa. Un
articolo sul Corriere della Sera
rettifica sul Corriere della Sera
smentita sul Corriere della Sera. Saggi: “Bergson, Torino); “La
filosofia trascendentale” (Bibliopolis, Torino); Leibniz e Des Bosses, Torino);
“L'oggettività nella scienza e nella filosofia contemporanea, Torino; L’esperienza”
(Trieste); Dio nel "Libro d'ore" di R. M. Rilke, Olschki); “Dialettica
della libertà, Napoli); “La speranza nella rivoluzione, Milano, Vincenzo Filippone-Thaulero,
Salerno Temi e problemi della filosofia, Roma, Perché punire, Milano, Cancro in
Occidente, Milano, La voce, la musica, il demoniaco. Con un saggio
sull'interpretazione musicale, Spirali, Filosofia del denaro, Roma, Elzeviri
swiftiani, Spirali, La mia prospettiv, Barone Francesco; Melchiorre Virgilio,
Gregoriana Libreria, Gioco e lavoro, Spirali, La speranza nella rivoluzione,
Spirali); “Nazionalismo”; S. Cotta, Japadre, Perché leggere Plotino, Rusconi); Tipologia
dei sistemi e origine della loro unità, Lincei, Orfeo e il suo canto. Scritti, Zamorani,
Il nulla, la musica, la luce, Spirali, La
fedeltà ermeneutica, Paoletti Laura, Armando, Per una cultura dell'essere,
Armando L'uomo animale ermeneutico, Giappichelli, Le radici classiche
dell'Europa, Spirali, Goethe e il suo diavolo custode, Adelphi, Privacy e
dignità dell'uomo. Una teoria della persona, Giappichelli, Plotino, Bompiani, Perché
punire. Il collasso della giustizia penale, Liberilibri, Introduzione a
Leibniz, Laterza, In tre giorni, Mursia,;
La filosofia, Marcovalerio, Kant Bergson. quotidiano Ideazione, il fatto quotidiano. 3del
portavoce dell'Opus Dei sulla non appartenenza alla Prelatura dell'Opus Dei, su
archive ostorico.corriere. Vittorio Mathieu. Mathieu. Keywords: al di la del
bene e del male, la fedelta ermeneutica, l’uomo animale ermeneutico, il
demoniaco, l’angelo custode, il demonio custode, il diavolo custode. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mathieu” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745480478/in/datetaken/
Grice e
Maturi – implicatura – filosofia italiana – l’io e l’altro – io e l’altro – i
duellisti -- Luigi Speranza (Amorosi). Filosofo. Grice: “There are two main
things I love about Maturi, and I hate it when philosophers just dismiss him as
an ‘Italian,’ or worse, ‘Neapolitan’ Hegelian – as when they refer to me as a
member of the Oxford school of ordinary language philosophy! The first is his
typically Neapolitan-hegelian school account of what he calls ‘autocoscienza
recognoscitiva,’ which is something I do take for granted in my conversational
theory of inter-ratiationality; the second is his elaboration of what he calls
the passage from the non-human animal to the ‘human-animal’ in a sort of
pirotological passage.” Grice: “What I like about him is that he considers each
‘stage’ as just as fundamental as the other; which implicates that actually the
‘higher’ stage has a ‘foundation’ on the previous one. Here ‘foundational’
makes perfect sense; and it gives Maturi an excuse to rather pompously label
the concept: ‘forma fondamentali’ of the ‘vita.’ It’s exactly like my soul
progression, -- which I explore in ‘Philosophy of Life.’” It is not surprising
that Gentile loved Maturi and forwarded his “Introduction to philosophy.” sDocente
prima nei licei e poi nell'Napoli. Dopo i primi studi nella cittadina natale,
si trasferì a Napoli ove conseguì la licenza liceale. La frequentazione di
Bertrando Spaventa e di Augusto Vera, lo introdusse alla filosofia
hegeliana destinata ad esercitare nel
suo pensiero un'influenza duratura.
Laureatosi in giurisprudenza, tre anni dopo vinse un concorso per
uditore giudiziario. Ottenuta
l'abilitazione, insegnò filosofia nei licei di varie città. Conseguita la
libera docenza, tenne corsi di filosofia hegeliana nell'Napoli quando ritornò
all'insegnamento liceale presso l'istituto Umberto I della città partenopea.
Inizia una corrispondenza con Croce e Gentile, i maggiori esponenti
dell'idealismo italiano, ai quali fu legato da un rapporto di amicizia. Saggi: “Soluzione
del problema fondamentale della filosofia” – Grice: “He implicates there is
one. Cf. Strawson, Solution to the problem of the king of France’s hair loss.” “Bruno.”
Grice: “Italians seem to have a predilection for philosophers who were burned.”
“L'ideale del pensiero umano; ossia, la esistenza assoluta di Dio.” Grice: “For
Kant, and my friend D. F. Pears, existence is not a predicate, for another of
my friends, J. F. Thomson, it is!” “Uno
sguardo generale sulle forme fondamentali della vita” Grice: “The key concept
is ‘forma fondamentale’ as applied to ‘vita.’ -- Grice: “My favourite is his description of
the ‘forma fondamentale’ of the ‘vita’ of the non-human animal to the ‘forma
fondamentale’ of the ‘vita’ of the human animal.” L'idea di Hegel. Grice: “When
I told Hardie that I was reading “The idea of Hegel,” he said, ‘what do you
mean, ‘of’?” “For Maturi, it’s the same, and it is delightful to see that he
can quote Hegel in ‘Deutsche’ without caring to translate! Them was the days
when European languages counted!” La filosofia e la metafisica” Grice: “The
‘and’ is aequivocal: cf. Durrell, “My family and the animals.”“Principî di
filosofia” (apparently by Spaventa – Maturi has an introduction to philosophy).
Grice: “I must confess that I love the word principle, but again, Hardie would
say, what do you mean ‘of’ – my principle of conversational helpfulness – or
when I speak of the principle of conversational self-love and the complementary
principle of conversational benevolence,” I’m not sure who I apply it to! The
conversationalist like me, I s’ppose.” “Una
relazione scolastica.” Grice: “He doesn’t mean Russell.” “But what he means is
a syllabus which is illustrative of Neapolitan Hegelianism!” Dizionario Biografico
degli Italiani, riferimenti in. Mario Dal Pra, Milano, Bocca, Guzzo, Brescia,
Morcelliana, A. Gisondi, Forme dell'Assoluto. Idealismo e filosofia tra Maturi,
Croce e Gentile, Soveria Mannelli, Rubbettino, G. Giovanni, "Filosofia
hegeliana e religione. Osservazioni", Benevento, ed. Natan,. Hegelismo Idealismo Neoidealismo italiano. G.
Calogero, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Sebastiano Maturi. Maturi. Keywords: implicature, Bruno, Vico, Aquino,
Spaventa, I duellisti, l'io e l’altro – riconoscimento, la dialettica del
signore e del servo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691410023/in/photolist-2mQoQhs-2mPXDFp-2mPLEqt-2mPKvMM-2mPxLC4-2mPkobg-2mNzeEc-2mNbwWj-2mLLZRD-2mLP9qE-2mLLwjC-2mLyVqx-2mKMZii-2mKTyvC-2mKw3hq-2mKbok1-2mPLygi-2mPHbXQ-2mJq2uE-E4u3XA
Grice e
Maturi – filosofia napoletana – filosofia italiana – Luigi Speranza -- (Napoli).
Filosofo. Grice: “People sometimes asks me how my intentionalist approach can
be applied to history. I always respond: Read Maturi!” Grice: “Maturi’s
‘Interpretazioni,’ thus in plural, ‘del risorgimento’ is a classic --.” Grice::
“Even in London, the risorgimento had at least two interpretations! One in
Woolwich, and another one elsewhere! And there is possibly a gender distinction
too with “Speranza,” Wilde’s mother, being somewhat fanatic about it!” – Compe la
sua formazione culturale a Napoli dove si laureò con Schipa, uno dei firmatari
del manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Croce. Del suo
maestro, per la lezione di rigore che gli aveva impartito, Maturi conservò un
commosso ricordo ed ebbe modo di esprimere pubblicamente la sua gratitudine in
occasione della morte di Schipa, pronunciandone il necrologio. Seguì con
attenzione ed interesse, ma anche con spirito critico, le lezioni di Croce
conseguendo una laurea in filosofia con Gentile con una tesi su Maistre.
Impostato sulla lezione crociana è il saggio “La crisi della storiografia
politica italiana” a cui seguì quello dedicato a Gli studi di storia moderna e
contemporanea, inserito nel primo dei due volumi dell'opera del “La vita
intellettuale italiana.” Il suo primo lavoro Il concordato tra la Santa Sede e
le Due Sicilie pubblicato fu giudicato positivamente dalla critica s di Omodeo
che lo recensì ne La Critica. Frequenta la Scuola storica per l'età moderna e
contemporanea diretta da Volpe e fu segretario e bibliotecario dell'Istituto
storico per l'età moderna e contemporanea. Fu collaboratore
dell'Enciclopedia italiana per la quale scrisse numerose voci tra le quali
quella dedicata al "Risorgimento" ispirata alle sue idee liberali.
A causa di questo episodio, nonostante il suo disinteresse per la vita politica
attiva, fu allontanato dall'Istituto storico per l'età moderna e
contemporanea. Nei suoi saggi di storia politica i suoi punti di
riferimento sono Croce, Meinecke, Salvemini, e Volpe. Dapprima come
incaricato di storia del ri-sorgimento e poi come ordinario tenne le sue
lezioni a Pisa dove ha modo di scrivere numerosi saggi come alcune importanti
voci nel Dizionario di politica a cura del Partito nazionale fascista, il
saggio Partiti politici e correnti di pensiero nel Risorgimento, e l'accurata
biografia Il principe di Canosa. I corsi di storia della storiografia tenuti a
Pisa furono continuati a Torino quando ha la cattedra di Storia del Risorgimento
e quella di Storia delle dottrine politiche che occupa sino alla sua
inaspettata scomparsa. Le sue lezioni di quest'ultimo periodo furono
raccolte nell'opera postuma Interpretazioni del Risorgimento considerata di
primaria importanza dagli storici. Saggi: “Interpretazioni del
Risorgimento, coll. Biblioteca di cultura storica Einaudi,'Enciclopedia
italiana, Accademia delle scienze di Torino, In memoria, Istituto per la storia
del Risorgimento italiano, Roma 1Interpretazioni storiografiche del Risorgimento.
Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Walter Maturi.
Maturi. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Maurizi – la vendetta di Bacco – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo. Grice: “I like Maurizi; of
course his ‘vendetta di Bacco’ makes sense only in the context of Nietzsche’s
rather recherché dichotomy!” – Grice: “His idea of the ‘suspected ‘I’’ is good,
but he is not, as I was, having in mind Reid, but Freud!” Si è laureato in
filosofia della storia presso l'Università degli Studi di Roma "Tor
Vergata" e ha conseguito il dottorato di ricerca nella medesima università
discutendo una tesi su Cusano e il concetto di non altro da cui è nato il
volume La nostalgia del totalmente non altro. Cusano e la genesi della
modernità (Rubbettino). Dopo un periodo di formazione in Germania attualmente
svolge la sua attività di ricerca presso l'Università degli Studi di Bergamo.
Pubblica le sue ricerche su alcune prestigiose riviste come la Rivista di
filosofia neo-scolastica, il Journal of Critical Animal Studies, Dialegesthai,
Alfabeta, Lettera Internazionale, e collaborando, inoltre, con i quotidiani
Liberazione e L'Osservatore Romano. Ha poi partecipato alla stesura del secondo
volume di L'Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico (Jaca Book, )
ed è il traduttore e curatore dell'edizione italiana di Georg Lukács, Coscienza
di classe e storia. Codismo e dialettica, Alegre, Roma di Ralph Acampora,
Fenomenologia della Compassione, Edizioni Sonda, Casale Monferrato,, e ha
tradotto, con G. Dalmasso, Derrida,
Teoria e prassi. Corso dell'École Normale Supérieure Jaca Book, Milano,. Ha contribuito
alla fondazione delle riviste scientifiche "Liberazioni" e Animal
Studies. Rivista italiana di antispecismo. Pensiero Maurizi ha suddiviso
i suoi interessi di ricerca tra la filosofia dialettica (Cusano, Hegel, Marx,
Adorno), la teoria critica della società e le implicazioni politiche di una
visione "sociale" dell'antispecismo a partire da una rielaborazione
del pensiero della scuola di Francoforte. Tanto le sue ricerche su Adorno,
quanto quelle su Cusano si incentrano sul tentativo di porre in evidenza il
tema della storicità dell'umano non in termini di un astratto e formale
"essere-nel-tempo", quanto più propriamente nel vedere nell'essere
storico, in tutta la sua determinatezza, l'irriducibile istanza di verità
dell'umano stesso: l'essere storico è in tal senso irriducibile ad ogni
ontologia dell'essere temporale seppure ciò non porti necessariamente ad un
relativismo storicista. Prendendo spunto dalla lettura critico-negativa di
Hegel portata avanti da Adorno, infatti, Maurizi sostiene la leggibilità e
razionalità della storia come segno del dominio, l'universale storico non come
traccia di un positivo che si farebbe strada attraverso il negativo delle
vicende umane, bensì come questo stesso negativo che informa di sé la civiltà,
imprimendo ad essa la direttrice di un progresso della razionalità strumentale
che è l'antitesi della redenzione. La sua rilettura del pensiero della
filosofia di Francoforte ha così costituito un punto di partenza per una
ridefinizione dell'opposizione natura/cultura e lo ha portato ad estendere la
critica ai meccanismi di dominio anche al controllo e allo sfruttamento del non
umano, e più in generale della Natura. Il suo pensiero riguardo alla filosofia
antispecista è in continuità con quello espresso dal sociologo David Nibert ed
in netta opposizione all'utilitarismo di Peter Singer criticato da Maurizi come
un antispecista metafisico. Un punto centrale nell'argomentazione filosofica di
Marco Maurizi, che rende originale il suo lavoro rispetto a quello degli altri
teorici dei diritti animali, riguarda l'interpretazione in termini
storico-sociali dello specismo. Ogni attività intellettuale «antispecista»,
secondo Maurizi, consiste quindi essenzialmente nel fare propria questa scelta
di campo: sottolineare come la questione animale sia un aspetto irrinunciabile
di ogni ipotesi di trasformazione dell'esistente. Secondo Maurizi
l'antispecismo è dunque essenzialmente politico
e non possiamo affrontare, come fanno Peter Singer o Tom Regan, la
questione animale da una prospettiva astrattamente morale. All'attività di
filosofo, Maurizi ha così affiancato quella di attivista per i diritti animali,
intrecciando l'attività speculativa con quella politica; risultato di questa
attività è il libro Al di là della Natura: gli animali, il capitale e la
libertà (Novalogos, ). Maurizi è stato inoltre fondatore delle riviste di
critica antispecista Liberazioni e Animal Studies, della rivista online Asinus
Novus che prende il nome dal suo breve testo Asinus Novus: lettere dal carcere
dell'umanità (Ortica, ). Nel
l'associazione Per Animalia Veritas raccoglie alcuni suoi scritti che
rappresentano un sunto aggiornato del suo pensiero sulla filosofia
antispecista: Cos'è l'antispecismo politico (Per Animalia Veritas, ). Sulla
scia delle riflessioni adorniane, Maurizi ha anche lavorato sulla filosofia
della musica e la teoria critica musicale. Le sue teorie sull'antispecismo
politico sono abbondantemente discusse nel libro di Lorenzo Guadagnucci
Restiamo Animali: vivere vegan è una questione di giustizia (Terre di Mezzo, ),
da Matthias Rude Antispeziesismus. Die Befreiung von Mensch und Tier in der
Tierrechtsbewegung und der Linken (Schmetterling, Stuttgart ) e altri autori
della scena antispecista di lingua tedesca. Saggi: “Il tempo del non-identico,”
Jaca); “La nostalgia del totalmente non altro” – La genesi della modernità,
Rubettino, “Al di là della natura: gli animali, il capitale e la libertà,”
Novalogos, “Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità,” Ortica, “Cos'è
l'anti-specismo?” Per animalia veritas, “L'io sospeso: l'immaginario tra
psicanalisi e sociologia, Jaca, Grice: “This reminds me of my fantasies on ‘I’
– “The suspected I’ is a genial phrase!” -- “Chimere e passaggi” Mimesis, “Altra
specie di politica, Mimesis, “Musica per il pensiero. Filosofia del
progressive” -- Mincione, “La vendetta di Dioniso” -- la musica contemporanea da Schönberg ai
Nirvana, Jaca, “Quanto lucente la tua in-esistenza” --- L'Ottobre, il
Sessantotto e il socialismo che viene, Jaca. Intervento di M. Maurizi su questi
temi per la Casa della Cultura di Milano: youtube.com/watch?v= ZNfJrRx-7fo Intervista su questo tema a cura del
collettivo Tierrechtsgruppe Zürich (Zurigo) M. Maurizi La genesi dell'ideologia
specista in Liberazioni:/ M. Maurizi Per una cultura antispecista in Asinus
Novus: rivista di antispecismo e filosofia: Copia archiviata, su
asinusnovus.wordpress.com. Intervento M. Maurizi per il primo convegno
nazionale antispecista: youtube.com/watch?v=JwZiW4ngrag Intervista a M. Maurizi e L. Caffo sulle
nuove prospettive dell'animalismo: youtube Testo recensito da L. Pigliucci per
la rivista "Lo Straniero" di Aprile: Copia archiviata, su
asinusnovus.wordpress.com.Intervista di F. Pullia sul quotidiano "Notizie
Radicali" Una recensione del testo: Copia archiviata, su
asinusnovus.wordpress B. Le GocM. Maurizi, Musica per il pensiero. Filosofia
del progressive italiano, Mincione, Roma.
Antispecismo Diritti degli animali Scuola di Francoforte. Asinus Novus.
Antispecismo e Filosofia, su asinusnovus.net. Animal Studies. Rivista Italiana
di Antispecismo, su rivistaanimalstudies.wordpress.com. Marco Maurizi. Maurizi.
Keywords: la vendetta di Bacco -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maurizi” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703667269/in/photolist-2mQwYd8-2mQtcUw-2mQkxxa-2mQjVch-2mQaKxF-2mPYYve-2mPyW8A-2mPyn68-2mPrb68-2mNzeEc-2mLLY7G-2mLQdrQ-2mKFrQ6-2mLSNX8-2mLGRht-2mLMaMX-2mLGjg5-2mKPS8q-2mKC3nj-2mKuZ8r-2mKDA5r-2mPoBGn-2mKAuZM-2mGT6p1-2mGnP2f-E58e4H-DeWyrT-AJp6ja-mukgnR-mumBeo-mujH18-AKkszP-AKm2wa-iaPpsv-BfCsgw-A71D2h-BxbiQ5-iaPo9Z-iaP9LN
Grice e
Mazzarella – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo. Grice: “I love Mazzarella’s ‘necessary word’ – not precisely what I
was thinking when philosophising about conversation, but for Mazzarella, the
conversational motivation is to HELP in the most authentic fashion – Compared
to his ‘parola necessaria,’ my principle of conversational helpfulness, while
based in part in the desideratum of conversational benevolence, looks pretty
lame!” -- Grice: “I like Mazzarella. The fuss he makes in translating
Heidegger, whom I have elsewhere called ‘the greatest living philosopher’ – he
was living then –.” Grice: “Mazzarella, who is relying on somebody else’s
translation, is especially focused on Heidegger’s Latinate ‘fakt.’ From ‘Fakt,’
Heidegger gets an abstract noun. But he also uses the Germanic for ‘deed.’
Relying on the cognateness of ‘fakt’ with ‘fatto’ – cognate itself with
‘effetto,’ Mazarella agrees that the translation goes from ‘factivity’ to
‘effectivity.’ And it should inspire all philosophers into seeing how similar
these two concepts are – if indeed two concepts they are, seeing that they come
from the same Roman root! But Mazzarella would know that – you wouldn’t!” – Professore a Napoli, è tra i principali interpreti di Heidegger.
Deputato al Parlamento nella XVI Legislatura per il Partito Democratico. Dopo essersi laureato presso l'Università
degli Studi di Napoli “Federico II” con Masullo, inizia la sua attività di
ricerca come borsista DAAD in Germania, e successivamente presso l'Salerno. In
seguito è professore incaricato di Estetica presso l'Università dell'Aquila.
Dopo essere stato professore associato di Filosofia Teoretica presso l'Catania
e di Filosofia della storia presso l'Napoli “Federico II”, diventa professore
straordinario di Storia della filosofia presso la Facoltà di Magistero
dell'Salerno e dal 1993 Professore di Filosofia Teoretica presso l'Napoli “Federico
II”. Dirige il Dottorato di Ricerca in “Scienze Filosofiche” dell'Napoli “Federico
II” e cura la programmazione e le relazioni internazionali per la Facoltà di
Lettere e Filosofia, di cui è Preside dal 2005 al 2008. Nel 2008 viene eletto
deputato del Parlamento italiano, divenendo componente della VII Commissione
Cultura della Camera. Opere In una delle
sue opere principali, Tecnica e Metafisica. Saggio su Heidegger, Mazzarella
indaga i processi decostruttivo-ermeneutici sottintesi all'heideggeriana storia
della metafisica occidentale, fino a formulare un'ipotesi
"ecologica"(in senso originario, come pensiero relativo all'abitare
dell'uomo) relativa alle interpretazioni del "logos" eracliteo e
della categoria aristotelica della "physis" riscontrate nei saggi
successivi alla cosiddetta "svolta" del pensiero di Heidegger. In Vie d'uscita. L'identità umana come
programma stazionario metafisico, le aporie di una metafisica del fondamento
sono affiancate alla dimensione tecnica della contemporaneità, intesa
storicisticamente come epoca del compimento del nichilismo. Centrale diventa
l'idea di un "essere-alla-vita", categoria che richiama in modo
lampante l'"essere-nel-mondo" di heideggeriana memoria; le questioni
teoretiche vengono così ridotte a questioni etiche riguardanti un'ontologia
minima, ove la filosofia prima si trasformi in filosofia seconda, lasciando il
posto ad un programma metafisico-antropologico di custodia e mantenimento della
e nella propria epoca. L'essere-alla-vita necessita di intendere la cultura
come “endiadi di natura e storia, ma in questa endiadi natura prima ancora che
storia”. Pensare e credere. Tre scritti
cristiani rappresenta un altro orizzonte del pensiero di Mazzarella; il
rapporto tra religione rivelata e filosofia si gioca sullo sfondo di una prospettiva
storicista di matrice diltheyana, sebbene non siano esenti dalla riflessione
Hegel, Schelling e la teologia dialettica contemporanea. Interessante è la
prospettiva di una religione come "integrazione" e apertura all'amore
fraterno, configurato nel concetto di "agape". I suoi scritti sono in ogni caso
contrassegnati, com'è tipico della recente scuola di pensiero napoletana, sorta
sulla scia delle dottrine di Croce, da una ripresa di temi propri dello
storicismo (Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia della vita). In un dialogo costante con i teologi più
liberali e moderni, quale ad es. Bruno Forte, Mazzarella si è occupato
specificamente dei temi della bioetica, coniugando il tema della tutela della
vita alla ripresa del concetto di sacralità (Sacralità e vita). In Opera media ha inoltre messo in luce un
talento poetico non indifferente, che gli è valso l'apprezzamento della critica
e diversi riconoscimenti. Ha composto quattro raccolte di poesie, e pubblicato
singoli componimenti in diverse antologie.Finalista al Premio di poesia “Città
di Vita”, Firenze, e nel 1999 ha vinto il Premio Speciale “La finestra” al
Premio Nazionale di poesia “Alessandro Tanzi” perUn mondo ordinato. Saggi: “Tecnica e metafisica” -- saggio su Heidegger
(Guida, Napoli); “Nietzsche e la storia: ontologia della vita” (Guida, Napoli);
“Storia metafisica ontologia” -- Per una storia della metafisica” (Morano,
Napoli, -- Grice: “What Mazzarella is proposing is what I did for the BBC: a
history of metaphysics; philosophical tutees are too accustomed to ‘history of
philosophy,’ but surely each branch requires a separate history! “storia della
metafisica” does just that!” – “storia della semantica” hardly sounds as sexy,
and “storia della pragmatica” sounds repugnantly academese!” -- “Ermeneutica dell'effettività” -- Prospettive
ontiche dell'ontologia” (Guida, Napoli, -- Grice: “Note that Mazzarella is
exploring the ‘effectivity,’ not the ‘affectivity’ – ex-fecto, not ad-fecto – “Filosofia
e teo-logia” -- di fronte a Cristo (Cronopio,
Napoli); “Sacralità” -- e vita, Quale etica per la bio-etica? (Guida, Napoli); Heidegger
oggi, E. Mazzarella, Mulino, Bologna, “Pensare e credere” Morcelliana, Brescia,
“Vie d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico” (Melangolo,
Genova); Opera media. Poesie, Melangolo, Genova, Lirica e filosofia,
Morcelliana, Brescia, Vita Politica Valori. Sensibilità individuali e sentire
comunitario, Guida, Napoli, “Anima madre,” Art studio Paparo, Napoli, “L'uomo
che deve rimanere,” Quodlibet, Macerata,. S. Venezia, Nota bio-bibliografica,
in Amato, M. T. Catena, N. Russo, L'ethos teoretico. Scritti in onore di
Eugenio Mazzarella265, Napoli, Guida, Archivio
degli articoli di Eugenio Mazzarella nel sito "ilsussidario.net".
Curriculum vitae, pubblicazioni e attività di ricerca nel sito dell'Università
degli Studi di Napoli Federico II, su docenti.unina. Grice: “The fact that he
calls himself a Christian has me calling him a NON-PHILOSOPHER!” -- Mazzarella.
Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzarellla” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692028975/in/photolist-2mPsXiB-2mKRahT
Grice e Mazzei – implicatura –
filosofia italiana – filosofia toscana – filosofia fiorentina -- Luigi Speranza
(Poggio a Caiano).
Filosofo. Grice: “Not every philosopher has a city,
‘Colle,’ named after him!” -- Grice: “I like Mazzei; he is hardly a
philosopher, but the Italians consider among the ‘filosofi italiani,’ – there
is a good wine, “Mazzei,” since Mazzei, when travelling to the Americas,
transplanted a grape from his paese – the descendants still grow it! In oltre,
he was influential in the ‘risorgimento’!” -- essential Italian philosopher.Massone
e cadetto di una nobile famiglia toscana di viticoltori, probabilmente
risalente all'XI secolo e ancora esistente nel XXI secolo, fu personaggio
energico ed eclettico, illuminista, promulgatore delle libertà individuali, dei
diritti civili e della tolleranza religiosa. Visse una vita avventurosa e
movimentata, con alterne fortune economiche. Sebbene sia sconosciuto al
grande pubblico, partecipò attivamente alla guerra d'indipendenza americana
come agente mediatore all'acquisto di armi per la Virginia, ed è ritenuto dagli
storici uno dei padri della Dichiarazione d'Indipendenza americana, in quanto
intimo amico dei primi cinque presidenti statunitensi: George Washington, John
Adams, James Madison, James Monroe e soprattutto Thomas Jefferson, di cui fu ispiratore,
vicino di casa, socio in affari e con cui rimase in contatto epistolare fino
alla morte. Iniziato alla Massoneria, fu poi spettatore privilegiato
della rivoluzione francese. La sua figura storica è riemersa alla fine Professoregrazie
all'infittirsi degli studi accademici in occasione del bicentenario della
rivoluzione americana, fino ad essere onorato in occasione del 250º
anniversario della sua nascita nel 1980 con un'emissione filatelica congiunta
speciale delle poste italiane e statunitensi. Dopo gli studi
compiuti tra Prato e Firenze, nel 1752, in seguito a dissapori con il fratello
maggiore Jacopo sulla gestione del patrimonio familiare, si stabilì a Pisa e
poi a Livorno, intraprendendo con successo l'attività di medico. Dopo solo due
anni lasciò la città e si trasferì a Smirne (Turchia) come chirurgo a seguito di
un medico locale. Gunse a Londra dove, dopo un iniziale periodo irto di
difficoltà economiche che lo vide arrangiarsi con l'insegnamento dell'italiano,
riuscì nel corso dei tre lustri successivi ad arricchirsi con il commercio dei
prodotti mediterranei, principalmente del vino, inserendosi lentamente nei
salotti dell'alta borghesia londinese. Una breve parentesi italiana si
concluse con un precipitoso ritorno in Inghilterra, a seguito di una denuncia
al tribunale dell’Inquisizione per “importazione di libri proibiti”.
L'illuminismo e le idee di libertà religiosa che animavano il Mazzei, ben
tollerate nella Londra di fine XVIII secolo, erano ancora tabù nella realtà
italiana. La Rivoluzione americana In questi circoli londinesi Filippo
Mazzei conobbe Benjamin Franklin e Thomas Adams, che da lì a pochi anni
sarebbero stati tra i protagonisti della rivoluzione americana. Le
colonie americane si autogovernavano, perlomeno sulle questioni locali, tramite
assemblee di delegati liberamente eletti dai capifamiglia, e l'ordinamento
giuridico era ispirato al meglio della legislazione inglese, che pure in quegli
anni era probabilmente la più avanzata, garantista e liberale che esistesse.
Invitato dagli amici d'oltreoceano, spinto sia dalla curiosità dell'inedita
forma di governo, ma soprattutto dalla disponibilità di terre e quindi dalla
prospettiva di impiantare nel nuovo mondo coltivazioni mediterranee, Mazzei si
trasferì in Virginia, con al seguito un gruppo di agricoltori toscani. A lui si
unirono anche una vedova Maria Martin, che egli sposò nel 1778, e l'amico Carlo
Bellini che tra il 1779 e il 1803 sarebbe divenuto il primo insegnante di
italiano in un'università americana, il College of William and Mary in
Virginia. Inizialmente diretto in altro sito, Mazzei si fermò presso la
tenuta di Monticello per incontrare Thomas Jefferson, con il quale già
intratteneva rapporti epistolari e vantava amicizie comuni, e fu da lui convinto
a trattenersi in loco, arrivando a cedere circa 0,75 km² della sua tenuta in
favore dell'italiano. Da questa cessione nacque la tenuta di Colle (il nome
deriva da Colle di Val d'Elsa, perché il Mazzei aveva preso ad esempio la
campagna attorno alla città toscana), successivamente ampliata. Lo univa a
Jefferson un sodalizio commerciale, con il primo impianto di una vigna nella
colonia della Virginia, ma soprattutto un sodalizio intellettuale, frutto di
una comune visione politica e di ideali condivisi, che si sarebbe protratto per
oltre 40 anni. Il livello delle frequentazioni americane trascinò
velocemente Mazzei, arrivato con mere intenzioni imprenditoriali, nella vita
politica della ribollente colonia della Virginia. Fu autore di veementi libelli
contro l'opprimente dominazione inglese, inneggianti alla libertà ed
all'uguaglianza. Alcuni di questi scritti furono tradotti in inglese dallo
stesso Jefferson, che rimase influenzato da tali ideali, tanto da ritrovare
successivamente alcune frasi di Mazzei trasposte nella Dichiarazione
d'indipendenza degli Stati Uniti d'America. Eletto speaker dell'assemblea
parrocchiale dopo solo sei mesi dal suo arrivo in Virginia, ebbe modo di
esporre le sue idee sulla libertà religiosa e politica a un vasto oratorio,
composto anche di persone umili e ignoranti, che lo ascoltavano assorte. Un suo
scritto, Instructions of the Freeholders of Albemarle County to their Delegates
in Convention, redatto come istruzioni per i delegati della contea di Albemarle
alla convenzione autoconvocatasi dopo lo scioglimento forzato dell'assemblea
della Virginia imposto dal governatore inglese, fu utilizzato da Jefferson come
bozza per il primo tentativo di scrittura della costituzione dello Stato della
Virginia. La sua affermazione politica seguiva di pari passo i rovesci
economici, perché il clima e il terreno della Virginia non si erano dimostrati
particolarmente graditi a vite e olivo, e nel 1774 un'eccezionale gelata aveva
distrutto buona parte delle stentate coltivazioni impiantate con tanta
fatica. Naturalizzato cittadino della Virginia, volontario delle prime
ore nella guerra d'indipendenza americana, e inviato in Europa da Jefferson e
Madison per cercare prestiti, acquistareo meglio, contrabbandarearmi e ottenere
informazioni politiche e militari utili alla nascente nazione. In questo
periodo scrisse articoli, fece interventi pubblici e cercò di avviare rapporti
commerciali e politici tra gli Stati europei e la Virginia. Per tali servizi fu
ufficialmente retribuito dallo Stato dell Virginia. Rientrato in Virginia
nel 1783, con suo grande disappunto non fu nominato console. Ricevette
I'incarico di amministratore della contea di Albemarle, ma solo due anni dopo
nel 1785 lasciò per l'ultima volta il suolo americano, mantenendo comunque contatti
epistolari con molti di quelli che sono definiti “padri della patria”
statunitensi e in particolare con Jefferson, che ebbe modo di reincontrare
successivamente a Parigi. Sua moglie rimase fino alla sua morte alla tenuta del
Colle, che Mazzei aveva donato alla figliastra, Margherita Maria Martini e al
di lei marito, il francese Justin Pierre Plumard, Comte De Rieux. La
Rivoluzione francese e le vicende europee Targa a Pisa, sulla casa in cui
morì/ A Parigi pubblicò una voluminosa opera in quattro volumi Recherches
historiques et politiques sur les États-Unis de l'Amérique Septentrionale. Si
trattava della prima storia della rivoluzione americana pubblicata in francese.
L'opera è tuttora una preziosa fonte di informazioni sul movimento che innescò
la rivoluzione americana. Il successo del libro e la notorietà delle sue
idee, uniti alla costante attività di propaganda a favore dei neonati Stati
Uniti d'America, lo fece venire in contatto con re Stanislao Augusto di
Polonia, illuminato sovrano liberale, di cui divenne prima consigliere e poi
rappresentante a Parigi. Da questa posizione privilegiata poté seguire la
rivoluzione francese, di cui condannò la deriva giacobina. Preso atto della
rovina economica, nel 1791 si trasferì a Varsavia, assumendo la cittadinanza
polacca e contribuendo alla stesura della costituzione. Dopo un anno
passato a Varsavia, a seguito della spartizione della Polonia nel 1792 rientrò
definitivamente in Toscana, stabilendosi a Pisa. Lì sposa Antonina Tonini, da
cui ebbe una figlia, Elisabetta. E testimone dell'arrivo delle truppe
repubblicane francesi a Pisa e poi della loro cacciata, e fu coinvolto pur
senza danni nei successivi processi intentati dal bargello ai liberali pisani
che si riunivano durante la breve occupazione al Caffè dell'Ussero sul
lungarno. Ultimi anni Mazzei visse quietamente altri 17 anni,
dedicandosi ai propri studi di orticoltura e limitandosi a frequentare una
ristretta cerchia di salotti praticati da giovani liberali, di cui era ispiratore.
In conseguenza del dissolvimento della Polonia operata da Russia e Prussia nel
1795, lo zar Alessandro I si accollò i debiti della corte polacca e Mazzei poté
fruire di un vitalizio. Mazzei rimase sempre nostalgico della Virginia e dei
suoi amici americani, che ne auspicavano il ritorno e con i quali mai
interruppe il contatto epistolare. Nonostante i ripetuti progetti di un viaggio
in America, Mazzei non fu mai capace di affrontare questa nuova avventura. Ebbe
modo di assistere all'ascesa e alla caduta di Napoleone Bonaparte e scrisse le
proprie memorie, pubblicate nel 1848, oltre trent'anni dopo la sua morte a
Pisa. Saggi: “Stanislao Re di Polonia” (Roma:
Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea); “Ricerche
storiche sull’America” (Firenze, Ponte
alle Grazie); “Memorie” Gino Capponi, Lugano, Tip. della Svizzera Italiana); “Del
commercio della seta fatto in Inghilterra dalla Compagnia delle Indie
Orientali” S. Gelli, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano); “Le
istruzioni per i delegati alla convenzione” (Firenze, Morgana); “Opere di suor
Margherita Marchione “Scelta di scritti e lettere,”“Agente di Virginia durante
la rivoluzione americana” “Agente del Re di Polonia durante la Rivoluzione
Francese”“La vita avventurosa di FilMazzei, Cassa di Risparmi e Depositi,
Prato. Marchione Margherita: La vita avventurosa Marchione Margherita, Curiosità.A
inizio degli anni 2000, fra alcuni intellettuali toscani appassionati della sua
figura è circolata la speculazione che Mazzei potrebbe aver ispirato persino la
bandiera statunitense, adottata dal Congresso un anno dopo la Dichiarazione d'Indipendenza.
La suggestione nasce dall'importanza che l'alternanza dei colori rosso e bianco
ha nell'araldica toscana e non solo e di cui un esempio famoso è l'insegna di
Ugo di Toscana. Potrebbe forse aver discusso anche di araldica con gl’americani.
Le radici storiche della bandiera americana sono, in realtà, nella Grand Union
Flag. In suo ricordo è stato istituito il premio The Bridge. La cerimonia
è stata istituita a Roma per celebrare un toscano che insieme ai padri
costituenti degli Stati Uniti d'America da vita alla stesura della
dichiarazione d'indipendenza. Sua era la frase. Tutti gli uomini sono per
natura liberi ed indipendenti. Paolo Russo, Nasce a Firenze un museo che
racconta la massoneria, in La Repubblica, Firenze, Riferito al museo dedicato
alla storia della Massoneria in Italia.
Premio. Dalla Toscana all'America: il suo contributo, Poggio a Caiano,
Comune di Poggio a Caiano, Becattini Massimo, Mercante italiano a Londra, Poggio
a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Bolognesi Andrea, L. Corsetti, L. Stadio,
Mostra di cimeli e scritti, catalogo della mostra a cura di, Poggio a Caiano,
palazzo Comunale, Comune di Poggio a Caiano. Camajani Guelfo Guelfi, un
illustre Toscano: medico, agricoltore, scrittore, giornalista, diplomatico,
Firenze, Associazione Toscani, Ciampini Raffaele, Lettere alla corte di Polonia
Bologna: N. Zanichelli, Corsetti Luigi, Gradi Renzo, Avventuriero della Libertà,
con scritti di Margherita Marchione e E. Tortarolo, Poggio a Caiano, C.I.C.
Associazione Culturale "Ardengo Soffici", Di Stadio Luigi, Tra
pubblico e privato. Raccolta di documenti inediti, Poggio a Caiano, Biblioteca
Comunale di Poggio a Caiano, Fazzini Gianni, "Il gentiluomo dei tre
mondi", Roma: Gaffi, Gerosa Guido, Il fiorentino che fece l'America. Vita
e avventure Milano, Sugar, Gradi Renzo, Un bastimento carico di Roba bestie e
uomini in un manoscritto, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Gradi
Renzo, Parigi: Scritti e memorie, Comune di Poggio a Caiano, Gullace Giovanni,
Figure dimenticate dell'indipendenza, Francesco Vigo, Roma: Il Veltro, Masini
Giancarlo, Gori Iacopo, L'America fu concepita a Firenze, Firenze:
Bonechi,Tognetti Burigana Sara, Tra riformismo illuminato e dispotismo
napoleonico; esperienze del cittadino americano, Roma, Edizioni di Storia e letteratura,
Tortarolo Edoardo, Illuminismo e Rivoluzioni. Biografia politica di Filippo
Mazzei, Milano, Angeli, Witold Łukaszewicz, Filippo Mazzei, Giuseppe Mazzini;
saggi sui rapporti italo-polacchi Abolizionismo Rivoluzione americana
Rivoluzione francese Benjamin Franklin Patrick Henry Thomas Jefferson George
Mason James Monroe William Paca Stanisław August Poniatowski Padri fondatori
degli Stati Uniti d'America Italo-Americani Dichiarazione d'indipendenza degli Stati
Uniti. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana su siusa.archivi.beniculturali,
Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Thomas Jefferson, e Francis Vigo (video), su
youtube.com. Thomas Jefferson Encyclopedia, su monticello. org. Il circolo
Filippo Mazzei Pisa, su circolo filippomazzei.net. Mazzei, chi era costui?, su mltoscana. blogspot.com.
Clan Libertario Toscano Filippo Mazzei, su mltoscana. blogspot.com. Il circolo
Filippo Mazzei, su geocities. com. Carteggio Thomas Jefferson Mazzei, I
processi contro ed i liberali pisani, su
idr.unipi. Monticello the home of Thomas Jefferson, su monticello.org. famous americans. net. Another Site about
P.Mazzei and other famous Italian American, su Cleveland memory.org. Mazzei, Thomas Jefferson e gli scultori
carraresi per la costruzione del Campidoglio degli Stati Uniti di Nicola Guerra
su farefuturofondazione. premio Filippo mazzei. com. Memorie della vita e delle
peregrinazioni del fiorentino. Grice: “The more
Italian historians of philosophy, in their pretentiously and fake patriotic
prose, keep referring to this or that as ‘un illustre toscano’, the less I am
leaned to see Mazzei as ITALIAN at all!” – Paeseism with a vengeance!” – Grice:
“As a Brit, I find Mazzei a traitor – to his country, and to mine!” -- Filippo
Mazzei. Mazzei. Keywords: implicature, mazzei wine, vino mazzei, la rivoluzione
del nuovo mondo. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mazzei," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702189377/in/photolist-2mLKeCe-2mKgL97
Grice e
Mazzini – la giovine italia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova).
Filosofo. Grice: “Of course it is difficult for an
Italian philosopher to approach the philosophy of Mazzini cooly; it would be
like me approaching the philosophy of Horatio Nelson!” – Grice: “I’ve found ‘Il
pensiero filosofico di Giuseppe Mazzini’ quite helpful – the equivalent would
be the pretentious sounding, “The philosophical thought of Sir Winston
Churchill,’ say!” -- Grice: “Luigi
Speranza loves to cherish the fact that an old street in Woolwich, of all
places, is named after him, in a way ‘Speranza,’ just because Garibaldi
visited!” Grice: “Luigi Speranza also cherishes the fact that Lady Wilde
preferred ‘Speranza’ just to defend Mazzini!” Esponente di punta del
patriottismo risorgimentale, le sue idee e la sua azione politica contribusceno
in maniera decisiva alla nascita dello STATO UNITARIO ITALIANO. Le condanne
subite in diversi tribunali d'Italia lo costringeno però alla latitanza fino
alla morte. Le teorie mazziniane sono di grande importanza nella definizione
dei moderni movimenti europei per l'affermazione della democrazia attraverso la
forma repubblicana dello stato. Nacque a Genova, allora capoluogo dell'omonimo
dipartimento francese costituito da parte del regime di Bonaparte. Il padre,
Giacomo, e medico e docente universitario d'anatomia originario di Chiavari,
una cittadina del Tigullio all'epoca capoluogo del dipartimento francese degli
Appennini, successivamente parte della provincia di Genova, figura
politicamente attiva nella scena pubblica locale, sia durante l'epoca della
precedente repubblica ligure, sia, in tempi successivi, dell'Impero
napoleonico. Alla madre, Maria Drago, una fervente giansenista originaria di Pegli,
un comune autonomo, accorpato nel comune di Genova, fu molto legato per tutta
la vita. Affettuosamente chiamato "Pippo" dalla famiglia, una volta
terminati gli studi superiori presso il cittadino Liceo classico Cristoforo
Colombo, si iscrisse a Genova. Si segnala per la sua ribellione ai regolamenti
di stampo religioso che imponeno di andare a messa e di confessarsi. E arrestato
perché, proprio in chiesa, si rifiuta di lasciare il posto a un generale
austriaco. Lo appassiona la letteratura: si innamorò delle letture di Goethe,
Shakespeare e Foscolo (pur senza condividerne la filosofia materialista),
restando così colpito dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis da volersi vestire
sempre di nero, in segno di lutto per la patria oppressa. La passione per
la letteratura, insieme a quella per la musica (e un abile suonatore di
chitarra), la ha per tutta la vita:
oltre agli autori citati, lesse Dante, Schiller, Alfieri, i grandi poeti
romantici come Byron, Shelley, Keats, Wordsworth, Coleridge e i narratori come Dumas
padre e le sorelle Brontë. Ha il suo trauma rivelatore. Al passaggio a Genova
dei federati piemontesi reduci dal loro tentativo di rivolta, si affacciò in
lui il pensiero che si puo, e quindi si deve, lottare per la libertà della patria.
Cominciò ad esercitare la professione nello studio di un avvocato, ma
l'attività che lo impegnava era quella di giornalista presso l'Indicatore
genovese, sul quale inizia a pubblicare recensioni di saggi patriottici. La
censura lascia fare per un po', ma poi soppresse il giornale. Compone il
saggio, “Dell'amor patrio d’Aligheri”. Ottenne la laurea “in utroque iure”.
Entra nella carboneria, della quale divenne segretario in Valtellina. Ho
a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d'accordo
tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un
brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta,
ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante,
infaticabile come un innamorato, il quale ha nome: Giuseppe Mazzini. (Klemens
von Metternich, Memorie ed. Bonacci). Per la sua attività cospirativa e
arrestato su ordine di Felice di Savoia e detenuto a Savona nella Fortezza del
Priamar. Durante la detenzione idea e formula il programma di un nuovo
movimento politico chiamato “Giovine Italia” che, dopo essere stato liberato
per mancanza di prove, presenta e organizzò a Marsiglia dove e costretto a
rifugiarsi in esilio. I motti dell'associazione erano Dio e popolo e unione,
forza e libertà e il suo scopo era l'unione degli stati italiani in un'unica
repubblica con un governo centrale quale sola condizione possibile per la
liberazione del popolo italiano dagli invasori stranieri. Il progetto federalista
infatti, poiché senza unità non c'è forza, ha fatto dell'Italia una nazione
debole, naturalmente destinata a essere soggetta ai potenti stati unitari a lei
vicini. Il federalismo inoltre avrebbe reso inefficace il progetto
risorgimentale, facendo rinascere quelle rivalità municipali, ancora vive, che
avevano caratterizzato la peggiore storia dell'Italia medioevale. L'obiettivo
repubblicano e unitario avrebbe dovuto essere raggiunto con un'insurrezione
popolare condotta attraverso una guerra per bande. Durante l'esilio in Francia,
ha una relazione con la nobildonna repubblicana Giuditta Bellerio Sidoli, vedova
di Giovanni Sidoli, ricco patriota di Montecchio Emilia. Giuditta aveva
condiviso con il marito la fede politica che, portandolo a cospirare contro la
corte estense, aveva costretto la coppia a esiliare in Svizzera. Colpito da una
grave malattia polmonare, muore a Montpellier. Poiché la vedova non aveva
ricevuto alcuna condanna, ritorna a Reggio Emilia presso la famiglia del marito
con i suoi quattro figli: Maria, Elvira, Corinna e Achille. Dopo il fallimento
dei moti dove fuggire in Francia dove conobbe Mazzini a cui si legò
sentimentalmente. Dopo il vano tentativo del 1831 di portare dalla parte
liberale il nuovo re Carlo Alberto di Savoia con la celebre lettera firmata
"un italiano", il 26 ottobre 1833, insieme a Pasquale Berghini e
Domenico Barberis, Mazzini fu condannato in contumacia a "morte
ignominiosa" dal Consiglio Divisionario di Guerra, presieduto dal maggior
generale Saluzzo Lamanta. La condanna venne poi revocata nel 1848, quando Carlo
Alberto decise di concedere un'amnistia generale. Rifugiatosi nella cittadina svizzera di Grenchen, nel
canton Soletta, vi rimase sino a quando fu arrestato dalla polizia cantonale
che gli ingiunse di lasciare la Confederazione entro 24 ore. Per impedirne
l'allontanamento l'assemblea dei cittadini di Grenchen conferì al giovane
profugo la cittadinanza con 122 voti a favore e 22 contrari, invalidata però
dal governo cantonale. Mazzini, nascostosi nel frattempo, fu scoperto e dovette
lasciare la Svizzera assieme ad altri esuli, tra i quali Agostino e Giovanni
Ruffini. Comincia il lungo soggiorno a Londra, dove Mazzini raccolse
attorno a sé esuli italiani e persone favorevoli al repubblicanesimo in Italia,
dedicandosi, per vivere, all'attività di insegnante dei figli degli italiani;
qui conobbe e frequentò anche diverse personalità inglesi, tra cui Mary Shelley
(vedova del poeta P.B. Shelley), Anne Isabella Milbanke (vedova di Lord Byron,
idolo di gioventù di Mazzini), il filosofo ed economista John Stuart Mill,
Thomas Carlyle e sua moglie Jane Welsh, lo scrittore Charles Dickens, che
finanziò la sua scuola. Il poeta decadente Algernon Swinburne gli dedicò Ode a
Mazzini. Nello stesso quartiere di Mazzini visse anche Karl Marx. Durante
il soggiorno londinese Mazzini ebbe una lunga relazione di amicizia con la
famiglia Craufurd, documentata da copiosa corrispondenza epistolare. Sempre a
Londra ebbe rapporti con la famiglia di William Henry Ashurst e con il genero
di questi, il politico britannico James Stansfeld, la cui consorte Caroline
Ashurst Stansfeld era sostenitrice della società "Society of the Friends
of Italy". Per la causa dell'unificazione italiana Mazzini collaborò anche
con il secolarista George Holyoake. Fondò poi altri movimenti politici
per la liberazione e l'unificazione di vari stati europei: la Giovine Germania,
la Giovine Polonia e infine la Giovine Europa. Quest'ultima, fondata
nell'aprile 1834 a Berna in accordo con altri rivoluzionari stranieri, aveva
tra i suoi principi ispiratori la costituzione degli Stati Uniti d'Europa. In
questa occasione Mazzini estese dunque il desiderio di libertà del popolo
italiano (che si sarebbe attuato con la repubblica) a tutte le nazioni europee.
L'associazione rivoluzionaria europea aveva come scopo specifico l'agire dal
basso in modo comune e, usando strumenti insurrezionali e democratici,
realizzare nei singoli stati una coscienza nazionale e rivoluzionaria. Sulla scia
della Giovine Europa Mazzini nel 1866 fonda anche l'Alleanza Repubblicana
Universale. Il movimento della Giovine Europa ebbe anche un forte ruolo
di promozione dei diritti della donna, come testimonia l'opera di numerose
mazziniane, tra cui la citata Bellerio Sidoli, ma anche Cristina Trivulzio di
Belgiojoso e Giorgina Saffi, la moglie di Aurelio Saffi, uno dei più stretti
collaboratori di Mazzini e suo erede per quanto riguarda il mazzinianesimo
politico. Mazzini continuò a perseguire il suo obiettivo dall'esilio e tra le
avversità con inflessibile costanza, convinto che questo fosse il destino
dell'Italia e che nessuno avrebbe potuto cambiarlo. Tuttavia, nonostante la sua
perseveranza, l'importanza delle sue azioni fu più ideologica che pratica.
Dopo il fallimento dei moti del 1848, durante i quali Mazzini era stato a capo
della breve Repubblica Romana insieme ad Aurelio Saffi e Carlo Armellini, i
nazionalisti italiani cominciarono a vedere nel re del Regno di Sardegna e nel
suo Primo Ministro Camillo Benso conte di Cavour le guide del movimento di
riunificazione. Ciò volle dire separare l'unificazione dell'Italia dalla
riforma sociale e politica invocata da Mazzini. Cavour fu abile nello stringere
un'alleanza con la Francia e nel condurre una serie di guerre che portarono
alla nascita dello STATO ITALIANO ma la natura politica della nuova compagine
statale era ben lontana dalla repubblica mazziniana. A Londra, nel 1850,
per reagire alla caduta della Repubblica Romana e in continuità con essa,
Mazzini fondò il Comitato Centrale Democratico Europeo e il Comitato Nazionale
Italiano, lanciando il Prestito Nazionale Italiano, le cui cartelle portavano
appunto lo stemma della Repubblica romana del 1849 e l'intitolazione del
prestito «diretto unicamente ad affrettare l'indipendenza e l'unità d'Italia».
A garanzia del prestito le cartelle recavano la firma degli ex triumviri
Mazzini, Saffi e, in assenza dell'irreperibile Armellini, Mattia Montecchi. La
diffusione delle cartelle nel Lombardo-Veneto ebbe come immediata conseguenza
la ripresa dell'attività cospirativa e rivoluzionaria, soprattutto a
Mantova.. Messina fu chiamata al voto per eleggere i suoi deputati al
nuovo parlamento di Firenze. Mazzini era candidato, nel secondo collegio, ma
non poté fare campagna elettorale perché esule a Londra. Pendevano sul suo capo
due condanne a morte: una inflitta dal tribunale di Genova per i moti del 1857
(il 19 novembre 1857, in primo grado, il 20 marzo 1858 in appello); un'analoga
condanna a morte era stata inflitta dal tribunale di Parigi per complicità in
un attentato contro Napoleone III. Inaspettatamente, Mazzini vinse con larga
messe di voti (446). Il 24 marzo, dopo due giorni di discussione, la Camera
annullava l'elezione in virtù delle condanne precedenti. Il letto
di morte di Mazzini, distrutto dagli aerei degli Stati Uniti durante il
bombardamento di Pisa del 1943 Maschera mortuaria di Mazzini, gesso,
Domus Mazziniana, Pisa Due mesi dopo gli elettori del secondo collegio di
Messina tornarono alle urne: vinse di nuovo Mazzini. La Camera, dopo una nuova
discussione, il 18 giugno riannullò l'elezione. Il 18 novembre Mazzini viene
rieletto una terza volta; dalla Camera, questa volta, arrivò la convalida.
Mazzini, tuttavia, anche nel caso fosse giunta un'amnistia o una grazia, decise
di rifiutare la carica per non dover giurare fedeltà allo Statuto Albertino, la
costituzione dei monarchi sabaudi. Egli infatti non accettò mai la monarchia e
continuò a lottare per gli ideali repubblicani. Nel 1868 lasciò Londra e
si stabilì in Svizzera, a Lugano. Due anni dopo furono amnistiate le due
condanne a morte inflitte al tempo del Regno di Sardegna: Mazzini quindi poté
rientrare in Italia e, una volta tornato, si dedicò subito all'organizzazione
di moti popolari in appoggio alla conquista dello Stato Pontificio. L'11 agosto
partì in nave per la Sicilia, ma il 14, all'arrivo nel porto di Palermo, fu
tratto in arresto (la quarta volta nella sua vita) e recluso nel carcere
militare di Gaeta. Partito da Basilea e in viaggio nel passo del San
Gottardo, conobbe in una carrozza Friedrich Nietzsche, allora poco conosciuto
filologo e docente. Questo incontro sarà testimoniato dallo stesso Nietzsche
anni dopo. Costretto di nuovo all'esilio, riuscì a rientrare in Italia
sotto il falso nome di Giorgio Brown (forse un riferimento a John Brown) a
Pisa. Qui, malato già da tempo, visse nascosto nell'abitazione di Pellegrino
Rosselli, antenato dei fratelli Rosselli e zio della moglie di Ernesto Nathan,
fino al giorno della sua morte, avvenuta il 10 marzo dello stesso anno, quando
la polizia stava ormai per arrestarlo nuovamente. Traversie della
salma Mazzini morente, Silvestro Lega La notizia della sua morte si
diffuse rapidamente, commuovendo l'Italia; il suo corpo fu imbalsamato dallo
scienziato Paolo Gorini, appositamente fatto accorrere da Lodi su incarico di
Agostino Bertani: Gorini disinfettò la salma per permettere l'esposizione. Una
folla immensa partecipò ai funerali, svoltisi nella città toscana il pomeriggio
del 14 marzo, accompagnando il feretro al treno in partenza per Genova, dove
venne sepolto al Cimitero monumentale di Staglieno. Le esequie furono
accompagnate dalla musica della storica Filarmonica Sestrese C. Corradi G.
Secondo. Successivamente Gorini ricominciò a lavorare sul corpo di Mazzini,
onde pietrificarlo secondo la sua tecnica di mummificazione; terminò il lavoro
qualche anno dopo. Nel 1946 avvenne la ricognizione della mummia, che fu
sistemata ed esposta al pubblico in occasione della nascita della Repubblica
Italiana[26]: da allora riposa nuovamente nel sarcofago del mausoleo.
Mausoleo Benché sia incerta l'affiliazione di Mazzini alla Massoneria fu
l'associazione stessa a commissionare il mausoleo all'architetto mazziniano
Gaetano Vittorino Grasso che lo realizzò in stile neoclassico adornandolo con
alcuni simboli massonici. Il sepolcro reca all'esterno la scritta
"Giuseppe Mazzini" e all'interno sono presenti numerose bandiere
tricolori repubblicane e iscrizioni lasciate da gruppi mazziniani o da personalità
come Carducci. Sulla lapide è scolpita la scritta "Giuseppe Mazzini. Un
Italiano" che era la firma da lui apposta nella lettera a Carlo Alberto, e
l'epitaffio: «Il corpo a Genova, il nome ai secoli, l'anima all'umanità. Testimonianze
di alcuni personaggi storici e una corrispondenza dello stesso Mazzini, citati
nell'opera dello studioso Luigi Polo Friz fanno ritenere che verosimilmente
Mazzini, a differenza di altri celebri personaggi dell'epoca, come Garibaldi,
non sia mai stato affiliato alla massoneria, anche se questa ha ripreso molti
degli ideali mazziniani, simili ai suoi. La principale obbedienza
italiana, l'unica attiva all'epoca di Mazzini in Italia, il Grande Oriente
d'Italia, afferma l'impossibilità di provare l'appartenenza di Mazzini, che
pure ebbe influenza nella società, anche se non partecipò mai alla vita
dell'associazione, occupato com'era nella causa della "sua" società
segreta, la Giovine Italia. In effetti Mazzini fu carbonaro, ma la Carboneria
fu presto distinta dalla massoneria.[30] Indro Montanelli afferma invece
che probabilmente Mazzini fu massone. Dello stesso parere è Massimo Della
Campa, che in una "Nota su Mazzini" fa riferimento al libro
dell'ex-Gran Maestro del grande Oriente d'Italia Giordano Gamberini, Mille
volti di massoni (Ed. Erasmo, Roma), che a119 scrive a proposito di Mazzini:
«Iniziato nel 1834 a Genova, secondo G. Fazzari e F. Borsari (Luce e concordia,
dispense 3 e 4, pag. 23, colonna III). Ricevette dal Fr. Passano il 32° grado
del R.S.A.A., necessario per corrispondere in Carboneria al livello di Vendita
Suprema, nelle carceri di Savona. Con decreto del S. C. di Palermo il 18 giugno
1866 ricevette l'aumento di luce al 33° grado e la qualifica di membro onorario
del medesimo Supremo Consiglio. Fu membro onorario delle LL. Lincoln di Lodi e
Stella d'Italia di Genova. Scrivendo a Logge, Corpi rituali e Fratelli usò
sempre i segni massonici. Nessun contemporaneo mise mai in dubbio
l'appartenenza di Mazzini alla Massoneria.» Mazzini stesso sembrerebbe
però smentire la sua partecipazione all'associazione in una lettera del 12
giugno 1867 al massone Federico Campanella, Sovrano Gran Commendatore del
Supremo Consiglio del Rito scozzese antico ed accettato di Palermo, in cui,
restituendogli le carte che questi gli aveva fatto recapitare scriveva. La
Massoneria accettando da anni e anni ogni uomo, senza dichiarazioni d'opinioni
politiche, s'è fatta assolutamente inutile a ogni scopo nazionale. Per farne
qualche cosa bisognerebbe prima una misura d'eliminazione ed una di revisione
delle file, poi una formula nazionale o politica per l'iniziazione... Chi vuol
intendere intenda. La patria è la casa dell'uomo, non dello schiavo»
(Giuseppe Mazzini, Ai giovani d'Italia) Per comprendere a pieno la dottrina
politica di Mazzini bisogna rifarsi al pensiero religioso che ispira il periodo
della Restaurazione seguito alla caduta dell'impero napoleonico. Nasce allora
una nuova concezione della storia che smentiva quella degli illuministi basata
sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la storia con la ragione. Le
vicende della Rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano dimostrato
che gli uomini si propongono di perseguire alti e nobili fini che s'infrangono
dinanzi alla realtà storica. Il secolo dei lumi era infatti tramontato nelle
stragi del Terrore e il sogno di libertà nella tirannide napoleonica che,
mirando alla realizzazione di un'Europa al di sopra delle singole nazioni,
aveva determinato invece la ribellione dei singoli popoli proprio in nome del
loro sentimento di nazionalità. Secondo questa visione romantica dunque
la storia non è guidata dagli uomini ma è Dio che agisce nella storia;
esisterebbe dunque una Provvidenza divina che s'incarica di perseguire fini al
di là di quelli che gli uomini si propongono di conseguire con la loro meschina
ragione.[35] Da questa concezione romantica della storia, intesa come opera
della volontà divina si promanano due visioni contrapposte: una è la
prospettiva reazionaria che vede nell'intervento di Dio nella storia una sorta
di avvento di un'apocalisse che metta fine alla storia degli uomini.
Napoleone I è stato, con le sue continue guerre, l'Anticristo di questa
apocalisse: Dio segnerà la fine della storia malvagia e falsamente progressiva
e allora agli uomini non rimarrà che volgersi al passato per preservare e
conservare quanto di buono era stato realizzato. Si cercherà dunque in ogni
modo di cancellare tutto ciò che è accaduto dalla Rivoluzione a Napoleone
restaurando il passato. La concezione reazionaria contro cui Mazzini combatté
strenuamente assume un aspetto politico-religioso che troviamo nel pensiero di
François-René de Chateaubriand che nel Génie du christianisme (Genio del
Cristianesimo) attaccava le dottrine illuministiche prendendo le difese del
cristianesimo e soprattutto nell'ideologia mistica teocratica di Joseph de
Maistre, che arriva nell'opera Du pape (Il papa) al punto di auspicare un ritorno dell'alleanza
tra il trono e l'altare riproponendo il modello delle comunità medioevali
protette dalla religione tradizionale contro le insidie del liberalismo e del
razionalismo.[36] Un'altra prospettiva, che nasce paradossalmente dalla
stessa concezione della storia guidata dalla divinità, è quella che potremo
definire liberale che vede nell'azione divina una volontà diretta, nonostante
tutto, al bene degli uomini escludendo che nei tempi nuovi ci sia una sorta di
vendetta di Dio che voglia far espiare agli uomini la loro presunzione di
creatori di storia. È questa una visione provvidenziale, dinamica della storia
che troviamo in Saint Simon con la concezione di un nuovo cristianesimo per una
nuova società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo una forza rigeneratrice
della vita sociale. Una concezione progressiva quindi che è presente in Italia
nell'opera letteraria di Alessandro Manzoni e nel pensiero politico di Gioberti
con il progetto neoguelfo e nell'ideologia mazziniana. Concezione
mazziniana «Costituire l'Italia in Nazione Una, Indipendente, Libera,
Repubblicana» (G. Mazzini, Istruzione generale per gli affratellati nella
Giovine Italia) Magnifying glass icon mgx2.svgMazzinianesimo. Dio e popolo «Noi
cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come partito religioso.
L'elemento religioso è universale, immortale: universalizza e collega. Ogni
grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela nella propria origine o nel
fine che si propone. Per esso si fonda l'associazione. Iniziatori d'un nuovo
mondo, noi dobbiamo fondare l'unità morale, il cattolicismo Umanitario. Il
pensiero politico mazziniano deve dunque essere collocato in questa temperie di
romanticismo politico-religioso che dominò in Europa dopo la rivoluzione del
1830 ma che era già presente nei contrasti al Congresso di Vienna tra gli
ideologi che proponevano un puro e semplice ritorno al passato prerivoluzionario
e i cosiddetti politici che pensavano che bisognasse operare un compromesso con
l'età trascorsa. Alcuni storici hanno fatto risalire la concezione
religiosa di Mazzini all'educazione ricevuta dalla madre fervente giansenista
(almeno fino agli anni '40 fa spesso riferimenti biblici ed evangelici) o ad
una vicinanza ideale col protestantesimo e le chiese riformate ma, secondo
altri, la visione religiosa di Mazzini non coinciderebbe con quella di nessuna
religione rivelata. Il personale concetto mazziniano di Dio, che per alcuni
tratti è avvicinabile al deismo settecentesco, con evidenti influssi della
religiosità civica e preromantica di Rousseau, per altri versi al Dio
panteistico degli stoici, è alla base di una religiosità che tuttavia esige la
laicità dello Stato (questo nonostante la dichiarata contraddizione poiché se,
come egli crede, politica e religione coincidono, non avrebbe senso separare la
sua concezione teologica da quella politica)[40] e l'assenza di intermediari
tra Dio e il popolo. Per ciò e per il ruolo avuto nella storia umana e
italiana, define il papato la base d'ogni autorità tirannica. Un altro influsso
sulla sua concezione religiosa è stato visto nella considerazione che ha per la
religione CIVILE di ispirazione ROMANA e per l'ammirazione verso la prima Roma,
antica e pagana, che passando per la seconda Roma, cristiana e medievale,
prepara il campo alla terza Roma future. Un mito questo, romantico-neoclassico,
che e fatto proprio da Carducci e poi dal fascismo, con il filosofo Berto Ricci
-- e dalla massoneria con l'esoterista Reghini e avvicina il mazzinianesimo
anche al culto massonico del Grande Architetto dell'Universo. In realtà rifiuta
non solo l'ateismo (è questa una delle divisioni ideologico-teoriche che egli
ebbe con altri repubblicani come Pisacane) e il materialismo («...L'ateismo, il
materialismo non hanno, sopprimendo Dio, una legge morale superiore per tutti e
sorgente del Dovere per tutti...»[46]), ma anche il trascendente, in favore
dell'immanente: egli crede nella reincarnazione[47], per poter migliorare di
continuo il mondo e migliorare sé stessi. Una concezione questa tratta
probabilmente da Platone o dalle religioni orientali come l'induismo e il
buddismo, religioni alle quali Mazzini si era interessato.[48] Giuseppe
Mazzini e Gioacchino da Fiore Come altri patrioti, letterati, rivoluzionari
delle società segrete francesi, inglesi e italiane Mazzini vide nell'abate
calabrese Gioacchino da Fiore, l'autore di una profezia riguardante l'avvento
della Terza Età o Età dello Spirito Santo quando sarebbe sorta la Terza Italia
che sarebbe rinata, libera dalle dominazioni straniere[50], come la nazione che
avrebbe esercitato un primato sulle altre per la presenza della Chiesa
cattolica: tema questo poi ripreso da Vincenzo Gioberti nel suo Primato morale
e civile degli Italiani. Mazzini ebbe grande interesse per Gioacchino
tanto da volergli dedicare un trattato rimasto inedito Joachino, appunti per
uno studio storico sull'abate Gioacchino], che considerava un suo precursore
per gli ideali sociali e politici da realizzare tramite un'unità spirituale e
storica. Religione civile La sua è stata anche definita una religione
civile dove la politica svolgeva il ruolo della fede e dove la divinità si
incarna in modo panteista nell'Universo e nell'Umanità stessa, che attua la
Legge che nel Progresso si rivela. Egli afferma di credere che Dio è Dio, e l'Umanità
è il suo Profeta, che il popolo romano è immagine di Dio sulla terra e vi è«un
Dio solo, autore di quanto esiste, Pensiero vivente, assoluto, del quale il
nostro mondo è raggio e l'Universo una incarnazione».[38] Per lui non conta che
la sua intima credenza sia razionale o no, come il Dio di Voltaire e Newton che
è invocato come la causa prima dell'ordine naturale, poiché «Dio esiste. Noi
non dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo, ci sembrerebbe bestemmia, come
negarlo, follia. Dio esiste, perché noi esistiamo» anche se, specifica,
«l'universo lo manifesta con l'ordine, con l'armonia, con l'intelligenza dei
suoi moti e delle sue leggi. E altresì convinto che fosse ormai presente nella
storia un nuovo ordinamento divino nel quale la lotta per raggiungere l'unità
nazionale assumeva un significato provvidenziale. «Operare nel mondo
significava per il Mazzini collaborare all'azione che Dio svolgeva, riconoscere
ed accettare la missione che uomini e popoli ricevono da Dio. Per questo
bisogna «mettere al centro della propria vita il dovere, senza speranza di
premio, senza calcoli di utilità. Quello di Mazzini era un progetto politico,
ma mosso da un imperativo religioso che nessuna sconfitta, nessuna avversità
avrebbe potuto indebolire. «Raggiunta questa tensione di fede, l'ordine logico
e comune degli avvenimenti veniva capovolto; la disfatta non provocava
l'abbattimento, il successo degli avversari non si consolidava in ordine
stabile.».[53] La storia dell'umanità dunque sarebbe una progressiva
rivelazione della Provvidenza divina che, di tappa in tappa, si dirige verso la
meta predisposta da Dio. Esaurito il compito del Cristianesimo, chiusasi
l'era della Rivoluzione francese ora occorreva che i popoli prendessero
l'iniziativa per «procedere concordi verso la meta fissata al progresso umano».
Ogni singolo individuo, come la collettività, tutti devono attuare la missione
che Dio ha loro affidato e che attraverso la formazione ed educazione del
popolo stesso, reso consapevole della sua missione, si realizzerà attraverso
due fasi: Patria e Umanità. Patria e umanità Targa in onore di
Mazzini sulla casa londinese Senza una patria libera nessun popolo può
realizzarsi né compiere la missione che Dio gli ha affidato; il secondo
obiettivo sarà l'Umanità che si realizzerà nell'associazione dei liberi popoli
sulla base della comune civiltà europea attraverso quello che Mazzini chiama il
banchetto delle Nazioni sorelle. Un obiettivo dunque ben diverso da quella
confederazione europea immaginata da Napoleone dove la Francia avrebbe
esercitato il suo primato egemonico di Grande Nation. La futura unità
europea non si realizzerà attraverso una gara di nazionalismi ma attraverso una
nobile emulazione dei liberi popoli per costruire una nuova libertà. Il
processo di costruzione europea, secondo Mazzini, doveva svolgersi prima di
tutto attraverso l'affermazione delle nazionalità oppresse, come quelle facenti
parte dell'Impero asburgico, e poi anche di quelle che non avevano ancora
raggiunto la loro unità nazionale. Iniziativa italiana In questo processo
unitario europeo spetta all'Italia un'alta missione: quella di riaprire,
conquistando la sua libertà, la via al processo evolutivo dell'Umanità: la
redenzione nazionale italiana apparirà improvvisa come una creazione divina al
di fuori di ogni inutile e inefficace metodo graduale politico diplomatico di
tipo cavouriano. L'iniziativa italiana che avverrà sulla base della fraternità
tra i popoli e non rivendicando alcuna egemonia, come aveva fatto la Francia,
consisterà quindi nel dare l'esempio per una lotta che porterà alla sconfitta
delle due colonne portanti della reazione, di quella politica dell'Impero
Asburgico e di quella spirituale della Chiesa cattolica. Raggiunti gli
obiettivi primari dell'unità e della Repubblica attraverso l'educazione e
l'insurrezione del popolo, espressi dalla formula di Pensiero ed azione,
l'Italia darà quindi il via a questo processo di unificazione sempre più vasta
per la creazione di una terza civiltà formata dall'associazione di liberi
popoli. Funzione della politica Il mausoleo di Giuseppe Mazzini nel
cimitero monumentale di Staglieno, realizzato dall'architetto mazziniano Gaetano
Vittorino Grasso. La politica è scontro tra libertà e dispotismo e tra queste
due forze non è possibile trovare un compromesso: si sta svolgendo una
guerra di principi che non ammette transazioni; Mazzini esorta la popolazione a
non accontentarsi delle riforme che erano degli accomodamenti gestiti
dall'alto: non radicavano, cioè, nello spirito del tempo quella libertà e
quell'uguaglianza di cui il popolo aveva bisogno. La logica della politica
è logica di democrazia e libertà, non accettabili dalle forze reazionarie;
contro di esse è necessaria una brusca rottura rivoluzionaria: alla testa del
popolo vi dovrà essere la classe colta (che non può più sopportare il giogo
dell'oppressione) e i giovani (che non possono più accettare le anticaglie
dell'antico regime). Questa rivoluzione deve portare alla Repubblica, la quale
garantirà l'istruzione popolare. La rivoluzione, che è anche pedagogico
strumento di formazione di virtù personali e collettive, deve iniziare per
ondate, accendendo focolai di rivolta che incitino il popolo inconsapevole a
prendere le armi. Una volta scoppiata la rivoluzione si dovrà costituire un
potere dittatoriale (inteso come potere straordinario alla maniera dell'Antica Roma,
non come tirannide) che gestisca temporaneamente la fase post-rivoluzionaria.
Il governo verrà restituito al popolo non appena il fine della rivoluzione
verrà raggiunto, il prima possibile. La Giovane Italia deve educare alla
gestione della cosa pubblica, ad essere buoni cittadini, non è, perciò,
esclusivamente uno strumento di organizzazione rivoluzionaria. Il popolo deve
avere diritti e doveri, mentre la Rivoluzione Francese si è concentrata
esclusivamente sui diritti individuali: fermandosi ai diritti dell'individuo
aveva dato vita ad una società egoista; l'utile per una società non va mai
considerato secondo il bene di un singolo soggetto ma secondo il bene
collettivo. Non crede nell'eguaglianza predicata dal marxismo e al sogno della
proprietà comune sostituisce il principio dell'associazionismo, che è comunque
un superamento dell'egoismo individuale.Questione sociale Mazzini affrontò la
questione sociale negli scritti più tardi, ad esempio nei Doveri dell'uomo Rifiuta
il marxismo, convinto com'è che per spingere il popolo alla rivoluzione sia
prioritario indicargli l'obiettivo dell'unità, della repubblica e della
democrazia. Mazzini fu tra i primi a considerare la grave questione sociale
presente che era soprattutto in Italia la questione contadina, come gli
indicava Carlo Pisacane, ma egli pensava che questa dovesse essere affrontata e
risolta solo dopo il raggiungimento dell'unità nazionale e non attraverso lo
scontro delle classi, ma con una loro collaborazione (interclassismo), da
raggiungersi però organizzando l'associazionismo e il mutualismo fra gli
operai, il soggetto più debole. Un programma il suo di solidarietà nazionale
che se non contemplava l'autonomia culturale e politica del proletariato non si
rivolse solo al ceto medio cittadino, agli intellettuali, agli studenti, fra i
quali raccolse i consensi più ampi, ma anche agli artigiani e ai settori più
consapevoli dei propri diritti fra gli operai. Mazzini criticò il
marxismo e fu da Marx biasimato per gli aspetti dottrinali idealistici e per
gli atteggiamenti profetici che egli assumeva nel suo ruolo di educatore
religioso e politico del popolo. Marx, risentito per gli attacchi di Mazzini al
comunismo, da lui definito col termine inglese «dictatorship» (cioè
«dittatura»), lo definì in alcuni articoli teopompo, cioè «inviato di Dio e
papa della chiesa democratica, dandogli anche sprezzantemente del «vecchio
somaro» e paragonandolo a Pietro l'Eremita. Forte sarà il contrasto tra Marx e
l'inviato personale di Mazzini (oltre che con Garibaldi che ne prese le difese)
alla Prima Internazionale. Critica i socialisti per il proclamato
internazionalismo dei loro tempi, venato di anarchismo e di forte negazionismo,
per l'attenzione da essi rivolta verso gli interessi di una sola classe: il
proletariato. Inoltre egli definiva arbitrario e impossibile a pretendere
l'abolizione della proprietà privata: così si sarebbe dato un colpo mortale
all'economia che non avrebbe premiato più i migliori. La critica maggiore era
rivolta contro il rischio che le ideologie socialiste estremistiche portassero
a un totalitarismo: egli previde con lungimiranza quello che avverrà con la
Rivoluzione d'ottobre del 1917 in Russia, cioè la formazione di una nuova
classe di padroni politici e lo schiacciamento dell'individuo nella macchina
industriale del socialismo reale. Da queste critiche ne venne la valutazione
negativa di Mazzini sulla rivolta che portò alla Comune di Parigi del 1871.
Mentre per Marx e Michail Bakunin quello della Comune era stato un primo tentativo
di distruggere lo stato accentratore borghese realizzando dal basso un nuovo
tipo di stato, Mazzini, legato al concetto di Stato-nazione romantico, invece
criticò la Comune vedendo in essa la fine della nazione, la minaccia di uno
smembramento della Francia. Per salvaguardare l'economia e allo stesso tempo
per tutelare i più poveri, Mazzini punta su una forma di lavoro cooperativo:
l'operaio dovrà guardare oltre una lotta basata solo sul salario ma promuovere
spazi via via crescenti di economia sociale con elementi di «piena
responsabilità e proprietà sull'impresa». Mazzini puntava sul superamento
in senso sociale e democratico del capitalismo imprenditoriale classico,
anticipando in questo sia le teorie distribuzioniste sia le teorie che esaltano
il valore dell'associazione fra i produttori. In Doveri dell'uomo scrisse: «Non
bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via
perché i molti possano acquistarla. Bisogna richiamarla al principio che la
renda legittima, facendo sì che solo il lavoro possa produrla. La sua influenza sulla prima fase del
movimento operaio fu per questo molto importante e anche il fascismo, in
particolare la sua corrente repubblicana e socializzatrice, si ispirerà al
pensiero economico mazziniano come terza via corporativa tra il modello
capitalista e quello marxista. Cospirazioni e fallimento dei moti
mazziniani Mazzini in una fotografia con autografo scattata da Domenico
Lama I moti mazziniani, ispirati ad un'ideologia repubblicana e antimonarchica
furono considerati sovversivi e quindi perseguiti da tutte le monarchie
italiane dell'epoca. Per i governi costituiti i mazziniani altro non erano che
terroristi e come tali furono sempre condannati. «Trovai tutti persuasi
che la Giovine Italia era pazzia; pazzia le sette, pazzie il cospirare, pazzie
le rivoluzioncine fatte sino a quel giorno, senza capo né coda» (Massimo
d'Azeglio, Degli ultimi casi di Romagna) Giovine Italia (1831) «Su queste
classi [...] così fortemente interessate al mantenimento dell'ordine sociale le
dottrine sovversive della Giovine Italia non hanno presa. Perciò ad eccezione
dei giovani presso i quali l'esperienza non ha ancora modificate le dottrine
assorbite nell'atmosfera eccitante della scuola, si può affermare che non esiste
in Italia se non un piccolissimo numero di persone seriamente disposte a
mettere in pratica i principi esaltati di una setta inasprita dalla
sventura.» (Camillo Benso conte di Cavour). Mazzini si trova a Marsiglia
in esilio dopo l'arresto e il processo subito l'anno prima in Piemonte a causa
della sua affiliazione alla Carboneria. Non potendosi provare la sua
colpevolezza infatti la polizia sabauda lo costrinse a scegliere tra il confino
in un paesino del Piemonte e l'esilio. Mazzini preferì affrontare l'esilio e
passa in Svizzera, da qui a Lione e infine a Marsiglia. Qui entrò in contatto
con i gruppi di Filippo Buonarroti e col movimento sainsimoniano allora diffuso
in Francia. Con questi si avviò un'analisi del fallimento dei moti nei
ducati e nelle Legazioni pontificie. Si concordò sul fatto che le sette
carbonare avevano fallito innanzitutto per la contraddittorietà dei loro
programmi e per l'eterogeneità delle classi che ne facevano parte. Non si era
riusciti poi a mettere in atto un collegamento più ampio delle insurrezioni per
le ristrettezze provinciali dei progetti politici, com'era accaduto nei moti di
Torino quand'era fallito ogni tentativo di collegamento con i fratelli
lombardi. Infine bisognava desistere dal ricercare l'appoggio dei principi e,
come nei moti del '30-31, dei francesi. Con la fondazione della Giovine
Italia nel 1831 il movimento insurrezionale andava organizzato su precisi
obiettivi politici: indipendenza, unità, libertà. Occorreva poi una grande
mobilitazione popolare poiché la liberazione italiana non si poteva conseguire
attraverso l'azione di pochi settari ma con la partecipazione delle masse.
Rinunciare infine ad ogni concorso esterno per la rivoluzione: «La Giovine
Italia è decisa a giovarsi degli eventi stranieri, ma non a farne dipendere
l'ora e il carattere dell'insurrezione. Gli strumenti per raggiungere queste
mete erano l'educazione e l'insurrezione. Quindi bisognava che la Giovane
Italia perdesse il più possibile il carattere di segretezza, conservando quanto
necessario a difendersi dalle polizie, ma acquistasse quello di società di
propaganda, un'«associazione tendente anzitutto a uno scopo di insurrezione, ma
essenzialmente educatrice fino a quel giorno e dopo quel giorno anche
attraverso il giornale La Giovine Italia, fondato nel 1832del messaggio
politico della indipendenza, dell'unità e della repubblica. Negli anni
1833 e 1834, durante il periodo dei processi in Piemonte e il fallimento della
spedizione di Savoia, l'associazione scomparve per quattro anni, ricomparendo
solo in Inghilterra. Dieci anni dopo, il 5 maggio 1848, l'associazione fu
definitivamente sciolta da Mazzini, che fondò al suo posto l'Associazione
Nazionale Italiana. Entusiastiche adesioni al programma della Giovane
Italia si ebbero soprattutto tra i giovani in Liguria, in Piemonte, in Emilia e
in Toscana che si misero subito alla prova organizzando una serie di
insurrezioni che si conclusero tutte con arresti, carcere e condanne a morte.
Nel 1833 organizza il suo primo tentativo insurrezionale che aveva come focolai
rivoluzionari Chambéry, Torino, Alessandria e Genova dove contava vaste
adesioni nell'ambiente militare. Prima ancora che l'insurrezione
iniziasse la polizia sabauda a causa di una rissa avvenuta fra i soldati in
Savoia, scoprì e arrestò molti dei congiurati, che furono duramente perseguiti
poiché appartenenti a quell'esercito sulla cui fedeltà Carlo Alberto aveva
fondato la sicurezza del suo potere. Fra i condannati figuravano i fratelli
Giovanni e Jacopo Ruffini, amico personale di Mazzini e capo della Giovine
Italia di Genova, l'avvocato Andrea Vochieri e l'abate torinese Vincenzo
Gioberti. Tutti subirono un processo dal tribunale militare, e dodici furono
condan morte, fra questi anche il Vochieri, mentre Jacopo Ruffini pur di non tradire
si uccise in carcere mentre altri riuscirono a salvarsi con la fuga.
Tentativo d'invasione della Savoia e moto di Genova. L'incontro di Mazzini con
Giuseppe Garibaldi nella sede della Giovine Italia Il fallimento del primo moto
non fermò Mazzini, convinto che era il momento opportuno e che il popolo lo
avrebbe seguito. Si trovava a Ginevra, quando assieme ad altri italiani e
alcuni polacchi, organizzava un'azione militare contro lo stato dei Savoia. A
capo della rivolta aveva messo il generale Gerolamo Ramorino, che aveva già
preso parte ai moti del 1821, questa scelta però si rivelò un fallimento,
perché il Ramorino si era giocato i soldi raccolti per l'insurrezione e di
conseguenza rimandava continuamente la spedizione, tanto che quando si decise a
passare con le sue truppe il confine con la Savoia, la polizia, ormai allertata
da tempo, disperse i volontari con molta facilità. Nello stesso tempo
doveva scoppiare una rivolta a Genova, sotto la guida di Giuseppe Garibaldi,
che si era arruolato nella marina da guerra sarda per svolgere propaganda
rivoluzionaria tra gli equipaggi. Quando giunse sul luogo dove avrebbe dovuto
iniziare l'insurrezione però, non trovò nessuno, e così rimasto solo, dovette
fuggire. Fece appena in tempo a salvarsi dalla condanna a morte emanata contro
di lui, salendo su una nave in partenza per l'America del Sud dove continuerà a
combattere per la libertà dei popoli. Mazzini, invece, poiché aveva
personalmente preso parte alla spedizione con Ramorino, fu espulso dalla Svizzera
e dovette cercare rifugio in Inghilterra. Lì continuò la propria azione
politica attraverso discorsi pubblici, lettere e scritti su giornali e riviste,
aiutando a distanza gli italiani a mantenere il desiderio di unità e
indipendenza. Anche se l'insuccesso dei moti fu assoluto, dopo questi eventi la
linea politica di Carlo Alberto mutò, temendo che reazioni eccessive potessero
diventare pericolose per la monarchia. La vita mi pesa, ma credo sia
debito di ciascun uomo di non gettarla, se non virilmente o in modo che rechi
testimonianza della propria credenza.» (Giuseppe Mazzini, lettera di
risposta ad Angelo Usiglio, Londra. Altri tentativi pure falliti si ebbero a
Palermo, in Abruzzo, nella Lombardia austriaca, in Toscana. Il fallimento di
tanti generosi sforzi e l'altissimo prezzo di sangue pagato fecero attraversare
a Mazzini quella che egli chiamò la tempesta del dubbio, una fase di
depressione, in cui, come in gioventù, come ricorda nelle Note autobiografiche,
pensò anche al suicidio, da cui uscì religiosamente convinto ancora una volta
della validità dei propri ideali politici e morali. Dall'esilio di Londra, dopo essere stato espulso dalla Svizzera,
riprese quindi il suo apostolato insurrezionale. Nello stesso periodo esce il
saggio La filosofia della musica sulla rivista L'italiano pubblicata a Parigi. Fratelli
Bandiera. Esecuzione dei fratelli Bandiera a Cosenza Nobili, figli
dell'ammiraglio Francesco Bandiera e, a loro volta, ufficiali della Marina da
guerra austriaca, aderirono alle idee mazziniane e fondarono una loro società
segreta, l'Esperia[63] e con essa tentarono di effettuare una sollevazione
popolare nel Sud Italia. I fratelli Emilio e Attilio Bandiera parteno da
Corfù (dove avevano una base allestita con l'ausilio del barese Vito Infante) alla
volta della Calabria seguiti da 17 compagni, dal brigante calabrese Giuseppe
Meluso e dal corso Pietro Boccheciampe. Il 15 marzo dello stesso anno era loro
giunta infatti la notizia dello scoppio di una rivolta a Cosenza che essi
credevano condotta nel nome di Mazzini. In realtà non solo la ribellione non
aveva alcuna motivazione patriottica ma era già stata domata dall'esercito
borbonico. Quando sbarcarono alla foce del fiume Neto, vicino a Crotone,
appresero che la rivolta era già stata repressa nel sangue e al momento non era
in corso alcuna ribellione all'autorità del re. Il Boccheciampe, appresa la
notizia che non c'era alcuna sommossa a cui partecipare, sparì e andò al posto
di polizia di Crotone per denunciare i compagni. I due fratelli vollero lo
stesso continuare l'impresa e partirono per la Sila. Subito iniziarono le
ricerche dei rivoltosi ad opera delle guardie civiche borboniche, aiutate da
comuni cittadini che credevano i mazziniani dei briganti; dopo alcuni scontri a
fuoco, vennero catturati (meno il brigante Giuseppe Meluso, buon conoscitore
dei luoghi, che riuscì a sfuggire alla cattura) e portati a Cosenza, dove i
fratelli Bandiera con altri 7 compagni vennero fucilati nel Vallone di Rovito. Il re Ferdinando II ringraziò la popolazione locale
per il grande attaccamento dimostrato alla Corona e la premiò concedendo
medaglie d'oro e d'argento e pensioni generose. «Mazzini, colpito da tanta
fermezza e da tanta sventura, restò commosso da quell'efferata barbarie e
celebrò la memoria di quei martiri in un opuscolo uscito a Parigi. Vdendo nel
loro sacrificio la realizzazione dei propri ideali così scriveva in un opuscolo
a loro dedicato: «Il martirio non è sterile mai. Il martirio per un'Idea è la
più alta formula che l'Io umano possa raggiungere per esprimere la propria
missione; e quando un giusto sorge di mezzo a' suoi fratelli giacenti ed
esclamaecco: questo è il vero, e io, morendo, l'adorouno spirito di nuova vita
si trasfonde per tutta l'umanità. I sagrificati di Cosenza hanno insegnato a
noi tutti che l'uomo deve vivere e morire per le proprie credenze: hanno
provato al mondo che gl'Italiani sanno morire: hanno convalidato per tutta
l'Europa l'opinione che una Italia sarà. Voi potete uccidere pochi uomini, ma
non l'Idea. l'Idea è immortale. Dopo i moti e capo, con Aurelio Saffi e Carlo
Armellini della Repubblica Romana, soppressa dalla reazione francese. Fu
l'ultima rivolta a cui Mazzini prese parte direttamente. Moto di
Milano e sollevazione in Valtellina. Ispirato
al mazzinianesimo e alle ideologie socialiste fu il moto di Milano, a cui
tuttavia Mazzini non prese parte, e che fallì; analoga sorte ebbe la rivolta in
Valtellina dell'anno seguente. Nel moto milanese si mise in luce Felice Orsini,
che di lì a poco avrebbe rotto con Mazzini e organizzato l'attentato a
Napoleone III, fermamente condannato dal genovese poiché risoltosi in una
strage di cittadini innocenti. Spedizione di Sapri. Carlo Pisacane
Il piano originale, secondo il metodo insurrezionale mazziniano, prevedeva di
accendere un focolaio di rivolta in Sicilia dove era molto diffuso il
malcontento contro i Borboni, e da lì estenderla a tutto il Mezzogiorno
d'Italia. Successivamente invece si pensò più opportuno partendo dal porto di
Genova di sbarcare a Ponza per liberare alcuni prigionieri politici lì
rinchiusi, per rinforzare le file della spedizione e infine dirigersi a Sapri,
che posta al confine tra Campania e Basilicata, era ritenuta un punto
strategico ideale per attendere dei rinforzi e marciare su Napoli. Il 25
giugno 1857 Carlo Pisacane s'imbarcò con altri ventiquattro sovversivi, tra cui
Giovanni Nicotera e Giovan Battista Falcone, sul piroscafo di linea Cagliari,
della Società Rubattino, diretto a Tunisi. Sbarca a Ponza dove, sventolando il
tricolore, riuscì agevolmente a liberare 323 detenuti, poche decine dei quali
per reati politici per il resto delinquenti comuni, aggregandoli quasi tutti
alla spedizione. Il 28, il Cagliari ripartì carico di detenuti comuni e delle
armi sottratte al presidio borbonico. La sera i congiurati sbarcarono a Sapri,
ma non trovarono ad accoglierli quelle masse rivoltose che si attendevano. Anzi
furono affrontati dalle falci dei contadini ai quali le autorità borboniche
avevano per tempo annunziato lo sbarco di una banda di ergastolani evasi
dall'isola di Ponza. Il 1º luglio, a Padula vennero circondati e 25 di
loro furono massacrati dai contadini. Gli altri, per un totale di 150, vennero
catturati e consegi gendarmi. Pisacane, con Nicotera, Falcone e gli ultimi
superstiti, riuscirono a fuggire a Sanza dove furono ancora aggrediti dalla
popolazione: perirono in 83; Pisacane e Falcone si suicidarono con le loro
pistole, mentre quelli scampati all'ira popolare furono poi processati nel
gennaio del 1858. Condan morte, furono graziati dal Re, che tramutò la pena in
ergastolo. Senso dell'impresa Pur essendo quella di Sapri un'impresa
tipicamente mazziniana, condotta «senza speranza di premio», in effetti essa
rispondeva alle idee politiche di Pisacane che si era allontanato dalla dottrina
del Maestro per accostarsi a un socialismo libertario espresso dalla formula
"Libertà e associazione". Contrariamente a Mazzini che riguardo alla
questione sociale proponeva una soluzione interclassista solo dopo aver risolto
il problema unitario, Pisacane pensava infatti che per arrivare ad una
rivoluzione patriottica unitaria e nazionale occorresse prima risolvere la
questione contadina che era quella della riforma agraria. Come lasciò scritto
nel suo testamento politico in appendice al Saggio sulla rivoluzione, «profonda
mia convinzione di essere la propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione
popolare un'assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il
popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando
sarà libero». Vicino agli ideali mazziniani era Pisacane invece quando
aggiungeva nello stesso scritto che quand'anche la rivolta fallisse «ogni mia
ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi
cari e generosi amici... che se il nostro sacrificio non apporta alcun bene
all'Italia, sarà almeno una gloria per essa aver prodotto figli che vollero
immolarsi al suo avvenire»[66]. La spedizione fallita ebbe in effetti il merito
di riproporre all'opinione pubblica italiana la questione napoletana, la
liberazione cioè del Mezzogiorno italiano dal malgoverno borbonico che il
politico inglese William Ewart Gladstone definiva «negazione di Dio eretta a
sistema di governo». Infine il tentativo di Pisacane sembrava riproporre la
possibilità di un'alternativa democratico-popolare come soluzione al problema
italiano: era un segnale d'allarme che costituì per il governo di Vittorio
Emanuele II uno stimolo ad affrettare i tempi dell'azione per realizzare la
soluzione diplomatico militare dell'unità italiana. Appoggio a Garibaldi
e ultimi tentativi Mazzini appoggiò moralmente la spedizione dei Mille di
Giuseppe Garibaldi, che egli considerava una valida opposizione a Cavour. Dopo
l'Unità riprese la lotta repubblicana, ma le persecuzioni della polizia sabauda
e le condizioni di salute limitarono i suoi ultimi tentativi.
Controversie Stampa raffigurante Mazzini con l'epitaffio della tomba a
Staglieno Conflitto con Cavour Giuseppe Mazzini, che dopo la sua attività cospirativa
fu esiliato dal governo piemontese a Ginevra, fu uno strenuo oppositore della
guerra di Crimea, che costò un'ingente perdita di soldati al regno sardo. Egli
rivolse un appello ai militari in partenza per il conflitto: «Quindicimila tra
voi stanno per essere deportati in Crimea. Non uno forse tra voi rivedrà la
propria famiglia. Voi non avrete onore di battaglie. Morrete, senza gloria,
senza aureola, di splendidi fatti da tramandarsi per voi, conforto ultimo ai
vostri cari. Morrete per colpa di governi e capi stranieri. Per servire un
falso disegno straniero, l'ossa vostre biancheggeranno calpestate dal cavallo
del cosacco, su terre lontane, né alcuno dei vostri potrà raccoglierle e
piangervi sopra. Per questo io vi chiamo, col dolore dell'anima,
"deportati". Quando Napoleone III scampò all'attentato teso da Felice
Orsini e Giovanni Andrea Pieri, il governo di Torino incolpò Mazzini (Cavour lo
avrebbe definito "il capo di un'orda di fanatici assassini"[68]
oltreché "un nemico pericoloso quanto l'Austria"),[69] poiché i due
attentatori avevano militato nel suo Partito d'Azione. Secondo Denis Mack
Smith, Cavour aveva in passato finanziato i due rivoluzionari a causa della
loro rottura con Mazzini e, dopo l'attentato a Napoleone III e la conseguente
condanna dei due, alla vedova di Orsini fu assicurata una pensione. Cavour al
riguardo fece anche pressioni politiche sulla magistratura per far giudicare e
condannare la stampa radicale. Egli, inoltre, favorì l'agenzia Stefani con
fondi segreti sebbene lo Statuto vietasse privilegi e monopoli ai privati. Così
l'agenzia Stefani, forte delle solide relazioni con Cavour divenne, secondo il
saggista Gigi Di Fiore, un fondamentale strumento governativo per il controllo
mediatico nel Regno di Sardegna.[73] Mazzini, intanto, oltre ad aver condannato
il gesto di Orsini e Pieri, espose un attacco nei confronti del primo ministro,
pubblicato sul giornale Italia del popolo: «Voi avete inaugurato in Piemonte un
fatale dualismo, avete corrotto la nostra gioventù, sostituendo una politica di
menzogne e di artifici alla serena politica di colui che desidera risorgere.
Tra voi e noi, signore, un abisso ci separa. Noi rappresentiamo l'Italia, voi
la vecchia sospettosa ambizione monarchica. Noi desideriamo soprattutto l'unità
nazionale, voi l'ingrandimento territoriale» (Giuseppe Mazzini[74])Timori
di Mazzini per la cessione della Sardegna Estratto di articolo di
giornale inglese Mazzini temeva che Cavour, dopo la cessione della Savoia e di
Nizza, potesse cedere anche la Sardegna, una delle cosiddette “tre Irlande”, sulla
base di altri supposti accordi segreti di Cavour con la Francia, in cambio di
una definitiva unificazione italiana, accordi che preoccupavano anche
l’Inghilterra, la quale era intervenuta presso Cavour per avere rassicurazioni
sul fatto che non sarebbe stato ceduto altro territorio italiano alla Francia.
Russell commenta a Hudson, in Torino, di dire al Conte di Cavour, che il
Governo inglese, informato di un disegno per la cessione della Sardegna alla
Francia, protestava e chiedeva promessa formale di non cedere territorio
italiano. Il dispaccio era comunicato il 26 a Cavour.» (da Scritti editi
e inediti di Giuseppe Mazzini, per cura della Commissione editrice degli
scritti di Giuseppe Mazzini, Roma]) Riguardo alla cessione della Sardegna alla
Francia, Mazzini affermava anche: «[...] [L]'opposizione minacciosa
dell’Inghilterra e la nostra, possono renderlo praticamente impossibile.»
(da Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini, per cura della Commissione
editrice degli scritti di Giuseppe Mazzini, Roma) Alcune affermazioni di
Giovanni Battista Tuveri, esponente del cattolicesimo federalista, deputato per
due volte al Parlamento Subalpino e amico di Mazzini, confermano la possibilità
di accordi segreti relativi alla cessione della Sardegna alla Francia per una
definitiva unificazione del resto della penisola: «Vicino a Mazzini ed a
Cattaneo, ma con una propria originalità di pensiero, il Tuveri fu sempre
fedele alle sue convinzioni federaliste o, in mancanza di meglio, autonomiste,
né esitò ad impegnarsi nell'azione pratica quando nel 1860-61 circolò
insistente la voce che Cavour, dopo Nizza e la Savoia, intendesse cedere alla
Francia anche la Sardegna» Anche il giornale britannico "The
Illustrated London News" del 27 luglio 1861 citava l'inopportunità di
cedere la Sardegna alla Francia, commento che aveva suscitato reazioni nella
stampa francese e fatto suggerire altre ipotesi. Mazzini suscita continuamente
energie, affascinò per quarant'anni ogni ondata di gioventù e intanto gli
anziani gli sfuggivano».[80] Quasi tutti i grandi personaggi del Risorgimento
aderirono al mazzinianesimo ma pochi vi restarono. Il contenuto religioso
profetico del pensiero del Maestro, in un certo modo rivelatore di una nuova
fede, imbrigliava l'azione politica. Mazzini infatti non aveva «la duttilità e
la mutevolezza necessaria per dominare e imprigionare razionalmente le forze».
Per questo occorreva una capacità di compromesso politico propria dell'uomo di
governo come fu Cavour; «[i]l compito di Mazzini fu invece quello di creare
l'"animus"». Quando sembrava che il problema italiano non avesse via
d'uscita «ecco per opera sua la gioventù italiana sacrificarsi in una suprema
protesta. I sacrifici parevano sterili», ma invece risvegliavano l'opinione pubblica
italiana e europea. La tragedia della Giovine Italia «impose il problema
italiano a una sempre più vasta sfera d'Italiani: che reagì sì con un programma
più moderato ma infine entrò in azione e quegli stessi ex mazziniani che
avevano rinnegato il Maestro aderendo al moderatismo riformista alla fine
dovettero abbandonare ogni progetto federalista e acconsentire all'entusiasmo
popolare suscitato dalle idee mazziniane di un riordinamento unitario
italiano».[81] Le idee politiche di Mazzini furono alla base della
nascita del Partito Repubblicano Italiano nel 1895. Tramite la Costituzione
della Repubblica Romana, ispirata al mazzinianesimo e considerata un modello
per molto tempo, fu uno dei pensatori le cui idee furono alla base della
Costituzione Italiana del 1948. Inoltre ebbe una grande influenza anche fuori
dall'Italia: politici occidentali come Thomas Woodrow Wilson (con i suoi
Quattordici Punti) e David Lloyd George e molti leader post-coloniali tra i
quali Gandhi, Golda Meir, David Ben-Gurion, Nehru e Sun Yat-sen consideravano
Mazzini il proprio maestro e il testo mazziniano Dei doveri dell'uomo come la
propria "Bibbia" morale, etica e politica.[82] Mazzini conteso
tra fascismo e antifascismo Mazzini sul letto di morte L'eredità ideale e
politica del pensiero di Giuseppe Mazzini è stata a lungo oggetto di dibattito
tra opposte interpretazioni, in particolare durante il Fascismo e la
Resistenza. Già nel settembre 1922, prima dell'avvento del fascismo, il
cinquantenario della sua morte fu celebrato con una serie di francobolli. In
seguito, nel Ventennio fascista Mazzini fu oggetto di citazioni in libri,
articoli, discorsi, fino al punto d'essere considerato una sorta di precursore
del regime di Mussolini.[83]. Secondo un appunto diaristico (intitolato "Ripresa
mazziniana") di Giuseppe Bottai, però, l'utilizzo che ne fece Mussolini fu
sempre strumentale[84]. La popolarità di Mazzini durante il periodo
fascista è dovuta anche ai numerosi repubblicani che confluirono nei Fasci di
combattimento, iniziando il loro percorso di avvicinamento a Mussolini durante
la battaglia interventista, soprattutto nelle aree dove maggiore era la
presenza del PRI, cioè in Romagna e nelle Marche. Sulle pagine de L'Iniziativa,
l'organo di stampa del PRI, si guardava a Mussolini come al «magnifico bardo
del nostro interventismo».[85] Particolare fu il caso di Bologna, città
in cui i repubblicani Pietro Nenni, Guido e Mario Bergamo presero parte
attivamente nel 1919 alla fondazione del primo Fascio di combattimento emiliano
per poi abbandonarlo poco dopo diventando avversari del fascismo. Tra i più
famosi repubblicani che aderirono al fascismo vi furono Italo Balbo (che si era
laureato con una tesi su "Il pensiero economico e sociale di Mazzini"
e del quale lo storico Claudio Segrè ha scritto: «Balbo, prima di aderire al
Fascismo nel '21, esitò a lasciare i repubblicani fino all'ultimo momento e
considerò la possibilità di mantenere la doppia iscrizione»), Curzio Malaparte
e Berto Ricci, che nel fascismo vedeva la perfetta sintesi fra «la Monarchia di
Dante e il Concilio di Mazzini».[87] L'intellettuale mazziniano Delio
Cantimori, nella prima fase del suo percorso politico che lo portò prima ad
aderire al fascismo poi al comunismo, considerava il fascismo «compimento della
rivoluzione nazionale iniziatasi con il Risorgimento, che doveva riuscire dove
il processo risorgimentale e il cinquantennio successivo avevano fallito:
nell'inserimento e nell'integrazione delle masse nello stato nazionale, nella
creazione di una più vera democrazia, ben diversa dal
"parlamentarismo" e lontana dall'"affarismo", dal
"particolarismo", dall'"inerzia" che avevano caratterizzato
l'Italia liberale». Inizialmente la tesi delle origini risorgimentali del
fascismo fu fatta propria anche dai comunisti. Togliatti, polemizzando con il
movimento Giustizia e Libertà e il suo fondatore Rosselli, in un articolo su Lo Stato operaio
critica il Risorgimento e indicò in Mazzini un precursore del fascismo. La
tradizione del Risorgimento vive quindi nel fascismo, ed è stata da esso
sviluppata fino all'estremo. Mazzini, se fosse vivo, plaudirebbe alle dottrine
corporative, né ripudierebbe i discorsi di Mussolini sulla funzione dell'Italia
nel mondo. La rivoluzione antifascista non potrà essere che una rivoluzione
"contro il Risorgimento", contro la sua ideologia, contro la sua
politica, contro la soluzione che esso ha dato al problema della unità dello
Stato e a tutti i problemi della vita nazionale. La stessa posizione fu assunta
d’Amendola, durante il confino a Ponza, nel primo di due corsi sul Risorgimento
tenuti per i confinati, per poi rivedere tale impostazione nel secondo corso,
dopo la svolta unitaria del 1934 (che segnò l'inizio della politica del fronte
popolare con la conclusione di un "patto d'unità d'azione" con i
socialisti), allorché insistette sulle origini risorgimentali del movimento
operaio. I fascisti, inoltre, rivendicavano una continuità con il pensiero
mazziniano anche riguardo l'idea di “patria”, la concezione spirituale della
vita, l'importanza dell'educazione di come strumento per creare un uomo nuovo e
una dottrina economica ispirata alla collaborazione tra le classi sociali. Baioni
scrive a proposito della contemporanea celebrazione nell’anniversario della
morte di Garibaldi e del decennale della Marcia su Roma che le principali
manifestazioni sembrano confermare il nesso tra il bisogno di presentare il
fascismo come erede delle migliori tradizioni nazionali e la volontà non meno
forte ad enfatizzarne le componenti moderne, che avrebbero dovuto distinguerlo
come originale esperimento politico e sociale. Negli anni della Resistenza la
situazione si complica maggiormente: il fascismo della repubblica sociale
italiana intensifica naturalmente i richiami a Mazzini. Ad esempio la data del
giuramento della guardia nazionale repubblicana venne fissata il 9 febbraio,
giorno della proclamazione, quasi un secolo prima, della repubblica romana che
aveva avuto alla sua testa il triumviro Mazzini. Ma anche gli anti-fascisti, in
particolare i partigiani di Giustizia e Libertà di Rosselli, iniziano a
richiamarsi sempre più apertamente al rivoluzionario genovese. Proprio Rosselli
scrisse che agiamo nello spirito di Mazzini, e sentiamo profondamente la
continuità ideale fra la lotta dei nostri ante-nati per la libertà e quella di
oggi. A seguito della caduta del fascismo e dell'armistizio di Cassibile, la
lotta contro il nazi-fascismo vide la partecipazione dei repubblicani (il cui
partito era stato sciolto dal Regime nel 1926) anche attraverso la formazione
di proprie unità partigiane denominate Brigate Mazzini. Anche un comandante
partigiano, proposto per la medaglia d'oro al valor militare, Manrico
Ducceschi, ispirò la sua azione all'ideologia mazziniana adottando in onore di
Mazzini il nome di battaglia di "Pippo", lo stesso pseudonimo usato dal
patriota genovese. Altri saggi: Atto di fratellanza della Giovane Europa in
Giuseppe Mazzini, Edizione nazionale degli scritti., Imola, s.e., 1Dei doveri
dell'uomo Fede ed avvenire Editore Mursia
Doveri dell'Uomo Editori Riuniti
university pressRoma Pensieri sulla
democrazia in Europa, trad. Salvo Mastellone, Feltrinelli, Milano, Andrea
Tugnoli, La pittura moderna in Italia, Bologna, CLUEB, Antologia di scritti Dal
Risorgimento all'Europa Mursia Periodici
diretti da Giuseppe Mazzini L'apostolato popolare Il nuovo conciliatore
L'educatore Le Proscrit. Journal de la République Universelle Il tribunoNote La Civiltà cattolica, Volume 2; Volume 18, La
Civiltà Cattolica, «La politica acquista pathos religioso, e sempre più
col procedere del secolo... la nazione diventa patria: e la patria la nuova
divinità del mondo moderno. Nuova divinità e come tale sacra.» in F. Chabod,
L'idea di nazione, Laterza, Bari); Da Dei doveri dell'uomoFede e avvenire,
Paolo Rossi, Mursia, Milano 1965-1984 L'uomo nuovo in Indro Montanelli,
L'Italia giacobina e carbonara, Rizzoli, Milano, Susanne Schmid, Michael
Rossington, The Reception of P.B. Shelley in Europe Citato nell'Edizione nazionale degli Scritti
di Giuseppe Mazzini a cura della Commissione per l'edizione nazionale degli
Scritti di Giuseppe Mazzini, Cooperativa tipografico-editriceGaleati; per la
citazione vedi anche: Memoriale Mazzini-Domus Mazziniana; Introduzione a Jessie
White Mario, Vita di Giuseppe Mazzini su Castelvecchi Editore; Giuseppe
Santonastaso, Edgar Quinet e la religione della libertà, pag. 156, edizioni
Dedalo, 1968; Francesco Felis, Italia unità o disunità? Interrogativi sul
federalismo, Armando editore,, pag. 7.
Comune di Savona Liguria magazine
Archiviato il 25 gennaio in. Gilles Pécout, Il lungo Risorgimento: la
nascita dell'Italia contemporanea Pearson Italia S.p.a., 01 Patria, nazione e stato tra unità e
federalismo. Mazzini, Cattaneo e Tuveri, CUEC, University Press-Ricerche
storiche, La tesi del figlio sicuramente di Mazzini è sostenuta in Bruno Gatta,
Mazzini una vita per un sogno, Guida Editori, Il dubbio invece che si trattasse
veramente di un figlio di Mazzini è espresso in Luigi Ambrosoli (Giuseppe
Mazzini: una vita per l'unità d'Italia, ed.Lacaita): «Ma proprio il ritardo con
cui venne comunicata a Mazzini la notizia della morte di Adolphe fa sorgere
qualche dubbio sulla supposizione, per le altre ragioni accennate ben fondata,
che si trattasse di suo figlio». Dubbi simili vengono riportati in Salvo
Mastellone, Mazzini e la "Giovine Italia", 1831-1834, Volume 2, Domus
Mazziniana, 1960 («D'altra parte, è da aggiungere che nelle lettere inedite a
Ollivier, che pubblichiamo, Mazzini, pur parlando di Giuditta come della
propria amica, se accenna ad Adolphe come figlio di Giuditta, non allude al
bambino come proprio figlio:...»)
Domenico Barberis, in Dizionario biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Mazzini a Londra È l'autrice del
romanzo gotico Frankenstein (Frankenstein: or, The Modern Prometheus). Curò le
edizioni delle poesie del marito Percy Bysshe Shelley, poeta romantico e
filosofo. Era figlia della filosofa Mary Wollstonecraft, antesignana del
femminismo, e del filosofo e politico William Godwin. Susanne Schmid, Michael Rossington, The
Reception of P.B. Shelley in Europe
Miranda Seymour, Mary Shelley, caGiuseppe Mazzini, il cospiratore senza
segreti Lettere di Mazzini ad Aurelio
Saffi e alla famiglia CraufordGiuseppe MazzatintiSoc. Ed. Dante
Alighieri1906 Politica e storiaFilippo
Buonarroti e altri studidi Pia Onnis RosaEdizioni di storia e letteraturaRoma Mazzini
«pavese» e l'Unità d'Europa Quando
Mazzini scatenò il patatrac sognando la Repubblica pbmstoria. Legnago a
Giuseppe Mazzini, Grafiche Stella, S. Pietro di Legnago (Verona) 200551. Giacomo Scarpelli, La scimmia, l'uomo e il
superuomo. Nietzsche: evoluzioni e involuzioni
Pensiero di Mazzini, brigantaggio.net
1946: la Repubblica nasce nel nome di Mazzini, su pri.Carducci scrisse
una famosa lirica intitolata Mazzini i cui versi finali sono rimasti nella
storia: «E un popol morto dietro a lui si mise. / Esule antico, al ciel mite e
severo / Leva ora il volto che giammai non rise, /Tu solpensandoo ideal, sei
vero». La stessa semplice scritta volle
Giovanni Spadolini, politico e storico repubblicano, sulla propria tomba a
Firenze Luigi Polo Friz, La massoneria
italiana nel decennio post unitario: Lodovico Frapolli, Franco Angeli, Storia
della Massoneria in Italia. L'influenza di Giuseppe Mazzini nella Massoneria
Italiana Archiviato il 7 gennaio in. La stanza di MontanelliL' unità d' Italia e
la Massoneria Giuseppe Mazzini massone? A.Desideri, Storia e storiografia, IEd.
D'Anna, Messina. Gli sconvolgimenti operati dalla Rivoluzione francese avevano
fatto dubitare a molti uomini della razionalità della storia, così altamente
proclamata nel secolo precedente. L'unica alternativa allo scetticismo parve
allora la fede in una forza arcana operante provvidenzialmente nella storia» in
A. Desideri, Ibidem «S'identificò la
storia della civiltà con la storia della religione, e si scorse una forza
provvidenziale non solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe
sorgere e operare nella sua sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela
della giustizia, Iddio: tanto è lungi dall'essere operatore e costruttore di
storia l'arbitrio individuale e il raziocino logico». Adolfo Omodeo, L'età del
Risorgimento italiano, Napoli. Così il genere umano è in gran parte
naturalmente servo e non può essere tolto da questo stato altro che
soprannaturalmente... senza il cristianesimo, niente libertà generale. e senza
il papa non si dà vero cristianesimo operoso, potente, convertitore,
rigeneratore, conquistatore, perfezionante.» (cfr. J. De Maistre, Il Papa,
trad. di T. Casini, Firenze) G. Mazzini,
Fede e avvenire, G. Mazzini, Fede e avvenire. Ha una visione utopica, romantica
e anche sincretistica della religione, che egli considerava come il contributo,
in termini di princìpi universali, delle varie confessioni e fedi alla storia
collettiva.» SenatoDoveri dell'uomo, II
G. Mazzini, Dei doveri dell'uomo
Fusatoshi Fujisawa, La terza Roma. Dal Risorgimento al Fascismo, Tokyo, Mazzini
il patriota scomodo Arturo Reghini a
metà strada tra fascismo e massoneria
«Noi dissentivamo su diversi punti: sulle idee religiose, ch'ei non
guardava, errore comune al più, se non attraverso le credenze consunte e perciò
tiranniche dell'oggi; sul cosiddetto socialismo, che riducevasi a una mera
questione di parole dacché i sistemi esclusivi, assurdi, immorali delle sétte
francesi erano ad uno ad uno da lui respinti e sulla vasta idea sociale fatta
oggimai inseparabile in tutte le menti d'Europa dal moto politico io andava
forse più in là di lui: sopra una o due cose delle minori spettanti
all'ordinamento della futura milizia; e talora sul modo d'intendere l'obbligo
che abbiamo tutti di serbar fede al Vero. Ma il differire di tempo in tempo sui
modi d'antivedere l'avvenire non ci toglieva d'essere intesi sulle condizioni
presenti e sulla scelta dei rimedi» (Giuseppe Mazzini su Carlo Pisacane) Lettera a Ernesto Forte Londra. Noi crediamo
in una serie infinita di reincarnazioni dell'anima, di vita in vita, di mondo
in mondo, ciascuna delle quali rappresenta un miglioramento ulteriore…»
(Mazzini, in E. Bratina). La vita d'un'anima è sacra, in ogni suo periodo: nel
periodo terreno come negli altri che seguiranno; bensì, ogni periodo dev'esser
preparazione all'altro, ogni sviluppo temporale deve giovare allo sviluppo
continuo ascendente della vita immortale che Dio trasfuse in ciascuno di noi e
nella umanità complessiva che cresce con l'opera di ciascuno di noi» (Dei doveri
dell'uomo). Leggeva Dumas e i testi
buddisti Il volto inaspettato di Mazzini
Il Foscolo, che scriveva di aver visto da giovinetto a Venezia un
"libercolo" attribuito a Gioacchino, in cui erano indicati i papi
futuri, affermava che la fama dell'abate era "santissima" fin dalla
fine del sec. XVI, tanto che Montaigne, desiderava di poter vedere questa
meraviglia: «le livre de Calabrois, qui prédisait tous les papes futurs, leurs
noms et formes» G. da Fiore, Concordia
Veteris et Novi testamenti, B. Rosa, Gli appunti manoscritti di Mazzini,
Impronta, Torino, Roland Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione
civile, con postfazione di Sauro Mattarelli, Roma-Bari, Laterza, A.Omodeo, Introduzione a G. Mazzini, Scritti scelti,
Mondadori, Milano, «L'Italia trionferà
quando il contadino cambierà spontaneamente la marra con il fucile». in C.
Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale Economica, Milano 1956 Mazzini: comunismo vuol dire dittatura Il "Manifesto" di Marx? Scritto
contro Mazzini Doveri dell'uomo,
capitolo XI, punto 3° G. Mazzini, Doveri
dell'uomo, cap.XI (in Andrea Baravelli, L'Italia liberale, ArchetipoLibri, A. Gacino-Canina, Economisti del Risorgimento,
Torino, POMBA, 1G. Mazzini, Istruzione generale per gli affiliati nella Giovine
Italia in Scritti editi e inediti, II, Imola,G. Mazzini, op. cit. Nome col quale i greci indicavano l'Italia
antica L. Stefanoni, G. Mazzini: notizie
storiche..., Presso Barbini, Ricordi dei fratelli Bandiera e dei loro compagni
di martirio in Cosenza Documentati colla
loro corrispondenza, Dai torchi della Signora Lacombe, C. Pisacane. Volantino
pubblicato su "Italia del popolo", G. Cataldo, Chi ha paura di
Mazzini?, in la stampa. D. Smith, Mazzini, Rizzoli, Milano, D. Smith, Contro-storia
dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento, Milano, Gigi Di Fiore,
A. Cappa, Cavour, G. Laterza, definizione di Cavour riportata da The Morning Post.
We have three Irelands, in Sardinia, Genoa and Savoy La terza Irlanda, Gli scritti sulla Sardegna
di C. Cattaneo e Mazzini, Carlo Cattaneo, Giuseppe Mazzini, Francesco Cheratzu,
8pagg. Mazzini La Sardegna Tip. A. Debatte Livorno, Risorgimento Rassegna The
Illustrated London News In A. Saitta, Antologia di critica storica, Laterza, Le
citazioni sono tratte da A. Omodeo, Introduzione a Mazzini, Scritti scelti,
Mondatori, Milano, (D. Fusaro) P.
Benedetti “Mazzini in Camicia nera” edito della Fondazione 'Ugo La Malfa'; Dal
diario di G. Bottai. Spesso, all'uscita dei cento e più volumi dell'edizione
nazionale di Mazzini trovo il Duce, a palazzo Venezia, immerso nelle folte
pagine. O meglio, v'immergeva, a ferire di pugnale, il suo metallico
tagliacarte: e ne tirava fuori brandelli di Mazzini. A quando a quando il
brandello anti-francese, anti-illuminista, anti-nglese, anti-socialista, etc.
etc. Brandelli, mai tutt'intero, nella sua viva, molteplice e pur varia
personalità; S. Luzzatto, Riprese mazziniane, Mestiere di storico: rivista
della Società italiana per lo studio della storia contemporanea (Roma: Viella,
); P. Benedetti "Mazzini nell'ideologia del fascismo" G. Belardelli, “Camerata Mazzini, presente!” Gentile,
Balbo, Rocco, Bottai: tutti i fascisti tentarono di arruolarlo, Corriere della
Sera; “Manifesto realista” pubblicato sulla rivista L'Universale Cromohs Pertici
Mazzinianesimo, fascismo, comunismo: l'itinerario politico di D. Cantimori, R. Pertici, Mazzinianesimo, Fascismo, Comunismo:
L'itinerario politico di Cantimori Cromohs, La memoria e le interpretazioni del
Risorgimento, Guerra e fascismo da 150anni.
P.Togliatti, Sul movimento di «Giustizia e Libertà», in Lo Stato
operaio, antologia F. Ferri, Roma, Riuniti); M. Fatica, Amendola, Giorgio, in
Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, P. Mieli, "L'Italia
impossibile di Mazzini un fallito di genio", Corriere della Sera, M.
Baioni, Il Risorgimento in camicia nera, Carocci, Roma; Corriere della Sera in
Arianna editrice Mario Ragionieri Salò e
l'Italia nella guerra civile, Ibiskos, P. Mieli, art. cit. Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.
“Saggi”, A. Saffi e di E. Nathan, Roma, “Lettere a Saffi e alla
famiglia Craufurd, Società Dante Alighieri di Albrighi, Segati, Roma); “La
democrazia in Europa, trad. a cura di S. Mastellone, Feltrinelli, Milano, V. Marchi,
Ricostruzione della filosofia religiosa, in Dio e Popolo, Marchi, Camerino Joseph
de Maistre, Il Papa, Firenze, A. Omodeo (Milano, Mondadori); A. Codignola (Torino,
POMBA); A.Omodeo, “Il ri-sorgimento italiano, Napoli, ESI, F. Chabod, L'idea di
nazione, Bari, Laterza, G. Monsagrati (Milano, Adelphi); G. Batini, Album di
Pisa, Firenze, La Nazione, F. Peruta, I rivoluzionari italiani: il partito
d'azione, Milano, Feltrinelli, Il processo a Vochieri, Alessandria, Lions; M. Albertini,
Il Risorgimento e l'unità europea, Napoli, Guida, D. Smith (Milano, Rizzoli); S.
Mastellone, Il progetto politico di Mazzini: Italia-Europa, Firenze, Olschki); A.
Desideri, Storia e storiografia, Messina, Anna); R. Sarti, La politica come
religione civile (Roma, Laterza, S. Mattarelli, Dialogo sui doveri (Venezia,
Marsilio); P. Galletto, Nella vita e nella storia” (Battagin); N. Erba, Unità nazionale e Critica storica,
Grasso , Padova. N. Erba, Il Contributo italiano alla storia del pensiero Ottava
Appendice. Storia e politica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Dear
Kate. Lettere inedite di Giuseppe Mazzini a Katherine Hill, A. Bezzi e altri italiani
a Londra, Rubbettino; Saggio sulla rivoluzione, Universale Economica, Milano); I
sistemi e la democrazia. Pensieri Con una Appendice su La religione di Mazzini scelta
di pagine dall'Opuscolo Dal Concilio a Dio, V. Gueglio (note al testo,
repertorio dei nomi e saggio introduttivo) Milano, Greco); Giuseppe Mazzini verifiche
e incontri Atti del Convegno Nazionale di Studi, Genova, Gammarò, Tufarulo,G,M.-
L'Iniziatore, l'iniziato, Dio e popolo. La tempesta mazziniana nella
rivoluzione del pensiero Cultura e Prospettive, Filmografia Viva l'Italia di R.
Rossellini. Film incentrato sulla spedizione dei Mille. Mazzini, sceneggiato
RAI, regia di P. Passalacqua, Il generale, sceneggiato RAI, regia di L. Magni. Mazzini è interpretato da Bucci. Noi credevamo
di M. Martone. Mazzini è interpretato da T. Servillo. Anita Garibaldi,
miniserie di Rai 1 ; interpretato da Alessandro Lombardo. L'alba della libertà,
cortometraggio, regia di Emanuela Morozzi, Associazione Mazziniana Italiana
Domus Mazziniana Doveri dell'uomo Mazzinianesimo Monumento a Giuseppe Mazzini
(Firenze) Museo del Risorgimento e istituto mazziniano Pensieri sulla
democrazia in Europa Risorgimento. su
Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. su sapere, De Agostini. (IT, DE, FR) hls-dhs-dss.ch, Dizionario
storico della Svizzera. GDizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, storia.camera,
Camera dei deputati. Istituto Mazziniano
a Genova; Rai Tv: "La Storia siamo noi": una certa idea dell'Italia,
su la storia siamo noi.rai. 3Mazzini e le frontiere d'Italia su viacialdini.
Pagine mazziniane: "il pensiero e l'azione", dal sito della
Biblioteca Nazionale di Napoli, su vecchiosito bnn Domus Mazziniana di Pisa, su
domusmazziniana. Associazione Mazziniana Italiana, Scritti Prose politiche, Cenni
e documenti intorno all'insurrezione lombarda e alla guerra regia, Scritti
editi e inedit, Celebrazioni mazziniane Mazzini, Triumviro della Repubblica
Romana, A. Saliceti Aurelio Saliceti. Giuseppe Mazzini. Mazzini. Keywords: la
giovine italia, la tesi di laurea di Benedetti su Mazzini nella ideologia
fascista, ideologia fascista, gentile, bobbio, garibaldi, nazione italiana,
stato nazionale, stato unitario. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzini” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51671592017/in/photolist-2mJ3q6x-2mJ3q6n-2mJbZzZ-2mJb1x1-2mJ3q6C-2mJb1wQ-2mJbZBC-2mJb2oV-2mJ7x72-2mJ3q8w-2mJb1yi-2mJ7xUQ-2mJ8L5B-2mJ7xVw-2mJ7x7Y-2mJ8LUH-2mJ7xUV-2mJ7xVG-2mJ8L6J-2mJbZAR-2mJ3q8B-2mJ3q6c-2mJ8LUC-2mJbZC9-2mJbZzP-2mJb3w1-2mJ7z8m-2mJc2E5-2mJb3xU-2mJ8N7x-2mJ7z8g-2mJ8N9S-2mJ3sa7-2mJ8Nao-2mJ3s6V-2mJ3s9A-2mJc2Fh-2mJb3yF-2mJb3xZ-2mJ7z6T-2mJb3zN-2mJ7z7z-2mJ7z7j-2mJ8Nb5-2mJ8N8z-2mJ7z8G-2mJ7z5W-2mJ8NaP-2mJ8N7H-2mJ3s8P
Grice e
Mazzoni – implicatura – filosofia italiana – la vita attiva dei romani -- Luigi
Speranza (Cesena). Filosofo. Grice:
“Mazzoni is important on various fronts: he loves Dante, or Alighieri as
Strawson calls him – his library in organised alphabetically; the other front I
forget!” Compì i suoi studi di lettere a Bologna e quelli di filosofia a
Padova. Membro dell'Accademia della Crusca, fu tra i preferiti del papa
Gregorio XIII che lo avrebbe voluto prelato; Mazzoni preferì proseguire nella
carriera universitaria. Dapprima fu all'Macerata, ed in seguito a Pisa, dove
ebbe la cattedra di filosofia. Nella città della torre pendente, conobbe un
giovane insegnante di matematica, Galilei, con il quale instaurò ottimi rapporti.
Nel 1597 fu invitato ad insegnare all'Università La Sapienza di Roma. Benché
avesse da poco preso questa cattedra, seguì il cardinale Pietro Aldobrandini
nei suoi incarichi a Ferrara ed in seguito a Venezia. Ammalatosi sulla strada
del ritorno, si recò nella sua Cesena, dove si spense. Opere: “Difesa della
Commedia di Dante Grazie alla sua preparazione letteraria, giunse alla
notorietà per il suo tomo Difesa della Commedia di Dante, pubblicato a Bologna
inizialmente, sotto pseudonym e poi l'anno successivo sotto il suo vero nome,
in cui criticò aspramente Leonardo Salviati. Nel testo egli risponde ad alcune
contestazioni fatte alle sue elucubrazioni sul sommo poeta Dante Alighieri.
Parimenti nel libro si occupa anche di argomentazioni pertinenti alla filosofia
ed alla poetica”; “In universam Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia
Interessato anche all'astronomia, Mazzoni espone le sue teorie in quello che
risulta il suo testo più importante ovvero In universam Platonis et Aristotelis
philosophiam preludia pubblicato nel 1597. In questo libro egli sostiene il
sistema geocentrico aristotelico contro la sempre più diffusa e apprezzata
teoria copernicana eliocentrica. Questo volume è divenuto molto noto poiché
Galileo Galilei, dopo averlo letto, gli inviò una lettera, datata 30 maggio
1597, nella quale difendeva Copernico e le sue teorie. Questa missiva
rappresenta la più antica testimonianza dell'adesione alla teoria eliocentrica
di Galilei. Mazzoni, Prefazione, in
Mario Rossi, Discorso di Mazzoni in difesa della "Commedia" del
divino poeta Dante, S. Lapi.Saggi: “Discorso de' dittongi” (Cesena, Rauerio); “Discorso
in difesa della Comedia del divino Alighieri contro Castravilla” (Cesena, Raveri);
“De triplici hominum vita ACTIVA nempè, contemplativa, et religiosa methodi
tres, quaestionibus quinque millibus, centum et nonagintaseptem distinctae in
quibus omnes Platonis et Aristotelis, multae vero aliorum Latinorum in universo
scientiarum orbe discordiae componuntur” (Cesena, Raverio), “Della difesa della
Comedia di Alighieri -- distinta in sette libri” (Cesena, Rauerio), “Intorno
alla risposta e alle opposizioni fattegli da Patricio, pertenente alla storia
del poema Dafni, o Litiersa di Sositeo poeta della Pleiade” (Cesena, Raverio); “Ragioni
delle cose dette e d'alcune autorità nel discorso della storia del poema Dafni,
o Litiersa di Sositeo” (Cesena, Raverio), “In universam Platonis et Aristotelis
philosophiam praeludia” (Venezia, Guerilius); TreccaniEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Giuseppe Toffanin, Jacopo Mazzoni, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Jacopo
Mazzoni, su sapere, De Agostini. Davide
Dalmas, Jacopo Mazzoni, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Jacopo Mazzoni, su
accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca. Opere di Jacopo Mazzoni, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Jacopo Mazzoni,. Arnaldo Di Benedetto, Iacopo Mazzoni, in
Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario
Enciclopedico Brockhaus ed Efron, Маццони, Джакомо. ostracismumlaudabithuiusceReipub.formam
ciae & AJ de Repub.
ses,illudaffequebantur,quodimprobimelioresessentco-Achen. oss
ditione,quàmprobi,quodquidememanauitexeo,quod RE IPÛ BLICAE ROMANORVM FELICITAS
cibiadis. VITAE ACTIVAE . ficiendaerant,adConfu .pertinebat-examinarediligen
ter,coacionesquotiesopusefleteuocare,SoCspopulore
ferre,quicquidque'maiorparsiusfillerexequio1 9 7.66
quinetiaminhisquaeadbelliapparatum ,& caftrensem
disciplinampertinet,hifummuni imperium habebant: hiseniiuseratsocijsquicquidvisunteller
imperare,Trib. m i l i t u m c r e a r e , d e l e &t u n i q ; h a b e r e
, a d h a e c d e h i s q u i s u b corum imperio erantin caftrisarbitratu
suofupplicium fumiere,hispraeterea licebat comitante quaestore,lacse dulo
imperatafaciente,publiciaeris,quantum resipsa posset,Reipub.fornianiRegiam
eflë. 768 Senatusautemprimoquidemacrarijtotiusdominuserat atg;administrator:nam
& redditusomnesin eiuserant potestate,& eiusdemarbitratu impensae
fiebant,malefi ciaque & crimina per Italiam commiffa ,de quibus Iudi. cium
publicacfieridebebat,vtputaproditionis,coniura t i o n i s, v e n e f i c i j,
c a e d i s , a t q ; i n s i d i a r u m a d S e n a t u m r e f e e
rebantur,eiuss;dehiseratcognitio. 769
quòdsivllaapudItaloscontrouersiadirimenda,fipubli ca,velpriuatim quispiam
,velciuitasobiurganda,ficui auxilium,autpraesidium ferendumesset,de his omnibus
curam Senatusadhibebat. codemo popularisReipub.fornia videtur. 764
Consulesenimantequàm exvrbelegioneseducerentvr 2. 765. quinimò&quaedeR.P.perpopulum
tranfigenda;& có. , {{ { 1 Pin !! porro tuleritimpendere. 767
quòdfiquisadhancpartemrespexerit,probaliterdicere
viderelicettuniRegiam,optimorum,populiģ;gaberna tionem:quotiesenimConsulum
imperiuintueamur,Re gia,quotiesveròSenatusauthoritatem optimarum admia niftratio,quotiesautem
populi poteftatem respicimus, banaruniomnium rerum ins,atq;imperiuna habebant:
hisetenimcaeterioninesmagistratus praeter Tr.Ple.fa?
bijciebantur,hilegationesincuriam traducebant,hicea
leriterquaeerantdecidendaitatuebant,negociaģ;magna adSenatum:referebant,&
penèsipsos(vtquae patresde: creuissentseduloperficerentur)curaomnis&
administra tio erat . 1 1 METHODVS. 56 770 codemq;modo fiextraItalianiad
aliquos legatso mitten da esset,veladaliquiddecidendum,veladfoedus facien
dum,veladcohortandum,velad imperandum,autpoftre mo
adresrepetendas,autadbellumindicendum,haec inyrbenyenerintagendum
,quideisrespondendumin populocommune,adeo vtquotiesquisadvrbem consuli
busabfentibusprofectuseffet,prorsuseiRespub.optima tumconfilioregi,& gubernarivideretur,quodfanèmul
tiGraecorum ,& Regum perfuafum habuerunt,quod ne
gocia,quaeinvrbehaberentferè,omniaperŞenatum tra is
incos,quimaioresmagiftratusgeffiffent,admittebatur. -774 folusautem
capitedamnandipotestatemhabuit,quainre illudsanèapudeoscommemoratione
digniffinum fuit, quod eorum instituto ijs quicapitis damnati fuerant ,vt on
exvrbepalan egrederentur,permittebatur,acfiTribuum vnaexhis,quaeiudicium
exercebantreliquafuerit,quae in
nondumfuffragiumtulerit,exiliun:reosibiarbitratusuo deligendifacultasdabatur,exulesautem
Neapoli ,Praene siæe,Tybure,atg;inaliaquauisfoederatorú vrbetutoelle
deferebat,legeetiamcomprobandi,acsanciendiiushabe bat,&
quodcaputeitisdepacedebello,defoedere,decó
trouersijsdecidendis,aurcomponendisdeliberauit,atque v n u m q u o d q u è h o
r u m r a t u n i, a u t i r r i t u m f a c i e b a t , q u i
bus,exrebusprobaliterpofletaliquisdicere,populuni si bimaximaminR.P.partem
vindicalfe,acReipub.formā Senatusipfecurabat,& prouidebat. - 771
praetereaquiddelegationibus exterarumgentium,quae ܀܀
expopuliadministrationeconfatam fuisse. 776
quòigiturpactoRespub,inpartesdiftributafueritiam ܀|
sigerentur. 773 suaetianıpopulo,&eaquidemamplissimaparsreli&aest:
poterant . 775 praetereapopulusipsemagistratusdignissimisquibusque
Senatusvoluntate,arý;arbitriopofitumerat. -772
atq;horumquidem,quaesuperiusdictasuntnihileftcum foluseniniinRepub.&
poenae,&praemijspotestatem ha ...
bebat,&plerunq;inalijsetiamquaeftionibusquotiesgra priuior
alicui'maleficijmulata irrogánda effet,& praesertim ditum VITAE ACTIVAE
. rendas,acperficiendasidoneushauderat. 777
conttarenimlegionibuseorumaliquidmissum,quaeillis
publicesuppeditarisolebant,namq;fineS.C.neớ;frumen tum ,neq;vestimenta,nec
obfonia legionibus administra r i p o t e r a n t, a d e o v t e o r u m , q u i
e x e r c i t u s d u x i s s e n t e x p e ditiones,&
confiliaomnia,quotieseis obftare,cum eila; maligneagereSenatusinanimum
induxiffet,irritaredde rentur,& minimèadexitumperducerentur: 778
quinvtquaeilianimo& cogitationecomplexifuerant, acfibiproposuerant
perficerepoflent,iliSenatus volunta tepofitum
erat:namispoftquàniannuumtempuspraete rierat,autsuccessoresmittendi,autimperium
prorogan dipoteftatemhabuit,acetiampenèseundem fuitducum resgestas,&
dignitatemvelextollere,atý;ornare,velele uare,ac deprimere :naniTriu nphos,neộ;vtidecet
a p p a rere,neġ;ducere cuiquam licebat, ni aliensus fuiffetS e
longissimeabfuiflet,populicerteaflensuopuserat,quodq; eftomnium ferèmaximum
,omnesimperiodeposito,po pulo eorum quaegefferint rationem reddereoportuit,
quapropterConsulibus,caeteris“;Imperatoribusminime expediebat,Se.po.què
voluntatemergaseconteninere. 780
rursusianiSenatusquamuistantùminR.P.potuerit.po illius authoritatem approballet
populus , 781 praetereasiquisexTrib.pleb,intercefferit,nedum Sena erat 1
natus,& ineiusfumptumerogasserneceffaria. 779
etsiquisexprouinciadecederevoluisset,quamuisdomo pulum tamen intueri,ac illius
rationem habere coactus fuit:inmaximisenim ,atg; atrocissimisquaestionibus
eorum maleficiorum,quaecontraRempub.conmislaca-. piteple&untur,nihilSenatus
exequipotuiffet,nisiprius tusnihileorum quae decreuerat perficere:sed ne sedere
quidem ,automninoincuriamvenirepoterat:Trib.autí 1 1 d i & u m est : n u n
c a u t e m q u a r a t i o n e p o t u e r i n t p a r t e s illae
quotiesvoluerint,sibimutuo repugnare,fibiq;inuicem opitulari,dicendum
eft:enimueròConsulpoftquameani, quamsuperiusdixifacultatemadeptus, copias
eduxerat, f u n i n i o q u i d e m ille c u m i m p e r i o v i d e b a t u r
esse : v e r u m populi,acSenatusauxilioindigebat,acsinehisadresge 1
eratofficium idfemperexequi:quod populovisunrfuerat ciasý voluntatem
quanimaximè respicere,hisomnibus cepissent,eosreleuandi;siquae
difficultas,autpublicuni seei sintortunium
;quominusellentfoluendiobstitisser,loca . tionemgprorfusinducendi,ius&
poteftatem habuit. 784 eodeniemodoConsuluthactionibustimidè,acminime l i b e n
t e r a d u e r s a b a n t ü r t u m p o p u l u s ,t u m S e n a t u s c a n
i f o ris,militiaeq;vniuersusexercitus, & finguli,quia fub c o ad
seinuicemiuuandun,& impediendum adomnes rerú
217;.occasiones;exopinionePolybijeaminterseaprè,conue Bodi nichteré
connexae;dispofitaeq;fuerunt,vthacnullam e Izifior,praestantiorgReipub
formareperitipotuerit.' 5786name,cumhabeantomnesRefpub.inorbequandam có
11.4,.uerfionem,&mutationem :nullamipsehacfirmioremar Essen
bitratuseft,fiquidem poft vniuersaliadilaniaamissis,ac f u b l a t i s a r t i
b u s & f t u d i j s, a l i q u o p o s t t e n p o r i s i n t e r u a l
l o rursushumanum genusauctum & propagatumfuit,quo tempore inhominibasnaturalearbitraridebemus,quod
etiain inrationecarcntiumanimalium generibuscótin gerevidenius,inquorum
gregibusfortiffimusquisý;m a nifestòprincipatum fibivendicat:omnesenim
fortissimú & potentisfimumfectabantur,aró;itavniusdominiuni oliniigiturquisemelhonoreillodignihabitisunt
inre gnisconsenescebant iufta ftudia fe& antes nullaq;propter c o s i n u i
d i a , fi q u i d e m n o n m a g n a i n e i s a u t v i & tis, a u t v
e ròomnibusSenatuspraeerat. 7837 idem diem proferendi,fiquam publicanicalaniitatemac
-;-- rum imperio,acpotestateeflent. *785iHaecporrò cum elfétvniuscuiusýpartium
vis& facultas - T I M E T H O D V S .: 57
decáüllismultitudinemSenatusmetuebat,ad populique :voluntatem ,ftudiuni&
cogitationessuasdirigebat. 787 atcontraSenatuipopulusipseobnoxius,&fubie&userat,
11.06,eumquevniuerfim,&fingulatim colere,arg;obseruaresua 249.3)
permagniinteresseputauit,cum enimeffentinItaliamul bidid
tave&igaliunigenera,quaeCenforesinfumptusappara 33°53.stusd;publicos locare
solebant:in hisomnibus conducen 0 1 . 1 7 . d i s, & c u r a n d i s p o p
u l u s i m p l i c i t u s ef fe c o n f u t u i c :h i s v e conftitutum eft.
287 H Iitus kitusgracatiocernebatur:verumfuniperin éculisciuium w i
t a n i l a g c o t e s, c a d c m q u a p o p u l u s v i c t u s r a t i o n
e v t e b a n 7 8 8 l e d p o f t q u à m h o r u m filij c u m i a m c o m p a
r a t a b a b e r e n t imperio,essentdifferre,& ad haec licexe
etiamfpemine 3 7 : p r a e m e t u c o n t r a d i c e n t e ): i n c o n c e f
u s . c o n c u b i t u s a p p e t o re,ató;itacoortaeftexRegnoTyrannis. Noći
789 atghocmanifeftèliquet,exCyri,Cam.bylifqueimperio, .:fortissinisviris
coniurationes,adinuante etiam ducum En
fuorumconfiliamultitudine,atg;iliusimperijquodpe nesvnum erat formafacilevedeleretureueniebat,atque
indeiam optimatum principalusortunt,atqueinitium accepifient,educatiabinitioin
poteltate,ang honoribus apparatus,alijsad vim mulieribus perItapra,& raptus
inferendam ,alijdenių;adaliaturpialeconuertebant,atậ; itaoptimatum
principatusad paucorun dominacionem hinc illorum imperioper idem quod Tyrannos
oppresse ratinfortunium finişimponebatur,ncq;praetereaRegen
crearelibuitsobiniuftitiac,quasuperioresvsifuerantm e tum
,neg;pluribuscommittereRempub.audebanttam re centi rei malae geftacniemoria ad
suanı igitur fidem p u blicarecipiebant,atq,itapopularisforniaeffe&aeft.
794 horumpoftremofilijpluscaeterisįnR.P.pofseconten debant; atg;sinhanc
cupiditatem ,maxime locupletiores incidentesmaximispecuniaelargitionibasplebem
cor runipebant 1 T? VITAE ACTIVAÈ .
paternis,proptereaaequabilis,communisų libertatisru ;,-des&
ignari,alijvinolentiam ;& luxuriofosconuiuionum translatuseft. 793
praesidia,& rebusadvi&um pertinentibus,magis quàm pro
neceffitateabundarent,ob nimiam bonorum copiam , atq;aff.uentiamcupiditatibusobsequentės,arbitratifunt
oportereprincipes,ornatus& epulisabijs,quifubeoruni f :: quod&
Herodotusaffirmat. 799 contrahuiuscemodiprincipesfiebantàgencrofiffimis,& 1
1 tur . duxit . 791 hiprinòadministrationcgaudentescommunivtilitate del nihilantiquiushabuere,
31.disinijinsi 7 9 2 ,S e d c u m i a n i e o r u m l i b e r i e a n d e m å p
a t r i b u s p o t e f t a t e m 1METHODYSI 58
rumpebant,quaeaffirefacaalienabonaconselle,vitách; fuaespem omnem
inalienisfortunisponerefacileducem elaroanimo,ace;audacise&abatut,atý;tumReipub.
for mailla,cuiusconferuatio in flavum fiduciapofitaeft,
nascebatur,fiquideintumplebsinvnum coactacaldem
facere,ciueseijcere,profcriptorum ;agrosdiuiderein Scipiebat,donecfacuum
tuufus,&erforatum,vniusiruperit *0 um reperiretur,: 2 795
quapropterhismotusrationibuseampraecaeterislau Respub.benainaliambonam non
mutetur quam bona innalam,fiquidem (ytAristotelesdiçit)inbabentibusinfi.dese
Symbolumfacilior efttrálitus,an quiafimilitudo ila,ali neracione.
quamqaogcontrarietatemrequirit?quodquidéinEle's atme
mentorumtrasmutationeliquidòparet:inhisveròReip.
niutaionibus,quisfimilitudineni,& contrarietateinnes gabit) ACVLTAS R O -M
A N O R V M . 797 quoadlegesveròattinet,quibusviifuntRomaní,occur
rimtnobismulca,quaevtfigillatimesplicentur,røm ab otoexordientur;&
inprimisantequamRomulusleges 1.2.demai. vixit . 798
pokealogesquasdamipfetulit,cum alijsfequentibusRo.
gibus,quascuriatasappellarunt,fequidemconuacatoper trigintacuriaspopulo
Imgalifý;curijsinseparatasepra conftitutis&sententiamrogatistegesolim
ferebankor,;? quae populi congregario-comitia curiata dicebantur,à . .
cocundo;quòdpopuluscoiret,& viritimlogesterret,& dicerScruiusTulliusRex
hunc mioremimuutle:camépo pulo eaporekasrelictaest,vt plebiscita,& leges
comitijs. dätPolybius,quaeoninesRerumpub.forniasin seconti not atg
congregat,nequacaruim vlera quàm facis fit au & a 1ist. & prouceta in
sibiadherenteni,& coguatam pernicien in: -b.cideret:fódvniufcuiufớiroboreacpotentiainterfeinui
liseem obnitentesullaciuitatisparsvfquam declinaret,ne 1.Dvivein altum
propenderer. 13961 ex supradi& isautem dubucabit forfan
aliquis,curfaciliusa Pomp.in
suriarasferretpopulusincertoiurs,incertisquelegibusparis. H 2 curiaris LECALI
vinil in1.& ler VITAE ACTIVAE. COROLLA'RIY M, 1Augusto.799:hinc&SuetoniusaitTiberiumàCaefarein
forolegecu .. riaelleadeptatum,hoceftfuffragijspopulipercuriascol lectis.
quidam retulerunt.'!,50367*pe: TAPE PTA LEGALIA ! I l a r u n t, a d h a e c v
e r ò a d d i t a s u n t p l e b i s c i t a , S e n a t u s c o n fulta,practorumedicta,&principum
placita,exquibus 1 EJSER VI.
806:Seruorumverò(cuiusorigodeiuregentiumfluxit)iuxta curiatisferrentur,iii
IB":NOI 381 ? quaedam .de iur. 8oz idemparierrorelabiturybiputabat,cum
quiinciuitate s u a F a c i n u s p a t r a s s e t , si i n a l i u m l o c u
m p e r u e n i f f e t a c c u s a m o m .iud. ai tik d i t e r e a s u n t p
r u d e n t u m d e c l a r a t i o n e s , q u a s r e s p o n s a a p p e l
uorum fi Ергл. 800exa& isdeinceps RegibuslegeTribuniciaRegumleges antiquataesunt,poftquècaepitpopulusRomanusincer
tomagisiure& consuetudinealiquavti;quamlegelata, d o n e c d e c e m v i r
i l e g e s à G r a e c i s p e t i e r u n t, q u a s i n t a b u
liseburneispraescriptaşpro roftrisappofuerunt,vtfaci lius percipipoffent,atý;cum
animaduerfumeffetaliquid 1 primisistislegibusdeelle;aliasduaseisdem
tabulis,adie cerunt,& itaexaccidentiappellataesuntlegesduodecim 14 'ride
illo crimine non potuisse exemplo Hermiodori. quidemomneiusRomanorum coaluit.
804quodquidem yniuersumrefertur,veladpersonas,velad res,vel ad a & iones .
Iureconsultiverbavnatantùntfuitconditio,istig;domi defta.ho.
nioalienocontranaturam subijciebantur. :.ning Liberi in li. c u m tabularum
,quarum ferendarum authorem fuiffe deccm Cic.I.v.in. virisHermodorumquendáEphefumexulanteminItalia
Tus, argumentum adexules.net ibni i P E R S O N A E lib.3.f.dedos hominesautem
autliberisunt,autferui. fta.ho. li ? رز inli.2.de80r
rationeveròhuiusHermodorinonrectè colligitBaldus زل: { or.iu. E P'T A , 8oz
inillisautêquiafummaeratobscuritas desiderataeprop habent,quodlibet
faciendilegenon prohibitum ,atý;isto rum
,alijsuntliberti,alijlibertini,alijingenui.
quiàmorteinvitamillosreuocarunt,appellabantur. -809 horun,autem
alijciueserantRomani,quivindi&ta,censu,Vlp.cap.s. : a u t t e s t a m e n t
o n u l l o i u r e i m p e d i e n t e n i a n u m i s l i s u n t, alij
instic. latiniIuniani,quiexlegelunia interamicos manumisli funt,alijdeditiorum
numero ,qui propter noxam torti nocételáinuentisunt,deindequoquomodo
nianumisli. LIBERTINI. INGEN VI. $ 11. Ingenuorum veròalijluisunt
iuris,alijverò alieno iuri fubie&i. 812
etsaviequialienoiurisubie&isuntfilijfamiliâsappellan-1.1.f.&his
tur,quiinditione,& poteftatepatrissuntvelnatura,velquisútlui adop. 813
naturasuntquiexnuptijsvxoris,& maritioriuntur. NVPILAE. 814
NuptiacveròapudRomanostribusperficiebanturmodis Bəê in2: tiaepercoemptionem .
816 Mulieresautem quae in manu per coenuptionem conue
nerantmatresfamiliâsvocabantur,quaeveròvsu,velfar reationeminime. 817
caeteraealiaevxoresvsuerant. 818 animaduertendumestautem maximam
fuifledifferentia adoptione. farreationenempè,coemptione,&ylu,&
fanèfarreatioTop.Cic. folispontificibus conueniebat. -815 coeniprioverò
cereissolemnitatibusperagebatur,fese.n. ܀ 1. 2.
ff.de METHODVS.; 1 I B A R I. 59 807
Liberisuntquinulliusimperiofubie&ifacultatemliberā LIBERT1. 308
Libertifuntquosdominiexiustaserui. Il convito di Platone. OPERE DEL MAZZONI SΤ
Α Μ Ρ Α Τ Ε. I. Discorso de' Dittonghi di Giacopo Mazzoni all'Illu strissimo
Signor ilSignorFrancescoMaria de Marchesi del Monte . In Cesena Appresso
Bartolomeo Raverio 1572. in 8. Questo Discorso sitrova altresì inserito nella
celebre Raccolta degliAutoridelbelParlare,impressanellaSa licata Tomo III.
pag.1015. e segg. II.Discorso diGiacopo Mazzoni indifesa della Comme dia del
divino Poeta Dante. In Cesena per Bartolomeo R a
verii1573.in4.LadedicaèAlMoltoMag.mioSig. Osservandissimo il Sig. Tranquillo
Venturelli . D a Cesena alli 15. di Giugno 1573. D e ' motivi, che indussero
l’autore a scrivere questo dotto ed ingegnoso Discor so , se ne ragiona qui
addietro a cart.19. e segg. III. Jacobi Mazonii Oratio in funere. Guidiubaldi
Fel trii de Ruvere Urbinatium Ducis .Pisauri apud Hierony mum Concordiam1574.
in4. IV.JacobiMazonii Cæsenatis deTriplici HominumVi. ta ,Activa nempe ,
Contemplativa , ei Religiosa Methodi tres,Qyestionibusquinque millibus centum
etnonagintase ptem distincta . In quibus omnes Platonis et Aristotelis , m u l
tæveroaliorumGræcorum,Arabuin,etLatinorum inuni verso Scientiarum Orbe
discordiæ componuntur. Quaomnia publice disputanda Roma proposuitAnno salutis
M.D.LXXVI. Ad Philippum Boncompagnum S.R.E. Cardinalem amplissi mum
.CæsenaBartholomæusRaveriusexcudebatM.D.LXXVI. in 4. Questo volume contiene le
celebri Conclusioni di quasituttelescienze,cheilMazzonidifesepub blicamente
nell'età di 27. anni con meraviglia di tutta S2 . 1 DEL MAZZONI. 139
Ita 1T Della Difesa della Commedia di Dante ec. Parte Pri ma ,che
contiene liprimi tre libri,pubblicata a beneficio delMondo letterato.Studioe
SpesadiD.Mauro Verdoni, « D. Domenico Buccioli Sacerdoti di Cesena , e da essi
dedi cata all'Illustriss. eReverendiss.Monsignore Sante Pilastri Patrizio
Cesenate dell'una e dell'altra Segnatura Referen dario , Abbreviatore de Curia
, e della Santità di N. S. In nocenzioXI.eSua Cam. Apost.CommissarioGenerale.In
Cesena Per Severo Verdoni M.DC.LXXXVIII. in 140 VI A e V. DellaDifesa
dellaCommedia diDante distintainseta te libri ; nella quale si risponde alle
opposizioni fatte al D i s corso di M. Jacopo Mazzoni , e sitratta pienamente
dello arte Poetica , e di molt altre cose pertenenti alla Filosofia, e alle
belle Lettere . Parte prima ; che contiene i primi tre libri.Con due
Tavolecopiosissime.AllIllustrissimo eRe verendissimo Sig.ilSig. D. Ferdinando
de'Medici Cardinale di Santa Chiesa . In Cesena Appresso Bartolomeo Raverii
l'Anno MDLXXXVII. in4. . Italia . N o n seguì però questa famosa Disputa in R o
ma nel 1576., com ' egli avea disegnato di fare, ma bensìinBologna nelFebbrajo
dell'anno seguente; on degliconvennemutare ilfrontispizio alsuolibro, e porvi:
Quæ omnia publice disputanda Bononia proposuic Anno SalutisM.D.LXXVII. Veggasi
qui addietro dalla pag.35. sino a43. ove sitrattaampiamente disìfatta disputa,e
delmeritodiquestolibro. ΤΑ e 1 . DellaDifesa dellaCommedia diDantedistinta
insette libri , nella quale si risponde alte opposizioni fatte al Disa
corsodiM.JacopoMazzoni, esitrattapienamentedell' Arte Poetica , e di molte
altre cose pertinenti alla Filosofia , ed alle belle lettere. Parte Seconda
Postuma , che contiene gliultimi quattro libri nonpiù stampati; edora
pubblicata 4. DELMAZZONI. 14.1 a >
incuisitrova,cosìpergloriadelMazzoni,come p e r l e i n s i g n i q u a l i t à
d e l P r e l a t o , c h e v i si r i l e v a n o , c r e d o ben fattodiriportarlainquestoluogo,edèlaseguente.
a beneficio delMondo letterato. Studio eSpesa diD. Mait ro Verdoni,eD. Domenico
Buccioli Sacerdoti diCesena,. da essi dedicata All Illustriss. e Reverendiss.
Sig. Monsig. Rinaldo degl Albizzidell'una e dell'altra SegnaturaRe ferendario ,
Giudice della Sacra Congregazione di Propagan da , ePrelato domestico di N. S.
Papa Innoc.XI. in Cese na per Severo Verdoni 1688. in 4. Nell'occasione , che
D. Mauro Verdoni , illustre letterato di Cesena , ebbe ri soluto di pubblicare
questa seconda parte della Difesa di Dante , vedendo che la prima era di già
divenuta assai rara , si determinò d i dover ristampare anche questa , siccome
fece , dedicandola a Monsig. Sante P i laseri Prelato Cesenate per dottrina e
per esemplarità di costumi riguardevolissimo, il quale aveva prestato a tal
effetto al Verdoni ed ajuto e favore . M a essendo
Monsig.Pilastripassatoamigliorvitaintempo cheap pena n'eraterminata lastampa,
convenne aglieditori > procacciarsi un nuovo Mecenate , cui subito ritrova rono
senza uscire dellalorpatria nelladegnissima per sona di Monsig.Muzio Dandini
Vescovo diSinigaglia, Prelato anch'esso digran nome ; onde è avvenuto che quasi
tutti gliesemplari siveggono con nuova dedica indirizzati a questo secondo ,
ede'primi non m'è riu. scito discontrarne cheuno,ilquale siconserva pres so
dime unitamente all'altro dedicatoaMonsig.Dan dini. La dedica a Monsig.Pilastri
è in data de 10. Settembre 1688.9, e quella a Mopsig.Dandino è de'17. dello
stessomese edanno.Epoichèquestaprimade dica merita assolutamente d'essere
tratta dall'oblivio > . ne Illuge 142 VITA 'animo
fatociperultimare que sta grande impresá frastornataci da tanti ostacoli) abbia
mo stimato convenientissimo debito presentarla a V. S. Illu striss. per una
particella di dovuta restituzione , eriman
dar(comesidice)questoFiumealsuoMare.Nepunto erriamo,sesottonone diMare
ricopriamolavastità delsa pere , la profondità della prudenza , i tesori delle
Cristiane virtù,cheadornano l'anima di V. S. Illustris.Avvenga che, se
sirifletta con quanta carità dispensa ella a'Poveri isussidjdellavita,
a'suviConcittadinilegrazie, con quan ta magnanimità , emulando la pietà de'suoi
Avi, eregga agliEroidelParadisogli Altari;sovvengaleCongregazioni del
Taumaturgo Fiorentino , ed in specie questa della Pa che con tanta esemplarità
dal Porporato , che ci regge, ècomunemente protetta,e progredisce ne dettami
delpiosuo > Illustriss. eReverendi ss.Monsig. Comparisce sulla
scena delMondo alla seconda lucelaPri. ma Parte di cotestaDifesa fregiata del
pregiatissimo nome di V.S. Illustriss.per contestare, che volume si prezioso
meritò sempre ne'suoi natali uscire ornato in fronte del no me d'uno d'e primi
Personaggi, che venerasse il Secolo. Ed
invero,sesiconsiderinoledignità,merito,virtù,e l'altre venerabili doti, che
adornano l'animo di V. S. III., puossi senza veruna nota concludere, che sia
sempre stato secondato da segnalatissimi favori nelli suoi ingegnosi parti
ilnostroMazzoni; mentre questi sono stati sempre genero samente accolti, edalle
prime Cattedre, eda'primiSavj del mondo, leggendosi sino da’Chinesi iportenti
di questo grandeingegno. Ondenoiinconsiderazione dellegrazietan
tevoltecompartiteci,e dell tria , ' Fondatore , non potiamo, nè dobbiamo
concludere altro della religiosa prodigalità della sua mano , se non quello,
che della mano dispensiera di Probo cantò Claudiano: Præ 1 DEL MA
ZZONI. 143 Præceps illamanus Auvios superabatIberos, zioni,eprove
dell'amore che V. S. Illustriss. le porta ed in udire tutto giorno i
religiosiattestati della sua pietà a risplendere o ne' Tempii, o negli Altari ,
non le consacri tuttose stesso in olocausto ? Se nontemessimo tormentar quivi
la sua modestia , proseguiressimo a mostrar con mille prove la sua gran
dilezione verso la Patria , e noi tutti ; giac chivisonopochi,chenonrammentino
legrazie,ifavori, eisovvegni conseguitidallabontà diV. S.Illustriss., ch'e
Aurea dona voinens . A questoMareadunque,ladicuigentilissimaaurahacci sovvenuto
a condurre alporto un Opera contrastataci da im. petuosi aquiloni di mille infortunj,
abbiamo noi presentato nella tavola de nostri voti questo eruditissimo libro,
col solofinedi rimostrare all'universale Repubblica diDotti, che se la nostra
Patria ha saputoprodurre iMazzoni , i > Chiaramonti , i Dandini , e gli
Uberti , preseduti alle pri me CattedrediRoma,diParigi,diBologna,ediPisa, ha
ancora nelmedemo tempo avuto nobilissimiFigli, chegli
hannogenerosamenteaccolti,favoritiegraziati. Egiacche questa Difesa per se
stessa rende immune da qualsisia di fesa l'Autore , che ha saputo mettersi in
tal quadraturii coll' altissimo suo sapere , che non paventa veruna offesa ;
resta perciò liberaaV.S. Illustrissima lasola difesa epro tezione di noi, che
abbiamo volentieri registratoin questo Libro lossequiosissiino e riverentissimo
tributo della nostra divozione al di leigran Nome ; che non potrà mai ricor
darsi e da noi , e dalla Patria tutta senza rassegnargliene con un eccessivo
ossequio un tenerissimo affetto. Perciocchè chi è , che nella Patria in vedere
le affettuose dimostra f > mula di quelGrande , neque negavit quidquam peten
tibus; et ut quæ vellent, peterent, ultrò adhortatus est . Cesena
10. Settemb.1688. Sacerdoti Cesenati, VJ. Discorso di Jacopo Mazzoni intorno
alla Risposta ed alle opposizioni fatregli dal Sig. Francesco Patricio ,
per 144 V I T A. est . M a vaglia per tutti, e sia ne' fasti dell
eternità a caratterid'oro registrata la grande restituzione , che ha fat to
alla Patria del suo gloriosissimo , e primo seguace del
Redentore,MartireePastored'EvoraS.Mancio ladi cuimemoria quasi quiestintaèstata
dalla dileiPietàrav vivata ; le di cui Sante Reliquie , fatte portare dalle
ultime regioni del Tago , siccome hanno impietositi gli Altari , così ancora
hanno indotta tal venerazione del di leiNome , che ingegnosamente si dice , meritar
ella corona più preziosa di quella , che da'Romani donavasi a chi rendeva i
suoi Cit tadini a Roina;ovvero che solamente lapietà diMonsig. Sante ha saputo
accrescereifigliSanti allaPatria;eche sopra questo fortissimo Pilastrosivede
ogni giorno più sta bilita la divozione verso gli Eroi del Paradiso in Cesena .
V i v a d u n q u e i l n o m e d i V . S . I l l u s t r i s s. , e f i n o c
h e i n o s t r i celebratissimi Rubicone e Savio tributeranno i loro liquidi
argentiall'Adriatico,restiimpressa neglianimidituttila memoria di si gran
Benefattore. Vivaquesto Cesenate Ti moteo , a cui non Atene , m a Cesena , che
è pur l'Atene della Romagna,ergapertrofeounacoronadicuori. Mentrenoi.
restringendocia supplicarladigradire quest'attestato delno stro umilissimo
ossequio , riverentemente inchinati, la sup plichiamo anon
isdegnarsidipermetterci,checipubblichid mo per sempre Di
V.S.Illustriss.eReverendiss. Vmiliss.eReverentiss. Servi Obblig. D. Mauro
Verdoni , e D. Domenico Buccioli > te DEL MAZZONI. 145 tenente
alla Storia del Poema Dafni , oLitiersa di Sositeo Foeta dellaPlejade. InCesena
appressoBartolomeoRaverii l'annoMDLXXXVII.in4. VII. Ragioni delle cose dette ,
ed'alcune autorità citate da Jacopo Mazzoni nel Discorso della Storia del Poema
Dafni oLitiersa di Sositeo . In Cesena per Bartolomeo R a verii 1587. in4. Del
merito diquesti dueOpuscoli, e della cagione , che indusse l'autore a scriverli
, si vegga acart.78.e segg.,eacart.84. e85. IX. Jacobi Mazonii Cæsenatis , in
almo Gymnasio Pisano Aristotelem ordinarie,Platonemveroextraordinem profiten
tis, in universam Platonis etAristotelis Philosophiam Pre ludia , sive de
comparatione. Platonis et Aristotelis . Liber
Primus.AdIllustrissimumetReverendissimumCarolumAn sonium Pureum Archiepiscopum
Pisanum .VenetiisM.D.XCVII. Apud Joannem Guerilium in fol. Questo volume , che
dal Mazzoni era,forse non senza ragione, riputato il suo capo d'opera , si vede
al presente giacere quasi in una totale dimenticanza , colpa de' nuovi sistemi
di Filosofia , che di poi si sono introdotti . Ad ogni m o d o è o p e r a d o
t t i s s i m a , e q u a n t o m a i s i p o s s a d i -. re ingegnosa , e nel
suo genere affatto singolare ; con tenendo
quasituttiisistemidegliantichiFilosofiesa 1 Februarii anno CIDIO XXCIIX .
In Exequiis Catherina M e dices Francorum Regine. Florentia apud Philippum Jun
ctam M.D LXXXIX. in 4. L'Autore dedica questa sua . VIII. Jacobi Mazonii Oratio
habita Florentia VIII. Idus Orazione a Don Virginio Orsino Duca di Bracciano
per 1 ! i molti favori , che avea ricevuti da questo m a gnanimo
eliberalissimoSignore;dallacuigentilepro pensione verso di sè dice , che
sisentiva tratto a scri vere, epresentargli un giorno cose molto maggiori . .
mi . T minati ed illustrati in una maniera sorprendente. X. Lettere
. Una lettera del Mazzoni scritta a Belisa rio Bulgarini si trova impressa a
cart. 121. delle Consi derazioni del medesimo. Bulgarini sopra il Discorso di
esso Mazzoni in difesa della Commedia di Dante . In Siena appresso Luca Bonetti
1583. in 4. Tre altre scrit teparimente alBulgarini sileggono a cart.218.219. e
222. delle Annotazioni , ovvero Chiose Marginali dello stesso Bulgarini sopra
la prima parte della Difesa di Dante del Mazzoni . In Siena appresso Luca
Bonetti 1608 . io4. Eduna indiritta aSperonSperoni staacart.355. del volume
quinto di tutte l’Opere di esso Speroni dell'ultima edizione di Venezia .
ΟΡΕRΕΙΝΕDITΕ. XI.Dialoghi in difesa della nuova Poesia dell'Ariosto. Di questi
Dialoghi fa menzione ilMazzoni medesimo allapag.20. delsuoDiscorsode'Dittonghi;edicech'era
presto,aDio piacendo,periscamparli,ilchepoinon fece, forse per essersi
ricreduto sovra tale materia ; giacchè allora, che fu l'ango 1571. , era molto
gio XII. ConsiderazionisopralaPoeticadelCastelvetro.Que ste furono mandate
dalMazzoni alBarone Sfondrato, che ne dà ilsuo giudizio inuna
letterascrittaall'auto r e t r a q u e l l e d e l V a n n o z z i V o l . I. p
a g . 8 2 . 146 V Ι.ΤΑ . vane . . XIII.Commentarj sopratuttiiDialoghi
diPlatone.Prea se ilMazzoni a scrivere questi Commentarj per soddis fazione
diFrancescoMariaII,dellaRovereDuca d'Ur bino , ed egli medesimo ne fa menzione
in una lettera scritta a Giulio Veterani Ministro del Duca , come pu . re
a reinaltraaBelisarioBulgarini, cheleggesi acart.213. delle Annotazioni
ovvero Chiose marginali ec. di esso Bul garini.IlMazzonimedesimo
poiacart.727.della DifesadiDante nomina isuoiCommentarj soprailFedone, X I V .
Libri de Rebus Philosophicis , fatti ad imitazion di Varrone .Compose ilMazzoni
quest'opera inunasua villetta sulla riva del Savio , e nel Novembre del 1590.
disse a Roberto Titi che pensava di pubblicarla prima della seconda parte della
Difesa di Dante . Veggasi q u a n todamesenediceacart.44.e98.delpresentevo lume
. X V . Censura del primo Tomo degli Annali del Cardinal Baronio . Il celebre
Riccardo Simon in una lettera a M o n s i g . M u z i o D a n d i n i , c h e
si l e g g e a c a r t . 9 . d e l v o l .4 . della sua Biblioteca Critica ,
afferma d'aver inteso da questo Prelato , che ilMazzoni avea scritto contro il primo
tomo del Baronio , tosto che questo uscì in luce , il che fu l'anno 1587 , e
che il manoscritto di quest'operasiconservavanellalibreria delGranDuca. 1
i 9 1 DEL MAZZONI. 147 XVI.Discorso d'una breveNavigazione, chesi puòfare da
Portugallo nell'Etiopia , e nel Paese del Prete Janni . All Il.ed Ecc. Sig.
Giacomo Buoncompagni General di S.Chiesa,eMarchese diVignola.Questositrovainuna
Miscellanea della Biblioteca Vaticana . XVII.Discorso sopraleComete.Anche
questoDiscor so,lodatissimodalSig.Guidubaldo de'Marchesidel Monte celebre
Astronomo , dovrebbe ritrovarsi nella Libreria Vaticana tra'Codici Urbinati; ma
per diligen zefattenon sièpotutorinvenirealnum.513.,alle. gato dal Conte
Vincenzo Masini nelle Annotazioni al primo libro del suo Poema del Zolfo, e dietro
a lui dal P. Muccioli a cart.116. del suo bel Catalogo della Bi . T 2 1
Biblioteca Malatestiana . Veggasi ciò , che del pregio di quest'operetta
si è da noi detto alla pag. 101. XVIII. La Fisica , e i Dieci Libri dell'Etica
d'Aristo tile . Il Tadini scrive , che il manoscritto originale di quest'opera
, mancante però e imperfetto , si conser vava alquanti anni sono presso ilSig.
Gio:Antonio Al merici Nobile Cesenate . Il medesimo si afferma dal fu Dottore
Giovanni Ceccaroni in alcune memorie mano scritte, comunicateci dal
Ch.Sig.Arcidiacono Chia ramonti , dalle quali si apprende , che lo stesso Cecca
roni avea fatta copia dell'originale inedito dell' Etica sino dal 1719.; ma
sento che questa copia ancora sia andata insinistro,epiù non siritrovi. XIX.InuniversamPlatonisRempublicam
Commentaria. Della Rupubblica di Platone da sé commentata fa ri cordo ilMazzoni
medesimo nella lettera di ZQ / 148 ν Ι Τ Α >
gataalSig.GiulioVeterani;dicendo,che quantopri ma pensava di mandarla , o di
recarla esso medesimo al Sig.Duca d'Urbino . alle La X X . Orazioni . Di varie
Orazioni dal nostro autore composte in diverse occasioni , e non mai pubblicate
, si è fatto memoria nel decorso di quest'opera , prima viene accennata a
cart.89. , detta in Pisa nell' aprimento degli Studi in lode della Filosofia .
La se conda scrittada luieloquentissimamenteper movere il Pontefice Clemente
VIII. a ribenedire ilRe Arrigo IV. di Francia a cart. 99. La terza detta ne'
funerali del celebrePierAngeliodaBargaacart.100. El'ultimafinal mente
recitatanell'Archiginnasio Romano , facendo una comparazione tra l'antica Roma
e la moderna ; . della quale sifavella acart.112. X X I ., L e z i o n i . Q u
a t t r o L e z i o n i a l t r e s ì s c r i s s e i l M a z sopra
DEL MAZZONI. 149 zoni , che mai non videro la luce . Elle furono reci.
tate in Firenze , due nell'Accademia Fiorentina per ri schiaramento di due
luoghi di Dante ; e l'altre in quella della Crusca sopra iBrindisi ,e le feste
Vinali degli Anti chi.Veggasi acart.77.94.95.e97. XXII. Lettere. Di alquante
lettere del Mazzoni si conservano gli originaliin Pesaro nella libreriaGior
dani , delle quali lach.me.del dottissimoSig.Annibale
degliAbatiOlivierisicompiacque giàmandarmi copia; esono
trescrittealCardinaleGiuliodellaRovere,una al Duca d'Urbino , due a Giulio
Veterani, ed una a Piermatteo Giordani.Altre parimente originali scrittea
Belisario Bulgarini si trovano in alcuni Codici esistenti nella Libreria
dell'Università di Siena . Oltre aquest'opere ilTadini afferma,essercime moria
, che dal Mazzoni sieno state scritte anche le seguenti , cioè I. In Homerum
Paraphrasis. II. Numi smatumGræcorumInterpretatio.III.InLullum Commenta
ria.IV.NaturalisPhilosophieArcana.V. Secretoperco noscere da'Bigari e
Quadrigati , denari Romani , qual fa zione restassevittoriosa ne'Giuochi
Circensi, se la Veneta o Prasing Rossa o Bianca . VI. Tractatus de Somniis .
L'originale di questo trattato de'Sogni dice, che fu venduto molti anni sono da
certuno al Sig.Pier Girolamo Fattiboni Gentiluomo Cesenate ; ma che avea
incontrata la stessa disgrazia degli altri, non si essendo più tro vato . Forse
tutti questi mss.dovettero essere in quelle dieci casse di libri del Mazzoni,
che rimasero dopo la di lui morte presso Girolamo Mercuriali in Pisa , c o me
ilDottor Ceccaroni nell'accennate Memorie afferma apparire daun
pubblicoDocumento rogato li2.Mag gio 598. ) . . , . Per Per
ultimo il sopralodato Sig. Arcidiacono Chiara monti mi assicura , esservi anche
al presente chi sostie. ne doversi attribuire al Mazzoni , così la Canzone c o
m postainlodedelTorneamentofattoinCesenanelCar novale dell'anno 1587. , la
quale incomincia Mostra l'alterafronte,come ladifesadellamedesima,chefu
pubblicata sotto nome del Bidello dell'Accademia con questo titolo; Risposta di
Matteo Bidello delloStudio di Cesena al Parere d'incognito Oppositore fatto
sopra la C a n zoneMostra l'altera fronte.InCesena conlicenza de Su perioriPer
BartolomeoRaverii1587.in8.;machenon avea avuto modo di verificare veruna di
queste voci. lo per altro non averei difficoltà di credere, che così
laCanzone,come ladifesapotesseresserefatturadel nostro autore , essendo la
Canzone assai bella ; e la difesa molto dotta e giudiziosa , e degna
assolutamente del nostro grande e celebratissimo MAZZONI . Mazzoni. Keywords: implicature,
repubblica romana, the Latins on ‘vita activa’, I romani e la vita attiva.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzoni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691412553/in/photolist-2mNzeEc-2mKN13V-2mGnP2f
Grice e
Meis – implicatura – IL FU MATTIA PASCALE – lo spirito abruzzese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Bucchianico). Filosofo. Grice: “I agree with Meis’s naturalism; he
proposes a three-stage development: vegetal, animal, man – his naturalism has a
Hegelian side to it, while man is more old fashioned, more Kantian!” Figlio di
un medico aderente alla carboneria e di ideali mazziniani, nacque a
Bucchianico, dove compì i primi studi: li proseguì presso il Regio collegio di
Chieti e poi a Napoli, dove fu allievo dei letterati Basilio Puoti e Francesco
De Sanctis, Spaventa e Ramaglia. Si laureò e nel 1841 divenne socio
dell'Accademia degli Aspiranti naturalisti, di cui diventerà presidente nel
1848; fu poi medico aggiunto dell'Ospedale degli Incurabili e aprì una scuola
privata di grande successo, dove insegnò anatomia, patologia, fisiologia e
scienze naturali. Fu poi rettore del Collegio Medico di Napoli. Dopo la promulgazione della costituzione nel
Regno di Napoli, venne eletto deputato per la circoscrizione Abruzzo Citra:
sostenne la protesta di Mancini contro la repressione operata dalle truppe
borboniche contro i manifestanti e l'accusa di tradimento al re. Fu quindi costretto all'esilio: dopo un
soggiorno a Genova e a Torino, si stabilì a Parigi. Esercitò gratuitamente la
professione di medico per gli esuli e gli emigrati italiani; insegnò
antropologia all'università ed entrò in contatto con il mondo scientifico
parigino, diventando assistente di
Bernard e ottenendo da Trousseau l'incarico di insegnare semeiotica.
Strinse anche un proficuo rapporto con Cousin. Rientrò in Italia, prima a Torino e poi a Modena, dove insegnò. Tornò a Napoli e divenne assistente di De
Sanctis, ministro dell'istruzione nel governo provvisorio, e venne eletto Membro
straordinario del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione. Fu deputato al Parlamento del Regno d'Italia sedendo
tra i ministeriali. Busto di Angelo
Camillo De Meis al Pincio (Roma) Non si sa né dove né quando fu iniziato in
Massoneria, è certo tuttavia che nfu membro della Loggia Felsinea di Bologna. Insegna
a Bologna. Il suo naturalismo lo spinse a cercare un fondamento
filosofico-spirituale alle scienze della natura, che egli trovò nell'idealismo
di Hegel. Fu anche amico intimo e collega di Siciliani, del quale condivise in
parte la speculazione intorno al positivismo.
Venne citato, di passaggio, nel romanzo di L. Pirandello Il fu Mattia
Pascal. Fu costruito il nuovo palazzo
della Biblioteca provinciale di Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a
De Meis. V. Gnocchini, L'Italia dei
Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, De Meis Angelo Camillo, su treccani. Il protagonista del romanzo infatti ascolta
casualmente, durante un viaggio in treno, una conversazione fra due eruditi, e
dato che è uscita la notizia della sua morte, sceglie come proprio nuovo
cognome "Meis", traendolo da "De Meis". Il nome sarà
"Adriano", udito dal fu Mattia nella stessa conversazione, che
attribuiva a Camillo De Meis la tesi che due statue nella città di Peneade rappresentassero
Cristo e la Veronica (colei che si sostiene abbia asciugato il viso di Gesù
durante il calvario). In queste pagine del romanzo pirandelliano, Mattia Pascal
prova uno straordinario senso di ebbrezza legato alla propria libertà. F. Tessitore, «DE MEIS, Angelo Camillo» in
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 38, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1990. R. Colapietra, Angelo Camillo De Meis
politico “militante”, Napoli, Guida Editori, Treccani Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Angelo Camillo De Meis, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Angelo
Camillo De Meis, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. openMLOL, Horizons storia.camera,
Camera dei deputati. Angelo Camillo De
Meis di Giacomo de Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale
Superiore di Pisa Cagliari. L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Nella prima edizione di Il fu Mattia Pascal figura qui un GIUSEPPE De
Meis, che nelle successive si precisa nel nome di un seguace piuttosto atipico
di Francesco De Sanctis, il filosofo abruzzese Angelo Camillo De Meis.
Difficile immaginare che questa schelta sia del tutoo casual, altrettanto
difficile sondarne a fondo le ragioni e avanzare qualche ipotesi. A men oche
non si pensi al saggi in cuil Meis (“Darwin e la scienza”) tenta una sistesi
tra evoluzionismo e dialettica hegeliana dello spirito; onon si immagini che
possa essere il suo pensiero, sull’IMPOSSIBILITA della demo-CRAZIA in Italia,
alla radice di uno sfogo politico de Adriano Meis. Meis, del quale Mattia
Pascale prednde parte del cognomen, e autore di una specie di impegnativo
paradosso politico (IL SOVRANO), nel quale sostene la necessita di una REGALITA
forte, come punto di mediazione disinteressata tra le passioni laceranti di varia
strati della popolazione. E questo E il solo possible filo che riusciamo a
intravedere tra lui e questo improvviso (ma forse non del tutto imporgrammato)
sfodo di Adriano Meis. NALITICO I. Antichità — Oggettivismo. Oggettivismo
primitivo — da Talete ad Anas- sagora pag. 3 Soggettivismo pratico
individualista —So- fisti. Soggettivismo pratico universalista —So- crate » 4
Oggettivismo ideale assoluto — Platone . » 5 Soggettivismo incompiuto —
Aristotile . . » 6 II. Tempo moderno — Soggettivismo. Soggettivismo pratico
intuitivo —Stoicismo. Epicureismo. Scetticismo. Neoplatoni- smo. Cristianesimo
» 8 Oggettivismo ideale particolarista — Ro- scellino. Occam » Oggettivismo
sensibile — Bacone. Condillac. Diderot,d’Holbac. . „ * * , 18 Passaggio alla
soggettività — Hame. Kant. . » 2Q Oggettivismo ideale universalista —S. An-
seimo. S. Tommaso. Scoto . » 24 Digitized by Google Soggettivismo
tendente alla oggettività — Cartesio .... Oggettivismo assoluto — Geulinx.
Molle- branche. Spinosa 31 Oggettivismo dogmatico individualista — Lcibnitz.
Wolf » 34 Passaggio alla soggettività —Berlielei/. Kant » 44 111. Tempo recente
— Soggettivismo assoluto. Soggettivismo trascendentale — Kant . . » 48
Soggettivismo assoluto astratto — Fichte . » 80 Oggettivismo assoluto — Schelling
...» 89 Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . » 102 CoNCHIUSlQiSE
Lastoriadellamedicina . , , , Cosa è lo Stato? Lo Stato
è l'uomo grande; è la società umana individuata. L'ha detto Aristotile:
lo Stato è la società che basta a se stessa. 11 che appunto vuol dire che
lo Stato è il grande organismo umano, l'individuo gran- de,
compiuto in sé stesso, indipendente ed assoluto. IL L'
uomo piccolo è una scala ascendente di fun- zioni. Egli ha per base la
funzione vegetativa, per cui mangia e beve e si nutre, veste panni, abita
un nido e si riproduce: la funzione riproduttiva è l'apice, e la
corona della vita vegetativa. Egli è questo il sistema dei suoi
bisogni mate- riali, vegetativi ed animali. Ma 1' uomo
elementare non è soltanto un vege- tabile compenetrato e avvolto da un
animale; egli è anche un animale, un'anima, sormontata dall'unità
dello spirito, avviluppata e compenetrata dalla coscienza umana. La
riproduzione è la corona della vita vege- Digitized by
VjOOQIC — 4 — tale ; la coscienza è la corona della
vita animale ; e la coscienza assoluta è la corona e F apice della
vita spirituale. Come spirilo l'uomo è per prima cosa, e
per prima base, morale. La moralità, la virtti privata, è la forma
più naturale dello spirito : essa è il patrimonio dell'individuo, e resta
confinato e chiuso in lui. Il dritto è F uomo aggrandito; egli è
l'individuo che si aggiunge una porzione della natura esterna; ed è
una estensione del suo corpo , e della sua anima; ampliazione della sua
natura organica, ed esplicazione della sua natura giuridica
spirituale. E a tutto questo sovrasta F Io, la libera
coscienza, che è come il perno intorno a cui tutto gira: centro e
circonferenza del circolo umano. L'Io è la conoscenza di se. Nella
pura coscienza l'uomo conosce sé come sé, come semplice forma; ed
egli aspira a conoscere anco F interno di se, la sua propria natura. E Si
conosce infatti: nell'arte, come bello, e per dir così semi-infinito:
nella religione, come infinito sensibile; nella scienza, come
infinito di pensiero, e sì come pensiero infinito. Tale è il
sistema spirituale nell' uomo piccolo , nelF individuo particolare.
III. NelF uomo grande, nell' organismo politico-indivi-
duale che si chiama lo Stato, ci sono le stesse funzioni. Ci è la
funzione economica, agricola, industriale, commerciale : produzione
materiale, frumento o libro; trasformazione ed assimilazione;
circolazione e scambio; nutrizione e consumazione: relazione sensibile
fra tutti gl'individui dei quali il corpo sociale è formato.
Digitized by VjOOQIC Ci è la funzione morale, non più
chiusa nell'in- dividuo, ma estesa alla società, manifestata come
re- lazione attuale fra gì' individui umani. La morale in- dividua
diventa dritto comune; materia della polizia, e del dritto penale. Nessun
uomo ha il dritto di of- fendere e usar vie di fatto contro un altro
uomo, perchè tutti hanno il dritto che la loro coscienza mo- rale
sia rispettata. Il reo non fa contro uno, ma con- tro tutti; e non è
quindi uno o pochi, sono tutti contro di lui: il sentimento della comune
natura u- mana reclama la sua punizione. Nessun uomo ha il dritto
di maltrattare un bruto; perchè non è il bruto, è il sentimento della
fondamentale unità della natura umana e animale eh' egli ferisce e
maltratta in tutti gli uomini civili e sensibili. La morale individua
è il rispetto della natura; il dritto morale è l'azione conforme ai
fini, ai principii, ai sentimenti naturali. Egli è dunque una relazione psichica,
spirituale, poiché spirituale è il suo fine. Ci è la funzione
giuridica, ed è la relazione del- l'individuo coi suoi annessi naturali
agli altri indi- vidui similmente costituiti di cui la società è
formata. Quello che invade 1' altrui , non occupa solo una por-
zione di natura; egli occupa e viola l'anima di un uomo, la quale è pur
quella di tutti gli uomini, mem- bri di uno stesso corpo sociale; e
perciò tutti si le- vano contro l'ingiusto invasore. Questo tutti è la
legge, che funziona e si esercita in forma di Tribunale. La legge
penale sta di rincontro alla barbarie, alla pas- sione violenta ed alla
guerra privata; un tribunal* criminale è in realtà una corte marziale. La
legge civile è il principio e la regola della pacifica deci- sione:
essa è la libera ragione che si leva di mezzo agli opposti interessi; e
il contrasto troncato in germe, Digitized by VjOOQIC
— 6 — e definito in forma di piato, non solo non giunge, ma
neppur tende alla violenza ed alla guerra. La guerra è la barbarie; la
civiltà è la pace, perchè è la legge, e perciò questa a ragione è detta
civile; e i suoi sono tutti giudici di pace. Ci è finalmente
V Io comune , conoscenza e volere generale; ed è, come tale, una funzione
formale a cui servono di contenuto e di soggetto tutte le funzioni
speciali. s IV. Cosa è dunque lo Stato? Lo
Stato è T insieme di tutte le funzioni materiali ed economiche, morali e
giuridiche, in quanto sono unificate nell'Io comune, che tutte le penetra
e le regola, ed è il punto a cui mette capo ogni particolar
movimento, e da cui parte ogni azione generale. Lo Stato è adunque
l'Io, la coscienza sociale. Tale è la forma: il contenuto è la virtù
pubblica, il dritto civile, il dritto penale, e la pubblica economia.
Lo Stato è il giusto, dice l'Albicini. Sì certamente; ma il giusto
non è che una parte del suo contenuto; è un elemento della sua natura, il
quale piglia neir or- ganismo giuridico la sua forma particolare, e la
sua realtà naturale. Ma un principe non è solo un Gran- Giudice, e
un Parlamento non c'è soltanto per fare il Codice Civile. — Giusto io lo
piglio in senso di legge: e la legge io la piglio in senso di relazione
umana in genere. — Ed io allora la piglio in senso di rela- zione
cosmica universale. Bisogna finirla una volta con le idee vaghe ed
astratte, e con le parole indeter- minate e generali. Lo
Stato è la virtti; dice il Montesquieu: la virtìi è il suo principio ed
il suo fondamento, e il vizio è Digitized by VjOOQIC
la sua rovina. Idee generiche, astratte, indeterminate,
piene di confusione e di errori. La virtù, la morale, non è che un
elemento , ed una sfera dello Stato. Essa ò per se individuale; ma quando
esce dall'individuo, e promove o turba e nega l'ordine sociale inferiore,
e per così dire individuale, essa allora di privata diventa pub-
blica, ed appartiene allo Stato. Che se dall' infima sfera delle
relazioni individuali l'azione si leva alla sfera giu- ridica, o se anche
penetra nella sfera politica, allora essa perde man mano il suo carattere
morale. Un de- litto politico è per poco un non-senso, quando non è
che politico: e tale egli è quando l'animo è puro. Omnia mwnda mundis:
puro vuol dir non-individuale, assoluto, generale. E allora non è a
parlar di delitto e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed
im- prudenza, serietà e leggerezza, verità ed errore, suc- cesso ed
insuccesso. Lo Stato ordina i premi e le pene, e le proporziona alla loro
natura morale, giuridica o poli- tica : se non che una pena politica è
quasi un non-senso: essa in realtà non è che un semplice fatto di
guerra, un puro atto di difesa. — La virtù, dirà il Montesquieu, io
la piglio in senso di forza, di energia politica. — Ed io la piglio in
senso di energia magnetica, elettrica, nervosa, muscolare. — Le antiche
repubbliche erano fondate sulla sobrietà e sulla severa continenza,
sulla parsimonia e la povertà del privato cittadino. Roma cadde
perchè vi penetrò la ricchezza, la voluttà, il lusso dell'Asia. Quella io
chiamo virtù, questo vizio, rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e
ripete Napoleone III, e con lui tutti, dal primo all'ultimo, i
francesi. — francesi, questa che voi fate non è la storia, è il fatto; è
la materia appena un po' digros- sata, non è l'idea che la determina e la
informa; è il fenomeno, non è il pensiero della storia. E lo
vedrete. Digitized by VjOOQIC — 8 —
Lo Stato è il ben essere, la prosperità, la ric- chezza, dice il
Fourier. Sì, certamente: anche questo è lo Stato: ed egli cura la
produzione, promove ogni maniera d'industria, e favorisce il commercio
con istituzioni, e leggi , e procedure speciali. Ma la ric- chezza
non è che il sostrato , il sottosuolo dello Stato. La ricchezza è la
materia , lo Stato è il pensiero : 1' una è il corpo , T altro è l'
anima. L' anima fa il corpo , ma non è corpo per questo; e l'Economia
politica non è la Politica, non è lo Stato. Il principio
dello Stato è la religione, è la Bibbia degli Ebrei, diceva l'Aquila di
Meaux, e per quel tempo non volava male. Ora però, sarebbe il peggio che
si potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno strisciar
per le terre, o come talpa andar per le cieche latebre, odiando la luce e
il puro* e libero aere della ragione. E se monsignor Dupanloup pure
insiste e per- fidia, allora io dico che il principio dello Stato è
l'arte, è la Divina Commedia e il Decamerone , il Barbiere di
Siviglia e la Trasfigurazione. Tanto ci ha che far l'una quanto l'altra,
ed io avrò altrettanta ragione. Il principio dello Stato è Dio,
dirà monsignor Dupanloup. — Sì, certamente; ora finalmente ci
siamo. Non è però il Dio della Religione e dell'Arte, ma il Dio del
corpo sociale , il Dio dello Stato. Questo è che co- stituisce i Re, che
direttamente o per suoi organi crea tutti i poteri e le autorità
politiche; e questo Dio non abita nel cielo; lassù non v' è che il Dio
della Natura: il Dio dello Stato abita nel petto del cittadino, ed
è a lui eh' egli ubbidisce quando rende ubbidienza alle autorità
che ne sono i ministri, il braccio e la parola. Digitized by
VjOOQIC — 9 — V. Lo
Stato non e corpo, è anima. Anima è sapere e volere, coscienza e azione;
e la funzione dello Stato come Stato consiste nel sapor di essere, e nel
volere essere Stato. Questa non è che la sua forma ; ma que- sta
forma è appunto il vero Stato; e la coscienza as- soluta ch'egli ha di
sé, e l'azione comune in cui questa si traduce e si spiega, è per
l'appunto la sua funzione essenziale. La coscienza dello
Stato per intrinseca ed assoluta necessità prende una esistenza naturale,
e spontanea- mente si crea il suo particolare organismo. Essa è
l'anima; ed il sistema dei poteri politici è il corpo che si crea , e in
cui si fa reale. È una creazione im- mediata e diretta, ovvero indiretta
e mediata, come quella d' ogni principio vitale; ma in definitivo è
la coscienza pubblica, ed è sempre lo Stato che crea i poteri e le
autorità dello Stato. Questa funzione crea- trice è 1' elezione.
Ma questo corpo in cui l'anima generale si tra- duce e si
concentra, in realtà non è che una pura anima: è il semplice potere
legislativo. Quest'anima effettiva ed attuale creata dall'elezione, si
crea a sua volta il suo proprio corpo. Tale è 1! esercito : l'
esercito amministrativo e l' esercito militare ; e la finanza è il
sangue di questo corpo generale. L' esercito amministrativo serve
per eseguire o render possibili tutte le funzioni, che compongono
la triplice natura dello Stato: la funzione economica, la morale, e la
giuridica. Un magistrato, un impie- gato, il ministro, il Sovrano, è un
soldato; e il suo onore è d'ubbidir fedelmente alla legge,
all'anima dello Stato. Digitized by VjOOQIC
— 10 — L'esercito militare ha un ufficio anche pili
essen- ziale. Esso serve allo Stato per essere, per esistere; gli
serve a difendersi dalle potenze nemiche, esterne o in- terne, che ne
minacciano la vita economica, politica o morale. Il soldato è il braccio
della legge, e dello Stato; il suo ufficio è di respinger l' assalto o l'
insulto di un altro Stato , e di reprimere le passioni colpevoli
che si sfrenano contro la legge del suo paese, e le isti- tuzioni del
proprio Stato: nobile ed alto ufficio tanto nel primo come nel secondo caso.
I due eserciti sono entrambi assoldati. Sono il corpo, e il sangue
vi dee circolare. Il potere legisla- tivo è l'anima; ed è perciò che non
è pagato. Il So- vrano ha una lista civile perchè unisce in sé le
due nature: egli è il tratto d' unione fra il potere legisla- tivo
e l'esecutivo, e personifica in lui l'unità dello Stato : ed è perciò eh
9 egli è sacro. VI. Sovranità, potere legislativo,
potere esecutivo ; tutto questo è forma di forma : la forma essenziale ,
il vero Stato , è T Io assoluto , la coscienza e la volontà ge-
nerale. Ma non vi è la pura coscienza e l'astratto volere, e non è
possibile una funzione puramente formale. Si è conscii di essere questo o
quello , si vuole e si fa sempre qualche cosa : e lo Stato conosce e fa
da un lato, e dall'altro esegue, la legge economica, la legge
penale, la legge civile. Il Sovrano, il legislatore, V impiegato, il
soldato , tutti vogliono che lo Stato sia; vogliono che sia prospero,
giusto, savio, forte di tutte le fotze morali, e che possa tutte
liberamente spie- garle, ed esser felice. L'Io è la forma; la forza
econo- mica, la virtù, il dritto, è il contenuto dello Stato.
Digitized by VjOOQIC — li — Ma la
forma prevale, e domina il contenuto. La morale domina l'economia: la
produzione non è pos- sibile, e il guadagno non è realizzabile s'egli è
im- morale. Il dritto domina la morale: la virtù pubblica impone
alla virtù privata. L'Io, la pura funzione for- male, domina e modifica
tutte le funzioni speciali che sono il suo essenziale contenuto: lo Stato
domina e modifica il dritto e la morale. Un assoluto vince l'al-
tro: tutti per sé assoluti, sono fra loro assolutamente relativi. Il
volgo riguarda come piti eccellenti gli as- soluti inferiori, perchè piti
naturali, e di più imme- diata e più sensibile idealità. Il più alto è
per lui l'ordine morale; che sovrasta e primeggia sull'ordine
giuridico ; 1' ordine politico è subordinato a tutti e due. In realtà il
più eccellente è l'ordine dello Stato, perchè più generale, e più
assoluto e divino; e quando l'ar- monia fra i tre ordini e le tre
funzioni si rompe, è la funzione formale, la funzione assoluta
dell'essere, quella alla quale appartiene il primato, e prende
sopra l' altre la mano. Scoppia la rivoluzione dal basso o dall'alto:
ribellione, colpo di stato. Slealtà, tradi- mento, illegalità, delitto. È
vero. La coscienza mo- rale lo riprova, la coscienza giuridica lo
condanna; ma v'è (vi può essere) una coscienza superiore che
l'approva; e se non è la coscienza politica dei con- temporanei, sarà di
certo la coscienza politica degli avvenire. La storia approverà il colpo
di stato e la rivoluzione popolare, quando è vera funzion di
essere: quando cioè l' essere apparente dello Stato non cor- risponde
al suo vero essere , a quello che esso è nella coscienza del corpo
sociale, sia che oltrepassi, o sia che rimanga al di sotto di questa
misura ideale. Invadere la proprietà d' un cittadino è
ingiusto; ma lo Stato può farlo; ed è una giusta ingiustizia,
Digitized by VjOOQIC — 12 — ed una legale
illegalità, perchè in tal guisa realizza il suo essere, il benessere
della comunità, o dell 7 intiero corpo sociale. La ragione e il titolo è
la pubblica utilità. Questo è un vedere solo il lato esterno del
fatto, che vi è di certo e non può mai mancare, ma non la sua vera
ragione. Si vede la comodità sensibile, ma non si vede il suo interno
principio, l'essere generale realizzato. Ma non è meraviglia. I nostri
codici sono poco men che tradotti dal francese, e le nostre leggi
fatte esse pure dal risorgimento, parlano la sua lingua e ne riflettono
le idee. Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale: è un
violar l'ordine naturale; è un toglier all'uomo una proprietà che 1' uomo
non ha creata. Ma lo Stato anche questo può fare. Lo Stato è
funzion di essere; egli è, vale a dire una forza : e l' elemento di
questa forza è la sua cor- rispondenza e la possibile eguaglianza con la
coscienza generale. Lo Stato è debole quando il suo concetto resta
al di sotto o supera quello del corpo sociale. — Il secondo, e non già il
primo, è di gran lunga il caso dello Stato Italiano. — Egli è perciò che
quando la società vede nella pena di morte un elemento di so-
lidità, ed un pegno di sicurezza generale, abolirla è un errore: è una
fallace utopia, una velleità teo- rica, difetto di serietà pratica,
scipita sentimentalità, filantropia fuor di proposito; bontà di cuore
forse, ma certo debolezza di mente, che ad altro non condur- rebbe
che a crescer la debolezza, già così grande, dello Stato, accrescendo la
distanza che lo divide dalla co- scienza pubblica, di cui deve render l'
imagine , ed es- sere la fedele espressione. Quando l'opinione sarà
pro- gredita; quando la coscienza dei pochissimi si troverà in
armonia con la coscienza dei moltissimi, allora lo Digitized
by VjOO'Q IC — 13 — Stato sarà forte, e allora la pena
ingiusta, immorale ed inumana della morte si potrà, e si dovrà senza altro
indugio, abolire; perchè allora il paese, divenuto meno incolto e per dir
così più spirituale , avrà cessato di riguardarla come un elemento di
esistenza; e non sen- tirà il bisogno di una garanzia sensibile tanto
barbara e immane. Allora non saranno soltanto pochi pubblicisti
ignoranti e frivoli, ed alcuni legislatori ridicoli, sa- ranno
moltissimi, se non pur tutti, a reclamarne T abolizione. Si
parla sempre dell'utilità della pena di morte. È l'argomento dei
sostenitori, ed è l'achille degli oppositori. Questo è da una parte e
dall' altra un ver- gognoso errore. Necessità non è utilità; e quando lo
Sta- to opera in funzion di essere, egli è in una sfera ideale e
assoluta, superiore alla regione della utilità e del senso. Ma questo sì
vergognoso errore era la verità del Ri- sorgimento; ed è perciò che non
se ne vergognava, anzi l'accettava, e ne andava giustameute
superbo: il senso e l'utilità era tutta la sua filosofìa, ed egli
condannava allora la pena capitale come non utile. Ve- nuto più tardi a
miglior sentimento, il Risorgimento respingeva P utilità , e condannava
la pena di morte come utile. Egli scambia per utilità la necessità
ideale; e non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua verità:
egli è il da ubi consistam della filosofia posi- tiva. Ma se ne
vergognerà di certo quando di risor- gimento sarà passato a secolo
decimonono. Ammazzare un uomo, turbarne i dritti, e vio-
larne il possesso, attentare all'esistenza dello Stato, che è quanto dire
alla vita delle sue istituzioni, è immorale ed ingiusto; e sarà assai di
più ammazzare moltitudini di uomini, insignorirsi, recare in sé
il" dominio (e sia pur l'alto dominio) delle loro pro-
Digitized by VjOOQIC — 14 — prietà, e
distruggere uno Stato. Questo il "cittadino non lo può, non lo dee
fare; ma può e dee talvolta farlo lo Stato. L' usurpazione e la violenza
privata è ingiusta; la violenza pubblica e la pubblica usurpa-
zione non è giusta; è più e meglio di questo, è po- litica; e si chiama
guerra e conquista, e non più violenza ed usurpazione. La
guerra è buona, e la conquista è giusta le- gittima e veramente politica,
(e dico buona, legittima, giusta per convenzione, ed in mancanza d'altre
parole) quando in esse lo Stato opera in funzione di essere: quando
guerreggia e conquista per* vivere per essere, o per diventare quello che
è in sé, e deve anche attual- mente essere. Vi sono società
naturali, che la violenza, l'ar- bitrio, la passione, il caso in una
parola, divide in più corpi sociali , per cui di uno si formano più
Stati. Ma in tutti rimane la coscienza della loro identità po-
litica, e della loro natura storica comune. Yi sono ancora società
originariamente separate, in cui T accidente, cioè l'arbitrio, la
violenza, le pas- sioni umane, col concorso di altri accidenti ed
op- portunità naturali, crea una coscienza comune. La lingua, vale
a dire la comunità e la somiglianza fon- damentale dei dialetti (non mai
la loro identità, che non e' è mai, e non può esserci in natura, ed è
una finzione assurda dei pedanti) è l'organismo sensibile, e
l'espressione approssimativa, e la meno inadeguata, di quella nuova
coscienza. La comune storia è il pro- cesso per cui di un gruppo
accidentale di popoli e di Stati si forma a poco a poco un tutto naturale
e vivente con una interna unità e un' anima generale. La geografia
è la condizione esterna dello sviluppo, e l' occasione più o meno
accidentale di questa for- mazione ideale. Digitized
by VjOOQIC — 15 — La comune coscienza che si è
conservata dopo lo spartimento dello Stato unico originario, non è
più coscienza, ma tende a ripigliare l'antica forma e la primiera
attività; e la coscienza comune che si è svi- luppata in un gruppo di
Stati eterogenei non è che il sentimento della loro comune unità: e nell'
un caso e nell'altro questo sentimento èia nazionalità , la co-
scienza nazionale. E nell' uno come nell' altro caso ciascuno Stato si
trova diviso in se stesso; è un' anima scissa , con due coscienze
distinte ; che l' una è la co- scienza propria di Stato, l' altra è la
coscienza comune di nazione. Esso è dunque in realtà due anime, due
esseri, uno attuale, e l' altro possibile; il primo è Stato, l'altro non
è che nazione: la nazione è la possibilità naturale dello Stato. Ma esso anche
quest'altra parte di sé vuol recare ad atto; esso ha bisogno di
esser tutto il suo essere, e irresistibilmente aspira a far della
sua coscienza politica effettiva, e della sua coscienza nazionale
astratta, una sola coscienza reale. Egli è perciò che lo Stato fa la guerra,
e conquista gli Stati conna- zionali. È la buona guerra, e la legittima
conquista; ma è ancora il processo barbaro, violento, inconsa-
pevole, passionale, irrazionale. Era altra volta la buona soluzione; ora
è divenuta cattiva: il decimonono secolo è tempo di coscienza e di
ragione, e non ammette che la soluzione consapevole, volontaria e
razionale. Questo succede quando in tutti i corpi sociali si svi-
luppa più o meno egualmente di sotto alla loro par- ticolare e diversa
coscienza politica la comune co- scienza nazionale. Tutti allora
aspirano, e tutti fini- scono per fondersi in un soIq corpo di nazione,
in una stessa società, in cui l'antica coscienza nazionale si
eleverà e si perderà ben presto nella coscienza po- litica comune. Non è
più. la soluzione forzata, è la soluzione spontanea e razionale.
Digitized by VjOOQIC — 16 — Egli è nel
primo modo che si sono costituite le nazioni moderne; formazioni
accidentali, prodotti di guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze for-
tunate. Tu felix Austria, tu felix Gallia, etc... nube. La co- scienza
nazionale non esisteva, è venuta dopo. L'Au- stria felicemente accozzava
delle società affatto etero- genee, fra cui non vi è stato che un
principio di fu- sione. Si è formato senza dubbio nella Boemia,
nel- T Ungheria , nella Iugo-Slavia, una coscienza austriaca; ma la
vera coscienza politica è la coscienza boema, ungherese e slava; e ciò
perchè l' austriaca è una co- scienza astratta, occasionale, non è una
possibilità na- turale effettuata e completa; non è lo sviluppo e
la realtà della coscienza nazionale. La Francia riuniva con lo
stesso metodo delle nozze, delle guerre in- giuste e delle astute
diplomazie , degli Stati meno inomogenei, in cui pur v* era un avanzo di
un'antica lingua comune, testimone di una comune coscienza, di
politica rimasta puramente nazionale, reminiscenza di una potente antica
unità; lingua avventizia e forzata, ma che aveva finito per essere
adottata; coscienza av- ventizia, ma che era pur venuta, ed aveva finito
per es- sere la comune essenziale unità del mondo romano. Ed ecco
perchè quei corpi insieme posti finirono per formar le membra di un solo
corpo morale: fatte però le dovute e ben note eccezioni. Ora la Francia
avrebbe l' intenzione di seguitare in questa via, ed applicare
ancora il metodo antico, barbaro, medieyale; ma si oppone la natura e la
ragione. La ragione è la coscienza nazionale, è la lingua, ed è la
storia. La natura è la geografia: un fiume non è un confine, ma una via
ed un mezzo di unione. La Francia è fuor dei suoi confini naturali
e nazionali. La soluzione spontanea razionale e naturale
delle Digitized by VjOOQIC — 17 —
quistioni nazionali era serbata al secolo della ragione; ed è l'Italia che
ne ha dato al mondo l'esempio, ed è il suo onore immortale, e il suo vero
primato civile e morale. Questo esempio la sorella dell'Italia, la
Grecia, si appresta ad imitarlo. La natura lo richiede: la greca
penisola è un tutto geografico perfettamente circo- scritto; si direbbe
una regione, un nido apprestato per una sola razza. La ragione lo esige e
lo impone; lingua, storia, coscienza nazionale, solo in parte ve-
nuta a coscienza politica, tutto è comune alla Grecia; e v' è un altro
comune principio che la unisce, ed è la religione. Tutto dunque chiede
l'indipendenza e r unità della Grecia, tutto vuole che la Nazione
Greca diventi lo Stato Greco; ma l' Inghilterra non vi trova il suo
conto, e con tutte le forze si oppone, e l'Europa delle crociate,
divenuta la positiva e irreligiosa Europa del Risorgimento , custodisce e
protegge con una edi- ficante unanimità il barbaro e immondo
straniero, il musulmano oppressore. L' Italia è stata piti
fortunata. Un grand' uomo uscito dal suo sangue, pervenuto ad. assidersi
sopra un nobile trono straniero, rammentava l'antica madre per la
quale giovanetto aveva pugnato, e pugnava ancora per essa, e le dava la
mano a farsi di una nazione astratta, uno Statò reale. Italiano, io non
so che questo. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè la Storia non è
ancor venuta, e non ci ha giudicato sopra. Ora non vi è che la morale e
il dritto, e le piccole pas- sioni politiche dei francesi, tutti
incompetenti nella quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha operato
per l'Italia siamo competenti noi; e non sono ingrati tutti gì'
Italiani. L'Italia per viriti propria, e per generoso aiuto,
che appena è che possa dirsi straniero, è salita dalla 2
Digitized by VjOOQIC — 18 — coscienza
nazionale alla coscienza politica. Ma se quella è forte e potente, questa
è ancor debole ed incom- pleta. Le sette antiche coscienze politiche,
nelle quali la sua coscienza nazionale era scissa, non si sono
tutte egualmente amalgamate in una coscienza poli- tica comune* Le deboli
sono scomparse; ma ve n' è qualcuna forte, che resiste e permane, ed è
l'antica coscienza piemontese. Il Piemonte ha tre coscienze
in lotta fra loro. La coscienza nazionale, che in lui era, ed è senza
dub- bio ancor forte, non si è pienamente trasformata. Essa è
rimasta nazionale , astratta; ed ha solamente prodotto di sé una
coscienza politica italiana debole, parziale, incompleta, poco men che
astratta, piena di riserve e di eccezioni. Essa è incompleta e debole di
tutta la realtà e la forza che rimane alla vecchia e tenace co-
scienza piemontese, di cui la permanente è l'espres- sione. Questo
Sammarlino lo ignora ; ed è in una per- fetta buona fede. Egli in tra v
vede in lui una forte coscienza nazionale, e allato a una profonda
coscienza municipale (certo indebolita da quello che era prima) vi
trova un chiaroscuro di coscienza politica italiana, e dice: io sono
quanto si può più essere italiano. E se lo crede. Sammartino non ha tutti
i torti : egli è senza dubbio italiano; ma quel suo quanto si può
essere, o quanto altri sia, è una sua esagerazione. Nobile esa-
gerazione, inganno volontario e generoso, illusione che genera in lui la
coscienza nazionale, la quale fa sentirgli il bisogno di giustificarsi ai
proprii occhi e agli altrui. Ma in tanta complicazione il valente
uomo non ha tale abito e tal forza d'analisi da rendersi conto del
proprio essere, per cui diviene il giuoco della sua immaginazione. Egli è
perciò che è in buona fede. Tutti gli uomini ci sono qual pili qual
meno allo stesso modo. Digitized by VjOOQIC
— 19 — Ma il tempo è galantuomo ; e s* egli ha
potuto sviluppare in tutto il mondo antico una coscienza romana: se
sulla vera coscienza magiara , czeca e jugo- slava ha potuto inserire una
coscienza austriaca; se finalmente nella tedesca Alsazia e nella Lorena
punto del mondo francese, ha potuto (incredibile a dirsi, e
mostruoso a pensare) destare una coscienza politica francese: ben saprà
creare una vera coscienza italiana in quel Piemonte, che pure è il primo
fra tutti i paesi della moderna Italia: in quel Piemonte, che nel
mo- mento in cui la grande storia italiana del Medio Evo aveva
termine, quando tutto intorno taceva, s'avviliva e s'abbandonava, e la nazione
intiera scendeva nella tomba della servitù straniera e papale, egli solo
non s' abbandonava ; e che rimasto jnfino allora nell'ombra,
sorgeva a un tratto giovane e vigoroso, e ripigliava in sua mano il filo
e creava la nuova storia italiana, e per lui ed in lui l'Italia viveva
ancora. E quando a nostra memoria si riapriva 1' antica tomba , e
l'Italia vi scendeva di nuovo , rimaneva egli solo sulla breccia, e
lottava animosamente, eroicamente, e compiva alla fine il destino della
patria: onore a cui dalla provvi- denza della storia era visibilmente
riserbato. Ah non tutti gl'Italiani sono ciechi e ingrati! Certo il
tempo saprà identificare la coscienza piemontese, che dopo tanta e
così grande storia, fuor di proporzione con la materiale grandezza di
quella nobile provincia, è na- turale sia permanente e resista alla
grande coscien- za politica italiana. E sarà allora galantuomo
davvero. Quando ciò sia avvenuto, e che in tutta l'Italia non
vi sarà che una sola coscienza politica, allora non vi sarà più soltanto
una grande nazione, ma un vero e forte Stato Italiano.
Digitized by VjOOQIC — 20 — VII.
L'Io, la coscienza sociale, è adunque il vero e proprio elemento
dello Stato; ed è una funzione pu- ramente formale che domina e modera e
modifica la funzione giuridica, e la funzione morale. Lo Stato
toglie la vita, e turba e invade la proprietà del cittadino; fa la
guerra per esser quello eh 9 egli è, o quel che dev'essere, e toglie la
proprietà, la vita, Tessere in- dipendente, allo Stato vicino. Tutte cose
che l'uomo privato non può fare, e che gli sono permesse, dove-
rose anche talvolta y quando, divenuto uomo pubblico, la sua coscienza s'
immedesima e si confonde con la coscienza assoluta dello Stato. Allora è
illecito e reo tutto ciò eh' egli può far nel suo particolare
interesse, ma è lecito e buono tutto ciò che fa in vista dell' in-
teresse generale. La fusione e l'amalgama succede sempre in una certa
misura, ed è tanto pili completa quanto l'uomo è più alto locato, finche
nel capo dello Stato i due interessi non ne fanno più che un solo.
Dal momento che si separano, il tiranno è perduto: egli allora non è pih
lo Stato, è un altro; è un corpo estraneo contro a cui l'intiero
organismo si solleva, e scoppia la crisi. La crisi, la rivoluzione, è un
pro- cesso di guarigione. Il morbo è la tirannia, l' anarchia:
forme dello stesso disordine; tutte e due passione e sfrenato arbitrio;
ed anarchia tutt' e due. U&rche non è né questo, ne quello; né uno, né
pochi, ne molti, ne tutti: V arche è la ragione. Il principio
dello Stato, la sua vita, il suo vero essere, non è il giusto, non è il
morale, non è l' eco- nomico. Tutto questo egli lo contiene in sé; ma
come Stato egli è l'unità consapevole organizzatrice e mo-
Digitized by VjOOQIC *^ — SI
— deratrice di tutte le forme, di tutti gli organi, di tutte le
funzioni sociali. Questo è lo Stato, e qui finisce l'attività
politica, la vita pubblica; ma qui non finisce la vita umana, e non
è anche tutta la storia. Sotto allo Stato vi è il dritto, la
morale, la pub- blica economia; ma vi è sopra allo Stato un mondo
piìi etereo, piìi,assolutò ed universale che non è il suo; vi è il mondo
dell'arte, il mondo della scienza, e il mondo della religione. Il mondo
della verità è di sopra al mondo della natura e dell'azione.
Lo Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili alta, e la pili
perfetta e più generale esistenza delle fun- zioni a lui inferiori.
Lo Stato non è che la base e la reale possibilità delle funzioni a
lui superiori. L'Arte è una funzione naturale, e perciò
rimane affatto individuale. Vi è un mondo estetico, ma non vi è una
società artistica : vi sono soltanto degli artisti e dei poeti ; e la
parte dello Stalo è di render possi- bile lo sviluppo del talento
estetico, e rispettarne la spontaneità ed il libero giuoco. Egli non ha
dritto sull'artista se non quando egli abusa e tradisce l'Arte, ed
esce dalla sua natura. L'Arte non è la morale o il dritto, e può essere
immorale e ingiusta a sua posta: ma finché rimane Arte la sua immoralità
non contamina, e la sua ingiu- stizia può esser sublime, atta solo a
sollevare e forti- ficare i caratteri, non mai ad avvilire e
degradar l' animo umano. Ma dal momento che essa esce dalle sue
condizioni di Arte, essa non è pili che immorale ed ingiusta, e allora lo
Stato interviene: interviene in nome della giustizia offesa, e della
morale violata; funzioni inferiori, che gli sono tutte e due
subordi- nate, ch'egli dirige ed ha in sua tutela.
Digitized by VjOOQIC — 22 — L'Arte non è
la religione, e può a sua posta essere empia ed irreligiosa: ma la sua
irreligione è sublime ispiratrice di grandi e puri pensieri , e di
re- ligione vera e pura. Che s' ella trasgredisce le proprie sue
leggi, ed esce dalle sue condizioni vitali, e non è più che semplice e
sguaiata irreligione; in tal caso lo Stato non interviene. Egli dirige e
modera le fun- zioni che sono al di sotto e dentro di lui, ma non
amministra la verità religiosa che gli è superiore. L'Arte non è la
Scienza; è in un certo senso il suo contrario : che s' ella esce dalla
sua natura di senso ideale, e si atteggia a ragione e a idea; tanto
peggio per lei. La Religione è una funzione dirò così
spiritiforme: la sua natura è sensibilmente spirituale, ed il suo
carattere è di essere naturalmente universale. Egli è perciò che mentre
l'arte rimane nella sua inconsape- vole particolarità, la religione viene
a coscienza, e si forma un Io sociale superiore all'Io dello Stato: e
di fuori e di sopra alla società politica si forma una società
religiosa. Il luogo di questa alta società non è la terra, è il cielo:
l'uomo religioso ha i piedi su que- sto umile suolo, ma la sua anima è
altrove. La sua funzione è tutta celeste; essa è riflessione e
adempi- mento del destino umano: contemplazione della infi- nita
natura dell'uomo, rappresentata nel mondo infinito della grande fantasia;
conseguimento della infinita fe- licità mediante il possesso dell' infinito
della religione. La funzione religiosa dello Stato è di render
possibile la formazione, e libero lo sviluppo e l'azione, della
società religiosa. La religione non è né scienza, né arte, ne
eco- nomia, ne morale. Essa può dunque essere a sua posta
inestetica e goffa, creare simboli mostruosi e informi,
Digitized by VjOOQIC — 23 — miti ributtanti e
triviali; può professar tutti gli errori filosofici, astronomici,
teologici, politici che vuole. Tanto meglio per lei; sarà più creduta, e
più stimata e rispettala. Può la religione professare tutte
le assurdità mo- rali e giuridiche che le piace. Può attribuire a
Dio tutte le passioni umane, sopratutto le pili barbare, e pih
perverse e colpevoli, quelle che l'uomo mo- derno pih si rimprovera, e
maggiormente arrossisce quando se ne lascia sorprendere e dominare. Sarà
per lei tanto meglio: maggiore sarà la riverenza, il terrore
religioso, il timor di Dio. La religione può a suo beneplacito
credere ed insegnare che i figli sieno responsabili dei peccati dei
padri, come lo insegnava e lo credeva Mosè, in un tempo ed in un paese in
cui non v' era ancora il Dritto Romano , e il Codice Civile era di là da
venire. Se questo vi fosse stato , non sarebbe venuto in mente a
Mosè una siffatta idea, e non avrebbe insegnato un così sterminato
errore. Quella era pertanto la ve- rità giuridica e la verità religiosa
del suo tempo: due gradi e due forme non per anco distinte, confuse
ancora in una verità sola. Oggi la distinzione è av- venuta: la verità
giuridica del Codice Mosaico, con- vinta e condannata di falsità, è
sostituita dalla verità giuridica del Codice Civile, nel modo istesso che
al- l'astronomia di Giosuè e del Santo Uffizio è sotten- trata
l'astronomia di Copernico e di Galileo. Ma co- me verità religiosa è
rimasta in piedi: crede il popolo ed il comune che l' innocente è colpito
col reo dalla vendetta divina: e si crede anche oggi come tre mila
anni sono il dogma che insegna che la colpa del primo uomo s' è
naturalmente trasmessa a tutti gli uomini. Questo dogma non è che
l'applicazione in grande del Digitized by VjOOQIC
— 24 — principio giuridico-religioso di tre mila anni sonò,
e quel che lo rende piti meraviglioso, e perciò più cre- dibile al
popolo ed al comune, si è che quella colpa era la curiosità di sapere, il
bisogno di conoscere il vero : jcolpa grave, imperdonabile agli occhi del
dogma religioso. Un dogma simile viola apertamente il Codice
Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso mo- rale; ma non è che
una offesa ed una violazione re- ligiosa, e lo Stato non interviene per
far rispettare il Codice Civile ed il senso comune. La
rappresentazione succede in una sfera superiore, e lo Stato ne
rende possibile lo sviluppo e libera la manifestazione, e la rispetta
qualunque ella sia. Ma se l' azione religiosa esce di questo campo, e
deposto il proprio carattere, si spinge nella sfera dello Stato, e
diventa irreligiosa- mente immorale, ingiusta ed impolitica, allora lo
Stato interviene, e si fa rispettare. Questo inevitabilmente
succede alle religioni che di spirituali si fanno tem- porali. Peccato è
loro e non naturai cosa: di loro è la colpa e non dello Stato : e perciò
tanto peggio per loro. Finalmente, al di sopra dello Stato, e sì
dell'Arte e della Religione , vi è la scienza , la filosofìa. Ma
qui l'individuo s'identifica e si perde nel puro assoluto
universale, per cui l'Io filosofico non prende alcuna forma naturale. Non
vi è quindi una società filosofica, vi è soltanto il mondo della filosofia,
il mondo del pensiero , della verità assoluta. Lo Stato non
interviene in nessun caso in questo ultimo empireo: egli né il dee,
né il può; egli è natura, e non ha presa su ciò che non è naturale. Lo
Stato non può entrare nella sfera della scienza senza disertare la sua,
senza perdere il suo carattere essenziale, e cessar di essere
Stato. Lo Stato del decimonono secolo lascerà dunque
insegnare chi vuole, e checché vuole, anche il Prete
Digitized by VjOOQIC — 25 — ed anche il
Demagogo? — Non già; non mai. Insegnare non è pensare e recare in mezzo
il proprio pensiero; è invece agire, educare e preparare all'azione,
ed appartiene quindi allo Stato; e insegnare un principio rep
ugnante e contraddittorio a quello dello Stato, è uno scalzare lo Stato,
che non può certo trovarci il suo conto. Lo Stato è funzion di essere, di
vivere; e nes- suno ha gusto di lasciarsi ammazzare, sia di ferro o
sia di veleno; e i cattivi principii sono velenosi allo Stato. 11
principio politico dei Gesuiti è la Religione, la loro; e quello a cui in
ultima analisi tutto mette capo, ed a cui il cittadino ubbidisce, è l'
autorità religiosa. Il principio dello Stato moderno è invece l'Io, la
ragione; è la coscienza pubblica, la pubblica opinione; e quello a
cui il cittadino ubbidisce, è lui stesso: in ciò con- siste la libertà
civile. Il principio del Demagogo è la libertà sensibile, e T
eguaglianza materiale. Il principio dello Stato mo- derno è la libertà
ragionevole, l'eguaglianza assoluta, ideale. Egli è perciò
che lo Stato limita e nega la libertà del Demagogo e del Prete, e li pone
tutti e due fuor dello Stato — né elettore né eleggibile — e fuor
della scuola — né maestro pubblico, né insegnante privato. Il
giornale è una scuola, e non può quindi godere una libertà illimitata.
Ogni cosa ha il suo limite nella sua propria natura, e la libertà ha il
suo limite nella natura dello Stalo. Questa è la libertà vera e
buona, perchè concreta: la libertà indefinita, astratta, è la
stolta, .assurda, micidiale e pestifera; e perciò lungi da noi. La
libertà non appartiene che alla libertà. Solo quella stampa, queir
insegnamento, e quella qua- lunque siasi attività dee poter liberamente
agitarsi Digitized by VjOOQIC — 26
— e spiegarsi nella sfera dello Stato, che ne osserva e professa il
principio generale, e vive dello stesso elemento assoluto. La religione,
l'arte, la scienza non sono assolutamente libere che nel proprio
ele- mento, e nella loro sfera speciale, e qui lo Stato non può,
non dee, non ha facoltà di mettere il piede. E però quando io vedo un
Ministro chiuder la bocca a un insegnante né demagogo né prete, ma
liberale, perchè professa delle particolari idee che in un certo
mondo — Dio sa che mondo — non sono ricevute ed accettate; io lo rispetto
troppo per dir eh' egli abusa delle sue facoltà, ma dico che varca il
limite, ed oltre- passa la sfera dello Stato : dico che agisce in nome
di un principio particolare, religioso o scientifico, io non lo so;
so soltanto che non è il suo; e non ha come Stato facoltà di porvi la
mano: e che il Ministro mi scusi, e mi perdoni il Consiglio
Superiore. Lo Stato non è adunque che la possibilità
effettiva e naturale della vita artistica, della società religiosa,
e della pura attività scientifica. La sua funzione con- siste nel
renderle tutte e tre possibili mediante l'Istru- zione e la Pubblica
Educazione ; ma non ha ufficio , e non può altrimenti intervenire
nell'arte, a pro- mulgar le leggi del gusto, e prescriver la rettorica
e la poetica mediante decreto: e così non può decre- tare la verità
religiosa. Non vi è, non vi può essere, una religione dello Stato:
cotesto è un controsenso, un non senso, un errore. Sent from
the all new AOL app for iOS INDICE. BIBLIOGRAFIA - A) Opere di Angelo
Camillo De Meis .... Pag. XI B) Studi sul De Meis - Opere ed articoli che a lui
accen- nano - Recensioni di suoi scritti » XIX CAPITOLO I. La vita e la storia
del pensiero di A. C. De Meis. Sommario I. La famiglia e i primi anni II. Nel
R. Collegio di Chieti HI. La vita intellettuale a Napoli dal 1840 al 1850. Le
scuole private. Gli studi letterari, filosofici, scientifici IV. Il De Meis a
Napoli. I suoi studi. La sua scuola privata . Pag. 2 » 3 » 5 » 6 » 11 V. Gli
avvenimenti del 1 848. Il 1 5 maggio a Napoli .... » 15 VI. Le vicende del De
Meis nel 1849. 11 processo e l'esilio. La dimora in Francia. Il De Meis medico
VII. A Torino «quando l' Italia era colà » . Il De Meis e i suoi amici :
Bertrando Spaventa, Francesco De Sanctis, Diomede Marvasi. La corrispondenza
col De Sanctis. L'attività intel- lettuale del De Meis e la sua « metempsicosi
» Vili. L'anno 1859. Il De Meis professore all'Università di Modena. Il ritorno
a Napoli IX. Il De Meis a Bologna. L'insegnamento. La vita famigliare, sociale
e politica. La morte. Il testamento X. La personalità del De Meis. Lo
svolgimento del suo pensiero. Perchè la sua opera è frammentaria » 21 » 27 » 43
» 50 » 59 2011318 VI Indùice. XI. I momenti di sviluppo del
pensiero del De Meis. Suddivi- sione delle opere Pag. 73 Sommario . . Pag. 78 »
79 » 85 » 97 » 101 » 110 Pag. 126 I. II. III. IV. V. Il «Dopolalaurea» La
storia della filosofia esposta dal De Meis. L'antichità o il periodo dell'
oggettivismo. Il passaggio dall' oggettività alla soggettività. La filosofia
moderna o soggettiva La filosofia hegeliana giudicata dal De Meis Rapporti fra
medicina e filosofia. La medicina hegeliana . Influenza dell'hegelismo sulla
scuola medica napoletana. Il De Meis e gli altri hegeliani di Napoli. Limite tra
la fisiologia e la metafisica , CAPITOLO III. Le opere scientifiche e la
filosofia della natura. CAPITOLO II. Il «Dopolalaurea»
e1*orientamentofilosofico. Sommario I. // primo periodo. Gli scritti
scientifici giovanili dal 1841 al 1850. Lettere geologiche sul M. Majella negli
Abruzzi (1841). Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle
dottrine della morfologia (trad. dal ted., 1842). Saggio sintetico sopra 1'
asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie per rispetto alla loro
sede (1843). Intorno l'asse cerebro-spinale (trad. dal lat., 1843).
Considerazioni anato- miche sul salasso locale (1845). Teoria dell'ascoltazione
(1848), Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali ( 1 848).
Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica - Parte prima:
Del principio vitale (1849); Parte seconda: Idea della fisiologia greca (1849)
» 127 II. // secondo periodo. Le opere scientifico-filosofiche dal 1850 al
1863. Idea generale dello sviluppo della scienza medica in Italia nella prima
metà del secolo (1851). Del metodo delle scienze mediche (1853). Considerazioni
sopra l'infiam- . Sommario . 1. Il momento rivoluzionario e il
momento moderato del De Meis. L'evoluzione delle sue idee politiche e la trasformazione
del partito liberale italiano li. L* idea dello Stato. Lo Stato come campo
libero all' arte, alla religione, alla scienza e alla filosofia. Lo Stato e
l'indi- viduo. Stato e nazione. Stato oggettivo e Stato soggettivo. Il limite
dello Stato III. L'idea della sovranità. Il culto per la dinastia Sabauda . .
IV. La lotta contro il pensiero e contro 1' azione del partito pro- gressista.
Il suffragio universale e lo scrutinio di lista. II giurì. La legislazione e le
ingiustizie sociali. Il socialismo secondo V. VI. VII. il DeMeis Contro
l'abolizione della pena di morte Il divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato
e la Chiesa. L'abolizione delle cor- porazioni religiose. Le corporazioni
religiose e l' insegnamento. Le spese del culto e i culti non cristiani. L' Italia
e il papato. Vili. Lo Stato e l'istruzione pubblica. Insegnamenti obbligatori e
insegnamenti facoltativi. I tre gradi di ogni insegnamento scien- tifico. Le
facoltà universitarie. Il liceo Magno e l' istituto tecnico Indice. VII
inazione dei vasi sanguigni (1853-1854). I mammiferi (1858). Fisiologia (1859).
Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nell'anno
scoi. 1859-60. Gl'ippo- cratici e gli antippocratici (1860). Lettere
fisiologiche (1860) Pag. 135 III. // terzo periodo. Le opere
scientifico-filosofiche dal 1863 al 1891 . - a) La jatrofilosofia. La medicina
sperimentale. La medicina storica o razionale. La medicina religiosa. La natura
medicatrice. La patologia storica IV. Jlncora il terzo periodo. - b) La
filosofia della natura. La creazione secondo il De Meis. La lotta del De Meis
contro la teoria darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostra- zione dei
suoi principi. L' accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica .
CAPITOLO IV. Le idee politico-sociali e pedagogiche. » 156 » 175 Pag. 204 » 205
» 211 » 221 » 228 » 237 » 239 » 244 , . . Vili Indice. medico.
L'insegnante unico. Gli esami. La libertà d'inse- gnamento. . . , , IX. I
malefici della cattiva coltura e del « signor Mazzini » . Due discordi Sacerdoti
d'idee: il De Meis e il Mazzini CAPITOLO V. Le idee estetiche e religiose.
Sommario I. La coltura letteraria del De Meis. Il suo stile. Il suo episto-
lario. I suoi giudizi sulla terminologia scientifica, sulla lingua italiana,
sull' affratellamento delle lingue e sull' uso del fran- cesismo. Il De Meis
critico letterario II. La profonda religiosità del De Meis. La sua negazione di
un Dio personale e la sua critica del Dio cartesiano, del- l' antinomia
kantiana e dei dogmi dei Santi Padri. Il suo giudizio sui culti non cristiani,
sul cristianesimo e sulle varie forme di esso III. La «metempsicosi» dell'arte
e della religione nella filosofia secondo il De Meis. La storia del genere
umano: oriente, antichità, tempo moderno o cristianesimo. Il tempo moderno :
medio evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo latino e il germanico. Il
risorgimento o negazione e i suoi prodotti : il romanzo, la filosofia positiva,
la musica. Il secolo XIX e l' unificazione di tutte le correnti umane. La
religione e l'arte considerate come gradi e forme del vero. Valore degli argo-
menti storici e logici addotti dal De Meis IV. Ottimismo e misticismo del De
Meis. Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la sua mentalità
scientifica. Significato e valore della sua filosofia della
natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero,
Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo
Cirelli, Anno IV, dal 10 febbraio 1841 al 2 febbraio 1842, N. 22, pp. 175-176;
N. 24, pp. 191-192; N. 28, PP. 222-223; N. 32, PP. 255-256. Uomini utili alla
società: Samuele Pierantoni, nel giorn. // Vigile di Chieti, anno I (1841),
suPPl. al N. 22. Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza
alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica
della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, il dì 8 maggio
1841, dal tedesco voltata in italiano da A. C. De Meis, nel «Filiatre-Sebezio»
Giornale delle scienze mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi,
anno XII, volume XXIII, Napoli, Tip. del Filiatre-Sebezio, 1842, Fascicolo 134,
febbraio 1842, pp. 115-128; fascicolo 135, marzo 1842, pp. 188-192. Saggio
sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie, per rispetto
alla loro sede di A. C. De Meis socio dell'Accademia degli aspiranti
naturalisti e medico aggiunto dello Spedale degl'Incurabili. Pre- sentato al 5°
congresso degli scienziati italiani - convocato in Lucca. Na- poli, Coster.
1843, (pp. 41, in -16°). Intorno l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe
Meneghini tradotta dal latino da A. C. De Meis per cura e per uso dello studio
privato del prof. Pietro Ramaglia, Napoli, Barnaba Cons, 1843, (pp. XVIII -
276, 8°). Considerazioni anatomiche sul salasso locale, presentate al VII
Congresso degli scienziati italiani celebrato in Napoli, Napoli, Stab. Coster,
1845, (PP- 59, 8°). Teoria dei fenomeni acustici della respirazione, Napoli, F.
Vitale, 1848, (pp. 96, in -8°). [Dedicato a Luigi La Vista]. Teoria dei fenomeni
acustici della circolazione, citato dall'Autore in Teoria dell'ascoltazione,
Torino, Pomba, 1850, p. Vili [La Teoria dell'ascolta- zione (v. infra) riunisce
sotto un titolo comune questa dissertazione e la precedente]. Dello stato e del
carattere attuale delle scienze naturali. Discorso di A. C. De Meis presidente
dell'Accademia dei naturalisti di Napoli - detto nella pubblica adunanza del 16
gennaio 1848. Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, 1848, (pp. 16). A .
C. De Meis deputato di Abruzzo Citra agli elettori della sua provincia, (pp.
14, 8°, con la data di Napoli, 8 maggio 1848). Discorso inaugurale di A. C. De
Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio Medico. Pronunziato il dì
7 maggio 1848 e pubblicato dagli alunni del Collegio Medico, Napoli, F. Vitale,
1848. Proposta di un nuovo sistema di insegnamento pel Collegio Medico. Napoli,
Federico Vitale, 1848, (pp. 24, in -8°). Discorso di A. C. De Meis ex-rettore
del Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, pronunciato il 18 giugno 1848,
Napoli, Vitale, 1848. Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed
empirica. A. C. De Meis già deputato al Parlamento. [Manifesto di pp. 4, in
-8°, con la data: 13 marzo 1849]. Nuovi elementi di fisiologia generale
speculativa ed empirica di A. C. De Meis già deputato al Parlamento Nazionale.
Parte prima : Del principio vitale. Napoli, F. Vitale, 1849, (pp. 90, 8°).
[«Lezioni orali, raccolte per cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui
assente, da essi pubbli- cate ». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria
dell'ascoltazione, To- rino, Pomba, 1850). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro
Ramaglia]. Bibliografia. XIII Chiarimenti al teorema di Hamberger
sull'azione dei muscoli intercostali, Napoli, 1849. Fisiologia generale - II -
Evoluzione logica del principio vitale - Idea della fisiologia greca per A. C.
De Meis ex-deputato, Napoli, Stab. tip. al- l'insegna dell'Ancora, 1849, (pp.
142, in -16°). [Dodici lezioni in conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.].
Teoria dell'ascoltazione, Torino, Cugini Pomba e comp. edit., 1850, (pp. XVI -
296, in -16°). Idea generale dello sviluppo della scienza medica in Italia
nella prima metà del secolo. Note di A. C. De Meis. Torino, 1851, Tip. Pavesio
e Soria, (pp. VIII-96, 16° picc). [Dedicate alla memoria di Luigi La Vista e di
Casimiro De Rogatis]. Del metodo delle scienze mediche. Lettera al professore
Carlo Demaria, To- rino, 3 novembre 1853, in Giornale della R. Accademia
medico-chirur- gica di Torino, anno VII, voi. XX, Torino, 1854, Tip. di G.
Favale e Compagnia, N. 11, 1° giugno 1854, (pp. 176-192). Considerazioni sopra
l'infiammazione dei Vasi sanguigni nel Giornale della R. Accad
medico-chirurgica di Torino, Tip. di G. Favale e Compagnia, anno VI, voi. XVII,
Torino, 1853, N. 17, 10 giugno 1853, pp. 209- 228; anno VI, voi. XVIII, Torino,
1853, N. 29, 10 ottobre 1853, pp. 177-209; N. 32, 10 novembre 1853, pp.
321-336; N. 33, 20 novem- bre 1853, Pp. 379-393; N. 35 e 36, 10 e 20 dicembre
1853, pp. 465- 503; anno VII, voi. XX, Torino, 1854, N. 11, 1" giugno
1854, pp. 143- 158; N. 12, 15 giugno 1854, PP. 218-230; N. 13, 1° luglio 1854,
pp. 257-263. [Nella seconda, nella terza e nella quarta puntata il titolo è :
Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella quinta puntata e nelle
successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra la flogosi ecc.]. /
mammiferi, Volume 1°, Introduzione, [fase. 1° e 2°], Torino, 1858, Tip. del
Picc. Con. d'Italia (pp. 176: incompleto). [L'opera è preceduta da
un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De Sanctis a Zurigo
». Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com- porrà di tre
volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il terzo le
Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a ragione
di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di circa 70
fogli... »]. Fisiologia, Torino, Tip. Franco, figli e C, 1859, pp. 109, 8°.
(Estratto dalla Nuova enciclopedia popolare del Pomba). XIV
Bibliografia. Gl'ippocratici e gli antippocralici, nella Rivista contemporanea,
Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice, 1860, Volume vigesimo, anno
ottavo, Pp. 425-434. Lettere fisiologiche. Lettera I, nella Rivista
contemporanea, Torino, dal- l'Unione tip. editrice, 1860, voi. vigesimosecondo,
anno ottavo (pp. 20-36). [Definizione della vita], pp. 2, in -8°. [Il De Meis,
sotto la data di Modena 30 aprile 1860, espone l'idea del corso di fisiologia
iniziato in quella Università « e che con dispiacere sono ora costretto ad interrompere
». Cfr. infra: Prelezione al corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di
Manoppello, (pp. 8, in -16°). [Data, Napoli 16 febb. 1861]. Prelezione al corso
di fisiologia dato nella R. Università di Modena nel- l'anno scolastico
1859-60, Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau, 1861, pp. 18, in -8°). //
Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la « Monarchia nazionale », Na- poli,
Stab. tip. F. Vitale, (pp. 14, 8°). [Polemica anonima contro il gior- nale la
Monarchia nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862]. Degli elementi della
medicina, Prelezione di A. C. De Meis professore di storia della medicina nella
R. Università di Bologna, detta il 10 dicem- bre 1863, Bologna, Monti, 1864,
(pp. 62, in -8°). Della natura medicatrice. Lettera prima al prof. Cesare
Taruffi, in Bullettino delle scienze mediche pubblicato per cura della Società
medico-chirur- a gica di Bologna. Bologna, Tipi Gamberini e Parmeggiani, 1864,
Serie 4 , voi. 21«, (pp. 464-469). La chimica fisiologica, Lettere, Fano, 1865
(nel giornale L'Ippocratico, III, voi. 7, estr. di pp. 65, in -8°). [Sono due
lettere: I. La vita; 2. La chimica inorganica. - Il De Meis si era proposto di
scriverne dodici, e di pubblicarle pei tipi del Le Monnier. Questi insistette
molto, anche per mezzo di Marianna Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore
; ma invano]. / naturalisti, Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze,
Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, 22 gennaio 1865, pp. 54-57. La natura a
volo d'uccello : Forza e materia, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze,
Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, 12 febbraio 1865, pp. 103- 107; 19 febbraio
1865, pp. 115-119. La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice,
Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, 2 aprile 1865, pp. 6-9. [Questo
dialogo e i due pre- cedenti sono citati nei Tipi animali (v. infra), [parte
prima], p. 246, col titolo: / tipi naturali]. Bibliografia. XV A .
C. De Meis deputato di Chieti ai suoi elettori, Bologna, Monti, 1865, (pp. 44,
in -8°). [Reca la data: Bologna 7 novembre 1865]. / tipi VegetaU. Ad uso delle
scuole italiane, Bologna, Monti, 1865, (pp. 96, in -16° picc). [È, dedicato
alla contessa Teresa Gozzadini]. Lettere [il testo: lettera] sulla patologia
storica. Lettera I. Si dimostra che l'uomo era in origine assolutamente sano.
Estr. dal Bull, delle scienze mediche di Bologna, serie V, voi. I, p. 385, (pp.
12, in -8°). Delle prime linee della patologia storica, Prelezione al corso di
storia della medicina per A. C. De Meis, detta l'8 gennaio 1866, Bologna,
Monti, 1866 (pp. 75, in -8°). // sovrano, nella Rivista bolognese, periodico
mensuale di scienze e lette- ratura, compilato dai proff. Albicini, Fiorentino,
Siciliani e Panzacchi, Bologna, Monti, 1868, voi. I, (pp. 79-87). [Ristampato,
con notizie e documenti della polemica a cui lo scritto diede luogo tra il
Carducci e il Fiorentino, dal CROCE, nella Critica, Vili (1910), pp. 401-421].
[Dichiarazione] nella Gazzetta dell'Emilia, anno IX, N. 68, 9 marzo 1868. [Si
riferisce alla polemica ora accennata. Fu pubblicata anche nel giornale La
Patria di Napoli, a. Vili, N. 72, 13 marzo 1868; e fu ri- stampata dal CROCE,
nella Critica, Vili (1910), pp. 416-418]. // sovrano. Al signor G. B. Tahiti.
[Articolo Il|, nella Rivista bolognese, Bologna, Monti, 1868, voi. I, (pp.
185-208). [È una lettera, con la data: Bologna, 16 marzo 1868]. Dopo la laurea
- Vita e pensieri [parte prima|, Bologna, Monti, 1868, (pp. 448, in -16°);
parte seconda, Bologna, Monti, 1869, (pp. 266). (Le prime cinque lettere
(1863-66) erano state pubblicate qualche anno prima nel giornale L'Ippocratico
di Fano. L'Intermezzo II (parte seconda, pp. 46-60) fu pubblicato nella Rivista
bolognese, 1868, fascicolo del novembre, pp. 971-981, poco prima della
pubblicazione del volume]. La natura medicatricc e la storia della medicina,
Lettera al prof. Salvatore Tommasi, Bologna, Monti, 1868 (Estratto dal fase. 8°
della Rivista bo- lognese, pp. 24, in -8°. Data: Bologna 20 luglio 1868). [Fu
pubblicata anche nel Morgagni, a. X, agosto 1868, pp. 549-575]. Della medicina
sperimentale, Prelezione, Bologna, 1869, (pp. 29, in -8°). |Fu pubblicata anche
nel Morgagni di Napoli, XI, 1869, pp. 161-189]. Lo Stato, nella Rivista
bolognese, 1869, pp. 3-31, 153-194 e 453-475. Deus creavit, Dialogo I, nella
Rivista bolognese, 1869, pp. 724-773. Della utilità dello studio della storia
della medicina, [Prelezione], Estratto dalla Rivista Partenopea [del 1870],
(pp. 4, in -8°). XVI Bibliografia. Testa e Bufalini. Lettere IV,
Fano, Lama, 1870 (estr. dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi, Prelezione al
corso estivo 1870, Bologna, Monti, 1870, (pp. 13, in -8°). (Pubblicata sotto il
titolo di « Prelezione » nei Tipi animali (v. infra), [parte prima], pp. 5-17).
/ tipi animali, Lezioni, [parte prima], Bologna, Monti, 1872, (pp. 587, in
-16°); e parte seconda, 1875, (pp. 585-1143). [La «Prelezione» era 3 stata
pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La lezione VII ([1], 125- 156) fu
pubbl. nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, dir. da B. Spaventa, F.
Fiorentino e V. Imbriani, febbraio 1872, pp. 69-93, col titolo: / tipi animali
(Da Linneo a Darwin)]. Prenozioni, Bologna, Tip. di G. Cenerelli, 1873, (pp.
126, in -16°). Del concetto della storia della medicina, Prelezione, Bologna,
Monti, 1874, (pp. 26, in -8°). La medicina religiosa, Prelezione, Bologna,
Monti, 1875, (pp. 24, in -8°. Fu pubblicata anche nel Giornale napoletano di
filosofia e lettere, scienze morali e politiche, diretto da Francesco
Fiorentino, Anno I, voi. I, fase. 2 aprile 1875, pp. 265-280). All'onorevole
signor commendatore Gaspare Monaco La Valletta senatore del Regno, presidente
dell'Associazione costituzionale di Chieti, Bolo- gna, Monti, 1879, pp. 20, in
-8°). [È, una lettera, con la data: Bologna, '17 maggio 1879]. // canonico di
Campello e la stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia, anno 1881, nn. 319,
320, 321, 322. [Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La malattia dell' on.
Sella, nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze], N. 43, 12 febbraio 1882.
[Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di Chieti, Bologna, Monti, 1882, (pp.
79, in -8"). [Data: 19 ottobre 1882]. Filosofia e non filosofia, Discorso
inaugurale per la riapertura degli studi nella Imperiale Accademia di
Krenztburg del dott. E. K. Mayow, prof, di zoologia in detta Università,
tradotto dal tedesco, Bologna, Monti, 1883, (pp. 20, in -8°). Francesco De
Sanctis, Bologna, Fava e Garagnani, 1884, [Estratto dai nu- meri 8-11 della
Gazzetta dell'Emilia, opuscolo di pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ».
Ristampato nel volume In memoria di Fr. De Sanctis, Na- poli, Morano,
1884]. Bibliografia. XVII Bertrando Spaventa [Necrologia di], nella
Gazzetta dell'Emilia (Monitore di Bologna), a. XXIX, N. 54, 23 febbraio 1883
(>)• Francesco Fiorentino, Necrologia, Bologna, Fava e Garagnani, 1884. -
[Estratto dalla Gazzetta dell'Emilia, 28 dicembre 1884, N. 359. Opu- scolo di
pp. 10, in -16°, anonimo]. Spagnolismi e francesismi. Note di AngeiAntonio
Meschia (-) maestro ele- mentare in Zangarona Albanese, Bologna, Monti, 1884,
(pp. 80, in -16° picc). Darwin e la scienza moderna, Discorso del prof. Camillo
De Meis per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di Bologna
nell'anno scolastico 1886-87, Bologna, Monti, 1886, (pp. 35, in -8°). [Stampato
anche neWAnn. della R. Univ. di Bologna]. Rialzare gli studi, Estratto dal
giornale L'Università, Bologna, 1887, Società Tip. già Compositori, (pp. 12, in
-8°). Repubblica o monarchia (Da un album), nel Sancio Panza, Bollettino quo-
tidiano di Bologna, stampato e redatto nella sede dell'Esposizione Emi- liana,
N. Primo, 12 maggio 1888; segue una polemichetta nel giorn. cit. numeri 3, 5,
6, 8, 10. [La pagina d'album e la polemica furono ripro- dotte in un opuscolo,
edito a Bologna, Fava e Garagnani, 1889]. Corso di storia della medicina nella
Università di Bologne - Appunti sul- l'introduzione al corso e sulla medicina
orientale, nell'Università, Bo- logna, A. Idelson, 1890, (pp. 246-250, 310-312,
487-491). [Uscì pure in un opuscolo di pp. 8, in -8°, estratto dall'Università,
Bologna, Azzo- guidi, 1890]. Lettere di A. Camillo De Meis a B. Spaventa,
pubbl. da G. GENTILE, Napoli, Melfi e Joele, 1901, per nozze Salza-Rolando,
(pp. 32, in -16°). [Tre lettere ed un telegramma del De Meis sono state
pubblicate in Maria Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda edizione
ampliata con pref. di G. CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, 1884, pp. 498-499, 570,
613, 630-631 (la prima è la dedicatoria dei Tipi vegetali); una lettera da G.
CANEVAZZI, Autografi inediti pubblicati per le auspicatissime nozze del tenente
nobile Orazio Toraldo di Francia con la gentile signorina Gina Mazzoni,
celebrate in Firenze il III luglio MCMXI, Modena, Soc. tip. Modenese, 1911, pp.
11-12. Altre lettere del De Meis sono state pubblicate dal CROCE nel volume
Silvio Spaventa - dal 1848 al 1861 - Lettere scritti documenti, Napoli, Morano,
1898; e negli articoli su // De Sanctis in esilio - Lettere inedite, nella
Critica, XII (1914), pp. 85, 161, 241, 321, 405; ed una in FRANCESCO De
SANCTIS, Lettere da Zu- rigo a Diomede Marvasi, Napoli, Ricciardi, 1913, pp.
137-138. Il Croce preparava anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del
carteggio inedito del De Meis per gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte
lettere del De Meis sono possedute da Bruto Amante, e saranno probabilmente
pub- 2 blicate a spese del Consiglio Provinciale di Chietij). ( La
religione cristiana è già distrutta nel mondo civile latino; vive solo
nell'ancor barbaro mondo germanico; la riforma è il secondo medio evo
germanico. Il soprannatu- rale non illude più. All'epica religiosa del
medio evo, ed all'epica giocosa del risorgimento, parodia generica del
so- ( l ) Questo pensiero risulta dalle pagine del Dopo la
laurea, pur senza esservi enunciato esplicitamente, e chiarisce le
apparenti contraddizioni notate dal GENTILE, La filosofia in Italia dopo
il 1850, 1. cit., p. 302. Le idee estetiche e religiose.
295 prannaturale nel principio, poi caricatura smaccata e
cinica della religione, succede la drammatica senza soprannaturale.
Nel XVI secolo la distruzione è compiuta in Italia; in Francia erano
irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione era incolta, e per questo
la riforma potè attecchirvi, come vi attecchì nel secolo XVII il
giansenismo, una riforma miti- gata; ma nel secolo XVIII la Francia,
divenuta centro di coltura, fu anche centro di incredulità. Il secolo
XVIII è il secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla tragedia
del Voltaire, priva di vita poetica quando ha per fine l'irreli-
gione, ed a quella dell' Alfieri, in cui tutto è umano e naturale,
succede la lirica moderna, che « non lascia alcun margine fra sé e
l'assoluta riflessione, e giunge all'ultimo limite della poesia » (').
Anche in Germania, in parte per riflessione spontanea e in parte per
influenza del ri- sorgimento italiano divenuto sud-europeo, si è iniziato
il risorgimento, che differisce dal latino in quanto non è la
semplice rappresentazione del naturale, ma la negazione del
soprannaturale, rappresentata e sviluppata nelle sue conse- guenze. Secondo
il De Meis, i due risorgimenti, il latino e il germanico, che già nel
sec. XVII reagivano l'uno sul- l'altro, nel XIX si fondono in un solo
risorgimento, un solo mondo di poesia e di pensiero, in cui la religione,
divenuta indifferente, è appunto per questo perfettamente
tollerata. E a questa fusione delle due Europe in una sola Europa
spirituale seguirà certo fra non molti secoli la fusione in una sola
Europa giuridica e politica. Il secolo XIX durerà finché duri
l'uomo. S'inizia nel secolo XVII, quando a lato a Bacone — che mettendo
fin da principio fuori causa lo spirito non lo ritrova più in se-
guito, e nega la possibilità di conoscerlo, consolidando la opera del
risorgimento negativo, — sorge Cartesio, che con- ( 2 ) Dopo
la laurea, [I], p. 200 e segg. 296 Le idee estetiche e
religiose. verte subito il dubbio nell'intima certezza di sé, del
pen- siero del suo pensiero ( 1 ). Il vangelo di Gesù è quello del
cuore, il vangelo di Giovanni quello della fantasia, il Di- scorso del
metodo è il vangelo dello spirito. Tu es Petrus : il cogito cartesiano è
la pietra su cui sorgerà la vera Chiesa cattolica, un edifizio che avrà
le proporzioni dell'universo ed accoglierà tutto il genere umano,
destinato a formare un solo ovile sotto un solo pastore, il pensiero.
Dopo Cartesio, il moderno Anassagora, viene Kant, il Socrate
moderno, che leva di mezzo la metafìsica e la natura, e parla dello
spirito, uno spirito fenomenico sì, ma dal quale egli fa sca- turire la
vita, la virtù, la morale, attribuendo alle cose dello spirito un pregio
infinito. Vero è che questo infinito, questo divino, questo assoluto e
universale non è che individuale. Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene
Platone — leggi Fichte — , che con profonda intuizione vede come
l'univer- sale e il particolare di Socrate si compenetrino in una
sola unità. E dopo Platone viene Aristotele ( 2 ), viene Giorgio
He- gel, che nulla concede alla intuizione e alla fantasia, procede
con rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo regno non durerà
solo diciotto secoli, come quello dell'antico Aristo- tele, ma
diciottomila, o meglio finché duri questo attuale genere umano. Giorgio
Hegel, ponendosi nella posizione di Cartesio, rifa per intero il processo
della conoscenza e trova il processo della creazione. Questo
grande movimento, che si compie nel nord, si era iniziato nel sud ( 3 ) ;
ma il sangue del Bruno era stato ver- sato invano ed il Vico non era
stato compreso da nessuno, ( 1 ) Pel giudizio del De Meis
circa il sistema cartesiano, v. qui addietro, pp. 282-83; ecfr. p.
301. ( 2 ) Cfr. qui addietro, pp. 86-87. ( 3 ) V. Dopo
la laurea, [I], pp. 209-211. Le idee estetiche e religiose.
297 un po' per colpa del papato e molto più pel carattere
delle loro creazioni, che erano intuizioni isolate del genio, più
che momenti di uno sviluppo storico ordinato e necessario. La storia del
pensiero moderno è una storia tutta settentrio- nale. La Germania è la
nuova Grecia europea. Nel mondo latino non giunge che tardi l'eco indebolita
e sfigurata della grande filosofia. Cartesio, il padre della filosofia
moderna, non procede dal Bruno, non è inteso dal Vico, né dal Gio-
berti finché egli non si fu « spapificato » ; Spinoza fa rab- brividire
l'Italia e la Francia. Il De Meis riteneva che a Napoli si fosse sempre
conservato, in mezzo al risorgimento, un fil di tradizione del Bruno e
del Vico: la quale, così guasta e superficiale come era diventata nelle
mani degli avvocati, pure era stata bastante a farne un paese a parte;
ma credeva che i germi gettati dal pensiero italiano avessero germogliato
in Germania. Bertrando Spaventa si era molto preoccupato del problema
della filosofia nazionale ('). E il De Meis accoglieva in questo
proposito l'opinione del suo Ber- trando, da lui ritenuto il primo
filosofo vivente dell'Italia, e forse di tutta l'Europa, « la Germania
inclusive » ( 2 ). Ora che la storia del pensiero filosofico moderno sia
concen- trata tutta esclusivamente nella sola Germania — conce-
dendo soltanto un posto al cogito cartesiano — è una opi- nione che lo
Spaventa, e a traverso lo Spaventa il De Meis, accettano dai romantici
tedeschi. Ad essi, e a tutti coloro che hanno fede assoluta di essere nel
vero, il nostro Autore rassomiglia anche in questo, che il valore di ogni
singolo filosofo è per lui in ragione diretta della distanza che lo
(') V. BERTRANDO SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue
relazioni con la filosofia europea, a cura di G. GENTILE, Bari, Laterza,
1909; e Fram- menti di studi sulla filosofia italiana nel secolo XVI, nel
Monitore biblio- grafico di G. Daelli, Torino, 1852, nn. 32, 33.
( 2 ) V. Dopo la laurea, [I], pp. 288-290. 298 Le idee
estetiche e religiose. separa dalla sua propria concezione.
Caratteristici in questo proposito i giudizi circa il Rosmini e la
evoluzione del pensiero giobertiano ( l ). Dopo Hegel,
secondo il De Meis, religione e poesia cedono in Germania il posto alla
teologia e all'estetica. Nel mondo latino la tradizione cartesiana si è
dispersa; è rimasto padrone del campo il risorgimento sofìstico, ateo e
negativo. Ma l'uomo non può vivere senza un Dio, e il tempo mo-
derno, quando il risorgimento ebbe distrutta la religione cri- stiana, si
volge al passato, al medio evo sacerdotale e sim- bolico, e moltiplica
gli sforzi per creare una nuova reli- gione. Sforzi vani, che la
religione cristiana, religione di Dio, del vero spirito, della sua
trinità, della sua umanizza- zione, è l'ultima di tutte le religioni, e
solo potrà trasfor- marsi e purificarsi. Mentre questi vani
sforzi si compiono nella Germania volgare — non in quella pensante — ,
nel sud, dove un ele- mento pensante manca, la parte più elevata, non
però pen- sante e moderna, tardivamente inaugura il secolo XIX: è
un secolo XIX non filosofico, perchè non è rischiarato che da un debole
raggio di riflessione ; è pseudo-religioso e pseudo-poetico; si apre col
Concordato e col Genio del Cri- stianesimo, parti infelici della
riflessione travestita da imma- ginazione ("). La riflessione, non
avendo piena coscienza di sé come nel mondo germanico, coesiste nel mondo
latino a fianco alla poesia; e dà origine ad una pseudo-epopea, al
romanzo ( 3 ), genere ibrido, anfibio, tra la storia e la finzione, tra
la poesia e la prosa, tra l'arte e la scienza. Il romanzo, genere
equivoco, compare per la prima volta nel principio del secolo XIX dell'
antichità, ricompare nel nostro se- (!) V. Dopo la laurea,
[I], pp. 415, 435, ecc. ; II, pp. 29-35, ecc. ( 2 ) V. Dopo la
laurea, [I], pp. 211-218. ( 3 ) V. Dopo la laurea, [I], pp.
226-252. Le idee estetiche e religiose. 299
colo XIX, e rinasce in Germania, col Goethe, genio equivoco, tra la
poesia e la prosa, in cui l'universo si riflette tutto intero; si
sviluppa in Inghilterra, paese equivoco, tra latino e ger- manico, e
raggiunge la sua perfezione in Italia, paese equi- voco anch'esso, mezzo
liberale e poetico e mezzo prosaico e papale, e precisamente in un uomo,
come Goethe a cui somiglia, equivoco: Alessandro Manzoni. Si
osservi che il De Meis, una volta stabilito che il romanzo è un genere
equivoco, trova che sono equivoci tutti gli individui e tutti i popoli
presso i quali il romanzo fio- risce, prendendo — si noti — la parola equivoco
nella acce- zione di misto e complesso, sì che ad ogni popolo e ad
ogni individuo potrebbe indifferentemente applicarsi. Dopo lo
Scott e il Manzoni, il romanzo va perdendo il carattere epico, e diventa
sempre più storico, riflessivo e prosaico con l'Hugo e con la Sand, finché
in Paul De Kock e Edgardo Poe la prosa assorbe ed avviluppa in se la
poesia. Nel risorgimento moderno, come nell'antico, la lotta
co- mincia antireligiosa e finisce antifilosofica: prima la
riforma, uno scetticismo che distrugge 1' Olimpo cattolico ; poi il
deismo, uno scetticismo più progredito; infine l'ateismo, uno scetticismo
assoluto, la pessima delle filosofie. « E non è finita ancora la triplice
serie » ('), osserva il De Meis, fedele sempre alle sue triadi. La Germania
è per tre quarti prote- stante; la Francia è prevalentemente deista, e in
parte atea; l'Italia ha una ventina di milioni di analfabeti, tutti
papo- temporali ; i semi-analfabeti sono in gran parte demagoghi.
Il risorgimento produce quella filosofia che è la bestia nera del
De Meis, la filosofia positiva. Era la filosofia che gli aveva preso fra
i suoi artigli, strappandolo alla fede hege- liana, un caro amico —
rimasto tale malgrado la irreconci- ( l ) Dopo la laurea,
[I], p. 354. 300 Le idee estetiche e religiose.
liabile opposizione delle opinioni filosofiche — Pasquale Villari,
al quale così frequenti e amichevoli frecciate sono dirette nel Dopo la
laurea (') ; era la filosofia che accoglieva la teoria dell'evoluzione
del Darwin; era la filosofia opposta alla hegeliana nel principio, nella
essenza, nel metodo. Mai il De Meis si lascia sfuggire una occasione di
combatterla : trova che la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la
na- tura delle cose; ma la filosofia nuova, la filosofia positiva o
iperscettica, non ne fa neppur materia di dubbio o di discus- sione, ed è
una filosofia dell'apparenza, cioè una filosofia antifilosofica (").
Il risorgimento iperscettico non può trovare la verità, perchè ha
l'occhio sempre rivolto alla natura esterna, e non mai alla natura
interna, al pensiero dell'uomo, che è la verità stessa. Secondo il De
Meis, la filosofia sedicente positiva è di fatto negativa, poiché nega il
negabile, la cono- scenza dell'essenziale, e non pone che la conoscenza
del- l'apparente, del reale e dell'accidentale, che nessuno ha mai
pensato a negare. Questa pseudo filosofia si sviluppa come la vera.
Il primo atto è il principio; la scena è in Italia: Telesio scopre
l'ap- parenza come principio. Il secondo atto è il metodo ; la
scena è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo-
baconiano, ovvero induttivo sperimentale, ha due parti: la descrizione e
la legge dei fenomeni. Il terzo atto è il sistema, che ha pure due parti
: la classificazione e la filiazione dei fenomeni. La
filosofia positiva è una terza corrente, che si caccia fra la corrente
poetica e la filosofica, ed è il sangue della (') V. qui
addietro, pp. 9 nota ( 1 ), 35-36; Dopo la laurea, passim; cfr. PASQUALE
VlLLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, nel Politecnico di
Milano, fascicolo di gennaio, 1866; e B. SPAVENTA, Scritti filosofici, p.
311, nota ( 2 ), per quanto si riferisce alle critiche mosse a questa
pubbli- cazione dal WYROUBOFF, dal MamIANI, dal FIORENTINO, dal
TOCCO. ( 2 ) V. Dopo la laurea, [I], p. 355 e segg.
Le idee estetiche e religiose. 301 filosofia; l'osservazione
e l'esperienza ne è lo stomaco; l'in- duzione baconiana il polmone
sanguificatore ; la legge posi- tiva il torrente della circolazione; ed
essa, la filosofia, è il cervello, in cui il sangue positivo diventa
anima e pensiero speculativo. Giorno verrà in cui lo stomaco baconiano
non avrà più nulla a digerire, né il polmone a respirare; e la
natura divenuta tutta sangue circolerà dentro dell'uomo. Al- lora questa
terza corrente, tutta e sempre prosaica, sarà dive- nuta un mare, ed avrà
confuse le sue acque col mare della religione, della poesia e della
filosofia. La terza parte del gran dramma della filosofia
cristiana è il tempo nuovo. Dopo la riflessione negativa del
risorgi- mento, la filosofia moderna, come ogni filosofia, muove
alla ricerca di un principio. Il nuovo Talete è Giordano Bruno ; il
nuovo Pitagora è il Leibnitz. Per passare dal naturalismo dina- mico del
Bruno e dal neo-pitagorismo e, per così dire, dal- l'atomismo ideale
leibnitziano, dal principio naturale al prin- cipio umano, occorreva un
nuovo Anassagora, e venne Car- tesio. Il principio cartesiano, come tutte
le cose del mondo, nasce non perfetto; in Cartesio è uovo o tutt' al più
em- brione ('). Il secondo atto della filosofia moderna si volge al
metodo. Nel perfezionare il metodo antico, l'antica dia- lettica,
proporzionatamente alla più perfetta natura del prin- cipio moderno, e
nell' esplorare più completamente il prin- cipio, consiste il lavoro del
secondo atto del secolo XIX, che termina poco dopo la fine del secolo
XVIII. L'atto terzo è il sistema, è il principio di Cartesio e dello
Spinoza, del Kant e dello Schelling, corretto e metodicamente
sviluppato. Ed è nella sua essenza, se non nella sua esecuzione, il
si- stema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà mai es-
sere in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta possibilità
dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti
(') Cfr. qui addietro, PP . 282-83, 295-97. 302 Le
idee estetiche e religiose. i principi a traverso ai quali la
riflessione greca è passata non sono che le forme e i gradi della sua cognizione.
« E uno è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a un punto
nel quale il principio contiene in se il tutto % e il metodo si confonde
col processo evolutivo del principio, e il sistema è il tutto spiegato;
quando la filosofìa giunge a comprendere il creante e il creato in un attivo
processo di creazione » ('), non ha più dove andare, a meno che non
voglia indietreggiare, come fece la Grecia dopo Aristotele, o uscir
dell'universo. E se il tempo moderno non vuole indietreggiare, bisogna
che si contenti del suo nuovo Aristotele. Non è possibile un terzo
Aristotele, perchè il tempo antico ha ricevuto nel moderno il
perfezionamento essenziale, il solo di cui fosse capace : di og- gettivo
è diventato soggettivo, di totalità immobile vivo pro- cesso di cognizione
e di creazione. Vivo di riflessione filoso- fica, non d'immaginazione. Un
sistema, per concreto che sia, è sempre un'astrazione, e l'astrazione è
la morte dell'anima umana. L'anima vive finché la fa, ma quando l'ha
fatta, quan- do della realtà vivente, ossia di se stessa, ha composto
quel- l'estratto che si chiama pensiero filosofico, allora l'azione
si arresta, e con l'azione è finita la vita. Quando Aristotele ha
creato un grande sistema, perfetto e compiuto per l'antichità, lo spirito
antico vi si chiude come in un sepolcro per secoli ; e torna alla vita
solo quando ricomincia a sentire e a fan- tasticare. Quando la Germania
ha creato il vero sistema del mondo, e recata la religione cristiana
nella forma di un cristianesimo assoluto, allora la vita si congela
nell'astra- zione, e lo spirito germanico rimane assiderato. Ma
presto si scuote, e, brancolando nel buio dell'astrazione
hegeliana, trova il risorgimento negativo ed ateo ed il risorgimento
ne- gativo-positivo. Congiungendosi col primo, produce mostri
filosofici ed aborti strani ; col secondo la medicina naturali-
(') Dopo la laurea, [I], p. 373 e segg. Le idee
estetiche e religiose. 303 stica e la storia naturale materiale. Ma
la Germania mate- rialistica e naturalistica è più morta della Germania
hege- liana. Come la pura riflessione, così la pura contemplazione
è la morte. La vita è pensiero apparente, è unità di rifles- sione e di
contemplazione, di metafìsica e di filosofìa posi- tiva, di poesia e di
filosofìa. La storia universale è una sequela di creazioni,
identiche fra loro quanto al ritmo e alla legge, sempre più pure e
perfette quanto al contenuto, che comincia dalla pura forma dello spazio,
e termina nella forma più pura del tempo. Ogni creazione ha come fine la
creazione successiva ; ciascuna vive di quella dalla quale nasce e serve
di alimento a quella a cui dà origine, che le si sovrappone e l'avviluppa
in se stessa, senza distruggerla. Così dalla natura nasce il regno
vegetale, da questo l'animale, dall'animale l'uomo finito e
particolare, e da questo l'uomo universale. Tutto questo è il regno
umano inferiore, e tutto si spiega nella forma dello spazio, e coe-
siste come nella natura. L'uomo di sopra, il regno umano universale, ha
esso pure la sua storia, ed è una serie di sfere, che l'uria avviluppa
l'altra; prima l'arte, poi la reli- gione, poi lo spirito, che
universalizza la natura, e dà valore assoluto e infinito al particolare e
al finito. Tlàvta qsI . Eterna è solo l'idea ed immortale è
soltanto la natura. Come la natura, così l'uomo, lo spirito umano,
natura anch'esso, ha una legge inflessibile e costante. « Sono due nature
diverse, certo, e ciascuna ha la sua legge partico- lare e propria, ma in
fondo è una natura sola, ed una sola legge naturale » ('). Le forme e gli
elementi naturali ed umani sono del pari indistruttibili, e la legge
comune della loro attività è immutabile: nascere, crescere, decadere
e perire è destino comune agli uomini, agli animali, alle piante
( x ) Dopo la laurea, [I], p. 113; cfr. pp. 180-84, e passim; ed /
tipi animali, [I], pp. 332-33, 336-37; ecc. 304 Le
idee estetiche e religiose. e ai sistemi planetari. Ma gli elementi
della natura sono l'uno fuori dell'altro, e anche quando si combinano non
si compenetrano ; quelli dello spirito sono compenetrati ed inti-
mamente unificati, ne mai si scompagnano nella realtà, va- riando solo
quanto alla proporzione. E il prodotto piglia forma e natura
dall'elemento preponderante e più attivo. La natura è come una scala a
piuoli ; lo spirito come una scala a corda, che raggiunta la meta si
raggruppa in se stessa. Nell'uomo-cosmos gli elementi spirituali
erano tutti in uno stato di assoluta quiete e di completa indifferenza :
solo il genio, l'immaginazione era attiva da principio; poi entrò
in attività il senso. Anche la natura, poiché si muove, deve avere il
senso naturale, nella forma inferiore di senso chimico ed in quella
superiore di senso meccanico. Poi l'uomo di sistema solare si fece
pianta; nella pianta l'unico elemento spirituale attivo è il senso
chimico. Nell'animale v'è il senso meccanico in nuove forme; v'è un arco
diastaltico, di cui l'impressione, il senso naturale è il primo atto, e
l'ultimo è il movimento, la contrazione; e nel sommo dell'arco
comin- ciano ad entrare in azione gli altri elementi umani : imma-
ginazione, sensazione, memoria, e ristretta in una sfera tutta animale
una piccola induzione, e per poco la famiglia umana, e talvolta la
società umana in forma animale. Finalmente nell'uomo entra in attività la
coscienza, la riflessione, e con questa gli elementi spirituali
superiori, la poesia, la religione; manca la riflessione della
riflessione, la scienza; predomina il senso (vegetale, animale ed umano).
Questo è lo stato naturale di cui parla il Rousseau. Nel secondo tempo
l'atti- vità passa alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze
fra gli uomini. Queste si vanno poi via via accentuando per opera
della riflessione, che si è andata rinvigorendo alle spese del sentimento
e dell'immaginazione. Ma contemporaneamente a questo processo di
divisione e di analisi, si compie nella storia un lavoro di unificazione
e di sintesi. La grande ragione avviluppa la piccola, poiché è sempre la
facoltà superiore Le idee estetiche e religiose. 305
che unifica in sé e dà la sua forma alla facoltà inferiore, da cui
riceve in contraccambio la vita. Questa seconda co- scienza non è un
trovato della odierna metafisica, che anche Aristotele parlava di due
vovg, l'uno poietico o attivo, l'altro patetico o passivo ; e nel secolo
XVI qualcuno fu arso vivo per aver parlato di quel secondo spirito ( l
). La vera vita dello spirito, unità vivente, è in una molti-
tudine di individui ad un tempo ; e però la storia dello spirito si
compone di una successione di grandi unità ("'). Il primo stato
embrionale del genere umano è la natura (il De Mteis, hegeliano e medico,
prende spesso come termine di con- fronto l'organismo umano); la vita
fetale è il vegetabile e l'animale; terza muda è quella dell'uomo
positivo, l'infante del genere umano. Egli con la sua piccola positiva
riflessione vede intorno a se un mondo finito, e si fa un Dio finito e
posi- tivo; non soddisfatto di questo breve corso mortale, senza
scopo in se stesso, sogna una seconda vita, ha fede in essa, ed è
religioso. Questa religione, questa fede, si trasforma a poco a poco in
un ideale, in un caro sogno poetico. Poi dalla prima nasce una seconda
coscienza, e l'uomo intui- tivo diventa — quarta muda — l'uomo riflessivo
e intellet- tuale. La nuova coscienza, mentre si appropria la
coscienza finita e positiva, imprime in tutte le diverse funzioni
umane il suggello della sua infinita unità, pur lasciandole nella
loro distinzione naturale; e così permangono l'agricoltore, l'avvo-
cato, il medico, e via dicendo. Ma nella sfera superiore le due coscienze
si unificano, ed il poeta ed il prete rimangono assolutamente
identificati nel pensatore, perchè una volta svi- luppata la coscienza
intellettiva l'uomo non può più deporla per ritornare uomo positivo
ovvero semi-uomo, così come non poteva deporre la coscienza positiva e
tornar ad essere (') V. Dopo la laurea, [\], pp.
169-74. ( 2 ) V. Dopo la laurea, [I], pp. 112-28, 149, 152 e
segg. Del Vecchio-Veneziani - 20. 306 Le idee
estetiche e religiose. animale. E la poesia si trasforma in
estetica; la religione in critica e in filosofia. Oggi la poesia non c'è
più al mondo, perchè essa non è una combinazione di fantasia che
afferra e trasforma e di natura afferrata e idealizzata ; ma è una
sola unità, « è l'universo pervenuto a grado di spirito, che
inconsciamente si trasforma e si purifica nella conscia anima di un solo
uomo, spettatore più che autore della sua propria trasformazione ».
È un fatto di ragione che la vita umana comincia con l'assoluta
barbarie, col puro senso materiale e col semplice istinto naturale; e
termina nella riflessione intellettuale, che è la vera vita e l'assoluta
e definitiva civiltà. È un fatto di osservazione e di ragione che si va
dall'una all'altra passando per la forma intermedia della immaginazione.
La religione e l'arte è il regno dell'immaginazione: è una barbarie
civile ed un senso spirituale. L'epica è la poesia immaginativa e
barbara, e perciò più perfetta; la lirica è la poesia riflessiva e
civile, e perciò più imperfetta; la drammatica è la forma intermedia.
Essa è più riflessiva dell'epica, e sviluppa un elemento di questa; è
epico- religiosa nell'antichità, raggiunge la perfezione nel risorgimento,
e decade nel secolo XIX, nel greco-romano come nel latino-germanico, per
eccesso di riflessione. Analogo arco descrive la lirica, che sviluppa
un elemento della drammatica, e, finita come poesia, durerà come
lirismo filosofico finché duri il secolo XIX, ossia finché duri il genere
umano. La poesia sensibile ed oggettiva è la barbarie dello
spi- rito umano, la filosofia intellettuale e soggettiva è la sua
ci- viltà ; dall'una all'altra si passa a traverso la forma inter-
media della religione, che è tutt'insieme oggettiva e sog- gettiva, è
sensibilmente intellettuale, è la barbarie civile dello spirito umano. La
religione più barbara, più naturale, più oggettiva e più epica è la
religione indiana; la più civile, più umana, più soggettiva e più lirica
è la cristiana. Tra la Le idee estetiche e religiose.
307 religione epica orientale e la religione lirica
occidentale, la religione passa per una stazione intermedia, la Grecia,
e vi prende una forma intermedia, la forma drammatica. Nella
religione indiana troviamo tutti gli elementi e tutti i carat- teri di un
sistema religioso completamente sviluppato; il politeismo greco è la
prima caduta della religione, la quale risorge nel tempo moderno.
L'oriente moderno, ossia il medio evo, pone gli elementi essenziali della
religione, che sono quelli stessi del pensiero, nella vera forma
religiosa; l'anti- chità moderna, ossia il risorgimento, spezza questa
forma; il secolo XIX, il vero tempo moderno, li pone nella forma di
pensiero : invece della riflessione filosofica del medio evo è una
filosofia religiosa. L'oriente è essenzialmente epico; la Grecia è, nella
sua stessa epopea, principalmente dramma- tica; il tempo moderno è tutto
umano e tutto divino ed è tutto lirico e riflessivo. E del tempo moderno
il medio evo è religioso ed epico; ma è un'epica lirica, ispirata
dalla grande riflessione: tale è la poesia dantesca. Il
risorgimento è irreligioso e drammatico. Il fantastico si cangia nel
mera- viglioso; poi il meraviglioso stesso sparisce dalla poesia.
Il secolo XIX è di nuovo religioso ed è tutto lirico: il prin-
cipio è epico-lirico; poi viene la drammatica, che comincia storica e
finisce cittadinesca e domestica; e all'ultimo viene una lirica tutta
stravolta per voler essere ultra-poetica. Ormai la riflessione ha
superata l'immaginazione; il sentimento e la fantasia sono stati
oltrepassati e ravviluppati dentro al pensiero; quindi quella del nostro
tempo deve essere una poesia lirica, drammatica ed epica ad un tempo; il
prodotto di tutte le facoltà riunite, la filosofia vivente, poetica
e religiosa, la filosofia dell'universo, cioè dell'uomo. 11 se-
colo XIX, cominciato lirico-poetico, termina lirico-prosaico-
filosofico-poetico-religioso ed assolutamente cristiano. La poesia non è
morta; ha subita una metempsicosi, uscendo 308 Le idee
estetiche e religiose. dalla forma di immaginazione per entrare in
quella di filo- sofìa, e in quella vive ed eternamente vivrà.
La forma e l'elemento della poesia e della religione è, come
abbiamo visto, l'immaginazione. Quando il risorgimento ha distrutta
l'immaginazione, allora il sentimento, che prima era in germe, assorbe
tutto l'uomo e tutta la natura. E sorge la musica f 1 ), forma di poesia
della quale il sentimento è solo elemento e sola sostanza, e il tempo V
unica forma. La musica è l'ultima delle arti ; la poesia è la prima. Le
arti plastiche usano una materia più naturale, meno ideale, deb-
bono sostenere con questa una lotta più lunga, e giungono più tardi a
perfezione. Viene prima la scultura, poi la pitiura. Certo la
musica è nata, come tutto il resto, con l'uomo; ma nel medio evo antico è
un esercizio secondario, subor- dinato alla poesia e alla religione ; nel
risorgimento sofistico è bensì un'arte, ma rimane di gran lunga inferiore
alla scul- tura e alla pittura ; nel medio evo moderno la musica è
epico- religiosa, e rimane subordinata alla religione. Solo nel
risor- gimento moderno la musica si sviluppa, mentre le arti pla-
stiche decadono: dapprima, nel risorgimento drammatico, la musica non è
che un compimento e un aiuto del dramma ; acquista un proprio assoluto
valore solo nel risorgimento li- rico, che è il tempo della negazione del
pensiero, ossia del- l'essenziale, e quindi è il tempo del nulla. Questo
vuoto sentimento si traduce in un vuoto suono, che diviene arte e
poesia. La musica è dunque una lirica vacua, è un'arte oltre-lirica, è
l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto del risorgi- mento, ed è quello che
meglio ne scopre il carattere, poiché il fine è il grande rivelatore. Ma
il nulla al quale il risor- gimento mette capo, se in apparenza è la
fine, in realtà è il principio, quello stesso dal quale in origine usciva
Funi- verso. Da quel punto istesso l'universo, ossia l'uomo, rico-
H V. Dopo la laurea, [I], pp. 310-333. Le idee
estetiche e religiose. 309 mincia da capo, tutto intero, in seno
alla filosofìa. Questa nuova creazione è il tempo dell'essere, il secolo
XIX, che ha per necessaria preparazione il risorgimento
progressiva- mente negativo e per divisa: negazione di negazione. Il
se- colo XIX nega quel vuoto universo di suoni ; fa della musica
quello stesso che già prima ha fatto della poesia, la dissolve a poco a
poco ; comincia dallo snaturare la musica a furia di sapere e di
meditazione, dando sempre meno alla me- lodia e sempre più all'armonia, e
la riduce ad essere una scienza musicale. Questo è già avvenuto in
Germania, dove allato al risorgimento scorre il tempo moderno;
nell'Europa italo-celtica prevale ancora il risorgimento lirico, e
tocca ormai l'estremo punto dell'assoluta negazione; già la musica
si avvicina al suo limite prosaico ; già il pensiero positivo comincia a
sopraffare e ad assorbire il sentimento e l'imma- ginazione.
Il tempo moderno è la vita che rinasce dal seno della morte, la
fede che spunta dalla negazione. Non il tempo moderno dell'antichità,
perchè sopravviene nell'anima ro- mana, mentre il dramma del risorgimento
si era combattuto nell'anima greca, ma il vero tempo moderno, il nostro
se- colo XIX, che è la continuazione e l'adempimento del risor-
gimento cristiano. In questo secolo il sentimento dell'uma- nità, che è
un aspetto del sentimento della natura, prenderà la sua vera forma in una
nuova poesia, nella quale la lirica, la drammatica e l'epica saranno
ricomposte in una unità assoluta e definitiva. L'unificazione
non è però avvenuta ancora nel campo della poesia, né in quello della
religione e della filosofia. La poesia primitiva o naturale, invariabile
come la natura, sussiste presso il popolo analfabeta; e c'è la poesia
medio- evale e quella del risorgimento, immodernate e ormai vuote.
Così è delle forme religiose (*). Analogamente delle forme 0) Cfr.
qui addietro, pp. 287-88. 310 Le idee estetiche e
religiose. filosofiche : esiste presso il popolo apostolico
primitivo la filosofia primitiva o religione ; ed esiste pure la
filosofia me- dioevale, la scolastica del secolo XIX, e la filosofia del
risor- gimento, con tutte le sue gradazioni progressivamente scet-
tiche e negative e con tutte le sue forme positive. Abbiamo oggi la
massima complicazione di indirizzi e di forme ; non è però difficile
distinguere le diverse funzioni storiche in atto, né prevedere un
continuo avvicinarsi ad una assoluta unità. A questa teoria
del De Meis si mossero da Silvio Spaventa e da altri obbiezioni ('), che
possono ridursi sostanzialmente a questa : Come può lo spirito umano
perdere due delle sue funzioni essenziali, l'arte e la religione ? Il De
Meis risponde che Silvio Spaventa ha ragione se, basandosi sulla
filosofia kantiana, afferma che lo spirito umano sarà sempre tratto
a fare degli assoluti giudizi religiosi ed estetici, ad unire al
concetto della mente la intuizione che deve dargli corpo e vita; ma ha
torto se crede che la intuizione da accompa- gnare all'ideale debba
essere sempre fantastica e falsa. Nel principio l'intuizione religiosa e
l'intuizione estetica è creata dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta
perchè non è la vera, non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto
concetto; e di qui nasce da una parte una serie di capolavori tutti
relati- vamente perfetti — se son davvero capolavori — , perchè
l'ideale dell'arte, come finito ch'egli è, può accordarsi con una
intuizione finita; e ne viene dall'altra parte una serie di religioni
tutte imperfette e però tutte transitorie, perchè l'ideale religioso è
infinito, e la fantasia non sa creare che delle immagini finite. Ma le
due serie hanno una legge, perchè ( ] ) V. Dopo la laurea,
II, pp. 19-46; e cfr. Poesia ed arte, Lettera di G. FRANCESCHI al De
Meis, nella Rivista bolognese, 1868, pp. 1045-51. Il Franceschi dice che
il De Meis, togliendo all'uomo la religione e la poesia, lo abbassa all'abbaco
e al pane ; egli non comprende che il De Meis intende anzi di innalzarlo
alla sua filosofia religioso-poetica. Le idee estetiche e
religiose. 311 hanno un termine : e il loro termine non può essere
che la vera e reale intuizione corrispondente al concetto dell'arte
ed all'ideale della religione. E difatti abbiamo da un lato una serie di
forme estetiche l'una meno perfetta dell'altra, e sempre meno rispondenti
alle condizioni assolute dell'arte; e sono sempre meno naturali e
spontanee, meno epiche e fantastiche, sempre più spirituali, liriche,
filosofiche e reali; e sì l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e
bella, e più trasparente ed immediata all'ideale. È, dunque una
serie regressiva e discendente. La serie religiosa è al contrario
ascendente e progressiva. Ogni forma religiosa è meno fan- tastica, più
razionale, più reale della precedente. Per cui l'ultima, la cristiana, è
assolutamente vera e perfetta; in essa al mondo della ragione corrisponde
un mondo fanta- stico quanto esser può più adeguato e spirituale : il
cristia- nesimo non ha altro difetto che quello di essere una reli-
gione. La religione cristiana si va sempre più perfezionando; e il suo
perfezionamento consiste nell'essere sempre più storia, più realtà, più
verità, e sempre meno religione. E così per contrarie vie, l'una
scendendo e l'altra montando, la religione e l'arte corrono al loro fine,
al vero. Il vero è l'eguaglianza della realtà e dell'idea, del pensiero e
del- l'intuizione. L'intuizione estetica, da principio fantastica e
non realmente assoluta, diventa a gradi sempre più somi- gliante al
concetto assoluto dell'arte, finché raggiunge l'asso- luta e reale
intuizione. Allora la natura è concepita come un solo essere vivente,
indipendente, assoluto; e ciascuna sua parte è intuita come membro
dell'intero, ed assoluta essa stessa : giacché le due intuizioni ne fanno
una sola. La intuizione religiosa, essendo finita, non è adeguata alla
sua idea, che è infinita. La verità religiosa non è mai la vera,
perchè è una combinazione di finito e di infinito, anzi che di infinito
con infinito. Ma la intuizione religiosa si va sempre più allontanando
dalla forma naturale, e si fa sempre più veriforme fino a diventar vera ;
il che avviene quando 312 Le idee estetiche e
religiose. l'infinito ritrova se stesso, ed è a un tempo concetto
e intuizione. Allora al falso succede il vero, e la religione fi-
nisce. Questo non è perdere una funzione; è risolvere e trasfigurare. Le
funzioni inferiori dello spirito, come la mo- rale, il diritto, lo Stato,
conservano una esistenza separata, perchè partecipano ancora della
qualità della natura; ma la religione e l'arte hanno per oggetto il vero;
sono i gradi e le forme del vero pensiero, e perciò quando il pensiero
ac- quista una esistenza distinta, esse la perdono e rimangono
unificate in lui. L'arte è per sua natura illusione e la reli- gione è
per sua essenza errore ; ora l'illusione è fatta per trasformarsi in
certezza e realtà, l'errore in verità. L'arte si trasforma nella vera
cognizione naturale ; la religione nella vera cognizione spirituale. In
questa trasformazione consiste la storia; il suo compimento è il fine
della civiltà ed il limite del progresso umano, che è temporalmente
indefinito, ma idealmente determinato. L' ideale è provvisorio, e
sparisce nell'idea. Così termina la parabola
religioso-poetica, della quale il primitivo oriente è il ramo ascendente;
l'antichità pagana, tutta arte e mistero, è la cima; ed il ramo che
discende è l'era cristiana, in cui la religione e l'arte vanno
progressi- vamente diventando più riflessive, sino a ridursi ad
essere, oggi, il pensiero e la scienza cristiana. L'uomo moderno
cerca l'ideale e trova l'idea, cerca il concetto dell'arte e trova il
vero concetto, cerca il divino fuori di se e trova in se l'umano; cerca
il sovrannaturale e trova il naturale. Il nuovo uomo crede e pensa; e
pensando ricrea l'universo, dal suo pensiero una prima volta creato.
Questo nuovo universo è un'opera d'arte in cui la forma eguaglia il
concetto ; ed il concetto fatto conscio di se vince la forma, ed è
bello e sublime ad un tempo. Questo nuovo universo è un capo-
lavoro, di cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme, intende il
magistero; è un tempio, di cui il pensiero umano è il nume
Le idee estetiche e religiose. 313 e ciascun uomo il
sacerdote, che a quel Dio sacrifica ciò ohe è in lui di non buono. E il
nuovo uomo continua questa creazione con azioni generose ed alti
pensieri. « Ed è così che egli è più che mai non sia stato religioso e
poeta, quando non è più che scienziato e libero pensatore ». L'uomo
parte dalla tenebrosa unità della natura e del senso, e, a traverso la
piccola riflessione e la grande immaginazione, giunge alla luminosa unità
della riflessione intellettiva, av- vivata dalla fede religiosa e
poetica, che sole restano della religione e della poesia.
Naturalmente gli argomenti logici addotti dal De Meis a sostenere
la sua tesi della « metempsicosi » della religione e dell'arte nella
filosofia hegeliana sono validi solo se si ammette l'esistenza di un
concetto assoluto, universale, defi- nitivamente vero, al quale le
intuizioni estetiche e le reli- giose possano gradatamente adeguarsi;
solo, in una parola, se si accoglie l'hegelismo dell'Autore. Il compendio
di storia del genere umano tracciato per convalidare queste
argomentazioni non raggiunge lo scopo, perchè in esso non la storia
conduce alla dimostrazione, ma la dimostrazione, se pur non modifica la
storia, certo la coglie nei momenti e negli aspetti a lei giovevoli,
sorvolando sugli altri. E le molte e molte pagine che l'Autore consacra
alla dimostra- zione della sua tesi riescono invece a dimostrare questo :
che egli ha avuta la somma fortuna di trovare nella sua conce-
zione dell hegelismo la sua filosofia, la sua religione e la sua
poesia. Il De Meis è certo che le tre grandi correnti umane, —
la contemplativa religioso-poetica che nasce dalla natura e la
riflessi vo-filosofica che, nata dalla precedente, si suddivide in altre
due : la filosofica positiva o filosofia della sostanza e Tanti
filosofica negativa che bentosto diviene afilosofica, nega-
tivo-positiva, pseudo-riflessiva o filosofia dell'apparenza — , dopo aver
proceduto isolate fino al secolo XIX, suddivi- 314 Le idee
estetiche e religiose. dendosi in altre molte correnti o scienze
pseudo-positive, accennano oggi a ri convergere. L'unità dell'apparenza e
del pensiero, con la precedenza di questo su quella, è l'unità del
pensiero. Per avere l'unità della natura non basta che le due filosofie
astratte si fondano in una sola filosofia con- creta; bisogna che la
corrente religioso-poetica mescoli le sue acque con la corrente unificata
della filosofia. La cor- rente filosofica, scaturita dalla religione e
dalla poesia, tor- bida in principio, si allarga, si purifica, diviene
trasparente sino a perdere ogni potere nutritivo; ma poi, a poco a
poco, invade e travolge il tutto, l'uomo e la natura, la religione
e la poesia; e fa di tutto una sola unità vitale. E allora la filosofia
sarà la vita, sarà l'unità spontanea ed armoniosa della natura : un
pensiero pieno d'amore vivificherà una natura piena di fantasia, l'amerà
come natura umana, e l'adorerà come natura divina. Qui alcuno
potrebbe chiedersi : in questa identificazione della filosofia con la
vita, non subirà la filosofia stessa un assorbimento analogo a quello
subito dall'arte e dalla reli- gione ? La forma superiore non sarà la
vita e l'azione ? Ma il De Meis non distingue dalla vita quella sua
filosofia del- l'avvenire. Egli afferma che è difficile precisare come
tale unificazione vitale si compia, e perchè quest'opera è appena
cominciata, e perchè avviene nella profondità del pensiero, al di sotto
della coscienza. Sono cose tanto lontane — dic'egli — e c'è di mezzo una
tal nebbia di tempo avve- nire, che è impossibile vederci chiaro: bisogna
contentarsi di averne un'idea generale, a Ma —soggiunge — a questa
generalità io ci credo, e giurerei, tanto ne sono certo, che le cose
passeranno così in generale ; e che tutto anderà a terminare nella
fusione di tutte le forze, di tutte le cono- scenze, e di tutte le
realtà, in una sola vita umana » {'). La sua filosofia sarebbe forse un
atto di fede? L'uomo
è un sistema vegetativo, un sistema riproduttivo, un sistema animale e un
sistema spirituale. Ciascuno di questi quattro sistemi umani è attivo e
si muove; ed ha, come natu- rale, la causa del suo movimento fuori di se,
nella natura. La natura della causa esterna che move è corrispondente
e proporzionata alla natura della sfera interna che è mossa; mentre
è una stessa natura che fa l'una per l'altra, ed è sempre la seconda che
move se stessa con la prima natura. Ma se l'accidente, esterno o interno
che sia, se la irragione- vole cattiva natura interviene, e rompe la
legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano o naturale modifica la
qualità della causa motrice, e ne muta la relazione, e ne altera la
proporzione con la interna sfera umana, questa si altera e si disordina.
Il disordine della sfera direttamente colpita si comunica alle altre, ed
è una successione e una complica- zione di morbi; ma, isolati o uniti,
non vi sono che quattro morbi umani essenziali: i vegetativi, i
riproduttivi, gli ani- mali, gli umani o mentali. La patologia
preistorica dice che di questi quattro morbi il primo è stato il morbo
vegetativo. L'uomo primitivo, uscito sano, valido ed innocente dalle
mani del Creatore, rimane sano, finché rimane innocente; non ammala
che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ; non è esposto che agli
accidenti meccanici, alle malattie trauma- tiche. Ma l'animale umano è, a
differenza degli altri, capace di colpa; egli trasgredisce il precetto e
oltrepassa la natura: felice colpa, perchè lo fa accorto di poterla
oltrepassare. Di là dalla natura l'uomo trova se stesso : trova la sua
libertà e la sua propria natura, e fa della necessità animale,
istin- tiva ed involontaria, una necessità umana, spirituale e
volon- taria: e così di colpevole ritorna innocente. Ma non è più
la primitiva innocenza dell'animale ignaro e meccanico; è l'innocenza
dell'uomo che si vede nel suo interno, e si sa libero ; e liberamente
vuole se stesso, ed ama e venera la sua propria natura. Ma bentosto egli
oltrepassa questo se stesso, supera questa sua natura, e diviene di nuovo
colpevole, e Le opere scientìfiche e la filosofia della
natura. 173 si rifa sempre di nuovo innocente, finché non abbia
raggiunto tutto se stesso e la sua vera natura spirituale, e non sia
com- piuto il fato umano. Così V uomo naturale diventa in prin-
cipio civile, e poi da una civiltà passa in un' altra. La civiltà ha
certamente i suoi morbi ; e sopratutto nel mo- mento del passaggio e
della colpa il morbo si impadronisce dell'uomo, e cresce e si moltiplica
ed imperversa. Allora l'uomo è annoiato di se stesso, e perciò si
corrompe. E il morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi e più
cru- deli morbi. La corruzione sensuale moltiplica i morbi vege-
tativi ; le voluttà naturali e preternaturali generano i morbi
riproduttivi. Le cause psichiche non moltiplicano solo le cause naturali,
ma operano anche per proprio conto, gene- rano per diretta azione le
malattie nervose e le psichiche. D'altra parte, nelle nature più elette,
invece di una corru- zione sensuale, nasce un principio di fermentazione
intellet- tuale, che dà origine alle malattie dello spirito. Ma
tutto questo avviene con una certa legge. Tre grandi civiltà si
succedono: la prima naturale, la seconda umana, la terza divina. E
ciascuna ha il suo proprio carattere e la sua par- ticolare natura; e
ciascuna si corrompe, ed ha le sue proprie e particolari malattie. La
civiltà naturale quando è nel suo primo fiore e nella sua perfezione
originaria è senza morbi, altro che accidentali e meccanici ; ma la sua
corruzione porta seco le cause fìsiche e chimiche, e genera morbi fisici
e morbi chimici: cause cosmiche, naturali, che danno origine a
morbi naturali, sopratutto vegetativi, prima ai morbi nutri- tivi, e più
tardi ai morbi formativi. La civiltà umana — il paganesimo — nel suo
fiore è di nuovo senza morbi ; ma la sua corruzione porta seco le cause
umane, sensuali, passio- nali, e dà origine ai morbi riproduttivi ed ai
morbi animali: ai nervosi prima, e quindi ai psichici. La civiltà divina
— la cristiana — nel suo primo fiore è del pari senza morbi ; essa
è la reazione della medicatrice natura umana, è la gua- rigione
dell'anima e la salute del corpo, rimedio radicale 174 Le
opere scientifiche e la filosofia della natura. di tutti i morbi
umani. Ma la reazione eccede tosto il segno della umana natura, ed è
principio di nuovi morbi. Mistica e tutta entusiasmo e religioso
sentimento, essa reca le cause mistiche, che danno origine alle malattie
psichiche mistiche e religiose. La corruzione cristiana riproduce la
corruzione pagana, e con le cause passionali rinnova le antiche
malattie. Ma di sotto alle rovine del primo spunta il secondo
cristia- nesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le
cause spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima
civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora spa- rirà il
male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi, come era in principio
l'uomo animale. Tale è il primo e più generale risultato, la prima legge
della patologia storica : l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha
quattro qua- lità di morbi, che sono le categorie primarie della
patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o nell'altro
senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo la
oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo positivo o negativo,
stenico ovvero astenico. Sono queste le cate- gorie secondarie della
patologia. La categoria primaria, la natura e la qualità fisiologica del
morbo, è l'essenziale, e mai non manca, né può mancare ; invece la
categoria secon- daria, il grado e la quantità innormale, può mancare, e
manca infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qua-
lità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche la quantità
innormale può mancare del tutto, perchè è sup- plita dalla quantità
normale ; nelle grandi applicazioni sto- riche la categoria secondaria
trasparisce sempre dentro alla categoria primaria. Le
categorie primarie e secondarie ci danno la pianta della patologia
storica; non l'edilìzio con tutte le sue parti. Le quattro grandi sfere
contengono minori sfere, i quattro grandi sistemi contengono sistemi
sempre più piccoli : appa- recchi, organi, tessuti, elementi istologici:
le anime gene- rali non esistono veramente che nelle anime elementari
o Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
175 cellulari. I fatti sono complessi organici e naturali di
cate- gorie, le più generali chiuse nelle più particolari, e queste
ricoperte dalla loro buccia innominabile ed accidentale. A forza di
aggiungere categorie a categorie il vacuo si riempie e si consolida
l'astrazione ('). La patologia storica congegnata dal De Meis è
veramente originale ( 2 ); e sebbene, volendo dedurre da pochi
principi e compendiare in pochi schemi tutti i fatti umani, abbia
tal- volta dell'artinzioso, non è certo nel complesso senza genia-
lità, e coglie con acume i nessi che legano i singoli morbi alle varie
forme della civiltà umana. IV. Ancora il terzo
periodo — b) La filosofia della natura ( 3 ). La creazione secondo
il De Meis. La lotta del De Meis contro la teoria darwiniana. 11 suo
metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi. L'accidentale e il
necessario nella sua concezione filosofica. 11 De Meis non poteva
limitare la sua speculazione entro l'ambito della jatronlosofìa : dalla
sua stessa concezione di ( J ) V. Delle prime linee della
patologia storica, Prelezione, Bologna, Monti, 1866, passim.
( 2 ) Della sua patologia storica l'A. scrive (Delle prime linee della
pa- tologia storica, p. 63): « ...Sarà vera o falsa, buona o cattiva...;
ma sarei curioso, e ben vorrei vedere chi di questa bazzecola, come
d'ogni altra mia piccola cosa infino a una menoma parola, sarebbe capace
di reclamare la priorità ». - Nella prel. qui cit. l'A. non tracciò che
lo schema generale di questa sua costruzione. Ma svolse poi l'argomento
nel successivo corso di lezioni universitarie, mai dato alle stampe. Cfr.
SICILIANI, Gli hegeliani in Italia, 1. cit., p. 526. ( 3 ) V.
qui addietro, p. 156, nota ( 1 ). Per gli argomenti trattati in questo
paragrafo, si vedano: / naturalisti (1865), La natura a volo d'uccello: Forza
176 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
questa, oltre che dall'indole del suo ingegno e dall'influenza
dell'ambiente intellettuale nel quale era stato educato, egli doveva
essere e fu infarti condotto alla costruzione di una filosofìa della
natura. Ma se egli parte dall'affermazione che l'essere è
pensiero, e non vede chiaro il significato di questa identità e non
ne deduce logicamente tutte le conseguenze, se egli pone le
fondamenta in modo arbitrario e nelle singole parti confuse e cozzanti
fra loro, non può innalzare un edifizio solido e fermo. E la sua
filosofìa della natura è infatti un castello in aria, sebbene edificato
con ingegnosità, pazienza e tenacia ammirevoli. Sono pagine che succedono
a pagine, volumi che succedono a volumi, e rivelano una profonda
conoscenza dello svolgimento di tutte le scienze mediche e naturali,
dai tempi più antichi fino a quelli in cui viveva l'Autore: geo-
logia, chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e compa- rata,
fisiologia, patologia, terapia; e sono ipotesi e conquiste scientifiche
messe in relazione con sistemi filosofici e con periodi storici ; sono
analisi di animali e di vegetali, di specie, di classi, di ordini, di
generi; e descrizioni di organi, di funzioni, il cui nascere e
modificarsi vuol essere spiegato dal crearsi della idea divina. Ma in
tutta la costruzione si risentono le conseguenze della incertezza
fondamentale. Il De Meis afferma che creare è diventare, è spiegare
suc- cessivamente le forme di cui si ha il germe nel proprio es-
sere. Il pensiero originario compie la propria creazione, e di semplice
essere si fa a poco a poco pensiero assoluto ( x ). Ma poi aggiunge che
il pensiero è il fondamento, il tetto e e materia (1865), Un
nuovo corpo semplice (1865), / tipi vegetali (1865), Deus creavit (1869),
/ tipi animali ([parte prima], 1872; e parte seconda, 1875), Filosofia e
non filosofia (1883), Darwin e la scienza moderna (1886), ecc.
(*) V. Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, 1869, p.
736 e segg. Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. 177 la travatura dell'edilìzio della natura. Egli viene
così ad am- mettere che il pensiero non basta ad esaurire tutta la
realtà, perchè il fondamento e la travatura non sono tutto
l'edifizio. Non resta dunque fedele alla concezione idealistica,
secondo la quale la natura è un momento del pensiero, che si
risolve interamente nel pensiero stesso, e senza la quale lo
sviluppo del pensiero non sarebbe né completo, né possibile.
Egli distingue nella natura due gradi e due modi di creazione:
l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale, individuale anch'
essa. La prima creazione è quella che F idea dell' uomo fa dell'
individuo umano; ma 1' idea del- l'uomo è naturale, e le idee naturali
restano latenti finché l'idea divina, prima causa di sé e della natura,
le renda attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione.
Quando l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella
natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto al suo
principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea spirituale.
Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'acci- dente, cioè come
individuo. Quindi, come nella natura, così nello spirito accade una
doppia creazione : quella dello spi- rito individuale e quella dello
spirito universale. Il primo ripercorre le forme storiche passate
dell'umanità sino all'at- tuale, l'altro crea le nuove e più perfette
forme storiche. La storia della natura umana, quella della natura vivente
e quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno
stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre crea- zioni : una
divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale, ma temporale e
finita, universale e particolare insieme; la terza materiale,
individuale, accidentale. Dio si realizza nel mondo, e il mondo
nell'individuo; quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo
fa nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma più
semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme opposte, il
vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una Del
Vecchio-Veneziani - 12. 178 Le opere scientifiche e la
filosofia della natura. forma completa, lo spirito umano. Le forme
dell'idea divina passano eternamente l'una nell'altra, senza annullarsi;
e così pure le forme dell'idea naturale; ma nella materia una forma
esclude l'altra, e però nell'individuo sensibile, pur rimanendo tutte
idealmente, spariscono via via sensibilmente. Come un mammifero passa per
le forme animali inferiori e le proto- vertebrate prima di assumere ra
sua forma specifica, così l'in- dividuo umano principia selvaggio, e poi
riproduce le tre forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi
ra- gionatore, e finalmente pensatore: medio evo, risorgimento,
tempo nuovo. L'uomo ordinario, nel suo sviluppo, si arresta alle forme
storiche già create; l'uomo di genio crea forme nuove, opera come spirito
universale, traendo da Dio l'im- pulso e l'ispirazione creatrice. E sempre
esisteranno oltre ai più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i
creativi, finché, come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua
forma vera, già tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari
gradi e le varie forme in cui il tipo divino si squaderna nella
natura. Questi gradi sono una scala di mezzi e fini, in cui
la forma inferiore è organo e mezzo all'esistenza della supe-
riore. Il ciclo tipico concepisce il moto creativo e produce il ciclo
superiore. Quando la natura è fatta, comincia la vita; e quando è chiusa
la creazione vitale comincia lo spirito umano. I cicli secondari, anche
prima di essersi svolti inte- ramente, cominciano a produrre i tipi
corrispondenti del ciclo superiore. E la creazione ideale è creazione
sensibile ; la creazione di una specie è produzione di molti individui
in cui appare la nuova forma. Il concetto precede l'esecuzione, e
la successione effettiva e naturale presuppone la succes- sione logica,
ideale. La funzione è la vita, la forma è la natura, che precede il
contenuto vitale, e non se ne lascia tuttavia assorbire e soverchiare ; e
quando il contenuto spa- risce la forma rimane. Nei tipi superiori la
funzione assorbe e domina sempre più la forma, ma la sua vittoria non è mai
Le opere scientìfiche e la filosofia della natura. 179
completa. L'equilibrio fra la forma e il contenuto si rista-
bilisce non nel corpo, ma nello spirito umano. La vita passa come il
tempo; la natura è più tenace. Altra è la successione di tempo,
altra di idea. La suc- cessione naturale va non da ciclo a ciclo, ma da
tipo a tipo ; e perciò in tutte le epoche della creazione tutti i
tipi primari sono, più o meno completamente, rappresentati. Ogni tipo
incomincia col riprodurre i tipi formali che lo pre- cedono, indi prende
la sua forma propria, e infine arieggia al tipo che gli deve succedere
('). Anche diverso è il modo di accrescimento nella natura,
nella vita e nello spirito. Essendo la natura pura esteriorità, i corpi inorganici
crescono per moltiplicazione quantitativa esteriore, e non hanno altra
unità che la loro forma comune. Nello spirito, che è pura interiorità, la
esterna moltiplicità diviene interna e qualitativa. Infine, essendo la
vita uno spi- rito naturale, un misto di esteriorità e di interiorità, di
appo- sizione e di intuscezione, Tessere organico si sviluppa per
una moltiplicazione quantitativa ed esterna e per una molti- plicazione
interna e qualitativa, con prevalenza dell'una o del- l'altra secondo che
si tratti di una forma più o meno pros- sima alla natura. Mai la vita è
tanto esterna che non abbia la sua interiorità ; mai la forma organica è
tanto molteplice che non abbia la sua unità. Ma quest'unità è diversa nel
vege- tale e nell'animale. Nel vegetale la vita di ogni individuo
elementare si unifica nella vita comune dell'aggregato; nel- l'animale
deve prevalere l'unità dello spirito umano, e l'in- dividuo, semplice e
libero al di fuori, è molteplice e tutto qualificato al di dentro. Le forme
superiori ( 2 ) sono la chiave ( 1 ) V. / tipi animali,
[parte prima], Bologna, Monti, 1872, pp. 322-23, 332-33, 336-38, 422-23;
parte seconda, 1875, pp. 670, 1098, 1101-103, 1131-132. - Cfr. Lettere
sulta patologia storica, pp. 6-8. ( 2 ) V. / tipi animali, [IJ, pp.
494-96. 180 Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. necessaria a spiegare ed interpretare le inferiori, per se
stesse oscure, indistinte, indeterminate; e sono alla loro volta
spie- gate dalle forme inferiori in cui appariscono nella primitiva
semplicità. Ma il riscontro non è utile se non cade sulle forme fra le
quali corre una particolare e più diretta e più intima relazione tipica,
secondo il vero metodo evolutivo, in cui l'idea unisce le forme ed
organizza le serie, non col metodo empirico, capace solo di conclusioni
generali arbitrarie, arti- ficiali, ovvero, se alla vacuità sostituisce
il preconcetto dar- winiano, di una inestricabile confusione.
Come Giorgio Hegel aveva combattuto e denigrato il Newton ('), così
il De Meis lancia in quasi tutte le sue opere strali frequenti contro il
Darwin e i darwiniani. Il naturalista inglese è per lui un genio, ma il
genio dell'ignoranza, perchè pone il cieco caso in luogo della ragione
vitale ( 2 ). Egli pre- tende che tutte le forme dell'intera serie
animale sieno venute l'ima dall'altra per l'aggiunta di sempre nuove
particolarità organiche nate a caso, e perchè utili ritenute nella
selezione naturale, e trasmesse dall'eredità, senza che mai in una
forma nulla preesistesse dell'altra che da essa proviene. Il De
Meis afferma che qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto la
modificazione dell'essere vivente è primitiva, spontanea, in-
(') Il De Meis dice che la proposizione in cui si compendia la
scienza dell'astronomia : « I sistemi solari sono i primi uomini, il
cosmos è il mondo umano primitivo... non è possibile che alla filosofia
della natura: motivo per cui Newton, il divinissimo astronomo, non la
sapeva altrimenti ; egli nel cielo ci vedeva Dio, e per questo ci voleva
poco, ma non ci vedeva l'uomo». - Dopo la laurea, li, p. 195. - Cfr. ivi,
pp. 26-7. ( 2 ) V. / tipi animaci, [I], pp. 143-156; e cfr., pel
giudizio del De Meis circa la teoria darwiniana, Dopo la laurea, II, pp.
195-99, 257-58; Deus creami, 1. cit., passim; Darwin e la scienza
moderna, pp. 22-35; / tipi ani- mali, [I], passim; II, pp. 760, 1079-82,
1085, e passim; Filosofia e non filo- sofia, pp. 11-12; Lettera sulla
patologia storica, pp. 6-9; ecc. Le opere scientifiche e la
filosofìa della natura. 181 genita, e non prodotta soltanto da
agenti esterni; ma egli non sa comprendere come si possa affermare che
tale modifi- cazione è casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra
poi, introdotta dal caso. Ammette che in ciascuna delle teorie di
Mosè, Zaratustra, Firdusi, Diodoro, Lamark, Darwin, è qualcosa di
ragionevole, cioè di serio e di vero. La verità più ragionevole, sebbene
espressa in modo goffo e materiale, è quella di Mosè: Deus creavit! — la
meno ragionevole è quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e
quella selettiva del Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate,
hanno di vero lo schema comune, ed è questo: gli animali formano
tutti una sola famiglia naturale ; il principio che unisce e lega le
forme è l'eredità; il principio della divergenza delle forme è la
variabilità. Se non che questi tre punti debbono essere integrati
rispettivamente così : gli animali sono tutti in fondo uno stesso animale
; la generazione è creazione ; la variabilità deve essere determinata,
perchè nella natura e nella scienza la potenza sta nella
determinazione. Secondo il De Meis, è vero che l'individuo varia
senza legge e senza ragione, fuorché quella di essere individuo
accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto fra la cieca
necessità della natura e la conscia assoluta libertà dello spirito umano.
Dio è il grande modincatore, il vero e solo creatore dei nuovi organi e
delle nuove funzioni vitali, perchè una funzione è un'idea, e per creare
un'idea ci vuole un'idea. 11 non essere non può creare l'essere,
l'irrazionale non può creare la ragione, la natura ossia l'accidente
non può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non po-
trebbe nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra loro una differenza
ideale anche, e di gran lunga, maggiore dell'organica, e neppure
potrebbero nascere nuove forme, perchè ogni fonma ha un suo proprio
valore assoluto, e si svi- luppa secondo il ritmo assoluto del mondo,
secondo il disegno eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa
l'unità delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la scienza
182 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
ad una storia accidentale, alcuni — i seguaci della scienza antica,
essenzialmente religiosa e intuitiva — ammettono due storie ideali, una
fuori della natura e del mondo, un'altra secondaria, riflesso della
prima, sviluppantesi nel seno della natura e dell'essere vivente; gli
altri, i seguaci della scienza moderna, riflessiva, non riconoscono che
la forma e la storia intrinseca alla natura, all'animale, allo spirito
umano, con- siderando la storia extramondana come un effetto ottico
ope- rato dalla intuizione. Vi sono tre maniere diverse di
considerare le forme vi- tali ('). L'una consiste nel distinguere fra gli
elementi comuni a tutte quelli che sono propri di alcune soltanto. E si
consi- derano questi elementi formali come caratteri costitutivi di
un tipo più o meno comprensivo. È la maniera astratta, quella di Linneo,
di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di Milne Edwars, di Owen. V'è una
seconda maniera, che si rias- sume tutta nella frase : una forma è simile
ad un'altra perchè il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo
è pel De Meis il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della
scienza moderna. Vi è infine una terza maniera, che con- siste nel
cogliere la forma nel suo movimento, e considerare i vari tipi come i
momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, il quale è l'unità, la verità,
la ragione, il principio e il ter- mine di tutte; e questo tipo è il vero
animale. È la maniera concreta, quella di Schelling, di Hegel, di Oken.
Dopo di loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta una
applicazione sistematica e conseguente alle varie forme animali.
Il De Meis dice che egli intende di fare un tentativo di questa
specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono idealmente l'una
nell'altra; tutte preesistono in una forma (') V. / tipi
animali, [I], pp. 519-21 ; cfr. II, pp. 760-61, 796-97, 1083- 94,
1131-39. Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
183 germinale di cui sono lo sviluppo creativo, interno,
spon- taneo. La creazione consiste nella determinazione ideale originaria
di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimi- tazione naturale,
ossia accidentale. Una forza interna a un dato momento, aiutando le
condizioni esterne da lei stessa preparate, trasforma l'embrione in larva
e la larva nell'in- dividuo completo, facendolo attraversare una serie di
forme l'una più perfetta dell'altra, immagine della palingenesi
uni- versale. Questa forza ricevette una prima spinta dalla gene-
razione. L'uomo dà l'impulso prima alle forme semplici e generali,
quiescenti l'una nell'altra, che sono nella natura e pur non sono
naturali; le desta, le crea, le differenzia, le delimita; dei puri e
semplici momenti della legge formale fa delle forme vive, reali,
accidentali; muove la materia in- forme a creare il sistema solare e
l'uomo a traverso alla serie delle forme cosmiche e vitali. L'uomo
eterno, l'uomo intelletto umano, è dietro al caos ed a tutte le forme, è
la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui
lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta par- ticolarità
esiste, ma nella forma di principio, di universa- lità, di necessità, ed
in questa contraddizione consiste la sua attività creatrice. Il pensiero
assoluto si trasferisce e si effettua nella realtà dell'universo, e lo fa
a sua immagine, e seco vi trasporta il metodo assoluto della sua
evoluzione attuale. La forma è un principio e una forza
indipendente dalla funzione (') ; e questa forza ha una legge che ne
deter- mina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'uni-
verso, è il metodo della natura, del vegetabile, dell'animale e
dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè è quello
intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge, ogni sviluppo
essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi, sintesi. Al movimento puro,
assoluto, astratto, corrisponde il (0 V. / tipi animali, II,
pp. 962-63. 184 Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. movimento concreto della forma, ai tre momenti ideali
corri- spondono tre tipi sensibili : amorfo, antimorfo, teleomorfo
('). E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo nella na-
tura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano. La natura
(amorfopan) è indifferenza senza opposizione essen- ziale ; è tutta forma
senza unità, senza fine, senza ragione, senza la forma della forma. La
vita (antipan) è essenzialmente opposizione fra corpo ed anima, fra
molteplicità ed unità, fra vegetale ed animale. Esiste fra vegetale ed
animale una doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione
(antitesi psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan)
è teleomorfo. Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo,
poiché l'antitesi non è più solo fra corpo ed anima, fra senso e
sensibile, ma fra intelligenza e intelligibile, fra Dio e l'uomo. Lo
spirito comincia con l'opporsi alle idee e finisce per riconoscersi in
quelle, e con lo stesso colpo si riconosce nelle cose : sì che egli è
l'unità reale e distinta delle cose e delle idee. L'anima nella natura è
interna, nel vegetale apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale
diventa corporea, ma rimane particolare; nell'uomo diviene
assoluta, universale e puramente ideale, e la opposizione è
finalmente risoluta e conciliata. La natura, la vita, lo spirito umano
hanno ciascuno a sua volta il proprio sviluppo trilogico
essenziale. Questo metodo trimorfo, come egli stesso lo chiama, è
per il De Meis il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al
labirinto delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le forme e i
tipi più eterogenei e dissimili sono in realtà uno stesso identico
animale in via di formazione : l'uomo ( 2 ). E dei tipi animali egli vuol
tracciare la storia ideale ( 3 ), per- W V. / tipi animali,
[I], PP . 194-95, 245-48, 295-98; e II, PP . 716, 1103-104. (
a ) V. / tipi animali, [I], p. 318. ( 3 ) V. / tipi animali, II, pp.
906-7. Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
185 seguendola a traverso alla descrizione. Confessa che la
descri- zione gli riesce troppo completa e determinata, mentre ogni
tipo è sfumato ed evanescente innanzi alla sua realizzazione, è il mobile
oscuro che da dentro fa forza e opera lo sviluppo creativo, cominciando
da sé, creando a mano a mano le pro- prie determinazioni. Invece i
sistematici ordinari ■(*), tutti intenti alla diagnosi delle forme, poco
si curano delle diffe- renze di quantità ; essi hanno bisogno di
caratteri qualita- tivi specifici, possibilmente esclusivi, precisamente
quelli più materiali, che non significano nulla appunto perchè non
passano in altre forme. Tipo è forma con significato. Questi
sistematici hanno una logica difettiva a forza di astrazione; non pensano
che nel quanto è rinchiuso il quale. Seguono la vecchia tendenza
separatrice, diagnostica, arti- ficiale, bisognosa di abissi e avida di
caratteri esclusivi, iso- latori ( 2 ). La nuova morfologia invece cerca
le comunanze e le transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la
tran- sizione ideale dove manca quella materiale. Per la vera
morfologia il primo è la forma, che pone i lineamenti gene- rali
dell'essere; poi viene la funzione ideale che la acco- moda e la
modifica; e in ultimo viene la funzione reale e la selezione naturale. I
darwiniani invece ignorano l'omo- 0) V. / tipi animali, II,
pp. 873 e 913-14. ( 2 ) V. / tipi animali, II, pp. 933-34; cfr.
[I], pp. 458, 467, 481, e II, pp. 738, 1007-8. Dopo aver chiarita la
differenza fra le due morfologie, l'A. soggiunge che il suo scritto è un
lavorìo tutto di pensiero, condotto con un organo che nel cervello dei
naturalisti, darwiniani o antidarwiniani ch'ei sieno, dev'essere
assolutamente atrofizzato: « è tutta da capo a fondo (apriti cielo)...
una ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà piccolo, perchè non ci
sarà di certo chi ci si voglia rompere il capo. Questo scritto non si fa
per stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per uso e consumo esclusivo,
e per supremo divertimento dell'autore, che quando sarà tutto stampato
tirerà tanto di chiavistello sulle pochissime copie che ne avrà fatto
tirare ». Op. cit., II, pp. 938-39. 186 Le opere
scientìfiche e la filosofia della natura. la formale; per
essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è una funzione prodotta
dall'organo, la nutrizione, non la fun- zione essenziale, «principiale)),
a loro ignota e inconcepibile, Le dottrine materiali non hanno nulla a
che fare con la scienza, perchè questa non è la ragione dell'uomo che
la fa, ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede crollare
come castelli di carta le sue classificazioni più o meno inge- gnose. 11
rimedio è uno solo: a Non caratterizzare, non clas- sificare; pensare e
ripensare ('). Seguendo il metodo trimorfo, si riconosce che nel
vege- tale l'amorfofito è indifferente ed informe; l'antifìto è il
centro della formazione, il punto in cui si spiega l'opposi- zione fra il
corpo e l'anima vegetale ; nel teleofito le due sfere sono egualmente
sviluppate. Il vegetale amorfo è l'alga, prima chimicamente e poi
anatomicamente semplice, indi molteplice, ma tutta disgregata nei suoi
elementi cellulari. 11 vegetale antimorfo è da un lato la felce
vegetativa, dal- l'altro il fungo riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è
il coti- ledonato, in cui la forma vegetativa e la forma
riproduttiva sono egualmente sviluppate. Analogo è lo sviluppo tipico
dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente; nel- l'antizoo, punto
centrale di tutta la formazione, si sviluppa l'opposizione fra corpo e
anima, fra sistema vegetativo e sistema riproduttivo ; nel teleozoo i due
opposti sviluppi sono riuniti e in giusta proporzione fra loro. L'amorfo
animale è il protozoo, cioè il rizopode e l'infusorio; l'antimorfo è
il radiario, il mollusco e l'articolato; il teleomorfo è il verte-
brato: pesce, anfibio, rettile, uccello, mammifero. I nomi di amorfozoo,
antizoo e teleozoo sono preferibili a quelli di vertebrato ed
invertebrato, che esprimono solo la presenza o l'assenza di un elemento
secondario. Finché il De Meis sta fedele al suo programma di
dimo- strare solo col farli muovere i principi filosofici ai quali
(!) / tipi animali, [I], p. 555; cfr. II, p. 865.
Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 187 crede,
egli lavora a meraviglia: originali le applicazioni alla scala degli
esseri viventi, alle varie forme della vita, della scienza, della
filosofìa, della storia; particolarmente geniali e nuove le applicazioni
alla patologia. Ma a volte — rare volte, è vero — egli sente il bisogno
di tentare una dimostrazione logica di quei principi, e riesce invece,
senza avvedersene, a dimostrarne 1' ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà,
la nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit, e nei tre dia-
loghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo sem- plice (').
Nel Deus creavit — già lo abbiamo visto — egli tenta, senza riuscirvi, di
dimostrare che il pensiero è fin dal primo momento essere. Nei Dialoghi
affronta lo stesso pro- blema in forma più concreta : ricerca il punto in
cui l'essere ed il pensiero si identificano, lo ricerca con la sicurezza
di chi sappia di rintracciare cosa esistente nella realtà ; e con
lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso linguaggio, e quasi
la stessa mentalità con cui un naturalista potrebbe studiare un essere da
lui non visto ancora, ma del quale, per descrizione autorevole e per indizi
indiretti e certi, gli fosse nota l'esistenza e i caratteri.
11 vero lutto è l'uomo, l'uomo come pensiero, in cui l'uomo della
natura, che in sé ricompendia tutta la natura, si risolve ed unifica
perfettamente. Ma come questo pensiero eterno passa nel realizzarsi per
tutti i gradi della natura ? E che è questa natura ? Quale il suo primo
grado ? Retroce- dendo nella storia del processo naturale si perviene ad
un muro saldo, incrollabile, oltre al quale non si può andare: quel
muro è la materia. Certo la materia suppone lo spazio; ma spazio senza
materia non ci può essere. Chi dice spazio ( ] ) /
naturalisti, Diagolo 1°, nella Civiltà italiana, Firenze, gennaio 1865,
pp. 54-57; La natura a volo d'uccello: Forza e materia, Dialogo, nella
Ci- viltà italiana, Firenze, febbraio 1865, pp. 103-7, 115-19; La natura
a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà
italiana, Firenze, aprile 1865, pp. 6-9. 188 Le opere
scientifiche e la filosofia della natura. dice tempo, e chi dice
tutti e due dice moto; e dir moto è dir qualche cosa che si muove, è dire
— insomma — la materia, moto immobile, forza latente ed inerte
dell'universo. La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo
: da forza chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza
fìsica a forza meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la materia
della forza inferiore ed il germe della superiore : e così il moto è il
tempo materializzato; il tempo è lo spazio divenuto più materiale. Sempre
la materia è la realtà, il limite di una forza; e la forza è la materia
nel suo spon- taneo svolgimento. La forza del pensiero da principio
non pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza
semplice in cui tutte le forze speciali sono latenti ; e come la più
forte, le urta di sotto e fa uscire la forza chimica, che si comunica a
tutta la massa della forza semplice, sì che tutto diventa forza chimica
reale, affinità e materia puramente chimica ; e fa di questa affinità
informe un imponderabile informe, e di questo un informe ponderabile, un
corpo sem- plice informe. L'uomo senza influsso di esterno
accidente, mentre egli era da per tutto ed era tutto, non poteva
scegliere un punto del tempo e dello spazio in cui operare la trasformazione
della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in un punto del tempo
e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto lo spazio. ((Quell'attimo,
quello spazierello» si riempì di ma- teria reale, naturale, diventò da
spazio ideale spazio reale, interminato, e con esso cominciò la natura.
La forza del pen- siero, come ha trasformato il moto, la forza semplice,
in forza chimica, così trasforma questa in forza fìsica, e la forza
fìsica in forza meccanica; e dallo stesso oscuro fondo fa scaturire
dietro a quelle forze la materia chimica, che si trasforma in materia
fìsica e indi in meccanica; e all'ultimo in vera materia, in corpo
chimico imponderabile, pondera- bile. È la materia semplice che
successivamente si modifica e si realizza; è la proprietà chimica, è la
speciale natura Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. 189 fisica, è la figura meccanica, geometrica, cristallina,
che si aggiunge alla forza chimica imponderabile, ponderabile, e le
dà un primo corpo ed una nuova realità; gli è un corpo incorporeo, una
materia immateriale, una realità non sensi- bile. Le forze, e le loro
forme, le loro proprietà, sono sem- plici, indifferenti, indistinte; esse
sono avviate all'atto, alla esistenza naturale, ma non ci sono giunte
ancora. La forza è molto pensiero e poca natura, e non ha tal realità e
tal valore da fare di uno spazio-pensiero uno spazio-natura; ma la
proprietà è più natura che pensiero ed è perciò atta ad empire di se lo
spazio ; onde appena il pensiero umano dietro a quelle tre forze fa
scaturire quelle tre semi-materie, subito mette fuori lo spazio, e lo
distende, e vi spiega le tre pro- prietà; e queste vi portano seco le
loro forze, e le dissemi- nano egualmente in tutti i suoi punti. Non
perciò lo spazio è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è
materia, ma non corpo, perchè non è ancora sensibile. 11
primitivo pensiero umano ha dentro di sé un limite che è esso stesso
pensiero, ed è il germe e l'origine del senso; di questo limite fa lo
spazio-pensiero e il tempo-pensiero, e il moto, la forza-pensiero, e
persino il qualcosa, la materia pensiero: e tutto questo rimane dentro di
lui, rimane lui stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e
semplice pensiero. Ma poi egli, premendo di più su quel limite, fa
dello spazio-pensiero uno spazio-estensione, e di questo un corpo
sensibile prima al corpo, e poi, per mezzo del corpo, anche all'anima. E
poi, facendo del moto-pensiero un moto reale, farà del tempo-pensiero un
tempo durata; e poi farà tutta la natura, e la vita — il vegetale — , e
l'anima — l'ani- male ; e all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso
e l'opera sua. Di quel suo limite originario, che era un
senso-pensiero, egli ha fatto a poco a poco un senso-senso. E di questo
senso farà nella natura formata vari sensi distinti, e così farà
del- l'anima. Se noi facciamo la storia della natura, troviamo
all'origine della forza e della materia uno stesso identico
100 Le opere scientifiche e la filosofia della natura. germe,
il quale è in uno pensiero umano e senso umano originario. Quel germe,
pur mantenendo sempre la sua ori- ginaria identità, si sviluppa di grado
in grado, ed è prima natura, poi vegetale, poi animale, e da ultimo uomo;
e in ogni grado conserva quelle due cose opposte, la forza e la
materia, sempre distinte e sempre unite in una perfetta iden- tità.
Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità delle due cose opposte è
naturata, personificata, e incorporeamente corporalizzata. Questa unità veduta
nella nostra natura ci fa più facilmente riconoscere l'unità dei due
elementi nelle nature inferiori, la psichica, la vitale, la naturale.
Nell'af- ferrare ciò consiste la scienza. Questa è la storia
della natura amorfa, in cui tutto è quiete ed immobilità, in cui non c'è
che un corpo semplice, omogeneo, uniforme, informe. Poi — dice l'Autore —
verrà la natura antimorfa, lo sviluppo delle forze e delle materie,
il caos. Infine vedremo sorgere una nuova forza, che a tutte le forze del
caos darà una legge e una norma, a tutte le materie una forma comune ; e
sarà la natura olomorfa, il cosmo. E vedremo la forza cosmica
trasformarsi nella forza vitale, e la forma cosmica divenire la forma
vitale, vegetale. E con questo programma egli termina il secondo
dialogo, Forza e materia; ma non pubblica più che un terzo dia-
logo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano, che da prima
tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna poi nello spazio e si
sgomitola nel tempo, e all'ultimo si ritrasforma di natura in pensiero, e
si riduce di nuovo ad un punto, e questo punto è l'io. Come in principio
il punto originario, così ora il punto individuale si trasforma
tutto; ma la trasformazione non si fa, come allora, tutta in un
atto, (*) Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è preceduto
da questa nota : « Il presente dialogo è indipendente dai precedenti », -
Sappiamo già che il De Meis lavorava spesso frammentariamente.
Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 191
bensì successivamente. L'io è un animale naturale, indi- viduale;
ma gli ii sono molti, e sono come molti punti, molti tempi in un solo
tempo, e tutti fanno come uno spazio intellettuale nello spazio naturale,
La trasformazione umana universale, come quella dell'individuo umano, «
si sgomi- tola nel tempo e si srotola nello spazio, e intanto si
raggo- mitola e torna ad arrotolarsi nella storia ». E perciò la
storia umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è una
cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della natura,
essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale e universale ;
solamente non appare e non diventa reale che in certi punti di tempo e di
spazio: in certe epoche, in certi luoghi, in certi corpi e in certi ii.
È facile scorgere che il De Meis non è felice quando vuole risalire
ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione. Invero non si
capisce come quel suo pensiero originario, avendo nel senso un limite
interno, possa non avere anche un limite esterno, e tutta la natura, che
invece deve ancora nascere; ne si capisce come quel pensiero, a furia di
premere e caricare sul proprio limite, possa fare del
senso-pensiero un senso-senso ( x ), possa, in altre parole, trasformarsi
da forza in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di
star tentando la soluzione di un problema forse insolubile, certo
insoluto. Che forza e materia sieno due cose distinte ed opposte, ma
unite ed identiche è per lui una verità certa, positiva, reale. Egli dichiara
che non ha la pretesa di di- mostrare, ma solo di far presentire la
verità, come la pre- sente egli stesso ( 2 ) : e certo di quella verità
da lui pre- sentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In
una pagina ( 3 ) che onora il suo senso poetico più che la sua
0) Cfr. Gentile, La filosofia in Italia dopo il 1850, 1. cit., PP
. 299-300. ( 2 ) V. Forza e materia, 1. cit., p. 119. (
3 ) V. / naturalisti, Dialogo I, 1, cit., pp. 56-7. 192 Le
opere scientifiche e la filosofia della natura. profondità
filosofica, egli afferma che il corpo è un vegetale, è l'inferno, l'anima
è parte materiale e parte immateriale ma sempre naturale, il pensiero è
il paradiso, e di pensiero noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere
il suo paradiso tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco.
Come Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli
stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nel- l'uomo; solo
ci dice con slancio lirico che quella è la sua fede. Alla fede in quanto
è davvero tale e solo tale, ed è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe
certo vano, se pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai
prin- cipi che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fon- damento
di una costruzione scientifico-filosofica, si può e si deve chiedere se
sieno suscettibili di avere dall'esperienza una conferma o dalla logica
una dimostrazione. La risposta è negativa. Quanto alla
conferma dell'esperienza, il De Meis dice ( l ) che con le idee si
scopre, è vero, la sostanza delle forme e si tien dietro al loro
movimento essenziale ; ma il controllo è la stessa realtà che deve
rimanere inalterata ed intatta, ed è il fatto che deve essere riprodotto
nella sua integrità, e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se
l'Autore ammette l'esistenza di realtà e di fatti che non sono
idee, e che solo con le idee possono venir scoperti nella loro
sostanza e seguiti nel loro movimento, dovrebbe indicare un terzo
termine, atto a valutare la rispondenza fra gli altri due. Non lo indica.
Ma è chiaro che il terzo termine non può essere per lui che la stessa
idea, giudice e parte in causa ( 2 ). Il controllo di cui egli ha parlato
manca; e non poteva non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non
può esistere un controllo esterno, ne si può senza essere
(') V. / tipi animali, [I], p. 378. ( 2 ) Cfr. Dopo la
laurea, II, pp. 154-158. Le opere scientifiche e la
filosofia della natura. 193 incoerenti ammettere l'esistenza di una
realtà che non sia l'idea o il pensiero. Quanto alla
dimostrazione logica dei suoi principi, ab- biamo veduto che le rare
volte in cui il De Meis la tenta non la raggiunge, e cade in
contraddizioni, come quando, dopo aver affermato che il pensiero è l'essere,
ne ragiona come di un pensiero che pensa l'essere, e considera
l'essere come puro essere e non pensiero ('); o incorre in errori,
come quando afferma che il pensiero originario ha nel senso un limite
interno senza avere un limite esterno; ovvero si appiglia ad ipotesi
degne di un alchimista ostinato alla ri- cerca della pietra filosofale,
come è quella della forza che diviene materia premendo e calcando sul suo
proprio limite ( 2 ). La sua filosofìa della natura, riposando su
principi che possono essere oggetto di fede, ma non possono avere
dal- l'esperienza un controllo né dal ragionamento una conferma, è
una costruzione che può essere, ed è difatto, ingegnosa e bella, ma è del
tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe alcun sospetto l'Autore, sempre fermo
nella sua fede hegeliana, vita della sua vita, anima della sua anima ( 3
). Egli non intendeva di cercare una soluzione nuova; solo si
proponeva di svolgere ed elaborare una soluzione già da altri
raggiunta. La sua opera è fallita perchè aveva come presupposto e
come base quella conciliazione dell'essere e del pensiero, della
forza e della materia, che contrariamente a quanto egli cre- deva non era
stata raggiunta da nessuno, e meno che mai po- teva esserlo da chi, avendo
studiata analiticamente la natura, si ribellava a tagliare il nodo
gordiano negando la natura stessa o riducendola a una mera forma
spirituale ('). ( J ) V. Deus creavit. {-) V. Forza e
materia. ( 3 ) V. Della medicina sperimentale, p. 3 ; e cfr. tutte
le opere del De Meis. ( 4 ) Il De Meis non è d'accordo col
Berkeley, che « sopprime la natura » ; Del Vecchio-Veneziani -
13 194 Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. Una costruzione speculativa della natura, quale
l'idea- lismo assoluto e la riduzione della natura a pensiero
esigono, dev'essere tutta una deduzione necessaria per considerarsi
compiuta e riuscita. E in una deduzione logica e necessaria l'accidente
come tale non può trovar luogo. Non si dimentichi, del resto, die
l'idea dominante in tutte le assidue e lunghe meditazioni del De Meis
intorno alla natura, l'idea informativa di tutti i suoi studi era,
come egregiamente la definiva il Fiorentino ( ! ), « l'idea di con-
trapporre al predominio dell'accidente, che è il lato debole del
darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale delle forme,
attraverso delle quali progredisce e si dispiega la vita della natura...
una ragione superiore, che regola lo sviluppo dei tipi della vita
naturale, finche non si dispieghi, e non si allarghi nell'uomo e nella
coscienza ». Si trattava dunque per il De Meis di superare
quello scoglio contro il quale, a suo vedere, naufragava il
darwini- smo; di evitare la trasformazione dell' accidente in Deus
ex machina, al quale far ricorso perchè o dove non soccorra una ragione
superiore o una spiegazione più intima e razionale. Il De Meis
appunto dice e ridice, anche per quanto si riferisce alla natura, che la
filosofia vive nella sfera della necessità e della certezza assoluta ( 2 );
ma in contrasto con questa esigenza afferma anche l'indispensabilità
dell'acci- dente in tutti i momenti della creazione. Ora
l'accidente, che è dichiarato indispensabile, o è razionalmente
necessario, cioè deducibile a priori, e allora deve rientrare nella
costru- zione speculativa come elemento interno, e non esteriore,
sicché non può più dirsi propriamente accidentale ; o è la
né col Fichte, nel cui sistema la natura « c'è soltanto quanto basta per
far la coscienza, ed è quindi ridotta ad una espressione astratta ». Cfr.
Preno- zioni, PP . 47-8, 90. ( x ) La filosofia contemporanea
in Italia, p. 55. ( 2 ) V. Dopo la laurea, II, p. 126; ecc.
Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 195
negazione della necessità razionale e della deduzione a
priori, ed in questo caso la dichiarazione della sua indispen- sabilità
costituisce il confessato fallimento della costruzione speculativa. Il De
Meis oscilla fra le due alternative, senza sapersi appigliare né all'una
né all'altra. Questa non meno di quella avrebbe significato il
riconoscimento della con- traddittorietà della sua impresa.
Invero l'accidente sembra necessario per lui a costituire nella
catena dello sviluppo creativo l'anello iniziale e gli anelli di
saldatura tra i frammenti non altrimenti congiun- gibili. L'anello
iniziale, poich'egli dice che « quando non c'era la natura e quindi
l'accidente » era impossibile al- l'uomo (ossia all'idea di Uomo, che
come fine deve prece- dere e determinare lo sviluppo), senza arbitrio e «
senza in- flusso di esterno accidente », di scegliere un punto del
tempo e dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione
della materia semplice in corpo semplice ('). Gli anelli di salda-
tura, in quanto dice che l'accidente, elemento costitutivo della natura,
è necessariamente compreso nel processo della funzione ; che « ogni tipo
vivente è già idealmente quello che dee succedergli, ma non basta a
crearlo, a produrlo real- mente nella natura, senza il concorso di cause
accidentali e d'esterni influssi » ( 2 ). E in generale tutto il processo
e lo sviluppo della natura per il De Meis consegue la realtà solo
in quanto l'accidente interviene e concorre con l'idea alla produzione
del risultato. Il fatto è anche idea, ma l'idea non è reale e non esiste
che nel fatto ( 3 ); « il principio e la potenza della vita... è sempre
unito a un qualche elemento materiale e meccanico che lo fa reale e
par- ticolare, che è quanto dire individuale ed accidentale » (').
( r ) Forza e materia, 1. cit., p. 106. ( 2 ) /
mammiferi, p. 67. ( 3 ) V. Prelezione al corso di fisiologia dato
nella R. Un. di Modena. ( 4 ) Degli elementi della medicina, p.
31. 196 Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. Egli considera i vari tipi carne momenti evolutivi di
un tipo ideale assoluto, l'uomo eterno; crede che tutte le forme
preesistano in forme germinali di cui sono lo sviluppo crea- tivo interno
e spontaneo ; ma la creazione non consiste sol- tanto (( nella
determinazione ideale originaria di quegli schemi indeterminatissimi »,
sì anche « nella loro delimitazione na- turale, o sia accidentale ». E
molte volte ripete che la natura è accidente e che l'idea spirituale
esiste solo legata all'ac- cidente ('). Ma qui appunto si
potrebbe obiettare alla nostra os- servazione, che noi dobbiamo
approfondire il concetto del- l'accidente che il De Meis afferma. Legato
all'idea, intrin- seco alla natura, l'accidente che egli fa entrare in
campo a determinare e spiegare lo sviluppo non è, come l'accidente
dei darwiniani, puramente estrinseco e meccanico: ha anzi esso medesimo
una necessità interiore ; è il momento della antitesi, senza il quale non
potrebbe svolgersi la sintesi crea- tiva. L'uomo eterno, dice appunto il
De Meis, è « la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta,
in cui lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta
particolarità esiste, ma nella forma di principio, di universalità, di
neces- sità : ed è in questa contraddizione che consiste la sua
attività creatrice » ( 2 ). Per questa via parrebbe
risolversi la difficoltà nella quale ci appariva impigliato il pensiero
del De Meis. Che se anche altrove egli identifica il puro accidentale col
male, non vi sarebbe contraddizione con la universalità e necessità
rico- nosciuta sopra all'accidente; ma distinzione di due specie di
accidenti o di nature: l'interna e l'esterna; necessaria la prima,
accidentale in senso proprio la seconda. Il De Meis difatti parla
esplicitamente di una natura esterna che viene ( x ) Deus
creavit, 1. cit., p. 742, ecc. ( 2 ) / tipi ammali, II, pp. 1080-1,
e passim. Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
197 a dare l'ultima mano alla natura interna, di un agente
esterno ed accidentale che non era compreso nel processo della
natura interna, non era calcolato nella evoluzione vitale, e oltre a
modificare, sia pur solo superficialmente e quantita- tivamente, le
forme, e favorire la trasformazione, e provocare la nuova interna creazione
e lo sviluppo di germi latenti, « può fare e fa certamente di più,
v'introduce qualche cosa di accidentale e di naturale ». Di fronte a
questo accidente, esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge il De
Mfeis — nella forma latente un principio di accidente. Essa è sem-
plice ed una, ma nella sua unità vi è un germe di differenza e di
moltiplicità, vi è l'attitudine e la disposizione a dividersi in molti e
diversi, ed è un accidente indeterminato e scolo- rato, pura possibilità
di farsi, più che non è, accidentale. L' accidente esterno feconda 1'
accidente interno e gli dà corpo e colore, e ne fa una realità
accidentale e natu- rale... » (*). Gli agenti esterni stimolano,
promuovono, de- terminano, ma Dio opera la trasformazione ("). L'accidente
può render conto delle differenze secondarie, non giunge ai veri gradi
della formazione ( 3 ). Esiste dunque una storia interna, essenziale, ed
una esterna, accidentale ( 4 ); ed esi- stono due sorta di accidente: uno
necessario ed essenziale, l'altro secondario e individuale ( 5 ): il
primo, ((l'accidente necessario, assoluto », realizza l'evoluzione
creativa ideale, intrinseca, assoluta della forma animale; accompagna
ogni realtà, circoscrive esteriormente le forme, e fa esistere gli
individui; l'altro, «l'accidente accidentale», nasce dall'in- treccio dei
processi e dal cozzo inevitabile delle cause na- ( J )
Lettera sulla patologia storica, pp. 3, 7-9. Cfr. Deus creavit, passim.
( 2 ) Dopo la laurea, II, p. 197. ( 3 ) / tipi animali, [I],
p. 148. ( 4 ) / tipi animali, II, pp. 760-1. Cfr. Deus creavit, 1.
cit., p. 737 e passim. ( 5 ) Deus creavit, I. cit., p.
768. 198 Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. turali, delle quali una è la darwiniana concorrenza vitale,
da cui deriva la formazione delle varietà, delle specie, dei ge-
neri, ma la sua azione non potrebbe estendersi fino ai tipi (*). (( La
natura finisce per essere, come la società umana, una lotteria. Finisce,
ma non comincia; e non è una lotteria da capo a fondo », perchè ha le sue
basi ideali e le sue leggi ne- cessarie ( 2 ). Se non che
arrivati a questo punto noi possiamo doman- darci : l'obiezione che
abbiam detto potersi muovere al nostro rilievo delle difficoltà inerenti
al pensiero del De Meis, è veramente risolutiva ? Questo approfondimento
del concetto di accidente, questa distinzione delle due specie di
esso, interna o necessaria ed esterna o accidentale, elimina vera-
mente la contraddizione nella quale ci era sembrato che questa filosofia
della natura si involgesse ? L' accidente interno consiste nella
indeterminazione e molteplice possibilità della forma latente ; ma
intanto il De Mleis più volte afferma che senza il concorso di esterno
acci- dente la possibilità non passerebbe all'atto, non si farebbe
realtà di natura. Tra la potenza e l'atto bisogna che s'inse- risca un
mediatore perchè il passaggio avvenga. Sicché l'ac- cidente esterno è da
lui riconosciuto indispensabile non sol- tanto per l'esistenza degli individui,
ma anche per la pro- duzione reale dei tipi nella natura. E del resto la
stessa molteplice possibilità in cui è fatto consistere l'accidente
necessario, del pari che l'intreccio dei processi dal quale si fa nascere
1* accidente accidentale, possono essere a loro posto in una concezione
puramente causale e meccanica della natura (per esempio in quella
cartesiana), ma non sono più a posto in una dottrina finalistica, nella
quale il termine finale (l'uomo eterno) preesiste a tutto il processo di
sviluppo e lo genera esso medesimo. (0 / tipi animali,
II, pp. 1131-32. ( 2 ) / tipi animali, [I], p. 145. Le
opere scientifiche e la filosofia della natura. 199 Voler
dimostrare che nella natura si compie uno sviluppo teleologico, e non saper
negare che vi s*ia anche qualche cosa di ciò che il Darwin vi scorge,
ossia che la natura finisce per essere, come la società umana, una
lotteria, è contraddizione non conciliabile tra l'intenzione e il
resultato. E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione
è nello stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la
patologia. L'intero edinzio della patologia storica costruito dal De Meis
crollerebbe, se non intervenisse l'accidente ((accidentale», perchè solo
«se l'accidente, esterno o in- terno che sia, se la irragionevole cattiva
natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio
umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta
la relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana,
questa si altera e si di sor dima » ('). Ora si ricordi che per il De
Meis la malattia corrisponde al passaggio dall'in- nocenza alla colpa, a
cui succede il passaggio ad una forma superiore d'innocenza, alla
libertà. Se questa forma superiore, che è il fine dello sviluppo, non è
raggiungibile che attraverso a questo processo, il processo è necessario,
e necessari, non accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e
la sintesi. Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un ac-
cidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e
particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movi- mento degli
opposti, il momento negativo non è meno neces- sario che il positivo a
dare con la negazione della negazione la più alta realtà. Come può dunque
in questa concezione filosofica trovar luogo l'accidente « accidentale »
del De M|eis ? Come può un accidente siffatto, cioè un accidente
estrinseco, che rompe la necessità e viola la ragione, essere costitutivo
della natura quale dev'essere intesa in un idealismo assoluto, cioè come
pensiero o ragione ? 0) Delle prime linee della patologia
storica, p. 13. 200 Le opere scientifiche e la filosofia
della natura. Queste contraddizioni si collegano con una profonda,
in- conciliabile contraddizione interna del pensiero del De Meis. È
in fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo idealista,
contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente e costante
aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia con la filosofia,
e lo scrupolo della divisione del lavoro, che talvolta si riaffaccia:
((la metafisica ai metafisici, a noi la fisiologia » ('). Questo è il suo
conflitto intemo non superata, che si potrebbe estendere ben oltre il suo
caso individuale. Invero se la natura è, come il De Meis sostiene,
idea e natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile:
il fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la fisiologia
non può essere costruita se non è costruita prima la metafisica. E
costruita non da altri, ma dal fisiologo stesso, come altrove il De Meis
riconosce ( 2 ); perchè, secondo il principio vichiano ed hegeliano, per
il De Meis il fare sol- tanto ci dà il vero conoscere : « criterio del
vero è il farlo » . Dal che sarebbero pure derivate conseguenze
contrarie alle conclusioni del De Meis intorno ai rapporti fra la
teoria e la pratica medica. Infatti come può la separazione della
jatrofilosofia dall'attività del medico pratico conciliarsi con l'unità
del vero col fatto? Se la vera scienza è la storia, perchè è la realtà
vivente, non varrà anche per la jatrofilo- sofia la massima che criterio
del vero è il farlo ? E non sarà quindi contraddittorio il dichiararla
disgiunta dalla pratica, e quindi inutile come tutte le cose eccellenti,
virtù, giustizia, arte, religione, scienza ? Ed ecco il criterio della
verità della jatrofilosofia nella pratica, nella clinica, nella cura
delle ma- lattie, secondo voleva il Tommasi ( 3 ). Anche qui il De
Meis ( x ) Lettere fisiologiche, 1. cit., p. 35. Cfr. Dopo
la laurea, II, p. 74 e passim, là dove si riconosce come necessaria, sia
pur soltanto al sapere « po- sitivo », la « divisione del lavoro ».
( 2 ) V. Idea della fisiologia greca, pp. 70-71 ; e altrove.
( 3 ) V. La natura medicatrice e la storia della medicina, p. 23 e
passim. Le opere scientifiche e la filosofia della natura.
201 mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo
pen- siero, né la piena consapevolezza delle esigenze dei suoi
principi. Egli, come ogni naturalista, riconosce la funzione
del- l' accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il necessario
e l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a priori e ciò
che è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane in lui insoluto.
Ed egli non riesce a vincere le difficoltà che anche Hegel aveva
incontrate nel costruire la sua filosofìa della na- tura, la quale è
certo la parte più debole del suo sistema. L'errore fondamentale del De
Meis è consistito in questo : che egli ha attribuite le deficenze della
filosofìa della natura hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha
scorto che le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da
non consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura
compiuta, razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando per tutta la
vita una soluzione non raggiunta ancora, sempre credendo di lavorare solo
alla dimostrazione e alle applica- zioni di quella, che egli stimava già scoperta
da Giorgio Hegel. Camillo De Meis. Angelo Camillo De Meis. Meis.
Keywords: implicature, citato da Pirandello in “Il fu Mattia Pascal” “Chi lo
dice? – gli domanda forte il giovane, fermo, con aria di sfida. Quegli allora
si volta per gridargli: “Camillo De Meis!” –-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
e Meis” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689147411/in/photolist-2mPVJx1-2mPMBQM-2mPpb7N-2mLQ1Vx-2mLNi1Z-2mLMaMX-2mPwdz2-2mPpVqK-2mKAoGK-27sASXB-G7oMm2-G55xdb-E4u3XA-kLb4Rq-jpofjt-jm54Cc-jhzTvz-jhQLNY-i7brtE
Grice e
Melandri – le forme dell’analogia – analogia nel convito di Platone – Reale -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo. Grice: “One of the ten
items he lists in his ‘Contro lo simbolico’ is ‘lo simbolico’ itself!” -- Grice:
“Melandri takes analogy more seriously than I did – I do list ‘analogy’ as part
of what I call ‘philosophical eschatology – the third branch of metaphysics,
along with ontology and category study.” Grice: “Melandri focuses on the
Graeco-Roman tradition of analogy, which he pairs with two other concepts:
proportion, and symmetry – re-interpreting mainly Aquino’s reading of the
Aristotelian tradition in a semiotic approach.” Grice: “Melandri also takes
Kant seriously on this.” Grice: “If an Italian philosopher wrote ‘contro la
comunicazione,’ another wrote ‘contro il simbolico’!” -- Grice: “He has studied Buehler; I like that!”
-- Laureatosi a 'Bologna, è lettore a Kiel in
Germania. Ha poi insegnato filosofia in diversi atenei italiani (Lecce, Trieste
e Bologna). Parallelamente all'attività universitaria, ha collaborato a
lungofin dalla fine degli anni cinquantacon la casa editrice Il Mulino e alla rivista
omonima, per le quali ha svolto attività di consulenza, con traduzioni e
curatele di alcuni volumi, pubblicando con essa alcuni dei suoi lavori più
significativi. I suoi volumi più importanti vertono sulla fenomenologia di
Husserl, sul concetto di analogia e sul principio di simmetria. Tra le sue
curatele, anche presso altre case editrici (Cappelli, Faenza, Laterza, Ponte
alle Grazie, Giuffrè, Pitagora ecc.), ci sono studi che vanno dalla scienza
politica di Ritter e di Habermas, alla fenomenologia di Schütz, dalla logica di Copilowski e dalla
filosofia del linguaggio do Hoffmann o dai paradossi di Bolzano (e poi la
storia della logica di Scholz), agli studi di metodologia scientifica di Pap, a
quelli di psicologia della percezione di Meinong o di Ehrenfels, e dall'estetica
di Trier alla «metaforologia» di Blumenberg ecc. Ha istituito un gruppo interdisciplinare di
studi su Leibniz, in seguito affiliato col nome di «Sodalitas Leibnitiana» alla
Leibniz-Gesellschaft di Hannover. Ha anche collaborato attivamente alle
attività del «Centro di studi per la filosofia mitteleuropea» (con sede a
Trento); partecipando alla realizzazione
di «Topoi», rivista internazionale di filosofia. Sempre in quegli anni ha dato
vita agli «Annali dell'Istituto di discipline filosofiche dell'Bologna», poi
trasformatisia nella rivista semestrale «Discipline filosofiche», ancora attiva
e di cui è stato il primo direttore. Tra
i suoi testi, spicca per centralità di pensiero “La linea e il circolo,” definito
da Giorgio Agamben "un capolavoro della filosofia europea del
Novecento". Il filo conduttore di
tutta la riflessione di Melandri è il rapporto tra pensiero logico e pensiero
analogico. Mentre il primo tende a svilupparsi mediante un concetto d'identità
elementare, legato alla "discontinuità" del principio di non
contraddizione, il secondo si fonda invece sul principio di continuità, legato
alla figura oppositiva della contrarietà, che ammette una transizione tra gli
opposti. Ora, queste due forme di pensiero non sono affatto inconciliabili, ma
complementari, in quanto fondate non su strutture assiomatiche, ma su una
diversa direzione costitutiva dell'esperienza. Questa diversità prospettica si
realizza, secondo Melandri, nella fenomenologia husserliana, di cui egli tende
a evidenziare l'«empirismo radicale» connesso alle strutture
costitutivo-trascendentali della soggettività e ben distinto, dunque, da
quell'idealismo entro cui troppo spesso si è voluto rubricare l'atteggiamento
fenomenologico. In ultima istanzacongiungendo istanze aristoteliche e
husserlianeMelandri assume una concezione dell'essere fondamentalmente
equivoca, nell'ambito della quale l'intenzionalità si presenta, al tempo
stesso, come principio formale logico e funtore operativo analogico. Inoltre,
Melandri espone questi contenuti filosofici attraverso un metodo d'indagine e
d'insegnamento del tutto particolare, che viene così descritto dal suo allievo, Stefano Besoli, filosofo a Bologna:
«A lezione, si può dire che Melandri non parlasse, ma pensasse ad alta voce
[...] dando l'illusione, quantomai benefica ed essenzialmente terapeutica, di
pensare insieme con lui. Si aveva l'impressione di assistere, dunque, a un
pensiero in corso d'opera, e più propriamente ciò che accadeva era
un'esperienza di pensiero condivisa, giacché la condivisione era appunto la
condizione stessa della buona riuscita di tale esperienza». Saggi: “I paradossi dell'infinito nell'orizzonte
fenomenologico,” poi come introduzione a Bolzano, I paradossi dell'infinito,
Cappelli, Bologna. “Logica ed esperienza,” “La scienza come criterio storio-grafico,”
“Alcune note in margine all'organon dei peripatetici; “Considerazioni critiche
sui syn-categorematica – copredicabili – negazione come avverbio, la
congiunzione ‘e’ come copredicabili, la disgiunzione ‘o’ come copredicabili,
l’implicazione ‘se’ come copredicabile -- ” in "Lingua e stile",
“Esistenzialismo,” “Logica e Logistica”
Enciclopedia “Filosofia,” Preti, Feltrinelli, Milano); “Psicologia galileiana”
-- poi in Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali; “Foucault:
l'epistemologia delle scienze umane", in «Lingua e stile». “E corretto
l'uso dell'analogia nel diritto? ("Zoon Politikon. Bolk e l'antropo-genesi",
in «Che Fare», “La linea e il circol: studio logico-filosofico sull'analogia” (Bologna:
Mulino rist. Macerata: Quodlibet, (prefazione
diAgamben, appendice di Besoli e Brigati, Salvatore Limongi. Nota in margine all'episteme
di Foucault» in "Lingua e stile",:La realtà e l'immagine,” (in Hans
Barth, Verità e ideologia); Sulla crisi attuale della filosofia, in "Il
Mulino", L'analogia, la
proporzione, la simmetria, Isedi, Milano. I generi letterari e la loro origine,
in "Lingua e stile", ora Quodlibet, Macerata, “L'inconscio e la dialettica,”
Bologna: Cappelli, rist. come "Freud: L'inconscio e la dialettica",
in Id., Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali, Bologna:
Pitagora; rist. L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet. “Bühler. La crisi della psicologia come introduzione
a una nuova teoria linguistica”, in “Animo ed esattezza. Letteratura e scienza
nella cultura austriaca,” Marietti: Casale Monferrato, “Variazioni in tema di
psicologia e scienze sociali” (Pitagora, Bologna); Appendice. Matematica e
logica in psicologia: applicazione propria (determinante) o im-propria (analogico-riflettente),
-- rist. in Id., L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet, "Per una filologia del sublime", in
"Studi di estetica" (Grice: “I like that; surely there must be an ordinary
unpompous way to say or mean ‘sublime’” – “Go thorugh the dictionary!” -- La
novità degl’ultimi tremila anni, in "Mulino", "Faenza" e
Marisa Vescovo, L’oblio affligge la memoria; La comunicazione e la retorica, Contro
il simbolico. Lezioni di filosofia, -- Grice: “The ten ‘concepts’ he chooses
are less important than the generic remarks he makes about the whole ten.”
Grice: “While in his study on ‘analogia, proporzione, simmetria,’ he is
semiotic, in this one he is thoroughly hermeneutic!” -- Quodlibet, Macerata, postfazione
di Guidetti) Sul concetto di descrizione nella psicologia fenomenologica, in
"Intersezioni", Su quel che è dato” (Grice: “A good analysis of a
phrase I overuse, ‘datum,’ as per sense-datum’! in "Il Verri", Le ricerche
logiche di Husserl: introduzione e commento” (Mulino, Bologna); "Su quel
che c'è, e quel che immaginiamo che ci sia (o della principale equi-vocazione
del termine 'rappresentazione')", in «Discipline filosofiche», "Il
problema della comunicazione", in «Paradigmi», "Tempo e temporalità
nell'orizzonte fenomenologico", in «Discipline filosofiche»,. "La
crisi dei grandi sistemi e l'avvento della filosofia esistenziale" in “Questo nostro tempo -- studi e riflessioni
sull'evolversi della nostra epoca” (Bologna); "Filosofia come critica
della conoscenza e impegno interdisciplinare" in "Tratti". S. Besoli, Il percorso intellettuale, in Studi
su Melandri, Faenza, G. Agamben, "Archeologia di un'archeologia", in
E. Melandri, La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull'analogia,
Macerata: Quodlibet, G. Agamben, "Al di là dei generi letterari", in
E. Melandri, I generi letterari e la loro origine, Macerata: Quodlibet, M. Ambrosetti, Sugli stoici, Roma: Aracne);
M. Ambrosetti, "Una lettura di Epitteto", in "dianoia", S. Besoli,
"Il percorso fenomenologico", in
La fenomenologia in Italia. Autori, scuole, tradizioni, Roma:
Inschibboleth); S. Besoli e F. Paris (Faenza: Polaris); A. Bonfanti, Le forme
dell'analogia. Roma: Aracne. F. Cimatti, "Postfazione: Psicoanalisi e
rivoluzione", in L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet sinistrainrete.info cultura’ M. Lagna e P.
Lévano, "Contro l’isomorfismo. Il rapporto soggetto-oggetto, «Philosophy
Kitchen», M. Matteuzzi, "Prefazione", in M. Ambrosetti, Sugli stoici,
Roma: Aracne); L. Palombini, "Dal chiasma ontologico al chiasma
trascendentale. Forme di razionalità in «Philosophy Kitchen», L. Possati, La
ripetizione creatrice. lo spazio dell'analogia, Milano-Udine: Mimesis. C. Sini,
"Lo schematismo figurale", in Besoli e Paris. Solerio, Le opere di Melandri edite da Quodlibet, che ne ha
annunciato l'edizione completa. Discipline Filosofiche, rivista semestrale di
filosofia. Melandri. Keywords: Bühler, l’aggetivo ‘galileano’ -- le forme
dell’analogia, Grice – analogia – problema della comunicazione, Buehler, teoria
di Buehler, analogical unification, lacomunicazione, implicaturaproblematica,
aquino, kant, mill, jevons, maxwell, Perelman, abcd, haenssler, dorolle,
lyttkens, Reichenbach, newton, cellucci, marramao, aristotele, platone,
convito, reale, grice, analogicalunification, owens, ross. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Melandri,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702566709/in/photolist-2mLNhpo-2mLHJnw-2mLMaMX-2mLKa5N
Grice e
Melchiorre – il corpo – filosofia italiana – la filosofia dell’amore – amante
ed amato – il convito di Turolla -- Luigi Speranza (Chieti).
Filosofo. Grice: “I like Melchiorre; while I refer to bodily
identity in my “Mind” essay, Melchiorre has dedicated a whole treatise to ‘the
body’ – he has also explored semiotic aspects and come up with nice oxymora:
‘nome indicibile,’ ‘immaginazione simbolica,’ ‘essere e parola.’”. Grice:
“Melchiorre’s first explorations on the concept of body is Strawsonian –
corpore e persona -. What led Melchiorre to this reflection is what he calls a
meta-critique of love – Socrates did his critique of love in the Symposium, and
Phaedrus – Melchiorre analyses this from a body-theoretical perspective.” Dopo
essere stato ammesso al Collegio Augustinianum, inizia a frequentare la Facoltà
di Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, dove si laurea. Terminati gli studi, nel medesimo ateneo ha
iniziato la carriera accademica come assistente volontario di Filosofia della
storia, per poi insegnare a Venezia.
Richiamato a Milano, ha ricoperto la cattedra di Filosofia morale, per poi
insegnare Filosofia teoretica. Ha diretto, presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia dell'Università Cattolica, la Scuola di specializzazione in Comunicazioni
sociali. -- è stato nominato professore emerito. Saggi: “Arte ed esistenza,”
Firenze “Il metodo di Mounier,” Milano, “Il sapere storico,” Brescia, “La coscienza
utopica,” Milano; “L'immaginazione simbolica,” Bologna, ”Meta-critica
dell'eros,” Milano, “Ideologia, utopia, religione,” Milano, “Essere e parola,”
Milano, “Corpo e persona,” Genova, “Studi su Kierkegaard,” Genova, “Analogia e
analisi trascendentale: linee per una lettura di Kant,” Milano, “Figure del
sapere, Milano, “La via analogica,” Milano, “Creazione, creatività,
ermeneutica,” Brescia, “I segni della storia,” Ghezzano Fontina, “Al di là
dell'ultimo,” Milano, “Sulla speranza,” Brescia, “Ethica,” Genova, “Dialettica
del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica,” Milano, “Qohelet, o la
serenità del vivere,” Brescia, “Essere persona,” Milano, “Breviario di
metafisica,” Brescia, “Il nome indicibile,” Milano, Profilo nel sito
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Recensione del volume Essere
persona. Natura e struttura di Armando Rigobello, in Acta Philosophica, Rivista
internazionale di filosofia. Unità e pluralità del vero: filosofie, religioni,
culture. I diversi volti della verità Relazione del prof. Melchiorre al 65º
Convegno del Centro Studi FilosoficiGallarate, video integrale nel sito
CattedraRosmini.org. Virgilio Melchiorre, Rai EducationalEnciclopedia
Multimediale delle Scienze Filosofiche. Grice:
“Melchiorre, while quoting the necessary German sources for an Italian
philosophers – Eros und Agape, tr. N. Gay – he dwells on Enrico Turolla’s
beloved (by every Italian schoolboy) version of “Convito” – which Turolla
published under the ostentatious title, “Dialogo dell’amore” – Melchiorre
typically finds some mistakes, since Turolla was no philosopher – and no lover
of Sophia, and no Sophos of love!” -- Virgilio Melchiorre. Melchiorre.
Keywords: il corpo corpi e personi, meta-critica dell’eros, il convito di
Trolla, il fedro di Turolla – amore – il riconoscimento come identita – la
dialettica dell’atto amoroso – l’amante e l’amato – l’amore reciproco, amore e
contramore, erote ed anterote --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melchiorre” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744362962/in/dateposted-public/
Grice e Melli – AVRELIO – filosofia italiana – la
filosofia a Roma nel tempo di Pomponio – pre-ambasciata -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo.
Grice: “I like Melli; you see, Italians feel that Marc’aurelio is theirs,
so Melli puts his soul in his essay on Marc’aurelio, while his essay on
Socrates is rather neutral! For us at Oxford, both Marc’Aurelio and ‘Socrate’
are just as furrin; Locke ain’t!” --Opere
La filosofia di Schopenauer, Felice Tocco, Firenze, Il professor Felice
Tocco, Firenze,Commemorazione di Pasquale Villari, Firenze, La filosofia greca da Epicuro ai Neoplatonici,
Firenze, Socrate, Lanciano. I primi contatti tra Roma e i filosofi greci non sono
amichevoli. Nel 161, essendosi parlato in senato dei filosofi e dei retori il
senato consulto da incarico al pretore Marco Pomponio di provvedere “uti Romae
ne essent”. I primi semi della filosofia sono sparsi dagl’esuli achei, tra i
quali era anche Polibio, venuti dopo la guerra macedonica nel 168 a. C. Pochi
anni dopo, nel 156 ci e l'ambasciata della quale fa parte Carneade. Anche
questa volta vedemmo come Catone s’impensiera dell’efficacia rovinosa che quel abile
parlatore puo esercitare sull'educazione nazionale. Ma Carneade ha un grande
successo e 1' infiltrazione delle idee ateniensi e già cominciata, specialmente
dopo la conquista delle città della Magna Grecia come Crotone – sede della
scuola di Pitagora --, Taranto – sede della scuola di Archita --, Velia – sede
di Parmenide e Senone – e dopo l’isola della Sicilia – Girgenti, sede della
scuola di Empedocle --. Leontini, sede della scuola di Gorgia. Nei ditti, tradotti
o imitati, i Romani senteno parlare di questo ‘amore di sapienza’ (filosofia) e
degl’amanti di Sapienza (filosofi). Un motto si trova in un frammento di Ennio,
nel Neottolemo. “Philosophari mihi necesse est, sed degustalidum de ea, non
ingurgitandum in eam”. Col progredire della cultura, con lo svilupparsi
dell'eloquenza, nasce il bisogno di far istruir i figlii presso questi pedagogi
schiavi ditti ‘amanti di sapienza’. fAlcuni grandi personaggi, come Scipione
Emiliano e il suo amico Lelio divieno protettori dei qesti pedagogi ateniensi
detti ‘amanti della sapienza’ e li ammettano nella loro familiarità. I
giureconsulti trovano un'utile disciplina nella dialettica. La riforme dei
Gracchi e ispirata da idee di questi ‘amanti di sapienza’. Quello che i Romani
domandano a questo ‘amore di sapienza’ e 1' orientazione nelle questioni
pratiche e una cultura necessaria o utile all’oratore, al giureconsulto, agl’uomini di Stato.
Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole. Una delle prime ad essere
trattata in latino e la dottrina di Epicuro. Sono nominati un Amafinio e un
Rabirio come espositori delle sue idee, ma con poca arte. Più tardi è pure ‘edonista’
– sostenitore del piacere -- un certo Catius, “levis quidem, sed non inineundus
tamen auctor”, secondo Quintiliano. Ma non ne sappiamo nulla. Il grande
interprete dell'edonismo presso i Romani è Lucrezio. Altri ‘amanti di sapienza’
sono M. Bruto, l'uccisore di Cesare, che parla della virtù e dei doveri, e il
dottissimo Varrone, che insieme con Bruto, sente Antioco in Atene, e in
psicologia e in teologia segue più gli Stoici che l'Accademia. Ma tutte queste
sono semplici notizie. Il gran nome che oscura, tutti gli altri ed è per noi il
vero rappresentante e inter-prete della filosofia presso i Romani è Cicerone. Giuseppe
Melli. Melli. Keywords: AVRELIO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melli” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745388623/in/datetaken/
Grice e
Mercuriale – il ginnasio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Forli).
Filosofo. Grice: “At Corpus, as it had
been at Clifton, cricket featured as my priority, -- philosophy came second!”
-- Celebre per avere per primo teorizzato
l'uso della ginnastica su base medica. Suoi sono anche il primo trattato sulle
malattie cutanee e un'importante opera, forse la prima mai scritta, di
pediatria. Ritratto raffigurato in
"De arte gymnastica.” Dopo aver studiato a Bologna ed aver conseguito la
laurea a Padova, dove ebbe modo di conoscere Trincavella, seguì a Roma Farnese.
A causa della sua fama, infatti, i forlivesi lo inviarono come legato presso
Pio IV. Pare aver composto il suo celeberrimo trattato sulla ginnastica. Fu poi professore in entrambe le università
dove aveva studiato. A Padova, in particolare trascorse un periodo molto
fecondo, in cui scrisse ben dodici libri, alcuni dei quali basati sugli appunti
presi dagli studenti durante le lezioni. Si recò poi a Pisa, dove divenne
tutore di Ferdinando I de' Medici e poté godere di una certa fama. Curò anche
altre importanti personalità del suo tempo, tra cui Massimiliano II, che lo
nominò cavaliere e conte palatino. Merita di essere citato un famoso episodio
che lo vede convocato a Venezia insieme a molti altri medici illustri,
consultati per decifrare una misteriosa epidemia che colpiva la città. Escluse
fin dall'inizio un caso di peste, in quanto solo una minima percentuale della
popolazione si era ammalata e il contagio restava comunque molto limitato. Dopo
una settimana però la malattia ebbe un decorso impressionante, colpendo un
terzo della popolazione veneziana tra cui anche alcuni familiari del medico
stesso. Sorprendentemente però tale evento non ebbe gravi conseguenze sulla sua
carriera che, anzi, durante lezioni che tenne a proposito della peste, continuò
a difendere la sua posizione riguardo allo sfortunato caso veneziano. Fece
restaurare una cappella dell'Abbazia di San Mercuriale di Forlì, trasformandola
in cappella di famiglia, da allora nota come "cappella Mercuriali",
dove egli stesso venne sepolto. Ai monaci di San Mercuriale, lascia in eredità
la sua biblioteca, purché essi si impegnassero a tenere tre lezioni settimanali
di filosofia. Ricevuti i libri, i monaci, per custodirli e renderli fruibili a
tutti, aprirono una biblioteca pubblica. A celebrazione ed a ricordo di Mercuriali,
e murata nella cappella una lapide, tuttora esistente, con le seguenti parole. Questo
marmo ricorda ai posteri che i c forlivesi commemorando presso la sua tomba riaffermavano
il connubio eterno nei secoli tra la scienza e la fede. Saggi: “De morbis muliebribus”, Cultore
dell'opera ippocratica (“Censura et dispositio operum Hippocratis,”-- in cui
discusse in modo critico le opere del medico -- “De arte gymnastica,” la prima opera moderna che consideri
scientificamente il rapporto tra l'educazione fisica e la salute, ma anche un
testo sulla storia dell'attività ginnica. Oltre a questo originale argomento
scrive saggi di pediatria, di balneoterapia, di malattie della pelle, di
tossicologia. Fra i suoi numerosi discepoli si segnala Bauhin. Alcune altre sue opere sono: “De morbis
cutaneis,” il primo trattato sulle malattie della pelle, “De morbis puerorum,”
“De compositione medicamentorum,” De morbis muliebribus” (Venezia); De venenis
et morbis venenosis; De decoratione; De morbis ocularum et aurium Nomothelasmus
seu ratio lactandi infantes. Dizionario Biografico della Storia della Medicina
e delle Scienze Naturali (Liber Amicorum), Citato in M. Landi, Credere,
dubitare, conoscere. De Hieronymi Mercuriale vita et scriptis Victorius
Ciarrocchi, Latinitas Opus Fundatum in Civitate Vaticana. Santa Sede Dizionario
Biografico della Storia della Medicina e delle Scienze Naturali (Liber
Amicorum). “De arte gymnastica” Pediatria Dermatologia, Treccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice:
“Mussolini said that ‘ginnasta’ and indeed ‘ginnasio’ were effeminate –
‘ginnico’ is the word!” -- Geronimo Mercuriale. Girolamo Mercuriale.
Merucriale. Keywords: il ginnasio, attivita ginnica, bagni romani, Refs.: H. P. Grice, “Me and the
demijohns,” Luigi Speranza, “Ginnasia,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691884854/in/photolist-2mNzeEc-2mKQqs3
Grice e
Merker – il filo d’Arianna – Arianna abandonata a Nasso --– filosofia italiana
– Luigi Speranza (Trento). Filosofo. Grice:
“My favourite of his books is ‘storia della filosofia ai fumetti.” -- Grice:
“The fact that he found Italian words for all that Kant says in “Metafisica dei
costume” is admirable!” -- Grice: “I love Merker, and for many reasons; he has
philosophised on what makes me an Englishman: my blood, or the fact that I was
born in Harrborne?” Grice: “I love Merker: he uses metaphors aptly like ‘il
filo d’Arianna’ to refer to what I pompously call ‘the general theory of
context.’ --Si laurea in Filosofia all'Messina. Trascorse un periodo di
ricerche in Germania. Allievo diVolpe, diviene libero docente di Storia della
Filosofia e docente incaricato di Storia delle dottrine politiche all'Messina.
-- docente ordinario di Storia della Filosofia nello stesso ateneo. -- ordinario
all'Università La Sapienza di Roma alla Facoltà di Lettere e Filosofia, e poi
alla facoltà di Filosofia. Ha curato
edizioni italiane di classici dell'età della Riforma, dell'Illuminismo e
dell'idealismo tedeschi, nonché di Marx, Engels e dell'austromarxismo. Dopo
essersi occupato dei problemi lasciati aperti dalla Seconda guerra mondiale, si
è occupato dell'idea di nazione, dell'ideologia colonialista e infine del
fenomeno populista. Da ricordare la sua opera di divulgazione della storia
della filosofia. Inoltre egli ha scritto ben trenta voci per l'enciclopedia
filosofica della Bompiani, fra cui le più importanti sono su Heine, Mann, Zweig. Saggi: “Le origini della logica” (Milano,
Feltrinelli); “L'illuminismo” (Bari, Laterza) – la metafora della luce della
ragione ; “Lessing e il suo tempo, con
altri, Cremona, Convegno); Marxismo e storia delle idee, Roma, Riuniti, Storia della filosofia, La filosofia moderna.
Il Settecento, Milano, Vallardi, Alle origini dell'ideologia. Rivoluzione e
utopia nel giacobinismo” (Roma, Laterza); Storia della filosofia, Roma, Riuniti);
Storia delle filosofie, Firenze, Giunti Marzocco); “Marx, Roma, Riuniti); Erhard,
in L'albero della Rivoluzione. Le interpretazioni della rivoluzione francese,
Torino, Einaudi); La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma,
Riuniti); Lessing, Roma, Laterza); “Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni
da Kautsky agl’austromarxisti” (Roma, Laterza); Storia della filosofia moderna
e contemporanea, Roma, Riuniti, “Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla
nazione, Roma, Riuniti, -- sangue lombarda – piccolo vedetta lombarda – sangue
romagnola -- Atlante storico della filosofia, Roma, Riuniti, Europa oltre i mari. Il mito della missione di
civiltà, Roma, Editori, Filosofie del populismo, Roma, Laterza, Marx. Vita e opere, Roma, Laterza,. Il
nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia, Roma, Carocci,.La guerra di Dio.
Religione e nazionalismo nella Grande Guerra, Roma, Carocci, La Germania.
Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti, Hegel, Estetica, Milano,
Feltrinelli, Torino, Einaudi, Kant, La
metafisica dei costume (Grice: “My favourite Kant, by far!”), Bari, Laterza, Hegel,
Rapporto dello scetticismo con la filosofia, Bari, Laterza, Paracelso, Scritti
etico-politici, Bari, Laterza,.Lukács, Scritti politici Bari, Laterza, Herder, James Burnett, Lord Monboddo,
Linguaggio e società, Bari, Laterza, Lessing, Religione, storia e società,
Messina, La Libra, Kant, Lo Stato di diritto, Roma, Riuniti,Forster,
Rivoluzione borghese ed emancipazione umana, Roma, Riuniti, Humboldt, Stato,
società e storia, Roma, Riuniti, Marx, Engels, Opere, Roma, Riuniti, Roma, Scritti
economici di Marx. Roma, Editori Riuniti, Fichte, Lo stato di tutto il popolo,
Roma, Riuniti, Hegel, Il dominio della politica, Roma, Riuniti, La scimmia e le
stelle, Roma, Riuniti, Maj, Il mestiere
dell'intellettuale, Roma, Riuniti, Kant, Stato di diritto e società civile,
Roma, Riuniti, Fichte, La missione del dotto, Roma, Riuniti, Marx, un secolo,
Roma, Riuniti,Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico Roma, Riuniti,
Hegel, Detti di un filosofo, Roma, Riuniti, Marx, Engels, La sacra famiglia, Roma,
Riuniti, Marx, Engels, La concezione materialistica
della storia, Roma, Riuniti, Kant, Che cos'è l'illuminismo?, Roma, Riuniti, Lessing,
La religione dell'umanità, Roma, Laterza,, Forster, Viaggio intorno al mondo,
Roma, Laterza, Engels, Viandante
socialista, Soveria Mannelli, Rubbettino, Hegel, Dizionario delle idee, Roma, Riuniti,
Osborne, Storia della filosofia a fumetti, Roma, Riuniti, Bauer, La questione
nazionale, Roma, Riuniti. La discreta
classe delle idee. E’ Merker, asul sito di Rifondazione Comunista Il contesto è il filo d'Arianna. Studi in
onore di Merker, S. Gensini, Raffaella
Petrilli, L. Punzo, Pisa, ETS, T. Valentini, “Ideologia della nazione” e
“populismo etnico”. Le riflessioni storico-filosofiche di Merker, in R. Chiarelli,
Il populismo tra storia, politica e diritto, Rubbettino, Soveria Mannelli, Curriculum
vitae, su uniurb. Merker. Keywords: il filo d’Arianna, Teseo e il minotauro –
omo-sociale – Teseo – Arianna abandonata, giacobinismo, populismo etnico –
etnico ennico etnicita ennicita – etnos, Greek ethnos, Latin ethnos -- --
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Merker” – The Swimming-Pool Library. Entry on
thegriceclub.blogspot.com -- Album on flicker: https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702174477/in/photolist-2mPXDFp-2mLFBT9-2mLQGEg-2mLKack -
album “Grice e Merker” on https://www.facebook.com.
Grice e
Messere – l’implicatura di Sileno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torre
Santa Susanna). Filosofo. Ricevuti i
primi rudimenti del sapere dai chierici locali, i suoi genitori (Pietro Messere
e Teodora Di Leo), sebbene non agiati, decisero di fargli frequentare il
seminario di Oria, assecondando così il suo vivo desiderio di intraprendere la
carriera ecclesiastica, qui dimostrò sin da subito una profonda passione per lo
studio. Ordinato sacerdote per poi ritornare al paese natìo, dove divenne un
maestro di grande dottrina. Da autodidatta si applicò allo studio della
filosofia, della matematica, della storia ecclesiastica e civile, nonché anche
alla musica e al canto. Incolpato dell'omicidio di un giovane chierico, fu
messo in prigione nelle carceri del Vescovo di Oria, dove rimase rinchiuso per
sette anni, tuttavia non si lasciò mai abbattere dallo sconforto; anzi,
procuratosi alcuni libri, il Messere si applicò allo studio della lingua greca,
per la quale già aveva dimostrato una forte predisposizione. Dopo un lungo e
dibattuto processo, la sentenza finale lo dichiarò innocente e assolto da
qualsiasi reato. Risentito con i suoi concittadini per averlo ingiustamente
ritenuto reo, dichiarò che il suo paese mai più lo avrebbe rivisto. Fu così che
Gregorio Messere partì per Napoli, dove rimase fino alla morte. Nella città
partenopea ebbe modo di affinare e approfondire la sua cultura, divenendo un
personaggio di rilievo nel mondo intellettuale napoletano del tempo. La grande
conoscenza della lingua greca gli conferì grande notorietà nonché una cattedra
di Lettura Greca, che mantenne fino all'anno della morte, presso l'Università
degli studi di Napoli. Tale cattedra era
stata nuovamente istituita a spese di
Giuseppe Valletta, filosofo, letterato e giureconsulto dell'epoca ed amico del
Messere. Valletta aveva una profonda stima per il Messere, il quale fu assiduo
frequentatore della sua casa non solo quale insegnante dei suoi figli e nipoti,
ma anche perché divenuta luogo di riunioni dei più eruditi intellettuali del
tempo. Fra i suoi molti allievi che assistevano alle sue lezioni, ne ebbe
alcuni divenuti celebri, si annoverano Andrea, Barra, Caloprese, Gravina,
Valletta, Capasso, Cerreto, Egizio, Donzelli ed altri. Vico, noto filosofo suo
amico, gli dedicò un breve madrigale dal titolo Ghirlanda di timo per Argeo
Caraconasio.Il mondo culturale napoletano della seconda metà del '600 fu
caratterizzato da importanti innovazioni a livello filosofico, scientifico,
civile e politico. Tale fervore culturale aprì la strada alla nascita di un
numero notevole di accademie, che divennero luoghi di discussione aperta e di
diffusione di nuove idee filosofiche e scientifiche. A Napoli le principali
accademie del tempo furono soprattutto quella degli Investiganti e quella di
Medinaceli. Che il Messere sia stato membro autorevole di entrambe le accademie
e frequentatore di circoli e salotti letterari napoletani è testimoniato da non
pochi documenti, tra cui manoscritti e altri a stampa conservati nella
Biblioteca Nazionale di Napoli; le sue lezioni ebbero un così folto seguito di
giovani tanto da far suscitare invidie fra i letterati fanatici dell'erudizione
i quali, a furia di schernirlo per la sua ellenofilia, diffusero in Napoli
addirittura la moda letteraria della macchietta dello pseudogrecista,
satireggiata pure da Vico nella terza Orazione inaugurale. Fu anche tra i primi
membri dell'Arcadia fondata dal Crescimbeni e dal Gravina, ove gli fu
attribuito il nome pastorale greco di “Argeo Coraconasio,” “dalle campagne dell'isola
Coraconaso”. E fondata a Napoli la Colonia “Sebezia” dell'Arcadia e anche qui
il Messere e tra i primi iscritti.
L'aver ripristinato l'insegnamento della lingua greca in Napoli valse al
Messere non solo il titolo di “ristoratore della greca erudizione”, ma
contribuì alla ripresa dello studio di Omero, influenzandone il pensiero
poetico e filosofico del tempo. Notevole fu l'influenza che egli ebbe sulla
formazione del pensiero del Gravina. Essenziale nella vita culturale di
Gregorio Messere fu anche l'amicizia con Giuseppe Valletta, suo allievo. La
conoscenza che Gregorio Messere aveva della filosofia fu ugualmente vasta tanto
che gli valse l'appellativo di “Socrate” e quando si riferivano a lui veniva
anche chiamato il “Socrate dei nostri tempi”.
Non fu solo un insigne grecista, ma anche un poeta. Compose infatti
circa 60 componimenti, tra distici, tetrastici, serenate, sonetti, madrigali ed
epigrammi in italiano, utilizzando talvolta uno stile che il Lombardo definisce
“stile mezzano e semplice”, di carattere pastorale. Un suo epigramma è
contenuto in una lettera che Canale inviò al Magliabechi. Non mancò di scrivere
componimenti di carattere burlesco e giocoso, in cui contrapponeva l'immediatezza
della satira e del dialetto alla ricercatezza esasperata della poesia del
Seicento. Si esercitò soprattutto nell'Accademia di Medinacoeli, dove era uso
chiudere la seduta accademica con la recitazione di componimenti poetici.
Compose finanche versi che celebravano importanti eventi del regno; tra i più
salienti, si ricordano quelli contenuti nel volume scritto in occasione della
recuperata salute di Carlo II. Da ricordare sono anche gli emblemata contenuti
nel volume scritto per i funerali di D. Caterina d'Aragona, e a cui si ispirò
Vico in occasione dei funerali di due uomini illustri Tra le tante collaborazioni con letterati del
suo tempo, degna di nota è quella che ebbe con Vico per la pubblicazione di un
volume in occasione del genetliaco di Filippo V, tre sono i componimenti
contenuti in esso. Fu anche collaboratore di una Miscellanea dal titolo Vari
componimenti in lode dell'eccellentissimo signore d. Francesco Benavides conte
di S. Stefano. Fatta eccezione per alcuni componimenti inseriti in Miscellanee
poetico-celebrative, del Messere non esistono opere a stampa. E a ciò ne dà
spiegazione il Lombardo quando afferma che egli fu uomo umile e schivo tutto
dedito all'educazione dei giovani più che ai propri interessi personali, anzi
la sua modestia fu tale che pensò bene di distruggere i propri scritti. Le lezioni accademiche di cui si dispone sono
quelle che tenne nell'Accademia
istituita a Palazzo Reale dal viceré duca di Medinaceli. I codici delle lezioni
sono conservati attualmente presso la Biblioteca di Napoli. Due di queste
lezioni trattano di poesia. Qui argomenta sulla funzione e natura della poesia,
dei suoi rapporti con la storia nonché sul problema delle origini della poesia
stessa. Tre altre lezioni sono di carattere storico, esattamente: due sulla
vita di Nerva e una sulla vita di Decio. Il codice napoletano contiene anche un
Discorso vario in cui sono presenti motivi autobiografici e una lezione
sull'origine delle maschere. L'Accademia di Medinaceli non ebbe lunga vita e,
nonostante la sua chiusura avvenuta a causa di rivolgimento politico, continuò
ad essere personaggio illustre nel panorama intellettuale e culturale
napoletano, come dimostra il fatto di essere annoverato tra i primi membri
dell'Arcadia sotto la custodia Crescimbeni e successivamente della colonia
napoletana “Sebezia”. Storia della
litteratura italiana Biografia degli
uomini illustri del regno di Napoli Le
vite degli Arcadi illustri scritte da diversi autori, e pubblicate d'ordine
delle generale adunanza da Crescimbeni, pRoma,
(biografia scritta da G. Lombardo). C. Cantillo,
Filosofia, poesia e vita civile in Messere: un contributo alla storia del
pensiero meridionale, Morano, Napoli, Angelo De Prezzo, Storia delle origini di
Torre Santa Susanna, Tiemme, Manduria,. Imma Ascione, Seminarium doctrinarum:
l'Napoli nei documenti, Edizioni scientifiche
italiane, Napoli, Fabrizio Lomonaco, Gregorio Messere, la poesia e l'impegno
civile tra Gravina e Vico, in "Diritto e Cultura", VLezioni
dell'Accademia di Palazzo del duca di Medinaceli: Napoli, Michele Rak, Napoli, Istituto italiano per gli
studi filosofici. (regio esim liepierapresoNiccolaGjervasi'altirante
1.os. re ( lessen Blusere Filoloyo NamqueinTorediliuramnemláiTeradOhrantenelmio
Mori in « lapoli nel 1708. Ebbe per convincenti
indizj, co di Gregorio lasospizione Fu rinchiuso perciò nulla egli fosse reo.
me che di ,laddove impreseda prigioni per sette anni nelle del greco linguaggio
, stessolostndio non conosceva neppur lo avanti , che inbreve con tanta sollecitudine
però ,e sn tranoi il maestro ne diyenne solenne restauratore della greca
erudizione. onde cadde sopra se del quale per le figure. Vi attese Lo studio
delle greche lettere era a quel tempo venuto tranoi insomma
decadenza,l'erudizioneerasi renduta goffa e grossolana ; onde egli adoperó ogni
sua cura per richiamarla alla sua dignità primitiva. La profonda sua scienza
nella mentovata favella gli seçe meritamente occupare nell'anuo 1679. la catte
GREGORIO MESSER E. be Gregorio Messere i suoi natali il di 15. di Novembre del
1636 in un mediocre luogo della Re. gione de' Salentini, oggi Terra d'Otranto ,
detto la Torre di S.Susanna , discosta da Brindisi intorno a miglia dodici.Suoi
genitori furono Pietro Messere, e Dianora di Leo amendue di onesta e civil
condi zione. Il nostro Gregorio , comechè non proveduto nella sua primiera età
di sufficienti maestri , seppe col proprio suo ingegno , e colla sua mente ,
velocis sima e disposta a d apprendere le più difficili cose supplire a
somigliante difetto. Egli attese da se solo aiprofondissimi studj della
filosofia delle mattemati che in buona parte , della Teologia , della Storia E
c clesiastica e Civile.Nè intralascio fra la severità di sì fatte discipline
l'onesto diletto della poesia e della musica , e tanto in questa ando avanti ,
che giunse a cantar con lode la parte di basso. Il nostro Gregorio , tutto che
si fosse dedicato al Sacerdozio , gl'intervenne una disgrazia , la quale
fieramente l o travaglio. S'invaghi un compagno di luididonzellafigliuoladiricco,e
nobilpersonag-: gio,enefudipariamorericambiato.Ilpadre di lei , avutone sentore
, lo fece assalir da due sgherri , iqualisiaccompagnavanocol Messere,ilquale go
dea il favore parimenti del mentovato Signore. Ilgio vine amatore ne rimase
trucidato I و Fu de'primi ad essere annoverato tra gli Arcadi col nome di
Argeo Caraconessin ,e la sua vita ritrovasi descritta fra quelle degli Arcadi
illustri P. 15. p.47. Scrisse a richiesta degli amici Sonetti ,Madriga li ed
Epigrammi nell'una e nell'altra lingua, i quali componimenti riscossero a
que'tempi non poca laude. Mirate la dottrina che si asconde Sotto il velame
degli versi strani. Queste poesie furon da lui recitate nella dotta adu nanza
che D. Luigi della Cerda , allora Vicerè di Napoli,tenevanelRegalPalazzo.E
certamentefuscia gura , dra di greco linguaggio nell'Università de'nostri Stu
dj. Bentosto si vide la studiosa gioventù correre a folla alle sue lezioni , e
zione,che non solamente igiovanetti,ma puranche crebbe talmente la sua riputa
persone distinte per merito di letteraria coltura , a n davano con maraviglia
ad ascoltarlo. Allo studio della greca sapienza congiungeva il Messere quello
delle scienze più sublimi ; perciò i più doiti scienziati che erano allora fra
noi ed ancora stranieri contava egli fra i suoi amici. Tra quelli si annoverano
Lionardo di Capoa , Francesco d'Andrea , Carlo Buragna e tanti altri ;'e fra
gli stranieri il P. 'Mabillon il quale par la di lui con somina laude nella sua
opera Iter Ita licum ;e moltissimi presso de'quali fu ilsuo nome in somma
estimazione. Il suo verseggiar burlesco e maccaronico era un dotto poetare , e
sempre ridondante di greca e di la tina erudizione, sicchè isuoi versi in
questo genere tranne lamateria ridevole,erano molto colti egenti li, sì che
avrebbe poluto egli dire con Dante : O voicheaveteglintellettisani, و . Il suo
modo di comporre era quello che da' maestri vien detto mezzano e semplice, e
varie poesie dettò in istile boschereccio e pastorale.Molto però egli valse nel
verseggiare giocoso , ed in quella spezie di p o e sia, già inventata da
Teofilo Folengio, ilquale sidisse Merlino Coccai,che volgarmente maccheronica
vien chiamata . che dipartendosi quell'erudito e generoso Si gnore , seco
portate avesse , con le altre cose i c o m ponimenti di quella dotta brigata, e
che Gregorio nonneavesseglioriginaliserbati,enonne rima nesser che pochi in
mano di alcuno de'suoi amici, Ma egli, intento qual novello Socrate ad istruire
la gioventù e far rinascere fra di noi lo studio e la scienza della greca favella,
la quale è detto brac cio destro della buona letteratura , poco curò le sue
cose ,e poco ambi di rendersi per le stampe famoso. Dilettavasi egli infatti
più della sostanza che dell' و 9 > و , e più d'istruire la gioventù S!11
renza della dottrina erudizione. diosa ,che di far pompa di lussureggiante арра
Le virtù cristiane e socievoli di Gregorio pareg giarono la sua erudizione e la
sua dottrina. Era elf fiiosofo e religioso al tempo stesso; ottimo Sacerdote,
ed affabile senza ombra di bassezza o di poca digni tà,sprezzatore
grandissimodellericchezze,talchenel 1702. pel noto fallimento del banco
dell'Annunziata avendo perduto quelpiccolo avere che collesue ono rate fatiche
erasi acquistato , uimase in una fredda in differenza , motteggiando giocosamente
come se nulla gli fosse intervenuto. Nè minore fermezza d'animo egli nella
morte di tre nipoti per sorella Biagio , Giovan Batista e Cataldo Capozzeli,
giovinetti digrandisperanze iduepriminellamedicina,ed il terzo nella
legalfacoltà,da lui sommamente ama. ti, ed allevati alla gloria ed alle
lettere. Poco curante egli si fu dell'amicizia de'potenti, e di ogni fasto,
dimostrò e di ogni civile onore. Maravigliosa era in tutto la sua temperanza ,
talche i suoi costumi pareano più l'ultimo fine siccome un necessario termine
dell'uomo, e narrasi , che es antichi che nostri.Riguardava sendo un giorno
aperto , per alcun bisogno di fabbri ca,l'avello di Giovanni Gioviano Pon'ano,
ritrovan dosi ogli con un amico , lo prese vaghezza di scen dervi.Di fatti
discesovi,sudettesi in una delle nicchie da riporvi i morti intorno alle pareti
, e narrasi che mosso da involontaria allegrezza,dicesse: E chi sase questo è
il luogo che dee a me toccare ? Somme lodi son queste certamente pel nostro
Gregorio,ilqualenatoessendonelmezzo dellama gnaGrecia,nell'antica patria degli
Architi, degli Aristosseni,degliEnnj,de'Pacuvj,fu intendentissimo non meno
della grea, della latina e della Italiana poesia , che della più saggia
Filosofia , la quale inse gnò non pur colle parole , ma col sobrio onorato *Con
grandissimocordogliodi tutti gliamatori delle buone lettere , Gregorio Messere
, preso di ac cidente apopletico il di 19. Frebrajo dell'anno 1708., passò a
miglior vita ,e fu sepellito nella detta Cap pella del Pontano , siccome in
vita avea desideralo. La sua morte fu onorata dal pianto di afflitte vedo ve , و
! Ο Φερδινάνδος ΣανΦελικιος ευγνώμων ακροανης DIAGISTRO DOCTRINAE PULAETIVNI.
Ταυτην την Ακαδημιαν ο ποιησαντι e virtuoso suo contegno di vita. Fu per
Γρηγοειω Μεσσερε Σαλεντινω Εν ελλαδι φανη εις ακρον ταις παιδειας εληλακοτι
ilSocratede'suoitempi,edatuttiriguar chiamato . Tanta era e cosi dato con
istima e con ammirazione perfetta in lui la notizia delle lettere greche, che
mosse invidia e stupore in parecchi sapientissimi Greci na
zionali,iquali,passando perNapoli,vollero vederlo ed
ascoliarlo.Siccomeabbiamoaccennato,aluisideve in buona parte il risorgimento
delle buore lettere della greca dottrina, per tanti ragguar spezialmente che si
formarono sotto la sua di. devolissimi letterati sciplina,eperciòhaeglispeziale
eprecipuaragio ne ai nostri elogj ed alla nostra riconoscenza. Nel n o vero
de'suoi discepoli furono i Biscardi , Gennaro d'Andrea,iCalopresi,iGravina,i
Majelli,iCi rilli, i Capassi , gli Egizi, e tanti altri lumi della n o stra
letteratura iqua’i malagevole sarebbe qui no minare . tal ragione e di
miserevoli bisognosi , a quali questo uomo incomparabile in ogni maniera di
virtù distribuiya tutto ciò che al puro uopo della sua vita soperchia. va.
Intervennero ai suoi funerali tutti i professo ri della R. U. non che
ragguardevolissimipersonaggi. Uno di costoro già suo scolaredi nobilissimo
tegnag gio , insigne per lettere e per la scienza della pittu ra e
dell'architettura ,innalzò a tanto maestro la see guente iscrizione in greco ed
in latino. Τα Διδασκαλω Διδακτρον. MESSERE SALENTINO GREGORIO IN GRAECA LINGVA
AD SVMMVM ERVDITIONIS PROGRESSVM DE ACADEMIA HAC OPTIME MERITO) FERDINANDVS
SANFELICIVS GRATVS AVDITOR ANDREA MAZZARELLĄ PA CERRETO. 157 IV.Quantunque
non abbiasi cosa alcuna alle stam IV. sti. pe di Gregorio Messere nato
l'anno 1636. Torre di S. Susanna , luogo della Terra d'Otranto, tuttavia egli
ha buon diritto che di lui si parli in GregorioMesso nella ro edaltriGreci
st'opera. La disgrazia avvenutagli que di dover soffri re,sebbene innocente una
lunga prigionia to di omicidio , lo determinò Greca, e così felicemente venir
riconosciuto qual ristauratore dizione nel Regno di Napoli , e il Mabillon nel
suo Iter Italicum parla con somma lode del Gregorio . Occupò egli la Cattedra
di questa lingua nellaUni versità della Capitale, e la insegnò con tanto grido
, che oltre la gioventù contò fra lisuoi discepolinon poche persone per coltura
e per sapere distinte ; e fra i più celebri alunni da lui istruiti si noverano
Gennaro di Andrea , il Caloprese Capassi ed altri molti.Benemerito , il Gravina
, il perciò della Greca Letteratura congiunse na del poetare (1),e conobbe le
altre scienze con gran vantaggio attenzione specialmente Religione all'epoca
della sua morte accaduta ordine di persone il compianse nell' 1708. ogni
funerali i Professori ai suoi , ed , ed ebbe onorata s e per sospet a studiare
la lingua vi riuscì, che meritò di poi anche alla erudizione lave dei giovani
che con zelo ed istruiva ed educava alle lettere ed alla insieme, perlocchè
crate. La sua dottrina e le sue cristiane virtù , m a specialmente una carità
generosa giunsero a tale,che appellavasi novello S o . Intervennero tutti della
R. Università altri ragguardevoli poltura nella cappella dove riposano le
ceneri Pontano discepolo con iscrizione Greca e Latina da un del suo composta
(2). personaggi della Greca e r u (1) Fu egli ascritto fra i primi Arcadi sotto
il nome di Argeo Caran conessio . (2) Biografia degli Uom . ill. del Regno di
Napoli T. IV . Allorchè nel 1747. si aprì il concorso per la C a t
tedra di lingua greca
Grice: “When they called Messere
‘Socrate’ I hope they don’t mean Alcibiades’s implicature, ‘my dear Sileno!’” –
Gregorio Messere. Messere. Keywords: implicature, Sileno, Socrates,
SocrateSileno, Socrate, Silenus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Messere”. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691475053/in/photolist-2mPYm4t-2mLPdUX-2mKPDck-2mKNjCv
Grice e
Messimeri – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Seminara). Filosofo. Grice: “He was of a noble family – he was into the free
market – so his is a philosophical economy.” Domenico Grimaldi (Seminara),
filosofo. Esponente dell'illuminismo napoletano. Francesco Mario Pagano.
Nato in una famiglia aristocratica che faceva risalire le proprie origini alla
nota famiglia di Genova, ricevette la prima educazione dal padre, il marchese
Pio Grimaldi, un uomo colto che aveva cominciato a introdurre criteri di
conduzione innovativi nelle sue proprietà terriere, peraltro non molto estese,
di Seminara. Non essendo molto ricco, il padre lo avviò agli studi giuridici,
in previsione di una possibile professione forense, all'Napoli. Nella capitale
napoletana Domenico fu raggiunto dal fratello minore Francescantonio, fece
parte con il fratello dell'Accademia dell'Arboscello, frequenta le lezioni di
economia di Genovesi. Si trasferì a Genova, dove ottenne la riammissione nel
patriziato della Repubblica di Genova, ottenendo così il permesso di esercitare
alcune magistrature. In Liguria, tuttavia, Grimaldi ebbe modo di approfondire
gli aspetti tecnici, economici e sociali legati all'agricoltura il cui studio
lo spinse a viaggi in Francia, specie in Provenza, in Piemonte e in Svizzera.
Si interessò in particolare alla colture dell'ulivo e del gelso per
l'allevamento dei bachi da seta. Venne accolto fra l'altro nell'Accademia dei
Georgofili, che premiò una memoria, nella Società economica di Berna, un centro
di cultura fisiocratica, e nella Société royale d'agriculture di Parigi.
Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra François Quesnay,
maggior rappresentante della fisiocrazia Frutto delle sue ricerche fu il Saggio
di economia campestre per la Calabria Ultra, esposizione di un piano che,
partendo dalle condizioni di arretratezza dell'economia calabrese del XVIII
secolo, secondo la dottrina fisiocratica, ne indica i mezzi atti a la
trasformare situazione economica della Calabria. All'epoca il settore
produttivo più importante era l'agricoltura in quanto i posti nell'industria
erano pochi, le alternative limitate all'edilizia, ai lavori pubblici e al
settore terziario; l'agricoltura era tuttavia quasi esclusivamente di
sussistenza, e lo scarso reddito determinava un esodo massivo dalle campagne.
Per Grimaldi l'ammodernamento dell'agricoltura e l'integrazione tra agricoltura
e allevamento erano le condizioni prime per avviare la produzione industriale e
il commercio. il successivo aumento del reddito agrario avrebbe dovuto essere
reinvestito nell'industria tessile e in quelle serica, lattiero-casearia e
olearia. La presenza di industrie avrebbe innescato un circolo virtuoso in
quanto avrebbe potuto richiamare un afflusso di capitali per la
ristrutturazione fondiaria e l'aumento delle dimensioni delle aziende agricole,
con successiva formazione e sviluppo di attività miste agricolo-manifatturiere,
specialmente alimentari, con impiego di mano d'opera locale.
L'imprenditore Vecchio frantojo ligure dismesso Attorno al 1770 Grimaldi
si impegnò a tradurre in pratica questi progetti, con l'aiuto finanziario del
padre, impegnandosi nel miglioramento della coltivazione degli olivi, chiamate
dalla Liguria maestranze e tecnici per creare a Seminara nuovi frantoi
"alla genovese"; rese poi pubblici i progetti e i risultati delle sue
innovazioni con un'opera del 1773, edita nuovamente nel 1777 con una dedica a
Beccadelli, marchese della Sambuca. Si dedicò più tardi alla produzione
della seta. Grimaldi, che inizialmente intendeva assegnare l'ammodernamento
dell'agricoltura all'iniziativa privata, si rese conto che l'approccio
utilizzato per l'ammodernamento dell'industria olearia (in questo caso,
introduzione in Calabria della lavorazione della seta alla
"piemontese") non sarebbe stato sufficiente nella lavorazione della
seta per ostacoli di natura fiscale nel regno di Napoli, ossia del dazio sulla
seta calabrese. Diede pertanto inizio a vivace polemica nei confronti dei
controlli oppressivi doganali e dei monopoli statali nei settori delle
manifatture e del commercio. Il politico Sir John Acton La
riflessione sull'influenza dello stato nel mercato della seta, diede avvio al
dibattito sul problema della libertà nel commercio internazionale, in
particolare nel commercio del grano che aveva assunto una notevole importanza
dopo la carestia del 1764. Una delle proposte più importanti di Domenico
Grimaldi fu la costituzione, nella Calabria Ultra, di società economiche
concepite come centri promotori il miglioramento della tecnica agraria; ma la
proposta non trovò il necessario sostegno né nei proprietari terrieri né nel
clero. In seguito allargò lo sguardo dalla Calabria Ultra all'intero Regno,
proponendo di svolgere un'attività conoscitiva sulla struttura economica del
Regno mediante la predisposizione di piani di visite alle province napoletane affidati
a ispettori di nomina regia, con proposte di azione sulle "cause
fisiche" dell'arretratezza, principalmente la mancanza di strutture per
l'irrigazione innanzitutto nelle Puglie, per le quali suggeriva il ricorso
anche al lavoro coatto. Gaetano Filangieri Grazie alla notorietà
raggiunta con i suoi saggi Grimaldi fu nominato dal primo ministro John Acton
assessore al neocostituito Supremo Consiglio delle Finanze assieme a
Filangieri, Palmieri, Delfico e Galanti. Il terremoto che causò gravi danni e
lutti alla famiglia Grimaldi. Grimaldi fu favorevole all'istituzione della
Cassa sacra, proponendo che ricostruzione fosse eseguita secondo un piano
pubblico che prevedesse iniziative strutturali per l'ammodernamento della
produzione agricola e industriale. Si adoperò per l'apertura a Reggio Calabria
di un istituto professionale nel quale si insegnasse "l'arte di tirar la
seta alla piemontese"; la scuola, diretta dal Grimaldi, ebbe un certo
successo, ma venne chiusa nel L'interruzione negli anni novanta dell'attività
riformatrice di Ferdinando IV di Napoli in seguito alla crisi collegata alla
rivoluzione francese comportò un atteggiamento di sospetto, da parte del
governo napoletano, nei confronti dell'intellettualità progressista. A Grimaldi
venne rifiutata la nomina, proposta dal Galanti, di presidente della
costituenda Società patriottica per la Calabria in quanto massone. Fu
addirittura arrestato, come gran parte dei massoni reggini (una cinquantina
circa) in seguito all'assassinio del governatore di Reggio, Giovanni Pinelli e
trasferito nel carcere di Messina dove si trovava alla nascita della Repubblica
Napoletana. Suo figlio Francescantonio aderì alla Repubblica Napoletana. Saggi:
“Memoria ai gergofili sopra una specie di pianta pratense chiamata sulla”
(Firenze); “Economia campestre per la Calabria” (Napoli: Orsini); “La manifattura
dell'olio nella Calabria” (Napoli: Lanciano); “Manifattura e commercio delle
sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scon alcune riflessioni critiche
sopra il bando delle sete” (Napoli: Porcelli); “La pubblica economia delle
provincie del Regno delle Due Sicilie” (Napoli: Porcelli); “Piano per impiegare
utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte
del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno” (Napoli: Porcelli); “L’industria
olearia, e dell'agricoltura nelle Calabrie, ed altre provincie del Regno di
Napoli” (Napoli: Porcelli); “L’economia olearia antica sull'antico frantoio da
olio trovato negli scavamenti di Stabia” (Napoli: Stamperia Reale); “L’Ulteriore
Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincia”
(Napoli: Porcelli). Franco Venturi, Illuministi italiani, V: Riformatori napoletani, Napoli: Ricciardi,
Antonio Piromalli, La letteratura calabrese: Dalle origini al posivitismo,
Cosenza: LPE, Istruzioni sulla nuova
manifattura dell'olio introdotta nel Regno di Napoli dal marchese Domenico
Grimaldi di Messimeri patrizio genovese, socio ordinario, e corrispondente
dell'Accademia de' Georgofili di Firenze, della Società di Agricoltura di
Parigi, e di Berna, In Napoli: presso Vincenzo Orsini, a spese di Giuseppe
Maria Porcelli, Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle
sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scritte dal marchese Domenico
Grimaldi, con alcune riflessioni critiche sopra del Bando delle Sete” (Napoli:
Porcelli); “Relazione d'un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune
osservazioni economiche relative a quella provincial” (Napoli: Porcelli);
“Piano di riforma per la pubblica economia delle provincie del Regno di Napoli,
e per l'agricoltura delle Due Sicilie, scritto dal marchese don Domenico
Grimaldi, Napoli: Porcelli); Piano per impiegare utilmente i forzati, e col
loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e
nelle altre provincie del Regno scritto dal marchese don Domenico Grimaldi
di Messimeri patrizio genovese” (Napoli: Porcelli); “Relazione d'una scuola da
tirar la seta alla piemontese stabilita in Reggio per ordine di Sua Maestà,
sotto la direzione del M. Grimaldi, e l'approvazione del Vicario generale delle
Calabrie don Francesco Pignatelli” (Messina per Giuseppe di Stefano). L'opera
apparve anonima ed è attribuita a Domenico Grimaldi da Gaetano Melzi, Note
bibliografiche del fu D. Gaetano Melzi, edite per cura di un bibliofilo
milanese con altre notizie, H-R, Milano:
Tip. Bernardoni) Giuseppe Maria Galanti,
Giornale di viaggio in Calabria; introduzione di Luca Addante, Soveria Mannelli:
Rubbettino, A. Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di Domenico e Francescantonio
Grimaldi. Testi di Laurea. Università degli Studi di Salerno, Facoltà di
Magistero. M.L. Perna, Dizionario Biografico degli Italiani, LIX, Roma: Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, A. Basile, «Un illuminista calabrese: Domenico Grimaldi da Seminar»a,
in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, Gaetano Cingari, Giacobini e
Sanfedisti in Calabria, Reggio Cal., "Casa del libro", Cesare
Morisani, Massoni e Giacobini a Reggio Calabria, Reggio Cal., F. Morello, Domenico Romeo, Alcune precisazioni su Domenico
Grimaldi: un riformatore Calabrese del '700, in "Historica", Antonio
Piromalli, L'attualità del pensiero e delle opere del marchese Domenico
Grimaldi, Cosenza: L. Pellegrini, Domenico Luciano, Domenico Grimaldi e la
Calabria, Salerno, Beniamino Carucci. Grimaldi, Domenico la voce nella Treccani
L'Enciclopedia Italiana. Grice: “Isn’t ONE Sicily enough?” -- --
Giovanni Antonio Summonte, storico vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII
secolo, all'interno del secondo volume della sua Historia della città e Regno
di Napoli(i cui primi due volumi furono pubblicati negli anni 1601-1602 e gli
altri due postumi[1]), inserisce un trattato dal titolo Dell'Isola di Sicilia,
e de' suoi Re; e perché il Regno di Napoli fu detto Sicilia. In questo scritto
l'origine della distinzione tra due «Sicilie» separate dal Faro di Messina
viene individuata nella bolla pontificia con cui papa Clemente IV investì Carlo
I d'Angiò del Regno di Napoli nel 1265: «Papa Clemente IV, il quale
investì, e coronò Carlo d'Angiò di questi due Regni, chiamò quest'Isola, e il
Regno di Napoli con un sol nome, come si può vedere in quella Bolla, ove dice,
Carlo d'Angiò Re d'amendue le Sicilie, Citra, e Ultra il Faro: e questo
eziandio osservarono gli altri Pontefici, che a quello successero, e si
servirono degl'istessi nomi. Imperciocchè 7 altri Re, che al detto Carlo
successero [...] che solo del Regno di Napoli, e non di Sicilia padroni furono,
chiamarono il Regno di Napoli, Sicilia di qua dal Faro. Il Re Alfonso poi,
ritrovandosi Re dell'Isola di Sicilia, per essere egli successo a Ferrante suo
padre, e avendo anco con gran fatica, e forza d'armi guadagnato il Regno di
Napoli da mano di Renato, si chiamò anch'egli con una sola voce, Re delle Due
Sicilie, Citra, e Ultra; E questo per dimostrare di non contravenire
all'autorità de' Pontefici. Ad Alfonso poi successero 4 altri Re [...] i quali
furono Signori solo del Regno di Napoli, e si intitolarono, come gli altri, Re
di Sicilia Citra. Ma Ferdinando il Cattolico, Giovanna sua figlia, Carlo
Vimperadore e Filippo nostro re, e Signore, i quali anno [sic] avuto il dominio
d'amendue i Regni, si sono intitolati, e chiamati Re delle due Sicilie Citra, e
Ultra: la verità dunque è, che questi nomi vennero da' Pontefici romani, (come
s'è detto) i quali cominciarono ad introdurre, che 'l Regno di Napoli si
chiamasse Sicilia[2].» La stessa tesi è sostenuta da Pietro Giannone
nella sua Istoria civile del Regno di Napoli (1723), in cui si citano vari stralci
della bolla pontificia, con la quale Clemente IV concesse l'investitura a Carlo
d'Angiò «pro Regno Siciliae, ac Tota Terra, quae est citra Pharum, usque ad
confiniam Terrarum, excepta Civitate Beneventana [...]». In un altro passo la
bolla proclamava: «Clemens IV infeudavit Regnum Siciliae citra, et ultra
Pharum». Secondo Giannone è dunque questa l'origine del titolo rex utriusque
Siciliae, che tuttavia Carlo d'Angiò non usò mai nei suoi atti ufficiali,
preferendo gli antichi titoli dei sovrani normanni e svevi[3]. Marchese Domenico
Grimaldi. Grimaldi di Messimeri. Messimeri. Keywords: implicature, economia
olearia antica – antico frantoio da olio a Stabia -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Messimeri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51675327841/in/photolist-2mJnyCd-2mJnyBr-2mJnyCi-2mJnyCo-2mJs3zX-2mJisea
Grice e
Micalori – Ganimede e l’implicatura sferica di Giove – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I
took my ideas on longitude and latitude from Micalori” -- Grice: “By calling it
‘sfera,’ Micalori’s statement ENTAILS rather than implicates that the Romans
were wrong.” Professore a Urbino. Opere:
“Della sfera mondiale” In Urbino, Marco Antonio Mazzantini, Giacomo Micalori,
Antapocrisi, In Roma, Francesco Roma Cavalli. Zeus features heavily
in a lot of starlore, and the Eagle constellation is no exception. The
predominantly accepted mythos for this constellation is the abduction of Ganymede.
Zeus had facilitated the kidnapping, fancying the beautiful mortal boy as his
personal cup-bearer. In the constellation, which is situated south of
Cygnus on the equator, making it visible from both the Northern and Southern
hemispheres, poor Ganymede can be seen hanging from the claws of the eagle as
he is swiftly taken to the heavens. The constellation appears alongside
several other bird constellations. The Eagle’s wings are spread, giving it the
appearance of gliding through the stars. As Hyginus states, the beak is
separated from the body by a milky circle. It was also said to set “at the
rising of the Lion and rises with Capricorn”. (Hyginus, Astronomy, 3.15)
Greek astronomy Humans have a natural urge to identify familiar things
amongst the twinkling stars of the mysterious abyss above us. These narratives
came out of astronomical observations and ancient time tracking. The study of
the sky began long before the earliest Greek sources that (sparsely) discuss
them, Homer and Hesiod. They likely developed during the transition from oral
to written transmission, but to what is extent is unknown. Even though
the Greeks were late to the constellation conversation (500 BC), they received
a lot of their knowledge from their Eastern neighbors. The Greeks introduced
the word katasterismos, or catasterism, which refers to the process of being
set in the heavens. Constellations were used for navigation and an indication
of seasonal change; many extravagant mythic connections were added later.
Today, there are 88 constellations officially defined by the International
Astronomical Union, and many of them have been accepted since Ptolemy’s The
Almagest (A.D 150). Constellations created by the Mesopotamians between
1300-1000 BC originate in older lands, but the Greek astral mythos canon was
solidified by Eratosthenes, in a work now lost to us. Zeus and his
trusted companion The myth of Ganymede is very ancient lore, being told
in the tale of Troy by Homer (Illiad 20.298ff) – albeit with no mention of an
eagle escort. In the fifth Homeric Hymn to Apollo, Ganymede was said to be
whisked off to Olympus by a ‘heaven-sent whirlwind’. The eagle was not
connected to this tale until the 4th century BC. The constellation was accepted
as an eagle prior to this, so it is presumed that this addition was made to
make the story fit the stars, probably because Ganymede is said to feature in
his own nearby constellation, the water-pourer (Aquarius).Micalori. Keywords:
implicatura sferica, planifesferio, Casali. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Micalori” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691873459/in/photolist-2mKQn4z
Grice e
Miccoli – homo loquens – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “Miccoli is a great philosopher – and surgeon
– My favourites are his ‘Corpo dicibile,’ which trades on my idea of what it
means to ‘say’ something; and his ‘Homo loquens,’ a play on Aristotle’s ‘zoon
logikon,’ but which Aristotle would find otiose: man is the ‘vivente’ that
speaks, or the ‘animal’ that speaks. To say that it is the ‘homo’ that speaks
relies on Darwin’s classifications and phyla of homo sapiens sapiens and the
rest!” La divertente commedia umana Incipit Chi si accinge alla lettura dell'
Elogio della follia di Erasmo farebbe bene a non dimenticare taluni antecedenti
biografici dell'autore che spiegano meglio l'ironia bonaria dell'opuscolo. Li
richiamiamo. Geertsz, latinizzato secondo il costume degli umanisti in
Desiderio Erasmo, nacque figlio di illegittimo coniugio. La famiglia paterna,
in auge nella borghesia di Gouda, come apprendiamo dallo stesso Erasmo, si
oppose alle nozze riparatrici del figlio, costringendolo, con inganno, a far
intraprendere la carriera ecclesiastica al malcapitato giovanotto. Citazioni Come umanista Erasmo si sente
apparentato alla società dalla duttile forza della parola che ne saggia
criticamente le valenze in termini di ironia, sarcasmo, gioco allusivo,
bonarietà lungimirante, tolleranza magnanima, moralismo contenuto. Fin dalla
dedica dell'opuscolo a Moro si arguisce che l'autore non vuol propinare
sapientia austera e compassata, ma buon senso brioso che permei di sé la vita
quotidiana della gente, fosse anche dell'imperatore Marco Aurelio che sul letto
di morte, lui filosofo, esclama, a un certo momento: «Sentenzio me cacavi! La
sapienza dei dotti è tanto altezzosa quanto sterile, diversamente dal buon
senso che cambia in meglio l'esistenza non sofisticata. (Sotto la penna
dell'insigne umanista olandese si fronteggiano al femminile Sapientia e
Stultitia: la prima, per voler essere austera ad ogni costo, diventa stolta; la
seconda, in quanto «forza vitale irrazionale e creatrice», si palesa veramente
saggia alla resa dei conti. L' Elogio
della follia conserva un fascino di imperitura attualità. Lo si desume
dall'analisi di Histoire de la Folie, dove Foucault evidenzia il confine
sfumato tra ragione e sragione in epoca di alta tecnologia, e altresì dalle
invettive di Nietzsche contro lo smunto bibliotecario, lo stitico correttore di
bozze, il pallido burocrate stipendiato, emblemi tutti del moderno «uomo
alessandrino». (Explicit Erasmo conosce e cita perfino pagine della Bibbia a
riprova della bontà dei doni che Follia concede ai mortali. Un modo questo, di
prendere in giro anzitempo la presunzione dispotica delle società
economicistiche che intendono mantenere sotto loro tutela il cittadino
«minorenne» sempre bisognoso di dande e mordacchie. Gli autori classici sono,
tra l'altro, spiriti lungimiranti. A tali società alienanti di oggi e di domani
Blake, con spirito erasmiano, potrebbe ripetere: «esuberanza è bellezza. La
divertente commedia umana, introduzione a Erasmo da Rotterdam, Elogio della
Follia, TEN, Introduzione a "Vita di Gesù" Incipit Il contesto
storico culturale della Vita di Gesù La recente edizione storico-critica delle
Opere complete di Hegel consente di far chiarezza sulle discussioni e
congetture che hanno tenuto a lungo il campo nella letteratura hegeliana a
proposito dei cosiddetti Scritti teologici giovanili, la cui indole cronologica
vengono ora sancite su base filologica e critica più accorta. Più che ai titoli
apposti da Nohl ai vari frammenti e più che alle congetture sulla data
probabile di tali scritti, è più fruttuoso rifarsi agli anni di formazione
filosofica e teologica di Hegel nello Stift di Tubinga e reperire nel
curriculum studiorum le ascendenze prossime che hanno influenzato maggiormente
l'autore in una speculiare lettura dei quattro Evangelisti, da cui desume Das
Leben Jesu. Citazioni Gli interessi culturali di Hegel, negli anni tubinghesi,
sono prevalentemente filosofici, incentivati dalla lettura di Rousseau, Jacobi,
Lessing, Kant, Fichte su temi sociopolitici ed etico-religiosi. (Hegel,
studioso di filosofia, si sente chiamato a lumeggiare «spiritualmente» la
situazione storica del suo tempo e a porre le premesse di carattere razionale
per l'avvento di un «ordine uguale di tutti gli spiriti». Il lettore del Leben
Jesu si accorge subito di trovarsi di fronte a una forma di scrittura audace,
che desacralizza e sdivinizza la persona di Gesù, riducendolo a maestro di
morale sublime. [Paolo Miccoli,
introduzione a Hegel, Vita di Gesù. TEN. “Filosofia della storia”, “Corpi
dicibili”, “Homo louqens”. Paolo Miccoli. Miccoli. Keywords: homo loquens,
corpo dicibile, corpi dicibili. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miccoli” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702962811/in/photolist-2mQBLt7-2mLPcxi
Grice e
Miccolis – BRVNO – filosofi italiani al rogo -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Corato). Filosofo. Grice:
“Miccoli reminds me of G. Baker, who dedicated most of his life to Witters!
Miccolis to Labriola.” sConsiderato
uno dei massimi studiosi di Labriola. Si
trasferì a Perugia per gli studi universitari, laureandosi in filosofia a pieni
voti con una tesi dal titolo «Il pensiero politico crociano e la genesi del
liberalismo». Abilitatosi cum laude all'insegnamento di storia e filosofia,
professore in vari licei della provincia, occupò una cattedra stabile presso
l'Istituto tecnico per geometri a Perugia, accostando l'insegnamento di
estetica all'Accademia di belle arti "Pietro Vannucci". Divenne
responsabile del settore culturale del PCI per la regione Umbria; ma, preso
dagli studî e dall'insegnamento, lasciò l'incarico, comunque seguendo sempre le
vicende politiche con attenzione e passione. La sua è stata una formazione
liberale: considerava suoi padri spirituali Labriola, Croce,Gobetti. Dalla fine
degli anni Settanta la sua vita sarà rivolta allo studio del filosofo cassinese
Labriola, da Miccolis ritenuto «un buon punto per capire la storia d'Italia».
Nascerà quindi il Carteggio labrioliano, in cinque volumi, presentato da Cesa
all'Accademia dei Lincei, edito per gli auspici e con il contributo
dell'Istituto italiano per gli studi storici e dell'Università degli Studi di
Napoli "L'Orientale" e favorito dalla consultazione, nel frattempo divenuta
possibile, delle carte Labriola del Fondo Dal Pane, acquistato dalla Società
napoletana di storia patria. Su tale monumentale lavoro è stato scritto: «un
evento letterario, probabilmente l'acquisizione più importante tra le fonti
della cultura italiana postunitaria; e, di più, senza esagerazione, si presenta
come un capolavoro ecdotico, per accuratezza filologica ed esaustività del
commento. Miccolis era certo divenuto col tempo l'esperto più sicuro della
impervia grafia del suo autore, della quale conosceva ogni piega e ogni
anomalia, dei contesti politici e culturali in cui Labriola si muoveva, […]
della spezzettata, dispersa e contorta
labrioliana, difficile da padroneggiare: si era anche impadronito, in base
a una sensibilità linguistica non comune, del "vocabolario"
dell'Autore in tutte le sue sfumature, ed era perciò in grado di respingere o
di dubitare di attribuzioni di testi, datazioni improbabili, letture sghembe».
Miccolis scrisse inoltre sistematicamente per varie riviste (Rivista di storia
della filosofia, il Giornale critico della filosofia italiana, Belfagor,
Critica storica, Nuovi studi politici, etc.); numerosi sono i suoi saggi e
notevoli gli ulteriori apporti documentari alla
labrioliana. Collaborò intensamente con l'Istituto italiano per gli
studi storici e la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce: aveva il compito di
revisionare i carteggi crociani, e sotto il suo controllo passavano i volumi
dell'Edizione nazionale delle opere di Croce. È stato anche uno dei principali
animatori dell'Edizione nazionale delle opere di Labriola, per la quale aveva
contribuito a definire il piano editoriale, i criteri metodologici, e il
problema del rapporto tra l'opera edita di Labriola e il fondo manoscritto
della Società napoletana di storia patria.
Adnkronos, Filosofi, E' morto Miccolis, massimo studioso di Antonio Labriolia,
Bari, Alessandro SAVORELLI, Rivista di storia della filosofia,, fasc. 2. Opere:
“ Il carteggio di Antonio Labriola conservato nel Fondo Dal Pane” «Archivio
storico per le provincie napoletane», «Con la Sua calligrafia che mi ricorda i
papiri greci...». La filologia, la guerra, la Crusca nel carteggio di Croce con
Pistelli e Teresa Lodi, a c. di S. Miccolis e A. Savorelli, in Gli archivi
della memoria, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 1996, 91–126, (rist. in Gli archivi della memoria e
il Carteggio Salvemini-Pistelli, a c. di R. Pintaudi, Firenze, Biblioteca
Medicea Lauenziana, Polistampa, A. Labriola, La politica italiana Corrispondenze
alle « Basler Nachrichten », S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, A. Labriola,
Carteggio, S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, 2000-2006 S. Miccolis, Labriola,
Antonio, in Dizionario biografico degli italiani, A. Labriola, L'università e
la libertà della scienza, S. Miccolis, Torino, Aragno, A. Labriola, Giordano
Bruno. Scritti editi ed inediti S. Miccolis e A. Savorelli, Napoli,
Bibliopolis, S. Miccolis, Antonio Labriola. Saggi per una biografia politica,
A. Savorelli e Stefania Miccolis, Milano, UNICOPLI, S. Miccolis, Gli scritti politici di Antonio
Labriola editi da Stefano Miccolis, A. Savorelli e Stefania Miccolis, Napoli,
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Miccolis, il ricordo a un anno dalla morte, "Corato live", W.
Gianinazzi, M. Prat, In memoriam "Mil neuf cent", n° 28, 201. A.
Savorelli, Stefano Miccolis, «Rivista di storia della filosofia», fa A.
Meschiari, Stefano Miccolis studioso di Antonio Labriola, «Rivista di storia
della filosofia». Stefano Miccolis. Miccolis. Keywords: filosofi italiani al
rogo. BRVNO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miccolis” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745998220/in/datetaken/
Grice e Michelstädter – il giovane divino, l’implicatura persuasiva di Platone –
filosofia italiana – filosofia giudaea – filosofia nel ventennio fascista -- Luigi
Speranza (Gorizia). Filosofo. Grice: “It’s difficult to grasp
Michelsteadter’s implicature: his study on ‘persuasion’ is brilliant – he was a
close reader of Plato, and he uses figurative language, as ‘il giovane divino.’
My favourite is his account of the persuasive rhetoric of Cicero.” Grice:
“Michelsteadter plays with the etymology of persuasion, which is cognate with
‘suave,’ as it should – sweet talk, we should say – which I could make into a
maxim which would not be strictly ‘conversational’ unless under the category of
modus – ‘be sweet’ –But the sweetness applies in general to my framework: the
emissor aims to be sweet if he is going to try to influence the other, and will
be influenced by a sweeter co-emissor.” essential
Italian philosopher. Ultimo di quattro figli, da un'agiata famiglia. Il padre,
Alberto, dirige l'ufficio goriziano delle Assicurazioni Generali ed è
presidente del Gabinetto di Lettura goriziano. È un uomo colto, autore di
scritti letterari e di conferenze, rispettoso delle usanze tradizionali ma solo
formalmente, per rispetto borghese -- è, anzi, un laico, un tipico rappresentante
della mentalità materialistica. Il semitismo non sembra quindi incidere molto
sulla sua formazione culturale, che scoprire solo più tardi e con non poca
meraviglia di avere un antenato cabalista. Iscritto al severo Staatsgymnasium
cittadino, fa propria la rigida Bildung asburgica. Con le traduzioni dal greco
e dal latino ha i primi approcci colla filosofia. A iniziarlo sono
Schubert-Soldern, solipsista gnoseologico, secondo il quale tutto il sapere va
ricondotto alla sfera del soggetto; e l'amico Mreule che gli fa conoscere Il
mondo come volontà e rappresentazione, di cui resta traccia soprattutto ne La
Persuasione e la Rettorica. Nella soffitta di Paternolli, oltre a Schopenhauer,
legge e discute, con gli amici Nino e Rico, i tragici e i presocratici,
Platone, il Vangelo e le Upanishad; e poi ancora Petrarca, Leopardi, Tolstoj, e
l'amatissimo Ibsen. Conclusde gli studi ginnasiali e progetta di
iscriversi a giurisprudenza; in seguito abbandona l'idea e si iscrive alla
facoltà di matematica a Vienna. Ma l'anima è giàper dirla con Leopardi nel
primo giovanil tumulto verso un altrove che non riesce a riconoscere nella
ferrea logica matematica. Si iscrive al corso di Lettere dell'Istituto di Studi
Superiori Fiorentino, città in cui vivrà per quasi quattro anni e dove conoscerà,
fra gli altri, Chiavacci, futuro curatore delle sue Opere, ed Arangio-Ruiz,
noto filosofo. Continua a ritrarre, fra tratto espressionistico e schizzo
caricaturale, la varia umanità in cui s'imbatte, sia nei mesi di studio che nei
periodi di vacanza al mare e in montagna. Scrive moltissimo, in modo quasi
ossessivo, dalle lettere ai familiari (in particolare alla sorella Paula) alle
recensioni di drammi teatrali. Un evento luttuoso segna la sua vita: la morte,
per suicidio, del fratello Gino. Due anni prima si era suicidata anche una
donna da lui amata, Nadia Baraden. Mreule parte per l'Argentina. Questa
partenza è segnata da un evento significativo, una sorta di passaggio del
testimone. Si fa consegnare da Rico la pistola che porta sempre con sé. Completati
gli esami, ritorna a Gorizia e inizia la stesura della tesi di laurea,
assegnatagli da Vitelli, concernente i concetti di persuasione e di retorica in
Platone e Aristotele. La sua attività è febrile. Oltre alla Persuasione scrive
anche la maggior parte delle Poesie e alcuni dialoghi, tra cui spicca il
Dialogo della salute. Il suo isolamento diventa pressoché totale, mangia
pochissimo e dorme per terra, come un asceta. Vede solo la sorella e il cugino
Emilio. Comunica al padre che dopo la tesi non avrebbe fatto il professore, ma
che appena laureato sarebbe andato al mare, forse a Pirano o a Grado. Dopo
un diverbio con la madre, impugna la pistola lasciatagli da Mreule e si toglie
la vita. Sul frontespizio della tesi aveva disegnato una fiorentina, una
lampada ad olio, e aggiunto in greco: apesbésthen, «io mi spensi». Amici
raccolsero i suoi saggi, ora alla Biblioteca di Gorizia. Sepolto nel cimitero
ebraico di Valdirose (Rožna Dolina), oggi nel comune sloveno di Nova Gorica, a
poche centinaia di metri dal confine con l'Italia. La breve vita di
Michelstaedter scorrecome risulta dall'Epistolarioall'insegna di una volontà di
vivere continuamente illuminata dal desiderio di un altrimenti e di un altrove
metafisico che fa di lui un impulsivo, un irrequieto esploratore di linguaggi e
di mezzi espressivi, capace di spaziare dalla pittura alla poesia passando per
le ripide vette della filosofia. Nell'apologo dell'aerostato incluso ne La
Persuasione e la Rettorica, l'essenza del pensiero occidentale, la rettorica,
viene fatta risalire da Michelstaedter a un parricidio: quello di Aristotele
nei confronti di Platone. Questi, nella metafora costruita da Michelstaedter,
escogita un mechánema, una macchina volante per abbandonare il peso del mondo e
giungere all'assoluto. Maestro e discepoli riescono a librarsi negli alti spazi
del cielo, ma restano a metà strada, fra una mera contemplazione dell'essere e
del tempo e la nostalgia della terra e delle cure mondane. A riportarli sulla
terra ci pensa allora un discepolo più scaltro e intraprendente degli altri,
Aristotele, il quale, tradendo il maestro, fa scendere il mechánema restituendo
così a tutti la gioia d'aver la terra sicura sotto i piedi. Questa nostalgia
del mondo intelligibile platonico fa quindi di lui un discepolo di
Schopenhauer, più che di Nietzsche. La costituzione della metafisica è
per lui una storia di rettorici tradimenti, la vicenda di una verità dai grandi
persuasi tanto proclamata agli uomini quanto da questi disattesa e inascoltata.
Quanto io dico è stato detto tante volte e con tale forza che pare impossibile
che il mondo abbia ancor continuato ogni volta dopo che erano suonate quelle
parole. Lo dissero ai Greci Parmenide, Eraclito, Empedocle, ma Aristotele li
trattò da naturalisti inesperti; lo disse Socrate, ma ci fabbricarono su 4
sistemi... lo disse Cristo, e ci fabbricarono su la Chiesa. La persuasione è la
visione propria di chi ha compreso la tragicità della finitezza e ad essa vuol
tener fermo, senza ricorrere a quegli «empiastri»i kallopísmata órphnes, gli
«ornamenti dell'oscurità»che possano lenire il dolore scatenato da tale
consapevolezza. L'essere è finitezza che si rivela solo nella dimensione
tragica di una presenza abbacinante, ma gli uomini rigettano questa tragica
consapevolezza ottundendosi, pascalianamente, nel divertissement. Persuaso è
chi ha la vita in sé, chi non la cerca alienandosi nelle cose o nei luoghi
comuni della società perdendo l'irrinunciabile hic et nunc del proprio esserci,
ma riesce «a consistere nell'ultimo presente», abbandonando quelle illusioni di
sicurezza e di conforto che avviluppano chi vive abbagliato dalle illusioni
create dal potere, dalla cultura, dalle dottrine filosofiche, politiche,
sociali, religiose. È questa «la via preparata» dalla quale a tutti fa comodo
non discostarsi troppo; è questo restare perennemente attaccati alla vitala
philopsychìaa far sì che la "rettorica" trionfi sempre. La vita,
soffocata dalla ricerca dei piaceri, della potenza, finanche dalla presunzione
filosofica di possedere la via e quindi la vita stessa, non vive, perché in
ogni istante ciascuno rimane avvolto dalle cure per ciò che non è ancora o dal
rimpianto per ciò che non è più, mancando sempre l'attimo decisivo, quello che
i greci chiamavano kairós, il tempo propizio. Perciò nella vita facciamo
esperienza della morte, di quella «morte nella vita» cantataquasi una danse
macabrenel Canto delle crisalidi: «Noi col filo / col filo della vita / nostra
sorte / filammo a questa morte». Il pensiero di Michelstaedter procede di
conseguenza, per liberare il potenziale di tragicità dell'esistenza, attraverso
violente contrapposizioni concettuali (persuasione-rettorica, vita-morte,
piacere-dolore), senza alcun tentativo di mediazione dialettica. Michelstaedter
respinge, con un gesto iniziatico, l'idea di costruire una dottrina sistematica
della persuasione e della salute, in quanto «la via della persuasione non è
corsa da 'omnibus', non ha segni, indicazioni che si possano comunicare,
studiare, ripetere. Ma ognuno ha in sé il bisogno di trovarla e nel proprio
dolore l'indice, ognuno deve nuovamente aprirsi da sé la via, poiché ognuno è
solo e non può sperar aiuto che da sé: la via della persuasione non ha che
questa indicazione: non adattarti alla sufficienza di ciò che t'è dato». La
salvezza individuale è possibile solo in una singolarità irripetibile,
irriducibile, concentrata in sé. Il solipsismo di Michelstaedter è perciò
radicale: non ci sono vie, non ci sono cammini, c'è solo il viandante che nel
deserto dell'esistenza è «il primo e l'ultimo», crocefisso al legno della
propria sufficienza e schiacciato dalla croce di falsi bisogni. Poiché il mondo
è negatività assoluta, al pensiero non resta che negare questa stessa
negatività rifiutando i dati dell'immanenza: «Solo quando non chiederai più la
conoscenza conoscerai, poiché il tuo chiedere ottenebra la tua vita». Si tratta
di una sentenza di sapore quasi buddistico: non a caso Mreule enfatizzerà la
figura dell'amico descrivendolo come «il Buddha dell'occidente».
Produzione artistica La produzione poetica e quella pittorica di Michelstaedter
possono essere considerate un prolungamento e un completamento di questo
sentimento tragico e mistico. Come nel verso poetico egli tenta di esprimere
l'inesprimibile, di dire con parole ciò che sfugge al sistema di segni
codificato e perciò già da sempre istituito retoricamente, così nel segno
pittorico, nello schizzo rapido e scherzoso come nel ritratto composto e
meditato, traluce l'impossibilità di giungere a quella che Parmenide chiamava
la ben rotonda verità. Non siamo giocati solo dalle parole, ma anche dalle
immagini di una realtà fatta di colori e di forme che ci sfuggono nella loro
immediatezza e alterità, «come chi vuol veder sul muro l'ombra del proprio
profilo, in ciò appunto la distrugge». Anche l'arte e la poesia, come la
retorica filosofica, si rivelano infine per quello che sono: fragili orpelli di
cui si orna l'oscurità dell'essere e che ogni linguaggio escogitato dall'uomo
sarà sempre impotente a esprimere. Saggi: “Saggi” (G. Chiavacci, Sansoni,
Firenze); “Scritti scolastici, S. Campailla, Gorizia, Opera grafica e
pittorica, S. Campailla, Gorizia, Il dialogo della salute e altri dialoghi, S. Campailla,
Adelphi, Milano Poesie, S. Campailla, Adelphi, Milano, La Persuasione e la
Rettorica, Vladimiro Arangio-Ruiz, Formiggini, Genova, edizione critica S. Campailla,
Adelphi, Milano poi, con le Appendici critiche, ivi,). Epistolario, S. Campailla,
Adelphi, Milano nuova edizione riveduta e ampliata, ivi, Parmenide ed Eraclito. Empedocle, SE, Milano,
L'anima ignuda nell'isola dei beati. Scritti su Platone, D. Micheletti,
Diabasis, Reggio Emilia, Dialogo della
salute. E altri scritti sul senso dell'esistenza, a cura e con un
saggio introduttivo di G. Brianese, Mimesis, Milano, La melodia del
giovane divino, S. Campailla, Adelphi,
Milano La persuasione e la rettorica,
edizione critica, A. Comincini, Joker. Michelstaedter-Winteler, Appunti per una
biografia di Michelstaedter
Michelstaedter si riferisce, nell'Epistolario, al bonno Isacco Samuele
Reggio, confondendolo con il padre di questo, Abram Vita Reggio S.Campailla, Il segreto di Nadia B.,
Marsilio,. Da articoli di cronaca americani dell'epoca, si apprende che il
suicidio avvenne con un colpo di pistola alla tempia destra. La persuasione e la rettorica35 La persuasione e la rettorica Poesie La persuasione e la rettorica C.
Magris, Un altro mare Il dialogo della salute, Biografie e studi critici
Acciani Antonia, Il maestro del deserto. Carlo Michelstaedter, Progedit, Bari Arbo
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Arbo Alessandro, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana,. Arbo Alessandro, Il suono instabile. Saggi sulla filosofia
della musica nel Novecento, NeoClassica, Roma, Giuseppe Auteri, Metafisica
dell'inganno, Università degli Studi, Catania Aurelio Benevento, Scrittori
giuliani. Michelstaedter, Slataper, Stuparich, Otto/Novecento, Azzate, Giorgio
Brianese, L'arco e il destino. Interpretazione di Michelstaedter, Abano Terme
(PD), Francisci); Giuseppe A. Camerino, La persuasione e i simboli.
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vita, Comune di Gorizia Sergio Campailla, Controcodice, Edizioni Scientifiche
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nº2, Parigi Valerio Cappozzo, Il percorso universitario di dall'archivio dell'Istituto di Studi
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Michelstaedter e la cultura contemporanea, S. Campailla, Marsilio, Venezia,
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Il Romanticismo della tragedia, Nautilus, Bologna Piero Pieri, "Esorcismo
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Michelstaedter", in «Il lettore di provincia» P. Pieri, "Il rischio
dell'autoinganno (Una errata attribuzione di incisione a Carlo Michelstaedter)",
in «Metodi e ricerche» Piero Pieri,"La scienza del tragico. Saggio su
Carlo Michelstaedter", Bologna, Cappelli, P. Pieri, "Nello sguardo
della trascendenza. Intorno alla figura dell'ermafrodita e del satiro nella
Persuasione", in «Intersezioni», a. X, n. 1, P. Pieri, "Due diverse
ma non opposte interpretazioni de «La persuasione e la retorica» di Carlo
Michelstaedter", in Studi sulla modernità, F. Curi, Bologna, Clueb, P.
Pieri, "Per una dialettica storica del silenzio. La “vergogna” del
filosofo e l'autoinganno dello scrittore", in Eredità di Carlo Michelstaedter, Forum,
Udine, P. Pieri, "La differenza ebraica: grecità, tradizione e ripetizione
in Michelstaedter e altri ebrei della modernità", nuova edizione,
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dell'Enciclopedia Italiana. Catalogo Vegetti della letteratura fantastica,
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e persuasione," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library,
Villa Grice, Liguria, Italia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Michelstaedter” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702931681/in/photolist-2mLP3hz-2mLJWVr-2mLGKEB-2mKPR43-2mKkr3W-2mKhebo-2mKfQeg-2mKfn1Z
Grice e
Mieli – l’uccello del paradiso; overo, la lingua perduta del desiderio – la
Paradisaeidae di Swinton -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Grice: “Speranza has
studied this; he calls it ‘Dorothea Oxoniensis,’ and indeed it is a joint
endeavour with C. R. Stevenson – who *knows*!” -- «Spero che la lettura di
questo libro favorisca la liberazione del desiderio gay presso coloro che lo
reprimono e aiuti quegli omosessuali manifesti, che sono ancora schiavi del
sentimento di colpevolezza indotto dalla persecuzione sociale, a liberarsi
della falsa colpa» (Elementi di critica omosessuale. M Attivista e
scrittore italiano, teorico degli studi di genere. È considerato uno dei
fondatori del movimento omosessuale italiano, nonché uno tra i massimi teorici
del pensiero nell'attivismo omosessuale italiano. Legato al marxismo
rivoluzionario, è noto soprattutto come eponimo del Circolo di cultura
omosessuale Mario Mieli e per il suo saggio Elementi di critica omosessuale
pubblicato nella sua prima edizione da Einaudi nel 1977. Mario Mieli
nacque a Milano nel 1952, penultimo dei sette figli di Walter Mieli e di
Liderica Salina. Il padre, ebreo e originario di Alessandria d'Egitto, viveva a
Milano dalla metà degli anni venti e aveva fondato con successo un'azienda di
filati, divenuta in seguito una delle più importanti nella torcitura e nella
lavorazione della seta. La madre, milanese, era insegnante di lingue.
Sposati dal 1936, durante la seconda guerra mondiale i coniugi Mieli erano sfollati
a Lora, frazione di Como. Mario crebbe in questa cittadina, pur mantenendo
forti legami con Milano dove il padre continuava a lavorare e a
risiedere. Il giovane Mario si stabilì definitivamente nel capoluogo
lombardo quando si iscrisse al liceo classico Giuseppe Parini, raggiunto due
anni dopo dalla sorella minore Paola, alla quale fu sempre molto legato. Già in
questi anni diede dimostrazione della sua viva intelligenza e dichiarò la
propria omosessualità. Secondo quanto testimoniato dal compagno Milo De Angelis,
nfondò un circolo di poesia che divenne anche un luogo di incontro per
omosessuali. Fu pienamente coinvolto nella contestazione ed evocò questo
periodo nel suo romanzo autobiografico Il risveglio dei faraoni. A causa
della sua miopia fu esonerato dal servizio militare alla fine del liceo, si
trasferì a Londra per perfezionare l'inglese, come già avevano fatto altri suoi
familiari. Qui frequentò il "Gay Liberation Front" venendo a contatto
con l'attivismo omosessuale nella sua fase più intensa, subito dopo i moti di
Stonewall. Tornato in Italia, fu, insieme ad Angelo Pezzana, tra i soci
fondatori del celebre Fuori! a Torino, prima associazione italiana del
movimento di liberazione omosessuale italiano. Convinto assertore di una
rivoluzione gay in chiave marxista, nel 1974 si allontanò dal Fuori! insieme a
tutta la cellula milanese dell'associazione quando questa si legò al Partito
Radicale. Nello stesso anno fondò a Milano i Collettivi Omosessuali
Milanesi e nel 1976 i Collettivi parteciparono al Festival del proletariato
giovanile di Parco Lambro, dove Mieli lanciò dal palco lo slogan Lotta dura,
Contronatura!. Si laureò in filosofia morale con una tesi, poi pubblicata con
modifiche, da Einaudi con il titolo di Elementi di critica omosessuale e che divenne
un fondamento delle teorie di genere in Italia e, in misura minore, all'estero,
venendo tradotto e pubblicato in inglese nel 1980 con il titolo Homosexuality
and liberation: elements of a gay critique ed in spagnolo con il titolo
Elementos de crítica homosexual dall'editrice Anagrama. Elementi fu uno dei
testi base dei collettivi autonomi gay. Mieli fu uno dei primi a
contestare apertamente le categorie di genere vestendosi quasi sempre con abiti
femminili. Nel frattempo si dedicava al teatro, destando scandalo nella
mentalità dell'epoca con opere come lo spettacolo La Traviata Norma. Ovvero:
Vaffanculo... ebbene sì! Dava volutamente scandalo anche per il modo in cui si
presentava, utilizzò anche immagini e ruoli per portare avanti la propria battaglia
dei diritti individuali inalienabili. Nel corso della sua esistenza, cercò di
superare i limiti, fece uso di droghe e si dette a pratiche sempre più estreme,
inclusa la coprofagia. Durante un viaggio a Londra, Mieli, vicino già
all'antipsichiatria, iniziò a interessarsi di psicoanalisi; ifu nuovamente
arrestato, quando, semi-nudo e in preda a una crisi psichica, fu fermato
nell'aeroporto di Heathrow, in cerca di un poliziotto con cui avere un rapporto
sessuale. Prima venne incarcerato, poi messo nella sezione psichiatrica del
Marlborough Day hospital, assistito dai familiari venuti dall'Italia in attesa
del processo. Venne ricondotto a Milano, dopo la condanna a pagare una
multa, e ricoverato in una clinica psichiatrica per un mese. Una volta dimesso,
su consiglio del suo psicoanalista G. Zapparoli, i genitori gli diedero un
appartamento autonomo. L'anno seguente viaggiò ad Amsterdam e di nuovo a Londra
e si laureò con lode in filosofia. Poco dopo lasciò l'appartamento che gli
avevano trovato e interruppe la terapia psichiatrica. Al V congresso del
Fuori!, che sancì la sua rottura col movimento e con A. Pezzana, Mieli prese la
parola, si dichiarò transessuale e parlò della sua esperienza di malattia
mentale («sono stato definito uno schizofrenico paranoide, sono stato in
ospedale, in manicomio per questo motivo») e di omosessualità. Dopo questo
periodo si dedicò alla stesura degli Elementi di critica omosessuale.
Negli ultimi anni di vita si dedicò all'esoterismo e all'alchimia, abbastanza
isolato dal resto del movimento omosessuale, e lavorando al romanzo Il
risveglio dei faraoni. Morì suicida infilando la testa nel forno della sua
abitazione di Milano dopo un lungo periodo di depressione. Tra i motivi del suo
gesto estremo fu l'ostruzionismo che il padre, influente industriale milanese,
aveva fatto per impedire la pubblicazione della sua ultima opera, Il risveglio
dei faraoni, ritenendolo troppo autobiografico e lesivo dell'onore famigliare.
A lui è intitolato il Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli sorto a Roma
nello stesso anno della morte. Il pensiero Il transessualismo universale
Il pensiero di Mario Mieli consiste nel ritenere che ogni persona è
potenzialmente transessuale se non fosse condizionata, fin dall'infanzia, da un
certo tipo di società che, attraverso quella che Mieli chiamava
"educastrazione", costringe a considerare l'eterosessualità come
normalità e tutto il resto come perversione. Per transessualità, non intende
quello che si intende oggi nella comune accezione del termine, ma l'innata
tendenza polimorfa e "perversa" dell'uomo, caratterizzata da una
pluralità delle tendenze dell'Eros e da l'ermafroditismo originario e profondo
di ogni individuo. La liberazione omosessuale in chiave marxista fu tra i
primi studiosi ed attivisti del Movimento di Liberazione Omosessuale Italiano,
accanto a Castellano,Consoli, Modugno e
Pezzana. Tutti partivano dalla certezza che la liberazione
dall'ancestrale omofobia dovesse fondarsi sulla consapevolezza della propria
identità, censurata fin dalla nascita dalla cultura dominante, da loro ritenuta
antropologicamente sessuofoba e pervicacemente omofoba. Da queste basi
partivano per abbattere la discriminazione pluri-secolare nei confronti di chi
non si identificava nella sessualità assiomaticamente definita come naturale e
normale. Abbracciò immediatamente il marxismo, cercando di rimodularlo sulle
istanze della lotta di liberazione ed emancipazione omosessuale e ritenendo la
società capitalista intrinsecamente omofoba. Rilettura della psicanalisi
Negli Elementi di critica omosessuale, volle rielaborare alcuni degli spunti
teorici della teoria della sessualità di Freud, attraverso la lettura che, tra
gli anni Cinquanta e Sessanta, ne aveva fatto
Marcuse. Marcuse, infatti, in opere come “Eros e civiltà e L'uomo a una
dimensione aveva voluto fondere marxismo e psicanalisi. Fu proprio Freud,
infatti, a sostenere che l'orientamento sessuale poteva prendere qualsiasi
"direzione", riconducendo eterosessualità e "omosessualità a
semplici varianti della sessualità umana in senso lato. Una non escluderebbe
l'altra, e anzi, in potenza, tutti saremmo pluri-sessuali,
"polimorfi" o, più semplicemente, bi-sessuali. In base a questa
riflessione, riteneva che si dovesse denunciare come assurda e inconsistente
l'opposizione ideologica "eterosessuale" vs "omosessuale",
essendo viziato il principio stesso di "mono-sessualità". A questa
prospettiva unilaterale, che riteneva incapace di cogliere la natura
ambivalente e dinamica della dimensione sessuale, Mieli ha preferito opporre un
principio di eros libero, molteplice e polimorfo. Per Mieli era tragicamente
ridicola «la stragrande maggioranza delle persone, nelle loro divise mostruose
da maschio o da "donna.” Se il travestito appare ridicolo a chi lo
incontra, tristemente ridicolissima è per il travestito la nudità di chi gli
rida in faccia». Tim Dean, psicoanalista dell'Buffalo, che redasse
l'appendice dell'edizione Feltrinelli di Elementi di critica omosessuale,
afferma: «Nel processo politico di ristrutturazione della società, Mieli non
esita a includere nel suo elenco di esperienze redentive la pedofilia, la
necrofilia e la coprofagia» e «ridefinisce drasticamente il comunismo
descrivendolo come riscoperta dei corpi (...) In questa comunicazione alla
Bataille di forme materiali, la corporeità umana entra liberamente in relazioni
egualitarie multiple con tutti gli esseri della terra, inclusi "i bambini
e i nuovi arrivati di ogni tipo, corpi defunti, animali, piante, cose"
annullando "democraticamente" ogni differenza non solo tra gli esseri
umani ma anche tra le specie». A questa rivoluzione sociale sono di
ostacolo determinati elementi, ritenuti da Mieli come «pregiudizi di certa
canaglia reazionaria» che, trasmessi con l'educazione, hanno la colpa di
«trasformare troppo precocemente il bambino in adulto eterosessuale». Il
tema della pedofilia Da provocatore dei "benpensanti", quale è stato
tutta la breve vita, facendo esplicitamente riferimento a Freud, Mieli affrontò
a modo suo anche il tema della sessualità infantile, per questo andando
incontro a forti critiche. I bambini, secondo il pensiero di Mieli, potevano
"liberarsi" dai pregiudizi sociali e trovare la realizzazione della
loro "perversità poliforme" grazie ad adulti consapevoli di quanto
sopra asserito: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non
tanto l'Edipo, o il futuro Edipo, bensì l'essere umano potenzialmente libero.
Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente
rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia
aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l'amore con loro.
Per questo la pederastia è tanto duramente condannata. Essa rivolge messaggi
amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza,
educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. La società
repressiva eterosessuale costringe il bambino al periodo di latenza; ma il
periodo di latenza non è che l’introduzione mortifera all’ergastolo di una
«vita» latente. La pederastia, invece, «è una freccia di libidine scagliata
verso il feto» (Francesco Ascoli)» (Elementi di critica omosessuale).
Nella nota 88 si legge: «Per pederastia intendo il desiderio erotico
degli adulti per i bambini (di entrambi i sessi) e i rapporti sessuali tra adulti
e bambini. Pederastia (in senso proprio) e pedofilia vengono comunemente usati
come sinonimi» (Elementi di critica omosessuale). Il tema dell'alterazione
psichica, della follia Mieli faceva uso di sostanze stupefacenti, attraverso le
quali mirava a superare lo stato di normalità in cui riteneva le persone
intrappolate. Riteneva che nevrosi, follia, paranoia, delirio e, soprattutto,
la schizofrenia, al pari dell'omosessualità fossero caratteristiche latenti in
tutti gli esseri umani e, con riferimento a Jung, che tali condizioni
permettessero «la (ri)scoperta di quella parte di noi che Jung definirebbe
“Anima” oppure “Animus”». In riferimento all'omosessualità, considerava che
potesse essere una porta verso il lato inesplorato della personalità, in analogia
con la follia: “La paura dell’omosessualità che distingue l’homo normalis è
anche terrore della “follia” (terrore di se stesso, del proprio profondo).
Così, la liberazione omosessuale si pone davvero come ponte verso una
dimensione decisamente altra: i francesi, che chiamano folles le checche, non
esagerano». Opere: “Comune futura,” “Elementi di critica omosessuale,
Einaudi, Torino, Elementi di critica omosessuale, G. Barilli e P. Mieli,
Feltrinelli, Milano, Elementi di critica
omosessuale, G. Barilli e Paola Mieli, Feltrinelli, Milano, “Il risveglio dei
faraoni,” preservato da Marc de' Pasquali e Umberto Pasti, Cooperativa Colibri,
Milano, “Il risveglio dei faraoni,” Alfonso Sarrio Solidago, dR, Milano, “Oro, eros e armonia,” G. Silvestri e A.Veneziani,
Edizioni Croce, Oro, eros e armonia, Gianpaolo Silvestri e Antonio Veneziani,
Edizioni Croce, “E adesso,” S. Laude,
Clichy, Teatro La Traviata Norma.
Ovvero: Vaffanculo... ebbene sì!, Film “Gli anni amari, regia di A. Adriatico..
T. Giartosio, Perché non possiamo non
dirci: letteratura, omosessualità, mondo, Feltrinelli, G. Barilli, Il movimento gay in Italia,
Feltrinelli, L. Schettini, Mario Mieli, in Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ideologia. Progetto
omosessuale rivoluzionario, in Elementi di critica omosessuale, Dizionario
Biografico degli Italiani, in Treccani, Trascrizione del suo intervento in
congresso nazionale del “Fuori!”, in Fuori!
rancobuffoni/files/pdf/gp_leonardi_mieli.pdf
Mieli, artista contro la violenza, in La Stampa, Elementi di critica omosessuale, Einaudi,
Mario Mieli. Elementi di critica omosessuale. Milano, Einaudi, Estremo e
dimenticato. Storia di un intellettuale provocatore., in Treccani Il tascabile,
Mieli, Mario., Mieli, Paola. e Rossi Barilli, Gianni., Elementi di critica
omosessuale Il risveglio dei Faraoni, in A. Solidago, PRIDE, Milano, dR
Edizioni, Silvestri, Gianpaolo, L'ultimo Mario Mieli: Oro Eros Armonia:
contributi di Ivan Cattaneo e A. Veneziani, 2 ed. riveduta e corretta, Libreria
Croce, De Laude, Silvia,, Mario Mieli: e adesso, A. Pezzana. La politica del corpo. Roma,
Savelli, E. Modugno. La mistificazione eterosessuale. Milano, Kaos. S. Casi.
L'omosessualità e il suo doppio: il teatro di Mario Mieli. Rivista di
sessuologia (numero speciale L'omosessualità fra identità e desiderio,Francesco
Gnerre. L'eroe negato. Milano, Baldini e Castoldi, M. Philopat, Lumi di punk:
la scena italiana raccontata dai protagonisti, Milano, Agenzia, Concetta
D'Angeli, Teatro Talento Tenacia... Mario Mi"Atti&Sipari" Circolo
di cultura omosessuale Mario Mieli Fuori! Marc de' Pasquali Movimento di
liberazione omosessuale Omosessualità Queer Storia dell'omosessualità in Italia
Studi di genere Teoria queer Transessualismo Altri progetti Collabora a
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era Mario Mieli (articolo sul gay.tv),
su gay.tv Circolo di cultura omosessuale "Mario Mieli", su
mariomieli.org. Mario Mieli. Mieli. Keywords: l’uccello del paradiso; overo, la
lingua perduta del desiderio. Refs. Luigi Speranza, “Grice e Mieli” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703242528/in/photolist-2mLQCG1-2mLK5uQ
Grice e Miglio – implicatura ligure
– la LIGVRIA e la PADANIA -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Como). Filosofo. Grice: “Berlin, who thought was a philosopher,
ended up lecturing on the history of ideas, i..e. ideology – Miglio defines
ideology so simply that would put Berlin to shame: an ideology is what
politicians propagate to reach or buy consensus!” -- essential Italian philosopher. Sostenitore
della trasformazione dello Stato italiano in senso federale o, addirittura,
confederale, fra gli anni ottanta e i novanta è considerato l'ideologo
della Lega Lombarda, in rappresentanza della quale fu anche senatore, prima di
"rompere" con Umberto Bossi dando vita alla breve stagione del
Partito Federalista. Polo scolastico "Gianfranco Miglio"
ad Adro. Costituzionalista e scienziato della politica, fu senatore della
Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura. Ha insegnato presso
l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ove fu preside della Facoltà
di Scienze politiche dal 1959 al 1989. È stato allievo di Alessandro Passerin
d'Entrèves e Giorgio Balladore Pallieri, sotto la cui docenza si è formato sui
classici del pensiero giuridico e politologico. Colpito da ictusnon si
riprese e morì ottantatreenne nella sua stessa città natale, Como, circa un
anno dopo. Il funerale si tenne a Domaso, sul Lago di Como, comune d'origine
del padre e sede di una villa nella quale il professore si rifugiava spesso; in
seguito Miglio è stato tumulato nel locale cimitero, a fianco dei membri della
sua famiglia. Laureatosi in Giurisprudenza all'Università Cattolica
con la tesi, “Origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali
pubbliche nell'età moderna”, evitò l'arruolamento per la Seconda guerra
mondiale a causa di un difetto uditivo congenito, e poté divenire assistente
volontario alla cattedra di Storia delle dottrine politiche, che d'Entreves
tenne sino alla fine degli anni quaranta nella medesima università.
Libero docente, si dedicò negli anni cinquanta allo studio delle opere di
storici e giuristi, soprattutto tedeschi: dai quattro volumi del Deutsche
Genossenschaftsrecht di Otto Von Gierke, ai saggi di storia amministrativa di
Otto Hintze, alcuni dei quali, negli anni seguenti, vennero tradotti in
italiano dal suo allievo e ferrato germanista Schiera (O. Hintze, Stato e società,
Zanichelli). Fu di quegli anni l'incontro di Miglio con l'immensa
produzione scientifica di Weber: il professore comasco fu uno dei primi ad aver
studiato a fondo “Economia e Società”, l'opera più importante del sociologo
tedesco che era stata completamente trascurata in Italia. Sviluppo del
lavoro scientifico Miglio storico dell'amministrazione Alla fine degli anni
cinquanta, Miglio fondò con il giurista Feliciano Benvenuti l'ISAP Milano
(Istituto per la Scienza dell'Amministrazione Pubblica), ente pubblico
partecipato da Comune e Provincia di Milano, di cui ricopri per alcuni anni la
carica di vicedirettore. In un saggio memorabile intitolato Le origini della
scienza dell'amministrazione, il professore comasco descriveva con elegante
chiarezza le radici storiche della disciplina. L'interesse per il campo
dell'amministrazione era dovuto in quegli anni alle politiche pianificatrici
che gli stati andavano conducendo per l'incremento della crescita
economica. La Fondazione italiana per la storia amministrativa Ben presto
Miglio sentì tuttavia l'esigenza di studiare in modo più sistematico la storia
dei poteri pubblici europei e, negli anni sessanta, costituì la Fondazione
italiana per la storia amministrativa: un istituto le cui ricerche vennero
condotte con rigoroso metodo scientifico. A tal proposito, il professore aveva
appositamente preparato per i collaboratori della fondazione uno schema di
istruzioni divenuto famoso per chiarezza e organicità. In realtà, fondando la
F.I.S.A. Miglio si era posto l'ambizioso obiettivo di scrivere una storia
costituzionale che prendesse in esame le amministrazioni pubbliche
esistite in luoghi e tempi diversi: in tal modo egli sarebbe riuscito a
tracciare una vera e propria tipologia delle istituzioni dal medioevo all'età
contemporanea, al cui interno sarebbero stati indicati i tratti distintivi o,
viceversa, gli elementi comuni di ogni potere pubblico. Ma v'era un'altra
ragione che aveva indotto Miglio a studiare i poteri pubblici in un'ottica,
come scriveva lui stesso, analogico-comparativa. Servendosi di un metodo
scientifico che Hintze aveva parzialmente seguito nella prima metà del
Novecento, il professore comasco intendeva definire l'evoluzione storica dello
stato moderno, storicizzando in tal modo le stesse istituzioni contemporanee.
La fondazione pubblicava tre collezioni: gli Acta italica, l'Archivio (diviso
in due collane: la prima riguardante ricerche e opere strumentali, la seconda
dedicata alle opere dei maggiori storici dell'amministrazione) e gli Annali.
Tra i più autorevoli lavori storici pubblicati nell'Archivio, si ricordano il
volume sui comuni italiani di Goetz e il famoso saggio di Vaccari sulla
territorialità del contado medievale. Nella prima serie alcuni giovani studiosi
poterono invece pubblicare le loro ricerche di storia delle istituzioni:
Gabriella Rossetti, allieva dello storico Cinzio Violante, vi diede alle stampe
un approfondito studio sulla società e sulle istituzioni nella Cologno Monzese
dell'Alto Medioevo; Adriana Petracchi pubblicò la prima parte di
un'interessante ricerca sullo sviluppo storico dell'istituto dell'intendente
nella Francia dell'ancien régime; occorre inoltre ricordare il poderoso volume
di Pierangelo Schiera sul cameralismo tedesco e sull'assolutismo nei maggiori
stati germanici. Su tutt'altro piano si poneva invece la collezione della
F.I.S.A. denominata Acta italica: al suo interno dovevano essere pubblicati i
documenti relativi all'amministrazione pubblica degli stati italiani
preunitari: è probabile che l'ispirazione per quest'ultima serie fosse
venuta a Miglio dallo studio delle opere di Hintze: verso la fine del XIX
secolo, lo storico tedesco aveva infatti scritto alcuni saggi
sull'amministrazione prussiana pubblicandoli negli Acta borussica,
un'autorevole collana che raccoglieva le fonti storiche dello stato degli
Hohenzollern. L'edizione dei lavori della commissione Giulini Tra i
volumi degli Acta italica, occorre ricordare l'edizione dei lavori della
Commissione Giulini curata da Nicola Raponi nel 1962, uno studio cui Miglio
tenne molto e di cui si servì, molti anni dopo, per la stesura del celebre
saggio su “Vocazione e destino dei lombardi” (in La Lombardia moderna, Electa, ripubblicato in
Miglio, Io, Bossi e la Lega, Mondadori). La commissionei cui lavori avevano
avuto luogo a Torino sotto la presidenza del nobile milanese Cesare Giulini
della Portaaveva il compito di elaborare progetti di legge che sarebbero
entrati in vigore in Lombardia nel periodo immediatamente successivo alla
guerra. Cavour, che in quegli anni ricopriva la carica di primo ministro,
voleva che il governo, nel sancire l'annessione dei nuovi territori al Piemonte
di Vittorio Emanuele, mantenesse separati gli ordinamenti amministrativi delle
due regioni, lasciando che in Lombardia continuassero a sussistere una parte
delle istituzioni austriache esistenti. Il saggio Le contraddizioni dello
stato unitario Nel saggio magistrale Le contraddizioni dello stato unitario scritto
in occasione del convegno per il centenario delle leggi di unificazione, Miglio
prese in esame gli effetti devastanti che l'accentramento amministrativo aveva
provocato nel sistema politico italiano. La classe politica italiana non fu
capace di elaborare un ordinamento amministrativo che consentisse allo stato di
governare adeguatamente un territorio esteso dalle Alpi alla Sicilia.
Ricorrendo a una felice similitudine, il professore scrisse che la scelta di
estendere le norme piemontesi a tutta Italia fu come "far indossare a un
gigante il vestito di un nano". Secondo Miglio, i nostri "padri della
patria", spaventati dalle annessioni a cascata e dalle circostanze
fortunose in cui era avvenuta l'unificazione, preferirono conservare
ottusamente gli istituti piemontesi, costringendo la stragrande maggioranza
degli italiani ad essere governati da istituzioni che, oltre ad essere
percepite come "straniere", si rivelarono palesemente
inefficienti. Nel saggio, Miglio aveva però messo in luce un altro dato
fondamentale; il professore scrisse che il paese, quantunque fosse stato
formalmente unito dalle norme piemontesi, continuò nei fatti a restare diviso
ancora per molti anni: le leggi, che il Parlamento emanava dalle Alpi alla
Sicilia, venivano infatti interpretate in cento modi diversi nelle regioni
storiche in cui il Paese continuava, nonostante tutto, ad essere naturalmente
articolato. Era il federalismo che, negato alla radice dalla classe politica
liberal-nazionale in nome dell'unità, si prendeva ora la rivincita traducendosi
in forme evidenti di "criptofederalismo".[senza fonte] Sono
inoltre fondamentali, nella sua formazione i saggi di Brunner. Di Brunner fa
tradurre svariati saggi, “Per una nuova storia costituzionale e sociale” (Vita
e Pensiero), ma promosse anche la pubblicazione dell'opera monumentale Land und
Herrschaft: in questo lavorouscito per la prima volta Brunner aveva preso in
esame la costituzione materiale degli ordinamenti medievali, ponendo in
evidenza i numerosi elementi di diversità tra la civiltà dell'età di mezzo e
quella moderna, soprattutto nel modo di concepire il diritto. La
traduzione di Land und Herrschaft, affidata inizialmente alle cure di Emilio
Bussi, sarebbe dovuta comparire nell'elegante collana della F.I.S.A. già negli
anni sessanta. Interrotto negli anni seguenti, il lavoro venne invece portato a
compimento solo nei primi anni ottanta dagli allievi Pierangelo Schiera e
Giuliana Nobili. Pubblicato da Giuffré con il titolo di "Terra e
potere", il capolavoro di Brunner apparve negli Arcana imperii, la collana
di scienza della politica di cui Miglio era divenuto direttore nei primi anni
Ottanta. Il professore comasco si occupò inoltre dei contributi recati alla
scienza dell'amministrazione da parte di altri due storici e giuristi tedeschi:
Lorenz Von Stein e Rudolf Gneist. La chiusura della FISA Negli anni
Settanta la F.I.S.A. dovette chiudere i battenti per mancanza di fondi. Il
professor Miglio, ricordando a distanza di tempo la fine di quell'autorevole
collana di storia delle istituzioni, ne espose le ragioni con un breve
commento: "Malgrado la sua efficienza, la F.I.S.A. ebbe vita breve: gli
enti che provvedevano al suo finanziamento, non scorgendo l'utilità
"politica" immediata della sua attività, strinsero i cordoni della
borsa". Miglio scienziato della politica e costituzionalista Negli
anni ottanta, il degenerarsi del clima politico in Italia indusse il professor
Miglio ad occuparsi di riforme istituzionali; egli intendeva contribuire in tal
modo alla modernizzazione del paese. Fu così che, raggruppando un gruppo di
esperti di diritto costituzionale e amministrativo stese un organico progetto
di riforma limitato alla seconda parte della costituzione. Ne uscirono due
volumi che, pubblicati nella collana Arcana imperii, vennero completamente
trascurati dalla classe politica democristiana e socialista. Tra le proposte
più interessanti avanzate dal "Gruppo di Milano"così venne definito il
pool di professori coordinati da Migliov'era il rafforzamento del governo
guidato da un primo ministro dotato di maggiori poteri, la fine del
bicameralismo perfetto con l'istituzione di un senato delle regioni sul modello
del Bundesrat tedesco, ed infine l'elezione diretta del primo ministro da
tenersi contemporaneamente a quella per la camera dei deputati. Secondo
il gruppo di Milano, queste e numerose altre riforme avrebbero garantito
all'Italia una maggiore stabilità politica, cancellando lo strapotere dei
partiti e salvaguardando la separazione dei poteri propria di uno stato di
diritto. Diversamente dalla F.I.S.A., la collana Arcana imperii era incentrata
esclusivamente sullo studio scientifico dei comportamenti politici. Il citato
volume di Brunner costituì pertanto un'eccezione perché, come si è avuto
modo di accennare, esso doveva essere pubblicato negli eleganti volumi della
F.I.S.A. già negli anni sessanta. All'interno della collana Arcana imperii
vennero invece inseriti saggi e contributi di psicologia politica, di etologia,
di teoria politica, di economia, di sociologia e di storia. Intende
costituire un vero e proprio laboratorio dove lo scienziato della politica,
servendosi dei risultati portati alla disciplina dalle diverse scienze
sperimentali, e in grado di conseguire una formazione che si ponesse all'avanguardia.
Vi vennero pubblicati più di trenta saggi. Si ricordano, tra gli altri: il
saggio di L. Ornaghi sulla dottrina della corporazione nel ventennio fascista,
l'edizione degli scritti schmittiani su Hobbes, la pubblicazione interrotta di alcune
opere di Stein, il trattato di diritto costituzionale di Smend. Degni di nota
anche i saggi di Mises e Hayek. I saggi di squisita fattura, non poterono
tuttavia eguagliare l'elegante veste tipografica di quelli pubblicati dalla
F.I.S.A., ed un identico destino parve accomunare le due collane: anche in
questo caso, e infatti costretto a sospendere le pubblicazioni. Alla sua
formazione contribuirono i saggi di Stein e Schmitt sulle categorie del
politico. In ogni comunità sono presenti due realtà irriducibili: lo “stato” e
la “società”. La società è il terreno della libera iniziativa, ove gli uomini
forti vincono sui deboli e tentano di stabilizzare le loro posizioni attraverso
l'ordinamento giuridico. Lo stato è invece il luogo ove regna il principio di
uguaglianza. Lo stato italiano o non può che identificarsi con la monarchia. Il
re d’Italia è infatti l'unica autorità in grado di intervenire a sostegno dei
più deboli. Un monarca, attraverso il potere di ordinanza, e in grado di
modificare la costituzioni giuridiche cetuali all'interno del suo territorio,
una politica che il re d’Italia puo condurre in porto non senza grosse
difficoltà, a vantaggio del BENE COMUNE. Questo e accaduto nel granducato di
Toscana e in Lombardia. Quando si sostene che il ruolo dello stato italiano
dove “contro-bilanciare” quello della “società”, si ha in mente il riformismo
illuminato. Ma la sua filosofia si pone all'interno di uno “stato liberale” e
parte dal presupposto che la monarchia, lungi dall'essere un potere assoluto,
dove comunque fare i conti con il potere della “società” attestato nel
parlamento. La omunità prospera solo quando “stato” e “società” sono in
equilibrio, ugualmente vitali ed operanti. Una comunità e dominata da due
realtà irriducibili. Lo stato italiano è una realtà storica inserita nel tempo
e, come tutte le creature e specie viventi, destinata a decadere, a scomparire
ed essere sostituita da altre forme di aggregazione politica. La società non e
solo economico-giuridica. E senza dubbio decisivo l'incontro con Schmitt, i cui
saggi sono trascurate dagli intellettuali italiani. L'aiuto che Schmitt presta
al regime hitleriano, in particolare nel sostenere la legalità delle leggi
razziali in un sistema di diritto internazionale, sono più che sufficienti per
oscurare in Italia la sua imponente produzione. I rapporti di Schmitt con il
nazismo sono di breve durata. Prende definitivamente le distanze da Hitler. Di
Schmitt apprezza i saggi di scienza politica e di diritto internazionale. Cura
assieme a Schiera l'edizione italiana di alcuni saggi pubblicati dal Mulino con
il titolo “Le categorie del politico”. Nella prefazione, si sofferma sui
decisivi contributi portati da Schmitt alla scienza politologica.
L'antologia desta scalpore nel mondo accademico. Bobbio sostenne che
destabilizza la sinistra italiana". È dall'incontro con la produzione di
Schmitt che riusce quindi a fabbricarsi gli strumenti per costruire una parte
importante del suo modello sociologico. L’essenza del politico è fondata sul conflitto
tra amico e nemico. E uno scontro all'ultimo sangue perché la guerra politica
porta normalmente all'eliminazione fisica dell'avversario. L’esempio più
emblematico di scontro politico fosse la guerra civile nella storia dell aroma
antica -- tra fazioni partigiane. Qui il tasso di conflittualità tra amico
(Catone) e nemico (Giulio Cesare) è sempre stato altissimo. Chi ha lo stesso
amico non può che avere lo stessi nemico del proprio compagno di lotta. Si crea
la solidarietà tra due membri (un gruppo) che è decisivo nella guerra
contro l’altro gruppo di nemici. Il rapporto politico è sempre esclusivo. Marca
l'identità del gruppo in opposizione a quella degli altri. L’avvento dello
stato italiano portato a due risultati di eccezionale portata storica. Primo:
la fine della guerre civile all'interno del territorio (le faide e le guerre confessionali)
con l'annientamento del ruolo politico detenuto sino a quel momento dalle
fazioni in lotta (dai partiti confessionali ai ceti). Da quel momento il
sovrano e il supremo garante dell'ordine all'interno dello stato, territorio
sempre più esteso ch'esso governa servendosi di un apparato amministrativo
regolato dal diritto. Il secondo grande risultato e per certi versi una
conseguenza del primo: l'avvento dello stato porta all'erezione di un sistema
di diritto pubblico europeo (ius publicum europeum) assolutamente vincolante
per i paesi che vi aderirono. Anche in questo caso, il tasso di politicità
(cioè l'aggressività delle parti in lotta, gli stati) venne fortemente
limitato. La guerra legittima, intraprese solo dagli stati, vennero condotte da
quel momento in base alle regole dello ius publicum europaeum. Si tratta quindi
di un conflitto a basso tasso di politicità, non foss'altro perché la vittoria
di una delle parti in lotta non puo portare in alcun modo all'annientamento
dell'avversario, il cui diritto di esistenza era tutelato dal diritto e
accettato da tutti gli stati. La crisi dello ius publicum europaeum,
divenuta palese alla fine della Grande Guerrae acuitasi ulteriormente con lo
scoppio delle guerre partigiane nei decenni successivi, resero palese a lui la
fine della regle de droit su cui si e fondato l'universo giuridico occidentale
nei rapporti internazionali tra stati sovrani. La guerra civile e, in modo
particolare, l'estrema politicizzazione avvenuta durante le guerre mondiali con
la criminalizzazione degli avversari lo persuasero che la fine dello ius
publicum europaeum era ormai compiuta. In questo, vide soprattutto il
fallimento della civiltà giuridica occidentale nel suo supremo tentativo di
fondare i rapporti umani unicamente sulle basi del diritto. Prende atto
della fine dello ius publicum europaeum ma non crede che tale processo segna la
fine del diritto e la vittoria definitiva delle leggi aggressive della
politica. Fondando il suo originale modello sociologico, sostenne che la
comunità e sempre rette su due tipi di rapporti: l'obbligazione politica e il
contratto-scambio. Lo stato e un autentico capolavoro perché, apportando un
contributo decisivo alla sua costituzione, il giurista e riuscioi a regolare la
politica inserendola in una norma fondata sulla RAZIONALITA del diritto,
sull'IM-PERSONALINTA del comando e sui concetti di CON-TRATTO e rappresentanza
-- elementi appartenenti alla sfera del contratto/scambio. Il crollo dello
ius publicum europeum ha però messo in crisi la stessa impalcatura su cui si
regge lo stato, che ora dimostra tutta la sua storicità. Non rimane legato
all'idea dell'organizzazione statale. La civiltà occidentale, stesse
attraversando una fase di transizione al termine della quale lo stato e probabilmente
sostituito da altre forme di comunità ove obbligazione politica e contratto/scambio
si reggeranno in un nuovo equilibrio. Lo stato e e giunto al capolinea. Il
progresso tecnologico e, in modo particolare, il più alto livello di ricchezza
cui erano giunti i paesi occidentali lo convinsero che negli anni successivi
sono avvenuti cambiamenti di portata radicale, tali da coinvolgere anche la
costituzione degli ordinamenti politici. Lo stato ha difficoltà nel garantire
servizi efficienti alla popolazione. Ciascun cittadino, vedendo
accresciuto il proprio tenore di vita in forza dell'economia di mercato,
sarà infatti portato ad avere sempre meno fiducia nei lenti meccanismi della
burocrazia pubblica, ch'egli riterrà inadeguata a soddisfare i suoi standard di
vita. L'elevata produttività dei paesi avanzati e la vittoria definitiva
dell'economia di mercato su quella pubblica porterà in altri termini a nuove
forme di aggregazione politica al cui interno i cittadini saranno desti contare
in misura molto maggiore rispetto a quanto non lo siano oggi nei vasti stati in
cui si trovano inseriti. Secondo il professore gli stati democratici, ancora
fondati su istituti rappresentativi risalenti all'Ottocento, non riusciranno
più a provvedere agli interessi della civiltà tecnologica del secolo XXI. Con
il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, si creano in altri
termini le premesse perché la politica cessi di ricoprire un ruolo primario
nelle comunità umane e venga invece subordinata agli interessi concreti dei
cittadini, legati alla logica di mercato. La fine degli stati moderni
porterà secondo Miglio alla costituzione di comunità neofederali dominate non
più dal rapporto politico di comando-obbedienza, bensì da quello mercantile del
contratto e della mediazione continua tra centri di potere diversi: sono i
nuovi gruppi in cui sarà articolato il mondo di domani, corporazioni dotate di
potere politico ed economico al cui interno saranno inseriti gruppi di
cittadini accomunati dagli stessi interessi. Secondo il professore, il mondo
sarà costituito da una società pluricentrica, ove le associazioni territoriali
e categoriali vedranno riconosciuto giuridicamente il loro peso politico non
diversamente da quanto avveniva nel medioevo. Di qui l'appello a riscoprire i
sistemi politici anteriori allo stato, a riscoprire quel variegato mosaico
medievale costituito dai diritti dei ceti, delle corporazioni e, in particolar
modo, delle libere città germaniche. Il professore studiò a fondo gli
antichi sistemi federali esistiti tra il medioevo e l'età moderna: le
repubbliche urbane dell'Europa germanica tra il XII e il XIII secolo, gli
ordinamenti elvetici d'antico regime, la Repubblica delle Province Unite e, da
ultimo, gli Stati Uniti. Ai suoi occhi, il punto di forza risiedeva
precisamente nel ruolo che quei poteri pubblici avevano saputo riconoscere alla
società nelle sue articolazioni corporative e territoriali. Miglio dedicò i
suoi ultimi anni allo studio approfondito di questi temi, progettando di
scrivere un volume intitolato l'Europa degli Stati contro l'Europa delle città.
Il libro è rimasto incompiuto per la morte del professore. L'impegno
politico diretto e il federalism. S iscrisse alla neonata Democrazia Cristiana,
che lascia quando divenne preside della Facoltà di Scienze politiche
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Miglio rimase comunque
legato culturalmente alla DC fnell'immediato domani della Liberazione, fu tra i
fondatori, a Como, del movimento federalista “Il Cisalpino”, con altri docenti
dell'Università Cattolica di Milano. Ispirato alle idee di Carlo Cattaneo, il
programma del “Cisalpino” prevedeva la suddivisione del territorio italiano su
base cantonale, secondo il modello svizzero, con la costituzione di tre grandi
macro-regioni (“nord”, “sud” e “centro”). Il suo nome e proposto per il
conferimento del titolo di Commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica
Italiana, ma una volta informato del fatto rifiuta di accettare l'onorificenza,
che venne annullata con un successivo decreto presidenziale. Si avvicina alla
Lega Nord. Eletto al Senato della Repubblica come indipendente nelle liste
della “lega nord” “lega lombarda” (da allora a lui fu attribuito l'appellativo
lombardo di Profesùr) lavora per il partito con l'intento di farne un'autentica
forza di cambiamento. Elabora un progetto di riforma federale fondato sul
ruolo costituzionale assegnato all'autorità federale e a quella delle tre macro-regioni
o cantoni (del Nord o, “Padania”, del Centro o Etruria, del Sud o Mediterranea,
oltre alle cinque regioni a statuto speciale). Questa architettura costituzionale
prevedeva l'elezione di un governo direttoriale composto dai governatori delle
tre macroregioni, da un rappresentante delle cinque regioni a statuto speciale
e dal presidente federale. Quest'ultimo, eletto da tutti i cittadini in due
tornate elettorali, avrebbe rappresentato l'unità del paese. I puntisalienti
del progetto, esposti nel decalogo di Assago vennero fatti propri dalla Lega
Nord solo marginalmente: il segretario federale, Umberto Bossi, preferì
infatti seguire una politica di contrattazione con lo stato centrale che
mirasse al rafforzamento delle autonomie regionali. Il dissenso di Miglio,
iniziato al congresso leghista di Assago, si acuì dopo le elezioni politiche,
dove fu rieletto al Senato, quando il professore si disse non d'accordo sia ad
allearsi con Forza Italia, sia a entrare nel primo governo Berlusconi.
Soprattutto Miglio non gradì che per il ruolo di ministro delle Riforme
istituzionali fosse stato scelto Francesco Speroni al suo posto. Bossi
reagì spiegando: «Capisco che Miglio sia rimasto un po' irritato perché non è
diventato ministro, ma non si può dire che non abbiamo difeso la sua
candidatura. Il punto è che era molto difficile sostenerla, perché c'era la
pregiudiziale di Berlusconi e di Fini contro di lui. Di fatto, il ministero per
le Riforme istituzionali a lui non lo davano. (Se Miglio vorrà lasciare la
strada della Lega, libero di farlo. Ma vorrei ricordargli che è arrivato alla
Lega nel '90 e che, a quell'epoca, il movimento aveva già raggranellato un
sacco di consiglieri regionali». In conclusione per Bossi, Miglio «pare che
ponga solo un problema di poltrone e la difesa del federalismo non è questione
di poltrone». In aperto dissidio con Bossi, lascia la Lega Nord dicendo di
Bossi. Spero proprio di non rivederlo più. Per Bossi il federalismo è stato
strumentale alla conquista e al mantenimento del potere. L'ultimo suo exploit è
stato di essere riuscito a strappare a Berlusconi cinque ministri. Tornerò solo
nel giorno in cui Bossi non sarà più segretario». Nonostante ciò,
moltissimi militanti e sostenitori leghisti continuarono a provare grande
simpatia e ammirazione per il professore e per le sue teorie. Alcuni dirigenti
della Lega tennero comunque vivo il dialogo con Miglio, in particolar modo Giancarlo
Pagliarini, Francesco Speroni e il presidente della Libera compagnia padana
Gilberto Oneto, al quale il professore era particolarmente legato. In
particolare Miglio fu in stretti rapporti con l'ex deputato leghista Luigi
Negri, col quale fondò il Partito Federalista. Eletto ancora una volta al
Senato, nel collegio di Como per il Polo per le Libertà, iscrivendosi al gruppo
misto. Negli anni in cui la Lega si spostò su posizioni indipendentiste,
il professore si riavvicinò alla linea del partito, sostenendo a più riprese la
piena legittimità del diritto di secessione della Padania dall'Italia come
sottospecie del più antico diritto di resistenza medievale. Miglio e la
mafia Nella sua originale riflessione sul contrasto tra i regimi giuridici "freddi"
e "caldi" Miglio sostenne la necessità di sviluppare, all'interno
delle diverse società e culture, ordini giuridici in grado di rispondere alle
specifiche esigenze. In maniera provocatoria, egli giunse a dichiararsi
favorevole al «mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta. Il Sud deve
darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos'è la mafia?
Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al
modello europeo, sarebbe un'assurdità. C'è anche un clientelismo buono che
determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune
manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate». La
sua riflessione puntava a cogliere quali fossero le ragioni profonde alla base di
mafia, camorra e 'ndrangheta (insieme a ciò che genera il consenso attorno a
queste organizzazioni criminali), perché solo istituzioni che sono in sintonia
con la comunitànel caso specifico, che non dimentichino la centralità del
rapporto personale piuttosto che impersonale nella società meridionalepossono
creare una vera alternativa al presente. Altre saggi: “La controversia sui
limiti del commercio neutrale: ricerche sulla genesi dell'indirizzo positivo
nella scienza del diritto delle genti,” Milano, Ispi, “La crisi
dell'universalismo politico medioevale e la formazione ideologica del
particolarismo statuale moderno,” in: "Pubbl. Fac. giurispr. Univ.
Padova", “La struttura ideologica della monarchia greca arcaica ed il
concetto "patrimoniale" dello Stato nell'eta antica, in: "Jus.
Rivista di scienze giuridiche", “Le origini della scienza
dell'amministrazione, Milano, Giuffrè,
“L'unità fondamentale di svolgimento dell'esperienza politica
occidentale, in: "Rivista internazionale di scienze sociali", “I cattolici
di fronte all'unità d'Italia, in: "Vita e pensiero",
“L'amministrazione nella dinamica storica, in: Istituto per la Scienza
dell'Amministrazione Pubblica, Storia Amministrazione Costituzione, Bologna, Il
Mulino, Le trasformazioni dell'attuale regime politico, in: "Jus. Rivista
di scienze giuridiche", “ Il ruolo del partito nella trasformazione del
tipo di ordinamento politico vigente. Il punto di vista della scienza della
politica, Milano, La nuova Europa editrice, L'unificazione amministrativa e i
suoi protagonisti, Vicenza, Neri Pozza, La trasformazione delle università e
l'iniziativa privata, in: Atti del I Convegno su: Università: problemi e
proposte, promosso dal Rotary Club di Milano-Centro Una Costituzione in
"corto circuito", in: "Prospettive nel mondo", Ricominciare
dalla montagna. Tre rapporti sul governo dell'area alpina nell'avanzata eta
industriale, Milano, Giuffrè, La
Valtellina. Un modello possibile di integrazione economica e sociale, Sondrio,
Banca Piccolo Credito Valtellinese, Utopia e realtà della Costituzione, in
"Prospettive del mondo", Posizione del problema. Ciclo storico e
innovazione scientifico-tecnologica. Il caso della tarda antichità, in
Tecnologia, economia e società nel mondo romano. Atti del Convegno di Como, Como,
Genesi e trasformazioni del termine-concetto Stato, in Stato e senso dello
Stato oggi in Italia. Atti del Corso di aggiornamento culturale dell'Università
cattolica, Pescara, Milano, Vita e pensiero, Guerra, pace, diritto. Una ipotesi
generale sulle regolarità del ciclo politico, in: Umberto Curi, Della guerra,
Venezia, Arsenale, Una repubblica migliore per gli italiani. Verso una nuova
costituzione, Milano, Giuffrè, Le
contraddizioni interne del sistema parlamentare-integrale, in: "Rivista
italiana di Scienza Politica", Considerazioni sulle responsabilità, in:
"Synesis, periodico dell'Associazione italiana centri culturali", Le
regolarità della politica. Scritti scelti raccolti e pubblicati dagli allievi,
Milano, Giuffrè, Il nerbo e le briglie
del potere. Scritti brevi di critica politica, Milano, Edizioni del Sole 24
ore, Una Costituzione per i prossimi trent'anni. Intervista sulla terza
Repubblica, Roma-Bari, Laterza, Per un'Italia federale, Milano, Il Sole 24 ore,
Come cambiare. Le mie riforme, Milano, Mondadori, Italia. Così è andata a
finire, con "Il Gruppo del lunedì", Collezione Frecce, Milano, A.
Mondadori, ed. Oscar Saggi, Disobbedienza civile, Milano, A. Mondadori, Io, Bossi e la Lega.
Diario segreto dei miei quattro anni sul Carroccio, Milano, A. Mondadori, Come
cambiare. Le mie riforme per la nuova Italia, Milano, A. Mondadori, Modello di
Costituzione Federale per gli italiani, Milano, Fondazione per un'Italia
Federale, Federalismi falsi e degenerati, Milano, Sperling & Kupfer,
Federalismo e secessione. Un dialogo, con Augusto Antonio Barbera, Milano, A.
Mondadori, Padania, Italia. Lo stato nazionale è soltanto in crisi o non è mai
esistito?, con M. Veneziani, Firenze, Le Lettere, Le barche a remi del Lario.
Da trasporto, da guerra, da pesca, e da diporto, con Massimo Gozzi e Gian
Alberto Zanoletti, Milano, Leonardo arte,
L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di
cambiare il loro destino, Vicenza, N. Pozza, L'Asino di Buridano. Gli italiani
alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino. Nuova edizione,
pref. di Roberto Formigoni, postf. di Sergio Romano, Varese, Edizioni Lativa, Gianfranco
Miglio: un uomo libero, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana,
Novara, Un Miglio alla libertà, audiolibro, coll. Laissez Parler, Treviglio, La
Libera Compagnia PadanaLeonardo Facco Editore); li articoli, coll. Quaderni
Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara,Gianfranco le interviste, coll.
Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese
con l'ultima occasione di cambiare il loro destino, pref. di Roberto Formigoni,
coll. I libri di LiberoMiglio n. 1, Firenze, Editoriale Libero); “Padania,
Italia. Lo stato nazionale è soltanto in crisi o non è mai esistito?” (Firenze,
Libero); “Federalismo e secessione. Un dialogo, con Augusto Antonio Barbera,
coll. I libri di LiberoMiglio n. 4, Firenze, Editoriale Libero, Disobbedienza
civile, coll. I libri di Libero; Firenze, Editoriale Libero, La controversia
sui limiti del commercio neutrale fra Giovanni Maria Lampredi e Ferdinando
Galiani, pref. di Lorenzo Ornaghi, Torino, Aragno, Gianfranco Miglio: scritti brevi, interviste,
coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, Lezioni di politica.
Storia delle dottrine politiche. Scienza della politica” (Bologna, Il Mulino); D.
Bianchi e A. Vitale, Bologna, Il
Mulino,Discorsi parlamentari, con un saggio di Claudio Bonvecchio, Senato della
Repubblica, Archivio storico, Bologna, Mulino,
L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di
cambiare il loro destino -- Opere scelte” (Milano, Guerini); Considerazioni
retrospettive e altri scritti, coll. Opere scelte, Milano, Guerini e
Associati, Lo scienziato della politica,
coll. Opere scelte di Gianfranco Miglio, a cura e con intr. di Stefano Bruno
Galli, Milano, Guerini,.Guerra, pace, diritto, La Nuova Guerra, [S.l.Milano],
Editrice La Scuola, 1 Scritti politici, Luigi Marco Bassani, coll. I libri del
Federalismo, Roma, Pagine, Modello di Costituzione Federale per gli italiani” (Torino,
G. Giappichelli); “La Padania e le grandi regioni, L'unità economico-sociale
della Padania” (Fano, Associazione Gilberto Oneto); “Il Cerchio,.C. Schmitt.
Saggi, D. Palano, Brescia, Scholé
Morcelliana); “Le origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche
internazionali pubbliche” (Torino, Aragno); “Vocazione e destino dei Lombardi”
(S.l.Milano); “Regione Lombardia, Prefazioni Gilberto Oneto, Bandiere di
libertà: Simboli e vessilli dei Popoli dell'Italia settentrionale. In appendice
le bandiere dei popoli europei in lotta per l'autonomia, Effedieffe, Milano,
Gianfranco Morra, Breve storia del pensiero federalista” (Milano, Mondadori);
“Governo della Padania, Manuale di resistenza fiscale” (Gallarate, Gilberto
Oneto, “Croci draghi aquile e leoni. Simboli e bandiere dei popoli
padano-alpini; Roberto Chiaramonte EditoreLa Libera Compagnia Padana,
Collegno); A. Sensini, Prima o seconda Repubblica? A colloquio con A. Bozzi e
Gianfranco Miglio, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, L. Ornaghi e A.
Vitale, Multiformità e unità della politica. Atti del Convegno tenuto in
occasione del compleanno, Milano, Giuffrè, Giorgio Ferrari, “Storia di un
giacobino nordista” (Milano, Liber internazionale); M. Bevilacqua, “Insidia mito
e follia nel razzismo”; "Il rinnovamento", A. Campi, “Figure e temi
del realismo politico europeo, Firenze, Akropolis/La Roccia di Erec, G. Capua,
Scienziato impolitico” (Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubbettino, Alessandro
Vitale, La costituzione e il cambiamento internazionale. Il mito della costituente,
l'obsolescenza della costituzione e la lezione dimenticata, Torino, CIDAS, Luca
Romano, Il pensiero federalista una lezione da ricordare. Atti del Convegno di
studi, Venezia, Sala del Piovego di Palazzo Ducale, Venezia, Consiglio
regionale del Veneto-Caselle di Sommacampagna, Cierre, F. Lanchester, Miglio
costituzionalista, Rivista di politica: trimestrale di studi, analisi e
commenti, Soveria Mannelli (Catanzaro),
Rubbettino. Damiano Palano, Il cristallo dell'obbligazione politica in ID., Geometrie
del potere. Materiali per la storia della scienza politica italiana, Milano,
Vita e Pensiero. Maroni: voglio riprendere l'eredità di Gianfranco
MiglioMiglioVerde, su miglioverde.eu. Bossi a sorpresa al convegno su Miglio a
Domaso:"Un grande"Ciao Como, su Ciao Como, la Repubblica/politica: È
morto su repubblica. Ticinonline COMO: Lunedì a Domaso i funerali. Riletture. Ariannaeditrice.
il ricordo. Terre di Lombardia, su terredilombardia.info. Francesco
D'Alessandro, Cristianesimo e cultura politica: l'eredità di otto illustri
testimoni, Paoline, Gianfranco Morra, La vita e le opere, La Voce di Romagna, 8
agosto 5. Il silenzio di Miglio fa paura
alla Lega Bossi: Pensa solo alla
poltrona. "Con Bossi è un amore finito" Miglio torna nell'arena: è l'occasione
buona Gianfranco Miglio, Una repubblica
mediterranea?, in Un'altra Repubblica?
Perché, come, quando, Laterza, Roma-Bari, Umberto Rosso, Miglio l'antropologo.
'Diverso l'uomo del Sud', in la Repubblica, «Non mi fecero ministro perché avrei distrutto
la Repubblica»TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. su senato, Senato della Repubblica. Associazione Openpolis. Istituto per la scienza dell'amministrazione
pubblica, su isapistituto. Interviste Intervista sulla Secessione della
Padania, su prov-varese.leganord.org. Commemorazione di Miglio nel 1º
anniversario della scomparsa di Alessandro Campi, su giovanipadani.leganord.org).
«Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica», Il Giornale,
1999, su newrassegna.camera. Interviste a Miglio sui "Quaderni della
Libera Compagnia Padana" su laliberacompagnia.org. Documenti politici
Sezione di approfondimento sul pensiero di Gianfranco Miglio, dal sito
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Grice, Liguria, Italia. Speranza “Saturdays and Mondays” – The Swimming-Pool
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Grice e
Millul --- la selezione sessuale di Nerone, il musicista – filosofia triestina
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). FIlosofo. Grice: “I
have been called a Darwinist, which offended de Lalla!” -- Figlio unico di
Achille de Lalla e Anna Millul. Il padre, nato a Napoli da famiglia
originaria di Tolve, aveva intrapreso la carrriera militare, giungendo a
ricoprire il grado di Tenente colonnello dell'esercito e congedandosi con il
grado di Generale dell'esercito. Prese parte alla Prima guerra mondiale nonché
alla Seconda guerra mondiale, dove rimase ferito alla spalla destra in Russia.
Fu in seguito Dirigente dell'Istituto per la Ricostruzione Industrial. Achille
de Lalla era figlio di Ludovico e di Maria Buonomo, figlia a sua volta di
Alfonso Buonomo, compositore e musicista napoletano di fama. La madre Anna Millul era nata a Roma in una
famiglia ebrea originaria di Livorno. SI
laurea, allievo dinKalinowski di cui tradusse in italiano il saggio
"Interpretazione giuridica e logica delle proposizioni normative". Scappò a Parigi, prendendo parte al Maggio.
Tuttavia, fu tra i primi ad intuire che il Partito Comunista francese non aveva
alcuna seria intenzione politica di sostenere la Contestazione e, in anticipo
sul fallimento dell'iniziativa giovanile, lasciò la Francia rientrando in
Italia deluso. Fu studioso di Evoluzionismo e Politologia, e sarà proprio sulle
sue teorie sull'Evoluzione umana e sul pensiero di Darwin che scrive l'opera
“La selezione sessuale”. Insegna a'Siena e Napoli. A testimonianza del grande
successo che riscuotevano i suoi corsi universitari, rimane la petizione
indetta dagli studenti affinché il Senato Accademico li prorogasse per un
biennio. Gli ultimi anni Ritiratosi a
vita privata, muore a Napoli nella tarda serata del 25 settembre d'infarto mentre attendeva alla redazione
della sua ultima opera.Est Deus in nobisContributo alla Nuova Evangelizzazione
e, nelle intenzioni dell'autore, avrebbe dovuto costituire il completamento
della trilogia iniziata con Evoluzione e proseguita con La Comunità
Democratica.Convinto assertore della superiorità del Diritto pubblico rispetto
a quello privato, si è sempre posto a tutela delle prerogative statuali. Convinto assertore dei rischi della dilagante
esterofilia in campo politico e fondamentalmente euroscettico negli ultimi anni
di riavvicinamento al cattolicesimo, ideò un progetto di edificazione di un
nuovo partito politico che, nelle sue teorizzazioni avrebbe assunto il nome di
PARTITO CRISTIANO COMUNITARIO (DEMOCRATICO) ITALIANO PCC(D)I. Saggi: “Il concetto legislativo di azione
penale” (Jovene, Napoli); “La scelta del rito istruttorio” ( Jovene, Napoli); “Logica
della prove penale” (Jovene Napoli); “La pena militare” (Jovene, Napoli); “Topografia
politica della repubblica” (Scientifiche, Napoli); “Il completamento
istruttorio del giudice nelle indagini preliminari in "Riv. it. dir. e
proc. pen."); “Evoluzione,” “Darwin e la selezione sessuale” (Salerno,
Roma); “ Selezione sessuale” (Scientifiche, Napoli); “La comunità democratica:
idee per una politica nuova” (Guida, Napoli) – concetto di KRATOS --“Comunitarismo”
(Guida, Napoli); “Nerone, o Musica nella antica Roma” (Guida, Napoli); “Composizioni musicali Per
pianoforte Sonata n.° 1 Suite "italiana" Sonata n.° 2 Sonata n.° 3
"napoletana" Musica da camera Sonata per violino e violoncello Sonata
per violino e pianoforte Sonata per violini, viola e violoncello Note de Lalla F., Una famiglia borghese, Ed.
Ibiskos de Lalla F., op. cit. in "Il foro penale" XXIII 1968
ilcambiamento,//ilcambiamento/articoli/evoluzione_2_darwin_de_lalla_millul.
ateneapoli,//ateneapoli/news/archivio-storico/reintegro-del-prof-de-lalla-il-consiglio-di-facolta--si-esprime-negativamente.
petizioni.com/petizione_pro_prof_paolo_de_lalla. Grice: “When I hear
that a philosopher has written yet another trattarello on the filosofia della
musica, I always thought not of Orpheus and his lute, but of NERO and his
lyre!” -- Paolo de Lalla Millul. Paolo de Lalla. Lalla. Keywords: evolutionary,
sexual selection, Nerone, filosofia della musica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Lalla” – The Swimming-Pool Library
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754336125/in/dateposted-public
Miraglia
(Reggio). Filosofo. Grice:
“Miraglia is the type of philosopher beloved by the Oxford hegelians; but then
he is a Neapolitan Hegelian!” Grice: “I always found Kant easier, but there’s
nothing like a ‘filosofia del diritto’ in Kant! And Hegel’s ethics itself,
compared to Kant’s is mighty more complex – that’s why I taught Kant!” Si
laureaall'Napoli, dopodiché insegnò filosofia del diritto nella stessa
università, ed economia politica alla Scuola superiore di agricoltura di
Portici. Seguì una corrente di pensiero
eclettica, ad esso contemporanea, che mirava all'integrazione di pratiche
giuridiche ed ispirazioni filosofiche. Fu sindaco di Napoli. Tra le più famose
si ricordano: “Condizioni storiche e scientifiche del diritto di preda
(Napoli); “Un sistema etico-giuridico” (Napoli); “Filosofia del diritto” (Napoli).
Nella sua biografia ufficiale per la Treccani è nato a Reggio nell'Emilia,
mentre nella sua scheda storico-professionale sul sito del Senato si riporta a
Reggio di Calabria Giuseppe Erminio.
Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, (latinista)
Sindaci di Napoli Senatori della XXI legislatura del Regno d'Italia Luigi Miraglia, su TreccaniEnciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl. su Senatori d'Italia, Senato della
Repubblica. I sistemi filosofici ed i principi del Diritto.
I.Laspeculazionegrecaeladottrinaromana— II.La Fichte.SpedalierieRomagnosi—
X.Gliscrittoridella reazione.Lascuolastoricae lascuolafilosofica.Schelling e
Scleiermacher — XI.Hegel XII. Rosmini. Herbart, Trendelenburg e Krause.Le varie
fasi della filosofia di Schelling. Sthal e Schopenhauer XII. Il materiali smo,
il positivismo ed il criticismo. L'idea della Filosofia del Diritto. La
Filosofiaelescienze.IlcaratteredellaFilosofiamo. CAPITOLO II. L'idea del
Diritto ed i metodi logici. L'induzione e la deduzione. L'induzione,
l'osservazione e l'esperimento. L'idea del Diritto naturale e quella del buono
civile di Amari ricavate dall'induzione. L'importanza del metodo storico-comparativo
secon do Vico , Amari , Post e Sumner-Maine. Parallelo fra lo sviluppo della
lingua e lo sviluppo del Di. ritto.L'induzione statistica.Ilcompitodelladedu.
zione. L'universale astratto e l'universale concreto come principi . . Parte
Generale. . pag. 89 . LIBRO PRIMO INDICE CAPITOLO I. derna divinato da
Vico.La Filosofia del Diritto come parte della Filosofia. L'idea umana del
Diritto se condo la dottrina di Vico,e le definizioni di Kant,
diHegel,diTrendelenburg,diRomagnosiediRo. smini. La teoria sociale e la teoria
giuridica. Il Di. ritto e la Filosofia positiva . pag.101 XII
L'ides induttiva del Diritto. Lo studio della coscienza etico-giuridica dei
vari popoli. Il contributo della razza ariana e della razza semi tica nella
storia della civiltà.L'idea del Diritto come misura nella razza ariana. La
misura riposta nel l'ordine fisico,nella legge positiva e nella ragione.pag.112
CAPITOLO IV. Il principio della personalità. Gli elementi organici e spi
rituali della persona e la loro corrispondenza. La spiegazione del
materialismo. La teorica dell'evolu zione. La critica dell'evoluzionismo
meccanico La teorica dell'evoluzione e la Psicologia. Il sentimento
fondamentale e le sensazioni. La coscienza e la sua origine.Le rappresentazioni
sensibili e le rappresen tazionicoscienti.Ilpensareelecategorie.La cogni zione
secondo l'empirismo oggettivo. La critica di questa teoria CAPITOLO VI. I
presupposti pratici dell'idea deduttiva del Diritto. Sviluppo e partizione.
L'istinto, il desiderio e la volontà.L'arbitrio e la liber. tà morale. La
costanza degli atti umani rivelata dalla Statistica.Ilfine dell'uomo ed il
bene.Ilbene umano ed il Diritto. La forma imperativa , proibi. CAPITOLO
III. I presupposti teoretici dell'idea deduttiva del Diritto. CAPITOLO V. Seguito
dei presupposti teoretici. .pag.124 pag.140 XIII tiva e permissiva
del Diritto. Il Diritto come prin cipio di coazione , di coesistenza e di
armonia. La tripartizione razionale del Diritto. La divisione di Gaio Analisi
critica delle principali definizioni del Diritto. Le
dottrinecheriguardanoapreferenzailcontenutosen sibile del Diritto: Hobbes,
Spinoza, Roussean, Stuart Mill e Spencer. Le dottrine che considerano il Di
ritto come astratta forma razionale:Kant,Fichte ed Herbart. Le definizioni di Krause
e di Trendelen burg.Ciò che vi è di vero nelle dottrine esaminate.pag.180
CAPITOLO VIII. Il Diritto, la Morale e la Scienza sociale. Il Diritto come
disciplina etica. I rapporti fra Morale e Diritto nella storia. Critica della
confusione e della separazione dei due termini. Il fondamento comune e la
differenza reale. L'Etica e la vita sociale.Vico, Süssmilch ed i fisiocrati
precursori della Scienza so ciale.La SociologiadiComte ed ivari indirizzi.La
Sociologia di Spencer.La Sociologia come Filosofia delle scienze sociali.Le
analogie tra la società e l'or. ganismo. Le relazioni fra il Diritto e la
Scienza so ciale . CAPITOLO IX. Il Diritto,l'Economia sociale e la Politica.
L'ordinamento sociale-economico ed i filosofi del Diritto antichi e moderni.
L'Etica , la Sociologia fondata sulla Biologia, la Politica e la Storia come
presup posti dell'Economia. Il carattere del fatto economi. co.I rapporti tra
ilDiritto e l'Economia.Il concet. pag.156 CAPITOLO VII. pag.203
XIV to della Politica. La Politica , la Scienza sociale , l'Etica ed il
Diritto. L'idea compiuta dello Stato CAPITOLO X. Il Diritto razionale ed il
Diritto positivo. Fonti ed applicazioni. CAPITOLO I. pag.221 pay.242 La
distinzione del Diritto razionale dal Diritto positivo in sé e nella storia. La
consuetudine ed il costume primitivo. La giurisprudenza ed i suoi uffici. La le
gislazione ed i codici. L'efficacia della legge nello spazio.L'efficacia della
legge nel tempo.Esame delle diverse teorie sulla retroattività . LIBRO SECONDO
-- Diritto Privato. La persona. I diritti essenziali o innati ed i diritti ac
cidentali o acquisiti. Il principio dei diritti. Il di ritto alla vita fisica e
morale. Il diritto alla liber tà.Idirittiall'eguaglianza,allasociabilitàed
all'as sistenza. Il diritto di lavoro . CAPITOLO II. Il concetto storico dei
diritti innati. I diritti dell'uomo nello stato di natura.Lo stato di na. tura
dei filosofi del secolo decimottavo in rapporto . La persona ed i suoi diritti.
pag.261 ХУ CAPITOLO III. Le persone incorporali. Lo scopo delle
persone incorporali. La teoria della fin. CAPITOLO IV. La proprietà e i modi di
acquisto. L a p r o p r i e t à e d il s u o f o n d a m e n t o r a z i o n a
l e . D o t t r i n e i n torno a questo fondamento. Le limitazioni ed i tem
peramenti della proprietà. I modi originari e deri vativi di acquisto CAPITOLO
V. La storia della proprietà e dei modi di acquisto. L'attività procacciatrice
dell'animale e dell'uomo.La storia della proprietà e la storia della persona.
La proprietà collettiva.La comunità di famiglia.IlCri. stianesimo ed il valore
della persona individua. Il feudo.La Riforma ed ilDiritto naturale.La com piuta
individuazione ed itemperamenti della proprie tà privata. I modi di acquisto
primitivi. Le distin zioni dei beni. L'usucapione, l'equità e la procedu. ra
civile. . pag.229 . ! pag.292 .pag.307 . all'ordine di natura dei
giureconsulti romani e dei filosofi greci.La teorica della conoscenza ed ilmodo
di concepire i diritti essenziali della persona. I di ritti innati e la Filosofia
moderna. Il regime dello status e del contratto . zione e dell'equiparazione.
La teoria che riguarda la persona incorporale come veicolo. La teoria del
patrimonio sui juris. Le idee dei pubblicisti tede schi.Il soggetto reale nella
corporazione e nella fon dazione. I diritti delle persone incorporali ed il jus
confirmandi dello Stato. La teoria di Giorgi. ? pag.321 XVI
CAPITOLO VI. La proprietá prediale. Il collettivismo territoriale. La teoria di
Wagner sulla proprietà dei fabbricati. La teoria di Spencer sulla proprietà del
suolo. La proprietà privata del suolo e la rendita. Le dottrine di George e di
Loria sul la terra CAPITOLO VII. La proprietà forestale e mineraria. Le
funzioni dei boschi. La libertà del taglio. Il vincolo e le sue ragioni. La
proprietà mineraria e le fasi della industria. La critica degli argomenti in
favo re del proprietario del suolo. La dottrina che attri buisce la miniera
allo scopritore . La merce lavoro ed il suo prezzo. Il lavoro come pro prietà.
La coalizione e lo sciopero. La giuria indu striale.La proprietà del capitale
ed il profitto.Il collettivismo ed il mutualismo. La teoria di Marx. La critica
del collettivismo e della teoria di Marx. Le coalizioni degl'intraprenditori .
CAPITOLO IX. La proprietà commerciale, il diritto di autore e di scopritore. Il
concetto della proprietà commerciale.La libertà dello scambio. La concorrenza.
La nozione primitiva del commercio. Il diritto di autore prima e dopo
l'in pag.345 pag.366 CAPITOLO VIII. La propriatå industriale. . . pag.381
CAPITOLO X. L a c l a s s i f i c a z i o n e d e i d i r i t t i s u l l
a c o s a a l t r u i. L e s e r v i t ù CAPITOLO XI. gimento dell'istituto
nelle legislazioni. Esposizione critica delle varie dottrine assolute e
relative. Il fon damento razionale.La critica della teoria di Ihering sulla
volontà di possedere CAPITOLO XII. Le obbligazioni. zioni. Le loro varie specie
e modalità. I differenti modi di estinzione . Il contratto e le sue
forme. XVII pag.407 pag.415 L'indole del possesso. La sua origine
storica. Lo svol L'obbligazione. La sua origine.Le fonti delle obbliga La
nozione del contratto. Le sue fasi ed il suo fonda. mento. I requisiti
essenziali. I vizî del consenso ed alcune recenti teorie. L'interpretazione dei
contrat ti. Le loro classificazione e le dottrine di Kant e di Trendelenburg.
pag.427 ·pag.437 venzione della stampa. Il suo fondamento ed il suo carattere.
La garentia del diritto dello scopritore I diritti reali particolari. e le loro
specie. In quali modi le servitù nascono , si esercitano e si estinguono.
L'enfiteusi. La super ficie. Il pegno e l'ipoteca. Il carattere del diritto di
ritenzione Il possesso. CAPITOLO XIII. pag.447 XVIII L a libertà di
contrarre ed il contratto di lavoro . La libertà di contrarre, i suoi limiti e
la sua guarentigia. CAPITOLO XV. L'interesse e la sua limitazione. La libertà
dell'interesse. L'usura ed i suoi procedimenti. L'usura come forma
dell'ingiusto civile ed i modi di combatterla. L'usu ra come delitto.Critica
della teoria di Stein.La fi gura specialedeldelittodiusura.La leggeela
vita.pag.471 CAPITOLO XVI . L a s o c i e t à , l a c a m b i a l e , il t r a
s p o r t o e a l c u n i c o n t r a t t i aleatori. Il contratto di società e
le sue forme. La società e la CAPITOLO XVII. CAPITOLO XIV. Il prestito
usurario. persona incorporale. Il regime dell'autorizzazione e della vigilanza.
La cambiale antica e la moderna. L'indole del contratto di trasporto.
L'assicurazione e le nuove teorie. Il giuoco . pag.483 pag.463 . La missione
sociale del Diritto privato. L'egnaglian. za delle parti nella locazione di
opera. I sistemi che regolano la responsabilità dell'intraprenditore negli
infortuni del lavoro. La famiglia primitiva. L accoppiamento e l'istinto di
riproduzione fra gli ani. mali.Le teoriediLucrezio e diVico.Le unioni pri
mitive. La famiglia femminile. L'erogamia ed il ratto. Gl'inizi e lo sviluppo
della famiglia patriar CAPITOLO XVIII. matrimonio.Le sue
condizioni.Il matrimonio civile. La precedenza del matrimonio civile. I
rapporti fra i coniugi. L'autorizzazione maritale. Il libro di B e bel e le
idee di Spencer. I sistemi con cui si rego lano i beni nel matrimonio .
L'indissolubilitá matrimoniale ed il divorzio. L'ideale dell'indissolubilità.
Le esigenze concrete della vita.La quistione del divorzio in rapporto ai
diritti individuali ed alle ragioni sociali e storiche. Il di. vorzio e la
Chiesa. Le cause di divorzio.Le cautele.pag.547 CAPITOLO X X . La tendenza a
rivivere in altri. Il fondamento e le fasi della patria potestà. La tutela,le
sue specie e la cu ra.L'adozione. I figli nati fuori del matrimonio.La ricerca
della paternità.La legittimazione . Idea, storia e fondamento della
successione. Il concetto dell'eredità. La successione legittima e la te.
stamentaria nella storia. La successione ed il culto degli antenati. Le
dottrine intorno al fondamento XIX cale. La progressiva individuazione
della parentela. Il processo di specificazioneela finedella famiglia.pag.498
L'amore come fondamento del matrimonio. L'idea del CAPITOLO XIX . CAPITOLO XXI.
La societá coniugale. .pag.524 La società parentale. pag.560 della
successione. Il condominio domestico ed il di. ritto di proprietà come basi
della successione. La successione legittima e la testamentaria. La prossimità
della parentela e del grado. La capacità XX pag.576 CAPITOLO XXII.
pag.590 di succedere. Le classi degli eredi. La rappresenta zione.La capacità
di testare e di ricevere per testa mento. Le specie di testamenti, La
legittima. Il di ritto di rappresentazione e la successione testamen
taria.L'errore nella causa finale ed impulsiva,e le condizioni.Il diritto di
accrescere.La sostituzione e la fiducia. I principi comuni ad ogni specie di
suc cessione. Il mondo romano è il mondo del volere, e quindi del
Diritto e della Politica.Il volere in siffatto mondo da un lato continua a
mostrarsi negli ordini superiori ed infles sibili dello Stato, e dall'altro
comincia a svolgersi in for ma di diritto individuale. Con il principio del
volere, di sua natura soggettivo, il Diritto privato non può non sor gere, e lo
Stato non può più per lunghissimo tempo conser vare le rozze sembianze d'una
organica oggettività natura le. In Roma il Diritto privato ė nei suoi primi
momenti stretto,ferreo ed arcano;poi è ampliato, oltre al divenire palese,
giovato , supplito e corretto dall'equità , ch'è lo stesso Diritto in
opposizione ad una legge, la quale non ha saputo attuarlo;alla fine è Diritto
umano,e per conseguen za proclama ilprincipio,che la schiavitù,istituto delle
gen tiecontronatura,nonriguardal'anima,echegliuomi ni innanzi al Diritto
naturale sono liberi ed eguali. Cicerone , il filosofo più alto del mondo
romano , non avendo coscienza scientifica della manifestazione del diritto
soggettivo , come atto dell'astratta potenza del volere, ė inferiore alla stessa
realtà romana.Egli non è autore di una filosofia propria , e segue da
ecclettico gli scrittori greci; professa il dubbio, non crede che la mente
possa Il vuoto soggetto , rappresentato dai Neoplatonici co me
oggetto , riceve ora tutta la sua concretezza , ed è in seno del Cristianesimo
determinato quale Verbo o mente assoluta. La Filosofia quinci innanzi s'informa
al principio soggettivo. L'uomo , immagine di Dio ed in carnazione del Verbo ,
si riabilita ; e lo Stato antico , perdendo il suo alto significato , è
costretto a rimpicco lirsi. La parte più intima dell'individuo non è più sot
toposta alla potestà politica , sibbene alle nuove creden ze , che in origine
si mantengono in quell'ambiente ce leste in cui sono nate , e si oppongono al
mondo anco ra pagano. L'Apostolo scorge una contraddizione tra gli stimoli
della carne e gl' impulsi dello spirito. Lattan zio crede che la vera giustizia
sia nel culto di Dio uni co, ignoto ai gentili.Agostino parla di una città
celeste, sede di verità e di giustizia, in antitesi alla città terre stre,
fondazione di fratricidi e prodotto del peccato pri 6 essere
assolutamente certa, é pago della semplice verosi miglianza.Nell'Etica elimina
ildubbio per leconseguenze dannose, e fa appello alla coscienza immediata, in
cui si ritrovano i germi della virtù, ed al consenso del genere umano , per
definire l'onesto e per stabilire alcuni pre supposti speculativi di esso.
Preferisce il principio etico degli Stoici, che tempera da uomo pratico ; trae
il Dirit to non dalle leggi delle dodici tavole o dall'editto, mą dalla natura
umana ; riproduce la teoria aristotelica del lo Stato, e si attiene alla forma
mista, propria degli or dinamenti politici di Roma .Luigi Miraglia. Miraglia.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miraglia” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Misefari – implicatura – filosofia italiana – implicature anarchica – filosofia
calabrese -- Luigi Speranza (Palizzi). Filosofo. ‘Io non sono
italiano; io sono calabrese!” -- . Fratello
di Enzo (politico calabrese del P.C.I., storico e poeta), di Ottavio
(calciatore reggino tra i più conosciuti nei primi anni del secolo; giocò nella
Reggina e nel Messina) e di Florindo (biologo, attivista della Lega Sovversiva
Studentesca e del gruppo "Bruno Filippi"). Dopo aver
frequentato la scuola elementare del piccolo paese di nascita in provincia di
Reggio Calabria, a undici anni si trasferì con lo zio proprio a Reggio Calabria.
Già da adolescente, influenzato dalle frequentazioni di socialisti e anarchici
in casa dello zio, partecipò attivamente alla fondazione e allo sviluppo di un
circolo giovanile socialista (intitolato ad A. Babel, rivoluzionario tedesco
dell'Ottocento). Iniziò a collaborare al giornale Il Lavoratore, organo della
Camera del Lavoro di Reggio Calabria, firmando gli articoli come "Lo
studente". Collaborò nello stesso periodo a Il Riscatto, periodico
socialista-anarchico stampato a Messina; e con Il Libertario, stampato a La
Spezia e diretto da Pasquale Binazzi. A causa della sua attività anti-militarista
esercitata all'interno del Circolo contro la Guerra italo-turca, fu arrestato e
condannato a due mesi e mezzo di carcere per «istigazione alla pubblica
disobbedienza». Fu nei due anni successivi che Bruno si convertì dal
socialismo all'anarchia. Ciò avvenne soprattutto con la frequentazione da parte
di Giuseppe Berti, suo professore di fisica presso l'"Istituto Tecnico
Raffaele Piria". Si trasferì a Napoli e si iscrisse al Politecnico,
dopo avere studiato fisica e matematica alle superiori, e anche per non
dispiacere al padre, proseguì tali studi. Pesò inoltre su questa decisione il
fatto che in quegli anni, dopo la tragica distruzione della città di Reggio
Calabria a causa del terremoto del 1908, il lavoro che garantiva le maggiori
certezze era proprio quello dell'ingegnere. Nondimeno continuò per proprio
conto gli studi a lui prediletti: politica, filosofia, letteratura, come aveva
fatto fino ad allora. A Napoli si fece subito avanti nell'ambiente anarchico.
Il movimento a Napoli contava allora di un centinaio di aderenti. Si
rifiuta di partecipare al corso allievi ufficiali a Benevento e fu condannato a
quattro mesi di carcere militare. Diserterà una seconda volta il 28 settembre
1916, trovando rifugio nella campagna del beneventano in casa di un contadino.
Tornato a Reggio Calabria, il 5 marzo 1916 interruppe una manifestazione
interventista nella centrale Piazza Garibaldi, salendo sul palco e pronunciando
un discorso antimilitarista. Venne per questo motivo arrestato e condotto
presso il carcere militare di Acireale; sette mesi dopo venne trasferito presso
quello di Benevento. Da lì riuscì ad evadere grazie alla complicità di un amico
secondino. Fu tuttavia intercettato alla frontiera del confine svizzero; ancora
incarcerato, riuscì nuovamente nella fuga. Tocca il territorio svizzero, ma i
gendarmi lo condussero al carcere di Lugano. Giunte dalla Calabria le
informazioni su di lui, essendo un uomo politico, dopo quindici giorni fu
lasciato libero con la facoltà di scegliere il luogo di residenza. Indicò
subito Zurigo, dove sapeva di potere rintracciare Francesco Misiano, suo caro
amico e noto esponente politico socialista, anche lui accusato di diserzione. A
Zurigo trovò ospitalità presso la famiglia Zanolli, dove si innamorò della
giovane Pia, che diventerà sua compagna di vita. Durante il periodo di
esilio in Svizzera, Bruno svolgeva attività politica tenendo i contatti con
Luigi Bertoni e con altri gruppi anarchici elvetici, collaborando anche al
giornale: Il Risveglio Comunista Anarchico. Svolse una serie di conferenze in
varie città della Svizzera. Bruno si autoannunciava con un suo pseudonimo
anagrammatico Furio Sbarnemi. A Zurigo frequenta la Cooperativa socialista di Militaerstrasse
36 e la libreria internazionale di Zwinglistrasse gestita dai disertori
Giuseppe Monnanni, Francesco Ghezzi e Enrico Arrigoni; in questi ambienti
conosce anche Angelica Balabanoff. Il 16 maggio 1918 venne arrestato per
un complotto inventato dalla polizia. Fu incolpato innocentemente con l'accusa
di avere fomentato una rivolta nella città e di «aver fabbricato bombe a scopo
rivoluzionario». Con lui furono arrestati diversi attivisti politici, tra i
quali lo stesso Francesco Misiano (che fu poi rilasciato perché socialista e
non anarchico). Rimase in carcere per sette mesi, e venne poi espulso dalla
Svizzera. Grazie ad un regolare passaporto per la Germania, ottenuto per
ragioni di studio, si recò a Stoccarda.Lì entrò in contatto con Clara Zetkin
(che gli rilascia una lunga intervista sul movimento rivoluzionario in
Germania) e Vincenzo Ferrer. Nell'ottobre nel 1919 poté rientrare in patria, in
seguito all'amnistia promulgata dal governo Nitti. -- è a Napoli e poi a Reggio
Calabria. E un periodo intenso per la sua vita militante di Bruno
Misefari. A Napoli partecipò come oratore a molte manifestazioni, si prodigò a
favore dei suoi compagni colpiti dalla repressione, denunciò le provocazioni
della polizia; tenne numerose conferenze e comizi. Con il dentista anarchico
Giuseppe Imondi, stampò alcuni numeri del giornale: L'Anarchia. In autunno fu
chiamato a Taranto a svolgere il compito di segretario propagandista presso la
locale Camera del Lavoro Sindacale. Tra la fine del 1920 e l'inizio del 1921
ebbe stretti contatti con Errico Malatesta, Camillo Berneri, Pasquale Binazzi,
Armando Borghi, Giuseppe Di Vittorio e altri esponenti dell'anarchismo e del
sovversivismo italiano. Nel 1921 si impegnò su più fronti per la campagna a
favore degli anarchici Sacco e Vanzetti. Nello stesso periodo e corrispondente
di: Umanità Nova, settimanale anarchico diretto da Errico Malatesta e collaborò
al periodico: L'Avvenire Anarchico di Pisa. Continuò i suoi studi a Napoli
con qualche salto a Reggio Calabria con la sua compagna Pia Zanolli, che sposò.
Si laureò a Napoli. Successivamente si iscrisse anche alla facoltà di
filosofia. Nonostante l'avvento del fascismo, fondò un giornale
libertario, “L'Amico del popolo,” che però dopo il quarto numero fu soppresso dalle
autorità. Nel primo numero del giornale,scrisse un editoriale dal titolo “Chi
sono e cosa vogliono gli anarchici.” Lo scritto è l'espressione del suo
pensiero libertario: «L'anarchismo è una tendenza naturale, che si trova
nella critica delle organizzazioni gerarchiche e delle concezioni autoritarie,
e nel movimento progressivo dell'umanità e perciò non può essere una
utopia.» Da esperto di geologia, progettò per primo in Calabria
l'industria del vetro e fondò a Villa S.Giovanni, la prima vetreria in Calabria
(Società Vetraria Calabrese). In quegli stessi anni subì però persecuzioni
continue da parte del regime. Fu cancellato dall'Albo di categoria e non poté
più firmare progetti. Gli venne mossa l'accusa di avere «attentato ai poteri
dello Stato, per il proposito di uccidere il re e Mussolini». Fu prosciolto
dopo venticinque giorni di carcere. La polizia ravvisò in un discorso di
commemorazione durante il funerale di un amico (tra l'altro un industriale
fascista, Zagarella) un'ispirazione anarchica e pertanto lo propose per
l'assegnazione al confino. Fu arrestato, in carcere si sposa con Pia Zanolli,
fu inviato per il confino, prigioniero a Ponza. Tuttavia sembra che tale
provvedimento fosse stato determinato da altri motivi. Misefari, che era
ingegnere minerario, si era attivamente impegnato nello sfruttamento su larga
scala di giacimenti di quarzo, materia prima per l'industria vetraria, che fino
a quell'epoca dipendeva, in gran parte, dai silicati stranieri. Assunto
come direttore tecnico della Società Vetraria Calabrese (di cui era stato
finanziatore e Presidente il succitato Zagarella) egli si era dovuto ben presto
scontrare con l'assenteismo e l'inettitudine del consiglio di amministrazione
che si schierò contro di lui con l'intenzione di eliminarlo in qualsiasi modo,
ricorrendo anche ad espedienti politici. Giustizia e Libertà, in un articolo
anonimo ddal titolo «Politica e affarismo. Il caso di un ingegnere libertario»,
attribuisce la causa del confino alle manovre dei suoi ex soci. Durante il
confino stringe amicizia con Torrigiani, Gran Maestro del Grande Oriente
d'Italia, il quale lo affilia alla Massoneria. L'amnistia del decennale
del fascismo lo liberò dal confino dopo due anni. Ma tornato in Calabria
vide il vuoto intorno a sé; scrive infatti a sua moglie: "Amnistiato sì,
però a quale prezzo: la salute sconquassata, senza un soldo, senza prospettive
per l'avvenire". Gli viene diagnosticata l'esistenza di un tumore alla
testa. Va e viene con la moglie da Zurigo a Reggio Calabria. Riesce a trovare il
capitale necessario per l'impianto di uno stabilimento per lo sfruttamento
della silice a Davoli (in provincia di Catanzaro). Le sue condizioni di
salute peggiorano a causa del tumore. Perde conoscenza, viene ricoverato in
stato gravissimo nella clinica romana del Senatore Giuseppe Bastianelli, e lì
si spense la sera stessa. Ancora ragazzo, studente, cominciò a ribellarsi
contro l'ingiustizia del mondo che lo circondava: Palizzi Superiore, un paese
tra i monti dove il castello feudale dei signori locali dominava la valle, dove
si ammucchiavano piccole e povere case desolate di contadini. E si ribellò a
quel mondo, costruito secondo quell'immagine topografica che portava impresso
nella memoria: sopra, chi comanda e non lavora, sotto, chi subisce e lavora. E
ancora ragazzo cominciò a sognare un mondo in cui quella gerarchia fosse
sovvertita prima, distrutta poi. Poteva scegliere di ispirarsi al socialismo
marxistico o al socialismo libertario. Del primo apprezzava l'analisi
dell'antagonismo tra le classi, ma mostrava perplessità circa i mezzi proposti
dalla diagnosi marxistica per fronteggiare il pericolo di una rivincita
dell'avversario di classe. Inclinò perciò verso il socialismo libertario.
«Nel comunismo libertario io sarò ancora anarchico? Certo. Ma non di meno sono
oggi un amante del comunismo. L'anarchismo è la tendenza alla perfetta felicità
umana. esso dunque è, e sarà sempre, ideale di rivolta, individuale o
collettivo, oggi come domani.» (Bruno MisefariTaccuino personale) La
scelta della diserzione fu coerente con il suo obiettivo di combattere non la
guerra degli stati, ma a fianco degli oppressi di tutto il mondo contro il loro
nemico, tenendo alta la bandiera dell'internazionalismo. Pur sottoposto senza
tregua alla persecuzione della polizia e all'inquisizione della magistratura,
fu sempre al suo posto accanto a coloro che lavoravano e soffrivano. Come ogni
rivoluzionario sincero e coerente, pagò col carcere e col confino la sua fede
in un ideale. Chi sono gli anarchici. SecondoMisefari, essere anarchici
voleva dire per prima cosa proclamare, contro ogni violenza, l'inviolabilità
della vita umana. Inoltre significava lottare per l'abolizione della proprietà
privata e a favore della socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio.
Proprio per questo gli anarchici sono, di fondo, dei socialisti. A questo
esperimento di vita sociale andava affiancata la lotta contro lo Stato, che ne
impediva la realizzazione. E la lotta contro lo Stato non poteva essere
vittoriosa se non con la rivoluzione. Dunque gli anarchici sono socialisti,
antistatali e rivoluzionari. Elemento fondamentale della lotta, secondo
Misefari, era l'allargamento di essa alla sfera internazionale. È comunque una
lotta che non si fa violenta. Misefari è fortemente pacifista, contrario
all'uso della forza e della violenza armata. L'anarchico è inoltre
antireligioso: la religione infatti è considerata "fattore di abbrutimento
per l'umanità". Antimilitarismo Per Misefari la guerra è pura
barbarie, speculazione capitalistica consumata in nome dello Stato.
«L'esistenza del militarismo è la dimostrazione migliore del grado di
ignoranza, di servile sottomissione, di crudeltà, di barbarie a cui è arrivata
la società umana. Quando della gente può fare l'apoteosi del militarismo e della
guerra senza che la collera popolare si rovesci su di essa, si può affermare
con certezza assoluta che la società è sull'orlo della decadenza e perciò sulla
soglia della barbarie, o è una accolita di belve in veste umana.»
Religione La religione è considerata come un anestetico delle facoltà critiche
della mente umana. Sarebbe proprio la religione a imprigionare le energie
morali dell'uomo, a inebetire lo spirito critico e di riflessione. Perciò i
popoli più religiosi sarebbero i meno progrediti e i più afflitti dalla
tirannia, mentre, laddove la religione sparisce, lì è florida la libertà e il
benessere. «È il più solido puntello del capitalismo e dello Stato, i due
tiranni del popolo. Ed è anche il più temibile alleato dell'ignoranza e del
male.» È forte nel pensiero di Misefari la volontà di sottolineare
l'uguaglianza sociale tra uomo e donna. In anni difficili e lontani dalle
battaglie del femminismo di metà Novecento, egli afferma che la donna nobilita
e abbellisce la condizione di vita umana. È dovere della donna lottare per
risollevarsi da una condizione di inferiorità, che è tale in virtù di un
"delitto sociale" e non dovuta a leggi di natura. «Donne, in
voi e per voi è la vita del mondo: sorgete, noi siamo uguali!» Misefari
vive di sogni, di ideali. Nella sua concezione non esiste un artista, che sia
poeta, filosofo, persino scienziato, che si sia mai messo al servizio della
menzogna. Se tutti potevano essere vili, un artista non poteva. «Un poeta
o uno scrittore, che non abbia per scopo la ribellione, che lavori per
conservare lo status quo della società, non è un artista: è un morto che parla
in poesia o in prosa. L'arte deve rinnovare la vita e i popoli, perciò deve
essere eminentemente rivoluzionaria. Poesia composta da Misefari: FALCO
RIBELLE. Un giovane falco che drizza il libero volo Ne l'alto, ove sono i
fulgori di soli immortali Un giovane falco ribelle o piccoli, io sono. Mi
spinge ne' campi ignorati, un acre desio Di sante ideali battaglie, di luce e
di gloria. Mi splende nell'occhio la speme di certe vittoria, Mi parla nel core
la voce sinfonica, dolce D'un caro sublime Pensiero, ch'è Bene ed Amore. Ho
giovini l'ale e robuste, o venti, o cicloni, O fulmini immani feroci, vi lancio
la sfida. Voi soli potete pugnare col giovine falco, Chè Luce, chè Forza, chè
Vita multanime siete. Ma voi, piccoli, no. Coi vermi guazzate nel fango, Dal
fango mirate del falco il libero volo.» Frammenti «Prima di pensare di
rivoluzionare le masse, bisogna essere sicuri di aver rivoluzionato noi stessi»
«Ogni uomo è figlio dell'educazione e della istruzione che riceve da fanciullo.
Gli Anarchici non seguono le leggi fatte dagli uominiquelle non li
riguardanoseguono invece le leggi della natura» «Prima l'educazione del
cuore, poi l'educazione della mente» «Socialismo vuol dire uguaglianza,
vuol dire libertà. Ma l'uguaglianza non può essere senza libertà; come la
libertà non può essere senza l'uguaglianza: dunque socialismo e anarchia sono
due termini dello stesso binomio, sono i due inseparabili fattori della
redenzione proletaria.» «Quando la giustizia non sarà la durda infame
delle tirannidi, quando l'amore non sarà deriso, quando il ferro non sarà legge
e l'oro non sarà dio, quando la libertà sarà religione e sola nobiltà il
lavoro, allora, solo allora, il mio rifiuto della guerra sarà benedetto.»
«M'è questa notte eterna assai men grave del dì che mi mostrò viltà dei forti e
pecorilità di plebi schiave. Lungi da quì il pianto: sto ben coi morti! (epitaffio) Opere complete Bruno Misefari,
Schiaffi e carezze, Roma, Morara, 1969. Bruno Misefari, Diario di un disertore,
La Nuova Italia, Entrambi i testi sono stati pubblicati postumi sotto lo
pseudonimo Furio Sbarnemi. Le schede biografiche di alcuni esponenti
anarchici calabresi, A/Rivista Anarchica, Antonioli, Antonioli, E.
Misefari. Antonioli, Pia Zanolli
era nata a Belluno. Dopo il matrimonio con Misefari, fu iscritta nell'albo dei
sovversivi pericolosi, venendo poi arrestata col marito a Domodossola (cfr.: A/Rivista
Anarchica) Chi sono e cosa vogliono gli
anarchici, ed. settembre. Antonioli, Pia Zanolli, L'Anarchico di
Calabria, Roma, La Nuova Italia, Utopia? No, Pia Zanolli, Roma, ALBA Centro
Stampa, E. Misefari, biografia di un fratello, Milano, Zero in condotta, M.
Antonioli, Gianpietro Berti, Santi Fedele, Pasquale Luso, Dizionario biografico
degli anarchici italianiVolume 2, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, Bruno
Misefari, Schiaffi, Carezze e altro, Pino Vermiglio, Laureana di Borrello,
Ogginoi, Furio Sbarnemi, Diario di un disertore, Camerano (AN), Gwynplaine,,Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Horizons
Unlimited srl. Bruno Misefari presso l'International Institute of Social
History di Amsterdam, su iisg.amsterdam,Fondo Bruno Misefari presso la
Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma, su fondazionebasso. 04-02-. Gli
anarchici contro il fascismo, celebre articolo di Giorgio Sacchetti. Bruno
Misefari. Misefari. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Misefari” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745319973/in/datetaken/
Grice e
Modio – il disonore sessuale -- la filosofia del Tevere – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Santa Severina). Filosofo. Grice: “Only in Italy a philosopher
writes a treatise on a river – although the Isis would not be out of place for
some Magdalenite!” – Grice: “His convito is a jewel!” – Seguace di Neri.
Originario di Santa Severina, borgo collinare della Calabria Ulteriore, fu
avviato agli studi di filosofia presso l'Archiginnasio di Napoli; in seguito
passò a Roma, dove si avviò agli studi in medicina divenendo allievo di
Fusconi. Modio frequenta gli ambienti
accademici, dove entrò in contatto con alcuni dei maggiori esponenti di spicco
di quell'epoca come Molza e Tolomei.
Pubblica la sua prima opera letteraria più famosa dal titolo I”l convito;
overo, del peso della moglie: un dialogo diegetico” (Roma, Bressani) -- ambientato
a Roma durante il carnevale della città capitolina, in cui viene trattato il
tema delle corna durante un convivio presieduto dall'allora vescovo di Piacenza
Trivulzio e a cui parteciparono anche Gambara, Marmitta, Benci, Selvago,
Raineri e Cesario. E altresì grande estimatore degli saggi di Piccolomini. Durante la stesura in lingua volgare di un
Operetta de’ Sogni, si ammala di febbre altissima. Si spense dopo qualche
giorno a Roma, nella tenuta di palazzo Ricci in via Giulia. Altri saggi: “Il Tevere, dove si ragiona in
generale della natura di tutte le acque, et in particolare di quella del fiume
di Roma” (Roma, Luchini) “Origine del proverbio che si suol dire "anzi
corna che croci" (Roma, A. degli Antonii,” Jacopone da Todi, I Cantici del
beato Iacopone da Todi, con diligenza ristampati, con la gionta di alcuni
discorsi sopra di essi e con la vita sua nuovamente posta in luce” (Roma,
Salviano). Prospetto autore, su edit16.iccu.. Modio, Il Tevere, cit., c.
45r Anno di pubblicazione della medesima
opera. G. Cassiani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana.Sex, Gender and Sexuality in Renaissance Italy explores the new
directions being taken in the study of sex and gender in Italy from 1300 to
1700 and highlights the impact that recent scholarship has had in revealing
innovative ways of approaching this subject.In this interdisciplinary volume,
twelve scholars of history, literature, art history, and philosophy use a
variety of both textual and visual sources to examine themes such as gender
identities and dynamics, sexual transgression and sexual identities in leading
Renaissance cities. It is divided into three sections, which work together to
provide an overview of the influence of sex and gender in all aspects of
Renaissance society from politics and religion to literature and art. Part I:
Sex, Order, and Disorder deals with issues of law, religion, and violence in
marital relationships; Part II: Sense and Sensuality in Sex and Gender
considers gender in relation to the senses and emotions; and Part III:
Visualizing Sexuality in Word and Image investigates gender, sexuality, and
erotica in art and literature.Bringing to life this increasingly prominent area
of historical study, Sex, Gender and Sexuality in Renaissance Italy is ideal
for students of Renaissance Italy and early modern gender and sexuality. SEX, GENDER AND SEXUALITY IN RENAISSANCE ITALY Sex,
Gender and Sexuality in Renaissance Italy explores the new directions being
taken in the study of sex and gender in Italy from 1300 to 1700 and highlights
the impact that recent scholarship has had in revealing innovative ways of
approaching this subject. In this interdisciplinary volume, twelve scholars of
history, literature, art history, and philosophy use a variety of both textual
and visual sources to examine themes such as gender identities and dynamics,
sexual transgression and sexual identities in leading Renaissance cities. It is
divided into three sections, which work together to provide an overview of the
inf luence of sex and gender in all aspects of Renaissance society from
politics and religion to literature and art. Part I: Sex, Order, and Disorder
deals with issues of law, religion, and violence in marital relationships; Part
II: Sense and Sensuality in Sex and Gender considers gender in relation to the
senses and emotions; and Part III: Visualizing Sexuality in Word and Image
investigates gender, sexuality, and erotica in art and literature. Bringing to
life this increasingly prominent area of historical study, Sex, Gender and
Sexuality in Renaissance Italy is ideal for students of Renaissance Italy and
early modern gender and sexuality. Jacqueline Murray is Professor of History at
the University of Guelph. Her research focuses on premodern sexuality, at the
intersections of ecclesiastical and popular lay culture, and she is currently
examining the premodern experience of masculinity and male embodiment. Nicholas
Terpstra is Professor of History at the University of Toronto, working at the
intersections of gender, politics, charity, and religion in early modern Italy,
with a focus on civil and uncivil society, religious refugees, and the digital
mapping of early modern social realities and relations.SEX, GENDER AND
SEXUALITY IN RENAISSANCE ITALYEdited by Jacqueline Murray and Nicholas
TerpstraFirst published 2019 by Routledge 2 Park Square, Milton Park, Abingdon,
Oxon OX14 4RN and by Routledge 52 Vanderbilt Avenue, New York, NY 10017
Routledge is an imprint of the Taylor & Francis Group, an informa business
© 2019 selection and editorial matter, Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra;
individual chapters, the contributors The right of Jacqueline Murray and
Nicholas Terpstra to be identified as the authors of the editorial material,
and of the authors for their individual chapters, has been asserted in
accordance with sections 77 and 78 of the Copyright, Designs and Patents Act
1988. All rights reserved. No part of this book may be reprinted or reproduced
or utilised in any form or by any electronic, mechanical, or other means, now
known or hereafter invented, including photocopying and recording, or in any
information storage or retrieval system, without permission in writing from the
publishers. Trademark notice: Product or corporate names may be trademarks or
registered trademarks, and are used only for identification and explanation
without intent to infringe. British Library Cataloguing-in-Publication Data A
catalogue record for this book is available from the British Library Library of
Congress Cataloging-in-Publication Data Names: Murray, Jacqueline, editor. |
Terpstra, Nicholas, editor. Title: Sex, gender and sexuality in Renaissance
Italy / edited by Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra. Description:
Abingdon, Oxon ; New York, NY : Routledge, 2019. | Includes bibliographical
references and index. | Identifiers: LCCN 2018045788 (print) | LCCN 2018048468
(ebook) Subjects: LCSH: Sex—Italy—History—To 1500. | Sex—Italy— History—16th
century. | Sex role—Italy—History—To 1500. | Sex role—Italy—History—16th
century. | Renaissance—Italy. Classification: LCC HQ18.I8 (ebook) | LCC HQ18.I8
.S494 2019 (print) | DDC 306.70945/09031—dc23 LC record available at https://lccn.loc.gov/2018045788 ISBN: 978-1-138-54244-0 (hbk) ISBN:
978-1-138-54245-7 (pbk) ISBN: 978-1-351-00872-3 (ebk) Typeset in Bembo by Apex
CoVantage, LLCDedication This collection is dedicated to Konrad Eisenbichler, a
true Renaissance man who produces bold and prodigious scholarship in multiple
research areas with grace, ease, and erudition. For Konrad, sociability is
correlated with scholarship. He has spent his career creating communities and
networks of scholars around the world. These networks have been brought
together through his tireless work for learned societies, publication series,
and journals. Konrad not only produces scholarship but is also heavily invested
in disseminating the scholarship of others. Scholarly interests often have
unusual and serendipitous origins. In a certain sense, this collection began
with a codpiece. Konrad’s first scholarly contribution to the field of sex,
gender, and sexuality in Renaissance Italy developed out of a casual
conversation with a colleague who provided enthusiastic encouragement. What
resulted was a presentation playfully entitled “The Dynastic Codpiece” to the
Canadian Society for Renaissance Studies in 1987. He revised and published it
as “Agnolo Bronzino’s Portrait of Guidobaldo II della Rovere” (Renaissance and
Reformation, 1988), an article still cited thirty years later. In this truly
groundbreaking interdisciplinary piece, Konrad examined the overly large
codpieces worn by Renaissance men for the social and familial messages they
conveyed, showing how the messages passed between the generations in competing
dynastic portraits. The article established Konrad as a new and powerful voice
in the study of sex, gender, and sexuality in the Italian Renaissance. It also
illustrated beautifully how his scholarship is inherently interdisciplinary,
bridging and incorporating history and literature with artistic
representations. Konrad greets friends, colleagues, and students with warmth,
good humor, and generosity. A significant manifestation of his academic
hospitality is revealed in the multitude of conferences he has organized: forty
between 1983 and 2018. These are special events, international in nature, and
ref lecting the hostorganizer’s generosity. They are venues conducive to the
exchange of ideas and the formation of friendships. It is most appropriate that
the most recent of these focused on “Early Modern Cultures of Hospitality.” The
themes generally ref lect Konrad’s sense of the discipline and where it is
going; these conferences most often culminate in a significant collection of
essays, including Desire and Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern
West (1996; co-edited with Jacqueline Murray) which helped to promote the study
of sex, gender, and sexuality in the Middle Ages and Renaissance. Konrad has
made myriad contributions to individuals and institutions. His contributions to
Renaissance scholarship span social history, women’s history, religious
history, and literature. He publishes equally in Italian and English,moving
easily between scholarly cultures. A scholar with a global reach, he interacts
with colleagues spread across North America, to Italy and Europe more broadly,
as well as Australia and South Africa. The heart of his many contributions to
the study of Italian Renaissance society lies in his research on sex, gender,
and sexuality. In recognition of that, some of his friends and colleagues
joined to celebrate Konrad’s creativity, scholarship, and friendship with
essays that demonstrate the creative developments in the field since that
fateful codpiece three decades ago. We are honored to dedicate this volume to
Konrad Eisenbichler in recognition of his extraordinary contribution to
Renaissance society and culture.CONTENTSList of illustrations Acknowledgments
Notes on contributors 1 Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy: themes
and approaches in recent scholarship Jacqueline Murray and Nicholas Terpstraix
xi xii1PART ISex, order, and disorder192 The lord who rejected love, or the
Griselda story (X, 10) reconsidered yet again Guido Ruggiero213 Sexual violence
in the Sienese state before and after the fall of the republic Elena Brizio354
In the neighborhood: residence, community, and the sex trade in early modern
Bologna Vanessa McCarthy and Nicholas Terpstra535 Though popes said don’t, some
people did: adulteresses in Catholic Reformation Rome Elizabeth S.
Cohen75viiiContentsPART IISense and sensuality in sex and gender 6 “Bodily
things” and brides of Christ: the case of the early seventeenth-century
“lesbian nun” Benedetta Carlini Patricia Simons 7 In bed with Ludovico Santa
Croce (1557) Thomas V. Cohen 8 Aesthetics, dress, and militant masculinity in
Castiglione’s Courtier Gerry Milligan9 The sausage wars: or how the sausage and
carne battled for gastronomic and social prestige in Renaissance literature and
culture Laura Giannetti9597125141160PART IIIVisualizing sexuality in word and
image18110 Gianantonio Bazzi, called “Il Sodoma”: homosexuality in art, life,
and history James M. Saslow18311 Vagina dialogues: Piccolomini’s Raffaella and
Aretino’s Ragionamenti Ian Frederick Moulton21112 Giovan Battista della Porta’s
erotomanic art of recollection Sergius Kodera22713 “O mie arti fallaci”:
Tasso’s saintly women in the Liberata and Conquistata Jane Tylus247Bibliography
of Konrad Eisenbichler’s publications on sex and gender Index268 271ILLUSTRATIONSFigures
4.1 4.2 6.1 6.2 6.36.4 6.5 6.6 6.7 10.1 10.2 10.3 10.4 10.5 10.6Agostino
Carracci, Bononia docet mater studiorum, 1581. Agostino Carracci, Bononia docet
mater studiorum, 1581. Parmigianino, Visitation, pen and wash. Giovanni di Paolo,
Paradise, 1445, tempera and gold on canvas, transferred from wood. Francesco
Vanni, St. Catherine of Siena orally draining pus from an ill woman and being
rewarded with liquid from Christ’s wound, 1597, engraving. Sodoma, Giovanni
Antonio Bazzi, Scenes from the Life of Saint Catherine of Siena: The swooning
of the saint, 1526, fresco. Caravaggio, Saint Francis receiving the stigmata,
ca. 1595–96, oil on canvas. Bernini, The Ecstasy of St. Teresa, marble,
1645–52. Anonymous German nun, Consecration of Virgins, ca. 1500. Sodoma, Abbey
of Monteoliveto Maggiore, Saint Benedict Is Tempted by a Female Devil, fresco,
1505–8. Sodoma, Monteoliveto, Miracle of the Colander, fresco, 1505–8. Sodoma,
Monteoliveto, St. Benedict welcomes Sts. Maurus and Placidus, fresco, 1505–8.
Majolica plate, attributed to Master C.I., ca. 1510–20. Musée national de la
Renaissance, Écouen, France. Sodoma, The Marriage of Alexander and Roxana,
Villa Farnesina, Rome, fresco, 1517–19. Sodoma, Saint Sebastian, processional
banner, Pitti Palace, Florence, 1525.55 58 103 105106 108 109 110 115 186 187
189 191 193 196xIllustrations10.7 Sodoma (attributed), Allegorical Man, ca.
1547–8, oil, Accademia Carrara, Bergamo. 13.1 Luca Giordano, “Olindo e
Sofronia,” Palazzo Reale gia’ Durazzo (Genova).202 249Tables 4.1 Residence of
registered prostitutes in Bologna’s quarters 4.2 Streets with ten or more
resident prostitutes in 1604, by quarter56 57ACKNOWLEDGMENTSThe editors would
like to thank Vanessa McCarthy who donned two hats for this project, that of an
author and that of editorial associate. Her scholarly knowledge and
administrative expertise contributed significantly to the preparation of this
volume, and we’re grateful for her dedication and expertise. We would like to
thank the editorial team at Routledge for their support and guidance over the
course of this project. Laura Pilsworth guided it through its inception and
commissioning, while Lydia de Cruz shepherded it through the final stages of
preparation and production, assisted by Morwenna Scott. The University of
Guelph and the University of Toronto provide generous support for the research
activities of Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra respectively. Thanks as
well to the congenial group of scholars whose work is collected here. While editing
collections is sometimes likened to herding cats, these colleagues were
responsive, generous, and patient. Above all, they were enthusiastic about the
opportunity to contribute to a collection which could serve as a gift to a
friend and colleague, Konrad Eisenbichler, who has himself been the soul of
generosity. We are honored to have worked with you all. Jacqueline Murray
Nicholas TerpstraNOTES ON CONTRIBUTORSElena Brizio teaches Medieval and Early
Modern Italian History at GeorgetownUniversity – Fiesole Campus and in the
Internship Program at IES Abroad (Institute for the International Education of
Students) in Siena. She has published on the political and institutional
history of Siena in the Trecento; her current research focuses on the cultural,
economic, and social power of Sienese women in the Italian Renaissance. In 2013
she was Visiting Fellow at the Centre for Renaissance and Reformation and the
Pontifical Institute of Mediaeval Studies at the University of Toronto and in
2015 she was awarded a Renaissance Society of America Summer Grant to study at
the Centre for Renaissance and Reformation at the University of Toronto to
pursue her research on maternal inheritance. Elizabeth S. Cohen is Professor of
History and Director of the Graduate Programin History at York University
(Toronto). She has published widely on sexuality and gender in early modern
Rome including, most recently, The Youth of Early Modern Women, co-edited with
Margaret Reeves (2018); Daily Life in Renaissance Italy with Thomas V. Cohen
(2001, 2017) and Words and Deeds in Renaissance Rome: Trials before the Papal
Magistrates with Thomas V. Cohen (1993). Thomas V. Cohen has taught History and
Humanities at York University (Toronto) since 1969. His research focuses on the
history of Renaissance Rome, where he studies the cultural and political
anthropology of both the city and its hinterland. His work, often
microhistorical, experiments with language and narrative form, in the hope of
enlarging and enriching scholarship’s rhetoric and larger art. His most recent
book, co-edited with Lesley Twomey, is Spoken Word and Social Practice: Orality
in Europe (1400–1700) (2015). He also translated Claire Judde de Larivière, The
Revolt of Snowballs: Murano Confronts Venice, 1511 (2018).Notes on
contributorsxiiiLaura Giannetti is Associate Professor of Italian at the
University of Miami.Her first book, Lelia’s Kiss: Imagining Gender, Sex and
Marriage in Italian Renaissance Comedy, was published in 2009; she is now
writing a monograph on Food Culture and the Literary Imagination in Renaissance
Italy. On her new project she has published several articles in edited volumes
and leading journals such as California Italian Studies and Quaderni
d’Italianistica. She is a former Villa I Tatti Fellow and Fellow at the Center
for the Humanities at her own institution. She was the Charles Speroni Visiting
Chair in Medieval and Renaissance Literature at UCLA in spring 2016, and a
Research Fellow at the Institute for Historical Studies, University of Texas,
Austin (2016–17). Sergius Kodera is Dean of the Faculty of Design at New Design
University, St. Pölten, Austria. Since he received his doctorate in 1994
he has been teaching Renaissance Philosophy at the Department of Philosophy at
the University of Vienna. He completed his habilitation in 2004. He has held
fellowships in London (Warburg Institute), Vienna (IFK), and New York
(Columbia). He has published on and/or is a translator of Renaissance authors
such as Marsilio Ficino, Fernando de Rojas, Machiavelli, Leone Ebreo, Girolamo
Cardano, Giovan Battista della Porta, and Giordano Bruno. Currently he is
working on a book-length study on Della Porta in English. His main fields of
interest are the history of the body and sexuality, magic, and media. Vanessa
McCarthy completed her Ph.D. in 2015 at the Department of Historyand Women
& Gender Studies Institute at the University of Toronto. She currently
teaches early modern history at the Department of Historical and Cultural
Studies, University of Toronto Scarborough. She is the co-editor of “Sex Acts
in the Early Modern World” (Renaissance and Reformation/Renaissance et Réforme,
38/4, Fall 2015). Gerry Milligan is Associate Professor of Italian at the
College of Staten Island and the Graduate Center of the City University of New
York (CUNY). He has published articles on masculinity, women authors, and
theatre in the Italian Renaissance. He is the author of Moral Combat: Women,
Gender, and War in Italian Renaissance Literature (2018) and is co-editor with
Jane Tylus of The Poetics of Masculinity in Early Modern Italy and Spain
(2010). Ian Frederick Moulton is Professor of English and Cultural History in
the College of Integrative Sciences and Arts at Arizona State University. He
has published widely on the representation of gender and sexuality in early
modern European literature. He is the author of Love in Print in the Sixteenth
Century: The Popularization of Romance (2014) and Before Pornography: Erotic
Writing in Early Modern England (2000), and editor and translator of Antonio
Vignali’s La Cazzaria, an erotic and political dialogue from Renaissance Italy
(2003). He is also co-editor of Teaching Early Modern English Literature from
the Archives (2015).xivNotes on contributorsJacqueline Murray is Professor of
History at the University of Guelph. Herresearch focuses on premodern
sexuality, at the intersections of ecclesiastical and popular lay culture. She
is co-editor of Desire and Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern West
(1996), Conflicted Identities and Multiple Masculinities: Men in the Medieval
West (1999), and Marriage in Premodern Europe: Italy and Beyond (2012). Her
current research examines the premodern experience of masculinity and male
embodiment. She is an award-winning teacher and one of Canada’s 3M National
Teaching Fellows, and has held the Donald Bullough Fellowship in Mediaeval
History at St Andrew’s University. Guido Ruggiero is Professor of History and
Cooper Fellow of the College ofArts and Sciences at the University of Miami. He
has published on the history of gender, sex, crime, magic, science, and
everyday culture, primarily in Renaissance and early modern Italy. Recent
publications include The Renaissance in Italy: A Social and Cultural History of
the Rinascimento which won the American Association for Italian Studies prize
for the best book (2014). He has received awards from Harvard’s Villa I Tatti
in Florence (1990–91, 2012), the Institute for Advanced Studies in Princeton
(1981–82; 1991), and at the American Academy in Rome (2011). James M. Saslow is
Professor Emeritus of Art History at City University ofNew York, as well as an
author and arts journalist. His work focuses on the Italian Renaissance and
Baroque period, with special interests in gender and homosexuality. A founding
member of the Center for Lesbian and Gay Studies (CLAGS) at CUNY, a former
national co-chair of the Queer Caucus of the College Art Association, and a
board member of the Leslie-Lohman Museum, he has been writing and lecturing
about historical and contemporary arts connected to LGBTQ experience for forty
years. His pioneering survey, Pictures and Passions: A History of Homosexuality
in the Visual Arts (1999), received two Lambda Literary awards. His most recent
book, co-edited with Babette Bohn, is The Blackwell Companion to Renaissance
and Baroque Art (2012). Patricia Simons is a Professor in the Department of
History of Art at the University of Michigan, Ann Arbor. Her books include The
Sex of Men in Premodern Europe: A Cultural History (2011) and the co-edited Patronage,
Art, and Society in Renaissance Italy (1987). Her studies of the visual and
material culture of early modern Europe have been published in numerous
anthologies and peer-review journals, ranging over such subjects as female and
male homoeroticism, gender and portraiture, the cultural role of humor, and the
visual dynamics of secrecy and of scandal. Nicholas Terpstra is Professor of
History at the University of Toronto, working at the intersections of gender,
politics, charity, and religion. His recent publications include Religious
Refugees in the Early Modern World: An AlternativeNotes on
contributorsxvInterpretation of the Reformation (2015) and Cultures of Charity:
Women, Politics, and the Reform of Poor Relief in Renaissance Italy (2013),
which won the Marraro Prize of the American Historical Association and the Ruth
Goodhart Gordan Prize of the Renaissance Society of America. He has also
co-edited Mapping Space, Sense, and Movement in Florence: Historical GIS and
the Early Modern City with Colin Rose (2016). Jane Tylus is Professor of
Italian at Yale University. Recent books include Siena, City of Secrets (2015),
Cultures of Early Modern Translation (with Karen Newman, 2015), a translation
and edition of the complete poetry of Gaspara Stampa (2010), and Reclaiming
Catherine of Siena: Literature, Literacy, and the Signs of Others (2009), which
won the Howard Marraro Prize for Outstanding Work in Italian Studies from the
Modern Language Association. She is General Editor for the journal I Tatti
Studies in the Italian Renaissance. She has held visiting positions at the
Scuola Normale Superiore di Pisa and Yale University, and in 2015 was Robert
Lehman Visiting Professor at Villa I Tatti in Florence.1 SEX, GENDER, AND
SEXUALITY IN RENAISSANCE ITALY Themes and approaches in recent scholarship
Jacqueline Murray and Nicholas TerpstraFrom the mid-nineteenth through the
mid-twentieth centuries, the Italian Renaissance was approached almost
exclusively as a period of learning, elegance, and manners as ref lected by the
arts and letters of the time. In The Book of the Courtier Castiglione’s perfect
courtier embodied virtù and sprezzatura, the two qualities that epitomized
Renaissance masculinity. Elite men were celebrated for their bravado, skill,
and insouciant nonchalance, whether these were exercised on the fields of
battle, the production of art or poetry, or the seduction of women. Castiglione
also details the qualities of the ideal court lady, a woman valued for her
beauty and affability along with her manners, intellect, and ability to please
men. These qualities were appreciated equally in another group of notable
women, the courtesans whose beauty and literary accomplishments were acclaimed
by poets and artists alike. Thanks in part to the enduring inf luence of Jackob
Burckhardt’s Civilisation of the Renaissance in Italy (1860; English
translation 1878), this idealized portrayal of sixteenth-century Italian men
and women dominated twentieth-century historiography and shaped how a number of
generations understood sex, gender, and sexuality in the Renaissance. The
idealized creations of Castiglione and Burckhardt, their princes and poets,
court ladies and courtesans, appeared as the bright stars in the Renaissance
firmament, and contributed to the lure of the field. Yet all along they were
chimeras, stereotypes created by Renaissance elites and perpetuated by modern
scholars of Renaissance culture. Even when individuals appeared to embody these
ideal qualities, they were the exceptions, standing apart from thousands of
their contemporaries, urban and rural, rich and poor, educated and illiterate,
respectable and disreputable. The idealized courtier, court lady, and courtesan
obscure everyday life in Renaissance Italy. In the 1970s, scholars began to ask
new questions that ultimately led to a recalibration of research on the history
of sex, gender, and sexuality in the2Jacqueline Murray and Nicholas
TerpstraRenaissance. One of the earliest collections was Human Sexuality in the
Middle Ages and Renaissance (edited by Douglas Radcliff-Umstead, 1978), which
includes topics that are wide ranging and represent a variety of disciplinary
perspectives. They include sexuality within marriage, sexual sins and
eroticism, celibacy, hermaphrodites, homosexuality, and how the human body was
understood. These essays from the 1970s foreground important questions about
sex, gender, and sexuality in the past. Yet their scope and insights are
constrained. Most essays are based on close, summative readings of literary
texts from Dante and Chaucer to Shakespeare and other imaginative authors, but
these close readings of texts lack the contextualization or critical
perspective to enhance their insights. While the occasional essay engages with
multiple sources and genres, the absence of critical theoretical and
interdisciplinary analysis inhibits the development of a more comprehensive
picture of how issues of human sexuality were actually addressed at this time.
Significantly, however, the authors did identify emerging themes that would
become central to the study of sex, gender, and sexuality. This collection
opened the way to the study of topics such as the nature of the sexed human
body, the complexities of celibacy as a sexuality, and the f luidity of
sexualities and genders. While prescient in research subjects, the authors did
not employ the theoretical and methodological tools that developed soon after
publication, tools that were necessary for deeper and more complex analyses of
sex, gender, and sexuality. These tools were being forged with the new theories
and methodologies of the 1970s that were opening new research subjects and that
led to innovations and new definitions of the individual and the self. A series
of studies in that decade revolutionized scholarship and have continued to have
a transformative inf luence on the understanding of the history of sex, gender,
and sexuality into the twenty-first century. The most inf luential authors
behind this work perceived the Renaissance to be more complex both in the
quotidian aspects of daily life and also in extraordinary behaviors. In 1978,
the first volume of Michel Foucault’s The History of Sexuality occasioned both
excitement and consternation among historians of sex. Foucault, a philosopher
and leading post-structuralist scholar, wrote extensively on social
construction and social control in European society, including studies of
prisons, madness, and surveillance. These perspectives informed his ref
lections about the construction and control of sexuality in the European past.
Indeed, Foucault’s intervention challenged scholars to reexamine their
approaches to sex and sexuality. Another major contribution to the
recalibrating of historical studies of sex, gender, and sexuality was John
Boswell’s Christianity, Social Tolerance, and Homosexuality (1980). Boswell
demonstrated that in the premodern world there were men who engaged in
homosocial and/or homosexual relationships, although traditional history had
obscured them behind the ecclesiastical rhetoric of homophobia. Boswell argued
that there were gay men throughout premodern Europe but his methodology and
conclusions were criticized as essentialist and lacking the appropriate
consideration of context and cultural inf luences such as Foucault had urged.
Nevertheless, despite criticismsSex, gender, and sexuality in Renaissance Italy
3about essentialism, Boswell did uncover homosexual (sodomitical) and
homoaffective men across society, integrated into both clerical and secular
societies. In this way, Boswell forged a path for scholars to search for and
analyze multiple sexualities that had been overlooked by traditional history or
were obscured by the absence of explicit evidence. One of the most telling
criticisms levelled at both Foucault and Boswell was their neglect of gender as
a category of historical analysis. Arguably, men and women experience the world
differently according to how society evaluates and constructs women. This
applies equally in the realm of sex and sexuality, which is neither natural nor
essential. Foucault paid scarce attention to women’s alternative experience of
social construction and surveillance of sex and sexuality. Similarly, while
lauded for opening the past for research on homosexuality, Boswell was
criticized for eliding lesbians and other non-normative women under the
category “gay,” thus perpetuating their invisibility. A more refined and
incisive analytical framework emerged out of these debates. What began as
women’s history in the 1970s, with the goal of recuperating women in the past,
transformed into the critical lens of feminist studies, which analyzed the
institutions and structures that restricted or shaped their lives, or
contributed to their invisibility in historical scholarship. The other
significant theoretical contribution to the new study of sex, gender, and
sexuality falls under the rubric of cultural studies. This is a multifaceted
approach emerging from literary studies, postmodernism, discourse analysis, and
other theoretical perspectives that provided scholars with new linguistic and
analytical tools. This versatile and complex perspective also encouraged
explicitly interdisciplinary research which suits the intricate nature of sex,
gender, and sexuality. As a result, there is a richer sense of the
possibilities that were available for the lived reality of sex, gender, and
sexuality and an expanded ability to study and evaluate the values, beliefs,
and experiences of people in the past. These innovations emerged at a time when
the traditional Burckhardtian narratives were being widely criticized by
political, social, and intellectual historians, and by the mid-1980s new
scholarship was appearing that brought new insights to sex and gender in the
Italian Renaissance. They applied methodologies that bridged differences in
social and economic status, sex, sexuality, and gender, geography, and
religion. While the traditional sources of high culture—art and literature in
particular—continued to provide a valuable foundation for understanding the
rich cultural life and artefacts of the Renaissance, new analytical approaches
yielded new insights. Diverse sources of evidence—court records, letters,
chronicles, and Inquisitorial documents, among others—provided access to new
populations including servants and prostitutes and the inhabitants of the
streets and taverns of myriad Italian towns and cities. These new critical
studies were a prelude to the research that would appear in the next two
decades. Guido Ruggiero’s The Boundaries of Eros: Sex Crime and Sexuality in
Renaissance Venice (1985) early on demonstrated how new methodologies and new
sources were able to reveal hitherto unexplored worlds of Renaissance sex,
gender, and4Jacqueline Murray and Nicholas Terpstrasexuality. Ruggiero examines
the wide variety of sex crimes that were committed in Venice and he analyzes
the various courts and disciplinary councils which enforced the laws, including
those pertaining to sexual transgressions. The records reveal an intricate and
contradictory approach to regulating sexuality that extended from conventional
acts such as adultery and fornication to more egregious behaviors including
rape and sodomy. Ruggiero’s essays meet the challenges and opportunities posed
by Foucault and Boswell, by feminist history and gender studies. His
interdisciplinary reading of the evidence, ranging from the many cases
discussed by the criminal courts, along with careful analysis of individual
testimony, widened the scope of enquiry. Ruggiero’s discussion reveals the rich
detail about individuals, as they negotiated the social norms of sexuality and
gender. He brings readers to an understanding of the social context and how
individuals were integrated into their local communities and that of wider
Venetian society. The movement towards more sophisticated, nuanced, and focused
considerations is also ref lected in Forbidden Friendships: Homosexuality and
Male Culture in Renaissance Florence (1996) by Michael Rocke. In many ways,
Rocke took on the challenge presented by John Boswell to identify men who had
sex with men in their social contexts. Rather than othering them or pulling
these men out of their community, Rocke engages with homosexuality as an
integral part of Florentine society and culture. He examines seventy years of
documentation from the “Office of the Night,” which was established to oversee
denunciations of homosexual (sodomitical) activity. This allowed Rocke to trace
the nature of relationships between men, how they were treated by society, how
and why they were denounced to the court, and the penalties levied. His
scholarship reveals that, despite the harsh evaluation of sodomy in
ecclesiastical law and in various secular jurisdictions, Florence displayed
remarkable tolerance. Where Boswell’s research had scanned 1000 years of
European history, seeking to identify men who were possibly homosexual, Rocke
analyzes deep and focused sources to identify a specific group of men, applying
sophisticated theoretical and methodological tools to reveal new understandings
of non-normative sexuality in the Italian Renaissance. Judith Brown’s Immodest
Acts: The Life of a Lesbian Nun in Renaissance Italy (1986) similarly
contributed to the new approaches to sexuality and identity. She focused on
non-normative sexuality, although in a unique context. Here the background is
not the streets, homes, and markets of the large, cosmopolitan cities of
Renaissance Italy. Rather, Brown’s subjects lived within the walls of a
convent, separated from the worldly temptations of secular life. Yet, even in a
community of women vowed to chastity, Brown finds convoluted self-identities
and a sexual relationship between two women that was transgressive and
multivalent. The case of the “lesbian nun” Benedetta Carlini was instantly
controversial. Could two nuns possibly have a conscious lesbian sexual identity,
given the social norms and religious context in which they lived? This is the
same criticism that greeted John Boswell’s assertions about “gay” men in
premodern Europe.Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy 5There was
widespread agreement that categories such as gay or lesbian were products of
late twentieth-century Western society and to impose them back in time was
anachronistic and misleading. Moreover, in this case, the individuals evoked
far more questions than those of sexual identity or sexual activity, with a
relationship complicated by angelic possession and mystical visions. The debate
surrounding Carlini’s activities and identities continues, as Patricia Simon’s
essay in this collection demonstrates. Yet one of the most enduring
contributions of Brown’s study, for the history of sexuality and gender, is her
ability to cross 600 years and engage intimately with individuals of the past.
This is a history of two nuns, in an out-of-the-way convent, who experienced
rich and problematic inner lives, beyond what might be expected. Whether the
women can be categorized as “lesbians” does not dispel the impact of
recuperating lost women and a lost past, the meaning and implications of which
continue to attract scholarly analysis. The profound transformation that
occurred between 1978 and 1996 in the study of sex, gender, and sexuality in
premodern Europe began with the recognition of new topics and moved to a more
rigorous application of the intervening theoretical and methodological insights
of Foucault and Boswell, of feminism and cultural studies. If the former
approach is exemplified by essays collected in Human Sexuality in the Middle
Ages and Renaissance (1978), the latter is evident in the essays in Desire and
Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern West (edited by Jacqueline
Murray and Konrad Eisenbichler, 1996). This volume stresses that human behavior
manifests both continuities and transitions that can be independently evaluated
and separated from arbitrary and obsolete periodization. Many essays integrate
traditional periods moving seamlessly into a premodern world. Some essays rely
on traditional Renaissance evidence but deploy law, art, and literature to
examine new research questions. Rona Goffen examines Titian’s frescoes to
explore misogyny. Other authors address innovative, even bold or cheeky themes.
Feminism and critical theory are deployed throughout the collection. The
usefulness of interdisciplinarity to reveal new aspects of society and cultural
experience is equally evident. Dyan Elliott’s reexamination of the reciprocity
of the conjugal debt, the notion that a husband and wife have equal call on
their spouse for sexual access jostles the foundations of premodern marriage.
Rather than accepting the idea that a married couple’s sex life was balanced
and equitable, Elliott concludes that wives were subordinate even in bed and
had no right to refuse sexual intercourse. Ivana Elbl examines the doubly
transgressive sexual liaisons among Portuguese sailors to Africa. Sailors, who
were often already married with families in Europe, frequently formed enduring
relationships with African “wives,” transgressing both Christian monogamy and
establishing irregular relationships with non-Christian women. Significantly,
in Africa these unions were ignored or tolerated by Portuguese leaders,
ecclesiastical as much as secular. More theoretically adventuresome is Nancy
Partner’s exploration of the psychological dimensions of sexuality. She applies
contemporary psychological theory, in particular Freud, to assess the sexual
dimensions6Jacqueline Murray and Nicholas Terpstraof mystics and their ecstatic
visions. Even the realm of masturbatory pornography is probed through Andrew
Taylor’s critical reading of marginalia and other physical marks and stains on
manuscript pages which could ref lect the sexual responses of readers to the
texts. The essays in Desire and Discipline reveal the richness, diversity, and
intellectually invigorating research that in just two decades had made the new
field of sex, gender, and sexuality one of the most exciting areas in
Renaissance studies. While ref lecting new research areas, the roots of which
can be found in the theoretical and methodological innovations in the late
twentieth century, the essays in Desire and Discipline build upon traditional
topics and themes and frequently employ conventional Renaissance sources, to
stimulate a metamorphosis of old research perspectives into new and innovative
ones. Thus, the ideal courtier has become a man subject to gender-based
analysis while the lens of feminist analysis reveals the court lady to be not
so much an equal but rather a pale, subordinate shadow to the courtier.
Similarly, freed from her artificial manners and learning, the courtesan is
revealed as a masculine fiction sanitized from the precarious and harsh life of
Renaissance prostitutes. The last quarter of the twentieth century, then, was a
watershed for the historiography of sex, gender, and sexuality. Pioneering
scholarship foreshadowed issues that would preoccupy later scholars and set the
trajectory for subsequent research. This scaffolding of new research questions,
theories, and methodologies has resulted in creative approaches that are
rapidly transforming the field. While monographs have been, and continue to be,
written about sex, gender, and sexuality in the Renaissance, it seems that
these topics, at this point in the evolution of scholarship, lend themselves
more readily to the genres of essays or journal articles. The essay form allows
scholars to analyze focused bodies of evidence and arrive at conclusions that
are precise and demonstrable. Presumably, at some point these focused studies
will coalesce into broader discussions leading to more generalized conclusions.
For the moment, however, the essay collection remains the most significant
means for the dissemination of research. Two essay collections in particular
demonstrate the very promising new approaches to research into sex, gender, and
sexuality in the twenty-first century. In A Cultural History of the Human Body
in the Renaissance (2010), Katherine Crawford provides a chapter that offers
redirection from the perspectives of Foucault. She points back to the important
role of classical literature, mediated by Christian values, in the formation of
beliefs about sexuality and marriage, and classical medical literature which
defined the sexed body. In A Cultural History of Sexuality edited by Bette
Talvacchia (2011), nine essays address a wide variety of questions about
Renaissance sexuality as they emerge from diverse sources. Essays focus on the
troubled categories of heterosexuality and homosexuality, and sex with respect
to religion, medicine, popular beliefs, prostitution, and erotica.
Collectively, this collection opens wide the possibilities in the study of sex,
gender, and sexuality.Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy 7In order
best to demonstrate how recent work has reshaped and advanced the field of sex,
gender, and sexuality in Renaissance Italy, we have organized the essays of
this collection into three sections. The first, “Sex, Order, and Disorder,”
deals primarily with issues relating to legal and political themes, and
particularly with efforts by authorities both political and ecclesiastical to
channel or control sexuality. The second section, “Sense and Sensuality in Sex
and Gender,” highlights recent work that has taken some of the turns that are
rewriting historical narratives generally, above all histories of the senses,
of the emotions, and of food. The third section, “Visualizing Sexuality in Word
and Image,” considers how we work with early modern f luidity around identities
and boundaries, and whether we might now be more restrictive than they were in
categories that we bring to our analysis.Sex, Order, and Disorder One of the
most obvious sites of sex and disorder in Renaissance Italy surely lies with
the buying and selling of women’s bodies. Burckhardt’s perspective that
courtesans were elegant, intellectual companions, surviving more on sexual
titillation than selling their bodies, has endured, despite the inf luence of
feminist research. In particular, Veronica Franco was seen as an elegant,
ideal, and appropriate companion for Renaissance princes.1 Much research on
courtesans has focused on Franco and her courtesan sisters. It highlights the
courtesan’s learning, ability to write poetry and sing pleasing songs, and,
most importantly, to entertain men while avoiding becoming common sexual
property and losing their allure and their living. Tessa Storey adheres to the
older view, assessing the social status of courtesans, suggesting that they
were linked to “elite manhood and male honor,” idealizing the relationships
between clients and courtesans who were certain that proximity to powerful men
would protect them.2 However, the other side of courtesan life was a precarious
one of dependence and fear of falling into common prostitution. Social and
criminal vulnerability highlights the lives of all prostitutes, include high
status courtesans. Even Veronica Franco was called before the courts to account
for her behavior. More vulnerable courtesans and prostitutes lived
precariously, prey to men of all sorts, accosted in the streets, and struggling
to support themselves and maintain their dignity. The records of their
appearances before the courts reveals they often managed without protectors or
financial security. 3 Early on Elizabeth Cohen examined the rough and ready
life of prostitutes on the streets of Rome, revealing a form of sociability and
social integration.4 Diane Yvonne Ghirardo brings an innovative approach to the
role and experience of urban prostitutes. She examines urban planning in
Ferrara, revealing the city’s ongoing attempts over decades to maintain
prostitutes in the same locales.5 Focusing on the economics of prostitution in
Venice, Paula Clarke finds that regulation of prostitution became less rigorous
over time, with women experiencing more freedom and the concomitant growth of
the sex trade.68Jacqueline Murray and Nicholas TerpstraGuido Ruggiero opens the
section “Sex, Order, and Disorder” in this collection with a broader approach
to order and disorder in sexuality. He offers a rereading of Boccaccio’s
often-studied story from the Decameron of Griselda, a woman who patiently
endures the series of humiliations that her husband Gualtieri devises in order
to test her faithfulness. The critics and creative artists who have puzzled
over the tale and its meaning for centuries have focused mainly on Griselda and
on issues of class and gender. Ruggiero moves a step further to ask how those
who heard it in the fourteenth century might have received it as a political
message. Gualtieri is not only a cruel husband. His willingness to be cruel and
unjust to his spouse Griselda highlights the dangers that all may encounter
when societies fall under the control of rulers who are narcissistic, vain, and
insecure. Florentines could look around to other cities where lords treated
citizens as Gualtieri treated Griselda; sexual and political violence were
interchangeable and marriages were contracted for money rather than love. There
was no reason to suppose that Florence would be exempted from that kind of
cruelty and exploitation. The Griselda story offered the lessons of a Mirror
for Princes, but it was also a Mirror for Merchants, warning them of what would
happen when love did not animate their closest personal relationships. What
Boccaccio warned the Florentines about in the fourteenth century was precisely
what the Sienese were experiencing in the sixteenth. Elena Brizio observes that
sexual violence remained common across Italy. Men used it as a tool to control
girls, boys, married women, and widows. In the context of the wars of the
1550s, when Florence annexed Siena, its political “use” expanded greatly. Sexual
violence was a means of imposing or confirming power over subordinates, and men
across the political, ecclesiastical, mercantile, and professional spheres
considered sexual violence a legitimate mode of operating in their social
sphere, and so exercised it freely. In contrast to what Boccaccio described,
the absolute ruler who came to dominate mid-sixteenth-century Siena positioned
himself on the opposite side of the dynamic. Duke Cosimo I de’ Medici
proclaimed strict punishments for sexual violence against both men and women in
a law of 1558, threatening either death or galley servitude for those
convicted. Brizio describes this setting and moves from metaphor to practice as
she reviews archival sources, judicial records, and public reports to see how sexual
violence was perceived before and after the law issued in 1558. Duke Cosimo I
was dealing with more than just a different political milieu, and Brizio also
explores whether the changes in the normative codes brought about by the
Council of Trent had an impact on social attitudes to sexual violence in Siena
and its locale. Normative codes were becoming more explicit and restrictive
across Italy in the sixteenth century, but did they have much actual effect?
Like Cohen, Ghirardo, and Clarke, Vanessa McCarthy and Nicholas Terpstra
document and analyze the sex trade in a particular city. Their focus is on
working-poor prostitutes’ residential patterns in early modern Bologna, and
they find that on the whole these women were integrated into, rather than pushed
to the margins of, their local neighborhoods and the wider city. Bologna’s
activist and ambitiousSex, gender, and sexuality in Renaissance Italy
9archbishop Gabriele Paleotti was rebuffed when he attempted to impose
Tridentine norms for public sexuality. The Bolognese instead approached
regulation as a matter of market rather than morals, allowing those prostitutes
registered with a civic magistracy to practice prostitution almost anywhere
within the city walls. While about half of the 300–400 women registered
clustered in specific, unofficial red-light neighborhoods, the other half lived
on streets with only one or two other registered prostitutes, where their
neighbors were more often workingpoor men and women. In spite of the strict
normative codes that continued to be preached and publicly posted by
ecclesiastical authorities, prostitutes were seldom actually shunned or
marginalized because of their sex work. They were more often incorporated into
the working-poor neighborhoods and the larger social fabric of early modern
Bologna. These tensions between norms and practice certainly intensified as
Tridentine rules became more specific, and as ecclesiastical and public regimes
worked to determine whether and how to implement them. In Rome, these authorities
came together in particularly complicated ways. Elizabeth Cohen explores how
they attempted to address and adjudicate the various forms of sexual
impropriety that their normative codes were describing in ever more precise
detail. Sexual misconduct came under the jurisdiction of ecclesiastical courts,
but the records of these courts do not survive in Rome. Criminal court records
do survive, however, and since these took charge of some sex offenses we can
see how people responded to the new rules. Cohen looks in particular at cases
of adultery, which was often defined by the married status of the woman and
which, like sodomy, could actually cover a broader range of actions than might
be grouped today under the term. Reviewing some trials of real or imagined adulterous
relationships, Cohen finds that it is impossible to determine how effective the
“reforms” actually were. There was simply more driving these relationships
forward than any narrow definition allows: romance, exploitation, assault, and
sheer comedy all shape the court testimonies, and show that the parties in many
so-called adulterous relationships were thinking less often of sex—or the
pope—than authorities thought.Sense and Sensuality in Sex and Gender The
possibilities for research on sense and sensuality in the Italian Renaissance
are myriad. The richness and abundance of voices, producing or employing
sensual outcomes, and the voices of desire and of sex and of pleasure combine
into a garden of delights. Here again, recent essay collections prove
particularly valuable for the variety of forms, voices, and experiences that
they are able to convey. In The Erotic Cultures of Renaissance Italy (2010)
Sara Matthews-Grieco gathers eight essays that ref lect upon the various ways
in which visions of sensuality could circulate, including on painted furniture,
decorated bedroom ceilings, or musical instruments, erotic language, or
pornographic engravings. So, too, cultural practices are explored such as
sensuality within marriage, music in domesticcontexts, and sexual innuendos in
writing or in doodles in a book. This collection, then, reveals how creative
Renaissance people could be in demonstrating desire and articulating their
sensual pleasures. Sexual orientation and sexual desire have also come under scrutiny.
A significant collection of essays edited by Melanie L. Marshall, Linda L.
Carroll, and Katherine A. McIver, Sexualities, Textualities, Art and Music in
Early Modern Italy (2014), brings together nine essays that explore sexual
desire and sexual orientation through multilayered and intersecting
interpretations of art, music, and texts. The result is an intriguing
collection of scholarship that maximizes opportunities for interdisciplinary,
collaborative research across the disciplines, as an outgrowth of work on
critical theory and intertextuality. In a more literary context, marriage
orations have revealed some writers not only praised marriage in conventional
terms for political ends, social expediency, and the delights of family.
Alongside extolling the pleasures of the marriage bed for a husband, some
extend that vision of sensuality and sexual pleasure to the wife as well,
challenging conventional notions that only prostitutes took pleasure in sex,
and not respectable matrons.7 The sensual possibilities of homosexual
activities, especially related to male prostitution, were part of Michael
Rocke’s study Forbidden Friendships. He argues that male prostitution was
harshly condemned, especially anal penetration, as something no adult man
should permit. Nevertheless, an examination of some contemporary writers
reveals an appreciation of homosexual sensuality along with defenses of sodomy
and male prostitution which harkened back to the superior evaluation of
homosexuality in classical literature.8 The role of pedagogical pederasty and
its celebration within Renaissance mentoring systems has equally been explored
in literary sources by Ian Moulton who demonstrates the currency of such
studies to both a popular and educated audience.9 These studies show that while
male sexuality has been visualized, both in the Renaissance, and by scholars of
the Renaissance, as virile and active, it was also vulnerable and contingent.
For example, castration was always a possibility in war, for medical reasons,
as a consequence of vendetta, or for social or aesthetic reasons.10 Impotence
also was part of male sexuality, with extensive social, economic, and political
ramifications. Some of these issues are explored in Sara F. Matthews-Grieco’s
edited volume Cuckoldry, Impotence and Adultery in Europe (15th–17th century)
(2014). Impotence could be implicated in social unrest among urban dwellers or
occasion political turmoil among the elites. It could be physiological, subject
to medical intervention, or magical leading towards the Inquisition and the
Renaissance’s fear of witchcraft. Six essays focus on various aspects of the
social, cultural, political, medicinal, and literary discussions of impotence
in Italian courts and cities, together providing an integrated and provocative
view of male sexuality and sensuality. The essays in this collection’s second
section, “Sense and Sensuality in Sex and Gender,” traverse back and forth
between literature and the lives of men and women. Our literary accounts span
what was formerly cast as the division ofhigh and low, including both
Castiglione’s serious prescriptions on when a sleeve is more than just a
sleeve, and also some more comic accounts by lesser-known poets of when a
sausage is more than a sausage. We pair these with two microhistorical accounts
of sexual pairings, one grown notorious in recent decades by the controversies
that erupted when it was first published, and the other more obscurely
quotidian. We aim in bringing them together to revisit what scholars may bring
to such accounts, and how that shapes our readings in ways we may want now to
rethink. In the first of these microhistorical studies, Patricia Simons
re-examines the case of Benedetta Carlini, the early seventeenth-century nun
and abbess described above and made famous in Judith Brown’s Immodest Acts
(1986). When Brown identified Carlini as a lesbian, on the basis of documents
that showed her as having regular orgasmic sex with a younger nun under her
supervision, her work stirred controversy. Historians like Rudolph Bell firmly
rejected the description of Carlini as “lesbian” on the basis that sexual
activities did not imply sexual identities. Simons takes the discussion a step
further, arguing that the question of identity is less important now than one
related to sense and emotion. Did they—and should we—see their sex as mainly
physical? Or were there registers of erotic mysticism that would have led both
Benedetta and Mea to frame their contact together as expressions of a spiritual
relationship? While some of their contemporaries, like some of ours, may see
their religious language as pretext, what happens when we take it seriously and
take them sincerely? As the example of their congregation’s patron saint St.
Catherine of Siena showed, medieval mysticism provided enough of a language and
model for the erotic potential of religious imagery. Thomas V. Cohen then
explores another example of when we need to ask whether a transgression is
always a transgression, by looking at the case of Ludovico Santa Croce, and the
gang he gathered around him to prowl the streets of Rome. The life lived well
needed witnesses for validation, and Ludovico’s ego amplified his other drives
as he led a group of young conversi to visit the statuesque courtesan Betta la
Magra. They shared food, drink, and more, and Ludovico’s boundary crossing
brought him to court. But what were his transgressions? Was it just proper and
improper sexual practices, was it individual intimacy moving to group sex, was
it about commoners and nobles, or about Christians and those who, despite
having been “made Christian” were still considered in some way ebrei ? If
transgression lies in in the eyes or voices of the witness, we have here a
complicated intersection of identities and codes, values and practices. The
questions here, as in Benedetta Carlini’s convent, lie with what those in the
bed and those around it thought about norms and deviances. Gerry Milligan
brings us to what many consider the uber code of the early modern male,
Baldassare Castiglione’s Book of the Courtier, the canonical text that we noted
at the beginning of this essay. Milligan looks in particular at the relation
Castiglione draws between clothing and masculinity. Clothing was fundamental to
Renaissance discourses of gender and sexuality. While it wascommon to read that
what men wore was critical to discussions of violence, military preparedness,
and virtue, it’s not at all clear just how clothing was supposed to do what it
did. Was it cause or effect, or sign and symbol of masculinity or effeminacy?
Castiglione saw clothing choice as potentially one of life or death, and that
not just for reputation alone. As Italy suffered through the invasions of
French, Spanish, and Germans, it was common, albeit perhaps too easy, to
correlate a soldier’s effectiveness to what he had worn. As Milligan asks,
might a focus on clothing show us how aesthetics and militarism functioned in
Renaissance projects of social control? Laura Giannetti then takes us from dead
seriousness to dietary satire with approaches to a question that Freud might
well have faced: is it ever the case that a sausage is just a sausage? Italians
valued word play as much as sexual play, and found the convergence of the two
absolutely compelling. Carne was meat, f lesh, and inevitably the male organ,
and while mendicant preachers may have condemned all of them together, most
Italians appreciated them individually for each of their meanings. Religious
authorities never managed to expand the imaginative forms of their dismay at
the gluttony and carnality that sausages represented; the most they could do
was draw on Galen’s counsel of moderation to reinforce their message of
self-denial. Yet Gianetti shows that authors and artists who were more
aesthetically than ascetically driven began to explore the imaginative
potential of sausages as symbols of vitality, fertility, and prowess. Their
poems and stories disseminated messages of a humble meat that grew into a
powerful cultural symbol.Visualizing sexuality in word and image As early as 1978,
Thomas G. Benedek’s article “Beliefs about Human Sexual Function” examined
ideas about the sexed body, noting in particular the persistence of the one-sex
theory that women and men had parallel sex organs, with the male organs
externalized and female organs internalized. Moreover, the balance of the
humors—hot, cold, moist, dry—also impacted the nature of any individual’s
sexual makeup. Thomas Laqueur, like previous scholars, based much of his
argument on medical texts. It was not only the words, but also the images that
seemed to portray inverted genitals. Laqueur’s analysis went further, however,
to the conclusion that the one-sex body and the humors meant that both women
and men needed to ejaculate semen for conception to occur.11 Laqueur’s
suggestion that Renaissance doctors and others believed in the two-seed theory
was controversial and stimulated a great deal of scholarship on both science
and medicine and gender and the body. Interest in the sexed body and the
physicality of sex and sexuality has continued to expand, embedding medical
perspectives of the sexed body into a cultural context. In her study The Sex of
Men (2011), Patricia Simons extended the critical study of men’s history to
focus on the physiological construction of men. Her analysis is based upon
exhaustive, interdisciplinary research includingtheoretical, textual, and
visual evidence. Simons re-focuses attention on the centrality of semen to
masculinity and fertility, thus rebalancing the dominant phallocentric
evaluation of premodern gender. Sexual acts and sexual pleasure have embraced
topics and methodologies that would have been unthinkable by earlier scholars.
The collection Sex Acts in Early Modern Italy (2010), edited by Allison Levy,
includes an amazing array of topics that illuminate sexual activities in new
detail. Renaissance images and objects portray an imaginative array of sexual
positions in sources, both textual and physical, ranging from Aretino’s writing
on sexual positions to their portrayal on medicinal drug jars. Patricia Simons
pushes the cultural history of sex and sexuality further in her essay about the
dildo. An analysis of the physical objects is set against descriptions of their
imagined use. Renaissance books were sufficiently explicit, however, that the
need for visualization was unnecessary. In Machiavelli in Love (2007), Guido
Ruggiero challenges some of the fundamental ideas about the history of sex and
sexuality proposed by Foucault and which have subsequently dominated research.
Rejecting Foucault’s assertion that sex and sexual identity were modern
inventions, Ruggiero demonstrates that in fact there was Renaissance sex and
Renaissance sexual identity, dismissing earlier theoretical obstructions. Using
a combination of court documents and imaginative literature, he highlights the
complexities of mind, body, and desire, and the formation of masculine
identity. In many ways, this book moves the historical study of premodern
sexuality onto a new and more sophisticated plane, one that reveals individuals
in their uniqueness. In The Manly Masquerade (2003), Valeria Finucci presented
one of the earliest analyses of Renaissance men as an inf lected category
deploying not only feminist theory but also psychoanalytic theory to understand
the constructions of masculinity from both a psychological and cultural
perspective. One of the most violent and sexually problematic figures of
Renaissance Italy was the brilliant goldsmith/artist Benvenuto Cellini.
Margaret Gallucci presents a new twist to traditional biography by integrating
a multidisciplinary analysis of Cellini, his artistic brilliance, his penchant
for violence and disorderliness, and his transgressive homosexuality that was
sufficiently public to result in criminal proceedings and house arrest.
Following new literary criticism and sexuality and gender studies, Gallucci
tries to move beyond simplistic evaluations of homosexuality and misogyny to
make sense of Cellini’s complex artistic life and disorderly behaviors.12 The
third section of this collection, “Visualizing Sexuality in Word and Image,”
takes up these questions of sex acts, the body, and identity by focusing on
four cases of creative artists who employ sexuality and gender in ways that
challenge social norms and expectations, and that raise questions both then and
now about identity and voice. James M. Saslow returns to the questions around
sexual acts and sexual identities that emerged in disputes around the “lesbian”
nun Benedetta Carlini, and to which Castiglione’s sartorial strictures allude.
He argues that the case of Italian painter Gianantonio Bazzi (1477–1549)
contributesto the larger ongoing controversy in queer studies over whether we
can locate an embryonic homosexual self-consciousness in Renaissance culture.
Bazzi’s fondness for young men gave him the nickname “Il Sodoma” and he never
shied away from making this a central part of a very public persona. We have
little documentary evidence for his private feelings, yet his art embodied and
transmitted homosexual desires, and it is clear from the series of commissions
that he attracted an audience which read and sympathized with those clues.
Saslow reviews Sodoma’s artworks, patrons, and reputation over a few centuries
and ref lects on what the larger stakes are both methodologically and ideologically
as we weigh whether these do indeed provide sufficient evidence for a
homosexual self-consciousness. Sexual agency and identity are complex enough
when we are aiming to interpret what an individual says in a court room or
inquisitorial investigation, or conveys in a painting or poem. What do we do
when men pretend to adopt the voice of women and project desire, intent, and
agency? Ian Frederick Moulton compares two such works, Pietro Aretino’s
Ragionamenti and Alessandro Piccolomini’s La Raffaella, both of them written in
the 1530s, and both featuring an experienced woman mentoring a younger woman on
the finer points of sex and sexuality. In both, the older woman assures her
younger companion that her desires are legitimate and should be acted on to the
fullest, even when transgressive. In both these desires are essentially
projections of male fantasies. Moulton explores what we learn from male
projections of female speech, identity, agency, and particularly how male
visualization and ventriloquizing exposes larger issues around the place of
women and the articulation of sex and gender in early modern society. While we
often emphasize the transformative effects of printing, early modern culture
continued to value the oral and visual, and it brought these together in the
art of memory. Sergius Kodera reaches back to classical texts that recommended
erotic images as particularly memorable, and to the early modern author Giovan
Battista della Porta’s L’arte del ricordare (1566) which specifically advised stories
of sex between humans and animals as aides memoires. Myths of Leda, Europe,
Ganymede, and others were all drawn into this work, though more overtly in the
vernacular than the Latin version. Kodera follows this visualization of
intercourse between humans and animals beyond the arts of memory and on to
texts on cross-breeding and to the paintings of Raphael, Michelangelo, and
Titian, seeing all of these as examples of a distinctively early modern embrace
of variety, engagement, and hybridity in sexuality. In the final essay, Jane
Tylus traces how Torquato Tasso depicted women in both the Gerusalemme liberata
(1581) and the Gerusalemme conquistata (1593). While he felt that his powers as
an epic poet were expanding, the later work reduces the role and influence of
female characters. The shift underscores how the Liberata was more radical in
its conception and execution. As he aimed to style himself more
self-consciously as an epic poet in the classical tradition, Tasso moved from
Virgil to Homer as his model, a move at once stylistic and also insome sense
moralistic – he saw this as an answer to criticism of his language and of what
he called the “fallacious artistries” that had marked the earlier poem. Gender
become critical to his conception of what is true in art, though with
ambivalent results – the woman who intervened with power was superseded by the
woman who intervened with tears. These essays explore themes that were only
emerging two decades ago. Their authors’ commitment to taking both an interdisciplinary
and intersectional approach allows re-evaluation of interpretations which were
in danger of becoming too rigid and which may have imposed too much on what the
voices in stories, trials, letters, and images were aiming to express.
Contradiction, ambivalence, and ambiguity abound. Recent work in all three
areas that we have singled out has explored just how widely the gaps between
prescription and reality yawn in the period, in part because of ambivalence on
the part of those promoting normative regimes. Yet gaps more often emerged
because these regimes aimed too far beyond what people expected and were
willing to live with in their neighborhoods, their relationships, and
expectations. As we move forward undoubtedly there will be new insights gleaned
about the lives and loves of Renaissance people. The intellectual and
evidential foundation outlined here in letters, court records, poems,
pamphlets, and artworks will continue to support a rich and diverse research
culture. And there are new questions on the horizon. The literary,
philosophical, artistic, and existential implications of transgender are only
in a nascent stage of investigation, despite the initial and hesitant foray
made in Human Sexuality. Some topics and themes will percolate until new sources
and new perspectives allow new insights and conclusions. As the study of sex,
gender, and sexuality moves forward, the dialogue between past and present will
continue, animated by sharp disagreements, punctuated by moments of clarity,
and moving steadily towards a deeper understanding of lives lived in a period
of creative foment. The voices gathered here, and the creative exchange they
offer, advance that discourse on the lives of those who made the Renaissance a
fascinating period of critical change.Notes 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
12Rosenthal, The Honest Courtesan. Storey, “Courtesan Culture.” Cohen and
Cohen, Words and Deeds in Renaissance Rome. Cohen, “Seen and Known.” Ghirardo,
“The Topography of Prostitution in Renaissance Ferrara.” Clarke, “The Business
of Prostitution in Early Renaissance Venice.” D’Elia, “Marriage, Sexual
Pleasure, and Learned Brides in the Wedding Orations of Fifteenth-Century
Italy.” Rocke, “‘Whoorish boyes.’” Moulton, “Homoeroticism in La cazzaria
(1525).” See Finucci, The Manly Masquerade. Laqueur, Making Sex. Gallucci,
Benvenuto Cellini.Bibliography Benedek, Thomas G. “Beliefs about Human Sexual
Function in the Middle Ages and Renaissance.” In Human Sexuality in the Middle
Ages and Renaissance. Edited by Douglas Radcliff-Umstead, 97–119. Pittsburgh:
Center for Medieval and Renaissance Studies, 1978. Boswell, John. Christianity,
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Renaissance. Oxford: Berg, 2011.PART ISex, Order, and Disorder2 THE LORD WHO
REJECTED LOVE, OR THE GRISELDA STORY (X, 10) RECONSIDERED YET AGAIN Guido
RuggieroOne of the last works that Francesco Petrarch wrote was a short story
in Latin which he claimed to have translated from the Italian of the final tale
of Boccaccio’s Decameron —the novella of the patient Griselda, who accepted
every cruel test her husband, Gualtieri, tried her with to assure her
worthiness as a wife. In Petrarch’s version Griselda was a humble peasant and
Gualtieri the esteemed Marquis of Saluzzo, a prince loved by all for his wise
rule. Tellingly, he claimed that he was translating the tale because it was so
very useful as a lesson on how to treat a wife that it needed to be in Latin to
gain the wider circulation that the universal language of learned men merited.
And, in fact, Boccaccio’s original version has been long read in that light,
almost as if Petrarch’s Latin retelling determined its meaning for future
generations. Recently, moreover, with more sophisticated discussions of gender,
his perspective has garnered even greater purchase, with Boccaccio’s tale being
criticized for its misogynistic vision of matrimony and support for a husband’s
absolute power over a wife. In turn, this perspective has even colored the way
some read the Decameron itself, discovering behind its laughing stories and
powerful, clever women a conservative defense of traditional patriarchy. But in
this essay, I want to suggest with a historian’s eye that the story of
Griselda’s ideal wifely qualities and her husband’s wisdom is in reality not
there in the Decameron (X, 10). For while that tale has been often read as an
account of Griselda, and her virtually biblical acceptance of her husband’s
will, it may well have read at the time as a story much more about the many
negative qualities of Gualtieri.1 For he is presented throughout as a dangerous
tyrant moved by a misguided sense of honor and a rejection of the emotion of
love, which meant that he was incapable of being either a good husband or a
good ruler from the perspective of fourteenth-century Florentine readers. Thus,
this tale is not just concerned with love and marriage, but also crucially with
rule and the rule of princes, in this casenegatively portrayed as tyrants. In a
way, then, I want to argue that it is Boccaccio’s “The Prince” a century and a
half before Machiavelli. Even the language of the day nicely sets up this
theme: for the term signore (lord) had multiple meanings that could span the
gamut of power relationships from the everyday husband as signore/lord over his
wife and household, to the local signore/lord/noble with power over those below
him, on to the signore/lord/ ruler (either a prince or a tyrant depending on
one’s perspective), and, of course, finally on to the ultimate signore, the
Signore/God. As we shall see, all these meanings are at play in Boccaccio’s
version of this tale. The teller of this story of multiple signori, the
irrepressible Dioneo, suggests its negative tone right from the start,
immediately warning that he finds Gualtieri’s behavior in general and towards
his wife “beastly.”2 He states f latly, “I want to speak about a Marquis, not
all that magnificent, but actually an idiotic beast. . . . In fact, I
would not suggest that anyone follow his example. . . .”3 This,
obviously, is hardly the wise prince Petrarch created in his supposed
translation of the tale. Dioneo then more subtly attacks him as a ruler
(signore), remarking that he was a young man who spent all his time “in hawking
and hunting and in nothing else.”4 Here we have echoes of an earlier tale in
the Decameron, the third tale of day two, about spendthrift Florentine youths
who threw away the riches left them by their aristocratic father by living the
thoughtless life of young nobles hunting, hawking, and living like signori.5
Significantly, those Florentine youths, after they lost their inherited
fortune, regained it by going to England and loaning money at interest to the
apparently even more foolish signori there, the English nobility, like many
Florentine bankers.6 Yet quickly they squandered their riches again, because,
as the story stresses, they returned to living like signori, eschewing the
virtù that made their Florentine merchant/banker contemporaries so successful.
What, one might well ask, was this virtù that had allowed them to remake their
fortune and that repeatedly brings success to the denizens of Boccaccio’s
tales? At one level the answer is simple. For Boccaccio’s contemporaries virtù
was a term that identified the range of behaviors that allowed one to succeed
and made one person superior to another. Simply put, it marked out the best.
But the simplicity of that definition quickly dissolves before the fact that
largely because it was such a telling term its meaning was highly contested and
f luid, in fact changing considerably over time, place, and across social
divides. Speaking very broadly, in an earlier warrior society many saw virtù in
aggression, direct action, often violent; and in physical strength, blood line,
and blood itself, even as at the same time moralists and philosophers often saw
it in more Christian behavior that rejected violence and aggression. In the
cities of northern Italy in the fourteenth century this traditional vision of
virtù was first expanded, then increasingly overshadowed by a vision more
suited to the urban life of the day and newer merchant/banker elites. For many
at the time, virtù required the control of passions—in contrast to an earlier
vision that privileged their moredirect expression—and included a strong lean
towards peaceful, mannered conduct that required reasonable, calculating (at
times sliding into cunning) behavior that controlled the present and
significantly the future as well.7 In sum, virtù, even as it was contested and
changed over time, was a word of power that helped to define an urban male
citizen and a truly good man. In the end, however, these youths were saved from
their un-virtù -ous behavior by a virtù -ous nephew, Alessandro, who first
re-established their fortunes via once again astute money-lending, and then
with his virtù won a bride who turned out to be the daughter of the king of
England, effectively overcoming all their foolish misdeeds. From this
perspective, it is clear that the signore Gualtieri, much like Alessandro’s
uncles, was not a virtù -ous or good prince, ruling as he should. Rather, by
not attending to anything but his own youthful pleasures, he was acting in a
way that Florentines would have easily associated with their fears about
contemporary signori/tyrants; for such rulers were seen by them as ruling all
too often merely to serve their own whims and selfish pleasures at the expense
of their subjects. And, in fact, proudly republican Florence had recently in
1342 experienced a brush with a signore/tyrant of its own, Walter of Brienne.
He had been appointed to a one-year term as ruler of the city in the hope that
he would be able to overcome an economic crisis caused by the failure of the
major banking houses of the city. But, as was often the case, he quickly
attempted to take power permanently as a signore and was just as quickly thrown
out after only ten months of unpopular rule. Almost immediately afterwards, a
popular government returned to power, and it remained wary of signori of any
type.8 Significantly, however, most Anglophone critics have failed to note that
the Italian for Walter is Gualtieri and thus that Florence had thrown out a
tyrannical Gualtieri of their own just a decade before Boccaccio completed the
Decameron. Tellingly the negative behaviors often associated with contemporary
tyrants are immediately linked to the tale’s Gualtieri and his marriage by
Dioneo, who notes that not only did he not pay attention to anything else but
his own selfish pleasures, he “had no interest in either taking a wife or
having children. . . .”9 This, then, had created problems with his
subjects. As they, like all good subjects, wanted him to take on the
responsibilities of a mature male and ruler by marrying; for marriage was seen
at the time as perhaps the most important sign of reaching full maturity and
taking on the sober responsibilities of an adult male.10 Moreover, with
marriage, a prince began to produce the heirs that would secure an ordered
passage of power at his death, something that for his subjects was crucial.
With Gualtieri’s rejection of this, in essence Dioneo had presented his readers
with a questionable signore/lord/ruler who refused to give up his youthful and
irresponsible ways to rule as an adult prince with virtù.11 In the end, then, although
he reluctantly gave in to his subjects’ demands, he decided to do so by taking
a bride without consulting with anyone. And once again this would have troubled
contemporaries. Arranged marriages were the norm in fourteenth-century
Florence and more widely and crucially theywere negotiated by parents or
relatives to secure broader family goals or, in the case of rulers, meaningful
alliances. The immature Gualtieri instead took his marriage personally in hand
to secure his selfish desires with no concern for his family, his subjects, or
even love. Moreover, his lack of love in selecting his bride also evoked the
negative presentation in Decameron stories of many unhappy marriages where the
lack of love had led to bad matches, especially for women. Repeatedly the tales
advocated avoiding this ill-fated situation by marrying for true love, exactly
what Gualtieri rejected. From his perspective marrying for love and loving his
wife would have endangered his un-virtù -ous life, focused on his own personal
pleasures. And at the same time, it would have also signaled the end of his
freedom from his responsibilities as a ruler and declare that he had acquiesced
in becoming the signore/prince that his subjects desired and that Petrarch had
rewritten him as being in his misleading supposed Latin translation of the
tale.12 Making his disgruntlement clear, Gualtieri finally did knuckle under to
his subjects’ demands, but warned them that whoever he might chose, they must
honor her as their lady or feel his anger.13 The reality behind that warning
was soon dramatically revealed.14 For Gualtieri had for some time been
observing a pretty, well-mannered peasant girl who lived nearby. Yet crucially
what made her most attractive to Gualtieri was the fact that as a humble peasant
he was confident that he could dominate her so that she did not interfere with
his youthful lordly pleasures, the selfish key to his marital strategy again.15
Following Gualtieri’s misplaced desires, we are drawn ever deeper into the dark
morass of unhappy marriages in the Decameron. Having selected his bride without
disclosing her identity to anyone and without her even being aware of it, he
insisted that his subjects come with him to celebrate the matrimony. And so it
was that one day they followed him to an unlikely nearby village where the
peasant girl, Griselda, lived in poverty with her father. The scene is nicely
set by the narrator of the tale Dioneo, as he describes how the richly attired
relatives of Gualtieri and his most important subjects arrived on horseback
before Griselda’s humble hut. When she, dressed in rags, rushed onto the scene,
anxious to see who their lord’s new bride would be, to everyone’s surprise
Gualtieri called down to her by name to ask to speak with her father. She replied
modestly that he was inside and accompanied him in to the peasant hut to talk
with her father, Giannucole.16 Even her father’s name reeked of Griselda’s
humble status, for Giannucole is the diminutive for Giovanni. Using the
diminutive for an adult male, and a pater familias at that, essentially denied
him any status or honor. Gualtieri underlined the point when he did not waste
any time with niceties on a person who, given that lack of status, did not
warrant them from his perspective. Thus, he did not ask Griselda’s father for
her hand as simple politeness required; rather he announced that he had come to
marry her. Then, continuing in his high-handed ways, he turned to her and
demanded that if he took her for his wife, “will you always be committed to pleasing
me and never do or say anything that would upset me.”17 Once again the
absenceof love in Gualtieri’s approach to his future bride is stunning,
especially for the tales of the Decameron; and moreover, his lack of regard for
her father, and for her is deeply troubling. Turning to Florentine history and
traditions once more it seemed almost as if his way of treating Griselda and
her father echoed what the citizens of Florence most disliked in the
high-handed ways of local nobles/lords that they had rejected in the 1290s when
they passed their revered Ordinances of Justice. These laws were ostensibly
designed to punish local nobles and their ilk (labeled magnates) for just such
high-handed behavior and mistreatment of common folk. And these Ordinances had
become a symbolic keystone of Florentine republican government and its civic
vision and would remain so across the Rinascimento. In fact, one of the few
times that the Ordinances were questioned was when they were cancelled almost
immediately after Walter of Brienne, the other Gualtieri and would-be Signore
of Florence, was driven out. After he was expelled in 1343, the Ordinances were
momentarily cancelled by a short lived aristocratic government and then almost
immediately reinstated by the popular government that replaced both Gualtieri
and that unpopular aristocratic moment, as a strong reminder that the city
would not allow signori of any type to mistreat Florentines. And although
Gualtieri did not himself revoke the Ordinances, the black legends that grew up
around his rule often made him responsible for their momentary elimination and
an attack on popular republic government.18 All that this implies is underlined
by the famous marriage scene that follows, for Gualtieri, with his demands met,
takes Griselda by the hand and leads her from her home. There in front of the
whole group of his elegantly dressed subjects to their surprise and dismay he
ordered her stripped naked.19 He then had her re-dressed with the aristocratic
clothing and the rich accoutrements that made up a noble’s wardrobe and only
then consented to marry her. As often noted, this dramatic scene in its
undressing and re-dressing of his bride essentially symbolized and perhaps
contributed to the rebirth that Gualtieri believed he was engineering,
transforming Griselda from a humble peasant to a noble wife, using clothing as
both a symbol and a tool. And indeed, the tale goes on to point out how quickly
and successfully she impressed the gathering, appearing to take up easily the
manner and bearing of a princess in her new noble clothing. That impression was
confirmed in the days following, when, as Gualtieri’s wife, she displayed to
all impressive manners and wifely virtues. In sum, once redressed she was
capable of being transformed from a humble peasant to a noble princess—the very
stuff of fairy tales and popular fantasy. But it is also the very stuff of
Florentine beliefs at the time—the elite of the city had shifted from old noble
families to a newer merchant/banker group who dominated Florence both
economically and socially. Thus, a humble peasant who gained the opportunity
and the dress to move at the highest social levels was an attractive conceit,
demonstrating that anyone with virtù could behave as well as the old nobility.
From that perspective Griselda had that delicious quality of fulfilling
contemporary fantasies, even if many rich Florentines would havebeen comforted
perhaps by the fact that such a leap for someone of her status was highly
unlikely. Yet there is a way in which the dramatic stripping of Griselda—a
theme that would have great popularity in the future in literature and art—has
masked a deeper honor dynamic involved in this troubling marriage. In fact, the
tale’s Florentine audience would have been aware from the first that marriages
were virtually always moments when issues of honor were central. That was why
fathers usually played such a significant role in such affairs: they had, in
theory at least, the mature judgment to evaluate the complex calculus of family
honor involved in a marriage alliance between two families without letting
youthful emotions interfere. Unfortunately, from this perspective the young,
selfish, self-centered Gualtieri fell far short of this ideal, as the tale made
abundantly clear. Nonetheless, Gualtieri was aware of the honor dimensions of
his marriage and was anxious to resolve them in his own high-handed way.
Anticipating the resistance of his subjects to his marriage of a peasant and
its implications for the honor of all involved—a marriage that he saw as
serving his interests and not theirs—from the first he insisted that they
accept his choice and “honor” it and him as their ruler. And, of course, as
long as his misguided honor was a driving force replacing love in his approach
to marrying Griselda, it crippled the relationship and his ability to be a good
husband and suggested a similar situation vis-à-vis his subjects as a ruler
where love for his subjects was also lacking. Crucially in this way of seeing
things, his behavior evoked strong echoes of other husbands and princes in the
tales of the Decameron whose lives were destroyed by their misguided sense of
honor. In turn, such behavior echoed Florentine fears about the dangers of a
central/northern Italian world where it appeared—in many ways correctly—that
the days of republics like theirs were a thing of the past. They were being
rapidly replaced by the one-man rule of signori who claimed to be princes, but
more often than not seemed to Florentines to be self-serving tyrants like Gualtieri,
more concerned with their misguided honor and selfish pleasures than just rule.
Yet in the short term things seemed to be looking up for Gualtieri’s honor and
his marriage. Not only did Griselda win over his subjects, she soon became
pregnant and produced a daughter. But not long after the happy birth, the f
laws in his personality and his treatment of his wife began to reveal a deeper,
darker truth. Almost as if he feared to succumb to the success of his marriage,
he decided to test his wife to assure himself that she was ready to honor all
his lordly wishes, no matter how cruel and tyrannical they might be.
Significantly, however, he defended these tests to Griselda as a concern for
his honor, complaining that his subjects were murmuring about her lowly peasant
origins and the similar baseness of her daughter. In fact, his claim was
presented as false by Dioneo. Gualtieri’s honor was never questioned by his
subjects in this context; actually, they are portrayed as quite happy with his
bride, even as they were surprised by her success as a lady. Griselda, however,
accepted his false claims, and, as a result, unhappily understood the worries
about his honor thatwere supposedly tormenting Gualtieri. Thus, she replied
obediently as a subject to such a lord must: “My lord (Signor mio), do with me
what you will as whatever is best for your honor or contentment I will accept
. . .”20 (1239). Once again one wonders how this would have played
for Florentine republican readers, who saw in such one-man rule and unjust
claims of honor the essence of tyranny—the greatest danger to their own
republican values and way of life. And in the context of an unloving, unhappy
marriage, we are faced with a man and a relationship definitely gone wrong and
a poor wife whose suffering Florentines could feel.21 Things quickly go from
bad to worse. Evermore the tyrant, Gualtieri deceitfully uses his honor to
excuse his most outrageous demands on his wife/subject. First, he has a servant
take her daughter away. And making it clear that he is acting on the lord’s
orders, the servant implies that he has been instructed to kill the child. With
great sadness Griselda hands over her baby. Although Gualtieri is impressed by
her obedience and strength in the face of his horrible demand, nonetheless he
allows her and his subjects to believe that the child has been killed, while he
secretly sends it off to relatives in Bologna to be raised. Continuing his
testing of her, when she gives birth to a male child and heir, he once more
claims the child’s life, using again the excuse of fearing for his honor and
his rule. Woman, because you have made this male child, I cannot find any peace
with my subjects as they complain insistently that a grandson of Giannucole
will after me become their Signore, so I have decided that if I do not want to
be overthrown, I must do with him what I did to the other [child]. Moreover,
given all this [I must sooner or later] leave you and take another wife.22
Dioneo, however, makes it clear to his listeners that once again this claim is
false, noting that Gualtieri’s subjects were not complaining about the boy’s
humble background or the loss of honor it implied. In fact, he points out that
in the face of the apparent murder of both children, his subjects “strongly damned
him and held him to be a cruel man, while having great compassion for
Griselda.”23 Hardly the response of those anxious to see an unsuitable heir or
wife eliminated or those enthusiastic about their exemplary prince, as Petrarch
misleadingly portrayed him. Still, as her lord and their tyrant, both she and
they had no option but to bow down before his cruel will, yet another lesson
about the dangerous honor of lords and their potential for heavy-handed tyranny
that would not have been lost on republican Florence. So, the second child
joined the first in apparent death—while Griselda lived on sadly under the
shadow of her husband’s warning that eventually he would end the whole problem
of her humble birth besmirching his honor and threatening his rule by putting
her aside to take an honorable bride.
And finally, after twelve years Gualtieri decided that his daughter had grown
old enough to pass as his new bride; and it was time for the last tests of his
wife. Thus, he acted onhis earlier promise, informing her that he was ready to
dissolve their marriage in order to take a more suitable wife. Claiming that he
had secured a dispensation from the pope to put her aside, he gathered his
subjects together to make the announcement that he was sending her back to her
father and her humble life as a peasant. Evidently, he was not content to
continue his cruel testing of his wife in private; rather his cruel deeds had
to be displayed before his subjects. The power to rule and the honor it
required were at play and perhaps also a desire to warn his subjects that he
was their signore as well and capable of similar deeds to defend his honor and
assert his control over them. But considering what fourteenth-century
Florentines would have made of this new outrage is again suggestive; for almost
certainly they would have seen in this a cruel lord acting as a tyrant,
mistreating his most loyal subject in a way that no right-thinking republican
Florentine would ever accept—in sum Gualtieri was the model anti-prince.
Gualtieri announced, then, before his troubled subjects and the abject
Griselda, that he was renouncing her as his wife because in the past my
ancestors were great nobles and lords of these lands, where your ancestors were
always laborers (lavoratori ), I wish that you will no longer be my wife, but
rather that you return to the house of Giannucole . . . and I will
take another wife that I have found that pleases me and is befitting [to my
status].24 In sum, his ancestors were nobles and rulers and Griselda’s were
humble laborers; therefore, their marriage was unsuitable and he was literally
suffering the dishonor of being a lord badly married. The term “lavoratori ”
used to describe her ancestors, while it could be used as a synonym for a
peasant, may well have suggested something more troubling yet. The more normal
terminology for Griselda’s ancestors would have been contadini or villani,25
but by contrasting his nobility with her status as descended from lavoratori,
Gualtieri once again was asserting status claims that would have ruff led
Florentine feathers. For the people of Florence, who had fought so hard across
the thirteenth century to drive out high-handed nobles like Gualtieri, had done
so in the name of protecting the laborers of the city from just such high-handed
behavior. In fact, the Ordinances of Justice labeled such behavior as typical
of the nobility. And the Ordinances were celebrated as wise legislation
designed to discipline and punish the nobility and protect lavoratori from
their high-handed ways. Once again, the recent attempt to eliminate the
Ordinances in 1342 and the threat that posed to the laborers of the city would
have added weight to the negative valence of Gualtieri’s speech.26 All this
cruel testing of Griselda calls up echoes of another person often associated
with her and this tale, who had also suffered greatly under his lord, the
biblical Job. In fact, commentators have often pointed to the parallels
betweenGriselda’s patient suffering at the hands of her signore/lord/husband
and Job’s suffering at the hands of his Signore/Lord/God as a reason for seeing
her as an exemplary wife and loyal subject accepting her husband’s rightful
dominance, just as Petrarch later recreated her.27 There is an immediate
problem with this parallel, however, for Job’s Lord did not actually deal out
the setbacks that deeply wounded him. He merely withdrew his protection and
left the door open for Satan to attempt to destroy Job’s faith, ultimately
without success. From that perspective Gualtieri seems more to parallel Satan
than God. Despite that often-overlooked theological nicety, however, the God
(Signore) of the Old Testament who allowed the testing of Job might seem to
vaguely parallel at a higher level her lord (signore), Gualtieri’s, testing of
Griselda. But tellingly in the Trinitarian view of time being preached
aggressively in Florence when the Decameron was being written and as war loomed
with the papacy, that Old Testament God and His troubling relationship with
humanity following the original sin of Adam and Eve—often portrayed as
dishonoring that Signore —was seen by many as no longer the order of the day.
Christ’s love and his sacrificing of his honor to die as a common criminal to
save humanity was seen as inaugurating a new order and dispensation, a view
especially stressed by a powerful group of local preachers at the time. And the
Godliness of that new age, Boccaccio’s present, was totally alien to Gualtieri
and totally alien to his relationship with his wife and his subjects—for
crucially, he explicitly rejected love in favor of jealously protecting his
honor, much like the vengeful Lord of the Old Testament and nothing like the
God of Love of the New. In a work that over and over again stresses the
importance of love, love in marriage and in the best relationships between men
and women, Gualtieri becomes the cruel husband, the anti-prince, the tyrant par
excellence, and a ref lection of a relationship with the wrathful God of the
Old Testament that no longer obtained. And, of course, this last tale of the
Decameron is told by Dioneo—literally “Dio Neo,” the “new god” of love—who
makes it clear that he finds Gualtieri unsuitable as a husband, ruler, and most
certainly as any kind of a lover. But this was merely the prelude to his last
cruel testing of poor Griselda. For Gualtieri then demanded that she return to
prepare and oversee his wedding to his new bride. Once again Griselda accepted
this command. But significantly Dioneo insists on making a critical
clarification: Griselda accepted his cruel command not as a patient ex-wife or
as a loyal subject, but out of love for Gualtieri. He explains that she
accepted only because “she had not been able to put aside the love she felt for
him.”28 Thus she returned to the palace as a servant, to prepare the new
wedding for her beloved. Dioneo relates a number of humiliating moments in the
preparations and underlines once again their injustice by noting the deeply
troubled reactions of Gualtieri’s subjects to her abuse and their repeated
calls for a more just treatment of her. The humiliation comes to a head when
Gualtieri has his new bride brought to his palace for the wedding. Presenting
her to Griselda, he cruellytwists the knife of her humiliation in public again,
asking her opinion of his new lady. She answered, My lord . . . she
seems to me very good and if she is as intelligent as she is beautiful, as I
believe, I am certain that you ought to live with her as the most content
signore in the world. But still I would pray that those wounds that you gave
before to the earlier one [wife], you spare this one; because I doubt that she
could resist them, for she has been raised with great gentleness, whereas the
other was used to hardships from her childhood.29 Yes, Griselda has suffered
and finally even she has complained. Subtly, and without ever referring to
herself by name, she has pointed out finally the unjust nature of his rule over
her and by implication over his subjects. It would be satisfying to claim that
Griselda’s final faint demonstration of defiance caused Gualtieri to change his
ways, but Dioneo has already informed us that Gualtieri was ready to act even
before she spoke. Thus ignoring her comments, he declares: Griselda it is time
that you finally hear the fruit of your long patience and that those who have
held me to be cruel and unjust and bestial learn that it was all according to
plan, wishing to teach you how to be a wife and teach others how to pick and
keep a wife and [finally] to guarantee my peace as long as we would live
together.30 In the end, then, even Gualtieri admits that his lordly ways have
been cruel, unjust, and bestial, but he justifies them by claiming that he has
taught Griselda how to be a good wife. And many commentators, following
Petrarch, have taken this claim at face value, arguing that Gualtieri is the
demanding but just hero of the tale and Griselda the ideal wife fashioned by
his treatment of her. Yet, in fact, as the story makes clear over and over
again, his cruelty did not teach her anything. She came to him, as she has just
pointed out, already accustomed to suffering and accepting the hardships that
life brought her as a peasant. She was born into hardship and suffering and she
adapted quickly to her lord and his mistreatment because of her own inherent
peasant ability to suffer and lack of a sense of honor. Indeed, one would be
hard put to find a place where the tale or Dioneo suggest that she learned
anything from Gualtieri. And while the fourteenth-century Florentine readers of
this tale were more usually urban dwellers than peasants and thus theoretically
not as inured to hardship and suffering, they were proudly not nobles either,
and it is hard to imagine them accepting from local nobles the treatment that
Gualtieri dished out. Moreover, it is hard to imagine that they would have felt
sympathy for Gualtieri’s defense of his cruel ways, as they too would have been
unlikely to feel any need for such lessons from nobles or signori to learn the
patience necessary to survive as subjects (as they had recently demonstrated
throwing out their own Gualtieri) or for that matter even to survive as
wives.Actually, it might seem strange that finally after retaking Griselda as
his wife and explaining his whole plan to his subjects and her, the couple are
portrayed by Dioneo as living happily ever after. But providing an explanation
for that improbable happy ending is a startling and significant admission by
Gualtieri: for, as unlikely as it might seem, all his cruel tests have led him
finally to a crucial transformation— the decisive often overlooked climax of
the tale. He has finally discovered the emotion of love and has fallen in love
with his victim, Griselda. He confesses at the last: “I am your husband who
loves you more than anything and believe me when I say that there is no man
more content than I in his wife.”31 Crucially with that admission, and
Griselda’s ongoing love that survived his every cruelty, no longer is their
marriage simply an unhappy mismatch with a wife subject to her lord/husband
defending his misguided honor and selfish noble pleasures. Rather, now it is
exactly the kind of marriage that the Decameron advocates over and over again.
With love as its emotional base, the happy ending that the story, and the
Decameron itself, requires is possible and Gualtieri, his wife, and perhaps
even his subjects can live happily ever after—not a divine comedy perhaps but a
human one.32 For in the end Griselda survived a cruel lord, and with her
willingness to suffer and peasant patience, she, not he, for a moment at least
became the true teacher, teaching a tyrant who rejected love to love and to
become a true prince—in this she was perhaps more Christ-like than Job-like.
Let me suggest that by contemporary Florentine standards or those of the
imagined and real women listeners of Dioneo’s tale, Gualtieri’s mistreatment of
his wife was anything but a model of an ideal marriage until everything changed
with love at its conclusion, despite Petrarch’s claim to the contrary. In the
end, then, she was a victim, but in ways that many critics have had trouble
seeing. First, of course, at the hands of her cruel lord/husband. But also at
the hands of the would-be aristocrat and anti-republican Petrarch. For despite
his claims about what he saw as an ideal of marriage, he also retold her tale
in Latin to celebrate the honor of the often cruel signori—tyrants and
lords—that he cultivated for patronage and support far from the republican
Florence that claimed him at times with difficulty as an honored son. Still, in
the end she and love won out, a fitting conclusion to the new god of love,
Dioneo, and his tale, as well as to Boccaccio’s Decameron.Notes 1 I have used
for this tale and all citations from the Decameron the classic edition edited
by Vittorio Branca: Boccaccio, Decameron. In this reading that looks more
closely at the Marquis of Saluzzo, I am following the path breaking lead of
Barolini in her article “The Marquis of Saluzzo.” But I emphasize more a
Florentine perspective on the tale than Barolini and am less inclined to follow
her strategy of using game theory to explain what she labels as the Marquis’
beffa. I discovered after I wrote an early draft of this essay Barsella’s
excellent article “Tyranny and Obedience.” My account stresses more the marital
as well as the political side of the tale and looks more closely at the
Florentine political and social world of the day, while she offers a more
complete analysis of the ancient and medieval theoretical literature on
tyranny; but we both agree that the tale is more about Gualtieri as a tyrant
than about Griselda as a model wife.2 Decameron, 1233. “Beastly” often seems to
serve as code word or signal that the male so labelled has sexual appetites
that are “unnatural” by Boccaccio’s standards and hence like those of a beast. If
beastly is being used in that sense here, it would add another dimension to the
Marquis’ rejection of marriage and the love of women, one that Boccaccio
regularly paints in a negative light. Barolini provides an interesting
discussion of the term drawing similar conclusions but emphasizes its echoes of
Dante’s usage of the term, along with its classical and Aristotelian
dimension—a perspective that would undoubtedly have had its weight for learned
readers and listeners, but perhaps less for a broader audience at the time.
Barolini, “Marquis of Saluzzo,” 25–26. 3 Ibid., 1233; italics mine. 4 Ibid.,
1234. 5 The three are described as the young sons of a noble knight named
Tebaldo from either the Lamberti or the Agolanti families—both Ghibelline
families exiled from Florence in the late Middle Ages and thus suspect already
in fourteenth-century Florence with its strong Guelf tradition. 6 Although it
should be noted that the prospects of profits from loaning money to the English
had become less appetizing after the recent failure of Florentine banks in
1342, in part caused by the King of England’s reneging on his debts to them.
Actually, recent scholarship has argued that local bad loans in Tuscany and
debts built up in the ongoing wars in the region were more responsible for the
bank failures, but contemporary accounts tended to place a heavy emphasis on
the King of England’s actions—perhaps as a way to divert attention from the
more local issues involved. Barsella notes also this connection in “Tyranny and
Obedience,” 74–75. 7 Ruggiero, Machiavelli, 163–211. This vision of virtù and
its development across the Rinascimento in Italy is one of the central themes
of my effort to reinterpret the period in my book The Renaissance in Italy.
From this perspective, Boccaccio’s Decameron with its stress on virtù is a work
that fits more in the world of fourteenth-century Italy than as a work of
medieval literature as it is often characterized. Of course, many of his tales
have medieval sources and echoes, but significantly they are rewritten with a
very different set of values more characteristic of fourteenth-century Florence
and the city-states of central and northern Italy. 8 Walter (Gualtieri) of
Brienne actually makes an appearance in the Decameron in his own right as one
of the nine “lovers” of the Sultan of Babylon’s daughter, and a quite bloody
“lover” at that (II, 7). Boccaccio also wrote a quite uncomplimentary account
of his life in his De Casibus Virorum Illustrium, Lib. IX, cap. 24. 9
Decameron, 1234. Dioneo, however, does follow this comment with what appears to
be a compliment for this lack of desire to marry, “for which he was to be seen
as very wise” (1234). Yet what follows undercuts the force of this apparently
very traditional negative vision of marriage. And throughout the Decameron
Boccaccio seems to provide an unusual number of tales that see well-matched
marriages as positive and at least potentially happy. 10 For this see the
discussion in Ruggiero, Machiavelli, 24–6, 172–73 and Giannetti, Lelia’s Kiss,
18, 131–34. 11 While the character Gualtieri had the same name as the recent
Florentine would-be tyrant, this is not to argue that he was the only tyrant
being referred to in the tale. In actuality Florence was surrounded by
dangerous and aggressive tyrants who were capable of instilling fear in the
city even if they were not named Gualtieri. As often noted, the fourteenth
century, following in the footsteps of the thirteenth, was a period where
republics were losing out to tyrants everywhere and Florence found themselves
surrounded by aggressive signori on virtually all sides. 12 This lack of love
also played a significant role in his lack of a positive relationship with his
subjects, once again the micro-level of life, in this case marriage, reflecting
the macro-level of life, in this case Gualtieri’s rule. Both lacked love and
that stood literally at the heart of his negative consensus reality for his
subjects and for the Florentine readers of his tale. 13 Clearly with the
repetition of “insisting” and Gualtieri’s will, the tale is playing on will as
a dangerous source of sin when misplaced as it is in this case. Of course, will
from a1415 16 17 181920 2133theological perspective is the basis of all sin,
which in the end is merely willing to turn away from the good and ultimately
God. In this case Gualtieri might be seen as willfully turning away from love,
the good and God much like Satan turned away from love, the good and God in the
greatest rejection of all. At this moment in the tale with his willing misdeed,
it might be argued Gualtieri confirms his fallen state. Barolini suggests that
in these demands Gualtieri, unhappy with his subjects’ calls for his marriage,
is setting up a beffa at their expense—a very typical form of Florentine joke
that in this case punishes them for forcing him to marry against his will—and
the key to the beffa is forcing them in turn to accept the peasant wife that he
will pick unbeknownst to them. Although there is a logic to this perspective,
it seems more likely that contemporaries would have assumed the driving force
in his decision to take a peasant as a wife was his belief that she would have
to be totally subservient to him, something that Barolini stresses as well.
Decameron, 1235. Although the text is clear that Gualtieri entered the house
alone, the discussion between Gualtieri, the father, and Griselda requires that
she had entered as well. Perhaps it is significant that she is so humble that
her entering the house with Gualtieri does not require mention. Ibid., 1237.
The Ordinances of Justice were first passed in Florence on January 18, 1293 and
while their meaning at the time has been much debated, they became with time a
kind of civic monument to the ideal of Florence as a republic ruled by the
popolo without the interference of the traditional Tuscan rural nobility,
labeled magnates, who had once dominated the city. For the debate and the more
complex reality of the Ordinances and the magnates themselves see my
Renaissance, 77–82 and 94–97 and the overview of Najemy in A History of
Florence, 81–89, 92–95, 135–38, and for a more detailed study see Lansing, The
Florentine Magnates. Suggestively, Petrarch in his rather different retelling
of the tale, softens this act of prepotency and male power that once again here
strongly underlines Gualtieri’s cruelty and lack of required manners. He adds
the telling detail that Gualtieri had Griselda surrounded by women of honor
before she was stripped. Here we see how the tale could be changed to make it a
hymn to a wise and careful husband anxious to arrange the right kind of
marriage that would assure a matrimony that functioned as it should with the
husband in command and the woman subservient and obedient. But Dioneo’s careful
scripting of Gualtieri’s boorish and self-centered behavior in line with his
high-handed ways that evoke the psychological violence of the old nobility,
strongly suggest a very different vision of Gualtieri and his marriage—a
negative vision in line with many of the tales about the injustices of arranged
marriages in the Decameron. Decameron, 1239. One might note here that although
Griselda is clearly a victim, she is hardly a heroine as often claimed by
critics. There are in fact any number of actual female heroines in the
Decameron whose tales were constructed to show their virtù and ability to
control their own lives and virtually always their goal of winning a meaningful
love in life and often in marriage. Perhaps the best example of this, and a
virtual anti-Griselda tale, that gives the lie to Petrarch’s and later critics’
vision of Griselda as a model wife is the tale of Gilette of Narbonne (III, 9),
who empowered by love cures the king of France and overcoming a series of
seemingly impossible trials (typical of medieval lover’s tales and more normally
male knights) in the end thanks to her virtù wins the love of the man she
loves, her husband, Bertrand of Roussillon. In this tale he is also portrayed
as a cruel lord, but Gilette is anything but passive and takes her life in her
own hands to win out in the end—a model of what a woman can accomplish with
real virtù in the name of love. It is suggestive also that Gilette is an
upper-class non-noble from an urban setting not unlike the Florentine readers
of the Decameron and much more easily accepted as active and aggressive than
the humble peasant Griselda. Similar virtù overcoming a husband both cruel and
foolish is presented also in tale (II, 9) where a Genoese woman, who takes the
name Sigurano da Finale, passes as a male and flourishes in a series of adventures
thanks to her virtù and in the end recovers the love of the husband she loves
despite his murderous misdeeds.3422 23 24 2526 2728 29 30 31 32Guido
RuggieroDecameron, 1241. Ibid. Ibid., 1242–43. In fact, this is the only use of
the term in the tale, usually she and her father are referred to as poor and it
is noted that he is a swineherd not a laborer. The title of the tale refers to
her as “una figliuola d’un villano” and later when referring to her unexpected
virtù, her dress and by inference her status is referred to as “villesco”:
“l’alta vertù di costei nascosa sotto i poveri panni e sotto l’abito villesco.”
For this see Brucker, Florentine Politics, 114; Najemy, Florence, 135–37. On
the Ordinances see note 18 above. Branca actually points out the textual
parallels noting that in the story of Job I:20 he states “Nudus egressus sum
. . . nudus revertar” in reference to Griselda’s “ignuda m’aveste
. . . Io me n’andrò ignuda . . .” (1243). In the New Oxford
Annotated Bible, the famous lament of Job is rendered “Naked I came from my
mother’s womb, and naked I shall return; the Lord gave, and the Lord has taken
away; blessed be the name of the Lord” (Job I:20 [614]). Decameron, 1244–45.
Ibid., 1246. Ibid., 1247. Ibid. Critics have from time to time referred to the
Decameron as “The Human Comedy” playing on an apparent contrast with Dante’s
Divine Comedy, but I would suggest that Boccaccio’s comedy was more divine than
it might at first seem and Dante’s more human.Bibliography Barolini,
Teodolinda. “The Marquis of Saluzzo, or the Griselda Story Before It Was
Hijacked: Calculating Matrimonial Odds in the Decameron 10:10.” Mediaevalia 34
(2013): 23–55. Barsella, Susanna. “Tyranny and Obedience: A Political Reading
of the Tale of Gualtieri (Dec., X, 10).” Italianistica XLII, no. 2 (2013):
68–77. Boccaccio, Giovanni. Decameron. Edited by Vittorio Branca. Turin:
Einaudi, 1992. Brucker, Gene. Florentine Politics and Society 1343–1378.
Princeton, NJ: Princeton University Press, 1962. Giannetti, Laura. Lelia’s Kiss:
Imagining Gender, Sex, and Marriage in Italian Renaissance Comedy. Toronto:
University of Toronto Press, 2009. Lansing, Carol. The Florentine Magnates:
Lineage and Faction in a Medieval Commune. Princeton, NJ: Princeton University
Press, 1991. Najemy, John. A History of Florence, 1200–1575. Oxford: Blackwell,
2006. Ruggiero, Guido. Machiavelli in Love: Sex, Self, and Society in the
Italian Renaissance. Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 2007. ———.
The Renaissance in Italy: A Social and Cultural History of the Rinascimento.
New York: Cambridge University Press, 2015.3 SEXUAL VIOLENCE IN THE SIENESE
STATE BEFORE AND AFTER THE FALL OF THE REPUBLIC Elena BrizioSexual violence in
Renaissance and early modern Siena was widespread, barely manageable, and
apparently accepted, though not always legitimized, especially when it applied
to particular social classes. Both the nobility and the clergy considered it
their “right” to engage in behavior that underscored their social superiority.1
This included not only the use of weapons, but also brawls, thievery, private
vendettas, and sexual violence. Such behavior did not, however, pertain only to
them: commoners also forcefully imposed their brutality, sexuality, and
violence on less powerful victims who happened to be in the wrong place at the
wrong time, or whose only fault was their vulnerability. But not all victims,
whether male or female, endured violence passively. For everyone whose voice
was not heard, there were many others who, in spite of their age or sex,
protested the violence they had endured and described it in detail. Unlike
other Italian cities, medieval Siena did not have a single government office
charged with the social control of the population and the suppression of
behavior deemed to be unacceptable.2 This changed in 1460 when the government
established the office of the Otto di custodia (Eight in charge of Protection)
to oversee behavior and public health.3 After several changes to its name and
tasks, the office was abolished in 1541 by the Spanish protectorate, and then
reestablished in 1554 as the Ufficiali sopra la pace (Officers in charge of the
Peace) in order to settle citizen disputes and prosecute both blasphemy and
violence. Yet this incarnation was also short-lived, and the office was
abolished at the fall of the Republic in 1555.4 The administration of justice
was entrusted first to the Captain of the People (Capitano del popolo), and
then to the Captain of Justice (Capitano di giustizia), before being abolished
in 1481. Some of its tasks were entrusted to the Rota court in 1503, but in the
event the 1481 suppression was not definitive, and the Captain of Justice seems
to have recovered some functions in the first half ofthe sixteenth century. The
office of the Captain of Justice was formally revived when Duke Cosimo I de’
Medici issued an edict on the “Reformation of the Government of the City and
State of Siena.” in 1561, and it acquired criminal jurisdiction over the city
and the podesterie (the administrative structures into which the countryside
was organized).5 The Captain of Justice also gained those tasks previously
entrusted to the Criminal Judge (Giudice dei malefizi ),6 and functioned under
the supervision of the Governor (Governatore).7 The Governor was now the top official
in the new administration. He enjoyed “broad political and administrative
functions, supervised the public order, issued regulatory actions and had the
control of all sentences of tribunals.”8 All other magistrates lost their
jurisdiction over criminal lawsuits.9 These frequent changes to judicial
offices in Siena help us understand why documentation on crime is scattered
throughout many different archival collections and series. It is also
incomplete, because much material has been lost. As a result, it is not
possible to analyze the Sienese records in as thorough a social or statistical
way as it has been done for Florence.10 The preliminary analysis presented in
this essay—which uses Sienese documents for the years just before and after the
fall of the Republic (1555)—will serve to illustrate at least some cases of
violence at a time in Sienese history that, from the perspective of the history
of crime, still awaits detailed analysis. A preliminary analysis reveals just
the tip of the iceberg. One of the questions that arises from a first glance at
the documentation is why so much of the surviving documentation refers to
violence in the countryside and not in the city. Perhaps extra-judicial
agreements between the parties, reached in order to avoid denunciation, were
more common or widespread in the city. Or, perhaps, much of the documentation
for urban violence has not survived to the present day. In Siena, and
especially in the Sienese countryside already devastated by war, famine, and
other problems, Medicean legislation over criminal activities took a long time
to be applied and become the norm. One of the reasons for this was that the
countryside suffered from a very slow reconstruction process. It took not only
time, but a lot of effort, to erode and limit local authorities and personal
powers that, for decades after the fall of the republic, continued to impose a
social code that penalized those on the lower levels of the social scale.What
the law said The rubric on sexual violence in the last republican Sienese
statute (1545) followed medieval precedent and listed only adultery, rape, and
abduction, in that order, as crimes of violence.11 Sexual intercourse with a
married woman of whatever social rank or with an unmarried virgin was
punishable by the imposition of a financial penalty; abduction for the purpose
of sexual violence, on the other hand, was punishable by death. The definition
of sexual violence required that the abductor (raptor) marry the victim, if the
father or the senior male members of her family deemed it appropriate, or
alternatively that he provide her withSexual violence in the Sienese state 37a
dowry. If sexual violence was perpetrated against someone’s wife or daughter,
it damaged the honor of the husband and the family, so the culprit had to,
somehow, adequately restore that damaged honor.12 Sexual violence by men on
men, described in the statute as “a dreadful kind of violence that is used
against nature on men,” demanded that the rapist be jailed and pay a fine, but
if the rapist was over forty years old, he was to be burned at the stake.13 The
regulation in the Duchy of Florence was similar: in 1542 Duke Cosimo I revised
the law against “the nefarious, detestable, and abominable vice of sodomy” and
not only increased the fines but also imposed physical punishments and even the
death penalty on repeat offenders.14 Once Siena had been ceded by King Philip
II of Spain to the Medici in 1557 and incorporated into the duchy of Tuscany,
the 1558 revision of the Florentine law on sexual violence also applied to the
city. This revised law removed the fines and imposed only physical punishments
for “those who will use force and violence to women and men to satisfy their
sexual desire.”15 If the violence did not lead to an effusion of blood, the
culprit was to be sent to the galleys for a certain number of years to serve as
a chained rower; if, on the other hand, there had been an effusion of blood the
culprit was to be executed. The only exception allowed, and this only for
Florentine and Sienese citizens, was commuting the sentence to the galleys into
a jail term, but this only at the discretion of Duke Cosimo I. Such discretion
generally depended on the social rank, personal reputation, and family honor of
the culprit.The rape of women and young girls The new law was tested almost
immediately. “Since this case was of such manifest enormity, and the first
since the publication of Your Excellency’s last pronouncement against violence
on men and women”:16 so begins a letter by Orazio Camaiani (or Camaini),17 a
diligent official and Captain of Justice in the “New State” (Stato Nuovo) of
Siena, to Duke Cosimo I de’ Medici in the winter of 1559. Camaiani went on to
relate a case of attempted sexual violence against “a poor widow of Belforte” who,
on resisting her attacker, was hit by him so hard that she bled.18 Camaiani’s
information came not from first-hand observation, but from letters he had
received from the vicar of Belforte (fol. 13r), a small mountain-top hamlet
about 45 km west of Siena. It included all the necessary negative
requirements—night, loneliness, violence. The “poor widow,” who is never named
in the letter,19 had been assaulted during the night in her own home by two men
who entered on purpose in order to rape her; she resisted the attack, screamed
loudly, and was wounded in the head and face. Her attackers ran away without
succeeding in their intent. The widow did, however, recognize one of her
attackers, “a certain Terenzio Usinini, Sienese” (fol. 13r) and reported him.
The Captain of Justice thus knew for whom to look. The information was sent to
Duke Cosimo I, but what has survived is scattered and incomplete. It does,
however, point to the many cases of violence in a territory that was still
sufferingfrom the aftermath of the raids and devastations brought about by the
recent Florentine conquest of Siena (1552–59) and the republic’s difficult
process of submission to its new Florentine lord. We know very little about
Terenzio Usinini. There is no record of his having been baptized in Siena,20 so
we can assume that he was born and baptized in the countryside. He also does
not appear among the very few Usinini who held secondary appointments in
Sienese offices.21 His family pedigree or that fact that the family belonged to
one of the major political groups in Siena, the Monte of the Riformatori, were
of no help to him—in referring to Terenzio, the Captain of Justice noted that
“a worst name against a person cannot be heard in the entire town.”22 In fact,
Terenzio did not have a good reputation—after hearing that he had been accused
of attempted rape, other women in town went to the Captain of Justice to report
that he had raped them, too, or had attempted to do so. Terenzio managed to
escape arrest on this occasion, but his accomplice, a priest, was not as
fortunate—he was captured thanks to a peasant who tricked him with the help of
a woman who was priest’s former lover. The incomplete records do not tell us
what happened to either Terenzio or the priest. We can, however, determine that
Terenzio seems to have been a violent highborn individual who behaved as if he
were above the law and thought he could force his sexual desires upon
subordinate women. This may, in fact, be to a certain extent true because
Terenzio seems to have managed somehow to escape justice. While highborn locals
might have been able to get away with sexual violence and escape justice, the
sexual misbehavior of state officials, who were to uphold the legal system, was
more problematic, especially when such officials used their power to abuse
women and girls. Already in 1378, Pietro Averani from Asti, a district judge
was dismissed because he had used the power of his office (sub pretextu offitii
) to rape a young virgin girl living in Siena.23 In a case from 1554, a
community in the countryside asked the government in Siena to “immediately”
send another commissioner to replace the current one whose violence against
some local women was such that it was about to cause serious disorders. One
“young, respectable, and good” local woman even went to Siena herself and, in
tears, described to the magistrates how the said commissioner had come into her
house at night on the excuse of seeing how the soldiers had been billeted and
had started to lay his hands on her, at which point she had begun to scream and
he stopped.24 Though problematic, the sexual misbehavior of this representative
of the legal system seems to have elicited little more than a request for
removal from the post or relocation, and no actual physical punishment meted
out on the guilty party. We do not know whether this was the limit of what
plaintiffs could expect. In a different case, blasphemy was added to the charge
of attempted violence. This rendered the accusation much more dangerous because
blasphemy was considered an “open crime,” that is, clear and public. Angela
reported that Bastiano, the servant of the Bargello (that is, of the chief of
police), “on many occasions requested her honor from her.”25 After beating her
several times because sherefused, he entered her house while her husband was
away and tried to rape her, at which point she started screaming. After
threatening her, “he pointed the dagger at her throat saying ‘whore of God, if
you scream I will slaughter you,’” but she continued to scream and so he left.
The examples given so far point to a somewhat spontaneous, even impulsive
attempt on the part of the men to engage in sex with an unwilling woman. There
are also cases of carefully planned attempts. Agnoletto the Corsican, for
example, not knowing how other to seduce a young woman, did so by impersonating
a priest; “because he did not know how else to rape a young girl, he took the clothes
the archpriest wore during Lent and, dressed like him, started confessing her
in church.” This particular record continues by pointing out that Agnoletto
“raped many women and did other impudent things.”26 We have further examples of
premeditated rape. A notary reports that Pompeo di Giovanni from Monticello, a
45-year-old man, married and with two daughters, had engaged in “robberies,
rapes and, in general, all other sorts of abuses done and committed” including
“raping, together with other men, Iacoma the daughter of Filippo, his
relative,” and of “having prided himself for having entered through the roof
into Antonia di Censio’s house only to have sex with her and perhaps he did so,
and because there was no point in screaming she, for the sake of her honor,
kept quiet about it.” The notary continues his report with the comment that he
“will remain silent on what Pompeo did to certain poor young women who were
walking by” and then concludes by recording that Pompeo was eventually found
guilty of a long list of robberies and sentenced to the gallows.27 After the
Council of Trent (1545–63), a new detail enters into notarial descriptions of
sexual violence: some defendants now tried to justify themselves by explaining
that they had been tempted by the devil. In 1571, Sandro was accused of raping
five-year-old Santina in a wheat field and causing her to bleed from her
vagina.28 In his defense, Sandro told the Captain of Justice that when he went
in the field to “shout at some children doing some damage,” Santina and
Elisabetta came by. Sandro was then tempted by the devil to sit down and grab
the said Santina and put her on his lap, and having pulled out his tail [i.e.
penis] through the opening of his trousers, he inserted the second finger of
his right hand into Santina’s nature [i.e., vagina] and, having seen that it
could enter easily, took out his finger and started pointing his tail towards
her nature and, in so doing, he could have hurt her and she shouted one or two
times. Hearing the little girl scream, her uncle Domenico rushed to help her
and found her crying and “totally wrecked and bloody.” He hit Sandro with a bow
he had in his hands and moved him away from the girl. Sandro later confessed
that since he could not put his member inside Santina’s nature, he was about to
finish [i.e. ejaculate] between her thighs or in some other way as best hecould
because the devil grabbed him by the hair and he [Sandro] could not stop
himself, but the said Domenico stopped him. Sandro’s deposition claims that
when he was raping the girl he was not his own self, but was under the control
of the devil to the point that he was not physically able to do otherwise until
an external force, Domenico, interrupted him and stopped the devil’s control.
Referring directly to the 1558 law mentioned above, the Captain of Justice
pointed out that, in cases of violence with effusion of blood, the accused must
incur the death penalty. Perhaps to elicit a more merciful sentence, the
Captain of Justice described Sandro as “a young man between 25 and 30 years
old, a bachelor, and more a fool than a scoundrel.” The plea was
successful—Sandro was spared his life and received the lighter sentence of “two
or three years in the galleys.”A matter of honor, but whose honor? In a letter
of March 1524 to the government in Siena, Bartolomeo di Camillo, at that time
podestà (chief magistrate) of Sarteano, reported a disturbing case of rape: A
certain local man, Agnolo di Ipolito, entered into the house of a certain
Giovanni Baptista Tucci, a citizen of Siena, and found a daughter whose name is
Iuditta, who is around fourteen-years-old and not yet married, and violently
took her and because she did not consent, he started hitting her and eventually
he raped her by force so that he broke her nature. 29 Podestà Petrucci then
went on to say that: It seemed to me that, since I am in this town, for the
honor of your Excellencies first and for my own honor secondly, I had to bring
this shameful case to your attention so that it will not go unpunished.
Petrucci explained how he sent soldiers to Agnolo’s house to arrest him, but
the accused was defended by one of his brothers and other relatives, as well as
by the town’s priors. Because the victim’s father, Giovanni Baptista Tucci, was
a Sienese citizen, Sienese statutes applied and overrode Sarteano’s local
customs and statute (capitoli ). Petrucci thus assumed that he had the
authority, as podestà of Sarteano, to deal with the case, so “In a friendly
way, I let the Priori know that I did not want to bypass their local customs,
but I wanted [to uphold] my honor.” The situation quickly deteriorated and one
of Agnolo’s relatives fired “two rif le shots together with offensive words”
against the podestà. Another relative, Petrucci reports, “told me, answering
back, that if I would have gone to his house, he would have punched not only
me, but Christ himself.”Two days later, Petrucci reported that news of the rape
had reached one of the subordinate judges in his podestarial team, and that
this judge, together with some soldiers, went once again at Agnolo’s house to
arrest him. Agnolo’s uncle, Ser Giovanni di Gabriello, threatened them, saying
that if the judge tried to get in, he would throw bricks or stones at him. In
his report to Siena, Petrucci underlines the fact that “Your Excellencies know
that these actions are done against you, that in this place I am your delegate,
and that in order to preserve your honor I am ready to give my life.” Two days
after this, Cardinal Giovanni Piccolomini, archbishop of Siena, wrote from Rome
to the Sienese Concistoro (the lords and main officers) in support of Ser
Giovanni; perhaps as a way to show that Ser Giovanni enjoyed important
connections and patronage, or perhaps as an attempt to limit more severe
outcomes. “Because they had some other enmities [in town]” cardinal Piccolomini
informed the Concistoro, Ser Giovanni di Gabriello and his relatives did not
recognize, in the darkness of the night, the podestà ’s soldiers and so they
defended themselves. He added that Ser Giovanni “in a good-natured and simple
way used some inappropriate words” without realizing that he was speaking to
the podestà and his soldiers. Cardinal Piccolomini continued that he was
certain that the lords of Siena would recognize “the good faith of this country
town and in particular of the family and household of said Ser Giovanni who
have always been good servants of our city” and suggested that the lords “might
show all possible leniency.” A month later, podestà Petrucci happily wrote:
Magnificent, excellent and powerful lords [. . .] in order to carry
out what your Excellencies have ordered [. . .] I sent for Giovan
Baptista Tucci, his wife, and his daughter on the matter of what Agnolo di
Ipolito had done, and about the marriage that has to be contracted between
them.30 Clearly, the legal solution reached in this case of rape was for the
rapist to marry his victim. The records do not indicate what Iuditta, the
victim, might have thought of such a solution, or even what she felt about the
entire case. There is no trace of her in the reports or the letters. What is
ever-present, instead, is the matter of honor—the honor of Siena, of its
magistrates, and their delegate, of the town of Sarteano and its priors and
local statutes; of Agnolo’s family; of Tucci’s family; and of Iuditta’s own
self, which would now be restored through marriage with her assailant. In all
of this, the discourse is male while the female voice of Iuditta is completely
absent.The rape of young boys Rocco from Campiglia confessed under torture
that, while he was at home eating, a certain Curtio, a little boy around eight
years old, entered his house and asked him for something to eat; the said Rocco
grabbed him and laid him over a table and, having lifted his clothes, put his
tail [penis] between the boy’s butt cheeks with the intention of knowing him
carnally.The boy’s screams stopped Rocco from proceeding any further in the
attempted rape. Under questioning, Rocco admitted that “he did put [his penis]
between the boy’s thighs but then finished the job with his hands.”31 In light
of the accusation and confession, the Captain of Justice in 1571 asked not only
that the usual fine for such sodomitical activities to be levied on Rocco, but
also that he be given jail time on account of “the young age of the boy.” The
request for jail time may point to the Captain of Justice’s understanding of
the aggravating factor in the case (the boy’s tender age) and, perhaps, to his
personal feelings about it, but the bureaucratic language of the report does
not allow us to delve further into the case nor to understand more fully how
Rocco himself might have justified his aggression of Curtio. It does, however,
point to the risks and dangers that came with child poverty (Curtio entered the
house to ask for food) and the opportunistic behavior of men in the grip of
sexual impulses. The charges levelled a few years earlier in 1567 against
Giovanni, a 25-yearold man from Sinalunga, “strong and well-shaped,” were many
and varied.32 The records tell that that he was “in jail, indicted for having
carnally known a she-ass and also for having used the nefarious sin [sic] vice
of sodomy.” He was also accused of having sodomized Salvatore, a boy of “around
four or five years of age and of having broken his ass [sic] sex.” Salvatore
was not the only boy Giovanni had attempted to sodomize; he had done the same
to “another little boy [also named Giovanni] of the same age [as Salvatore] or
a little more”, but this boy managed to run away crying. Under “rather rigorous
torture,” Giovanni explained that he had found a she-ass along the way, moved
her off the public road and into a scrub where, he felt the need to mount her
and so, approaching her from the back, he put his member into her nature, but
because she did not stop moving and grazing, after having kept it there for a
little while, he pulled it out and climaxed as he did so. Giovanni also
confessed to having taken little Salvatore to a vineyard where, having lifted
his clothes, he directed his natural member into the boy’s ass [sic] sex, but
because the boy was small he could not insert it more than two fingers, and
because this was hurting the little boy, the boy started to struggle and scream
so Giovanni let him go and climaxed outside, and he did not notice that he had
broken the boy’s sex or caused an effusion of blood. An aunt of the little boy
declared, instead, that when little Salvatore came home “the blood was running
down his thighs and his ass [sic] sex was chapped.” Giovanni justified himself
saying that when they were in a barn he told the child “if you come here, I
will fuck you” and then added that “it is not true that he wanted to sodomize
him.” The records conclude that “in line with the statutesof this city, it does
not look as if Giovanni is subject to capital punishment,” even though blood
had been spilled, “but we could condemn him to the galleys, with the approval”
of the Governor. Aside from the various crimes listed in this deposition
(bestiality, sodomy, child abuse, physical violence causing bleeding), there is
an interesting idiosyncrasy in the records. The notary seems to have had second
thoughts about some of the words he was using and seems to have felt compelled
to attenuate the language; he did so by striking out some words and
substituting them with more neutral, though still very precise, terms. As a
result, “ass” became “sex” and “sin” became “vice.” While the first correction
suggests an attempt to use terminology that is less vulgar or vernacular in
favor of a more technical term, the second suggests the presence of a moral
consideration whereby the Christian concept of “sin” is replaced by the more
secular concept of “vice.” All the previous cases deal with sexual violence in
the countryside or smaller towns in the region. The only case of sexual
violence I have found in the city of Siena itself involved a young apprentice
working in a slaughterhouse in the district of Fontebranda.33 Ascanio accused
the butcher Lando, an associate of his employer Orlando, of having sodomized
him in the slaughterhouse and having beaten him for resisting. Ascanio
explained that it happened “in the workshop when we were going to stretch the
tallow in the workshop dais” (fol. 169v). When Ascanio turned down Lando’s
sexual request, Lando “took me by the arms, tore the lace off my leggings and
lowered them. Then he lowered my head, came into me from behind, and did his wicked
things [ poltronerie] to me, and once he had done them, he punched me twice in
the back.” Ascanio told the court that he informed his employer Orlando, who in
turn informed the shop boys working with Lando as well as other people.
Ascanio’s accusation was, however, undermined by his own admission that he had
already, on several occasions, been the passive partner in same-sex intercourse
with soldiers in Montalcino and with a soldier in Siena in the service of
Cornelio Bentivoglio (fol. 170v). In other words, Ascanio had previously been
sexually active with other men. Perhaps for this reason Lando did not suspect
at first that he had been arrested for having sodomized Ascanio, but thought,
instead, that he had been arrested for having beaten him (fol. 171r).
Questioned on the details of what happened in the slaughterhouse, Lando
reported that perhaps Ascanio had misinterpreted his joking words “what do you
think, come here I want to fuck you.” This led the judge to interrogate Ascanio
once again, this time with his hands tied. The youth once again declared that
“Lando started beating me and wanted to force me and he bent me over and
sodomized me” (fol. 172r), but this time Ascanio added that he did not resent
his having been beaten. Ascanio was then questioned a third time, this time in
front of Lando, who maintained his defensive line saying: “I told him jokingly
‘come here, I want to fuck you’ because he did not want to come.” Interrogated
again, Lando confirmed “I ordered him to bring the tallow and to stretch it up,
but I did not do anything with him nor with anyone else” (fol. 172v). Ascanio,
too, continued to affirm his own version of events pointingout that this
happened not only at Lando’s slaughterhouse, but once also at Fontebranda
(where Ascanio refused to go along with the attempted sodomy). When Lando kept
saying that the accusation was levelled at him because of the beating he had
given Ascanio, the latter asked the judge call other witnesses saying, “let the
shop boys come here and they will tell you what I told you” (fol. 173r). In the
end, Ascanio’s situation became quite complicated as he paradoxically changed
from being the accuser to being the accused. He was jailed (allegedly on
charges of sodomy), but on 25 December, in celebration of the Nativity, he was
pardoned and released “by decree of the lords” (fol. 173r).34 Several factors
worked against Ascanio. His position as an apprentice was perhaps too weak to
sustain the charges he levelled against a master butcher such as Lando, or to
raise doubts about the truth of Lando’s deposition. In a situation such as
this, the court seems to have given credence to the more senior and more
socially respectable individual. Similarly, the fact that Ascanio’s employer
failed to support him in his case must have raised suspicions. Lastly,
Ascanio’s admission of having previously engaged in same-sex intercourse with
soldiers both in Siena and in Montalcino worked against him. Although Ascanio
had the courage to denounce a superior for a sexual crime that was not
uncommon, his social status and his previous sexual encounters with men not
only placed his testimony in doubt, but actually served to find him guilty and
put him in jail.The clergy and violence After Siena fell to Florentine forces
in 1555 the Sienese government and part of the Sienese population moved to
Montalcino, a small town about 40 km due south of Siena, in a last attempt to
resist the conquest and preserve the centuriesold republic. Among the volumes
of deliberations that have survived from the “Republic of Siena retired in
Montalcino” (Repubblica di Siena ritirata in Montalcino) there is the
denunciation deposited by Mona Antilia di Andrea, a woman living in Castelnuovo
dell’Abate, in which she asks for justice for her eight-yearold son who, she
reports, has been “damaged” ( guasto) by the French friar Carlo who worked at
the ospedale (hospital or hospice) attached to the Olivetan abbey of
Sant’Antimo, in the plains just below Castelnuovo.35 The Sienese authorities
summoned the friar to appear in court within three days to defend himself
against the accusation that “he had had sodomitical intercourse with the said
young boy and had broken his ass” (“di havere fatto culifragio”). Because the
friar was French, the court decided to inform the French Marshal Blaise de
Lasseran-Massencome, seigneur de Monluc, who had commanded the French troops
during the defense of Siena and had then moved to Montalcino with the Sienese
government and exiles. A week later, Monluc was informed that the friar had been
arrested in Piancastagnaio where the podestà was told to keep the Frenchman in
jail and under close surveillance until further notice. About a month later,
the friar was transferred to the Franciscan convent in Montalcinowhere the
friars were advised of his alleged crime, told to guard him well, and await
further orders. At this point, the documents fall silent and we do not know
what further ensued with Friar Carlo. We are thus left with no information on
what he might have said in his defense, what further evidence the mother and
the boy might have brought into consideration against him, or what
the final verdict might have been. What we do have, however, is the record
of a mother asking for justice against a foreign clergyman who was the subject
of, and possibly defended by, a powerful foreign military figure in the region,
this during a difficult moment in a war that had devastated the countryside and
brought about the near-total collapse of the government and the republic. Civic
and moral regulations were still in effect, but the silence of the incomplete
records and the transfer of the accused friar to another convent, rather than
to a city jail, seem to imply that such regulations had not been strictly
applied and that the friar probably escaped justice. The Sienese government,
whether in exile or not, was not the only jurisdiction to deal with sexual
violence by the clergy. Ecclesiastical courts also dealt with sexual crimes, as
we can see from the records in the fonds of Cause criminali housed at the
Archiepiscopal Archive in Siena.36 The collection includes the precepts, that
is the summons to appear in court, and some of the trial records, but once
again many of the files are incomplete. In fact, in the majority of documents
and final sentences issued by the archbishop’s vicar are missing, so this case
can only be known in its general outlines.Menica and the priest Ser Mauro Criti
One case for which we do have a complete set of documents deals with the
charges levelled against the priest Ser Mauro Criti, rector of Campriano di
Murlo, a hamlet 17 km south of Siena.37 According to the charges brought forth
by the victim’s father, the priest used an excuse to enter the accuser’s house
and, finding the man’s twelve- or thirteen-year-old daughter Menica alone at
home, tried to sweet-talk her by asking her if she wanted him to buy her a pair
of shoes. Aware of the priest’s intentions, Menica responded with “I want God
to give you a misfortune.” Ser Mauro “then reached out for her neck and kissed
her and tried to do something else, but she yelled.” Menica’s shouts were heard
by Laura Pasquinetti, a nine-year-old girl who arrived just in time to see the
priest leave. He pretended to throw some snow against the window, and said to
Menica: “Be quiet, you little beast, I’ll buy you a pair of shoes.” Menica’s
father asked that the priest be justly punished, having damaged both his and
his daughter’s honor, even though he had to admit that “he could not prove the
fact, except as he had told it, because when it happened there was no one else
at home.” Although the evidence came from two under-age girls, Menica and
Laura, the court was nonetheless obliged to pursue the case. A note signed by
FilippoAndreoli, secretary of the Governor of Siena, Federico Barbolano di Montauto,
laid out the guidelines the vicar was to follow: The very reverend vicar of the
most reverend lord archbishop of Siena will make sure that in the states of His
Highness [Duke Cosimo I de’ Medici] crimes committed by priests will not go
unpunished and he will not fail to ensure that both public honesty and private
interest are upheld. With this note, Andreoli was referring to the 1558
Florentine law on sexual violence and Cosimo’s determination that it be applied
evenly and universally. The trial, which lasted almost a year, gathered
testimonies not only from the two girls who had been ocular witnesses, but also
from many other people, and brought to light the fact that the priest was no
saint. At first, the interrogation of Ser Mauro revolved around what he did
that day. His responses claimed that his conduct had not been socially
improper—he said that when he called at the house and realized that no adult
was present he simply went away (fol. 4v). He stubbornly denied having thrown
snow at the window, but admitted to having thrown snow elsewhere that day, as
confirmed by other witnesses. Brought in for questioning once again, this time
with Menica in the room, Ser Mauro reacted with surprise and fear at seeing the
girl (fol. 13r), who accused him without fear (fol. 13v). From the examination
of other witnesses, the vicar learned that Ser Mauro had also been physically
and sexually violent with Caterina, a young girl about fourteen years old,
unmarried, who had been brought up by a certain Bernardino. According to
testimony, Ser Mauro had “misled and kidnaped Caterina [. . .]
brought her to his house, where he kept her for several weeks, raping her and
using her contrary to the law [contra forma iuris]” (fol. 23v). He also sought
to take advantage of Hieronima, the servant of a priest who had previously been
stationed in Campriano. Ser Mauro asked her to wash his clothes in exchange for
his giving lessons to one of her sons and then added that he would “give her
more affection than the other priest”, and this contrary to the law [contra
forma iuris] (fol. 23v). Other witnesses reported that the priest was a
confirmed card player and always had with him a deck of cards “that he says is
a present from a beautiful girl” (fol. 30v). Ser Mauro denied everything, even
under torture, but was found guilty nonetheless and fined 100 lire, removed
from his church in Campriano, and confined in Siena for two years.Filippo and
the presbyter Ser Cristofano Another case heard by the bishop’s court in
Grosseto deals with a mother who brought charges against a priest who had raped
her son. Monna Caterina, a thirty-year-old widow living in Campagnatico, in the
outskirts of Grosseto, reported that the presbyter Ser Cristofano “has raped my
little son Filippo.”38 The narrative she provides illustrates a mother’s care
and a young victim’s shame. “For the past year I have sent my Filippo to his
[Ser Cristofano’s] school andone evening when he came back one I noticed he was
unhappy and very sad.” Caterina asked what was going on, but Filippo refused to
answer. Later that evening, when she was “undressing him to put him in bed, I
saw his shirt very bloody and I asked him what blood was this.” Filippo
confessed that on that day, the priest had called him in his bedroom and had
given him a book and he had approached him and while he pretended to teach him,
he did that horrible thing on the back, and because the little boy yelled, he
hit him few times. Ser Cristofano threatened the boy not to reveal anything to
me nor to someone else and so, “looking carefully at the boy, I saw that he had
hurt him and had broken his ass and so I decided he would not attend school
anymore.” In her testimony, Caterina also reported that she heard that Ser
Cristofano had raped “Monna Lena, a widow at that time” and that rumor went
around the entire countryside that “he torn her behind.” But what troubled
Caterina more was that she and Ser Cristofano were cousins39 —presumably, she
did not understand the reason behind his “bad behavior” against his twelve-year-old
nephew Filippo. When the bishop’s vicar interrogated young Filippo, the story
matched closely with what his mother had reported. Both accounts pointed to a
familiar closeness and confidence that the presbyter had showered on Filippo in
order to sodomize him. Filippo recounted: I know Ser Cristofano of Ventura, the
priest in Campagnatico and my kin, and I attended his school for a year or
perhaps more and one evening, after the other pupils had left, I remained there
to serve him at dinner and after he had dined he stood up and he went to sit on
a chair in his bedroom and he called me. After I made the bed, we went back and
he sat again on the same chair. Then he gave me an illustrated book and he put
me between his legs: he untied my pants and lifted up my shirt and put his
thing into my ass and caused me pain. I started to scream and asked him to let
me go, but he was holding me and he was thrashing and kept telling me “be
quiet, be quiet” and he closed my mouth so I could not scream and he put his
thing into my ass and then he let me go. I went home and, along the way, I
could not walk because he hurt me in the ass and I was bleeding and I went to
bed and my mother saw my shirt and I think she believed it was scabies because
at that time I had it, and then I told her: and she did not want me to go to
school again and I did not go anymore. In response to a direct question,
Filippo answered, “I never saw nor do I know whether Ser Cristofano did
something like this to any other student.”40 Family relation was the
justification Ser Cristofano used to keep Filippo back, have him serve dinner,
and make the bed. Once there, he used the “illustrated book” to entice the boy
enough to sodomize him, counting on the fact that Caterina, as a widow, did not
have a husband to defend the family or take action against the presbyter, whose
social and cultural position in town served, in part, to protect him.Reading
the document with modern eyes, we note Caterina’s maternal sensitivity: she
immediately realized that Filippo was unhappy and hiding something. Her
understanding of her son and her emotional connection with him were strong and
deep. She also had aspirations for her son, enough to send him to be educated
by a learned relative who might open doors in life for the boy. In spite of
this, Caterina was not about to accept her cousin’s violence against her son
and reacted quickly and with determination: “I did not want him to go to his
school anymore” she told the vicar’s notary, and then, perhaps to temper her
rage, added “I consider him [Ser Cristofano] wicked man [tristo]41 because he raped my
little boy Filippo.” Although Filippo was about twelve years old at the time,
Caterina referred to him as a citto (little boy), using a typically vague term
for a child that could be adapted to the legal necessities of the moment—in her
eyes, Filippo was an innocent child and not a possibly compliant youth. In
fact, the records do point to Filippo’s physical weakness and to his inability
to deal forcefully enough with the situation to avoid the rape—caught by
surprise, he reacted strongly and screamed, but to no avail because the
priest’s adult strength, his shutting Filippo’s mouth to prevent the boy from
screaming, and his repeated command to the boy to “be quiet” while he raped him
all contributed to overpower and subdue Filippo. The consequences of the
priest’s violence were not only physical—lacerations, bleeding, pain—but also
psychological—the boy’s depression and silence on his return home. While in
cases of anal rape in Venice, the authorities, already in the fifteenth
century, sought the help of surgeons and barbers to examine and report on the
lesions and physical damage done to the victim’s body,42 this was not the case
in Siena. There is no trace of such provisions in the surviving statutes of the
Sienese barber surgeons’ guild.43 The only reference I have found to an
obligation to report on wounded persons is a decree of February 1556 (reissued
in 1563) signed Governor Ferdinando Barbolani di Montauto, which refers to wounds
in a general way, and not to wounds specifically caused by sexual violence or
sodomy.44 In a case of some years later, a certain Arcangelo charged the
chaplain Ser Andrea with having sodomized his eight-year-old son Sabbatino, who
had been a boarding student in the chaplain’s school, and with having
threatened him (Arcangelo) with a weapon.45 Arcangelo reported that “one night,
while sleeping in bed with Sabbatino, Ser Andrea sodomized him forcibly and
against Sabbatino’s will, so that he broke his ass and then abandoned him.” As
he was being raped, the young boy screamed and was heard by a neighbor. The
physical damage done to Sabbatino was such that he could not walk. Archangelo
heard of this from a local miller who presumably heard the news through the
small talk of the neighbors, and went to the chaplain’s house to get his son
and take him home. A few days later, Arcangelo went to pick Sabbatino’s things,
but the chaplain refused to return them. In front of other people, the chaplain
threatened Arcangelo with a hatchet while “another man who is in his house took
an harquebus.” Ser Andrea’s violent behavior was not limited to
Sabbatino:Arcangelo reported that “he has sodomized four more little boys,”
among them two of the miller’s sons.Conclusion The case studies presented in
this essay point to a much larger corpus of documents dealing with legal cases
against perpetrators of crimes of sexual violence. A first observation we might
draw from the evidence presented is that, ten years after the publication and
implementation of the 1558 Florentine law against sexual violence, cases were
still being handled with leniency towards the accused—at least in Sienese
territory. In spite of mounting evidence that included precise and detailed
information from the victims, supporting evidence from eye-witnesses and other
people, and in spite of the use of torture (in a few cases) to extract further
information or confirm previously given information, alleged culprits seem
generally to have received lenient sentences that spared their life. What is
also striking is that all defendants denied the allegations raised against
them, even under torture. In their defense, the accused used standard diversion
tactics in order to have the case dismissed or the penalty reduced. This
included suggesting that the children’s allegations were reliable because of
their young age, or the fact that the children may have been prompted by others
to say things that were not true, or that they had been instructed on what to
say in order to build a case against the accused. Was this sexual violence
against minors “normal” at the time? To modern eyes, the cases and evidence
presented here may seem extreme and even unbelievable, and some contemporaries
probably felt the same way. Yet, as Ottavia Niccoli reminds us, we must not
imagine a constant in “human nature” that might allow us to apply our criteria,
our sensibility, our perceptions to people who lived five or six hundred years
ago, except in very general terms. The mental frame of our ancestors was, in
fact, and at least under some aspects, very different from ours.46 We can
observe that those mothers, fathers, and relatives who sought justice for their
victimized children did so without fear of the court, or public opinion, or the
bureaucratic lengths of time the process would entail. We can also note how
local communities were not sympathetic towards people in positions of authority
who behaved in improper ways towards the young people they were supposed to
educate, defend, and protect. The Sienese evidence suggest that these cases,
unlike those in Florence or Venice, were not about voluntary choices.47 These
were not cases of same-sex consensual sodomy or prostitution for profit. These
were violent acts perpetrated by men in power over young people who could not
defend themselves. As Patricia Labalme aptly said, “although there is herein
much to pity and much toprotest, this is a story without a moral.”48 The
evidence from the Sienese records points to the same conclusion.Notes 1 Di
Simplicio, “La criminalità.” For the later period, Di Simplicio, Peccato
penitenza perdono. 2 For the case of violent behavior in Bologna see Niccoli,
Il seme della violenza. 3 Archivio di Stato di Siena (hereafter ASSi), Guida
Inventario, 105, 119–23. 4 Ibid., 105. 5 Cantini, Legislazione Toscana, vol.
IV, 120. 6 ASSi, Guida Inventario, 121. 7 Cantini, Legislazione Toscana, vol.
IV, 120. 8 ASSi, Guida Inventario, 123. 9 Cantini, Legislazione Toscana, vol.
IV, 117. 10 For social aspects, see Rocke, Forbidden Friendships. For
statistical aspects, see Zorzi, “The Judicial System.” 11 Ascheri, ed.,
L’ultimo statuto, III. 76 “De poena adulterii, stupri et raptus,” 315. 12
Brackett, Criminal Justice, 111. 13 Ascheri, ed., L’ultimo statuto, III. 79 “De
poena sogdomitarum,” 316. 14 Cantini, Legislazione Toscana, vol. I, 211–12. 15
Ibid., vol. III, 267–68. 16 Archivio di Stato di Firenze (hereafter ASFi),
Mediceo del Principato (hereafter MdP) 1869, fol. 13r (February 16, 1559). 17
Giansante, “Camaiani Onofrio.” 18 ASFi, MdP 1869, fol. 27r. 19 It may be
possible that she is “domina Francisca relicta quondam Michelagnoli Iacobi de
Belforte” with whom Terenzio had disagreements for some quantities of wheat,
ASSi, Curia del Placito 750, not foliated (November 4, 1555). 20 He does not
appear in ASSi, Ms A 33, fol. 305r (battezzati), a compilation of baptismal
records from church registers in the Baptistery and civic records in the office
of the Biccherna. 21 ASSi, Ms A 39, fol. 203r (riseduti). 22 ASFi, MdP 1869,
fol. 21bisr. 23 ASSi, Notarile ante cosimiano 99, not foliated. Pietro was also
legum doctor. 24 ASSi, Concistoro 2453 ad datam (April 18, 1554). 25 ASSi,
Capitano di giustizia 645, fols. 17r–19r (August 1570). 26 ASSi, Repubblica di
Siena ritirata in Montalcino 63, passim (1557). 27 ASSi, Biccherna 1127, fol.
24v (1544); ASSi, Capitano di giustizia 645, fol. 94r–v (July 1571). 28 ASSi,
Governatore 436, fol. 86r–v (June 28, 1571). 29 ASSi, Concistoro 2081, not
foliated (March 20–24 1524). 30 ASSi, Concistoro 2080, not foliated (April 26,
1524). 31 ASSi, Capitano di giustizia 645, fol. 78r–v (May 29, 1571). 32 ASSi,
Capitano di giustizia 611, fols. 138v–139r (April 8, 1567). 33 ASSi, Capitano
di giustizia 150, fols. 169v–173r (November 2, 1555). 34 It was common custom
to free some prisoners during the most important religious celebrations. 35
ASSi, Repubblica di Siena ritirata in Montalcino 5, not numbered (April 29,
1555). 36 Archivio Arcivescovile di Siena (hereafter AASi), L’Archivio
Arcivescovile di Siena, ed. G. Catoni and S. Fineschi (Rome: 1970). 37 AASi,
Cause criminali 5509, insert 3 (January 23–December 6, 1569). 38 AASi, Cause
criminali 5502, insert 4 (May 5–September 1, 1552). 39 “To me he is a cousin
brother” (“a me è fratello consobrino”), that is, a cousin born to a sister of
Caterina’s mother.40 “For a similar case, see Marcello, “Società maschile e
sodomia.” 41 The Treccani Italian vocabulary defines as tristo a person who has
a bad attitude. 42 In 1467 the Council of Ten issued a law that obliged doctors
to report “anyone treated for damages resulting from anal intercourse”; see
Ruggiero, The Boundaries of Eros, 117. 43 ASSi, Arti 37 (1593–1776). 44 ASSi,
Statuti di Siena 64, fol. 72r. 45 AASi, Cause criminali 5504, insert 4
(February 19–March 5, 1559). 46 “Non dobbiamo immaginare una costanza della
‘natura umana’ che ci consenta di applicare i nostri criteri, la nostra
sensibilità, la nostra attitudine percettiva a chi è vissuto cinque o seicento
annifa, se non in termini generalissimi. L’attrezzatura mentale di quei nostri
antenati era infatti, almeno sotto alcuni aspetti, molto differente dalla
nostra.” Niccoli, Vedere, vii. 47 For Florence, see Rocke, “Il fanciullo” and
Rocke, Forbidden Friendships. For Venice and the Veneto see Ruggiero, The
Boundaries of Eros. 48 Labalme, “Sodomy,” 217.Bibliography Archival sources
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di Stato di Siena (ASSi) Arti 37 Biccherna 1127 Capitano di giustizia 150, 611,
and 645 Cause criminali 5504 Concistoro 2080, 2081, and 2453 Curia del Placito
750 Governatore 436 Guida Inventario. Rome: 1994. Manuscript A 33 and 39
Notarile ante cosimiano 99 Repubblica di Siena ritirata in Montalcino 5 and 63
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Centuries.” In Crime, Society and the Law in Renaissance Italy. Edited by
Trevor Dean and K.J.P. Lowe, 40–58. Cambridge: Cambridge University Press,
1994.4 IN THE NEIGHBORHOOD Residence, community, and the sex trade in early
modern Bologna Vanessa McCarthy and Nicholas TerpstraEarly seventeenth-century
Bologna was unique for its relatively tolerant legislation on female prostitution.
Rome, Florence, and Venice required meretrici (prostitutes) and donne inhoneste
(dishonest women) to inhabit designated areas and streets. Romans settled on
the large area of Campo Marzio for their residence, Venetians ordered women to
reside in the old medieval civic brothel known as the Castelletto near the
city’s commercial center, the Rialto, and Florentines designated a few streets
located in the poorest areas of each city quarter.1 Segregation was motivated
by concerns about morality as well as the more pragmatic issues of civic
disorder, noise, an policing.
Containment protected sacred spaces and pious inhabitants from the immorality
and disruption of prostitutes and their clients and made it easier for
authorities to locate and arrest violators, thereby increasing order as well as
the fees and fines collected.2 By contrast, Bologna permitted registered
prostitutes to live across the city, and the records of its prostitution
magistracy demonstrates that they did. The extant annual registers from 1583 to
1630 provide a rare opportunity to map where hundreds of registered prostitutes
lived in the city, and to trace individual women’s movements. Only about half
lived on streets with ten or more prostitutes, and very few dwelt on streets
with twenty or more. Consequently, most Bolognese could count prostitutes and
dishonest women as near neighbors, and for many laboring-poor, prostitution and
prostitutes per se were not a serious problem.3 Regulation and enforcement in
Bologna show that secular and religious civic authorities and the general
populace approached prostitution primarily as an issue of economics and public
order, and only secondarily as an issue of morality and public decorum. Due to
the city’s economic reliance on university students, civic authorities had long
regulated prostitution as a commercial issue and prostitutes as fee- and
fine-paying workers governed by a civic magistracy known as the Ufficio delle
Bollette (Office of Receipts). Established in 1376, theBollette registered
“Foreigners, Jews, and Whores” (Forestiere, Hebrei, et Meretrici ). After
having tried civic brothels and sumptuary regulations in the fourteenth and
fifteenth centuries, and residential zones in 1514 and 1525, Bolognese civic
authorities of the later sixteenth century bucked prevailing trends with
comparatively relaxed legislation that underscored the connections between
prostitutes, Jews, and foreigners as coherent communities living and working in
the local body social while remaining legally outside the body politic.4 The
Bollette’s officials and functionaries negotiated between legislation, their
own interests, and the needs of individual prostitutes when enforcing
regulation. The hundreds of women who registered annually as prostitutes were
integrated into local communities through residence and through familial, work,
and affective relationships, and had greater opportunities for agency than
broader cultural, religious, and social ideals would lead us to expect. There
were bumps on the road to this more relaxed regime. In the late 1560s, the
Tridentine reforming Bishop Gabriele Paleotti attempted to separate prostitutes
and other dishonest women from most of Bolognese society through residential
confinement. Citing the desire “to restrain their wickedness and uncontrolled
freedoms of life” and to stop them from polluting others with their “filth,”
Paleotti and the papal legate published three decrees that ordered all
prostitutes, courtesans, and female procurers to live in a handful of specific
city streets. Yet Paleotti was overstepping his jurisdiction. His ambitious
reforms failed within eighteen months, and by 1571 the civic government had
regained exclusive control over regulation.5 It returned to the more tolerant
strategy employed before the bishop’s intervention: all prostitutes and
dishonest women were required to register and purchase moderately priced
licenses from the Bollette, but they were neither required to wear
distinguishing signs nor to live in assigned streets or areas. They were free
to live throughout the city. Scholars of Roman, Venetian, Milanese, and
Florentine prostitution have tracked the contrasts between strict legislation
and lax prosecution. Prostitutes regularly lived outside of designated streets
and areas, sometimes thanks to exemptions sold by the magistrates.6 Yet these
cities kept their stricter legal regimes on the books. What was distinct about
a city that largely abandoned that regime? This essay examines the residential
and social integration of prostitutes in Bologna’s neighborhoods. It first maps
their distribution across the city in order to examine how far residential
“freedom” extended in practice. While about half of registered prostitutes
clustered on sixteen specific streets, the other half lived on eighty-five
other streets with ten or fewer other prostitutes. It then reviews registrants’
sometimes complex and contested relationships with family, clients, lovers,
friends, and neighbors using evidence recorded in the annual registers and
testimonies given to the Bollette’s officials. Most were integrated into local
networks through the familial, affective, and working relationships they had
with other local men and women, and they gave and received support and
companionship. Finally, it examines late sixteenth- and early seventeenth-century
proclamations forbidding prostitutes from residing in specific city streets.
Thesedecrees ref lect the civic government’s pragmatism: they were issued in
response to the specific complaints of powerful convents, churches, and schools
located in areas with large prostitute populations. Trial records, cultural
sources, and recent scholarship on gossip and visibility shows that most
neighbors were aware of what these women did and that they were not troubled by
it. What they did find troubling were the displays of wealth by individual
women, the noise and disorder that some brought to their neighborhoods, and
instances where neighbors lost control over their communities. The Bollette
provided a vehicle for handling these complaints without criminalizing the
prostitutes. Taken together, the residential and legal evidence demonstrates
that prostitutes lived in most workingpoor neighborhoods of early modern
Bologna and that they were largely tolerated as a fact of life.The geography of
early modern Bolognese prostitution The majority of registered prostitutes
lived in the area between the second and third sets of city walls (see Figure
4.1), the “inner suburbs” where the urban poor typically clustered in Italian
cities.7 Only a handful of prostitutes lived near the city center, usually on
short alleys hidden behind larger publicFIGURE 4.1Agostino Carracci, Bononia
docet mater studiorum, 1581.56buildings that had been licensed for prostitution
in earlier centuries.8 The civic brothel noted in the 1462 Bollette regulations
had been immediately south-west of the Piazza Maggiore and civic basilica of
San Petronio, and some prostitutes worked by particular gates and markets, but
from the sixteenth century Bolognese meretrici moved to houses across the low-rent
inner suburbs.9 Table 4.1 charts the number and percentage of registrants
who lived in each quarter in 1584, 1604, and 1624. The quarters differed in
size and population as Figure 4.1 shows, and the larger quarters of Porta
Procola and Porta Piera housed more prostitutes. Few lived by the north-western
city wall in Porta Stiera, which appear on Agostino Carracci’s 1581 map
(reproduced here) as dominated by fields.10 The sharp rise and fall in the
number of women registering demonstrate the inconsistencies of early modern
bureaucracy, with total numbers increasing by 327 from 1584 and 1604 (from 284
to 611) and then plummeting by 466 between 1604 and 1624 (from 611 to 165).
Lucia Ferrante has argued that in 1604 the Bollette was operating with unusual efficiency,
and perhaps even over-zealously.11 The f luctuations tell us more about where
the Bollette concentrated its work than about where all the prostitutes and
dishonest women actually lived. Charting residence by quarter demonstrates that
prostitutes spread themselves fairly evenly throughout the outskirts of the
city, and across each quarter. In 1604, registrants lived on at least 102
streets, yet only eight streets had twenty or more women, and only eight were
home to ten to nineteen women (see Table 4.2). A few streets housed larger
numbers, like Borgo Nuovo di San Felice, in the western quarter of Stiera by
the city wall, and Campo di Bovi, located by the eastern city wall in the
quarter of Porta Piera.12 Women also clustered in the ghetto after the Jews
were expelled from the Papal States for a final time in 1592.TABLE 4.1
Residence of registered prostitutes in Bologna’s quarters1584Porta Piera Porta
Procola Porta Ravennate Porta Stiera Total16041624Number of resident
prostitutesPercent of total registrantsNumber of resident prostitutesPercent of
total registrantsNumber of resident prostitutesPercent of total registrants41
80 69 60 25016.4 32 27.6 24 100179 175 76 131 56132 31.2 13.5 23.3 10073 44 10
26 15347.7 28.8 6.6 16.9 100*This
table includes only those women with identifiable addresses. In 1584, this was
88% of all registrants (250 of 284 total registrants), in 1604 it was 91.8%
(561 of 611), and in 1624 it was 92.7% (153 of 165). Sources: Campione delle
Meretrici 1584, 1604, 1624.The sex trade in early modern Bologna 57 TABLE 4.2
Streets with ten or more resident prostitutes in 1604, by quarterQuarter of
Porta PieraQuarter of Porta ProcolaQuarter of Porta StieraCampo di Bovi:
36Senzanome: 36Jewish Ghetto: 21Frassinago: 21Borgo Nuovo di Fondazza: 29 San
Felice: 47 San Felice by the Broccaindosso: 10 gate: 13 Avesella: 10Borgo di S.
Giacomo: 20 Borgo di Santa Caterina di Saragozza: 21 Torleone: 18 Borgo degli
Arienti: 14 Borgo di San Marino: 17 Bràina di stra San Donato: 13 Gattamarza:
13Quarter of Porta RavennateSource: Campione delle Meretrici 1604.This was an
ironic reversal of the situation in Florence, where the ghetto was deliberately
located within the old brothel precinct in 1571.13 In 1604, twentyone women
lived in this area. Most streets in Bologna’s inner suburbs numbered only a few
prostitutes. In 1604, 84 percent (86 of 102) of the streets on which they
registered housed nine or fewer prostitutes, and these women accounted for
almost half of all registrants that year (44 percent). Further, 66 percent (68
of the 102 streets) housed five or fewer. Consequently, many of these women
lived on streets that were not dominated by prostitutes. A typical example of
this is the south-western corner of the city (see Figure 4.2). In 1604, three of
the area’s streets were heavily populated by prostitutes: Senzanome housed 36,
Frassinago housed 21, and Borgo di Santa Caterina di Saragozza housed
twenty-one. However, the majority of the neighborhood’s streets had five or
fewer resident prostitutes and dishonest women: five women lived on Altaseda,
four on Nosadella, and three on Capramozza. The surrounding streets of Bocca di
lupo, Belvedere di Saragozza, Borgo Riccio, and Malpertuso had two or fewer. On
these streets prostitutes mixed with day-laborers, artisans, and merchants.
They rented rooms from pork butchers and shoemakers, lived in inns, and resided
next to potters.14 These were their immediate neighbors, separated only by the
porous boundaries of walls, stairways, doorways, and windows where they had
frequent day-to-day interactions.15 Like other working-poor women, they were
not confined to the streets that they lived on, but could and did move through
the surrounding area buying food, engaging in chores, finding work, visiting
friends, and going to the Bollette to buy their licenses.16 As Elizabeth S.
Cohen writes, prostitutes were both “seen and known” in their
neighborhoods.FIGURE 4.2Agostino Carracci, Bononia docet mater studiorum,
1581.Networks, neighborhoods, and communities The Bollette’s records reveal
prostitutes’ affective social and familial circles. Some women were registered
as living in their mother’s, sister’s, and (more rarely) cousin’s homes, while
other women’s female kin, housemates, lovers, and servants bought their
licenses. Notaries did not consistently record such details, making
quantitative analysis difficult.17 While men regularly appear in the registers
paying for licenses, the specifics of their relationships with the women were
almost never recorded. The Bollette’s records, particularly testimonies in
cases of debt against clients and long-term partners, provide rich information
aboutThe sex trade in early modern Bologna 59women’s familial, social, and work
relationships. However, the tribunal devoted more effort to investigating
unregistered women suspected of prostitution, than to the hundreds of women who
had bought licenses. The Bolognese evidence can be placed in the context of
evidence from other northern Italian cities demonstrating how prostitutes were
surrounded by family, housemates, and allies. In early seventeenth century
Venice, three-quarters of 213 prostitutes noted in a census lived with other
people. Most headed their own households, but some were boarders or lived with
their mothers. The majority of those who headed households sheltered dependent
female kin, children, and a variety of unmarried women, including servants and
other prostitutes. A few heads of households (6 percent) lived with men, who
were either their intimates or boarders.18 Roman parish censuses from 1600 to
1621 show similar cohabitation patterns: 47 percent of prostitutes lived with
at least one family member, mostly children but also siblings, nieces and
nephews, and widowed mothers.19 Everyone within the household economy
benefitted from the income and goods earned by these women. Bologna’s registers
give examples of sisters as registered prostitutes, like Dorotea di Savi,
called “Saltamingroppa” (literally “Jump on my behind”) and her sister
Benedetta, who lived together with their servant Gentile on Broccaindosso.20
Similarly, Margareta and Francesca Trevisana, both nicknamed “La Solfanella”
(“The Matchstick”), lived together on Borgo di Santa Caterina di Saragozza for
eight years. While Francesca registered annually from 1598 to 1605, Margareta
did so only in 1602, 1604, and 1605.21 Before registering, Margareta likely
enjoyed the income that her sister earned through prostitution and may have
assisted in preparing for and entertaining clients. The Bollette suspected that
she had, and so launched an investigation against her when she became pregnant
in 1601.22 Mothers and daughters also lived and worked together, like Lucia di
Spoloni and her daughter Francesca, who lived on San Mamolo by the old civic
brothel area, and Anna Spisana and her mother Lucia, who lived together on
Borgo degli Arienti.23 In 1604, Domenica di Loli bought licenses for her
daughters Francesca and Margareta, and all three lived just south of the church
and monastery of San Domenico on Borgo degli Arienti. Francesca had lived on
the street since at least 1600, and while she was no longer registering in
1609, her sister still was. Margareta continued to live on Borgo degli Arienti
until 1614, perhaps with her mother and sister.24 Prostitutes often lived
together in rented rooms, small apartments, and inns. Residential clustering
was not uncommon for unmarried women, who shared the costs of running a
household through lace making, street-peddling, prostitution, and laundering.25
The largest could count as brothels, though there were relatively few of them.
In 1583, twenty-one dishonest women lived in the house of Gradello on Bologna’s
heavily populated Borgo Nuovo di San Felice, by the eastern wall. Yet while
registrations climbed in the 1580s, the group at Gradello’s shrank to fourteen
women in 1584, and eleven in 1588.26 Moreover no other large houses appeared
through this period. In 1604, the street with mostregistrations was Borgo Nuovo
di San Felice, with forty-seven women, and the largest single group was thirteen
who gathered in the house of Lucrezia Basilia, while the rest had five or
fewer.27 On the second and third most populated streets, Campo di Bovi and
Senzanome, no house had more than six registered prostitutes living in it.28
These larger clusters were often inns, where prostitutes benefitted from the
presence of other women and the protection of innkeepers. Inns popular with
prostitutes included those of Matteo the innkeeper (“osto”) on Frassinago and
of Angelo Senso on Pratello. Seven registered women lived at Matteo’s inn in
1589, and ten lived in Angelo’s inn in 1597.29 Few women stayed at inns for
more than a year and most registered without surnames, but instead with
reference to a town, city, or region, like Flaminia from Ancona (“Anconitana”),
Francesca from Fano (“da Fano”), and Ludovica from Modena (“Modenesa”) who
lived at Matteo’s place in 1598. These could have been recent migrants or women
identifying by parents’ origins or using pseudonyms. The inns and brothels
helped them build social networks as they secured places of their own. Yet, it
was more common for women to live with one or two other prostitutes in rented
rooms and small apartments. In 1597, Lucia Colieva lived with Elisabetta di
Negri on Borgo di San Martino, and the following year she joined another
registered prostitute, Vittoria Fiorentina, on Senzanome.30 Similarly, in 1601
Isabella Rosetti, Giulia Bignardina, and Cassandra di Campi all lived together
in Isabella’s home on Frassinago. A year later Giulia had died and Cassandra was
no longer registered.31 For just under ten years, Madonna Ginevra Caretta, who
was unregistered, managed a small apartment where six to eight registered
prostitutes lived.32 Unlike Bologna’s inns and taverns, Ginevra’s household was
mobile, moving across town and back again over the years it operated. In 1588
it was located on Saragozza, in the south-western corner of the city, and the
next year it moved to San Colombano in the northwest quarter of Stiera. At
least one woman, Lena Fiorentina, followed Ginevra to the new street, where she
remained for almost a decade before moving to Paglia.33 A few of the
prostitutes lived with Ginevra for years, like Pelegrina di Tarozzi, who stayed
for four years, and Chiara Mantuana, for three.34 Domenica Cavedagna, registered
for thirteen years (1597–1609), ran a house on Centotrecento and then on Bràina
di stra San Donato.35 Seven other prostitutes lived with her in 1604, and a
year later three had left but six new women had moved in. A few stayed with her
for four or five years.36 The Bollette’s registers explain why some of the
women moved out of the homes run by women like Ginevra Caretta and Domenica
Cavedagna. Some entered service (either domestic, sexual, or both) while others
moved to different streets or left Bologna entirely to try their luck
elsewhere.37 While living with other prostitutes could bring economic,
professional, and even personal security, it could also bring personal rifts or
increased attention from the police (sbirri ), who saw these homes as easy
targets for making arrests. Men interacted with registered prostitutes as
occasional clients, long-term amici, absentee husbands, jealous lovers, and as
acquaintances, if not friends.Single women, whether unmarried or widowed, were
financially and socially vulnerable, subject to sexual slander, to charges of
magic and sorcery, and to general suspicion by neighbors and authorities
alike.38 Relationships with men afforded them a degree of protection from the
financial and social marginalization they experienced because of their gender,
economic status, and work, and so women turned to them not just for income and
companionship but also for a measure of protection. The civic government had
always prohibited married women from prostituting themselves, since by doing so
they committed adultery. The 1462 statutes ordered whipping and expulsion for
the women, and fines of 100 lire for officials who looked the other way.39
Women living with husbands could not register with the Bollette, though
abandoned wives sometimes could. Francesca di Galianti claimed in 1604 that her
husband Bartolomeo di Grandi went to war three or four years previously,
leaving her with a three-year-old daughter to feed. She had since given birth
to a daughter with a cloth worker Giovanni, with whom she had been living for
about a year “to make the expenses.”40 For the Bollette, the question of
whether abandoned women like Francesca could and should register was a
practical one since women who registered were women who paid fees. These women
appealed to the sympathy of Bollette officials by claiming that they were
married but had not seen their husbands in many years, leaving unanswered the
question of whether their husbands were alive or dead. This ambiguity about the
ultimate fate of their husbands would have freed them from charges of adultery
at the archbishop’s tribunal (if the husband was alive) while at the same time
freeing them from registration with the Bollette (if he were dead). Francesca
did not state whether she thought her husband was dead or alive, and ultimately
a kinsmen Vincenzo Dainesi swore that he would ensure she left her “wicked
life” (“mala vita”) and take her into his home to live with him and his wife.41
The officials were satisfied with this, and so Francesca remained unfined and
unregistered. In 1586, Vice Legate Domenico Toschi authorized police to seize
“all married women who do not live with their husbands” caught at night in bed
with their lovers (amatiis).42 Archbishop Gabriele Paleotti believed such women
were clearly committing adultery, and Pope Sixtus V’s bull Ad compascendum
(1586) ordered that any married person whose spouse was alive and had sex with
another person—even if they had a separation from an ecclesiastical court
—should be sentenced to death.43 Toschi’s decree was reconfirmed ten years
later by the new vice legate, Annibale Rucellai, and a third time in 1614.44 If
a woman returned to her husband, she was to be immediately deregistered and
could not be allowed to practice prostitution. If she continued, she was no
longer under the Bollette’s jurisdiction, but rather that of the archbishop.
Stable relationships with men, referred to in Bologna as amici, “lovers,” or as
amici fermi, “firm friends,” offered a measure of economic security for
prostitutes by providing money, clothing, and food in varying amounts depending
on the men’s own status.45 When Arsilia Zanetti sued Andrea di Pasulini, notary
of thearchbishop’s tribunal, for compensation for their three-year sexual
relationship (“amicitia carnale”), she noted he had given her three pairs of
shoes, a pair of low-heeled dress slippers, and a few coins (a ducatone, half a
scudo, and a piastra, a Spanish coin).46 Buying the woman’s licenses could also
be part of the arrangement, as Pasulini had also done for Arsilia.47 Even
though Bologna’s monthly rate of five soldi, and annual rate of three lire, was
extraordinarily low—only onefifth of what Florentine prostitutes paid—this was
another expense that women did not have to worry about and suggested commitment
on the part of the men.48 Lovers and friends helped women in their interactions
with the law. The cavalier Aloisio di Rossi had a three-year sexual
relationship with Pantaselia Donina, alias di Salani, and when her landlord
complained to the Bollette that she had not paid the rent, di Rossi acted as
her procurator and ultimately paid the landlord.49 Other prostitutes maintained
relationships with local, low-level arresting officers (sbirri); Elizabeth S.
Cohen has uncovered many relationships between prostitutes and such men, noting
that “the two disparaged professions often struck up alliances in which the
women traded sex, companionship, and information for protection and money.”50
Such partnerships were not unusual in Bologna. In May 1583, the sbirro Pompilio
registered Francesca Fiorentina as his “woman” (“femina”) and got her a
six-month license for free.51 In 1624 three women registered as living in the
“casa” of the Bollette’s esecutore, Pietro Benazzi, on Borgo di San Martino.52
Pietro registered Caterina Furlana on January 11, 1624 and paid for her
one-month license. She was subsequently de-registered because “she went to stay
in order to serve Pietro Benazzi.” When Caterina di Rossi moved out of her
place on Borgo degli Arienti and into Pietro’s house, she paid for one month
and never again.53 Though these Bollette functionaries could not keep these
women’s names out of the registers, they could keep them from paying for
licenses, even when they were most likely still living by prostitution, and may
have protected them from harassment by other court officials. Male friends
could also be rallied for support, particularly by women who had lived in one
street or area for a substantial period of time, building reputations and
financial and social ties with their neighbors. When Margareta Trevisana “The
Matchstick” (Solfanella) was investigated by the Bollette in 1601, she had been
living on Borgo di Santa Caterina di Strada Maggiore with her sister for at
least eight years. She confessed that three years earlier she had given birth
to the child of Messer Antonio Simio, a married man.54 The Bollette had
investigated her then, allowing her to remain unregistered on the promise that
she would reform her life and go to live with an honorable woman. In 1601 she
was pregnant with the child of another man and was living with her sister
Francesca, a registered prostitute.55 Margareta produced statements signed by
two male neighbors who described her as a good woman (“donna de bene”) the
whole time they had known her, while her parish curate confirmed that she had
confessed and taken communion the previous Easter.56 On further questioning by
the Bollette, the priest claimed that he had known Margareta for about ten or
twelve years, having first met herwhen he lived in the same house as she and
her sister. He claimed not to know what kind of life Margareta led, but
admitted that she appeared pregnant, and was, as far as he knew, not married.
The priest’s testimony cleared her of charges of adultery, but could not save
her from registration, a three-lire fine, and probation.57 In May 1602,
Margareta produced statements about her “honest life and reputation” provided
by two different neighbors and another curate at Santa Caterina di Saragozza,
and her name was removed from the register.58 Margareta lived on the same
street for ten or twelve years, had relationships with neighbors and
housemates, had a sister with whom she lived, and was able to rally four male
neighbors and two parish priests to support her. She and others moved amongst
family, friends, long-term lovers, and occasional clients, building
relationships on reciprocal, if uneven, bonds of financial, emotional, and
legal support and protection. They were not just physically a part of Bologna’s
working-poor neighborhoods, but also socially and affectively integrated into
their communities.Bad neighbors While Bolognese civic law tolerated
prostitution and permitted prostitutes to reside throughout the city, public
disorder was always a concern. Decrees published by the Bolognese legate, at
the request of convents, churches, confraternities, and schools, frequently
lamented the dishonest words and daily and nightly reveling by prostitutes and
other disreputable people.59 Men socialized in prostitutes’ homes, eating,
making music, and talking.60 While some parties remained relatively quiet,
others filled the neighborhood with winefueled singing, laughing, and the
sounds of dancing and of fights over games of chance. The noise was intrusive,
disruptive, and alarming: blasphemous words, violent acts, and sexual slander
carried through windows, over walls, and into streets, squares, and other
residences. Broadsheets illustrating prostitutes’ lifecycles usually included
knife fights by men who discovered that “their” woman had another lover.61
Barking dogs, brawling men, and screaming women heard through f limsy walls and
open windows added to the noise of crowded squares, laneways, and streets.62
Men also fought in doorways and on streets in full sight and hearing of neighbors.
To reduce these disturbances, Papal Legate Bendedetto Giustiniani forbade
prostitutes from throwing parties ( festini ) or “making merry” (trebbi ) in
the homes of honest people, or even from eating or drinking in taverns and
inns. Other decrees forbade games of chance and betting, like dice and cards.63
Lawmakers recognized that it was less the prostitutes than the men with them
who were the problem. In 1602 prostitutes were forbidden from travelling
through the city at night with more than three men, under fine of 100 scudi for
the men and whipping for the women.64 Eight years later, Legate Giustiniani
forbade prostitutes from going through the city at night with any men, under
penalty of whipping for both the men and the prostitutes.65Enclosed communities
of male and female religious frequently complained about the noise of
prostitution. Bolognese authorities attempted general exclusionary zones around
convents in the 1560s without success and so moved to proclamations expelling
prostitutes and other disreputable people from specific streets; this was
similar to Florence, where the streets designated for prostitution were de
facto exclusionary zones around most convents.66 Between 1571 and 1630, at
least fifty proclamations cleared twenty-five distinct streets in Bologna,
about one-quarter of all the streets inhabited by prostitutes in 1604. Most
proclamations concerned eight specific convents on the city’s outskirts, though
a few male enclosures were also protected.67 All either had elite connections
or were newly built, and most were near streets heavily populated by
prostitutes. In 1603 Vice Legate Marsilio Landriani forbade all prostitutes,
procurers, and other dishonest women from living on a cluster of streets
bordering the Poor Clares’ house of Corpus Domini, established in 1456 by S.
Caterina de’ Vigri, and the Dominican convent of Sant’Agnese (est. 1223), one
of the city’s richest and most prestigious convents with over 100 nuns.68
Landriani’s proclamation stated that the nuns were greatly disturbed and
scandalized by the daily and nightly reveling of prostitutes, procurers, and
other disreputable people, the “dishonest” words that they spoke, and the
wicked examples they posed.69 Prostitutes had just over a month to move out,
and those found there after the deadline would be publicly whipped, while their
landlords would be fined fifty gold scudi and lose their outstanding rents.70
Yet few prostitutes were actually registered on these streets.71 While
registrations generally dropped dramatically in the 1610s and 1620s, these
streets declined the most, with only two prostitutes remaining by 1614.72 In
1622, the expulsion was repeated almost verbatim with the addition of two
neighboring streets that housed a handful of prostitutes; none remained by
1624.73 Concerns about pollution continued, particularly around shrines. The
confraternal shrine of the Madonna della Neve was built in 1479 to shelter a
miraculous image of the Virgin on the street Senzanome at the south-western
corner of the city.74 Senzanome had twenty-three registered prostitutes in
1594, thirty-six in 1604, and thirty-five in 1609. Yelling, singing, mocking,
and jesting disturbed the peace, interrupted the Mass and other divine offices,
and forced young, unmarried girls and respectable residents to hide in their
houses. Confraternal brothers repeatedly complained to the legate about the
noise of Senzanome’s prostitutes and other “people who have little fear of God
and his most holy mother.” 75 Between 1587 and 1621 four proclamations expelled
dishonest people and prostitutes from Senzanome and around Santa Maria della
Neve.76 One of 1608 threatened women caught residing or lingering in the street
with a fine of ten scudi the first time, and expulsion the second time.77 Men
could be fined ten scudi the first time, and another ten scudi and three lashes
the second time. This proclamation even named three specific women, Giulia da
Gesso, Doralice Moroni, and Ludovica Giudi, “as well as every other meretrice.”
78 A year later all three of these women were still living on Senzanome, with
Doralice Moroni registeredin the house of the priest Campanino and Giulia da
Gesso in the house of a priest of San Niccolo.79 Moreover, they shared the
street with thirty-five other registered prostitutes. Yet the prostitutes
gradually did move away, and in 1614 and 1624, only two women registered on
Senzanome.80 The Legate’s 1621 decree ordered dishonorable people living on
Senzanome to move to Frassinago, to Borgo Novo, or to “another street appointed
to similar people” where there were no convents, churches, or oratories.81
Neighbors had direct, day-to-day contact with prostitutes and knew details
about their lives. Gossip—the sharing of local and extra local information—
typified neighborhoods and formed the basis of community self-regulation.82
People constantly watched and listened to their neighbors from the streets, in
doorways, through windows, on balconies, and through f limsy walls.83 Early
modern prostitution was public and visible. Michel de Montaigne remarked that
prostitutes sat at their widows and leaned out of them, while others observed
that the women promenaded proudly through the streets.84 In his Piazza
universale di tutte le professioni del mondo (1616), Tommaso Garzoni described
how prostitutes worked to catch men’s eyes while sitting at their widows,
gesturing and bantering with them.85 Some called attention to themselves by
wearing brightly colored gowns with ostentatious decorations and jewels on
their fingers and at their necks.86 Contemporary Italian broadsheets depict
women sitting at their widows and in their doorways while older women act as
go-betweens.87 Bollette testimonies show that Bolognese knew a great deal about
the prostitutes who were their neighbors. Witnesses often claimed that they had
seen women going through the streets or into buildings and apartments with men.
In 1601, Caterina Marema told that when she lived in the same casa as Lucrezia
Buonacasa, she frequently saw the tailor Gian Domenico Sesto come to stay and
sleep with her.88 Others saw more intimate behavior, like Bartolomea, daughter
of Antonio di Miani, who claimed that she knew her neighbors Margareta and
Cornelia were “meretrici” because she saw them laughing, dancing, embracing,
and kissing men. She also heard that they went to register with the Bollette.89
Still others testified more simply that “everyone in the neighborhood considers
her to be a whore,” or, “everyone says that she is his whore.” Finally, some
men talked with each other about their sexual relationships with women. Silvio,
son of Rodrigo di Manedini, claimed that over the previous three years his
friend Tarquino, a sbirro, told him repeatedly that he was “screwing”
(chiavava) Lucrezia Buonacasa.90 In this case, Silvio claimed also to have first-hand
knowledge of their relationship: he said that he had seen the two in bed
together at Lucrezia’s house on via Paradiso and at the watch house of the
sbirri. In a close knit, intensely local world like this, prostitutes and
dishonest women would have been hard-pressed to keep their relationships and
work a secret. In pragmatic terms, some women may not have wanted to keep their
work a secret: gossip and visibility acted as advertisement and could attract
better clients. Local knowledge of women’s attachments to men might also earn
them a measure of respect, even if only while the relationship continued,
especially ifthe man was honored locally because of his wealth or status. These
relationships could bring a sort of social protection. Whether or not women or
their clients and lovers made spectacles of themselves, prostitution was both
seen and known. Most working-poor people were not overly scandalized by the
fact that their neighbors lived by prostitution, or perhaps they had resigned
themselves to living amongst them. No evidence has come to light that
working-poor women and men made a concerted effort to drive prostitutes and
dishonest women as a group out of their neighborhoods. Most streets on which
registered prostitutes lived housed ten or fewer such women, and prostitutes
may have been quieter and less given to overt public display, since they did
not have to compete with each other for the attention of the men and youths who
came in search of their services. With fewer women there was less of the serenading,
violence, and harassment by rowdy students and drunken men that offended
neighbors, and less attention from patrolling officers looking to fill their
purses with rewards for arrests.91 Tessa Storey has argued that as long as
Roman prostitutes maintained local order and the appearance of respectability,
neighbors did not see them as an exceptional problem. A few written complaints
requesting the eviction of specific prostitutes from their streets identified
only the most scandalous and the loudest, on grounds that they posed bad
examples by “touching men’s shameful parts and doing other extremely dishonest
acts” in the streets.92 Those who were well behaved—and these were actually
listed by name—were welcome to stay provided that they continued to behave.
Working-poor neighbors who found the women’s work immoral or offensive or their
noise and disorder overwhelming could move to one of the 100 or so other city
streets that were not heavily populated by prostitutes. Even in 1604, the year
when the highest number of prostitutes and dishonest women registered with the
Bollette, only sixteen streets had ten or more registrants living on them, and
only eight had more than twenty. At least half of all Bolognese prostitutes
were more widely dispersed through the city, and this may explain why we see no
concerted efforts to dispel them as a group. Beyond this, it became
increasingly difficult to successfully prosecute violations like adultery or
the lack of license. A 1586 order from the vice legate to the Bollette’s
officials suggested that small-scale rivalries were behind too many frivolous
denunciations. Henceforth, unless a woman was found in flagrante with a man,
the testimonies of two neighbors of good repute and the local parish priest
would be required in order to find her guilty.93Conclusion For many
working-poor Bolognese men and women, living amongst prostitutes was a fact of
life. Whether they respected these neighbors or not, they learned to live with
them. Prostitutes and dishonest women had their places in the local kinship,
social, and economic networks of their neighborhoodsand the larger city. This
is not to say that they were not mocked, or that those who treated them with
courtesy fully respected them. Yet while some prostitutes annoyed, overwhelmed,
and frightened some neighbors with their noise, scandal, and violence, they
were also the sisters, mothers, lovers, and friends of many others. Elizabeth
S. Cohen has argued that “[prostitute’s] presence corresponded to an intricate
engagement in the social networks of daily life. In practice, if not in theory,
the prostitutes occupied an ambiguous centrality.”94 Tessa Storey suggests that
restrictive legislation, especially residential confinement, elicited sympathy
from Romans, who were not overly concerned about the immorality of
prostitution.95 This was also true in Bologna, where prostitutes were far more
widely distributed across the entire city. Religious authorities like Gabriele
Paleotti found them immoral and disruptive, posing bad examples and needing to
be separated and marginalized. Yet civic authorities and most lay people appear
to have held more nuanced attitudes, engaging prostitutes in the body social
and using bureaucratic registration to mediate their place in the body politic.
The sources generated by the Ufficio delle Bollette in the later sixteenth and
early seventeenth centuries reveal these women operating within networks of
sociability, work, and family. They demonstrate women who fit within their
communities, more uneasily at sometimes than others, and who both gave and
received the resources of support, companionship, and security that
characterized the community-centered world of early modern Italy.Notes 1 Cohen,
“Seen and Known,” 402. Hacke, Women, Sex, and Marriage, 179. Brackett, “The
Florentine Onestà,” 291–92 and 296. Terpstra, “Locating the Sex Trade,” 108–24.
2 Brackett, “The Florentine Onestà,” 290–91 and 295; Cohen, “Seen and Known,”
404– 05; Storey, Carnal Commerce, 70–94; Ruggiero, Binding Passions, 48–49. 3 For
expanded analysis and archival documentation, see: McCarthy, “Prostitution.” 4
Biblioteca Universitaria Bologna (hereafter BUB), ms. 373, n. 3C, 151v–152v.
Terpstra, Cultures of Charity, 205–06, 329. McCarthy, “Prostitution, Community,
and Civic Regulation,” 40, 54–61. 5 Archivio di Stato di Bologna (hereafter
ASB), Boschi, b. 541, fol. 170v, “Bando sopra le meretrici et riforma de gli
altri bandi sopra a cio fatti” (January 31 and February 1, 1568). For more on
this episode and the gendered politics of social welfare reform in
sixteenthcentury Bologna: Terpstra, Cultures of Charity, 19–54, 206–07. For the
comparatively loose regime in the Convertite: Monson, Habitual Offenders. 6
Cohen, “Seen and Known,” 403 and 405–08; Ruggiero, Binding Passions, 49; Brackett,
“The Florentine Onestà,” 292. Terpstra, “Locating the Sex Trade,” 116-21. 7
Miller, Renaissance Bologna, 16–17. Terpstra, “Sex and the Sacred.” 8 For
example, Isotta Boninsegna and Giovanna di Martini. In 1604 Polonia, daughter
or widow of Domenico Galina of Modena lived on Simia, while in 1614 Maria
Roversi did, and in 1630 Domenica Borgonzona lived there. ASB, Ufficio delle
Bollette 1549– 1796, Campione delle Meretrici (hereafter C de M) 1584, [np] “I”
and “G” sections; 1604, [np] “P” section; 1614, 190; 1630, [np] “D” section. 9
This street was called variously the “via stufa della Scimmia,” the
“postribolo,” or “lupanare Nuovo,” as well as the Corte dei Bulgari. Fanti, Le
vie, vol. 2, 516–17. McCarthy, “Prostitution,” 20–67.10 Biblioteca Comunale di
Bologna (hereafter BCB), Gabinetto disegni e stampe, “Raccolta piante e vedute
della città di Bologna,” port. 1, n. 14. http://badigit.comune.bologna.it/ mappe/14/library.html 11 Ferrante, “‘Pro
mercede carnale,’” 48. 12 Borgo Nuovo di San Felice was one of the streets that
Bishop Gabriele Paleotti had ordered prostitutes to live in. ASB, Boschi, b.
541, fols. 170r–171v, “Bando sopra le meretrici” (January 31 and February 1,
1568). Zanti, Nomi, 16. 13 Muzzarelli, “Ebrei a Bologna,” 862–70. 14 Francesca
Ballerina rented from Giacomo the pork butcher (lardarolo) on Frassinago.
Giacoma di Ferrari da Reggio, Ursina de Bertini, and Lucrezia di Grandi all
lived in the house of Giovanni Pietro the shoemaker (calzolario) on Senzanome.
Lucia Tagliarini lived on Frassinago in the inn of Zanino. Giovanna Querzola,
alias Stuarola, lived on Nosadella between the potter (pignataro) and the
shoemaker (calzolaro). C de M 1604, [np] “F”, “I”, “V”, “L”, “T”, and “G”
sections, respectively. 15 Cohen and Cohen, “Open and Shut,” especially 64 and
68–69. 16 Chojnacka, Working Women; Cohen, “To Pray.” 17 For instance, in 1604,
611 women registered and only eleven mothers and four sisters were recorded as
purchasing licenses for their kin. McCarthy, “Prostitution,” 220–21. 18 Of the
213 prostitutes who appeared in the censuses, one-third had children.
Chojnacka, Working Women, 22–24. 19 Storey, Carnal Commerce, 128–29. On widowed
mothers, 114. 20 Benedetta was listed as “sorella di Saltamingroppa.” C de M
1604, [np] “B” and “D” sections. 21 C de M 1605, 175. For Francesca, see C de M
1598, 56; 1599, 49; 1600, 68; 1601, 60; 1602, 72; 1603, 72; 1604, [np] “F”
section; 1605, 86. For Margareta, see C de M 1602, 201; 1604, [np] “F” section;
1605, 175. In 1605, Margareta was deregistered when she began working as a wet
nurse for the Ercolani, a senatorial family. As the register reads: “Sta per
balia del 40 Hercolani.” 22 C de M 1601, 140. ASB, Ufficio delle Bollette
1549–1796, Inventionum 1601, [np] fol. 19v (June 28, 1601). 23 C de M 1584,
[np] “L” section. Both were registered under Lucia’s name. C de M 1624, [np]
“A” and “L” sections. 24 C de M 1600, 73; 1604, [np] “F” and “M” sections;
1609, 171; 1614, 172. Domenica was not registered. 25 Hufton, “Women without
Men.” Chojnacka, Working Women, 18–19. Cohen, “Seen and Known,” 406. 26 C de M
1584 and 1588. 27 Of those who registered, almost all gave their street and
residence (44 of 47). For names of co-habitants: McCarthy, “Prostitution,
Community, and Civic Regulation,” 224–25. 28 A total of twenty-seven (75
percent) of the thirty-six women who lived on Campo di Bovi identified their
homes: five lived in the “casa” of Messer Filippo Scranaro, and the rest lived
with two or fewer other prostitutes. A total of thirty (87 percent) of the
thirtyfive women who registered on Senzanome identified their homes: six lived
in the “casa” of Giulia di Sarti, called l’Orba (the Blind), who was not
registered, and four lived in the “casa” of Giovanni Pietro the shoemaker.
Otherwise, all the rest lived with two or fewer other prostitutes. C de M 1604.
29 C de M 1589 and 1597. 30 C de M 1597, 61 and 86 respectively; C de M 1598,
95 and 142 respectively. 31 C de M 1601, 99, 78, and 176 respectively. 32 This
was between 1588 and 1597. Ginevra registered once, in January 1588, when she
paid for a one-month license. C de M 1588, [np] “G” section. In 1588, six
registered prostitutes lived with her, in 1589 seven did, and in 1594 and 1597
eight did. C de M 1588; 1589; 1594; 1597. 33 C d M 1589, [np] “L” section;
1594, [np] “L” section. C de M 1599, 28. Ginevra was still there in 1601, when
Margareta Tinarolla lived in her home. See C de M 1601, 130.34 C de M 1594,
[np] “P” section; 1597, [np] “P” section. C de M 1597, [np] “C” section; C de M
1599, 28. 35 For her first registration, see C de M 1597, [np] “D” section. 36
Eg., Gentile di Sarti, C de M 1601, 79; 1605, 100, and Domenica Fioresa, C de M
1604, [np] “E” section; 1609, 66–67. 37 Lucia Fiorentina left Ginevra’s to
serve in the house of a local scholar (“Signor Dottore”). C de M 1589, [np] “L”
section. Diana di Sacchi Romana lived in Ginevra’s casa in January 1594, but
moved twice more that year, to Borgo Polese and then to Altaseda. C de M 1594,
[np] “D” section. C de M 1594, [np] “L” section, Lucia Fiorentina. It is
unclear but possible that this was the same Lucia who entered service in 1589.
38 Chojnacka, “Early Modern Venice,” especially 217 and 225. McCarthy,
“Prostitution,” 253–314. 39 See ASB, Ufficio delle Bollette e Presentazioni dei
Forestieri, Scritture Diverse, busta 1, “Statuti,” [np] fol. 8r. 40 ASB,
Ufficio delle Bollette 1549-1796, Filza 1604, [np] “Die 21 May 1604,” fol. 1r.
41 Vincenzo is described as Francesca’s “cognatus.” Ibid., fol. 1r–v. 42 This
permission was copied into the 1586 register and the 1462 illuminated statutes:
C de M 1586, [np] “Z” section (28 June 1586); ASB, Ufficio delle Bollette e
Presentazioni dei Forestieri, Statuti, sec. XV, codici miniati, ms. 64, 28. 43
For Paleotti’s reaction, see BUB, ms. 89, fasc. 2, Constitutiones conclilii
provincialis Bonon. 1586, fol. 95v, cited in Ferrante, “La sessualità,” 993. 44
ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601, [np] “Decreto d[e]lle
bolette” (November 20, 1596); Filza 1614, [np] “Dalla letura delli statuti si
cava che le Donne di vita inhonesta si possono descrivere nel campione in 4
modi” (undated). 45 John Florio defines “amico” as “a friend, also a lover.”
Florio, Queen Anna’s, 24. See also Cohen, “Camilla la Magra.” 46 The suit was
brought to the Bollette. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601,
[np] “Arsilia Zanetti” (November 12, 1601). For a detailed study of Bolognese
registered prostitutes who took clients to the Bollette’s tribunal for debt, see
Ferrante, “‘Pro mercede carnale.’” 47 Pasulini bought her two six-month
licenses in July 1598 and January 1601. Arsilia’s son, Giovanni Battista, paid
for the other months. C de M 1598, 48; 1599, 3; 1600, 4; 1601, 4. 48 Archivio
di Stato di Firenze (hereafter ASF), Onestà, ms 1, ff. 27r–31v. Terpstra, “Sex
and the Sacred,” 77. 49 Ludovico Pizzoli, the Bollette’s esecutore, claimed
that for three years Rossi had purchased her licenses because he was having a
continuous sexual relationship with her even while she was having sex with
other men: ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1606, “Cont[ra]
Pantaselia Donina[m] al[ia]s de Salanis” (August 19, 1605), fol. 1r. John
Florio defines “amicítia” as “amity, freindship [sic], good will.” Florio,
Queen Anna’s¸ 24. The Bollette’s 1602 register confirms that Rossi paid for her
licenses in person as well as giving money to Pizzoli to pay on his behalf. C
de M 1601, 160; 1602, 154; 1603, 170. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796,
Filza 1601, “Molto Ill[ust]re et Ecc[ellen]te Sig[no] re” (May 14, 1601). 50
Cohen, “Balk Talk,” 101. 51 The record in the register does not say why it was
given for free, only that Pomilio “solvet nihil.” C de M 1583, [np] “F”
section. 52 These were Angelica Bellini, Caterina Furlana, and Caterina di
Rossi. C de M, 1624, [np] “A” and “C” sections. 53 Both in Ibid., [np] “C”
section. 54 This was according to the curate of her parish church. ASB, Ufficio
delle Bollette 1549– 1796, Inventionum 1601, [np] fols. 20v–21v (June 20, 1601;
July 2, 1601). For her sister Francesca’s registrations: C de M 1598, 56; 1599,
49; 1600, 68; 1601, 60. 55 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum
1601, [np] fol. 19v (June 28, 1601) and fol. 20r–v (June 30, 1601).56 ASB,
Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601, [np] “Malg[are]ta Sulfanela”
(June 27, 1601). 57 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601,
[np] fols. 20v–21v (July 2, 1601). 58 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796,
Filza 1603, [np] (26 June 1602). C de M 1602, 21. The Convertite confirmed this
removal: ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1603, [np] untitled
(October 12, 1602). 59 See, for instance, BCB, Bandi Merlani, V, fol. 106r,
untitled, begins “Non essendo conveniente che presso li Monasteri j di Monache”
(March 24, 1603). McCarthy, “Prostitution,” 131–97 60 Cohen, “‘Courtesans,’”
202. 61 “Vita et fine miserabile delle meretrici” (“Life and Miserable End of
Prostitutes”), ca. 1600, in Kunzle, History of the Comic Strip, 275. Giuseppe
Maria Mitelli, “La vita infelice della meretrice compartita ne dodeci mesi
dell’anno lunario che non falla dato in luce da Veridico astrologo” (1692),
Museo della Città di Bologna, 2470 (re 1/425). 62 Cohen, “Honor and Gender,”
especially 600–01. Terpstra, “Sex and the Sacred,” 71, 79–80. 63 ASB,
Assunteria di Sanità, Bandi (XVI–1792), Bandi Bolognesi sopra la peste, 45,
“Bandi Generali del Ill[ustrissimo] et Reverendiss[i]mo Monsignor Fabio Mirto
Arcivescovo di Nazarette Governatore di Bologna,” (February 17, 18, and 19,
1575), fol. 2v; BCB, Bandi Merlani, V, fol. 64r, “Bando Sopr’al gioco, &
Biscazze, alli balli nell’Hosterie, & che le Donne meretrici non vadano
vestite da huomo” (December 9, 1602). 64 Ibid. 65 Thomas Fisher Rare Book
Library (hereafter Fisher), B-11 04425, “Bando generale dell’Illustrissimo,
& Reverendissimo Sig. Benedetto Card. Giustiniano Legato di Bologna” (June
23 and 24, 1610), “Delle Meretrici. Ca XXVIII,” 60–61. 66 In 1565, Governor
Francesco de’Grassi set the exclusionary zone at 30 pertiche (approximately 114
meters), while in 1566 Francesco Bossi extended the zone to 50 pertiche (190
meters). See Martini, Manuale di metrologia, 92. ASB, Legato, Bandi speciali,
vol. 3, fol. 16r (February 1, 1565); ASB, Boschi, b. 541 (February 1 and
8, 1566), fol. 115r. Florence reduced its exclusionary zone from 175 to 60
meters in this time (i.e., from 300 braccia to 100): ASF, Acquisti e Doni 291,
“Onestà e Meretrici” (May 6, 1561). Terpstra, “Sex and the Sacred,” 78–79. 67
These convents were San Bernardino, Santa Caterina in Strada Maggiore, San
Guglielmo, San Leonardo, San Ludovico, Santa Cristina, San Bernardo, Corpus
Domini, and Sant’Agnese. Proclamations also protected the new monastery of San
Giorgio, the Benedictine monastery of San Procolo, the college of the Hungarians,
the Jesuits and their school, the new church of Santa Maria Mascarella, and the
shrine of the Madonna della Neve. McCarthy, “Prostitution,” 131–97. 68 Zarri,
“I monasteri femminili,” 166, 177. Johnson, Monastic Women, 235–37. Fini,
Bologna sacra, 14. 69 BCB, Bandi Merlani, V, fol. 106r, untitled, begins “Non
essendo conveniente che presso li Monasterij di Monache” (March 24, 1603). 70
One-third of each fine was to go to the accuser, one-third to the city
treasury, and onethird to the esecutore. 71 In 1601, one woman registered on
Bocca di lupo, two on Capramozza, and four on Belvedere di Saragozza. In 1604,
one registered on Bocca di lupo, three on Capramozza, and one on Belvedere di
Saragozza. C de M 1601 and 1604. One of the women who lived on Belvedere in
1601 continued to do so in 1604, while another had moved three blocks west to
Senzanome, and a third had moved across town to Campo di Bovi by the
north-eastern wall. These were Vittoria Pellizani, Gentile di Parigi, and
Angela Amadesi, called “La Zoppina.” For Vittoria: C de M 1601, 204 and 1604,
[np] “V” section. For Gentile: C de M 1601, 74 and 1604, [np] “G” section. For
Angela: C de M 1601, 136 and 1604, [np] “A” section. 72 These were Camilla di
Fiorentini, who lived in the house of Caterina the widow, and Cecilia Baliera.
C de M 1614, 288 and 39 respectively.73 See BCB, Bandi Merlani, XI, fol. 28r,
untitled, begins “Non essendo conveniente, che appresso li Monasterij di
Monache” (January 18, 1622). In 1624, four women lived on Altaseta and none on
Mussolina. 74 Guidicini, Cose notabili, vol. III, 179–80 and volume III,
346–50. 75 The proclamation clearly states that the order was made at the
insistence of the “Huomini della Madonna dalla Neve, Confraternità di essa, e
persone honeste di detta strada.” BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r (August 20,
1621). 76 These were published in 1587, 1602, 1608, and 1621. BCB, Bandi
Merlani, I, fol. 449r, untitled, begins “Devieto di affitare a persone
disoneste nella contrada di S. Maria della Neve” (April 26, 1587); ASB, Legato,
Bandi speciali, vol. 15, fol. 198r, untitled, begins “Essendo la Contrada di
Santa Maria dalla Neve sempre stata Contrada quieta” (January 31, 1602); ASB,
Legato, Bandi speciali, vol. 17, fol. 225r, untitled, begins “Havendo l’Illustriss[im]e
Reverendiss[ime] Sig[nor] Car[dinal] di Bologna pien notitia” (June 6, 1608);
BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r, “Bando Contra le Meretrici, & Persone
inhoneste” (August 20, 1621). 77 “non possa, ne possano, ne debbano sotto qual
si vogli pretesto, a quesito colore fermarsi, o star ferme per detta strada,
sotto il portico, suso il lor’uscio, o d’altri, o suso l’uscio dell’ Hostarie.”
ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 17, fol. 225r (June 6, 1608). 78 “comanda
espressamente all GIULIA da Gesso, all DORALICE Moroni, alla LUDOVICA Guidi,
& ad ogn’altra MERETRICE [sic].” ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 17, fol.
225r (June 6, 1608). 79 C de M 1609, 73, 121, and 151, respectively. 80 These
were Agata Martelli, alias Bagni, from Castel San Pietro and Lena di Stefani
who lived in the casa of Messer Domenico Bonhuomo. C de M 1614, 19 and 1624,
[np] “L” section. 81 BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r, “Bando Contra le
Meretrici, & Persone inhoneste” (August 20, 1621). Though Savelli did not
specify which “Borgo Nuovo” they should move to, in all likelihood he meant
Borgo Nuovo di stra Maggiore, which had no convents or churches on it. 82 Cohen
and Cohen, “Open and Shut,” 67–68. 83 Cowan, “Gossip,” 314–16; Cohen and Cohen,
“Open and Shut,” 68–69. 84 Cohen, “‘Courtesans,’” 204–05; Cohen, “Seen and
Known,” 396–97. In a later article Cohen argues that “[t]hough typically
noisier and more abrasive than feminine ideals would dictate, much of
prostitutes’ street behavior was not radically distinct; rather it fell toward
one end on a spectrum of working class practices.” Cohen, “To Pray,” 310. 85
Tommaso Garzoni, Piazza universale di tutte le professioni del mondo,
nuovamente ristampata & posta in luce, da Thomaso Garzoni da Bagnacavallo
(Venice: Appresso l’Herede di Gio. Battista Somasco, 1593), 598. Available
online from the Università degli Studi di Torino OPAL Libri Antichi internet
archive at http://archive.org/details/Scansione GIII446MiscellaneaOpal, cited in Cohen, “Seen
and Known,” 397, n. 18. 86 Ibid., especially 396–97 and 399; Storey, Carnal
Commerce, 172–75. 87 “Mirror of the Harlot’s Fate,” ca. 1657, reproduced on
278–79 in Kunzle, History of the Comic Strip: Volume 1 and Storey Carnal Commerce,
37. Vita del lascivo (“The Life of the Rake”), ca. 1660s, Venice, reproduced on
39–44 of Storey, Carnal Commerce. 88 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796,
Inventionum 1601, [np] January 22, 1601. 89 Ibid., [np] July 23, 1601. 90
Ibid., [np] January 22, 1601. John Florio defines “chiavare” as “to locke with
a key. Also to transome, but now a daies abusively used for Fottere.” He
defines “fottere” as “to jape, to flucke, to sard, to swive,” and “fottente” as
“fucking, swiving, sarding.” Florio, Queen Anna’s, 97 and 194, respectively. 91
On the attraction of lawmen to streets known for prostitution, gambling, and
drinking: Cohen, “To Pray,” 303; Storey, Carnal Commerce, 99–100. 92 The
complainants referred to themselves as honorati and gentilhuomini, curiali
principali, and artegiani buoni e da bene. Storey, Carnal Commerce, 91, n. 103.
She dates the two letters from 1601 and 1624.93 For the vice legate’s order, as
transcribed into the 1586 register: C de M 1586, [np], untitled, begins
“Ill[ustrissim]us et R[everendissi]mus D[ominus] Bononorum Vicelegatus in eius
Camera” (June 28, 1586). 94 Cohen, “Seen and Known,” 409. 95 Storey, Carnal
Commerce, 1–2.Bibliography Archival sources Archivio di Stato di Bologna (ASB)
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1583, 1584, 1586, 1588, 1589, 1594, 1597, 1598, 1599, 1600, 1601, 1602, 1603,
1604, 1605, 1609, 1614, 1624, and 1630 Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filze
1601, 1603, 1604, 1606, and 1614 Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum
1601 Ufficio delle Bollette e Presentazioni dei Forestieri, Scritture Diverse,
busta 1 Ufficio delle Bollette e Presentazioni dei Forestieri, Statuti, sec.
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133–224.5 THOUGH POPES SAID DON’T, SOME PEOPLE DID Adulteresses in Catholic
Reformation Rome Elizabeth S. CohenAdultery was no simple sexual lapse.
Intricately bound to the fundamental institution of marriage, it threatened
honor, family, and livelihood. Traditionally, this grave offense merited harsh
punishments like stoning, although by the sixteenth century these had much
softened. A sin, a crime, and a breach of contract, in early modern Italy it
could be prosecuted under several kinds of law. Beyond canon law’s jeopardy for
both spouses, under Roman law enshrining patria potestas, adultery was
overwhelmingly a wife’s transgression, to which, furthermore, she was presumed
to have consented.1 So, a vengefully passionate husband or kinsmen who killed a
wife found f lagrantly abed with a lover could claim immunity from prosecution
for murder.2 The adulteress herself figured ambiguously as a theme in Italian
paintings, prints, and stories. Nevertheless, neither law nor broader cultural
norms ref lected adultery’s complexities as social experience on the ground. To
juxtapose prescriptive and lived understandings and to test the crime’s
notoriety, we turn to judicial records. For contrast with our culturally framed
expectations and to glimpse the everyday worlds of most early modern people,
this essay reconstructs four stories from adultery prosecutions in the Roman Governor’s
court circa 1600. The particular crimes of these non-elite women and men
involved companionship and sex, but little else was directly at stake. My
accounts seek to represent both social dynamics and a vernacular culture of
sexuality accessible alike to the educated and the illiterate. I highlight a
cluster of adulteresses who cultivated not primarily instrumental, but rather
personal, alliances outside marriage. The lovers’ choices transgressed and had
consequences both at home and in the public courts. Nevertheless, their
misconduct was not radically out of step with an everyday culture of sexuality
that endured even in Catholic Reformation Rome. Adultery had a lengthy history
as a cultural, legal, and behavioral problem. From the twelfth century, an
ambivalent medieval literature on humanlove—from Andreas Cappelanus to
Gottfried von Strassburg—suggested that passion and marriage did not mix.
Despite the Renaissance emergence of more positive takes on sex, the notion
persisted that intense eroticism was seldom the business of husbands and
wives.3 The church still taught that marriage was the only licit setting for
sex, while discouraging the pursuit of pleasure for its own sake. The
iconography of love on domestic objects linked to betrothals and weddings
promoted family policy as much as private spousal gratification.4 Although
married people may not have behaved as they were told, they have left few words
about sex. If conjugal relations did often tend to routine, adultery could be
easily imagined by contemporaries, and by scholars since, as an agreeable
alternative. Popular histories have repeatedly featured swaggering Renaissance
noblemen, including prelates, who dallied sensuously with mistresses and
fathered bastards. Their female partners, who ranged from servants to
gentlewomen, were often married, and so adulteresses.5 A wife’s adultery posed
problems for both her spousal household and her natal family, but sometimes
brought them benefits as well. Under ancient Roman law still frequently cited
in the Renaissance, uncertainty about paternity and corruption of the lineage
was one major cost.6 Adultery also rattled the public honor of a patriarchal
family that could not control its assets, including the chastity and fertility
of its women. These concerns appear as conventional rhetoric, but it is far
from clear how much they actually drove Renaissance husbands’ retribution.
Certainly, charges of adultery were invoked to instigate violence against an
inconvenient kinswoman and to cover other, less high-minded goals. On the other
hand, where doctrines of sexual exclusivity could bend in practice,
adulteresses might reap rewards rather than punishments for their liaisons,
especially with powerful men. For example, Giulia Farnese, wife of the Roman baron
Orsino Orsini and the mistress of Pope Alexander VI in the 1490s, arranged a
cardinal’s hat for her brother, Alessandro, the future Pope Paul III.7 Even
bastards could be absorbed and their mothers supported. In the 1460s Lucrezia
Landriani, married conveniently to a Milanese courtier, bore four illegitimate
children to the young Galeazzo Maria Sforza before he became Duke of Milan and
took a bride. Bearing their father’s name and raised in his court, Lucrezia’s
brood included Caterina Sforza, the future indomitable Countess of Forlí.8 The
husbands of these high-f lying adulteresses managed their role, its perks and
its costs, more and less deftly. In Florence, the husband of Bianca Cappello,
the mistress and later wife of Grand Duke Francesco I, retaliated by
intemperate womanizing of his own, and died at the hands of his paramour’s
kinsmen.9 Husbands did not take adultery lightly, but there might be multiple
stakes and more than just one bloody end. The dark emotions of
adultery—jealousy and anger—struck men and women alike. Legends of aristocratic
adulteresses killed in flagrante delictu by vengeful husbands arouse pity,
horror, and titillation in later readers. Although the threat and the rhetoric
surely circulated, documented historical examples are few.10 More modest women,
too, had reason to fear even unmerited spousal violence.For example, in a
miracle attested in 1522, the Madonna della Quercia of Viterbo saved a woman
mortally assaulted by a suspicious husband, egged on by his mother.11 More
peaceably, a Quattrocento necromantic recipe promised that to make a wife
“persevere in honest alliance with her husband.”12 Moreover, although
adulterers were rarely prosecuted, women deeply resented their husbands’
philandering. In the 1550s a pious Bolognese gentlewoman, Ginevra Gozzadini,
asked her spiritual director if she owed the marital debt to her errant
husband. Though reluctant to release his disciple from godly duties, Don Leone
Bartolini allowed her to decline if her husband refused to forgo his “public
adultery and also grazing on his wife like a pig and not a Christian.”13
Renaissance Italian visual and literary culture depicted four roles in
adultery’s drama: the wife; the husband or cuckold; the lover; and the chorus
of the public. Though shadowed by misogyny, views of women were mixed. Ancient
and medieval texts widely posited female propensities to falling in love and to
undisciplined and mercenary carnality. Beauty, coupled with fickle mind, made
women at once temptresses and easy prey to seducers. These risky frailties in
turn justified tightly constraining rules. In parallel, novelle, poetry,
madrigals, and commedia dell’arte evoked both woe and delight with
representations of love and romantic adventure. Magic, too, offered women and
men ways to attract and bind a lover.14 Mainstream cultural norms often lumped
non-conforming women together as sexual transgressors. Yet prestige and class,
singled out some for celebration. Thus, as whores, prostitutes stood for the
obverse of female virtue, but courtesans, especially those dubbed
counterintuitively “honest,” earned renown among elite men for their manners
and cultural finesse. Even Saint Mary Magdalene appeared in paintings as the
brightly dressed, or undressed, playgirl who was the foil to her model
penitent. The adulteress partook of this generic bad girl, at once attractive
and corrupt, but her jeopardy under law invited ambivalence. For example, many
early modern artists represented the Gospel story of the woman “taken in
adultery.”15 Sixteenth-century Italian paintings usually depicted a beautiful,
young woman, thrust by the Pharisees’ heavy legal hand to stand alone before a
crowd to be judged. Although conventional language suggested that she was in
some sense caught or trapped, she was still deemed to have consented to dire
offense. Viewers would hear Jesus first chide her persecutors, “Let he who is
without sin cast the first stone,” and then tell her to go and sin no more. All
were sinners, not least the adulteress, but law must not trump Christian mercy.
Among the men’s roles, not the male adulterer nor the wife’s lover, but rather
the husbandly cuckold claimed a share of cultural preoccupation. The
aristocratic choice between familial vengeance or instrumental accommodation
often came down on the latter side. Instead of destroying the adulteress, the
cuckold had his reasons for complacency. In visual imagery, art historians have
shown betrayed husbands responding as much with dismayed forbearance as with
hot ire. Comparing paintings of Joseph, the helpmate of the Virgin Mary, and
Vulcan, the spouse of Venus, Francesca Alberti explained how the aging husbands
ofexceptional wives, though vulnerable to mockery by artists and viewers,
served divine ends.16 Louise Rice tracked Italian depictions of the cuckold
from a nasty late fifteenth-century allegorical engraving through
sixteenth-century literary parodies from Aretino and Modio, and finally to
Baccio del Bianco’s drawings. These last offered whimsically ironic scenes that
normalized both the cuckold and the adulteress.17 Ambivalently allotting
pleasure and agency to women and complicating the revenge narrative, novelle
offered socially more varied cultural constructions of adultery. In the
Decameron, Boccaccio exploited these possibilities in more than twenty-five
stories featuring adultery that fancifully permuted its spousal roles.18 The
married women of the novelle, again almost always beautiful, pursued love and
reaped their adulterous pleasures with ambiguous culpability. At the expense of
dull or aging husbands, some wives schemed cleverly both to achieve their
desires and to elude discovery and punishment.19 Others, honest, virtuous, and
alluring, had to be tricked by would-be lovers into learning that sex outside
marriage was more fun.20 Lucrezia in Machiavelli’s Mandragola found similar
fortune. Although female delight was only a means to an end in the Decameron’s
elegantly ironic lessons, a more literal reading of the stories at least gave a
space to imagine wives’ extra-domestic enjoyment. Boccaccio’s cuckolded
husbands reacted variously to adultery’s challenges to honor and to its
remedies in law. In Day 4, Story 9, a gentlewoman let herself fall to her death
after her vindictive husband fed her the heart of her paramour. Explained the
woman, since she had given her love freely, she was the guilty one and not the
lover. In a lighter vein, Day 3, Story 2 parodied the narratives of murder in f
lagrante and, less directly, of Christ forgiving the adulteress. A king,
discovering his wife and a groom asleep together, cut the man’s hair to mark
his guilt. When the lover woke, he scotched his jeopardy by similarly tonsuring
other servants. In the end, the king, rejecting a petty vendetta that would
broadcast his dishonor, announced cryptically to his assembled entourage: “He
that did it, do it no more, and may you all go with God.”21 In Day 6, Story 7,
a hapless husband, fearing penalty if he killed his adulterous wife himself,
hauled her before the public court, where, by statute, she faced a sentence of
death by fire. Unlike the Gospel’s submissive adulteress, the respected Madonna
Filippa staunchly defended herself with two claims. First, as in the tragedy of
Day 4, she did it for her “deep and perfect” love for Lazzarino. Secondly,
having gotten her husband to agree that she had always satisfied his every
bodily wish, she asked: “what am I to do with the surplus? Throw it to the
dogs? Is it not far better that I should present it a gentleman who loves me
more dearly than himself, rather than allow it to turn bad or go to waste?” The
gathered populace of Prato greeted this charming riposte with approving
laughter and, at the judge’s suggestion, altered the harsh statute to punish
only adulteresses who did it for money.22 Christian rules as implemented
through ecclesiastical courts also ref lected more everyday cultural norms.
Although by medieval canon law both spouses owed the marital debt, in customary
practice expectations differed for husbandand wife. As historian Cecilia
Cristellon shows, the church courts of preTridentine Venice aimed less to
police sex than to stabilize marriages and to minimize scandal.23 Many
proceedings, often brought by women, sought to formalize separations or
annulments of couples who had long since parted company. Adultery by wife or
husband was a charge to blacken character but was seldom advanced as the source
of a broken marriage.24 In fact, among the lower orders, adultery was a common
product of widespread, informal serial monogamy. Finding themselves for various
reasons without present spouses, people readily took up new heterosexual
partnerships. Although adulterous, such concubinage, sometimes with a formal
blessing that made it bigamy, was often marriage-like and, in the absence of
contrary evidence, usually accepted by the lay community. In the face of these
popular habits, fifteenth-century church courts worked to sharpen the
boundaries of marriage, and the Council of Trent’s legislation assimilated
concubinage more and more to prostitution.25 Even so, ecclesiastical judges
continued less to punish adulterous sex by itself than to seek better moral and
spiritual discipline around marriage as a whole. Let us turn now to Rome at the
end of the sixteenth century to gauge the moral climate and social textures in
which our everyday adulteries took place. For some decades Catholic reformers
had worked to burnish Rome’s reputation as a fitting capital for a resurgent
church. Issuing repeated regulations (bandi ) to suppress blasphemy and vice,
local authorities particularly targeted gambling and adultery.26 Yet these
official pronouncements better registered moralistic concern than they
energized a thorough cleansing of the civic body. Parallel rules sought to
constrain the practice of prostitution, although that trade and fornication by
the unmarried were transgressive but not criminal. The magistrates’ concerns
turned mostly on guarding sacred sites from taint and restraining violence and
disorder by prostitutes’ clients. Yet enforcement of decrees around illicit sex
remained sporadic. Pius V’s ghetto for prostitutes of the late 1560s at the
Ortaccio did not last long as either structure or policy. That moment was the
reformists’ exception rather than the trend. The early sixteenth-century
celebrity of Rome’s honest courtesans had certainly waned, but in 1580 the
gentleman traveler Montaigne was still keen to admire and visit their kind.27
More generally, the historian of crime Peter Blastenbrei concluded that, for
two decades immediately post-Trent, Rome was de facto quite accommodating of
heterosexual irregularities and sometimes attracted couples seeking to escape
sharper discipline elsewhere.28 All told, by 1600, reform in the papal city had
subdued the Renaissance culture of f leshly pleasures, but effective suppression
of non-marital sex was scarcely true on the ground. The labyrinth of Rome’s
institutions and, especially, the mobile demography of its residents
consistently subverted the religious and moral aspirations of its leadership.29
The city’s population swelled, from 35,000 in 1527, after the catastrophic Sack
by Hapsburg imperial troops, to around 100,000 in 1600.30 Few people were
native Romans. Visitors and migrants f lowed in—men and women, of all social
ranks from ambassadors and nobildonne to pilgrims, cattledrivers,and servants.
Many also left town. In a f luid residential geography, most people rented
their accommodations and often moved house. Although many households had a
nuclear core or its remnants, complete families were fewer than in many cities.31
Lodgers and informal clusters of housemates were common. People also changed
jobs frequently, and some worked in one part of the city but, regularly or
occasionally, ate and slept elsewhere. As a result, ordinary Romans had
repeatedly to renegotiate the personnel and terms of daily life. Furthermore,
Rome’s sharply skewed sex ratio yielded distinctive economic and marital
dynamics. The urban population counted, roughly, only 70 women for every 100
men. Celibate clerics were not the primary culprits. Many of the surplus men
came to the city to provide for the needs and comforts of a courtly society, by
serving in great households of prelates or secular lords or by supplying
goods.32 With males doing much of the domestic work and without a major textile
industry, the market for female labor in turn was weak. Of the many men, some
married in Rome to help establish themselves, but others had wives elsewhere,
or were young and not ready to settle down.33 Although some, nubile, women
found husbands readily, many others were left to improvise when fathers died or
spouses left town for shorter or longer absences. Typically, they struggled to
live piecemeal from laundry, spinning, and sewing. As in Venice, concubinage
was common. Prostitution, too, though never as rampant as some hysterical
reformers claimed, was another, potentally better paid recourse. Often
informally and intermittently, younger, more presentable or gregarious women
offered mixes of sexual, social, and domestic services to a shifting contingent
of unpartnered men, and to some husbands as well. As a concubine or prostitute,
a married woman faced legal jeopardy for adultery. When a husband did not, as
obligated, support his wife, she had to find alternatives. Sometimes, he had
wasted the dowry. Often, he had been long away, having intentionally or not
abandoned his wife. A woman, in turn, unknowing if her spouse had died, often
proceeded as if he had and set up new partnerships. In the absence of contrary
information, neighbors tended to presume legitimacy for couples who lived
appropriately, including taking the sacraments at church. Nevertheless, married
women living as prostitutes, concubines, or even bigamist wives were liable, if
denounced, to prosecution. The discipline and prosecution of adultery in early
modern Rome has left only erratic traces. No trial records survive from the
tribunal of the Vicario, who bore many of the city’s episcopal functions for
the pope. 34 As an offense of “mixti fori,” however, adultery sometimes came
before the criminal courts.35 Killing women for honor was rare, especially in
the city, and the ferocity of the ancient law had attenuated. Going to law,
though risking unwelcome publicity, became more common, even for noblemen.36 In
the 1580 edition of Rome’s Statuta, carnal and associated crimes occupied a
brief three pages and mostly specified due punishments.37 In practice, these
penalties were often negotiated down, so the statutory guidelines are
interesting mostly as a ref lection of judicial thinking and broader cultural
values. This section began with sodomy and a tersepronouncement of death by
burning. Next, a longer paragraph, De Adulterio e incestu, spoke first of
“adultery with incest,” before turning to “simple adultery.” For this last,
punishments were calibrated to the woman’s honesty and the man’s social rank.
For sex with an “honest” wife, a plebian man faced a hefty fine of 200 scudi
and three years of exile. A gentleman owed double the fine and the exile, and a
baron triple. Notably, this scale of penalties targeted the common circumstance
of high-status men making alliances with women of lower rank. On the other
hand, the chance that even a middling family would successfully haul a nobleman
into court was slim. Continuing, the statute declared that if the wife was poor
and “inhonesta, but not a public prostitute,” the penalties were halved.38
Reputation ( fama) in the neighborhood legally determined a woman’s
“honesty.”39 At the same time, where early modern criminal law recognized that
virgins might resist forcible def loration (stupro), wives were still held
complicit in adultery.40 Thus, every proven adulteress was, in principle, to be
sequestered for correction in a casa pia for errant wives (malmaritate), where
her husband or family paid her expenses. From the later sixteenth century,
adultery came before the Governor’s court by two routes. By legal tradition,
reiterated in the Statuta, sexual crimes involving respectable women received
public intervention only when brought by a kinsman with honor at stake.
Institutional justice, seeking to promote itself and to tame the violence of
self-help vendetta, encouraged this recourse with some success. Thus, husbands
initiated many of the Governor’s adultery trials, although typically with a
keen eye to retaining spousal property.41 On occasion, angry women prosecuted
their husbands for adultery.42 To note, the Governor’s criminal court in
general took seriously women’s complaints, even without male backing. Their
testimony as accused or witness, usually recorded under the same intimidating
circumstances as men’s, bore analogous weight. Especially for offenders from
the lower social ranks, adultery also came to the court’s attention by an
investigation ex offitio, on the state’s initiative. Usually, a secret report
by a mercenary spy or grouchy neighbor launched the case, followed by a police
raid.43 Such arrests were often handled by summary justice that imposed a fine
and issued an injunction against further misconduct.44 A few cases led to full
trials, and my stories here of “simple adultery” are among them.45 Although
these examples were not formally typical, they involved ordinary people getting
into relatively routine kinds of trouble. Bodies and honor were at stake, but
neither money nor property were central for either husbands or wives. All the
women had engaged actually or potentially in sex with men of their own choosing
outside the bonds of marriage. From the tales of these willing adulteresses who
ended up in court, we can learn about a range of possibilities for extramarital
adventures and about the narratives and discourses that explained them and
hoped to extenuate culpability. These women, though several years married, were
often young. In other Governor’s court trials around f lawed marriages the wives
typically complained of mistreatment to justify their straying. In none of
these four stories, however, did that rhetoric appear. The husbands, when
theysuspected or learned what was afoot, were angry, but the trials were not
about ending a marriage. The lovers, themselves unmarried, were among the many
unattached men in Rome, and met the adulteresses through family and local
connections. Also telling are the ways that neighbors and colleagues took part,
both in the trysts and in their discovery and discipline. In my first two
adultery stories, unhappy husbands tried, more and less cannily, to corral
their wandering wives. For both, events transpired close to home. In the first
case, the spouses spoke of Tridentine teachings to repair a troubled marriage.
The pastoral discipline had failed to work, however, and the next time the
irate husband resorted to self-help, seriously beating his incorrigible wife.
The domestic violence brought the problem to public notice. In the second
story, the husband confronted his wife with her misconduct reported by
neighbors. When she faced down his efforts at proper spousal correction and
still continued to roam, the husband turned for help to the ecclesiastical and
public authorities. They, in time, intervened, but notably declined to rush
into a private matter without good cause. The first tale provocatively mixed
elements of Boccaccio with Catholic reform teaching to the laity. A very short
trial from May 1593 recounted adultery trouble that exploded within the cramped
premises of a fruit and vegetable seller in central Rome.46 After the
beleaguered husband, Hieronimo, had resorted to self-help, the resulting
domestic violence led an unnamed informant to alert the police. In this
instance, probably because the wife, Caterina, lay injured, instead of
collecting testimony at the prison, the notary first hurried to the respectable
shopkeeper’s premises to interview both spouses. Husband and wife testified
immediately in the heat of events and again, later, in jail. The would-be
lover, the shop assistant Leonardo, nimbly decamped before the law arrived. As
was common for many city dwellers, Hieronimo Ursini from Milan kept shop on the
street f loor and lived upstairs with his wife, Caterina, but evidently had no
children. Two garzoni (shop assistants) slept in an adjacent room. The
fruitseller had good reason to suspect his young wife. By his account,
Caterina, whom he spied often f lirting in the window “with this one and that
one,” had repeatedly tried his patience. Worse, he once had caught her at her
mother’s house, “almost in the act” of having sex with a tavern keeper.
Nevertheless, Hieronimo averred piously, “I forgave her, and she promised to do
no more wrong, and we confessed together to the parish priest and took communion,
and I took her back and led her home, pardoning everything and keeping her
always as well as possible” (ff. 1125r–v). Portraying himself as a pious and
forgiving husband, Hieronimo sought to meliorate the court’s view of his later,
less irenic, behavior. The testimony, which likely was approximately true,
shows us a man of modest status deftly invoking good Catholic teaching.
Caterina in turn confessed, “Truly, I did wrong (torto) to do what I did to my
husband, because I once fell into error (errore) at my mother’s house, where I
had sex with Giovanni Angelo the tavern keeper, and even so, my husband forgave
me and took meback into the house” (ff. 1128r–v). Here she acknowledged not
only Hieronimo’s forbearance, but also her own inclinations to illicit
pleasure. Hieronimo’s jealousy thus primed, on a May morning he climbed early
out of the bed that he shared with his f lirtatious wife. According to his
testimony, he intended to go to a garden on the edge of the city to cut
artichokes for the shop. He tried to rouse his two garzoni who were sleeping in
another room. One got up, but Leonardo, also from Milan, claimed to be sick and
would not rise. Suspecting the lay-a-bed of setting a “trap,” Hieronimo sent
the other assistant out to collect the produce, but he himself slipped into the
shop and hid behind a barrel. After a while, Leonardo entered the shop,
“sighing,” according to the hidden Hieronimo, “an amorous sigh.” A few minutes
later, Caterina appeared, asking where her husband was. “Gone to cut artichokes,”
replied Leonardo. Immediately, said Hieronimo, Caterina began to adjust the
garzone’s ruff ( fare le lattughe), and quickly the two became playful and
kissed each other. The husband, seeing that “Leonardo wanted to lift her skirts
and do his thing ( fare il fatto suo),” burst out of hiding shouting, “Oh
traitor, oh traitor, you do this to me!” (ff. 1126r–v). Seeing his master thus
enraged, Leonardo, expediently, slipped out the shop door and disappeared from
the story. Caterina retreated hastily up the stairs, and Hieronimo surged
after, beating her with a broomhandle, a domestic weapon of choice for women as
well as men, with his fists, and with his belt. So incensed was he that he
pinned her down with his knees on her belly and then on her shoulders, while
hauling on her braids, so that he left her “as if dead,” swollen, bloody, and
with bruises “blacker that your Lordship’s hat” (ff. 1126v–1127r). Hieronimo
volunteered all these details, and one suspects that he may have shocked even
himself with his ferocity. Caterina’s tale of the putative adultery and its
sorry aftermath provides another perspective. Not surprisingly, she presented
herself as aggrieved and “mistreated.” Nevertheless, she reported a similar
account leading to the f lirtatious exchange with Leonardo. Her husband, having
left early without a word, she rose two hours later. Going into the next room,
Caterina rousted Leonardo to get up and open the shop, while she swept. When
she went down for a basket to hold the sweepings, she found Leonardo, wrestling
with a pair of sleeves. He asked for help in attaching them, and the two began
laughing as they struggled with the laces. Just then, Hieronimo sprang out and
began to assault his wife. Confirming Hieronimo’s confessed details and adding
blows with the head of a hatchet, Caterina claimed that he wanted to kill her.
But, “please God,” he had not (f. 1125v). Later, pressured by the court at a
second interrogation, the wife admitted to some greater provocation of her
husband. In this version, as she came into the shop, Leonardo asked that she
help lace his sleeves and moaned about not feeling well. She joked that he was
not going to die, and they began to play so that, as in Hieronimo’s account,
the garzone had kissed her “lustfully (lusuriosamente)” on the cheek and she
responded in kind (f. 1128r–v). Though more theatrical than some tales, this
domestic drama had several points in common with other neighborhood adulteries.
First, illicit relationssprouted very close to home. These were the
settings—through work and domestic propinquity—in which wives were likely to
meet other men. Perhaps surprisingly to us, these were also the spaces in which
adultery—its initiations and often its consummations—took place. People
understood the risks and costs of getting caught; at the same time, privacy,
such as we imagine it, was simply not a reality for most people. While married,
Caterina had practiced serious f lirtations first in her mother’s house and
then in her husband’s, with one of their live-in employees. Even if no real sex
had transpired with Leonardo, Caterina saw the wrongful pattern of her conduct.
She evidently enjoyed the play and appreciation of her guilty encounters, but
she gave little sign of personal feelings for her lovers. In contrast, there
does seem to have been some commitment, however f lawed on both sides, between
the spouses. While we may doubt that Caterina changed her ways, she did express
a sense of responsibility and a belief that she should make peace with her
husband. The brevity of the trial suggests that the magistrate was content to
dispatch the matter quietly. Both spouses had to answer for their
transgressions— Caterina’s sexual misconduct and Hieronimo’s excessive
correction.47 The second story of adultery is the only one of the four where
the husband himself brought his private troubles to the authorities.48 For more
than six months, Bartolomeo from Genoa, alerted by friends, investigated
suspicions and then sought to correct his errant wife, Isabetta from Rome. He had
tried several times in previous months to enlist the help of the Vicario’s
ecclesiastical tribunal, but in vain. Recently, however, he had procured a
warrant, probably from the Governor’s court (ff. 832r–v, 834r). So, a police
patrol met Bartolomeo outside the building where the lovers had been seen and
at his direction made arrests that led to the trial.49 Events took place in a
shared neighborhood and within a community of workers, several of whom
testified. In this slightly larger, but still face-to-face social terrain,
friends and neighbors, notably men this time, had a crucial role in managing
their comrade’s disarray. On Saturday, October 22, 1604, right after the
arrests, Bartolomeo, coachman to a Monsignor Dandini, complained formally
against his wife and Francesco Cappelli from Florence (ff. 831r–v). Bartolomeo
had married Isabetta six years earlier; although native Roman women were few,
they often married men from outside who sought to establish themselves in the
capital. It was a second marriage for Isabetta, who had a grown stepson and a
son who lived together in another neighborhood (f. 840v). Bartolomeo lived with
Isabetta and their young son near San Pantaleone in the city center. The
accused lover, a twelve-year resident of Rome who served as coachman to another
churchman, the Archbishop of Monreale, worked from a stable nearby.
Bartolomeo’s complaint charged Isabetta with spending “unusually much ( piu
dell’ordinario)” time with Francesco. According to reports from several men,
including a third coachman, while Bartolomeo lay on his sick bed, Isabetta came
and went late in the evening from the stables where Francesco worked. Once
healthy again, Bartolomeo berated his wife for her visits and threatened her
with arrest and public whipping (f. 831r). She, however, denied all charges and
challenged her husband to do his worst(f. 831v). Nevertheless, Bartolomeo
asked his friends to spy on her movements (ff. 833v–834r). One morning
Bartolomeo’s nephew brought word that Isabetta had been spotted a few streets
away going with Francesco into the Palazzo de Picchi. Bartolomeo sent a
messenger to alert the city police. When they arrived, Bartolomeo told them to
arrest Francesco, then descending the stairs. The husband entered the building,
collected Isabetta, and sent her, too, off to jail (f. 831v). Note that the
Governor’s police were willing to act, but left it to the respectable husband
to hand over his wife. After the arrests, neighbors and colleagues testified to
having seen Francesco and Isabetta often together over many months and hearing
talk in the piazza of their being lovers. One man observed her three or four
times in the last month taking advantage of walking her son to school to stop
to talk with Francesco in the courtyard of the Massimi family palace (f. 837v).
Another neighbor, Alfonso, intervened directly. Because, he said, Isabetta was
his commare, his spiritual kinswoman, he had invited her a month earlier to his
house. There, with his own wife present, Alfonso told the wayward Isabetta of
the rumors that she was in love (inamorata) with Francesco and having sex with
him. Alfonso urged to her to smarten up (stesse in cervello) and amend her
ways, because her husband knew and had a warrant to send her to jail, and
because it dishonored Alfonso himself, who had helped marry her so respectably
(ff. 834r–v). In their early testimonies, the lovers took different tacks. The
unattached Francesco downplayed the whole business. He acknowledged, as did
Isabetta, that they had known each other in the neighborhood for three or four
years. Yet Francesco dismissed her presence in his room or any adulterous
reasons for it, “I cannot know the heart of that woman or why she came up” (f.
835v). Isabetta, pressed hard through several interrogations, tried ineffectually
to parry the court’s questions. She garbed herself conventionally as a dutiful
housewife who minded her own business and seldom went out: “I have to keep
working if I want to live” (f. 841r). Accordingly, she implausibly denied
knowing local geography; then, insisting that she had never set foot in the
stables, she fudged the meanings of being “inside” a place (f. 839r). She
invoked her own good name, though in an elaborately conditional mode: “What do
you imagine, your Lordship, if I had gone out while my husband was sick, that
would have been a fine honor from me” (f. 839v). Blaming her neighbors for
their spiteful testimony, she invoked the chronic enmities of local life: “what
fine witnesses are these? this is how they repay the courtesies and good will
that I have used with them” (f. 843r). Later, however, she backtracked on some
of these claims with a pathetic tale of going out at night to fetch some greens
to feed the ailing Bartolomeo. Passing by the stable’s open door, she said,
Francesco had called out to her, “‘how is your husband?’ I, in tears, answered
that the doctor offered little hope, and then Francesco responded, ‘look, if
you need anything, be it money or anything else, just ask’” (ff. 843r–v). Spun
this way, the errant wife’s visit to the stable got folded into a stirring
picture of her desperate efforts to help her husband and of the fellow
coachman’s sympathetic offer of aid.Near the end of the trial, the accused
lovers, confronted with repeated testimony to their private meetings at the
stable and in the palazzo, were pushed to address the presumption that they met
for sex. As a judge said in another trial, “solus con sola, one does not
presume they are saying the paternoster.”50 When pressed, Francesco exclaimed,
“Your Lordship, I will take 100,000 oaths that I had no carnal doings with
Isabetta!” He continued, “I can show your Lordship that only with great
difficulty can I go with women, and when I do, it is rarely and to my great
injury (danno), because four ribs got cut by a Turkish scimitar when I served
as a soldier on the galleys of the Grand Duke” of Tuscany (f. 849v). Here we
have detail so baroque that we may have to believe it. Francesco aimed to
suggest, with timeless logic, that his encounters with Isabetta were not, actually,
sex. Whatever it was, however, he feared culpability and had tried, with
various moves, to def lect it. Interestingly, Isabetta’s final remarks also
denied a sexual relationship by alluding to Francesco’s behavior. In her words,
“if he were as proper (netto) with other women as he is with me, he would never
have had sex with any woman.” Then, reaffirming her veracity, she concluded
with a shift to a rhetoric of intention and sin, “If I had done wrong (errore)
and if Francesco had sex with me, I would say so freely and ask for
forgiveness, but because I did not do it, I cannot say I did” (ff. 850v–851r).
Much more was at stake for Isabetta than for her lover. Knowing well that, in
sneaking around while her husband was ill, she had erred in the eyes of her
peers, she did not counter Bartolomeo’s charges with complaints of
mistreatment. Yet she stood on her word that she could not confess a lie. There
the trial record ended with the usual legal instruction that both accused
parties be released into the jail’s public rooms (ad largam) with three days to
prepare a defense. Accumulated circumstantial evidence, rather than catching
lovers in the sexual act, was sufficient for neighbors and, in turn, their
publica vox et fama attesting to the offense had weight in court. Nevertheless,
perhaps fearing retaliation, people appear not to have turned each other in too
quickly. Once an adulterous coupling became common, local knowledge, a friend
or associate might assay an informal warning to wife, husband, or lover.
Consensus likely deemed these matters family business, better handled privately
and with minimal scandal. In this case, Bernardino not only chose official
help, but had to persist to get it. In two other stories private adultery and
its public prosecution unfolded in different circumstances. Here the
adulteresses took advantage of wider urban terrains when pursuing their
romantic yearnings. The husbands, although present in the city, were not
principal players in bringing the cases to court. Neighbors, on the other hand,
took active part, facilitating the alliances or tolerating them for some time,
until a moment arrived when someone alerted the authorities. These times, when
the police raided an illicit rendezvous, they acted ex offitio, on the newer legal
premise that the court could intervene directly, without a kinsman’s request,
to ensure order among the city’s lower-status residents. In a third episode of
simple adultery, prosecuted in January 1605, the husband, Giovanni Domenico,
was in fact the last to know. The short trial consists of apolice report and
testimonies from several neighborhood witnesses.51 Neither wife nor lover spoke
on record, but procedural annotations at the document’s end register their
choice not to challenge any of the witnesses. Most likely, the adulterers
accepted a summary decision that ordered them to pay fines and agree formally
not to consort any more. Giovanni Domenico di Mattei from Lombardy and his
wife, Madalena, lived on the Tiber Island with their two young children and an
orphan boy whom they kept “for the love of God” (f. 145v). Husband and wife
shared a business selling doughnuts from their home (f. 143r). Giovanni
Domenico also commuted daily across the city to Piazza Capranica to work as an
assistant to a doughnut-maker (ciambellaro) (f. 145r). The job required his
being away overnight, but every morning he returned to his family quarters,
evidently bringing pastries to sell. One Wednesday morning, Giovanni Domenico
came home to find that Madalena had been arrested, along with Pietro Gallo from
Parma, a twenty-five-year-old barber’s garzone who lived two doors down the
street (ff. 144r, 145v). According to the official report, a neighbor’s
denunciation had informed the authorities that “every night after four hours (10
p.m.) Pietro habitually goes to sleep with Madalena” (f. 143r). Receiving word
again last night that the barber was there, the police raided the house late on
a chilly January evening. With professional savvy, the lieutenant posted men to
watch the exits before knocking on Madalena’s door, which she opened after a
few minutes’ delay. While a search inside found no man, a loud noise overhead
alerted the police to visit the roof, but in vain. They did soon discover the
barber in his nightshirt in his own bed, where he protested that he had been
checking the premises above on behalf of his absent landlord. Unconvinced, the
police led the two lovers off to jail (ff. 143v–145r). When Giovanni Domenico
came home to the unpleasant surprise of his wife’s arrest, he learned that
Pietro the barber, carrying a sword (a further offense), had been in the house
at night with Madalena. The cuckolded husband went immediately to make a formal
complaint and to demand, according to the protocol, the severest punishments for
Pietro, Madalena, and anyone with a part in “leading him to her” (ff. 145r–v).
The young orphan, Giovanni Santi, nicknamed Scimiotto (Little Monkey), also
testified then under his master’s auspices. The boy explained that, during the
four months that he had lived in the household, Madalena had many times sent
him to invite the barber to eat, and that, when Giovanni Domenico was away,
Pietro stayed to sleep. He shared the bed with Madalena and the two children,
while the young witness slept on the f loor in the same room. The lover usually
entered through the door, but sometimes through a window belonging to a
laundress (ff. 146r–v). During her husband’s nightly absences and in plain view
of the neighbors, Madalena had carried on adulterously with, like the other
women, a young, unmarried man who lived nearby. The affair (amicizia) had been
going on for as much as two years, according to gossip in the local wineshop
(f. 148v). A hatmaker who lived in the house between the two lovers had for six
months heardlocal “murmuring” that Pietro was having sex (negotiava) with
Madalena. In passing back and forth, the neighbor had many times seen the
barber in her house, their “talking and laughing together publicly .
. . sometimes in the morning, sometimes after eating, sometimes toward
evening” (f. 147r). Often, said the hatmaker, other men also hung out
convivially at the shop, eating doughnuts, or, in season, roasted chestnuts (f.
148v). Giovanni Domenico must have been around sometimes when such sociability,
presumably good for business, took place. Yet, about a month before the
arrests, the hatmaker saw fit one day in his shop to warn the young barber:
“the people of Trastevere say you’re having sex with the doughnut-maker’s wife;
if you don’t straighten up, you’ll go to jail.” When Pietro denied it, the
hatmaker replied that it was not his business, but that the barber had better
mind his (f. 147r). Cesare the tavern keeper had also challenged Pietro.
Several weeks ago, Cesare had gone to Madalena’s to borrow matches and found
her eating with the barber and another man. Seeing the tavern keeper, Pietro
had slipped away to hide. Later that day, Madalena’s small son came to Cesare’s
house to get a light. Jokingly, he asked the boy: “who was sleeping with your
mother last night?” (f. 148r). Later still, Pietro stormed into the tavern and
began to threaten the host, saying that he should take care of his own house
and not speak of others, or that he would get his head stove in. Cesare,
figuring out how his words had passed from the child to his mother and to
Pietro, protested that he had only spoken in jest (f. 148r). Although
propinquity and opportunity during Giovanni Domenico’s regular absences clearly
favored the liaison, we must guess at what drew these two lovers together. The
unmarried barber could readily have found sex and even a quasi-domestic
companionship elsewhere among the city’s prostitutes. The illicit pair seemed
to enjoy each other’s company, alone together and also in groups. In Rome where
many men were on their own, taking meals in others’ houses, sometimes in return
for a contribution in food or money, was not unusual. Pietro’s sleeping over,
especially when he lived so close by, was less acceptable. Interestingly,
though, no one called Madalena a whore or said that she was in it for money.
This suggests that there was something companionable about the connection, and
that may have colored local reactions, at least initially. Some shift of
neighborhood opinion in recent weeks, however, had led the hatmaker to confront
Pietro and the tavern keeper to make his tactless joke to Madalena’s son. How,
then, did the cuckolded husband not suspect? Seemingly, none of the neighbors
said anything to him. At least, when he came home to discover the arrests, he
hastily adopted a posture of righteous ignorance and mustered shreds of
domestic mastery by adding his complaint to the magistrate’s file.
Nevertheless, given local practices, the marriage probably muddled on. The
fourth case shows a different pattern of adulterous assignation.52 The lovers
had been acquainted through family connections for several years. The older
married woman, infatuated with a younger man, a cloth dealer, organized their
sexual trysts. Completely absent from the trial, the cuckolded husband figured
only as an angry specter in his wife’s mind. Here again, a neighbor’s
denunciationlaunched the official investigation. Testimonies from the two
lovers and from several women neighbors arrested with them confirmed and
extended the police report. On Saturday, March 23, 1602, in mid-afternoon, a
police patrol raided a modest upstairs room in the Vicolo Lancelotti near the
Tiber river. According to their lieutenant, an unnamed local informant reported
that a married woman had been meeting a lover there on Saturdays for some
months (ff. 1219r–v). The lodging belonged to Filippa from Romagna, a weaver
and the wife of Hieronimo Morini, though evidently alone in Rome (f. 1220r).
Two other women on their own, including Filippa’s commare Marcella, also shared
the staircase. On Saturday, hearing men barge into the building, the weaver was
able to warn the lovers, so that the police arrived to find the pair, both
fully clothed, the man sitting on the bed and the woman standing beside him.
But when the man rose, lifting his cloak from the bed, the lieutenant spotted a
“shape” ( forma) betraying the couple’s activity (f. 1219r). The woman, Livia,
was known to all present as the wife of Pietropaolo Panicarolo, a carpenter
from Milan (f. 1224v). Confronted by the police, she threw herself tearfully on
her knees and begged not to be taken to prison, because “this is the time” that
her husband would kill her. The man, Marino Marcutio from Gubbio, took an
officer aside, saying “I am a merchant” and offering money or whatever he
wanted in order to let them go, the woman in particular (ff. 1219r–v). But the
righteous policeman refused the bribe, bound the pair, and sent them to jail.
The adultery’s backstory emerged from the interrogations. Livia testified that
she had been married for twenty-six years, although she likely included a brief
first marriage contracted when she was very young (ff. 1225r–v). That husband
had died before she was old enough to go live with him, and probably she had
been wed soon again to Pietropaolo. In any case, in 1602 Livia must have been
at least thirty-five and maybe older. She lived with her husband, but, like
Caterina and Hieronimo in the first story, they had no children. Besides
Livia’s fear of Pietropaolo’s violence should he discover the adultery, we know
nothing of their relationship. As in the third case, the geography in this one
spread out across the center of the city. Livia lived currently not far from
the Trevi Fountain and was accustomed to moving good distances around the city
on her own (f. 1221v). Marino, a younger man, kept shop across town on a corner
where the street of the Chiavari met the Piazza Giudea (f. 1220v). Livia had
come to know Marino eight years before in her own home, where she nursed his
seriously ill cousin, who later died (ff. 1227r, 1229r). Marino had also shared
recreation and games with her husband, Pietropaolo, and the merchant’s parents
had more recently lodged in the carpenter’s quarters during the Holy Year of
1600 (f. 1229r). Through these domestic encounters, Livia had fallen in love
with Marino and had long strategized to meet him discreetly for sex. Livia had
known Filippa for two years, during which time the weaver, who worked on a loom
in her room, had made three cloths for the more aff luent carpenter’s wife (f.
1221r). Filippa had visitedLivia’s house to collect yarn for the loom and to
deliver finished cloth, and Livia had called in the Vicolo Lancelotti, although
it was a good way from her home. So, bumping into Filippa at various spots
around town, Livia importuned her repeatedly for the use of her room to meet
Marino (f. 1221v). Though reluctant, Filippa eventually gave in to the woman
who gave her work. At risk of being charged as a go-between, the weaver said
she had refused any compensation, but Livia said that she had given Filippa
five giulii for the two recent assignations (f. 1227v). In Livia’s own
words, she had loved and been in love (inamorata) with Marino for years, and
her infatuation had propelled her to arrange a series of private encounters
“not having opportunity to enjoy him ( goderlo) in my house out of respect for
my husband” (f. 1225r). Livia and Marino both acknowledged having met privately
a number of times at Filippa’s room, and twice in the last week that was the
focus of the investigation. On the Monday before the arrests, the pair had had
a rendezvous at Filippa’s house. Duly chaperoned by a nephew, who left
immediately, Livia arrived first after the midday meal and joined the weaver in
her room. Marino appeared about a half hour later, bringing some collars for
starching as a standard cover story for his presence. After chatting brief ly,
Filippa withdrew and left the pair alone. Sometimes, the door was open during
the couple’s visits, but on this, as on another, occasion they had been locked
inside for about an hour (f. 1221r). When later the policeman asked Filippa
what the couple had been doing, she replied, “you know very well that when a
man and a woman are together, it is not licit to see what they are doing” (f.
1219v). Although all the women witnesses echoed the sentiment that Livia was in
love, it was not clear whether, when the couple next met on Saturday, they had
sex. Livia was angry with Marino, because she thought that he was chasing
another woman, and they had had words. She also insisted with dubious piety,
“on Saturday I don’t commit sin, not even with my husband (il sabbato non fo il
peccato, ne anco con mio marito)” (ff.1221r, 1225r). Although during the
arrests Marino had tried to protect Livia, under interrogation his story aimed
first to exonerate himself. He acknowledged that he had met Livia once before
Christmas, twice before Carnival, and another two times during Lent, but, he
insisted, only to talk. Making the implausible claim that he only sought the carpenter’s
wife’s help in order to secure a “simple benefice” for his brother who was a
student, he denied sex altogether (f. 1229v). Describing their emotional bond,
he notably cast the feelings in terms of Livia’s warmth toward him, “she is a
friend to me and loving because she has helped me (mi e amica et amorevole
perche mi ha fatto de servitii ),” referring to her nursing his mother and
cousin (ff. 1231v–1232r).53 To dislodge the lovers’ conf licting testimony and
to convict Marino, the court proceeded to torture the adulteress in front of
the merchant (f. 1234r–v). Using the lighter instruments of the sibille that
compressed the hands, this formal act of judicial stagecraft intended, as in
Artemisia Gentileschi’s case, to authorize the claims of the sexually
compromised woman.54 The tactic failed, nonetheless, to elicit a change in
Marino’s testimony that denied any sex, or touch, or kisses,or even hearing
that Livia was in love with him (f. 1236v). The judge probably did not believe
Marino, but legally his respectability and his adamancy held good weight.
Livia’s unknown fate, on the other hand, would have lain in part with her
invisible husband. If less dramatic than high culture’s renderings of adultery,
adorned by the heft of law, familiar biblical tropes, and colorful narrative in
paint and words, these everyday stories of wives seeking illicit moments of
love and fun have their own art and pathos. For example, there is the coachman
Francesco’s alleged sexual impairment due to a Turkish scimitar injury. Or the
hardworking doughnut guy cuckolded by the young barber. Or Filippa the poor
weaver, who got into trouble because her friend and employer Livia wore down
her resistance to playing hostess to a sexual rendezvous. Paradoxically
perhaps, the criminal court’s address to transgression here tells us more about
what really happened, and what happened to most people some of the time than
the great dramas of high art. Despite reformers’ efforts to discipline marriage
and sex, a customary culture that tolerated various forms of heterosexual error
persisted in Rome long after Trent. In these four cases, only one husband
sought the court’s help. In the others, neighborhood informants alerted the
authorities to a public disorder, but only after an adulterous liaison had been
known in their midst for some time. While the Governor’s court prosecuted
lovers as well as errant wives, the women usually had more to lose, but also
perhaps to gain. Even if unwise, some married women broke the rules and went
looking for love. What they found was usually close to home so that their
adventures took place under the eyes of a local community. These neighbors knew
often well before the law got involved and responded in diverse ways. Adultery
posed a social problem that demanded a solution, sooner or later. Although the
law had its own ambitions, in these sorts of everyday misdeeds justice did not
intervene with a devastating external discipline.Notes 1 Cristellon, “Public
Display,” 182–85, summarizes Italian legal and customary views of adultery. 2
Clarus, Opera omnia, 51b. 3 Besides essays in Matthews-Grieco, ed., Erotic
Cultures, see Bayer, ed., Art and Love, including essays by Musacchio (29–41)
and Grantham Turner (178–84). 4 Ajmer-Wollheim, “‘The Spirit is Ready’” 5
McClure, Parlour Games, 36–38. 6 Esposito, “Donna e fama,” 97–98, states this
standard view. 7 Cussen, “Matters of Honour,” 61–67. 8 Lev, The Tigress of
Forlì, 3–20. 9 Musacchio, “Adultery, Cuckoldry,” 11–34; on Piero’s death 17–18.
10 On wife-killing by nobleman Carlo Gesualdo in Naples, 1590, see Ober,
“Murders, Madrigals”; on Vittoria Savelli in the Roman hinterland, 1563, see
Cohen, Love and Death, 15–42. Killings of noble wives not caught in flagrante
delictu often had motives linked to claims on property or power rather jealous
rage. 11 Esposito, “Donne e fama,” 98 + n. 61.12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22
23 2425 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 4546 47 48
49Elizabeth S. CohenGal, Boudet, and Moulinier-Brogi, eds., Vedrai mirabilia, 241.
Kaborycha, ed., A Corresponding Renaissance, 172 + n. 19. Gal, Boudet, and
Moulinier-Brogi, Vedrai mirabilia, 251. Examples include: Titian (1510); Rocco
Marconi (1525); Palma il Vecchio (1525–28); Lorenzo Lotto (1528); Tintoretto
(1545–48); Alessandro Allori (1577). Alberti, “‘Divine Cuckolds.’” Rice, “The
Cuckoldries.” Boccaccio, Decameron. For example, Day 3, Story 3; Day 7, Story
2. For example, Day 3, Story 2; Day 4, Story 2. Ibid., 241–46. My translation
of the quote. Ibid., 500–01. Cristellon, Marriage, the Church, 14–19, 159–90.
For French parallels, see Mazo Karras, Unmarriages, 165–208. Ferraro, Marriage
Wars also includes cases in secular courts, where issues of property, often
pursued by husbands, have greater visibility; yet women brought many more suits
than men, 29–30. In the complaints, adultery was generally subordinate to other
concerns, 71. Cristellon, “Public Display,” 175–76, 180–85, Scaduto, ed.
Registi dei bandi, vol. 1 (anni 1234–1605), passim. Storey, Carnal Commerce,
108-14, 242–43. Blastenbrei, Kriminalität im Rom, 274–75. Cohen and Cohen,
“Justice and Crime.” Sonnino, “Population,” 50–70. Da Molin, Famiglia, 93–95.
Sonnino, “Population,” 62–64. See also, Nussdorfer, “Masculine Hierarchies.” Da
Molin, Famiglia, 243. The unexplained disappearance of Vicariato tribunal
records precludes Roman comparisons with Venice. Marchisello, “‘Alieni,’”
133–83. See also in the same volume, Esposito, “Adulterio.” Blastenbrei,
Kriminalität im Rom, 273, n. 160. Statuta almae urbis Romae, 108–09, for what
follows. Forcibly abducting prostitutes was a crime. Ibid., 109. Esposito,
“Donna e fama,” 89–90. Marchisello, “Alieni,” 137, 166–68; Esposito,
“Adulterio,” 26–27. Alternatively, the legal narrative for the charge of
sviamento, leading astray, shifted more blame onto the lover. For example,
Archivio di Stato di Roma, Governatore, Tribunale criminale (hereafter ASR
GTC), Processi, xvi secolo, busta 256 (1592), ff. 540r–62; see also,
Blastenbrei, Kriminalität im Rom, 272, 275. For example, ASR GTC, Processi,
xvii secolo, busta 25, ff. 17r–26v; (1603); busta 91, ff. 1153r–1159r (1610).
In parallel, the Statuta almae urbis Romae, 110, declared that men keeping
concubines were liable for fines of 50 scudi. Counts based on small numbers of
surviving records do not reflect behaviour or even patterns of prosecution.
Nevertheless, it may be useful to note that this type of “simple adulteries”
represent about a quarter of the adultery prosecutions between 1590 and 1610.
ASR GTC, Processi, xvi secolo, busta 270, ff. 1124r–1128v. References to
specific folios appear in parentheses in text. The trial record ended with the
usual note that those charged had three days to prepare their formal defense. I
have found no record of a judgment, but it is likely that the couple were
fined. ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 37, ff. 830r–851r. The charge
preteso adulterio (appearance of adultery) carried a lesser burden of
proof.Adulteresses in Catholic Reformation Rome50 51 52 53ASR GTC, Processi,
xvii secolo, busta 36, f. 63v. ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 44, ff.
142r–149r. ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 17, ff. 1218r–1238r. The range
of colloquial meanings for “amica” and “amorevole” was broad. Here Marino used
these words to indicate friendship and affiliation, rather than romantic or
sexual alliance. 54 Cohen, “Trials of Artemisia Gentileschi,” 58–59 + n.
47.Bibliography Archival sources Archivio di Stato di Roma, Governatore,
Tribunale Criminale Processi, xvi secolo, busta 256 (1592) Processi, xvi secolo,
busta 270 (1593) Processi, xvii secolo, busta 17 (1602) Processi, xvii secolo,
busta 25 (1603) Processi, xvii secolo, busta 36 (1604) Processi, xvii secolo,
busta 37 (1604) Processi, xvii secolo, busta 44 (1605) Processi, xvii secolo,
busta 91 (1610)Published sources Ajmer-Wollheim, Marta. “‘The Spirit is Ready,
But the Flesh is Tired’: Erotic Objects and Marriage in Early Modern Italy.” In
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Bayer, Andrea, ed. Art and Love in Renaissance Italy. New Haven, CT: Yale University
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Niemeyer Verlag, 1995. Boccaccio, Giovanni. Decameron. Translated by G.H.
McWilliam. Harmondsworth: Penguin, 1972. Clarus, Julius. Opera omnia sive
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L’Adulterio come delitto carnale in Prospero Farinacci (1544–1618).” In
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Counter-Reformation Rome. Cambridge: Cambridge University Press, 2008.PART
IISense and sensuality in sex and gender6 “BODILY THINGS” AND BRIDES OF CHRIST
The case of the early seventeenth-century “lesbian nun” Benedetta Carlini
Patricia SimonsOn November 5, 1623, two Capuchin friars sent by a papal nuncio
finished their investigation regarding whether abbess Benedetta Carlini was a
valid mystic. An earlier, local study drawn up for Pescia’s provost in 1619 had
been amenable to her claims. In July 1620, she became the first abbess of the
newly enclosed convent, a prestigious appointment that suggests belief in her
story. Yet Benedetta’s authority within the nunnery was not universally
accepted and she lost the support of the civic establishment, leading to the
new investigation by more distanced authorities. They decided that she had been
deceived by the devil because, according to evidence from disaffected nuns,
signs such as her stigmata were faked. New evidence also included the testimony
of the abbess’ assistant, Bartolomea Crivelli (often called Mea), who
unexpectedly told the men, in explicit detail, about sexual relations between
the two women. Most scholars were similarly surprised when Judith Brown
published the supposedly “unique” case in 1986, in Immodest Acts: The Life of a
Lesbian Nun.1 Responses were varied, the lengthiest being Rudolph Bell’s evaluation
in 1987, which argued that the nuncio was already determined to silence
Benedetta and that her subsequent lengthy imprisonment in the convent was
imposed by the nuns rather than external authorities, a claim refuted by
Brown.2 The details of the internal, civic, and ecclesiastical power plays
cannot be definitively known, but the sexual dynamics are clear. Over thirty
years later, it is time to reconsider this case, neither adhering to a
modernist notion of strict sexual identity nor relegating Benedetta and Mea to
the margins. In keeping with Konrad Eisenbichler’s ability to draw out erotic
implications from literary and archival evidence, this essay respects the
reality of the women’s intimacy and examines textual and visual materials in
order to situate them in their spiritual and sensual context. This case offers
specific details and terminology for what might be called corporeal
spirituality, the unequivocal coexistence of amorous language, sexual deeds,
pious rhetoric, and religious faith.3Since Benedetta’s visions entailed
visitations from Christ, whom she married in a public ceremony, and messages
from angels such as Splenditello, in whose voice she often spoke, Brown claimed
the two nuns were engaged in a heterosexualized affair: The only sexual relations
she seemed to recognize were those between men and women. Her male identity
consequently allowed her to have sexual and emotional relations that she could
not conceive between women. . . . In this double role of male and of
angel, Benedetta absolved herself from sin and accepted her society’s sexual
definitions of gender.4 Brown’s judgment associates male sex with masculine
gender, and in turn a presumed dichotomy between the two women is seamlessly
laminated onto their sex acts. However, this does not accord with either the
women’s physical actions, or with possibilities engendered by the sensual
spirituality of premodern Catholicism. The souls and f lesh of nuns were not as
neatly divided as a later, secular view imagines. Despite the Foucauldian point
that discourses of repression can generate the very thing they seek to silence,
the presumption of religious “purity” and feminized innocence has hardly
disappeared. Benedetta’s case remains nearly ignored in studies of European
religion or is cited brief ly with no new interpretation.5 It is seen as an
aberration on two counts: she was a nun with a sex life—considered an
oxymoron—and her sexual activity was with another woman—thought to be
impossible in her time and setting. Documented cases of nuns having sex with
clergy or secular men, as well as anti-clerical, fictional stories about such
conjunctions, are taken as ordinary, natural, feminine acts by women who were
supposedly frustrated in an entirely earthly way.6 But Benedetta, it seems,
must be a “unique” case, even “bizarre,” who assumed a male guise and cannot be
assimilated into religious history.7 My point here is to remove her from the
interdependent frameworks of deviance and heterosexuality, and to reintegrate
her into a religious context. Benedetta literally acted out what was usually a
world of visual and imaginary culture. Here I try to reconstruct a premodern
nun’s agency and the imagination of religious women, who were not necessarily
repressed victims with no recoverable history of any import. Nunneries were
loci of social and economic power, particular inhabitants inf luenced secular
women and male authority figures ranging from fathers to confessors, and some
women like Benedetta negotiated rich emotive lives for themselves. We tend to
think of nuns as women restricted by institutional confines and discourses that
denied them their bodies, but Benedetta’s story urges us to examine the
materiality of passion, of art, and of past lives. Only the report of the
Capuchins told of Benedetta’s sexual transgressions— f lirting with two male
priests as well as “immodest acts” with a woman—and only at the end of its
account.8 The inquiry concluded that her visions andecstasies were “demonic
illusions.”9 Along with her disturbingly erotic behavior, the inquirers were
concerned by their discovery that apparent signs of her special favor, the
stigmata, nuptial ring, and a bleeding crucifix, were all forged. The friars
integrated Carlini’s sexual behavior with her spiritual behavior—all were
sinful and diabolically inspired. In an important sense, we need to take this
contemporary contextualization seriously, understanding that Benedetta’s
visions were not utterly divided from her corporeal acts. The aspiring mystic,
then in her early thirties, had been having regular sex with Mea for at least
two years. Neither investigation was sparked byrumors of sexual sin, nor is it
clear how central that particular misconduct was to her lifelong imprisonment
within the convent.10 Benedetta’s story most resembles cases of what Anne
Jacobson Schutte has called “failed saints,” or what Inquisitors termed
“pretended holiness” (affetata santità).11 Sixteenth- and seventeenth-century
penance for a nun’s sexual sin ranged from expulsion or permanent incarceration
in the convent to just two years of penance there.12 No witnesses or other
evidence confirmed Mea’s testimony and if she had not made a voluntary
confession, no one could have uncovered the information. The demoted abbess
Carlini herself renounced her past and never acknowledged Mea’s claims. The
unusually visible sexual aspects may not be unique. Recalling her secular life
of the 1670s, and her enjoyment of men courting her, St. Veronica Giuliani
later emphatically interrupted one of her autobiographies. A sentence written
in capital letters alluded to imprecise errors, implicitly sexual: “I bore
great tribulation for the sins I committed with those spinsters and I did not
know how to confess them.”13 Cloistered women may have enjoyed undocumented but
thoroughly physical relationships in secluded spaces. From at least the twelfth
to the seventeenth century, incidents of same-sex eroticism within female
convents are recorded. Around 1660, nuns at Auxonne accused their mother
superior of bewitching them, of wearing a dildo, of kissing, and penetrating
them with fingers.14 Sixteenth- and seventeenth-century women in Italian
religious refuges for convertite (ex-prostitutes) and malmaritate (abused
wives) became friends and in some cases nearly half the inhabitants formed
couples sharing rooms, where “officials discovered women who were sexually
involved with other women.”15 Close living and supportive conditions also
obtained in non- or semi-cloistered communities of pious laywomen. Bell’s
critique of Brown usefully corrected various errors, while nevertheless making
new mistakes. His chief point was that the male investigators “had no lack of
imagination or conceptual framework for describing love between two women” and
that it was the nuns rather than the Church officials who condemned Benedetta
to life-long imprisonment.16 Certainly, she seems to have been a demanding,
imperious abbess who could not cope with the dissension her rule engendered,
perhaps in part due to newly instigated clausura. Brown’s label of “lesbian,”
despite her careful acknowledgment that it was anachronistic, provoked much
criticism. One reviewer of the book, using yet more historically inappropriate
terms, insisted that “Carlini is heterosexual or, more properly,bisexual in
both her inclinations and conduct.”17 Disagreements over labels and details
should not distract from the fundamental fact that physical, sexual contact
took place between two nuns. Too often, a series of dichotomies misinform
discussions of sexual practices. A binary between the mind and the body, the
soul and its vessel, is often mapped onto other seemingly concomitant divides,
not only between masculine and feminine but also the celestial and the mundane.
The presumption is that religious ideologies constantly repress bodily desires
and only secular, putatively modern, frameworks are capable of acknowledging
material passion. In a similar vein, a contrast is regularly drawn between
“real sex” (whatever that is) and “Romantic Friendships” amongst women. Both
the abbess’s visions and her sexual deeds were informed by conventions shaping
the lives of all nuns as brides of Christ at a time when dualism was not
naturalized. Discussing the exegetical tradition regarding the biblical Song of
Songs as an allegory about the soul’s union with the divine, E. Ann Matter
noted that the text was “the epithalamium of a spiritual union which ultimately
takes place between God and the resurrected Christian—both body and soul.”18
Benedetta’s mysticism links her to a tradition of female spirituality “that
made the body itself a vehicle of transcendence. . . . Corporeal
images were the stuff with which nuns described their experiences.”19
Heterosexualization of the story is too simplistic, too ignorant of complex
issues related to gender dynamics as well as intersex and transgender bodies.
What Brown calls Benedetta’s “double role of male and of angel” and “her male
identity” was not a consistent performance of masculinity. Speaking on occasion
as an angel named Splenditello or as Christ, the nun was a medium for the
divine rather than for her “self ” in a modern sense of individual identity,
and none of her contemporaries, including Mea, considered her male. During sex,
neither seventeenth-century woman believed the other was transformed into a
man, and their sex did not necessitate resort to “instruments” or dildos,
devices that so obsessed confessors. For two or more years, “at least three
times a week,” when the women shared a cell as mistress and servant, they had
sex, in the day as well as at night or in the early morning.20 Although Mea
sought to protect herself by claiming she was always forced, and a degree of
intimidation or overbearing insistence may well have been involved, she
implicitly admitted pleasure. “Embracing her,” the abbess “would put her under
herself and kissing her as if she were a man, she would speak words of love to
her. And she would stir on top of her so much that both of them corrupted
themselves.” The women did much more than engage in what Brown and Bell
describe, using the dismissive misnomer, as “mutual masturbation.”21 They
touched each other until orgasm, in vigorous and multiple ways, including
actions that were not possible for a single person, and had no need of a
phallus. Rubbing or “stirring” their genitals together to the point of
“corruption,” they also manually penetrated each other and actively used their
mouths. Presenting herself as more passive, Mea recounted how even during the
day the abbess grabbed her handand putting it under herself, she would have her
put her finger into her genitals, and holding it there she stirred herself so
much that she corrupted herself. And she would kiss her and also by force would
put her own hand under her companion and her finger into her genitals and
corrupted her.22 A slightly later expansion of the account accentuated
Benedetta’s inventive pursuit of pleasure, saying that “to feel greater
sensuality [she] stripped naked as a newborn babe,” and “as many as twenty
times by force she had wanted to kiss [Mea’s] genitals.”23 The document,
although stressing the younger woman’s reluctance, also showed a comprehension
of how satisfying the actions could be: “Benedetta, in order to have greater
pleasure, put her face between the other’s breasts and kissed them, and wanted
always to be thus on her.” During the day in her study, while teaching her
companion to read and write, the abbess again enjoyed sensual contact, having
Mea “sit down in front of her” or “be near her on her knees . . .
kissing her and putting her hands on her breasts.” Despite the reticence Mea
tried to convey in her statement, it was clear her lover sought mutual delight.
When manually arousing Mea, Benedetta “wanted her companion to do the same to
her, and while she was doing this she would kiss her.” The older woman was
presented as active and insistent. If Mea tried to refuse, the abbess went to
the cot “and, climbing on top, sinned with her by force,” or she would arouse
herself (“with her own hands she would corrupt herself ”). Hence, in a phrase
recorded only a few times in Mea’s testimony, the younger woman conceptualized
her vigorous, forceful lover in standard terms, saying “she would force her
into the bed and kissing her as if she were a man she would stir on top of
her.” Mea probably had no sexual experience with men, so her comparison was not
based on a Freudian model of the phallus or anatomical knowledge of a penis,
but on a sense of gendered roles whereby the man took a physically dominant
position. Benedetta and Mea enacted substantive, varied sex, in a range of
modes, positions, times, and locations. Benedetta’s case spurs us to ask
questions about the management of nunneries. How did seemingly “innocent” and
“repressed” women learn about sexual details and inventively contravene
prohibitions? A stock opposition between knowledgeable yet repressive male
authorities, and ignorant nuns without any agency, cannot satisfactorily apply.
Some inhabitants of nunneries shared a degree of sexual experience and innuendo
with their companions. Dedicated to God after her mother survived difficult
labor in 1590, Benedetta was a nine-year-old villager when she entered the
religious life.24 Most other entrants (and boarders) were similarly
prepubescent or in their early teens, but some were older, sexually experienced
women, such as widows or former prostitutes. Heterogeneity was increased by the
presence of converse, servants and lay sisters who entered at slightly older
ages, did not profess, and sometimes frequented the outside world, although the
growth of post-Tridentine enclosure made this less likely from the late
sixteenth century onward. The popular and much reprinted Colloquies (1529) by
Augustinian friar Erasmus suggested that nunneries were filled with “morewho
copy Sappho’s behavior (mores) than share her talent,” and that “All the veiled
aren’t virgins, believe me.”25 Through whatever means, cloistered women could
have clear ideas about how to attain sexual pleasure. An anonymous nun,
literate in Latin, wrote a love poem to another religious woman in the twelfth
century, noting that “when I recall how you caressed / So joyously, my little
breast / I want to die.”26 Confessors and canonists educated women in their
obsessive sense of sexual sin. Due to the urging of questioners, or to a sense
of guilt that welcomed the relief of voluntary confession, Venetian Inquisitors
heard in the 1660s about how the “failed saint” Antonia Pesenti fought in the
nighttime against diabolic temptations to masturbate.27 St. Catherine of Siena
(1347–80) was tormented by sexual visions.28 Such a woman, who strenuously
resisted association with secular men outside her family ever since she was a
girl and refused to place herself on the marriage market, nevertheless had some
comprehension of the conventions of sexual sin. Secular inspirations included
farmyard sights, carnival songs, and oral jokes. Sermons, or the queries of a
confessor, further embedded a degree of simple knowledge, horrifying yet
fascinating. Nuns were governed by regulations suspicious of erotic activity in
all-female environments, such as the provision since the early thirteenth
century of night-lights to deter illicit entries into cells, regular checks on
sleeping arrangements, supervision of female as well as male visitors, and
careful control of the grille and other points of contact with the wider world.
Yet those very rules made everyone aware of the possibility of contravention.
Many penitentials and texts of canon law voiced a concern about nuns erotically
touching or using “instruments” with each other, possibilities paradoxically
furthered through inquiries in the confessional.29 Visual culture, including
widely circulated prints and paintings of the damned, was another means whereby
nuns were incorporated into a communal imagination regarding both sin and sensual
piety. Explicit condemnations of same-sex activities led occasionally to
illustrations in religious texts or on the walls of convents.30 Sensitive
contact was also represented. Mutual tenderness and awe between the embracing
Mary and Elizabeth at the Visitation, liturgically celebrated in the musical
crescendo of the Magnificat (Luke 1:46–55) sung every day at Vespers, was
powerfully pictured by artists such as Domenico Ghirlandaio, Jacopo Pontormo,
and Parmigianino ( Figure 6.1).31 Saints’ lives contained legends like
Catherine of Siena suckling at Mary’s breast or St. Catherine of Genoa tenderly
kissing a dying woman on the mouth.32 A woman’s understanding of sex and
sensuality might have been based more on discursive than experiential
practices, but it could seem all the more real in its visionary presence. The
chief focus of my study is legitimized, mystical eroticism in convents, leading
to Benedetta’s mistaken, kinetic literalization of spiritual metaphors. Her
pious and sexual performances intertwined on at least three levels of efficacy.
Instrumentally, her access to the divine persuaded the younger, initially
illiterate Mea to be a witness to the visionary experiences and to become a sex
partner.Parmigianino, Visitation, pen and wash. Galleria Nazionale, Palazzo
della Pilotta, Parma.FIGURE 6.1De Agostini Picture Library/A.
DeGregorio/Bridgeman Images.Whether the ambitious nun was a self-aware
manipulator throughout, or convinced by her own delusions, is neither knowable
nor particularly pertinent. For some time Mea and the other nuns, the
confessor, local officials, and the townspeople were all caught up in a
visionary scenario they wanted to believe. At Benedetta’s funeral in 1661, the
populace had to be kept away from a body they stillthought capable of
miracles.33 The investigators eventually judged Benedetta a “poor creature”
deceived by the devil, and she agreed that everything was “done without her
consent or her will.”34 That defense of unconscious possession was already
evident during the days of her acceptance by the community, but it shifted from
being divine favor and spiritual rapture to becoming demonic deception. On the
psychological level, the two women were provided with an effective way to cope
with guilt. Until Mea “confessed with very great shame” about their sex, the
angel Splenditello convinced her the women were not sinning. 35 Initially
hesitating, in the presence of a host of saints led by Catherine of Siena, to
obey Christ’s command to disrobe so he could place a new heart in her body,
Benedetta was reassured by Jesus, who said “where I am, there is no shame.”36
The Capuchin investigators thought her putative ecstasy “partook more of the
lascivious than of the divine” but the earlier inquiry, and the convent’s
inhabitants like Mea, had not taken it amiss. After all, Saints Catherine of
Siena, Catherine de’ Ricci (1522–90), and Maria Maddalena de’ Pazzi (1566–1607)
received hearts from Christ, and numerous images in printed or painted form
continued to disseminate this aspect of female sanctity’s typology.37 Secular
poetry and pictures also represented the gifting of manly hearts as a token of
a courtly love that metaphorically elevated carnal desire into an idealized
realm, without losing sight of erotic thrill.38 Nuns were increasingly devoted
to Christ’s wounded heart, and imagined their own hearts as inner loci to be
entered by their heavenly groom. The crucial difference was that Benedetta’s
imagination was so inventive, and her belief system so literal, that
representation of her participation in this mystic ritual included
physical—“lascivious”—details. Thirdly, on the affective level, Benedetta’s
mysticism heightened her sense of desire, not only for union with the divine,
but for sex aided by angels. Equally, it could be said that her yearnings
exacerbated her mysticism. Recourse to mystical fantasy endowed her passion
with a structure and rhetoric. Rather than sublimation through piety,
Benedetta’s case history indicates an intensifying of acts spiritual and
sexual. Much of her complex psyche is summed up by the striking act of
benediction she performed after sex: as Splenditello, “he made the sign of the
cross all over his companion’s body after having committed many immodest acts
with her.”39 Priest, angel, nun, lover, guilty and grateful, powerful and
placatory, Benedetta moved her hand over a body she rendered simultaneously
sacral and sensual. Alongside a renewed disciplinary zeal regulating cloistered
life, CounterReformation culture witnessed a heightening of the emotive
register of piety. In doing so, the Catholic Church accentuated a venerable,
central heritage that used human bodies to imagine spiritual passions. So, in
the Mystic Nativity of 1500–01 (National Gallery, London), Botticelli’s angels
reenact the ritual of the kiss of peace, a regular liturgical moment, but
potential eroticization is indicated by its conjunction with a nuptial kiss and
by the exclusion of sinners from the ritual.40 Primarily same-sex pairs kiss
and embrace in Giovanni di Paolo’s midfifteenth-century panels representing
eternal paradise ( Figure 6.2).41 Angels andFIGURE 6.2 Giovanni di Paolo,
Paradise, 1445, tempera and gold on canvas, transferred from wood, 44.5 × 38.4
cm. New York, Metropolitan Museum of Art. Open access.souls of the blessed
greet each other, and the blissful unions are all manifested as moments of
physical intimacy. Men in religious costume embrace, two secular women tenderly
touch, near them two Dominican nuns entwine in one unit, and angels enfold men
into the sweet realm of grace. Some female mystics were blessed with a miracle
of lactation.42 Catherine of Siena’s experiences especially inf luenced
Benedetta because her mother was devoted to Catherine and the convent was under
her aegis as its patron saint.43 That role model’s mouth drained pus from a
woman’s breast and the abnegation was rewarded by what her confessor termed an
“indescribable and unfathomableliquid” f lowing from Christ’s side.44 Both
scenes featured in one of the prints comprising a well-disseminated series
illustrating Catherine’s life, designed by Francesco Vanni and first issued in
1597, then reissued in 1608 ( Figure 6.3).45 Her confessor Raymond of Capua
presented Christ as Catherine’s sensual lover: “putting His right hand on her
virginal neck and drawing her towards the wound in His own side, He whispered
to her, ‘Drink, daughter, the liquid from my side, and it will fill your soul
with such sweetness that its wonderful effects will be felt even by the body.’”
Raymond brief ly noted that an earlier confessor had written about how “the
glorious Mother of God herself fills her [i.e. Catherine] with ineffable
sweetness with milk from her most holy breast.”46 Nurtured at the breasts of
Christ and Mary, and moaning that “I want the Body of Our Lord Jesus Christ” in
church before his body f luid miraculously satisfied her so that “she thought
she must die of love,” Catherine’s inf luential model of sanctity encouraged
women such as her follower Benedetta Carlini to believe in sensate relief of
their spiritual desires.47FIGURE 6.3 Francesco Vanni, St. Catherine of Siena
orally draining pus from an ill woman and being rewarded with liquid from
Christ’s wound, 1597, engraving, 25.7 × 28.9 cm. Amsterdam, Rijksmuseum. Open
access.Benedetta’s maleness supposedly derived from her role-playing as Jesus
or an angel, yet neither Christ nor angels were unequivocally male. In a
fundamental sense, of course, Christ was masculine, the son of God endowed with
visible, male genitals to prove the infant’s assumption of Incarnational
humanity.48 His adult manifestation was also primarily masculine and
patriarchal. Imitative adoration of their heavenly spouse could lead to
mortification and even stigmatization, but nuns were not masculinized through
such actions and they did not automatically become lovers of men. Stigmatized
like Christ or speaking at times as though Christ was delivering a
message,Benedetta was not Jesus, but his bride and servant. Cloistered women
were privileged followers of Mary’s role as sponsa, the heavenly bride
reenacting the Song of Songs and enjoying sensual relations with an adult,
loving Christ. But when a German cleric regretfully noted that “it properly is
the prerogative of his [i.e. Christ’s] brides” alone to enjoy sensual union
with a celestial bridegroom, he nevertheless vicariously enjoyed a homoerotic
fantasy by instructing nuns to kiss Christ “for my sake.”49 As scholars have
shown, in many ways the metaphorical body of Christ was “feminine” or
homoerotic or, rather, polymorphous in its sensual charge.50 Nuns imagined
themselves as suckled infants, nurtured adults, mothers, spouses, female
friends, all sharing an affinity as “sisters and daughters in Jesus Christ,” as
Catherine de’ Ricci addressed a group of nuns in October 1571 after the death
of “your dearest mother,” their abbess.51 While Christ was their child and
groom, and Mary their exemplar, nuns were also enfolded in a female genealogy
of succession and a feminine household of multiple sisters, daughters and
mothers. Fellow nuns tenderly support Catherine of Siena when she is so
affected as to faint after receiving the stigmata, painted by Sodoma in the
mid-1520s for the Sienese chapel dedicated to her within the Dominican
headquarters of her cult (Figure 6.4).52 Catherine is shown with exemplary
female acolytes whose intimate, gentle regard for her swooning body suggests a
bodily care and unselfconsciousness that requires no masculine intervention.
Nuns took on more than one persona in this labile community of affection. After
Benedetta married Christ in a special ceremony on May 26, 1619, a brief
investigation did not distrust her mysticism, and on July 28, 1620 her
religious sisters elected her abbess, head of the new Congregation of the
Mother of God.53 As such, “mother” abbess Benedetta embraced her “daughter” and
fellow “sister” Mea. Brown conf lates being male with taking on an angelic
guise, but Benedetta took on no such “double role of male and of angel.” When
using the voice of an angel, she was not adapting a role assigned to unambiguously
male figures. Since theologians such as Aquinas believed angels might assume f
lesh but had no natural bodies or functions, the ethereal creatures were
officially asexual. Names, pronouns, and visual representations implied a
degree of masculinity about God’s messengers, but often of a childlike or
pubescent and androgynous kind. At the very moment when Gabriel carried the
message transmitting the Logos into the body of the Virgin Mary, that archangel
was often depicted as especially androgynous. It was probably to a frescoed
Gabriel that the orphan,Sodoma, Giovanni Antonio Bazzi, Scenes from the Life of
Saint Catherine of Siena: The swooning of the saint, 1526, fresco. Siena, S.
Domenico. Scala/Art Resource, NY.FIGURE 6.4The “lesbian nun” Benedetta
Carlinilater Beata, Vanna of Orvieto pointed on a church wall when she said
“this angel is my mother.”54 Splenditello and Benedetta’s other angels
empowered rather than masculinized her. Splenditello and company were
celestial, barely gendered embodiments of winged eros or desire, rather than of
a particular lover. Mea’s account moved directly from details of their sex to
the statement that the mystic “always appeared to be in a trance (ecstasi )
. . . Her angel, Splenditello, did these things, appearing as a
beautiful youth (bellisimo giovane) of fifteen years.”55 The attractive
adolescent was endowed with the kind of homoerotic potential celebrated in
contemporary paintings such as Caravaggio’s The Stigmatization of St. Francis
produced in the first decade of the seventeenth century (Figure 6.5).56 Like
the contemporaneous Splenditello, the seraphic spirit of celestial love who
gently supports Francis is a creature ostensibly male but fundamentally
symbolic of an eroticism which does not insist on singular identifications of
gender or sex. The saint swoons in the arms of a lover whose pictorial form
embodies the ineffable and polymorphous. Francis’s pious identification with
the supreme exemplar Christ is physically and metaphorically consummated as he receives
the stigmata in a mystical experience necessarily represented in erotic terms.
A little more than twenty years after Mea’s confession, Gianlorenzo Bernini
began work on a three-dimensional figuration of The Ecstasy of St. Teresa
(Figure 6.6). With caressing gaze, divine light, a conventional arrow of Love,
andFIGURE 6.5 Caravaggio, Saint Francis receiving the stigmata, ca. 1595–96,
oil on canvas, 94 × 130 cm. Wadsworth Atheneum Museum of Art.Photo credit:
Nimatallah/Art Resource, NY.FIGURE 6.6Bernini, The Ecstasy of St. Teresa,
marble, 1645–52. Rome, S. Maria dellaVittoria. Photo credit: Alinari/Art
Resource, NY.delicate gestures, Bernini’s embodiment of celestial spirit visits
upon Teresa an experience of divine transport. A childlike member of the ranks
of the cherubim gently strips Teresa of her worldly garments, lifting the robe
so that blissful fire will sear her soul with what she called “a point of fire.
This he plunged into my heart several times so that it penetrated to my
entrails.”57 As Teresa described her rapture in the early 1560s, “this is not a
physical, but a spiritual pain, though the body has some share in it—even a
considerable share.” Corporeal sensation was certainly perceived by an
anonymous critic who, around 1670, accused Bernini of having “dragged that most
pure Virgin not only into the Third Heaven, but into the dirt, to make a Venus
not only prostrate but prostituted.”58 Contemporaries, in other words, were
quite aware of the fine line between sensuality and spirituality, a boundary
crossed not only by Benedetta but by the renowned artist Bernini. Benedetta’s
staging of such favors as her stigmatization and her nuptials with Christ were
eroticized events akin to those depicted by artists. She involved an entire
community of nuns and a local populace in earthly manifestations of the divine,
just as Caravaggio did in oil paint, Bernini in marble, or preachers with
words. Miracles were understood to be physically manifest, and visions subtly
brought the divine into the corporeal realm. The late thirteenth-century mystic
Gertrude of Helfta wondered why God “had instructed her with so corporeal a
vision.” Her question was rhetorical, as any acceptable mystic knew: spiritual
and invisible things can only be explained to the human intellect by means of
similitudes of things perceived by the mind. And that is why no one ought to
despise what is revealed by means of bodily things, but ought to study anything
that would make the mind worthy of tasting the sweetness of spiritual delights
by means of the likeness of bodily things (corporalium rerum).59 As the
seamstress and “failed saint” Angela Mellini knew about her visions in the
1690s, “one never sees things with the eyes of the body, but everything is seen
intellectually.”60 On the other hand, this reassuring statement was delivered
to an Inquisitor, whereas a note written by her halting hand understood that
emotional passion had very real effects. Thinking of such things as the pains
she suffered in her heart, in imitation of Christ’s passion, she observed that
“love makes me experience the truth of sufferings through the senses, now it
beats, now it purges, now it hurts and now all sorts of torments are felt.” In
order to truly convey the exactitude and reality of her sensate love, in September
1697 she sketched a diagram of her wounded heart, complete with lance, nails,
hammer, cross, and crown of thorns. That drawing was produced for her
confessor, a man she desired so much that she felt “great heat in all the parts
of my body and particularly of movements in my genitals.”61 Like a courtier
offering a heart to the beloved, and like the related love-imagery for the
soul’s yearning after the divine, Angela availed herself of religious rhetoric
and resorted to physical signs when lovingChrist and wooing her priest.
Similarly, on Caravaggio’s canvas and in Bernini’s chapel, light is divine and
natural, the ecstasy spiritual and embodied. So, too, Benedetta’s sensate and
emotive life was a continuous blend of illusion and reality, spirit, and
similitude. Echoing her model, Catherine of Siena, Benedetta experienced
visions, stigmatization, the exchange of hearts, and a marriage with Christ.
Catherine’s reception into heaven after her death, disseminated in Francesco
Vanni’s engravings and various paintings, entailed a tender, intercessory
greeting by Mary.62 Catherine’s charitable nursing brought her mouth into
contact with one dying woman’s breast (Figure 6.3), and on another occasion she
transformed an ill woman into her spouse.63 “Full of burning charity,”
Catherine rushed to the hospital to tend a bereft woman, “embraced her, and
offered to help her and look after her for as long as she liked.” She motivated
herself by “looking upon this leper woman, in fact, as her Heavenly
Bridegroom.” Benedetta took the actions of her exemplar further, embracing
another woman in a relationship where each was a spouse, each a bride. At some
level, she perhaps believed the words God spoke to Catherine, that “In my eyes
there is neither male nor female.”64 To have an impact, mysticism had to
present a degree of spectacle, and thus cross into the physical realm. The
special favors bestowed on some mystics were invisible, but then other signs
had to appear, especially as the Church grew more cautious about legitimizing
local cults, feminine excesses, fakery, and piety which might turn out to be
diabolical in origin. Lucia Broccadelli’s stigmata arrived during Lent in 1496
but only becoming visible at Easter, after Catherine of Siena’s supplication in
heaven persuaded Christ “that the stigmata should be visible and palpable in
me.”65 For several years, the Dominican visionary was highly favored by the
lord of Ferrara, Ercole d’Este, and officials, including the Pope’s physician,
examined her wounds to their satisfaction. But the fortunes of this “living
saint” suffered a reversal when her ducal patron died in 1505. The sisters,
chafing under her strict rule, were able to mount a counter-offensive because
the stigmata had disappeared. Lucia was imprisoned for fraud within the convent
for nearly forty years, until she died in 1544. A potential mystic impressing
only a relatively small town and without a powerful supporter, Carlini also
encountered a backlash from her fellow religious and was investigated in an
even more stringent climate. Once the Counter-Reformation took hold, especially
after the Council of Trent (1545–63), there was an increase in cases of women
ultimately judged “failed saints” or diabolically possessed. Concomitantly, the
number of female canonizations decreased, with a suspicion of women deemed
credulous and excessive further abetted by Urban VIII’s more strict procedures
for canonization.66 Two hundred years earlier, Catherine of Siena’s confessor,
Raymond of Capua, later Master General of the Dominican Order, was persuaded of
the veracity of her mystical experiences, despite the invisibility of her
marriage ring and stigmata, by “watching the movements of her body when she was
in ecstasy.”67 Maria Maddalena de’ Pazzi begged Christ that her mystical ring
andThe “lesbian nun” Benedetta Carlini113stigmata be invisible, but the impulse
for humility was neatly balanced by kinetic and audible theatre similar to
Catherine’s. Her very wish not to be singled out became itself part of the
record collected by her community. In May 1619, Benedetta staged an elaborate
wedding witnessed by the secular elite of Pescia. The first inquiry into her
holiness began the very next day. But her renewal of the ring (with saffron)
and stigmata (with a large pin) only emerged in the course of the later
investigation.68 Judged fraudulent by Bell, Benedetta may nevertheless have
been acting in good faith, marking her body artificially only when doubts grew,
trying to persuade the sceptics by secondary, external signs that she truly
believed were there on her soul.69 When a Capuchin nun, the blessed Maria
Maddalena Martinengo (1687–1737), piously took a needle to her own body, it was
not counted diabolical. She embroidered the instruments of the Passion “with
the needle threaded with silk . . . into her own f lesh, nice and
big, as chalice-covers are embroidered, nor without bleeding.” 70 To retain her
status and stem the tide of opposition in an increasingly fractious convent,
Benedetta may have inscribed her body without thinking that the act was
forgery. Self-mutilation recurs in the lives of mystics, including Angela of
Foligno’s searing of her genitals, Margaret of Cortona’s desire to cut her
face, and Maria Maddalena de’ Pazzi’s gouging of her f lesh.71 Benedetta’s
piercing, documented by a hostile witness who came forth only after the convent
turned against their imperious abbess, may have been motivated in part by a
genuine element of imitatio Christi. Rather than judge her by later standards
of verisimilitude and honesty, it would be more appropriate to understand her
actions, and subsequent downfall, as a naïve, over-literal, and undisguised
performance of spiritual conventions that found no meaningful political support
amongst higher authorities or in a discordant convent. Like other aspirants to
mysticism, Benedetta displayed her celestial vision through mime, “motioning
with her hands as if she were taking” souls out of purgatory, for instance, but
her choreography went so far as to publicly process in a prearranged mystic
marriage, and to act out her erotic drive with Mea.72 Maria Maddalena de’ Pazzi
also kinetically staged her exceptionality. She mimed her wedding with Christ,
or in pantomime indicated to the novices under her care that she was being
stigmatized. Her charges reported that “she held her hands open, staring at a
figure of Jesus that she had on top of her bedstead; she looked like St.
Catherine of Siena. So, we thought that at that point Jesus gave her his holy
stigmata.” 73 Eroticizing a dormitory, looking at one image and mimicking
another, Maria Maddalena involved her young female audience in a highly visual
fantasy that drew on widely familiar iconography of female mysticism. Those
visualizations were further instilled through skills of internalized sight.
Trained, like all Catholics, in contemplative techniques merging the inner and
outer eye, Maria Maddalena and her faithful novices witnessed the material
reality of a vision. Meditative practices imagined narratives set in
contemporary settings, with familiar faces, placing a premium on immediacy and
recognition that was also highly valued in visual culture. Visions were
regularly made tangible,when nuns cared for and dressed dolls of the Christ
Child, acted out the stigmatization, wrote and performed religious plays, or,
in Catherine of Bologna’s case, painted and drew images inspired by her
raptures.74 To make fantasy real, to don the mantle of holy figures, was
orthodox rather than perverse. Benedetta’s concrete sexualization of her
religious scenario was not unique. In the early sixteenth century, a Spanish
canon lawyer had justified his inordinate lust for some nuns in Rome by arguing
that since, as a cleric “he was the bridegroom of the Church and the nuns were
brides of the Church,” they could have “carnal relations without sin.” 75
Imprisoned until he renounced these beliefs, the educated man had muddled
certain doctrines, but his conf lation of spiritual allegory and physical
desire was present in the writings of many a mystic and it was visualized in
numerous visions or works of art. By making her desires earthly as well as
divine, Benedetta misunderstood conventions, but she did not invent outside a
context. While she cannot be posited as a mainstream example of premodern
religiosity, there was a logic to Benedetta’s actions that does not rely on a
reading of her as a skeptical, manipulative fraud. Angelic disguise transformed
the mystic aspirant Benedetta into a forceful seductress, whose tenderness and
ecstatic passion was not rigidly fixed along differently sexed lines. Mea
reported: This Splenditello called her his beloved; . . . [and said]
I assure you that there is no sin in it; and while we did these things he said
many times: give yourself to me with all your heart and soul and then let me do
as I wish.76 Like the facilitating angel in the mystic encounters represented
by Caravaggio and Bernini, Benedetta’s guardian angel was imagined as a
beautiful, curlyhaired youth dressed in gold and white.77 The young angel was
an instrument of persuasion, the abbess a figure of command and intimidation.
Splenditello’s power derived from a patriarchal hierarchy in heaven, but he
sounded like a youth rather than a god. His counterpart in Caravaggio’s
painting does not heterosexualize that encounter; and in Bernini’s ensemble the
young angel eroticizes a spiritual ecstasy that cannot be crudely reduced to
phallic penetration by an adult man. Nor does Splenditello’s presence amidst
the couplings of Benedetta and Mea reduce them to a differently sexed twosome.
There was a third, disembodied protagonist in each of these raptures. The
divine was elemental light in Caravaggio’s painting and Bernini’s sculpture. In
Benedetta’s visions, as in her sex with Mea, the divine was literally
articulated, through voice. Christ or Splenditello was a pivot in a
triangulation of desire in which one of the results was frequent, very real sex
between two women.78 The interpretation of Benedetta’s acts within the
framework of a heterosexualized bride of Christ points to the need to reconsider
in quite what ways Jesus was a spouse. Three kinds of marital imagery informed
the regulation of female religious: liturgical, allegorical, and mystical.
While all nuns were incorporated liturgically and could picture their souls as
allegorical spouses of the heavenlybridegroom, only mystics experienced
additional nuptials. In 1619, Benedetta’s mystic marriage was an overt,
preplanned, public festival, as was her first marriage to Christ in 1599 at the
age of nine, taking the veil, ring, and crown at a ceremony celebrated by a
bishop, though occasionally the celebrant was an abbess.79 In a drawing by an
anonymous German nun around 1500, enthroned Virgin Mary/Ecclesia replaces the
priest (Figure 6.7).80 Strikingly, the figure of Christ, particularly as an
adult, is absent from many such images. When he does appear, as in an
illuminated manuscript of the rule of St. Benedict produced for Venetian nuns,
he can bestow the nuptial crown on two Brides at once.81 Describing the ritual
as one involving “the giving of a woman to a man” and using the term “heavenly
husband” mistakenly suggests a scenario akin to a modern, secular, nuclear
family.82 Analogy should not be confused with actuality. The acculturation
entailed complex, multiple interchanges, evident in the drawing (Figure 6.7).
Its scroll carries the inscription “Take this boy and take care of [i.e.
suckle] me (nutri michi). I will give you your reward.”83 Like a priest
offering the veil, ring, and crown, and then the eucharist, the Virgin begins to
speak, licensing the earthly virgin to embrace the baby. But the infant takes
over, urging the young nun to suckle him and promising her eternal reward. Her
spouse is an infant, not a dominant patriarch, nor an earthly “husband.” Christ
was a communal groom, and a commonly nurtured babe. He was more visible, and
more often adult, in images of the allegorical and mystical levels of
marriage.84 Mystic marriages of saints show the adult, or often infant, Christ
as the pivotal locus of mediation, yet the rhetoric and ritual of marriage also
visually and symbolically bonds two or more female charactersFIGURE
6.7Anonymous German nun, Consecration of Virgins, ca. 1500.Photo credit:
Jeffrey Hamburger. Used with permissionwho are devoted to God’s son. Catherine
of Siena imitated St. Catherine of Alexandria’s mystic marriage with Christ,
and thereafter the subject of union became popular.85 Female saints, especially
the earlier Catherine, are usually depicted in the act of espousal to an infant
Christ offered by his mother Mary, just as the German nun remembered (Figure
6.7). Thereby, two holy women engineer a mystical union over the body of a
small child. To say that Christ becomes “the object of exalted maternal
instincts rather than sublimated sexual desire,” however, is to assume that a
nurturing woman’s affection has no component of passion, and that all female
desire must be focused on a male object.86 The child-groom can be shown as a
young, unknowing instrument guided by his mother, as in a painting by Correggio,
where the interplay of hands is particularly sensitive.87 Courtly decorum
amongst adults becomes in Correggio’s visualization an intimate, gentle affair
in which the child is too young to grant seigneurial permission. Held close so
that his body is subsumed in his mother’s, at other times he is a virtual
extension of her body, helping to connect through compositional line and
symbolic gesture a succession of two or more female figures. His small arms and
shoulder stand in for Mary’s left arm in a later painting by Ludovico Carracci,
so that his torso becomes especially symbolic of a presence that almost need
not be there.88 Guercino’s painting of 1620 depicts a gentle touch between the
two women, and tender glances link the three characters, but Christ is relegated
to the opposite side.89 Visual management of nuns’ fantasies could imagine them
in very physical, explicit actions. A cycle on the Song of Songs painted in the
mid-fourteenth century on the walls of a nun’s gallery at Chelmno in eastern
Prussia imagined Sponsa eagerly pulling her spouse into her bedchamber.90 It
literalizes the Canticle: “I will seize you and lead you / into the house of my
mother” (8:2). Such pictures made manifest an emotive intensity that the
all-female audience knew they were meant to share with other women.91 In
Northern Europe, the instructional habit of elaborating the amorous interchange
between Christ and the soul produced a sequential narrative version illustrated
in comic-strip fashion, Christus und die minnende Seele (Christ and the loving
soul), written in German in the late fourteenth century, later disseminated in
printed sheets and books.92 The divine lover embraced the soul, wooed her with
music, and crowned her in a ritual reminiscent of a wedding ceremony. She obeyed
Christ’s command to divest herself of worldly garments when he said “If you
wish to serve me, you must be stripped bare.” It is unlikely that Italian nuns
like Benedetta knew this particular text or its imagery, but the practice of
encouraging a religious woman’s fantasy through narrative, whether in sermons,
sung words, wall paintings, prints, books, or paintings, fostered a widespread,
eroticized imagination. The soul’s rapturous reach toward its divine lover from
a supine position on a bed, as represented in the Rothschild Canticles, was
echoed in Bernini’s marble display of Ludovica Albertoni arching up from a bed
where the disarranged sheets are even more telling a sign of the soul’s
ecstasy.93 Within this ideological structure, BenedettaCarlini could imagine
herself as a privileged soul experiencing ecstatic union with the actual body
of Mea. On one of the three occasions when she addressed Mea in Christ’s voice,
“he said he wanted her to be his bride, and he was content that she give him
her hand; and she did this thinking it was Jesus.”94 Even if the abbess was a
manipulative faker, as a crude and cynical reading might have it, Mea believed
the illusion, according to her self-protective testimony. If neither woman was
skeptical at the time of the conversation, then the words and gesture performed
a tangible, if unconventional, enactment of bridal mysticism. Christ was
manifest in a human—and female—body rather than only present to the mind’s eye,
yet the two believers went on with the corporeal pantomime. If one or both of
the earthly players did think that Christ was not speaking, then at least one
of them heard a marriage proposal being offered by one woman to another yet did
not rebuff or denounce it at the time. Benedetta utilized the traditional
metaphors and scenarios of erotic mysticism, but at certain moments she took
the logic beyond doctrinal limits. She only assumed Jesus’ voice during three
conversations with Mea.95 Twice she spoke “before doing these dishonest
things,” first when Jesus took Mea’s hand and suggested marriage. The second
time was in the choir, “holding [Mea’s] hands together and telling her that he
forgave her all her sins.” “The third time it was after [Mea] was disturbed by
these goings on,” and was reassured that there was no sinfulness, and that
Benedetta “while doing these things had no awareness of them.” All three
occasions offered comfort and framed sex, occurring either before or after
their “immodest acts,” but Benedetta did not present herself as a sexually
active Christ. However much bridal mysticism structured Benedetta’s actions,
she never took on the persona of Christ during sex with Mea, instead acting
through an angel when she used any guise at all. Perhaps she is best described
as a mystic playwright, someone who wrote scripts during visionary or ecstatic
experiences but who acted out rather than wrote down the dramas, for an
audience that included not only Mea but also on occasion the other nuns and the
local populace. Plays by nuns were performed by inmates who cross-dressed for
the male roles.96 In 1553 Caterina de’ Ricci played the part of twelve-year-old
Jesus speaking, with “signs of particular love,” lines from the Song of Songs
to a fellow nun who was acting as St. Agnese.97 Taking multiple roles, such as
Christ or angels with a variety of dialects and ages, as well as sponsa and
anima, Benedetta was a consummate performer whose voice and appearance fitted
the occasion.98 The mutual gestures of Benedetta and Mea literally followed the
Song of Songs: “My beloved put forth his hand through the hole / and my belly
trembled at his touch / I rose to open to my beloved / my hands dripped myrrh /
. . . / I opened the bolt of the door to my love” (5:4–6). Mea’s
account of how Benedetta “put her face between the other’s breasts and kissed
them, and wanted always to be thus on her” recalls the Canticle’s enjoyment
too. In the adaptation of the biblical Song in the Rothschild manuscript
compiled for a nun, Sponsus delightsin breasts: “between my breasts he will abide
. . . Behold my beloved speaketh to me: How beautiful are thy
breasts, thy breasts are more beautiful than wine.”99 The phrase “sister my
bride (soror mea sponsa)” was particularly apt. It occurs four times in the
Song (4:9, 10, 12; 5:1), along with “open to me, my sister my friend” (sor mea
amica mea) (5:2). Imitating the soul’s statement in Christus und die minnende
Seele that “I must go completely naked,” Benedetta “stripped naked as a newborn
babe.” Each recalled the Song’s bride: “I have taken off my garment” (5:3). The
sequential narrative of the romance between Christ and the soul also had the
womanly soul say “I cannot read a book unless you are my master” and “I will
tell no-one, love, what I have heard from you,” each lines Mea could have
uttered to her abbess.100 Benedetta spoke another line, taking on the voice of
Christ to offer the symbolic emblem of mystical marriage: “Since you delight
me, love, I set a crown upon you.” She lay on top of Mea, “kissing her as if
she were a man [and] she would stir on top of her so much that both of them
corrupted themselves,” an arrangement, and finale, which bears comparison with
the miraculous levitation experienced by the Capuchin nun Maria Domitilla in
Pavia at the very same time, 1622. She recorded that Christ united his most
blessed head to my unworthy one, his most holy face to mine, his most holy
breast (petto) to mine, his most holy hands to mine, and his most holy feet to
mine, and thus all united to me so very tightly, he took me with him onto the cross
. . . I felt myself totally af lame with the most sweet love of this
most sweet Lord.101 Benedetta’s models, such as the sponsa, the anima, and
Catherine of Siena, were feminine, metaphorical, or legendary, and her mistake
in dogma was to take the symbolic literally. Benedetta acted as though the
material was the spiritual: stripping for Christ or Mea like an obedient and
pleasured soul in the Northern sequential romance; kissing a woman or suckling
at a breast as did certain female mystics or saints; engaging in mutual, manual
penetration of an orifice in line with the Song of Songs; proposing and
performing marriage as though she could take both roles in a mystical drama.
Her sex partner, Mea, was always a female figure, assigned a feminine part.
Benedetta enjoyed repeated sex with a woman, not because that was the only body
available to her, but because their religious beliefs were not predicated upon
some exclusionary, modern notion of heterosexual identity. Through the
vicissitudes of confession and documentary survival, we happen to know that in
the early 1620s two under-educated women in a provincial Tuscan convent took
religiously legitimized and visualized passion to a literal level. Brides of
Christ, nurtured on the notion that their cells were bedchambers for nuptial
union with a shared, metaphorical spouse, became in those very spaces lovers on
an earthly plane. In seventeenth-century Pescia a patriarchal logic led to an
alternative rite of passion. This does not mean that the women’s sexual arousal
was incidentalor insignificant, but that their sensual and spiritual
inspirations were neither entirely insincere nor irreligious. Benedetta Carlini
was a nun, abbess, articulate angel, feminized soul, female mystic, and woman’s
lover.Notes 1 Brown, Immodest Acts, 4; Bell, “Renaissance Sexuality,” with
“virtually unique” on 487, Brown’s response, 503–09, and Bell’s reply, 510–11.
I am grateful to Professor Bell for sharing his microfilms of the documents.
The Italian of two missing frames, his figs. 1 and 2, was partly published in
the Italian edition of Brown’s book, Atti impuri, esp. 184– 86. I will endeavor
to place digital copies of the documents in the Deep Blue repository of the
University of Michigan. Ideas here were first explored in a talk at the
University of Michigan (January 2000). I am grateful for everyone’s attention
in numerous audiences since then, but for conversations I especially thank
Louise Marshall and Vanessa Lyon. 2 Bell, “Renaissance Sexuality,” 501–2,
Brown’s response, Immodest Acts, 507. 3 Partner, “Did Mystics Have Sex?”
296–311; Salih, “When is a Bosom,” 14–32. 4 Brown, Immodest Acts, 127. 5 An
exception is Matter, “Discourses of Desire,” 119–31. 6 Documented cases include
Brucker, ed., The Society of Renaissance Florence, 206–12; Chambers and Pullan,
with Fletcher, eds., Venice. A Documentary History, 204–05, 208. 7 Matter,
“Discourses of Desire”, 122–23: “the nature of Benedetta Carlini’s sexual
encounters with her sister nun is so bizarre as to defy our modern categories of
‘sexual identity.’” 8 Brown, Immodest Acts, 161–64. 9 Ibid., 110–14, 160–64;
Bell, “Renaissance Sexuality,” 491. 10 Carlini’s imprisonment “in penitence”
ended when she died in August 1661: ibid., 132. Upon Mea’s death in September
1660, the recorder referred to Benedetta’s fraud rather than sexual deeds: when
Benedetta “was engaged in those deceits” Mea “was her companion and was always
with her.” But Mea was not imprisoned: ibid., 135. 11 Jacobson Schutte, “Per
Speculum in Enigmate, 187, 195 n. 11. For another case see Ciammitti, “One
Saint Less.” 12 Brown, Immodest Acts, 7–8, 136; Rosa, “The Nun,” 221; Velasco,
Lesbians in Early Modern Spain, 92. 13 Bell, Holy Anorexia, 70. 14 Barstow,
Witchcraze, 72, and further cases, 139–41. Others include Velasco, Lesbians in
Early Modern Spain, 113–24. 15 Cohen, The Evolution of Women’s Asylums, 92–93,
208–09 n. 65. 16 Bell, “Renaissance Sexuality,” 498. 17 Cervigni, “Immodest
Acts,” 286. 18 Matter, The Voice of My Beloved, 142. 19 Hamburger, The
Rothschild Canticles, 4. 20 Unless otherwise indicated, quotations are from
Brown, Immodest Acts, 117–18, 120– 22, 162–64 passim (with emphases added). 21
Brown, Immodest Acts, 120; Bell, “Renaissance Sexuality,” 486, 495, 497, 499.
22 Ibid. 23 Ibid., 498 (“le ha voluto baciare le parti pudente”); Brown,
Immodest Acts, 120. 24 Ibid., 21–22, 27–28. 25 Collected Works of Erasmus, vol.
39: Colloquies, 290. 26 Coote, ed., The Penguin Book of Homosexual Verse,
118–21 for this and another example. 27 Schutte, “Per Speculum in Enigmate,”
192. 28 Raymond of Capua, Life of St Catherine of Siena, 91–93. 29 Payer, Sex
and the Penitentials, 43, 61, 99, 102, 138–39, 149–50, 172 n. 136.30 For a
female couple sinning sexually in a Bible Moralisée of c. 1220, see Camille,
The Medieval Art of Love, 138–39, fig. 125. For the 1468 fresco of the Inferno
situated in an upper room of the convent founded by St. Francesca Romana, with
a couple of indeterminate sex, but probably male, lying side by side on the
lowest (and most easily seen) register, see Bartolomei Romagnoli, Santa
Francesca Romana, Pl. 27. 31 Ghirlandaio’s panel is in the Louvre, Pontormo’s
remains in Carmignano. 32 See n. 43 below; Jorgensen, “‘Love Conquers All,’”
102–03. 33 Brown, Immodest Acts, 137; Bell, “Renaissance Sexuality,” 502. 34
Brown, Immodest Acts, 108, 129, 130. 35 Ibid., 163–64. 36 Ibid., 63, 158, with
subsequent quotations from 107, 117, 164. 37 Raymond of Capua, Life of St
Catherine, 165–67; Kaftal, St Catherine in Tuscan Painting, 72–77; Bianchi and
Giunta, Iconografia di Santa Caterina da Siena, 112–14 and passim; Maggi,
Uttering the Word, 176 n. 15; Vandenbroeck, et al., Le Jardin clos de l’ame,
nos. 147, 169; Brown, Immodest Acts, 63–64. 38 Camille, Medieval Art of Love,
111–19, and passim, including figs. 19, 55, 80. 39 Brown, Immodest Acts, 163.
40 Payer, Sex and the Penitentials, 105; McNeill and Gamer, eds., Medieval
Handbooks of Penance, 81, 152. When Ercole d’Este married Renée of France in
Paris in June 1528, at the Pax they kissed each other: Gardner, The King of
Court Poets, 194. 41 The quotation is from Rosa, “Nun,” 222. A detail of
embracing Dominican women from the panel in Siena’s Pinacoteca appears on the
cover of Brown’s book. 42 Walker Bynum, Holy Feast and Holy Fast, 101, 126,
131–32, 157, 165–80, 270–73, and passim. 43 Brown, Immodest Acts, 26, 41. 44
Raymond of Capua, Life of St Catherine, 141, 147–48 (hereafter quoted from
148). 45 Marciari and Boorsch, Francesco Vanni, 118–27. 46 Raymond of Capua,
Life of St Catherine, 179. 47 Ibid., 170–71. 48 Steinberg, The Sexuality of
Christ. 49 Hamburger, The Visual and the Visionary, 390. 50 Walker Bynum, Jesus
as Mother; Rambuss, Closet Devotions. 51 St. Catherine de’ Ricci, Selected
Letters, 39 (no. 47). Subsequent quotations come from Letters 19, 46. 52 For the
frescoes by Sodoma and an earlier one by Andrea Vanni in the same church see
Riedl and Seidel, Die Kirchen von Siena, II, pt. 2, pls. VII, 596, 627–28 (and
pl. 276 for Rutilio Manetti’s canvas of 1630). 53 Brown, Immodest Acts, 41. 54
Frugoni, “Female Mystics, Visions, and Iconography,” 139. 55 Brown, Immodest
Acts, 163, a translation here adjusted according to the cropped photograph of
the passage in Bell, “Renaissance Sexuality,” 501 (fig. 2), because Brown
conflates the information on Splenditello and on another angel Radicello (a
fanciullo) aged eight or nine. The common misperception is thus that
Splenditello was a boy. 56 Gregori, “Caravaggio Today,” no. 68. 57 Teresa of
Ávila, The Life of Saint Teresa of Ávila, 210 (ch. 29). 58 Bauer, ed., Bernini in
Perspective, 53. 59 Hamburger, Rothschild Canticles, 165–66; Hamburger, Visual
and the Visionary, 147. 60 Ciammitti, “One Saint Less,” 149. 61 Ibid., 150–52,
fig. 3. 62 Bianchi and Giunta, Iconografia, nos. 43, 438, p. 126. 63 Raymond of
Capua, Life of St Catherine, 131, 133. 64 Ibid., 108–09. During her visionary
union with God, the medieval mystic Hadewijch noted that God “lost that manly
beauty” so that he dissolved and “then it was to me as if we were one without
difference”: Bynum, Holy Feast, 156. 65 Gardner, Dukes and Poets in Ferrara,
366–81, 401–05, 431-32, 464–67, 562.The “lesbian nun” Benedetta Carlini66 67 68
69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94
95 96 97 98 99 100 10121Weinstein and Bell, Saints and Society, 141–42, 220–38;
Bell, Holy Anorexia, 151, 170–71. Raymond of Capua, Life of St Catherine, 100,
175–6. Brown, Immodest Acts, 160. Bell, “Renaissance Sexuality,” 493. Rosa,
“Nun,” 201–02. Bell, Holy Anorexia, 99, 107, 175, with other cases passim; Tibbetts
Schulenburg, “The Heroics of Virginity,” 29–72. Brown, Immodest Acts, 159.
Maggi, Uttering the Word, 34 (my emphasis). On Catherine of Bologna see Wood,
Women, Art and Spirituality. Weyer, De praestiis daemonum, 184–85. Brown,
Immodest Acts, 163; Bell, “Renaissance Sexuality,” fig. 2. Brown, Immodest
Acts, 64–65, 122. On erotic triangulation, see the classic study Kosofsky
Sedgwick, Between Men, esp. Ch. 1. Hamburger, Nuns as Artists, 56–61, 240 nn.
125–26; Lowe, “Secular Brides and Convent Brides,” esp. 43; Vandenbroeck, et
al., Le Jardin clos de l’ame, nos. 168, 172. Hamburger, Nuns as Artists, Pl. 7.
Lowe, “Secular Brides and Convent Brides,” fig. 3. The phrases are in ibid.,
which often uses “heavenly husband” and has the other phrase on 44. But at 56ff
she points out how often Christ is absent from images, although the essay’s
point is to suggest parallels between the secular and religious ceremonies.
Hamburger, Nuns as Artists, 56–58. Vandenbroeck, et al., Le Jardin clos de
l’ame, nos. 148, 178 and fig. 106a; Hamburger, Rothschild Canticles, 113–15.
Raymond of Capua, Life of St Catherine, 99–101, explicitly noting the
antecedent with “another Catherine, a martyr and queen.” Hamburger, Nuns as
Artists, 57, 239 n. 118. Ekserdjian, Correggio, 137–38. Emiliani and
Feigenbaum, Ludovico Carracci, no. 1. In Parmigianino’s red chalk drawing of
the subject for an altarpiece, c. 1523–24, the Child does not appear at all:
Franklin, The Art of Parmigianino, 104–06. Stone, Guercino, 84 n. 62.
Hamburger, Rothschild Canticles, 85–87, fig. 156 (and see fig. 159); Hamburger,
Visual and the Visionary, 409–10, fig. 8.5. Wood, Women, Art and Spirituality,
128ff, 252 n. 31, 253 n. 37. Gebauer, “Christus und Die Minnende Seele. Both
nuns and secular women were readers. Hamburger, Rothschild Canticles, 106–10,
155–62, f. 66r (Pl. 7); Perlove, Bernini and the Idealization. Bernini’s
motives included wanting to atone for his brother Luigi sodomizing a boy in St.
Peter’s (13–14). Brown, Immodest Acts, 163. Ibid., 163–64. Weaver, “Spiritual
Fun,” 177, 181–83. Trexler, Public Life in Renaissance Florence, 194–96.
Splenditello spoke in three dialects: Brown, Immodest Acts, 160. Hamburger,
Rothschild Canticles, 82, 179, cf. Song of Songs 1:1, 1:12, 4:5, 4:10, 7:3, 7,
8, 12, 8:1, 10. Kunzle, History of the Comic Strip, vol. 1, 23. Brown, Immodest
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The Poor Clares of Early Modern Italy. New York: Cambridge University Press,
1996.7 IN BED WITH LUDOVICO SANTA CROCE (1557) Thomas V. CohenLet us take two
tawdry events, male affronts to women, with social history’s eye to assets,
both cultural and material, and to the subtle exchanges that bound men to men,
women to women, and one gender to the other. This is social history in
nearly-literary mode, keen to read texts closely. We have text of two kinds—first
the words on paper provided by a small tangle of criminal trials. If not the
actual words spoken before and by the court or in the streets, taverns, and
brothels, still these records do come close. The conventions and imperatives of
the court itself, and the imperfect scribal hand have, as always, refracted
actual speech, but the Roman-legal habits of verbatim transcription still offer
material for close, thoughtful reading. Second comes the fabric of the city
itself, for our scoundrel and his allies prowled and enjoyed their small corner
of Rome, with its streets, squares, and assorted monuments, an urban backdrop
and firm anchorage for memories. The urbanscape, so prominent both in what
happened and in the telling, in itself invites a reading no less close than the
one we accord words on paper. So, before turning to the deeds, note the spaces
where they took place. We are in Rome’s Rione Regola, or Arenula, a zone
sometimes little changed from the 1550s and 1560s of our stories. Nevertheless,
the urbanism of first united Italy and then the Duce made drastic alterations.
In the later 1880s, the wide Via Arenula ripped inwards from the Tiber,
obliterating a web of streets and squares, and demolishing the church and
convent of Santa Anna, right under the grand 1890 apartment where I once lived
and wrote. The church survives only in the names of Via Santa Anna, and of a
pleasant trattoria whose menu depicts my own abode. A second nineteenth-century
destruction obliterated the ghetto, replacing it with a grand synagogue and
some lumpish buildings. And then, under Mussolini, nostalgia for the Caesars
erased the medieval fabric around the fish market at Pescheria, reducing tight
neighborhoods to sterile archeology.So, to trace our scoundrel and his
entourage, we must fall back on the old maps, especially the splendidly
accurate Nolli Plan of 1747, and read street plans, the surviving urban fabric,
and words in court, together. The Nolli plan shows how, from 1555, once the
ghetto gates went up, a street our witnesses call the strada dritta became
crucial for mobility, especially at night. It is hard today to recapture that
very ancient urban street, today the Via del Portico d’Ottavia. Down by the old
ghetto, it is now so wide that restaurants sprawl into it to hawk carciofi alla
giudia, and, on their Sabbath, Rome’s Jews gather after services for a great
chiacchiera —communal conversation. Further north, Via Arenula and the unkempt
park in Piazza Cairoli, and a vague piazza before the baroque facade of San
Carlo, have all smudged the profile of this street, which, in the sixteenth
century, was no less tight than straight. Moreover, it was handy, skirting the
ghetto to link the fishmongers’ square at Pescheria to Piazza Giudia. It then
passed the palace of the Santa Croce, Renaissance in spirit but, like Palazzo
Venezia, still half-medieval in shape, with an ornamental square tower today
lopped short. The Santa Croce, banished by Sixtus IV, had lost their houses;
readmitted, they threw up this palace, with its elegant diamond-studding on the
wall. As the Nolli map shows, heading northwest, the street, at a bivio (a
fork), slotted into Via Giubbonari, a curving passage today still narrow.
Joseph Connors, in his “Baroque Urbanism,” discusses the extremely ancient
streets of this part of Rome, pointing out how they wander eastwards from the
bridge from Hadrian’s Tomb, now Castel Sant’Angelo, forking as they go.1 The
Renaissance papacy used these roads often, as a way to San Giovanni in Laterano
and across Rome, and palaces of the early Renaissance clustered along them. For
our nocturnal misdeeds, the wide network mattered little, but the local Strada
Dritta bore much social traffic. Our louche central character straddled
lines—moral, social, sexual, and religious. A liminal man, he was and is hard
to place, and his actions, crossing boundaries ethical and social, remind us
not to put Rome and Romans into boxes. His name reveals his hybrid
nature—Ludovico Santa Croce. At first glance, nothing strange there, but, as
genealogies show, the civic noble Santa Croce, descending, they believe, from
Publius Valerius Publicola, anti-Tarquin and one of Rome’s first consuls, in
the sixteenth century named their children almost exclusively from Livy,
Sallust, and Tacitus: not a Ludovico in sight. Moreover, law courts called him
“the son of the late Giovanni Antonio de Franchi” so, if he was a Santa Croce,
the noble house somehow adopted him.2 A friend, aware of this f limsy identity,
says of him, “The said Messer Ludovico si fa romano de casa de Santa Croce et
per romano il tengo.”3 Close reading: the friend does not call him a Santa
Croce: just “si fa”—“he claims to be”; the friend readily affirms his Roman
identity but, as to family, balks. But Ludovico, clearly, grew up some at the
family’s palace. A friend recalls: “I have known him for more than twelve years
in Rome and I knew him when he was a lad [ putto] here at the Santa Croce [qui
alli Santa Croce].”4 Magrino, the witness, a very recent Jewish convert (Feast
of the Annunciation, 1556), testifies not at the prison as is usual, but at
home, asIn bed with Ludovico Santa Croce 127he is sick, and with his “here at
the Santa Croce” shows how, now fatto christiano, he has moved a mere block or
so beyond the ghetto gate at Piazza Giudia to lodgings near the Santa Croce
palace. Ludovico is sufficiently Santa Croce that, back in Carnevale of 1557, a
noble Santa Croce helped bail him out of prison.5 But he is no signore; his
cronies call him messer instead. This title f lags both his status and its
ambiguity. In 1557, at his first trial here, Santa Croce is “about twenty-six,
as he asserts.”6 If so, then either his friend Magrino knew him longer than
twelve years or, back then, age fourteen, he had become a fairly lanky putto.
He was born in 1531 or so. By 1565, at the second trial, he would be
thirty-four. No sign of a marriage. His loves, we will see, were all casual,
among the whores. No sign, either, of a craft, trade, or civic office. He
probably still lived at the palace as, for sex, he took his hireling women to
the bathhouse (stufa) or bunked down with them at friends’ and seldom, if ever,
took them home. So how did he pass the days? He hung out at the Pescheria, the
fish market at one end of the Strada Dritta. And the company he kept: fishmongers,
Jews, and recent converts. Plus prostitutes. He ate, drank, caroused, and got
into abundant trouble. In 1565 the court asks for his criminal record: I have
been in prison three or four times, here in Tor di Nona and in Corte Savelli. I
don’t remember why. And his lordship asked him that he at least tell for what
crimes and excesses he was investigated and tried. He answered: I cannot
remember things that are fifteen or sixteen years old, but I know well that I
have not been under investigation either for homicides or for ugly things [cose
brutte]. It is true that I remember that I was in jail in Corte Savelli for
having had a brawl with another gentilhomo, and for it I paid ten scudi to
Messer Pietro Bello.7 Here, Ludovico is as evasive as his memory is fuzzy; cose
brutte indeed came up in court. The court asks after a jailbreak.8 The fight
was probably in Carnevale, 1557, when Pietro Bello was a judge on staff.9 In
June, 1563, Ludovico was wounded in a brawl where he, a reluctant fighter,
stabbed a spice-trader in the chest.10 In a trial of another unruly gentleman,
the court asks the suspect’s serving woman if her master ever wanted to kill
our Ludovico. “I don’t know,” she says, “but know that the said Ludovico was
wounded once and that [my master] Pietro de Fabii rejoiced.”11 So Ludovico is a
man on many margins. A self-proclaimed gentilhomo, he haunts the edge of his
foster-family, in a neighborhood strung between Jews and Christians, and his
socializing crosses boundaries of station, ethnicity, family, community, and
moral action. So let’s join him for the evening. We begin not along the Strada
Dritta, but atop Piazza Navona, by Torre Sanguigna and the Pace church, with
two Christians, doublet-makers both. It was before Christmas, 1556.12 Antonio
Scapuccio and Mario di Simone came offwork at the Ave Maria sunset bell. Mario,
aged twenty, lived across town, by Santissimi Apostoli. With Antonio he went
back three years, from their work.13 As for Ludovico, Antonio had known him
since childhood: “at the time I and he were lads, we had a close friendship.”14
Antonio, via Ludovico, knew that Fabritio, another convert, kept a house where
friends gathered. “Antonio brought me to the house of Fabritio,
Jew-made-Christian, who sells ironware.”15 When the doublet-makers arrived,
Ludovico was there, with Magrino, and one Giulio Matuccio, and the host,
Fabritio.16 So began their evening. “We all decided, in agreement, to go find a
Signora called Vienna Venetiana, friend of the aforesaid Giulio Matuccio.”17
Mario adds: And when we were at Vienna’s house—she lived at Torre Sanguigna—
Antonio Scapuccio knocked on the door, and the mother, if I remember, said that
she had hurt her arm and could not keep us company, and that we should let her
off.18 Torre Sanguigna was far from Ludovico’s haunts. “We left and went to a
pie-shop, also near Torre Sanguigna, and got ourselves a pasticcio. And I don’t
remember which of us paid for it.”19 Magrino, a convert, adds that the pie
contained a shoulder of pork.20 Ludovico stepped in, announcing as they walked:
let’s fetch my whore!21 So entered Betta, a cortigiana grande, says Mario,
meaning not a top-rank prostitute, but, as Magrino says disparagingly, a big
tall woman—“una donna grande longaccia.”22 Betta lived near the stufa of
Felice, near the Cavaglieri family palace, two blocks north of the strada
dritta.23 As the five trailed after him, Ludovico vaunted his sex with her: And
Ludovico said it again, while he was going with us for that woman, and he was
heading to knock on her door . . . that last night he had slept with
this woman, and he said that she had a fine ass and that it gripped firmly.24
At Betta’s lodgings, the men remained outside. Ludovico called or knocked and
the prostitute came down, and, oddly, if she really had slept with him the
night before, in error she embraced the wrong man, as if Ludovico, though a
gentilhuomo, was hard to tell from the company he kept.25 “And we asked her if
she wanted to come to dinner with us, showing her the pasticcio, and she said yes,
and came away. And going down the street Messer Ludovico and she went arm in
arm.”26 The passage illustrates handsomely some workings of Roman prostitution.
Note how complex were the exchanges between these women and their customers.
Roman prostitution was seldom simple sex for plain cash. Like many transactions
in the economia barocca, it had wide bandwidth and complex linkages forward,
backward, and across society.27 Betta here accepted a promise of food and
entertainment, and furnished public gestures of affection, a gift to Ludovico,
who could f launt her to posse and to street.In bed with Ludovico Santa Croce
129The party, with Betta making seven, retired to Ludovico’s hang-out, the inn
at Pescheria, called after its owner Domenidio.28 It was some hour after
nightfall.29 “All of us, in company, went to dinner at the aforesaid inn, and
we brought with us a pasticcio, and we ate.”30 To this osteria, patrons readily
brought food. After dinner, the whole group went to spend the night at
Fabritio’s dwelling, near Ludovico’s own house, where Ludovico, other times
that winter, sometimes brought women: “in the time that he was made Christian
. . . he lent me the room.”31 On the way, the men say, Ludovico again
boasted of anal sex with Betta.32 The room had but a single bed; Fabritio,
leaving the bed to his gentleman guest, hospitably withdrew to a little attic,
a solarello —“no great thing”—and slept.33 Magrino “gave the command to fetch
from home a mattress, which we threw on the f loor.”34 Ludovico and Betta undressed
at once and slipped under the covers.35 There was a bed curtain. It would have
had many colors, and it was mine [Magrino’s]. And to a question he answered: It
was not spread around the bed but gathered to one side.36 Ludovico, in his
account, avers that the curtain was draped around the bed. 37 While Magrino
settled somehow on a chair, clothed, to spend the night, the two doublet-makers
and Giulio huddled on the mattress. Ludovico, meanwhile, lay snugly in one
convert’s bed and another convert’s hangings, in a convert’s house. “Before the
light was put out we were all joking and chatting, and Messer Ludovico told us
please to put out the light.”38 And then, as men settled for the night,
Ludovico thrust his arm out from the covers, making a letter “O” with his index
and middle finger.39 Lest he shame Betta he said nothing, Antonio avers, but
Mario claims he boasted loudly.40 Mirth erupted. Everybody laughed at that and
said to one another, “He has fucked her in the ass. Fire! Fire!”41 The stake,
of course. And slim regard for Betta! What is going on here? The social
psychology of this scene is tangled. We have three Christian artisans, two
ex-Jews on the f luid boundary of the ghetto, and one semi-gentleman half
outside his noble family, a troop cemented, perhaps, by Ludovico’s leadership,
occasional largess, and arrant breach of sexual and moral rules. All six men
share in Betta’s humiliation. Ludovico parades his transgression and the risks
he runs and, laughing, the cronies applaud and, vicariously, thrill to his
vulnerability. Collusion cements this solidarity. Ludovico and Betta were the
first to fall asleep.42 Much later, say the others, invited by Ludovico to join
them in the bed, Magrino left the chair, climbing in still clothed, and fell
asleep.43And then awoke, jostled by the bounce of sex. I could feel it when he
was screwing her, and she had her bottom towards Ludovico and she was turned
with her face toward me. And it was one time that I felt it, and I did not see
him stick it in because it was no affair of mine. I know well that he was
screwing her, and he was shoving her towards me, so that it made me wake up.44
Magrino is remembering events before Christmas, almost nine months earlier. The
trial took place in August, 1557, first at the Inquisition, at the Ripetta.
Halfway through, interrogations moved to the prisons of the Governor of Rome.
That is why this record survives. Precisely two years later, when Paul IV died,
Rome’s most tumultuous Vacant See broke out. Mobs attacked the Inquisition’s
Ripetta offices, burning the papers, and ransacked the house of the tribunal’s
notary.45 Later, Napoleon’s supporters would destroy the Inquisition’s later
trials, so a transcript such as this is rare indeed. Both at Ripetta and later,
this trial has a Holy Office feel; the magistrates treated the courtroom as a
confessional, sparing neither shame nor feelings with their swift, intrusive
questions. Why did the matter slip to the criminal court? The crime in
question, though moral and involving converts, revealed no taint of heresy.
Prostitution in mixed company was no crime and the court was after anal
intercourse. He was asked if on that night he the witness heard the said Betta
moaning and crying out, because the said Messer Ludovico was having intercourse
and fucking her [ futuebat] from the back. He answered: “I could hear it when
she was screwed the first time by Messer Ludovico. She was crying out [si
lamentava]. But one can cry out for several things.” And to a question of me
the notary he said: “She can cry out the way women do.” And I the notary asked,
“And how do women do?” He said, “They can cry out because it pleases them and
they can cry out because it hurts them too. But, one time, as I said, I felt it
when he screwed her.”46 When the Inquisition hauled her in, Betta did her all
to prove it wasn’t so. Her testimony about what went on in bed surely did her
little good, as, on point after point, she lied elsewhere about her history
with Ludovico, shown as far skimpier than others alleged. Her testimony, earthy
and vehement, catches well a prostitute’s voice in court. He never did it to me
in that place. It is true that Messer Ludovico told me to turn around, that he
wanted to do it cunt-backwards [a potta retro], and I told him, “You want to trick
me. You want to stick it in contrary-wise.” And he said no, that he wanted to
do it cunt-backwards, and so I turned around and he did it to me
cunt-backwards. I know where he went in, and if he was fooled, I was not
fooled.47In bed with Ludovico Santa Croce 131Betta appears twice in the record.
The first time, to cover for the weakness of her case, she regales the judge
with promises to live in virtue. If I had consented to the other way, it would
seem to me that God would not keep me on earth. And if I have done wrong in one
way, I don’t want to do wrong in the other. And if I get out of this I want to
go to Santa Maria di Loreto, and then to my home to do good works, and I want
to go this September. And if he wants to say that he did it to me from behind
against Nature, he is lying through his throat, and he is tricked, and, me, I
am not tricked, because I protect myself from this the way I do from fire.48
The next morning, Betta, Ludovico, and most of the posse stayed. (Mario,
sleeping clothed, had slipped off early to his shop.)49 At breakfast, the
boasts went on: She never heard a word when Messer Ludovico told us that he had
twice screwed Betta in the ass, but he said it at length to us. He was asked if
the said Betta was at the table eating with them, how could Ludovico have said
those words, since they could be heard by Betta. He answered: I will tell you.
We were kidding Ludovico . . . and when he said it at the table she
had not yet sat down.50 As current events show sadly, Renaissance Italy was hardly
the only place where, for some admirers, the swaggering abuse of women gives
callous men allure. Jump eight years ahead. It was 1565, not 1557, and Ludovico
was now some thirty-four years old. Still unmarried, still at loose ends, he
haunted the same tight quarter, up to little good. He had a new entourage; none
of the same men turn up. At the center, as ever, sat that osteria of Domenidio,
in Pesheria. His cronies were, this time, two or three fishmongers and one
Cesare Vallati, son of the civic noble family that owned a palace on the
square, facing its ghetto gate. The Vallati house still stands, pared back to
its medieval core, which now bears sad plaques about Roman Jewish deaths at
Nazi hands. Cesare was gentleman enough to hold, they said, a civic office.51
On Friday, November 23, the friends stirred up dinner at the inn. Meo,
fishmonger, says: Ludovico Santa Croce came to me, as I was in Pescheria. It
may have been a half-hour after dark, and he asked me if we wanted to go to
dinner together at the osteria of Domenidio. I said yes and so I picked up some
fish, and along with Grillo and Ludovico we went to the osteria of Domenidio,
and while we were setting up to eat Cesare arrived and said, “I want to eat
with you,” and so he too sat at the table and we were four in all.52Meo reports
that, when he left his fish-bench, he brought sardines, while Grillo fetched
clams.53 In the midst of dinner, “a Jew”—nobody names him, ever— joined the
group; no sign he ate with them.54 After dinner, except Grillo, all left
together. “Let’s go to the house of my whore,” said Ludovico. “We said, ‘let’s
go!’ and Cesare said, ‘I want to join you.’”55 The court asks later, did Cesare
and Ludovico go with sword in hand?56 Probably. The men took the strada dritta,
the ghetto to their left, the Santa Croce tower to the right, over to Il
Crocefisso, behind or under where the big church of San Carlo later stood.57
Ludovico’s woman of the month was Olimpia, who, it turned out, was off with an
amico, a regular of hers, who, she says, felt ill, so she headed homeward with
a Lorenzo stufarolo in tow.58 But when Ludovico and his cronies arrived, only
the house’s mistress, Lucretia, was yet home. Olimpia calls Lucretia the house
padrona; in court, Ludovico will call her a whore, whom he has known for years,
presumably hooking up with tenant after tenant.59 At Olimpia’s front door, the
four men, masking voices and pretending to speak Spanish, shouted, “Open up the
door!” Lucretia: “They banged six or seven times, for I was not of a mind to
open, ever.”60 At last I went to the window and told them that I did not want
to open for them under any circumstances, and told them to change their talk
because no way could I not recognize them. I knew them just fine, but, with my
tenant not home, and because, I knew, they wanted nothing of me, I had no
intention of opening for them. Instead, I said, I would throw water on their
heads if they did not get away from the door.61 The four men loped east to Via
dei Chiavari, still in Lucretia’s sight.62 There they encountered a second
Lucretia. Wife of wealthy Cyntho Perusco, and mother of two children, she was
returning with a servant—but with no light, lest she be seen and
recognized—from a call on her procurator.63 Two men armed with swords and
daggers, with their swords under their arms and the daggers in hand unsheathed,
came at us and at once they stopped me and one of them put his hand to my neck,
feeling my neck, thinking that perhaps I had some chain necklace or string of
gems.64 And I said to them, “I am a poor woman. What do you want of me?” And I
was screaming, “Thieves thieves!” When they heard that, they let go of me.65
Giovanni Maria, the servant, thought he recognized one of the four assailants:
“Ah Meo, why are you doing this to us?”66 Meo at once hid his face behind his
cape.67 Giovanni Maria’s assailants, Meo and the Jew, grabbed him. “They were
holding on to me and they told me to keep silent, and they held the naked
daggers to my neck.”68 The assailants released their quarry, only brief ly.
Lucretia will tell the Governor: “When we had walked three or four paces, the
same men,In bed with Ludovico Santa Croce 133with some others, made a circle
around me and some of them grabbed me from one side and some from the other,
putting their daggers to my throat.”69 Giovanni Maria tells the Governor: “they
began punch me and shove me and they threw me to the ground.” 70 Adds Lucretia:
And they took from him a pouch. In it were ten giulios, between testoni coins
and giulio coins, and a gold ring that was mine, with a Jesus on the top, and
on the bottom, there is a “claw of the great beast” [a fabled stone with
curative powers], which was also in that pouch, and they took from it also the
belt and a handkerchief. The ring contains 18 giulii of gold.71 Giovanni Maria
adds that the pouch had been tied to his waist and that Lucretia had removed
her ring to wash her hands.72 One of the band of four, almost certainly Cesare
Vallati, as Ludovico was by now no youngster, may have had second thoughts:
When this [theft] was done one of those youngsters took me by the hand and told
me, “Come here. I promise you as a gentleman that I will not hurt you.” And he
asked me, who was that woman. And I told him that she was not for them, and
that they should let her go, and that she was the wife of Messer Cynthio
Perusco.73 Ludovico had other ideas. One of the two underlings, probably not
the Jew but Meo, asked him “Messer, what are we to do?” “Carry her off, carry
her off!” 74 And they tried with all their might to lead me to a house, for
they took me by force and they dragged me . . . But I cried out,
“Thieves! Thieves! Is this how you assassinate people in the street!” And I
told them that I had nothing on me and that they should come to my house, that
was near there.75 The assailants hauled Lucretia into an alley.76 Lucretia was
convinced that they wanted to drag her to a stufa, a bath house of the sort
Ludovico haunted. As they pulled her, Lucretia fell in the mud, losing her
pianelle, her clogs. “She told them that her clogs had fallen off, and they
told her to keep walking, and they were making her walk up that alley, leading
her, as there were three or four around her.” 77 And then, providentially, down
the alley came two men, in front a servant with a torch, and, behind him, his
master, Agostino Palloni, a man of substance whose house stood close to the
Santa Croce palace.78 And when the light arrived, I recognized the gentleman,
and I begged him for the love of God to help me. And while I was saying those
words, one of those young men, who had dragged me, as he thought that the light
was not coming from that side and that he would not be seen—Messer Agostino
recognized one of those young men, who is called Cesare Romano.And at that
Messer Agostino said, “Ah Cesare, what are you doing [che fai]. What is this!
Do you see that you [tu] are doing wrong?79 Turning towards Agostino, says
Giovanni Maria, Lucretia tripped on an iron grate and once more fell and then,
as supplicant, grasped his cape: “Ah, Messer Agostino, don’t abandon me
. . .!”80 Agostino, Lucretia, and Cesare then stood together, a
threesome. First off, Cesare, to catch his social balance, tried to place
Lucretia as a Roman matron. Then Agostino did the same. Giovanni Maria tells
the Governor: The man whom Agostino had called Cesare asked Madonna Lucretia if
she knew Cyntho Perusco. She said, “Yes, I know him, and I have two children
with him, and he is my husband.” And Messer Agostino asked Madonna Lucretia if
she knew Messer Francesco Calvi, and she said yes, and if he came to her house
with her she would show him her daughter.81 Gentleman to gentleman! Cesare
Vallati, in night’s shadow, had strayed well outside his class’s code of
conduct, and Agostino’s torch jolted him back from the abyss. He switched codes
as nimbly as he could. Then Messer Agostino turned to Cesare and told him,
“Cesare, son, you have done wrong.” And then Cesare told Messer Agostino to
leave, and said that he would have Madonna Lucretia escorted by a servant of
his.82 No such thing happened, of course. After questions to Lucretia about how
she came to be out after dark, Agostino, with his torch and serving man,
conveyed them both back home.83 At her window, the other Lucretia, the madam,
had seen and heard the fracas. Outraged, woman to woman, she strove to allay
the trouble. I heard a woman who was starting to scream, and when I looked
toward where I heard that cry, I looked and saw a woman with a man, and she was
screaming, “What do you want with me, brothers, pull the door rope for me, pull
the door rope for me!” and when I heard those words, I feared it might be some
neighbor, and I knocked on the window of Diana and told her, “Listen to your
sister who is screaming,” and she answered, “My sister is here at home.”84
While Cesare and Agostino parleyed, the other three miscreants probably crept
away, and soon, all four were back at Olimpia’s door. This time they had luck,
as Olimpia turned up, with Lorenzo her bathhouse worker, and his lute. “I came
back home and I found Ludovico Santa Croce there at my door, along with Meo the
fishmonger and with two others whom I did not know, but there was aIn bed with
Ludovico Santa Croce 135Jew.”85 Lucretia opened for Olimpia and, willy-nilly,
in came all the others, with Ludovico, as usual, in the lead.86 Note Lucretia’s
version: At that moment, my tenant called Olimpia arrived, along with an amico
called Lorenzo the bathhouse worker, who played the lute, and I had to pull the
rope, and then there came in, along with my tenant, Ludovico Santa Croce, Meo,
Cesare Vallati, and a Jew.87 We learn from Olimpia several things. For one, the
Jew was a stranger, known only, presumably, by his obligatory Jew’s cap. For
another, Cesare Vallati had rejoined the crew. And, for a third, while she knew
Meo, Vallati, a stranger to her if not to the madam, was less central to
Ludovico’s habitual posse. Neither he nor the Jew had been part of the dinner’s
start; though locals, they were hangers-on. When the men entered, Lucretia, the
madam, upbraided them. “And when they were up the stairs, I said to them, ‘Oh
this is a fine state of affairs! Poor women cannot go in the street.’ And they
told me that they weren’t the ones who did it.”88 Lorenzo, with the lute, would
prove Ludovico’s undoing. The men all stayed a while in Olimpia’s room,
listening to him play. And then Ludovico led Olimpia off to the Santa Anna
stufa to spend the night. The other three escorted him down the block, then
went their separate ways.89 We catch a bit of the denouement via Barbara, Meo’s
ex-puttana, who, she tells the court, had after three years broken with him
because he owed her big money on borrowed goods. Barbara had moved to Monte
Savelli, just a block down-river from Pescheria.90 I went to bed without dinner
because I felt ill, and while I was in bed with Annibale the fish-monger I
heard passing in the street Cesare Vallati with other people whom I did not
see, and he said, “Your faithful servant, Signora Barbara, my heart!” I made no
answer.91 Annibale and Barbara went back, she says, three years; she swam as
easily among the fishmongers as a mackerel in the sea. But Cesare Vallati,
clearly, slipped through these same waters; in the intimate spaces of the city,
these men and women moved up and down class lines. Annibale, when asked, would
tell Madonna Lucretia what he knew about the crime. Small world!92 The very
next day, Madonna Lucretia sent her servant to scout the local bathhouses.
Lorenzo, the fellow with the lute, a paesano, led Giovanni Maria to Ludovico
and Meo, who would be arrested on Monday, together.93 At Olimpia’s, the four
men, said Lorenzo, had been “in a terrible mood and all of them distressed.”94
Agostino Palloni, meanwhile, refused to help Lucretia—“he sent word to me
through Cynthio that it wasn’t a gentleman’s role to accuse anybody, and that
was it was enough that I had suffered no harm.”95 Citing class solidarityhe
covered for Cesare Vallati, who either f led or ducked prosecution. The Jew,
luckily nameless, got away. We have neither a sentence nor knowledge what our
four villains did with the rest of their lives. Our story of status slippage
and hasty re-calibration, coarse male solidarity, callous abuse of women, and
female resilience models a careful reading of words, places, and actions, with
an eye to the density of webs and the fine-grained texture of lives in time and
space, to lay out the ref lexes with which Romans navigated their city.
Ludovico, uneasily perched on several margins, could build coalitions, trading
his noble connections, hospitality, slovenly rapaciousness, and access to paid
female sex and company for male support and applause. To Cesare he offered a
pathway down, to the others perhaps a step upwards. These male solidarities in
a moral grey zone show the porosity of Rome’s social boundaries and its alliances’
often easy give.Notes 1 Connors, “Alliance and Enmity,” 208–09. 2 Archivio di
Stato di Roma, Governatore, Tribunale Criminale, Processi (16o secolo), busta
38, case 23, folio 568r: “Ludovicus de S. Cruce filius q. Io. Ant. d.
Franchis.” Henceforth, I give busta and folio only. 3 38.23, 559v: Antonio
Scapuccio, August 15, 1557, to a notary at the Holy Office. 4 38.23, 573r,
Magrino, August 26, 1557, at home sick, to a notary. 5 38.23, 579v: Ludovico
cites Valerio Santa Croce and noble Mario Mellino. For Magrino’s conversion at
the Annunciation in 1555: 38.23, 573r, Magrino. 6 38.23, 568r. 7 Busta 103,
909r: Ludovico Santa Croce: “. . . costione con un altro gentil’homo
. . .” 8 103, 909v: “fregit carceres et unde exivit.” 9 38.23, 572v:
“questo carnevale [1557] . . . messer Ludovico uscii di pregione in
Corte Savella.” 10 Investigazioni 80, 181v–183v, for 23–24, from June, 1563. 11
38.19, 461v: “. . . se ne reallegrava.” 12 38.23, 577v: Betta:
“. . . avanti natale.” 13 38.23, 562v-563r: for age and employment;
for the friendship and the workplace: 38.23, 562v–563r. 14 38.23, 559v:
“eravamo regazi havevamo amicitia intrinseca insieme.” 15 38.23, 562v: Mario:
“Fabritio giudio fatto Cristiano che venne li ferri.” 16 We know little about
Giulio, never interrogated. Ludovico seems to place him among the converts:
38.23, 570r–v: “Vi pratica in questa casa Julio Mattuzzo, Fabritio doi o tre
altri giudei facti christiani . . . de continuo li se ce vengono
giudei et d’ogni sorte de generatione.” But no other witness calls Giulio a
convert. 17 38.23, 563r–v: Mario. 18 38.23, 563v: Mario: “. . . lei o
la madre . . . disse che era ferita in uno braccio et che non posseva
abadarci et che lavessemo per scusata.” 19 Ibid.: Mario: “. . . a un
pasticciero pur presso Torre Sanguigna et pigliassemo un pasticcio
. . .” 20 38.23, 574r: “comprassemo una spalla de porco.” 21 38.23,
564r: Mario: “. . . disse per la strada che voleva pigliar detta
cortigiana.” 22 38.23, 573v. 23 38.23, 563v: Mario: “apresso la stufa de Felice
presso li Cavalieri.” 24 28.23, 561r: Antonio Scapuccio: “. . . ando
con noi per dicta donna et voleva bussare la porta . . . che haveva
bravo culo et teneva bene.”In bed with Ludovico Santa Croce 13725 38.23, 574:
Magrino, for Ludovico’s call: “Messer Ludovico chiamandola . . .”;
38.23, 564r: Mario: “credendosi di abracciar messer Ludovico abraccio un altro
in loco suo in cambio.” 26 38.23, 564r: Mario: “Mostrandoli il pasticcio et per
la strada messer Ludovico et liei andavano abracciati insieme.” 27 Ago, Economia
barocca. 28 38.23, 560r: Antonio Scapuccio: “l’ostaria de Domenidio in
Piscaria.” 38.23, 574r: for the name’s origin. 29 38.23, 564r: Mario, for the
time. 30 38.23, 560r: Antonio di Scapuccio: “tutti de compagnia . . .
portassimo . . . un pasticcio . . .” 31 38.23, 568v:
Ludovico Santa Croce: “. . . Fabritio giudio facto christiano apresso
. . . [a] casa mia nel tempo che e facto christiano et lui me
impresto la stantia”; 38. 560r: Antonio Scapuccio: “presso la casa de Santa Croce.”
32 28.23, 561r: Antonio Scapuccio for the boast: “et di poi che andassemo a
magnar a l’ostaria . . .” 33 38.23, 574v: Magrino: “un solaretto di
sopra quale era poca de cosa”; 38.23, 572r: Fabritio: “dormivo io sopra una
solarello.” 34 38.23, 560r: Antonio Scapuccio: “. . . un matarazo
quale lo buttassemo in terra.” 35 38.23, 574v: Magrino: “. . .
spogliati si misero sotto li panni.” 36 38.23, 574v–575r: Magrino: “un
paviglione che saria de piu colori quale era il mio . . . radunato da
una banda.” 37 38.23, 569r. Ludovico claims to have closed the curtain:
“mettevo il paviglione atorno.” 38 38.23, 564v: Mario: “et avanti che la lume
fosse svitata stavamo a burlare et ciancinare . . . che di
gratia volessemo svitar la lume.” 39 38.23, 561v: Antonio Scapuccio: “. . .
facendo un zeno con il deto grosso et con il deto indice facendo uno O
designando che lui haveva chiavato nel culo dicta donna”; 38.23, 564v: Mario:
“Dicendo forte con noi altri Nel proprio facendo con il detto grosso et con il
indice il tondo.” 40 38.23, 561v: Antonio Scapuccio: “lui non diceva
chiaramente per rispecto de dicta donna che non volea svergognarla”; Loudly:
Mario: “Dicendo forte.” 41 Ibid.: Antonio Scapuccio: “. . . la
chiavata in culo foco foco.” 42 38.23, 574v: Magrino: “forno primi messer Ludovico
et la donna.” 43 38.23, 574r: Magrino, for sleeping clothed: “et io ancora
dormi . . . vestito”; for much later: 38.23, 560r: Scapuccio:
“Giovanni Maria . . . dipoi a un gran pezo . . . se ando a
corigare nel medemmo lecto.” 44 38.23, 575r: Magrino: “io ho inteso quando lui
la chiavava et lei teneva le natiche verso Ludovico et lei voltata con il viso
verso di me et io una volta il sentia et io non lho visto metter dentro perche
io non ce ho tenuto le mane. So bene che la chiavava et lui sbatteva detta [no
noun] verso di me che mi fe svigliato.” 45 Hunt, The Vacant See, 183–84. 46
38.23, 575v: notary and Magrino: “. . . langere et lamentare eo quia
. . . ipsam retro negotiabat et futuebat. Respondit io sentivo che le
quando fu chiava[ta] la prima volta da messer Ludovico si lamentava. Ma si
posseva lamentare de piu cose . . . Si posseva lamentare come fanno
le donne . . . Se posono lamentare che li sappia bono et si
posono lamentare che se li faccia male ancora. Ma io una volta come o detto o
sentito che l’habia chiavata.” 47 38.23, 577v: Betta, August 23, 1557: “lui mai
ha fato in tal loco e e ben vero che messer Ludovico mi disse che mi voltassi
che me lo voleva far a potta retro et io li disse tu me voi gabare tu me voi
mettere al contrario et lui disse de no che il voleva fare a potta retro et
cossi io mi voltai et mi fece a potta retro. Io so dove intro. Si lui se e
gabbato non me sonno gabbata io.” 48 38.25, 567r: Betta, August 21, 1557:
“. . . mi parrebbe che dio non mi tenesse sopra la terra et se ho
fatto male per una via, non voglio far male per laltra, et si io ne esco voglio
andare a Santa Maria de Loreto et poi a casa mia a far bene . . . et
se si gabba lui non mi gabbo io, perche me ne guardaro come dal fuoco.”49
38.23, 565r: Mario. 50 38.23, 576r–v: “Lei non intese mai parole .
. . Noi davamo la baia a Ludovico . . . quando lui il diceva
a tavola lei non se ce era messa ancora.” 51 103, 911r: Ludovico: “me pare che
sia cancelliero de conservatori.” 52 103, 906v: Meo: “. . . voleamo
andare a cena al’hostaria de domenedio insieme . . . et cosi righai
certo piscio et . . . andammo alhosteria . . . et mentre
voleamo cenare arrivo li Cesare . . . lui se messe a tavola et
cenammo tutti quatro insieme.” 53 103, 907r: Meo: “portai certe sarde
. . . et Grillo porto certe telline.” 54 103, 907v: Meo: “un’hebreo
. . . venne . . . mentre che magnammo.” 55 103, 907r–v:
Meo: “voliamo andar a casa della mia puttana et noi dicemmo andamo et Cesare
ancora disse io ve voglio fare compagnia.” 56 103, 911v. 57 The present Via del
Monte della Farina was then Via del Crocefisso, named for church, San Biagio
del Crocefisso (or del Annulo), demolished circa 1617 to expand San Carlo:
Lombardi, Roma, 222; Delli, Le Strade, 339; Gnoli, Topografia, 91; Adinolfi,
Roma, 171. Olimpia probably lived towards San Biagio. 58 103, 913r: Olimpia:
“da uno amico mio quella sera . . . tornai a casa et trovai Ludovico
Santa Croce li alla mia porta”; 913v for the name Lorenzo. 59 103, 918r:
Ludovico: “sono parecchi anni.” 60 103, 917r: Lucretia the madam: “parlando
spagnolo et contrafacendo il parlare loro solito . . . apri qua la
sporta che batterno sette o otto volte ch’io non li volsi mai aprire.” 61
Ibid.: “. . . non li volevo aprire . . . dovessero
mutare parlare perche non potessi di non cognoscerli, . . . ma per
non ci esser’ la mia pigionante in casa et sapendo che non voleano niente da me
io non li volsi aprire anzi . . . haverci buttato del acqua in testa
se non si fussero levati dalla porta.” 62 Ibid.: “correre verso li Chiavari.”
63 103, 889r: Lucretia the wife: “retornandome . . . senza lume et
con una cannuccia in mano per non esser vista ne conosciuta.” One Cynthio
Perusco lodged by the Minerva: Bullettino della Commissione archeologica
comunale di Roma 29, 15. One puzzle: on October 7, 1567, a Cinzio Perusci by
San Marcello, not the Minerva, buried a wife named not Lucretia but Ortensia.
de Dominicis, Notizie biografiche, 275; And, at court, (103, 899r) Lucretia
appears as “Lucretia q. Petri”—no father’s family name, no husband’s name. Is
Lucretia a femina, a semi-wife? 64 Ibid., r–v: Lucretia: “Doi armati
. . . me si ferno incontro et subbito me fermorno et un di loro me
misse la mano al collo tastandomi il collo pensando forsi ch’io havessi qualche
collana o vezza.” 65 Ibid., v: “. . . io son poveretta che volete da
me strillando ai ladri ai ladri . . . me lasciorno”; the servant
confirms this and notes that other men were also holding Lucretia: 103, 902r.
66 103, 902r: 25: “. . . perche questo a noi.” 67 Ibid.: “se misse la
cappa inanti il viso et pero non posso saper’ ne poddi veder’ se l’era quel
Meo.” 68 Ibid.: “. . . pugnali nudi presso alla gola.” Why daggers?
The gentlemen, with their swords, held Lucretia. 69 Ibid.: Lucretia:
“. . . un cerchio intorno et chi mi pigliava da un canto et chi dal
altro mettendomi li pugnali alla gola.” Giovanni Maria: Ibid., 902r: “ci
fermamo per paura.” 70 Ibid.: Giovanni Maria: “. . . dar de i pugni
et d’urtoni et mi buttorno in terra.” 71 103, 900r: Lucretia: “. . .
con un yesu di sopra et di sotto c’e l’ongia della gran bestia . . .
ancho la cintura et un fazzoletto: che l’anello ci e 18 giulii d’oro.” This
“yesu” may have been a monogram. Giovanni Maria confirms almost all these
goods. 72 103, 902r–v: Giovanni Maria: “una scarsella che io portava
cinta. . . . a tenere lavandosi la mano . . . messo in la
scarsella.” 73 103, 902v: Lucretia: “. . . vi prometto da gentilhuomo
de non ti far dispiacer . . . che non era per loro . . .
che era moglie di Messer Cynthio Perusco.” Cesare had yet to hurt the
servant.In bed with Ludovico Santa Croce 13974 Ibid,: Giovanni Maria: “messer
che volemo fare . . . menavola via menavola via.” See also Lucretia:
103, 899v: “menala su menala su strascinala.” Why do we say Meo and not the
Jew? Note Meo’s ongoing relationship with Ludovico, their habit of joint
action, plus that prompt “Messer.” 75 103, 899v: Lucretia: “. . .
con molta instanza di menarmi in una casa che . . . per
forza . . . me strascinavano . . . a i ladri a i ladri
a questo modo si assassina alla strada, . . . che venessero in casa
mia . . .” Why this invitation? Probably demonstrate her station, not
to proffer loot. 76 103, 199v: Lucretia: “per andare al arco delli catinari.”
The present Via dei Falegnami then was Via dei Catinari: Gnoli, Toponomia, 69.
This Arco was demolished for San Carlo ai Catinari: Gnoli, Toponomia, 11. 77
103, 903r: Giovanni Maria: “. . . gl’era cascate le pianella
. . . diceano che caminasse . . . la faceano camminar
. . . tre o quattro attorno.” See also Lucretia: 103, 899v: “cascai
in terra in un fangho et lasciai li pianelle.” 78 For Agostino Pallone’s house,
see Cohen and Cohen, Words and Deeds, 136. For the two men: 103, 903r: Giovanni
Maria: “arrivò quel che portava la torcia accesa et . . . mr Agostino
Palone . . . per il medesimo vicolo.” In 1577, Agostino would be
buried in Santa Maria in Publicolis, the Santa Croce family church: de
Dominicis, Notizie biografiche, 267. 79 103, 899v–900r: Lucretia:
“. . . cognobbi detto messer . . . per l’amor de dio che me
aiutasse . . . pensandosi che il lume non venesse da quella banda et
de non esser visto detto mr Augistino cognobbe . . . Cesari romano,
al quale disse Mr. Augustino ah Cesari che fai, che cosa e questa[!]
. . .” 80 103, 903r: Giovannia Maria: “casco con una gamba in una
ferrata et . . . se attacò alla cappa di Messer Augistino
. . . Mr Augustino di grazia. non me abbandonate per l’amor de Dio.”
81 103, 903r–v: Giovanni Maria: “. . . se conosceva Cyntho Perusco,
et lei disse si che lo cognosce et ho doi figli con lui et e mio marito et
. . . se la conosceva messer Francesco Calvi et lei disse de si
. . . se li andava in casa con lei che li mostraria la figlia.” 82
103, 903v: Giovanni Maria: “. . . Cesari figlio tu hai fatto male
. . . che andasse via che farria accompagnare Madonna Lucretia da un
suo servitore.” 83 Ibid.; Lucretia: “m’accompagno con la torcia.” 84 103,
917r–v: Lucretia the madam: “. . . guardai et viddi una donna con
un’homo che cridava: che diceva che volete da me fratelli che volete da me fratelli
et diceva tiratimi la corda tiratimi la corda . . . dubitando io che
non fusse qualche vicina, io bussai alla fenestra della Diana . . .
senti quella tua sorella che crida . . .” “Tiratimi la corda” here
refers to Lucretia’s door-rope: “open up for me!” with a dative. 85 103, 913r:
Olimpia: “. . . trovai Ludovico Santa Croce li alla mia porta assieme
con Meo pescivendolo et con doi altri . . . ci era un’hebreo.” 86
Ibid.: Olimpia: “. . . Ludovico fu il primo”; 103, 918: Ludovico
Santa Croce: “il primo io d’intrare in casa.” 87 103, 917r: Lucretia the madam:
“. . . Olimpia insieme con un’ suo amico che si chiama Lorenzo
stufarolo, quale sonava di liuto. Et me bisogno tirar’ la corda et alhora intro
. . . Ludovico Santa [Croce] Meo Cesar Vallati et un hebreo.” 88 103,
917v: Lucretia the madam: “. . . o bella cosa, le povere donne non
ponno andare per la strada et loro dissero che non erano stato.” 89 103, 913v:
Olimpia, “Meo et l’altri ci accompagnorno sino alla stufa et poi se ne andorno
con dio”; 914v: Meo: “insieme alla stufa et poi io me ne tornai a casa mia e Cesare
e l’hebreo andorno a fare i fatti suoi.” 90 103, 922r: Barbara claims Meo has
been her amico for three years; 103, 904r: Barbara: “e un mese ch’io l’ho
lassato perche non mi piace piu l’amicitia sua et perche ha dieci scudi delli
mei in mano.” Monte Savelli is today’s Teatro di Marcello, now stripped bare by
archeology. 91 103, 922r: Barbara: “me ne andai a letto senza cena perche io me
sentivo male et mentre ch’io stavo a letto con Annibale pescivendolo sentei
passare per la strada Cesare 92 93 94 95Vallata con altre genti . . .
et disse servitor’ Signora Barbera cor mio ch’io non li resposi altrimente”
103, 914r: Giovanni Maria: “madonna Lucretia domando a . . .
pescivendolo predetto per che causa fussi preso questo messer Ludovico et
. . . rispose che fu preso perche haveva preso una donna nella
strada.” 103, 905v: Meo, on Tuesday: “io fui preso hiermatina in Ponte ch’io
non so perche causa assieme con Messer Ludovico Santa Croce.” 103, 901r:
Lucretia the wife: “et che stavano molto di mala voglia et tutti afflitti.”
103, 900v: Lucretia: “lui mi mando a dir per il detto Cynthio che non era
offitio da gentilhomo di accusar nesuno e che mi bastava che io non havessi
ricevuto mal nesuno.”Bibliography Archival sources Archivio di Stato di Roma,
Governatore, Tribunale Criminale Processi (16° secolo), busta 38, case 19
Processi (16° secolo), busta 38, case 23 Processi (16° secolo), busta 38, case
25 Processi (16° secolo), busta 103Publisd sources Adinolfi, Pasquale. Roma
nell’età di mezzo, rione Campo Marzo, rione S. Eustachio. Florence: Le Lettere
– LICOSA, 1983. Ago, Renata. Economia barocca: mercato e istituzioni nella Roma
barocca. Rome: Donzelli, 1998. Bullettino della Commissione archeologica
comunale di Roma 29 Cohen, Thomas V. and Elizabeth S. Cohen. Words and Deeds in
Renaissance Rome. Toronto: University of Toronto Press, 1993. Connors, Joseph.
“Alliance and Enmity in Baroque Urbanism.” Römisches Jahrbuch der Bibliotheca
Hertziana 25 (1989): 207–94. de Dominicis, Claudio. Notizie biografiche a Roma
nel 1531–1582, desunte dagli atti parrocchiali. Rome: Academia Moroniana, n.d.
Delli, Sergio. Le Strade di Roma. Rome: Newton Compton, 1975. Gnoli, Umberto.
Topografia e toponomastica di Roma medioevale e moderna. Rome: Edizioni
dell’Arquata, 1984. Hunt, John M. The Vacant See in Early Modern Rome: A Social
History of the Papal Interregnum. Leiden: Brill, 2016.8 AESTHETICS, DRESS, AND
MILITANT MASCULINITY IN CASTIGLIONE’S COURTIER Gerry MilliganIn two unrelated
sixteenth-century texts, a Renaissance prince was described as vulnerable to
assassination because of a f lawed fashion judgment. In his Historia patria
(published 1503), the courtier Bernardino Corio recounted that just before
Galeazzo Sforza left his castle on December 26, 1476, he put on and then took
off his corazina because he felt that the chest armor made him look “too fat.”1
The lack of armored protection was crucial as Galeazzo was famously stabbed to
death during mass later that day. In his analysis of the event, Timothy McCall
provocatively suggests that Galeazzo’s fatally bad judgment was determined by
fashion; Galeazzo, according to McCall, was inf luenced by the growing pressure
to conform to cultural expectations of a slim masculine figure.2 Sixty years
later, a Florentine prince was murdered by stabbing, and similar to the
description of Galeazzo Sforza, a chronicler of the episode points to
clothing’s role in the affair. Benedetto Varchi’s Storia fiorentina (incomplete
at his death in 1565) recounts that just before Duke Alessandro de’ Medici left
his bedchamber on the night of his murder in 1537, he contemplated whether he
should wear his gloves “da guerra” (for war) or his perfumed gloves “da fare
all’amore” (for making love).3 According to the story, Alessandro chose the
love-gloves as they better matched his sablelined cape and were suited to his
planned sexual escapade. He apparently chose unwisely. Elizabeth Currie argues
that Varchi added this presumably invented anecdote about gloves in order to
communicate—through sartorial metaphors—the gap between Duke Alessandro’s
expected dutiful behavior and his actual irresponsible conduct.4 To Currie’s
analysis, I add that the glove anecdote also participates in what had become a
literary pattern of associating men’s clothing with physical weakness. If, in
the first episode, the author indicates how a soft doublet made Galeazzo
defenseless to the knife blade, in the second, the writer implies that the
outcome of Alessandro’s evening might have been different had the princechosen
his gloves “da guerra.” The two historiographical accounts of Galeazzo’s and
Alessandro’s murders underscore not only the high stakes of men’s clothing
choices but the relationship between literary representations of dress and
elements of masculinity. Varchi, like so many writers of the fifteenth and
sixteenth century, chose to articulate men’s dress as integral components in
representations of violence, war preparedness, moral virtue, and sexuality.
Clothing was thus fundamental to Renaissance discourses of masculinity. While
masculine subjectivity as performed through dress has been the focus of several
excellent studies by fashion and art historians, what has gone somewhat
unexplored is how clothing functioned in such discourses of masculinity.5 Was,
for example, clothing presented as a symptom of men’s loss of masculine virtue
or did writers claim that clothing had a more active role in the imperilment of
men? Did so-called effeminate clothing cause men to weaken, or was it merely a
byproduct of a so-called anima effeminato? This essay will address these
questions by looking at the interconnection of male dress, effeminacy, and
militarism in Baldassare Castiglione’s Libro del cortegiano (Book of the Courtier).
I have chosen to concentrate on Castiglione’s Courtier because of its prominent
place in the history of dress and fashion as well as its role in the history of
masculinity.6 The Courtier presents male dress as a high-stakes enterprise; a
misstep in clothing not only had grave consequences for a man’s reputation, it
was also a question of life or death. Like the gloves of Alessandro de’ Medici
and the cuirass of Galeazzo Sforza, a man’s clothing choice could lead to glory
or personal injury, and it could also result in (at least in Castiglione’s
assessment) large-scale military defeat.Arms in the Courtier Very early in the
book, Ludovico da Canossa declares arms to be the primary profession of the
courtier [1.17].7 Yet, the privileged status of arms is not a settled question,
and it is destabilized during a debate of arms vs. letters.8 The debate is
framed by the same Ludovico, who asserts that the French only respect arms and
abhor letters. Ludovico extols the value of letters by describing several successful
military generals who trotted off to battle with copies of the Iliad or other
literature at their side. His examples of successful and literary generals are
offered as proof that the French were erroneous in their belief that literature
damaged a man’s ability to fight: “Ma questo dire a voi è superf luo, ché ben
so io che tutti conoscete quanto s’ingannano i Francesi pensando che le lettre
nuocciano all’arme” (1.43, p. 92) (But there is no need to tell you this, for I
am sure you all know how mistaken the French are in thinking that letters are
detrimental to arms) (1.43, p. 51).9 Ludovico’s accusation of the misguided
French could as well have been leveled against Italian contemporaries of
Castiglione, since none other than Niccolò Machiavelli himself was proclaiming
that letters were injurious to arms in both his Art of War as well as his
Florentine Histories.10Contrary to the view of the French (and Machiavelli),
Ludovico proposes that letters are beneficial to arms; letters bring glory, and
glory inspires courage in warfare: “Sapete che delle cose grandi ed arrischiate
nella guerra il vero stimulo è la gloria. . . . E che la vera gloria
sia quella che si commenda al sacro tesauro delle lettre” (1.43, p.92) (The
true stimulus to great and daring deeds in war is glory. . . . And it
is true glory that is entrusted to the sacred treasury of letters) (1.43, p.
51).11 When Ludovico notes that literature, like the Iliad, could have a
positive effect on soldiers, he shifts the debate that began with the hierarchy
of arms and letters to the correlative and causative relationship between arms
and letters.12 For Ludovico, arms and letters are “concatenate” (conjoined)
(1.46). Ludovico’s assessment of the positive effects of letters on arms is
troubled by the fact that France, at least since 1494, had proven itself to be
militarily superior to Italy. He hedges his argument in a prebuttal,
acknowledging that others might cite recent French military success as evidence
against his claim: “Non vorrei già che qualche avversario mi adducesse gli
effetti contrari per rifiutar la mia opinione, allegandomi gli Italiani col lor
saper lettere aver mostrato poco valor nell’arme” (1.43, p. 93) (I should not
want some objector to cite me instances to the contrary in order to refute my
opinion, alleging that for all their knowledge of letters the Italians have
shown little worth in arms) (1.43, p. 51). To this objection, Ludovico states
that the defeat of literate Italians by illiterate French is the fault of only
a few men: “la colpa d’alcuni pochi aver dato, oltre al grave danno, perpetuo
biasimo a tutti gli altri” (1.43, p. 93) (the fault of a few men has brought
not only serious harm but eternal blame upon all the rest) (1.43, p. 52). The
debate of arms and letters in the Courtier raises two key points for my
analysis on dress and militarism. The first is that there is an anxiety among
the speakers that the actions of a “few men” can bring shame on all men.13 The
book’s project of social control depends in great part on this anxiety. Indeed,
the belief that massive military defeat was caused by a few deviant men gives
urgency to the entire masculine normativizing process (i.e., the ideal
courtier). The second point, related to the first, is that men’s ability to win
wars could be affected (positively or negatively) by what are presumably
unrelated aspects of a courtier’s masculine identity. Throughout the Courtier,
not only letters but music, dance, and of course dress are all placed in a
context of their relationship to warfare.14 When, for example, one speaker
condemns music as effeminate, another will anxiously argue that music stirs
soldiers to combat, and thus it is rightfully masculine (I.47). The book
delineates the court and the battlefield as discrete yet interrelated spaces.
The courtier-soldier is expected to shuttle between the two while performing
hegemonic masculinity in both.15 The challenge is that certain practices of
masculinity were viewed as causing a negative effect in one or the other space.
The battlefield, in particular, is shown as vulnerable to the presence of
courtly practices. Analogously, the court’s refined spaces were shown as
incompatible with certain military behaviors.16 Nonetheless, the court often
measured itself against a functionality in war (e.g., music was useful in war)
just as men in court adopted martial aesthetics (e.g., court dress was an
adaptation of the military tunic).17 There thus arises a tension within the
Courtier between the masculinity of courtly practices and the masculinity of warfare,
and this tension is routinely expressed as a fear that practices at court are
deleterious to combat. The speakers never clearly articulate how dress,
letters, and music might endanger war tactics and strategies, but they do
repeatedly imply that refined behavior threatens masculinity. The reader is
then left to leap the epistemological gap that assumes such a claim to be true.
The cumulative effect of this rhetorical technique is that a fear of effeminacy
underlies the entire project to produce an ideal courtier, and this fear is
often articulated in terms of dress and aesthetics.18Aesthetics and masculinity
before Castiglione The association of men’s dress and aesthetics with
effeminacy has a literary tradition that stretches at least back to Classical
antiquity. Craig Williams’ groundbreaking text, Roman Homosexuality, provides
scores of ancient examples of writers reproaching men’s aesthetics. In Roman
texts, clothing, perfumes, and grooming habits were frequent subjects of scorn.
According to Williams, men’s aesthetics were invoked as part of accusations of
effeminacy in what was consistently a reproach of men’s loss of dominion and
self-mastery.19 More recently, Kelly Olson’s Masculinity and Dress in Roman
Antiquity has provided a systematic look at dress in ancient Rome, and she
usefully pinpoints specific elements of dress, perfumes, and grooming to show
how the Roman man “walked a fine line” between expected grooming and dressing
practice and what was considered effeminate.20 As we move into the Middle Ages
and Renaissance, writers adopted these Classical condemnations of men’s dress
and added their own brand of Christian morality. Renaissance legal codes and
prescriptive literature justified the regulation of male dress under the
auspices of protecting state expenditures, preventing deviant sexuality, or
ensuring the salvation of the soul.21 For example, Francesco Pontano (f l.
1424–41), a professor in republican Siena, attacked male hair styling,
cosmetics, and ornate garments as a civic and Christian moral problem.22 In his
treatise Dello integro e perfetto stato delle donzelle (On the whole and
perfect state of girls), a work written primarily about women’s vanities, the
author states that “vain and superf luous ornament” should be disdained by all
males “who want to be called real men.”23 Certain men, he states, do not care
if they are esteemed as masculine, and thus they spend extraordinary amounts of
time on hair and skin care.24 He complains that men multiply the effect of
their grooming habits by fussing over dress as well: “Ma i maschi moltiplicano
questo errore or co’ lisciamenti or con continui increspamenti di falde, e
arrondolamenti de’ cappucci a diadema, e infiniti altri loro frenetichi e
babionerie” (But men multiply this error, sometimes using cosmetics and at
other times with their continual ruff ling of crinoline and swirls of hoods in
the shape of a tiara, as well as their infinite other frenzies and
buffooneries) (Pontano 22). For Pontano, so-called luxurious dress muddied the gender
binary as well as presented a peril to Christian morality since, as he states, vanities
and ornament debased men, who were “made to be equal to the angels” to a status
“below pigs.”25 Dress imperiled the body and the very soul of men. Effeminate
dress, he states, showed disrespect for God. The crowd of ornate men “non crede
che Dio sia, e che non sia alcuno altro iudice che quegli del podestà ovver del
capitano” (does not believe that God exists, and that there is no other judge
than the podestà or commander) (Pontano 22). Pontano made so-called effeminate
dress a moral and theological issue. Similarly, other writers of the fourteenth
and fifteenth centuries voiced concern about the morality of dress with respect
to sexuality and class status. The chronicler Giovanni Villani (c. 1280–1348)
worried that men’s fashion could create dangerous alliances with foreign powers
and blur class differences, and San Bernardino da Siena (1380–1444) complained
that young men’s short tunics and tight hose were too erotic.26 Ironically,
those same tight hose were reevaluated in the sixteenth century as evidentiary
proof that the male youths of the past were uncorrupted.27 There has as yet
been no systematic study of the condemnations of men’s dress in early modern
Italy, but such a study would aid our understanding of possible thematic
shifts. Not only did the targets of these condemnations vary (e.g., short
tunics, tight hosiery), so too did the rhetoric used to vilify certain dress
undergo changes. There seems to be one significant moment in the history of
dress and masculinity at the beginning of the sixteenth century, when
condemnations of so-called effeminate male dress shifted from threats of
Christian imperilment to failed militancy.28 The anxiety over dress and militarism
had real-world implications such as the standardized military uniform, just as
it may have also inspired some unexpected rhetoric, such as the praise of an
unkempt look.29 Most importantly, it made the abstract notions of dependency
and autonomy visible; men’s clothing carried the meanings of military victory
or loss. Castiglione’s Courtier has a distinct place within the normativization
process of the militaristic masculine body as it is an early—possibly the
earliest— example of sixteenth-century rhetoric of effeminacy, dress, and
military defeat. Castiglione began writing his text during the chaotic years
between the invasion of France in 1494 and the Sack of Rome in 1527. In this
period of instability, he chose to point to certain courtly behaviors,
including dress, in relation to the military losses that were still potentially
viewed as reversible. The Courtier blames the subjugation of the Italian people
on certain refined masculine behaviors that were otherwise unrelated to
militarism, but so, too, it suggests that the salvation of Italy lay in the
hands of this same class of men, men who often marked their class by the very
dress that undermined their masculinity. There are two moments in which
Castiglione suggests that men’s clothing played a role in military loss. I will
analyze these passages along with other textual examples of men’s aesthetics
and dress to demonstrate that Castiglione is in effect not only making
pronouncements about dress but, more importantly, is establishing a practice whereby
men can redeem their masculinity through speaking about the effeminizing power
of aesthetics. The spoken condemnation of courtly dress purportedly critiques
gender and class structures, but like the dress itself, this very speech is
what marks the speaker as belonging to the properly masculine elite.30Male
aesthetics and dress in the Courtier Book One: sprezzatura and gender
nonconformity In Book One, the primary speaker, Count Ludovico da Canossa, says
that the ideal courtier should have a manly yet graceful face. What is to be
avoided, he exclaims with disgust, are certain male grooming habits: [your
face] has something manly about it, and yet is full of grace. . . . I
would have our Courtier’s face be such, not so soft and feminine as many
attempt to have who not only curl their hair and pluck their eyebrows, but
preen themselves in all those ways that the most wanton and dissolute women in
the world adopt; and in walking, in posture, and in every act, appear so tender
and languid that their limbs seems to be on the verge of falling apart; and
utter their words so limply that it seems they are about to expire on the spot;
and the more they find themselves in the company of men of rank, the more they
make a show of such manners. These, since nature did not make them women as
they clearly wish to appear and be, should be treated not as good women, but as
public harlots, and driven not only from the courts of great lords but from the
society of all noble men. (1.19, p. 27) Certo quella grazia del volto, senza
mentire, dir si po esser in voi . . . tien del virile, e pur è
grazioso . . . . di tal sorte voglio io che sia lo aspetto del nostro
cortegiano, non così molle e femminile come si sforzano d’aver molti, che non
solamente si crepano i capegli e spelano le ciglia, ma si strisciano con tutti
que’ modi che si facciano le più lascive e disoneste femine del mondo; e pare
che nello andare, nello stare ed in ogni altro lor atto siano tanto teneri e
languidi, che le membra siano per staccarsi loro l’uno dall’altro; e
pronunziano quelle parole così aff litte, che in quel punto par che lo spirito
loro finisca; e quanto più si trovano con omini di grado, tanto più usano tai
termini. Questi, poiché la natura, come essi mostrano desiderare di parere ed
essere, non gli ha fatti femine, dovrebbono non come bone femine esser
estimati, ma, come publiche meretrici, non solamente delle corti de’ gran
signori, ma del consorzio degli omini nobili esser cacciati. (1.19, pp. 49–50)
For Ludovico, the so-called effeminate courtiers are not by nature “molle”
(soft) or “ femminile” (feminine), but they work very hard (si sforzano) to
make themselvesappear to be so. Moreover, he links aesthetics to acts of
despised behavior, particularly obsequious dependency. This condemned behavior
occurs when, as Ludovico explains, men affect their appearance and speech
around other men of rank. We can situate these despised men within the context
of Ludovico’s own theory of sprezzatura. Coining a new term, Ludovico describes
sprezzatura as the art of “ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e
quasi senza pensarvi” (1.26, p. 60) (making whatever is done or said appear to
be without effort and almost without any thought about it) (1.26, p. 32).31 In
the case of the men who plucked their eyebrows, curled their hair, and
augmented certain behaviors around men of rank, they have failed at this art.
Rather than concealing a performance, as sprezzatura demands, these men drew
attention to the act of ingratiating themselves to men of authority. Their failed
performance of sprezzatura thus resulted in the loss of reputation and power, a
point also made by Ludovico in his definition of the new term: Accordingly, we
may affirm that to be true art which does not appear to be art; nor to anything
must we give greater care than to conceal art, for if it is discovered, it
quite destroys our credit and brings us into small esteem. (I.26, p. 32) Però
si po dir quella esser vera arte che non pare esser arte; né più in altro si ha
da poner studio, che nel nasconderla: perché se è scoperta, leva in tutto il
credito e fa l’omo poco estimato. (1.26, p. 60) Successful sprezzatura, on the
other hand, offered the courtier an ability to perform a “compelling” version
of himself that masked a very different, perhaps less putatively masculine
identity.32 This “manly masquerade,” however, risked pointing to both a
fantastic masculine ideal as well as to the absence of that ideal.33 Dress and
aesthetics, or more precisely, the discussions of dress and aesthetics in the
Courtier, form a paradox in the logic of sprezzatura. When the speakers
complain of the “effeminate” dress or grooming habits of men, they imply that
some idealized masculine version of these men existed before the offending
grooming or dressing occurred.34 However, this anchoring of essentialist
manhood is dismissed in the Courtier. Instead, the speakers reaffirm that since
very few men are born with the qualities of the ideal courtier, the ideal (read
masculine) courtier manipulates his body, behaviors, and dress. If the ideal
courtier is therefore a man who must alter his person in order to be masculine,
then the ideal masculine pre-altered courtier—much like the idealized Urbino
court itself—is a pastoral fantasy.35 The men who alter their hair and posture
when among men of rank, in effect, draw attention to this absence of essential
masculinity in all but the rarest courtiers. These men fail at a sprezzatura of
masculinity not because they ornament themselves, but because they have exposed
the necessity of ornamenting themselves. It is so great an infraction that
Ludovico angrily condemns these men to be punished not as women but as “public
harlots.” Of course, the reference to prostitution is significant for it
foreshadows an episode (discussed below) in Book Four where Ottaviano explains
that all courtiers must use their bodies, speech, and behavior to gain princely
favors. The irony is that the principal difference between the despicable
groomed courtier with plucked eyebrows and the masculine courtier with less
apparently plucked eyebrows is solely aesthetic; both sell themselves for
favors. The offending behavior of the groomed courtier is therefore that he has
failed to conceal this economy.Book Two: foreign dress and foreign occupation
Given the gravity of the punishment that Ludovico doles out to certain
courtiers, it is apparent that a mistake in styling and grooming could pose a
serious threat to masculinity. Thus, choosing proper male dress also caused
anxiety for the upwardly mobile courtier. In Book Two, Giuliano de’ Medici
expresses his personal difficulty regarding the variety of dress available to
men, and he asks for assistance “to know how to choose the best out of this
confusion” (2.26). Federico Fregoso responds to this question by stating that men
should dress according to the “custom of the majority.” Fregoso then states
that the majority of Italians wore the styles of various foreign cultures and
that these foreign fashions signaled which cultures would dominate Italian
men.36 But I do not know by what fate it happens that Italy does not have, as
she used to have, a manner of dress recognized to be Italian: for, although the
introduction of these new fashions makes the former ones seem very crude, still
the older ones were perhaps a sign of freedom, even as the new ones have proved
to be augury of servitude . . . Just so our having changed our
Italian dress for that of foreigners strikes me as meaning that all those for
whose dress we have exchanged our own are going to conquer us: which has proved
to be all too true, for by now there is no nation that has not made us its
prey. (2.26, pp. 88–89) Ma io non so per qual fato intervenga che la Italia non
abbia, come soleva avere, abito che sia conosciuto per italiano; che, benché lo
aver posto in usanza questi novi faccia parer quelli primi goffissimi, pur
quelli forse erano segno di libertà, come questi son stati augurio di servitù
. . . cosí l’aver noi mutato gli abiti italiani nei stranieri parmi
che significasse, tutti quelli, negli abiti de’ quali i nostri erano
trasformati, dever venire a subiugarci; il che è stato troppo più che vero, ché
ormai non resta nazione che di noi non abbia fatto preda. (2.26, p.
158)Fregoso’s fashion advice poses a host of problems regarding identity and
autonomy. By suggesting that men “follow the majority,” he undermines agency,
sovereignty, and control, themes often repeated as central to masculinity by
fifteenth- and sixteenth-century authors. Manliness is the ability to look like
others, to disappear in the crowd; but it is also ironically defined as
following the crowd’s errors. For, as Fregoso states, the majority of Italians
have made a grave error and adopted foreign dress, which leads to invasion and
occupation.37 If fitting in is a masculine virtue, it could even mean
implicating oneself in Italy’s political and military losses. Fregoso’s concern
about foreign dress is a Classical trope that has considerable fortune in the
Renaissance, where French and later Imperial invasions were not infrequently
associated with foreign fashions. 38 The epistemological link of fashion and
invasion was so imbedded in the culture that even one hundred years after
Castiglione wrote his Courtier, the Spanish priest Basilio Ponce de Leon
suggested that God castigated Italy with invasion in 1494 precisely because
Italian men wore French fashions.39 Within the Courtier itself, foreign fashion
does not incur God’s wrath, but rather, it beckons other nations to “venire a
subiugarci” (come and subjugate us). Such a logic—where large scores of men
were responsible for invasion because of their fashion choice—stands in
contrast to Ludovico’s claim in Book One when he claimed that the collapse of
Italy was caused by a “few men.” Book Two thus broadens the guilty parties of
Italy’s subjugation from a “few men” to a “majority” of (upper class) men, who,
like Castiglione himself, were bedecked in the latest Spanish and French
trends.Books One and Two: fashion theory and agency The first two books are
differentiated also by the way they discuss men’s aesthetics. In Book One, for
example, there is no association between aesthetics and military loss. Ludovico
did not state that plucked eyebrows and curled hair brought about military
defeat. Rather, his complaint was limited to gender nonconformity. On the other
hand, Book Two draws a direct line between aesthetics (foreign dress) and
military failure. This shift from Book One to Book Two might be explained by
the general ideological difference that distinguishes the two books. Virginia
Cox has convincingly argued that Book One proclaims that a courtier’s virtue
ensures him success, while in the more cynical Book Two, success at court is
depicted as at the whim of the prince.40 In particular, military bravery is
praised only when it can be observed by others, particularly by the prince. To
risk one’s life when no one is watching would be a waste of one’s personal
resources. Virtue, therefore, is whatever the courtier makes seen in the eyes
of others. In the context of Book Two, where the courtiers participate in an
economy that trades in appearance of virtue rather than intrinsic virtue,
clothing takes a central role in masculine identity construction. It thus
follows that Fregoso attempts to draw a direct relationship between appearance
and essence. He statesthat one must be attentive to what type of man he wishes
to be taken for, and then act and dress accordingly, “aggiungendovi ancor che
debba fra se stesso deliberar ciò che vol parere e de quella sorte che desidera
esser estimato, della medesima vestirsi” (2.27, p. 160) (I would only add
further that he ought to consider what appearance he wishes to have and what
manner of man he wishes to be taken for, and dress accordingly) (2.27, p. 90).
Such action is necessitated by the belief that external appearance (including
mannerisms) communicates a person’s identity: “tutto questo di fuori dà notizia
spesso di quel dentro” (2.28, p. 161) (all these outward things often make
manifest what is within) (1.28, p. 90). The body makes legible the soul, and
this externalization of virtue and morality is problematized by the fact that
the courtier is taught to manipulate the body according to his fashion. One
speaker, Gasparo Pallavicino, pushes back on the theory that dress determines
personal character. He states that one should not “judge the character of men
by their dress rather than by their words or deeds” (2.28, p. 90). To Gasparo’s
comment, Fregoso responds that although deeds and words are more important than
dress, dress is “no small index” (non è piccolo argomento) (2.28) of the man.
Fregoso’s insistence that dress is ref lective of the essence of man is,
however, hard to reconcile with the fact that one’s projected image, as Fregoso
himself states, can be false: “avvenga che talor possa esser falso” (2.28) (although
it can sometimes be false) (2.28, p. 90 translation altered to ref lect
original). Despite Fregoso’s suggestions otherwise, behavior, dress, and bodily
adornment do not convey an unproblematic version of the self. In the elegant
fishbowl of the court, courtiers manipulate dress with the hopes that others
might be duped into believing that it represents an intrinsic identity.
Fregoso’s fashion theory, though not cohesive, does communicate to other men
that a fashion faux pas imperils the courtier’s masculinity in two ways: it
points to a perceived essential effeminacy, or it demonstrates an inability to
mask this effeminacy.Book Four: Ottaviano’s paradox The last mention of dress
in the Courtier is in Book Four, and it famously gives elegance of dress a
virtuous purpose. In Book Four, Federico Fregoso’s brother, Ottaviano, declares
that dress, manners, and pleasantries permit the courtier access to the prince
so that he can provide the ruler with wise counsel. According to Ottaviano, the
courtier must fashion himself with this mask of the “perfect courtier” so that
he can lead the prince away from the ills of vice through deception,
“ingannandolo con inganno salutifero” (beguiling him with salutary deception)
(4.10, p. 213). Ottaviano’s interjection has received much scholarly attention
in part because it exposes the fashioning of the perfect courtier as a
performance of deceit.41 Berger, in particular, has noted how this deceit can
have an effect on the integrity of the courtier: The byproduct of the courtier’s
performance is that the achievement of sprezzatura may require him to deny or
disparage his nature. In order tointernalize the model and enhance himself by
art, he may have to evacuate – repress or disown – whatever he finds within
himself that doesn’t fit the model. (20) If sprezzatura requires the courtier
to deny or disparage his own nature, then there is an implicit notion that the
courtier also risks destabilizing his identity, including his masculine
identity.42 This is no more apparent than when we consider how a courtier’s
agency is compromised by the act of sprezzatura, an act of self-fashioning that
is dependent on the will of others. Ottaviano addresses this very process head
on. He states that elegance of dress, along with singing, dancing, and general
enjoyment, change a man and make him effeminate. Relevant here, this effeminacy
has consequences not only on a courtier’s identity but also on state security:
I should say that many of those accomplishments that have been attributed to our
Courtier (such as dancing, merrymaking, singing, and playing) were frivolities
and vanities and, in a man of any rank, deserving of blame rather than of
praise; these elegances of dress, devices, mottoes, and other such things as
pertain to women and love (although many will think the contrary), often serve
to merely make spirits effeminate, to corrupt youth, and to lead to a dissolute
life; whence it comes about that the Italian name is reduced to opprobrium, and
there are but few who dare, I will not say to die, but even to risk any danger.
(4.4, p. 210) anzi direi che molte di quelle condicioni che se gli sono
attribuite, come il danzar, festeggiar, cantar e giocare, fossero leggerezze e
vanità, ed in un omo di grado più tosto degne di biasimo che di laude; perché
queste attillature, imprese, motti ed altre tai cose che appartengono ad
intertenimenti di donne e d’amori, ancora che forse a molti altri paia il
contrario, spesso non fanno altro che effeminar gli animi, corrumper la
gioventù e ridurla a vita lascivissima; onde nascono poi questi effetti che ’l
nome italiano è ridutto in obbrobrio, né si ritrovano se non pochi che osino
non dirò morire, ma pur entrare in uno pericolo. (4.4, pp. 367–68) Ottaviano’s
claim marks a critical shift from the other cited passages. It is the only time
in the Courtier where clothing (along with other courtly behaviors) is
described as rendering men effeminate. In Book One, distasteful grooming habits
are practiced by those men who “wish” that they were women, and in Book Two,
foreign dress beckons military defeat. In Book Four, clothing causes
effeminacy, and the effeminized man loses wars. The passage is not only a
significant moment in the Courtier, it is an important moment in the history
ofeffeminacy. To my knowledge, it is one of the earliest Renaissance texts that
figures clothing and other behaviors as the agents that cause effeminacy
leading eventually to military defeat.43 Ottaviano’s brief interjection on
clothing would have provided the attentive listener with (again) some troubling
fashion advice. The passage forms what I call Ottaviano’s paradox: on the one
hand, Ottaviano affirms that elegant dress may be necessary to ingratiate the
prince and engender virtue, while on the other, he warns that dress has deleterious
effects, effeminizing the courtier’s soul and bringing shame to him and Italy.
If the courtier performs his requisite duties (which include ingratiating the
prince with dress, dancing, music, etc.), he cannot escape losing his own
masculinity. It is unclear how the reader is to navigate this paradox.
Castiglione may have been genuinely concerned with the possible effeminizing
effects of dress, or there may have been some irony in placing these words in
the mouth of Ottaviano.44 Ottaviano had, in fact, been derided for his unusual
dress in the earlier version of the book known as the seconda redazione
(written 1520–21).45 Moreover, Castiglione was himself quite the fashionista.
His letters tell us that he was deeply concerned with his own dress, both at
court and during military operations. Many of his letters to his mother refer
to his need for appropriate clothing, and on some occasions, he refers to this
clothing as necessary for exercises carried out in a context of war.46 The fact
that Castiglione has left us extensive writing on dress from the period raises
hermeneutical questions about Ottaviano’s statement that courtly dress and
activities “make spirits effeminate and corrupt youth” and eventually lead to
the shame of Italy. Surely the author was not suggesting that winning wars
merely a matter of changing clothing. I propose that Castiglione was less
interested in changing the garments and grooming habits of Italians than he was
in investigating how the rhetoric about aesthetics functioned in defining
identity and motivating social groups. His book explores how courtly practices,
including dress, determined the boundaries of an elite ruling class, but so too
does it explain how the language used to discuss these practices could shift
the values added to such practices. Thus, Ottaviano’s paradox—where the
courtier is virtuous if he ingratiates the prince but loses his virtue of
masculinity by doing so—is in effect a masterful demonstration of sprezzatura.
When Ottaviano utters his words, he not only explains how courtliness
denigrates a man for a virtuous cause, he also reveals how a courtier can
assume an intentional and masculine participation in this virtuous cause. He
derides the very courtly practices that he himself performs and then engenders
them with virtue.47 By showing that a courtier sacrifices his masculinity on
the altar of state security, Ottaviano offers a reclamation of masculinity for
any courtier. The trick is, however, that the courtier must be willing to decry
the very practices that make him a courtier in order to claim this masculinity.
Ottaviano states, in effect, “I criticize the grooming of men as effeminizing,
but I will also perform these acts for the larger good of pleasing the
prince.”By way of a conclusion, we will turn to this same moment in the second
manuscript edition, or seconda redazione.48 Here Ottaviano’s passage appears in
Book Three (the final book of the manuscript). It is spoken by Gasparo and,
most importantly, the condemned effeminate activities are not routine courtly
behavior, but belong to young courtiers in love: Do you not believe that the
young would be doing a much more praiseworthy thing if they were to concentrate
on arms to defend the patria, their own honor, and the dignity of Italy, rather
than to go around with their hair all coiffed, perfumed, and strolling through
the neighborhoods with their eyes glued to the windows above without
considering anything in the world except their own priorities? And what purpose
do these devices and mottoes and elegances of dress serve other than vanity and
frivolity? And what is the point of dancing at balls and masquerades as well as
games and music (and other such things that you praise so much)? What do these
things offer other than to give birth to the effeminizing of men’s spirits as
well as corrupting and reducing youth to a delicious and lascivious life?
Whence, as Signor Ottaviano so well says, it comes about that the effect of all
this is that the Italian name is reduced to opprobrium, and one cannot find a man
who dares, I will not say die, but even to risk any danger. And all of this is
the cause of women. (Translation mine) Non credete voi che li giovani facessero
opera più laudevole, se attendessero all’arme per difender le patrie e l’onor
loro e la dignità de Italia, che andar con le zazare ben pettinate, profumati,
passeggiando tutto dì per le contrade, con gli occhi alle finestre senza
pensare cosa alcuna di quelle che più gl’importano? e queste imprese e motti et
attillature insomma a che servano altro che a vanità e leggiereze? e danzare e
ballare e mascare e giuochi e musiche e tai cose, fatte con tanta diligenzia e
che voi tanto laudate, infine che partoriscono altro che effeminare gli animi,
corrompere la gioventù e ridurla a vita deliziosa e lascivissma? Onde, come ben
talor dice el signor Ottaviano, ne nascono poi questi effetti che il nome
italiano è ridutto in obrobrio, né si truova uomo che osi non dirò morire, ma
purentrare in un pericolo. E di tutto questo sono causa le donne. The
manuscript passage, like that of the final 1528 version of the Courtier quoted
earlier, tells us that men’s dancing, games, music, and elegance of dress are
dangerous to Italian sovereignty. However, there are important differences
between these two textual examples. In the seconda redazione, dressing and
music, etc. are presented as the vices specific to young lovers. This
characterization of lovers fits clearly within Gasparo’s stated distaste for
any action that involves the courtship of women. Additionally, Gasparo explains
the relationship between warfare andeffeminate behaviors in simple terms of
time allocation; men should choose to spend time fighting to “defend their
homelands,” but instead they focus on love. Thus, when he states that dancing,
masquerades, and games effeminize men’s spirits, it follows that this causal
effect is at least in part due to the fact that men are busied with these
activities and not fighting. When the author adapted the passage for the final
version, he changed not the effeminizing practices but the cast of the shameful
men, and he removed the phrase that explains that these practices simply took
up too much of the courtiers’ time. In Courtier Book Four, the list of mottoes,
devices, dancing, and dress are not described as what courtiers do to woo
women, but rather, they are general courtly practices. Indeed, Ottaviano
mentions the previous evenings’ discussions and takes aims at these activities
and practices that are described by Ludovico and Fregoso in Books One and
Two.49 These courtly practices were not performed to attract only the attention
of women, but also (and primarily) of men; in particular, these practices
attracted the attention of other courtiers and, most importantly, the prince.
What Ottaviano offers his peers is the chance to reclaim a masculinity of
purpose, even while operating in a gender paradox where dress and acts
necessarily effeminized the men who pursued this purpose. Ottaviano reclaimed
courtly masculinity by denigrating the necessary courtly practices and dress
that enabled the courtier to pursue virtue. His accusatory rhetoric allows the
disempowered male to assert masculinity even in the performance of dependency.
Castiglione’s book enacted the same performance as Ottaviano’s utterance; the
book as a whole takes aim at dress as effeminizing while explaining that such
dress typified the ideal, masculine, and virtuous courtier. These accusations
of the practices of men also served the larger function of the Courtier’s
normativizing project, where the “few men” who were responsible for the shame
of Italy might be refashioned into warrior heroes. The nagging question is just
how aesthetics figured into this degradation of Italy. It is doubtful that
Castiglione (or any other Renaissance writer) would suggest that changing one’s
ruff les and sleeves would be the key to defeating the French or the Habsburg
empire, but why, then, we should ask, did writers frame military defeat in
terms of silks and ruff les? It would seem that we still have much to learn
about how aesthetics and militarism functioned in the Renaissance projects of
social control.Notes 1 Corio, Storia di Milano, 2: 1398–99: “il duca se misse
una corazina, quale cavò dicendo parebbe troppo grosso, puoi se vestì una veste
di raso cremesino fodrata di sibelline e cinto con uno cordono di seta morella
la biretta.” 2 McCall, “Brilliant Bodies,” 472. 3 Varchi, Storia Fiorentina,
Vol. 3, Book 15, 186. 4 Currie, Fashion, Introduction. 5 See, for example,
Simons, “Homosociality and Erotics,” Currie, Fashion, Biow, On the Importance,
and Eisenbichler, “Bronzino’s Portrait.” 6 Paulicelli, Writing Fashion, 3. On
masculinity and dress in the Courtier see Quondam, Tutti i colori and Currie,
Fashion.7 All Italian quotes of the Cortegiano are from the Garzanti edition. All
English quotes are from the Javitch edition (2002) of the Singleton
translation. 8 Najemy, “Arms and Letters.” The hierarchy of arms is challenged
by Ludovico himself, who states that letters are the “true and principal”
adornment of the courtier. Moreover, Bembo argues that arms are actually the
adornment of letters; see ibid., 211. 9 Castiglione’s references to France
change from manuscript to print edition. In one of the earliest manuscript
editions of the book, he calls those who do not appreciate letters, barbari.
Pugliese, “The French Factor.” 10 For a discussion of Machiavelli’s position on
arms and letters see Najemy, “Arms and Letters,” 207–08. For a later discussion
on the danger of letters to arms see Stefano Guazzo’s “Del paragone dell’arme et
delle lettere” in which an interlocutor suggests that some people fear that
letters “si snervassero gli huomini Martiali,” Stefano Guazzo, Dialoghi
piacevoli (Piacenza: Pietro Tini, 1587), 167. 11 See Albury, Castiglione’s
Allegory, 65. 12 Ludovico is here discussing the influence of literature on war
rather than the study of combat manuals. On Urbino’s master at arms, Piero
Monte, who published the “first significant combat manual ever to be printed,”
see Anglo, The Martial Arts, 133. 13 My reading on this passage differs from
Najemy’s, which argues that Ottaviano, in Book Four, implicates the courtiers
as the few bad men, responsible for Italy’s decline. 14 In Book One, Gasparo
states that music and other “vanities” “effeminar gli animi” of men. Quondam’s
published edition of Manuscript (L) Biblioteca Medicea Laurenziana,
Ashburnhamiano 409 shows that Castiglione originally phrased his concerns
differently, without using the word “effeminize”: “e cosi fatte illecebre
enervare gli animi.” Quondam, Il libro del Cortegiano. 15 On hegemonic
masculinity, see Connell, Masculinities, 77. 16 Although warfare is typically
shown to be endangered by courtly behaviors, there are some moments in which
the court is shown to be negatively affected by the presence of warriors; see
Book I.17. 17 Newton, Fashion, 1–5; Blanc, “From Battlefield to Court.” 18 On
effeminacy in the Courtier see Milligan, “The Politics of Effeminacy.” On
effeminacy in the study of pre-modern texts, see Halperin, “How to Do.” 19
Williams, Roman Homosexuality, 125–58. 20 Olson, Masculinity and Dress; see
chapter four in particular. 21 See Blanc, “From Battlefield to Court” for a
discussion about several fourteenth-century chronicles that blame a sudden
change in dress for battles and plague. See also Muzzarelli, Breve storia;
Mosher Stuard, Gilding the Market; Sebregondi, “Clothes and Teenagers”;
Muzzarelli, Guardaroba Medievale. 22 Francesco Pontano, along with his brother
Ludovico Pontano, was a professor at the university of Siena. On Francesco Pontano
see Marletta, “L’umanista Francesco Pontano.” 23 “Il quale tanto più è
vituperoso in loro in quanto debbono in tutto essere rimoti da ogni vano e
superfluo ornamento, s’eglino debbono e vogliono esser detti veri maschi.”
Pontano, “Dello integro e perfetto stato,” 22. All translations are mine unless
otherwise noted. 24 “Li quali non minor tempo e industria mettono raschiamenti
di coteche e scialbamenti di gote e di collo e de’ vari pelatogi e
scorticatogi, e di bionde e d’acque sublimate e stillate, che si facciano le
femine.” Ibid. 25 “Talché oggidì l’uomo che fu fatto presso che pari agli
angeli ’e di sotto a’ porci e a qualunque altro sporco e vile animale.” Ibid.
On dress and gender confusion in early modern England see the essays by Epstein
and Straub, Body Guards. 26 See Sebregondi, “Clothes and Teenagers,” which
shows how preachers such as San Bernardino da Siena complained about the erotic
elements of tight hose and short doublets. Ibid., 31 cites Sermon 37 of
Prediche di San Bernardino vol. 3. 27 Sebregondi, “Clothes and Teenagers,” 36.
28 Not all writers condemned male dress. Leonardo Fiorivanti states that the
only way to make this “miserable world” better is to dress well and eat well,
and that young men dress extravagantly and then change their dress when they
reach the age to marry and29 30 31 32 33 34 35 36 37 383940 41 42 434445have
children. Fiorivanti, Dello specchio, Book I, chapter 9, 27. On the other hand,
Anton Francesco Doni (1513–74) and Scipione Ammirato (1531–1601) both criticize
military failings while discussing men’s dress and aesthetics. In language that
is contrary to modern notions of military discipline, writers such as Pio De
Rossi (1581–1667) suggested that the most courageous warriors were slovenly,
dirty, and untidy. De Rossi, Convito morale, 42. On Rossi see Biondi, “Il
Convito.” This mechanism functions similarly to the “hypocritical rhetoric of
self-censorship” identified by Carla Freccero in that an utterance pretends to
do one thing while performing a different function. Freccero, “Politics and
Aesthetics,” 271. On scholarly interpretations of sprezzatura see Javitch;
Rebhorn, Courtly Performances; and Berger Jr., The Absence of Grace. On the
“more compelling figure” see Rebhorn, Courtly Performances, 38; on the virility
of sprezzatura see Berger, Absence of Grace, 11. I borrow the term “manly
masquerade” from Finucci, The Manly Masquerade. How Renaissance writers
characterized the pre-dressed (naked) man as masculine or effeminate is
discussed by Paulicelli, Writing Fashion, ch. 3. According to Berger,
Castiglione casts an idyllic, unreal version of Urbino. Berger describes how
Castiglione discloses to the reader his process of casting Urbino as unreal in
a “metapastoral” gesture Berger, Absence of Grace, 119–78. On this passage see
Quondam, Questo povero cortegiano and Milligan, “The Politics of Effeminacy.”
See Currie, Fashion; Paulicelli, Writing Fashion. On Classical examples see
Williams, Roman Homosexuality. Castiglione himself cites an ancient anecdote of
Darius III, King of Persia (336–330 b.c.), told by Q. Curtius Rufus,
Historiorum Alexandri Magni III, 6. For Renaissance examples see Lando, Brieve
essortatione, which states that the Syrians have dominated the Italians through
their perfumes, and Lampugagni claims that Italians follow French fashions like
monkeys, Della carrozza da nolo. Lampugnani also complains of women who seek to
“dis-Italianize” themselves by adopting foreign fashions. De Leon, Discorsi
novi, published in Spanish in 1605. “E, quando in Italia cominciarono a
vestirsi all’usanza di Francia, molti ciò mirando con prudenza temerono, che i
Francesi havessero a mal trattargli; e non s’ingannò l’anima loro, come fra
pochi giorni mostrò il successo. Di modo che la natione, che lascia la sua
foggia di vestito antica, e naturale per imitare quella de’ Regni stranieri,
ben può temere, che Dio non la castighi con guerre, persecutione, rubamenti, e
mali trattamenti che le faranno fatti da coloro, i cui habiti ella va
imitando,” 628. Cox, The Renaissance Dialogue, 54. On Ottaviano’s interjection
see Rebhorn, Courtly Performances, Albury, Castiglione’s Allegory, and Quondam,
Questo povero cortegiano. Berger does not characterize courtliness as weak or
effeminizing; he instead states that the successful performance of sprezzatura
demonstrates a certain virile mastery. Berger, Absence of Grace, 1–12. In his
“Education of Boys” Aeneas Silvio Piccolomini suggests that clothing can make
boys soft and effeminate. He particularly warns against feathers and silk. Piccolomini,
“The Education of Boys,” 71. Basilio Ponce de Leon, Discorsi (Italian
Translation 1614) suggests that clothing makes spirits effeminate and soft
“Legislatori antichi giudicarono così (e la isperienza lo insegna) che non
tanta delicatezza di vestiti si assottigliano gli animi, e di virile, e forti
divengono bassi effeminate e molli,” 626. Some assert that Ottaviano’s response
might be due to his “republican” leanings. This seems to be overstated given
that Ottaviano was the nephew of Guidobaldo de Montefeltro, spent much of his
childhood at the Urbino court, and was himself a prince of Sant’Agata Feltria.
In response to how a courtier should dress, Federico responds “Voi lasciate una
sorte de abiti che se usa, e pur non si contengano tra alcuni di questi che voi
avete ricordati, e sono quegli del signor Ottaviano.” Castiglione, Seconda
redazione, II.26, 110.46 See, for example, letters 29 and 30. Castiglione, Le
lettere, vol. I, 1497–1521. 47 Ottaviano’s censoring of courtly dress follows
Carla Freccero’s analysis of “’hypocritical’ rhetoric of self-censorship,” in
that it is as much about establishing identity groups as it is about a sincere
rebuke of argument. Freccero, “Politics and Aesthetics,” 271. 48 For a useful
review of the manuscript revisions to the text, see Pugliese, Castiglione’s
“The Book of the Courtier”, 15–24. 49 “Estimo io adunque che ’l cortegiano
perfetto di quel modo che descritto l’hanno il conte Ludovico e messer
Federico, possa esser veramente bona cosa e degna di laude; non però
simplicemente né per sé, ma per rispetto del fine al quale po essere
indirizzato” (4.4) Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Nicola Longo,
367.Bibliography Albury, W.R. Castiglione’s Allegory: Veiled Policy in the ‘The
Book of the Courtier’. Farnham: Ashgate, 2014. Anglo, Sydney. The Martial Arts
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Ideologies of Masculinity in Classical Antiquity. Oxford: Oxford University
Press, 1999.9 THE SAUSAGE WARS Or how the sausage and carne battled for
gastronomic and social prestige in Renaissance literature and culture Laura
GiannettiIn Girolamo Parabosco’s comedy La fantesca (published in 1556) the
sexual activities of a maid, the young cross-dressed Pandolfo who impregnated
his young lover Giacinta, were humorously referred to with a culinary metaphor,
that of inserting meat in the oven: People, the female servant has become a
male in two houses at once as you have seen. And she has shown that she is a
better cook than a housekeeper, because she knew better how to put the meat
(carne) in the oven than make beds or sweep the house. (V, c. 94)1 The Italian
word carne with its multiple meanings of meat, f lesh, and the masculine sexual
organ commonly served as a tool for clever word play in Italian literature from
the Decameron to the Canti carnascialeschi and enjoyed a renaissance of its own
in sixteenth-century comic prose, poetry, letters, and everyday language.2 The
early modern dietary corpus reinforced the religious association between eating
meat, gluttony, and lust. All nutritious food, in particular meat, created more
blood than needed by the body; therefore the surplus translated into an extra
production of sperm, which in turn fueled the sex drive.3 A traditional view of
the link between gluttony and lust holds that biblical accounts of the Fall
considered gluttony the opening door to lust, although the Garden of Eden’s
transgression consisted in eating the forbidden fruit, a fig or an apple
according to different versions, and not eating immoderately. Many medieval
theologians and then Pope Gregory the Great, a medieval doctor of the Church,
defined gluttony mainly as a desire to stimulate the palate with delicacies,
while also exceeding what was considered necessary for basic nourishment and
health.4 But then he drew a more precise connection between the two sins and
differentorgans of the body: “when the first (stomach) fills up excessively,
inevitably, the other are also excited to sin.”5 Gluttony excites the senses
and therefore can carry the sinner to sins of the f lesh. In Dante’s Inferno,
and following Aristotle’s Nicomachean Ethics, incontinence (of desire) was the
link between gluttony and lust. Paolo and Francesca in Canto V are among the
“peccator carnali, / che la ragion sommettono al talento” [Inf. 5.38–39]).
Although for Dante gluttony was a sin worse than lust, the common vision at his
time was that eating immoderately and lusting were both sins of carne, the f
lesh.6 If early theologians’ readings discussed gluttony without referring to a
particular food, it was meat that later became the preferred target of
moralists and came to be associated with ideas of lasciviousness and lust.
Traditionally, animals such as the boar, pig, wolf, and/or ape in late medieval
and early Renaissance visual and prescriptive sources represented luxuria7 and
gluttony, as inextricably and negatively bonded together.8 Sixteenth-century
prints, paintings, broadsheets, and emblem books kept those associations alive
in society and culture even as the associations between those animals and
gluttony or voracity often surpassed their association with luxuria.9 Sins of
the f lesh were often symbolized as sins of carne in the sense of meat.10 But
before delving into the imaginative perceptions and symbolism attributed to
meat-eating it is advisable to recall brief ly what the lived practice and
experience of consuming meat in medieval and Renaissance Italy involved. Symbol
of power and violence, masculinity and aggressive sexuality, luxury and
abundance, meat was often associated with the aristocracy and its lifestyle.11
As Massimo Montanari and Alberto Capatti have shown, in the Middle Ages the
noble table first saw a triumph of big game gained through hunting but later
the preference was directed more toward smaller game such as pheasants, quails,
and/or farmed animals, like geese and capons. The new court nobility of the
twelfth century no longer identified with the warriors’ taste for big, bloody
game.12 Gross and nutritious meat was now left to peasants, usually in the form
of pork. City dwellers also enjoyed the meat of the pig in the form of sausages
but strove to differentiate themselves from the rural inhabitants by buying and
eating veal, beef, and small birds. Although Fernand Braudel famously called
“carnivore” the period in Europe between 1350 and 1550,13 Italians of the
period had other food resources and could not, and often did not care to eat
meat every day. Nonetheless, eating meat, and especially good meat, remained an
indicator of social elevation and offered the promise of good health. The
preference of the new court nobility for small birds and farmed animals
received the approval of contemporary doctors, who exalted birds as a source of
exceptional nutritional value, with the caveat that it was best suited to an
aristocratic diet.14 It was not just the symbolic and nutritional value that
was considered important; in dietetic tracts partridges and quails excelled
also for their delicate taste and their lightness. But not all agreed. Vatican
librarian and gastronome Platina (1421–81) was more open to the pleasures of
eating a much wider range of meats, demonstrating more catholic tastes. His De
Honesta Voluptate et Valetudine(first Italian edition 1487) is full of numerous
recipes that included poultry, organ meats, fowl, pork, and sausages. Still
much like many doctors, cooks, and courts stewards, he agreed that meat in
general was a food healthier than others and had an elevated nutritional value.15
The reputation of meat as a primary source of nourishment and good health
continued in the sixteenth century, and was particularly strong among surgeons,
medical practitioners, and professors of “secrets.” A Spanish “surgeon and
empirical doctor”16 who lived in Rome, Giovan Battista Zapata (ca. 1520–86),
claimed that all meat products sustained good health, as long as they were
roasted with a rosemary oil and a mixture of other herbs and spices, and were
accompanied by good wine.17 Zefiriele Tommaso Bovio (1521–1609)—a Veronese
nobleman and lawyer who later became a medical practitioner—wrote a treatise at
the end of the sixteenth century against the “medici rationali ” who wanted to
impose a strict meatless diet on sick people. He claimed that doctors knew that
eating good meat and drinking wine had the power to restore health but kept the
secret to themselves for fear of losing fees from patients who recovered from
illness and stayed healthy eating meat.18 The nutritional value of meat was
thought to rest on the idea that meat could transform into the substance, the
very carne, of the human body. The steward Domenico Romoli affirmed in his
cooking manual that those who invented the eating of meat did it both for taste
but especially for health reasons: they knew that “more than any other food, it
is meat (carne) that makes f lesh (carne).”19 In his view eating meat meant
literally giving nutriment to human f lesh.20 Renouncing meat, however, was a
crucial requirement for early Christian hermits and monks. It represented
unequivocally the mortification of the f lesh and contempt for the body,
although numerous sources show that meat-eating in many monasteries was fairly
normal. In general, the suspicion of meat running through Christian texts in
the period appeared to be based on an association of the eating of meat with
fears of the f lesh and sexual incontinence. San Bernardino’s preaching in the
fifteenth century aggressively linked meat consumption with unruly sexuality
and was particularly severe on policing widows and youths’ eating practices. He
represented the extreme side of a widespread religious censure of culinary
pleasures and the sense of taste, emphasizing the presumed dangers of uniting
desire for meat and unruly sexuality.21 Outside of the monastic world,
religious proscriptions on food dictated that for periods of fasting, such as
Lent, abstinence from animal f lesh, meat, poultry, and eggs, was mandatory to
mortify the body and its appetites. And Lent was not just the forty days that
followed Carnival; every Friday and many vigils during the year were Lenten
days when meat was proscribed as well.22 How much weight did this religious
censure or the ideology of the ascetic abstention from eating meat actually
have? Apparently not much in everyday life or culture. The desire for meat,
originally condemned as gluttony and a carnal practice that took one away from
the life of the spirit, was often identified in theliterary imagination with
positive expressions of sexual desire. The longstanding Christian prohibition
against eating meat associated gluttony and illicit sexuality, and the Galenic
dietary theory reinforced this, claiming that the body of the meat eater would
have a surplus of blood and thus an increased sex drive. Literary sources valorized
the gastronomic desirability and sexual powers promised by eating meat. Slowly
but surely the sexual/alimentary play on carne as food and f lesh, positively
portrayed in imaginative literature and culture of the sixteenth century,
battled successfully against earlier moralistic discourses insisting on
restraint of the body and its instincts.23 The emerging cultural war of the
period opposed a disciplining view of the body and posited the increasing
importance of pleasure and taste in both life and literature, with the
enjoyment of meat, carne and f lesh, at their very center.Appetite for meat in
literature Returning to the courtly taste for birds in the Renaissance, the
link between eating birds and the lustful consequences that followed was
visible in literary texts, fresco cycles, and dietary discourses, albeit with
different meanings. While Dantesque Inferno punishment scenes in late medieval
Italian dietary treatises and church fresco cycles dwelt on the negative
consequences of eating birds or eating too much meat, literary texts presented
a competing discourse. Giovanni Boccaccio’s Decameron, novelle collections such
as those by Niccolò Sacchetti (ca. 1332–1400), Giovanni Sercambi (1348–1424),
Anton Francesco Grazzini (1503– 84), and Niccolò Bandello (1485–1561), and many
satirical and licentious poems, all exploited the phallic meat metaphor to
elicit laughter as well as sexually allusive word-play.24 Boccaccio made clear
in his Conclusione to the Decameron that the obscene language he had used came
from everyday usage and included words from the culinary world: It is not more
shameful that I have written words that men and women spell out continuously
such as hole, peg, mortar, pestle, sausage, and mortadello. Dico che più non si
dee a me esser disdetto d’averle scritte che generalmente si disdica agli
uomini e alle donne di dir tutto dì foro e caviglia e mortaio e pestello e
salsiccia e mortadello. Many contemporary tales depict adulterous lovers or
lovers-to-be enjoying meals with game, fowl, and poultry in preparation for the
carnal pleasures to come. The “carne” metaphor to designate the male member had
a notable literary tradition. Giovanni Sercambi’s Novelliere (written ca.
1390–1402) presents many instances of the metaphorical/sexual use of the word
carne, in some cases distinguishing between “raw” and “cooked” meat to indicate
the male sexual organ and actual meat.25 In the novella “Frate Puccio e Madonna
Alisandra,” Pseudo-Sermini26 plays on the double meanings of food and sex and
the pleasureof tasting the meat and its f lavor.27 The metaphor of “fresh meat”
to indicate the male sexual organ continued unabated in the sixteenth century
as seen in a laughing novella by the Sienese Pietro Fortini (ca. 1500–ca. 1562)
where a lusty friar offers a pound of “carne fresca” for free to a young woman
with the excuse that religion does not let him enjoy meat that day. The novella
naturally ends with the friar being beaten by the woman’s husband and with the
laughter of the brigata listening to the story.28 The offer of an attractive
bird for a meal often opened the way to a carnal relationship. In one
sixteenth-century novella by Grazzini, the priest Agostino, enamored of his
parishioner Bartolomea, decided to entice her with the offer of a large and
plump duck. Bartolomea, who was a woman of “easy taste” (buona cucina), let him
inside her house and made love to him with the hope of gaining the duck. But
the early return of her husband allowed the priest to escape with his duck,
leaving her literally empty handed. Agostino bragged cleverly that she would
never find another duck, or another member, so large and plump. But, as often
happens in Italian novelle, women were cleverer than their lovers. Bartolomea
was no exception; when Agostino came back with a duck and two capons to make
peace and love again, she got her revenge. With the help of her husband she
beat him and sent him away barely able to walk, keeping the birds to enjoy with
her husband.29 In this novella, birds carried out their multiple roles: they
were an enticing and valued meat, able to stimulate the senses at many levels
but also able to transform gluttony and lust into laughter and pleasure. In
sixteenth-century comedies, birds such as partridges and pheasants could serve
as domestic aphrodisiacs, for both old men and young. In Donato Giannotti’s
comedy Il vecchio amoroso (written ca. 1533–36), old Teodoro, in love with the
young female slave his son has brought home from Sicily, organizes a banquet
where the food includes delicacies like fat capons, birds (starne), and
pigeons, served with wine and sweets, in order to prepare him for the rigors of
lovemaking.30 The meat of birds was believed to arouse lust because it was seen
as hot and moist; for this reason Messer Nicomaco, in the comedy Clizia, plans
to eat a half bloody pigeon before his night of love with the young Clizia.
Perhaps because of this popular belief, or perhaps because it was the most
prized and elegant type of meat, Pietro Aretino, in one of his letters from
Venice in 1547, invites the painter Titian to a dinner at his house with a
famous courtesan, Angela Zaffetta, promising that the main dish to be served
would be roasted pheasants.31 Adulterous lovers with their lascivious dinners
were the protagonists of a great number of plays and novella. Some specific
language used in sixteenthcentury poetry, dialogues, and comedies also
suggested that the desire for meat was closely connected to the practice of
sodomy.32 A type of meat that was used euphemistically to signify sodomy, either
with men or women, was the young male goat or “capretto.” Pietro Aretino in his
Ragionamento (1534) used the masculine gender and the diminutive form of
“capretto” to indicate the act of sodomy with a nun, in obvious contrast with
the word “capra,” the adult goat used to refer to vaginal sex. In describing a
moment at an orgy in a convent, Aretino exploited the culinary metaphor of meat
to its fullest: Tired, at the first morsel of the goat he asked for the young
goat . . . I tell [you] that as soon as he got it, he stuck inside
the meat knife and madly enjoyed seeing it in and out . . . stucco al
primo boccone della capra, dimandò il capretto [. . .] dico che
ottenuto il capretto, e fittoci dentro il coltello proprio da cotal carne, godea
come un pazzo del vederlo entrare e uscire. (Emphasis mine) 33 Matteo Bandello
similarly narrates a tale about Niccolò Porcellio, humanist, poet, and
historian at the court of Francesco Sforza in Milan, and well known for his
notorious passion for young boys. Bandello expresses Porcellio’s desire with
the culinary euphemism: he loved “la carne del capretto molto più che altro
cibo” (he always preferred the meat of the young male goat much more than any
other food). In his final confession, he justified his vice as the most natural
thing in the world because it corresponded to his natural taste, and it was a
“buon boccone”: Oh, oh, Reverend Father, you did not know how to interrogate
me. Playing with young boys is for me more natural than eating or drinking to a
man . . . go away as you do not know what a good morsel is
. . . oh, oh padre reverend, voi non mi sapeste interrogare. Il
trastullarmi con i fanciulli a me è più naturale che non è il mangiar a il ber
a l’uomo . . . andate andate che voi non sapete che cosa sia un buon
boccone.34 Porcellio insisted that his sexual behavior—the preference for young
male goat meat—was as natural as it was natural to eat and drink for humans.
His narrator Bandello explained first that Porcellio was forced to marry by the
Duke in order to soften the opinion people had of him as someone who always
preferred “the meat of young goat.”35 The food metaphor, so widely employed in
the novella, was indeed perfect to address his sexual desire as a manifestation
of taste, which can vary according to different people. Contemporary literature
of the Land of Cockaigne included fantastic maps of Cuccagna [Cockaigne in
Italy] where meat, in all of its incarnations, for rich and for poor, was
center stage, while the theatrical Battaglia fra Quaresima e Carnevale
regularly ended with the victory of Carnival and meat eating.36 The carne of
the lascivious goat and luxurious hot birds were generally enjoyed by the rich.
Yet it was the meat of the more humble pig, in the form of sausages that became
dominant in sixteenth-century literature as a food easily conducive to sexual
play, gastronomical delights, and a festive world.The triumph of the sausage
The Allegory of Autumn by Niccolò Frangipane, a follower of Titian, is a
remarkable painting displaying a lascivious satyr who sticks one finger into a
split melon and with his other hand grabs a sausage on top of a table full of
other autumn produce. In the cultural imaginary and in the common understanding
of the period, that sausage in hand proclaimed with a perverse smile that it
was known as a type of meat that promised and was well suited for indulgence,
alimentary and sexual.37 The metaphorical use of the term “salsiccia” was not
new. Many tales in Sercambi’s Novelliere, fifteenth-century carnival songs, and
humorous and popular print allegories of Carnival used the same metaphor
associating the consumption of meat/sausages with the pleasures of the senses,
especially sexual pleasures. In one novella by Sercambi, a libidinous widow
living with her brother, who had not arranged for her to marry again, realizes
that there is a similarity between the sausages her brother brought home and
the instrument with which her dead husband had made her happy. She decides to
satisfy “the need she had of a man” using those sausages as an instrument of
pleasure and consumes them little by little until discovered by her brother. 38
A popular sixteenth-century print studied by Sara Matthews-Grieco shows an old
lower-class woman selling a sausage during Carnival, just before the time of
Lent, when both meat and sexual intercourse will have to be forgotten. While
Sercambi’s humorous novella does not attack the widow, who is described as
young and naturally deprived of sexual pleasure, the prints and grotesque
portraits studied by Matthews-Grieco, more often cruelly satirize old
lower-class women desirous of sausages. 39 Pork occupied a particular cultural
space in the realm of meat of the time. Far from high-class birds, or
middle-class poultry and veal, the pork sausage was the food of the poor, the
peasant, or at best, the uneducated.40 Sausages, particularly pork sausages,
were a food appealing to taste but otherwise problematic as gross, humid, full
of fat, and unsuited to a delicate stomach—or so claimed several early modern
doctors and apothecaries. Humoral physiology dictated that the f lesh of a hot
and humid animal would be beneficial only to a person with a cold temperament
who needed to adjust his/her complexion: people with predominantly moist/hot
humors should therefore avoid pork.41 Practice was, however, more complex. Some
doctors associated with the Galenic revival of the fifteenth and sixteenth
centuries promoted the meat of pig as nutritious and easy to digest, although
more suited to physical workers. In fact, for all the undesirable
characteristics noted, the idea that pork was nourishing and healthful enjoyed
wide circulation in dietaries and medical treatises. From there, it was added
as a significant qualifier to the traditionally unfavorable descriptions of
pigs, and ultimately found its way into comic and burlesque literature, where
it merged with the well-established carnivalesque passion for fat meat and
gastronomical excess. The Galenic revival maintained descriptionsof pork as
gross and humid, but gave more positive press by affirming that it was a
nutritious meat. Indeed, despite these warring visions, the sausage and pork
continued to win their battles in both literature and life.42 Even with their
negative medical and social reputation, sausages had had their partisans in the
gastronomical world for at least two centuries. Platina provided a general and
expected warning against the meat of pork at the beginning of Book VI (“you
will find pork not healthful whatever way you cook it”) but then offered three
recipes for sausages, all derived from maestro Martino: pork liver sausages,
blood sausages, and the range of sausages known as the Lucanica.43 Platina was
more interested in showing how to cook and smoke the meat of pork than in
talking about social suitability. He included an elaborate recipe for roast
piglet stuffed with a mixture of herbs, garlic, cheese, and ground pepper,
beaten eggs, slowly cooked over a grill. At the end of this tempting recipe, he
added the usual medical advice: “The roast piglet is of poor and little
nourishment, digests slowly, and harms the stomach, head, eyes, and liver.”44
While the roast piglet was ostensibly not a fare suitable for higher classes,
Platina’s detailed recipe and the ingredients used meant that the medical
proscriptions against pork were losing ground to the culinary practices of
courts and an emerging gastronomical culture. In a similar way, Marsilio
Ficino, who considered pork a meat more suitable to laborers who already had
pig-like physical features, admitted that dressing pork with expensive and
luxurious spices could transform it into a valuable food.45 Significantly, in
this vein, a testimony by Cristofaro da Messisbugo (late
fifteenth-century–1548), steward at the court of the Este in Ferrara, showed
how dressing up pork and sausages elevated such meat above its common status as
a food prescribed for rustic people. Messisbugo’s cookbook, Banchetti,
composizioni di vivande et apparecchio generale (published in 1549), exalted
the famous “salama da sugo,” still today a renowned Ferrarese specialty. In his
recipe he explained how the less noble parts of pork were mixed together with
expensive spices such as cloves, nutmeg, and cinnamon to create a dish that the
Este family appreciated. Apparently, the salama was served especially at
wedding banquets because of the reputed aphrodisiacal quality of its spicy
sauce.46 Sex, pleasure, and taste were clearly winning battles for the
once-humble sausage. The salsiccia, fresh or cured, also took center stage
among a group of bawdy poems on fruit, vegetables, and other humble foods,
authored by three of the most representative poets writing in the bernesque
style, Anton Francesco Grazzini, Agnolo Firenzuola (1493–1543), and Mattio
Franzesi (ca. 1500–ca. 1555). Firenzuola composed a canzone, and Grazzini and
Franzesi capitoli, praising pork sausage for its alimentary and sexual
properties, and demonstrating its social primacy over “superior” foods such as
pheasants and capons. And, as if in a philosophical debate, these poems regularly
elicited long, scholarly, and often obscene prose comments. The erotic
allusions of their verses were clearly associated with the consumption of meat
during Carnival, suggesting both the literal consumption of carne as meat and
of carne as f lesh of a more sexual variety.47 As we have alreadyseen, pig meat
had a mixed reputation because it was considered dangerous on one hand and
nutritious on the other. Imaginative literature built upon medical and
gastronomical culture to produce a more complex vision that allowed
considerable room for ambiguity and ambivalence. Pork never entirely lost its
reputation for promoting debased gluttony and pig-like manners, but it also
gained a more positive reputation as a pleasurable food suitable for both
peasants and upper classes to enjoy, as these poems demonstrate.48 The “Canzone
del Firenzuola in lode della salsiccia,” written between 1534 and 1538 by the
Florentine poet and dramatist,49 boasts of the primacy of his writing on the
sausage and plays on the double erotic sense: “Since no fanciful poet / has
dared yet / to fill his gorge with the sausage” (“poi ch’alcun capriccioso /
anchor non è stato oso / de la salsiccia empirsi mai la gola”).50 He concludes
with an invocation to the canzone itself to go and tell the poets’ friends in
Florence the secrets of this most perfect food.51 Probably written in Rome
while he was a member of the academy known as the Virtuosi52 and followed by an
ironic prose commentary signed by a mysterious Grappa,53 the poem recognizes its
affiliation with the bernesque poets. Yet it humorously affirms that they
deserved an herb crown on their head because they lauded the oven, figs, and
“boiled chestnuts” but not the sausage, “the most perfect food.”54 Firenzuola
presented the pork sausage produced in Bologna as a food worthy of poets but
good also for rich priests and lords, learned men, and beautiful women. He
argued that it had a better reputation than the highest priced meat of the
time, veal. The poem blended sexual innuendos and gastronomical discussion in
its overtly simple description of how to make the sausage. And following the
bernesque tradition, it mocked doctors’ recommendations about when to eat
certain foods and reassured readers that the sausage “is good roasted and
boiled, for lunch or for dinner, before or after the meal”; all these
prepositions suggested different parts of the body and different types of
sexual intercourse.55 Firenzuola then adds what he labels a “beautiful secret”:
never use the sausage during the hot months of summer but wait until August has
passed. According to Aristotelian physiology, men who are already by nature hot
and dry are less potent in the summer when the excessive heat of the season
takes away their sexual force.56 Nonetheless, he argues that even old men who
have lost their heat can be young again thanks to the mighty sausage.57
Finally, and appropriately, for his reportedly polymorphous tastes, Firenzuola
concluded that one could make sausages with “every type of meat,” referring to
all possible sexual practices.58 The sausage’s morphology, then, links it to
the male member and to its features that could be seen both as gastronomic and
sexual: Sausages were ordered from above / to amuse those who were born into
the world / with that grease that often drips from them; and when they are
cooked and swelled / you can serve them in the round dish, although a few today
want them with the split bread. Fur le salsiccia ab aeterno ordinate / per
trastullar chi ne veniva al mondo / con quell’unto che cola da lor spesso; et
quando elle son cotte e rigonfiate, le si mettono in tavola nel tondo. / Altri
son, che le vogliono nel pan fesso, / ma rari il fanno adesso; / che il tondo
inver riesce più pulito, / né come il pan, succia l’untume tutto.59 When a sausage
is cooked and ready to serve, Firenzuola advised, it would be best to display
it on the table “nel tondo” (the round dish and, metaphorically, the bottom)
although others preferred it served with the “pan fesso” (split bread or,
metaphorically again, a woman’s genitals). But there are few who prefer the
latter today, Firenzuola added. As a Florentine, he prefers the domestic
Florentine sausage, large and firm, red and natural, and encased in clean skin.
The metaphors roasted or boiled and the adjectives “tondo” and “ fesso” (round
and split/foolish), refer to sodomitical and heterosexual encounters, while
also alluding to different gastronomical appetites. The poem concludes in an
ecumenical and procreative tone, affirming that the creation of sausages was
intended to give pleasure and utility to everyone, but in the end the good
sausages would always be the reason why men and women were born into this
world.60 Firenzuola’s poem affirms that while the sausage is for everybody and
every taste, gustatory and sexual, when served “after” and roasted it is good
only for upper classes. Like other bernesque poets, he seems eager to assign a
higher social status to this “popular” (and economic) food. In fact, usually it
was roasted fowl and roasted meat that was theoretically reserved for upper
classes. Since he is suggesting sodomy with the reference to roasted meat, that
sexual practice is seen as the nobler activity, although forbidden. Elevating a
lower-class food to a higher status was the perfect metaphor for speaking in
favor of sodomy and introducing social values along with the sexual. What
function did this type of poetic imagery serve in a period when sodomy was a
crime and even the depiction of non-sodomitical sexual acts in an artistic work
such as I Modi proved to be so controversial? It seems likely that images had
more power to move viewers than writings, but in an era of printing
reproduction, cheap copies of poetry, like the one produced in the Vignaiuoli
and Virtuosi circle, could circulate outside an intended audience of
intellectuals and fellow poets. It is therefore difficult to assess the impact
of these texts, but the humor and the metaphorical language dedicated to meat,
vegetables, and fruits may have helped allay the anxiety among authorities,
both religious and civic, about the diffusion and circulation of writings
exalting sodomy.61 The long Capitolo in lode della salsiccia by Anton Francesco
Grazzini, which is followed by an erudite and playful prose commentary by the
same author, extolled the sausage mainly from a gastronomical point of view,
humorously contrasting its attractions with moralizing medical lore, and
interweaving it once again with sexual innuendos.62 Presenting himself as a
knowledgeable gastronome, Grazzini also praised the primacy of the Florentine
sausage, superior to capons, partridges, and all the meat of birds, as well as
to highly prized fish such as lampreys and eels.63 After defining it as a meal
worthy of poets and emperors, and begging Greece and Rome to recognize the
superiority of the sausage made in Florence, Grazzini once again lauded its
colors and its appearance. In addition, much like the cookbooks of his day, he
listed its ingredients: well-ground lean meat and fat from the pig, salt and
pepper, cloves, cinnamon, oranges, and fennel, all stuffed in a case of animal
intestines.64 However, he clarified that his intent was not to explain how to
make it but to laud the sausage’s beauty, taste, and goodness. And citing the
process of stuffing, “imbudellar la carne,” Grazzini took the opportunity to
shift the poem from the culinary to the sexual. He saluted women who always
wanted to have their body full of sausages because they are good and
healthy—another battle won in the same sausage wars.65 The prose Comento sopra
il Capitolo della salsiccia di maestro Niccodemo dalla Pietra al Migliaio, also
authored by Grazzini, makes clear that although women love the sausage, the
double sense is again a reference to sodomy. The “buona carne,” well done, well
cut, and making a good show when displayed in the round dish, once again is a
pretext to laud the male bottom. Furthermore, the view of the tagliere wins
over all the other poetic images (including those taken from fragments of
Petrarch’s poems) such as eyes, hair, breasts, or feet of Beatrice and Laura.66
A long section of the Comento on the gastronomical virtues of pork begins with
a verse from a sonnet by Petrarch dedicated to the name of Laura: “O d’ogni
riverentia et d’honor degna.” In this line he humorously shifts abruptly from
Petrarch’s words honoring his beloved Laura to the more mundane culinary and
sexual wonders of pork, the only meal worthy of poets and emperors.67 Even
Petrarch’s untouchable Laura takes her blows in the sausage wars. Throughout
the long prose comment on his own poem on the pork sausage, Grazzini attacked
Petrarchan poetry and current medical lore regarding sausages and pork’s meat.
The playful observations on the ability of the sausage to heal every
illness—while maintaining a sexual overtone—reads like a learned medical
prescription listing several herbs and substances used by apothecaries to
prepare their confetti, pills, and tonic drinks.68 Yet Grazzini also made the
straightforward culinary point that Florentine pork and lard, key ingredients
in their sausages, were exceptionally good for roasting and frying as well as
the essential ingredient for making the popular bread with lard called pan
unto. The attraction to lard, the white fat of pork, was echoed in a poem by
the author and translator Lodovico Dolce (1508–68), “Salva la verità, fra i
decinove,”69 dedicated to a gift of wild boar he had received from a friend.
This wild pork is defined as “a magnificent and regal gift” whose rich fatty f
lavor “will make Abstinence die of gluttony and Carnival lick his fingers.” 70
His enthusiasm for lard in the poem leads to a dream where Dolce witnessed
himself, in an Ovidian fashion, metamorphosed into a succulent sausage, rich
with fat dripping from the extremities of his body.71 Dolce gave the transference
theory of Renaissance doctors a positive spin, since eating pork actually
transformed him if not into the animal itself, into its gastronomical essence
and pleasure. Accordingly, his poem exploited the common ideaof closeness and
fratellanza between pigs and humans in an iconic and paradoxical way that
privileged the sausage.72 The third poem on sausages was written by Mattio
Franzesi who dedicated it to a certain “Caino spenditore,” a friend presumably
in charge of food provisioning in Florence.73 Franzesi employs the language of
gastronomy in an amusing pairing with quotidian language referring to sodomy.
The sausage is called “buon boccon” (excellent morsel) and “boccon sì ghiotto
and divino” when it is paired again with the beloved specialty panunto,
declared superior to two famous upper-class foods, the impepato and marzipan.74
Franzesi, like Dolce, describes the panunto or slices of bread with sausage
inside as a divine and gluttonous morsel, definitely superior to luxury foods
like the beccafico, a fat and fresh songbird.75 Moreover, the salsiccia does
not cost much and can be used in many different ways to sustain a meal: it can
substitute for a salad (i.e., a woman)76 and priests in particular use it often
because they do not need to cook it but can just warm it up between their
hands. All the affirmations in Franzesi’s poem can be read in a double sense,
as gastronomical discussion or as a metaphorical way of talking about the
phallussausage and its pleasures. He refers with technical precision to the
gastronomical side of sausages, even when metaphorically discussing sexual
acts.77 The sausage is better than prosciutto (both come from pork), when
boiled (used with women), and is a good meal for sauces and “guazzetti ”
(sauces). Moreover, all the birds in the world would be like truff les without
pepper and confetti without sugar, if not accompanied by sausages. A meal with
sausages is a meal for taste and pleasure, not a meal for nourishment. Franzesi
then describes its shape, and how to make a good-tasting, good-smelling
sausage, using spices, herbs, and the unique ingredient for Florentine
sausages, fennel. The poem ends with a list comparing the sausage in the
panunto as equal to Florentine gastronomical specialties, such as the ravigiuolo
cheese with grape, cheese with pears, old wine with stale bread, and others.
Exalting a humble subject fitted well with the agenda of the bernesque poetry
that lauded simple foodstuffs and everyday objects. But privileging sausages
over songbirds was clearly not just a rhetorical ploy because it implied a
comparison between a food for rustic people and a luxury food. Franzesi, like
Grazzini before him, contributed in his poem to elevating the social status of
the pork sausage. It was not simply a food “da tinello,” for poor courtiers
used to eating the leftovers of their lord, but a meal worthy of rich people
and important prelates.78 In sum, poets, novellieri, and dramatists from the
fourteenth to the sixteenth centuries took full advantage of the possibilities
offered by the different meaning inherent in the word carne. It allowed them to
discuss virility, sexual potency, masculinity, and sodomy under the guise of
the gastronomical discourse. The sausage poems fit well with the constant
preoccupation and advice of medical and dietary literature of the time on how
to ensure sexual potency. The novelle discussed sexuality between men and
women, endorsing a decisively masculine and traditional view that depicted
women as lusty and desirous of raw carne,which is able to heal every illness
and satisfy every need. The poems on sausages confirm this hierarchical vision
of sexuality dominated by the mighty phallus. Yet they also endorse a concept
of diverse gastronomical taste, lesso and arrosto, nel tondo or nel fesso, to
offer a variety of views of sexuality that responded to every gusto. These
poems on sausages were written in the cultural circle of the Vignaiuoli and
Virtuosi academies, well known in the period for their substantial corpus of
poetry dedicated to the comparison of fruit and vegetables to sexual organs and
sexual acts. The not-so-covert sexual sense of most of those poems exalted
sodomy, in their praise of peaches or carrots, or sexuality with women in poems
on salads and figs. Poems on the mighty sausage covered all the bases of
sexuality, although with a preference, often openly stated, for male–male
sexuality. Intriguingly, the poetic and linguistic play on carne in the form of
sausage allowed lengthy descriptions of an Italian and Florentine gastronomic
specialty of the time, totally ignoring the negative vision of pigs as
gluttonous, dirty animals presented by dietary literature. Since gluttony was
the quintessential behavior represented by pigs, what better way to reclaim
pork in the sausage wars than to use it to symbolize gastronomical richness and
sexual variety? If sins of the f lesh were often symbolized as sins of carne in
medieval times, now in a perfect reversal the pleasures of the f lesh were
symbolized by the pleasures of eating meat in all of its variety, thanks in
part to these sausage wars. Thus, while a moral and disciplinary vision tried
to control the discourse on food and eating in medical and dietetic treatises
of the sixteenth century, a counter-argument advanced playfully in literature
and bernesque poetry presented carne as a metaphor for the pleasures of the
senses.79 The conceptual pairing of gluttony and lust in medieval tradition
began to lose ground to a much more complex world of food, taste, and pleasure,
and the no longer quite so humble sausage led the way.Notes I would like to
thank Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra for inviting me to contribute to
this volume in honor of Konrad Eisenbichler, a friend and scholar who always
supported my work and my career. The research and writing of this essay took
place when I was a fellow at the Institute for Historical Studies at the
University of Texas, Austin, in 2016–17. Some of the topics of this essay were
discussed at events at the University of Toronto in 2015 and University of
Melbourne in 2012. Belated thanks to Konrad Eisenbichler and Catherine Kovesi.
This essay is part of my forthcoming book Food Culture and the Literary
Imagination in Renaissance Italy. 1 Girolamo Parabosco, La fantesca, quoted in
Giannetti, Lelia’s Kiss, 143. 2 The popularity and frequency of the word carne
to indicate the male sexual organ was matched in Renaissance literature and
culture by the use of bird terminology to indicate the virile member as well
as, less frequently, the female organ and sexual intercourse. Allen Grieco has
recently catalogued and analyzed the numerous references to birds in imagery
and literary sources and has studied birds and fowl as food to understand the
connection between eating birds and fowl, and sexuality. He has uncovered the
widely shared humoral perception of birds as a “hot” food which tended to
over-stimulateThe sausage wars3 4 5 6 7891011 12 13 1415 16 1718 19173the
senses. In this way he was able to give a deeper explanation of the theological
link between gluttony and lust typical of the period, pointing out the reason
why, in common perception, the consumption of luxurious and heating food,
especially birds, stimulated the sexual function. According to the taxonomy of
the Great Chain of Being, birds belonged to air and they were hot and humid:
when eaten they would transfer their properties to the body and stimulate
carnal appetite. See Grieco, “From Roosters to Cocks.” Albala, Eating Right,
144–47. Quellier, Gola, 15–16. Cited in Grieco, “From Roosters to Cocks,” 123.
Much later, gluttony was defined as the consumption of luxury foods,
particularly birds. On Dante’s conceptualization of sins see Barolini, Dante,
chapter 4. The Latin word “luxuria” meant extravagant/excessive desire (for
power, food, sex, money, etc.) and in the Italian form “lussuria” became the
word for lust in medieval Italy. In Inferno “lussuriosi” sinners are those who
had excessive love of others, thus diminishing their love for God. Gluttony is
a sin of incontinence like lust. In medieval bestiary and other iconographic
sources especially north of the Alps gluttony is often represented as a fat man
holding a piece of meat and a glass in his hands and riding a swine or a wolf.
Quellier, Gola, 15–23. For medieval bestiaries see chapter one in Cohen,
Animals. In Italy church frescoes represented gluttons in Hell suffering the
tantalic punishment. At the end of the sixteenth century, in the first edition
of Cesare Ripa Iconologia (without images) Gluttony (Gola) is described as
“donna a sedere sopra un porco perché i porchi sono golosi . . .” and
Gourmandize (Crapula) is identified with a “donna brutta
grassa . . .” Iconologia, 111 and 54. This helps to explain, for
instance, why the famed preacher San Bernardino da Siena in his Lenten sermons
in fifteenth-century Florence condemned the desire of Florentine young men for
capons and partridges, claiming they opened the doors to a life of sensual
foods and sensual pleasure. In particular, he linked gluttony to lust and
sodomy. Bernardino da Siena, Le prediche volgari, ed. Ciro Cannarozzi (Pistoia:
Tip. A. Pacinotti, 1934), II: 45–46, quoted in Vitullo, “Taste and Temptation,”
106. Montanari, “Peasants,” 179. Montanari and Capatti, La cucina italiana,
76–77. Pheasants and partridges represented the ideal components of a refined
and tasty banquet, possible only for people with means. Braudel, Capitalism,
129. “Danno ottimo nutrimento, risvegliano l’appetito, massime a’ convalescenti
e sono cordiali. Nuocono a gli infermi, e massime à quei che hanno la febre e
fanno venir tisichi i villani.” Residing on a high position on the Great Chain
of Being, they represented powerful people and, accordingly, were sternly
cautioned against for rustic people, to whom, according to Pisanelli, they
could be dangerous. Pisanelli, “De beccafichi, Cap. xxvi” in Trattato de’ cibi,
33. Similarly, pheasants and partridges are responsible for provoking asthma in
rustic people (Cap. xxvii and xxix). In his work, Bartolommeo Sacchi, known as
Platina, paid much attention to the idealistic principle of moderation derived
from the Greek and Roman world, along with his interest in the revival of
Epicureanism. Platina, On Right Pleasure. Eamon, Science, 163. Giovan Battista
Zapata, Li maravigliosi secreti di medecina, et chirurgia, nuovamente ritrovati
per guarire ogni sorta d’infirmità, raccolti dalla prattica dell’eccellente
medico e chirurgico Giovan Battista Zapata da Gioseppe Scientia chirurgico suo
discepolo (Venice: Pietro Deuchino, 1586; 1st ed. Rome, 1577), 37–41, quoted in
Scully, “Unholy Feast,” 85. Eamon, Science, 188. Bovio, Flagello. He gives the
example of a doctor whose wife was sick and how he cured her with a diet of
French soup, capon, and wine but could not apply the same treatment to his
other patients in fear of losing business; see 45–46. “più facilmente di carne
si faccia carne che di qualunque altra sorte di cibo.” Romoli, La singolare
dottrina; “Delle carni in generale,” 205r. Domenico Romoli (n.d.)
previously17420 2122 2324252627 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 4041Laura
Giannettiworked as a cook with the name of Panunto (oiled bread) and then
became steward for Pope Julius III. For poor people and peasants in particular,
pork continued to be the meat of choice; and although it had a negative
reputation, in the case of people occupied in heavy physical work, pork was
reputed nourishing and healthful. Florentine communal statutes of 1322
prohibited innkeepers from serving up culinary delights because they could
attract men and boys and incite them to commit the unspeakable sin of sodomy.
Rocke, Forbidden Friendships, 159. During Cosimo the Elder’s regime Florentine
Archbishop St. Antonino—in his confessor’s manual—warned against sloth, excess
food, and drink as causes of sodomy. Toscan, Le Carnaval, vol. I: 190. See
Giannetti Ruggiero, “The Forbidden Fruit,” especially pages 31–33. Later in the
seventeenth and eighteenth centuries the Church allowed consumption of eggs,
butter, and cheese during famines and epidemics. See Gentilcore, Food and
Health. One of the most important representatives of this tendency was the
Venetian noble Alvise Cornaro who wrote the extremely successful Trattato della
vita sobria in 1558. In general, moralists’ writers of the later Middle Ages
and early Renaissance continued to advise against eating food that would
produce excessive heating of the body. The dietetic literature, particularly
the influential earlier author Michele Savonarola and the later Baldassar
Pisanelli, supported the restriction of birds and fowl to particular categories
of people held to be more capable of controlling the passions they induced,
such as the powerful and rich or those needier of stimulation such as the sick
and the ailing. Grieco, “From Roosters to Cocks,” 115. See novella “De Novo
Ludo” (Sercambi, Novelliere) available online at www.classicitaliani.
it/sercambi_novelle_08.htm where Ancroia enjoys her time with the priest: “la
donna, come vide Tomeo fuora uscito, preso un fiasco del buon vino, una
tovagliuola, alquanti pani e della carne cotta per Tomeo, et al prete
Frastaglia se n’andò e con lui si diè tutto il giorno piacere, pascendosi di
carne cruda e carne cotta per II bocche . . .” Apostolo Zeno in the
eighteenth century attributed the author name Gentile Sermini to the two
anonymous caudexes containing the novelle. Monica Marchi in her critical
edition of the novelle prefers to use Pseudo-Sermini instead of the
conventional name Gentile Sermini. See Marchi, “Introduzione,” in
Pseudo-Gentile Sermini, Novelle, 10–22. The novelle were written in the first
half of the fifteenth century. “[ . . . ] non altramente fece la
valente madonna Alisandra che, agustandole molto la carne e ‘l savore, per
quello dilettevole giardino, preso insieme d’acordo giornata . . .”
Pseudo-Gentile Sermini, Novelle, xi, 270. Fortini, Le giornate, I, xvi,
296–300. Grazzini (Il Lasca), Le Cene, I: vi, 80–94. Giannotti “Il vecchio
amoroso,” II: i, 40–41. On remedies for impotence, and early modern drama, see
Giannetti, “The Satyr.” “A Tiziano,” in Aretino, Lettere, 67–68. This section
is partially based on Giannetti Ruggiero, “The Forbidden Fruit,” 31–52. See
“Ragionamento Antonia e Nanna,” in Aretino, Sei giornate, 38. “The Roman
Porcellio Enjoys the Trick Played on the Friar in Confession,” in Bandello,
Novelle, vi: 125. See the discussion of the tale in Giannetti, Lelia’s Kiss,
181–82. Ibid., 181. On the battles between Quaresima and Carnival see
Ciappelli, Carnevale. Albala, Eating Right, 168 and 181. The painting is now in
the Museo Civico of Udine. Sercambi, “De vidua libidinosa” in “Appendice,”
Novelle inedite, 417–18. Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages.” Several
novelle, from Boccaccio to Sacchetti, related the closeness in everyday life of
pigs and humans in rural and urban areas and the importance of pork for sustenance,
but also the negative perception of pigs and filthy and gross animals. For
instance, see Sacchetti LXX, CII, CXLVI, CCXIV. For Boccaccio see “Calandrino e
il porco.” Already in the Middle Ages, from the perspective of the Great Chain
of Being, pork and the quadrupeds occupied a questionable position—they were
not part of Air like birdsThe sausage wars4243 44 45 46 47 4849 50 51 5253 54
55 5657 58 59 60 61nor of the Earth but somewhere in between; and pig in
particular occupied one of the lowest position among all quadrupeds. Grieco,
“Alimentazione e classi sociali,” 378–79. Pigs were voracious animals and,
according to the Galenic doctor, eating their fattening meat would transform a
person in a pig, as a later image of Gola as a woman sitting on a pork would
make really explicit. For instance, in the second half of the sixteenth
century, Baldassar Pisanelli advised eating sausages and salami in moderation,
but recognized in them some positive characteristics such as reawakening of
appetite and helping to make drinking more pleasurable. Pisanelli, Trattato de’
cibi, c. 13. Platina, On Right Pleasure, Book VI, 281. Ibid., 277. Ficino,
Three Books on Life, Book 2, 181. See http://lauramalinverni.wordpress.com/201702/04/i-salumi-alla-corte-estensecristoforo-messisbugo/ See the section “Sausages and Salami” in
Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages.” Pietro Aretino in his comedy Il Filosofo
summarizes well this new ambivalence about pork when he had one of his
characters resolutely affirm: “refined sugary confections (the biancomangiari)
and quails do not stimulate taste as do steaks and sausages.” Pietro Aretino,
Il Filosofo, III, 15. See the text in Romai, Plaisance, and Pignatti, eds.,
Ludi esegetici, 313–15. Firenzuola is also author of the famous dialogue On the
Beauty of Women. vv. 12–14. “Canzon, vanne in Fiorenza a quei poeti,” v. 76 The
Virtuosi academy was the continuation of the Vignaiuoli academy, one of the
first “academies” of sixteenth-century Italy, an informal gathering of
intellectuals that met for dinner, witty conversations, music, and poetry in
the early 1530s. Around 1535 or slightly later, the Vignaiuoli renamed themselves
Academia della Virtù and/or Reame della Virtù and continued their activities
until ca. 1540. Meetings, often held at Carnival time, featured improvised
speeches and the recitation of poems, frequently accompanied by music. The
Vignaiuoli was one of the first academies in Italy to privilege the usage of
vernacular and became most famous for the poetic production of so-called
“learned erotica,” as well as for their anti-Petrarchan and anti-classicist
poetic stance. Grappa, now identified with Francesco Beccuti, comments on
Firenzuola’s poem. See Grappa, Il Comento. On Beccuti see Fiorini Galassi
“Cicalamenti.” The allusion here is to the poem Sopra il forno by Giovanni
della Casa, De’ Fichi by Francesco Maria Molza, and In lode delle castagne by
Andrea Lori. All three are poems dedicated to the female genitals. “Mangiasi la
salsiccia innanzi et drieto / a pranso, a cena, o vuo’ a lesso o vuo’ arrosto /
arrosto et dietro è più da grandi assai; / innanzi et lessa, a dirti un bel
segreto / non l’usar mai fin che non passa Agosto.” vv. 30–35. “Perchè in
estate gli uomini sono meno capaci di fare l’amore, le donne invece lo sono di
più [. . .]? Perché gli uomini sono più inclini a fare l’amore
d’inverno, le donne in estate? Forse perché gli uomini sono di natura più caldi
e secchi [. . .]?” Aristotele, Problemi, ed. Maria Fernanda Ferrini
(Milan: Bompiani, 2000), IV, 25–28, quoted in Pignatti, ed., Ludi Esegetici II,
200. “O vecchi benedetti! / questo è quel cibo che vi fa tornare giovani e
lieti, et spesso ancho al zinnare” vv. 58–60. “Fassi buona salsiccia d’ogni
carne: /dicon l’istorie che d’un bel torello/dedalo salsicciaio già fece farla
/e a mona Pasife diè a mangiarne? Molti oggidí la fan con l’asinello
. . .” vv. 46–50. vv. 61–65. “Basta che i salsiccioli/cotti nei
bigonciuoli, / donne, dove voi fate i sanguinacci, / son cagion che degli
uomini si facci.” vv. 72–75. On the cultural function of humor see
Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages,” 37.62 For the text of the canzone, see
Grazzini, “In lode della salsiccia,” in Romei, Plaisance, and Pignatti, eds.,
Ludi esegetici, 227–30. For Grazzini “Comento di maestro Nicchodemo dalla
Pietra al Migliaio sopra il Capitolo della salsiccia del Lasca,” see ibid.,
231–309. There is no secure date regarding the writing of the Comento but it
should have been written around 1539–40. See Franco Pignatti, “Introduzione,”
in Romei, Plaisance, and Pignatti, eds., Ludi esegetici, 163. 63 Ibid., vv.
22–33. 64 Ibid., vv. 76–81. 65 Ibid., vv. 94–111. 66 “La bellezza del tagliere
non è come forse molti credono, e non consiste in l’esser bianco, non di buon
legno, non tondo, non ben fatto, ma si bene nell’essere pieno di buona carne
ben cotta e ben trinciata; . . . tolghinsi pur costoro i capelli di
fin oro, la fronte più del ciel serena, le stellanti ciglia . . .
come dire le Laure, le Beatrici, le Cintie e le Flore!” Grazzini, Comento di
Maestro, 240–41. 67 Sonetto n. 5 of Canzoniere on the name of Laura: “Quando io
movo i sospiri a chiamar voi” 68 “Perciò che quei traditori de’ medici la prima
cosa levono il porco e non vogliono a patto nessuno che n’habbia l’ammalato per
mantenergli bene il male addosso, sendo il porco e maggiormente la salsiccia,
habile e possente a guarir d’ogni malattia e più sana che la sena, più
necessaria che la cassia, più cordiale che il zucchero rosato, più ristorativa
che il manicristo, et insomma ha più virtù che la bettonica.” Grazzini, Comento
di Maestro, 280–81. The terzina commented is 103–05: “Io crederria d’ogni gran
mal guarire/ quando haver ne potessi un rocchio intero,/ancor ch’io fussi bello
e per morire.” 69 In Dolce, Capitoli. 70 “dono invero magnifico e reale,/da far
morir di gola l’astinenza/e leccarsi le dita a Carnevale.” Ibid., vv. 10–12. 71
“E chi m’avesse allora allora punto/aria veduto uscir liquor divino/del corpo,
ch’era pien di grasso e d’unto.” Ibid., vv. 43–45. 72 Some authors trying to
dignify pork, recycled Galen’s idea expressed in De alimentorum facultatibus
where he argued troublingly that pork was pleasurable because it was similar to
human’s flesh. For instance “Le carni del Porco fra tutte le altre carni dei
quadrupedi han vittorie in nutrire e dar più forza ai corpi perché cosi nel
gusto come nello odore par che habbiano una peculiar unione e fratellanza col
corpo umano si come da alcuni si è inteso che per non sapere hanno gustato la
carne dell’huomo” [For taste as well as for odor, it seems that the meat of
pork has a peculiar unity and likeness with the human body, as some reported,
who tasted human flesh while not knowing it] in Un breve e notabile trattato
del reggimento della sanità, ridotto dalla sostanza della medicina di Roberto
Groppetio 362–63 v. The little volume is attached to La singular dottrina. It
is not clear whether it was written by Panunto himself or not. For a similar
affirmation see also: Della natura et virtù de’ cibi, 68v. Not all agreed with
this troubling similarity but it was quite a common affirmation in many medical
treatises and in some literary works of the time. 73 In Romei, Plaisance, and
Pignatti, eds., Ludi esegetici, 316–18. 74 “Qui non è osso da buttare al cane,
/ e’l suo santo panunto è altra cosa/che lo impepato overo il mrzapane,” vv.
25–27. 75 “Dicon che la midolla del panunto,/incartocciata come un cialdoncino,
/ tal che di sopra e di sotto appaia l’unto, / è un boccon sì ghiotto e sì
divino, / che se lo provi ti parrà migliore/ch’un beccafico fresco e
grassellino,” vv. 38–42. It should be noted that even the luxury food, the
beccafico, had strong sexual overtones. 76 The cultural discourses that
surrounded salad in early modern Italy and Europe were complex and rich,
ranging from sexuality and manners, to taste, gastronomy, and class identity.
See Giannetti, “Renaissance Food-Fashioning.” Online at: http://escholarship. org/uc/item/1n97s00d. 77 “è un boccon sì ghiotto e
sì divino, / che se lo provi ti parrà migliore/ch’un beccafico fresco e
grassellino,” vv. 40–43. Franzesi, “Capitolo sopra la salsiccia,” 316–18.78
“Questo non è già pasto da tinello/ma da ricchi signori e gran prelati / che
volentieri si pascon del budello.” Ibid., vv. 79–81. 79 On the disciplining
vision of the sixteenth century and a counter-discourse in dramatic literature
see Giannetti, “Of Eels and Pears.”Bibliography Albala, Ken. Eating Right in
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Nel quale non solo tutte le Virtù & i vitijdi quelli minutamente si
palesano; ma anco i rimedij per correggere i loro difetti. Carmagnola:
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Université de Lille III, 1981. Vitullo, Juliann. “Taste and Temptation in Early
Modern Italy.” The Senses and Society 5, no. 1 (March 2010): 106–18.PART
IIIVisualizing sexuality in word and image10 GIANANTONIO BAZZI, CALLED “IL
SODOMA” Homosexuality in art, life, and history James M. SaslowFrom his
mid-thirties, the Lombard-Sienese painter Gianantonio Bazzi (1477– 1549) was
publicly known as “Il Sodoma.” This epithet translates as “Sodom,” the biblical
city eponymous with sexual transgressions that were then both a sin and a
crime. Sodomy bracketed multiple acts, but most commonly referred to love
between men; so, his nickname might be freely rendered as “Mr. Sodomite.” Our
principal biographical source is Giorgio Vasari, whose Vita of Bazzi (1568) recounts
several revealing or scandalous episodes. A few are exaggerated or false,
skewed by Vasari’s disdain for both homosexuality and Siena. However, his
plausible explanation of how the artist earned his sobriquet is not refuted by
other evidence. Vasari describes him as a gay and licentious man, keeping
others entertained and amused with his manner of living, which was far from
creditable. . . . [S]ince he always had about him boys and beardless
youths, whom he loved more than was decent, he acquired the by-name of Sodoma.1
While sources for private feelings are scanty and often problematic for this
period, and Sodoma left little first-person testimony, this and other records
suggest a prima facie case for the artist’s erotic interest in other males. He is
unique in Renaissance Italy as the only artist whose homosexuality was frankly
avowed and widely known. His character and sexual interests offer a provocative
case study of the intersections between eros and creativity, and how that
sensibility was manifested in his imagery. His experiences further suggest that
there were overlapping audiences eager to receive and respond to that
sensibility. Sodoma exhibited other character traits also considered eccentric
or insolent, and was fond of capricious pranks; the monks at Monteoliveto
Maggiore, his first large commission, referred to him as “Il Mattaccio,” the
“crazy fool.”2 Hewas an impudent mocker of moral decorum: Vasari reports
indignantly about the nickname Sodoma that “in this name, far from taking umbrage
or offence, he used to glory, writing about it songs and verses in terza rima,
and singing them to the lute with no little facility.” He was also infamous for
his f lamboyant clothing and for keeping an entire menagerie in his home,
including pet birds, monkeys, squirrels, and race horses; Vasari called the
house “Noah’s Ark.”3 He entered his horses in public contests, and we can date
his sobriquet back to a series of races in Florence from 1513 to 1515. When his
steed won, the heralds asked what owner’s name to announce; Bazzi replied,
“Sodoma, Sodoma,” indicating that he was already known by that name and willing
to be associated with it. The incident also reveals the precarious social
landscape that known or suspected sodomites had to negotiate. Thumbing his nose
at a mocking public backfired: a group of outraged elders incited a mob attack,
during which he narrowly escaped being stoned to death.4 Anecdotes and
documents notwithstanding, historians have long tried, for widely differing
reasons, to chip away at the foundations of a historiographical tradition
dating back to Vasari himself. For it was Vasari, unwittingly anticipating
modern queer scholarship, who first understood Sodoma as having homosexual
desires and assumed some connection between his sexuality and his work.5 To the
prudish chronicler, that connection was negative: Vasari blamed Sodoma’s
failure to achieve greatness on his excesses of character, from laziness to
carnality, scolding that if he had worked harder, “he would not have been reduced
to madness and miserable want in old age at the end of his life, which was
always eccentric and beastly.”6 Value judgment aside, the assumption that
artists’ personalities and passions are intimately imbricated with their work
runs throughout Vasari’s biographies. Modern generations, beginning with the
homophile Victorian critic-historians John Addington Symonds and Walter Pater,
acknowledged the same connection with a positive valence, reading Sodoma’s
androgynous figures and distinctive iconography as revealing glimpses into the
sensibilities of a man aware of both his own desires and the gap separating
that passion from social norms. The path they laid down guided post-Stonewall
gay studies through the early 1980s.7 More recently, postmodern theoreticians,
stressing the ever-shifting social constructions of sexuality and identity,
have countered such attempts to posit any individual sexual identity or group
homosexual consciousness, however embryonic and sporadic, in that era. Their
methodology, inspired by scholars from Michel Foucault to Eve Sedgwick and
David Halperin, dismisses such formulations as anachronistic over-reading.8 The
generational shift in goals and methods, from “gay and lesbian studies” to
“queer studies,” instigated an ongoing debate. These theoretical polarities
have implications for the present study, which aims to excavate the embodied
passions and creative process of an individual who felt homosexual desire, and
to reconstruct, to whatever extent possible, an early moment in the gradual,
fitful emergence of self-aware homosexual sensibilities and
self-expression.Although I defer consideration of this theoretical controversy
until the essay’s end, my working hypothesis parallels the nuanced
historiography of Christopher Reed, who reminds us that, although readings of
Renaissance homosexuality as similar to modern conceptions were convincingly
challenged by Foucault’s insistence that [the modern] sexual typology was not
invented until the nineteenth century, [nevertheless] no idea is without roots,
and subsequent scholarship provided evidence that convinced even Foucault to
recognize stages in the eighteenth, the seventeenth, and even the sixteenth
century leading to the invention of homosexuality as a personality type.9 As a
personality, Sodoma was among the few early modern artists who visualized
homoerotic desire. This essay investigates that process along three intertwined
axes: life, work, and historiography. His biography provides a unique
microhistory of an early avowed homosexual and his culture’s understanding of
that inclination. His works gave visual expression to his erotic sensibility,
and contemporary patrons and spectators, from pederastic monks to libertine
aristocrats, were ready to receive it sympathetically. Finally, I conclude with
a more personal historiographical meditation on the controversy over whether
embryonic homosexual consciousness can be located in early modern culture.Early
religious works Arriving in Siena as a young man, Sodoma established relations
with the Chigi family and the Benedictine order, who commissioned numerous
works, mainly on sacred themes.10 Officially, since Christianity condemned all
non-procreative sex, theological narratives offered next to no scope for
“homo-representation”; but his religious pictures nonetheless provide material
for queer readings. If a subject contained any potential for imagining or
accentuating a homoerotic subtext, Sodoma exploited it more than any artist of
his time except Michelangelo (also a lover of men), seldom missing an
opportunity to foreground male beauty or intimacy in nude or suggestively clad
bodies. Many images celebrate the boyish, androgynous type that was the most
common object of adult male desire at the time, while a few idealize the more
heroic male adult body; he often derived both figure types from classical
sculptures with a homoerotic pedigree. And many members of the audience for his
imagery, both clerical and lay, were likely to appreciate this eroticized
beauty. The first example of the interlinked sensibilities of artist and
spectators is his fresco cycle for the abbey at Monteoliveto Maggiore, outside
Siena (1505–08), depicting the life of the order’s founder, St. Benedict.11
Payment records confirm several Vasarian details about the artist, from his
early nickname, Mattaccio, to his use of apprentices ( garzoni ) and his
fondness for extravagant finery. Although the austere life of the founder of
monasticism was unpromising terrain,Sodoma found novel pretexts for inserting
numerous visual features—often rare or unique inventions—that would appeal to
the homosexual or bisexual gaze. Most striking in its novel and ironic
departure from the subject’s nominal moral is the illustration of Benedict
seeking relief from a female devil’s sexual temptation by stripping off his
clothes and f linging himself into spiny briar bushes12 (Figure 10.1). Unlike
the few earlier representations of this scene, Sodoma renders the vegetation
soft and unthreatening: rather than conveying mortification of the f lesh, he
presents in full frontal view a nude of heroic proportions, reclining
comfortably in a pose modeled on classical prototypes. The all’antica beauty of
the body displaces attention from the saint’s physical self-abnegation onto his
potential to arouse erotic desire—precisely what Benedict is trying to
suppress.13 The most personally revealing of the frescoes is the Miracle of the
Colander (Figure 10.2), in which the saint and his homespun miracle (repairing
a household sieve) are shunted to the left, leaving the central focus on the
figure of Sodoma himself, showing off his legendary wardrobe. His self-portrait
corroborates Vasari’s disdainful take on him as a fop, “caring for nothing so
earnestly as for dressing in pompous fashion, wearing doublets of brocade,
cloaks all adornedFIGURE 10.1 Sodoma, Abbey of Monteoliveto Maggiore, Saint
Benedict Is Tempted by a Female Devil, fresco, 1505–8.Photo credit:
Scala/Ministero per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.Gianantonio
Bazzi, called “Il Sodoma”FIGURE 10.2187Sodoma, Monteoliveto, Miracle of the
Colander, fresco, 1505–8.Photo credit: Scala/Ministero per i Beni e le Attività
Culturali/Art Resource, NY.with cloth of gold, the richest caps, necklaces, and
other suchlike fripperies only fit for clowns and charlatans.” Here, as
elsewhere, Vasari seems well informed about specific details of Sodoma’s life
and work: his comment is supported by the abbey account books, which describe a
garment much like the one Sodoma wears here, an embroidered gold cape listed
among elaborate items of apparel as a form of payment from the monks, who had
received it from a wealthy nobleman.14 The artist also surrounds himself with
exotic animals, just as Vasari noted he liked to do: birds and two pet badgers.
Sodoma’s sartorial tendencies and other biographical details connect him to a
contemporaneous homosexual demimonde in ways that Vasari himself was perhaps
unaware of, but which is well attested in social history of the period. His
clothing, fondness for androgynous youths, and writing of satirical poetry are
all behaviors then associated with sodomites as an identifiable group with its
own recognizable customs. Research by Michael Rocke, Guido Ruggiero, and others
into the prevalence of sodomy and the emergence of urban homosexual networks in
early modern Italy has revealed that they were so widespread they can scarcely
be called a “subculture.” As Rocke puts it, Bazzi’s brand of sexuality became
“an increasingly common feature of the public scene and the collective mentality.”15
In Florence, a special sodomy court heard hundreds of casesannually until 1502;
a substantial percentage of males passed through at some time in their lives.16
Hence “sodomy was . . . a common part of male experience that had
widespread social ramifications.” Rocke notes that “this sexual practice was
probably familiar at all levels of the social hierarchy” and among a wide range
of professions.17 Among those occupations are the “beardless boys” whom Vasari
blames for the artist’s nickname, probably his apprentices and workshop
assistants. Artists’ studios being all-male, “the potential for homoerotic
relations in such an environment was high,”18 and intimate, sometimes sexual
relations between assistants or models and their masters are suggested by
documents on artists from Donatello to Leonardo da Vinci and Botticelli. Closer
to Sodoma’s time, the bisexual sculptor Benvenuto Cellini was taken to court by
the mother of one apprentice for coercing him sexually.19 This common social
pattern gives Sodoma’s behavior wider implications, since his actions were
shared with countless other men. His wardrobe is the clearest exemplar of those
erotic implications. Helmut Puff has documented the role of material culture in
formulating and enacting sexual subcultures, and how extravagant clothing was a
marker of effeminacy and sexual deviance. Exchange of rare and costly textiles
or clothing could betoken homosexual relationships, either as gifts for love or
payment for services.20 By the mid-fifteenth century, San Bernardino da Siena’s
sermons thundered against boys’ receiving clothing and money for sex.21 Within
the field of costume studies, which asserts “the centrality of clothes as the
material establishers of identity itself,” clothing is understood as a set of
materialized symbols with social functions and meanings. As Jones and
Stallybrass have explored, clothes can either embody and reinforce submission
to normative social roles (uniforms) or, when deployed in violation of
sumptuary standards, mark the wearer as consciously rejecting those norms—as
Sodoma did by appropriating the dress of an aristocrat.22 Thus, portraying
himself in extravagant, coded finery was a subversive act of
self-identification with a marginalized minority: in Andrew Ladis’s phrase, “a
pose of arrant foppishness, as if the painter personified the very diabolical
temptations of the f lesh that he painted and lived, not excluding what was
commonly known as ‘the monastic vice’”23 —a revealing euphemism for sodomy. The
artist gives freest play to erotic signifiers in the scene of St. Benedict
welcoming two disciples, Saints Maurus and Placidus, amid the wealthy youths’
retinue and onlookers24 (Figure 10.3). While the disciples are modestly clothed
and posed, both the epicene youth on the center axis and the African groom at
right are shown da tergo, Italian for a rear view that spotlights the buttocks.
The central youth and his mirror image at far left are boyish androgynes,
embodying the predominant pattern of pederasty, in which mature men sought
stillfeminine adolescents for anal intercourse. Thus, some viewers, at least,
would have appreciated the erotic implications of the motif.25Gianantonio
Bazzi, called “Il Sodoma”Sodoma, Monteoliveto, St. Benedict welcomes Sts.
Maurus and Placidus, fresco, 1505–8.FIGURE 10.3Photo credit: Scala/Ministero
per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.Reinforcing this erotic
interpretation, the two youthful onlookers at center and left also sport
versions of Sodoma’s own elaborate clothing, as does the groom to the right of
center. They f launt the styles associated with homosexual seduction: tight
multicolored stockings, long hair, and extravagant fringes, hats, and colors.26
Such clothing had long been associated with sodomites; Alainof Lille’s De
planctu naturae (ca. 1160) lamented that these men “over-feminise themselves
with womanish adornments.”27 San Bernardino da Siena inveighed against parents
who let their sons wear short doublets and “stockings with a little piece in
front and one in back, so that they show a lot of f lesh for the sodomites,”
resulting in such an appealing adolescent always “having the sodomite on his
tail.”28 These suggestive details may have been projections of Sodoma’s erotic
mindset, but it is highly likely that they resonated with some of the monks who
were his primary audience. Shifting our focus from the artist, we should also
examine the mental world of his viewers. Reception theory or spectator theory
asks not what did the artist put into the work, but, rather, what did the
audience take out of it? What interests, beliefs, or habits of seeing did his
audience have, and how did that subject-position influence their reading of his
messages? As Adrian Randolph observed regarding the reception of Donatello’s
homoerotic bronze David, an artwork can function as “a receptacle for the
beholder’s imaginative concerns.” His and other studies have explored how
reception of religious art was determined by the viewers’ gender, particularly
in convents, where nuns often specified subjects relevant to their experience;
these insights can be extended to male religious and to sexuality as well as
gender.29 Sodoma’s audience here was exclusively male clergy, proverbially
stereotyped as sodomitical.30 Temptations were exacerbated by the enforced
closeness of clerical living arrangements: several scenes depicting Benedict
and his monks highlight their day-to-day intimacies both emotional and
physical.31 To head off such dangers, the rules of the order specified that no
brother is permitted to enter the cell of another without permission of the
abbot or a prior; if this is permitted, they may not remain together in the
cell with the door closed. And no monk may touch another in any way
. . . A light was to burn all night in the dormitory area and
latrine, presumably to prevent secret trysts under cover of darkness.32 Such
precautions were not entirely effective, as a few visual examples attest. A
near-contemporary satirical painted plate depicts a monk pointing to a youth’s
bare bottom; the caption explains, “I am a monk, I act like a rabbit” (Figure
10.4)—then, as now, a symbol of tireless sexuality, particularly
homosexuality.33 A Flemish print depicts a 1559 event in Bruges in which three
monks were burned at the stake for “sodomitical godlessness.”34 These starkly
contrasting examples dramatize the contradictory culture within the religious
world: male–male sex was acknowledged, though officially taboo and sometimes
severely punished, yet often tolerated and even laughed about. Outside monastery
walls, free from Church proscriptions, Sodoma found more overt opportunities to
celebrate such love.FIGURE 10.4 Majolica plate, attributed to Master C.I., ca.
1510–20. Musée national de la Renaissance, Écouen, France.Photo credit:
©RMN-Grand Palais/Art Resource, NY.Secular subjects Sodoma illustrated secular
subjects for private patrons and domestic settings. His most career-boosting
painting depicted the Roman heroine Lucretia, whose suicide to preserve family
honor after she was raped symbolized the ideal of married women’s honorable
chastity; gifted to Pope Leo X, it earned the artist a papal knighthood.35 When
the opportunity arose, however, as with sacred images, hepaid unusual attention
to the homoerotic elements of myth and history, which offered explicit
exemplars of male devotion and passion. And the audience for his best-known
classical project, a fresco cycle for the papal banker Agostino Chigi, was the
sophisticated, libertine Roman society who were as likely to share his sexual
interests and habits of spectatorship as were the monks at Monteoliveto.36 In
1516–17, Chigi commissioned Sodoma to decorate the bedroom of his villa, now
called the Farnesina. The wealthy financier’s love nest, shared with his
mistress Francesca Ordeaschi, offers a revealing microcosm of the hedonistic,
tolerant atmosphere of High Renaissance Rome, where even popes had mistresses
and bastards, and humanist classical culture provided justification for
libertine bisexuality all’antica.37 Numerous rooms were painted with erotic
myths both heterosexual and homosexual.38 Given Chigi’s personality and
interests, Sodoma was a sympathetic addition to his creative team. Although
Sodoma married in 1510, his nickname was public knowledge by 1513, when he
registered as “Sodoma” in a list of racehorse owners, and two years later had
the heralds call that name. After describing our artist’s clothes, manners, and
mocking spirit, including the racing incident, Vasari reports that “in [these]
things Agostino, who liked the man’s humour, found the greatest amusement in
the world.” The appreciative patron requested episodes from the life of
Alexander the Great, historically implied as bisexual.39 The principal scene
recreates a lost Greek painting of Alexander’s marriage to Roxana, known through
an ancient ekphrasis—a classicizing tribute to Chigi and his beloved40 (Figure
10.5). The emperor proffers a marriage crown to the princess, while putti
cavort in playful eroticism. To the right stand two idealized men: nude Hymen,
god of marriage, and torch-bearing Hephaestion, Alexander’s intimate companion
and, in some accounts, lover. Both figures are based on a well-known Greek
statue, the Apollo Belvedere, depicting the most vigorously bisexual of the
gods.41 While principally a heterosexual scene, then, the picture’s sub-theme
is nude male beauty and the passion Hephaestion represents. Sodoma’s audience
was predisposed to appreciate this story’s erotic duality. Many patrons and
viewers had bisexual or homosexual desires; an anecdote in Castiglione’s Book
of the Courtier (ca. 1514) reports that “Rome has as many sodomites as the
meadows have lambs.” The erotic tone among these clerics, aristocrats, artists,
and writers was light-hearted; while sodomy was outlawed, enforcement was
spotty and penalties light.42 Eyewitness testimony for “queer visuality” at the
Farnesina comes from raunchy bisexual author Pietro Aretino, who spent time
there while Sodoma was painting. Aretino recorded an ancient statue of a satyr
chasing a boy, an explicit complement to the loftier male love in Sodoma’s
fresco. He wrote to Sodoma twenty-five years later, expressing nostalgia for
their shared youth, and wishing that “we were embracing each other now with
that warm feeling of love with which we used to embrace when we were enjoying
Agostino Chigi’s home so much.”43 One glimpses the atmosphere of an
affectionately demonstrative, pansexual pleasure-palace. Like the life it
looked out upon, Sodoma’s picture is a mélange of sexualities, with intimacy
between men given “equal time.”FIGURE 10.5 Sodoma, The Marriage of Alexander
and Roxana, Villa Farnesina, Rome, fresco, 1517–19.Photo credit: Scala/Art
Resource, NY.Further evidence for the casual attitude toward
homosexuality—Sodoma’s in particular—is a set of epigrammatic couplets
published in 1517 by Eurialo d’Ascoli, a poet in the circles around Chigi,
Aretino, and Leo X, bluntly informing his readers that “Sodoma is a pederast.”
The poem celebrates Sodoma’s painting of Lucretia, which earned his knighthood;
only the final verses turn comic. Having praised the artist for verisimilitude
that brings Lucretia back from the dead, Eurialo imagines her interpreting this
miracle as an opportunity to convert the artist sexually. The narrator then
asks her his own facetious question, implying that as a sodomite the artist
would not normally be inspired by female subjects: Now beautiful Venus grants
me the nourishment of light breezes [i.e., earthly life], So that I can reclaim
you, Sodoma, from tender youths. Sodoma is a pederast; why then, Lucretia, did
he make you So lifelike? He has our buttocks instead of Ganymede. Nunc mihi
pulchra Venus tenui dat vescier aura, Ut revocem a teneris, Sodoma, te pueris.
Sodoma paedico est; cur te Lucretia vivam Fecit? Habet nostras pro Ganimede
nates.44Sodoma’s knighthood was cited by whitewashing early scholars as proof
that the artist could not have been homosexual, since such sins would have
disqualified him from religious honors.45 But here we see again how casually
this milieu treated sexual transgressions. The fabulously wealthy Chigi married
Ordeaschi in 1519, and Leo X—himself a reputed sodomite who, Vasari records,
“took pleasure in eccentric and light-hearted figures of fun such as [Sodoma]
was”— legitimized their four children.46 Worldly success was hardly evidence
against impropriety. Eurialo’s couplets recall Vasari’s statement about
Sodoma’s nickname that “he used to glory [in it], writing about it songs and
verses in terza rima, and singing them to the lute.” As with clothing, Sodoma
was participating in another cultural tradition that linked artists, writers,
and readers of non-normative sexuality in a web of self-expression. Bawdy
burlesque poetry treated all sexuality with lighthearted comedy; Sodoma’s texts
have not survived, but we can garner some sense of their contents and tone from
verses by contemporaries. What Deborah Parker labels “a poetry of
transgression,” full of sexual innuendo and whimsical exaggeration, circulated
in manuscript, public readings, and print.47 The father of burlesque poetry,
Francesco Berni, was banished from Rome in 1523 for too openly mourning a young
male lover.48 The genre became popular among visual artists eager to establish
their intellectual credentials through writing, including such homosexuals or bisexuals
as Michelangelo, Bronzino, and Cellini.49 Sodoma’s personality chimed perfectly
with the genre’s subversive insolence. Bronzino’s capitolo “In Praise of the
Galleys,” for example, unashamedly eroticizes the all-male world of oarsmen on
ships, muscular and sweaty males confined in close quarters where sex among
themselves was the only outlet: here “boiled and roasted meats are hardly ever
mixed,” a common metaphor for vaginal (wet) versus anal (dry) sex. Berni,
expanding on the trope that priests are sodomites, declares that their example
is infecting monks, using a fruity symbol for boys’ buttocks: Peaches were for
a long time food for prelates, But since everyone likes a good meal, Even
friars, who fast and pray, Crave for peaches today. Le pesche eran già cibo da
prelati, Ma, perché ad ognun piace i buon bocconi, Voglion oggi le pesche insin
ai frati, Che fanno l’astinenzie e l’orazioni.50 The sardonic, guilt-free humor
of such texts suggests, as Domenico Zanrè describes, “a marginal undercurrent operating
within an official cultural environment,” and demonstrates that “certain
individuals were able to produce alternative literary responses within a
dominant . . . milieu that attempted to contain and, insome cases,
exclude them.”51 An incident around 1530 corroborates Sodoma’s own refusal to
accept derogatory comments from authority: when a Spanish soldier insulted him,
the artist got revenge by drawing his portrait and identifying him to his
superiors.52 San Bernardino was furious precisely because so many sodomites
seemed unrepentant and unafraid of divine judgment. What enraged him and Vasari
was not these men’s behavior alone, but the quality Italians call faccia
tosta—“cheek” or “a big mouth”—refusal to give even lip service to official
mores.53 The burlesque mode evinces the first buds of an oppositional response
to social disapproval: a selfaware articulation of outsider status, and an
emerging rebellion against social convention that opened a space, however
narrow, for asserting alternative consciousness and self-affirming values.54
Greco-Roman texts and images served Sodoma, like other homosexual artists and
patrons from Michelangelo to Caravaggio, as validation for their all’antica
desires and pretexts for visualizing male beauty and eros.55 Within educated
elites, a tolerant, classically inspired hedonism held its own against legal
and clerical taboos until late in Sodoma’s lifetime, when the Council of Trent
began its anticlassical reform (1545). In this libertine culture, an artist
widely known for sexual nonconformity was able to smilingly adopt a derogatory
nickname as a public identity and even f launt his sexual interests in word and
image, with little harm to his string of major commissions and honors.Later
religious works Sodoma’s late commissions were predominantly religious. As at
Monteoliveto, these images emphasize the erotic appeal of figures who are
nominally not sexual: saints, angels, and soldiers. Whereas at the monastery it
was possible to analyze the reactions of a specific clerical audience,
commissions for more public locations could be viewed by the whole
cross-section of society, some proportion of which, as outlined earlier, would
have understood and welcomed homoerotic allusion. As Patricia Simons has
explained, “Renaissance imagery might appear to condemn non-normative sex
. . ., but it was possible for viewers to take works in other,
imaginative directions.”56 Sodoma’s best-known work, depicting Saint Sebastian
(1525), epitomizes his typical traits: androgynous classicizing male beauty,
emotional pathos and sensuous chiaroscuro (Figure 10.6).57 Iconographically, it
offers a prime example of his sensitive antennae for elements of religious
narrative with specialized appeal. Sebastian was a Roman soldier who refused to
renounce Christianity, for which Emperor Diocletian, despite their intimate
personal relationship, ordered him shot by archers. Saint Ambrose’s hagiography
establishes their strong emotional bond, open to erotic interpretation: he
notes that Sebastian was “greatly loved” by Diocletian and his co-emperor
Maximian (intantum carus erat Imperitoribus).58 Sodoma paints a virtually nude,
Apollo-like Sebastian with blood trickling from several wounds. He looks
longingly at the angel bringing a martyr’s crown—his reward for loving
sacrifice to God—with an expression that couldFIGURE 10.6Sodoma, Saint
Sebastian, processional banner, Pitti Palace, Florence,1525. Photo credit:
Scala/Ministero per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.equally
connote divine or earthly ecstasy. While his bond with the emperor offered a
secular hint at Sebastian’s sexual inclinations, the implied passion between
Sebastian and the godhead is a more important, and universal, emotional
dynamic, with a profound yet ambivalent homoerotic subtext. For all Christians,
intense, loving union with Christ was the ultimate spiritual goal; for men,
however, exhortation to the symbolically feminine ideal of passive, ecstatic
submission to another male raised the specter of sodomy. The phallic arrows piercing
Sebastian evoke sexual penetration, a symbol of the saint’s necessary, but
problematic, feminization;59 they also recall Cupid’s love-inducing shafts,
multiplying the signals for an erotic response. Cinquecento image-makers were
expected to encourage such a passionate response because, as Simons observes in
relation to Christ, for Sebastian too “the visualization of supreme beauty was
necessary in order to induce reverence.”60 Theoretically, religious images
could function on these two levels simultaneously, without contradiction: the
lure of physical beauty would hopefully lead the viewer to a higher spiritual
adoration. In practice, however, it was difficult to police the borders between
earthly and heavenly passion. We know that Sebastian’s beauty was experienced
as problematically titillating by at least one sex: the Florentine artist-monk
Fra Bartolommeo painted a nude image of the saint so appealing that female
parishioners admitted in confession that it stimulated carnal thoughts, after
which it was taken down.61 It was just such temptations that the Council of
Trent acknowledged when it set out to purge church imagery of eroticism. So, it
is not difficult to imagine that men, as well as women, were attracted to
Sodoma’s provocative Sebastian in the physical sense.62 The “seeming
contradictions of deliberately evoking erotic desire in religious painting”
have been parsed by Jill Burke, who sees in this practice “a deep and knowing
ambivalence toward sexuality” that signals “a huge variance between official
rhetoric and widely accepted practice.”63 By including formal and iconographic
cues to a homoerotic response, Sodoma could appeal to men who, like himself,
experienced love and desire in male terms. Like extravagant dress and burlesque
poetry, pictorial ambiguity opened another narrow cultural space for expressing
alternative sexuality.Historiography: a modest proposal This essay has aimed to
demonstrate three propositions: that Sodoma was known for, and acknowledged,
desire for men; that his work evinces a distinctive mode of seeing and
representing that expresses that erotic inclination; and that contemporaneous
audiences would have appreciated that sensibility. As Ruggiero asserts, It is
no longer possible to ignore the general shared culture of the erotic and its
omnipresence in daily exchange, nor is it possible to overlook the particular
subcultures that coexisted at the time and that were such a central part of
daily life.64Without claiming anachronistically that this evidence establishes
anything so coherent and exclusive as a modern “gay identity,” I submit that
these emerging networks and customs, alongside visual and literary production
on homosexual themes, constitute early shoots of an alternative sexual
consciousness that would reach critical mass only during the Enlightenment. I
accept the historiographic formulation of the Renaissance as “early modern,”
which stresses continuities from that culture into the modern era, presupposing
a model of cultural change that is gradual and evolutionary rather than abrupt
and discontinuous. To quote Reed again, “If modern ideas of sexual identity and
artistic self-expression cannot be simply mapped onto the Renaissance
. . . it is nevertheless true that these notions have Renaissance roots.”65
However, to seek the “roots” of anything “modern” in anything “past” has become
problematic since the advent of postmodern theory. There are now, as Reed
observes, “wildly varying interpretations of Renaissance art’s relationship to
homosexuality”66 —more broadly, of relationships among desire, behavior,
identity, and self-expression. To social constructionists, the search for
glimmers of an alternative, proto-modern awareness in Sodoma’s ambiente is
misguided. There can be no transhistorical connections between sexual actors in
different periods, because sexual identity is not innate or fixed; rather, it
is created through social discourses that define and control sexuality, an
unstable product of external forces acting on the passive individual. There
were no homosexual persons, only homosexual acts. Puff ’s formulation: “Sodomy
was not thought of as a lifelong orientation, let alone a social identity,” is
echoed by Reed’s: “[S]exual behavior in Renaissance Italy was not seen as a
basis for individual identity.”67 This school coined the term “essentialist” to
disparage earlier researchers who, from Symonds to John Boswell, saw sufficient
commonality with those in earlier times who desired other men to justify
searching the Middle Ages and Renaissance for branches of a sexual family tree
dating back before 1867 (when “homosexual” was coined). Without accepting all
the methodological baggage identified with an often over-simplified
“essentialism,” one can still maintain that someone calling himself “Mr.
Sodomite” seems a prime excavation site for evidence of such genealogical
links, since his name rendered his erotic proclivity a “lifelong social
identity.” Like a genetic mutation that may crop up in random individuals, and
only gradually spread across a species’ gene pool, Sodoma constituted an
irruption of anomalous possibilities that, while not yet fully articulated,
began to diffuse new forms of sexual identity and self-expression that
increased over the next several centuries. These methodological disagreements
center on two questions: one external and sociological, the cultural
categorization of homosexual behavior; the other internal and psychological,
the conscious experience of individuals who desired other men and their degree
of agency within a hostile official discourse. There was clearly a dominant
conceptual structure of canon and civil law that confined homosexuality to
taboo acts that might potentially tempt anyone, within whichour modern notion
of inherent sexual “orientations” was not officially recognized. Just as
clearly, however, no culture is monolithic, and a complex of alternatives
operated alongside these formal structures. As we have seen, the elements of
this quasi-underworld were in place by the sixteenth century: meeting places,
distinctive behaviors, and cultural expressions.68 As Ruggiero has outlined,
such “illicit worlds had their own coherent discourse,”69 which viewed
male–male sexuality as an amusing peccadillo; suggested that some individuals
were drawn to it by distinctive character traits; and expressed awareness of
(and resistance to) the gap between official values and their own experience.
The solution to this impasse lies in moving beyond an “either–or” cultural
analysis to a “both–and” approach. Instead of setting arbitrarily precise
boundaries to ever-shifting conceptions of sexuality, it would more accurately
ref lect Sodoma’s transitional environment to acknowledge the temporal
overlapping of contrasting systems of thought and behavior, and to explore the
realities of those who negotiated the dialectic between them. Two tendencies in
current scholarship, however, militate against such open-ended rapprochement.
The first is reluctance to accept evidence for alternative sexual
consciousness; the second is ascribing to cultural discourses an unrealistic
power over against embodied experience. What follows is part summary, part
personal statement: a roadmap out of an increasingly pointless stalemate, and a
brief for greater attention to the lived experience of men-who-had-sex-with-men
and its genealogical links to later generations. Two principal examples of the
discord over what “counts” as evidence of sexual desire and identity are the
tendency to downplay or deny evidence for Sodoma’s sexuality, and the disregard
of alternative language imputing distinct personality to sodomites. First, the
present examination of how Sodoma expressed his homoerotic desires depends on
establishing that his nickname was in fact a marker of his sexuality, which
raises the question: how reliable is Vasari? Unfortunately, as Paul Barolsky
notes, “How we read Vasari depends on our sensibility and taste. We all ride
our own hobbyhorses.” 70 Since the Victorians, homophobic scholars have
attempted to discredit Vasari and defend a respected Old Master against any
implication of immorality in “his evil-sounding sobriquet.” 71 Efforts to give
it a non-sexual meaning are highly speculative: Enzo Carli supposes the
nickname was simply Bazzi’s own little joke, “with which . . .
he loved to glorify himself facetiously,” but it strains credibility that a
heterosexual man would consider a false claim of deviancy “glorifying.” 72 When
such dismissals are echoed by queer-studies scholars, the hobby-horse is
epistemological caution rather than morality, but the effect is the same: to
erase facets of queer history that conf lict with a higher belief—that
homosexuality did not (yet) exist.73 We do have to read Vasari cautiously:
despite the author’s claims, Sodoma’s wife never left him, nor did he die
poor.74 Because few details in Vasari’s psychological profile are confirmed by
other sources, postmodern skepticism insists that any statement not
independently documented is probably false. But Vasariis generally most
informed about artists close to his own time, many of his artistic facts are
documentable, and details in the Vite of Sodoma and Beccafumi indicate that he
visited Siena, saw artworks, and interviewed informed sources. Moreover, his
characterization of Sodoma as capricious, insolent, and sodomitical is corroborated
by three period sources: Eurialo d’Ascoli’s couplets, Paolo Giovio’s life of
Raphael (“a perverse and unstable mind bordering on madness”), and Armenini’s
account of Sodoma’s revenge for an insult.75 Thus, this essay has followed a
less restrictive approach, accepting any statement that is not contradicted by
external sources as possible and perhaps likely. All historical reconstructions
involve judgments of probabilities; giving one’s sources “the benefit of the
doubt” can make up for any loss of positivistic certainty with gains in
breadth, depth, and detail. Secondly, there is linguistic evidence that
particular psychological traits were becoming attached to habitual sodomites;
but this suggestive vocabulary is often brushed aside to “save the phenomenon”
of an episteme of acts, not personalities. I agree with Simons that “both
categorical approaches are problematic.” A more subtle, inclusive view is
adumbrated by Robert Mills, who demonstrates that the juridical focus on
potentially universal acts was in tension with moral, Church perspectives which
also sought to make an identity of the sodomite . . . by
characterizing sodomy as a more enduring kind of practice, a vice for which one
had a particular disposition, tendency or taste. . . . [S]uch
perspectives developed unevenly, over long periods of time, [but there are]
signs that some medieval thinkers . . . wished to pin the sin down to
particular bodies and selves.76 Examples of how “Sodoma” might thus denote an
individual with an inborn sexual preference include one of Matteo Bandello’s
humorous tales (novelle), ca. 1540, in which the dying Porcellio, pressed by
his confessor to admit that he performed acts “against nature,” claims to
misunderstand the question because, he says, “to divert myself with boys is
more natural to me than eating and drinking.” 77 Similarly, Giordano Bruno’s
Spaccio della bestia triunfante (1584) praises Socrates for resisting “la sua
natural inclinatione al sporco amor di gargioni” (his natural inclination
toward the filthy love of boys).78 Dall’Orto has surveyed numerous Renaissance
Italian terms for those who commit homosexual acts, notably inclinazione, which
implies “leaning” in a particular direction.79 Similar spadework for the French
cognate inclination has been performed by Domna Stanton, while numerous other
French and English tropes, such as “masculine love,” have been catalogued by
Joseph Cady.80 Language was clearly emerging at this point articulating
distinctive traits among those drawn to sodomy: not yet an “identity” in the
modern sense, but a critical shift toward notions of internal difference. If
postmodernism underplays evidence of sexual self-awareness, it conversely
overestimates the power of discourse, unduly minimizing individual agencyand
the imperatives of the embodied self. The ability of collective discourse to
enforce social norms is never absolute. It engages in perpetual dialectic with
the potentially anarchic desires of society’s diverse individual members, a
situation in which “lived eroticism did not always conform to the rules of
social hierarchy,”81 from Romeo and Juliet to Sodoma and his apprentices. This
ineluctable tension arises because discourse is inculcated into the mind,
whereas sexual desire is grounded in parts of the biological organism less
susceptible to rational suasion. Embodied experience is transhistorical: lust,
like hunger, pre-exists cultural conditioning, and “the recalcitrant realities
of human conduct”82 are insistent enough when unsatisfied to overcome any
social convention. This essay has marshalled evidence that Sodoma, and his
contemporaries with similar inclinations, felt a dissonance between their
desires and the dictates of society, and they possessed sufficient agency to
imagine alternative values—what Walter Pater viewed as a signal Renaissance
development, a “liberty of the heart” that enabled nonconformists to move
“beyond the prescribed limits of that system.”83 Individual bodies are not mere
passive receptacles for an overpowering discourse “poured into” them, but are
capable of awareness of that effort at marginalization, and of active
resistance. The ultimate question lying behind such methodological differences
is: why do we do queer history? Here again, divergent answers ride different
hobbyhorses: postmodernists focus on epistemology, while those open to
historical continuity are more interested in phenomenology. The former
philosophize, “How and what can we know about Renaissance sexuality?” answering
that we can comprehend little about a shifting discourse in which “sexuality”
did not exist; the latter psychoanalyze, “How did it feel for sexual outsiders
to negotiate this social regime?,” and seek clues in intimations of difference
in life, language, and art. While the former stress chronological discontinuity,
the latter seek a “usable past,” a narrative that produces affinities and
resonances across time. The latter project is inherently political: as George
Chauncey characterizes emerging queer studies in the late nineteenth century,
claiming certain historical figures was important to gay men not only because
it validated their own homosexuality, but because it linked them to
others. . . . This was a central purpose of the project of gay
historical reclamation. . . . By constructing historical traditions
of their own, gay men defined themselves as a distinct community.84 Put another
way, this school, and this essay, seek to recover evidence of homosexual desire
and expression—however fragmentary, ambiguous, and carefully historicized—to
counter centuries of suppression, and it seems ironic when social
constructionism abets the same historical erasure. A final image, recently
attributed to Sodoma, provides an enigmatic but tantalizing coda to this
discussion85 (Figure 10.7). His hair garlanded with leaves, beard and brows
untamed, “Allegorical Man” leers like a satyr while his rightJames M.
SaslowFIGURE 10.7Sodoma (attributed), Allegorical Man, ca. 1547–8, oil,
Accademia Carrara,Bergamo. Photo credit: Scala/Ministero per i Beni e le
Attività Culturali/Art Resource, NY.hand makes the contemptuous gesture of “the
fig,” an insult that, since Martial’s Epigrams (2:28), can imply that the
receiver is a sodomite. The picture’s precise iconography remains unexplored;
Radini Tedeschi suggests the gesture alludes to Sodoma’s nickname, and the
picture may thus be a final self-portrait, literally or symbolically. If so, it
contrasts poignantly with the artist’s first self-portraitforty years earlier (
Figure 10.2). Once young and beardless, his foppishness a silent assertion of
nonconformity, he has aged to a still elaborately costumed but more overtly
defiant graybeard, telling the world in gesture what his burlesque poems
expressed in words: I am what I am, I’ve survived your derision, and I still
don’t care what you think. Admittedly, this interpretation remains speculative,
but it would effectively bookend the scenario of Sodoma’s life and work
presented here. Our ability to entertain such a hypothesis depends, however, on
more than attribution and iconography. The potential to recover the
self-expression of creative Renaissance sodomites also requires a polyvalent
openness to a range of both personal and cultural evidence and interpretive
methods. Hearteningly, many seminal postmodern theorists are more accepting of
multiplicity than their acolytes. Foucault praised Boswell’s conception of
“gay,” while Carla Freccero deploys Foucault’s own theoretics against his
discontinuity between early modern and modern sexuality. She approvingly cites
David Halperin’s suggestion that we supplement rigidly compartmentalized ideas
of identity with concepts of “partial identity, emerging identity, transient
identity, semi-identity . . .,” the better to “indicate the
multiplicity of possible historical connections between sex and identity.”86
Murray reassures us that “the alternative to intellectual conformity is not a
lack of coherence but rather a series of interwoven, complementary
. . . approaches.”87 Perhaps the most balanced and inspiring
methodological f lag has been raised by Valerie Traub, who recalls that, while
seeking traces of early modern same-sex eros, she assumed “neither that we will
find in the past a mirror image of ourselves nor that the past is so utterly
alien that we will find nothing usable in its fragmentary traces.”88 I have
sought in Sodoma not a mirror-image, but a family resemblance. He is “usable”
as our ancestor: someone with whom we share an identifiable lineage of desire
and self-expression, in whose uniquely chronicled creative life we can
recapture the origins of an increasingly prominent familial trait.Notes1 2 3 4
5This essay grew from a paper delivered at a 2007 conference at University of
Toronto organized by Konrad Eisenbichler. Thanks to Patricia Simons for her
constructive suggestions. Vasari, Le vite, 6: 380; Vasari, Lives, 7: 246.
Vasari repeats these accusations in his Vita of Domenico Beccafumi, ed.
Milanesi, 5: 634–35. Vasari, Le vite, 6: 382; Vasari, Lives, 7: 247. Vasari, Le
vite, 6: 381; Vasari, Lives, 7: 246. Vasari, Le vite, 6: 389–90; Vasari, Lives,
7: 251, records the old men’s protest; for documents for the 1513 and 1515
races, see 6: 389 n. 3, 390 n. 1; Bartalini and Zombardo, Giovanni Antonio
Bazzi, 44–45, nos. 15–19. A note on terminology: I use “homosexual” throughout
in the narrow descriptive sense, to refer to sexual desire or behavior between
persons of the same sex. Although modern audiences read “homosexual” with
broader connotations of psychology and identity, here it is only shorthand for
“male–male sex.” In modern typology, Sodoma would be considered bisexual, since
he was also married and a father.6 Vasari, Le vite, 6: 379; Vasari, Lives, 7:
245. The artist did not die destitute or insane: see below, n. 74. 7 Fisher, “A
Hundred Years,” 13–39, outlines the activist project of research into
Renaissance homosexuality since the nineteenth century. 8 For an overview of
this position, see Grantham Turner, “Introduction,” 8, n. 3. 9 Reed, Art and
Homosexuality, 54–55. 10 Bartalini, “Sodoma.” 11 The standard English monograph
remains Hayum, Giovanni Antonio Bazzi; for Monteoliveto see 93, cat. no. 4. See
further on the abbey Radini Tedeschi, Sodoma, 138–47; Batistini, Il Sodoma;
documents in Bartalini and Zombardo, Fonti, 15–31, no. 7. 12 Hayum, Giovanni
Antonio Bazzi, 93, no. 4.8; Batistini, Il Sodoma, no. 8. The incident is
recorded by Gregory the Great, Life of St. Benedict, chap. 2. 13 Only a few
illustrations of this subject are known: both a fresco by Spinello Aretino (San
Miniato, Florence) ca. 1387 and a panel by Ambrogio di Stefano Bergognone, ca.
1490, show a pale, unidealized body among prominent briars. A sexual reading of
the series is supported by Kiely, Blessed and Beautiful, chap. 7, “Sodoma’s St.
Benedict: Out in the Cloister.” 14 Vasari, Le vite, 6: 383; Vasari, Lives, 7: 248,
for the quote and cloak. The gift, along with other payments of fabrics and
clothing, is transcribed by Bartalini and Zombardo, Fonti, 18–19, 266. See also
Radini Tedeschi, Sodoma, 78–80. 15 Rocke, “The Ambivalence,” 57. 16 Rocke,
Forbidden Friendships, 3–6; his book provides extensive data and analysis of
fifteenth-century Florence. On sodomy elsewhere, see Ruggiero, The Boundaries
of Eros; Crompton, Homosexuality and Civilization, chap. 9; Mormando, The
Preacher’s Demons. For a Europe-wide perspective, see Crompton, Homosexuality
and Civilization, chaps. 10–12; Puff, “Early Modern Europe,” 79–102. 17 Rocke,
Forbidden Friendships, 112, 134. 18 Simons, “The Sex of Artists,” 81. 19 Rocke,
Forbidden Friendships, 163; Crompton, Homosexuality and Civilization, 262–69.
20 Puff, “The Sodomite’s Clothes,” 251–72. 21 Bernardino da Siena, Le prediche
volgari, ed. Pietro Bargellini (Milan: Rizzoli, 1936), 796–97, 898, cited and
discussed in Dall’Orto, “La fenice,” 5, and n. 27 and n. 28. See also Rocke,
“Sodomites.” 22 Jones and Stallybrass, Renaissance Clothing, 2–7. 23 Ladis,
Victims, 109. 24 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 94, no. 12. 25 On anal sex as
social practice and artistic motif, see Saslow, Ganymede, chaps. 2–3; Rubin,
“‘Che è di questo culazzino!’”; Grantham Turner, Eros Visible, 274–99. Sodoma’s
Deposition, ca. 1510, similarly spotlights the rear view of a soldier: Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi, 117, no. 7. Other artists emphasized rear views, often
motivated by the formalintellectual challenge of the paragone: Summers,
“‘Figure come fratelli.’” When we have evidence of an artist’s sexual
proclivities, as with Sodoma, it is reasonable to explore whether he imbued the
motif with personal erotic interest; lacking such evidence, however, we cannot
know which other artists might have done the same. Regardless of artistic
intent, similar stimuli would invite similar audience responses. 26 Similar
figures appear in scenes no. 1, 30, and 36 as catalogued by Batistini (Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi, 93–4, nos. 1, 20, 26). 27 Alain of Lille, The Plaint of
Nature, trans. James Sheridan (Toronto: Pontifical Institute, 1980), 187, cited
in Puff, “The Sodomite’s Clothes,” 260. 28 Bernardino, as quoted by Rocke,
“Sodomites,” 12, 15; cited in Simons, The Sex of Men, 99. 29 Randolph, Engaging
Symbols, 151, chap. 4. For nuns, see Hayum, “A Renaissance Audience”; for both
sexes, Hiller, Gendered Perceptions. 30 On the prevalence of clerical sodomy
see Boswell, Christianity, Social Tolerance; Mills, Seeing Sodomy, chap. 4; Rocke,
Forbidden Friendships, 136–37. See also Parker, Bronzino, 37: “burlesque poets
tended to present clerics as sodomites.”31 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi,
93–94, nos. 4.13, 4.14, 4.21; Batistini, Il Sodoma, nos. 13, 14, 31 (illns. 59,
60, 68). 32 The regulations are in the monastery’s fourteenth- and
fifteenth-century chronicle: Regardez le rocher, 182–83, 418–19 (my
translation). 33 Illustrated and discussed in Saslow, Pictures and Passions,
103–04. 34 Frans Hogenberg, Execution for Sodomitical Godlessness in Bruges,
1578; illustrated in Crompton, Homosexuality and Civilization, 327. 35 Vasari,
Le vite, 6: 387; Vasari, Lives, 7: 250. 36 On the city’s licentious paganism,
see Bartalini, Le occasioni, 39–86. 37 Rowland, "Render unto Caesar.” 38
Other homoerotic images are in the Sala di Psiche, where Ganymede appears
twice, and one spandrel depicts Jupiter kissing Cupid; Saslow, Ganymede in the
Renaissance, 135–40; Turner, Eros Visible, 109–33. 39 Vasari, Le vite, 6:
384–88; Vasari, Lives, 7: 248–50. Alexander and Hephaestion’s love is alluded
to by Aelian, Various History, 12: 7, and other ancient authors. 40 Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi, 164–77, no. 20; Bartalini, Le occasioni, 78–81; Radini
Tedeschi, Sodoma, 193–94, no. 56. 41 On Sodoma’s use of classical sources and
gender ambiguity see Smith, “Queer Fragments.” 42 Baldassare Castiglione, The
Book of the Courtier, book 2, chap. 61. On the sexual tone in Rome, see
Crompton, Homosexuality and Civilization, 269–90; Talvacchia, Taking Positions.
Leo X’s Rome also associated sartorial effeminacy with homosexuality:
pasquinades mocked Cardinal Ercole Rangone and sodomite friends for “going
around disguised as nymphs”: Burke, “Sex and Spirituality,” 491. 43 Aretino,
Lettere sull’arte, vol. 1, no. 68 (1537), vol. 2, no. 244 (1545); Aretino, The
Letters, 123–25, no. 58. Other sources record a sculpted Antinous, Hadrian’s
lover: Bartalini, Le occasioni, 73–75. 44 d’Ascoli, Epigrammatum, 11v–12r;
Bartalini and Zombardo, Fonti, 64–67, no. 29; Radini Tedeschi, Sodoma, 71–72.
45 Ibid., 23. 46 Vasari, Le vite, 6: 386–88; Vasari, Lives, 7: 250. On Leo’s
sodomitical reputation see Giovio’s biography, in Le vite di dicenove,
141v–142v. 47 Parker, Bronzino, chap. 1; Parker, “Towards;” Rocke, Forbidden
Friendships, 3–5; Tonozzi, “Queering Francesco”; Zanrè, Cultural
Non-conformity, chap. 3. 48 Tonozzi, “Queering Francesco,” 589–91. 49 On these
artist-authors see Parker, Bronzino; The Poetry of Michelangelo; Gallucci,
Benvenuto Cellini. 50 Fisher, “Peaches and Figs,” 158–59. 51 Zanrè, Cultural
Non-conformity, 1-2. 52 Armenini, De’ veri precetti, 42–43; Vasari, Le vite, 6:
393; Bartalini, Le occasioni, 17. 53 Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,” 71-72,
quoting Bernardino, in Le prediche volgari, ed. C. Cannarozzi (Pistoia:
Pacinotti, 1934), 277. A document dated 1531, purportedly Sodoma’s tax
declaration, is even more insolent, signed with a sexual vulgarity; Bartalini
and Zombardo, Fonti, 131–33, 281–92. While now considered a seventeenth-century
forgery, it demonstrates that a “legend” about Sodoma’s sexual brazenness
persisted after his death. 54 See Milner, “Introduction.” 55 Sodoma depicted
anther homoerotic myth distinctively: his Fall of Phaeton is almost unique in
including Phaeton’s cousin Cycnus, with whom literary sources imply a loving
relationship (Hayum, 135, no. 12). Suggestively, the only other artist to
include Cycnus was Michelangelo. 56 Simons, “European Art,” 135. 57 Vasari, Le
vite, 6: 390; Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 191, no. 24; Radini Tedeschi,
Sodoma, 211–12, no. 73. 58 Acta sanctorum, 2: 629, 20 Januarii; Jacopo da
Voragine’s thirteenth-century Golden Legend repeats this phrase (s.v. “St.
Sebastian”).59 On arrow symbolism, including homoerotic potential, see
Cox-Rearick, “A ‘Saint Sebastian,’” 160–61. 60 Simons, “Homosociality,” 38. 61
Vasari, Vita of Fra Bartolommeo. For additional complaints about sexualized
Sebastians, see Bohde, “Ein Heiliger,” 86, n. 18. 62 Sodoma’s later depictions
of Sebastian evoke the same erotic subtext. In his Madonna and Child with Saints,
ca. 1541–44 (Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 257, no. 43), Sebastian stares at
Jesus, who toys with the saint’s arrow—a phallic detail seen in no other image.
Similarly unique is Sodoma’s Resurrection, 1535 (Hayum, 235, no. 33) in
depicting the angels as nude putti. 63 Burke, “Sex and Spirituality,” 488–92.
64 Ruggiero, “Introduction,” 2. 65 Reed, Art and Homosexuality, 43. 66 Ibid.,
47. 67 Ibid., 43; Puff, “Early Modern Europe,” 84–85. 68 On this alternative
culture in various cities see Puff, “Early Modern Europe,” 87; Ruggiero,
“Marriage,” 23–26; Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,” 61–64, 79. 69 Ruggiero,
“Marriage, Love,” 11. 70 Paul Barolsky, “Vasari’s Literary Artifice,” 121. 71
Cust, Giovanni Antonio Bazzi, 10. 72 Carli, Il Sodoma, 9–12; Carli, “Bazzi.” 73
See, e.g., Patricia Simons, “Sodoma, Il,” 286. 74 Vasari, Le vite, 6: 379, 398,
citing contradicting documents, 399 n. 1. 75 On Eurialo see above, n. 44;
Armenini, n. 52. On Giovio’s biographies see n. 46; for his comment on Sodoma
(“praepostero instabilique iudicio usque ad insaniae affectationem”) see
Bartalini and Zambrano, Fonti, 83–86, no. 35. 76 Simons, “Homosociality and
Erotics,” 48, n. 4; Mills, “Acts, Orientations,” 205. 77 Bandello, Tutte le
opera, ed. Flora, 1: 95, novella 6; Bandello, Tutte le opera, trans. Payne, 1:
94–8. 78 Bruno and Campanella, Opere, 321. 79 Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,”
74–76; Dall’Orto, “‘Socratic Love,’” esp. 34–35, 46–50. 80 Stanton, “The
Threat.” See further Stanton, ed., Discourses of Sexuality; the historiographic
overview by Smith, “Premodern Sexualities”; Cady, “The ‘Masculine Love.’” 81
Puff, “Early Modern Europe,” 87. 82 Brundage, “Playing,” 23. 83 Pater, The
Renaissance, 3–6, 18–19; Fisher, “A Hundred Years,” 19–23. 84 Chauncey, Gay New
York, 285–86. 85 Radini Tedeschi, Sodoma, 257, no. 118. 86 O’Higgins, “Sexual
Choice,” 10; Halperin is quoted and discussed in Freccero, Queer, 48. 87
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2004.11 VAGINA DIALOGUES Piccolomini’s Raffaella and Aretino’s Ragionamenti Ian
Frederick MoultonIn 1539, Alessandro Piccolomini, a thirty-one-year-old Sienese
nobleman living in Padua, published a short dialogue: La Raffaella, ovvero
Dialogo della bella creanza delle donne [Raffaella, or a Dialogue on women’s
good manners].1 Piccolomini’s dialogue, in which an older woman encourages a
younger one to commit adultery, owes much to the example of Pietro Aretino’s
scandalous Ragionamenti (1534, 1536),2 in which an experienced courtesan
teaches her daughter how to become a prostitute. While the filial relationship
between La Raffaella and the Ragionamenti has long been noted, the cultural and
ideological significance of this relationship remains largely unexamined. Both
texts imagine private female conversations: what do women talk about when no
men can hear? The answer in both cases is men. Men and sex. (What else would
men think that women talk about?) Both texts are male fantasies of female
pedagogy and sexual knowledge, in which male authors adopt a voice of
experienced femininity to articulate imagined feminine perspectives on sex,
gender relations, and gender identity. In the Ragionamenti, the women’s
conversations are scandalous, but also, at times, radical and transgressive,
questioning fundamental norms of gendered behavior and exploring the role of
power in gender relations.3 Despite Aretino’s ambivalent misogyny, the
Ragionamenti imagine possibilities of female agency and power. Piccolomini’s
Raffaella, on the other hand, merely encourages women to subvert one form of
male authority in order to submit to another; it imagines freeing wives from
their husbands the better to subordinate them to their male lovers. Piccolomini
playfully suggests that this shift is doing women a favor because it
acknowledges their need for sexual pleasure.4 His text takes the subversive
energy of the Ragionamenti and turns it into a safe, sly joke. Women, it turns
out, do not want autonomy: they want to submit to younger, sexier men. In La
Raffaella, female agency is not a threat to male dominance—it simply rewards
ardent male lovers over dreary husbands.The conversations of Aretino’s
Ragionamenti take place over six days. An experienced courtesan named Nanna is
discussing with a younger prostitute named Antonia what way of life would be
best for her teenaged daughter Pippa—should she grow up to be a nun, a wife, or
a whore? Nanna spends the first three days of the dialogue recounting her own
experiences in each of these roles; at the end of the third day she
and Antonia decide that Pippa should be a prostitute. They reason that while
nuns break their vows and wives are unfaithful to their husbands, prostitutes
(for all their faults) are not hypocritical—they are simply doing the necessary
work they are paid to do.5 This ends the first volume. In the sequel, having
decided Pippa’s future, Nanna and Antonia teach her the things she will need to
know. On the fourth day, they instruct her how to be a successful courtesan; on
the fifth, they discuss men’s cruelty to women; and on the sixth they listen
while a midwife teaches a wetnurse how to make a living procuring women for sex
with men. In all the discussions about prostitution, Nanna’s instruction
focuses not on how to satisfy men but on how to manipulate them. The condition
of a prostitute is inherently hazardous, and Nanna and Antonia teach Pippa how
to survive and thrive in a world of gender warfare, where men are always
seeking to exploit women, sexually, physically, socially, and financially.
Throughout the Ragionamenti the text takes an ambivalent attitude to its
speakers. On the one hand, Nanna and Antonia are monstrous women who embody a
wide range of misogynist stereotypes. They are deceitful, amoral, gluttonous,
greedy, garrulous, and fickle. On the other hand, they are cunning tricksters,
who use their superior intellect to dupe those who try to exploit and manipulate
them. Nanna is at once a shocking figure of feminine excess and an insightful
satirist who bears more than a passing resemblance to Aretino’s own persona as
an epicurean scourge of powerful hypocrites.6 The Ragionamenti contain
shockingly explicit descriptions of a wide range of sexual activity, but almost
all of these are in the early chapters of the text, in which nuns betray their
vows in endless orgies and wives betray their elderly husbands to find
satisfying sex elsewhere.7 The chapters on prostitution focus not on sexual
pleasure or technique, but rather on how best to earn money and swindle
clients. Aretino’s whores are not particularly interested in sexual
pleasure—they want money, power, and status instead. And the best way to attain
all three is by selling the promise of sexual availability while deferring
sexual activity for as long as possible; the ideal relationship is one where a
man is paying large amounts of money without ever actually managing to have
sexual relations with the woman he is buying. As Nanna puts it, “lust is the
least of all the desires [whores] have, because they are constantly thinking of
ways and means to cut out men’s hearts and feelings.” (“La lussuria è la minor
voglia che elle abbino, perché le son sempre in quel pensiero di far trarre
altrui il core e la corata.”)8 Through a series of cunning tricks, deals, and
lies, Nanna ends up living in luxury in a fashionable house protected by gangs
of armed men whom she employs to remove unwanted suitors.9 She survives and
thrives by manipulating male desire and profiting from male gullibility.Nanna’s
worldly success is, of course, a fantasy that bears little relation to the
actual living and working conditions of most early modern prostitutes,10 but
the Ragionamenti admit this as well. Nanna knows she is not normative, and that
her position remains precarious: “I must confess that for one Nanna who knows
how to have her land bathed by the fructifying sun, there are thousands of
whores who end their days in the poorhouse.” (“Ti confesso che, per una Nanna
che si sappia porre dei campi al sole, ce ne sono mille che si muoiono nello
spedale.”)11 On the sixth day, the Midwife agrees: “A whore’s life is
comparable to a game of chance: for each person who benefits by it, there are a
thousand who draw blanks.” (“E so che il puttanare non è traffico da ognuno; e
percìo il viver suo è come un giuoco de la ventura, che per una che ne venga
benefiziata, ce ne son mille de le bianche.”)12 Consequently, Nanna makes sure
to spend a lot of time warning her daughter Pippa about the many ways that men
can harm the women in their power. In contrast to Aretino’s earthy dialogue of
whores, Piccolomini’s La Raffaella consists of an imagined discussion between
two upper-class women: Raffaella, an elderly, impoverished, but well-born
woman, and Margarita, a newly married wealthy young noblewoman. The tone of
conversation in La Raffaella is certainly more polite and decorous than Nanna
and Antonia’s profane and bawdy language in the Ragionamenti.13 Raffaella, a
friend of Margarita’s late mother, presents herself as a pious widow, eager to
help Margarita adjust to the challenges of being an adult woman and the
mistress of a household. Throughout her talk of pass-times, cosmetics,
deportment, and fashion, Raffaella advises Margarita to take full advantage of
youthful pleasures; if a woman does not enjoy herself while she is young and
beautiful, she is sure to become bitter in her old age: As for God, as I said
earlier, it would be better, if it were possible, to never take any pleasure in
the world, and to always fast and keep strict discipline. But, to escape even
greater scandal, we must consent to the small errors that come with taking some
pleasures in youth, which can be taken away later with holy water. . .
. And moreover, in all this I’m telling you, presuppose that this little
necessary sin will bring you much honor in the world, and that these pleasures
that must be taken can be managed with such dexterity and intelligence that
they will bring no shame from anyone. Quanto a Dio, già t’ho detto che sarebbe
meglio, se si potesse fare, il non darsi mai un piacere al mondo, anzi starsi
sempre in digiuni e disciplina. Ma, per fuggir maggior scandalo, bisogna
consentir a questo poco di errore che è di pigliarsi qualche piacere in
gioventù, che se ne va poi con l’acqua benedetta. . . . E però
in tutto quello che io ti ragionerò presupponendo questo poco di peccato, per
esser necessario, procurerò quanto piú sia possibile l’onore del mondo, e che
quei piaceri che si hanno da pigliarsi sieno presi con tal destrezza e con tal
ingegno, ch non si rimanga vituperato appresso de le genti.14Margarita’s
husband is constantly away on business; she is bored and feels neglected. By
the end of the dialogue, Raffaella has convinced Margarita to embark on an
adulterous affair with a young man named messer Aspasio (who bears more than a
passing resemblance to Piccolomini himself ).15 It becomes abundantly clear to
the reader that convincing Margarita to sleep with messer Aspasio has been
Raffaella’s goal all along. As the dialogue ends, Margarita looks forward
eagerly to her planned affair, completely unaware of how she has been
manipulated by the older woman. She exults, Having learned today through your
words that a young woman needs, to avoid greater errors, to pour out her spirit
in her youth, and having heard certainly from you the good words of messer
Aspasio and the love he bears me, I am resolved to give all of myself to him
for the rest of my life. And thus having pledged eternal fidelity to messer
Aspasio—whom she has barely met—Margarita goes on to offer the impoverished
Raffaella bread, cheese, and ham as a reward for her kindness.16 Given its
subject matter, it is not surprising that some readers interpreted La Raffaella
as an attack on women’s moral character: older women are presented as corrupt
and amoral; younger women as hedonistic and naive. Women of all ages, it seems,
are concerned primarily with deceiving men to obtain sexual pleasure. Beyond
its general cynicism regarding female virtue, La Raffaella also gives precise
and effective direction on ways to deceive one’s husband and to discreetly
carry on long-term affairs. Raffaella warns Margarita against writing love
letters—especially if her lover is married.17 She recommends that her lover be
unmarried, if possible (messer Aspasio is a bachelor!).18 Raffaella tells
Margarita she will need a trusted servant to communicate with her lover, and
that she should choose that person with great care.19 She recommends a rope
ladder for giving a lover access to private rooms without anyone in the
household knowing.20 Raffaella encourages Margarita to take full advantage of
the pleasures that wealth and leisure can bring, but she insists that all these
pleasures are worthless without the final consummation of adulterous sex:
What’s love worth without its end? It’s like an egg without salt, and worse.
Holidays, dinners, banquets, masques, plays, gatherings at villas and a
thousand other similar pleasures are icy and cold without love. And with love
they are so pleasurable and so sweet that I don’t believe that one could ever
grow old among them. In every person love inspires courtesy, nobility, elegance
in dress, eloquence in speech, graceful gestures, and every other good thing.
Without love, they are little esteemed, like lost and empty things. E amore poi
che val, senza il suo fine? Quel ch’è l’uovo senza’l sale, e peggio. Le feste,
i conviti, i banchetti, le mascere, le comedie, i ritruovi di villae mille
altri cosí fatti solazzi senz’amore son freddi e ghiacci; e con esso son di
tanta consolazione e cosí fatta dolcezza, ch’io non credo che fra loro si
potesse invecchiar mai. Amor riforisce in altrui la cortesia, la gentilezza, il
garbo di vestire, la eloquenza del parlare, i movimenti agraziati e ogni altra
bella parte; e senza esso son poco apprezzate, quasi come cose perdute e
vane.21 The “end” of love, which in Neoplatonic treatises was seen as a
beatific transcendence of earthly desires, is here clearly redefined simply as
sex.22 As a result of passages like this, La Raffaella was attacked both as an
insult to women and as an instruction manual for adultery.23 That the text was
explicitly dedicated by Piccolomini to “the women who will read it” (“A quelle
donne che leggeranno”) only made matters worse.24 Piccolomini was destined from
youth for an ecclesiastical career,25 and at the time he wrote La Raffaella he
was starting to make a name for himself in Italian intellectual circles.26 He
had published La Raffaella under his academic pseudonym, Stordito Intronato,
but this did little to conceal his identity. Responding to criticism of the
dialogue, Piccolomini disavowed La Raffaella almost immediately, writing in
1540 that the text was a “joke,” written only for his own amusement.27 Clearly,
he felt that La Raffaella’s scandalous reputation was not suitable for his
public image and future aspirations. Unlike Aretino, who published the
Ragionamenti in two installments, Piccolomini not only never published a sequel
to La Raffaella, he never wrote anything like it again.28 In his retractions,
Piccolomini insisted that he had meant no insult to women in La Raffaella, and
compared his work to the licentious novelle in Boccaccio’s Decameron, intended
to give “a certain pleasure to the mind, that cannot always be serious and
grave” (“per dare un certo solazzo a la mente, che sempre severa e grave non
può già stare”).29 Although Piccolomini consistently downplayed the dialogue’s
significance, La Raffaella remained in print and remained popular. There were
nine Italian editions in the sixteenth century, as well as three separate
translations into French.30 Indeed, La Raffaella is the most frequently
republished of all Piccolomini’s texts, and one of the few still in print in
the twenty-first century.31 Though criticized for its licentiousness,
generically La Raffaella was in the mainstream of the literature of its time.
Neoplatonic dialogues dealing with love and sexuality were a staple of Italian
literary and academic culture, from Bembo’s Asolani (1505) and Judah
Abrabanel’s Dialogi d’amore (1535), to Sperone Speroni’s Dialogo d’amore
(1542), and Tullia d’Aragona’s Dialogo . . . della infinità d’amore
(1547). Along with books on love, books on the status of women and on feminine
deportment were also produced in great numbers in Italy in the midsixteenth
century. Advocating adultery may have been scandalous, but men telling women
how to behave was commonplace. Besides internationally inf luential texts such
as Juan-Luis Vives’ De institutione feminae christianae (1523)32 and Baldassare
Castiglione’s Cortegiano (1528),33 there were dozens of lesser known or more
specialized books, such as Giovanni Trissino’s epistle on appropriate conduct
forwidows (1524),34 and Galeazzo Flavio Capella’s treatise on the excellence
and dignity of women (1526).35 The vast majority of these texts were written by
men, and many were prescriptive works that attempted to define appropriate
female conduct.36 Of 125 works listed by Marie-Françoise Piéjus dealing with
the status of women published in Italy between 1471 and 1560, only two were
authored by women: Tullia d’Aragona’s 1547 Dialogo . . . della
infinità d’amore and Laura Terracina’s 1550 Discorso sopra tutti li primi canti
d’Orlando Furioso.37 Given Piccolomini’s deep engagement with academic and
literary culture, it is not surprising that La Raffaella draws on a wide range
of contemporary texts. The character of Raffaella herself has a strong
resemblance to the central figure of the procuress from Fernando de Rojas’ La
Celestina,38 and passages in Piccolomini’s dialogue closely echo debates over
proper feminine dress in Castiglione’s Cortegiano.39 But arguably the most
important model for La Raffaella remains Aretino’s Ragionamenti.40 To begin
with, there are precise textual echoes: La Raffaella’s discussion of cosmetics
closely follows passages from Aretino’s work,41 as does Raffaella’s reference
to the illicit sexual activities of nuns.42 Even Raffaella’s notion, quoted
above, that youthful sins can be removed with holy water, recalls a speech by
Antonia about the relative insignificance of the sins committed by whores.43
Beyond her similarity to the title character of La Celestina, Piccolomini’s
Raffaella also recalls the Midwife from the sixth book of the Ragionamenti.
Certainly, the Midwife’s following account of her own techniques are a good
description of Raffaella, who comes across as a pious churchgoer, says she
loves Margarita like a daughter, and has endless advice on fashions and
hairstyles: It was always my habit to sniff through twenty-five churches every
morning, robbing here a tatter of the Gospel, there a scrap of orate fratres,
here a droplet of santus santus, at another spot a teeny bit of non sum dignus,
and over there a nibble of erat verbum, watching all the while this man and
that girl, that man and this other woman. . . . A bawd’s work is
thrilling, for by making herself everyone’s friend and companion, stepchild and
godmother, she sticks her nose in every hole. All the new styles of dress in
Mantua, Ferrara, and Milan follow the model set by the bawd; and she invents
all the different ways of arranging hair used in the world. In spite of nature
she remedies every fault of breath, teeth, lashes, tits, hands, faces, inside
and out, fore and aft. Io che ho sempre avuto in costume di fiutar venticinque
chiese per mattina, rubando qui un brindello di vangelo, ivi uno schiantolo di
orate fratres, là un giocciolo di santus santus, in quel luogo un pochetto di
non sum dignus, e altrove un bocconicino di erat verbum, e squadrando sempre
questo e quella, e quello e questa. . . . Bella industria è quella
d’una ruffiana che, col farsi ognun compare e comare, ognun figilozzo e
santolo, si ficca per ogni buco. Tutte le forge nuove di Mantova, di Ferrara, e
di Milano pigliano la sceda da la ruffiana: ella trova tutte l’usanze de le
acconciaturedei capi del mondo; ella, al dispetto de la natura, menda ogni
difetto e di fiati e di denti e di ciglia e di pocce e di mani e di facce e di
fuora e di drento e di drieto e dinanzi.44 In his Novelle (1554), Matteo
Bandello mistakenly attributed La Raffaella to Aretino, in part because of its
resemblance to the Ragionamenti.45 Clearly, the similarity of the two texts was
apparent to contemporary readers. Socially and intellectually, Piccolomini and
Aretino were on friendly terms in the years immediately following La
Raffaella’s publication. Piccolomini wrote to Aretino in December 1540,
publicly praising his satirical attacks on the abuses of the powerful.46 And in
1541, two years after La Raffaella appeared in print, Piccolomini invited
Aretino to join the newly founded Accademia degli Infiammati in Padua. As
Marie-Françoise Piéjus has suggested, both the Ragionamenti and La Raffaella
function as parodies of the ubiquitous conduct books addressed to women in the
mid-sixteenth century. The Ragionamenti and La Raffaella are “provocative
text[s], animated by an ironic cynicism that, parod[ies] point by point the
lessons habitually taught to women.” By focusing on women’s sexual lives, both
Aretino and Piccolomini “attest to the divorce between openly affirmed
principles and the daily conduct of [their] contemporaries.”47 What makes these
texts parodic is their sexual subject matter; they both, in differing ways,
affirm women’s fundamental sexuality and attest to the central role of sexual
desire in women’s lives. This is precisely the aspect of femininity that most
of the conduct books are trying most urgently to restrain, repress, and police.
The vast majority of sixteenthcentury conduct books written for women are
designed to make women into good wives: chaste, silent, and obedient—pleasing
to their husbands and compliant to the wishes of their male relatives.48 It is
telling that these two parodic texts are both written in the voice of women.
Rather than having a male author lay down the law for women (like Vives does),
or imagining a conversation where women listen silently as men debate (as in
Castiglione), both the Ragionamenti and La Raffaella imagine female conversations
with no men present. In Ventriloquized Voices, her study of early modern male
authors’ adoption of female voices, Elizabeth Harvey has argued that “in male
appropriations of feminine voices we can see what is most desired and most
feared about women.”49 If Harvey is right, what Aretino and Piccolomini most
desired and feared about women was their sexuality—and the ways their sexuality
creates possibilities for female agency. In both the Ragionamenti and La Raffaella,
an older woman instructs a younger one on issues of gender and sexuality—and on
ways to trick men to get what they want. In both cases, the absence of male
auditors creates the illusion that the reader is privy to the secret truth of
feminine speech. It is significant that both Aretino and Piccolomini imagine
that the main topic that women discuss in private is their sexual relations
with men. While the conversation in both the Ragionamenti and La Raffaella is
wide-ranging, both dialogues arguably fail the Bechdel test—an assessment that
asks whether or not a work of fiction has twonamed female characters who talk
to each other about something other than their relationships to men.50 In both
works, the women are constantly concerned about their interactions with men and
how their actions are perceived by men. The very categories of female life as
set forth in the Ragionamenti—nuns, wives, and whores—are defined by the ways
in which women’s sexual relations with men (or their lack) are structured and
determined. In their desire to hear the truth of female sexuality, both the
Ragionamenti and La Raffaella metaphorically echo a tradition of masculine
fantasy in which female genitalia are compelled to speak. In the
thirteenth-century French fabliau Du Chevalier qui fist les cons parler [The
Knight Who Made Cunts Speak], a poor, wandering knight who treats some bathing
fairies with courtesy and discretion is rewarded with the magical power to make
vaginas talk.51 He uses this power to discover the truth in situations where
people are lying to him: when he encounters a miserly priest riding on a mare,
he makes the mare’s vagina tell him how much money the priest is hiding. When a
countess sends her maid to seduce the knight, he makes the maid’s vagina reveal
the plot. Eventually, he makes even the countess testify against herself by
compelling her nether regions to speak.52 The vagina, it seems, always tells
the truth. This provocative trope reappears most famously in Denis Diderot’s
1748 libertine novel Les Bijoux indiscrets [The Indiscreet Jewels], in which a
sultan has a magic ring that makes vaginas tell all. While there is no evidence
that either Aretino or Piccolomini were aware of such tales of talking vaginas,
the gender dynamics of their texts are remarkably similar. The trope of a man
magically forcing a vagina to speak is culturally resonant on a number of
levels. On the most basic level, these stories are fantasies of masculine
power: the masterful male commands the female body to do his bidding and reveal
its knowledge. There is comedy, of course, in the blurring of function between
vagina and mouth—the earthy lower body inevitably tells a tale that refutes the
refined upper body. It is important to note that what the vagina says does not
merely contradict what the mouth says; it unerringly reveals the hidden truth
of the situation. Just as the Ragionamenti and La Raffaella ironically imagine
the sexual desires hidden behind a public façade of decorous femininity, in
these stories, the mouth tells lies, but the vagina tells the truth of the body;
it cannot lie. Indeed, in all these texts, the vagina is the truth, the
essence, the thing itself. The truth of woman is her sex. The same assumption
underlies Eve Ensler’s popular 1996 feminist play The Vagina Monologues, an
episodic work in which women of various ages and backgrounds recount their
sexual experiences, some positive, others negative. While the play was
acclaimed for giving voice to women’s sexuality, it was also criticized for
reducing women to their genitalia: as feminist scholars and activists Susan E.
Bell and Susan M. Reverby wrote, “The Vagina Monologues re-inscribes women’s
politics in our bodies, indeed in our vaginas alone.”53 But of course, in
Ensler’s work, the author who wrote the lines and the actors who perform them
are all women. The voices we hear are the women’s voices—not men’s imagination
of what a woman’s voice might sound like if there was no man there to hearand
record it. In Aretino and Piccolomini’s vagina dialogues, it is always only men
talking—even if the characters are female. Piccolomini’s ventriloquized fantasy
of female speech in La Raffaella is all the more remarkable given that the
Academy of the Intronati,54 the organization under whose auspices he published
the dialogue, was more arguably more open to women than any other
sixteenth-century Italian academy. The Accademia degli Intronati [the Academy
of the Stunned] was founded in 1525 by a group of six Sienese young men. The
avowed object of the group was “to promote poetry and eloquence in the Tuscan,
Latin and Greek languages” and their motto was: Orare, Studere, Gaudere,
Neminem laedere, Neminem credere, De mundo non curare [Pray, Study, Rejoice,
Harm no one, Believe no one, Have no care for the world].55 Membership in the
Intronati was restricted to men, but as Alexandra Coller has argued, “women
were awarded much more than a merely ornamental presence within the context of
the academy [of the Intronati], whether as sources of inspiration,
correspondents in educationally-oriented literary exchanges, or as discussants
in female-centered dialogues.”56 Sometime around 1536, not long before he wrote
La Raffaella, Piccolomini himself wrote a brief Orazione in lode delle donne
[Oration in Praise of Women]. He delivered the oration to the Intronati in
person on his return to Siena from Padua in 1542 and it was published three
years later.57 Utterly rejecting La Raffaella’s notion that love must be
sexually consummated to have any real value, Piccolomini’s oration draws
heavily on the Neoplatonic idealization of love articulated in Pietro Bembo’s
Asolani, and in Bembo’s concluding speech in the Fourth Book of Castiglione’s
Cortegiano. In this discourse, love is primarily a spiritual discipline that
paradoxically leads to a transcendence of physical desire. Women’s beauty is an
earthly echo of divine Beauty, and Beauty can be used by the lover to reach a
higher plane of spiritual awareness.58 Women are thus to be served, adored, and
obeyed, in the way that a Courtier should serve, adore, and obey his Prince.59
Many texts written by members of the Intronati were dedicated to female
patrons, including a translation of six books of Virgil’s Aeneid and
Piccolomini’s own 1540 translation of Xenophon’s Oeconomicus, a classic
treatise on household management.60 A text from the later sixteenth century,
Girolamo Bargagli’s 1575 Dialogo de’ giuochi [Dialogue on Games], describes the
activities of the Intronati in the 1530s, and attests to the support of the
Academy by “many beautiful and noble ladies” (“Molte belle e rare gentildonne”).61
Some scholars have suggested that women may have even participated in meetings
of the Academy, a rare occurrence in sixteenth-century Italian intellectual
culture.62 An unpublished dialogue by Marcantonio Piccolomini, a kinsman of
Alessandro and a founding member of the Intronati, imagines a scholarly
dialogue between three Sienese gentlewomen on whether God created women by
chance or by design.63 At the outset, however, not all the Intronati were so
welcoming to women— at least if Antonio Vignali’s Cazzaria (1525) is any
indication. Vignali’s dialogue, in many ways a defense of sexual relations
between men, is a fiercely and crudelymisogynist text, a product of an
exclusively male environment that denigrates women at every turn.64 The
Cazzaria was a scandalous text. It was initially circulated in manuscript among
the Academy’s members and was probably printed without its author’s consent.
Although it was not publicly acknowledged or defended by the Intronati at any
point, it was nonetheless written by one of the Academy’s founding members and
was one of the most prominent products of the Academy’s early years.65
Piccolomini was surely familiar with the text— indeed, his kinsman Marcantonio
Piccolomini (Sodo Intronato) appears as one of La Cazzaria’s main characters.66
However eccentric and outrageous it may be, La Cazzaria is arguably an accurate
ref lection of the attitudes towards women of at least some of the Intronati’s
founding members. If the Intronati’s respectful and inclusive attitude towards
women represented in Bargagli’s Dialogo de’ giuochi is to be believed, things
must have changed a lot by the late 1530s. But it is quite possible that the
Intronati’s relatively positive public attitude towards women masked more
negative private views. Perhaps Alessandro Piccolomini’s ironic attitude
towards women in La Raffaella is a product of this conf lict. As we have seen,
the Ragionamenti ’s attitude towards its female speakers is always ambivalent.
But La Raffaella’s presentation of its speakers is much more straightforward.
Raffaella is a manipulative woman who is working throughout with a very
specific goal in mind—to convince Margarita to have an adulterous affair with
messer Aspasio. Margarita is simply a dupe. Whatever Piccolomini’s praise of
women, whatever support the Intronati gave and received from Sienese
noblewomen, La Raffaella ironically suggests that women are fundamentally
submissive to male desire. Raffaella’s considerable ingenuity is entirely
subordinate to the schemes of messer Aspasio. She has no other function than to
help him obtain his desires, and she is in many ways an abject character,
forced to make her living by tricking young women into having sex with
manipulative men. Piccolomini’s idealistic role as defender of women in his
Orazione and elsewhere has an ironic echo in the dedicatory epistle to female
readers that prefaces La Raffaella. Here Piccolomini insists that he has always
been a staunch defender of women against their detractors. He claims that La
Raffaella clearly shows “the appropriate life and manners appropriate for a
young, noble, beautiful woman,” and holds up the character of Raffaella as
proof that women are capable of “great concepts and profound statements and
good judgment.”67 He decries the double standard that sees extra-marital
affairs as “honorable and great” for men, and “utterly shameful for women.” He
admits that if a woman were to be so foolish as to conduct an affair in a way
that would arouse suspicion, that would be “a great error,” but he trusts that
his female readers “will be full of so much prudence, and temperance that
[they] will know how to maintain and enjoy [their] lovers” for years and years.
“There is nothing more pleasing nor more worthy of a gentlewoman than this.”68
In the epistle, Piccolomini is doubling down on the joke that underlies La
Raffaella as a whole: what women want most of all is satisfying sex with
anattractive and f lattering young man. Anyone who helps them attain this goal
becomes their greatest champion.As we have seen, Aretino’s Ragionamenti argue
at length that at least some women prefer money, status, and power to sexual
pleasure. But this is largely because the whores of the Ragionamenti are not
comfortable, upper-class women like those in La Raffaella. Aretino’s whores
want power, but his nuns and wives, whose material well-being is secured either
by the Church or by their husbands, want sex. In the more elevated world of La
Raffaella, the wealthy and well-born Margarita lives in luxury; all that is
missing from her pleasurable life is a satisfying sexual partner. The condition
of Nanna, Pippa, Antonia—and indeed of Raffaella, Piccolomini’s impoverished
elderly bawd—is much more precarious. The single-minded pursuit of sexual
pleasure, it seems, is a privilege of the upper classes, of those women who are
not compelled to participate directly in a capitalist market for goods and
services in which their sexuality is primarily a commodity used to raise
capital. Aretino’s attitude to women is often disdainful and dismissive;
Piccolomini almost always f latters his female readers. And yet, it is the
Ragionamenti that imagine autonomous women who manage to hold their own in conf
lict with men, whereas La Raffaella presents women who are entirely dominated
by men in one way or another. The Ragionamenti fantasize about the ways in
which women trick men; La Raffaella fantasizes about the ways women can be
tricked. Aretino’s Nanna provides a powerful contrast to Piccolomini’s fantasy
of feminine submission. In Book 2 of the Ragionamenti, when Nanna recounts her
experiences as a wife, she does exactly what Raffaella urges Margarita to do—
she takes young lovers who can satisfy her sexually in ways her impotent
husband cannot. But the key difference is that Nanna makes that choice for
herself—she is not tricked into it by a male suitor who is using a female
confidant to manipulate her. Even before becoming a prostitute, Nanna is always
looking out for herself. She tricks her lovers in the same way she tricks her
husband. She plays to win and is never duped. And unlike Margarita, who
promises to devote herself exclusively to messer Aspasio, Nanna’s adultery is
utterly promiscuous: Once I had seen and understood the lives of wives, in
order to keep my end up, I began to satisfy all my passing whims and desires,
doing it with all sorts, from potters to great lords, with especial favor
extended to the religious orders—friars, monks, and priests. Io, veduto e
inteso la vita delle maritate, per non essere da meno di loro, mi diedi a
cavare ogni vogliuzza, e volsi provare fino ai facchini e fino ai signori, la
frataria, le pretaria, e la monicaria sopra tutto.69 Eventually she ends up
stabbing her husband to death when he assaults her after catching her having
sex with a beggar.70 It is hard to imagine Piccolomini’s wellbred Margarita
acting in a similar manner should her husband ever catch her with messer
Aspasio. Piccolomini’s Raffaella fits into larger trends in the ways in which
Aretino’s Ragionamenti were read and assimilated into mainstream early modern
culture.Broadly speaking, texts that were inspired or inf luenced by the
Ragionamenti adapted Aretino’s text in ways that made it less subversive and
conformed better to traditional ideas of early modern gender relations. Later
editions, translations, and adaptations of the Ragionamenti focused on Book 3
of the first day, on the life of whores, and presented the text to readers
simply as a catalogue of female deceit and monstrosity in which the satirical
and subversive elements of Nanna’s character were downplayed in order to make
her a purely negative figure.71 In a similarly reductive move, La Raffaella
takes the notion that women will attempt to deceive men, and limits it to the
particular case of aristocratic wives deceiving their husbands—a model which
fits well into traditional discourses of courtly love that go back to the
twelfth century.72 Women are represented as fundamentally passionate creatures
that desire physical pleasures above all else, and these are found more
naturally with young men in adulterous relationships than with respectable,
mature, and neglectful husbands. Margarita’s husband spends too much time on
“business” and not enough with his wife, and the well-bred and discreet messer
Aspasio is the natural solution to Margarita’s problems. Raffaella the bawd is
not disrupting traditional aristocratic patterns of behavior, she is
facilitating them. As long as the affair remains discreet, everyone will
benefit and no one will care. (Machiavelli makes much the same point in his
play Mandragola, but in that case the satiric irony is obvious.) In La
Raffaella the extent to which Piccolomini supports Raffaella’s argument is not
clear. As we have seen, he explicitly endorses her point of view in his
dedicatory epistle to his female readers. But the degree of irony in the
epistle is an open question. It is enough that Piccolomini had deniability when
he needed it—La Raffaella, as he later claimed, was obviously a youthful joke.
Later commentators agreed that the dialogue, though seemingly immoral, was
actually a witty jeu d’esprit. The nineteenth-century scholar and editor
Giuseppe Zonta called La Raffaella a “jewel of the Renaissance, the most
beautiful ‘scene’ that the sixteenth century has left us, in which didactic
intent develops deliciously out of a comic drama” (“gioiello della Rinascita,
la più bella “scena” che il Cinquecento ci abbia lasciato, dove l’intento
didattico deliziosamente si svolge di su una comica trama”).73 Many things have
been said about Aretino’s Ragionamenti, but no one ever claimed that they were
a beautiful jewel.Notes 1 On sixteenth-century editions of La Raffaella, see
Zonta, ed., Trattati d’amore, 379–82; Cerreta, Alessandro Piccolomini, 175–77.
There are no known surviving copies of the 1539 edition. Zonta believes the
first edition may have been published in 1540. 2 Aretino, Ragionamento della
Nanna; and Dialogo di M. Pietro Aretino. 3 Moulton, Before Pornography, 132–36.
4 See the dedicatory epistle to “quelle donne che leggeranno,” Piccolomini, La
Raffaella, 31. Unless otherwise indicated, all references to La Raffaella are
to this edition. 5 On prostitution as a form of labor and commerce in the
Ragionamenti see Moulton, “Whores as Shopkeepers,” 71–86.6 Moulton, Before
Pornography, 132–36. On Aretino’s public image, see Waddington, Aretino’s
Satyr. 7 Moulton, Before Pornography, 130–31. 8 Aretino, Sei giornate, 132–33.
English translation: Aretino, Aretino’s Dialogues, 116. All English quotations
from the Ragionamenti are from this edition. 9 Aretino, Sei giornate, 115–16;
Aretino’s Dialogues, 102–03. 10 See Larivaille, La Vie quotidienne, esp.
chapter 6 on the economic and personal exploitation of whores and chapter 7 on
syphilis. On hierarchies of prostitution, see Ruggiero, Binding Passions,
35–37. 11 Aretino, Sei giornate; Aretino’s Dialogues, 135–36. 12 Aretino, Sei
giornate, 283–84; Aretino’s Dialogues, 310. 13 Baldi, Tradizione, 106–07. 14
Piccolomini, La Raffaella, 41. All translations from La Raffaella are my own.
15 Piéjus, “Venus Bifrons,” 121. 16 Piccolomini, La Raffaella, 119. 17 Ibid.,
101–02. 18 Ibid., 94. 19 Ibid., 112. 20 Ibid., 113. 21 Ibid., 110. 22 Ibid.,
135 n. 120. 23 Piéjus, “Venus Bifrons,” 82–83. 24 Piccolomini, La Raffaella,
27. 25 Piéjus, “Venus Bifrons,” 86. 26 Cerreta, Alessandro Piccolomini, 10–48.
27 “Molte cose che per scherzo scrisse già in un Dialogo de la Bella Creanza de
le Donne, fatto di me più per un certo sollazzo, che per altra più grave
cagione.” Dedicatory epistle to Piccolomini, De la Institutione. See Piccolomini,
La Raffaella, 7. 28 He did publish two comedies: L’Amor costante (1540) and
L’Alessandro (1545). See Cerreta, Alessandro Piccolomini, 177–78, 187–88. 29
Piccolomini, De la Institutione (f. 231r-v). See Piccolomini, La Raffaella, 8.
30 Piéjus, “Venus Bifrons,” 81, 161. 31 See the 1960 bibliography of
Piccolomini’s published works in Cerreta, Alessandro Piccolomini, 173–96. 32 An
Italian translation of Vives’ De institutione feminae christianae was published
in Venice in 1546 under the title De l’institutione de la femina. A second
edition appeared in 1561. Vives’ treatise was also the model for Ludovico
Dolce’s Della Institutione delle donne (Venice: Giolito, 1545). Further
editions of Dolce’s text were published in 1553, 1559, and 1560. 33 Burke, The
Fortunes of the Courtier. 34 Trissino, Epistola. 35 Capella, Galeazzo Flavio
Capella Milanese. 36 Kelso, Doctrine for the Lady. 37 See the chronological
bibliography of 125 works on women published in Italy between 1471 and 1560,
Piéjus, “Venus Bifrons,” 156–65. Women did address the issue in unpublished
texts, such as the collected letters of Laura Cereta (ca. 1488). See Cereta,
Collected Letters. Published texts by women were more common is the later years
of the sixteenth century. For an overview of “protofeminist” writing in early
modern Italy see Campbell and Stampino, eds. In Dialogue, 1–13. 38 Baldi,
Tradizione, 99–102. Piccolomini, La Raffaella, 11–15. 39 Piéjus, “Venus
Bifrons,” 108. On the larger influence of the Cortegiano on La Raffaella, see
Baldi, Tradizione, 86–90. 40 Piccolomini, La Raffaella, 9. Baldi, Tradizione,
100–07. 41 Piéjus, “Venus Bifrons,” 106, 118, 126. 42 Piccolomini, La
Raffaella, 43.43 Aretino, Sei giornate, 139; Aretino’s Dialogues, 158. 44
Aretino, Sei giornate, 285, 291; Aretino’s Dialogues, 312, 318. 45 Bandello,
Novelle, 1.34. Included in a list of licentious books, along with the poems of
Petrarch, Boccaccio’s Decameron, and Ariosto’s Orlando Furioso. See Piéjus,
“Venus Bifrons,” 83. 46 Cerreta, Alessandro Piccolomini, 43–44. Piccolomini and
Aretino corresponded in 1540– 41. Five letters from Piccolomini to Aretino are
included in Marcolini, ed., Lettere scritte. See also Cerreta, Alessandro
Piccolomini, 253–54. 47 “De là naît, comme dans les Ragionamenti, un texte
provocateur, animé pare une ironie cynique qui, parodiant point par point les
leçons habituellement données aux femmes, renverse la finalité d’une conduite
désormais subordonnée à la recherche du plaisir”; “Piccolomini constate, comme
l’Arétin, un divorce entre les principes ouvertement affirmés et la conduite
quotidienne de ses contemporains.” Piéjus, “Venus Bifrons,” 147–48. My
translation. 48 Kelso, Doctrine, 78–135. 49 Harvey, Ventriloquized Voices, 32.
50 The Bechdel–Wallace test was first outlined in 1985 in Allison Bechdel’s
comic strip Dykes to Watch Out For. See Alison Bechdel, “The Rule,” in Dykes to
Watch Out For (Ithaca, NY: Firebrand Books, 1986), 22. Bechdel attributes the
idea to her friend Liz Wallace, and says the ultimate source is a passage in
Virginia Woolf ’s A Room of One’s Own. See also Selisker, “The Bechdel Test.”
51 Rossia and Straub, eds., Fabliaux Érotiques, 199–239. 52 In order to silence
her vagina, the Countess stuffs it with cotton, but the Knight is able to make
her anus speak as well, and all is revealed. 53 Bell and Reverby, “Vaginal
Politics,” 435. 54 On the Intronati, see Constantini, L’Accademia. 55
Maylender, Storie delle accademie d’Italia, vol. 3, 354–58. 56 Coller, “The
Sienese Accademia,” 223. See also Piéjus, “Venus Bifrons,” 86-103. 57 Coller,
“The Sienese Accademia,” 224. A second edition of the Orazione appeared in
1549. See Cerreta, Alessandro Piccolomini, 189. 58 Moulton, Love in Print,
48–53. 59 Piéjus, ‘L’Orazione, 547. Coller, “The Sienese Accademia,” 225. 60
Piccolomini translated one of the six books of the Aeneid. For these and other
examples, see Piéjus, “Venus Bifrons,” 91–96. 61 Bargagli, Dialogo de’ giuochi,
22. Piéjus, “Venus Bifrons,” 89. 62 Ibid. She cites Elena De’ Vecchi,
Alessandro Piccolomini, in Bulletino Senese di Storia Patria (1934), 426. 63
Piéjus, “Venus Bifrons,” 93–96. The untitled dialogue is roughly
contemporaneous with La Raffaella. 64 Vignali, La Cazzaria, 40–41. 65 Ibid.,
21–26. 66 As well as appearing in La Cazzaria and being the author of the aforementioned
scholarly dialogue between three women, Marcantonio Piccolomini (1504–79) also
appears as the primary speaker of Bargagli’s Dialogo de’ giuochi. 67
Piccolomini, La Raffaella, 29. 68 “Io vi confesso bene, poiché gli uomini fuori
di ogni ragione tirannicamente hanno ordinato leggi, volendo che una medesima
cosa a le donne sia vituperosissima e a loro sia onore e grandezza, poich’egli
è cosí, vi confesso e dico che quando una donna pensasse di guidare un amore
con poco saviezza, in maniera che n’avesse da nascere un minimo sospettuzzo,
farebbe grandissimo errore, e io piú che altri ne l’animo mio la biasmarei:
perché io conosco benissimo che a le donne importa il tutto questa cosa. Ma se,
da l’altro canto, donne mie, voi sarete piene di tanta prudenza e accortezza e
temperanza, che voi sappiate mantenervi e godervi l’amante vostro, elletto che
ve l’avete, fin che durano gli anni vostri cosí nascostamente, che né l’aria,
né il ne possa suspicar mai, in questo caso dico e vi giuro che non potete far
cosa di maggior contento e piú degna di una gentildonna che questa.” Ibid.,
30–31.69 Aretino, Sei giornate, 89; Aretino’s Dialogues, 102. 70 Aretino, Sei
giornate, 90; Aretino’s Dialogues, 103. 71 Such texts include Colloquio de las
Damas (Seville, 1548); Le Miroir des Courtisans (Lyon, 1580); Pornodidascalus
seu Colloquium Muliebre (Frankfurt, 1623); and The Crafty Whore (London, 1648).
See Moulton, “Crafty Whores,” and Moulton, Before Pornography, 152–57. 72 On
Courtly Love as a cultural phenomenon, see Newman, ed., The Meaning of Courtly
Love. On the cultural origins of courtly love, see Boase, The Origin and
Meaning. 73 Zonta, ed. Trattati d’amore, 377.Bibliography Abrabanel, Judah
(Leone Ebreo). Dialoghi d’amore. Rome: Mariano Lenzi, 1535. Aragona, Tullia d’.
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Aretino, Pietro. Aretino’s Dialogues. Translated by Raymond Rosenthal. New
York: Marsilio, 1994. ———. Dialogo di M. Pietro Aretino, nel quale la Nanna il
primo giorno insegna a la Pippa sua figliola a esser puttana, nel secondo gli
contai i tradimenti che fanno gli huomini a le meschine che gli credano, nel
terzo et ultimo la Nanna et la Pippa sedendo nel orto ascoltano la comare et la
balia che ragionano de la ruffiania. Turin?: 1536. ———. Ragionamento della
Nanna e della Antonia, fatto in Roma sotto una ficaia, composto del divino
Aretino per suo capricio a correttione de i tre stati delle donne. Paris?:
1534. ———. Sei giornate. Edited by Giovanni Aquilecchia. Bari: Laterza, 1969.
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GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA’S EROTOMANIC ART OF RECOLLECTION Sergius
KoderaDella Porta’s brief thirty-two-page treatise on the art of memory1
appeared in print in Naples in 1566. There was another edition in 1583; in 1602
Della Porta published a revised Latin version of the text under the title Ars
reminscendi.2 Despite the fact that The Art of Remembering did not see nearly
as many press runs as Della Porta’s more famous works on natural magic and
physiognomy, and despite (or because of?) its brevity, his art of memory was
frequently utilized by seventeenth-century preachers.3 Given its author’s
dubious reputation with Catholic orthodoxy—and his constant difficulties with
the Inquisition—this popularity might seem quite amazing.4 In both a series of
articles and a book chapter, Lina Bolzoni has discussed The Art of Remembering;
my contribution here seeks to elaborate on Bolzoni’s work by examining the
function of a peculiar sequence of images appearing in Della Porta’s
text—images that inf luence the entire structure and character of The Art of
Remembering. Della Porta recommends the use of explicit sexual fantasies as the
most powerful images for organizing the process of recollection. The use of
erotic images was not uncommon in the medieval and early modern tradition of
the art of memory. Yet in Della Porta’s text, images depicting sex between
human beings and animals are amazingly prominent (and especially in the two
Italian versions of the Arte del ricordare than in the later Latin Ars
reminiscendi ). Here I will argue that Della Porta’s use of pornographic and
even, in the modern sense of the word, sodomitic imagery is not merely a
consequence of the more innovative aspects of his instructions for developing
the capacities of memory. Rather, these images resonate in other of Della
Porta’s numerous and highly inf luential texts—namely, his texts for the theater,
on human physiognomy, natural magic, cross-breeding, and marvels (meraviglia)
in general. Such pornographic images thus refer to the core topics of his most
important texts—and, accordingly, to his general endeavors as an early modern
magus.5The art of memory Basically, the art of memory consists of imagining a
spatial structure—for instance, a house with different rooms (loci )—and then
furnishing these spaces with objects and persons (imagines).6 The next step is
to walk through the rooms of this imagined building and to assign to each one
item one wishes to recall, in the precise order of movement through the
architectonic structure. Originally developed in classical antiquity for public
orators, this method allows a speaker to recall the general content and order
of a speech, but the “art of memory” was also used to recollect specific
sequences of words. In this “art,” it is crucial to visualize and memorize a
mental structure, with its loci and imagines, in the greatest possible detail.
To facilitate this formidable task, the masters of the art of memory frequently
recommended that the images have a strong emotional nature (imagines agentes).
Conspicuously, manuals for the art therefore often recommend erotically charged
images as imagines agentes.7 Remembrance thus becomes dependent on—and
simultaneously synonymous with—exercising vivid (and, as we shall see,
predominantly male) sexual fantasies. The imaginary loci populated by a
sequence of well-ordered and striking images tend to acquire a life of their
own. As Bolzoni writes: “it is easy to imagine how centuries of experience in
memory techniques have given scholars some idea of the complex nature of mental
images and their capacity to inhabit their creators, to come alive and escape
their control.”8 And yet the affective movement of the soul, produced by
recalling a set of emotionally charged images, clashes with the imperative of
order that is the other vital aspect of the art of memory.9 Thus—in contrast to
modern literary authors who acknowledge and actively employ this same
phenomenon in developing their texts—the masters of memory were faced with the
arduous task of restraining the life of their own figments.10Della Porta’s
mnemotechniques Della Porta’s approach to the topic is characterized by a
methodical pluralism that is typical for the art of memory. Along with the
basic principles outlined above, he presents different ways of organizing
memory.11 For example, he recommends memorizing a group of ten to twenty women
whom one has loved to organize a system of pleasant and striking mnemonic
images. He contends that when employing the phantasmata of women one has made
love to or one has desired, one can succeed in remembering not only one word,
but an entire verse or even several verses.12 Della Porta also states one
particular system as his most innovative and preferred innovative contribution
to the art. For setting up the loci, he recommends memorizing little neutral
cubicles eight palms long, each populated with different impressive personae:
here, the sexually attractive women one has made love to or has been in love
with are placed alongside cubicles occupied by friends, jesters, noblemen, and
matrons.13 Della Porta accordingly recommends the use not only of men and women
personal acquaintances, but also of charactertypes—especially from comedy—that
during the sixteenth century were populating contemporary stage plays. In this
respect, The Art of Remembering follows a widespread tradition in
sixteenth-century treatises, as seen for example in Lodovoco Dolce’s
contemporaneous Dialogo del modo di accrescere e conservare la memoria
(1562).14 Another important precept in Porta’s Art of Remembering is that the
sequence of personae must vary; for example, he suggests “a woman, a boy, a
girl, a relative, an elderly man.”15 It is crucial to note that this succession
of personae is as fixed as the structure of the cubicles where they are
placed—which they “inhabit,” as it were. This implies that the personae become
part of the spatial setting, of the architecture of the memory palace, the
locus.16 These loci/personae determine the temporal sequence in which the
imagines appear, and in turn the content to be memorized in the correct
sequence (this content I will term the memorandum). In contrast to the fixed
personae, Della Porta defines the images as “animated pictures” which we
construct or spin out ( fingere/recamare) using the faculty of fantasy to
represent things and words.17 The images are mobile and variable: they
constitute what the personae in their fixed sequence do. And these activities
must be extraordinary in every respect; clothed in lavish and shining robes,
the personae’s movements should resemble larger-than-life actors, presenting
the mind with a “painting that is new, strange, marvelous, unusual, pleasant,
varied, and horrific (spaventevole).”18 Moreover, an image should also be
composed of a variable set of living and dead objects, which, like stage props,
are added to the persona—for instance, a cornucopia or a swan. Della Porta recommends
the use of relatively few loci/personae, condensing the sequence of memoranda
to a maximum of ten images agentes, as comic and tragic playwrights would.19
One cannot help speculating that Della Porta discloses here a vital aspect of
his writing techniques as a prolific and inf luential author of comedies.20 He
obviously followed the advice of his predecessors, shaping his personae in ways
reminiscent of the exceedingly grotesque personae in his mannerist comedies.21
The most salient feature of these plays is that they use a limited set of
characters whose social roles and statues are fixed in a set of stock scenes.22
The practicability of this system is obvious, because there is no need to
memorize hundreds of loci and imagines. Yet there is one obvious difficulty.
This artificial memory is rather limited, because it will only allow the
practitioner to memorize one story (or a sequence of ten words).Della Porta’s
ars oblivionis This limitation is, of course, a general difficulty for the art.
From the time of its invention, the ars memoria has entailed an ars oblivions,
an art of forgetting, that in turn allows for the memory to be organized anew.
This is a difficult task, because laboriously constructed chains of association
between personae, imagines, and memoranda must now be erased.23 Della Porta
says that if we wish to remember a new story or a new set of words, we can
assign the same set of personae, in the same sequence, the task of forging a
new sequence of images.To this aim, we must imagine the fixed sequence of
personae in their cubicles, with these “usual suspects” stripped naked or
merely covered in white sheets, all in identical upright posture, leaning with
their shoulders against the walls of their cells.24 In Della Porta’s system,
the sequence of personae set in neutral cubicles is a permanent pattern. He
compares the personae to the lines on a specially varnished sheet for musical
compositions; it is inscribed with permanent lines, but what is written onto
them can be washed off. Thus, just as the musical notes (or signs) are
impermanent and can be reinscribed onto that sheet in a new order, creating a
new melody, so the old imagines agentes may be erased, with the personae free
to assume the pose of new imagines agentes.25 It is not only the architectonic
structure that functions as locus; the personae (who are usually classified as
“images”) become an aspect or a part of “place.”26 The personae assume the
paradoxical role of living statues—and this oxymoron aptly circumscribes the
self-contradictory function of the memory images: in order to impersonate new
imagines agentes, they should be plasmatic, but at the same time their bodies
must remain precisely fixed in dress, comportment, gesture, and the
corresponding affects communicated by these visual traits. However, Della Porta
prescribes that even when the personae are imagined naked, leaning against the
wall—in order to prepare them for a new role in another story—they should not
be the neutral recipients of images. Rather, they must be imagined in a highly
individualized form. And their actions are not arbitrary: Della Porta
prescribes constructing these stock characters of the imagination in the most
fitting way with respect to “age, facial traits, occupation, and comportment
(mores).”27 The personae’s actions are predetermined by their sex, social
status, and concomitant habits. Moreover, these actions of the personae—who
become the permanent abodes of the variable imagines—have to be related to the
content of the word or the story to be remembered. Della Porta’s technique of
character development was an important and original modification of the
traditional system of loci and imagines.28 In this way, the formal structure of
the memory is brought into a strong— and reciprocal—relationship with the
content that is to be memorized. In a key example, Della Porta writes that the
entire story of Andromeda can be remembered by the image of a naked, shivering,
and wailing woman chained to a rock.29 The setup of highly individualized
loci/personae is vital for the intricate task of memorizing a sequence of
individual images. Since more than one image is required, the spatial
arrangement of the personae/imagines becomes very important. The Latin version
of The Art of Remembering supplies the following example: if the word to be
remembered is avis (bird) and the cubicle is inhabited by the persona of a boy,
then he should be Ganymede; if it is “cook” then he cooks the bird;30 if the
word is taurus (bull) and a robust boy inhabits the cubicle, then we should
imagine Hercules wrestling with Achelous;31 if we wish to remember horn
(cornus) and a virgin inhabits the cubicle, we visualize her covered in f
lowers and fruits, like a Naiad with a cornucopia in hand.32The Italian Arte
del ricordare gives different examples.33 If we suppose the word “bird” to be
the memorandum for a prostitute (meretrice), Della Porta suggests constructing
an image of Leda during sexual intercourse with Jupiter in the guise of a
swan.34 This direction is confirmed in many other examples: for instance, under
the memorandum “bull” in the locus/persona of a virgin, we might imagine the
rape of Europa.35 If the memorandum “bull” embodies the locus/persona of a
meretrice (prostitute), then we should forge an image of Pasiphaë having sexual
intercourse with the bull.36 There is no doubt that the imagery of the
vernacular Arte del ricordare is more graphic, more sexually explicit, and less
polished than the later Latin version. Yet all the versions recommend sexually
explicit, or at least erotically charged, imagines agentes. Another striking
feature of Della Porta’s examples is that all memoranda— the “bulls,” “horns”—
are words with sexual connotations. Of course, uccello “bird” in Italian
denotes the penis; thus, the sexual connotation is as present in the memorandum
as in the image. 37 This intimate thematic connection highlights the rule that
imago and memorandum must be as closely related as possible. These examples
reveal that Della Porta wishes his readers to entwine their individual memories
of (present or former) personal acquaintances with the stories of classical
mythology to construct imagines agentes; like interlacing arches, they support
the architecture of the memory palace. It seems that the thematic link between
imago agens and memorandum is rather uncommon in the art of memory. Usually the
imagines agentes are used as placeholders for any content; for example, one
could use the imagines agentes of naked women to remember any sort of text, not
only erotic topics. Della Porta’s thematic over-determination would seem to
imply that his true interest lay in the actual topics to which the imagines
agentes and their corresponding memoranda refer; namely, a discourse concerning
the human body, the porous boundaries between human beings and animals.
Inherent in these tales of sex with animals is the generation of
monstrous—marvelous—offspring.Panoptic visions and living statues From a
Foucaultian perspective, Della Porta’s vision of the defenseless personae in
their mental prison cells has a panoptic character (though the term here is
used, of course, anachronistically). Whereas gazing at naked or sparsely
dressed human bodies, even in the imagination, can be considered a form of
symbolic violence, it is a technique of visualization in which the different
qualities of men and women of various ages, sexes, and professions become—quite
brutally— reduced to their physical features, because they are bereft of their
clothing and the social insignia, which denote, circumscribe, and protect their
social status and their moral integrity. This practice of examining the
physical features of naked men and women is echoed in the art of physiognomy of
which Della Porta considered himself a master. In fact, in his lavishly
illustrated works on the topic we find many depictions of the naked bodies of
men and women, with textssupplying the reader with the character traits (mores)
ascribed to various medical complexions; that is, the constituent factors of
human bodies and their affinities within the animal world.38 Measuring and
classifying naked human bodies according to their occupational and concomitant
social status was a widespread artistic practice during the fifteenth and
sixteenth centuries following the techniques for painters described in Leon Battista
Alberti’s De pictura (On Painting, 1435). Della Porta very closely echoes and
even plagiarizes Alberti, adapting Alberti’s instructions for painters into his
art of memory. In order to create images that appear lifelike and therefore
suited for communicating human emotions, Alberti recommends that painters first
draw human figures naked and only subsequently dress them (“ma come a vestrie
l’uomo prima si disegna nudo poi il circondiamo i panni”). 39 In this context,
the parallels between Alberti’s and Della Porta’s ideas are obvious. In order
to create emotionally charged imagines agentes they must be as lifelike as
possible, which means—especially in the case of erotic imagines—that we undress
the personae. Yet, whereas Alberti had pointed to the appropriate decorum of
his images, Della Porta opts for larger-than-life-personae—for grotesque and
exaggerated representations.40 Another point of reference between the De
pictura and The Art of Remembering is that Alberti links his measurements of
human bodies to the proportions of buildings. In Alberti’s context, an implied
relation of architecture and body clearly results from the process of
constructing representations of irregular, organic forms in central
perspective. The architectural space must be circumscribed before inserting the
non-geometrical figures which are to “inhabit” that space. The parallel to
Della Porta’s The Art of Remembering is striking, since for him as well the
personae are an integral part of the loci they inhabit. Paradoxically, Della
Porta’s personae can be considered moving statues. On the one hand, they must
be imbued with as much life as possible; on the other hand, they must freeze in
one position, like a tableau vivant. But the idea that moving statues are
sexually arousing is much older than Della Porta; Andromeda (one of the key
examples in Della Porta’s The Art of Remembering) is described by Ovid as
sexually arousing to Perseus, her liberator, because her naked body resembles a
marble sculpture. “When Perseus saw [Andromeda], her arms chained to the hard
rock, he would have taken her for a marble statue (“marmoreum esset opus”), had
not the light breeze stirred her hair, and warm tears streamed from her eyes.
Without realizing it, he fell in love (“trahit inscius ignes”).”41 When viewed
from the perspective of contemporary theater, Ovid’s erotic statue of Andromeda
brings to mind the “living statue” of Hermione in Shakespeare’s Winter’s Tale
(V, 3) or Othello’s description of Desdemona’s body as “whiter skin
. . . than snow” and as “smooth monumental alabaster” (Othello V, 2,
4–5). On Shakespeare’s stage, this transformational power from living being to
statue (and back again, in the mode of comedy) is associated with male violence
against women caused by jealousy. Such marble statues may also play an
important role in imaginings of pregnant women. In a more general context,
tales of walking statues are associated with magical arts, as demonstrated in
Apuleius’Metamorphoses, a work closely associated with magic. Lucius, the protagonist
of this second-century Roman novel, describes his arrival in Corinth, the
capital of Greek witchcraft: There was nothing I looked at in the city that
didn’t believe to be other than it was: I imagined that everything everywhere
had been changed by some infernal spell into a different shape – I thought that
the very stones I stumbled against must be petrified human beings,
. . . and I thought the fountains were liquefied human bodies. I
expected statues and pictures to start walking, walls to speak, oxen and other
cattle to utter prophecies, . . .42 A magician’s power thus is
akin to what a master of memory does: turning one thing into another. This
topic is intimately linked to Della Porta’s other interests in the arts of
cross-breeding, of physiognomy, and of natural magic. Yet the relationship
between Della Porta’s imagines agentes and contemporary painting becomes even
more striking upon a closer examination of the individual imagines agentes ref
lected in contemporary media.Ovid’s Metamorphoses as represented by Titian’s
paintings Virtually all the examples in Della Porta’s The Art of Remembering
refer to the thicket of myths recorded in Ovid’s Metamorphoses. This is no
wonder; as the most inf luential “pagan” text of the Middle Ages and beyond, the
Metamorphoses43 constitute a substantial encyclopedia of the transformations of
the bodies of gods and human beings—transformations caused mostly by violent
sexual acts of transgression on the part of gods, heroes, or powerful men upon
their helpless victims. Ovid’s text is thus a rich source for the primary task
of Della Porta’s art of memory: not only to associate but to exchange one image
for another. Moreover, Andromeda, Leda, Ganymede, Io, and Actaeon, to mention
but a few of the imagines mentioned in the Ars reminiscendi, were highly
popular subjects for contemporary artistic representation. It is thus no wonder
that Della Porta explicitly refers to the paintings of Michelangelo, Rafael,
and Titian in his writings.44 In the mode of synecdoche, these imagines agentes
serve as abbreviations for entire stories that are reduced to one single imago
agens, just as Della Porta had postulated in the case of Andromeda.
Accordingly, Titian’s most famous works supply the reader with instructive
illustrations for Della Porta’s The Art of Remembering. His key example,
Andromeda (in Perseus and Andromeda 1554–56), is represented by Titian with a
body as white as a marble statue, chained to her rock, with a vivid facial
expression, her arms depicted in an unusual, expressive pattern of movement.
The same applies to Europa (in Rape of Europa 1559–65), with the major
difference that she is not shown in an upright position like Andromeda, but
instead reclining against the back of the bull/Zeus; both female figures are naked,
their sexual organs barely covered by a piece of white transparent garment. In
all likelihood, this is whatDella Porta imagined as the lenzuola with which the
bodies of his personae should be covered in their ground positions. Of course,
Titian created many striking erotic female figures. One thinks of his many
Venuses, but also his renderings of a seductive St. Mary Magdalen (1530–35) or
St. Margaret (ca. 1565), paintings also remarkable for the impressive movements
of their subjects’ arms as well as gesture, (lack of ) apparel, and extravagant
demeanor. The myth of Actaeon is the subject of two of Titian’s most impressive
paintings: the Death of Actaeon (1559) and The Fate of Actaeon (1559–75). In
the latter painting, the hunter’s head is already transformed into the form of
a horned stag. With the exception of Leda and the Swan (by Michelangelo),
nearly all the mythological subjects mentioned in Della Porta’s treatise are
represented in Titian’s most famous works. We thus do not lack examples of contemporary
paintings illustrating the imagines agentes in Della Porta’s The Art of
Remembering. Yet there is one notable exception: the story of Pasiphaë (on whom
see below). Like the imagines agentes in The Art of Remembering, Titian’s
figures seem to be frozen in their movements, despite their vividness. An
entire story is reduced to one spectacular moment—a snapshot (to use an
anachronistic term). This reduction is not merely a convenient tool for
remembering a myth in a wink of time. It also constitutes an intervention
eclipsing all other aspects of the story that are not represented in the one
imago agens. Titian’s paintings, like Della Porta’s imagines, are evocations of
a story in the mode of synecdoche. Alive and dead at the same time, they are
fetishistic representations catering to a male gaze, for a specific set of
sexual fantasies. Moreover, the fragmentation implicit in this process also
allows for a reduction of different myths to a limited set of structural
elements or topics which all point to one and the same topic. This is exactly
what Della Porta does in the examples given in The Art of Remembering; he
evokes one and the same topic (for instance, a bull) in various loci/personae
and the concomitant imagines agentes they enact. Moreover, all the different
topics he uses as examples for memoranda (bull, horn, bird) may be subsumed
under one single general topic: sex between human beings and animals.Pasiphaë
As I shall argue in what follows, the myth of Pasiphaë fulfills a paradigmatic
function for Della Porta’s memory technique, since it corresponds so precisely
with his preferred focus in natural magic, the mating of different species and
the creation of marvelous monsters. The myth is well known. Pasiphaë falls in
love with a bull, has intercourse with the animal, and conceives the Minotaur.
The sexual act leading to this monstrous birth is made possible through the
cunning intercession of Daedalus. This archetypal male master-engineer from
classical antiquity constructs a cow-shaped wooden frame in which Pasiphaë
could hide while being penetrated by the bull.45 The remarkably imaginative and
colorful myth of Pasiphaë thus conjoins illicit sex, the art of the engineer,
and the tale of a monstrous offspring.Pasiphaë is a woman in love with an animal.
She has sexual intercourse with a real bull, with her desire thus inclined
toward the animal world. Ergo, she impersonates a highly negative image of
women in the patriarchal societies through which the myth has travelled. This
gender bias is highlighted when we compare Pasiphaë to the rape of Europa.46
Both Pasiphaë and Europa are situated in a liminal territory of intersection
between the animal, human, and divine— between bodies, souls, and noumenal
entities. Indeed, Europa is an inversion of Pasiphaë’s story. Zeus here figures
as a male lover and a god disguised as a bull who has sexual intercourse with
the maid Europa. Her fate is oriented towards the stars. To have sex with a god
in animal guise is a ticket to immortality. To have sex as a woman with a real
animal leads to ostracism and to the birth of monsters. Thus, it is no wonder
that there are copious visualizations in fine art of the myth of Europa, but
virtually none of Pasiphaë. From the perspective of the art of memory, we may
say that Pasiphae and Europa, as imagines agentes, are inversions of each
other. The mode of synecdoche, whereby an imago agens embodies the stories of
Europa and Pasiphaë, invites a synoptic perspective on both myths, connecting
as intersecting arches in the image of a woman having sex with a bull. But this
contradicts the specific image of Pasiphaë observed in the myth, where the
woman engaged in sexual intercourse with the animal was a (real) bull covering
a (dummy) cow. Pasiphaë in fact disguises herself in what one could call a
statue of a cow-like imago in the art of memory, thus transforming the dummy
cow into a caricature of a “living statue.”47 Yet this image, on face value,
shows an act that can be observed frequently. The myth’s image of a cow and a
bull mating (again, on face value) cannot qualify as an imago agens, nor is it
clear why it should be used in Della Porta’s The Art of Remembering in the
locus of the meretrice. This does not mean the wooden cow is irrelevant to the
phantasmatic transactions that characterize the basic method of the art of
memory, namely to exchange one image for another. For the myth of Pasiphaë
points in an oblique way to Daedalus’s sublime craftsmanship, his ability to
fabricate a wooden image which deceives a bull. Despite the fact that Pasiphaë
is a witch (Circe’s sister), she seemingly has not been able to concoct a
magical love potion that would sexually attract the bull. In order to fulfill
her desire, she needs the help of a male master engineer. In Greek
philosophical terminology, this ability to produce potentially eternally
lasting objects (like tables) is called “poetic.” Daedalus is thus pursuing an
activity that he shares with the poets. Indeed Daedalus’ prop is a powerfully
poetic cow, and the image he created has the power to evoke a series of
(brutally violent) images which are not the image: they are quite literally
“in” the image. The dummy cow (with its dark inside where the male imagination
can pursue its most graphic phantasies of penetration) is a model for the associative
processes at work in the art of memory—but it is in itself not an imago agens.
In marked contrast to Ovid’s version of the story, where Pasiphaë is disguised
in a dummy cow, Della Porta apparently wishes his readersto create an imago
agens in which a prostitute has sexual intercourse with a bull without recourse
to Deadalus’ prop. Pasiphaë’s myth points to the idea that the birth of
monsters, in this case the Minotaur, requires the intervention of a male
mastermind, who not only helps to beget the deviant creature, but also provides
the means to contain the dangers arising from it, for it is Daedalus who
constructs the famous maze in which Pasiphaë’s child is imprisoned.48 This
image of Deadalus as creator and container of monsters or marvels epitomizes
the role Della Porta wished to assign to himself as a cunning magus.49 Here, at
the crossroads between mechanical device and intervention into the organic
body, Della Porta’s particular form of late Renaissance natural magic,
physiognomy, and the theater unfolds. Actually, the imago agens of a woman
having sex with a bull has an interesting relationship to Della Porta’s Magia
naturalis. Here we learn of Della Porta’s keen interest in practices of
cross-breeding between human beings and animals. To bolster his claims, he
cites the usual suspects for such stories: Pliny, Herodotus, Strabo and their
tales of women who were raped by billy goats, producing monstrous offspring.50
This leads him to believe that “some of the Indians have usual company with bruit
beasts; and that which is so generated, is half a beast, and half a man”
(Magick 2, 12, 43). Della Porta also contends that it would be possible for a
man to inseminate a fowl under the right astrological constellation and the
right medical complexion.51 In order to create a human/animal monster, Della
Porta does not resort to the kind of contraption Deadalus constructed for
Pasiphaë, but relies instead on his expertise in measuring, not the proportions
of the head as did Alberti, but rather the lengths and depths of male and
female sexual organs, the course of the stars, and the assessment of the
medical complexions inscribed in the physical traits of human beings and
celestial bodies alike. These parameters—basically a doctrine of signatures—are
also the most decisive indicators in Della Porta’s texts on physiognomonics,
where he postulates the close resemblance of human beings to certain animals,
with attendant implications for the human character.52Apuleius’ Metamorphoses
This impression is confirmed by looking at another imago agens where a woman
has sex with an animal. In both the Italian and Latin versions of The Art of
Remembering, Della Porta claims that we remember the woman having intercourse
with the ass from Apuleius’ Metamorphoses better than we do the heroism of a
Muzius Scevola.53 Apuleius’ Metamorphoses, the second-century novel better
known as The Golden Ass, is an interesting source for The Art of Remembering,
because Apuleius describes the sexual act between an ass (not a bull) and a woman
in great detail.54 Lucius, the protagonist of The Golden Ass, is a young man
obsessed by witchcraft who is transformed into an ass after he applied the
magical unguent concocted by Pamphile, a powerful Thessalian witch. In the
shape of an ass—although never losing consciousness that he is a man—Lucius
livesDella Porta’s erotomanic art of recollectionthrough a veritable odyssey
during which he is beaten and mistreated. When one of his many keepers
discovers that this ass is particularly clever, he makes Lucius the object of
special exhibitions and a rich woman falls in love with the ass and hires it.
In contrast to Pasiphaë, this woman has sex with the animal without any
recourse to a prop. Both Lucius and the woman seem to enjoy the act, in spite
of his asinine and—hence proverbially large—sexual organ. This changes as soon
as Lucius has to perform the act again, this time as a cruel public
entertainment in an amphitheater, where a female convict, before being devoured
by wild beasts, is sentenced to have intercourse with the ass. Lucius deeply
resents this act and manages to escape.55 It is interesting to note that
Apuleius explicitly links his salacious story of the wealthy woman who has sex
with the ass to the myth Pasiphaë, given he calls the woman asinaria Pasiphaë
(an ass-like Pasiphaë).56 The story is thus marked as a parody of the myth of
Pasiphaë in the form of a blunt satire on late Roman mores. Upon closer
scrutiny, this story of the noblewoman and the ass is—again structured by a set
of inversions, an oblique evocation of the myths of the rape of Europa as well
as of Pasiphaë. In Apuleius it is a man, Lucius, who has been turned into the
shape of an ass—neither a god ( Jupiter) who willfully changes his shape into a
bull (as in the Europa myth), nor a witch (Pasiphae) who desires a real bull
and who needs the help of a male engineer to fulfill her desire. Instead,
Lucius is a man who has been changed into an animal, not by a Pasiphaë (who was
incapable of doing that job for herself ) but by another relative or follower
of Circe—Pamphile. The sexualized content with a specific violence towards
female bodies is deeply inscribed into the story of Apuleius and, consequently,
in the imago agens prescribed in Della Porta’s The Art of Remembering, which again
condenses the stories of Pasiphaë (the prostitute has sex with a bull) and the
story of the sodomite noblewoman in Apuleius, as well as including the plan to
showcase the act with female convict. The extremity of this imago agens is
enhanced by the fact that such acts of bestiality were a capital crime in Della
Porta’s time, primarily because they were believed to engender monstrous
offspring, to humanize the animal world, and simultaneously to animalize the
human perpetrators.57Io: more cows Another myth Della Porta mentions in his The
Art of Remembering —this time, as an imago agens for remembering the word
“horns”—is the story of Io.58 Her story is most pertinent because it concerns a
beautiful Naiad who is raped by Jupiter and subsequently transformed into what
Ovid describes as an extremely beautiful cow. In this shape, Jupiter wishes to
protect the girl he has violated from the wrath of his ever-jealous wife.
Unexpectedly, however, Juno likes the animal and receives it as Jupiter’s gift.
Suspecting some ruse from her husband, she proceeds to have the animal
protected by Argos, the moment in the story Della Porta employs as imago agens.
According to Ovid, Io did not lose consciousness of herreal identity but,
rather, terrified by her transformation, she seeks the company of her (human)
family. Io’s father suspects that the tame, suspiciously human cow is his
daughter. He exclaims in desperation that he had been “preparing and arranging
a marriage (thalamos taedasque praeparam I, v 558), hoping for a son-in-law
. . . now you must have a bull from the herd for husband, and your
children will be cattle (de grege nunc tibi vir, nunc de grege natus habendus.
v.660).” Eventually, Juno discovers Io’s true identity, her wrath subsides, and
Io is fully restored to her former human shape. Similar to Apuleius’ story of
Lucius in his Metamorphoses, Ovid describes Io’s transformations from human
being into cow and back again in great detail.59 Io’s story is constructed as a
set of inversions of the story of Europa. Jupiter approaches Io in the form of
a human being (not as a handsome bull) and he transforms not his own body but
that of the maid into the shape of a beautiful cow, a body in which the
sexually abused girl is deeply unhappy. However, the affinities between Lucius
and Io are even more striking; their stories appear as mirrored inversions
along the gender divide. Both their bodies are transformed into the shapes of
animals (a cow viz. an ass), both are beautiful and attractive in that guise (
Juno unexpectedly takes a liking to the cow, the noblewoman has sex with
Lucius), neither of them lose consciousness of their human nature and suffer in
their shape as animals (but Io seeks the company of her father, whereas Lucius
wants his girlfriend back), both are subsequently transformed into human shape
again, and both were originally transformed in order to escape imminent
persecution. (Io is turned into a cow by Jupiter in order to protect her from
Juno’s wrath, Lucius is mistakenly transformed into an ass in order to escape
from the law.) The specific aspect making the stories of Europa, Io, Pasiphaë,
and Lucius so significant for Della Porta’s The Art of Remembering is the
constant interplay of various but related inversions of plots. Indeed, this
method is intrinsic to the modes of transformation prescribed by this
particular art.60 Interchangeability arises from the set of oblique
inter-textual references and inversions of plots, as amalgamated in a given
imago agens.61 In the mode of synecdoche, an imago agens is designed to
represent an entire story in one image. This is a constitutive strategy of
Della Porta’s mnemotechnique, which aims at the thematic interconnecting of
persona/locus, imago agens, and memorandum. For example, a prostitute Della
Porta has slept with (persona/locus) in turn embodies Leda having sex with
Jupiter (imago agens) in order to remember the word bird (memorandum). Della
Porta’s personal (phallic) imagination thus becomes entwined with classical
myth. Within the positional logic of loci/personae in Della Porta’s The Art of
Remembering, therefore, Leda, Io, Europa, Pasiphaë, the Roman noblewoman, and
the female convict all become different imagines agentes into which one and the
same memorandum may be inscribed. Thus, the porous boundaries between human
beings and animals integral to Della Porta’s imagines agentes not only indicate
his personal taste for a bizarre and grotesque imaginary and his studiesin
physiognomy; they embody the basic principles of the Renaissance natural magic
tradition of which Della Porta was a late (yet inf luential) exponent. It
allows for a “syn-opsis,” a viewing together of very different stories that
bolsters one of the foundational tenets of Renaissance natural magic: the
universal drive for wholeness permeating the entire enlivened and sexualized
cosmos, where the male and female aspects strive to unite. By dint of his
profound knowledge of the occult sympathies and antipathies between things, the
natural magus has the power to tap and organize these cosmic erotic forces so
that he may produce his marvels.62 Within this Renaissance tradition, the human
imagination has not only a specific capacity of the soul for evoking and then
transforming images that originate from sensory perception. The human
imagination also had the power to shape the body it inhabited, as well as other
bodies.The formative power of maternal longings Renaissance natural magic
coopted an ancient belief in order to exemplify the extraordinary formative
powers of the human imagination. If a woman was exposed to a strong sensation
or harbored an intense longing during intercourse or pregnancy, this state was
thought to inf luence the formation of the embryo in her womb. Renaissance magi
thus believed that the image of its mother’s obsession was impressed on the
fetus and the future child would physically resemble the entity she had longed
for during intercourse. Della Porta makes direct reference to such ideas and
related practices. Initially, it appears that he is simply repeating the highly
popular theories on maternal longings encountered in authors as diverse as
Ficino and Castiglione.63 In the circular reasoning characteristic of natural
magic, this set of beliefs about the imagination also opened implications for
purposefully shaping future children, by positively conditioning the
imagination of the mother. A frequently repeated segreto for creating beautiful
children recommends exposing women during intercourse and pregnancy to
paintings or sculptures of beautiful children, inf luencing the future child’s
shape via beautiful imaginamenta.64 Della Porta refers directly to this
bedchamber practice: place in the bed-chambers of great men, the images of
Cupid, Adonis, and Ganymedes; or else [. . .] set them there in
carved and graven works in some solid matter, [. . .] whereby it may
come to passe, that whensoever their wives lie with them, still they may think
upon those pictures, and have their imagination strongly and earnestly bent
thereupon: and not only while they are in the act, but after they have
conceived and quickened also: so shall the child when it is born, imitate and
expresse in the same form which his mother conceived in her mind, when she
conceived him, and bare in her mind, which she bare him in her wombe.65 It is
fascinating that Della Porta’s two discourses on memory and on what one could
call family planning are also interconnected through his choice of
visualexamples, of imagines agentes. As in The Art of Remembering, we again
encounter the images of Adonis and Ganymede and of Cupid. Significantly, in
contrast to Della Porta’s The Art of Remembering, where predominately female
personae cater to male sexual fantasies, all of the images that Magia naturalis
prescribes for pregnant women are of beautiful boys. Della Porta’s ideas on the
power of maternal longings entail a creative female capacity to produce such
images in the shape of children; her imagination is engaged with the future. A
master of the art of memory, on the other hand, is engaged in recollecting the
past. Hence, the process in the pregnant woman’s imagination constitutes an
inversion of the process prescribed in Della Porta’s The Art of Remembering:
the woman’s imagination allows a marble statue to come alive, whereas the
(male) master of the art of memory seeks to freeze the image of a living person
(preferably a sexualized woman) into an imago agens—that is, he turns the
figment to stone, symbolically killing the persona just when it appears to be
most alive. This excursion into beliefs about the effects of maternal longings
allows us to re-contextualize the mental process structuring Della Porta’s The
Art of Remembering. The imagination is a faculty of the human soul capable of
producing loci and imagines agentes, to be frozen into statues, into tableaux
vivants. The story of the maternal longings confirms Della Porta’s creed that
the human imagination can also materialize its products; in both cases, the
image may be unfrozen and directed back to its starting position to assume a
new pose. The master of Della Porta’s art of memory thus arrogates for himself
a phantasmatic power over life and death, inherently a much greater power that
the pro-creative capacity he has ascribed to women. The asymmetric gender bias
that emerges in this account is instructive. As in the story of Daedalus and
Pasiphaë, the art of memory also refers to the preeminent ability of the male
magus to create monsters through artificial cross-breeding, whereas the
imagination of a pregnant woman requires male protection and guidance to its
power to shape future children.Conclusion The evidence for my claim that
Porta’s choice of memory images in his The Art of Remembering is not arbitrary,
but instead it is closely related to the overreaching project he pursued as
author of texts on (and a practitioner of ) natural magic, physiognomy, and the
theater. A set of classical myths—Andromeda, Europa, Io, Pasiphaë, and
Aktaion—handed down by Ovid, parodied by Apuleius, and painted by Titian, was
put to a specific use in Della Porta’s The Art of Remembering. In the mode of
synecdoche, he instructs the reader on how to reduce an entire story to a
single imago agens (for instance, the image of naked Andromeda chained to her
rock). The imago agens thus functions as a synopsis of the entire myth. This
oscillation between the modes of synopsis and of synecdoche—entailing a
constant process of re-focalization—in effect constitutes the basic cognitive
operation in Della Porta’s The Art of Remembering. Since it reduces a whole
welter of ancientmyths to one common narrative, the mode of synecdoche
facilitates the perception of thematic or structural affinities between
different myths. Accordingly, a series of imagines agentes referring to very
heterogeneous stories allows a leveling in our perception of these different
narratives and their content. The mode of synecdoche is conducive to
focalization on a single topic via myriad topical affinities (which become
highlighted in the mode of synopsis). In Della Porta’s mnemotechnique, this
re-focalization of a series of stories may transpire not only through a
heightening affinity, but also in the mode of inversion (for instance, in the
myths of Europa and Pasiphaë). In The Art of Remembering, this results in the
reduction of the stories of Io, Pasiphaë, and Europa (as well as Apuleius’
asinaria Pasiphaë ) to the topic of women having sex with animals and
generating monstrous offspring (bulls, cows, asses). This topical affinity is
also pertinent to the relationship between of sexualized imagines agentes and
memoranda (bulls, horns, birds). The imagines agentes operate within the
imagination of the master of the art of memory. This particular mental faculty
not only receives such images; it also has the capacity to transform them into
new images—images which in turn have the power for transforming the human body.
Not only does Della Porta’s laboratory of monstrous hybridization constitute a
hotbed for the literary imaginary, but the literary image also models the
reader’s imagination, and once the imagination is infected by an image, these
images may acquire a life of their own. This reasoning has its ultimate proof
in the belief that a pregnant woman’s fantasies inf luence the form of the
future child. At the thematic intersections of literature, visual art,
physiognomonics, natural magic, the core topic—sex with animals and the
generation of monstrous offspring—becomes embedded (in the literal sense of the
word) with personal erotic experiences. The women who have intercourse with
animals are impersonated by the women with whom Della Porta has had—or wished
to have—intercourse. As mnemonic personae/loci and hence as slaves of his
erotic fantasy, they are forced to embody any role assigned to them by their
master. Della Porta is thus obliquely portraying himself in the process of
recollecting his own memories—living statues of women who have sex with animals
who may be seen as surrogates for him. In a series of constant mise en abimes
mirroring a phallic erotic imagination, Della Porta points his readers (and
himself ) towards the center of a truly mannerist Minotaur’s abode.Notes I wish
to thank Marlen Bidwell-Steiner for many invaluable discussions and comments. 1
On the art of memory, see Yates, The Art of Memory; Bolzoni, The Gallery of
Memory; Carruthers, The Book of Memory. 2 The Latin Ars reminiscendi was
published 1602. L’arte del ricordare was purported to be the Italian
translation by a Dorandino Falcone da Gioia, but this was in all probability a
pseudonym for the author himself. Both texts are edited in Della Porta, Ars Reminiscendi:
L’arte di ricordare. For the first English translation of the Italian version
and a well-informed introduction to the text in English, see Della Porta, The
Art of Remembering/L’arte del ricordare. On the differences between the Italian
and the Latin versions, see in that edition2423 4 5 6 7 8 9 10 1112 13 14 15 16
17 18 1920 21 22 2324 25 26 27 28 29Baum, “Writing Classical Authority”; also
Bolzoni, “Retorica, teatro, iconologia, 340, with footnote 5; Maggi,
“Introduction,” in Della Porta, The Art of Remembering/L’arte del ricordare,
29–30; Balbiani on the fortuna of Della Porta’s Magia naturalis in La Magia
naturalis. Bolzoni, The Gallery of Memory, 175. Valente, “Della Porta e
l’inquisizione.” On which see Kodera “Giambattista della Porta,” in Stanford
Encyclopedia of Philosophy. For a succinct and highly influential discussion of
the medieval technique of the art, see Rhetorica ad Herennium, ed. and trans.
Nüsslein, 164–80 (bk III, §§ 28–40, XVI–XXIV); Yates, The Art of Memory,
63–113. On the medieval use of memory images, Carruthers, The Book of Memory,
59, writes: “Most importantly, it is ‘affective’ in nature, that is, it is
sensorily derived and emotionally charged.” See also ibid., 109, 134, and 137.
Bolzoni, The Gallery of Memory, 130–31. Della Porta, Ars Reminiscendi, 75. See
for instance Dolce, Dialogo del modo, 26–32. As Bolzoni, The Gallery of Memory,
p. 137 (with footnote 12) has pointed out, it is interesting to note that the
Ars reminscendi explicitly warns against the use of medicines or drugs for
enhancing the capacitances of memory, whereas in Della Porta had presented such
recipes in his Magia naturalis. Della Porta, Ars Reminiscendi, 68. On the
notion of phantasmata in Della Porta, see Kodera, “Giovan Battista della
Porta’s Imagination.” Della Porta, Ars Reminiscendi, 70. See Dolce, Dialogo del
modo, 92 and the attendant notes directing the reader to medieval sources of
this method. Della Porta, Ars Reminiscendi, 70. Dolce, Dialogo del modo, 33–34,
for example, does not try to assimilate the personae to the loci, but instead
distinguishes between them. Della Porta, Ars Reminiscendi, 17. It is
interesting to note that Della Porta does not seem to be picky about
terminology, as for him very different notions—similitudo, idea, forma,
simulacrum are synonyms with imago. Ibid., 79. Galileo loved exactly such
character traits in Ariosto’s heroes; cf. Bolzoni, The Gallery of Memory, 211.
Della Porta, Ars Reminiscendi, 17–18. Bolzoni, The Gallery of Memory, 167 has
pointed to the fact that Della Porta is here quoting almost verbatim from Leon
Battista Alberti’s, De pictura, 2. 40, arguing that “the theatrical tradition
becomes a point of reference to the painter who has to paint an istoria.” For a
discussion of the number of loci from a different contemporary perspective see
Dolce, Dialogo del modo, 39–43 with many references to earlier sources.
Bolzoni, The Gallery of Memory, 162–63; Dolce, Dialogo del modo, 145, footnote
345 with much scholarly literature on the connections between the art of memory
and theater. Kodera, “Bestiality and Gluttony.” Clubb, “Theatregrams,” has
called these variable parts theatergrams. One possibility is to generate a
locus which is then invariably used, because it is recharged with new imagines
that have the capacity to store a new set of memoranda. Yet if this process of
re-inscription of the extant structure proves impossible, one must destroy the
entire setup. In order to do this, many masters of memory suggested methods
that were outright iconoclastic; cf. Bolzoni, The Gallery of Memory, 142–44.
Della Porta, Ars Reminiscendi, 18. Ibid. Carruthers, The Book of Memory, 131 on
the pictorial turn of medieval art of memory. Della Porta, Ars Reminiscendi,
76. Ibid. Ibid., 17–18.30 This otherwise puzzling imago seems to be a remnant
from a manuscript version of the Arte del ricordare, which refers as examples
for imagines agentes to one of Boccaccio’s Novellae, on Chichibio, of the
Decameron VI, 4 (Della Porta, Ars Reminiscendi, 77); in that version Della
Porta also mentions two more highly salacious stories from the Decameron (III,
10 and VIII, 7); see Della Porta, Ars Reminiscendi, 79 and 95; see also Baum,
“Writing Classical Authority,” 159. 31 The hero Hercules and the river god
Achelous were fighting over Deianeira, the daughter of Dionysius. During the
battle between the two rivals, the bull-headed river god turned first into a
snake and then into a bull, whose right horn is broken by Hercules; according
to one version, Hercules took that horn down to Tartarus where it was filled by
the Hesperides with golden fruit and is now called Bona Dea (cornucopia).
Graves, The Greek Myths, 553–54; Ovid, Metamorphoses, bk. IX, vv. 1–92. Observe
that the cornucopia appears in the next imago agens. 32 Della Porta, Ars Reminiscendi,
18. 33 This increasing prurience is a general tendency in Della Porta’s works
and is probably due to the increasingly intolerant intellectual climate
characterizing the last decades of the sixteenth century; on this see Kodera,
“Bestiality and Gluttony,” 86–87 with references. 34 Della Porta, Ars
Reminiscendi, 77. 35 Della Porta here had openly referred to the myth, whereas
in the Ars reminiscendi he only alluded to it—namely, by describing the
iconography of one of Titian’s most famous paintings (the persona of a virgin
sitting and playing on a bull and holding a crown over the animal’s head). 36
In the Latin version the prostitute was substituted with the lover of one’s
wife. In the Latin version, ibid., 22, Leda is completely omitted. 37 The word
ucello (bird) denotes penis, with birds commonly looming large in all kinds of
erotic metaphors; on the semantics of ucellare (the word denoting prostitution,
ridicule, and penis) see Alberti, “Giove ucellato,” 59–64; for similar contexts
in Della Porta’s theater, see Kodera, “Humans as Animals,” 108–09. 38 Compare
Schiesari, Beasts and Beauties, 61–64 for perceptive remarks on the gender bias
of Della Porta’s Physiognomy. 39 Alberti, Della pittura, 122–24 (bk 2, §36) For
a discussion of the relevant passages, see for instance Heffernan, Cultivating
Picturacy, 71–73. 40 Bolzoni, The Gallery of Memory, 167. 41 Ovid,
Metamorphoses IV, vv 671–675; 112. 42 Apuleius, Metamorphoses: The Golden Ass,
Book ii, § 1, 22. 43 See Innes, “Introduction,” 19–24. 44 So does Dolce,
Dialogo del modo, 146-47, mentioning Titian’s Europa and Akataion. 45 Ovid, Ars
amatoria libri tres, 26–28, bk. I, v. 289–326, Ovid., Metamorphoses, bk. VIII,
v. 134–36; Graves, The Greek Myths, 293–94. 46 On Europa, see ibid., 194–97. 47
A caricature of the animation of statues by Egyptian magi, as described by
Hermes in the Corpus Hermeticum, an account which it is well known, and haunted
many renaissance minds; for a commented edition, Copenhaver, Hermetica. 48 A
labyrinth, i.e., an architectural structure designed expressly to get lost in,
as opposed to orderly architectural structures—and also the inversion of the
clearly represented structure of loci in the art of memory. 49 See Kodera,
Disreputable Bodies, 275–93 and Della Porta, De i miracoli, 23–25, bk I, ch. 9.
50 Della Porta, Natural magick, 43, bk 2, ch. 12. 51 Kodera, “Humans as
Animals,” 109–15; Della Porta, Magia naturalis libri XX, 76, bk II, ch. 12.
This passage is an elaboration of Aristotle on crossbreeding, from De
generatione animalium 4.3, 769b. In this case Della Porta’s credulity is
greater than that of many of his educated contemporaries, who were usually more
skeptical about the possibility of producing offspring through sex between
humans and animals. For a very interesting24452 53 54 55 56 57 58 59 60 61 6263
64 65Sergius Koderacontemporary discussion of the topic, which clearly
accentuates the ways in which Della Porta is bending his evidence, see Varchi,
“Della generazione dei Mostri,” 99–106. On this see MacDonald, “Humanistic
Self-Representation,” Kodera, Disreputable Bodies, and Schiesari, Beasts and
Beauties. Della Porta, Ars Reminiscendi, 78–79. Cf. Apuleius, Metamorphoses
lib. X, §§ 19–22. For a succinct introduction to that text, and relevant
secondary literature, see Kenney in Apuleius, Metamorphoses, ix–xli. Ibid.,
84–186; 190–94, bk 10, § 19–23; § 29–35. Apuleius, Metamorphoseon, bk. 10, §
19, l. 3. See Liliequist, “Peasants against Nature,” 408. On the increasing
belief in the real existence of such hybrid animals in the later Middle Ages,
see Salisbury, The Beast Within, 139 and 147. Ovid, Metamorphoses, bk I, vv.
588–662 and 724–45, Graves, The Greek Myths, 190–92. Just see the example of
the re-transformation: Ovid, Metamorphoses, bk I, vv 737–46, trans. Mary M. Innes,
48. For Lucius’ transformations into an ass and back again, see Apuleius,
Metamorphoses, 52, bk 3, § 25 and ibid., 202–03, bk 11, § 13–14. In that vein
of thought, many more things could be said also on the story of Hercules and
the bull-headed river god Achelous (on whom, see above, endnote 31). The Arte
del ricordare mentions not only association from the same (dal simile, Della
Porta, Ars Reminiscendi, 80 and 81) but also aggiungere, mancare, trasportare,
mutare, partire (ibid., 85) and trasponimento dal contrario (ibid., 95).
Kodera, “Giambattista della Porta,” 8–9 for a short introduction to the idea
that all things in the universal hierarchy of being are moved by the
(irrational) forces of attraction and repulsion they feel for one another. Porta
provides an impressive description of the macrocosmic animal, the male and
female aspects of which mingle in a harmonious and well-coordinated way; cf.
Della Porta, Magia naturalis, bk. 1, ch. 9. Della Porta, Natural magick, 51:
“Many children have hare-lips; and all because their mothers being with child,
did look upon a hare.” For an earlier source see Ficino, De amore, 252. For an
introduction to the history of these seemingly widespread practices and the
related artwork during the Renaissance, see Jacqueline Musacchio, The Art and
Ritual of Childbirth, 128–39. Della Porta, Natural magick, 53.Bibliography
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London: Penguin, 1969.13 “O MIE ARTI FALLACI” Tasso’s saintly women in the
Liberata and Conquistata Jane TylusThe second half of Torquato Tasso’s
tormented life was taken up by his epic poem Gerusalemme liberata and the
painstaking revisions he made to it following its unauthorized publication in
1581. Posterity has canonized the 1581 poem rather than its more sprawling
successor, Gerusalemme conquistata, which Tasso proudly dedicated to Pope
Clement VIII’s nephew when he published it in 1593. Posterity notwithstanding,
Tasso claimed that his “poema riformato” was far superior to the earlier work
largely because of “the much more certain knowledge I now have of myself as
well as of my writings” (“la certa cognizione ch’io ho di me stesso e de le mie
cose”).1 One result of this new certainty seems to have been if not the
eradication of the Liberata’s female characters, at least the curtailing of
their inf luence.2 The enchantress Armida virtually disappears after Canto 13,
lamenting her failures to keep the Christian army’s strongest knight with her
forever, and no longer converting to Christianity as in the surprising end of
the Liberata. The princess of Antioch, Erminia, is denied her remarkable role
in the Liberata as the discoverer and healer of the Christian knight Tancredi’s
wounded body and the revealer of a secret plot against his captain, Goffredo.
Two extraordinary Christian women are completely excised from the Conquistata:
Gildippe, who dies fighting by her husband’s side in the Liberata’s twentieth
canto, and Sofronia, who offered her life to save the Christian refugee
community in a captive Jerusalem, and who, in turn, is saved by the Muslims’
most celebrated woman warrior, Clorinda. Only Clorinda’s tale is relatively
untouched—with the exception of her rescue of Sofronia. Both the Liberata and
the Conquistata tell of her strident independence and her baptism into her
mother’s Christian faith as she lies dying by the hand of Tancredi, who has
killed what he loved. This essay will not so much catalogue the Conquistata’s
many revisions as attempt to gauge the changing role of the female body in
Tasso’s epic practiceTylusand its relationship to Tasso’s growing ambivalence
about the status of the “arti fallaci” in his poetry—a phrase, as we will see,
that is uttered by the much altered character of Erminia toward the end of the
Conquistata. And even if Clorinda and Armida continue to stand out in their
memorable particularity in the Conquistata, they are joined by a new host of
women who exist largely to create a “dynamic that is reassuringly familial,” as
Claudio Gigante has observed, and who no longer possess the self-conscious
artfulness that characterized female characters in the Liberata.3 The contrast
allows us to see how potentially radical the Tasso of the Liberata was and at
the same time how his transformations of women in the Conquistata are tied to
his reconceptualization of himself as an epic poet.4 I will elaborate some of
these arguments by turning to developments that led to the Conquistata,
necessarily addressing selective incidents within both poems in order to depict
the nature of Tasso’s poetic transformation. One episode in particular offers
itself up for special consideration. It concerns a female figure in the
Liberata who has not attracted much attention, and who, as mentioned above, is
nowhere to be found in the revised poem: Sofronia.5 Willing to die in exchange
for the salvation of her fellow Christians, she is rescued and subsequently
exiled from Jerusalem. The contrast between this stirring episode in the
Liberata and its muted aftermath in the Conquistata could not be greater, as the
following pages will show. At the same time, they attest to what might be
called Tasso’s desire for the organicity of his revised epic, a poem in which
individual characters would be immune from the criticism launched against
Sofronia herself. For according to the Gerusalemme’s first readers, the episode
that centered on her in Canto 2 was “poco connesso” to the Liberata as a
whole.6 This lack of continuity, in turn, has a stylistic echo in the infamous
critique of Tasso’s language as “parlar disgiunto” or disjointed speech—a
disjointedness even Tasso acknowledged when he claimed to have learned it from
Virgil, admitting that it can tempt one to swerve dangerously from the “truth”
in its pursuit of fallacious artistries.7 The path toward wholeness in the Conquistata
thus marks a turn away from Virgil and toward the more narratively f luid
Homer, as readers of Tasso (and Tasso himself ) have readily ascertained.8 But
this path also goes through the body of the female, inscripted into the
Conquistata as bearer of a new epic model of integration and personal loss. It
is a body that the chastened Tasso, in his final critical writings on his
poetic output, may also have recognized as his own. * ** In the early
1680s, the prolific Luca Giordano executed a series of paintings for a Genovese
palazzo recently acquired by the nobleman Eugenio Durazzo. Among the works
Giordano designed for the entryway into a palace that was on the “must-see”
list of every foreign visitor to Genova, were portraits of the death of Seneca
and the Greek hero Perseus. But his paintings also featured a large canvas
depicting an event from the Liberata’s story of Sofronia, the brave young woman
who volunteers to die for her fellow Christians and who, along with the man who
loves her, is saved by Clorinda. Moved by the taciturn stance of thefemale
victim before her, Clorinda asks Aladino, Jerusalem’s king, to free the two
Christians in exchange for her promise that she will perform great deeds in
Jerusalem’s defense, and Giordano chooses to display this moment in his work9
(Figure 13.1).10 At the same time, Clorinda’s back is turned, so that the real
savior of the two Christians bound at the stake seems to be a painting of Mary
which angels are holding aloft—suggesting that Giordano’s work may also be
about the salvific powers of art. Mariella Utili has written of Giordano’s
intent to throw into relief the religious aspect of the story: “the exaltation
of Christianity, which had been the basis for the immediate success of Tasso’s
poem and which many other artists before Giordano had noted as well.”11 Yet
with respect to the episode of Sofronia and her would-be lover Olindo, who begs
to die with her, such a remark might seem ironic. For this story provoked
almost more than anything else in the epic the concerns of the poem’s
Inquisitorial readers, and in turn Tasso’s worries aboutFIGURE 13.1Luca
Giordano, “Olindo e Sofronia,” Palazzo Reale gia’ Durazzo (Genova).Photo
credit: Zeri Photo Archive, Bologna, inv. 110885.the extent to which its
inclusion would threaten the Liberata’s publication. So much so, that in a
telling letter written on April 3, 1576 to his friend and literary confidant
Scipione Gonzaga he writes, “Io ho giá condennato con irrevocabil sentenza alla
morte l’episodio di Sofronia” (“I’ve already condemned the episode of Sofronia
to death, and my decree is absolute”).12 Having barely escaped death at the
hands of Jerusalem’s king, Sofronia was condemned anew by Tasso. The reasons
for this condemnation are several, even as the episode contains within itself a
germ of the process that will define Tasso’s method in the Conquistata. One
reason certainly has to do with the painting which Giordano has f loating in
the sky—a touch unaccounted for in the Liberata itself, but prepared for by the
odd narrative Tasso weaves in the opening of Canto 2. For the catalyst that set
off a tyrant’s rage, leading him to sentence Jerusalem’s Christians to death,
is indeed a work of art: an image of Mary taken from the Christians’ church by
the magician and former Christian Ismeno, who is convinced of its supernatural
abilities to protect the walls of the city against the Crusaders. He places
Mary’s picture in a mosque so as to provide “fatal custodia a queste porte.”13
For reasons on which Tasso coyly refuses to pronounce—(“O fu di man fedele opra
furtiva, / o pur il Ciel qui sua potenza adopra, / che di Colei ch’è sua regina
e diva / sdegna che loco vil l’imagin copra: / ch’incerta fama è ancor se ciò
ascriva / ad arte umana od a mirabil opra”; “It was either the work of a
stealthy hand, or heaven interposed its potent will, disdaining that the image
of its queen be smuggled somewhere so contemptible” [2: 9]14)—the immagine
mysteriously disappears from the mosque into which Ismeno has smuggled it.
Certain that the Christians have contrived to steal it back, Aladino plots for
them universal slaughter, until the beautiful Sofronia steps forward to take
the blame so that her people will not die, a confession the narrator describes
as a “magnanima menzogna,” a magnanimous lie. In a letter, however, written
soon after he released the poem to an official reading, Tasso seems fearful
that the stolen immagine has invoked the ire not of Aladino but of Silvio
Antoniano, the Roman Inquisitor and official in charge of granting the right of
nihil obstat for books published in Rome. Writing to Luca Scalabrino on a later
occasion, he continued to insist on excising the “episodio di Sofronia”:
“perch’io non vorrei dar occasione a i frati con quella imagine, o con alcune
altre cosette che sono in quell’episodio, di proibire il libro” (“I don’t want
to give the friars a chance to condemn the book because of that image, or
because of any other little things found in the episode”).15 Much of interest
has been written of the status of images in the aftermath of Trent, some of it
in regard to the poem’s second canto. As Naomi Yavneh has pointed out, Trent
was preoccupied with limiting the role that excessive popular devotion played
in religious life, and its stance on images was no exception: it perforce
needed to clarify the extent to which “immagini” were only the simulacri for
the things to which they pointed. As such, the importance of an object in
referencing beyond itself—its deictic function—was accentuated by the orthodox
proclamations from the 1570s and 1580s. One typical characterization of the
post-Tridentine image, although from the Seicento, is offered by the
JesuitGiovanni Domenico Ottonelli. He suggests that in gazing at a painting,
“which represents something other than the thing which it resembles, and from
which it takes its name” (“che rappresenta un’altra cosa, di cui tiene la
simiglianza, e prende il nome”), one must recognize that “while the image
renders visible what is invisible, the image is only worthy of honor by virtue
of resemblance, not substance.”16 Moreover, as Yavneh goes on to point out, in
the episode from Tasso’s Liberata, the transformation of the painting of Mary
into a thing of “substance”— i.e., it alone can save Jerusalem from harm—is
initiated by the renegade Christian, Ismeno, unable to leave his former
religion completely behind him (“Questi or Macone adora, e fu cristiano, / ma i
primi riti anco lasciar non pote; / anzi, in uso empio e profano / confonde le
due leggi a se’ mal note”; “He adores Mohammed, as once he adored Christ, but
cannot now abandon the first way, so often to profane and evil use confounds
the two religions out of ignorance” [2: 2]). It is Ismeno who recommends that
Aladino place “questa effigie lor” of Mary, “diva e madre” or goddess and
mother of the Christian’s god (2: 5) into the mosque because of its talismanic
status—an idolatrous reading in which the Christians, who leave their offerings
before the “simulacro” do not, apparently, concur.17 One can only speculate as
to what about the “immagine” in Canto 2 might have angered Tasso’s
inquisitorial reader; the letter from Antoniano detailing his objections to the
Liberata does not survive. But it is striking that another vergine, Sofronia,
proclaims for herself the protective status Ismeno gave to the immagine of
Maria. Her sacrifice thus effects a substitution originally engineered by the
apostate. She too adopts the language of female uniqueness when boldly stating
to the king Aladino her “crime”: “sol di me stessa, sol consigliera, sol
essecutrice” (“I was the only one [who knew of it], one counselor, one executor
alone”; 2: 23). When Olindo challenges Sofronia’s magnanimous lie, arguing that
a mere woman would be unable to carry out the theft, she insists again on her
autonomy: “Ho petto anch’io, ch’ad una morte crede / di bastar solo, e
compagnia non chiede” (“I too have a heart, confident it can die but once. It
does not ask for company”; 2: 30). But Tasso links her in other ways to the
Madonna that Ismeno made into a singularly potent object. As commentators have
noticed, Tasso compares her to the stolen image when her veil and mantle are
roughly taken from her when she is led to the stake.18 Just as Mary’s image,
“enveloped in a slender shroud” (“in un velo avolto”; 2: 5) was seized
(“rapito”) by Ismeno, so are Sofronia’s veil and mantle seized from her
(“rapit[i] a lei [Sofronia] il velo e ’l casto manto”; 2: 26). And an allusion
to Mary’s face (“il volto di lei”) returns with “smarrisce il bel volto in un
colore / che non è pallidezza, ma candore” (“the lovely rose of [Sofronia’s]
face is lost in white which is not pallor, but a glowing light”; 2: 26). And
yet the resonances between Sofronia and an inimitable female figure do not end
here. Giampiero Giampieri has noted that the white coloring of Sofronia at the
stake is echoed eleven cantos later when Clorinda, the third vergine of the
canto, dies at Tancredi’s hands. This pale demeanor at death’s arrival in turn
has its haunting origins in the phrase accompanying the suicides of
Virgil’smost prominent female character, Dido, and the historical figure on
whom she is partially modelled, Cleopatra. These intertextual allusions thus
trace an unsettling historical trajectory, insofar as far from being “vergini,”
unlike their Tassian counterparts, both women are known for their sensuality
and, in Dido’s case, unrequited passion. At the same time, Clorinda, like
Sofronia, occupies the role enjoyed by Dido and Cleopatra before romantic
liaisons led them astray. They are all the singular, female supports of their
people. When Islam’s powerful woman warrior enters Jerusalem in Canto 2,
Clorinda is defined as the self-sufficient savior of a people that Sofronia
and—according to Ismeno—the immagine of Mary have been before her. In greeting
Clorinda, Aladino bestows on her the signal distinction of the warrior who
alone can protect the city (“non, s’essercito grande unito insieme / fosse in
mio scampo, avrei più certa speme”: “though a whole host should come to rescue
me, I would not hope with greater certainty”; 2: 47). Not only does he concede
to her his scepter (“lo scettro”) but he adds, “legge sia quel che comandi”
(“let the law be what you command”; 2: 48), an honor that prompts Clorinda to
ask for her reward in advance: the release of the two Christians.19 Even as
Clorinda will exact bloody penalties on the Christians who attack the city to
which she pledges her protection, this fantasy of female potency that begins in
Canto 2 will be eclipsed outside Jerusalem’s walls when Clorinda is killed by
Tancredi: Meanwhile they whispered of the bitter chance behind the city wall
confusedly till finally they learned the truth. At once through the whole town
the bad news made its way mingled with cries and womanly laments, as desperate
as if the enemy had taken the town in battle and f lew to raze houses and
temples and set the ruins ablaze. Confusamente si bisbiglia intanto del caso
reo ne la rinchiusa terra. Poi s’accerta e divulga, e in ogni canto de la città
smarrita il romor erra misto di gridi e di femineo pianto; non altramente che
se presa in guerra tutta ruini, e ’l foco e i nemici empi volino per le case e
per li tèmpi. (12: 100) The defeat of a city in wartime evoked in this moving
simile is the fate that Ismeno believes Jerusalem will avoid if Mary’s image is
placed in the mosque; that Sofronia believes her people will avoid if she dies
at the stake; and thatAladino believes his kingdom will avoid if Clorinda
agrees to defend his city. And the moment, of course, looks backward again to Virgil,
and to the demise of another city, Carthage, upon the death of another singular
woman. “The palace rings with lamentations, with sobbing and women’s shrieks,
and heaven echoes with loud wails—even as though all Carthage or ancient Tyre
were falling before the inrushing foe, and fierce f lames were rolling on over
the roofs of men, over the roofs of gods” (IV: 667–71).20 The “città smarrita,”
the urbs in ruin: in both Aeneid 4 and the Liberata, the figurative collapse of
the city, portrayed in a simile that reveals the grim devastations of war, is
tied to the death of a woman characterized as savior. And in both cases, the
two cities of these respective poems will be invaded by the enemy—one during
the Punic Wars that are only predicted in the Aeneid, the other in Canto 20 of
the Liberata. At the same time, the simile of Canto 12 following Clorinda’s
death can be said to silence the diabolical suggestion that women’s bodies
might be sufficient protection for Jerusalem’s community; or in rhetorical terms,
that the female body stands in an analogical relationship to the city and can
procure its health. Sofronia’s self less action in Canto 2 procures temporary
salvation for the Christians. But genuine salvation arrives only eighteen
cantos later, when Goffredo’s troops invade Jerusalem and secure it for its
“rightful” owners. In the meantime, Sofronia, like the Madonna’s image, has
been withdrawn forever from the poem. Following her rescue by Clorinda, she
does not refuse Olindo her hand in marriage, and with him and others “di forte
corpo e di feroce ingegno” (whose bodies are robust and spirits bold; 2: 55)
she is banished, so fearful is Aladino of having so much virtue nearby (“tanta
virtù congiunta . . . vicina”; 2: 54). Some of the banished wandered
aimlessly (“Molti n’andaro errando”; 2: 55) while others traveled to Emmaus
where Goffredo’s troops are gathered. Of Sofronia and Olindo, however, no more
is heard. All Tasso divulges of their fate is that they both went into exile
beyond the bounds of Palestine (2: 54). Such a finale to Sofronia’s sacrificial
offering ensures—intentionally, it would seem— that the episode is indeed “poco
connesso” to the rest of the poem. Inserted into the beginning of the Liberata,
the story of Sofronia operates as a virtually self-contained unit, ending with
its main protagonist banished from Jerusalem. That the episode can be said to
trace Tasso’s ambivalences regarding “tanta virtù congiunta” in not one, but
three, female characters, is suggested by both Sofronia’s and the immagine’s
summary dispatch from the poem—as though to insist on the heretical nature of
Ismeno’s view of the painting, and the women’s views of themselves, as
sufficient to protect a city.21 But there may be another link between the
exiled women and the immagine. The latter is both more and less than an icon:
it is a work of art, in ways which the woman themselves may replicate. Much of
the threat represented by Sofronia has to do with her inscrutability, which
mirrors the unknowability of the immagine’s fate and of the painting itself.
Moved by generosity and “fortezza,” Sofronia exits alone among the people (“tra
’l vulgo”) after Aladino orders the Christians’ houses burned. But as she
journeys publicly to meet the king, Tassointroduces some seemingly gratuitous
phrases: she neither “covers up her beauty, nor displays it,” and “Non sai ben
dir s’adorna o se negletta, / se caso od arte il bel volto compose” (“If chance
or art has touched her lovely face, if she neglects or adorns herself, who
knows”; 2: 18). Similarly, she is described in relationship to the young
Olindo, who has loved her desperately from afar, as either “o lo sprezza, o no
‘l vede, o non s’avede” (“she scorns him, or does not see him, or takes no
note”; 2: 16), and of her considerable beauty, she “non cura, / o tanto sol
quant’onesta’ se ’n fregi” (“cares not for it, or only as much as required by
honor’s sake”; 2: 14). Even as Tasso depicts her as a “virgin of sublime and
noble thoughts” (“vergine d’alti pensieri e regi”), he wastes no time in adding
that she is also “d’alta beltà” (2: 14), suggesting that we do not know whether
Sofronia is aware of her beauty’s effect on her admirers. In short, she is the
product of an artfulness that at once belies her sincerity and renders her
inaccessibility to public scrutiny even more pronounced. Indeed, Sofronia is
impugned throughout Canto 2 in various ways that can only force the reader to
suspect if not her motive—which emerges following her struggle to balance
masculine virility or “fortezza” and female modesty (“vergogna”)22—then at
least her self-presentation in a public space. And because she is a woman,
“amore” emerges as the vehicle through which her integrity can be compromised.
Or as Tasso says in introducing Olindo and in returning to the language used
only several stanzas before of the chaste image of Mary and its supposed
ability to provide “fatal custodia” to the gates of Jerusalem: “tu [amor] per
mille custodie entro a i più casti/ verginei alberghi il guardo altrui
portasti” (“although a thousand sentinels are placed, you [Love] lead men’s
glances into the most chaste of dwellings”; 2: 15). The uncertain status of
Sofronia’s agency and her inability to control the reception of her offer are
highlighted again after the king, furious over her assertions that she was
right to steal the image, orders her to be burned: “e ’ndarno Amor contr’a lo
sdegno crudo / di sua vaga bellezza a lei fa scudo” (“too slight a shield is
womanly grace for Love to f ling against the crude resentment of the king”; 2:
25): as though she—or Love working through her—might cunningly be able to
soften the tyrant in his resolve. The manner in which Sofronia is tied to the
stake—her veil and “casto manto” stripped violently from her and used to tie
“le molli braccia” (2: 26)—and the ensuing appearance of Olindo beside her,
“tergo al tergo,” heighten the barely suffused sensuality of the preceding
stanzas in which Sofronia’s ambiguously constructed femininity has been a muted
but persistent theme. “O caso od arte.” This is the phrase that threatens to
turn Sofronia into the seductress Armida, who appears two cantos later at the
threshold of the Christians’ camp to lure the Crusaders away from war. Sofronia
is no Armida. Yet in depicting Sofronia’s inner conf lict between “fortezza”
and “vergogna,” while refusing to declare the extent of Sofronia’s artful
self-consciousness, Tasso highlights the problems that emerge when a woman
thrusts herself into the public gaze.23 The questioning presence of male
spectators, a group into which Tasso inserts the (male) reader by way of the
narrator’s interventions, ultimately pointsto the inability of Sofronia—and by
extension, of the immagine of Mary and of Clorinda, who has already unknowingly
inspired the passion of the Christian knight Tancredi—to control the effects of
her self-presentation. Like the Didos and Cleopatras before her, she is unable
to escape from the controlling system of gender that makes her into the object
gazed upon and fantasized about as though she were a work of art. At the same
time, what prevents Sofronia from becoming a martyr and hence giving her life
for her people is another woman, Clorinda: who at first appears to the populous
as a male warrior (“Ecco un guerriero [ché tal parea]”) but who is betrayed as
a woman by her insignia, the tiger. When Clorinda enters into the crowded
piazza where the two Christians are tied to the stake, she notes Olindo weeping
“as a man weighed down with sorrow, not pain” (“in guisa d’uom cui preme /
pietà, non doglia)” while Sofronia is silent, “con gli occhi al ciel si fisa /
ch’anzi ‘l morir par di qua giù divisa” (“her eyes so fixed on heaven that she
seems to be leaving this world before she dies”; 2: 42). Clordina’s response to
this sight—a Clorinda raised in the woods and led to disdain female pastimes
such as sewing and embroidery—is extraordinary: “Clorinda intenerissi, e si
condoles / d’ambeduo loro e lagrimonne alquanto” (“Clorinda’s heart grew tender
at this sight; she grieved with them, and tears welled up in her eyes”; 2: 43).
Such tenderness leads her to ask for the two Christians as a gift in advance of
her promised salvation of the city: a salvation, as we will soon know, she can
never achieve. Her pity for a woman like herself—at once self-contained and yet
vulnerable to others’ fantasies about her sexuality—breaks through the
religious and ethnic differences on which the Liberata as a whole depends, and
arguably questions for Muslims and Christians alike the very premise of the
war. Clorinda will be revealed later in the poem as the daughter of a Christian
mother, and in retrospect one might see her recognition of herself in Sofronia
as a premonition of her true identity. Yet, at this early point in the poem,
her alignment of herself with Sofronia, along with Tasso’s allusions to
Virgil’s fateful women, creates a potentially scandalous community of women
whose unpredictable and often unreadable actions threaten to undo the
transcendental militarism on which the poem is based. The crisis of the
immagine, in Ismeno’s feverish recasting of its significance, is like that of
the women who are endlessly substituted for it: complete within itself, it has
no deictic function, failing to refer beyond itself to heavenly powers.
Sofronia, too, points only to herself (“Sol essecutrice”), a presumed
self-sufficiency that Tasso’s narrator translates into inaccessibility. It
creates for Sofronia the same unknowable status of the stolen painting, and an
unknowability Clorinda can only admire, and in which she similarly partakes.
Tasso’s simile of the city that dissolves into f lames upon Clorinda’s death
ten cantos later is thus ultimately a failed simile. That he will go on to
banish all of his Christian women from the end of the Liberata suggests both
his attempt to contain the threat represented by the female figures of Canto 2
and his inability to integrate Christian and Muslim women alike into the
culminating events of the poem. Clorinda and Gildippe are dead, Erminia is in
an “albergo” somewherewithin the city, Armida utters words of conversion but
only on Jerusalem’s outskirts, and Sofronia has disappeared forever. To be
sure, on the one hand, Tasso’s poem generally refuses to allow any character to
stand in for the whole and thus represent the city, earthly or celestial, by
him or herself, as the belated “Allegoria del Poema” attests and as numerous
episodes involving Rinaldo and Goffredo suggest.24 In an early letter, Tasso
protests the custom of romance that allows single characters to decide the fate
of entire empires: “non ricevo affatto nel mio poema quell’eccesso di bravura
che ricevono i romanzi; cioè, che alcuno sia tanto superiore a tutti gli altri,
che possa sostenere solo un campo” (“In my poem, I don’t allow that excess of
bravura that the romance welcomes, in which one figure emerges as greater than
all the others, capable of defending the battlefield all by himself ”).25 To
this extent, transforming the painting of Mary or the body of Clorinda into
singularly protective forces copies the excess of romanzi which Tasso claims to
avoid. Only the uniting of Goffredo’s “compagni erranti” or wandering
companions under “i santi segni” can win for the Christians their city (1:1).
The liberation of Jerusalem is the work not of women, but of men; and not of a
single man, but many. On the other hand, unlike Goffredo or Rinaldo, these
“virtuous” women do indeed disappear from the poem, suffering the fate of the
“poco connesso” and summarily excluded from the larger body into which Tasso
incorporates his men in the “Allegoria.”26 Yet is such exclusion ultimately a
penalty? While at work on the Liberata, Tasso was penning his brief pastoral
play, the Aminta, where he experiments with the inaccessibility of a vergine in
the figure of Silvia, whose own near-violation while tied to a tree is
reminiscent, even in its phrasing, of Sofronia’s violent torture. The
Liberata’s “Già ’l velo e ’l casto manto a lei rapito, / stringon le molli
braccia aspre ritorte” (“they tear away her veil and her modest cloak, bind
hard her tender hands behind the back”; 2.26) echoes Silvia’s victimization at
the Satyr’s hands.27 But the exposure of Silvia’s and Sofronia’s bodies is in
turn contrasted with the degree to which they refuse to be contaminated by the
violence that surrounds them even as they are vulnerable to varying
interpretations of their sincerity. The fact that following their rescues
neither female character is seen again suggests an additional layer of
inscrutability, as though Tasso chose to protect the privacy of his vergini
from those who would compromise their virtue.28 Perhaps only in a world where
epic values— the seizing of Jerusalem from the renegade Ismeno and the infidel
Turks—are unequivocally positive can Sofronia’s premature departure be
construed as a loss, rather than a gain. The phrase used with respect to the
mosque from which Mary’s image is taken—“a vile place heaven holds in
disdain”—might stand in for the contaminated city as a whole that Sofronia
inhabits with other embattled Christians. Tasso’s own narrative gesture with
regard to all women of “fortezza,” Clorinda included, saves them from the
bitter militarism that informs the second half of his poem, preserving for them
a space offstage—or above it. But Tasso continued to ponder the ideal
relationship of the female body to his epic project, one which would rely on
integration rather than separation. Such integration demanded a very different
kind of poem from the Liberata, whoseMuslim male warriors, if not its women,
are diabolical figures from whom the city must be wrested. The Conquistata has
typically been glossed as a work that celebrates the Counter-Reformation Church
in all its militancy. But attentiveness to the new women of the revised poem,
beginning with a lamenting Mary who has stepped out of the painting to become a
character, may suggest otherwise.29 * ** Death appears
in the Conquistata’s opening stanza, where the triumphant prolepsis of
“compagni erranti” joining together under “santi segni” no longer exists, and
where the explicit allusions to the failures of hell, Asia, and Africa to
defeat the Crusaders is replaced by a description of how Goffredo’s military
feats “di morti ingombrò le valli e ’l piano, / e correr fece il mar di sangue
misto” (“filled the plains and valleys with the dead, and made the sea run red
with blood”). With death, there is mourning—and a world, as Tasso will call it
late in the poem, of “femineo pianto” female lament (23:117). And the first
evidence of female mourning that we see in Tasso’s “poema riformato” is that of
the Virgin Mary, who makes a surprising cameo appearance at precisely the
moment occupied in the Liberata by the episode with Sofronia. Threatened, as
before, by the impending arrival of Crusaders, Aladino decides that the
Christian community within the walls poses a danger, and in his rage swears to
put them all to death. A stolen painting no longer exists to provoke his anger,
but almost immediately the subject of that painting appears, as Tasso’s
narrator redirects our gaze from the cowering Christian citizens of Jerusalem
to heaven, in two entirely new stanzas: Holy Compassion, you did not keep your
thoughts hidden to yourself, as you gazed down from the celestial and sacred
realm onto the site where the King had lain buried, and at his faithful f lock.
Thus: “Lord,” you cried, “help, help—for now I alone am not sufficient to save
their lives.” Upon seeing those moist eyes—the eyes that had wept for her Son
who died on the cross—the Father said, “now let me turn my attention to their
fear” . . . and the savage man [Aladino] tempers his insane rage. Non
fu ’l pensier, santa Pietate, occulto a te ne la celeste e sacra reggia, donde
guardavi il luogo in cui sepulto il Re si giacque, e la fedel sua greggia.
Pero’: – Signor, gridasti, aita, aita, ch’io non basto a salvarli omai la vita.
Vedendo il Padre rugiadosi gli occhi di lei che pianse in croce estinto il
Figlio, – Vo’ – disse – ch’al Timor la cura or tocchi – . . . . [e]
Tempra dunque il crudel la rabbia insana. (2: 11–13) 30Thanks to this heavenly
intervention that happens in the blink of an eye (“ad un girar di ciglio”),
Aladino will “temper his rage” by burning the fields where the Crusaders might
have found food and by exiling, rather than killing, the faithful—excepting “le
vergini”—from Jerusalem, who depart in tears (“gemendo in lagrimosi lutti”; 2:
53). But their laments will not endure for long. When they come upon the
Crusaders in their camp, they offer their services to Goffredo and participate,
presumably, in the final attack on their former city in the closing cantos of
the new poem. As in Canto 2 of the Liberata, we have a threatened community,
and once again Mary figures in its protection. But for those familiar with the
Liberata, this episode in the Conquistata’s second canto represents a loss
rather than a gain, albeit a puzzling loss. Having omitted the episode of
Sofronia that apparently, he, and many of his first readers, found so
troubling, Tasso leaves us with the mere shadow of the women who once occupied
the status, rightly or wrongly, of Jerusalem’s saviors: a mourning mother. When
Mary calls upon God to temper Aladino’s wrath, she is gazing at a tomb: “il
luogo in cui sepulto/ il Re si giacque.” Jerusalem is a place of death, both
past and imminent, and Mary is not celebrating her son’s resurrection, but
weeping for his demise on the cross. Her grief is rehearsed again in the
following canto in stanzas also new to the Conquistata, where it will be shared
by other mothers—many of them Muslim. On tapestries which Goffredo shows the
two ambassadors who have arrived from the enemy’s forces—one of them, Argante,
“intrepid warrior” (“intrepido guerriero”; 2: 91)—is the thunderous defeat of
Antioch, which the Christians have just taken. Tasso lingers not over the
victorious assault on the city but on the artist’s attentiveness to women’s
loss as they watch their sons die below them: talented artist, you made the
faces of their mothers’ pallid and pale, for life no longer was welcome to
them. From above each one gazed at her dead child, who lay on the earth by enemies
oppressed, his head affixed to the enemy lance; and tears bathed their dry
cheeks. And so he created great variety among these images of grief
. . . con viso vi [il maestro accorto] feo pallido e smorto le madri,
a cui la vita allor dispiacque. D’alto mirò ciascuna il figlio or morto che tra
nemici oppresso in terra giacque, e’l capo affisso a la nemica lancia; e di
pianto rigò l’arida guancia. E variò le imagini dolente . . . (3:
48–9) The resulting “istoria” tells of a “Città presa, notturno orror, tumulto,
/ ruine, incendi e peste”, to which the artist adds “Fuga, terror, lutto, e mal
fido scampo / . . . . e correr feo di sangue il campo” (“A city
seized, nocturnal horrors, tumult, ruin, firesand plague . . .
flight, terror, grief, and luckless escape, and he made the field run with
blood”; 50). Argante, the Christians’ enemy, is gazing on these images, and one
could argue that his perspective inf lects the presentation of the tapestries,
much as Aeneas’s grief in Book 1 colors his reception of the carvings in
Carthage that detail the fall of Troy. Yet, elsewhere in the descriptions, we
hear of the “pious Goffredo,” the “good Beomondo,” the “great Riccardo.”
Moreover, the direct apostrophes to the Christian reader (“Italici e Germani
uscir diresti . . .” [2: 17]) suggest that it is Tasso’s narrator—and
Tasso himself—who lingers over the mournful details. In fact, the singular
concentration on the Conquistata’s women as vehicles of lament suggests that
Tasso is far from making their response to loss yet another diabolically tinged
inspiration. Riccardo, formerly the warrior Rinaldo, now also has a mother, who
like Thetis, emerges from sea-depths to comfort her son when his friend Rupert
dies. The prayers of Riccardo in turn are carried by heaven to a female figure
who with tearful face (“con lagrimoso volto” 21: 74) asks God, as did Mary much
earlier, to bring aid by turning “your pitying face to my warrior” (“al mio
guerrier pietoso ’l ciglio”; 72). But as the scenes of the tapestry suggest,
women’s presence as mourners is most visible in the sections devoted to
Argante, scourge of the Christians, and in the Conquistata clearly meant to be
a double for Hector from Homer’s Iliad. To strengthen this parallel with the
Homeric poem, Tasso had to give Argante a wife to protest his going out into
battle as Andromache did with Hector, and a mother—and a Helen—who will mourn
him when he dies.31 In the Liberata, this “intrepido guerriero” was killed by
Tancredi after a bloody duel outside Jerusalem’s walls. The wandering Erminia,
in love with Tancredi, literally stumbles over the bodies when she is escorting
the spy Vafrino back to the Christians’ camp, and restores Tancredi to health
with pious prayers and herbal medicines. Argante is summarily ignored by the
pair until Tancredi insists that they carry his bloody corpse with them to
Jerusalem: “non si frodi / o de la sepoltura o de le lodi” (do not deprive him
of burial or of praise; 19: 116). But we hear no eulogies, nor do we witness
Argante’s burial, and he is as arguably isolated in death as in life. The
Argante of the Conquistata receives a very different fate after he dies at
Tancredi’s hands. His body is given to the women of Jerusalem, who eulogize him
at the close of Canto 23 as husband, father, and son, as well as fierce
protector of his city. This last role is given explicitly to him by Erminia,
rechristened Nicea in the Conquistata, who laments her inabilities to save him
in the plaintive cry “O arti mie fallaci, o falsa spene! / A cui piú l’erbe
omai raccoglio e porto / da l’ime valli e da l’inculte arene? / Non ti spero
veder mai piú resorto, / per mia pietosa cura” (“O my fallacious arts, o my
false hope! What use now the herbs that I gather and carry from the dark
valleys and the hidden sands? I no longer hope to see you risen, saved by my
compassionate healing”; 23:126). The woman who in the Liberata had collected
medicinal herbs for her beloved Tancredi, and who is addressed by him as
“medica mia pietosa” after she saves him from death, here reproaches herself
for having failed to rescue Tancredi’s enemy Argante. Ifshe saved Tancredi and
Goffredo—and the Christian cause—in the Liberata, here she can confess only her
failed arts, and in the context of prophetically imagining a future of grief
and destruction in the wake of Argante’s death: “Sola io non sono al mio dolor;
ma sola / veggio, dopo la prima, altre ruine, / altri incendi, altre morti: e
grave e stanca, / quest’alma al nuovo duol languisce e manca” (“I’m not alone
in my grief, but I alone can see after this first destruction, more ruin, more
fiery blazes, more deaths; and tired and heavy, this soul will languish and
expire, sickened by new sorrows”; 127).32 These three weeping women—mother,
wife, and friend whose arts cannot save a dead man—integrate Argante not only
into the life of the city and the family, but into the future, as the women who
survive him imagine their fates as vividly as the female survivors of Hector in
the Iliad imagine theirs. Or as Argante’s wife, Lugeria, laments, “Ne la tenera
etate è il figlio ancora, / che generammo al lagrimoso duolo, / tu ed io
infelici . . . / non vedrá gli anni in cui virtù s’onora, / Né la
fama tua” (“Our son whom you and I—unhappy— conceived only for tearful sorrow
is still in his tender years . . . he will see the years in which
virtue is bestowed on him, nor will he know your fame” (23:119). For herself,
she can envision only “foreign shores” (“lidi estrani”) and service in the
entourage of some proud, Christian lord. The lines closely follow those of
Andromache in the Iliad, much as the lament of Argante’s mother (“Difendesti la
patria, e palme e fregi / n’avesti, or n’hai trafitto il viso e ’l petto”; “You
defended our country, and had honors and laurels; now your face and breast are
pierced [by a lance]”) repeats that of Hecuba in Iliad 24. Thus just as in the
Iliad, as Sheila Murnaghan has written, female lament has the function of tying
the hero back into his community, while making it clear that the hero’s kleos
or fame is achieved at women’s expense.33 Such a constitution of a larger, more
sorrowful, poem can be allied in turn with Tasso’s new relationship to epic.
Even for a poet as relentlessly psychoanalyzed as Tasso, the creation in the
Conquistata of the familial contexts that Tasso may have longed for after the
death of his mother, never knew, may come as a surprise.34 Tasso’s redefinition
of the epic poet in his unfinished Giudizio del poema riformato, the last of
his critical works, may instead have been in response to those readers of the
pirated Liberata who complained about the inauthenticity of some of the
characters’ emotions that drove the poem. In particular, he argues forcefully
in the Giudizio for the new sentiment he seeks to generate throughout the
Conquistata: pity, or “la commiserazione e de la purgazione de gli affetti”
(“commiseration and purgation of its effects”; 165). With respect to Argante,
whom he explicitly declares to have now fashioned as “most similar to Hector”
(“similissimo ad Ettore”), he comments, where Argante earlier was not wretched,
now he’s completely so, because he’s been changed from a foreign and mercenary
soldier into the son of a king and a Christian queen, and has become the
natural prince of the city: defending his father, loving his wife, and constant
in his defense and in hisfaith; and so that pity that is denied him by
[Christian] law can be granted out of natural and human sentiment. dove la
persona d’Argante prima [nella Liberata] non era miserabile, ora è divenuta
miserabilissima, perché di soldato straniero e mercenario è divenuto figliuolo
di re e di regina cristiana e principe natural di quella città, difensor del
padre, amator de la moglie e costante ne la difesa e ne la fede; e però quella
pietà che si niega a la legge si può concedere a la natura ed a l’umanità.
(164) Arguing against the likes of Dion Crisostomos who complained about the
scenes of mourning in Homer (“Defunctum vero memoria honorate non lachrymis”
[“the memory of the dead are not honored by tears”]), Tasso strives for a poetics
“that is more humane and more appropriate to civil life” (“piú umana e piú
accommodata a la vita civile”), resisting not only Dion but Plato and the
Pythagoreans as “too rigid and severe” (“troppo rigida e severa”). Taking sides
with that “most excellent Aristotle,” Tasso argues for a poetry that will
motivate the sentiment of compassion “even for the enemy” (“ancora da’ nemici”;
178), and hence for the creation of a human community in which one takes stock
not so much of differing religious beliefs, but of the parallels that make all
humankind members of a single family. Thus, for example, the king Solimano is
to be considered not as the emperor of the Turks, but as a valorous prince and
father of a valorous and compassionate son. . . . If they were deprived
of the theological virtues, they did not lack natural virtue, nor those bred by
custom. non come imperator de’ Turchi, ma come principe valoroso e padre di
valoroso e di pietoso figliuolo . . . quantunque fosser privi de le
virtú teologiche, non erano senza le virtú naturali e quelle di costume. (177)
As a result, as Alain Goddard has observed, Solimano and Argante both now fail
to embody “a code of values opposed to that of strict Catholic orthodoxy” (“un
code de valeurs opposé à celui de la stricte orthodoxie catholique”)35 —a
failure that unleashes “a tide of ambivalence” despite the ideological claims
made throughout for Catholicism’s supremacy. And the figures who help to
generate such ambivalence and, in particular, compassion for those with “natural
virtues” are largely Tasso’s women, as the Conquistata shapes not only a new
definition of masculinity but a new role for its women.36 Tasso’s early readers
may have challenged the authenticity of Armida’s conversion, the “saintliness”
of Sofronia, the status of the missing “immagine,” and the rationale for
Erminia’s midnight foray into the Christian camp, and her supposed self
lessness when ministering to a wounded Tancredi.37 The Conquistata seems
dedicated rather to making female behavior transparent and unquestionably
sincere, a sincerity that Erminia/Nicea’s rebuke of her “artifallaci” confirms.
The ubiquitous female mourner, for whom Mary is paradigmatic, embodies the
essence of non -theatricality, conveying a spiritual intensity which Tasso himself
longed to experience as clear from his late canzone to the Virgin, “Stava
appresso la Croce,” in which he asks Mary to become the guarantor of his own
prayerful sincerity: “Fa ch’io del tuo dolor / senta nel cor la forza” (“Grant
that I may sense in my own heart the power of your grief ”), and later in the
poem, “Fa ch’l duol sia verace / e ’l mio pianto sia vero” (“Enable my grief to
be authentic, my lament sincere”).38 If—with the exception of Clorinda—there
was no place for this expression of commiseration in the Liberata, fixated as
it was on the triumphant attaining of the city, the Conquistata ensures with
its weeping mothers and, on occasion, fathers and friends, that we see
Jerusalem’s conquest as mixed a blessing as was the defeat of Troy. If the body
recognized in the Liberata’s “Allegoria” is an exclusively militaristic one,
the corpus of the Conquistata is familial, in which men are humanized, perhaps
feminized, through their claims to having mothers, wives, or children. In the
meantime, Erminia’s pious arts of healing, Sofronia’s daring sacrifice, and the
immagine itself—aspects of feminine “artistry” not easily assimilable to this
model—are gone. * ** One final
glance at Luca Giordano’s painting may help to clarify the trajectory I have
attempted to chart throughout this essay. The interesting detail of Mary’s
image, lifted high above the scene of impending death, can be said to resolve
for Genova’s Counter-Reformation audience the identity of the “thief ” which
Tasso had left in abeyance. Clearly the “mano” that perpetrated the theft was
that of the queen of Heaven herself, who forcibly intervenes when her image is
placed in a mosque, and who exhibits her power by rescuing not only her
“immagine” but the brave Sofronia. Giordano restores Mary’s protective
immagine, letting us “see” it for the first time as he rescues Mary herself
from oblivion in a work that makes the exaltation of Christianity derive from
her comforting presence. To this extent, the painting confirms the overtly
Catholic structure on which the Conquistata insisted. But it does so by
countering the very notion, emphasized by Mary herself in the Conquistata’s new
second canto, that she is “not enough now to save their lives” (“io non basto a
salvarli omai la vita”). Perhaps the key word in the passage is “omai”: now, as
opposed to some earlier time when Mary presumably was sufficient. Reading
backward from Mary’s phrase in Canto 2 of the Conquistata, one emerges with a
nostalgic vision of female sanctity which the Liberata never intended to
confirm; but a vision which for Tasso may have resided in a not-so-distant past
before Trent, found in a work such as the Divina commedia, in which the Virgin
has power to do more than weep. Her compassion can be said to have generated an
entire poem, and it is thanks to her example that Beatrice is able to say to
Virgil in Inferno 2, “amor mi mosse” (“love moved me and made me speak”).
Giordano’s late seventeenthcentury painting willfully misreads the Liberata, as
it envisions a world in which Mary can glowingly transmit her power to the two
central women of Canto 2in the form of light radiating from her painting. The
work of art thus comes to possess a divine, unambiguously protective status
such as a renegade Christian, the wizard Ismeno, would confer on it—even if
Tasso himself would not. 39 This was a world that never did exist in the
Liberata. But that may finally be beside the point. Yet as Tasso tried to
create a poem “senza arti fallacy,” newly directed toward the compassionate
involvement of all its personaggi, Muslims and Christians alike, in the family
of the “vita civile,” Mary and the women like her enable a different kind of
salvation, albeit of a less dramatic kind. If threats of “parlar disgiunto” and
episodic discontinuity hang over the Liberata; if the three women of Canto 2
both embodied and actualized these threats, once we arrive at the inclusive
poem that is the Conquistata, the lonely isolation of heroic difference is no
longer a danger. And as a result, there are no more female heroes.40Notes 1
Tasso, Lettere, ed. Guasti, 5: 72; the letter is from July 1591, when he had
almost completed the Conquistata. 2 For a summary of how female characters
change in the Conquistata, see Goddard, “Du ‘capitano’ au ‘cavalier sovrano,’”
236–38. Also of interest is Picco, “Or s’indora ed or verdeggia.” 3 See
Gigante’s introduction to Tasso’s Giudicio sovra la Gerusalemme riformata,
xlviii, as well as his discussion of the Giudicio and Conquistata in Tasso,
chapter 13. 4 That the female figures of the Liberata are intriguing mirrors
for Tasso himself is not a new argument; particularly in the wake of a feminist
criticism that has focused on Armida and Clorinda. In some cases, such as
Stephens’ article on Erminia (“Trickster, Textor, Architect, Thief ” or
Miguel’s “Tasso’s Erminia,” 62–75, a female character’s narrative and artistic
capabilities are put forth as convincing evidence for self-portraits of the
author/artist. 5 For two recent studies devoted to the episode of Sofronia,
Giamperi, Il battesimo di Clorinda and Yavneh, “Dal rogo alle nozze,” 270–94;
also see the few pages dedicated to Sofronia in Hampton’s Writing from History,
116–18. 6 Some early readers of the Liberata considered the episode “poco
connesso e troppo presto,” a point with which Tasso concurred; e.g., the letter
to Scipione Gonzaga from April 3, 1576; Lettere di Torquato Tasso, vol. I,
letter #61; 153. Molinari’s edition of the Lettere poetiche of Tasso contains
this letter with ample critical text; 374. The debate over the episode went on
for a period of many months in 1575 and 1576; see the excellent account of
Güntert, L’epos dell’ideologia regnante, 81–85. 7 The syntactic “difetto” or
defect that Tasso claims he learned from reading too much Virgil is that of
“parlar disgiunto”: “cioè, quello che si lega più tosto per l’unione e
dependenza de’ sensi, che per copula o altra congiunzione di parole
. . . pur ha molte volte sembianza di virtù, ed è talora virtù
apportatrice di grandezza: ma l’errore consiste ne la frequenza. Questo difetto
ho io appreso de la continua lezion di Virgilio . . .” (Lettere, vol.
I, 115). Fortini calls attention to the symptomatic crisis of “parlar disgiunto”
in relationship to Canto 2 in Dialoghi col Tasso, 81, describing it as “la
frattura degli elementi del discorso per ottenere maggior rilievo, maggiore
drammatizzazione e magnificenza.” 8 Tasso’s references to Homer in his Giudicio
are extensive, as are his spirited defenses of Homer against those who would
call him a liar; he often invokes Aristotle’s praise of the poet. 9 On Tasso’s
impact on and interest in the visual arts more generally, see Waterhouse,
“Tasso and the Visual Arts,” 146–61 and, more recently, Unglaub’s Poussin and
the Poetics of Painting and Traherne’s “Pictorial Space and Sacred Time,”
5–25.Jane Tylus10 The image is item 176 in the catalogue Luca Giordano, ed.
Ferrari and Scavizzi. 11 See Utili’s entry on Giordano’s Olindo e Sofronia in
Torquato Tasso, 313. 12 From the letter to Scipione Gonzaga of April 3, 1576;
in Lettere di Torquato Tasso, 153; Lettere poetiche, 374. This came less than a
month after Tasso had informed Luca Scalabrino on March 12, that he was going
to add “eight or ten stanzas” to the end of the Sofronia episode, in the hope
of making it seem “more connected” (“che ‘l farà parer più connesso”); ibid.,
339. 13 I use the edition of Fredi Chiappelli; II: 6. 14 Translations of the
Liberata are from Jerusalem Delivered, trans. Esolen; occasionally modified. 15
Lettere, I, 164; also in Letter poetiche, 406; italics mine. 16 Yavneh, “Dal
rogo alle nozze,” 272–73. 17 Giampieri, Il battesimo di Clorinda, 27, has noted
in the “casto simulacro” of Mary a parallel with the famous Palladium of Troy:
Mary’s image takes the place of the Palladium, and this substitution is
extended further when Sofronia herself “porta quella salvezza che tutti si
aspettavano dall’efige della Madonna” once the Madonna is gone. 18 See Yavneh,
“Dal rogo alle nozze,” 150, as well as Warner, The Augustinian Epic, 86. 19
This line is echoed by Armida eighteen cantos later, when she proclaims herself
Rinaldo’s “ancilla,” and observes that his word is her law: “e le fia legge il
cenno” (20: 136). Intentionally or not, the line brings us full circle to the
missing image of Mary, but reducing the supposed potency of that image and the
women who mirror it to a gesture of submission to a “conquering” Gabriel. 20
Virgil, Eclogues, Georgiecs, Aeneid I–VI, 441. 21 The Judith echoes are
relevant as well, on which see Refini, “Giuditta, Armida e il velo,” esp.
87–88. But unlike Judith, who dominates the second half of the apocryphal book
of Judith, Sofronia and Clorinda disappear long before the ending. 22 “A lei,
che generosa è quanto onesta, / viene in pensier come salvar costoro. / Move
fortezza il gran pensier, l’arresta / poi la vergogna e ‘l verginal decoro; /
vince fortezza, anzi s’accorda e face / sé vergognosa e la vergogna audace” (2:
17). 23 Eugenio Donadoni remarked on Tasso’s “incapacità di ritrarre una
santa,” and while he doesn’t elaborate, he clearly has in mind the puzzling
presentation of Sofronia herself. Torquato Tasso, 324. 24 As Lawrence F. Rhu
nicely puts it, the “Allegoria,” first composed in 1576, probably functioned
“as a guarantor of acceptable intentions in the face of potential
censorship . . . rather than as a sure guide in the right
direction for a comprehensive interpretation of his poem”; The Genesis of
Tasso’s Narrative Theory, 56. At the same time, with regard to the conflict
between the “one and the many,” the poem, with its announced attention to bring
together Goffredo and his “compagni erranti,”and the Allegoria, focused on
demonstrating how the bodies of the (male) warriors are eventually incorporated
within the body of the army, seemingly speak with a single voice. 25 Lettere,
vol. 1, 84. Interestingly, Tasso will exempt Rinaldo from this rule. 26 On the
possibility that Tasso resists making his female warriors stronger than the
men, see Günsberg, The Epic Rhetoric of Tasso, 128: “female valour is described
essentially in terms of negative comparatives. This culminates in male
supremacy over a femininity that is already fragmented, and in an act
characterized by sexual overtones”—such as the deaths of Clorinda and Gildippe.
27 See Act III, scene 1, from Aminta, and Tirsi’s description of the Satiro’s
would-be rape of Silvia: She is tied with her own hair, to a tree, while “‘l
suo bel cinto, / che del sen virginal fu pria custode, / di quello stupro era
ministro, ed ambe / le mani al duro tronco le sstringea; / e la pianta medesma
avea prestati / legami contra lei . . .”; lines 1237–42; from Opere
di Torquato Tasso, Volume 5: Aminta e rime scelte. 28 For a more sustained
reading of the Aminta and Tasso’s protectiveness of his two main characters,
see my chapter in Writing and Vulnerability, 82–95. 29 In truth, a more nuanced
criticism of the Conquistata has emerged in recent years, including that of
Goddard and of Residori, L’idea del poema, as well as in the recent article of
Brazeau, “Who Wants to Live Forever?” Yet critics have been overly hasty to
dismiss the30 31 323334 35 3637 38 39 40265later poem as the project of Tasso’s
new Counter-Reformation orthodoxy. This may be the case, but surely only in
part; as the Giudicio and contemporary letters attest, Tasso was involved in a
continuing dialogue with ancient authors, and the Conquistata attests to his
desire to write a poem that creates more of a balance between opposing forces.
Gerusalemme conquistata, II: 11–12. Luigi Bonfigli’s edition, which comprises
part of his five-volume Opere di Torquato Tasso, regrettably has no notes;
there is still no fully annotated modern version of the poem. Shortly after
Argante’s death a trio of female mourners lament his loss in a passage taken
directly from Iliad 24; the fact that they appear in the Conquistata’s
twenty-third canto makes the connection structural as well as thematic. See
Stephens, “Trickster, Textor, Architect, Thief,” on Erminia, in which he talks
about Erminia’s imitation of Helen; while he finds in the Conquistata allusions
to Helen’s weaving (Canto 3), he does not consider the Homeric echoes in Canto
23. Also see my “Imagining Narrative in Tasso.” Murnaghan, “The Poetics of Loss
in Greek Epic,” 217: “As she gives voice to her role as the bearer of Hector’s
kleos, Andromache’s words fill in what Hector’s gloss over . . .
[she] insists that the creation of kleos begins with grief for the hero’s
friends and enemies alike. . . . Before it can be converted into
pleasant, care-dispelling song, a hero’s achievement is measured in the
suffering that it causes, in the grief that it inspires.” Ferguson’s Trials of
Desire and Enterline, The Tears of Narcissus explore psychoanalytic material.
Goddard, “Du ‘capitano’ au ‘cavalier sovrano,’” 240n. I want here to make note
of Konrad Eisenbichler’s suggestive work with respect to new versions of
masculinity articulated in early modern Europe, and especially to his generous
support of the volume that Gerry Milligan and I edited for his series at the
University of Toronto, The Poetics of Masculinity in Early Modern Italy and
Spain (Toronto: Centre for Renaissance and Reformation Studies, 2010). The
letters that take up these various episodes, surely to be read in the larger
context of Tasso’s oeuvre, include a majority of the letters in Molinari’s
Lettere poetiche, which date from March 1575 through July 1576. Opere di
Torquato Tasso, vol. V, 583. See Traherne, “Pictorial Space and Sacred Time,”
for a bracing discussion as to why Tasso refused to indulge in any ekphrasis of
sacred images in his work—as in his late poem, Lagrime. In the Conquistata,
Tasso adds eight stanzas (15: 41–8) representing a prophetic dream regarding
Clorinda’s future baptism as a Christian—a future less certain in the Liberata,
when a number of verbs suggest the possibility of an only apparent conversion
(“pare,” “sembra,” etc.).Bibliography Brazeau, Bryan. “Who Wants to Live
Forever? Overcoming Poetic Immortality in Torquato Tasso’s Gerusalemme
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Reformation/Renaissance et Réforme 40, vol. 1 (2017): 13–35.INDEXEntries in
italics refer to figures; entries in bold refer to tables. abandoned women 61
Abrabanel, Judah 215 Accademia degli Infiammati 217 Accademia degli Intronati
219–20 Actaeon 233–4, 240 Ad compascendum (papal bull) 61 adultery: as crime of
violence 36; cultural narrative of 75–8; in fiction 211, 214–15; legal
definitions of 9; locations of 83–4; prosecutions for 75, 78–91, 92nn24, 45;
and prostitution 61, 63 Aeneid 219, 224n60, 253, 259 aesthetics: and
masculinity 144–5, 147; and military prowess 149, 152, 156n29; and social
control 12, 154 agency: of courtiers 151; female 14, 54, 78, 211, 217 Agnoletto
the Corsican 39 Agnolo di Ipolito 40–1 Alain of Lille 189–90 Alberti, Francesca
77–8 Alberti, Leon Battista 232, 242n19 Albertoni, Ludovica 116 Alessandro de’
Medici, Duke 141–2 Alexander the Great 192, 193 Alexander VI, Pope 76 Altaseda
57, 69n37 Amadesi, Angela 70n71 Aminta (Tasso) 256, 264n27 anal penetration 10,
51n42, 129–30, 188, 204n25; see also sodomyAndreoli, Andreoli 45–6 androgyny
107, 185, 187–8, 195 Andromeda 230, 232–3, 240 Angela of Foligno 113 angels,
Carlini invoking 100, 104, 107–9, 114 animals, sex with 14, 43, 227, 231,
234–7, 241, 243–4n51 Antoniano, Silvio 250–1 Apuleius 232–3, 236–8, 240–1
Arenula 125–6 Aretino, Pietro: and Il Sodoma 192–3; and Piccolomini 217;
Ragionamenti 14, 164–5, 211–13, 215–18, 221–2 aristocratic behaviour 221–2
Aristotle 32n2, 161, 168, 243n51, 261, 263n8 Armida 247–8, 254, 256, 261,
264n19 “arti fallaci” 248, 263 autonomy 145, 149, 211, 251 Averani, Pietro 38
badgers 187 Baliera, Cecilia 70n72 Ballerina, Francesca 68n14 Bandello, Matteo
165, 200, 217 Bandello, Niccolò 163 Bargagli, Girolamo 219–20, 224n66 Barolsky,
Paul 199 bastards 76, 192 beastliness 32n2Bechdel Test 217–18, 224n50 beffa
31n1, 33n14 Belforte 37 Bell, Rudolph 11, 97, 99, 113 Bellini, Angelica 69n52
Belvedere di Saragozza 57, 70n71 Bembo, Pietro 215, 219 Benazzi, Pietro 62
Benedek, Thomas G. 12 Benedict, Saint 185, 186, 188, 189, 190 Benedictine order
70, 185 Bernardino da Siena, Saint 145, 162, 173n10, 188, 195 bernesque poetry
167–8, 171–2 Berni, Francesco 194 Bernini, Gianlorenzo 110, 111–12, 114, 116,
121n93 bestiality see animals, sex with Betta la Magra 11, 128–31 Bianco, Baccio
del 78 bigamy 80 Bignardina, Giulia 60 birds: eating 163–4, 172–3n2, 174n24;
symbolising the penis 231 bisexuality 100, 186, 192, 194, 203n5 blasphemy 35,
38, 63, 79 Blastenbrei, Peter 79 Bocca di lupo 57, 70n71 Boccaccio, Giovanni 8,
21–2 Bollette see Ufficio delle Bollette Bologna: Borgo degli Arienti 59, 62;
Borgo di San Martino 59–60, 62; Borgo di Santa Caterina di Saragozza 57, 59;
Borgo di Santa Caterina di Strada Maggiore 62; Borgo Nuovo di San Felice 56,
59–60; Borgo Riccio 57; Broccaindosso 57, 59; men’s relationships with
prostitutes in 61–2; regulation of prostitutes in 61, 63–5, 68n17; residencies
of prostitutes in 8–9, 53–60, 55, 56, 66–7; sausages of 168 Bolzoni, Lina 227–8
The Book of the Courtier (Castiglione) 1, 11; arms and letters in 142–4; dress
and aesthetics in 146–54; homosexuality in 192; on women’s behaviour 215–16,
219 Bossi, Francesco 70n66 Boswell, John 2–5, 198, 203 Botticelli, Sandro 104,
188 Bovio, Zefiriele Tommaso 162 Bràina di stra San Donato 57, 60 Braudel,
Fernand 161 Brizio, Elena 8 Bronzino (Agnolo di Cosimo) 194brothels 54, 57,
59–60, 125; see also prostitution Brown, Judith 4, 11, 97–8, 107, 120n55 Bruno,
Giordano 200 Buonacasa, Lucrezia 65 Burckhardt, Jackob 1, 7 burlesque
literature 166, 194–5 Cady, Joseph 200 Camaiani, Orazio 37 Campi, Cassandra di
60 Campo di Bovi 56, 60, 68n27, 70n71 canon law 75 Canossa, Ludovico da 142–3,
146–9, 154 Capatti, Alberto 161 Capella, Galeazzo Flavio 216 Cappelli,
Francesco 84–6, 91 Cappello, Bianca 76 Capramozza 57, 70n71 Captain of Justice
(Siena) 35–40 Caravaggio, Michelangelo Merisi da 109, 111–12, 114, 195 Caretta,
Madonna Ginevra 60, 68n32, 69n37 Carli, Enzo 199 Carlini, Benedetta: becoming
abbess 107; entry into religious life 101; imprisonment of 119n9; investigation
into 97–9; marriage to Christ 113, 115–17; modern controversy over 99–100;
sexual contact with Mea 100–1, 104, 114–15, 117–19; spirituality of 102–4, 109,
111–14 carne, multiple meanings of 12, 160–5, 170–2 Carnevale (neighbourhood)
127 Carnival 90, 102, 162, 165–7, 170, 175n52 Carracci, Agostino 55, 56, 58
Carracci, Ludovico 116 Castiglione, Baldassare 1, 11–13, 142, 145, 152,
156nn35, 38, 239 castration 10 Catherine de’ Ricci, Saint 104, 107, 117
Catherine of Alexandria, Saint 116 Catherine of Bologna, Saint 114 Catherine of
Genoa, Saint 102 Catherine of Siena, Saint 11, 102, 104–7, 106, 108, 112–13,
116, 118 Cavedagna, Domenica 60 Cazzaria (Vignali) 219–20 Cellini, Benvenuto
13, 188, 194 Chauncey, George 201 Chigi family 185, 192–4 Christ: Carlini
speaking as 100, 117; Carlini’s visitations from 98, 104, 111;forgiving the
adulteress 77–8; gender of 107; loving union with 106, 114–16, 115, 121n81, 197
Christianity: and eating meat 162–3; and masculinity 144–5; and sexuality 185
Circe 235, 237 Clarke, Paula 7 Clement VIII, Pope 247 Cleopatra 252, 255
clergy: sexual violence by 35, 44–9, 98; and sodomy 190, 194 Clorinda 248–9;
baptism of 265n40; body of 256; death of 247, 251–3, 264n26; and Sofronia 255
clothing: foreign 148–9; and masculinity 11–12, 141–2, 144–7; and military
defeat 152; and sexual deviance 188–90 Cockaigne, Land of 165 Cohen, Elizabeth
7, 9, 57, 62, 67, 71n84 Colieva, Lucia 60 Coller, Alexandra 219 Colloquies
(Erasmus) 101–2 “compagni erranti” 256–7, 264n24 concubines 80, 92n44 conjugal
debt 5, 77–8 Connors, Joseph 126 Conquistata see Gerusalemme conquistata
convents: power of 98; prostitution and 55, 63–4; sexuality within 4–5, 97, 99,
101–2 Corio, Bernardino 141 Cornaro, Alvise 174n23 Correggio, Antonio da 116
cose brutte 127 Cosimo I de’ Medici, Duke 8, 37, 46 cosmetics 144, 213, 216
Council of Trent 8–9; and adultery 79, 82; and failed saints 112; and images
250–1; nunneries after 101; and sodomy 195 Counter-Reformation 104, 112, 257,
265n29 court ladies 1, 6 courtesans: in fiction 211–12; idealized depiction of
1, 6–7; in Rome 79 courtiers: ideal 1, 6, 143–4, 146–7; sacrificing masculinity
150–2 Crawford, Katherine 6 Criminal Judge (Siena) 36 Cristellon, Cecilia 79
Crivelli, Bartolomea (Mea) 11, 97, 99–104, 109, 113–14, 117–18, 119n10
cross-breeding 14, 227, 233–4, 236, 240, 243n51 cuckoldry 77–8Currie, Elizabeth
141 Cycnus 205n55 Daedalus 234–6, 240 Dante Aligheri 2, 32n2, 34n32, 161, 163
d’Aragona, Tullia 215–16 d’Ascoli, Eurialo 193, 200 de Bertini, Ursina 68n14 de
Montaigne, Michel 65 Decameron: adultery in 78; Branca’s edition of 31n1;
culinary language in 163; and Dante 34n32; and della Porta 243n30; female
heroines in 33n21; Griselda and Gualtieri in 8, 21–31; and La Raffaella 215;
Walter of Brienne in 32n8 deceit, courtiers and 150 de’Grassi, Francesco 70n66
della Porta, Giovan Battista 14, 227; Art of Memory 228–31, 240–1, 241–2n2; and
myth 234–8; and natural magic 239–40, 242n11; and nudity 231–2; and Titian
233–4 d’Este, Ercole 112, 120n40 the Devil, and sexual violence 39–40 di Loli
family of prostitutes 59 Dido 252, 255 dildos 13, 99–100, 102, 166 discourse,
and social norms 200–1 Dolce, Ludovico 170–1, 223n32, 229 Domenidio, inn of
129, 131 Domitilla, Maria 118 Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi) 188,
190 Donina, Pantaselia 62 dress see clothing Durazzo, Eugenio 248–9
ecclesiastical courts 9, 45, 61, 78–9 effeminacy: in clothing 12, 142–7, 150,
155n14, 156n43, 188, 205n41; and military defeat 151–4 Eisenbichler, Konrad
v–vi, 97, 265n36, 268–70 Elbl, Ivana 5 Elliott, Dyan 5 embodied experience
199–201 England, debts to Florence 32n6 Ensler, Eve 218 epistemological caution
199, 201 Erminia/Nicea 247–8, 255, 259–62, 263n4, 265n32 erotic forces, cosmic
239 erotica, learned 175n52 essentialism 2, 147, 198 Europa 235, 237Fabritio
128–9 faccia tosta 195 fallacious artistries 15, 248 Farnese, Giulia 76 the
Farnesina 192 female bodies 7, 218, 237, 247–8, 253, 256; see also genitals,
female Ferrante, Lucia 56 Ferrara 7, 112, 167, 216 Ferrari da Reggio, Giacoma
di 68n14 Ficino, Marsilio 167, 239 Finucci, Valeria 13 Fiorentina, Francesca 62
Fiorentina, Lena 60 Fiorentina, Lucia 69n37 Fiorentina, Vittoria 60 Fiorentini,
Camilla di 70n72 Firenzuola, Agnolo 167–9 Florence: annexation of Siena 8; bank
failures in 32n6; conquest of Siena 38, 44; ghetto of 57; homosexuality in 4,
187–8; laws on sexual violence 46, 49; nobility and tyranny in 23, 25–8, 30–1,
32n11; prostitution in 53, 64, 70n66; sausages of 169–71 forgetting, art of
229–30 fortezza 253–4, 256 Fortini, Pietro 164 Foucault, Michel 2–6, 13, 184–5,
203 Fra Bartolommeo 197 France: in Book of the Courtier 155n9; humiliation of
Italy 142–3, 145, 149, 152, 154, 156n38 Francesco I, Grand Duke 76 Franchi,
Giovanni Antonio de 126 Francis, Saint 109 Franco, Veronica 7 Frangipane,
Niccolò 166 Franzesi, Mattio 167, 171 Frassinago 57, 60, 65, 68n14 Freccero,
Carla 156n30, 203 Fregoso, Federico 148–50 Fregoso, Ottaviano 148, 150–4,
155n13, 156n44 Furlana, Caterina 62, 69n52 Gabriel, Angel 107–9 Galen 12, 163,
166, 175n41, 176n72 Galianti, Francesca di 61 Gallucci, Margaret 13 gambling
63, 79 Ganymede 14, 193, 205n38, 230, 233, 239–40 Garzoni, Tomazzo 65gender:
and art 14–15; Foucault and Boswell on 3 gender bias 235, 240 gender
nonconformity 146, 149 genitals: of animals 237; female 39, 100–1, 111, 113, 169,
175n54, 218, 224n52; male 107; mediaeval theories about 12 Gentileschi,
Artemisia 90 Gertrude of Helfta 111 Gerusalemme conquistata (Tasso) 14, 247;
female characters in 257–63; as orthodox 264–5n29; and Sophronia episode 250
Gerusalemme liberata (Tasso) 14, 247; female characters in 247–8, 253–6, 263n3;
Sofronia episode in 248–51, 263n6 Gesso, Giulia da 64–5 Ghirardo, Diane Yvonne
7 Giampieri, Giampero 251 Giannetti, Laura 12 Giannotti, Donato 164 Gigante,
Claudio 248 Gildippe 247, 255, 264n26 Giordano, Luca 248–50, 249, 262–3
Giovanni Maria 132–5 Giudi, Ludovica 64 Giustiniani, Benedetto 63 gluttony 12,
160–4, 168, 170–2, 173nn3–9, 212 Goddard, Alain 261 Goffen, Rona 5 Gonzaga,
Scipione 250, 263n6 gossip 55, 65, 87 Gozzadini, Ginevra 77 Grandi, Lucrezia di
68n14 Grazzini, Anton Francesco 163–4, 167, 169–71 Gregory the Great, Pope 160
Grosseto 46 group sex 11 Hadewijch 120n63 Halperin, David 184, 203 Harvey,
Elizabeth 217 hearts, gifting of 104 Hercules 230, 243n31 Homer 14, 259, 261,
263n8, 265n32 homoeroticism: between nuns 99, 102; in master-apprentice
relationship 188; in religious imagery 107–11, 120n30, 185, 188–90, 189, 195–7,
196; in in Renaissance Italian art 194–5, 205n38; in Sodoma’s secular work
192homosexuality: among clergy 190, 191; clothing denoting 188–90, 205n42; in
early modern Italy 187–8; Il Sodoma and 183–4, 193–5, 199; in Renaissance
scholarship 2–4, 13–14, 184–5, 198–9, 201; Saslow’s use of term 203n5; see also
lesbians; sodomy honour: and adultery 75–6, 81, 85; in Decameron 21, 24, 26–31,
33n19; male 7; and sexual violence 37–41 honour killings 80, 91n10 Il Sodoma
(Gianantonio Bazzi) 13–14; “Allegorical Man” 201–3, 202; biography of 183–4,
205n53; early religious works 185–90; historiography of 197–201; later
religious works of 195–7, 206n62; painting of Catherine of Siena 107, 108;
secular art of 191–5 Iliad 142–3, 260, 265n31 images: holy 250–3, 255, 261–2;
sexual 9, 14, 227–8, 231 imagination, phallic 235, 238, 241 imagines agentes
228, 231, 233–8, 240–1, 243nn30–1 imitatio Christi 113 immagine see images,
holy impotence 10 incest, laws on 81 incontinence of desire 161–2, 173n8 inns,
and prostitution 57, 59–60 Inquisition 3, 10, 99, 111, 130, 227, 249–51
instruments see dildos interdisciplinarity 5 intersectionality 15 inversions 235,
237–8, 240–1, 243n48 Io 233, 237–8, 241 Italian Renaissance: idealised image of
1; scholarship on sex and gender in 3–5 Jews: and prostitutes 54, 56–7; in Rome
126–9 Job 28–9, 34n27 Kodera, Sergius 14 La Raffaella (Piccolomini) 14, 213–14;
and Aretino’s Ragionamenti 211; depiction of women 214–15, 220–1; textual
sources 216–17 Labalme, Patricia 49 labyrinth 243n48 lactation, miracle of
105Landriani: Lucrezia 76; Marsilio 64 lavoratori 28 Leda and the swan 14, 231,
233–4, 238, 243n36 lenzuola 234 Leo X, Pope 191, 193–4, 205n41 Leonardo da
Vinci 188 lesbians, use of term for Renaissance women 3–5, 11, 99 levitation
118 Liberata see Gerusalemme liberata loci, in art of memory 228–32, 234–5,
238, 240, 242nn19, 23, 243n48 Lorenzo the bathhouse worker 132, 134–5 love: in
La Raffaella 214, 222; masculine 200; Neoplatonic discourse of 215, 219
Lucanica sausages 167 Lucretia, wife of Cynthio Perusco 132–5, 138n63 Lucretia
(Roman heroine) 191, 193 Lucretia the madam 132, 134–5 Lugeria 260 lust 114,
160–1, 164, 172, 173nn3–10, 201, 212 luxuria 161, 173n7 Machiavelli, Niccolò
78, 142–3, 155n10 magic: charges of 61; and love 77; natural 227, 233–4, 236,
239–41, 244n62 Magrino 126–30 male dress 142, 144–5, 148, 155–6n28; see also
clothing, and masculinity male solidarity 136 malmaritate 81, 99 Malpertuso 57
manly masquerade 147, 156n33 Mantuana, Chiara 60 Marcutio, Marino 89 Marema,
Caterina 65 Margaret of Cortona 113 Maria Maddalena de’ Pazzi, Saint 104,
112–13 marital debt see conjugal debt marriage: arranged 23–4, 33n19; mystical
115–16, 118; and passion 76 married women, sexual laws about 36, 61, 80, 88–9
Martelli, Agata 71n80 Martinengo, Maria Maddalena 113 marvels 227, 234, 236,
239 Mary Magdalene, Saint 77, 234 Mary mother of Christ: and Catherine of Siena
112; in Gerusalemme conquistata257–9; images of 249–54, 256, 262–3, 264nn17,
19; as mourner 262; and mystical marriage 107, 115, 116; Visitation of 102, 103
masculinity: arms and letters in 143–4; as conformity 148–9; and courtiers’
self-presentation 144–8, 150–2, 154; Renaissance 1, 11–13 masturbation 100, 102
maternal longings 239–41 Mattei, Giovanni Domenico di 86–8 Matthews-Grieco,
Sara 9 Matuccio, Giulio 128–9, 136n16 Mauro Criti 45–6 McCall, Timothy 141
McCarthy, Vanessa 8 Mea see Crivelli, Bartolomea meat: eating 160–3, 165, 167,
172; and sexuality 162–5, 169; see also carne; sausages memory, art of 14,
227–33, 235, 239–41, 242n7 Meo 131–5, 139n74 Messisbugo, Cristofaro da 167
Michelangelo 14, 185, 194–5, 205n55, 233–4 militarism 12, 142–3, 145, 154,
255–6, 262 Mills, Robert 200 Minotaur 234, 236 misogyny 5, 13, 77, 211–12, 220
mixti fori 80 monogamy, serial 79 monstrous offspring 234, 236–7, 241
Montalcino 43–4 Montanari, Massimo 161 Montauto, Federico Barbolani di 46, 48
Monte of the Riformatori 38 Monteoliveto Maggiore 183, 185, 186–7, 189, 192,
195 Moroni, Doralice 64 Moulton, Ian Frederick 10, 14 Murnaghan, Sheila 260
Muslim women 247, 255, 257–8, 263 mysticism: erotic 11, 100, 102, 104, 117,
197; physical signs of 112–13 myths, classical 14, 192, 205n55, 230–1, 233–5,
237–8, 240–1 naked bodies: physiognomy of 231–2; in Titian 234 Negri,
Elisabetta di 60 Neoplatonism 215, 219 Niccoli, Ottavia 49Nolli Plan 126
normative codes 8–9 Nosadella 57, 68n14 novelle 21, 77–8, 163–6, 171, 174nn26,
40, 200, 215, 217 nunneries see convents nuns: as brides of Christ 104, 107; in
fiction 212; lust of clergy for 114; and prostitutes 64; sexual activities of
4–5, 97–100, 216 Office of the Night 4 Olimpia 132, 134–5, 138n57 Ordeaschi,
Francesca 192, 194 Ordinances of Justice 25, 28, 33n18 Orsini, Orsino 76 Otto
di custodia 35 Ottonelli, Giovanni Domenico 251 Ovid (P. Ovidius Naso) 170,
232–3, 235, 237–8, 240 Paleotti, Gabriele 9, 54, 61, 67 Pallavicino, Gasparo
150, 153, 155n14 Palloni, Agostino 133–6, 139n78 Panicarolo, Pietropaolo 89
panopticon 231 Paolo, Giovanni 104, 105 Parabosco, Girolamo 160 Parigi, Gentile
di 70n71 Parker, Deborah 194 parlar disgiunto 248, 263n7 parodies 78, 217, 237
parties, prostitutes throwing 63 Partner, Nancy 5–6 Pasiphaë 231, 234–8, 240–1
Pasulini, Andrea di 61–2, 69n47 Pater, Walter 184, 201 patria potestas 75 Paul
III, Pope 76 Paul IV, Pope 130 pederasty 188, 193; pedagogical 10 Pellizani,
Vittoria 70n71 personae, in art of memory 228–32, 234, 242n16 Perusco, Cynthio
132, 134, 138n63 Pesenti, Antonia 102 Petrarch, Francesco 170; version of
Griselda story 21, 24, 29, 31, 33n19 Phaeton, Fall of 205n55 phallus, sexuality
centred around the 100–1, 171–2; see also genitals, male Philip II of Spain 37
physiognomy 227, 231, 233, 236, 239–40 Piazza Navona 127Piccolomini, Alessandro
211, 215–16, 224n60; Oration in Praise of Women 219–20; see also La Raffaella
Piccolomini, Marcantonio 219–20, 224n66 Piéjus, Marie-Françoise 216–17 Pietro,
Giovanni 68nn14, 27 piety, emotive register of 104 pity 49, 76, 255, 260–1 Pius
V, Pope 79 Pizzoli, Ludovico 69n49 Platina (Bartolommeo Sacchi) 161–2, 167,
173n15 “poco conesso” 248, 253, 256, 263n6 poetry, and homosexuality 184, 194
Ponce de Leon, Basilio 149 Pontano, Francesco 144–5 Poor Clares 64 Porcellio,
Niccolò 165, 200 pork: poetic praise of 170, 172; social attitudes to 161,
166–8, 174n21, 174–5nn40, 41, 176n72 pork sausage 166–8, 170–1 Porta Piera 56–7
Porta Procola 56–7 Porta Stiera 56–7 postmodernism 3, 184, 198–201, 203 power,
in gender relations 211–12 printing, transformative effects of 14 procuresses
54, 212, 216 prostitution: behaviour associated with 63–5; and courtesans 7;
and courtiers 148; in della Porta 231, 236–8, 243n36; evidence of 3;
ex-prostitutes 99; in fiction 211–13, 216, 221–2; and Ludovico Santa Croce
127–8; male 10; men’s interaction with female 60–3; residential patterns in
Bologna 8–9, 53–6, 55, 57; social and familial circles of 58–60, 65–7 Puff,
Helmut 188, 198 queer studies 184, 199, 201 queer visuality 192 Querzola,
Giovanna 68n14 Randolph, Adrian 190 rape see sexual violence Raphael (Raffaello
Sanzio da Urbino) 14, 200, 233 Raymond of Capua 106, 112 reception theory 190
Reed, Christopher 185, 198 re-focalization 240Renaissance Italy see Italian
Renaissance Renaissance scholarship, sexuality and gender in 1–6 Renaissance
sex 3, 13 Rice, Louise 78 the Ripetta 130 Rocke, Michael 4, 10, 187–8 Rojas,
Fernando 216 Roman antiquity, effeminacy in 144 Roman law 75–6 romance 9, 118,
256 Romantic Friendships 100 Rome: adultery trials in 9, 82–91; early modern
street plan 125–6; prostitution in 53, 59, 66–7, 79–80, 128; regulation of
illicit sex in 79–82; Renaissance demography of 79–80; sexual bohemianism in
192–3 Romoli, Domenico 162 Rosetti, Isabella 60 Rossi, Aloisi di 62, 69n49
Rossi, Caterina di 62, 69n52 Ruggiero, Guido 3–4, 8, 13, 187, 197, 199
Sacchetti, Niccolò 163 Sacchi Romana, Diana di 69n37 Sack of Rome (1527) 79,
145 saints, failed 99, 102, 111–12 same-sex eroticism see homoeroticism San
Colombano 60 Santa Caterina di Saragozza 63 Santa Croce, Ludovico 11, 126–36
Santa Croce family 126, 139n78 Sarteano 40–1 sausages 11–12, 161–3, 165–72,
175n42 Savi, Dorotea and Benedetta di 59 sbirri 60, 62, 65 Scapuccio, Antonio
127–9 Schutte, Anne Jacobson 99 Sebastian, Saint 195–7, 196, 206n62 Sedgwick,
Eve 184 self-expression 184, 194, 198, 203 self-fashioning 151 self-harm 113
semen 12–13 sensuality: in Renaissance Italy 9–10; and spirituality 98, 101–2,
111; women known for 252 Senzanome 57, 60, 64–5, 68nn14, 27, 70n71 Sercambi,
Giovanni 163–4, 166 sex crimes 4 sex ratio, in Rome 80 sexual fantasies 227–8,
234, 240sexual identity 4–5, 11, 13, 97, 119n7, 184, 198–9 sexual innuendos 10,
168–9, 194 sexual non-conformity 195, 201 sexual positions 13 sexual violence:
against women and young girls 37–8; against young boys 41–4; in art 191; in
classical myth 231; by clergy 35, 44–9, 98; laws on 4, 36–7, 49; in Renaissance
Italy 8 sexuality: female 217–18; Foucault on 2–3, 13; male 10, 172 (see also
phallus); and meat eating 162; Neoplatonic discourse on 215; newer approaches
to 3–6, 12; in poetry 194; see also homosexuality Sforza, Caterina 76 Sforza,
Galeazzo 141–2 Shakespeare, William 2, 232 shrines, prostitution around 64
sibille 90 Siena: administration of justice in 35–6; Il Sodoma in 185; sexual
violence in 8, 35–50; Vasari on 183 Simio, Antonio 62 Simon, Patricia 5 Simone,
Mario di 127–9, 131 Simons, Patricia 5, 11–13 sin, sexual 2, 42, 99, 102 single
women, vulnerability of 61 Sixtus V, Pope 61 slander, sexual 61, 63 social
constructionism 198, 201 social control 2, 12, 35, 143, 154 Socrates 200
sodomy: defences of 10; in early modern Italy 187–8, 198–200, 203; and meat
164–5, 169, 171–2, 174n21; preachers against 173n10; regulating 4; Roman laws
on 80–1; Sienese laws against 37, 42–4, 47–9; use of term 9; see also anal
penetration; homosexuality; Il Sodoma Sofronia: episode of 247–52; Giordano’s
paintings of 248, 249, 262; inscrutability of 253–6 Song of Songs 100, 107,
116–18 Speroni, Sperone 215 spirituality, sensual imagery of 97, 100, 104–12
Spisana, Anna and Lucia 59 Splenditello 98, 100, 104, 109, 114, 120n55, 121n98
Spoloni, Lucia and Francesca di 59 sponsa 107, 116–18 spousal violence, and
adultery 76, 82–3 sprezzatura 1, 146–7, 150–2, 156n42 Stanton, Domna 200
statues, living 230–3, 235, 240–1, 243n47 Statuta 80–1, 92n44 Stefani, Lena di
71n80 Stiera 56, 60 stigmata 97, 99, 107, 109, 111–14 Storey, Tessa 7, 66
strada dritta 126–8, 132 stufa 127–8, 133 subcultures 187–8, 197 Symonds, John
Addington 184 synecdoche 233–5, 238, 240–1 synopsis 239–41 Tagliarini, Lucia
68n14 Tarozzi, Pelegrina di 60 Tasso, Torquato 14–15; “Allegoria del Poema”
256, 262, 264n24; and female bodies 247–8; Giudizio del poema riformato 260–1;
and Sofronia episode 249–50; see also Gerusalemme conquistata; Gerusalemme
liberata Taylor, Andrew 6 Tedeschi, Radini 202 Teresa, Saint 109–11, 110
Terracina, Laura 216 Titian (Tiziano Vecelli) 5, 14, 92n15, 164, 166, 233–4,
240, 243n35 Torre Sanguigna 127–8 torture 41–2, 46, 49, 90 Toschi, Domenico 61
transgender 15 Traub, Valerie 203 Trevisana, Margareta and Francesca 59, 62–3
Tridentine rules see Council of Trent Tuscany, duchy of 37 Tylus, Jane 14
Ufficiali sopra la pace 35 Ufficio delle Bollette 53–62, 65–7, 69n49 Urban
VIII, Pope 112 Ursini, Hieronimo 82–4 Usinini, Terenzio 37–8 Utili, Mariella
249 The Vagina Monologues 218 vaginas see genitals, female Vallati, Cesare 131,
133–6 Vanna of Orvieto 109 Vanni, Francesco 106, 112 Varchi, Benedetto 141–2
Vasari, Giorgio 183–8, 192, 194–5, 199 Venetiana, Vienna 128 Venice:
prostitution in 53, 59; sex crimes in 4, 48, 79 Veronica Giuliani, Saint 99 Via
del Portico d’Ottavia 126 Via Santa Anna 125 Vicario 80, 84, 92n34 Vignaiuoli
169, 172, 175n52 Villani, Giovanni 145 Virgil 14, 219, 248, 251–3, 255, 262
Virgil 263n7 virtù: in Boccaccio 22–3, 32n6, 33n21; in Tasso 253 Virtuosi 168,
172, 175n52 visions, religious 5–6, 98, 111–14 visual culture 98, 102, 113
Vives, Juan-Luis 215, 217, 223n32 Walter of Brienne 23, 25, 32n8 whores see
prostitution witchcraft 10, 235–7; see also magic women: abuse of 131, 136;
depictions in Renaissance culture 14, 77, 171; honest and dishonest 53–4, 56–7,
59, 64–6, 81 (see also prostitution); in the Intronati 219–20; men writing
about 211–14, 217–22; men writing for 215–17; in myth 235; published and
unpublished texts by 223n37; see also female bodies women’s history 3–4 word
play 12 Yavneh, Naomi 250–1 Zanetti, Arsilia 61–2, 69n47 Zanrè, Domenico 194
Zapata, Giovan Battista 162 Zonta, Giuseppe 222 Giovanni Battista Modio. Modio.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Modio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745705644/in/datetaken/
Grice e
Moiso – la filosofia della mitologia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino).
Filosofo. Grice: “I like Moiso; I
would think my two favourite of his treatises is one on the ‘filosofia della
mitologia’ (think Beowulf!) --; the other is a consideration on Goethe on
‘nature and her forms’ – having built my career on the natural/non-natural
distinction, it cannot but fascinate me!”
Esperto di storia della filosofia e della scienza di fama internazionale,
ha insegnato nelle Torino, Macerata e Milano. Le sue ricerche hanno riguardato
la filosofia post-kantiana, con particolare attenzione al pensiero di Salomon
Maimon, l'idealismo tedesco, con ricerche su Kant, Fichte, Schelling e Hegel,
Goethe e l'età goethiana, Achim von Arnim, il concetto di esperienza ed esperimento
nel Romanticismo, la filosofia di Nietzsche nel suo rapporto con le scienze, il
pensiero di E. Mach. È stato membro della Schelling Kommission per l'edizione
critica di Schelling. Ha partecipato alla Enciclopedia Multimediale delle
Scienze Filosofiche di Rai Educational con due interventi sulla La filosofia
della natura tedesca e sulla "Scienza specialistica e visione della natura
nell’età goethiana". Presso l'Udine è stato istituito il Centro
Interdipartimentale di Ricerca sulla Morfologia. Fondamentali per la ricerca
filosofica e le oltre 100 pagine dedicate a “Pre-formazione ed epigenesis”, in
“Il vivente -- aspetti filosofici, biologici e medici,” – Grice: “Interesting
idea, ‘il vivente’ – we don’t have that thing in English, ‘a loose liver’ --. Verra,
Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana. Caratteristica degli suoi studi è
la connessione tra ricerca storico-filosofica e impianto teoretico, fatto
particolarmente evidente in suo saggio su Schelling. “La filosofia di
Maimon” (Milano, Mursia); “Natura e cultura” (Milano, Mursia); “Vita, natura
libertà” (Milano, Mursia); “Pre-formazione ed epigenesi nell'età goethiana, in “II
problema del vivente” Aspetti filosofici, biologici e medici, Verra, Roma,
Istituto della Enciclopedia Italiana); Nietzsche e le scienze” (Milano, Martino)--
Grice: cf. ‘gaia scienza’ – “Tra arte e scienza” (Milano, Marino);“La natura e
le sue forme,” C. Diekamp (Milano,
Mimesis); “La filosofia della mitologia,” M. Alfonso (Milano, Mimesis); “Il
nulla e l'assoluto” "Annuario Filosofico", “Teleo-logia dopo Kant” in:
Giudizio e interpretazione in Kant. Convegno sulla Critica del Giudizio
(Macerata, Genova, Idee in Schelling, in IDEA Colloquio, Roma, M. Fattori e M. Bianchi (Olschki,
Firenze); Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà
umana: e gli oggetti che vi sono connessi", Commentario A. Pieper e O.
Höffe (Milano, Guerini); Le Ricerche:
una svolta in Schelling?, in Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza
della libertà umana: e gli oggetti che vi sono connessi (Milano, Guerini); “Dio
come persona,” in Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza della
libertà umana: e gli oggetti che vi sono connessi", Commentario A. Pieper
e O. Höffe (Milano, Guerini); “I paradossi dell'infinito, in:
"Romanticismo e modernità", Torino, La scoperta dell’osso inter-mascellare
e la questione del tipo osteologico, in G. Giorello, A. Grieco, Goethe
scienziato” (Torino, Einaudi); “Schelling: il romano antico nella filosofia
dell'arte, in "Rivista di estetica", Torino, pensatore e narratore
dell'Europa, Milano, Gargnano del Garda, Milano: Cisalpino (Acme/Quaderni); E
ho visto le idee addirittura con gl’occhi, in: Goethe: la natura e le sue forme,
atti del Convegno Arte, scienza e natura in Goethe; Torino (Milano, Mimesis); C.
Diekamp,
Experientia/experimentum nel Romanticismo, in M. Veneziani, Experientia”
(Firenze: Olschki); “L'albero della malattia -- motivi della medicina in età
romantica, in Atti della sofferenza. Atti del seminario di studi. Udine, C.
Casale e G. Garelli, Itinerari, La
percezione del fenomeno originario e la sua descrizione, in: Arte, scienza e
natura in Goethe. Torino, R. Pettoello, In memoriam, "Acme", Alfonso,
Matteo, In guisa di introduzione. La filosofia della luce di Fichte, in "Rivista
di storia della filosofia,” M. Ivaldo, La fichtiana dottrina della scienza, In
memoria di Moiso. La filosofia della
natura, in "Annuario Filosofico", P. Ziche, "Un terzo più alto,
la loro sintesi comune". Teorie della mediazione, In memoria di Moiso. La filosofia della natura, in
"Annuario Filosofico", S. Poggi,
Dopo Schelling, dopo Goethe. lettore di Mach, La filosofia della natura, in
"Annuario Filosofico", F. Vercellone, Da Goethe a Nietzsche. Tra
morfologia ed ermeneutica, in In memoria di Moiso. La filosofia della natura,
in "Annuario Filosofico", Giordanetti, Interprete di Kant", in
Rivista di storia della filosofia, G. Frigo, Natura della forma e storicità
della sua comprensione, testimonianze di colleghi e allievi, Torino, La responsabilità dell'uomo per la natura nel
pensiero degli scienziati romantici in Testimonianze (Torino, Trauben); F.
Cuniberto, Corpo e mistero, in Testimonianze (Torino, Trauben, M. Alfonso, I
corsi: una lezione di ricerca, in Testimonianze (Torino, Trauben); P. Giordanetti,
Il kantismo di Nietzsche, Testimonianze” (Torino, Trauben); L. Guzzardi, Tra
filosofia della natura e morfologia dei saperi: un ruolo per l'enciclopedismo,
in Testimonianze” (Torino, Trauben); F. Viganò,
Morfologia e filosofia: la filosofia della natura come "tropica" del
reale, in Testimonianze (Torino, Trauben); A. Potestio, Lo Schelling di Heidegger (Torino,
Trauben); A. Mainardi, L'estetica
pittorica di Friedrich, Testimonianze, Torino, Trauben, A. Cazzaniga, La
filosofia dell'evoluzione, testimonianze Torino, Trauben, La natura osservata e
compresa: saggi in memoria, F. Viganò, Milano, Guerini, N. Moro, In ricordo , in "Rivista di
Storia della Filosofia", J. Jantzen,
In memoriam: In ricordo, Università degli Studi di Milano, Sala Crociera Alta, La rivoluzione di Lavoisier, in Enciclopedia delle
Scienze, Goethe e la natura, in Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, Goethe
poeta e scienziato, in Enciclopedia delle Scienze La ri-culturalizzazione della
scienza, in Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, Scheda biografica su Mimesis.
Grice: “Plato is clear about this: other than predicated of ‘shape’ (forma),
‘beautiful’ has no SENSE! Moiso learned that from Gothe –problem with Goethe is
that he was interested in the German mandibule!” Grice: “Pliny understood this
best: it’s one boring thing to see Apollo Belvedere, larger than life. The good
thing is to see or experience a ‘symtagm’, such as ‘I lottatori’ della Tribuna
– a statuary group of two males – one may say there is ONE form in the
Lottatori – Goethe would say that each body is a form – and so there are two
forms. -- Francesco Moiso. Moiso. Keywords:
la morfologia e la fisiologia del vivente --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Moiso” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702156307/in/photolist-2mLK4N4
Grice e
Mondin – il ritorno dell’angelo – la semantica filosofica – semantica pel
sistema G – interpretazione e validita -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Monte
di Malo). Filosofo. Grice:“Trust an
Aquino to provide a systematic philosophy! Mind, I’ve been called a systematic
philosopher, too!” Grice: “At
Oxford, we are very familiar with angels – but only Mondin takes angeologia
seriously! Trust an Italian! Ponte Sant’Angelo comes to mind!” Dottore di Filosofia e Religione a
Harvard. È stato decano della Facoltà di Filosofia presso la Pontificia
Università Urbaniana di Roma. Mondin membro della Congregazione dei
Missionari Saveriani. Nei suoi studi, le principali figure di riferimento sono
state Tommaso d'Aquino e Paul Tillich, da cui ha tratto l'ideale di un accordo
e di un mutuo sostegno tra filosofia e teologia. “Etica, Etica e
politica, Filosofia, Antropologia filosofica, Manuale di filosofia sistematica,
La Metafisica di Aquino e i suoi interpreti,” “Storia dell'antropologia
filosofica” Antropologia filosofica e filosofia della cultura e dell'educazione;
“Epistemologia e cosmologia; “Logica, semantica e gnoseologia; Ontologia e
metafisica Storia della metafisica, Storia della metafisica, Storia della
metafisica, “Ermeneutica, metafisica, analogia in Aquino; Storia della
filosofia medievale Dizionario enciclopedico di filosofia, teologia e morale Il
sistema filosofico di Aquino Corso di storia della filosofia, L'uomo: chi è?
Introduzione alla filosofia. Problemi, sistemi, filosofi La filosofia
dell'essere di Aquino Teologia, Piccolo trattato di mariologia “Il ritorno degl’angeli”
-- trattato di angelologia, Roma, Pro Sanctitate. Ospitato su archive.is.
Dizionario storico e teologico delle missioni Dizionario enciclopedico del
pensiero di Aquino, Essere cristiani
oggi. Guida al cristianesimo Il problema di Dio. Filosofia della religione e
teologia filosofica La cristologia di Aquino. Origine, dottrine principali,
attualità Storia della teologia Storia della teologia Storia della teologia
Storia della teologia, Gli abitanti del cielo Gesù Cristo salvatore dell'uomo
La chiesa sacramento d'amore La trinità mistero d'amore Dizionario dei teologi
Introduzione alla teologia Dio: chi è? Elementi di teologia filosofica Scienze
umane e teologia Cultura, marxismo e cristianesimo I teologi della liberazione,
“Il problema del linguaggio teologico dalle origini ad oggi” Filosofia e
cristianesimo I teologi della speranza I grandi teologi Professore I grandi teologi Professore I teologi della morte di Dio Dizionario
enciclopedico di filosofia, teologia e morale. Software Filosofia della cultura
e dei valori Le realtà ultime e la speranza cristiana Religione Nuovo
dizionario enciclopedico dei papi. Storia e insegnamenti Commento al Corpus
Paulinum (expositio et lectura super epistolas Pauli apostoli) La chiesa
primizia del regno. Trattato di ecclesiologia Mito e religioni. Introduzione
alla mitologia religiosa e alle nuove religioni L'uomo secondo il disegno di
Dio. Trattato di antropologia teologica Preesistenza, sopravvivenza,
reincarnazione Teologie della prassi L'eresia del nostro secolo Società Storia
dell'antropologia filosofica Antropologia filosofica. L'uomo: un progetto
impossibile? Philosophical anthropology Una nuova cultura per una nuova
società. In ricordo di Mondin. Un
tomista ed "oltre" del XX secolo: Battista Mondin di Pierino Montini,
Congresso tomista internazionale, Roma,
nel sito "E- Aquinas" Studium thomisticum. Grice: “Mondin
attempts a systematic semantics. Rather he has a section on ‘semantics’ --. The
expressions have to be used carefully. System itself, should be used alla
Gentzen, or as Myro does with System G in my gratitude. A semantics for System
G should include an interpretation and provisions for validity and truth!” – Grice:
“Most likely, as most Italian philosophers who haven’t read me do – he uses
‘system’ and ‘semantic’ in a rather pompouns way!” -- Battista Mondin.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mondin” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703623029/in/photolist-2mPpwbZ-2mLSzNn-2mLQA8J
Grice e Mondolfo – la filosofia romana – antica
filosofia italica -- la filosofia italiana – Luigi Speranza (Senigallia).
Filosofo. Grice: “Mondolfo is one of the few who have focused on ‘gli eleati’
as involving a locus – pretty much as I do when I talk of Oxonian dialectic.”
Grice: “Mondolfo’s study of the politics of Risorgimento is good; especially
since every Englishman seemed to endorse it!” -- essential Italian philosopher.
Like Grice, Mondolfo believed seriously in the longitudinal unity of philosophy
and made original research on the historiography of philosophy, especially
during the Eleatic, Agrigento, and later Roman periods. Figlio
di Vito Mondolfo e Gismonda Padovani, una famiglia benestante di commercianti.
Aderisce alle idee marxiste e socialiste. Studia a Firenze. Si laurea con
F. Tocco, discutendo una tesi su Condillac dal titolo: "Contributo alla
storia della teoria dell'associazione", un saggio da cui saranno poi
tratti alcuni dei suoi primi saggi di storia della filosofia. Frequenta un
gruppo socialista. Insegna a Potenza, Ferrara, Mantova, Padova, Torino, e Bologna.
Consigliere comunale nelle file del Partito Socialista. Collabora con la
rivista "Critica Sociale" fino a quando viene soppressa dal regime
fascista. Compone "Saggi per la storia della morale utilitaria"
di Hobbes ed Helvetius”; "Tra il diritto di natura e il comunismo", "Rousseau
nella formazione della coscienza moderna", "Il materialismo storico
in F. Engels" (Formiggimi, La Nuova Italia) "Sulle orme di Marx".
E tra i firmatari del manifesto degli
intellettuali anti-fascisti, redatto da Benedetto Croce. Si dedica alla
filosofia italica antica. Ciò nonostante, pur in questo periodo, grazie alla
politica di Gentile che volle coinvolgere filosofi di diverso orientamento
nell'impresa, collabora con l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Compone la
voce Socialismo. In seguito alle leggi razziali fasciste che vietavano agli
ebrei di ricoprire cariche pubbliche, Mondolfo scrisse il proprio curriculum di
benemerenze e vi inserì lo stesso Gentile come testimone il quale ha a propormi
per il Premio Reale di filosofia presso i lincei". Gentile autorizza
Mondolfo a citarlo tra i testimoni e tenta inutilmente di farlo ri-entrare tra
gli esclusi dalle leggi razziali. Costretto a lasciare l'Italia Gentile scrive
ad Alberini e lo aiuta a trovare lavoro in Argentina. Il suo archivio personale
è depositato in parte a Firenze presso la Fondazione di Studi Storici Filippo
Turati ed in parte presso Milano. Altre saggi: Sulle orme di Marx,” –
Grice: “Whitehead used to say that metaphysics has been but footnotes to Plato;
and Strawson used to say that to rob peter to pay paul you must show first that
pragmatics is but footnotes to Grice!” --
Grice: “But of course a footnote is not a footprint – only similar!” –
Grice: “While ‘footprint’ involves Roman pressum, ‘orma’ obviates that!”
-- Cappelli); “L'infinito nel pensiero
dei greci, Felice Le Monnier, La Nuova Italia); “Problemi e metodi di ricerca
nella storia della filosofia” (Zanichelli, La Nuova Italia, Firenze, Milano,
Bompiani, “Gli albori della filosofia in Grecia,” «La Nuova Italia», Editrice
Petite Plaisance, Pistoia,. La comprensione del soggetto umano nella cultura
antica, La Nuova Italia (Milano, Bompiani ). Alle origini della filosofia della
cultura, Il Mulino, “Il pensiero politico nel Risorgimento italiano,” Nuova
accademia, Cesare Beccaria, Nuova Accademia Editrice,. “Moralisti greci: la
coscienza morale da Omero a Epicuro,” Ricciardi, “Da Ardigò a Gramsci,” Nuova
Accademia, “Il concetto dell'uomo in Marx,” Città di Senigallia, “Momenti del
pensiero greco e cristiano,” Morano, “Umanismo di Marx. Studi filosofici,
Einaudi, “Il contributo di Spinoza alla concezione storicistica, Lacaita, Polis,
lavoro e tecnica, Feltrinelli, Educazione e socialismo, Lacaita, “Gli eleati,”
Bompiani,. Note Vedi Paolo Favilli, Dizionario Biografico degli Italiani,
riferimenti in. Fu una delle prime donne
italiane a conseguire la laurea (cfr. Le donne nell'Firenze). Sposò civilmente
a Firenze in Palazzo Vecchio Cesare Battisti. La sorella di Ernesta, Irene,
sposerà Giovanni Battista Trener, per anni collaboratore di Cesare. Amedeo Benedetti, L'Enciclopedia Italiana
Treccani e la sua biblioteca, "Biblioteche Oggi", Milano, Enciclopedia
Treccani, vedi alla voce futuro di Cesare Medail, Corriere della Sera, Archivio
storico. «SOCIALISMO» la voce nella
Enciclopedia Italiana, Volume XXXI, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Paolo
Simoncelli41. Paolo Simoncelli42.
Paolo Simoncelli43. Vedi Fabio Frosini, Il contributo italiano
alla storia del PensieroFilosofia, riferimenti in. Archivio, Inventari Stefano Vitali e Piero
Giordanetti. Ministero per i beni culturali e ambientali. Ufficio Centrale per
i beni archivistici. Archivio Rodolfo
Mondolfo. Inventari, Stefano Vitali e Piero Giordanetti, Roma, Ministero per i
beni culturali e ambientali. Ufficio Centrale per i beni archivistici, Paolo
Simoncelli "Non credo neanch'io alla razza" Gentile e i colleghi
ebrei, Le Lettere, Firenze, L. Vernetti,
R. Mondolfo e la filosofia della prassi, Morano, E. Bassi, Rodolfo Mondolfo nella vita e nel
pensiero socialista, Tamari); A. Santucci, Pensiero antico e pensiero moderno
in Mondolfo, Cappelli, Bologna); Bobbio, Umanesimo di Rodolfo Mondolfo, in
Maestri e compagni, Passigli Editore, Firenze 1984. M. Pasquini, Del Vecchio,
il kantismo giuridico e la sua incidenza nell'elaborazione di Rodolfo Mondolfo
(Alfagrafica, Città di Castello); C. Calabrò, Il socialismo mite: tra marxismo
e democrazia, Polistampa, Firenze); E. Amalfitano, Dalla parte dell'essere
umano. Il socialismo di Rodolfo Mondolfo, L'asino d'oro, Roma.
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. su siusa.archivi.beniculturali,
Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Opere Fabio Frosini, MONDOLFO, Rodolfo, in Il contributo italiano alla storia
del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Vita opere e
pensiero Diego Fusaro, sito "filosofico.net". Fondo Rodolfo Mondolfo
Università degli Studi di Milano. Biblioteca di Filosofia. Fondo Rodolfo
Mondolfo Fondazione di Studi Storici Filippo Turati. Italiani emigrati in Argentina – Antica
filosofia italica. La filosofia italica sin dai tempi antichi era cosi deita, e
quel che più monta, dai Greci stessi, e l'autorità non sospetta di un Platone e
di un Aristotele, che non la chiamarono con altro nome,ci sembra dar peso alle
ragioni di quanti la vogliono originaria, contro l'opposta opinione di chi tra
noi la dice por tata dalle colonie greche. Comunque sia, certo è che in questa
seconda supposizione,l'Italianonperdetuttoilsuomerito, perchè la scienza
quisorse più splendida mercè ilconcorso del genio e il sussidio delle
tradizioni italiane.-- Le scuole di cui essa può menar vanto sono due, la
pitagorica e l'eleatica. Il nome di questa scuola deriva da quello del suo
fonda tore,dicuisitieneincertacosìl'originecome iltempo della nascita;
l'origine, perchè è dubbio s'ei nascesse à Şamo della Ionia od a Samo della
Magna Grecia ; il tempo , perchè chi lo vuol nato nell'anno 584 av. C.,chi nel
608,e chi ancor prima, ai tempi di Numa,il quale, come ciè noto,mori nel 672,
dopo quarantatrè anni di regno. Tra i filosofi che vi apparten nero,chiamati
ancor essi pitagorici, con un Archita di Taranto (il più celebre di tutti), che
capitanò più volte gli eserciti, e non fu mai sconfitto, si ricordano un
Filolao, probabilmente di Crotone,unTimeodiLocri,edunOcellodiLucania.- Tacia mo
iminori o dimen notadottrina,come Liside,Clinia,Eurite, Zeleuco e Caronda; i
quali due ullimi, legislatori entrambi, di Locri l'uno, l'altro di Catania,
insigni rese l'efficacia che, per loro opera specialmente, ebbe allora la
filosofia negli ordini ci vili, quando, mutata la forma, i governi regi si
convertirono in popolari. Il Pitagoreismo ebbe vita dal bisogno di una scienza,
che, professata da uomini austeri e ornati di grandi virtû, e con giunta
all'operosità civile (in ciò la consorteria pitagorica, chè tale fu veramente,
distinguesi dalle indiane) servisse di criterio per una riforma riconosciuta
necessaria in mezzo al guasto ognor crescente della religione, dei costumi e
della libertà; lo che ci spiega le persecuzioni a cui andò soggetlo.
Scuola pitagorica. -12 Nuovo affatto è nella scienza il metodo recatovi dai
pita gorici. Questo metodo (e lo stesso dicasi del linguaggio ) è il
matematico; il quale consiste nell'applica re le idee di quantità
-13 alla natura interna ed esterna, ed al principio sommo della m e
desima; metodo che, tutto essendo nel mondo capace di numero e di misura, non
sarebbe forse tanto strano quanto a prima vista appare, se non fosse che i
pitagorici all'esperienza, che la verità ci rivela nell'ordine dei contingenti,
il più delle volte preferi rono il ragionamento a priori, error palese a chi
consideri che dal concetto, per esempio, di circolo, di triangolo, di pen
tagono, non si può argomentare che questi tipi si effettuino in natura, e chi
lo fa si espone al pericolo manifesto di costruire da sè un mondo fantastico,
un mondo che non esiste fuori della sua mente. Ma i pitagorici erano educati
allo studio delle m a tematiche; perciò non è meraviglia cheil metodo di queste
scien ze trasportassero nelle regioni della filosofia. Il gran problema
metafisico dei pitagorici riducesi adunque al seguente: trovare le leggi
mentali della quantità effettuate nella realtà, e con queste salire alla prima
cagione. Ed ecco perchè tutto è numero nel loro sistema : i principi delle cose
sono i numeri; un numero, una unità parziale è ogni cosa;un n u m e r o , u n a
u n i t à g e n e r a l e il l o r o c o m p l e s s o , c i o è l ' u n i v e
r s o o mondo , il quale comprendendo in sè tutti i numeri od unità parziali, à
in sè la pienezza d'ogni grado di entità, epperciò è decade; e la prima
cagione, il principio di tutti iprincipi delle cose, la causa che ad ogni altra
causa antecede, è numero essa pure, ma il numero per antonomasia, e quindi può
chiamarsi l ' v n i t à , l a d r a d e , l a t r i a d e , i l q u a d e r n a
r i o ( o s o l i d o ), i l s e t t e n a r i o e la decade. Ma lasciamo da
banda questo gergo simbolico,e vediamo che di sostanziale si peschi in fondo
alla dottrina pi tagorica, e come s'abbia a intendere la sua formola : Ogni
cosa è un numero. Che cosa è il numero per eccellenza , la Monade somma ,
infinita, il Dio dei pitagorici? E che sarà l'essere individuo ? Che
cosailmondooduniverso?Dioèl'entecheinsècontiene la propria essenza e quella di
tutti gli esseri, epperò tutti i contrari, cioè le cose più opposte e disparate
(inito ed infinito, dispari e pari, uno e più, positivo e negativo , quiete e
moto , loce e tenebre, bene e male ecc.), ed inoltre la moltiplicità loro
insieme concilia, risultandone una suprema unità, un'armonia
universale;Dio,insomma,è l'unità suprema di tutti icontrari.-- Le cose
particolari,gliesseriderivatidaleisonoimmaginisue, epperò consteranno anch'esse
di elementi contrari, a unità ed armonia ridotti; dunque ogni essere è un
numero ed armonia parziale.- Poni assieme tutti questi numeri, tutti gli esseri
finiti, e in modo che icontrarinon cozzino, ma formino un ---14
--- solo numero , una sola unità vastissima, immagine essa pure della Monade
Divina. Tale il mondo od universo dei pitagorici, il quale sarà l'assieme dei
contrari, non già nell'unità somma inesistenti, ma in atto e da Dio ridotti ad
armonia. Ora, in qual modo la generalità dei contrari, cioè la de c a d e , il
m o n d o i n e s i s t e v a n e l l ' u n i t à p e r e c c e l l e n z a , i
n D i o ? Q u i i pitagorici tacciono, di modo che nulla di positivo e certo
può rilevarsi dalla loro dottrina.Bensi e'ciapprendono come l'uni verso o mondo
si venisse formando per ispirazione od aspira zione.La Monade universale e
suprema, contenente in sè le unità particolari, da principio era una, continua,
indivisa, ma non indivisibile, e da ogni parte circondata da un vuoto im
menso;ilquale,aspiratodaessa,come l'aria entraneipolmoni,
siintrodussefraicontrari,ossiafralemonadi particolari,e cosi separandoli,
individuolli, e produsse la grande moltiplicità delle cose mondiali. La
formolaesprimentel'armoniauniversale (tuttoènumero) per la scuola pitagorica
può dirsi il principio di tutta la filo sofia, dappoichè essa l'applicò in
tutti tre gliordini,metafisico, logico e morale. Che cosa è l'anima umana , la
quale, diceva Filolao, giace nel corpo come in un sepolcro? !, risponde il
pitagorico, un numero, un'armonia, insieme conciliando essa due contrari, cioè
i sensi e la ragione, che sono ilnegativo ed il positivo, l'irragionevole ed il
ragionevole. E la verità, la co gnizione che cosa è mai ? Un numero,
un'armonia, come fuor dell'armonia è l'errore, essendo che per l'acquisto della
m e d e sima cooperano gli stessi contrari, quantunque la ragione si spinga più
oltre dei sensi, i quali non escono dalla sfera dei contingenti o fenomeni. E
che sarà, infine, la virtù ? Un numero , un'armonia, che risulia anch'essa
dall'accordo dell'irragionevole col ragionevole, essendo la virtù riposta nella
soggezione dei sensi all'impero della ragione,toltalaquale,all'armonia sotten
traladisarmonia,allavirtûilvizio.- Vadasèchelavirtù ci rimena alla Monade
suprema, all'ordine od armonia univer sale, che d'ogni essere è principio e
fine. Critica.-- Bene esaminando la dottrina dei pitagorici, si scuopre nella
medesima un error capitale, che à per sorgente l'abuso del metodo
trascendentale,come quello che licondusse a trasportare nell'ordine delle
realtà leastrazionidellamatema tica, e a concepir Dio quasi unità generica o
numero per ec cellenza, che è come dire quale un'essenza in cui si contengono
esiimmedesimano lecosetuttequante.Nè asalvarlidalpan teismo
implicitobastanolealteveritàframmischiatevi,eladichia -15
Senofanc,schernitoredeipoliteisti,iqualiammettono più dei, e degli
antropomorfisti, che li fingono a loro immagine e somiglianza, insegnò che Dio
è potentissimo, uno ed eterno;po tentissimo, perchè Egli è l'ente (entità,
forza, energia e potenza per la scuola italica sono termini sinonimi); uno,
perchè, tra più dèi uguali, nessuno è potentissimo per l'uguaglianza, e se
inferiori, nessuno è potentissimo per inforiorità; eterno, perchè l'ente non
può non essere, e il non ente non può divenire. Si fosse egli qui arrestato! ma
fra gli altributi divini ne annovera un quinto, dal quale poi con falsa logica
deduce una (1) Colonia ionica di Elea. (2) Elea ebbe un'altra scuola, fondatavi
da Leucippo e Demo crito, i quali spiegavano la formazione del mondo con
ammettere nel vacuo immenso una infinità di atomi eterni, il cui fortuito
accozzamento avrebbe dato origine a tutte cose (atomismo). Questa
scuola,chiamata fisica,non siconfonda coll'eleaticasemplicemente detta, e
denominata anche metafisica per distinzione. Uno razione di Filolao, Dio
essere imperatore e duce sommo, ed eterno, potentissimo, supremo e diverso
dalle altre cose; per chè d'uopo è che accetti le conseguenze chi non rinunzia
al l'erroneità dei principi. E l’erroneità del principio pitagorico sta appunto
nel far di Dio un tutto, un numero che comprende in sè ogni altro numero. « Il
sentimento religioso e morale, scri ve il dottissimo Bertini (Idea d'una
filosofia della vita) induce va i Pitagorici a collocare Dio molto al dissopra
del mondo;ma il fato della logica li forzava sovente ad immedesimarli in una
sola sostanza, e ricacciavali nel panteismo ». Scuola elearica. La scuola
eleatica ebbe tal nome da quello della città dove sorse, poco dopo la
pitagorica, per opera di Senofane, che, nato a Colofone della Ionia nell'anno
620 av. C., tardi migrò di là per l'invasione della patria,e venuto nellaMagna
Grecia,pre se stanza in Elea, e vi morì nella grave età di oltre a cent'an ni.-
SenofaneebbediscepoloParmenide,eParmenideZenone, buon patriota, che, condannato
a morte da un tiranno, corag giosamente sostenne ilsupplizio.Questi due,d'Elea
entrambi, con Melisso di Samo, il quale capitano gli Italioti (1) contro
Pericle, continuarono la dottrina del primo, e vi dettero forma più rigorosa,
se non incremento. D'altri nomi più famosi non la menzione la storia della
filosofia eleatica (2). -16 Una dottrina si ripugnante al senso
comune non poteva menarsi per buona; perciò si levarono a impugnarla e combat
terla gli empiristi, o fautori del metodo a posteriori, sostenendo
controgliEleati el'esistenzarealedisostanzefinite,elaloro contingenza e
varietà,elamutabilitàloro,attestatadall'evidenza dei fatti. Zenone, quel
valente Zenone che Aristotele riconobbe quale inventore della dialeitica
(scienza ed arte di ragionare e disputare ), come lo fu senza dubbio tra gli
Occidentali, a sua volta non lasciò senza difesa la filosofia della sua scuola
e del suo maestro,anzi incalzò gliavversari con molta lena e con buona copia
d'argomenti diretti a dimostrare, per una parte la fallacia dei sensi e
l'autonomia della ragione, per l'altra, e con sofismi ad homincm , che l'empirismo,
ilquale all'autorità della ragione oppone quella dei sensi, contiene in sè
contraddizioni ben più gravi di quelle che si dicevano implicite nella
metafisica eleatica. Ed allora, se la memoria non ci falla, sorse la prima
delle po lemiche che, per la loro importanza, ànno meritato una pagina nella
storia della scienza. ~ Famoso argomento di Zenone deito l'Achille.
strana conseguenza : l'ente è tutto od intiero, epperò nulla a lui può
aggiugnersi; donde segue che nulla può incominciare ad essere.Qui l'error di
illazione, il sofisma del conseguente è manifesto; quanto viene all'esistenza è
forse un che d'aggiunto all'infinitudine divina ? D'altronde, se nulla può
nascere o di venire, che pensare degli esseri contingenti e mutabili, cosi
detti perchè nei vari momenti del tempo sono e non sono, e mutano continuamente
? Senofane se la spicciò nettamente con negare a dirittura l'esistenza delle
sostanze finite, e sentenziò: « Tali cose non ànno altra vita fuorchè
l'apparenza, ed appartengono all'opinione. O che! sarà dunque menzognera sempre
la voce dei sensi ? E ci ingannerà di continuo l'intimo sentimento ? Che si,
rispondono in coro gli Eleati , quanto ci rilevano i sensi altro non è che
illusione; e la ragione è il mezzo unico per giungere al vero; e il vero è che
tutto è uno, e l'uno è tuito. Critica. Ma l’arte dei Zenoni, che con sofismi
strani pro pugnano la falsità del vero, e quel che è più, l'incertezza del
l'evidente, e, prova non dubbia di grande acume, perfin riesco no a dimostrare,
contro la possibilità del moto, che nella più rapida sua corsa il più celere
cavallo non raggiungerà mai una tartaruga,quantochè tardissima, la quale anche
di poco la pre ceda ("), tutta l'arte dialettica, ripeto, non sarà mai da
tanto che possa collocare sopra una base solida isistemi della scuola
Filosofia presso i Greci antichi. Principio, mezzo e fine;
infanzia,virilità e decrepitezza, o decadimento, ecco i tre stadi o periodi, le
tre età dell'antica fi losofia greca. Tra il principio e la fine corrono ben
sette secoli, all'incirca; ma noi li percorreremo in minor tempo, se non ci
manchi lena. da l'alete a Socrate. La prima età della filosofia greca antica
incomincia con Talete, e termina al comparire della filosofia socratica.
Talete, già è delio, nacque 600 anni av. C. e Socrate nel 170 ; qui dunque
abbiamo press'a poco un periodo di centotrenť anni, durante i quali sorsero due
scuole, la ionica e la sofistica; le quali, aggiunte alla pitagorica ed
all'eleatica, ci dànno in com plesso l'antica filosofia designata col nome di
italo-greca. Scuola ionica. Fondata in Mileto della Ionia, sua patria, da
Talete,primo tra i filosofi greci conosciuti, ma forse non tale veramente, que
sta scuola è, come vedremo, la men filosofica di tutte le pre cedenti. Nè la
ragione è difficile a comprendersi da chi sappia che la scienza ebbe allor
contrari i voluttuosi costumi e la ser vitù di quelle cit tà, soggette ai Lidi
ed ai Persiani, e che , a giudicarnedalsilenzioe
daipochicennidellastoria,coloroi quali la professavano erano ben lontani dalle
virtù che adorna vano i pitagorici; virtù che col venir meno a poco a poco,
pois cleatica; e sono tre: l'idealismo logico, perchè si nega l'au torità
dei sensi, per riconoscere soltanto quella della ragione; l'idealismo
metafisico, perchè si esclude la materialità, ilmolte plice ed ogni mutamento;
e, conseguenza di ciò, ilpanteismo, che ammette la sola esistenza dell'ente
immutabile ed eterno, e cosi rimuove ogni concetto di creazione. Il primo
nacque colla scuola pitagorica,mada Senofane fu recatoasistema;ilsecon do venne
accolto dagli Eleati per evitare le contraddizioni della medesima, che nell'uno
identificava le cose più opposte; il terzo sidirebbe comune alle due scuole,se
non fosse che nell'eleatica si lasciò da banda la parte corporea e mutabile, e
così si riusci a un panteismo parziale, al panteismo idealistico.Grice: You
have to love Mondolfo. As a Jew he was into Sartre’s existentialism, and the
rest of it – when Gentile inhibited Jews from teaching Italians, Mondolfo had
to stream his energy into the study of ‘antica filosofia italica’! for our
glory!” -- Rodolfo Mondolfo. Mondolfo.
Keywords: antica filosofia italica. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice, Mondolfo, e la filosofia greco-romana," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685325261/in/photolist-2mMVqb2-2mLQdrQ-2mLFBT9-2mLGjg5-2mPHbXQ-2mKfNvB-2mKgLKC
Grice e Monferrato – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Casale
Monferrato). Filosofo. Autore di opere di teologia e scienza e legato
pontificio. Entra nell'ordine francescano nella provincia genovese. Docente
presso lo studio francescano di Assisi. Compone il saggio. “Quaestio de
velocitate motus alterationis” (Venezia). In esso presenta un'analisi grafica
del movimento dei corpi uniformemente accelerati. La sua attività di
insegnamento in fisica matematica influenza gli studiosi che operarono a Padova
e Galilei che ri-propose idee simili. ‘Giovanni da Casale’, Treccani. Filosofia
Filosofo del XIV secoloTeologi italiani Casale Monferrato Storia della scienza.
Grice: “Casali dicusses the velocity of motion of alternation. He wisely
remarks that if one takes the example of the quality of hotness, onemay
conceive of a UNI-FORM hotness throughout – ‘just as a rectangular
parallelolgram is formed between two equidistant lines, such that any part you
wish is equally wide with another. ‘Let there be throughout a UNIFORMLY DIFFORM
hotness, such that it is a triangle!” -- Giovanni da Casale Monferrato. Monferrato.
Keywords: corpi inanimati, corpi animati, inerzia, un corpo animato non e un
missile guidato – Grice. La liberta dei corpi animati, uniform, uniformly
difform, difformly difform. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Monferrato” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744993161/in/datetaken/
Montanari
(Roma). Filosofo. Massino Montanari.
Grice e Montani – il debito del segno – implicatura
riflessiva -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Teramo). Flosofo. Allievo di Emilio Garroni, è
Professore di Estetica alla Sapienza Roma, è stato Directeur d'Études Associé
presso all'EHESS di Parigi e ha insegnato Estetica al Centro sperimentale di
cinematografia di Roma. La sua ricerca si concentra oggi principalmente sui
temi di filosofia della tecnica. Allievo di Emilio Garroni, per Montani
l'estetica non va considerata come filosofia dell'arte, ma come una teoria
della sensibilità umana, che ha la peculiarità di essere aperta agli stimoli
del mondo esterno. La riflessione di Montani si snoda in diversi passaggi e
attraverso il confronto con alcuni dei protagonisti della filosofia, della
linguistica, della semiotica e della teoria del cinema del Novecento, avendo
sempre come punto di riferimento la filosofia critica di Kant. Pensiero
Ermeneutica e filosofia critica. Pubblica Il debito del linguaggio, in cui,
partendo dal confronto con le teorie strutturaliste, in particolare quelle di
Jakobson e JMukarovsky, mostra come la questione del significato del testo
poetico non possa essere risolta mediante l'individuazione del codice
linguistico o semiotico di riferimento, ma rimandi ad una condizione estetica
della significazione. Questo tema viene ulteriormente approfondito in Estetica
ed ermeneutica. Prendendo le mosse dalla filosofia critica kantiana, propone di
ripensare la verità nel senso heideggeriano dell’ “a-letheia”, del
“dis-velamento” dell'essere come una situazione ermeneutica strettamente
legata all'effettiva esperienza del soggetto, seguendo la rilettura della
filosofia di Heidegger proposta da Gadamer.La formazione e il pensiero di
Montani sono stati segnati dal suo interesse per il cinema e in particolare per
Vertov e Ėjzenštejn. Di entrambi ha curato l'edizione degli scritti. Nel testo
“L'immaginazione narrative” (Guerini) coniuga l'interesse per il cinema con
quello più strettamente filosofico per il tema dell'immaginazione. Propone di
considerare l'immaginazione nei termini in cui, in Tempo e racconto, Ricœur
parla della narrazione, ovvero come di un processo di “rifigurazione”
dell'esperienza del tempo da parte dell'uomo. Per Ricoeur la narrazione ha il
potere di far fare al lettore esperienza di un tempo propriamente umano. Montani
fa propria la tesi di Ricoeur, applicandola però, all'ambito della narrazione
cinematografica. Montani ritiene che il territorio dell'immaginazione in cui
lavora il cinema sia quello dell'intreccio tra finzione e testimonianza, tra la
costruzione dell'intreccio narrativo e la documentazione del reale. La
trasformazione dell'esperienza del tempo avviene, così, ad un livello più
profondo e creativo. Tecnica ed estetica Con Bioestetica si inaugura la
fase più recente del pensiero di Montani, dedicata all'approfondimento del
rapporto tra tecnica e estetica. Attraverso il paradigma della bioestetica
Montani propone di leggere i fenomeni di biopotere che caratterizzano l'epoca
contemporanea a partire dalla loro natura innanzitutto tecnica ed estetica, cioè
a partire dal fatto che la sensibilità dell'essere umano viene sempre più
orientata ed organizzata tecnicamente. Il biopotere consiste proprio nella
capacità di canalizzare la sensibilità umana. In L'immaginazione intermediale
Montani prende in analisi i modi in cui il cinema risponde alle forme di
anestetizzazione. Prendendo le mosse dalla spettacolarizzazione della politica
emersa in seguito all'attentato delle Torri Gemelle, Montani introduce il
concetto di "autenticazione dell'immagine", che non consiste
nell'accertamento del referente fattuale dell'immagine (il vero, il reale) ma
nella rigenerazione di un orizzonte di senso condiviso, la capacità di
riferimento dell'esperienza e del linguaggio, in un'epoca caratterizzata da
crescenti fenomeni di “indifferenza referenziale” La riflessione sul rapporto
tra estetica e tecnica continua in “Tecnologie della sensibilità”, in cui viene
teorizzata l'esistenza di una terza funzione dell'immaginazione: accanto a
quella produttiva e riproduttiva vi è una funzione inter-attiva.
L'immaginazione inter-attiva diventa il paradigma attraverso cui leggere
l'epoca contemporanea, attraversata profondamente da fenomeni
dell'inter-attività digitale e dalla proliferazione di ambienti virtuali. Saggi:
“Il debito del linguaggio: l'auto-riflessività nel discorso,” – Grice: “There
is the ‘debito’ and there is the ‘credito’ or ‘price’ of semiosis, too!” --
Marsilio, Venezia; -- Grice: “Actually, Montani uses ‘aesthetic
self-reflection,’ using ‘aesthetic’ etymologically, as per what he calls
‘ermeneutica sensibile’ -- Fuori campo:
studi sul cinema e l'estetica, Quattroventi, Urbino; Estetica ed ermeneutica:
senso, contingenza, verità, Laterza, Roma);
L'immaginazione narrativa: il racconto del cinema oltre i confini dello
spazio letterario, Guerini, Milano); Arte e verità dall'antichità alla
filosofia contemporanea: un'introduzione all'estetica, Laterza, Roma); L'estetica
contemporanea: il destino delle arti nella tarda modernià, Carocci, Roma; Lo stato dell'arte:
l'esperienza estetica; M. Carboni eMontani, Laterza, Roma); Bioestetica: senso
comune, tecnica e arte” (Carocci, Roma; L'immaginazione intermediale:
perlustrare, ri-figurare, testimoniare il mondo visibile, Laterza, Roma); Tecnologie
della sensibilità. Estetica e immaginazione interattiva, Cortina, Milano. --
Note Montani, Il senso, Rai Scuola, su raiscuola.rai. I percorsi dell'immaginazione. Studi in onore
di Pietro Montani., Pellegrini,. Rinaldo
Censi, Cine-occhi e cine-pugni: due modi di intendere il cinema, su Nazione Indiana, L'immaginazione estatica. Estetica, tecnica e
biopolitica, su giornaledifilosofia.net. 2 lAlessandra Campo, Biopolitica come
an-estetizzazione. Il significato estetico della biopolitica, su
sintesidialettica. Montani, L'immaginazione intermediale, Laterza, Montani,
L'immaginazione intermediale, Laterza, Anna Li Vigni, Gli occhiali per
immaginare, Il Sole 24 Ore. La vita immersa nell’estetica del virtuale, su
ilmanifesto. Pietro Montani. Montani. Keywords: il debito del segno, Narciso e
la reflexione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Montani” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703228758/in/photolist-2mLQyAA-2mPYoE5
Grice e Montinari – sovrumano – torna a Surriento -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Lucca).
Filosofo. Grice: “If I were asked to identify the main difference between the
Italian philosopher and the Oxonian philosopher is that the Italian philosopher
takes Nietzsche seriously! But then he lived at Torino!” «Nelle istituzioni esistenti, sostenute da
immani forze di produzione e di distruzione, viene assimilata e mercificata
ogni e qualsiasi protesta, persino quella dei Lumpen, ogni tentativo di
lasciare la «nave dei folli». Se il metodo di Nietzsche può ancora aiutarci,
allora l'unica forza che ci è rimasta è quella della cultura, della
ragione.» Considerato uno dei massimi editori e interpreti di Nietzsche.
Ha definitivamente dimostrato che Nietzsche non ha mai scritto un'opera dal
titolo “La volontà di Potenza” e che le cinque diverse compilazioni che la
sorella del filosofo e altri editori dilettanti hanno pubblicato sotto questo
titolo sono testi del tutto inaffidabili per comprendere il pensiero di
Nietzsche. Si era formato alla Scuola Normale Superiore di Pisa e
all'Pisa, presso la quale si laureò con una tesi, “I movimenti ereticali a
Lucca.” Caduto il fascismo, divenne un attivista del Partito comunista, presso
il quale si occupava della traduzione di scritti dal tedesco. Mentre visitava
la Germani a Est per motivi di ricerca, fu testimone della rivolta del '53.
Successivamente, in seguito alla repressione della Rivoluzione ungherese del
1956, si allontanò dall'ortodossia marxista e dalla carriera nel partito.
Mantenne tuttavia la sua iscrizione al PCI, e rimase fedele agli ideali del
socialismo. Collaborò con le Edizioni Rinascita, e per un anno fu direttore
dell'omonima libreria in Roma. Dopo averne rivisto la raccolta di opere e
manoscritti in Weimar, Colli e Montinari decisero di iniziarne una nuova
edizione critica. Essa divenne lo standard per gli studiosi, e fu pubblicata in
da Adelphi. Per questo lavoro fu preziosa la sia abilità nel decifrare la
scrittura a mano (praticamente incomprensibile) di Nietzsche, fino a quel
momento trascritta solo da "Gast“ (Köselitz). Fonda la rivista
Nietzsche-di cui fu coeditore. Attraverso le sue traduzioni ed i suoi commenti
di Nietzsche, diede un contributo fondamentale alla ricerca storica e
filosofica, inserendo Nietzsche nel contesto del proprio tempo. Saggi: “Che
cosa ha detto Nietzsche” Roma, Ubaldini,
ripubblicato come “Che cosa ha detto
Nietzsche,” [Grice: “I convinced Montinari that ‘veramente’ is a trouser word
and should be avoided!” -- Giuliano Campioni, Milano, Adelphi. Su Nietzsche,
Roma, Riuniti, Teoria della Natura,
Torino, Boringhieri, Milano, SE, F
Nietzsche, Lettere a Rohde, Torino, Boringhieri, Nietzsche, Opere, (Milano,
Adelphi, Nietzsche, Il caso Wagner:
Crepuscolo degli idoli; L'anticristo; Scelta di frammenti, S. Giametta,
Ferruccio Masini, Giorgio Colli, Milano, Mondadori Editore, Ecce homo;
Ditirambi di Dioniso; Nietzsche contra Wagner; Poesie e scelta di frammenti
postumi, Milano, A. Mondadori, Nietzsche, Schopenhauer come educatore, Milano,
Adelphi, Epistolario di Nietzsche, María Ludovica Pampaloni Fama, Milano,
Adelphi, Nietzsche, Scritti, Milano,
Adelphi, Arthur Schopenhauer, La vista e i colori Carteggio con
Goethe,Abscondita, Nota introduttiva a
Genealogia della morale, Nietzsche e Van Gogh, due cardini del pensiero occidentale
moderno di Bettozzi (Liberal democaratici),
su liberal democratici.. «Tant qu'il ne
fut pas possible aux chercheurs les plus sérieux d'accéder à l'ensemble des
manuscrits de Nietzsche, on savait seulement de façon vague que La Volonté de
puissance n'existait pas comme telle (...) Nous souhaitons que le jour nouveau,
apporté par les inédits, soit celui du retour à Nietzsche.» (Gilles
Deleuze) Aveva infatti ottenuto una
borsa di studio della Scuola Normale Superiore a Francoforte sul Meno. Rinascita Che era stato il suo maestro.
Giuliano Campioni, Dizionario Biografico degli Italiani stituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani Giuliano Campioni, Giuliano Campioni,B
Giuliana Lanata, Esercizi di memoria, Bari, Levante Editori, (notizie su M. M.
nell'articolo su Colli anche a proposito dell'Enciclopedia di autori classici,
Editore Boringhieri, progettata e diretta da Colli e a cui M. M.collaborò).
Paolo D’Iorio, L'arte di leggere Nietzsche, Firenze, Ponte alle grazie,Giuliano
Campioni, Leggere Nietzsche. Alle origini dell'edizione critica
Colli-Montinari. Con lettere e testi inediti, Pisa, Mazzino Montinari: l'arte
di leggere Nietzsche Paolo D'Iorio, Pubblicato da Ponte alle grazie, Studi
germanici — Di Istituto italiano di studi germanici — Pubblicato da Edizioni
dell'Ateneo, Originale disponibile presso la l'Università della Virginia —
"Mazzino Montinari, Nietzsche", di Francesca Tuca Giuliano Campioni,
Da Lucca a Weimar: Mazzino Montinari e Nietzsche in Nietzsche. Edizioni e
interpretazioni, Maria Cristina Fornari, ETS, Pisa, Die "ideelle
Bibliothek Nietzsches". Von Charles Andler Montinari Pensiero di
Schopenhauer Roberto Roscani Torino#Filosofi Giuliano Campioni, Mazzino
Montinari, in Dizionario biografico degli italiani, stituto dell'Enciclopedia Italiana,. Opere di
Mazzino Montinari, Centro interdipartimentale di studi Colli-Montinari su
Nietzsche e la Cultura Europea — Pisa, Lecce, Padova e Firenze (Centronietzsche.net),
su centronietzsche.net. Grice:: “Montinari is right that ‘la volonta di
potenza’ ‘n’existe pas’ – vacuous name. Torna a Surriento. Mazzino Montinari.
Montinari. Refs. Luigi Speranza, “Grice e Montinari: l’implicatura di
Nietzsche” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745180974/in/datetaken/
Grice e Monte – implicatura – la
prospettiva e la filosofia della percezione -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Pesaro). Filosofo. Grice: “I like to illustrate a
‘scientific revolution’ with Del Monte’s refutation on the equilibrium
controversy, since it involves a lot of analyticity that only a philosopher can
digest!” -- essential Italian philosopher. Il marchese Guidubaldo Bourbon Del
Monte (Pesaro), filosoMecanicorum liber, Suo padre, Ranieri, originario da un
famiglia benestante di Urbino, discendente dalla schiatta dei Bourbon del Monte
Santa Maria, fu notato per il suo ruolo bellico e fu autore di due libri
sull'architettura militare. Il duca di Urbino, Guidobaldo II della Rovere, gli
attribuì, per meriti, il titolo di Marchese del Monte, dunque la famiglia
divenne nobile solo un generazione prima di Guidobaldo. Alla morte del padre, ottenne
il titolo di Marchese. Studia matematica a Padova. Mentre era lì, strinse una
grande amicizia con Tasso. Combatté nel conflitto in Ungheria, tra l'impero
degli Asburgo e l'Impero Ottomano. Al termine della guerra, torna nella sua
tenuta a Mombaroccio, vicino Urbino, dove passava i giorni studiando
matematica, meccanica, astronomia e ottica. Studia matematica con l'aiuto di
Commandino. Divenne amico di Baldi, che fu anch'esso studente di Commandino. Ispettore
delle fortificazioni del Granducato di Toscana, pur continuando a risiedere nel
Ducato di Urbino. In quegli anni,
corrisponde con numerosi matematici inclusio Contarini, Barozzi e Galilei e con alcuni di loro si dice abbia avuto anche
relazioni più che professionali.
L'invenzione per la costruzione di poligoni regolari e per dividere in
un numero determinato di segmento qualsiasi linea fu incorporata come
caratteristica del compasso geometrico e militare di Galileo. Proprio fu
fondamentale nell'aiutare Galilei nella sua carriera, che e un promessa ma
disoccupato. Raccomanda il toscano al suo fratello Cardinale, che a sua volta
parla con il potente Duca di Toscana, Ferdinando I de' Medici. Sotto la sua
protezione, Galileo ha una cattedra di matematica all'Pisa. Guidobaldo divenne
un amico fidato di Galileo e lo aiutò nuovamente quando dovette necessariamente
fare domanda per poter insegnare matematica all'Padova, a causa dell'odio e
della macchinazione di Giovanni de' Medici, un figlio di Cosimo de' Medici,
contro Galileo. Nonostante la loro amicizia, Guidobaldo fu un critico di alcune
teorie di Galileo, come quella relativa alla legge dell'isocronismo delle oscillazioni.
Compone un importante saggio sulla prospettiva, “Perspectivae Libri VI”, pubblicato
a Pesaro che ha ampia diffusione. E sicuramente, anche secondo il parere di
Galileo, uno dei massimi studiosi di meccanica e matematica. “Mechanicorum
liber”. Pisauri. Saggi: “Mechanicorum” (Pisauri, Girolamo Concordia – Venezia,
Deuchino -- Mecanicorum); “Plani-sphaeriorum universalium theorica” (Pisauri,
Girolamo Concordia); “De ecclesiastici calendarii restitutione" (Pisauri,
Girolamo Concordia); “La prospettiva” (Pisauri, Girolamo Concordia -- Roma); “Problematum
astronomicorum” Venezia, Giunta); De cochlea,” Venezia, Deuchino); “Le mechaniche nelle quali si contiene la
dottrina di tutti gl’istrumenti principali da mover pesi grandissimi con
picciola forza” (Venezia, Franceschi);
“Lettere” (Venezia); “La teoria sui planisferi universali” (Firenze). Galileo
(che nel frattempo era stato molto probabilmente anche suo ospite) puo occupare
la cattedra di Padova, grazie anche all’intervento delduca., che nell’ambiente
veneto poteva contare, oltre che sull’amicizia di un Contarini e di un Pinelli,
sull’autorità e l’influenza di Monte, generale delle fanterie della
Repubblica": Fondazione cardinal Francesco maria delmonte -- guidobaldo-del-monte/.
A. Giostra, La stella o cometa nelle lettere a Giordani, Giornale di
Astronomia. Galilei. Guidobaldo II della Rovere Mombaroccio, Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “There possibly is no
equivalent to perspective for the other senses. Prospettiva, as the Italians
call it. They are obsessed with it. Consider the human body. Consider Apollo
del Belvedere – it is not just a body perceiving another body, there is a
perspectival side to it!” Giambattista del Monte. Guido Ubaldo de’ marchesi Del
Monte; Guidobaldo Del Monte. Monte. Keywords: implicature, perspective in
statuary. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e del Monte," per Il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685910019/in/photolist-2mKiNkD-26dDynR-HW8b7z-GNEbxc-GUC8Z8-Guv9WS-Guvagu-GRC81o-Guv9zu-E4u3XA-GNEir2-FZ7y1G-GNEika-GuviMY-FZd4Zi-GuviZb-FZd4Hg-GUCps2-GRBWqA-GRC7Zw-FZd4wp-FZddSD-FZ7KbC-GNEior-FZ7ykj-FZ7KKJ-GNEiw2-GNE2Lp-FZ7KmC-FZddTR-FZ7L1J-FZd4An-GLk2q5-Guvj5S-GuviUm-FZ7Kbh-FZddBP-GLjUhY-GNE2hD-FZdrAe-GNEiFR-GLjTPy-Guv1bq-GRC1UW-GUCoPP-GUCpnc-GUCoZt-GUCpsT-GNEbSF-GkKUAY
Grice e Moramarco – la tradizione massonica italiana
– Luigi Speranza (Reggio nell’Emilia). Filosofo. Grice: “Unlike Moramarco, what most
people know about massoneria is via “Il flauto magico”!” Grice: “Moramarco
analyses massoneria aa a philosophical cult, talking about ‘brotherly link’
‘vincolo fraterno’ – he has unearthed a few fascinating details about
massoneria in Italy. Esponente della Massoneria te assertore di una sintesi
religiosa tra Mazdeismo e Cristianesimo. Discende da un'antica famiglia di
Altamura, di ascendenze latino-germaniche, cresciuta e ramificatasi durante il
dominio dei Farnese. Studioso di Massoneria, ha scritto la Nuova Enciclopedia
Massonica in tre volumi (1989-1995, seconda ed. 1997), importante testo di
ricerca massonologica. Un suo precedente volume, La Massoneria ieri e oggi fu
tra i primi, sull'argomento, pubblicati in Russia dopo il crollo del regime
sovietico, che aveva proscritto le Logge. Iniziato nel Grande Oriente
d'Italia il 10 dicembre 1975, divenne Maestro Venerabile della Loggia
Intelletto e Amore n. 723, e nel 1986 ricevette la decorazione all'Ordine di
Giordano Bruno, conferita a quanti si distinguono nello studio e nella
diffusione degli ideali massonici. Coordinatore scientifico del Convegno
Internazionale 250 anni di Massoneria in Italia, al quale parteciparono
studiosi quali Paolo Ungari, Alessandro Bausani, Aldo A. Mola, Alberto Basso,
Fabio Roversi Monaco, Paolo Ricca. Il convegno fiorentino costituì la prima
risposta pubblica, da parte della Comunione massonica di Palazzo Giustiniani,
alle degenerazioni della P2. Nello stesso anno, in qualità di Garante
d'Amicizia tra il Grande Oriente d'Italia e la Grand Lodge of South Africa,
richiese, d'accordo con il Gran Maestro Armando Corona, che tutte le Logge
sudafricane, peraltro già avviate in tale direzione (quando un gruppo di Liberi Muratori della
Massoneria Prince Hall era stato ammesso nella Loggia "De Goede Hoop"
di Cape Town), abrogassero l'apartheid, scelta che esse fecero, qualificandosi
tra le prime associazioni bianche a superare la segregazione razziale.
Nel 1992 uscì dal Grande Oriente d'Italia, rigettandone il laicismo, per
ravvivare i nuclei massonici di impronta cristiana e spiritualista, che
assunsero la denominazione Real Ordine degli Antichi Liberi e Accettati
Muratori (A.D. 926). Su tale concezione della Massoneria ha scritto La via
massonica. Dal manoscritto Graham al risveglio noachide e cristiano (), un
testo dal quale emerge, fra l'altro, l'importanza della devozione alla Vergine
Maria, come madre del Cristo ed espressione umana della divina Sophia, nella
genesi della spiritualità massonica. Ha ricostruito le vicende della Gran
Loggia d'Italia, l'altra associazione maggioritaria di Liberi Muratori in
Italia, nel volume Piazza del Gesù. Documenti rari e inediti della tradizione
massonica italiana, contribuendo in seguito alla realizzazione di programmi
tematici per varie emittenti televisive, tra le quali Rossija 24 (), Reteconomy
() e È TV Rete7. Ha conseguito il 33º grado del Rito scozzese antico ed
accettato e il VII del Rito filosofico italiano, che nel secondo decennio del
Novecento vide tra le sue fila i neopitagorici Arturo Reghini e Amedeo Rocco
Armentano. Fonda in Italia l'Antico Rito Noachita su patente ricevuta
presso il British Museum dall'ex Maestro Venerabile della Loggia
"Heliopolis" di Londra. Ha realizzato una colonna sonora per i
rituali massonici, dal titolo Masonic Ritual Rhapsody. presso la Loggia
"Gottfried Keller" di Zurigo, è stato ricevuto come membro
nell'Independent Order of Odd Fellows. Già attivo con Joseph L. Gentili, editore del newsletter Brooklyn Universalist
Christian, in un progetto di restaurazione della Chiesa Universalista
d'America, contro la deriva liberal di quel movimento, ha ricevuto il navjote
zoroastriano. Nel volume Il Mazdeismo Universale propone una visione eclettica
di tale religione, collegando ad essa elementi del misticismo ebraico, del
dualismo platonico e cristiano, del buddhismo Mahāyāna, e riconoscendo in Gesù
il saoshyant (divino soccorritore, messia) profetizzato dall'antica religione
iranica, in una prospettiva teologica di tipo mazdeo-cristiano, intorno alla
quale si è formata una Fraternità Mazdea Cristiana. Si è avvicinato alle
correnti latitudinaria e mistica dell'Anglicanesimo e al percorso religioso di
Loyson, confluendo in una comunità religiosa di orientamento eclettico, ove ha
potuto conservare la doppia appartenenza, cristiana e zoroastriana. Entro tale
gruppo, che nel gennaio ha assunto la
denominazione Reformed Cloister of the Holy SpiritUnione Riformata
Universalista, è un oblato di San Pellegrino delle Alpi, secondo la Regola che,
ispirandosi alle tradizioni fiorite intorno alla vita di quell'eremita del
Cristianesimo celtico, contempla almeno un atto quotidiano "di giustizia,
o di soccorso fraterno" anche nei riguardi di animali e piante.
Laureatosi cum laude in Filosofia presso l'Bologna,, con una tesi sul pensatore
indiano Sri Aurobindo (relatore il noto indologo e sanscritista Giorgio Renato
Franci), nella seconda metà degli anni Ottanta si è formato in Training
autogeno e Psicoterapia con la procedura immaginativa sotto la guida di Luigi
Peresson. Ha trattato dei nessi tra Zoroastrismo e Cristianesimo nei
libri La celeste dottrina noachita (e I Magi eterni, di fenomenologia del sacro
ne L'ultima tappa di Henry Corbin e di tanatologia in Psicologia del morire. Ha
scritto sulle esperienze di autogestione dei lavoratori nel mondo e sui
rapporti tra socialismo e religione per Azione nonviolenta, la rivista fondata
da Aldo Capitini. Con il saggio Per una rifondazione del Socialismo partecipò
al simposio "Marxismo e nonviolenza" (Firenze) nel quale
intervennero, tra gli altri, Norberto Bobbio e Roger Garaudy. -- è un
sostenitore della lingua ausiliaria internazionale Esperanto. Ha aderito al
gruppo esperantista bolognese "Achille Tellini 1912". In ambito
narrativo, ha scritto Diario californiano e Torbida dea. Si è occupato di
storia dello spettacolo, scrivendo I mitici Gufi (2001), sul celebre quartetto
di cabaret degli anni sessanta, e partecipando all'allestimento del programma
Gufologia per Rai Sat; con l'ex "Gufo" Roberto Brivio ha collaborato
sia nella riproposta del repertorio del gruppo in teatri e circoli culturali,
sia nella realizzazione di un laboratorio teatrale e musicale che vide
attivamente coinvolti numerosi alunni portatori di disabilità, presso
l'Istituto medio superiore in cui insegnò psicologia. Ha inciso quattro
CD, Allucinazioni amorose (meno due), Gesbitando, Come al crepuscolo l'acacia e
Existenz, che contengono sue canzoni e brevi suites strumentali, ricevendo il
plauso, tra gli altri, di critici come Maurizio Becker, Mario Bonanno (Musica
& Parole) e Salvatore Esposito (Blogfoolk), di autori come Bruno Lauzi,
Ernesto Bassignano, Giorgio Conte e dei jazzisti Giulio Stracciati e Shinobu
Ito. Nel dicembre è stato chiamato
da Luisa Melis, figlia e continuatrice dell'opera di Ennio Melis, il patron
della RCA Italiana, a far parte della giuria del Premio De André. Saggi: “La Massoneria” (Vecchi, Milano), “La
Massoneria: cronaca, realtà, idee (Vecchi, Milano), “Per una rifondazione del
socialismo, in: Marxismo e non-violenza (Lanterna, Genova) – PARTITO SOCIALISTA
ITALIANO --; “La Libera Muratoria” (Sugar, Milano); “La Massoneria. Il vincolo
fraterno che gioca con la storia” (Giunti, Firenze) Diario (Bastogi, Foggia)
Grande Dizionario Enciclopedico POMBA (Torino); Antroposofia, Besant,
Cagliostro, Radiestesia, ecc.). L'ultima tappa di Henry Corbin, in Contributi
alla storia dell'Orientalismo, Franci (Clueb, Bologna) “La Massoneria in
Italia” (Bastogi, Foggia) Enciclopedia Massonica (Ce.S.A.S., Reggio E.;
Bastogi, Foggia); Psicologia del morire, in
I nuovi ultimi (Francisci, Abano Terme) Piazza del Gesù. “Documenti rari
e inediti della tradizione massonica italiana” (Ce.SA.S. Reggio Emllia); Sette
Lodi Massoniche alla Beata Vergine Maria (Real Ordine A.L.A.M., Reggio Emilia)
La celeste dottrina noachita (Ce.S.A.S, Reggio E.) I mitici Gufi (Edishow,
Reggio Emilia); “Torbida dea. Psicostoria d'amore, fantomi & zelosia
(Bastogi, Foggia); Il Mazdeismo Universale. Una chiave esoterica alla dottrina
di Zarathushtra (Bastogi, Foggia ) I Magi eterni. Tra Zarathushtra e Gesù (Om, Bologna
) La via massonica. Dal manoscritto Graham al risveglio noachide (Om, Bologna )
Massoneria. Simboli, cultura, storia (consulenza scientifica di M.M.) (Atlanti
del Mistero/Giunti-Vecchi, Firenze ) Introduzione alla Libera Muratoria
(Settenario, Bologna ) Musica Allucinazioni amorose (meno due) (Bastogi Music Italia) (Bastogi Music Italia)
Gesbitando, (Bastogi Music Italia ) Come al crepuscolo l'acacia (Heristal Entertainment, Roma ) Existenz
((Heristal Entertainment, Roma ). Note
Aplogruppo Mola, Un valido impulso per una Massoneria "à parts
entières", in 250 anni di Massoneria in Italia, F. Ferrari, La Massoneria
verso il futuro (una conversazione con Michele Moramarco) v. ) Una breve rassegna di testi fondamentali
sulla Massoneria si trova sul sito del Cesnur diretto da Massimo Introvigne.
Vedi anche le recensioni di E. Albertoni ne Il Sole 24 Ore, p.1 inserto
domenicale, e di G. Caprile ne La Civiltà Cattolica, 6Il volume fu pubblicato
nel 1990, anno della dissoluzione dell'URSS, dalla casa editrice Progress, V.
Brunelli, Massoneria: è finito con la condanna della P2 il tempo delle logge e
dei "fratelli" coperti, in Corriere della sera, Il Corriere della
Sera dedicò un lungo articolo allo "scisma" (v. ). Del Real Ordine
A.L.A.M. si è occupato anche il centro di ricerca Cesnur, diretto dal noto
storico e sociologo delle religioni Massimo Introvigne,
v.//cesnur.org/religioni_italia/a/ appendice_02.htm. Il termine Real non aveva
alcun riferimento alla storia italiana, ma si richiamava alla leggenda,
contenuta negli Antichi doveri, secondo cui l'Ordine Massonico ricevé le sue
proto-costituzioni dal re Atelstano d'Inghilterra (Æðelstan); recentemente il
Real Ordine ha assunto la denominazione di Unione Cristiana dei Liberi
Muratori Rito filosofico italiano Antico Rito Noachita Masonic Ritual Rhapsody, Bastogi Music Italia,
youtube.com/watch?v=rSs0 4kpA36U. A questa esperienza è collegata la sua
iscrizione alla SIAE come autore musicale
Del percorso che lo ha condotto verso la visione di Zoroastro
(Zarathushtra) si è occupata la rivista parsi di Bombay, Parsiana, così come il
quotidiano torinese La Stampa v. mazdeanchristian.wordpress.com/ latitudinarismo, in Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, v. riformati
universalisti.wordpress.com// In questa comunità si ritrovano, su vari temi,
idee tratte dal Manicheismo, dall'Arianesimo, dal Quaccherismo,
dall'Unitarianismo, dal Giurisdavidismo e dall'universalismo hindu-cristiano
del movimento Navavidhan fondato da Keshab Chandra Sen (1838-1884). Frequenti e
significativi sono altresì i riferimenti al pensiero di aint-Martin e alla
"religione aperta"o della "compresenza dei morti e dei
viventi"elaborata da Capitini, Stracciati
Ito E. Albertoni, Tante fedi,
nessun dogma (recensione della Nuova Enciclopedia Massonica, Il Sole 24 Ore,I,
inserto culturale domenicale) M. Chierici, Nasce la Lega dei Venerabili
(Corriere della Sera) S. Esposito, Dalle radici del Mazdeismo all'Alleanza
Mazdea CristianaIntervista con Michele Moramarco (in Secreta Magazine S.
Esposito, Gesbitando: intervista con Michele Moramarco (Blogfoolk) F. Ferrari,
La Massoneria verso il futuro (una conversazione con Michele Moramarco)
(Bastogi, Foggi8) S. Semeraro, Tra la via Emilia e l'Est. Così parlò Zoroastro
(La Stampa, Torino) S. Sari, Unico e plurimo al contempo, Dio secondo gli
Zoroastriani [intervista a M.M.](Libero) G. Giovacchini, Cultura e spiritualità
della Massoneria italiana nella seconda metà del '900 [prefazione di Michele
Moramarco] (Tiphereth, Acireale-Roma )
Zoroastrismo Universalismo Massoneria Rosacroce michelemoramarco. blog del Real Ordine A.L.A.M., su realordine.wordpress.com.
Pagina sul sito di Heristal Entertainment, su heristal.eu. blog degli anglicani
latitudinari, su riformatiepiscopali.wordpress.com. Grice: “The Romans are
obsessed with what Moramarco calls ‘paganesimo romano’ – the word ‘pagano’ only
makes sense in opposition to Christ. It would be very inappropriate of the greatest
Italian philosopher ever, Antonino, to consider his self pagan!” -- Michele Moramarco.
Moramarco. Keywords: la tradizione massonica italiana. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Moramarco” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745062159/in/datetaken/
Grice e Moravia – ragazzi – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Bologna). Filosofo. Grice: “I like Moravia: he has philosophised on what makes us
‘human,’ (“il pungolo dell’umano”) – his analysis of ‘il ragazzo selvaggio’ is
sublime – and he has played with ‘reason,’ hidden and strutturata – and the
universi di senso with which I cannot but agree! – provided we don’t multiply
them ad infinitum!” -- Grice: “I like
Moravia’s idea of ‘la ragione nascosta’ – you have indeed to seek and thou
shalt find!” -- “Il Nietzsche che prediligo è il Nietzsche terreno, umano,
presente nel tempo. È il Nietzsche intrepido esploratore del sottosuolo
dell'uomo e dei disagi della civiltà. È il Nietzsche che fertilmente e
sofferentemente (non narcisisticamente) vive e pensa il nichilismo: ma per
andare oltre il nichilismo. È soprattutto il Nietzsche cheneo-illuminista forse
malgrado luivuole conoscere, capire, dare un (nuovo) senso alle cose.”
Professore a Firenze. Allievo diGarin,
si è formato in ambiente fiorentino conseguendovi la laurea in filosofia nel
1962 con tesi su Gian Domenico Romagnosi. Professore incaricato dal 1969, è poi
diventato, nel 1975, ordinario di Storia della Filosofia all'Firenze. Nel corso della sua carriera, si è
interessato particolarmente dell'illuminismo francese e del pensiero del
Novecento, della storia e dell'epistemologia delle scienze umane, con particolare
attenzione all'antropologia, la filosofia della mente e l'esistenzialismo. I
suoi studi e le sue ricerche hanno aperto nuove prospettive interdisciplinari
fra pensiero filosofico e scienze umane.
Attualmente, le sue attenzioni sono rivolte verso l'opera e il pensiero
del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche del quale, nel 1976, pubblicò già una
celebre antologia dal titolo La distruzione delle certezze e, nel 1985, una
raccolta di saggi intitolata Itinerario nietzscheano. Proprio un nuovo modo di
avvicinarsi e concepire il pensiero del filosofo tedesco lo hanno reso uno dei
suoi interpreti più originali e più discussi.
Grazie ai suoi studi e contributi filosofici, è stato visiting professor
presso l'Università della California a Berkeley, l'Università del Connecticut a
Storrs e il Center for the Humanities della Wesleyan University. Conferenziere presso altre sedi universitarie
americane (fra le quali, Harvard, UCLA, Boston) ed europee (Francia, Belgio,
Germania), è cofondatore della “Società italiana degli studi sul XVIII secolo”,
nonché membro del Comitato direttivo delle Riviste filosofiche “Iride” e
“Paradigmi”. Collabora ai giornali Corriere della Sera, Quotidiano nazionale,
La Repubblica. Saggi: “Il tramonto dell'Illuminismo -- filosofia e politica”
(Laterza, Roma); “La ragione nascosta” (Sansoni, Firenze); La scienza dell'uomo”
(Laterza, Roma); “L’antropologia strutturale” (Sansoni, Firenze);
“Esistenziale” (Laterza, Roma); “La teoria critica della società” (Sansoni,
Firenze); “Gl’idéologues -- scienza e filosofia” (Nuova Italia, Firenze); “La
distruzione delle certezze” (Nuova Italia, Firenze); “Linguaggio, scuola e
società not ‘storia’! -- Guaraldi, Firenze); “Filosofia e scienze umane
nell'età dei Lumi” (Sansoni, Firenze); “Pensiero e civiltà” (Monnier, Firenze);
“Il ragazzo selvaggio dell'Aveyron.” Pedagogia e psichiatria nei testi di
Itard, Pinel e dell'anonimo della "Décade" (Laterza, Roma); “Itinerario
nietzscheano, Guida, Napoli); Educazione e pensiero, Monnier, Firenze, Filosofia:
storia e testi, Monnier, Firenze, “L'enigma dell’animo” Laterza, Roma); Compendio
di filosofia, Monnier, Firenze, L'enigma
dell'esistenza -- soggetto, morale, passioni nell'età del disincanto,
Feltrinelli, Milano, L'esistenza ferita -- modi d'essere, sofferenze, terapie
dell'uomo nell'inquietudine del mondo, Feltrinelli, Milano, Filosofia
dialettico-negativa e teoria critica della società, Mimesis, Milano; “Ragione
strutturale e universi di senso” (Lettere, Firenze); “La Massoneria. La storia,
gli uomini, le idee, Mondadori, Milano); “Firenze e l’Umanesimo. Arte, cultura,
comunicazione” (Lettere, Firenze); Lo strutturalismo, Lettere, Firenze); “Filosofia
e psicoanalisi (POMBA, Torino); “L'universo del corpo, Istituto della
Enciclopedia Italiana, Roma, “Animo e realtà
psichica” (Borla, Roma, "L'esistenza e il male", in: "Mysterium iniquitatis", Gregoriana,
Padova, Linterpretazione personologico-esistenziale dell'uomo", in: La questione del soggetto tra filosofia e
scienze umane, Monnier, Firenze) – PERSONOLOGIA – PIROTOLOGIA – Grice, persona
-- Lettura Magistrale" al Convegno Dalla riabilitazione psicosociale alla
promozione della salute(Montecatini), "S.I.R.F. News", "Mente,
soggetto, esperienza nel mondo", in La filosofia italiana in discussione --
La filosofia italiana in discussione, Società Filosofica Italiana, Firenze),
Bruno Mondadori, Milano, "Crisi della cultura e relazioni generazionali
nel mondo contemporaneo", in Giovani e adulti: prove di ascolto, Sansepolcro
(AR), "La filosofia degli idéologues. Scienza dell'uomo e riflessione epistemological,
Letteratura italiana tra illuminismo e romanticismo, Convegno, Italianistica,
Padova, "Libertà, finitudine,
impegno -- genesi e significato della responsabilità nel mondo", in: V.
Malagola Giustizia e responsabilità (Convegno, Firenze), Dott. A. Giuffré Milano, "Dal soggetto persona alla relazione
interpersonale", Maieutica, De-mitizzazione e de- valorizzazione. La crisi
della 'forma famiglia' nella società", in: Interazioni, "Illuminismo
e modernità", Hiram, "Prove d'ascolto. Crisi della cultura e
relazioni generazionali nel mondo contemporaneo", Studi sulla formazione,
"La guerra giusta", Hiram,
"La filosofia, la conoscenza dell'umano, il dialogo col pensiero
religioso", Hiram, "Esistenza e felicità", Hiram,
"L'Occidente e la pace. Luci e ombre all'alba del terzo millennio",
Hiram,"La filosofia e il suo 'altro'. La riflessione metafilosofica di
Adorno in 'Dialettica negativa'", Iride,
"L'uomo: una storia infinita", in: Per una scienza dell'umano, Arezzo, "L’'interpretazione
personologico-esistenziale dell'uomo" – PERSONALOGIA – Grice, PERSONA. in:
L. Neuro-fisiologia e teorie della mente, Vita & Pensiero, Milano, "La
scoperta dell'inconscio, l'ambiguità del freudismo e il lavoro della psicoanalisi
sull'animale, Convegno "Meta-psicologia”, Napoli, La Biblioteca, Bari,
"Un mondo negato. L'assolutizzazione del corpo nella psico-umanologia
contemporanea", UMANOLOGIA – ibrido -- Hermeneutica, Corpo e persona,
"Complessità, pluralità, confini", in: Dal coordinatore al
coordinamento,Coordinatori pedagogici in Emilia-Romagna, Assessorato Servizi
Sociali, Bologna, Bruno Maiorca, Filosofi italiani contemporanei. Parlano i
protagonisti, Bari, Dedalo, su sapere,
De Agostini. Gran Loggia del GOI dal titolo "Tu sei mio fratello"
Registrazione video della Lectio Magistralis "Al di qua del bene e del
male Nietzsche esploratore dell'umano" Modena e Reggio Emilia Tavola
rotonda del GOI "Pedagogia delle libertà Libertà civili" Convegno del
GOI "La scienza non sia ostacolata dall'ideologia, dalla politica e dalla
religione" tavola rotonda della Comunità Oasi "Significato e funzione
della pena, della punizione e della penitenza nella promozione umana e
sociale" "Catturati
dall'effimero?" all'interno del Convegno Giovanile alla Cittadella di
Assisi" dsu arcoiris. Moravia. Keywords: ragazzi, personologia. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Moravia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745009609/in/datetaken/
Grice e Mordacci – la norma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like Mordacci – in a way, like I did with J. L. Mackie,
Mordacci opposes both ‘assolutismo’ and ‘relativismo’ – and tries to
‘construct’ an ‘inter-personal’ reason out of a full-fledged personal reason.
Whereas it would seem that we enjoin the principle of conversational
helpfulness out of altruism, there is this balance between conversational
self-love and conversational other-love; and we only ‘respect’ the other that
respects us as ‘pesonal;’ against Apel, the logic of the inter-personal
reduces, in a complex way, to the logic of the personal; without it, we would
be annihilating the autonomy of the will.” Grice: “I like Mordacci’s emphasis
on reason for normativity – interpersonal reason, as he calls it!” È preside
della Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele dove è
Professore di Filosofia Morale. È Direttore del Centro Internazionale di
Ricerca per la Cultura e la Politica Europea. Laurea in filosofia presso
l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Dottorato in bioetica presso
l'Università degli Studi di Genova. Ha svolto attività di ricerca e
insegnamento presso la Scuola di Medicina e Scienze Umane dell'Istituto
Scientifico Ospedale San Raffaele. Insegnato presso l'Università Vita-Salute
San Raffaele, prima presso la Facoltà di Psicologia e dal 2002 presso la
Facoltà di Filosofia che ha contribuito a fondare insieme con Massimo Cacciari,
Edoardo Boncinelli, Michele Di Francesco, Andrea Moro. Ha contribuito a
progetti di ricerca ed è stato membro del Consiglio d'Europa per l'insegnamento
della bioetica. Dal è preside della
Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele, essendo stato
rieletto nel giugno per il secondo
mandato. Membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le
Biotecnologie e le Scienze per la Vita della Presidenza del Consiglio dei
Ministri. Dal al è stato membro del Comitato Scientifico per
EXPO come delegato del Rettore
dell'Università Vita-Salute San Raffele. Dal è membro della Commissione per l'Etica della
Ricerca e la Bioetica del consiglio nazionale delle ricerche e del consiglio
direttiva della Società Italiana di Filosofia Morale. Si è dedicato in particolar
modo dei temi: "Etica e ragioni morali", "Etica pubblica e
rispetto", "Neuroetica". Attraverso l'indagine delle
"ragioni morali" e dell'"identità personale" e ispirandosi
alla filosofia kantiana, propone una forma di "personalismo critico"
in base alla quale il fondamento dell'esperienza morale viene individuato nella
ricerca, che ognuno compie, delle "buone ragioni" che danno forma
alla propria individualità personale attraverso l'agire. Riconoscere ogni
persona come autrice della propria identità fonda un'etica del rispetto delle
persone in quanto a ogni individuo viene riconosciuto il diritto e il dovere di
esprimere le proprie abilità e costruire la propria personalità. Si è
inoltre occupato di bioetica essendo anche stato coordinatore del progetto
Bioetica della genetica: questioni morali e giuridiche negli impieghi clinici,
biomedici e sociali della genetica umana del Miur (FIRB, Tra i suoi interessi
più recenti, la disciplina della Film and Philosophy: la riflessione su come i
film possono fare filosofia e se possono argomentare vere e proprie tesi
filosofiche. In questo contesto ha dato vita al Laboratorio di Filosofia e
Cinema presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele,
conduce il sabato pomeriggio la rubrica "Al cinema col Filosofo" su
TgCom24 (stagioni - e -) e la rubrica "Imparare ad amare i film"
all'interno di Cinematografo Estate () su Rai 1. Riviste È membro del
comitato scientifico dell'Annuario di Etica (ed. Vita e Pensiero),
dell'Annuario di Filosofia (ed. Mimesis) e della rivista online Etica & Politica.
Dalla sua fondazione è membro del Comitato Scientifico della rivista
scientifica a cura del Comitato Etico della Fondazione Umberto Veronesi.
Attività teatrale Romeo e Giulietta: nascita e tragedia dell'io moderno, Eloisa
e Abelardo: passione e negazione, Occidente, o identità fragile: Paul Auster e
le Follie di Brooklyn, analisi filosofiche con letture sceniche, ciclo
"Aperitivi con Sophia", Teatro Franco Parenti,La violenza e
l'ingiustiziaGorgia, ciclo "Filosofi a teatro" Roberto Mordacci,
Teatro Franco Parenti, L'individuo, la libertà e il perdono. Hegel legge
Dostoevskij, lettura scenica di Roberto Mordacci e Jean Sorel, ciclo
l'Intelligenza e la Fantasia, Teatro Strehler,L'isola della verità. Divagazioni
fotografiche e filosofiche, lettura scenica di Roberto Mordacci, Anna Traini e
Maria Grazia Stepparava, Cluster Isole, Mare e Cibo, Padiglione P03-Expo
Milano (Rho-Fiera), Kant e il mare,
lettura scenica di Roberto Mordacci e Francesca Ria, agosto Saggi:“Bio-etica della sperimentazione,” Angeli,
Milano; “Salute e bio-etica,” Einaudi, Milano); “Una introduzione alle teorie
morali,” Feltrinelli, Milano, La vita
etica e le buone ragioni,Mondadori, Milano, “Ragioni personali, ragione
inter-personali: Saggio sulla normatività morale,” Carocci, Milano, Elogio
dell'Immoralista, Mondadori, Milano; Rispetto, Cortina, Milano. Bioetica, Mondadori,
Milano. L'etica è per le persone, San Paolo, Cinisello Balsamo. Al cinema con
il filosofo. Imparare ad amare i film, Mondadori, Milano. La condizione
neomoderna, Einaudi, Torino,. Ritorno a utopia, Laterza, Bari,. Note Università Vita-Salute San Raffaele, su
unisr. Governo/bioetica, su governo.
Roberto Mordacci, su Le Università per Expo,Commissione per l’Etica
della Ricerca e la Bioetica, Consiglio Nazionale delle Ricerche, su cnr. Organi della società | SIFM, su sifm.
Intervista a L'accento di Socrate, su laccentodi socrate. Rai 1, Cinematografo estate, su rai.tv. Scienza e etica: in uscita la nuova rivista
della Fondazione Veronesi, su Fondazione Umberto Veronesi. Chi siamo
su scienceandethics. fondazioneveronesi. Feeding the Mind: Expo-Bicocca
Conversation Hour, su unimib. Lettura scenica de "I Sensi del Mare",
su//elbareport. 1 Pearson Imparare sempre su pearson. 1º agosto. Bioetica Mordacci Robertoe Book Mondadori
BrunoSai cos'è?FilosofiaePubIBS, su ibs. L'etica è per le personeEdizioni San
Paolo, su edizionisanpaolo. Riflessioni
sul senso della vita intervista di Ivo Nardi, sito "Riflessioni",
settembre. Ci vuole più rispetto intervista a Roberto Mordacci, Famiglia
Cristiana. Ma l'etica non è un'intrusa, intervista a Roberto Mordacci,
Avvenire, Ora smettiamola di parlare inglese, intervista a Roberto Mordacci, Il
Giornale. Mordacci. Keywords: la norma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Mordacci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703225018/in/photolist-2mLQxu7
Grice e Morelli – la filosofia del digiuno –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Grice: ‘I once told Austin, I don’t give a hoot what the dictionary
says;’ ‘And that’s where you make your big mistake,’ his crass response was!”
-- Grice: “I once told Ackrill, ‘should there be a manual of philosophy, must
we follow it?’ He replied, “One thing is to know the manual, another is to know
how to abide by it!” Si laurea a
Pavia e l'anno dopo assolve all'obbligo
di leva a Trieste dove presta attenzione alle problematiche relazionali dei
militari nello svolgimento delle proprie mansioni; si è poi specializzato in
Psichiatria presso l'Università degli Studi di Milano. Direttore dell'Istituto
Riza, gruppo di ricerca che pubblica la rivista Riza Psicosomatica ed altre
pubblicazioni specializzate, con lo scopo di "studiare l'uomo come
espressione della simultaneità psicofisica riconducendo a questa concezione
l'interpretazione della malattia, della sua diagnosi e della sua cura".
Inoltre è direttore delle riviste Dimagrire e Salute Naturale.
Dall'attività dell'Istituto Riza è sorta anche la Scuola di Formazione in
Psicoterapia ad indirizzo psicosomatico, riconosciuta ufficialmente dal
Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica.
Vicepresidente della Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Partecipa a
numerose trasmissioni televisive sia per la RAI sia per Mediaset (Maurizio
Costanzo Show, Tutte le mattine, Matrix, ecc.) e per la radio. Nelle sue
opere ci sono molti riferimenti alle dottrine orientali. Saggi: “Verso la
concezione di un sé psico-somatico. Il corpo è come un grande sogno della mente
(Milano, UNICOPLI, Milano, Cortina); La dimensione respiratoria. Studio psico-somatico
del respiro, inspiro, expiro – spiro -- Milano, Masson Italia, Dove va la medicina
psico-somatica (Milano, Riza); Il sacro.
Antropoanalisi, psico-somatica, comunicazione, Milano, Riza-Endas, Convegno
internazionale Mente-corpo: il momento unificante. Milano, Atti, Milano,
UNICOPLI, Riza, I sogni dell'infinito, Milano, Riza, Autostima. Le regole
pratiche, Milano, a cura dell'Istituto Riza di medicina psicosomatica, Il
talento. Come scoprire e realizzare la tua vera natura, Milano, Riza, Ansia,
Milano, Riza, Insonnia, Milano, Riza, Cefalea, (Milano, Riza); Lo psichiatra e
l'alchimista. Romanzo, Milano, Riza, Le nuove vie dell'autostima. Se piaci a te
stesso ogni miracolo è possibile, Milano, Riza, Conosci davvero tuo figlio?
Sconosciuto in casa. Dal delitto di Novi Ligure al disagio di una generazione,
Milano, Riza, Come essere felici, Milano, Mondadori, Cosa dire e non dire nella
coppia, Milano, A. Mondadori, Come mantenere il cervello giovane, Milano, Mondadori,
Come affrontare lo stress, Milano, A. Mondadori, Come amare ed essere amati
(Milano, Mondadori); Come dimagrire senza soffrire (Milano, Mondadori); Come
risvegliare l'eros, Milano, A. Mondadori, Come star bene al lavoro, Milano, A.
Mondadori, Come essere single e felici, Milano, A. Mondadori, Cosa dire o non dire ai nostri figli, Milano,
A. Mondadori, La rinascita interiore, Milano, Riza, Volersi bene. Tutto ciò che
conta è già dentro di noi (Milano, Riza); L'amore giusto. C'è una persona che
aspetta solo te, Milano, Riza, Vincere i disagi. Puoi farcela da solo perché li
hai creati tu, Milano, Riza); Felici sul lavoro. Come ritrovare il benessere in
ufficio, Milano, Riza, I figli felici. Aiutiamoli a diventare se stessi,
Milano, Riza, La gioia di vivere. Scorre spontaneamente dentro di noi, Milano,
Riza, Essere se stessi. L'unica via per incontrare il benessere, Milano, Riza,
Accendi la passione. È la scintilla che risveglia l'energia vitale, Milano,
Riza, Alle radici della felicità. Editoriali dpubblicati su Riza psicosomatica,
rivista mensile delle Edizioni Riza, Milano, Riza, Ciascuno è perfetto. L'arte
di star bene con se stessi, Milano, Mondadori, Il segreto di vivere. Aforismi,
Milano, Riza, Realizzare se stessi, Milano, Riza, Vincere la solitudine,
Milano, Riza, Dimagrire senza fatica, Milano, Riza, Amare senza soffrire,
Milano, Riza, Guarire con la psiche, Milano, Riza, Superare il tradimento,
Milano, Riza, Dizionario della felicità, 6 voll, Milano, Riza, Non siamo nati
per soffrire, Milano, Mondadori,L'autostima. Le cinque regole. Vivere la vita.
Adesso, Milano, Riza, Conoscersi. L'arte di valorizzare se stessi. Via le
zavorre dalla mente, Milano, Riza, I
figli difficili sono i figli migliori, Milano, Riza, Il matrimonio è in
crisi... che fortuna!, Milano, Riza, Autostima, I consigli di Raffaele Morelli
per un anno di felicità, Milano, Riza, Le parole che curano, Milano, Riza,
Perché le donne non ne possono più... degli uomini, Milano, Riza, Le piccole
cose che cambiano la vita, Milano, Mondadori, Come trovare l'armonia in se
stessi, Milano, Oscar Mondadori, Ama e
non pensare, Milano, Mondadori, Curare il panico. Gli attacchi vengono per
farci esprimere le parti migliori di noi stessi, con Vittorio Caprioglio,
Milano, Riza, Non dipende da te. Affidati alla vita così realizzi i tuoi
desideri, Milano, Mondadori, L'alchimia. L'arte di trasformare se stessi
(Milano, Riza); Il sesso è amore. Vivere l'eros senza sensi di colpa, Milano,
Mondadori, Puoi fidarti di te, Milano, Mondadori, La felicità è dentro di te,
Milano, Mondadori,L'unica cosa che conta (Milano, Mondadori); La felicità è
qui. Domande e risposte sulla vita, l'amore, l'eternità, con Luciano Falsiroli,
Milano, Mondadori, Guarire senza medicine. La vera cura è dentro di te (Milano,
Mondadori); Lezioni di autostima. Come imparare a stare beni con se stessi e
con gli altri (Milano, Mondadori); Il segreto dell'amore felice, Milano,
Mondadori, La saggezza dell'anima. Quello che ci rende unici (Milano,
Mondadori); Pensa magro. Le 6 mosse psicologiche per dimagrire senza dieta (Milano,
Mondadori); Vincere il panico. Le parole per capirlo, i consigli per
affrontarlo, cosa fare per guarirlo (Milano, Mondadori) Nessuna ferita è per
sempre. Come superare i dolori del passato (Milano, Mondadori); Solo la mente
può bruciare i grassi. Come attivare l'energia dimagrante che è dentro di noi
(Milano, Mondadori); Breve corso di felicità. Le antiregole che ti danno la
gioia di vivere (Milano, Mondadori); La vera cura sei tu (Milano, Mondadori); Il
meglio deve ancora arrivare. Come attivare l'energia che ringiovanisce (Milano,
Mondadori); Il potere curativo del digiuno. La pratica che rigenera corpo e
mente (Milano, Mondadori). Segui il tuo destino. Come riconoscere se sei sulla
strada giusta (Milano, Mondadori); Il manuale della felicità. Le dieci regole
pratiche che ti miglioreranno la vita (Milano, Mondadori); Pronto soccorso per
le emozioni. Le parole da dirsi nei momenti difficili (Milano, Mondadori).
Movie. Grice: “Should there be a ‘dizionario della felicita,’ I would perhaps
follow Austin’s advice and go through it!” –. Raffaele Morelli. Morelli.
Keywords: la dimensione respiratoria, inspirare, respirare, spirare, spirito,
il corpo animato spira – il corpo spira – corpo spirante, corpo animato --. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Morelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744327786/in/datetaken/
Grice e Moretti – la segnatura romantica – i
romantici di roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo.
Grice: “I like Moretti – he uses a good metaphor, ‘the wounded poet,’
unless we mean Owen, but he was more than wounded, even if that implicature is
cancellable --.” Grice: “I like Moretti also because he wrote on ‘ermeneutica
sensibile,’ which is exactly what I do.” Grice: “I like Moretti also because he
uses ‘segnatura’ etymologically, when he writes of the ‘la segnatura romantica’
– talk of tokens!” Nasce nel borghese quartiere Trieste, primo di due fratelli.
Ottiene il diploma di maturità classica presso il Liceo Giulio Cesare.
Successivamente consegue una prima laurea in Giurisprudenza, con una tesi in
filosofia del diritto, e, nel una seconda in filosofia, con una tesi in filosofia
morale, entrambe presso l'Roma La Sapienza. È poi borsista presso l'Friburgo in
Brisgovia, dove imposta un progetto di ricerca che, partendo dall'interpretazione
di Heidegger, mira ad un'analisi critica delle categorie filosofico-estetiche
del “romantico” in Germania, con particolare attenzione alle opere di autori
del romanticismo di Heidelberg, quali Creuzer, Görres, i Fratelli Grimm e Bachofen,
che contribuisce a tradurre e a far conoscere in Italia. Al suo rientro insegna
dapprima materie letterarie nelle scuole medie e, in seguito, filosofia presso
la Scuola germanica di Roma. La sua
ricerca si amplia poi al pensiero estetico di Novalis, di cui cura la prima
edizione completa in lingua italiana della Opera filosofica; durante questo
periodo consegue il dottorato di ricerca in Estetica presso l'Bologna. Vince la
cattedra di professore associato di Estetica all'Bari; Professore a Napoli
L’Orientale. Redattore di Itinerari e
Studi Filosofici, collabora con varie altre riviste filosofiche (Agalma, Rivista
di Estetica, Studi di Estetica, aut aut, Nuovi Argomenti, Filosofia e Società,
Filosofia Oggi, Estetica) e ha spesso partecipato a trasmissioni RAI su temi
filosofici e a numerosi convegni. Saggi:
”Il romantico: poesia, mito, storia, arte e natura” (Itinerari, Lanciano); --
roma – romantico -- “Anima e immagine: sul poetico” (Aesthetica, Palermo); “Nichilismo
e romanticismo -- estetica e filosofia della storia” (Cadmo, Roma); La
segnatura romantica (Roma, Hestia); “Interpretazione del romanticismo” (Ianua,
Roma); “Estetica: analogia e principio poetico nella profezia romantica” -- Rosenberg
& Sellier, Torino); “La segnatura romantica -- filosofia e sentimento”
(Hestia, Cernusco L.); “Il genio” (Mulino, Bologna); “Il poeta ferito.”
Hölderlin, Heidegger e la storia dell'essere” (Mandragora, Imola); “Anima e
immagine.” Studi su Klages, Mimesis,
Milano, Heidelberg romantica. Romanticismo e nichilismo” Guida, Napoli,
Introduzione all'estetica del Romanticismo, Nuova Cultura, Roma, Il genio, Morcelliana, Brescia. Per immagini.
Esercizi di ermeneutica sensibile” (Moretti & Vitali, Bergamo); Heidelberg
romantica. Romanticismo tedesco e nichilismo europeo, Morcelliana, Brescia,
Novalis. Pensiero, poesia, romanzo Morcelliana, Brescia, Romano Guardini, Hölderlin,
Morcelliana, Brescia. Novalis, Scritti filosofici, Morcelliana, Brescia. J. J.
Bachofen, Il matriarcato (Marinotti, Milano); Novalis, Opera filosofica, I, Einaudi, Torino, Un video con una trasmissione
RAI. Un video con un intervento di Moretti. Giampiero Moretti. Moretti.
Keywords: roma, romanzo, romanzare, romanzato – non vero. Romanticismo
filosofico, I filosofi romantici italiani Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Moretti: il
romanticismo romano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51743474602/in/datetaken/
Grice e
Mori – la coerenza dell’intransigenza – la ripproduzione sessuata fra i antici
romani -- Luigi Speranza (Cremona).
Filosofo. Grice: “I like
Mori; he wrote a treatise on Stephen, better known as Virginia Woolf’s father;
which reminded me of Bergmann who once called me an English futilitarian!” --
Professore a Torino e presidente della Consulta di Bioetica Onlus,
un'associazione di volontariato culturale per la promozione della bioetica
laica. L’etica e la bioetica con le varie problematiche connesse sono le
tematiche al centro dei suoi interessi filosofici e teorici. Mori ha studiato all’Università degli Studi
di Milano, dove ha conseguito la laurea (con Bonomi e Pizzi) e il dottorato
sotto Scarpelli e Jori. Insegnato ad Alessandria e Pisa, prima di essere
chiamato a Torino. Studia i temi della meta-etica e della logica dell’etica con
le problematiche della teoria etica. Tra i primi a occuparsi di bioetica, nella
quale ha dato contributi in tutti i principali settori, con particolare
attenzione all’aborto e alla fecondazione assistita. Sollecitato dai casi Welby
e Englaro ha dato contributi anche sul fine-vita a difesa dell’autonomia
individuale. Per primo teorizza la contrapposizione paradigmatica tra bioetica
laica e bioetica cattolica, derivante dal fatto che quest’ultima propone
un’etica della sacralità della vita caratterizzata da divieti assoluti, mentre
l’altra avanza un’etica della qualità della vita senza assoluti e soli divieti
prima facie. Presta grande attenzione al problema della liberazione animale.
Fonda Bioetica. Rivista interdisciplinare (Ananke Lab, Torino). Membro di
numerosi comitati, tra cui il comitato scientifico di Notizie di Politeia, di
Iride del Journal of Medicine and Philosophy e altre. Saggi: “Manuale di
bioetica: verso una civiltà bio-medica secolarizzata” (Lettere, Firenze); “Introduzione
alla bioetica. temi per capire e discutere” (Piazza, Torino); Il caso Eluana
Englaro. La “Porta Pia” del vitalismo ippocratico ovvero perché è moralmente
giusto sospendere ogni intervento, Pendragon, Bologna, Aborto e morale. Per
capire un nuovo diritto” (Einaudi, Torino); “La fecondazione artificiale. Una
forma di riproduzione umana” (Laterza, Roma-Bari); “La fecondazione
artificiale: questioni morali nell'esperienza giuridica Giuffrè, Milano); “Utilitarismo
e morale razionale. Per una teoria etica obiettivista, Giuffrè, Milano, La
legge sulla procreazione medicalmente assistita. Paradigmi a confronto, Net,
Milano, Laici e cattolici in bioetica: storia e teoria di un confronto, Le
Lettere, Firenze, La fecondazione assistita dopo 10 anni di legge 40. Meglio
ricominciare da capo!, Ananke editore, Torino, Questa è la scienza, bellezze!
La fecondazione assistita come novo modo di costruire le famiglie, Ananke Lab,
Torino. Keywords: la coerenza dell’intransigenza.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745063995/in/datetaken/
Grice e Moriggi – la stretta di mano – Ercole e
Cerbero – le tre implicature -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like it when Moriggi does substantial metaphysics; he
has edited a collection on ‘why is there something rather than nothing?” –
hardly rhetoric – and the subtitle is fascinating: the vacuum, the zero, and
nothingness! All in Italian, to offend Heidegger!” Specializza in teoria e
modelli della razionalità, fondamenti della probabilità e di pragmatism. Insegna
a Brescia, Parma, Milano e presso la European School of Molecular Medicine è
conosciuto al grande pubblico attraverso la trasmissione TV E se domani di Rai
3 e per alcuni interventi ad altre trasmissioni. Saggi: “Le tre bocche di
Cerbero” (Bompiani. Perché esiste qualcosa anziché nulla? Vuoto, Nulla, Zero,
con P.Giaretta e G.Federspil (Itaca) Perché la tecnologia ci rende umani (Sironi) Connessi. Beati quelli che sapranno
pensare con le macchine (San Paolo) School Rocks! La scuola spacca, con A.
Incorvaia (San Paolo, ), con prefazione rap di Frankie Hi-nrg. Stefano Moriggi.
Moriggi. Keywords: le tre bocche di Cerbero. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Moriggi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51743282837/in/datetaken/
Grice e Mosca – implicatura – filosofia italiana – filosofia
siciliana Luigi Speranza (Palermo).
Filosofo. Grice: “When Austin was defending the ‘man in the street,’ he was
thinking Mosca!” -- Grice: “I like Mosca; he speaks of elites – Gellner speaks
of elites, too!” -- Grice: “Do Italians consider Mosca a philosopher?” – Saggi: “Sulla teorica dei governi e sul
governo parlamentare, Appunti sulla
libertà di stampa, Questioni costituzionali, Le Costituzioni moderne; Elementi
di scienza politica, Che cosa è la mafia, Appunti di diritto Costituzionale,
Italia, Stato liberale e stato sindacale, Il problema sindacale, Saggi di storia delle dottrine politiche,
Crisi e rimedi del regime parlamentare, Storia delle dottrine politiche,
Partiti e sindacati nella crisi del regime parlamentare, Ciò che la storia
potrebbe insegnare. Scritti di scienza politica (Milano), Il tramonto dello
Stato liberale (a cura di A. Lombardo, Catania) Scritti sui sindacati (a cura
di F. Perfetti, M. Ortolani, Roma) Discorsi parlamentari (con un saggio di A.
Panebianco, Bologna 2003). GAETANO MOSCA APPUNTI
DI Diritto Costituzionale
DALLA Enciclopedia Giuridica Italiana
MILANO SOCIETÀ EDITRICE LIBRARIA Via Kramer, 4 A - Qall. De
Orùtofttrit, 5 4 55 1M8 Digitized by
VjOOQIC y '.AnvAlì'1 COLLEGE
LIBRARY M.Oi! Ir.L COLLECTION OF GAtfANO
SALVEMINI COOLIDtìE FUND MAKCH 21, 193(>
Milano, 1907 — Tip. Indipendenta, Corso Indip. 23
Digitized by VjOOQIC INDICE-SOMMARIO
• Parte I. — La genesi delle oottituzlenl moderiM 1. Cenni
storici sulla scienza del diritto costituz pag. 1. 2.
Definizione dello Stato e della sovranità, pa^ 3. Condizioni
sociali che prepararono il regime i sentativo, pag. 12.
4. Dottrine politiche che integrano l'azione del dizioni
sociali, pag. 17. 5. La costituzione inglese e sua importanza
con dello di tutte le costituzioni moderne. - origini, pag.
24. 6. Ordinamenti politici ed amministrativi dell' ^
terra fino allMnizio del secolo decimosettin gina 29.
7. La prima rivoluzione inglese. — La restaura: Vhabecis
corpus^ pag. 33. 8. La seconda rivoluzione inglese. — Il
seconc dei diritti e Patto di stabilimento. — Ul svolgimento
della costituzione inglese nel decimottavo, pag. 43. Partk
II. — Lo StatMto Albertino. 9. Caratteri delle prime costituzioni
moderne. — più dirette dello Statuto Albertino, pag. 5: 10.
Il re. — Sue prerogative e norme della succ< monarchica, pag.
58. MObCA. Digitized by
Google — vi- li. Il gabinetto, i ministri ed il
presidente del con- siglio, pag. 64. 12. La responsabilità
penale dei ministri, pag. 76. 13. La formazione delle due Camere. —
Varii sistemi di siiffir-agio, pag. 81. 14. La legge
elettorale politica, pag. 92. 15. Prerogative e funzioni dell» due
Camere, pag. 102. 16. DelPordine giudiziario, pag. 119.
17. Dei diritti individuali, pag. 124. 18. Dei rapporti fra
la Chiesa e lo Stato, pag. 141. Lo studio del diritto pubblico in
genere e del diritto costituzionale in ispecie richiede anzitutto
la definizione esatta di certi concetti che, per quanto non nuovi, non
hanno acquistato ancora un signi- ficato preciso e determinato e nello
stesso tempo accolto da tutti. Il concetto di Stato, che è il
più fondamentale di tutti, venne ad esempio elaborato fin dalla
clas- sica antichità e corrisponde a ciò che i greci chia- mavano
nóXi(;, ed i romani respublica. Eppure Digitized by
VjOOQIC - 8 ~ anche oggi si disputa sulla
origine e la natura dello Stato. Fra tutte le definizioni
dello Stato la migliore mi sembra quella che lo fa consistere nella
orga- nizzazione politica e giuridica di un popolo entro un
determinato territorio, ma anche essa ha biso- gno di spiegazioni e
commenti. Quando si dice infatti organizzazione politica di
un popolo, s' intende quella di tutti gli elementi che dirigono politicamente
un popolo ossia esercitano funzioni statuali. Nello Stato moderno perciò
vanno compresi non solo tutti i pubblici funzionari, te- nendo
conto pure di quelli fra costoro che non sono pubblici impiegati, ma
anche i membri del Parlamento ed i consiglieri provinciali e comunali
; e perfino gli elettori politici e comunali, quando sono convocati
nei comizi, esercitano funzioni sta- tuali e perciò fanno parte dello
Stato. Ma per quanto in una organizzazione statuale
democratica lo Stato possa comprendere, almeno giuridicamente dappoiché
in fatto le cose vanno diversamente, la parte maggiore della società,
pure questa non si confonde mai intieramente collo Stato. Perchè
anche nei paesi dove vige il suffragio uni- versale vi sono molti
individui che pur fanno parte del sociale consorzio, come le donne, i
minorenni e coloro che per condanne sono esclusi dal suffra- gio, i
quali in nessun caso partecipano alle fun- zioni politiche o
statuali. Ma se lo Slato non è la società, esso essendo costituito
dal complesso di tutti gli elementi che partecipano alla direzione
politica di questa non è certo al di fuori della società. Il cervello non
è tutto il corpo umano, ma ne fa parte e senza di esso il corpo
umano non può vivere. Bisogna f)erò notare che la vita del corpo sociale
ha delle analogie non delle identità con quelle dell'individuo
umano. Infatti in questo ogni singola cellula è fissata nell'organo di
cui fa parte, mentre negli organismi, sociali più perfezionati, nei quali
le funzioni sta- tuali sono suddivise in vari organi le cui
attribu- zioni sono giuridicamente limitate, vediamo spesso- che il
medesimo individuo fa parte dello Stato- nell'esercizio della sua
pubblica funzione e é sem- plice membro della società al di fuori della
sua funzione e di fronte a tutti gli altri organi dello Stato. Ciò
accade tanto al semplice elettore che al magistrato ed allo stesso membro
del Parla- mento, se non vogliamo tener conto per i due ul- timi
delle poche speciali prerogative che mirano a salvaguardarne
l'indipendenza nell'esercizio delle loro funzioni. Molti
scrittori considerano intanto lo Stato e la società come due enti che per
necessità vivono in continuo antagonismo, per alcuni anzi lo Stato
è il perpetuo nemico della società. Dopo quanto si è scritto
risulta evidente che il loro concetto è per lo meno inesatto e sopratutto
è difettoso perchè con- tribuisce piuttosto a confondere che a chiarire
le idee che si possono avere sull'argomento. Nondi- meno esso non è
del tutto falso e può essere anzi riguardato come una interpretazione
sbagliata di una condizione di cose in tutto od in parte verace. È
indiscutibile infatti che in una società vi possono essere elementi
dirigenti che dalla costituzione in vigore sono tenuti lontani dalla
organizzazione statuale. Ed allora naturalmente vi è una lotta fra
questi elementi e quelli già accolti entro lo Stato» che può assumere la
parvenza di una lotta fra Stato e società. E può anche accadere che i progressi
del senso morale e giuridico di una società abbiano oltrepassato
quel livello che si era aggiunto nel momento della formazione del suo
organismo po- litico: sicché questo, rimasto arretrato, permette ai
rappresentanti dello Stato un'azione che riesce vessatoria ed
arbitraria per gli altri membri della società. Ma in sostanza
i periodi di antagonismo acuto fra gli elementi statuali e quelli
extrastatuali di una società possono essere considerati come
eccezio- nali € sogliono ordinariamente precedere le grandi
rivoluzioni. Tutto quanto si è detto spiega perchè lo Stato
sia l'organizzazione politica di un popolo. Se si tiene poi
presente che, in tutti i paesi che hanno raggiunto un certo grado di
civiltà, le condi- zioni in base alle quali si arriva all'esercizio
delle funzioni statuali ed i limiti di queste funzioni sono
determinati dalla legge si vedrà facilmente come questa organizzazione
sia non solo politica ma an- che giuridica; perchè essa crea fra i
divei-si organi dello Stato e fra coloro che esercitano le funzioni
statuali ed i semplici cittadini una serie di rap- porti giuridici.
Questi rapporti nascono in base ad una facoltà che lo Stato
esclusivamente possiede e che si chiama la sovranità. La sovranità
consiste nel potere di conchiudere convenzioni e trattati con gli
altri Stati e di creare il diritto e farlo eseguire in tutto il
territorio sottoposto allo Stato. I giuristi, educati quasi
esclusivamente alle con- cezioni del diritto privato, si sono spesso
trovati in qualche imbarazzo riguardo a questo secondo attributo
della sovranità. Essi stentano a spiegai-si come e perchè l'ente che ha
facoltà di fare le leggi, di modificarle e disfarle debba essere
sot- toposto alle leggi; e per darsi ragione di questo fatto hanno
ricorso a tante ipotesi, fra le quali la più divulgata è quella che lo
Stato sia sorto in base ad una convenzione, ad un contratto, ad un
atto giuridico tacito od espresso, ma ad ogni modo consentito da coloro
che fanno parte del consorzio sociale sul quale esso esercita la sua
sovranità. Prendendo a base il concetto che già si è adot- tato
sulla natura dello Stato e dei suoi rapporti con la società non riescirà
difficile di risolvere la difficoltà accennata. Già fin dal tempo dei
giure- consulti romani si distinsero nello Stato due per-, sonalità
una di diritto privato, per la quale esso potea contrarre obbligazioni
come ogni altra per- sona giuridica, ed un'altra di diritto pubblico
che gli conferiva l'esercizio dei poteri sovrani. L'eser- cizio di
questi poteri può produrre la conseguenza che lo Stato imponga a tutti i
cittadini degli ob- blighi, come ad esempio quello dell'imposta e
del servizio militare, senza offrire in cambio alcun corrispettivo
diretto. Senonchè è da osservare che nelle forme di Stato più
perfezionato e sopratutto nello Stato rappresentativo moderno, quando si
tratta d'im- porre questi obblighi e di esercitare in genere la
funzione sovrana per eccellenza, che è quella di fare le leggi, è
necessario il consenso del capo dello Stato e di tutte quelle forze
politiche che son rappresentate nei due rami del parlamento. Nel
momento nel quale, collettivamente e nelle forme volute, gli elementi ai
quali è affidato il potere legislativo esercitano questa funzione, essi
sono sovrani, cioè superiori alla legge perchè la fanno e la
disfanno, in tutti gli altri momenti ed indivi- dualmente sono soggetti
alla sovranità, cioè all'im- pero della legge. A guardarci
bene nello Stato moderno ciò non rappresenta una vera anomalia, perchè
anche nel- l'esercizio delle altre funzioni statuali gli elementi
che le disimpegnano agiscono, sia individualmente che collegialmente, in
nome dello Stato e lo rap- presentano nei limiti delle loro attribuzioni;
men- tre sono completamente soggetti alla sovranità dello Stato in
qualunque altra manifestazione della loro attività personale. Tanto i
membri del potere giudiziario che gli agenti del potere
esecutivo si trovano infatti nelle condizioni accennate, colla dif-
ferenza però che, quando esorbitano dalla loro funzione ed anche
nell'esercizio della loro funzione ,è sempre possibile di esercitare
sopra di essi un controllo che riesce malagevole, se non impossi-
bile, di fronte al potere legislativo. Gaetano Mosca. Mosca. Keywords: implicatura,
mafia. Stato liberale, stato sindacale, regime parlamentare, partito e
sindacato. Refs.: H. P. Grice: “Mosca’s
liberalism;” Luigi Speranza, "Grice e
Mosca," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685597428/in/photolist-2mPEQVF-2mPukhq-2mPpb7N-2mPpwbZ-2mNbBgb-2mLQdrQ-2mKFrQ6-2mLNZN1-2mPV6V9-2mKN88B-2mKhcq9-2mKjsJY-2mKbkDp-2mKbfaU-2mJq2uE-DndBhH-C91skw-CizYpn-CghbLL-Bmcsha
Grice e
Motta – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vercelli).
Filosofo. Grice: “If Mill’s claim to
fame is to some his examination of Mill, Motta’s claim to fame is his
examination of Rosmini!” -- Il conte Emiliano Avogadro della Motta. Nacque dal
conte Ignazio della Motta e da Ifigenia Avogadro di Casanova, entrambi
appartenenti a nobili famiglie di vassalli e visconti, i cui antenati risalgono
a poco oltre il mille. Tra gli Avogadro vi fu anche Amedeo, inventore della
legge sui fluidi. Frequenta con profitto gli studi e si laureò in utroque iure,
ma proseguì lo studio in diverse aree della teologia e della filosofia, trasformando
le dimore familiari in piccole accademie dove giuristi, filosofi, studiosi di
diritto canonico e vescovi si riunivano, per discutere vari argomenti ed
approfondire la filosofia moderna e i diversi aspetti del nascente socialismo.
Ricevette l'incarico, che già fu del padre, di riformatore degli studi del
Vercellese e in un'epoca in cui si guardava ancora con diffidenza
all'istruzione delle classi popolari, egli visitava ciclicamente le scuole
d'ogni ordine, scegliendone accuratamente gli insegnanti, convinto che
l'istruzione e l'educazione fossero un diritto di tutti e dovessero procedere
simultaneamente. Assunse la carica di Consigliere di Formigliana e
continuò a dedicarsi allo sviluppo culturale della natia Vercelli, ove fondò la
Società di Storia Patria, per incrementare gli studi sul glorioso passato della
città. Divenne membro del Consiglio Generale del Debito Pubblico e più tardi
sindaco di Collobiano e “Consigliere di Sua Maestà per il pubblico
insegnamento” La sua notorietà varcò i confini del Piemonte, allorché ricevette
l'eccezionale invito di partecipazione alla fase preparatoria della definizione
del dogma dell'Immacolata e le sue riflessioni ebbero un seguito fra alcuni
importanti gesuiti, come il direttore de La Civiltà Cattolica, che fece dono a Pio
IX del Saggio intorno al socialismo. Luigi Taparelli d'Azeglio, richiamandosi
ad Avogadro, espresse la propria preferenza per una condanna esplicita di tali
errori, da includere nella bolla di definizione del dogma, ma l'autore
sollecitò apertamente la distinzione di due argomenti (definizione del dogma e
condanna degli errori) dalla portata tanto diversa e lo stesso Pio IX incaricò
la Commissione, che aveva già lavorato sulla definizione del dogma, di
esaminare gli errori moderni e di preparare il materiale necessario per la
bolla e chiese al cardinale Fornari di invitare formalmente alcuni laici a
collaborare. Avogadro fu l'unico laico italiano ad essere interpellato e inviò
a Roma una risposta singolare e ricca di argomentazioni. Ben presto la
Commissione incaricata abbandonò la trattazione univoca dei due argomenti e la
solenne definizione su Maria sarà fatta da Pio IX, mentre l'esame degli errori
si trascinerà per altri dieci anni, mentre prevaleva in ambito ecclesiastico
l'idea di una severa condanna. Attività parlamentare Diventò membro
attivo nella vita politica, quale deputato eletto nel collegio di Avigliana e
operò nelle file dello stesso schieramento politico della Destra. La proposta
avanzata in Parlamento di ridurre il numero delle feste, indusse Avogadro a
scrivere un apposito opuscolo, per difendere la dignità dell'uomo che, in quanto
essere intelligente e creativo, «senza tempo libero non vive da uomo, e mal lo
conoscono gli economisti che altro non sanno procacciargli se non “lavoro e
pane”». In Parlamento prendeva spesso la parola contro il progetto di legge che
prevedeva l'obbligo del servizio militare e criticò la cessione di Nizza e
Savoia alla Francia, smascherando le reali intenzioni che sull'Italia nutriva
l'ambiguo Napoleone III. Riceve la decorazione della Croce di Ufficiale
dei Santi Maurizio e Lazzaro e continuò a scrivere, oltre a collaborare con
l'Armonia, l'Unità cattolica, l'Apologista, il Conservatore, rivista
quest'ultima stampata a Bologna e di cui è ritenuto uno dei fondatori e
collaboratori. Morì in Torino”, come annotano diversi giornali e riviste, non
ultima La Civiltà Cattolica, che gli dedicò un sentito necrologio. Saggi:
“Saggio intorno al Socialismo e alle dottrine e tendenze socialistiche” (Torino,
Zecchi); -- partito socialista italiano
-- “Sul valore scientifico e sulle pratiche conseguenze del sistema filosofico
di Serbati (Napoli, Societa Editrice Fr. Giannini); “Teorica dell'istituzione
del matrimonio e della guerra moltiforme cui soggiace per Emiliano Avogadro
conte della Motta già Riformatore delle R. Scuole provinciali degli Stati
Sardi, a spese della Societa Editrice Speirani e Tortone, Teorica
dell'istituzione del matrimonio Parte II che tratta della guerra moltiforme cui
soggiace, per E. Avogadro conte della Motta già deputato al Parlamento
Subalpino, Torino, Speirani e Teorica dell'istituzione del matrimonio e della
guerra a cui soggiace, -- che tratta delle difese e dei rimedi, con una
Appendice intorno alla ricerca del principio teorico morale generatore degli
uffizi e dei doveri coniugali,” Torino, Speirani e Tortone, per Emiliano
Avogadro conte della Motta deputato al Parlamento Nazionale, Torino, Tipografia
Speirani e Tortone, “Teorica dell'istituzione del matrimonio e della guerra a
cui soggiace, Parte IV Documenti per E. Avogadro conte della Motta già deputato
al parlamento nazionale (Torino, Speirani); “Gesù Cristo nel secolo XIX, Studi
religiosi e sociali, Modena, Tipografia dell'Immacolata Concezione, “La
filosofia di Serbati” (Napoli, Giannini);
“La festa di S. Michele e il mese di ottobre agli angeli santi, Torino,
Marietti, Il mese di novembre dedicato a suffragio dei morti, Torino, Marietti);
“Le colonne di S. Chiesa. Omaggi a S. Giovanni Battista e ai Santi Apostoli nel
mese di giugno e novena per la festa dei Santi Principi Pietro e Paolo, Torino,
Marietti); “Il mese di dicembre in adorazione al Verbo Incarnato Gesu nascente
e ad onore di Maria Madre SS.ma, Torino, Marietti); “Opuscoli di carattere
storico-giuridico; Rivista retrospettiva di un fatto seguito in Vercelli con
osservazioni al diritto legale di libera censura, Vercelli, De Gaudenzi, Delle
feste sacre e loro variazioni nel Regno sub-alpino, Torino, Marietti); “Quistioni
di diritto intorno alle istituzioni religiose e alle loro persone e proprietà,
in occasione della Proposta di Legge fatta al Parlamento torinese per la
soppressione di alcune corporazioni, Torino, Marietti, Cenni sulla
Congregazione degl’oblati dei SS. Eusebio e Carlo eretta nella Basilica di S.
Andrea in Vercelli e sulla proposta sua soppressione. Per un elettore
Vercellese, Torino, Marietti); “Parole di conciliazione sulla questione della
circolare di S. E. Arcivescovo di Torino); “Del diritto di petizione e delle
petizioni pel ritorno di S. E. l'Arcivescovo di Torino); “Lo statuto condanna
la Legge Siccardi, Torino, Fontana, Erroneità e pericoli di alcune teorie ed
ipotesi invocate a sostegno della proposta di Legge di soppressione di vari
stabilimenti religiosi” (Torino, Speirani e Tortone); “Alcuni schiarimenti
intorno alla natura della Proprietà Ecclesiastica allo stato di povertà
religiosa, ed alle quistioni relative ai diritti e ai mezzi temporali di
sussistenza della Chiesa. Con una Appendice intorno alla legalità nell'esecuzione
della legge sulle Corporazioni religiose” (Torino, Speirani); “Considerazioni
sugli affari dell'Italia e del Papa” (Torino, Speirani); “Una quistione
preliminare al Parlamento Torinese” (Torino, Speirani); “Il progetto di
revisione del Codice Civile Albertino e il matrimonio civile in Italia, Torino,
Speirani); La Rivoluzione e il Ministero Torinese in faccia al Papa ed
all'Episcopato Italiano. Riflessioni retrospettive e prospettive” (Torino,
Speirani); L'Armonia, Civiltà Cattolica, Rivista retrospettiva sopra la
discussione delle leggi Siccardi, Unità Cattolica, Angelo Ballestreri,
segretario della Famiglia, presso l'Archivio Storico di Torino. Enciclopedia
storico-nobiliare italiana, promossa e diretta dal marchese Vittorio Spreti, Milano,
Avogadro di Vigliano F., Pagine di storia Vercellese e Biellese, in Antologia,
M. Cassetti, Vercelli, Avogadro di Vigliano F., Antiche vicende di alcuni feudi
Biellesi degl’Avogadro di San Giorgio Monferrato (e poi Conti di Collobiano e
di Motta Alciata), dalla Illustrazione biellese, XIX, Biella, Corboli G., Per
le nozze del Conte Federico Sclopis di Salerano e della Contessa Isabella Avogadro,
Cremona, Feraboli, De Gregory G., Historia della Vercellese letteratura ed
arti, parte IV, Torino, Di Crollallanza G. B., Dizionario storico-blasonico
delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, I, Sala Bolognese, Dionisotti C., Notizie
biografiche dei vercellesi illustri, Biella, Amos, Manno A., Il patriziato
Subalpino. Notizie di fatto storiche, genealogiche, feudali ed araldiche
desunte da documenti, I, Firenze, I vescovi di Italia. Il Piemonte, Savio F.,
Torino, Bocca, Bonvegna G., Filosofia sociale e critica dello Stato moderno nel
pensiero di un legittimista italiano: Emiliano Avogadro della Motta in Annali
Italiani. Rivista di studi storici, Bonvegna G., Il rapporto tra fede e ragione
in Avogadro della Motta, in Sensus Communis,
Valentino V., Un difensore rigoroso dei diritti della Chiesa e del Papa,
in Divinitas, rivista di ricerca e di critica teologica, Volumi e tesi
sull'autore Bonvegna G., Emiliano Avogadro della Motta. Il pensiero
filosofico-politico e la critica al socialismo, Tesi di laurea in Filosofia.
Università Cattolica, Milano, De Gaudenzi L., Ultima parola su di una pretesa
ritrattazione del Conte Emiliano Avogadro della Motta, Mortara, Cortellezzi,
De Gaudenzi L., Un'asserzione delFr. Paoli D.I.D.C. tolta ad esame, Mortara,
Cortellezzi, De GaudenziG., Istruzione
del vescovo di Vigevano al Ven.do Suo Clero sul Matrimonio, Vigevano,
Spargella, Manacorda G., Storiografia e socialismo, Padova, Martire G., II,
Roma, Omodeo A., L'opera politica del conte di Cavour, Firenze, Pirri, Carteggi
delL. Taparelli d'Azeglio, XIV di
Biblioteca di Storia Italiana Recente, Torino, La scienza e la fede, XXIV, Napoli Spadolini G., L'opposizione
cattolica da porta Pia, Firenze, Storia del Parlamento Italiano, N.
Rodolico, Palermo Traniello F.,
Cattolicesimo conciliarista. Religione e cultura nella tradizione Rosminiana
Lombardo-Piemontese, Milano, Valentino V., Il matrimonio e la vita coniugale, Facoltà
dell'Italia Centrale, Valentino V., Un'introduzione alla vita e alle opere,
Vercelli, Saviolo, Valentino V., Un laico tra i teologi, Vercelli, Valentino
V., Il pensiero di V. Gioberti, Genova,
Verucci G., Dizionario Biografico Italiano, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, IV, Roma. Guido Verucci,
Emiliano Avogadro della Motta, in Dizionario biografico degli italiani, 4, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Opere
di Emiliano Avogadro della Motta, Emiliano Della Motta (Avogadro), su storia.camera,
Camera dei deputati. DEL SOCIALISMO IN GENERALE . Origini del socialismo nel
razionalismo protestantico. Le prime eresie tentarono soffocare la fede e la
Chiesa ; le seconde, viziar
l'una,esostituirsiall'altra.LuteroeCalvinodistrussero il principio
dellafede,dellamorale,dellasocietà.Idolligermanicercarono rime dio nella
scienza e nell'ecclettismo ; la loro filosofia, il loro diritto
pubblico.IlprotestantismoinFranciafapiùaudaceeribelle.Combat iuto come selta
religiosa produsse i liberi pensatori, che, a titolo di scuola,nedilataronoilrazionalismoempio.PrevisionidiBossuet
.» 17 Il genio di Voltairee de'suoi discepoli fu essenzialmente anticristiano,
Paradossi del Gioberti. La guerra del filosofismo del secolo XVIII con tro la
fede e la scienza fu più radicale di quella del protestantesimo. Suo spirito
non diseparatismo,ma dicosmopolismo. Da tre secoli la preponderanza nell'ordine
delle idee e devoluta in Europa alla G e r m a niaeallaFrancia,colà bisogna
cercare lefonti dell'errar moderno. Diverso carattere delle due nazioni.Nel
razionalismo dell'una,nell'in. credulità dell'altra, stette deposto il primo
articolo della carta sociali stica :Non più autorild Progressi del razionalismo
e dell'incredulità nell'idealismo. Kant,ilsuoantidommatismo;isuoiseguaci.Non
vollero dirsi atei, loro panteismo spurio peggiore dell'ateismo. Non vollero
comparir scetticinematerialisti,masovvertironolascienzaelamoraleconl'i
dealismoapriori.Hegel,el'idealismotrascendentaleepratico.I teo logi protestanti
lo seguirono. Il protestantesimo avea sfigurato fin da principio l'idea di
Cristo ; a cosa la ridusse Strauss. Apparente regres so in Francia dal
materialismo e dalle teorie rivoluzionarie. Principio di tolleranza mal
applicato in tutte le ristorazioni; indi l'indifferenti Prefazione Saggio
-76 pag . PARTE 1. . > 31 CAPO I. CAPO II. L'incredulismo e il filosofismo
francese. CAPO III. e nell'indifferentismo. I tedeschi pensatori seguirono
l'esempio, non la frivolezza dei volteriani.
smoreligiosuepolíticonegliordinipubblici,l'eclettismonella scien
za.Gliecletticivolleromitigarel'idealismogermanico; volleroparer
rispettosialcristianesimo,ma locondannarono come decrepito.La lo
roreligionefilosofica.Non ebbero pensatori.Lamennais,ei razionali sti
cattolici.L'idealismo o l'indifferentismo sono morbi quasi insana
bili.Questicompongonoilsecondoarticolodelsimbolosocialistico: la fede all'Idea
propria. Ne sorge l'amore all'indeterminato futuro,
l'odioaciòcheesiste.GiudiziodiStaudenmayer.L'uomonellostato suo presente non
comporta nè dommatismo assoluto, nè razionalismo
assoluto.Lanaturaeilcristianesimoloeducanocollasedeecolla ra gione,
somministrandogli un'ontologia reale e certa Alcune riflessioni sulle cose anzi
esposte. Ilprotestantismo,ilfilosofismofrancese,e iltedesco,sono professioni
d'ignoranza. Pongono fuori delle condizioni di possibilità la religione e la
scienza, e abbattono la ragione individuale con un'assurda emanci pazione.
Tolgono lo scopo della ricerca della verità.La fede per contro è scienza
iniziale, anche negli ordini naturali promettitrice. Gli spiriti penctranti
previdero da gran tempo il socialismo moderno ; i più furi bondi neproclamarono
epraticaronolemassime.La religionecla so cietà reale erano già condannate in
teoria dall'Idea dei sofisti, cui non possono corrispondere in fatto.La Chiesa
ne è la salute, perchè pre dica la veritàpositiva, e muta le ipotesi
de'sofisti.Questi falsifica rono anche iprincipiipositivi, chevollero
conservare per ricostrurre la società;tolsero la possibilità
dell'amore;sfigurarono leidee di libertà, di eguaglianza, di fratellanza, che
portate all'assoluto si escludono m u tuamente. Il socialisino vuole
ricostituire con queste l'uman genere.Gli
uominididistruzione,equellidell'utopia,sortiaslagellare l'umanità colle
sperienze d'applicazione. etrestadid'esistenzadellesette.Siappoggianoaun
fierodommati smo.Noninventanodottrine,ma scelgonoevolgarizzanolepiùaccon
ceailorofini.Sonolagerarchia,ilsacerdozio,l'esercitodella filoso fia
anticristiana e antisociale, che senza di quelle non sarebbe larga mente perniciosa.Ora
non sono più mere associazioni,ma trasforman dosi divennero società e governi
sotterranei.Una buona storia delle sette sarebbe un gran beneficio ;come
vorrebbe essere fatta.La miglior
difesacontrodiquelleèfarleconoscere.IsommiPonteficilovennero facendo,furonomalsecondati.Leseltemassoniche.Veisaupte
l'illu minismo.Le sette moderne teoriche ed esecutive.La Giovine Europa e
Mazzini.Lorotremezzid'influenza,leloroarti,leloroforze.Non a spirano che alla
propria supremazia e tirannia solto nome di repubblica sociale.Gioberti
ledescrisse con somma perizia mutando l'applicazio
ne.Avveniredellesette.Nonsonoessesoleilsocialismo,manesono la virtù plastica e
direttrice. CAPO VI. Carattere e spirito del socialismo. È l' e t e r o d o s s
i a d e l s e c o l o X I X . E s s a p o r t a a l l ' a p i c e , a l l ' u n
i v e r s a l i t à , a l
l'atto,leempietàedaberrazionide'secoliprecedenti.Lesueideesono 598 pag.
57 CAPO V. CAPO IV. Le sette secrete demagogiche. Esse aggiunsero alle teorie
un organismo artilizioso ed attivo.Tre aspetti, 93 » 123 599
peròterreneeristrette.Èuncattolicismoumanoediabolico,chevuol
esserepiùuniversaledi quello di Cristo.Ilsuo Messianismo.Le sue
stoltepromesseestolteaccusecontrolasocietà.ProfessaodioaDioe a C r i s t o , o
d i o a l l ' u o m o , o d i o a l l a g i u s t i z i a . S o v v e r t e il
n a t u r a l e e il s u pernaturale.L'ideasocialisticanonèintieranellamente
diverün10 mo,ilsolospiritodelmalenepuòabbracciareevolereiltutto.Nelle
mentiumaneprendediversigradieforme.Coldomma dell'ideailso cialismo raccoglie a
sè tutti gli spiriti erranti e passionati ; disordina i
difensoridellaverità;esiinfiltranellementi.Potenza seduttricedel
l'IdeaedelleIdee.Semisocialismo.Unitàdipensiero,discopo,difor ze morali e
materiali nel socialismo,collimanti contro ilcristianesimo.
FapredettodaisantiApostoli.Lamorteconfutaildomma elesperan
zedelsocialismo,erendecalamitoselesue promesse.Ilcomunismo.
Èdoppio;altrofilosoficoeinapparenzaeconomico,altroapertamente
Jadroesensuale.Ilsoloprincipiodellacomunanza nonvaleafondare veruna società che
basti a sè stessa. Esseni ; comunanze monastiche ; sistemi utopistici.
Socialismo e comunismo sono due estremi della stessaidea.La
Franciaètravagliatadipreferenzadalsecondo,laGer
maniadalprimo,ilperchè.Ilprincipiocristianonon puòamenodi somministrare la
soluzione di tutti iloro problemi sociali.Sentenza di Jouffroy PARTE II. DEGLI
SCOMPARTIMENTI PRECIPUI DEL SOCIALISMO . CAPO I.
Dellescuoleedeisistemisocialipiùinsigni,einparticalare dicoli.Hegel le aprì un
orizzonte vasto e pratico colla sua teoria sulla storia,ecollesuevistesulmondo
Germanico.Con questeinfiammdi pietistiprotestanti
eipoliticiambiziosi,specialmentein Prussia.Trovo
ecofranovatorianchecattolicieisraeliti.Lesettedemagogichegerma niche
s'impadronirono dell'idea hegeliana di nazionalità ,ostile alla reli gione e
alla civiltà romana .I sofisti la parodiarono altrove, ad adulare le proprie
nazioni CATO II. Sansimonismo, umanitarismo. Il misticismo di Sansimone
s'indirizza alle passioni sensuali nobilitando le, alle ambizioni
ultrademocratiche esaltando le capacità individuali. : Isuoidiscepoli
l'organizzarono amodo di religione panteistica umani taria.Molti eclettici
dell'università francese ne adottarono iprincipii ideali,compiendo con questi
lametafisica hegeliana.Leroux e l'umanita
rismouniversale;gliumanitariiricusanoleideedipatriaedinaziona lità.Il principio
saņsimoniano penetrò largamente in Francia,e per ogni dove;esso improntò al
socialismo l'aria di religione lasciva e co smopolitica. L'emancipazione della
carne era conseguenza logica del l'emancipazione del pensicro . pag.151
dell'hegelianesimo e neoegelianesimo. Owen e Fourrier vestirono l'idea
socialistica e comunistica di sistemi ri . ) 213 » 235 CAPO NI. Del
svoialismo anarchico e trascendentalmente empio .
Prudhon,discepolointelligenteesfacciato deisocialisti tedeschi,sveld le vere
esigenze del socialismo. Professò esplicitamente l'odio a Dio, l'abolizione di
ogni diritto,l'anarchia;cosa jntenda con talparola.Fla
gellaisocialistiecomunisti,ma èpeggioredi loro. Lesueideefanno impressione,
perchè sono l'espressione la più semplice della idea d'in dipendenza
assoluta.Lecoutrier,lasua Cosmosofiamaterialistica, pro sessa il culto di sè
stesso. Condanna la filosofia e la civilizzazione. Il materialismo e l'anarchia
spaventano in Francia; ostinazione di certi razionalisti,che
nondimenononnevogliono vedereilrimedioaddi tato già da Napoleone Del socialismo
operativo o militante,e di quello latente. Il socialismo pensante sta nelle
scuole panteistiche incredule, l'operativo nelle sette e fazioni
rivoluzionarie. I suoi fasti recenti. Lo scopo princi pale è distrurre
ilcaltolicismo. Perciò cerca di rivoluzionare moral
menteematerialmentelaChiesa.Adocchial'Italiachenetieneilcen tro.Mazzini,la sua
filosofia panteistica, le sue idee di nazionalità e di primato italico parodia
del primato germanico di llegel. Sue contrad dizioni. È lo strumento del
socialismo universale, che non vuol altro in Italia che non più Papu .P e r
progredire il socialismo vesti in Italia tutteleformeeleipocrisie.Cercò
dialluarviilcomunismo politico. Il socialismo latente. L'Inghilterra ne
possiede grandi elementi. Cenni sull'utopiadelMoro.LaRussia. Nissuna
rivoluzione eguaglia quella voluta dal socialismo. Che cosa è una r i v o l u z
i o n e. D i v e r s e s p e c i e d i r i v o l u z i o n i p a r z i a l i ,
c h e o r a l u t t e s ' i n f o r mano dellospiritodelsocialismo.Sono
ingiuste,ruinose,infrenabili nei confini voluti dai moderati, dai dottrinarii,
dai liberali. Cos'è la riforma vera.Coloro non sono riformatori,ma
rivoluzionarji. Possono chiamarsi semisocialisti; lo sono altri in religione,
allri in filosofia, al triinpolitica.Fanno penetrareatrattiatratti
l'idea,edeseguiscono per parti l'opera socialistica. Sono incoerenti.Giudizi diJoutfroye
di Prudhon sui rivoluzionari al minuto. Giudizi di Quinet sui cattolici d e
mocratici predicatori d'indipendenza. Non sorge dai loro sistemi la vera
democrazia,ma l'anarchiaprudonianaintuttelerelazionidegliindi
vidui,edellesocietà fraloro. L'indipendenza assoluta non esisteal mondo.
Riepilogo. Giudizio di Sterne sul principio rivoluzionario so
cialistico,eminentemente anticristiano. Il termine della rivoluzione sociale.
La rivoluzione universale sociale non si compirà mai appieno. La rivolu-, zionereligiosa,comeèpromossadalsocialismo,è
nataafarluogoad 600 . pag. 254 » 280 CAPOY. di questa; e del
semisocialismo. > 323 CAPO IV. Della rivoluzione universale e
sociale;scompartimenti precipui CAPO VI. CAPO VII.
Delpanslavismodemagogico,edelruteno. Undettonapoleonicoinverosimile,omalinteso.Ilpanslavismo.Èdop
pio.L'Idearussa;lasuavivacità per forze moraliemateriali.Lesue arti.È
ostileall'idealatinaecattolica.È religiosaepolitica,panslavi
sticaepanscismatica.L'Italianeèminacciatadoppiamente.Calamità europea,
chesièladissoluzionedellaGermanianell'anarchiareligiosa epolitica.L'idea
russa,oraantirazionalisticaeantidemagogica,può col tempo mutare processo ed
allearsi religiosamente al protestantesi mo,politicamentealla demagogia
europea. La Chiesa non teme,ma aspeita negli ultimi tempi un grande assalto dai
popoli di quelle regio ni,edallaapostasiadeipropriifigli.Quelpanslavismo sembra
desti nato a chiudere l'era del socialismo nostrale.
laci,esuberanti,indefinite.Laveritàel'autoritàhanno l'adesionedella maggioranza,ma
sonomalconosciute.Ilclerocattolicofaquellava gliaturaperufficio,ma
frapopolicoltilascienzaeladimostrazioneè necessaria. Parte dei laici. La
filosofia dee essere ricondotta al suo sta 1 0 n o r m a l e , d a c u i si d i
p a r t i n e g a n d o o t r a s c u r a n d o l ' o n t o l o g i a c r i s t
i a n a elascienzadellasocieiàuniversale deglispiriti.In Italia bisognafar
conoscere le produzioni della scienza straniera, dei paesi cioè in cui la
controversiaè vivace.Bisogna svelare ilfondo dei sistemi socialistici;
formolareconprecisioneiproblemi;porreinlumeiprincipiiassoluti; questinon
impediscono letemperazioni pratiche. Si fa alcontrario. Esempio nella quistione
capitalissima delle relazioni fra Chiesa e Stalo.
Questainassolutononèquistionedilibertà,ma diautorità.Ilprinci pio di libertà
non basta a spiegare l'ordine morale.Teorie del sig.A. Rosmini nelsuo libro
Della Costituzione. Ilproblema religiosoviè mal formolato.Ilprogetto di
costituzione rosminiana non guarentirebbe alla Chiesa nemmeno libertà;include
l'indifferentismo politico;toglie all'ordine civile la base morale. Necessità
della professione religiosa dello Stato. Il problema politico intorno al
diritto e alla giustizia so ciale vi è del pari inesattamente formolato . Nel
criticare le costituzioni
gallicheRosmininonnetacciaiviziiprincipali.Qualesialaquistione politica
odierna;come sia formolata dai socialisti,come da Lainennais. Le emende
proposte dal Rosmini alle costituzioni da lui criticate sono
vane,oinsufficientiafararginealsocialismoecomunismo.Èinutile adulare e
contrastare a metà le idee di moda , se non si risolve il tema del socialismo.
Esso nega Dio e le due leggi provvidenziali per cui l'uo m o è governato
dall'uomo, e il diritto sulle cose materiali è diviso fra gliuomini.Idottrinariiitalianiefrancesisicontentanodimassime
ge neriche, di idee dimezzate, scoza analisi c applicazione. Gli americo
601 unanuovafoggiadidemonolatria;larivoluzionescientificaproducela perdita
dell'unità di senso morale; la civile,un'anarchia,e tirannia in curabile. La
rivoluzione universale,se potesse compiersi,distrurrebbe
inultimol'umangenere.Come ilsocialismo l'odiidiodiosatanico.Il suo termine
logico sarebbe la distruzione dell'ordine di natura e di so prannatura.Ilmondo
nonsaràmai tuttosocialistacome fututtopaga no,perchèlaChiesahadellepromesse
infallibili;ma lenazionicivili
nonnehanno,ecamminanoindolentiversograndiruine.Unaltroso
cialismochesidisponeatrasformareilmondoeuropeo pag. 365 » 389 CAPO VIII.
Timori, speranze, rimedii contro l'invasione delle dottrine socialistiche.
Vuolsi una buona vagliatura delle idee,dei desiderii, delle speranze fal
m a n i i t a l i a n i , e g l i a n g l o m a n i f r a n c e s i, n o
n c o n o s c o n o i t i p i s t r a n i e r i che vogliono imitare.Icattolici
idealisti e razionalisti non comprendono che guastano e snaturano
ilcristianesimo colle misture eterodosse,a vece di farne l'apologia. Quali
sieno dunque le tre vagliature,or peces sarie, delle dottrine e delle voglie
del secolo. САРО ІХ. Ancora alcune osservazioni sul modo di trattare ora le
controversie. partitoviolento.Larivoluzionematerialeèsopita,ma
l'idealesidilala. L'Italiaodierna,elaGermaniaditresecolifa.Dollinger.Èquindiur
genteilbisognodigrandimanisestazionidellaverità,per mezzodella fede e dellaragione.
I governi,ora materialmente forti, sono moral
mentedeboli;l'epocapresentedirazionalismoediopinioniindetermi
natepiegaaltermine.Ilsocialismoyuoldommiefatti,vuolsicontrap porgli la scienza
della fede cristiana,continuando illavorodeipiù grandi genii del cristianesimo.
Che cosa è una filosofia cristiana.La polemica dee essere trattata con
franchezza; tenendo conto di tutti i principii veri e di tutti i fatti;
distinguendo le ricerche di ciò che è giu
sto,ediciòcheèprudente.Nondeecontentarsididebellareglierrori singoli,ma
melterinlucelastoria6losofica,eilsistemauniversale
dell'eterodossia.Ilpanteismoèlasostanza dell'eterodossiamoderna.
Considerazionisulpanteismo,sulsuolungoregno,sullesuefasi.Non
saràl'ultimoerrore.VotoumileeriservatoperunoracolodellaS.Se de,e una condanna
dottrinale e solenne del socialismo e comunismo. Motivi.Insufficienze e
pericoli delle discussioni scientifiche. Il sociali smo,come sistema compiuto,
ha delnuovo; spesso sembra sfuggire agli anatemi degli erroriantichi che
rinnova.Fra icattolici stessi sin ceri visono dubbiezze e illusioni.La gloria
del nome di Cristo è avvi lita.L'ideadiCristo,equindiquelladellaChiesa,sono
menomatein moltementi.Quellaèl'antidotoatuttol'erraremoderno.Lapedagogia
pendeadinsinuareilnaturalismoeilsensualismo.La S.Sedespesso unì alle decisioni,
e condanne dommatiche contro gli errori,le lezioni razionali a illustrar
lementi dei fedeli.Esempi.Così bramerebbesi ora, perchè da molti il socialismo
e comunismo non sono conosciuti quali sono.Condannati,rimarrebbero nolati
d'infamia agli occhi del mondo cristiano,e resi moralmente impotenti. È quel
tutto un arcano di sata nasso, alla sola S. Sede apparterrà svelarlo e
conquiderlo; a lei però sola ilgiudicare dellaopportunità dei mezzi. Intanto,
colle armi già prontedellafedeedellascienza,vuolsidaognunocollesueforzecom
battere la rivoluzione ideale. Teologia e filosofia, rivelazione e ragione,
vogliono andar congiunte, distinte, ma non parallele. Un passo del Mancini.
CONCLUSIONE . D u c f i l o s o f i s m i, d u e r i v o l u z i o n i , c h e
n e m i n a c c i a n o u n a p i ù t e r r i b i l e . P r e
sunzionedeimoderni;giudizideiposteri.Tuttiipartitiscontenti del
presentemiranoall'avvenire;ipiùsciocchisonogliaspettantieineu i r a l i. Il p r
i n c i p i o c r i s t i a n o è i n c a r n a t o n e l l a C h i e s a , e s
s a n o n f a q u i stioni di clericocrazia,quando parla alle genti con
autorità. L'Italia e isuoiriformatorisispecchinonellaGermaniaditresecolifa.La
Chie sa benefica e invitta in tutti i secoli. I fedeli hanno da incoraggirsi;
fra l'idea socialistica e la cristiana sanno quale abbia la verità,e quale ot
Alcuni documentiintorno allescriesegreredemagogiche. Emiliano Avogadro, conte
Della Motta. Il conte Emiliano Avogadro. Emiliano Avogadro Collobiano e Della
Motta. Il Conte Emiliano Avogadro della Motta. Conte Emiliino Avogadro della
Motta. Avogadro di Vigliano, Motta. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Motta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742832931/in/dateposted-public/
Grice e Motterlini – critica della
ragione economica – filosofia italiana – principio di economia dello sforzo
razionale – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Grice: “I like Motterlini – he has written, echoing Kant, a
critique of economic reason, which Stalnaker should read before saying I’m
Kantian rather than Futilitarian!” Specializzato
in filosofia della scienza, economia comportamentale e neuro-economia, e noto
per i suoi saggi in ambito psico-economico su processi decisionali, emozioni e
razionalità umana e per le sue ricerche in ambito epistemologico sulla
razionalità della scienza e il metodo scientifico. Insegna a Milanodove. Consigliere
per le Scienze Sociali e Comportamentali della Presidenza del Consiglio dei
Ministri. Si laurea a Milano, dove porta a termine il proprio dottorato in
filosofia della scienza. Ricercatore di economia politica e professore
associato di filosofia della scienza presso l'Trento; Visiting Associate
Professor al Department of Social and Decision Sciences della Carnegie Mellon di
Pittsburgh, Visiting Research Scholar al Department of Psychology della UCLA. Professore
di filosofia della scienza presso l'Università Vita-Salute San Raffaele.
Tra gli altri incarichi è collaboratore de Il Corriere Economia, Il Corriere
della Sera e Il Sole 24 Ore, per cui ha curato per anni il blog Controvento. È
stato consulente scientifico di Milan Lab, A.C. Milan, fondatore e direttore di
Anima FinLab, di Anima Sgr, centro di ricerca di finanza comportamentale e
Scientific advisor di MarketPsychData, Ls Angeles. È direttore del CRESA
(Centro di ricerca in epistemologia sperimentale e applicata), da lui fondato a
Milano presso la facoltà di filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele.
I progetti di ricerca del centro si concentrano su vari aspetti della
cognizione umana, dal linguaggio al rapporto tra mente e cervello,
dall'economia comportamentale alle neuroscienze cognitive della decisione, con
particolare attenzione all'indagine sperimentale multidisciplinare e alle sue
ricadute pratiche e applicative (per esempio nell'ambito del policy making e
dell'evidence-based policy). A inizio, ha avviato il progetto di finanza
comportamentale per Schroder Italia, dal quale è nato Investimente, un test
psicofinanziario al servizio di risparmiatori, promotori finanziari e private
banker, per raccogliere e quindi analizzare i dati riguardanti le decisioni di
investimento e i bias cognitivi nell'ambito della gestione del risparmio.
Attualmente è direttore dell'E.ON Customer Behavior Lab e Chief Behavior
Officer di E.ON Italia; stesso incarico che ricopre per il Gruppo Ospedaliero
San Donato. Analizza la proposta falsificazionista, rivelando le
difficoltà in cui si imbatte il progetto de-marcazionista e anti-induttivista.
Affrontano quindi il modo in cui si ha preteso superare alcune di queste difficoltà,
e insieme raccogliere la sfida di Duhem circa il carattere olistico del
controllo empirico, tenendo conto delle immagini che il filosofo ha della sua
stessa pratica e riferendosi a particolari casi storici come termine di confronto.
Sull'orlo della scienza e in edizione ampliata. Nel suo “Filosofia e storia”
avanza una interpretazione del progetto razionalista come il prodotto di una
peculiare combinazione delle idee di Platone e Hegel. Ciò è motivo della
straordinaria fecondità di Platone, ma anche di una inesauribile tensione al
suo interno. Una tensione che viene illustrata affrontando la relazione tra
filosofia e storia della filosofia (unita longitudinale) in riferimento alla
questione della valutazione di una data metodologia in base alle 'ricostruzioni
razionali' o construzioni logica a cui essa conduce. Nell'idea che la
metodologia filosofica va confrontate con la storia della filosofia è contenuto
il germe di una logica della scoperta in cui i canoni non siano fissati una
volta per sempre, ma mutano nel tempo, anche se con ritmi non necessariamente
uguali a quelli delle teorie filosofiche. Si focalizza su questioni di
metodologia dell'economia da una prospettiva interdisciplinare che combina riflessione
epistemologica, scienza cognitiva, ed economia sperimentale con aspetti più
tecnici di teoria della scelta e della decisione individuale in condizioni
d'incertezza. Le ricerche di questo periodo analizzano criticamente lo status
delle assunzioni della teoria della scelta razionale, valutando l'impatto delle
violazioni comportamentali sistematiche alle restrizioni assiomatiche imposte
dai modelli normativi di razionalità. Avanzano quindi ragioni epistemologiche
per la composizione della frattura economia e psicologia cognitiva in ambito
della teoria della decisione; e suggeriscono di guardare ai recenti risultati
dell'economia cognitiva in prospettiva di una nuova sintesi 'quasi-razionale'
in cui i modelli neoclassici, integrati da teorie psicologiche che tengano
conto dei limiti cognitivi dei soggetti decisionali, rafforzano le previsioni
del comportamento economico degli esseri umani. Neuroeconomia e
evidence-based policy Le sue ricerche indagano le basi neurobiologiche della
razionalità umana attraverso lo studio dei correlati neurali dei processi
decisionali in contesti economico-finanziari, con particolare attenzione al
ruolo svolto dalle emozioni, dal rimpianto, e dall'apprendimento sociale.
Parallelamente progetta ed esperimenta i modi in cui i risultati dell'economia
comportamentale e della neuroeconomia possono informare politiche
pubbliche più efficaci e basate sull'evidenza. Queste ricerche sono
oggetto dei corsi di Filosofia della scienza e di Economia cognitiva e
neuroeconomia che insegna all'università San Raffaele, e hanno altresì trovato
diffusione attraverso numerosi articoli divulgativi e due libri, Economia
emotiva e Trappole mentali. Il suo ultimo libro è Psicoeconomia di Charlie
Brown. Strategia per una società più felice. Saggi: “Sull'orlo della scienza,”
– Grice: “Must say that ‘orlo’ is a genial word, wish Popper knew it!” –Lakatos,
Feyerabend: Pro e contro il metodo, Cortina, Milano. Popper, Saggiatore-Flammarion, Milano, Lakatos.
Scienza, matematica e storia, Saggiatore, Milano, Decisioni mediche. Un
approccio cognitive, Cortina, Milano.
Critica della ragione economica. Tre saggi: McFadden, Kahneman, Smith, Saggiatore,
Milano, Economia cognitiva & sperimentale, Bocconi Editore, Milano La
dimensione cognitiva dell'errore in medicina, Fondazione Smith Kline, Angeli,
Milano Economia emotiva (Emotional
Economics), Rizzoli, Milano Trappole mentali, Rizzoli, Milano Mente, Mercati,
Decisioni. Introduzione all'economia cognitiva e sperimentale, Egea,
Milano Psico-economia di Charlie Brown.
Strategia per una società più felice, Rizzoli, Milano Alcuni articoli
scientifici, Lakatos between the Hegelian devil and the Popperian blue sea. In
Kampis, G., Kvasz, L., Stoeltzner, M. Considerazioni epistemologiche e
mitologiche sulla relazione tra psicologia ed economia, Sistemi intelligenti,
Il Mulino, Metodo e standard di valutazione in economia. Dall'apriorismo a
Friedman, Studi Economici, Milano. A fMRI Study, PlosONE', Vai in laboratorio e
capirai il mercato (con Francesco Guala) Prefazione a Vernon Smith, La
razionalità in economia. Tra teoria e analisi sperimentale, IBL, Milano.. Neuro-economia
e Teoria del prospetto, voci Enciclopedia dell'economia Garzanti, Milano. Investimente.
Test dell'investitore consapevole
Recensione di Ian Hacking sulla The London Review of Books IlSole24Ore 22.5.//ilsole24ore. com/art/cultura/-05-18/motterlini-spinta-riforme--shtml?uuid=ADAaR2J
ASito personale, su matteomotterlini. Sito CRESA, su cresa.eu. I am strongly
inclined to assent to a principle which might be called a Principle of Economy
of Rational Effort. Such a principle would state that where there is a
ratiocinative procedure for arriving rationally at certain outcomes, a
procedure which, because it is ratiocinative, will involve an expenditure of
time and energy, then if there is a nonratiocinative, and so more economical
procedure which is likely, for the most part, to reach the same outcomes as the
ratiocinative procedure, then provided the stakes are not too high it will be
rational to employ the cheaper though somewhat less reliable non-ratiocinative
procedure as a substitute for ratiocination. I think this principle would meet
with Genitorial approval, in which case the Genitor would install it for use
should opportunity arise. (5) On the assumption that it is cha~acteristic of
reason to operate on pre-rational states which reason confirms, revises, or
even (sometimes) eradicates, such opportunities will arise, provided the
rational creatures can, as we can, be trained to modify the relevant
pre-rational states or their exercise, so that without actual ratiocination the
creatures 84 Paul Grice can be more or less reliably led by
those pre-rational states to the thoughts or actions which reason would endorse
were it invoked; with the result that the creatures can do, for the most part,
what reason requires without, in the particular case, the voice of reason being
heard. Motterlini. Keywords: critica della ragione economica, principle of
economy of rational effort, twice in Grice – in Reply, etc. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Motterlini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51743457144/in/dateposted-public/
Grice e
Musatti – l’erote collettivo – filosofia italiana – filosofia fascista –
filosofia del ventennio – Gruppo universario fascista -- Luigi Speranza (Dolo).
Filosofo. Grice: “Musatti reminds me of Malcolm,
“Tonight I had a dream,”” – Grice: “Musatti has explored the implicatures of
‘who’s afraid of the big bad wolf?’, which comes strictly from Grimm – this is
a rhetorical question – and Grimm is implicating that nobody should!” --
Ccesare luigi eugenio musatti. Tra i primi che posero le basi della
psicoanalisi, in Italia. Nato a Dolo, sulla riviera del Brenta, nella
Villa Musatti a del nonno paterno in cui i parenti erano soliti trascorrere la
villeggiatura. Figlio di Elia, ebreo veneziano e deputato socialista
amico di G. Matteotti, e della napoletana Emma Leanza, non fu né circonciso, né
battezzato (durante le persecuzioni razziali si procura un falso certificato di
battesimo dalla parrocchia di Santa Maria in Transpontina di Roma) e non
professa mai alcun credo religioso. Frequenta il liceo Foscarini di
Venezia, poi si iscrive dapprima alla facoltà di Scienze dell'Padova per il
corso di Ingegneria, e immediatamente dopo alla facoltà di Lettere e Filosofia,
dove si laurea in filosofia. Dopo la laurea, si iscrisse per due anni al corso
di Matematica della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali di
Padova, ma non sostenne esame alcuno. Giovinezza A diciannove anni fu
chiamato a Roma per il servizio di leva. Dopo un periodo di addestramento a
Torino, e mandato al fronte come ufficiale, con impegni marginali. Finita la
guerra tornò a Padova per terminare gli studi. Sulla cattedra di Psicologia
Sperimentale c'era Vittorio Benussi, allora chiamato per chiara fama nel 1919 a
insegnare a Padova dall'Graz. Si laurea in filosofia e l'anno successivo
divenne assistente volontario del Laboratorio di psicologia sperimentale. Benussi
si uccise con il cianuro a causa di una grave forma di disturbo bipolare,
lasciando tutto nelle mani di Musatti e di Silvia De Marchi, anch'essa
assistente volontaria, che poi divenne sua moglie. Il suicidio di Benussi fu
scoperto da Musatti, il quale però lo nascose per paura di ripercussioni
negative sulla psicologia italiana in una situazione di fragilità e precarietà
accademica, sottoposta a pressioni da parte sia del regime fascista, con le sue
istanze gentiliane, che della Chiesa Cattolica. Negli anni ottanta Musatti
rivelò che Benussi s'era suicidato, non era morto a causa di un malore.
Nel 1928 Musatti divenne direttore del Laboratorio di Psicologia dell'Padova.
Portò in Italia la Psicologia della Forma con importanti lavori di livello
internazionale. Dopo aver diffuso in Italia la psicologia della Gestalt, divenne
il primo studioso italiano di psicoanalisi. Studiando la psicologia della
suggestione e dell'ipnosi, introdotta in Italia da Vittorio Benussi, approdò
alla psicoanalisi, sulla quale tenne il primo corso universitario italiano. Il
corso si tenne presso a Padova. Divenne allora uno dei primi e più importanti
rappresentanti italiani della psicoanalisi. Nell'Italia degli anni '30 le
teorie di Freud non erano state accolte bene né dalle Università, né dalla
Chiesa cattolica, a causa dell'ideologia culturale gentiliana assunta dal
fascismo. La Società psicoanalitica italiana venne limitata anche dalle leggi
razziali fasciste che colpirono i membri ebrei della società. Benché non fosse
ebreo (poiché figlio di madre cattolica), fu allontanato dall'insegnamento a Urbino
e declassato ad insegnante di liceo. Nominato professore di Filosofia al Liceo
Parini di Milano. Si ritrova con L. Basso, Ferrazzutto e altri vecchi socialisti
con l'intento di creare un partito erede del Partito Socialista Italiano; ebbe
l'incarico di trovare denaro per una prima organizzazione e di allacciare
rapporti col Partito Comunista clandestino. Musatti lavorò anche durante la
guerra. Nel 1944, nel periodo dell'occupazione nazista, fu tratto in salvo
dall'avvocato Paolo Toffanin, fratello di Giuseppe Toffanin, che lo aiutò a
trasferirsi a Ivrea, ospite dell'amico Adriano Olivetti. Con il suo sostegno
fondò un centro di psicologia del lavoro. Ricoprì anche l'incarico di direttore
della Scuola Allievi Meccanici, scuola aperta per formare operai meccanici
specializzati. Successivamente fu richiamato dall'Esercito per andare sul
fronte francese. Ottenne all'Università degli Studi di Milano la prima
cattedra di Psicologia costituita nel dopoguerra in Italia, presso la Facoltà
di Lettere e Filosofia. Vi insegnò per venti anni. A Milano ebbe il periodo più
florido della sua ricerca scientifica: gli studenti affollavano le sue lezioni.
Musatti fu il leader del movimento psicoanalitico italiano nei primi anni del
dopoguerra. A quel periodo risale il suo “Trattato di Psicoanalisi”, pubblicato
da Einaudi. Divenne direttore della “Rivista di psicoanalisi”. Presidente del
Centro Milanese di Psicoanalisi fondato da Franco Ciprandi, Renato Sigurtà e
Pietro Veltri, che gli verrà intitolato dopo la sua morte. Nel 1976 è diventato
curatore della edizione italiana delle Opere di Sigmund Freud, della Casa
Editrice Bollati Boringhieri di Torino. Vecchiaia La località a lui
dedicata Musatti scrisse anche libri di letteratura, tra cui Il pronipote di
Giulio Cesare, che gli fece vincere il Premio Viareggio. Fu eletto per due
volte consigliere comunale di Milano nella lista del PSIUP e fu anche
consulente del Tribunale dei Minori del capoluogo lombardo. Sostenne sempre la
pace, il progresso dei lavoratori, l'emancipazione femminile ed i diritti
civili. Cesare Musatti era ateo, come ebbe a dichiarare in più
occasioni, l'ultima delle quali in uno dei martedì filosofici del Casinò di
Sanremo. Muore nella sua abitazione di via Sabbatini a Milano. L'indomani dopo
una cerimonia laica di commiato celebrata in forma strettamente privata, la sua
salma e cremata a Lambrate. Le sue
ceneri sono tumulate, secondo le sue ultime volontà, nel cimitero comunale di
Brinzio, località in cui era solito trascorrere i periodi di vacanza. Il
suo archivio è conservato presso l'Aspi Archivio Storico della Psicologia
Italiana dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Il comune di Dolo
ha ribattezzato la sua località natale Casello 12 località Cesare Musatti e gli
ha intitolato il locale istituto professionale. Musatti e il suicidio di
Benussi Anche dopo la rivelazione che si era trattato di un suicidio, non parla
mai volentieri della morte del maestro. Nel generale silenzio dello studioso di
Dolo emerge un'intervista. Nell'intervista Musatti confessa di sognare a volte
che in una caserma dei carabinieri in cui viene tradotto, il commissario lo
interroga sulla morte di tre sue mogli (si sposò quattro volte), decedute
tragicamente, e di Vittorio Benussi. A fine colloquio il militare lo intima di
confessare di aver ucciso il maestro per prendere la cattedra di psicologia.
«Io gli rispondoprosegue Musatti, da buon psicoanalistache sicuramente nel mio
subconscio mi sono sentito responsabile per questa e per altre morti. Il
commissario, che non capiva nulla di subconscio, decide: “Mi spiace professore,
ma devo arrestarla”. Io allora gli rispondo: ”Non è possibile commissario,
perché si tratta di delitti commessi più di cinquant'anni fa, e quindi sono
prescritti!”». ‘Cesare’ è un riferimento al pro-zio Musatti, medico
pediatra, uno che aveva visitato il piccolo, nato settimino. ‘Luigi’ e il nome
del bonno materno (L. Leanza, morto in carcere, partecipa alla rivolta anti-borbonica);
‘Eugenio’ e il nome di un altro pro-zio paterno, lo storico Eugenio Musatti;
cfr. Musatti IX-XIII. Forse la psicoanalisi è nata e morta con lui. Il nome
allude alla fermata della tranvia Padova-Malcontenta-Fusina che il nonno,
presidente della Società Veneta Lagunare, odierna ACTV, aveva fatto aprire per
raggiungere più agevolmente Venezia.
Musatti IX-XIII. Archivio
dell'Università degli Studi di Padova, Carriere scolastiche della Facoltà di
Lettere e filosofia, Padova, Carriere scolastiche della Facoltà di scienze
matematiche, fisiche e naturali, Opuscolo del Centro Milanese di Psicoanalisi,
a cura del Comitato Direttivo, redatto da L. Ambrosiano Capazzi Gammaro Moroni,
L.Reatto, L.Schwartz, M. Sforza, M.Stufflesser, Milano Per una storia del Centro Milanese di
Psicoanalisi Chiari, Seminario presso il Centro Milanese di Psicoanalisi Cesare
Musatti, Milano Freud, Opere (Torino,
Boringhieri); S. Giacomoni, Cerimonia privata per Cesare Musatti, la
Repubblica, è consultabile sul
dell'Aspi, all'indirizzo web AspiArchivio storico della psicologia
italiana, Università degli studi di Milano-Bicocca. D. Mont D'Arpizio, Vittorio
Benussi, Padre della psicologia padovana, in La Difesa del popolo, Mille anni
di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della
Scienza di Firenze, Mia sorella gemella
la psicoanalisi, 1Pordenone, Edizioni Studio Tesi,Luciano Mecacci, Cesare L.
Musatti, voce dell'Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti. Il
contributo italiano alla storia del pensiero. Ottava appendice, Roma, Istituto
della Enciclopedia Italiana. Saggi: “Analisi del concetto di realtà empirica” (Solco,
Città di Castello); “Forma e assimilazione,” in: Archivio italiano di
psicologia, “Elementi di psicologia della testimonianza” (Rizzoli, Forma e
movimento” (Ferrari, Venezia, da: Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere
ed arti, Gl’elementi della psicologia della forma, Gruppo Universitario
Fascista, Padova, Trattato di psico-analisi (Boringhieri, Torino); Super io
individuale e Super io collettivo (Olschki, Firenze); Condizioni
dell'esperienza e fondazione della psicologia” (Universitaria, Firenze,
Riflessioni sul pensiero psicoanalitico e incursioni nel mondo delle immagini
(Boringhieri, Torino); Svevo e la psicoanalisi (Olschki, Firenze); I rapporti
personali Freud-Jung attraverso il carteggio, Olschki, Firenze, Commemorazione
accademica, Olschki, Firenze Nino Valeri, Olschki Firenze, Il pronipote di
Giulio Cesare, Mondadori Milano A ciascuno la sua morte (Olschki, Firenze);
Hanno cancellato Livorno (Olschki, Firenze); Mia sorella gemella la psicoanalisi
(Riuniti, Roma). Una famiglia diversa ed un analista di campagna, Olschki,
Firenze, Questa notte ho fatto un sogno,
Riuniti, Roma, Chi ha paura del lupo cattivo?, Riuniti, Roma, Psicoanalisti e
pazienti a teatro, a teatro (Mondadori, Milano); Leggere Freud, Bollati
Boringhieri, Torino, Curar nevrotici con la propria auto-analisi, Mondadori,
Milano: Geometrie non-euclidee e problema della conoscenza, Aurelio Molaro,
prefazione di Mauro Antonelli, Mimesis, Milano,Treccani Enciclopedie oIstituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. siusa.archivi.beniculturali, italiana di Cesare
Musatti, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com.
Cesare Musatti. Musatti. Keywords: erote, Gruppo Universitario fascista, il
collettivo di Jung, l’ego e il noi collettivo Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Musatti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51743441919/in/dateposted-public/
Grice e Mustè – la filosofia dell’idealismo
italiano – il dialogo di Socrate e il dialogo di Gentile -- filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma).
Flosofo. Laurea in filosofia con la tesi, “Marx,” borsista dell'Istituto
italiano per gli studi storici di Napoli, dove ha svolto attività didattica e
di ricerca, collaborando con Gennaro Sasso. Redattore della “nuova serie” della
“Rivista trimestrale”. Consegue il titolo di dottore di ricerca alla Sapienza.
Lavora alla "Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici"
dell'Università "La Sapienza" in qualità di “Segretario e Curatore
dell'archivio e della biblioteca di Gentile”. È stato professore a contratto di
Storia della filosofia. Insegna a Roma. È membro del Consiglio
scientifico della Fondazione Gramsci e della Commissione scientifica per la
Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Ha collaborato con
l'Enciclopedia Italiana, in particolare ai volumi: Il contributo italiano alla
storia del pensiero. Filosofia (ottava appendice), Enciclopedia machiavelliana
e Croce e Gentile. La cultura italiana e l'Europa. Ha diretto la rivista
"Novecento". Fa parte del Comitato scientifico di alcune riviste, tra
cui: "Giornale critico della filosofia italiana", "Annali della
Fondazione Gramsci", “La Cultura”, “Filosofia italiana”. Scrive su diverse
riviste scientifiche, tra le quali, con maggiore continuità: "Giornale
critico della filosofia italiana", "La Cultura", "Studi
storici", "Filosofia italiana". Nel è stato nominato dal Ministero dei beni
culturali Segretario del "Comitato nazionale per il bicentenario della
nascita di Bertrando Spaventa". Dal
al ha insegnato Ermeneutica
filosofica, in qualità di Visiting Professor, alla Pontificia Università
Antonianum. Ricerche Le sue ricerche si sono rivolte alla storia della
filosofia italiana, con contributi dedicati all'idealismo e al marxismo. Per
quanto riguarda l'idealismo italiano, ha indagato i momenti e le figure
fondamentali (sino al profilo complessivo pubblicato nel 2008) e le premesse
nella filosofia dell'Ottocento, specie in relazione al pensiero di Vincenzo
Gioberti (soprattutto con il libro del 2000 su La scienza ideale). Di
particolare interesse gli studi su Bertrando Spaventa e le monografie su Adolfo
Omodeo e Benedetto Croce. Ha dedicato saggi e ricerche al pensiero di Antonio
Gramsci e ad altri momenti del pensiero marxista italiano: del è la monografia su Marxismo e filosofia della
praxis, che ricostruisce la storia del marxismo italiano da Labriola a Gramsci.
Sono noti i suoi studi sul pensiero politico nell'Italia contemporanea, con
particolare riguardo alle figure di Franco Rodano, Felice Balbo, Augusto Del
Noce. Ha approfondito lo studio dell'opera di Marx e in generale la
storia della filosofia tedesca tra Hegel e Nietzsche. Particolare
attenzione ha poi rivolto (con il libro
su La storia e con altri scritti, tra cui quelli sull'evento e sulla
teoria delle fonti) alle questioni specifiche della teoria della
storiografia. Metodi Conduce l’indagine teoretica in stretta relazione
con gli studi di storia della filosofia e di storia della storiografia, in
generale nell’ambito della storia delle idee, adottando un metodo
storico-critico che spesso privilegia l’uso di fonti archivistiche e di
documentazione inedita. Il suo metodo cerca di coniugare l'analisi strutturale
delle opere filosofiche con la ricerca filologica sulle fonti e sulla tradizione
dei testi, con particolare riguardo ai processi di lungo periodo della
filosofia italiana moderna e contemporanea. Saggi:“Storiografia” (Mulino,
Bologna); “Croce, Morano, Napoli Franco
Rodano. Critica delle ideologie e ricerca della laicità” (Mulino, Bologna); “Carteggio
Croce-Antoni, Mulino, Bologna Politica e storia in Bloch, Aracne, Roma La
scienza ideale. Filosofia e politica” (Rubbettino, Soveria Mannelli, Franco
Rodano. Laicità, democrazia, società del superfluo, Studium, Roma Grice:
“’superfluo’ is possibly one of the most unsuperfluous words in the Italian
philosophical dictionary – cf. “I was in New York, which was black out.” --
Gioberti, Il governo federativo” (Gangemi Roma) – nazione e stato federale –
federazione, governo federativo -- Franco Rodano, Cristianesimo e società
opulenta, Edizioni di storia e letteratura, Roma, Il giudizio sul nazismo. Le
interpretazioni -- La storia: teoria e metodi, Carocci, Roma, La filosofia
dell'idealismo italiano, -- Grice: “filosofia” is superfluous here, seeing that
idealism already ENTAILS philosophy!” -- Carocci, Roma, Croce, Carocci, Roma
Tra filosofia e storiografia. Hegel, Croce e altri studi” (Aracne, Roma); “La
prassi e il valore -- la filosofia dell'essere” Aracne, Roma “Filosofia della
praxis” Viella, Roma); “In cammino con Gramsci, Viella, Roma. L'ermeneutica, in
«Rivista trimestrale», Il problema del mondo nel «Tractatus» di Wittgenstein,
in «Rivista trimestrale», Le fonti del giudizio marxiano sulla rivoluzione
francese in «Annali dell'Istituto
Italiano per gli Studi Storici», L'orizzonte liberale di Dahrendorf, in
«Critica marxista», Sturzo e il popolarismo – POPOLARISMO -- nel giudizio, in
Sturzo e la democrazia europea, Laterza, Roma-Bari, Croce e il problema del
diritto, in «Novecento», Metodo storico e senso della libertà” “La storiografia
crociana, in «La Cultura», Omodeo. Il pensiero politico, in «Annali
dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici», Libertà e storicismo assoluto:
per un'interpretazione del liberalismo di Croce, in Croce e Gentile fra
tradizione nazionale e filosofia europea, Riuniti, Roma, “La società civile
democratica, in «Novecento», Sul
giudizio politico, in «Novecento», Il marxismo politico nell'interpretazione di
Noce, in «Poietica», Gioberti e Cartesio, in Bibliopolis, Napoli, Comunismo e
democrazia, in La democrazia nel pensiero politico del Novecento” (Aracne, Roma);
Guido Calogero, in «Belfagor», Gioberti e Leopardi, in «La Cultura», Verità e
storia, in «Storiografia», “La morale”, Rosmini e Gioberti. G. Beschin e L.
Cristellon, Morcelliana, Brescia, Il destino dell'evento nella nuova storia”
francese, in «La Cultura», Carattere e svolgimento delle prime teorie estetiche
di Croce, «La Cultura», Liberalismo
etico e liberismo economico, in Croce filosofo liberale, -- cf. Grice, “Do not
multiply liberalisms beyond necessity: ‘liberalismo semiotico’” – Grice: “Muste
is very witty in distinguishing between liberalism and liberrism!” -- M. Reale,
LUISS University Press, Roma, La teoria della storia in Croce, in «Giornale
critico della filosofia italiana», L'idea di “Risorgimento” in Gioberti, in
«Quaderni della Fondazione Centro Studi Noce», Il significato delle fonti
storiche, in «La Cultura», La storia: teoria
e metodi, in «History and Theory», Il passaggio all'anti-fascismo di Croce, in
Anni di svolta. Crisi e trasformazione nel pensiero politico della prima età
contemporanea, F.M. Di Sciullo, Rubbettino, Soveria Mannelli, Alterità e
principio del dialogo in Calogero, in L'idea e la differenza. – principio
dialogo – il noi -- Noi e gl’altri, ipotesi di inclusione nel dibattito
contemporaneo, M.P. Paternò, Rubbettino, Soveria Mannelli Il principio del nous
nella filosofia di Calogero, in «La Cultura», La filosofia come sapere storico,
in Il Novecento di Garin. Atti del Convegno di studi, G. Vacca e S. Ricci,
Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Gioberti, in Il contributo italiano
alla storia del pensiero. Filosofia, M. Ciliberto, Istituto della Enciclopedia
Italiana, Roma, Lo storicismo italiano nel secondo dopoguerra, in Il contributo
italiano alla storia del pensiero. Filosofia, M. Ciliberto, Istituto della
Enciclopedia Italiana, Roma, Il problema della libertà nella filosofia di
Scaravelli, in «La Cultura», La libertà del volere nella filosofia di Croce, in
Filosofia e politica. G. Cesarale, M. Mustè, S. Petrucciani, Mimesis, Milano,
Il senso della dialettica nella filosofia di Spaventa, in "Filosofia
italiana", apr. Storia, metodo,
verità, in «La Cultura»,, Gentile e Marx, «Giornale critico della filosofia
italiana», Togliatti e De Luca, «Studi storici», Gentile e Socrate, (Grice: cf.
caricature of Gentile as Aristotele in ‘La scuola d’Atene”) -- in La bandiera
di Socrate. Momenti di storiografia filosofica italiana nel Novecento, E. Spinelli
e F. Trabattoni, Sapienza Università, Roma, Gentile e Gioberti, «La Cultura»,
Gramsci, Croce e il canto decimo dell’Inferno di Alighieri, «Giornale critico
della filosofia italiana»,, Spaventa e Gioberti, «Studi storici»,, La presenza
di Gramsci nella storiografia filosofica e nella storia della cultura,
«Filosofia italiana», Dialettica e società civile. Gramsci “interprete” di
Hegel, «Pólemos. Materiali di filosofia e critica sociale», Marx e i marxismi
italiani, «Giornale critico della filosofia italiana», La “via alla storia” di Ginzburg, in Streghe,
sciamani, visionari. In margine a “Storia notturna” di Ginzburg, Cora Presezzi,
Viella, Roma, Filosofia e storia della filosofia nella riflessione di Sasso,
«Filosofia italiana», Opere Sapienza Roma. Dipartimento di studi filosofici ed
epistemologici, su lettere uniroma1. Intervista sulla storia della
"Rivista trimestrale" Intervista di Mustè su Croce del
//diacritica/letture-critiche/lo-storicismo-di-croce-e-la-morte-della-metafisica-intervista-a-marcello-muste
html. Socrate e Gentile -- Se consideriamo i libri custoditi presso la
biblioteca personale di Gio- vanni Gentile, troviamo, a proposito di Socrate,
soprattutto opere di autori italiani, con alcuni dei quali da tempo era in
corrispondenza: oltre le vecchie versioni di Eugenio Ferrai (Padova 1873-1883),
vi figu- rano le edizioni dell’Apologia curate da Francesco Acri (riproposta da
Augusto Guzzo nel 1925) e da Manara Valgimigli (Bari 1929); le opere di
Giovanni Maria Bertini (fra cui l’edizione di Senofonte), che, come si dirà,
avevano occupato la critica di Bertrando Spaventa; quindi i libri che via via,
nella prima metà del secolo, erano apparsi in Italia: quelli di Giuseppe
Zuccante, che Felice Tocco aveva presentato nel 1909 alla Reale Accademia dei
Lincei, poi quelli di Aurelio Covotti, Pietro Mi- gnosi, Antonio Labriola,
Antonio Banfi, Adolfo Levi, Vittorio Beonio- Brocchieri1. Ma a proposito di
Socrate, Gentile utilizzò anche altri mo- menti della storiografia filosofica
italiana, appoggiandosi, per esem- pio, ad alcuni testi dello storico del
cristianesimo Alessandro Chiap- pelli e del romanista Carlo Pascal. Se
allarghiamo lo sguardo oltre i confini nazionali, i riferimenti principali
rimangono quelli di Eduard Zeller (a cui si era prevalente- mente richiamato
Spaventa), ma anche di Theodor Gomperz e di Paul Tannery. Di Zeller, Gentile
possedeva i primi due volumi dell’edizione Mi piace ricordare che la
ricerca su libri, opuscoli e periodici posseduti da Gentile 1 può ora essere
svolta online sul sito della Biblioteca di Filosofia della Sapienza di Roma,
grazie al lavoro di digitalizzazione del catalogo compiuto sotto la direzione
del dott. Gaetano Colli: cfr. Colli 2014, 5-30. Anche il catalogo dei
corrispondenti dell’archivio di Gentile (custodito presso la “Fondazione
Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici” a Villa Mirafiori) è consultabile
nel progetto “Archivi on-line” del Senato della Repubblica. 40 LA
BANDIERA DI SOCRATE italiana della Filosofia dei Greci curata da Rodolfo Mondolfo
(apparsi nel 1932 e nel 1938); e di Tannery conservava la seconda edizione, del
1930, di Pour l’histoire de la science hellène, che la moglie Erminia aveva
donato, con dedica, al figlio Giovannino. A Zeller, come si sa, dedicò un ampio
necrologio nel 1908, nel quale elogiò la sua opera di storico criticandone
tuttavia i princìpi neokantiani2; e avvicinandovi, ap- punto, i nomi di Tannery
e quello, «così geniale», di Gomperz3. Pro- prio a Gomperz, d’altra parte,
aveva fatto un più che positivo riferi- mento nella prolusione palermitana del
1907 su Il concetto della storia della filosofia, dove parlò di un «concetto
equivalente al mio, che nella storia della filosofia si riassuma tutta la
storia dell’umanità»4; e, nella lunga recensione che nel 1909 dedicò al Socrate
di Giuseppe Zuccante, ne parlò come di «uomo di gusto», sia pure privo del
«bernoccolo del filosofo», assumendone soprattutto la critica della
testimonianza di Senofonte5. Gentile si trovò di fronte, fin dalla giovinezza,
due modelli inter- pretativi, tra loro, per altro, connessi. In primo luogo le
pagine che Ber- trando Spaventa aveva dedicate a Socrate, dapprima, nel 1856,
discu- tendo sulla “Rivista contemporanea” la memoria torinese di Giovanni
Maria Bertini Considerazioni sulla dottrina di Socrate6, poi nel grande corso
del 1862 sulla filosofia italiana, dove aveva aggiunto, come ap- pendice, lo
Schizzo di una storia della logica, nel quale riprendeva il tema socratico7. Il
secondo riferimento è Antonio Labriola, la cui memoria su La dottrina di
Socrate era stata ripubblicata da Benedetto Croce nel 1909 per l’editore
Laterza. Per quanto, in maniera caratteristica, nel discorso preliminare del
1900 all’edizione degli Scritti filosofici di Spaventa, si limitò a un breve
cenno alla discussione con Bertini8, e anche nella Prefazione del 1905 al
Gentile 1975a, 159-65. Ibid., 165. Ibid., 122. Gentile 1909, 276. Bertini 1857,
1-35. Ma la memoria, a cui Spaventa si riferisce, era stata presentata nella
seduta del 21 dic. 1854. Poi in Bertini 1903, 1-37. Da una lettera a Silvio
Spaventa, si apprende che l’articolo di Bertrando era solo il primo di una
serie di scritti socratici, che poi non realizzò: cfr. Spaventa 1898, 182-3. La
filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, in Spaventa
1972, 619. Gentile 2001, 59. 2 3 4 5 6 7 8 Gentile e Socrate 41
volume Da Socrate a Hegel mancò di entrare nel merito della questione9, è da
ritenere, per le ragioni che si vedranno, che l’influenza spaven- tiana pesasse
in maniera determinante nella sua prima lettura di So- crate. Nell’articolo del
1856, Spaventa aveva confutato l’interpreta- zione di Bertini, cercando di
definire i rapporti, da un lato, tra Socrate e la filosofia antica, e, d’altro
lato, tra Socrate e la filosofia moderna. Per tale confutazione, si era
appoggiato al capitolo hegeliano delle Le- zioni sulla storia della filosofia e
all’opera di Zeller, ma anche, per deter- minare i caratteri generali del
pensiero greco, alla traduzione francese di Claude Joseph Tissot della Storia
della filosofia di Heinrich Ritter10. Tuttavia, la lettura di Socrate risultò
ben diversa da quanto quei libri potevano suggerirgli. Possiamo dire, in breve,
che se per Hegel è Par- menide il vero iniziatore della filosofia, perché ha
sollevato il pen- siero alla massima astrazione dell’essere11, per Spaventa la
filosofia inizia propriamente con Socrate, che ha scoperto la dimensione del
“concetto”, superando il naturalismo immediato della precedente vita greca. La
critica a Bertini si appuntava su questo aspetto. Per Bertini, di fronte
all’attacco dei sofisti, Socrate aveva restaurato l’ethos greco, sal- vandolo
dalla dissoluzione. Per Spaventa, le cose andavano diversa- mente. Non solo
Socrate non aveva restaurato la vita greca, ma le aveva inferto «il vero colpo
di grazia» (La dottrina di Socrate, in Spaventa 1972, 18), ponendo un nuovo
principio, quello della «soggettività universale» (ibid., 24): caratterizzata
la filosofia presocratica come indistinzione immediata di pensiero ed essere,
Socrate aveva inaugurato l’antitesi dei due termini, senza tuttavia trovarne
l’unità e la sintesi, e anzi la- sciando al pensiero moderno questo compito
ulteriore. I sofisti, dun- que, lungi dall’essere dei distruttori, si
presentavano quali profondi innovatori, anche se il loro soggettivismo era
piuttosto un individuali- smo, fermo alla dimensione naturale ed empirica
dell’individuo. So- crate trasformava, con la dottrina del concetto, questo
individualismo in un autentico, universale soggettivismo: «in questo senso» –
scriveva Spaventa – «Socrate e Cartesio, che che ne dica il professor Bertini,
si rassomigliano» (ibid., 43). 9 Spaventa 1972, 3-9. Parmenide, Hegel
1981, 71-2. 10 Ritter 1835-1836. 11 Cfr. Hegel 1930, 273-83 e Hegel 1932,
40-109. Ma soprattutto, per il riferimento a 42 LA BANDIERA DI SOCRATE Da
questo punto di vista, Socrate non appariva affatto come un fi- losofo pratico
o morale, ma come un filosofo schiettamente teoretico. Più precisamente, il
carattere della sua filosofia veniva indicato in un radicale formalismo.
Bisogna prestare attenzione all’uso che Spaventa fece di questa espressione,
per certi versi anticipando i temi della sua riforma della dialettica.
Formalismo significava che Socrate, scoprendo il principio nuovo della
«soggettività universale», lo riconosceva solo nella forma, nell’attività
dialogica della ricerca della verità, in quanto presupponeva, alla maniera di
tutto il pensiero antico, il contenuto og- gettivo e naturale: se per i
moderni, scriveva, la soggettività è non solo «universale» ma «assoluta», «il
puro rapporto del pensiero a se stesso», per Socrate «non è già il soggetto che
determina l’essere oggettivo, ma l’essenza oggettiva delle cose che determina
il soggetto» (ibid., 29). La visione moderna – per cui, come si chiarirà nella
riforma della dialet- tica, il pensiero è negazione determinante dell’essere12
– appariva qui rovesciata, nel senso che l’essere si delineava come il cercato,
come la verità ideale del soggetto. Questa tesi del formalismo era quella vera-
mente decisiva nell’interpretazione di Spaventa, poiché a essa veni- vano
ricondotti tutti i temi della riflessione socratica: l’induzione, il dialogo,
l’ironia, e poi soprattutto l’ignoranza, interpretata come con- sapevolezza
della mancanza di verità del soggetto, quasi come ammis- sione del limite
storico della propria posizione. E ancora, l’eudemoni- smo socratico diventava
(seguendo qui i Magna moralia) l’assenza del concetto del Bene e, quindi, la
sua identificazione con l’utile. Infine, ed è un altro aspetto di rilievo (e
qui la fonte era in parte aristotelica in parte hegeliana), mancava in Socrate
la psicologia, cioè la cognizione della parte irrazionale dell’individuo, delle
passioni: la sua soggettività «universale» non riusciva a cogliere né il
contenuto del concetto né la base irrazionale dell’individuo, restando sospesa
tra il particolare e l’universale e non potendo intravedere la sintesi e
l’unità tra i due momenti, cioè l’autentica realtà e immanenza del concetto13.
Nella memoria su La dottrina di Socrate, con la quale vinse, nel 1869, il
premio della Regia Accademia di Scienze Morali e Politiche di Na- poli,
Labriola non citò mai lo scritto di Spaventa, ma certo ne riprese 12 Si veda
per questo aspetto Mustè 2014, 1-28. 13 La dottrina di Socrate, in Spaventa 1972,
56. Gentile e Socrate 43 almeno un paio di aspetti14. In primo
luogo riprese la tesi del formali- smo, a cui dedicò la parte centrale dello
scritto e che anzi sviluppò fino alle conseguenze estreme, mostrando come «il
suo [di Socrate] sapere è pura esigenza» e «quello che egli cerca deve ancora
trovarlo» (La- briola 2014, 593). In secondo luogo, insisté sulla mancanza in
Socrate di ogni notizia di psicologia (ibid., 609; 655), con accenti e motivi
molto simili a quelli che Spaventa aveva adoperato nella polemica con Ber-
tini. Ma certo mutava il quadro complessivo dell’interpretazione, anzi tutto
per la scelta, molto radicale, di affidarsi esclusivamente o quasi alla
testimonianza di Senofonte, non attribuendo, scriveva, «a Socrate nessun
principio, massima, o opinione che non sia, o esplicitamente riferita, o
indirettamente accennata da Senofonte» (ibid., 557); poi per il fatto che la
tesi spaventiana del formalismo serviva ora a recidere i rapporti tra Socrate e
la tradizione filosofica presocratica (ibid., 555), superando il problema
stesso che aveva animato la discussione tra Spaventa e Bertini. Per Labriola,
Socrate non era affatto un filosofo: «Socrate come semplice filosofo – scriveva
– è un parto d’immagina- zione» (ibid., 569); e tanto meno poteva essere
considerato come «il creatore del principio della soggettività» (ibid., 584),
neanche di una soggettività «universale» come quella di cui Spaventa aveva
parlato. Al contrario, la figura di Socrate era ricondotta a due linee
fondamen- tali di lettura, tra loro convergenti: da un lato il processo di
sviluppo della religione greca, dove Socrate aveva inserito l’idea della
divinità «come intelligenza autrice e reggitrice del mondo» (ibid., 563), riu-
scendo per questo «a isolare la sfera morale dalla naturale» (ibid., 604);
d’altro lato, in relazione agli studi che allora conduceva per «una storia
dell’etica greca» (ibid., 589 nota) interpretò Socrate come concreta
espressione della crisi della storia greca, come l’emergere di una colli- sione
tra forma della tradizione e volontà dell’individuo: per cui, sorge
nell’individuo «il bisogno di rifarsi da sé quella certezza» che l’opinione
comune ha smarrito, tornando a porre, con l’esercizio del dialogo, le 14
L’interpretazione di Labriola è stata analizzata da G. Cambiano, Il Socrate di
Labriola e la storiografia tedesca e da E. Spinelli, Questioni socratiche: tra
Labriola, Calogero e Giannantoni che si leggono rispettivamente nel primo e nel
terzo volume di Punzo 2006, 31-44 e 755-93, Spinelli ricorda opportunamente un
breve quanto penetrante articolo di Gabriele Giannantoni, Il Socrate di
Labriola, apparso nel supplemento di “Paese sera” il 14-15 lug. 1961. Tra gli
altri studi, mi limito a ricordare Cerasuolo 1987, 559-69, e le lucide
osservazioni di Poggi 1981, 14-6. 44 LA BANDIERA DI SOCRATE domande
induttive sulla definizione, sul «cosa è» la giustizia, la virtù, la santità.
Per certi versi, Labriola seguiva la linea interpretativa di Spa- venta, ma ne
modificava la prospettiva, calando Socrate non più nel centro problematico
della storia della filosofia ma in quello della vita religiosa e sociale del
mondo greco. A prescindere dallo sviluppo peculiare che ebbe nella memoria di
Labriola, la tesi spaventiana del formalismo di Socrate restò alla base delle
prime riflessioni di Gentile. Già nella tesi di laurea su Rosmini e Gioberti –
dove il problema principale, sulle orme di Donato Jaja, era quello
dell’intuito, e quindi della profonda differenza tra l’intuito ro- sminiano
dell’essere puro e quello, platonico ma soprattutto prove- niente da
Malebranche, delle idee determinate e formate (Gentile 1955a, 213) – i
riferimenti a Socrate risentono della discussione di Spa- venta con Bertini. Lo
si vede, soprattutto, nella nota che inserì per di- scutere la memoria di
Aurelio Covotti Per la storia della sofistica greca. Studi sulla filosofia
teoretica di Protagora (pubblicata nel 1896 negli “An- nali” della Regia Scuola
Normale Superiore di Pisa), dove, criticando le interpretazioni di Wilhelm
Halbfass e di Theodor Gomperz, ribadì la necessità di distinguere
l’individualismo empirico di Protagora dal soggettivismo di Socrate, pur
sottolineando la sua distanza dal kanti- smo, mancando ancora in Socrate «il
concetto del pensiero come pro- duttività» (Gentile 1955a, 249-50, nota 1). Una
lettura, questa, che trovò poi uno sviluppo più organico nella recensione del
1909 al Socrate di Zuccante, dove criticò «l’interpretazione soggettivistica»
di Protagora, che l’autore aveva dato, insistendo piuttosto sul rapporto con Demo-
crito: con riferimento a un articolo di Victor Brochard, affermò anzi che la
tesi dello storico francese andava «rovesciata», perché non Demo- crito aveva
appreso da Protagora i princìpi della gnoseologia sofistica, ma viceversa
questo, Protagora, era stato «scolaro» di quello, di Demo- crito (Gentile 1909,
281, nota 1)15. Questo tema del rapporto tra Socrate e Protagora era d’altronde
essenziale nell’equilibrio del libro, perché tanto Rosmini che Gioberti avevano
appunto confuso i due momenti (l’individualismo e il soggettivismo), lasciando
oscillare la figura di Socrate tra Protagora e Platone: «il Gioberti» –
spiegava Gentile – 15 Gli articoli di Brochard vennero ristampati in Brochard
1912 (ma si veda la 4° edizione ampliata, Paris 1974, con l’introduzione di
Victor Delbos). Gentile e Socrate 45 «come il Rosmini, non conosce
altro soggettivismo che il falso antro- pometrismo protagoreo», e perciò,
aggiungeva, si vede costretto a tro- vare in Socrate Platone, «altrimenti del
maestro di Platone non si fa che una ripetizione di Protagora» (Gentile 1909,
258-9). Alla maniera di Spaventa, insomma, il soggettivismo di Socrate non
andava confuso né con l’individualismo di Protagora né con la successiva
dottrina pla- tonica delle idee. Questo atteggiamento spiega anche la presenza
di Socrate nel sag- gio del 1900 su La filosofia della prassi, dove, per
dimostrare che Marx aveva assunto il concetto della prassi dall’idealismo, e
non dal mate- rialismo, chiamò in causa il «soggettivismo di Socrate», facendo
dell’antico filosofo greco il primo idealista, anzi il primo teorico della
praxis: perché, spiegava Gentile, Socrate non concepiva la verità come un bene
formato da trasmettersi, ma come il risultato di un «personale lavorio
inquisitivo», cioè del dialogo e dell’arte maieutica: «il sapere – concludeva –
importava per Socrate un’attività produttiva, ed era una soggettiva
costruzione, una continua e progressiva prassi» (Gentile 1959a, 72). Altrove
scriveva che il merito di Socrate «consiste appunto nel superamento di quella
dualità di volontà e intelletto, che è presup- posta così dal determinismo come
dal concetto del libero arbitrio»: e arrivava ad affermare che, se avesse
approfondito questo aspetto, sa- rebbe stato condotto «al concetto hegeliano
dell’unità di libertà e ne- cessità razionale» (Gentile 1909, 286). Di questa
singolare definizione di Socrate come primo idealista, Gentile darà una
spiegazione, nel 1920, nei Discorsi di religione, quando dirà che, con Socrate,
«la filosofia acquista coscienza del suo carattere idealistico», anche se
questa co- scienza «si oscurerà tante volte nel corso del suo sviluppo storico»
(Gentile 1965, 328): e quasi per dare un esempio di tale oscuramento, ricordava
l’«idealismo ancora naturalistico» di Platone e Aristotele, che aveva
ricompreso l’intuizione socratica nel realismo del «mondo delle idee» e in
quello di «Dio, forma o atto puro, o pensiero del pen- siero» (ibid., 329).
Questi primi riferimenti, in larga parte ispirati dalla posizione di Spaventa,
cominciarono a complicarsi negli anni appena successivi, quando Gentile iniziò
a elaborare la filosofia dell’atto puro, e quindi, bisogna aggiungere, ad
approfondire la distanza tra dialettica del pen- sato e dialettica del pensare,
tra pensiero antico e pensiero moderno. Un preludio della successiva lettura di
Socrate può essere indicato, 46 LA BANDIERA DI SOCRATE d’altronde, nella
lunga recensione del 1909 al Socrate di Giuseppe Zuc- cante, dove Gentile,
richiamandosi implicitamente (senza mai citarla) alla posizione di Spaventa,
chiarì due aspetti fondamentali della pro- pria interpretazione. In primo
luogo, in un passaggio di particolare im- portanza, rielaborò e chiarì la tesi
del formalismo socratico, definito appunto come la sua «gloria». Scrisse
infatti: la verità è che la ricerca socratica è prevalentemente umana, perché
l’uomo coi sofisti era venuto al primo piano della speculazione, segna- tamente
nella rettorica. E lo stesso tentativo di sollevare a scienza la rettorica,
operato dai sofisti, ne mette a nudo l’essenziale formalismo, e fa sentire il
bisogno di quella più schietta e più concreta scienza dello spirito, che
Socrate persegue col suo motto divino: conosci te stesso. Qui è la radice
dell’unità [...] del suo interesse speculativo, teorico, e del suo interesse
morale, pratico: qui anche la radice del formalismo spe- culativo e morale, a
cui s’arresta lo stesso Socrate. Il quale supera la forma rettorica con
l’affermazione del contenuto della rettorica (giusto, ingiusto ecc.): ma di
questo contenuto non definisce altro che la forma: il concetto come universale,
non intravveduto da nessuno dei filosofi precedenti: il concetto di ogni cosa
(logica) e il concetto stesso del giusto (morale). In che consiste il valore di
questa scoperta, che è la gloria di Socrate (Gentile 1909, 284). In secondo
luogo, stabilito il senso del formalismo socratico, Gen- tile chiariva il
significato della scoperta logica di Socrate, affermando che si trattava non
solo, e non tanto, della scoperta del concetto, ma del «concetto del concetto»,
della «essenza dello spirito»: se i filosofi prece- denti sempre avevano
adoperato concetto e definizione, ora Socrate sollevava il pensare a «pensiero
del pensiero», conferendo agli uomini una «seconda vista», quella della
schietta universalità (ibid., 285). Gra- zie a Socrate, il pensiero diventava,
per la prima volta, oggetto di sé stesso, sostituendosi all’orizzonte della
natura: e questo, oltre quello più limitativo dell’assenza di un contenuto
assoluto, era il carattere del suo formalismo, inteso appunto come
considerazione della forma logica in sé stessa. Negli scritti di questo
periodo, l’accento cominciava a battere con più forza sulla continuità tra
Platone e Aristotele, perché – scriveva – «con Aristotele [non] si fa un passo
avanti» rispetto al metodo trascen- dente di Platone (Gentile 1975a, 202). Non
solo infatti, come precisò Gentile e Socrate 47 nella prolusione
palermitana del 1907 su Il concetto della storia della filo- sofia, Platone
aveva «trasformato» il concetto socratico in «idee eterne e immobili, puro
oggetto della mente» (ibid., 113); ma iniziò a riportare la filosofia di
Platone alla fonte eraclitea e soprattutto a quella parme- nidea, che ai suoi
occhi costituiva il vero approdo del Teeteto e del So- fista: «Platone» – scriveva
– «non vide mai altro che l’essere immobile e realmente immoltiplicabile, tal
quale l’essere (fisico) degli Eleati. Qui si doveva arrestare una filosofia
ignara della natura dello spirito» (ibid., 201, nota 1). Più che Socrate,
dunque, la filosofia di Platone in- contrava, con la teoria delle idee,
l’essere di Parmenide, superando in esso anche la primitiva lezione di Cratilo.
Fu nel primo volume del Sommario di pedagogia (dunque nel 1912) che il giudizio
su Socrate cominciò ad assestarsi. Gentile vi si soffermò in due diverse parti
dell’opera: in primo luogo, nella sezione su L’uomo, a proposito dei concetti;
in secondo luogo, nella parte terza, su Le forme dell’educazione. Il capitolo
che dedicò al «merito di Socrate sco- pritore del concetto» finì per risultare
piuttosto singolare. Riconobbe a Socrate il «merito straordinario» di avere
affermato «il carattere uni- versale del vero» (Gentile 1982, 71); ma subito
aggiunse che quel con- cetto non era poi il vero concetto, il conceptus sui, ma
una forma che, conseguita per via induttiva, con «un processo di
generalizzazione», era piuttosto irreale, astratta, lontana dalla concreta
determinazione del mondo: offrì insomma del concetto socratico una lettura
singolar- mente negativa, quasi rappresentandolo nella figura degli pseudocon-
cetti o finzioni che, nella Logica e nella Filosofia della pratica, Croce aveva
teorizzato. Di più, in un capitolo successivo, affermò che il concetto
socratico, «base dell’erronea teoria platonica e aristotelica del con- cetto» (ibid.,
81), presupponeva la scissione tra teoria e pratica: ne- gando dunque a Socrate
proprio quel merito che, come abbiamo osser- vato, gli aveva riconosciuto nel
saggio su La filosofia della prassi. La considerazione trovava uno sviluppo
rilevante, come si diceva, nella terza parte dell’opera, dove Gentile poneva la
figura di Socrate all’origine del concetto di «educazione negativa»,
collocandolo sulla stessa linea che, nell’epoca moderna, avrebbe prodotto la
«possente» opera di Rousseau. A questo principio dell’educazione negativa, Gen-
tile tornava a rivolgere un elogio, perché capace di implicare «l’imma- nenza
del divino nell’uomo» (ibid., 198) e dunque di anticipare lo spi- rito di
libertà di Rousseau: ma anche qui osservava che Platone aveva 48 LA BANDIERA
DI SOCRATE convertito la maieutica socratica in un innatismo delle idee, come
un ritorno dell’anima «a quella pura cognizione originaria che ella si reca in
sé dalla nascita» (ibid., 200). Una critica, d’altronde, che si legava
all’idea, sostenuta ancora nei Discorsi di religione, secondo cui il pen- siero
antico non poté mai accedere al problema morale, perché privo del principio
stesso della volontà (Gentile 1965, 357-60). In tutta la prima fase della sua
riflessione, Gentile tenne fermo il Socrate di Spaventa, cioè la tesi del
formalismo e della scoperta della soggettività universale, via via innestandovi
i motivi essenziali nella propria filosofia: così, nell’Introduzione alla
filosofia (1933) parlerà di So- crate come del «primo grande martire degl’interessi
più profondi dell’uomo e della sua nobiltà e grandezza» (Gentile 1981, 7), come
di colui che, con il Nosce te ipsum, aveva vinto l’antico naturalismo e sco-
perto la «concezione umanistica del mondo»; e nella più tarda Filosofia
dell’arte (1943) arriverà a svolgere il motivo spaventiano (e labrioliano)
della mancanza di una psicologia in Socrate nella tesi, ben più radicale,
dell’assenza del sentimento e, in generale, del principio dell’arte in tutto il
pensiero antico (Gentile 1975b, 144-5 e 306). Ma la trasforma- zione essenziale
e decisiva avvenne certamente nelle opere più siste- matiche dell’attualismo,
in modo particolare nel Sistema di logica, quando Socrate, come ora vedremo,
acquistò il volto più complesso di fondatore del logo astratto: che era uno
svolgimento dell’idea, comun- que presente in Spaventa, che proprio in lui, in
Socrate, e non in Par- menide e nei filosofi presocratici, andava indicato
l’autentico inizio della filosofia occidentale. Nella Teoria generale (1916),
dove il problema fondamentale era quello dell’individuo e dell’individualità,
si faceva più nitido il quadro dell’intero sviluppo della filosofia greca,
ponendo al centro del natu- ralismo quella che definì «la disperata posizione
di Parmenide» (Gen- tile 1959b, 107), quintessenza dell’intero mondo mitico e
presocratico e carattere della «seconda natura» delle idee, stabilita da
Platone. Tra Parmenide e Platone, Socrate appariva come colui che aveva operato
«la netta distinzione tra genere e individuo» (ibid., 59), non riuscendo certo
a trovare la sintesi tra i due momenti, ma lasciando aperta, con il suo
formalismo, tanto la via platonica tanto quella aristotelica. Di fronte a
entrambi, a Parmenide e a Platone, Socrate era delineato come colui che «scopre
il concetto come unità in cui concorre la va- rietà delle opinioni» (ibid.,
106): affermazione di grande significato, Gentile e Socrate 49 perché,
almeno in senso formale, indica una rottura dell’intero natu- ralismo antico,
un presagio – se così può dirsi – della sintesi e della vera individualità, che
solo il pensiero moderno, osservando il con- cetto come conceptus sui e come
autocoscienza, arriverà, dopo il cri- stianesimo, a compiere. Però, come si
diceva, solo nei due volumi del Sistema di logica, il primo del 1917 e il
secondo del 1921, la figura di Socrate acquistò una nuova luce e un più preciso
significato, all’interno della dialettica del logo astratto e del logo
concreto. Possiamo dire che il punto centrale della considerazione delle forme
storiche del logo astratto è proprio il passaggio da Parmenide a Socrate, che è
poi il passaggio dal naturali- smo antico alla logica del pensiero pensato,
inteso come momento eterno e insuperabile del logo. Il punto socratico è quello
fondamen- tale, se non altro perché, superando la posizione, disperata e
assurda, di Parmenide, Socrate pone, nel concetto universale, l’intero circolo
del pensiero antico, che in Platone (con la teoria della divisione) e in Ari-
stotele (con la teoria del sillogismo) troverà solo uno sviluppo coerente e un
adeguamento. All’altezza della dottrina del logo astratto, Gentile segnava con
meno forza, rispetto ai testi precedenti, il distacco tra So- crate e Platone,
ma indicava con molta più forza la differenza tra So- crate e Parmenide. È vero
che, in un passaggio non privo di ambiguità, disse che Parmenide rappresentava
«il fondatore [...] della logica dell’astratto», colui che «per primo cominciò
a intendere in tutto il suo rigore il concetto del logo quale presupposto del
pensiero» (Gentile 1955b, 147). Ma subito precisò che tale fondazione del logo
era in verità una negazione del pensiero, perché il suo essere, privo di
determina- zione e di differenza, è in realtà mancanza di pensiero, il nulla
del pen- siero, il semplice immediato: e per Gentile, così come per Spaventa,
non è l’essere di Parmenide a segnare l’inizio della logica, come acca- deva in
Hegel, ma il concetto universale di Socrate. È con Socrate in- fatti, come
ripete più volte (concordando, per altro, con quanto Croce aveva sostenuto
nella Logica)16, che «nasce formalmente la scienza della logica» (Gentile
1955b, 153), che viene posto non «l’immediato essere astratto», ma la
«mediazione», il «rapporto tra soggetto definito e predicato onde si
definisce», per cui, concludeva, «l’astratta identità dell’essere naturale di
Parmenide e di Democrito qui è vinta». E altrove 16 Croce 1981,
302-3. 50 LA BANDIERA DI SOCRATE chiariva: «la logica comincia
propriamente con Socrate, quando l’es- sere spezza la dura crosta primitiva
della immediatezza naturale, in cui s’era fissato nelle concezioni degli Eleati
e degli Atomisti, e si me- dia nella forma più elementare possibile del
pensiero: identità che sia unità di differenze» (ibid., 169). Nel concetto
socratico, nella definizione, è già tutta la logica antica, che troverà nella
dialettica platonica e nel sillogismo aristotelico solo uno sviluppo
necessario. Più precisamente, Socrate diventa, nel Si- stema di logica, il
fondatore della logica dell’astratto, che non si esprime più nell’assurda immediatezza
di A (essere naturale), ma nel rapporto A=A, che indica il principio d’identità
e l’intero «circolo chiuso», come lo definì, del logo astratto: rapporto che è
già rapporto di pensiero, perché il primo A si distingue dal secondo A,
generando la figura del giudizio, sia pure di un giudizio analitico e
definitorio. Così, il passag- gio (che impegnò il secondo volume dell’opera)
dal logo astratto al logo concreto indicava anche il merito e il limite della
posizione socra- tica, il suo elogio e la sua critica: perché il «circolo
chiuso» che Socrate aveva fondato, immettendo l’uomo nella regione del
pensiero, era pur sempre un circolo, una mediazione e un movimento, e perciò
inclu- deva, sia pure in maniera inconsapevole, il riferimento del pensato al
pensare, dell’astratto al concreto. Lo includeva, come spiegò, nella forma
«mitica» di tutto il pensiero antico, non ancora come «pensa- mento del logo
astratto nel concreto», ma viceversa come «pensamento del logo concreto
nell’astratto» (Gentile 1942, 178). La lettura del momento socratico sembrava
così compiuta nei ter- mini fondamentali. Ma negli ultimi mesi della sua vita,
Gentile delineò una intera storia della filosofia, che doveva fare parte della
collana «La civiltà europea» della casa Sansoni, e di cui riuscì a scrivere
solo la prima parte, fino a Platone. Di questa opera, che è stata pubblicata
nel 1964 a cura di Vito A. Bellezza, ci rimane, tra le carte del filosofo,
l’in- dice dell’intero lavoro (che si sarebbe dovuto concludere con la consi- derazione
di Varisco, Martinetti, Croce e Gentile stesso) e il mano- scritto di un
«prospetto» che si riferisce alla parte successiva e non scritta sulla
filosofia antica, fino alla sezione terza, che avrebbe dovuto occuparsi di
epicurei, stoici, scettici, accademici e neoplatonici17. 17 Archivio della
“Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici”, manoscritti pubblicati
(1964-1967). Gentile e Socrate 51 In questo ultimo scritto sulla
filosofia antica, Socrate diventava ve- ramente il centro dell’intera
considerazione, lo snodo decisivo tra na- turalismo e metafisica. Più chiara e
conseguente risultava, in primo luogo, la ricostruzione della filosofia
presocratica. Le due figure prin- cipali di questa epoca, Parmenide ed
Eraclito, rappresentavano due aspetti complementari della medesima intuizione
della natura e del cosmo, priva della luce del pensiero: nell’essere di
Parmenide, che è lo stesso fuoco di Eraclito fermato nel suo eterno ardere, si
riassume il peccato capitale della prima filosofia greca, che ora Gentile
definiva come «misticismo» (Gentile 1964, 68), come «intellettualismo» e «for-
malismo» (ibid., 74), cioè – spiegava – come il primo esempio di una filosofia
«che fa lavorare il cervello, ma lascia, si può dire, vuoto e inerte il cuore».
E tutto il successivo atomismo, soprattutto in Demo- crito, gli appariva come
l’esito naturale di tale originaria assenza del pensiero, che finì, come doveva
finire, nel «pretto materialismo», dove «il pensiero è identico alla
sensazione» (ibid., 91). S’intende perché, nella linea che già era stata di
Spaventa, Gentile riservasse parole di elogio alla sofistica: a Protagora, come
a colui che scopre «il tarlo se- greto che rode questo essere a cui pur tutto,
per chi pensa e ragiona, si riduce» (ibid., 97-8), e che costituisce, dunque,
tanto l’autocritica in- terna quanto il logico compimento del naturalismo
eleatico; e soprat- tutto a Gorgia, che scopre «la potenza della parola», di
quell’elemento attivo e umano che l’essere di Parmenide non poteva includere né
spie- gare: una potenza, quella della parola, che rappresenta l’emergere di un
nuovo mondo, di cui «non siamo più soltanto gli spettatori, ma vi facciamo da
attori» (ibid., 111). Sono i sofisti, perciò, che «preparano Socrate e tutta la
filosofia del logo che ne deriva», che «rendono possibile la scoperta di questo
nuovo mondo» (ibid., 98). E il capitolo su Socrate, come si diceva, co-
stituisce il cuore di tutta l’interpretazione che qui Gentile proponeva del
pensiero antico. A differenza di Labriola, anzi tutto, e in parte an- che di
Spaventa, Gentile mostrava di privilegiare nettamente il Socrate di Aristotele,
considerando inattendibile la descrizione di Senofonte, che ne fa «un troppo
bonario e grossolano pensatore», e in fondo anche quella di Platone, che nei
dialoghi presenta «un Socrate idealizzato e platonizzante» (ibid., 120): «il
Socrate storico – scriveva – non è il So- crate platonico» (ibid., 122). «Più
attendibile» dunque Aristotele, pur 52 LA BANDIERA DI SOCRATE «ne’ suoi
cenni sommari» (ibid., 120), perché in Aristotele emerge- rebbe la vera
fisionomia di Socrate, autore di una sola ma fondamen- tale scoperta, quella
del concetto, o meglio della definizione e del giu- dizio, cioè del pensiero:
non il termine, ma il giudizio, «quel giudizio che come atto del pensiero
rivolto all’essere naturale Parmenide e i seguaci suoi avevano dimostrato
impossibile» (ibid., 134). Così So- crate compie il «passo gigantesco», «trova
il pensiero», e «il pensiero, per la prima volta, si viene a trovare alla
presenza di se stesso: di se stesso nell’oggetto che può conoscere, e conosce»
(ibid., 135). Per questo, e solo per questo, Socrate rimane per sempre «il
modello da imitare» per ogni filosofo successivo, come «una delle incarnazioni
più splendide dell’ideale umano, se umanità vuol dire, come vide So- crate,
pensiero» (ibid., 137). La preferenza che Gentile accordava alla fonte
aristotelica derivava, d’altronde, da un lungo percorso, che aveva trovato
nella discussione del 1909 con Zuccante un punto di particolare chiarezza. In
quella oc- casione, appoggiandosi ad alcune analisi di Gomperz e soprattutto di
Joël, aveva definito i Memorabili come l’opera «più sciagurata uscita dalla
penna di Senofonte: pesante, monotona, tutta infarcita di banalità e di vere caricature
dello spiritoso e malizioso dialogo socratico» (Gen- tile 1909, 276),
soprattutto per la tendenza ad attribuire a Socrate «una specie di
prammatismo», eliminando quell’elemento «logicistico» che per Gentile ne
costituiva, invece, il tratto saliente (ibid., 284). Di conse- guenza, aveva
rifiutato l’intera impostazione di Labriola, che aveva as- sunto il «Socrate
senofonteo» come la pietra di paragone di ogni altra testimonianza (ibid.,
286)18. Non si può tacere che, in tale uso delle fonti, si celava una certa
tendenziosità e forse qualche equivoco. Anzi tutto, come è facile osservare, il
richiamo ad Aristotele era, in verità, un riferimento quasi esclusivo ai passi
della Metafisica su Socrate come «fondatore della filosofia concettuale» e
«scopritore dell’universale» (Maier 1943, 95), con una larga sottovalutazione
di quanto, nella fonte aristotelica, rinviava alle dottrine etiche e morali.
Anche la contrappo- sizione fra la testimonianza aristotelica e quella
senofontea, seppure giustificata da un dibattito interpretativo allora in corso
(si pensi alle 18 Si ricordino, a questo proposito (soprattutto con riferimento
a Labriola, il cui scritto è definito «il migliore studio italiano
sull’argomento», e a Joël), le osservazioni di Guido Calogero nella voce
Socrate del 1936 dell’Enciclopedia italiana. Gentile e Socrate 53
diverse letture di August Döring e di Karl Joël), trascurava i possibili legami
che alcuni autori, come Heinrich Maier o Georg Busolt, ave- vano stabilito tra
i passi socratici di Aristotele e i Memorabili senofon- tei19. Si trattava,
insomma, di una semplificazione del ben più arduo problema delle fonti
socratiche, ma di una semplificazione necessaria affinché, nel discorso di
Gentile sulla filosofia antica, emergesse in piena luce il posto assegnato a
Socrate, come iniziatore della logica e superatore del precedente naturalismo.
Dunque Socrate appariva, nelle pagine che ora Gentile vi dedicava, come la
rappresentazione vivente della scoperta del concetto come giudizio, e a questo
principio del logo andavano ricondotti tutti gli aspetti della biografia.
Socrate fu, pertanto, «il maggiore dei Sofisti» (Gentile 1964, 122), perché
convertì la parola di Gorgia nella nuova «fede nel pensiero», restituendo a
quel mondo umano, che pure i sofi- sti, con la loro opera distruttiva, avevano
scoperto, il pregio dell’uni- versalità e della verità. Questo era il senso
dell’ironia e del dialogo: il dialogo, possiamo dire, si superava nel logo, e
si risolveva in esso, per- ché, come aveva chiarito Platone nel Teeteto, era in
verità un monologo, «un interno dialogare della mente con se stessa» (ibid.,
170), dove il concetto unico e universale costituiva il presupposto e la mèta,
l’inizio e la fine, dentro cui i dialoganti, lungi dal distinguersi, si unificavano
come simboli di un solo ritmo logico. Certo Gentile riprendeva lette- ralmente
l’indicazione spaventiana del «formalismo socratico» (ibid., 123), ma in certo
modo, come ora vedremo, ne metteva piuttosto in rilievo l’aspetto positivo,
schiettamente logico, rispetto alla costru- zione successiva di una metafisica,
culminante nell’opera di Platone. «Formalismo» significava, perciò, visione
formale del concetto e del giudizio, fede nella forma del pensiero, non ancora
fissato in un tra- scendente mondo delle idee. Per molte ragioni non potrebbe
dirsi che Gentile trasformasse la fi- gura di Socrate in quella di un
precursore dell’attualismo, come per esempio era accaduto, a proposito di Gesù
di Nazareth, ad Adolfo Omodeo o a Guido De Ruggiero: la sua prosa si manteneva
più sobria, 19 Si ricordi la netta affermazione del Maier, che risale
all’edizione di Tubinga del 1913 del Sokrates: «debbo confessare che mi riesce
incomprensibile come mai si siano potute dare tanta importanza e tanta fiducia
alle sue [di Aristotele] scarse osservazioni» (Maier 1943, 81). 54
LA BANDIERA DI SOCRATE controllata, ma certamente tendeva ad assegnare a
Socrate un valore unico in tutto l’orizzonte della filosofia antica20. Il
«formalismo» indi- cava un merito, non un difetto. E in tutto il capitolo
sull’«essere come concetto», ne sottolineò l’importanza, senza mai indicare il
limite della visione socratica. Limite che emerse piuttosto nelle pagine
successive, quelle sull’«essere come idea», dove, per spiegare il passaggio a
Pla- tone, accennò pure al «problema centrale di Socrate», consistente nel
«dualismo da vincere» tra il mondo umano e il mondo naturale, tra il concetto e
l’esperienza, perché – scriveva – Socrate «non aveva saputo dir nulla di quella
natura che ci sta davanti, in cui si nasce, si vive e si muore, e con cui
all’uomo che pensa per concetti rimane pur sempre da fare i conti» (Gentile
1964, 162-3). Era necessario segnare il limite di Socrate, per offrire una
spiegazione del passaggio successivo, quando il suo «formalismo» ripiegò in una
compiuta metafisica, tornando di fatto al naturalismo e al mito eleatico
dell’essere immutabile. E il lungo capitolo sull’«essere come idea», che copre
quasi la metà della parte scritta dell’opera, costituisce in effetti una delle
pagine più importanti, e in fondo drammatiche, che Gentile abbia composto negli
ultimi giorni della sua vita. Parlò di «un nuovo abisso» (ibid., 191) che si
de- lineava tra Socrate e Platone, come quello che aveva diviso la filosofia
umana di Socrate da quella naturalistica che lo aveva preceduto; e ne preparò
l’analisi con una sottile considerazione delle scuole socrati- che minori,
culminante nella figura di Euclide, che «proveniva dall’eleatismo» e che per
primo, inaugurando l’opera che sarà di Pla- tone, «trasferiva il concetto o
universale socratico dalla mente dell’uomo nella realtà in sé» (ibid., 158). Di
fronte al dualismo irri- solto di Socrate, tornava, fin da Aristippo o Teodoro,
il vento gelido della vecchia cultura, che riempiva il «formalismo» di un
contenuto antico, quello della natura, della trascendenza, del realismo.
Platone stesso, in fondo, compì questa opera necessaria, appoggiandosi ai suoi
veri maestri, l’«eracliteo Cratilo» (ibid., 163) e Parmenide, e ab- batté «la
barriera tra l’umano e il divino», innalzandovi sopra quell’edificio possente
che è la metafisica (ibid., 192-3). 20 All’analogia tra Socrate e Gesù, Gentile
aveva fatto riferimento nella recensione a G. Zuccante, Socrate. Fonti,
ambiente, vita, dottrina (Gentile 1909, 278). Per Adolfo Omodeo, il rinvio è a
Omodeo 1913; per Guido De Ruggiero, al primo volume di De Ruggiero 1920.
Gentile e Socrate 55 Quando, in una decina di pagine di forte intensità,
entrò all’interno di questo meccanismo, e cercò di spiegare con più precisione
il passag- gio che si era consumato dal formalismo di Socrate alla metafisica
di Platone, Gentile non mancò di osservare che la «soluzione» che la dot- trina
delle idee aveva dato al «problema» di Socrate (ibid., 227), unifi- cando ciò
che nel maestro si conservava diviso, era in fondo fallimen- tare, perché
metteva capo a un nuovo e più duro dualismo, quello che si apriva tra
eraclitismo ed eleatismo: due anime – scrisse – inconciliabili: né Platone
riuscì più a mettere una a tacere, come in qualche modo erano riusciti a fare
Parmenide ed Era- clito e lo stesso Socrate. [...] Il poderoso sforzo da lui
tentato di strin- gere insieme le due opposte esigenze pur nella forza
indomabile dell’energia con cui esse reciprocamente si escludono, non potrà non
fallire (ibid., 226-7). La vicenda post-socratica delineava dunque la storia di
un falli- mento; e di un fallimento, bisogna aggiungere, che aveva un prezzo
elevato per la filosofia: perché l’idea di Platone altro non era che l’es- sere
di Parmenide («dire idea – scriveva – è lo stesso che dire essere»; ibid., 220)
e il dialogo, che Socrate aveva coltivato come ricerca sogget- tiva della
verità, si irretiva nella dialettica oggettiva delle idee trascen- denti,
dell’essere, nella «dialettica consistente nella relazione che hanno le idee in
se stesse», in «dialettica oggettiva, che è norma e fine della soggettiva»
(ibid., 221). Gentile parlava bensì di conquista del pensiero platonico, di
progresso, ma in tutta la sua pagina circolava l’impressione del regresso e della
decadenza, del passo indietro, della chiusura metafisica. Impressione che si
fece nitida nel brano in cui, mettendo a diretto confronto i due filosofi,
Socrate e Platone, affermò che il primo, di fronte all’antico naturalismo,
aveva scoperto il pen- siero come «relazione», «soggetto, predicato e loro
relazione», mentre l’altro quella relazione aveva ricondotta «in un’idea
suprema», unica e universale, e perciò l’aveva annientata e assorbita
nell’ordine ogget- tivo dell’essere che nega e dissolve il pensiero:
«quest’idea – spiegava – pel fatto stesso che totalizza la relazione,
l’annienta; perché l’idea delle idee, essendo unica, è irrelativa». E dunque
metteva capo all’«unità massiccia, immota, morta, che è tutto un blocco, da
prendere 56 LA BANDIERA DI SOCRATE o lasciare. Proprio come l’Essere
eleatico. Pare pensiero, e non è» (ibid., 222-3). Che era una critica della
metafisica platonica e, al tempo stesso, il più alto riconoscimento a Socrate:
il quale restava, così, al centro di questa storia, come una possibilità
inesplosa dell’antico, che solo il pensiero moderno, dopo il cristianesimo,
avrebbe ripreso e realizzato. Nota bibliografica BERTINI, GIOVANNI MARIA,
“Considerazioni sulla dottrina di Socrate.” Memorie della Reale Accademia delle
Scienze di Torino, serie II, 16 (1857): 1-35. - Opere varie. Biella: Amosso,
1903. CERASUOLO, SALVATORE, “Il “Socrate” di Antonio Labriola.” In La cul- tura
classica a Napoli nell’Ottocento, 559-69. Napoli: Pubblicazioni del
Dipartimento di Filologia Classica dell’Università degli Studi di Napoli, 1987.
BROCHARD, VICTOR CHARLES LOUIS, Études de philosophie ancienne et de
philosophie moderne. Paris: Alcan, 1912. COLLI, GAETANO, “Biblioteche di
filosofi nella biblioteca di filosofia della Sapienza romana.” Culture del testo
e del documento 15 (2014): 5-30. CROCE, BENEDETTO, Logica come scienza del
concetto puro, Bari: Laterza, 1981. DE RUGGIERO, GUIDO, Filosofia del
cristianesimo, Dalle origini a Nicea (vol. I). Bari: Laterza, 1920. GENTILE,
GIOVANNI, “Recensione a G. Zuccante, Socrate. Fonti, am- biente, vita, dottrina
(Torino 1909).” La Critica 7 (1909): 275-87. - Sistema di logica come teoria
del conoscere (vol. II). Firenze: Sansoni, 1942. - Rosmini e Gioberti. Saggio
storico sulla filosofia italiana del Risorgi- mento. Firenze: Sansoni, 1955. -
Sistema di logica come teoria del conoscere (vol. I). Firenze: Sansoni 1955. -
La filosofia di Marx. Firenze: Sansoni, 1959. - Teoria generale dello spirito
come atto puro. Firenze: Sansoni, 1959. - Storia della filosofia (dalle origini
a Platone), a cura di V.A. Bellezza. Firenze: Sansoni, 1964. - La religione.
Firenze: Sansoni, 1965. Gentile e Socrate 57 - La riforma della
dialettica hegeliana. Firenze: Sansoni, 1975. - La filosofia dell’arte.
Firenze: Sansoni, 1975. - Introduzione alla filosofia. Firenze: Sansoni, 1981.
- Sommario di pedagogia come scienza filosofica (vol. I). Firenze: San- soni,
1982. - Bertrando Spaventa. Firenze: Le Lettere, 2001. HEGEL, GEORG WILHELM
FRIEDRICH, Lezioni sulla storia della filosofia (vol. I). Firenze: La Nuova
Italia, 1930. - Lezioni sulla storia della filosofia (vol. II). Firenze: La
Nuova Italia, 1932. - Scienza della logica (vol. I). Roma-Bari: Laterza, 1981.
LABRIOLA, ANTONIO, “La dottrina di Socrate secondo Senofonte Pla- tone ed Aristotele.”
In Tutti gli scritti filosofici e di teoria dell’educa- zione, a cura di L.
Basile e L. Steardo. Milano: Bompiani, 2014. MAIER, HEINRICH, Socrate. La sua
opera e il suo posto nella storia (vol. I). Firenze: La Nuova Italia, 1943 (ed.
or. Sokrates: sein Werk und seine geschichtliche Stellung. Tübingen: J.C.B.
Mohr, 1913). MUSTÈ, MARCELLO, “Il senso della dialettica nella filosofia di
Bertrando Spaventa.” Filosofia italiana 1 (2014): 1-28. OMODEO, ADOLFO, Gesù e
le origini del cristianesimo. Messina: Princi- pato, 1913. POGGI, STEFANO,
Introduzione a Labriola. Roma-Bari: Laterza, 1981. PUNZO, LUIGI. Antonio
Labriola. Celebrazioni del centenario della morte. Cassino: Edizioni
Dell’università Degli Studi di Cassino, 2006. RITTER, HEINRICH, Histoire de la philosophie
ancienne, 4 voll., traduit de l’allemand par C.J. Tissot. Paris: Ladrange,
1835-1836. SPAVENTA, SILVIO, Dal 1848 al 1861. Lettere, scritti e documenti
pubblicati da Benedetto Croce. Napoli: Morano, 1898. SPAVENTA, BETRANDO, Opere,
(vol. II), a cura di Giovanni Gentile. Firenze: Sansoni, 1972. Marcello Mustè. Mustè. Keywords: la filosofia
dell’idealismo italiano, popolarismo, governo federativo, democrazia, kratos –
natoli, il potere – un concetto di kratos – dirrito, il principio politico,
liberalismo, partito liberale italiano, comunismo, il libero economico, il libero etico, libero
politico, ri-sorgimento italiano, liberta del volere, “Gentile e Socrrate” --
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mustè” – The Swimming-Pool Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51741642252/in/datetaken/
Grice e Nannini – i corpi animati – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Siena).
Filosofo. Grice: “Nannini has
intuitions in Italian.” Grice: “I
agree with Nannini about the naturalism: the ‘anima’ is there to ‘explain’
‘spiegare’ the action, ‘l’azione’ – He is the Italian Muybridge!” – Grice: “The
Nannini series is the equivalent of the Muybridge series” Studia a Firenze con
Luporini e Landucci e, inizialmente, con Cesare Luporini. Ha accompagnato la
sua attività di ricerca in campo filosofico ed i suoi impegni accademici con
una intensa attività politica a Siena come militante del Partito Comunista
Italiano. È stato Professore di Filosofia Morale all'Urbino (1986-1992) e di
Filosofia Teoretica all’Università Siena (1992-), dove ha insegnato per alcuni
anni anche filosofia della mente ed è stato principale cofondatore e direttore
di una scuola di dottorato interdisciplinare in Scienze Cognitive. È stato
inoltre più volte, dal 1989 al, visiting professor presso le Osnabrück, North
London, Bremen e Oldenburg. Attualmente in pensione, è ancora pro tempore
Docente Senior presso l’Siena e dal è
direttore di Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia (RiFP). I
suoi studi giovanili si sono incentrati sulla filosofia delle scienze sociali,
lo strutturalismo francese e la storia del pensiero antropologico.
Successivamente, rivoltosi alla filosofia analitica ed in particolare alla teoria
dell’azione, ha cercato di sviluppare il “naturalismo metodologico” criticando
il ritorno di neo-wittgesteiniani come G.H. von Wright alla distinzione
storicistica tra scienze della natura e scienze dello spirito. Sempre
muovendosi entro la filosofia analitica, ma rivolgendo il proprio interesse
alla filosofia pratica, ha difeso il non cognitivismo in meta-etica. A partire
dagli anni Novanta Professoresi è infine spostato dalla teoria dell’azione alla
filosofia della mente. In una prima fase si è occupato soprattutto della storia
del concetto di mente, per approdare dopo il 2000 ad una forma di naturalismo
cognitivo basata su una soluzione fisicalistico-eliminativistica del problema
mente-corpo. Saggi: “Il pensiero simbolico” (Bologna, Il Mulino); “Cause
e ragioni” -- Modelli di spiegazione delle azioni” umane nella filosofia
analitica” (Roma, Riuniti); “Il Fanatico e l'Arcangelo” -- Saggi di filosofia
analitica pratica, Siena, Protagon. “L'anima e il corpo” -- Una introduzione storica alla filosofia dell’animo,
Roma, Laterza; “Naturalismo” cognitivo: Per una “teoria materialistica” dell’animo,
Macerata, Quodlibet, “La Nottola di Minerva” -- Storie e dialoghi fantastici
sulla filosofia dell’animo” (Milano, Mimesis);“Educazione, individuo e società”
Torino, Loescher ), L’animo può essere naturalizzata?, Colle di Val D’Elsa (Siena),
SeB Editori. Saggi, Freud e l'antropologia, in La Cultura. Rivista di
Filosofia, Letteratura e Storia, “ Il materialismo “primario”, in, Il pensiero
di Luporini” ( Milano, Feltrinelli); “L'anomalia dell’animo «Rivista di filosofia»,
Corpi animati, nel dibattito contemporaneo, in
L’animo, Milano, Mondadori, I corpi animati e e società nel naturalismo
forte, nella Civiltà delle Macchine», Realismo scientifico e ontologia
materialistica, in «Giornale di metafisica», Nicolaci G., Perone U., Ontologia e
metafisica, Il concetto di verità in una prospettiva naturalistica, in Amoretti
M.C., Marsonet M., Conoscenza e verità” (Milano, Giuffré); “L’Io come Direttore
Assente” (in Cardella V., Bruni D., Cervello, linguaggio, società: Atti del
Convegno di Scienze Cognitive, Roma, CORISCO, Orologi, animo e cervello:
Riflessioni preliminari su tempo reale e tempo fenomenico tra fisica teorica e
filosofia dell’animo, in Amoretti M.C., Natura umana, natura artificiale” (Milano,
Angeli); Rappresentazioni naturalizzate, in «Sistemi intelligenti», Kant e le
scienze cognitive sulla natura dell’Io, in Amoroso L., Ferrarin A., La Rocca C.,
Critica della ragione e forme dell'esperienza’ (Pisa, Edizioni ETS); Realismo
scientifico e naturalismo cognitivo, La coscienza può essere naturalizzata?, in
Nannini S., Zeppi A., L’animo può essere naturalizzata?, Colle di Val D’Elsa (Siena),
SeB Editori, In-conscio, co-scienza e intenzioni
nel naturalismo cognitivo, in «Sistemi intelligenti», La svolta cognitiva in
filosofia, in «Reti, saperi, linguaggi: Naturalismo cognitivo: Per una teoria
materialistica dell’animo, Quodlibet, Sandro Nannini, La Nottola di Minerva: Storie
e dialoghi fantastici sulla filosofia dell’animo, Mimesis. Nannini. Keywords:
corpi animati, l’interazione dei corpi animati, l’ego come direttore assente,
freud e il nos come dirretori assenti --. Luigi Speranza: “Grice e Nannini: il
santo, l’eroe, il fanatico, l’arcangelo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702118872/in/photolist-2mLJSEC
Grice e Nardi – dantesco – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Spianate di Altopascio). Filosofo. Grice: “The Italians are fortunate:
with Alighieri they can philosophise about him!” Primogenito di una famiglia benestante, composta di nove figli,
viene avviato sin dalla tenera età alla carriera ecclesiastica. Nel 1896 entra
nel collegio dei frati francescani a Buggiano e nel 1900, a sedici anni,
diventa chierico, assumendo il nome di frate Angelo. Uscì dal convento di
Buggiano perché non aveva intenzione di continuare nella vita religiosa,
avendone perduta la vocazione. Proseguì gli studi di filosofia e teologia
frequentando il convento di Sant'Agostino di Nicosia in provincia di Pisa.
Volendo proseguire gli studi, i genitori gli indicarono un'unica strada, quella
di entrare in seminario e diventare prete. Nel 1902 Nardi venne ammesso al
seminario di Pescia e il 4 marzo 1907 diventò sacerdote. Qui si avvicinò
fugacemente al movimento Modernista, condannato da papa Pio X con l'Enciclica
Pascendi. Nel 1908 Nardi sostenne l'esame di concorso per una borsa di
studio triennale conferita dall'opera Pia Galeotti di Pescia al fine di
frequentare un corso di perfezionamento filosofico presso l'Università
Cattolica di Lovanio (Belgio). Nel 1909 Nardi aveva da poco iniziato a
frequentare l'Università Cattolica di Lovanio che già decise l'argomento
della sua tesi di laurea Sigieri di Brabante nella Divina Commedia e le fonti
della filosofia di Dante, che venne discussa con Maurice De Wulf. La lettura
dell'opera di Pierre Mandonnet, nella parte dedicata a Sigieri, non persuadeva
Nardi sulla soluzione data al problema della presenza di questo averroista nel
Paradiso dantesco. Due pregiudizi la inficiavano: il primo “consisteva in
un'inesatta visione storica di quello che nel Medio Evo e nel Rinascimento era
stato l'averroismo. Il secondo pregiudizio del Mandonnet era quello di ritenere
il pensiero filosofico di Dante conforme in tutto e per tutto a quello di San
Tommaso." Nel momento in cui Nardi entrava a Lovanio abbandonò il
modernismo teologico, ma non abbracciò la filosofia neo-scolastica che quella
Università belga stava elaborando. Non aveva senso per lui ripetere, sul finire
dell'Ottocento, nell'epoca del positivismo, l'operazione culturale di San
Tommaso che prevedeva l'unificazione di fede e ragione. Il metodo di
lavoro che Nardi seguì nel corso della sua vicenda di studioso e ricercatore,
rimase sempre improntato al massimo rigore filosofico, risentendo come una
traccia indelebile dell'esperienza di Lovanio, dove dovette affrontare studi
scientifici. Per Nardi l'interpretazione del testo coincide con la libertà, ma tale
atto libero non può attivarsi senza uno scrupoloso lavoro di scavo e ricerca
del materiale documentario, l'esatta interpretazione filosofica dei
testi. Ottenuta un'ulteriore borsa di studio dall'Opera Pia di Pescia
frequenta corsi di filosofia a Vienna, Berlino, Bonn. Oltre alla pubblicazione della
propria tesi su Sigieri nella “Rivista di filosofia neo-scolastica”, Nardi vi
pubblicò altri interventi spesso critici con la linea editoriale del periodico.
scritto ai corsi dell'Istituto di Studi Superiori di Firenze perché voleva
riconoscere in Italia la sua laurea in filosofia conseguita a Lovanio. A
Firenze discuterà la tesi di laurea in filosofia dedicata alla figura del
medico e filosofo padovano Pietro d'Abano. Collaborava alla “Voce”, rivista
fondata da Giuseppe Prezzolini con il quale mantenne per lunghi anni una fitta
corrispondenza. Nell'autunno 1914 Nardi volle abbandonare il sacerdozio.
In una successiva lettera del 1941 indirizzata al vescovo Angelo Simonetti,
spiegava che era stato l'ambiente familiare a spingerlo nel 1907 a chiedere la
sacra ordinazione, con preghiere e minacce. Di trasferì a Mantova per insegnare
filosofia presso il liceo classico Virgilio, dove vi restò fino al quando si
trasferì a Milano. Ha da Giovanni Gentile un incarico per l'insegnamento della
filosofia medievale presso la facoltà di lettere dell'Roma. Tuttavia non
ottenne la cattedra universitaria (se non dopo molti anni), a causa dell'art. 5
del Concordato in base al quale la curia romana escludeva i sacerdoti secolarizzati
dall’insegnamento. Gli fu assegnata la “Penna D’Oro” dal presidente del
Consiglio Fernando Tambroni. Nel 1962 gli fu conferita la laurea honoris causa
da parte dell’Padova e da parte di quella di Oxford. Le opere e gli studi
su Alighieri si è dedicato instancabilmente per di più in mezzo secolo allo
studio del pensiero di Dante, anche quando si occupava di Virgilio, di Sigieri
di Brabante, di Pietro Pomponazzi. Nardi ha saputo mettere in discussione
schemi consolidati, ha aperto strade nuove, ha formulato proposte inedite che
ci permettono di avere una più esatta comprensione dei testi danteschi. Una
costante di Nardi è di aver conservato sempre una propria autonomia, se non un
vero e proprio distacco, rispetto agli ambienti culturali in cui si era
trovato ad agire, fossero Lovanio, Firenze o Roma. Il coraggio con cui seppe
polemicamente ribaltare tesi consolidate negli ambienti accademici, gli
fruttarono ingiustamente isolamento e non adeguata considerazione rispetto alle
sue acquisizioni veramente anticipatrici. Basti pensare alle sue tesi
sull'averroismo latino, all'importanza data alla figura di Avicenna, di Alberto
Magno, al rifiuto del preteso tomismo di Dante. E se di Gentile parlava come di
un "vero e grande maestro", dandogli ragione nella sua polemica con
il De Wulf (relatore della sua tesi a Lovanio), Nardi pur tuttavia non aderirà
al Neoidealismo, ma vi trarrà soltanto spunti e stimoli per le sue
ricerche. L'incontro con Dante costituisce per Nardi l'episodio decisivo
della sua vita intellettuale e morale. Scriverà nel 1956: "in Dante trovai
il vero e primo maestro, quello a cui debbo la maggior gratitudine". Il
senso della sua ricerca è stato interrogare il "miracolo" della
Divina Commedia, questo "singolare poema sbocciato all'improvviso contro
tutte le buone regole dell'arte e del dittare". Secondo Nardi nella
commedia è custodita la Verità, che si è manifestata ad un poeta ispirato da
una profetica visione. La lunga fatica del Nardi è giunta a concludere che la
filosofia di Dante non si riduce a nessun sistema codificato; è una sintesi
complessa tendente a superare le antinomie e che mantiene intera la sua
spiccata originalità, il suo personalissimo pensiero. Per arrivare a coglierlo
occorre da una parte ristabilire il preciso significato delle parole in
rapporto alla terminologia filosofica e scientifica del Medioevo, e ricostruire
dall'altra l'ambiente culturale e l'atmosfera spirituale nelle quali Dante si
muoveva per arrivare a determinare la fonte, il libro letto da Dante.
Nardi ha gettato luce su molti elementi e suggestioni che Dante derivava dalla
filosofia araba e neoplatonica. Essenziali per comprendere Dante sono Alberto
Magno e Sigieri più di Tommaso; così come il neoplatonismo e la cultura araba
più dello scolasticismo aristotelico. A Nardi interessava particolarmente
affrontare il tema della "visione dantesca", esperienza profetica che
seppe tradurre come nessun altro nel linguaggio della Divina Commedia. La
visione di Dante non è finzione letteraria, è rivelazione reale dell'aldilà,
concessa da Dio in virtù di un supremo privilegio. Dante visse il rapimento
mistico ed estatico al terzo cielo come esperienza reale. Dante credette di
essere sceso veramente nell'Inferno, salito veramente al Purgatorio e al
Paradiso. Per Nardi la Commedia si distacca dagli altri scritti di Dante,
perché ne è il loro compimento. Tale culmine si realizza attraverso
un'esperienza eccezionale, di origine mistico-religiosa a lui soltanto
riservata, una rivelazione che ha il potere di trasformare e rendere nuove
tutte le altre opere precedenti. L'opera dantesca, secondo Nardi, si deve
suddividere in tre fasi: la prima fase, che termina a venticinque anni, è sotto
l'influsso di Guinizzelli, assente del tutto la filosofia. La seconda fase,
quella filosofico-politico, coincide con le rime allegoriche, il Convivio, il
De vulgari eloquentia e la Monarchia. La terza fase, quella della poesia
profetica, coincide con la Divina Commedia, poema che segna il ritorno
all'unità della filosofia cristiana. Dante vi compare come profeta che deve
annunciare al mondo l'avvento di un inviato di Dio per la redenzione umana. La
Commedia è "poema sacro", la sua è poesia religiosa. Nardi vede in
questa terza fase finalmente riconciliarsi la speranza cristiana spezzatasi con
l'aristotelismo e l'avverroismo. Per Nardi l'aristotelismo è inconciliabile con
il cristianesimo, e il tomismo pertanto è "il più strano paradosso del
pensiero umano". La Commedia testimonia della riunificazione della
filosofia con la rivelazione di Dio. Dante visse una visione profetica,
esperienza che mancò ad Aristotele. L’'Accademia dei Lincei gli ha
conferito il Premio Feltrinelli per la Filosofia. Saggi: “Flosofia dantesca” (Bari, Laterza) – ALIGHERI
-- ; “Critica dantesca” (Milano, Ricciardi); “Filosofia dantesca” (di
Alighieri) (Firenze, Nuova Italia); “La filosofia medievale” (Roma, Ed. di storia
e letteratura); “Alighieri” (Roma, Laterza). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,."Giornale
Critico della Filosofia Italiana",
Premi Feltrinelli, su lincei, Medioevo e Rinascimento,” Firenze, Sansoni, Alberto
Asor Rosa, Dizionario della letteratura italiana del Novecento, ad vocem
Sigieri di Brabante e Alessandro Achillini, Di un nuovo commento alla canzone
del Cavalcanti sull'amore, “Cultura neo-latina”, Noterella poetica
sull'averroismo di Cavalcanti, Rassegna filosofica, Sigieri di Brabante e le
fonti della filosofia di Alighieri, in “Rivista di filosofia neoclassica” Sigieri
di Brabante nella Divina Commedia e le fonti della filosofia di Alighieri,
Spianate, La teoria dell'anima o animo e la generazione delle forme secondo
Pietro d'Abano, “Rivista di filosofia neoscolastica”, Vittorino da Feltre al
paese natale di Virgilio, in “Atti del IV Congresso nazionale di Studi Romani”,
Roma, Lyhomo (note al “Baldus” di T. Folengo), “Giornale critico della
filosofia italiana”, “Nel mondo di Alighieri” (Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma); “Sigieri di Brabante nel pensiero del rinascimento
italiano” (Edizioni italiane, Roma); “Alighieri profeta, in Dante e la cultura
medioevale; “Saggi di filosofia dantesca” (Bari, Laterza); “La mistica averroistica
e Pico”; “L' aristotelismo padovano (Firenze, Sansoni) – i lizii -- già edita
in “Archivio di filosofia, Umanesimo e Machiavellismo”, Padova); “Il
naturalismo del Rinascimento, Corso di storia della filosofia. T. Gregory, Roma, Universitarie; “L'alessandrinismo nel Rinascimento,
Corso di Storia della filosofia. Anno accademico, I. Borzi e C. R. Crotti, Roma, “La Goliardica”
La fine dell'averroismo, Gli scritti di Pomponazzi. “Giornale critico della
filosofia italiana”, Le opere inedite di Pomponazzi. Il fragmento marciano del
commento al “De Anima” e il maestro di Pomponazzi, Trapolino, Il problema della
verità, soggetto e oggetto dell'conoscere nella filosofia antica e medioevale”
(Universale di Roma, Roma); “La crisi del Rinascimento e il dubbio cartesiano,
Corso di storia della filosofia T. Gregory, “La Goliardica” Il commento di
Simplicio al “De Anima” Archivio di filosofia”, Padova, La miscredenza e il
carattere morale di Vernia, Giornale critico della filosofia italiana, Le opere
inedite di Pomponazzi, “Giornale critico della filosofia italiana” Le
meditazioni di Cartesio, Lezioni di storia della filosofia. “La Goliardica”,
Roma, Pomponazzi e la cicogna dell'intelletto, “Giornale critico della
filosofia italiana” Il dualismo cartesiano, Corso di storia della filosofia. T.
Gregory, “La Goliardica”, Roma, Il dualismo cartesiano degl’occasionalisti a
Leibniz, Corso di storia della filosofia. T. Gregory, “La Goliardica”, Roma, Ancora
qualche notizia e aneddoto su Vernia, Giornale critico della filosofia
italiana, Marcantonio e Zimara: due filosofi galatinesi, “Archivio storico Pugliese” Un'importante
notizia su scritti di Sigieri a Bologna e a Padova alla fine del sec. XV,
“Giornale critico della filosofia italiana”, Contributo alla biografia di Feltre,
“Bollettino del Museo civico di Padova”, Letteratura e cultura del
Quattrocento, in “La civiltà veneziana del Quattrocento” (Firenze, Sansoni); “Appunti
intorno a Trapolin, In Miscellanea” (Edizioni di Storia e letteratura, Roma);
“Copernico studente a Padova”; “Studi e problemi di critica testuale. Convegno
di studi di filologia italiana nel centenario della Commissione per i Testi di
Lingua, Bologna, L'aristotelismo della Scolastica e i Francescani, in Studi di
Filosofia Medioevale” (Storia e letteratura, Roma); “Pomponazzi e la teoria di
Avicenna intorno alla generazione spontanea dell'uomo” (Mantuanitas vergilana –
(Ateneo, Roma); La scuola di Rialto e l'Umanesimo veneziano, in Umanesimo
Europeo e Umanesimo veneziano” (Sansoni, Firenze); “Studi su Pomponazzi” (Monnier,
Firenze); “I lizii di Padova” (Monnier, Firenze); “Corsi manoscritti di lezioni
e ritratto di Pomponazzi, in Atti del VI Convegno internazionale di studi sul
Rinascimento” (Sansoni, Firenze); “Studi su Pietro Pomponazzi” (Monnier,
Firenze); “Saggi e note di critica dantesca, Ricciardi, Filosofia e teologia ai
tempi di Alighieri in rapporto al pensiero del poeta, in Saggi e note di
critica dantesca” (Ricciardi, Milano); “Saggi e note sulla cultura veneta del
Quattro e Cinquecento Mazzantini, Antenore, Padova); “Saggi sulla cultura
veneta del Quattro e del Cinquecento Mazzantini, Antenore, Padova, Divina
Commedia, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia dantesca,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Un profilo biografico, Consulenza
scientifica Società Dantesca Italiana. Bruno Nardi. Nardi. Keywords: dantesco,
Alighieri, animo, Pomponazzi, Virgilio, Enea, inferno, il concetto d’animo, la
filosofia romana nel secolo d’augusto – il secolo d’oro della filosofia romana
– il secolo augusteo, pico, abano. Refs.: H. P. Grice, “Lasciate ogni speranza
voi ch’entrate,” The Swimming-Pool Library. – Luigi Speranza, “Grice e Nardi:
il paradiso filosofico” --.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51717846758/in/photolist-2mN8u25-2mNbFJE-2mLQoLk-2mLEGPt-2mPrdWj-2mLDbnx-2mPCgo1-2mKAsyK-CntseF
Grice e Natoli – uomo tragico – origini
dell’antropologia romana – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi
Speranza (Patti). Filosofo. Grice: “I like Natoli. He
philosophises on the ‘uomo tragico’ at the source of western civilisation, and
also the experience of ‘pain’ at the source of it.” Si
laurea a Milano, dove ha trascorso gli anni nel Collegio Augustinianum. Insegna
a Venezia e Filosofia della politica alla Facoltà di Scienze Politiche
dell'Università degli Studi di Milano. Attualmente è Professore di
Filosofia teoretica presso la Facoltà di scienze della formazione
dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Attività accademica In
particolare, Salvatore Natoli è il propugnatore di un'etica neopagana che,
riprendendo elementi del pensiero greco (in particolare, il senso del tragico),
riesca a fondare una felicità terrena, nella consapevolezza dei limiti
dell'uomo e del suo essere necessariamente un ente finito, in contrapposizione
con la tradizione cristiana. Filosofia del dolore Una particolare e
approfondita analisi sul tema del dolore è stata condotta da Natoli in diverse
sue opere. Il dolore è parte essenziale della vita e per gli antichi
filosofi greci era l'altra faccia della felicità: «I greci si sentono
parte e momento della più grande e generale natura, crudele e insieme divina,
si sentono momento di quest'eterno e irrefrenabile fluire, ove non vi è differenza
tra bene e male allo stesso modo in cui il dolore si volge nella gioia e la
gioia nel dolore» La natura infatti dava la vita e nello stesso tempo
crudelmente la toglieva. Il dolore in realtà fa parte della vita ma non la
nega: il dolore può essere vissuto e reso sopportabile se chi soffre percepisce
non la pietà dell'altro ma che la sua sofferenza è importante per chi entra in
rapporto con lui e con la sua sofferenza. Se chi soffre si sente importante per
qualcuno, anche se soffre ha motivo di vivere. Se non è importante per nessuno
può lasciarsi prendere dalla morte. Secondo Natoli l'esperienza del
dolore ha due aspetti: uno oggettivo, il danno («Nel momento in cui la
sofferenza è motivata attraverso la colpa, colui che soffre non solo patisce il
danno, ma ne diviene anche il responsabile»); e uno soggettivo, cioè come viene
vissuta e motivata la sofferenza. La stessa sofferenza è interpretata in modo
differente da diverse culture: per alcune il dolore fa parte della contingenza
del mondo fenomenico, dell'apparenza per altre invece, è vissuto intensamente
come ad esempio nel cristianesimo dove al dolore viene associata la redenzione.
Vi è una circolarità tra il dolore e il senso che fa sì che, pur essendo il
dolore universale, ad ognuno appartenga un dolore diverso. Vi è dunque un
senso del dolore e un non senso che il dolore causa. Il dolore infatti
contraddice la ragione che non sa darsi spiegazione del perché il dolore abbia
colpito proprio quell'individuo e per quali colpe quello abbia commesso e, infine,
perché il dolore travagli il mondo. Il tentativo di rispondere a queste
fondamentali domande fa sì che l'individuo scopra nuove forze in lui che
generino un vittorioso uomo nuovo che, partendo dall'esperienza del dolore,
s'interroghi sul senso dell'esistere, tenendo sempre presente però, che il
dolore può segnare anche una definitiva sconfitta. Nel dolore l'uomo può
scoprire le sue possibilità di crescita ma questo non vuol dire disprezzare il
piacere, sostenendo che questo, invece, ottunde gli animi. Il piacere invece
affina la sensibilità come accade per chi ascolta frequentemente una buona
musica. Il piacere invece è negativo quando diventa «monomaniaco, eccessivo,
quando, anziché sviluppare la sensibilità, la fossilizza in un punto di
eccessiva stimolazione. E l'eccessivo stimolo distrugge l'organo.» A differenza
del piacere, dell'amore che è dialogo tra due, che è espansivo e affabulatorio
anche quando è silenzioso, l'esperienza del dolore chiude il singolo nella sua
individualità e incomunicabilità, poiché «il corpo sano sente il mondo, il
corpo malato sente il corpo. E quindi il corpo diventa una barriera tra il
proprio desiderio, l'universo delle possibilità, e la realizzabilità delle
medesime possibilità.» Sebbene il dolore sia "insensato" si
cerca di spiegarlo con le parole spesso inutili ed allora si cerca dapprima la
parola "efficace" che offre la tecnica o la parola
"efficace" della preghiera, della fede, che non annulla il dolore, ma
dà una speranza nel miracolo. L'efficace uso della parola per spiegare il
dolore fa sì che gli uomini trovino conforto nella comune sofferenza, in quella
universalità del dolore dove però ognuno rimane nella sua singolarità di senso.
La parola efficace della tecnica per un verso ha alleviato il dolore ma per un
altro può creare delle condizioni di vita tali per cui la stessa tecnica
controlla il dolore senza togliere la malattia, creando così un'esistenza
prolungata senza futuro sotto la continua incombenza della morte: «A
partire dal Settecento, ma ancor più nel corso dell’Ottocento, la tecnica è
stata sempre di più associata alle filosofie del progresso: infatti ha emancipato
gli uomini dai vincoli naturali, ha ridotto il peso della fatica, ha attenuato
il dolore, ha accresciuto il benessere, ha conteso lo spazio alla morte
differendola sempre di più… ma la tecnica, oggi, è nelle condizioni di
interferire in modo profondo nei processi naturali modificandone i cicli…»
Una soluzione all'inevitabilità del dolore può essere l'adesione a un nuovo
paganesimo secondo l'antica visione greca dell'accettazione dell'esistenza del
finito e della morte dell'uomo. «Il cristianesimo ha alterato l'anima
pagana. Nel momento in cui il sogno di un mondo senza dolore è apparso, non ci
si adatta più a questo dolore anche se si crede che un mondo senza dolore non
esisterà mai. La coscienza è stata visitata da un sogno che non si cancella
più, e anche se lo crede inverosimile tuttavia vuole che ci sia.» Anche
il cristianesimo infatti teorizza l'uomo finito, ma non essere naturale destinato
alla morte, ma come creatura di Dio. Per il cristiano la vita finita condotta
secondo il dovere porta all'accettazione della morte come passaggio a Dio. Per
il neopaganesimo la vita finita è degna di essere vissuta senza speranza di
infinitezza ma vivendola secondo un ethos, che non è dovere di obbedire a un
comando morale con la speranza di un premio eterno, ma buona e spontanea
abitudine di una condotta consapevole dell'universale fragilità umana. Saggi:
“Soggetto e fondamento” -- studi su Aristotele e Cartesio (Padova, Antenore);
“La critica del linguaggio” (Venezia, Marsilio); “Ermeneutica e genealogia -- filosofia
e metodo” (Milano, Feltrinelli); “L'esperienza del dolore -- le forme del patire”
(Milano, Feltrinelli); “Gentile” (Torino, Boringhieri); “Vita buona vita felice
-- scritti di etica e politica” (Milano, Feltrinelli); “Teatro filosofico -- gli
scenari del sapere tra linguaggio e storia” (Milano, Feltrinelli); “L'incessante
meraviglia -- filosofia, espressione, verità” (Milano, Lanfranchi); “La
felicità -- saggio di teoria degli affetti” (Milano, Feltrinelli); “I nuovi
pagani” (Milano, Saggiatore); “Dizionario dei vizi e delle virtù” (Milano,
Feltrinelli); “La politica e il dolore” (Roma, EL); “Soggetto e fondamento. Il
sapere dell'origine e la scientificità della filosofia” (Milano, Mondadori); “Delle
cose ultime e penultime” (Milano, Mondadori); “Natura, poesia, filosofia”
(Milano, Mondadori); “Progresso e catastrophe -- dinamiche della modernità” (Milano,
Marinotti); “Dio e il divino” (Brescia, Morcelliana); “La politica e la virtù”
(Roma, Lavoro); “La felicità di questa vita -- esperienza del mondo e stagioni
dell'esistenza” (Milano, Mondadori); “L'attimo fuggente o della felicità” (Roma,
Edup); “Stare al mondo -- escursioni nel tempo presente” (Milano, Feltrinelli);
“Il cristianesimo di un non credente” (Magnano, Qiqajon); “Libertà e destino
nella tragedia” (Brescia, Morcelliana); “Stare al mondo -- escursioni nel tempo
presente” (Milano, Feltrinelli); “Parole della filosofia o dell’arte di
meditare” (Milano, Feltrinelli); “La verità in gioco” (Milano, Feltrinelli); “Guida
alla formazione del carattere” (Brescia, Morcelliana); “Sul male assoluto -- nichilismo
e idoli nel Novecento” (Brescia, Morcelliana); “I dilemmi della speranza” (Molfetta,
La Meridiana); “La salvezza senza fede” (Milano, Feltrinelli); “La mia
filosofia -- forme del mondo e saggezza del vivere” (Pisa, Ets); “L'attimo
fuggente e la stabilità del bene – la Lettera a Meneceo sulla felicità di
Epicuro (Roma, Edup); “Edipo e Giobbe -- contraddizione e paradosso” (Brescia,
Morcelliana); “Dialogo sui novissimi” (Troina, Città Aperta); “Il crollo del
mondo -- apocalisse ed escatologia” (Brescia, Morcelliana); “L'edificazione di
sé -- istruzioni sulla vita interiore” (Roma-Bari, Laterza); “Il buon uso del
mondo -- agire nell'età del rischio” (Milano, Mondadori); “Figure d'Occidente.
Platone, Nietzsche e Heidegger (Milano, AlboVersorio); “Eros e philia” (Milano,
AlboVersorio); “Nietzsche e il teatro della filosofia” (Milano, Feltrinelli); “Le
parole ultime -- dialogo sui problemi del fine vita” (Bari, Dedalo); “I
comandamenti: non ti farai idolo né imagine” (Bologna, Mulino); “Le verità del
corpo” (Milano, AlboVersorio) – IL CORPO -- Sperare oggi (Trento, Margine); “Le
virtù dei Giusti e l'identità dell'Europa -- la salvezza senza fede” (Feltrinelli);
“Enciclopedia multimediale delle Scienze Filosofiche. Il senso del dolore. In L'esperienza del dolore. L'esperienza del dolore nell'età della tecnica.
Siamo finiti. E anche la tecnica lo è, da Europa, I Nuovi pagani, Saggiatore, Milano, Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Intervista per Il Rasoio di Occam, Video
intervista su Asia, su asia. Dov'è la vittoria? “l'Italia civile che resta
minoranza” intervista di, Il Fatto Quotidiano. Salvatore Natoli. Natoli.
Keywords: uomo tragico, origini dell’antropologia romana, Gentile, corpo. Chora
di Platone, antropologia degl’italiani, filosofia siciliana,
Gentilefilosofoitaliano --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Natoli” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716787642/in/photolist-2mN34bs-2mN8ym7-2mLJR9r-2mLJQBK-2mLGD1p-2mKkA58
Grice e Nicoletti – quadrature ed implicatura –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Udine).
Filosofo. – Grice: “His diagramme
for ‘arbor porphyriana’ is also brilliant – ending with “Plato,” “Socrates.””
-- Grice: “I especially like his squaring the square of opposition!” -- Grice:
“A veritable genius, this Nicoletti.” --
Not under ‘Venezia’! -- paolo di venezia: philosopher, the son of Andrea
Nicola, of Venice He was born in Fliuli Venezia Giulia, a hermit of Saint
Augustine O.E.S.A., he spent three years as a student at St. John’s, where the
order of St. Augustine had a ‘studium generale,’ at Oxford and taught at
Padova, where he became a doctor of arts. Paolo also held appointments at the
universities of Parma, Siena, and Bologna. Paolo is active in the
administration of his order, holding various high offices. He composed
ommentaries on several logical, ethical, and physical works of Aristotle. His
name is connected especially with his best-selling “Logica parva.” Over 150
manuscripts survive, and more than forty printed editions of it were made, His huge sequel, “Logica magna,” was a flop.
These Oxford-influenced tracts contributed to the favorable climate enjoyed by
Oxonian semantics in northern Italian universities. Grice: “My favourite of
Paul’s tracts is his “Sophismata aurea”how peaceful for a philosopher to die while
commentingon Aristotle’s “De anima.”!” His nom de plum is “Paulus Venetus.”—
Paolo da Venezia Nota disambigua.svg
Disambiguazione"Paolo Veneto" rimanda qui. Se stai cercando lo
scrittore e vescovo nato a Venezia, vedi Paolino Minorita. Paolo da Venezia in una stampa ProfessorePaolo
da Venezia, o Paolo Veneto, vero nome Paolo Nicoletti (Udine), filosofo. Eremitano,
fu studente all'Oxford e docente all'Padova dal 1408 ove ebbe tra gli allievi
Paolo Della Pergola. Divenne ambasciatore veneto presso la corte polacca. Per
le sue idee teologiche e esiliato a Ravenna ma, due anni dopo, gli fu
consentito di tornare a Padova. Fu
seguace di Guglielmo di Ockham e Sigieri di Brabante e autore di vari trattati,
tra cui alcuni commenti ad Aristotele. Il suo trattato Logica magna fu
utilizzato come testo di insegnamento della logica all'Padova e può essere
considerato la maggiore opera di logica formale prodotta dal Medioevo. Opere: “Logica,” “Commenti alle opere di
Aristotele” “Expositio in libros Posteriorum Aristotelis,” “Expositio super
VIII libros Physicorum necnon super Commento Averrois,” “Expositio super libros
De generatione et corruptione” “Lectura super librum De Anima” “Conclusiones
Ethicorum” “Conclusiones Politicorum” “Expositio super Praedicabilia et
Praedicamenta.” “Scritti sulla logica: Logica Parva or Tractatus Summularum, “Logica
Magna”; “Quadratura”; “Sophismata Aurea. Altre opere: “Super Primum
Sententiarum Johannis de Ripa Lecturae Abbreviatio,” “Summa philosophiae
naturalis,” “De compositione mundi. Quaestiones adversus Judaeos. Sermones. N
Dizionario di Filosofia Treccani, riferimenti in. Vedi «Paolo Della Pergola» in Dizionario di
Filosofia Treccani. Eugenio Garin,
Storia della filosofia italiana, terza ed., Edizione CDE su licenza della
Giulio Einaudi editore, Milano, «Paolo Veneto», in Enciclopedia Dantesca, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, «Paolo Veneto», in Dizionario di Filosofia
Treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Alessandro D. Conti, Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Alessandro
D. Conti: Esistenza e verità: forme e strutture del reale in Paolo Veneto e nel
pensiero filosofico del tardo medioevo. Istituto Storico Italiano per il Medio
Evo, Roma, Nuovi studi storici, A. R. Perreiah: "A Biographical
Introduction to Paul of Venice". In: Augustiniana. Paolo Veneto, Logica, Venetiis, Bartolomeo
Imperatore, Francesco Imperatore, Enrico
Gori, dal sito Filosofico.net (Alessandro Conti, Paul of Venice, in E. Zalta,
Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and
Information, Stanford.Filosofia. LOGICA
PAVLI rectam atgemēdatam . Additisquotationibus* Postilisadtextusdeclarationč.
NecnonTabulao figuris. VENETI HABES INHOC ENCHIRIDIO s u m m á t o t i u
s D i a l e c t i c æ ,m i r a q u a d ā b r e uitateatos facilitate a d vtilitatē
s t u d e n tium conscriptam ab eximioætatis fuæ magistro Paulo Veneto Nupero
diligentistudiocor Venetñs M D XLIII EMANUELE ITECA NAZ GOMA ME YOLL .pkrior 49
dla Lohan Somerilatarei long COMO0I.۰- o (. ICO? CO ? ri 1 1
ROMA ni logica OLUTELY A parua. A Pauli VenetiHeremita Onfpiciens
librorum quorundam m a gnitudinem redium constituentem in
animoftudérium:necnon& aliorum nimiam breuitatem :quibus nulla fe 2 ethica
reeftannexa doctrina.Ideo uolens cap.s.et mediumretinereutriusgfapiensná
'5.ethic, turam extremt,compendium utile construxi iuueni t.co.6. ВB
buspluribusdiuifumtractatibus, " Quorumprimusfummularum traditnotitiam.
Septimuscontraprimum obiicit,folutionemad densrefponfiuam . Quia ergo doctrina
quecuncka communiori ut ait t-C.4 . Philosophus in prohemio phylic.sumic
exordsū ,ideo D i f l o t tractatusprimusterminūficdiffiniesincipitapriori.
miningp 14 De diffinitionetermini& eiusdiuifione quide.i. Log Pa.Ve С
Secundus fuppofitionum declarat mareriam .
Tertiusconsequentiarumoftenditdoctrinam. Quartus terminorum uim instruir
probatiuam. Quintus ligandi regulam docet obligatiuam .
Sextusinsolubiliafoluendidarartem& uiam.
Octauustertiòfortificatprationéargumentatiua. cap.1. prio.c.1
Erminuseftfignumorationisconftitutiuum.& Boe. utparspropinquaeiusdem ,utlyhomo,lyani
in.1,de m a l .E t n o t a n t e r d i c i t u r p r o p i n q u a : q u i a o
r a uocaturdictio,remotauocaturliteravelsyllaba,di 2.ecin.i Dstioigitur&
nonliterauelfyllaba,eftterminus. defyllo.
DiPrimadiuifioeftifta.Terminumquidameftper cate. T differē.
tiohabetpartespropinquas& remotas2,propinquatop.c. 2 ciusuide
ficatiuuseftilequiperfefumptusnihilrepresentat,ut
s.me.te.omnis,nullus,quilibet,quicunq,alter,& confimiles. 23. *A
Secundadiuifioeftifta. Terminorum quidam fi Secunda gnificantnaturaliter,&quidamadplacitum.Termi
diuifiop nus naturaliter fignificās eftillequi apud omnes eiuf q u a uide d e m
eft representatiuus , ficut ly h o m o , ly a n i m a l, in primor
mente.Terminusadplacitumfignificanseftillequi ye.c.i.et non apud omnes eiusdem
eftrepresentatiuus.ficutille ipsum.
terminushomoinuoceuelinscripto,quiapudnosft.B Paul.in gnificathominem
.sedapudaliasnacionesnihilsigni lo.ma.inficat.utsuntgręci& hebrei.
Tertiadiuifioeftifta. i.Reefo.Terminorumquidam eftcategorematicus,etquida3
S.colū. syncategorematicus.Terminus categorematicus eft pri. 4. diui. 29.00.4
ticulariaparticulariter.Præpofitiones determinatsub
certocafu.Aduerbiauerbum,& coniunctionesha
minum.i.remquænonestterminusdatoqeffet,ficut TRACTATVS Secúduz
sesignificatiuus,quidamnon.Terminus perlefigni Voety fácarious
eftilequipersesumptusaliquidrepresen/ mologiã
tasuelyhomo,lyanimal.Terminusnonpersesigni illequitamperlequàm
cumaliohabetproprium fie Tertia gnificatum.utlyhomo:siueenimponaturinoratio
diuifio. ne,liueextra,sempersignificarhominem.Terminus Dehac
syncategorematicuseftterminushabensofficiumqui uide la
perfefumptusnulliuseftfignificatiuus.utfignadistric
tiusilo.butiua.utomnis,nullus,& fignaparticularia.utali
mafo.2.quis,alter,&præpofitiones,& aduerbia,& coniun. 20.2.3.f.cciones.Signa
namqz distributiua habent officium ,
558.fal.3.quiadeterminantdistributiue,uniuersaliayłr,& par
bentconiungereterminosuelorationes. Quartadi GioVide uifioeftista.Terminorum
quidameftprimęintencio Pau.lo.nis,&quidamfecundæ intentionis.Terminusprimæ
m a , f o l. i n t e n t i o n i s e f t t e r m i n u s m e n t a l i s f i g
n i f i c a n s n o n t e r D lyhomo,fignificatsor.& pla.quorumnulluspoteft
> esseterminus.Terminusautem fecundęintētionisest
terminusmentalisfignificansfolummodoterminum A uelpropofitionem,utiliterminimétales,nomen,uer
bum ,participiúm ,propofitio,oratio , & huiusmodi.
niseftterminusuocalisuelfcriptusfignificans folum B
modoterminumuelpropofitionem.utiliterminiuo calesuelfcripti,nomen
,uerbumparticipium ,athuius modi. Sextadiuifioeftifta.Terminorum quidam
funcincomplexi,&quidamcomplexi.Terminusin 6.diui
complexusuocaturdictio,utlylapis,lylignum.Sed fioVide
terminuscomplexuseftoratio,uthomoalbus,lor.& Paul.in placo ,deum effe.
& huiusmodi. De nomine. Cap.2. literconfiderat:ideode hisreftatdiffinitio
nesaffignare. Nomenestterminusfignificatiuus lo.ma.f. finetemporc cuiusnulla
parsaliquid fignificat separa Diffint ta,uthomo.
Iniftadiffinitioneponiturterminuslotionoie
cogeneris,quiaomnenomēeftcerminus.&nonecon proqua uerso:dicitur fignificatiuus,quia
termininon signifi uidepri catiuinonfuntnominaapudlogicum,licetbeneapud
grammaticum .utomnis,nullus,& fimilia.Tertiodi
citurfinetempore,addifferentiamuerbi& participă
quæfignificantcumtempore.Quarto poniturcuius D nulaparsaliquidfignificatfeparata,addiferentiam
orationis,cuiuspartesfignificantseparate mo pyo er.c.c2 S V M M V .L A R
V M. 3 Quinta diuifio eftifta.Terminorum quidam eft s.diuifio
primeimpofitionis,quidamsecundæ.Terminuspri. Vide m ę
impofitioniseftterminusuocalisuel(criptusfigni Boe.in f i c a n s n o n t e r m
i n u m . u t l y h o m o , & l y a n i m a l in u o - i . g y e r .
ceuelinscripto.Terminusautemsecundęimpofitio. inprinc. L3 Viadenomine&
uerboexquibusoratio с componitur & propofitio,logicusprincipa . 16.co.4
Diffini. V uusetextremorum unitiuus,cuiusnullapars TRACTATVS. A a l i q u
i d s i g n i f i c a r s e p a r a t a , u tc u r r e c u e l d i s p u r i io
b i. tar.Ec dicitur primo,temporaliter fignificatiuus,ad eric. i. tiw oro 1200
pin . p i disnes pofitum cum apposito ficutuerbum.cetergautem par trcuiæ
ponuntur:ficut in diffinitione nominis. Ratio eft terminus significatiuus ,
cuius ali- B garlicantfeparatę. Orationumaliaperfecta,alia hewide Dcoratione.
Cap. 4. qua pars aliquid fignificatseparata.uthomo : Ti64 . albus:deữeffe.Vltimaparticulaponiturad
Piroca Jüfferentiam nominis & uerbiquorum partesnon fi cite suz & c .
cogeneris,quiaomnis propofitioeftoratio& col.1. c i p i t . q u æ n o n f u
n t p r o p o f i t i o n c s :n o n o b f t a n t e q u ò d i l u m g e n e r
a t i n a n i m o a u d i t o r i s i u t h o m o c u r r i t. O r a boviti
imperfecta.Oratioperfectaeftilaquæperfectum len no Ide uimuce
cioimperfectaeftilaquæimperfectum sensumgene. ferinõis rat : N o t a n d u m q
u ò d tres funt fpecies orationis perfe: C ctæ.quiaorationum
perfectarum.aliaindicaciua,ut homo currit.aliaimperatiua,utdoceioannem.alia ed
incel religie ineis opratiua,ututinameffembonuslogicus. fint ap te nate
Deuerbo.. Cap. 3. Erbum eftcerminus temporaliter fignificati differentiamnominis
quod fignificatline tempore.Se
cundodicitur,&extremorumuniciuus:addifferencia participñquodfignificarcum
tépore,sednon unitfup 0 - D e propofitione. - Cap. s. 2 3 gñare fectū sen bus
uide ilo,ma. fol. 101. Ropofitioeitoratioindicatiua:uerum uel fals f u m
significans uth o m o currit.ponitur oratio lo n o n e c o n u e r s o . S e c
u n d o d i c i t u r i n d i c a t i u a. q u i a C o l a
indicariuaeftpropositio,non autem imperatiua nec
optatiua.Vicimoannectitur:uerum uelfallum figni D ficans:propcer tales
oraciones. Cortes potest , plato in PS pro qui
aliacategoricaaliahypothetica.propofitioca diuifio.
tegoricaeftilaquæhabetsubiectumprædicatum& Videin c o p u l a m t a n q u a
m p r i n c i p a l e s p a r t e s f u i. u t h o m o e f t l o ,m a . f o
animal.Subiectumeftlyhomo,prædicatum uero,101.col, ly animal.copula illud
uerbum eft:quia coniungit 4 . SVMMVLARV M. tum.
Diciturquòdhabetimplicitumprædicatum. uidelicet,ły currens.quod patet in
resoluendo illud uer bum currit.insum ,cs,eft,& fuumparticipium.Subie ctum
eftdequoaliquiddicitur.uthomo.Prædicatum ucro quod diciturde altero.utanimal.
Sedcopula Quid (u bicctuz fempereftuerbumfubftantiuum:fum,es,eft. De quidp.
propofitione hypothetica pofteriusdicetur ad cuius tum & C
differentiamponiturillaparticula:principalespartcsquidco . D
fintindicatiuę.quianonsignificantuerumnecfalsum:Diffini
cumsintorationesimperfectæ. Dediuifionepropofitionum. Ca. 6. luifiones fub
propofitione contentas fequitur D numerare. Primaeftifta,propofitionum Prima
fubiectumcum predicato. B rireftpropofitiocategorica&
nonhabetprædica.Solucio E t fi d i c a t u r h o m o c u r . D u b o .
fui.quiaprincipales parteshypotheticæ non funt pula, fubiectum&
prædicatum:fedplurescategoricęutSecuda infradicetur. Secundadiuisioestista,Propolidiuifio.
tionumcategoricarum.aliaaffirmatiua,alianega Põtcol
tiua.Propofitiocategoricaaffirmatiuaeft ilainligiex.i. qua uerbum
principaleaffirmatur.uthomo currit.pihe.ca Propoficio categorica negatiua eft
illa in qua uer: Tertia bum principalenegatur,uthomononcurrit. S.
Tertiadiuifioeftifta.Propofitionumcategori:Diffusi
carumaliauera,aliafalla.Propofitiocategoricaue us&hac
raeftilacuiusprimarium& adequatumfignifi-materia
carðeftuerum.ut,tueshomo.hæcenimeftuera.tues uidein . homo.quiateeffehominem
cftuerum .Voco filoma. . diuisio A tio.i.gi her.C. 5. . a4 1
TRACTATVS mo.ceteraautem fignificata.utteeffeanimal,teelic fubftantiam
,ethuiusmodi,funtfignificatasecundaria, &
ponesillanondicitur.propofitioueranecfalla. Propofitiocategoricafallaeftillacuiusprimariam&
adequátum significatumestfalsum.uttúesalinus.
ria,aliacontingens.Propofitionecellariaeftila,cuius primarium '& adequatum
significatum eft necefla r i u m ,u t d e u s e f t . P r o p o f i t i o c o n
t i n g e n s e f t i l l a c u i u s fignificatumprimarium & adequatum
eftcontigens, uttueshomo.Etuocosignificatum contingensiludC
quodindifferenterpoteftefeuerum ,uelfallum.Sexo 6.diuifio ta
diuifio.Propoficionum categoricarum alia alicuius uide.i.
quantitatis,alianullius.Propofitiocategoricaalicu prior.n.ius
quantitatiseftillaquæeftuniuersalis,particularis, 2.in pri, indefinita,uel
singularis.Propofitio uniuersaliseftil lainqua subởciturterminuscommunis
fignouniuer falideterminatus,utomnis homo currit.Terminum c o m m u n e m uoco
in presentinomen appellatiuum & pronome pluralisnumeri.Signa
uniuersaliasunt ifta, omnis,nullus,quilibet,unusgfavteros,ncuter,qualisD.
:.libet,quantusliber,& huiusmodi.Propofitio particu
lariscftilainquasubiiciturterminuscómunis igno 4. diui afol.158gnificatumprimarium&
adequatumpropofitionts, u r e a a d f. q u o d e f t f i m i l e o r a t i o n
i i n f i n i t i u e u e l c o n i u n c t i u e il
267.fecūlius.undeteeffehominem ,uelq tueshomo,diciturfiA dępris.
gnificatumprimarium& adequatum illius,tuesho Quartadiuilio.Propofitionumcategoricarum
alia fiouide poffibilis,aliaimpoffibilis.Propofitiocategoricapor
ilo.ma.fibiliseftillacuiusprimarium& adequatumfignifiB af.167.
catumestpossibile.uttucurris.Propofitiocategorica . & adequatūfi. us@ ad
impoffibiliseftillacuius primarium 10.172.
gnificatumeftimpoflibile,uthomoeftafinus.Quin
5.diuifiotadiuifio.Propofitionumcategoricarumalianecella larem
,nomen propriumautpronomen demonstraci Suum
fingularisnumeri.urifte,ifta,iftud.Exquibusfe B quituriamquæeftcaregoricanulliusquanticatis.Et
diciturq illaquænonestuniuersalis,necparticularis,
necindefinica,necfingularis,utexclusiue,& excepti uæ,&
reduplicatiuę.uidelicettantumhomocur rit,omnishomopreterfor.mouetur,omnishomo
in quantumhomoeftanimal. luxtaprimamsecunda Qualis,ne,uelaf,u.Quanta,par,in,fin,Primapars
ficintelligitur,qadinterrogationemdepropofitionc factā r
Quæ{respódeturcategorica,uelhypothetica.
Secundaautemasseritquodadinterrogationefactam
perQualis?refpondeturaffirmatiuauelnegatiua.Sed intertiadenotatqad
interrogationem factágQuan
tarmñdcatur,uniuersalis,pricularisindefinita,uclfingu laris,& hocfm
exigenciampropofitionis propositę. D e d u a b u s alijs p p o f i c i o n ă d
i u i f i o n i b u s. C a p . 7 . Ræterfupradictasdiuisionesdugaliądeclaran-
Prima cur. Primaeftifta,Propofitionūcategoricadiuifio ut h o m o
currit.Propofitio categorica m o d a l i s eft illa
inquaponituraliquismodus,utpoffibileeftsor,cur SVMMVLARVM. 5 particulari
determinatus,utaliquishomo disputat.Si Idem in
gnaparticulariasuntifta,aliquis,quidam ,alter,reli7.tract. A quus,&
huiusmodi.Propofitioindefinitaestillainhuius in
quasubijcicurterminuscômunisfinealiquofigno,utc.i.& in homo
eftanimal.Propoficiofingulariseftila inqua lo.ma. . fubijciturterminus
discretus,uelterminuscõiscum 107.col. pronomine demonftratiuofingularisnumeri.Exem
:4. plumprimi.sor.currit.Exemplum fecundi.illehomo dispucar.Voco
autemcerminumdiscretumuelsingu. с P. ultimam
diuifionesponiturifteuersus.Querca,uel răaliadeinefle,aliamodalis.Propofitio
catego Dricadeineficeftillainquanon ponituraliquismodus 1:
Figuradeineffe. r e r e .M o d i a u t e m s u n t s e x . c p o f f i b
i l e , i m p o f f i b i l e n e Secõda.ceffarium,contingens.uerum,&
falfum. Secunda diuifio.Propofitionummodalium:quædam eftinfen- fudiuilo:&
quædaminfenfucompofito.Propositio modalisinfenfudiuisoeft ilainqua modus mediat
interaccufatiuumcasum etuerbum infinitiuimodi.ut
fortempoffibileeftcurrere.Propofitiomodalis insen
fucompofitoeftillainquamodustotaliterpræcedit,
uelfinalicerfubfequitur:utdeumeffeeftneceflarium .
impoflibilecfthominemeffeafinum. Exhisdiui fionibusoriginanturtresfiguræ.Quarum
primadici B tur deineffe.Secundamodalisdefenfudiuifo:fchabés admodum
primæ.Terciamodalisdefenfucompofi to:ledacæterisdisperata.Quarum
declaracionesha besin exemplohic pofito. A Glibetho currit. adaz hó ñ currit,
Nurbo de currit. Lontraric. Conta dictorie dictorie subalterne, subalterne
Figura: demeße Gulltra gda3 ha cuifit, TRACTATUS fubcötrarte
reasudiuisio Lontrarie Nullú hoie3 poffibile eft! curtcit . Cótra
dictorie Subalterne Subalterne de sensu dictorie Lörra mine polee curitie .
Modalis desensuoiuifo. 6 fubcótraric Modalis de sensucomposito. Nec currere
eftlos .Impofeeft currere for subalterne Contra fubalterne dictoric Aliquē,ho
Kontrarie desensu.copoli 3 : Fig. Loncra . dictonic Cotinges& por,nó cur
rere 2.Figura Quelibetho minepole? currere . Pole for currtre , A liquêhome
minē ñ pole eft currere , fubcontraric Secunda
præciseproeodemuelproeisdem ,funtcontrariæinfi gura.utquilibethomo currit,nullushomo
currit. Se cundaregulaeftifta.Particularisaffirmatiua& parti y
cularisnegatiuadeconfimilibussubiectisprædicacis &
copulis,fupponentibuspreciseproeodemuelpro
eisdemsuntsubcontrariæinfigura.utquidam homo B Tertia
currir,etquidāhomononcurrit. Tertiaregula,uni uerfalisaffirmatiua&
particularisnegatiua,ucluni. uerfalistiegatiua&
particularisaffirmatiua.deconfi
milibussubiectispredicatisetcopulis,lupponentibus Quarta. precisepro eodem
uelpro cisdem ,fu Tabulaomnium capitulorumhuius logicæ Pauli Veneti,in Octo Tractatusprimus
estde mentis fummulisquiconti 27Defyllogism: Tractatusfecüduseft determis.Car.Ź
Cap.primădediffinitioc 3 Deuerbo 3 6 Dediuifionepropofi 8. De figurispropositio
pothetica po.copu. ne ciusdem.car. 16 nūtmaterialiteretqñ perfonaliter 17
14Depropofitionehy. 8 Deampliatiõibus28 po.difiuncti. 15 De pdicabilibus 10
Tractatus tertius.de eiusdem direlatiuorum . 20 126 net17.Cáp • 13 4 De
oratione 5. Depropofitione 3 norumquandofuppo num deuppolitionibus có D e
cognitione termi 99 Deappellationib?30 11 De conuerfione tibus fupponis&
dediuisio 22 6 4 Defuppofitioneper , Denaturappõnuz7 fonali. 7 26 tractatus
diuisa. 2 Denomine.3 tionum 7 Deduabusalösdiui 3.Defuppofitionema. 10
Deequipollentős 7 5 Defignisconfunden 12 Depropofitionehy 6 Derelatiuisproqui 8
.. bussupponunc 25 13 De propofitionehy. 7 Demodo fupponen 9 4 Apitulusprimû
cinenscap.9. C fionibuspropõnuzs teriali:& dediuisione 17 3 16.De decem
prædica ', consequentősconti. Car.31. Tractatus quartus e t
Cap.primumderesolubi 2 Depropositionibus Tractatus quintus eft
tioncobligationiset De obicctionibus co tradictasreg. TABVLA uo 44
tioncconsequentiæet 4 Dehypo.descriptibio eorum diuisionibus, li 2: De regulis
generali busconsequentiæfor 6 Degradupofitiuocô malis 3 De reguliscon.for. q
Degraducomparati 4 Deregulispoenespro posicionesquáras34 9 Delydiffert
pofitioncsnonquan 35 50 11 Deexceptiuis $1 5 Delynecessario& contingenter 4
5 32 parabiliter(õpto 46 poncs fuperius,atq 34 8.Degradusuperlati
-minospertinentes& 14Delyincipit& defi : impertinentes 36 nir 42 nens.8.cap.
3. De officialibuspro Cap.primumDe diffini libus.car.39. po. dereg.eius. Car.60
inferius 47 Deregulisponcspro 10Deexclusiuis 49 uniuerfalibus 62 41 3
Deconuertibilitate 38 48 uo. tas 7 Dedecem lis alñsregu 15Delytotus 55 56
pofitioncs hypothe ticas. 17Delyabæterno 18 Dely infinitum 57 58 de
probationibus ter 2 obligatorieartis:COA 12 De reduplicatiuis 53
6.Deregulispoencster 13Delyimmediate54. 37 16 Delysemper 57 8 Deregu.pancspro
tinenscap.56 minorumcontinens. Cap.primum.Dediffic Cap.18. go ciocinsolubilib?&
di s Obiectionescöcrare trainsolubilia 7 5 6 Obiectiones contradi milibus
propofitioni bus regulas cap. 4. huius Cap.primum dediffini. 2
Deobiectionibuscó finitioncs.6.cap.hui? primi tracta. 5 Deexclufiuisinfolu 7 De
insolubili difiun- ulti.ca.contra modos TABVLA 127 mitracta. 98 3
Deinsolubiliparticu ctaincap.8.huiuspri 8 De insolubilibusno Tractatus.8.é de
obic 94 78 7 Obiectionescontra 80 8 Obiectionesaddicta eftde obiectionibus
contraprimum trac. Cap.primū.Deobicctio Tractatus Septimus
tra.3.tracta.continēs. continenscap.8. nibus factiscontra re propofitionum 66
3.huiusprimitrac. 85 4 DeAmilibus& diffig Obiectiones contra 68
primitrac.côtinet 87 S Dedepofitiöibuster3 Obiectionescôtrare minorum Tractatus
Sextus eft m i tracta. 88 4 Dcinsolubiliuniuer Cali bus bilibus riuo ctiuo
figurarum apparentibus 83 Cap.primum.Obiectio. gulasprimo& .2.ca. 7 1
gulas.5.cap.huiuspri deinsolubilibus.8. 4 Obiectionescótradif cap.habens. 81
cap.ulti.huius primi ca.7 . 92 uifioncciufdem.car.73 gulascap.7.huiuspri
lariuelindefinito 77 mitra.depredicabili. 79 6 Deinsolubilicopula.
trac.inmaceria syllo gilmorum 97 n a cótra dictain cap . huiuscertñ.tra,inm a
Štionibusfactiscon car . las.7.cap.huius terti las.4.cap.huius
terti 1 1 7 tracta. VenetijsExpensisheredumLucæ 122 $ TABVLA teria
consequentiară, tracta. 114 tëtracta. 106 6 Obiectacontraregu 3
Obiectacontraregu tracta. las,8.cap.huiustertij las.5.cap.huiusterto tracta
Antonñ Iunte Florentini Mense Martio.1544. Registrum illaiquaiferi’predicaturde
terrogatoezfactapqualise fuosuperiozi.vtaialeftbo. sozesvťplatopueniéterrñ
Predicatioeéntialiséillai deturq rifibiť.7totaratio quafuperi’pzedicaturdein
quareficpdicaturdeilliseq? feriozivelecóuersofzquod éppziapafsioilliustermini
dictiévľoriadealiq°illon bomo cum quo conucrtitur. Si predicatioaccítaliséila
Acchrétēmin’vniuoc'pze iquappuúvelaccñspzedir. dicabilisdeplib”ieoquod
caturdegenerefpeciezpria qualeaccắtaleipuertiblrfi
bľfuoidiuiduoautepuerfo 5 Eréplüpzimi:vtbóèrifibil
dirurindecepdicasca.Quo Paialéalbu.exéplusivrrifi rupzimueltpredicarsitu lub
bileéhoalbueaial.Etpfiľr státiecul’generaliffimúébic dedriazidiuiduodicafl'me
teri’lbalubàpoiturhicter li’oicaturg pdicatioefriaťė mi?coup”.subcocpozecosp?
pdicatio terminoz eiusdez s a i a t u sub cozpoze aiato ať 16
dicamentivtbóestaial.pze, aialifpesspecialissimahoľ dicatioautaccicaťeftpiedi
afinuszlbiftisfuaidiuidua carioterminoxdiuerfozpze fozteszplato.bzunellus7fa
dicamentorumvthomoéale uellus.Secúdupredicame bus.Termin superioradre
túeftpdicamentu quátitutis liquúdicitureffeillequicon
Lui'generalisfimúeftquäti. tinerillúznecóuerfoficutli tasfubýfuntduogenera16
aialrespectuisti'terminihó alternaärnulluestsuperius qzfignificatquicgdile?cuz
adreliquúvzcontinuuz?di bocaliquidvltra.Lermin’in scretu.primigenerisiftefür
feriozadreliquúdicitureffe fpetieslineasuperficiescoz illequicótineturabeo.nnó
pustempus?locus.qR:bec ecouerfovtliforesrespectu funtindiuiduabiliuea fupfi
iftiusterminibomo . hiclocus. Secundigeneris Lozpozea Jnco:pozea
infinitesuntfdeties.f.binari, Lozpus aiatum rius trinarius 7 cetera .
Redicamentuzestcoő ciumeltpaffiovelpafsibilis dinariopluriuztermi,
qualitas.Quartuzestforma nozuFmsubzlupza.Etdiui,
vetcircaaliquidpitasfigura us trinarius quaternarizë Animatum Jnanimatuz
indiuiduaverofunthicbina Sensibile Animal Tertium piedicamentum è predicamentuz
qualitatiscu iusgeneraliffimum estquali Lozpus Jnsensibile Rarionale
Jrrationale. tasfubquofuntquattuo:ge Animal rationale nera subalterna:non
sebabe Soates Plato rio.Secundum eftnaturalis p potentiavelimpotentia.Ier
Substantia tia fecundum sub z fupza.pzi mortalis Jmmortalis
mumesthabitusveldispofi, Domo cies.boc cozpusboc rempus 1 1
Primigeneris(petiesfune Quintumpredicamétoem grāmaticalogicazrhetorica
dicamétuacióiscuiusgener quaqindividuasuntbecgrå rasubalteznafuntfer.quozu
matica logicab rbetorica. nulluėsuperiusadreliquum Lertijgenerisfpessunto
risspéssunt.generarehoiez redoamaritudo.albunigruz ?cozrupereequáquayindir
calidúzfrigidubuidum zfic uiduafuntficgenerareboiez cum.quarúidiuiduasuntheç
ficcorrupereequum.Iertijz dulcedobiamaritudohocal quartigeneris(pessuntau.
bumhocnigp 7buiusmodi. gereinlongudiminuereila Quartigenerisfpeciessut
tum.quozumindiuiduafffic circulustriangulusquadra augereilögumficdiminuer
gulus2huiufmodiquarúidi inlatu. Quitigenerisspés uidua funt.biccirculus
.bicfunt calefacerez frigefacere triangulushicquadrágulus.
quaridiuiduafuntficcalefa QuartiipredicamétüĊpdi cereficfrigefacer.Sertigo,
camerurelatóis.Lui'gene. nerisfpeciesfuntmouct fur ralissimúeftrelatiovelada.
súmoueredeorsumquaruin liquidfbåfunttriagenera( diuiduafuntficmouerefurfu
alterailebita63,16zsup2a ficmoueredeorfum.Sertus Primumestcaparatio.Se
predicamétaépredicaméruz cuduzéfuppofitio.Lertiuzė paffioniscu’generatiffimu
fuppofitio.primigenerisfpe estp dalisinfenfudiuitocillaiä
nisbomopzeterfoztemoue modusmediatiteractumca tur.Jurtaprimamfamzvi,
sumzverbúinfinitiuimodi timamdiuifionesponitifte vtfoztempoffibileécurrere
versus.Quecavelip.qualif Propofitiomodatisisenfu* nevelaf.vquanta.parifin.
cópofitoéilaiquamod’to Dama psficitelligitpad i taliterpcedirveifinaliter16
terrogationedepłopolinóe fegturvtdeumefTeénecessa factagquerespondeturcar
rium.Impoflibileébominė tbegozicavelipothetica.Se effeafinum. Erbisdiuifio
cudaaurasseritquodaditer nibusorigináturtresfigure rogationéfactamoqualisre
quanpriaordeieffe.Seci, fpondeturaffirmatiuavľne damodalisofenfudiuisore
gatiua.seditertiadenotat habensadmoduprime.ter, qadinterrogationefactaze
tiaveroormodąlisofenfu2 quantarespodeatvniuerfaľ pofitofiacefisdispata qua
particularisindefinitavelfin ruideclaratóesbes ierobic gularis. hocfecundum eri
inferiuspofito.: gètiáppoitoisppofité är zo Sequuntur figure. uifionesduealie
decla Quidam bó curri Quetz bõiez poffibile eft currere Weceffe
eft roz currere Subcötrarie Lontrarie Contrarte Subcötrarie currer. --
Lontradictorie Qutuber bomo currit Lontrarie Duídå bo . non currit Lörigesest
foz.ñ Aliquesboinem Aliquéboiez poffibile eft. Có posibile eftcurrere
poffibileeft soz.currer Subcontrarie Mullus bomocurrit. Impoffibilee Tozcurrere
Lontradictorie dictozie Lontra Lontradictoria Snbalterne Subalterne Subalterne
Hullu boiez poffibileeft. currere currere ditozie Lontra Lontraditozie
Subalterne Intigiturtåpueq funtcontrarieoisbocurrit
fecundefigurebere ptnll?bócurrit.necieptra gulegeneralespriaé
dictorie.Disbócurrit2gda tita.Uniuerfalisaffirmatiua bononcurrit.neciftefubala
zvniuerfalıfnegatiadepfitt terne.Disbó currit7quida b?fubiectis7predicatisfup
bomocurrit.qztermininifup ponétib”precisepeodévét ponuntprecisepzoeodevĽp
proeisdéfuntatrarieifigu, eisdez.Znona.n.fbinfuppóit ra.vtglibzbócurrit.2nllur
provtroq;reru.Jnaliavero' bocurrit.Secidaregťaeft 14 particularis affirmaria et
promasculinotantum Scutqua tuozfgula particularisnegatia de pfimi lib
?fubiectis 7 pdicatis fup. fituanturpropofitoea infiguraitaquattuoz
ponétib?pcirepeodévelp alijsregulisipfarumcogno, cirdezsuntcontrarieifigu
fciturlerseunatura.quarum ra.vtgdabócurrit?qdåbo primaeftianonestpossibile
nócurrit.Lertiaregľaviuě duoztrariaeffefimulvera falisaffirmatiuaapricularis
benefimulfalsa.Primapars negatiavelvlisnegatiazp patzinductieinomnibus.Et
ticularisaffirmatiaopfilibö fecundaprobatuz.quoniazia fiectiszpdicatisfupponen
funtfimulfalfa.Quilibzboè tib?pcirepeodezvelpejsó albusznullusboestalb”.Et sunt
tradictoneifigura,vt iafimiliterDmneanimaleft quilibzbócurriteqdábóñ
bomocnulluzaialefthomo curritP.ull'bócurrit?qui Secundaregulaeftiftanon
dåbócurrit.Quartaregla eftpoffibileduofubcötraria vniuerfalisaffirmatiazpti
effefimulfalsa.fedbenefim cularisaffirmatia.Etviuer, vera.Patetparsprima ifin
salisnegatiuaaparticularis gulisdiscurrendo.fecunda. negatiuade pfitib lbiectis
probaturquoniamistafuntfi 2predicatisfupponétib?pci mulvera.Aliquishomocal
sepeodezvelpeisdezftit16 bus. aliquisbononeftalby alterneinfigura.vtglibzbó
Aliquodanimalefthomo.Et currit2gdambócurrit.Dar aliquodanimalnonefthomo
lusbomocurrit.2gdazbol Tertiaregulaeftifta.Honė mononcurrit
Expdictisfegturgilenó effefimulveravelfimulfalf. LogicaPauliUeneti.
madiuifioeftiftaterminori vocaturlravelfyllaba.Pzie distributiabiitofficiuq2dtē
25boraldefinitio,sebutcomienicu damagnitudiez
carituseftilequipermitesperjeigranasoatione. tediumcóftitué
aligdrepritatveuboliaial.kupindistan'tbeineciligaya tezinajoftudentiuznecno
LerminiplefignificatiusPericarioneperforsales aliornimia;breuitatez.gbɔ
eftilequiperfefumptusni,beit perqúemymim nullafereeftaneradoctrina.
bilrepresentatproisnulluseftpermainang Ideovolensmediuftinere
7files.Secundadiuifioeft , vtriusqzsapiésnäzertremi. iftatermiogquidazsignifi,
ppendiumvtilecostruriiuue cantnaturalrzquidãadpla nibɔplurib,diuisuztractati,
citum.Lerminusnatural'rfi bus.quorprimusfuimularu gnificansestilequiapooés
traditnotitia.Secud fuppo .eiusdeestrepsentatiuusficut firionú
declaratmateriá.ter ti-pregntianonditdoctrina. Poadplacitufignificanséil Quartusterminoqviistruit
lequinóapudoéseiusdez é pbatiua.Quint’ligidiregu, representatiu'ficurilletermi
lazdocetobligatiuaz.Sert? nusbóinvocevelinfcripto isolubiliafoluendidarartem
apudnosfignificatboiem. 7via.Septimusatraprimú 13apoaliquascertasnatoer obijcitfolutionezaddensre,
nibilfignificatvtfuntgreci: fpófiuaz.Dctaubotertium bebrei.Zertiadiffinitoéifta
fodificarpróem argunitati, Qterminokquidaeftcatbe uá.Quiagdoctrinaquecun,
gozematiczgdáfincathego 93acoiozivtaitphusinpzo rematic?.termi’cathegoze,
bemiophyficozumfüiteros, maticuseftillegtampiezz duuideotractatuspzim’ter/
cialiob3ppziùfignificatum mũiicofunitsicipapioi otlibófue.v.ponarinóeft
tibölianimalinte.Lermi? Gential uitdiferenmis.ut box Florin simp prout
firepmimusin T é l . ( 1 6 ) 4 4 . 5 7 . 2 4 . 6 0 E":"othèque des
Fontaines 60531 CHANTILLY Cedex gramaticaj. Lorical
minátdistributiverparticu! complerus eftozó vthomo
lariaparticulariterÕpofitio alborozes platodeuzeffe nesdeterminatfbcertocâu
2buiusmodiic. aduerbiaverbúzcõiúctóes 4 Uia noier verbo er biitcõiungere
terminosvel quibus ozatio compoi ozóes.Quarta diuifioestia tur7ppofitiologicus
pzici. g terminoxquidaz eftpziei palitercófiderar.Jdeo'dbil
tentiois.7quidábeitencois reftatdiffinitionesaffignare Terminuspeintentóniseft
Homéestterminusfignift terminusmentalisfignificaf catiu?finetépozecuiusnulla
nonterminu.i.réānonéter parsaliquidfignificatseper minusdatoq effetficutlibó
ratavthomo.In iadiffinite fignificatsoztem zplatoné.å poifterminuslocogencris.
ruinulluspoteffeterminus. q2ocnomen estterminus.e Lerminusaütbe itentóisé
nóego.diciturfignificatinis terminusmentalisfignificát
quiatermininófignificatui solimoterminilppofitone nófuntnoiaapudlogicilicz
ptiliterminimentalesnon biapudgrāmaticivtomis verbtiparticipiúppofio020
nullus7fimilia. Tertiodi, zbuiusmodi.Qüitadiuifio citurfietemporeaddiffere,
estistagterminozquidãcst tiñverbiaparticipüafignis peimpofitionisquidife.ter
ficantcumtempore. Duar minuspeimpositois estteri toponitcuiusnullaparsali
nusvocaťvèlscriptusfigni quidfignificataddifferentia ficansnoterminu.vtlibóz
orationiscuiuspartesfigni, liaialivoceveliscripto.ter ficät.(Uerbúeftterminato
min’autéfeimpofitioniseft požaliterfigificatiu?zertre terminusvocalisvelfcript?
monvnitiuuscuiusnullap8 fignificassolúīmodoterminu aliquidfignificatseparatave
velpropositionevtilitermi curritveldisputatoicifpria nirocalesvelfcriptinomen
mo temporaliterfignificati, verbtiparticipitizhuiumói uusaddifferentiamnominis
Sertadiuifioeftifta.Termi quodfignificatfinetempore nonquidifuntincópleri29
Secundodicitur7ertremo damcompleri.Terminusin rumvnitiuusaddifferentia
complerusvocaturdictiovt participüquodfignificatcií lilapislilignum.Izterminus
tempože.sednonvnitfuppo 1 fituscumappofitoficurvero
quenonfuntppofitionesno · bum.cetereatparticťepo obftáteqafintindicatieq?i
nuiturficur10 toenois. fignificantverumnecfalsuz . P Ropofitioeftoratioi
dicitur.vtbomo predicatuz ,puma,plicare
Progofitocatbegozicaet"prodicaria,madevenirate Alia iperfecta . Diario
pfec bignier parte dignins e.me,ose ista quebetßbiectuzzpiedichuo ublitt
taeftilaqueperfectu fenfi catucopula generat animo auditous. partes
tanöspzincipaler,peplicireutimplicie. vtbomocurrit. sui.vthomo eltaial. i),
Etfidicarurbomo currite Horádumotresfuntspe propofitiocatbegozicaznon
Dratioefttérmin'lignifi cumfintozationesiperfecte catiu?cuiusaliqua pars ali
quidfignificat.vtboalb?de uz effe.Ulria particula poni turaddifferentianominis?
Propofitionuzaliacaibego verbi.grumpartesnonfigni rica:Aliaypothetica.
ficant.Dzationuzaliapfecta ibiectumestubomo predica Diarioimperfectaestilla tum
verolianimal.7copula aiperfectuzfenly;generari illudverbumestq:coniungit
animoauditousvtbomoal fbiectumcumpzedicato. busdeumeffe d Juisiones16pposito ne
contentas segtur nuerare .Pria eft ifta 5 cies orationis perfecte .
Drationuzperfectar.alia indicatiuavthomo currit babz predicatum dicitur qa
babzimplicicumpredicatuz v z li c u r r e n s q d p a t z i n r e r o í
Aliaimperatiua.ptooce joannem . Aliaoptatiua.Desum eseltasuum participiu
uendoilludverbum curritin vtinameffembonus logicus Subiectuzestoe&aliquidadfubiecit”alori
ܐ fal veroqd fümfignificás.vtbô
animal.Sedcopulafempererspularerreigitpilianca. currit.poniturozatolocoge
verbuzfbftátiuü.l.luzeseltveteteaiomm neris.q:oisppofitioestoza De
propofitioneyporbeti-inwirtelde eius. tioetnoneguerro.Secundo
capofteriusdiceruraddif, d i c i t u r i n d i c a t i u a q : f o l a i d i f
e r e n t i a m c u i u s p o n i t u r il la catiuaeitppofitio.nonátim
particulaprincipalespartes peratianecoptatiua.Ulrimo fui.
annectiturverumvelfalsuz Secundaoiuifioeftifta. fignificansproptertalesoza
Propofirionuzcabegozi, tionesfoztespór.platoicipit car.Aliaaffirmatiuaaliane
facit,  egineris,matiuaeftilaiquaibupäin num cathegozicarum aliane
kleinesitimplicies 62 apaleaffirmat öcbócurrit. ceffariaaliacontingens,ppo
diferenciaPresidurijgezo pzopoçatbegozicanegatifitionecefariaeftilacuius artean
= uaeftillaiqobiipricipalene primariumzadequarumfigi gáf.vtbónocurrit.Tertia
ficatumeftneceffariumvtoe diuifioeftiappofitouzcatheus est.popofitiocontingens
goricaraliaveraaliafalsa. eftilacuiusfignificatumpzi, Propocatbegozicaveraéila
mariumzadequatumeftcó tui?pzimariuzadeqtuligni tingensvttuesbomo.Etvo
ficaruiéverúztuesbobecco fignificatumcontingensil n.eltperatueshóq2reeffe
ludquodindifferenterpotest boiezcftveru.Uocosignifi esseverumvelfalsum.Sex
catuprimaritizadeqtuppo tadiuifiopropofitionumca! fitionisqó eftfimileorationi
thegozicaruzaliaalicui'quă ifinitiuevel piúctie illius.vn ' titatis alia
nullius.P2opo ca deteeffeboiem velqotues 'thegozicaalicuiusquantitati bódicitfignificatu;primari
estillaqueévniuersalispar uz7adequatúilliustuesbó ticularisindefinitavelfingu
ceteraåtsignificatavtteeffe laris. Flop.vniuersalise aialteefeTbstantia7huiul,
ilainquafubijciturerminosnasdistri mõisuntfignificatasecuidaria comunisfignovniuersalides
gacia.Prop cathegõicaaffer Quintàdiuifio.propofitior burinemobil
7penesillaidicieppovera terminatusvtomnisbócursliepy. necfalla.Propocathegorica
rit.Terminuzcómunemvoco falfaeftillacui?pzimarius7 inprentinomenappellatiuuz
adequatü fignificatum estfal fumvttuesarinus ?pionomen pluralis numeri Signa
vnüerfaliafuntiaoil Quartadiuisioppónuzca nullusquilibetvnusquisqz
thegoucaşialiapoffibilisali vterq;neuterqualislibzquá
aipossibilir.ppocathegorica tufliberzhuiufmodi.pzopofi poffibiliseftilacui'paimari
tioparticulariseftillainqua uz?adeqrufignificatúépor
iubijciturterminuscóisfigno fibile vt tu curris particulari determinatusvt
Propofitiocathegoricai, aliquisbodifputat.Signap, poffibiliscst¡la cuiuspama
ticularia funeiaaligs gdå al rium7adequariifignificatus
terreliqu’rbui?mór.pzopo eftiposibilevebóěafinus indcfinitacfiillaiqualbijcie
feprobatio:ctfromloco Fifolo 1 . i terminuscómunisfinealiafip
Reterfupiadictasdi gno:ytbomo estanimal. Propofitiofingulariséil,
rantur.Primaeiftappofiti lainquafubijciturterminus onucatbegozicap.altadeief
discret?velterminoconiunif realiamodalis.Propofitio cumpnominedemostratiuo
cathegozicadeielleèillaiä fingularisnumeri.Ermprimi nonponituraliquismodus.
utToutescurrit.ermfiillebo vtbỏcurrit.Diopofitioca disputar.Uocoautemtermi,
thegorcamodaliscillaina numdiscretumpelfingularé ponituraliquismod?vtpof
nompoziùautpnomenomo fibileefoxtemcurrer.Modiy Scromodi
ftratiuúfingularisnumerivt autemfuntferscilicetporsi,
ifteiftaistud.Erquib?fequi bilerimpossibileneceflariu turiamqueécatbegozicanĽ
7contingensverum7falsum liusquantitaris7diciturgil Secundadiuifio p:opositi
laanoévniuersalisnecpar onummodaliumquedamcst ticularisnecidefinitanecfin
infenfudiuiso quedazifer gularisvterclufiue7ercep sucompositoPropositiomo
tiuevztantumbocurrit.om dalisinfenfudiuitocillaiä nisbomopzeterfoztemoue
modusmediatiteractumca tur.Jurtaprimamfamzvi, sumzverbúinfinitiuimodi
timamdiuifionesponitifte vtfoztempoffibileécurrere versus.Quecavelip.qualif
Propofitiomodatisisenfu* nevelaf.vquanta.parifin. cópofitoéilaiquamod’to Dama
psficitelligitpad i taliterpcedirveifinaliter16 terrogationedepłopolinóe
fegturvtdeumefTeénecessa factagquerespondeturcar rium.Impoflibileébominė
tbegozicavelipothetica.Se effeafinum. Erbisdiuifio cudaaurasseritquodaditer
nibusorigináturtresfigure rogationéfactamoqualisre quanpriaordeieffe.Seci,
fpondeturaffirmatiuavľne damodalisofenfudiuisore gatiua.seditertiadenotat
habensadmoduprime.ter, qadinterrogationefactaze tiaveroormodąlisofenfu2
quantarespodeatvniuerfaľ pofitofiacefisdispata qua particularisindefinitavelfin
ruideclaratóesbes ierobic gularis. hocfecundum eri inferiuspofito.:
gètiáppoitoisppofité är zo Sequuntur figure. uifionesduealie decla
Quidam bó curri Quetz bõiez poffibile eft currere Weceffe eft roz currere
Subcötrarie Lontrarie Contrarte Subcötrarie currer. -- Lontradictorie
Qutuber bomo currit Lontrarie Duídå bo . non currit Lörigesest foz.ñ
Aliquesboinem Aliquéboiez poffibile eft. Có posibile eftcurrere poffibileeft
soz.currer Subcontrarie Mullus bomocurrit. Impoffibilee Tozcurrere
Lontradictorie dictozie Lontra Lontradictoria Snbalterne Subalterne Subalterne
Hullu boiez poffibileeft. currere currere ditozie Lontra Lontraditozie
Subalterne Intigiturtåpueq funtcontrarieoisbocurrit
fecundefigurebere ptnll?bócurrit.necieptra gulegeneralespriaé
dictorie.Disbócurrit2gda tita.Uniuerfalisaffirmatiua bononcurrit.neciftefubala
zvniuerfalıfnegatiadepfitt terne.Disbó currit7quida b?fubiectis7predicatisfup
bomocurrit.qztermininifup ponétib”precisepeodévét ponuntprecisepzoeodevĽp
proeisdéfuntatrarieifigu, eisdez.Znona.n.fbinfuppóit ra.vtglibzbócurrit.2nllur
provtroq;reru.Jnaliavero' bocurrit.Secidaregťaeft 14 particularis affirmaria et
promasculinotantum Scutqua tuozfgula particularisnegatia de pfimi lib
?fubiectis 7 pdicatis fup. fituanturpropofitoea infiguraitaquattuoz
ponétib?pcirepeodévelp alijsregulisipfarumcogno, cirdezsuntcontrarieifigu
fciturlerseunatura.quarum ra.vtgdabócurrit?qdåbo primaeftianonestpossibile
nócurrit.Lertiaregľaviuě duoztrariaeffefimulvera falisaffirmatiuaapricularis
benefimulfalsa.Primapars negatiavelvlisnegatiazp patzinductieinomnibus.Et
ticularisaffirmatiaopfilibö fecundaprobatuz.quoniazia fiectiszpdicatisfupponen
funtfimulfalfa.Quilibzboè tib?pcirepeodezvelpejsó albusznullusboestalb”.Et sunt
tradictoneifigura,vt iafimiliterDmneanimaleft quilibzbócurriteqdábóñ
bomocnulluzaialefthomo curritP.ull'bócurrit?qui Secundaregulaeftiftanon
dåbócurrit.Quartaregla eftpoffibileduofubcötraria vniuerfalisaffirmatiazpti
effefimulfalsa.fedbenefim cularisaffirmatia.Etviuer, vera.Patetparsprima ifin
salisnegatiuaaparticularis gulisdiscurrendo.fecunda. negatiuade pfitib lbiectis
probaturquoniamistafuntfi 2predicatisfupponétib?pci mulvera.Aliquishomocal
sepeodezvelpeisdezftit16 bus. aliquisbononeftalby alterneinfigura.vtglibzbó
Aliquodanimalefthomo.Et currit2gdambócurrit.Dar aliquodanimalnonefthomo
lusbomocurrit.2gdazbol Tertiaregulaeftifta.Honė mononcurrit
Expdictisfegturgilenó effefimulveravelfimulfalfa poffibileouo
contradictoria -- patetiftareguladifcurrédo alter.Hecranonfoludefuit
Pfingťaptradironia.Quar primevelfecüdefigureimo taregulaeft14.Sivniuerfaľ
tertie.Etvocoibinegatio eftverafuapticularisvelin neprepofitaquandocolligit
definitafibifubalternaeftde modofuemod?pzecedarfi ralnego.Unfibeffetvera
uesequatur.7postpofitaqui gizboestalb?6fikreffzver coniungiturverboinfinitiui
raaligshoestalbosznóez modi.eréplüpzimi.nópofsi. q:iadefactobeveraaliquis
bileésoz.curreredelsoz.cur hoéalbɔ.znóiaquilzboeft rerenóépoffibileereplúfi albɔ.Eteodémódicodenei
possibileésoz.nócurrerevel funtregule.quorpria reequiualetiftiptingenscft
eftia.Hegpäepofitafacitz foz.nócurrergpumăregula quipollerefuocótradictozio
EthneceffeeTo2.noncurrer viinoquil;bocurritequalet equiualetiftiimpossibileest
isti.Aligshónócurrit.Etnó soz.currerrrecundamregur n u l l u s h o c u r r i t
e q u i u a l z i s t i l a m z i f t a n o n n e c e f l e e s o z . ni
aliquishomo currit. eurrercquiual;huic possibi Secundaraeftistanegató
leésoz.currergtertiamrei poftpofitafacitegpoller fuo gulamzitadicaturdecete contrariopbaf.näiftaquils
risquibuscunq3quare7c. bomo noncurritequipollet ( Dnuerfioeitcranspofi
uftinullusbomo currit.2nul tiosubiectiinpzedicar lushomononcurritequipol
rum7econuerfo:vtbomoé ictiftiquilibethomocurrit. animalanimalébomo.Etlý
Lertiaregulaeftistanega diuiditurinconuersionefimi rioprepofitazpostpositatai
plicemperacciisopercorra citequipolleresuofubalter, pofitionem. Lonuerfiofim
no.vndebnonquilibethoñ pleresttranspositiosubieci curritequipolletistialiquis
inpredicatú7e2°manentee bomocurrit.Etiftanonnul: Ademqualitateaquantitate
lusbomononcurritequipol vtnulluanimalcurritnulluz letiftialiquishomononcur
curréseanimal.Lonuerfiog rit.Undeversus.Precótra, acadésetranspofitiosubiec
dic.postcontraprepostaz.sb tiipredicatu epomanteca gatiuisquare 7c. roz.nó
currere èpossibile .6 Quipollentiarumtres ergononneceffeesoz.curre 1 . 1
4 demqlitarefzmutataquanti uerfavera?Querfensfalfa. tate.vtoishó
estaialaliqd Håbé peraaliqrolanoné aialébo.Lóuerfiopptrapo
fbftárianullarojaernte7ti fitioneeträfposiectiipdica befalsaaliquifubstätianon
tiirecóuerfomanéteeadem énonrosaq2suutradictori qualitaterquitirate.kmura
uzévertivžoisnonfubftan tistermisfinitisiterminosi tia ;estrora.
finitosvtquoddaaialficurs Lotradictiopuerfiõefim ritqodanocurrensnóénon
pliciarguiťpaiofic'becéve aialUtatfciafáfponóhis ranullusbõémuliē.zbecē
puerhonib?puertatponun falfanullamulierébóigif, furistiosus,Fecifimpliciter
Secuidobecéveranull?ce puertifeuapacci.Altopcon cusvid;ens:7becefalfanul
traficfitpuerfiotota.Jng? lumensvidetcecúergorc. ponúťquattuorlrevocales
Lertioßéveranuloom ? S.a.e.1.0.2fignificatplezar éibbiezljéfatfanullusbó
firmatiaz.2vlemnegatiuaz éidomogac.AdpzimDICIE i.pticularezvelidefinităaf,
giftanó suapuertens.fzia firmatiua.o.veropticulare; nullamulieréaligfbó.qioz
velidefinitanegatiua.Luš effephilislimitatioipuerté dicitfecifimplr.i.plisnega
teripuersa.Ad63picogi tiua7pticularisaffirmatiua fitdesbiectopdicatu.qziicft
puertütfimplr.puertiťeua p:edicatúlyens13lyvidens pacci.i,vlisnegariazplis
ens.ióficpuertiéšnullüvi affirmatiuapuertufp accñs densensécecii.Ad tertium
Artopara.i.vlisaffirmatia difimiliterquiaiépuertens zpticularisvelidefinitane
ei?Izianullüensiboiecdo gatiuacouertuntpoponem. m?.vľiainullobõieédom?
Harzuerfionúsimplerévti quianondebétterminimuta lioz.q2vniuerfaliterfipuerfa
recafumquarerc. é vera puertens é vera 7 eco plurescathcgoricar
ipuerfióepaccñsestpuerfa coniunctaspnotam conditio falla.vtbeaialchó.2pueri
niscopulationisdifiunctiois tensveraboéaisl.Jnquer velalicuiistarumequiualen
fioneveropatrapènemécó tez.Vttuesbóituefanimal uerfo.lzñéita i puersione
p accideiis velpatraponez:ná р Ropofitioypothe, ticaeftillaģbabet
Iresigitfuntfpesypotheti Deimpoffibilitatepossibly
CARnoequälentesifigifica, litateneceffitatezcoringen, do'ozaditionaťcopulatia ?
tiaeiusdemnonopzdicerea difitictia.Alievero vtlocaliterqzoiscóditionilisvera
cális ztörať nó funtypotheeftneceffariazoisfalraéim tice.fzcathegorice.Propofi
poffibilis.Hulla atitestque tioaditionalisèillaiäjiun
fitcótigens.iftereguledicte gun&plurescatbegoziceper suntdecóditionalidenomia
noriaditionisvtfituesbó taalyfiquarezi. tuesaial.Propofitionü con ditionalium
alia affirmati uaalianegatia.Propoaditic Dpulatiua eftillaque
onalisaffirmatiuaéillaiqua babetplures cathego 5nórepared afirmaturnotaəditoiserel
ricasgnotacopulationisiui plüpofitúest.Londitionalis cemcõitictas.vttuesboiz
negatiuaestillaiquanotacó ditionisnegatur vtnonfitu eshotuesafinus7brempp
batperaffirmatiua.Adveri ratezcóditionalaffirmatiue requiriťzfufficitg oppofitú
tusedes.Dzopofitionúcopu latiuarumaliaaffirmatiuaa lianegatiua. Affirmatiuae
illainquanotacopulationis affirmatureremplumpofitu eft. Hegatiuaperoeltillai
quanotacopulationisnegaE pritisrepugnetåtecedentivt fituesbótuesanimal.bec
vtnontuesbomoztuesasi veraeftquistarepugnanttu nus. csbomo tunoessial.An
Etsempernegariua proba tecedésvocatillappoqim turperaffirmatiuam. mediate
sequiturnotãcóditi Åd veritatem copulatiue onis:cófequesveroeftalta.
afirmatiuerequiriturquam f'meibad itaotuesboeftafcedens?
libetpartemerreveramvtcu tuesaialestconsequens.Ad eshomoatuesanimal.
falfitatezconditionalis affir, Etadfalfitatem copulati,
matiuerequirit.2fufficitq u e affirmatiue fufficitvnam "sistemahor
oppofitum cófequentisftét partemeffefalsa;vttuesbehurinefrom
cumancedentevifituesbó atucurris. tu sedes.Hec aut ftant fimul Bd
possibilitatem copula tuesbomoztunofedes.ió tiuerequiriturqualibetpar
itaconditionaliseftfalfa. técepossibiléznll'äaltériiz tatomagis *
welalijs Jhiunctiuaeftillaique Deusévelfoztesmouef.Ere
coñitigüturplescathe pltiftvttuesP'tunones.Et itbegorica.gozicepnotazdifunctionis;
adcótingentiaeiusdemrege Detuesbomoveltuesafin? riturqualibetpartemeffeco
Propofitionúdifuciuarú tingentezznullaalterirepu aliaaffirmatiuaalianegatia
gnarenecétcótradictoriail ;Difiuctiuaaffirmatiuaéil, laqvtantirpseftalbɔl'ipfe
a inquaaffirmaturnotadi currit.Poniturtertiapartir litctóisvtpatuit.negatiade
culaqebecdifiunctiuaeftne roeftillaiquanotadifiuctó ceffariatunoesbóveltues
aditsiplānisnegaturprñtuesboľ aial.ztinullapsalterirepu notá
quodtuescapza.zbecsemppbat gnatzõlibyéatigés.lzboc
firdresinsmeaffirmatiuagneceffetnega ióqzcötradictoriaptiuzre, Lisantca
tiuanifipponeretnegatóvt pugnátvztuesbó7tunes Forritpattunonesafinusveltunoes
aial.veldicatomeliusqad foipropofitioneapza.Affirmatiuaestq2nul
neceffitatesdifilactiverequi ' laillannegationumtranfitin
rifzfufficitcoplatiuafacta notam difiunctionis. tropugnante
poribilem.eremplüpzimivt tuesafinus.Etadfalfitatem tuesbo ztucurris.Szadi,
eilisrequiriturqualspartem possibilitatemei?fufficitvna effefalfamvttucurrisl'nul
partezeffeipossibiléautvná lusbaculusstatinangulo. alteriicopoisibilez.eremplu
Mdposibilitatemdifüctie-figutcomkepartesplenepost primivttucurris.7tuésafi,
affirmatiuefufficitvnaj par tilesramom nus.erempluzkivttuésztu
temeffepossibilem.vthomo ferposibilisetideopom nes.Adneceffitatez.copla
eftafinusvelantichristuseftfuficitermedpogriner tiueregritquamlib;premer Sed
adimpoffibilitateeius ludvorbi uficiompor seneceffaria;vtboestaialz
requirifqualibetpartéeffe totdimimurront14éria de’eit.Etadarigentiazip impoffibilemvthomoeftafialiudfornogri.
husregriťzfufficitynapzar nusvelnullusdeuseft. tezelleptingentez.alteraatt
Adneceffitatemdifiunctie nipofsibilezneceidéicópofi affirmatiuefufficitvnazpar
bilemvttucurris7tuesbó temeffeneceffaria;veliuicé pel deus eftz tucurris.
cótradici.Eréplum pzimivt 2 de partibɔcontradictozijser} Ad
veritatezoifiuctiueaf, feimpoffibilez.Etadcontin Römeftiguduozycótrario
afirmatiuefuficitvnazparte gentiamcopulatiuafacta siune imposfibilealiud
effeveram.pttu.cshomop gtib oppofitisfitcótiges, metafarim #coco scadcon
coinout:fed quo hoc eftueru ,cuno filin ilascopilgrimur,fatke
porousopofiris,codicarilkidekie Erionisdifnightutplan qnoradiinch omnis,Admiños
vilpropofiriones,congle:fed l Frelsabond murgiipropa Mit Saint Erine
&filaceprolaindaoimportinisdefinitivaentrare
difusiquefignificatia'sseéincóueniensa
Popu-rariosgudworscontrariozeliuniecorigens unum idiom
conigat&difiurgatriper SadcuilacopulatiuafaltonIparibusopofieasofusdeles in
diversors Eticeforcimoodradilosiaoliikaepoksidaéestimat arhdheofmagisterbisincoligititommdig
ogdifinitivaeritDrinsers. viétime quodpropriafueimpropriauide
itq,amibe“pareddfentnene ožnnimadoprops liéefetwimmign ruenhomo
neltuesani bec.n.éneceffariatunocur iusmodi, r i s . v e l tu m o u
e r i s . q 2 b e c co L e r m i n ’ e q u o c ' é t e r m i n ?
pulatiaéipoffibiťtucurrif fimplerplurafignificarFzdi tunomoueris.Etbecéptin
uerfasrationesficutlicanis géstucurrisvľtunomoue ghignificatcanelatrabilefi
ris.q2beccopulatiuaéptin, duscelestezpiscémarinuz. genstunócurris7tumoue
zbocdiuerfisrationibus. risfecúduregulasdatasde Paedicabilefecúdomó fti
copulatiuis . mifvideliczcóiterzp ergoétermin?vnwoc?pze.
priePredicabilecóiterfup túiterminoaptus.natusde aliquopdicari.zfictātermi
nuscõis finglaristacói dicabilisingddeplerib?ori tibus(pe.ptaialpredicatur
deboiezdeafinogorritfpe ineoqdquidqzaditerroga plerusqizplerusdiciepze
tionezfacta;perquideftbo dicabile.Sippziesicfumen velafin?rndeturqeltaial. do
difinit.Paedicabilee ter Ben'oiuiditur.naquodda minouiuoc'apt nat deplu estgenusgnälifsimu.zquod
rib?pzedicari.7ficnull?ieri damgenussbalternum nusfingularisnec tráfcedes
Benusgeneraliffimúéter autpofit?diciturpzedicabiming ficégen?qd nopot
lefeuvniuersaleqóidéė.q2 essespecies.ytfubftátia.Be null’ralisestterin
vniuoclis nussubalternúeftterminus Undetermin’vniuoc'est
quificeftgenusqdpóteffe termin?fimplerplurasignifispecies vtaial.eeniz genus
cásfm vnicáraionezficutli respectuhominisspeciesde boqosignificatfoztezplato
rorespectucorporis té oiađuagiftcataF5bác Spesestterminusvniuo/ rationeať
raroale.Perboccus nó fupremuspzedicabil qodiciturterminusfimpler
ercluduttermini3pofiti.fed fignificanspla ercluditter minumfingularezzvnicara
tione ercludit terminu trásce détez.videlzensaligdzbu iad plib?vtlibópdicatur
aloztezplacóeieoqd9090 aditērogatöezfactapgdest foztelvpťlatorideurgébő
Spéfoiuiditur q2qdazeft specialissimazadåMalterna
Segfcapituluopdicabilib? fariavidelzgen?(peciediffe p "Redicabiledupťrfu
rentiáppriazaccides.Sen? ptú diuidit iquinqz vniuer, 2 SpēsBalternaetermina
cutlialbuqapredicatur.de 9cu'filspeciespóreffegen? boieieoqdqualeaccicale
vtanimal. qzaditëroğröezfactaequa Spésspecialiffimaéteri
lisehódlafin?pótpuenien nusqcumfitfpesnópóteê terrñderiqdalb?.2bocno genus.vt
bó.vel aliter conuertibiliter.Quia nó con Spėsspalissimaétermin?
uertiturlialbuaialiq°illoz, vniuocuspdicabilisigdde Suffitientiapdicabiliūbe
plurib'orñtıb nuerofolum turistomó quoë vleautest znotáterdiciturfoluiq2liai
piedicabileeffentialiteraut alnéspésspálissima.ztúert accíítaliter
termin?vniuoc?predicabilir Sieffentialrautigdauti igddeplib’orntib?núero
quale.Siiqualeilludéoria 22defostezplacóeiznofoi Siigdautdeplurib'orīti,
làdeorñtib?nuero.qzitd e b?sperilludeitgen?.autde orñtib’spé.vtdeboierlebe
přib?orritib?nueroToluet :Differentiaéterin’viuoc? illudéspés.Siveroepdica
paedicabiťde plib”iquale bileaccnraťrautgiqualeac cénale.vtroaleqapdicatur
cntalepuerribľrz. illudėp ocfoztezplatoneieoqaqle pri.veliqualeacclitaleno
qzaditërogatóemfactaper puertibiťr.2illudéaccñs.er qualisestfortesrespódetur
predictispotpuiciafitper quod eft rationalis . dicato directavľ idirecta er
Peopriúeftterin?viuoc? fentiaľbľaccñcať.Predica Þdicabilisdeplib’ieoquod
tiodirectaeiaiqafupipze qualeaccñtalepuertiběrut dicaturdefuoiferiozi.Debo
rifibileqapdicatdesozteet éaial.Paedicatioidirectaé platbeieoqdqualeqzadin
illaiquaiferi’predicaturde terrogatoezfactapqualise fuosuperiozi.vtaialeftbo.
sozesvťplatopueniéterrñ Predicatioeéntialiséillai deturq rifibiť.7totaratio
quafuperi’pzedicaturdein quareficpdicaturdeilliseq? feriozivelecóuersofzquod éppziapafsioilliustermini
dictiévľoriadealiq°illon bomo cum quo conucrtitur. Si predicatioaccítaliséila
Acchrétēmin’vniuoc'pze iquappuúvelaccñspzedir. dicabilisdeplib”ieoquod
caturdegenerefpeciezpria qualeaccắtaleipuertiblrfi
bľfuoidiuiduoautepuerfo 5 Eréplüpzimi:vtbóèrifibil
dirurindecepdicasca.Quo Paialéalbu.exéplusivrrifi rupzimueltpredicarsitu lub
bileéhoalbueaial.Etpfiľr státiecul’generaliffimúébic dedriazidiuiduodicafl'me
teri’lbalubàpoiturhicter li’oicaturg pdicatioefriaťė mi?coup”.subcocpozecosp?
pdicatio terminoz eiusdez s a i a t u sub cozpoze aiato ať 16
dicamentivtbóestaial.pze, aialifpesspecialissimahoľ dicatioautaccicaťeftpiedi
afinuszlbiftisfuaidiuidua carioterminoxdiuerfozpze fozteszplato.bzunellus7fa
dicamentorumvthomoéale uellus.Secúdupredicame bus.Termin superioradre
túeftpdicamentu quátitutis liquúdicitureffeillequicon
Lui'generalisfimúeftquäti. tinerillúznecóuerfoficutli tasfubýfuntduogenera16
aialrespectuisti'terminihó alternaärnulluestsuperius qzfignificatquicgdile?cuz
adreliquúvzcontinuuz?di bocaliquidvltra.Lermin’in scretu.primigenerisiftefür
feriozadreliquúdicitureffe fpetieslineasuperficiescoz illequicótineturabeo.nnó
pustempus?locus.qR:bec ecouerfovtliforesrespectu funtindiuiduabiliuea fupfi
iftiusterminibomo . hiclocus. Secundigeneris Lozpozea Jnco:pozea
infinitesuntfdeties.f.binari, Lozpus aiatum rius trinarius 7 cetera .
Redicamentuzestcoő ciumeltpaffiovelpafsibilis dinariopluriuztermi,
qualitas.Quartuzestforma nozuFmsubzlupza.Etdiui,
vetcircaaliquidpitasfigura us trinarius quaternarizë Animatum Jnanimatuz
indiuiduaverofunthicbina Sensibile Animal Tertium piedicamentum è predicamentuz
qualitatiscu iusgeneraliffimum estquali Lozpus Jnsensibile Rarionale
Jrrationale. tasfubquofuntquattuo:ge Animal rationale nera subalterna:non sebabe
Soates Plato rio.Secundum eftnaturalis p potentiavelimpotentia.Ier Substantia
tia fecundum sub z fupza.pzi mortalis Jmmortalis mumesthabitusveldispofi, Domo
cies.boc cozpusboc rempus 1 1 Primigeneris(petiesfune
Quintumpredicamétoem grāmaticalogicazrhetorica dicamétuacióiscuiusgener
quaqindividuasuntbecgrå rasubalteznafuntfer.quozu matica logicab rbetorica.
nulluėsuperiusadreliquum Lertijgenerisfpessunto risspéssunt.generarehoiez
redoamaritudo.albunigruz ?cozrupereequáquayindir calidúzfrigidubuidum zfic
uiduafuntficgenerareboiez cum.quarúidiuiduasuntheç ficcorrupereequum.Iertijz
dulcedobiamaritudohocal quartigeneris(pessuntau. bumhocnigp 7buiusmodi.
gereinlongudiminuereila Quartigenerisfpeciessut tum.quozumindiuiduafffic
circulustriangulusquadra augereilögumficdiminuer gulus2huiufmodiquarúidi
inlatu. Quitigenerisspés uidua funt.biccirculus .bicfunt calefacerez
frigefacere triangulushicquadrágulus. quaridiuiduafuntficcalefa
QuartiipredicamétüĊpdi cereficfrigefacer.Sertigo, camerurelatóis.Lui'gene. nerisfpeciesfuntmouct
fur ralissimúeftrelatiovelada. súmoueredeorsumquaruin liquidfbåfunttriagenera(
diuiduafuntficmouerefurfu alterailebita63,16zsup2a ficmoueredeorfum.Sertus
Primumestcaparatio.Se predicamétaépredicaméruz cuduzéfuppofitio.Lertiuzė
paffioniscu’generatiffimu fuppofitio.primigenerisfpe estpassio.Etb;fiĽrfergene
tiessuntvicinusequale?li, rafbalternarisebūtia ;sub milequarumindiuiduasunt.
zsupaav;generaricorrupia hicvicinusbocequalezboc ugeridiminuialterari7fzlo
fimile dñszmagister.qxidiuidua quúconīpiärididuasütir, süthicprbiconszbicmagi
tuboiezgenerariftueqmco Tertijgeneris(péssútfili? rūpi.Iertüzquartigeneris
fuus7discipľ?quaruiidiui; fpetiessuntaugeriinlon duasuntbicfili?bicferubic
gúdiminuiilatuquanidiui. piscipulus. dua funtficaugeriilogu fic cumouči.primi7figeneris,
Secridigenerisspēsfuitpr fpessúthominezgenerarie Secundigenerisspėssunt
v3generarecourtīgeaugere OURzmolle.quarüindiuidua diminuerealterare.cfmlo,
funthocdurumbocmolle. cumouere.Primizfigener b
Nicoletti. Keywords. Refs.: H. P. Grice,
“Paolo da Harborne, and Paolo da
Venezia,” lecture for the Club Griceiano Anglo-Italiano, Bordighera. Luigi
Speranza, “Grice e Nicoletti: quadratura ed implicatura” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691313096/in/photolist-2mPsU62-2mLHPna-2mKMv6z-2mKMuu9-2mKNSXR
Grice e Negri – implicatura – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Mercato San
Severino). Filosofo. Antimo Negri. Antimo Negri (n. Mercato San Severino)
è stato un filosofo italiano. Allievo di Antonio Aliotta, con il quale si
è laureato a Napoli prima in Lettere e poi in Filosofia, ha sempre considerato
come suo maestro Giovanni Gentile, di cui tuttavia non è stato direttamente un
discepolo. L'intensità con cui Negri ha approfondito il pensiero
gentiliano si è concretizzato dapprima nello studio dell'allontanamento di
Michele Federico Sciacca dall'attualismo poi in testi quali: “Giovanni
Gentile,” “L'estetica di Giovanni Gentile,” e “Giovanni Gentile
educatore.” Innumerevoli sono gli scritti dedicati all'idealismo
hegeliano, tra cui i saggi “La presenza di Hegel,” “Ricerche e meditazioni
hegeliane,” e “Hegel nel Novecento,” e le traduzioni di opere hegeliane come
“La vita di Gesù” e “Le orbite dei pianeti.” A queste traduzioni si
aggiungono anche quelle di grandi classici del pensiero filosofico, economico e
sociologico. Ha ricevuto il Premio San Gerolamo. A Negri si
deve anche la valorizzazione di alcune grandi personalità della cultura
italiana, come quelle di Andrea Emo, Carlo Michelstaedter e Julius Evola.
La sua carriera lo ha visto professore di Storia della filosofia in
alcune delle più importanti università italiane: Bari, Perugia e Roma, dove ha
lavorato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata fino alla fine del
suo incarico universitario. Nel corso della sua esperienza intellettuale
è stato impegnato in un'intensa attività saggistica e pubblicistica, scrivendo
sulle più importanti riviste culturali italiane e straniere, tra le quali: il
«Giornale Critico della Filosofia Italiana», il «Giornale di Metafisica», «I
Problemi della Pedagogia», «Rinascita della Scuola», «Dix-Huitième Siècle», «L'Enseignement
Philosophique», «Studia Estetyczne», «Idealistic Studies». Ha
collaborato con molti dei maggiori quotidiani nazionali: «Il giornale
d'Italia», l'«Avanti», «Il Messaggero», «Il Sole 24 Ore», «Il Tempo» e «il
Giornale». Inoltre, ha diretto varie collane di testi filosofici per la
Marzorati («Ricerche filosofiche», «Testi e interpretazioni»), la Seam
(«Filosofi italiani del '900», «Sentieri del giorno e della notte») e la
Antonio Pellicani Editore («La storia e le Idee») e riviste come gli «Studi di
storia dell'Educazione» della Armando Editore. Gli è stato assegnato, a
Palermo, dall'Associazione internazionale di studi e ricerche Friedrich
Nietzsche fondata da Alfredo Fallica, il «Premio Nietzsche». Saggista
sempre molto prolifico, ha continuato a pubblicare opere originali non solo
nella scelta degli argomenti ma anche dei contenuti: il Discorso sopra lo stato
presente degli italiani, il De persona. L'indomabilità dell'individuo e
Problema Europa: Unità politiche e molteplicità culturali. Bibliografia:
Antimo Negri, Michele Federico Sciacca: dall'attualismo alla filosofia
dell'integralità, Edizioni di Ethica, Forlì. Collegamenti esterni
«Négri, Antimo», la voce in Enciclopedie on line, sito "Treccani.it
L'Enciclopedia italiana". Controllo di autorità VIAF (EN) 4947184 · ISNI
(EN) 0000 0000 8083 8487 · SBN IT\ICCU\CFIV\001170 · LCCN (EN) n79038496 · GND
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Bertrando Spaventa filosofo italiano Michele Federico Sciacca filosofo italiano
Idealismo italiano Corrente filosofica predominante in Italia nella prima metà
del XX secolo WikipediaAntimo Negri.
Grice e Negri – implicatura –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo. Grice: “Only in
Italy a philosopher philosophises on Pinocchio!” -- Grice: “I like his idea of
a new ‘grammar of politics,’ even if he uses the extravagant metaphor,
delightful though, ‘fabbrica di porcellana’. He has a gift for metaphor, sure!”
– Grice: “’la lenta ginestra’ to qualify Leopardi’s ontology is genial!” -- Grice:
“Negri reminds me of ‘pinko Oxford’!” Tra gli anni sessanta e gli
anni settanta, fu uno dei maggiori teorici del marxismo operaista. Dagli anni
ottanta in poi, si dedicò invece allo studio del pensiero politico di Baruch
Spinoza, contribuendo, insieme a Louis Althusser e Gilles Deleuze, alla sua
riscoperta teorica. In collaborazione poi con Michael Hardt, ha scritto libri
molto influenti nella Teoria politica contemporanea. Accanto alla sua
attività teorica, ha svolto una intensa attività di militanza politica, come
co-fondatore e teorico militante delle organizzazioni della sinistra
extraparlamentare Potere Operaio e Autonomia Operaia. A causa della sua
attività politica è stato incarcerato e processato, all'interno del processo 7
aprile, con l'accusa di aver partecipato ad atti terroristici e d'insurrezione
armata. Venne, tuttavia, assolto da queste imputazioni, per poi venire
condannato a 12 anni di carcere per associazione sovversiva e concorso morale
nella rapina di Argelato. Saggi: “Stato e diritto -- la genesi illuministica
della filosofia giuridica e politica” (Padova, Milani); “Lo storicismo” (Milano,
Feltrinelli); “Forma giuridica” (Padova, Milani); “Flosofia del diritto” (Bari,
Laterza); “Il concetto di partito politico” (Padova, Moderna); “Lo stato piano
e il comune” (Milano, Feltrinelli); “Il concetto d’integrazione nella storia di
Italia” (Milano, Giuffrè); “Il concetto di stato” (Milano); “Il capitale e lo stato”, “Della ragionevole
ideologia” (Milano, Feltrinelli); “Incidenza di Hegel. Napoli, Morano, Enciclopedia
Feltrinelli Fischer); Scienze politiche, (Stato e politica), Milano,
Feltrinelli); L’organizzazione operaia” (Milano, Feltrinelli); Partito operaio
contro il lavoro, in S. Bologna, P. Carpignano, Negri, “Crisi e organizzazione
operaia” (Milano, Feltrinelli); “I proletariato” Proletari e Stato. L’autonomia
operaia e compromesso storico, Milano, Feltrinelli); “La fabbrica della
strategia” Padova, “Cooperativa libraria editrice degli studenti di Padova, Collettivo
editoriale librirossi, La forma Stato, per la critica dell'economia politica
della Costituzione italiana” (Milano, Feltrinelli); “Il problema dello stato e
sul rapporto fra demo-crazia e sociali-smo” Milano, Unicopli-Cuem, “Il dominio
e il sabotaggio: sul metodo marxista della trasformazione sociale,” Milano,
Feltrinelli, “Manifattura, società
borghese, ideologia: Una polemica sulla struttura e la sovra-struttura,” Roma,
Savelli, Marx oltre Marx [Grice, “Grice oltre Grice”]. Quaderno di lavoro sui
Grundrisse, Milano, Feltrinelli, “ Dall'operaio massa all'operaio sociale. sull'operaismo,
Milano, Multhipla, “Comunismo e guerra,” Milano, Feltrinelli, Politica di
classe: il motore e la forma. Le cinque campagne oggi. Milano, Machina Libri,
“Otto Dix,” Milano, Studio d'arte Grafica, “L'anomalia selvaggia: potere e
potenza in Spinoza” (Milano, Feltrinelli);“Macchina tempo. Rompicapi,
liberazione, costituzione,” Milano, Feltrinelli, Pipe-line. Lettere da
Rebibbia, Torino, Einaudi, Boutang, Diario
di un'evasione, Cremona, Pizzoni, Le verità nomadi: lo spazio di libertà” (Roma,
Pellicani); “Fabbriche del soggetto: profili, protesi, transiti, macchine,
paradossi, passaggi, sovversione, sistemi, potenze: appunti per un dispositivo
ontologico, in "XXI secolo. Bimestrale di politica e cultura", “Lenta
ginestra: l'ontologia di Leopardi, Milano, Sugar, “Fine secolo. Un manifesto
per l'operaio sociale. Milano, Sugar,” “Arte e multitude” (Milano, Politi, “Il
lavoro di Giobbe. Il famoso testo biblico come parabola del lavoro umano,
Milano, Sugar); “Il potere costituente. Ssulle alternative del moderno,
Carnago, Sugar, Spinoza sovversivo. Variazioni (in)attuali” (Roma, Pellicani, “Dioniso,
o lo stato postmoderno” (Roma, Manifestolibri); L'inverno è finito. Scritti sulla trasformazione
negata” (Roma, Castelvecchi); “I libri del rogo, Roma, Castelvecchi); Partito
operaio contro il lavoro; Proletari e Stato; Per la critica della costituzione
materiale; La costituzione del tempo. Prolegomeni. Orologi del capitale e
liberazione comunista” (Roma, Manifestolibri); Spinoza (Roma, DeriveApprodi, Contiene:
S Democrazia ed eternità in Spinoza); “Sogni Incubi”, L’incubo, Visioni.
Politica e conflitti nella crisi della società del lavoro” (Milano, Lineacoop, La
sovversione” (Roma, Liberal, Kairòs, alma venus, multitudo. Nove lezioni
impartite a me stesso” (Roma, Manifestolibri, Desiderio del mostro. Dal circo
al laboratorio alla politica, a cura di e con Ubaldo Fadini e Charles T. Wolfe,
Roma, Il manifesto, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, con Michael
Hardt, Milano, Rizzoli, Europa politica.
[Ragioni di una necessità], a cura di e con Heidrun Friese e Peter Wagner,
Roma, Manifestolibri, Luciano Ferrari); “Bravo ritratto di un cattivo maestro.
Con alcuni cenni sulla sua epoca” (Roma, Manifestolibri); “L'Europa e l'impero.
Riflessioni su un processo costituente, Roma, Manifestolibri); “Moltitudine e
impero, Soveria Mannelli, Rubbettino, Il ritorno. Quasi un'autobiografia” (Milano,
Rizzoli, Guide); “Impero e dintorni” (Milano, Cortina); “Moltitudine. Guerra e
democrazia nell’ordine imperiale” (Milano, Rizzoli); “La differenza italiana” (Roma,
Nottetempo); Movimenti nell'impero. Passaggi e paesaggi, Milano, Cortina, Global.
Biopotere e lotte” Roma, Manifestolibri, Goodbye Mr Socialism, Milano, Feltrinelli,
Settanta (Roma, Derive); Approdi, Fabbrica di porcellana. Per una nuova
grammatica politica, Milano, Feltrinelli, Dalla fabbrica alla metropoli” (Roma,
Datanews, Il lavoro nella Costituzione”
(Verona, Ombre Corte, Dentro/contro il diritto sovrano. Dallo Stato dei partiti
ai movimenti della governance” (Verona, Ombre Corte, Comune. Oltre il privato ed il pubblico, (Grice:
“Cf. Grice on ‘common language’ and ‘private language’”) Milano, Rizzoli, Inventare il comune, Roma, DeriveApprodi, Il
comune in rivolta. Sul potere costituente delle lotte (Verona, Ombre Corte); “Questo
non è un Manifesto” (Milano, Feltrinelli); “Spinoza e noi, Milano-Udine,
Mimesis); “Fabbriche del soggetto. Archivio (Verona, Ombre corte); Arte e
multitudo (Roma, DeriveApprodi); “Storia di un comunista” (Milano, Ponte alle
Grazie, Galera ed esilio. Storia di un comunista” (Milano, Ponte alle Grazie, Assemblea,
Milano, Ponte alle Grazie, Da Genova a domani. Storia di un comunista, Milano,
Ponte alle Grazie. Antonio Negri. Keywords: implicature,
potere-potenza, l’incubo, la differenza italiana, grammatica politica,
assemblea, Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Negri," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685927324/in/photolist-2mQjnue-2mPY4jk-2mPyUzx-2mNbFJE-2mMQbzj-2mLLyEe-2mKNNqN-2mKbok1-2mKiTu1-2mJqjKS
Grice e
Neri – aporia della realizzazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Grice: “Neri is an
interesting philosopher – he speaks of the aporia of the realization, which is
intriguing, and considers that ‘objectivism’ started with Galileo, which is
realistic!” Professore a Verona. Allievo di Banfi e Paci, rappresenta una delle
ultime sintesi della Scuola di Milano, di cui riprende alcuni dei temi
portanti: ricerca fenomenologica, analisi storico-politica, studi
estetici. Rispetto ai suoi maestri, del cui pensiero è stato uno dei
maggiori interpreti, sviluppa un percorso di ricerca originale, caratterizzato
da una critica delle ideologie del Novecento e dei loro fallimenti, e da una
lettura non dogmatica della storia contemporanea, volta a metterne in luce
discontinuità e aporie. Forte di un'indole scettica e fedele al principio
dell'epoché fenomenologica, Neri ha ripercorso le vicende della dialettica
marxista, focalizzando in particolare la sua attenzione sull'Europa
centro-orientale, e sulle varie forme di controcondotta e dissenso che, a
partire dagli anni sessanta, sono andati germinando in quel contesto storico. I
suoi autori di riferimentoHusserl e Merleau-Ponty, Bloch e Lukács, Kosík e
Kołakowskirivelano la tensione intellettuale tra ricerca teoretica e storica
che ha caratterizzato il lavoro di Neri, dalle principali monografie, ai saggi
su aut aut e Il filo rosso, fino al materiale inedito conservato presso
l'Archivio Neri, da pochi anni istituito presso l'Università degli Studi di
Milano. Durante gli anni universitari, trascorsi tra Pavia e Milano, Neri
ha l'occasione di frequentare gli ultimi corsi di Antonio Banfi, ormai lontano
dalla fenomenologia e intento a perfezionare (e radicalizzare) il suo umanesimo
di stampo marxista, e dell'ancor giovane Enzo Paci che, in quegli stessi anni
di dopoguerra, intraprende un confronto innovativo con gli esiti della ricerca
husserliana, e in particolare con i contenuti della Crisi delle scienze
europee, oggetto di numerosi corsi. Proprio questo "apprendistato
fenomenologico", secondo l'espressione di Luciano Fausti, ha consentito a
Neri di acquisire un metodo di ricerca che lo ha accompagnato, non solo nei
suoi studi delle opere di Husserl, Merleau-Ponty, Patočka (dei quali traduce e
cura varie pubblicazioni), ma, più in generale, nell'analisi del pensiero
storico e politico novecentesco. A questi interessi va ad aggiungersi quello
per l'arte e l'estetica, decisivo in questi primi anni, e dovuto in particolare
agli insegnamenti di Dino Formaggio, con cui Neri si laureò. Neri continuerà a
interessarsi a questi temi anche negli anni successivi, dedicando diversi
scritti a Panofsky (della cui Prospettiva come forma simbolica cura nell'edizione)
e a Caravaggio, e interrogandosi sul rapporto tra fenomenologia ed
estetica. Agli anni di studio, segue una fase di ricerca che lo porterà
nei primi anni sessanta a Praga, ospite dell'Accademia delle Scienze della
Cecoslovacchia e, in seguito, negli Stati Uniti d'America, dove è visiting
scholar a Pennsylvania. A Praga, Neri entra in contatto con la giovane
generazione di intellettuali cechi che, in questi anni cruciali, portano avanti
l'idea di riformare il socialismo dal suo interno, a partire da una profonda
reinterpretazione del materialismo e della prassi marxiana. È grazie a Neri che
in Italia si diffondono le opere di Karel Kosík e di Jan Patočka che, pur così
profondamente diversi, condividono con Neri l'interesse per la fenomenologia e
la politica. Durante la sua esperienza americana, Neri dedica a Marx una serie
di lezioni e conferenze, i cui testi inediti, facenti parte del Fondo Neri,
sono conservati presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi
di Milano. Analizzando il pensiero di Marx, Neri si rifà in particolar modo,
oltre che all'insegnamento di Kosík, agli scritti di Gajo Petrović e alla
scuola jugoslava legata alla rivista Praxis. Tornato in Italia, inizia un lungo
periodo di insegnamento a Verona, durante il quale incentra i suoi corsi sulla
fenomenologia post-husserliana, su Bloch, sull'idea filosofica di Europa e la
sua eredità, a seguito del fallimento dei principali progetti politici
novecenteschi. Escono in questi anni le sue opere più note: “Aporie della
realizzazione”, sulla filosofia e l'ideologia dei paesi del socialismo
realizzato, e “Crisi e costruzione della storia”, dedicato, ancora una volta,
al maestro Banfi. In più occasioni, manifesta il suo debito nei confronti
dei suoi maestri milanesi, per averlo iniziato allo studio della fenomenologia.
In tal senso, il passaggio dall'insegnamento di Banfi a quello di Paci è
decisivo. «Al centro non era piùscrive Neri poco prima di morire, ricordando
quegli anniil "disperato razionalismo" del fondatore della
fenomenologia: il fuoco della rilettura era diventato il "mondo della
vita" e la critica dell'obbiettivismo moderno». Un pensiero che ben si
presta a una generazione di giovani studiosi che, durante gli anni sessanta, si
raccolgono intorno a Paci, desiderosi di affinare un pensiero che consenta di
riguadagnare un sguardo disincantato, ma non indifferente, sulla realtà sociale
e culturale circostante, contro «l'asfissiante razionalismo» di Banfi e, più in
generale, contro l'impronta culturale del PCI. Neri rientra in questa
nuova leva di studiosi e in questi termini si possono interpretare anche i suoi
studi fenomenologici. «Con il tema del mondo della vitaribadisce Neri, in un
altro tra i suoi scritti più tardila fenomenologia mostrava di saper affrontare
i problemi posti dalle scienze storiche e sociali, dall'antropologia culturale
e infine anche dal pensiero marxista». L'esempio di Paci, tuttavia, che cercò a
tutti gli effetti di coniugare metodo fenomenologico e dialettica marxista, è
seguito dall'allievo solo parzialmente, lasciando la sua impronta più visibile
nel volumePrassi e conoscenza, una cui parte è dedicata ai critici marxisti
della fenomenologia. Col passare del tempo, tuttavia, Neri adotta una posizione
di sempre più evidente rottura, prediligendo a qualsiasi tentativo
conciliatorio una critica fenomenologica del socialismo realizzato e delle sue
distorsioni. A tal proposito, il confronto con Kosík e il dissenso, all'interno
del socialismo reale, giocano un ruolo di primo piano. Come si evince
dalla sua “Aporie della realizzazione,” distingue due fasi e due generazioni di
filosofi, all'interno della complessa crisi del socialismo in costruzione. Da
una parte, la prima generazione è rappresentata da György Lukács e da Ernst
Bloch. Proprio al pensiero di quest'ultimo, alle sue concezioni di storia e di
utopia e ai suoi numerosi ripensamenti, Neri dedica una lunga analisi, che
tornerà periodicamente anche negli anni successivi, come testimoniano i
programmi dei suoi corsi universitari. A Bloch è ispirato, d'altronde, il
titolo del libro, che Neri ricava da una pagina di Principio speranza. È
all'interno della dialettica tra realtà e realizzazione, tra condizione
presente e speranza futura, che Neri individua l'andatura del socialismo reale,
della sua filosofia e della sua ideologia. Solo con la seconda generazione di
filosofi, tuttavia, le aporie della realizzazione socialista vengono veramente
al pettine; la malinconia di Bloch cede infatti il passo allo sguardo scettico
di Kołakowski e al tentativo di Kosík di rileggere la dialettica marxista in
termini concreti, al di là di ogni deriva ideologica. Dello stesso tenore è
anche il libro su Banfi, Crisi e costruzione della storia, di pochi anni
successivo, in cui Neri si confronta con lo stesso tema della realizzazione,
inteso stavolta nei termini del tentativo banfiano di costruire un percorso
storico su basi razionali, oltre la crisi della civiltà moderna, verso una
nuova prospettiva umanistica. Alla luce del ritratto offertoci da Neri, che si
concentra in particolare sugli anni trenta, intesi come momento cruciale per lo
sviluppo della teoria banfiana, emerge un'immagine di Banfi particolarmente
complessa, nella quale la svolta ideologica e l'adesione al comunismo non
offuscano il perdurare di uno spirito critico e di una prospettiva europea, che
si sviluppa al di là dei particolarismi delle filosofie nazionali. L'Archivio
Guido Davide Neri -- è stato creato presso la Biblioteca di Filosofia
dell'Università degli Studi di Milano l'Archivio Guido Davide Neri. In tale
archivio è raccolta un'imponente quantità di materiali inediti, che comprendono
riflessioni, appunti per corsi e seminari, annotazioni di viaggio,
corrispondenze. Sono considerati di particolare rilievo, in vista di futuri
studi sul pensiero filosofico di Neri, i 149 quaderni, contenenti le
riflessioni del filosofo, dalla metà degli anni cinquanta, fino alla sua morte.
Attraverso la lettura di questi scritti, ora completamente consultabili e in
corso di digitalizzazione, è possibile chiarire il rapporto e gli scambi di
Neri con altri rappresentanti della filosofia milanese: da Banfi a Paci, da Dal
Pra a Preti. Grande importanza rivestono anche i commenti in presa diretta su
alcuni tra i più rilevanti avvenimenti storici del Novecento: dall'invasione
sovietica dell'Ungheria, alla Primavera di Praga, fino al crollo del socialismo
reale. A ciò si aggiungono le riflessioni sul ruolo della filosofia nella
società, sul modo e l'opportunità di insegnarla, e sulla sua tenuta, di fronte
alle scosse della storia. Saggi: : “La fenomenologia della prassi (Milano, Feltrinelli); “Il partito socialista
italiano” (Milano, Feltrinelli); “Crisi e costruzione della storia” (Napoli,
Bibliopolis); “Il sensibile, la storia, l'arte” (Verona, Ombre Corte, F. Tava, su
Open Commons of Phenomenology. G. Scaramuzza, Presentazione, in Atti della
Giornata di Studio e di Testimonianze svoltasi presso la Fondazione Corrente,
Milano, Materiali di Estetica, Archivi. su sba.unimi. degli scritti di in aut
aut, n. Atti della Giornata di Studio e di Testimonianze svoltasi presso la
Fondazione Corrente, Milano, in Materiali di Estetica, Quando tra noi Ricordo, amici, colleghi e studenti, Pizzighettone,
Viciguerra, L. Fausti, Tra scepsi e storia. Un percorso filosofico, Milano,
UNICOPLI,. L.Frigerio e E. Mazzolani,
Iin Sistema Università, A. Vigorelli,
Fenomenologia e storia. A partire da Patocka: itinerario filosofico, in Leussein, F. Tava, Open Commons of Phenomenology. sba.unimi.
Fondo librario. Grice: Mussolini used to say that Garibadi spoke of the
‘popolo’ while he speaks of the ‘nazione’ – and a nazione has a plusvalue over
popolo. Il popolo e l’asino, l’asino e il popolo utile paziente e bastonato. Grice:
“Neri made a great contribution or the spreading of Husserl’s interpretation of
their own Galileo n Italy. Who is this Jew to tell us anything about our
glorious Pisan? Husserl saw Gailei as a Platonist. Neri made a translation of
Husserl’s essay on Galileo and included in a saggio with the title GALILEO in
it – in this way, he gathered the attention of every Italian philosophical
Galileian!” Grice: “Perhaps the best introduction to Italian socialist politics
are the commentaries Neri made to the cartoons in the asino, which he entitled,
bitingly, the bite of the ass!” Grice: “Oddly, bite is an attribute of ass –
when a retrospective of the cartoons was held, the cliché journalese when
‘satira morente’ -- -- estetica di Diderot, senso e sensibile, il sensibile, la
sensazione, il Galileo di Husserl. –Guido Davide Neri, su sba.unimi. Neri.
Keywords: aporia della realizzazione, il mordo dell’asino, -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Neri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701893635/in/photolist-2mQiU3r-2mPZ2Vc-2mPVkio-2mPYm4t-2mLN3si-2mLGvyP-2mLHHHe-2mPq5pS-2mKTyvC-2mKG3XG-2mKFeJo-2mKDwcr-2mGnP2f-G3tvCn-G9arP4-FcebeC-ErqrPW
Grice
e Nesi – implicatura – adulescentuli oratiuncula – Sono dalle celeste sphere
Venere: perche amore inspiro: dagl’elementi fuoco: perché d’amore
accendo da uoi con vocabulgreco CHARITÀ chiamata: perché col mio ardore della
GRAZIA della salute viso degni.filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “I once had a fight with Nowell-Smith; he was saying that a
philosopher should not be a moralist; I told him that by that token Nesi wasn’t
one!” – “De moribus” Figlio di Francesco di Giovanni e di Nera di Giovanni
Spinelli, si dedica interamente agli studi filosofici. Strinsge stretti
rapporti con i principali umanisti fiorentini dell'epoca, tra cui Acciaiuoli e Ficino.
Influenzato dall'operato di Savonarola, ricopre anche diverse cariche
politiche. Saggi: “Adulescentuli oratiuncula”;
“Orazione del corpo di Cristo”; “Orazione de Eucharestia” “ Orazione
sull'umiltà” “Sulla carità”; “De moribus”; “De charitate”; “Oraculum de novo
saeculo, Canzoniere, Poema. Treccan Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Obviously,
Nesi is not having Davidson in mind. But Nesi is wrong in identifying GRAZIA
with CHARITA, ‘greco vocabull” – this is an etymological blunder. The charities
were indeed three – Eglea, Eufrosina, e Talia – and they danced mainly to
eroticse Mars, or more frequently Giove and Mars together --. Of course the
expression ‘gratia’ is not cognate! – For Davidson, charity is what the
Italians refer to ‘carità’, formed out of ‘carus’ – the spelling with ‘ch’ is a
French corruption! So to be charitable, in Davidson’s interpretation, is to be
kind, caro. Not graceful! --. Grice: “If Davidson doesn’t know his Greek
mythology, that’s not my fault --. Instead of his singular principle of
charities, I will take the liberty to sub-divide it into three maxims – The
first maxim refers to the first charity, Aglae: splendour; thes second maxim
refers to the second charity, Eufrosina, mirth; the third maxim refers to the
third charity, Talia, cheer. In Kantian format, these counsels of prudence
become: be splendorous – or try to make your conversational move one that is
splendorous; be merry – or try to make your conversational move one that will
carry mirth to your co-conversationalist; and ‘be cheerful’, try to make your conversational
move one as if it was spawned by Thalia!” -- Giovanni Nesi. Nesi. Keywords:
adulescentuli oratiuncula, principle of charity, Davidson on charity on Grice.
Who was the first Englishman to use ‘charity’ as a hermeneutic principle?
Butler. Grice speaks of self-love and benevolence. Benevolence – and charity?
Grice is not so much concerned with Beneficenza or Malificenza, but with
Benevolenza, and Malevolenza – where does charity fit? What was Ciceronian for
charity. What is pre-Christian about charity? Charisma, charitas, folk
etymological confusion here – caritativo – carita – caro, “le tre carità in
armónico conubio” “tre carità”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Nesi” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690518712/in/photolist-2mLN3si-2mLz5aB-2mKHqkS
Grice
e Nifo – implicatura ludicra – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sessa Aurunca). Filosofo. Grice: “I like Nifo; first, because he
wrote a treatise he called ‘ludicrous rhetoric;’ second, because he tried to
refute Pomponazzi against the mortality of the soul – surely the soul is
‘mortal’ is a category mistake --.” Alla corte di Carlo V (L. Toro, Sessa
Aurunca). Studia Padova sotto Vernia. Insegna a Padova, Napoli, Roma e Pisa, guadagnando
una fama tale da essere incaricato e pagato da Leone X di difendere l’immortalità
dell’animo di Leone X contro gl’attacchi di Pomponazzi e degli alessandristi. Ricompensato
con la nomina a conte palatino con il diritto di assumere il cognome del Papa,
Medici. La sua prima filosofia si ispira ad Averroè, modifica poi la propria
visione giungendo a posizioni più vicine al domma romano. Pubblica un'edizione
delle opere di Averroè corredate di un commento compatibile con la sua nuova
posizione. Nella grande controversia con gli alessandristi si oppose alla tesi
di Pomponazzi per il quale l'animo razionale non e separabile dal corpo
materiale e, dunque, la morte di questo porta con sé anche la scomparsa
dell'anima. Sostenne, invece, che l'animo di Leone X, quale parte
dell'intelletto assoluto, non e distruttibile e alla morte del corpo di Leone X
si fonde in un'unità eterna. Tra i suoi allievi, presso Salerno, tra gli altri,
ricordiamo, Rosselli, filosofo calabrese autore di un testo molto controverso,
Apologeticus adversos cucullatos (Parma), in cui cerca di affermare le sue
dottrine che tendono a discostarsi da quello del suo maestro. Lo si ritiene
protagonista di un curioso episodio. Pubblica il trattato “De regnandi peritia”
(la perizia di regnare), che alcuni ritengono essere un plagio del più noto “Il
Principe” di Machiavelli del cui manoscritto e venuto in possesso. Gli e
conferita la cittadinanza onoraria di Napoli ed iessa e estesa ai figli ed agli
eredi in perpetuo.A lui è dedicato il Convitto Nazionale di Sessa Aurunca,
della quale e anche sindaco. Saggi:“Liber de intellectu”; “De immortalitate
animi”; “De infinitate primi motoris quaestio” [cf. Bruno, Galilei, Novaro,
infinito]; “Opuscula moralia et politica”; “Dialectica ludicra,” “De regnandi
peritia.” Furono poi più volte ripubblicati,
in quanto ampiamente diffusi, i suoi numerosi commentari su Aristotele, di cui i
più importanti sono “Aristotelis de generatione et corruptione liber Augustino
Nipho philosopho Suessano interprete & expositore”; “Expositiones in libros
de sophisticos elenchis Aristotelis”; “Expositiones in omnes libros de Historia
animalim, de partibus animalium et earum causis ac de Generatione animalium, In
libris Aristotelis meteorologicis commentaria” (Venezia, Ottaviano Scoto); Physicorum
auscultationum Aristotelis libri octo”; “Super Libros Priorum Aristotelis”; “Commentarium
in tres libros Aristotelis De anima”; “Dilucidarium metaphysicarum
disputationum in Aristotelis Deum et quatuor libros metaphysicarum”. “Dialectica
ludicra”. Biblioteca del Convitto, Dialectica; “Dialectica ludicra”; “In libris
Aristotelis meteorologicis commentaria”; “In libros Aristotelis De generatione et
corruptione interpretationes et commentaria, Biblioteca del Convitto Nifo di
Sessa Aurunca; “In libros Aristotelis de generatione et corruptione interpretationes
et commentaria. G. Gabrieli, "Raccolta
Storica dei Comuni", Istituto di Studi Atellani, Sant'Arpino, C. De Lellis, Discorsi delle Famiglie Nobili del
Regno di Napoli, Napoli, G. Paci, G. Marco, I sindaci della città di Sessa,
Sessa Aurunca, Zano. La filosofia nella corte (Milano, Bompiani). Dizionario di
filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G. Marco, G. Parolino,
Incunaboli e cinquecentine nelle biblioteche di Sessa, Minturno, Caramanica, Dizionario
Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, E. De
Bellis, Il pensiero logico, Galatina, Congedo, Ennio De Bellis, Aspetti
storiografici e metodologici, Galatina, Congedo, E. ellis, Collana Quaderni di “Rinascimento”. Istituto
Nazionale di Studi sul Rinascimento (Firenze, Olschki); A. Poppi, I liceii di
Padova, Dizionario biografico degli italiani, Ratisbona. Grice: “I enjoyed
Nifo’s rambling on dreaming – quite an complement for Descartes on clear and
distinct perception!” Grice: “Part of my cooperative principle is based on Nifo
– echoing Aristotle rather than Kant. Or rather echoing Kantotle. In this case,
it’s Aristotle’s key concept of a ‘virtue’ – a collective virtue, like
solidarity, lies at the bottom of my conversational principle of cooperation.
The virtue is ONE of course, which is good. Each maxim then attends to some
virtue. Nifo is better than Castiglione in that his Italian is better. He
relies on Cicero, rather than on this or that court poet! So there’s VERITAS,
HONESTAS, CARITAS, and the rest. Each is seen as a virtue, and the point is to
find the ‘middle point’ or mesotes. A bore is a bore but if you include this or
that ‘implicatura ludicra’, two gentlemen can enjoy a nice conversation. Nifo
is having the Northern Italian courts in mind, away from that nefarious
influence of the Pope, who had paid him to demonstrate the immortality of his
soul! The virtue model of conversation is an interestin gone – “De re aulica”
is the way Nifo considers this, and he makes interesting observations on how to
attain a middle way, i.e .how to win frineds and lose enemies!” –Of course
there are overlaps. My model is Kantian, but what is a counsel of prudence if
not a nod to Aristotle’s virtue of prudentia – the principle is thus a
principle of conversationl conviviality, urbanity --. There are conceptual
problems with a purely Aristotelian model, rather than Ariskantian one. One is
not after VIRTUE, but the MESOTES – So the ideal is not to be searched for.
It’s not pure HONESTAS, but that which fits civil conversation. Oddly, Italians
were more concerned with ‘vitii’, which due to their Roman dogmatic
assumptions, they correlate with ‘vice’. For each vice, we should not look for
the VIRTUE, but to the MESOTES --. Kant could not make head or tail of this! Agostino
Nifo. Nifo. Keywords: ludica, ludicra, intellectus, animo intelligere, nous,
intellectus passivus, intellectus activus, intellectus agens, intellectus
possibilis, intellectus passibilis, what is so ludicrious about dialectis?–
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Nifo: la dialettica ludrica”, Grice, “Dreaming”
– Malcolm, “Dreaming” --. – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701700739/in/photolist-2mPmNVF-2mNzeEc-2mLGAQC-2mLD9pe-2mLEzBt-2mLGJnr-2mKLVA3-2mKAKcc-2mKQRx3-2mKAsyK
Grice
e Nizolio – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescello). Filosofo. Grice: “I read Nizolio and it’s like
reading myself!” – Insegna a Brescia e Parma. Pubblica il lessico “Observationes
in M. Tullium Ciceronem” (Brescia), il Thesaurus Ciceronianus” (Venezia,
Facciolati) e il “Lexicon ciceronianum” (Venezia, Facciolati). Ha una lunga
polemica con Maioragio per una critica portata da quest'ultimo a Cicerone che,
iniziata con la Epistola ad M. A. Majoragium, prosegue con l'Antapologia e si
conclude con i “De veris principiis et vera ratione philosophandi contra pseudo-philosophos”
(Parma), scritto contro gli scholastici, che interessarono Leibniz al punto che
questi li fece ristampare premettendogli il titolo “Anti-barbarus
Philosophicus, sive Philosophia Scholasticorum impugnata” con una prefazione ed
una lettera a Thomasius sulla dottrina di Aristotele, Francofurti (Roma,
Bocca). E chiamato da Gonzaga a Sabbioneta. Contemporaneamente alle critiche di
Ramo alla logica dei lizii, anche per lui occorre sostituire all'astrattezza di
quella logica un pensiero che sia concretamente legato al reale, e a questo
scopo la strada maestra sta nel ritrovare i processi del pensiero direttamente
nella struttura grammaticale dell’italiano. Individua cinque principi per fare
della buona filosofia. Il primo principio generale della verità e della buona
filosofia consiste nella conoscenza della lingua romana, in cui sono espressi
quei saggi filosofici. Il secondo principio è la conoscenza di quei precetti che
si trovano nella grammatica e nella retorica di Cicerone, sostituendo la
grammatica e la retorica alla metafisica, ontologia, o filosofia speculativa,
dal momento che il metafisico si e preoccupato solo di ricercare il vero, senza
occuparsi dell’utile, il necessario, o il pertinente delle cose trattate. Il
terzo principio consiste nell’interpretare il filosofo antico come CATONE IL
CENSORE, o Cicerone, o Antonino, e nello sforzarsi di comprendere il modo con
il quale il popolo romano si esprime, essendoci verità in quella schiettezza –
Grice: ‘slightness” -- di linguaggio. Il quarto principio generale del vero è
il libero, e la vera licenza delle opinioni e del giudizio su qualunque
argomento, in contro ogni domma, come richiede il vero e il naturale. Non
devono essere dunque CICERONE o ANTONINO nostril maestri, ma i cinque sensi,
l'intelligenza, il pensiero, la memoria, l'uso e l'esperienza delle cose. Il quinto principio afferma che, oltre a
esporre ogni tesi con la chiarezza della lingua comune – l’italiano volgare, senza
introdurre nel discorso oscurità (avoid obscurity of expression, be perspicuous
[sic], avoid unnecessary prolixity [sic] o sottigliezze, occorre non trattare
problemi che non hanno realtà. Esempi di invenzioni filosofichi prive di
oggettività sono la “idea” platonica e la tesi del reale dell’universalie. Infatti,
il reale è costituito soltanto da singoli individui e questi devono essere
indagati non attraverso la loro natura propria e privata, ma attraverso la loro
comune e continua successione. Si fa filosofia non astraendo, ossia togliendo
da una singola realtà quel quid che viene poi analizzato come se esso fosse
reale, ma comprendendo, ossia considerando insieme il singolo reale.
L'universale è una vana e finta astrazione che deriva invece dalla comprensione
di ogni singolare di ogni genere, accolto insieme con un atto solo, senza
astrazione intellettiva, ma con il solo ausilio di un'intelligenza che
comprende il singolare. In sostanza, noi non possiamo distaccare, con
un'operazione dell'intelletto, un universale da ogni singolare, ma semmai
passare dall'individuale al collettivo. L'operazione consiste nel sostituire
alla dialettica la retorica e alla logica la grammatica ma, pur mettendo in
rilievo i difetti della logica classica, non riesce a fondare una nuova logica efficace
e persuasiva. Saggi: Garin, Rossi, Vasoli, “Testi umanistici su la retorica”; “Testi
editi e inediti su retorica e dialettica di Nizolio, e Ramo, Milano, Bocca “Marii Nizolii Brixellensis in M.T. Ciceronem
observationes Caelii Secundi Curionis labore et industria secundo atque iterum
locupletatae, perpolitae et restitutae. Ejusdem libellus, in quo vulgaria
quaedam verba et parum Latina, ad purissimam Ciceronis consuetudinem
emendantur, ab eodem Caelio, s.c. limatus & auctus”. Dizionario Biografico
degli Italiani. Ballestri, Massimiliano. Milano, Cosmo editore, R. Battistella,
umanista e filosofo, Treviso, L. Zoppelli, Il rinnovamento scientifico moderno,
Como, Meroni, Rossi, “La celebrazione
della rettorica e la polemica anti-metafisica del "De Principiis" in
La crisi dell'uso dogmatico della ragione, A. Banfi, Milano, Bocca); W. Fink, Logica
aristotelica Universale Idea. Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. G. Calogero, Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “I was slightly disappointed when I got
hold of Nizolio’s overadvertised masterpiece, the “Lexicon Ciceronianum;” while
Urmson liked it, I found it more to be a common-or-garden dictionary. I did not
care for philosophical concepts, seeing that he starts wih “A”, ‘the first
letter of the alphabet,’ as Nizzoli defines it. So, I went straight to the
third tome – heavy as they are, and reprinted in London for use at public
schools –‘adolescens’ – to ROMA, ROMANVS, ROMVLVS. As for his advice as to deal
with the longitudinal unity of philosophy and his rhetorical, ‘Plato is my
friend but a better friend is truth,’ I can’t believe it coming from one who
dedicated his life to TRACE every little ‘diom’ (slogans as the London edition
has it) uttered by Cicero! WhileI would expect praise against the barbarian
scholastic from Roger Bacon, it sounds hypocritical coming from Leibniz. By
Nizelio’s standard, Leibniz was a barbarian his self. The scholastics actually
saved the books from the flames of the Longobards and the Eastern Goths
(earlier on). Roma, 2. Contr. RuJ. 95. Romain montibus
posita, et convalUbus, ccenacolis
sublata atque suspensa.1. de Div.107. Certahant, Urbem
Romam Uemamne vocdrent, Post led. in
Sen. 1. Roma arx omnium
terrarum. De Pet Cons. 40. Roma
civitas CK nationnm conventu constituta. 1. de Onu
196. Roma domus virtutis, imperii et dgnitatis. Ib, 105. Roma domidUum imperii et gloris. 4.C.11. Roma luxorbisterraruhi,et
arx onuuum
gentium.1. Div. 101. Bmoul sexenniojpost Veios
captos a GaUis capta. Ib, 89. Rome
et reges augnres, et postea privati
eodem sacerdotio prsediti, lempub. regionum
autoritate rexemnt.1. Qu. Fr. 1. 18.
Roma, ubi tanta arrogantia est, tam
im- moderata libertas, tam iofinita hominum
centia. t 14. Redu Romam Fonteu
cansa ad VII. Idns Qu. 3. de Nat
21. Roma in terrisnihU meUns. Inoer.
Romam conditam 01 vmpiadis sestss anno
tertio. Romani. Pro Leg. Man. 7.
Romani pn»- ter ctiteras gentes laudis
et glori» avidi. 14. At 12. Romani
cives facti Siculi lege Anto- niL9.Fara.19.
Romani veteres atque urbau
sales. 1. Tus. 3.Romani serius quam GffKci poeticam acceperant 1. Di. 95. Romaia nihU in bello sineextis agebant nihU d<»B& sine auspiciis. 1. Off. 35. Romani Toscoianos, Equos, Volscos, Sabinos, Hemicos, victoria parta non modo conservarunt, sed etiaro in ciritatem acceperantPro Mur. 74Romani tempora voluptatis laborisque dispelrtiunt,.&c.l. Tus. 1. Romani omnia aut invenerant per se sapientius, quam Greciaut accepta ab illis fcicerant meUora. 1. Div. 102. Romani omnibut rebus agendis, quod bonnm, faustum, felix, fortunatnmque essetprefabantur. Pro Cnc 99. Romani eos vendere solebant, qui mUites facti non essent 3. de Ora. 40. Romani minos qoam liitm Utteris stndebant Pro Leg. Man. 5.1. Romani omnibus navalibus puffuis Carthagienses vicerant 4. Aoad. 147. Romanorum antiqoa jurisjurandi formulaet consuetudo.1. de Or. 15. Romanoram ingenia raultnm csBteris liomiaibos omnium gentium prsstiterunt 3.39. Snavitassemkonis
Atticoram et Romanomm
propiia. 4. Tosc 3. Apod priscos Romanos
morem honc epolaram fiijsseantor est Cato
in Originibos, ut deincepi, qui
aocobaient, canerent ad tibiam virorom
daroram Uodes atqoe virtotes. Romanos, a, uro. 1. de Nat 83. Romana k 58 RO JaiioteIbBoa«t,<f«aUs8oif2li« $.S.Fo^ paU RoaiaBi ovnk religio in ftcrt etin anspida diyia. 16. Att 2. Popalnm Boaunun nanDJ saasnonSn defendenda ropnb.sed Sn pUndendo coosoBieie. 10.7. Bum non nodo Romano bomini, sed ne Perse qwden coiqaam tolerabile.7. Fam. 18. Bomaoo nsoae oommendare.16. 5. Romano more feqni.1. de Orat 24. et Ver. 5. 36. Romani ladL 4. Att. 14. NuBc Romanas res aedpe. Romilla, iribus. t. cont Ral.78. Respondit, Romilla tribo se initiam esse £se- tnram. I^, Tribos. Romalos, li, Qutnntti. 3. C. 2.Romalam»
qu banc aibem condidit, ad deos
immorta- les benerolentia famaqae
sastulimas. 1. de L. 9 Roawhis post
exoessum suum dixit Proculo Jolio,
se deom esse, et Qaoinum vocartemplumaae
sibi dedlcari ia eo loco jussit 3.C. 19. Romuhis
quem iaauratum m Capitolio pamun ac
lacttntem, uberibos lopiais inhiantem fuisse
meministis. 3. OfF. 41.Peccavit igitar, paoe
vel Qoirini toI Bomali
duEerim. 1. de D. 107. Romuhis
puldier. Ih, 3. Romulus urbm
auspicato oodidit 16.31. Roamlus non solom
aospi- eatoRomam condidit, sed etiam optimos
augur feit 3. de N. 5. Romnlos
auspicBs, Numa sacris constitatb, fandamenta
jeeit ostiSB
dTitatii. 3. Off. 41. Rommlus,
cum ci visom csset utilios solum, quam cum altero regnarefiratrem interemit 1. DeOr. 37. RomaJns consitto magis et sapientfa
qaam doqueotia usns est S. Div. 45. Romolas et Remus com altrice bdhui vi folminis idi oooddeiant £6. 81. t 1.107. Romulis et Remus
ambo aagures fberant 3. C. 19. Roorali
stataa decoelo taeta. Som. 6ch>.17. Ronmlo
moriente deficere sd bommibas eatingaiqao visus est.
Summatim quanam fine principia generalia veritatis investigande, recteque philosophandi.
Item in summa quanasmint princigpeianeralia pseudo-philosophorum et perverse philosophandi.
De generali omnium nominum divisione in substantiva, adjectiva propria appellativa,
deq; eorum proprietatibus et differentia, nginguam facisus queinbuncdicmab
ullotraditisaut cognitis, contra pseudo-philofophos. De nominibus propriis et
appellativis, tam cole&li vis quam simplicibusnon cola Letivis, ac decorum proprietatibus
et diferentis, contra philos-ophastros. s.De us)0 (sem (falsis. De denominativis
reliquis capitibus Ante predicamentora,vel supervalaneis vel. Universalia realia
etiam five raese concedantur, tamen non fuisse facienda quin. Que numeross ed velunumtantum,
hoc est, GENUS, vel plura quam quinque hoc est, septem veloflo, adiecto communi,
simils, contrario, arque substantia. De nominibus substantivis et adiectivis. De
eorum proprietatibus ac diferentis, contra pseudo-philosopos. De generaliomnium
rerum divifione oratoria pera & deila pseudo-philosophorum falsa, simul quede
voce universi anni versalis et in summa de falsirate universaslium realium ut
vocant. Universalia realia nec propter scientias artes quetradendas, nec propter
syllogismos eocateras argumentations formandas, nec propler predications superiorum
de inferioribus faciendas necessario ese ponenda contra pseudo-philosophos. Universalia
realta vere in rerum naturaese non posse. Co propter canone c, uirea Etiffime
dicunt nominales. Cintra sultam illam realium opinionem de universalibus
realibus, quorum rationes omnes plusquam in aneslabefaltaneur. um suffi.ientia ,quamvocant.
De toris,& corum divisionibus, compositionibus quepere, contra falsissimam dialecticorum
de his omnibus doctrinam. De vere philosophico e oratorio genere et de vera eius
definitione. Contra falsum genus dialecticum et falsam cius definitionem. De vera
specie oratoria et vera ejus definitione, contra falsam speciem dialecticam
& falfam illius definitionem. De vera diferentia & vero proprio philosophicis
oratoriis do simulde eisdem adversariorum vel falfsis vel inutilibus. De accidente
vero quid esmedin constanter definite et simul pauca quadam de falsis universalibus,
eorum vanis questionibus in universum. De preceptis dividendi et definiendi oratoriis
veris et dialecticis falis. De homonymis et synonymis grammaticorum veris quid vere
sint et quis verus eoru mufus, contra ftultaila aquivocado analoga dialecticorum.
Ele tantum modo unum et summum et verum á generalisimum genus oralo rium, quod eft,
genus rerum sex autem s a transcendentia Dialecticorum, decem pre
dilameniaAristotelis,& triaLaurentiiVallaelefalsa. Quam ob levem causam Aristoteles
CATEGORIAS fore predicamenta decemponenda ex iftima verii et quam non re et tetriatantum
Vallusta rucrit, fimul quopactonosar borem generica ma Porphyri analonge diversam,
faciendam arbitramur. GENUS rerum vere in duasrantum species divide in s ubstantias
et qualitates, omnia alia accidentium dialecticorum pradicamenta sub qualitate generalitan
quamo verascius specie sper econtineri. Simul de falsa universali. De o
sem. De qualitale generali et omnibus e iustam comparata quam absoluta speciebus,
praferrimquede qualitate speciali, quantum different a speciebus accidentium
dialectic corum ,& fingillarim quærario de causa diversitatis. De nominibusscientia“
arris quid APUD LATINOS communite rad proprie significe ne, u quormo dis virum que
corum accipiatur et deniq; quibus differentis attes elit entia mnter sediftinguantur,
contra falas scientias et artes pseudo-philosophorum, (falla. De generalı scientiarum
do atrium divisionenoftrarera, et pseudo-philosophorum. De errales Peripateticorum
in generalı philosophia divisione admflis. Dialectica minter scientias (
ariesnecut universalem nec ut particularem ul lumomninolo cum habere pose sed tanquam
non modo falsams ed etiaminutslem de sua pervacuam ex omni artinm do
scientiarum numero ejiciendam. Metaphysicam inter scientias Cartesnecut universalem
nec ut parricularem ul lumomninolo, um habere pofe, sed tanquam partim falsam, parliminutlım,
partim super vacnam ab omni artium scientiarum numero removendam. De
comprehensione universorufmingularium vere philosophica de oratoria et simul de
abstractınoe universalium pseudo-philodophia et BARBARA contrafallam Ardo
stotelis doctrinam falsode ceniis, abstrahentiam non efemendacsum. Oratoriam esse
facultatem vere generalem, grammaticam sub se primo, deinde reliqua somnesarl es
fcrentias vere continentem, iumpartese jusmajores breviter ex ponuntur omnes ,ở
cidem,quaàPseudophilofophisuniquefueruntablatarestituuntur. De sophisticis Elenchis
ab Anstoelein Rhetoricam non recte introductis et delio brofophifticorum
elenchorum quid senciendum, Que et quot fintea, quarequiruntur cascientise
artibus, ex quibu spendetac fitomnis eorum dividio definition o distinclıo, contra
falfam de eisdem rebus Pjendophialosophorum doctrinam. De utilibus & veris argumentis
de que utılı vero eorum iam tradendorum, quam usurpandorum modo, conira partım
fulumpurtom inutilem ipsorum doctrinam ab Aristotele traduam in libro Topicorum.
De definitionibus nominis et verbido orarionis grammaticorum veris. Pseudo-philosophorum
falfis, códealis, queab Aristorele falso vel inutiliterinlibroSepiépenveids
traduntur. Dentılıbus et veris argumeniationibus, de queutilido verocarumufu, contrainu
tolemdo vanā Ariftotelis decudem rebus doctrmamtraditam in libris Analyticorum.
Defalfa demonftratione & falfafcientia& falfa fapientia Pseudophilosophorum
( simul de inutili falfoque Pofteriorum Analyticorum libro. De vanitate eorum ,
quaà recentioribus Dialedicis appellantur Parva Logicalia. Libros qushodiefubArif.
Nomineleguntur plerosquenonvereeflesri Roselicos, sed fubdititioscon
adulterinos, contra communem Pseudophilosophorum opinionem. De Platone, Ariftotele,
Galeno, Porphyrio. Deomnibus Arifterelis interpretibus Grucis, LATINIS e
Arabibus: reviter quid fentiendum re&te philosophaturis. De ratione philosophandi
o de corrigendis instaurandisq; Philosophia studis, qua nunc maxima exparte perveriae
corruptfaunt. Nizzoli. Mario Alberto Nizolio. Nizolio. Keywords: Cicerone,
lexicon ciceronianus, Antonino, Leibniz’s ‘anti-barbaro’. – Refs.: Luigi
Speranza: Grice e Nizolio: il thesaurus ciceronianus” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701277378/in/photolist-2mLEyw7-2mLHFJp-2mKEd6j
Grice e Noce – implicatura –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Pistoia). Filosofo. Grice:
“Only in Italy, philosophy and history are so connected; it would be as if we
at Oxford after the war would be only concerned with understanding Churchill!” Grice:
“For us, to do linguistic philosophy was to get away from post-tramautic stress
disorder acquired during what Winthrop stupidly called the ‘phoney’ war!” – Grice:
“It’s not difficult to understand why Noce’s notes on Gentile were only
published posthumously!” -- essential Italian philosopher. «Certo
i cattolici hanno un vizio maledetto: pensare alla forza della modernità e
ignorare come questa modernità, nei limiti in cui pensa di voler negare la
trascendenza religiosa, attraversi oggi la sua massima crisi, riconosciuta
anche da certi scrittori laici.» (Risposte alla scristianità, da Il
Sabato). Ttitolare della cattedra di "Storia delle dottrine
politiche" all'Università La Sapienza di Roma. Studioso del
razionalismo cartesiano e del pensiero moderno (Hegel, Marx), analizzò le
radici filosofiche e teologiche della crisi della modernità, ricostruendo con
cura le contraddizioni interne dell'immanentismo. Argomentò
l'incompatibilità tra marxismo, umanesimo, ed altri sistemi di pensiero che
propugnavano la liberazione secolare dell'uomo e la dottrina cristiana
(affermò: "solo il Redentore può emancipare"). Sostenne tenacemente,
per tali motivi, l'impossibilità del dialogo tra cattolici e comunisti e
previde il "suicidio della rivoluzione". Studioso del fascismo, sostenne
che tale ideologia fosse peraltro in continuità con il comunismo e fosse
anch'esso un momento della secolarizzazione della modernità. Sostenne, inoltre,
l'esistenza di molti punti di contatto tra il fascismo e il pensiero dei
sessantottini. Filosofo della politica, preconizzò la crisi del
socialismo reale, mentre esso viveva la sua massima espansione a livello
mondiale. Argomentò che tale sistema, da una parte applicava coerentemente la
filosofia di Marx, ma dall'altra negava le premesse del marxismo: ciò in
quantomostrava Del Nocelo stesso sistema di Marx si basava sulla contraddizione
tra dialettica e materialismo storico. Ribadiva infine la necessità dei valori di
verità e di moralità. Figlio di un ufficiale dell'esercito e di Rosalia
Pratis, savonese discendente di una famiglia nobile savoiarda, Augusto Del Noce
nasce a Pistoia nel 1910. L'anno dopo la madre si trasferisce con il figlio a
Savona e, allo scoppio della guerra mondiale, a Torino, presso una zia materna.
A Torino, Augusto svolge tutta la sua carriera di studi: dapprima al noto liceo
D'Azeglio, frequentato da alcuni dei futuri protagonisti della vita politica e
culturale della città e della nazione (Norberto Bobbio, Massimo Mila, Gian
Carlo Pajetta, Cesare Pavese, Felice Balbo e altri), poi all'Università degli
Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, allievo di A. Faggi, Erminio
Juvalta e Carlo Mazzantini con il quale si laurea nel 1932 con una tesi su
Malebranche. Inizia quindi a insegnare presso istituti superiori (Novi Ligure,
Assisi, Mondovì), mentre sviluppa la sua attività di studio anche con soggiorni
all'estero. Legge con entusiasmo Umanesimo integrale di Jacques Maritain,
che rafforza in lui, tra l'altro, una sempre più convinta opposizione al
fascismo. Cerca invano di farsi trasferire a Torino e di accedere qui alla
carriera universitaria. Nel 1941 si trasferisce a Roma per un distacco
propostogli dall'amico Enrico Castelli. A Roma frequenta Franco Rodano che, con
Felice Balbo e altri, anima l'esperienza di «Sinistra Cristiana», un tentativo
di conciliazione di comunismo e Cristianesimo da quale Del Noce resta per breve
tempo affascinato. Nel 1944 viene accolta la sua richiesta di trasferimento
presso un istituto superiore di Torino, dove torna a risiedere. Accompagna all'insegnamento
un'intensa attività di studio e di collaborazione a diversi periodici, tra cui
Cronache Sociali che gli dà occasione di incontrare Giuseppe Dossetti. Scrive
e pubblica il saggio La non filosofia di Marx, che ripubblicherà vent'anni dopo
nella sua opera maggiore (Il problema dell'ateismo) e nel quale fissa i termini
complessivi della sua interpretazione del marxismo. Nello stesso anno cura
l'edizione italiana di Concupiscentia irresistibilis di Lev Isaakovič Šestov. Inizia
la collaborazione alla Enciclopedia filosofica del Centro Studi Filosofici
Cristiani di Gallarate, diretta da Luigi Pareyson. Dal 1957 al 1961 è
distaccato a Bologna presso il centro di documentazione diretto da Giuseppe
Dossetti. Nel capoluogo emiliano frequenta Nicola Matteucci e collabora
stabilmente al neonato periodico «Il Mulino». Scrive su Ordine Civile, rivista
animata da Gianni Baget Bozzo, e altri alcuni saggi, uno dei quali, «Idee per
l'interpretazione del fascismo», sarà all'origine delle future revisioni storiografiche
di De Felice e Nolte. Partecipa al convegno organizzato dalla Democrazia
Cristiana a Santa Margherita Ligure con una relazione intitolata L'incidenza
della cultura sulla politica nella presente situazione italiana: sugli stessi
temi Del Noce intratterrà per anni un rapporto difficile con il partito
cattolico (altri interventi nei convegni di San Pellegrino e di Lucca. Partecipa
a un concorso a cattedra a Trieste, ma non ottiene il posto. Pubblica Il
problema dell'ateismo e l'anno successivo Riforma cattolica e filosofia
moderna, Volume I, Cartesio. Partecipa alla «Giornata rensiana» con una
relazione intitolata Giuseppe Rensi fra Leopardi e Pascal. Ovvero l'autocritica
dell'ateismo negativo in Giuseppe Rensi, nella quale espone la sua fondamentale
fenomenologia del pessimismo come pensiero religioso. Nello stesso anno vince
il concorso per una cattedra di Storia della filosofia moderna e contemporanea
all'Università degli Studi di Trieste, dove divenne Professore. In quell'anno
esce L'epoca della secolarizzazione, che raccoglie molti dei saggi e degli
interventi degli anni sessanta. Si realizza il tanto atteso trasferimento a
Roma, dove, all'Università "La Sapienza", insegna prima Storia delle
dottrine politiche e poidal 1974Filosofia della politica. Si infittisce
la sua collaborazione a riviste e periodici, sui quali interviene anche
riguardo all'attualità politica e culturale. Diresse la collana «Documenti di
cultura moderna», dell'editore torinese Borla (poi passata alla Rusconi)
proponendo al pubblico italiano autori come Marcel de Corte, Titus Burkhardt,
Manuel García Pelayo, Hans Sedlmayr ed Eric Voegelin. Partecipa vivacemente al
dibattito sul divorzio. Dopo la metà degli anni settanta inizia il rapporto con
gli universitari di Comunione e Liberazione partecipando a convegni e incontri
promossi dal Movimento Popolare. Pubblica il saggio Il suicidio della
rivoluzione, dedicato al compimento e alla dissoluzione del marxismo. Con Il
cattolico comunista chiude i conti con l'esperienza di Rodano (che nel
frattempo ha lasciato la DC per il PCI) e dei teorici della conciliazione tra
Cattolicesimo e marxismo. Dal 1978 inizia anche la collaborazione continuativa
con il settimanale «Il Sabato» e contribuisce alla creazione della rivista «30
giorni», di cui rimarrà stabile collaboratore. Nello stesso anno viene
candidato come indipendente nelle liste della Democrazia Cristiana per il
Senato: primo dei non eletti, entrerà in Senato l'anno successivo (1984) a
seguito della morte di un collega. Viene insignito del «Premio
Internazionale Medaglia d'Oro al merito della Cultura Cattolica. Riceve il premio
Nazionale di Cultura nel Giornalismo: la penna d'oro. Viene premiato dal Meeting
di Rimini. Muore a Roma. È tumulato nel Famedio del cimitero di Savigliano. Esce
“Gentile”, che raccoglie diversi saggi sul padre dell'attualismo, sul fascismo
e sul suo significato nella storia, frutto di decenni di studi e
rielaborazioni. L'archivio del filosofo e la sua biblioteca sono custoditi a
Savigliano dalla fondazione Centro Studi Augusto Del Noce, sorta nei primi anni
novanta, diretta prima da G. Ramacciotti, poi da Francesco Mercadante, da
Giuseppe Riconda, e E. Randone. INella sua più celebre opera Il problema dell'ateismo
(del 1964) Del Noce inizia l'analisi della storia della filosofia moderna
invertendo il paradigma storicistico e positivistico che nel progressismo aveva
la sua cifra comune. Il filosofo afferma infatti che tale paradigma di
illuministica origine ha come prima condizione d'esistenza la postulazione
dell'ateismo come necessità del progredire dei sistemi filosofici e delle
scienze a prescindere dalla teologia cristiana, cioè a prescindere dalla
Scolastica, anzi in più o meno esplicita opposizione alla Scolastica. La
tesi che Del Noce intende dimostrare in questa sua opera è -come evidenzia
appunto il titolo- la considerazione dell'ateismo non più come «necessità»
bensì come «problema» della modernità, il cui ultimo, coerente e necessario sbocco
è appunto il nichilismo post-nietzscheano distaccato ormai da qualsiasi
riflessione filosofica e sfociato in una pura forma di vita, in puro way of
life di distruzione e auto-distruzione dell'uomo. Del Noce pone quindi
innanzitutto una distinzione fra tre diverse forme di ateismo, ovvero fra l'ateismo
positivo o politico diurno, i cui esempi perfetti sono stati l'illuminismo di
un Diderot o l'umanesimo di un Feuerbach, l'ateismo negativo o nichilistico
(«notturno»), esemplificato invece dalla filosofia di Schopenhauer, e infine
l'ateismo tragico, detto anche «follia filosofica», cioè la forma più rara e
particolare di ateismo che Del Noce trova solo in due casi in tutta la storia
della filosofia, ovvero in Nietzsche e in Jules Lequier. Posta questa
propedeutica distinzione, Del Noce inizia l'anamnesi del pensiero filosofico
moderno per rintracciare la genesi di ogni forma di ateismo, impossibile da
pensarsi per la filosofia antica come dimostra il fatto che anche la filosofia
epicurea -considerata comunemente come ateistica- ammetteva in realtà
l'esistenza degli dèi. Per Del Noce appare evidente che la crisi della
Scolastica medievale non ha costituito un processo necessario per il semplice
fatto che proprio colui che aveva intenzione di riformarla -cioè Cartesio- fu
invece colui che in realtà la tradì e se ne allontanò: è nelle celeberrime
Meditazioni metafisiche che il filosofo francese -allievo dei Gesuiti- tentò di
riproporre una nuova prova dell'esistenza di Dio da opporre al naturalismo
libertinista del Seicento, che predicava relativismo etico e che sostituiva il
dio-logos con la Natura impersonale e senza ordine. In realtà però
Cartesio, nel suo sforzo apologetico, compì il definitivo tradimento della
filosofia cristiana riattingendo ad un agostinismo privato di platonismo e
considerando così le idee dei semplici «contenuti della mente». In altre parole
se l'idea di Dio, quantunque logicamente necessaria, non è il riflesso
intellettivo di una realtà ontologica esterna al soggetto ma è una semplice
struttura logica, allora vale realmente la critica kantiana della prova
ontologica di Sant'Anselmo secondo la quale non è lecito aggiungere il
predicato dell'esistenza alla perfezione dell'idea se non per un
paralogismo. Del Noce in sintesi ha mostrato come il tradimento e la
perdita della Scolastica, attuata innanzitutto da Cartesio, ha come punto
centrale l'idea di Idea, che è passata ad essere da struttura del reale a
struttura del razionale, passando quindi dal dominio dell'ontologia a quello
della psicologia. Per questo non vi è alcuna spiegazione se non il rifiuto
pregiudiziale di riconoscere uno statuto ontologico all'idea, cosicché non
vi sarebbe appunto alcuna necessità di trapasso della Scolastica né tantomeno
alcuna necessità di genesi del razionalismo; in tal senso la famosa critica di
Kant varrebbe quindi solo contro Cartesio e non contro Sant'Anselmo, il cui
platonismo gli permetteva ancora di inferire necessariamente la «perfezione»
dell'esistenza dall'idea dell'Essere con ogni perfezione, cioè dall'idea di
Dio. Prosegue la sua analisi mostrando quindi come in Cartesio, che pur nelle
sue intenzioni voleva essere un defensor Fidei, già sussisteva in nuce ogni
forma di illuminismo che avrebbe poi dominato nel Settecento, per questo egli
parla di un pre-illuminismo cartesiano e aggiunge inoltre che proprio Cartesio,
fiero avversario del libertinismo dilagante nel suo tempo, fu colui che
tradusse l'ateismo libertinistico e irrazionalistico nella sua forma
razionalizzata, cioè nell'illuminismo, che sarebbe stato appunto un
libertinismo razionalistico. Si noti che Del Noce non pone giudizi sulla
persona di Renato Cartesio, e anzi sottolinea come al suo tempo egli si poteva
davvero credere il grande condottiero vincitore della battaglia culturale del
Cristianesimo contro il libertinismo, ma ciò perché non era riuscito a
prevedere una forma di ateismo non-irrazionalistico e non-relativistico quale
fu appunto l'illuminismo settecentesco, che non si limitò più ad opporsi alla
Scolastica ma che formò una propria dogmatica visione della storia in cui il
Cristianesimo, rappresentato dalle leggende nere del Medioevo, era stato solo
un ostacolo per lo «sviluppo» e l'«emancipazione» dell'umanità (si tenga
presenta la definizione kantiana di «illuminismo»). Da Cartesio in poi sono
comunque due i percorsi filosofici che partono e che sviluppano i due aspetti
compresenti in Cartesio, ovvero l'illuminismo e lo spiritualismo: da una parte
infatti Condillac, Kant, Condorcet, fino a Hegel e Marx riceveranno il lascito
propriamente razionalistico e sensu lato materialistico di Cartesio, dall'altra
invece Pascal, Malebranche, Vico e infine Rosmini saranno gli eredi del suo
patrimonio spiritualistico, inteso questo come filosofia di accordo fra ragione
naturale e fede cristiana, posta la distanza epistemologica dalla Scolastica;
famosa ed illuminante è a questo proposito la teoria della «visione in Dio» di
Malebranche, nonché la distinzione pascaliana fra «Dio dei filosofi» e «Dio di
Gesù Cristo». Andando comunque alla radice del problema del tradimento della
metafisica cristiana (Tomismo) da parte di Cartesio e del conseguente
illuminismo, Del Noce individua come unica possibile condizione per tale
tradimento il rifiuto del peccato originale come male metafisico e quindi il
rifiuto dello «status naturae lapsae» di cui proprio il Cristo sarebbe il
redentore: senza alcuna natura umana da redimere, cioè senzanecessità di alcun
redentore, il razionalismo ha sostituito il peccato con l'ignoranza e Dio con
la ragion critica, rifacendosi così ad un pelagianesimo laicizzato che da solo
rende possibile una qualsiasi forma di ateismo. Egli nota, infine, che avendo
rifiutato la radice metafisica del male se ne è dovuta cercare quella fisica o
psicofisica, secondo gli schemi ideologici che nel Novecento avrebbero reso la
psicanalisi e la psicologia gli elementi complementari allo scientismo per una
completa e non riduttiva visione del mondo senza Dio, e per una definitiva
«ateologizzazione» della ragione. Compimento e dissoluzione del marxismo
Riguardo al marxismo e alla sua interpretazione Del Noce scrisse due opere,
ovvero Il cattolico comunista e Il suicidio della rivoluzione, che
costituiscono la continuazione de Il problema dell'ateismo in quanto in esse il
filosofo analizza più dettagliatamente solo una delle linee filosofiche
originate da Cartesio, quella razionalistica, cioè quella che nella storia
moderna fu vincente nella sua estensione politica, nel tentativo di trovare e
di dimostrare la continuità necessaria fra razionalismo, materialismo, marxismo
e infine nichilismo, quest'ultimo inteso come cifra problematica della civiltà
postmoderna. La giustificazione epistemologica di questa analisi è data
dal fatto incontestabile che la storia del Novecento inizia da un fatto
filosofico, ovvero dal passaggio della filosofia marxiana in azione politica,
ovvero dalla coerentizzazione di quella che Del Noce definisce la
«non-filosofia di Marx»: da ciò appare non solo giustificato ma anche
necessario portarsi sul piano storico della filosofia per comprenderne il suo
portato teoretico, e così disinnescarne il suo sostrato ideologico. Si affianca
a diversi filosofi, quali ad esempio Voegelin, per rintracciare l'inizio della
cosiddetta secolarizzazione, il cui compimento sarebbe stato appunto il marxismo
e poi il nichilismo, nel sequestro della nozione di «progresso» da parte di
filosofie laiche dalla teologia di Gioacchino da Fiore, o meglio
dall'interpretazione di tale teologia: ben nota è infatti la distinzione
gioachimita nelle tre età della storia, l'Età di Dio-Padre (Ebraismo), l'Età di
Dio-Figlio (Cristianesimo) e infine l'Età di Dio-Spirito che avrebbe dovuto
superare i «limiti» del Cristianesimo ed estendere l'elezione e la salvezza in
modo universale. Di tale teologia mistica e profetica si appropriò lo
gnosticismo sviluppatosi in seno al Cristianesimo stesso ed estesosi pian piano
oltre i confini delle filosofie razionalistiche del Settecento e soprattutto
dell'Ottocento. Del Noce nota infatti una sorta di dialettica nata all'interno
dell'illuminismo settecentesco non tanto fra atei e deisti bensì fra
rivoluzionari e conservatori, ovvero fra il puro giacobinismo ghigliottinatore
dell'«ancien Régime» e il progressismo che caratterizzò invece la fase
dell'illuminismo dopo la degenerazione della rivoluzione francese in Terrore,
ovvero la fase dei cosiddetti ideologues, fra i quali Cabanis e Condorcet. Il
punto attorno a cui si sviluppava tale dialettica fu appunto la differente
filosofia della storia che aveva caratterizzato l'illuminismo pre-rivoluzionario
e l'illuminismo post-rivoluzionario, in quanto il primo aveva escluso una
qualsiasi evoluzione storica e necessaria dell'umanità e aveva anzi condannato
il Medioevo con la storiografia della leggenda nera, mentre il secondo aveva
invece rivalutato l'intera storia pre-illuministica (sia pagana che cristiana)
considerandola come momento dialettico necessario pur se negativo della storia
universale. In questo senso Del Noce ha potuto mettere in parallelo
l'opposizione fra illuminismo giacobino e spiritualismo in Francia e quella fra
kantismo e hegelismo in Germania, ove spiritualismo e hegelismo sono state
filosofie vincenti in quanto hanno assorbito in sé il momento rivoluzionario e
negativo dell'illuminismo per poi superarlo nella formazione di quella
filosofia della storia che ebbe certo in Hegel il suo culmine. Riguardo al
binomio illuminismo-spiritualismo la critica vincente del secondo sul primo è
stata quella di un estremo e insostenibile riduzionismo rappresentato dal
sensismo di Condillac, in altre parole è stata la critica di ridurre la
comprensione del mondo al pari di ciò che lo stesso illuminismo aveva accusato
la religione di aver fatto. In questo contesto è la nascita della visione
sociologica del mondo a rappresentare il tentativo di superare questa aporia
illuministica senza tuttavia dover ritornare alla metafisica tradizionale: Del
Noce insomma sostiene il trapasso dell'illuminismo in socialismo, non a caso
nato in Francia, intesa questa come dottrina che dell'illuminismo mantiene il carattere
utopistico (socialismo utopistico) e quindi anti-tradizionalistico, ma ne
sconfessa invece il deprecabile riduzionismo che ancora non permetteva
un'adeguata analisi della società ai fini della rivoluzione politica. In
Germania invece la dialettica fra kantismo e hegelismo, con netta vittoria
dell'hegelismo, ha come punto di svolta la riconsiderazione hegeliana della
storia come storia dell'Assoluto («storia di Dio»), secondo il ben noto
schema gioachimita che vedeva in ogni momento storico un grado dimanifestazione
dell'Assoluto, e quindi «necessario» pur nella sua negatività. In questo senso
Hegel è colui che diede forma alla corrente tradizionalistica dell'illuminismo,
ove la tradizione non è più peròcome per Tommaso d'Aquinol'insieme delle verità
eterne e immutabili che solcano trasversalmente la dimensione temporale
mediante il passaggio delle generazioni, ma è bensì la struttura dialettica
eterna che necessita l'evoluzione delle verità, e quindi la sua
temporalizzazione. Per questo Del Noce afferma che l'idealismo hegeliano
ebbe nei confronti del kantismo la medesima funzione che in Francia ebbe il
positivismo comtiano nei confronti del socialismo utopistico: egli ricorda la
critica di Comte nei confronti dell'illuminismo settecentesco, la sua rivalutazione
della tradizione (in senso dialettico), nonché la celeberrima teoria degli
stadi che costituisceancora una voltauna forma secolarizzata della teologia
gioachimita. È dopo questa dettagliata analisi che Del Noce innesta il discorso
sul marxismo, il quale appunto si configuròper stessa ammissione di Marxcome
ripresa critica di Hegel attraverso la filtrazione di Feuerbach e della
sinistra hegeliana (celebri sono le marxiane Tesi su Feuerbach) e come fusione
fra la dialettica hegeliana e la politica del socialismo utopistico: alla base
del cosiddetto socialismo scientifico rimane ancora il desiderio di palingenesi
politica propria di Saint-Simon o di Fourier, ma onde evitare il risibile
utopismo di questi ultimi ad esso Marx applicò la dialettica hegeliana con cui
solamente si sarebbe potuto analizzare il capitalismo e prevederne così il
«necessario» fallimento. A tal punto però l'analisi marxiana di come
potrà nascere la società comunista introduce l'elemento di distacco non solo
dall'idealismo hegeliano ma anche dalla filosofia stessa, ovvero la necessità
di tradurre il pensiero analitico in azione politica e di affidare alla storia
invece che alla ragione il compito di dimostrare la verità delle tesi marxiane.
In questo Del Noce si riallaccia a una lunga storiografia socialista, uno dei
cui esponenti più noti è per esempio Lukács, che afferma la stretta e
necessaria continuità fra filosofia di Marx e di Engels, politica di Lenin e
politica di Stalin, senza concedere alcuna differenza né alcuna opposizione fra
socialismo reale e socialismo ideale (quasi a guisa di giustificazione
storica). Il fattore fondamentale di continuità fra Marx e Lenin è infatti
quella struttura tipicamente gnostica che equalizza il male all'ignoranza e il
bene alla conoscenza e quindi divide il genere umano fra la massa degli
ignoranti e la ristretta cerchia degl’lluminati, che nella riflessione
leniniana erano gli intellettuali borghesi che per una non spiegata differenza
dal resto della borghesia avrebbero potuto e dovuto guidare la rivoluzione; in
questo senso la politica leniniana, poi proseguita coerentemente nella politica
staliniana, sarebbe stata l'incarnazione perfetta nonché l'unica incarnazione
possibile della filosofia marxiana, e non invece -come è tesi di una certa
apologetica socialista- un tradimento di Marx. Ancora una volta si rifà a
una lunga storiografia critica nel considerare il marxismo non come una
filosofia ma come una religione, ma a ciò egli aggiunge la dimostrazione non
del suo carattere di religione civile bensì di religione gnostica: in tal modo
il marxismo leninista sarebbe davvero il compimento del razionalismo ove
quest'ultimo è inteso come gnosticismo laico, religione non di Dio ma
dell'Idea/ideale che non ha bisogno dell'Incarnazione di un Dio-Uomo in quanto
l'uomo stesso avrebbe potuto e dovuto far incarnare tale Idea nel mondo
attraverso la sua azione. Questo è il senso dell'appellativo delnociano di
«non-filosofia» per il marxismo, giacché la contemplazione metafisica in
esso viene interamente assorbita dall'azione politica, in quanto per Marx la
politica è la vera metafisica al pari di come per Nietzsche lo è la
morale. Eppure è proprio questo punto a costituire secondo Del Noce la
contraddizione fondamentale interna al marxismo e quindi la causa prima del suo
fallimento storico: se infatti la «riconciliazione con la realtà» iniziata da
Hegel, proseguita da Feurbach a portata a compimento da Marx deve rivoltare
l'intera comprensione del mondo in trasformazione del mondo, cioè in rivoluzione,
allora in ciò non rimane giustificato il riferimento ideologico all'avvenire
come sede immaginifica della società comunista, ovvero non rimane giustificato
il carattere ancora religioso del marxismo per cui esso ha sostituito il futuro
all'eternità e il lavoro dell'uomo alla redenzione del dio-uomo. Il
fallimento storico del comunismo, quindi, sarebbe stato non solo la
dimostrazione sperimentale della falsità delle teorie marxiane ma anche il
coerente compimento del marxismo come auto-distruggersi nella sua forma di
religione. Con ciò si spiegherebbe per Del Noce l'attivismo comunista nonché la
graduale decadenza del socialismo nel mondo fino alla sua profetizzata fine,
simboleggiata dalla caduta del Muro di Berlino. È propria di lui infatti la
teoria secondo cui il compimento e la dissoluzione del marxismo non siano due
momenti separati o addirittura opposti, ma siano bensì il medesimo momento
dispiegato coerentemente nel tempo. L'interpretazione del fascismo Sul
fascismo e sulla sua interpretazione in stretta relazione al marxismo dedicato
gran parte dei suoi studi e delle sue opere, partendo appunto dalle opinioni
comuni e molte volte ideologiche degli storici nei confronti del fascismo e
delineando una struttura paradigmatica tanto controversa quanto precisa e
fondata. È a partire dalla definizione data dallo storico tedesco Ernst Nolte
di ogni movimento fascista come «resistenza contro la trascendenza», intesa
come trascendenza storica e non metafisica, che Del Noce sottolinea la
continuità fra questo serio giudizio e la communis opinio del fascismo come
movimento reazionario, per questo tradizionalista e nazionalista, e per
converso di ogni forma di tradizionalismo e di nazionalismo come rimando
implicito e forse inconscio al fascismo. Di questo fa una critica
serrata, facendo notare innanzitutto le origini culturali dei due fondatori del
fascismo, cioè Gentile e Mussolini, come antitetiche rispetto a ogni forma di
politica reazionaria, tradizionalista e nazionalista e come invece affini
rispetto al socialismo, del quale Mussolini in particolare fu un esponente. Si
noti che l'obiettivo che Del Noce intende colpire e abbattere è quella generale
concezione del fascismo come momento singolare e controcorrente rispetto
all'intera storia moderna, dalla rivoluzione francese in poi, mentre ciò che
intende mostrare è la continuità quasi necessaria che è posta fra l'hegelismo,
il marxismo e il fascismo come tre momenti dell'unico processo di
secolarizzazione. Il filosofo inizia quindi dall'analisi della figura storica
di Mussolini e della sua formazione culturale, notando il suo giovanile
anticlericalismo, il suo spontaneo confluire nel socialismo, e il seguente
superamento di quest'ultimo per l'evoluzione fascista del suo pensiero. È in
particolare sul concetto di «rivoluzione» che pone l'accento, essendo
questo un concetto base del marxismo che però, attraverso l'incontro
mussoliniano con la tedesca «filosofia dello Spirito» risorgente in Italia,
dovette radicalmente trasformarsi e portarsi dal livello sociale della «classe»
a quello personale del «soggetto». È insomma l'incontro intellettuale di
Mussolini con la filosofia di Gentile ad aver reso necessaria la trasformazione
della rivoluzione in un senso non più finalistico o escatologico (come era nel
marxismo puro, il cui fine è appunto la società comunista) ma in un senso
propriamente attivistico e lato sensu solipsistico, in termini gentiliani cioè
attualistico. Con ciò Del Noce può connettere la psicologia di Mussolini con il
vero e proprio formalismo pratico del fascismo, il quale non aveva in realtà
alcun contenuto definito, ma proclamava bensì una forma di azione tanto vaga e
generale da poter attrarre a sé ogni sorta di ceto sociale (anche il
proletariato) e di frangia ideologica, in alcuni momenti persino quella
marxistica. Il concetto di «rivoluzione» infatti contiene in sé già un
termine finale ben preciso verso cui lo stato attuale del mondo andrebbe
rivoluzionato, mentre nella politica fascista il termine rivoluzione deve
necessariamente essere sostituito dal termine «riforma» (si pensi appunto alla
riforma Gentile) in senso non più tradizionale, cioè come ri-formare ciò che è
stato de-formato, bensì in senso creazionale, cioè come dare una nuova forma
(indefinita) alle antiche cose, perciò rimane un concetto molto affine a quello
di marxistico di rivoluzione, e permette l'affiancamento ideale dell'attualismo
gentiliano al modernismo teologico fiorente a quel tempo e condannato come
eresia dalla Chiesa. Saggi: “Teologia della storia” (Torino, Filosofia);
“La solitudine di Faggi” (Torino, Filosofia); “L'incidenza della cultura sulla
politica italiana, Cultura e libertà” (Roma, 5 lune); “A-teismo” (Bologna,
Mulino); “Riforma e filosofia” (Bologna, Mulino, Brescia); “In contra del domma
cattolico-romano” (Torino, Erasmo); “Contra il domma cattolico-romano” (Milano,
UIPC); “L'amore di Dio” (Torino, Borla); “Il secolare” (Milano, Giuffrè); “Il
partito comunista italiano” (Roma, Europea); “Il suicidio di un rivoluzionario”
(Milano, Rusconi); “I comunisti” (Milano, Rusconi); “L'interpretazione trans-politica
della storia contemporanea,” Napoli, Guida, “Secolarizzazione e crisi della
modernità” (Napoli, Benincasa); “Gentile: per una interpretazione FILOSOFICA
del fascismo” (Bologna, Mulino); “Da Cartesio a Serbati” -- Scritti vari di
filosofia,” Milano, Giuffrè); “Esistenza e libertà.” Spir, Chestov,
Lequier, Renouvier, Benda, Weil, Vidari, italiano Faggi, Martinetti, italiano Rensi,
italiano Juvalta, italiao Mazzantini, italiano Castelli, italiano Capograssi” (Milano,
Giuffrè); “Rivoluzione, Risorgimento, Tradizione”; Scritti su l'Europa e altri,
Milano, Giuffrè); “I cattolici e il progressismo,” Milano, Leonardo, “Fascismo e anti-fascismo:
errori della cultura” (Milano, Leonardo); “Il laico”; Scritti su Il sabato (e
vari, anche inediti), Milano, Giuffrè); Pensiero della Chiesa e filosofia
contemporanea. Leone XIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II” (Roma, Studium); “Verità
e ragione nella storia. Antologia di scritti, “ I. Mina, Milano, Biblioteca
Universale Rizzoli); “Modernità. Interpretazione transpolitica della storia
contemporanea” (Morcelliana, Brescia.). Del Noce insegna nel capoluogo
piemontese. G. Bozzo. Del Noce, il filosofo della libertà politica). Augusto Del Noce, «Idee per l'interpretazione
del fascismo», Ordine Civile. E tra i componenti del comitato promotore del
referendum abrogativo antidivorzista) e più tardi sull'aborto. premio Rhegium Julii, su circolorhegiumjulii.wordpress.com.
P. Armellini, Razionalità e storia, in Il pensiero politico, Roma, Aracne editrice,
Massimo Borghesi, Augusto Del Noce. La legittimazione critica del moderno.
Marietti, Genova-Milano.[collegamento interrotto] Luca Del Pozzo, Filosofia
cristiana e politica, Pagine, I libri del Borghese, Roma, S. Fumagalli, Gnosi
moderna e secolarizzazione nell'analisi di Emanuele Samek Lodovici ed Augusto
Del Noce, PUSC, (scaricabile in PDF dal sito sergiofumagalli) Gian Franco Lami,
La tradizione, Franco Angeli, Milano, Marietti, Genova-Milano. Enciclopedia
ItalianaV Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Pietro Ratto,
Ipotesi sul fondamento dell'essenza dissolutiva del marxismo e del fascismo, in
Boscoceduo. La rivoluzione comincia dal principio, Sanremo, EBK Edizioni
Leudoteca, Ambrogio Riili, Augusto Del Noce interprete del Marxismo. L'ateismo,
la gnosi, il dialogo con Volpe e Goldmann, in Centotalleri, Saonara, il prato, Francesco
Tibursi, Il pensiero di Augusto del Noce come Teoria sociale, in Andrea
Millefiorini, Fenomenologia del disordine. Prospettive sull'irrazionale nella
riflessione sociologica italiana, Societas, Roma, Nuova Cultura, Xavier
Tilliette, Omaggi. Filosofi italiani del nostro tempo, traduzione di G.
Sansonetti, Brescia, Morcelliana, Natascia Villani, Marxismo ateismo
secolarizzazione. Dialogo aperto con Augusto del Noce, in Pensiero giurdico.
Saggi, Napoli, Editoriale Scientifica, Augusto Del Noce, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Repertori Bibliografici, su centenariodelnoce).
La metafisica civile: ontologismo e liberalismo dalla rivista telematica di filosofia
Dialeghesthai. P. Ratto, Laicità e Democrazia: da Del Noce a Giotto, su BoscoCeduo,
Democrazia e modernità in Augusto Del
Noce, articolo dal mensile 30Giorni. L'inseparabilità dei Tre. La modernità, di
Andrea Fiamma Centro Culturale,//centrodelnoce. Fondazione //fondazioneaugustodelnoce.net.
centenariodelnoce. Articoli di Del Noce «Il dialogo tra la Chiesa e la cultura
moderna» da Studi Cattolici. «L'errore di Mounier» da Il Tempo. «Risposte alla
scristianità» da Il Sabato. «La sconfitta del modernismo» da Il Tempo. «La
morale comune dell'Ottocento e la morale di oggi», tratto da Il problema della
morale oggi. «Rivoluzione gramsciana», tratto da Il suicidio della rivoluzione.
«Origini dell'indifferenza morale» da Il Tempo. «Le origini dell'indifferenza
religiosa» da Il Tempo. «Religione civile e secolarizzazione» da Il Tempo. «Un
dramma europeo: il dissenso cattolico» da Corriere della Sera. «Questi poveri
cattolici minacciati dal suicidio» da Il Sabato «In stato di
porno-assedio»[collegamento interrotto] da Il Sabato. «La più grande vergogna
del nostro secolo» da Il Sabato. «Fu vera gloria? La resistenza 40 anni
dopo»[collegamento interrotto], tratto da Litterae Communionis. «Una colomba,
non un santo (caso Bukarin)» da Il Sabato. «Intensità d'una gran illusione
(Dossetti e dossettismo)»[collegamento interrotto] da Il Sabato.
«L'antifascismo di comodo» da Corriere della Sera. «Togliatti? Un perfetto
gramsciano. Polemica su Gramsci»[collegamento interrotto] da Il Sabato.
«Il nazi contagio» da Il Sabato. «La morale catto-comunista» da Il Sabato.
«Abbasso Mazzini» da Il Sabato. «I lumi sull'Italia»[collegamento interrotto]
da Il Sabato. «Recensione del romanzo di Benson "Il Padrone del mondo"»
dal mensile 30Giorni. «Filo rosso da Mosca a Berlino (Hitler-Stalin)» da Il
Sabato. «Le connessioni tra filosofia e politica»[collegamento interrotto] da
Il Tempo. «Pci, l'impossibile conversione» tratto da Prospettive nel mondo. Grice: “Unfortunately, Noce is a philosopher, like
me. We cannot lay word on history. Had Hitler won, I wouldn’t have joined
Austin’s Play Group. Being Italian, Noce thinks different. He thinks history is
guided by philosophical principes. It wasn’t Mussolini’s charisma that led the
populace, but Gentile’s attualismo puro. He makes a good point about the
distinction between Hitler and Mussolini. Hitler is a Protestant, Mussolini
ain’t! Most in Mussolini’s circle were just as heathen as those in Hitler’s
circle – different heathenism, though. No Odin, but Giove. Not Siegrfied, but
Enea! Noce does not know the first thing about this. He never socialized with
any of the people he is philosophizing about. In any case, there’s Garibaldi, which
is a stain to Italian history. Italians, and a Ligurian friend of mine can
testify to this, never wanted the UNITY. It was forced ON them. So it’s only
natural that Gentile and Noce regard the UNITY brought by Risorgimento (alla
Fichte Hegel, and the idea of the NATION) that was furthered by Mussolini.
Mussolini did use Garibaldi imagery – saying that his movement was ‘garibalismo
puro’ – but although he (Mussolini) did write a little thing about Nietzsche,
you won’t find his name in ‘dizionari di flosofia’!” Augusto Del Noce. Noce. Keywords:
saggio su Gentile e il fascismo, Faggi, Serbati, Spir, Vidari, Rensi,
Martinetti, Juvalta, Massantini, Catelli, Capograssi. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e del Noce," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library,
Villa Grice, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51684436022/in/photolist-2mPQGvz-2mPKvMM-2mPq8eZ-2mNzeEc-2mLP6FB-2mLz32Z-2mPV6V9-2mKHdnD-2mKjsJY-2mKbfaU-Bm5t8J-Ciy7V4-Cgh13w-Ciy8ng-BmaLAt-Cgfo3s
Grice e Noferi – implicatura – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Important Italian
philosopher, especially influential at what Grice called Italy’s Oxford, i. e.
Firenze“Palla Strozzi was more a mentor than a philosopher, but I would
consider him both a Grecian and Griceian in spirit.” alla Strozzi Palla e Lorenzo Strozzi. Dettaglio
dell'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano. Grazie alla ricchezza
accumulata nelle ultime generazioni dalla sua famiglia, il padre puo far
istruire il figlio da filosofi, e grazie all'interesse e all'intelligenza, divenne
di fatto uno dei più fini uomini di cultura fiorentini. Ricco e colto,
commissiona numerose opere d'arte, tra le quali la Cappella Strozzi nella
Basilica di Santa Trinita, opera di Brunelleschi e Ghiberti. La cappella, progetto
irrealizzato da Noferi, venne fatta erigere in la sua memoria e ne ospita la
sepoltura monumentale. Per questo ambiente commissiona l'Adorazione dei Magi a
Gentile da Fabriano e la Deposizione dalla Croce a L. Monaco, terminata poi da
Beato Angelico che ne fece uno dei suoi capolavori. Collezionista di libri rari
e conoscitore del greco e del latino, si trova nvischiato nell'opposizione
strenua contro Cosimo de' Medici. Cosimo e l'uomo che per la prima volta si e di
fatto preso tutto il potere cittadino, grazie a un sistema di clientelismo con
uomini chiave alla guida degli uffici della repubblica di Firenze. Davanti a
lui solo due strade sono possibili: l'alleanza accettando un ruolo subordinato
o lo scontro frontale. Forte della sua ricchezza e fiero della propria cultura,
e a capo della fazione anti-medicea assieme ad un altro oligarca indomabile,
Albizi. La fortuna arriva alla sua fazione, riuscendo ad ottenere prima
l'incarcerazione di de’ Medici, poi la dichiarazione del medesimo come magnate,
cioè tiranno, ed il suo conseguente esilio da Firenze. Il suo obiettivo
comunque non e tanto l'eliminazione di un avversario, ma la restaurazione della
“liberta”. In questo e diverso d’Albizi.
Intanto de’ Medici manda già segni di prepararsi a un ri-entro, che
avvenne puntuale al cambio di governo con il veloce avvicendamento dei
gonfalonieri. Tra i primi provvedimenti vi è proprio la vendetta sugli
avversari, con l’esilio del filosofo e d’Albizi. In questo de’ Medici e favorito
anche dall'appoggio popolare che lui e la sua casata si sono saputi
conquistare. Quindi parte per Padova. Il suo palazzo a Padova e un ritrovo di
filosofi, nel periodo d'oro quando la città veneta era uno dei centri culturali
più notevoli della penisola italiana, per certi risultati artistici più
importante della stessa Firenze. Si pensi ai capolavori lasciati proprio da due
fiorentini come Giotto o Donatello. Lascia la sua raccolta di libri rari,
arricchita ulteriormente durante il suo soggiorno padovano, al monastero di
Santa Giustina. Muore a Padova nel suo palazzo verso il Prato della Valle. Sepolto
nella vicina chiesa di Santa Maria di Betlemme. Cavaliere dello Speron d'oro nastrino
per uniforme ordinaria cavaliere dello speron d'oro Marcello Vannucci, Le grandi famiglie di
Firenze, Roma, Newton Compton, R. Palmarocchi, La famiglia Strozzi, in
Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “His
main claim to philosophical fame is in his character- unlike Alibizi’s and
indeed Medici. He loved freedom, and chose to settle in Padova, although his
roots were well in Firenze. He built hiw palace in Padova in Prato del Vallo to
gather philosophers, since what’s the good of knowing the classics if you
cannot converse? He never touched a university! His ‘bibliotheca’ is legendary!
Strozzi-Noferi. Noferi. Keywords: “Beautiful painting (by Gentile da Fabriano) of
Noferi. Very Italian in an exotic sort of way!” – Grice. Refs.:Luigi Speranza, "Grice e Strozzi-Noferi --
Grecian, Griceian," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library,
Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51743117035/in/datetaken/
Grice e Nola – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Crotone). Filosofo. Gice: “At Oxford, we are proud of our
philosophy, at Bologna, and in Italy in general, they are proud of their
physicians, as they call them – students of nature!”. Di origini napoletane e
zio di Molisi, insegna per lungo tempo a Napoli. Discepolo di Altomare, divenne
noto per suo saggio, “Quod sedimentum sanorum, aegrorumque corporum non sit
eiusdem speciei adversus Ferdinandum Cassanum et alios contrarium sentientes.” Cf.
G. Marruncelli, Elementi dell'arte di ragionare in medicina” (Napoli, Gabinetto);
S. Renzi, “Storia della medicina” (Napoli,
Filiatre-Sebezio); Adalberto Pazzini, La Calabria nella storia della medicina,
Roma); Lavoro critico (Bari, Dedalo). La Famiglia dei Nola. Molise, Archivio
storico di Crotone. 1,quemadmodum Ciuitatestunc optime
gubernātur,(vtinquitPlatoinlib.de Philo.) cùm iniustidantpænas: perin so&
impudenter, impugnant, accontra dicunt, optimèquoquereor,& scien tiæ, &
artessehaberent. Nam ueras CLARISS. ALTIMARI discipulo,Au&ore. Med .Doctore
scientiasacartesperfetè ,& breui cuns & isaffequiliceret: atqueitaetia
muerèscientes, acoptimosartifices fieri. Nuncueròcumlex falso contradicentibus
Statuta nullafit, no immeritòe inoptimosuiros, arbitror, impurißimumquenqueac
ineruditumiuueneminuehiandere. & admodum paucos uere scientes, artifices
quereperiri, cum& paffim fcribere omnibus liceat, & unicuique
sententiam ferreapudvulgus. Adde, quòdnefcio quo fato datum etiam fit
quibusdam, eafdem docere artes, ac publicè profiter i , qui uel omnino inertes
fint, autparumeasintelligant: cùm ueròne sciant,
scireautemseputant,mirumnonestfidgeipfierrent, & alios aberrarecogant.
Quandoquidem oporteret (utinquitidem Plato in Alcib.) eos qui aliquid
doftursiunt,priufquamdoceant,intelligere, fix OVOD SANORVM AEGRORVMQVE
SEDIMENTV M IOANNE Andrea Nola Crotoniața Artium & bique fuoq;
martese dimenti ueritate mueftigauitad Hippo. es Gal.fententiam quemadmodumo
non nulla alia nonminu sad Artem medicam utilia quàm necessaria,
utinreliqusfuisfcriptispalàmestuidere:) Sedcum hacfole clariorafint,
pateantquecun&tis Artismedicæcandidatis, quirenera medicisunt,nedum
inuniuersaItalia,uerumetiaminto tafere Europaincolentibus; mea approbationenon indigent.
Attem puseft ut adiftorum ignorantiam castigandam, ac in numeros errores
patefaciendos, accedamus. Nosueroeo, quo scriptifunt, ordine, eos
animaduertemus, etiam fiad Sedimentorum naturam manifestandam non conferant; ut
discant studiosiquam maxime', nedum Artis medis ca, sed Philosophia, &
Dialeticæ feimperitosese oftendant; quanto veliuore impulsitali ascribere
conatifuerint. Cumuero futurun fitut hominem reprehendamin doctum, ftolidum,
opinione sua sapientem,nugisinterineruditosiuuenesuersatum inuniuersauita,
queso, candidiß.lector,liceatmihiuerbishuiusignorantiamcastigareasperio
nibus,quibusegoutialioquinonfoleo. Cùm primiminprimapagellahicuirdănassettum
Plusquamcom mentatoris, tum etiam Neotericorum opinionemdesedimento (quiz
whipseait, quamuis. iaftenturfcopumattigile, longèalijsfalluntur)
Sedimentum SANORUM ægrorumý; corp. biqueconsentire, e nondissidere: hæcetenim
bonos decet præcepto ses utipfeait. quod sitafieretnequehic incognitus nescio quis
Ferdinandus Cassanus, tam fuisse taudaxs atque impudens, ut feuerisoppo neret,
nifiexilis esset, quiomnemfunditus pudorem exuerunt, neque afuis præceptoribus malèeruditusacimpulsus,
(eorumtamen opinio nefapientibus) totaususfuissetscriberenugas. Quas omnes
passimin minibus artis medicecandidatis, seclusoliuore,manifestareconabor,
quõhuiusuiri ignorantia, fimul quetemeritas castigetur. difcantque reliquiin
posterum quàmmalum sitoptimis, aceruditiß. uirisindies utilia, Artisg; medicæapprimè
necessaria,& uerissima scribentibus; O ut summ a t i m dicam, universam
pene medicinam illustrantibus, fal Socontradicere. Non autem ,
uteaquæadoctissimoac Clariß.Alti maro præceptore meo de sedimenti in urinis scripta
sunttuear, sunt et enim ad eòscitèacdo Etéconscripta, éghæc, &
reliquaomniaque hactenusinluce medidit, acualidiß.auctoritatibus &
rationibuscom probata, utnedumiftorumuirorumnugasnon curent, sed quorumuis
etiamaliorum do tiffimorum ,fiquæ essent contradictiones paruifa. ciant, ipsea;
primus omnium quosuiderim, propriainuentione cumque 1 cumque
neutri, fuooptimoiudicio, ueritate mattigerint,et fimulli.
Uorepercituseosdemrecentiores scriptores calumniasset, quorumnca quidem calciamentasolueredignusesset,eisquefalsotribueretcunéta
quaibitemerenarrat.cõfestim,utipfeait; in fecüda ueritatë protulit quam desedimentosentit,
quæquantisscateaterroribus,quantumus averitatealienafit, & Gal. sententia
demonstrabimus, ubialiosprius ciuserroresin eadem f ecunda pag. conscriptos,
manifeftauerimus: Aitetenim {senolle tempus contererecircaurine generationismodă,
Giovanni Andrea de Nola. Nola. Keywords:
Crotone, Plato, Nola-Molise, corpus sanum, focal unification, Owen, Pantzig,
brennpunktbedeutung, Grice, Aristotle, Metafisica, ‘unificazione focale’ –
universale: ‘sanitas’ instantiazione: corpus sanum, corpi sani. Refs.: “Grice e
Nola” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742201656/in/datetaken/
Grice e Noto – IVPITER – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Pollina). Filosofo. Grice: “Italian philosophers, must be for St. Peter, who DIED
there – are obsessed with God – Noto wrote his thesis on that, evidence and
lack thereof for God – the part concerining the refutation for those who deny
evidence is fascinating! And typically of an Italian philosopher, he narrows
down his research to ‘secolo XIII,’ where we at England and Oxford hardly
existed!”Fa gli studi ginnasiali al Convento di Giaccherino e al Convento del
Bosco ai Frati. Vestì il saio francescano a Fucecchio e professò. Studia filosofia
a Lucca, Bosco ai Frati, il Convento di San Vivaldo, Fiesole, Siena e il Convento
di Sargiano. Emise i voti a Fiesole e fu ordinato sacerdote a Siena. Andò a
Parigi e frequentò l’Istituto Cattolico, la Sorbona e il Collège de France. Conseguì
il Dottorato in filosofia e il Diploma di studi superiori alla Sorbona. Essendo
andato a Londra per alcuni mesi ebbe il Diploma di lingua inglese che in
seguito perfezionò tornando ogni anno a Londra nel periodo estivo. Pubblicò la
tesi di laurea “L’evidenza di Dio nella filosofia del sec.XIII" (Ed. MILANI,
Padova). Si imbarca per l’Egitto e si stabilì a Ghiza dove insegnò. Lì ricoprì
gli incarichi di Guardiano e Maestro dei Chierici. Torna in Italia e fu per un
anno direttore di un grande hotel di Montecatini Terme. Si trasfere a Figline
Valdarno per l’insegnamento all’Istituto “Marsilio Ficino”. Si iscrisse alla
Università Cattolica dove conseguì il Dottorato in filosofia valido in Italia.
Aveva iniziato l’insegnamento della lingua inglese alla scuola per infermieri
dell’ospedale di Figline e un corso serale per adulti. Crea un laboratorio
linguistico per facilitare e perfezionare l’apprendimento delle lingue. Deceduto
nell’Ospedale di Figline Valdarno per edemapolmonare acuto da miocardite in
diabetico. Affetto da grave forma di diabete, si era sentito male nella notte
dell’11 novembre, ma dopo aver prolungato il riposo mattutino aveva tenuto
lezione fino a mezzogiorno. Prese allora poco cibo e tornò a riposarsi. Alle 18
andò alla preghiera comune e alle 18.30 tenne il corso di lingua inglese per
adulti. Alle 20 mentre era a tavola fu chiamato il medico cardiologo che ordinò
il ricovero urgente in ospedale. Qui alle 2.25 la sua vita è stata stroncata da
un complesso attacco cardiaco polmonare.
Ai funerali, presieduti dal Padre Provinciale nella Chiesa di San
Francesco in Figline erano presenti tanti religiosi e sacerdoti, i parenti,
molte suore oltre che un grande pubblico di studenti e popolo che riempiva la chiesa.
È stato sepolto nel cimitero di Montemurlo. Convento di Giaccherino Convento
del Bosco ai Frati Convento di San Vivaldo Convento di Sargiano Montemurlo L'evidenza di Dio nella filosofia del secolo
XIII. Grice: “Noto is playing with his surname. There’s no ‘significare’ in
Italian. They use ‘notare’ – Now, how is God signified? When Cicero said ‘god’
he meant Jupiter. Ask Ganymede: The literal truth is Ganymede was killed in
self-inflicted accidental with a boomerang. Her mother said: “His corpse is
here, but he was raped by Giove --. Taking this narrative literally – Ganymede
was RAPED, so the rape is the way the god gets ‘noted’.
Noto. Keywords: IVPITER -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Noto” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742384608/in/datetaken/
Grice e Novaro – implicatura ligure – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Diano Maria).
Filosofo. Grice: “Novaro comes from my favourite area in Italy, “La riviera
ligure”!” Grice: “Novaro wrote a nice little treatise on the nature of the
infinite – a concept which fascinates me!” --Fratello di Novaro, nacque da
famiglia economicamente agiata e dopo aver condotto brillantemente gli studi
liceali, ottenendo la laurea a Torino. Si stabilì a Oneglia dove fu assessore
comunale per il partito socialista. Dopo avere per breve tempo insegnato nel
locale liceo, con i fratelli si occupò dell'industria olearia intestata alla madre
Paolina Sasso. Pur dedito all'attività
imprenditoriale fece parte attiva della vita letteraria dei primo anni del
Novecento e fondò la rivista “La Riviera Ligure,” da lui diretta fino alla sua
cessazione. Ospitò nel suo giornale filosofi come Pascoli, Roccatagliata,
Jahier, Boine e Sbarbaro. Scrisse saggi
di carattere filosofico e raccolse tutte le sue poesie, che hanno come tema
principale il bellissimo paesaggio ligure, in un volume intitolato Murmuri ed
echi che vide le stampe. Fu anche il curatore dell'edizione delle opere di
Boine che sentiva affine negli interessi soprattutto di carattere etico. Saggi: “Finito ed iinfinito” (Roma, Balbi), “Murmuro
ed echo” (Napoli, Ricciardi) – cf. Grice, “Implicatura ecoica” --; “All'insegna
del pesce d'oro” (Genova, Devoto). Dizionario Biografico degli Italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La Riviera Ligure Nicolas Malebranche. Tra
Diano Marina e Oneglia: i luoghi dei fratelli Novaro, su parchiculturali.
Fondazione Mario Novaro, Genova, su Fondazione novaro. Scheda biografica nel
sito della Fondazione Mario Novaro, Genova, su Fondazione novaro -- Se il
concetto di “infinito” è stato dal sorgere della filosofia italiana, uno
degl’oggetti più costanti degl’uomini, il progresso verso una definitiva
soluzione delle difficoltà che esso presenta non e tuttavia che
straordinariamente lento. A ciò à sopratutto contribuito il rilegare, come a
priori, l’infinito fuori del campo appunto della filosofia e si considera
il regresso all’infinito una fallacia! Poiché quando si ammette senz’altro
che, essendo l’uomo finite, non si può pretendere eh' esso arrivi a comprendere
l’infinito! Hobbes, De corpore, XXVI, l ; Descartes, Principien, ediz.
Kirclimann, p. 12,14, 66 ; GALILEI, Opere (Milano, 1811) X, 350-51;
Locke, Essay on humane nnderslaning, ediz. Ward, World Library, p. 152;
Hume, Treatise, ediz. Selby-Bigge, 26. 32,39,43; cfr. anche Jevons,
Principia of Science, 2“ ediz. pp. 766-768. S’è già troncata la questione
senza neanche avei’la posta. S’è lasciato intatto il mistero che
sembra involgerla. Già tutti i concetti che in qualche modo ebbero una
stretta attinenza con altri concetti ontologici dovettero per questo attendere
a lungo prima di venir trattati in corretto modo analitico. La oscurità
misteriosa del concetto di “infinito” si ripercorse naturalmente negli
oggetti nei quali esso poteva trovare applicazione, come il tempo, lo
spazio, la materia, l’universo, l’essere. Anzi si comincia dapprima ad
accorgersi delle difficoltà del concetto di “infinito” non cosi in
astratto, ma nell’esame degli oggetti ai quali la infinitezza pareva
doversi attribuire. Tanti secoli prima della ripresa della questione
per Locke, trattarono il problema con sommo acume dialettico i
veliani de Velia -- Sugli Eleati e la loro importanza, vedi specialmente la
Kritische Geschichte der Philosophie del Dùhring, 3" ediz. p. 34-51. Le
difficoltà che conduceno Senone di Velia a negare la realtà dello spazio non
sono punto illusori. Cantor, Geschichte der Matematik, I, 170. Bei ihnen [i
tropi dei veliani] handelt es sich um Schwierigkeiten, denen in der
That -wcder der Philosoph noch der Mathematiker in aller Strenge
gerecht werden Kann [,,,] Zwei Jakrtausend und mehr haben an dieser
zàhen Speise gekaut, und es ware unbillig von den Veliani des
funften vorcbristlichen Iabrhunderts zu verlangen, dass sie in Klarbeit
gewesen seien iiber Dinge, welche freilich anders ausgesprocben noch
Streitigkeiten unserer Gegenwart bilden. Nò altre furono quelle che
spinsero poi Kant ai risultati della estetica trascendentale. Sebbene più
d’uno storico della filosofia davanti ai tropi di quell’ acutissimo
filosofo sentendo l’imbarazzo suo a confutarli, abbia stimato poterli
chiamare sofismi o false sottigliezze che chi le esaminasse da vicino e colla
necessaria acutezza non dovrebbe tardare a riconoscere evidentemente per tali.
E più d’uno nel confutarli à seguito, come lo Zeller, Aristotele (3) che
in questo se in altro mai fu infelicissimo. Pht/s., VI, 9.
Aristotele crede di confutare Senone di Velia (V. anche O. Apelt,
Beitrdge sur Geschichte der Grieschischen Philosophie, Leipzig, p. 275) col
dire che la dimostrazione da lui data riposa sulla falsa & i
matematici, i quali spaventati dalle conti-addizioni svelate dai veliani
avevano dovuto per forza rinunciare a far uso del concetto di “infinito” e
lasciar tanto tempo infruttuoso l’ardimento di Antifonte (1), continuarono
a lungo ad aiutarsi altrimenti per non derogare alla rigorosa esattezza
delle loro dimostrazioni (2). Cosi il concetto d’”infinito” non compare mai
esplicitamente nella geometria degl’antichi. E Archimede ha seguaci anche dopo
che il calcolo infinitesimale ha chiaramente mostrati i suoi cosi
fecondi vantaggi. Ragione principale di ciò e il non avere l’autore
stesso del concetto di “infinitesimo”, saputo mai nè pienamente giustificarlo,
nè dargli un denotato preciso, si che egli molte volte ebbe a
espri- supposizione che il tempo consti di singoli momenti (éx -J 5
v 9181 aio Èrtovi come se la critica di Senone di Velia non valesse
indifferentemente tanto per il continuo dello spazio che per quello del
tempo stesso. Cfr. Cantor, id., 173. Er (Aristotele) lòst das Paradoxon
der Duschlaufung dieser unendlich vielen Raum-punkte in endlicher Zeit,
durch das neue Paradoxon, dass innerhalb der endlichen Zeit unendlich viele
Zeittheile von unendlich Kleiner Dauer anzunehmen seien. Sul concetto di “infinito”
in Aristotele vedi specialmente Phys., Ili, 4 - 7 , De Coelo, I, 5. Aristotele
dà una divisione dei vari generi di infinito, che come sempre 0
spessissimo presso lui è più una spiegazione di parole che di concetti. Inoltre
è la sua trattazione oscura e affatto manchevole. Aristotele non accetta che
l’infinito *potenziale*, il quale nasce dal non trovar la nostra
immaginazione alcun limite così nel togliere come nell’aggiungere. Rifiuta
l’infinito attuale. L’infinito, dice Aristotele, non è grandezza nè à
parti così, come il suono è per sò invisibile (Phya., Ili, 4 ). Non
esiste dunque in realtà, perchè non v’ è grandezza cui possa attribuirsi. Ma la
contraddizione che Aristotele crede dover evitare rigettando il concetto
dell’infinito attuale è appunto nascosta invece in quello del continuo.
Altrimenti Aristotele non avrebbe così leggermente creduto di aver
superate le difficoltà dei veliani. li Montucla, Histoire cles recherches sur
la quadrature du eercìe. Paris, p.
44. (2) Hankel, Zur Geschickte der Matliematik ivi Alterthum und
Mitelaltcr, p. 120 . juersi sulla sua nozione in modo affatto
contradittorio (1). E se i filosofi non riuscirono a chiarire i loro
concetti riguardanti l’infinito trascurando la maggior parte di
aiutarsi con un esame accurato dalle difficoltà che incontrano anche i matematici,
questi dal canto loro si sono del pari in grau parte appagati dei
risultati, senza sentire troppo acuto il bisogno di rendersi conto esatto dei concetti
dei quali hanno a fare un continuo uso (2). Che anzi per le difficoltà,
oscurità o contraddizioni dell infinito tranquillamente si
rimettevano (1) Leibniz, anche quando si esprime più razionalmente intorno
ai concetti infinitesimali, conserva pur sempre in fondo una evidente
ambiguità sulla natura generale del concetto di “infinito”. Lascia
infatti alla ontologia, senza risolverla Leibniz stesso, la questione se
si diano propriamente degl’infinitamente piccoli rigorosi. E cosi tiene
pure per indifferente considerare per tali gl’infinitesimi o soltanto per
arbitrariamente piccoli. Leibniz inclina però più a tenere l’infinito
rigoroso per una finzione. V. Leibniz, Opera omnia, ed. Dutens I, 107 e
Leibniz; il/af/iema</se/»e Schriften, Gerhardt I' , e 389, dove
Leibniz pare considerare gli infinitesimi come quantità finite variabili e
cfr. Gerhardt II, 288; IV, 93; V, 322; VII, 08 e 273; Erdmann 118, 128,
18-1, dove egli parrebbe ammettere l’infinitesimo *attuale*. In altri luoghi Leibniz
è affatto incerto; ed. Dutens II, 267-68; Gerhardt, III, 81,499,516; IV,
63 e vedi specialmente un passo ivi p. 91-92. (2) Infatti dopo
l’adottamento del calcolo, una delle prime accademie d Europa, quella di
Berlino, presieduta da uno dei più grandi matematici, da Lagrange, apriva
un concorso sul concetto dell’infinito. Dice tra altro ai concorrenti. On
demande […] une thdorie clairc et precise de ce qu’ on appelle ‘influì en
mathcmati jue. On sait que la haute geometrie fait un usage continuel des
infiniment grands et des infiniinent petits. Cependant les geomètres et
meme les analystes anciens, ont eviti* soicneusement tòut ce qui approche
de l’infini, et des grands analystes modernes avouent que les termes grawleur
infmie sont contradictoires. L’Acad^mie sou- haitc donc qu’ on explique
comment on a déduit tant de theorèmes vrais d une supposition
contradictoire. Nouveaux Mémoires de l’Acad. des Sciences. Berlin, p.
12-13. come molti si rimettono tuttora, all’ongologia (1). L’unico filosofo
dal quale si sarebbe potuto aspettare qualche dilucidazione definitiva,
Corate, il quale era tanto versato nelle matematiche e che di esse à dato una
cosi bella e tuttora insuperata sistematica trattazion generale, non
solo non fa fare un passo alla questione, ma neppure seppe bastantemente
apprezzare i grandi meriti del lavoro di Carnot, il quale prepara la
soluzione definitiva. Solo Locke e Kant sono cosi i filosofi che fecero
verso di essa un passo decisive. Kant però si direbbè che lo fece in senso
reazionario, chè se Locke avesse decisamente cangiato li suo metodo
empirico e psicologico con un metodo critico, come egli in realtà è qualche
volta inconsapevolmente vicino a fare, avrebbe egli stesso còlto 1’ultimo futto
della sua fine analisi. Ad ogni modo è merito di Locke, oltre aver
risolto l’infinitamente piccolo e grande nel processo formale dell’animo,
l’aver dimostrato come un tale concetto sia solo propriamente applicabile
a grandezze, al numero, al tempo ed allo spazio. Con ciò ogni nebuloso
abuso scolastico e metafisico di esso, era reso impossibile, e ogni sua
applicazione ad altro che a concetti di grandezze diventava una pura metafora
(2). Rilacendosi da Locke e approfittando della luce che Carnot getta sulla
natura dell’infinitesimo, il Duhnng à finalmente completata la
razionalizzazione di (1) V. Leibniz, passo citato, Gerhardt IV 91-92
e Montucla, Histo!re des mathématiques III, 119. Quanto alle questioni
che la ontologia può sollevare sul concetto dell’infinito, il matematico “a
droit de ne s en pas plus embarasser que des disputes des physiciens sur
la naure de 1 etendue et du movement.” (2) Locke, On human Umlerst., cap.
XVII, 1 e 6, p. 147 questo concetto (1). L’infinito assoluto ha però Diihring
costantemente rifiutato come la più assurda contraddizione in tutti i suoi saggi
filosofici. Soltanto- nell’ultima suo saggio filosofico arriva egli ad
una luminosa distinzione dell’infinito *assoluto* dal infinito relativo.
La sua dimostrazione è però geometrica, e non insieme algebraica. Manca
quindi di generalità. Cosi si spiega come Diihring ritenga ancor ora
inammissibile l’applicazione dell infinito al tempo, che egli à
assurdamente e colla più gran forza di convinzione fatto finito nel
passato (2). Diihring vide che ove il concetto di infinito non viene
dapprima reso chiaro e incontradittorio nella matematica, la rocca in
apparenza più forte rimarrebbe in piedi a difesa del mistificante
concetto. La nozione di infinito non è però specificamente formale. Il
concetto d’infinito appartiene a quel campo della filosofia ‘speziale’, in cui
anno comuni le radici o i principi e la matematica e la logica.
La. soluzione di un problema cosi universale non può esser diversa,
ove esso venga formulato con la dovuta astrazione ed esattezza, sia che la si
cerchi nel campo piu astratto dell’ontologia della concezione universale dell’*essere*,
sia che la si cerchi nel campo dell’algebra. Non (1) V. Nat
Uri iche Dialéktik -- questo libro d’oro di puro criticismo, la cui prima
edizione è esaurita da molti anni senza che Diihring si decida a ri-pubblicarlo,
malgrado il viro desiderio di molti suoi ammiratori, quali per un esempio
v. Gizicky e Riebl. Vedi specialmente dello stesso, nei “ Xeue
Grundmitteln u. Erfindungen zur Analysis, ecc. „ il capitolo terzo.
L’analisi critica dell’infinitesimo ivi data riassumiamo noi brevemente
nel numero seguente, modificandola però nel senso della corretta legge
del numero determinato. V. sotto. (2) Cursus der Philosophie, p. 18, 19,
27, 64 ; Logik und KVssenschaftstheorie, 191 segg. è un differente problema
quello di Senone di Velia, da quello che occupa a cosi grande distanza di
tempo i matematici dal seicento in poi. 2. In tutti i problemi riguardanti
il concetto di “infinito”, le difficoltà ànno la loro comune radice nella
contraddizione fondamentale nascente dalla posizione di un infinito
numericamente dato e compiuto nel *finite* stesso. Cosi l’infinitesimo, e già
prima l’indisivibile di CAVALIERI, e pensato assurdamente quale
risultato di una infinita divisione, o come l’elemento più piccolo d’ogni
grandezza assegnabile, di cui si integra ogni grandezza finita. Più
piccolo di qualunque quantità data e pensato l’infinitamente piccolo, e
maggior d’ogni data grandezza l’infinitamente grande, arrivando
anche qui ad una infinità compiuta, come raggiungibile per via di
una sintesi successiva. Tra lo zero e una comunque piccola grandezza
dovrebbe dunque esistere qualcosa di intermedio. Questa ibrida quantità
non dovrebbe esser zero ma neppure perù una determinata quantità
per quanto arbitrariamente piccola. Essa dovrebbe esser minore d’ogni
quantità assegnabile o qualcosa che esprima l’ultimo irraggiungibile grado
di piccolezza immaginabile e prima dello zero (1). Minore d’ogni quantità
assegna- (1) Modificando la nozione di GALILEI di “momento”, già Ilobbes
define il conatus (concetto che doveva poi diventare il fondamento della
teoria newtoniana), il moto lungo uno spazio minore di qualsiasi
assegnato. Hobbes conserva, però, malgrado l’equivoca definizione,
come dell infinitamente grande (De Corpore, c. VII, il, 12 e 13) cosi dell’infinitesimo
un giusto concetto. Di quest’ultimo haa intesa infatti a essenziale
relatività. V. De Corpore, c. VII, 13; e c. XV, 2. Delimemus CONATUM esse motum
per spatium et tempus minus q’uam quarn bile è però soltanto lo zero (1);
una quantità non può venir immaginata oltre ogni assegnabile grandezza. Tra
la quantità e lo zero non vi è cotesta assurda finzione. A meno che il
dire “minor d’ogni data quantità” abbia quod datar, id est determinatur,
sine expositione vel numero assignatur ìaest per punctum. Ad eius
definitiouis explicationem meminisse oportet per punctum non intelligi id
quod quantitatcm nullam habet, sive quod nulla ratione potest dividi
(niliil enim est eiusmodi in rerum natura) sed id cuius quantità non
consideratili-, hoc est cuius neque quantitas neque pars ulta inter
demonstrandum computatur. Ita ut punctum non habeatur prò IN-DIVISIBILI.
Sed prò IN-DIVISO. Sicut edam instans sumendum est prò tempore IN-DIVISO non
prò IN-DIVIS-IBILE. - Similiter Conatus ita mtelhgendus est, ut sit
quidem motus sed ita ut neque tempori in quo fìt neque lineai per quam
fit quantitas, ullam comparationem habeat in demonstratione cum quantitate
temporis vel line cuius ipsa est pars. Quanquam sicut punctum cura puncto,
ita conatus cum Canata comparaci potest et unus altero maior vel minor
reperiri.Vedi anche c. XXVII, 1.- 11 Poisson ammette invece nel modo più
esplicito l’assurdo concetto dell infinitesimo di cui sopra è parola. Un infiniment petit est une grandeur moindre
que toute grandcur donnée de la meme nature. On est conduit naturellement
a ridde des infiniment petits, lorsqu’on considère les variations
successives d’une grandeur soumise à la loi de continuiti. Ainsi, le temps
croit par des degrés mo.ndres qu’ aucun intervalle qu’on puisse assigner,
quelque petit quii soit. Les espaces parcourus par le différents points
d’un corps croissent aussi par des infiniment petits, car chaque point ne
peut fi er d une posdion à une autre, sans traverser touts les
positions intermédiaires, et l’on ne saurait assigner aucune distance,
aussi petite qu on voudrn, entre deux positions successives. Les
infiniment petits ont donc une existence rielle, et ne sont pus seulement
un mo.ven d’investigation imagini par les giometres. Traile de mécanique,
Bruxelles, ’38, p. 6-7. ’ O) l’er questa ragione non pochi matematici,
quali Bernouille “oto^amente Eulero,
pensarono l’infinitesimo come assolutamente nullo. Anche GALILEI, sebbene con
altro linguaggio, scompone il continuo esteso in infiniti punti inestesi
o nulli senza però trovar poi il modo di farlo generare da quelli. V. GALILEI
Opere , X, 550-351 Sopra gli atomi non quanti di lui vedi Lasswitz,
Galileis Thieorie der Materie, 1 lerteljahrsschrift f wiss. Philosph.
XIII, a riferirsi non a qualcosa di
effettivo o di dato, ma al nostro animo -- il nostro volere -- come ragione
della infinita divisibilità, potendo noi sempre supporre una quantità più
piccola di ogni qualunque piccola quantità data. Come nella serie dei
numeri noi possiamo (prova Peano) farci un concetto dell’infinito aggiungimento
di unità a unità, cosi possiamo farcene uno della possibile divisione
dell'unità all’infinito. Un tal concetto non rimane tuttavia che
il campo d’una operazione che non può per la sua natura venir mai
compiuta. La infinita divisione come la infinita addizione non possono mai
senza contraddizione considerarsi come eseguite. Non si può con un salto
oltrepassare un’infinità di operazioni, ponendo l’ultima come già
compiuta, che invece non può mai essere. Ciò che esiste o è dato numericamente
quale totalità non può esser che in numero determinato (1). Un numero
infinito come qualcosa di dato o compiuto nel finito medesimo è un CONCEPTO
IMPOSSIBILE perchè vorrebbe porre ciò che insieme viene a negare. Ammesso
dunque che abbia a dirsi di una quantità che essa è minore d’ogni
possibile quantità data, ciò potrà solo razionalmente indicare che è pur
sempre possibile suppor quella come ancor più pio¬ ti) È questa la legge
formulata da Diihring sotto il nome di legge del numero determinato (Gesetz der
bestimmten Anzahl). Cfr. Kant: Kritikd. reinen Vcrn. edizione Kirchmann
pag. 432. Sohald etwas als quantum discretum angenommen wird, so ist die
Menge der Einheiten darin bestimmt, daher auch jederzeit einer Zahl
gleich. Diihring però, e qui sta il grave errore della sua teoria
dell’infinito, à tralasciato come iKant di aggiungere che tale legge à valore
appunto, come diciamo noi, solo in riguardo a grandezze che si lasciano
concepire come totalità, ossia in riguardo a grandezze comprese tra
limiti. cola di una qualunque data comunque già piccola per sè. La
illimitatezza riposa sul concetto della infinita possibilità della
ripetizione, non è dunque un concetto di effettività, ma di mera
possibilità. Il moto nevi realizza come si crederebbe l’assurdità di
una infinita divisione o di una infinità di parti nel finito. Moto non è
che il concetto di ciò che la stessa cosa si trova seguentemente prima in
un luogo e poi in un altro. Nostro APPARATO SENSORIALE non fa che
abbracciare un dato numero di posizioni diverse, e l’animo non trova
altro che il fatto ossia la cangiata posizione. Noi non
possiamo formarci nè pretendere altro chiaro concetto che quello del
passaggio da un punto all’altro. Possiamo solo, ove ce ne sia l’animo, INTER-POLARE
delle posizioni intermedie a piacere senza limite alcuno. Ma
effettivamente nè la natura nè noi possiamo fis:arne altro che un numero
determinato. È una illusione il credere che un punto, ad esempio, nel
muoversi in linea retta vei’so un altro punto fisso, e trascorrendo
secondo il concetto comune di un movimento assolutamente continuo, per
ogni posizione, trascorra con ciò effettivamente, se posso dir cosi, per
ogni grado di piccolezza. La posizione di infiniti punti distinti in una
determinata estensione è sempre e solo una possibilità ma non mai un fatto
compiuto. Di due punti immediatamente aderenti NOI ABBIAMO ASSOLUTAMENTE
CONCETTO ALCUNO. Punti inestesi o coincidono, o hanno una posizione diversa,
e allora anche una determinata distanza. 11 punte non può che passare da
uno ad un altro punto, comunque noi idealmente possiamo astrarre da
cotesti trapassi e considerare unicamente la infinita possibilità (li
posizioni diverse. La stessa illusione è nel dire che una quantità cresce
per gradi minori di ogni comunque piccola grandezza data. E vero che
m matematica le quantità continue crescono per gradi e che ogni
nuovo incremento elementare possiamo immarginarcelo già per sè stesso composto
di ancor più piccoli incrementi elementari all’infinito. Ma oltre che nella
realtà bisogni. Che esistano dei limiti a questa illimitatezza che
è solo della facoltà del nostro ANIMO, è anche vero che le quantità non
constano di elementi per sè esistenti, e che invece noi solo distinguiamo
in esse delle divisioni e stabiliamo dei limiti che per sè non sono dati. Il
concetto di continuità ne involge uno infinitesimale che però inchiude
solo la possibilità di un infinito porre di limiti, ma non una infinità di
limiti posti. Esso è quindi come quello dell’infiuitamente piccolo un
concetto di pura posibilità. La illimitatezza nella scomponibilità
in parti che possono in ogni caso venir fatte ancora più piccole che una
qualunque piccola grandezza data, e dunque ciò che di razionale s’ à a
sostituire al concetto nebuloso dell’ infinitamente piccolo. Con ciò viene
evitata quella ipostasi o per cosi dire insostanziazione di un modo di
azione del nostro animo, o di una mera possibilità, la quale è
inchiusa nel falso concetto della grandezza minore di ogni altra
assegnabile, come di qualcosa realmente esistente quasi mèta irraggiungibile ma
pur reale di una infinità di operazioni. Non esiste un ultimo piccolo
o infinitesimo, ma solo una infinita possibilità di rimpicciolimento.
1 Si deve dunque pensare che il differenziale è nel calcolo una grandezza
finita relativamente piccola, la quale- nel complesso delle operazioni
può e deve rappresentare ad arbitrio ogni grado di piccolezza. Si tratta
per eempio, dice Diihring, di una lunghezza. Può questa, come
infinitamente piccolo, essere secondo le circostanze un milionesimo di
millimetro ovvero una distanza solare. L’essenziale non istà in queste
eventuali determinazioni, ma nel pensiero che in luogo di quella grandezza,
scelta in relazione a un tutto come parte insignificante, possano
nelle operazioni sostituirsi altre ed altre senza limite alcuno sempre
più piccole verso lo zero (1). L’ infinito o la illimitatezza non è
dunque ipostasiata nel differenziale, si bene sta nel nostro animo che questa
grandezza rappresenta qualunque grado di piccolezza oltre il suo.
Razionalizzato cosi il concetto fondamentale del calcolo, non à più
ragione quella ripugnanza che i migliori matematici anno sempre sentito per
quella oscura ipotesi o idea falsa, come la chiama Lagrange (2), dell’infinitamente
piccolo. L’analisi è dunque, dice Diihring, un calcolo d’ approssimazione, ma
si noti bene- non di semplice approssimazione, bensì di approssimazione
infinita. I sensi trascurano nel piccolo le quantità insignificanti che
loro NON SONO più PERCETTIBILI, e se fatti più acuti procederebbero del
pari in analoghe proporzioni; cosi fa il calcolo nel trascurare quantità che
nelle (1) V. l'reyeinet: Étude sur la métaphysique du haul calcul,
p. 32. Cfr. Carnot : Reflexions sur la métaphysique du calcili
infinitesima!, p. 16, 17 e 18. (2) Comte: Cours de philosophie
positive , I, 263. loro funzioni darebbero in ultimo per risultato una
grandezza che per la sua ultima piccolezza non à importanza alcuna.
Accanto a quantità finite si trascura nel risultato e con ragione, un
infinitamente piccolo, poiché è nella sna natura di poter venire senza
fine rimpicciolito verso lo zero (1). 3. Idealmente c’ è dunque un
abisso tra l’infinitesimo e lo zero. Non quello ma questo è il limite
dell’ infinito rimpiccoliinento, e prima dello zero non vi sono
che quantità in realtà sempre finite, comunque possano secondo il bisogno
venir supposte sempre più piccole verso di esso. D’altra parte nella
direzione opposta dell’ infiniitamente grande si à analogamente a distinguere
tra (1) Non altro significava il luminoso concetto di Carnot delle
equazioni imperfette. Tuttavia Carnot non arriva a dar l’ultima chiarezza
alla nozione dell’infinitesimo. Infatti non avrebbe altrimenti creduto vi
fosse bisogno (per dimostrare come i risultati del calcolo in apparenza
soltanto approssimativi, siano in realtà esatti) oltre che della considerazione
dell’arbitrarietà del differenziale, anche di una dimostrazione della
compensazione degli errori. Comte poi frantese affatto ciò che di
veramente importante e duraturo conteneva lo scritto di Carnot, e ravvisa
così il merito di lui appunto nella dimostrazione della compensazione degli
errori (V. Cours de philosophie positive , I, 244 e 223), la teoria
invece dell’arbitrarietà del’infinitesimo la trova più sottile che solida
(id. 2(57). l concetto della rigida uguaglianza degl’antichi venne
definitivamente superato con Leibnitz e Newton. Ciò che però non venne
schiarito e rimase oggetto di tutte le lunghe innumerevoli dispute a cui
diede luogo il calcolo differenziale, e un giusto concetto di ciò che
avesse a indicare la trascuranza, nelle equazioni, dell’infinitamente piccolo.
Dopo Carnot la relatività del concetto del differenziale s’è sempre più fatta
strada nelle menti dei matematici. Ma non basta questo a razionalizzare
l’infinitesimo. Dove colla relatività di esso si ammette però ancora (v.
ad es. Montucla : Histoire des maih., HII, 264-G5) che questo possa
divenir minore d’ogni quantità assegnabile, s’è pur sempre lontani da una
esatta concezione. questo e 1’ infinito assoluto o transfinito (1). Qui
come¬ ta si à una differenza qualitativa: nell’ un caso si à ancora a
fare con delle grandezze, nell’ altro il concetto proprio di grandezza è
scomparso. Il non aver distinto questi due concetti non à forse
meno contribuito della contraddizione di un infinito compiuto nel finito
stesso, implicato nel falso concetto del differenziale e del continuo, a
rendere cosi pieno di sup¬ poste insolubili difficoltà il problema di cui
ci occupiamo. All’infinitamente piccolo risponde perfettamente l’infinitamente
grande. Abbiamo qui un accrescimento senza fine come là un illimitato
rimpicciolimento. In entrambi i casi ci è data la norma di un’operazione
che non deve poter mai venir considerata come compiuta, poiché essa
deve rispondere alla illimitata possibilità di ripetizione- del nostro
animo, con la quale dunque non c’è grandezza per quanto piccola o grande di cui
non si possa sempre raggiungere un’altra ancora più piccola o
grande. Attribuito ad una data grandezza il concetto di infinitamente
grande non indica quindi altro che essa, comunque già grande, può senza
fine venir considerata ancor sempre più grande secondo il bisogno. In
ogni aso non sarà però ella mai altro che finite. Come la nostra
sintesi benché non abbia limite, pure in fatti non può (1) Chiamo
infinito assoluto o trans-finito – tras-finito, a distinzione dell't/t/unVo
relativo (infinitamente piccolo o grande), ciò che Diihring dice illimitato
(Unbegrcnzt, II) [LIMITATO/NON-LIMITATO] e Cantor, e dietro lui Wundt e
Lasswitz chiamano appunto transfinito o tras-finito (<o ). Del resto
una volta riconosciute queste differenze essenziali, nulla impedisce di
adoperare anche solo e indifferentemente l’espressione “infinito”,
lasciando al contesto conversazionale l’ulteriore
specificazione. mai esercitarsi che nel finito. Anche l’infinitamente
grande è un concetto di mera possibilità e non mai di effettività. Non è
quindi propriamente applicabile ad alcuna grandezza determinata (1). La serie
progressiva dei numeri nella sua illimitata addibilità è il più chiaro
esempio dell’infinitamente grande. Noi non possiamo mai arrivare ad un
ultimo membro delle serie, perchè la possibilità di aggiungerne altri
riman sempre la medesima. E nella natura dell’infinitamente grande di non
poter venir mai compiuto. La illimitatezza non è neppur qui data oggettivamente,
ma sta invece in questo che la grandezza infinitamente grande può rappresentare
ad arbitrio una grandezza sempre maggiore oltre la sua. Inteso cosi
è senz’altro chiaro che rinfinitamente grande non è un infinito in atto e
non può senza contraddizione venir scambiato con questo. L’aver confuse l’infinito
assoluto o transfinito o trasfinito o illimitato coll’infinitamente
grande è appunto la cagione che condusse chi mirava a un esatto
(1) Locke, On bum. Underst, pag. 148. [O]ur idea of infinity being,
as I tbink, an endless growing idea, biit the idea of any quantity our soul kas
being at that tirae terminated in tbat idea (l'or be it as great as it
will, it can be no greater than it is), to join infinity to it, is to adjust a
standing measure to a growing bulk. id., p. 150. We can bave no more the
positive idea of a body infinitely little than we have thè idea of a body
infinitelv great. Our conception of infinity being, as I may so say, a
growing and “fugitive” concept, stili in a boundless progression that can
stop nowhere. e p. 295-96. Our conception of the infinity [...] return at least
to that of number always to be added. But thereby never amounts to any
distinct idea of actual infinite parts. We bave, it is true, a clear idea
of division, as often as we will think of it. But thereby we have no more
a clear idea of infinite parts in matter than we have a clear idea of an
infinite number, by being able still to add numbers to any assigned
nember we have. E chiaro concetto di quest’ultimo a rifiutare
risolutamente il primo, dopo averlo trovato incompatibile colla
nozione di quello. Mentre l’infinitamente grande esprime una illimitata
possibilità, il transfinito o trasfinito esprime invece una effettività compiuta
cui l’infinitamente grande non arriva mai. Nel transfinito o trasfinito
ogni grado di ingrandimento è già anticipatamente dato. Esso è realmente
maggiore di ogni assegnabile grandezza, e dal finito non c’è modo di
farlo originare, sebbene ogni finito sia in esso. La facile obbiezione
che nessuna grandezza è la più grande perchè le possono sempre venir
aggiunte altre unità, non tocca. L’infinito assoluto, ma solo una NOZIONE
IRRAZIONALE dell’infinitamente grande,
partendo ella da un falso concetto del transfinito o tras-finito, secondo
il quale si avrebbe questo a lasciar pensare come un tutto, ossia,
contrariamente all’assunto, come finito. Il concetto di totalità applicato
al transfinito o tras-finito è trascendente, benché tale non sia il transfinito o
tras-finito per sé. Se l’infinito assoluto non può venir esaurito
dalla sintesi empirica di nostro animo, non è questa una ragione per
rifiutarne il concetto : la sua natura consiste infatti appunto in
ciò di NON POTER VENIR RAPPRESENTATO come una totalità ossia esaurito
per mezzo di una sintesi empirica di nostro animo -- successiva delle sue
parti. – Cf. Speranza, ‘mise-en-abime’ – come violazione del prinzipio
conversazionale – be brief. Rifiutarlo perchè non si lascia trascorrere da
un capo all altro, è rifiutare il transfinito perchè appunto tale,
ossia perchè non è finito, o perchè non si trovano endless divisibility
giving us no more a clear and distinct idea of actuallv infinite parts
than endless addibility, if I may so speak, gives us a clear and distinct idea
of an actually infinite number, both being only in a power stili of
increasing thè nuinber, be it already as great as it will” ia esso le
proprietà che dal suo concetto sono precisanente escluse. Mentre
nell’infinitamente grande la sintesi empirica di nostro animo è quella
che aggiunge membro a membro. Nell’infinito assoluto troviamo noi sempre ogni
ulteriore membro come già innanzi esistente prima che la nostra sintesi lo
abbia raggiunto, indipendentemente da essa. È dato quindi così il
numero infinito, se “numero” può questo ancora chiamarsi – “As far as I
know there are infinitely many stars” --, che è in realtà la negazione di esso
e con ciò di ogni determinazione nel grande. Il “numero” infinito
non è più nè ‘pari’ nè ‘dispari’, e neppur quindi aumentabile più, nè
diminuibile. Esso è dunque qualcosa di affatto compiuto, al contrario
dell’infinitamente grande che è in un continuo'flusso; e sta a questo come
all’infinitamente piccolo sta lo zero. Come nello zero non c’è più
possibilità di rimpicciolimento, cosi non ce n’è più di ingrandimento nel
transfinito o tras-finito. Questo è la negazione della grandezza misurata
nel grande, e lo zero la negazione della grandezza in generale e con ciò
della grandezza nella direzione deH’infinitamente piccolo (1). Lo
zero come l’infinito assoluto sono non tanto quantitativamente quanto
per qualità diversi da ogni altra grandezza. L’infinitamente piccolo e grande
sono in un continuo flusso, lo zero e il transfinito sono invece forme
fisse ; il prin¬ cipio generativo dei primi non è applicabile ai
secondi. DaH’infìnitamente piccolo allo zero e dall’infinitamente
grande all’infinito assoluto c’è, a dir proprio, un salto (2). (1)
V. Duhring: Neue Grundmlttel, ecc., p. 430. (2) Lo zero e l’infinito
assoluto o trasfinito si fanno dunque riscontro. Ed erra «quindi Lasswitz
che nega esserci qualcosa di corrispondente a que- Nel primo caso il passaggio sta non nel
rimpiccilire all’infinito per successive divisioni la quantità piccola in modo
che avanzi pur sempre un resto, ma nell’ultimo atto risolutivo col quale si
sottrae interamente il resto stesso. Nell’un caso si riman sempre nel
campo dell’infinitamente piccolo, nell’altro si salta propriamente dalla
quantità al nulla di essa. Una quantità non viene mai esaurita col
sottrarre ripetutamente anche all’infinito una nuova parte del sempre nuovo
resto. Bsogna togliere in ima volta l’intero resto altrimenti si
avrà una convergenza continua verso l’irraggiungibile zero, ma non
mai propriamente lo zero. E solo in quest’ultimo caso sarebbe veramente
esaurita la grandezza. Non bisogna prender per esaustione reale una
infinita approssimazione. Ciò che e l’ESAUSTIONE è solo tale fino ad un
infinitamente piccolo. Ma questo vien da essa lasciato inesaurito. L’saustione
non à luogo che con un salto alla Peano, ossia con un vero passaggio. La
inter-polabilità infinita di posizioni tra punto e punto non toglie che
da posizione a posizione il passaggio debba rimanere E come v’è un salto
da un punto a un altro in una linea, cosi v’è da un punto al punto
ultimo col quale la grandezza finisce. Solo col st’ultimo.
(Lasswitz: Zum Problem der Continuitdt, Philosoph. Monats - hcfte XXIV, p.
27); come pure e più erra Wundt che crede cadere nel differenziale ogni
differenza essenziale tra l’infinito e il transfinito o trasfinito. Wundt:
Kants Kosmologische Antinomien u. das Problem der Unendlichke.it Philos.
Studien II, 527: (che) das Intinitesimalsy.nhol ebenso gut in Siane einer
unendlich zudenkenden Abnahme einer gegebener Grosse, wie im Sinne des bereits
vollzogenen Processes- dieser Abnahme gedacht werden kann. Hier fàllt
niimlich ein wesen- tlichcr Unterscbied des Infiniten und Transfiniten
vollig hinweg (! !). -- passaggio allo zero si à però un risultato
differente non tanto per quantità quanto per qualità dagli
altri. D’altra parte lo stesso risultato qualitativamente differente si à
nel secondo caso del passaggio dall’infinitamente grande al transfinito o
tras-finito. Praticamente si può concliiudere è vero dal caso dell’incoutro di
due rette a distanza infinitamente grande al caso delle parallele,
in quanto si astrae dallo sbaglio infinitamente piccolo, e si pone
come identico il risultato solo infinitamente approssimativo. In realtà però
mentre il punto d'incontro si allontana infinitamente all’vvicinarsi delle
due rette al parallelismo senza raggiungerlo, raggiunto che
questo sia, esso è scomparso, essendo per sè la infinita estensione della
linea LA NEGAZIONE DELLA POSSIBILITa d'uu punto d’incontro, poiché questo
le farebbe finite. Ed à luogo allora quella illimitatezza od infinità
assoluta della retta, la quale è la negazione della grandezza misurata
nel grande, come lo zero è la negazione della grandezza in generale
(1). Un indubitabile significato si lascia dare al transfinito o
trasfinito, come vedremo in séguito soltanto nella serie infinita dei
processi del tempo passato. Il nostro regresso che assume qui la forma
dell’infinitamente grande, procede in base al transfinito o trasfinito della
realtà, poiché esso trova e suppone necessariamente come dati sempre piu
membri della serie di quelli che esso raggiunge. Se si fosse co¬stretti a
pensare l’universo infinito in estensione si avrebbe una seconda applicazione
reale del nostro con¬ ti) Diihring , luogo citato.
«etto ; ma rimanendo
insolubile la questione se la natura o L’UNIVERSO o il numero dei stelle sia
o no infinita (1), non si à che l’applicazione di esso allo spazio puro.
Ed ecco la dimostrazione che dà di questa Dtihring, colla quale egli stabilisce
appunto la distinzione dell’infinito relativo dall’infinito assoluto. La
tangente di un angolo che differisce da 90° di una infinitamente piccola
differenza, è come la rispettiva secante infinitamente grande. Ad ogni grado di
riin-piccioliinento della differenza risponde un grado di ingrandimento della
tangente e della secante dell’angolo. Cosi il punto in cui le linee si
tagliano si fa sempre più lontano. Rimane però sempre dato un incontro
reale delle linee fin che sia data una per quanto piccola
divergenza da 90°. Se si à invece una differenza uguale a zero ossia
se non se ne à alcuna, non si à nemmanco più propriamente una SECANTE nè
una propria TANGENTE. Entrambe le linee loro corrispondenti non si tagliano
più. Nel caso dello zero o, ciò che sarebbe lo stesso, per la CO-SECANTE
e la CO-TANGENTE di 0 non esiste più alcuna grandezza, allo stesso modo
che nello zero medesimo. Intatti la illimitatezza di una linea non è già
una quantità della stessa j ella è invece l’assenza d’ogni determinazione
quantitativa. In tal modo allo zero dall’una parte corrisponde dall'altra
l’illimitato non quanto (das grossenlose Unbegrenzte). Il caso
dell’infinitamente grande si distingue da quello dell’infinito assoluto
per questo, che la possibilità (della illimitata estensibilità) non
figura come per sè data, ma vien 'riferita alla nostra attività.
(1) Vedi sotto n. 5. Di pio quest’ultima possibilità vien sempre
rappresentata coinè dipendente di un’altra, in modo che
dall’infinito rimpicciolimento e dal grado di questo dipende
l’infinito ingrandimento e rispettivo grado costantemente corrispondente
(1) Una distinzione simile a quella di Diihring à fatto in riguardo
all’infinito Cantor, seguito in ciò da Wundt (2) e seguito pure, sebbene con
qualche riserva, da Lasswitz. Ad essa fa però assolutamente difetto
quella spiccata razionalità che è la caratteristica della filosofia di
Diihring. Crede Cantor che la serie dei numeri si lasci pensare non solo
come compiutamente- infinita, ma come compiuta totalità. Cantor stima che
si lasci pensar radunato in un tutto ogni numero intero positivo
(3). L’aver sconosciuto l’inapplicabilità del concetto di totalità al
transfinito o tras-finito è la cagione dell’assurda nozione che s’è fatto
Cantor di questo. Infatti perciò à e Cantor potuto credere che il
transfinito o trasfinito pnssa trovarsi nel finito stesso quasi come suo
sostrato, e servire cosi alla spiegazione del continuo e del NUMERO
IRRAZIONALE (4). Ma qui non si ferma Cantor : chè anzi la vera originalità
della sua dottrina vede egli nelle differenze essenziali da lui trovate nel
campo stesso dell’infinito assoluto (5). Si tratta infatti per lui sopratutto
dell’ampliazione o proseguimento della reale serie dei numeri intieri (1)
Duhrinq, luogo citato, pagine 88-80. (2) Logik H, 127-128
(1883). (3) Cantor: Grundlagen einer Mannichfaltigkeitslehre, p. 1-3;
Zur Lehre vom Transfinite, p. 42, 43 e 45. (4) Grundlagen, pag. 8,
30. Zur Lehre p. 35. (5) Zur Lehre, pag. 9 ; Grundlagen, p.
13. oltre l’infinito medesimo. Egli non ottiene solo un unico numero
intiero infinito, si bene una infinita serie di tali numeri come
benissimo tra loro distinti. Vi sarebbero cosi infinite classi di numeri ;
la l a classe sarebbe la serie dei numeri finiti 1. 2. 3... v..., ad essa
terrebbe die¬ tro la 2 a classe composta di successivi numeri intieri
infiniti in ordine determinato. Dopo la 2 a si verrebbe alla 3 a e alla 4
a classe e cosi all’infinito (1). In tal modo naturalmente l'infinito
propriamente detto (“das eigentlicbe Unendliche”) non sarebbe ancora il vero
infinito (“das walire Unendliche”) o l’assoluto. Chè anzi Cantor
espressamente fa notare che in tal guisa non si arriverà mai a un limite
ultimo, e neppure a una sia pur soltanto approssimativa comprensione
dell’assoluto, il quale solo è un infinito non più oltre aumentabile. Con
ciò il transfinito o trasfinito, quantunque determinato e maggiore d'ogni
finito, avrebbe assurdamente comune col finito il carattere della
illimitata aumentabilità (1). Cantor dà per esempio del transfinito o
trasfinito la totalità dei numeri finiti, confessa però non darsi, o
almeno pel nostro animo, una totalità dei numeri transfiniti, ossia
l’assoluto o il vero infinito non poter venir concepito, quantunque
necessariamente postulato. Qui dunque ritorna la difficoltà del
problema, e questa volta Cantor confessa di non saperla sciogliere. Con
ciò dà Cantor stesso involontariamente la miglior critica della sua teoria
dell'infinito. Il suo transfinito o trasfinito del resto non è in fondo altro
che l’infinito dell’animo di Spinoza e BRUNO (1) Grundlagen, p. 3.
(2) Id. p. 44 ; Zur Lehre, p.. 8, 33, 48. Illusorie
come la infinita totalità sono le altre proprietà clie Cantor crede dover
attribuire ai suoi immaginari numeri della nuova serie al DI là DELL INFINITO. Cosi il non esser
questi più soggetti alla LEGGE DI COMMUTAZIONE (p e q = q e p) (1) è una
evidente ASSURDITà che rivela una inesatta concezione dell'infinito assoluto.
Questo infatti è indifferente in riguardo al più e al meno. Ad esso non
si può nè aggiungere nè togliere, come quello che non si lascia originare per
via di operazioni. Per poter ad esso aggiungere qualche cosa converrebbe
pensarlo dato quale compiuta totalità. Dia è falso che l'infinito si lasci
concepire in tal guise. Cosicché invece di operare con esso si
opera inavvedutamente con una quantità pur essa finita (2). Il concetto
formulato da Diihriug dell’infinito assoluto non è nella storia dell’ONTOLOGIA
del tutto senza precedenti, per quanto la critica da lui
fatta dell’infinitesimo possa assai più facilmente rannodarsi a
quella del Locke e di Ivant da una parte, e dall’altra a quella di
Carnot, che non si lasci questa sua nuova distinzione rannodare a’ suoi
precedenti storici (3). Vera¬ ci) Cantor: Grundlagen, 11, 14,
15. (2) Vedi più sotto n. 7. (3) Bradwardinus distingue nel suo
trattato “De Continuo”, come espone Cantor (Geschichte d. Mathematik li,
107-109), “ zwei Unendlichkeiten, die “kathetische” und die “synkathetische”. “Katlietisch”
oder einfach unendlich ist eine Grosse die kein Ende hat.” Syn-kathetisch”
unendlich ist eine Griisse der gegenùber es eine endliche Gròsse giebt
und ein andsres gròsseres Endliche, und wieder Eines gròsser als jenes
Gròssere, und so oline dass ein Letzes sicb fiinde, welckes den Abschluss
bildete; aucli dieses ist immer eine Gròsse, aber nickt wenn es mit
Gròsserem verglicken wird. Man erkennt leicht dass das kathe- tisck
Unendliclie Bradwardinus das Ueberendliche oder Transfinite ‘mente l’INFINITO POSITIVO di
Descartes, di GIORDANO BRUNO e di Spinoza è un concetto che tradisce un’origine
quasi del tutto- ancora scolastica. L’infinito inteso coinè attributi
necessario dell’essere è una concezione comune a BRUNO, e mostra chiara la sua
derivazione da un altro concetto. Quantunque esso non ha in GIORDANO BRUNO
questa sola origine ‘divino’ (1). unserer neuerer Philosophen ist,
dem von Anfang an das Merkmal der Begrenztheit, welches deu endlichen Gròssen
zukommt fehlt, wàhrcnd das “synkathetisch” Unendliche mit den Endlosen
oder Infinitcn ùbercin stimmt, welches aus der endlichen Grosse durcli
unbegrenztes Wa- chsen hervorgelit.
(1) GIORDANO BRUNO capovolge la dottrina di Aristotele. Risolve
arditamente e con grande acume il continuo ne’ minimi onde liberarsi
dalle contraddizioni svelate da SENONE DI VELIA, come farà poi anche ma
meno felicemente Hume, e accetta l’infinito nel grande: gli atomi e la
infinità del mondo. (V. Acrotismus, art. XLII, citato dal TOCCO, Le opere
di GIORDANO BRUNO, p. liti: De Minimo, I, VI). Devcsi però avvertire che il
minimo è per GIORDANO BRUNO ancora una grandezza che ei pensa giustamente, come
fa anche Hobbes, relativamente trascurabile nel calcolo. Il progresso infinito
nelle divisioni è solo una continua possibilità dell’animo, mai
un’effettività. GIORDANO BRUNO non nega all’animo, all’immaginazione o alla
ratio, a distinzione della mensì di poter ulteriormente suddividere il minimo all’infìnito,
-- dum non promere subiectae credat con- formia rei. — Intìnitae
progressioni IMAGINATIONIS seu mathesis NATURA non respondet neque ullus
usus ARTI-FICIALIS obsecundat. De Min. I, 6, 7, 8. Tuttavia anche alla
matematica vorrebbe GIORDANO BRUNO dare una base atomistica, facendo valere pel
concetto del corpo matematico ciò che vale per quello del corpo fisico.
In questo anzi non sa GIORDANO BRUNO liberarsi dalla influenza
dell’aristotelismo, pel quale ciò che vale della materia doveva naturalmente
valere dello spazio. Il suo strano tentativo ricorda l’antica dottrina delle
linee indivisibili o atomiche di Senocrate, anch’essa stabilita per
evitare le stesse contraddizioni del continuo messe in chiaro dalla critica dei
veliani (V. nello scritto -epì à-riuiov ypaujLùv Apelt, Beitrcige z. Geschichte
d. Griech. Philosoph. dove ne è anche data la traduzione, p. 271 e
seg.) Della dottrina atomistica di GIORDANO BRUNO riconosce giustamente
il merito Lasswitz (“GIORDANO Bruno und die Atomistik”, Viertelsjahrsschift f.
icissensch. Tuttavia alcune importanti considerazioni sono comuni al Cusano (1)
e a quest’ultimo sulla natura dell’infinito ossia sull’esistenza di un unico
infinito in riguardo al quale non possa esservi divisione possibile uè
disuguaglianza se misurato immaginariamente da misure differenti (2).
L’infinito assoluto considera poi Spinoza come dato nei noti due cerchi
l’uno dei quali è dentro all’altro e che non si toccano nè sono concentrici,
esempio ricavato da Cartesio (Principii , II, 33, 34, 35) e da Spinoza
medesimo già illustrato nella esposizione dei principii cartesiani della
filosofia. Ma come è impossibile che la materia mossa tra due cerchi
possa realmente dividersi all’infinito, cosi è impossibile farsi un concetto
di una infinità assoluta di disuguaglianze come effettuata dalla
relazione di quelli. Poiché data questa infinità non è nè può essere. Altrimenti
la potremmo anche pensare effettuata in un qualunque segmento di linea
da’suoi punti infiniti. Una tale infinità non può cosi che
venir riferita alla facoltà della nostra mente quale suo fondamento ; non
può esser che un caso di infinita possibilità come lo è quello
dell'infinitamente grande. Philos. Vili, 33): “GIORDANO BRUNO hat darci»
(lcn erkenntnisstheoretiscben Ausgangspunkt seiner Monadologie sicli das
bleibendc Verdienst erworben, den Atombegriff klar und wiederpruchslos
dargestellt zu haben. So lange das Atom nur als Letzes der Theilung gilt,
blcibt es immer fraglich, ob man auf ein solches Kommen masse. Erst die
Einsicht, dass es ein Krfordcrniss dcs Erkennens istein Erstes der
Znsammcnsetzung zn liaben, macht den Atombegriff za einem
nothwendigen. (1) Cusano, Dada ignoranza, 1- 4, 5, 13, 14.
(2) Già Aristotele tiene per inapplicabile ad ogni grandezza l’intìnito
attuale, ma perciò appunto ne aveva rifiutato il concetto. Il caso
(lei due cerchi si lascia ricondurre a quello d’ogni grandezza continua.
Ora l’esame del continuo non può per sè mai darci l’infinito assoluto ;
il continuo riceve i termini che noi segniamo in esso senza lasciarsi
però mai esaurire da successive suddivisioni. Con ciò esso non ci dà che il
campo di una regola d’operazioni infinite, rimanendo pur sempre finiti i
risultati di queste. Che le parti del continuo non si lascino esprimere
con alcun numero (nullo numero explicari possunt) indica solo che sarebbe,
contradittorio pensare come raggiunto il risultato d’una operazione infinita
ossia da ripetersi senza fine. Il continuo non ci dà insomma che
l’infinito relativo. E così ciò che Spinoza distingue dall’infinitamente
grande non è in realtà l’infinito assoluto. Esso è soltanto lo stesso
infinito relativo nella direzione opposta del primo, ossia nella direzione
del piccolo (1). Ammette inoltre Spinoza che l’infinito propriamente detto
può esser suscettibile di più e di meno. Ma non è esso allora cangiato nel
finito? (2) e non dice egli altrove (3) che (1) SPAVENTA, Saggi critici,
p 256-7, seguendo Hegel trova la distinzione dello Spinoza dell'infinito
della immaginazione da quello dell’ANIMO veramente profonda, e ravvisava
in questo ultimo fissato il concetto dell’infinito assoluto che trascende
ogni determinazione. Infatti però esso non può rappresentare che lo
stesso infinito della immaginazione. (2) Vedi lettera XXIX. In
complesso questa importante lettera parmi mostrare molta incertezza
malgrado il tono suo dommatico e tanto sicuro. I due unici esempi che Spinoza
porta dei molti che ei dice avrebbe potuto addurre dell’infinito dell’ANIMO,
non sono omo-genei. La infinità dei moti che furono, e la infinità delle
disuguaglianze dei due cerchi non cadono sotto uno stesso concetto. Lo stesso
abbiamo notato del transfinito o trasfinito di Cantor, il quale dovrebbe
del pari esprimere appunto e l’intervallo ( 0.1) come totalità infinita, e
il complesso della serie dei numeri intieri positivi. (3) Etica, I,
prop. XV. è un assurdo che un infinito possa essere il doppio
di un altro? A questo assurdo risultato arrivano tutti quelli che
pensano potersi DARE L’INFINITO NEL FINITO medesimo. Di Locke s’è visto
qual razionale concetto egli ha dell’infinitamente piccolo e grande. Locke non
sa tuttavia considerare l’infinito altro che nella illimitata addibilità e
divisibilità, per cui non intese l’infinito assoluto. Locke analizza con una
grande acutezza soltanto le funzioni dell’ANIMO in riguardo all’infinito,
non però il riscontro loro oggettivo. Infatti e questo per Locke
ancora Dio, il quale oltre i confini raggiungibili dal nostro ANIMO
coll’illimitato progresso, riempiva tanto l’infinito del tempo che quello
dello spazio (1). Ed è cosi che Locke puo pensare esser l’idea positiva
di infinito troppo ampia per una capacità finita e angusta come la nostra
(2). Kant scioglie trionfalmente tutte le difficoltà che incontra Locke
nell’esame dello spazio (3), e fissa l’idealità di questo. Una idealità
che se è conseguenza delle stesse ragioni che l’avevano fatta necessaria
ai veliani, à però, un significato e una giustificazione scientifica di gran
lunga superiore. Ma quanto al concetto proprio di infinito Kant non fa un
passo oltre Locke. E neppure Hume e andato più oltre sulle tracce di
quest’ultimo. E’ non sa anzi per il metodo suo empirico apprezzare la bella
trattazione lockiana dell’infinito, in cui la funzione SINTETICA dell’animo
trovava una cosi (1) Locke : Essay on Human Under ai, p. 134,
135. (2) Id. p. 152. (3) Id. p. 131, 135 e 154.
giusta e importante bencliè non del tutto consapevole applicazione. Hume,
senza esaminare particolarmente l’infinitamente grande, si volge in special
modo a considerare l’infinito nel piccolo (1). Ciò che più, come già GIORDANO
BRUNO, imbarazza il grande scozzese è la considerazione della infinità nel
continuo, ossia della infinita divisibilità, la quale egli non distingue
dall’infinito esser diviso, ossia dalla infinita divisione effettuata (2). Il
suo empirismo, confondendo il reale colla forma, lo porta a stabilire lo
spazio come composto di punti visibili e sensibili (meno risolutamente
però nella “Inquiry”) (3) ; e il tempo della somma dei minimi delle
sensazioni. Come può, si domanda egli, un infinito numero di infinitamente
piccoli non dare una grandezza infinitamente grande? o, come può un
tal numero esser compreso allo stesso modo in una data grandezza che in
una doppia di quella? Come può passare il tempo da un punto all’altro per
un numero infinito di parti reali successivamente esaurientisi ? Sono in
conclusione le stesse contraddizioni svelate dapprima da Senone di Velia,
l’amato di Parmende. Senone conclude col negare lo spazio e il moto. Hume
invece accusa L’ANIMO STESSO senza dare soluzione alcuna definitiva (4). L’aver
confuso la forma col reale, e il non aver più acutamente esaminate le
funzioni sintetiche dell’ANIMO sono la ragione della infruttuosità delle sue
ricerche sull’infinito. Locke è insomma l’unico tra’ filosofi moderni, o
al¬ ti) Treaiise pag. 26, 32, 39, 43. (2) Id. pag. 26, 29;
Essays, edizione World Library, p. 378-79. (3) Exsai/s, pag. 379.
(4; Hume: Essai/s, p, 380. meno sino a Diiliring, che segna un
notevolissimo progresso nella razionalizzazione del concetto di infinito. D’altra
parte tra’ matematici, dopo le lunghe discussioni sulla natura
dell’infinitesimo, si fa strada, è vero, con Carnot, e con Cauchy, in
séguito, l’opinione della arbitrarietà del differenziale, ma riman pur
sempre come sfondo oscuro l’infinito esatto, una sfinge che i matematici
dichiarano spettare AL ONTOLOGO di interrogare. E con ciò la mente è
ben lontana ancora dal trovarsi appagata. Con Gauss poi, e dietro a lui
con Riemann e con Steiner e con tutti i geometri anti-euclidèi, la nebbia
che avvolgeva l’infinito s’è fatta ancora più fitta, e rimarrà cosi
quale indizio dello spirito mistico dell'epoca nostra, la quale non
sente quel bisogno vivo e quell’amore della chiarezza che cosi grande
aveva il secolo decimottavo (1). (1) Nfe i filosofi del nostro
secolo sono certo fatti per confortarci della mistica incertezza dei matematici
e sbugiardare così il notato carattere generale dello spirito del
decimonono dicontro al secolo precedente. (V. più sotto di Hamilton e
Spencer n. 8). Dove l’universo, come presso Democrito e gl’epicurei, o
presso GIORDANO BRUNO e Spinoza si stabilisce dommaticamente infinito, l’ONTOLOGIA
non s’è ancor spogliata di tutti gli elementi puramente poetici. Col
criticismo mo¬ derno la questione della reale estensione dell’universo
si è fatta essenzialmente empirica. La illimitatezza della no¬ stra
concezione dello spazio non ci garantisce una infi¬ nità oggettiva
materiale (1). Empiricamente non si lascia dimostrare nè la finitezza nè
la infinità dell'universo; (1) È chiaro che chi volesse supporre un
riscontro materiale assolutamente completo della nostra concezione infinita
dello spazio correrebbe dietro una chimera. La nostra rappresentazione dello
spazio il la sua spiegazione nella costante unità della coscienza e nella
sua libertà del porre e dell’oltrepassare continuamente il posto. Ora
a questa funzione de nostro ANIMO non si deve attribuire senz’altro un carattere oggettivo.
Al contrario fa il Urtino infinito il mondo appunto perchè è infinito lo
spazio, ritenendo che la materia stia allo spazio come questo a quella: “
e se non v’ha differenza tra spazio e spazio, non c’è nessuna ragione che
solo quel breve tratto occupato dal nostro sistema planetario sia pieno e
tutto il resto dell’immenso spazio vuoto. „ Cfr. Schopenhauer (Die Welt
als Wille ecc. I, 588). il quale commenta gli argomenti affatto ineritici
di GIORDANO BRUNO e vorrebbe farli servire a dimostrare anche la infinità
del tempo. altro che il finito noi non possiamo raggiungere e non
possiamo mai giudicare se altro non vi sia più oltre da raggiungere nella
realtà. Se essa stessa abbia o no dei limiti come gli à costantemente la
nostra RAPPRESENTAZIONE. L’infinito COME TALE non può diventar oggetto DELLA
NOSTRA ESPERIENZA. Ma se questa è per la sua natura limitata, non perciò
dobbiamo pensar limitata la realta inconscia. Il concetto nostro dell’universo
sarebbe dunque sempre solo comparativo. Certo è però che
praticamente l'universo sarà per noi costantemente finito, poiché
altro che in limiti finiti non può venir da noi conosciuto. Il principio
della costanza della materia e della forza non basta, come crede Rielil
(1), a dimostrare la finitezza della massa dell'universo. Seia massa si fa
infinita, dice Riehl, verrebbe a mancarle con ciò ogni determinazione
quantitativa, il che è incompatibile col concetto stesso di massa. Ogni
determinazione le mancherebbe però naturalmente se considerata solo nella
sua trascendente totalità, non mai invece nel finite. Nè d’altro che
di masse finite può aver ad occuparsi l’uomo. Il grande principio
della costanza della materia e della forza, nota ancora Riehl, diventerebbe una
mera e inutile TAUTOLOGIA, data la infinità loro. Non potendo
evidentemente l’infinito venir nè aumentato nè sminuito. Neppur questo è
giusto. Il principio in discorso sarebbe tautologico se stabilisse appunto la
costanza della materia infinita come tale. Non se, come esso fa,
stabilisce quella del finito in essa datoci. Infatti la conservazione
costante del finito (1) Riehl, Ber pMosoph. Kriticismus, III, 303-305.
non è (lata analiticamente colla inalterabilità quantitativa dell’infinito,
poiché come l’infinito non è toccato da addizione o sottrazione, cosi
potrebbe, posta infinita la materia, il finito in essa assolutamente
crearsi o annichilarsi senza contraddizione alcuna. G. Mentre la
estensione e la massa dell’universo sono presumibilmente finite, ma
nessuna necessità apriorica od empirica ci sforza a pensarle piuttosto
finite che infinite. In riguardo al tempo concorrono invece necessità
dell’esperienza e dell’ANIMO a farlo nel REGRESSO assolutamente infinito. Il
problema cosmologico del tempo non à tuttavia avuto sinora una soluzione
definitiva. A il tempo reale mai avuto principio? Vi fu nell'universo o
nell’essere un primo cangiamento? E se il tempo non à avuto principio, ed
è nel passato infinito, come può senza contraddizione venir pensata
cotesta sua infinità? Che il cangiamento abbia una volta cominciato è,
per il principio di causalità, impossibile ammettere. La ausa di un
cangiamento deve cercarsi a priori in un cangiamento anteriore e cosi via
all’infinito. Un cangiamento assoluto è empiricamente impossibile e a
priori inconcepibile. Vi sono nell’essere ultime ragioni dei processi, ma
non ultime cause. In ogni punto del tempo è esistita la serie delle
variazioni. Non che nel concetto di sostanza si trovi unita
necessariamente coll’esistenza l’azione, come crede il Rielil (id. 309),
e che non lasciandosi quindi disgiungere il fare dell’essere dalla sua
esistenza, venga ad esser perciò inconcepibile la sostanza scompagnata
dal cangiaménto. Inconcepibile sarebbe solo una esistenza vuota,
ossia scompagnata dalla essenza. La forza potrebbe però concepirsi
ovunque come in equilibrio stabile, e con ciò l’universo come privo di
ogni mutamento. Vi è una condizione del divenire cbe non entra mai
come membro nella serie causale -- è questa il fondamento ultimo d’ogni
fenomeno, la ragione della loro possibilità. Un tal fondamento riman
quindi come fuori del tempo ossia veramente ETERNO, senza origine nè fine.
Non è cosi dei cangiamenti o degli stati momentanei dell’essere.
Lo stato precedente a un DATO momento nella serie molteplice dei
cangiamenti, se fosse sempre esistito, non avrebbe mai prodotto un
effetto cbe si origina solo nel tempo; auche quello deve dunque aver
avuto una causa, e cosi all’infinito. Delle cause non ve ne può essere
una cbe da sè inizi assolutamente una serie; ogni causa di cangia¬
mento è essa stessa un cangiamento, e suppone con ciò un’altra causa, un
altro stato cbe la spieghi. Tutto è seguenza nella serie, e un principio
assoluto è un assurdo. Una prima causa del cangiamento per cui avvenga
qualcosa cbe anteriormente non era, non è in alcun modo a connettersi
coll’esperienza. La fine della primitiva quiete nell’ essere senza una
causa che la faccia cessare è un pensiero irrealizzabile. Esprimerebbe
una spontaneità incomprensibile, anche formalmente, cbe noi non possiamo
accettare sensa derogare alle leggi della conoscenza e della natura. Come la
legge della causalità non conduce fuori della causalità empirica (all’Assoluto),
cosi non conduce fuori del cangiamento. Esenti da mutazione rimangono
soltanto la sostanza e le sue qualità originarie, ossia in generale gli
elementi, per cui solo sou possibili le variazioni. La causalità è
applicabile unicamente ai cangiamenti, di modo che causa di un
cangiamento non può mai esser che un altro can¬ giamento, non una cosa
come tale. E quindi unicamente l’ideniico che sta a base del vario FENOMENICO
che non à nè causa nè ragione, se non quella almeno che
con Schopenhauer potremmo chiamare la ragione dell’essere, o di
identita. La medesimezza con sè stesso è infatti la ragione della sua
eterna esistenza. Dove non c’è variazione non c’è causa da ricercare. Poiché
causa non è che la ragion reale del cangiamento. Una variazione che
non procedesse in base a qualcosa di stabile è un assurdo. Degli elementi
non si dà quindi nè generazione nè corruzione alcuna. L’essere non è mai causa;
le cause che la scienza rintraccia sono cangiamenti, e le leggi sono
la uniformità e costanza del loro succedersi. Tanto l’essere
universale quanto la materia e la forza sono fuori della catena causale.
Nn sono per sè causa, si bene la ragione della connessione stessa
causale. E cosi l’essere non si può porre quale ultimo anello della
causalità. Tanto il più remoto fenomeno immaginabile quanto il
presente presupponendo l’essere, il fare dell’essere. Un sistema
dinamico non può mai per sè stesso originarsi da un sistema STATICO, come neminanco
può a questo passare. Sempre le forze si son misurate a vicenda, ed
elementi di esse si son fatti equilibrio ed altri ànno prodotto dei
cangiamenti col lavoro meccanico; ed equilibrio e lavoro sono sempre stati
necessari da una parte per conservare i cangiamenti lenti concretatisi,
ossia in generale le forme durevoli, e d’altra parte per
alimentare la vicissitudine o la vita nell’essere. Il voler dunque
tro¬ vare un principio della mutazione sarebbe lo stesso che
credere che la materia una volta non sia esistita. Il sor¬ gere della
coscienza a un dato momento nell'universo, che il momento innanzi noi
possiamo immaginare come affatto privo di vita conscia, non è uua
creazione assoluta, nè rappresenta una infrazione alle nostre leggi
della conoscenza dell’animo. Perchè quell’apparizione della vita conscia
noi non l’abbiamo a pensare che come una combinazione di elementi,
nè di elementi v'è creazione, poiché essi esistono eterni. Pensare la
combinazione come occasionata dallo svolgersi delle variazioni non à
nulla di sovran¬ naturale. Certo la coscienza nella sua natura
generale non à causa; ad essa come agli elementi ultimi d’ogni
realtà è applicabile soltanto ciò che s’è detta la ragione dell’essere.
Altra è però la questione della sua fenome¬ nologia- In questa come nella
fenomenologia generale la causalità à il suo regno. Se la coscienza al
pensiero si presenta come originata dal NULLA, gli è perchè le sue
cause, nella loro natura oggettiva materiale, non possono in essa
evidentemente comparire. Gli elementi di coscienza, o meglio le disposizioni
alla coscienza nella realtà inconscia sono ora come latenti o
neutralizzate: una data combinazione materiale ecco ne suscita la luce
subitanea. Il sorgere del cangiamento in generale implicherebbe
invece una derogazione alla legge fondamentale dell’ANIMO; noi non lo possiamo
in modo alcuno concepire, e la realtà empirica ci costringe ad ammettere
il contrario. Il variabile non è per sè stesso intelligibile senza un
identico a sostrato. La identità dell’io come dà origine alla ragione logica
cosi la dà a quella del cangiamento reale. Le diiferenze come tali non possono
farsi contenuto della coscienza. Per esserlo anno a venir riferite a una
totalità identica. Ammesso che cangiamenti potessero avvenire senza
conseguire ad altri, verrebbe a mancare la connessione dei fenomeni
secondo leggi costanti. Il concetto di natura perderebbe la sua unità e l’ONTOLOGIA
con ciò ogni fondamento. Le leggi dell’animo si incontrano invece con quelle
della realtà. È chiaro che come l’animo è la condizione inevitabile
della esperienza, e con ciò del nostro mondo fenomenico, cosi le sue
leggi o funzioni generali devono anche di quello esser leggi a priori, o
assolutamente valide indipendentemente da ogni esperienza. Ciò non toglie
tuttavia che coteste leggi possano venir trovate, come vengono in realtà,
consone alla natura propria delle cose, ossia non imposte loro direi
quasi arbitrariamente, perchè nelle cose sono le stesse leggi quantunque
impensate. Che anzi in riguardo al fatto dell'esperienza, in riguardo
alla unità sistematica dell’essere e dell’ontologia, potrà trovarsi
necessario di veder nelle leggi che la coscienza applica a priori alle
cose nuli’altro che un riverbero o meglio null’altro che l’espressione
soggettiva delle determinazioni autonome della stessa realtà
inconscia. Ponendo un principio del tempo reale e con ciò un
cominciamento delle causalità non si sfugge d’ altronde alla domanda. E perchè
non prima? Se il primo cangiamento non ebbe causa, o perchè è esso avvenuto
solo, mettiamo,parecchi quadrilioni di secoli fa? È vero che non
si ammette una causa che l’abbia chiamato all’esistenza, ma nemruanco
si dice che qualche cosa l’abhia impedito di nascere prima. Per questo,
per quanto lo si allontani dal presente, esso riesce sempre troppo
vicino. Richiamarsi alla originarietà dell'essere come fa Duliring (1),
alla sua effettività indipendente da ogni pensiero e da ogni
ragione, richiamarsi alla natura della realtà inconscia, cui il pensiero
non può mai ricevere completamente in sè stesso, mai fondare in senso
assoluto, ma soltanto ammettere come fatto, non è permesso quando intanto
alla stessa effettività della natura impensata dell’essere evidentemente
si contraddice. Si contraddice, dico, poiché, lasciando da parte
l'analogia del pensiero che ammesso il cangiamento non sa vedere come
esso possa originarsi in modo assoluto, noi non abbiamo in realtà
conoscenza alcuna di un cangiamento cui un altro non preceda, ogni
cangiamento che apparentemente si presenta come tale — il nuovo
nell’evoluzione — noi lo riduciamo è vero alle forze o forme, agli
elementi costanti dell’essere de’ quali non c’è ragione a domandare. Ma il
perchè della loro manifestazione appunto in un tale momento e non
in altro, è nell’ininterrotto cangiamento collaterale, occasionai e in rapporto
a quello. Ben possiamo invece richiamarci noi alla assoluta autonomia della
realtà, che nulla ammettiamo contro il suo reale manifestarsi,
quando diciamo che in senso assoluto non c’è una ragione del perchè
quest’oggi, poniamo, sia proprio ora e non sia già stato in passato o non
abbia piuttosto a venire in futuro, che v’è tanto poco ragione di questo
suo essere (1) Logik. il, Wi-scnschaftsftheorsie, p. 191. presente
che della esistenza stessa universale : dacché come questa non à inai
avuta fuori di sè la ragione del suo essere, così nemmanco il suo fare,
il suo divenire in¬ terno. In qualunque punto del tempo noi
fissiamo l’essere, non lo troviamo mai privo di determinazioni, perchè
que¬ ste sono autonome; e dal suo stato in dato momento di¬ pende
ogni sua ulteriore evoluzione ; come però non c’ è un momento in cui
l’essere non sia, nemmanco ve n’è uno in cui esso non abbia un suo stato
determinato. E cosi che del divenire v’ è sempre la ragione in un
divenire anteriore, ma del divenire in senso assoluto, v’è tanto
poco un perchè quanto dei suoi durevoli elementi. In ciò che esiste è la
ragione di ciò che esisterà ; in ciò che à esistito la ragione di ciò che
esiste. Nella origina¬ ria nebulosa è la ragione dell’attuale
disposizione del si¬ stema nostro solare, ed in altri processi cosmici
ebbe essa stessa la sua origine, i quali se la scienza non può oggi
rintracciare, non è però assolutamente impossibile che un giorno ella
trovi, e che ad ogni modo sono necessariamente avvenuti. Il cangiamento
non à dunque avuto principio. Ed ecco appunto dove sorgono specialmente
gravi, e a molti filosofi son parse insormontabili, le difficoltà del
problema cosmologico del tempo. Si è sempre trovato (1), e (1)
Cusanus, Opera, Complementura theologicum, cap. 8, p. 1113. Si enim
numerare possumus decem revolutiones praeteritas, et centum, et mille, et
omnes. Si quis dixerit non omnes esse numcrabiles, sed practeriisse
infinitas, et dixerit imam futuram revolutionem in futuro anno, essent
igitur tunc infinitae et una, quod est impossibile. Bacone, Novum Organimi , odi/.. Fcllow, p.
224. Lib. I, 48. Ne- Kant è il filosofo che più vi à attira’
o l'attenzione, che ponendo la mancanza d’ogni principio nella serie
regressiva delle cause, si viene conseguentemente ad ammettere che un’infinità
di cause si sia esaurita, una infinità di cangiamenti sia realmente tutta
trascorsaci che contraddice al concetto di infinito, ed è quindi assurdo
accettare. Non solo Kant, ma anche, tra gli altri, il più acuto forse dei
filosofi post-kantiani, Duliring (1) trova qui una insuperabile contraddizione,
ed è stato da essa spinto a stabilire che il cangiamento nel mondo abbia
ad un dato punto cosi casualmente senza ragione alcuna avuto un assoluto
principio nell’essere, cosa evi- quc.cogitari potest quomodo
seternitas dofluxerit ad lume diem; cum distinctio illa, quae recipi
consuerit. quod sit infinitum a parte ante et a parte post, nullo modo constarò
possit; quia inde sequeretur quod sit unum infinitum alio infinito maius,
atque ut consumetur infinitum et vergat ad finitum. Hobbes, il quale
dichiara insolubile la questione dell’ infinito in riguardo al problema
cosmologico, ammette tuttavia cautamente la infinità del tempo nel
passato e non si lascia ritenere dalla contraddizione di un infinito maggiore
di un altro che sarebbe data dalla relazione dell’infinito passato a
momenti diversi della serie temporale. Non sa però pensar
l’infinito assoluto in modo razionale poiché crede di vincere quella
supposta contraddizione obbiettando: « similis demonstratio est siquis ex
co quod numerorum parinm numerus sit infinitus, totidem esse
conclu- deretur numeros pares quod sunt simpliciter numeri, id est
pares et impares simul sumpti ». De corpore IV, c. XXVI, 1. La
impossiblità del “regrcssus in infinitum in causis efficienticibus” REGRESSUS
IN INFINITUM -- e un principio riconosciuto della scolastica. È vero però che
gli scolastici lo facevano ancor più che a dimostrare un principio del tempo,
o, secondo loro, del mondo, servire a dimostrare (seguendo Aristotele
nella sua dimostrazione del PRIMO MOTORE) la necessità di una prima causa
assoluta. ossia ontologica. Cfr. il libro apocrifo II c. 2 della “Metafisica” di
Aristotele, secondo il quale non solo la serie delle cause nel passato, ma
anche quella del futuro sarebbe contraddittoria. (1) Cursus der
Philosophie, Logik. luoghi citati. dentemente assurda, e tanto più per chi
come lui è sur un terreno affatto critico e scientifico. Io trovo al
contrario che la illimitatezza della serie regressiva dei cangiamenti si lascia
senza contraddizione alcuna concepire infinita o, più propriamente,
assolutamente infinita. Dtlliring, non à compreso come l’infinito assoluto
possa attribuirsi anche a ciò che è per sé numerabile. E cosi alla
infinità dei cangiamenti nel tempo ritroso, che è l’unico caso dove una tale
applicazione sia necessaria, egli à fatto invece quella ingiustificata
della sua manchevole legge del numero determinato. La difficoltà da me
superata sta in questo, cui nessuno, per quanto io mi sappia, à mai badato
sin’ora (I). I cangiamenti infiniti di cui si discorre non
involgono contraddizione perchè essi non sono nè furono mai dati come
totalità, ossia come complesso di una serie infinita. Acciò la
contraddizione esistesse, bisognerebbe che s’ammettesse tacitamente un
principio del cangiamento. Di fatti altrimenti nell’assenza d’ ogni
principio come si può dire. Ora, in questo momento si è esaurita uua serie
infinita di cangiamenti ? Ma da quando dunque? Si pensa con un tratto
indefinito di tempo di avvicinarsi di più all’ infinito del passato (2), mentre
in- (1) Questa soluzione è gù brevemente enunciata nella mia “Lettera
filosofica” a I Simirenko” (Torino, Roux, p. 15). (2) Schopenhauer,
Parcrga u. Paralipomena 0“ cdiz. I, ILI : Wenn cin erster Anfang nicht
gewesen wure, so tornite die jetzige reale Gegenwart nicht erst, jetzt
seyn, sondern wiire schou liingst gewesen, dcnn zwischen ihr und dem
ersten Anfange miisscn mir irgend einen. jedoch bestimmten und
begriinzten Zeitraum annehmen, der min aber, wenn wir den Anfung
liiugnen, d. h. ihn ins Unendliclic hinaufruckén, mit hinaufriickt »,
ecc. ecc. E
43 vece noi ne rimangbiaino sempre alla medesima distanza. Qualunque
punto del tempo si scelga, anche milioni di milioni di secoli addietro
nel passato, noi siamo sempre tanto vicini lo stesso all’infinito di prima.
Come noi per quanto risalghiatno addietro non possiamo esaurire
l’infinito che fu, cosi non dobbiamo inavvertentemente ammettere che
l'essere sia ne’ suoi cangiamenti partito da un punto per quanto distante
da noi. Poiché in realtà ogni e qualunque suo cangiamento ne à sempre
avuti dietro a sè una stessa infinità di altri. Non è che l’essere avendo
dovuto compiere i cangiamenti in senso inverso di quello che noi tenghiamo
nell’abbracciarli venga con ciò ad aver esaurito una infinità di
variazioni. Il tempo nella sua durata bisogna considerarlo analogamente a
una retta che in una direzione è assolutamente infinita e nell’altra in
ogni momento terminata, ma prolungabile a piacere all’infinito. Come non
implica contraddizione far terminare a un punto una linea assolutamente
infinita, cosi non la implica il passato assolutamente infinito che si termina
nel presente e può prolungarsi senza limite nel futuro. L’errore di Kant e
di Diiliring e di tanti altri sta nel credere che posta la serie
regressiva infinita si abbia con ciò una totalità infinita. L’infinito passato
invece non è nè può essere un tutto, e non ammette quindi alcuna determinazione
numerica, pur contenendo in sè ogni numero. Tale infinità non involge,
come crede Diihring, l'assurdo di una contata (o percorsa , come direbbe
Kant) serie infinita (“den Widerspruch einer abgezàblten unendlicher
Zalilenreihe”). In qual modo potrebbe una tal serie esser contata? Non
s’accorge Diihring che con ciò egli ammette già quello che ei vorrebbe
dimostrare, ossia un principio del tempo reale? In verità è quella serie
non contata, ma innumerata e innumcrabile, ciò che detto di un infinito
non inchiude punto contraddizione. Il moto non à principio nel tempo, e: sino a
un punto qualunque del tempo è trascorsa una infinita serie di
cangiamenti — non si equivalgono esattamente. Con è trascorsa si vorrebbe
tacitamente porre come dato ciò che è impossibile a darsi. Di fatti la
contraddizione scompare subito che si dice: la serie dei cangiamenti nel
passato è infinita. É trascorsa sembra rinchiudere l’idea di un punto iniziale
della serie, dove (die i cangiamenti non si possono considerare un tutto
o come serie completa senza contraddire al concetto di ogni assenza di
principio. Una infinità di cangiamenti, una infinità di momenti del tempo
non è trascorsa, sibbene l’infinito trascorre sempre, e in ogni momento è
esistita la serie dei processi. La successione perpetua è appunto la
forma della infinità del tempo. Se si dice che l’infinito è
trascorso si scambia, a jiarlar esattamente, il suo concetto,
ponendo in vece sua quello del finito, o almeno si combinano insieme due
concetti incongruenti. Poiché ammettendo che una infinità di movimenti è
trascorsa o s’è esaurita nel passato, noi raduniamo in un tutto ciò che
per sua natura non può mai venir radunato. Il concetto di infinito e
quello di totalità sono incommensurabili.Una totalità è sempre raggiungibile
con una sintesi successiva delle sue parti, non cosi l’infinito. Diciamo invece.
Le serie dei cangiamenti del passato è infinita — quale contraddizione
nel pensare che ogni cangiamento avvenuto è stato preceduto da un altro? Dov’è
qui l’assurdo di un tatto infinito che avrebbe dietro a sè ogni momento
del tempo? I fenomeni per sè non suppongono se non i fenomeni che
immediatamente li precedono ; e come non c’è qui contraddizione, cosi per
quanto noi ci trasportiamo addietro nel tempo, mai la troveremo. (1) Come
à fatto il tempo reale a giungere all’ora presente dall’infinito? È
potuto giungere dall’ infinito perchè non è mai partito. Se fosse a un
dato punto partito non sarebbe potuto giungere. E tanto concepibile l’infinito
verso il quale tende la serie che quello dal quale essa procede. Nell’un
caso e nell’altro si deve solo avvertire di non fare un insieme o un
complesso di ciò che non è mai dato come tale, ossia un insieme in
cui ogni momento dell’ infinito fosse anticipatamente compreso. Kant nella
prima ANTINOMIA (2) spiega dapprima egli stesso che l’infinità di una
serie consiste nel non poter questa venir mai compiuta per mezzo di una
sintesi successiva e che il CONCETTO di fatalità non è altro che la
rappre¬ si) Schopenhauer crede di sciogliere il sofisma Kantiano
con un altro sofisma, distinguendo tra assenza di principio e infinità
del tempo. Schopenhauer cosi infatti obbietta alla tesi della prima ANTINOMIA. Uebrigens
besteht das Sophisma darin, dass statt der Anfangslosigkeit der Reihe der
Zustànde, ivovon zuerst die Rede, plutzlich die Endlosigkeit
(Unendliclikeit) derselben untergeschoben und nun bewiesen wird, was
Xiemand bezweifelt, dass dieser das Vollendetsein logisch widerspreclie
und dennocb jede Gegenwart das Ende de Vergangenheit sei. Das Ende einer
anfangslosen Reilic làsst sich aber immer denken, oline
ihrer Anfangslosigkeit Abbruok zu tbun : wic sich aneli umgekehrt der
Anfang einer endlosen Reihe denken làsst. “Die Welt als Wille” ecc. G‘ ediz.
I, 58G-87. (2) “Kritik der reinen Venunft”, ed. Kirchmann p. 3G4, 3GG, 3G0. 4G
sentanone della sintesi completa delle sue parti. Dunque anche secondo lui
dovrebbe il concetto di totalità non esser applicabile ad una serie
infinita. Tuttavia per dimostrare che le cose coesistenti non possono
essere infinite, alla loro infinita sostituisce egli appunto il concetto
contradittorio di un tutto infinito. Ed à bel giuoco nel rigettare quindi
un tale assurdo. Ecco la sua dimostrazione . un tutto infinito per venir
pensato tale dovrebbe lasciarsi esaurire per mezzo di una sintesi successive.
Ma l ’infinito non può mai venir cosi esaurito, dunque una totalità
infinita di cose coesistenti non può considerarsi come data. Insomma dice Kant
: una infinità non potrebbe venir numerata ossia non potrebbe esser
finita, dunque non può esser data; vien rigettato l’infinito
semplicemente perchè è altra cosa che il finito. Non l’nfinito per sè, solo
l’infinito nel finito è realmente un assurdo, poiché come tale dovrebbe
esser necessaria¬ mente dato tutto. Ogni insieme di cose deve perciò
con¬ tenere soltanto un numero finito di elementi numerabili. Ma
quanto al temilo non c’è ragione di negarne la infinità ; numerabili sono
i processi da un punto a un altro della serie, non la serie stessa in
senso assoluto, perchè ella non è mai data come un tutto, Is
eli infinito assoluto o transfinito che è proprio del tempo, non abbiamo
più veramente una grandezza ma 1 assenza di essa, poiché è data la
necessità della man¬ canza di un limite nel regrèsso, ed una tale
mancanza è oggettivamente mallevata come nello schema spaziale
della mente essa lo è soggettivamente. La ragione della infinità dello
schema spaziale, come di quella della serie dei numeri sta nel soggetto ;
la infinità invece della se¬ rie causale à la sua ragione nell’ oggetto o
nella realtà estramentale. E appunto solo nell’infinito del tempo passato
che si lascia necessariamente attuare un significato reale del
transfinito. Poiché una simile illimitatezza assoluta è bensi anche dello
spazio, ma soltanto dello spa¬ zio ideale o matematico, in quanto questo
viene ogget- tivato e lo possibilità che realmente è solo nella
funzione mentale vien naturalmente considerata come oggettiva e per
sé esistente indipendentemente da noi. L’infinità del passato non à, come
tale, determinazione alcuna quantitativa, non si lascia esprimere col numero ;
in essa è invece ogni numero e può porsi ogni determinazione rimanendo
ella assolutamente indeterminata. Cosi la di¬ stanza di due punti nel
tempo, per quanto grande la si immagini, se si à riguardo alla sua
relazione all’infinito del tempo anteriore, non significa nulla per
questo appunto che l’infinito assoluto essendo propriamente la negazione
di ogni grandezza nel grande non può venir posto in relazione con altre
grandezze. La nostra fan¬ tasia non può correre che all’ infinitamente
grande del passato. SOLO L’ANIMO ne intende la infinità assoluta.
Della seriedel tempo non possiamo ottenere una assurda totalità ; per
padroneggiare quella bisogna uscire dal cangiamento e volgersi al
fondamento della infinità temporale, ossia all’essere come presente in
ogni mo¬ mento e come fonte d’ogni possibile. Meravigliarsi
che la più grande grandezza immagi¬ nabile non sia più vicina
all’infinito assoluto che la più piccola, è analogo al meravigliarsi che
la più ampia conoscenza dei fenomeni non arrivi più vicino alla cosa in
sè che la conoscenza più limitata. Qui come là si tratta di una
differenza qualitativa che nou si lascia esaurire pei aiiazioni di
quantità. L’apparente paradosso che con una comunque grande grandezza non
s’è mai più vicini che con altra infinitamente minore al
transfinito, riposa in questo, che le due grandezze vengono riferite
a quello senza mantenere di esso il giusto concetto, ma consideiandolo
invece come una quantità determinata; nel qual caso sarebbe veramente un
assurdo dire che da esso disti ugualmente un dato punto e un altro che
fosse prima o dopo di questo. Come nel transfinito del passato non
c è assolutamente un termine, cosi esso non è raggiungibile in alcun modo;
dunque tutte le grandezze sono per riguardo ad esso insignificanti.
Parimenti è un assurdo credere di poter addizionare una unità al
transfinito o trasfinito. Si può solo addizionarla al finito. L’accrescimento
esisterà pertanto in riguai do ad un segmento finito di retta, ma non in
riguardo alla retta stessa nella sua infinità. In una retta infinita
nelle due direzioni è indifferente il far la divisione più in un punto
che in un altro da quello lontanissimo ; le due rette risultanti
sono sempre lo stesso transfinito e con ciò sempre uguali. Nella
retta co’_a _b _m rx - A — Aoo e oo’B ossia ( co’A-H AB ) — B oo
uguale cioè (A oo — AB). Si vede cosi contrariamente alla dottrina di
Cantor. Dice Cantor. Zu einer unendlichen Zalil, wenn sie als bestimmt
und vollendet gedacht wird, selir «ohi cine endliche hinzu- gelugt und
mit ihr vereinigt werden kann, oline dass kierdurch eine Aufhebung der
letzeren bewirkt wird ; nur der umgekerte Vorgang, die llinzufugung einer
unendlicker Zahl zu einer en dlicbcn, wenn diese che oo-t-1 ( <> —J—
1 secondo la sua notazione) non è maggiore di <», nè 1-f-o è differente da
essendo co’A + A B = A B + oo. Non v’è infinito maggiore d'altro
infinito: tanto sarebbe infinito il tempo ritroso se la serie dei
cangiamenti fosse terminata migliaia di secoli fa, quanto se esso
continui all’infinito a trascorrere an¬ cora. Il passato si può misurare
tanto a minuti che a secoli, e dirlo eguale, se fosse lecito così
esprimersi, a numero infinito di minuti o a uno infinito di secoli;
non pertanto sarebbe sempre lo stesso infinito nè più nè meno. E la
ragione di ciò è che la quantità transfinita non è misurabile. La immensità
supera ogni numero, come direbbe Spinoza. Nella infinita
serie delle cause è da pensarsi un numero di esse (se tale può chiamarsi),
maggiore di ogni numero assegnabile ; oltre ogni raggiungibile anello
la natura ne offre costantemente altri ulteriori. Nella na¬ tura la
contraddizione non può esistere ella non ef¬ fettua il passaggio che da
un momento a un altro ; e questo passaggio non può farsi attraverso
l’infinito. Per quanto noi risalghiamo all’indietro nella serie causale,
come non troviamo contraddizione pel pensiero, cosi non la troviamo nella
realtà. Essa ci offre sempre e solo un ziierst, gesetzt wird,
bewickt die Anfhebung der letzeren, ohne dass eine Modification der
ersteren eintritt. (Grundlagen ecc. p 11); e più oltre (p. 14): “Ist co
die erste Zalil der zweiten Zalilenelasse, so iiat man: 1+01=10, dagegen
u> 4 .i-=(coq-l), wo (co- 1 - 1 ) eine von co durchaus verschiedene Zahl
ist. Aiif die Stellung des Endliclien konmtes also alles an. Una tale
inapplicabilità della LEGGE DI COMMUTAZIONE ai numeri transfiniti o trasfiniti dovrebbe
per Cantor servire inoltre a dimostrare come tali numeri debbano poter essere e
pari e dispari insieme o anche nè pari nè dispari. (Id. p.
15). 5dato cangiamento e la sua causa. II fenomeno non richiede per la sua
spiegazione la totalità della serie delle cause anteriori, si bene
soltanto la causa immediata¬ mente antecedente; e il principio di ragione
domanda uni¬ camente la immediata condizione e non una totalità di
condizioni. In quanto la stessa richiesta si rivolge suc¬ cessivamente
alla causa della causa e cosi via all’infi. nito, si viene a domandare
costantemente una nuova con¬ dizione e questa è un nuovo membro della
serie e niente di più. Al tempo è essenziale la posizione in atto di
un solo momento. Fatta astrazione dai cangiamenti, e supposto
l’essere affatto immoto in una rigida stabilità assoluta, noi lo
poniamo però sempre in qualunque punto del tempo ideale che noi fissiamo
; la sua esistenza la poniamo cosi necessariamente infinita nel passato. Or
come può nascere la contraddizione se noi in uno qualunque di questi
punti pensiamo invece l’essere universale nel flusso del cangiamento?
Assurda è la posizione di un tutto infinito, quale non può qui esser dato,
poiché la successione perpetua è la forma dell’infinito del tempo; noi
abbiamo qui una serie che in riguardo al nostro procedere a ri¬
troso nel tempo da fenomeno a fenomeno è infinitamente grande, e per sé è
transfinita come la tangente dell’angolo di 90° -- Wundt è condotto a credere
(Philos., Stadie„ II, 520. Kant’s kosmologichen Antinonien n. das Problem des
Unendl.) che l’applicazione de concetto di transfinito non sia possibile
nel problema cosmologico del tempo. Egli crede un tal concetto
trascendente, che invece non è e cosi gli viene a mancare un concetto che
esprima la infinità oggettiva ossìa 1 eternità del processo della natura. Il
concetto limite del
in. Kant crede che la sua
dottrina della idealità del tempo e dello spazio o della transcendentalità
in generale, spiegasse la supposta antinomia del problema
cosmologico, e rendesse con ciò inutile e vana la ricerca di una
soluzione. Ma appartenga o no il tempo e lo spazio al reale in sè, riman
sempre tuttavia la questione se questo, che Kant non può a meno di
accettare, si abbia a pensai’e come fondamento di un mondo fenome¬
nico finito ovvero di uno infinito. Non vale rispondere che la serie
regressiva delle percezioni nostre non può essere realmente infinita
perchè come tale impossibile, e neppure finita perchè nessun limite dei
fenomeni può venir concepito come assoluto, e dichiarare con ciò
insolubile la questione. Dacché l’oggetto trascendentale condiziona
realmente, come egli ammette (1) un determinato regresso empirico, per un
esempio nell’ordine dei corpi celesti ; doveva Kant pur ammettere che
rimaneva sempre a ve- regresso infinito (o a dir proprio infinitamente
grande) non è già un concetto trascendente della creazione quale
dovrebbe, secondo il Wundt, accettare ogni spiegazione filosofica della
natura (v. Wundt, “Ueber das Kosmolog. Problm, Yiertelsjahrszeitscb. I,
128); quel suo concetto limite nuli’ altro è invece appunto die
l’infinito assoluto del tempo oggettivo, in base al quale è possibile il
nostro infinito (infinitamente grande) regresso. Il non aver considerato
l’eternità del fare della natura, e specialmente il non aver badato die
l’infinito regresso è in realtà per la natura un perpetuo progresso,
il cui concetto non può venir altrimenti pensato che per via del
tran¬ sfinito, 6 stata la causa per cui il Wundt concepì il tempo
passato sotto il concetto deH’intinitamente grande concordando in fondo
col Kant, come il Lasswitz si trova in questo d’accordo con lui. (L.
Ein Beitrag zum Kosmol. Proli. Viertels. I, 343). (1) Kritik der reinen Vermnft, ediz. cit.,
428. dere se l’oggetto trascendentale determinasse un possibile
regresso finito od infinito (11. Perchè se per lui tuttii processi
compiutisi da tempo remotissimo ad ora non si¬ gnificano altro che la
possibilità deirallungamento della catena dell’esperienza dalla
percezione attuale indietro alle condizioni che la determinano nel tempo;
pure egli, per ciò che s’è sopra citato, non può negare che il possibile
regresso delle nostre percezioni secondo le sogget¬ tive leggi della
mente, non supponga un regresso ogget¬ tivo determinato dalla realtà
inconscia indipendente¬ mente da ogni esperienza (2). Trasportati a
indefinita distanza dal nostro sistema solare, avremmo noi sempre
ancora nuove percezioni? E cosi, trasportati indefinitamente addietro nel tempo
vedremmo noi necessariamente sempre nuovi cangiamenti? Poiché la nostra
necessaria produzione dello schema dello spazio e del tempo, non
potrebbe per sè far si che noi avessimo nuove percezioni dove l’oggetto
trascendentale non le condizionasse e si mostrasse con ciò finito. Lo
spazio e il tempo ideali non sono per sè garanti di una corrispondente
possibile PERCEZIONE. Non una necessità del nostro concetto a priori del
tempo, ma il principio di causalità richiede la infinità della serie
regressiva dei cangiamenti. Poiché non si può conchiudere la mancanza di
un principio del tempo (1) Cfr. Schopenhauer, Parerga, I, 112. (2). Die
wicklichen Dinge der vergangenen Zeit si nel in dm transcendentaien Gegenstand
der Erfahnmg gegeben ; sie sind aber ftir mieli nur Gegenstànde und in
der vergangenen Zeit wicklich, sofern als ich ecc. „ ild. p. 4!0). Saranno
però dunque sempre non null’altro, come dice Kant poco sotto, ma qualcosa
di più della possibilità dell’allungamento della catena dell’esperienza
dalla presente percezione indietro alle condizioni che la determinano nel
tempo. da questo, che ogni limite è necessariamente da noi
pensato come relativo. La relazione di termine e termi¬ nante è infinita
come quella di soggetto e oggetto ; perciò appunto vuota ; essa nulla può
aggiungere al contenuto reale cui viene applicata. Come il pensiero
dell’es¬ sere impensato, che è la forma in cui comprendiamo il
reale, nulla toglie alla realtà estraraentale od in sè della cosa, allo
stesso modo la relazione mentale di limite e limitante non può
evidentemente mettere nella realtà il suo secondo termine se nella realtà
non è dato. Questo secondo termine, il limitante, rimane, se si astrae
da ogni altra considerazione, un puro complemento ideale (1).
9. Riehl non seppe neppur egli superare o scio¬ gliere la falsa
contraddizione che Kant e Dtihring, per non dir che di loro, credettero
inchiusa nella concezione di una serie regressiva infinita di
cangiamenti. Visto che la contraddizione stava nel concetto di una
infinità la quale quei filosofi avevano pensato necessariamente
(1) Hamilton il quale (“Lectures un Metaphysics”, lettura 38; On logic
I, p 101-104) segue Kant nelle antinomie, non giunge che a questo
risultato, di pensare in riguardo all’infinito del tempo e dello spazio,
che se la ragione non ci fa piegare necessariamente nè da una parte nè
dall’altra, pure in realtà il tempo e lo spazio dehban essere o finiti o
infiniti. (Cfr. del resto l’acume (!) del Mill nella sua confutazione di Hamilton,
La philosnphie de IL, cap. VI, p. 90). Ho Spencer poi, che à fatto la sua
più alta educazione filosofica presso di Hamilton appunto e del suo
scolare Mansel, professore di metafisica a Oxford, seguendo il maestro dichiara
questioni insolubili tanto quella riguardanti l’infinità del tempo e
dello spazio che quella della divisibilità della materia e altre ancora.
Egli pensa, cerne è noto, che i concetti di spazio, di tempo, di moto,
di materia e di forza si mostrino in ultima analisi inconcepibili e ci
lascino sempre del pari nell’alternativa tra due opposte assurdità, V. cap. Ili, § 15-18 e cap. IV dei “First Principles”, la quale io
stimo certo l’opera più infelice del filosofo inglese. 54data come
totalità, egli pensò di sfuggirla col negare la numerabilità o la reale
distinzione e indipendenza numerica nella catena delle cause e delle variazioni
(1). Numerabili, dice egli, sono le cose, non i processi. In quanto
le cose sono od appaiono spazialmente divise, deve è vero valere ciò die
il Duhring à formulato come legge del numero determinato; ma altrettanto,
séguita Kiehl, è certo che quella presupposizione non vale per i processi
temporali. Questi non sono, secondo lui, per sé stessi distinti
numericamente : è solo per la nostra distinzione mentale che essi ottengono una
tale determina¬ tezza. Un argomento dunque che vale per il numero
non può senz’altro venir applicato al tempo, poiché mancano in
questo per sé considerato e non riferito allo spazio, degli effettivi
processi indipendenti, separati l’uno dal¬ l’altro, o posti insomma come
numerabili. Noi possiamo distinguere dei processi nel tempo soltanto in
determi¬ nato numero finito, nessun processo è però indipendente
(1) Il Itielil (Ber phUosopliischc Kriticismus, li. 12f>) inclinava
dapprima decisamente a porre con Duhring un principio del
cangiamento. Soltanto nella seconda parte del secondo tomo, tormentato
dalla necessità del principio di causalità cangiò opinione (quantunque non lo
abbia fatto notare egli stesso esplicitamente); ma per uscire dalla
presunta contraddizione dell’ infinito regresso, pensò, al contrario di
prima, i processi come assolutamente, e con ciò assurdamente continui. V.
id. II, 124, 12C, 1S4. 185, 2n8; cfr. Ili, 304, 307. Si vede del resto
evidentemente clic il Riehl oltre aver cangiato di parere, non ò nemmanco
ancor ora troppo certo della sua nuova teo¬ ria; poiché la tratta troppo
brevemente e troppo alla larga, come se gli scottasse di dover render più
minuto conto di ragioni che a lui stesso non possono parere troppo
convincenti Ciononostante l'opera sua e specialmente la seconda parte del
secondo tomo è un lavoro filosofico non solo di grande valore, ma anche
molto attraente, il che è una cosa assai rara. 1C e distinto da quello che immediatamente lo
precede o segue. Rielil, non sapendo come uscire dalla sup¬ posta
contraddizione à dunque rinunciato a concetti di cui l’esatto pensiero
scientifico non sa nè può lare a meno, senza che ciò del resto gli abbia
giovato per la elimi¬ nazione della temuta assurdità come più innanzi
vedremo. La questione dell’infinito riguarda tanto il tempo che lo
spazio. Solo si à sempre a distinguere tra l’esistenza loro ideale ; cioè
il loro schema mentale, e la loro esi¬ stenza reale. Non numerabile
possiamo noi solo pensare lo spazio ideale, lo spazio o l’estensione
materiale dobbiamo invece necessariamente porla numerabile. Poiché
estensione reale è coesistenza, e la continuità assoluta non può essere
reale ma soltanto ideale ; altrimenti essa inchioderebbe la
contraddizione dell’infinito compiuto nel finito, chè senza parti è solo
il continuo della rappresentazione. Porre la continuità assoluta come effettiva
è non spiegar nulla e mettere il mistero nella realtà, rinunciando a
comprenderla. L’irriducibile noi lo dobbiamo soltanto rilegare negli
atomi sia dello spazio che del tempo reali. I tropi degli Eleati non
valgono meno con¬ tro il continuo del tempo che contro quello dello
spazio; non meno contro lo spazio percorso da un pendolo in una
oscillazione, che contro il tempo in questa impiegato. In parti ultime non si
può dividere il tempo nè lo spazio ideale, perchè essi nè sono composti
nè si originano da una sintesi di parti, come in fatti non pos¬ sono
venire analiticamente scomposti in ultimi elementi semplici, e sono
conseguentemente l’uno e l’altro divisibili all’infinito ; ma non è cosi del
tempo e dello spazio leali, dove la natura viene necessariamente
aH'atto. Dice Diehl che solo il nostro intelletto scompone
l’accadere temporale in singoli processi, e che questi solo per ciò ci
appaiono indipendenti, che partono da cose spaziali e si trasmettono ad
altre cose nello spazio (id. Ili, 280, 287, 309). Un processo secondo lui può aver
indipendenza solo perchè vien riferito alle cose nello spazio e non al
tempo unicamente. Ma è naturale che tutti i processi siano nel mondo
materiale (e non vengano soltanto da noi) schematizzati per dir cosi
nello spazio, poiché essi non sono altro che cangiamenti della
realtà spaziale, e unicamente i processi della coscienza in sè
considerati possono venir riferiti al tempo come tale senza riguardo allo
spazio. Difatti non pensa ora Rielil che sia concepibile una materia
assolutamente continua come lo spazio mentale, ossia non costituita
da atomi ? (v. id. Ili, 307 ; cfr. II, 278 e 284). Anche della materia
allora si dovrebbe dire che gli elementi distinti solo la nostra mente li
pone. Come può egli dunque affermare ripetutamente che soltanto la riferenza
dei processi temporali allo spazio ci faccia considerar questi come
distinti e per sè numerabili? Voler negare la numerabilità nel tempo reale o
ne’ suoi processi dovrebbe al contrario anche secondo il Riehl esser lo
stesso che negare nello spazio gli atomi o le cose ossia gli
aggruppamenti durevoli degli atomi. Ogni grandezza nella realtà à
parti elementari, non esclusi i cangiamenti; un certo gi’ado di
cangiamento è una somma di successivi cangiamenti minimali. Ma il
pensiero come per istinto sembra rifuggire dalla conce¬ zione dell’atomo
o minimo temporale, perchè colla determinatezza scompare quel che di vago e di
nebuloso E ir, rdie altrimenti conserva la concezione (lei tempo, e
per cui la mente non avverte o avverte assai meno la inin¬
telligibilità di quello. Colla posizione dell'atomo o minimo, la natura
non più oltre scrutabile del tempo si affaccia bruscamente
all’intelletto. Il tempo come rappresentazione rimane naturalmente strettamente
continuo pur essendo discreti i processi reali, cliè la sua continuità
as¬ soluta ideale è una proprietà necessaria dipendente dalla
natura della coscienza, la quale tra due processi per quanto infinitamente
vicini interpola pur sempre la sua unità. Non c’è un minimo concettuale
del tempo come c’è invece e si richiede il minimo reale. I n minimo
nella rappresentazione del tempo sarebbe un punto inesteso, e
considerarlo come elemento della durata tanto varrebbe quanto rendere
impossibile il concetto di questa (1). Non deve più urtarci
l’accettar gli atomi, o meglio la concessione atomistica, per la materia,
che accettarla in riguardo alla forza e al cangiamento. Non
crediamo siano più intelligibili gli elementi materiali che quelli
del divenire. La facoltà nostra mentale di pensare gli (1) Lo Schopenhauer
trattando nella quadruplice radice del principio di ragione (p 93-96) del tempo
del cangiamento, mette in piena e con ciò stridentissima luce il concetto
ch’egli à della continuità assoluta del tempo, quale egli trova
acutamente espresso presso Aristotele. “ Come tra due punti v’ è ancor sempre
una linea, dice egli, così tra due ora vi è ancor sempre del tempo. È
questo il tempo del cangiamento ; esso è come ogni tempo divisibile all’
infinito e per conseguenza il cangiamento percorre in esso un numero infinito
di gradi per i quali dal primo stato nasce a poco a poco il secondo. „
Egli conchiude con Aristotele dalla infinita divisibilità del tempo, che
ogni contenuto di esso e con ciò ogni cangiamento, o il passaggio da
uno stato all’altro deve essere infinitamente divisibile, e che dunque
tutto- ciò che diviene s’origina in fatti da punti infiniti. atomi
come ulteriormente divisibili vale per tutti e due gli ordini senza
diminuire perciò la necessità che à la mente di ammetterli. Quel
sentimento direi quasi di disagio clic par darci questa necessità, non è
in fondo che ca¬ gionato da quella nostra come ripugnanza a
riconoscere che l’analisi mentale della realtà deve a un dato punto
arrestarsi. La mente deve arrivare ed arriva, ad elementi i quali non
sono più oltre scomponibili, altrimenti il reale potrebbe sciogliersi nel
pensiero.La divisibilità ideale non porta con sè una reale divisione.
Solo il tempo ideale può venir diviso a piacere all' infinito, e non à
quindi elementi numerabili, ma il tempo reale col suo vario contenuto
fenomenico è di sua natura numerabile; quantunque noi, come ci accade per gli
atomi della materia, non arriviamo direttamente a’ suoi elementi. Non
meno delle cose o degli elementi delle cose sono anche i processi
nu¬ mericamente distinti. E se in astratto la grandezza non à
divisione, essa non può tuttavia nella realtà venir esattamente concepita
che come risultante di una immediata ripetizione numerica d’uno stesso
identico. L’assenza di elementi reali è solo nel nostro pensiero che può
a- strarre da ogni divisione nel considerare una grandezza, ed è
pienamente libero di dividerla o accrescerla all’ infinito, allo stesso modo
che esso procede co’ numeri. Tanto la natura che il pensiero ànno del
resto la possi¬ bilità dell’infinito accrescere e interpolare ; ma ne’
loro prodotti non possono dare che il determinato : l’infinito si
riferisce solo al loro operare, non al loro operato. Il concetto del
continuo assoluto applicato al tempo reale sarebbe del resto affatto
inutile anche quando fosse giustificato. Poiché empiricamente un tal
continuo noi non lo incontreremmo mai. Il fatto che noi della
sintesi della natura (come dice Diihring in qualche luogo della “Dialettica”),
non abbiamo altro che rappresentazioni di effettività, non ci dà il
diritto di fare delle possibilità del nostro pensiero la misura della
realtà. Come in sé sia fatto il passaggio da un punto del tempo all’
altro, non può venir inteso. Tanto varrebbe domandare perché esiste
il tempo o magari l’essere stesso nella sua -effet¬ tiva natura Voler
ancora spiegare gli elementi del tem¬ po è uno sconoscere la natura del
pensiero ; noi non li possiamo ridurre ad altro perchè il tempo non è un
prodotto della mente, è condizione anzi dell’esperienza, e non à una
natura puramente logica. Il passaggio è una determinazione della realtà
che noi non possiamo che riflettere. Sarebbe lo stesso voler spiegare gli
atomi della materia; noi non possiamo che ammetterli o
riconoscerli; una pretesa spiegazione di essi è assurda poiché il
pensiero non è tutta la realtà, ma vien confinato da qualcosa che se pò
dare ad esso un contenuto formale, non può però dare il suo essere. Da un
grado a un alti’O del cangiamento si fa il passaggio in quanto il cangia¬
mento stesso ci si mostra come fatto compiuto. Noi non dobbiamo quindi
illuderci col concetto misterioso del continuo assoluto di penetrare più
addentro nel fare della natura, nel divenire dei fenomeni. Noi non
possiamo mai altro che constatare gli avvenuti cangiamenti,
nuH’altro possiamo. E cosi in realtà non conosciamo come il can ¬
giamento, ma che il cangiamento s’è fatto. Tornando ora alla soluzione di
Riehl, nemmanco col fare la serie dei cangiamenti assolutamente
continua sfugge egli, secondo crede, alla temuta e presunta con¬
traddizione dell’infinito compiuto od esaurito. E 1' errore suo si fa più
stridente e palese quando egli so¬ stiene che la infinità del tempo si
mostrerebbe esaurita se si dovesse pensare ad un suo fine nel futuro.
Ei crede che solo in tal caso, per evitare la contraddizione, si dovrebbe
ammettere un principio assoluto del tempo. E così fa dipendere, cosa enorme,
la infinità del regresso dalla infinità del progresso nel futuro. Ma la
fine del tempo non è invece punto contradditoria. É questa una
questione di natura empirica; e cosi secondo lui non dovrebbe esser
allora inconcepibile e contraddittorio neppure un principio del tempo. Il tempo
reale, ove fossero date le condizioni di un equilibrio universale,
potrebbe finire ad ogni momento senza assurdità alcuna. Poiché ad
ogni modo nella natura ogni fine non è della serie infinita ma
dell’ultimo cangiamento. Del resto, sia pure, ammettiamo che i processi
non siano per sé distinti e numerabili, ma siano invece assolutamente
continui. Dice Riehl che le oscillazioni di un pendolo sono senza
dubbio determinate numericamente (id. Ili, 309). Ora come risponderebbe
egli alla domanda — nè vi può in modo alcuno sfuggire — se si debba
pensare che insieme sommate le oscillazioni dei pendoli che possono
dall’eternità esser mai esistiti in infiniti mondi, possano venir
compresi da un numero finito ? E se no sotto quale concetto una tale
somma o regola di somma dovrà venir pensata? A ciò non à egli
risposta. E più ancora come risponde Riehl a quest’altra, la domanda. Il
numero delle terre dall'eternità ad ora nate e morte è egli infinito o
finito ? Poiché qui manifestamente abbiamo delle esistenze separate,
indipendenti, numerabili anche secondo lui. L’unica giusta risposta è che
un tal numero è necessaria,nente infinito, o, propriamente,
transfi¬ nito. Nel corso perpetuo del tempo non solo non è contraddittorio,
sibbene è necessario che un infinito numero di corpi celesti (dato che le
moderne teorie cosmiche siano, come pare, inevitabili) abbia gradatamente
avuto nascita e morte. Con ciò come non vi fu un primo cangiamento,
nemmanco vi fu una prima terra. Il concetto dell’infinito assoluto o
transfinito è applicabile solo alla serie regressiva dei cangiamenti, non
alla progressiva. La natura di questa consistendo appunto nel crescere suo
continuo verso il futuro non può cadere, se infinita, che sotto il concetto
dell’infinitamenfe grande. Poiché in nessun punto iminaginabi'e del
futuro non si sarà compiuta, a partire da un punto qualunque del
tempo precedente, una infinità assoluta di cangia¬ menti. E ciò che si
avrà sarà solo la continua possibilità di sempre nuove mutazioni. La
questione però se realmente nella natura dell’essere sia la disposizione a
qnes'.o infinito futuro è affatto empirica, non essendoci, come s’è visto
sopra, alcuna difficoltà che a priori ci impedisca di pensare possibile un termine
d’ogni cangiamento in un qualunque momento avvenire. Il concetto del tempo
per sé non ci dà alcuna soluzione; la questione è puramente di fatto. La
soggettiva possibile anzi necessaria illimatezza dello schema spaziale non
porta seco necessariamente un infinito riscontro nella esistenza
materiale oggettiva. Allo stesso modo neppure la illimitatezza del tempo ideale
porta con sè quella del tempo reale ossia una serie infinita di reali
cangiamenti. Essa non ci impedisce in modo alcuno di considerare come
possibile un limite del mondo nel tempo. Se noi siamo sforzati di pensare ad un
tempo vuoto non è però il pensiero di esso che gli dà un contenuto reale
in ogni suo momento. Essendo che per sè stesso la vuota durata tanto è
del reale come del nulla ; sebbene la durata non rimane mai nel nostro
pensiero priva adatto di contenuto, in quanto la permanenza dell’essere,
indipendentemente dallo svol¬ gersi o no esso in fenomeni, non può mai
mancare di farle riscontro. Ed è in questo una grandissima differenza tra
la rappresentazione dello spazio e quella del tempo. Mentre a niun punto
arbitrario del tempo viene a mancare il contenuto materiale, non così
necessaria¬ mente ad ogni punto dello spazio. A parte i cangiamenti
in cui l’universo si svolge è evidente che non può ad. esso venir
applicato il concetto di una determinata durata. Come esso è sempre quello che
è, cosi il tempo non à a suo riguardo significato alcuno. In un
qualunque momento inesteso del tempo 1’ essere è completo, è tutto
ciò che è stato e tutto ciò che sarà. Se dunque nel futuro venisse realmente a
mancare ogni mutazione nell’essere, questo potrebbe solo impropriamente
venir considerato come nel tempo; la durata dal punto in cui il
cangiamento sarebbe cessato à soltanto senso perchè noi la immaginiamo
misurata da quella piena di cangiamenti della nostra coscienza.
Intanto la meccanica non ammette assolutamente la possibilità del passaggio di
un sistema da uno stato dinamico ad uno statico. E cosi il tempo futuro è
indubbiamente infinito nel senso di una progressione senza fine – V.
anche le considerazioni di Sleyer, “Mechanick iter l Verme” (p. 309). Tra le
due infinità del passato e del futuro sta il momento presente, il quale
inchiude la realtà eterna, la realtà che fu e che sarà. La pienezza
dell’essere non ci sfugge come parrebbe a considerarlo nella infinita
sua fenomenologia. L’essere è sempre tutto presente, non c’ è
elemento di cui possa dirsi che sia stato o che abbia a originarsi.
Certamente l’interesse nostro va al suo svolgersi ne’ cangiamenti per cui solo
ci si svela la sua na¬ tura e per cui solo noi ci commoviamo e viviamo.
Che per la coscienza l’essere immoto in una rigida inerzia non
avrebbe valore alcuno. Tuttavia la infinita possibilità del cangiamento è tutta
nell’essere in un qualunque punto matematico del tempo. E cosi T
importanza del tempo finito non si perde di contro alla infinità
passata e futura del processso: ogni momento del tempo ci dà
l’essere sub specie aeternitacis, nè altra mai è stata la esistenza della
realtà che quella del momento. Solo in questa considerazione della
permanenza eterna del reale possiamo noi comprenderne la infondata e
infondabile natura sistematica. Lo sguardo alla incessante evoluzione può
troppo facilmente far considerare le interne determinazioni dell’ essere come
transitorie. Che l’evoluzione sia tale quale noi l’andiamo scoprendo non è
altrimenti a intendersi. Giova quindi, per la concezione universale
dell’esistenza, oltre che aver riguardo allo svolgimento di un sistema
parziale nel tempo considerare gli altri sistemi parziali del cosmo
nel loro coesistente diverso grado di svolgimento, per cui si lascia
forse quasi pensare come in ogni momento attuata nello spazio la
evoluzione temporale dei singoli mondi. Nello spazio e nel tempo, da
cosa a cosa, da processo a processo, per il filo della causalità
materiale spiega l’essere la sua unità. Alla necessaria necessità logica
rispondi la effettiva unità materiale della esistenza. L’unità dello spazio e del
tempo nella rappresentazione non basterebbero per sè a escludere una
radicale disparità nel reale. Se lo spazio e il tempo fossero
puramente forme ideali nascerebbe il problema del come la realtà
non possa dare origine a duplicità di sorta. E la questione si scioglie solo in
quanto si riconosce che l’unità stessa del reale è che crea quella dello
spazio e del tempo. Le proprietà dello spazio sono esse stesse di
na¬ tura meccanica, nè altrimenti potrebbero le leggi della natura
esprimersi in relazioni di spazio ; nelle necessità spaziali è la logica
immanente delle forze della natura. Due spazi differenti sono un assurdo non
solo avuto riguardo al pensiero, ma anche in riguardo alla oggettiva
realtà materiale. Il pensiero per sè non trova alcun impedimento a
riunire ogni spazio in uno spazio unico nel vuoto schema spaziale e non
può trovar quindi ragione di considerarlo come disuniforme. Nella realtà
poi la pluralità degli spazi vorrebbe dire pluralità di esseri. Ora
una tale pluralità non solo non può mai venir oggetto del nostro pensiero
e per noi non può quindi assolutamente esistere, ma è dalla realtà
smentita, perchè anche l’esperienza colla omogeneità universale della
materia mostra esser l’essere uno. Le posizioni delle distanze nello
spazio reale non sono che rapporti di forza. Ogni elemento dell’
esistenza materiale è quindi nello stesso unico spazio. Non esistendo
cosi elemento alcuno fuori d’ogni relazione cogli altri. Analogamente è del
tempo reale ; la sua unità suppone quella dello spazio materiale e
dipende insieme dalla universalità del cangiamento. Per la natura radicalmente
omogenea delle cose e per la temporalità d’ogni cangiamento è uno anche
il tempo oggettivo. E cosi che i principii meccanici si estendono
presumibilmente e con sempre maggior certezza ad ogni massa
dell’universo, a ogni sistema di stelle fisse e gruppo di sistemi. Poiché
la base dell’esistenza è di natura meccanica. Solo la sensazione come tale o il
campo della coscienza ne resta fuori e riceve dalla spiegazione meccanica una
eterogenea sebbene costante e parallela illustrazione. L’unità dell’essere non
à riscontro in una fantasticata e contraddittoria unità cosciente universale;
rifrange invece per dir cosi la sua unità in quella di molteplici
coscienze individuali. L’unità oggettiva estramentale e la unità della
coscienza: due abissi del pari inscrutabili ma rispondentisi. Albana e
all’altra sta a base e direi quasi a tergo quella che noi non possiamo
concepire che col concetto formale di ragione o di fondamento unitivo
e subfenomenico dei due fatti. Non è meno inscrutabile l’una unità
dell’altra, sebbene quella della coscienza im¬ plica per sé quella
materiale oggettiva. Infatti che cosà di meno oltre analizzabile dell’unità
radicale che con la mutazione si appalesa esistere negli elementi
dell’essere? Come spiegare la effettiva comunione delle sostanze, il
fatto che lo stalo di un atomo porti seco un dato altro stato di un
altro? Queste riflessioni ci richiamano alla infondata originarietà delle
cose, e alla natura per così dire superficiale della conoscenza e del
pensiero. Quelli sono resti refrattari ad ogni ulteriore analisi; nè già
per difetto del nostro istrumento, ma per la necessaria natura stessa del
conoscere, chè altrimenti la realtà dovrebbe cessare di esistere come distinta
dal pensiero. La analisi à necessariamente de’ limiti, i quali non
anno però bisogno d’esser limiti della conoscenza nel modo in cui
falsamente per lo più vengono intesi, quasi indizi di limitatezza di
contro a una sia pur solo logicamente possibile conoscenza superiore. Come non
è incondizionatamente applicabile al reale il principio di ragione, tanto
meno lo sono altri concetti essenzialmente relativi quali quelli di
grandezza e di scopo. Se l’universo è infinito, non à evidentemente
per ciò stesso determinazione alcuna quantitativa; se finito è vero
però che in relazione ad una sua parte esso à una grandezza determinata,
sebbene nell’estenzione variabile da un momento all’altro. E che possiamo quindi
dirlo più piccolo di una grandezza posta mentalmente superiore alla sua ;
che anzi possiamo anche considerarlo infinitamente piccolo in relazione
all’infinito assoluto dello spazio ideale. Ma in sè non si potrebbe dirlo
propriamente nè grande nè piccolo, perchè fuori di esso non vi è nulla
che possa darci una unità di misura. E del pari è affatto relativo il
concetto di durata e inapplicabile perciò in modo incondizionato
all’essere. Questo non dura nè tanto nè poco; e la ragione di ciò è che esso
non è nel tempo. Considerando però la serie dei cangiamenti, al contrario di
quanto ci accade per lo spazio, lo schema ideale del tempo riceve
necessariamente un contenuto reale perfettamente corrispondente. E
sciogliendo la difficoltà che più che tale a molti filosofi è parsa
sinora una stridente contraddizione, abbiamo visto che come per mezzo del
tempo si fa possibile il cangia¬ mento, il quale altrimenti sarebbe
contraddittorio, cosi per il cangiamento trova una necessaria
applicazione alla realtà oggettiva l’infinito assoluto o trans-finito. Mario
Novaro. Novaro. Keywords: implicatura ligure, ‘la riviera ligure’, Grice
echoing Kant, echo, implicature ecoica, Strawson’s ditto-theory of truth,
Strawson’s echoic theory of truth, Skinner on echo – ecoico, eco, implicature
ecoica – Luigi Speranza, “Grice e Novaro” – The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza, Riviera Ligure. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742337518/in/datetaken/
Grice ed Ocone – liberali d’Italia – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Benevento). Filosofo. Grice: “Ocone has
selected Croce as the quintessential Italian liberal! That should please
Oxonians like Collingwood!” -- Grice: “I like Ocone’s idea of a liberalism
without a theory – ‘liberalismo senza teoria’ – that should please J. M. Jack!”
-- Grice: “Speranza has noted that if Bennett speaks of
meaning-nominalism, we could well speak of meaning-liberalism.” Grice: “While
meaning-liberalism requires that the limit of one’s liberty to make a sign
stand for an idea is your co-conversationalist, meaning-anarchism is Humpty
Dumpty (‘I didn’t know that!’ ‘Of course you don’t’) and
meaning-conventionalism is the idea that there is a repertoire on which
conversationalists rely!” Si occupa soprattutto di temi concernenti il
neoidealismo italiano e la teoria del liberalismo. Allievo di Franchini, è
borsista dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli negli anni
1993-1994. Qui ha l'opportunità di lavorare direttamente nella biblioteca
personale di Benedetto Croce e con l'aiuto di Alda Croce, figlia del filosofo,
raccoglie e analizza il materiale scritto nel mondo su di lui. Un frutto
parziale e selezionato del suo lavoro vede la luce nel volume ragionata degli studi su Croce pubblicata
dalla Edizioni Scientifiche Italiane di Napoli, che vince l'anno successivo la
prima edizione del "Premio nazionale di saggistica Benedetto Croce",
istituito dall'Istituto Nazionale Studi Crociani. È stato direttore
scientifico della Fondazione Luigi Einaudi di Roma, dalla quale è stato
successivamente allontanato per le sue posizioni nazionaliste. Successivamente
è entrato a far parte della Fondazione Giuseppe Tatarella ed è diventato
Direttore Scientifico di Nazione Futura. È anche membro del Comitato
Scientifico della Fondazione Cortese di Napoli, del Comitato Storico
Scientifico della Fondazione Bettino Craxi, del Comitato Scientifico
dell'Istituto Internazionale Jacques Maritain e del Comitato Scientifico della
Fondazione Farefuturo. Attività e pensiero Fonda a Napoli, con un piccolo
gruppo di laureati e laureandi della Federico II, cittadini sanniti e
napoletani, il trimestrale "CroceVia" edito dalla Edizioni
Scientifiche Italiane, che si propone di rinnovare il messaggio crociano e che
entra in poco tempo nel dibattito culturale nazionale. Nel 2008 i suoi studi
crociani prendono corpo nel volume Benedetto Croce, Il liberalismo come
concezione della vita, pubblicato dall'editore Rubbettino nella collana
“Maestri liberali” della Fondazione Luigi Einaudi di Roma. Il volume,
presentando l'immagine originale di un Croce partecipe del processo europeo di
distruzione delle categorie epistemiche, ha numerose recensioni. A partire
dalla sua interpretazione di Croce, Ocone elabora la prospettiva di un
liberalismo senza teoria, cioè storicistico e non fondazionistico. Il suo
progetto filosofico può essere così formulato: riconquistare il liberalismo
alla filosofia; ritornare in filosofia all'idealismo; ricongiungere il
liberalismo con l'idealismo (si vedano, a tal proposito, gli interventi di
Ocone nella polemica fra neorealisti e postmodernisti). In quest'ordine di
discorso, Ocone ritiene che la critica rivolta a Croce di essere un liberale
anomalo, in quanto nel suo pensiero il concetto di individuo sarebbe
sacrificato, vada ribaltato: l'individualismo non è affatto consustanziale al
liberalismo, ma si è legato ad esso solo in una sua prima fase di sviluppo
(all'inizio della modernità). Quello di Ocone è un liberalismo che non
prescinde né dal senso storico né dal realismo politico. Successivamente il
pensiero di Ocone ha assunto molti caratteri propri dello scetticismo politico
di Michael Oakeshott, in particolare della sua critica del razionalismo, del
perfezionismo e del paternalismo. Egli ha pertanto insistito sul carattere
“anticonformistico” e “eretico” del liberalismo, sulla priorità in esso del
momento “negativo” o della contraddizione. La critica delle ideologie, e in
particolare del “politicamente corretto”, diviene in quest'ottica il correlato
pratico degli approdi antimetafisici della filosofia contemporanea. E filosofia
e liberalismo finiscono per coincidere Da ultimo, la sua riflessione ha
messo a tema il significato teorico e storico dell’affermarsi dei cosiddetti
“populismi” e “sovranismi”. Essi, prima di essere ostracizzati, vanno per Ocone
capiti: pur in modo confuso e contraddittorio, lungi dall'essere un “incidente
di percorso” incorso al processo di globalizzazione in atto, essi ne segnalano
la definitiva crisi dell’ideologia portante: il globalismo. Questa ideologia
può essere considerata una radicalizzazione coerente della mentalità
illuministica e progressista, cioè da una parte del processo di
secolarizzazione e razionalizzazione e dall'altra dello speculare e connesso
relativismo e nichilismo. I “populismi” sono perciò per Ocone movimenti di
reazione ai meccanismi di spoliticizzazione (e connesso “disciplinamento” in
senso foucaultiano) propri della globalizzazione, che aveva definito la
sua ideologia all’incrocio fra le idee di due “deviazioni” dell’autentico
liberalismo: il neoliberismo, sul versante economico, e la cultura liberal sul
versante di un diritto globale fortemente eticizzato. Scrive su diverse
riviste scientifiche e culturali e sui maggiori organi di stampa nazionali.
Attualmente è nella redazione della rivista “LeSfide”, edita dalla Fondazione
Craxi, e nel Comitato editoriale dell quotidiano online “L’Occidentale”.
Collaboratore de “Il Giornale” e de “Il Riformista”, è opinionista politico di
“formiche.net”, “Huffpost” e “nicolaporro”. Molto seguita è la sua rubrica
domenicale di riflessione politico-culturale “Ocone’s Corner” sulla rivista online
“startmagazine”. Un estratto di un suo articolo (Intervista a Remo Bodei,
in C. Ocone, Prendiamola con filosofia, Il Mattino, è stato utilizzato dal
Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca come documento per
la stesura della traccia della prova scritta di Italiano negli esami di Stato
conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore a.s. (Tipologia
BRedazione di un saggio breve o di un articolo di giornale2. Ambito
socio-economicoArgomento: La riscoperta della necessità di «pensare»).
Nella sezione Dal dopoguerra ai giorni nostri, Percorso 9f Il dibattito delle
ideeDall'“impegno” al postmoderno, Dal periodo tra le due guerre ai giorni
nostri) dell'antologia "Il piacere dei testi", editore Paravia, è
contenuto il suo saggio "Né neorealisti né postmodernisti" da
"qdR". Saggi: “Coronavirus. Fine della globalizzazione” Il Giornale,
Milano); “La chiave del secolo. Interpretazioni del Novecento” (Rubbettino,
Soveria Mannelli); “Europa. L'Unione che ha fallito, Historica, Cesena, “La
cultura liberale. Breviario per il nuovo secolo” Giubilei Regnani, Roma-Cesena);
“Attualità di Croce” Castelvecchi, Roma, “Il liberalismo nel Novecento: da Croce a
Berlin” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Il liberale che non c'è. Manifesto per
l'Italia che vorremmo” (Castelvecchi, Roma); “I grandi maestri del pensiero
laico, Claudiana, Torino); “Collingwood e l’Italia” Castelvecchi, Roma); “Il
nuovo realismo è un populismo” (Il Nuovo Melangolo, Genova, (Pietro Reichlin e Aldo Rustichini) Pensare
la sinistra. Tra equità e libertà, Laterza, Roma-Bari, Liberalismo senza
teoria, Rubbettino, Soveria Mannelli (con
Dario Antiseri), “Liberali d'Italia” Rubbettino, Soveria Mannelli (con altri autori) “Le parole del tempo.
Lessico del mondo che cambia” Pierfranco Pellizzetti, Manifesto libri, Roma); “Spettri
di Derrida, Annali della Fondazione europea del Disegno (Fondation Adami), Il Nuovo Melangolo, Genova); “Profili
riformisti. liberali per le nostre sfide” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Marx”
(Momenti d'oro dell'economia"), Roma); “La libertà e i suoi limiti.
Antologia del pensiero liberale da Filangieri a Bobbio, Laterza, Roma); “Croce.
Il liberalismo come concezione della vita” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Bobbio
ad uso di amici e nemici” (Marsilio, Venezia); “Manifesto laico, Laterza, Roma);
“Lessico repubblicano” (Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, ragionata degli
scritti su Croce; Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli. Cfr. Archivio
borsisti in Istituto Italiano per gli Studi Storici Premio Benedetto Croce, su mediamuseum. Comitato
Scientifico, su Fondazione luigi einaudi.
Riccardo Ficara, La Fondazione Einaudi allontana Ocone perché
"filo-sovranista", su Secolo Trentino, La Fondazione, su Fondazione
Giuseppe tatarella. Organigramma, su
nazionefutura. Fondazione Cortese di
Napoli in//Fondazione cortese/ Fondazione
Craxi, Comitato Scientifico dell'Istituto Maritain, sComitato Scientifico e di
indirizzo, su fare futuro fondazione.
rubbettino. Gianni Vattimo Pubblicazioni
La recensione, Caffe' Europa, Duccio Trombadori, Questo don Benedetto somiglia
a Nietzsche, su il Giornale, Il blog di GIANNI VATTIMO: Corrado Ocone e la
filosofia classica tedesca, su Gianni vattimo. blogspot. com. La filosofia politica è una pseudo-scienza.
Parola di filosofo. E che filosofo!, su reset.
Attualità di Croce su opac., Europa: l'Unione che ha fallito; opac., La natura del potere svelata dal
coronavirus, su il Giornale, Coronavirus: fine della globalizzazione, Store il Giornale,
Fine di una storia, il ritorno della politica? su leSfide. Chi Siamo, su loccidentale. MIUR Traccia della prova scritta di Italiano
per gli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore
anno scolastico su archivio .pubblica.istruzione. Il piacere dei testi QDR Magazine Qualcosa da Raccontare, La
chiave del secolo: interpretazioni del Novecento, opac., La cultura liberale:
breviario per il nuovo secolo; Attualità di Benedetto Croce / Corrado Ocone, su
opac., Il liberalismo nel Novecento: da Croce a Berlin /su opac., Il liberale
che non c'è: manifesto per l'Italia che vorremmo su opac., I grandi maestri del
pensiero laico ntroduzione di Massimo L. Salvatori, su opac., Robin George
Collingwood, Autobiografia / R. G. Collingwood; prefazione di Corrado Ocone, su
opac., Il nuovo realismo è un populismo / Donatella Di Cesare, Simone Regazzoni,
su opac., Pietro Reichlin, Pensare la sinistra: tra equità e libertà / Pietro
Reichlin, A. Rustichini, su opac., “Liberalismo senza teoria”; su opac., “Liberali
d'Italia”; D. Antiseri; prefazione di Giulio Giorello, su opac., Le parole
del tempo; M. Barberis; P. Pellzzetti,
su opac., Spettri di Derrida opac., Corrado Ocone, Profili riformisti: 15
pensatori liberal per le nostre sfide opac., Karl Marx: teoria del capitale /
[visto da opac., La liberta e i suoi limiti: antologia del pensiero liberale da
Filangieri a Bobbio, opac., Benedetto Croce: il liberalismo come concezione
della vita, opac., Bobbio ad uso di amici e nemici, opac., Manifesto laico /
Enzo Marzo; contributi di S. Lariccia on un intervento di N. Bobbio, su opac., Lessico repubblicano:
Torino, Maurizio Viroli, su opac., ragionata degli scritti su Croce, opac., La
genialità di Marx agli occhi dei liberisti, riconosce i pregi dell'analisi, in archivio storico.corriere
Premio al Premio Croce di saggistica, in premiflaiano Ssu corradoocone.com.
Grice: “Speranza calls me a liberal, but then he calls Locke and Humpty Dumpty
a liberal too.” Grice: “Mussolini set a puzzle for liberalism – the Italians,
disorganized as they are, had to create a party: they called it the ‘Partito
Liberale Italiano’ – which is bound to close down! It opened in 1922 – while I
was at Harborne!” -- Grice: “The test of
a man’s intelligence lies in his ability to name his party – partito liberale italiano
– partito liberale democratico – partito liberale constituzionale – the
addition of ‘italiano’ at the end of ‘partito liberale italiano’ ENTAILS that
what Borolli did at Florence, by founding his ‘partito liberale’ – since he
omitted to add the ‘italiano’ was not the partito liberale italiano – but
fiorentino at most! Similarly, the partito liberale democratico is NOT the
partito liberale italiano, nor is the partito liberale costituzionale.
Mussolini had it clearer: there’s only ONE partito – partito nazionale fascitsa
– the infix ‘nazionale’ means that provincials should not appy!” -- Corrado Ocone. Ocone. Keywords: liberali d’Italia, liberalism, dal
liberalism al fascismo, il partito nazionale fascista e il partito liberale – Refs.: Luigi Speranza: “Grice ed Ocone” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742710674/in/datetaken/
Grice ed Oddi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo. Figlio di Oddo degli Oddi, convinto sostenitore della scuola galenica.
Professore per incarico del Senato veneziano assieme a Bottoni a Padova, dove
insegna e introdusse senza ricevere emolumenti l'insegnamento della pratica
clinica nell'ospedale di San Francesco Grande, precedendo così tutte le altre
scuole. Commentari dell'Ateneo di Brescia
G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, coi tipi della Minerva, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dobbiamo al chiarissimo signor dottor Montesanto (Dell'origine della
Clinica medica di Padova ec.) la bella ed interessante notizia, che il nostro
Bottoni e il suo collega Marco Odd o, calcando le traccie luminose segnate dal
famoso Giambatista Montano pochi lustri prima, diedero novella vita al la
Clinica medica nello spedale di san Francesco in Padova, condotti dalla
solanobilebrama di giovare.E qui avvertire mo cogli sludiosi di medicina,che
ildotto autore, dopo aver dimostrato con incontrastabile evidenza che
l'Università pa dovana, la prima d'ogni pubblico Studio d'Europa, vanta la
fondazioneinessadiquellascuola,basedellamedica scien za,ci porge il documento
luminoso,che tanto onora li ricor dati professori, e in particolare il Bottoni
di cui favelliamo; il quale non essendo da tacersi, lo riporteremo come ci
viene fedelmenteecon eleganza vôlto inlinguaitalianadalprelo dato signor
Montesanto, che il trasse dagli Acta nationis ger manicae Facultatis medicae,
quae,convocata natione, prae lecta et examinata , digna judicata sunt,ut albo
nationis insererentur. Consiliariis Christophoro Sibenburger Carin thio,et
Samuel Keller Hallense Saxone,anno 1578. Vol. I. p.97. Manoscritto presso la
biblioteca dell'Imperiale Regia Università di Padova. dette in vita il
Boltoni , non è da passarsi solto silen zio quello d'essere stato dal Duca di
Urbino,unita mente ai altri quattro medici ,chiesto del suo consiglio onde
togliere la città di Pesaro e il territorio da alcu ne febbri pericolose che colà
infierivano.N e taceremo , come a'dinostrisidimostròbellamente(1),che il Bot
Merita,a comune nostro giudizio,di essere celebrato con riconoscente memoria e
di venir rammentato in questo luogo il beneficio sommo impartito alla nazione
nostra dall'eccel lentissimo uomo Albertino Bottoni , professore primario di
medicinapraticaestraordinaria,ilqualecondottodalla sin golare benivoglienza che
da più anni a noi concede,oltre all'averci anche in quest'anno dalla pubblica
cattedra con ogni cura ammaestrati,a fine di giovare vieppiù alla nostra
istruzione si riuni nelloscorso inverno all'eccellentissimo Marco degli Oddi,
medico ordinario dello spedale di san Francescoepubblico professore,econ
esso,finitalalezio ne,si trasferi sempre a quello speilale medesimo seguitoda
toni fu,insieme al suo collega Marco degli Oddi, il primo che dopo il
celebre Montano gettasse i più so noi per visitarvi parecchi infermi afflitti
da diversi generi di malattie :per talguisa egliaprissil'adito ad accuratamente
mostrarci come sidovessero applicare alla pratica quelle dottrine che avevano
fatto il soggetto della sua pubblica lezione , esercitando così i suoi uditori
in tutto ciò che al dotto e sagace medico appartiene di osservare e
dipraticarea pro de'suoimalati.Cessatefinalmentelelezioni,volendo il Bottoni
che neppure durante le vacanze dell'Università mancasse a noi qualche mezzo di
ammaestramento,e potesse per noiesserpostoaprofittoilnostro tempo,egliinuna
deter minata ora della mallina recavasi ogni giorno a quello stes so spedale
:quivi,visitando alternativamente col signor Marco degli Oddi gli ammalati,
andava instruendoci, ragionando intorno a qualche caso tra i più gravi da lui
osservati. Il Campolongo perciò, vistosi promosso a medico di quel l'ospitale, sipropose
egli pure, allafoggia de'provetti nostri precettori, di dare ogni giorno delle
pratiche istruzioni: nel di susseguente alla sua nomina occupò quindiprimo di
tutti con molta insolenza e temerità quel posto chesoleva essere destinato ai
nostri maestri; nè, occupatolo, volle cederlo ad essi. Fermo in suo pensiero
diragionare aigiovanida quel luogo, non già una sola volta, o per un giorno
solamente, rinnovò la scena istessa per più giorni; e non valseroa ri muoverlo
nè a piegarlo le nostre istanze, direlte a far sì ch'ei lasciasse liberi ü
luogo e l'ora occupati per lo innanzi dai nostri maestri,e che per sè volesse
scegliere altra ora ed altro luogo. Ma, ostinato egli oltre ogni credere,
giunse, coll'insistere per le sue pratiche istruzioni , a turbare quelle solite
a darsi dagli altri prima di lui. Se dal Campolongo solo avesse dovuto
dipendere, tutti saremmo stati esclusi dal Mentre simili esercitazioni,
con si maturo consiglio intra prese a nostro vantaggio, andavano proseguendo,
un certo medicoper nome Emilio Campolongo,digiovanile età,col. lega nell
Università e professore della stessa cattedra , m a in secondo luogo,di Marco
Oddo,riusci,non sisa come, ottenere che la ispezione a d siedeva e la cura
de'malati, cui prima pre ilsolo Oddo,venissefra entrambidivisa,permodo che
quind'innanzi gli uomini fossero medicati longo, e le femmine dall'Oddo. dal
Campo l'ospitale; il che pure minacciava apertamente di voler far
si che avvenisse. La quale insolenza, divenuta già intollerabile ai signori
professori Bottoni ed Oddo, meritevoli per ogni riguardo di molta stima e
riverenza, li costrinse a partire dallo spedale, e con essi partirono quanti vi
erano studenti della nazione alemanna,rimanendo così affatto solo ilCampolongo
nel luogo da lui tolto agli altri..... Informati poscia bene del fatio i
governatori dello spedale , costrinsero il Campolongo con severi modi a cessare
dalla sua pretesa, ingiungendogli, sepur voleva intraprendere qualche esercizio
a vantaggio di taluno degli studenti, di scegliersi un'altra ora ed u n altro
luogo. Cosi, mercè la prudenza dei nostri maestri e la costanza degli studenti
alemanni, fu vinta l'altrui pertinacia , edinostrieserciziivennerofelicementea
ricominciare. Essendosi allontanati, come sogliono, dall'Università glo ltaliani
per far le vacanze presso leloro famiglie, li signori Albertino Bottoni e Marco
Oddo, eccellentissimi uomini e della nostra nazione sommamente benemeriti, affinchèfar
potessimo qualche profitto nello spazio di tanti mesi, conti. nuarono le loro
pratiche istruzioni quasi ogni giorno nello spedale di san Francesco sino al
principio delle lezioni, con gran fatica e disagio loro,econsomma utilità nostra:della
qual cosa poco io dirò, potendo bene ciascuno dalla rela. zione del mio
antecessore rilevare le circostanze tutte che a
ciòsiriferiscono.Aggiungasi,chevenendo nellastateinvitati parecchi infermi alle
terme di Abano , onde rendersi vieppiù grati a'nostri, li condussero due volte
colà,dando per tutti cavalli e legno ilsignor Oddo, e quivi gl'instruirono
circa il valore medico delleacque termali e deifanghi. Verso lafine poi
dell'ottobre fattasi la stagione opportuna per le sezioni anatomiche, il Bottoni
e l'Oddo stabilirono di aprire i cada veri di quelle donne che morissero nello
spedale ; e ciò col fine d'indagare alla presenza degli scolari le sedi e le
cagioni dei mali : fu però d'uopo abbandonare ben tosto que lidi fondamenti
della scuola clinica in Padova , che precedette tutte l'altre in Europa. Lasciò
il nostro Bot Il Bottoni e l'Oddo continuarono anche nel successivo an no 1579
ad istruire nello spedale i giovani;ed in quest'anno pure vennero ad insorgere
nuovi dissidii, come ce ne informano gli atti di quell'epoca, raccontandosiivi quanto
segue: toni un monumento del suo buon gusto nelle arti in un palazzo
ch'ei fece erigere dirimpetto alla chiesa degli Eremitani inPadova (intorno al
quale allude la medaglia riportatadalTomasini(1),cheacquistatopo sto si utile
divisamento,poichè, mentre tutto era disposto per eseguire nel giorno appresso
la sezione di due donne, in una delle quali importava esaminare lo sluto
dell'utero,e nell'altra,mortaditabe,volevasidainostriprecettori scuo prire per
dove penetrasse una piaga fistolosa esistente al to race, il signor Campolongo
loro emulo propose a'suoi uditori d'intraprendere in quel giorno medesimo
l'anatomia dell'ute ro,esiserviper questa deidue suddetticadaveri.Nacque da ciò
che i governatori del pio luogo, resi avvertiti dell’ac caduto e mossi dalle
querele delle vecchie inferme, le quali temevano,morendo,di dover essere del
pari anatomizzate, prescrisserotanto all'Oddo,quanto al Campolongo, di astenersi
dall'incidere verun cadavere nell'ospitale, sotto pena di perdere lo stipendio.
In onta però alle tante opposizioni promosse dalla rivalità del Campolongo
contro il Bottoni e l'Oddo, perseverarono questituttavianell'utile loro impresa
d'istruirenellapratica medicina i giovani, conducendoli al letto dei malati
nello spe dale di san Francesco; poichè anche gli atti dell'anno 1587,
compilati dal consiglieredella nazione alemanpa Pietro Paolo Höchstetter di
Tubinga, ne parlano cosi:A ciascuno di noi è palese con quanta diligenzasi
diportasse ilsignor Albertino Bottoni nelle sue quotidiane esercitazioni. Ogni
giorno ei ci conduceva al lettodi un nuovo malato, e c'istruiva intorno aldi
lui morbo, indagandone dottamente le cagioni, esponendone i segni e le
indicazioni curative ,non che il prono stico :egli suggeriva inoltre non solo
le più opportune medi. cine di comune uso,ma quelle altresi chela sua pratica
particolare gli avea comprovate efficacissime; talche vennu ognora più a farsi
manifesta la singolare bontà con cui ila più anni questo insigne uomo ci
riguarda. Ond'è che,seb. bene le teorie mediche da noi apprese nelle
nostrecontrade possano a tutta prima allontanarci in qualche modo dal se guire
le sue lezioni,la somma sua felicità nella pratica e T'ottimo suo metodo di
medicare serve però a ricondurci in. torno a lui. Marco degli Oddi. Marco
degl’Oddi. Oddi. Keywords: implicature: filosofia naturale, Galeno.-- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice ed Oddi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742042781/in/datetaken/
Grice ed Offredi – implicatura – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Cremona). Filosofo. Gli era tributata grande autorità nell’ambiente filosofico.
Insegna a Pavia e Piacenza. In buoni rapporti con Eugenio IV, Visconti e Sforza. Saggi:“De primo et ultimo instanti in
defensionem communis opinionis adversus Petrum Mantuanum,” S.l., Bonus Gallus, Giambattista Fantonetti, Effemeridi delle
scienze, compilate da G. netti, Paolo-Andrea Molina, Rinascimento, Istituto
nazionale di studi sul Rinascimento, G. Robolini, Notizie appartenenti alla
storia della sua patria, raccolte da G. Robolini, pavese, G. Fantonetti,
Effemeridi delle scienze mediche, compilate da G. Fantonetti, Paolo-Andrea Molina. OFFREDI
CREMONENSIS ABSOLVTISSIMA COMMENTARIA[ocr errors] VNA CVM QVAE
STIONIBVS IN PRIMVM ARISTOTELIS Pofteriorum Analyticorum librum,
Nunc primum mendis oinnibus expurgati, & egregijs scolijs
marginalibus illustrata, AC DVOBVS INDICIBVS, ALTERO, Qy I RES IN
COMMENTARIIS tračtatas, altero, qui quastionum capita copiosissime
comple&titur, PRA E TERE A DVPLICI TEXTVS ARIST.
INTERPRETATIONE A V CTA IN LVCM RE DE V N
T. A PRAECLARISS. DOCTORIS Hoc aüt contingit propter posibilitatem intellectus
D APOLLINARIS CREMONE N. noftri, qui à principio eft sicut tabula rasa,
& non. 3. de anima tex. in librum primum Posteriorum mouetur ad intelligendum
, nisi de potentia ad actí cap.is. reducatur . sic autem intelligentia
non cognofcunt, Aristotelis , expofitio. cum semper in a£tu intelligendi
existant, & eodem CA P. I. modo , & nunquam in potentia.
Bruta etiam non Mnis doctrina, & discurrunt saltem discursu
pfe&to, quamuis in prin- omnis disciplina in- cipiosint in
potentia ad cognofcendum, & hoc eft telleştiua , ex præ- propter
imperfeétum eorum modum cognoscendi ; existenti fit cogni- Concedi tamen
poteft, q aliquo modo, & imper- tione. Manifestum feétè discurrunt .
Ex quo infertur, g per idem medium euidenter concludere habemus , nostrum
mia est autem hoc specu dum cognoscendi imperfe&tiorem esse modo
intelitia látibus in omnibus; gentiarī,et perfectiorem modo brutorum,per
hoc.f. mathematicæ enim scientiæ per
hunc cum difcurfu cognoscimus , qualiter neq; intelli- modum
fiunt, & aliarum unaquæq; ar- gentia, neq; bruta cognofcunt. Cũigitur
intelle&tui tium. Similiter aút & orationes,quæ p noftro sit
potentia semper admixta, & cūdiscursu Syllogismum, & quæ per
Inductionem; scientiā acquirat, in discursu autem error, et recti- Vtræq;
enim per prius nota faciunt do tudo esse poffit,vbietiam eft admixta potentia,
ma- lum, ö error cötingere poffit,vt colligitur de mente e &rinam
; hæ quidem accipientes,tanğà Arift.g . meta. cum dicit, q
malum naturaliter eft tex.6.19 B notis,illä uerò demonstrātes
uniuersale poft potentiā, & vlterius dicit, g in rebus æternis,
perid,quod eft manifestum fingulare. que semper sunt actu , non eft malum
, neque error, Similiter aút, & Rhetoricæ persuadent: oportuit artem
inuenire,qua in a&tibus rationis di- aut enim per Exemplú, & eft
Inductio: rigeretur humanus intelle&us in acquirêdo notitia aut per
Enthimema, quod quidem eft vnius, ex notitia alterius, & hæc fuit Ars
Logicæ. Cum autem triplex sit intellctus operatio, quarum
fyllogismus. secunda primam fupponit,& tertia secundāvt colli Mnis
doctrina,omnisý disciplina gitur 3. de anima (Prima eft fimpliciü
intelle&tio , Tex. c.at. Secunda eft fimplicium cõpositio,vel
diuisio, Tertia intellettina preexistente è co- eft cognitio discursiua.) His
tribus operationibus sed priores dus gnitione fit. Id, fi omnes que tres
correspondent Logicæ partes, quarum prima magis conuenite fiant pacto
consideremus,mani- habetur in lib.prædicamentorum Arist. G admi- Lui, quatenus
in feftum profeito fiet. Mathematica nang; niculis ipsius scilicet lib.
vniuersalium Porphiri, tellcdwet. fcientiæ illo comparantur modo, caterarú ý
lib. sex principiorum , obi logicè determinatur artium vnaquaque. Sanè circa
orationes de generibus, & fpeciebus predicamentorum , prout
quoque,fiueille p raciocinationes fiue per cunda eft, quæ habetur in
lib.Peryhermenias, vbi de cognitione quadam fimplici cognosci habent, sem inductioncm
fiunt, feruari modusidem fo- propositione determinatur, & fpeciebusipfius
tàną let:in utrisq; nanque,per antea nota doctri de inftrumento aliquid
compositiuè, vel diuifiuè co- C F na nimirum fit, quippe cum
in altera tanğ gnoscendi. Tertia verò in alys Logicelibris conti- à
cognofcétibus propofitiones accipiantur, netur, qui cõmuniter Ars Noua
dicuntur, vbi de in altera per singulare iam notüipfum vni.
instrumento determinatur, quo discurrere debet in uersale oftendatur.
Simili profe&to modo, telle&tus,o3. de fyllogismo, es consequenter de
alijs modis arguendi. Diuiditur autem tota illa pars hoc Goratoria
rationes fuadent, aut .n.exem modo , quia ficut in a&tionibus Nature
diuersitas plis,quod est inductio,aut enthymematibus reperitur, quxdam .n.
funt, qua ex neceffitate fiunt, g&quidē ratiocinatio est, facultas
ipsafolet quædam vi plurimum, quedam vero raro (propter oratoria fuadere.
defe&tum aliquem in natura,ficut monftra )sicin
discursibus rationis quidam sunt , in quibus est nePro indu&tione
expositionis huius libri Pofte- cefsitas, & ifti cum rectitudine rationis
habentur. riorum , fub breuitate, videnda funt quædam, v3. Ală sunt , per quos
vt plurimum verum concludiqua fuerit neceffitas, logicam inueniendi,&
confe- tur, non tamen necessariò. Alij verò funt , in quiquenter fcienciam
huius libri,Quis ordo huius libribus eft defectus rationis propter alicuius
principi ad cæteros libros logica Arist.Quis libri titulus,& defe&tum.
Pars logice, in qua de primis determiquid fubie&tú, & fic
consequenter habebuntur ipsius natur, iudicatiua dicitur, & eft illa,quæ
traditur in Non pigeat hoc cause. Quantū ad primum fciendum est primò,q libris
Priorum,& Pofteriorī,dita autem' est iudiloco videre Aszi cum modus nofter
cognoscendi fit medius inter mon catiua à iudicio, eo q iudicium eft cum
certitudine. dum intelligentiarī, er modum Brutoră, ab vtrifq; Vocata etiam eft
analetica .i.refolutoria, co gisa diftinguitur in hoc, g intelligimus cum
discursie. dicium certum de effe&tibus baberi nö poffit,nisifiat. Con
quelle stravaganze ed empietà iusegnavasi cercare col commercio de'demonj ,
colle magie e le incantagioni i rimedj delle malattie, e le maniere di
preservarsene. Meritavano maggior illustrazione e lode altri insignim e dici
Cremonesi di questo secolo. Apollinare Offredi s o lenne filosofo, astrologo e
medico, lettore di metafisica nello studio di Pavia e di Piacenza, caro ed
accetto ad Eugenio IV,Filippo Maria Visconti eFrancescoSforza. A Filippo Maria
protettor suo dedicò l’Offredi i suoi Commentarj di Aristotile sull'anima,
stampati poi in Milano nel 1474, sui quali piacemi di trascrivere il giudizio
che ne fece l'illustre mio concittadino ed amico I lprof. BaldassarePoli. Con
quest'opera, dic'egli,pre venne l'Offredi in alcuni principj sull'origine delle
i dee lo stesso Locke, ecome quegli che appartenendo a quell'onorata famiglia
de'filosofi peripatetici italiani, che al melodo naturale e sperimentale
aggiunsero quello della critica e delle proprie dottrine aveva proposto nuove
ricerche superiori al suo secolo, e di cui van tanto glo r i o s e l e s c u o
l e moderne. I n p r o v a d i c h e il p r o f. Poli ne'suoi saggi, e nella
sua storia della filosofia ita liana riferisce alcune proposizioni filosofiche
dell'Offredi tratte dalle opere sull'esposizione e sulle questioni de’libri
d'Aristotele de anima (che ebbero poi tante edizioni), dalle quali scorgesi
come l'Offredi svincolasse la filosofia dall'impero dell'autorità, e la posasse
sul sentiero della libera e coscienziosa verità. Quanto alla medicina
Apollinare fu celebrato per cure maravigliose fra i migliori medici del suo
tempo, e pubblicava al cune opere, di cui puoi vedere i titoli nell'Arisi.
Il 312 Elogia clariss. virorum Collegii Pisan.1750
negliopuscoliscientificidelCalogerà).Se condo ilVolaterrado e lo Spacchio non
scrisse quest'Of fredi opera alcuna, ma Marsilio Ficino ne fa onorevole
menzione in una sua lettera del lib. V , ove dice che dalla salvezza
dell'Offredi dipendeva quella della filo sofia de'suoi tempi.Non ricordato pure
da'vostri sto rici e biografi trovo Baccilerio Tiberio che è solo a c cennato
nella Biografia medica di Parigi (1820), da cui apprendesi ch'egli fu
professore di medicina a Bologna , Ferrara,Padova e Pavia, e mori -in Roma nel
1511. Scrisse un libro in latino intitolato Commentarj sulla filosofia di
Aristotele e di Averroe, che non sembra es sere giammai stato impresso.Poche
cose i nostri biografi ci tramandarono di Albertino de Cattanei o de Chiz zoli
o Plizzoli da non confondersi coll'altro Albertino di S. Pietro del secolo X I
V . IL Cattanei la dottissinio in varie scienze, dottrine e lettere, e
professore straor dinario di filosofia, fisica, etica e teologia prima a P a
dova nel 1450, indi a Bologna nel 1456, poi difilosofia morale e di medicina
nello studio di Ferrara e di Pisa nel 1473 collo stipendio di 495 fiorini d'oro
(Alidosi, Borsetti Storia del ginnasio di Bologna e di Ferrara.
Fabbrucci,op.cit., inCalogera 7,27).MarsilioFicino lo chiamava doctrinæ et
honestatis exemplar; morì, come pare,nel 1475,e lasciò alcune opere mediche
accennate dall'Arisi. Severino
Boezio 6.° secolo dell'era Cristiana, Hugues de St Victor (12.° secolo),
Alberto il Grande di Bollstädt (Svevia) e Alberto di Sassonia (13.° secolo),San
Tommaso (13.° secolo), Egidio Colonna (13.oe 14.°secolo), Guglielmo d'Alvernia
(13.° secolo), Enrico di Gand (Henricus de Gandano)del 13.°secolo, Roberto
Vescovo di Lincoln detto Testa Grossa (13.° secolo),il francese Giovanni
Gianduno o da Jandun contemporaneo e amico di Marsilio da Padova e di Pietro
d'Abano (14.° secolo), Giovanni Duns Scoto (14.°secolo)eAntonio
d'Andrea,AntoniusAndreae Scotista(14.°secolo),ilBurleusossiaWalter
Burleigh(14.°),Pietrod'AbanoossiaConcilialordifferentiarum (14.°),ilBuridano
(14.°),ilCajetano (Tommaso de Vio del 14.° secolo),Gregorio di Rimini
(Gregorius Ariminiensis generale degli Agostiniani nominalista del 14.°
secolo), Jacopo da Forlì e Gentile dei Gentili discepolo di Taddeo fiorentino
filosofi e medici del medesimo secolo; knalmente Pietro da Mantova logico, PaoloVeneto
filosofo, Apollinare Offredi medico e filosofo e Pietro Trapolino da Padova uno
dei maestri di Pomponazzi autore di un'opera De Ilumido Radicali, tutti del
15.0 secolo. Il Nifo e l'Achillini sono citati nelle Questioni aggiunte. Di Giovanni
Marliano milanese detto
ilCalcolatorefannomenzioneancheisuoilibrianterioriestampatiespeciequello
Deintensione el remissione formarum . La maggior parte di questi Commentatori
sono noti e annoverati sia nelle storie della Filosofia e della Letteratura,
sia nelle Biografie universali, e nelle Enciclopedie. Pietro d'Abano è uno dei
più citati e studiati dal Pomponazzi;è famoso e una sua accurata
biografiafral'altresitrova nella Storia scientifica o letteraria dello Studio
di Padova del Colle.Sopra Jacopo da Forlì che fu professore a Padova è da
notarsi al proposito di questo lavoro che egli è autore di un De
Intensionc 339 titolo più particolare che sta in testa alla prima
pagina dopo l'indice delle Questioni si rileva che esso pure si riferisce ai corsi
dati dal Pomponazzi sul De Anima a Bologna. Difatti il detto titolo è il seguente:
“In nomine individuae Trinitatis incipiunt quaestiones animasticae excellentissimi
artium et medicinae doctoris, domini Magistri Petri Pomponatii Mantuani philosophiam
ordinariam in bononiensi Gymnasio legentis. Sventuratamente il Codice di
Firenze non ha che 57 fogli invece di 267 che ne ha quello di Roma, e delle 79
Questioni di cui contiene l'indice,34 soltanto e non senza lacune vi sono
trattate; queste corrispondono generalmente per l'ordine in cui si ccedono,
alle prime del Codice di Roma, ma non sempre e talvolta con parole diverse. Le
Questioni del Codice di Roma sono 114 ed esauriscono tutto il trattato di
Aristotele, quelle del Codice di Firenze non vanno guari al di là della metà
dello scritto aristotelico e nelle 34 che sono esaminate e risolute non sono
comprese le più importanti dell'Indice come sarebbe quella della Immortalità
dell'anima,soggetto del libro famoso che porta questo titolo. Da un opuscolo
del Brunacci è accertato che a Padova ilPomponazzi comincið et Remissione
Formarum , come il Pom ponazzi,manoscritto registrato dal Tommasini nelle sue
Bibliothecae Palavinae manuscriptae publicae el privatae, Utini 1639 a pag. 37.
L'Apollinare, Pietro da Mantova e Paolo Veneto sano più d'una volta dal
Pompunazzi citati insieme; edifattosonotuttietreinpartedellalorovitacontemporanei.Paolo
Venetohafiorito nella prima metà del secolo XV ed è stato professore a Padova ;
la sua Somma di Logica e isuoi Commenti supra l'Organo sulla Fisica di
Aristotele e specialmente sul De Anima furono celebri e c o m mendatissimi. Di
esso parlano il Tiraboschi e il Papadopoli (Storia dell'Università di Padova) e
Poli nel Supplemento IV al Manuale della storia della Filosofia del Tennemann.
L'Apollinare fu della famiglia Offredi o degli Orfidii da Cremona (Vedi Francesco
Arisi, Cremona literata Tomo I pag. 248, Parma 1702 e Tiraboschi, Storia della
Letteratura italiana, TomoVI LibroI capo2,e LibroIl capo2); fiori verso la netàdel!V°secolo;
ebbe fama grandissima e fu chiamato l'anima di Aristotele. Risulta dal De Anima
del Pomponazzi a Carte 40 che su discepolo di Paolo Veneto « Paulus Venetus et
Apollinaris ejus discipulus ». Fu difensore della filosofia Cristiana contro l'Averroismo;
insegnò a Piacenza evi fu aggregato al Collegio medico. Il suo Commento al De
Anima di Aristotele esiste manoscritto nella Biblioteca palatina di Firenze.
Esso fu stampato più volte nel15°secolo; la prima edizioneè di Milano 1474 (Vedi
il Tiraboschi e il Sassi, Storia della Tipografia milanese). In un volume stampato
a Venezia nel 1492 (esistente nella Biblioteca Alessandrina di Roma) da Boneto
Locatelli si trovano 1.o la Logica di Pietro da Mantova; 2.o il trattatello di
questo professore sul primo e l'ultimo istante (“De primo et ultimo instante) citato
dal Pomponazzi nel suo “De Anima” ; 3.o un trattato responsivo di OFFREDI
Apollinare da Cremona al Mantovano in difesa della opinione comune; 4.° un
commento del Menghi alla Logica di maestro Paolo Veneto. Le due opere del
Mantovano portano questi titoli : l'iri praeclarissimi ac subtilissimi logicim
a incipit feliciter. Incipil sublilissimus tractalus ejusdem deinslanli. Il
trattato dell'Apollinare ha per titolo “Illustris philosophi et medici
Apollinaris Offredi Cromonensis de primo et ultimo instanti in defensionem
communis opinionis adversus Petrum Mantuanum seliciler incipil. Ecco il
principio di quello del Mantovano che il Pompovazzi cita colle parole Petrus de
Mantua o Mantuanus concivis meus: Incip il sublilissimus Tractatus ejusdem
(Magistri Petri Mantuani) de instanti. Dicemus primo naturaliter loquentes,
quod sola forma secundum se el quam libel sui proprietatem potest incipere el
desinere esse. Materia enim prima est ingenita el incorrutlibilis: el non plus
esl, - 340 eil 341 sul “De Anima” un corso che non potè
finire. Forse ad esso si riferiva il manoscritto che il Tommasini (Bibliothecae
Patavinae publicae et privatae) dicediaverveduto nella libreria privata del
Rodio ; quanto a quello di Firevze, il titolo ci avverte, come abbiam detto,
che esso deriva come quello di Roma dall'insegnamento psicologico del
Pomponazzi a Bologna.Si troverà nell'Appendice l'indice delle questioni che vi
sono registrate. È certo in ogni modo che il manoscritto di Roma è il Commento
intero del Pomponazzi sul De Anima di Aristotele, e ciò che più monta e risulta
dalla data apposta alla fine del medesimo, è l'opera della sua età matura, l'espressione
più completa del suo insegnamento più importante, il corso da lui dato o
compiuto sul “De Anima”, nel tempo che segnò l'apice della sua attività, in
quell'anno 1520 in cui egli stesso datava dalla Cappella di S. Barbaziano in
Bologna il De Naturalium Effectuum Causis, fu ilvelerit de materia prima in rerum
natura quam nunc sil, velminus. Secundum tamen verilalem (cioè la fede) malaria
ali quando desinil esse ulinc onsccralione, plusaulem velminusali quando est de
forma tam subslunliali quam accidentali. Sed hoc proposilum non destruil. Er
quo sequilur quod si aliquod ens nalurale incipil vel desinil esse, ipsum
incipil vel desinit esse propter cjus formam substanlialem quae incipit vel
desinit esse. Premessa la eternità della materia, tutto il trattato si aggira
sulle difficoltà e le antinomie che possono sorgere dalla applicazione delle
categorie del moto e della quantità alla generazione e alla cessazione delle
forme nella materia, e specialmente dalla relazione della materia con la forma
nei virenti. La qualità delle argomentazioni giustifica la parola sublilissimus
aggiunta al titolo del Trattato e ricorda i ragionamenti della Scuola Eleatica
e specialmente di Zenone sul moto. Questo libro è uno dei più curiosi esempii
dell'ardire pur troppo sterile quanto ai risultati o b biettivi,ma non
infecondo quanto alla ginnastica della mente,con cui la Dialettica del Medio
Evo e della Rinascenza si accinse alla soluzione dei problemi più difficili.
Nel manoscritto di Firenze sopracitato come anche in quello che qui facciamo
conoscere Pietro Mantovano è spesso designato colle iniziali P. M. Il Sig.
Fiorentino è rimasto dubbioso se queste let tere indicassero Pietro Manna
cremonese, che il Pomponazzi nell'Apologia chiama viracerrimi in genii
gravissimique judicii. Essendo il Manna cremonese, è chiaro che il Pomponazzi
non poteva chiamarlo concivis meus. Di Pietro Trapolino, il più celebre dei due
Trapolini che il Pomponazzi ebbe per maestri, ecco ciò che dice il Papadopoli
Libro III, Sezione 2.a capo 6 della sua storia dell'Università di Padova.
Petrus Trapolinus Patavii nalus patricia genle....philosophus, malhemalicusel medicus
declinante SaeculoXV celeberrimus, Medicinam in Gymnasio palrioprofessuseslutconstatex
Albis gymnasticis. VixilannosLVIII; viveredesiitan. MDIX caipsadiequa caplum
direplumque Patavium estab exercilu Maximiliani, in eaquererum catastrophe quaemulla
conscripseralperiere. Superesiquem juvenis ediderat liber de Ilumido radicali.
Di AntonioTrapolino suo precettore in medicinail Pomponazzi parla nella12a delle
sue Du Vilazioni sopra il4o dei Meteorologici di Aristotele adducendo le
difficoltà che egli scolaro gli opponera su certe cause della mutazione delle
forme nei misti. Ivi l'autore avvicina Antonio Trapolino a Gentile Gentili, a Jacopo
da Forlì e a Marsilio (di Santa Sofia) altri rinomati professori di M e dicina
nell'Università di Padova. Di Pietro Roccabonella che fu pure suo maestro è
menzione alla fine del De Falo. Finalmente di Francesco di Neritone altro suo
professore oltre al cenno che ne fa. Grice: “Italians are rightly obsessed with
Pomponazzi. They complained he looked more ‘a Jew than an Italian,’ but he
predates Ryle’s Concept of Mind. One of his influences is Offredi, a lizii –
who wrote not just on Aristotle’s De Anima (a manuscript Pomponazzi consulted)
but who himself set to defend Pomponazzi – to prove that he was a real lizio,
he wrote on Analytica Posteriora too – “Only a true lizio will comment on
that!” -- Offredi. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed
Offredi,” The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692203750/in/photolist-2mKS4ff
Grice ed Olgiati – classici – filosofia italiana –
Luigi Speranza -- (Busto Arsizio). Filosofo. Grice: “I’m impressed that Olgiati
dedicated a whole tract to the idea of ‘soul’ in Aquino!” Figlio di Giuseppe
Olgiati e Teresa Ferrario, si formò presso Seminari milanesi. Collaborò con Gemelli
e Necchi alla Rivista di filosofia neo-scolastica e fondò con loro il periodico
Vita e Pensiero. Fu insignito da Pio XI del titolo di Cameriere Segreto e da
Pio XII di Protonotario Apostolico. Inoltre fu, assieme ad Gemelli, uno dei
fondatori dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Presso tale ateneo insegnò
nelle facoltà di Lettere, di Magistero e di Giurisprudenza. Fu condirettore
della Rivista del Clero Italiano insieme a Gemelli. Fu autore di innumerevoli
scritti relativi alla religione e all'istruzione. I suoi allievi più illustri
furono Melchiorre e Giovanni Reale. Tomba di Agostino Gemelli mons. Olgiati. Il
libro Le lettere di Berlicche, scritto da C. S.Lewis, oltre ad essere dedicato
a Tolkien, è dedicato anche a Olgiati. Medaglia d'oro ai benemeriti della
scuola, della cultura e dell'artenastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro
ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte — Università Cattolica
del Sacro CuoreLa storia: Le origini, su uni cattolica. Saggi: “Religione e
vita” (Vita, Milano); “Schemi di conferenze” (Vita, Milano); “I fondamenti
della filosofia classica” (Vita, Milano); “Il sillabario della Teologia” (Vita,
Milano); “Il concetto di giuridicità in Aquino” (Vita, Milano); “Marx” (Vita,
Milano); Il sillabario della morale Cristiana” (Vita, Milano); “Il sillabario
del Cristianesimo, Vita, Milano) b I nuovi soci onorari della Famiglia Bustocca.
Almanacco della Famiglia Bustocca per l'anno 1956, Busto Arsizio, La Famiglia Bustocca,
Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco
Olgiati. Olgiati. Keywords: classici, il gusto per l’antico, ius, Aquino,
sillabario, filosofia classica, filosofia no-classica, logica classica. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice ed Olgiati” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701662254/in/photolist-2mPyVEK-2mLLy7L-2mLLy6U-2mKFrQ6-2mLGwVU-DvhhWW-DhRHD2
Grice ed Olivetti – l’archivista – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “Olivetti deals with some topics dear to me and Strawson,
like subject, transcendental subject, and the rest – he also uses ‘analogy,’
which is a pet concept of mine – I have been compared to Apel, so the fact that
Olivetti in his ‘conversational’ approach relies on him, helps!” - Professore a
Roma -- preside della Facoltà di filosofia. Formatosi nella Facoltà di
Filosofia di Roma negli anni sessanta, confrontandosi con i temi del rapporto
fede e ragione nell'ambito di un collegio di docenti orientato sul versante
marxista, storicista, postidealista, trovò in Zubiena il suo maestro. Con lui
iniziò una collaborazione intellettuale che lo portò a studiare i temi della
filosofia della religione, partecipando ai colloqui romani inaugurati dal
filosofo piemontese, dapprima come segretario e poi, dopo la morte di Zubiena come
organizzatore. Dopo iniziali studi di estetica religiosa e di filosofia
classica tedesca, si dedicò alla ricerca di un approccio neo-trascendentale al
tema della religione, insegnando filosofia morale a Bari e poi sostitundo
Zubiena nella cattedra romana di filosofia della religione. Giunse dopo
l'incontro decisivo col pensiero di Lévinas, ad elaborare una concezione di
questa disciplina come antropologia filosofica e etica in quanto «filosofia prima
anzi anteriore» su base storica, nata dalla dissoluzione in età tardo
settecentesca, soprattutto ad opera di Kant e Hegel, della onto-teologia. Molta
rilevanza aveva nel suo insegnamento lo studio dei classici tedeschi, in chiave
storica, e da ultimo il confronto sia con la fenomenologia, specie con Lévinas
e Marion, sia con la filosofia analitica. In Analogia del soggetto, la sua
opera maggiore, l'autore elabora una teoria analogica del soggetto, riprendendo
suggestioni di Husserl, Apel e Lévinas, confrontandosi con Heidegger e
suggerendo una teoria dell'"umanesimo dell'altro uomo" su base
staurologica ed etico-interinale («espropriarsi del caritatevole nell'interim
interlocutivo» ibidem). La tesi è che non esiste un'essenza dell'essere
umano. Tale essenza è immaginata, e senza siffatta immaginazione l'essere e
l'umano non si coapparterrebbero. Così si dice, in un certo senso la fine
dell'etica. Tuttavia così si dice anche che l'etica, e non l'ontologia, è la
filosofia prima, anzi anteriore. Di seguito l'autore prospetta un ripensamento
del soggetto trascendentale, con un differimento dell'ergo rispetto al cogito
cartesiano, partendo dal “loquor,” ovvero «dall'origine analogica di ogni
logica, in modo da scomporre la presenza trascendentale in sum-prae-es-abest.
Si perverrebbe così all'abbozzo di un «ripensamento dell'appercezione
trascendentale, in modo tale da reimmettere il pensiero rappresentativo nella giusta
traccia della rappresentazione. Attività accademica e influenza Direttore
dell'Istituto degli Studi Filosofici E. Castelli e poi dell'"Archivio di
Filosofia", si fece promotore di colloqui e convegni nei quali conveniva,
a Roma, ogni due anni, nei primi giorni di gennaio, l'élite della filosofia
della religione europea e mondiale (P. Ricœur, J.-L. Marion, V. Mathieu, S. Quinzio,
V. Melchiorre, E. Lévinas, L. Lombardi
Vallauri, B. Forte, B. Casper, Ingolf Dalferth, Jean Greisch, P. Capelle, Jean
François Courtine, E. Falque, Piergiorgio Grassi, Paul Gilbert, S.J. Stéphane
Mosès, Paul Mendes-Flor, P. Prini, Adriaan Peperzak, Richard Swinburne, Gabriel
Vahanian, Marcel Hénaff, Vincenzo Vitiello, Xavier Tilliette, Michel Henry,
James Taylor, tra gli altri). Nelle sue prolusioni e nei suoi contributi
introduttivi si prospettava lo sfondo su cui si sarebbero esercitati i
contributi e le discussioni del Colloquio, di seguito pubblicati in numeri
monografici della Rivista "Archivio di Filosofia". I temi
trattati erano spesso centrali nell'elaborazione di una filosofia della
religione come filosofia tout court e abbracciavano, negli anni ottanta e
novanta del Novecento, temi centrali come "Teodicea oggi?",
l'argomento ontologico, l'Intersoggettività, il Dono, la Filosofia della
Rivelazione,il Sacrificio, il Terzo. La sua personalità riservata entro
l'ambito strettamente scientifico e il rigore speculativo dei suoi scritti non
ne hanno favorito una conoscenza pubblica al di là dei circuiti accademici, e
il suo insegnamento ha lasciato un traccia significativa costituendo una vera e
propria scuola di filosofia della religione. Saggi: “Il tempio simbolo
cosmico” (Milani, Padova); “L'esito teo-logico della filosofia del linguaggio” (Milani,
Padova); “Filosofia della religione come problema storico” (Milani, Padova); “Da
Leibniz a Bayle: alle radici degli Spinoza briefe, “Archivio di filosofia”; “Analogia
del soggetto” (Laterza, Roma); "Filosofia della religione" in La
filosofia, Le filosofie speciali (Pomba, Torino); Avant-propos, in Le Tiers,
Archivio di Filosofia Archives of Philosophy, Considerazioni introduttive sul
tema: Postmodernità senza Dio?, in «Humanitas»
a.c. di F.Ciglia e De Vitiis Traduzioni e curatele: Kant I., La
religione entro i limiti della sola ragione, Romam Laterza); “La religione nei
limiti della sola ragione, I.Kant (Laterza, Roma); “Saggio di una critica di
ogni rivelazione, con introduzione J.G. Fichte, Laterza, Roma) ; Dizionario
Biografico degli Italiani, Volume 79, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana,. Francesco Valerio Tommasi, Archivio di filosofia », 7Francesco Valerio
Tommasi, Le persone, infiniti fini in sé. Un ricordo lettore di Kant, « Studi
Kantiani », Filosofia della religione Fenomenologia Ontologia Teologia Fede
Ragione Bruno Forte, Del sacrificio e
dell'amore_In memoria, su, Tributo dell'Roma, Istituzioni collegate, su
filosofia.uniroma1. E. Giacca: un
filosofo della religione", Giornale di filosofia, su
giornaledifilosofia.net. Archivio di filosofia, su libraweb.net. Marco Maria
Olivetti. Oivetti. Keyword: implicatura, l’archivista -- “philosophy of
language.” Cratilo, teologia del linguaggio, esito teo-logico della filosofia
del linguaggio, la religione razionale secondo Kant, l’idea de fine –
autonomia, il regno dei fini in Kant, religione e linguaggio, l’esito teologico
della filosofia del linguaggio, Jacobi. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice ed Olivetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701272178/in/photolist-2mPSNGy-2mPZjhA-2mLJBAD-2mLN3xV-2mLEvWg-2mLEwLN-2mLJzAr-2mLN4xk-2mLEwYs-2mLyZUY-2mLGjg5-2mLCQLJ-2mFYSKW-2mFTkXC-FcebeC
Olivi (Undine): Enrico Palladio degli
Olivi (Udine). medico e storico italiano. Anche filosofo.
Grice ed Opocher – giustizia – filosofia
italiana – IVSTVM QVIA IVSSUM -- Luigi Speranza (Treviso).
Filosofo. Grice: “There are two
points that connect me with Opocher: ‘individuality’ in Fichte, since I love
the problem of the in-dividuum, perhaps influenced by my tutee Strawson
(“Individuals!”) – and Opocher’s ‘analisi’ as he calls it, of the ‘idea’, as he
calls it, of ‘giustizia’, particularly in Thrasymachus, for which I propose an
eschatological study!” -- Enrico Giuseppe Opocher (Treviso), filosofo. Con
Adolfo Ravà e Giuseppe Capograssi è considerato uno dei maggiori filosofi del
diritto italiani del Novecento[senza fonte].
Nacque da Enrico Giovanni, ginecologo di fama, e da Ida Cini. Durante la
Grande Guerra la famiglia, timorosa dei bombardamenti, si trasferì dapprima
nella periferia di Treviso, quindi a Pistoia presso una parente. Gli anni
successivi riportarono un clima di serenità e agiatezza, nel quale Enrico
crebbe, dividendosi tra la città natale e Vittorio Veneto, meta delle sue
vacanze estive. Dopo il liceo fu
avviato, secondo il volere del padre, agli studi giuridici, benché fosse
decisamente più inclinato verso la filosofia. Nel 1931 si iscrisse alla facoltà
di giurisprudenza dell'Padova, ma continuò a coltivare i propri interessi
personali seguendo le lezioni di filosofia del diritto tenute da Adolfo Ravà.
Sotto la guida di quest'ultimo stilò una tesi su La proprietà nella filosofia
del diritto di G. A. Fichte, con la quale si laureò brillantemente. Ottenuta la
libera docenza, vinse il concorso per la cattedra di filosofia del diritto
presso la facoltà di giurisprudenza dell'Padova, succedendo a Bobbio che in
Veneto era divenuto segretario regionale del Partito d'Azione. Nell'ateneo
padovano insegnò ininterrottamente per quarant'anni, tenendo lezioni per i
corsi di filosofia del diritto, di storia delle dottrine politiche e di
dottrina dello stato Italiano. È
ricordato in maniera particolare per i suoi studi sull'idea di giustizia, e sul
rapporto tra diritto e valori, nonché per la redazione di un celebre manuale,
Lezioni di filosofia del diritto, prima edizione 1949, usato da generazioni di
allievi. Fu magnifico rettore
dell'Università. È stato Presidente della Società Italiana di Filosofia Giuridica
e Politica. Influenzato dall'amicizia con il cattolico Capograssi e col laico
Bobbio, fu azionista con Bobbio e Trentin, condividendo (a Palazzo del Bo) le
attività cospirative della Resistenza locale. Nel dopoguerra rimase amico
stretto di Trentin e di Visentini, divenendo a sua volta il maestro di Toni
Negri. Saggi:“Individuale” (Padova, MILANI); “Esperimentato”
(Treviso, Crivellari); “Giusto” (Milano, Bocca); “Filosofia del diritto” (Padova,
MILANI); “Gius-to” (Padova, MILANI); “Gius-to” (Milano); Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Fulvio Cortese, Liberare e federare: L'eredità
intellettuale di Silvio Trentin, Firenze University Press, 2citando D. Fiorot,
La filosofia politica e civile – filosofia CIVILE --. in Scritti, G. Netto, Ateneo di Treviso,
Treviso, Vedi G. Zaccaria, Il contributo italiano alla storia del Pensiero,
Padova, I rettori Unipd | Padova, su unipd. Denominazione attuale: Società
Italiana di Filosofia del Diritto, vedi.
Giuseppe Zaccaria, Il Rettore della tolleranza, in La Tribuna di Treviso,
Toni Negri: «Un uomo davvero libero nell'università chiusa degli anni '60», in
[Il Mattino di Padova] Giuseppe Zaccaria, Ricordo Omaggio ad un maestro, Padova, MILANI, 2Giuseppe
Zaccaria, Il contributo italiano alla storia del PensieroDiritto, Società
Italiana di Filosofia del Diritto, su sifd. Grice: “Opocher is concerned with
‘iustum quia iussum,’ which while transparent to Cicero as analytically false a
posteriori, it is just impossible to express in Anglo-Saxon or English. Both
iustum and iussum come from the same root. So what is just is what is
commanded. The principle of positivism. Opocher finds this all too easy, so he
rather examines Fichte, who tries to express in his vernacular vulgar (Recht,
Wesen, Gemein Wesen, and so forth) all the ideas of contractualism – a contract
between a ego and alter – on the wake of the beheading of Marie Antoinette!” . Opocher.
Keywords: giustizia – fairness, gius, il concetto di gius nel diritto romano,
iustum non quia iussum – verbal aspect here --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
ed Opocher: giustizia del neo-Trasimaco.” https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742604009/in/dateposted-public/
Grice ed Ordine – BRVNO – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Diamante). Filosofo. Professore a Calabria.
Rriconosciuto come uno dei massimi studiosi del Rinascimento e Bruno. Ben noto
ai lettori per i suo eccellente saggio su Bruno, è anche uno dei migliori
conoscitori attuali del milieu sociale, artistico, letterario e spirituale
dell'età del Rinascimento e degli inizi dell'Età moderna.Sigillo d’Ateneo
dell’Urbino. Centro di Studi Telesiani,
Bruniani e Campanelliani. “L' utilità dell'inutile” (Milano, Bompiani). Opere:
“La cabala dell'asino”, “Asinità e conoscenza in Bruno” (Teorie & oggetti,
Napoli, Liguori, Collana I fari, Milano, La Nave di Teseo); “La soglia dell'ombra -- Letteratura, filosofia
e pittura in Bruno” (Venezia, Marsilio); “Contro il Vangelo armato: Bruno, Ronsard
e la religione” (Milano, Cortina); “Teoria
della novella e teoria del riso” (Napoli, Liguori); “Tre corone per un re.
L'impresa di Enrico III e i suoi misteri” (Milano, Bompiani). Classici per la
vita. Una piccola biblioteca ideale, Collana Le onde, Milano, La Nave di Teseo,
Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere” (Milano, La Nave di
Teseo). Grice: “Some like Bruno, but I don’t – for one, he was a PRIEST before
he was burned – no philosopher *I* know is a priest. Being a priest, as A. J.
P. Kenny well knows, disqualifies you as a philosopher. Campanella was a priest
too, and I’m not sure about Telesio. I mention the three because while there is
a Keats-Shelley Association in Rome, only the Italians can think of ONE centro
di studi TELESIANI, BRUNIANI e CAMPANELLIANI – enough to have a triple split
personality!” Nuccio Ordine. Ordine. Keywords: Bruno, futilitarianism, riso,
risus significant laetiia animae – il sorriso di Macchiaveli, centro di studi
telesiani, divenne centro di studi telesiani, bruniani, e campanelliani! –
telesio not a priest!--. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ordine: l’inutilita
dell’utilitarismo di Geremia Bentham” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51741075342/in/datetaken/
Grice ed Orestano – l’opzione eroica – filosofia
italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Alia). Filosofo, self-described as a ‘Federalista
siciliano’ --. Grice: “There is something pompous about Italian philosophers
and their isms – Orestano’s ism is the superrealism!” Grice: “When I was invited to deliver my
lectures on the conception of value, I was hoping it was a first, but Orestano
had written two big volumes on it!” – Studia a Palermo. Insegna Palermo, Pavia,
e Roma. Collabora con Marinetti nella concezione del futurismo, e lavorando ad
alcune pubblicazioni comuni. E inoltre vicino alle idee politiche, collaborando
tra l'altro con “Gerarchia.” Invitato da Balbo nella Libia italiana, difende gli
ideali e gli intenti italiani in contrapposizione al nazionalismo. E eticista,
fenomenologo e promulgatore d'un'idea filosofica positivista che egli stesso
denomina “super-realismo.” Si ritira a vita privata nel su palazzo di Roma per
dedicarsi alla sua opera principale “Nuovi principi” (Milano, Bocca). Membro
dell’Accademia d'Italia e della Società filosofica italiana e dell’Istituto
Siciliano di Studi Politici ed Economici. Autore di noti aforismi, a lui sono
intitolate una via di Roma e una scuola di Palermo. Saggi: “Opera omnia”
(Padova, C. E. D. A. M.); “Comenio”, Roma, Biblioteca Pedagogica de “i Diritti
della scuola”, Angiulli, Roma, Biblioteca Pedagogica de “i Diritti della
scuola”, A proposito dei principi di pedagogia e didattica” (Città di Castello,
Alighieri);“Un'aristocrazia di popoli -- saggio di una valutazione
aristocratica delle nazionalità” (Milano, Treves); “Verità dimostrate, Napoli,
Rondinella); “Opera letteraria di Benedetta, Roma, Edizioni Futuriste di Poesia);
“Esame critico di Marinetti e del Futurismo” (Roma, Estratto dalla
"Rassegna Nazionale"); “Civiltà europea e civiltà americana” (Roma,
M. Danesi); “Nuove vedute logiche” (Milano, Bocca); “Il nuovo realismo”
(Milano, F.lli Bocca); “Verità dimostrate, Milano, Bocca); “Idea e concetto” (Milano,
Bocca, Celebrazioni I, Milano, Bocca Editori, Celebrazioni, 2, Padova, MILANI, “Filosofia
del diritto” (Milano, Bocca, Gravia levia, Milano, Bocca); “Saggi giuridici,
Milano, Bocca); “Verso la nuova Europa” (Milano, Bocca); Prolegomeni alla scienza del bene e
del male, Milano, Bocca); “Leonardo, Galilei, Tasso” (Milano, Bocca); “La conflagrazione
spirituale e altri saggi filosofici” (Milano, Bocca); “Pensieri, un libro per
tutti”; Studi di storia della filosofia”; “Kant”; “Rosmini-Serbatti”; “Nietzsche”;
Contributi vari, studi pedagogici, studi danteschi; Aligheri e saggi di
estetica e letteratura; conversazioni di varia filosofia; corsi, ricerche e conferenze,
studi sulla Sicilia, Filosofia della moda e questioni sociali, Dizionario Biografico degli Italiani, E. Guccione,
L'idea di Europa in Federalisti
siciliani tra XIX e XX secolo, A. R. S. Intergruppo Federalista Europeo,
Palermo, E. Guccione, Da un diario una nuova pagina di storia, in La politica tra storia e diritto, Scritti in
memoria di L. Gambino, G. Giunta” (Angeli, Milano); Dizionario Biografico degli Italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Quando i vincitori scrivono la storia della
filosofia: il caso di F. Lamendola, Arianna, O. Castellana, Il rapport tra stato e Chiesa nel
pensiero politico, Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici. I valori
egoistici risultano espressi con le lettere T e e te1 Hay Ja, Un Un,, Tv Uy. Gli
valori altruistici sono espresso con le lettere: i. I valori neutrali sono
espresso colle lettere : Ym. Siccome non si propone di dare una teoria compiuta
dei fatti concomitanti di questo o quello valore, ma solo di ANALIZZARE tal unicasi
va speciali, così, quando adopera
i simboli senza l'indice soscritto, intende significare il valore egoistico –
con la lettere ‘e’ sottoittesa. Questi simboli possono esprimere questo o
quello BENE, ma anche questa o quella volizione a questo o quello BENE riferentisi.
Per indicare una volizione, si adopera il stesso segno *fra parentesi quadratti*.
Infine, si suppone, di regola ceteris paribus,che la circostanza concomitante
sia sempre una sola, la quale, insieme alla volizione, formi ciò che chiamamo
il “bi-nomio” della volizione. Se le circostanze sono più, allora si forma un “poli-nomio”
della volizione. La precedenza di una lettera in un binomio o un polimonioindica
il valore principale, sia desiderato o sia attuato. In che modo i fatti
concomitanti del valore sono connessi collo scopo della volizione? Siccome ogni
scopo di volizione è anche un oggetto di valutazione, la domanda può formularsi
così. Come i valori possono entrare in connessione tra loro? Si noti però che
la connessione deve stabilirsi prima del cominciamento della volizione, giacchè
questa volizione deve tenerne conto. Le co-esistenze casuali restano
naturalmente escluse. Tra lo scopo dellla volizione e l'oggetto della
valutazione concomitante possono correre varie relazioni. C’e una relazione
d’identità. Ciò che il artista o un
politico come Mussolini crea non soddisfa lui SOL tanto, apparirà sempre in
qualche modo come un BENEFICATORE di tutta una sfera di uomini – la nazione
italiana. C’e una relazione di CO-ESISTENZA di più qualità di una stessa cosa, o
anche di più cose. Per esempio, un tale VUOL comprare un piano che ha (+) un
bel tono. Ma il piano ha anche (-) una cattiva meccanica. O un cane da guardia
molto vigile (+), il quale però morde (-). O una macchina automobile che lavora
bene (+), ma che fa rumore e fumo (-) ,ecc. C’e un nesso causale, nelle sue due
forme: a) lo scopo è CAUSA di conseguenze valutabili. Il politico chi, per
esempio, promuove il movimento e l' industria dei forestieri, mira ad
arricchire la sua nazione (+), ma anche la de-moralizz (-). b) lo scopo non si può
raggiungere che come EFFETO di dati valori morali. Per esempio: un fabbricante
per . Ora torniamo alla domanda principale. In che modo il valore morale
di una valutazione dipende dai valori concomitanti, e,in caso di un simple bi-nomio
della volunta, dal valore concomitante? Abbiamo distinto quattro categorie di
valori, “g”, “T”, “u”, e “u”, le quali si applicano anche ai fatti
concomitanti. Però il caso u si può omettere, perchè non accadrà mai, CHE SI
VOGLIA UN PROPRIO NON-VALORE PER sè stesso. Rimangono così tre possibilità, le
quali, liberamente combinate, dànno *dodici* casi che costituiscono la tavola
dei valori. Per l'esame di questi casi bisogna pensare che ad un oggetto di
volizione si aggiungano gli altri come fatti concomitanti, e osservare le
variazioni di valore che questo intervento produce. La VOLIZIONE ‘POSITIVAMENTE
ALTRUISTICA’ (benevolenza e beneficenza) è data da una formula. Il momento più
importante è qui l'associazione della circostanza concomitante u, IL PROPRIO DANNO.
È evidente che l'aggiunta di questo secondo momento accresce il valore di (i) e
di tanto, quanto più grande sarà il sacrificio proprio. Indicando il valore con
“W” ,si avrà dunque: W(ru) > WV. Se invece si aggiunge “u”, IL DANNO ALTRUI,
sia dello stesso beneficato (quando il beneficio produce pure un MALE al
beneficato), sia di persone estranee al rapporto (quando per beneficare uno si
danneggia altri), allora il valore della volizione con questa circostanza
concomitante diventerà minore. E la formula sarà: W(ru) < W(r). Se la
circostanza concomitante è pure in favore del beneficato, allora la formula
sarà indubbiamente: guadagnare di più deve migliorare la condizione
materiale dei suoi operai. W (rr)> Wr. glianze. Invece
L’AGGIUNTA DEL VANTAGGIO PROPRIO AL BENE ALTRUI nè diminuisce, nè aumenta il valore.
La volizione egoistica è espressa dalla formula, la modificazione più grave qui
si ha, quando al caso si aggiunge la circostanza del MALE ALTRUI. Allora si avrà: W(gu)<W(9). Se
la circostanza concomitante è invece “r”, il valore della volizione egoistica
si eleva: W(gr) > W(g). Che poi alla volizione egoistica si aggiunga la
circostanza secon aria di un ALTRO PROPRIO VANTAGGIO (plusvalia) o anche di un
proprio danno, non modifica il valore di (g). Si avranno quindi le due egua W
(99)= W (g)= 0 W(gu)= W(9)=0. Così pure si aumenta il non-valore, se oltre al
danno principale si aggiungono altri danni. Epperò: W (UU)< W (U). Per
quanto il caso sia inusitato, si può prevedere anche, che al male altrui si
associ una qualche conseguenza buona, indiretta, W (rg)= Wr. La volizione
altruistica negativa o anti-altruistica è espressa con una formula. Se per
attuare il danno altrui, si fa anche il danno proprio u, questa circostanza aggrava
il male e aumenta il non-valore: W (uu) < W (u). W(UY) > W(u). Il
fatto concomitante della propria utilità non aggiunge nè toglie al valore della
volizione principale anti-altruistica. Si avrà quindi l'eguaglianza: W (ug)= W
u. La somma dei risultati ottenuti si può disporre in un Quadro. W(rr) >
W(v)? W(gr )> W(g)? W(ur)> W (U)? W(yg)=W(r) W(99)=W(g)=0 W(ug)=W(U)
W(ru)<W(Y) W(gu)<W(g) W(UU)<WU) W(ru)>W(V) W(gu)=W(g)=0
W(uu)<W(U). Da questo quadro si rileva che le circostanze concomitanti con
segno negativo non sono più feconde di effetti di quelle con segno positivo. Di
queste ultime, “g” non modifica nulla, e “r” non dà risultati sicuri, come
indica il punto interrogativo. L'influenza dei fatti concomitanti si può dunque
riassumere così. Agisce aumentando debolmente il valore. ‘g’ non modifica nulla.
‘u’ diminuisce grandemente il valore. ‘u’ opera secondo lo scopo della
volizione -- ora aumentando, ora diminuendo e ora non-modificando il valore. Si
è già detto che sarebbe uni-laterale il voler giudicare del valore morale di
una volizione dallo scopo ;che però, in quanto lo scopo prende parte alla
determinazione del valore, l'altruismo positivo è buono, L’EGOISMO è INDIFFERENTE.
L’altruismo NEGATIVO (malevolenza e maleficenza) è cattivo. Ora è importante
constatare, che il senso in cui i tre momenti valutativi operano sui fatti
concomitanti è completamente lo stesso La validità della tavola dei valori,
dianzi tracciata, ma pure prevista. Allora il non-valore si ridurrà, nel
modo indicato dalla in-eguaglianza: subisce variazioni, se cambia la qualità
della volizione? Itendendo per qualità la differenza tra appetizione e
repulsione, che però non deve equipararsi a una contra-posizione logica tra
affermazione e negazione, i cui termini si escludano a vicenda, ma considerarsi
come una doppia possibilità psicologica, di cui l'una abbia altret tanta realtà
indipendente, quanto l'altra. Un'analisi della NOLIZIONE mostra, che esse si
comportano egualmente come la volizione, solo che si applicano di regola ai
valori “T”, “u” ed “u”, RITTENENDOSI ASSURDO (IRRAZIONALE) IL NON VOLVERE IL
PROPRIO VANTAGGIO ‘g’. Indicando le nolizioni con (T) (ū) (T) = (non- T) = (U)
(U = (non-- U) = ( ) (ū)=(non u) = (g). Lo stato subbiettivo di rappresentazioni
ed i predisposizioni anteriore alla volizione è indicato con il concetto di
“Progetto”. E siccome in questo stato abbiamo supposta anche la cognizione
delle circostanze concomitanti valutabili, così al binomio della volizione o al
polinomio della volizione corrisponde un binomio o un polinomio del progetto.
Per indicare questi stati si adopera gli stessi simboli *senza la parentesi
quadratti*. Osservando le volizioni in rapporto agli stati predisposizionali, l'analisi
delle valutazioni dei fatti concomitanti può rendersi più esatta. (ū) si possono
fare le seguenti sostituzioni, che aiutano a trovare il corrispondente valore
nella tavola relativa alle volizioni. Si ponga, per esempio, un bi-nomio
iniziale della volizione “uu”, che esprima il mio desiderio di far male, al
momento opportuno, a una persona, ma che non mi sia possible evitare, ciò
facendo, conseguenze dannose pe rme,u. Se ildesiderio di non danneggiarmi prevale,
allora non si avrà più il binomio (uu), ma l'altro (ūr), il quale dice che la
volizione è risultata nel senso di non volere il male proprio, pur ammettendo
che questa volizione abbia per circostanza concomitante y, cioè il bene altrui.
In forma positiva la volizione finale sarà (gr). E così da una situazione
iniziale negativa “vu” si riesce nella opposta gr (1). Questi sono i co-ordinati
fra loro due bi-nomi di progetti, dai quali procedano due volizioni formalmente
concordanti. Anche i due bi-nomi di queste volizioni saranno coordinati fra
loro. Essaminemo la coppia dei due binomi yu-gu, dei binomi, cioè, che hanno la
maggiore importanza pratica. Il primo bi-nomio esprime l'altrui bene col
proprio danno. Il secondo bi-nomio esprime il bene proprio col danno altrui.
Nel primo rientrano, nel senso o grado *massimale*, tutte le occasioni in cui
si può affermare la grandezza morale di un uomo (magnanimita). Nel senso o
grado minimale, i casi della più comune fedeltà al proprio dovere (to do one’s
duty). La sezione di linea dei valori morali che comprende il MERITORIO e IL
CORRETTO è tutta espressa da questo bi-nomio del Progetto. Laddove la sezione
che va dal punto d'INDIFFERENZA al TOLLERABILE e al RIPROVEVOLE corrisponde
alla negazione di questo binomio del progretto. Nel binomio “gu” sono espressi
tutti i casi che vanno dal più SANO EGOISMO alle negazioni più delittuose
dell'altruismo. Reciprocamente, la rinunzia a siffatte volizioni va dal
semplicemente dove ROSO ALL’EROICO. Le volizioni che procedono da questi due bi-nomi
comprendono adunque tutte le quattro classi di valori, caratterizzati in
principio. I due bi-nomi anzidetti suppongono un CONFLITTO (non coooperazione) fra
l'interesse proprio e l'interesse altrui. È evidente che dalla grandezza di
questi interessi, dalla portata di “g” e di “Y”, dipende il valore morale della
valutazione. I momenti “u” e “u” s'intendono compresi nella negazione di “g” e “y”.
Intanto è certo che il VALORE EGOISTICO in cui “g” è congiunto con “u” , “W(gu)”,
si trova sempre al di sotto del zero della scala, ed ha segno negativo. Mentre
il valore altruistico in cui è congiunto con “u”, “W(ru)”, si trova al di sopra
del zero ed ha segno positivo. Ciò posto, la funzione valutativa tra i
termini dei due binomi dei pogretti si può scoprire agevolmente con una
semplice osservazione. Sacrificare un piccolo interesse proprio a un grande
interesse altrui ha un VALORE POSITIVO MINORE che il sacrificare a un piccolo
interesse altrui un grande interesse proprio. D'altra parte chi non pospone a
un grande interesse altrui un piccolo interesse proprio produce un non-valore
morale più basso, che non colui il quale per una utilità propria rilevante non
tien conto di utilità altrui tras curabili. Questo abbozzo di una LEGGE del
valore si può esprimere nelle formule, nelle quali “C” e “C'” indicano le
costanti proporzionali sconosciute, condizionate dalla qualità delle due unità “g”
e “r”. Nell'applicazione di queste due formule all'esperienza si rendono
necessarie talune modificazioni. Se poniamo I valori “r” o “g” eguali ai limiti
0 e 0 ,allora i calcoli diventano molto esatti. Per g per g. L’ESPERIENZA NON è
però SEMPRE D’ACCORDO CON QUESTE FORMULE. Ognuno ammetterà che l'adoperarsi nell'interesse
altrui si accosti l punto morale d’INDIFFERENZA, quanto più grande è
quest'inteesse; e che il trascurarlo divenga nella stessa misura RIPROVEVOLE, “u”
pposto costante e limitato l'interesse proprio da sacrificare. È F , 1
W(ru) = Cg -0 Y Y g W (gu) = - C per r = 00 per r = 0 lim W (ru) = 0, lim W(ru)=
0, lim W (ru)= 0 , , limW(ru)= 0, lim W (gu) = - 0 0 limW (gu)= 0 lim W (gu)= 0
lim W (gu)= – 00. pure evidente, che
la trascuranza di un interesse altrui diviene tanto più INDIFFERENTE quanto più
IRRILEVANTE è questo interesse. Epperò non si ammetterà da tutti, che il valore
dell'altruismo di venga allora infinito, come nella seconda formula. Osservando
però bene, questi casi non rientrano nel campo della morale. Si contrasterà
pure che il valore del sacrificio di un bene proprio per l'altrui, cresca colla
grandezza del bene sacrificato (formula terza). Ma l'esperienza prova che
l'esitazione al sacrificio si fa maggiore quanto più grande è il bene cui si
sta per rinunziare. Invece è da riconoscersi che non è esatta la quarta formula.
Non si può negare ogni valore al bene che si fa ad altri, solo perchè NON si
determina un CONFLITTO con un bene proprio. Le formule anzidette si debbono
mitigare nella loro assolutezza, perchè si accostino di più alla realtà. Per
far ciò, basta attenuare il valore di “g”, il che si può ottenere aggiungendo a
“g” ogni volta una costante “c” o “c '”. Queste formule non modificano i limiti funzionali
dianzi ottenuti, ponendo r = 00, T = 0 0 g = 00. Cambia bensì la formula del
quarto limite. Se g= 0: lim W (ru) = C , lim W (gu) = - ' Sin qui abbiamo
considerato l'una variabile IN-DIPENDENTE dall'altra. Che avverrà però, se le
variazioni si compiranno in entrambe le variabili congiuntamente, supponendo
che “r” e “g” rimangano uguali fra loro per grandezza di valore? Sostituendo a “g”
il simbolo “r”, le formule diverranno altri. Si avranno così le formule. T r W
(ru) = 0 9 + c g +di e Y W(gu)=
W(gu)=-C' ito Y W(ru)= C y- to' . Da questo risulta che il non-valore deve
crescere e diminuire nello stesso senso o grado limite di “r” e “g”, e il
valore in senso o grado di limite contrario. Consultando l'esperienza, si può
riscontrare agevolmente che un oggetto, per esempio un dono, abbia lo stesso
valore per chi lo dà e per chi lo riceve. Ora si domanda, regalare di più avrà
un valore più alto o più basso del regalare di meno? Senza dubbio più alto. E
se si contrapponga vita a vita, CHI SACRIFICHI LA PROPRIA VITA per conservare
quella di un altro, suscita di fatto grande ammirazione. QUESTO è però IL
CONTRARIO DI ciò che quelle formule esprimono. O “c” corre adunque correggere
le formule e per far ciò introducemo un esponente di “g”, più grande
dell'unità, e lo indicamo colle lettere “k” e “k'”. Le due formule diverranno
così, rimettendo “y” al posto di “r”. Sicchè si avranno i seguenti limiti. A questo
punto, il concetto di limite non hanno più bisogno di alcun'altra correzione. Per
semplicità di espressione ponendo C= 1ek =2, la formula del binomio divienne W(gu)=
T. È questa una formula a discuttere. . g2+1 ghto Y gkilt o W(gu)= W (ru)= C
per r= 9 perr= g= 0 T g2+1 W (ru)= e Y e
limW(ru)=00 lim W(gu) = 0 limW(ru)=0 limW(gv)=0. Preliminarmente non si ne
ricava alcune conseguenze. Ogni pr getto offre a colui, che dovrà reagire con
una volizione,l a doppia possibilità di fare o di tralasciare. Le due volizioni
staranno, secondo la formula principale or ora ricavata, in un
rapporto di RECIPROCITà negativa, per ciò che ri guarda il loro valore morale.
In secondo luogo, siccome una volizione di grande valore (positivo o negativo)
o e MERITORIA O RIPROVEVOLE. Quella volizione di piccolo valore o e CORRETTA o
TOLLERABILE, così potrà dirsi in generale che quanto PIù DISTANTI sono il NUMERATORE
E IL DE-NOMINATORE della formula in una scala ordinale (1, 2, 3, … n), tanto
più il valore della volizione e indicato dalle parti estreme superiore o
inferiore della linea dei valori. Quanto più vicini o meno distanti sono invece
quei numeri, tanto più l'indice del valore cadde verso il punto di mezzo di
detta linea. La formula si applica inoltre anche ai casi di una volizione I cui
scopo non siano accompagnati da circostanze concomitanti. Basta ridurla. W(9)=0(1).
UU. Mentre la prima coppia esprime il caso di CONFLITTO D’INTERESSI, la
caratteristica della seconda formula è la CONCOORDANZA O INTERSEZZIONE O COOPERAZIONE
O CONDIVIZIONE gl'interessi propri con gli altrui, positive, o, come nella
guerra o il duello, negativi. Se il
progetto offre l'occasione di congiungere con la mia utilità l'altrui, o se mi
rappresenta un pericolo altrui nel quale scorgo un pericolo mio, la volizione
corrispondente e espressa con (gr). V'è però anche la rappresentazione del
desiderio di un male altrui, cui si associa anche la previsione di un danno
proprio. La corrispondente volizione e espressa con “(uu)”. Il conflitto qui non
esiste fra “g” e “y”, ma fra “g” e”v”, cio è fra “g” e -Y Questa riflessione ci
fa subito applicare al caso attuale la formula principale del primo binomio. Così,
go+1 Y. W(uu)= W (Y)= >. Passamo ora ad
esaminare un'altra coppia di binomi: gr g+1 1 T (go+ 1)r. Mantenendo anche in questo caso il
principio della RECIPROCITà negativa dei due binomi di progetto, l'altro
binomio diverrà epperò la seconda formula principale così ottenuta e (1):
W(uu)= -(g2+ 1)r. Le costanze rilevate in queste formule dimostrano
sufficientemente che il valore morale è in relazione tanto con lo scopo
principale della volizione quanto con i fatti valutabili concomitanti, com’era
di sperare! Recenti studi sui valori morali in Italia. TAROZZI comunica al congresso
di psicologia (Roma) un programma di etica scientifica, sotto il titolo: Sulla
possibilità di un fondamento psico logico del valore etico. " I risultati
dell'indagine psicologica sono capaci di assumere importanza di fondamento e di
criterio nella determinazione del valore etico delle azioni umane e
nell'apprezzamento etico degli individuiumani?.. Questo il problema.Tarozzi
crede possibile una risposta afferma tiva,enedàleragioni. Il valore etico è il
risultato di un apprezzamento morale.L'ap prezzamento morale è funzione della
coscienza morale, che si forma in noi storicamente e psicologicamente. E
siccome lo studio della for mazione storica si risolve pure in un'indagine
psicologica,cosìla vera sede della dimostrazione del valore etico è la
psicologia. A ciò non si può opporre, che il valore etico dipenda diretta mente
dal fine etico, e che questo per l'assolutezza sua (o teolo gica o categorica)
sia indipendente dalla causalità psicologica e antropologica.Giacchè,anche
ammessa questa indipendenza del fine etico, nulla vieta che essa riceva una
interpretazione psicolo gica e antropologica. Si può cioè voler sapere come sia
possibile nella realtà (umana) il fine etico, e ciò conduce anche a
interpretare la relazione dei valori etici con quei fini, e a trovare il criterio
per la valutazione morale degl’individui umani. Fra il principio assoluto e
l'atto concreto,più ancora fra quel principio e l'individuo,intercorre la
eterogeneità più radicale;per giudicare quindi se l'atto compiuto o da
compiersi stia in un giusto rapporto col principio,è necessaria una
interpretazione psicologica. Senza questa interpretazione la valutazione etica
alla stregua dei principi assoluti non può farsi. Ove poi si abbia un concetto
non teologico,nè categorico del fine etico, la psicologia può darne non solo
l'interpretazione, m a anche, coll'aiuto dei dati dell'antropologia e della
sociologia,una vera e propria dimostrazione. L'ufficio della psicologia nella
dimostrazione del fine etico è anzi assai più rilevante, perchè da questa dimo
strazione dipende : 1° se il principio sia ammissibile oppur no ; 2° quale
valore etico abbiano le azioni e gl'individui in base al principio dimostrato.
Ma non a questo si ferma l'ufficio dellapsicologia nella morale. Volendo
fondare un'etica, umanistica nelle sue basi,e umanitaria nelle sue norme,
un'etica cioè rispondente alla " concezione di un significato morale della
vita umana,la coscienza del quale giusti fichi, non in senso di fine, m a in
senso di fondamento, i particolari propositi delle volizioni umane », la
psicologia porterebbe i più decisivi elementi a una tale concezione della
umanità. La psico logia è scienza sovrana nell'àmbito dell'etica umanistica ;
senza di essa è impossibile la ricerca di un significato morale della vita, che
assuma valore di fine dopo essere stato fondamento e criterio, e risponda alle
tendenze onde la moralità positiva si svolge nella storia dell'umanità. Oltre a
questo contributo diretto della psicologia all'etica, vi sono gl'indiretti,
consistenti nella difesa,che solo la psicologia può fare contro lo scetticismo
morale.La legittimità di una valutazione etica, che abbia forza di per sè, si
suole negare da chi crede che il bene e il male siano risultato di convenzioni
sociali più o meno inveterate, mutabili secondo i vari tempi e ibisogni,e non
rispondenti a una costante necessità della vita e della natura umana. Per
riparare dallo scetticismo si è ricorso o all'utilitarismo o alla
metafisica.Ora,allo scetticismo e anche ai suoi falsi rimedi (l'uti litarismo e
la metafisica) non può opporsi efficacemente che la ricerca psicologica. Essa
sola, riuscendo a determinare positiva mente le concezioni fondamentali del
valore morale, porge argo menti di difesa sia contro la negazione di un
fondamento reale e necessario del valore etico, sia contro le affermazioni
erronee od arbitrarie di esso (1). Un esempio importantissimo dà ilTarozzi
dell'ufficio della psi cologia nell'etica,accennando ai problemi concernenti la
ricerca dei fondamenti psicologici della solidarietà o dei fondamenti naturali
di essa, come li chiamava Genovesi, opportunamente ricordato dall'autore.
Questo esame particolareggiato comprende la crudeltà e le sue varie forme, la
simpatia,così in generale,come nelle sue due manifestazioni principali, gli
atti di cortesia e di protezione. Le dispute sulla natura umana,così conclude
il Tarozzi,atten dono la loro decisione non dagli argomenti del razionalismo,ma
dai fatti che la psicologia può rivelare e valutare. Quando fosse dato di
stabilire, che non è generale nell'uomo l'avversionealpotente,ma
“allenatureavare,fredde,crudeli., quando si potesse esplorare in un àmbito
sempre più vasto l'esten sione dei fatti e degl'istinti della simpatia,sì da
rendere legittimo il costituire con essi il concetto dell'umanità,questa umanità
sarebbe ilfondamento diuna morale immanente,estranea,benchènonop posta,
all'utilitarismo. Quando si potesse attribuire positivamente, cioè
psicologicamente e antropologicamente, un valore definitivo al rapporto di
solidarietà, e stabilire che esso risponde a un istinto originario,valido per
se stesso,e non per l'esperienza della sua utilità,sarebbe tolta
all'utilitarismo quella base consistente nella proposizione universale, che
l'uomo agisce per il suo utile.Ne c'è da temere che i dubbî della ricerca psicologica
si riflettano nella morale, perchè i risultati che la psicologia ci potrà
offrire non avranno valore di modificazione del contenuto normativo della
morale,ma bensì tenderebbero a modificare il carattere formale di essa, come
dottrina del dorer essere e come scienza. La norma Al Congresso medesimo G. Calò
presenta una comunicazione intorno alla Interpretazione psicologica dei
concetti etici Il Calderoni ritiene che l'assenza della ricerca e della
sufficiente analisi di quello ch'è il fatto ultimo e irriducibile su cui poggia
tutta la vita morale, il giudizio etico , ha impedito il costituirsi dell'etica
come scienza. Molto ha anche nociuto “ la nessuna, o quasi, distinzione che si
è fatta tra il giudizio etico e il giudizio teoretico o conoscitivo , La morale
deve invece ricercare come ogni altra scienza, dei fatti ultimi, elementari,
irriducibili su cui fondare l'edificio autonomo delle proprie investigazioni , L'elemento
irriducibile, la realtà ultima,da cui deve prendere le mosse ogni dottrina
morale, è un fatto psicologico,un sentimento, non uccidere per
esempio,apparterrà sempre al contenuto normativo della morale, qualunque
conclusione possa trarre la psicologia intorno agl'istinti di pugnacità e di
ferocia. Ma se le conclusioni intorno al fondamento umano delle tendenze alla
soli darietà e alla simpatia saranno negative,l'etica sarà un sistema
dottrinale, la cui imposizione presenterà i caratteri della acciden talità e
della fluttuazione dei fatti sociali, oppure i caratteri tra scendentali
metafisici o religiosi; e perciò la valutazione etica sarà una gradazione
fondata su altra base, non su quella della realtà effettiva dei fatti umani ,.
Se invece “ quelle conclusioni saranno positive,l'etica,assumendole come sue proprie,
avràafondamento il significato psicologico e antropologico dell'umanità morale
e potrà scientementestabilirei valori umani in relazione cone sso Infine il TAOROZZI
riassume il suo credo in queste parole, che tutto si debba attendere dalla
scienza, e che essa sola possa spiegare un giorno perchè abbiano universale
valore massime conversazionali come queste: Non uccidere u ‘non mentire,’ “Ama il
tuo prossimo. il sentimento di valore. Ogni qual volta noi giudichiamo del va
lore morale d'un sentimento, d'un'azione, d'una determinazione volitiva, tale
giudizio si presenta alla nostra coscienza con un sentimento particolare di
approvazione o di disapprovazione.L'esame retrospettivo ci dice, che quel
giudizio non risulta da un meccanico sovrapporsi dei concetti del soggetto e
del predicato (buono, giusto, ecc.), dal paragone delle loro estensioni e
connotazioni ri spettive, dalla rivelazione pura e semplice del loro rapporto :
ciò che interviene, e ciò che più importa, è il sentimento di approva zione o
di disapprovazione, di adesione o di ripugnanza. Qui si presenta un problema
fondamentale. Trattasi di vedere se il sentimento di approvazione o di
disapprovazione accompagni semplicemente, come effetto o come carattere, la
rivelazione del rapporto in cui l'obbietto considerato è con quel predicato ; o
se quel sentimento appunto renda possibile la costituzione del predi cato e
quindi, mercè la capacità di riferimento propria della ragione, l'enunciazione
del rapporto. Questo problema non può essere risoluto senza una analisi com
parativa del giudizio conoscitivo e del giudizio valutativo.E que st'analisi
mostra appunto che, mentre nella funzione conoscitiva il sentimento è un
sopraggiunto, nella funzione valutatrice è,al con trario, costitutivo del
rapporto. Conoscere è constatare,attingere ciò che è;mentre nel valutare,
l'atteggiamento dello spirito non è di chi constata,ma di chi reagisce;non di
chi afferma e riconosce l'essere,ma di chi vi aggiunge qualcosa risultante da
ciò che in lui non corrisponde,ma risponde alla realtà conosciuta: è
l'atteggiamento non di chi afferma o nega, ma di chi si sovrappone alla realtà,
o che le assenta o che le si ribelli, sia che lodi, sia che condanni , (1).
Mentre per il teoretico il sentimento è un accessorio trascura bile, per il
moralista esso è la vera realtà etica, poichè il senti mento " serve a
caratterizzare qualsiasi obbietto di giudizio etico: in ultima analisi, ogni
giudizio etico si riduce ad approvazione o disapprovazione d'un sentimento,
d'un istinto, d'una volizione, d'un'azione ; ora l'approvazione e la
disapprovazione non sono che due speciali sentimenti,due forme diverse
d’uno stesso sentimento, ilsentimento del valore.Ilgiudizio
etico,dunque,intanto è pos sibile in quanto si compie una sintesi fra
l'obbietto conosciuto e la ragione valutativa ch'esso suscita in
noi:è,insomma,questa stessa reazione che costituisce tutto quanto noi diciamo
di quel fatto qualsiasi ch'è assunto come soggetto del giudizio. Si direbbe che
quel fatto tanto ha di realtà etica quanto e come vive nel senti mento
valutativo „. Questo poi " varia e quasi si determina e si atteggia
diversamente secondo gli obbietti a cui si riferisce, e di venta volta a volta
sentimento del giusto, del buono, del santo, dell'eroico o dei loro contrari,
di rimorso o di autosodisfazione, di rimpicciolimento o di stima di se
stessi,di pace dell'anima,ecc.; di modo che può dirsi che ognuna di queste
determinazioni del sentimento di approvazione e di disapprovazione ha una sua
indi vidualità e che l'analisi di esse ci dà l'analisi di tutta la coscienza
morale , (1). Il sentimento del valore,come fatto fondamentale della coscienza
etica, si pone a norma della realtà interiore e dispone gerarchi camente i vari
istinti e le varie tendenze. Un'altra sua proprietà è anche quella di avvertire
ogni atto che rappresenti un non-valore come un'intima contradizione,il che dà
luogo al sentimento particolare dell'obbligazione. Il sentimento del valore è
dunque di sua natura tale da assu mere, di fronte al resto della realtà
psichica,un'attitudine speciale e da contrapporre all'esistenza di fatto
un'esistenza di diritto.Esso si distingue profondamente dal piacere e dal
dolore,perchè questi sono stati subbiettivi interessanti semplicemente
l'individualità del soggetto,mentre ilsentimento del valore è obbiettivo anche
rispetto alla individualità del soggetto che giudica.Il sentimento del valore
oltrepassa la sfera della mia utilità o del mio benessere indivi duale; sonoiochesento,manonperme.Altrocarattere
diffe renziale è questo, che nei sentimenti di piacere e dolore lo stato
subbiettivo è confuso con l'oggetto della rappresentazione,mentre nel
sentimento del valore, l'oggetto è nettamente distinto dall'atto valutativo e
può essere rappresentato come obbietto di conoscenza teorica. Ciò ch'è piacevole
e spiacevole non esiste che nel sentimento e per il sentimento,mentre ciò ch'è
valutato è chiaramente rappresentato di fronte all'atto giudicativo, è insomma
conosciuto. Non si può valutare se non ciò ch'è ben noto, tanto è vero che la
valutazione si presenta spessissimo sotto forma di preferenza e il valore viene
appreso comparativamente ad altri come plus-valore o come minus valore. Sebbene
il giudizio di valore abbia il suo punto di partenza nel sentimento,esso non
esclude,anzi richiede necessariamente l'inter vento della funzione conoscitiva,
la quale prepari il terreno su cui possa esercitarsi la funzione
apprezzativa.La grande varietà dei giudizi morali osservabile fra individui
diversi dipende appunto dal diverso modo come sono appresi e considerati gli
obbietti,dai diversi elementi che ci pone in luce la funzione conoscitiva (1).
Così, mentre l'analisi del processo della valutazione etica è com pito della
psicologia morale,gli obbietti a cui le nostre valutazioni morali si
riferiscono non possono esser tratti analiticamente dalla natura stessa dei
nostri sentimenti di valore. Essi possono essere determinati in parte in base
alla considerazione di rapporti for mali della volontà, in parte in base
all'esperienza storica e sociale, quale è studiata dall'etica storica
comparativa (2). 200. - Mario Calderoni, nelle sue Disarmonie economiche e
disarmonie morali, si è recentemente proposto di porre in rilievo talune
concordanze fra le leggi economiche del valore e della ren dita e le
valutazioni morali sociali. In tal modo egli crede che l'economia politica
possa apportare un contributo positivo alla scienza della morale e aiutarne il
definitivo costituirsi. “ La vita morale può considerarsi, così il Calderoni,
come un vasto mercato, dove determinate richieste vengono fatte da taluni
uomini o dalla maggioranza degli uomini agli altri,iquali oppon gono a queste
richieste una resistenza, secondo icasi,maggiore o minore, e richiedono alla
loro volta incitamenti, stimoli, premi e compensi di natura determinata.Questi
stimoli o incitamenti prendono la forma sociale di approvazione e di biasimo,
di lodi, di gloria, di premio e punizione. Premesse alcune nozioni intorno alla
legge dell'utilità marginale e alla formazione della rendita, non soltanto fondiaria,
ma anche, in generale, del consumatore e del produttore, Calderoni accenna più
particolarmente a due specie di disarmonie economiche che si verificano nei
fenomeni di rendita. La prima è conseguenza del principio che,data la unicità
del prezzo in un mercato, il compra tore e il venditore realizzano un
vantaggio, rappresentato dalla differenza tra ciò che sarebbe bastato a indurli
a comprare o a vendere la singola dose in questione, e ciò che, per effetto del
mercato, vengono a ricevere. Ora, se i prezzi sono proporzionali ai costi
marginali delle merci,essi non sono proporzionali ai costi di tutte quelle dosi
che non sono al margine. Tutti coloro che si trovano più o meno lontani dal “
margine di produzione o di I mezzi di produzione si trovano infatti in quantità
limitata e variano grandemente per qualità ed efficacia, sicchè la produzione
si compie in condizioni differentissime da diversi individui,e l'au mento di
produzione fatto con mezzi più costosi,mette quelli che impiegano i mezzi più
facili in una posizione privilegiata,ch'è poi quella da cui la rendita deriva.
Queste e altre considerazioni mostrano, che il fenomeno della rendita non si
può correggere mai assolutamente, e che dà luogo a vere e proprie disarmonie
economiche (2). La seconda specie è descritta dal Calderoni così:Supponiamo che
sia raggiunta in un modo qualsiasi l'abolizione dei più stri denti ed evidenti
fenomeni di rendita. In tal caso tutti iprodut consumo si trovano a
fruire di un prezzo,che basta soltanto a rimunerare quegli individui, i quali
cesserebbero dal produrre se il prezzo ribassasse;e godono perciò di un
vantaggio differenziale, o rendita, più o meno grande. Nè è possibile la
correzione automa tica del fenomeno della rendita,mediante aumento di
produzione da parte di quelli che guadagnano di più, e conseguente ribasso di
prezzi,perchè non sta ad arbitrio dei produttori di ottenere in quantità
indefinita le merci in quistione. tori riceverebbero retribuzioni equivalenti,
per ciascun loro pro dotto,a ciò che è necessario e sufficiente per indurli
alla loro produzione. E nondimeno non si potrebbe ancora affermare che
all'eguaglianza di retribuzione per i produttori dei diversi prodotti
corrisponda una intima ed effettiva eguaglianza nei sacrifizi o nel lavoro che
il prodotto costa a ciascuno.La misurazione di questo rapporto implicherebbe la
conoscenza dei bisogni e dei desideri più intensi, dei sacrifizi più gravi per
ciascun individuo e porterebbe a risultati assai diversi.Dal fatto che due
individui sono disposti a dar la medesima somma per una merce o a contentarsi
di una data somma per un servigio, nulla può dedursi intorno alla in tensità
del desiderio che hanno o del sacrificio che fanno : come dal fatto che due individuisi
scambiano una merce, non puòde dursi che chi la cede la desideri meno di chi
l'acquista. Dal persistere di queste differenze è condizionata un'altra serie
di disarmonie economiche più sottili e più intime e per loro na tura
irriducibili,perchè persisterebbero anche quando si riuscisse a stabilire
rapporti equivalenti o eguali sul mercato. Dopo questi cenni Calderoni passa a
rilevare le analogie tra fatti economici e fatti morali, le quali
renderebbero,a suo giudizio, possibile una concezione economica della morale.
Anzitutto, non meno in morale che in economia, ciò di cui effettivamente si
giudica è, non il valore complessivo o generale degli atti e delle attitudini,
di cui s'invoca l'adempimento o l'osservanza; ma il loro valore marginale e
comparativo, valore atto a variare e col numero di questi atti effettivamente
compiuto dagli uomini,e col numero altresì di quegli altri atti, cui si
rinuncia per compierli Vi è nella vita
una gran quantità di atti ed attitudini,che puressendodiunaincontestabile
utilità»,puressendoessen ziali alla conservazione ed al benessere della
convivenza umana, non entrano nell'ambito di ciò che noi chiamiamo la morale. Perchè? Con
ciò Calderoni vuole opporsi a tutta quanta la tradizione intuizionistica e
kantiana in filosofia morale. Gli atti morali non hanno alcun valore assoluto,
ma un valore esclusiva mente marginale e comparativo. Perchè nonostante la loro
desiderabilità astratta,nonostante i van taggi totali che la società ritrae dal
loro adempimento, vantaggi certamente assai maggiori,nel loro complesso,a
quelli degli atti che la morale esalta; essi sono tuttavia atti di cui non è
deside rabile un ulteriore aumento, la cui desiderabilità “ marginale com
parata, in altre parole è zero o addirittura negativa. Gli atti prodotti
dall'istinto personale di conservazione o da quello della riproduzione della
specie non sono considerati virtuosi,perchè,ben lungi dal richiedere u n
incitamento, essi richiedono freni, gli uomini essendo piuttosto proclivi ad
eccedere che a difettare in essi, e a sacrificar loro l'adempimento di altre
funzioni che sono marginalmente o comparativamente . più desiderabili , Le
nostre tavole di valori contengono tutte quelle cose, per ottenere un au mento
delle quali,in noi stessi o negli altri,siamo disposti a de terminati
sacrifici; ma non già tutte le cose che possono apparirci desiderabili. Col
crescere delle azioni virtuose esse tendono a diminuire di valore, come
analogamente il diminuire delle azioni viziose tende a render meno disposti a
far dei sacrifici per dimi nuirle ulteriormente; ond'è sempre concepibile un
limite, natural mente molto diverso,secondo i casi,oltre al quale il vizio, di
verrebbe una vizio, vviene infatti per la domanda e per l'offerta etica lo
stesso che per la domanda el'offerta economica. In una società di complet ialtruisti
avrebbe pregio l'egoista. L'ALTRUISMO è una virtù il cui valore è strettamente
connesso colla presenza di egoisti o almeno di non altruisti nella società. Queste
considerazioni confuterebbero la legge morale di Kant, che prescrive di seguire
massime capaci di divenire universali. “ N e s suna virtù e nessun dovere
resisterebbe ad un esame fatto rigo rosamente in base a questo criterio.Molte
azioni sono per noi un dovere,appunto perchè gli altri uomini non le fanno e
rimangono tali a condizione che non siano troppi gli uomini capaci e volonte
rosi di imitarle... Come in una barca sopraccarica,l'opportunità di sedersi da
una parte o dall'altra dipende strettamente dal nu e la un virtù,
virtù, mero di persone sedute dalla parte opposta: se qui fosse seguito
un imperativo kantiano qualsiasi, il capovolgimento della barca porrebbe tosto
fine ai consigli del pilota e alle buone volontà dei passeggieri, Si può
credere che si possa ovviare a questi errori particola reggiando quanto più è
possibile i precetti e le sanzioni, individua lizzandole in grado estremo.M a
alla stessa maniera che in un mercato
nonsipuòvariareilprezzosecondogliavventori,cosìalla legge d'indifferenza del
mercato , corrisponde una legge d'indifferenza morale, per cui sono stabilite
regole comuni non troppo discutibili e sanzioni precise, non atte troppo a
variare e applicabili alla media dei casi. La necessità di dare precetti e
sanzioni generali dà luogo a fe nomeni analoghi ai fenomeni di rendita. Alla
generalità e rigidità della legge morale farà contrasto la varietà delle
condizioni indi viduali, per le quali si verificheranno vantaggi e svantaggi
diffe renziali da individui a individui. Il dovere per ciascuno sarà di fare,
non già quello che nel suo caso è il meglio o l'ottimo,ma ciò che in media è meglio
che gli uomini facciano di più,di quanto ora non facciano; non agendo così egli
si attirerà una sanzione, che nel suo caso, potrà anche talvolta essere “
immeritata Le pene e i premi hanno un costo marginale che cresce col cre scere
della loro severità e grandezza,e colla loro estensione; mentre colla loro
estensione diminuisce la loro efficacia marginale : la gloria e l'onore, come
l'infamia, diminuiscono rapidamente di efficacia quanto maggiore è il numero
degl'individui che ne frui scono o soffrono. Così alcuni si troveranno a godere
di lode o gloria molto superiore al loro “ merito , individuale, per avere
compiuto azioni, poniamo, talmente conformi al loro carattere che sarebbe
piuttosto stato necessario " punirli , se si fosse voluto di Ciò premesso,
il Calderoni trova le analogie fra le disarmonie economiche e morali.
stoglierli dal farle. Altri subiranno invece biasimo o infamia di gran lunga
sproporzionata alla loro colpa Se poi i precetti e le sanzioni fossero più
particolareggiate e commisurate a ciò che è necessario e sufficiente per
indurre ciascuno al ben fare, rimarrebbe ancora una gran diversità nelle
condizioni individuali, delle quali non si potrebbe tener conto senza diminuire
l'efficacia dei precetti e delle sanzioni medesime.E questo dà luogo all'altra
specie di disarmonie morali analoghe a quelle che persi sterebbero nel campo
economico,se si correggesse la legge d'indif terenza del mercato. Queste
disarmonie morali infatti persiste rebbero,anche se le prime si venissero a
eliminare,analogicamente a quello che è stato osservato nei fenomeni di rendita.
Grice: “I love Orestano loving Benedetta” – Grice: “Orestano takes Meinong very
seriously – as he should! Few outside Austria do! Meinong symbolses the I with
‘e’ from Latin ‘ego’ (Italian io), and the other with a, for Latin ‘alter,
Italian altro. So we have W for value (worth), and the possibilities that ego
desires the evil for alter – sadism. When ego desires the good, he is altruism.
Altruism can be reciprocal. In a purely altruistic society, things go well –
but Pound knows who’s against that! That’s why Orestano finds sympathy for
Meinong, and so do I” --. Francesco
Orestano. Orestano. Keywords: l’opzione eroica, Alighieri, Galilei, Tasso,
Vinci, concezione aristocratica della nazionalita, l’eroe Mussolini, l’eroe
Enea, Weber e la teoria dell’eroe carismatico, l’ozione dell’eroe non e una
ozione. It’s not an option, Calderoni. Luigi
Speranza, “Grice ed Orestano”. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718248754/in/photolist-2mNCu2K-2mNaxw3V
Grice ed Orioli – implicatura – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Vallerano). Filosofo. Grice: “Only in Italy, a philosopher,
rather than a cricketer, is supposed to take part in a revolution and write a
book about his shire!” -- Fondatori della Repubblica Romana. “De' paragrandini
metallici” (1825 (Milano, Fondazione Mansutti). Il padre, medico, lo condusse a
Roma, dove si laureò brillantemente. La professione non lo attraeva molto: lo
troviamo, infatti, professore di filosofia nei seminari e nei licei dell'Urbe.
Da Roma si trasfere a Perugia, dove si laureò. Insegnò a Bologna. Partecipò con
gli allievi all'insurrezione delle Romagne; successivamente fu eletto membro
del governo provvisorio di Bologna, che fu sciolto in seguito all'intervento
militare dell'Austria. Tentando di mettersi in salvo,salpò da Ancona diretto in
Francia con un altro centinaio di rivoluzionari; ma il brigantino Isotta sul
quale viaggiava venne catturato dall'allora capitano di vascello della marina
austriaca Francesco Bandiera (padre dei due famosi fratelli Attilio ed Emilio)
e tutti i rivoluzionari furono arrestati. Venne incarcerato a Venezia. Poco
dopo venne liberato, forse per mancanza di risultanze gravi sul suo conto. Iniziò così l'errare, costretto a fuggire da
terra in terra, inneggiando sempre all'Italia unita. Fu professore di
archeologia alla Sorbona. A Bruxelles insegnò. Soggiornò anche a Corfù, dove
tenne un corso dnell'università della città.
Quando Pio IX concesse l'amnistia, poté tornare a Roma, dove tenne la
cattedra di archeologia. Le sue attitudini per il giornalismo non attesero
molto per farsi notare, e così fondò un periodico politico che ebbe però vita
breve, La Bilancia. Fu eletto deputato
al parlamento della Repubblica Romana. Quando il governo pontificio fu
restaurato, in riconoscimenti dei suoi meriti, fu nominato consigliere di stato.
Pubblica molti saggi di filosofia. Tra i più famosi sono da menzionare “Dei
sette re di Roma e del cominciamento del consolato” (Firenze), “Intorno le
epigrafi italiane e l'arte di comporle” (Roma). Prese parte alla polemica sui
sistemi di prevenzione contro i fulmini e la grandine, che coinvolse anche
Bellani, Beltrami, Demongeri, Lapostolle, Normand, Majocchi, Contessi, Molossi,
Nazari, Richardot, Scaramelli, Tholard e Volta. Le compagnie assicurative
usarono questi studi per valutare rischi e premi per i campi agricoli. Riconoscimenti Il comune di Vallerano (VT) lo
ha onoratocon l'intitolazione di una delle vie principali del borgo antico,
quella del Teatro comunale, e con l'apposizione di una lapide commemorativa
sulla facciata della casa in cui lo scienziato nacque. A Viterbo un Istituto
Statale di Istruzione Superiore -che comprende il Liceo Artistico e diversi
indirizzi di Istituto Professionale, A. Ghisalberti, nella voce della
Enciclopedia Italiana, vedi, riporta queste date di nascita e morte, A. Ghisalberti,
Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Fondazione
Mansutti, Quaderni di sicurtà. Documenti di storia dell'assicurazione, M.
Bonomelli, schede bibliografiche di C. Di Battista, note critiche di F.
Mansutti. Milano: Electa, G. Polizzi,
Alla ricerca dello «specioso» e dell’«insolito». G. Leopardi, «Lettere
Italiane», Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. -- rità assai leggieri, e , se grandemente non m'inganno ,
assai consentanei alla ragione ), de'quali ho stiinato aver bisogno ,
l'enunciazione de'puri fatti che costruiscono l'istoria della dignità regale
nella città de'sette colli , ha dovuto essere da me corretta, e
ridottasotto la forma seguente. 1...Come lo abbiamo già detto,lasuccessio ne al
trono, mai non appartenne in Roma a fi gliuoli maschi de're precedenti. 2.°
Essa appartenne sempre a'generi loro , quando ve n'ebbe di viventi (Numa,Servio
, Tarquinio il Superbo ). 3.°Losposodellafigliuolamaggiorefuatutti gli altri
preferito ( Servio ). 4.° Quando i generi erano morti, la succes sione passò ai
primogeniti del primo genero (Tullo Ostilio, secondo lamia correzione della
leggenda che lo concerne; Anco Marcio ). 4.° Quando si tratta di due re, in
luogo di un solo, e diquella magistraturabinariaed a vita che si surrogò ne
primitempi alla dignità regia, parimente non si rinunziò a queste m e desime
regole, e se non trovansi due generi che potessero elevarsi al potere
supremo,si'elevano egualmente a quello, secondo l'ordine legale due figli di
genero (Reno e Romolo;Bruto e Col latino ). 7.
Lafigliastradelrefuequiparataallafiglia neldrittodidareiltronoalmarito,oaʼsuoi
di scendentimaschi,inun tempo,incuiprobabil mente figlie proprie non esistevano
(Tullo Osti 1 103 6.° Quando non v'ebbero , nè generi , nè fi
gliuolidigeneri,iltronopassò a’nipoti che s'a mò
riguardare,insìfattacontingenza,come le gittimi eredi de’dritti degli
ascendenti loro (Tullo Ostilio,se si preferisce l'ipotesi , nella quale egli è
nipote d'una figlia di Romolo maritata ad Osto ). 11.o Fuori della
serie deʼre, o de'magistrali che ne tenner le veci, tra gli stessi pretendenti
che, senza ottenerla , dimandarono la dignità
suprema,unodiquelli,de'qualil'antichitàciha trasmesso la memoria, è stato
ugualmenle un ge nero di re (Numa Marcio);duealtri,ne'quali' non ci è dato
riconoscere questa qualità, non hanno dimandato iltrono per le vie legali ma
cercaronod'ottenerlocon un delitto(ifigliaoli d'Anco ); due di che solo siparla
presso Plutar 104 se si ricusi di considerare 1'Ersilia dalla
qualediscende,comefigliadiRomolo,e sesi rispetta la tradizione, secondo la
quale l'ultim re non è che il patrigno o al più ilpadre adote tivo della
seconda Ersilia ). 2 8.° In un caso,nel quale ilcapo supremo non potè far
valere ildritto di successione alla sua dignità negli eredi maschi delle sue
figliuole , ne in altro modo potè effettuare la trasmissione dellasuprema
autoritàper viad'altredonne sue discendenti,almeno tramandò ilsuo grado nel
l'erede necessario della moglie ( Bruto rispetto a Lucrezio Tricipitino suo
successore nella p r e tura massima, o vogliam dire nel consolato ). 9.° Quando
non vi furono eredi quali che si fossero dilatodidonna,iltrono,sempre messi in
non cale imaschi,ricadde in unapersona e slranea,cioènonlegatadipiirentelacolla
fami glia reale (Tarquinio Prisco ). 10.° Quando,nonostantel'aversieredi legit
timi per parte di donna,una persona estranea conseguì la dignità regia , ciò
avvenne contra il dritto, per la forza dell'armi ( Tazio ). lio Non
altraèl'espression'rigorosade'fatti,cosi come sono riferiti dagli antichi, o
come io d o vetti correggerne la sostanza e l'enunciazione, secondo le regole
di una critica, se posso dirlo, in nessun modo 'temeraria.'Le mie autorità , i
miei ragiovamenti , non sofferirono contraddi zióve ne’loroparticolari,eme
nechiamo felice. Si volle 'solamente avvertirmi che nel mio si stema erano
alcuni fatti dubbiosi , e ricavati per conghiettura. 105 stato . co (
Voleso e Proculo ),sono statiproposti senza gran fattofermarsi sopra la proposizione;
non hannopresosulseriolalorqualitàdicandidati,e sembrano'avervi rinunziato essi
stessi; finalmen tefurono messi innanzi inun tempo ,nel quale tutto che
concerne le leggi relative alla succes sione regia era evidentemente suggetto
di contro versia , e dispuldvasi intorno alle basi stesse di questa parte della
costituzione organica dello Io risposta,ioviho presentatol'analisi,per così
dire più condensata,delletradizioni; lebo prese da prima quali sileggono; mi
sono per 'messo unicamente qualche volta. o. Spesso la successione al
trono in R o m a s'è fat ta contra ogni principio d'equità, d'utilità, e di
convenienza reciproca de'cittadini : perchè ( per qui contentarmi d' un solo
esempio il q u a l e a b b r a c c i a u n l u n g o p e r i o d o d ' a n u i
), n o n certamente a vantaggio del partito latino, o di quel deʼsabini, sotto
la dinastia etrusca, la di gnità regia restò sempre nella fazion toscana. Grice:
“Orioli philosophised on many topics. To Italian philosophers, who are
OBSESSED, during their unstable political history, with political philosophy,
his ‘research’ on the consulate proves helpful. He notes that Romolo had no son
– so who to succeed him? Other than that, he was almost shot (Orioli, not
Romolo) after trying to oppose what he called the Roman theocrazy – or
theocracia – For Orioli there are various cracies: theocracia, democrazia,
TIMOcrazia, and ARISTO-crazia. Francesco Orioli. Orioli. Keywords: implicatura.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Orioli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690012070/in/photolist-2mKEPJE
Grice ed Ornato – filosofia italiana – la
conversazione d’Antonino con Antonino -- Luigi Speranza (Carmagna Piemonte). Filosofo. “Visse vita ritirata, modesta e schiva d'onori e ricchezza intesa
soltanto allo studio.” “Coltiva le scienze fisiche e matematiche, la filologia,
la poesia, la musica e con singolare amore le discipline metafisiche. Sii
trasferisce a Torino dove frequenta alcuni esponenti dell'aristocrazia sabauda.
Tra le sue amicizie più importanti Santarosa, Sabbione ed i fratelli Balbo. – Dei
concordi è insegnante di matematica nel collegio dei paggi imperiali, impiegato
nella segreteria dell'Accademia delle Scienze di Torino e successivamente
professore presso la Reale Accademia Militare. In seguito ai moti rivoluzionari
e nominato da Santarosa Ministro della Guerra della giunta rivoluzionaria. Si
rifugia in esilio a Parigi. Nella capitale francese stringe amicizia con Cousin
e la sua casa è frequentata da numerosi patrioti italiani. Ottiene di poter
rientrare in Italia e si ritira a Caramagna dove riceve le visite dei patrioti
Pellico, Provana, Gioberti e Balbo. Si trasferisce a Torino dove morirà e verrà
sepolto nel cimitero monumentale. Saggi: traduzione di Ode a Roma di Erinna, traduzione
dei “Ricordi di Antonino, Picchioni, Vita, studii e lettere inediti di Leone
Ottolenghi, E. Loescher. Biografiche e risultati di ricercheo, O. Becchio G. Calogero, Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ulteriori approfondimenti possono essere reperiti nei seguenti
siti: Comune di Caramagna Piemonte, su
comune.caramagnapiemonte.cn. Associazione Culturale "L'Albero
Grande", su alberogrande. Due difetti o cattivi abiti, nota qui e
contrappone Antonino. L’uno, del lasciarci guidare unicamente dalla
IMPRESSIONE che fan su di noi l’oggetto esterno, divagando da questo a
quello secondo che quello ci attrae più fortemente che questo. L’altro
del lasciarci guidare unicamente dal pensiero o idea che ci vengono
in mente a caso, seguendo quelli che eccitano più la nostra attenzione. Due
stati passivi, dove l’uomo non esercita punto la volontà nè l’intelletto,
ma segue ciecamente, nel primo, il caso esterno, o nel secondo, il
caso interno, cioè quella che è stata nomata di poi legge di
associazione di due idee: due stati quindi dove l’uomo non ha scopo. Il
primo de’ quali ha luogo nella vita puramente ANIMALE, e il secondo
nel sogno. Quello, proprio del giovane troppo dedito al senso. Questo,
del vecchio rimbambito. E quindi, dopo avere esortato sè stesso a fuggire
il difetto del giovane si esorta a fuggire quello del vecchio. Il
carattere che fa riconoscere il vecchio per rimbambito è il vaneggiare,
cioè il parlar senza costrutto, ripetendo il già detto. Ma avverte sè
stesso che l’uomo può essere rimbambito già an-che quando non parla ancora
senza costi itto, non vaneggia ancora in parole, se egli fa delle azioni
senza costrutto, o vaneggia nelle azioni: il che ha luogo ogni volta
che esse azioni non sono collegate tra sè, non hanno unità, cioè non
sono riferite tutte ad uno stesso ed unico scopo. Questo lodare la
compassione senza aggiungere con Epitteto che ella debba essere puramente
esteriore e non di cuore, è certamente una contradizione al principio stoico.
La compassione essere come tutti gli altri affetti un moto irragionevole dell’anima,
e contrario alla natura, il saggio non essei'c accessibile alla
compassione; una contradizione a ciò che è detto in questo medesimo §,
dovere il saggio mantenere il suo genio interno netto da passione. Ma è
una di quelle contradizioni magnanime per le quali IL CUORE corregge
talvolta gli errori dell’INTELLETO. Sul punto particolarmente della
compassione, come su quello dell’affezione verso gl’amici e i congiunti e verso
tutti gli uomini e Antonino uno stoico poco fedele al principii della sua scuola, e segue
piuttosto gl’accademici e i liceii, i quali insegnavano il sentimento
della pietà essere il carattere distintivo delle belle e grandi
anime; e quel detto di Focione, conservatoci dallo Stobeo: non togliete
nè Voltare dal tempio y nè dalla natura umana la compassione. F< in
questa deviazione, almeno in pratica, dal rigore dell’antica dottrina del
Portico [PORTICUS – stoici], Antonino e stato preceduto da altri
stoici romani illustri. Il che non potea non avvenire, perchè secondo un
antico senario greco, il cuore soltanto del malvagio non è capace
di essere ammollito. E però il severissimo CATONE, già deliberato in
quanto a sè di morire, pianse, come narra Plutarco, per pietà di
tutti quelli amici e concittadini suoi che eransi pur dianzi affidati ad
un maro procelloso per non lasciarsi cogliere in Utica da Cesare
vincitore, come avea pur pianto alcuni anni innanzi per un fratello
amatissimo, quando trovandosi esso Catone al comando di una legione in
Macedonia, alla novella che il detto fratello era moreute in Enos città
della Tracia, salpò immantinente con piccolo e fragil legno da
Tessalonica, contro l’avviso di tutti i nocchieri, per un mare
tempestosis- simo, e giunto in Enos trovò il fratello già spento
(Plut., vita di Catone). E pianse certamente Cornelio Tacito,
benché stoico anch’egli, quando, dopo aver narrato come era vissuto e morto,
non senza sospetto di veleno, Giulio Agricola suo suocero, aggiungeva
queste patetiche parole: « Beato te. Agricola, che vivesti sì
chiaro e moristi sì a tempo: abbracciasti la morte con forte cuore
e lieto; quanto a te, quasi scol- pandone il principe. Ma a me e
alla figliuola tua, oltre all’acerbezza dell’aver perduto un tanto padre,
scoppia il cuore che non ci sia toccato ad assi- stere nella tua
malattia, aiutarti man- cante, saziarci di abbracciare, baciare,
affissarci nel tuo volto; avremmo pure raccolti precetti e detti da
stamparli nei nostri animi. Questo è il dolore, il coltello al nostro
cuore.Senza dubbio. 0 ottimo padre, per la presenza della moglie
tua amatissima, ti soverchiarono tutte le cose al farti onore; ma tu
se* stato riposto con queste meno lagrime, e pure alcuna cosa
desiderasti vedere al chiudere degli occhi tuoi. Fra le varie divisioni
dei beni appo gli stoici, l’una è questa, che dei beni altri sono
finali, altri efficienti, altri e finali insieme ed efficienti.
I beni finali sono parte della felicità e la costituiscono: gli
efficienti solo la procurano: i finali ed efficienti insieme e la
procurano e sono parte di quella. Del primo genere sono la letizia, la
libertà deir animo, la tranquillità, ecc. Del secondo, l’uom prudente ed
amico; del terzo, tutte le virtù. L’uom prudente ed amico è un bene
efficiente, perchè muove con la sua diapoaizion razionale la tua
diapoaizion razionale (lib. V), cioè è occasione a te di buone
azioni. E nello stesso modo è un bene di quel secondo genere ogni
cosa, o sia pensiero o altro, che è occasione a te per camminare
verso la perfezione. Di questo bene parla ora Antonino. Il quale,
per lo esser solo efficiente, e non finale, cioè pel non essere
accompagnato ancora da quel sentimento intimo di gioia perfetta che
costituisce la felicità, non attrae invincibilmente il tuo volere;
ed è necessario quindi, perchè operi veramente sull’ uomo, che questi si
sottragga da tutte le altre cose che ne lo possono sviare (conferisci
quello che ne insegna la teologia intorno alla grazia). E quando Antonino
chiama questo bene razionale (che è attributo generale del bene
appo gli stoici), il fa per op- posizione al preteso bene degli Epicurei,
che è sensibile. Seneca, epistola ultima. Chi riguarda il piacere come
sommo bene, giudica che il bene sia sensibile: noi il giudichiamo
intelligibile. E più sotto. Non è bene dove non è ragione. Tutte queste
cose era necessario notare per ìscliiarimento e con- formazione del
testo, dove la maggior parte dei cementatori ed interpreti ha
voluto cangiare la parola efficiente in civile o vuoi sociale^ con
manifesto danno del senso e del pensiero di Antonino. Dispensazione in
greco “economia” vale generalmente governo della casa, amministrazione. E
perchè molte cose si fanno pel governo della casa, le quali da per
sè sole non si farebbero (come per esempio il risparmiare certe
spese perchè le sostanze famigliar! sopperi- scano al mantenimento
di quella), quindi è stata applicata questa voce ad ogni cosa che
si faccia con fine provvidenziale, benché sia di nessun pregio in sè od
anche noiosa; come p. e. il gastigare i rei. È usata sovente in questo
senso dagli scrittori latini di tarda età, e stoici ed altri, e
massima- niente dai padri della chiesa. È tra noi disusata perchè è
disusato il concetto eh’ ella esprime. Ma per provare la sua antica
cittadinanza in Italia allegherò il passo seguente di Cavalca,
l’ultimo dei citati sotto essa voce nel V. della Crusca (Medicina
del cuore): Per divina dispensazione avviene che, per li pessimi vizi e
gravi, grave e lunga tribolazione ed infermitade arda e salvi r anima. » Da
una nota dell’ Ornato credo che, quando la scrisse, inclina per l’
interpretazione di questo luogo, a dar ragione a Xilandro contro i
posteriori. Se non muta poi di parere, il senso di questa
espressione con libertà di parole dovrebbe essere liberalmente cioè con
liberalità di parole, o generosamente poiché così anche lo Xilandro intende
lo £À6u0£.'iu)5 del testo. E con questo raccomandare la generosità nelle
preghiere, Antonino intenderebbe, come osserva il Gataker, di
biasimare le preghiere che non mirano che all’interesse proprio di chi
lo fa. E però loda quella preghiera degli Ateniesi, i quali, al dire di
Pausania, solevano pregare non solo per tutta l’Attica, ma anche per
tutta la Grecia. AUto^ nel senso peripatetico e scolastico, è V
affezione costante deWente: e per quel carattere di costanza si di-
stingue dalla disposizione^ che è varia- bile. Appo gli stoici è la forza
o virtù che mantien l’ente in quella affezione costante; o, siccome
essi favellano, è spirito (intendi aria) che mantiene il corpo e il
contiene: » perchè l’ente ò corpo appo loro. La mente dell’ universo,
dice Senone, penetra per tutte le cose particolari e le mantiene e
go- verna: ma non tutte nel medesimo modo: perchè nelle une si
manifesta come abito (pietre, legni); nelle altre come natura (intendi
principio organico mero: piante, alberi); nelle altre come anima
(prin- cipio animrle mero: bruti); nelle altre ancora come mente e
ragione (anima ragionevole universale e sociale appo Antonino;
uomini. Le cose governate dair abito sono adunque i corpi dove non è
altro principio costituente che il generale di corpo: dove per
conseguenza non è altro carattere distin- tivo che quella affezione (modo
d’essere) costante por cui sono il tal corpo anziché il tal altro. Sono
la classe infima e generalissima di corpi, che noi chiamiamo inorganica.
Nelle cose go- vernate dalla natura, oltre al carattere generale di
corpo v’ ha già il carattere d’organizzazione. Nelle cose governato
dall’anima, oltre al carattere di cor- poreità e di organizzazione, v’ha
di più quello di animalità ecc. Le classi si van cosi ristrignendo
e innalzando sino al- r ultima, che ha per carattere la razionalità. In
questo § il testo è. in più d’un luogo corrotto, e verìsimilmente
havvi anche qualche lacuna. Non potrei dire precisamente quali sieno
le emendazioni seguite o fatte da lui, perchè una sua lunghissima
nota sulle difficoltà di questo paragrafo, oltre che è piena
di cancellature e in gran parte non intelligibile, è anche manchevole,
essendone stato lacerato via, non so da chi (forse dall’Ornato.
medesimo per aver mutato parere), un mezzo foglio. Nel voltare in
italiano io mi sono discostato il meno possibile dalle sue parole stesse
e ho serbato inalterato il senso della sua interpretazione. Questo paragrafo,
essendo corrotto in più luoghi, dei quali l’ emendazione fu
inutilmente tentata finora, è diversamente inteso dagli interpreti. L’
Ornato lasciò scritto al principio di una lunga nota: «di questo
veramente corrotto paragrafo non so che partito trarre. La sua
interpretazione che io seguii nel volgarizzamento vuol dunque
essere accettata con quella medesima riserva con che egli la
propose. La parte che segue di questo para- grafo è assai guasta, e fors’
anche muti- lata. L’Ornato non la tradusse in alcun modo,
riserbandosi di farlo quando avesse trovato una correzione che gli
piacesse: intorno a che lasciò molte note. Nel mio volgarizzamento
ho letto il testo come fu letto dallo Schiiltz, non perchè egli
approvasse in tutto quella lezione, ina perchè non seppe trovarne una
migliore. Il testo di questo paragrafo è corrotto, e chi corregge in un modo e
chi in un altro, e chi ancora difendo la vulgata. Io ho seguito
quella fra le molte e varie emendazioni, dalla quale parvemi almeno
di poter trarre un senso chiaro. Poi sensori tutto il paragrafo conf.
anche V, 33, e Seneca. More quid est? aut finis, aut transitus. Tutti gli
interpreti che io co- nosco finora, compreso anche il Gata- kero,
il quale nondimeno si scosta dal vero meno che gli altri, pigliano qui
il granchio (fan pietà Dacier o Joly che seguono ciecamente
Gasauhono, come fa pure Barberini: il Milano poi è la stessa pecora
sempre, Hoffmann erra men grossamente com Gatakero), confondendo insieme,
siccome fossero una sola cosa, la toù 3Xou (fùaiv e il ToO xóojjiou
’hys.u Qvixdv; quando anzi nella distinzione di queste duo cose è fondato
il senso di tutto il paragrafo. La toO SXou qjvlcjis è la potenza
creatrice o faci- trice primitiva; lo •óyepwvixòv toO xóopiou è la
potenza governatrice, dipendente da quella prima, generata, o formata da
quella prima: siccome la natura dell’ uomo forma l’nomo, cioè la mente
dell’nomo non meno che il corpo; e la mente deH’uomo poi gOTema il
corpo. Il senso adunque di tutto il paragrafo è questo: La natura
dell’universo decretò, determinò con deliberazione ragionevole il mondo,
dan- dogli, per così dire, un corpo ed una mente. Ora, o questa
mente, a cui è affidato il governo del mondo, segue la ragione
(perchè la mente nel senso dello ^ìf£|jiovixbv può anche talora essere
sra- gionevole); e allora tutte le cose che ella fa, sono quali le
ha determinate generalmente dà principio la natura formatrice del
tutto, sono involute in quella prima determinazione, sono conseguenza
necessaria di quella prima de- terminazione, ecc.; ovvero essa
mente non segue sempre la ragione, e allora essendo essa soggetta a
capriccio, dovrà accadere che non solamente le cose di minor conto
che ella fa, ma anche le cose principali sieno sragionevoli. Ma noi
non veggiamo mai che nelle cose principali ella sia sragionevole;
dunque non può essere sragionevole nè anche in quelle di minor
conto; dunque tutte le cose vanno secondo ragione. Godo di aver potuto
deeiferare nel manuscritto dell’Ornato e quindi trarre in luce la
precedente nota (la cui reda- zione sarebbe certo migliore se l’
autore avesse potuto ripulire e pubblicare egli stesso il suo
lavoro); perchè l’inter- pretazione e illustrazione contenuta in
essa è ingegnosissima, naturalissima e confermata da tutto quello che
conosciamo della fisica degli stoici. La natura universale (n toù óXov
(pdcjts), la potenza facitricc o creatrice è il Dio puro, il quale
trae l’universo dalla sua propria sostanza, è l’unità assoluta senza
distinzioni e diversità di parti, è la natura naturane; la potenza
governatrice, la mente che go- verna il mondo (TÓrìysixovixóv toù
xó^jxou), generata da quella prima, è all’incontro, nell’attuale
diversità delle cose,' nella nauìra naturata, nel mondo
propriamente detto e composto di anima e di corpo, è, dico, la provvidenza,
l’anima di esso corpo. Al novero degli interpreti che frantesero questo §
è ora da aggiungersi Pierron. Ed è tanto più da stupire che il sig.
Pierron abbia egli pure sì mal compreso, in quanto che, avendo egli
già prima tradotto la Me- tafisica di Aristotele, dovea essere suf-
ficientemente versato nelle dottrine filosofiche delle principali scuole
della Grecia. Quasi tutti i traduttori hanno franteso questo luogo,
pigliando l’iwoia per intelletto ragione e traducendo quindi: vide ne
intellectus hoc feraf.... il senso letterale, aggiungendo ciò che è
sottin- teso, è: vedi se la nozione (che tu hai di te stesso come
uomo) soffre cotesto, soifre cioè che tu dica esser nato a goder
dei piaceri. Pierron, seguendo l’ esempio di tutti i suoi
predecessori, pigliò anch’egli Vhvo'.a per intelletto traducendo: vota a' il y
a du bon aena à le prétendre. Colia bontà delle singole azioni
vuotai procacciare di ben comporre la vita. Il testo e bravissimo. Talvolta
troppo fedele alla lettera e studioso di conservare tutta la brevità
dell’ origi- nale, avea tradotto: ai vuol comporre la vita mettendo
inaieme le azioni ad una ad una; poi comporre inaieme la vita accozzando
le azioni ad una ad una; poi allogando le azioni ad una ad^ una.
Non credo che so avesse potuto ripu- lire e terminare egli stesso il suo
la- voro, si sarebbe contentato di alcuno di questi tre modi, che
tutti peccano di oscurità e di ambiguità. A costo dì essere men
breve, io ho creduto di dover essere piò chiaro non solo in questa
frase, ma in tutto questo paragrafo, svolgendo un poco il concetto dell’autore
siccome io l’intendo. Quasi tutti gli interpreti fran- tendono. 0.
Nel novero degli interpreti che fran- tesero questo luogo comprendi
ora an- che Mr. Al. Pierron, che sdgue docil- mente- jl Gataker e
lo Schultz. L’errore sta nel legare Io i^’oioy ctv xoti up^rìae col
ófUTw che precede; laddove si riferisce all’azione alla quale
l’animale ragionevole tendea e nella quale è stato impedito. E ciò
pare che abbia poi ca- pito lo Schultz nella sua seconda edi- zione
del testo greco, avendo egli posto una virgola dopo il óutù. (15)
Se tu vo/eafi ftema la debita ri- tterva.., che da lei etesaa; cioè a
dire: se tu volesti assolutamente e non a condizione soltanto che la
cosa fosse possibile; questo atto della tua volontà fu veramente un
male, perchè, come è detto altrove, l’ animai ragionevole non dee
voler nulla che non sìa in poter suo, ed anche il bene re- lativo,
non dee volerlo se non se con- dizionalmente, cioè in quanto sia
pos- sibile; rimpossibilità essendo per gli stoici sinonimo di non
voluto dalla na- tura e dal destino, al quale il savio non dee
ripugnare. Che se poi la cosa voluta da te fu una di quelle che non
sono pur buone in senso relativo, e quindi il volerla fu un appetito,
pren- dendo il vocabolo volere nel significato volgare, cioè un
moto del senso, piut- tosto che della volontà ragionevole; tu non
ricevesti nocumento nè impedimento veruno: perchè tu non sei «erwo,
ma bensì mento, ragione o volontà razionale, e come tale, in quanto operi
secondo la tua propria natura non puoi essere impedito da nissuna
forza esteriore. Così intendo questo luogo, così certamente è stato inteso
dall’ Ornato (assai diversamente dagli altri interpreti che io
conosco, Gataker, Schultz e Pierron), e questo senso ho procurato, di
esprimere traducendo. L’Ornato lasciò una breve nota a questo
luogo, ma in essa non fa che avver- tire le difficoltà del tradurlo,
stante la povertà dell’italiano,comparativameute al greco, e
scusare l’ oscurità e l’ ambiguità della traduzione tentata da lui. Di tutto
questo paragrafo fa quattro tentativi diversi di traduzione, tutti
laboriosissimi, come appare dalle molte cancellature e correzioni. In
margine alla quarta od ultima prova scrisse: Sta qui fermo, perche
farai peggio se cangi. Non fu quindi senza molto bilanciare che mi
risolsi a fare io, come feci, una quinta prova, essendomi sembrato
che il miglior par- tito fosse qui di tradurre letteralmente, e
spiegare i sensi del testo nelle note. Ad illustrazione del senso stoico
di tutto il paragrafo ricordiamoci priiniera- inente che secondo
gli stoici: c Dio, con- siderato dal lato fisico, è la forza
motrice della materia, è la natura generale, e r anima vivificante
del mondo; conside- rato dal lato morale, è la ragione eterna che
governa e penetra l’universo, è la provvidenza benefica, è il principio
della legge naturale che comanda il bone e proibisce il male. »
Ricordiamoci ancora che l’aria, come uno dei due elementi attivi e
parte essa stessa della sostanza divina, ò dagli stoici considerata
come il principio della vita sensitiva. Dice adunque Antonino: non
contentarti ora- mai di essere unito con Dio a quel modo solamente
che sono uniti con lui gli esseri solamente sensitivi, cioè per
mezzo della respirazione; ma fa’ ancora di unirti con lui a quel modo che
si appartiene agli esseri intellettivi, cioè con cognizione e
accettazione libera dello scopo che Iddio ha proposto al- r
accettazione libera di quelli. E però, siccome tu traggi dall’aria
ambiento gli elementi della tua vita sensitiva, traggi ancora dalla
ragione ambiente gli elementi della tua vita intellettiva. L’esistenza
delle' cose dissolvendotù (Tràvxa èv [xerai^oX-^. K«ì ocùrCg cù év
^'.r,v£xet à^.Xoicoasi, \at xaxa ti (JiOo- p^). Qui mi pare che fosse il
caso di dovere assolutamente abbandonare la lettera e contentarci
di esprimere il senso del testo, piuttosto che cercar di tradurne
le parole, che non sono tra- ducibili in italiano. L’Ornato avea
detto: tutte le, cose vanno soggette a mutazione. E tu stesso ti
alteri continuamente, e peì'^isci, per cosi dire. Ma egli non era
contento, come appare dall’usato segno. E in vero che significa quel
tutte le cose vanno soggette a mutazione f Significa, e non può
significare di più, che tutte le cose possono essere mutate e lo
saranno effettivamente quando che sia; ma ciò liou esprime quella
condizione delle cose, per cui non hanno stato, o modo di es- sere
che perduri pure un istante senza mutamento, che è la vera
condizione delle cose secondo il pensiero di Anto- nino e voluta
esprimere da lui. Chi do- vesse tradurre questo luogo in tedesco,
lo potrebbe fare, parmi, benissimo dicendo: Alle (Unge aind in
unaufhorlichem anclera-werden; come si dice in werden non solo dai
filosofi, ma anche nel lin- guaggio famigliare, quando di una cosa
che non è ancora, ma si sta incomin- ciando 0 si va facendo, si suol
dire: Die Saehc iat noch ini werden. Ma la nostra lingua non ha
tutta la flessibi- lità del tedesco, uè sarebbe chiaro, uè permesso
il dire in italiano: tutte le coae sano in un continuo mutarai. È una
singolare coutradizione di Marco nostro e di, altri stoici poate-
riori il venir cosi spesso parlando con tanto dispregio della materia che
aottoatà alle cose (tt,? ii7:oy.e'.[xi\rng uXin?, — A"edi
anche YI, 13, e altrove). Il mondo è tut- tavia per essi un animale
perfetto e bellissimo, il cui corpo è la materia, e l’anima, Dio
(vedi i Ricordi passim, e specialmente X, 1). Le rughe sul volto
del vegliardo, le screpolature delle ulive e del fico vicini ad
infradiciare, la bava del cignale ed altre sì fatte cose hanno pure
una certa grazia e venustà, perchè il mondo è perfetto, e nulla è nelle
suo parti che non conferisca alla bellezza del tutto. Perchè dunque
ora tanto dispregio non solo per tale o tale altra parte, ma
universalmente per tutta , la materia che sottosta, quando questa
materia, che non è poi altro per gli stoici se non se il suhstratum
indeter- minato di tutto il contingente sensibile, è essa pure
sostanza divina secondo la scuola?
Intendi: « o tu voglia dire che il mondo sia stato formato di
atomi. ed abbia quindi origine dal caso; o che sia stato formato di
nature (essenze, entelechie, monadi), ed abbia quindi per origino
l’ intelligenza, o la natura, che qui è sinonimo di intelligenza;
que- sta cosa pongo io certa anzi tutto, come tratta dalla mia
osservazione immediata, che io sono attualmente parte di un tutto
governato da una natura. » Con altre parole: « o tu faccia venire il
mondo dalla pluralità, o tu lo faccia venire dall’unità, ella è
cosa di fatto che io ci ravviso attualmente una pluralità governata
da una unità. » Il qual me- todo di filosofare, per cui, lasciata
stare la disputa intorno all’origine delle cose, si viene ad
esaminare la realtà attua- le di esse; lasciato stare il lontano e
mediato, si viene ad osservare l’ imme- diato e prossimo; lasciata stare
la co- gnizione dedotta, si viene a far capo alla cognizione di
fatto acquistata per osservazione; è solenne ad Antonino. Ricordi il
lettore che appo stoici mondo, tutto, natura, Dio sono
V sostanzialmente la stessa cosa, e però quelle che
poco innanzi furono chiamate parti del tutto, qui sono dette della
natura. Dìo, natura, mondo, tutto sono espressioni diverse che
corrispondono a modi diversi di considerare una stessa cosa, e
questa diversità è relativa alla mente finita dell’uomo che non può
si- multaneamente contemplare gli aspetti e momenti diversi delle
cose, e non alla realtà obbiettiva. Quindi ò che le espres- sioni
soprascritte sono non di rado usate runa per l’altra, poiché
sostanzialmente significano la medesima cosa. Il mondo KÓrfixog),
dice il Laerzio, era dagli stoici considerato: 1® come causa 0
pbtenza informatrice di tutte le cose che sono {natura nuturans, i;
t£- Xvtxfi, -ij ToO òlo\j q>0ai<é ), la quale, come
artefice e informatrice di sé medesima, trae da sé stessa e informa tutte
le coso con suprema saviezza e divina necessità, cioè secondo le sue
leggi che sono quelle della ragione; 2" come la totalità delle
cose informate e ordinate dalla potenza informatrice immanente in esse e
go- vernatrice di esse (dotta allora xòv Toù xd^fjLou) e quindi
come l’opera vivente, il vivente organismo, o corpo organato da
quella {natura naturata); finalmente come l’unità dei due,
cioè dell’ organismo vivente e della forza or- ganatrice e
governatrice, in quanto l’uno non si distingue dall’altra se non se
per la contemplazione della mente finita deU'uomo. Vedi i Prolog»
nell’edizione di Torino. Fa che tu vi sottoponga col pen^ siero...
di che io ragiono. Ho conser- vato tutte le parole della interpretazione
dell’ Ornato, perchè non avrei saputo quali altre più chiare
sostituir loro; atteso che io non son sicuro di intendere qui nè
che cosa abbia voluto dire r Ornato, nò che cosa Antonino. L’Ornato
volea faro a questo luogo una nota; ma non la fece, e non trovo
altro,, che si riferisca a questo luogo, ne’suoi manoscritti, se
non se un cenno pel quale è indicato che egli lesse qui ò, ti
risolutamente^ ove tutti gli altri, che io conosca, lessero &ti; e
che egli intese r Ù7TÓ0OU diversamente da tutti gli altri
interpreti. Il Gatakcr, e lo Schultz che lo segue da vicino, non sono
più chiari. Le quali tu apprendi»,, conside- razione del tutto.
Così l’Ornato svolse ed illustrò il pensiero di Antonino espres- so
brevissimamente e, parmì anche, poco chiaramente nel tosto. Non ho
mutato quasi nulla alla versione di questo para- grafo lasciata
dall’ Ornato, sia perchè ho motivo di credere che ne fosse già poco
meno che contento egli stesso, trovando io questo paragrafo nettamente
ricopiato; ^ sia perchè non avrei voluto correr pericolo (li alterarne
benché minimamente il senso, trattandosi di un luogo che egli
intese assai diversamente da tutti gli altri interpreti. Vuol dire che
non bastano le impressioni buone che noi riceviamo per mezzo della
sensibilità, le quali possono e sogliono venir cancellate da
impres- sioni contrarie, ma ci vuole anche il la- voro deir
intelletto che riduca quelle ad unità e le fermi cosi nel nostro
spirito, formandone come un corpo di scienza. Non basta
l’osservazione, l’applicazio- ne dello spirito alle cose di
circostanza, ma ci vuole ancora la contemplazione, l’ applicazione
dello spirito alle cose permanenti, al generale immutabile. Solo
col ridurre ad unità il moltiplice, a generalità il particolare, si
possono radicare le cognizioni nell’ anima, la quale si compiace
dell’unità, e quindi della scienza: compiacenza cui la sem- plicità
del cuore dee far rimanere se- creta naturalmente nel cuore, ma non
artatamente celata; ed allora è l’ani- ma veramente grave e soda e come
chi dicesse, veneranda. Sul fine del para- grafo fa la enumerazione
delle diverse categorie alle quali si dee riferire l’og- getto
osservato. 0. Questa nota dell’ Ornato che per le troppe
citazioni del testo greco non può qui darsi che in parte, trovasi
in- tera nell’edizione di Torino. Grecismo, per suole accadere. Non
era possibile il tradurre altrimenti. Del resto vada a rilento chi
per la sola ragione del non potersi tradurre sempre colla stessa
voce una stessa parola del testo, accusa Antonino qui ed altrove di
arguzia. Gli stoici crede- vano che, là dove è una stessa parola,
debbe essere anche una stessa idea. Ed anche Platone (vedi il Cratilo) il
credette; e il credette il Vico: e tanti j altri il credettero: e noi il
crediamo., Se quella idea generalissima che l’an- ! tichità avea
attaccata al:p:?.eìv non si ' trova più annessa al nostro amare, ciò
j non prova altro se non che il greco e l’italiano sono due lingue
diverse. E sap evadicelo. Il passo di Platone è nel Teeteto dove parlando
dell’ uomo filosofo liberalmente educato, dice, udendo egli lodare e
magnificare un tiranno od un re, gli par di udire lodato e
magnificato un pastore, perchè egli munga di molto latte; e l’animale
cui pasce e munge il re, gli pare anche più ritroso e più infido di
quello cui pasce e munge il pastore; nè men rozzo nè meno ineducato
stima egli l’uno che l’altro, mancando ad amhidue il tempo per
badare a sè, e vivendo il primo fra le mura della reggia a quello
stesso modo che l’altro nella capanna sul monte. Del resto, il senso
generale di tutto questo paragrafo, non bene inteso, se- condo me,
dagli interpreti, mi pare che sia: Tu dèi farti capace sempre pih
cho tu puoi vivere da filosofo in questa tua corte come faresti in.
quella tua villa .che agogni. Non incontri tu ad ogni •passo esempi
di quel che dice Platone: uomini che vivono nei palagi come fa-
rebbe un rozzo pastore in sul monte: ingolfati cioè quelli e questo nelle
cure materiali del governo dell’armentoV E sottintende: se per
costoro il palagio non è altrimenti che una capanna, non può ella con
più ragiono essere la reggia per te come un ritiro filosofico? Gran ragione ha
qui Antonino • di raccomandare a sè medesimo anche ' questo genere
di contemplazione, cioè a dire lo studio dei fenomeni, e delle
maraviglie, come egli dice sapientemente, “dell’organismo corporeo degli
animali e deir uomo massimamente: perchè non è altro studio il quale
possa per via più compendiosa e sicura condurre alla co- gnizione
della infinita sapienza, e provvidenza infinita della causa reggitrice
del mondo. Nè l’uorao può presumere di conoscere sè medesimo, sé non
co- nosce almeno un poco di queste mara- viglie, cioè come si
formi, cresca, si conservi, si rinnovi e deperisca il suo corpo,
quale sia la natura e il modo di operare della causa o principio a
cui dehbonsi riferire questi fenomeni, quali le relazioni di questa vita
orga- nica del suo corpo con quella del prin- cipio che in lui
sente, vuole, e pensa, e come possano questo due vite modificarsi fra
loro scambievolmente. In vero chi aspira a conoscere sè medesimo,
per quanto sia dato all’uomo di pur conoscere sè stesso, e non cura di
co- noscere un po’intimamente anche que- sta delle due parti di che
si compone Tesser suo, porta gran pericolo di er- rare nel vano, e
di prendere astrazioni por realtà, il che avvenne appunto agli
stoici, ignorantissimi di anatomia o quindi più ancora di fisiologia.
Perchè uno appunto degli errori fondamentali della loro filosofia,
quello por cui mu- tilavano la natura umana escludendo da essa la
sensibilità che riferivano al corpo come a cosa straniera all’ uomo
propriamente, il quale per essi non era altro che ragione e volontà;
questo er- rore, dico, è in gran parte da attribuire alla
imperfezione delle loro cognizioni, ai loro errori circa la costituzione
fisica delluomo e le relazioni in che ella si trova colla sua
costituzione morale e intellettuale; o per dire più vera- mente,
alla loro totale ignoranza dello leggi che governano i fenomeni
dell’or- ganismo corporeo dell’uomo, delle rela- zioni intimissime
della vita di esso organismo corporeo con quella della mente, e della
natura egualmente spirituale di ambidue. Questi versi sono di Omero
e sono dei più famosi nell’antichità, dei più spesso citati e
ripetuti, imitati dai poeti posteriori; o però Antonino non li
scrisse per intero, ma solo quei brani che sono stampati in corsivo,
bastando quelli a richiamare alla memoria i versi interi, alle
diverse sentenze contenuto in essi alludendo egli poi nella parte
se- guente del paragrafo. Con questi versi Glauco (dopo aver detto
magnanimo Tidide a che mi chiedi il mio lignaggio?) incomincia la sua
risposta a Diomede, il quale, prima di accettare il combattimento con
lui, aveagli chiesto qual fosse la sua stirpe. Io li ho tradotti
letteralmente, giovan- domi in parte della traduzione del Monti,
la. quale, come nota a tutti i lettori, avrei volentieri dato qui
inalterata, se in essa fosse più fedelmente espresso, e nell’
ultimo verso non interamente guasto il senso delle parole di Omero. Il
qual verso, voglio dire il 149\ è tradotto da Monti come segue: CosxVuom
• nasce e così muor: il che fa fare un falso sillogismo a Glauco, il
quale secondo la traduzione del Monti, concludendo, affermerebbe
dell’wo/Ho ciò che dovea affermare delle schiatte umane, mutando,
come direbbero i loici, nella conclusione il piccolo termine, che nella
premessa minore- non era uomo ma schiatta o stirpe, come disse il
Monti. E pure- il verso di Omero ò chiarissimo. Questo strafalcione
il Monti non avrebbe fatto se, come quasi ignorante del greco, con
tante altre traduzioni avesse saputo • consultare quella mirabilissima,
non solo per eleganza di stile ma ancora per fedeltà, precisione e
chiarezza, del Voss, il quale in cinque bellissimi esa- metri tedeschi
traduce letteralmente i cinque esametri greci. Anche il Pope,
sebbene i suoi lavori sui poemi di Omero, tutto die pregevolissimi per
altri rispet- ti, non meritino il nome di traduzione, non fece qui
lo sproposito di Monti. Ed altri ancora potrei nominare dei nostri
che con nobilissimo intendimento si diedero all’ardua impresa di
recare nella nostra lingua chi l’una e chi l’altra di quelle poche
reliquie che ci rimangono della greca poesia (dico poche rispetto a ciò
che fu divorato dal tem- po); i quali avrebbero meglio inteso e
meglio tradotti moltissimi luoghi se avessero potuto consultare, se non
tutti gli interpreti, cementatori ed espositori, almeno i
traduttori tedeschi. Ma basterà che io nomini il più valente, a
parer mio, di tutti, Belletti, al quale, tranne forse una più
intima notizia del greco, nulla mancava, non valor d’arte, non
felicità d’ ingegno, a poter fare una traduzione perfetta, o prossima alla
perfezione, dei tragici greci. E in vero, leggendo io le traduzioni del
Bcllotti e riscontrandolo diligentemente cogli originali, ebbi in
moltissimi luoghi ad am- mirarne la eccellenza, anzi direi quasi in
tutti quei luoghi dov’egli capì ab- bastanza intimamente il suo testo
e non erano difficoltà insuperabili a qual- sivoglia traduttore. Ma
anche in molti altri luoghi io ebbi a lamentare che egli pure non
abbia saputo o potuto giovarsi delle eccellenti traduzioni fatte
da* suoi predecessori alemanni. Nel solo Agamennone, che anche
considerato in sè stesso e non come parte di una grande e sublime
trilogia, è forse il più bel monumento della scena antica, e
certamente il più grande di tutti per sublimità tragica, recondita
filosofia, splendore di immagini e copia di alti e forti pensieri,
quanti errori avrebbe evitati il Belletti, quante meno scempiaggini
avrebbe fatto dire a quella grande anima e colossale ingegno di
Eschilo, so egli avesse solo potuto pro- fittare della traduzione e dei
Prolego- meni di Guglielmo Humboldt? Non dirò del libro di Federico
Welcker sulla Tri- logia di Eschilo^ che forse non era an- cora
pubblicato quando il Bellotti traducea l’ Agamennone. Ed è tanto più da
lamentare che a Bellotti siano mancati questi sussidi, quanto è meno da
sperare che sia presto per sorgere un altro in- gegno italiano, il
quale possa fare quello che avrebbe potuto il Bellotti.
Ritornando al paragrafo di Antonino e al luogo citato di Omero, è
da notare come siffatti pensieri intorno al poco o niun valore
della vita considerata in sè, e di tutte le cose umane e dell’ uomo
stesso, così frequenti nei poeti ebraici; frequentissimi in questo
scritto di An- tonino e divenuti quasi abituali nei cristiani dei
primi secoli, si trovino pure non di rado anche nei poeti greci più
antichi, voglio dire in quelli delle prime e più splendide epoche della
greca letteratura, sebbene i Greci fossero un popolo di allegra
immaginazione. Forse non dispiacerà al lettore il vederne qui
raccolti alcuni esempi: nell’ Odissea la terra non nutre nulla di più
infermo che Vuomo. Nell’ottava delle pitie di Pindaro Che siatn noi
dunque o che non siamo f Leggiero veder d* ombra che sogna. Letteralmente la
seconda parte. L’uomo è l’ombra di un sogno. Nel Prometeo di Eschilo e non vedevi V imbecille natura a vano
sogno eguale onde è impedito il cieco umano gregge? Nell’Aiace di Sofocle,
perocché veggo non essere noi,
quanti viviamo, altro che larve ed ombra vana. Nel Filottete del .
medesimo Sofocle, Filottete chiama sè medesimo: ombra di un fumo.
Nella Medea di Euripide -- non ora soltanto incomincio a stimare tutte le
cose umane come un' ombra, E vuoisi notare come appo i tragici ed
anche appo i) lepidissimo Aristofane la parola effimeri, cioè quelli che
durano un giorno, è spessissimo usata come sinonimo di uomini. A
queste, o ad altre simili sentenze d’ antichi ed illu- stri poeti, le
quali erano nella me- moria di tutti gli eruditi del suo tempo,
alludeva evidentemente Antonino con quelle sue parole: il più breve
detto, anche di quelli che sono i più noti ecc., accennava poi per
esempio quelli di Omero. Questa nota fu scritta in tempo che
io, quasi appona ripatriato dopo trent’an- ni di assenza, e mandato a
stare in un cantuccio al tutto vacuo di studi e di lettere
(prendendo i vocaboli in un senso un po’ alto), e ridottomi a
passare nella solitudine i pochi momenti d’ozio che r esercizio di
un pubblico ufficio mi lasciava, avea potuto, non saprei diro
perchè, immaginarmi che il valentis- simo sig. Bellotti fosse già del
numero di quei felici che più non vivono altri- menti sulla terra
che per la memoria di opere egregie che vi lasciarono. Avvertito ora del
mio errore, non cangio nulla a quello che ho scritto di lui; ma
aggiungo V espressione di un voto, che deve esser quello di tutti gli
amatori delle buone lettere desiderosi di vedere vie più chiara e
più grande la rino- manza di un nobilissimo ingegno: ed ' è che
l’esimio sig. Bellotti, come sta ora, da quanto mi dissero, rivedendo
o migliorando il suo Yolgarizzamento di Sofocle, così possa egli
poi rivedere ed emeudare quello ancora di Eschilo, il quale, a
parer mio, ne ha maggiore bi- sogno; perchè quello, tranne forse
al- cune eccezioni, non pecca gravemente che nella parte lirica;
laddove in questo trovai, 0 parvemi certamente trovare, molti
luoghi da dover essere emendati non solo nella parte lirica troppo
spesso non traducibile in italiano (come è in- traducibile Pindaro,
secondo che fu sen- tenziato anche da G. Leopardi non ismentito dal
tentativo più audace che felice di Giuseppe Borghi); ma eziandio
nel dialogo. Ella comjyie nondimeno..», si avea proposto. Mi sono
scostato, anche nel senso, interamente dall’ Ornato, il quale avea
tradotto: ella rende intero e com- piuto quanto ella avea fatto fino
allora; primieramente perchè il senso voluto esprimere dall’ Ornato
non mi sembrava abbastanza chiaro; e poi, e principal- mente perchè
mi parve troppo grande licenza il tradurre per quanto avea fatto
fino allora, il tò irpoTcOiv, il quale mi sembra qui usato nel senso il
più ovvio del verbo “7rp.oT{6T)|ju”, che è quello di proporre, e
così l’ intende anche lo Schultz contrariamente al’Gataker seguito dall’
Ornato. Veggo bene le ra- gioni che possono avere gl’indotto a
interpretare a quel modo. Ma non mi persuadono. Il pensiero di An-
tonino mi sembra chiaramente, l’anima razionale, la quale non si propone
altro che di operare sempre secondo ciò che richiede il momento
presente, e di aver caro tutto ciò che le inter- viene, come cosa
voluta dalla natura, in qualunque istante le* sopravvenga la morte,
compie sempre interamente il compito che ella si avea proposto, e
in modo soddisfacente a sè stessa; ella ha tutto ciò che potea
desiderare, ha totalmente esaurita la sua parte come attrice sulla
scena del mondo; e appunto il morire quando la natura lo vuole, è la
conclusione, il compimento della parte a lei assegnata e da lei
liberamente accettata nel gran dramma della vita universale. Bone avverte
qui il Gataker aver già Socrate usato il medesimo argomento per
indurre Alcibiade a disprezzare la moltitudine, alla* quale peritavasi
di farsi innanzi a concionare: qual è, diss’egli, di costoro quegli che
ti impau- risce? forse Micillo il ciabattieref Trigaió il
conciatore f Trochilo il ferravecchio? ora non sono costoro quelli dei
quali si compone V adunanza del popolo? Che se non temi di
favellare a ciascuno di essi separatamente, che è dò.che ti fa
timido a parlar loro riuniti insieme? Il ragionamento di Socrate era
giustissimo ap- > plicato ad una moltitudine di popolo riunito,
e avrebbe anche potuto ricor- dare ad Alcibiade l’antico detto di Solone
ai:li Ateniesi conservatoci da Plu- tarco: preni ad uno ad uno »iete
tante volpi; riuniti insieme siete tanti allocchi. Ma il medesimo
ragionamento applicato allo cose di cui parla Marco nostro non ò
molto concludente. E una melodia, per es., come qui avverte
opportuna- mente il Pierron, è qualche cosa di più che una semplice
successione di suoni, e Antonino dimentica di considerare ciò
appunto per cui le note musicali hanno potenza da commovere T anima
sì intimamente. Avverta il lettore che idea tra- gica fondamentale ai
poeti greci era la lotta infelice della volontà e liberta morale
dell’ uomo contro l’ inflessibile necessità; o per dir più
veramente, quella fatale retribuzione di giustizia che risulta
inevitabilmente alla vita umana dalle leggi necessarie dell’ordine
morale. Perchè quella necessità che non era punto upa cosa cieca secondo gli
stoici, apjio i quali il /«<o non era altro che la
concatenazione delle cause secondo le leggi della na- tura, cioè
della ragione e quindi della giustizia; quella necessità, dico, non
era punto una cosa cieca neppure nella mente dei poeti: sendo che a
Nemesi figlia appunto di essa necessità e particolarmente incaricata di
vendicare i delitti e rovesciare le troppo grandi e- immeritate
prospérità, a Nemesi^ dico, e alla Giustizia (5“tx-ri), che erano i
due concetti più puri fra tutte le divinità immaginate dall’ antico
politeismo, il semplice, ma sublime buon senso dei Greci riferiva
tutto ciò che risguarda il supremo governo del mondo. L’idea dunque
della giustizia era congiunta con quella della necessità^ sebbene
in modo diverso, anche nella mento dei poeti, come in quella degli stoici.
Cho se Antonino non fa qui esplicitamente alcuna allusione a quella
retribuzione di giustizia, che era l’elemento morale della tragedia
greca, ma solo allude alla inutilità della lotta contro alla necessità, e
sembra così impicciolire l’i- dea nobilissima dell’antica tragedia;
egli è perchè questa inutilità intendeano gli stoici e i poeti allo
stesso modo, e quasi esprimevano colle medesime pa- role; laddove
intendeano in modo di- verso quella retribuzione: e non erano forse
i poeti quelli clie la intendeano in modo men vicino al vero. Benissimo
il Gataker ricorda qui alcuni detti memorabili di Pocione, conservatici
da Plutarco, ai quali alludea probabilmente Antonino in questo
luogo. Già condannato a morte per giudizio iniquo de’ suoi
cittadini, in proposito. di uno che non ristava dal dirgli vil-
lanie, disse Focione: non sarà alcuno che faccia costui cessare dal
disonorar «è medesimo? E già vicino a morire, questa sola
ingiunzione fece al figliuolo: dimenticasse il fatto ingiusto degli
Ateniesi. Quanto alle parole che seguono di Marco nostro: mpposto che non
e in- fingenac, non debbono esser prese come, espressione di nn
sospetto nel caso particolare di Focione, ma bensì in un senso
generale, quasi dicesse Antonino con istoica riserva, non bastar
sempre le parole a dar certo fondamento a un giudizio sulle
disposizioni interne del- l’animo altrui, nè doversi mai fingere,
neppur quando il fingere potesse gio- vare a bene edificare gli uomini. Da
stólto (à|*vu/jiov). Traduce inìquo, seguendo lo Schultz che tradusse
iniquum. Ma non e ben risoluto di aver bene interpretato quello “ayvofxov,”
come appare dal consueto segno. E veramente non parmi che lo
ayvcofjLov possa esser preso in questo senso, sebbene abbia quello
ingrato, disleale, disamorato. Il senso più ovvio di questo aggettivo è
privo di senno, stolto, inavveduto, e parmi che 41 1 reo Aurelio
questo senso quadri benissimo in questo , luogo, meglio che non faccia
quello di inìquo. Dopo aver detto Antonino essere da pazzoy cioè a dire
da stolto, il volere che ì malvagi non pecchino; aggiunge che lo
ammettere in tesi gene- rale ed assoluta, poiché non si può fare
altrimenti, che essi debbano di neces- sità peccare, e il volere ad un tempo
che essi facciano una eccezione a favor tuo, è cosa non solo às. stolto ma
anche da tiranno: da stolto perchè l’eccezione, anche di un solo caso non
è possibile ai malvagi;.da tiranno perchè vuoi esser distinto e che
ti si abbia maggior rispetto che agli altri uomini. Anche il
Gataker intende 1’ àyvwi^ov così; iPierron segue lo Schultz. Parole di
Epitteto malissimo interpretate da Pierron, che riferisce l’àiro OavTi al
padre, quando deve essere riferito al figliuolo, corno fece
l’Ornato, seguendo Gataker e Schultz. La medesima sentenza si trova anche
nel Manuale del mede- simo Epitteto con parole poco diverse, e fu
benissimo tradotta dal Leopardi. Se tu hacer<fi per avventura un tuo
Jigliolino o la moglie, dirai teco stesso: io bacio un mortale. Manuale,
Tutto è opinione. Il lettore com- prenderà facilmente come il senso
stoico di questa frase, tante volte ripetuta da Marco nostro, è al
tutto alieno da quello della famosa sentenza del sofista Protagora:
V uomo è misura di tutte le cose. La sentenza del sofista si
riferiva ad ogni cosa, alla verità obbiettiva, alla moralità come
alla sensibilità, e tendea quindi a distruggere la possibilità' di
ogni cognizione teorica, la morale come la religione. La sentenza di
Antonino al contrario, il quale, per un errore direi quasi
magnanimo, riduceva, seguendo gli stoici anteriori, tutta l’essenza dell’
uo- mo alla ragione e alla volontà ragionevele, non si riforisce ad altro
che alla sensibilità, cioè ai piaceri e ai dolori di cui essa
sensibilità è soggetto. Intendi raziocinio nel senso proprio dei loici, cioè
facoltà del sillogizzare, operazione propria dell’intelletto; e nota qui
il carattere esclusivo del Portico, il quale considerava e stimava
un nulla, non che la sensibilità ma l’in- telletto stesso, a paragone dei
buon uso della volontà, cioè della moralità della ragione.
Traducendo ho usato il vo- cabolo raziocinio piuttosto che
intelletto, perchè in italiano il senso della parola intelletto può
essere troppo facilmente confuso con quello di ragione, la differenza fra
i due non essendo così ben determinata nella nostra lingua, come è fra i
due corrispondenti tedeschi Verstandnis e Vernunft. Ornato. Keywords:
implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ornato” – The Swimming-Pool Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701273778/in/photolist-2mLLwjC-CkaHMd-2mLExs3
Oro -- Grice e Trissino – la difficolta dei segni di
Trissino non favori la diffusione di sua filosofia – filosofia italiana (Vicenza).
TRISSINO-DAL-VELLO-D’ORO -- or ORO (Vicenza).
Filosofo. Ritratto di Vincenzo Catena. Persona
di spicco della cultura rinascimentale, notissimo al tempo, il Trissino incarnò
perfettamente il modello dell'intellettuale universale di tradizione
umanistica. Si interessò, infatti, di linguistica e di grammatica, di
architettura e di filosofia, di musica e di teatro, di filologia e di
traduzioni, di poesia e di metrica, di numismatica, di poliorcetica, e di molte
altre discipline. Nota era, anche presso i contemporanei, la sua erudizione
sterminata, specie per quel che riguarda la cultura e la lingua greche,
sull'esempio delle quali voleva rimodellare la poesia italiana. Fu anche
un grande diplomatico e oratore politico in contatto con tutti i grandi
intellettuali della sua epoca quali Niccolò Machiavelli, Luigi Alamanni,
Giovanni di Bernardo Rucellai, Ludovico Ariosto, Pietro Bembo, Giambattista
Giraldi Cinzio, Demetrio Calcondila, Niccolò Leoniceno, Pietro Aretino, il
condottiero Cesare Trivulzio, Leone X, Clemente VII, Paolo III, e l'imperatore
Carlo V d'Asburgo. Fu ambasciatore per conto del papato, della Repubblica di
Venezia e degli Asburgo, di cui fu un fedelissimo, come tutta la sua famiglia
da generazioni. Scoprì e protesse l'architetto Andrea Palladio, appena
adolescente, nella sua villa di Cricoli, vicino Vicenza, che venne da lui
portato nei suoi viaggi e fu da lui iniziato al culto della bellezza greca e
delle opere di Marco Vitruvio Pollione.Giovanni Giorgio Trissino nacque a
Vicenza l'8 luglio 1478 da antica e nobile famiglia. Suo nonno Giangiorgio
combatté nella prima metà Professoreil condottiero Niccolò Piccinino, che al
servizio dei Visconti di Milano invase alcuni territori vicentini, e
riconquistò la valle di Trissino, feudo avito. Suo padre Gaspare era anch'esso
uomo d'armi e colonnello al servizio della Repubblica di Venezia e sposò
Cecilia Bevilacqua, di nobile famiglia veronese. Ebbe un fratello, Girolamo,
scomparso prematuramente, e tre sorelle: Antonia, Maddalena, andata in sposa al
padovano Antonio degli Obizzi, ed Elisabetta, poi suor Febronia in San Pietro
nel 1495 e dal 1518 rifondatrice insieme a Domicilla Thiene di San
Silvestro. Targa marmorea che Trissino fece realizzare a ricordo
del suo maestro Demetrio Calcondila in S.Maria della Passione a Milano Trissino
studiò greco a Milano sotto la guida del dotto bizantino Demetrio Calcondila, sodale
di Marsilio Ficino, e poi filosofia a Ferrara sotto Niccolò Leoniceno. Da
questi maestri imparò l'amore per i classici e la lingua greca, che tanta parte
ebbero nel suo stile di vita. Alla morte di Calcondila, fece murare una targa
nella chiesa di S.Maria della Passione a Milano, dove fu sepolto il suo
maestro. Il 19 novembre 1494 sposò Giovanna, figlia del giudice Francesco
Trissino, lontana cugina, da cui ebbe cinque figli: Cecilia, Gaspare, Francesco, Vincenzo e Giulio. Trissino sostene l'Impero come istituzione,
come d'altronde era tradizione nella sua famiglia da generazioni, ma ciò venne
interpretato in spirito antiveneziano e, per questo, egli fu temporaneamente
esiliato dalla Serenissima. Nel 1515, durante uno dei suoi viaggi in Germania,
l'Imperatore Massimiliano I d'Asburgo lo autorizzò all'aggiunta del predicato
"dal Vello d'Oro" al proprio cognome e alla relativa modifica dello
stemma gentilizio (aurei velleris insigna quae gestare possis et valeas), che
nella parte destra riporta su fondo azzurro un albero al naturale con fusto
biforcato sul quale è posto un vello in oro, il tronco accollato da un serpente
d'argento e con un nastro d'argento tra le foglie, caricato del motto "PAN
TO ZHTOYMENON AΛΩTON" in lettere maiuscole greche nere, preso dai versi
110 e 111 dell'Edipo re di Sofocle che significa "Chi cerca trova",
privilegi trasmissibili ai propri discendenti. Stemma di
Giangiorgio Trissino dal Vello d'Oro come appare nel volume dedicatogli da P.F.
Castelli. In quegli stessi anni intraprese diversi viaggi tra Venezia, Bologna,
Mantova, Milano (dove conobbe Cesare Trivulzio, comandante francese) e Padova
(dove riscoprì il De vulgari eloquentia di Dante Alighieri). Poi si recò a
Firenze ed entrò nel circolo degli Orti Oricellari (i giardini di Palazzo
Rucellai) in cui si riunivano, in un clima di marca neoplatonica e di
classicismo erudito, Niccolò Machiavelli e i poeti Luigi Alamanni, Giovanni di
Bernardo Rucellai ed altri. Qui il Trissino discusse il De vulgari eloquentia e
compose la tragedia Sofonisba. Questi anni agli Orti Oricellari furono
centrali, sia per quanto il poeta ricevette intellettualmente, sia per la forte
impronta che lasciò sui suoi sodali: si vedano le tragedie di Giovanni di
Bernardo Rucellai e il poemetto le Api (in endecasillabi sciolti, concluso
dalle lodi del Trissino, cfr. il paragrafo sul Profilo religioso del Trissino)
o le poesie pindariche di Luigi Alamanni, o ancora i punti di contatto fra le
tante digressioni erudite sull'arte militare contenute nell'Italia liberata dai
Goti che rimandano all'Arte della guerra del Machiavelli, elaborata proprio in
quegli anni. Anzi, le idee linguistiche del poeta spronarono lo stesso
Machiavelli a scrivere anche lui un Dialogo sulla lingua, nel quale difende
l'uso del fiorentino moderno (cfr. il paragrafo Opere linguistiche). In
seguito si recò a Roma, dove stampò nel 1524 la Sofonisba (dedicandola papa
Leone X), la prima tragedia regolare, e la famosa Epistola de le lettere
nuovamente aggiunte ne la lingua italiana (dedicata a Clemente VII), un
arditissimo libello in cui si suggeriva l'inserimento nell'alfabeto latino di
alcune lettere greche per segnalare alcune differenze di lettura (vedi sotto).
Intanto il figlio Giulio, di salute cagionevole, venne avviato dal padre alla
carriera ecclesiastica e, dopo il suo soggiorno a Roma sempre presso papa a
Clemente VII, divenne arciprete della cattedrale di Vicenza. Sempre a
Roma, nel 1529 Trissino diede alle stampe alcuni testi fondamentali: la
versione riveduta della Epistola, la traduzione del De vulgari eloquentia, Il
castellano (dialogo sulla lingua, dedicato a Cesare Trivulzio ed ispirato a
quello dantesco), le Rime (dedicate al cardinale Niccolò Ridolfi) e le prime
quattro parti della Poetica (il primo trattato ispirato alla Poetica di Aristotele,
da poco riscoperta), con le quali il programma di riforma letteraria
classicheggiante avviato con la Sofonisba può dirsi quasi concluso. Per i
prossimi 20 anni il poeta non stamperà più nulla. Queste opere
sollevarono un grande clamore per la loro arditezza e disorientarono (o meglio:
orientarono diversamente) la nascente letteratura italiana: nessuno aveva osato
finora riformare addirittura l'alfabeto, né aveva avuto ardire di cancellare
l'intero sistema dei generi in uso fin dal Medioevo (le sacre rappresentazioni
e il poema cavalleresco, in primis) per farne sorgere dal nulla dei nuovi, cioè
poi quelli antichi (la tragedia, la commedia e il poema epico). Da questi
libelli prese avvio la secolare questione della lingua italiana. A Bologna,
nel corso dell'incoronazione di Carlo V a Re d'Italia e Sacro Romano
Imperatore, egli ebbe il privilegio di reggere il manto pontificale a Clemente
VII e Carlo lo nominò conte palatino e cavaliere dell'Ordine Equestre della
Milizia Aurata. Secondo quanto riportato dallo storico Castellini,
Trissino rifiutò posizioni di potere offertegli dai pontefici a seguito dei
successi riportati come diplomatico (Nunzio e Legato), ad esempio
l'arcivescovado di Napoli, il vescovado di Ferrara o la porpora cardinalizia,
in quanto desideroso di una propria discendenza ed essendo il figlio Giulio
avviato nella gerarchia ecclesiastica. Rientrato a Vicenza sposa Bianca, figlia
del giudice Nicolò Trissino e di Caterina Verlati, già vedova di Alvise di
Bartolomeo Trissino. Da Bianca ebbe due figli: Ciro e Cecilia. Alla nomina di
Ciro come erede universale, si scatenarono le ire di Giulio che per lungo tempo
lottò in tribunale contro il padre e il fratellastro per poi morire in odore di
eresia calvinista. Anche a seguito delle divergenze causate dai cattivi
rapporti con Giulio, la coppia si divise quando Bianca si trasferì a Venezia,
dove morì il 21 settembre 1540. Trissino manifestò il proprio fervente
sostegno all'Impero dedicando, qualche anno prima della morte, a Carlo V il suo
poema in 27 canti L'Italia liberata dai Goti, il primo poema regolare destinato,
come si vede fin dal titolo, ad essere importante per la Gerusalemme liberata
di Torquato Tasso. Nel 1548 stampò anche la commedia I Simillimi, anch'essa la
prima commedia regolare. Villa Trissino di Cricoli (VI) Intanto nella
villa di Cricoli alle porte di Vicenza, già dei Valmarana e dei Badoer e
acquistata dal padre Gaspare, si radunava una delle più prestigiose Accademie
vicentine. Qui Trissino scoprì uno dei più grandi talenti della storia
dell'architettura, Andrea Palladio, di cui fu mentore e mecenate, che portò nei
suoi viaggi con sé ed educò alla cultura greca e alle regole architettoniche di
Marco Vitruvio Pollione. Morì a Roma l'8 dicembre 1550 e fu sepolto nella
Chiesa di Sant'Agata alla Suburra. Vennero alla luce le ultime due parti
della sua Poetica, la quinta e la sesta (dedicate ad Antonio Perenoto, vescovo
di Arras), che erano comunque già pronte, come si evince dalla chiusura della
quarta parte. Progetta e attua una imponente riforma della lingua e della
poesia italiane sui modelli classici, cioè la Poetica di Aristotele da poco
riscoperta, i poemi di Omero, e le teorie linguistiche esposte di Alighieri nel
“Della volgare eloquenza” riscoperto da lui stesso a Padova. Un programma in
piena antitesi sia con la moda del petrarchismo di P. Bembo, sia con quella del
romanzo cavalleresco incarnato supremamente dall' “Orlando furioso” di L.
Ariosto, che allora infuriavano. Il programma di riforma venne esposto
attraverso saggi diversi, cioè un saggio di orto-grafia e di orto-fonetica
(Epistola dele lettere nuovamente aggiunte ne la lingua italiana, dedicata a
Clemente VII), un saggio di teoria della lingua italiana (Il castellano,
dedicato a C. Trivulzio), due saggi di grammatica (“Dubbii grammaticali” e la “Grammatichetta”)
e un manuale di teoria dei generi letterari (“Poetica”). Tali proposte (specie
quella di modificare l'alfabeto inserendovi alcune lettere greche così da
rendere visibili le differenti pronunce di alcune vocali e di alcune
consonanti) e la riscoperta del “Della volgare eloquenza” di Aligheri) sono
clamorosi e fa esplodere in Italia la secolare questione della lingua,
idealmente chiusa da “I promessi sposi” di Manzoni. Questa intensa
speculazione teorica ha il suo sbocco fattuale in quattro saggi poetici, tutte
molto importanti: la Sofonisba (dedicata a Leone X), la prima tragedia regolare
della letteratura moderna (regolare si definisce un'opera costruita secondo le
norme derivate dai testi classici, essenzialmente la Poetica di Aristotele e
l'Ars poetica di Orazio), L'Italia liberata dai Goti (dedicata a Carlo V), il
primo poema epico regolare, e I simillimi (dedicata al G. Farnese), la prima
commedia regolare. Si aggiunga un volume di poesie d'amore e di encomio (Rime, dedicato
a N. Ridolfi) di gusto anti-petrarchista e ispirato ai poeti siciliani, agli
Stilnovisti, ad Aligheri e alla tradizione del Quattrocento, tutte cassate dal
Bembo. Anche queste opere sollevarono un grande dibattito, ma saranno destinate
ad avere un ruolo centrale nello sviluppo degl’umanita italiana ed europea, se
si considera l'importanza che la tragedia e l'epica, ad esempio, hanno in tutta
Europa. A lui si deve anche l'invenzione dell'endecasillabo sciolto (cioè senza
rima) ad imitazione dell'esametro classico, anche questa un'invenzione
destinata a fama europea. La sua produzione comprende diversi generi:
innanzitutto un Architettura, incompleto, ricerche sulla numismatica,
traduzioni, ed orazioni varie. Se ci si concentra solo sugli studi di teoria del
linguaggio, si ha a che fare con pochi testi, ma tutti rilevantissimi,
attraverso i quali struttura un coerente programma di riforma del linguaggio
sui modelli classici e sul linguaggio d’Alighieri ispirato alla Poetica di
Aristotele, ad Omero e al “Della volgare eloquenza”, un sistema da opporre sia
alle Prose della volgar lingua del Bembo di qualche anno prima, che aveva dato
come modelli solo Petrarca e Boccaccio (riducendo, quindi, i generi letterari
solo alla lirica e alla novella), sia all'”Orlando furioso” di L. Ariosto, che
è un romanzo cavalleresco e non un poema epico. Attraverso il proprio programma
iverrà a creare una tradizione di gusto classico del tutto nuova che nei secoli
a venire si affiancherà al bembismo sebbene agli inizi gli fu avversario. Il
suo sistema iinfatti, vuole sopperire ai vuoti lasciati dal petrarchismo
bembesco e proseguire lo sperimentalismo della tradizione antica e
quattrocentesca (la cosiddetta docta varietas). Né egli e l'unico convinto di
queste idee, come si dice ancora oltre, ma era affiancato da S. Speroni, B.
Tasso (padre di Torquato), A. Brocardo, P. Tolomei, A. Colocci, M. Equicola e
altri ancora. Volendo sintetizzare, le sue opere si raccolgono intorno a
tre date: Dà alle stampe a Roma la tragedia “Sofonisba” (composta prima
agli Orti Oricellari) e l'Epistola sulle lettere da aggiungere all'alfabeto.
Tutte le sue opere stampate in vita sono scritte secondo l'alfabeto da lui
congegnato e non con l'alfabeto usuale. Vengono date alle stampe sei opera:
“Della volgare eloquenza”, le prime IV parti della Poetica, il dialogo “Il
castellano, le Rime, i Dubbi grammaticali e la Grammatichetta. Dà alla luce il poema L'Italia liberata dai
Goti, e la commedia I simillini. Passeremo in rassegna le principali opere
poetiche, tranne gli Scritti linguistici, che hanno un paragrafo
apposito. La Sofonisba è in assoluto la prima tragedia regolare della
letteratura europea, destinata a vasta fortuna specie in Francia. Secondo il
modello antico, Trissino compone una tragedia in endecasillabi sciolti, che
imitano i trimetri giambici (il verso a questa data fa la sua prima
apparizione), divisa in quadri da cori rimati: alcuni cori sono canzoni
petrarchesche mentre altri, invece, canzoni pindariche (che fanno anch'esse qui
la loro prima apparizione e si ritroveranno nella poesia di Luigi Alamanni e
poi ancora di Gabriello Chiabrera). L'argomento (con sensibile differenza dai
classici antichi) è storico (preso da Tito Livio), non fantastico, mitico o
biblico. L'azione, come poi sarà canonico nel teatro regolare, si svolge nello
stesso posto (unità di luogo) e nello stesso giorno (unità di tempo) e prevede
in scena un numero limitato di persone. Venne recitata durante il carnevale di
Vicenza, messa in scena dall'amico e allievo Andrea Palladio. La proposta
piacque, tutto sommato, e riscosse successo: l'endecasillabo sciolto, metro
nuovo, fu approvato anche dal Bembo (come ricorda Giraldi Cinzio) e divenne da
allora in poi il metro quasi canonico del teatro italiano, specie tragico (vedi
sotto). Anche nelle Rime si mostra uno sperimentatore e il Petrarca,
modello obbligatorio a prescindere dal Bembo, si fonde con immagini derivanti
da altre epoche e da altri autori, in special modo la poesia occitana, quella
siciliana, gli stilnovisti e Dante, i poeti quattrocenteschi. Nel sistema del
Trissino è possibile usare ancora metri come, ad esempio, i sirventesi e le
ballate (cassati dal Bembo) o anche introdurre particolari nuovi come gli occhi
neri di guaiaco della donna amata, immagine inventata dal poeta su un referente
quotidiano della cultura cinquecentesca e non in linea con le immagini tipiche
del Petrarca (occhi di stelle e simili). Il Castellano è un dialogo sulla
lingua dedicato a Cesare Trivulzio, comandante francese a Milano. Si ambienta a
Castel Sant'Angelo e ha per protagonisti Giovanni di Bernardo Rucellai (il
castellano, appunto) e Filippo Strozzi, amici degli Orti Oricellari. Il
Trissino espone per bocca del Rucellai il suo ideale linguistico, preso dal De
vulgari eloquentia, cioè quello di un volgare illustre o cortigiano, mobile ed
aperto, fondato in parte sull'uso moderno e concreto della lingua, e in parte
sugli autori della tradizione letteraria. Questi autori sono soprattutto Dante
e Omero poiché dotati di enargia, cioè della capacità di rendere visibili a
parole ciò di cui stanno narrando. Le idee linguistiche del Trissino
sollevarono grande clamore (fondate com'erano su un testo la cui paternità
dantesca non era ancora assicurata) e fecero scoppiare il secolare 'dibattito
sulla lingua italiana' concluso, come detto, almeno idealmente, dal Manzoni tre
secoli dopo. Fra i molti che parteciparono al dibattito si ricordi il
fiorentino Niccolò Machiavelli al quale il Trissino aveva letto il De vulgari
eloquentia sempre agli Orti Oricellari, il Bembo, ovviamente, Sperone Speroni,
Baldassarre Castiglione. Poetica Le teorie che soggiacciono a questo
vasto programma vengono esposte nella Poetica (1529), libro fondamentale non
solo per il Trissino, essendo in assoluto il primo libro di poetica in Europa
ad essere modellato sulla Poetica di Aristotele, destinato a fama secolare in
tutto il continente. Né banale né senza rischi era, come potrebbe apparire,
l'idea di resuscitare dei generi letterari di fatto morti da millenni e lontani
per gusto e ispirazione dalla società rinascimentale. Sul piano
linguistico immagina una lingua di ispirazione dantesca e omerica, cortigiana e
illustre, che contempli l'innovazione e la tradizione, che sia aperta a una
collaborazione ideale fra varie regioni italiane e non sul predominio esclusivo
del toscano trecentesco, che ottemperi anche l'inserimento di neologismi e di
dialettismi. Nella poesia lirica si appoggia, sempre dietro Dante, alla
tradizione occitana, siciliana, stilnovista e dantesca e anche petrarchesca.
Nella metrica saccheggia ampiamente il trecentesco Antonio da Tempo che ancora
contempla ballate e sirventesi, generi cassati dal Bembo, come detto, e si
mostra vicino allo sperimentalismo della poesia quattrocentesca. Discorre,
inoltre, della possibilità di utilizzare in italiano metri di stile greco e
latino, come fatto da lui nei cori della Sofonisba, proposta che avrà grande
successo nei secoli a venire, specie nella poesia per musica e nel
melodramma. Discorre poi della tragedia, della commedia, dell'ecloga
teocritea e del poema omerico, i generi resuscitati dal mondo classico. A ogni
genere vengono date ovviamente le proprie regole tratte da Aristotele, cioè le
unità di tempo e di luogo, per la tragedia e la commedia, e le unità narrative,
per il poema epico. Vengono quindi stabilite le nette differenze fra il romanzo
cavalleresco e il poema epico. Mentre il romanzo cavalleresco narra una vicenda
fantastica costituita dall'intreccio di molte storie diverse (alcune delle
quali destinate a non chiudersi nel poema poiché non necessarie alla
conclusione generale della vicenda), nel poema epico, invece, la vicenda dovrà
essere di matrice storica e dovrà essere unitaria e conclusa: essa cioè dovrà
venire raccontata dall'inizio alla fine, e i pochi protagonisti dovranno
ruotare tutti attorno ad essa, tutti per un solo scopo, e le loro vicende
dovranno venire concluse entro l'arco del poema, non lasciando nulla in
sospeso. Il genere epico, inoltre, secondo una caratteristica che gli diventerà
propria, viene dal Trissino investito di un alto valore morale e politico,
profondamente pedagogico, ignoto al romanzo, che lo trasformano in un percorso
di formazione morale e culturale. Per questi tre generi nuovi, il poeta
propone l'endecasillabo sciolto, corrispettivo moderno dell'esametro e del
trimetro giambico classici (vedi paragrafi sottostanti). Sul piano dello
stile e dei registri il poeta rimanda alle teorie dei greci Demetrio Falereo e
di Dionigi di Alicarnasso, che ponevano come vertice dello stile poetico
l'energia, cioè la capacità di rappresentare visivamente con le parole le cose
di cui s sta narrando, prerogativa, per il Trissino, dello stile di Omero e
Dante. Sempre dietro Demetrio e Dionigi, divide la lingua italiana in quattro
registri stilistici e non tre, come voluto dalla tradizione medievale e
bembesca (la cosiddetta rota Vergilii, secondo la quale esistono 3 registri
stilistici soltanto: quello basso, esemplificato dalle Bucoliche, quello medio
dalle Georgiche, e quello alto o tragico dell'Eneide). Questo veniva a
reimpostare daccapo i rapporti ormai consolidati fra genere letterario e
registro stilistico, e fu una novità che avrebbe causato non poco l'insuccesso
di un poeta il cui punto debole fu proprio lo stile. Tornò in scena con
L'Italia liberata da' Gotthi, un vastissimo poema di endecasillabi sciolti in
27 canti, stampato nel 1547 (primi 9 canti) e nel 1548 (restanti 18), ma
iniziato intorno ai primi del secolo, nell'età di Papa Leone X. Esso è di fatto
il primo poema epico moderno e sarà destinato, come la Sofonisba, a inaugurare
un genere del tutto nuovo, in dichiarata antitesi alla tradizione
medievale del romanzo cavalleresco che in quegli anni stava sfondando con
Ludovico Ariosto. L'idea che soggiace alla composizione dell'opera è
illustrata nella famosa Dedica a Carlo V che precede il poema, dove il Trissino
dichiara di essersi ispirato ovviamente ad Aristotele e all'Iliade di Omero.
Con la guida di Omero e di Demetrio Falereo (e non di Dante, si noti), inoltre,
reclama l'uso di un volgare illustre che contempli l'inserimento di voci
dialettali, arcaiche o anche latine e greche, come infatti nel poema avviene.
Come detto più volte, inoltre, lo scopo del poema è 'ammaestrare l'imperatore',
non solo attraverso dei modelli cavallereschi, ma anche attraverso conoscenze
tecniche di architettura, arte militare e via di seguito. Il poema è
ligio, insomma, a quanto stabilito nella Poetica: la trama è tratta da un
accadimento storico cioè la guerra gotica tra l'imperatore bizantino
Giustiniano I e gli Ostrogoti che occuparono l'Italia (per la quale il poeta
segue lo storico bizantino Procopio di Cesarea), che viene raccontata dall'inizio
alla fine, e i (relativamente) pochi protagonisti ruotano attorno ad essa. I
personaggi, a loro volta, saranno specchio di altrettanti vizi e virtù da
correggere, in questa crociata che sarebbe anche un percorso di formazione
bellica e morale del suo lettore ideale, cioè Carlo V stesso. Il poema,
atteso da vent'anni dai dotti italiani, fu uno dei più clamorosi fiaschi della
storia letteraria italiana, come noto, anche se ebbe un impatto profondissimo.
Critiche violente vennero da Giambattista Giraldi Cinzio (che ne parla nei suoi
Romanzi) e da Francesco Bolognetti, ma non solo. I quali derisero il poema per
la sua imitazione pedissequa dei valori dell'eroismo classico (grandezza e
generosità d'animo, nobiltà e gloria), per l'attenzione estrema alla corretta
applicazione delle regole aristoteliche, più che alla fluidità della narrazione
o al dare un rilievo psicologico ai personaggi, assolutamente frontali.
Inoltre, la ripresa parola per parola del modello omerico (ma in generale di
tutte le moltissime fonti tradotte dal poeta) fu ritenuta noiosa, e la
solennità dell'argomento venne a scontrarsi con la prosaicità dello stile
trissiniano, del metro senza rima costruito in maniera formulare (come quello
di Omero ovviamente) che rende il dettato fiacco e stereotipato. I lunghi
intervalli eruditi, inoltre, in cui il poeta si dilunga nelle descrizioni degli
accampamenti, dei monumenti della Roma medievale, di città, architetture,
armature, eserciti, giardini, mappe geografiche dell'Italia, precetti morali,
massime e apologhi eruditi e via di seguito, soffocano la narrazione epica
(nella prima edizione il poema è addirittura corredato da tre cartine
geografiche) e rendono il poema di difficile lettura. Ciò non toglie,
tuttavia, che l'Italia liberata abbia un posto di rilievo nella letteratura: la
visione di un mondo superiore di eroi solenni e composti nella dignità del loro
ideale e della loro missione, tipicamente aristocratici, anticipava le
preoccupazioni morali della Controriforma.
Sarà proprio alla fine del secolo, infatti, che il poema trissiniano
avrà la sua fortuna, col Tasso ma non solo. “I simillimi” w l'ultima
opera stampata dal poeta e i modelli sono indicati da lui stesso nella dedica a
Farnese: Aristofane e la Commedia antica -- Menandro è stato riscoperto solo
nel Novecento) -- sul modello della quale il Trissino ha fornito la favola dei
cori (con l'appoggio anche dell'Arte poetica di Orazio) ma non del prologo.
Dichiarata è anche l'ascendenza da Plauto (essenzialmente i Menecmi). Il testo è
costruito in versi sciolti, ovviamente, mentre i cori sono costituiti anche da
settenari e sono rimati.Le opere linguistiche Frontespizio del Castellano
di Giangiorgio Trissino, stampato con lettere aggiunte all'alfabeto
italiano da quello Greco. I suoi saggi di filosofia del linguaggio sono
essenzialmente quattro: l'Epistola, Castellano, Dubbi, Grammatichetta, oltre,
ovviamente la Poetica. Accese discussioni suscita il suo esordio
letterario, cioè la proposta di ri-formare l'alfabeto classico italiano, di
radice latina – Lazio -- contenute nell' “Ɛpistola del Trissinω” delle lettere
nuωvamente aggiunte nella lingua italiana”, dove suggerisce l'adozione di
grafia dell’abecedario di vocali e consonanti della fonologia greca al fine di
“dis-ambiguare” un segno diversi resi allora, e ancor oggi, con il medesimo
segno grafico: e e o aperte (“ε” ed “ω”) e chiuse, z sorda e “z” sonora (“ζ”) –
“Speranζa” -- nonché la distinzione dell’“i” e dell’ “u” con valore di vocale
(i, u), o di consonante (j, v). Ri-propone questa idea, sebbene
ricorrendo a segni diverse, anche l'accademico della Crusca (cruschense)
Salvini, sempre senza successo. Accolta fu nei secoli a venire, invece, la
sua proposta di utilizzare la “z” al posto della “t” nelle vocaboli latini che
finiscono in “-tione” (implicatione > “implicazione” -- oratione >
orazione) e di distinguere sistematicamente il segno “u” dal signo “v” (uita
> “vita”) I punti principali
dell'abecedario riformato sono i seguenti: carattere fonema Distinto da
Pronuncia “Ɛ”, “ε”; E aperta [ɛ] E e E chiusa [e] “Ω” “ω” O aperta [ɔ] O o O
chiusa [o] V v V con valore di consonante [v] U u U con valore di vocale [u] J
j con valore di consonante J [j] I iI con valore di vocale [i] “Ӡ” “SPERANӠA”
“ç” – Sperança -- Z sonora [dz] Z z Z sorda [ts]. Tali idee vengono
confermate. Nel Castellano, propone il modello di una lingua
cortigiana-italiana formata dagli elementi comuni a tutte le parlate dei
letterati della penisola, non solo nel lessico ma anche al livello della
fonetica (visibile ormai grazie al suo abecedario ri-formato). La sua teoria si
appoggia ad Omero e soprattutto alla sua traduzione del “De vulgari
eloquentia”, e vede amplificata nella “Poetica”, in riferimento a tutti i
generi letterari, ed e illustrata materialmente nella sua Grammatichetta messa
a disposizione da Trissino stesso e i Dubbi grammaticali. Alla sua tesi si
dimostrano particolarmente ostili i toscani, ovviamente, visto che Aligheri
stesso asserisce nel trattato che il toscano non è il volgare illustre. Tra di
essi spicca il Machiavelli, come accennato, che compose un “Dialogo sulla
lingua” nel quale reclama la specificità del fiorentino in opposizione a Bembo
e anche a Trissino, che nella grammatica di base parte sempre dalla lingua
letteraria, anche perché l'unica in grado di assicurare a livelli profondi una
similarità fra i vari parlari italiani. Un esempio: se nel toscano di Poliziano
è normale usare “lui” in funzione di soggetto, Bembo invece rispolvera “egli” e
lo stesso fa Trissino. Machiavelli, invece, difende l'uso di “lui”, normale a
Firenze. La riforma trissiniana dei segni dell’abecedario italiano, applicata
sistematicamente da lui in tutti i suoi saggi (anche negli appunti!), è un
prezioso documento delle differenze di pronuncia tra il tosco toscano e la
lingua cortigiana, fra la lingua letteraria e la corretta pronounia Nordica (e
vicentino) perché applica i propri criteri nel pubblicare i suoi saggi o
nell'interpretare alcuni segni del toscano. La conseguente maggior difficoltà
non favoresce la diffusione della sua filosofia e porta diverse critiche da
parte dei filosofi suoi contemporanei. Sebbene sia noto come esegeta
aristotelico, il Trissino si era formato, invece, sul finire del Quattrocento e
nei primi del Cinquecento nelle capitali culturali italiane sature di cultura
neoplatonica e mistica: non ci riferiamo solo agli anni a Milano presso il
Calcondila (amico di Marsilio Ficino) o a Ferrara presso il Leoniceno, ma
soprattutto a quelli trascorsi agli Orti Oricellari fiorentini e nella Roma di
Leone X, figlio di Lorenzo de' Medici. Importanti sono i due ritratti che ci
vengono lasciati da due contemporanei. Il primo è il quello di Giovanni di B. Rucellai, che nel poemetto in versi sciolti Le
api, dopo aver discusso dell’armonia cosmica e della dottrina
ermetico-platonica dell’Anima Mundi, specifica ai vv. 698-704: «Questo sì bello
e sì alto pensiero / tu primamente rivocasti in luce / come in cospetto degli
umani ingegni Trissino, con tua chiara e viva voce, tu primo i gran supplicii
d’Acheronte ponesti sotto i ben fondati piedi / scacciando la ignoranza dei
mortali». Insomma il Trissino viene riconosciuto come un interprete del
pensiero platonico e, si direbbe, democriteo. Il secondo, invece, riguarda le
esposizioni rilasciate al'Inquisizione, dopo la morte del poeta, da parte del
Checcozzi, il quale dichiara che il Trissino «faceva discendere le anime umane
dalle stelle ne’ corpi e diede a divedere come i passaggi di quelle di pianeta
in pianeta fossero stimate altrettante morti e dicesse essere pene infernali
non le retribuzioni della vita futura ma le passioni e i vizi» (in B. Morsolin,
Giangiorgio Trissino. Monografia di un gentiluomo letterato del secolo XVI,
Firenze, Le Monnier). A questo si aggiungano ancora la ripetuta ammissione di
credere nella salvezza per sola Grazia (Morsolin, confermata nell'Epistola a
Marcantonio da Mula), cioè di essere a rigore un luterano, e la lunga
requisitoria contro il clero corrotto contenuta contenuta nell'Italia liberata,
requisitoria che però, come rilevato da Maurizio Vitale (in L'omerida italico:
Gian Giorgio Trissino. Appunti sulla lingua dell'«Italia liberata da' Gotthi»,
Istituto Veneto di Scienze ed Arti, ), non figura in tutte le stampe del poema
ma solo in quelle indirizzate forse in Germania. Anche quindi, auspicava
un riordino interno della Chiesa e una sua restaurazione morale, in linea con
il generale movimento di riforma che scoppio' nel Rinascimento, con Lutero,
Erasmo etc.... senza per questo farne un luterano in senso stretto. Insomma, è
un tipico esponente della tradizione religiosa pre-tridentina, in cui il
fervido sostegno alla Chiesa romana e la vicinanza coi papi non escludono forti
iniezioni di filosofia idealista e della scuola di Crotone, di stoicismo e di
astrologia, di tradizione bizantina e millenarismo, in cui Erasmo da Rotterdam,
M.Lutero, Agrippa von Nettesheim, Pico, Ficino si fondono in una forma
religiosa eclettica e ancora tollerata prima dell'apertura del Concilio di
Trento. Le persecuzioni inizieranno dopo la sua morte e vi verrà coinvolto, invece, il figlio
Giulio, vicino al calvinismo, che subirà l'Inquisizione. Il suo poema, una
vera enciclopedia dello scibile, è molto interessante a riguardo, e queste
venature di pensiero religioso inquiete ed eclettiche sono evidenti in maniera
palese. Si ricordino gl’angeli che portano nomi di divinità pagane -- Palladio,
Onerio, Venereo etc... -- e che non sono altro che allegorie delle facoltà
umane o delle potenze naturali (Nettunio, angelo delle acque, ad esempio, o Vulcano
come metonimia del fuoco) come indicato nel De Daemonius di M. Psello e nel
pensiero idealista o accademico. E questo uno dei punti più bersagliati dai
critici contro lui, per primo, ancora una volta, G. Cinzio. Di A. Palladio
cura soprattutto la formazione di architetto inteso come filosofo umanista. Questa
concezione risulta alquanto insolita in quell'epoca, nella quale all'architetto
era demandato un compito preminentemente di tecnico specializzato. Non si può
capire la formazione filosofica ed umanistica e di tecnico specializzato della
costruzione dell'architetto Andrea della Gondola, senza l'intuito, l'aiuto e la
protezione di lui. È lui a credere nel giovane lapicida che lavora in modo
diverso e che aspira a una innovazione totale nel realizzare le tante opere. Gli
cambia il nome in Palladio, come l'angelo liberatore e vittorioso presente nel
suo poema L'Italia liberata dai Goti. Secondo la tradizione, l'incontro tra lui
e Gondola ha nel cantiere della villa di Cricoli, nella zona nord fuori della
città di Vicenza, che in quegli anni sta per essere ristrutturata secondo i
canoni dell'architettura classica. La passione per l'arte e la cultura in senso
totale sono alla base di questo scambio di idee ed esperienze che si rivela
fondamentale per la preziosa collaborazione tra i due "grandi". Da lì
avrà inizio la grande trasformazione dell'allievo di G. Pittoni e Giacomo da
Porlezza nel celebrato Andrea Palladio. E proprio lui a condurlo a Roma nei
suoi viaggi di formazione a contatto con il mondo classico e ad avviare il
futuro genio dell'architettura a raggiungere le vette più ardite di
un'innovazione a livello mondiale, riconosciuta ed apprezzata ancora oggi. Il
sistema letterario inventato dal lui non e il solo tentativo di preservare un
rapporto diretto con la cultura degl’antichi con Aligheri e con l'umanesimo del
Quattrocento, che il sistema bembiano esclude. Molti altri condividevano le sue
idee, infatti, come A. Brocardo, B. Tasso, anche loro intenti a inventare nuovi
metri su imitazione dei classici. Tuttavia, se si eccettua forse S.
Speroni, e uno dei pochi che struttura nella sua Poetica un sistema
totale, onni-comprensivo, aristotelico in senso pieno, dove ogni genere è
regolato in maniera specifica; e questo gli permette di essere un punto di
riferimento privilegiato. Bisogna fare a questo punto una distinzione
essenziale fra le sue produzione filosofica e le sue teorie letterarie. Le
opere poetiche, forse con la sola eccezione della Sofonisba e delle Rime, sono
notoriamente brute. Lo stile è fiacco e prosaico e la narrazione dispersa in
mille meandri eruditi, ragione per cui furono conosciute da tutti, lette e
ammirate, ma non apprezzate né imitate dal punto di vista stilistico. L’invenzione
del verso sciolto, che e centrale nella storia letteraria europea, infatti, non
e destinata a fiorire con lui ma solo alla fine del secolo perché venisse
accettata entro un poema di genere e di stile alto come quello epico. La sua
filosofia, invece, trova un successo secolare, non solo in Italia ma in molti
paesi europei specie nel Settecento, con la nuova moda del classicismo. Questo
specie per quel che riguarda i due generi principali del mondo degl’antichi, la
tragedia e l'epica, e con essi anche il verso sciolto. In Italia si può
dire che ha grande fortuna col verso sciolto e col poema epico, ma minore col
teatro tragico. La Sofonisba, quando usce, non era in Italia l'unica tragedia
di imitazione antica, anche se era la prima: vi erano, infatti, anche quelle di
Giovanni di Bernardo Rucellai, composte sempre agli Orti Oricellari. Ma la
tragedia ispirata ai modelli antici non trovò terreno in Italia e fu
soppiantata presto, già a metà del secolo, da quella 'alla latina' -- cioè
piena di fantasmi, conflitti, colpi di scena e sangue, shakespeariana insomma),
riportata in auge a Ferrara dalle Orbecche di Giambattista Giraldi Cinzio -- una
linea di gusto che, alla fine del Cinquecento e nel Seicento, si sposerà in
pieno col teatro gesuita, di ispirazione anche esso stoica e senecana.
Non così nell'epica e nel verso sciolto. Il poema del Trissino è nominato
infatti da tutti i principali autori epici dell'epoca (e spesso in mala fede),
da Bernardo Tasso (intento anche lui alla realizzazione del poema Amadigi, che
nella prima stesura era in versi sciolti) e Giambattista Giraldi Cinzio (che
compose contro l'Italia liberata il volume Dei romanzi), F. Bolognetti e via
via fino a Tasso. Quest'ultimo parla spesso dell'Italia liberata nei Discorsi
del poema eroico e, sebbene ne rilevi i limiti, la tiene presente chiaramente
come modello teorico e anche in molti passaggi della Gerusalemme liberata (fra
cui la famosa morte di Clorinda, ripresa da quella dell'amazzone Nicandra, ad
esempio). Vale la pena specificare che il titolo di “Gerusalemme liberate”,
infatti, non fu deciso dal Tasso (che nei Discorsi chiama sempre il suo poema “Goffredo”),
ma dallo stampatore A. Ingegneri, che doveva aver notato la somiglianza
dell'opera tassiana col poema trissiniano. Mentre nel Rinascimento i
critici iniziavano a discutere dei rapporti fra poesia epica e romanzo
cavalleresco, si assiste a un lento processo di 'acclimatazione' del verso
sciolto nei poemi narrativi. Dapprima viene usato nei generi minori, come le
ecloghe pastorali, i poemetti georgici, gli idilli o le traduzioni, ma alla
fine del secolo sarà impiegato in opere imponenti come l'”Eneide” di Caro, o
nel poema sacro del Mondo creato di Tasso, o nello stile fastoso dello Stato
rustico di G. Imperiale o quello classico di Chiabrera in pieno Barocco. Anzi, proprio Chiabrera
(non a caso allievo di Speroni) si può dire che sia il suo grande erede,
animato come lui dal desiderio di riformare la metrica e di ricreare i generi
letterari sui modelli classici. La Poetica è citata dal Chiabrera in punti
importanti, sia in difesa del verso sciolto, sia dei generi metrici non
bembeschi o nuovi, sia, implicitamente, nella ripresa del mito di Dante e di Omero
(cfr. il paragrafo apposito in Chiabrera). Il Trissino ebbe ancora
fortuna anche nel XVIII secolo, con l'edizione in due volumi Scipione Maffei di
Tutte le opere (Verona, Vallarsi, ancora oggi punto di riferimento
indispensabile), e con nove tragedie intitolate Sofonisba, una delle quali
d’Alfieri. Grande fu l'influenza anche nel melodramma: si contano ben
quattordici Sofonisba, una delle quali di Gluck e uno di Caldara. Ma a parte la
fortuna della Sofonisba, considerando che la riforma poetica dell'Accademia
dell'Arcadia si ispira dichiaratamente alla poesia e alla metrica del
Chiabrera, possiamo dire che il Trissino sia stato uno dei fondatori della
poesia arcadica e capostipite di una tradizione letteraria, anche quella del
melodramma settecentesco. Non a caso è uno degli autori più presenti nella
ragion poetica di Gravina, maestro del giovane Pietro Metastasio, la cui prima
opera sarà la tragedia Giustino, una riproposizione quasi parola per parola del
III canto dell'Italia liberata dove si narrano gli amori di Giustino e di
Sofia. PCastelli dedica la poeta una intera monografia (La vita di
Giovangiorgio Trissino oratore e poeta). Si può dire, quindi, che non solo
nell'epica il Trissino abbia avuto fortuna, ma anche nel teatro italiano, anche
se nelle forme del melodramma e non quelle della tragedia, come tipico della
tradizione italiana. Questo grazie, soprattutto, alla mediazione del Chiabrera,
che seppe rendere le forme metriche del Trissino (prima fra tutte il verso
sciolto) di insuperabile eleganza. Nell'Ottocento si ricordino l'Iliade
di Vincenzo Monti e l'Odissea di Ippolito Pindemonte, che proseguono la grande
storia del verso sciolto nella traduzione italiana, e le considerazioni di tre
grandi scrittori. Il primo è Manzoni che, meditando sul romanzo storico,
rifletté anche sui rapporti fra creazione poetica e verosimiglianza storica
date da Aristotele nello scritto Del romanzo storico e, in genere, de’
componimenti misti di storia e d’invenzione. Il secondo è G. Carducci che
stronca il poema ne I poemi minori del
Tasso (in L’Ariosto e il Tasso) e il terzo è B. Morsolin che compose la
biografia del poeta (Giangiorgio Trissino o monografia di un letterato) che
ancora oggi è indispensabile.Francia In Francia, invece, si assiste in un certo
senso alla situazione opposta e le teorie del Trissino trovarono vasta eco più
nel teatro che nel poema epico, questo anche perché in generale il teatro
classico francese ha sempre prediletto i modelli greci ai latini e il teatro,
in genere, al melodramma. Nel teatro francese l'influenza della Sofonisba sarà
forte: la prima rappresentazione documentata in francese è nel castello di
Blois, davanti alla corte della regina, Caterina de' Medici, non a caso una
fiorentina[29]. La corte di Francia era già abituata d'altronde alla poesia
italiana di stile classico da almeno trent'anni, dopo il soggiorno presso
Francesco I di Francia di Luigi Alamanni. Da qui in poi si conteranno otto
Sofonisba fino alla fine del Settecento, una delle quali di Pierre Corneille.
Non così invece nell'epica, genere che in Francia trovò poco seguito, e nel
verso sciolto, che non si acclimatò mai nella poesia francese, poco adatta per
suo ritmo naturale a un verso senza rima. Il Voltaire, che amava l'Ariosto,
ricorda l'Italia liberata nel suo Saggio sulla poesia epica più che altro per
rilevare le pecche del poema. In Inghilterra si ricorda la fortuna del
verso sciolto (blank verse) a partire dal XVII secolo, che avrà la sua
consacrazione nel Paradiso perduto di Milton, e le lodi tributate al Trissino
da Pope nel prologo alla Sofonisba di Thomson. In Germania si ricordano tre
Sofonisba. Anche Goethe possede una copia delle Rime trissiniane Opere:
“Sofonisba, tragedia Ɛpistola del Trissino de le lettere nuωvamente aggiunte ne
la lingua Italiana; De vulgari eloquentia di Alighieri; traduzione Il
castellano, dialogo: Daelli; Poetica; Dubbi grammaticali; Grammatichetta;
L'Italia liberata dai Goti, poema epico I simillimi, commedia Galleria
d'immagini Gian Giorgio Trissinoincisione da Tutte le opere non più
pubblicate di Giovan Giorgio Trissino, Miniatura di Gian Giorgio
Trissino. Incisione da Castelli La vita di Giovangiorgio Trissino, Targa a
Trissino, in piazza Gian Giorgio Trissino. Targa posta sulla casa natale
di Gian Giorgio Trissino, in corso Fogazzaro 15 a Vicenza, opera di Bartolomeo
Bongiovanni.Medaglione posto nel salone di Palazzo Venturi Ginori, a Firenze,
raffigurante Giovan Giorgio Trissino, membro dell'Accademia Neoplatonica che lì
ebbe sede. Bernardo Morsolin Giangiorgio Trissino o Monografia di un
letterato del secolo XVI, Pierfilippo Castelli, La Vita di Giovan Giorgio
Trissino. Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato
del secolo XVI,Margaret Binotto, La chiesa e il convento dei santi Filippo e
Giacomo a Vicenza, Pierfilippo Castelli, La Vita di Giovan Giorgio Trissino,
Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato.
L'incisione recita: DEMETRIO CHALCONDYLÆ ATHENIENSIIN STUDIIS LITERARUM
GRÆCARUMEMINENTISSIMOQUI VIXIT ANNOS LXXVII MENS. VET OBIIT ANNO CHRISTI
MDXIJOANNES GEORGIUS TRISSINUS GASP. FILIUSPRÆCEPTORI OPTIMO ET
SANCTISSIMOPOSUIT. Pierfilippo Castelli, La Vita di Giovan Giorgio Trissino,
ernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato; Bernardo
Morsolin Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI,
Giambattista Nicolini, Vita di Giangiorgio Trissino, Nell'originale sofocleo
"τὸ δὲ ζητούμενον ἁλωτόν", letteralmente "ciò che si cerca, si
può cogliere". Bernardo Morsolin,
Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato, Pierfilippo Castelli, La
vita di Giovan Giorgio Trissino, Pierfilippo Castelli, La vita, Antonio
Magrini, Reminiscenze Vicentine della Casa di Savoia. Bernardo Morsolin,
Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato. Bernardo Morsolin,
Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato, Silvestro Castellini, Storia
della città di Vicenza...Pierfilippo Castelli, La vita di Giovan Giorgio
Trissino, 1753, nota a pag 48 Bernardo
Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI,
1Come i saggi di Lucien Faggion ricordano, per preservare il patrimonio
famigliare non era inusuale sposare cugini di altri rami della medesima
famiglia. La decisione di scegliere Ciro
come proprio erede ebbe ripercussioni drammatiche per diverso tempo. Oltre al
trascinarsi della causa civile intentata da Giulio al padre e a Ciro, nacque
una vera e propria faida tra i discendenti Trissino dal Vello d'Oro e i parenti
del ramo dei Trissino più prossimo alla prima moglie, Giovanna. Le voci che
fecero risalire a Ciro la denuncia anonima alla Santa Inquisizione delle
simpatie protestanti di Giulio nel 1573, spinsero Giulio Cesare, nipote di
Giovanna, a uccidere Ciro a Cornedo nel 1576, davanti a Marcantonio, uno dei suoi
figli. Quest'ultimo decise di vendicare il padre, accoltellando a morte Giulio
Cesare che usciva dalla cattedrale di Vicenza il venerdì santo del 1583. R.
Trissino, altro avversario dei Trissino dal Vello d'Oro, s'introdusse nella
casa di Pompeo, primogenito di Ciro, e ne uccise la moglie, Isabella Bissari, e
il figlioletto Marcantonio, nato da poco. Si vedano al proposito vari saggi
sull'argomento di Lucien Faggion, tra cui Les femmes, la famille et le devoir
de mémoire: les Trissino aux XVIe et XVIIe siècles. Dovette affrontare una
causa civile intentatagli dai Valmarana: negli ultimi decenni ProfessoreAlvise
di Paolo Valmarana perse villa e tenuta, giocandosele col patrizio Orso Badoer,
che rivendette la proprietà a Gaspare Trissino. Gli eredi Valmarana tentarono
di riprendersela ipotizzando un vizio all'origine, ma il tribunale diede
ragione ai diritti del Trissino. Si veda Lucien Faggion, Justice civile,
témoins et mémoire aristocratique: les Trissino, les Valmarana et Cricoli au
XVIe siècle,. Bernardo Morsolin,
Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, voce Trissino
nel sito Treccani L'Enciclopedia Italiana.
Paolo D'Achille, Trissino, Giangiorgio, in L'Enciclopedia dell'Italiano. "Palladio" è anche un riferimento
indiretto alla mitologia greca: Pallade Atena era la dea della sapienza,
particolarmente della saggezza, della tessitura, delle arti e, presumibilmente,
degli aspetti più nobili della guerra; Pallade, a sua volta, è un'ambigua
figura mitologica, talvolta maschio talvolta femmina che, al di fuori della sua
relazione con la dea, è citata soltanto nell'Eneide di Virgilio. Ma è stata
avanzata anche l'ipotesi che il nome possa avere un'origine numerologica che
rimanda al nome di Vitruvio, vedi Paolo Portoghesi, La mano di Palladio,
Torino, Allemandi, 2 Dal volantino della mostra dedicata a Trissino, in
occasione dell’anniversario della promulgazione dello Statuto del Comune,
organizzata dalla Provincia di Vicenza, Comune di Trissino e Pro Loco di
Trissino. L. Cicognara, Storia della
scultura dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova, Giachetti,
Losanna, 1824. Sull'autore in generale si vedano almeno tre testi
fondamentali: Pierfilippo Castelli, La vita di Giovangiorgio Trissino,
oratore e poeta, ed. Giovanni Radici, Venezia, Bernardo Morsolin, Giangiorgio
Trissino o monografia di un letterato del secolo XVI, Firenze, Le Monnier, Atti
del Convegno di Studi su Giangiorgio Trissino, Vicenza); N. Pozza, Vicenza,
Neri Pozza, Sulla Sofonisba: E. Bonora La "Sofonisba" del
Trissino, Storia Lettaliana, Garzanti, Milano, M. Ariani, Utopia e storia nella
Sofonisba di Giangiorgio Trissino, in Tra Classicismo e Manierismo, Firenze,
Olschki, C. Musumarra, La Sofonisba ovvero della libertà, «Italianistica»,
Sulle Rime: A. Quondam, Il naso di Laura. Lingua e poesia lirica nella
tradizione del classicismo, Ferrara, Panini, C. Mazzoleni, L’ultimo manoscritto
delle Rime di Giovan Giorgio Trissino, in Per Cesare Bozzetti. Studi di
letteratura e filologia italiana, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori,
Sull'Italia liberata si vedano almeno (in ordine di stampa): F. Ermini,
L’Italia liberata dai Goti di Giangiorgio Trissino. Contributo alla storia
dell’epopea italiana, Roma, Romana, A. Belloni, Il poema epico e mitologico, Milano,
Vallardi, Ettore Bonora, L'"Italia Liberata" del Trissino,Storia
della Lett. italiana,Milano, Garzanti, Marcello Aurigemma, Letteratura epica e
didascalica, in Letteratura italiana,
IV, Il Cinquecento. Dal Rinascimento alla Controriforma, Bari, Laterza, Marcello
Aurigemma, Lirica, poemi e trattati civili del Cinquecento, Bari, Laterza,
Guido Baldassarri. Il sonno di Zeus. Sperimentazione narrativa del poema
rinascimentale e tradizione omerica, Roma, Bulzoni, Renato Bruscagli, Romanzo
ed epos dall’Ariosto al Tasso, in Il Romanzo. Origine e sviluppo delle
strutture narrative nella cultura occidentale, Pisa, ETS, D. Javitch, La
politica dei generi letterari nel tardo Cinquecento, «Studi italiani», David
Quint, Epic and Empire. Politics and generic form from Virgil to Milton,
Princeton, Princeton University Press, F. Tateo, La letteratura epica e
didascalica, in Storia della letteratura italiana, IV, Il Primo Cinquecento, Roma, Salerno,
Sergio Zatti, L'imperialismo epico del Trissino, in Id., L'ombra del Tasso,
Milano, Bruno Mondadori, aRenato Barilli, Modernità del Trissino, «Studi
Italiani», A. Casadei, La fine degli incanti. Vicende del poema
epico-cavalleresco nel Rinascimento, Roma, Franco Angeli, D. Javitch, La nascita della teoria dei
generi letterari, «Italianistica», Cllaudio Gigante, «Azioni formidabili e
misericordiose». L'esperimento epico del Trissino, in «Filologia e Critica»,
Stefano Jossa, Ordine e casualità: ideologizzazione del poema e difficoltà del
racconto fra Ariosto e Tasso, «Filologia e critica», S. Sberlati, Il genere e
la disputa, Roma, Bulzoni, S. Jossa, La fondazione di un genere. Il poema
eroico tra Ariosto e Tasso, Roma, Carocci, M. Pozzi, Dall’immaginario epico
all’immaginario cavalleresco, in L’Italia letteraria e l’Europa dal Rinascimento
all’Illuminismo, in Atti del Convegno di Aosta,
N. Borsellino e B. Germano, Roma, Salerno, M. De Masi, L'errore di
Belisario, Corsamonte, Achille, «Studi italiani», Claudio Gigante,
Un'interpretazione dell'«Italia liberata dai Goti», in Id., Esperienze di
filologia cinquecentesca. Salviati, Mazzoni, Trissino, Costo, il Bargeo, Tasso,
Roma, Salerno Editrice, E. Musacchio, Il poema epico ad una svolta: Trissino
tra modello omerico e virgiliano, in «Italica»,
Valentina Gallo, Paradigmi etici dell'eroico e riuso mitologico nel V
libro dell'‘Italia' di Trissino, in «Giornale Storico della Letteratura
Italiana», Alessandro Corrieri, Rivisitazioni cavalleresche nell'Italia
liberata da' Gotthi di Giovan Giorgio Trissino, «Schifanoia», A. Corrieri, La guerra
celeste dell'Italia liberata da' Gotthi di Giangiorgio Trissino, «Schifanoia»,
Claudio Gigante, Epica e romanzo in Trissino, in La tradizione epica e
cavalleresca in Italia, C. Gigante e G. Palumbo, BruxellesI. E. Peter Lang,,
Alessandro Corrieri, Lo scudo d’Achille e il pianto di Didone: da L’Italia
liberata da’ Gotthi di Giangiorgio Trìssino a Delle Guerre de’ Goti di
Gabriello Chiabrera, «Lettere italiane»,Alessandro Corrieri, I modelli epici
latini e il decoro eroico nel Rinascimento: il caso de L’Italia liberata da’
Gotthi di Giangiorgio Trìssino, «Lettere italiane», Sul dibattito sui generi
letterari e la Poetica (in ordine di stampa): E. Proto, Sulla ‘Poetica’
di G. G. Trissino, Napoli, Giannini e figli, C. Guerrieri-Crocetti, Giovan
Battista Giraldi Cintio e il pensiero critico del secolo XVI,
Milano-Genova-Napoli, Società Dante Alighieri, G. Mazzacurati, La mediazione
trissiniana, in Misure del classicismo rinascimentale, Napoli, Liguori, G.
Mazzacurati, Conflitti di culture nel Cinquecento, Napoli, Liguori, A. Quondam,
La poesia duplicata. Imitazione e scrittura nell'esperienza del Trissino, in
Atti del Convegno di Studi su G. Trissino, N. Pozza, Vicenza, Accademia
Olimpica, G. Mazzacurati, Il Rinascimento del Moderni. La crisi culturale Professoree
la negazione delle origini” (Bologna, Il Mulino); M. Pozzi, Lingua, cultura,
società. Saggi della letteratura italiana del Cinquecento, Alessandria,
Dell’Orso, Per il rapporto fra l’epica del T. e quella del Tasso (in ordine di
stampa): E. Williamson, Tasso’s annotations to Trissino’s Poetics,
«Modern Language Notes», M. Clarini, Le postille del Tasso al Trissino, «Studi
Italiani», G. Baldassarri, «Inferno» e «Cielo». Tipologia e funzione del
«meraviglioso» nella «Liberata», Roma, Bulzoni, R. Bruscagli, L’errore di
Goffredo, «Studi tassiani», S. Zatti, Tasso lettore del Trissino, in Torquato
Tasso e la cultura estense, G. Venturi, Firenze, Olsckhi, Sulla lingua e il
dibattito dei contemporanei si vedano almeno (in ordine di stampa): B.
Migliorini, Le proposte trissiniane di riforma ortografica, «Lingua nostra» G.
Nencioni, Fra grammatica e retorica. Un caso di polimorfia della lingua
letteraria dal secolo XIII al XVI, Firenze, Olsckhi, B. Migliorini, Note sulla
grafia nel Rinascimento, in Id., Saggi linguistici, Firenze, Le Monnier, B.
Migliorini, Il Cinquecento, in Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni
[e ristampe]. E.Bonora, "La questione della lingua", Storia
Lettaliana, Garzanti, Milano, C. Segre, L’edonismo linguistico del Cinquecento,
in Lingua, stile e società, Milano, Feltrinelli, O. Castellani-Pollidori, Il Cesano de la
lingua toscana, Firenze, Olschki, O. Castellani-Pollidori, Niccolò Machiavelli
e il Dialogo intorno alla lingua. Con un’edizione critica del testo, Firenze,
Olschki, M. R. Franco Subri, Gli scritti
grammaticali inediti di Claudio Tolomei: le quattro lingue di toscana,
«Giornale storico della letteratura italiana», I. Paccagnella, Il fasto delle
lingue. Plurilinguismo letterario nel Cinquecento, Roma, Bulzoni, M. Pozzi, Trattatisti del Cinquecento,
Milano-Napoli, Ricciardi, B. Richardson,
Trattati sull’ortografia del volgare, Exeter, University of Exeter, M. Pozzi, Gian Giorgio Trissino e la letteratura
italiana, in Id., Lingua, cultura e società. Saggi sulla letteratura italiana
del Cinquecento, Alessandria, Edizioni dell’Orso, A. Cappagli, Gli scritti
ortofonici di Claudio Tolomei, «Studi di grammatica italiana», N. Maraschio,
Trattati di fonetica del Cinquecento, Firenze, presso l’Accademia, C. Giovanardi, La teoria cortigiana e il
dibattito linguistico nel primo Cinquecento, Roma, Bulzoni, M. Vitale,
L'omerida italico: Gian Giorgio Trissino. Appunti sulla lingua dell'«Italia
liberata da' Gotthi», Istituto Veneto de Scienze ed Arti,. Sulla traduzione di
Dante e l'importanza del De vulgari eloquentia si vedano almeno (in ordine di
stampa): M. Aurigemma, Dante nella poetica linguistica del Trissino,
«Ateneo veneto», foglio speciale, C.
Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, in Geografia e
storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi,Floriani, Trissino: la
«questione della lingua», la poetica, negli Atti del Convegno di Studi su
Giangiorgio Trissino, etc...(ora in Gentiluomini letterati. Studi sul dibattito
culturale nel primo Cinquecento, Napoli, Liguori, I. Pagani, La teoria
linguistica di Dante, Napoli, Liguori,
C. Pulsoni, Per la fortuna del De vulgari Eloquentia nel primo
Cinquecento: Bembo e Barbieri, «Aevum», E. Pistoiesi: Con Dante attraverso il Cinquecento:
Il De vulgari eloquentia e la questione della lingua, «Rinascimento», Per le
trafile del codice dantesco posseduto dal Trissino, oggi alla Biblioteca
Trivulziana di Milano, cfr. l'introduzione diRàjna alla sua edizione del De
Vulgari Eloquentia (Firenze, Le Monnier) e G. Padoan, Vicende veneziane del
codice Trivulziano del “De vulgari eloquentia”, in Dante e la cultura veneta,
Atti del convegno di studi della fondazione “Giorgio Cini”,
Venezia-Padova-Verona, V. Branca e G. Padoan, Firenze, Olschki, Tutti i testi
del Trissino si rileggono nei due volumi intitolati Tutte le opere Scipione
Maffei (Verona, Vallarsi, 1729), che non riproducono però l'alfabeto inventato
riformato. Alcuni testi hanno avuto delle edizioni moderne: La Poetica si
rilegge nei Trattati di poetica e di retorica del Cinquecento B. Weinberg,
Bari, Laterza, Il testo è riprodotto con l'alfabeto inventato dal Trissino.
Scritti linguistici, A. Castelvecchi, Roma, Salerno (che contiene la Epistola
delle lettere nuovamente aggiunte, Il Castellano, i Dubbii grammaticali e la
Grammatichetta). I testi sono riprodotti con l'alfabeto inventato dal Trissino.
La Sofonisba è stata curata da R. Cremante, nel Teatro del Cinquecento, Napoli,
Ricciardi, Il testo è riprodotto con l'alfabeto inventato dal Trissino ed è
dotato di un vasto commento e introduzione. La traduzione del De vulgari
eloquentia si può leggere in D. Alighieri, F. Chiappelli, nella collana “I
classici italiani”, G. Getto, Milano, Mursia, oppure, assieme al testo latino,
nel 2 tomo dell’Opera Omnia curata da Scipione Maffei (vedi sotto). Per
l'Italia liberata dai Goti e per I Simillimi si deve ricorrere, invece, alle
prime edizioni o all'edizione del Maffei o alle ristampe sette-ottocentesche.
Per l'elenco completo di tutte le stampe, ristampe, studi ed edizioni sul Trissino
vedi Alessandro Corrieri, Giangiorgio Trissino., consultabile (aggiornata al 2
settembre ) presso//nuovorinascimento.org/cinquecento/trissino.pdf. A. Palladio Trissino (famiglia). Treccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Gian Giorgio Trissino, Gian Giorgio
Trissino (altra versione) / Gian Giorgio Trissino (altra versione) / Gian Giorgio
Trissino (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Gian
Giorgio Trissino,. Opere di Gian Giorgio Trissino, su Progetto Gutenberg. Gian
Giorgio Trissino, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. ItalicaRinascimento: Giovan Giorgio Trissino,
L'Italia liberata dai Gotthi. L’uomo solo ha il comercio del
parlare. Questo è il nostro vero e primo parlare. Non dico nostro,
perchè altro parlar ci sia che quello dell'uomo. Perciò che fra tutte le cose
che sono solamente a l'uomo e dato il parlare ,sendo a lui necessario
solo. Certo non a gl’angeli non a gl’animali inferiori e necessario
parlare. Adunque sarebbe stato dato invano a costoro, non avendo bisogno di
esso. E la natura certamente abborrisce di fare cosa alcuna
invano. Se volemo poi sottilmente considerare la INTENZIONE del parlar [parabola]
nostro, niun'altra ce ne troveremo, che il MANIFESTARE all’altro questo o
quello CONCETTO de la mente nostra. Avendo adunque gl’angeli prontissima e
neffabile sufficienzia d'intelletto da chiarire questo o quello gloriosi
concetto, per la qual sufficienzia d'intelletto l'uno è TOTALMENTE NOTO all'altro, o per sè, o almeno per quel
fulgentissimo specchio, nel quale tutti sono rappresentati bellissimi e in cui
avidis simi sispecchiano. Per tanto pare, che di ni uno SEGNO DI PARLARE ha
mestieri. Ma chi opponesse a questo, allegando quei spiriti, che cascarono dal
cielo; a tale opposizione doppiamente si può rispondere. Prima, che quando noi
trattiamo di quelle cose, che Sono Che Q a bene essere , devemo essi
lasciar da 3 parte, conciò sia che questi perversi non vol lero aspettare
la divina cura. Seconda risposta,e meglio è,che questi demoni a MANIFESTARE fra
sè la loro perfidia, non hanno bisogno di conoscere , se non qualche cosa di
ciascuno, perchè è, e q u a n t o è 1 : il c h e certamente s a n no ; perciò
che si conobbero l'un l'altro avanti la ruina loro. Agl’ANIMALI INFERIORI poi
non fu bisogno provvedere di parlare. Conciò sia che per solo ISTINTO DI NATURA
siano guidati.E poi tutti quelli animali, che sono di una medesima specie,
hanno le medesime azioni, e le medesime passioni; per le quali loro proprietà
possono le altrui conoscere; ma aquelli che sono di diverse specie, non
solamente non e necessario loro il parlare, ma in tutto dannoso gli sarebbe
stato, non essendo alcuno amicabile comercio tra essi. E se mi fosse opposto
che IL SERPENTE che PARLA a la prima femina, e l'asina di Balaam PARLA, a
questo rispondo, che l'ANGELO nell’asina e IL DIAVOLO nel serpente hanno
talmente operato che essi animali mossero gli organi loro. E così d'indi la
voce risultò distinta, come vero parlare; non che quello de l'asina fosse altro
che ragghiare e quello del serpente altro che fischiare. Il testo ha: nonindigent,
nisiutsciantquilibetde quolibet, quia est, et quantus est. Parrebbe più proprio
il tradurre cosi:non hanno bisogno di conoscere, se non ciascheduno di
ciaschedun altro, che è,e quanto è: ossia l'esistenza e il grado. Se
alcuno poi argumentasse da quello, che Ovidio disse nel quinto della
Metamorfosi, che LE PICHE parlarono. Dico che dice questo FIGURATAMENTE, intendendo
altro. Ma se si dicesse che le piche al presente e altri uccelli parlano, dico
che è falso; perciò che tale atto NON è parlare, ma è certa imitazione del
suono de la nostra voce; o vero che si sforzano di imitare noi in quanto SONIAMO
ma non in quanto PARLIAMO (cf. ‘talk,’ ‘speak’, ‘speak in tongues’). Tal che se
quello che alcuno espressamente dicesse, ancora la pica ridicesse, questo non
sarebbe se non rappresentazione , o vero imitazione del SUONO di quello, che
prima avesse detto. E così appare, agl’UOMINI SOLI essere stato dato il PARLARE;
ma per qual cagione esso gli fosse NECESSARIO, ci sforzeremo brievemente
trattare. Che e NECESSARIO agl’uomini il comercio. Ovendosi adunque l'uomo NON
PER ISTINTO DI NATURA ma per ragione. E essa ragione o circa la separazione !,
o circa il giudidizio, o circa la elezione diversificandosi in ciascuno; tal
che quasi ogni uno de la sua pro . La voce del testo discretio sarebbe resa
meglio dalla parola discernimento. del parlare. , pria specie s'allegra;
giudichiamo che niuno intenda l'altro per la sua propria AZIONE o PASSIONE,
come fanno le bestie; nè anche per speculazione l'uno può intrar ne l'altro, come
l'angelo, sendo per la grossezza e opacità del CORPO mortale la umana specie da
ciò ritenuta. Fu adunque bisogno che volendo la generazione umana fra sè COMUNICARE
IL SUO CONCETTO avesse qualche SEGNO SENSUALE e razionale; per ciò che dovendo
prendere una cosa da la ragione, e ne la ragione portarla, bisognava essere
razionale; ma non potendosi alcuna cosa di una ragione in un'altra portare, SE
NON PER IL MEZZO DEL SENSUALE e bisogno essere sensuale, perciò che se 'l fosse
solamente razionale, non potrebbe trapassare; se solo sensuale, non potrebbe
prendere dalla ragione, nè ne la ragione de p o r r e . E questo è segno c h e
il s u bietto, di che parliamo, è nobile ; perciò che in quanto è suono, egli è
per natura una cosa sensuale e inquanto che, secondo la volontà di ciascun ,
significa qualche cosa, egli è razionale 1. Iltestoha:Hoc equidem signum
est,ipsum sub jectum nobile, dequoloquimur: naturasensualequi dem , in quantum
sonus est , esse ; rationale vero , in quantum aliquid significare videtur ad
placitum . A noi pare più giusto l'interpretare questo passo cosi. Questo segno
(l'aliquod rationale signum et sensuale di cui ha parlato poche righe più
sopra) è per l'appunto il nobile soggetto di cui parliamo. Sensuale per natura,
in quanto è SUONO. Razionale, in quanto che, se A che uomo fu prima dato il parlare,
echedisseprima,& inche lingua. l'uomo solo fu dato il parlare. Ora istimo
che appresso debbiamo investigare, a che uomo fu prima dato ilparlare,e che
cosa prima disse, & a chi parlò , e dove e quando , & eziandio in che
linguaggio il primo suo parlare si sciol se. Secondo che si legge ne la prima
parte del Genesis , ove la sacratissima Scrittura tratta del principio del
mondo , si truova la femina, prima cheniunaltro,aver parlato, cioèlapre
sontuosissima EVA, la quale al DIAVOLO, che la ricercava , disse , ‘Dio ci ha
commesso , che non mangiamo del frutto del legno che è nel mezzo del paradiso,
e che non lo tocchiamo , acciò che per avventura non moriamo. Ma a vegna che in
scritto si trovi la donna aver pri mieramente parlato, non di meno è ragionevol
cosa che crediamo, che l'uomo fosse quello, che prima parlasse. Nè cosa
inconveniente mi pare condo la volontà di ciascuno, significa qualche cosa.
Contro la quale interpretazione stala punteggiatura, e la voce esse del testo, che
sarebbe di troppo ; ma ,per com penso, il brano riesce più chiaro, e si collega
meglio col senso di tutto il Capitolo. 9 Anifesto è per le cose già dette
, che a pensare, che così eccellente azione de la il generazione
umana prima da l'uomo, che da la femina procedesse. Ragionevolmente adunque
crediamo ad esso essere stato dato primier mente il parlare da Dio, subito che
l’ebbe formato. Che voce poi fosse quella che parla prima, a ciascuno di sana
mente può esser in pronto e io non dubito che la fosse quella, che è Dio, cioè
Eli, o vero per modo d'interrogazione, o per modo di risposta. Assurda cosa
veramente pare, e da la ragione aliena, che da l'uomo fosse nominata cosa
alcuna prima che Dio ; con ciò sia che da esso,& in esso fosse fatto
l'uomo.E siccome, dopo la prevaricazionedel'u m a n a generazione , ciascuno
esordio di parlare comincia da heu ; così è ragionevol cosa , che quello che fu
davanti , cominciasse da alle grezza , e conciò sia che niun gaudio sia fuori
di Dio,ma tuttoinDio,& esso Dio tuttosiaal legrezza, conseguente cosa è che
'l primo p a r lante dicesse primieramente Dio. Quindi nasce questo dubbio,che
avendo di sopra detto, l'uomo aver prima per via di risposta parlato, se risposta
fu,devette esser a Dio; e se a Dio, parrebbe, che Dio prima avesse parlato, il che
parrehbe contra quello che avemo detto di sopra. Al qual dubbio
risponderemo,che ben può l'uo mo averrisposto a Dio, chelointerrogava, nè per
questo Dio aver parlato di quella LOQUELLA, che dicemo.Qual è colui, che
dubiti, che tutte le cose che sono non si pieghino secondo il voler di Dio,da
cuièfatta, governata,econservata
, ciascuna cosa ? É conciò sia che l'aere a tante
alterazioni per comandamento della natura in feriore si muova, la quale è
ministra e fattura di Dio, di maniera che fa risuonare i tuoni, fulgurare il
fuoco, gemere l'acqua, e sparge le nevi, e slancia la grandine ; non si moverà
egli per comandamento di Dio a far risonare alcune parole le quali siano
distinte da colui, che maggior cosa distinse?e perchè no? Laon de & a
questa, & ad alcune altre cose credia mo tale risposta bastare. Dove,&
a cuiprima l'uomo abbiaparlato. ta così da le cose superiori,come da le in
feriori), che il primo uomo drizzasse il suo primo parlare primieramente a Dio
, dico, che ragionevolmente esso primo parlante parlò s u bito,che fu da la
virtù animante ispirato: per ciò che ne l'uomo crediamo,che molto più cosa
umana sia l'essere sentito che il sentire, pur che egli sia sentito,e senta
come uomo. Se adunque quel primo fabbro, di ogni perfezione principio &
amatore ,inspirando il primo uomo con ogni perfezione compi , ragionevole cosa
mi pare, che questo perfettissimo animale non prima cominciasse a sentire, che
'l fosse sen tito. Se alcuno poi dicesse contra le obiezioni, 11
Iudicando adunque (non senza ragione trat , che non era bisogno
che l'uomo parlasse, es sendo egli solo ; e che Dio ogni nostro segreto senza
parlare, ed anco prima di noi discerne ; ora (con quella riverenzia , la quale
devemo usare ogni volta,che qualche cosa de l'eterna volontà
giudichiamo),dico,che avegna che Dio sapesse, anzi antivedesse (che è una
medesima cosa quanto a Dio)ilconcetto del primo par lante senza parlare,non di
meno volse che esso parlasse ; acciò che ne la esplicazione di tanto dono,
colui, che graziosamente glielo avea do nato,se ne gloriasse.E perciò devemo
credere, che da Dio proceda , che ordinato l'atto de i nostri affetti, ce ne
allegriamo. Quinci possiamo ritrovare il loco, nel quale fu mandata fuori
laprimafavella;perciòchesefuanimato l'uo m o fuori del paradiso , diremo che
fuori : se dentro , diremo che dentro fu il loco del suo primo parlare. Ra
perchè i negozj umani si hanno ad esercitare per molte e diverse lingue , tal
che molti per le parole non intesi da molti,che se fussero senza esse;
però fia buono investigare di quel parlare, del quale si crede aver usato
l'uomo, che nacque senza sono altrimente 1 Di che idioma prima l'uomo parld, e
donde fu l'autore di quest'opera. madre, e senza latte si nutri, e
che nè pupil lare età vide,nè adulta.In questa cosa,sì come in altre molte,
Pietramala è amplissima città, e patria de la maggior parte dei figliuoli di
Adamo .Però qualunque si ritrova essere di cosi disonesta ragione, che creda,
che il loco della sua nazione sia il più delizioso, che si trovi sotto il Sole
, a costui parimente sarà licito preporre il suo proprio volgare , cioè la sua
materna locuzione,a tutti gli altri; e conse guentemente credere essa essere
stata quella diAdamo.Ma noi,acuiilmondo èpatria, sì come a'pesci il mare ,
quantunque abbiamo bevuto l'acqua d'Arno avanti che avessimo denti,e che amiamo
tanto Fiorenza,che pe averla amata patiamo ingiusto esiglio, non dimeno le
spalle del nostro giudizio più a la ragione che al senso appoggiamo. E benchè
se condo il piacer nostro , o vero secondo la quiete de la nostra sensualità,
non sia in terra loco più ameno di Fiorenza;pure rivolgendo i vo lumi de'poeti
e de gli altri scrittori, ne i quali il mondo universalmente e particularmente
si descrive , e discorrendo fra noi i varj siti dei luoghi del mondo , e le
abitudini loro tra l'uno e l'altropolo,e'lcircolo equatore,fermamente comprendo
, e credo, molte regioni e città es sere più nobili e deliziose che Toscana e
Fio renza, ove son nato, e di cui son cittadino; e molte nazioni e molte genti
usare più dilette vole, e più utile sermone , che gli Italiani. R i
r tornando adunque al proposto , dico che una certa forma di
parlare fu creata da Dio insie me con l'anima prima ,e dico forma, quanto a i
vocaboli de le cose,e quanto a la construzione de'vocaboli , e quanto al
proferir de le con struzioni; la quale forma veramente ogni par lante lingua
userebbe, se per colpa de la pro sunzione umana non fosse stata dissipata, come
di sotto si mostrerà. Di questa forma di par lare parlò Adamo , e tutti i suoi
posteri fino a la edificazione de la torre di Babel , la quale si interpreta la
torre de la confusione. Questa forma di locuzione hanno ereditato i figliuoli
di Heber, i quali da lui furono detti Ebrei ; a cui soli dopo la confusione
rimase, acciò che il nostro Redentore , il quale doveva nascere di
loro,usasse,secondo laumanità,dela lin gua de la grazia, e non di quella de la
confu sione 1. Fu adunque lo ebraico idioma quello, che fu fabbricato da le
labbra del primo par lante . ' Il testo ha : qui ex illis oriturus erat
secundum humanitatem ,non lingua confusionis, sed gratiæ frue retur.E deve
tradursi:ilqualedovevanascere di loro secondo l'umanità , usasse della lingua
della grazia , e non di quella della confusione. Hi come gravemente mi vergogno di rin
15 e per De la divisione del parlare in
più lingue. A en ta nerazione umana : ma perciò che non possia mo lasciar di
passare per essa, se ben la fac cia diventa rossa , e l'animo la fugge , non
starò di narrarla. Oh nostra natura sempre prona ai peccati , oh da principio ,
e che mai non finisce, piena di nequizia; non era stato assai per la tua
corruttela, che per lo primo fallo fosti cacciata, e stesti in bando de la p a
tria de le delizie? non era assai, che per la universale lussuria, e crudeltà
della tua fami glia, tutto quello che era di te, fuor che una casa sola, fusse
dal diluvio sommerso , il male , che tu avevi commesso , gli animali del cielo
e de la terra fusseno già stati puniti ? Certo assai sarebbe stato; ma come
prover bialmente si suol dire,Non andrai a cavallo anzi terza ; e tu misera
volesti miseramente andare a cavallo.Ecco,lettore, che l'uomo , o vero
scordato,o vero non curando de le prime battiture, e rivolgendo gli occhi da le
sferze, che erano rimase , venne la terza volta a le botte, per la sciocca sua
e superba prosunzio ne. Presunse adunque nel suo cuore lo incu rabile uomo,
sotto persuasione di gigante, di , superare con l'arte sua non solamente
la na tura,ma ancoraessonaturante,ilqualeèDio; e cominciò ad edificare una
torre in Sennar, la quale poi fu detta Babel, cioè confusione, per la quale
sperava di ascendere al cielo,avendo intenzione, lo sciocco,non solamente di
aggua gliare,ma diavanzare ilsuo Fattore.Oh cle menzia senza misura del celeste
imperio;qual padre sosterrebbe tanti insulti dal figliuolo? Ora innalzandosi
non con inimica sferza, ma con paterna , & a battiture assueta , il ribel
lante figliuolo con pietosa e memorabile corre zione castigò. Era quasi tutta
la generazione umana a questa opera iniqua concorsa ; parte comandava, parte
erano architetti,parte face vano muri,parte impiombavano,parte tiravano le
corde ", parte cavavano sassi, parte per ter ra,partepermareliconducevano.E
cosìdi verse parti in diverse altre opere s’affatica vano , quando furono dal
cielo di tanta con fusione percossi, che dove tutti con una istessa loquela
servivano a l'opera , diversificandosi in molte loquele , da essa cessavano ,
nè mai a quel medesimo comercio convenivano ; & a quelli soli, che in una
cosa convenivano una · Il Witte osservò che in luogo di pars amysibus
tegulabant, pars tuillis linebant, come leggeva erro neamente la volgata nel
testo latino , si deve leggere : pars amussibus tegulabant, pars trullis (o
truellis) linebant, e si deve tradurre : parte arrotavano sulle pietre i
mattoni,parte con le mestole intonacavano. istessa loquela attualmente rimase , come a
tutti gli architetti una , a tutti i conduttori di sassi una,a tuttiipreparatori
di quegli una, e così avvenne di tutti gli operanti; tal che di quanti varj
esercizj erano in quell'opera , di tanti varj linguaggi fu la generazione umana
disgiunta. E quanto era più eccellente l'arti ficio di ciascuno , tanto era più
grosso e b a r b a r o il l o r o parlare . Q u e l l i p o s c i a , a li q u
a l i il sacrato idioma rimase , nè erano presenti nè lodavano lo esercizio
loro ; anzi gravemente biasimandolo, si ridevano de la sciocchezza de gli
operanti.M a questi furono una minima parte di quelli quanto al numero ; e
furono , sì come io comprendo , del seme di Sem , il quale fu il terzo
figliuolo di Noè , da cui nacque il popolo di Israel, il quale usò de la
antiquissima locu zione fino a la sua dispersione. e specialmente in Europa. Er
la detta precedente confusione di lin gue non leggieramente giudichiamo , che
allora primieramente gli uomini furono sparsi per tutti iclimi del mondo e per
tutte le re gioni & angoli di esso. E conciò sia che la P
Sottodivisione del parlare per il mondo , , principal radice dela
propagazione umana sia ne le parti orientali piantata , e d'indi da l'u no e
l'altro lato per palmiti variamente diffu si, fu la propagazione nostra
distesa; final mente in fino a l'occidente prodotta , là onde primieramente le
gole razionali gustarono o tutti,o almen parte de ifiumi di tutta Europa. Ma
ofusseroforestieriquesti,cheallorapri mieramente vennero, o pur nati prima in E
u ropa, ritornassero ad essa; questi cotali por tarono tre idiomi seco ; e
parte di loro ebbero in sorte la regione meridionale di Europa, parte la
settentrionale , & i terzi, i quali al presente chiamiamo Greci , parte de
l’Asia e parte de la Europa occuparono.Poscia da uno istesso idio
ma,dalaimmonda confusione ricevuto,nac quero diversi volgari , come di sotto
dimostre remo ; perciò che tutto quel tratto, ch'è da la foce del Danubio, o
vero da la palude Meotide, fino a i termini occidentali (li quali da i confini
d'Inghilterra, Italia e Franza , e da l'Oceano sono terminati), tenne uno solo
idioma: ave gna che poi per Schiavoni, Ungari , Tedeschi, Sassoni , Inglesi
& altre molte nazioni fosse in diversi volgari derivato ; rimanendo questo
solo per segno, che avessero un medesimo prin cipio , che quasi tutti i
predetti volendo affir mare, dicono jo. Cominciando poi dal termine di questo
idioma,cioè da iconfini de gli Ungari verso oriente,un altro idioma tutto quel
tratto occupò. Quel tratto poi, che da questi in qua . si chiama
Europa, e più oltra si stende,o ve ro tutto quello de la Europa che resta ,
tenne un terzo idioma 1, avegna che al presente tri partito si veggia ; perciò
che volendo affermare, altri dicono oc, altri oil, e altri sì, cioè Spa gnuoli
, Francesi & Italiani.Il segno adunque che i tre volgari di costoro
procedessero da uno istesso idioma,è in pronto;perciò che molte cose chiamano
per i medesimi vocaboli, come è Dio,cielo,amore,mare,terra,e vive,muore, ama
,& altri molti.Di questi adunque de la meridionale Europa , quelli che
proferiscono oc tengono la parte occidentale, che comincia da i confini
de'Genovesi ; quelli poi che dicono sì, tengono da i predetti confini la parte
orientale, cioè fino a quel promontorio d'Italia, dal quale comincia il seno
del mare Adriatico e la Sici lia.Ma quelli che affermano con oil,quasi sono settentrionali
a rispetto di questi ; perciò che da l'oriente e dal settentrione hanno gli Ale
manni , dal ponente sono serrati dal mare in 1 Il testo ha : A b isto incipiens
idiomate , videlicet a finibus Ungarorum versus orientem aliud occupa vittotum
quodabindevocaturEuropa,necnonul terius est protractum . Totum autem , quod in
Europa restat ab istis , tertium tenuit idioma. E deve essere tradotto cosi : A
cominciare da questo idioma, cioè dai confini degli Ungari verso oriente , un
altro idioma occupò l'intero tratto che da quei confini in là si chiama Europa
, e che si protrae anche più oltre. Tutto il tratto poi della rimanente Europa
tenne un terzo idioma. 19 glese, e dai monti di Aragona terminati
, dal mezzo di poi sono chiusi da'Provenzali,e da la flessione de l'Appennino.
Noi ora è bisogno porre a pericolo 1 la ' Il verbo periclitari del testo latino
qui vale mettere alla prova , cimentare.
, ragione, che avemo, volendo ricercare di quelle cose ne le quali da
niuna autorità siamo aiutati, cioè volendo dire de la variazione, che
intervenne al parlare , che da principio era il medesimo.Ma
conciòsiachepercammininoti più tosto e più sicuramente si vada , però so
lamente per questo nostro idioma anderemo,e gli altri lascieremo da parte ,
conciò sia che quello che ne l'uno è ragionevole , pare che eziandio abbia ad
esser causa ne gli altri. È adunque loidioma,deloqualetrattiamo(come ho detto
di sopra) in tre parti diviso , perciò che alcuni dicono oc , altri si, e altri
oil. E che questo dal principio de la confusione fosse uno medesimo (il che
primieramente provar si deve) appare, perciò che si convengono in molti
vocaboli,come gli eccellenti dottori dimostrano; De le tre varietà del parlare,
e come col tempo il medesimo parlare si muta , e de la invenzione de la
grammatica. A la quale convenienzia repugna a la confusione, che fu
per il delitto ne la edificazione di Babel. I Dottori adunque di tutte tre
queste lingue in molte cose convengono, e massimamente in questo vocabolo,Amor.
Gerardo di Berneil , « Surisentis fez les aimes Puer encuser Amor.» Il re di
Navara, «De'finamor sivientsenebenté.» M. Guido Guinizelli, « Nè fè amor ,
prima che gentil core , Nè cor gentil,prima che amor,natura.» Investighiamo
adunque , perchè egli in tre parti sia principalmente variato,e perchè cia
scuna di queste variazioni in sè stessa si varii, come la destra parte d'Italia
ha diverso par lare da quello de la sinistra, cioè altramente parlano i
Padovani , e altramente i Pisani : e investighiamo perchè quelli,che abitano più
vi cini,siano differenti nel parlare,come è iMila nesi e Veronesi,Romani e
Fiorentini;e ancora perchè siano differenti quelli,che si convengono sotto un
istesso nome di gente,come Napole tani e Gaetani , Ravegnani e Faentini ; e
quel che è più maraviglioso, cerchiamo perchè non si convengono in parlare
quelli che in una medesima città dimorano , come sono i Bolo gnesi del borgo di
san Felice , e i Bolognesi della strada maggiore.Tutte queste
differenze adunque,e varietàdi sermone,che avvengono, con una istessa ragione
saranno manifeste. Dico adunque , che niuno effetto avanza la sua ca gione, in
quanto effetto,perchè niuna cosa può fare ciò che ella non è.Essendo adunque
ogni nostra loquela (eccetto quella che fu da Dio insieme con l'uomo creata) a
nostro benepla cito racconcia,dopo quella confusione,la quale niente altro fu
che una oblivione de la loquela prima, & essendo l'uomo instabilissimo e va
riabilissimo animale , la nostra locuzione ne durabile nè continua può essere ;
m a come le altre cose che sono nostre (come sono costumi &
abiti),simutano;cosìquesta,secondo ledi stanzie de iluoghi e dei tempi,è
bisogno di va riarsi.Però non è da dubitare che nel modo che avemo
detto,cioè,che con ladistanziadeltempo il parlare non si varii, anzi è fermamente
da tenere ; perciò che se noi vogliamo sottilmente investigare le altre opere
nostre,le troveremo molto più differenti da gli antiquissimi nostri cittadini,
che da gli altri de la nostra età, q u a n
tunquecisianomoltolontani1.Ilperchèaudace mente affermo, che se gli
antiquissimi Pavesi ora risuscitassero,parlerebbero di diverso parlare di
quello, che ora parlano in Pavia ; nè altrimente questo , ch'io dico , ci paja
maraviglioso , che , 1Iqualicisianomolto lontani(magis....quam a
coetaneis perlonginquis). ciparrebbe a vedere un giovane
cresciuto,il quale non avessimo veduto crescere.Perciò che le cose , che a poco
a poco si movono , il moto loro è da noi poco conosciuto;e quanto la va
riazione de la cosa ricerca più tempo ad essere conosciuta, tanto essa cosa è
da noi più stabile esistimata.Adunque non ci ammiriamo,se i discorsi di quegli
uomini,che sono poco da le bestie differenti, pensano che una istessa città
abbia sempre il medesimo parlare usato, conciò sia che la variazione del
parlare di essa città non senza lunghissima successione di tempo a poco a poco
sia divenuta , e sia la vita de gli uomini di sua natura brevissima. Se adunque
il sermone ne la istessa gente (come è detto) successivamente col tempo si
varia, nè può per alcun modo firmarse, è necessario che il par lare di coloro,
che lontani e separati dimorano, sia variamente variato ; sì come sono ancora
variamente variati i costumi & abiti loro , i quali nè da natura,nè da
consorzio umano sono firmati, ma a beneplacito, e secondo la conve nienzia de i
luoghi nasciuti.Quinci si mossero gl'inventori de l'arte grammatica ; la quale
grammatica non è altro che una inalterabile conformità di parlare in diversi
tempi e luo ghi.Questa essendo di comun consenso di molte genti regulata , non
par suggetta al singulare arbitrio di niuno, e consequentemente non può essere
variabile.Questa adunque trovarono,ac ciò che per la variazion del parlare , il
quale DE LA VOLGARE ELOQUENZIA. 23 De la varietà del parlare
in Italia da la destra e sinistra parte de l'Appennino. Gian Giorgio Trissino
dal Vello d'Oro. Oro. Keywords: la riforma della lingua italiana, filosofia del
linguaggio, Alighieri, lingua e linguaggio, codice di comunicazione, il parlare
umano, il parlare solo umano, la prima lingua, la parlata dei genovesi, la
filosofia del linguaggio in Alighieri, l’eloquenza, la filosofia del linguagio,
only man speaks. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trissino” – The Swimming-Pool
Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51652743276/in/photolist-2mKUm41-2mGnP2f
Grice ed Orsi – filosofia italiana – filosofia
fascista – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Palma di Montechiaro). Filosofo. Grice: “Orsi uses ‘psicologia speculativa’ where I would use
‘psicologia filosofica,’ since speculativa opposes to prattica, rather!” --Allievo
di Ottaviano, insegna a Catania. Pubblica nella sua attività di ricerca scritti
minori di autori italiani e il saggio “Gl’hegeliani
di Napoli.” Cura l'edizione dell'opera di Ottaviano su Campailla; “La psicologia
filosofica di Spaventa” – e stato nella segreteria della rivista “Sophia”.
Altri saggi: “Lo spirito come atto puro,” “La filosofia moderna,” “L'uomo al
bivio: immanentismo o cristianesimo? Saggio di realismo esistenziale, “Antropologia”;
“Psiche e meta-fisica” “Psicologia speculativa” “Sulla psico-patia”. Grice:
“The D’Orsi – and indeed a Domenico D’Orsi, back in the 1700s, are a very noble
family in Sicily. D’Orsi is associated with “Sophia”, founded by Ottaviano. His
interests have been many and varied – but most notably philosophical
psychology, which the Italians call ‘psicologia speculativa’ as opposed to
cheap scientific psychology. They have the great Spaventa, who philosophized on
the most abstract issues concerning the old Roman idea of an ‘animo’. Compared
to what Ryle’s and Watson’s psychological behaviourism is a no-no-no!” O’Orsi
has philosophized on democracy. I democratici can be ingenuii, as I prefer
them, or critici. He has also ‘cured’ the edition of Ottaviano on Campailla,
and went continental to study Napoli!” Grice: “Orsi has done a lot to allow us
to understand Spaventa. As most Italians, Spaventa was fascinated by the Hun,
and cared to trasnalte a book that the Hun never cared to read: Lotze’s
Elementi di psicologia speculativa. I can imagine Spaventa wondering what he
was doing, bringing Lotze’s ‘seele’ as ‘animo’. The ‘elements’ by Lotze, as
translated by Spaventa, are elementary enough – but the section on the
‘soul/body’ (anima/corpo), ‘animo/corpo, corpo animato, corpo inanimate) is
interesting. But far more interesting is Orsi’s unearthing Spaventa’s “Psiche e
metafisica” – not to be confused with LABRIOLA’s essay by the same name. This
is a hodge podge of reflections. But mainly anti-materialistic. While an
emergentist, Spaventa (as discovered by Orsi) struggles to understand the
connection between ‘sentire’ and ‘sentito’ and more generally, between the
‘sentire’ as a processo fisiologico – Spaventa goes on to distinguish three
levels of the ‘sentire’ – the first is the processo fisiologico itself, the
second is what Spaventa, as unearthed by Orsi, calls the ‘unita distintiva del
sentito’, and the third is the ‘unita reflessiva del sentito’ or
‘raprresentazione’. So if you feel cold, there’s cold qua processo fisiologico of
a ‘corpo animato’ – ‘uninanimated bodies cannot FEEL cold’ – second there is
the unity of COLDNESS as distinctive from say, HEAT. And third there is the
concetto ‘’freddo’ – so that there is a ‘unita reflessiva del sentito’ – the
expression ‘freddo’ now NAMES or represents, or stands for the sensation
itself. Domenico D’Orsi. Orsi. Keywords: animo, amore, Ottaviano, Campailla,
Spaventa, gl’hegeliani di Napoli, Sophia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed
Orsi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742674470/in/datetaken/
Grice ed Ortes – il verso -- filosofia italiana –
Luigi Speranza -- (Venezia). Filosofo. Grice: “Being English, I was often confronted with that very
‘silly’ song by Cleese and Idle, but then they were never the first! Which is
good, since they are Cambridge and Ortes is Oxonian! Viva La Fenice!” -- Considerato
uno dei più dotati tra i filosofi veneti settecenteschi, precursore
nell'analizzare dal punto di vista della produzione complessiva alcuni aspetti
come popolazione e consumo. La sua impostazione filosofica si fonda su un
rigoroso razionalismo. Nel mercantilismo vide far gran confusione fra moneta e
ricchezza. Fu un sostenitore del libero scambio pur con alcune restrizioni
della proprietà che interessavano il clero, anche se appartenevano al passato ed
è considerato per questo un anticipatore di Malthus, ma con qualche contraddizione.
Malthus prevede l'aumento della popolazione, in trenta anni, in modo
esponenziale, quindi molto di più dell'aumento delle sussistenze. Altre saggi:
“Grandi, abate camaldolese, matematico dello Studio Pisano, Venezia, Giambatista
Pasquali, “ Dell'economia nazionale” (Venezia); “Sulla religione e sul governo
dei popoli” (Venezia); “Saggio della filosofia degli antichi” -- esposto in versi
per musica (Venezia); “Dei fedecommessi a famiglie e chiese,” Venezia, “Riflessioni
sulla popolazione delle nazioni per rapporto all'economia nazionale: errori
popolari intorno all'economia nazionale e al governo delle nazioni” (Milano,
Ricciardi), R. Donati (Genova, San Marco dei Giustiniani). Catalano, Dizionario
Letterario Bompiani. AMilano, Bompiani, Citazionio su Treccani L'Enciclopedia
Italiana. Quanto i suoi studi matematici influissero sul suo metodo
economico,vedremo; qui, brevemente, come in fluissero sulle sue considerazioni
filosofiche. Così, scrive egli delle opinioni (1) ed ecco si studia di ridurre
a (1) “Calcolo sopra il valore delle opinioni e sopra i piaceri e i dolori
della vita umana”, Venezia, Pasquali, ristampato dal Custodi,t.XXIV degli ECON.
MOD. FILOSOFIA IN FORMULE MATEMATICHE numero determinato il valore
dell'opinione, che alcun gode, per possedere certa qualità che lo pone innanzi
agli altri nella scelta degli oggetti piacevoli. Questa buona opi nione nasce o
dai natali,come la nobiltà,la patria ecc., o dallaprofessione,come la
milizia,lelettere ecc.,o da qualche prerogativa, come dall'autorità, dal merito
ecc. Ciascun uomo fornito di alcuna di queste qualità gode di qualche cosa che
non godrebbe se ne fosse privo. Ortes si studia di determinare il valore di
questi beni recati dall'opinione. Valga un esempio. Se si chiede quanto
aggiunga di valore alla nobiltà l'opinione della stessa, Ortes ragiona così: postoche
larenditagiorna liera di tutte le famiglie nobili sia 20,000, quella che
proviene da cariche,magistrature,commende ecc. 3,300, quella che vien data dall'opinione,cioè
coll'autorità di disporre di più posti, e colla riputazione dei grandi sul
volgo, a 700,posto che il numero di tutti i nobili sia 10,000, il valore di
tutta la nobiltà sarebbe espresso da 20,000 + 3,300 + 700 = 2. Falostessocoin
10,000 puto per le altre opinioni,di cui dice esser pretesto la virtù,ma
verofinel’interesseproprio,poichè,dipen dendo il valore delle opinioni dalla
ricchezza attuale o possibile, è manifesto che si deve prima d'ogni altra cosa
cercare l'utileproprio. Avverte che v'ha sempre un'opinione predominante che
varið col variare dei secoli: ai tempi di Roma li bera era la
conquista;sottoAugusto illusso;ilplato nismo ai tempi di Costantino;
l'investitura ai tempi di Gregorio VII ; le lettere sotto Leon X ;finalmente
lozio a tempi dell'autore! Strana è questa classificazione, 44
PIACERI E DOLORI. tuttavia 1?Ortes mostra come il pretesto della virtù coprisse
basse mire di privato interesse. Lo stesso ozio ha il suo pretesto dell'ordine,
benchè sia figlio di vana alterigia.L'uomo che dee servire a molte di queste
opi nionisaràpiùcivile,ma piùtimidoefinto;chiapoche; sarà più rozzo,ma anche
più sicuro e più libero. E come l’Ortes si studia di ridurre a calcolo le opi
nioni,così parimenti i piaceri e i dolori. Meno originale e meno astruso è
l'Ortes in questo scritto.Con molta inesattezza di idee e di lingua, espone
daprincipioladottrina chetuttociòcheèconforme alla conservazione e sviluppo del
nostro essere, genera piacere; il contrario,dolore; parla dei dolori e piaceri
delsenso,dei dolori e piaceri dell'opinione; mostra l'uomo naturalmente
soggetto al dolore, e che il piacere non è che un sollievo del dolore; con
ragionamento curioso studiasi mostrare che il piacere non può mai s u perare il
dolore, perchè il piacere essendo preceduto, secondo l'Ortes, dal dolore, sopito
che questo sia, tutto quel di più di piacere che si volesse applicare gene
rerebbe dolore contrario, come l'indigestione dopo la fame cessata, la
stanchezza dopo la danza ecc. Il calcolo del piacere e dei dolori dipende
dal grado della elasticità delle fibre onde alcuno è fornito,e,quanto ai
piacerie dolori d'opinione, dalla stima che ciascuno fadeglistessi. L'autore
nonpretendeanovitàdidot trina, professa di avere scritto secondo la propria
espe rienza, con un temperamento indolente é coisuoi sensi
inun'etàdimezzo.Vedrem poi com’eglistessone ab bia dato un giudizio severo. Due
altre opere filosofiche si hanno dell’Ortes : un ragionamento delle
scienze utili e delle dilettevoli per rapportoallafelicità umana;— e riflessioni
su gli oggetti apprensibili, sui costumi e sulle cognizioni umane per rapporto
alle lingue (1); ma si può dispensarsi dal tener dietro a questi discorsi, che,
a dir vero, son pesantissimi. In sostanza l'uno si riduce a mostrare l'ufficio
delle umane facoltà nella scienza e nelle arti belle,anche queste in
titolandole scienze ma dilettevoli,in contrapposto delle a ltre che chi ama
scienze utili; nelle scienze tiene il campo l'intelletto, nelle arti belle
l'imaginazione; quelle hannoperoggettoilverocom'è,questeilveroma ela borato
dalla fantasia. Quindi discorresi in quali termini sia concesso il lavoro
dell'imaginazione e concludesi sul tenore dell'epigrafe : Sol la scienza del
ver giova ed alletta. L'altro ebbe occasione dallatraduzione del Pope, perchè
volendo ragionare delle difficoltà del tradurre, si trova così accresciuta in
mano la materia, che piuttosto d’un proemio s’appiglia a farne un saggio a sè.
In fatto prende la cosa da alto, e filosofeggia sulla varietà reale degli
oggetti e sulla varietà nel modo di rappresentarseli, onde s'apre l'adito a
discorrere delle lingue e delle loro diversità, quindi intorno l'uso della
parola, e particolarmente intorno all'eloquenza. Infine ritorna donde era
partito, e conclude che se il traduttore può benissimo esporre le verità
apprese da altra lingua, non potrà tuttavia produrne tale impressione negli ani
mi, come ne è prodotta dall'originale, se non facendo sene come nuovo autore,
esprimendole cioè inmodo; tip. Pasquali. SUL MODO DI TRADURRE. Non si può
negare che osservazioni argute si tro vino spesso nell'Ortesa ncheinqueste
riflessionisugli oggetti apprensibili, suicostumi, e sulle cognizioni umane per
rapporto alle lingue; ma pur troppo è d'uopo cercarsele in una lettura assai
noiosa. Qualche volta dà risalto a quell'idea che vedremo poi sua prediletta in
economia, che cioè quello solo riesca ove siavi la pubblica persuasione, non
già ove questa non corrispondaagliimpulsi; e però egregiamente dice, che allora
un ammiraglio potea condurre gli’inglesi in
America, come un tempo un romito potea condurli in Soria, perchè gl’inglesi
stessi voleano e avean voluto così. Qualche volta, faticosamente sì, ma pur si
conduce a qualche sentenza netta e perspicua, come, p. es., dopo GOLDONI,
COLTURA ALLAMODA, PUB. OPINIONE. Adatto all'indolee ai pregi della propria lingua. Chi volesse calcare l'autore
straniero sarebbe come chi cre desse ricopiare un ritratto con soprapporvi
isuoi colori, coprendone così e confondendone letinte,ecangiando il quadro in
un mascherone o in un empiastro. necessità invece che gli scrittori s'accordino
sempre col carattere nazionale de'lettori; e qui l’Ortes osserva, che il
miglior poeta comico italiano de'suoi tempi potea bensi starsene in Francia per
passar quivi meglio i suoi giorni, ma non giammai perchè il suo talento comico
fosse così ben rilevato nella lingua francese a Parigi, come il fu già in
Venezia nel dialetto suo veneziano. Qualche volta sembrerebbe anche gaio,come
quando si lagna che, temendosi la fatica dello studio, si trascu rassero le
cognizioni vere, contentandosi di dizionari, giornali, compendi o altri
repertori per dilettare, diver tire,ocome diceano,per amuseare! È USO
DELLA PAROLA PEI GOVERNI avere deplorato che il mondo governisi da chi più
ciarla , non da chi più sa, egli conclude: se chi preten desse governar altri
senza render ragione del suo go verno,sarebbe uomo assai vano;ilsarebbe non men
certamente chi pretendesse governarli per sola copia ed eleganza di voci.
Qualche volta infine dimostrasi d'animo aperto e sollecito per le innovazioni.
« Qui cade a proposito (così egli) d'avvertire l'errore di quelli che si
figurano di richiamar nelle nazioni la verità e la ragione comune (cioè gli in
teressi comuni, pubblici, universali in contrapposto ai particolari, privati, speciali)
perquantovi sifosse smarrita, col rinovar quelle leggi che ne prescrivevano le modificazioni
a'tempi de'lorobisavoli, progetto al tutto assurdo e impossibile. La verità e
la ra » gione comune potrà ben richiamarsi per leggi, per quanto a'tempi
trasandati fosse stata più riconosciuta » per sè stessa in quei costumi, di
quel che il sia ai tempi presenti per costumi che la modificassero in contrario
di sè medesima; giacchè essa in sè stessa è una sola di tutti i luoghi e di tutti
i tempi; ma il richiamarla al presente per le sue modificazioni antiche, quando
tali modificazioni debbon ad ogni tempo esser diverse, non può essere che una
miseria » di mente, per cui si creda la natura non più capace » d'invenzioni in
sua natura, di quel che siasi un po vero consigliere segreto che creda operar
in sua rece. Chi declama contro i nuovi costumi che si vanno in » troducendo, e
deplora gli usati che si van disusando; ha molta ragione se inuovi costumi son
modificazioni di una ragion men comune, di quel che siano gli usatichea
quellidan luogo. Ma seinuovicostumi son » tanto buone modificazioni della comun
ragione, quanto gli usati che siperdono; ei declama inutilmente, come se
ciòfosse contro il variar de venti, essendo l’una e l'altra cosa quanto
innocente, tanto inevitabile e necessaria,e potendo,anzidovendo,quella comun
ragione,per disposizione di natura e per sapienza illimitata del supremo suo
artefice, praticarsi sempre per modificazioni diverse, e comparire in sembianze
ché non siano giammai le stesse, essendo nondimeno la stessa per sè medesima.
Senza questo una simile verità o ragione correrebbe rischio di non esercitarsi
che per inganno; ed è ancor vero che talvolta con richiamare la verità, la
ragione, e la religione stessa per le sole loro modificazioni esterne di tempi
molto remoti, si riesce a perdere tutto il senso reale ed interno di queste
virtù, incariabili per sè stesse, riducendole a quelle materiali loro
modificazioni esterne, senza alcun rapporto a quell interno lor senso e
significato. Si pigli intanto l'Ortes in parola, poichè avrem campo di trovarlo
in seguito così reluttante a certe modificazioni che non sembra quel desso.
Meglio avremo occasione di riandare alcuni suoi pensieri dello stesso libro,
che con certo apparato filosofico mettono innanzi quell'armonia degli interessi,
da lui tanto raccomandata nelle sue opere economiche. Ma lasciamo per ora
queste meditazioni di filosofia. Gianmaria Ortes. Ortes. Keywords: verso. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice ed Ortes” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690552167/in/photolist-2mPsU62-2mNaHiH-2mMYJP6-2mKHAhF-2mKDA5r-2mPvmTf
Grice ed Otranto – implicatura – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Otranto). Filosofo. Grice: “Otranto wrote a tractatus ‘de arte laxeuterii,’ which is
an art of ‘divination,’ as when we say that smoke divinates fire!” -- Grice:
“Had Otranto not written ‘scritti filosofici’ we wouldn’t call him a
philosopher!” – Filosofo. Sull'infanzia e sulla formazione poco è noto. Non si
sa dove oggiorna e studia, né chi siano stati i suoi maestri. La sua filosofia,
però, lascia immaginare una formazione molto solida. Insegna a Casole. Tradusse
la liturgia di Basilio ed altri testi liturgici per volontà del vescovo. Le sue
competenze linguistiche gli valeno inoltre degli incarichi diplomatici. Interprete
al seguito dei legati papali Benedetto, cardinale di Santa Susanna, e Galvani.
E a Nicea al seguito del re Federico di Svevia. Saggi: “L'arte dello
scalpello”, con una raccolta di testi geo-mantici ed astrologici; traduzioni di
testi liturgici; “Dialogo contro i giudei”; Tre monografie o syntagmata “Contro
i Latini” -- su questioni dottrinali significative nella polemica fra cattolici
ed ortodossi (quali la processione dello spirito santo o il pane azzimo);
un'appendice ai tre syntagmata; lettere e frammenti di lettere;. J Hoeck-R.J. Loenertz, Nikolaos-Nektarios von
Otranto Abt von Casole. Beiträge zur Geschichte der ost-westlichen Beziehungen
unter Innozenz III. und Friedrich II., Ettal. M. Chronz: Νεκταρίου, ηγουμένου
μονής Κασούλων (Νικολάου Υδρουντινού): « Διάλεξις κατά Ιουδαίων». Κριτική
έκδοση. Athena, L. Hoffmann: Der anti-jüdische
Dialog Kata Iudaion des Nikolaos-Nektarios von Otranto. Universitätsbibliothek
Mainz, Mainz, Univ., Diss., Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Homosexuality in a textual gap in what was going on
in Italian Byzantine convents under Roman rules. Longobards being raped, or
raping Greek monks. Nicola Nettario d’Otranto. Otranto. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ed Otranto” – The Swimming-Pool Library.
Grice ed Ottaviano – collettivismo – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Modica). Filosofo. Grice: “Perhaps with Holllinghurst, and Hogarth, of course,
Ottaviano is one of the few who have cherished in the analysis of ‘la curva’ or
‘la linea’ – and it has revived a debate which should fascinate a few!” Diplomatosi
a Modica, si laurea a Milano. Straordinario di Storia della Filosofia a Cagliari,
poi a Napoli, ottenne la cattedra, conseguendovi la libera docenza ne passò poi
a Catania, dove fonda e diresse l'Istituto di Magistero, insegnandovi. Fonda la
rivista “Sophia”. Grande conoscitore della filosofia del periodo medievale, di
cui peraltro ritrova e studiò molte opere inedite, elaborò una propria teoria. Delle due saggi, “Critica dell'Idealismo”
(Napoli,) e “Metafisica dell'essere parziale” (Padova), la prima ma fu ben
presto censurata e poi bruciata pubblicamente a causa della sua dura critica
all'Idealismo di Gentile. Questa sua opposizione a Gentile, nonché le sue critiche
a Croce, gli valeno dure vessazioni accademiche. Compone inoltre un ampio e comprensivo
Manuale di storia della filosofia (Napoli). Membro dell'Accademia d'Italia, si
occupa, per primo, della filosofia di Gioacchino da Fiore, esaltato d’Aligheri
nella Commedia, pubblicandone un saggio. Pubblica il codice di Oxford “Joachimi
Abbatis Liber contra Lombardum,” che attribuì a qualche seguace della scuola di
Fiore. Mentre celebrava, a Novara, Pietro Lombardo, riprese a parlare di Fiore,
presentandolo come un romantico "ante litteram" e un fautore della
nazione italiana. Segnalò pure due ignorati codici gioachimiti della biblioteca
Casanatense di Roma, occupandosi altresì della condanna di Gioacchino da parte
del Concilio Lateranense ed evidenziandone lo sgomento suscitato. Inoltre,
nella rivista Sophia, diretta da lui ed allora edita dalla MILANI di Padova,
diede spazio a vari studiosi gioachimiti. Sempre sull'argomento, ritenne
dapprima Gioacchino un triteista, ma, dopo aver visionato le tavole del Liber
figurarum, scoperto da L. Tondelli propese invece per un'ortodossia trinitaria.
Fonda e diresse un partito nazionale d'impronta social-liberale, che però non
ebbe seguito. Opere principali: Pietro Abelardo. La vita, le opere, il pensiero”
(Poliglotta, Roma); “Il "Tractatus super quatuor evangelia" di Fiore,
Archivio di filosofia, Padova, Testi medioevali inediti. Alcuino, Avendanth,
Raterio, Anselmo d’Aosta, Abelardo, Incertus auctor” (Olschki, Firenze); Joachimi
abbatis Liber contra Lombardum (Scuola di Gioacchino da Fiore), Reale Accademia
d'Italia Studi e documenti, Roma, Un documento intorno alla condanna di
Gioacchino da Fiore” (Rondinella, Napoli); Pier Lombardo, in Celebrazioni
piemontesi, Istituto d'Arte per la Decorazione e la Illustrazione del Libro,
Urbino); “Critica dell'Idealismo” (Rondinella, Napoli); “Metafisica dell'essere
parziale” MILANI, Padova); “La tragicità del reale, ovvero la malinconia delle
cose. Saggio sulla mia filosofia” (MILANI, Padova); Tommaso Campailla.
Contributo all'interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia,
introduzione e note D. D'Orsi” (MILANI, Padova); E. Scarcella, Dizionario
Biografico degli Italiani, D. D'Orsi, Il filosofo della quarta età: ricordo di Ottaviano,
quotidiano “La Sicilia”, Catania, di. D.'Orsi, Tra Socrate e Gesù: quattro anni
fa moriva, quotidiano “La Sicilia”, Catania,. E. Scarcella, Dizionario Biografico degli Italiani, stituto
dell'Enciclopedia Italiana, Roma,. Gioacchino da Fiore Massimiliano Pace, Info Magazine. Grice: “I
love Ottaviano: he had three main interests: philosophy, philosophy, and
philosophy. More specifically, as a Sicilian he was not interested in Italian
philosophy, which he found too continental; he loved a mediaeval – and he loved
Gentile – he corresponded extensively with him! La visione cristiana di Ernesto
Buonaiuti, F. Campitelli, Foligno 1924. A proposito di un libro sul
Prepositino, in «Rivista di filosofia neoscolastica», a. XX, 1928, pp. 366 –
371. Traduzione, prefazione e note di: Anselmus Cantuariensis, Opere
filosofiche, trad. pref. e note di C. Ottaviano, 3 vol., Carabba, Lanciano
1928. Metafisica del concreto. Saggi di una Apologetica del
Cattolicesimo, Angelo Signorelli editore, Roma 1929. Ricerche lulliane,
in «Estudis universitaris catalans», XIV, 1929, pp. 1 – 13. Pietro
Abelardo. La vita, le opere, il pensiero, Tipografia Poliglotta, Roma 1929.
Otto opere sconosciute di Raimondo Lullo, in «Rivista di cultura», maggio –
giugno 1929, pp. 214 – 224; luglio – agosto 1929, pp. 289 – 296; tradotta in
francese: L'Ars compendiosa de R. Lulle, avec une étude sur la bibliographie et
le Fond Ambrosien de Lulle, Paris 1930; ristampata sempre in francese: L'Ars
compendiosa de R. Lulle, avec une étude sur la bibliographie et le Fond
Ambrosien de Lulle, par Carmelo Ottaviano, Librairie philosophique J. Vrin,
Paris 1981. Guglielmo d'Auxerre. La vita, le opere, il pensiero,
Biblioteca di filosofia e scienze, Roma 1930. A proposito di un libro su
S. Anselmo, in «Rivista di filosofia neoscolastica», a. XXII, 1930, pp. 379 –
387. I problemi del realismo, in «Giornale critico della filosofia
italiana», n. 5, 1930. Le “Quaestiones super libro Praedicamentorum” di
Simone di Faversham, in «Memorie della R. Accademia dei Lincei» Serie VI, vol.
III, fasc. IV, Roma 1930. Traduzione, prefazione e note di: Tommaso
d’Aquino, Saggio contro la Dottrina averroistica dell’unità dell’intelletto,
Carabba, Lanciano 1930. Traduzione, prefazione e note di: Tommaso
d’Aquino, Saggio sull'essere e l'essenza e altri opuscoli, prefazione,
traduzione e note critiche di C. Ottaviano, Carabba, Lanciano 1930.
Frammenti abelardiani, in «Rivista di cultura», fasc. 11, Prof. P, Loescher,
Roma 1931, pp. 3 – 23. Il "Tractatus super quatuor evangelia"
di Gioacchino da Fiore, in «Archivio di filosofia», Parte I, Padova 1931, pp.
73 – 82. Osservazioni critiche sui presupposti del problema della
conoscenza. Il superamento dell'immanenza sulla base della nozione di
individuo, in «Archivio di filosofia», n. 3, novembre 1931, pp. 35 – 47.
Il pensiero e il suo atto, in «Archivio di filosofia», n. 4, dicembre 1931, pp.
20 – 31. La riforma della logica di Aristotele, in «Archivio di
filosofia», n. 4, dicembre 1931. Nota polemica, in «Rivista di cultura»,
n. 9 – 10, 1931. Le opere di Simone di Faversham e la sua posizione nel
problema degli universali, in «Archivio di filosofia», 1931. Traduzione,
curatela e note di: Tractatus de Universalibus attribuito a San Tommaso
d’Aquino, a cura di C. Ottaviano, Reale Accademia d'Italia, Roma 1932.
Introduzione, traduzione, prefazione e note di: Anselmo d'Aosta, Il Monologio,
Palermo 1932. Antologia del pensiero medioevale. Per le scuole medie
superiori, Ires, Palermo 1932. Testi medioevali inediti. Alcuino,
Avendanth, Raterio, S. Anselmo, Pietro Abelardo, Incertus auctor, a cura di
Carmelo Ottaviano, Olschki, Firenze 1933. Riccardo di San Vittore, la vita,
le opere, il pensiero, in «Atti della Reale Accademia dei Lincei», IV, n. 4,
1933, pp. 411 – 541. Traduzione, prefazione e note di: Bonaventura da
Bagnoregio, Itinerario della mente verso Dio, traduzione, prefazione e note di
C. Ottaviano, Antologia del pensiero medievale per le scuole medie superiori,
Palermo 1933. Il pensiero di Francesco Orestano, Ires, Palermo
1933. Il superamento dell'immanenza in B. Varisco, in «Archivio di
filosofia», n. 4, 1934. Traduzione e note di: P. Abelardus, Epistolario
completo. Contributo agli studi sulla vita e il pensiero di Pietro Abelardo,
trad. it. e note critiche di C. Ottaviano, Ires, Palermo 1934. Joachimi
abbatis Liber contra Lombardum. La Scuola di Gioacchino da Fiore, a cura di
Carmelo Ottaviano, Reale Accademia d'Italia - Studi e documenti, Roma
1934. Critica del principio d'immanenza, in «Rivista di Filosofia
Neoscolastica», a. XXVI, 1934, p. 559 - 577. Il perduto “Liber de
potentia, obiecto et actu” di Lullo in un manoscritto romano, in «Estudis
franciscans», luglio – dicembre 1934, pp. 257 – 268. Un documento intorno
alla condanna di Gioacchino da Fiore nel 1215, Rondinella, Napoli 1935 (poi
ripubblicato in "Siculorum Gymnasium", Università di Catania,
1949). Storia, filosofia della storia, scienza della storia, in «Rivista
di Filosofia Neoscolastica», a. XXVII, 1935, pp. 67 – 81. Un brano
inedito della Philosophia di Guglielmo di Conches, A. Morano, Napoli
1935. Il cosiddetto “riferimento necessario alla coscienza”
nell'idealismo, in AA. VV., Atti del IX Congresso nazionale di Filosofia,
(Padova 20 – 23 settembre 1934), Padova 1935, pp. 348 – 363. Novità in
filosofia, Milani, Padova 1935. Pier Lombardo, in Celebrazioni
piemontesi, Istituto d'Arte per la Decorazione e la Illustrazione del Libro,
Urbino 1936. Critica dell'Idealismo, Rondinella, Napoli 1936. (Pubblicato
nuovamente da Milani, Padova 1948) Traduzione, prefazione e note di:
Pietro Abelardo, L'origine delle monache; e La regola del Paracleto,
traduzione, prefazione e note di Carmelo Ottaviano, Carabba, Lanciano
1936. L'unica forma possibile di idealismo, in «Rivista di Filosofia
Neoscolastica», a. XXVIII, 1936, p. 47 – 64. La scuola attualista e Scoto
Eriugena, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», a. XXVIII, 1936, pp. 142 –
151. Riflessioni sulla polemica Orestano – Olgiati, in «Rivista di
Filosofia Neoscolastica», a. XXIX, 1937, pp. 83 – 86. Curatela di: T.
Campanella, Epilogo magno (Fisiologia italiana). Testo inedito con le varianti
dei codici e delle edizioni latine, a cura di C. Ottaviano, Reale Accademia
d'Italia, Roma 1939. Kritik des Idealismus, mit einer Einfuhrung von
Fritz-Joachim Von Rintelen: Realismus-Idealismus?, Aschendorff, Munster
1941. Metafisica dell'essere parziale, MILANI, Padova 1942. L'unità
del pensiero cartesiano e il cartesianesimo in Italia, MILANI, Padova
1943 Scritti (1928 – 1945) con 327 giudizi della critica italiana e
straniera, Tipografia agostiniana, Roma 1946. Panteismo o trascendenza,
in «Humanitas», n. 42, 1949. Il problema morale come fondamento del
problema politico, Milani, Padova 1952. L'idealismo trascendentale e la
metafisica classica, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», XLV (1953), pp.
535 – 570. La soluzione scientifica del problema politico, Rondinella
editore, Napoli 1954. Le incertezze della scienza moderna, Padova
1959. Progetto di un disegno di legge per salvare la Democrazia dalla
dittatura, MILANI, Padova 1961. Dalla democrazia ingenua alla democrazia
critica, MILANI, Padova 1961. Che cosa è il social-liberalismo, MILANI,
Padova 1962, Lineamenti programmatici per una riforma della scuola
italiana, MILANI, Padova 1962. Presentazione di: Agostino Sepinski,
Cristo interiore secondo San Bonaventura, presentazione C. Ottaviano. trad. di
suor M. Luisa Orgiani, Politica popolare, Napoli 1964. La tragicità del
reale, ovvero la malinconia delle cose. Saggio sulla mia filosofia, MILANI,
Padova 1964. Critica del socialismo: ossia Introduzione alla teoria della
proprietà per tutti, MILANI, Padova 1964. Introduzione alla teoria delle
proprietà per tutti, ovvero la mia soluzione al problema economico-politico, MILANI,
Padova 1968. Didattica e pedagogia. Ovvero la mia riforma della scuola, MILANI,
Padova 1968. La legge della bellezza come legge universale della natura.
Considerazioni teoretiche e applicazioni pratiche, MILANI, Padova 1969.
Manuale di Storia della filosofia, 3 vol., La Nuova Cultura, Napoli 1970.
Manuale di storia della filosofia e della pedagogia, La Nuova Cultura, Napoli
1972. Appunti di pedagogia contemporanea, 1974 Personalismo
e collettivismo. Introduzione alla teoria della proprietà privata per tutti,
Solfanelli, Chieti 1978. Tommaso Campailla. Contributo
all'interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia, introduzione e
note a cura di Domenico D'Orsi, MILANI, Padova 1999.
«Sophia: fonti e studi di storia della filosofia» Da a. 1, n. 1
(gen./mar. 1933) A a. 41, n. 1/4 (gen./dic. 1973).- Palermo: Ires, 1933-1973. -
39 v. Trimestrale. Il complemento del titolo varia in: rivista internazionale
di fonti e studi di storia della filosofia; poi in: rassegna critica di
filosofia e storia della filosofia. Luogo ed editore variano in: Napoli, A.
Rondinella; poi in: Padova, Milani. Alcuni degli articoli più significativi
scritti da Ottaviano per Sophia: Le «rationes necessariae» in S. Anselmo,
in Questioni e testi medievali , in «Sophia», n. 1, 1933, pp. 92 – 97. Novità
abelardiane, in Questioni e testi medievali , in «Sophia», n. 1, 1933, pp. 99 –
101. Storicismo attualista, in «Sophia», n. 2, 1933, pp. 135 – 143. Storicismo
attualista, seconda puntata, in «Sophia», n. 1, 1934, pp. 149 – 164.
Controversie medievali. A proposito della paternità tomistica di un “Tractatus
de universibus”, e della data del “De unitate intellectus”, in «Sophia», n. 1,
1935, pp. 134 – 140. Intorno al IX Congresso nazionale di Filosofia di Padova,
in «Sophia», n. 2, 1935, pp. 285 – 287. Intorno alla critica dell'immanenza, in
«Sophia», n. 2, 1935, pp. 288 – 290. Critica del principio di immanenza, in
«Sophia», n. 3 – 4, 1935, pp. 543 – 569. A proposito della storia, in «Sophia»,
n. 3 – 4, 1935, pp. 613 – 617. I grandi idealisti contemporanei, in «Sophia»,
n. 3 – 4, 1935. L'idealismo sulla via di Damasco, in «Sophia», n. 3 – 4, 1935.
Contraddizioni idealistiche, in «Sophia», n. 3 – 4, 1935. La fondazione del
realismo, in «Sophia», n. 2 – 3, 1936. Postilla alla “Difesa del principio di
immanenza”, in «Sophia», n. 2 – 3, 1936. Postilla a “Immanenza, idealismo e
realismo”, in «Sophia», n. 2 – 3, 1936. Idealisti per forza, in «Sophia», n. 1
– 2, 1937. Ancora sulla fondazione del realismo, in «Sophia», n. 3, 1937.
Fanatismo idealista, ovvero l'agonia dell'Idealismo, in «Sophia», n. 3, 1937.
Nuova illustrazione del documento intorno alla condanna di Gioacchino da Fiore
nel 1215. Postilla, in «Sophia», n. 3, 1937, pp. 360 – 365. Intorno
all'idealismo e al realismo, in «Sophia», n. 4, 1937. Postilla all'art. di
Chiocchetti: “A proposito dell'idealismo di C. Ottaviano”, in «Sophia», n. 3,
1939. Anti-moderno, in «Sophia», n. 3, 1939, pp. 265 – 281. Intorno alla
critica all'idealismo, in «Sophia», n. 2, 1940. Intorno alla valutazione della
filosofia moderna, in «Sophia», n. 4, 1940, pp. 483 – 506. La teoria delle
“species” e l'idealismo immanentistico, in «Sophia», n. 1, 1943. La natura
della sensazione e la fondazione del realismo, in «Sophia», n. 3, 1946.
Referendum ai nostri Lettori in occasione della ripresa delle Rivista, in
«Sophia», n. 1 – 2, 1944 – 45 – 46. Francesco Orestano [1873 – 1945], in
«Sophia», n. 12 – 13 – 14, 1944 – 45 – 46. Il vero significato della relatività
galileiana nel movimento, in «Sophia», n. 3 – 4, 1947, pp. 285 – 330. Natura
pura e soprannaturale, in «Sophia», n. 2, 1949. I fondamenti logici della
relatività, in «Sophia», n. 1, 1950, pp. 37 – 50. Gli argomenti probativi
dell'evoluzionismo, in «Sophia», n. 2, 1950. Intorno al significato storico
dell'idealismo italiano, in «Sophia», n. 1, 1951. Intorno alla legge di
conservazione dell'energia, ossia del materialismo, in «Sophia», n. 1, 1951.
Intuizionismo e logicismo in matematica, in «Sophia», n. 3 – 4, 1951, pp. 342 –
345. Intorno alla gratuità dell'ordine soprannaturale, in «Sophia», n. 1, 1952,
pp. 39 – 45. Postilla a E. Riverso, Aporie e difficoltà del Positivismo logico,
in «Sophia», n. 2, 1953. Valutazione critica del pensiero di B. Croce. 1)
L'estetica, in «Sophia», n. 1, 1954. Valutazione critica del pensiero di B.
Croce. 2) Lo storicismo assoluto, in «Sophia», n. 1, 1954. Bilancio di
Benedetto Croce, in «Sophia», n. 2 – 3, 1954. Einstein filosofo, in «Sophia»,
n. 3 – 4, 1954, pp. 260 – 274. Giudizio intorno alla Logistica, in «Sophia», n.
1, 1956. Logica, matematica, poesia, in «Sophia», n. 1 – 2, 1957, pp. 3 – 32.
Crolla l'idolo einsteiniano, in «Sophia», n. 2, 1960, pp. 213 – 217. Il
“compagno Scioccherellov”, ossia la tragicommedia del comunismo, in «Sophia»,
n. 3 – 4, 1960, pp. 450 – 453. Mi intrattengo ancora con il “compagno
Scioccherellov”, in «Sophia», n. 2 – 3, 1961, pp. 358 – 359. “Individui di
tutto il mondo unitevi”, ossia Critica della democrazia come idea-forza, in
«Sophia», n. 2 – 3, 1961. Giudizio su Benedetto Croce come uomo politico, in
«Sophia», n. 4, 1961. L'assalto alla diligenza, ossia la scuola privata
ecclesiastica e laica all'assalto del tesoro della Stato, in «Sophia», n. 4,
1961, pp. 437 – 439. Difesa della scuola statale, ossia l'Antistato contro lo
Stato, in «Sophia», n. 1 -2, 1962, pp. 25 – 50. L'“ordine della scuola
italiana”, in «Sophia», suppl. n. 2 al n. 1 -2, 1962. In difesa dell'umanità
Abbasso gli scienziati, viva i filosofi!, in «Sophia», n. 1 -2, 1965. Come
integrare la dottrina relativistica di Einstein, in «Sophia», n. 3 -4, 1966,
pp. 233 – 274. Scritti sull'autore AA. VV., Carmelo
Ottaviano nella filosofia del Novecento, Atti dei convegni tenuti a Milano e
Catania nel 2007, a cura di Francesco Rando e Francesco Solitario, Prometheus,
Milano 2008. A. Cartia, Tempo, memoria e infinito. I temi del tragico
nell'opera di Carmelo Ottaviano, a cura di Alessandro Ghisalberti e Francesco
Rando, Prometheus, Milano 2013. G. Bontadini, Dall'attualismo al
problematicismo, Brescia 1950, p. 146. F. Coniglione, «Sophia». Nel segno
di Ottaviano: una rivista a tutto campo, in AA. VV., La cultura filosofica
italiana attraverso le riviste, a cura di Piero Di Giovanni, Franco Angeli,
Milano 2006, pp. 89-124. B. Croce, Conquiste filosofiche a passo di
carica e a suon di tromba, in «La Critica», XL, 1942, pp. 173 – 174. D.
D'Orsi, Il filosofo della quarta età: ricordo di Carmelo Ottaviano nel
trigesimo della morte, quotidiano “La Sicilia”, Catania, del 23/02/1980.
D. D'Orsi, Tra Socrate e Gesù: quattro anni fa moriva il filosofo Carmelo
Ottaviano, quotidiano “La Sicilia”, Catania, del 24/01/1984. D. D’Orsi,
Appunti autobiografici ed evoluzione filosofica di Carmelo Ottaviano, in
Archivium Historicum Mothycense, V (1999), pp. 57 – 68. D, D’Orsi,
Metamorfosi di un'opera quale compendio di una vita filosofica, Introduzione a
Carmelo Ottaviano, Tommaso Campailla. Contributo all'interpretazione e alla
storia del cartesianesimo in Italia, introduzione e note a cura di Domenico
D'Orsi, MILANI, Padova 1999. A. Del Noce, Il problema dell'ateismo,
Teismo e Ateismo politici: postulato del Progresso e postulato del Peccato, Il
Mulino, Bologna 1964, pp. 519 – 520 n. 8. A. Del Noce, Giovanni Gentile,
Il Mulino, Bologna 1990, pp. 35 – 36 n. 24. R. Di Tommasi, Compendio di
una vita filosofica: Carmelo Ottaviano, in Voci dal Novecento, a cura di Ivan
Pozzoni, Limina Mentis Editrice, Villasanta 2010, pp. 331-378. C. Ferro,
L'«antimoderno» di Carmelo Ottaviano, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica»,
XXXII (1940), pp. 492 – 496. E. Garin, Cronache di filosofia italiana
1900/1943, laterza, Bari 1966, p. 460. V. Mathieu, La filosofia del
Novecento. La filosofia italiana contemporanea, Le Monnier, Firenze 1978, pp.
116 – 117. C. Mazzantini, La riduzione ad absurdum dell'immanenza
gnoseologica, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», Anno XXVI, Fascicolo
III, maggio 1934, Vita e Pensiero, Milano. P. Mazzarella, Il contributo
di Carmelo Ottaviano agli studi di filosofia medievale, in «Sophia», n. 3 – 4,
1956, pp. 334 – 376. P. Mazzarella, Tra finito e infinito. Saggio sul pensiero
di Carmelo Ottaviano, Milani, Padova 1961. P. Mignosi, Carmelo Ottaviano,
in «La Tradizione», n. V – VIII, 1929. F. Minazzi, Il principio di
immanenza nel dibattito filosofico italiano degli anni Trenta: il confronto tra
Giulio Preti e Carmelo Ottaviano, in numero monografico de «Il Protagora»,
Aspetti e problemi della filosofia italiana contemporanea, a cura di Antonio
Quarta, XXVIII-XXIX, gennaio 1988 - dicembre 1989, IV serie, nn. 13-16, pp.
245-274. E. Scarcella, «OTTAVIANO, Carmelo» in Dizionario Biografico
degli Italiani, Volume 79, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma,
2013. M. F. Sciacca, Di una recente critica del principio di immanenza,
in «Ricerche filosofiche», anno V, fasc. II, 1935, pp. 127 – 133. M.F.
Sciacca, Il secolo XX, Bocca, Milano 1942, vol. I, p. 665 n
Ottaviano. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ed Ottaviano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51741935518/in/datetaken/+
Grice e Pace – implicatura – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Berga). Filosofo. Grice: “I love the fact that Pace, like me, is a Protestant, and
married one! This should deduce the defeasibility of non-monotonicity: ‘all
Italians are Catholic;’ he surely wasn’t --- and neither is Speranza, or
Ghersi, two other fervent ‘protestanti’!” Grice: “I love Pace – in a way he reminds me
of myself when I was teaching Aristotle’s Categoriae at Oxford! – A good thing
about Pace is that he stopped saying that he was commenting on Aristotle – his
Casaubon edition is still very readable – and tried to compose his own
‘Institutiones logicae,’ as he did – As Kneale once told me, ‘This made Pace a
logician, and not just a commentator!” -- Italian essential philosopher. Studia
a Padova, dove fu allievo di Menochio e Panciroli. Aderì alla religione
riformata e intimorito dagli ammonimenti delle autorità religiose patavine, si
rifugiò a Ginevra, il principale centro del Calvinismo. Divenne professore.
Tradusse Aristotele – “In Porphyrii Isagogen et Aristotelis Organum: Commentarius
analyticus.” A Ginevra sposò Isabella Venturina, protestante originaria di
Lucca. Ottenne la cattedra a Heidelberg. Pronuncia una famosa prolusione,
“De iuris civilis difficultate ac docendi method”. Fu coinvolto in una polemica
con Gentili. Gentili, non avendo ottenuto la cattedra di Istituzioni alla quale
aspirava, accusò Pace di averlo boicottato e gli rivolse delle offese in un
componimento poetico indirizzato a Colli. Offeso, lo denunciò davanti al Senato
accademico, costringendolo infine a lasciare Heidelberg per Altdorf. Ebbe
anch'egli fastidi con le autorità accademiche di Heidelberg per le sue simpatie
per il Ramismo Insegnò a Sedan, Ginevra,
Montpellier, Nîmes, Aiax, e Valence. Rese pubblica la sua abiuria al
protestantesimo; quell'anno ebbe la cattedra a Padova e scrisse “De Dominio
maris Adriatici”, un'opera a favore della Repubblica di Venezia che gli valse anche
il cavalierato. La sua edizione dell'Organon di Aristotele, fu inclusa in un'edizione
delle opere di Aristotele edita da Casaubon
ed ebbe ampia diffusione. Pubblicò a Sedan le “Institutiones logicae” e a
Francoforte il suo importante commento In Porphyrii Isagogen et Aristotelis
Organum, Commentarius Analyticus. Saggi:
“De dominio maris Adriatici” (Imp. Caes. “Iustiniani Institutionum libri IV,
Adnotationibus ac notis doctiss. scriptorum illustrati & adaucti. Quibus
adiunximus appendicis loco, leges XII tab. explicatas. Vlpiani tit. XXIX
adnotatos; Caii libros II Institut. Studio & opera Ioannis Crispini At. In
ac postrema editione accesserunt” Ginevra: apud Eustathium Vignon). Ἐναντιόφαν.
seu Legum conciliatarum centuriae III, Spirae: typis Bernardi Albini, De rebus
creditis, seu De obligationibus qua re contrahuntur, et earum accessionibus, ad
quartum librum Iustinianei Codicis, Commentarius; accesserunt tres indices,
Spirae Nemetum: apud Bernardinum Albinum, “Tractatus de contractibus et rebus
creditis, seu de obligationibus quae re contrahuntur et earum accessionibus, ad
quartum librum Iustinianei Codicis, doctissimi cuiusdam I.C. commentarius.
Accesserunt tres indices, vnus titulorum, eo quo explicantur ordine
descriptorum, alter eorundem titulorum ordine alphabetico, tertius rerum &
verborum in toto opere memorabilium, Parisiis: apud Franciscum Lepreus, Isagogica
in Institutiones imperiales, Lyon,
Barthélemy Vincent, Oeconomia iuris utriusque, tam civilis quam canonici, Lyon, Barthélemy Vincent, Methodicorum ad
iustinianeum Codicem libri, Lyon,
Barthélemy Vincent, Analysis Codicis, Lyon, Barthélemy Vincent, Artis Lullianae
emendatae libri IV Quibus docetur methodus, ad inueniendum sermonem de
quacumque re, Valentiae: apud Petrum Pinellum, De dominio maris Hadriatici,
Lyon, Barthélemy Vincent. Benedictis, «Gentili, Scipione, Dizionario Biografico
degli Italiani, Roma: Istituto della
Enciclopedia Italiana, C. Vasoli, Scienza, dimostrazione e metodo in un maestro
aristotelico dell'età di Galilei: “Profezia e ragione” (Napoli, Morano); Aristotelis
Stagiritae peripateticorum principis Organum, Morges, Operum Aristotelis”. Dizionario
biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. G. Acquaviva e TuScovazzi, Il dominio di
Venezia sul mare Adriatico” (Milano: Giuffrè); A. Franceschini, Giurisprudenza,
Venezia: Officine Grafiche di Carlo Ferrari, Philippe Tamizey de Larroque, Jules Pacius de
Beriga: compte-rendu du mémoire de M. Ch. Revillout avec documents inédits,
Paris: V. Palmé, Marine Bohar, « Giulio
Pace da Beriga et sa De iuris civilis difficultate ac docendi methodo oratio. Présentation
et traduction », Revue d'Histoire des Facultés de Droit. TreccaniEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera. Opere openMLOL, Horizons Unlimited srl. Grice:
“A very systematic logician, and especially interesting being from Vicenza. In
fact, he came from Berga, the centre of Vicenza. Quite unlike our Occam who
came from Surrey! My special interest is in the particular treatment of
‘interpretatio’ in general. He is one of the licei, i. e. peripathetics, which
is nice. By interpretatio in general he means ‘hermeneia’. And he distinguishes
then between the MATERIA – of the vehicle of expression, say, the physical
sound – ‘vox’ – or any other physical channel one uses to signify something –
and the FORM, the signatum itself. The term he uses is “NOTA”, so a particular
bit of something – say, a tear – is a SIGN or NOTA of some affection (pathos)
in the soul. From there he builds his whole system of communication. There are
two types of NOTA, in terms of subject-predicate terministic logic – conjoined
by the copula. He is a practical logician and does not much dwell on the topic
of what relation this “NOTARE” is – But he does make the usual point that while
a THING (res) gets ‘notated’ by an idea (or passion) in the soul – this notatio
is ‘naturalis’. Whereas the notatio between a particular physical bit (say, a
tear) and some idea or passio of the soul is artificial, as any cocrodile
knows!” -- Opere. Keywords: dialettica, Aristotele, Porfirio, Boezio,
categoria, praedicamentum. Giulio Pace. Pace. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Pace” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692091995/in/photolist-2mPSXPb-2mPVkio-2mPQGvz-2mPKvMM-2mPAuFE-2mPiqeP-2mNzeEc-2mNaHiH-2mN8Hgb-2mN35cA-2mLLZRD-2mLFz5i-2mLGod1-2mKFrQ6-2mLGv16-2mKQW9n-2mPq5pS-2mKG3XG-2mPs71e-2mKMjs5-2mKC3nj-2mKCnei-2mKyErQ-2mPE3Bq-2mKRu2r-2mKCfz1-DhRHD2-jgWnTm-jhFt4p-jhJqzU-hSTpSd-Eoj4SX-DvhhWW-CfbuaM-CntuMM-nBVxwm-nBVKvy
Grice e Paci – relazione – filosofia italiana – Luigi
Speranza -- (Monterado). Filosofo. Grice: “Paci’s essay on Vico by far
exceeds anything that Hampshire wrote about him – magnificent title, too,
“ingens sylva.” -- “There are many things I love about Paci: first, he adored
Jabberwocky, as he states in his “Il senso delle parole.” Second, he loved
Russell’s theory of relations, as he states it in “Relazione e significati.”
Third, he agrees with me that Heidegger is the greatest philosopher of all
time, as he states in his masterpiece, “Il nulla.” Grice: “Paci used to say,
with a smile, that it was ironic that he was born in Monterado and that he had
written an essay on ‘Il nulla,’ seeing that “Monterado is, today, well, il
nulla.”” Italian essential philosopher «Avevo
ben presto compreso che il costume di Paci era quello di discutere liberamente
con chiunque di tutto, senza alcuna prevenzione o pregiudizio.» (Carlo
Sini). Tra i più espressivi rappresentanti della fenomenologia e
dell'esistenzialismo in Italia. Nato a Monterado (provincia di Ancona),
intraprese gli studi elementari e medi a Firenze e Cuneo. Nel 1930 si iscrisse
al corso di filosofia dell'Università degli Studi di Pavia, seguendo
soprattutto le lezioni di Adolfo Levi. Nel frattempo collaborò con Anceschi
alla rivista Orpheus. Si trasferì dopo due anni all'Università degli Studi di
Milano dove divenne allievo di Antonio Banfi, con il quale si laureò nel
novembre del 1934 discutendo una tesi dal titolo Il significato del Parmenide
nella filosofia di Platone. Collabora alla rivista Il Cantiere. Nel 1935
iniziò il servizio militare nell'esercito, ma nell'ottobre del 1937 viene
congedato. Richiamato nel 1943 come ufficiale allo scoppio della seconda guerra
mondiale, venne catturato in Grecia dopo l'8 settembre 1943 e inviato presso il
campo di prigionia di Sandbostel. Trasferito successivamente nella struttura di
Wietzendorf, qui ebbe modo di conoscere Paul Ricœur, con il quale riuscì in
quella sede a leggere Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica
di Edmund Husserl e a costruire un rapporto di amicizia. Incominciò la
sua carriera di docente insegnando filosofia teoretica all'Pavia, mentre, a
partire dall'anno accademico 1957-1958, successe a Giovanni Emanuele Barié
all'Università Statale di Milano. Dopo aver inizialmente collaborato con
la rivista Filosofia, nel 1951 fondò la rivista aut aut, che diresse fino al
1976; il periodico costituisce una testimonianza dei suoi variegati interessi
letterari e culturali. Il nome della rivista richiama dei testi più famosi del
filosofo danese Søren Kierkegaard, precursore dell'esistenzialismo nel suo
proposito di accogliere l'irriducibile paradossalità dell'esistenza e
l'ostacolo che questa impone al sapere. Tra i suoi allievi più famosi
ricordiamo Giovanni Piana, Carlo Sini, Salvatore Veca, Pier Aldo Rovatti, Mario
Vegetti, Guido Davide Neri. Pensiero Carlo Sini individua l'inizio
dell'intera speculazione filosofica di Paci già a partire dalla sua tesi di
laurea: in alcune frasi della breve Prefazione vediamo il filosofo marchigiano,
ancora ventitreenne, esprimere una specifica interpretazione della filosofia
dell'esistenza, dimostrando già un grado elevato di comprensione del proprio
tempo e delle proprie inclinazioni. L'esistenzialismo Paci giunge perciò
all'esistenzialismo attraverso lo studio di Platone. Base dell'esistenzialismo
di Paci è la relazione, intesa come condizione di esistenza di tutti gli
avvenimenti che costituiscono il mondo. Evento è anche l'io, che si conosce
come esistenza finita ed empirica in rapporto ad altre esistenze. Dalla pura
condizione esistenziale del fatto, attraverso la conoscenza, Paci definisce la
condizione dell'uomo come personalità morale. L'io conoscente è la chiara
forma della legge morale che fa sì che ogni io, in quanto conosciuto e
molteplice e in quanto esistenza, possa diventare soggetto singolo come
soggetto di scelta etica. Poiché in virtù del principio di irreversibilitàche,
insieme al principio di indeterminazione (impossibilità che il conoscente si
conosca a un tempo come conosciuto e come conoscente), è uno dei punti di
riferimento del sistema di Pacila forma non è mai definitiva, e al contempo
ogni questione risolta pone sempre nuovi problemi, ne deriva che il realizzarsi
dell'esistente "uomo" nella forma significa un continuo progresso che
va dal passato, il quale non si può ripetere e non è annullato dal presente,
verso il futuro. Il non realizzarsi in questa forma, non seguendo il progresso
e arrestandosi a una forma di ordine più basso, costituisce l'immoralità, il
male. Il negativo come risorsa La riflessione filosofica di Paci parte
dalla consapevolezza del negativo, della mancanza come base e nucleo iniziale
dell'esistenza umana. Un negativo che si fonda soprattutto sulla base del tempo
e della sua irreversibilità, che ci costringe a fare i conti perennemente con
un passato irreversibile, con un futuro sconosciuto e con un presente
inesistente perché continuamente in fuga. Ma il negativo si riflette anche
nella soggettività e nella limitazione del nostro punto di vista: non possiamo
avere nessuna visione della realtà che non sia filtrata dalla nostra
"singolarità", dal nostro essere un io. Tuttavia questa
"mancanza" eterna, questo limite, è nello stesso tempo una risorsa:
il tempo, quindi, non è una condanna per l'uomo, ma è ciò che permette la sua
esistenza come temporalità; d'altra parte l'alterità è risorsa proprio in
quanto altro da sé. L'io infatti si riconosce solo in quanto confrontato con un
altro, e sono quindi gli altri a dare conformazione e identità al nostro io, e
questo processo è fruttuoso, forte e orientato se il soggetto sa e si impegna a
stringere "relazioni". Da qui si possono capire le due
definizioni date alla filosofia paciana: l'una dello stesso filosofo che
definiva il suo pensiero come relazionismo, e l'altra invece di Nicola
Abbagnano, che lo definì "esistenzialismo positivo": positivo proprio
perché cerca di capovolgere l'insensatezza e la mancanza alla base
dell'esistenza in una possibilità, una risorsa di riflessione e progettualità.
La vita umana per Paci si fonda infatti su un bisogno (bisogno di senso nel
tempo, bisogno di altro); questo bisogno si traduce in un lavoro esistenziale,
che implica un consumo: di tempo, di vita, di riflessione. Questo sistema bisogno-consumo-lavoro
sta alla base di ogni vita umana. Tuttavia l'uomo ha una possibilità, una
possibilità di "salvarsi" dall'insensatezza (o di provarci,
quantomeno), e tale possibilità si trova nel lavoro. Il lavoro esistenziale
(inteso come l'impegno che si investe nel condurre la propria vita) può infatti
essere orientato dalla consapevolezza e dal continuo impegno intellettuale di
ricerca di senso anche e soprattutto mediante la relazione. Questa ricerca di
senso si traduce, alla base, nell'esercizio dell'epoché. L'epoché Termine
fondamentale della filosofia di Husserl, filosofo che Paci ebbe come punto di
riferimento per tutta la vita, l'epoché si traduce in una ricerca di senso
continua e inesausta che presuppone un abbandono di tutte le categorie di pensiero
che siamo abituati ad utilizzare. In questo senso è emblematico l'episodio che
Paci stesso racconta riguardo al suo approccio all'epoché. Studente di
filosofia, si recò nell'ufficio di Antonio Banfi (il suo "maestro"
per eccellenza) per chiedere spiegazioni sul concetto di epoché. Banfi gli
chiese di descrivere un vaso che si trovava lì vicino a loro. Tuttavia,
qualunque definizione Paci provasse a dare (colore, forma geometrica, uso)
cadeva in una categoria di giudizio posteriore all'oggetto stesso, o comunque
soggettiva (il colore dipende dalla luce, la forma geometrica si rifà a
categorie astratte che l'uomo ha inventato, l'uso è indipendente dall'oggetto
stesso). L'epoché, quindi, si costituisce come ricerca di una visione
"originaria". Compito difficilissimo (Husserl lo definiva impossibile
ed inevitabile), l'esercizio dell'epoché non si deve tradurre in
un'impossibilità di giudizio, ma nella consapevolezza che qualunque giudizio è
parziale, soggettivo. Se applicata alla vita, all'esistenza, l'epoché si
traduce in una continua ricerca dell'originario, della verità, di una verità
ulteriore che si annida nel mondo, negli altri, negli oggetti, nei luoghi, in
tutto ciò che forgia la nostra esistenza. Una verità che l'uomo può cercare, e
che si annida nel percorso stesso di ricerca e riflessione, e soprattutto nella
capacità di creare relazioni autentiche. In Tempo e verità nella fenomenologia
di Husserl, Paci individua nell'epoché quasi un carattere religioso, criticando
la ridotta disamina del concetto da parte di Martin Heidegger ed Emmanuel
Lévinas, che lo considerarono come se si trattasse di un metodo puramente
gnoseologico. Relazione e riflessione La relazione è per Paci qualcosa di
fondamentale e ulteriore dotato di un profondo significato esistenziale. Paci
scriveva che la relazione prescinde i due soggetti che la intrecciano: è un
concetto "nuovo", "terzo", che è tanto più significativo
quanto più i soggetti sono disposti a farsi mutare consapevolmente da essa e
dal lavoro di riflessione che ne segue. La relazione va cercata, coltivata,
resa e mantenuta continuamente autentica, anche se conflittuale. La riflessione
infine, come salvezza dall'irreversibilità del tempo, ricrea e analizza il
passato per ricercarne ancora il senso, e proiettare questa ricerca nel futuro
di un progetto. Epoché, riflessione e relazione costituiscono, riassumendo, il
lavoro esistenziale di ricerca di senso. La filosofia di Paci si traduce
dunque in una continua, consapevole e dolorosa ricerca di un senso che possa
capovolgere la situazione tragica dell'esistenza mediante il lavoro, l'impegno.
In questo Paci si distanzia da Jean-Paul Sartre e dalle conclusioni del
filosofo francese, che Paci ammirava e considerava uno stimolo continuo per la
sua riflessione. Il negativo, infine, sempre presente nell'investigazione
filosofica di Paci (ancor di più nell'ultima parte della sua vita), rimane
punto essenziale della ricerca umana, laica e faticosa di un senso, di una verità
ulteriore. Opere: “Il Parmenide di Platone” (Milano_ (cf. L. Speranza,
“Grice, Wiggins, e il Parmenide di Platone”). Principato, “Principii di una filosofia
dell'essere” (Modena, Guanda); “Pensiero, esistenza e valore” (Milano-Messina,
Principato); “L'esistenzialismo” (Padova, MILANI); “Esistenza ed immagine” (Milano,
Tarantola); “Socialità,” Firenze, Le Monnier, “Ingens Sylva: saggio sulla
filosofia di Vico,” Milano, Mondadori, “Filosofia antica”, Torino, Paravia, “
Il nulla” Torino, Taylor, “Esistenzialismo e storicismo, Milano, Mondadori, “Il
pensiero scientifico” Firenze, Sansoni, “L'esistenzialismo,” in Luigi Rognoni e
Enzo Paci, L'espressionismo e l'esistenzialismo, Torino, Edizioni Radio
Italiana, “Tempo e relazione” (Torino, Taylor, Dostoevskij, Torino, Edizioni Radio
Italiana, “Ancora sull'esistenzialismo” Torino, Edizioni Radio Italiana, Dall'esistenzialismo
al relazionismo, Messina-Firenze, D'Anna, Storia del pensiero presocratico,
Torino, Edizioni Radio Italiana, La filosofia contemporanea, Milano, Garzanti, Diario
fenomenologico, Milano, Il Saggiatore, Breve dizionario dei termini greci, in
Andrea Biraghi, “Dizionario di filosofia,” Milano, Edizioni di Comunità, “Tempo
e verità nella fenomenologia,” Bari, Laterza, “Funzione delle scienze e
significato dell'uomo, Milano, Il Saggiatore, “Relazioni e significati” Milano,
Lampugnani Nigri, Idee per una enciclopedia fenomenologica, Milano, Bompiani, Enzo
Paci, Fenomenologia e dialettica, Milano, Feltrinelli, Il senso delle parole, Pier
Aldo Rovatti, Milano, Bompiani,. Note
Sini22. Civita. Sini.
Pecora356. Storia, aut aut. 5
luglio. Vigorelli. Paci.
Alfredo Civita, degli scritti di
Enzo Paci, Firenze, La Nuova Italia, Andrea Di Miele, La cifra nel tappeto:
note su Paci interprete di Vico, in Bollettino del Centro di studi vichiani.
Anno XXXVII, Roma, Edizioni di storia e letteratura, Paolo Ercolani, Enzo Paci,
il caldo romanzo di una prassi teorica, in Il manifesto, Costantino Esposito,
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Pensier oFilosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Tempo e verità
nella fenomenologia di Edmund Husserl, Bari, Laterza, M. Pecora, La cultura
filosofica italiana attraverso le riviste, in Rivista di storia della
filosofia, Giovanni Piana, Una ricerca ininterrotta. La lezione di Enzo Paci,
in L'Unità,Giuseppe Semerari, L'opera e il pensiero, in Rivista Critica di
Storia della Filosofia, C. Sini, Enzo Paci. Il filosofo e la vita, Milano, Feltrinelli,
C. Sini, Enciclopedia ItalianaIV
Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, A. Vigorelli, L'esistenzialismo
positivo Milano, Franco Angeli, 1987. Amedeo Vigorelli, La fenomenologia husserliana
Milano, Franco Angeli, aut aut Edmund Husserl Esistenzialismo Scuola di Milano Enzo
Paci, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Contributo per
una nuova cultura, Saggiatore; Cenni per un nostro clima, Orpheus, Problema dei
giovani. Orpheus », n. 3, pp. 2-4. 3304 - In margine a un'inchiesta, « Orpheus,
Appunti per la definizione di un atteggiamento, Orpheus, B. Croce, Poesia
popolare e poesia d'arte, Bari 1933, « Orpheus, Il nostro realismo storico, « Il
cantiere », anno I, n. 4, 24 marzo. 3402 - Valore della polemica per il
realismo, « Il cantiere, Dialettica, metodo diairetico e rettorica nel Fedro di
Platone, « Archivio di storia della filosofia, Arte e decadentismo, Libro e moschetto, Nota sull'ultimo Thomas
Mann, « Nuova Italia, ósi - Nota sull'Etica di Max Scheler (prima parte), «
Nuova Italia, La filosofia del dolore, « Meridiano di Roma », n. 37, p. 5. 3703
- La filosofia della vita, « Meridiano di Roma », n. 42, p. 8. 3704 - La vita
contro lo spirito, « Meridiano di Roma », n. 47, p. 10. 3705 - Filosofia
dell'immanenza, «Meridiano di Roma, Il mondo come induzione nemica, Torino
1937, «Meridiano di Roma», n. 39, p. 11. 1938 3801 - Il significato del
Parmenide nella filosofia di Platone, Messina- Milano, Principato, pp. 270.
Indice: parte prima: I) I dialoghi giovanili fino al Cratilo; II) Il Fedone, il
Simposio, il Fedro; III) La Repubblica. Parte seconda: I) La prima parte del
Par menide; II) La seconda parte del Parmenide. Parte terza: I) Il Teeteto.
Parte quarta: I) Il Sofista; II) Politico, Filebo, Timeo e le idee numeri. 3802
- Filosofia della natura e filosofia della scienza, « Rivista di filo sofia »,
n. 2, pp. 161-174. Ristampato in 3901, parte prima cap. IV. 3803 - Una
metafisica dell'individualità a priori del pensiero, « Logos », n. 1, pp.
105-118. 3804 - Nota sull'Etica di Max Scheler (seconda parte), « Nuova Ita
lia, Disegno di una problematica del trascendentale anteriore al pen
siero moderno, « Archivio di storia della filosofia », n. 6, pp. 359-374.
3806 - La scuola di Marburgo, « Meridiano di Roma », n. 9, p. 1. 3807 – Appunti,
Vita giovanile », anno I, n. 8, 15 maggio. 3808 - Orientamenti del pensiero
contemporaneo, « Vita giovanile », anno I, n. 9, 31 maggio. 3809 - La logica
del tuono, « Vita giovanile », anno I, n. 11, 30 giu gno. 3810 - L'idealismo
di A. Banfi, « Vita giovanile », anno I, n. 12, 15 luglio. 3811 - Marconi genio
latino, in Liceo scientifico G. Marconi di Parma. Annuario, anno scolastico
1936-37, Parma. 3812 - B. Spinoza, Ethica (passi scelti, collegati e tradotti),
introdu zione e note di E. Paci, Milano-Messina, Principato. 3813 - Ree. di F.
Lombardi, Kierkegaard, Firenze 1936, «Nuova Ita lia; Principi di una filosofia
dell'essere, Modena, Guanda, pp. 317. Indice: Parte prima: I) La dialettica
dell'essere; II) Il pro blema della fenomenologia; III) Il mondo ideale e la
deduzione dell'unità e del molteplice; IV) Filosofia della natura e filosofia
della scienza. Parte seconda: I) La natura come esistenza; II) L'esistenza
dell'uomo; III) La scelta e la vita degli altri. Parte terza: I) L'essere
spirituale; II) La filosofia e le forme dello spirito; III) La vita morale; IV)
La vita dell'arte; V) La vita religiosa; Orientamenti del pensiero
contemporaneo, DOTTRINA FASCISTA, II senso della storia, « Corrente di vita
giovanile », anno II, n. 10, 31 maggio. 3904 - 4001 - Parole di
Antonio Pozzi, « Corrente di vita giovanile », anno II, n. 13, 15 luglio. 1940
Pensiero, esistenza e valore, Messina-Milano, Principato, pp. 195. Indice: I -
L'atto come problema; II - Idea e fenomeno logia della ragione; I I I - Temi
fondamentali del pensiero di Husserl; IV - La filosofia dei valori; V - Il
pensiero di Lask; VI - Scheler e il problema dei valori; VII - Personalità ed
esi stenza nel pensiero di Kierkegaard; VIII - Il problema dell'e sistenza;
IX - Introduzione all'esistenzialismo di Jaspers; X - Umgreifende e
comunicazione nel pensiero di Jaspers; XI - Jaspers e lo scacco del pensiero;
XII - Esteriorità ed interio rità - XIII - La vita come ricerca; XIV - Valori
ed opere; XV - Concretezza e dialettica dell'essere; XVI - La struttura
dell'esi stenza. Introduzione all'esistenzialismo di Jaspers: prima parte, La
coscienza infelice, « Logos », n. 1, pp. 187-198. Seconda parte, L'Umgreifende,
« Logos; La comunicazione, « Logos », n. 3, pp. 494-505. Ristampato in 4001,
capp. IX, X, XI. Il problema dell'esistenza, « Studi filosofici », n. 1, pp.
93-105. Ristampato in 4001, cap. Vili. Studi su Kierkegaard, « Studi filosofici
», nn. 2-3, pp. 279-291. Ristampato in 4001, cap. VII. L'atto come problema, «
Studi filosofici », nn. 2-3, pp. 220- 229. Ristampato in 4001, cap. I. Arte,
esistenza e forme dello spirito, « Studi filosofici », n. 4, pp. 388-417.
Ristampato in 5001, cap. II. Gli studi di filosofia, « Meridiano di Roma », n.
45, p. X. U. Spirito e la filosofia dell'esistenza, « Meridiano di Roma, -
Esistenzialismo gnoseologico, « Corrente di vita giovanile, Presentazione di K.
Jaspers, « Corrente di vita giovanile; F. Nietzsche, Antologia, introduzione
(pp. 1-108) e scelta di E. Paci, Milano, Garzanti. Platone, Teeteto,
introduzione, traduzione e note di E. Paci, Milano, Mondadori. Ree. di A.
Guzzo, Sic vos non vobis, Napoli 1939-40, « Studi filosofici», nn. 2-3, pp. 309-312.
Ree. di G. Della Volpe, Critica dei principi logici, Messina 1940, « Studi
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M. Sciacca, La metafisica di Platone, Napoli 1939, « Studi filosofici », n. 4,
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lano, Bocca, pp. 127-141. 4203 - L'attualità di Platone, in AA. VV.,
L'attualità dei filosofi clas- sici, Milano, Bocca, pp. 63-67. 4204 - Il
significato pedagogico dell'esistenzialismo, « Tempo di scuo- la »,
agosto-settembre, pp. 670-674. 4205 - Ancora sull'esistenzialismo, « Gazzetta
del popolo », 19 settem- bre, p. 3. 4206 - 4207 - 4208 - 4209 - 4210 - 4301 -
4302 - 4303 - 4304 - M. Heidegger, Che cosa è la metafisica, introduzione e
tradu- zione di E. Paci, Milano, Bocca. L'introduzione è stata ristam- pata in
5001, cap. V. K. Jaspers, Ragione ed esistenza, prefazione e traduzione di E.
Paci, Milano, Bocca. Ree. di A. Pellegrini, Novecento tedesco, Milano 1942, «
Pri- mato », n. 21, p. 397. Ree. di U. Spirito, La vita come arte, Firenze
1942, « Prima- to », n. 22, p. 413. Ree. di P. Carabellese, Che cosa è la
filosofia, Milano 1942, « Primato », n. 24, p. 456. 1943 L'esistenzialismo,
Padova, Milani, pp. 67. Indice: I - Premes- se; II - Kierkegaard; III -
Nietzsche; IV - Heidegger; V - Jaspers; VI - Abbagnano; VII - Conclusione; V i
l i - Nota bi- bliografica. Socialità della nuova scuola, Firenze, Le Monnier.
L'esistenzialismo in Italia, a cura di N. Abbagnano e E. Paci, « Primato », n.
1, 1 gennaio 1943, pp. 2-4. Il cavaliere la morte e il diavolo, « Tempo di
scuola », febbraio, pp. 255-260. 1946 4601 - Th. Mann e la musica,
« Rivista musicale italiana », n. 1, pp. 88-111. Ristampato in 4701, cap. V e
in 6502, parte seconda, cap. I. 4602 - Th. Mann e la filosofia, «Studi
filosofici», n. 2, pp. 97-114. Ristampato in 4701, cap. II e in 6502, parte
seconda, cap. II. 4603 - Metodologia e metafisica, « Studi filosofici », nn.
3-4, pp. 205- 212. 4604 - Nascita e immortalità, « Archivio di filosofia », n.
1 (Il problema della immortalità; L'uomo tra razionalismo e romanticismo, «
Costume », n. 2, pp. 40-49. L'uomo di Platone, « Costume », n. 3, pp. 8-18. Ree.
di L. Scaravelli, Critica del capire, Firenze 1942, « Co stume », n. 3, pp.
121-127. 1947 Esistenza ed immagine, Milano, Tarantola, pp. 198. Indice: I -
Musica mito e psicologia in Th. Mann; II - Th. Mann e la filosofia; III -
Verità ed esistenza in T. S. Eliot; IV - Rilke e la nascita della terra; V -
Valéry o della costruzione; VI - L'uo mo di Proust. I capitoli I e II sono
stati ristampati rispettiva mente come cap. I e cap. II della seconda parte di
6502. I ca pitoli III, IV, V, VI sono stati ristampati rispettivamente come
cap. II della prima parte, cap. I della prima parte, cap. IV della prima parte,
cap. I l i della prima parte di 6601. Verità ed esistenza in T. S. Eliot, «
Indagine, Ristampato in 4701, cap. Ili, e in 6601, parte prima, cap. II.
Umanesimo e forma nell'ultimo Th. Mann, « Indagine, P. Valéry, Eupalinos
preceduto da l'Anima e la danza, seguito dal Dialogo dell'albero, introduzione
di E. Paci, Milano, Mon- dadori. 1948 La storia come arte, in AA. VV., Il
problematicismo, Firenze, Sansoni, La responsabilità e il problema della
storia, « Studi filosofici », n. 2, pp. 115-127. Ristampato in 5001, cap. X.
Unità ed esistenza, in « Atti del Congresso Internazionale di Filosofia » (Roma
1946), Milano, Castellani. A. L. Huxley, Scienza, libertà e pace, introduzione
di E. Paci, Milano, Istituto Editoriale Italiano. Novalis, Frammenti,
introduzione di E. Paci, Milano, Istituto Editoriale Italiano. Da questa
introduzione è stato tratto il cap. XI di 4902. 1949 Ingens Sylva, Saggio sulla
filosofia di G. 23. Vico, Milano, Mon- dadori, pp. 249. Indice: I - L'esistenza
e l'opera; II - Crisi gio- vanile e dualismo; III - Medium te mundi posui; IV -
Esistenza e immagine; V - Natura e pensiero; VI - Ada integer vere sa- piens;
VII - Mito e arte; V i l i - Mito e filosofia; IX - Storia e metodologia della
storia. Studi di filosofia antica e moderna, Torino, Paravia, pp. 248. Indice:
I - Mito e logos; II - Eraclito; III - Sul Fedro; IV - Lo Stato come idea
dell'Uomo nella ' Repubblica ' di Platone; V - Democrito, Platone, Aristotele;
VI - Sulle opere di G. B. Vico anteriori alla ' Scienza Nuova '; Sulla '
Scienza Nuo- va'; V i l i - La malinconia di Kant; IX - Il ' Preisschrift ' di
Kant; X - Negativo finito e fenomenico in Kant; XI - I Fram- menti ' di Novalis
e il loro significato nella storia della filoso- fia; XII - Fenomenologia e
metafisica nel pensiero di Hegel; XIII - L'eredità di Hegel. 4903 -
4904 - Filosofia e storiografia, « Rassegna d'Italia », n. 4, pp. 399- 405.
Ristampato in 5001, cap. XI. L'altro volto di Goethe, « Rassegna d'Italia »,
nn. 11-12, pp. 1142-1144. 4905 - La concezione mitologico-filosofica del '
logos ' di Eraclito, 4906 - 4907 - 4908 - 4909 - 5001 - «Acme; Esistenzialismo trascendentale, « Rivista di
Filosofia », n. 4, pp. 419-433. Ree. di T. Wilder, The Ides of March, London
1948, « Rasse gna d'Italia » n. 2, pp. 210-212. Ree. di M. Grene, Dreadful
Freedom, Chicago 1948, « Rasse gna d'Italia », n. 5, pp. 567-570. Ree. di K.
Lowith, Da Hegel a Nietzsche, Torino 1949, « Ras segna d'Italia; Esistenzialismo
e storicismo, Milano, Mondadori, pp. 312. In dice: I - Il significato storico
dell'esistenzialismo; II - L'esi stenza e la aurora dello spirito; III -
L'esistenza e la forma; IV - Poesia e comunicazione; V - L'esistenzialismo di
Heideg ger e lo storicismo; VI - Il metodo e l'esistenza; VII - Giudi zio e
valore; V i l i - La politica e il demoniaco; IX - Pensiero e azione; X - La
responsabilità e la storia; XI - Filosofia e sto riografia; XII - Eros e
natura; XIII - Il problema morale; XIV - Le forme dello spirito e il valore; XV
- Il problema critico re ligioso. Il nulla e il problema dell'uomo, Torino,
Taylor, pp. 170. In dice: I - Introduzione all'esistenzialismo; II - Forme e
problemi dell'esistenzialismo; Neokantismo ed esistenzialismo; Mito ed
esistenza; Il nulla e il problema
morale; VI - Esi stenzialismo positivo. Riedito con un nuovo capitolo nel 1959
(vedi 5901). Linguaggio, comportamento e filosofia, « Archivio di filosofia »,
n. 1 (Filosofia e linguaggio), pp. 12-26. 5002 - 5003 - 5004 -
Antologia del pensiero scientifico contemporaneo, a cura di E. Paci, Firenze,
Sansoni, pp. 203. 1951 5101 - Il significato dell'irreversibile, «Aut Aut», n.
1, pp. 11-17. Ristampato in 5401, cap. VII. 5102 - Il significato del
significato, « Aut Aut », n. 1, pp. 46-49. Ri- stampato in 6503, prima
appendice. 5103 - Marxismo e cultura, « Aut Aut; Sul significato del mito, «
Aut Aut; Ripeness is ali, « Aut Aut »,
n. 1, pp. 54-56. 5106 - Moby Dick e la filosofia americana, « Aut Aut », n. 2,
pp. 97- 120. 5107 - Umanesimo e tecnica, « Aut Aut », n. 2, pp. 149-150. 5108 -
Possibilità della critica e della storia dell'arte, « Aut Aut », n. 2, pp.
161-Problemi filosofici della biologìa, « Aut Aut », n. 2, pp. 181- 185. Il
nostro giardino, « Aut Aut », n. 3, pp. 231-239. Fondamenti di una sintesi
filosofica (parte prima), « Aut Aut », n. 4, pp. 318-337. Fondamenti di una
sintesi filosofica (parte seconda), «Aut Aut », n. 5, pp. 403-425. Arte e
metamorfosi, « Aut Aut », n. 5, pp. 442-443. Fondamenti di una sintesi
filosofica (parte terza), « Aut Aut », n. 6, pp. 515-538. Dialogo e cultura, «
Aut Aut », n. 6, pp. 545-546. 5116 - Empirismo e relazione in Whitehead, in «
Atti del Congresso Filosofico di Bologna », Milano 1951. Ristampato in 5401,
cap. V. 5117 Ree. di F. Lion, Cartesio, Rousseau, Bergson, Milano
1949, « Aut Aut », n. 1, p. 83. Ree. di M. Mila, L'esperienza musicale e
l'estetica, Torino, 1950, « Aut Aut », n. 1, pp. 84-85. Ree. di I. M.
Bochenski, Précis de Logique Mathématique, Bussum, 1950, « Aut Aut », n. 1, p.
86. Ree. di A. J . Ayer, Language, Truth and Logic, London, 1949, « Aut Aut »,
n. 1, p. 86. Ree. di J . R. Weinberg, Introduzione al positivismo logico, To
rino, 1950, « Aut Aut », n. 1, p. 86. Ree. di B. Russell, Le Principe
d'Individuation, in « Revue de Métaphysique et Morale », I, 1950, « Aut Aut »,
n. 1, pp. 88-89. Ree. di M. Dal Pra, Sul trascendentalismo dell'esistenzialismo
trascendentale, in « Rivista critica di storia della filosofia », II, 1950, «Aut
Aut », n. 1, p. 89. Ree. di D. Emmet, Time is the mind of space, in «
Philosophy », n. 94, 1950, «Aut Aut », n. 1, p. 89. Ree. di L. de Broglie,
Fisica e microfisica, Torino, 1950, « Aut Aut » n. 1, pp. 90-91. Ree. di « Il
Politico » (Rivista di scienze politiche, Università di Pavia), nn. 1-2, 1950,
« Aut Aut », n. 1, pp. 91-92. Ree. di Don Giovanni Rossi, U'omini incontro a
Cristo, Assisi, 1951, « Aut Aut », n. 2, p. 186. Ree. di U. Spirito, Scienza e
Filosofia, Firenze, 1950, « Aut Aut », n. 2; pp. 186-187. Ree. di Marianna
Leibl, Psicologia della donna, Milano, 1950, « Aut Aut », n. 2, pp. 194-195.
Ree. di D. Katz, La psicologia della forma, Torino, 1950, « Aut Aut », n. 2, p.
195. Ree. di G. Tagliabue, Le strutture del trascendentale, Milano, 1951, « Aut
Aut, Ree. di G. Hegel, Propedeutica filosofica, Firenze, 1951, « Aut Aut », n.
3, p. 285. Ree. di G. Gentile, La vita e il pensiero, Firenze, 1948-1950, « Aut
Aut », n. 3, pp. 284-285. Ree. di Durkheim, Hubert, Mauss, Le origini dei
poteri magici, Torino, 1951, « Aut Aut », n. 3, pp. 285-286. Ree. di S. Freud,
Inibizione, sintomo e angoscia, Torino 1951, « Aut Aut », n. 3, pp. 286-287.
Ree. di P. M. Sweezy, La teoria dello sviluppo capitalistico, To rino 1951, «
Aut Aut », n. 4, pp. 380-381. Ree. di A. Visalberghi, John Dewey, Firenze 1951,
« Aut Aut », n. 5, pp. 465-466. Ree. di L. Borghi, /. Dewey e il pensiero
pedagogico contem poraneo negli Stati Uniti, Firenze 1951, « Aut Aut », n. 5,
p. 466. Ree. di G. Corallo, La pedagogia di Giovanni Dewey, Torino 1951, « Aut
Aut » n. 5, pp. 467-468. Ree. di J. Dewey, L'arte come esperienza, Firenze
1951, « Aut Aut », n. 5, pp. 468-469. 5141
-Ree.diR.Borsari,Logicaconcreta,Firenze1951,«AutAut», n. 5, pp. 469-70. 5142 -
Ree. di B. Croce, Intorno a Hegel e alla dialettica, in « Qua derni della
critica », n. 19-20, 1951, « Aut Aut; Filosofia dell'Io e filosofia della
relazione, « Aut Aut », n. 7, pp. 12-24. Ristampato in 5401, cap. II. 5202 -
Schoenberg..., « Aut Aut », n. 7, pp. 47-49. 5203 - Sul problema dell'utile e
del vitale, « Aut Aut », n. 7, pp. 60-65. 5204 - Civiltà e valore, « Aut Aut »,
n. 8, pp. 95-105. Ristampato in 5401, cap. XII. 5205 - Schemi e
figure, « Aut Aut », n. 9, pp. 211-223. 5206 - Alain e la paura dell'Europa, «
Aut Aut », n. 9, pp. 233-235. 5207 - Negatività e positività in Wittgenstein, «
Aut Aut, Sull'estetica di Dewey, « Aut Aut », n. 10, pp. 317-330. Ri stampato
in 5401, cap. XV. 5209 - Studi italiani di estetica, « Aut Aut », n. 10, pp.
356-366. 5210 - Relazione forma e processo storico, « Aut Aut », n. 11, pp.
409-417. Ristampato in 5401, cap. XI. 5211 - Organicità e concretezza della
forma estetica, «Aut Aut», n. 11, pp. 418-422. 5212 - Presentazione di
Whitehead, « Aut Aut », n. 12, pp. 507-517. Ristampato in 6501, cap. III. 5213
- Sulla concezione psicoanalitica dell'angoscia, « Archivio di filo sofia »,
n. 1 (Filosofia e psicopatologia), pp. 71-79. 5214 - Possibilità e relazione, «
Rivista di filosofia », n. 4, pp. 387-398. Ristampato in 5401, cap. Vili. 5215
- Alain et notre libertà, « La nouvelle revue francaise », settem bre, Paris
(Hommage à Alain). Ristampato, in italiano, in 5206. 5216 - Ree. di B.
Berenson, Piero della Francesca o dell'arte non elo quente, Firenze 1950, «
Aut Aut », n. 7, pp. 80-81. 5217 - Ree. di A. E. Jensen, Come una cultura
primitiva ha concepito il mondo, Torino 1952, « Aut Aut », n. 8, pp. 168-169.
5218 - Ree. di Catalogo generale edizioni Laterza, Bari 1952, « Aut Aut », n.
8, pp. 169-170. 5219 - Ree. di E. Castelli, Il demoniaco nell'arte, Milano
1952, « Aut Aut », n. 8, pp. 171-172. 5220 - Ree. di C. Diano, Forma ed evento,
Venezia 1952, « Aut Aut », n. 9, pp. 264-265. 5221 - Ree. di M. Bense, Die
Theorie Kafkas, Witsche, 1952, « Aut Aut; Recc. di Renato Cirell Czerne,
Natureza e Espirito, San Paulo 1949: idem, Filosofia corno concetto e corno
historia, San Paulo 1950, « Aut Aut », n. 9, pp. 266-267. Ree. di R. Mondolfo,
Il materialismo storico di F. Engels, Fi renze 1952, « Aut Aut », n. 9, pp.
267-268. Ree. di E. Cassirer,Storia della filosofia moderna, voi. I, Torino
1952, « Aut Aut », n. 9, p. 268. Ree. di H. Kelsen, La dottrina pura del
diritto, Torino 1952, « Aut Aut », n. 10, p. 378. Ree. di E. Garin, L'umanesimo
italiano, Bari 1952, « Aut Aut », n. 10, pp. 378-379. Ree. di P. Chiodi, L'ultimo
Heidegger, Torino 1952, « Aut Aut », n. 12, p. 579. Ree. di B. De Finetti,
Macchine che pensano (e che fanno pen sare), in « Tecnica e organizzazione »,
nn. 2-3, 1952, « Aut Aut », n. 12, pp. 579-580. Ree. di H. Kelsen, Teoria
generale del diritto e dello stato, Mi lano 1952, « Aut Aut », n. 8, p. 168.
1953 L'esistenzialismo, in L'espressionismo e l'esistenzialismo, a cura di L.
Rognoni e E. Paci, Edizioni Radio Italiana, Torino, pp. 87-180, Indice: I -
Introduzione all'esistenzialismo; II - Hei degger; III - Jaspers; IV - Sartre;
V - Marcel, Lavelle, Le Sen ne; VI - Abbagnano; VII - Esistenzialismo e
letteratura. Rie dito come 5602. La mia prospettiva estetica, in AA. W . , La
mia prospettiva estetica, Brescia, Morcelliana, pp. 139-150. La criticità della
filosofia, « Aut Aut », n. 13, pp. 28-43. Ri stampato in 5401, cap. IV. 5304 -
La relazione, « Aut Aut », n. 14, pp. 97-108. 5305 - La vita come amore, « Aut
Aut; Relazione e tempo, « Aut Aut », n. 15, pp. 219-230. Un convegno di
filosofia, « Aut Aut », n. 15, pp. 244-250. Prospettive empiristiche e
relazionistiche in Whitehead, « Aut Aut Semantica e filosofia, « Aut Aut », n.
16, pp. 320-323. Valéry precursore della semantica, « Aut Aut », n. 16, pp.
323- 325. Implicazione formale e relazione temporale, « Aut Aut », n. 17, pp.
394-402. Ristampato in 5401, cap. XX. Sul problema della persona, « Aut Aut »,
n. 17, pp. 426-429. Definizione e funzione della filosofia speculativa in
Whitehead, « Giornale critico della filosofia italiana », n. 3, pp. 304-334.
Arte e comunicazione, « Galleria », n. 2, pp. 3-5. Ristampato in 5401, cap.
XIV. Quantità e qualità, « Civiltà delle macchine », n. 6, p. 11. Ri stampato
in 5401, cap. XXI. Sul primo periodo della filosofia di Whitehead, « Rivista di
filo sofia », n. 4, pp. 397-415. Ristampato in 6501, cap. IV. Kierkegaard e la
dialettica della fede, « Archivio di filosofia», n. 2 (Kierkegaard e
Nietzsche), pp. 9-44. Ristampato in 6502, parte prima, cap. III. Ironia,
demoniaco ed eros in Kierkegaard, « Archivio di filoso fia », n. 2,
(Kierkegaard e Nietzsche), pp. 71-103. Ristampato in 6502, parte prima, cap. I.
Sul principio logico del processo, « Atti dell'XI Congresso in ternazionale di
Filosofia », Bruxelles 20-26 agosto 1953, voi. Vili, pp. 42-46. Ristampato in
5401, cap. X. La nevrosi della filosofia, « Atti del XVI Congresso Nazionale di
Filosofia », Roma-Milano 1953. Ristampato in 5401, cap. VI. Ree. di Th. Mann,
Nobiltà dello spirito, Milano 1953, « Aut Aut , n. 16, pp. 362-363. Ree. di H.
K. Wells, Process and Unreality, New York 1950, « Aut Aut », n. 16, pp.
366-367. Ree. di J . Prévost, Baudelaire, Paris 1953, « Aut Aut », n. 16, pp.
370-371. Ree. di R. Girardet, La società militaire dans la Trance con-
temporaine, Paris 1953, «Aut Aut», n. 16, p. 371. 1954 Tempo e relazione,
Torino, Taylor, pp. 360. Indice: I - Intro duzione; I I - Filosofia dell'Io e
filosofia della relazione; I I I - Angoscia dell'Io e relazione; IV -
Linguaggio comportamento e filosofia; V - Negatività e positività in
Wittgenstein; VI - Witt genstein e la nevrosi della filosofia; VII - Il
significato dell'ir reversibile; V i l i - Relazione e situazione; IX -
Possibilità e re lazione; X - Sul principio logico del processo; XI -
Relazione forma e processo; XII - Relazione e civiltà; XIII - Dewey e
l'interrelazione universale; XIV - Tempo realtà e relazione nella filosofia
americana; XV - Esperienza e relazione nell'estetica di Dewey; XVI - Arte e
relazione; XVII - Relazione e irrelazione; XVIII - Relazione e irreversibilità;
XIX - Relazione e linguaggio filosofico; XX - Implicazione formale e
implicazione temporale; XXI - Linguaggio perfetto e situazione quotidiana; XXII
- Quan tità e qualità; XXIII - La tecnica e la libertà dell'uomo. Riedito come
6503. L'epicureismo, in Grande antologia filosofica, diretta da U. Pa dovani,
Milano, Marzorati, voi. I, pp. 483-508. Appunti per i rapporti tra filosofia,
scienza empirica e sociolo gia, in AA. VV., Filosofia e sociologia, Bologna,
Il Mulino, pp. 89-90. Interpretazione del teatro, « Aut Aut », n. 19, pp.
21-36. Ri stampato in 6601, parte prima, cap. VII. Il cammino della vita, «
Aut Aut; Appunti sul neopositivismo, « Aut Aut, Kierkegaard contro Kierkegaard,
« Aut Aut », Angoscia e relazione in Kierkegaard, « Aut Aut; Angoscia e
fenomenologia dell'eros, « Aut Aut », n. 24, pp. 468-485. Ristampato in 6502,
parte prima, cap. Vili. 5410 - Il cuore della vita, « Casabella », n. 202, pp.
VII-X. 5411 - Ripetizione, ripresa e rinascita in Kierkegaard, « Giornale cri-
tico della filosofìa italiana », n. 3, pp. 313-340. 5412 - Unità e pluralità
del personaggio, in AA. VV., Teatro, mito e individuo, Milano, Laboratorio,
Whitehead e Russell, «Rivista di filosofìa», n. 1, pp. 14-25. 5414 - Il
significato dell'introduzione kierkegaardiana al concetto della angoscia, «
Rivista di filosofia », n. 2, pp. 392-398. Ristampato in 6502, parte prima,
cap. VI. 5415 - Storia e apocalisse in Kierkegaard, « Archivio di filosofia »,
n. 2 [Apocalisse e insecuritas), pp. 141-162. Ristampato in 6502, parte prima,
cap. V. 5416 - La tecnica e la libertà dell'uomo, « Civiltà delle macchine »,
I, pp. 12-14. 5417 - Ritorno alla sociologia, « Civiltà delle macchine », V,
pp. 71-72. 5418 - Nota sul « Congresso intemazionale di filosofia di San Paolo
», agosto 1954, « Aut Aut », n. 23, pp. 440-444. 5419 - S. Kierkegaard, Il
concetto dell'angoscia, a cura di E. Paci, To- rino, Paravia. 5420 - Ree. di W.
Dilthey, Critica della ragione storica, Torino 1954, « Aut Aut, Arte e linguaggio, in AA. VV., Il problema
della conoscenza storica, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, pp. 49-76.
Esistenza natura e storia, « Aut Aut », n. 26, pp. 120-129. Esperienza
conoscenza storica e filosofia, « Aut Aut », n. 27, pp. 196-204. Sul
significato dell'opera di Einstein, « Aut Aut », n. 28, pp. 282-308. L'ironia
di Tb. Mann, « Aut Aut », n. 29, pp. 363-375. Ristam pato in 6502, parte
seconda, cap. IV. Due momenti fondamentali dell'opera di Th. Mann, « Aut Aut »,
n. 29, pp. 423-439. Ristampato in 6502, parte seconda, cap. III. Su due
significati del concetto dell'angoscia in Kierkegaard, « Orbis litterarum », n.
10, pp. 196-207. Critica dello schematismo trascendentale (I parte), « Rivista
di filosofia; Silenzio e libertà del linguaggio nel neopositivismo, « Archivio
di filosofia », n. 3 (Semantica), pp. 313-324. L'appello di Einstein, « Civiltà
delle macchine », V, pp. 21-22. Ree. di P. Romanelli, Verso un naturalismo
critico, Torino 1953, « Aut Aut », n. 27, pp. 263-266. Ree. di E. N. Rogers,
Auguste Perret, Milano 1955, « Aut Aut », n. 28, pp. 358-359. Ree. di H. Mayer,
Thomas Mann, Torino 1955, « Aut Aut », n. 29, pp. 458-460. 5514 - Ree. di C.
Cases, Thomas Mann e lo spirito del racconto, « No tiziario Einaudi », nn.
6-7, 1955, « Aut Aut », n. 29, pp. 460- 461. 5515 - 5601 - 5602 -
Ree. di AA. VV., Omaggio a Th. Mann, in « Il Ponte », n. 6, 1955, « Aut Aut »,
n. 29, pp. 461-463. 1956 L'opera di Dostoevskij, Torino, Edizioni Radio
Italiana, pp. 129. Indice: I - La notte bianca; II - La vita vivente; III - Un
nomade a Pietroburgo; IV - Il puro folle; V - Satira ed epica del demoniaco; VI
- Voci di fanciulli sulle tombe dei padri; VII - Viva i Karamàzov! Ancora
sull'esistenzialismo, Torino, Edizioni Radio Italiana, pp. 221. Indice: I -
Introduzione all'esistenzialismo; II - Heideg ger; III - Jaspers; IV - Marcel,
Lavelle, Le Senne; V - Esisten zialismo teologico; VI - Aspetti letterari; VII
— L'esistenza negativa in Sartre; V i l i - L'esistenza diabolica in Th. Mann;
IX - La positivizzazione dell'esistenzialismo; X - Abbagnano; XI - Sartre e il
problema del teatro; XII - L'esistenzialismo nella filosofia contemporanea;
XIII - L'eredità di Husserl e l'esistenzialismo di Merleau-Ponty. Hegel e il
problema della storia della filosofia, in AA. VV., Ve rità e storia: Un
dibattito sul metodo della storia della filosofia, Asti, Arethusa, pp. 147-152.
Nota su «Altezza reale», «Aut Aut», n. 31, pp. 52-56. Ri stampato in 6502,
parte seconda, capitolo V. Sul senso e sull'essenza, « Aut Aut », n. 33, pp.
175-189. La natura e il culto dell'Io, « Aut Aut », n. 34, pp. 279-299. Appunti
su un convegno, « Aut Aut », n. 34, pp. 315-326. Filosofia e antifilosofia, «
Aut Aut », n. 35, pp. 400-406. Ri stampato in 5902, pp. 33-43. Filosofia e
linguaggio perfetto (risposta a una lettera di A. Ve- daldi), « Aut Aut », n.
36, pp. 470-479. Funzione e significato del mito, « Giornale critico della
filosofia italiana », Processo, relazione e architettura, «Rivista di
estetica», n. 1, pp. 51-68. Ristampato in 6601, parte prima, cap. IX. 5612 -
Sul concetto di 1 precorrimene ' in storia della filosofia, « Ri vista critica
di storia della filosofia », n. 2, pp. 227-233. 5613 - Problematica
dell'architettura contemporanea, « Casabella », n. 209, pp. 41-46. Ristampato
in 6601, parte prima, cap. XIII. 5614 - Critica dello schematismo
trascendentale (II parte), « Rivista di filosofia », n. 1, pp. 37-56. 5615 -
Immanenza e trascendenza (Convegno promosso dall'Istituto di filosofia
dell'Università di Milano), « Il Pensiero », n. 1. Inter venti di E. Paci:
Sulla relazione Dal Pra, pp. 82-86; Sulla rela zione Antoni, pp. 27-31; Sulla
relazione Guzzo, pp. 149-151; Sulla relazione Allmayer, pp. 172-173; Sulla
relazione Spirito, pp. 201-206. 5616 - Processo esistenziale, processo
naturale, processo storico, « Anais de Congresso Internacional de Filosofia de
Sào Paulo », 9-15 agosto 1954, San Paolo, 1956. 5617 - 5618 - 5619 - 5701 - La
scienza e Venciclopedia filosofica, « Civiltà delle macchine », II, pp. 39-40.
Vivere nel tempo, « Civiltà delle macchine », III, pp. 11-12. F. Woodridge, Saggio
sulla natura, introduzione di E. Paci, Mi lano, Bompiani. 1957
Dall'esistenzialismo al relazionismo, Messina-Firenze, D'Anna, pp. 399. Indice:
I - Prospettive relazionistiche; II - Il fonda mento storicistico del
relazionismo; III - Il consumo dell'esi stenza e la relazione; IV - La
struttura relazionale dell'esperien za; V - Whitehead e il relazionismo; VI -
Relazionismo e rela tività; VII - Relazionismo e schematismo trascendentale;
Vili - La verificazione nel neopositivismo; IX - Relazionismo e natu ralismo;
X - Orientamento estetico relazionistico; XI - Perma nenza ed emergenza nel
linguaggio; XII - Sul significato del mito; XIII - Senso essenza e natura; XIV
- Tempo e natura. 5702 - Storia del pensiero presocratico, Torino,
Edizioni Radio Italia na, pp. 314. Indice: I - La filosofia greca e i suoi
rapporti con l'oriente; II - Le origini autonome della filosofia greca; III -
La scuola di Mileto o i primi pitagorici; IV - Eraclito di Efeso; V - Senofane
e Parmenide; VI - Zenone di Elea e Melisso di Samo; VII - Il pitagorismo
nell'età di Filolao; V i l i - Empe docle di Agrigento; IX - Anassagora di
Clazomeno; X - La scuo la di Abdera; XI - Protagora di Abdera; XII - Gorgia di
Leon- tini; XIII - Prodico di Ceo; XIV - Antifonte sofista; XV - Ippia di
Elide; XVI - Logos e natura; XVII - Letteratura e pensiero filosofico; XVIII -
Eschilo e la polis; XIX - Pensiero e poesia in Sofocle; XX - La visione
filosofica in Euripide; XXI - Antifilosofia e filosofia in Aristofane; XXII -
Scienza, tecnica e mito; XXIII - Natura e cultura; XXIV - Medicina e filosofia;
XXV - Filosofia, arte e musica; XXVI - Filosofia e storiografia. 5703 - La
filosofia contemporanea, Milano, Garzanti, pp. 267. Indice: I - L'eredità di
Kant; II - Spiritualismo, positivismo e neocri ticismo; III - Le conclusioni
dell'idealismo; IV - Storicismo e filosofia dei valori; V - Pragmatismo e
realismo; VI - Processo e organicità; VII - La fenomenologia e il mondo della
vita; VIII - Esistenzialismo e ontologismo; IX - Empirismo logico e
fenomenologia della percezione; Fenomenologia dei processi in relazione, « Aut
Aut », n. 38, pp. 105-114. Giallo e nero, « Aut Aut », n. 41, pp. 425-427.
Schematismo trascendentale, « Aut Aut », n. 41, pp. 427-429. Hartmann e la
tradizione ?netafisica, « Aut Aut », n. 42, pp. 486-491. Antonio Banfi, « Aut
Aut », n. 42, pp. 499-501. Per la logica di Husserl, « Aut Aut », n. 42, pp.
501-505. Sul significato del platonismo in Husserl, « Acme », nn. 1-3, pp.
135-151. L'architettura e il mondo della vita, « Casabella », n. 217, pp.
53-55. Ristampato in 6601, parte prima, cap. X. 5712 - // metodo
industriale, l'edilizia e il problema estetico, « La casa », Roma, ed. De Luca.
Ristampato in 6601, parte prima, cap. XI. 5713 - Scienza ed umanità nella storia
del pensiero scientifico italiano, in « Mostra storica della scienza italiana
», Milano, Pizzi, Relazionismo e realtà sociale, « Criteri », n. 7, pp. 3-8.
5715 - Antonio Banfi, « Raccolta Vinciana. Necrologie », pp. 335-338. 5716 -
L'estetica come richiamo all'esperienza (riassunto), in Atti del III congresso
internazionale di estetica (3-5 settembre 1956, Venezia) Torino, Edizioni della
rivista di estetica, pp. 513-514. 5717 - Recc. di E. Husserl, Ideen zu einer
Phànomenologie und phà- nomenologische Philosophie, voli. I-III; Die Krisis der
euro- pàischen Wissenschaften und die transzendentale Phànomeno logie; Erste
Philosophie, Den Haag, 1950-1956, « Aut Aut », n. 38, pp. 185-187. 5718 - Ree.
di C. S. Peirce, Caso, amore e logica, Torino 1956, « Aut Aut », n. 39, pp.
310-311. 5719 - Ree. di Beth Mays, Etudes d'epistemologie génétique, Paris
1957, « Aut Aut », n. 39, pp. 311-313. 5720 - Ree. di C. Cascales, L'humanisme
de Ortega Y Gasset, Paris 1957, « Aut Aut », n. 40, pp. 391-394. 5721 - Ree. di
P. Rossi, Bacone, dalla magia alla scienza, Bari 1957, « Aut Aut », n. 42, pp.
524-525. 5722 - Ree. di R. Pettazzoni, L'essere supremo nelle religioni primi
tive, « Aut Aut », n. 42, pp. 525-526. 5723 - Ree. di L. Mumford, La condizione
dell'uomo, Milano 1957, «Aut Aut», n. 42, pp. 530-531. 5724 - Ree. di G.
Friedmann, Le travail en miettes, Paris 1957, « Aut Aut », n. 42, pp. 531-532.
5725 - Dizionario di filosofia, a cura di A. Biraghi, Milano, Edizioni di
Comunità. Voci: Eleati; Eraclito; Atomismo; GIRGENTI; Anassagora; Socrate;
Cinici; Cirenaici; Megarici; Platone; Aristotele; Romanticismo; Neopositivismo;
Relazione; Etica; Libertà; Arbitrio; Bene; Determinismo-indeterminismo; Dovere;
Respon- sabilità; Eudemonismo; Virtù; Saggezza; Azione; Violenza; Estetica;
Forma; Sublime; Catarsi. In appendice a cura di E. Paci: Breve dizionario dei
termini greci, pp. 631-642. 1958 Samuel Alexander, in Les grands courants de la
pensée mon- diale contemporaine, a cura di M. F. Sciacca, Milano, Marzorati,
pp. 27-48. Sul mio comportamento filosofico, in AA. VV., La filosofia con-
temporanea in Italia, Asti, Arethusa, pp. 289-301. La dialettica in Platone, in
AA. VV., Studi sulla dialettica, To- rino, Taylor, pp. 18-37; e in « Rivista di
filosofia », n. 2, pp. 134-153. Ristampato in 6601, parte seconda, cap. I. Vita
e ragione in Antonio Banfi, « Aut Aut », nn. 43-44, pp. 56-66. Ristampato in
6501, cap. II. In margine ad Heidegger, «Aut Aut», n. 45, pp. 106-115.
Meditazioni fenomenologiche, « Aut Aut », n. 57, pp. 229-239. Schelling e noi,
« Aut Aut », n. 48, pp. 323-325. Tempo e percezione, « Archivio di filosofia »,
n. 1 (Il tempo), pp. 19-27. Ungaretti e l'esperienza della poesia, «
Letteratura », nn. 35-36, pp. 83-93. Ristampato in 7202, pp. 17-38.
Fenomenologia e architettura contemporanea, « La casa », Roma, ed. De Luca.
Ristampato in 6601, parte prima, cap. XII. Sul significato dei Maestri Cantori
di Wagner, « L'approdo mu- sicale », n. 2, pp. 85-101. La concezione
relazionistica della libertà e del valore, in « Atti del XII Congresso
Nazionale di Filosofia, Venezia, voi. Ili, pp. 313-318. Ristampato in 6101, ap-
pendice seconda. M. Merleau-Ponty, Elogio della filosofia, traduzione,
introduzio- ne e note di E. Paci, Torino, Paravia. AA. VV., Neopositivismo e
unità della scienza, introduzione di E. Paci, Milano, Bompiani. L'introduzione
è stata ristampata in 6501, cap. Vili. R. Sanesi, Frammenti dall'Isola Athikte,
prefazione di E. Paci, Milano, Schwarz. Ree. di G. Pedroli, La fenomenologia di
Husserl, Torino, 1958, « Aut Aut », n. 47, p. 290. 1959 Il nulla e il problema
dell'uomo (nuova edizione), Torino, Tay- lor, pp. 191. Al testo della prima
edizione (5002) viene ad ag- giungersi qui un nuovo capitolo: Tempo, esistenza
e relazione. Le pp. 123-133 di questo volume sono state ristampate in 6701.
Filosofia e antifilosofia (una discussione con E. Paci), in E. Ga- rin, La
filosofia come sapere storico, Bari, Laterza, pp. 33-54. Sulla fenomenologia, «
Aut Aut », n. 50, pp. 75-83. Sartre e noi, « Aut Aut », n. 51, pp. 188-189.
Sulla relazione lo-tu, « Aut Aut », n. 52, pp. 217-221. Esercizio sulla
evidenza fenomenologic a, «Aut Aut», n. 53, pp. 279-285. Sul significato
dello spirito in Husserl, « Aut Aut », n. 54, pp. 345-372. Vagine da un diario,
« Archivio di filosofia », n. 2 (La diaristica filosofica), pp. 187-216.
Ristampato in 6102. Filosofia e storia della filosofia, « Giornale critico
della filosofia italiana », n. 4, pp. 539-542. 5910 - Wright e lo «
spazio vissuto », « Casabella; Imbarazzi di B. Russell, « Inventario», nn. 1-6,
pp. 257-266. Ristampato in 6501, cap. VII. Tempo e riduzione in Husserl, «
Rivista di filosofia », n. 2, pp. 146-179. Per una fenomenologia della musica
contemporanea, « Il Ver- ri », n. 1, pp. 3-11. La crisi della cultura e la
fenomenologia dell'architettura con- temporanea, « La casa », Roma, ed. De
Luca, n. 6. A. N. Whitehead, La scienza e il mondo moderno, introduzione di E.
Paci, Milano, Bompiani. L. Actis Perinetti, Dialettica della relazione,
prefazione di E. Paci, Milano, ed. di Comunità. 1960 Husserl sempre di nuovo,
in AA. VV., Omaggio a Husserl, a cura di E. Paci, Milano, Il Saggiatore, pp.
7-27. E. Garin, E. Paci, P. Prini, Bilancio della fenomenologìa e del-
l'esistenzialismo, Padova, Liviana. I testi di Paci sono: Bilan- cio della
fenomenologia, pp. 75-87; Risposte e chiarimenti, pp. 97-104; Commemorazione di
Husserl, pp. 141-160. Wright e lo « spazio vissuto », in Saggi italiani 1959
(scelti da Moravia e Zolla), Milano, Bompiani, pp. 131-132. Ristampato in 6601,
parte prima, cap. XIII. Aspetti di una problematica filosofica, « Aut Aut », n.
55, pp. 1-9. La fenomenologia come scienza del mondo della vita, « Aut Aut »,
n. 56, pp. 55-83. Sullo stile della fenomenologia, « Aut Aut », n. 57, pp. 133-
142. 6007 - 6008 - 6009 - 6010 - 6011 - 6012 - 6013 - 6014 - 6015 -
6016 - 6017 - 6018 - 6019 - 6020 - 6021 - La scienza e il mondo in A. N.
Whitehead, « Aut Aut », n. 57, pp. 180-186. Sulla presenza come centro
relazionale in Husserl, « Aut Aut », n. 58, pp. 236-241. Il problema
dell'occultamento della « Lebenswelt » e del tra scendentale in Husserl, « Aut
Aut », n. 59, pp. 265-282. Ri stampato in 6301, parte prima, cap. II. La
fenomenologia come scienza nuova, « Aut Aut », n. 60, pp. 349-369. Ristampato
in 6301, parte quarta, cap. I. Indicazioni elementari sulla « analisi
esistenziale », « Aut Aut », n. 60, pp. 403-410. Tempo e relazione intenzionale
in Husserl, « Archivio di filo sofia », n. 1 (Tempo e intenzionalità), pp.
23-48. Coscienza fenomenologica e coscienza idealistica, « Il Verri », n. 4,
pp. 3-15. Ristampato in 7501, cap. XIII. Ricordo di Luigi Stefanini, in AA.
VV., Scritti in onore di L. Stefanini, Padova, Liviana, pp. 31-33. Tempo e
relazione nella fenomenologia, « Giornale critico della filosofia italiana »,
n. 2, pp. 161-189. Scienza, tecnica e mondo della vita in Husserl, « Il
pensiero critico », n. 2, pp. 1-23. Ristampato in 6301, parte prima, cap. I.
Doxa e individuazione nella fenomenologia di Husserl, « Rivi sta di filosofia
», n. 2, pp. 144-161. Nulla di nuovo tutto di nuovo, in « Casa editrice II
Saggiatore. Catalogo n. 3, autunno-inverno 1959-1960 », pp. 13-48. i7 problema
dell'intersoggettività, « Il pensiero », n. 3, pp. 291-325. Ristampato in 7301,
parte terza, cap. II. Tre paragrafi per una fenomenologia del linguaggio, « Il
pen siero », n. 2, pp. 145-156. Ristampato in 6601, parte seconda, cap. III.
Indicazioni fenomenologiche per il romanzo, « Quaderni mila nesi », autunno,
pp. 130-134. 6022 - 6023 - 6024 - 6101 - G. Brand, Mondo, io e
tempo nei manoscritti inediti di Hus serl, introduzione di E. Paci, Milano,
Bompiani. E. Husserl, Teleologia universale (manoscritto E III 5), tradu zione
di E. Paci, in « Archivio di filosofia », n. 2, pp. 9-16. Ristampato in 6101,
prima appendice. Ree. di G. R. Hocke, Die Welt als Labyrinth; Manierismus in
der Literatur, Hamburg, 1939, « Aut Aut », n. 56, pp. 125-127. 1961 Tempo e
verità nella fenomenologia di Husserl, Bari, Laterza, pp. 276. Indice: I - Il
senso della fenomenologia; II - Il signi ficato dell'intenzionalità; III -
Tempo e riduzione; IV - Tempo e dialettica; V - Tempo e intersoggettività; VI -
Mondo della vita e scienza del mondo della vita; VII - Il tempo e il senso
dell'essere; Vili - La fenomenologia come teleologia universale della ragione.
Appendici: I - E. Husserl, Teleologia universale (manoscritto E III 5) trad.
it. di E. Paci; II - La concezione relazionistica della libertà e del valore.
Diario fenomenologico (14 marzo 1956 - 30 giugno 1961), Mi lano, Il
Saggiatore, pp. 122. Riedito con una nuova introduzio ne come 7302. La
phénoménologie, in Les grands courants de la pensée mon diale contemporaine, a
cura di M. F. Sciacca, Milano, Marzorati, voi. I, tomo II, pp. 435-440. Qualche
osservazione filosofica sulla critica e sulla poesia, « Aut Aut», nn. 61-62,
pp. 1-21. Ristampato in 6601, parte secon da, cap. V. Espressione e
significato, « Aut Aut », nn. 61-62, pp. 162-167. Fenomenologia psicologia e
unità della scienza, « Aut Aut », n. 63, pp. 214-234. La psicologia
fenomenologica e il problema della relazione tra inconscio e mondo esterno, «
Aut Aut », n. 64, pp. 314-334. 6102 - 6103 - 6104 - 6105 - 6106 - 6107 -
6108 - 6109 - 6110 - 6111 - 6112 - 6113 - 6114 - 6115 - 6116 - 6117 -
6118 - 6119 - 6120 - 6121 - Guenther Anders e l'intenzionalità della scienza, «
Aut Aut », n. 64, pp. 365-367. Merleau-Ponty, Lukàcs e il problema della
dialettica, « Aut Aut », n. 65, pp. 498-515. I paradossi della fenomenologia e
l'ideale di una società razio nale, « Giornale critico della filosofia
italiana », n. 4, pp. 411- 442. Ristampato in 6301, parte seconda, cap. III.
Fenomenologia e obbiettivazione, «Giornale critico della filo sofia italiana
», n. 2, pp. 143-152. Ueber einige Verwandtschaften der Philosophie Whiteheads
und der Phànomenologie Husserls, « Revue internationale de philosophie », nn.
56-57, pp. 237-250. Ristampato (in italiano) in 6501, cap. VI. Relazionismo e
significato fenomenologico del mondo, « Il pen siero », n. 4, pp. 28-51.
Tecnica feticizzata e linguaggio, «Europa letteraria», nn. 9- 10, pp. 50-65.
Per una fenomenologia dell'eros, « Nuovi argomenti », nn. 51- 52, pp. 52-76. A
Fhenomenology of Eros, in AA. VV., Facets of Eros, The Hague, pp. 1-22. E.
Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale,
avvertenza e prefazione di E. Paci, Milano, Il Saggiatore. E. Gellner, Parole e
cose, introduzione di E. Paci, Milano, Il Saggiatore. Ree. di S. Freud, Lettere
1873-1939, Torino, 1960, «Aut Aut », n. 64, p. 394. Ree. di S. Freud, Le
origini della psicoanalisi, Torino, 1961, « Aut Aut », n. 64, pp. 394-395. Ree.
di W. Jensen, Gradiva, Torino, 1961, « Aut Aut », n. 64, p. 395. Ree. di F.
Fornari, Problemi del primo sviluppo psichico, in 6201 - 6302 -
6203 - 6204 - 6205 - 6206 - 6207 - 6208 - 6209 - 6210 - 6211 - 6212 - 6213 - «
Rivista di Psicologia », IV, 1960, « Aut Aut », n. 64, pp. 395-396. 1962
L'ultimo Sartre e il problema della soggettività, « Aut Aut », n. 67, pp. 1-30.
Alcuni paragrafi di questo saggio sono con fluiti in 6301, terza parte. Nuove
ricerche fenomenologiche, « Aut Aut », n. 68, pp. 99- 112. Nota su
Robbe-Grillet, Butor e la fenomenologia, « Aut Aut », n. 69, pp. 234-237.
Ristampato in 6501, cap. XV. Problemi di antropologia, « Aut Aut », n. 70, pp.
275-283. Ristampato in 6501, cap. XVI. Per una sociologia intenzionale, « Aut
Aut », n. 71, pp. 359- 367. Struttura e lavoro vivente, « Aut Aut », n. 72, pp.
453-457. Ristampato in 6501, cap. XVII. A proposito di sociologia e
fenomenologia (risposta a una let tera di F. Ferrarotti), « Aut Aut », n. 72,
pp. 507-510. A cominciare dal presente, « Questo e altro », n. 1, pp. 49-54.
Ristampato in 6601, parte seconda, cap. VI. In un rapporto intenzionale, «
Questo e altro », n. 2, pp. 25-41 Banfi, Gellner e Merleau-Ponty, « Casa
editrice II Saggiatore. Catalogo n. 5 primavera 1961 - primavera 1962 », pp.
40-47. Fenomenologia e antropologia in Hegel, « Il pensiero », nn. 1-2, pp.
47-81. Ristampato in 6601, parte seconda, cap. II. Bomba atomica e significato
di verità, « Il Verri », n. 6, pp. 159-162. n M. Merleau-Ponty, Senso e non senso,
introduzione di E. Paci, Milano, Il Saggiatore. 1963 6301 -
Funzione delle scienze e significato dell'uomo, Milano, Il sag- giatore, pp.
482. Indice: Parte prima: I - Crisi della scienza come crisi del significato
della scienza per l'uomo; II - L'oblio del mondo della vita e il significato
del trascendentale. Parte seconda: I - La fenomenologia come scienza nuova; II
- La cor- relazione universale e la filosofia come trasformazione dell'es- sere
in significato di verità; III - La fenomenologia e l'ideale di una società
razionale; IV - Il paradosso estremo della fenome- nologia; V - La psicologia e
la unità delle scienze; VI - Materia vita e persona nella teleologia della
storia; VII - La psicologia fenomenologica e la fondazione della psicologia come
scienza; V i l i - La crisi dell'Europa e la storia dell'umanità; IX - La
dialettica del linguaggio e il fondamento della storia; X - Il fondamento
fenomenologico della storia della filosofia; XI - Esperienza e ragione; XII -
Scienza, morale e realtà economica nella lotta della filosofia per il
significato dell'uomo; XIII - L'u- nità dell'uomo e l'autocomprensione
filosofica. Parte terza: I - Natura e storia; I I - Soggettività e situazione;
I I I - Ambiguità e verità; IV - Prassi pratico-inerte e irreversibilità; V -
Uomo natura e storia in Marx; VI - Il rovesciamento del soggetto nel-
l'oggetto; VII - La dialettica del concreto e dell'astratto. Pic- colo
dizionario fenomenologico. i7
significato dell'uomo in Marx e Husserl, « Aut Aut », n. 73, pp. 10-21. Questo
saggio è la traduzione italiana di una confe- renza tenuta da E. Paci presso
l'Accademia filosofica di Praga il 24 ottobre 1962. Il senso delle parole:
Lebenswelt; Struttura, « Aut Aut », n. 73, pp. 88-94. La psicologia
fenomenologica e la fondazione della psicologia come scienza, « Aut Aut », n.
74, pp. 7-19. Ristampato in 6301, parte seconda, cap. VII. 6307 -
Il senso delle parole: Epoche; trascendentale, « Aut Aut », n. 74, pp. 108-111.
6308 - Il senso delle parole: Alienazione e oggettivazione, « Aut Aut », n. 75,
pp. 103-104. 6309 - Sociologia e condizione umana, « Aut Aut », n. 76, pp.
7-16. 6310 - Il senso delle parole: Riconsiderazione; senso; causa; il cogito e
la monade, « Aut Aut », n. 76, pp. 106-108. 6311 - Fenomenologia e antropologia
culturale, « Aut Aut », n. 77, pp. 9-11. Ristampato in 6501, cap. XVIII. 6312 -
Il senso delle parole: Sprachleib; soggettività linguistica; lan- gue et
parole; strutturalismo, fonologia e antropologia, « Aut Aut », n. 77, pp.
100-103. 6313 - 6514 - 6315 - 6316 - 6317 - 6318 - 6319 - 6401 - Memoria e
presenza dei Buddenbrook, « Aut Aut », n. 78, pp. 7-27. Ristampato in 6502,
parte seconda, cap. VI. Il senso delle parole: Gradi della alienazione;
strumentammo; il corpo proprio inorganico; informale e nuova figurazione; tra
dizione e avanguardia, « Aut Aut », n. 78, pp. 91-95. Follia e verità in
Santayana, « Revue internationale de philoso phie », n. 63, pp. 50-61.
Ristampato in 6501, cap. X. Problemi di unificazione del sapere, « De Homine »,
nn. 15-16, pp. 65-78. Ristampato in 7301, parte quinta, cap. I. Die Positive
Bedeutung des Menschen in Kierkegaard, « Schweit- zer Monatshefte », n. 2, pp.
177-184. Alcuni paragrafi sul romanzo contemporaneo, «Europa lettera ria, Omaggio
a R. Mondolfo, in AA. VV., Omaggio a R. Mondolfo, Città di Senigallia, Atti del
Consiglio Comunale, seduta del 19 agosto 1962, Urbino, S.T.E.U., pp. 47-50.
1964 Problemi di unificazione del sapere, in AA. VV., L'unificazione del
sapere, Firenze, Sansoni, pp. 63-76. 6402 - A. N. Whitehead, in Les
grands courants de la pensée mondia le contemporaine, a cura di M. F. Sciacca,
terza parte, voi. II, Milano, Marzorati, Annotazioni per una fenomenologia
della musica, « Aut Aut, Il senso delle parole: Scientificità; irreversibilità;
entropia e informazione; operazionismo; musica e modalità temporali, « Aut Aut
», nn. 79-80, pp. 132-138. Teatro, funzione delle scienze e riflessione, « Aut
Aut », n. 81, pp. 7-14. Ristampato in 6601, parte prima, cap. III. Il senso
delle parole: Prima persona; fenomenologia e fisiologia; dualismo teatro e
personaggi, « Aut Aut», n. 81, pp. 108-112. Le parole, « Aut Aut Il senso delle
parole: linguaggio oggettivato; soggetto e com portamento; la scienza e la
vita, « Aut Aut », n. 82, pp. 104- 107. Fenomenologia e cibernetica, « Aut Aut
», n. 83, pp. 25-32. Ri stampato in 6503, terza appendice. Il senso delle
parole: introduzione; cose e problemi; forme ca tegoriali, « Aut Aut », n. 83,
pp. 93-95. Whitehead e Husserl, «Aut Aut», n. 84, pp. 7-18. Il senso delle
parole: Percezione e conoscenza diretta; struttura, traduzione, e unificazione
del sapere; il simbolismo e la possi bilità dell'errore, « Aut Aut », n. 84,
pp. 97-100. Thomas Mann, Le Opere, introduzione di E. Paci, Torino, Pomba. 1965
Relazioni e significati l (Filosofia e fenomenologia della cultu ra), Milano,
Lampugnani Nigri, pp. 228. Indice: I - Filosofia e fenomenologia della cultura;
II - Fenomenologia della vita e ragione in Banfi; III - Il significato di
Whitehead; IV - Logica 6502 - e filosofia in Whitehead; V -
Empirismo e relazioni in White head; VI - Whitehead e Husserl; VII - Nota su
B. Russell; V i l i - Neopositivismo, fenomenologia e letteratura; IX - Ca
duta della intenzionalità e linguaggio; X - Follia e verità in Santayana; XI -
Scienza e umanesimo italiano; XII - Fenomeno logia e letteratura; XIII -
Fenomenologia e narrativa; XIV - Fenomenologia, psichiatria e romanzo; XV -
Robbe-Grillet, Bu- tor e la fenomenologia; XVI - Problemi di antropologia; XVII
- Struttura e lavoro vivente; XVIII - Sul concetto di struttura. Relazioni e
significati II (Kierkegaard e Th. Mann), Milano, Lampugnani Nigri, pp. 341.
Indice: parte prima: I - Ironia, demoniaco ed eros; I I - Estetica ed etica; I
I I - La dialettica della fede; IV - Ripetizione e ripresa: il teatro e la sua
funzione catartica; V - Storia ed apocalisse; VI - La psicologia e il pro
blema dell'angoscia; V I I - Angoscia e relazione; V i l i - Ango scia e
fenomenologia dello eros; IX - L'intenzionalità e l'amo re; X - Kierkegaard e
il significato della storia. Parte seconda: I - Musica mito e psicologia in Th.
Mann; II - Th. Mann e la filosofia; III - Due momenti fondamentali nell'opera
di Mann; IV - L'ironia di Mann; V - Su « Altezza reale »; VI - Ricordo e
presenza dei « Buddenbrook ». Tempo e relazione (nuova edizione), Milano, Il
Saggiatore, pp. 386. Al testo della prima edizione (vedi 5401) si aggiungono
tre nuove appendici: I - Significato del significato; II - Seman tica e
filosofia; I I I - Fenomenologia e cibernetica. L'infanzia di J. P. Sartre, in
Le conferenze dell'associazione cul turale italiana (1964-1965), Cuneo, Sasto,
fascicolo XVI, pp. 19-30. Sull'orizzonte di verità della scienza, « Aut Aut »,
n. 85, pp. 7-16. Ristampato in 7301, parte quinta, cap. V. Il senso delle
parole: Processo; percezione non sensoriale; il tessuto della esperienza, « Aut
Aut », n. 85, pp. 93-95. Sulla struttura della scienza, « Aut Aut », n. 86, pp.
27-36. Ri stampato in 7301, parte quinta, cap. IV. Il senso delle parole:
Pubblico e privato; genesi, « Aut Aut », n. 86, pp. 91-95. 6503 - 6504 - 6505 -
6506 - 6507 - 6508 - 6509 - Struttura temporale e orizzonte
storico, « Aut Aut », n. 87, pp. 7-19. Ristampato in 7301, parte quinta, cap.
VI. 6510 - Il senso delle parole: Logica forinole e linguaggio ordinario;
metafisica descrittiva, « Aut Aut », Antropologia strutturale e fenomenologia,
«Aut Aut», n. 88, pp. 42-54. Ristampato in 7301, parte quarta cap. III. 6512 -
Condizione dell'esperienza e fondazione della psicologia, « Aut Aut », n. 89,
pp. 82-89. 6513 - Il senso delle parole: i due volti della psicologia; sul
principio della economia del pensiero, « Aut Aut », Una breve sintesi della
filosofia di Whitehead, « Aut Aut », n. 90, pp. 7-16. Ristampato in 7301, parte
quinta, cap. VIII. Il senso delle parole: Sul problema dei fondamenti;
esperienza e neopositivismo, « Aut Aut », n. 90, pp. 79-84. La voce Sul
problema dei fondamenti è stata ristampata come cap. II della parte quinta di 7301.
Funzione e significato nella letteratura e nella scienza, in La cultura
dimezzata, a cura di A. Vitelli, Milano, Giordano, pp. 165-169. Sul concetto di
struttura in Lévi-Strauss, « Giornale critico del- la filosofia italiana», n.
4, pp. 485-503. Ristampato in 7301, parte quarta, cap. II. Attualità di
Husserl, « Revue internationale de philosophie », nn. 71-72, pp. 5-16.
Ristampato in 7301, parte prima, cap. I. 6519 - Sul problema della fondazione
delle scienze, « Il pensiero », nn. 1-2, pp. 36-43. Ristampato in 7301, parte
quinta, cap. III. 6520 - i7 senso delle strutture in Lévi-Strauss, « Paragone
», n. 192, pp. 114-125, e « Revue internationale de philosophie », nn. 73- 74,
pp. 300-313. Ristampato in 7301, parte quarta, cap. I. 6521 - Nota su De Saussure,
in « Casa editrice II Saggiatore: Catalogo generale 1958-1965. Preceduto da
un'inchiesta su ' Struttura- lismo e critica ' a cura di C. Segre », pp.
LXIX-LXXIII. 6522 - Ideologia, parola negativa, in « Casa editrice il
Saggiatore: sup- 6523 - 6524 - 6525 - 6601 - plemento a l catalogo
generale aggiornato a l 3 0 settembre 1965 », pp. 21-75. E . Husserl,
Esperienza e Giudizio, nota introduttiva di E . Paci, Milano, Silva. G. Piana,
Esistenza e storia negli inediti di Husserl, prefazione di E . Paci, Milano,
Lampugnani Nigri. C. Sini, Whitehead e la funzione della filosofia, prefazione
di E. Paci, Padova, Marsilio. 1966 Relazioni e significati I I I (Critica e
dialettica), Milano, Lampu- gnani Nigri, pp. 376. Indice: Parte prima: I -
Sulla poesia di Rilke; II - Sul senso della poesia di T. S. Eliot; III - L'uomo
di Proust; IV - Valéry o della costruzione; V - Sulla musica contemporanea; V I
- Per una fenomenologia della musica; V I I - Interpretazione d e l teatro; V i
l i - Teatro, funzione delle scien- ze è riflessione; IX - Sull'architettura
contemporanea; X - L'ar- chitettura e il mondo della vita; XI - Il metodo
industriale, l'e- dilizia e il problema estetico; XII - Fenomenologia e
architet- tura contemporanea; XIII - Wright e « lo spazio vissuto ». Parte
seconda: I - I l significato della dialettica platonica; I I - Dialettica,
fenomenologia e antropologia in Hegel; I I I - T r e 6602 - 6603 - 6604 -
paragrafi p e r u n a fenomenologia d e l linguaggio; I V sulla fenomenologia d
e l linguaggio; V - Dialettica e nalità nella critica e nella poesia; VI - A
cominciare dalpre- sente; VII - In un rapporto intenzionale; Vili -
L'alienazione delle parole. Per un'analisi fenomenologica del sonno e del
sogno, in A A . VV., Il sogno e le civiltà umane, Bari, Laterza, p p . 247-255.
Kierkegaard vivant et la véritable signification de l'histoire, in AA. VV.,
Kierkegaard vivant (colloque organisé par l'Unesco du 21 au 23 avril 1964),
Paris, Gallimard, pp. 111-124. Il senso delle parole: Sul problema della fondazione,
« Aut Aut », n. 91, pp. 94-96. - Ancora intenzio- Psicanalisi e
fenomenologia, « Aut Aut », n. 92, pp. 7-20. Ri stampato in 7301, parte
quarta, cap. VI. 17 senso delle parole: L'archeologia del soggetto; psicologia
e problematica della scienza, « Aut Aut », n. 92, pp. 91-96. . Ayer e il
concetto di persona, « Aut Aut », n. 93, pp. 7-20. Ri stampato in 7 3 0 1 ,
parte quinta, cap. IX. Il senso delle parole: Primitività della persona e
azione umana; linguaggio e realtà, « Aut Aut », n. 93, pp. 97-100. Per lo
studio della logica in Husserl, « Aut Aut », n. 94, pp. 7-25. Ristampato in
7301, parte terza, cap. III. Il senso delle parole: Ricerca trascendentale e
metafisica; espe rienza temporale e riconoscimento, « Aut Aut », n. 94, pp.
101- 104. Tema e svolgimento in Husserl, « Aut Aut », n. 95, pp. 7-28. Il senso
delle parole: Morfologia universale; prima persona e linguaggio, « Aut Aut »,
n. 95, pp. 101-104. Fondazione e costruzione logica del mondo di Carnap, «
Archi vio di filosofia », n. 1 [Logica e analisi), pp. 95-107. Modalità,
coscienza empirica e fondazione in Kant, « Il pensie ro », nn. 1-2, pp. 5-22.
Ristampato in 7301, parte seconda, cap. III. E. Husserl, Logica formale e
trascendentale, prefazione di E. Paci, Bari, Laterza. Ricordo di E. De Martino,
colloquio tra E. Paci, C. D. Levi Carpitella, G. Jervis, « Quaderni dellTSSE »,
n. 1, pp. 5-14. Filosofia e scienza, discussione tra E. Paci, P. Caldirola, P.
D'Arcais, Panikkar, « Civiltà delle macchine », I, pp. 19-30. 1967 Il nulla e
il problema dell'uomo, in E. De Martino, Il mondo magico, Torino, Boringhieri, Il
significato di GALILEI filosofo per la filosofia, in AA. VV., Studi Gali-
leiani, Firenze, Barberi, pp. 1-28. Ristampato in 7301, parte seconda, cap. II.
Fondazione fenomenologica dell'antropologia e antropologia del- le scienze, «
Aut Aut », nn. 96-97, pp. 28-46. Ristampato in 7301, parte quarta, cap. IV. Il
senso delle parole: Fenomenologia della prassi e realtà obiet- tiva, « Aut Aut
», nn. 96-97, pp. 153-154. Il ritorno a Freud, « Aut Aut », n. 98, pp. 62-73.
Ristampato in 7301, parte quarta, cap.V. Il senso delle parole: Autoanalisi e
intersoggettività, « Aut Aut », n. 98, pp. 104-106. Fondazione e
chiarificazione in Husserl, « Aut Aut », n. 99, pp. 7-13. Ristampato in 7301,
parte terza, cap.VI. Il senso delle parole: Fenomenologia ed enciclopedia, «
Aut Aut », n. 99, pp. 94-96. Per un'interpretazione della natura materiale in
Husserl, « Aut Aut », n. 100, pp. 47-73. Ristampato in 7301, parte terza, cap.
IV. Il senso delle parole: Decezione conflitto e significato, « Aut Aut », n.
100, pp. 83-87. Natura animale, uomo concreto e comportamento reale in Hus-
serl, « Aut Aut », n. 101, pp. 27-47. Ristampato in 7301, parte terza, cap. V.
Il senso delle parole: Struttura e contemporaneità al nostro pre- sente, « Aut
Aut », n. 101, pp. 95-98. Il senso delle parole: La motivazione, « Aut Aut »,
n. 102, pp. 108-110. Informazione e significato, « Archivio di filosofia » , n.
1 [Filo- sofia e informazione), pp. 37-53. Ristampato in 7 3 0 1 , parte
quinta, cap. VII. Kafka e la sfida del teatro di Oklahoma, « Studi germanici »
, n. 2, pp. 240-252. 3 A . CIVITA, Bibliografìa degli scritti di Enzo
Paci. Per una semplificazione dei temi husserliani fino al primo vo
lume delle « Idee », « Studi urbinati », nn. 1-2, pp. 767-787. Ristampato in
7301, parte terza, cap. I. 1968 Inversione e significato della cultura, « Aut
Aut », n. 103, pp. 7-13. Ristampato in 7301, parte prima, cap. VII. Il senso
delle parole: L'altro, « Aut Aut », n. 103, pp. 108-109. Per una nuova
antropologia e una nuova dialettica, « Aut Aut », n. 104, pp. 7-14. Ristampato
in 7301, parte seconda, cap. VII. Il senso delle parole: L'uomo e la struttura,
« Aut Aut », n. 104, pp. 93-95. Motivazione, ragione, enciclopedia
fenomenologica, « Aut Aut », nn. 105-106, pp. 100-128. Ristampato in 7301,
parte terza, cap. Vili. E. Paci, P. A. Rovatti, Persona, mondo circostante,
motivazione, « Aut Aut », nn. 105-106, pp. 142-171. Il senso delle parole:
Alienazione, « Aut Aut », nn. 105-106, pp. 198-200. Keynes, la fondazione
dell'economia e l'enciclopedia fenomeno logica, «Aut Aut», n. 107, pp. 69-100.
Ristampato in 7301, parte quarta, cap. VII. Il senso delle parole: L'uomo
stesso, « Aut Aut », n. 107, pp. 110-112. Vita e verità dei movimenti studenteschi,
« Aut Aut », n. 108, pp. 7-14. Il senso delle parole: Razionalità irrazionale,
«Aut Aut», n. 108, pp. 122-123. 6812 - Vico, le structuralisme et
l'encyclopédie phénoménologique des sciences, « Les études philosophiques »,
nn. 3-4, pp. 408-Domanda, risposta e significato, «Archivio difilosofia», n. 1
[Il problema della domanda), pp. 11-26. La presa di coscienza della biologia in
Cassirer, « Il pensiero », nn. 1-2, pp. 109-117. Ristampato in 7301, parte
quarta, cap. IX. The Vhenomenological Encyclopedia and the « Telos » of the
Humanity, « Telos », voi. I, n. 2, pp. 5-18. Ri Hegel: Enciclopedia delle
scienze filosofiche, in AA. VV., Orien tamenti filosofici e pedagogici,
Milano, Marzorati, voi. II, pp. 909-941. 6904 - Antonio Banfi e il pensiero contemporaneo,
in AA. VV., Antonio Banfi vivente, Firenze, La Nuova Italia, pp. 34-45.
Ristampato in 7301, parte prima, cap.II. 6905 - II senso delle parole: Sviluppo
e sottosviluppo, « Aut Aut », nn. 109-110, pp. 213-215. 6906
-Aldilà,«AutAut»,n.Ili,pp.7-14. 6907 - J7senso delle parole: Soggetto ed
oggetto dell'economia, « Aut Aut » n. Ili, pp. 101-103. 6908 - L'enciclopedia
fenomenologica e il Telos dell'umanità, « Aut Aut», n. 112, pp. 26-45.
Ristampato in 7301, parte prima, cap. III. 6909 - Il senso delle parole:
Violenza e diritto, « Aut Aut», n. 112, pp. 105-107. 6910 - Il senso delle
parole: Istituzione totale, «Aut Aut», n. 113, pp. 84-86. 6911 -
L'architettura come vita, « Aut Aut », n. 113, pp. 87-89. 6912 - Dialectic of
the Concrete and of the Abstract, « Telos », n. 1, pp. 5-32. 6913 - Barbarie e
civiltà, in « Atti del Convegno Internazionale sul tema: Campanella e Vico »
(Roma 12-15 maggio 1968), Roma, Accademia nazionale dei Lincei, Quaderno, La
dialettica del processo. Milano, Mondadori. 6915 - S. Veca, Fondazione e
modalità in Kant, prefazione di E. Paci, Milano, Mondadori. 1970 7001 - Il
senso delle parole: Ancora sul marxismo e sulla fenomenologia, « Aut Aut », nn.
114-115, pp. 129-138. 7002 - Due temi fenomenologici: I - Fenomenologia e dialettica.
II • La fenomenologia e la fondazione dell'economia politica, « Aut Aut », n.
116, pp. 7-37. Ristampato in 7301, parte quarta, cap. Vili. 7003 - Il senso
delle parole: La ripetizione, « Aut Aut », n. 116, pp. 113-114. 7004 - L'ora di
Cattaneo, « Aut Aut », n. 117, pp. 7-19. 7005 - Il senso delle parole: Ontico e
ontologico, « Aut Aut », n. 117, pp. 101-102. 7006 - Il senso delle parole:
Barbarie e civiltà, «Aut Aut», n. 118, pp. 114-121. 7007 - Il senso delle
parole: La figura, « Aut Aut », nn. 119-120, pp. 164-166. 7008 - Vita
quotidiana ed eternità, « Archivio di filosofia », n. 1 (Il senso comune), pp.
15-22. 7009 - Intersoggettività del potere, « Praxis », nn. 1-2, pp.
87-92. 7010 - Fenomenologia e dialettica marxista, « Praxis; Sui
rapporti tra fenomenologia e marxismo, in J. T. Desanti, Fe nomenologia e
prassi, Milano, Lampugnani Nigri, pp. 105-122. Astratto e concreto in
Althusser, « Aut Aut », n. 121, pp. 7-20. Ristampato in 7301, parte quinta,
cap. X. Il senso delle parole: Sostanza e soggetto, « Aut Aut », n. 121, pp.
100-101. La « Einleitung » nella fenomenologia hegeliana e l'esperienza
fenomenologica, « Aut Aut », n. 122, pp. 7-18. Ristampato in 7301, I sez., cap.
IV, seconda parte. Il senso delle parole: La fenomenologia come scienza dell'appa
renza e della esperienza della coscienza, « Aut Aut », n. 122, pp. 94-96. Hegel
e la certezza sensibile, « Aut Aut », nn. 123-124, pp. 7-18. Ristampato in
7301, sez. II, cap. IV, seconda parte. Il senso delle parole: Storia e verità,
« Aut Aut », nn. 123-124, pp. 151-152. Considerazioni attuali su Bloch, « Aut
Aut », n. 125, pp. 20-30. Ristampato in 7301, parte quinta, cap. XI. Il senso
delle parole: Speranza e carità: l'uomo nuovo, « Aut Aut », n. 125, pp.
104-107. Per un'analisi del momento attuale e del suo limite dialettico, Aut
Aut », n. 126, pp. 7-21. Ristampato in 7401, cap. VI, e in 7501. Il senso delle
parole: « L'homme nu » di C. Lévi-Strauss, « Aut Aut », n. 126, pp.
105-107. 7112 - La phénoménologie et l'histoire dans la pensée de
Hegel, « Pra- xis », nn. 1-2, pp. 93-100. Lo stesso testo è apparso in inglese
col titolo History and Fhenomenology in Hegel's Thought, in « Telos », n. 8,
pp. 77-83. 7113 - 7114 - H. Bergson, Le Opere, introduzione di E. Paci, Torino,
Pomba. E. Minkowski, 17 tempo vissuto, prefazione di E. Paci, Torino, Einaudi.
7115 - P. Scarduelli, L'analisi strutturale dei miti, prefazione di E. Paci,
Milano, Celuc. 7116 - E. Paci, P. A. Rovatti, R. Tomassini, S. Veca, Per una
fenome- nologia del bisogno, « Aut Aut, Life-World, Time, and Liberty in
Husserl, in AA.VV,. Life- World and Consciousness. Essays for A. Gurwitsch, a
cura di L. E. Embree, Evanston, Northwestern Univ. Press, pp. 461-468. 7202 -
7203 - Ungaretti e l'esperienza della poesia, in G. Ungaretti, Lettere a un
fenomenologo, premessa di E. Paci, Milano, Vanni Scheiwil- ler, pp. 17-38. Il
senso della religione in MaxHorkheimer, in Max Horkheimer, Giuseppe Guerreschi,
An Maidom e zum Schicksal der Religion, Milano, Arte Edizioni, due pagine non
numerate. 7204 - A proposito di fenomenologia e marxismo. Considerazioni sul «
Dialogo » di Vajda, « Aut Aut », n. 127, pp. 44-57. 7205
-17sensodelleparole:Lavoroeteologia,«AutAut»,n.127,pp. 120-122. 7206 - La
presenza nella « Fenomenologia dello spirito » di Hegel, « Aut Aut », n. 128,
pp. 5-22. Ristampato in 7301, sez. Ili, cap. IV, parte seconda. 7207 -
Variazioni su Cattaneo, « Aut Aut », n. 128, pp. 89-96. 7208 - Il senso delle
parole: Il federalismo, « Aut Aut », n. 128, pp. 97-98. 7209 -
Spontaneità, ragione e modalità della praxis, « Praxis, Che cosa ha taciuto B.
Croce, « Tempo », n. 50, pp. 30-34. 7211 - Ci sono strutture di strutture di
strutture..., « Tempo, B. Russell, Le Opere, introduzione di E. Paci, Torino, Pomba.
7213 - J . Wahl, La coscienza infelice nella filosofia di Hegel, prefazione di
E. Paci, Milano, Istituto Librario Internazionale. 7214 - S. Zecchi,
Fenomenologia dell'esperienza, presentazione di E. Paci, Firenze, La Nuova
Italia. 7215 - Intervista con Enzo Faci, in Parlano i filosofi italiani, « Terzo
programma », fase. Ili, Idee per una enciclopedia fenomenologica, Milano,
Bompiani, pp. 586. Indice: Parte prima: I - Attualità di Husserl; II -
L'eredità di Banfi; III - L'enciclopedia fenomenologica e il telos
dell'umanità. Parte seconda: I - Vico, lo strutturalismo e l'en ciclopedia
fenomenologica delle scienze; II - Il significato di Ga lileo per la
filosofia; III - Modalità, coscienza empirica e fonda zione in Kant; IV -
Hegel e la fenomenologia. Parte terza: I - I temi husserliani fino al primo
volume di Idee; II - Sul pro blema dell'intersoggettività; I I I - Per lo
studio della logica in Husserl; IV - Per una interpretazione della natura
materiale in Husserl; V - Natura animale, uomo concreto e comportamento reale
in Husserl; VI - Fondazione e chiarificazione in Husserl; VII - Cultura e
dialettica; Vili - Motivazione, ragione, enciclo pedia fenomenologica. Parte
quarta: I - Il senso delle strutture in Lévi-Strauss; II - Sul concetto di
struttura in Lévi-Strauss; III - Antropologia strutturale e fenomenologia; IV -
Fondazione fenomenologica dell'antropologia ed enciclopedia delle scienze; V -
Il ritorno a Freud; VI - Psicanalisi e fenomenologia; VII - Keynes, la
fondazione della economia e l'enciclopedia fenomeno logica; V i l i -
Fenomenologia e fondazione dell'economia poli- tica; IX - La presa
di coscienza della biologia in Cassirer. Parte quinta: I - Problemi di
unificazione del sapere; II - Sul pro blema dei fondamenti; III - La
fondazione delle scienze; IV - La struttura della scienza; V - Il significato
di verità della scien za; VI - Struttura temporale e orizzonte storico; VII -
Infor mazione e significato; V i l i - Whitehead in sintesi; IX - Una sintesi
di Ayer sul concetto di persona; X - Astratto e concreto in Althusser; XI - Modalità
e novità in Bloch. 7302 - Diario fenomenologico (nuova edizione), Milano,
Bompiani, Marxismo e fenomenologia, « Aut Aut », n. 133, pp. 1-13. Ri stampato
in 7401, cap. I. i7 senso delle parole: Attualità della « fenomenologia » di
Hegel, « Aut Aut » Bisogni, paradossi e trasformazioni del mondo, « Aut Aut »,
n. 134, pp. 1-10. Il senso delle parole: Filosofia analitica e fenomenologia, «
Aut Aut », n. 134, pp. 109-111. Il senso delle parole: I limiti dell'empirismo,
« Aut Aut », n. 135, pp. 111-112. La negazione in Sartre, « Aut Aut », nn.
136-137, pp. 3-12. Il senso delle parole: L'istante, « Aut Aut », nn. 136-137,
pp. 159-160. Il senso delle parole: Sul relazionismo, « Aut Aut », n. 138, pp.
117-119. Cancellare la scrittura morta per trovare la verità viva, «Tem po »,
nn. 2-3, p. 56. L'uomo deve imparare a servirsi della scienza, « Tempo », nn.
4-5, p. 56. La pelle di leopardo ideologica, « Tempo », nn. 6-7, p. 51. Enzo
Paci: Cosi vedo Sartre, « Tempo », nn. 8-9, p. 70. 7315 - Amore e
morte. Freud e la rivoluzione dell'uomo, «Tempo», nn. 10-11, p. 80. 7316 -
L'enigma Ludwig: Visconti e Thomas Mann, «Tempo», nn. 12-13, p. 68. 7317 -
L'uomo e la semiotica universale, « Tempo »,n. 14,p.71. 7318 - Ateismo nel
cristianesimo e cristianesimo nell'ateismo, «Tempo », n. 15, p. 74. Letteratura
e reazione, « Tempo, La presa di coscienza dell'eros e la trasformazione della
società, « tempo », n. 17, p. 74. « Il Capitale » tra Shakespeare e Kafka, «
Tempo », n. 18, p. 68. Un congresso di filosofi che riscoprono la dialettica, «
Tempo », n. 19, p. 63. Linguaggio e silenzio in Wittgenstein, « Tempo », n. 20,
p. 80. Quel superstizioso di Freud, « Tempo », n. 21, p. 73. Filosofia Arte e
Letteratura, « Tempo », n. 22, p. 76. Quando la volontà è malata, « Tempo », n.
23, p. 72. Colloqui con Sartre, « Tempo », n. 24, p. 60. Un messaggio contro il
male, « Tempo », n. 25, p. 68. La realtà si ritrova nella continua dialettica
tra realismo e sur- realismo, « Tempo », n. 26, p. 62. Husserl e Marx a Praga,
« Tempo », n. 27, p. 53. Mito e vacanza della vita, « Tempo », n. 28, p. 54.
Eclisse e rinascita della ragione in Horkheimer, « Tempo », n. 29, p. 54. G.
Lukàcs tra la vita e lo spirito, « Tempo », n. 30, p. 56. La situazione limite
di Bataille, « Tempo », n. 31, p. 56. Il progresso economico distruggerà la
specie umana, « Tempo », n. 32, p. 56. 7336 - La filosofia della
vita e della cultura di Simmel e di Banfi, « Tem- po », Trovare l'uomo partendo
dalla solitudine, « Tempo », n. 34, p. 58. 7338 - La musica come mediazione tra
la vita e il suo significato, « Tem- po », n. 35, p. 58. 7339 - Ter Marcuse la
rivoluzione continuerà con l'estetica, « Tempo », n. 37, p. 60. 7340 - Il
filosofo del senso comune, « Tempo », n. 38, p. 82. 7341 - Il fallimento
dell'uomo e la religione, « Tempo », n. 39, p. 80. 7342 - La vera neutralità
della scienza, « Tempo », n. 40, p. 80. 7343 - La nuova via tra Pitagora e
Darwin, « Tempo », n. 41, p. 80. 7344 - L'idiota di famiglia e la guarigione
dell'uomo, « Tempo, L'eredità di G. Marcel è anticapitalista?, « Tempo », n.
43, p. 96. 7346 - Lukàcs inedito scoperto a Budapest, « Tempo », n. 44, p. 94.
7347 - I cervelli avranno un futuro, « Tempo », n. 45, p. 86. 7348 - Forse una
nuova dialettica con la vittoria del proletariato, « Tempo », n. 46, p. 116.
L'uomo tra Tolomeo e Copernico, « Tempo », n. 47, p. 94. Minkowski:
psicopatologia e vita vissuta, « Tempo », n. 48, p. 84. La costruzione logica
del mondo, « Tempo », n. 49, p. 90. Lenin e la filosofia, « Tempo », n. 50, p.
76. Jaspers e l'armonia di una nuova storia, « Tempo », n. 51, p. 70. 1974
Fenomenologia e dialettica, Milano, Feltrinelli, pp. 68. Indice: I - Marxismo e
fenomenologia; II - La nuova fenomenologia; III - Fenomenologia dell'economia e
della psicologia; IV - La trasformazione del mondo attuale; V -
Fenomenologia e costi- tuente mondiale; VI - Per un'analisi del momento attuale
e del suo limite dialettico. 7402 - La filosofia contemporanea (nuova
edizione), Milano, Garzanti, pp. 338. Al testo della prima edizione (vedi 5703)
si aggiungono 7 nuove appendici: I - L'eredità kantiana e il marxismo; II -
Lenin e la filosofia; III - Sul marxismo italiano; IV - C. Lukàcs; V -
Sociologia e scuola di Francoforte; VI - Sullo strutturalismo; VII - Moore e la
filosofia analitica inglese. 7403 - 7404 - 7405 - 7406 - 7407 - 7408 - 7501 -
7601 - 7602 - Vérification empirique et trascendance de la vérité, in AA. VV.,
Vérité et Vérification, La Haye, M. Nijhoff, pp. 59-67. Considerazioni attuali
sul problema dell'utile e del vitale in Cro- ce, in AA. VV., Benedetto Croce, a
cura di A. Bruno, Catania, Nicolò Giannotto Editore, pp. 341-355. Il senso
delle parole: Sulla fenomenologia del negativo, « Aut Aut », n. 140, pp.
134-136. Il senso delle parole: Husserl e il cristianesimo, « Aut Aut », n.
141, pp. 133-134. Undici studiosi alla scoperta degli Evangeli, « Tempo », n.
1, p. 64. R. Osculati, Fare la verità. Analisi fenomenologica di un lin-
guaggio religioso, Nota finale di Enzo Paci, Milano, Bompiani. Intervista con
Enzo Paci, in La filosofia dal '45 ad oggi, a cura di Valerio Verrà, Roma, ERI,
pp. 455-458. Dizionario di filosofia, Milano, Rizzoli. Voce: Esistenzialismo. Enzo
Paci. Paci. Keywords: relazione. Refs: Luigi Speranza, “Grice e Paci: i
principi metafisici di Vico” --. Luigi Speranza, “Grice e Paci: significato e
significati” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742511685/in/datetaken/
Biraghi, andrea – “Dizionario di
filosofia,” Milano.
Grice e Padovani – filosofia classica –
Luigi Speranza (Ancona).
Filosofo. Grice: “I like Padovani,
especially his focus on what he calls ‘classical metaphysics’ (‘metafisica
classica’) for what is philosophy if not footnotes to Plato?” -- essential
Italian philosopher. Ffiglio di Attilio Padovani, generale di artiglieria, e di
sua moglie, la ricca possidente veneta Elisabetta Rossati. Mentre, nelle parole
stesse di Padovani, il padre "educò i suoi figli ad una rigorosa etica
dell'onore e del dovere", ebbe un rapporto privilegiato con sua madre che
fu colei che per prima lo introdusse agli ambienti letterari di Padova grazie
alla vicinanza dei terreni della sua famiglia che erano posti a Bottrighe, nel
Polesine, dove tutta la famiglia si trasferiva durante il periodo invernale. La
solerte religiosità della madre, lo spinse a non frequentare la scuola
elementare pubblica (che ella riteneva troppo "laicizzata" dopo
l'unità d'Italia) ma a servirsi di un precettore, un ex abate che per primo lo
instradò alla filosofia. Si iscrisse quindi al liceo di Milano dove ebbe i suoi
primi contatti col positivismo che procureranno in lui e nel suo pensiero una
profonda crisi nel saper controbilanciare il più correttamente possibile questa
visione innovativa della vita con la teologia cattolica. Il padre lo avrebbe
voluto ingegnere, ma egli terminati gli studi del liceo si iscrisse aa Milano
dove seguì i corsi di Martinetti, pur prendendo a frequentare Mattiussi
(convinto tomista) e Olgiati, convinto assertore della necessità di fondere
insieme la metafisica classica con il pensiero moderno. Olgiati (a sinistra)
con Gemelli (al centro) e Necchi. I primi due furono tra i principali
ispiratori. Fu su consiglio di questi due ultimi che il alla fine decise di
intraprendere la carriera filosofica, sviluppando una sua corrente di pensiero
permeata di tutti gli spunti che nel corso della sua carriera aveva saputo
trarre dai pensieri dei suoi insegnanti e ispiratori, basandosi molto anche
sull'opera di Schopenhauer. Si laureò con una tesi su Spinoza eproseguendo poi
la sua carriera in ambito universitario divenendo dapprima assistente e poi
direttore della biblioteca. Divenne membro della Società italiana per gli studi
filosofici e psicologici e dell'Università Cattolica del Sacro Cuore da poco
fondata a Milano da Gemelli. Grazie all'influsso di Gemelli, Padovani iniziò a
collaborare anche con la "Rivista di filosofia neoscolastica" di cui
divenne ben presto uno dei principali rappresentanti. Venne nominato professore di filosofia della
religione e anche supplente di Introduzione alla storia delle religioni. In
seguito alla riforma Vecchi, si trasferì a Padova dove divenne professore di
filosofia morale, avendo per college Olgiati col quale dimostrò una particolare
sintonia. Sempre affiancato da Gemelli,
anche durante gli anni della Seconda guerra mondiale riunì presso la propria
casa di Milano diversi intellettuali cattolici avversi al fascismo (noti col
nome di "Gruppo di Casa Padovani") come Dossetti eFanfani. Si
avvicinò durante questi stessi anni al pensiero filosofico e teologico di Gemelli
che puntava ad un rinnovamento attivo teorico e morale, affiancando personaggi
del calibro di Giacon, Stefanini, Guzzo e Battaglia, coi quali diede vita al
Centro di studi filosofici di Gallarate da cui poi scaturirà il cosiddetto
"Movimento di Gallarate" per il dialogo aperto tra i filosofi. Quando
Sciacca fondò il "Giornale di metafisica" egli ne fu il primo
redattore. Venne accolto come professore
di filosofia morale e filosofia teoretica a Padova. Morì ia Gaggiano. Volle per sua espressa
volontà che la notizia della sua morte fosse resa pubblica a sepoltura avvenuta
come estremo esempio della propria esistenza di stampo ascetico, come tale era
stata la sua scelta di non sposarsi. Il
pensiero filosofico La tomba di
Elisabetta Rossati, madre di Umberto Antonio Padovani e figura ispiratrice del
suo pensiero filosofico e teologico. È sepolta nel piccolo cimitero di San Vito
di Gaggiano (MI) Durante gli anni del suo insegnamento a Milano, l'attività filosofica
fu particolarmente prolifica: egli iniziò col pubblicare “Il problema
fondamentale della filosofia di Spinoza” (Milano), poi Vito Fornari. Saggio sul
pensiero religioso in Italia nel secolo XIX (Milano), “Gioberti e il
cattolicesimo” (Milano) e “Schopenhauer. L’ambiente, la vita, le opera”
(Milano). In questi scritti egli dimostrò di saper guardare attentamente non
solo alla storia della filosofia, ma anche alle suggestioni provenienti da
altri panorami filosofici e religiosi. Pubblicò il testo più importante del suo
pensiero filosofico, “La filosofia della religione e il problema della vita”
(riedito “Il problema religioso nel pensiero occidentale”), dove per la prima
volta delineò chiaramente la matrice del suo pensiero, ovvero che la religione
era l'unica strada per risolvere il problema esistenziale della vita, ovvero il
male, elemento che limita le possibilità umane, rileggendo in questo la
struttura originale della storiografia filosofica e della metafisica
classica. Con la pubblicazione del suo
Filosofia della storia, egli si espresse anche riguardo allo studio della storia,
il quale s ci rivela quotidianamente il male, ovvero i limiti dell'uomo
rispetto al mondo che lo circonda, ma non è in grado (come del resto la filosofia)
di fornire soluzioni. Tali soluzioni possono pervenire unicamente dalla
teologia, magari nella sua declinazione di teologia della storia. Questo
pensiero si acuì particolarmente con una riflessione anche sulla morte negli
ultimi anni, in particolare dopo la morte della madre Elisabetta col quale egli
aveva sempre avuto un forte legame.
Altre opere: – Grice: “Cf.
Hampshire’s Spinoza”) Milano, Vito Fornari; “Saggio sul pensiero in
Italia,”Milano, “La storia della
filosofia con particolare riguardo ai problemi politici, morali e religiosi,”
Como, “Aquino nella storia della cultura” (Como); “Il fondamento e il contenuto
della morale” (Como); “Filosofia e teologia della storia” (Como); “Sommario di
storia della filosofia,” Roma, P. Faggiotto,Padova A. Cova, Storia
dell’Università cattolica del Sacro Cuore, Milano A. M. Moschetti, Cercatori
dell’assoluto: maestri nell'Ateneo padovano, Santarcangelo di Romagna Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. And then
there’s Pagani: essential Italian philosopher difficult to find. Padovani. Keywords: implicatura. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Padovani,” The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740815513/in/datetaken/
Grice e Paganini – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Lucca).
Filosofo. Grice: “Paganin must be
the only Italian philosopher who reads La Divina Commedia philosophically!”
-- Grice: “Strawson never read
Paganini’s ‘cosmological’ tract on ‘spazio’ but he should, obsessed as he was
with spatio-temporal continuity. Grice: “I’ll never forget Shropshire’s proof
of the immortality of the human soul – He told me he basically drew it from an obscure
tract by Paganini, as inspired by the death of Patroclus – Paganini’s tract
actually features one of my pet words. He speaks of the ‘domma’ of the
‘immotalita dell’anima umana’ – Brilliant!” -- essential Italian philosopher.Lucca
stava passando dalla reggenza austriaca seguita al collasso napoleonico al
diventare capitale del borbonico Ducato di Lucca. Compì l'intero corso dei suoi
studi a Lucca, dedicandosi, fin dai tempi delle scuole secondarie, alla
filosofia. Insegnò filosofia negli istituti secondari lucchesi. Prtecipò alla
prima guerra d'indipendenza. Dopo la fine della guerra, col l'annessione del
Ducato di Lucca da parte del Granducato di Toscana fu nominato docente nell'ateneo
lucchese. In questo ufficio fu difensore della dottrina rosminiana e nonostante
venisse sorvegliato dalla polizia il governo decise poi di offrirgli una
cattedra a Pisa a seguito dei buoni uffici di Rosso. Gli ultimi anni della sua
vita furono rattristati da due avvenimenti; la espulsione dai seminari ecclesiastici
di discepoli a lui carissimi, perché rei di professare le dottrine del Rosmini
e la condanna di certe proposizioni tolte ad arbitrio e senza critica dalle
molte opere del filosofo di Rovereto. Morì a Pisa. Annuario della R. Pisa per
l’anno accademico. sba.unipi/it/risorse/archivio-fotografico/persone-in-archivio/paganini-carlo-pagano
Opere. Paganini. Keywords: Alighieri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paganini”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692032980/in/photolist-2mPXDFp-2mPNuPp-2mNaHiH-2mKRbtW
Grice e Pagano – eroe – filosofia italiana
– filosofi agiustiziati --– Luigi Speranza (Brienza). Filosofo. Essential Italian philosopher. Uno dei maggiori esponenti dell'Illuminismo ed un precursor
edel positivismo, oltre ad essere considerato l'iniziatore della scuola storica
napoletana del diritto. Personaggio di spicco della Repubblica Partenopea, le
sue arringhe contornate di citazioni filosofiche gli valsero il soprannome di
"Platone di Napoli". Nato da una famiglia di notai, si trasfere a Napoli. Studia sotto l'egida di Angelis,
da cui apprese anche gli insegnamenti del greco. Frequenta i corsi
universitari, conseguendo la laurea con il “Politicum universae Romanorum
nomothesiae examen” (Napoli, Raimondi), dedicato a Leopoldo di Toscana ed
all'amico grecista Glinni di Acerenza. Studia sotto Genovesi, il cui
insegnamento fu fondamentale per la sua formazione, e amico di Filangieri con
cui condivide l'iscrizione alla massoneria. Appartenne a “La Philantropia,” loggia
della quale e maestro venerabile. Inoltre, i proventi dell'attività di avvocato
criminale gli consenteno di acquistare un terreno all'Arenella, dove costitue
un cercchio, alla quale partecipa, tra gli altri, Cirillo. Insegna a Napoli,
distinguendosi come avvocato presso il tribunale dell'Ammiragliato (di cui diviene
poi giudice) nella difesa dei congiurati della Società Patriottica Napoletana
Deo, Galiani e Vitaliani pur non riuscendo ad evitarne la messa a morte. Incarcerato
in seguito ad una denuncia presentata contro di lui da un avvocato condannato
per corruzione che lo accusa di cospirare contro la monarchia. Venne liberato per
mancanza di prove. Scarcerato ripara clandestinamente a Roma, dove e accolto
positivamente dai membri della Repubblica. Insegna al Collegio Romano,
accontentandosi di un compenso che gli garantiva il minimo indispensabile per
vivere. Tra i suoi seguaci e allievi, il
rivoluzionario Galdi. La libertà è la facoltà di ogni uomo di
valersi di tutte le sue forze morali e fisiche come gli piace, colla sola
limitazione di non impedir ad’altro uomo di far lo stesso. Il Giudice Speciale lo
schernisce dopo avergli letto la sentenza di morte. Ritratto di Giacomo Di Chirico.
Lasciata Roma, si sposta per un breve periodo a Milano e, dopo la fuga di Ferdinando
IV a Palermo, fa ritorno a Napoli, divenendo uno dei principali artefici della
Repubblica, quando il generale Championnet lo nomina tra quelli che doveno presiedere
il governo provvisorio. La vita della repubblica e corta e molto
difficile. Manca l'appoggio del popolo, alcune province sono ancora estranee
all'occupazione francese e le disponibilità finanziarie sono sempre limitate a
causa delle sovvenzioni alle campagne napoleoniche. In questo breve lasso di
tempo, ha tuttavia modo di poter realizzare alcuni progetti. Importanti in
questo periodo sono le sue proposte sulla legge feudale, in cui si mantiene su
posizioni piuttosto moderate e il progetto di Costituzione. Essa per la prima
volta stabilisce la giurisdizione esclusiva dello stato napoletano sul diritto civile
e, tra le altre cose, prevede il de-centramento amministrativo. Prevede inoltre
l'istituzione dell'eforato, precursore della corte costituzionale. Il suo
progetto rimase tuttavia inapplicato a causa dell'imminente restaurazione monarchica.
Si distingue sostenendo altre leggi di capitale importanza come quella
sull'abolizione dei fedecommessi, sull'abolizione delle servitù feudali, del
testatico, della tortura. Con la caduta della repubblica, dopo aver imbracciato
le armi che difendeno strenuamente gl’ultimi fortilizi della città assediati
dalle truppe monarchiche, e arrestato e rinchiuso nella "fossa del
coccodrillo", la segreta più buia e malsana del Castel Nuovo. E in seguito
trasferito nel carcere della Vicaria e nel Castel Sant'Elmo. Giudicato con un
processo sbrigativo e approssimato, e condannato a morte per impiccagione. A
nulla e valso l'appello di clemenza da parte dei regnanti europei, tra cui lo
zar Paolo I, che scrive al re Ferdinando. Io ti ho mandato i miei battaglioni,
ma tu non ammazzare il fiore della cultura europea. Non ammazzare Pagano, il
più grande filosofo di oggi. Fu giustiziato in Piazza Mercato, assieme ad altri
repubblicani come D. Cirillo, G. Pigliacelli e I. Ciaia. Salendo sul patibolo,
pronuncia la seguente frase. Due generazioni di vittime e di carnefici si
succederanno, ma l'Italia, o signori, si farà. Italia si fara. Italia, o
signori, si fara. Proclami e sanzioni della Repubblica napoletana, aggiuntovi
il progetto di Costituzione, Colletta. Esponente fra i più rilevanti
dell'Illuminismo merita di essere preso in esame dalla nostra prospettiva per
la visione consegnata ai Saggi politici, un'opera a carattere filosofico -- di
‘filosofia civile' per l'ispirazione complessiva e il disegno di fondo in cui i
diversi elementi della sua multiforme natura sono orientati verso un unico
obiettivo. E anche per la filosofia politica, che emerge in tutta la sua
peculiarità da un lavoro pur dai caratteri tecnici obbligati come il Progetto
di Costituzione della Repubblica napoletana, da lui personalmente
redatto. Saggi: “Burgentini”, “Oratio ad comitem Alexium Orlow virum
immortalem victrici moschorum classi in expeditione in mediterraneum mare summo
cum imperio praefectum”; “Gli Esuli tebani. Tragedia” (Napoli); “Contro Sabato
Totaro, reo dell'omicidio di D. Giuseppe Gensani in grado di nullità aringo”
(Napoli); “Il Gerbino tragedia” e “Agamennone: monodramma-lirico” (Napoli, Raimondi);
“Considerazioni sul processo criminale (Napoli, Raimondi); “Ragionamento sulla
libertà del commercio del pesce in Napoli. Diretto al Regio Tribunale
dell'Ammiragliato e Consolato di Mare” (Napoli); “Corradino: tragedia” (Napoli,
Raimondi); “De' saggi politici”(Napoli, aRaimondi); “L' Emilia: commedia” (Napoli,
Raimondi); “Saggi politici de' principii, progressi e decadenza della società”
(Napoli); “Discorso recitato nella Società di Agricoltura, Arti e Commercio di
Roma nella pubblica seduta del di 4 complementario anno 6° della libertà, Roma,
presso il cittadino V. Poggioli. “Considerazionisul processo criminale” (Milano,
Tosi e Nobile); “Principj del codice penale e logica de' probabili per servire
di teoria alle pruove nei giudizj criminali”; “principj del codice di polizia”
(Napoli, Raffaele Di Napoli). Le opere teatrali non furono mai rappresentate in pubblico. Le mette
in scena privatamente nella sua villa dell'Arenella. Sono caratterizzate da
temi prevalentemente sentimentali mascherando i temi civili che pur in esse sono
presenti, con funzione quindi pedagogica nei confronti del popolo.
Intitolazioni e dediche Statua di Mario Pagano a Brienza (PZ) Al giurista
lucano sono state dedicate alcune opere letterarie come Catechismo repubblicano
in sei trattenimenti a forma di dialoghi di Francesco Astore e Mario Pagano, ovvero,
della immortalità di Terenzio Mamiani. Nella Corte d'Assise di Potenza fu
collocato un busto marmoreo in suo onore, opera di Antonio Busciolano. Gli venne
dedicato il Convitto nazionale Mario Pagano di Campobasso, con regio decreto
firmato da Vittorio Emanuele II. Alcune logge massoniche furono intitolate a
suo nome, come quella di Lecce e di Potenza.. Nel Venne inaugurato un busto in
marmo ai giardini del Pincio (Roma), realizzato da Giuseppe Guastalla. Il suo
personaggio apparve nel film Il resto di niente di Antonietta De Lillo, interpretato
da Mimmo Esposito. Elio Palombi, Pagano e la scienza penalistica del secolo
XIX, Giannini, Fulvio Tessitore, Comprensione storica e cultura, Guida, Petronilla
Reina Gorini, Ricordanze di trenta illustri italiani, Minerva, N. Perrone, La
Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della
rivoluzione. Con la corrispondenza massonica e altri documenti, Palermo,
Sellerio, A. Pace, Annuario, Problemi pratici della laicità agli inizi del
secolo Wolters Kluwer Italia, Mario D'Addio, Le Costituzioni italiane: Colombo,
Ottorino Gurgo, Lazzari: una storia napoletana, Guida, Saverio Cilibrizzi, I
grandi Lucani nella storia della nuova Italia, Conte, Alessandro Luzio, La
massoneria e il Risorgimento italiano: saggio storico-critico, Volume 1, Forni,
Vittorio Prinzi, Tommaso Russo, La massoneria in Basilicata, FrancoAngeli, Carlo
Colletta, Proclami e sanzioni della repubblica napoletana, aggiuntovi il
progetto di Costituzione di Mario Pagano, Napoli, Stamperia dell'Iride, Dario
Ippolito, il pensiero giuspolitico di un illuminista, Torino, Giappichelli
Editore, Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a
Napoli prima della rivoluzione, Palermo, Sellerio, Franco Venturi, Illuministi
italiani, tomo V, Riformatori napoletani, Milano-Napoli, Ricciardi, Repubblica
Napoletana Repubblicani napoletani giustiziati Emanuele De Deo. Treccani Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Considerazioni
sul processo criminale, su trani-ius. Progetto di Costituzione della Repubblica
Napoletana, su repubblicanapoletana. Principii del codice penale, su trani-ius.
Relazione al Convegno di Brienza su Mario Pagano, del 25-27 ottobre 1999, su
trani-ius. Dell origine delle pene pecuniarie.
2 7 C A P . De'progresiviavanzmenti della sovra nità per mezzo de'giudizi. Del maggior
estabilimento de'giulizi. Pruovestoriche.Presode'Creci giudicava della Socieeta.
Del duello. Degli altri modi aduprati
ne'divinigiu dizj. CAP. XIV. DellaFortura. Sull'ifteltosoggetto.
Prüovestoriche. Coltura inquest 'ultimo period della barbarie. Dello sviluppo della macchina; e del miglioramento
del costume,delloSpirito, e delle 79 quantoelle çonferial miglioramento del
costume ca,edella originedelcommercio, di antichitd. 59 . lingue. SAG .
8q 24 de'popoli. De'giudizj degli aprichi Germani, ede' Scioglimento di una
opposizione alleco Se dette. Deprincipidellagiurisprudenza de'bar De
divinigiudizj. Nuova explicaziurediun famoso puntu Della legislazione di questi
tempi, Dello stato delle proprietà , e dell'agri. Dellorigine
dell'ospitalitit,ecome, Delle arti , e delle scienze di cotest'epur 78 barbari
della mezza età DellaReligione. De
principi e progressi delle società colte. L'estinzione della indipendenza
privata , la libert . civile , la moderazione del governo forma no l'esenziale
colturadellenazioni. Dell'originedellaplebe, ede'suoidrit 'ti. Delle varie
caçioni , dalle quali nascono gono dalla varia modificazione della macchina.
113 CAP.IX.De'climi più vantaggiosi all'ingegno ed al valore Ea
lergenonfrenalalibertà,mala garantisce e ladifende vi e polite.
i diverfi governi , e primieramente delleinterne. Dellaeducazione.
Dell'esternecagioni locali,chesuldiver fo governo hanno influenza, Delclima.
diverfi. Del rapporto dellasocietà colle potenze stranicre. Dellalibertà,edellecagioni
,che la tolgono. Comelaleggecivilepofanuocere alla De'diversielementi
dellaCitta.Della leggeuniversale, edell'ordine cosifisico, come morale. Come
leforze,edoperazionimoralifor. Come secondo i varj climi nafcono governi
libertà, inducendo la servitù. Dellalibertapolitica. Delledueproprietàdiogni
moderato, Deldrittoscritto,delleleggie giu e regolar governo risprudenza
de'coltipopoli, La moltiplicazione degli uomini è maggiore neglistati
guerrieri , che ne'commer. Del Gusto , e delle belle arti. Del piacevole. Del
rafinamentodelgusto,devarjfonti del piacere. Delle leggiagrarie dell'antiche
repub Della galanteria de popoli colti. Dellagalanteriadebarbaritempi. Delle
arti di lullo de'populipoliti, DelamonetatedeleFinanze: Dell'oggetto delle
belle arti, edelgusto. Dell'ingegno creatore , 3DelloSpirito,ecostumedelle
colte nazioni. Delle sorgenti del Genio. Qualigoverni fieno per loro natura
guerrieri,equali commercianti Quali cose forminu la bellezza nelle arti
imitative . L'unit. forma e la bontd , e la bellez za degli elleri. Proprieta.
bliche,e della violentari partizione de poderi. Di duegeneridistati
o'conquistatori, o commercianti. cianti . Di unterzogenere distato nè.com ,
Divisione delle belle arti. De'contrasti,opposizione,antitesi. 2Deldilicato,del
forte, delsublime, dela delle grazie , e dell'intereffe Jempre vivo Decadenza
delle belle arti delle nazioni, e della prima di elle , cive dello sfibramento
dellamacchina dell'uomo , e delle zioni dalla prima , e del novello stato
selvaggio. Generale prospetto della Storia del Reggno. Del progresso e
perfezione delle belle arti. Dell'epoche progresive de'varii ramı delle belle
arti. Del corso delle belle arti IN ROMA, e nella moderna Italia. conseguenze
morali. Dellacorruzionede'regolarigoverni, la quile rimena la barbarie. Lagrandezza
ne'popolicolti ne'barbari, la dilicatezza ,esublimitd èmaggiore. Delle Scienze
, e delle arti delle nazioni corrotte. Divifone dal dispotismo. Della decadenza
delle Nazioni . Delle universali cagioni della decadenza. Diversità dellaseconda
barbarie delle na . De lcorso delle nazioni di Europa.
Dell'inondazionede'barbari,e delri Jorgimeuto dell'europeacostura. Le note segnate colle pa Dello ftata
degli uomini , che sovravissero alle vi. focievole. cende della natura . liare
.Del secondo stato della vita selvaggia. Dei varj doveri, e dritti de'compagni
, coloni , Del primo stato della vita selvaggia. Del terzo fato della vita
selvaggia. Delle cagioni che strinfero la sociesà fami Del vero principio
motore degli uomini al vivere. Delleduespeciede'bisognififci,emorali. Della distinzione
delle famiglie, dell'origine della nobiltà. Dell'incremento delle famiglie e dell'origine
de famoli, e delle varie lor claffi. fervi. Del quarto stato della vita
selvaggia. re Società . 60 Della domestica
religione di ciascunafamiglia. 79 Dell'origine dell'anzidetta religion
domestica . Si Ricapitulazione de'diversi stati della vita selvago. Degli
affidati,e de'vafalli della mezza età. ST Paragone tracompagnoni de'Germani
,fooj de Greci,e i cavalieri erranti degli ultimi barba
L'imperodomesticoficonrinnòneleprime barba 69 Dell'antropofagia y o fia del
pasto delle carni u m d ri tempi. 64 gia. Della religione de'selvaggi.
De'costumi de'selvaggi. 89 Del secondoperiodo delle barbare nazioni. e di coloro, che ghi . ins 116 se de'pa V. blici militari consigli.
Dello stabilimento del le città e del primo periodo delle barbariche società.
conviti . Chene'tempi degliDei fi tennero iprimi pub. Della Teocrazia . Dello
stato della religione del le prime società. Dell'influenza della religione in
tutti gli affari de'barbari . la componevano .
Delprimo passo dele selvagge famiglie nelcorso civile , ossia
dell'origine de vichi. Dell'origine de'tempj, é di'pubblici, ésacri Della
sovranità della concione, i20 СА. Dellidee degli antichi intorno
allamonar· 143 Dellaforma dellaromana repubblicanelsecondo. Del governo de
primi greci.De'costumi, delgenio di questa età,e della tral de'costumi di
questa età della fo Dell'arti, .Saggio II.Dellorigineestabilimento Dello stabilimento
delle città e del primo periodo . Che ne'tempii degli Dei si tennero i
primi pub blicimilitariconsigli . Della teocrazia Dello stato della religione
delle prime società Dell'influenza della religione in tutti gli affari dei
barbari componevano. Dell'idee degli antichi intorno alla monarchia Della forma
della romana repubblica nel secondo Del governo feudale di tutte le barbare
'nazioni. Della sovranità della concione e di coloro che la Del governo
de'primi Greci. De 'giudizi nel secondo periodo della barbarie di . periodo
della barbarie ROMA. De'costumi,del genio di questa età edellatrasmi.
Continuazione de costumi di questa età della so CAPITOLO XVIII. Del progresso
delle barbare società : del terzo ed ultimo loro periodo CAPITOLO I. De'progressivi
avanzamenti della sovranitàper mezzo
bari tempi esercitato da're. De'principii della giurisprudenza
de'barbari. Del diritto della proprietà . grazione delle colonie de barbari Il
potere giudiziario non venne negli eroici e bar. de'giudizi . cietà Delle arti
e cognizioni di questa età. Del maggiore stabilimento del giudiziario potere .
Del ducllo. Degli altri modi adoprati ne'divini giudizi. Dello stato della
proprietà e dell'agricoltura in Dello sviluppo della macchina e del
miglioramento del costume , DELLO SPIRITO ROMANO E DELLA LINGUA ROMANA. dconferi
al miglioramento del costume de popoli . Dell' arti e delle scienze di
cotest'epoca, dell'ori quest'ultimo periodo della barbarie . gine del commercio
. De'divini giudizi Della legislazione di questi tempi . Dell'origine
dell'ospitalità , e come e quanto ella Della tortura Della religione o
dest civile,la moderazione del governo formano l'es. senziale
coltura delle nazioni. Dell'origine della plebe e de'suoi diritti verni , e
primieramente delle interne. Delle varie cagioni dalle quali nascono idiversi
go hanno influenza . Come le forze ed operazioni morali sorgono dalla Della società
colta e polita. L'estinzione dell'indipendenza privata, la libertà De'diversi
elementi della citt. Della educazione. Dell'esterne cagioni locali che sul
diverso governo Del clima varia modificazione della macchina De'climi più
vantaggiosi all'ingegno ed al valore . Secondo i vari climi nascono governi
diversi . Della libertà e delle cagioni che la tolgono Della legge universale e
dell'ordine cosi fisico co Delle varie specie della legge , e della legge
civile . La legge non toglie la libertà, ma la garantisce. Vera idea della
libertà civile. Come la legge positiva possa nuocere alla libertà civile. Della
legge relativamente alla proprietà. Del rapporto della società colle potenzę
straniere , . me morale . 9Della libertà politica Della giusta ripartizione
delle possession. Delle leggi agrarie dell'antiche repubbliche,edella forme
degli stati cianti commercianti Di un terzo genere di stato né commerciante ne
varia ripartizione de'poderi . Leggi ed usi distruttivi della proprietà Delle
varie funzioni della sovranità e delle varie. Di due generi di stati, o
conquistatori o commer. Quali governi sieno per lor natura guerrieri e quali. La
moltiplicazione degli uomini e maggiore negli stati guerrieri che ne
commercianti conquistatore .Partizione della legge civile, qualità delle leggi
Della moneta e delle finanze Dell'arti di lusso de'popoli politi
zioni Dello spirito e costume della nazione
italiana. Della passione dell'amore de'popoli colti. Della decadenza delle na.
. Della corruzione delle società . Stato delle cognizioni in una nazione
corrotta. Costumi e carattere delle nazioni corrotte. Della galanteria de'tempi
cavallereschi . Cagioni fisiche e morali della decadenza della sociela
Divisione del dispotismo. Del civile corso delle nazioni d'Europa
Dell'inondazione de'barbari e del risorgimento del Discorso sull'origine e
natura della poesia CAPITOLO J. Del metodo che si tiene nel presente discorso
Dell'origine del verso e del canto. Le
barbare nazioni tutte son di continuo in una vio leuza di passioni, e perciò
parlano cantando Origine ed analisi delle prime lingue dei selvaggi e Diversità
della seconda barbarie delle nazioni dalla prima, e del novello stato selvaggio
l'europea coltura barbari Dėll'interna forma ed essenza poetica, è propria
mente della facoltà pittoresca de primi poeti , Della maniera di favellar per
tropi , allegorie e caratteri generici Analisi di alquante voci
greche e latine le quali fu rono traportate dalle prime sensibili nozioni a
rap Della personificazione delle qualità
de'corpi nata dalle prime astrazioni della mente umana. Per quali ragioni tutte
le cose vennero animate Continuazione universale Della qualità patetica
dell'antica poesia e de'co
Ricapitolamento di ciò che si è detto presentarne dell'altre . La
poesia è un genere d’istoria , ossia un'istoria .rica dell'antica poesia. Dell'origine
della scrittura . dalle vive fantasie de'selvaggi . lori dello stile. Più
distinta analisi della lingua allegorica e gene. Dell'origine della pantomimica
, del ballo e della Dell ll'origine delle feste. Commedia , tragedia , satira ,
ditirambo furono in Conferma dell'anzidetta verità musica principio una cosa
sola . Saggio del Gusto e delle belle arti Dell'oggetto delle belle arti e del
gusto . Della nascita della tragedia Della tragedia. Dell'origine delle varie
specie di poesia Delle belle arti. Divisione delle belle arti. Del piacevole 544
e dell'interesse sempre vivo Dell'ingegno creatore. Quali cose formino la
bellezza nelle arti imitative. L'unità forma e la bontà e la bellezza degl’esseri.
Del raffinamento del gusto ed e vari fonti de lpiacere. De'contrasti,
opposizione, antitesi/ Del dilicato, del forte, del sublime e delle grazie. Delle
sorgenti del genio. La grandezza e sublimità ċ maggiore nei barbari; la
dilicatezza ne'popoli colli Decadenza delle belle arti. Del corso
delle belle arti in Roma e nella moderna Continuazione » --
Del maggior estabilimenta del giudiziari opotere. mente De progres sivi
avanzamenti del la Sovranità per wieszo delGiudizj.
Deprincipjdellagiurisprudenzadibarbari. Del Duello Deglialtrimodiadopratine'd'ùinigiudizj. Della
Tortura . Della legislazione di questi tempi . C A P. Dello stato della
proprietà, e dell agricoltura in 45 Dello sviluppo della macchina, & del
migliora. Il potere giudiziario non venne negli eroici; e bara bari tempi
esercitata da re . quest'ultimo periodo della barbarie. De divini giudiz].mento
del costume, dello spirito, e dellelina gue. Dell'arti, e delle scienze
dicorest'epoca, dell origine del Commercio . L'estinzione della indipendenza
privatą, la liber: D e diversi elementi della città nità per Della Religione
Ultimo Dell'esternecagioni locali,che suldivariopovera
Dell'originedellaplebe,ede'suoidritti. 7wotere.20 94 iebare Dellevariecagioni
dallequalinasconoidiversi governi,e primieranientedell"interne. Della
educazionerà civile, la moderazione del gover formand l'essenziale coltura
delle nazioni. . Dell originedell'ospitalità, e come, e quanto ella confert al
miglioramento del costume de popoli . leforzeed operazionimoralisorgonodala
Come modificazione dellamacchina. la varia 103 lore i ed al vas P. X. Secondo i
varj climi nascono governi diversi. Delle varie specie della legge, e della
legge ci vile . La leggenon togliela libertà, ma carentisce la vera idea della
libertà civile . Della libertà politica. Del clima . De climipiùvantaggiosi
all'ingegno, CA Come la legge positiva possa nuocere alla libertà civile .
Dellaleggeuniversale, edell'ordinecasi fisico, come morale , Della legge
relativamente alla proprietà. no hanno influenza: Del rapporto della società
colle potenze stranie. Della libertà, e delle cagioni, che la tolgono ,Quali
governi sieno per lor natura guerrieri ,e quali commercianti
,Dellapassionedell'amoredepopolicolti. Delle varie funzioni della sovranità , e
delle varie forme degli stati. Di duegeneridistari,oconquistatori,ocoma
mercianti. Di un terzo genere di stato nel commerciante nd conquistatore . La
moltiplicazione degli uomini a maggiore negli stari guerrieri, che ne
commercianti. Partizione della legge civile , qualità delle Lego gi.Dellagiust:ripartizionedelepossessioni.
Dello leggiagrariedell'anticherepubbliche,edel la varia ripartizione de'poderi.
Leggi , ed usi distruttivi della proprietà . Della moneta delle Finanze .
Dellospiritoecostumedellecoltenazioni. 195 Della galanteria de tempi
Cavalereschie. Dell arti di lusso de'popoli politi, Costumi , e carattere delle
nazioni corrotte . Diversità della seconda barbarie delle nazioni dala
laprima,èdelnovellostatoselvaggio , Del civile corso delle nazioni di Europa .
Dell'inondazione de barbari, e del risorgimento delloeuropea coltura seri e
delle crisi, per mezzo delle quali si Dell'estrinseche morali cagioni, che
turbano il naturaleedordinariocorsodelleNazioni pag. Della varia efficacia
delle anzidette cagioni orientale Delle varie fisiche catastrofi. Delle
differenti epoche delle varie fisiche cata Ragioni del Vico contra l'antichità
e la Sapienza. Dell'antichissima coltura degli Egizie de' Caldei» 87 De
'Caldei. strofi della terra Della contesa delle nazioni sulle loro antichità. Dellà
successione di varie fisiche vicende Del
disperdimento degli uomini per mezzo delle naturali catastrofi Delle morali cagioni attribuite dagli uomini
igno ranti a'fisici fenomeni Delle diverse cagioni delle favoleDelle diverse
affezioni degli uomini nel tempo delle crisi Delle crisi di fuoco Continuazione
dell'analisi degli effetti prodotti nello spirito dallo sconvolgimento del ce
Dellaverosimiglianzadelpropostosistema . VIantichissime nazioni
orientali. Del modo come sviluppossi l'uomo dalla terra Dello stato primiero
della terra e degli uomini , e delle varie mutazioni sulla terra avvenute
»Seconda età del mondo Originė degli uomini secondo il sistema delle . Sviluppo
dell'anzidetta platonica dottrina sui due Della favola di Pandora . Dello spirito
delle prime gentili religioni periodidelmondo. Prima età del mondo » 140 9 142
ed origine della secondo l'antichissima teologia Sviluppo dello spirito umano ,
·religione Dell'invenzione dell'arti,e degli usi giovevoli L'ordine
della successione delle varie catastrofi Dello stato de popoli occidentali dopo
1°Atlan tica catastrofe Del diluvio di Ogige , e di Deucalione Delle morali
cagioni che diedero all'anzidetta favola l'origine,ed'altre favole eziandio
porto. Ricapitolazione Diunaparticolarecrisidell'Italia alla vita si ritrova
solo nella mitologia Dell'Atlantica catastrofe . che alla medesima catastrofe
hanno rapDello stato degli uomini, che sopravvissero'alle vicende Del terzo
stato della vita selvaggia . Delecagioni,chestrinserolasocietàfamigliare, Del
vero principio motore degli uomini al vivere socie Della distinzione delle
famiglie, o dell'origine della Pag. 5 della natura . yole .Del primo stato della vita selvaggia.
Del secondo stato della vita selvaggia . Delle due specie de' bisogni fisici ,
e morali . nobiltà . Dell'incrementodelefamiglie,edell'origine defa
Dei varjdoveri,edirittide'compagni,coloni,eservi. Degli affidati, e de vassalli
della mezza età. Paragone tra'compagnoni de'Gerinani,socj de Greci,
eicavalierierrantidegliultimibarbaritempi. 59 Del quarto stato della vita
selvaggia . L'impero domestico si continuò nelle prime barbare Dell'anıropofagia , o sia delpasto delle carni
umane . 75 80 CAPITOLO XX. Ricapitolazione de
diversistatidellavitaselvaggia.86 moli , e delle varie ior classi. Della religione de' selvaggi . Della domestica
religione di ciascuna famiglia .' Dell'origine dell'anzidenta religion
domestica. e ' . società . De costumi
de'selvaggi. Del primo passo delle selvagge famiglie nel corso civile, ossia
dell'origine de'vichi,ede'paghi. CAPITOLO II. Dello stabilimento delle città ,
e del primo periodo delle Del secondo periodo delle barbare nazioni .
Dell'origine de tempj , e de'pubblici , e sacri con. viti. Chene
tempjdegliDeisitenneroiprimipubblicimi CAPITOLO VI. CAPITOLO VII. Dello stato
della religione delle prime società . 1 1 9 Dell influenza della religione in
tutti gli affari de' baru Della sovranità della concione , o di coloro , che la
componevano . Del governo de primi Greci , litari consigli. 115 Della
Teocrazia. bari . barbariche società. 1ell'idee degli antichi intorno alla
monarchia . CAPITOLO XII. Della forma della Romana repubblica nel secondo pe
riodo della barbarie , CAPITOLO XIIL CAPITOLO XIV .
Delgovernofeudaledituttelebarbarenazioni. 151 CAPITOLO XVI. Di
costuini,delgeniodiquestaetà,e della trasmi Continuazione
de'costumidiquestaetàdellasocietà.164 CAPITOLO ULTIMO, Dell'arti, e cognizioni
di questa età .TAPITOLO I. Del dritto dellaproprietd. pag. Í CAP.
II.Dellasorgente dedritti ingenera le , e di quello della proprieta .
3Delprogresso della proprietd, e dell'ori De'costumi,delgenio diquestaetà,edel Dellearri,ecognizionidiquesta Del progresso
delle barbare focietà , offia del terzo Della
forma della Romana Repubblica nel secondo (1)Parlando Liviodell'elezione,chedoveafarsidelre
per la morte di Romolo,adopra sì,fatta espressione. Summa potestatepopulo
perinissa.E soggiunge. Decreverunt enim ( Senatores ), ut cum populus
jussisset, id sic ratum esset sipatresauctores fierent.I.1.C.VII.Quindi
tuconvocata laconcione,evenne elettoreNuma.E l'istessoautoredell'
elezionediTulloOstiliodice:regempopulus jussit,patres auctores facti. I
senatori ,come si è detto altrove, fiebant auctures.Perchè tutte le cose prima
eran proposte nel sena to,indi allaconcione recate.Auctor è l'inventore,il
propo nitore , il principio , ed origine della cosa . Vol.II. IO 145 Nox
CA P. XII. periodo della barbarie . . questi furono i quiriti , cioè gli armati
di asta : avvegnachè ,come gli altri popoli barbari uella concione , ne' comizi
on differente affatto dal regno eroico fu il go verno de' primi Romani . ll re
ad un senato prese deva,econsenatoriprendera le deliberazioni,le quali nella
grand'assemblea del popolo ricevevano lasanzionedilegge(1).Il potere
de'primiredi Roma era limitato così,come quello di tutti i re gnanti de' tempi
eroici . La sovrana dello stato era laconcione,>
checomponevasidaque'capidelle tribù,edellecurie,iqualierano dettidecuriones, e
tribuni, che uniti votavano per le di loro curie , e tribù,come ne'parlamenti
nostri ibaroni rappre. sentavano le di loro terre , e città . E > >
serva (1) E tal antico costume Virgilio dipinse negli eroici compagni
d'Enea . Ductores Teucrim primi, et delecta juventus Consilium summis regni de
rebus habebant . Scant longis adnixi hastis, et scula tenentes. 146 e poi
per varj gradi , e dopo molto correr di tenipo alla libertà pervenne ,e tardi
assai acqui stò il diritto alla magistratura. Prima ottenne di es Da più luoghi
di Omero si ravvisa il costume medesimo de'Greci.E fu questo un generale
costume di tutte le barba re genti adoprato nelle generali assemblee . Perché i
barbari temendo ognora le sorprese de'nemici ,stanno sempre in su l'armi, nè
confidano la di loro sicurezza personale ,anche tra' cittadini, alla legge, ma
al di loro braccio soltanto,Tacito de'
Germani:utturbaeplacuit,considuntarmati.Tum adne gotia,nec minus suepe ad
convivia procedunt armari,Livio 1. de'Galli dice,In his
nova,terribilisquespeciesvisa est,quod armati (ila mos gentis ) in concilium
venerunt, Ovidio ci attesta l'istesso de'Sarmati, degli Umbrici Stobeo, 9
radunavansi que' capi coll'asta alla mano , la qua le portavan per simbolo del
loro impero, non che per la propria difesa (1). i La plebe era tanto serva in
Roma ,quanto pres so iGermani,iGalli,iGreci.Ella non aveva par.
tenellaconcione.Questo argomento fu dalnostro gran Vico ampiamente
trattato.Egli sviluppò l'in terosistemadelgovernoRomano,edispiegando il corso
della storia di quel popolo ha dimostrato,che per gran tempo in Roma la plebe
fu dell'intutto 9 . 21. , 147 ser affrancata , poi consegui il
bonitario dominio , cioè l'utile, e dipendente dal diretto,che inobili
possedevano;quindi fece acquisto del perfetto,e compiutodominio,detto
quiritario,perchèfupria de'soliquiriti,ossia de'patrizj,enobiliRomani; e
finalmente ebbe voto nell'assemblea , e partecipe divennedellaRepubblica,che
darigidaaristocra zia in popolare alla fin sicangiò (1).Come nel prin (1)
Populus de'Latini valse da principio , quanto laos de'Greci,che significò una
tribù, una popolazione,come abbiamo altrove mostrato . Quindecim liberi homines
populus est.Apuleius in Apol.E Cesare dice nel 1,6. de bello Gall. si quisant
privatus, aut populus eorum decreto non stetit. Ove dinota populus
popolazione,tribù. Ma se populus da principio dinotò una speciale popo
lazione,e tribù,nel progresso si prese tal voce per la radu nanza
ditutteletribù,checomponevanolacittà.Ma ven nero rappresentate queste tribù da'
capi detti Tribuni, nome che restò per dinotare militari magistrati,come
tribuni milia Eum.Ma primasignificòancheicivili,cioèigiudici,onde Tribunal si
disse il luogo , ove amministravasi giustizia . I Latini scrittori, che vennero
in tempo , che ogni orma dell' antico stato erasi perduta , ed erasi colle cose
cambiato il vam 7 . 7 pulus trasse il nome da populus pioppo . Perocchè
questa p o polazione radunavasi sotto di un pioppo quando di comune interesse
trattavasi, secondochè in alcune terre del regno an cor oggid) si usa, quando
parlamentasi . E tal costume di radunare sotto degli alberi il popolo è ben
antico , e secondo la semplicità delle prime genti.Ateneo l. 12. p. 539.
scrive, che sotto di un platano i primi re della Persia davan udienza a'
litiganti, e decidevano le liti. 9 E per avventura po cinio la
plebe poteva avere il diritto di suffragio ne'comizj,non avendo proprietà nè
reale,nè per sonale ? Tale fu ilcorso,che fece la Bomana repub blica,come quel
valentuomo dimostrò,non dissi mile da quelle dell'altre barbare nazioni
(1).Egli è però vero , che un'intempestiva tirannide turbo p e r p o c o il c o
r s o r e g o l a r e d i q u e l l a c i t t à . I r e p r e sero in Roma sin
dall'albore de'suoi giorni van, taggio “grandissimo su gli altri prenci, e
capi.Il po polo Romano era più tosto un esercito,e la città un campo,e un militare
alloggiamento,quella fe roce,emarzialegenteerasempreinguerra,eco m e il l u p o
, v e r a c e e m b l e m a d e l s u o g e n i o n a t i v o nutrivasi di
sangue,e distruzione.Or se come ben anche Aristotile osservò parlaydo degli
eroiciregni, era nella guerra maggiore il poter del re presso tut telebarbare
nazioni,meraviglianonè,seilca p i t a n d e l l ' a r m i , il d u c e d e l l
a g u e r r a , i l usurpato una straordinaria potenza in Roma .Il po tere
esecutivo sempre ne'tempi di guerra,come il mare nelle tempeste diffondesi
sulla terra,guada gpa sul poter legislativo . M a i re di R o m a sforniti di
straniera milizia invanu tentarono ritenere colla 148 9 re
lordelleparole,ricevendo latradizione,cheilpopolone' cominciamenti di quella
repubblica nell'assemblea radunato dis poneva della pubbliche
cose,s'ingannarono credendo,che la plebe ben anche quivi votasse. (1).Nel libro
2. della scienza nuova . avesse 149 forza quel potere,che avean
acquistato coll’autori tà.Vennero discacciati da quella repubblica,ed ella ben
tosto rientrò nel suo ordinario cammino . CAP. XIII. De'giudizj nel secondo
periodo della barbarie di Roma . Le dueispezionidelapublicaasembleaerano in
Roma in questa second'epoca della barbarie la guerra esterna , e la persecuzione
de'ribelli cittadi ni.Ma lecoseprivate,lapersonaldifesa,lapar ticolar vendetta
veniva per anche ai privati affida ta.L'impero domestico conservava ilsuo
vigore. I feroci padri di famiglia non cedevano ancora la di loro sovrana , e
regia autorità , se non per quella parte che rimirava la pubblica difesa , onde
veniva composto l'unico sociale legame .Ma rimaneva in tatta, ed illesa la di
loro sovranità riguardo alle loro famiglie , e alla privata difesa , ed offesa
. Viveano ancora nello stato di privata guerra .Il ferro decideva delle loro
contese,e col privato braccio prendean rendetta delle private offese.
Ilpopolo dunque,che radunavasi in Roma in quest'età nell'assemblea ,era quella
popolazione, o truppa de'servi,clienti, e compagni guidata dal suo capo , e il
voto suo era quello del suo signore 9 che dovea sostenere,e
difendere,ubbidire,e se. guirnellaguerra,dacuinonformava persona di versa
secondo le cose già dimostrate . . > . Niun'altra nazione ci ha
conservato monumenti piùchiaridellostatodellaprivata,ecivile guerra del popolo
Romano . Il processo Romano è la sto riadelduello,permezzodicuiterminavano que'
barbari abitatori dell'Aventino le loro contese ,Tut. ti gli atti , e le
formole di tal processo altro non che i legittimi atti di pace sostituiti a
que' primi violenti modi . Quando la concione , ossia il governo cominciò a
mischiarsi nelle private contese , a p o c o a p o c o il d u e l l o a b o l ì
, e c a n g i ò il m o d o d i contrastare , rilasciando in tutto l'apparenza
medesi - ma,leformole,egliattistessi:laguerra arma tainlegale combattimento fu
tramutata.Secondo chealtrovesièdeito,iriti,eleformole sonola storia
dell'antichissima età delle nazioni (8). Cioc chè l'acutissimo Vico al
proposito di alcune formo le dell'antico processo Romano osservd . 150 7
sono , Ma ilprocesso civile ci conservò le formole dell'antica barbarie , e non
già il criminale . Il civi lenacque ne'tempi alla barbarie più vicini.Più tardi
ebbe l'origine il giudizio criminale . I barbari soggettaronoprimailoro averi all'arbitrio
altrui, che le proprie persone . L'ultima , cui si rinunziò
dacostoro,fulavendettapersonale.Meno sisacri fica della naturale indipendenza ,
rimettendo nelle mani di un terzo i diritti della proprietà ,che quel li della
persona . Quindi i pubblici giudizj essendo sorti nel tempo della coltura, non
serban gran ve. stigj dello stato primiero .
Francesco Mario Pagano. Mario Pagano. Pagano. Keywords: eroe,
massone, Italia si fara. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pagano” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716791072/in/photolist-2mQ81kz-2mQ8kJS-2mPvJmk-2mN35cA-2mKFrQ6-2mKUufg-2mKAEA8-2mKG3XG-2mKCnei-2mKuZ8r-Ck9fTK
Grice e Paggi – filosofia italiana – filosofia
ebrea – “Ebrei d’Italia” -- Luigi Speranza (Siena). Filosofo. Grice: “C. of E. folks are all over
the place – but how many of them actually KNOW Hebrew!?”” -- essential Italian
philosopher. Filosofo. Insegna a Lasinio, Tortoli e a Ricci. Svolge per diversi
anni l'attività di mercante nella sua città natale. Abbandona il commercio ed
aprì un istituto. Insegnante ed educatore nello stesso istituto, sviluppando un
metodo logico, facile ed ameno insieme. La Comunione israelita lo volle a
Firenze, dove Paggi si trasfere con la moglie e i cinque figli. Insegna nelle
Pie Scuole fiorentine, mentre i figli Alessandro e Felice avviarono una casa
editrice. Tra i testi pubblicati vi furono anche le opere del padre, apparse
nella collana «Biblioteca Scolastica». Scrive inoltre una grammatica e un lessico
ebraici per i suoi figli. Per opera della moglie sorse a Firenze un istituto. “Ebrei
d'Italia” (Livorno, Tirrena); “Una libreria fiorentina del Risorgimento” (Firenze,
Ciulli). Mordecai Paggi. Paggi. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Paggi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51741417580/in/datetaken/
Grice e Pagliaro – filosofia italiana – filosofia
siciliana – la lingua dei siculi -- Luigi Speranza (Mistretta). Filosofo. Essential Italian philosopher. Linceo. Fu uno dei fondatori della scuola di romana. Fra i
padri della semiologia, ha introdotto gli studi sul pensiero linguistico. Dopo
il diploma al Regio Ginnasio di Mistretta, si iscrisse al corso di laurea a Palermo,
dove ebbe, tra gli altri, come docenti Nazari, Pitrè, Gentile e Guastella. Si
trasferì poi a Firenze dove subì l'influenza di Vitelli, Antoni e Pistelli. Partecipò
volontario come sottotenente del Corpo degli arditi, e fu insignito della
medaglia d'argento al valor militare. Si iscrisse all'Associazione Nazionalista
Italiana e prese parte all'Impresa di
Fiume al seguito di D'Annunzio. Si laureò discutendo con Parodi e Pasquali la tesi Il digamma in Omero. Trascorse
un periodo di studio in Germania, seguendo corsi di linguistica latina di
Meister. Seguì i corsi di Kretschmer a Vienna. Ritornato in Italia, conseguì la
libera docenza in indoeuropeistica, quindi fu chiamato da Ceci ad insegnare,
per incarico, storia comparata delle lingue romanzi a Roma. Vinto un concorso a
cattedre, divenne ordinario di glottologia, nuova disciplina che ereditava il
corso di Storia comparata delle lingue romanzi. Insegnò anche "Storia e
dottrina del fascismo" e
"Mistica fascista.” Aderì al Partito nazionale fascista e ne fu uno degli
intellettuali di spicco, presiedendo anche alcune edizioni dei Littoriali della
cultura, che ogni anno raccoglievano i migliori universitari italiani. Fu primo
capo redattore dell'Enciclopedia Italiana, dove curò numerose voci, fin quando
non entrò in contrasto con il conterraneo Gentile, che dirigeva l'opera. Non
figura tra gli accademici d'Italia, ma fu eletto al Consiglio superiore
dell'educazione, dove rimase fino allo scioglimento. Fu voluto da
Mussolini alla guida del “Dizionario di politica” dell'Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, una ponderosa opera che raccolse le migliori
intelligenze del fascismo, ma anche qualche intellettuale "eretico".
Il suo nome compare tra i 360 docenti universitari che aderirono al Manifesto
della razza, premessa alle successive leggi razziali fasciste, anche Mauro
scrive che egli dissentì dalla politica razziale del fascismo. Con la caduta
del Regime fascista, fu sospeso ndall'insegnamento. Reintegrato nnella
cattedra, insegnò Filosofia del linguaggio a Roma. Fu presidente della
sezione "Archeologia, Filologia, Glottologia" della Società Italiana
per il Progresso delle Scienze. Fu presidente del Consiglio Superiore
della Pubblica Istruzione e prima socio corrispondente poi, socio nazionale
dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Fu anche direttore editoriale, per la
Fabbri Editori, della Enciclopedia di Scienze e Arti. Fu rieletto, con
larghissimi consensi, al Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, dove rimase
fino al 1969. Fu nel comitato scientifico dell'Istituto nazionale di studi
politici ed economici. Fu promotore e direttore della rivista Ricerche
linguistiche e presiedette la sezione filologica del Centro di studi filologici
e linguistici siciliani. Fu candidato alla Camera per il Partito
Monarchico Popolare nella circoscrizione Sicilia orientale e al Senato nel collegio Roma IV, ma non fu
eletto. La Rai trasse un sorprendente sceneggiato per la televisione da un suo
testo che dava una nuova interpretazione della vicenda di Alessandro Magno. Fu
membro della giuria del premio Marzotto. Lasciò anticipatamente l'insegnamento
universitario. Palermo e la città di Mistretta hanno istituito, in sua memoria,
il “Pagliaro”. Ha esplorato soprattutto l'antico e medio persiano, la
lingua della Grecia classica, quindi il latino classico e medievale, nonché
l'italiano dei tempi di Dante cui ha dedicato varie operee della scuola
siciliana. Come critico letterario e glottologo, diede nuove, originali
interpretazioni di Vico, D'Annunzio e Pirandello. In ambito linguistico,
già nel suo Sommario di linguistica ario-europea, che comprendeva oltre le
lezioni dei suoi corsi universitari anche innovative linee di ricerca e nuove
idee, delinea una nuova prospettiva di approccio e di indagine delle varie
questioni linguistiche la quale viene condotta parallelamente ad un confronto
storico-critico con l'evoluzione del pensiero filosofico dalla grecità alla
filosofia classica tedesca. Al contempo, Pagliaro abbozzava in esso prime idee
sulla natura del linguaggio inteso fondamentalmente come tecnica espressiva,
allontanandosi così dall'idealismo crociano per avvicinarsi piuttosto al
positivismo, ed analizzando in modo approfondito, ma al contempo
trasversalmente alle varie discipline, la natura e la struttura dell'atto
linguistico fra due inter-locutori basandosi sia sull'indagine semantica
(mediante un metodo che egli chiama "critica semantica") che sull'interpretazione
storico-critica, fino a considerare il linguaggio come una forma di inter-azione
semiotica condizionata storicamente da una tecnica funzionale, la lingua. Nel
simbolismo linguistico (soprattutto fonetico) poi, afferma Pagliaro ne” Il
segno vivente” riecheggiano non solo l'individualità ed il vissuto dell'inte-rlocutore
ma anche la storia dell'intera umanità a cui egli appartiene come
"soggetto storico". In estrema sintesi, si può dire che la sua
teoria linguistica è una posizione unificata tra lo strutturalismo saussuriano e
l'idealismo hegeliano. Saggi: “Epica e romanzo” (Sansoni, Firenze); “Sommario
di linguistica aria” (Bardi, Roma); “Il fascismo: commento alla dottrina” (Bardi,
Roma); “La lingua dei Siculi” (Ariani, Firenze); “Il comune dei fasci” (Monnier,
Firenze); “La scuola fascista” (Mondadori, Milano); “Dizionario di Politica,” Istituto
dell'Enciclopedia Italiana G. Treccani, Roma); “Insegne e miti della nazione
italiana, la nazione romana: teoria dei valori politici – la romanita e la
razza romana” (Ciuni, Palermo); “Il fascismo nel solco della storia” (Libro, Roma);
“Le Iscrizioni Pahlaviche della Sinagoga di Dura-Europo” (R. Accademia
d'Italia, Roma); ”Storia e Dottrina del fascismo” (Pioda, Roma); “Teoria dei
valori politici” (Ciuni, Palermo); “Logica e grammatica” (Bardi, Roma); “Il
canto V dell'"Inferno" d’Alighieri” (Signorelli, Milano); “Il segno
vivente” (ERI, Torino); “La critica semantica” (Anna, Firenze); “Il contrasto
di Cielo d'Alcamo e poesia popolare” (Mori, Palermo); “Linguistica della
"parola"”(Anna, Firenze); “I
primordi della lirica popolare in Sicilia” (Sansoni, Firenze); “La Barunissa di
Carini: stile e struttura” (Sansoni, Firenze); “Filosofia del linguaggio” (Ateneo,
Roma); “La parola e l'immagine” (Scientifiche, Napoli); “Poesia giullaresca e
poesia popolare” (Laterza, Bari); “La dottrina linguistica di Vico” (Lincei, Roma);
“Il Canto XIX dell'Inferno” (Monnier, Firenze); “Linee di storia linguistica
dell'Europa” (Ateneo, Roma); “L'unità ario-europea: corso di Glottologia,” Ateneo,
Roma, Ulisse. Ricerche semantiche sulla Divina Commedia, Anna, Firenze, “Forma e Tradizione,”
Flaccovio, Palermo, “La forma linguistica,” Rizzoli, Milano, Vocabolario
etimologico siciliano, Pubblicazioni del Centro di studi filologici e linguistici
siciliani, Palermo, Storia della linguistica, Novecento, Palermo. Commento
all'Inferno di Dante. Canti I-XXVI, Herder, Roma); Romanzi Ceneri sull'olimpo,
Sansoni, Firenze, Alessandro Magno, ERI, Torino, Ironia e verità, Rizzoli,
Milano (raccolta di elzeviri). Sottotenente di complemento, 32º reggimento di
fanteria Aiutante maggiore in 2a in un battaglione di riserva, vista ripiegare
una nostra colonna d'attacco, riordinava i ripiegandi e li guidava al
contrattacco, respingeva il nemico che già aveva occupato un tratto della
nostra linea. In un successivo attacco, sotto un intenso bombardamento e il
fuoco di mitragliatrici avversarie, dava mirabile esempio di coraggio e di
fermezza indirizzando intelligentemente i rinforzi nei punti più minacciati e
facilitando così la conquista di ben munite e contrastate posizioni. Monte
Asolone. Cfr. M. Palo, S. Gensini, Saussure e la scuola linguistica romana: da
Pagliaro a Mauro, Carocci Editore, Roma,.
La scuola linguistica romana. Cfr. A. Pedio, La cultura del
totalitarismo imperfetto, Unicopli, Milano, TreccaniEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Cfr. Gabriele Turi, Sorvegliare e premiare. L'Accademia d’Italia,
Viella, Roma, Cfr. Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cfr. A. Pedio, La cultura del totalitarismo
imperfetto, Unicopli, Milano, Cit. Cfr.
Riunioni Del Secolo XX Cfr. Riunioni
Accademia Nazionale dei Lincei Centro di
studi filologici e linguistici siciliani » La storia, su csfls. Cfr. Mininterno
Camera Mininterno Senato
//opar.unior/386/1/Filologia_dantesca_di_Pagliaro.pdf Cfr. D. Cesare, "Premessa", Lumina.
Rivista di Linguistica Storica e di Letteratura Comparata, Cfr. pure E. Salvaneschi, "Su Attila Fáj,
maestro di «molti paragoni»", Campi immaginabili. Rivista semestrale
di cultura, Cfr. Tullio De Mauro, Prima lezione sul linguaggio, Editori
Laterza, Roma-Bari, Tullio De Mauro, La fede del diavolo Istituto Nastro Azzurro Studia classica et orientalia. Oblate, Casa
Editrice Herder, Roma, Münster, M. Palo, Stefano Gensini, Saussure e la scuola linguistica
romana. Da Pagliaro a Mauro, Carocci
Editore, Roma, A. Vallone, "La „Lectura Dantis” di Antonino
Pagliaro", in Deutsches Dante-Jahrbuch, Edited by Christine Ott, Walter
Belardi: studi latini e romanzi in memoria di Antonino Pagliaro, Pubblicazioni
del Dipartimento di Studi glottoantropoligici dell'Roma La Sapienza, Roma, Aldo
Vallone, Enciclopedia Dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana G.
Treccani, Roma, M. Durante, T. De Mauro, B. Marzullo, Pubblicazioni
dell'Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo, Palermo, Giuliano
Bonfante, Antonino Pagliaro, Pubblicazioni dell'Accademia Nazionale dei Lincei,
Roma, Walter Belardi, Pagliaro nel pensiero critico del Novecento, Casa
Editrice Il Calamo, Roma, D. Di Cesare, Storia della filosofia del linguaggio,
Carocci Editore, Roma, Tullio De Mauro, Lia Formigari (Eds.), Italian Studies
in Linguistic Historiography. Proceedings of the International Conference in
Honour of Pagliaro. Rome, Nodus Publikationen, Münster, A. Pedio, La cultura
del totalitarismo imperfetto. Il Dizionario di politica del Partito nazionale
fascista, prefazione di A. Lyttelton, Unicopli, Milano, A. Tarquini, Il Gentile
dei fascisti: gentiliani e anti-gentiliani nel regime fascista, Società editrice
il Mulino, Bologna, A. Battistini, Gli
studi vichiani di Pagliaro, Guida
Editori, Napoli, Tullio De Mauro, Dizionario biografico degli italiani, Roma,,
su treccani. Enciclopedia Italiana
Dizionario di Politica Linguistica Semiologia Filologia TreccaniEnciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Opere openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Opere dLa Scuola linguistica romana, su rmcisadu.let.uniroma. Antonino
Pagliaro. Pagliaro. Keywords: i arii; la lingua degl’arii, la favella
degl’arii, I fasci littori, dal lictor al littore, il littorio, l’uso dei fasci
nell’Etruria non-aria, la dottrina linguistica di Vico, “scienze filosofiche –
lincei” , ossesso dalla latinita della Sicilia, Cratilo, discussion di Storia
Romana, Romolo, proprieta private, Cicerone, Empedocle, il fascino dei fasci –
enciclopedia del fascismo, fascisti gentiliani ed anti-gentiliani, l’uso di
‘ario’ – latinita, arieta, romanita – il linguaggio, sessione sul linguaggio --
filosofia del linguaggio --.Tullio. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Pagliaro” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702786125/in/photolist-2mLNXjb-2mLEb9W-2mLNi1Z
Palazzani
essential Italian philosopher female?
Grice
e Panella – del sublime – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Benevento).
Filosofo. Grice: “Panella’s
conceptual analysis of the sublime poses the implicatural question: “x is
‘bello’; e SUBLIME’ – The Romans talked of ‘pulcher’ which complicates things!”
Grice: “Panella also wrote of ‘l’incubo urbano,’ to which I’ll add “l’incubo
suburbano’, and ‘l’incubo exurbano’!” essential Italian philosopher. Si laurea a
Pisa, dove è stato insegnante. Si è occupato di filosofia politica e storia del
pensiero politico, ha insegnato Estetica nella stessa università. È stato presidente della giuria del premio
letterario "Hermann Geiger" e membro della giuria del premio
letterario "ArtediParole" riservato a studenti delle scuole medie. Si
è distinto anche come poeta pubblicando otto volumi di poesia, da ricordare Il
terzo amante di Lucrezia Buti pubblicato a Firenze con Editore Polistampa. In
collaborazione con David Ballerini ha girato due documentari d'arte, La
leggenda di Filippo Lippi, pittore a Prato trasmesso da Rai2 n e Il giorno
della fiera. Racconti e percorsi in provincia di Prato. Ha vinto il Fiorino
d'oro del Premio Firenze. Gli è stato assegnato il premio concesso annualmente
dal Ministero dei Beni Culturali per attività culturali e artistiche
particolarmente rilevanti. Collabora con
l'associazione Pianeta Poesia di Firenze guidata da Franco Manescalchi nella
presentazione di poeti e incontri letterari. Giuseppe Panella con Franco
Manescalchi alla Biblioteca Marcellina di Firenze. Saggi:” Monografie Robert
Michels, Socialismo e fascismo” (Milano, Giuffré); Lettera sugli spettacoli di Rousseau,
Aesthetica. Palermo, Il paradosso sull'attore di Diderot, La Vita Felice, (Milano
Saggi); Elogio della lentezza. Etica ed estetica in Valéry, Aesthetica, Palermo);
“Del sublime, Frosinone, Dismisura Testi, “Il sublime e la prosa. Nove proposte
di analisi letteraria” (Firenze, Clinamen, Zola: scrittore sperimentale. Per la
ricostruzione di una poetica della modernità” (Chieti, Solfanelli); “Pasolini.
Il cinema come forma della letteratura” (Firenze, Clinamen); “Il sosia, il
doppio, il replicante. Teoria e analisi critica di una figura letteraria” (Bologna,
Elara) – cfr. H. P. Grice on P. H. Nowell-Smith as J. L. Austin’s ‘straight
man’ in their Saturday mornings double-acts! – il ‘replicante’ -- , I piaceri
dell'immaginazione, Firenze, Clinamen, Rousseau e la società dello spettacolo”
(Firenze, Pagnini); “Il mantello dell'eretico. La pratica dell'eresia come
modello culturale” (Piateda (Sondrio), CFR Edizioni (Quaderno 1), “ L'incubo
urbano,” Rousseau, Debord e le immagini dello spettacolo in La questione dello
stile. I linguaggi del pensiero, F. Bazzani, R. Lanfredini e S. Vitale,
Firenze, Clinamen); “Ipotesi di complotto. Paranoia e delirio narrativo nella
letteratura” (Chieti, Solfanelli); Il secolo che verrà. Epistemologia,
letteratura, etica in Deleuze” (Firenze, Clinamen); “Storia del sublime. Dallo
Pseudo-Longino alle poetiche della modernità” (Firenze, Clinamen); “La
scrittura memorabile. Leonardo Sciascia e la letteratura come forma di vita,
Grottaminarda, Delta); “Alberto Arbasino e la "vita bassa". Indagine
sull'Italia n cinque mosse, Prove di sublime. Letteratura e cinema in
prospettiva estetica” (Firenze, Clinamen); “Curzio Malaparte autore teatrale e
regista cinematografico” (Roma, Fermenti); “Introduzione al pensiero di
Vittorio Vettori. Civiltà filosofica, poetica "etrusca" e culto di
Aligheri” (Firenze, Polistampa); “Le immagini delle parole. La scrittura alla
prova della sua rappresentazione” (Firenze, Clinamen); “La polifonia assoluta.
Poesia, romanzo, letteratura di viaggio di Vettori” (Firenze, Toscana); “L'estetica
dello choc. La scrittura di Malaparte tra esperimenti narrativi e poesia” (Firenze,
Clinamen); “e Tutte le ore feriscono, l'ultima uccide, L’'estetica dell'eccesso”
(Firenze, Clinamen); “Le maschere del doppio: tra mitologia e letteratura” (Editore
libri di Emil); Diario dell'altra vita. Lo sguardo della filosofia e la
prospettiva della felicità, Firenze, Clinamen. Panella. Keywords: “socialism e fascismo” del
sublime, cura di Mosca, Mosca, l’influenza di Mosca in Torino, Michels, il
fascismo di Michels, Mussolini e Michels, Michels ed Enaudi, la radice
proletaria di Benito, dal socialism al fascismo, pre-ventennio fascista, il
socialismo, l’ordine di 1848, la rivoluzione, la dittadura dell’eroe
carismatico, l’assenza di mediazione nel duce come proletario lui stesso, l’aristocrazia
del fascismo, applicazione della teoria di Mosca sull’aristocrazia,
l’aristocrazia della nazione italiana, la razza italiana, la razza Latina, I
latini e l’oltre razzi italici – latini, etruschi, sabini, uschi, umbri,
liguri, la questione della razza nel fascismo, la questione della razza nel
ventennio fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Panella” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740490386/in/datetaken/
Grice e Panunzio – implicatura – la
filosofia italiana nel ventennio fascista -- Filosofia italiana – Luigi
Speranza (Molfetta).
Filosofo. Grice: “There’s S. Panunzio and there’s S. Panunzio – Italian
philosophy can be a trick!” -- Essential Italian philosopher. Tra i maggiori esponenti del sindacalismo rivoluzionario,
in quanto amico intimo di Benito Mussolini, contribuì in maniera decisiva al
suo passaggio dal neutralismo all'interventismo nella Grande Guerra. Divenne in
seguito uno dei massimi teorici del fascismo. Nacque a Molfetta da Vito e
Giuseppina Poli, in una famiglia altoborghese, tra le più illustri della città:
«un ambiente familiare intriso tanto di sollecitazioni all'impegno civile e
politico quanto di suggestioni e stimoli intellettuali». Il periodo
socialista e il sindacalismo rivoluzionario Il suo impegno politico nelle file
del socialismo incominciò molto presto, quando ancora frequentava il liceo
classico locale, ove ebbe come maestro il giovane Pantaleo Carabellese.
Nel dibattito interno al socialismo italiano — diviso tra
"riformisti" e "rivoluzionari" — Panunzio si schiera tra i
cosiddetti sindacalisti rivoluzionari, cominciando al contempo a pubblicare i
suoi primi articoli sul settimanale «Avanguardia Socialista» di Labriola,
quando era ancora studente dell'Università degli Studi di Napoli. Durante i
suoi studi universitari il contatto con docenti come F. Nitti, N. Colajanni, I.
Petrone e G. Salvioli contribuì alla formazione del suo pensiero socialista. Il
suo percorso intellettuale fu altresì influenzato da Georges Sorel e Francesco
Saverio Merlino, i quali avevano già da tempo incominciato un processo di
revisione del marxismo. Nel 1907 pubblica il suo primo studio, intitolato
Il socialismo giuridico, in cui teorizza l'opposizione alla borghesia
solidarista e al sindacato riformista da parte del sindacato operaio, il quale
è destinato a trasformare radicalmente la società. Il fulcro dell'opera era
costituito dalla formulazione di un "diritto sindacale operaio",
spina dorsale di un nuovo "sistema socialista" fondato non su una
base economica, bensì su una base etica, solidaristica: «Il socialismo
giuridico non sarebbe dunque che l'applicazione del principio di solidarietà,
immanente in tutto l'universo, nel campo del diritto e della morale: in se
stesso non è una idea astratta balzata ex abrupto dal cervello di pochi
pensatori, ma efflusso e irradiazione ideale di tutta la materia sociale che
vive e freme attorno a noi. Si laurea in giurisprudenza discutendo una tesi su
L'aristocrazia sociale, ossia sul sindacalismo rivoluzionario, avendo come
relatore Giorgio Arcoleo. Consegue presso lo stesso ateneo la laurea in filosofia.
In questi anni di studi ed esperienze intellettuali, intensifica altresì il
proprio impegno giornalistico in favore del sindacalismo rivoluzionario,
collaborando — oltreché con «Avanguardia Socialista» — con «Il Divenire
Sociale» di Enrico Leone, con «Pagine Libere» di Angelo Oliviero Olivetti e con
«Le Mouvement Socialiste» di Hubert Lagardelle. Il sindacato ed il
diritto La concezione panunziana del sindacato quale organo e fonte di diritto
— non eusarentesi quindi in mero organismo economico o tecnico della produzione
— fu approfondita allorché vide la luce
la sua seconda opera, La persistenza del diritto, in cui egli «coniugava i
princìpi della sua formazione positivistica con una ispirazione filosofica
volontaristica». Panunzio prendeva quindi le mosse affrontando il problema del
rapporto tra sindacalismo e anarchismo: la differenza tra i due movimenti
risiedeva — a detta dell'autore — sul ruolo dell'autorità (fondata sul diritto)
che, negata dall'anarchismo, non era invece trascurata dal sindacalismo:
«Il sindacalismo è d'accordo con l'anarchia nella critica e nella tendenza
distruttiva dello Stato politico attuale, ma non porta alle ultime conseguenze
le sue premesse antiautoritarie, che hanno un riferimento tutto contingente
allo Stato presente. Il sindacalismo, per essere precisi, è antistatale per
definizione e consenso unanime, ma non è antiautoritario. Le premesse
antiautoritarie dell'anarchia hanno invece un valore assoluto e perentorio
riferendosi esse a ogni forma di organizzazione sociale e politica. Il
sindacalismo non è dunque antiautoritario» (Sergio Panunzio) In sostanza,
Panunzio sosteneva l'importanza fondamentale del diritto (ancorché non
"statale", ma "operaio") per il sindacalismo e la futura
società, dall'autore vagheggiata come un regime sindacalista federale sostenuto
dall'autogoverno dei gruppi sindacali, riuniti in una Confederazione, così da
formare quella che l'autore stesso chiama «una vera grande Repubblica sociale
del Lavoro», retta da una «sovranità politica sindacale. Fu poi dato alle
stampe Sindacalismo e Medio Evo, in cui l'autore indicava al sindacalismo
operaio il modello dei Comuni italiani medievali, esempio paradigmatico di
autonomia, la quale doveva essere perseguita anche dai sindacati
contemporanei. Dopo un periodo difficile, dovuto a problemi familiari ma
anche a un ripensamento delle sue teorie politiche, grazie all'interessamento
di Nitti, abbandonò l'attività di avvocato, inadeguata per mantenere la
famiglia (aiutava principalmente — raramente pagato — i suoi compagni di
partito), divenendo docente di pedagogia e morale presso la Regia scuola
normale di Casale Monferrato. Nello stesso anno pubblicò inoltre la sua
importante opera Il Diritto e l'Autorità, in cui erano messe a frutto le sue
rielaborazioni teoriche: oltre al passaggio da un orizzonte positivistico a una
concezione filosofica neocriticistica, egli ripensava lo Stato non più quale
organo della coazione, ma quale depositario della necessaria autorità. Con la
fine della guerra libica, cominciò a prender corpo la svolta
"nazionale" del suo pensiero. Dopo aver insegnato per un anno a
Casale Monferrato e un altro a Urbino, passò alla Regia scuola normale
"Giosuè Carducci" di Ferrara, ove insegna, conseguendo al contempo la libera docenza
presso l'Napoli (l'anno successivo gli fu trasferita nell'ateneo bolognese). È
di quegli anni — poco prima dell'entrata dell'Italia nella Grande Guerra —
l'inizio di stretti rapporti politici e intellettuali con Benito Mussolini,
direttore dell'«Avanti!» e leader dell'ala rivoluzionaria del Partito
Socialista Italiano. Panunzio incominciò dunque una regolare e intensa
collaborazione con il quindicinale «Utopia», appena fondato dal futuro capo del
fascismo per far esprimere le voci più rivoluzionarie, eterodosse ed "eretiche"
dell'ambiente socialistico italiano. In questo periodo Panunzio comprende il
potenziale rivoluzionario che il conflitto europeo poteva esprimere, sicché
manifesterà sempre più esplicitamente il suo appoggio all'interventismo, che
era invece inviso al Partito Socialista: «Io sono fermamente convinto che
solo dalla presente guerra, e quanto più questa sarà acuta e lunga, scatterà
rivoluzionariamente il socialismo in Europa. Altro che assentarsi, piegarsi le
braccia, e contemplare i tronconi morti delle verità astratte! Alle guerre
esterne dovranno succedere le interne, le prime devono preparare le seconde, e
tutte insieme la grande luminosa giornata del socialismo, che sarà la soluzione
e la purificazione ideale di queste giornate livide e paurose, macchiate di
misfatti e di infamie. Quest'articolo di Panunzio, apparso sul quotidiano
ufficiale del Partito Socialista, suscitò una grave polemica, sicché Mussolini
dovette rispondere sul numero del giorno dopo. Tuttavia la replica di
Mussolini, il quale si stava convincendo dell'opportunità dell'intervento, fu
«debole, sfocata, piattamente dottrinaria, per nulla all'altezza del miglior
Mussolini polemista». Infatti, «al momento di questa polemica, Mussolini
era psicologicamente già fuori del socialismo ufficiale ed è indubbio che le
argomentazioni di Panunzio, sia per il loro spessore teorico sia perché
provenienti da un uomo di cui egli aveva grande considerazione intellettuale,
furono probabilmente l'elemento decisivo che lo spinse a compiere il grande passo,
il «voltafaccia» dal neutralismo assoluto all'interventismo. La Grande Guerra
All'entrata dell'Italia nel conflitto mondiale, si arruolò volontario come
quasi tutti gli interventisti "di sinistra" (come Filippo Corridoni e
Mussolini); tuttavia, in quanto emofiliaco, fu immediatamente congedato, sicché
dovette concentrarsi sulla lotta propagandistica e pubblicistica, soprattutto
sulle colonne del «Popolo d'Italia» (i cui articoli erano sovente concordati
con lo stesso Mussolini), in favore della guerra italiana, ritenuta dal
Panunzio una guerra non «di difesa e conservazione, ma di acquisto e di
conquista; non una guerra ma una rivoluzione». Una guerra anche popolare, come
avevano dimostrato le grandi mobilitazioni del «maggio radioso», in
contrapposizione alle posizioni conservatrici di Antonio Salandra e della
classe dirigente liberale. Anche da un punto di vista più propriamente
militante, Panunzio si impegnò nel ruolo di membro del direttivo del neonato
fascio nazionale di Ferrara, il quale diede vita altresì al giornale «Il
Fascio». Oltre all'analisi politica e all'impegno giornalistico, Panunzio
lavorò anche a una sistematizzazione filosofico-giuridica delle sue idee
riguardo al conflitto, con le opere Il concetto della guerra giusta, Principio
e diritto di nazionalità in Popolo, Nazione, Stato), La Lega delle nazioni e
Introduzione alla Società delle Nazioni. Nel primo saggio, egli sosteneva
l'utilità e la legittimità di una guerra anche offensiva, purché essa fosse il
mezzo per il conseguimento di un fine più grande, ossia la giustizia e la
creazione di nuovi equilibri più giusti ed equanimi. Nella seconda, invece,
individuava nel principio di nazionalità la nuova idea-forza della società che
sarebbe scaturita dalla guerra, una volta conclusa. Molto importante è inoltre
la terza opera (La Lega delle nazioni), poiché in essa è sviluppato per la
prima volta il concetto di «sindacalismo nazionale»: «La Nazione deve
circoscriversi, determinarsi, articolarsi, vivere nelle classi, e nelle
corporazioni distinte, e risultare «organicamente» dalle concrete
organizzazioni sociali, e non dal polverio individuale; ed essa esige, dove le
nazionalità non si siano ancora affermate, e dove esse non ancora funzionino
storicamente, solide e robuste connessioni di interessi e aggruppamenti di
classi, a patto, però, che le classi, e le corporazioni trovino, a loro volta,
la loro più compiuta esistenza, destinazione e realtà nella Nazione. Ecco la
«reciprocanza» dei due termini, Sindacato e Nazione, e la sintesi organica tra
Sindacalismo e Nazionalismo, e cioè: Sindacalismo Nazionale» (Sergio
Panunzio) Dalla fine del conflitto alla Marcia su Roma Terminata la guerra,
Panunzio partecipò attivamente al dibattito interno alla sinistra
interventista, intervenendo in particolare su «Il Rinnovamento», quindicinale
recentemente creato e diretto da Alceste De Ambris. Il suo scritto più
importante, che ebbe notevoli conseguenze, apparve il 15 marzo 1919: in questo,
Panunzio sosteneva l'organizzazione di tutta la popolazione in classi
produttive, le quali dovevano essere a loro volta distribuite in corporazioni,
a cui doveva essere demandata l'amministrazione degli interessi sociali;
affermava altresì la necessità di creare un Parlamento tecnico-economico da
affiancare al Parlamento politico. In tale testo programmatico era
chiaramente abbozzato il futuro corporativismo fascista, tanto che l'amico
Mussolini, nel discorso pronunciato a Piazza San Sepolcro (alla fondazione cioè
del fascismo), riprese le tesi di Panunzio per il programma dei Fasci Italiani
di Combattimento: «L'attuale rappresentanza politica non ci può bastare;
vogliamo una rappresentanza diretta dei singoli interessi, perché io, come
cittadino, posso votare secondo le mie idee, come professionista devo poter
votare secondo le mie qualità professionali. Si potrebbe dire contro questo
programma che si ritorna verso le corporazioni. Non importa. Si tratta di
costituire dei Consigli di categoria che integrino la rappresentanza
sinceramente politica» (Benito Mussolini) A Ferrara, Panunzio assisté
alla nascita del fascismo locale (e delle squadre d'azione), intrattenendo
rapporti di amicizia con Italo Balbo (che sarebbero durati per tutta la vita) e
Dino Grandi (che era stato suo allievo), pur non aderendo ufficialmente al movimento,
a causa dei rapporti di quest'ultimo — per lui ambigui — con gli agrari. Risale
a quel periodo, infatti, la pubblicazione delle due opere Diritto, forza e
violenza e Lo Stato di diritto. Nel primo, riprendendo la tesi delle Réflexions
sur la violence di Georges Sorel, l'autore precisava il suo discorso
distinguendo una violenza "morale", "razionale",
"rivoluzionaria", la quale doveva essere il mezzo per l'affermazione
di un nuovo diritto (veicolo, dunque, di uno ius condendum), da una violenza
invece gratuita e immorale. Critica da un punto di vista neokantiano il
concetto hegeliano di Stato etico, lasciando intravedere tuttavia margini di
sviluppo per una visione totalitaria dello Stato. A seguito dell'uscita dei
fascisti dalla UIL e della conseguente creazione della Confederazione nazionale
delle Corporazioni sindacali per opera di Edmondo Rossoni, Panunzio collaborò
con il settimanale ufficiale della Confederazione, cioè «Il Lavoro
d'Italia»[28], vergando un importante articolo sul primo numero, nel quale
ribadiva le sue tesi sul sindacalismo nazionale. Dopo essersi speso invano, con
l'aiuto di Balbo, per una conciliazione tra Mussolini e Gabriele D'Annunzio,
appoggiò la politica pacificatrice di Mussolini, sostenne la «svolta a destra»
del PNF (cioè per un ristabilimento dell'autorità dello Stato) e caldeggiò —
con la caduta del primo Governo Facta — la costituzione di un governo di
"pacificazione" che riunisse fascisti, socialisti e popolari
(prospettiva ritenuta possibile da Mussolini stesso), scrivendo un importante
articolo che individuava nel capo del fascismo l'unico in grado di stabilizzare
e pacificare il Paese: «Benito Mussolini — uno dei pochi uomini politici,
checché si dica in contrario, che abbia l'italia — ha molti nemici e anche molti
adulatori. L'uomo non è ancora bene conosciuto. Chi scrive può affermare con
piena sincerità e obbiettività che la storia recentissima dell'Italia è legata
al nome di Mussolini. L'intervento dell'Italia in guerra è legato al nome di
Mussolini. La salvezza dell'Italia dalla dissoluzione bolscevica è legata a B.
Mussolini. Questi sono fatti. Il resto è politica che passa: dettaglio,
episodio. Anche prima di Caporetto, anche dopo Caporetto, Mussolini (è vero o
non è vero?) disse dall'altra parte: tregua. Non fu, maledettamente, ascoltato.
La fine della lotta ormai è un fatto compiuto. Eccedere più che delitto è
sproposito grave. Ed ecco perché un Ministero in cui entrino le due parti in
lotta — per la salvezza e la grandezza dello Stato — è un minimo di necessità e
di sincerità» (Sergio Panunzio[32]) Tuttavia, con il reincarico di Facta
e il seguente sciopero generale del 1º agosto indetto dall'Alleanza del Lavoro
(il cosiddetto «sciopero legalitario»), scrive a Mussolini mostrando la sua
delusione nei confronti dei socialisti confederali, ritenendo quindi
impossibile una convergenza d'intenti con il PSI e reputando ormai sempre più
necessaria una svolta a destra: «Anch'io pensavo unirci con i confederali
che «senza sottintesi siano per lo Stato». Dopo lo sciopero un ultimo equivoco
è finito. Bisogna mirare a destra. Diciamolo, con o senza elezioni. Confido in
te e nel Fascismo, per quanto il difficile, dal lato politico, viene proprio
ora. Di lì a breve, il fascismo salì al potere. L'impegno politico e
culturale durante il fascismo Una volta costituito il governo fascista,
Panunzio strinse legami sempre più stretti con il movimento mussoliniano,
ottenendo la tessera del PNF (su iniziativa dell'amico I. Balbo) e venendo eletto deputato. Nello stesso
anno divenne membro del Direttorio nazionale provvisorio del PNF, che lasciò
dopo neanche un mese in quanto chiamato alla carica di sottosegretario del
neonato Ministero delle Comunicazioni (diretto al tempo da Costanzo
Ciano). In questo periodo, inizia a interrogarsi — assieme ai massimi
teorici fascisti — sulla vera natura ed essenza del fascismo, per il quale
coniò la definizione di «conservazione rivoluzionaria», che sosterrà per tutta
la sua vita: «Il Fascismo non è unicamente conservazione, né unicamente
rivoluzione, ma è nello stesso tempo — beninteso sotto due aspetti differenti —
una cosa e l'altra. Se mi è lecito servirmi d'una frase che non è una frase
vuota di senso, ma una concezione dialettica, io dirò che il Fascismo è una
grande «conservazione rivoluzionaria. Quel che costituisce la superba
originalità della «rivoluzione italiana», ciò che la fa grandemente superiore
alla rivoluzione francese e alla rivoluzione russa, è che, ricordandosi e
approfittando degli insegnamenti di Vico, di Burke, di Cuoco e di tutta la
critica storica della Rivoluzione essa ha conservato il passato, realizzato il
presente e orientato tutto verso l'avvenire, nei limiti della condizionalità e
dell'attualità storiche. Per certi aspetti il Fascismo è ultraconservatore: ad
esempio, nella restaurazione dei valori famigliari, religiosi, autoritari,
giuridici, attaccati e distrutti dalla cultura enciclopedica, illuministica,
che si è trapiantata arbitrariamente, anche nell'ideologia del proletariato,
vale a dire nel socialismo democratico, che è il più grande responsabile della
corruzione contemporanea. Per altri aspetti, il Fascismo è innovatore, e a un
punto tale che i conservatori ne sono spaventati, come per esempio per la sua
orientazione verso lo «Stato sindacale» e per la suademolizione dello «Stato
parlamentare. Partecipò inoltre attivamente al dibattito incentrato
sull'edificazione dello «Stato nuovo», fornendo importanti spunti, alcuni dei
quali avranno un seguito costituzionale, come ad esempio il "sindacato
unico obbligatorio", l'attribuzione della personalità giuridica
(istituzionale, non civile) ai sindacati, o l'istituzione di una Magistratura
del Lavoro che si ponesse quale arbitro nelle controversie tra capitale e
lavoro. Fornì anche, al contempo, le basi teoriche del futuro Stato sindacale
(poi corporativo): «La nuova sintesi è l'unità dello Stato e del
Sindacato, dello Statismo e del Sindacalismo. È lo Stato il punto di approdo e
lo sbocco, superata la prima fase negativa, del Sindacalismo. È di questi tempi
altresì l'evoluzione del pensiero panunziano riguardo a una concezione
organicistica dello Stato, attraverso una critica serrata dello Stato
democratico-parlamentare, uno «Stato meccanico, livellatore, astratto»
(sorretto dal «principio meccanico della eguaglianza e cioè il suffragio
universale»), che doveva portare a uno «Stato organico, gerarchico», fondato su
un sistema sindacal-corporativo, giacché «chi è organizzato pesa, chi non è
organizzato non pesa»[36]. In quest'ottica deve essere considerata, infatti, la
definizione panunziana del fascismo quale «concezione totale della vita. Tutta
la riflessione teorica politico-giuridica di questo periodo fu riassunta e
sistematizzata nel suo volume, pubblicato nel 1925, Lo Stato fascista, il quale
accese grandi dibattiti in ambiente fascista, tanto che l'autore ebbe modo di
confrontarsi su questi temi — spesso polemicamente — con importanti personalità
intellettuali come Carlo Costamagna, Giovanni Gentile e Carlo Curcio. n virtù
di queste premesse teoriche e operative, appoggiò Mussolini durante la crisi
causata dal delitto Matteotti, al fine di incrementare il processo di riforma
statuale avviato dal fascismo, che si sarebbe di lì a poco concretizzato nelle
leggi fascistissime volute da Alfredo Rocco e, soprattutto, nella Legge n. 563,
che istituzionalizzò i sindacati, e nella redazione della Carta del Lavoro, il
documento fondamentale della politica economica e sociale fascista.
Terminata l'esperienza di governo, si dedicò all'insegnamento: dopo aver vinto
il concorso per un posto da professore straordinario in filosofia del diritto
presso l'Università degli Studi di Ferrara, divenne ordinario e si trasferì a Perugia,
di cui fu Rettore nell'anno accademico. Chiamato a insegnare dottrina dello
Stato presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di
Roma, cattedra che detenne sino alla morte. Non appena insediatosi nell'ateneo
romano, incaricato dal Duce di organizzare, in qualità di Commissario del
Governo, la neonata Facoltà Fascista di Scienze Politiche di Perugia, che
doveva essere la «Oxford italiana» e «fascista. In tale veste, chiamò a
insegnare a Perugia docenti quali Paolo Orano, Robert Michels, Angelo Oliviero
Olivetti, Maurizio Maraviglia e Francesco Coppola. Fu ancora deputato. Malgrado
gli impegni accademici, Panunzio continua a sostenere l'edificazione
dell'ordinamento sindacale corporativo del nuovo Stato fascista attraverso i
suoi articoli giornalistici, partecipando agli intensi dibattiti degli anni
trenta sulla legislazione corporativa. Più precisamente, egli si situava in
quell'ala sindacalista del fascismo che, nella nuova struttura statuale,
perorava un potenziamento dei sindacati all'interno del sistema corporativo,
affinché essi potessero intervenire più decisamente nella direzione economica
del Paese. In questo periodo, grazie a opere teoriche fondamentali, Panunzio
sistematizzò e definì organicamente il suo pensiero. In sostanza, lo Stato
fascista, che è sindacale e corporativo, si contrappone allo «Stato atomistico
ed individualistico del liberismo. Inoltre lo Stato fascista è caratterizzato
dalla sua «ecclesiasticità» (o religiosità), intesa come «unione di anime, al
contrario dello Stato liberal-parlamentare «indifferente, ateo e agnostico». Il
giurista molfettese introdusse anche il concetto di funzione corporativa in
quanto quarta funzione dello Stato (dopo le tre canoniche: esecutiva,
legislativa e giurisdizionale), proprio per fornire il necessario fondamento
giuridico ai cambiamenti costituzionali in atto, con la creazione dello Stato
corporativo. Lo Stato fascista, infine, si configura come uno Stato
totalitario, «promanando direttamente e immediatamente da una rivoluzione ed
essendo formalmente uno "Stato rivoluzionario". Con l'istituzione
delle corporazioni (attraverso la Legge n. 164) e la creazione della Camera dei
Fasci e delle Corporazioni (Legge n. 129), Panunzio redasse la Teoria Generale
dello Stato Fascista, che rappresenta la summa del suo pensiero in materia di ordinamento
sindacale corporativo: in questo, egli sosteneva la funzione attiva e
propulsiva del sindacato, al fine di evitare un'involuzione burocratica delle
corporazioni; sosteneva altresì il suo concetto di economia mista — la quale
all'intervento pubblico affiancasse una sana iniziativa privata — «ordinata,
subordinata, armonizzata, ridotta all'unità, ossia unificata dallo Stato, in
quanto il pluralismo economico e la pluralità delle forme economiche sono un
momento ed una determinazione organica del monismo giuridico-politico dello
Stato. Partecipò, con notevole peso specifico, alla riforma del Codice di
procedura civile e del Codice civile. Riguardo a quest'ultimo, in particolare,
il suo contributo fu decisivo, soprattutto per il terzo (Della proprietà) e
quinto (Del lavoro) libro: fu lui ad ottenere che un intero libro fosse
dedicato al lavoro; volle che la Carta del Lavoro fosse posta a base del
codice; definì un più circostanziato concetto di proprietà, in cui se ne
enfatizzava la "funzione sociale. Divenne consigliere nazionale della
Camera dei Fasci e delle Corporazioni[50]. Morì a Roma, in piena
guerra. L'archivio di Sergio Panunzio è stato digitalizzato ed è attualmente
disponibile alla ricerca presso la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice in
Roma. Saggi: “Il socialismo giuridico” (Moderna, Genova); “La persistenza del diritto
-- discutendo di sindacalismo e di anarchismo” (Abruzzese, Pescara); “Sindacalismo
e Medio Evo” (Partenopea, Napoli); “Il diritto e l'autorità” ((POMBA, Torino);
“Guerra giusta” (Colitti, Campobasso); “Lega dei nazioni” (Taddei, Ferrara);
“Nazione e Nazioni” (Taddei, Ferrara); “Diritto, forza e violenza” (Cappelli,
Bologna); “Stato di diritto” (Taddei, Ferrara); “Lo stato nazionale e sindacati”
(Imperia, Milano); “Che cos'è il fascismo” (Alpes, Milano); “Lo stato nazionale
nel veintennio fascista” (Cappelli, Bologna); “Sentimento di stato” (Littorio,
Roma); “Dittatura” (Forlì); “Stato e diritto: l'*unità* dello stato e la *pluralità*
degli ordinamenti giuridici” (Mdenese, Modena); “Leggi costituzionali del regime
italiano” (Sindacato nazionale fascista avvocati e procuratori, Roma); “Popolo,
Nazione, Stato: un esame giuridico” (Nuova Italia, Firenze); “I sindacati e
l'organizzazione economica dell'impero” (Poligrafico dello Stato, Roma); “Sulla
natura giuridica dell'Impero italiano” (Poligrafico dello Stato, Roma); “L'organizzazione
sindacale e l'economia dell'Impero” (Poligrafico dello Stato, Roma); “La Camera
dei fasci e delle corporazioni” (Trinacria, Roma); “Teoria generale dello stato”
(MILANI, Padova); “Motivi e metodo della codificazione dello stato italiano” (Giuffrè,
Milano); F. Perfetti, “La conversione all'interventismo di Mussolini nel suo
carteggio, Storia contemporanea», “Il
sindacalismo ed il FONDAMENTO RAZIONALE DELLO STATO ITALIANO (Volpe, Roma). Non c'è dubbio che tra i molti
scrittori che tentarono di articolare l'ideologia del fascismo italiano e il più
competenti e intellettualmente influenti, come Gentile. H. Matthews, Il frutto
del fascismo” (Laterza, Bari). Fornisce con le sue teorie una patina di
legittimità rivoluzionaria alla dittatura. Z. Sternhell, Nascita dell'ideologia
fascista” (Milano). Il filosofo più importante del fascismo. Perfetti, Il socialismo giuridico, LModerna, Genova, Sindacalismo
e Medio Evo, Partenopea, Napoli. G. Cavallari, Il positivismo nella formazione
filosofico-politica in «Schema», L. Paloscia,
La concezione sindacalista, Gismondi, Roma, Guerra e socialismo, in «Avanti!», Mussolini,
Guerra, Rivoluzione e Socialismo. Contro le inversioni del sovversivismo guerrafondaio,
in «Avanti!», Mussolini, La guerra europea: le sue cause e i suoi fini, in Ver sacrum, Taddei, Ferrara. Sergio Panunzio,
I due partiti di oggi e di domani, in «Il Popolo d'Italia», Perfetti, La Lega
delle nazioni, Taddei, Ferrara, Un programma d'azione, in «Il Rinnovamento»,
Mussolini, Diritto, forza e violenza: lineamenti di una teoria della violenza”
(Cappelli, Bologna); “Lo Stato di diritto, Taddei, Ferrara). Il settimanale e diretto
da Rossoni e annove, tra i collaboratori più attivi e competenti, A.
Casalini. Il sindacalismo nazionale, in
«Il Lavoro d'Italia», Perfetti, Renzo De Felice, Mussolini il fascista, La conquista del potere, Einaudi, Torino. L'ora
di Mussolini, in «La Gazzetta delle Puglie», «Popolo d'Italia» per espressa
volontà di Mussolini. Lettera citata in
Perfetti, Che cos'è il fascismo, Alpes, Milano, Stato e Sindacati, in «Rivista
Internazionale di Filosofia del Diritto», gennaio-marzo Forma e sostanza nel
problema elettorale, in «Il Resto del Carlino», Idee sul Fascismo, in «Critica
fascista», L. Nucci, La facoltà fascista di Scienze Politiche di Perugia:
origini e sviluppo, in Continuità e fratture nella storia delle università
italiane dalle origini all'età contemporanea, Dipartimento di Scienze storiche
Perugia, Perugia. Loreto Di Nucci, Nel cantiere dello Stato fascista, Carocci,
Roma, Renzo De Felice, Mussolini il
Duce, I: Gli anni del consenso, Einaudi,
Torino, Il sentimento dello Stato, Libreria del Littorio, Roma; Il concetto
della dittatura rivoluzionaria, Forlì, Stato e diritto: l'unità dello stato e
la pluralità degli ordinamenti giuridici, Società tipografica modenese, Modena.
Leggi costituzionali del Regime, Sindacato nazionale fascista avvocati e
procuratori, Roma, Perfetti, XXX Legislatura del Regno d'Italia. Camera
dei fasci e delle corporazioni / Deputati / Camera dei deputati storico Il Fondo Sergio Panunzio. Fondazione Ugo
Spirito e Renzo De Felice. Giovanna
Cavallari, Il positivismo nella formazione filosofico-politica, in «Schema», Ferdinando
Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, Roma-Bari, Sabino Cassese,
Socialismo giuridico e «diritto operaio». La critica di Sergio Panunzio al
socialismo giuridico, in «Il Socialismo giuridico: ipotesi e letture», in
“Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno”, Renzo De
Felice, Mussolini, 8 voll., Einaudi, Torino, Mussolini il rivoluzionario, Einaudi,
Torino 1965. Emilio Gentile, Le origini dell'ideologia fascista, Il Mulino,
Bologna, Laterza, Roma-Bari). A. James Gregor, Sergio Panunzio: il sindacalismo
ed il fondamento razionale del fascismo, Volpe, Roma. nuova edizione ampliata,
Lulu.com,. Benito Mussolini, Opera omnia, Edoardo e Duilio Susmel, La Fenice,
Firenze-Roma, Leonardo Paloscia, La concezione sindacalista di Sergio Panunzio,
Gismondi, Roma, Giuseppe Parlato, La sinistra fascista: storia di un progetto
mancato, Il Mulino, Bologna. Giuseppe Parlato, Il sindacalismo fascista, II: Dalla grande crisi alla caduta del
regime, Bonacci, Roma, Francesco Perfetti, Il sindacalismo fascista, I: Dalle origini alla vigilia dello Stato
corporativo, Bonacci, Roma); Francesco Perfetti, La «conversione»
all'interventismo di Mussolini nel suo carteggio con Sergio Panunzio, in
«Storia contemporanea», Francesco Perfetti, Introduzione, in Sergio Panunzio,
Il fondamento giuridico del fascismo, Bonacci, Roma, Francesco Perfetti, Lo
Stato fascista: le basi sindacali e corporative, Le Lettere, Firenze. Zeev
Sternhell, Nascita dell'ideologia fascista, tr. it., Baldini e Castoldi, Milano
1993. Fascismo Sindacalismo
rivoluzionario Sindacalismo nazionale Sindacalismo fascista Corporativismo
Italo Balbo James Gregor Francesco Perfetti. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Sergio Panunzio,. Sergio Panunzio, su storia.camera, Camera dei
deputati. Sabino Cassese, Socialismo giuridico e «diritto operaio».
La critica di Sergio Panunzio al socialismo giuridico in Quaderni fiorentini
per la storia del pensiero giuridico modern” (Giuffrè, Milano). Fervono oggi in
Italia, nel campo polìtico e filosofico, le discussioni e le polemiche molto
vivaci su Hegel, sulla idolatria dello Stato ovverosia sulla sua statolatria,
sullo Stato considerato da Hegel come l’Ente supremo. Forti correnti
antihegeliane si deiineano in Italia nel Fascismo contro le correnti e le
scuole idealistiche facenti, cora’è noto, capo al Gentile e alla sua
interpetràzione attua- listica, dopo (piella storica del Croce, dell’hegelismo.
Non si vuole e non si deve qui parlare di filosofìa. Il concetto « hegeliano »
dello Stato si prende qui nel suo aspetto sociale e politico, e da questo punto
di vista è indubbio il suo nesso storico ed ideologico con lo Stato fascista. A
conferma di ciò, basti notare che lo Stato fascista nega innanzi tutto e
soprattutto Marx e Io Stato marxista. Non a torto e significativamente il
movimento hitleriamo in Germania è e si chiama antimarxista e non
antisocialista e si denomina anzi « nazionalsocialista >. Ora Marx, per
costruire ia classe, negò il suo maestro, Hegel, e di Hegel prese il concetto
della « società civile», risolvendolo analiticamente nelle classi, donde la
lotta di classe centro del suo sistema teorico e pratico, riducendo anzi in
ultima istanza la società civile in blocco alla pretesa unitaria ed omogenea
classe operaia, e negò lo Slato. Se, contro la classe marxistica, si deve
ricostruire e riabilitare lo Stato, è evidente, per ciò solo, il ritorno necessario
da Marx ad Hegel. Sta tutta qui, per me, la parentela fra Stato fascista e
Stato hegeliano. Riconosco, e lo disse, prima di tutti, un nostro filosofo,
Filippo Masci, La libertà nel difillo e nella Sloria secando Kant ed Hegel, in
Atti della R. Accademia di Scienze Morali ePolitiche, Napoli, 1903, che
l’ideologia statale di Hegel si prestò molto bene, nelle mani delle classi
reazionarie e fondiarie tedesche, alla fonda zione dello Stato prussiano
reazionario e conservatore. Ma altro sono le dottri ne, altro l’uso e lo
sfruttamento che di esse tanno le classi sociaii secondo i loro bisogni ed il
loro spirito di classe ; per quanto sia anche giusta l’osservazione dello
stesso Masci che lo Stato di Hegel per gran parte — rlducendosi la sua
Filosofia del diritto molte volte e in molti punti a mera trattazione empirica
di diritto co stituzionale positivo germanico — non faccia che, abbandonata la
fliosofia pura e speculativa, trascrivere in termini di pensiero filosofico ia
realtà di tallo dello Stato prussiano del suo tempo. Per cui lo Stato di Hegel
si prestava per questo verso a quel tale «giuoco diclasse, di piegare lo Stato
filosofico ed etico del gran de pensatore alla propria situazione psicologica
di classe. Ma questi indubbi aspet ti stona e poiitici empirici dello Stalo di
Hegel, che lo fanno passare (non si di mentichi che Hegel visse e scrisse dopo
l’esperienza immediata della Rivoluzione francese, in un periodo, come oggi il
Fascismo, anch’esso accusato dai superficiali e dagli stolti d, reazionarismo,
di restaurazione, e appartenne al ciclo appunto della Restaurazione
postrivoluzionaria) per reazionario e per il filosofo dello Stato rea
zionario. non devono farci perdere di vista gli elementi filosofici essenziali
non accidentali e fossili, e specialmente il profondo vivo e vitale concetto
della . società avile.. di corporazione e del nesso fra la società civile e lo
Stato. Ho piacere di notwe qui che uno scrittore tedesco, li Bindek, Sialo e
Società nella moderna fllosofia poltlica, in Rio. Inlernaz. di Filosofia del
diriUo, fase. Ili, 1924, a proposito del mio scritto: Slato e Sindacali, ha
rilevato il mio rUerimento a Hegel per la com penetrazione della società con
lo Stato. Gli elementi vivi e vitali non devono non separarsi attraverso la
critica e la scienza dagli elementi morti e superati di Hegel Per questi ultimi
non dobbiamo dimenticare i primi; anche se, per il suo tempo m cu. signorava,
prima di Marx, la prassi e la teoria sviluppata poi dopo e fino a un certo
punto anche offre Marx da Sorci, del Sindacalismo. la concezione hege- liana
della Società era burocratica, e la concezione del governo, ossia dello Stato
aulocralica. Vedi su ciò le acute osservazioni e critiche ad Hegel dei
Capograssi, già da me c tate in questo scritto. Questo il giudizio obbieilivo
sullo Hegel poIÌUco A non dire qui (vedi su ciò il mio volume Lo Slato di
diritto, libro II cap V Lo Stalo noumeno immanente di Hegel, Città di Castello
1921) che la prima fase del pensiero politico di Hegel fu tutfaltro che reazionaria.
Come pure non mi sembra che SI possa e SI debba dire che Io Stato hegeliano,
per la sua statolatria, sia uno Stato panteistico, non solo antico, ma
addirittura uno Stato asiatico indiano, meno nspettoso della libertà umana
dello stesso Stato pagano platonicc»-aristoteìico Ve- di su ao, contro
l’opinione del Masci, l’appendice al mio citato Stato di diritlo: Se lo Sialo
hegeliano sia Stato moderno, pp. 169-171. C'è si diflerenza fra Stato fa
scista e Stato hegeliano; anzi è questo il punto fondamentale per cui non si
può e non si deve ridurre al tipo dello Stato hegeliano lo Stato fascista: che
mentre per Mussouni, tutto è nello Stato ; nulla fuori dello Stato ; nulla
contro lo Stato • ma non è vero che nulla, non dal Iato politico, ma da quello
filosofico e morale, è sopra lo Stato ; per Hegel, Invece, nulla è sopra lo
Stato, per la semplice ragione che lo Stato è tutto ed anzi Dio stesso
realizzato nel mondo. Ma da questo a dire che lo Stato di Hegel è più che
antico asiatico, ci corre. Si può e si deve dire invece che lo Stato fascista
appartiene al ciclo della filosofia idealistica trascendente, mentre lo Stato
hegeliano è basato sull’immanenza, donde esso è Dio stesso. Del resto, a questo
proposito, sono anche note, nel campo filosofico, le premesse trascendenti ed
anche le interpretazioni net senso della trascendenza dell’idealismo hegeliano.
Vedi su ciò, in conformità dell’interpretazione trascendente anglo-americana
deH’idealismo hegeliano, il mio libro Diritto Forza e Violenza, parte IH. Orientata
verso la trascen denza è la fase recentissima del pensiero idealistico
italiano, donde la dissoluzione t in terna • della posizione
idealistico-attualistica visibile nei rappresentanti dì questa scuola
discendenti dal Gentile. L ’idealismo attualistico, capovolgendosi la posizione
del Gioberti, che dalla trascendenza andò verso l’immanenza, da Dio alla
Storia, fa oggi il cammino inverso dall’umano al divino, dalla Storia all’
Idea. Vedi su ciò sinteticamente ed efficacemente la prefazione di Balbino Giuliano
al volume di R ugoero Rin a l d i, Gioberti e il problema religioso del
Bisorgimenlo, Firenze, Vallee- chi 1929. Sulla filosofia del diritto di Hegel,
dal lato sociale e per le sue connessioni ideologiche con il Corporativismo
fascista attuale, V., oltre ì miei scritti citali, par ticolarmente, Lo Stato
di diritto, G. Passerini D’Entreves, La filosofia del diruto di Hegel, Torino,
1924. Sui rapporti fra la « volontà di tutti • di Rousseau e la ■societàcivile»
di Hegele fra la ■volontà generale•dei primoe •lo «Statoi del secondo, vedi il
mio Sfato di diritto libro II, i capitoli su Rousseau e sullo Stato di Hegel.
Sui rapporti fra società e Stato nella concezione fascista in rapporto aile mie
idee in poposito, vedi G. Leibholz, Z u den problemen des lascistisehen
Verfassangsreclds, Leipzig, 1928.Nessuna delle tre forme di dit tatura sopra analizzate,
comprende la dittatura del Duce. Che cosa essa è? Essa è una forma ideale a
sé.. Essa è uno « Stato di grazia » dello spirito. È quella che io credo si debba
chiamare la dittatura eroica, figura storica o se vogliamo filosofica, non
figura giuridica ; ed in quanto tale, eccezionale e soprannaturale, non
ordinaria e comune. Di essa non si occupano e non parlano i trattati di
Dottrina dello Stato e di Diritto costituzionale. Dovete, per
comprenderla, se me lo chiedete, aprire un libro, il libro degli E r o i di
Tommaso Carlyle (1).Un acuto scrittore, il Michels, richiamando il concetto di
Max Weber, parla; di Uomo e di Capo carismatico (2).La dittatura eroica è
spirituale, non materiale, soggettiva, non oggettiva, prodotta e posta «dal
popolo»; nonimposta «alpopolo». ' per cui essa è considerata dal popolo che la
genera e ne èli geloso proprietario e custode, come la cosa sua più intima
preziosa e per-sonale. Dobbiamo, se mai, per inquadrarla in qualche modo in una
delle forme stabilite, ricollegarla, come si è dimostrato, alla dittatura
rivoluzionaria. La rivoluzione è un’idea; e la dittatura rivoluzionaria è, come
sappiamo, la dittatura dell’idea. Ma questa idea deve trovare il suo Uomo, il
suo corpo, l’Eroe. Onde può dirsi che la dittatura eroica è la soggettività, la
coscienza del l’idea di un popolo, nella sua marcia e nel suo cammino nella
storia. LO STATO FASCISTA NELLA DOTTRINA DELLO STATO.
LO STATO
NUOVO. Genesi dello Stato fascista . La natura ideale del Fascismo. Il Fascismo
come >conservazione revoluzionaria. Gli elementi dello Stato fascista. La
restaurazione politica e rinstaurazione sociale nello Stato fascista .
Sindacalismo; Nazionalismo; Fascismo. Il lato politico ed il lato sociale dello
Stato. Il rapporto fra lo Stato e 1 Sindacati. Lo Stato-società ; lo Stato^asse
; lo Stato-popolo ; Io Stato-nazione. In nota; rapporti fra lo Stato fascista e
lo Sta to di Hegel. Struttura e funzioni dello Stato fascista. Lo Stato
sindacale-corpo rativo . Stato ed economia. La Corporazione. Lo Stato fascista
neirordiiiamento giuridico. Leggi costituzionali sociali ; politiche. La Carta
del Lavoro. Le istituzioni e gli organi fondamentali. Legislazione ed
esecuzione. Lo Stato-Partito. Lo Stato militare ed il cittadino-soldato. I
caratteri, la qualilìcazione, e la denominazione dello Stato fasci sta. La
statocrazia come formula ideale dello Stato fascista. La difesa penate dello
Stato fascista.. LO STATO FASCISTA NEL DIRITTO PUBBLICO POSITIVO. CONCETTI
GENERALI E GL’ISTITUTI FONDAMENTALI. Criteri di metodo e dì studio. Il diritto
costituzionale fascista : le leggi ; la prassi ; la dottrina ; la storia. Il
metodo giuridico ed i suoi limiti. Le leggi costituzionali ; le leggi
costituzionali rivoluzionarie. L ’in staurazione rivoluzionaria. L ’atto
fondamentale della rivoluzione ; il Proclama del Quadrumvirato. I! diritto
rivoluzionario : organi provvisori ; costituenti ; costituzionali. . Il Potere
politico o corporativo deilo Stato ed i suoi presupposti sociali politi« e
giuridici. La crisi della democrazia parlamentare. Regime parlamentare e
Regime fascista. La divisione dei poteri come specificazione di organi e di
funzioni, e la coordinazione dei poteri. Critica della teoria dei «tre poteri
». La funzione di governo, ossia corporativa o politica dello Stato. Natura dì
questa funzione e sua denom inazione. L ’ Organo supremo. Dalia funzione
politica alla determinazione del titolare di essa. La gerarchia degli organi
costituzionali. 11 Capo dello Stato ; il Capo del Governo ; il Gran Consiglio
del Fascismo. L ’ Organo supremo come organo complesso. Le relazioni statiche
e dinamiche fra i tre elementi dell’Organo supremo. La Monarchia e il P.- N .
F . La forma di governo : il Regime fascista de! Capo del Governo. La forma di
governo desunta dalla posizione costituzionale dell’Organo supremo. Confronto
fra il Regime fascista e l’attuale regime inglese superparlamentare a • Premier
». Perfezione e superiorità del Regime fascista nell’evoluzione delle forme di
governo, in quanto piena realizzazione del regime popolare. Il Capo del Governo
; ampiezza ed intensità dei suoi poteri e delle sue attribuzioni. Sua posizione
gerarchica rispetto agli altri Ministri, suoi puri collaboratori tecnici.
Gerarchia in senso amministrativo e in senso costituzionale. La dinamica delle
relazioni fra il Capo del Governo e gli altri organi dello Stato, ed il Partito
come fulcro giuridico ed istituzione-cardine del Regime fascista. Nesso
organico fra la Monarchia e il P. N. F.. L’unità sostanziale fra il Re, il
Popolo, il Partito. Il Gran Consiglio. La prerogativa suprema del Re : la
scelta e la nomina del Capo del Governo. (In nota; la progressiva delimitazione
della competenza legislativa materiale del Parlamento e la crisi della legge
formale. I gradi del potere legislativo ed il problema della gerarchia delle
nor me giuridiche e della relativa Giurisdizione costituzionale). LE
CORPORAZIONI E TEORIA GENERALE DELLA CORPORAZIONE. PRINCIPI GENERALI. Il
Corporativismo concepito come principio lllosoflco. Corporativismo economico e
Corjiorativismo politico. Errore <1i ridurre il Corporativismo al puro
piano economico. Unità di Fascismo e di Corporativismo. La corporazione e le
Corporazioni. Sindacato e Corporazione. Sindacalismo corporativo e
Corporativismo sindacale. CHE COSA SONO E COME SONO COSTITUITE LE CORPORAZIONI.
1. L’essenza delle Corporazioni e le loro proprietà costitutive. . . 2. I,a
costituzione organica delle Corporazioni. Le lunzjoni delle Corporazioni.
Preponderante rilevanza della loro funzione normativa ed esame di quest’ultima.
Il funzionamento pratico delle Corporazioni. Il reale e l'ideale nella C o r p
o r a z i o n e. CHE COSA FANNO LE CORPORAZIONI. I compiti e i problemi delle
Corporazioni. La funzione corporativa come esplicazione della potestà d’impero
dello Stato. L ’unità deH’attività dello Stalo. Le « funzioni » ; gli « atti »
dello Stato . Attività economica in senso materiale, ed in senso formale dello
Stato. L ’attività giuridico-economica dello S t a t o . I destinatari delle
norme corporative. Che cos’è la produzione. L’ese cuzione produttiva. Sua
differenza dalla esecuzione amministrativa. 5. Lo Stato e la produzione. Piano
economico e piano produttivo. Dire zione e gestione. L’autarchia. Autarchia
economica in senso formale. L’economia corporativa come economia mista. Il
diritto economico. Iniziativa privata ed autarchia. IniziaUva pri vata e
libertà economica. La libertà come categoria spirituale e filosofica. Iniziativa
privata e proprietà privata. Personalità e proprietà ; lavoro e proprietà. LE
CORPORAZIONI ISTITUITE. IL PIANO DELLE 22 CORPORAZIONI. Il quadro delle
Corporazioni ed i loro tre gruppi . Il ciclo produttivo per grandi rami di
produzione come criterio costitutivo delle Corporazioni e della loro
distinzione in tre gruppi. 154 3. La relatività come criterio per la
costituzione e la classificazione delle Corporazioni. Esplicazione di questo
criterio di relatività in due leggi : la organicità decrescente e la generalità
crescente delle Corporazioni. Natura strettamente « sperimentale
dell’ordinamento delle Corporazioni ». Il Sindacato come elemento attivo delle
Corporazioni. Statica e dinamica delle Corporazioni. Mozione presentala dal D U
C E ed approvata dall'Assemblea Generale del Consiglio Nazionale delle
Corporazioni. TEORIA GENERALE DEL PARTITO. CONSIDERAZIONI GENERALI DI METODO
SUL PARTITO NELLA DOTTRINA DELLO STATO E NEL DIRITTO PUBBLICO. Il partito
rivoluzionario nella Dottrina dello Stato e suo posto sistematico in e s s a .
Il procedimento di formazione dello Stato fascista, ossia il Partito
rivoluzionario come origine immediata e formale dello Stato fascista. 3.
Delimitazione dello studio de! Partito sotto l’aspetto politico e sotto l’aspetto
giuridico. Criteri di metodo e degli organi dello stato. Le varie teorie sulla
natura giuridica del Partito, particolarmente sul Partito come istituzione
politica autarchica e come organo dello Stato. Le varie specie di istituzioni
pubbliche. Nuovo concetto delTautarchia. IL PARTITO RIVOLUZIONARIO, OSSIA IL
PARTITO-STATO. Il partito rivoluzionario come nozione pubblicistica a sè. .Il
partito rivoluzionario nella Storia e nella Dottrina dei partiti. Se il partito
rivoluzionario sia ancora un partito e de. bba chiamarsi partitoIl partito
rivoluzionario come partito di regime. Partiti di governo e partiti di regime.
lì partito socialista ed il Partito fascista come partiti rivoluzionari. Partito
rivoluzionario e partito unico. Il partito unico nella concezione socialista e
nella concezione fascista. Stato dì partiti ; Stato-partito. 5. Il partito
totalitario ed il partito unico. Differenza, non identità fra le due nozioni. Il
partito unico può intendersi in due sensi: a) in senso giuridico o formale come
ente processuale ossia come organo della rivoluzione ; b) in senso sostanziale
come ente politico ossia come organo dello Stato. La giustificazione del
partito rivoluzionario. Il partito rivoluzionario come organizzazione militare
. passaggio dal Partito-Stato allo Stato-partito. LA DITTATURA RIVOLUZIONARIA. Considerazioni
generali sul fenomeno storico-politico della dittatura. 2. Esposizione e
critica di alcune opinioni sulla dittatura. Le crisi dello Stato e le r iv o lu
z io n i. Distinzione, classificazione e analisi delle varie forme dì
dittatura. La dittatura costituzionale. La dittatura rivoluzionaria.. La dittatura
polìtica . La dittatura e r o i c a . PARTIJP- REGIME STATO. Posizione e
determinazione critica e metodica del concetto di regime 2. Il concetto di
regime nella recente dottrina politica e giuridica italiana . Il concetto di
regime in rapporto a quello di rivoluzione . Il movimento interno ossia la
dialettica del regime . Le istituzioni del Partito e quelle del Regime : le
istituzioni del Regime e quelle dello S t a t o . IL CONCETTO DI STATO-PARTITO.
L o S t a t o - p a r t i t o . Lo Stato dei partiti ; delle leghe ; dei
sindacati (Partitismo ; Leghismo, Sindacalismo). Il partito rivoluzionario ; il
Partito-Stato; «la formula politica». Modernità del concetto di rivolurione e
di partito rivoluzionario. L ’unità e la continuità dello Stato ; la vicenda e
la successione delle forme di g o v e r n o . Socialismo rivoluzionario ;
riformismo ; bolscevismo ; Fascismo . L’esperienza sovietica russa. La classe.
La Nazione. Lo Stato-oggetto; il partito-soggetto. L’esperienza fascista.
Contraddizione sovietica; verità fascista. Il problema giuridico del P. N. F..
Dal Partito-Stato allo Stato-partito. Insurrezione e dittatura come torme
logiche della Rivoluzione. Lo Stato-formae lo Stato-sostanza. Natura e scopo
del P. N. F,. Istituzione ed organo dello Stato. Nuovo concetto degli organi
dello Stato . L'uno politico: lo Stato; il pluralismo sociale. Sindacati. Il
Partito ei S i n d a c a t i . L’università del Fascismo; suo presupposto: il
partito unico . SCRITTI FIL030F1GO-GIURIDICI E
DI DOTTRINA DELLO STATO . Il Diritto e l’autorità, Torino, Pomba, 1912. . Le
ragioni della Giurisprudenza pura, Roma, Rio. Inier. di Sociologia, 1914. . Il
concetto della guerra giusta, Campobasso, Coluti, 1917. . L o • Slato
giuridico^ nella concezione di I. Pelrone, Campobasso, Coluti, 1917. ,
Introduzione alla Società delle Nazioni, Ferrara, Taddei, 1920. . La Lega delle
Nazioni, Ferrara, Taddei, 1920. . Lo Sialo di diritto. Città di Castello, lì
Solco, 1921. . I l socialismo, la Filosofia del diriilo e lo Staio, Città di
Castello, il Solco, 1921. . Lirillo, Forza e Violenza. Bologna, Cappelli, 1921.
. Staio e Sindacati, Roma, Rio. Inter. di Filos. del Dir. 1923. . Consenso ed
apatia, in Annaii dell'Universilà di Ferrara, 1924. . Filosofia e Polilica del
diritto, Milano, Rio. di Dir. Pubb. 1924. . La Politica di Sismondi, Roma, Rio.
Inlern. di Filos. del Dir., 1926. . Il Sentimento detto Stalo, Roma, Libreria
del Littorio, 1929. . Diritto sindacale e corporaliuo, Perugia, La Nuova
Italia, 1930. . Stalo e Diritto, Modena, 1931. . Le leggi cosittuzionu/i del
Regime {Relazione al F Congresso giuridico italiano) Roma, 1932. . Popolo,
Nazione e Stato, Perugia, La Nuova Italia, 1933. . Allgemeine Theorie des fase,
slischen Staales, Berlino, Walter de Gruyter, 1934. SCRITTI POLITICI 1. Il
Socialismo giuridico, Genova, Libreria moderna, 1907. 2. Il Sindacalismo nel
passalo, Lugano, Pagine Libere, 1907. 3. La persistenza del diritlo, Pescara,
Casa Ed. Abruzzese, 1910. 4. Sindacalismo e Medio Eoo, Napoli, Casa Ed.
Partenopea, 1911. 5. Stalo Nazionale e Sindacali, Milano, Imperia, 1924. 6. Che
cos’è il Fascismo, Milano, Alpes, 1924. 7. Lo Stato Fascista, Bologna,
Cappelli, 1925. 8. Il riconoscimento rivoluzionario dei Sindacati, Roma, Il
DiriUto del Lavoro 1927. 9. Sindacalismo, Torino, Pomba, 1928. 10. Rivoluzione
e Costituzione, Milano, Treves, 1933. 11. La fStoria» del Sindacalismo
fascista, Roma, Quaderni di segnalazione, 1933. 12. Riforma Coslltuzionale {Le
corporazioni ; il Consiglio delle Corporazioni, il Se nato), Firenze, La Nuova
Italia, 1934, 13. Economia mista {dal Sindacalismo giuridico al Sindacalismo
economico), Milano, Hoepli, 1936. Dante Alighieri
(1265-1321)esaltanelsuoDeMonarchia1’ordinamento gerarchico del mondo conchiuso
nell’ idea imperiale ; pocoappressoMarsiliodaPadovafondasulpopolo
11dirittodidarsiunproprioordinamentogiuridico, secondo le speciali esigenze di
ogni gruppo sociale, e Bartolo espone nel trattato De regimine sivitatis (1354)
le varie forme dei governi, secondo l’autonomo diritto
dellecittàedeiregni;finchéEneaSilvioPiccolomini
(1405-64)avantiildefinitivotramontodell’ideaim¬ periale, traccia a grandi
linee, nel Libellus de ortu et
auctoritateimperli(1446),ildisegnodell’ordinepoli¬ tico dell’ universo, secondo
la disciplina dei gruppi so¬ vranigerarchicamentecongiuntinell’impero—A.Solmi
pag.429§76.—«Sull’autonomianeldirittoromano,
sivedaMarquardt,OrganisationdeVempireromain. Paris 1889 - 92, I, 105 ; e per il
concetto giuridico moderno Regelsberger Pandekten, Leipzig 1893,1,105-6 e la
letteratura ivi citata. Le dottrine dei giuristi medievali sono esposte dal
Gierke Deut. Genossenschaf- tsrectvoiIII;Berlin1881pag.510eseg.SuDante, sarebbe
da vedere il mio scritto in Bull, della Soc. Dantesca, N. S., XIV, 1907,
pag.98411 ;su Marsilio e Enea Silvio, cfr.Rehni Gesch. Staatsrechtswissen
schaft, Ereiburgi.B.1896Pag.185eseg.96eseg.,224eseg.;
suBartolo,loscrittodelSalvemini,StudistoriciFi¬
renze1901,pag.-137-68».Solmi,Op.cit.pag.430. la cooperazione, lo stato
come cooperazione – lo stato come la cooperazione ideale – cooperazione
volontaria – cita. Sergio Panunzio. Panunzio.
Keywords: stato, nazione, razza, popolo, popolo e nazione sono cose distinte –
la nazione ha una valore plus sopra popolo. Razza e distinto a nazione – una
rivoluzione basata sulla razza – la concezione della razza e della nazione,
l’italianita, la romanita, il ventennio fascista – la filosofia giuridica
previa al ventennio fascista – morte di Sergio Panunzio. L’altro Sergio
Panunzio. Concetti. Citazione della teoria dell’aristocrazia di Mosca, non di
Pareto, citazione di Labriola, critica al stato prussiano di Hegel, l’ordine di
1848, Mazzini, la revoluzione causata per comunisti, la dittatura fascista, il
dittatore eroe, cita de Martinis, l’eroe non e senso sociologico di Martini, ma
filosofico. Il concetto di la nazione italiana, il concetto di Roma, la luce di
Roma, la storia italiana, il concetto di stato-nazione, il concetto di
stato-razza. Citazione di “La mia battaglia”, citazione di Mussolini. Scritti
sistematici, evoluzione della teoria dello stato fascista – positivismo,
assenza di elementi mistici. La revoluzione de perturbi e morbidi comunisti al
ordine del reglamento de 1848, la dittadura come reazione alla revoluzione, il
concetto di stato, popolo, nazione, antichita romana, I sindicati nella antica
roma, I sindicati nella Firenze medievale, il comune del comune, la citdazione
della Monarchia di Aligheri, Marsilio di Padova, e Machiavelli. Definizione
concise. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Panunzio” – The Swimming-Pool Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701619634/in/photolist-2mHsg1f-2mHo7Ma-2mLGjg5-2mLCQLJ
Grice e Panunzio – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Ferrara).
Filosofo. Grice: “I like his
‘contemplazione e simbolo,’ for what is a symbol for if no one is going to
contemplate it!?” -- Essential Italian philosopher. Figlio
di Sergio, il più noto filosofo del diritto e teorico del sindacalismo
rivoluzionario. Ligato alle correnti conservatrici e contro-rivoluzionarie
italiane. Studia a Roma sotto I. Zolli. Insegna a Roma. Come Grice, alla Regia Marina,
partecipa ad operazioni di guerra nel mediterraneo contro Capt. H. P. Grice, e
viene insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia. Collabora
con “Pagine Libere”, “L'Ultima”, “Carattere” e altre riviste specializzate in
studi filosofici. Si muove nella direzione di
un simbolismo esoterico pieno di sacrali e regali elementi. Fonda a Roma la rivista del tradizionalismo, “Meta-Politica”
-- Pubblica saggi in una collana a cui darà il nome di "Dottrina dello
Spirito Italiano". Il concetto di “meta-politica” è al centro del
dibattito sulle radici europee da parte degli esponenti della destra e il culto
del pagano (anti-cattocomune) di de Benoist. Cerca di ri-condurne
l'orientamento tradizionale, iniziatico, e simbolico. L’imponente biblioteca del padre è donata a U. Spirito che
ne custodisce in gran parte anche l'archivio di famiglia. “Contemplazione e simbolo”; “Summa iniziatica
occidentale” (Volpe, Roma); “Simmetria, Roma); “Metapolitica, “Roma eterna”,
Babuino, Roma); “Luci di iero-sofia” (Volpe, I Classici Cristiani, Cantagalli,
Siena); “La Conservazione Rivoluzionaria. “Dal dramma politico del Novecento
alla svolta Meta-politica del Duemila”,
Il Cinabro, Catania Cielo e Terra, “Poesia, Simbolismo, Sapienza, nel poema
Sacro, Metapolitica, Roma ; Cantagalli,
Siena Vicinissimi a Dio, “Summa Sanctitatis”, Gl’Eroi, Cantagalli, Siena, Vicinissimi
a Dio, “Summa Sanctitatis” Siena, Cantagalli, Princípio, Appello. Storia ed
Eségesi Breve. Precedente Storico e Agiografico, Roma, Scritti remoti L’anima
italiana, Sophia, Roma, Difesa
dell’Aristocrazia: Pagine Libere, Roma Gismondi, Roma, Ugo Foscolo tra Vico e
Mazzini nello spirito italiano, Gismondi, Roma, Sull’esistenzialismo giuridico”
(Bocca, Milano); “Tradizione, L’Ultima, Firenze; “Cosmologia degl’antichi
romani, Dialoghi, Roma, Ispirazione e
Tradizione (Città tradizionali e Città ispiratrici), Carattere, Verona Lo spiritualismo storico di L. Sturzo (Per una rettificazione metafisica
della Sociologia), Conte, Napoli Scritti, S. Benedetto, Parma La
Pianura, Ferrara, Atanor, Roma. Schena, Fasano,
Ristampe e nuove antologie Difesa dell’Aristocrazia, Quaderni di
Metapolitica, Roma I Quaderni di Metapolitica, Roma Vecchie e nuove cosmologie (Avviamento alla
“Scienza dei Magi”), Per una rettificazione metafisica della sociologia (Lo
spiritualismo storico di L. Sturzo). Sull'autore: Testimone
dell'assoluto, “L'itinerario umano e intellettuale di Silvano Panunzio”,
(Eségesi di 12 noti Scrittori Italiani), Ed. Cantagalli, Siena, Dalla
metafisica alla metapolitica: omaggio, Ed. Simmetria, Roma. Inediti. In corso di stampa Note Olinto
Dini, Percorsi di libertà, Firenze, Polistampa, Giambattista Scirè, La
democrazia alla prova, Roma, Carocci. Combattente nella guerra, rimane chiaramente,
un teorico del fascismo. S. Sotgiu, in Il
Giornale, Tradizionalismo (filosofia. Silvano
Panunzio. Panunzio. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Panunzio” – The Swimming-Pool Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51700941826/in/photolist-2mHsg1f-2mHo7Ma-2mLGjg5-2mLCQLJ
Grice e Paolino – dizionario filosofico
portatile for gym users -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo.
Grice: “In England, we have it easy: we have Oxford and we have Oxford. In
Italy, small a country as it is, they have Bologna, Bologna, Bologna, and Nappoli,
Venezia, Roma, etc.” Autore di quattro trattenimenti De' principj del dritto
naturale, stampati a Napoli presso Giovanni di Simone, di un supplemento al
Dizionario storico portatile di Ladvocat, ma è noto soprattutto per i due
volumi della sua Istoria dello studio di Napoli, uscita anch'essa dalla
stamperia di Giovanni di Simone. Si tratta della prima storia compiuta
dell'Napoli, nella quale l'autore dimostra con buoni argomenti (come ricorda Tiraboschi
nella sua Storia della letteratura italiana), che quello studio non fu
veramente fondato da Federico II di Svevia, ma, prima di lui, dai Normanni,
benché questi non le dessero veramente forma di università e non la onorassero
dei privilegi che a tali corpi convengono, cosa che invece fu fatta da
Federico, che così meritò la fama di suo vero fondatore. Opere * Giangiuseppe Origlia, Istoria dello
studio di Napoli, Torino, Giovanni Di
Simone, Girolamo Tiraboschi. Grice: “Paolino is a quasi-contractualist. His
contractualist treatise is very accessible. Man is the political animal, so
politics is in the essence. Polis means civil, so a man who is not civil is not
a man. Paolino analyses a contract – in general, and then the social contract
in particular. This sets him to analyise such duties which are addressed to the
other members of the civitas. Paolino was alo the author of a dictionary of
antiquities, which has the nice alphabetical touch about it, if you are into a
first thought on Julius Caesar or
Cicero! He also traced the stadium tradition to the ‘gym,’ ‘nudare’ as he
notes. And notes that it started in the cities where such as Athens or Rome
where the athletes needed a place to get undress and practice. He mentions
Plato’s Academy (after Hekademos) and Aristotle’s Lycaeum, after the statue of
Apollo Liceo, reposing after extercise. It is good to call Platonists
accademici and Aristotelians liceii then. The gyms were particularly popular in
Italy – even before the great expansion of the Latins and Romans over other
ethinicities. In the South of Italy especially, due to the weather, it is more
natural for an athlete to feel the need to get undress as soon as possible, and
philosophers followed.” -- D. Di tutte
adunque le società dei Mondo non fu ch'una ftetia l'origine , perchè tut
te,giusta ilvostro avviso, nonsìmisero inpiè,nèsiformarono,fenonfecondo le
diverse nécessità ,e bisogne degli uomini ; anzi intutte altresìsiebbe un
isteffo fine perchè n o n si r i s g uardò ad altro, fenonal commodo, edutilecommune
de socj.Ma quali fonolesocietàparticolari,chesareb
berostatemainelMondoinufo,semante nuta si fofle ben falda , e ftabile la
società Universale(A )? (A)Eglièfuordidubbio,chegliuo mini , essendo tutti in
obbligo , ed in dovere d'amarsi u vicenda; el'unocomenon nato,
persemedesimo,dovendononche alproprio anche all' altrui commodo badare , quando
ciòtutto esattamenteosservavano,non veni yano a comporrecheuna
societàuniversale inguisa cheniundieficonsiderarsenepotea aldi fuora ; Quindi
divero io non M. La 271
safidical'Eineccio, ilqualetuttoscaglian, dosicontroilPuffendorfio, che
trattiavea,e deafai malamenge inferiti tuttigliobblighi, egliumani doveridella
società,soggiugneto, jto ch'era uom tenutosoddisfara tuttiquegli che Uella
,ch'è la più vera,e la più saggia, Antichitàdel e lasola infallibile maestra
dell'umanaGinnasioNa II. Cosa fossero prudenza si lasciarono in dietro digran lunga
ogni al traNazione.Quindi,giustache scrive Dion Crisosto mo agli Alessandrini
sull'autorità d'Anacarside , non vi fu Città dellaGrecia,che non avesse avuto
ilsuo Gin nasio. Questo folo basta di presente supporre per farci sicuramente
acredere,che Napoli(Città oggi dall'eterna divina provvidenza maravigliosamente
fornitadi quanto in una ben nobile,e doviziosa potrebbe mai l'uom brą mare ;e
sopra tutte l'altre ben culte Città dell'Europa, e per le scienze,e per
l'armi,e per lo Erano presso deGreci questiGinnasj alcuni grandi,
ftatiiGinnasie magnifici edifizj con ampj portici,e stanze d'ogni ca
ondeveniferopacità,luoghi coverti,e scoverti,ombre,ed altrepref così deti: eso
che infinite comodità,ove la gioventù ammaestravasi qual fosse la lor
forma.Oppinio non meno nell'arte Ginnica , che nelle scienze , e nelle fa
paricelebre gran trafficodi )essendostata,come tutti fuor versia
asseriscono,fondata diogni contro l'altre daGreci,ebbe anch'ella-come
dellaGrecia ilsuoGinnasio finda'suoicominciamenti Infatti Strabone (1),che vise
. che a'suoi altempo diAugusto,scrive, giorniquestacittà aveaancora tiche
Greche costumanze molte dell'an ,come leCurie,le l'Efebeo,e altre dital Fratrie,
fatta ; e con queste ebbe il Ginnasio ; né v'ha scrittore al tresì osi su
questo muover di buon senno,che ombra di dubbio. e nedicolorochearti
liberali;onde fotto uno stesso tetto venivano a c o m avuto illuogoprendersi,
per così dire, due diverse Accademie proprio per le , e due Scuole,ribut ta
varj, e diversi generi di Scuole , cioè : quelle dell'arte ta comefavolo-
bellica , e quelle delle scienze , e delle belle lettere . E
niodimoltiçe-perchè a coloro,che applicatieranoallaGinnica,eper lebriscritori.Io
gran novero loro, e per gli esercizi, che far dovea > no, come il corso, la
lotta, ilsalto,il pancrazio,ildi (1) Strab.1.s. fco, . “γύμνοω”,
det idioma, senza aggiugnimento d'altro, semplicemente O tiGinnasj.Perlaqual
cosaalcuni nelprogressodeltem po non badando che al semplice suono del vocabolo
, con cui chiamavansi, li credettero non per altro essere edificati,cheper un
talmestiere:opi statiesiprima ,forseilprimo,CraffopressoCicero nione che portò
la ne (2) , e tra gli altri , che in questi ultimi secoli sostennero fi furono
Girolam o Mercuriale, e Pier L a però avendo per certo,per quel, che ne scri
sena.Noi Ginnica non fu po ve Galeno a Trafibolo , che l'arte fta in voga nella
Grecia , che alquanto prima dell'età di Platone (3) , e che in Grecia , come
manifestamen te fi ravvisa nell'ingegnoso, ed ammirabile poema di
visselungamente prima di quel cele Omero,ilqualee da molti celebri scrittori,
come bre filosofante avanti lo Lino , Filamone , Tamiride , e altri fioriti
stesso Omero, furonvị le Scuole delle belle lettere fi no da’primi tempi;
stimiamo più ragionevole il credere, che s'introdussero i giuochi Ginnici, ed
Atle che dopo fatto , che am . tici,iGreci altro allor nonavessero pliare
que’medesimiedifizj,fattimolto tempo prima non per altro fine, che per le
Scuole , e chiamatigli per le ragioni,chetestè noiaccennammo,Ginnasj:poichè
Crasso steso, il quale fu il primo , come disimo, ed A2 inge sco, facea
mestieri d'uno spazio maggiore , e asai più grande diquello,che bisognava
percoloro,che istrụi vansi nell'arti liberali, e venivano per questo ad occu
parę buona parte di tali edifizj; erano questi dal modo, con cui in es si
faceansi quegli esercizj, cioè dalla voce Greca yújrow , che tanto vale quanto
nudare ,nel nostro e . Cic.l.2. de orat. Apud Anson.Vandal differt. 8.de
Gymnasiarcb. ingenuamente egli anche lo attesta, a metter in campo u n
sentimento a questo del tutto opposto ; parlando del suo tempo dà atutti a
conoscere, che le pubbliche Scuole delle scienze non era allora in costume d'a prirsi
inaltroluogo,che ne'Ginnasi;e cheper quanto egli si studialle, non potea in
niun modo fisar in cui queste erano colà state erette.Ego aliomodo
interpretor(diceegli)quiprimum Palæftram e
sedesdeporticusetiamipsos,Catulé,Grecosexercita tionis, eg dele&tationis
cauffa , non difputationis invenisse arbitror ; et sæculis multis ante Gymnasia
inventa sunt , quaminhis Philofophigarrirecæperunt; hocipsotem porecumomnia Gymnasia
Philosopbiteneanttamen eo rum auditores discum audire , quam Philofophum malunt
& c. Per verità non v'era Ginnasio nella Grecia,in cui non vi fossero
queste Scuole;cosileggiamo,che in Ate ne nel Cinofarge (4), il quale fu un
Ginnasio eretto molto prima del tempo di Platone , eranvi tra l'altre Scuole,
quelle della setta Cinica, dalle quali egli anche forse ebbe il nome , e
nell'Accademia eravi l'udito rio di Platone (5) come nel Liceo quello
d'Aristote le(6).Anzi accolto,ovvero al di dentro d'alcuni celebri Ginnasj
trovavansi non meno delle Scuole,che delle fa mose,e celebriBiblioteche;come
sappiamo diquello parimente in Atene , che avea dappresso la celebre Bi
blioteca di Pisistrato, rammentata da San Girolamo,e da altri (7),e quello in
Rodi, della cui celebre Biblio (4)
Schol.Ariftoph.PaceXenophont.inHippar.Plutar.Symphofilovi11.q.iv.Suid. Pauf.in
Artic. (7) Hieron.de Beat. Pompbil. martyr. ep. Ad Marcel.14.Gell. l.vi.c.17. Lucian.
adverfus indo&um. Pauliin Atricis. Ifidor.orig.hiv1.3 . a Р еросر (s) Suid.Pauf.in
Attic.Schol.Ariftoph.ad Nubes ec. (6) Ammon.vit.Aristot.Plutarch.deexilio.Cicer.q.Tufcul.l.1.C.4.
. teca parla Ateneo (8);é per questa stessa ragione forse, per cui sempre
a'Ginnasj accoppiavansi le Scuole delle lettere, troviamo che molti valenti
uomini , e dotti scrittori applicarono in molti luoghi delle lor opere q u e fto
vocabolo , a significar non altro , che queste, quasi pereccellenza;essendo
lostudiodelle scienze moltopiù nobile , e sublime di tutti gli esercizi
ginnici. III. . che ebbe una con quello nello stesso tempo le
ScuolenideleScuole (8) Atben.Biblioth.l.1.dipnofoph.c.1. (9) Senec.epift.76. ut
0 1 , Suppostoadunque pervero,comeloèinfatti,Tenimonianza che Napoli,come
CittàGreca,ebbe ilsuo Ginnasio findiSeneca,edi da'suoi primi principi,egli
convien credere anchevero,triautoriLati > . di Napoli : delle bellelettere;senza
lequali nella Grecia,comeScienzechevi abbiam detto , non si formava Ginnasio ;
e certamente s'insegnarono; di queste , di cui è solo or noftro assunto il
favellare ,vifiorirono. parlaSenecainuna suapistola(9),nellaquale,come dalle
parole ,che poco fa da noi fi allegarono di Cras fo,con lui filagna presso
Cicerone di que'giovani, che al meglio delle lorlezioni lasciavano ilormaestri
nel le Scuole per correre frettoloji a veder il disco, la lot
ta,eglialtriginniciesercizi;cosìeglifiduole forte mente col fuo Lucilio , che
nelle Scuole della nostra Città vistoavea farcerchio a'Filofofi,giovani in nove
romolto pochi alparagone di quelli, che a calca tra ftullavansi nel Teatro , il
quale , come egli narra , era in questa Città non guari distante dello stesso
Ginnasio: Pudet autem me generis humani.(scrive egli) Quoties Scho lam
intravi,prater ipfum TheatrumNeapolitanum . Il fcis,transeundum eft, Metronactispetentibusdomum
lud quidem farctum est: hoc ingenti studio , quis fit Pithaules
bonus,judicatur.Habet tibicen quoqueGræcus du præco concursum:at in
ilo loco,in STAL : quo ritur, inquovirbonusdiscitur,paucissimisedent;&
bi plerisque videntur nibil boni negotii babere , quod agant, inepti cu inertes
vocantur. i più nobili dellaCittà non isdegnavano neppurd'inviarviper tal finei
proprifigliuoli;poichèegliscrive,chepor tatosi in Napoli con Antonio
Giuliano,professor diRet torica uditovaveaungiovinettomoltoriccocum utriusque
lingua magistris ( per valerci delle stesse sue p a role)meditans,
exercensadcaul'asRomaorandaselo quentia latinafacultatem. Quanto
allaFilosofia,ladot trina di Epicuro , la quale venne da'più dotti dell' an
tichitàricevuta con applauso,e fu universalmente se guita da tutti que'grandi
uomini del tempo d'Augu Ito; era quella , che in queste medesime Scuole avea
maggior voga ; come par che si conobbe da una Iscri zione,che nel 1685.fi
rinvenne in un Cimiterio fco verto nella Valle della Sanità , non guari
distante da quella Chiesa (11) sopra alcune urne,che state erano per quel che
n'appariva , di Epicurei ; poichè in alcune di quelle vedeası il nome di alcuni
celebri filosofanti di questasetta,scritti conGreci caratteri,einalcune altre
con caratteriLatinileggevasi;manonbene,eoscuramente: E come apprendiamo da
Gellio,che fa anche di questo Ginnasio onorata memoranza> vir bonusque . 3
DELLA e fiori alquanto dopo Seneca; al suo tempo in questeScuole nell'istessa
guisa, che in quelle del Ginnasio di Cartagine ramme morato da molti Autori
(10),s'istruivano igiovani non meno nellescienze,chenellelingue;eipiù (10)
Salvion.1.7.Hieron.inCatbalog.ccap.3.JoneProph.Aug.1.2.conf.c.3.6.6.0.7,
fc.8.l.s.c.8. (11) Celan.Giorn.3.dellenotiziediNap.
12STALLIVS.GAIVS.SEDES HAVRANVS.TVETVR EX EPICVREIO.GAVDI.VIGENTE CHORO Quindi
tra' maestri , che in tali Scuole insegnarono le lettere umane , e le lingue ,
fi conta Stazio Papinio nativo diSilta,Città dell'Epiro,che fiorì circa al tem
po dell'Imperadore Domiziano;padre di Publio Stazio; il quale , come dal costui
poema fi ravvisa (12) espose in queste Scuole l'opere de'più celebri poeti
Greci, co meOmero,Efiodo,Teocrito,ed altridiquesto gene
re;etracoloro,chev'insegnaronolescienze filosofi che, deve annoverarsi senza
dubbio quel Metronatte,di cui, come prima abbiam fatto vedere, fa motto Seneca;
e fimorì molto giovine,che glifu contemporaneo,co me questi medesimo
attestainun'altra pistola diretta al lo stesso fuo Lucilio (13);e febbene degli
altrimaestri, e professori, che vi furono in questi, o in altri più anti chi
tempi,dato non ci siaora di tesser un ben lungo,e distinto catalogo , poichè i
lumi , e le memorie della Storia totalmente ci mancano ; non però egli è certo
, che essi furono tutti di tanto sapere adorni,e di sì rara dottrina,che
abbondando perciò laCittà digiovani let terati venneellada'Romaniconcordementenoncon
altro titolo chiamata , che di dotta, e ftudiofa ; e così per tralasciar degli
altri,che cið fecero (14) Columella in parlando di Napoli , non con altro
epiteto nominol la>,che con questo: Doftaque Parthenope, Sebethide roscida
lympha. E'l medesimo fece anche Marziale col seguente verso: bi ܕ di 00
.1 >1 li al (12)
Papir.Star.flvar.s.epiced.inpatr. (13) Senec.ep.93. Er (14)
Oras.Epod.adCanid.Sil.Italib.12.Stor.l.3.Syluar.Ovid.Metamorpb.is.
Napoli,quanto Illo Virgilium me tempore dulcis alebat mente cari; ond'è,che
niuna altra Città più della loro Costantino.Sen.ritroviam nellaStoria,che
avessero eglinofino nel cadi li,chevogliomentodellorImperio
maggiormentefrequentata;equel no,averTitalisopratuttolafrequentavano,se vogliam
prestarfe in rifateleScuo-de aStrabone (16) che impiegavano ilpiù del lor tem
le,con allega re'inpruovailpo allostudio delle lettere,edelle scienze.
marmo,cheog Et quas d o &t a Neapolis creavit. Anzi Virgilio e
riguardo scienze Parthenope, studiisflorentem ignobilis oci. E tra perquelto
conto iNapoletani,e per laGin > comebenrifletteilBemboinunasua pistola (15),
fu mandato , e mantenuto da Augusto in questa Città a proprie spese per farvi i
suoi studj. E in fat ti nella prima Egloga de' Buccolici, scrit ti anche in
Napoli , egli riporta a' favori di quel Principe il suo Napoletano
ozio,cioè,studioconquelleparole:Deus nobis hæc otia fecit. E confessa nella
fine de'Georgici, che : che visicolei nica , la quale nel si . lor Ginnasio
esercitavanoanche con vavanofofefta-somma diligenza e con tutta la magnificenza
del Mon ta frequentata da'Romani;edo,divennero universalmente agli stesiRomani
somma anche dagl'Im peradori fino a gi fi conserva Quindi Lucilio,che fu
ilprimo tra’Latini a scrive fopra lafontere delleSatire,non solo visse,ma anche
morir volle tra' .An nunziata;mo:Napoletani, comeattefta
Quintiliano(17),eCicerone,il strato falso ; e quale v’ebbe anche
un'abitazione(18)eVirgilio,dicui di che propria mente in efoabbiam favellato,
Orazio , Livio , Marziale , Silio Ita fac cialimenzio-lico , Claudiano , e
tutti gli altri tra gli antichi , ne mar che morapportatomercè dellor saperelasciaronoa'posteriillornome
im in cuilafenzamortale,abitarono inNapoli perpiù tempo (19); anzi dubbio fi
parla delle Scuole . molti (15) Bemb.vol.1.1.2.lett.27. (16) Strab.l.3.infin.
(17) Quintil.l.10. (18) Cicer.l.8.ep.famil. (19) Crinit.de
Poet.Latin.Philoftr.Icon.Sil.Ital.lib.12. IV. per 9 molti,come dal Poeta
Archia narra Cicerone (20) brama rono ben' anche di esservi ricevuti per Cittadini
; cosa, che iGreci non erano molto larghi a concedere;feb bene su ciò non
tuttiusassero lastesamoderazione:(21) Ma non
menode'privatiCittadiniRomani,visita rono questa nostra Città
glistesiImperadori ; poichè sal vo Celare,ilquale,comescrisseCicerone(22)inalcun
tempo ebbe a sdegno i Napoletani, forse perchè infer matosi fra esi Pompeo
nelprincipio della lor guerra, glimostrarono,come scrivePlutarco,moltisegnid'af
fezione (23 ) , gli altri tutti fino a Costantino , lebbero p e r le ftese
ragionianche molto cari : così che eglino molte
prerogativen'ottennero(24).Ilperchè Tito ,chesuccef se a Vespasiano circa
l'anno 79..dell'era Cristiana, essendo pe'violenti tremuoti accaduti al suo
tempo , a cagione di unobengrandeincendiodelMonte Vesuvio(25)rovinati molti
luoghi vicini ;e traquelli ,come scrivonoalcuni de'noftri Storici,in Napoli
anche il Ginnasio :egli pose ogni studio per farlo con pubblico danajo
ristorare : e c o munalmente fivuole,chediquestofattonefacciaanche oggi giorno
una chiara, e certa testimonianza quella Gre. eLatina Inscrizione, la qualetuttaviaravvisiamoin
questa città in un marmo elevato nel muro della Fonta na dell'Annunziata , ch'è
la seguente , riferita anche dal Grutero(26),non cheda tuttiinostri
Istorici(27),li quali vogliono, che in essa fi faccia parimente una espressa
memoria dellescuole,ch'esistevanonelGinnasio. " 100 Jens 1 CI, 22
> 1 00 TO са, fuz a . B (20) Cic.proArchia. (21) Ezechiel. Spanhem. Orb. Roman.
(22) Cic. Ad Attic.l.10. ep.11. (23) Plutar.inPomp. (24) V.l'AutordellaStor. Civil.delRegn.l.1.C.4.
(25) Sueton.in Tit. cap.12.b.i. (20) Gruter.pag.173.Infcript.oper.&
locor.publicor. (27) Capacc.ift.l.1.c.18.Bened. di Falco Antich. Di Nap.&c.
TI -ΙΤΟΣ -ΚΑΙΣΑΡ ΕΣΠΑΣΙΑΝΟΣ: ΣΕΒΑΣΤΟΣ . ΚΗΣ ΕΞΟΥΣΙΑΣ• ΤΟΙ OE
·TIIATOE ·TO :H :TEIMHTHE OETHEAE·TOT: TYMNASIAPXHEAE ΥΜΠΕΣΟΝΤΑ •ΑΠΟΚΑΤΕΣΤΗΣΕΝ
NI ·F ·VESPASIANVS ·A V G .COS.VIII.CENSOR.P. P. IBVS .CONLAPSA ·RESTITVIT Ma
senza che quì noi ci distendiamo molto nepo co in far riflettere agli abbagli,
ed agli errori, che co munalmente han preso tutti nella sposizione di questo
marmo ; basta, che con qualche diligenza per uom si legga , per dubitare se in
esso si tratti del Ginnasio ; o v ver più tosto dell'antiche Terme , come più
probabil cosa essercrediamo, nel fito delle quali eglifu trovato ; ed ; il
numero delpiù,il quale si vede in esso adoperato a notare gli edifizj rifatti
per ordine di Tito ,par che troppo chiaramente lo ci additi ; nè per qualunque
ftu dio vi fi faccia, potrà mai scorgervisi parola, che colle Scuole, o cogli
esercizj letterarj abbia coerenza ; onde quanto su ciò fi dice sono tutte
pure,e prette immagi nazioni de'nostri; egli v'ha però un altro marmo rife rito
dal Capaccio (26), ove espressamente leggasi: SCHOLAM. CVM. STATVIS ET
IMAGINIBVS ORNAMENTISQVE. OMNIBVS SVA: IMPENSA FECIT (26) Capacc. Ift. tom.I.h.1.6.18.
. E per .I. 11 E perverità ebberoi Greciin costume di adornardi
statue, e d'immagini ilor Ginnasj,con riporre quellede più
celebriAtleti,edicoloro, chesieranopiùnella Ginnicą refi immortali,ne'luoghi,
ove l'arte esercitava si;e quellede’gran Filosofi nelleScuole;come del Gin
nasio diTolommeo celebre inAtene narraPausania(27) Per la qual cosa se non a
Tito , sicuramente ad Adria no , che nell'anno 117. dell'Era volgare successe
nell Imperio a Trajano;di quanto narrafi in questo marmo convien darsi il
vanto:poichè questo Imperadore, come scrive Sparziano (28) inomnibus pæne
urbibus,com aliquid ædificavit,o ludosedidit:efucotantoamatoda'Na poletani, che
volontariamente lo elessero Demarco; ch' è quanto dire Pretore dellalor
Repubblica ; come prug va il Reinesio (29) contro il Capaccio ,ed altri,che cre
dettero esser questo un Magistrato:Greco;avendo avuto le colonie a fomiglianza
diRoma parimente un talMa giftrato. Orciðne fachiaramenteconoscere,cheilGin
nasio, e le Scuole in Napoli furono ugualmente celebridiquesteScuo non meno
prima, chedopo che questa città fi:sottolefinoaCostan mise aldominio de Romani;
poichè febbene i Napole tanidall'anno1428.diRoma,come sostienetraglial
triilReinefio (30)finoad Augufto,edanche molto tem po dopo , toltone il tributo
, che pagavano a'Romani, effendo ftati trattati da quelli con ogni
piacevolezza,ed. amore ,e reputati amici anzi, che soggetti ; fossero stati
dopocircail tempo di Tito,o diVespasiano,se si vuol credere al Caracciolo,
ridotti in forma di Colonia, (27) PaulinAttic. Cic.definib.l.s. (28) Spart.in
Adrian.cap.20. (29) Reinef.var.le&t.l.3.0.13. (30)
LoMeliovariar,bection6.3.6.16 20 CO ) 210 eto 7h OV V. Continuazione CIT per
col ied che cole :ftu. onde magi 0 rife : e refi B 2 Cih e refi più
soggetti,preso avessero a dismettere gli antichi Greci inftituti;tutta volta
seguirono pur eglino,come manifestamentedaquantoabbiam dettoappare,adeser
citarsi nella Ginnica , e tener te loro Scuole ben ordi nate ; con mantenervi ottimi
professori in ogni genere di scienze. Ma
inqualeregionedellanostraCittàsituatofosse le,edelGinna-questo
Ginnasio,molto'vario è il sentimentodegli Au tori. Alcuni credettero, che le
Scuole state foffero ove nel corso degli anni edificosi la Chiela di S.Andrea
(31); non però questa oppinione quanto sia folle, e vana di leggieri si mostra
;poichè o fi vuole , che queste Scuo le fossero divise dal Ginnasio;e ciò
quanto sia lungi dal (31) Summon. le
cole che di sopra abbiam detto,bastante mente lo appalesano; o fivuol
credere,che queste era no , come in fatti furono,accoppiate,ed unite, anzi in
corporate con quello ; e gianımai fi verrà a moftrare esservi in tal luogo
apparse vestigia di tali edifizj. E' ben vero,che essisupposero laddove
fuinappresso eret to ilCollegio de'RR.PadriGesuiti,vifossestatoun altro Teatro
, diverso da quello , che di sopra divisam mo; maquestoanchequantosiainverisimile,anzi
im possibile chiaramente appare da quel che in tutti i noftri
İftoricisilegge;come dire:che Napoliatempopari mente diRuggiero Normanno
dopovarj,ediversiac crescimenti diedifizj,ediabitanti,nonera,che'una
Cittàmoltopicciola,etale,chefattadaquelRemi. surare , non li rinvenne il fuo
giro maggiore, che di 2363.pallil;onde ove:mai figurarvifivoglianotanti diversi
Teatri, e Ginnasi di quella magnificenza,ed a m piezza , ch'era solito dagli
antichi edificarsi, non po trem VI. SitodelleScuo vero , tremmo mai
concepire; senza che in sì picciolo spazio non vi farebbe rimasto luogo per
abitarvi. ; seguentefillogismo:Appare eglidicono da Platone,che: il luogo
proprio per liGinnasj esserdebba ilmezzo della Gittà:aveano
questi,secondogliantichi,ilpiùdappresso leTerme;ecome sideduce da Stazio
nelGinnasio de'Na poletani eraviun TempiodedicatoadErcole:orduppo Ito, che in
Napoli il Ginnasio occupasse questaregione, veniva egli ad aver tutto
ciò;perchè ella quafiil mez: zo occupava dell'antica Città;avea nel suo
distretto le chi IK er qual sopra tutti ik prese a difenderla,avendo
preso,a scris vere di questo Ginnasio , che per la morte sopraggiun tagli,non
potèterminare;fiappoggianodeltuttosul 13 Altri all'incontro furono di parere ,
che il Ginna fro occupasse propriamente quellaregione della Città,la quale per
le Terme,ch'erano nelsuo distretto,chiamof fi Termenfe ;e si vede anche dagli
antichi scrittori chia mata Erculense , come chiamolla S. Gregorio nelle fue
pistole(32)perloTempio,cheiviancheera inonor di Ercole
oveoggièlaCappelladettaS.M.adErcole e dopo fu chiamata,comeparimente or
fichiama,di Forcella;non già come vogliono alcuni,ch'è troppo follia il credere
dallaScuoladi Pittagora,che quivi era, la qualeavea per insegna la lettera
biforcata Y ;ma si bene , giusta che fu il sentimento de'più favj, da un antico
Seggio, il quale facea per avventura per sua im-. prela,queltalettera,che
finoggimiriamoscolpitain un antico marmo sopra la portadella Chiesa Parrocchia
ledi S.Maria a Piazza;e diede ilnome a tutto il quar .
tiere.Quegli,che'fifostengono inquesta oppinione, come sivede da quel dotto
libro, che Pier Lalena, 1 (32) S.Gregor.ep.59.fol.116 Terme ,
Terme,ed un Tempio ancora consecrato ad Ercole;dun que, eglino
conchiudono,deve credersi di necessità, che questo così fosse.Pur tutta
volta,posto che Platone non parli di quel che in fatti costumavasi nella Grecia
al fuo tempo , ma soltanto di quel che bramava , che fi costumasse;poichè
sappiamo per certo,che tutti iGin nasj eretti erano fuora delle porte della
Città, o a can to a quelle , come lungamente pruova Meursio , e tutti gli
altri, che dottamente hanno le cose deGreci co'lo roscrittiillustrato;e
perchèleTerme esserpotevano, come realmente erano, secondo che or ora diremo,
an che in altriluoghi di Napoli , e cosi pure il Tempio in onor di Ercole , il
quale ove fifuppone accoppiato al Ginnafio,figurar non fideve moltoampio,e
magni fico, ma per ben picciolo,e come un nostro Oratorio , o
Cappella;nècreder,chequestofossestatosolo,ma con esso insieme congiunti,o
dentro lo stesso ben molti altridellamedesima formaerettiinonordiMercurio,di
Apollo ,di Cupido , e di altro Dio di questo genere ,( . , del Teatro, e Somma
piazza . E per verità quiviiveg gonfi! ancheoggienellecase,chediciamodell'Anti
caglia , e in tutta quella vicinanza , ove dopo fu eret: to il Tempio in onor de'Principi
degli Apostoli S. Pie tro , e Paolo infino al vicolo della Porta piccola della
Chiesa della Vergine Avvocata,volgarmente detta l'A nime del Purgatorio,
infiniti pezzi d'opera laterizia, e condo costume era di farsi universalmente
da Greci ne' Ginnasj;devequestosentimentoanche con tutta ragio ne: ributtarfi.
più koNon pochifinalmentecontesero,eforsecon saldo giudizio,econ maggior
fondamento,che ilGinna fio ,e 'l Teatro stati fossero in questa Città in una
stes fa ,verso quella contrada,che anticamente dicevasi saparte fe $ 5 1 15 secolo, quella di Berito (35) e quella di
Costantinopoli eretta teflandrini;te del pra (33) Viil Celan. notiz. di Nap. Giorn,2.
(34) V.Plutar.inopusc.viramepicur.noneffebeatam.Strab.l.s.&
17.Philoftr.inPo lemon.pag.532. Spartian. In Adrian. cap.20. Sueton.in vit. Claud.
Gronov. dissertat.deMuseo. (35) Juftinian. Conftitut. Ad Anteceffores $.7.6 Dioclet.h.n.c.quietate
velprofeffione fe excufat.6 l.10.c.eod. (36)
V.l'AutordellaStor.CiviledelRegnol.s. dur NON Comunque però ciò
sia,rientrando in nostro sen tiero;dopo che Costantino trasferì laSede
dell'ImperiodeleScuolede nellanuova suaCittà,non
vihadubbio,ch'egli,echedopotraj . Lita 1 10 ove crediamo noi essere stato il
Ginnasio , viene ad essere per avven tura fuor delle mura ,ovvero accanto a
quelle. VII. Continuazione quelli, che lo seguirono, tralasciaffero perla
lorlonta-dpeolrl'taItmapelraifoede nanza, di frequentar Napoli a l l a g u i s
a, che i l o r a n t e - Costantinopoli. ceffori avean fatto; e che perciò
venne ella anche me- Womenerico da no da'privatiCittadiniRomani frequentata;ma
nonpertempodiNero questo il suo Ginnasio fcemò dipregio :erano allora in
letani,eglio an di marmi Orientali di una maravigliosa bellezza,in gui fa , che
in niuna altra parte di Napoli se ne rinvenga tanta copia ; e vi si discuoprono
parimente le vestigia d'alcuni edifizj, che pajono non aver fervito , che per
leTerme (34).Questo sentimento vien confermato oltre modo non solo da quelche
scriveSeneca a Lucilio,che come di sopra abbiam riferito,suppone in fatti ilGin
nasioaccanto alTeatro;ma benanchedalcostume di
giàricevutonellaGrecia,ilqualecome testédanoi notossi, era d 'erigere questi
Ginnasj fuora , o vicino le 1 porte della Città; poichè comunque tra levarie op
0 pinionide'scrittorifisupponga,che fosseilsitodell' anticaNapoli,questo luogo
veramente Oriente le scienze in un molto sublime grado;per tro-rientali,accre
varsi inmoltiluoghidellefamoseUniversitàdegliStudj,etonelIV.eV. delle celebri
Academie , di cuiquella d’Alessandria (34) CoʻLeteratiA stimonianza dal
medesimo Costantino il Grande (36) portavano 10-fa S. Agoftino bilito netrai Napo
3 ita qual cosamoltidiquesti, ed egli altri Orientalisoprattutto in
questi tempi, ne'quali trovandosi la Sede dell'Imperio in Costantinopoli; rela
era la‘nostra Città a quella fu bordinata , capitando continuamente in essa;
questo gran cambiamento delle cose non solo non apportò niuno im pedimento allaletteratura
Napoletana;ma moffii Na poletani dall'emulazione di superar gli Orientali , che
è troppo naturale tra gli uomini,egli è incredibilequarto maggiormente ella
fosse venuta ad accrescerli. Ciò tanto è vero, che anche nel V. secolofiori
vano perciò in queste Scuole mirabilmente le scienze; e vi fioriva soprattutto
lo studio dell'eloquenza , come attesta S. Agostino , che allora altresì ,vivea
: perchè scrivendo egli contro gli APaolino. Keywords: implicatura. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Paolino” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740689183/in/datetaken/
Grice e Papi – la scuola di Milano –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). Filosofo. rice: “Papi’s
‘parola incantata’ is ambiguous, as ‘charmed word’ is, “Apriti Sesamo” is Two
words, and they charm, they are not charmed! “Abracadabra” may be different!”
-- essential Italian philosopher. Studia
a Milano e Stresa. Insegna a Pavia. Politicamente attivo nella corrente
lombardiana del partito socialista italianoI, segue un percorso che lo ve varcare
le porte del Parlamento ed assumere la vice-direzione e poi la direzione
dell'Avanti! Sospettando un aumento del tenore affaristico nella politica così
come lui stesso dichiara in un'intervista abbandona bruscamente la filosofia e
si dedica alla filosofia. Fonda “Oltrecorrente”. Saggi: “Filosofie e società. Marx
risponde a Veca, prende le distanze da Engels e rende omaggio a Papi. E’ questa un delitto clamoroso che tenne le cronache
dell’epoca deste anche per lo spessore di chi lo compì: Francesco Starace
assassino evasore e falsario. Cugino del gerarca fascista Achille
Starace. Il 5 febbraio 1940 l’ing. Giovanni Castelli, 32 anni, di Busto
Arsizio, industriale in maglieria, vedovo e padre di un bambino, si recò a
Milano. Ma la notte non rincasò. Il giorno successivo giunge ai familiari un
telegramma nel quale il Castelli li informava che andava a Bologna per affari.
Il telegramma era firmato Giovanni, mentre per solito il Castelli si sottoscriveva
Gianni. Questo particolare e la mancanza di altre notizie indussero il padre
del Castelli a recarsi a Milano per rivolgersi alla polizia. Venne accertato
che il telegramma era falso. Del Castelli nessuna traccia. Il 9 febbraio Maria
Mazzocchi, (1), venne mandata dal suo convivente Francesco Starace (2) a
ritirate un ombrello che aveva dimenticato al Miralago, la Venezia dei
Milanesi, in via Ronchi 24. Il custode la fece entrare, considerato che
l’inverno il Miralago era chiuso al pubblico. La Mazzocchi recatasi nel locale
indicatole dallo Starace trovò il corpo di un uomo morto riverso sul pavimento:
era il Castelli. Aperta l’inchiesta e identificata la vittima emerse che la
stessa era conosciuta agli Starace perchè frequentava il Miralago. La
pubblicità del Miralago in piazzale Loreto, all’inizio di via Porpora Ma
non solo. Francesco Starace e Giovanni Castelli si frequentavano perchè avevano
un’amicizia in comune: Lidia Biasin. Lo Starace aveva avuto rapporti con lei
ancora sedicenne e il Castelli la concupì in un boschetto del Miralago: Lidia
li aveva fatti incontrare perché entrambi, all’epoca, erano nel ramo maglieria.
Lo Starace, ormai fallito, doveva 12.000 lire al Castelli. Nelle more
dell’inchiesta – secondo la ricostruzione fattane dallo Starace – lo stesso
avrebbe invitato il Castelli al Miralago per ricordargli le sue condotte nei
confronti della Biasin e che per questo doveva pagare. La ricattatoria pretesa
degenerò in una colluttazione che ebbe come suggello l’esplosione di due colpi di
pistola sparati dallo Starace contro il Castelli. Caso volle che alla scena
iniziale assistette il garzone di un lattaio che indicò di avere udito anche
degli spari. L’arma era in dotazione in un cassetto del locale ristorante. Ma
oltre ad essere accusato di omicidio lo Starace derubò la vittima del
portafogli, dell’anello, di una penna stilografica in oro tanto che nè il
denaro – il Castelli doveva avere con sé almeno 10.000 lire – nè gli oggetti di
valore furono mai trovati. Da subito lo Starace sostenne che la sottrazione di
tali oggetti era stata fatta per creare l’apparenza di una rapina ciò non di
meno fu accusato di rapina In Assise i legali di Francesco Starace cercarono di
ottenere l’infermità mentale dell’assistito con l’aiuto di tre dottori: il dott.
Moretti Foggia aveva avuto in cura un fratello dello Starace per paralisi
infantile; il prof. Medea ebbe in cura uno zio dell’imputato affetto da una
grave forma di deperimento nervoso; il prof. Pini curava una zia dell’accusato
affetta da psicosi malinconica. Nessuno degli avvocati della difesa,
stranamente, parlò del più noto dei parenti dell’inquisito: quell’Achille
Starace ormai caduto in disgrazia anche agli occhi di Mussolini. La Corte
respinse le tesi dei luminari volta a sostenere una certa propensione
patologica nella stirpe dello Starace e inflisse all’imputato 30 anni di
carcere. Inviato a Roma per espiare la pena lo Starace, dopo il 25 luglio 1943,
offrì la sua collaborazione ai tedeschi e riuscì a ottenere la libertà. In
carcere era entrato in contatto con alcuni falsari. Ricercato perché aveva
intrapreso la remunerativa attività in Riviera venne arrestato a Milano per
essere tradotto a Genova. Ma mentre veniva condotto a Genova ammorbidì la
sorveglianza di uno dei custodi con un bel po’ di milioni, ritrovandosi di
nuovo libero. Subito strinse relazioni con gente che tra il maggio 1945
all’ottobre del 1946 riuscì a spacciare circa 8 milioni di AM-lire, in
biglietti da 1000, nonché carte annonarie italiane e svizzere, clichés per la
stampa di biglietti da 100 lire. Il 19 ottobre 1946 il nuovo Corriere
della Sera titolava a pag. 2 Era la prima volta che il giornale
faceva esplicito riferimento a una consanguineità tra Francesco Starace e
Achille Starace. Addirittura si dilungò oltre a indicare che nella stamperia
erano stato trovato materiale copioso tra Nel 1949 allo Starace fu
inflitta una pena di 22 anni, per l’attività di falsario. Ma tale condanna non
ebbe effetto poiché, in sede di esecuzione, gli fu computata la pena più
grave comminatagli per il delitto del Miralago.1) Maria Mazzocchi, separata, fu
impiegata come cassiera da Francesco Starace, allora caposala del Motta di
piazza Duomo. A seguito del verificarsi di frequenti ammanchi di cassa, dei
quali fu sospettato lo Starace, furono entrambi licenziati. 2) Francesco
Starace, nato nel 1906 a Napoli, ex caposala del Motta di piazza Duomo, e
figlio di Germano Starace gestore del Miralago. Separato. Dopo essere stato
licenziato dalla Motta il padre gli aprì una bottiglieria ma abbandonò il
negozio per impiantare un’industria di maglieria. “La parola incantata”. Fulvio Papi. Papi.
Keywords: il fascismo, il veintennio fascismo, filosofi fascisti, enciclopedia
di filosofia, filosofia e societa, la scuola di Milano, fascismo, Giordano
Bruno, fRefs.: Luigi Speranza, “Grice e Papi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740417896/in/datetaken/
Grice e Pareyson – implicare ed
interpretare – liberalismo, risorgimento, fascismo -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Piasco). Filosofo. Linceo. Nato da genitori entrambi originari
della Valle d'Aosta, si laureò a Torino con una tesi dal titolo “Esistenza” –
su Jaspers, che poi venne pubblicata all'editore Loffredo di Napoli. Compì
spesso viaggi di studio in Francia e in Germania, dove ebbe modo di conoscere
personalmente Maritain, Jaspers eHeidegger. Si fece notare dai più
importanti filosofi del tempo, tra i quali Gentile. Allievo di Solari e Guzzo, dopo aver seguito in Germania
i corsi di Jaspers, insegnò filosofia al Ginnasio Liceo Camillo Benso di Cavour
di Torino e al liceo di Cuneo, dove ebbe come allievi alcuni futuri esponenti
della Resistenza italiana, tra i quali Revelli e Vivanti. Fu arrestato per
alcuni giorni, in seguito agì egli stesso nella Resistenza, insieme con Bobbio,
Ferrero, Galimberti e Chiodi, continuando a pubblicare anonimamente articoli.
Nel dopoguerra insegnò al Gioberti e in vari atenei tra cui Pavia e Torino
dove, conseguito l'ordinariato. Fu accademico dei Lincei e membro dell'Institut
international de philosophie, oltre che direttore della Rivista di estetica,
succedendo a Stefanini che la fondò a
Padova. Ebbe molti allievi, fra cui Eco, Vattimo, Tomatis, Perniola, Givone, Riconda,
Marconi, Massimino, Ravera, Perone, Ciancio,
Pagano, Magris e Zanone, segretario del Partito Liberale Italiano, ministro
della Repubblica e sindaco di Torino. Considerato tra i maggiori filosofi del XX secolo, assieme a Abbagnano fu tra i
primi a far conoscere l'esistenzialismo, facente capo principalmente ad
Heidegger e Jaspers, e a riconoscersi in questa visione (La filosofia dell'esistenza
e Jaspers), in un quadro dominato dal neo-idealismo. Si dedicò anche a dare una
nuova interpretazione dell'idealismo non
più in chiave hegeliana (Fichte), individuando in Schelling un precursore a cui
l'esistenzialismo doveva la propria ascendenza, sostenendo che «gli
esistenzialisti autentici, i soli veramente degni del nome, Heidegger, Jaspers
e Marcel, si sono richiamati a Schelling o hanno inteso fare i conti con lui L’'esistenzialismo
anda ripreso in chiave ermeneutica. Considera la verità non un dato oggettivo ma
come interpretazione del singolo, che richiede una responsabilità soggettiva. Chiama
la propria posizione personalismo ontologico. Si è dedicato anche a ricerche
storiografiche, individuando nella filosofia post-hegeliana due correnti, riconducibili
rispettivamente a Kierkegaard e a Feuerbach,
e che sarebbero sfociate rispettivamente nell'esistenzialismo e nel
marxismo. Il suo percorso filosofico ha attraversato principalmente
tre fasi: una più propriamente esistenzialista, attestata cioè su un
esistenzialismo personalistico, in dialogo con Kierkegaard, che riconosca come
la comprensione di sé stessi è resa possibile solo dalla propria relazione con
l'Altro; una seconda incentrata sull'ermeneutica, ossia nel farsi strumento di
interpretazione della verità, volgendosi ad una comprensione ontologica delle
condizioni inesauribili dell'esistenza, che ripercorrendo Heidegger si tramuta
da angoscia del nulla in ascolto dell'Essere; l'ultima che si richiama a
un'ontologia della libertà, più vicina a Schelling, ritenuto un filosofo talmente
attuale da essere persino post-heideggeriano, la cui interpretazione può essere
innovata a partire da Heidegger proprio perché Heidegger ha avuto Schelling
all'origine del suo pensiero. Rreinterpreta le tre fasi del suo pensiero alla
luce del passaggio dalla filosofia negativa a quella positiva di Schelling,
ossia il momento in cui la ragione, prendendo atto della propria nullità, si
apriva allo stupore dell'estasi, in una maniera non necessaria né automatica,
bensì fondata su una libertà che non esclude tuttavia la continuità. Solo
ammettendo questa libertà si può approdare da una filosofia puramente critica,
negativa, ad una comprensione dell'esistenza reale, oltre che della possibilità
del male e della sofferenza. Il discorso sulla negatività non sarebbe
affatto completo se non si parlasse della sofferenza, ma dato che la sofferenza
è non solo negatività, ma è una tale svolta nella realtà che capovolge il
negativo in positivo, questo fa già parte di quella tragedia cosmo-te-andrica –
cosmos, theios, aner -- che è la vicenda universale. Migliorini et al., Scheda
sul lemma "Pareyson", in Dizionario d'ortografia e di pronunzia, Rai Eri,
Per gli accenni biografici di questa sezione, si veda Vattimo, Dizionario
Biografico degli Italiani, come anche labiografia presente in centrostu di
pareyson Home.html Luciano Regolo, A
Torino Gadamer ricorda Pareyson, Repubblica, Cfr. Schelling, in «Grande
antologia filosofica», Milano, Marzorati, Palma Sgreccia, Una filosofia della
libertà e della sofferenza, Milano. Offrì un'interpretazione del proprio percorso
filosofico nell'iEsistenza e persona. Tomatis; “Escatologia della negazione” (Roma,
Città Nuova. cit. in: Roselena Di Napoli, Il male – cf. Grice, “ill-will” --. Roma,
Gregoriana, F. Tomatis. Altri saggi: “La filosofia dell'esistenza” (Napoli,
Loffredo); “L’esistenzialismo” (Firenze, Sansoni); “Esistenza e persona” (Torino,
Taylor); “L'estetica idealista del fascismo” (Torino, Filosofia); “Fichte,
Torino, Edizioni di «Filosofia); “Estetica. Teoria della formatività, Torino,
Filosofia); “Teoria dell'arte, Milano, Marzorati, I problemi dell'estetica,
Milano, Marzorati); “Conversazioni di estetica, Milano, Mursia, Il pensiero
etico” (Torino, Einaudi); “Verità e interpretazione, Milano, Mursia); “L'esperienza
artistica, Milano, Marzorati, Schelling,
in Grande antologia filosofica, Milano, Marzorati); “Filosofia, romanzo ed
esperienza religiosa, Torino, Einaudi, La filosofia e il problema del male, in
Annuario filosofico, Filosofia dell'interpretazione, Torino, Rosenberg); Kierkegaard
e Pascal, Sergio Givone, Milano, Mursia); “Filosofia della libertà, Genova,
Melangolo); Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, Torino, Einaudi. Le
"Opere complete" sono pubblicate a cura del "Centro studi
filosofico-religiosi Luigi Pareyson", Mursia, Milano. Interviste
principali Se muore il Dio della filosofia, Ciro Sbailò, “Il Sabato”, anno Io,
filosofo della libertà, Roberto Righetto, “Avvenire” Mario Perniola,
"Un'estetica dell'eccesso: Luigi Pareyson", in Rivista di Estetica, Alberto
Rosso, Ermeneutica come ontologia della libertà. Studio sulla teoria
dell'interpretazione di Luigi Pareyson, Milano, Vita e Pensiero, Francesco
Russo, Esistenza e libertà. Il pensiero di Luigi Pareyson, Roma, A. Armando
Editore, Furnari, I sentieri della libertà. Milano, Guerini e associati, Chiara,
L'iniziativa. Genova, il melangolo, Ciglia, Ermeneutica e libertà, Roma,
Bulzoni Editore, Tomatis, Ontologia del male, Roma, Città Nuova Editrice,
Ciancio, L’esistenzialismo, Milano, Mursia Editore, FTomatis, pareysoniana, Torino, Trauben Edizioni, Les
Cent du Millénaire, Aosta, Counseil régional de la Vallée d'Aoste &
Musumeci Éditeur, Ermenegildo Conti, La verità nell'interpretazione.
L'ontologia ermeneutica, Torino, Trauben Edizioni, Pareyson. Vita, filosofia,, Brescia, Editrice
Morcelliana, Musaio, Interpretare la
persona. Sollecitazioni. Brescia, Editrice La Scuola, Palma Sgreccia, Una
filosofia della libertà e della sofferenza, Milano, Vita e Pensiero, Paolo
Diego Bubbio, Piero Coda, L'esistenza e il logos. Filosofia, esperienza
religiosa, rivelazione, Roma, Città Nuova Editrice, Gianpaolo Bartoli,
Filosofia del diritto come ontologia della libertà. Formatività giuridica e personalità
della relazione, Roma, Nuova Cultura, Santi Lo Giudice, "Verità e interpretazione,”
Atti dell'Accademia peloritana dei Pericolanti, TreccaniEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Opere openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere
Dizionario di filosofia Centro studi filosofico-religiosi "Luigi
Pareyson" Pubblicazioni e critica
Centro studi filosofico-religiosi orino. vita e pensiero Gianmario Lucini, sito
"filosofico.net". Pareyson. Keywords: implicare ed interpretare,
“Liberalismo, risorgimento, fascismo” – la filosofia politica fascista, la
morale fascista, Pareyson e Gentile, fascismo, I saggi anonimi di Pareyson,
‘Liberalismo, risorgimento, fascismo’ ---- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pareyson” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740386631/in/datetaken/
Grice e Parinetto – implicatura ed alchimia – la
bucca del culo -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo. Grice: “Parinetto implicates, “Are witches women?” “Sono donne le
streghe?” Grice: “The question may be rhetorical but it ain’t – since Italian
allows for “lo strego,” and “lo stregone.”” Ha insegnato a Milano. Nella sua
opera convergono tanto lo studio delle filosofie orientali (fu traduttore del
Tao Te Ching di Lao Tzu) che influenze di pensatori sia classici, come
(Eraclito, Nietzsche e Marx), sia contemporanei della filosofia occidentale,
quali Deleuze e Guattari. È considerato uno degli interpreti eterodossi del
marxismo. Particolarmente importanti sono state le sue analisi sulle
persecuzioni dei movimenti ereticali e sulla stregoneria, nella cui repressione
legge il tentativo di annichilimento di qualsiasi diversità sociale da parte
del potere (non solo religioso ma anche economico e culturale). Ha contribuito,
spesso, con queste sue analisi, alla comprensione dell'emarginazione di tutte
le istanze sociali e culturali minoritarie, non solo del passato ma anche
contemporanee. Altro tema centrale dell'opera è l'alchimia, intesa come sapere
contrapposto alla scienza moderna e volto alla trasformazione dell'umano
anziché del sociale. Ha anche una profonda cultura musicale, tanto da essere
stato collaboratore di “L'Eco di Brescia” come recensionista. Fu anche
collaboratore del periodico La Verità (organo della federazione bresciana del
PCI). È in via di costruzione, presso la
biblioteca di Chiari, la Fondazione Parinetto, che raccoglie la sua vasta
produzione. Saggi: “Alchimia e utopia, Pellicani” (Mimesis); “Corpo e
rivoluzione in Marx, Moizzi-contemporanea, Faust e Marx, Pellicani” (Mimesis);
“Gettare” (Mimesis); I Lumi e le streghe, Colibrì, “Marx: sulla religione, La
nuova Italia, “ Il ritorno del diavolo” (Mimesis,” La rivolta del diavolo:
Lutero, Müntzer e la rivolta dei contadini in Germania, Rusconi); “La
traversata delle streghe nei nomi e nei luoghi e altri saggi, Colobrì, “Magia e
ragione” Nuova Italia, Marx diverso
perverso, Unicopli, Marx e Shylock, Unicopli, Né dio né capitale” (Contemporanea,
“Nostra signora dialettica” Pellicani, Processo e morte di Bruno: i documenti, con un
saggio, Rusconi, Solilunio: erano donne le streghe?, Pellicani, Sulla
religione, Nuova Italia, Streghe e potere: il capitale e la persecuzione dei
diversi, Rusconi. Curatele e traduzioni Jakob Böhme, La vita sovrasensibile.
Dialogo tra un maestro e un discepolo, Mimesis, Giordano Bruno, La magia e le
ligature, Mimesis, Niccolò Cusano, Il Dio nascosto, Mimesis, Dickinson, Dietro
la porta, 237 liriche scelte, Rusconi, Eraclito, Fuoco non fuoco, tutti i
frammenti, Mimesis, Rime sulla morte, Mimesis, Hegel e Hölderlin,
Eleusis, carteggio, Mimesis); Il teatro della verità. Massoneria, Utopia,
Verità, Mimesis, Angelus Silesius, L'altro io di dio, Mimesis, La via in cammino: Tao Te Ching, Edizioni La
vita (Felice, Milano); Voltaire, Stupidità del cristianesimo, Stampa
Alternativa, Vedi per esempio Una polemica sulle streghe in Italia, riferimenti
in. Vedi per esempio la recensione a I
Lumi e le streghe Vedi di Renzo
Baldo Cfr. Fondazione Luigi Micheletti Catalogo
Emeroteca, su //musil.bs. Movimenti ereticali medievali Stregoneria. Biografia
da Nicoletta poidimani Biografia da zam,
su zam. Una polemica sulle streghe in Italia -- nel sito della ARFISAssociazione per Ricerca e
Insegnamento di Filosofia e Storia. Parinetto. Keywords: etymologia araba
d’alchimia, processo e morte di Bruno, massoneria, eretico, alienazione, la bucca
del culo, anale, analita, il falo, il pene, quando l’ano appare (da fece) –
metafora – da fece in vece del falo, Bruno, de magia, trattati di magia,
processi a Bruno, gl’antichi romani, I corpo e la revoluzione fascista – il
veintennio fascista e l’analita -- Refs.: “Grice e Parinetto” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740588353/in/datetaken/
Grice e Parisio – L’implicatura di
Cicerone – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Figline Vegliaturo). Filosofo.: Grice:
“I like Parisio; he focused on rhetoric, as every philosopher should!” Come
molti filosofi italiani senza titolo nobiliario, ha una vita errabonda. Dopo
aver fatto un viaggio di studio a Corfù, ritorna in patria dove apre una
scuola. Si trasfere a Napoli dove ottenne cariche e favori dal re Ferrandino.
Risiede per qualche tempo a Roma per poi trasferirsi a Milano dove sposa la
figlia del filosofo Demetrio Calcondila. Dopo aver abitato a Vicenza, Padova e
Venezia, torna a Cosenza, dove fonda l'Accademia Cosentina. Recatosi a Roma,
invitato daLeone X, vi insegna sia eloquenza nell'Accademia Pomponiana che
latino nell'archiginnasio. Rimame a Roma fino alla morte di Leone X, dopo di che ritorna definitivamente a
Cosenza. Saggi: Q. Horatii Flacci Ars poetica, cum trium doctissimorum commentariis”;
“Acronis, Porphyrionis. Adiectae sunt praeterea doctissimae Glareani
adnotationes. Lugduni veneo: a Philippo Rhomano); Q. Horatii Flacci Omnia
poemata cum ratione carminum, et argumentis vbique insertis, interpretibus
Acrone, Porphyrione, Antonio Mancinello, necnon Iodoco Badio Ascensio viris
eruditissimis. Scoliisque Angeli Politiani, M. Antonii Sabellici, Ludouici
Coelij Rhodigini, Baptistae Pij, Petri Criniti, Aldi Manutij, Matthaei Bonfinis
et Iacobi Bononiensis nuper adiunctis. His nos praeterea annotationes
doctissimorum Antonij Thylesij Cosentini, Francesci Robortelli Vtinensis, atque
Henrici Glareani apprime vtiles addidimus; Nicolai Perotti Sipontini libellus
de metris Odarum, Auctoris vita ex Petro Crinito Florentino. Quae omnia longe
politius, ac diligentius, quam hactenus excusa in lucem prodeunt; “Index
copiosissimus omnium vocabulorum, quae in toto opere animaduersione digna visa
sunt, Venetiis: apud haeredes Ioannis Mariae Bonelli, Claudius Claudianus,
Claudianus De raptu Proserpinae: omni cura ac diligentia nuper impressus: in
quo multa: quae in aliis hactenus deerant: ad studiosorum utilitatem: addita
sunt: opus me Hercle aureum: ac omnibus expetendum, Venezia: Albertino da
Lessona, Bernardino Viani e Giovanni Rosso, Clausulae, Ciceronis ex
epistolis excerptae familiaribus: ac in sua genera miro ordine digestae: plenae
frugis: & ad perducendos ad elegantiam stili pueros vtillimae. et recensuit
& approbauit, Vicentiae: per Henricum & Io. Mariam eius. F. librarios, Valerii
Maximi Priscorum exemplorum libri nouem: diligenti castigatione emendati:
aptissimisque figuris exculti: cum laudatis Oliverii ac Theophili commentariis:
Hermolai Barbari: Georgii Merulae: Mar. Antonii Sabellici: Raphaelis Rhegii:
multorumque praeterea nouis obseruationibus: indiceque mirifico per ordinem
literarum: ad inveniendas historias nuper excogitato: alteroque in usum
grammaticorum ad vocabula rerumque cognitionem” (Venezia, per Bartholomeum de Zanis de Portesio); “Habes
in hoc volumine lector optime diuina Lactantii Firmiani opera nuper
accuratissime castigata: graeco integro adiuncto:... Eiusdem Epitome. Carmen de
Phoenice. Carmen de Resur. Domini. Habes etiam Ioan. Chry. de Eucha. quandam
expositionem & in eandem materiam Lau. Vall. sermonem. habes Phi.
adhorationem ad Theodo. & adversus gentes Tertul. Apologeticum, Venetiis:
arte & impensis Ioannis Tacuini fuit impressum,); “Retoricae breviarium ab
optimis utriusque linguae auctoribus excerptum”; “Liber de rebus per epistolam
quaesitis. Henr. Stephani Tetrastichon de hoc Iani Parrhasij alijsque quibus
poetas illustrauit libris... Adiuncta est Francisci Campani Quaestio Virgiliana”
(excudebat Henricus Stephanus, illustris viri Huldrichi Fuggeri typographus, Davide
Andreotti, Storia dei cosentini” (Napoli, Marchese); Ugo Lepore, «Per la biografia’
Biblion, Francesco D'Episcopo, Fondatore
dell'Accademia Cosentina, Cosenza: Pellegrini, A. Frugiuele, Dubbi ed ipotesi
sui suoi natali, in Il Letterato: rassegna di letteratura, arte, scuola fondata
e diretta da L. Pellegrini, Accademia Cosentina Treccani Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Indice. A quibus primumd C inventa rhetorica
et celebrata; qualis primu apud athenienses e!o^ quentia e usus ac stadium; quale
primu apud romanos; quid sit rhetorica, quid inter rhetorica et Dialc<fh*«»
AnFSietoricaiitars, quod utilis sit rhetorica; Sit 'nc ars necessaria; Quae
praeftarc oporteat rhetorica; Qualeseifedel eant Rhetoriesecan didati* Quae
fdre eos oporteat* ti»it; quod sit officium rhetoricae; quidintero fficiumdC finem;
quis rhetoricae finis; quae materia; De ciuilib * quadfaonibus, SC earuhi generibius;
De circunftanda quaefacithypOi» , thefim; De tribus generibus caufar; partes
Rhetoricae qumqi; Demuenrione. Zo; Qufcotrouerfiaenoconfidat zi^4z
Dcconftitutionc* zz»4^ Quotfintcoftiturioncs,etquf; Deftatucomecdurah»
Dedatudeiinitiuo. De datu generali Dedatutranflariuo Ex plurib conditutionibus
quomcH do prmdpalequisinuemat Quae caufa dmplexfit iuneda^ quae con^ zp.do De
quaedione, ratione, iudicatione &nrmamento, partes orationis; De genere deliberativo;
Genus Demondratiuunit; Genus ludiciale. Figlio da Tommaso, giureconsulto e
consigliere del Senato napoletano, e Pellegrina Poerio. Ha come primo maestro
Pedacio, che lo avvia alla conoscenza del latino. Si trasfere a Lecce, dove il
padre e stato nominato governatore, e intraprese lo studio del greco sotto la
guida di S. Stiso. Si reca Corfù per frequentare la scuola di G. Mosco, dove
perfeziona la conoscenza del greco. Rientrato a Cosenza, frequenta le
lezioni di T. Acciarini. Ha certamente una formazione giuridica, sollecitata
dal padre, di cui resta traccia nel “Vocabularium legale” (Napoli, Biblioteca
nazionale), un elenco alfabetico di quesiti giuridici tratti dai giureconsulti
antichi. Ma l’interesse per il diritto e le istituzioni politiche antiche deriva
a Parisio anche dalla frequentazione di Pucci, allievo di Poliziano a Firenze,
attivo a Napoli. Si trasfere a Napoli ma i suoi contatti con Pucci e con
l’ambiente culturale napoletano risalivano a qualche anno prima. Invitato a
tenere lezioni sulle “Silvae” di Stazio e nell’occasione pronuncia l’orazione “Ad
patricios neapolitanos”, nella quale elogia G. Pontano. Alla frequentazione
dell’ambiente pontaniano risale probabilmente l’adozione del nome latino Aulus
Ianus Parrhasius. Nominato da Ferdinando I d’Aragona maestro di camera e
ricoprì incarichi nella cittadina calabrese di Taverna e a Lecce. E in rapporti
di amicizia con Ferdinando II (Ferrandino), come evidenziano una lettera a lui
indirizzata e l’epicedio in versi per la morte della madre, Ippolita Maria
Sforza. È probabile che segue Ferrandino nella fuga da Napoli occupata da Carlo
VIII ( e poi nella riconquista del Regno. Dopo la morte di Ferrandino e la
salita al trono di Federico I si trova coinvolto in intrighi di corte e prefere
abbandonare Napoli per trasferirsi a Roma. Arrivato a Roma segue le ultime lezioni di P. Leto e si lega
a T. Inghirami, che gli fa assegnare l’insegnamento di oratoria nello studio
romano. In seguito all’uccisione di due suoi allievi, implicati nelle trame che
accompagnarono il pontificato di Alessandro VI, decide di abbandonare Roma e di
trasferirsi a Milano. Nella città lombarda trova alloggio e occupazione
nella scuola di A. Minuziano. Collabora
ad alcune edizioni date alle stampe da Minuziano e scrisse epigrammi contro due
suoi avversari, G. Ferrari, docente di eloquenza nella scuola milanese, e il
corso Damiano Nauta. Si trasfere presso C. Cotta, che gli dette l’opportunità
di aprire una scuola propria e che forma con lui un sodalizio editoriale.
L’allontanamento da Minuziano provoca polemiche e scambi d’accuse, di cui danno
testimonianza le tre orazioni di Parisio in Alexandrum Minutianum. Sposa
Teodora Calcondila, figlia dell’ateniese Demetrio, che insegna greco a Milano. Furono
allievi di Parisio a Milano, oltre a Cotta, anche il figlio di Demetrio,
Teofilo, A. Alciato, P. Giovio (che scrive su biografia nei suoi Elogia) e il
figlio di E. Poncher, vescovo parigino all’epoca presidente del Senato
milanese. Fu grazie a Poncher che ottenne la cattedra di eloquenza lasciata
vacante da Ferrari, fuggito da Milano dopo la caduta di Ludovico. La polemica
con Minuziano, dopo una temporanea ri-conciliazione, si riaccese in un contesto
politico meno favorevole a lui, in seguito alla sostituzione del Poncher con J.
Charles. A quest’ultimo Minuziano dedica l’edizione liviana data alle stampe, per la quale Parision accusa l’avversario di
aver plagiato le proprie lezioni su questo autore. La polemica degenera in una
campagna denigratoria nella quale Minuziano e affiancato da Ferrari,rientrato a
Milano, Nauta e R. Panato da Lodi. Replica sotto lo pseudonimo di Furius Vallus
Echinate in un opuscolo stampato a Legnano da G. Giacomo assieme con la ri-edizione
del commento a Claudiano. Oggetto anche di un’aggressione fisica accetta
l’offerta di G. Trissino, allievo di Calcondila e si trasfere a Vicenza. Pubblica
numerosi saggi: il commento al De raptu Prosperpinae di Claudiano; i carmi di
Prudenzio e il Carmen Paschale di Sedulio (ambedue nella tipografia di
Guillaume la Signere e con il contributo della famiglia Cotta). Ancora presso
Scinzenzeler e con una prefazione di C. Cotta, il “De viris illustribus urbis
Romae”, una delle compilazioni tardo-antiche trasmesse sotto il nome di Aurelio
Vittore, che attribue a Cornelio Nepote (nello stesso anno Minuziano pubblica
lo stesso testo fra le opere di Svetonio); il “Libellus de regionibus urbis
Romae” (tip. Scinzenzeler), una versione interpolata della “Notitia regionum
urbis Romae” che attribusce a un inesistente Publio Vittore. Le iniziative
editoriali sono accompagnate dalla ricerca di codici antichi: nell’edizione di
Sedulio dichiara di aver utilizzato un antico codice scoperto in un monastero.
A un codice di Parisio fa riferimento T. Calcondila nell’edizione di Valerio
Massimo a Legnano da G. Giacomo con commenti dello stesso Parisio e di altri.
Riusce a impadronirsi anche di alcuni dei manoscritti bobbiesi scoperti da G. Merula
e attualmente nella Biblioteca nazionale di Napoli: i codici Lat. 1 e 2
utilizzati per le edizioni di testi grammaticali di Probo e altri autori pubblicate
a Milano da Scinzenzeler e Vicenza da Zeno),
e il IV.A.8 contenente l’“Ars grammatica” di Carisio, pubblicata da P. Ciminio
(Napoli, G. Sultzbach). I tre codici sono custoditi nella Biblioteca nazionale
di Napoli. L’attività editoriale prosegue a Vicenza, con la collaborazione
della tipografia dei Ca’ Zeno. Pubblica una raccolta di clausule ciceroniane
tratte dalle familiari, un manuale di retorica e la citata raccolta
grammaticale. Non fa in tempo a pubblicare il “De rebus per epistolam quaesitis”,
una raccolta di notazioni filologiche in forma epistolare incominciata a Milano
e a cui dette forma editoriale a Vicenza. Il suo nome si legge anche
nell’edizione di Lattanzio stampata a Venezia da G. Tacuino, ma non è chiaro se
egli abbia realmente contributo a questa edizione. Le sue note ai primi due
libri dell’ “Eneide” sono inclusi nell’edizione virgiliana stampata nel a
Milano da Scinzenzeler. Arrivato a Vicenza pronuncia “Ad municipium
Vicentinum” e tenne corsi fino all’anno successivo. E ad Abano, per curare la
podagra di cui soffriva. In seguito alle vicende seguite alla sconfitta di
Venezia ad Agnadello si trasfere dapprima a Padova e poi Venezia, ospite da L.
Michiel. Vaglia la proposta di insegnamento offertagli dalla città di Lucca, ma
qualche mese dopo preferì abbandonare Venezia per la Calabria, dove arriva nel
giugno dopo una sosta di alcuni mesi a Napoli, dove e accolto da A. Seripando e
da altri sodali dell’Accademia Pontaniana. All’attività svolta a Cosenza viene
fatta risalire quella che in seguito verrà denominata l’Accademia cosentina. Insegna
ad Aiello, quale precettore dei figli del conte Antonino Siscari. Nella scuola di
Taverna tenne corsi su Plauto e sui grammatici. E a Pietramala, dove apprese
dal cognato Basilio Calcondila che Leone X gli assegna un incarico di
insegnamento presso lo Studio romano (oltre a Calcondila, l’incarico era stato
raccomandato al pontefice da Fedra Inghirami e Giano Lascari). Arrivato a
Roma tenne i corsi. Ottenne da Leone X
la dispensa dall’insegnamento e una pensione. Progetta di trasferirsi a Napoli,
grazie a un legato del cardinale Luigi d’Aragona, ma le precarie condizioni di
salute lo indussero a raggiungere Cosenza, dove muore. Oltre all’edizione
carisiana di P. Ciminio, anche altri pubblicarono inediti di Parisio. Suo
figlio da alle stampe a Napoli le lettere inviategli dal maestro, ma la stampa
è attualmente irreperibile. Ne resta una copia manoscritta nel codice
XXVIII.1.62 della Biblioteca dei girolamini di Napoli. Il cosentino B. Martirano
pubblica a Napoli (G. Sultzbach) il suo commento all’Ars poetica di Orazio. Il “De
rebus per epistolam quaesitis” e pubblicato da H. Estienne II, che nella
prefazione lo presenta come il maggiore umanista della recente generazione (un
giudizio ripetuto ancora da Sabbadini). Vennero date alle stampe anche le sue esegesi
alle Heroides (Venezia, G. Tacuino) e le Metamorfosi di Ovidio e la “Pro Milone”
di CICERONE. Lascia in eredità ad A. Seripando l’ingente biblioteca raccolta
negli anni precedenti: essa contava, nell’inventario redatto dopo la morte, 567
fra codici e libri, molti con annotazioni dell’umanista. Seripando li lascia in
eredità al fratello, il cardinale Girolamo. La biblioteca passa poi al convento
napoletano di S. Giovanni in Carbonara, subendo perdite e dispersioni. Il
nucleo più consistente è conservato nella Biblioteca nazionale di Napoli. Parte
degli inediti parisiani (lettere, orazioni, prolusioni) sono stati pubblicato
da Iannelli, Lo Parco, e in studi più recenti. Il De rebus per epistolam
quaesitis, a cura di L. Ferreri, Roma. Fonti e Bibl.: C. Iannelli, De vita et
scriptis Auli Iani Parrhasii Commentarius, Napoli; F. Lo Parco, Aulo Giano
Parrasio. Studio biografico-critico, Vasto; R. Sabbadini, Le scoperte dei
codici latini e greci ne’ secoli XIV e XV, Firenze 1905, passim; F. Lo Parco,
Aulo Giano Parrasio e Andrea Alciato, in Archivio storico lombardo; Due
orazioni nuziali inedite, Messina; U. Lepore, Per la biografia, Biblion; M.
Ferrari, Le scoperte a Bobbio in Italia medievale e umanistica, M. Manfredini, L’inventario della sua biblioteca,
in Rendiconti dell’Accademia di
Architettura, lettere e belle arti di Napoli; C. Tristano, La biblioteca di un
umanista calabrese, Manziana , M.
Lauletta, Un inedito: la Praefatio in Flaccum, in AION, Sezione filologico
letteraria; L. Munzi, Prassi didattica e critica del testo in alcune prolusioni
inedite, in Studi umanistici piceni, Parrhasiana, I, a cura di L. Gualdo Rosa
et al., Napoli, Parrhasiana, II, a cura di G. Abbamonte et al., in AION,
Sezione filologico letteraria, XXIV, M. Paladini, Appunti su Parrasio maestro,
in Vichiana, Parrhasiana, III, a cura di G. Abbamonte et al., in AION, Sezione
filologico letteraria, D. Pattini, Preliminari per un’edizione del commento di
A. G. Parrasio alla Poetica di Orazio in Filologia e critica, L. Ferreri,
L’influenza di F. Pucci nella sua formazione in Valla a Napoli, a cura di M.
Santoro, Pisa-Roma. Aulius Ianus Parrhasius. Aulio Giano Parrasio. Parisio.
Keywords: implicatura, implicatura retorica, Cicerone, filosofia italiana,
gl’antichi romani, Livio, Catullo, Orazio, Cicerone, Stazio, l’oratoria, il
gusto per l’antico in Italia. PARRHASIANA, Vico, Sabbaldini sull’importanza da
Parisio, grammatica speculativa, grammatica modista, ars grammatica, probo, la
grammatica, la dialettica e la retorica --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Parisio” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691307311/in/photolist-2mKMsLp
Grice e Parrini – implicare,
interpretare – filosofia italiana – Luigi Speranza (Castel’Azzara). Filosofo. Grice: “Italians are supposed to be non
mainstream and go ‘off the beaten road’ – Parrini proves they shouldn’t!” Professore
a Firenze, membro di svariate istituzioni scientifiche internazionali e del
comitato scientifico di alcune riviste filosofiche italiane e straniere e
condirettore della collana "Epistemologica" pubblicata dall'editore
Guerini e associati, fu segretario nazionale del Comitato dei dottorati di
ricerca in Filosofia, nonché Presidente della Società Italiana di Filosofia
Analitica. Fu invitato a tenere lezioni e conferenze in Italia, in vari paesi
europei, in Argentina e negli Stati Uniti d'America. Insieme a Roberta
Lanfredini organizzò un Corso di perfezionamento in Epistemologia generale e
applicata che si tiene, con cadenza biennale, a 'Firenze. Si occupò di filosofia
analitica contemporanea, dell'epistemologia di Kant e di Husserl, di vari
aspetti del pensiero scientifico e epistemologico del XIX e del XX secolo,
della filosofia italiana del Novecento. Sin dai primi lavori ha sviluppato una
nuova interpretazione del positivismo logico e dei suoi rapporti con il
convenzionalismo e la filosofia kantiana la quale, in seguito, ha trovato ampia
conferma a livello internazionale. In campo epistemologico, i suoi maggiori
interessi vanno al tema del realismo, alla problematica della conoscenza a
priori, alla giustificazione epistemica e alla metodologia della ricerca
storico-filosofica. Nel volume Conoscenza e realtà avanzò una prospettiva
filosofica cui dette il nome di "filosofia positiva" e della quale sviluppò
le implicazioni circa i rapporti con l'ermeneutica, lo statuto epistemologico
della logica e la natura della verità. Lasciò più di un centinaio di
pubblicazioni. Saggi: “Linguaggio e teoria: analisi filosofica” (Nuova Italia,
Firenze); “Una filosofia senza domma: materiali per un bilancio dell'empirismo,”
– Grice: “I can’t see why Parrini is afraid of a dogma; Strawson and I loved
them – and he knows it – he totally misunderstands us when he thinks we are
into ‘reductionism’! But at least he cares to call me Herbert, as I never
myself did! Don’t Italians know abbreviations?! H. P.!” – “In difesa di un
domma” -- Mulino, Bologna, “Empirismo logico e convenzionalismo,” (Angeli,
Milano); “Conoscenza e realtà: positivismo” (Laterza, Roma-Bari); “Dimensioni
della filosofia. Filosofia in età antica – antica filosofia italica (Mndadori, Milano);
“L'empirismo logico, Carocci, Roma); “Filosofia e scienza nell'Italia del
Novecento. Figure, correnti, battaglie” (Guerini, Milano) – Grice: “Gentile was
right when he distinguished between classical liceo and the rest! We don’t need
no scientific education, we don’t need no thought control!” – “Fare filosofia,
oggi” (Carocci, Roma). Note
"lanazione", Scheda
docente presso il Dipartimento di filosofia dell'Università degli Studi di
Firenze, su philos.unifi. Paolo Parrini in SWIFSito web italiano per la
filosofia, su lgxserver.uniba.Lo studio del riferimento in W. V. Quine,
“Rivista di filosofia” Da Quine a Katz, I, “Rivista critica di storia della
filosofia” [= Rcsf], "Vero" come espressione descrittiva, Rf, Da
Quine a Katz, II, Rcsf, Di alcuni problemi di filosofia della logica, Rf,
Recensione di R. G. Colodny, The Nature and Function of Scientific Theories.
Essays in Contemporary Science and Philosophy (Pittsburgh, 1970), Rcsf,
Recensione di M. Serres, Le Système de Leibniz et ses modale mathèmatiques, 2
voll. (Paris, 1968), Rcsf, Recensione di N. Rescher, Essays in Philosophical
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Development of Logic" di W. C. Kneale e M. Kneale, Rcsf, Linguaggio e teoria. Due saggi di analisi
filosofica, Firenze, La Nuova Italia, Per un bilancio dell'empirismo
contemporaneo: contributo alla storia del positivismo logico, Rcsf, 31: 193-239
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di A. N. Whitehead e B. Russell, Introduzione ai "Principia
Mathematica", Firenze, La Nuova Italia Recensione di K. R. Popper,
Objective Knowledge. An Evolutionary Approach (Oxford), Rcsf, Recensione di J.
Danek, Les Projets de Leibniz et de Bolzano: deux sources de la logique
contemporaine (Laval, Quèbec), Rcsf, Le rivoluzioni scientifiche, nella serie
radiofonica a c. di Paolo Rossi "Storia delle idee", Rai 3, Scienza e
filosofia nell'Ottocento: la scoperta del concetto di energia, nella serie
radiofonica a c. di Paolo Rossi "La scienza e le idee", Rai Recensione di W. V. Quine, I modi del
paradosso e altri saggi (Milano, 1976), Rcsf, Filosofia e scienza nella cultura
tedesca del Novecento, in Storia della filosofia, diretta da M. Dal Pra, vol.
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dialettica in L. Geymonat (in collaborazione con M. Mugnai), Rf, – Linguistica generativa, comportamentismo,
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definire la realtà (a proposito del Convegno fiorentino I livelli della
realtà), "L'Unità", Fisica e geometria dall' Ottocento ad oggi
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teoria verificazionale del significato in Calderoni, Rcsf, Una filosofia senza
dogmi. Materiali per unbilancio dell'empirismo contemporaneo, Bologna, il
Mulino Introduzione a W. V. Quine, Logica e grammatica, Milano, Il
Saggiatore: Scienza, vita e valori (con lettura di testi di A. Huxley e brani
dal Quartetto per archi n. 15, op. 132 di L. van Beethoven) per la serie
radiofonica a c. di Massimo Piattelli Palmarini, Rai 3, Lettera di risposta a
M. Pera, Rovesciando si impara . "L'Espresso", – Scienza e filosofia: diamo a ciascuno il
suo, “La Stampa”. Recensione di R. S. Cohen, P. K. Feyerabend, M. W. Wartofsky
(eds.), Essays in Memory of Imre Lakatos(Dordrecht, 1976), Rscf, Recensione di
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Milano, 1984, 3 voll.), “L'Indice [dei libri del mese]”, Edizione, con
Introduzione, di H. Reichenbach, Da Copernico a Einstein, Bari, Laterza: Recensione di T. Nickles, Scientific
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Preti e i suoi corsi universitari, "Quaderni dell'Antologia
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(Recensione di I. Hacking, Conoscere e sperimentare, Bari),
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di Filosofia dell'Università di Firenze, (anche in Il pensiero di Giulio Preti nella
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italiana e neopositivismo, Rf, (also in
Filosofia italiana e filosofie straniere nel dopoguerra, a c. di P. Rossi e C.
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(Recensione di P. [Paolo] Rossi, Paragone degli ingegni moderni e postmoderni,
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Libraria: cap. XIII: Scienza e Filosofia nella cultura tedesca, Empirismo logico e filosofia della scienza:
Con Carnap oltre Carnap. Realismo e strumentalismo tra scienza e metafisica,
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sintetici e giudizi analitici, "Iride", Recensione di N-E. Sahlin,
The Philosophy of F. P. Ramsey(Cambridge, 1990), Rsf, Il pensiero peregrinante
di un monaco mancato (recensione di J-F. Lyotard, Peregrinazioni. Legge, forma,
evento, Bologna), "L'Indice", Ma Madonna non è Kant (a proposito del
Convegno del Centro fiorentino di Storia e Filosofia della scienza “Kant e
l'epistemologia contemporanea”,"Il Sole 24 Ore", Origini e sviluppi
dell'empirismo logico nei suoi rapporticon la filosofia continentale. Alcuni
testi inedita; Presentazione di R. Lanfredini, Husserl. La teoria
dell'intenzionalità. Atto, contenuto, oggetto, Bari, Laterza: ix-xiii
9405 – Reichenbach, la teoria della relatività e la problematica
dell'a priori (giugno 1990), in Dagli atomi di elettricità alle particelle
atomiche. Problemi di storia e filosofia della fisica tra Ottocento e
Novecento, a c. di S. Petruccioli, "Lezioni Galileiane", vol. IV,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, Conoscenza e realtà. Saggio di
filosofia positiva, Bari, Laterza, L'insegnamento medio della filosofia in
Italia. Alcune considerazioni scientifico-culturali, Rsf, 5 Intervento/intervista
sull'insegnamento della filosofia nella Scuola media superiore, "Corriere
della Sera", Intervento/intervista sul X Congresso Internazionale
della Union of History and Philosophy of Science, F. Bordogna, Neopositivisti
rivalutati al congresso, "il Sole-24 Ore", Filosofi, vi esorto alla Bosnia,
"L'Indice", Mito e scienza in Ernst Cassirer. Considerazioni
introduttive, in Mito e scienza in Ernst Cassirer, a c. di P. Parrini, in
“Annali del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze”, Perchè è scorretto
(moralmente) dire che è uno di noi[Intervento sul Documento del Comitato
nazionale di bioetica sulla sperimentazione sull'embrione], "il Sole 24
Ore", Con i “continentali” il dialogo è aperto, “il Sole 24 Ore”,Filosofia
e storia della filosofia, in Filosofia analitica oggi, “Informazione
filosofica”, Le origini dell’epistemologia, in Storia della filosofia, a c.
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9703 – Immanenzgedanken e conoscenza come unificazione. Filosofia
scientifica e filosofia della scienza, Rsf, Realismo, scetticismo e analisi
filosofica [Risposta a P. Leonardi], “Paradigmi”, Intervento in “Il documento
dei Quaranta”: risposte e considerazioni, “L’informazione filosofica”, Per un
sapere senza assoluti [su Otto Neurath], “il Sole 24 Ore”, La mia terza via
nella ragnatela di concetti e credenze, “Letture”, Presentazione e Curatela con
Rosaria Egidi diForme di argomentazione razionale, “Paradigmi”, Ermeneutica ed
epistemologia, “Paradigmi”, Presentazione e Curatela con D. Marconi e M. Di
Francesco, Filosofia analitica 1996-1998. Prospettive teoriche e revisioni
storiografiche, Milano, Guerini, Dell'incertezza, ovvero del "non
raccapezzarsi" [su S. Veca, Dell'incertezza. Tre meditazioni filosofiche,
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scuola media superiore riformata, Rsf, Aggiornamento delle voci Causalità, Convenzionalismo,
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edizione aggiornata e ampliata da G. Fornero, Torino, Pomba, Io difendo gli
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di Croce), Rsf, Una risposta laica alla fine degli assoluti [Intervento nel
dibattito sul nichilismo], "il Sole 24 Ore", La filosofia è ancora motore di progresso
[Intervento nel dibattito sulla riforma dell'università], "il Sole 24
Ore", Filosofia delle occasioni mancate [Intervento nel dibattito sulla
riforma dell'università], "il Sole 24 Ore", Il conoscere tra
filosofia e scienza, in Atlante del Novecento, 3 voll., con la direzione di L.
Gallino, M. L. Salvadori, G. Vattimo, Torino, Pomba, Vol. III: Il declino delle
certezze. Un secolo e le sue immagini: Metafisica e filosofia analitica, in
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del fondazionalismo, giustificazione epistemica e natura della filosofia,
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navicella della metafisica. Dibattito sul nichilismo e la 'terza navigazione',
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Ore", Empirismo logico, tutta
un'altra storia, "il Sole 24 Ore", La verità (Discussione di Paolo
Parrini e Marco Messeri), "Palomar",
Una risposta laica alla fine degli assoluti, in Nichilismo Relativismo
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filosofia italiana in discussione, a c. di F. P. Firrao, Milano, Paravia e
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panoramica introduttiva, in "Annali del Dipartimento di Filosofia
dell’Università di Firenze": Miserie dell'epistemologia italica, in
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filosofia e un’oggettività senza fondamenti, Milano, Guerini, Conoscenza e
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dell’analiticità cinquant’anni dopo. Una valutazione epistemologica, in
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Ciolli Incompreso, o quasi, dagli Americani [K. R. Popper: “Il più grande
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Giulio Preti a trent’anni dalla scomparsa, Rsf, Il pensiero filosofico di
Giulio Preti, ed. by P. Parrini and L. M. Scarantino, Milano, Guerini e
Associati: 11-14 (Presentazione by P. Parrini andL. M. Scarantino), Preti
filosofo dei valori, in Il pensiero filosofico di Giulio Preti, Giulio Preti:
‘A Crossing of the Ways’, in Il pensiero filosofico di Giulio Preti, Il pupazzo
di garza: alcune riflessioni epistemologiche, in Il pupazzo di garza, M. Papini
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secondo Kant. Influssi, temi, prospettive, a c. di A. Moretto, Padova, il
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Honour of Paolo Parrini, vol. 2: New Contributions and Replies, a c. di R.
Lanfredini e A. Peruzzi, Pisa, ETS: Discussione sulla materia: Una prospettiva
epistemologica, “Aquinas: Rivista Internazionale di Filosofia”, Mach
scienziato-filosofo, Introduzione a Ernst Mach, Conoscenza ed errore. Abbozzi
per una psicologia della ricerca, Milano, Mimesis, Epistemologia e approccio
sistemico. Qualche spunto per ulteriori riflessioni, “Rivista di filosofia
neo-scolastica, Logical-Empiricism: an Austrian-Viennese Movement? Or an
Unsolved Entanglement among Semantics, Metaphysics and Epistemology,
“Paradigmi”, Fare filosofia, oggi, Roma, Carocci editore (v. Intervista:
https://www.letture.org/fare-filosofia-oggi-paolo-parrini/) Epistemologia
e approccio sistemico. La dinamica della conoscenza e il problema del realismo,
“Rivista di Filosofia Neo-Scolastica” Quine su analiticità e olismo. Una
valutazione critica in dialogo con Sandro Nannini, in Dalla filosofia
dell’azione alla filosofia della mente. Riflessioni in onore di Sandro Nannini,
a c. di C. Lumer e G. Romano, Roma-Messina, Corisco Né profeti né somari.
Filosofia e scienza nell’Italia del Novecento quindici anni dopo, “Filosofia
italiana” Sulla filosofia degli analitici, in Prassi, cultura, realtà. Saggi in
onore di Pier Luigi Lecis, a c. di V. Busacchi, P. Salis, S. Pinna, Milano,
Mimesis: Scienza e arte, ovvero verità e bellezza, in TBA, a c. di P. Valore,
in corso di stampa 2) Empirismo logico e fenomenologia. Uno
snodo fondamentale della filosofia del Novecento, relazione su invito
presentata all’International Conference “Experientia/Experimentum”, Napoli
Filosofia e storia della filosofia: una prospettiva epistemica, relazione su
invito presentata all’incontro “Filosofia e storia della filosofia: prospettive
a confronto”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Esplicazione e
rielaborazione dei concetti, in Metodi, stili e orientamenti della filosofia, a
c. di R. Lanfredini, Carocci Editore, Roma, Paolo
Parrini. Parrini. Keywords: implicare, interpretare, antica filosofia italica,
Herbert Paul Grice, in difesa di un domma – indice to ‘filosofia eta antica’.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Parrini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51739504427/in/datetaken/
Grice e Pascoli – filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo. Fisologia. Grice: “An excellent
philosopher. He philosophised on the will, on the soul, and on a functionalist
approach.” Filosofo. Lingua. Fratello maggiore di Leone Pascoli. Insegna a
Roma e Perugia. Tiene dimostrazioni anatomiche mediante dissezione di cadaveri,
come il suo collega e concorrente Andrea Vesalio. Intrattenne una vasta
corrispondenza con intellettuali di tutta Europa. Le sue opere
filosofiche e scientifiche seguono i metodi di Descartes et Malebranche. I suoi
trattati di metafisica, medicina e matematica esibiscono una filosofia coerente
e metodico che dimostra la vitalità filosofica della cultura italiana del
periodo. Saggi: “Del moto che nei mobili si rifonde per impulso esteriore”;
“Nuovo metodo per introdursi ad imitazion de' geometri con ordine, chiarezza, e
brevità nelle più sottili questioni di filosofia metafisiche, logiche, morali e
fisiche” (Poletti, Andrea); “Del moto che nei mobili si rifonde per impulso esteriore,
Salvioni, Giovanni Maria); “Del moto che ne i mobili si rifonde in virtù di
loro elastica possanza” (Bernabò, Rocco); “Delle febbri teorica e pratica
secondo il nuovo sistema ove tutto si spega per quanto e possible ad imitazione
de gemetri”; “Il corpo umano o breve istoria dove con nuovo metodo si
descrivono in comendio tuti gl’organi suoi ed I loro principali offij”; “De
fibra mortice et morbosa nec non de experimentis ac morbis”; “Nuovo metodo per
introdursi ad imitazione de geometri con ordine, chiarezza e brevita nelle piu
sottil qestioni di filosofia logica, morale, e fisica. Osservazione teoretiche
e pratiche inviate per lettere”; “Sofilo Molossio, pastore arcade PERUGINO e
custode delg’ARMENTI AUTOMATICI in Arcadi gli difende dallo scrutinio ne che fa
nella sua critica Papi” (Roma); “Anatome literarum sive palladis pervestigatio”
(Roma); “SOFILO SENZA MASCHERA” (Roma); “Del moto che nei corpi si diffonde PER
IMPUSLO ESTERIORE, trattato fisico matematico ad insegnare la possanza degli
elementi quatro” (Roma); “Della natura dei NOSTRI PENSIERI e della natura con
cui si ESPRIMONO. Riflessioni METAFISICHE” (Roma); “Del moto che nei mobile si
rifonde in virtu di loro elastica possanza” (Roma); “De homine sive de corpore
humano vitam habente ratione tam prospera tam afflictae valetudinis” (Roma); “Delle
risposte ad acluni consulti sulla natura di varie infermita e la maniera di ben
curarle con una notizia della epidemina insorta nel GHETTO GIUDEO di roma, e
del congatio de’ buoi ne” (Roma); “Con una breve notizia del mal contagioso dei
buoi”; “Opuscoli anonimi in difesa di Alessandro Pasocolo” – si credeno suoi
soi. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Lalande, Dulac, Billy. Elogio. Bartelli, letto con Lic.de'Superiori decimo
lustro il secondo a n no già corre,da che le suoi ceneri, filosofo perugino,
sotto un'umi le sasso mute riposano inRoma,dallaPatria,ahi! pur troppo neglette.
Qui nacque, quà si educa, quì sparse per decennale tempo i lumi della filosofia
più sublime, insegnò ed esercitò qui Medicina. E celebratissimo perfino oltre
Italia; e tanta gloria egli accrebbe alla perugina Medica Scuola, che forse
questa per opera d'altrui a tanta rinoman za non 'mai pervenne : nulladimeno
sulla di lui tomba alcuna corona di patrio lauro non siposò, nè del suo nome
videsi ancor fregiato un'Elogio. Penso peraltro che Tu non debba di ciò do
lerti , ora che siedi puro ed impassibile sull' eter no seggio dei Buoni
;dacchè se vivente fosti il più fido seguace delle profonde dottrine del forte
animo di Cartesio , forse oggi di averne auta pur anco comune la sorte oltre la
tomba tu ti com . piaci Al vivere suo aprì Cartesio le luci nel bel suolo di
Francia , e sulle scoscese balze di S v e zia le chiuse e sebbene tornassero ,
dimandate le sue ceneri nelle Gallie, pure cento anni pas opra il sesto
decimo lustro Soprailsesto 0; sarono prima che di lui si leggesse un encomio .
Il nostro Alessandro in Perugia nacque e Roma les ue ossar accolse, nè furono
queste da'suoi concittadini manco desiderate; e solamente dopo
ottantadue anni, nella stessa sua patria, oggi al cun poco di lui si
ragiona. Piacciavi, accademici valorosi, che io ne parli almeno ad onore di
questa sua terra natale, ed'a gloria di quella medica fronda di cui venne
meritissimamente il suo crine ricinto', che quì splendeva allora più ver de e
più onorata. Nè voglio credere che siavi alcuno il quale reputi vana cosa
questo mio dire; imperocchè, Lui laudando , essendomi dato di e sporre dottrine
non'tutte convenevoli a' tempi ne quali si vive, ciò non torrà certamente che
Egli non debba essere reputato grande Filosofo e som mo Medico: essendo che se lafilosofia
e la medicina, o da meglio dire, se ogni umano sapere soggia cé par troppo a
cangiamento coll'andare dei se coli, è cosa costante che la verità e l'errore
só no di tutte le menti nostre retaggio ; sicchè tut ti i secoli e tutti gli
uomini da non pochi lati si avvicinano sempre fra loro.
Colprogrediredelsecolodecimo settimole scienze tutte di più chiara luce
folgoreggianti,per la via progredivano del possibile loro migliora mento
:Sciolto lo spirito umano dagli opprimen . Se questo Elogio di Alessandro
Pascoli potrà servire a qualche riparo del lungo silenzio in che ilsuo nome si
stétte ; se a sprone di studiosa gioventù possa per buona ventura tornare, se
del lo estinto encomiato e di Voi.,.dotti Colleghi, non tantoindegno riesca, al
fine da me proposto lietamente mi stimerò pervenuto. O ti legami del Peripato,
erasi finalmente avveduto della sua nobiltà; e la mente erasi accorta pote re
da se stessa pensare . Sembrava che la natura tutta fosse giunta a tale momento
di crisi, dalla quale aspettare si dovevano grandi cose e grandi uomini; e
grandi cose e grandi uomini difatti si ebbero. Fra questimolti, fiorirono Dracke,
Copernico, Ticone, Keplero, GALILEI, Bacone , e finalmente Cartesio, destinato
dal cielo a compiere il bramato rinnovamento negli studii moltiplici della
natura. Appena ilgrande Filosofo dell'Aja di chiarò al mondo intero non doversi
alcuna cosa ritenere per vera , quando che non venga dimo, strata per
tale; appena disse'che la umana mente deve tutto in dubbiezza riporre, finchè
alla cer tezza non sia pervenuta;'e di queste le fonda menta non che i
caratteri stabilì ; lo studio ed il filosofare degliuomini dialtropiù
nobilesplendo re si rivestirono. La geometria,la logica, lameta
fisica,lafisica,elamedicinamedesimainpiù sta bile e più onoratá sede allora si
collocarono . Il secolo diCartesio segnòmai sempre una delle e poche più
luminose e memorande nella storia del l'umano intendimento, imperocchè ogni1
dotto partecipò del beneficio influssodi questo tempo ; ed il nostro Pascoli
divenne Filosofo col divenire Cartesiano. Se non che non solo di Filosofia ma
di medicina altresì ai nobilissimi studj sentissi da natura invitato; e cono
scendo la forza del proprio genio, nol poterono. Comincia con Cartesio dal
dubitare e quindi giunse a persuadere sè stesso , tro e 6 distrarre da
quelli ne i solerti padri di gesú che accorti iniziandolo nelle regole del loro
Istituto cercarono farne conquista.; nè il volere del padre il quale
all'officio del foro il destinava. Vide egli bene assai per tempo come a corre
merita mente il medico lauro, doveva alle filosofiche discipline tutto sè
dedicare. Perchè la filosofia di ogni umano sapere è fondamento primiero.
Accostumato come Cartesio a meditare più che a leggere, a pensare più che a
parlare, medita sul le opera di quell sommo e le studia intensamente, facendosi
propri i di lui principj , e tutta la filosoficacartesianatelasvolsee conobbe. Il
discorso sul metodo, le metafisiche meditazioni, le regole per la ricerca del
vero, il trattato sull’uomo di Cartesio sono a lui splendentissima face onde
dirigersi nel difficile sentiero della filosofia. Cosi lo studio di questa
precedette e quindi 'accompagna quello della medicina, non mai volendo egli
l'uno dall'altro separare. Tra noi, ai giorni nostri tristissimi , sembra
essere riserbato vedere non poca turba di gioventù male accorta gire in traccia
di medica scienza senza lo inestinguibile lume del più retto filosofare, senza
la conoscenza della natura , di sė medesimo, e perfino del proprio idioma nativo.
Vergogna s o m ima di que'paesi e di que'tempi che vogliopsi dire illuminati! E
per attribute diverse.Quin di dalla cognizione dell'Io personale passa a quella
pe ressenza perfetta che è Dio. Traicanoni della filosofia cartesiana erayi
quello di ritenere e gate si trovano le verità : donde poi le idee in
nate,dondela concatenazione diesse, la quale incominciando da dio scende
all'anima umana, quindi ai corpi, quindi ai bruti, quindi alle cose, tutte
della natura.E quifa duopo ricordare che mentre Cartesio col suo dubbio
universale prese la via delle speculazioni intellettuali a sta bilire i gradi
della verità , Bacone da Verulamio , coldubbio stesso fondamentale, prese la
via del le sensazioni, ed al fine desiderato pervenne in cammino più regolare e
meno incerto. Piega alquanto piùla sua mente al Cancelliere d'Inghilterra che
al pensatore dell'Aja. Ora chi potrebbe mai credere che dopo ise coli di Bacone
e Condillac sorgessero nuovamente, nelle dottrine delle idee , i secoli di
Cartesio e di Malebranche? Eppure oggi è cosi.Umana mente!
varsiesistenzefuoridinoi,erisultarel'uomo da un corpo e da uno spirito,
sostanze interamente fra loro per essenza e ' chę i sensisieno ingannevoli
guide alla umana ra gione ; e che perciò l'anima nostra ha in se stes . sa e
per se stessa principj stabili, cui tutte le
1 Ora tornando al nostro laudando diciamo che parlò egli primamente
della esistenza e durata d e glienti modali; poscia diquelle sostanze che nelle
loro idee inchiudono essenzialmente un qual che modo di essere';e
fondo le principali massi me dellaumana certezzasullaesistenzade'corpi. Dalle
essenziali proprietà degli enti corporei stu diò pur egli l uomo sotto il
duplice rapporto di sua materiale e spirituale sostanza; e ragionando
dell'anima, ne fissò la essenza sulla immateriali tá di lei, donde le sue
potenze intelletto é vo lontà . La credette immortale; e mentre Cartesio ne
tacque la dimostrazione, scrivendo in una sua lettera non essere necessario di
mostrare la immortalità dell'anima tostochè siasi provata la sua
spiritualenatura, non volle tacerla col pubblicare il discorso sulla
immortalità dell anima umana. Da troppa vanitàdinome; ed al desiderio di
piacere agli amici, motteggiando alcun poco , egli fu 'mósso a scrivere contro
Papi filosofo sabinese sostenendo a tutta possa, ma non con persuasione di
aninio, le dottrine del suo prediletto Cartesio sulla vita antomatica delle
bestie; volendosi però nascondere bizzarramente coll'intitolare il suo saggio “
Sofilo Molossio Pastore Arcade Perugino Custode degli’armenti automatici in Arcadia'.
Apparve preziosissimo a tutti questo saggio e se ne m e nò'romore in tutte le societá
dotte di Roma. Tali erano i sali attici in esso 'raccolti, i vivaci sar casmi, ileggiadri
concetti. Avvenne però che dopo sei annila suprema inquisizione con decreto
solenne condanna l'opera del Pastore Arcadico Sofilo Molossio. Ale 8
e e le sue ferme opinioni sull' animalitá delle bestie; protestandosi in
mille modi vero seguace di PITAGORA, e vero devoto a tutto ciò che la umana
credenza prescrivesi. Fu questa la sola nube che per poco offuscasse l'ottima
famadel Pascoli nel corso della lunga etá sua, é questa fu del suo animo la
dispiacenza più viva. песа.Applicatevidasennoafilosofare,poi che 2 per tale via depurate la mente umana da gli
errori che la offuscano, e sollevata dalle passioni che la opprimono, si eleva
cosi libera e tranquilla a tale grado di serenità , dove gode veramente di se
medesima Stabilito avendo 9 lora fu che ilPascoli accortosi dell'errore cui con
dotto lo aveva una sua male accorta vanità di spirito , ritrattò subito
pubblicamente le sue opi nioni;enelSofilosenzaMaschera scuoprìilsuo vero nome
Erano pure a suoi tempi, quali oggi vivono, alcuni falsi sapienti , che
superbamente umili, a busando del comune adagio, id tantum scio quod nihil
scio, il più irragionevole scetticismo nelle coșe tutte proclamavano , e di
ogni credenza e di ogni filosofia si facevano dispregiatori e nemici , Contra
tale specie di stupidi pensatori si scagliò il nostro Pascoli; e fece conoscere
come filosofare non altro è se non se rettamente pensare, essendo che chi mal
pensa conviene che male discorra, Sulle traccie di Platone, di CICERONE,
d’AQUINO, di Cartesio, ripete a tutti conse l’apprensione, al giudizio, al
discors , al metodo; e a diligente disamina tutte prendendole, formò il suo saggio
di logica, seguendo ugualmente la pre diletta sua cartesiana maniera. Espnse
quindi i precetti del ben' apprendere , del ben giudicare, del ben parlare, del
ben disporre. Prefere il metodo analitico che il pensiero è all anima
essenziale, come alla materia è la estensione , parlò delle operazioni del
nostro intelletto, le quali ridusse all' per istudiarelecose,elochiamò metodo
di risoluzione o di disciplina ; si servi del metodo sintetico per insegnare ad
altri, e lo disse metodo di composizione o d idottrina. Dopo che la scienza del
calcolo per la invenzione de' caratteri algebrici si fece più ordinata, e di
più estese applicazioni capace, lo studio delle m a tematiche divenne
universale ad ogni sapiente: e di quanta utilitá si renda allo sviluppo
dell'uma no intelletto ed alla ricerca del vero , ognuno di leggeri il conosce
. Studio si fatto non poteva es sere dal nostro Pascoli trascurato, e sulle
opere del Gottigues, dello Scohetten, di BARTOLINO; dell'Ozanam , di FARDELLA,
di Cartesio si for mò matematico. Scrive il saggio di logistica od arimmetica,
nel quale prendendo a trattarele quat tro operazioni fondamentali, non in cifre
numeri che,ma in algebriche, intitolò il suo lavoro col nome di Arimmetica nova
o speciosa: ed applicando le stesse operazioni alla dottrina de'polinomj, la
quale perviensi a studiare le leggi del moto. A lui però non piace solamente
seguire le dottrine di questi s o m mi, ma cerca direnderle più facili epiù
sicure. Lasciò di ragionaré del moto in astratto; e col tatto, colla vista, coi
sensi, in concreto lo e samino . Parla della natura, condizioni, proprietà, e
leggi del moto per impulso esteriore ed in virtù di elastica forza. Quindi si
lancia col pensiero, in alcuni moti possibili rispetto al vortice massimo del sole.
Con tale chiarezza di principi, con tale ordine d'idee egli ne seppe parlare
che meritò l'approfazione sincera ditutti i dotti e capace. Archimede, GALILEI,
Gassendo, Rohault, Cartesio avevano già insegnata la strada per la quale
perviensi ed alle equazioni, dette compimento alle sue fatiche sulla indole dei
nostri pensieri. Pose poi mano alla fisica, od a quella scienza vastissima , la
quale avvicinando al nostro pensiero le cose materiali che ne circondano, fà
che lumana intelligenza al più alto grado di sublimi tà siconduca L'uomo di fatti penetra con la sua scorta i
più nascosi secreti della natura; e con leipasseggiandolaterra e con lei
traversando glioceani,e su cieli passeggiando con lei,fache sopra tutto il
creato sovranamente s'innalzi. La prima verità che ci insegna la fisica è che
il m o to costituisce il fondamentale fenomeno de'corpi tutti. Ond'è che tutto è
movimento in natura,o tutto a movimento èdisposto, o tutto di movimento è. Il grande
matematico e fisico cremonese BIANCHINI glie ne dette la più solenne e pubblica
testimonianza Mi si dia materia e moto, dice Cartesio, ed io imprendo tosto a
crea re un mondo , il Pascoli con maggiore umilta così diceva “ Materia e moto
sono i due prin n.cipali strumenti, donde con sua possanza si »
valeDio,dimomento inmomento,aprodur 9. rac racoli, e miracoli di stupor infinito.
Si ode oggi nelle nostre scuole far menzione di un etere comune, di un
imponderabile unico ed universale, motore di tutti I fenomeni iquali hannoluo
go "nei movimenti della materia e degli animali . Le scuoleAlemanne
apreferenzadialtre risuo nano di questa materia unica-eterea, capace a prendere
diverse forme ed aspetti, tutto pene trando investendo agitando il creato: La
vide pure questa materia motrice universale: ciò che dicono oggi con tanto
entusiasmo, e for se con troppa persuasione dinovità, Mesmer, Wohlfart,
Sprengel ed altri sulfluido elettro-magnetico universale; ciò che con tanto
calore pro e con eguale robustezza di argomenti dimo strato dal nostro
Alessandro 1 e in natura, senza miracolo , continuati min & clamano
Lennosseck, Prokaska, ed Ennemoser sulfluido biotico universale de corpi
viventi, era stato già conosciuto non meno chiaramente dilo ro, Finalmente
volle ardimentoso inalzare i suoi sguardi ai movimenti del sole e nel
vastissimo campo dell'astronomia tentando alcun passo quale ché suo
opinamento volle manifestare. Si dichiara del sistema astronomico di Copernico
e di GALILEI oppositore fermissimo. Ma qui potrebbe dataluno dimandarsi, se il facesse
egli forse per tenere dietro alle massime proclamate dalla romana corte nella
quale viveva? Nò. Chè la saggia condotta dei prudenti interpreti delle sacre corte
ha assai già moderata la forza di quegl’anatemi scagliati un secolo innanzi
sulla tomba del riformatore di Thori, e sul capo del pensatore pisano. Potevasi
allora dalle pubbliche scuole o ne communi discorsi dei dotti liberamente
difendere (come ipotesi) ilmovimento terrestre e la stazione solare, senza tema
di contraire brutte macz chie nell anima, o a spiacevoli incontri soggiace, re
Ond'èchese con tutta la forza del suo'sapere alla copernicana sentenza si oppose,
ciò fece'con intima persuasione di mente , e non per condiscendenza di basso
cortigianismo. Nei e il solo che dalla credenza di Coperni colunginestasse. Imperocchè
fra i moltiche ridi re potrebbonsi, quel grande onore d'Italia, quel
l’astronomo profondissimo della dotta Bologna, MANFREDI, basta per valente
compagno del nostro Alessandro rammemorare. Vero si fu peròche a fronte
degl'ingegnosi sforzi di tanti uomini insigni, prosegui ilsuo cammino la terra,
è fermo il sole si stette. Qui terminarono le fi losofiche laboriose
occupazioni di lui, e conqueste sole poteva rendersi della Patria e della
nazione assai benemerito : ma fu pure medico Alessandro Pascoli, è inedico di altissima
riputazione. Se sono grandi i nomi dei restauratori della umana filosofia, non
meno grandi furono quelli di Silvio, di Lancisi di Baglivi, di Ramazzini, e di
altri che le medie che scienze ad alto grado di rinomanza condusse ro .
Alessandro Pascoli visse nel tempo in cui la medicina seguiva tuttora le
insegne de'Jatro-chimici, dell'Elmonzio, e del Silvio; insegne che stavano già
per cangiarsi dal Santorio e dal B o relli,onde quelle trionfassero degl’átro-matematici
ed e meccanici. Nè si per verrá mai a spiegareun costante ed unico vessillo
sotto il quale si raccolgano in ogni tempo i cultori della medicina le che sia
proprio di lei in tutte le età che trascor. rono? Grande e funesto destino, a
molte scienze comune , alla medica comunissimo! Conosce in quali giorni vive;
quale del secolo suo fosse dominante lospirito; epienodialtoin gegno ,nellamedicascienza
sifèvalente:Carte sio aveva per dodici interi anni studiato'l'Anato mia a fine
di ben conoscere l' uomo ; e il nostro Pascoli per non minore tempo applicò la
sua m e n te allo studio profondo della struttura del corpo umano. Annuncia
sulle prime ai dotti un trattato riguardante i cangiamenti che provengono agli
organi corporei per cagione delle passioni: pensiero veramente sublime sul
quale però le speranze di ognuno restarono pur troppo delase . Ai tempi del
nostro Alessandro l'Anatomia non avevaancorastrettocon altrenaturaliscienzequel
Putile nesso di che oggi si onora ;né quel filo sofico linguaggio, nè quelle
sottili applicazioni si trovavano in essa , siccome in quella d'oggidi noi
ammiriamo.Allefaticheed allementi sublimidi Scarpa , di Soemmering, di Mechel,
di Portal, e dell'immortale Bichat dobbiamo la eccellenza cui oggi l'anatomico
studio è pervenuto . Nè Vicq d’Azir, nè Geoffroy di Saint Ilaire', nè Blecard,
nè Gall vissero in quella età; pure potevasi quel tempo chiamare il tempo delle
scoperte anatomi miche . Erano già nati gli scrutatori sommi"dell’uman
corpo Arveo, Senae, Asellio, Willis, Nuck, Malpighi, Ruischio, Lancisi ed
altri. Vive e studia con Redi. Ciò basta. Insieme per più tempo in Firenze si
occuparono indefessamente di anatomiche dissezioni e quel dotto scrittore
toscano ha caro Alessandro quanti altri mai, al grande Cosimo presentandolo
quale soggetto degnissimo di tutta la considerazione sovrana. La fabbrica del corpo
umano dal nostro encomiato descritta non presenta, è ver, peregrine cose. Ma
l'ordine, la chiarezza, la concisione rendettero il saggio suo utile al
pubblico insegnament , pel quale oggetto egli stesso si protesa averlo
unicamente composto. Quando il gran Malebranche si avvenne nel libro dell'uomo
di Cartesio, ed ipcontrò in questo filosofo un ge vio simile al suo, prese
(dice l'elegantissimo Fontenelle) il grande partito di rompere ogni commercio
con le erudite facoltà, ed in seno del cartesianismo tutto si abbandona. Legge il
saggio medesimo di Cartesio, lo medita profondamente e scrive egli pure
sull'uomo. Mentre però l'uomo di Cartesio e di Malebranche fu l'uomo del
metafisico e del filosofo, l'uomo nelle mani del Pascoli e l'uomo
dell'anatomico e del medico. Ha somma intelligenza nell'osservare i fenomeni
dellaumana vita, sicchè lemas sime del suo Cartesio con quelle modificate del
gran Cancelliere d'Inghilterra, formarono in lui quello spirito di filosofia
induttiva, il quale alla ricerca del vero nelle cose di fatto e perciò in
medicina, è l'unica sicura via . Scrivendo dell'Uomo prese Alessandro ilgiu sto
partito di primamente designarne le parti , quindi ad esse dare vita ed azione,
poi de'mali a cui vanno soggette tenere ragionamento, e fi nalmente l'opportuno
metodo curativo de morbi con tutta la modestia del dire proporre. In tale modo
ilnostro encomiato presentò alpubblicoun tesoro di dottrina, che per molti e
molti annida ogni medica scuola Italiana fu allo insegnamento de
giovani:offertoe prescritto, riputatolo per il prezioso e completo deposito
della medica scienza . Le opinioni di Galeno e di Silvio erano quelle che fra i
cultori d'Igea in quel tempo tut tor dominavano , Stava per sorgere la setta del
più solidismo, ed Elmonzio, Cartesio, Silvio erano ancorai tre
grandi nomi proferiti dalla bocca di tutti; cosicchè fra i conciliatori e
moderatori di questi tre Principi delle mediche scuole si e mento etereo piú
sciolti gli umori , ed il moto fer mentativo di essi prodursi . Questo elemento
lá presiedere alla circolazione sanguigna, qua tutto il fonte del calore
animale sostenere perenne. Era quest etere per Alessandro la fondamentale sor
gente delle fermentazioni non naturali, donde le febri tutte'nascevano che ove
accada condensa mento di esso,lemaligne;ovesoluzione,lebe nigne; ove infine
abbia luogo latente glandolare fermento, originarsi le intermittenti opinäva.
Po i te dottrine fisiche di questo etere universale espo neva', la sua azione
sulla vita degli organi', finalmente l'applicazione di esso alle dottrine di
Scrodéro, di Hoffmanno, di Etmullero, diLemery , e degli altri molti di quella
età . E forse che non potremmo noi parlare lo stesso linguaggio, sostituendo al
nome di etere cartesiano quello di elettro-magnetico? Io i l dimando Abituato il
nostro Pascoli fin dall'infanziaa piegare la sua mente al metodo geometrico e a
disporre le sue idee con quell'ordine e successio ne, utile al buon’acquisto di
tutte le cognizioni il nostro Pascoli . Quindi è che nelle sue opere
parlasi dello spirito di Willis, del fuoco di GIRGENTI,del l'archeo di Wan
-Helmonzio, del primo elemento di Cartesio :e si dice farsi per virtù di questo
ele pose + 17 + 4 Oltre al suo trattato dell'uomo, che abbraccia l'intero
studio della medicina , sono n u m e rosissimi i suoi Consulti, le sue Lettere
, i suoi Votiemessi in oggetti di pubblica sanità.Incau se dificili di Foro
canonico e civile, in Canoniz zazioni di santi uomini diede Pareri e Giudizj,
che guidarono le Autorità competenti a retti e s e n sati decreti Avendo inoltre
il Pascoli,saputo unire a somma dottrina, urbanità di modi nel conversare , ed
umiltà di espressioni nel parlare e nello scrivere, non é a stupirsi se ai
dotti d'Ita+ lia ed oltremonte rispettabile e caro addiyenisse L'amicizia che
seco lui ebbero un Redi, un Magliabecchi, un Montemelini, un'Ottaviani,unLes
protti, un Zannettini, un Lambertini, un Segur, un Baglivi; da quali o
dedicazioni di opere, o non interrotte scentifiche corrispondenze, o laudi
sincere egli ottenne, siccome fecero pure un Bian chini,un Loy,un Marini,uno
Sprengel,un'Al ler ; ci ayvisano dovere riporre Alessandro Pasco li fra gli
uomini grandi, che in filosofia ed in mea umane, e preciso nel descrivere gli
organi, chia ro nello esporre i fatti, esatto nella diagnosi, cautissimo nella
prognosi. E poi semplice quanto mai possa dirsi nel metodo del medicare, e
dichiarossi nemico di ogni farragine farmaceutica, ripetendo sempre a se stesso
e ad altri che a buon medico pochi medicamenti bastano o 18 di pintore pochi
colori. come a buon ; dicina fiorirono fra il terminare del secolo decimo
settimo e del decimo ottavo sul cominciare, Il nostro Pascoli legge in Roma anatomia
e ,edicina dalla più fiorente alla più tarda etá sua, grandi opori godendo e
distintissime cariche sem pre occupando. I papi Clemente XI, Innocenzo XIII,
Benedetto XIII, Clemente XII. lo hanno a medico, Archiatro lo salutarono,
Protomedico lo proclamarono, lo scelsero Conclavista. Del supremo tribunale sanitario,
della congregazione dei sacri riti, fè parte onorata e principale, tanta era la
dottrina che quella romana corte in Lui venerava . Potrebbe forse da taluno di
noi dimandarsi se il Pascoliavesse meritatosigrandeecomune conside razione come
Medico pratico,quanta ne ebbe come teorico;imperocchè pur troppo è duopo
riguardare la medicina sotto ilduplice aspetto diScienza edi Arte.Difatti non
rade volte accade che amedico quanto ésser si voglia dottissimo, manchi quel
tatto pratico, quella squisitezza di medica vista, e, dicia molo pure ,
quell'inesplicabile nesso di favorevoli 19 Dopo che per due lustri dalla
patria Univer sità degli Studj, e dalle private Accademie le fisi che,e mediche
scienzeinsegnò,Padova eRoma il chiedettero a gara , generosamente patria
novella offerendogli. Il Pontefice Clemente undecimo a se chiamatolo, fece si
che a Padova, cui era già sul punto di recarsi, Roma preferisse. E così Perugia
lo perdette per sempre e E quièbenforzacrederecheAlessandroPa scoli
vivendo dodici lustri in Corte, in Roma,tra Grandi , tra Principi sempre ; cui
furono affidati in téressantissiminegocj delle Principesche Famiglie Albani, Chigi,
Rospigliosi, Sora ed altre, fosse di grande ingegno, di profonda politica, di
somma costumatezza dotato; dacchè, una di queste do ti che manchi, a sorte sì
grande non si pergie ne , o per poco di questa si gode. Difatti sappia m o come
tra le tante virtù che lo adornarono, erano prime il decoroso contegno in che
egli si tenne, l'essere del suo buon nome forte difenditore, il 20
incontri e di buone venture, che tanto valgono al la propizia riuscita
dell'esercizio clinico, e su cui la opinione e la fidanza di ottimo e felice
medico riposa. Nel nostro Alessandro sembra che tutto si riunisse a renderlo
valente nell'arte come nella scienza rinomatissimo. Ed in vero pel lungo corso
che visse all'aura del Campidoglio, non fuvvi personaggio distintocui non
prestasse medica mano o medica consultazione. Oltre ai pontefi ci
sopraenunciati, la regina di Polonia ed i suoi figli, gli Elettori Bavaro,
Sassone, e Coloniense, la Regina d'Inghilterra, ed ogni altro Principe e
Grande, (a quali sifortemente il vivere più ca le ) lui ebbero a tutela de' propri
giorni bene ed ilparlar pensar bene di tutti, siche tutti rispettando ed amando,
seppe da tutti rispetto riscuotere ed amore. Cosi Roma e ammiratrice di un
filosofo Perugino. Ed il suo nome onorato più spesso colà che tra noi si
pronuncia forse e si ripete. Lontano dagl'incanti del bel sesso, ne fuggi
perfino, in quanto il potè, la medica cura. Che più? Con religiositá e fortezza
di animo sostenne una completa cecitá, senza che in se stesso foss'egli meno
tranquillo, nè meno fosse da altri dimandato e compianto. Che se al possedimento
disua vasta dottrina, se al buon successo dell'arte sua, se al corredo delle
nobili doti dell'animo che in Pascoli fece ro si bella mostra di loro, si
aggiunga la felicità de' tempi nei quali visse, dovremo anche meno stupirci che
potesse egli giungere al più alto grado di celebrità e di onoranza . Io voglio
dire la felicità dei tempi; ossia quell buon tempo ai dotti propizio, in cui dessi
sono veramente stimati, e nel quale i Principi, ei Grandi concorrono agara
(siccome oggi) informar li, tosto chè i principi e i grandi bene conoscono che
le scienze e le lettere sono veramente il sostegno de’ troni, e delle nazioni delle
cittá dei paesi il primo ed il più luminoso decoro. Ed alla estimazione de' medici
credo che non poco in ogni tempo contribuisca la buona Fidanza de'popoli, colsaldo
tenersi di quel velame che agli occhi del volgo i misteri nasconde d'Igea; velame
tanto utile che sia serbato; imperocchè la remozione di esso chi ne abbisogna e
cui serve reciprocamente danneggia. Dopo si grandi fatiche, carico di meriti e
di onori, questa misera terra abbandona e perenne ricordanza dei
posteriche cirima ve dilui? Laviva fama delle suetante virtù, ladi lui valentia
nell'arte del medicare; e più ci restano i suoi numerosi volumi , depositarii
immanchevoli del vasto sapere nelle fisiche e nelle mediche facoltá. Saremmo noi
co tanto ingiusti per dimenticare i sudori dei dotti che ci precedettero ,
solamente perchè il modo loro di filosofare non è più simi le a quello de'tempi
nostri? E vorremmo noi far ci riputare così creduli e così inorgogliti nel
lusin garci che alle dottrine ed alle massime nostre del la filosofia e della
medicina, tutti coloro che ci suc cederanno coi secoli pieghino riverenti la
fronte e le venture età inalterato rispettino ciò che ad esse faremo noi
pervenire? Non siavi chi lo cre da , o la storia dell'umano sapere ne
disinganni, Ond' è che degli esimj ingegni, dei benemeriti cittadini,
degl'insigni scrittori,sebbene lunga serie di anni da essi ci divida, serbare
si debbe ricor danzavivissima,afronte decangiamentiaquali
puògireincontrol'umano filosofareeilmedi co opinamento. Si, dotti Accademici,
apprezziamo mai s e m prelefaticheutilide'trapassati, seneimitinoi buoni
esempli, se ne rispettino i nomi ; ed il titolo a non meritarci d'ingrati, le
loro tombe di verdicorone di lauro con più frequenza e con più giustizia si
onorino. Rivolgendosi al Busto marmoreo dell'Encomiato, che innalzavasi nella
Sala dell' Accademia. Tutto ciò che vien detto di Alessandro Pascoli in questo
Elogio, come filosofo e medico , è tolto dalla let tara ed analisi fatta delle
molte sue opere , in diversi tem pi pubblicate; il catalogo delle quali trovasi
registrato nella Biografia dei Scrittori Perugini delchiarissimo Cavaliere Gio.Battista
Prof.Vermiglioli all'Articolo Pasco li Alessandro - Noi credemmo di non
trascrivere ibra ni medesimi dell'Encomiato, a conferma de' suoi detti e delle
sue opinioni , e ciò per non aumentare la stampa inu tilmente; sapendo che agli
eruditi medici sarebbe ridire le cose stesse le quali nelle opere delPascoli
già bene conoscono , o potranno rilevare quando lo vogliano . Quello poi che
riguarda la di lui vita privata e so ciale lo rilevammo dalla storia di sua
famiglia , dalla Biografia sopracitata; nonchè da quella degli illustri italia
ni compilata dal chiarissimo Sig. Emilio de Tipaldo, Venezia. Finalmente da non
poche pregevoli notizie ms. lasciate da Francesco Aurelio Ginanneschi, giovane
di Alessandro Pascoli, ed ultimo che stet te venti e più anni con lui, e perciò
informatissimo della sua vita. Questo ms
trovasi presso di noi. Nacque da Domenico Pascoli, e da Ippolita
Mariottini . La famiglia dei Pascoli fu originaria di Ravenna, siccome ne scris
se Celso , fratello del nostro Alessandro , nella storia del la sua Casa .La
prima di esse fu stampata in Roma in 8°, presso lo Zanobi, dedicata a Fabrizio
Paolucci, Segretario di Stato di Clemente XI. La seconda che contiene tutta la di
lui ritrattazione e pubblicata egualmente in Roma in 8° per il Buagni, dedicata a Banchieri assessore
del S. Officio. Ambedue queste operette interessanti la vita letteraria ed i
sentimenti morali del Pascoli le abbiamo nella Biblioteca pubblica Scaff. Quando
la Regina d'Inghilterra in Roma lo chiama a medicarla, nell'atto di presentare
il polso, gli disse. É vero, Sig. Dottore, che voi non avete piacere di
medicare le donne? Alla quale dimanda egli risponde. É verissimo, ma non le regine.
Muore in Roma. confortato da tutti gli ajuti della Religione, Gl’ultimi18 circa
dei quali in una completa cecità Fù sepolto nella Chiesa di S. Silvestro a
Monte Cavallo de' RR.PP, Teatini- La Iscrizione sepolcrale umile, compostasi da
se medesimo, e che trovasi tuttora sopra l'avello, è la seguente. Hic Posuit
Exuvias In Die Irae Resumendas Alexander Pascoli Perusinus Verissimo. Non mi
piace medicar le donne, ma non le regine”,eforsedeglialtri,chesap di Antonio
Blado); Trattato della mutazione dell' altra Lettera si apprende che avea
aria,in4. Roma per Alessandro Gar. Pure scritto un trattato di Rettorica
danoec.Di questo opuscolopro- eprincipalmente sulla Invenzione dusse il suo giudizio
il Bonciarioia dicui ne offer copia allo stessoBon una letterainedita. Perchèi Digesti
si allegano morie di sua famiglia originaria di Ra iniscrittoperdueifedil paragra-
venoa, epoistanziataio Perugia; eda fo per due ss congiunti. queste memɔrie
medesime passate quin 2. Del partodell'Orsa . piano e non siano appassionati.
Da V. Conclusione del Tribuno della scoli,ed. Ippolita Mariottini.Termi
plebe,in4.RomapergliEredidi natiigiovanilisuoistudiipressoipp. suo articolo, e
dal Vincioli nell'opu scolo sullo stesso argomento. I ràstampata velan anderò. Leco-
Dizionario medico,che egli di e che io farò non saranno da sco- morando in
Firenze , studiò assidua »lare,elatineperqualchemese>,ma
mentealloSpedaleperfareosserva »volgari, e contro tutta l'Accademia zioni anatomiche,
eperpoterecosì fiorentina, massime sopra il Boccaccio, migliorareunsuo Trattatosulcangia
Gennajo da Domenico Pa. egli tolse a seguire la medicina
VI.VersiinLodedelleacquedi incuineotlennelemagistraliinsegne S.Galgano. Civengonoricordatidal.
quandocontavasolianni21. Grisaldiioquellelettererammentateal Posciasirecòin
Firenzeameglio apprendere la scienza salutare alla scuo e ciario . della Poesia,in
CelsoPa. IIF. Questione di Giovanni Osma. Romapergli Eredi rino Gigliotto
Magistrato. anguste ma lucrose vie del fo. PAPA scoli fratello di Alessandro, e
di Leg IV.Risoluzioni di quattrodubbj. ne, dimorando in Roma scrisse le me di a
suoi posteri, noi raccoglieremo le 3.4. Del Perseo, e del Pesco, e brevi notizie
di Alessandro, e Leone. loro natura . Roma per gli Eredidi Nacque Alessandro in
Perugia nel Gio. Gigliotti ,in Giovanni Gigliotti. E'questoun' Gesuiti, che conoscendolo
di bello in opuscolo con cuisicoufutano leopi- gegno, desideravano a loro condurlo,
e nionidi Plutarco, del Manuzio edel terminate gli studii legali, perch èil
Sigonio, iquali credettero che il Tri- padre voleastrascinarlo miserameate buoo
della plebe in Roma non fosse per le ro taliana, esoprailBoccaceio.Gioviin-
buonesperanze,nonostantechesi tendernepocheparole:»Sostatotardo
riducesseagliestremi.Ristabilitositor n'arisponderviperchèm'haingom-
nòaprosperamealeesercitarelasua »bratotuttopiùdiunmeseunacom-
professione,ecolfavoredeldottoMae »posizioncellachehofattaperun
stro,potèpresentarsial Gran-Duca »miopatrone, laqualesubitochesa- CosimoI. Aggiugnel'Eloynelsuo
ladi Francesco Kedi, e mentre co Da una lettera inedita di Lorenzo si sotto di lui
attendevaallaclinica, al Bonciariosembracheeglisiaccin-
fudamortalemalattiasorpreso,ma gesse a scrivere anche sulla Lingua i- il Redi
medesimo ne concepì sempre e èverissimo, ma non le Regine. Fu
Rimpatriato nuovamente si posea anche medico straordinario deiPonte studiare le
lingue greca e latina sot- fici Clemente XI. Innocenzio XIII. Be to il Canonico
Guidarelli, dicuiveg. Pedetto XIII. eClemente XII. incom gasil'articolo, e le Matematiche
sot- pagnia di Leprotti,ilqua to ilDottorNeri,mentrenon lascia-
lemoltoprofittavade'consiglidel Pa vadiattendereancheallaMedicina
scoli.Doveaesseremedicoprimario pratica, soltoLodovicoViti; nèpassò pontificio,
ma per non imbarazzarsi poi molto tempo, che ottennein pa gui la giubilazione.
Veggasi la dedica premessa alla sua opera de Hom inc . Marini Archiatri PontificjCaraffa
de Gymn.Rom. Com , in stud. Med. Borhe. Valen.1741.
enuovamentetraledisputazionimedicheraccoltedall' Halleer, per le
approvazioni da farsi ne'miracoli Adaltrionorifuinnalzatoin Ro-
operatiadintercessione de’ServidelSi ma, imperciocchèebbe luogo frai
gnorenellaloro canonizzazione e ,esi XII.ArchiatridelCollegiode'Medici
dique'prodigjdistesepurealcunedi efragliArcadicon ilnomediSofiló squisizioni.ProfessavalaMedicinacon
Molossio.Varie istituzioni sanitarie lo semplicità, e dioesiche il rinomatissi
ebbero a medico in Roma, ove cura mo Cardinale Alessandro Albani Camer la
Regina di Polonia , ed il suo figliuo- lengo, lo ebbe in tanta stima, che non
soleva conferire impiego a perugin , se non gli veniva raccomandato lo , gl’eleltori
di Baviera e di Colonia, llo fante Elettorale di Sassonia
elaReginad'Inghilterra,laquale dalPascolichesoleachiamareilCa nell'ultima
malattia volle il Pascoli merlengo perugino. Fu avuto in isti. e narra Celso
suo fratello , che nella ma anchedalcelebre Hallerche ne
primavoltaincuiAlessandroletoccò parlònelleoperesue(4),edilSeguer ilpolzo, glidisse
la Regina, onève àlui dedica la sua Schedula
monito. ro Pascoli, che voi non avete pia- ria ec. PA mentodegli
organicorporeiper ca- ceredimedicardonne?»cuirispose: gione delle passioni . PA
171 triaunaCattedradiFilosofia,cheten- ri;nonostanteperòfucontinuamente
neperapni10.,ragunandopoisem- ingraziadeglistessiPontefici,edi preincasasuaunaAccademiaaperta
vennemedicodelConclavedopola diLetterati.Intantofuchiamatoaleg-
mortediBenedettoXIII. eequandofu gereinPadova,ementresidispone
creatoClementeXII. Vaarecarsiaqueldottissimo Studio,
Inoltredal1928.al1736.aveaeserci Clemente XI.lochiamò aleggerenell' tata in
Roma anche la carica di Pro ArchiginnasioRomano. Coldreca.
tomedicodiquellaMetropoli,edello tosi incomiocid tosto ad iosegnare, la Stato
Ecclesiastico e la Consul
Notomia,chepernoveannicontinui tasoleasemprericercareisuoivoti vi professò;
ottenne poi alire catte- in qualunquebisogno di medica poli dre di Teorica e
Pratica con vistosi zia.Fu similmente varie volte occu
stipendi,finchènel1951.neconse patodallaCongregazionede,Riti nellaCorte,
rifiutò semprequesti ono PERVGINVS VIXIT
OB.V. tica il Sig. Pietro Angelo Papi M e 1.Dellefebbri TeoricaePratica
dicoeFilosofoSabinese.Roma1706. secondoilnuovosistema,ove tuttosi perilZanobj
8. spiega per quanto è possibile ad im Dopo il lungo spazio di 6. anni ,
mitazionede'Geometriec.Perugia fuproibitaquest'opera,el'Autore X. Della natura
dei nostri pensie; Osservazioni Teoriche e Prati- ri, e della natura
concuisiespri che di Medicina inviate fonde in virtù di loro elastica possan.
Sofilo Molossio Pastore Arcade zaec. Roma presso Rocco Barnabò perugino, e custode
degli armenti automatici in Arcadia. Gli difende dal De homine sive de
corpore PA PA l pel Costantini 4.Sieguonoal-
toccodascrupolopubblicòilN.VII. cunisuoidiscorsiinmateriemediche.
AnatomeLiterarumsivePal. Morì santamentein Roma nella vecchia etàdi
valloconquestaiscrizionenelsuotu. anni89.edopo18.annidicecità,e
mulocheerasicompostaperluistesso. Le dolle opere che lasciò a' poste- ri sono :
lo scrutinio che nefa nellasua cri • II. Il Corpo umano o breve Istoria dove
con nuovo metodo si descrivono ladis pervestigatio ec.Romae In ultimo
vannoaggiun- per lo Buagni .Vedi ilN. V. .M. HIC 0.POSVIT ,EXVVIAS IN .DIE
.IRAE .RESVMENDAS ALEXANDER .PASCOLI typis CajetaniZanobii8.L'anno1715.
incompendiotuttigliorganisuoi, furiprodottaperloSalvioniin4.con cd i loro
principali officj ec .Perugia 1700. pel Costantini in 4.Ven.1712. qualche
diversità nel titolo. VII.Sofilosenzamaschera.Roma te due Pistole del Baglivi
al Pascoli : Defibrámotriceetmorbosa,necnon zionidialcuniServidi Dio.Roma de
experimentis ac morbis ec. 1741. per (1)Giornale de Letterati Ven. fusepolto in S. Silvestro di Monte Car Voti
scritti per le Canoniza-. Del moto che nei mobili siri. Nuovo metodo per
introdursi IX. Deimotoche nei corpi sidif ad imitazione de'Geometri con ordi-
fonde per impulso esteriore ne , chiarezza e brevità nelle più , Tratta sot- to
fisico matematico ad insegnare la tiliquistionidiFilosofia,Logica,Mo-
possanzadegliclementi4.Roma per rale,eFisica.Ven.perAndreaPo- 'loSalvioni
letti1702.in4.vediilN.X. fig. (1) o lettere mono.Riflessionimetafisichecc.Ro
aglieruditissimiSignoridisuapri- ma1724.4.(2)Servedisecondapar
vataAccademiaec.Ven.1702.per teall'operadataalN.I. Andrea Poletti4.,ed
ivinuovamente humanovitamhabenterationetampro- insegne;econtinuandoinessigiunse
speraetamaffictaevaletudinis.Li- a cuoprirel'onorevolepostodiSegre bri
tres.Romae 1728. vol.3.in4.ex per Andr. Poletti (sò posciaaRavenna ,d'onde
alloscri. onori , che non versavansi allora con soilBarnabòcon varj discorsi.L'
tantagenerosità,perchèalsolomeri operastessafuristampatainVenezia
toconcedevansi.Scorsipochimesidi pel Polettiin4.cuisiag.
suadimorainFirenze,tornòarive giunseunamemoriadelSeguerdiret-
derelapatria,dacuisirecònuova. ta al Pascoli . mente in Roma sede degli studii
lega XIV.Alcuniopuscolianonimiin li, versode'quali Leonecrainclina. Difesadi AlessandroPascoli,
Sicre-tissimo,laquella Metropoli diportava. donosuoi, esonoinrispostaadal-sicontantasaggezza,chedivennefa
triopuscoli del bresciano Cri- miliaredelDucad'WedaAmbasciado.
stoforoZannettinigiàstatoscolaredel redelRediSpagnaallaCorteromu.
medesimoPascoli;edinquelledispu- na. Ma circostanze politiche, cheoscu. tealtri
moltiopuscolisi videro. Ma raronolariputazionediquelpocoas sennato Ministro, anche
ad egli fe delle sue opere mediche si fe ce altra edizione in Venezia in due
cero cambiare partitie siavviò per volume. Oltregli
unacarrieradiversa.Dopodiaverevi Scritti che al Pascoli indirizzarono
sitatealcunedelleprimarieCittàd'Ita , il Baglivi, ed il Seguer glilia , torno a
rivedere la patria , e ad fudedicatalaseconda edizionedelle
unavastissimasuppellettiledicognizio Maschere sceniche del Ficoroni. Conversando
gl’uomini tra sè, ed avendo inconseguen ROMA ETCRIS EMANUELE Donde è nico il za
necessità di comunicare a vicenda ipensieri, e le linguagio degl, a ز to Cà CO
. Uomini partico idee,che passano intimamente loro nell'animo; nè potendo laze ciò
conseguire in questo mondo sensibile, se non che in virtù di qualche oggetto
atto a muovere i sensi, CONVENNERO DI COMUN CONSENSO ad unire in maniera I loro
pensieri, e leloro idee, ancorche al tutto insensibili, a certi SEGNI SENSIBILI,
ed in particolarealle voci, che queste, stimolando per entro agli orecchi gli organi
dell'udito, destino conun a tale alte razione nell'animo, di chiode, quei pensieri,
e quelle idee, che concordarono di ESPRIMERE per s i n i l i segni, o voci, chiamate
comunemente termini. I termini dunque in logica non sono, se non chele semplice
voci inventate dagl’uomini a piacere per esprimere con maniere sensibili le
loro idee insensibili. Di qui è, che nato è tra i popoli ogni linguaggi po a
rticolare.Di cosi fatto linguaggio, e delle idee, che esso esprime , rispetto
alle operazioni dette dell'intellett, cioè rispetto al raziocinio umano, nel
corso del libro presente facciamo esatta menzione. Alessandro Pascoli. Keywords:
fisiologia, corpo, galileo, il fuco di Girgenti, Cicerone, Bianchini.
Verissimo, non mi piace medicar le donne, ma non le regine” spiegazione
dell’entimema in termini dell’intenzione dei communicatori – chi da il segno e
chi lo receve – il segno sensibili dell’idea della cosa. Equivoco se il termine
e dunque la proposizione rippresenta due idee. -- Luigi Speranza, “Grice e
Pascoli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Pascoli – decadeniza divina
– filosofia italiana – Luigi Speranza (San Mauro di Romagna).
Filosofo.. Considerato il maggior filosofo decadente, nonostante la sua
formazione principalmente positivistica. Dal Fanciullino, articolo
programmatico, emerge una concezione intima e interiore del sentimento poetico,
orientato alla valorizzazione del particolare e del quotidiano, e al recupero
di una dimensione infantile e quasi primitiva. D'altra parte, solo il poeta può
esprimere la voce del "fanciullino" presente in ognuno: quest'idea
consente a Pascoli di rivendicare per sé il ruolo, per certi versi ormai
anacronistico, di "poeta vate", e di ribadire allo stesso tempo
l'utilità morale (specialmente consolatoria) e civile della poesia. Egli,
pur non partecipando attivamente ad alcun movimento letterario dell'epoca, né
mostrando particolare propensione verso la poesia europea contemporanea (al
contrario di D'Annunzio), manifesta nella propria produzione tendenze
prevalentemente spiritualistiche e idealistiche, tipiche della cultura di fine
secolo segnata dal progressivo esaurirsi del positivismo. Complessivamente la
sua opera appare percorsa da una tensione costante tra la vecchia tradizione
classicista ereditata da Carducci e le nuove tematiche decadenti. Risulta
infatti difficile comprendere il vero significato delle sue opere più importanti,
se si ignorano i dolorosi e tormentosi presupposti biografici e psicologici che
egli stesso ri-organizzò per tutta la vita, in modo ossessivo, come sistema
semantico di base del proprio mondo poetico e artistico. Nacque in
provincia di Forlì all'interno di una famiglia benestante, quarto dei dieci
figli due dei quali morti molto piccolo di Ruggero Pascoli, amministratore
della tenuta La Torre della famiglia dei principi Torlonia, e di Caterina
Vincenzi Alloccatelli. I suoi familiari lo chiamano affettuosamente Zvanì. Il
padre e assassinato con una fucilata, sul proprio calesse, mentre tornava a
casa da Cesena. Le ragioni del delitto, forse di natura politica o forse
dovute a contrasti di lavoro, non sono mai chiarite e i responsabili rimasero
ignoti. Nonostante tre processi celebrati e nonostante la famiglia ha forti
sospetti sull'identità dell'assassino, come traspare evidentemente ne “La
cavalla storna”. Il probabile mandante e infatti Pietro Cacciaguerra (al quale
fa riferimento, senza nominarlo, nella lirica Tra San Mauro e Savignano, possidente
ed esperto fattore da bestiame, che divenne successivamente agente per conto
del principe, co-adiuvando l'amministratore A. Petri, sub-entrato al padre dopo
il delitto. I due sicari, i cui nomi correvano di bocca in bocca in paese, sono
L. Pagliarani detto Bigéca, fervente repubblicano, e M.
Dellarocca, probabilmente fomentati dal presunto mandante. Sempre da lui venne
scritta una poesia in ricordo della notte dell'assassinio del padre, X agosto,
la notte di San Lorenzo, la stessa notte in cui morì il padre.
Sull'intricatissima vicenda del delitto Pascoli è stato pubblicato il saggio “Omicidio
Pascoli”. Il complotto frutto di ricerche negli archivi locali e che, oltre a
pubblicare documentazione inedita, formula l'ipotesi di uncomplotto perpetrato
ai danni dell'amministratore Pascoli. Il trauma lascia segni profondi nel
poeta. La famiglia comincia a perdere gradualmente il proprio stato economico e
successivamente a subire una serie impressionante di lutti, disgregandosi:
costretti a lasciare la tenuta, l'anno successivo morirono la sorella
Margherita di tifo, e la madre per un attacco cardiaco (di "crepacuore",
si disse), il fratello Luigi, colpito da
meningite, e il fratello maggiore Giacomo, di tifo. Da recenti studi anche il
fratello maggiore, che aveva tentato inutilmente di ricostituire il nucleo
familiare a Rimini, potrebbe essere stato assassinato, forse avvelenato.
Giacomo infatti nell'anno in cui morì ricopriva la carica di assessore comunale
e pare conoscesse personalmente coloro che avevano partecipato al complotto per
uccidere il padre, oltre al fatto che i giovani fratelli Pascoli (in
particolare Raffaele e Giovanni) si erano avvici tal punto alla verità sul
delitto da essere minacciati di morte. Le due sorelle Ida e Maria andarono
a studiare nel collegio del convento delle monache agostiniane, a Sogliano al
Rubicone, dove viveva Rita Vincenzi, sorella della madre Caterina e dove
rimasero dieci anni: nel 1882, uscite di convento, Ida e Maria chiesero aiuto
al fratello Giovanni, che dopo la laurea insegnava al liceo Duni di Matera,
chiedendogli di vivere con lui, facendo leva sul senso di dovere e di colpa di
Giovanni, il quale durante i 9 anni universitari non si era più occupato delle
sorelle. Nella biografia scritta dalla sorella Maria, Lungo la vita di Giovanni
Pascoli, il futuro poeta è presentato come un ragazzo solidoe vivace, il cui
carattere non è stato alterato dalle disgrazie; per anni, infatti, le sue
reazioni parvero essere volitive e tenaci, nell'impegno a terminare il liceo e
a cercare i mezzi per proseguire gli studi universitari, nonché nel puntiglio,
sempre frustrato, nel ricercare e perseguire l'assassino del padre. Questo
desiderio di giustizia non sarà mai voglia di vendetta, e Pascoli si pronuncerà
sempre contro la pena di morte e contro l'ergastolo, per motivi principalmente
umanitari. Dopo la morte del fratello Luigi avvenuta per meningite dovette
lasciare il collegio Raffaello dei padri Scolopi di Urbino. Si trasferì a
Rimini, per frequentare il liceo classico Giulio Cesare. Gunse a Rimini assieme
ai suoi cinque fratelli: Giacomo, Raffaele, Alessandro Giuseppe, Ida, Maria (6,
chiamata affettuosamente Mariù. L'appartamento, già scelto da Giacomo ed
arredato con lettini di ferro e di legno, e con mobili di casa nostra, era in
uno stabile interno di via San Simone, e si componeva del pianterreno e del
primo piano», scrive Mariù: «La vita che si conduceva a Rimini… era di una
economia che appena consentiva il puro necessario». Pascoli terminò infine gli
studi liceali a Cesena dopo aver frequentato il ginnasio ed il liceo al
prestigioso Liceo Dante di Firenze, ed aver fallito l'esame di licenza a causa
delle materie scientifiche. Grazie ad una borsa di studio di 600 lire (che
poi perse per aver partecipato ad una manifestazione studentesca) ssi iscrisse
all'Bologna, dove ebbe come docenti G. Carducci e G. Gandino, e diventò amico
del poeta e critico S.Ferrari. Conosciuto A. Costa e avvicinatosi al movimento
anarco-socialista, comincia, a tenere comizi a Forlì e a Cesena. Durante una
manifestazione socialista a Bologna, dopo l'attentato fallito dell'anarchico
lucano G. Passannante ai danni del re Umberto I, lesse pubblicamente un proprio
sonetto dal presunto titolo Ode a Passannante. L'ode venne subito dopo
strappata (probabilmente per timore di essere arrestato o forse pentito,
pensando all'assassinio del padre. Dessa si conoscono solamente gli ultimi due
versi tramandati oralmente. Colla berretta d'un cuoco, faremo una bandiera. La
paternità del componimento e oggetto di controversie. Sia la sorella Maria sia
lo studioso P. Bianconi negano che avesse scritto tale ode. Bianconi la define la
più celebre e citata delle poesie inesistenti della letteratura italiana. Benché
non vi sia alcuna prova tangibile sull'esistenza dell'opera, G. Lolli,
segretario della federazione socialista di Bologna e il suo amico, dichiara di
aver assistito alla lettura e attribue a lui la realizzazione della lirica. Arrestato
per aver partecipato ad una protesta contro la condanna di alcuni anarchici, i
quali erano stati a loro volta imprigionati per i disordini generati dalla
condanna di Passannante. Durante il loro processo urla. Se questi sono i
malfattori, evviva i malfattori! Dopo poco più di cento giorni, esclusa la
maggiore gravità del reato, con sentenza, la Corte d'Appello rinvia gli
imputati Pascoli e U. Corradinidavanti al Tribunale. Il processo, in cui
Pascoli era difeso dall'avvocato Barbanti, ha luogo, chiamato a testimone anche
Carducci che invia una sua dichiarazione. Non ha capacità a delinquere in
relazione ai fatti denunciati. Viene assolto ma attraversa un periodo difficile.
Medita il suicidio ma il pensiero della madre defunta lo fa desistere, come
dirà nella poesia La voce. Alla fine riprende gli studi con
impegno. Nonostante le simpatie verso il movimento anarco-socialista, quando
Umberto I venne ucciso da un altro anarchico, G. Bresci, Pascoli rimase
amareggiato dall'accaduto e compose la poesia Al Re Umberto. Abbandona la
militanza politica, mantenendo un socialismo umanitario che incoraggiasse
l'impegno verso i deboli e la concordia universale tra gli uomini, argomento di
alcune liriche: «Pace, fratelli! e fate che le braccia ch'ora o poi
tenderete ai più vicini, non sappiano la lotta e la minaccia.» (I due
fanciulli). Dopo la laurea con una tesi su Alceo, Pascoli intraprese la
carriera di insegnante di latino e greco nei licei di Matera e di Massa. Dopo
le vicissitudini e i lutti, aveva finalmente ritrovato la gioia di vivere e di
credere nel futuro. Ecco cosa scrive all'indomani della laurea da
Argenta: "Il prossimo ottobre andrò professore, ma non so ancora dove:
forse lontano; ma che importa? Tutto il mondo è paese ed io ho risoluto di
trovar bella la vita e piacevole il mio destino". Su richiesta delle
sorelle Ida e Maria, nel convento di Sogliano, riformula il proprio progetto di
vita, sentendosi in colpa per avere abbandonato le sorelle negli anni
universitari. Ecco a tale proposito una lettera di Giovanni scritta da Argenta,
il quale, ripreso dalle sorelle per averle abbandonate, così risponde:
"Povere bambine! Sotto ogni parola di quella vostra lettera così tenera,
io leggevo un rimprovero per me, io intravedevo una lagrima!." E
ancora da Matera il poeta scrive. Amate voi me, che ero lontano e parevo
indifferente, mentre voi vivevate nell'ombra del chiostro. Amate voi me, che
sono accorso a voi soltanto quando escivate dal convento raggianti di mite
contentezza, m'amate almeno come le gentili compagne delle vostre gioie e
consolatrici dei vostri dolori? Iniziato
alla massoneria, presso la loggia "Rizzoli" di Bologna. Il testamento
massonico autografo del Pascoli, a forma di triangolo (il triangolo è un
simbolo massonico), è stato rinvenuto. Insegna a Livorno al Ginnasio-Liceo
"Guerrazzi e Niccolini", nel cui archivio si trovano ancora lettere e
appunti scritti di suo pugno. Inizia la collaborazione con la rivista Vita
nuova, su cui uscirono le prime poesie di Myricae, raccolta che continuò a
rinnovarsi in cinque edizioni. Con le sorelle Ida e Maria Vinse inoltre per ben
tredici volte la medaglia d'oro al Concorso di poesia latina di Amsterdam, col
poemetto Veianus e coi successivi Carmina. E chiamato a Roma per collaborare
con il Ministero della pubblica istruzione. Nella capitale fece la conoscenza
di A. Bosis, che lo invitò a collaborare alla rivista Convito (dove
sarebbero infatti apparsi alcuni tra i componimenti più tardi riuniti nel
volume Poemi conviviali), e di Annunzio, il quale lo stima, anche se il
rapporto tra i due filosofi e sempre complesso. G. Bernardo, a capo del
Grande Oriente d'Italia, esplicitamente dichiara l'appartenenza di Pascoli e
Carducci alla massoneria, per un certo periodo nelle logge. Il nido di
Castelvecchio «La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa
nell'ultima sera» (Giovanni Pascoli, La mia sera, Canti di Castelvecchio)
Divenuto professore universitario e costretto dalla sua professione a lavorare
in più città (Bologna, Messina e Pisa), non si radicò mai in esse,
preoccupandosi sempre di garantirsi una via di fuga verso il proprio mondo di
origine, quello agreste. Tuttavia il punto di arrivo sarebbe stato sul versante
appenninico opposto a quello da cui proveniva la sua famiglia. Infatti si
trasferì con la sorella Maria nella Media Valle del Serchio nel piccolo borgo
di Castelvecchio nel comune di Barga, in una casa che divenne la sua residenza
stabile quando (impegnando anche alcune medaglie d'oro vinte al Concorso
di poesia latina di Amsterdam) poté acquistarla. Dopo il matrimonio della
sorella Ida con il romagnolo S. Berti,
matrimonio che il poeta aveva contemplato e seguito i vivrà in seguito alcuni
mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi
confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito,
vivendo la cosa come una profonda ferita dopo vinte al Concorso di poesia
latina di Amsterdam poté acquistarla. Dopo il matrimonio della sorella
Ida con S. Berti, matrimonio che contempla e seguito vivrà in seguito alcuni
mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi
confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito,
vivendo la cosa come una profonda ferita dopo vinte al Concorso di poesia
latina di Amsterdam) poté acquistarla. Dopo il matrimonio della sorella
Ida con il romagnolo Sa. Berti, matrimonio che contempl e seguito Pascoli vivrà
in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella
Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del
marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo anni di sacrifici e
dedizione alle sorelle, a causa delle qualia causa delle quali ha di fatto più
volte rinunciato all'amore. A tale proposito, una vinte al Concorso di poesia
latina di Amsterdam) poté acquistarla. Dopo il matrimonio della sorella
Ida con il romagnolo S. Berti, matrimonio che il poeta aveva contemplato e
seguito sin vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per
l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le continue richieste
economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda
ferita dopo mostra dedicata agli "Amori di Zvanì" e allestita dalla Casa
Pascoli nel, getta luce sulle sue vicende amorose inedite, chiarendo finalmente
il suo desiderio più volte manifestato di crearsi una propria famiglia. Molti
particolari della vita personale, emersi dalle lettere private,
furono taciuti dalla celebre biografia scritta da M. Pascoli, poiché
giudicati da lei sconvenienti o non conosciuti. Il fidanzamento con la cugina
Imelde Morri di Rimini, all'indomani delle nozze di Ida, organizzato
all'insaputa di Mariù, dimostra infatti il suo reale intento. Di fronte alla
disperazione di Mariù, che non avrebbe mai accettato di sposarsi, né
l'ingerenza di un'altra donna in casa sua, ancora una volta rinuncerà al
proposito di vita coniugale. Si può affermare che la vita moderna della
città non entrò mai, neppure come antitesi, come contrapposizione polemica,
nella sua poesia. In un certo senso, non uscì mai dal suo mondo, che costituì,
in tutta la sua produzione letteraria, l'unico grande tema, una specie di
microcosmo chiuso su sé stesso, come se ha bisogno di difenderlo da un
minaccioso disordine esterno, peraltro sempre innominato e oscuro, privo di
riferimenti e di identità, come lo era stato l'assassino di suo padre. Sul
tormentato rapporto con le sorelle il nido familiare che ben presto divenne
tutto il mondo della sua poesia. Scrive parole di estrema chiarezza il poeta
Mario Luzi. Di fatto si determina nei tre che la disgrazia ha diviso e
ricongiunto una sorta di infatuazione e mistificazione infantili, alle
quali Ida è connivente solo in parte. Si tratta in ogni caso di una vera e
propria regressione al mondo degli affetti e dei sensi, anteriore alla
responsabilità; al mondo da cui era stato sbalzato violentemente e troppo
presto. Possiamo notare due movimenti concorrenti: uno, quasi paterno, che gli
suggerisce di ricostruire con fatica e pietà il nido edificato dai genitori; di
investirsi della parte del padre, di imitarlo. Un altro, di ben diversa
natura, gli suggerisce invece di chiudersi là dentro con le piccole sorelle che
meglio gli garantiscono il regresso all'infanzia, escludendo di fatto, talvolta
con durezza, gli altri fratelli. In pratica difende il nido con sacrificio, ma
anche lo oppone con voluttà a tutto il resto. Non è solo il suo
ricovero ma anche la sua misura del mondo. Tutto ciò che tende a
strapparlo di lì in qualche misura lo ferisce; altre dimensioni della realtà
non gli riescono, positivamente, accettabili. Per renderlo più sicuro e
profondo lo sposta dalla città, lo colloca tra i monti della Media Valle del
Serchio dove può, oltre tutto, mimetizzarsi con la natura.» ([M. Luzi])
In particolare si fecero difficili i rapporti con Giuseppe, che mise più volte
in imbarazzo Giovanni a Bologna, ubriacandosi continuamente in pubblico nelle
osterie, e con il marito di Ida, il quale
dopo aver ricevuto in prestito dei soldi da lui, partì per l'America
lasciando in Italia la moglie e le tre figlie. Le trasformazioni politiche
e sociali che agitavano gli anni di fine secolo e preludevano alla catastrofe
bellica europea, gli gettarono progressivamente, già emotivamente provato
dall'ulteriore fallimento del suo tentativo di ricostruzione familiare, in una
condizione di insicurezza e pessimismo ancora più marcati, che lo conduceno in
una fase di depressione e nel baratro dell'alcolismo. Abusa di vino e cognac,
come riferisce anche nelle lettere. Le uniche consolazioni sono la poesia, e il
suo nido di Castelvecchio, dopo la perdita della fede trascendente, cercata e
avvertita comunque nel senso del mistero universale, in una sorta di
agnosticismo mistico, come testimonia una missiva a G. Semeria. Io penso molto
all'oscuro problema che resta. Oscuro. La fiaccola che lo rischiara è in mano
della nostra sorella grande morte. Oh! sarebbe pur dolce cosa il credere che di
là fosse abitato! Ma io sento che le religioni, compresa la più pura di tutte,
la cristiana, sono per così dire, Tolemaiche. Copernico, Galileo le hanno scosse.
Mentre insegnava latino e greco nelle varie università dove aveva accettato
l'incarico, pubblicò anche i volumi di analisi dantesca Minerva oscura, Sotto
il velame e la mirabile visione. Assunse la cattedra di letteratura italiana a Bologna
succedendo a Carducci. Qui ebbe allievi che sarebbero stati poi celebri,
tra cui A. Garzanti. Presenta al concorso indetto dal Comune di Roma per
celebrare il cinquantesimo dell'Unità d'Italia, il poema latino “Inno a Roma”
in cui riprendendo un tema già anticipato nell'ode Al corbezzolo esalta
Pallante come il primo morto per la causa nazionale e poi deposto su rami di
corbezzolo che con i fiori bianchi, le bacche rosse e le foglie verdi, vengono
visti come un'anticipazione della bandiera tricolore. Scoppiata la guerra
italo-turca, presso il teatro di Barga pronuncia il celebre discorso a favore
dell'imperialismo La grande Proletaria si è mossa: egli sostiene infatti che la
Libia sia parte dell'Italia irredenta, e l'impresa sia anche a favore delle
popolazioni sottomesse alla Turchia, oltre che positiva per i contadini
italiani, che avranno nuove terre. Si tratta, in sostanza, non di nazionalismo
vero e proprio, ma di un'evoluzione delle sue utopie socialiste e patriottiche.
Le sue condizioni di salute peggiorano. Il medico gli consiglia di lasciare
Castelvecchio e trasferirsi a Bologna, dove gli viene diagnosticata la cirrosi
epatica per l'abuso di alcool. Nelle memorie della sorella viene invece
affermato che fosse malato di epatite e tumore al fegato. Il certificato di morte riporta come causa un
tumore allo stomaco, ma è probabile fosse stato redatto dal medico su richiesta
di Mariù, che intendeva eliminare tutti gli aspetti che lei giudicava
sconvenienti dall'immagine del fratello, come la dipendenza da alcool, la
simpatia giovanile per Passannante e la sua affiliazione alla Massoneria. La
malattia lo porta infatti alla morte, un Sabato Santo vigilia di Pasqua, nella
sua casa di Bologna, in via dell'Osservanza n. 2. La vera causa del decesso fu
probabilmente la cirrosi epatica. Venne sepolto nella cappella annessa alla sua
dimora di Castelvecchio di Barga, dove sarà tumulata anche l'amata sorella
Maria, sua biografa, nominata erede universale nel testamento, nonché curatrice
delle opere postume. L'ultima dimora dove morì, a Bologna in via
dell'Osservanza n. 2. Sul cancello si può brevi parentesi politiche
della sua vita. Venne arrestato e assolto dopo tre mesi di carcere. L'ulteriore
senso di ingiustizia e la delusione lo riportarono nell'alveo d'ordine del
tutore Carducci e al compimento degli studi con una tesi su Alceo. A
margine degli studi veri e propri, comunque, conduce una vasta esplorazione della
filosofia ttraverso le riviste francesi specializzate come la Revue des deux
Mondes, che lo misero in contatto con l'avanguardia simbolista, e la lettura
dei testi scientifico-naturalistici di J. Michelet, J. Fabre e M. Maeterlinck.
Tali testi filosofici utilizzano la descrizione naturalistica la vita degli
insetti soprattutto, per quell'attrazione per il micro-cosmo così
caratteristica del romanticismo decadente in chiave filosofica. L’sservazione
era aggiornata sulle più recenti acquisizioni filosofiche dovute al
perfezionamento del microscopio e della sperimentazione di laboratorio, ma poi
veniva filtrata letterariamente attraverso uno stile lirico in cui domina il
senso della meraviglia e della fantasia. E un atteggiamento positivista
romanticheggiante che tende a vedere nella natura l'aspetto pre-cosciente del
mondo umano. Coerentemente con questi interessi, vi fu anche quello per la
filosofia dell'inconscio di Hartmann che apre quella linea di interpretazione
della psicologia in senso anti-meccanicistico che sfociò nella psicanalisi
freudiana. È evidente in queste letture come in quella successiva di J. Sully
sulla psicologia un'attrazione verso il mondo piccolo dei fenomeni naturali e
psicologicamente elementari che tanto fortemente caratterizza tutta la sua
poesia. E non solo la sua. La cultura filosofica ha coltivato un particolare
culto per il mondo dell'infanzia, dapprima, in un senso culturale più generico,
poi, con un più accentuato intendimento psicologico. I Romantici, sulla scia di
Vico e di Rousseau, paragonano l'infanzia allo stato primordiale di natura dell'umanità,
inteso come una sorta di età dell'oro. Si comincia ad analizzare in modo
più realistico e scientifico la psicologia, portando l'attenzione del individuo
in sé, caratterizzato da una propria realtà di riferimento. La filosofia produce
una quantità considerevole di saggi che costituirono la vera letteratura di
massa. Parliamo delle innumerevoli raccolte di fiabe dei fratelli Grimm di Andersen, di Ruskin, Wilde, Maeterlinck; o
come il capolavoro di Dodgson, Alice nel Paese delle Meraviglie (cf. Pinocchio,
Cuore). Oppure i libri di avventura adatti anche all'infanzia, come i romanzi
di Verne, Kipling, Twain, Salgari, London. Saggi sull'infanzia, dall'intento
moralistico ed educativo, come Senza famiglia di Malot, Il piccolo Lord di F.H.
Burnett, Piccole donne di Alcott e i celeberrimi “Cuore” di De Amicis e “Pinocchio”
di Collodi. Tutto questo ci serve a ricondurre, naturalmente, la sua teoria della
poesia come intuizione pura e ingenua, espressa nella poetica del fanciullino,
ai riflessi di un vasto ambiente filosofico che e assolutamente maturo per
accogliere la sua proposta. In questo senso non si può parlare di una vera
novità, quanto piuttosto della sensibilità con cui sa cogliere un gusto diffuso
e un interesse già educato, traducendoli in quella grande poesia che all'Italia
manca dall'epoca di Leopardi. Per quanto riguarda il linguaggio, ricerca una
sorta di musicalità evocativa, accentuando l'elemento sonoro del verso, secondo
il modello dei poeti maledetti Verlaine e Mallarmé. La poesia come nido che
protegge dal mondo. La poesia ha natura irrazionale e con essa si può giungere
alla verità di ogni cosa. Il poeta deve essere un poeta-fanciullo che arriva a
questa verità mediante l'irrazionalità e l'intuizione. Rifiuta quindi la
ragione e, di conseguenza, rifiuta il positivismo, che e l'esaltazione della
ragione stessa e del progresso, approdando così al decadentismo. La poesia
diventa così analogica, cioè senza apparente connessione tra due o più realtà
che vengono rappresentate; ma in realtà una connessione, a volte anche un po'
forzata, è presente tra i concetti, e il poeta spesso e volentieri è costretto
a voli vertiginosi per mettere in comunicazione questi concetti. La poesia
irrazionale o analogica è una poesia di svelamento o di scoperta e non di
invenzione. I motivi principali di questa poesia devono essere "umili
cose": cose della vita quotidiana, cose modeste o familiari. A questo si
unisce il ricordo ossessivo dei suoi morti, le cui presenze aleggiano
continuamente nel “nido”, riproponendo il passato di lutti e di dolori e
inibendo al poeta ogni rapporto con la realtà esterna, ogni vita di relazione,
che viene sentita come un tradimento nei confronti dei legami oscuri, viscerali
del nido. Il duomo, al cui suono della campana si fa riferimento ne L'ora di
Barga Nella vita dei letterati italiani degli ultimi due secoli ricorre
pressoché costantemente la contrapposizione problematica tra mondo cittadino e
mondo agreste, intesi come portatori di valori opposti: mentre la campagna
appare sempre più come il paradiso perduto dei valori morali e culturali, la
città diviene simbolo di una condizione umana maledetta e snaturata, vittima
della degradazione morale causata da un ideale di progresso puramente
materiale. Questa contrapposizione può essere interpretata sia alla luce
dell'arretratezza economica e culturale di gran parte dell'Italia rispetto
all'evoluzione industriale delle grandi nazioni europee, sia come conseguenza
della divisione politica e della mancanza di una grande metropoli unificante
come erano Parigi per la Francia e Londra per l'Inghilterra. I luoghi poetici
della terra, del borgo, dell'umile popolo che ricorrono fino agli anni del
primo dopoguerra non fanno che ripetere il sogno di una piccola patria
lontana,che l'ideale unitario vagheggiato o realizzato non spegne mai del
tutto. Decisivo nella continuazione di questa tradizione fu proprio
Pascoli, anche se i suoi motivi non furono quelli tipicamente ideologici degli
altri scrittori, ma nacquero da radici più intimistiche e soggettive. Nel 1899
scrisse al pittore De Witt. C'è del gran dolore e del gran mistero nel mondo;
ma nella vita semplice e familiare e nella contemplazione della natura,
specialmente in campagna, c'è gran consolazione, la quale pure non basta a
liberarci dall'immutabile destino». In questa contrapposizione tra
l'esteriorità della vita sociale (e cittadina) e l'interiorità dell'esistenza
familiare e agreste si racchiude l'idea dominanteaccanto a quella della
mortedella poesia pascoliana. Dalla casa di Castelvecchio, dolcemente protetta
dai boschi della Media Valle del Serchio, non usce più (psicologicamente
parlando) fino alla morte. Pur continuando in un intenso lavoro di
pubblicazioni poetiche e saggistiche, e accettando di succedere a Carducci
sulla cattedra dell'Bologna, egli ci ha lasciato del mondo una visione
univocamente ristretta attorno ad un "centro", rappresentato dal
mistero della natura e dal rapporto tra amore e morte. Fu come se,
sopraffatto da un'angoscia impossibile a dominarsi, il poeta avesse trovato
nello strumento intellettuale del componimento poetico l'unico mezzo per
costringere le paure e i fantasmi dell'esistenza in un recinto ben delimitato,
al di fuori del quale egli potesse continuare una vita di normali relazioni
umane. A questo "recinto" poetico egli lavorò con straordinario
impegno creativo, costruendo una raccolta di versi e di forme che la
letteratura italiana non vedeva, per complessità e varietà, dai tempi di
Chiabrera. La ricercatezza quasi sofisticata, e artificiosa nella sua eleganza,
delle strutture metriche scelte da Pascolimescolanza di novenari, quinari e
quaternari nello stesso componimento, e così viaè stata interpretata come un
paziente e attento lavoro di organizzazione razionale della forma poetica
attorno a contenuti psicologici informi e incontrollabili che premevano
dall'inconscio. Insomma, esattamente il contrario di quanto i simbolisti
francesi e le altre avanguardie artistiche proclamano nei confronti della
spontaneità espressiva. Frontespizio di un'edizione del discorso
socialista e nazionalista di Pascoli La Grande Proletaria si è mossa, in favore
della guerra di Libia. Anche se l'ultima fase della produzione pascoliana è
ricca di tematiche socio-politiche (Odi e inni, comprendenti gli inni Ad
Antonio Fratti, Al re Umberto, Al Duca degli Abruzzi e ai suoi compagni,
Andrée, nonché l'ode, aggiunta nella terza edizione, Chavez; Poemi italici;
Poemi del Risorgimento; nonché il celebre discorso La grande Proletaria si è
mossa, tenuto in occasione di una
manifestazione a favore dei feriti della guerra di Libia), non c'è dubbio
che la sua opera più significativa è rappresentata dai volumi poetici che
comprendono le raccolte di Myricae e dei Canti di Castelvecchio, nei quali il
poeta trae spunto dall'ambiente a lui familiare come la Ferrovia Lucca-Aulla
("In viaggio"), nonché parte dei Poemetti. Il mondo di Pascoli è
tutto lì: la natura come luogo dell'anima dal quale contemplare la morte come
ricordo dei lutti privati. Troppa questa morte? Ma la vita, senza il pensiero
della morte, senza, cioè, religione, senza quello che ci distingue dalle
bestie, è un delirio, o intermittente o continuo, o stolido o tragico. D'altra
parte queste poesie sono nate quasi tutte in campagna; e non c'è visione che
più campeggi o sul bianco della gran nave o sul verde delle selve o sul biondo
del grano, che quella dei trasporti o delle comunioni che passano: e non c'è
suono che più si distingua sul fragor dei fiumi e dei ruscelli, su lo stormir
delle piante, sul canto delle cicale e degli uccelli, che quello delle
Avemarie. Crescano e fioriscano intorno all'antica tomba della mia giovane
madre queste myricae (diciamo cesti o stipe) autunnali. Dalla Prefazione di
Pascoli ai Canti di Castelvecchio. Il poeta e il fanciullino. Il poeta è poeta,
non oratore o predicatore, non filosofo, non istorico, non maestro, non tribuno
o demagogo, non uomo di stato o di corte. E nemmeno è, sia con pace del Carducci,
un artiere che foggi spada e scudi e vomeri; e nemmeno, con pace di tanti
altri, un artista che nielli e ceselli l'oro che altri gli porga. A costituire
il poeta vale infinitamente più il suo sentimento e la sua visione, che il modo
col quale agli altri trasmette l'uno e l'altra. Da Il fanciullino. Uno dei
tratti salienti per i quali è passato alla storia della letteratura è la
cosiddetta poetica del fanciullino, da lui stesso esplicitata nello scritto
omonimo apparso sulla rivista Il Marzocco. Influenzato dalla psicologia di J. Sully
e dalla filosofia dell'inconscio di Hartmann, dà una definizione assolutamente
compiutaalmeno secondo il suo punto di vistadella poesia (dichiarazione
poetica). Si tratta di un testo di 20 capitoli, in cui si svolge il dialogo fra
il poeta e la sua anima di fanciullino, simbolo: dei margini di purezza e
candore, che sopravvivono nell'uomo adulto. Della poesia e delle
potenzialità latenti di scrittura poetica nel fondo dell'animo umano.
Caratteristiche del fanciullino. Rimane piccolo anche quando noi ingrossiamo e
arrugginiamo la voce ed egli fa sentire il suo tinnulo squillo come di
campanella". "Piange e ride senza un perché di cose, che sfuggono ai
nostri sensi ed alla nostra ragione". "Guarda tutte le cose con
stupore e con meraviglia, non coglie i rapporti logici di causaeffetto, ma
intuisce. Scopre nelle cose le relazioni più ingegnose. Riempie ogni oggetto
della propria immaginazione e dei propri ricordi (soggettivazione),
trasformandolo in simbolo. Una rondine. Gli uccelli e la natura, con precisione
del lessico zoologico e botanico ma anche con semplicità, sono stati spesso
cantati da Giovanni Pascoli Il poeta allora mantiene una razionalità di fondo,
organizzatrice della metrica poetica, ma: Possiede una sensibilità speciale,
che gli consente di caricare di significati ulteriori e misteriosi anche gli
oggetti più comuni. Comunica verità latenti agli uomini -- è Adamo, che mette
nome atutto ciò che vede e sente (secondo il proprio personale modo di sentire,
che tuttavia ha portata universale). Deve saper combinare il talento della
fanciullezza (saper vedere), con quello della vecchiaia (saper dire). Percepisce
l'essenza delle cose e non la loro apparenza fenomenica. La poesia, quindi, è
tale solo quando riesce a parlarecon la voce del fanciullo ed è vista come la
perenne capacità di stupirsi tipica del mondo infantile, in una disposizione
irrazionale che permane nell'uomo anche quando questi si è ormai allontanato,
almeno cronologicamente, dall'infanzia propriamente intesa. È una realtà
ontologica. Ha scarso rilievo la dimensione storica (trova suoi interlocutori
in Virgilio, come se non vi fossero secoli e secoli di mezzo. La poesia vive
fuori dal tempo ed esiste in quanto tale. Nel fare poesia una realtà ontologica
(il poeta-microcosmo) si interroga suun'altra realtà ontologica (il
mondo-macrocosmo); ma per essere poeta è necessario confondersi con la realtà
circostante senza cheil proprio punto di vista personale e preciso
interferisca: il poeta si impone la rinuncia a parlare di se stesso, tranne in
poche poesie, in cui esplicitamente parla della sua vicenda personale. È vero
che la vicenda autobiografica dell'autore caratterizza la sua poesia, ma con
connotazioni di portata universale: ad esempio la morte del padre viene
percepita come l'esempio principe della descrizione dell'universo, di
conseguenza gli elementi autenticamente autobiografici sono scarsi, in quanto
raffigura il male del mondo in generale. Tuttavia, nel passo XI del fanciullino,
dichiara che un vero poeta è, più che altro, il suo sentimento e la sua visione
che cerca di trasmettere agli altri. Per cui il poeta rrifiuta. Il classicismo,
che si qualifica per la centralità ed unicità del punto di vista del poeta, che
narra la sua opera ed esprime le proprie sensazioni. il Romanticismo, dove il
poeta fa di sé stesso, dei suoi sentimenti e della sua vita, poesia. La poesia,
così definita, è naturalmente buona ed è occasione di consolazione per l'uomo e
il poeta. Pascoli fu anche commentatore e critico dell'opera di Dante e diresse
inoltre la collana editoriale "Biblioteca dei Popoli". Il limite
della poesia del Pascoli è costituito dall'ostentata pateticità e
dall'eccessiva ricerca dell'effetto commovente. D'altro canto, il merito
maggiore attribuibile al Pascoli fu quello di essere riuscito nell'impresa di
far uscire la poesia italiana dall'eccessiva aulicità e retoricità non solo del
Carducci e del Leopardi, ma anche del suo contemporaneo D'Annunzio. In altre
parole, fu in grado di creare finalmente un legame diretto con la poesia
d'Oltralpe e di respiro europeo. La lingua pascoliana è profondamente
innovativa: essa perde il proprio tradizionale supporto logico, procede per
simboli e immagini, con brevi frasi, musicali e suggestive. La poesia cosmica
L'ammasso aperto delle Pleiadi nella costellazione del Toro. Lo cita col nome
dialettale di Chioccetta ne Il gelsomino notturno. La visione dello spazio buio
e stellato è uno dei temi ricorrenti nella sua poesia Fanno parte di questa
produzione pascoliana liriche come Il bolide (Canti di Castelvecchio) e La
vertigine (Nuovi Poemetti). Il poeta scrive nei versi conclusivi de Il bolide:
"E la terra sentii nell'Universo. Sentii, fremendo, ch'è del cielo
anch'ella. E mi vidi quaggiù piccolo e sperso errare, tra le stelle, in una
stella". Si tratta di componimenti permeati di spiritualismo e di
panteismo (La Vertigine). La Terra è errante nel vuoto, non più qualcosa di
certo; lo spazio aperto è la vera dimora dell'uomo rapito come da un vento
cosmico. Scrive il critico Giovanni Getto: " È questo il modo nuovo,
autenticamente pascoliano, di avvertire la realtà cosmica: al geocentrismo
praticamente ancora operante nell'emozione fantastica, nonostante la chiara
nozione copernicana sul piano intellettuale, del Leopardi, il Pascoli
sostituisce una visione eliocentrica o addirittura galassiocentrica: o meglio
ancora, una visione in cui non si dà più un centro di sorta, ma soltanto
sussistono voragini misteriose di spazio, di buio e di fuoco. Di qui quel
sentimento di smarrita solitudine che nessuno ancora prima del Pascoli aveva
saputo consegnare alla poesia". La lingua pascoliana Pascoli disintegra la
forma tradizionale del linguaggio poetico: con lui la poesia italiana perde il
suo tradizionale supporto logico, procede per simboli ed immagini, con frasi
brevi, musicali e suggestive. Il linguaggio è fonosimbolico con un frequente
uso di onomatopee, metafore, sinestesie, allitterazioni, anafore, vocaboli
delle lingue speciali (gerghi). La disintegrazione della forma tradizionale
comporta "il concepire per immagini isolate (il frammentismo), il periodo
di frasi brevi e a sobbalzi (senza indicazione di passaggi intermedi, di modi
di sutura), pacatamente musicali e suggestive; la parola circondata di
silenzio. Ha rotto la frontiera tra grammaticalità e evocatività della lingua.
E non solo ha infranto la frontiera tra pregrammaticalità e semanticità, ma ha
anche annullato "il confine tra melodicità ed icasticità, cioè tra fluido
corrente, continuità del discorso, e immagini isolate autosufficienti. In
una parola egli ha rotto la frontiera fra determinato e indeterminato". Pascoli
e il mondo degli animali In un'epoca storica in cui il mondo degli animali
rappresenta un'entità assai ridotta nella vita degli uomini e dei loro sentimenti,
quasi esclusivamente relegato agli aspetti di utilizzo pratico e di supporto al
lavoro, soprattutto agricolo, Pascoli riconosce la loro dignità e squarcia
un'originale apertura sull'esistenza delle specie animali e sul loro originale
mondo di relazioni. Come scrive Maria Cristina Solfanelli, «Giovanni Pascoli si
avvede assai presto che il suo amore per la natura gli permette di vivere le
esperienze più appaganti, se non fondamentali, della sua vita. Lui vede negli
animali delle creature perfette da rispettare, da amare e da accudire al pari
degli esseri umani; infatti, si relaziona con essi, ci parla di loro e, spesso,
prega affinché possano avere un'anima per poterli rivedere un giorno. Saggi: “Myricae”
(Livorno, Giusti); “Lyra romana ad uso delle scuole classiche” (Livorno, Giusti,
-- antologia di scritti latini per la scuola superiore – “Pensieri sull'arte
poetica, ne Il Marzocco (meglio noto
come Il fanciullino) Iugurtha. Carmen Johannis Pascoli ex castro Sancti Mauri
civis liburnensis et Bargaei in certamine poetico Hoeufftiano magna laude
ornatum, Amstelodami, Apud Io. Mullerum, (poemetto latino) “Epos” (Livorno,
Giusti); (antologia di autori latini) Poemetti, Firenze, Paggi, “Minerva
oscura. Prolegomeni: la costruzione morale del poema di Dante” (Livorno, Giusti);
“Intorno alla Minerva oscura” (Napoli, Pierro); “Sull’imitare. Poesie e prose
per la scuola italiana (Milano-Palermo, Sandron). (antologia di poesie e prose
per la scuola), “Sotto il velame. Saggio di un'interpretazione generale del
poema sacro” (Messina, Vincenzo Muglia); “Fior da fiore. Prose e poesie scelte
per le scuole secondarie inferiori” Milano-Palermo, Sandron, (antologia di prose e poesie italiane per le
scuole medie); “La mirabile visione. Abbozzo d'una storia della Divina Comedia”
(Messina, Vincenzo Muglia); “Canti di Castelvecchio, Bologna, Zanichelli); “Primi
poemetti, Bologna, Zanichelli); “Poemi conviviali, Bologna, Zanichelli, Odi e Inni. Bologna, Zanichelli, Pensieri e
discorsi. Bologna, Zanichelli, Nuovi poemetti” (Bologna, Zanichelli); “Canzoni
di re Enzio La canzone del Carroccio” (Bologna, Zanichelli); “La canzone del
Paradiso” (Bologna, Zanichelli); “La canzone dell'Olifante” (Bologna,
Zanichelli); “Poemi italici” (Bologna, Zanichelli); “La grande proletaria si è
mossa -- iscorso tenuto a Barga per i nostri morti e feriti (La Tribuna); “Poesie
varie, Bologna, Zanichelli); “Poemi del Risorgimento, Bologna, Zanichelli); “Patria
e umanità. Raccolta di scritti e discorsi” (Bologna, Zanichelli); Carmina” (Bononiae,
Zanichelli); (poesie latine) Nell'anno Mille. Dramma” (Bologna, Zanichelli); (dramma
incompiuto) Nell'anno Mille. Sue notizie e schemi di altri drammi” (Bologna,
Zanichelli); “Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento latino” (Bologna,
Zanichelli). “Myricae” è la prima vera e propria raccolta delle sue poesie, nonché
una delle più amate. Il titolo riprende una citazione di Virgilio all'inizio
della IV Bucolica in cui il poeta latino proclama di innalzare il tono poetico
poiché "non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici" (non
omnes arbusta iuvant humilesque myricae). Pascoli invece propone
"quadretti" di vita campestre in cui vengono evidenziati particolari,
colori, luci, suoni i quali hanno natura ignota e misteriosa. Crebbe per il
numero delle poesie in esso raccolte. La sua prima edizione, raccoglie soltanto
22 poesie dedicate alle nozze di amici. La raccolta definitiva comprendeva 156
liriche del poeta. I componimenti sono dedicati al ciclo delle stagioni, al
lavoro dei campi e alla vita contadina. Le myricae, le umili tamerici,
diventano un simbolo delle tematiche del Pascoli ed evocano riflessioni
profonde. La descrizione realistica cela un significato più ampio così
che, dal mondo contadino si arriva poi ad un significato universale. La
rappresentazione della vita nei campi e della condizione contadina è solo
all'apparenza il messaggio che il poeta vuole trasmettere con le sue opere. In
realtà questa frettolosa interpretazione della poetica pascoliana fa da
scenario a stati d'animo come inquietudini ed emozioni. Il significato delle
Myricae va quindi oltre l'apparenza. Compare la poesia Novembre, mentre nelle
successive compariranno anche altri componimenti come L'Assiuolo. Pascoli ha
dedicato questa raccolta alla memoria di suo padre ("A Ruggero Pascoli,
mio padre"). La poesia-pensiero del profondo attinge all'inconscio e tocca
all'universale attraverso un mondo delle referenze condiviso da tutti. Anche
autore di poesie in lingua latina e con esse vinse per ben tredici volte il Certamen
Hoeufftianum, un prestigioso concorso di poesia latina che annualmente si
teneva ad Amsterdam. La produzione latina accompagnò il poeta per tutta la sua
vita: dai primi componimenti scritti sui banchi del collegio degli Scolopi di
Urbino, fino al poemetto Thallusa, la cui vittoria il poeta apprese solo sul
letto di morte. In particolare, l'anno
1892 fu insieme l'anno della sua prima premiazione con il poemetto “Veianus” e
l'anno della stesura definitiva delle Myricae. Tra la sua produzione latina, vi
è anche il carme alcaico Corda Fratres, inno della confraternita studentesca
meglio nota come Corda Fratres. Ama molto il latino, che può essere considerato
la sua lingua del cuore. Il poeta scriveva in latino, prendeva appunti in
latino, spesso pensava in latino, trasponendo poi espressioni latine in
italiano; la sorella Maria ricorda che dal suo letto di morte Pascoli parlò in
latino, anche se la notizia è considerata dai più poco attendibile, dal momento
che la sorella non conosceva questa lingua. Per lungo tempo la produzione
latina pascoliana non ha ricevuto l'attenzione che merita, essendo stata
erroneamente considerata quale un semplice esercizio del poeta. In quegli anni
non era infatti l'unico a cimentarsi nella poesia latina (G. Giacoletti, un
insegnante nel collegio degli Scolopi di Urbino frequentato da lui, vinse
l'edizione del Certamen con un poemetto sulle locomotive a vapore. Ma lo fa in
maniera nuova e con risultati, poetici e linguistici, sorprendenti.
L'attenzione verso questi componimenti si accese con la raccolta curata da E. Pistelli
col saggio di A. Gandiglio. Esistono
delle traduzioni in lingua italiana delle sue poesie latine quali quella curata
da M. Valgimigli o le traduzioni di E. Mandruzzato. Tuttavia la produzione
latina ha un significato fondamentale, essendo coerente con la poetica del
Fanciullino, la cifra del pensiero pascoliano. In realtà, la poetica del
Fanciullino è la confluenza di due differenti poetiche: la poetica della
memoria e la poetica delle cose. Gran parte della poesia pascoliana nasce dalle
memorie, dolci e tristi, della sua infanzia. Ditelo voi, se la poesia non è
solo in ciò che fu e in ciò che sarà, in ciò che è morto e in ciò che è sogno! E
dite voi, se il sogno più bello non è sempre quello in cui rivive ciò che è
morto". Pascoli dunque intende fare rivivere ciò che è morto, attingendo
non solo al proprio ricordo personale, bensì travalica la propria esperienza,
descrivendo personaggi facenti parte anche dell'evo antico: infanzia e mondo
antico sono le età nelle quali l'uomo vive o è vissuto più vicino ad una sorta
di stato di natura. "Io sento nel cuore dolori antichissimi, pure ancor
pungenti. Dove e quando ho provato tanti martori? Sofferto tante ingiustizie?
Da quanti secoli vive al dolore l'anima mia? Ero io forse uno di quegli schiavi
che giravano la macina al buio, affamati, con la museruola?".
Contro la mortedelle lingue, degli uomini e delle epocheil poeta si appella
alla poesia: essa è la sola, la vera vittoria umana contro la morte.
"L'uomo alla morte deve disputare, contrastare, ritogliere quanto
può". Ma da ciò non consegue di necessità l'uso del latino. Qui
interviene l'altra e complementare poetica pascoliana: la poetica delle cose.
"Vedere e udire: altro non deve il poeta. Il poeta è l'arpa che un soffio
anima, è la lastra che un raggio dipinge. La poesia è nelle cose". Ma
questa aderenza alle cose ha una conseguenza linguistica di estrema importanza,
ogni cosa deve parlare quanto più è possibile con la propria voce: gli esseri
della natura con l'onomatopea, i contadini col vernacolo, gli emigranti con
l'italo-americano, Re Enzio col bolognese del Duecento; i Romani, naturalmente,
parleranno in latino. Dunque il bilinguismo di Pascoli in realtà è solo una
faccia del suo plurilinguismo. Bisogna tenere conto anche di un altro elemento:
il latino del Pascoli non è la lingua che abbiamo appreso a scuola. Questo è
forse il secondo motivo per il quale la produzione latina pascoliana è stata
per anni oggetto di scarso interesse: per poter leggere i suoi poemetti latini
è necessario essere esperti non solo del latino in generale, ma anche del
latino di Pascoli. Si è già fatto menzione del fatto che nello stesso periodo,
e anche prima di lui, altri autori avevano scritto in latino; scrivere in
latino per un moderno comporta due differenti e contrapposti rischi. L'autore
che si cimenti in questa impresa potrebbe, da una parte, incappare nell'errore
di esprimere una sensibilità moderna in una lingua classica, cadendo in un
latino maccheronico; oppure potrebbe semplicemente imitare gli autori classici,
senza apportare alcuna novità alla letteratura latina. Pascoli invece
reinventa il latino, lo plasma, piega la lingua perché possa esprimere una
sensibilità moderna, perché possa essere una lingua contemporanea. Se oggi noi
parlassimo ancora latino, forse parleremmo il latino di Pascoli. (cfr. A. Traina,
Saggio sul latino del Pascoli, Pàtron). Numerosi sono i componimenti, in genere
raggruppati in diverse raccolte secondo l'edizione del Gandiglio, tra le quali:
Poemata Christiana, Liber de Poetis, Res Romanae, Odi et Hymni. Due sembrano
essere i temi favoriti del poeta: Orazio, poeta della aurea mediocritas, che
Pascoli sentiva come suo alter ego, e le madri orbate, cioè private del loro
figlio (cfr. Thallusa, Pomponia Graecina, Rufius Crispinus). In quest'ultimo
caso il poeta sembra come ribaltare la sua esperienza personale di orfano,
privando invece le madri del loro ocellus ("occhietto", come Thallusa
chiama il bambino). I “Poemata Christiana” sono da considerarsi il suo
capolavoro in lingua latina. In essi Pascoli traccia, attraverso i vari
poemetti, tutti in esametri, la storia del Cristianesimo in Occidente: dal
ritorno a Roma del centurione che assistette alla morte di Cristo sul Golgota
(Centurio), alla penetrazione del Cristianesimo nella società romana, dapprima
attraverso gli strati sociali di condizione servile (Thallusa), poi attraverso
la nobiltà romana “(Pomponia Graecina”), fino al tramonto del paganesimo (“Fanum
Apollinis”). La sua biblioteca e il suo archivio sono conservati sia
nella Casa museo Pascoli a Castelvecchio Pascoli frazione di Barga, sia nella
Biblioteca statale di Lucca. A San Mauro la sua casa natale è sede di un museo
dedicato alla sua memoria e dichiarata Monumento nazionale. Gli vengono
dedicate importanti iniziative in tutta la Penisola. Viene coniata una moneta
celebrativa da due euro con l'effige del Poeta. Il delitto Ruggero Pascoli Omicidio
Pascoli. Il complotto (Mimesis) F.
Biondolillo, La poesia, Maria Pascoli, Autografo Memorie, Alice Cencetti, una biografia critica, Le Lettere, G.
Pascoli, L'avvento, in Pensieri e discorsi: «Che è? siamo malfattori anche noi?
Oh! no: noi non vorremmo vedere quelle catene, quella gabbia, quelle armi nude
intorno a quell'uomo; vorremmo non sapere ch'egli sarà chiuso, vivo, per anni e
anni e anni, per sempre, in un sepolcro; vorremmo non pensare ch'egli non
abbraccerà più la donna che fu sua, ch'egli non vedrà più, se non reso
irriconoscibile e ignominioso dall'orrida acconciatura dell'ergastolo, i figli
suoi... Ma egli ha ucciso, ha fatto degli orfani, che non vedranno più affatto
il loro padre, mai, mai, mai! E vero: punitelo! è giusto! Ma non si potrebbe trovare il modo di
punirlo con qualcosa di diverso da ciò ch'egli commise?... Così esso assomiglia
troppo alle sue vittime! Così andranno sopra lui alcune delle lagrime che
spettano alle sue vittime! Le sue vittime vogliono tutta per loro la pietà che
in parte s'è disviata in pro' di lui. Non essere così ragionevole, o Giustizia.
Perdona più che puoi. Più che posso? Ella dice di non potere affatto. Se gli
uomini, ella soggiunge, fossero a tal grado di moralità da sentire veramente
quell'orrore al delitto, che tu dici, si potrebbe lasciare che il delitto fosse
pena a sè stesso, senza bisogno di mannaie e catene, di morte o mortificazione.
Ma... Ma non vede dunque la giustizia che quest'orrore al delitto gli uomini lo
mostrano appunto già assai, quando abominano, in palese o nel cuore, il delitto
anche se è dato in pena d'altro delitto, ossia nella forma in cui parrebbe più
tollerabile?» La storia dell'I.I.S.
Raffaello. Domenico Bulferetti, L'uomo, il maestro, il poeta, Libreria Editrice
Milanese, Piero Bianconi, Pascoli,
Morcelliana, Giuseppe Galzerano, Giovanni Passannante, Casalvelino Scalo, Ugoberto
Alfassio Grimaldi, Il re "buono", Feltrinelli, Per approfondire gli
anni giovanili del Poeta e l'impegno politico vedi: R. Boschetti, "Il
giovane. Attraverso le ombre della giovinezza", realizzato in occasione della mostra omonima
allestita presso il Museo Casa Pascoli di San Mauro Pascoli Per approfondire gli anni di ricostruzione del
"nido" con le sorelle e scoprire nuovi elementi che aggiornino la
vecchia idea tramandata dalla sorella Mariù, in base alla quale il principale
desiderio del fratello era quello di ricostruire la famiglia con le sorelle,
senza alcuno slancio amoroso verso l'esterno, si veda: Rosita Boschetti, G. Gori,
U. Sereni "Vita immagini ritratti", Parma, Step. Il rinvenimento è opera di G. Ruggio,
Conservatore di casa Pascoli a Castelvecchio, il documento fu acquistato dal
Grande Oriente d'Italia ad un'asta di manoscritti storici della casa
Bloomsbury, e la notizia fu resa nota al grande pubblico per la prima volta ne
Il Corriere della Sera, Filmato audio S.
Ruotolo e G. Bernardo, Massoneria, politica e mafia. L'ex-Gran Maestro:
"Ecco i segreti che non ho mai rivelato a nessuno", fanpage
(archiviato il 29 marzo )., al minuto 2:28. Citazione: La loggia P2 non è stata
inventata da Gelli, ma risale alla seconda metà dell'Ottocento in cui il Gran
Maestro per dare una certa riservatezza a personaggi che erano i vertici del
Governo, i militari di altissimo livello, poeti come Carducci e Pascoli. Si disse:
«evitiamo che questi personaggi svolgano la loro attività massonica nelle
logge, almeno per evitare un fastidio»
Vi fu professore straordinario di grammatica greca e latina,Vi insegnò
letteratura latina come Professore. Fu nominato professore di grammatica greca
e latina. Le date sulle docenze
universitarie sono prese da Maurizio Perugi, "Nota biografica", in G.
Pasocli, Opere, tomo I, Milano-Napoli: Ricciardi, Rosita Boschetti, Pascoli
innamorato: la vita sentimentale del poeta di San Mauro: catalogo, San Mauro
Pascoli, Comune,. Cfr. sempre Rosita
Boschetti, op. cit, pag. 28. Scrive da Matera a Raffaele la lista delle sue
spese. 65 lire al mese per mangiare, 25 per dormire, 7 alla serva, 2 al casino
(necessità), 15 in libri (più che necessità)».
Fondazione Pascoli: la vita, Gian
Luigi Ruggio, Giovanni Pascoli. Tutto il racconto della vita tormentata di un
grande poeta Vittorino Andreoli, I
segreti di casa Pascoli, recensione qui
Testo dell'"Inno a Roma"
Testo di "Al corbezzolo"
Fondazione Pascoli: la vita, Maria Pascoli, Lungo la vita di Giovanni
Pascoli Pascoli: il lutto, il triangolo, il classico e il decadentista. Vittorino
Andreoli, op. cit Maria Pascoli, Lungo
la vita (Milano, Mondadori); Giovanni Getto, poeta astrale, in "Studi per il
centenario della nascita di G. Pascoli". Commissione per i testi di
lingua, Bologna, Fondazione Giovanni PascoliNuovi poemetti, A. Schiaffini, Disintegratore della forma
poetica tradizionale, in "Omaggio a Pascoli", G. Contini, Il linguaggio di Pascoli, in
"Studi pascoliani", Lega, Faenza, Maria Cristina Solfanelli, Gli
animali da cortile, Chieti, Tabula fati,.
Vegliante. Alberto Fraccacreta,
Le ninfe di Vegliante, su Succedeoggi. Luigi
Del Santo, Cammei Pascoliani: analisi, illustrazione, esegèsi dei carmi latini
e greci minori di Giovanni Pascoli, Giuseppe Giacoletti, De lebetis materie et
forma eiusque tutela in machinis vaporis vi agentibus carmen didascalicum,
Amstelodami: C. G. Van Der Post, Ioannis Pascoli carmina; collegit Maria soror;
edidit H. Pistelli; exornavit A. De Karolis, Bononiae: Zanichelli, Ioannis
Pascoli Carminibus; mandatu Maria sororis recognitis; appendicem criticam
addidit Adolphus Gandiglio, Bononiae: sumptu Nicolai Zanichelli); Poesie
latine; Manara Valgimigli, Milano: A. Mondadori, Giovanni Pascoli, Poemi
cristiani; introduzione e commento di Alfonso Traina; traduzione di Enzo
Mandruzzato, Milano: Biblioteca universale Rizzoli, Carte pascoliane della
Biblioteca Statale di Lucca, su//pascoli.archivi.beniculturali/. Museo di Casa
Pascoli, su polomusealeemiliaromagna.beniculturali. Regio Decreto Legge, Gazzetta
Ufficiale del Regno d'Italia, Guido De Franceschi, Giovanni Pascoli: cento anni
fa moriva il massimo autore latino dell'età moderna, in Il Sole 24 ORE, 5Giuseppe
Saverio Gargano, Poeti viventi italiani: G"Vita Nuova", Gargano,
Saggi di ermeneutica. Del Simbolo (Sul "Vischio" di Giovanni
Pascoli), in "Il Marzocco" Gargano, Poesia italiana contemporanea, in
"Il Marzocco", G.S. Gargano, I "Canti di Castelvecchio", in
"Il Marzocco", G.S. Gargano, I "Canti di Castelvecchio", in
"Il Marzocco", G.S. Gargano, I "Canti di Castelvecchio", in
"Il Marzocco", Emilio Cecchi, La poesia, Napoli, Ricciardi, B. Croce,
Studio critico, Bari, Laterza, G. Debenedetti, Statura di poeta, in Omaggio a Giovanni Pascoli nel centenario
della nascita, Milano, Mondadori, Walter Binni, Pascoli e il decadentismo,
in Omaggio a Giovanni Pascoli nel
centenario della nascita, Mondadori, Antonio Piromalli, La poesia di Giovanni
Pascoli, Pisa, Nistri Lischi, Gianfranco Contini, Il linguaggio di Pascoli, in
Studi pascoliani, Faenza, Lega (poi in
Id., Varianti e altra linguistica, Torino, Einaudi, Maria Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli,
Milano, Mondadori); Giuseppe Fatini, Il D'Annunzio e il Pascoli e altri amici,
Pisa, Nistri Lischi, Ottaviano Giannangeli, Le fonti spaziali del Pascoli, in
"Dimensioni", Ottaviano Giannangeli, La metrica pascoliana, in
"Dimensioni", Luigi Baldacci, "Introduzione", in G.
Pascoli, Poesie, Milano, Garzanti); Ottaviano Giannangeli, Pascoli e lo spazio,
Bologna, Cappelli, Maura Del Serra, Firenze, La Nuova Italia
("Strumenti",Giacomo Debenedetti, Giovanni Pascoli: la rivoluzione
inconsapevole, Milano, Garzanti, 1Gianni Oliva, I nobili spiriti. Pascoli,
D'Annunzio e le riviste dell'estetismo fiorentino, Bergamo, Minerva Italica, Fabrizio
Frigerio, Un esorcismo pascoliano. Forma e funzione dell'onomatopeia e
dell'allitterazione ne "L'uccellino del freddo", in "Bloc
notes", Bellinzona, Annagiulia Angelone Dello Vicario, La presenza di
Virgilio in Carducci e Pascoli, in Il richiamo di Virgilio nella poesia
italiana, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, E. Sanguineti, Poesia e
poetica/ Atti del Convegno di studi pascoliani/ San Mauro, 1-Comune di San
Mauro Pascoli/ Comitato per le onoranze a Giovanni Pascoli, Rimini, Maggioli,
1984 Stefano Pavarini, Pascoli e il silenzio meridiano (Dall'argine), in
"Lingua e stile", Stefano Pavarini, Pascoli tra voce e silenzio: Alba
festiva, in "Filologia e Critica", Maura Del Serra, Voce Pascoli,
in Il Novecento, Milano, Vallardi, Arnaldo
Di Benedetto, Frammenti su "Digitale purpurea" nei "Primi
poemetti" di Giovanni Pascoli", in Poesia e critica del Novecento,
Napoli, Liguori, Ruggio, Pascoli: tutto il racconto della vita tormentata di un
grande poeta, Milano, Simonelli, Franco Lanza, scritti editi ed inediti,
Bologna, Boni, Marina Marcolini, Pascoli prosatore: indagini critiche su
"Pensieri e discorsi", Modena, Mucchi, Maria Santini, Candida Soror:
tutto il racconto della vita di Mariù Pascoli la più adorata sorella del poeta
della Cavalla storna, Milano, Simonelli, Le Petit Enfant trad. dall'italiano,
introd. e annotato da Bertrand Levergeois (prima edizione francese del
Fanciullino in Francia), Parigi, Michel de Maule, "L'Absolu
Singulier", Marinella Mazzanti, I
segreti del "nido". Le carte di Giovanni e Maria Pascoli a
Castelvecchio, in Raffaella Castagnola, Archivi letterari del '900, Firenze,
Franco Cesati, Mario Martelli, Pascoli, tra rima e sciolto, Firenze, Società
Editrice Fiorentina, Pietro Montorfani e
Federica Alziati, Giovanni Pascoli, Bologna, Massimiliano Boni Editore, Massimo Rossi, Giovanni Pascoli traduttore
dei poeti latini, in "Critica Letteraria", Mario Buonofiglio, Lampi e
cortocircuiti. Il linguaggio binario ne "Il lampo" di Giovanni
Pascoli, in "Il Segnale", ora
disponibile in Academia Andrea Galgano, Di là delle siepi. Leopardi e Pascoli
tra memoria e nido, Roma, Aracne editrice,
Massimo Colella, "Conducendo i sogni, echi e fantasmi d'opere
canore". Pascoli, Dandolo e l'onirismo 'conviviale', in "Rivista
Pascoliana", Jean-Charles Vegliante, L'impensé la poésieChoix de poèmes, Sesto San
Giovanni, Mimésis,. Accademia
Pascoliana; Ruggero Pascoli Decadentismo Digitale purpurea Giosuè Carducci
Gabriele D'Annunzio Severino Ferrari Luigi d'Isengard Augusto Vicinelli
Socialismo utopico Thallusa. Treccani Dizionario biografico degli italiani -- italiana di Giovanni Pascoli, su Catalogo
Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. nello specchio delle sue carte. Fondazione
Giovanni Pascoli. Giuseppe Bonghi. testi
con concordanze, lista delle parole e lista di frequenza Manara Valgimigli,
Poesie latine, Mondadori, Casa Pascoli. "Poemi
conviviali". Giovanni Pascoli. Pascoli. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Pascoli” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689469228/in/photolist-2mQ2SsQ-2mKC3nj
Grice e Pasini – implicatura –
filosofia italiana – La meta-meta-for a del cavaliere perduto -- Luigi Speranza
(Vicenza). Filosofo. Figlio di Pietro, discendente di una famiglia
originaria della val Sabbia, trasferitasi in un primo momento a Schio e
poi a Vicenza, dov'era ascritta al Consiglio Nobile della città. A metà del
Seicentopiù o meno all'epoca della morte di Pacealcuni Pasini di Vicenza
figurano tra i mercanti di seta e panni grossi. Studia a Padova
applicandosi agli studi giuridici, che ben presto trascurò per interessarsi
della nuova scienzafu in contatto con Galilei e soprattutto della filosofia, seguendo
assiduamente le lezioni di Cremonini, impegnato nel commento mortalista della
Fisica e del De coelo di Aristotele e seguace dell'aristotelismo critico e razionalistico
di Pomponazzi, che mette in discussione l'immortalità dell'anima e alcuni dogmi
cattolici. Uno dei incogniti, uno dei circoli più attive, vivaci libere. A
tale adesione alcuni biografi settecenteschi attribuiscono le accuse di eresia
nei suoi confronti. Come invece dimostra una serie di documenti dell'Archivio
di Stato di Venezia, e un fatto di sangue a determinare il provvedimento
giudiziario che lo condanna all'esilio. Per un futile contenzioso privato (un
diritto di passaggio riconosciuto a dei vicini), insieme con il fratello
Vittelio e alcuni sicari, nella villa
Pavaran uccise Roberto Malo e ne ferì gravemente il fratello. Condannato a
cinque anni di esilio a Zara, poi ridotti di circa la metà, e assolto e liberato.
Reintegrato nella società vicentina, fu vicario a Barbarano e a Orgiano, dove
era già stato agli inizi della carriera. La sua vita dovette scorrere come
quella di tanti nobili di provincia, tra affari privati, responsabilità
amministrative, passione letteraria e interessi culturali, sempre presente
l'ossequio al potere della Serenissima: dediche e composizioni sono spesso
dirette a podestà, capitani e dogi. Si registra un stretto legame gl’incogniti
e una grande produzione letteraria. Fece parte della corrente poetica del
marinismo, che ha in Marino il proprio modello. ””Rime varie, et gli increduli,
ouero De' rimedii d'amore: dialogo. Dedicate al molto illustre Giacomo Godi”
(Vicenza), esordio letterario del Pasini, miscellanea di sedici componimenti in
metro vario tutti di tematica amorosa e un dialogo, “Campo Martio overo Le
bellezze di Lidia, dedicato al clariss. sig. Giulio da Molino, dell'illustriss.
sig. Marco, componimento di quasi 900 versi settenari ed endecasillabi sciolti,
uscito a Vicenza presso Grossi e dedicato a un membro dell'illustre famiglia
Molino; “Rime” diuise in errori, honori, dolori, verita, & miscugli (Vicenza);
Il sogno dell'illustrissimo sig. Pietro Memo.. Dedicato all'illustrissimo
signor Dominico Molino, Vicenza, di carattere politico-encomiastico, racconta
allegoricamente come il sogno trasporta il podestà attraverso i cieli sino alla
via Lattea, dove trova gli eroi che hanno illustrato la sua famiglia; “Rime Marinistiche”,
raccolta complessiva delle sue Rime, stampata a Vicenza; fanno rientrare
l'autore nel filone marinista dell'epoca. “La Metafora. Il Trattato e le Rime. “Trattato
de' passaggi dall'una metafora all'altra e degl'innesti dell'istesse nel quale si
discorre secondo l'opinione e l'uso de'migliori, se senza commetter diffetto,
si possano usare dai poeti e, oratori. Dedicato all'illustrissimo, et
eccellentiss. sig. Nicola Da Ponte” (Vicenza); “Historia del cavalier perduto” romanzo
erotico cavalleresco che indirizza il proprio interesse su vicende e situazioni
feudali di provincia. La sua opera più nota, che si inserisce nella tradizione
del romanzo barocco veneto e dei narratori incogniti, secondo una linea che
intreccia avventure cavalleresche amorose a tematiche storico-politiche. -è da
questo romanzo che Manzoni trasse poi spunto per la stesura de “I promessi sposi.”
Vicenza nella sua toponomastica stradale, "Le Garzantine", Manzoni a
Vicenza Firenze, Olschki). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. e
cantòinquestaforma. Nela vagastagion, che l'Usignolo
Dolenteancoradel'anticooltraggio Contragichearmonie filagna,e plora, E
chedinouoamorfecondoilsuolo Del gran Pianeta altemperato raggio Di verde giouentù
gode , ès'honora, Con man prodiga Flora D'odorositesori Consuperbia pomposa. D'ogniintornospargeagemmatifiori;
Ma qual donna deglialtriinmaestosa monarchia sublimarpareala Rosa.
Tributariadilei, versandol’vrna, La figliuola del Sole Albanascente Le offriadiperleruggiadoseunnerabo;
Etella, delapuraondanotturna. L’homaggio accoltoinfen,lieta,eridente Di sii
2 Diricca gravidanzaempieafıilgrembo; Indi , il purpu r e o l e m b
o Spiegando a poco a poco , Scoprial'auratocrine Delgranlumedelcieloalprimofoco;
Levolauanointornoafar rapine Preciofed'odorl'inrevicine. Superbaciterea, ch'in Regia
tinta Le imporporasse il suo bel piele foglie, Incota i detti ingiuriosa
eccede. Chianti Giunohomai, tuagloriaè vinta, Altrolatte il mio fangne il pregiotoglie,
E'ltuofiorealmio fiors'humilia, ecede. Cositumida fiede Coninportunoorgoglio
L'ambitiofo petto Dela Reginadelsuperno foglio, Chefdognandoilsuo
Numeellernegletto, Lo sguardo oscura, eintorbidal'aspetto. Frome, egal carrodi vendetta
ingorda Di vampe, efocbi,edisaette,elampi . Grida lontana ancor ;Figlio
vendetta, Con frettolofaman richiama, elega Ilvago augel da le flellate piume ,
Econla voce anco la sferza accorda , Zosgrida,ebate,eimpatienteilpiega,
Quevfailmondo incanutirdi brume. Delarmi ilfjero Num e Quiui a funguignalite
Sai Vandalicicampi Alti Duciinfiammana, e fchiereardite; Giungeellaa
lui,cuiparche'lguardoaukāpe Ambo fiam vilipeli, amboschernići, numi impotenti fon
Marte, e Guinone; La tuapudica Dea,latuadiletta, Quella,chedelsu’amorresegraditi
Cillenio, e Febo,elcacciator garzone, Questa del vago Adone Coleancor le memorie
Solo a tuo scorno, e in vno Al mio lattedirinfratia le gloriezn. Mirà
d'orgoglio altierfastoimportuno, Che di rosa anteporsi ardisce a Giuno . S'ami
lamadre ,e leigradir desij, A lasuperbal'alterigiaScorna, Ela
suarosaleaxuilisci ofiglio Madre ,non fia,ch'io letue ingiurie oblij (risponde)
al cielo pur sagli ,e ritorna, Ch'io benfarollebumiliareilciglio:
Dipiùfinovermiglio Distino ostro più grande, P e r tinger rosa altera ,
Dicuilagloriafoltesfaghirlande; Stella non splende , ou'è delsolla jpera , E
appolaneuengnicandors'annera. Cosidetto,ellaparte, egliaccore Doue aßalitoil Vandalloferoce
ColGoto afalitor pugna , e contende : Disanguinosifiumi ilprato/corre, D'urli, e
di strida una mistura atroce , Che difonde terrori al Cielo ascende ; Dubbio
ilsuccessopende, Alfinscompiglia,efrange il gran duce Adoino Lanemica
Vandalicafalange; Mail ficroDio, ch'adostroperegrino Aspira,affrettailsyomortal
destino. Cadeilprodesignor,fuggedisperso Semi viva fi getta addosso al morto;
El'abbraccia,e lofringe,el bacia,e’lterge Condiluuijd'angoscia,elcrins'afferra,
E Straccia, efuelleinfindaleradici; I sulerose, chelbuon sangueasperge, E
checompagnefondelasuaterra, Spe r g e presag i in v n mesto , e felici.
Esclama. O fioriamicia Lostuolnemico, ilfuotrionfosdegna Per sì gran danno il G
o t o l a g r i m o f e j j Goiodisco ilgerman nel duoloimmersa Nela fortune gloriosa
insegna Trarose inuolue il busto sanguinoso, E dono doloroso A Lutterial'invia,
Cheil granmaritofcorto Esangue, efreddoogni dilettooblia, I d'amor piena,
edotadiconforto, che Così pullulerà la Rosa ORSINA. E
cosìgerminò,cosìdalcielo, Per lomondo abbellir,netrasseisemi,
Nelsuonataleancorgrandeiammirata: Sorge fecondo il glorioso stelo , E
ne'Gallicicampi,ene'Boemi Degnirampoli Italiane traslata , D'apiinvece,adorata
Schiera d'altepirtudi Lovà suggendo,efaui P o i ne compone di Reali ftudi ,
Onde ilmondo isuoi cafiinfaufti, e graui Persidolceliquortornisoaui.
DefiudilaudedilSole,acuis'aprica solo ,e solo a'suoirai s'auanza e gode, E
l'irrigailfuddordi nobilonda; Duro, einduftre cultor glièla fatica, Siepe
l'ardire, il buon valor custode, El ' applauso de ' Cor i a u r a gioconda
Ondeè poi,chediffonda Cosi pregiato odore E dipalma, e di Lauro Ch' ı n t a l
nel g i r do e l età migliore Non neadunolaGloriainfuotesauro
DalBoreaàl'Auftro, edalmar' Indo, alM auto. Scritte så in Cielo alettere
difato, Là de l'eternità ne'cupi annali, Digermetal son le grandezze,eipregi.
Febo m'inspira è colassu fermato, Ch'eglifioriscafolfreggiimmortali,
Alteimprese,opreilluftri,èfattiegregi: Tirannieftinti,Regi
Debellati,daafflitti, Regnisommersiinlutti, Espugnatecittà,Ducisconfitti,
Prouinciescosse, esercitidestrutti, Pergliopresileuar, fianosuoifruti.
Lietoverdeggi, eauuenturosogoda, Che'l cielgliarride, eporgelafortuna
Grandi Che'l core hor m i pungete, Insegna peregrina Delmio venireimmaturo
ancorSarete; Cosi auuerrà, cosilo ciel destina, Il diadema adorar veggio di
Piero. Fortunata Dalmatia,borche s'innesta NeltuoceppoRealfinobilpianta, attendi
pure un secolo d'Eroi. Vomiti incendihomai Chimera infesta,
Stragede'campisiabelua Erimanta, Che fienconcettiipercussorisuoi; Altri
indomiti buoi sbuffinofiamme in Colco, C'hauralliubbidienti
Adaratronouelnouobifolco; SorganProcufti,elanguirandolenti Ancola Famahà
lingue, E filgrande, efacondo, Ei gesti degli Eroi spiega, ediftingue. Bastiàl'ORSIN
valor, c'habbiagiocondo Teatro Italia, e spettatore il mondo. Gran di alimentià
le r a dice prime. Beltesoroèvirtù;ma s'altaloda, Mase honori laforteancogli
aduna, ViepiùchiaroSplendorne’raggiesprime Eccolohomaisublime Gemmarfi
intorno,intorno Sold'insegned'impero, Manti, porpore, scettriilfanno adorno;
Mafouratuttiin maestà primiero Sotto noui Tesei gliultimi accenti, Canzon
chiudanlelabbra. La meta-meta-fora. itopedelabiturates. 347
daglianimal:corterdel'acquecitopedeèsolce Nec tenoftra iuberfiericenfura
pudican . Sentäthaoppreffo CarullaDeXNptysPelleic Cerula verrentes abiegnis
equora palmisan Verrentesperremigantı, palmisperremi son metafore di poca
comienienza; perche le mani non icopano come inftrumento profimo. DS
Fortetfolcodálfoco et verriginsJalmocodel la core circulari. Sedtamen,uttentesdisimularerogat.
Cenfura è traslation dal Magistrato Cenforio a } rigordell'atninre; oubetèmetaforaanch'ega,
che nonficonfaconla censura; perchefebene: legesautiubescentvetant,quepermitan,
AMAP H i u n t. La censura pero non era legge, nè magistrato, che hau e f l c a
u c o r i t à d i far legge. Ma a f o l o gaftigauachi contrauenità
a'buonicollumi, adalcuneleggi et adalcunivnitalchequi?
Pinnestodiduemetaforeinvafolopredicatos poilslacione confaceuole alla
vièpoiilpallaggionelnornogar dell'altropredje viè censura. tom 1 Nel terzo de
arte ama ndi, Ecco
Nequevliusitinntisim per untitabii. Nequifleprezesirefoue palmulis
metaforam non producer ad extremum nec ineaintere. Sed abvnaadaliamtranfilire; hicveroraliumiprie
Prorumfecurses, och Nonèdigiustitiachc Catullorefiabbando pato 1945 Epiù
sottodiffe. Qui formula croftramentofumprofcidir quota Aoftrumè metafora trasportata
da gli vecelli allegalee, acuimancauailproprio perfignif carlofprone, equindiancoallanaue
perde notarlaprora, e proscindere è pur metafora, che Hon ha corsispondenza con
legalec, ma con quellecose, chetagliano: Ecco appresso v o trappasso da metafora
a metafora. Ecco VA alero inneftopuriuinell'aggionto, e nel softantiuo. Dide
currum wlitanumper ladate, che viag giava PHASELLUSilleguem videtihofpittia'?
Siswiffenavium celerrimus. Oprisforeivolarejouelinteo. Ognuno sà che
Falelloèvna fpeciedi nauigio; nel descriver la celericà del quale nel n a a i g
a r e Pau r o r e fi vale della metafora del nuotatore e fubitò palla al volo ch'è
dell'uccello e quianco fåvn'innestoinquel volarepairwisin cuivuo) direnauigar
coiremi:poichenen f volacon lepalme, maconl' aliscosiinnettal'operation!
dellyccello con l'inftrumento dell'huomo, ch'è la mano sopra il qualpaflo il Muretto
di fe.Aiuntvitiofumeffefernelsuscepram tolco da'legamini ]? wimruna è
2349 nato da Tibulloze da Propertio speiò fenciamo lianch'elli. Propertio nella
festa decimadlegiadel. cerzo ang niNini Sublime capulmafiflimunubar Afperala
Mefiffimosa sperme, chehannodicomune ,Ring oluenparcela branquillità,ch'e
delmare cal P6 Sempere n i m vacuos n a x i f o b r i a t o r q u e r u m a r e
s. Nox fobristonguet,inpeito Pace Pasini. Pasini. Keywords: implicatura, il
cavalier perduto, la metafora, “dall’una metafora all’altra, galilei, cremonini, degl’incogniti, keplero,
Manzoni, rapimento, anonimo, incognito, meta-meta-fora. Refs.: “Grice e Pasini”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691984749/in/photolist-2mPyn68-2mLLZRD-2mKQW9n-2mKbpiZ
Grice e Passavanti – eroe –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Terni). Filosofo. Partecipa
alla Grande Guerra csergente nel 4º reggimento Genova cavalleria, in cui e protagonista
di incredibili atti di eroismo. Partecipa
alla occupazione di Fiume tra i
legionari di Annunzio. Da soldato, da caporale, da aiutante di battaglia,
fulgido, costante esempio, trascinatore d’uomini, cinque volte ferito, tre
volte mutilato, mai lo strazio della sua carne lo accasciò, sempre fu dovuto a
forza allontanare dalla lotta; sempre appena possibile, vi seppe tornare, ed in
essa fu sempre primo fra i primi, incurante di sé e delle sofferenze del suo
corpo martoriato. In critica situazione, con generoso slancio, fece scudo del
suo petto al proprio comandante, e due volte, benché gravemente ferito, si
sottrasse, attaccando, alla stretta nemica. Con singolare ardimento, trascinava
il suo plotone di arditi all’attacco di forte, munitissima posizione nemica;
impossibilitato ad avanzare, perché intatti i reticolati, fieramente rispondeva
con bombe a mano, alle intense raffiche di mitragliatrici. Obbligato a
ripiegare, sebbene ferito, sostava ripetutamente per impedire eventuali
contrattacchi. Avuta notizia di una nuova azione, abbandonava l’ospedale in cui
l’avevano ricoverato, e raggiungeva il suo reparto; trasportato dai suoi,
riusciva a prendere parte anche alla gloriosa offensiva finale. Soldato
veramente, più che di carne e di nervi, dall’anima e dal corpo forgiati di
acciaio e di ottima tempra. Superdecorato,
volontariamente nei ranghi della nuova guerra, per la maggiore grandezza della
Patria, riconfermava il suo meraviglioso passato di eroico soldato. A capo
della propaganda di una grande unità, seppe dimostrare che più che le parole
valgono i fatti e fu sempre dove maggiore era il rischio e combatté con i fanti
nelle linee più tormentate. Nella manovra conclusiva, alla testa dell’avanguardia
del Corpo d’Armata, entra per primo in Korcia ed in Erseke, inalberandovi i
tricolori affidatigli dal Duce. Superba figura di combattente, animato da
indomito eroismo, uscì illeso da mille pericoli e fu l’idolo di tutti i soldati
del III Corpo d’Armata, che in lui videro il simbolo del valore personale,
della continuità dello spirito di sacrificio e della più pura fede nei destini
della Patria, che legano idealmente le gesta dei soldati del Carso, del Piave,
del Grappa con quelle dei combattenti dell’Italia. Mirabile esempio di coraggio
sereno, di alto spirito militare e di profondo sentimento del dovere, rimase
sul posto di combattimento, quantunque non lievemente ferito. Nuovamente e più
gravemente ferito, prima di esser trasportato al luogo di medicazione, volle
esser condotto dal comandante del gruppo, per riferirgli sulla situazione. V. Pirro,
Arrone: EThyrus. L’arma dell’eternita, Roma, (Camera Deputati), L’organizzazioe
economica dell’industrai eletrica, Roma, Le benemerenze e la tirannide degli
idrolettrici, Roma, Risveglio e viluppo agricolo, Roma, Bonifica integrale,
Roma, Per una piu armonica distribuzione di pesi fra I diversi cespiti della
ricchezza e I diversi lavoatori, Roma, Precursoi. L’IDEA ITALIANA, in Piemonte,
Roma, La contabilita generale dello stato italiano, Roma, lineamenti chematica
di contabilita di stato, Siena, Storia di Terni, dale origi al medio-evo
(Roma), Interamna de Naarti, “INTERAMNA NAHARS”, La contabilita di stato o
economia di stato nella storia italiana, Giappichelli, Torino, L’ECONOMIA DI
STATO PRESO I ROMANI (Giappichelli, Trino, 1936), La contabilita generale dello
stato esposta per tavole sinottiche, aRosrino, Attualita economiche, Roma, La
contabilita dello stato”. “Nel numero e l’univeso ma il numero e un segno che
po cconviene interpretare. Elia Rossi Passavanti. Passavanti. Keywords: eroe,
Annunzio, Fiume,il concetto di economia di stato, l’economia di stato presso i
romani, la terni pre-romana, la terni no-romana, la terni umbra, la terni osca,
la lingua umbra, l’idea italiana, economia di stato. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Passavanti” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740922209/in/photolist-2mQaKxF-2mPY4jk-2mPqp6k
Passavanti, jacobo –
libro dei sogni.
Grice e Passeri – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Padova). Filosofo. Grice: “He was Zabarella’s uncle –
mine worked in the railways!” -- Grice: “It’s amazing how much a little book
like Aristotle’s ‘Peri psycheos’ influenced those Renaissance and
pre-Renaissance Italians! Surely they were concerned about the immortality or other
of the soul!” -- genua: essential Italian philosopher. Pubblica
commentarii al “De Anima” e alla “Fisica” – contro Galileo. Dimostrara la
perfetta convergenza fra le idee di Aistotele e Galileo sulla dottrina
dell'unità dell'intelletto. “Disputatio de intellectus humani immortalitate” (Monte
Regali: Torrentino; “De anima” (Venezia,
Iunctas-Perchacinum); A. Paladini, “La scienza animastica”. At cum Latini
uideantur hoc negare, nosrem itaefle comprobare possumus quoniam Aristotele cum
dederitcommunem ANIMA. Animæ definitione subiungit et propriam cuiusque gradus
dicendam fore et prior rem natura elTe vegetatiuam sensitiua, quod in codem
intelligitur, non autem in diversis quoniam in eodem animato pofita senfiti,
uaponitur vegetatiua et pofita intellectiva nimortalibusalięponátur, quiaficutise
habet vegetativa in sensitiua, ita & sensitiva in INTELLECTIVA, quoniam in
consequenterfe habentibus polito primo non ponitur se cundum ,atposito secundo
ponicur primú. Itaq;essentiægraduúanimæcum fefecon s equantur, polita posteriori
dabitur prior et per consequens communem animæ definitionem analogam esse oportet.
Secundum autem anobisposicum, utintelligatur Animain scilicet intellectiuã immortalem
fore secundum quidautem mortalem , intellectum quattuor modis dici, certumeft.
depossibili, deinhabitu speculative et agente. Vnus quisque horum modorum
arguir intelletum corruptibilé, quoniamomne quodincipit, necessariodefinit:cumautem
intellectus materialis in Sphæranon detur fed tantum in puero nuper nato, cum
inces perit in Socrate, ut ita dixerim necessario delinet. Similiter intellectus
agens in Socrate incipit, quoniáili copulatur, ut forma & cum agens ili copulatur,
intellectus in habitu, qui genitus est desinit intellectus etiam in actu
speculans, cum de non speculari transeat ad speculationem, videtur genituscum
autem amplius non speculator actu, definit este intellectus actu speculans .
ita ut intellectus quodammodo et propter diverdos respectus quossuscipit, dicatur
corruptibilis et factus secundum autem substantiam cum eadem sit substantia intellectus
agentis et possibilis dicitur eternus et simpliciter immortalis, quod rationibus
ab Aristotele acceptis itaefleoftendi potest. Omne enim formas omnes materiales
recipiens estim materiale intellectus autem possibilis recipit omnes formas igitur
est immaterialis, est autem necessarium tale recipiens esse immateriale.
Quoniam quod intus eft extraneum prohibet. Pomponatius [POMPONAZZI] támenstuder
destruere hanc rationem, primum enim inquitillam non concludere proptere aquòdfi
intellectcus. Eus materialis esetseparatusfequeretur et suam operationem separatam
fore, quia operatio ipsam essentiam consequitur:atArist.
inquitsiintelligereestficutsentire,ecce quod comparat operationem intellectus
operationisensus, igiturvideturhæc ratio, potiusintellectummortalē probarc,quàm
immortalem. NullaefthæcratioPompo Ratij,quoniam fequereturintellectumeffe uirtutem
materialem , quod di&tum Arift. omnino negat.prætereavideturcommitte
refallaciam afecúdum quidadfimpliciter, propterea quòd non ualct, possibilis obie
&tiuedepédet, igituromnis intellectus.At cum Alexan,velitanimam
intellectiuafiue intellectum possibilemnonesseformā, sed; præparationemquandam
, qux& sirecipiat omnes formas,essetamcnmortalcm,peto abilloquid per
preparationemintelligat, uel intelligitpuram priuationem , uelpri-, uationem
cum aptitudine, non primum: quoniam priuatio fola nihil recipit, igitur
priuationem cum aptitudineillumintelli gere oportet, igitur erit forma:si forma
, ergomaterialis,quarepreparatiohæc non, recipiet omnes formas. Adiungit præte
rea Pomponatius,intellectus vnicam tan tum operationem habet, proptereaquòd D i
j ynius Secunda ratio, qux nostram sententiam confirmat, accipiturab Arist.
in3.de Anima.13.& isiinquibus propofitain13.quesstioncan intellectus sit intelligibilis
quema admodúalia materialia-intelligibilia,foluit in15. Etintelligibiliseftficutipsaintelligi
biliain his quæ funt fine materia idem est, quod intelligit et quod
intelligitur, quilo unius virtutis unica est operatio cum itaq;
intellectus fit vna uirtus, quęmedia est inter: pure materiales et omnino abstractas, vna driteius operatio:esseautcm
mediãexeoni titurostendere, quoniã intelligitvniuerfale infingulari et
quatenusintelligitvniuerfa le, comunicat cum abstractis, quatenusin
singularicomunicatcummaterialibus, primum dictum sublatum fuit, non inconuenire
quòdvna virtus diuerfimodefe habens, di versasexercear operationes, secundum di
& umapudme nullum eft, quoniam intel ligere fubftantiarum quæ omnino funtfe
paratæ,est intelligere per essentiam ,intelli gereauté intellectusestvniuersalisperspe
ciem ,fiitaq;hocintelligerenonconuenit substantiis omnino separatis, quomodo na
erit media participatione extremorum, qux re erit adhucex hoc fundamento
intelles Aus pure materialis. Tertia ratio accipitura quodamnorabia ti, Quoniam
naturalis philosophus uide túrdare duo eusnon eftcum LATINIS interpretandus, sed
intellectum esse intelligibilem, cum possi bilishabueritintellectum agentem ut
formam , tunc est intelligibilis per speciem, q u x actu est scilicet per
formam intellectus agentis et est intelligibilis vel uti intelligere tixet enim
si intellectusintelligereturqué admodum dicútLatini,effetintellectusdo
teriorisconditionis lapide, quoniamlapis per suam speciem intelligitur per se, intellectus
vero per accidens, intelligendola pidem per fuam fpeciem. Quare intelle dus
materialis et fi uideatur intelligibilis ficuti alia intelligibilia materialia per
speciem, nontameneodemmodoquoniam intellectus intelligibilis per suam formam
fit intelligents, intelligibileautem materias leminimè, dequibusfufius in explanatio
neeiuslocidiximus. phy. fundamenta Metaphy.primú quòd detur abstractum in
natura, nam fi Metaphy, ignoraret abstractum, eum non determinaret, alterum
fundamentum eft quod naturalis supponit abstractum et qud abstractum magnitudine ficintelligens,
quod tribuítanimasticusfine quo Mera phy. Non haberet, quodabftractum
fitina telligens.Adrem fiintelleétusessetmorta lis,nondareturMetaphy.quoniam
per nullam naturam posset haberi abstractum esse intelligens, intellectus enim
quimor talis est non poteft habere eandem opera tionem, cum intelligere intelligentiarum,
quarefieffet mortalis, non habereturco gnitioeorum, quæperessentiamsunt sep
rata. Ultima ratio quæ immortalitatem animá confirmat, estquoniam felicitatéacqui
ri pofle conveniunt peripatetici omnes, quam habere esset impossibile, liintellectus
esset mortalis. Pomponatius discurritagés defelicitates, illam contingere hominibus,
quoniam omnes lībiinuicem funt auxilio alijenimaguntsecundum intellectumpra:
eticum ;alijautem secundum intellectum , Speculatiuum: rectè inhocdicit, fed,falli,
tur, cum -velithominem effe hominem per intellectum, ideo homo exercet operatiot
nesmorales per formam, qua est homo,& propterea inquit Averroes p moralis capitfi,
nemhominisineoquod homo, quiqui demfinisest cogitatiua, ideofoelicitas non
competit homini ut homo, fedut in coquoddam diuinum reperitur.10, Ethi. cap.9. Aliauita
et finispotioristo, ideo nos li er
nos cum homines fimus,non debemus h u mana curarc, sed perueniread
immortale & sempiternum, peridquodinnobisdi uinum eft. Dequibusfufiusin
expositione c o m .; de anima diximu s. Ianua. Marco Antonio Genua. Marco
Antonio Passeri. Antonio Passeri. Passeri. Keywords: peripatetici, lizii, nous,
intelletto, etimologia d’intelletto, da lego – ‘to care’, ‘to decide’.
Intelleto, nous, animus vs. anima, mens, Boezio, l’intelletto, l’anima
intelletiva, animistica, animastica. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Genua," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691304466/in/photolist-2mPyn68-2mKQ7M8-2mPCgo1-2mKMrVm-2mKyJgk-CfbuaM
Passini
Pasqualini difficult to
find. M. Pasqualini, C. Pasqualini.
Grice e Pasqualotto – trasmettitore/ricevitore –
implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vicenza). Filosofo. Grice:
“I like Pasqualotto; for one, he predates Oxonians in the ‘teoria dell’informazione’!”
– Grice: “I never took ‘information’ as seriously as Pasqualotto does – I do
compare information with money, and refer to the stupidity of ‘false’
information – “”False’ information is no information.”” – But Pasqualotto
attempts to reconstruct a ‘teoria,’ a ‘teoria dell’informazione,’ i. e.
complete with a model that has room for the implicaturum, i.e. any x such that
by a mittente ‘sending’ a message, he may ex-plicate such-and-such and
im-plicate so-and-so.””Frequenta il Pigafetta di Vicenza, dove ha come maestro Faggin. Sotto
la guida di Formaggio, si laurea in filosofia aPadova, con una tesi sull'estetica
tecnologica di Bense. Diventa amico di Brandalise, Cacciari, Curi, e Duso, ed è
maestro nel suo stesso liceo vicentino, dove conosce Volpi. Collabora
attivamente ad alcune importanti riviste di filosofia come Angelus
Novus, Contropiano, Il Centauro. -- è professore a Venezia; a 'Padova; è
stato cofondatore dell'Associazione “Maitreya” di Venezia. Contribuito alla
nascita della rivista “Marco Polo, rivista di filosofia orientale” -- e comparata “Simplègadi” è stato tra i
promotori del Master in Studi Interculturali dell'Padova, presso il quale ha
insegnato Filosofia delle Culture. Direttore scientifico della Scuola Superiore
di Filosofia orientale e comparativa di Rimini. Contributo teorico Nel saggio
Dall'estetica tecnologica all'estetica interculturale, Pasqualotto descrive la
sua avventura intellettuale e insieme l'evoluzione del suo pensiero. In una
prima fase si è formato all'estetica analitica e alla filosofia analitica del
linguaggio, ma ha rilevato il loro limitato significato formale. In una seconda
fase, si è rivolto al pensiero critico di Adorno e della Scuola di Francoforte,
e in questo caso ha valutato che la conclusione alla quale essi giungevano, era
la morte per utopia dell’estetica. In una terza fase si è rivolto al pensiero
di Nietzsche, tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta;
Nietzsche nella Nascita della tragedia, considera Apollo e Dioniso come due
istinti complementari, tanto da consentire di poter riuscire a «vedere la
scienza con l’ottica dell’artista e l’arte con quella della vita»’, e a dare
importanza alla saggezza del corpo. Ma quello Nietzscheano gli sembrò solo un
tentativo eroico di coniugare filosofia e vita, che alla fine si rivela
solo come uno straordinario tentativo di scrittura sulla vita. Un'insoddisfazione
di fondo per gli esiti del pensiero occidentale, e la ricerca continua di nuove
possibilità per il pensiero, lo hanno portato ad approfondire lo studioiniziato
già in anni giovanilidi tradizioni di pensiero esterne a quella occidentale. Il
buddhismo, in particolare, ha costituito un terreno ampio di indagine e di
confronto con diversi temi o autori della cultura europea; ma anche il pensiero
taoista e l'esperienza della filosofia indiana hanno rappresentato nel corso
degli anni un importante ambito di riflessione. Infatti, in un'ulteriore quarta
fase del suo viaggio intellettuale, Pasqualotto si è rivolto all’estetica
orientale come meditazione, ovvero come cammino comune verso un possibile
superamento della scissione tra esperienza e riflessione (250-259). In una
quinta fase, Pasqualotto si è avvicinato all’estetica di Emilio Garroni come
uso critico del pensiero, quale comprensione dell’esperienza in genere
all’interno dell’esperienza: in un certo senso, quindi, l’estetica andava
coincidendo con la filosofia. Valutando la riflessione di Garroni prossima a
quella orientale, Pasqualotto arrivò a considerare l'importanza della
'meditazione' e del 'vuoto mentale’, in base ai quali, come l’assenza di
pensiero non può essere pensata senza idee, così non si possono pensare idee
senza pensiero, come era stato già pensato da. Dōgen. Nella sua sesta ed ultima
fase, guarda l’estetica con gli occhi
della filosofia come comparazione e della filosofia interculturale, quindi come
un ampliamento dell’orizzonte particolare dell’estetica verso una riflessione
generale sui problemi cruciali dell’esistenza. Pasqualotto, infatti, è stato il
primo pensatore italiano a elaborare la valenza teoretica di una filosofia come
comparazione, teorizzata con rigore in Filosofia come comparazione,
distinguendola da un mero esercizio comparativo di pensieri appartenenti ad
ambiti geo-filosofici differenti. Il suo pensiero ha trovato echi e possibilità
di dialogo con filosofi italiani, come Giuseppe Cacciatore, Giuseppe Cognetti,
Giovanni Leghissa, e stranieri come Raul Fornet-Betancourt, Heinz Kimmerle, F. Jullien,
Ram A. Mall, Ryōsuke Ōhashi, R. Panikkar, G. Stenger, F. Wimmer. Tra la
fine degli anni Novanta e l'inizio degli anni Duemila ha contribuito
all'introduzione in Italia della filosofia di Marco Polo sull’Oriente a
cominciare dall'importante opera di Nishida L’io e il tu, e poi con gli
altrettanto importanti Uno studio sul bene e Problemi fondamentali della
filosofia, accompagnati sempre da un saggio interpretativo che è rimasto
sostanzialmente invariato nel corso degli anni. Parallelamente ad altri autori,
si è misurato dai primi anni Duemila con il tentativo di delineare temi e
metodi per una filosofia interculturale che costituisce il campo di maggior
impegno e interesse della sua ricerca, congiuntamente a una riflessione
estetica sulle forme dell'arte dell'Asia orientale. Riassumendo gli
elementi chiave del pensiero di Pasqualotto, potremmo individuare due
componenti fondamentali: il concetto di Ermenuetica interminabile e quello di
Dialogo interculturale Il concetto di Ermenuetica interminabile prevede come
elementi: 1. il pensiero come 'comparazione originaria'; 2. il sapere come
'ambito problematico sempre aperto', rispetto al quale non si dà mai una verità
stabile, ma sempre problematica, inscritta cioè in un processo inesauribile di
ricerca; 3. il concetto di 'impermanenza' (mutuata dal concetto buddhista di
'anatta') come struttura relazionale di tutto ciò che è, in base alla quale
tutto ciò che è, è un ‘nodo’ di relazioni in continua trasformazione ed
evoluzione processuale. Il concetto di Dialogo interculturale prevede come
elementi: 1. la 'meditazione' come ‘vuoto mentale’ e ‘consapevolezza’mindfulnessdel
senso critico del pensiero radicato nel presente; 2. l'aperturaconseguente alla
compresenza degli elementi precedentidell’orizzonte di una riflessione generale
sui problemi cruciali dell’esistenza, orizzonte tipico della filosofia interculturale.
Pasqualotto precisa chiaramente la specifica forma di rapporto comparativo che
viene attivato nell'orizzonte della filosofia interculturale, rapporto detto 'a
tre variabili interdipendenti. L’orizzonte di una filosofia interculturale
dovrebbe invece tendere a porsi come linea immaginaria di uno spazio illimitato
pronto ad ospitare quelle specifiche pratiche interculturali che sono gli
esercizi in atto di filosofia in quanto comparazione. Per evitare le
conseguenze contraddittorie a cui conducono sia le prospettive multiculturali,
sia le utopie universaliste, è necessario precisare la natura e la funzione
della specifica forma di rapporto che si viene ad attivare nell’orizzonte della
filosofia interculturale. La modalità di tale rapporto può essere definita 'a
tre variabili interdipendenti': due sono costituite da pensieri o ambiti di
pensieri tra loro diversi, e la terza è costituita da un soggetto (individuale
o culturale) che li pone a confronto. L’essenziale di questa modalità di
rapporto è che nessuna delle tre variabili sussiste autonomamente, prima, dopo
o a parte rispetto alle altre due: in particolare, è importante evidenziare che
il soggetto risulta sempre e necessariamente implicato nella pratica della
comparazione, al punto che tale pratica lo forma e lo trasforma: il suo sguardo
è ‘impuro’ fin dall’inizio, perché fin dall’inizio viene condizionato e
prodotto da una serievirtualmente infinitadi osservazioni comparative. Fra i
temi affrontati più di frequente dalla sua riflessione ricordiamo: 1. il tema
dell’identità, in base al quale essa non è alcunché di rigido e identitario, ma
poiché l’essente è nodo di relazioni, l’identità si dà come intreccio di
infinite relazioni, ovvero come compresa in una sua problematica autonomia; il soggetto
che, in quanto costitutivamente interessato da molteplici relazioni, nel suo
ricercare il senso del realtà del mondo, non è un osservatore disincarnato e
disinteressato, o imparziale, ma è compreso nel rilevamento di quel senso nella
trasformazione di sé e della realtà; il corpo, in base al quale esso è la mente
e, insieme, la condizione prima della conoscibilità del mondo; in questo senso
il tragitto di Pasqualotto ha sicure relazioni al tema odierno della
‘cognizione incorporata’ e della Filosofia del corpo; il concetto di
‘processo’, in base al quale la realtà è un insieme di processi: ciò che è, in
quanto 'nodo' potenzialmente infinito di relazioni, diviene processualmente,
concezione che deriva direttamente dalle filosofie orientali, in particolare
dal buddhismo; l’illuminismo in base al quale i limiti della ragione possono
venir posti soltanto dalla ragione stessa, come era stato già perfettamente
considerato dalla Dialettica dell'illuminismo; l tema delle pratiche
filosofiche e della pratica artigianale;
il tema dei diritti umani che non è solo un tema accessorio rispetto al
suo pensiero; su questo versante pare giocarsi una partita più grande, che, ai
temi della ‘libertà condizionata', della natura dell’individuo e del fenomeno
della globalizzazione unisce una
profonda preoccupazione per i destini dell’umanità. A tal proposito pare essere
abbastanza pessimista, un pessimismo attivo non passivo. Egli dice, infatti,
nella premessa alla nuova edizione del Tao della filosofia, queste precise
parole. È da osservare tuttavia che le tematiche della filosofia comparata,
della filosofia come comparazione e della filosofia interculturale non hanno
avuto e continuano a non avere risonanze significative all’interno del
dibattito filosofico nazionale e internazionale. Le ragioni di questa
scarsa ricaduta sono molteplici e di varia natura. Forse vi sono alla base
difficoltà intrinseche ai modi in cui tali tematiche sono state formulate e
proposte; ma è anche da dire, a tale proposito, che finora non vi è stata
alcuna proposta critica che abbia messo in luce tali ipotetiche difficoltà. È
da ritenere, allora, che le ragioni di questa debolissima risonanza siano,
almeno in parte ma in primo luogo, da far risalire alle rigidità delle
discipline accademiche che mal sopportano non solo le contaminazioni
interdisciplinari ed interculturali, ma anche i semplici ponti che tentano di
mettere in comunicazione diverse discipline, culture e civiltà. In secondo
luogoma, dovremmo dire, ad un secondo, più basso, livellosi dovrebbero tener
presenti le ragioni o, meglio, i ‘sentimenti’ che hanno a che fare più da
vicino con germi xenofobi mai estinti, con residui di fondamentalismi religiosi
e con rigurgiti di tipo razzista che infestano non solo l’Italia e non solo l’Europa.
Ci sembra, anzi, che le tendenze che germinano da tali poltiglie psicologiche e
ideologiche si stiano facendo sempre più invadenti ed arroganti. Questa
riedizione del Tao della filosofia può forse costituire un frammento ancora
utile a tenere aperta qualche piccola fessura di luce in un orizzonte culturale
che, nonostante le aperture imposte dalla globalizzazione, si fa sempre più
stretto e più cupo. Al fondo delle intenzioni di Pasqualotto, c’è un
atteggiamento ecologico e agnostico,fino addirittura a concepire la possibilità
dell’essere ‘apolide’ -, e consapevoleuna consapevolezza nel senso di
mindfulnessnei confronti della natura della mente e della psicologia umane, al
punto che, alla disillusione per la possibilità di integrazione nella vita psicologica
occidentale delle pratiche meditative orientali, si unisce la preoccupazione e
l’impegno sociale e politico, forse considerando la marginalità
dell’intellettuale nelle grandi vicende della contemporaneità, ma insieme
sempre anche con un’apertura di orizzonte per una riflessione generale sui
problemi cruciali dell’esistenza.
Saggi: “Avanguardia, tecnologia ed estetica (Roma, Officina); “Teoria
come utopia” (Verona, Bertani); “Storia e critica dell'ideologia, Padova,
CLEUP, Oltre l'ideologia: «Il Federalista», Roma, Ist. dell'Enciclopedia
Italiana); “Pensiero negativo e civiltà borghese, Napoli, Guida, Saggi di
critica, Padova, CLEUP, Saggi su Nietzsche, Milano, Franco Angeli, Il Tao della
filosofia. Corrispondenze tra pensieri d'Oriente e d'Occidente, Parma,
Pratiche, Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d'Oriente,
Venezia, Marsilio, Illuminismo e
illuminazione: la ragione occidentale e gli insegnamenti del Buddha, Roma,
Donzelli, Yohaku: forme di ascesi nell'esperienza estetica orientale, Padova,
Esedra, East & West. Identità e dialogo interculturale, Venezia, Marsilio, Il
Buddhismo: i sentieri di una religione millenaria, Milano, Bruno Mondadori, Figure
di pensiero. Opere e simboli nelle culture d'Oriente, Venezia, Marsilio); Oltre
la filosofia, percorsi di saggezza tra oriente e occidente, Vicenza, Colla;
Dieci lezioni sul buddhismo, Venezia, Marsilio, Per una filosofia inter-culturale,
Milano, Mimesis, Taccuino giapponese, Udine, Forum, Tra Occidente ed Oriente:
interviste sull'intercultura ed il pensiero orientale (Pretto), Milano, Mimesis;
Filosofia e globalizzazione, Milano, Mimesis, Alfabeto filosofico, Venezia,
Marsilio); “Dall’estetica tecnologica all’estetica interculturale, in Studi di
estetica, Filosofia come comparazione in Simplègadi. Percorsi del pensiero tra
Occidente e Oriente, Padova, Esedra). Cfr. Davis, Bret W.,.) Nishida Kitaro,
L’io e il tu, Renato Andolfato, Padova, Unipress, Nishida: dialettica e Buddhismo,
Postfazione, N. Kitaro, Uno studio sul bene, E. Fongaro, Torino,
Boringhieri, Nishida Kitaro, Problemi fondamentali della filosofia: conferenze
per la Società filosofica di Shinano, E. Fongaro (Venezia, Marsilio); Buddhismo
e dialettica. Introduzione al pensiero di Nishida, Per una filosofia
interculturale, Milano, Mimesis, Tra Oriente e Occidente. Interviste
sull’intercultura ed il pensiero orientale, D. De Pretto, Milano, Mimesis, Nietzsche o dell'ermeneutica interminabile, in,
Crucialità del tempo, Napoli, Liguori, Saggi su Nietzsche, Milano, Franco
Angeli, Intercultura e globalizzazione, in, Incontri di sguardi. Saperi e
pratiche dell’intercultura, A. Miltenburg, Padova, Unipress, Per una filosofia
interculturale, Milano, Mimesis, Identità e dialogo interculturale, Venezia,
Marsilio, Estetica del vuoto. Arte e
meditazione nelle culture d'Oriente, Venezia, Marsilio, Dalla prospettiva della
filosofia comparata all’orizzonte della filosofia interculturale, Simplègadi, East
& West, Venezia, Marsilio. Interessante può essere, sotto questo aspetto,
il confronto con il pensiero di E. Morin, nel suo La testa ben fatta” (Milano,
Cortina, La riforma di pensiero, Alfabeto
filosofico, Venezia, Marsilio,, voce Corpo. Illuminismo e illuminazione, Roma,
Donzelli); Saggezze d'Oriente e d'Occidente come forme di vita, n Id., Oltre la
filosofia, Vicenza, Colla, Interessante può essere, sotto questo aspetto, il
confronto con il pensiero di Sennet, nel suo L’uomo artigiano, Milano,
Feltrinelli, Diritti umani e valori in
Asia, Studia Patavina, Alfabeto filosofico, Venezia, Marsilio,, voce Libertà.
Filosofia e globalizzazione, Milano, Mimesis, Il tao della filosofia, Milano,
Luni,, Premessa. I termini 'ecologico' e
'agnostico' non sono propri dei supo testi ma depositati nel suo insegnamento
'orale', nonché derivabile da una semplice riflessione sulle finalità e
conseguenze della sua impostazione teorica Santangelo, recensione a Estetica
del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d'Oriente Revue Bibliographique de
Sinologie, M. Ghilardi, E. Magno, Sentieri di mezzo tra Occidente e Oriente. in
onore, Milano-Udine, Mimesis, E.
Fongaro, M. Ghilardi, Filosofia come Pratica. A partire da Il Tao della
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E. Magno, Mimesis, A. Crisma, Dao, ossia cammino. Note in margine al percorso
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Ghilardi, E. Magno, Mimesis, M. Bergonzi, Comparatismi e dialogo interculturale
fra filosofia occidentale e pensiero indiano, in Comparatismi e filosofia, M.
Donzelli, Napoli, Liguori, G. Marramao, Pensare Babele. L'universale, il
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F. La Porta, recensione ad Alfabeto Filosofico, Daodejing, Mandukya Upanishad, Mimesis Festival: Che
cos’è la filosofia? d Schopenhauer tra Oriente e Occidente, di G. Pensiero
buddhista e filosofie occidentali, Panikkar e la questione dei diritti umani,
La compassione intelligente nella tradizione buddhista, Nirvana e Samsara, Covid-19
e Libertà. Anteprima di Illuminismo e Illuminazione, Anteprima di Per una
filosofia interculturale, Anteprima di Taccuino. Anteprima di Alfabeto
Filosofico, su books.google. Anteprima
di Dieci Lezioni sul Buddhismo, Materiali su Interculturalità e Oriente, Materiali
su Interculturalità e Oriente. Giangiorgio Pasqualotto. Pasqualotto. Keywords:
Marco Polo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pasqualotto” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740451898/in/datetaken/
Grice e Pastore – implicatura –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Orbassano). Filosofo.
Grice: “A proto-Griceian.” Grice: “Pastore divides logicians by
nationality, and he has a few for Italians; he does not distinguish between
Welsh Russell and English Boole, though!” Grice: “Pastore has an excellent
section on the ‘alleged’ imperfections of ordinary language, to which I refer
to in my reference to the common place in philosophical logic.” Grice: “Pastore
lists six imperfections of ordinary language, for which he notes how confusing
the allegations are.” “He ends by noting the moral of the formalist: “not
everything that is explicated is implicated, and not everything that is
implicated is explicated!” – Grice: “The Italian philosophers he mentions make
an interesting list.” Grice: “He has an earlier paragraph on “Roman logic,”
which is charming.” Laureato a Torino con Graf e D'Ercole, fu insegnante di
liceo e ottenne una cattedra a Torino. Fondò e diresse il “Laboratorio di
logica sperimentale” a Torino. Fu collaboratore della Rivista di
filosofia. I suoi manoscritti sono
conservati nell'Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria di
Firenze. La salma del filosofo riposa nel Cimitero di Bruino. Saggi: “La logica formale dedotta dalla meccanicia”;
“Scienza” “Sillogismo e proporzione,” “Dell'essere e del conoscere,” “Il pensiero
puro,” “Causa ed esperienza”; “Solipsismo,”
“Potenzia logica” “Logica sperimentale,”” L'acrisia di Kant” “La
filosofia di Lenin”; “La volontà dell'assurdo. Storia e crisi
dell'esistenzialismo” (Logicalia, Dioniso, “Introduzione alla metafisica della
poesia,” F. Bazzani, Carte. Fondo dell'Accademia La Colombaria” (Firenze, Olschki);
M. Castellana, “Razionalismi senza dogmi. Per una epistemologia della
fisica-matematica” Soveria Mannelli, Rubbettino); Dizionario di filosofia, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, F. Selvaggi, Un filosofo triste: Annibale Pastore
in Scienza e metodologia. Saggi di epistemologia, Roma, Gregoriana). “E
notissima la storia della logica romana in cui assai per tempo viene a
prevalere la teoria catechistica, sviluppata negli innumerevoli manuali di
logica ad uso delle scuole, mutuanti l’insegnamento dalli saggi di Varrone, di
Cicerone, di Aulo Gelio, e di Quintiliano. Questo indirizzo comprende altresi I
saggi di Mario Vittorino, di Vegezio, e si spinge fine a quelle
imporntantissimei di Boezio e di Cassiodoro che riduceno la logica all’uso
d’una TABULA LOGICA o combinazione di concetti secondo le regole della
silogistica BOEZIO Introductio ad categehoricos syllosigmos; de syllogism
categorico-hypothetico, de divvisione, de definitione, Cassiodoro (Venezia). In
tutta quanta la scolastica la sillogistica di Boezio e ripresa ed applicate con
sottiissimo svolgimento. COmincia, a vero dire, per essere incompletamente
conosciuta. Si complete con Pietro LOMBARDO. Quindi fa decisamente il suo
ingress nell’ovcidente latino per opera di Aquino, Abano, ed Egidio Colonna –
Summa theologica, cfr. JORDANO BRUNO, de specierum scrutinio; de lampade
combinatoria lulliana, de porgresso et lampade venatoria legocorum, S’istende
la lussureggiante vegetazione dei terministi, fra I quali appena e il caso dei
ricordare il nostro Paolo Veneto, Pietro Tartareto, e Pietro Nigri. Per onore
della filosofia, voglio dire che, in mezzo a tanta zavorra, I pensamenti
originali sono molto piu numerosi ed important di quanto non si creda
comnemente. Nizolio, Pauli Veneti, Logia parva, tractatus summlarum (Venezia). Le
loro relazionei possbili con le varie posizioni di certi dischetti girevoli
atorno un centro comune, sovrapposit l’uno all’altro, sui quali erano segnai I
concetti fundamentale. Questo tentative di Bruno contiene in gemre tutta la
teoria della quantifiicatione del predicato e la teoria della logica
sperimentale. In seguito aa mie personali ricerche compiute nella biblioteva
comunate di Noto (Siracusa) la priorita della dottrina della quantificazione
del predicato si deve attributire al sottilissimo casista Giovanni Caramuel,
che l’espose nella sua Grammatica audax. Zvsdilio, zinytofuvyio in stidyyrlid
lohivsm, ztoms. Facciolati Logia protehroai, rudimenta di Logicca, Tizio, Arte
di pensare. In Italia, PEANO, Calcolo geometrico secondo l’ausdehnungslehre di
H. Grassmann preceduto dale operazione della logica deduttiva (Torino),
arithmetics, prinicipia, nova method exposita, I principi di geometrica
logicamente espsosti (Torrino Bocca) elementi di calcolo geometrico, principi
di logica matematica R d M, formule di logica matematica, sul concetto di
numero, sui fondamenti dlela geomentria, saggio di calcolo geometrico, studi di
logica matematica, NAGYj, Fondamenti del calcolo logico, Napolo, sulla
rappresentazione grafica della quantita logica, Lencei, lo stato atauale ed I
progressi della logica, rivista italiana di filosofia, I principi di logica
esposit secondo le dottrine modern (Torino Leoscher, I teoremi funzionali nel
calcolo logico (Riv. Di Mat.) La logica matematica e il calcolo logico (Riv.
Ital. Filos. Roma), I primi dati della logica (Roma), Sulla definizione e il
compito della logica (Roma, Balbi), Alcuini teoremi intorno alle funzione
logiche (Riv Mat.), BURALI-FORTI (-- Logica matemaitca Milano, Sui simboli di
logica matemaitca (Il Pitagora), G. Vacca, G. Vailati, A. Padoa, M. Pieri, F.
Castellano, C. Ciamberlini, Giudice, Padoa, Nota di Logica matemaica (Riv di Mat),
Vailati, un teorema di logica matematca (riv mat), sul carattere del della logica il sviluppo della logica formale
(Rivista filos. ), Vacca, Sui precursori della logica matematica, Riv Mat,
Bettazzi, Chini, Boggio, Ramorni, e Nasso. Tutt I logici italiani apparengono
alla scuola del Pano, al qualse si devele la prima introduzione della logica
matematica o pura in Itala. In essa introduzione, il Peone, esposti lucidamente
gli studio, dimstra l’identita del calcolo sulle classi, col calcolo sulle
propsizione. La sua popera contiene per la prima volta la teoria dei numeri
interi completamente riditta in formole facendo ricorso ad un liitatissimo
numero di idee logic ache Peano espresso coi simbolo: e, > = + V ~ A. – sette simboli --. Di qui trae
origine la sua idegografia in cui ogni idea e rappresentata con un segno, e il su
strumento analitico anda perfezionadosim rapidamente. Arrichitta di numerose
indicazioni storiche per la collaborazioni di valenti seguazi, procedette
alacremente, raccogliendo e trattando completamente in simboli tutte le
proposizioni della matematica. L’importanza filosofica di questo movimento
iniziato dal Peano non e ancora stata apprezzatta convenientemen da ogni
filoso, ma I saggi di Peano comincia solo ORA a richiamare sola di se
l’attenzione dei filosofi. Il ritardo filosofico e tanto piu strano quanto pio
chiara e la filiazione filosofica di questa ideografia. Il Peano stesso non
cessa mai di far notare che la sua ideografia e casata su teoremi di logica. Ma
se con definizione opportune, si pote riddure le idee di logic ache si
incontrano in molte parti della mateica ad un numero sempre piu piccolo di idee
primitive, attualmente ancorsa si desidera una riduzione analogia di tutte le
idee di logic ache si incontrano nella LOGICA PURA. Questa riduzione presenta
invero seriissime difficolta ed e piu facile il riconocere quante e quai siano le
idea primitive in aritmetca e in gemoetrica che in logica. Continuando le
richerche mi convene supporre consosciuto tento di portare un contribute alla
soluzione del problema suddetto. Annibale
Pastore. Pastore. Keywords: implicature, logica meccanica, acrisia. Meccanica
rama della fisica. Refs: Luigi Speranza,
“Grice e Pastore,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702186073/in/photolist-2mPAuFE-2mPowr2-2mN8ym7-2mLKdDg-2mLEd47-2mKuZ8r-2mKCfz1-BvUfSB-BaofQH-ogsG8n-ofMJ4G-hSTpSd/
Grice e Peano – implicatura – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Spinetta di Cuneo). Filosofo. Grice: “As
I reduce “the” to “every,” I am of course following Peano, who predates
Russell!” -- important Italian philosopher. Linceo. Peano’s postulates, also
called Peano axioms, a list of assumptions from which the integers can be
defined from some initial integer, equality, and successorship, and usually
seen as defining progressions. The Peano postulates for arithmetic were
produced by G. Peano in 9. He took the set N of integers with a first term 1
and an equality relation between them, and assumed these nine axioms: 1 belongs
to N; N has more than one member; equality is reflexive, symmetric, and
associative, and closed over N; the successor of any integer in N also belongs
to N, and is unique; and a principle of mathematical induction applying across
the members of N, in that if 1 belongs to some subset M of N and so does the
successor of any of its members, then in fact M % N. In some ways Peano’s
formulation was not clear. He had no explicit rules of inference, nor any
guarantee of the legitimacy of inductive definitions which Dedekind established
shortly before him. Further, the four properties attached to equality were seen
to belong to the underlying “logic” rather than to arithmetic itself; they are
now detached. It was realized by Peano himself that the postulates specified
progressions rather than integers e.g., 1, ½, ¼, 1 /8,..., would satisfy them,
with suitable interpretations of the properties. But his work was significant
in the axiomatization of arithmetic; still deeper foundations would lead with
Russell and others to a major role for general set theory in the foundations of
mathematics. In addition, with O. Veblen, T. Skolem, and others, this insight
led in the early twentieth century to “non-standard” models of the postulates
being developed in set theory and mathematical analysis; one could go beyond
the ‘...’ in the sequence above and admit “further” objects, to produce
valuable alternative models of the postulates. These procedures were of great
significance also to model theory, in highlighting the property of the
non-categoricity of an axiom system. A notable case was the “non-standard
analysis” of A. Robinson, where infinitesimals were defined as arithmetical
inverses of transfinite numbers without incurring the usual perils of rigor
associated with them. Fu l'ideatore del latino sine flexione, una lingua
ausiliaria internazionale derivata dalla semplificazione del latino
classico. Nacque in una modesta fattoria chiamata "Tetto Galant"
presso la frazione di Spinetta di Cuneo. Fu il secondogenito di Bartolomeo
Peano e Rosa Cavallo; sette anni prima era nato il fratello maggiore Michele e
successivamente nacquero Francesco, Bartolomeo e la sorella Rosa. Dopo un
inizio estremamente difficile (doveva ogni mattina fare svariati chilometri
prima di raggiungere la scuola), la famiglia si trasferì a Cuneo. Il fratello
della madre, Giuseppe Michele Cavallo, accortosi delle sue notevoli capacità
intellettive, lo invitò a raggiungerlo a Torino, dove continuò i suoi studi
presso il Liceo classico Cavour. Assistente di Angelo Genocchi all'Torino,
divenne professore di calcolo infinitesimale presso lo stesso ateneo a partire
dal 1890. Vittima della sua stessa eccentricità, che lo portava ad
insegnare logica in un corso di calcolo infinitesimale, fu più volte
allontanato dall'insegnamento a dispetto della sua fama internazionale, perché
"più di una volta, perduto dietro ai suoi calcoli, [..] dimenticò di
presentarsi alle sessioni di esame". Ricordi del grande matematico
(e non solo della vita familiare) sono raccontati con grazia e ammirazione nel
romanzo biografico Una giovinezza inventata della pronipote Lalla Romano,
scrittrice e poetessa. Aderì alla massoneria, iniziato nella loggia Alighieri
di Torino guidata dal socialista Lerda. Morì nella sua casa di campagna a
Cavoretto, presso Torino, per un attacco di cuore che lo colse nella
notte. Il matematico piemontese fu capostipite di una scuola di
matematici italiani, tra i quali possiamo annoverare Giovanni Vailati,
Filiberto Castellano, Cesare Burali-Forti, Alessandro Padoa, Giovanni Vacca,
Mario Pieri e Tommaso Boggio. Peano precisò la definizione del limite superiore
e fornì il primo esempio di una curva che riempie una superficie (la cosiddetta
"curva di Peano", uno dei primi esempi di frattale), mettendo così in
evidenza come la definizione di curva allora vigente non fosse conforme a
quanto intuitivamente si intende per curva. Da questo lavoro partì la
revisione del concetto di curva, che fu ridefinito da Jordan (curva secondo
Jordan). Fu anche uno dei padri del calcolo vettoriale insieme a Tullio
Levi-Civita. Dimostrò importanti proprietà delle equazioni differenziali
ordinarie e ideò un metodo di integrazione per successive
approssimazioni. Sviluppò il Formulario mathematico, scritto dapprima in
francese e nelle ultime versioni in interlingua, come chiamava il suo latino
sine flexione, contenente oltre 4000 tra teoremi e formule, per la maggior
parte dimostrate. Come logico dette un eccezionale contributo alla logica
delle classi, elaborando un simbolismo di grande chiarezza e semplicità. Diede
una definizione assiomatica dei numeri naturali, i famosi "assiomi di
Peano" che vennero poi ripresi da Russell e Whitehead nei loro Principia
Mathematica per sviluppare la teoria dei tipi. I contributi di Giuseppe
Peano sulla logica furono osservati con molta attenzione da Russell, mentre i
contributi di aritmetica e di teoria dei numeri furono osservati con molta
attenzione da Giovanni Vailati, il quale sintetizzava in Italia il passaggio
tra l'esame delle questioni fondamentali e l'applicazione di metodiche di
analisi del linguaggio scientifico, tipica degli studi logici e matematici, e
anche specificava gli interessi di storia della scienza, allargando la
prospettiva anche agli studi sociali. Per questo Peano ebbe dei contatti molto
stretti con il mondo degli studiosi di logica e di filosofia del linguaggio
nonché gli studiosi di scienze sociali empiriche (Cfr. Guglielmo Rinzivillo,
Giuseppe Peano, Giovanni Vailati. Contributi invisibili in Guglielmo
Rinzivillo, Una Epistemologia senza storia, Roma Nuova Cultura. Ebbe ampi
riconoscimenti negli ambienti filosofici più aperti alle esigenze e alle
implicazioni critiche della nuova logica formale. Era affascinato
dall'ideale leibniziano della lingua universale e sviluppò il "latino sine
flexione", lingua con la quale cercò di tenere i suoi interventi ai
congressi internazionali di Londra e Toronto. Tale lingua fu concepita
per semplificazione della grammatica ed eliminazione delle forme irregolari, applicandola
a un numero di vocaboli "minimo comune denominatore" tra quelli
principalmente di origine latina e greca rimasti in uso nelle lingue
moderne. Uno dei grandi meriti dell'opera di Peano sta nella ricerca della
chiarezza e della semplicità. Contributo fondamentale che gli si riconosce è la
definizione di notazioni matematiche entrate nell'uso corrente, come, per
esempio, il simbolo di appartenenza (es: x ∈ A) o il quantificatore esistenziale "∃". Tutta l'opera di Peano verte
sulla ricerca della semplificazione, dello sviluppo di una notazione sintetica,
base del progetto del già citato Formulario, fino alla definizione del Latino
sine flexione. La ricerca del rigore e della semplicità portarono Peano ad
acquistare una macchina per la stampa, allo scopo di comporre e verificare di
persona i tipi per la Rivista di Matematica (da lui diretta) e per le altre
pubblicazioni. Peano raccolse una serie di note per le tipografie relative alla
stampa di testi di matematica, uno per tutti il suo consiglio di stampare le
formule su righe isolate, cosa che ora viene data per scontata, ma che non lo
era ai suoi tempi. Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia Ufficiale della
Corona Commendatore della corona L'asteroide Peano è stato battezzato così in suo
onore. Il dipartimento di Matematica di Torino è a lui
dedicato. Molti licei in Italia portano il suo nome, come ad esempio a
Roma, Cuneo, Tortona, Monterotondo, Cinisello Balsamo o Marsico Nuovo, così
come la scuola di Tetto Canale, vicina alla sua città natale. Saggi: “Aritmetica”;
“Algebra” (Torino, Paravia,); “Forma matematica” (Torino, Bocca); “Calcolo
differenziale”; “Calcolo integrale” (Torino: Bocca); “Analisi infinitesimale” (Candeletti);
“Calcolo infinitesimale e geometria” (Torino: Bocca), “Logica della geometria” (Torino:
Bocca)”; “Principio dell’arimmetica” (Torino, Paravia); “Giochi di aritmetica e
problemi interessanti” (Paravia, Torino). Provai una grande ammirazione per lui
quando lo incontrai per la prima volta al Congresso di Filosofia, che e dominato
dall'esattezza della sua mente. Russell. Amico, Storie della scuola italiana.
Dalle origini (Zanichelli, Bologna); Celebrazione, E. Luciano e C. Roero Torino);
“Storia di un matematico” (Boringhieri). L. Romano, “Una giovinezza inventata” (Torino,
Einaudi); Racconta episodi del rapporto con il prozio Giuseppe. Assiomi di Peano, Glottoteta, Lingua
artificiale, Matematica, Latino sine flexion, U. Cassina Calcolatori ternari M.
Gramegna Treccani Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. E Peano stregò Russell. The third kind of term, things, are
only the entities indicated by proper names, but they have no additional
relation with other terms. This leads Russell to con- sider the sole denoting
concept which presupposes uniqueness- "the': Russell admits the great
importance ofthis term, recognizes the merit of Peano's notation,5 and
attributes to him the capacity to make possible genuine mathematical
definitions defining terms which are not concepts (p. 63). the meaning of a
word with its indication-refere.nce (and the meaning of a denoting concept with
its denotation). Peano does something more than provide the standard notation.
The pre-eminence of descriptions over other forms of denotation is definitive.
The notation for descriptions is inspired in the Peanesque symbolism (i.e.
"laeb"; see my 1990h), but membership of classes is replaced by
propositional functions (i.e. (l£)(<I>X)), which is explained as "a
certain denoting function of <l>x, which, if <1>£ is true for one
and only one value ofx, denotes that value, but in any other case denotes
(P).p" (m1904, p. 5). Perhaps the most interesting for us is the
insistence on the indefinability of "the" (Peano's inverted iota is
already used), together with the notion of denotation (p. 60). The published
article adds the expression of the main definition in terms of propositional
functions together with the previous manuscript definition in Peano's terms of
existence and uniqueness (although not in symbolic form). The two essential
definitions are (Principia, * 14.01.02): . \jI(IX)(epX) • =.(3b) : epx •=~ .x=b
: \jib E ! ( 7 X ) ( e p X ) • = . ( 3 b ) : 4 > x . =• . x = b which
express the conditions of existence and uniqueness essentially with Peanesque
resources, i.e. in terms of quantification and identity, although adding
propositional functions. Peano explicitly displays various resourses to
eliminate completely the definite article (the inverted iota) from any
proposition. He actually recommends this line in cases where the required
conditions of existence and uniqueness are doubtful, precisely through a sort
of definition "in use': The descriptor is by no means
"indefinable" in his system. Russell: "I read Schrader on Relations and found
his methods hopeless, but Peano gave just what I wanted (Letter to Jourdain, in
Grattan-Guinness). If, as Russell maintained in Principia following Peano,
definitions are to be always nominal, their definienda are only mere
abbreviations. Russell formulates his Principle to preserve the admissible part
of Bradley (his methodological and analytical resourses) and almost the entire
Moore, in so far as they were compatible with the requirements of Peano's logic.
The main thesis of this paper is that some of the moststimportant ideas and
symbolic devices that made Russell's theory of descriptions possible are already
present in writings by Peano that Russell knew well. The paper contains a
detailed comparison betwee? the relevant parts of Russells theory-including
manuscripts recently publIshed-and ~ome o.f F~ege and , . . ht as well as a
discussion of numerous pOSSIble obJectlons that Peanos mSig s, . . fl db could
be posed to the main claim. Even if Russell was not actually.m uence. y those
insights, the parallelism is close enough to be worth analyzmg, espeCially in
the case of Peano, whose writings are not very well known. (r) can be clearly found in Frege and Peano,
that (2) was almost admitted by Frege and was admitted explic- itly-including
the symbolic expression-by Peano. THE SYMBOLIC ELIMINATION OF "THE"
IN PEANO. The Peanoian origins of the symbols relevant to Russell's theory of
descriptions have been noted and sometimes explained (see, .for instance, 1988a
and 199Ia, Chap. 3). I will confine myself to recalling that they were the
letter iota (i) for the unit class, and ~he sam~ letter inverted (1), or denied
("fa), for the only member of thiS class,.l.e. the definite article of
ordinary language. Peano's ideas also evolved in three stages towards greater
precision in the treatment of des~~iptions. . This last step took place
explicitly in I9ooa. There Peano starts from the above-mentioned definition in
terms of the unit class, but then he adds a series of "possible"
definitions (the ones allowing an alternative logic al order), one ofwhich
offers this equivalence: In I897a Peano introduces his fundamental d~fimt~on ~f
the u:l1t class as the class such that all of its members are identical; in
Peaman symbols, tx =ye (y =x). Likewise he defined indirectly the.unique mem-
ber of such a class: x = "fa • = • a = tx. However, concerning the defin-
ability of the definite article, he added the important ~dea that eve~
proposition containing it can be reduced to. the for,? ta eb, and thiS, again,
to the inclusion of the referr~d .um~ class in the oth~r class (a ~ b), which
already supposes the eLzmmatzon of the symbol t: Thu~, Peano says, we can avoid
identities whose first member contams thiS symbol (I897a, p. 215)·1I Here we
find the assertion that the only individual belonging to a unit II As an
anonymous referee pointed out to me, one ~aj~rdifferenc~between ~eano and
Russell's treatment of classes in the context of descnption theolJ' is that,
while for Peano descriptions combine a class abstract with the inverse of the
umt class operator, for Russell the free use of class abstracts was not
available due to the discovery of paradoxes. 12 To be more precise, Peano did
not write literally that the mentioned expression is meaningless, but rather
"nous ne donnons pas de signification ace symbole si la classe a est
nulle, ou si elle contient plusieurs individus" (I897b:269). But I take it
to be equivalent in practice, given that ifwe do not meet the two mentioned
conditions, the symbol cannot be used at all. I} There are, however, other
additional ways ofeliminating the same symbols accord- ing to Peano, e.g. the
following one, which is very similar and depends on the same hypothesis: laE b.
= : a = tx. :Jx • Xc b(ibid).
class (a) such that it belongs to another class (b) is equal to the
existence of exactly one element such that this element is a member of that
class (b). In other words: "the only member of a belongs to b" is to
be the same as "there is at least one x such that (i) the unit class a is
equal to the class constituted by x, and (ii) x belongs to b" (or
"the class of x such that a is the class constituted by x, and that x belongs
to b, is not an empty class"). This seems to be equivalent to Russell's
celebrated defini- tion, although, of course, Peano spoke in terms of classes
instead of propositional functions; that is to say, in terms of properties or
predi- cates, which define .classes (without forgetting that Peano often read
the membership symbol as "is"). which expresses the same idea in a
way where any reference to the letter iota has disappeared. We can read
now" the only member of a belongs to b" as the same as "there is
at least one x such that (i) the unit class a is equal to all the y such that y
=x, and (ii) x belongs to b" (or "the class of x such that they
constitute the class ofy, and that they constitute the class a, and that in
addition they belong to the class b, is not an empty class"). Thus, the
full elimination underlay the mentioned definition, although Peano, in lacking
philosophical goals, had no interest in mak- ing this point explicit. Peano was
completely aware of the importance of this device as a way to reduce the
definite article to logical terms, i.e. to eliminate it, as a result ofwhich
the symbol would cease to be primitive. That is why he added that the above
definitions "expriment la P[proposition] 1a Eb sous une autre forme, OU ne
figure plus Ie signe 1; puisque toute P contenantIesigne1aestreductiblealaforme
1aEb,OU bestuneCIs, on pourra eliminer Ie signe 1 dans toute P" (I900a:352).
Therefore, the general belief according to which the symbol "1" was
necessarily primitive and indefinable for Peano is wrong. Second, by pointing
out that in the "hypothesis" preceding the quoted definition it is
clearly stated that the class "a" is defined as the unit class in
terms of the existence and identity of all of their members (i.e. uniqueness):
Before making more explicit the parallelism with Russell's theory, I have
collected some different possible objections against this rather strong claim,
in order to discuss them. I think that all of these objections are either
misconceived or simply have no force with regard to my main claim as stated in
the two previous paragraphs. However, I take them into consideration because
they have been proposed by several people who read earlier versions of this
paper and, consequently, could be pro- posed by others. Thisiswhy"a"isequaltotheexpression''tx''(inthesecondmember).
The objection could still be maintained by insisting that since"a"
can be read as "the unit class", Peano did not really achieve the
elimination of the idea he was trying to define and eliminate, as it is shown
through the occurrence of these words in some of the readings proposed above.
However, as I will explain below, the hypothesis preceding the definition only
states the meaning of the symbols which are used in the second member. Thus,
"a" is stated as "an existing unit class", which has to be
(1) It is true that the symbol "1" has disappeared, but in the
definiens we still can see the symbol of the unit class, which would refer
somehow to the idea that is symbolized by ''tx'', so the descriptor has not
been really eliminated. The answer is very simple: for Peano there were at
least two forms ofdefining this symbol with no need for using the letter iota
(in any of its forms). However, the actual substitution would lead us to rather
complicated expressions,14 and given Peano's usual way of working (which can be
First, by directly replacing tx by its value: y 3(y = x), as defined above.
Making the replacement explicit, we have: 14 Starting from this idea, we can
interpret the definition as stating that "la Eb" is only an
abbreviation for the definiens and dispensing with the conditions stating
exist- ence and uniqueness in the hypothesis, which have been incorporated to
their new place. Thus, the new hypothesis would contain only the statement
of"a" and"b" as being classes, and the final entire
definition could be something like the following: la Eb • =:3x 3{a =y 3(y =x) •
X Eb}, a, bECls.::J :. ME b. =:3XE([{3aE[w, zEa. ::Jw•z' w= z]} ={ye(y= x)}]
•XEb), a E Cis. 3a: x, yEa. ~x.y.X = y: bE CIs •~ : ... (Ibid.) understood in
this way: " 'a' stands for a non-empty class su~h that all of its members
are identical." Therefore, we can replace "a", wherever it
occurs, by its meaning, given that this interpretation works as only a purely nominal
definition, i.e. a convenient abbreviation. characterized as the constant
search for shorter and more convenient formulas), it is quite understandable
that he preferred to avoid it. In fact, the operation is by no means necessary,
for the symbolic expression above was already enough to obtain the full
elimination of the descriptor. We must not forget that the important thing is
not the intu- itive and superficial similarity between the symbols
"la" and ''tx'', caused simply by the appearance of the letter iota
in both cases, or the intuitive meaning of the words "the unit
class", but the conditions under which these expressions have been
introduced in the system, which were completely clear and explicit in the first
definition.IS "k e K" as "k is a class"; see also the hypothesis
from above for another example). But this by no means involves confusion with
i~clusion,as. it is shown by the fact that Peano soon added four defimte
properties precisely distinguishing both notions, which made it
po~siblefor.hi~~.~ for Russell himself, to preserve the useful and convenient
readmg is (2) The supposed elimination is a failure, for (i) it depends upon
Peano's confusion of class membership and class inclusion, so that (ii) a
singleton class (la) and its sole member (lX) are not clearly distinct notions;
it follows that (iii) "a" is both a class and, according to the
interpretation of the definition, an individual (iv), as is shown by joining
the hypothesis preceding the definition and the definition itself This multiple
objection is very interesting because it can be taken as proceed- ing from the
received view on Peano, according to which his logic not only falls s~ort
ofstrict logical standards, but also contains some import- ant confuSions here
and there. However, the four points can easily be s~own t? be mistaken.
(Incidentally, I think this could have been recog- mzed With pleasure by
Russell himself, who always thought of Peano and his school as being strangely
free oflogical confusions and mistakes.) . Fir~t, it ~n hard~y be said that
Peano confused membership and mcluslOn, given that it was he himselfwho
introduced the distinction in 1889 through his symbol "e" (previously
to, and therefore independently of, Frege). If the objection means (which is
rather unlikely) that Peano would admit the symbol for membership as taking
place between two classes, it is true that this was the case when he used it to
indicate the meaning of some symbols, but only through the reading
"is" (e.g. full clarity that"1" (T) makes sense only before
individuals, and ''t'' before classes, no matter which particular symbols we
use for these notions. Thus, ''ta'', like "tx", both have to. be read
as "the class consti- tuted by ...", and" la" as "the
only member of a". Therefore, although Peano, to my knowledge, never used
"lX" (probably because he always which could be read as " 'a and
b being classes, "the only member of a belongs to b" is to be the
same as "there is at least one x such that (i) 'there is at least one a
such that for eve~,': and z belonging to a,.w = z' is equal to 't~ey such that
y =. x' , and (ii) x belongs to b ,where both the letter Iota and the words the
unit class" have disappeared from the definiens. aeCis.3a:x,yea.-::Jx,y.
x=y:beCIs•~:. . l a e b . = : 3 x 3(a = t x . x e b), 15 There is a well-known
similar example in the apparent vicious circle of Frege's famous definition
ofnumber. the reply to objection (1). There are other, minor objections as
well. (see my 199Ia, Chap. 3, §I.3)· Second, "la" does notstand for
the singleton class. Peano stated with thought in terms of classes), had he
done so its meaning, of course, would have been exactly the same as
"la", with no confusion at all. Third, "a" stands for a
class because it is so stated in the hypothesis, although it can represent an
individual when preceded by the descriptor, and together with it, i.e. when
both constitute a new symb.ol as a w.hol~. Here Peano's habit could perhaps be
better understood by mterpretmg it in terms of propositional functions, and
then by seeing" la" as being somewhat similar to <!>x, no
matter what reasons ofconvenience led him to prefer symbols generally used for
classes ("a" instead of"x"). There is little doubt that
this makes a difference with Russell. It could even be said that while, for
Peano, the inverted iota is the symbol for an operator on classes, which leads
us to a new term when it flanks a term, for Russell it was only a part of an
"incomplete symbol". I am not sure about Peano's answer to this, but
at any rate for him the descriptor could be eliminated only in conjunction with
the rest of the full express- ion "la e b", so that the most relevant
point of similarity again can be found in Peano. Last, there is no problem when
we join the original hypothesis and the definition: as I have pointed out in
the interpretation contained in the last part of (3) If, as it seems,
"a" is affected by the quantifier in the hypothesis, then it is a
variable which occurs both free and bound in the formula (if it is a constant,
no quantifier is needed). I am not sure about the possible reply by Peano
himself Perhaps he did not always distinguish with present standards o f
clarity between the several senses o f "existence" (or related
differences) involved in his various uses of quantifiers,r6 but in principle
there is no p'roblem when a variable appears both bound and free in the same
expression, although in different occurrences. At any rate, I cannot see how
this could affect my main claim; the important thing here is to recognize the
fundamental similarities between the elim- ination of the descriptor in Peano
and Russell. However, in the several readings I proposed I hope to have
clarified a little the role of ".3" in Peano. . (5) Peano could
hardly have thought that he was capable of eliminat- ing the descriptor, for he
continued to use the symbol and his whole system depended on it as a primitive
idea.IS The only additional reply is that only reasons ofconvenience can
explain the retaining ofa symbol in a system in cases where the symbol can be
defined, i.e. eliminated. (After all, Russell- himself continued to use the
descriptor after its elimination by means of his theory of descriptions.) But,
as we have seen, there is no doubt Peano thought that the descriptor could
easily be eliminated from propositions. (4) Russell rejected definitions under
hypothesis, therefore he would have rejected the Peanian definition of the
descriptor. Of course, we must admit that Russell (like Frege) rejected this
kind ofdefinition, but this took place especially in the context of the
unrestricted variable of Principia.I ? Besides, he himself used this kind of
definition for a long period once he mastered Peano's system. It was because he
interpreted these definitions as Peano did, i.e. merely as -a device for fixing
the meaning of the letters used in the relevant symbolic expressions. Thus,
when for instance one reads, after whatever symbolic definition, things
like" 'x' being ..." or" 'y' being ...", this would really
be a definition under hypothesis, but, of course, only because the meaning of
the sym- bols used always has to be determined somehow. Anyway, there is no
point in continuing the discussion ofthis objection, given that it is hard- ly
relevant to my main claim. Even if Peano's original elimination of the descriptor
does not work because of its taking place in the framework of a merely
conditional definition, the force of his original insight could well have
influenced Russell; at any rate, it is worth knowing in itself (6) The
reduction mentioned, even if it really took place, was by no means followed by
the philosophical framework which made Russell's theory of descriptions one of
the most important logical successes of the century. Thus, Peano did not
realize the importance of the elimination. This last point can hardly be
denied, but Peano's goals were very different from Russell's, so I think that
to point out a "lack" like this makeslittle sense from a historical
point ofview. 16 I would like to recall here that it was Peano himselfwho
discovered the distinction between bound and free variables (which he
respectively called "apparent" and "real"), and
probably-and independently of Frege-also the existential and universal
quantification (see my I988a and I99Ia for a detailed account of both achievements).
18 In his I966a (p. 659), Professor Quine wrote that "1" was a
primitive and indefin- able idea in Peano. However, now that we have exchanged
several letters concerning an earlier version ofthis article, I must say he has
changed his mind. His letter to me ofII October 1990 contains the following
passage: "I am happy to get straight on Peano on descriptions. I checked
your reference and I fully agree. Peano deserves all the creditfor it thathas
been heapedon Russell(except perhaps for Russell's elaboration ofthe philosophi-
cal lesson of contextual definition)" (my emphasis). As for the sense in
which the philo- sophical consequences of the elimination of the descriptor
were not very important for Peano, I have faced the problem in my reply to
objection (6). 17 And also in previous stages from 1906 onwards, through the
(finally unsuccessful) attempt at a substitutional theory based upon
propositions, with no classes and no propositional functions. . 19 For
according to him the descriptor cannot be defined in isolation, but only in the
context of the class (a) from which it is the only member (la), and also in the
context of the clas~ (b) from which that class is a member, at least to the
extent that the class a is included in the class b, although this supposes no
confusion between membership and inclusion; see the second point of my reply to
objection (2) above. I think this is just the right interpretation ofthe whole
expression"1a Eb". In any case, I cannot help being convinced that
none of these objec- tions seems to have any force against my main claim: that
the elimin- ation of the descriptor was present in Peano with essentially the
same symbolic resources as in Russell. This is equivalent to the first two
claims at the beginning of this paper: (1) Peano clearly stated the conditions
of existence and uniqueness as providing the true significance of the
descriptor; and (2) he had enough symbolic techniques for dispensing with it,
including those required for constructinga definition in use.I9 As
for (3), we have a few relevant passages, but the clearest one occurs in I897b
(p. 269), as I pointed out above. There we can read that" Ta" is
meaningless if the conditions of existence and uniqueness are not ful- filled.
Thus, even the third claim was made by Peano. Perhaps under certain different
interpretations of Peano's devices it could be shown that his elimination of
the descriptor was not exactly equivalent (in the tech- nical sense) to
Russell's. Yet even if so, I think that from the historical viewpoint, which means
to do justice both to Peano and Russell, it is important to know that Peano had
these resources at his disposal,' and that they may have influenced Russell.
However, we can see the heritage from Peano in a clearer way if we compare the
definition with the version for classes in the same letter: . The parallelism
is therefore complete, but before finishing this paper I want to insist on my
main claims by resorting now to one of Russell's manuscripts from 1905,
"On Fundamentals" (I90Sb).20 First, we find there a definition stated
in terms similar to Peano's, and with almost exactly the same symbolic
resources: Finally, I am not accusing Russell of plagiarism. I only affirm that
some ofthe ideas and devices which are important for the eliminative definition
of the descriptor were already present in Frege and Peano, including the
conceptual and symbolic resources, and that these works are ones that Russell
had studied in detail before his own theory was formulated in 1905.22 Second,
the later improvement of this definition is precisely in the sense of making
clearer that, although the method of the propositional function was preferable
to the one of class membership, the symbolic expression of the conditions of
existence and uniqueness is preserved. Even the idea -- also coming from Peano
-- according to which we cannot define the expression “la" alone, but
always in the context of a class (which in Russell became the form of a
propositional function), appears here. Benacerraf, P., and Putnam, H., eds.,
Philosophy ofMathematics (Cambridge:
Cambridge U. P.). The first appearance of Russell's definition, under the form
which was adopted as final, took place, not in "On Denoting", but in
a letter to Jourdain of 3January 1906: 12 According to that, all other influences
must be regarded as secondary. Concerning Meinong's influence, for Russell the
principle of subsistence disappears as a consequence of the eliminative
construction of the definite article, which was a result of the new semantic
monism. Russell's later attitude to Meinong as a "main enemy" was
only a comfortable recourse (v. however, Griffin I977a). As for Bacher, Russell
himself admitted some influence from his nominalism (in his 1906a). In fact,
Bacher I904a describes mathematical objects as "mere symbols" (p.
122), and he advises Russell to follow this line of work in a letter of April
1905 (only two months before Russell's key idea): "the 'class as one' is
merely a symbol or name which we choose at pleasure" (quoted by Lackey
[Russell I973a:30]). Finally, for MacColl it is necessary to mention his 1905a,
which appeared in January 1905, where he spoke of "symbolic
universes", which include things like round squares (p. 308), and also
spoke of "symbolic existence". Russell pub- lished his I905tl as a
direct response to this author, and there we can see some conclusions from the
unpublished manuscripts, although still by solving peculiar cases in a Fregean
context (see I990a). I agree with I. Grattan-Guinness that MacColl was an
important part of the context of Russell's ideas on denoting (personal
communication), but I have no room here to devote to the matter. 20 For a
fuller study ofthis manuscript, see I992a. There is, however, a previous
occurrence of this definition in the,manuscript "On 'JI(lX)(<I>x)•=•(:3b):<j>x.=x.X
=b:'JIb. (Grattan-Guinness I977a, p. 70)21 21 Substitution" (I905d),
written in December 1905, with only slight symbolic differences. I am indebted
to Gregory Landini for the historical point. 'JI(t'u)•=:(:3b):xEU.=x.X =b:'JIb.
Peano, G., as. Opere Scelte, ed. U. Cassina, 3 vols. (Roma: Cremonese, 1957-
59)· - - , I897a. "Studii di logica matematica". Repr. in 05,2:
201-17. - - , I897b. "Logique mathematique". Repr. in 05,2: 218-81. -
- , I898a. "Analisi della teoria dei vettori". Repr. in 05,3:
187-2°7. - - , I90oa. "Formules de logique mathematique". Repr. in
05,2: 304-61. Giuseppe Peano. Peano. Keywords: implicatura, l’operatore iota. Refs.:
Luigi Speranza, “Peano e Grice sull’articolo definito,” -- Luigi Speranza,
“Peano e Grice sull’operatore ‘iota’, Deutero-Esperanto, l’errore di Quine, il
carattere non primitive dell’operatore iota. -- H. P. Grice, “Definite descriptions in Peano
and in the vernacular,” Luigi Speranza,
"Grice e Peano: semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano,
The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692216159/in/photolist-2mPEDc8-2mMRLT9-2mKS7Wc-2mKNCSe-2mKJypq-2mKJy6j-2mKCvRU-2mKyXoA-2mKfouW
Grice e Pecoraro – il conflitto – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Salerno). Filosofo. Grice: “He must be the only
philosopher who philosophised about ecstasis!”Grice: “Many don’t
consider him an Italian philosopher seeing that he got his maximal degree
without (not within) Italy!” – Domenico Paladino, Vettor Pisani, Omar Galliani,
Jan Knap, Giordano Montorsi, Iler Melioli, Xante Battaglia. Un'esperienza che
sarà importante in seguito, quando i tratti metafisici e di rivolta dell´opera
d´arte contemporanea verranno riscoperti in chiave nichilista. Fonda "Quadranti"
dedicato a G. Marotta dell´Istituto italiano per gli studi filosofici di
Napoli. è possibile dividere il percorso di studi e del suo pensiero in
due momenti distinti. Il primo, attivismo filosofico, comprende tutte le
attività e le iniziative tese a vivacizzare e svecchiare il dibattito critico e
filosofico; la divulgazione di temi e autori poco studiati -- tecnoscienza, Nichilismo, Filosofia del
suicidio, Metafisica e Teatro, Vattimo, Esposito, Agamben.Contatto con Vattimo,
Esposito, Givone, Volpi, Mattei, Ferraris. Studia nichilismo, suicidio e
filosofia negative, politica e morale. Una filosofia disperata e
negativa, assolutamente slegata da prospettive etico-politiche. Si tratta di
una filosofia fondata sul nichilismo e su una tradizione di filosofi maledetti.
I voyeuristic "esteticamente salvificano di un datato phatos
esistenzialista, del “tutto è vano” risultato ultimo della sua analisi
filosofica del suicidio, della psicanalisi e dei lacci concettuali e storici
tra nichilismo, nullae negazione. Il risultato è una filosofia
anti-fondazionale, che poggia le sue radici in una inter-soggettività
pessimista e malincolica, che nega qualsiasi etica, sociale e politica
estremizzando così l´accusa contro l´umano e tutte le sue costruzioni sociali,
storiche e morali. In questo orizzonte
di assenza di senso, decadenza e corruzione metafisica, l´unica, eventuale,
maniera di ribellarsi e resistere si concretizza, paradossalmente, nell´appello
alla responsabilità e all´azione di un noi (Freud ego et nos) tragico-nichilista
-- Ricerca un orizzonte di senso diverso
e più profondo che lo porta, però, alla perdita quasi totale dei suoi
precedenti fili conduttori. Interessi,
letture, pubblicazioni, ricerche si frammentano e perdono in intensità e
chiarezza. RDecisive, in questa fase, sono le questioni etico-politiche, la
critica dell´umanismo sociale contemporaneo e l´impegno filosofico. In primo
luogo devono essere segnalati, per l´importanza che rivestono, i due Seminari
tenuti presso l´Istituto per gli studi Filosofici di Napoli dedicato al “Bio-potere"
e la Bio-politica" Riformula il concetto di bio-potere usando come chiave
interpretativa il "Bios" di Esposito. La bio-politica discute e mette
alla prova la sua lettura radicalmente sistematica”della volontà di potenza,
avvento dell´oltre-uomo e ultrapassamento del nichilismo. Oltre a questi due
temi, il rigetto del relativimo, lo studio delle relazioni tra massa e potere;
l´affermazione di una visione essenzialista dell´umano, la riscoperta della
psicanalisi, del movimento Modernista. Elabora di un percorso teorico che,
fondandosi sulla necessità di pensare il presente e non il future di una
filosofia dell’attuale e sulla
convinzione che le categorie filosofiche sono obsolete e dannose per spiegare e
trasformare il mondo, si concentra in due diversi ambiti di ricerca in una
complessa e non risolta tensione tra aspirazioni pluriversalistiche e l´impegno
filosofico nella realtà e nella cultura. Il primo etico-morale si occupa delle
condizioni di possibilità di forme dell’inter-soggettivo nell´epoca dei
"diritti di tutte le cose del mondo" e della reazione alla crisi di
fondamenti, delineando quindi le basi di una filosofia del dovere di stampo
post-illuminista. Il second opolitico-sociale– attraverso la critica
del politicamente corretto e della retorica democratica, la de-costruzione del
concetto di democrazia attraverso la ripresa dell´idea di servitù volontaria,
la lotta contro il fascismo tende a ripensare il concetto di democrazia e la
pratica democratica" nei sistemi di potere e, più specificamente, si
dedica all´esame delle possibilità di una trasformazione radicale del pensiero
filosofico e di una concezione del “politico” in senso non tecnicista e non
"sinistroide-reazionario". Saggi: “I voyeuristi” (Salerno, Sapere);
“Metafisica e poesia” (Roma); “Cosa resta della Filosofia?”; “Dal sacro al
Profano”; “Dall´Arcaico al Frammento” “Bio-potere, Bio-politica”. Rossano
Pecoraro. Pecoraro. Keywords: fascismo, voyeuristic. Leopardi, I voyeuristi, conflitto
e mediazione, voir, voyant/voyeur. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pecoraro” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738819567/in/dateposted-public/
Grice e Pelacani – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Parma). Grice: “At Oxford, Strawson
used to confuse Pelacani with Pelacani!”
-- Antonio Pelacani (Parma), filosofo. Fu lettore (Grice: “reader or
lecturer?”) a Bologna, divenne consigliere Visconti. In questa veste si trova più volte coinvolto
in processi per eresia montati da Giovanni XXII per gettare nella polvere il
Visconti. Grande commentatore di Avicenna e Galeno. Treccani Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Saggi: “Circa
intellectum possibilem et agentem”; “De unitate intellectus”; Utrum primum
principium sive deus ipse sit potentie infinite”; “De generatione et
corruptione"; “Questiones super tre metheorum.” Antonio Pelacani. Pelacani. Keywords: passivo/attivo; non-agens/agens. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Pelacani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737858332/in/datetaken/
Grice e Pelacani – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Noceto).
Filosofo. “Dottore diabolico.” Parente
di Antonio Pelacani. Della sua medesima casata un altro filosofo: Francesco
Pelacani Nato nella provincia di Parma,
al comune di Noceto, la sezione di Castamezza, a pochi chilometri da Parma,
nulla si sa della sua vita sino a quando
frequenta la facoltà artium philosophie et medicine a Pavia dove come titolare
della cattedra di magister philosophie et loyce, delegato dal vescovo, diploma
in arti un certo Bossi. Insegna a Bologna e Padova. Contesta molte regole
della meccanica aristotelica e sostenne l'applicazione di nuovi strumenti
matematici per sostituire le regole obsolete. In particolare condusse
nuovi studi sull'ottica ne“Quaestiones de perspectiva.” Nel “Tractatus de
ponderibus” si occupa di statica ed elaborò nelle “Quaestiones de
proportionibus” una teoria del vuoto che si contrapponeva alle tesi del
continuo dei fisici aristotelici. Si occupa anche del moto dei pianeti in “Theorica
planetarum” e mette in discussione la cosmologia di Aristotele negando che si puo
sostenere l'incorruttibilità dei cieli e l'interpretazione teologica
dell'esistenza di un primo motore immobile, vale a dire di Dio. Nega quindi la
possibilità delle dimostrazioni a posteriori dell'esistenza di Dio e dell'immortalità
dell'anima individuale. Concepisce la natura o l'universo come un ente
ANIMATO (‘animismo – cf. Grice on ‘mean’ and ‘mean,’ ‘Smoke ‘means’ fire”), un
grande eterno animale in continuo movimento dove gl’esseri nascono per
generazione spontanea e, quando gli influssi astrali sono favorevoli, vengono
alla luce anche le anime intellettive umane. Riguardo alla morale, è convinto che gl’uomini deveno conformarsi
alla virtù per sua libera scelta. Per il materialismo delle sue dottrine, il dottore
diabolico, com'era soprannominato, e accusato d'eresia e condannato ma ciò non
gli impede d’essere apprezzato come un grande astrologo dai principi Carraresi
di Padova e dalle corti dei sovrani tanto da ottenere di essere sepolto nel
duomo di Parma. Gli si attribuiscono dei commenti a Witelo per una
corretta interpretazione della prospettiva e a Bradwardine nell'opera questiones
super tractatu "De proportionibus" Thome Beduerdini. G.
Robolini, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia. Memorie
degli scrittori e letterati parmigiani raccolte da I. Affò (Stamperia reale,
Bodoni), citato anche per la sua avarizia in B. Veratti, De' matematici
italiani” -- Commentario storico R. Majocchi,
Codice diplomatico dell'Pavia, Enciclopedia Garzanti di filosofia, F. Camerota,
Nel segno di Masaccio: l'invenzione della prospettiva e la filosofia della
percezione. Giunti, La scuola francescana di Oxford, Opere Le Quaestiones de
anima” (Firenze, Olschki); “Questiones super tractatus logice magistri Petri
Hispani” (Parigi, Vrin); “Quaestiones circa tractatum proportionum magistri
Thome Braduardini” (Parigi, Vrin); “Questiones super perspectiva communi” (Parigi,
Vrin); “Quaestiones de anima: alle origini del libertinismo,” V. Sorge, Napoli,
Morano, Firenze, Sismel, Edizioni del Galluzzo. Scientia de ponderibus. Tractatus
de ponderibus, Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Pelacani is yet another of the Pelacani.
There are at least four of them: two Antonios, una Biagio, and one Francesco. Biagio
Pelacani. Pelacani. Keywords: implicature, prospettiva, filosofia della
percezione, origini del libertinismo, commentario in detaglio sulla semiotica
di Occam – dialettica – segno, nota, sermo. Refs.: Luigi Speranza, “Pelacani,
Grice, e Shorpshire sull’immortalità dell’anima.” Luigi Speranza, “L’animismo
di Pelacani e Grice, ‘smoke means fire, literally.’”
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692236265/in/photolist-2mKSdUR
Grice e Pellegrini – l’amore come
affezione dell’animo – e la sua manifestazione nel giovine nobile – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Sonnino).
Filosofo. Grice: “I like Pellegrini:
he found Aristotle’s ‘obscure’ for the youth the manual Ethica Nichomaechaea is
intended for!” -- Fu, secondo
Tiraboschi, uomo che da' suoi meriti e dalle promesse fattegli da più pontefici
pareva destinato a' più grandi onori; ma che non giunse che ad ottenere alcuni
beneficii ecclesiastici». Tenne la cattedra di filosofia a Roma. Pubblicò il “De affectionibus animi noscendi et emendandis
commentaries” e un'edizione della traduzione in latino di Lambin dell' Etica
Nicomachea di Aristotele -- i “De moribus libri decem -- corredandola di un
riassunto e di commenti, nei quali altera il testo di Aristotele di cui lamenta
la difficoltà e l'oscurità. Benché Aristotele sconsigli lo studio dell'etica ai
giovani, ancora immaturi per una retta comprensione dei principi morali, al
contrario, ritiene che lo studio dell'etica debba essere impartito prima ancora
di quello della filosofia della natura, in modo che i giovani possano
affrontare gli studi scientifici con animo libero dalle passioni. Fu più
oratore che flosofo, non pensò ad inovar cosa alcuna, e seguì costantemente
insegnando i precetti del filosofo stagirita. Saggi: “Oratio habita in almo urbis gymnasio
de utilitate moralis philosophiae, cum ethicorum Aristotelis explicationem
aggederetur” (Roma); “De Christi ad coelos ascensu” (Roma); “Oratio in obitum
Torquati Tassi philosophi clarissimi” (Roma); G. Tiraboschi, Storia della
letteratura italiana. C. Carella, L'insegnamento della filosofia alla
"Sapienza" di Roma nel Seicento. Renazzi, Storia dell'università
degli studj di Roma. G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Milano, Società tipografica de' classici
italiani. Renazzi, Storia dell'università degli studj di Roma, Roma, Pagliarini
rist. anast. Bologna, Forni. C. Carella, L'insegnamento della filosofia alla
"Sapienza" di Roma nel Seicento. Le cattedre e i maestri, Firenze,
Leo S. Olschki. Pellegrini scrive due important commenti su Aristotele, uno in
cui enumera gl’affezioni dell’anima – dall’amore all’ira – amore, Speranza,
ira, audacia, temore, dolore. Nell’introduzione, elabora un concetto generale
di che cosa e un’affezione dell’anima – il corpo non e menzionato. Ma
Pellegrini elabora sulla questione dell’anima e il corpo per l’affezione – che
e affetato nell’affezione? Il econdo e un commentario sull’onore e la
nobilitated – Due trattati sono menzionato dai storici della filosofia. Nel
terzo trattato, Pellegrini elabora la questione di Tasso ‘filosofo chiarissimo’
– vide Tasso --. Finalmnte, nella sua funzione di censore papale, riceve un
saggio sulla politica d’aristotele da un filosofo Tedesco. Pellegrini critica
la toleranza del filosofo alla posibilita del fraudo – ma il filosofo no
considera le oggezioni di seria considerazione. Pellegirni e associato al
ginnasio di Roma – Il ginnasio e una istituzione laica – “for I cannot imagine
naked monks, playng around!” – Grice. Keywords: implicatura. H. P. Grice, “Il
Tasso di Pellegrini” -- Pellegrini.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Pellegrini e Grice sulla etica nicomachea,”
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692188465/in/photolist-2mKRYGH-Ck9fTK-nViEV6-hSTpSd
Grice e Pennisi – lo spirito
nazionale – filosofia italiana – filosofia dell’isola – filosofia della sicilia
– filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Catania). Filosofo. Grice:
“I like Pennisi’s irreverent tone – typically Italian! – to evolution – and
especially evolution of language. By obsessing with linguistic tokens, we have
lost our capacity to mean otherwise than non-naturally!” Grice: “His metaphor
of ‘the price of lingo’ is very apt – we win, we lose!” – Grice: “Pennisi is a
Griceian at heart in that in his study of both schizo ad paranoic (both
psychotic) systems of communication, he focus on what he and I call the
‘adequazione pragmatica,’ i.e. the ability or competence, to irritate Chomsky,
to implicate!” Ha diretto il Dipartimento di Scienze Cognitive, Psicologiche,
Pedagoche e degli Studi Culturali dell'Messina, presso cui è titolare della
cattedra di filosofia del linguaggio. I suoi interessi riguardano
prevalentemente la psicopatologia del linguaggio e, più in generale, la
relazione tra linguaggio, evoluzione e cognizione umana. Consegue la
laurea in Lettere Moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia a
Catania con una tesi dal titolo “I
presupposti ideologici della teoria della storia linguistica di B. Terracini,” sotto
la guida di Piparo. Vince il concorso
libero per ricercatore e svolge la
carica presso l'Istituto di Filosofia della Facoltà di Magistero dell'Messina.
Diventa professore associato di filosofia del linguaggio nella Facoltà di
Magistero di Messina. Vince la procedura di valutazione per l'ordinariato-- è direttore del Dipartimento di Scienze
cognitive e della formazione della Facoltà di Scienze della Formazione e preside
presso la stessa Facoltà. -- è coordinatore del Collegio di Dottorato in
Scienze cognitive dell'Messina. Aree di ricerca Psicopatologia del
linguaggio. L'ipotesi di base per l'analisi del linguaggio psicopatologico
parte da un confronto sistematico tra il linguaggio psicotico nelle sue due
declinazioni più significativequella schizofrenica e quella paranoica con il
linguaggio tipico delle patologie cerebrali e con quello caratteristico dei
soggetti normali. La tesi di Pennisi è che i soggetti psicotici, a differenza
di quelli con deficit cerebrali, non mostrino difficoltà visibili dal punto di
vista dell’articolazione fonica, della proprietà lessicale o della capacità
sintattica e semantica, ma che invece la cifra elettiva del loro linguaggio
consista in un depauperamento della complessità dei significati. Questo
impoverimento della dimensione della complessità si manifesta nella
schizofrenia con un linguaggio privato e pragmaticamente inadeguato, e nella
paranoia con un unico tema delirante che riassume e congela tutto il destino
del soggetto. La psicopatologia del linguaggio rappresenta inoltre una delle
sfide più difficili per le scienze cognitive, in quanto le psicosi, tra tutte
la schizofrenia, sembrano a tutt’oggi resistere ad ogni tentativo di
spiegazione neuroscientifica. Nella sua impostazionei, il linguaggio può essere
considerato una forma di tecnologia corporea. Il linguaggio è, in particolare,
la tecnologia specie-specifica di Homo sapiens che ne ha caratterizzato
l'adattamento a tal punto da rischiare di minacciarne l'esistenza. La
cognitività linguistica del Sapiens, infatti, modificando profondamente le
regole stesse dell'evoluzione biologica se da un lato ci ha consentito di
essere i dominatori naturali dell'intero pianeta, dall'altro è "ciò che
beffardamente ci avvicina alla fine, il messaggero della nostra imminente
estinzione. In continuità con le tesi sul linguaggio, propone un nuovo concetto
di bio-politica, in antitesi con il concetto sviluppato da Foucault. In
particolare, propone di investigare i fenomeni sociali e politici mediante la
comprensione delle dinamiche naturali che li sottendono. L'errore di Platone è,
nel sistema di idee proposto da Pennisi, l'idea di poter ingegnerizzare la
società e di poterme controllare ogni possibile esito. Ancora una volta, tale
illusione è data dal linguaggio e dalla razionalità linguistica che contraddistingue
Homo sapiens. Accadimenti come le crisi economicheal pari di altri fenomeni
socio-politicipossono essere compresi solo se si indagano i fenomeni naturali
che ne stabiliscono le dinamiche, come ad esempio i flussi migratori e la riproduzione. Altre
opere: “L'errore di Platone – biopolitca, linguaggio, e diritti civile in tempo
di crisi” (Bologna, Mulino); “Il prezzo del linguaggio” (Bologna, Mulino); “L’isola
timida: Forme di vita nella Sicilia che cambia” (Roma, Squilibri); “Le scienze cognitive
del linguaggio” (Bologna, Mulino); “Scienze cognitive e patologie del
linguaggio” (Bologna, Mulino); “Segni di luce” (Mannelli, Rubbettino). “Psicopatologia
del linguaggio: storia, analisi, filosofie della mente” (Roma, Carocci); “Le
lingue utole: le patologie del linguaggio fra teoria e storia” (Roma, Nuova
Italia Scientifica); "La tecnologia del linguaggio tra passato e presente,
in Blityri, Pisa, ETS, Telmo Pievani,
Linguaggio, proprio tu, ci tradirai. R. Eugeni, Per una biopolitica a-moderna. Il
pensiero del potere in S. Kubricke oltre, in Le ragioni della natura” (Messina,
Corisco, Franco Lo Piparo Tullio De Mauro Umberto Eco.Dip. Scienze cognitive,
psic., ped. (unime), su unime. Pennisi. Keywords: filosofia dell’isola,
filosofia della sicilia, filosofia siciliana, cariddi, capo peloro. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Pennisi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51739554110/in/datetaken/
Grice e Pera – il ragionere -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Lucca).
Filosofo. Important Italian
philosopher. Si diploma in ragioneria
all'Istituto "F. Carrara" di Lucca. Studia a Pisa sotto Barone. Insegna
a Pisa. Convinto che le libertà civile si e riconduce alla dignità intrinseca
della persona umana, che permane quale che sia la verità delle convinzioni di
ciascuno, rileva come sia sbagliato fare del relativismo elitario il fondamento
della società. Questa sorge grazie a quel terreno fertile rappresentato dal principio
della tolleranza Un saggio filosofico di
rilievo riguarda il metodo scientifico e l'induzione. Dedicato nell’”Espresso” ai
filosofi che avevano tentato di confutare Marx, il primo e Popper. Ulteriori
studi furono dedicati alle teorie sui metodi di ricerca di Hume e ai metodi
induttivi e scientifici. Saggi "Hume, Kant e l'induzione". Sviluppa
ricerche sui primi studi di elettricità compiuti nel settecento da Volta e da
Galvani. Analizza in dettaglio il rapporto tra scienza e filosofia, in
particolare nel rinascimento volgare italiano (Galilei, Telesio). La metafora
delle palafitte (anche usata da Vitters): come le palafitte dell'uomo
preistorico, la filosofia (in particolare la teoria della relatività e la
fisica atomica) non si fonda su una base solida come la roccia, ma e soggetta a
modifiche e revisioni, a seguito della scoperta di nuove particelle, di nuovi
fenomeni, o di nuove leggi fisiche che in parte modificano quelle precedenti
della fisica classica. C’e progresso in filosofia. Non poggerebbe su un fondamento
immutabile, ma su un principio che puo essere oggetto di ulteriori analisi ed
approfondimenti.. La filosofia ha validità limitata a un determinato contesto –
e. g. Oxford. Secondo questo orientamento il griceianismo e modificabile. Fra
le revisioni di sistemi scientifici studiate da lui vi è la rivoluzione di
Telesio e Galilei che reca obsoleto il geo-centrismo. Sono poi analizzate le
teorie elettromagnetiche, a partire dalle prime formulazioni empiriche di Volta
e Galvani. Pera analizza il progresso della filosofia in relazione a quella del
metodo, basato su procedimenti razionali ed induttivi. Altri saggi: "Induzione,
scandalo dell'empirismo", i "La scoperta scientifica: congetture
selvagge o argomentazioni induttive?",
"È scientifico il marxismo?", “Il canone del razionale” Craxi.
Lei mette in discussione i fondamenti stessi dello stato di diritto, la
rivoluzione ha regole ferree e tempi stretti. Quei politici che, come Craxi,
attaccano i magistrati di Milano, mostrano di non capire la sostanza grave,
epocale, del fenomeno. Si occupa soprattutto dei problemi della Giustizia in
Italia. La democrazia è quel regime di governo che permette a chi si oppone di
sostituire pacificamente chi prende le decisioni a nome della maggioranza. Lo istrumento
della democrazia non è soltanto il voto, ma l'argomentazione, il discorso, il
confronto. Per sostituire chi governa, prima di votare occorre confutare e
criticare. Allo stesso modo per governare occorre argomentare e convincere. Partecipa
anche ad alcuni temi di politica locale, in particolare in Toscana e a Lucca.
vivere “velut si Deus daretur”. "Se Dio esiste, ci sono limiti morali alle
mie azioni, comportamenti, decisioni, progetti, leggi e così via. Il denominatore
comune e il rinascimento e l’'illuminismo. Il concettio di eguaglianza fra gl’italiani
i e di solidarietà sociale, che sono oggi alla base della costituzione dellea nazione
italiana. È lo stesso soffio del vento di Monaco nel 1938. Defende nostra
autonomia individuale, che è la condizione su cui dobbiamo sempre vigilare (da
ciò il nostro liberalismo)”.
Altre opere: “Apologia
del metodo” (Pisa, Scientifica); “La scienza su palafitte” (Roma, Laterza); “Induzione”
(Bologna, Mulino); “Il razionale e l’irrazionale nella scienza” (Milano,
Saggiatore); “La rana ambigua. La controversia sull'elettricità animale tra
Galvani e Volta” (Torino, Einaudi)’ “Scienza e retorica” (Roma, Laterza); “Persuasione”
(Milano, Guerini); “Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo” (Milano,
Mondadori); “Il libero e il laico” (Siena, Cantagalli); “Etica liberale” (Milano,
Mondadori); “Il liberalismo di Pannunzio” (Torino, Centro Pannunzio). La
scienza non poggia su un solido strato di roccia. L'ardita struttura delle sue
teorie si eleva, per così dire sopra una palude. È come un edificio costruito
su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall'alto giù nella palude: ma
non in una base naturale o "data"; e il fatto che desistiamo dai
nostri tentativi di conficcare le palafitte più a fondo non significa che
abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente, ci fermiamo quando siamo
soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza
stabili da sorreggere la struttura. “Il mio e un relativismo elitario” Marcello
Pera. Pera. Keywords: implicature, relativismo elitario, implicatura elitaria,
ragione, filosofo come ragionere, le radici romana del ragionere, ratio,
ragionere, l’assenza del concetto di ratio nella lingua greca, la ‘ratio’ di
Pitagora, la ‘ratio’ della scuola di Crotone. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Pera," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685518838/in/photolist-2mPQGvz-2mPMaQM-2mPtnaL-2mPszkp-2mPpwbZ-2mN8Hgb-2mN8ym7-2mLP4Rj-2mPCgo1-2mKG3XG-2mKCrta-2mPpskp-2mPvmTf-2mKjsJY-2mKgN49-2mPHbXQ-2mKbok1-2mJq2uE-E4u3XA-Bq5Mgn-nTXjQ9-obihzh-oddDmK-obniwY-oddCEe-oddKsc-ob9cLV-nTWNqo-obnngm-nTXn7o-obrAi8-nTXmLo-oddxmi-obnk8d-obrGZK-obrLsr-nTYe3e-obrG22-nTXgE1-nTXiX7-nTYdn6
Grice e Peregalli – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo. I luoghi e la polvere
Incipit All'inizio della Genesi il serpente convince Eva a mangiare con Adamo
il frutto dell'albero della conoscenza. Così i loro occhi si apriranno e
vedranno per la prima volta la loro nudità. Comincia in questo modo la storia
della conoscenza e del desiderio. Vedere, desiderare e infine morire. Il tempo,
il suo scorrere nelle nostre vene, diventa dominante. Lo splendore
dell'attimo, la sua rivelazione abbagliante, ne sancisce la caducità. Il tempo
corrode la vita e la esalta. Insieme alla conoscenza e al desiderio nasce anche
l'amore per la fragilità dell'esistenza. Le cose si rovinano. Citazioni
Se si vuole vedere, o meglio, se nel destino è scritto che si veda a tutti i
costi, se si vuole desiderare, se si vuole conoscere (così si capisce quanto
poco la conoscenza abbia a che fare con principi puramente razionali), si deve
diventare mortali. Gli dei sono indifferenti. Per gli uomini inizia così la
differenza. Finché non conosci, finché non mangi il frutto dall'albero della
conoscenza, sarai eterno. Non saprai cosa sono il bene e il male, il desiderio,
l'attrazione dei corpi, la morte. Il tempo è la nostra carne. Siamo fatti di
tempo. Siamo il tempo. È una curva inesorabile che condiziona ogni gesto della
nostra vita, compresa la morte. La superficie di qualunque "cosa",
sia essa un oggetto o un luogo, è intaccata dal tempo, riposa nel tempo. Viene
corrosa, sporcata, impolverata in ogni istante. Sono la sua caducità e la sua
fragilità che la fanno vivere nel trascorrere delle ore, dei giorni, degli
anni. L'eternità è un miraggio, e non è la salvezza. Stare in casa significa
poter assaporare il piacere di sapere che fuori c'è un paesaggio meraviglioso
e, quando vuoi, apri la porta o la finestra e lo guardi. Deve esserci lo sforzo
del gesto. Il desiderio va centellinato, perché sia più profondo. Il bianco è
il profumo dei colori. Il bianco, ancora più del nero, laddove usato nella sua
purezza, è uno dei colori più difficili che esistano, e meno imparziali. Usato
in quantità massicce la sua forza ci si ritorce contro. Diventa indifferente
solo in apparenza. In realtà l'indifferenza non esiste. Nulla è indifferente. È
un abbaglio, un alibi. Equivale all'apatia. I vetri, il bianco sono materia,
colore, carne, vita. L'ombra, come la polvere, è il nostro fondo nascosto. La
si vuole cancellare. Deve essere un eterno meriggio. Così si elimina la
"carnalità del luogo", il suo erotismo sottile, la sua terrestre
caducità. Purtroppo in estetica la dittatura di un elemento è identica alla sua
democratizzazione. Il livellamento dei luoghi conduce alla dittatura della luce
e viceversa. Tutto diventa uguale nell'indifferenza. Di fronte all'ottusa
sicumera che ci avvolge esiste un tempo altro che non possiamo controllare,
dirigere, comandare e che può aprire nuove prospettive, trovando sentieri
tortuosi, o spesso non tracciati. Nelle sacche dell'errore (che è un erramento)
può ancora trovarsi un cammino. Il passato è stato messo in una teca,
sigillato, perché non nuoccia. Lo si può venerare, ma lo si teme. E comunque
non deve essere imitato. Gli antichi, invece, in ogni momento hanno sempre
guardato indietro. Da lì traevano ispirazione. Cancellavano per ricreare. Credo
che in quest'epoca falsamente luccicante e rassicurante, che vuole esorcizzare la
morte e la fragilità della vita a ogni passo, e dove colori sgargianti,
superfici nitide e sorde, luci accecanti circondano il nostro vivere, un
sentiero possibile sia quello di cercare negli interstizi delle cose prodotte
dall'uomo una crepa, una rovina che ne certifichi la fondatezza. In un mondo
che teorizza le guerre "intelligenti" e gli obiettivi
"mirati" la barbarie non è costituita dalle distruzioni, ma dalle
costruzioni. Il decadimento fa parte dell'essere. Tutto decade, crolla, si
disfa. Ma questo decadimento è un frammento di noi. Il concetto di
incontaminato è fondamentalmente falso. Tutto è contaminato dal tempo e
dall'uomo. Nell'attimo stesso in cui mettere le sue radici in un luogo lascia
un segno e l'incanto si sbriciola. Esistono nelle città, nei paesi, nelle
campagne, "rovine semplici"...Cascine abbandonate, un muro senza
aperture, uno spiazzo solitario con una fabbrica dismessa, una vecchia
ciminiera diroccata, una strada che non finisce, chiese, mausolei, tumuli
lasciati al loro destino, attraversati dal tempo. Luoghi che apparentemente non
dicono nulla di più della loro solitudine e del loro abbandono e in cui il
motivo delle loro condizioni non si legge più tra le pieghe dell'architettura.
Le ferite, se mai ci sono state, non mostrano la loro origine. Troviamo queste
rovine dappertutto nel mondo, sparse tra le nuove costruzioni, o isolate e
lontane. Quello che colpisce è la tranquillità, la pacatezza. Non servono più a
nulla, non possono essere sfruttate, manipolate. Possono solo essere cancellate
da una ruspa. Questa fragilità è la loro forza. Ci affascinano perché ci
somigliano. Somigliano al nostro essere caduchi, alla nostra mortalità, alla
sete dei nostri attimi di felicità. Nel mondo c'è un'ansia di eternità. L'idea
che tutto debba tornare a risplendere com'era. È un'epoca, questa, in cui da
una parte si desidera l'infinito e dall'altra ci si spaventa per la fragilità
delle persone e dei luoghi. Pensare che un luogo possa cristallizzarsi in
un'eternità senza tempo è una chimera che denota, mascherato di umiltà, un
senso di presunzione infinito. La nostra vita è la nostra memoria. Attraverso
il passato guardiamo il futuro. Se lo distruggiamo e lo ricostruiamo in modo
fittizio non resterà più niente. La bellezza di un oggetto deriva in buona
misura dalla sua patina. Più che la frattura tra antico e moderno, ciò che dà
consistenza alla nostra vita e la rende accettabile è la patina del tempo. La
certezza che le cose e i luoghi deperiscono serenamente. È questa una
"decrescita" estetica, un principio che vede nella caducità la
traccia della loro bellezza. Una volta le cose erano fatte per durare ed erano
caduche. Quindi veniva calcolata la loro deperibilità per farle diventare
sempre più belle. Oggi le cose si producono per essere effimere, e al tempo
stesso si proteggono con vernici e altre sostanze, perché sembrino eterne. Una
città per avere un'anima non deve essere perfettamente pulita. Devono rimanere
le tracce di quello che accade. Così i resti della nostra vita possono
affiorare, come i ricordi dagli angoli delle strade, dai cespugli, dai muri. La
materia di cui sono fatte le cose deve plasmarsi sull'aria che si respira, deve
ricevere l'ombra. La durata delle cose nel tempo non si può comperare. Il corpo
va amato per quello che è. La sua fossilizzazione, invece, rischia di tradirne
l'essenza, la cui forza è la caducità. Il motivo per cui ci attrae, ci eccita,
ci tiene con il fiato sospeso in tutti i suoi anfratti più segreti, il suo
odore, la sua superficie, il suo colore, è la sua consistenza che muta negli
anni e si adatta a noi e al mondo. Parole come design e lifting hanno un suono
sinistro. Dicono lo stesso. La plastificazione degli oggetti e dei corpi, il
loro luccicare senza vita, come i pesci lasciati a morire sulla riva. Tracciamo
un mondo che dovremmo indossare come una muta per aderirvi perfettamente e in
cui però i nostri movimenti diventano falsi e rallentati, chiusi in un cofano
che toglie il respiro. Corpi rimodellati che abitano e usano luoghi altrettanto
rimodellati. Il museo deve introdurre la gente in un mondo speciale, in cui le
opere dei morti dialogano con gli sguardi dei vivi, in un confronto duraturo e
fecondo. I musei, che sorgono sempre più numerosi in quest'epoca, sono divenuti
edifici-scultura. Vengono chiamati a progettarli gli architetti più accreditati
del momento, che inventano dei mausolei per la loro gloria, prima ancora di
sapere a cosa serviranno. In essi la gente non va tanto a vedere le esposizioni
o le opere presentate quanto i monumenti stessi. Gli allestimenti museali sono
un riassunto e uno specchio drammatico dell'epoca in cui viviamo. I vetri
antiproiettile, l'illuminazione da stadio o catacombale, i colori sordi e
luccicanti dei muri, il gigantismo insensato, le ricostruzioni senz'anima. Via
la polvere, via la patina, via l'ombra, via la carne di cui siamo fatti. Tutto
è asettico. Cancellando la mortalità della vita, il luogo diventa eternamente
morto. L'arte è mimesi della natura. La mima, la reinventa, la accompagna
fedelmente nel cammino del tempo. Non c'era contrasto e nemmeno violenza.
L'abitare sulla terra era una convivenza armonica in cui l'uomo beneficiava
della natura, e questa traeva profitto e bellezza dalla presenza dei disegni
dell'uomo. Così nascevano i luoghi. L'occhio che guarda questi luoghi, luoghi
diroccati e abbandonati, immagina il loro passato, sente attraverso la pelle
consumata dal tempo l'anima che li avvolge. La patina, come la polvere, si
deposita sulle cose. Dà loro vita. Le inserisce nel tempo. Un tavolo, una
sedia, un bicchiere parlano del passato, delle mani che li hanno toccati,
attraverso la pelle del tempo che li avvolge a poco a poco. Le tracce del
passato si leggono tra le crepe dei muri, oltre l'umidità della pioggia e il
calore riarso del sole. Roberto
Peregalli, “I luoghi e la polvere,” Bompiani. Roberto Peregalli. Peregalli.
Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Peregalli” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738894063/in/datetaken/
Grice e Perniola – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Asti). Filosofo. Studia la filosofia del metaromanzo a Torino sotto Pareyson. Incontra
Vattimo ed Eco, che si è fatto tutti gli studiosi di spicco della scuola di
Pareyson. Cllegato alla all'avanguardia dei situazionisti. Insegna a Salerno e Roma.
Collabora a agaragar, Clinamen, Estetica
Notizie. Fondato Agalma. Rivista di Studi Culturali e di Estetica.L'ampiezza,
l'intuizione e molti-affrontato i contributi della sua filosofia gli ha fatto
guadagnare la reputazione di essere una delle figure più importanti del
panorama filosofico contemporaneo. Pubblica “Miracoli e traumi della Comunicazione”. Le sue attività ad ampio raggio
coinvolti formulare teorie filosofiche innovative, filosofare, l'estetica di
insegnamento, e conferenze. Si
concentra sulla filosofia del romanzo e la teoria della letteratura. Nel suo
primo saggio principale, Il metaromanzo, sostiene che il romanzo da Henry James
a Samuel Beckett ha un carattere auto-referenziale. Inoltre, si afferma che il
romanzo è soltanto su se stesso. Il suo obiettivo e quello di dimostrare la
dignità filosofica del meta-romanzo e cercare di recuperare un grave
espressione culturale. Montale gli loda per questa critica originale del
romanzo come genere filosofico. Però, non solo hanno un'anima accademica ma
anche una anima anti-accademica.. Quest'ultima è esemplificato dalla sua
attenzione all’espressioni alternativa e trasgressiva. Un saggio importante
appartenente a questa parte anti-accademico è “L'alienazione artistica”, in cui
attinge la filosofia marxista. Sostiene che l'alienazione non è un fallimento
di arte, ma piuttosto una condizione dell'esistenza stessa dell'arte come
categoria distintiva dell'attività umana. I situazionisti (Castelvecchi, Roma)
esemplifica il suo interesse per l'avanguardia. Dà conto dei situazionisti e
post-situazionisti nel quale è stato personalmente coinvolto. Ha videnzia anche
le caratteristiche contrastanti dei membri del movimento. In “Agaragar” continua
la critica post-situazionista della società capitalistica e della borghesia. Saggio
sul negativo” (Milano: Feltrinelli). – cf. Grice, “Negation and privation”. Il
negativo qui è concepito come il motore della storia. Post-strutturalismo.
Offre alcuni dei suoi contributi più penetranti alla filosofia. In Dopo Heidegger.
Filosofia e organizzazioni culturali sulla base di Heidegger e Gramsci,
include un discorso teorico sulla organizzazione sociale. Sostiene la
possibilità di stabilire un rapporto tra cultura e società nella civiltà. Come
l'ex interrelazioni tra la metafisica e la chiesa, la dialettica e lo stato, la
scienza e professione sono state decostruito, la filosofia e la cultura
rappresentano un modo per superare il nichilismo e il populismo che
caratterizzano la società. Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo
contiene sezioni sulla Società dei simulacri e Transiti. Venite si va Dallo
Stesso allo Stesso (Transiti. Come andare dalla stessa per lo stesso). Teoria
dei simulacri si occupa con la logica della seduzione. Anche se la seduzione è
vuoto, è comunque radicata in un contesto storico concreto. Simulazione,
tuttavia, fornisce immagini che sono valutati come tali indipendentemente da
quello che effettivamente implicano riferiscono. Una immagine e una simulazione
in che seducono e ancora fuori loro vuoto ha un effetto. Illustra il ruolo
di tale immagine in una vasta gamma di contesti culturali, estetiche e sociali.
La nozione di transito sembra essere più adatto per catturare l’aspetto culturali
della tecnologia che altera la societa..Transit di oggivale a dire che vanno “dallo
stesso allo stesso” evita di cadere nella contrapposizione della dialettica che
avrebbe precipitare pensare nella mistificazione della metafisica”. Postumano
include altri territori nella sua ricerca filosofica. In Del Sentire -- indaga un
modo di sentire che non ha nulla a che vedere con i precedenti che hanno
caratterizzato l'estetica. Sostiene che sensologia ha assunto. Ciò richiede un
universo emozionale im-personale, caratterizzato da un’esperienza anonima, in
cui tutto si rende come già sentito. L'alternativa è quella di tornare indietro
al mondo classico e, in particolare, all’antica Roma. In “Il sex appeal
dell'inorganico”, riunisce la filosofia e la sessualità. La nostra sensibilità
trasforma il rapporto tra una cosa e gl’esseri umani. Sex si estende oltre
l'atto e i corpo. Un tipo organico di sessualità viene sostituita da una
sessualità neutra, in-organica, arti-ficiale, indifferente alla bellezza o
forma. Esplora il ruolo dell'eros, il desiderio e la sessualità nell’esperienza
estetica e l'impatto della tecnologia. La sua è una linea che apre prospettive
sulla nostra realtà contemporanea. La caratteristica più sorprendente è la sua
di coniugare una rigorosa re-interpretazione della tradizione filosofica con
una meditazione sul “sexy”. Si rivolge aspetti perturbanti come rapporto
sessuale senza orgasmo, apice o qualsiasi rilascio della tensione. Si occupa dell’orifizio
e l’organio, e la forma di auto-abbandono che vanno contro un modello comune di
reciprocità erotica. Tuttavia, attingendo alla tradizione critica trascendentale,
sostiene anche che ogni coniuge e una cosa, perché in costanza di matrimonio
ogni affida il suo la sua intera persona all'altra al fine di acquisire un
diritto pieno su tutta la persona dell'altro. In “L'arte e la sua ombra” popone un'interpretazione
alternativa dell'ombra che ha una lunga storia nella filosofia. Nell'analisi
dell'arte e del cinema, esplora come l'artisti sopravviveno nonostante la comunicazione
di massa e la riproduzione. Il senso dell'arte è da ricercarsi in ombra creato,
che è stato lasciato fuori dallo stabilimento arte, comunicazione di
massa, mercato e mass media. La sua filosofia copre anche la storia di estetica
e teoria estetica. Pubblica “Enigmi -- Il momento Egizio Nella Società e
nell'arte” in cui analizza l’altra forma di sensibilità che si svolgono tra gl’uomini
e le cose. La nostra società vivendo un “momento egizio”, caratterizzato da un
processo di rei-ficazione. Come il prodotto di alta tecnologia assume sempre una
proprietà organica, gl’uomini si trasformano in cosi, nel senso che si vedeno deliberatamente
come oggetti sessuali. In L'estetica del Novecento fornisce un resoconto
originale e la critica alle principali teorie estetiche caratterizzato il
secolo precedente. Traccia le tendenze basate sulla vita, la forma, la
conoscenza, l’azione, il sentimento e la cultura. In Del Sentire cattolico. La
forma culturale di Una religione universale la sensazione di Cattolica. La
forma culturale di una religione universale), sottolinea l'identità culturale
del cattolico (kath’holou”), piuttosto che il suo uno moralitstico e dogmatico.
Propone il cattolico senza l'orto-dosso e una fede senza dogma che consente il
cattolico ad essere percepito come un senso universale di sentimento culturale.
“Strategie del bello: estetica italiana” analizza le principali teorie
estetiche che ritraggono le trasformazioni avvenute in Italia. Mette in luce il
rapporto tra i tratti storici, politici e antropologici radicati nella società
italiana e il discorso critico sorto intorno a loro. La conoscenza e la cultura
sono concessa una posizione privilegiata nella nostra società, e dovrebbero
sfidare l'arroganza degli stabilimento, l'insolenza degli editore, la volgarità
dei mass media, e il roguery plutocratico. La filosofia dei media. La sua
ampia gamma di interessi teorici
includono la filosofia dei media. In “Contro la Comunicazione” analizza
l’origine, il meccanismo, la dinamica della comunicazione e suo effetto degenerative.
“Miracoli e traumi della comunicazione” si occupa dell’effetto inquietante
della comunicazione concentrandosi sull’evento generative: una rivolta degli
studenti, la rivoluzione iraniana, la caduta del muro di Berlino, World Trade
Center attacco. Ognuno di questi episodi sono tutti trattati con sullo sfondo
dell’effetto miracoloso e traumatico in cui la comunicazione offusca la
differenze tra il reale e impossibile, cultura alta e cultura di massa, il
declino delle professione, il successo del populismo, il ruolo della dipendenza,
le ripercussioni di internet sulla cultura di oggi e la società, e, ultimo ma
non meno importante, il ruolo della valutazione in cui porno star sembrano aver
raggiunto i più alti ranghi del chi è chi grafici. In finzione, e l'autore del
romanzo Tiresia, che si ispira all'antico mito greco del profeta Tiresia, che è
stato trasformato in una donna. Altra narrativa è del Terrorismo Come una delle
belle arti (al terrorismo come una delle Belle Arti. Saggi: “Il meta-romanzo” ( Milano, Silva); “Tiresia,
Milano, Silva); “L'alienazione artistica” (Milano, Mursia); “Bataille e il
negativo, Milano, Feltrinelli); “Philosophia sexualis” (Verona, Ombre Corte); “La
Società dei simulacra” Bologna, Cappelli); “DOPO Heidegger. Filosofia e organizzazione
della cultura” (Milano, Feltrinelli, Transiti. Venite si va Dallo Stesso allo Stesso”
(Bologna, Cappelli); “Estetica e politica” (Venezia, Cluva); “Enigmi. Il
momento Egizio Nella Società e nell'arte” (Genova, Costa & Nolan); “Del
Sentire, Torino, Einaudi); “Più che sacro, Più che profane” (Milano, Mimesis);
“Il sex appeal dell'inorganico” (Torino, Einaudi); “L'estetica del Novecento,
Bologna, Il Mulino); “Disgusti. Nuove Tendenze estetiche” (Milano, Costa); “I
situazionisti” (Roma, Castelvecchi); “L'arte e la SUA ombra” (Torino, Einaudi);
“Del Sentire cattolico. La forma culturale di Una religione universale,
Bologna, Mulino, “Contro la Comunicazione” – Grice: “This poses a stupid
puzzle, alla Sextus Empiricus, how can you argue against communication without
communicating? But Perniola is using ‘comunicazione’ the way Italian
philosophers use it: pompously! And with that I agree! ” -- Torino, Einaudi, Miracoli
e traumi della Comunicazione, Torino, Einaudi, "Strategie Del Bello.
Quarant'anni di estetica italiana, Agalma. Rivista di studi culturali e di
estetica, Strategie Del Bello: estetica italiana” (Milano, Mimesis); “Estetica:
Una visione globale” (Bologna); La Società dei simulacra” (Milano, Mimesis, Berlusconi
o il '68 Realizzato” (Milano, Mimesis,. Estetica e politica. Nuova Edizione, Milano,
Mimesis); “Da Berlusconi a Monti. Imperfetti Disaccordi, Milano, Mimesis); “.L'avventura
situazionista. Storia critica dell'ultima avanguardia” (Milano, Mimesis); “L'arte
espansa” (Torino, Einaudi); Del Terrorismo Come una delle belle arti, Milano,
Mimesis, “Estetica Italiana Contemporanea, Milano, Bompiani,“Pensare rituale”;
“La sessualità, la morte, Mondo, l'umanità “Estetica: Verso una teoria di sentimento”“Di
volta in volta”, “La differenza del
Filosofica Cultura italiana”,“Logica della Seduzione”, “Stili di
post-politici”, differenziazione, “Venusiano Charme”, “decoro e abito da
sera”. G. Borradori, ed., Ricodifica METAFISICA. La filosofia Nuova italiana. “Tra abbigliamento e nudità”, Zona “Al di là di postmodernità”, Differentia “La
bellezza è come un fulmine”, Moderna
Museet, “Riflessioni critiche”, “Enigmi di temperamento italiano”, Differentia,.
“Primordiale Graffiti”, Differentia, “Urban, più di urbana”, Topographie, ed in
Strata, Helsinki, “Emozione”, Galleria d'Arte del Castello di Rivoli, Milano,
Charta, “Verso visiva filosofia”, la 6a
Settimana; “Burri ed Estetica”, Burri” (Milano, Electa); “Stile, narrativa e
post-storia” Tema celeste, europea, “Un estetico
del Grand Style: Guy Debord”, Sostanza, Arte tra il parassitismo e l'ammirazione”,
RES, “Sentire la differenza, Estetica,
Politica, Morte. “La svolta culturale e sentimento”
“il Ritual nel cattolicesimo”, Paragrana, Ripubblicato come “La svolta culturale nel
cattolicesimo”, il dialogo. Annuario della filosofica ermeneutica, Ragione, Strumenti
di devozione. Le pratiche e gli oggetti di Religiois Pietà; “Ricordando Derrida”, sostanza, “La
giustapposizione”, Rivista Europea.”, Celant, G., & Dennison, L.arte,
architettura, cinema, performance, fotografia e video, Milano, Skira, “Cultural
Turns in Estetica e Anti-Estetica”, Guarda anche Estetica Anti-art
Internazionale Situazionista simulacro cyberpunk fetish abbigliamento filosofia
italiana; La filosofia del sesso; filosofia occidentale; La sessualità, la morte, mondo -- è il più utile e punto di partenza per Perniola,
Fondazione desanctis Perniola Reading. Un introduzione". Pensare rituale.
La sessualità, la morte, Mondo. E. Montale, “Entra in scena il metaromanzo”. Il
Corriere della Sera, Massimo Verdicchio, “Leggere Perniola Reading. Un
introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Bredin
"L'alienazione artistica" di Mario Perniola,Inverno Massimo Verdicchio, “Leggere Perniola Reading.
Un introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Con
//notbored.org/ debord a.html
I situazionisti, Roma, Castelvecchi, “ Pensare rituale. La sessualità, la
morte, Mondo “Pensare rituale. La
sessualità, la morte” (Mondo). Verdicchio in, pensiero rituale. La sessualità,
la morte, Mondo. Sulla influenza della nozione di simulacri vedere Robert
Burch. “Il simulacro della Morte: Perniola al di là di Heidegger e la
metafisica?”. Sentire la differenza, Extreme Beauty. Estetica, Politica, Morte.
Stati di emergenza. Le colture di Rivolta in Italia. Verso, Per ulteriori
interpretazioni del concetto di transito vedere Hayden White, "la
differenza italiana e la politica della cultura", Ricodifica. La filosofia
Nuova italiana. Catalogo Einaudi di Francoforte Fiera del Libro Massimo Verdicchio, Thinking Ritual. La
sessualità, la morte, Mondo. catalogo IAPL, Siracusa. La Teoria Pinocchio, Perniola, il sex appeal
del inorganica, Londra-New York, Continuum, Sulla ricezione della teoria di
Perniola in inglese vedi Steven Shaviro, “il sex appeal della inorganica”, La
Teoria Pinocchio,//shaviro.com/Blog/ Farris Wahbeh, Critica d'arte, Filosofie del desiderio nel mondo
contemporaneo”, in Filosofia Radical (Londra), Anna Camaiti Hostert sexy cose,//altx.com/ebr/ebr6/6cam.htm;
intervista tra Sergio Contardi e Mario
Perniola//psychomedia/jep/number3-4/contpern.htm Prefazione di Per
l'influenza di arte e la sua ombra vedere Farris Wahbeh, Recensione di “arte e
la sua ombra” e “il sex appeal della inorganica”, The Journal of Aesthetics e
Critica d'arte, Robert Sinnerbrink,
“Cinema e la sua ombra: di Mario Perniola arte e la sua ombra”, Filosofia Film,
film-philosophy /sinnerbrink.pdf Massimo Verdicchio, Thinking Ritual. La
sessualità, la morte, Mondo. Con una prefazione di Hugh J. Silverman, tradotto
da Massimo Verdicchio, Sulla ricezione di Enigmi. Il momento egiziana nella
società e Arte vedere; “Retorica
postmoderno ed Estetica” in “Postmodernismo", la Stanford Encyclopedia of
Philosophy, Edward N. Zalta (ed.),//plato.stanford.edu / voci / post modernismo “La svolta culturale del cattolicesimo”.
Laugerud, Henning, Skinnebach, L. Katrine. Gli strumenti di devozione. Le
pratiche e oggetti di pietà religiosa dal tardo Medioevo al 20 ° secolo. Aarhus
ulteriore lettura Giovanna Borradori, ricodifica METAFISICA. La filosofia Nuova
italiana, il simulacro della Morte: Perniola al di là di Heidegger e la
metafisica?, Nel sentire la differenza, Estetica, Politica, Morte, New
York-London, Continuum, A. Carrera, revisione a Disgusti, in Canada Rassegna di
letteratura comparata, SFilosofie del desiderio nel mondo moderno, in stati di
emergenza: Culture di rivolta in Italia,la differenza italiana e la politica
della cultura, in Laurea Facoltà di Filosofia, Farris Wahbeh, Rassegna di Arte
e la sua ombra e il sex appeal della Inorganica, in The Journal of Aesthetics e
Critica d'arte, O' Brian, L'arte è sempre scivoloso, il valore dei valori
sospensione, in Neohelicon, Civiltà,
Dell'Arti Giorgio, M. Parrini, “Catalogo dei viventi italiani” (Notevoli,
Venezia); Marsilio Nils Roller, simulazione, una conversazione tra Sergio Contardi
e M. Perniola (//psychomedia/ jep/number3-4/contpern.htm ) Recensione di
“La sessualità, la morte, World” sirreadalot.org/religion/
religion/ritualR.htm ) Recensione di Sinnerbrink di “arte e la sua ombra”
/film-philosophy il rilascio Il corpo dell'immagine /italiaoggi.com.br/not12/
ital_ ed Estetica (//agalmaweb.org/ )
Blog su “Feeling Thing” (in italiano) (//cosachesente.splinder.com/ ). Mario
Perniola. Perniola Keywords: ‘seduzione’ ‘le strategie del bello’ ‘altre il
desiderio e il piacere’ sesso, sessuale, psychologia del sesso, Perniola’s
misuse of ‘sesso’, eros. -– Luigi Speranza, “Grice e Perniola” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737811182/in/datetaken/
Grice e Perone – implicatura – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “While Perone can be a
pessimist, I think the party is NEVER over!” Grice: “I especially appreciate
two things in the philosophy of Perone: his emphasis on the the intersection
between modality and temporality: ‘the possible present’ – vis-à-vis memory – a
theme in my “Personal identity” and also the implicature: what is actual is
also possible” – AND his idea of an ‘interruption,’ which I take it to the
rational flow of conversation!” Speranza, “The feast of conversational reason,”
“The feast of reason and the bowl of soul” -- important Italian philosopher. Studia
a Torino sotto Pareyson. Studia la filosofia della liberta. Insegna a Roma e
Torino. Si dedica alla filosofia ermeneutica. La politica è l’invenzione
dell’ordine che con-tempera il „per me“ e il „per tutti”. Studia la morale
creativa, capace di forzare l’etica oltre se stessa, verso una normatività più inclusiva. la secolarizzazione; Una metafora ha ispirato
l'intero percorso di pensiero di Perone, quella della lotta di un uomo, Giacobbe,
con il divino, l'Angelo (Genesi). Nella notte del deserto, uno straniero
interrompe la sua solitudine e combatte con lui in una battaglia che non ha
vincitore. All’alba scopre di essere stato ferito dall'angelo. La ferita
significa anche la benedizione e un nuove nome: Giacobbe, che ha combattuto con
Dio e non è stato ucciso, d'ora innanzi si chiama “Israele”. Il
racconto è la cifra dell'estrema tensione che sussiste tra il finito e
l'infinito, tra il penultimo e l'ultimo, tra i singoli significati e il senso
complessivo. La filosofia ha un'obbligazione di
fedeltà al finito che la conduce a non rinnegare mai le condizioni storiche del
pensiero, ma anche a non rinunciare alla sua vocazione a trascenderle con
l'ascolto del non immediato, il lavoro e la fatica. Riconosciuto il moderno come
condizione, il pensiero non può illudersi di potersi semplicemente installare
nell'essere o nel senso, come se tra finito e infinito non si fosse consumata
una cesura. E tuttavia, ugualmente inopportuno e un
appiattimento sui semplici significati storici, dimentico dell'appello
dell'essere. La necessaria protezione del finito
(peiron) (protezione del finito anche nei confronti dell'essere, che in qualche
modo va sfidato, perché è coi forti che è necessario essere forti) non significare l'eliminazione di nessuno dei due
contendenti. Sulla soglia tra finite
(peiron) e infinito (a-peiron), tra storia e ontologia, si realizza una
mediazione, che non implica il superamento della distanza, ma la sua
conservazione. Al fine di preservare la doppia eccedenza del finito (peiron) sull'infinito
(a-peiron) e di questo su quello, è sbagliato cancellare la distanza tra essi,
sia trasformandola in identità alla Velia, sia indebolendola fino a un punto
d'in-differenza. Così, è vero, per esempio, che la memoria non conserva
che questo o quello frammento, né può pretendere di ricordare direttamente
l'intero (la totalita – cf. Grice ‘total temporary state’). Ma è altrettanto vero che questo o quello frammento
non va abbandonato a una deriva nichilistica, perché nel frammento – che la
memoria ricorda – non è un semplice istante, ma appunto l'essenziale (di una
vita, di una storia…) a dover essere ricordato. La filosofia resta ossessionata
dal tutto (cf. Grice’s ‘total temporary state’), ma questo tutto non ha
l'estensione della totalità, ma l'intensione di un frammento in cui ne va dell'intero,
il totto. Peiron ed apeiron, Modernità e memoria, Storia e ontologia: si tratta
di *dire* sempre insieme due cose, due poli opposti, secondo una dialettica
dell'et-et, dell'indugio e dell'anticipazione. Il finito, la parte (il soggetto, il
presente, il sentimento) e analizzato come una “soglia”, come un luogo che non puo
nemmeno essere vissuto senza la memoria dell'altro polo. Come nel caso di
Giacobbe/Israele, la ferita finite, parziale, e un luoo che porta la ferita
inferta loro dall’altro polo (l’infinito, il tutto) come una benedizione. Elabora
la filosofia ermeneuticamente, a partire da uno studio in profondità – spesso
svolto contro-corrente, Parte integrante
della sua ricerca filosofica è altresì un confronto continuo con Guardini. Opere:”Esperienza
divina” (Mursia, Milano); “Storia e ontologia” (Studium, Roma); “La totalità
interrotta” (Mursia, Milano); “La memoria”
(Sei, Torino); “La lotta dell’angelo e il demonio” (SEI, Torino); “Le passioni
del finite” (EDB, Bologna); “Il gusto per l’antico” (Rosenberg, Torino); “Nonostante i soggetti” (Rosenberg, Torino);
“Il presente possible” (Guida, Napoli); “Sentimento vero” (Napoli, Guida); “Sentimento”
(Cittadella, Assisi); ” “Umano e divino” (Queriniana, Brescia); “Il racconto
della filosofia. Breve storia della filosofia, Queriniana, Brescia); Un tema
che è diventato predominante nella produzione più recente è la riflessione
etico-politica. Tra le sue pubblicazioni sul tema si ricordano: “Lo sspazio
pubblico” (Mulino, Bologna); “Identità, differenza, conflitto” (Mimesis, Milano);
“Secolarizzare” (Mursia, Milano, Givone, I sentieri della filosofia, Torino. Una
cospicua parte della sua produzione di si concentra sul finite e sul rapporto
tra filosofia e narrazione. Anche il tempo e la memoria: “Il tempo della
memoria” Mursia, Milano); “Memoria, tempo e storia; Il tempo della memoria, Marietti,
Genova); “Il rischio del presente”; “L'acuto del presente: una poetica” (Orso,
Alessandria); “Ateismo”; “Futuro”; “Memoria, Passato, Pensiero, Presente,
Riflessione, Silenzio, Tempo. Ccurato
e introdotto presso Rosenberg la Scuola di Alta Formazione Filosofica: “Dialogo
con l'amore”; “Metafisica”; “Dare ragioni”; “Coscienza, linguaggio, società” “Un'antropologia
della modernità”; Volontà, destino, linguaggio. Filosofia e storia
dell'Occidente,; Estraneo, straniero, straordinario. Saggi di fenomenologia responsive;
“Valori, società, religione”. Vii fa esplicito riferimento, tra l'altro, in
Modernità e Memoria, L'Angelo – cioè l'IN-finito, ma più in generale l'oggetto,
il mondo – non è un limite che i soggetti poneno a se stessi, ma una barriera
che loro è posta e che, dunque, non si lascia ultimamente inglobare dal soggetti,
per quanto potente loro siano. Ai limiti estremi dell’estensione e la ptenza, i
soggetti incontrano la resistenza testarda del mondo e misurano così la propria
im-potenza di in-finito. Questa lotta/scontro con la barriera lascia nei soggetti
una ferita che appartiene per sempre all'identità delle sue coscienze. L'Angelo
può quindi essere definito quella misteriosa ulteriorità contro cui il finito
urta Il tema della tensione tra cielo e terra è centrale. Come dimenticare che la
teologia è forse l'unica rama della filosofia che osato vedere nella tensione
tra l’uomo e il divino non una tentazione, ma un guadagno tanto per il cielo
quanto per la terra? E attiva
un'originalissima interpretazione del rapporto tra il segnato e il senso. Con ‘segnato’
intendo una cristallizzazione storica di una scelta determinata, avente in sé
una ragione sufficiente. Con ‘senso’ intendo una direzione capace di UNI-ficare
una MOLTE-plicità in sé dispersa fra il segnato S1, il segnato S2, … il segnato
Sn, in modo da costituir il segnato come un progetto e un'interpretazione della
realtà. La definizione del gusto per l’antico come tempo della cesura risale in
“La totalità interrotta”. Il tema è ripreso proprio in apertura di Modernità e
Memoria, dove individua nella modernità l'epoca della cesura. Il modern è
dunque chiamato a essere il tempo della memoria. La memoria è sempre memoria
della cesura. L’uso della categoria di ‘illuminismo
non simpatizza per quella interpretazione del moderno, dimentiche della
tensione. Semplicemente pone l'umano in luogo del divino come fonte di
legittimazione -- puntando tutto sul continuio, anziché sul dis-continuo della
storia. Per un approfondimento a tutto tondo del significato dell'ateismo, contro
l'essere, ciò che è forte, è lecito essere forti, perché la minaccia non lo
vince, ma lo lascia stagliarsi in tutta la sua maestà e incommensurabile
grandezza. Per una trattazione sistematica del concetto di "soglia”, che
svolge con particolare attenzione cfr. Il presente possibile, («Il presente come soglia»). Se una totalità è interrotta, non possiamo
ricordare se non frammenti, e quasi istantanee del tempo. Tuttavia, se la
memoria afferra brandelli e frammenti, è perché in essi vi legge il tutto,
perché li pensa capaci di dar *senso* e di riscattare, perché in essi vi scorge
l'essenziale. La memoria sa che non tutto può essere salvato. Ma osiamo credere
che nella memoria salvata vi possa essere un senso anche per ciò che è andato
perduto. Nel rivalutare la funzione dell'indugio osserva che perlopiù la
filosofia non ha seguito la strada dell'indugio e del rinvio, puntando invece
sulla funzione anticipative. Particolare rilievo riveste a questo proposito la
distinzione che traccia tra spazio pubblico e spazio comune. Individua anzi come rischio immanente della
democrazia» il ri-assorbimento dello spazio pubblico entro la semplice logica dello
spazio comune. Lo spazio pubblico si espone al rischio di un inglobamento nello
spazio comune. E. Guglielminetti, ed., Interruzioni. il melangolo, Genova. https://www.theologie.hu-berlin.de/de/guardini/mitarbeiter/li,
su theologie.hu-berlin.de.vips/ugo.perone, su sdaff.
http://www.lett.unipmn/docenti/perone/, su lett.unipmn oportet idealismo su
spaziofilosofico. http://www.spaziofilosofico/numero-05/2052/il-pudore/#more-2052,
su spaziofilosofico. Ugo Perone. Perone. Keywords: implicature, peiron/apeiron,
Velia, Grice on ‘other’; finito/infinito, Velia, Elea, I veliani, Guardini.
Total temporary state, Israele, etimologia, la ferita di Giaccobe dopo la lotta
coll’angelo, nella Vulgata. Israele, la lotta di Giacobbe e il angelo, la
ferita, Giacobbe zoppo, iconografia, controversia sull’etimologia di israele,
ei combatte, la tradizione di Velia, l’infinito di Velia – il continuo e il
discontinuo, l’infinito della scuola di Crotone, Cicerone, l’infinito di
Giordano Bruno. Infinitum, indefinititum, dal verbo, finire, finio in romano,
-- I due rappresentanti della scuola di Velia, Melisso, peras, pars. Guardini,
il sacro, il divino, I dei, uomo e dio, opposizione, -- la storia della
filosofia di Perone, il presente possible, la totalita interrota, I soggeti,
trascendentale e immanente. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Perone," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688092547/in/photolist-2mN8Hgb-2mN8ym7-2mKw3hq-2mKuZ8r-2mKgNbU
Grice e Persio –
implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo. Dei lincei. Figlio
di Altobello Persio, studia a Napoli. Conosce Telesio di cui diventa discepolo,
e scrive diverse saggi a difesa e chiarimento: “De naturalibus rebus” (Venezia,
Valgrisio). Pubblica il “Trattato dell'ingegno dell'uomo” (Venezia, Manuzio) in
cui riprendeva la teoria di Telesio di uno “spirito” come principio, movimento,
vita, e intelligenza. A Roma conosce
Campanella e Galilei e pubblica “Del bever caldo costumato dagl’antichi romani”
(Venezia, Ciotti) in cui riprende diverse idee già trattate in precedenza
riguardo allo spirito e ai consigli per la sua conservazione. Altri saggi: “Digestum vetus, seu Pandectarum iuris civilis:
commentarijs Accursii praecipua autem philosophicae illustrates cum pandectis
florentini” (Venezia, Franceschi); “Novarum
positionum in rethoricis dialecticis ethicis iure civili iure pontificio
physicis triduo habitae” (Venezia, Sambeni).
“De ratione recte philosophandi et de natura ignis et caloris” (Roma, Mascardo).
Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario di filosofia, Roma. la dialettica di
Telesio -- Campanella -- Gailei -- contro Cicerone -- contro Boezio
itiumdialecticum,ponitAristoteles. PRO POSITIONES DIALECTICA FACVLTATE. I Dialecticesarcis
magistros primos requiramus. Non Aristotelem profectò fuisse cenfendum est. Sedmultòantea,quunplurimosexstitiffe,mania
i teftantibus. Sed nereferasadtā antiquos:neges etiam, Pythagora eos
fuiffelogicos (quodtamen falsumn, indedeprehenditur, cùm mathematicisartibus; quae
fine Logice tractarinon possant. Ittaaccuratèftuduerint) Zeno tamen Eleates, ex
Platone et Laertio, inventor efficitur quod et ad Parmenidem nostrum I Dehip. Et
Plar. plac.li. gularisfuit, noninfophifticisde arte ipla contentionibus, Ledin explicarione
historiarum, incaricorum, Lucanum Galenus extendit. ClinomachusThurius; noftercóterraneusprimusdeaxio
DIALECTICIS IN METAPHORAM enumerar Aristoteles interuitia dialectica. Grammaticum
est et grammaticae syntaxeos uitium
festum est; uelcum Platone Prometheum, uelúci deorum interpretem
existimabimus, quem infacrislitteris Noeum
doctiexistimant;uelcumaliquotdoctis,Mofissacrú illumfacerdotisornatum
,&uestitumExhodiexpreffum. Itaque Logices exercitatio apud hebraeorum
liberostin et cpoëinatum compositione, inq.aenigmatum enodatione, doctis uiris at
matis seu enunciacis confcripsit fi Laërtiocredimus.quod fi berumeft, principiú
doctrinehuiusciphilofophodebeatur; quaodeindecranslarakc ab Arift.inlibrudeinterpretatione
Nonitaque Democritum Dialectices inventionis dispositioni SIGNARUM u tnec Protagora
nelenchorumjutex Plato rum et Peripateticorum sectae manarunt. Dialecticen igitur,
facultatem, seu virtutem bene differen ditenemus, hocest disputandi, disceptandi
ratiocinandi. Quotiesita querationeutimur, toties dialectico munere
diendiq.;ita Logicenhanc, essefacultatem, omniadisputan di,intelligendiq. Rectè
itaque Aristoteles, omnes IDIOTAS quod ammodo uti Dialectice, confirmauit.
Duplex itaquc; quinimmohaec, uel utiilius magistra, cólá tuitur; cùm omnis disciplinae
principium sit experientia, ob item ne patet; principem negare possumus. Quinneque
Platonem ipsum cum Socrate a Dialectice's perfectaecognitionesecludimus; de cuius
schola academico fungimur. Naturalis ergo logice facultas. Utenim visus et auditus
facultas est naturalis, videndi, au Standis, vel uti prudentia quaeda in
communi somnibusartifi cibus, quicum differunt, nonsuaquadam et propria, sedcom
muni dialecticorum facultate differunt. Si, ut ait Aristoteles, finisa
discipline ahabetur, quandoprac statur quod attisuiribu s continetur, dialectices
finis erit, be a ne differcre. Subiecum uerò dialectices ponimus res omnes. quoduel
Aristotele tefte confirinamus. Quid etiamfi. Nonens, subiectum dialectices ponamus
et iudicium. Quas Adrastus Simplicii testimonio,
peripateticus nobilissimus adprobauit, ad aures fuisse Aristotelis. A servatio et
inductio. dialectice itaque communisoinnibus rebus. Ratione tra: ut omnino quidlibet
seu verum seu falsum quid tractari, ac ratione disputari et explicari possit. Dialectices
uerò partes duas esse tenemus, inventionem, licet, necessarium, uerisimile, captiofumdari
potest; nonobid enunciate logice partim necessária, partim ueri similis, pártim
captiofa esse debet. Sedtota necessaria.
Genus illud verè esse dicimus, totum partibus essentiale. Unde hominem
genus esse Catonis et Ciceronis. Catonem verò et Ciceronem speciem esse hominis.
Cum uerò satiùs putemus; ueri et propria sermonis usum aiuris consultis et rei publicae
principibus, quàm a scholis in ertium philosophorum petere; meliùs quaeduo individua,
vulgò dicunt et unam speciem n, ili dua sspecies et unumge nus dixisse videri
debent. Sed fideridebunt consultos, non ridebunt Platonem ne que Aristotelem,
terse comparationes intelligi. Genus item et speciem adlocum de toto et partibu
srectè ablegamus. Categorias etianiad inventionem dialecticam sternere
uiam, melius eftut concludamus. Paronyma ad coniugatare uerti debere aestimamus.
Locum ad numeramus in subiectis et tempus inadiun rum referamus. Animi sensum,
aet intelligentiam, rerum similitudine mer itémq. Cicero e Quinctilianus.
Quamuis itaqueo pusali quod artishuius genuncia tum scia. Differentiam,quam
Porphyrius declarare adgrediebatur. Vel ad formam et causam vel ad comparatorum
locum et ad invenrionem rectiùs asfcriberem. Accidentium nominee e rectiùs facta
adiuncta et rerum in ctis. Quae verò cumaliquo conferantur, ad speciem opposito:
seu oluit Aristoteles. Quae verò sint in uoce, NOTAS ET SIGNA en forum mentis esse:
utea, quaescribuntur, eorum, quae fintin
Puocessensa ilaapudomnes eadem esse, SYMBOLA a et ligrisnon s cadem, deprehendamus. Quo sit ut dialectices
et grammatices lata differentia nis mentionem, sed syllogismi genesin et analysin, tribuster minis et PROPOSITIONIBUS conclusit et terminauit.non enim AD EXTERNUM SERMONEM dirigiuoluit,
sedadinternum. Aliquis homo currit. Aliquis homo non currit, nullum có
subalternae dicuntur. Multòiuftiore ratione collantur. Quiai: temeffe tenemus. Ex
causis itaque necessariis futurum necessarium, ex liberis liberum, ex physicis physicum
effecue syllogismis maximè necessariam putamus.
Quod & Graeci Aristotelis interprete sprofitentur, inventionem illam
Theophrasti et Eudemi propriam ess. Cui et Boethius desu omulta addidisse etiam,
teftatur; sedutrum o m átio absolute vera; sit etiam necessaria, camietfi IN
PARTIBUS SERMO consistere. Rectè igitu rin analyticis nnllam Aristoteles interpretatio
sunt ambae affirmantes vel ambae negantes. Quales sunt antecedentes causae, talem
euentusueritamur. Nos logicen compositorum enunciatorum et perse, et in 6.
niarectè, alias dictum. Datur igitur enunciatum, compositum, feu CONIUNCTUM, praeter
simplex. Quod multas sententias coniunctas habet. Cujus et sunt suae species, ar
COPULTATUM difiun&um, con nexum et elatum et cetera. Accamenin DISIUNCTIONE
illudtenemus, utomnis disiun paratim nulla fit neceffitasi. Nam difiunctioniş necessitate
penderee partiumnonucie ritate, sed dissentione, palàm est. contineatur, cùm illatotafitanimi,
eadémq .apudomnesgea tes. Haectota SYMBOLIC in voce. Logice itaque sine
SYMBOLIS INTERPRETATIONIS potestinani tradictionis nomen meretur. Homo albus est.
Homo non albus, tantundem. Omnis homo albus, (vidam hoino albus et contra. Quae
praenotionem duplicem esse dicimus, verborum alteram, dum concluderetur ab
antecedente, Quid fi hocidein dixerit Aristoteles. Rerum autem praecognitiones,
&anticipationesgenera fit. Definitiones,&
partitionesesteprincipiaomniumferèar, tium, uelindesumptasquasdammaximas. Principia
uerò non tantum priùs nota, sed esse notiora, ait, Aristoteles; immo verò ita clara,
ut contraria quoque inde rerum uerò alteram. Et uerborum illamdicimus, quaeinomnibusdefinitionis,
requiritur. Rerum verò, quae debet esse in definitione ad explicanberent. Immoeandem
determinismediis et extremis ut consta
hilexplicaret. Itaque syllogismi maior et minor hanc praenotionen habes &
universales esse, unde speciales illis comparatae ptotimus concipiantur et concludantur.
At ve rò id praecipuèin INFORMATIONE artis integra cuerifli mum esse putamus, ut
a generalibus ad specialia progresia unde modi per ee emanant. Et primum illum tenemus,
quando attributum eftinessen et definitiştotius et partium. Demonstrationis et demonstratii
omnísq. Explicationis et eiuste rminorum vocabuli somnino dum quod definitur in
distributione ad explieta dum quod distribuitur, in demonstratione et qua vis expositione
ad demonstrandum et ad exponendum quod quaeritur. Alioquini retesseresis
SIGNIFICATAS. Conclusio ergo, et problema, quod concluderetur, hang duplicem haberet
praecognitionem Non: acciperet aucem siant manifestissima. Cùm autem quaein scientia
sunt, per se finto portet, sit, cùm quid alicuiaderit vel simpliciter vel quod ämodoerit:
cia tiasubie et i, et ineius definitione ad hibetur. mus definitioni:
quoduelexempla Aristotelem .palàm faciunt. Accedit QUARTUS MODU. Perseinest quòd
causa sit certa et non fortuita generalis ergo hic modus per se, quotiessci
licetcaussaede suis effectibus dicuntur. PROPRIORUM ACCIDENTIUM eritne ullus. Tertius
hic enim inodus affections et accidentia cognata quod ammouo sensu, Aristotelis
contextum declaratum iri. Omnes itaque modos per se ab Aristotelem retinerit
enemus nec ab iici duos reliquos. Unde fit, ut consequentes artes antecedentibus
subalternae sint, ubi aliquid docent, superiorum decretis expli
tionisuelinueniendae,ueliudicandae. Omnem disciplinam fieri autper
demonstrationem , aut firmauit. Acperdefinitionem et distributionem,accuratiorem
sci entiamconfici,quàm perdemonstrationem, tenemus. Quare non sequitur ,Scio ex
causa', propterquamresest. quoniamilius estcausfa. Nec aliterhabere potest. ergo,
Scio steriorú, e Platone ferè sumptaess e quiuisanim aduerterepoterit. Plato
enim ad instituendasartes, definitionem et distri butionem proposuit. Syllogistica
e demonstrationis, qualem Aristoteles cominentus est, non meminit. Tunc enimartes
bene disputare, docere, demonstrare po secundus modus per se est primo contrarius.
Per se est quod est in essentia et definitione attribute qui inodus distribution
generis in species, aut differentias conuenit, ut pri 17 cabile. Ergo sic dialectice
omnes subalternaes intin genererat: per definitionem, concedimus quod et
Aristoteles rectè con per syllogisticam demonstrationem. De definitione uerò tam
multa, quae differuntur inlib.Po do complectitur. Atquopacto ex Aristotelis littera
Ex diffentaneo. Ideóq.no terit Son3 teritquis, cùm logicam inventioneimn
ipsarum natura, qua litatéq. tota, ex causis, effectis, subiectis, adiunctis, ceterisq.
Quirendam, re&tefortassis affirmet Aristototele, tamen illud falsò, quòda d
percipiendam hanc disciplinam demoribus praecepit, ut paedia in auditore praecedat.
Quod autem ne adolescentes quidem percipiendis moribus esse idoneos voluit Aristoteles.
Falso. Certè pueros quos damui dimus diuinitate quadammen ti, confirmarunt. Quaenonprotinusquid
rectum, prauúinq. fit;discar. Quincum Chrysippo putarunt et ante trienniumil
tis praeditos, utinquibusdam, multorum virorum iudicia ex E los 1 argumentis per
videnda. Cùm dispositionem, ineadem uel uel syllogistico conclusionis iudicio a
e vortino enunciati tandem ordinanda, ab ini stimanda et judicanda, universatio
per media ad extrema exercuerit. Et hoc pacto NOSTER TELESIUS est progressus in
sua philosophia conscribenda Antonio Persio.
Persio. Keywords: implicature,
dialecticis, Telesio, Campanella, spirito come vita, animo come aria. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Persio,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690501967/in/photolist-2mPjPna-2mKHkna
Grice e Pessina – implicatura –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Studia
a Napoli sotto Galluppi. Cura la sua storia della filosofia. Di idee liberali, prende
parte ai moti. Pubblica un saggio sulla costituzione italiana che gli procura la
persecuzione della polizia e il carcere. Reclsuo nell’isola di Santo Stefano,
sposa la figlia di Luigi Settembrini. Fugge dal regno, insegna a Bologna. Fonda
“Il Filangieri”. Dei Lincei. Muore nella
suo palazzo in via del Museo, strada che prese in seguito il suo nome: Anche il
palazzo dove visse. Aula a lui intitolata.
A lui è dedicato un busto alla passeggiata del Pincio. Saggi “Che cosa e
il diritto private?” (Napoli: Poligrafico); “Procedura del diritto (Napoli, Jovene);
“Il naturale e il giuridico – alla regia di Napoli” (Napoli, Accademia Reale
delle Scienze); Il piu privati dei diritti (Napoli, Marghieri, Diritto e
privacita (Napoli, Marghieri); Il privato del diritto (Napoli, Marghieri); Che
e private nel diritto privato? (Napoli: Marghieri); “Il diritto privato” (Napoli:
Priore); Storia della filosofia (Milano: Silvestri); Treccani Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. La scuola italica vepne
fondata da Pitagora che creò una filosofia matematica;l'anima', secondo
lui,èunnumerochesimuove;l'ar monia dell'anima ,o la sua rassomiglian za con Dio
costituisce la virtù; e la giustizia è l'equa retribuzione.La scuo la di Elea
svolse pienamente l'idealismo pitagorico ; e la varietà , non negata da
Pitagora , esclusivamente affermata dalla scuola gionica,venne assorbita
dell'uni tà da Senofane , trascurata interamente da Parmenide, e negata da
Zenone. Empedocle edAnassagoraseguirono l'E clettismo, ma ilprimo fupiùprocliveal
pitagorismo , ed il secondo alla scuola gionica. Lo scetticismo ebbe a fautori
i sofisti iquali sorgeano da tutte le scuo le ; Gorgia , discepolo di Empedocle
era sofista , e tale era benanche Protagora , discepolo di Democrito ; ma
questi non pensavano che a sedurre il popolo colle loro vane disputazioni e
colla loro effe migata eloqueaza. Nulla possiamo dire della Glosofia
appo i Romani ; perocchè essi rivolgendo il pensiero alla guerra ed alle cose
pub bliche non poteano riconcentrarsi nelle severe meditazioni filosofiche ;
epperò anche quando la filosofia del dritto e laGiurisprudenza'fiorirono Del
Roma do impero i Giureconsulti non fecero che freddamente seguire ora
l'Epicurea, ora la stoica filosofia. E se alcuno ci obbiettasse le opere di Cicerone
di Se песа > di Plinio, risponderemmo che questi pensatori saranno sempre
degoi di venerazione pe"filosofi, ma che non fondarono alcun sistema puovo
, Neander, origine e sviluppamento de'prin cipali sistemi gnostici. Walsch de
gnostico rum systematis fonte Lewald de doctrina gnosticorum.-
Olearii,dephilos.eclectica. stitui. D. Italia. Anco in Italia ebbe
il sen sualismo degli adetti ; ma in alcuni fu originale, in altri una
imitazione di Locke, di Gassendi ; e di Condillac. Fra’primi possiamo annoverare
Zanolli , Muratori, Bianchi,e Verri.Ilprimo diquesti, 7 2 be spazio è la
relazione di due 'corpi di stanti l'uno dall'altro , che il tempo è la
successione o consistenza per gli es seri creati , e che la felicità rattrovasi
lo scetticismo , tentò formare i princi pii più stabili dell'umana credenza ,
as segnò la sola probabilità alle idee moa rali,e riconobbe che i sensi ci
fanno a perti i fenomeni esteroi ed il loro ordine successivo,ma non la natura
della causa. Kirwan sosténne che non possono aver luogo gli esseri senza una
causa,che lo nello stato di piacere assoluto non misto a veruna pena. Da ultimo
, Young, det tando un trattato sulla forza della testi monianza , la rinchiuse
ne'confini della probabilità,e sostenne che essa è capace di un convincimento
superiore ad ogni altra esperienza. tentando la spiegazione di
molti fenome ni intellettuali colla dottrina sulla forza attrattiva delle idee
, dimostrò che tutte le umane azioni si rifondono in semplici probabilità.
Muratori, che fu il solo.cu rato fra’filosofi , ed il solo filosofo fra’ curati
,7 indagando le forze dell'umano intendimento, confutò lo scetticismo m e
diante una morale poggiata su’ prin cipiidella ragione e dell'amor proprio.
Bianchi fa dipendere il piacere dalla cessazione del dolore.Verri avrebbe vo
luto che si fosse a'suoi tempi effettuata la dottrina del sentimento o del
senso morale. Fra'secondi , Baldinotti negò che si possano discoprire le
essenze delle cose co’sensi o colla riflessione ed ammise il principio che ogni
nostra cognizione debb'esser di fatto,Lo studio di Locke, dopo l'opera di
Baldinotti attirò in Italia molti proseliti; fra'quali possiam nomi nare a
cagion di onore il Sarti , il P a vesi , il Tettoni , il Capocasale ed il
Briganti. Iovano molti pensatori, arversi 119 120 per fede
a’principiidelLockianismo,cercaronoban dirlo; egli vi avea radicato i suoi pro
fondi germi che si estesero insino al ]l'aurora del secolo presente. Fra suoi
seguaci si distinsero Soave , de Toma so ,Valdastri ed altri. Il primo ; se guendo
il sistema di Locke sulle idee acquisite, riguardò l'idea come l'imma gine
degli obbietti, e fondò la certezza sulle treevidenze di Condillac. Valda. .
stri fè derivare dalla sensibilità tutte le nostre idee , trasse il criterio
del vero dal senso intimo , e sostenne nulla es servi di vero in metafisica se
non fonda to sulla economia delnostro essere. An co
ilRezzonico,ilCornianiedilPran di diedero opera alla propagazione del
Condillachismo in Italia. Ma gli italia ni , benchè sensualisti , non si nabissa
rono nelle funeste conseguenze del ma terialismo francese, perocchè risentivano
ancora l'influenza della vera e sapa fi losofia,laqualemaiè,chesi scompa gni
dalle verità che crediamo divina. C. Italia. Il P. Giovenale , il M a
gneni , il Rufini , il Miceli ed altri p o chi seguirono l'idealismo , ed
ebbero a scopo comune quello di determinare l'i deale priucipio costitutivo
delle cose.Ma il P. Ermenegildo Pino diede a luce la sua Protologia
che,quantunque tenuta in dispregio da'sensualisti del secolo XVIII , pure non
lascia di onorare l'autore e la patria di lui.Questo libro venne diretto ad
indagare ilPrimodellaveritàde'prin cipii , e delle scienze , l'Uno che in se
racchiude il principio delle scienze tut te: Egli con prove ingegnose e con sot
tili ragionamenti dimostra che le parole non ànno il primo senso nelle umane
con venzioni , che esiste un Primo , causa ed origine dell'umana intelligenza,
che il primo principio della ragione è dimo Law ed Hutton sono isuoi più
forti so. stenitori,ilprimo negando ogni realtà obbiettiva alle idee di spazio
e di tem po,ed ilsecondo inclinando alle opinio ni del celebre Berkeley. è
strato all'uomo , che le parole non sono 1 Borovshi , Notizia sulla
vita e sul carattere di Kant Jachman ,Lettere ad un amico in torno Kant -
Wasianki, Emmanuele Kant negliultimiannidellasuavita.- Biografiadi Emmanuele
Kant. - Rink , Tratti della vita diKant. Bouterweck,Em.Kant.Rimem branze.-
Grohman, Allamemoriadi Kant. Cousin , Lezioni sulla filosofia di Kant ( Prima
Versione italiana di F. Triochera con notedelB.PasqualeGalluppi) Kant,Idee
sulla maniera di apprezzare le forze vive Principiorum metaphysicorum nova
dilucidatio. Considerazioni sull'ottimismo. Sogni di un uomo che vede gli
spiriti - 135 - segoi delle idee , nè le idee segni delle parole, che il
primo pensiero dell'uomo è il mistero nel senso dell'Uno o Primo, ovvero di Dio
; che l'analisi è la distin zione della pluralità costituita dall'Uno; e da
ultimo che non già la dimostrazio ne matematica , sibbene la scienza del Primo
èlaragioneprimitivadellascienza. C. Italia. Dietro l'impulso di Premo li,
dietro gli sforzi di qualche altra e Università che cercava difenderlo, il
misticismo ebbe in Italia parecchi col tivatori,fra'quali si distinsero il Fer.
rariedilLeti.Ilprimo fèderivarela filosofia dallarivelazione,dalla esperien
za,e dalla ragione,ed asseverò che ilfi losofo cristiano debhe seguir laprima
in preferenzadellealtre.IlLeti, attenen dosi ad un principio rivelato o
positivo, tento fopdare un sisteina cosmologico sul Genesi ; epperò , secondo
lui , tutte le cose han principio da Dio , lapima si congiunge con uno spirito
materiale co stituito come la vera forma delle cose m a teriali, e contenente
la luce,l'acqua , la terra, che sono volatili o fissi, e for mano gli altriobbietti.:Ma
la riforma conoscendo lapropria fallacia ed illusio ne, De ti intese
della massime a divinità determinare derivare di S. ,edi le idee Tomuniaso gli
Secco che immediatamente attribu , seguì facendo da , le però Dio 1 6 e
Rousseau , Discorso sulla quistione se il ri sorgimento delle scienze e
delle arti abbia contribuito a depurare i costumi. Discor SO sull'origine e
su'fondamenti della ine guaglianza tra gli uomini Lettere scritte dalla
montagna Del contratto sociale o principii del Dritto Politico Emilio o del
laEducazione Jacobi,L'idealismoedil realismo Lettera a Fichte Alcune let tere
contro Schelling Delle cose divine, Romanzi filosofici - Introduzione alla
filosofia. Koeppen Della rivelazione considerata per rispetto alla filosofia di
Kant e di Fichte Trattati sull'arte di vivere La dottrina di Schelling Sul fine
della filosofia.- Guida perlalogica- SaggiodelDirittonaturale-
Esposizionedellanaturadellafilosofia- Filo SofiadelCristianesimo-
Politicasecondoiprin cipii di Platone Teoria del Dritto secondo i principii di
Platone - Lettere ad un amico su' C C filosofica sperimentale preoccupò
gli spi riti per lo studio degli obbietti sensibi li;ed è questa appunto la
ragione per cui le speculazioni del misticismo non ven nero accolte e ridotte ad
una dottrina generale. tori. B. Italia. L'Eclettismo ebbe in Ita lia
de'forti e valenti sostenitori. Il Pa dre Ceva confutòGassendi e Cartesio; la
celebre Agnesi , prevenendo il Cou sin , disse non doversi aderire a setta
alcuna , ma scegliere tra le sentenze dei filosofi quelle che rispondono alla
espe rienza ed alla ragione ; il Corsini inse gnò non doversi seguitare ne i
Carte siani, nè i Peripatetici , ma le migliori opinioni di tutte le sette con
una spe cie di Eclettismo. S. 7. venne sostenuto in Italia da molti 'Glo
L'Empirismo - Razionalismo sofi, tra' quali si distinsero Luini, G o
ripi,Scarella,Ansaldi,Vico Stelli ni, e Genovesi. Luini si oppone all'ar monia
prestabilita di Leibnitz accostan dosi al pensiero della forma
sostanziale 9 viene le categorie di Kant, ammettendo nello spirito
certe idee prime,e discer de lapercezione dellaconvenienzao di screpanza di due
idee dall'assenso dissenso a tale percezione. Secondo
lui,lamenteumananonpuòcompren dere come convenienti due cose che re 157
dell'anima , distingue nell'anima la so stanza 'le potenze i modi , afferma che
nel percepire un oggetto noi ci distin guiamo dall'atto della percezione,che le
potenze s'argomentano col ragionamen to , che le forze sono una certa condi
zionata esigenza delle sostanze, che colla filosofiaè dato di scoprire nell'a
nima una certa sovraesistenza , e che il razionale non debbe superare il fatto.
Il Gorini , elevando la dottrina dell'as sociazione, considerò l'idea come sen
plice rappresentazione dell'oggetto,e so stenne il principio logico che la
cogni zione intuitiva è composta di due idee e la dimostrativa di tre. Lo
Scarella concilia il principio di contraddizione e quello della ragion
sufficiente, pre pugnano fra loro , il principio della cognizione stà nel
predicato che chiara mente si vede convenire o disconvenire dal soggetto.
Infine egli 'distingue gli errori secondo le facoltà dello spirito, divide la
psicologia in fenomenale e ra zionale, classifica le facoltà, spiega i s o gni
con certe continue commozioni ce rebrali,distinguel'animaumana daquel la
de'bruti,indica due specie d'appe > > al ' 158 tito,l'unasensitival'altra
razionale; ed ammette l'anticipazione in noi di qualchecosainnata,chedicesi
idea. Ansaldi dimostra che lo stoicismo non è atto a diminuire i momenti di
infeli cità , confuta l'uomo macchina di La Mettrie,il principio
dell'associazione diHartley,distingueilsentimento dal la sensazione;e provando
che è impos sibile dedurre il fisico dal morale , che le facoltà dell'anima
sono indipendenti da’principii dell organismo , fonda il principio morale sopra
una virtù costituti va dell'ordine invariabile delle cose , lontanandosi
dall'Utcheson e dalla dot 159 trina dell'amor proprio. Gerdil
divise le idee in idee di modi , di sostanze , e di relazioni , pose
il'criterio del ve ro nella osservazione e nella esperienza
regolatedallaragione,dichiarò l'idea dell'Ente un idea di formazione , pose il
criterio morale in un paturale criterio diapprovazione,che indipendentemente
dalla considerazione e del proprio utile determinò il giudizio o dettame
pratico in virtù di certe conosciute leggi di convenienza di che l'uomo si
compiace per natura ; fè consistere l'ordine nel rapporto comune fra molti
oggetti, de dusse l'immaterialità dell'apima dalla diversità tra la sostanza
pensante e qua lunque sostanza corporea , dall'impos sibilità che la
materia contenga la pri ma origine del moto di sostanza e di modo ; dedusse
l'esi- stenza di Dio dalla necessaria esistenza di qualchecosa ab eterno; pose
per principio che le regole della morale per condurre al buon fine debboń
trarşi dal la natura umana, e collocò il fine o la e dalle nozioni Egli
si elevò ad un sistema empi rico razionale fondato sulla storia e sulla
ragione, e gettò le prime fon damenta della scienza dell'Umanità. Il suo metodo
è ricavato dalla psicolo gia, dalla natura della scienza , e dal la geometria ,
ed in esso la facoltà in ventriee, o la facoltà certa del sapere è preposta a
quella dell'ordinare o comporre ; esso è l'analisi geometrica ben diversa da
quella diCondillac. Il'Vieo venue a ridurre la filologia ad una vera forma di
scienza e da ritrarre dalla “mitolo . Il nostro celebre concittadino
Giambattista Vico, conosciuto più a'tempi nostrichea'suoi,più daglistranieri
che dalla sua patria, scrisse la Scienza nuova, monumento di gloria italiana,
in cui egli avea indagato i principii fi losofici della storia , precedendo di
un secolo le teorie di Hégel, di Cousin . per а gia starei felicità nel bene
sommo , o nell'amore divino. direunaverastoria;eiposeil meta
fisica, che io sostanza è una vera teo logia , si è di stabilire un vero appog
giato al senso comune ed all'ordine e ternodellecose,qualèDio.Da que sto
priocipio egli deduce che tutte le scienze emapano da Dio , rimangono comude
3 una na velle; che e criterio del vero:nel senso 161 eercò surrogare il
principio dell'auto rità universale a quello della ragione in dividuale. Questo
senso comune del Vi co è un giudizio senz'alcuna riflessione, comunemente
sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo , da tutta zione, o da tutto il
genere umano. Se condo lui , il vero è diverso dal certo, inquantocchè quello è
riposto nella con formità della mente coll'ordine delle cose,.equesto nella
coscienza sicura dal dubbio , quello fondasi sulla ragio ne, e questo
sull'autorità ; la metafisica è quella che stabilisce l'Ente e il Vero , ed è
legata necessariamente alla religio Ló ne cristiana. Lo scopo della sua ,
inLui,etornanoaLuisolo;cheDio è l'infinito posse , nosse , velle
> ; corpo,contiene una virtù infioita'di esten sione che va all'infinito, e
che dipende dallo sforzo dell'universo;e che il co noscere chiaro in metafisica
è vizio,co sicchè approfitta in metafisica colui che si sarà perduto nella
meditazione di questa scienza.Nella suaPsicologiaegli distingue la sostanza
intelligente dalla corporea ; indi sostiene che quella è l'a
nimaedhalasuasedenelcuore,che in essa esistono le facoltà della memo ria, della
fantasia, dell'umano arbi trio ; che la mente umana > l'uomo è il posse ,
posse , 6 - 162 nito , che tende all'infinito ; che l' Ea teè Dio, elecreatureesistonoperpar
tecipazione ; che la causa unica è quel - la che per produrre l'effetto 'non
abbi sogna d'altra ; che l'essenza consiste ia una indefinita virtù ; che
l'anima è di versa dal corpo e dalla materia ;che il 4 > 2
pe'pervi,chesidannogli universali, oleideecomeformedellecose che queste sono
create da Dio, e che l'ani ma distingue l'uomo dalle bestie. Il non
intende Vico considera l'uomo come ente fioito procedente da Dio ,
superiore agli altri animáli per la ragione , e in cui distin guesi la natura
innocente dalla corrotta. Egli è naturalmente socievole', onde in lui un
linguaggio ; la sua vita propria è quella che è consentanea alla natura ; a lui
appartengono l'umanità o l'altrui commiserazione , il desiderio dell'utile, il
carattere d'una comune cognazionedi natura , l'istinto alla fede , il pudore ,
e infine la brama dell'onore. L'uomo insomma è un essere costituito d'intel
letto e di volontà , corrotto in entram bi dagli errori e dalle passioni , m a
c a pace dello sforzo della mente al vero che come equo bene è il giusto ,
conformità della mente all'ordine è l'o è nesto.La giustizia,secondo lui è la
virtù universale ; la yirtù è la stessa ragione , e distinguesi in prudenza
, come , temperanza e fortezza ; e causa della . società fu l'onestà. Noi
abbiamo verso Dio de'doveri a soddisfare col culto, senza onestà non può darsi
società civi 164 le,lagiustiziadev'essere universaleo
architettonica, perchè uno è Dio.Il Vico nella sua.Scienza nuova parte
dall'idea o cognizione di Dio che illumina gli uomini etutto dispone co'suoi
ordini prestabiliti.A questa idea principale si rannodano le seguenti : questo
mondo è diretto dalla Provvidenza divioa;questo mondo civile fatto dagli uomini
non è molto antico ; in esso tutte le nazioni convengono sulla religione , sul
matri monio solenne , e sulla sepoltura ; su questi sursero le nazioni più
barbare ; tutte le nazioni percorrono tre età,età degli Dei , clà degli eroi ,
età degli u o mini ; tre diverse lingue , geroglifica simbolica , volgare ; le
nazioni furo pri ma di natura cruda , indi severa,quin di benigna , e poscia
dilicala ; la for ma di governo è o teocratica o è delle repubbliche
democratiche o Aristocratiche , o finalmente è quella del le monarchie ;
formate le città nasco BO.le trasmigrazioni de'popoli , ed il dritto naturale
delle genti; cresciute le nazioni , 'l'equità civile rafforza il
drittonaturale;tutto ciò dura finchè non'sopravvengono delle grandi crisi per
mutare ilmondo civile; queste vi cissitudini umane formano il corso del le
nazioni nel quale si ravvisano tre età,degliDei,deglieroi,degli uomi ni,,tre
specie di natura fantastica eroica, e intelligente, tre specie di costumi ,
religiosi colerici e officio si, tre specie di dritto naturale, di vino ,
eroico, umano tre specie di governo , Teocratici , Aristocratici o Democratici,
e monarchici , tre specie di lingue, mentale., eroica e di parlari articolati
tre specie di carat teri , geroglificii , eroici e volgari , aleo Vico idea
gli dini lesi doè nesto nė joni atri pri -in SUI are ; elit 10 specie di
giurisprudenza , divina, eroica , ed umana , tre specie di auto
rità,divina,croica edumana,trespe cie di giudizi ,divini , eroici umani , tre
specie di tempi, religiosi, eroici, e civili; tutte queste cose hanno apco un
ricorso; il corso e ricorso è fondato sul fatto; la storia ideale non è propria
de Greci e Romani , tre Tor oé Iri. del co ed ute ma di tutto il
mondo; la Scienza nuova si offre sotto gli aspetti di Teologia ra. giogata , di
filosofia , di Storia delle umane idee,di criticafilosofica,disto ria ideale
eterna , di sistema del dritto. naturale e dellegeộti, di scienza de'prin:
cipii di storia universale.Questo grande uomo ebbe delle lodi edelleaccuse:ma
sarebbe lungo edifficileilgiudicarleper vedere se le une o le altreprepondera-
no ; epperò altro non faeciamo che ri mapere stupiti come intempi tantomeno
civilizzati de'nostri che si addimandano ci vilissimi l'Italia abbia dato alla
luce un in gegoo sì 'straordinario e maraviglioso. 1 La filosofia del
Vico rimase ignota per lungo tempo all'Europa ; ma ebbe anco ra de continuatori
fra'quali vennero ad altissima rinomanza lo Stellini ed il G e novesi.Lo
Stellinianalizzòlefacoltàuma ne, 2 C 166 affermando che il bene o l'ottimo
stato dell'anima dipende dalla proporzio ne o dall'equilibrio di tutte,e fecede
rivare la virtù dall'equilibrio tra le fa coltà e le affezioni umane.Nella sua
ope rasull'originee su'progresside'costu mi dimostrò esservi tre
epoche della n a tura umana, cioè quella de'sensi che ser vono all'animo,
quella dell'animo che servea'sensi,equella del mutuo com mercio tra l'anima e i
sensi. Lo Stelli ni integrò, per dir così, la filosofia.Vi chiana , in
quantocchè Vico cercò nella storia la morale delle nazioni con quella degli
individui , e Stellini fece la storia de costumi degli individui colla morale
dellenazioni,comprendendo l'assoluta necessità di dedurre i principii morali
dalla patura delle cose che si offre spon tanea alla nostra contemplazione,dando
upa unità sistematica alla scienza della morale , e riducendo la dottrina della
virtù alla sola grandezza.Filangieri,Ma rio Pagano , Ierocades ed altri prose
guirono quasi in silenzio la via lumino samente segnata da Vico e da Stellini,
ma colui che si fè chiaro , e fra' Vichi sti etragliempiricirazionali,ful'Abate
Antonio Genovesi nostro concittadino.Egli nella suametafisicasostieneche non
possiamo avere idee distinte intorno alla so stanza , che l'essenza consiste in
varie proprietà , e che si distingue in reale , nozionale enominale.L'anima
secon do lui,è lo stessosubbiettopensanteed intelligente,edèdotata
d'intellettoe diragionedellapercezione,del giudi zio e del raziocinio ; per ben
filosofare è mestiere che si faccia uso di quelle ideechepossiamo avere,che
laveritàsia chiaraedevidente, maiilGlosofo non il principio dell’au
torità e dell'arte critica , cità della mente umana e della esten sione della
conoscenza. Secondo lui , la > 1 1 debbe scostarsi dalle dimostrazioni stabi
lite se non quándo ci si presentano delle obbiezioni, Egli dichiara
imperfettala scienza teosofica e conchiude che ascen diamo al Verbo per via
della ragione; segue il principio che rion sidapno nemmeno le idee
intellettuali senza;un motocorrispondentenelcervello> am mette il principio
del vero e del falso > il cui criterio è l'evidenza intelligibile sensuale e
storica > > . della capa ra umana 169 9 morale è mossa
dal conoscere la natu in che trovansi due forze , l'una concentrica e l'altra
diffusiva che entrambe dalla morale devono esser di rette alla felicità ; scopo
della morale è quello di regolare e non distruggere l'uo mo ; la legge naturale
è risposta de dae precetti di attribuire i proprii diritti a Dio a te ed agli
altri , e di fare tutto che conviene alla felicità del genere u m a no.Egli
ripone la legge morale nella ra gione e distingue questa come facoltà
calcolatrice dalla regola che la governa e che consiste nel tenore dell'essenze
e dei rapporti essenziali delle cose ordi nate,eperla quale v’ba un'obbliga
zione perfetta che è della forza e della giustizia , ed un obbligazione
imperfetta che è la legge dell'umanità.Egli dimo stra ancora che l'utile è
ilpiù bello in dizio di una legge generale che punisca o premii talune azioni ,
e che tutti i d o veri si riducono si a rispettare le palu rali proprietà di
ciascuno che ad acqui star le proprietà , purchè non s'invada 8 no
le proprietà di coloro i quali sono al medesimo piano dell'universo con noi. Il
Genovesi non è un pensatore origina le,ma è originale pel suo metodo, per la
sua chiarezza , per la sua critica ; e se talvolta si desidera in lui maggior
ordi ne , maggior precisione , ciò nasce ap punto dalla difficoltà di riunire
in un sol corpo l'intera filosofia italiana. 170 S all'immaginazione- De
2 Antropologia di G. Gorini-Luini, Meditazione Ansaldi, Riflessioni sui mezzi
di per fezionarelafilosofiamorale– Saggiointorno traditione principiorum
legisnaturalis- ElementaLogicae,Psycholo giae , ac Theologiae naturalis ,
auctore J. B. Scarella Gerdil., Anti Emilio o Riflessioni sulla teoria e la
pratica dell'educazione contro Rousseau - Piano degliStudii- Logicae Insti
tutiones Storia delle sette de'filosofi Prin cipiidellamoralecristiana-
Originedelsenso morale Memoria dell'ordine di Dio e della immaterialità delle nature
intel ligenti- PhilosophicaeInstitutionesquibusEthi ca seu Philosophia practica
continetur - J. B. Vici: De nostritemporis studiorum ratione- Dell'esistenza De
antiquissima italorum sapientia- De uno uni versi juris principio et fine uno
liber unus ; De Constantiajurisprudentisliberalter- Principii di scienza nuova
Jacobi Stellini : Ethices Opera omnia PaganoSaggipolitici Discorsosull'ori
gineenaturadellapoesia- Genovesi:Elemen ta metaphysicae - Elementorum artis
logico criticae - La Logica pe'Giovanetti - Istituzio nidimetafisica
pe'principianti--Diceosina o sia Filosofia del giusto e dell'onesto.§ 1. Per
dar compimento alla espo. sizione dell'attuale filosofia italiana e insieme
allo svolgimento storico de'si stemi filosofici non rimane che esporre lo stato
della filosofia in Italia al secolo presente. I filosofi italiani oggdì si di
vidono nelle cinque classi dei sensuali sti, degli idealisti,de'mistici,degli
ecletticiedegliEmpiristi-Razionalisti.La tendenza della filosofia italiana al
dì d'oggi è l'Empirismo Razionalismo benchè si ravvisiqualche avanzo di
sensismo, e som qualche imitazione dell'idealismoaleman no non che
del misticismo francese e del eclettismo scozzese. È il chiarissimo Barone
Pasquale Galluppi, di cui or ora ci faremo a parlare che , colla po tenza della
sua dialettica, e colla seve rità del metodo analitico , rappresenta
eminentememente la filosofia in Italia , movendo guerra sì all'idealismo diKant
che al sensualismo del Condillac. Noi per seguire l'ordine ideologico dei di
versi sistemi di filosofia esporremo pri mamente ledottrinedegliempirici;po
scia verremo agli idealisti, a'mistici , ed agli eclettici; e da ultimo agli E
m piristi-Razionalisti. Poli:Supplimenti al Manuale della Storia
dellafilosofiadiGuglielmoTenneman- Gio berti:Del Primato morale e civile
degl'Ita liani. § 2. I capi del sensualismo italiano nel secolo presente sono
il Gioia , il Romagnosi,ed ilLallebasque.Melchior re Gioia ,
fondando la sua filosofia sul la ricerca de'fatti, non fece che mirare aduna
scienza popolare.Procedendo in tal modo egli trovò tre facoltà fonda mentali :
la sensazione , l'attenzione ed il raziocinio ; indagò l'origine delle sen
sazioni e dell'istinto, ammisel?orga nizzazione e gli stimoli esterni eome
cause dell'istinto,e spiegò l'anomalia dellesensazioni,eleloro leggi,por gendo
un cenno storico sulle norme materiali che furono falsamente riguar date come
norme misuratrici della in telligenza.Riguardo a'prodotti intellet tuali e
morali , egli inclinò ad una i deologia fisiologica , che egli conchiude con
una teoria del piaceree del dolore, in cui considera il dolore come n o n
sempre proveniente da lesioni organiche, e il piacere come 271 non sempre
effetto della cessazione del dolore , e stabilisce l'azione reale del piacere e
del dolore, e le loro sorgenti come inoti maggiori o minori del moto ordinario
delle fi bre. Poscia dimostra che essi influisco no sulla felicità, sulle
facoltà intellet tuali,sulle affezioni sociali, e sulle passioni ; e
rettificando le nozioni false sulla vita , mostra che le sensazioni u- nite
alla forza intellettuale cisvelano l'e sistenza del me e del fuor dime epro
ducono certe operazioni diverse dalle semplici sensazioni ; cpperò distingue la
sensazione dalla idea e dal giudizio. Nella filosofia morale, il Gioia dove
soggiacerealleconseguenzedelsuo si stema empirico ; ed infatti il suo prin
cipio è che la morale è la scienza della felicità, riponendo egli la felicità
dell'a vanzo delle sensazioni gradevoli su’mali; e che la virtù è una somma di
atti uti li disinteressati. Il sistema del Gioia è erroneo e difettoso , perchè
tende a ge neralizzare ilsensualismo,favorisce il si stema del piacere ,
approssima l'ideolo gia alla fisica , analizza superficialmente ed
inesattamente i fenomeni psicologici, e deduce da un fatto incerto una teori ca
o un principio. Ma la comunicazio ne della scienza al popolo , una
filoso fia pratica e sociale, una mente vasta e perspieace, un giudizio
avvalorato dalla induzione ,una ammirabile chiarezza d'idee e di ragionamenti;ed
una scelta erudizione, sono le doti che se fossero andate disgiun
tedanonpochierroriavrebbero formato del Gioia un pensatore non mediocre.
Giandomenico Romagnosi segue, nel suo metodo , ne'suoi principii , e
nelle suededuzioni,l'empirismo,ma un'em- pirismo psicologico, da lui
manifestato, cercando il principio del Dritto nale nelle relazioni appoggiate
Pe all'es senza ed alle reali connessioni delle co se, dimostrando che l'arte
di governar la società deve riuscire l'ordine morale di fatto perfezionato , e
che nella spo sizione dell'ordine teoretico e pratico debbe aver luogo la
storia della natura umana e delle sue relazioni 3 nendosi la ricerca
de'fenomeni e propo psicolo gici sperimentali , lasciando le astruse indagini
della metafisica psicologica. E gli definendo la psicologia , la dinamica
dell'uomo interiore; stabilisce le tre funzioni psicologiche del
conoscere, del volere, e dell'eseguire , dichiara l'esi stenza del me e degli
altri corpi il cui carattere esclusivo è la pluralità di so stanze compresa in
un sol concetto ; e dimostra che le sensazioni sono i segni reali e naturali
cui in natura corrispon dono le cose e i modi di esseri reali che il sentire è
diverso dall'intendere che stà nel percepire l'essere e il fare delle cose ;
che il senso intimo è una facoltà occulta che unisce all'uno il moltiplice , al
semplice il complesso , che perciò è suo ufficio il conformare gliatti
psicologici che qualificano l'in tendere, il dettare un sentimento in ogni
giudizio , l'attrarre ciò che è ana logo e respingere ciò che ripugna ; che
laleggedell'umana intelligenzaè funzione in cui il senso dell'azione ri cevuta
e quello della reazione corrispo sta concorrono a produrre la percezio ne
dell'essere e del fare ideabile delle cose. Nulla,secondo lui,avvi d'innato o a
priori riguardo alle idee che tutte -
e > una derivano dalla sensazione combinata col la
reazione o dalla competenza dell'Io combinata con quella degli obbietti e
sterni. Egli ripone il criterio del vero nel principio di contraddizione ,
consi dera la causa come un non so che rac chiudente il concetto d'una potenza
pro duttrice di un atto o di un fatto ; ne ga le idee iunate pel principio che
l'Io vedendo tutto in sè stesso non può di stinguere dall'acquisito ciò che vi
si rattrova d'innato ; considera il valore della prova nella certezza , e nel
dubbio , e conchiude che lo stato esterno e sensibile degli ele menti delle
prove è fondamento univer sale e primitivo del loro impero. La morale, secondo
lui, stànel propor zionare la natura de' mezzi secondo la speciale
considerazione del fine. Il principio generale della sua morale è l'ordine
della perfezione , cheper leg ge di fatto reagisce su quello della
conservazione tanto coll'insegnare quan to col somministrareimezzi
delmiglior bilità , e nel dubbio nella proba > Lallebasque
(1) congiunge alla scienza del pensiere la filosofia naturale. Secondo (1) È
comune opinione che sot to il nome di Lallebasque tenga celato quello del
caraliere Pasquale Borrelli: 276 essere umano ; e che mira al benesse re
all'utilità fisica o morale ed alla umana felicità che costituiscono l'uomo
attuale e le leggi naturali per cui l'uo > mo , com 'essere perfettibile è
tenuto a seguire l'ordine morale di natura. E gli distinse l'incivilimento
dalla civil ne pose le basi nella natura nella religione, nell'agricoltura, nel
governo, nella concorrenza ;ed il prin cipio nell'incivilimento sempre dativo.
Una mente vasta, un ingegno acuto e profondo ed una dialettica rigorosa formano
tutti i suoi pregi ; ma è in e qualche modo oscuro e confuso , né fu tanto
innovatore quanto lo predica rono i suoi proseliti , e per l'empiri ) smo da
lui professato , e per le diffi coltà della scienza, là; g lui,lasensazioneèprimitiva, conti nuata,
riprodotta ed aumentata; ed è lo stesso che l'idea , tranne che questa si
adopera più di frequente a signifi care le funzionidell'intelletto. In quan to
al giudizio , egli distingue quello di occupazione da quello di attenzione;e
riduce ogni giudizio a quello di diver sità; considera il raziocinio come l'atto
onde due idee producono un giudizio per via d'una terza. Riguardo alla vo lontà
egli sostiene che il calcolo voli tivo e l'atto prelativo si risolvono in un
giudizio di preferenza pel quale la volontà sisviluppa come un'azionecon cui
l'animo eccita i nostri organi a pro cacciarci ciò che abbiam prescelto. In
trattando della scienza etimologica,egli ripartisce le lingue in radicali e pro
duttive; indaga l'origine delle parole e le loro cause,che sono l'imitazione,il
bisogno , il comodo , l'arbitrio ; rico nosce due mezzi per trovare le lingue
radicali : la ricerca de'popoli che han comunicato con quello per la cui
lingua han luogo le indagini etimologiche , e l'attignere dalla
lingua derivata la noti zia di quelle che àn concorso a formarla. Un luogo stuolo
di empiristi tenne dietro a questi tre pensatori. Gigli de finisce la filosofia
la scienza di ciò che può conoscersi con esatte osservazioni e con esperienze
bene istituite; Savioli è seguace di Locke e di Soave ; Troisi ri conosce
ne'sensi gli strumenti delle po stre prime idee ; Mazzarella riconosce
l'attività e la sensibilità come proprietà costitutive dell'essere semplice
;Bini dichiaratutte le idee provvenire all'ani ma col mezzo de'sensi ; Pezzi
nega l'e sistenza delle appercezioni e delle idee astratte;Accordino
fadipendere tutte le facoltà dell'anima dalla sensibilità, e riguarda l'uomo
neiprimi momenti della sua esistenza come una tavola .rasa ove non è impresso
alcun carattere ; Mara no distingue la percezione dall'idea e
preferiscel'analisi;Abbà fadipendere le idee dal senso e dall'azione dell'ani
ma ; Zelli afferma che l'uomo riceve le 278losofico sulla coscienza ; Testa
afferma che il sentimento non può fallire al ve e che l'osservare la natura e
fi - 279prime idee per mezzo de'nervi ; Alberii dichiara pescibile tutto che
esce dalla sfera del mondo sensibile ; Passeri rico nosce l'influenza del
fisico sulla rettitu dine delle nostre azionispirituali; San e chez niega alla
ragione la conoscenza dell'assoluto e trae tutte le idee da' sensi ; Gatti
dichiara esser la sensazione il risultamento di una conformazione spe ciale
vivente; Bonfadiniriconosceilme todo induttivo come mezzo logico della verità,
e spiega l'origine delle idee col ; , l'analisi e coll'astrazione ; Regulèas
pre tende nell'anima altro non esservi che il sentire ; Bruschelli trae
l'esistenza del mondo e di Dio dall'osservazione de' fatti che ne circondano ;
Grones dichiara la metafisica la scienza delle cose astratte conoscibili per
mezzo dell'osservazione costante edelleesperienzeaccurate;Piz zolato forma
della filosofia una scienza fenomenical; Butlura poggia ilsapere ro, studiarne
i fatti sono isoli mezzi sicu ri d'ammaestramento ; Bradi riduce la certezza
alla diretta cognizione del m o do diesserespeciale degliobbietti;Fa. gnani
fonda il suo sistema Glosofico sul dinamismoesullasensibilitàو;ا Bragazzi
propone per facoltà d'apprendere l'os servazionede'fenomenidello spiritoeper
criterio del vero la verificazione ; Costa sostiene la memoria e le altre
facoltà a simiglianza della sensazione , ed ammette l'origine delle idee
generali e normali dall'idea individuale ; Ferrari segue il principio
dell'associabilità interna e Fel lettiquello dell'utile umanitario. L'Empirismo
inItalia venne applicato alla pedagogia da lPasetti, dal Fontana, dal Tommaseo
, e dal de Renzi, alla Storia da F. Rossi, alla estetica dal Cicognara,e dal Delfico;edallagenea
logia delle scienze dal de Pamphilis, dal Rosselli e dal celebre medico Luigi
Fer rarese che riunisce tutti i rami delle scien ze a quella dell'uomo ,
seguendo il prin cipio che in esse tutto èrelativoanoi. 28 f 1 1 e Gioia : Il
nuovo Galateo ca Tavole Statistiche sofia ad uso delle scuole Logica Statisti
Elementi di filo Ideologia Eser cizio logico - Nuovo prospetto delle scienze
economiche – Del merito e delle ricompense Dell'ingiuria , de'danni , e del
soddisfaci mento- Indole,estensione,evantaggidella Statistica Romagnosi:Che
cosa è mente sana ? Indovinello massimo Della suprema economia dell'umano
sapere Vedute fonda mentali sull'arte logica - Dell'insegnamento primitivo
delle matematiche Assunto primo della scienza del dritto naturale Introduzio ne
allo studio del Dritto Pubblico Universale Dell'indole e de'fattori dello
incivilimento Biblicteca italiana. Vari articoli di filoso fia L'antica
filosofia morale Genesi del Dritto Penale - Progetto del Codice e della
Procedura Penale Lallebasquc: Introduzio De alla filosofia naturale del
pensiero la - - - cu mo Fa il - - - cato su! si dal per Ista OS ette mali
Fel en -ia oi. Eila, alla 281 . ea dal Fer àa cipiidellaGenealogiadelpensiero—
Borrelli: Gia Troisi: L'arte di ragionare-Istituzionimetafisiche- Mazzarel
Intorno a'principii dell'arte etimologica gli : Analisi delle idee la: Corso
d'Ideologia elementare Bini : Lezionilogico-metafisicomorali- Pezzi:Le zioni di
filosofia della mente e del cuore , r i formata e dedotta dall'analisi
dell'uomo Accordino:Elementi di filosofia Regole dell'arte logica Marano :
Abbà:Elementa Lo Prin 282 . gices et Metaphysices - Zelli :
Elementi di metafisica– Pungileoni:Dell'udito vista Alberic : Del nescibile
Passeri : - e della Della natura umana socievole Sanchez : In fluenza delle
passioni sullo scibile umano Gatti Principiid'ideologia- Bertolli:l. dee sulla
filosofia delle scienze morali e poli tiche Germani:Dell'umana perfezione
Scaramuzzi : Esame analitico della facoltà di sentire-
Bonfadini:SullecategoriediKant Réguleas:Nuovo piano d'istruzione ideo
logicaelementare- Bruschelli:Praelectiones elementares logico metaphisicae
Buttura : La coscienza Logica Testa:Introduzio ne alla filosofia dell'affetto .
Filosofia del l'affetto Bravi : Teorica e Pratica del Pro babile
Fagnani:Storianaturale dellapo tepza umana - C Elementi dell'arte logica
Baldini : Cenni sopra un nuovo corso di filo sofia elementare - Ramelli :
Prospetto degli studii filosofici nelle scuole comunali Nessi: Schizzo intorno
i principii di ogni filosofia De Ocheda : Filosofia degli antichi Grones :
Ricerche metafisico matematiche sullalin guadelcalcolo—
Pizzolato:Introduzioneal lo studio della filosofia dello spirito umano Savioli
: Institutiones metaphysicae in Epitome redactae Zandonella:Elogiodi Bacone
Costa : Del modo di comporrc le idee F e r rari:LamentediRomagnosi
Felletti:In torno,ad una nuova sintesi delle scienze Pasetti :
Sull'educazione fisico morale F o n tana : Manuale per l'educazione umana
Tommaseo : Scritti varii sull'educazione De'Renzi : Sull'indole de'ciechi Rossi
: Studii Sto rici Cicognara : Ragionamenti su bello Delfico : Pensieri sulla
storia e sulla incertezza ed inutilità della medesima N u o vericerchesulBello-
DePamphilis:Geno grafia dello scibile considerato nella sua unità di utile e di
fine Rossetti : Dello scibile e delsuoinsegnamento- Ferrarese:Saggiodi una
nuova classificazione sopra le scienze del l'uomo fisico e morale Delle diverse
spe cie di follte - Ricerche intorno all'origine dell'istinto Trattato della
mònomania sui cidia— Esamedellostatomoraleedimputa bile de'solli
monomoniaci. Elementi di ito e dela - Paseri: Sanchez:In - - umano
Bertolli: 1 orali epolis perfezione- a facoltà di oriediKant uzione
Praelectiones - Buttura : -latroduzio ilosofia tiiadelPro e delap e logica- del
ideo orso dinilo spetto del ali- Nessi filosofia – e sula oduzione al Grones :
lin - ee umano - inEpitome Bacone elletti . For :lo S 3. Non ostante il gran
numero di fautori che si procacciò l'Empirismo in Italia, pure siavvertì
ilbisogno di spie gare la natura umana non dall'esperien za , ma dalla
subbiettività dell'uomo ; epperò sorsero i Razionalisti a combat
284 , ilsecondo affermando l'assoluta necessità delle idee ionate , o
deprincipiiapriori,ed ilterzoan nunziando esser la filosofia una scienza degli
enti di ragione. Lusverli considera le facoltà come Colui il quale diede una
forma siste ! un potere di produrre qualche effetto, dipendente dalla
forza spirituale;Defendiriconosce ne'sordo muti l'idea dell'ente in universale
; ed ilParma nelfondo diogniesistenzarat trova l'essere. Ceresa affermò essersi
im battuti nel vero coloro i quali riposero il principio del conoscere nella
pura sub biettività che è sola infinita, spontanea, positiva, e tale che l'uomo
per suo m e z zo elabora la sua obbiettività. > o tere le tendenze empiriche
; ed aspira rodo a spiegare i problemi più difficili della filosofia; ma non si
elevarono alle chimere ed alle astrazioni del Trascen dentalismo
alemanno.IlMaggi,ilBian chetti , il Receveur , coltivarono il R a zionalismo
pelsuo lato obbiettivo,il primo cercando un sommo archetipo lo gico e supremo ,
P 1aspira 1 dificili ronoale Trascen ilBian: tempo , di spazio , di
iriposero 0 ilha etiro,il terzo an na scienza considera chetipolos afermando
ionate, 0 prodare Jalla fora nesont ersale ;eld stenza rat essersi im pura
possibilità dell'essere medesimo. Secon do lui , quest'idea è è innata, poiehè
non proviene nè da'sensi , nè dal sentimento dell'Io , nè dalla riflessione; e
da essa derivado tutte le idee acquisite diforma e di materia , di sostanza ,
Egli sipropone di ricondurre la filosofia dell'intelletto sulla giusta via,
combattendo i sistemi che hanno perturbate lementi e disono rata la filosofia ,
e stabilire un criterio saldo e irremovibile alla verità ed alla
certezza.IlRosminisegue ilprincipio che l'idea unica ed innata si è quella
dell'Ente nell'universale. Egli preferi che riducesi a'due sce il suo metodo
assiomi di non assumere nella spiegazio ne de'fattidellospiritoumano,nème no nè
più di quel che è necessario a spiegarli.Egli parte dal principio che l'uomo
pulla può pensare senza l'idea dell'Ente ; che quindi la qualità più g e perale
delle cose è l'esistenza nella pura suk 7 spontana I suo mez 283 matica al
Razionalismo si fu l'Abate A n tonio Rosmini-Serbati. Egli si di di essenza ,
di causa , rma siste moto , e di
estensione ; esso è il senti mento intellettuale , l'intelletto medesi mo. Ecco
ipunti principali della sua teoria : l'anima ha due potenze origina li ,
l'intelletto che ha per obbietto es senzialelaforma elasensibilitàcheè esterna
se ha per obbietto un corpo , interna se ha per obbietto l'Io ; la co scienza
upisce la sensibilità all'intelletto con una sintesi primitiva , il cui effetto
è la ragione scorgendo irapporti gene rali, ed è la facoltà di giudicare con
giungendo l'attributo al subbietto la sensibilità esterna è tratta ad operare
colla materia prima, e la ragione produce le percezioni intellettive; donde
lafacoltà di generalizzare e la libertà all'indefi nito svolgimento delle
facoltà dell'uomo. Egli distingue la sensazione dalla perce zione sensitiva ,
l'idea di una cosa dal giudizio sulla sua sussistenza>,laperce zione sensitiva
dalla intellettiva , un atto dello spirito dall'avvertenza dell'atto.
Finalmente dimostra che è impossibile che l'uomo percepisca una cosa diversa da
sè; I che lo spirito
comunica le sue proprie forze alle cose percepite ; che l'idea del l'essere è
fonte e criterio del vero e genera la cognizione de'corpi, di noi; di Dio , ed
anco la legge morale. Per tal modo l'idea dell'ente è,secondo lui, il primo
principio inpato nella psicolo gia e nell'ontologia , il criterio del vero e
del certo nella logica,ilprincipio su premo del bene e del dovere nella m o
rale. senti nedesi lasua Itoeso chee le quattro idee di spazio , di tempo
, rigio io огро, lacr eleto to| gene CON Terce adal 0;he :cold acele 287 Non
rimane che dirqualche cosa in torno al nostro concittadino Ottavio C o lecchi,
seguace in qualche modo della filosofia di Kant. Il Colecchi pone di sostanza ,
e di causa efficiente , colle quali espone le leggi della ragione che egli
dichiara comuni ad ogni»sistema fi losofico.Il principio del suo sistema è
questo: l’io non potrebbe determinare la sua esistenza nel tempo senza una esi
stenza interna, dal quale deriva che la cagione movente la sensibilità non può
riponersi nello stesso me , cioè che il cel indef. uomo berce 7atto atto.
eche vario delle rappresentazioni nasce all'oc casione del di fuori
che modifica il sen so;chelariunionedelvarionellospa e zio e nel tempo è opera
della fantasia, 288 è e quindichel'unitàsinteticadell'oggetto
nell'esperienza è un prodotto della fan tasia di accordo con l'intelligenza.
Secondo lui , l'induzione fisica è diversa dall'in duzione matematica
inquantocchè quella mena allo scetticismo e questa a cono scenze necessarie ed
universali; se il rap porto tra le idee è neeessario, le idee e i termini di
questo rapporto son tali anch'esse ; ogni nostra conoscenza in comincia
da'sensi , e passa da questi al la intelligenza. Riguardo alle leggi della
ragione egti sostiene che la ragione esi ge inogni esperienza come data la to
talità delle parti dello spazio e degli arti colideltempo non confondendoquello
che è con quello che appare, 2 1 / 1 1. lità delle parti del tutio dato nella
di visione , la totalità delle condizioni nella catena delle cause e degli
effetti, pro nunziando l'accordo delle due causalità la tota- della natura
e della libertà , il necessa rio nella serie de contingenti ed infine un ente
assoluto , dotato di tutte le possibili realtà,Dio.Nellamorale,egli sostiene
che il principio della propria felicità non può elevarsi alla dignità di legge
morale , che le due idee del giu sto e dell'ingiusto sono originarie e non
fattizie , e che le regole etiche , le qua-li dirigono l'uomo interno sopo
essen zialmente diverse dalle giuridiche che dirigono l'uomo esterno.IlColecchi
non è solamente seguace del Kant ; ma egli cerca armonizzare colla morale i
pensa menti del Vico sulla filosofia e sulla le gislazione;anzi poichè le
verità del Kantismo eran sepolte nella scienza ila lica , il Colecchi ba saputo
raccogliere un seme da'principii di questa per pro durre novelli frutti e
contribuire allo a vanzamento delle filosofiche
discipline. Receveur:Institutionum philosophicarum ele menta Maggi :
Critica sistematico-univer le e guida alla rigenerazione della filosofia. Bianchelti:
Studii filosofici tuzioni logico metafisiche - Lusverli: Isti Defendi : Sul
dolore estetico e sull'entusiasmo, ragionamen to-
Parma:Supplimentisulsansimonismo Rosmini-Serbati: Saggio sulla felicità- Saggio
sulla unità dell'educazione Opuscoli filosofici-
Nuovosaggiosull'originedelleidee- Principii della scienza morale - Frammento di
una storia dell'empietà pii e leggi generali di medicina e filosofia spe
culativa- Colecchi:Quistionifilosofiche. Ceresa : Princi. Il sensualismo venne
anco com battuto da taluni che ,seguendo l'esem pio della scuola Teologica
Francese,si elevarono al misticismo e fondarono la scuola
de'soprannaturalisti,chefecero prevalere la fede ed il sentimento sulla
riflessione e sulla ragione. Primo fra questi , il Palmieri attacca di fronte
l'em pirismo del secolo XVIII, mette in campo le idee ippate come impressioni
permanenti e modifcazioni dello spirito , afferma che sonovi nello spirito
delle idee e delle impressioni non avvertite e la teologia hanno lo
stesso scopo , cercano un solo vero discutono gli stessi principii , esse non ponuo
essere due scienze. Il Mastrofini si vapta autore di upa metafisica subli- .
attualmente che la ragione per giudi care debbe seguire certe basi e regole
impressenell'anima;erivendicando l'au torità de'libri sacri , confutando il Kan
tismo e negando alla filosofia la facoltà di spiegare lo stato dell'uomo
sostiene che tutti i suoi sistemi sono contraddi
zionimanifeste,echeilsoloveroèil soprannaturalismo che è l'unico,enon
contraddittorio , quando anche la ra gione non potesse sentirne chiaramente
l'evidenza. Il Manzoni stimando incom piata la filosofia che anno gli uomini
sul giusto e sull'ingiusto indipendente mente dalla Religione, e la distinzione
tra la filosofa e la Religione come una imperfezione , si accosta al soprapoatu
ralismo , sostenendo che la filosofia m o rale va congiunta alla teologia , che
la ragione naturale è imperfetta , e che se la filosofia e . (1) Il
nome di Licinio Ventebranz è ana grammatico ed é celato in esso quello di Via
cenzo Albertini me incuiapplicalafilosofiaallateolo- gia; Ventenbranz
(1)predicauna filoso fia eclettico - cristiana ; Perolari M a l mignati
sostiene che la sola filosofia verissima è la morale cristiana. L 'Oli vieri ed
il Pasio sostengono una morale dedotta dalla Rivelazione. Cesare Can tử
dimostra che , dovendosi basare la giustizia positiva sull'assoluta, non po trà
giammai mepare ad effetto questa sua condizione se non colla Religione positiva
; che l'umanità è regolata da Dio , che il linguaggio della parola fu dato da
Dio all'uomo e con esso tutte le idee primitive di giustizia e di retti tudine
morale. Parma pretende che o gni sistema filosofico debba dipartirsi da un dato
primitivo anteriore alla di mostrazione , e che sola la filosofia re, ligiosa
assume tutti gli elementi delm a terialismo , dell'idealismo e dello scet 2
292- 1 293 Riccardi fa consistere il difetto di o goi filosofia del
vizio logico emorale di sostituire la parola natura alla Divinità ; e pretende
la scienza essere essenzial mente religione , non potersi dar conto di alcuna
cosa che risalendo a Dio , la filosofia non dover concludere contro i fatti
della Rivelazione , la stessa fisica esser falsa se a questa è opposta. Il P.
Ventura cerca identificare la filosofia alla Rivelazione. Secondo lui,la filoso
fia 'sta tutta nel metodo , il fondamento della certezza è riposto nel senso
comune, l'intelletto e la verità costituiscono un tut toiodissolvibile,l'uomo
sirapporta aDio, la convenienza dell'ente coll'intelletto forma ad un tempo il
sommo Vero ed il sommo Bene , l'uomo debbe conosce ticismo , epperò ,
secondo lui , la teo logia è un ingrandimento dell'umana ragione , o la scienza
dell'umanità illu strata da'più alti intelletti, > la filosofia non è che la
reli e 2 gione , essa comprende la Teologia , 1'Etica la Logica e la Fisica e
debbe re Dio mos Vincenzo Gioberti (1) è il più recen te
sostenitore del misticismo a'tempi n o stri. Egli cerca surrogare l'ontologia
al ta psicologia , e il metodo sintetico al l'analitico; segue il dommatismo ,
cer cando dedurre ogni cosa con logica stret ta e severa ; unisce la filosofia
alla teo logia , subordinando la prima alla secon da ; e distinguendo la parte
razionale da quella che è superiore alla ragione, incomincia dal primo Ente,in
relazione alla mente umana ; e , dopo aver pre septata una dottripa sommaria
dell'asso luto si intrattiene a mostrarne lo svolgi mento in tutte le forme
delle scienze umaneedivine.Secondolui,la un tutte le sue parti decidere
coll'auto rità generale. 9 > (1) Intorno al Gioberti e mestiere leggere la
Nota del Mamiani SULĽ ONTOLOGIA E SUL METODO ed un articolo di G. Massari
cuiètitolo:CONSIDERAZIONI SULL’INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA FILOSOFIA ? propo
DI GIOBERTI (Progresso). V. de e combinati con essa formapo tre
realtà indipendenti dallo spirito , cioè una sostanza ed una causa prima
moltiplicità di essenze e di sostanze , ed un atto col quale l'Ente si collega
alle esistenze ; il nostro pensiero intuisce questa realtà con un atto semplice
e simultaneo che precede ogni intuizione particolare , e per cui mezzo l'intellet
to percepisce leproprietà essenziali del 1.Ente mercè la rivelazione ; l'Idea
non può addivenire obbietto di riflessione senza la parola interna , quindi è
neces sario l'intervento del linguaggio per ope ra della ragione ; vi è gran
differenza fra l'intuizione e la riflessione , fra il. metodo ontologico e il
metodo psicolo gico , e d'accanto alle facoltà che a p > > sizione :
l'Ente crea le esistenze è la formola ideale che comprende tutte le nozioni
dello spirito umano ; ogni suo membró esprime una realtà obbiettiva assoluta e
necessaria nell'Ente , rela tiva e contingente delle esistenze; que sti due
membri son legati dalla creazio una > e non ha lasciato di
cadere in molti gravi errori , specialmente quando egli 296 prendono
l'intelligibile,avvidell'uomo un istinto che mira al sopra intelligibile senza
poterlo giammai conoscere ;l'Ente si offre al nostro pensiero come lecido e
tenebroso ; e da ciò sorge il legame e strettissimo tra la filosofia e la
teologia tra’dogmi rivelatieirazionali.Egliap plica la sua formola ideale a
molti blemi di logica , d'ideologia , e di m e tafisica ; prova la sua
fecondità e lar ghezza in lei rattrovando la ragione e la fonte del sapere;
imprende a de linearnelastoria attraversoleopinioni,le credenze, elerivoluzioni
de'popoli,ed a mostrare che dessa abbraccia la ragione di tutti sistemi
potevoli di filosofia.La sua filosofia offre a'nostri tempi il pri mo esempio
di unametafisicaortodossa, ma arditaed originale;sicchèpuòdirsi aver egli
tentato di mostrare i legami tra la filosofia e la rivelazione cattolica
estimando il pro progresso 7 delle scienze spe rimentali e lo svolgimento
dellaciviltà ma attaccando il metodo psicologico, affer ma che esso
fu la cagione del mate 297 e quando sostituisce al metodo a naliticoilsintetico.È
principioricono ciuto da ogni sana mente che l'analisi di per sè sola non può
menare allo sco primento della verità ; ma è falso che la sola sintesi si
adatta a darci la no zione del vero. L'unico metodo è quel lo di conciliare
l'analisi alla sintesi; pe rocchè vi sono delle idee che conoscia mo per mezzo
della solaanalisi,edelle altre che conosciamo per mezzo della sola sintesi. E
poi l'accagionare Rena to Cartesio di tutte le dottrine mate rialistedel secolo
XVIII palesa una immoderata avversione al psicologismo che da alcuni si vuole
esser l'ultimatuin > della filosofia, ma dal quale noi sti miamo doversi
partire per giungere al l'ontologia,allaconoscenza delleleggi che reggono il
mondo sensibile ed il mondo soprassensibile.Del resto ilGio berti evitando ed
il Panteismo ed il " rialismo che nel secolo scorso ebbe lao go,
· rolar iMalmignati :Lezionifilosofiche- Par ma:SulleoperediGerbet
Supplimentosul Sansimonismo- Cantù:NotiziadiG.D. Ro magnosi-
Riccardi:Lapraticade'buonistudi ad uso della gioventù studiosa- Discorso alla
gioventù sullo studiodellafilosofia- Ventura: De methodo philosophandi–
Gioberti:Intro duzione allo studio della filosofia Errori fi losofici di
Antonio Rosmini Teorica del so vrannaturale filosofia estetica Saggio sul bello
e Principii di Del Primato Morale e civile Lettera sulle dottrine filosofi
degli Italiani co-politiche dell'Abate de Lamenoais. 298 parallogismo nel
dedurre con ragiona- menti a priori la scienza de'Gniti da quella
dell'infinito, non fa altro che proclamare la verità della Rivelazione
Cattolica. Palmieri : Analisi ragionata de'sistemi e de' fondamenti
dell'ateismo e della incredulità Manzoni : Osservazioni sulla morale cattolica
Mastrofini:Leusure Olivieri:La filoso fiamorale- Pasio:Elementaphilosophiaemo
raliscumnotis- Ventebranz(Albertini):Di scorso critico intorno a'pregiudizii ed
errori ed a'tanto disputati due metodi d'insegnare le scien zeastratte- Lo Spirito
della Dialettica- Pe C C - osserva che i sensualisti hanno preso una
strada erronea occupandosi del la quistione sull'origine delle idee e
mischiandola con quella sulla realtà dell'u mano sapere che essi non han
conosciuto l'uomo che per le sole sensazioui trala sciando l'analisi
dell'essere interno , che non hanno avanzato la scieoza,non potendovi essere
scienza Glosofica senza la cognizione dell'uomo intelligente e m o rale; epperò
caddero in errore coloro i quali lo annoverarono tra'sensualisti. Il suo metodo
è di ricercare tutto che i filosofi italiani hanno scritto intor no ad esso
.1 ida e de ta scien emo 1 oried -A Pour
tosul Ro studi ala ra : tro 2 cibi do, iïdi osofi civile che zione della scuola
Scozzese.Oltre il Sebastia ni ed il Corradini , dobbiamo poverare S 5. Sonovi
in Italia alcuni filosofi che si addano a coltivare l'eclettismo tra questi il
Mamiani ed il Winspeare. Il Conte Terenzio Mamiani della Rovere, comparando ,
sceglien e fondendo i loro trattati , ecco l'ecletismo. Il principio che egli
açco glie è di esaminare non soloi fenomeni sensibili, ma gliinterni, cioèifatti
e 300 e rigettare tutte le idee non comprovate dall'esperienza come
fatti esteroi , o incompiute per aver trascu rato una di queste serie ; e ,
secondo lui , le ultime conclusioni della filosofia razionale debbono
combaciare con le o pinioni del senso comune , quindi pos sono tacciarsi di
false quelle teorie che credono mostrare che il genere umano sia caduto in
errore. Ora se tali sono i principii e tale è il metodo degli eclet tici e
degli scozzesi , e se la scuola cui appartiene un Autore debbesi rilevare dal
metodo edaiprincipii,possiamodire che l'Autoresiapprossimaall'eclettismo della
scuola Scozzese. Veniamo ora al le sue principali opinioni. La filoso >
venne dagli uomini cer cata ; m a questi hanno mancato di buon metodo non
serbando proporzio ni tra'diversi
elementi che costituisco no lanatura;ne'filosofi italiani benme ditati e
specialmente nel Galilei vi è il vero metodo sperimentale. Il Mamiani lo riduce
ad un mezzo che ha > و per fia esiste , della coscienza materia loscibile,perfineilvero
elofacon sistere nelle cinque arti preparatoria inventiva , induttiva ,
dimostrativa , di stributiva. Egli pone il criterio di cer tezza
nell'intuizione immediata , o m e glio nell'identificazione dell'oggetto con
noi , distingue nella conoscenza l'atto di giudicare dall'oggetto giudicato ,e
cer cando un legame tral'oggetto el'idea, lo colloca ove l'ente si converte col
vero ed il conoscitore si identifica col co goito ; ammette l'intuizione
immediata o l'atto di nostra mente il quale cono sce le proprie idee e le loro
vicende voli attinenze , nonchè l'intuizione m e diata o l'atto di
nostramente,ilquale per > 301 la certezza assoluta dell'intuizione
immediata prova in un modo assoluto l'esistenza delle realtà estrinseche o i
loro rapporti con lo spazio e col tem po ; fonda la certezza sulla duplice in
tuizione sulsensointimoesulsenso > comune,nega che iprincipiiapodittici e
gli assiomi siano atti a dimostrazione o aspiegazione,faderivarlacausa dalla'
> SCO unde 1. Sofia che me èil ile to eria pos Bano di 001 clet cer cu Idee
Cati dal dire 2 SIDO 080 LIO SCO successione delle esistenze e
ripone il criterio del vero nella conversione del fatto operata dalla
intuizione creatrice la quale è un prodotto della nostra spontaneità e mette capo
al senso comune. 302 L'ultimo che sia venuto in campo a sostenere
l'eclettismo Scozzese è il Ba rone Winspeare che nello scorso anno ha
pubblicato il primo volume de'suoi Sag gi di filosofia intellettuale. Dalla
prefa zione ove egli fa manifesto il piano del lavoro si rileva che egli è
parteggiano della scuola Scozzese,perochèladi fende dalle accuse promosse
contro di essa , e sostiene che seguirla svolgendo la è il solo mezzo per far
progredire la scienza filosofica. Il Barone Winspeare ha voluto ristaurare un
sistema che egli stimava più atto a far progredire quelle verità necessarie al
progresso dell'intelli genza ed allaosservanza della morale. Un simile
tentativo gli apporta sommo ono re , perocchè lo à immaginato ed ese guito con
molto studio e coscienza. Nul l'altro possiam dire intorno a lui poichè 1
و 303 è una rapida rassegna delle dottrine fi losofiche da'Greci infino al
XVIII se. colo , non si può dedurre un sistema for molato ne'principii e delle
sue con seguenze . - che dal solo primo volume dell'opera , - Corradini :
Utilità della filosofia Prospet to delle Lezioni di filosofia razionale Seba
stiani:NovumSystemaEthices- Mamiani: Del Rionovamento dell'antica filosofia in
Italia Sei Lettere all'Abate Rosmini Dell'O n tologia e del metodo Lettere a P.
S. Man . cini intorno alla filosofia del Dritto ed all'ori gine singolarmente
delDritto di punire– Winspeare:Saggidifilosofiaintellettuale- Blanch: Articoli
due sul Wiospeare nel Museo di Scieu ze e Lettere), Per dar compimento
all'attuale filosofia italiana non rimane che esporre le opinioni di coloro che
si diedero al- l'Empirismo -Razionalismo. Tamburini confutò Holbach , Condillac
, e Kant ; ri l' pose l'obbligazione morale del bisogno l'altra su’lim
miti di essa.Riguardo alla prima,ab battendo lo .Scettismo egli prova es sere
in noi reale la cognizione , esistere le facoltà intellettuali come cause
delle della perfezione che si appoggia all'uma na natura , al senso
universale ed al l'ordine naturale, si oppose alle dot trine dell'amor proprio
e dello interes combatté le opinioni di 'Condorcet sul progresso o meglio
sull'umana per fettibilità da lui circoscritta al reale ,al possile , alla
storia , e considerata non > come infinita,sibbenecomeprogressiva;
stazionarla , e retrograda. 2 30% 1 se, per opera del Barone squale Galluppi
che combattendo leop poste dottrine del Condillac e del Kant , ne viene
salutato a buon diritto il fon datore ed ilsostenitore.Egliincomincia dal
proponersi lo scioglimento di due importanti quistioni ,l'una sulla realtà
dell'umana conoscenza Pa Gli sforzi del Tamburini prepararono la puova era
della filosofia italiana , la quale sorse insieme coll’Empirismo-Ra zionalismo
per opera 2 305 US idee , e lo spirito giungere al vero al lorchè
dietro la testimonianza del senso intimo afferma ciò che è e piega ciò che non
è. Ecco perchè il Galluppi appar tiene alla filosofia moderna , alla scuola
psicologica di Cartesio. Nell'analisi dei fenomeni intellettuali egliammette le
ve rità primitive di esperienza interna con tenenti principii a priori ed a
posteriori riconosce il principio dell'oggettività della sensazione e della
intuizione in mediata in quella;dimostrail passaggio dalla regione del pensiero
a quella del l'esistenza per mezzo del punto di co municazione tra la conoscenza
intellet tuale e la reale,pel quale egli ammette le idee universali, come leggi
dello spi rito derivanti dalla sua soggettività , le quali formano i giudizii
analitici e si risolvono in due ordini di conoscenze le une di esistenza e le
altredi ragione, queste servendo di base alle verità de dotte, e quelle
supponendo l'applica zione delle verità razionali a'dati del l'esperienza.
Secondo lui,benchè tutti i 306 ) ! } giudiziipuri
siecoidentici,pure lo spirito allarga la sfera delle sue conoscenze,ed il
raziocinio ci istruisce,1.o perchè or dina e classifica le nostre conoscenze ,
2.° perchè ci mena a conoscenze che 1 1 pon potremno avere senza di esso;per
mezzo della causalità da una esistenza sperimentale ci eleviamo ad esistenze
che tali non sono;lasensibilità è ester na ed interna ', questa percepisce il
me e le sue modificazioni , quella ci rivela l'esistenza del fuor di me e delle
sue modificazioni.Riguardo a’limitidelle no stre Conoscenze egli cerca
determinarli dimostrando esserciignotel'essenzedelle cose , e la natura Divina
, ed ignoto il modo onde le cause effettrici agiscono non che quello onde gli
esseri produco no in sè o in altri quelle date modifi cazioni.Il sistema delle
facoltà dello spirito introdotto dal Galluppi ha per iscopolaricercadelle
facoltà elemen tari ; e queste sono la coscienza e la sensibilità che
presentano allo spiri to gli obbietti , l'analisi che li sepa la sintesi
che li riunisce, il de siderio , e la volontà che mossa da que sto dirige le
operazioni dell'analisi della sintesi. L'illustre filosofo di Tro pea professa
le medesime teorie in tut ti i suoi scritti filosofici ; se non che degli
elementi e nelle lezioni di fi losofia, poggiate sull'empirismo-razio dalismo ,
segue il metodo analitico pro cedendo dal noto all'ignoto. Egli divi de la
logica in pura o scienza delle idee e mista o scienza di fatti seguendo il
principio dell'identità progressiva ed istruttiva, considerando come ufficio
del ragionamento il rapnodare e subordinare le nostre idee,dichiarando il sillogismo
un'analisi del discorso,e stimando mol to importante l'entimema. Secondo lui,
la religione naturale è l'insieme delle verità che si possono provare per mezzo
della ragione,che ci svelano come dob biamo pensare di Dio,e de'suoi rapporti
cogli esseri creati ; la ragione ne inse gnacheDioèeterno immutabile uno
iqboito;lasua eternità,non ha ra, e } successione fisica , nè
metafisica ; la re lazione fra Dio e le creature è quello di causalità cioè
tutte le creature sono state create da Dio ;. l'esistenza di due principii
eterni dell'universo è assurda; il male non ripugna alla bontà divina ;
l'esistenza de'doveri ne vien manife stata dalla coscienza ed è una verità pri
mitiva ; il dovere oon può defipirsi per e ; chè è una nozione semplice ,
una zione soggettiva che deriva dalla natura umana ; le verità morali son
necessarie ma sintetiche;ilprincipio deldovere è distinto da quello dell'utile
che gli è subordinato ; la massima : si giusto è primitiva;il principio di
beneficenza non basta a mostrarci i nostri doveri verso gli altri ; noi abbiamo
de'doveri non solo verso gli altri;ma verso Dio e verso noi stessi , la
filosofia ci m a n i festa l'immortalità dell'anima umana , il congiungimento
della felicità colla virtù, verità che vengon dimostrate dal premio della
virtùedellapenadelvizio, verità provate dalla naturale indistrutti 308 10 when
2 309 bilità dell'anima e dal desiderio costante negli uomini di un
bene supremo , rità enunciate dalla ragione non solo ma anche dalla Rivelazione
che è un'azione immediata di Dio sullo spirito umano con che Dio produce nello
spirito le co noscenze che vuol produrre , e la cui possibilità deriva dalla
semplice nozione dell'Oppipotenza. Egli riponendo la leg ge morale nella retta
ragione che dirige la nostra volontà al nostro benessere seguendo il sistema
del dovere indipen dente dall'utile, introducendo qualche cosa 多! 1 d'innato nella morale , ed ammet tendo il dovere come un
principio sin tetico a priori , si eleva dall'Empirismo psicologico ad un
ragionevole Idealismo nella morale . Ecco le principali opinio ni professate
dall'immortale Galluppi , cui va tanto debitrice l'attuale filosofia italiana
de'suoi progressi , ed in cui non sappiamo se sia maggiore l'eleva tezza e
l'acume d'ingegno o la forza e la potenza del ragionamento. Molti altri
filosofi dietro l'esempio del ve Galluppi pure si addissero
all'Empiri smo-Razionalismo. Tedeschi la forza dell'anima come upica ed divisa
, sostiene le idee assolute ed im mutabili , distingue le idee io riflesse o
prodotte dall'astrazione,e spontanee o prodotte da uo intimo impulso che de
mena dal sensibile all'intelligibile sino alla cognizione della sostanza.
Zantede schi presenta un sistema di facoltà de dotto dal percepire dal
sentire,e dal l'appetireintellettivo,sensuale,e ra zionale,considerando la
logica come quellascienzachedirigela facoltàCO noscitiva a perfezionarsi ,
stabilisce il metodo induttivo sulla causalità e l'analogia ; la sua melafisica
è la dot trina dell'Eote che s'accosta alla teoria del Vico e degli antichi
italiani ; nella filosofia morale egli racchiude i prioci pii delle azioni ,
come la coscienza , la libera volontà , e la legge morale , e d
ilprecettocomune:quod tibinon vis alio ne feceris. Mancino concepisce la
filosofia-come scienza dello spiritouma considera in sul > / 311 S
corpo ; la filosofia è la scienza dello spiri to umano in sè ed in tutte le sue
relazioni;perconoscerel'apimaè me stiere l'analisi che scompone il partico lare
per ridurlo a principii generali; la vila dell'anima stà nella cognizione-azio
pe no , e ne deduce uoa filosofia eclettica cioè equitativa e completa
che accoglie il vero da per ogni dove; epperò divi de la filosofia insoggettiva
cioèdirettaa disaminare le forze dell'iplendimento . ed oggettiva o diretta a
disaminare gli obbiettidellaconoscenza;rionega l’Em pirismo ed il Razionalismo
; e conside ra le idee come prodotte dalle sensazio ni, dalla coscienza,e
dall'attività dello spirito e Buldassarre Poli è uno de'più for ti propugnatori
dell'Empirismo-Razio nalismo. Secondo lui , l'uomo consta di due elementi,
apima che si riduce all'atto del giudizio o idea-volizione-coscienza;conoscere
pon èchegiudicareegiudicarenonèche co Doscere,mailgiudicareèilmodo del co
2 312 noscere e il conoscere è l'effetto del giudi care, il giudizio
non è una sintesi tra l'at tributo ed il subbietto perchè l'anima non ha forza
sintetica potendo solo percepire e vedere,il giudizio ha le sue applica zioni
come ilbello,ilbuono,ilvero,le sue perfezioni, che sono ilbuon senso,lo spirito
, il gusto , l ' ingegno, il carattere l'istinto e le sue relazioni che sono i
rapporti dell'anima coll'età col sesso , coll'indole , colla fisonomia , col
clima, col vitto , col sodoo colle malattie o colle altre circostanze; il
giudizio è un tutto composto ed un effetto che non può sussistere senza parti
componenti e senza facoltà generatrici,che sono due: volontà-intelletto ed
intelletto-volontà fondate sul principio di simultanea in divisibilità;tuttele
altre facoltà son modi empirici di queste due facoltàpri mitive che colle loro
leggi sono attri buti dell'anima ; il giudizio e le rispet tive facoltà
dell'intelletto e della volontà hanno per fattori supremi l'oggettivo ed il
soggettivo messi tra loro in rap > donde il commercio del fisico
col morale nell'uomo ; la filosofia si Altri Empiristi-Razionalisti non happo
pubblicate delle opere ; ma il loro si stema traspare da vari articoli di gior
nali e ragionamenti disparati. Ricci è amante del metodo empiricospeculativo;
porto , rannoda alla religione ed alla Teologia perocchè questi fattori
dipendono da Dio ; la vita dell'anima eilgiudiziosono og
gettilimitatiperfettibili;questo perfe zionamento è dato come legge di natu ra
e come scopo all'anima ed alle sue facoltà , esso è riposto nel maggior a u
mento ed equilibrio possibile delle fa coltà dell'anima congiunto al maggior
grado possibile di scienza e di felicità, esso può ottenersi avendosi de'mezzi
fa cili e corrispondenti che si riducono all'uso reiterato e frequente
deglistessi atti o delle stesse funzioni; quindi l'uo mo
perrendersiperfettoalmaggiorgra do deve operare e usareperquanto può delle
proprie facoltà , secondo la loro natura e la loro destinazione.
Rivato limita il sapere filosofico 314 e e > cioè il pro
filosofico , soste pendo che l'uomo dee tutto studiare e nel mondo esteruo e
nello interno tutto riferire alla coscienza ; Riccobelli si accinge a
combattere ilTrascendenta lismo di Kant sullo spazio e sul tempo ; Devincenzi
pone per primo fondamento dell'Ecletismo la cognizione perfetta di tutte le
filosofie e scegliere il vero da tutte; e per lui l'eclettismo è quella
modesta filosofia che nulla sprezzando esamina tutte le dottrine e segue il
vero ovunque il rinviene. Stefano Cusani so stiene che lo spirito umano ha due
sole vie nella ricerca del vero , cedimentoempiricoedilrazionale,> che i
principii assoluti sono anteriori nel loro stato fenomenale , ma contempora nei
nella loro essenza alle idee necessa rie , che la tendenza filosofica del X I X
secolo dev'esserel'Ontologia,echedo vrebbesi elevare una metafisica sul fon
damento psicologico degli eclettici fran cesi e sul fondameuto ontologico dei
filosofi alemanni.Molti altri recenti filo C Supplimenti al Manuale della
Storia della filosofia di Tennemann Ricci:ArticolisulCousinismo (Antologia di
Firenze)- Rivato . e sul + sofi han coltivate le scienze filosofiche pel lato
d'un tal sistema ma i limiti di brevità che abbiamo imposti a poi stessi ci
vietapo di noverarli. Tamburini : Introduzione allo studio della fi Josofia
morale Elementa Juris Naturae Cenni sulla perfettibilità dell'umana famiglia
Galluppi : Saggio sulla critica della conoscen za - Filosofia della volontà
Lezioni diLo gica e Metafisica Elementi di Filosofia Lettere filosofiche sulle
vicende della filosofia relativamente a'principii delle umane conoscen ze da
Cartesio insino a Kant Introduzione allostudiodellaFilosofia- Memoriasulsistema
di Fichte o sul Razionalismo assoluto l'idealismo Trascendentale di Kant Tede :
schi : Sulla filosofia Zantedeschi : Elementi di Psicologia empirica , di
Logica e Metafisica, e di Filosofia morale Mancino · Elementi di filosofia –
Poli : Saggio filosofico sopra la scuola de'mederni filosofi naturalisti Saggio
di un corso di filosofia Primi ele menti di filosofia Intorno al vero e giusto
spirito filosofico. Riassum317 to sempre,identico stesso nell'India, nella
Grecia nel cadere del medio evo, nella filosofia moderna , e nel l'attuale
filosofia. del Progresso. Gall è que gli che rappresenta eminentemente in
Francia la filosofia empirica spingen dola sino al materialismo. Il raziona
lismo ebbe pochi adetti, fra'quali la Baronessa de Stael ; il misticismo ebbe
de’seguaci; ma quegli che più di tutti imprese a difenderlo si fu Lamennais.
L'eclettismo comprende gliEcletticipro priamente detti o Cousinisti, gli eclet
tici scozzesi , tra'quali Jouffroy, e i fi losofi Storici che muovono tutti dal
Guizot; cosicchè tre sono i grandi campioni dell'ecletismo Cousin , Jouf ' In
Francia la filosofia superando i limiti dell'ideologia e della psicologia
empirica , a malgrado alcuni avanzi di sensualismo, ha cangiato la sua direzio
ne ; ed ha dato luogo alle cinque scuo le degli Empiristi, de'Razionalisti,dei
Mistici,degli Ecletici, e deFilosofi > pro fondità dell'Alemagna
, si presenta una lotta di varii sistemi.Qualche avanzo del sensualismo invalso
nel secolo scorso as sume l'originalità italiana; ma l'Idea lismo ben presto
gli fa guerra benchè numeri pochi seguai ; il misticismo non ha'che pochissimi
coltivatori,e l'eclet tissimo scozzese comincia ad introdur sinelleopere
de'Filosofi italiani; ma froy e Guizot. Il sansimonismo inva se i dominii
delle scienze morali e sociali ; ed a malgrado le sue stranezze attirò
de'fautori, frà quali alcuni sco standosene alquanto fondarono la filoso fia
del progresso continuo, che è addi venuta la filosofiapredominante in Fran cia
ma che debbe esser posta in accor do colla Religione Cristiana. Il fonda tore
del Sapsimonismo è Saint-Simon; e P. Leroux è quegli che lo ha tra mutato nella
filosofia del progresso con tinuo. Nell'Italia , che è chiamata a tenere il
giusto mezzo tra la eccessiva superfi cialità della Francia e l'eccessiva
9 l'empirismo-razionalismo combatte tutti questi sistemi e viene a
fondarsi sulla ragione e sull'esperienza. Ogni sistema in Italia ha un grande
ingegno che lo difende. Romagnosi segue ilsensualismo Rosmini l'idealismo ,
Gioberti il misti cismo , Mamiani l'eclettismo scozzese e Galluppi
l'Empirismo-Razionalismo. Que sto sistema, proprio de’filosofiitaliani, che è
l'ultima espressione dello svolgi mento della filosofia , debbe mirare ad una
nuova formola più compiuta , e ten tare lo scioglimento de'più ardui pro blemi
per mezzo dell'esperienza combi nata colla ragione ; esso abbisogna di un
metodo e diun prịåcipio che spie ghi il commercio de sensi colle idee del mondo
esterno col mondo interno ; ed al suo ampliamento contribuiscono non solo
leversioni delle operestraniere,ma anche altri lavori filosofici degli italiani
che preparano una restaurazione definiti va delle scienze filosofiche. Noi di
que sto sistema abbiamo lodevolmente par lato al cominciamento del nostro
lavoro; e facciam voti perchè tutti gli Italiani pensatori presenti ed avvenire
di unani me consentimentosiraccolgadosottouna sola e medesima bandiera,sotto le
inse goe dell'Empirismo-Razionalismo,ricono scendo per loro capo e
maestro l'immorta le filosofo di 'Tropea Pasquale Galluppi.Enrico Pessina. Pessina. Keywords: storiografia
filosofica in Italia, la storia della filosofia roman, Galluppi, diritto
private. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pessina” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690010515/in/photolist-2mPrdWj-2mKEPgR
Grice e Petrarca – implicatura –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Arezzo). Filosofo. Grice:
“There are a few studies on Petrarca and ‘filosofia’: “Petrarca platonico,”
etc. – but his most important contribution is via implicatura, as when I deal
with Blake or Shakespeare.” Considerato il precursore dell'umanesimo e
uno dei fondamenti della letteratura italiana, soprattutto grazie alla sua
opera più celebre, il “Canzoniere”, patrocinato quale modello di eccellenza
stilistica da Bembo. Uomo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria
come mater e divenuto cittadino del mondo, Petrarca rilanciò, in ambito
filosofico, l'agostinismo in contrapposizione alla scolastica e operò una
rivalutazione storico-filologica dei classici latini. Fautore dunque di una
ripresa degli studia humanitatis in senso antropocentrico (e non più in chiave
assolutamente teocentrica), Petrarca (che ottenne la laurea poetica a Roma)
spese l'intera sua vita nella riproposta culturale della poetica e filosofia
antica e patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine
di sé quale campione di virtù e della lotta contro i vizi. La storia medesima
del Canzoniere, infatti, è più un percorso di riscatto dall'amore travolgente
per Laura che una storia d'amore, e in quest'ottica si deve valutare anche
l'opera latina del Secretum. Le tematiche e la proposta culturale
petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, diedero
avvio al fenomeno del petrarchismo, teso ad imitare stilemi, lessico e generi
poetici propri della produzione lirica volgare dell'aretino. Nacque da ser
Petracco, notaio, ed Eletta Cangiani (o Canigiani), entrambi fiorentini. Il
padre, originario di Incisa, appartene alla fazione dei guelfi bianchi e fu amico
d’Alighieri, esiliato da Firenze per l'arrivo di Valois, apparentemente entrato
nella città toscana quale paciere di Bonifacio VIII, ma in realtà inviato per
sostenere i guelfi neri contro quelli bianchi. La sentenza emanata da Cante
Gabrielli da Gubbio, podestà di Firenze, esilia tutti i guelfi bianchi,
compreso il padre di Petrarca che, oltre all'oltraggio dell'esilio, e condannato
al taglio della mano destra. A causa dell'esilio, trascorre l'infanzia in
diversi luoghi della Toscana. Prima ad Arezzo, poi Incisa e Pisa, dove il padre
era solito spostarsi per ragioni politico-economiche. A Pisa, il padre, che non
perde la speranza di rientrare in patria, si e riunito ai guelfi bianchi e ai
ghibellini per accogliere Arrigo VII. Secondo quanto affermato dallo stesso Petrarca
nella Familiares, indirizzata a Boccaccio, a Pisa avvenne, probabilmente, il
suo unico e fugace incontro con l'amico del padre, Alighier. La famiglia si
trasfere a Carpentras, vicino Avignone, dove il padre ottenne incarichi presso
la Corte pontificia grazie all'intercessione del cardinale Niccolò da Prato.
Nel frattempo, il piccolo Francesco studiò a Carpentras sotto la guida del
letterato Convenevole da Prato, amico del padre che verrà ricordato dal
Petrarca con toni d'affetto nella Seniles. Alla scuola di Convenevole, presso
la quale studiò, conobbe uno dei suoi più cari amici, Guido Sette, arcivescovo
di Genova, al quale Petrarca indirizzò la Seniles. Anonimo, Laura e il Poeta,
Arquà Petrarca (Padova). L'affresco fa parte di un ciclo pittorico realizzato
nel corso del Cinquecento mentre era proprietario Pietro Paolo Valdezocco. Gli
studi giuridici a Montpellier e a Bologna L'idillio di Carpentras durò fino ad allorché
lui, il fratello Gherardo e l'amico Guido Sette furono inviati dalle rispettive
famiglie a studiare diritto a Montpellier, città della Linguadoca, ricordata anch'essa
come luogo pieno di pace e di gioia. Nonostante ciò, oltre al disinteresse e al
fastidio provati nei confronti della giurisprudenza, il soggiorno a Montpellier
fu funestato dal primo dei vari lutti che Petrarca dovette affrontare nel corso
della sua vita: la morte della madre Eletta. Il figlio, ancora adolescente,
compose il Breve pangerycum defuncte matris (poi rielaborato nell'epistola
metrica), in cui vengono sottolineate le virtù della madre scomparsa, riassunte
nella parola latina electa. Il padre, poco dopo la scomparsa della moglie,
decise di cambiare sede per gli studi dei figli inviandoli nella ben più
prestigiosa Bologna, anche questa volta accompagnati da Guido Sette e da un
precettore che seguisse la vita quotidiana dei figli. In questi anni Petrarca,
sempre più insofferente verso gli studi di diritto, si legò ai circoli
letterari felsinei, divenendo studente e amico dei latinisti Giovanni del
Virgilio e Bartolino Benincasa, coltivando così i primi studi letterari e
iniziando quella bibliofilia che lo accompagnò per tutta la vita. Gli anni
bolognesi, al contrario di quelli trascorsi in Provenza, non furono tranquilli:
scoppiarono violenti tumulti in seno allo Studium in seguito alla decapitazione
di uno studente, fatto che spinse Francesco, Gherardo e Guido a ritornare
momentaneamente ad Avignone. I tre rientrarono a Bologna per riprendervi gli
studi fino all’anno in cui Petrarca ritornò ad Avignone per «prendere a
prestito una grossa somma di denaro, vale a dire 200 lire bolognesi spese presso
il libraio bolognese Bonfigliolo Zambeccari. Ser Petracco morì, permettendo a
Petrarca di lasciare finalmente la facoltà di diritto a Bologna e di dedicarsi
agli studi classici che sempre più lo appassionavano. Per dedicarsi a tempo
pieno a quest'occupazione doveva trovare una fonte di sostentamento che gli
permettesse di ottenere un qualche guadagno remunerativo: lo trovò quale membro
del seguito prima di Giacomo Colonna, arcivescovo di Lombez; poi del fratello
di Giacomo, il cardinale Giovanni, dal 1330. L'essere entrato a far parte della
famiglia, tra le più influenti e potenti dell'aristocrazia romana, permise a
Francesco di ottenere non soltanto quella sicurezza di cui aveva bisogno per
iniziare i propri studi, ma anche di estendere le sue conoscenze in seno
all'élite culturale e politica europea. Difatti, in veste di
rappresentante degli interessi dei Colonna, Petrarca compì un lungo viaggio
nell'Europa del Nord, spinto dall'irrequieto e risorgente desiderio di
conoscenza umana e culturale che contrassegnò l'intera sua agitata biografia:
fu a Parigi, Gand, Liegi, Aquisgrana, Colonia, Lione. Particolarmente
importante fu allorché, nella città di Lombez, Petrarca conobbe Angelo Tosetti
e il musico e cantore fiammingo Ludwig Van Kempen, il Socrate cui verrà
dedicata la raccolta epistolare delle Familiares. Poco dopo essere
entrato a far parte del seguito del vescovo Giovanni, prese gli ordini sacri,
divenendo canonico, col fine di ottenere i benefici connessi all'ente
ecclesiastico di cui era investito. Nonostante la sua condizione di religioso
(è attestato che dal il Petrarca è nella
condizione di chierico), ebbe comunque dei figli nati con donne ignote, figli
tra cui spiccano per importanza, nella successiva vita del poeta, Giovanni e
Francesca. L'incontro con Laura Secondo quanto afferma nel Secretum, Petrarca
incontrò per la prima volta, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone, 7 (che
cadde di lunedì. Pasqua Laura, la donna che sarà l'amore della sua vita e che
sarà immortalata nel Canzoniere. La figura di Laura ha suscitato, da parte dei
critici letterari, le opinioni più diverse: identificata da alcuni con una
Laura de Noves coniugata de Sade (morta a causa della peste, come la stessa
Laura petrarchesca), altri invece tendono a vedere in tale figura un senhal
dietro cui nascondere la figura dell'alloro poetico (pianta che, per gioco
etimologico, si associa al nome femminile), suprema ambizione del letterato
Petrarca. La scoperta dei classici e la spiritualità patristica Come accennato
prima, Petrarca manifestò già durante il soggiorno bolognese una spiccata
sensibilità letteraria, professando una grandissima ammirazione per l'antichità
classica. Oltre agli incontri con Giovanni del Virgilio e Cino da Pistoia,
importante per la nascita della sensibilità letteraria del poeta fu il padre
stesso, fervente ammiratore di Cicerone e della letteratura latina. Difatti ser
Petracco, come racconta Petrarca nella Seniles donò al figlio un manoscritto
contenente le opere di Virgilio e la Rethorica di Cicerone e un codice delle
Etymologiae di Isidoro di Siviglia e uno contenente le lettere di san Paolo. In
quello stesso anno, dimostrando la passione sempre crescente per la Patristica,
il giovane Francesco comprò un codice del De Civitate Dei di Agostino d'Ippona e
conobbe e cominciò a frequentare l'agostiniano Dionigi di Borgo San Sepolcro,
dotto monaco agostiniano e professore di teologia alla Sorbona. Dionigi regalò
al giovane Petrarca un codice tascabile delle Confessiones, lettura che aumentò
ancor di più la passione del Nostro per la spiritualità patristica agostiniana.
Dopo la morte del padre e l'essere entrato a servizio dei Colonna, Petrarca si
buttò a capofitto nella ricerca di nuovi classici, cominciando a visionare i
codici della Biblioteca Apostolica (ove scoprì la Naturalis Historia di Plinio
il Vecchio) e, nel corso del viaggio nel Nord Europa, Petrarca scoprì e ricopiò
il codice del Pro Archia poeta di Cicerone e dell'apocrifa “Ad equites romanos”,
conservati nella Biblioteca Capitolare di Liegi. Oltre alla dimensione di
explorator, comincia a sviluppare le basi per la nascita del metodo filologico
moderno, basato sul metodo della collatio, sull'analisi delle varianti e quindi
sulla tradizione manoscritta dei classici, depurandoli dagli errori dei monaci
amanuensi con la loro emendatio oppure completando i passi mancanti per
congettura). Sulla base di queste premesse metodologiche, lavora alla
ricostruzione, da un lato, dell' “Ab Urbe condita” di Livio; dall'altro, della
composizione del grande codice contenente le opere di Virgilio e che, per la
sua attuale locazione, è chiamato Virgilio Ambrosiano. Da Roma a Valchiusa:
l'Africa e il “De viris illustribus”; Marie Alexandre Valentin Sellier, “La
farandola di Petrarca”, olio su tela, Sullo sfondo si può notare il Castello di
Noves, nella località di Valchiusa, il luogo ameno in cui trascorse gran parte
della sua vita fino all’anno in cui lasciò la Provenza per l'Italia. Mentre
portava avanti questi progetti filologici, Petrarca cominciò a intrattenere con Benedetto XII, un rapporto epistolare
(Epistolae metricae) con cui esortava il nuovo pontefice a ritornare a Romae
continuò il suo servizio presso il cardinale Giovanni Colonna, su concessione
del quale poté intraprendere un viaggio a Roma, dietro richiesta di Giacomo
Colonna che desiderava averlo con sé. Giuntovi nella Città Eterna Petrarca poté
toccare con mano i monumenti e le antiche glorie dell'antica capitale
dell'Impero Romano, rimanendone estasiato. Rientrato in Provenza, Petrarca
comprò una casa a Valchiusa, appartata località sita nella valle della Sorgue nel
tentativo di sfuggire all'attività frenetica avignonese, ambiente che
lentamente cominciò a detestare in quanto simbolo della corruzione morale in
cui era caduto il Papato. Valchiusa (che durante le assenze del giovane poeta
era affidata al fattore Raymond Monet di Chermont) fu anche il luogo ove
Petrarca poté concentrarsi nella sua attività letteraria e accogliere quel
piccolo cenacolo di amici eletti (a cui si aggiunse il vescovo di Cavaillon,
Philippe de Cabassolle) con cui trascorrere giornate all'insegna del dialogo
colto e della spiritualità. «Più o meno in quello stesso periodo,
illustrando a Giacomo Colonna la vita condotta a Valchiusa nel primo anno della
sua dimora lì, Petrarca delinea uno di quegli autoritratti manierati che
diventeranno un luogo comune della sua corrispondenza: passeggiate campestri,
amicizie scelte, letture intense, nessuna ambizione se non quella del quieto
vivere. Fu in questo periodo appartato che, forte della sua esperienza
filologico-letteraria, incominciò a stendere le due opere che sarebbero dovute
diventare il simbolo della rinascenza classica: l'Africa e il De viris
illustribus. La prima, opera in versi intesa a ricalcare le orme virgiliane,
narra dell'impresa militare romana della seconda guerra punica, incentrata
sulle figure di Scipione l'Africano, modello etico insuperabile della virtù
civile della Repubblica romana. La seconda, invece, è un me Gli anni
successivi all'incoronazione poetica, quelli compresi furono contrassegnati da
un perenne stato d'inquietudine morale, dovuta sia a eventi traumatici della
vita daglione di 36 vite di uomini illustri improntata sul modello
liviano e quello floriano. La scelta di comporre un'opera in versi e un'opera in
prosa, ricalcanti i modelli sommi dell'antichità nei due rispettivi generi
letterari e intesi a recuperare, oltre alla veste stilistica, anche quella
spirituale degli antichi, diffusero presto il nome di Petrarca al di là dei
confini provenzali, giungendo in Italia. L'alloro con cui Petrarca fu
incoronato rivitalizzò il mito del poeta laureato, figura che diventerà
un'istituzione pubblica in Paesi quali il Regno Unito. Il nome di Petrarca quale uomo eccezionalmente
colto e grande letterato fu diffuso grazie all'influenza della famiglia Colonna
e dell'agostiniano Dionigi. Se i primi avevano influenza presso gli ambienti
ecclesiastici e gli enti a essi collegati (quali le Università europee, tra le
quali spiccava la Sorbona), padre Dionigi fece conoscere il nome dell'Aretino
presso la corte del re di Napoli Roberto d'Angiò, presso il quale fu chiamato
in virtù della sua erudizione. Approfittando della rete di conoscenze e di
protettori di cui disponeva, pensò di ottenere un riconoscimento ufficiale per
la sua attività letteraria innovatrice a favore dell'antichità, patrocinando
così la sua incoronazione poetica. Difatti, nella Familiares, confide al padre
agostiniano la sua speranza di ricevere l'aiuto del sovrano angioino per
realizzare questo suo sogno, intessendone le lodi. La Sorbona fece sapere al
Nostro l'offerta di una incoronazione poetica a Parigi; proposta che, nel
pomeriggio dello stesso giorno, giunse analoga dal Senato di Roma. Su consiglio
di Giovanni Colonna, Petrarca, che desiderava essere incoronato nell'antica
capitale dell'Impero romano, accettò la seconda offerta, accogliendo poi
l'invito di re Roberto di essere esaminato da lui stesso a Napoli prima di arrivare
a Roma per ottenere la sospirata incoronazione. Le fasi di preparazione
per il fatidico incontro con il sovrano angioino durarono, Petrarca,
accompagnato dal signore di Parma Azzo da Correggio, si mise in viaggio per
Napoli col fine di ottenere l'approvazione del colto sovrano angioino. Giunto
nella città partenopea a fine febbraio, fu esaminato per tre giorni da re
Roberto che, dopo averne constatato la cultura e la preparazione poetica,
acconsentì all'incoronazione a poeta in Campidoglio per mano del senatore Orso
dell'Anguillara. Se conosciamo da un lato sia il contenuto del discorso di
Petrarca (la Collatio laureationis), sia la certificazione dell'attestato di
laurea da parte del Senato romano (il Privilegium lauree domini Francisci
Petrarche, che gli conferiva anche l'autorità per insegnare e la cittadinanza
romana), la data dell'incoronazione è incerta: tra quanto affermato da Petrarca
e quanto poi testimoniato da Boccaccio, la cerimonia d'incoronazione avvenne in
un arco temporale. In seguito all'incoronazione incominciò a comporre l'Africa
e il De viris illustribus. Gli anni successivi all'incoronazione poetica furono
contrassegnati da un perenne stato d'inquietudine morale, dovuta sia a eventi
traumatici della vita privata, sia all'inesorabile disgusto verso la
corruzione Avignonese. Subito dopo l'incoronazione poetica, mentre Petrarca
sostava a Parma, seppe della prematura scomparsa dell'amico Giacomo Colonna
(avvenuta nel settembre del 1341), notizia che lo turbò profondamente. Gl’anni successivi
non recarono conforto al poeta laureato: da un lato le morti prima di Dionigi
e, poi, di re Roberto ne accentuarono lo stato di sconforto; dall'altro, la
scelta da parte del fratello Gherardo di abbandonare la vita mondana per
diventare monaco nella Certosa di Montreaux, spinsero Petrarca a riflettere
sulla caducità del mondo. Mentre soggiorna ad Avignone, conobbe il futuro
tribuno Cola di Rienzo (giunto in Provenza quale ambasciatore del regime
democratico instauratosi a Roma), col quale condivideva la necessità di ridare
a Roma l'antico status di grandezza politica che, come capitale dell'antica
Roma e sede del papato, le spettava di diritto. E nominato canonico del
Capitolo della cattedrale di Parma, mentre e nominato arcidiacono. La caduta
politica di Cola, favorita specialmente dalla famiglia Colonna, sarà la spinta
decisiva da parte di Petrarca per abbandonare i suoi antichi protettori: fu
infatti in quell'anno che lasciò, ufficialmente, l'entourage del cardinale
Giovanni[63]. A fianco di queste esperienze private, il cammino
dell'intellettuale Petrarca fu invece caratterizzato da una scoperta
importantissima. Dopo essersi rifugiato a Verona in seguito all'assedio di
Parma e la caduta in disgrazia dell'amico Azzo da Correggio, Petrarca scoprì
nella biblioteca capitolare le epistole ciceroniane ad Brutum, ad Atticum e ad
Quintum fratrem, fino ad allora sconosciute. L'importanza della scoperta
consistette nel modello epistolografico che esse trasmettevano: i colloquia a
distanza con gli amici, l'uso del tu al posto del voi proprio
dell'epistolografia medievale ed, infine, lo stile fluido e ipotattico
indussero l'Aretino a comporre anch'egli delle raccolte di lettere sul modello
ciceroniano e senecano, determinando la nascita delle Familiares prima, e delle
Seniles poi. A questo periodo di tempo risalgono anche i Rerum memorandarum
libri (lasciati incompiuti), l'avvio del De otio religioso e del De vita
solitaria che furono rimaneggiati negli anni successivi[64]. Sempre a Verona,
Petrarca ebbe modo di conoscere Pietro Alighieri, figlio di Dante, con cui
intrattenne rapporti cordiali. La vita, come suol dirsi, ci sfuggì dalle mani:
le nostre speranze furon sepolte cogli amici nostri. Ci rese miseri e soli. Delle
cose familiari, prefazione, A Socrate. Dopo essersi slegato dai Colonna,
Petrarca cominciò a cercare nuovi patroni presso cui ottenere protezione.
Pertanto, lasciata Avignone insieme al figlio Giovanni, giunse a Verona,
località dove si era rifugiato l'amico Azzo da Correggio dopo essere stato
scacciato dai suoi domini, per poi giungere a Parma nel mese di marzo, dove
strinse legami con il nuovo signore della città, il signore di Milano Luchino
Visconti. Fu, però, in questo periodo che iniziò a diffondersi per l'Europa la
terribile peste nera, morbo che causa la morte di molti amici del Petrarca: i
fiorentini Sennuccio del Bene, Bruno Casini e Franceschino degli Albizzi; il cardinale
Giovanni Colonna e il padre di lui, Stefano il Vecchio; e quella dell'amata
Laura, di cui ebbe la notizia. Nonostante il dilagare del contagio e la
prostrazione psicologica in cui cadde a causa della morte di molti suoi amici,
Petrarca continuò le sue peregrinazioni, alla perenne ricerca di un protettore.
Lo trovò in Jacopo II da Carrara, suo estimatore che lo nominò canonico del
duomo di Padova. Il signore di Padova intese in tal modo trattenere in città il
poeta il quale, oltre alla confortevole casa, in virtù del canonicato ottenne
una rendita annua di 200 ducati d'oro, ma per alcuni anni Petrarca avrebbe
utilizzato questa abitazione solo occasionalmente. Difatti, costantemente in
preda al desiderio di viaggiare, fu a Mantova, a Ferrara e a Venezia, dove
conobbe il doge Andrea Dandolo. Prende la decisione di recarsi a Roma per
lucrare l'indulgenza dell'Anno giubilare. Durante il viaggio accondiscese alle
richieste dei suoi ammiratori fiorentini e decise di incontrarsi con loro.
L’occasione fu di fondamentale importanza non tanto per Petrarca, quanto per
colui che diventerà il suo principale interlocutore durante gli ultimi
vent'anni di vita, Giovanni Boccaccio. Il novelliere, sotto la sua guida,
incominciò una lenta e progressiva conversione verso una mentalità ed un
approccio più umanistico alla letteratura, collaborando spesso con il suo
venerato praeceptor in progetti culturali di ampio respiro. Tra questi
ricordiamo la riscoperta del greco antico e la scoperta di antichi codici
classici. Petrarca risiedette prevalentemente a Padova, presso Francesco I da
Carrara. Qui, oltre a portare avanti i progetti letterari delle Familiares e le
opere spirituali ricevette anche la visita di Boccaccio in veste di
ambasciatore del Comune fiorentino perché accettasse un posto di docente presso
il nuovo Studium fiorentino. Poco dopo, e spinto a rientrare ad Avignone in
seguito all'incontro con i Cardinali Eli de Talleyrand e Guy de Boulogne,
latori della volontà di papa Clemente VI che intendeva affidargli l'incarico di
segretario apostolico. Nonostante l'allettante offerta del pontefice, l'antico
disprezzo verso Avignone e gli scontri con gli ambienti della corte pontificia
(i medici del pontefice e, dopo la morte di Clemente, l'antipatia d’Innocenzo
VI) gl’indussero a lasciare Avignone per Valchiusa, dove prese la decisione
definitiva di stabilirsi in Italia. Targa commemorativa del soggiorno
meneghino di Petrarca situata agli inizi di Via Lanzone a Milano, davanti alla
basilica di Sant'Ambrogio. Petrarca iniziò il viaggio verso la patria italiana,
accogliendo l'ospitale offerta di
Giovanni Visconti, arcivescovo e signore della città, di risiedere a Milano.
Malgrado le critiche degli amici fiorentini (tra le quali si ricorda quella
risentita del Boccaccio), che gli rimproveravano la scelta di essersi messo al
servizio dell'acerrimo nemico di Firenze. Petrarca collaborò con missioni e
ambascerie (a Parigi e a Venezia; l'incontro con l'imperatore Carlo IV a
Mantova e a Praga) all'intraprendente politica viscontea. Sulla scelta di
risiedere a Milano piuttosto che nella natia Firenze, bisogna ricordare l'animo
cosmopolita proprio del Petrarca. Cresciuto ramingo e lontano dalla sua patria,
Petrarca non risente più dell'attaccamento medievale verso la propria patria
d'origine, ma valuta gli inviti fattigli in base alle convenienze economiche e
politiche. Meglio, infatti, avere la protezione un signore potente e ricco come
Giovanni Visconti prima e, dopo la morte di lui, del successore Galeazzo II,
che si rallegrerebbero di avere a corte un intellettuale celebre come Petrarca.
Nonostante tale scelta discutibile agli occhi degli amici fiorentini, i
rapporti tra il praeceptor e i suoi discipuli si ricucirono: la ripresa del
rapporto epistolare tra Petrarca e Boccaccio prima, e la visita di quest'ultimo
a Milano nella casa di Petrarca situata nei pressi di Sant'Ambrogio poi, sono
le prove della concordia ristabilita. Nonostante le incombenze
diplomatiche, nel capoluogo lombardo matura e porta a compimento quel processo
di maturazione intellettuale e spirituale iniziato pochi anni prima, passando
dalla ricerca erudita e filologica alla produzione di una letteratura
filosofica fondata da un lato sull'insoddisfazione per la cultura
contemporanea, dall'altra sulla necessità di una produzione che potesse guidare
l'umanità verso i principi etico-morali filtrati attraverso il neoplatonismo
agostiniano e lo stoicismo cristianeggiante. Con questa convinzione interiore,
Petrarca portò avanti gli scritti iniziati nel periodo della peste: il Secretum
e il De otio religioso; la composizione di opere volte a fissare presso i
posteri l'immagine di un uomo virtuoso i cui principi sono praticati anche
nella vita quotidiana (le raccolte delle Familiares e, dal 1361, l'avviamento
delle Seniles)le raccolte poetiche latine (Epistolae Metricae) e quelle volgari
(i Triumphi e i Rerum Vulgarium Fragmenta, alias il Canzoniere). Durante il
soggiorno meneghino Petrarca iniziò soltanto una nuova opera, il dialogo
intitolato De remediis utriusque fortune (sui rimedi della cattiva e della
buona sorte), in cui si affrontano problematiche morali concernenti il denaro,
la politica, le relazioni sociali e tutto ciò che è legato al quotidiano. Per
sfuggire alla peste, Petrarca abbandonò Milano per Padova, città da cui fugge per lo stesso motivo. Nonostante la
fuga da Milano, i rapporti con Galeazzo II Visconti rimanono sempre molto
buoni, tanto che trascorse tempo nel castello visconteo di Pavia in occasione di
trattative diplomatiche. A Pavia seppellì il piccolo nipote di due anni, figlio
della figlia Francesca, nella chiesa di San Zeno e per lui compose un'epigrafe
ancor oggi conservata nei Musei Civici. Si recò a Venezia, città dove si
trovava il caro amico Donato degli Albanzani[91] e dove la Repubblica gli
concesse in uso Palazzo Molin delle due Torri (sulla Riva degli Schiavoni) n
cambio della promessa di donazione, alla morte, della sua biblioteca, che era
allora certamente la più grande biblioteca privata d'Europa: si tratta della
prima testimonianza di un progetto di bibliotheca publica. La casa veneziana fu
molto amata dal poeta, che ne parla indirettamente nella Seniles, quando
descrive, al destinatario Pietro da Bologna, le sue abitudini quotidiane. Vi
risiedette stabilmente (tranne alcuni periodi a Pavia e Padova) e vi ospita
Boccaccio e L. Pilato. Durante il soggiorno veneziano, trascorso in compagnia
degli amici più intimi, della figlia naturale Francesca (sposatasi con il
milanese Francescuolo da Brossano), decise di affidare al copista Giovanni
Malpaghini la trascrizione in bella copia delle Familiares e del Canzoniere. La
tranquillità di quegli anni fu turbata dall'attacco maldestro e violento mosso
alla cultura, all'opera e alla figura sua da quattro filosofi averroisti che lo
accusarono di ignoranza. L'episodio fu
l'occasione per la stesura del trattato De sui ipsius et multorum ignorantia,
in cui Petrarca difende la propria "ignoranza" in campo aristotelico
a favore della filosofia neoplatonica-cristiana, più incentrata sui problemi
della natura umana rispetto alla prima, intesa a indagare la natura sulla base
dei dogmi del filosofo di Stagira. Amareggiato per l'indifferenza dei veneziani
davanti alle accuse rivoltegli, Petrarca decise di abbandonare la città
lagunare e annullare così la donazione della sua biblioteca alla
Serenissima. L'epilogo padovano e la morte. La casa di Petrarca ad Arquà Petrarca,
località sita sui colli Euganei nei pressi di Padova, dove l'ormai anziano
poeta trascorse gli ultimi anni di vita. Della dimora Petrarca parla nella
Seniles. Dopo alcuni brevi viaggi, accolse l'invito dell'amico ed estimatore
Francesco I da Carrara di stabilirsi a Padova nella primavera.. È ancora
visibile, in Via Dietro Duomo a Padova, la casa canonicale di Francesco
Petrarca, che fu assegnata al poeta in seguito al conferimento del canonicato.
Il signore di Padova donò poi una casa situata nella località di Arquà, un
tranquillo paese sui colli Euganei, dove poter vivere. Lo stato della casa,
però, a abbastanza dissestato e ci vollero alcuni mesi prima che potesse
avvenire il definitivo trasferimento nella nuova dimora. La vita dell'anziano
Petrarca, che fu raggiunto dalla famiglia della figlia Francesca si alternò
prevalentemente tra il soggiorno nella sua amata casa di Arquà e quella vicina
al duomo di Padova, allietato spesso
dalle visite dei suoi vecchi amici ed estimatori, oltre a quelli nuovi
conosciuti nella città veneta, tra cui si ricorda Lombardo della Seta, che
daveva sostituito Giovanni Malpaghini quale copista e segretario del poeta
laureato. Si mosse dal padovano soltanto una volta quando e a Venezia quale
paciere per il trattato di pace tra i veneziani e Francesco da Carrara. Per il
resto del tempo si dedicò alla revisione delle sue opere e, in special modo,
del Canzoniere, attività che portò avanti fino agli ultimi giorni di vita. Colpito
da una sincope, muore ad Arquà esattamente alla vigilia del suo settantesimo
compleanno e, secondo la leggenda, mentre esaminava un testo di Virgilio, come
auspicato in una lettera al Boccaccio. Il frate dell'Ordine degli Eremitani di
sant'Agostino Bonaventura Badoer Peraga fu scelto per tenere l'orazione funebre
in occasione dei funerali, che si svolsero il nella chiesa di Santa Maria
Assunta alla presenza di Francesco da Carrara e di molte altre personalità
laiche ed ecclesiastiche. Per volontà testamentaria le spoglie di Petrarca
furono sepolte nella chiesa parrocchiale del paese, per poi essere collocate
dal genero, nel 1380, in un'arca marmorea accanto alla chiesa. Le vicende dei
resti del Petrarca, come quelli di Dante, non furono tranquille. La sua tomba espezzata
all'angolo di mezzodì e vennero rapite alcune ossa del braccio destro. Autore
del furto e Martinelli, un frate da Portogruaro, il quale, a quanto dice una pergamena
dell'archivio comunale di Arquà, venne spedito in quel luogo dai fiorentini,
con ordine di riportare seco qualche parte del suo scheletro. La veneta
repubblica fa riattare l'urna, suggellando con arpioni le fenditure del marmo,
e ponendovi lo stemma di Padova e l'epoca del misfatto. I resti trafugati non sono
mai recuperati. La tomba, che versa in stato pessimo, venne sottoposta a
restauro dato lo stato pessimo in cui il sepolcro versava. Il restauro però, a
seguito di complicazioni burocratiche e di conflitti di competenza e questioni
anche politiche, e addirittura processato con l'accusa di violata sepoltura. Avennero
resi noti i risultati dell'analisi dei resti conservati nella sua tomba ad
Arquà Petrarca. Il teschio presente, peraltro ridotto in frammenti, una volta
ricostruito, è riconosciuto come femminile e quindi non pertinente a Petrarca. Un
frammento di pochi grammi del cranio esaminato con il metodo del radiocarbonio,
consente di accertare che il cranio ritrovato nel sepolcro e femminile. A chi
sia appartenuto e perché si trovasse nella sua tomba è ancora un mistero, come
un mistero è dove sia finito il suo cranio. Lo scheletro è invece riconosciuto come autentico. Riporta
alcune costole fratturate. Ferito da una cavalla con un calcio al costato. Nello
studium, affresco murale, Reggia Carrarese, Sala dei Giganti, Padova. Fin dalla
giovinezza, manifesta sempre un'insofferenza innata nei confronti della cultura
a lui coeva. La sua passione per i classici latini liberate dalle
interpretazioni allegoriche lo pone pongono come l'iniziatore dell'umanesimo italiano.
In “De remediis utriusque fortune, ciò che interessa maggiormente a Petrarca è
l'humanitas, cioè l'insieme delle qualità che danno fondamento ai valori più
umani della vita, con un'ansia di meditazione e di ricerca tra erudita ed
esistenziale intesa ad indagare l'anima in tutte le sue sfaccettature. Di
conseguenza, pone al centro della sua riflessione intellettuale l'essere umano,
spostando l'attenzione dall'assoluto teo-centrismo all'antropo-centrismo
moderno. Fondamentale nella sua filosofia è la riscoperta dei classici.
Già conosciuti nel Medioevo, erano stati oggetto però di una rivisitazione in
chiave cristiana, che non teneva quindi conto del contesto storico-culturale in
cui le opere erano state scritte. Per esempio, la figura di Virgilio fu vista
come quella di un mago/profeta, capace di adombrare, nell'Ecloga IV delle
Bucoliche, la nascita di Cristo, anziché quella di Asinio Gallo, figlio del
politico romano Asinio Pollione: un'ottica che Dante accolse pienamente nel
Virgilio della Commedia. Petrarca, rispetto ai suoi contemporanei, rifiuta il
travisamento dei classici operato fino a quel momento, ridando loro quella
patina di storicità e di inquadramento culturale necessaria per stabilire con
essi un colloquio costante, come fece nel libro delle Familiares. Scrivere a
Cicerone o a Seneca, celebrandone l'opera o magari deplorandone con benevolenza
mancanze e contraddizioni, era per lui un modo letterariamente tangibile (e per
noi assai significativo simbolicamente) di mostrare quanto a loro dovesse,
quanto li sentisse, appunto, idealmente suoi contemporanei. Oltre alle
epistole, all'Africa e al De viris illustribus, opera tale riscoperta
attraverso il metodo filologico da lui ideato
e la ricostruzione dell'opera liviana e la composizione del Virgilio
ambrosiano. Altro aspetto da cui traspare questo innovativo approccio alle
fonti e alle testimonianze storico-letterarie si avverte, anche, nell'ambito
della numismatica, della quale Petrarca è ritenuto il precursore. Per quanto
riguarda la prima opera, Petrarca decise di riunire le varie decadi (cioè i
libri di cui l'opera è composta) allora conosciute in un unico codice,
l'attuale codice Harleiano conservato ora al British Museum di Londra. Il giovane Petrarca si dedicò a quest'opera di
collazione per cinque anni, grazie ad un lavoro di ricerca e di enorme
pazienza. Prende la terza decade, correggendola e integrandola ora con un
manoscritto veronese del X secolo vergato dal dotto vescovo Raterio, ora con
una lezione conservata nella Biblioteca Capitolare della Cattedrale di
Chartres[120], il Parigino Latino acquistato dal vecchio canonico Landolfo
Colonna, contenente anche la quarta decade. Quest'ultima fu poi corretta su di
un codice risalente al secolo precedente e appartenuto al preumanista padovano Lovato
Lovati. Infine, dopo aver raccolto anche la prima decade, Petrarca poté
procedere a riunire gli sparsi lavori di recupero. Il Virgilio Ambrosiano
L'impresa riguardante la costruzione del Virgilio ambrosiano è invece molto più
complessa. Iniziato già quand'era in vita il padre Petracco, il lavoro di
collazione portò alla nascita di un codice composto di 300 fogli manoscritti
che conteneva l'omnia virgiliana (Bucoliche, Georgiche ed Eneide commentati dal
grammatico Servio), al quale furono aggiunte quattro Odi di Orazio e
l'Achilleide di Stazio. Le vicende di tale manoscritto sono assai travagliate.
Sottrattogli dagli esecutori testamentari del padre, il Virgilio ambrosiano
verrà recuperato solo quando Petrarca commissionò al celebre pittore Simone
Martini una serie di miniature che lo abbellirono esteticamente. Alla morte del
Petrarca il manoscritto finì nella biblioteca dei Carraresi a Padova, tuttavia,
Gian Galeazzo Visconti conquistò Padova ed il codice fu inviato, insieme ad
altri manoscritti del Petrarca, a Pavia, nella Biblioteca Visconteo-Sforzesca
situata nel castello di Pavia. Galeazzo Maria Sforza ordinò al castellano di
Pavia di prestare il manoscritto allo zio Alessandro signore di Pesaro, poi il
Virgilio Ambrosiano tornò a Pavia. Luigi XII conquistò il Ducato di Milano e la
biblioteca Visconteo-Sforzesca venne trasferita in Francia, dove ancora si
conservano, nella Bibliothèque nationale de France, circa 400 manoscritti
provenienti da Pavia. Tuttavia il Virgilio Ambrosiano fu sottratto al
saccheggio francese da un certo Antonio di Pirro. Sappiamo che a fine
Cinquecento si trovava a Roma, ed era di proprietà del cardinal Agostino
Cusani, fu poi acquistato da Federico Borromeo per l'Ambrosiana. Il messaggio
petrarchesco, nonostante la sua presa di posizione a favore della natura umana,
non si dislega dalla dimensione religiosa: difatti, il legame con l'agostinismo
e la tensione verso una sempre più ricercata perfezione morale sono chiavi
costanti all'interno della sua produzione letteraria e filosofica. Rispetto,
però, alla tradizione medievale, la religiosità petrarchesca è caratterizzata
da tre nuove accezioni prima mai manifestate: la prima, il rapporto intimo tra
l'anima e Dio, un rapporto basato sull'autocoscienza personale alla luce della
verità divina. La seconda, la rivalutazione della tradizione morale e
filosofica classica, vista in un rapporto di continuità con il cristianesimo e
non più in chiave di contrasto o di mera subordinazione; infine, il rapporto
"esclusivo" tra Petrarca e Dio, che rifiuta la concezione collettiva
propria della Commedia dantesca. Comunanza tra valori classici e cristiani La
lezione morale degli antichi è universale e valida per ogni epoca. L’umanita di
Cicerone non è diversa da quella di Agostino, in quanto esprimono gli stessi
valori, quali l'onestà, il rispetto, la fedeltà nell'amicizia e il culto della
conoscenza. Sul legame degl’antichi è significativo il celebre passo della
morte di Magone, fratello di Annibale che, nell'Africa ormai morente, pronuncia un discorso sulla
vanità delle cose umane e sul valore liberatorio della morte dalle fatiche
terrene che in nessun modo si discosta dal pensiero cristiano, anche se tale
discorso fu criticato da molti ambienti che ritenevano una scelta infelice
porre in bocca ad un pagano un pensiero così Cristiano. Ecco un passo del
lamento di Magone: Edizione dell'Africa stampata a Venezia, nella
stamperia di Aldo Manuzio. Nel particolare, l'Incipit del poema. «Heu qualis fortunae terminus alte est! Quam
laetis mens caeca bonis! furor ecce potentum / praecipiti gaudere loco; status
iste procellis / subjacet innumeris, et finis ad alta levatis est ruere. Heu
tremulum magnorum culmen honorum, Spesque hominum fallax, et inanis gloria
fictis / illita blanditiis! Heu vita incerta labori dedita perpetuo, semperque
heu certa, nec unquam Stat morti praevisa dies! Heu sortis iniquae natus homo
in terris! O qual è il traguardo dell'alta sorte! Quanto l'anima è cieca davanti
alle fauste imprese! Ecco la follia dei potenti, godere delle altezze
vertiginose; questo stato è esposto ad infinite tempeste, ed è destinato a
cadere chi si è innalzato a quelle vette. O tremante sommità dei grandi onori,
fallace speranza degli uomini, vana gloria adornata da finti piaceri! O vita
incerta, dedita ad una fatica incessante, come certo è il giorno di morte, né
mai previsto abbastanza! O che sorte iniqua per l'uomo nato sulla terra!»
(Africa) L'agostinismo del Secretum e dell'Ascesa al Monte Ventoso Vista
del Mont Ventoux dalla località di Mirabel-aux-Baronnies. Infine, per il suo
carattere fortemente personale, l'umanesimo cristiano petrarchesco trova nel
pensiero di sant'Agostino il proprio modello etico-spirituale, contrario al sistema
filosofico tolemaico-aristotelico allora imperante nella cultura teologica,
visto come alieno dalla cura dell'anima umana. A tal proposito, il filosofo
Giovanni Reale delinea lucidamente la posizione di Petrarca verso la cultura
contemporanea: «La diffusione dell'averroismo, col crescente interesse
che suscitava per l'indagine naturalistica, sembra a Petrarca che distragga
pericolosamente da quelle arti liberali, che sole possono dare la sapienza
necessaria per conseguire la pace spirituale in questa vita e la beatitudine
eterna nell'altra. La sapienza classica e cristiana, che Petrarca contrappone
alla scienza averroistica, è quella fondata sulla meditazione interiore
attraverso alla quale si chiarisce a sé stessa e si forma la personalità del
singolo uomo. L'importanza che Agostino ebbe per l'uomo Petrarca è evidente in
due celebri testi letterari del Nostro: il Secretum da un lato, in cui il
vescovo d'Ippona interloquisce con lui spingendolo ad un'acuta quanto forte
analisi interiore dei propri peccati; dall'altro, il celebre episodio
dell'ascesa al Monte Ventoso, narrato nella Familiares, IV, 1, inviata seppur
in modo fittizio a Dionigi da Borgo San Sepolcro. La forte vena morale che
percorre tutte le opere petrarchesche volgare tende a trasmettere un messaggio
di perfezione morale: il Secretum, il De remediis, le raccolte epistolari e lo
stesso Canzoniere sono impregnati di questa tensione etica volta a risanare le
deviazioni dell'anima attraverso la via della virtù. Tale applicazione etica
negli scritti (l'oratio), però, deve corrispondere alla vita quotidiana se l'umanista vuole trasmettere un'etica
credibile ai destinatari. Prova di questo binomio essenziale è, per esempio, “Delle
cosa familiar”, indirizzata a Cicerone. Esprime, in un tono di amarezza e di
rabbia al contempo, la sua scelta di essersi allontanato dall'otium letterario
di Tuscolo per addentrarsi nuovamente nell'agone politico dopo la morte di
Cesare e schierarsi a fianco d’Ottaviano contro Marcantonio, tradendo così i
principi etici esposti nei suoi trattati filosofici. Ma qual furore a danno di
Antonio ti mosse? Risponderai per avventura l'amore alla repubblica, che dicevi
caduta in fondo. Ma se codesta fede, se amore di libertà ti sprone come di sì
grand'uomo stimare si converrebbe, ond'è che tanto fosti amico di Augusto? Io
ti compiango, amico, e di sì grandi tuoi falli sento vergogna. Oh, quanto era
meglio ad un filosofo tuo pari nel silenzio dei campi, pensoso, come tu dici,
non della breve e caduca presente vita, ma della eterna, passar tranquilla
vecchiezza. La declinazione dell'impegno morale nella vita attiva delinea la
sua vocazione civile. Tale attributo, prima ancora di intendersi come impegno
nella vita politica del tempo, dev'essere compreso nella sua declinazione
prettamente sociale, quale suo impegno nell'aiutare gl'uomini contemporanei a
migliorarsi costantemente attraverso il dialogo e il senso di carità nei
confronti del prossimo. Oltre ai trattati morali si deve però anche registrare
che cosa significa per lui nella sua stessa vita, l'impegno civile. Il servizio
presso i potenti di turno (i Colonna, i Da Correggio, i Visconti e poi i Da
Carrara) spinse i suoi amici ad avvertirlo della minaccia che tali regnanti
avrebbero potuto costituire per la sua indipendenza intellettuale. Però, nella “Epistola
ai posteri” ribadì la sua proclamata indipendenza dagli intrighi di corte. I
più grandi monarchi dell'età mia m'ebbero in grazia, e fecero a gara per trarmi
a loro, né so perché. Questo so che alcuni di loro parevan piuttosto essere
favoriti della mia, che non favorirmi della loro dimestichezza: sì che
dall'alto loro grado io molti vantaggi, ma nessun fastidio giammai ebbi
ritratto. Tanto peraltro in me fu forte l'amore della mia libertà, che da
chiunque di loro avesse nome di avversarla mi tenni studiosamente lontano. Nonostante
l'intento autocelebrativo proprio dell'epistola, Petrarca rimarca il fatto che
i potenti vollero averlo di fianco a sé per questioni di prestigio, facendo sì
che il poeta finisse «per non identificarsi mai fino in fondo con le loro prese
di posizioni». Il legame con le corti signorili, scelte per motivazioni
economiche e di protezione, getta pertanto le basi per la figura del cortigiano.
Se Alighier, costretto a vagare per le corti dell'Italia soffre sempre per la
lontananza da Firenze, fonda, con la sua scelta di vita, il modello del cosmopolita,
segnando così il tramonto dell'ideologia comunale fondamento della sensibilità d’Alighieri
prima, e che in parte fu propria del contemporaneo Boccaccio. La sua caratteristica
è l'otium, vale a dire il riposo. Parola latina indicante, in generale, il
riposo dei patrizi romani dalle attività proprie del negotium, la riprende
rivestendola però di un significato diverso: non più riposo assoluto, ma
attività intellettuale nella tranquillità di un rifugio appartato, solitario
ove potersi concentrare e portare, poi, agli uomini il messaggio morale nato da
questo ritiro. Questo ritiro, come è esposto nei trattati ascetici del De vita
solitaria e del De otio religioso, è vicino, per sensibilità del Petrarca, ai
ritiri ascetico-spirituali dei Padri della Chiesa, dimostrando quindi come
l'attività letteraria sia, nel contempo, fortemente intrisa di carica
religiosa. Petrarca, con l'eccezione di due sole opere poetiche, i Triumphi e
il Canzoniere, scrisse esclusivamente in latino, la lingua di quegli antichi
romani di cui voleva riproporre la virtus nel mondo a lui contemporaneo. Egli
credeva di raggiungere il successo con le opere in latino, ma di fatto la sua
fama è legata alle opere in volgare. Al contrario di Dante, che aveva voluto
affidare la sua memoria ai posteri con la Commedia, Petrarca decise di eternare
il suo nome riallacciandosi ai grandi dell'antichità: «Il Petrarca (a
parte una letterina in volgare) scrive sempre in latino quando deve comunicare,
anche privatamente, anche per le annotazioni ai margini dei libri. Questa
scelta del latino come lingua esclusiva della prosa e della normale
comunicazione scritta, inserendosi nel più ampio progetto culturale che ispira
il Petrarca, si carica di valori ideali.» (Guglielmino-Grosser182)
Petrarca preferì usare il volgare nei momenti di pausa dall'elaborazione delle
grandi opere latine. Difatti, come più volte definì le liriche che confluiranno
nel Canzoniere, esse valgono quali nugae, cioè quale «elegante divertimento
dello scrittore, a cui dedicò senza dubbio molte cure, ma a cui non avrebbe mai
pensato di affidare quasi per intero la propria immortalità letteraria. Il suo volgare,
al contrario di quello d’Aligheri, è caratterizzato però da un'accurata
selezione di termini, cui il poeta continuò a lavorare, limando le sue poesie
(da qui la limatio petrarchesca) per la definizione di una poesia
«aristocratica», lemento che spingerà il critico letterario Gianfranco Contini
a parlare di monolinguismo petrarchesco, in contrapposizione al pluristilismo
dantesco. Dante e Petrarca Magnifying glass icon mgx2.svg IDalle considerazioni
fatte, emerge chiaramente la profonda differenza esistente tra Petrarca e
Dante: se il primo è un uomo che supera il teocentrismo medievale incentrato
sulla Scolastica in nome del recupero agostiniano e dei classici
"depurati" dall'interpretazione allegorica cristiana indebitamente
appostavi dai commentatori medievali, Dante mostra invece di essere un uomo
totalmente medievale. Oltre alle considerazioni filosofiche, i due uomini sono
antitetici anche per la scelta linguistica cui legare la propria fama, per la
concezione dell'amore, per l'attaccamento alla patria. Illuminante sul
sentimento che Petrarca nutrì per l'Alighieri è la Familiares, XXI, 15, scritta
in risposta all'amico Boccaccio, incredulo delle dicerie secondo cui lui odia
Alighieri. Afferma che non può odiare qualcuno che conosce appena e che affronta
con onore e sopportazione l'esilio. Prende le distanze dall'ideologia,
esprimendo il timore di essere influenzato da un così grande esempio se avesse
deciso di scrivere liriche in volgare, liriche che sono facilmente sottoposte
allo storpiamento da parte del volgo. L“Africa” è un poema epico che tratta
della seconda guerra punica e in particolare delle gesta di Scipione. Costituito
da dodici egloghe, gli argomenti del “Bucolicum carmen” spaziano fra amore,
politica e morale. Anche in questo caso, l'ascendenza virgiliana è evidente dal
titolo, che richiama fortemente lo stile e gli argomenti delle Bucoliche.
Attualmente, la lezione del Bucolicum petrarchesco è riportata dal codice
Vaticano lat. Dedicate all'amico Barbato da Sulmona, le Epistolae metricae sono
66 lettere in esametri, di cui alcune trattano d'amore, mentre per la maggior
parte si occupano di politica, morale o di materie letterarie. I Psalmi
penitentiales ne accenna nella Seniles, X, 1 a Sagremor de Pommiers. Sono una
raccolta di sette preghiere basate sul modello stilistico-linguistico dei salmi
davidici della Bibbia, in cui chiede perdono per i suoi peccati e aspira al
perdono della Misericordia divina. Il “De viris illustribus” è una raccolta di
36 biografie di uomini illustri dedicata a Francesco I da Carrara signore di
Padova. Nell'intenzione originale dell'autore l'opera doveva trattare la vita
di personaggi della storia di Roma da Romolo a Tito, ma arrivò solo fino a
Nerone. In seguito Petrarca aggiunse personaggi di tutti i tempi, cominciando
da Adamo e arrivando a Ercole. L'opera rimase incompiuta e fu continuata
dall'amico e discepolo padovano di Petrarca, Lombardo della Seta, fino alla
vita di Traiano. I Rerum memorandarum libri (Libri delle gesta memorabili) sono
una raccolta di esempi storici e aneddoti a scopo d'educazione morale in prosa
latina, basati sui Factorum et dictorum memorabilium libri dello scrittore
latino Valerio Massimo. Iniziati in Provenza, furono continuati allorché
Petrarca scoprì le orazioni ciceroniane a Verona, e ne fu indotto al progetto
delle Familiares. Difatti, furono lasciati incompiuti dall'autore, che ne
scrisse soltanto i primi 4 libri e alcuni frammenti del quinto libro. Il “De
secreto conflictu curarum mearum” è una delle sue opere più celebri e fu composta, anche se in seguito fu
riveduta. Articolato come un dialogo tra lui stesso e un santo alla presenza di
una donna muta che simboleggia la Verità, consiste in una sorta di esame di
coscienza personale nel quale si affrontano temi intimi del poeta, da cui il
titolo dell'opera. Come emerge però nel corso della trattazione, Francesco non
si mostra mai del tutto contrito dei suoi peccati (l'accidia e l'amore carnale
per Laura): al termine dell'esame egli non risulterà guarito o pentito, dando
così forma a quell'irrequietezza d'animo che contraddistinse la sua vita.
"La vita solitaria” è un trattato di carattere religioso e morale. L'autore vi esalta la solitudine, tema caro
anche all'ascetismo medioevale, ma il punto di vista con cui la osserva non è
strettamente religioso: al rigore della vita monastica Petrarca contrappone
l'isolamento operoso dell'intellettuale, dedito alle letture e alla scrittura
in luoghi appartati e sereni, in compagnia di amici e di altri intellettuali.
L'isolamento dello studioso in una cornice naturale che favorisce la
concentrazione è l'unica forma di solitudine e di distacco dal mondo che
Petrarca riuscì a conseguire, non considerandola in contrasto con i valori
spirituali cristiani, in quanto riteneva che la saggezza contenuta nei libri,
soprattutto nei testi classici, fosse in perfetta sintonia con quelli. Da
questa sua posizione è derivata l'espressione di "umanesimo
cristiano" di Petrarca. Il “De otio religioso” è un'esaltazione della vita
monastica, dedicata al fratello Gherardo. Simile al “De vita solitaria”, esalta
però soprattutto la solitudine legata alle regole degli ordini religiosi,
definita come la migliore condizione di vita possibile. Il “De remediis
utriusque fortunae” è una raccolta di brevi dialoghi scritti in prosa latina. Basata
sul modello del De remediis fortuitorum, trattato pseudo-senechiano composto
nel Medioevo, l'opera è composta da 254 scambi di battute tra entità
allegoriche: prima il "Gaudio" e la "Ragione", poi il
"Dolore" e la "Ragione". Simile ai precedenti Rerum
memorandarum libri, questi dialoghi hanno scopi educativi e moralistici, proponendosi
di rafforzare l'individuo contro i colpi della fortuna sia buona che avversa. Il
De remediis riporta anche una delle più esplicite condanne della cultura
trecentensca da parte del Petrarca, vista come sciocca e superflua. Ut ad
plenum auctorum constet integritas, quis scriptorum inscitie inertieque
medebitur corrumpenti omnia miscentique? Cuius metu multa iam, ut auguror, a
magnis operibus clara ingenia refrixerunt meritoque id patitur ignavissima etas
hec, culine sollicita, literarum negligens et coquos examinans, non scriptores.
Perché persista pienamente l'integrità degli scrittori antichi, chi tra i
copisti guarirà ogni cosa dall'ignoranza, dall'inerzia, dalla rovina e dal
caos? Per il timore di ciò si indebolirono, come prevedo, molti celebri ingegni
dalle grandi opere, e quest'epoca indolentissima permette ciò, dedita alla
culinaria, ignorante delle lettere e che valuta i cuochi, e non i copisti. L’occasione per la sua “Invectivarum contra
medicum quendam libri IV,” una serie di accuse nei confronti dei medici e la
malattia che colpe Clemente VI. Nella Familiares, V, 19, gli consiglia di non
fidarsi dei suoi archiatri, accusati di essere dei ciarlatani dalle idee
contrastanti fra di loro. Davanti alle forti rimostranze dei medici pontifici
nei confronti di Petrarca, questi scrisse quattro libri di accuse, una copia
dei quali fu inviata poi al Boccaccio. Il “De sui ipsius et multorum ignorantia”
e composta in seguito alle accuse di ignoranza che quattro lizij gli rivolgeno,
in quanto alieno dalla terminologia e dalle questioni delle scienze naturali.
In quest'apologia dell’umanismo risponde come lui e interessato alle scienze
che interessassero il benessere dell'anima umana, e non alle discussioni
tecniche e dogmatiche proprie del nominalismo. Invectiva contra cuiusdam
anonimi Galli calumnia -- di carattere politico, e una nvettiva rivolta ad
Hesdin, sostenitore della necessità che la sede del viscovo di Roma e Avignone.
Per tutta risposta sostenne la necessità che il viscovo di Roma appartiene a Roma,
sua sede diocesana e simbolo dell'antica gloria romana. Di grande importanza
sono le epistole latine in prosa, in quanto contribuiscono a costruire
l'immagine autobiografica idealizzata che offre di sé e quindi la sua
eternizzazione. Basate sul modello di Cicerone, ricavato dalla scoperta delle “Epistulae
ad Atticum” compiuta da lui a Verona, le lettere sono aggruppate in quattro
raccolte epistolari: le Familiares (o Familiarum rerum libri o De rebus
familiaribus libri), 350 epistole in 24 libri, dedicate a Socrate; le Seniles,
126 epistole in 17 libri, e dedicate a F. Nelli; le “Sine nominee” (cioè
"senza nome del destinatario"), 19 epistole politiche in un libro; e
le 76 epistole “Variae”. È rimasta intenzionalmente esclusa dalle raccolte
l'epistola “Ai posteri”. Le lettere spaziano dagli anni bolognesi sino alla
fine della sua vita e sono indirizzate a vari personaggi suoi contemporanei,
ma, nel caso del XXIV libro delle Familiares, sono rivolte fittiziamente a
personaggi dell'antichità. Sempre delle Familiares è celebre l'epistola incentrata
sull'ascesa al Monte Ventoso. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono / di
quei sospiri ond’io nudriva ’l core in sul mio primo giovenile errore quand’era
in parte altr’uom da quel ch’i’ sono. Petrarca, Voi ch'ascoltate in rime sparse
il suono, prima quartina della lirica d'apertura del Canzoniere). Il “Canzoniere”
è la storia poetica della sua vita interiore vicina, per introspezione e
tematiche, al Secretum. La raccolta comprende 366 componimenti (365 più uno
introduttivo. Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono: 317 sonetti, 29
canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali, divisi tra rime in vita e rime in
morte di Laura, celebrata quale donna superiore, senza però raggiungere il
livello della donna angelo della Beatrice d’Alighieri. Difatti, Laura
invecchia, subisce il corso del tempo, e non è portatrice di alcun attributo
divino nel senso teologico stilnovista-dantesco. Anzi, la storia del “Canzoniere,”
più che la celebrazione di un amore, è il percorso di una progressiva
conversione della sua anima. Si passa, infatti, dal giovanil errore (l'amore
terreno) ricordato nel sonetto introduttivo Voi ch'ascoltate in rime sparse,
alla canzone Vergine bella, che di sol vestita in cui affida la sua anima alla
protezione di dio perché trovi finalmente pietà e riposo. L'opera, che gli richiese
anni di continue rivisitazioni stilistiche -- da qui la cosiddetta limatio
petrarchesca -- prima di trovare la forma definitiva sube ben varie fasi di
redazioni. I "Trionfi" e un poemetto allegorico in volgare toscano,
in terzine dantesche, compost a Milano -- è ambientato in una dimensione
onirica e irreale (strettissimo, per scelta metrica e tematica, è il legame con
la Comedia). Viene visitato d’Amore, che gli mostra tutti gl’uomini che cedeno alle
passioni del cuore. Annoverato tra questi ultimi, Petrarca verrà poi liberato
da Laura, simboleggiante la Pudicizia (Triumphus Pudicitie), che cadrà poi per
mano della Morte (Triumphus Mortis). Petrarca scoprirà dalla stessa Laura,
apparsagli in sogno, che ella si trova nella beatitudine celeste, e che egli
stesso potrà contemplarla nella gloria divina soltanto dopo che la morte lo
avrà liberato dal corpo caduco in cui si ritrova. La Fama poi sconfigge
la morte (Triumphus Fame) e celebra il proprio trionfo, accompagnata da Laura e
da tutti i più celebri personaggi della storia antica e recente. Il moto rapido
del sole suggerisce al poeta alcune riflessioni sulla vanità della fama
terrena, cui fa seguito una vera e propria visione, nella quale al poeta appare
il Tempo trionfante (Triumphus Temporis). Infine il poeta, sbigottito per la
precedente visione, è confortato dal suo stesso cuore, che gli dice di
confidare in Dio: gli appare allora l'ultima visione, un «mondo novo, in etate
immobile ed eterna», un mondo al di fuori del tempo dove trionferanno i beati e
dove un giorno Laura gli riapparirà, questa volta per sempre (Triumphus
Eternitatis). Già quand'era in vita fu riconosciuto immediatamente quale
maestro e guida per tutti coloro che volevano intraprendere lo studio delle
discipline umanistiche. Grazie ai suoi numerosi viaggi in tutta Italia, gettò
il seme del suo messaggio presso i principali centri della Penisola, in
particolar modo a Firenze. Qui, oltre ad aver conquistato alla causa
dell'umanesimo Boccaccio (autore, tra l'altro, di un De vita et moribus domini
Francisci Petracchi de Florentia), trasmise la sua passione a C. Salutati, cancelliere della Repubblica di Firenze e
vero trait d'union tra la generazione petrarchesco-boccacciana e quella attiva
nella prima metà del XV secolo. Coluccio, infatti, fu il maestro di due dei
principali umanisti del '400: Poggio Bracciolini, il più grande scopritore di
codici latini del secolo ed esportatore dell'umanesimo a Roma; e Leonardo
Bruni, il più notevole rappresentante dell'umanesimo civile insieme al maestro
Salutati. Fu il Bruni a consolidare la fama di Petrarca, allorché redasse una
Vita di Petrarca, seguita da quelle di Filippo Villani, Giannozzo Manetti,
Sicco Polenton e Pier Paolo Vergerio. Oltre a Firenze, i soggiorni del poeta in
Lombardia e a Venezia favorirono la nascita di movimenti culturali locali desti
declinare i princìpi umanistici a seconda delle esigenze della classe politica
locale: a Milano, dove operarono letterati del calibro di Pier Candido
Decembrio e di Francesco Filelfo, nacque un umanesimo cortigiano destinato a
diventare il prototipo per tutte le corti principesche italiane; a Venezia si
diffuse, invece, un umanesimo educativo destinato a formare la nuova classe
dirigente della Serenissima, grazie all'attività di Leonardo Giustinian e di
Francesco Barbaro prima, e di Ermolao il Vecchio e dell'omonimo detto il
Giovane poi. Pietro Bembo e il petrarchismo Magnifying glass icon mgx2.svgPietro
Bembo e Petrarchismo. Se nel '400 Petrarca era visto soprattutto come
capostipite della rinascita delle lettere antiche, grazie al letterato e
cardinale veneziano Pietro Bembo divenne anche il modello del cosiddetto
classicismo volgare, definendo una tendenza che si stava progressivamente già
delineando nella lirica italiana. Difatti Bembo, nel dialogo Prose della volgar
lingua, sostenne la necessità di prendere come modelli stilistici e linguistici
Petrarca per la lirica, Boccaccio invece per la prosa, scartando Dante per il
suo plurilinguismo che lo rendeva difficilmente accessibile: «Requisito
necessario per la nobilitazione del volgare era dunque un totale rifiuto della popolarità.
Ecco perché Bembo non accettava integralmente il modello della Commedia di
Dante, di cui non apprezzava le discese verso il basso nelle quali noi moderni
riconosciamo un accattivante mistilinguismo. Da questo punto di vista, il
modello del Canzoniere di Petrarca non presentava difetti, per la sua assoluta
selezione linguistico-lessicale.» (Marazzini) Gianfranco Contini,
grande estimatore di Francesco Petrarca e suo commentatore. La proposta
bembiana risultò, nelle diatribe relative alla questione della lingua, quella
vincente. Già negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione delle
Prose, si diffuse presso i circoli poetici italiani una passione per le
tematiche e lo stile della poesia petrarchesca (stimolata anche dal commento al
Canzoniere di Alessandro Vellutello), chiamata poi petrarchismo, favorita anche
dalla diffusione dei petrarchini, cioè edizioni tascabili del Canzoniere. A
fianco del petrarchismo, però, si sviluppò anche un movimento avverso alla
canonizzazione poetica operata dal Bembo: prima nel corso del Cinquecento,
allorché letterati come Francesco Berni e Pietro Aretino svilupparono
polemicamente il fenomeno dell'antipetrarchismo; poi, nel corso del Seicento,
la temperie barocca, ostile all'idea di classicismo in nome della libertà
formale, declassò il valore dell'opera petrarchesca. Riabilitato parzialmente
nel corso del Settecento da Ludovico Antonio Muratori, Petrarca ritornò
pienamente in auge in seno alla temperie romantica, quando Ugo Foscolo prima e
Francesco De Sanctis poi, nelle loro lezioni universitarie di letteratura
tenute dal primo a Pavia, e dal secondo a Napoli e a Zurigo, furono in grado di
operare un'analisi complessiva della produzione petrarchesca e ritrovarne
l'originalità. Dopo gli studi compiuti da Giosuè Carducci e dagli altri membri
della Scuola storica compiuti tra fine '800 e inizi '900, il secolo scorso
vide, per l'area italiana, Gianfranco Contini e Giuseppe Billanovich tra i
maggiori studiosi del Petrarca. Petrarca e la scienza diplomatica Magnifying
glass icon mgx2.svg Diplomatica. Benché la diplomatica, ovvero la scienza che
studia i documenti prodotti da una cancelleria o da un notaio e le loro
caratteristiche estrinseche ed intrinseche, sia nata consapevolmente con Jean
Mabillon nel 1681, nella storia di tale disciplina sono stati individuati dei
precursori che, inconsapevolmente, nella loro attività filologica, hanno
analizzato e dichiarato l'autenticità o meno anche di documenti oggetto di
studio da parte della diplomatica. Tra questi, infatti, vi furono molti
umanisti e anche il loro precursore e fondatore, Francesco Petrarca. Nel 1361,
infatti, l'imperatore Carlo IV chiese al celebre filologo di analizzare dei
documenti imperiali in possesso di suo genero, Rodolfo IV d'Asburgo, che sarebbero
stati stilati da Giulio Cesare e da Nerone a favore dell'Austria che
dichiaravano tali terre indipendenti dall'Impero. Petrarca rispose con la
Seniles in cui, evidenziando lo stile, gli errori storici e geografici e il
tono (il tenore) della lettera (tra cui la mancanza della data topica e della
data cronologica propria dei diplomi), negò la validità di questo
diploma. Onorificenze Laurea poeticanastrino per uniforme ordinario. Laurea
poetica — Roma. A Petrarca è intitolato il cratere Petrarca su Mercurio. L'epistola,
scritta in risposta a una missiva in cui l'amico Giovanni Boccaccio gli
chiedeva se fosse vera l'invidia che Petrarca nutriva per Dante, contiene
l'accenno all'incontro, in età giovanile, con il più maturo poeta: «E
primieramente si noti com'io mai non ebbi ragione alcuna d'odiare cotal uomo,
che solo una volta negli anni della mia fanciullezza mi venne veduto.»
(Delle cose familiari). La critica, se l'incontro sia da attribuirsi a Pisa o
ad altre località, è divisa: Ariani e Ferroni, nota 6 propendono per la città
toscana, mentre Rico-Marcozzi pensano a un incontro avvenuto a Genova quando la famiglia di ser Petracco si stava
dirigendo in Francia. Pacca4 opera un'interpretazione intermedia tra le due
città, benché ritenga che sia più probabile Pisa come luogo effettivo
dell'incontro. Dello stesso parere, infine, anche Dotti. Si legga il brano
dell'epistola, in cui Petrarca ricorda il loro primo incontro e il
piacevolissimo periodo trascorso nella località francese: «e noi fanciulli ancora
impuberi partimmo in un cogli altri, ma fummo con speciale destinazione per
imparare grammatica mandati a scuola a Carpentrasso, piccola città, ma di
piccola provincia città capitale. Ricordi tu que' quattro anni? Quanta gioia,
quanta sicurezza, qual pace in casa, qual libertà in pubblico, quale quiete,
qual silenzio ne' campi!» (Lettere Senili, X, 2, traduzione di G.
Fracassetti) Petrarca mostrò, nei
confronti di tale scienza, sempre un'avversione innata, come è esposto nella
Familiares, XX, 4, in cui il futuro autore del Canzoniere scrive a Marco
Genovese che a Montpellier prima e a Bologna poi «ben altro in quegli anni fare
io poteva o in se stesso più nobile o alla natura mia meglio conveniente: né
sempre nella elezione dello stato quello ch'è più splendido, ma quello che a
chi lo sceglie è più acconcio preferire si deve.» (Delle cose familiari).
Come però ricorda Wilkins, la scelta di Petrarca di entrare a far parte della
Chiesa non fu soltanto dettata dalla cinica necessità di ottenere i proventi
necessari per vivere. Nonostante non avesse mai avuto la vocazione per la cura
delle anime, Petrarca ebbe sempre una profonda fede religiosa. A sviluppare la tesi dell'identificazione di
Laura con tale Laura de Sade è la stessa testimonianza di Petrarca nella
Familiares, II, 9 a Giacomo Colonna, il quale cominciò a mostrarsi dubbioso
sull'esistenza di questa donna (si veda Delle cose familiari, Più precisamente,
nella Nota a379, Fracassetti fa riemergere la vita della presunta amata del
Petrarca: «Da Odiberto e da Ermessenda di Noves nobile famiglia di Avignone
nacque una fanciulla, cui fu dato il nome di Laura. Fa fatta per man di notaio
la scritta nuziale fra Laura ed Ugo De Sade gentiluomo Avignonese. Due anni più
tardi nella chiesa di S. Chiara di questa città, a quell'ora del giorno che
chiamavano prima, il Petrarca giovane allora di poco più che ventidue anni la
vide» Si legga l'episodio di come
fossero stati dati alle fiamme dei libri di Virgilio e Cicerone, cosa che
suscitò il pianto nel giovane Petrarca. Al che il padre, vedendolo così
affranto «d'una mano porgendo Virgilio, dall'altra i rettorici di Cicerone:
"tieni, sorridendo mi disse, abbiti questo per ricrearti qualche rara
volta la mente, e quest'altro a conforto e ad aiuto nello studio delle
leggi".» (Lettere Senili Il codice, dopo la morte di Petrarca passò
nelle mani di Francesco Novello da Carrara, nuovo signore di Padova. Quando
questa città verrà conquistata, agli inizi del '400, da Gian Galeazzo Visconti,
anche il patrimonio bibliotecario petrarchesco passò nelle mani dei duchi
milanesi, che lo conservarono nella loro biblioteca di Pavia. Fu poi sistemato
nella Pinacoteca Ambrosiana, grazie all'intervento del suo fondatore, il
cardinale Federigo Borromeo arcivescovo di Milano. Si veda: Cappelli. Da questo
momento in avanti, Petrarca non esitò a chiamare Avignone la novella
Babilonia di apocalittica memoria, come testimoniato dai celebri sonetti
avignonesi facenti parte del Canzoniere. Oltre a motivazioni di carattere
morale, ci fu anche la profonda delusione che suscitò la decisione di Benedetto
XII di non recarsi a prendere possesso ufficialmente della sua sede vescovile e
ristabilire così pace in Italia (Ariani). Petrarca scrisse, riguardo alla morte
del vecchio amico e protettore, due lettere commoventi: la prima, al fratello
di Giacomo, il cardinale Giovanni (Delle cose familiari; la seconda, all'amico
A. Tosetti, soprannominato Lelius (Delle cose familiari, traduzione di G.
Fracassetti). Nella Nota alla prima Fracassetti ricorda come Petrarca, nella
Familiares, V, 7, avesse avuto, in sogno, il presagio della morte del Vescovo
di Lombez venticinque giorni prima della sua effettiva scomparsa. Cappelli55. Significativa la ricostruzione
storico-letteraria compiuta da Amaturo, ove si rievocano le figure di intellettuali
che si legarono, tra XIII e XIV secolo, alla biblioteca capitolare veronese
(Giovanni De Matociis, Dante e Pietro Alighieri, Benzo d'Alessandria, Vincenzo
Bellovacense) e le rarità che essa conteneva (codici contenenti le lettere di
Plinio il Giovane; parte dell'Ab Urbe condita liviana che Petrarca utilizzò per
la ricostruzione filologica del codice Harleiano; le orazioni ciceroniane
citate; il Liber catulliano). Boccaccio
esprimerà la sua indignatio nell'Epistola X
indirizzata a lui, ove, grazie alla tecnica retorica dello sdoppiamento
e a topoi letterari, Boccaccio si lamenta col magister di come Silvano (il nome
letterario usato nella cerchia petrarchesca per indicare il poeta laureato)
avesse osato recarsi presso il tiranno Giovanni Visconti (identificato in
Egonis):«Audivi, dilecte michi, quod in auribus meis mirabile est, solivagum
Silvanum nostrum, transalpino Elicone relicto, Egonis antra subisse, et
muneribus sumptis ex pastore castalio ligustinum devenisse subulcum, et secum
pariter Danem peneiam et pierias carcerasse sorores». Inoltre, bisogna
ricordare che la scelta di risiedere a Milano era anche uno schiaffo alla
proposta delle autorità fiorentine di occupare un posto come docente nello
Studium, occupazione che gli avrebbe concesso di rientrare in possesso dei beni
paterni sequestrati. L'arcivescovo Giovanni II Visconti, difatti, proseguì la
politica espansionistica dei suoi predecessori a danno delle altre potenze
dell'Italia centro-settentrionale, tra le quali spiccava Firenze. Le ostilità
tra Milano e Firenze perdureranno fino a metà '400, quando salì al potere come
duca dello Stato lombardo Francesco Sforza, che intraprese una politica di
alleanza con Firenze grazie all'amicizia personale che lo legava a Cosimo de'
Medici. Durante l'epidemia di peste
milanese, morì il figlio Giovanni (Pacca), nato da una relazione
extraconiugale. I rapporti con il figlio, al contrario di quanto avvenne con la
secondogenita Francesca, furono assai burrascosi a causa della condotta ribelle
di Giovanni (Dotti) accenna all'odio che Giovanni provava verso i libri, «quasi
fossero serpenti»). Come ricordato nella Familiares. Si separa dal figlio
Giovanni, che tornò ad Avignone in seguito a non precisati dissapori (Familiares);
tre anni dopo sarebbe tornato a Milano.» (Rico-Marcozzi) Il ravennate Giovanni Malpaghini fu
presentato da Donato degli Albanzani a
Petrarca che, rimasto colpito dalle sue qualità letterarie e dalla sua pronta
intelligenza, lo prese al suo servizio quale copista. La collaborazione tra i
due uomini, durata appunto si interruppe il 21 aprile di quell'anno, quando il
Malpaghini decise di lasciare l'incarico presso l'Aretino. Per maggiori
informazioni biografiche, si veda la biografia di Signorini. Petrarca, nella Seniles informa il fratello
Gherardo, tra le altre cose, anche della sua nuova dimora sui colli Euganei,
dandone un quadro piacevole e ameno: «E per non dilungarmi di troppo della mia
chiesa, qui fra i colli Euganei, non più lontano che dieci miglia da Padova mi
fabbricai una piccola ma graziosa casina, cinta da un oliveto e da una vigna
che dan quanto basta a una non numerosa e modesta famiglia. E qui, sebbene
infermo del corpo, io vivo dell'animo pienamente tranquillo lungi dai tumulti,
dai rumori, dalle cure, leggendo sempre e scrivendo. Lettere Senili. La lettera non può essere considerata
"reale", ma piuttosto una rielaborazione voluta dal Petrarca.
Difatti, a quell'altezza, il giovane Petrarca non era ancora entrato in
contatto con il padre agostiniano, e la scelta della data (corrispondente al
Venerdì Santo) e del luogo (la salita al monte rievoca l'immagine della
Passione di Gesù sul Calvario) rendono ancora più "mitica"
l'ambientazione. Si veda, per quanto riguarda la ricostruzione filologica e
cronologica dell'epistola, il saggio di Giuseppe Billanovich, Petrarca e il
Ventoso, in Italia medioevale e umanistica,
9, Roma, Antenore, Il
ventiquattresimo libro delle Familiares è composto da lettere indirizzate a
vari personaggi dell'antichità classica. Per Petrarca, infatti, gli antichi non
sono lontani e irraggiungibili: la costante lettura delle loro opere fa sì che
Cicerone, Orazio, Seneca, Virgilio vivano attraverso queste ultime, rendendo i
rapporti tra Petrarca e i suoi ammirati scrittori classici vicini per la
comunanza di sentimento. L'Otium degli
antichi romani non consisteva unicamente nel riposo dagli impegni quotidiani,
indicati sotto il sostantivo di negotium. Per Cicerone, l'otium non era
soltanto il riposo dalle attività forensi e politiche, ma soprattutto il ritiro
nella propria intimità domestica col fine di dedicarsi alla letteratura (De
officiis, III, 1). In questo caso, il modello petrarchesco è affine a quello
stoicheggiante dell'oratore romano. Si veda il riassunto operato da
Laidlaw, 42-52 che ripercorre la
concezione all'interno della letteratura latina. Per Cicerone, nello specifico
si vedano le pagine Laidlaw, 44-47. Termine di origine catulliana, Petrarca lo
prende in prestito per descrivere le liriche come "diversivo,
passatempo". La questione delle nugae volgari e, più in generale, delle
opere latine, è esposta nella Familiares (Delle cose familiari) Guglielmino-Grosser
I testi sono raccolti nel codice
Vaticano Latino come ricordato da Santagata,
Bisogna ricordare che Il Canzoniere non raccoglie tutti i componimenti
poetici del Petrarca, ma solo quelli che il poeta scelse con grande cura: altre
rime (dette extravagantes) andarono perdute o furono incluse in altri
manoscritti (cfr. Ferroni).
L'inquietudine petrarchesca nasce, quindi, dal contrasto tra
l'attrazione verso i beni terreni (tra cui l'amore per Laura) e l'aspirazione
all'assoluto divino, propria della cultura medievale e della religione
cristiana, come ricordato da Guglielmino-Grosser186. Petrarca mantenne, nell'ambito della lirica
volgare, quell'aristocraticismo stilistico-lessicale prima accennato, in cui si
rifiutano molti usi lemmatici presenti nella tradizione poetica italiana e che
Petrarca rifiuterà, accogliendone un preciso gruppo ristretto ed elitario. Come
ricorda Marazzini, Si delinea una tendenza del linguaggio lirico al 'vago',
inteso nel senso di una genericità antirealistica (al contrario di quanto
accade nel corposo realismo della Commedia), testimoniato anche dalla
polivalenza di certi termini, i quali, come l'aggettivo dolce, entrano in un
numero molto grande di combinazioni diverse. Eppure la lingua di Petrarca,
selezionata e ridotta nelle scelte lessicali, accoglie un buon numero di
varianti canonizzando un polimorfismo...in cui si allineano la forma toscana,
quella latineggiante, quella siciliana o provenzale...» Di Benedetto170. Si ricorda anche che, seppur
in forma minore, era presente nel mondo letterario italiano del '400 anche
un'ammirazione verso il Petrarca volgare, come testimoniato dalle edizioni a
stampa del Canzoniere e dei Trionfi uscite nel 1472 dalla bottega dei padovani
Bartolomeo Valdezocco e Martino "de Septem Arboribus" (cfr. Ente
Nazionale Francesco Petrarca, Culto petrarchesco a Padova.).Riferimenti bibliografici la notte
Casa Petrarca Arezzo, Regione Toscana Wilkins Ariani21. Più
specificamente Bettarini: «dopo essere stato accusato di aver falsificato un
istrumento notarile, fu così condannato al pagamento di 1000 lire e al taglio
della mano destra». Dotti Bettarini e Pacca Per informazioni
biografiche, si veda la voce Pasquini.
Il ricordo di Petrarca al riguardo è riportato in Lettere Senili,
Pasquini: «Quanto al Petrarca, il magistero di C[onvenevole] si colloca
indubbiamente. La Casa del Petrarca, su arqua petrarca.com. Pacca Si legga il
brano della Lettere Senili, Il brano è ricordato anche da Wilkins Ariani Wilkins
Rico-Marcozzi. Si recò a studiare a Bologna, seguito da un maestro privato...»;
e Wilkins in cui si ritiene che questo maestro avesse «l'incarico, almeno per
Francesco e Gherardo, di fungere in loco parentis». Ariani Ariani, Wilkins, Dotti Bettarini. Cappelli Pacca Rico-Marcozzi; Ferroni Wilkins, Wilkins, Rico-Marcozzi. Giacomo Colonna reclutò
Petrarca per la sua corte vescovile di Lombez, in Guascogna: ne avrebbero fatto
parte il cantore fiammingo Ludovico Santo di Beringen e l'uomo d'armi romano
Lello di Pietro Stefano dei Tosetti, che Petrarca battezzò in seguito,
rispettivamente, Socrate e Lelio.»
Ferroni Pacca Alinari:.., su alinariarchives La distinzione tra le due
scuole di pensiero emerge in Ferroni,
Ariani ricorda che il primo sostenitore del filone allegorico-letterario
fu il giovane Giovanni Boccaccio nel suo De vita et moribus domini Francisci
Petrarche. Ariani28. Dotti, specifica
che questo san Paolo fu acquistato per procura a Roma e che il volume proveniva
da Napoli. Ariani35. Per maggiori approfondimenti biografici, si
veda la biografia di Moschella.
Moschella: «Suggello ideale dell'amicizia tra i due fu il dono, da
parte di Dionigi, di una copia delle Confessiones di s. Agostino. Billanovich Billanovich, Wilkins e Pacca Wilkins; Wilkins Rico-Marcozzi. Nel frattempo
aveva raggiunto Roma accolto da fra Giovanni Colonna al termine di un avventuroso
viaggio, e dove nella sua prima lettera contemplando dal Campidoglio le rovine
dell’Urbe, manifestò la meraviglia per la loro grandezza e maestosità, dando
forma a quella riscoperta dell’antichità classica e al rimpianto per la sua
decadenza che divennero i cardini etici, estetici e politici dell’Umanesimo. Pacca
Dotti, Dotti Mauro Sarnelli, Petrarca e
gli uomini illustri, Treccani). Ariani Certo il privilegio toccava, del tutto
straordinariamente, a un poeta che ancora non aveva pubblicato molto per
meritarselo: ma la protezione dei potenti Colonna e la rete di estimatori che
aveva saputo intessere per tempo sono evidentemente bastate a valorizzare al
massimo le epistole metriche, la fama dell'Africa. e del De viris, le rime
volgari già note...» Dello stesso avviso anche Pacca74 e
Santagata19. Moschella. Dionigi fa
ritorno in Italia; dopo un breve soggiorno a Firenze, giunse a Napoli (cfr.
Petrarca, Familiares), dove l'aveva voluto il re Roberto d'Angiò, che per
l'agostiniano nutriva una profonda stima, oltre a condividerne gli interessi
per l'astrologia giudiziaria e per i classici latini.» Wilkins34: «La conoscenza dell'antica
tradizione e delle due o tre incoronazioni celebrate da singole città in tempi
moderni, insieme all'aspirazione a diventare famoso, accese inevitabilmente in
Petrarca il desiderio di ricevere a sua voglia quell'onore. Egli confidò
dapprima il suo pensiero a Dionigi da Borgo San Sepolcro e a Giacomo Colonna, e
ne venne a conoscenza anche qualche persona che aveva legami con
l'Parigi.» Si legga il brano della
lettera dove inizia la decantazione delle lodi nei confronti del re napoletano:
«E chi dico io, e lo dico con pieno convincimento, in Italia, anzi in Europa
più grande di re Roberto Delle cose familiari, II, 4, traduzione di G.
Fracassetti) Wilkins; Rico-Marcozzi. Sulla
base dei contraddittori racconti di Petrarca si dovrebbe dedurre che nello
stesso giorno questi avesse ricevuto l’invito a cingere la corona sia dal
Senato di Roma sia da Parigi e avesse chiesto consiglio al cardinal Colonna decidendo
di scegliere Roma (IV 5, 6), per ricevere la laurea "sulle ceneri degli
alti poeti che ivi dimorano".» Difatti Petrarca riteneva che
l'ultima incoronazione a Roma fosse stata quella di Stazio e che quindi, se vi
fosse stato incoronato, sarebbe stato direttamente un successore degli antichi
poeti classici da lui tanto amati (Pacca).
Cfr., ad esempio, Rico-Marcozzi; Wilkins, Ariani, Pacca74. Rico-Marcozzi. Sono le date fornite da
Petrarca ([Familiares]), e la più probabile sembra essere la seconda; tuttavia
Boccaccio situa l'evento il 17 e il documento ufficiale, il Privilegium
laureationis, almeno in parte redatto dallo stesso Petrarca, reca la data. Lacultur,
biografia di Francesco Petrarca, su lacultur.altervista.org. Wilkins; Dotti. «In Avignone egli vedeva
simbolicamente la corruzione della Chiesa di Cristo e l'intollerabile esilio di
Pietro.» Paravicini Bagliani. Moschella.
Petrucci. Wilkins, Così
Ariani, Wilkins sostiene invece che Cola sia giunto ad Avignone a Wilkins4
«Cola si intrattenne parecchi mesi e in quel periodo strinse amicizia con
Petrarca. Cola era ancor giovane e poco noto; ma i due uomini avevano in comune
un grande entusiasmo per la Roma antica e cristiana, una grande preoccupazione
per lo stato presente della città e una grande speranza per la restaurazione
dell'antica potenza e dell'antico splendore.» Il Mondo di Petrarca Ariani, il quale ricorda, a testimonianza della
rottura coi Colonna, Bucolicum carmen, VIII, intitolato Divortium (cfr.
Bucolicum carmen. Santagata16 ricorda inoltre come i legami tra Petrarca e il
cardinale Giovanni non fossero mai stati buoni come con il fratello di lui
Giacomo: «a differenza di Giacomo...il cardinale restò sempre il dominus. Rico-Marcozzi.
Pacca e Cappelli. Dotti, Wilkins, Ariani46.
Troncarelli. Waley. Pacca, Padova, sRico-Marcozzi: «Giacomo II da
Carrara, signore di Padova, che gli fece
ottenere un ulteriore e ricco canonicato da 200 ducati d'oro l'anno e una casa
nei pressi della cattedrale». Ariani49.
Una prospettiva generale del rapporto tra Petrarca e Boccaccio è esposto
in Rico, Branca87. Rico-Marcozzi: «Solo in autunno si trasferì
ad Avignone, per scoprire (almeno secondo quanto affermato in Familiares) che
gli si offriva la segreteria apostolica, già a suo tempo rifiutata, e un
vescovado». Ariani, Ferroni; D. Ferraro,
Petrarca a Milano. Le ragioni di una scelta, Rinascimento; Firenze: Olschki, Viscónti,
Galeazzo II, su treccani. Pacca, Amaturo. Ma è fuor di dubbio che tra il poeta
e i suoi nuovi signori si istituiva come un patto di mutuo interesse: da un
lato egli si avvantaggiava della posizione di prestigio che gli offriva
l'amicizia dei Visconti; d'altro lato acconsentiva tacitamente a essere
adoperato in missioni diplomatiche, non numerose invero, né discordanti con i
suoi ideali civili. Ariani Cappelli La riflessione petrarchesca si indirizza
sempre più ad hominem e ad vitam, all'uomo concreto nella sua circostanza
concreta, si nutre di meditazione interiore, progetta un'opera capace di
delineare una parabola esemplare in cui lo scrittore propone se stesso e la
cultura di cui è portatore come modello capace di confrontarsi su tutti i
terreni.» Rico-Marcozzi: «il
Secretum...composto in tre fasi successive. Ferroni Ariani Cappelli Wilkins
Vicini Retore originario di Pratovecchio, Donato degli Albanzani fu intimo
amico sia di Petrarca che di Boccaccio. Per quanto riguarda i rapporti con il
primo si ricordano, oltre le missive indirizzategli dall'Aretino, anche alcune
egloghe del Bucolicum Carmen, in cui è chiamato con il senhal di Appenninigena.
Si veda la voce biografica Martellotti.
U. Dotti, Petrarca civile: alle origini dell'intellettuale moderno,
Donzelli Editore, Wilkins, espone
dettagliatamente le trattative tra Petrarca e la Serenissima, citando anche il
verbale del Maggior Consiglio con cui si procedette all'approvazione della
proposta petrarchesca. Per ulteriori informazioni, si veda Gargan, Lettere Senili, traduzione di G. Fracassetti,
Si ricordi la visita dell'amico Boccaccio, quando però Petrarca si era recato
momentaneamente a Pavia su richiesta di Galeazzo II. Nonostante l'assenza
dell'amico, Bocca ccio trovò una calorosa accoglienza da parte di
Francescuolo e di Francesca, trascorrendo giorni piacevoli nella città
lagunare (Cfr. Wilkins,
Rico-Marcozzi -- fece ritorno a Venezia dove fu raggiunto dalla figlia
Francesca maritata al milanese Francescuolo da Brossano.» Pacca,
Ma...bisogna dire che il vero valore del De ignorantia consiste nella
vigorosa affermazione della filosofia morale sulla scienza naturale. Ed è
questo il motivo della sua inferiorità rispetto a scrittori come Platone,
Cicerone e Seneca; perché per Petrarca la cultura "è subordinata alla vita
morale dell'uomo. Casa del Petrarca, Arquà.
Wilkins Ariani Wilkins, Billanovich. Petrarca designacon indicazioni
esplicite anche per noi remoti quale loro custode un letterato padovano,
Lombardo della Seta, mediocre per ingegno e per dottrina, ma cliente premuroso
del maestro, di cui in una intima familiarità negli ultimi anni aveva
lentamente conosciuto le abitudini e filialmente soddisfatto i desideri.
Così...era promosso subito a buon segretario. Ariani G. Baldi, M. Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia,
dalla storia al testo, Paravia Wilkins La tomba del Petrarca. Canestrini e Dotti, Millocca, Francesco, Leoni, Pier Carlo, in
Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Si veda Analisi Genetica dei resti
scheletrici attribuiti a Petrarca. Si
veda inoltre Petrarcail poeta che perse la testain The Guardian sulla
riesumazione dei resti di Petrarca.
Ricchissima la al proposito: si
ricordino i libri citati in, tra cui Cappelli, L'umanesimo italiano da Petrarca
a Valla; i saggi curati da Giuseppe Billanovich (tra cui l'opera sua più
importante, Billanovich, Petrarca letterato, uno dei maggiori studiosi del
Petrarca; i libri di Pacca, Ariani e Wilkins.
Pacca e Cappelli, Garin. Si veda
il lungo articolo di Lamendola al riguardo, in cui si espone anche la chiave di
lettura dei classici latini nel corso dell'età medioevale. Dotti, Magdi A. M. Nassar, Numismatica e
Petrarca: una nuova idea di collezionismo, Il collezionismo numismatico
italiano. Una storica e illuminata tradizione. Un patrimonio culturale del nostro
Paese., Milano, Numismatici Italiani Professionisti, Billanovich Per la
datazione cronologica, cfr. Billanovich. Il Petrarca formò tra i venti e i
venticinque anni il Livio Harleiano»; Le scoperte e i restauri degli Ab Urbe
condita eseguiti dal Petrarca sul palcoscenico europeo di Avignone; Cappelli, Billanovich,
Billanovich, Un riassunto veloce è esposto anche da Ariani63. Cappelli42 e Ariani62. Cappelli,
Albertini Ottolenghi, Albertini
Ottolenghi. Significativo il titolo del settimo capitolo di Ariani. Lo scavo
introspettivo. Ferroni10. Ferroni,
Ferroni10 e Guglielmino-Grosser178. Petrarca, Africa, Cappelli e Guglielmino-Grosser Dotti,: I versi vennero
infatti riconosciuti bellissimi, ma tali da non convenirsi alla persona cui
erano posti in bocca, in quanto degni piuttosto di un personaggio cristiano che
di uno pagano.» Santagata. Il
gesto di fastidio con il quale si liberò quasi sùbito delle superfetazioni
scolastiche ha il suo esatto corrispettivo nel rifiuto dell'imponente edificio
logico e scientifico della filosofia Scolastica a favore di una ricerca morale
orientata, con la guida determinante dell'agostinismo, verso il soggetto e
l'interiorità della coscienza. Delle cose familiari, Guglielmino-Grosser, confrontando
Dante, il quale non ha trasmesso ai posteri dati biografici della propria vita,
e Petrarca, afferma che quest'ultimo «fornendoci una grande quantità di
informazioni dettagliate sulla sua vita quotidiana, vere o false che siano,
mira a trasmettere di sé un'immagine concreta».
Dotti, sulla base della Familiares delinea il senso del messaggio
umanistico lanciato da Petrarca: «...parlare con il proprio animo non serve:
bisogna affaticarsi ad ceterorum utilitatem quibuscum vivimus, per l'utilità di
coloro con i quali viviamo in questa terrena società, ed è certo che con le
nostre parole possiamo giovare: quorum animos nostris collucutionibus plurimum
adiuvari posse non ambigitur (Familiares). Il colloquio umano è dunque lo
strumento dell'autentico processo umanistico...Sua mercé si saldano e si
congiungono gli spazi più lontani...I comuni principi morali, dunque, e
l'indagine costante e irreversibile sono la molla di un processo che non può
aver fine se non con la morte dell'umanità medesima, e il discorso, il colloquio
e la cultura ne sono il filo conduttore.»
Viaggi nel TestoAutori della letteratura Italiana, su internetculturale.
Si ricordino i celebri versi di Pd in cui l'avo Cacciaguida gli profetizza la
durezza dell'esilio: Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è
duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale Guglielmino-Grosser Guglielmino-Grosser
Marazzini Santagata/ La riforma di Petrarca consiste nell'introdurre entro
l'universo senza regole della rimeria coeva la disciplina, l'ordine, la pulizia
formale, lo stesso aristocraticismo propri delle più compatte 'scuole'
duecentesche. Luperini, Il plurilinguismo di Dante e il monolinguismo di
Petrarca secondo Gianfranco Contini.
Delle cose familiari, traduzione di G. Fracassetti, Pulsoni Giuseppe
Pizzimentig Opera: Altichiero, San Giorgio battezza Servio re di Cirene; Si
veda, per maggiori informazioni, Pacca, Per
maggior informazioni, si veda il saggio di Fenzi. Si veda il saggio di Dotti
sulle Epistolae metricae. Pacca, Pacca,
Ferroni14. Amaturo, Cappelli Ferroni, Pacca; Santagata; Amaturo, Le
epistolae retrodatate furono, secondo Santagata, probabilmente scritte ex novo
perché fossero aderenti al progetto culturale-esistenziale idealizzato dal
Petrarca. Guglielmino-Grosser; Ferroni; Ariani;
Dionisotti. Salutati e dopo la morte del Petrarca e del Boccaccio, il più
autorevole umanista italiano, unico erede di quei grandi.» Dionisotti. Dopo lungo intervallo, Boccaccio compose
in volgare una succinta vita di Alighieri cui fece seguire un'assai più
succinta vita del Petrarca e un conclusivo paragone fra i due poeti. Cappelli, Di Benedetto Si veda la voce enciclopedica
curata da Praz e Di Benedetto Ariani Pacca, Petrarca e Bresslau, Lettere Senili, traduzione di G. Fracassetti,
M. Albertini Ottolenghi, Note sulla biblioteca dei Visconti e degli Sforza nel
Castello di Pavia, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria, Raffaele Amaturo, Petrarca, con due capitoli
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plurilinguismo di Dante e il monolinguismo di Petrarca secondo G. Contini, V. Pacca.
Catalogo dei Compositori e delle opere Musicali sulle rime di su Artemida. Le
tre corone fiorentine della lingua italiana. Francesco Petrarca. Petrarca.
Keywords: implicature, cicerone, I lizij, lucrezio, filosofia Latina, filosofia
romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Petrarca.” Luigi Speranza, “Il dialogo filosofico – Platone, Cicerone, Petrarca
e Grice.”
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Grice e Petrone – il determinismo –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Limosano). Filosofo. Grice: “I like some phrases by Petrone:
‘il mondo del spirito,’ ‘idealista’, etc.’” Grice: “Some of his philosophese is
totally untranslatable to Oxonian, such as ‘la nostra guerra’.” Insegna a Modena e Napoli. Cerca di conciliare
l'oggettivismo dei linzij con il soggettivismo critico. Dei Lincei. Collabora a
“Cultura Sociale politica e letteraria”. In “Il Rinnovamento” si espresse criticamente
sulla condenna del modernism da Pio X. Altre saggi: “Filosofia come analisi” (Pisa,
Spoerri); “Psico-Genesi” (Roma, Balbi) – cfr. psico-genesi nella teoria della
comunicazione di Grice --; “I limiti del
determinismo” (Modena, Vincenzi); “Idee
morali del tempo” (Napoli, Pierro); “Uno stato mercantile”; “La premessa del comunismo” (Napoli, Tessitore);
“Confessioni di un idealista” (Milano, Sandron); “Lo spirito” (Milano,
Milanese); “A proposito della guerra nostra” (Napoli, Ricciardi); “Etica” (Palermo,
Sandron)“Ascetica” (Palermo, Sandron); “La vita nova” (Cecchini, Roma, Storia e
letteratura); “Filosofia politica”; “La terra nella economia capitalistica”;
“Il latifondo siciliano”; “La legge aggraria”; “Il diritto al lume
dell’idealismo critico”; “La conezione materialistica della storia” spirito”;
“L’etica come intuizione” -- – contro Labriola --. “La storia interna” “Il
valore della vita”, “L’inerzia della volonta”; “La’energia profonda dello
spirito”; “La fase della filosofia del diritto”; “I caratteri differenziati del
diritto” -- Cf. Tyrrell. (cf. A. M. G. –
“Tyrrell and Tyrrell”). Avevamo già corretto le stampe di questo articolo,
quando ci giunse l'ultimo numero del Rinnovamento di Milano (pieno di tutto
fiele contro l'enciclica. Nella sostanza si accorda pienamente col programma
dei modernisti, ma nella violenza della forma e nella irriverenza del
linguaggio lo passa di molto; e trascende con
Petrone (L'Enciclica di Pio X) a stravolgimenti indegni dello spirito e
del senso dell'enciclica. Ed ancora sullo stesso periodico. Ma peggio ancora spropositò
su questo punto nel Rinnovamento mostrando di aver ben poco compreso e del
modernismo e dell'enciclica che lo condanna. Dizionario di filosofia, Treccani Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Igino
Petrone. Petrone. Keywords: determinismo, l’eroe, Ennea, eroe stoico, l’eroe
sannita, il sannio, la lega sannitica, spirito, inerza della volonta, due
direzioni dell’inerzia della volonta, contro Gentile, contro Nietzsche, umano,
non sovrumano, filosofia del diritto, lo spirito, liberta dello spirito, il
limite della pscogenesi della morale, il principio dell’amore proprio, il
principio della benevolenza, amore proprio conversazionale, benevolenza
conversazionale, il sentiment morale, filosofia del diritto, communismo
giuridico, la simplificazione di labriola, contro labriola, criticismo,
idealism critico, meditazioni di un idealista, Gentile contro Petrone, Croce
contro Petrone – l’identita sannia, psicologia del sannita, i romani contro i
sannita, la prima guerra sannita, la seconda guerra sannita, la terza guerra
sannitica – la repubblica romana, l’espansionismo dei romani nell’Italia, I
romani contro I sanniti – bassorilievo dei sanniti, I liguri e I sannita, le
popolazione italiche, economia e psicologia del Molise, il sannio, la
complessita dello spirito della filosofia italiana. Il linguaggio sannita, il
linguaggio umbro, il linguaggio osco – il linguaggio falisco, limosano,
musanum, limosanum, un stato mercantile chiuse, Fichte contro Marx, Nietzsche,
il valore della vita, il problema morale, la filosofia del diritto, diritto
positivo, diritto naturale, la filosofia politica nel criticismo, azione,
l’etica e l’ascetica, l’etica dell’eroe come azione, l’energia dello spirito
contro l’inerza della volonta – l’inerza della volonta nell’elezione dei fini;
l’inerza della volonta nell’elezione dei mezzi; il spirito contro la volonta, I
limiti dei determinismo, l’indeterminismo dello spirito, la causa dello
spirito, causa spirituale dell’agire umano, lo spirito umano. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Petrone” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738846948/in/datetaken/
Grice e Pezzarossa -- eloquenza
lombarda – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Filosofo. Grice: “He wrote a LOT! Including a
study (or ‘ragionamento,’ as the Italians call it) on the spirit (spirito) of
Italian philosophy, which reminded me of Warnock, the irishman, and his search
for the soul of English philosophy!” -- Giuseppe Pezzarossa (o Pezza-Rossa –
Grice: “In which case, he is in the “R”s”). Studia a Mantova. Insegna a
Mantova. Co-involto nella repressione che porta al martirio di Belfiore. Di idee
tendenzialmente liberali e preoccupato sulle
condizioni sociali disagiate create dalla sorgente rivoluzione industriale che
pure ai suoi occhi rappresenta un'occasione di progresso. La pubblicazione del suo saggio di filosofia
gli procura guai con la Congregazione dell'Indice. Partecipa attivamente ai
moti. Condanato al carcere. Pezza-Rossa e uno dei vente che partecipano alla
prima riunione costitutiva del comitato rivoluzionario. Saggi: “Critica della
filosofia morale” (Milano, Stamperia Reale); “Lo spirito della nazione italiana”
(Mantova, Elmucci); “Saggi di filosofia” (Mantova, Caranenti). C. Cipolla,
Belfiore I comitati insurrezionali del Lombardo-Veneto ed il loro processo a
Mantova” (Milano, Angeli); R. Pavesi, Il confronto fra don Tazzoli e don Pezza-Rossa
in una prospettiva filosofica, in Tazzoli e il socialismo Lombardo” (Milano, Angeli).
La prova sull’esistenza esteriore. Confutazione dello scetticismo. Dante e la
filosofia. Lo spirito della filosofia italiana. Sistema di psicologia empirica.
Il fondamento, il processo e il sistema della umana esistenza. Il sistema
politico e sociale della nazione italiana; il sucidio, il sacrifizio della vita
e il duello, supra il suicidio, la grammatica ideologica, ossia le leggi comuni
di ogni parlare dedotte da quelle del pensare, Milano, la Facolta inventrice. I
romani vinti dai longobarrdi conservano la proppia legge. La filosofia
dell’esperienza. Il metodo sperimentale. LoSpiritodellafilosofiaitaliana.
Ragiona mento. Mantova. L'Autore non pretende io questo Ragionamento a novità
di principii, nè a confutazione di scuole,ma 80 lo vien cercando le varie fasi
della italiana filosofia e lo spirito,che lacondusse al grande rinnovamento
opera tosi nel secolo di Galileo. Da Pitagora a Leone X , durante la fortuna ro
mana,nelletenebredellabarbarie,esotto ilgiogo della
scolastica,gliparvediscontrare,quando più,quando meno , sempre conosciute e
conservate le tracce del metodo vero e positivo, ed intorno a questo espone le
proprie impressioni, cosìsemplicemente come le eb. be a sentire. dome che
di. mostra la modestia dei padri nostri , i quali, non del Pezza-Rossa,Prof.
Giuseppe. Parlando dell'antichità della filosofia italiana, osser vacome
l'Italiafosselaprima,che diedeaquesta scien za un sistema, e le impose un nome
: acume e vero conoscitori,ma piuttosto amici del vero s'inti
tolarono. Le basiprincipalidelloro metodo consistevanonel. l'esperienza e nella
osservazione.-- Fecero quindi un altro passo onde meglio procedere nella
investigazione delle verità , e fu quello di riconoscere l'ufficio, che la
ragione esercita sopra i fatti, sì nel mondo esterio re che nell'interiore,
sendochè, non al senso, ma alla sola ragione è dato il giudicare. Di questo
modo l'an tica nostra filosofia seppe dare ai sensi , si sentimen ti ed alla
ragione ciò che loro competeva , e impedi che i primi si levassero al di sopra
della seconda, e questa rifiutasse l'autorità e la potenza di quelli 280
. . Così dei secoli anteriori al dominio romano ; ma la prevalenza delle scuole
straniere non tardò molto a comprimere la scuola nazionale, e la sopravveguente
barbarie la fece quasi dimenticare, sebbene del tutto non laspegnesse.
Senonche,collaconquistadelmon dosubìleinfluenze
intellettualideipopoliconquistati, accettò dottrine d'ogni maniera, egizie,
asiatiche, drui diche, ma greche sopra tutto; e de fe'tale un amal gama che a
stento potrebbe chiamarsi filosofia; o a meglio dire , ciascuno appigliossi a
quella scuola, che meglio sffacevasi alle sue tendenze. Parrà strano, ma è pur
vero, Roma corrotta,e degenerata nei costumi, affaticossi particolarmente a
rialzar la morale, non tanto forse per rilevarla daddovero, quanto per palliar
m e glio col suo manto la nutrita liceoza, testimonio Sede ca. La scuola
pitagorica,odiata,ma temutaeammirata, appalesavasi quindi di tratto in tratto
nelle manifestazioni di alcune anime forti; e Catone, il censore,va me880
acapodella nobile schiera:ilnome dipitagorico non mai cessò dal significare
uomo virtuoso e incorrotto. « La qual indole morale e severa (dice il Pezza
Rossa ) sotto cui presentossi la filosofia italiana, fece si ch'essa non
venisse dal nascente Cristianesimo tanto combattuta, quanto lo furono tutte le
altre.Il Cristianesimo infatti sorgea potente e divino, non figlio del l'umano
pensiero, ma avvolto nel manto dei flosof, ma rivelatore della semplice verità.
Al suo mostrarsi, tutte le scuole cadute erano in basso, e le pocbe ve rità,
alle quali eran gionte, rimanevano dalle violenti polemiche siffattamente
svisate , che impossibile omai tornavalosceverarecon certezzailverodalfalso.Ami
carle fra loro, no concedevan le gare e i particolari interessi;ricondurle
allapristinasemplicità,era impre. sa da nemmeno tentarsi.Che fece dunque il
Cristiane simo ? Egli indisse guerra a tutte più o meno le spe culative
dottrine,mostròchefallacierano,disutilieper piciose, e colla santità della
propria morale fondò la prima di tutte le filosofie: quest'è la filosofia delle
a zioni. « Scaduta la parte speculativa, non rimaneva all' italiana filosofia
che la parte pratica, la parte da lei col tivata sempre con severa costanza e
che meglio poteva rispondereagl'insegnamenti cristiani. Apollonio infatti,
dicui S. Girolamodice, ch'era un prodigio inudito, degno di esser conosciuto in
tutt'isecoli, avuto dal popoloinconcettodimago,ma filosoforeputato dalla gente
di senno, Apollonio chiede a sè medesimo che cosa vogliasi in un filosofo per
essere veramente pita gorico ? e quindi risponde : richiedersi elevazione d ' a
nimo, gravità, costanza, buona fama, sincera amicizia, frugalità, pace,
virtù.Fregiato di così belli ornamenti, il pitagorismo si proponeva in morale
un lodevole fi ne, il perfezionamento della umana natura , risultante dallo
specialeperfezionamentodiciascunindividuo.Nes sun'altra filosofia poteva meglio
consonare al Vangelo. « I primi sapienti del Cristianesimo, prima di e
dificare, trovarono però di dover distruggere il vecchio edifizio fin dalle
fondamenta, e gridarono contro ogni filosofia. Tertulliano ed Origene vogliono
che, dopo il Vangelo, non abbia più mestieri di ricerche, nè di curiosità dopo
Cristo. Nessuna scuola è da principio ri. Se non che, distrutta colla
dialettica l'arte del ragionare, e affidati gli uomini al solo senso comune, in
mezzo all'incipiente barbarie, nulla presentavasi tanto naturale quanto lo
scetticismo : e questo infatti mostrossi.— È notoche,sottoilnome
delloscetticismo, spesso fu insegoato a sprezzare vergognosi pregiudizii; non
devesi scordare che il dubbio fu il padre dell'at tuale civiltà ; e che, se il
secolo di Cartesio è di Gali avesse ardito dubitare, le scienze e le arti
nonsarebberoperancheripste. Foperòunoscetti cismo di sola teoria,doo
dipratica;stettedel pensiero, non nelle azioni: e perciò,s'egli diede l'ultimo
crollo alla filosofia speculativa, non portò alla morale un grave nocumento. Ed
è appunto nella morale che la italiana filosofia sopravvisse. Il grande Boezio vide
l'estrema bassezza, in cui la sapienza era caduta,e saggiamente pensò a
raccorre in un sol corpo le positive cognizioni, che dal guosto generale si
erano salvate, e qual breve enciclopedia de'suoi tempile presertò sotto
l'smabile nome: Con solazione della filosofia;nomeche insè solo abbrac cia il
carattere di tutta up'êra. Cbi cercasse le cagioni, in forza delle quali stel
te viva, anche nei secoli detti barbari, la pratica filo sparmiata :
l'acqua di Talete, l'infinito di Anassimad dro, il fuoco d'Eraclito ,
l'omeomeria di Apassagora , l'etere infinito di Archelao, i numeri di Pitagora,
gli atomi di Epicuro, gli elementi di Empedocle, tutte in somma le antiche
speculazioni furono guerreggiate:i santi Padri non lemono chiamar sogoi molti
pensieri di Aristotile, molti di Platone delirii. Ma in quello che gli
ecclesiastici scrittori studiavano le scuole per com batterle, non poteano a
meno di scontrarsi qua e colà in principii verissimi, ai quali non si poteva
niegare adesione, e questi raccogliendo insieme e collocandoli sotto il
patrocinio del Vangelo, se ne giovarono a com. provare l'armonia del vero
filosofico col religioso. leo non 983 sofia, le troverebbe in parte
della politica stessa de' barbari invasori. Semplici e rozzi, cupidi solo di
bot tino, occuparodo solo il territorio, lasciando ai vinti eleggi, e
costumi,ereligione,mutando l'aspetto mate riale, non quello degli spiriti; sia
che l'ignoranza li rendesse inetti a far mutamenti, o sia che li movesse
rispetto per genti tanto più umane,sebbene meno forti di loro.Oode che
procedesse codesta loro maniera di conquista, o da calcolo, o da impotenza ,
egli è certo che recarono desolazione senza recare alcuna propria filosofia : a
tal che la italiana , accompagnata da toote altre in epoca di prosperità, ma
sola rimasta in quella della sventura, anzichè cedere e prostrarsi, potè parifi
carsi, alla guisa dell'oro sul crogiuolo, e spogliarsi di quelle macchie,che la
fortona le aveva apportate. Passa quindi la dimostrare come la buona filosofia
pratica cominciasse a fruttare anche ottima teo ria, sebbene il risorgimento
fosse ritardato dalla scolastica, ed impedito dal platonismo. Or ecco le vie
(egli ripiglia) per le quali gra datamente lospirito'filosofico
avanzò,guadagnandosem pre terreno.Il Leoni coavea, pelprimo, portatoalloStu dio
padovano la cognizione di Aristotile genuino, e mostra to come inscientemente
lo siavea contorto e dinon sue dottrinefattomaestro;quando sorsequel potente
ingegno di Pomponaccio,chesidovrebbe riguardare siccome il quinto anello della
gran catena filosotica ita liana, dopo Pitagors, Catone, Boezio e Dante. Pigmeo
di corpo,ma dispiritogigante,penetrò meglio che altri nello spirito della
patria filosofia, e siccome,a farla rinascere, conveniva, prim ad 'ogni altra
cosa, abbattere il colosso peripatetico, egli coraggiosamente sostende che,
secondo Aristotile, voluto sostegno della morale e del la religione, potevasi
dimostrare l'anima non e s s e r e immortale , miracoli non potersi dare, non
vi essere provvidenza,ma inognicosadominareildestino.Stra biliarono tutti a
conclusioni di tanta conseguenza, e pretesero che da lui solo derivassero
tali dottrine,dal Peripato non mai ; accagionarono di empietà il gran
Mantovano,cheavrebbe senzadubbio incontrata lama la ventura, se il cielo non
avesse posto a capo della Chiesa on Leone X , e datogli un Bembo per consi
gliere. La sapienza elatolleranza medicea permisero al Pomponaccio
quellocheprima non era stato permesso, separare dalla teologia la fhosofia,
condurre una linea di confine tra gli obbietti della fede e quelli della ra
gione. L'esempio del gran maestro fa segaito da n u merosidiscepoli,tra'quali
ebberofamaScaligero,Sepul. veda, Porzio, Benamico, Giovio, e dae Cardinali, il
C o n tarini,cioè, ed Ercole Gonzaga. Fu imitato con isforzi contemporanei
dalCesalpino,dalCremonino,dalloZa barella,eforsedaquelVanini,che,mal comprenden
do ilPomponaccio, spinse lo sfrenato ingegno allo stre mo,e corse la miseranda
fioe che tutti sanno.Imper ciocche, gli è pur mestieri confessarlo, la fortuna del
primo e la sioistra interpretazione de'suoi principii, non solo a tutti ispirò
corsggio, ma ad alcuni fio an che baldanza. Tale si fa il Cardano, a cui la
fecondi ta del genio troppe più idee somministrò di quelle che ilsuo giudizio
poteva ordinare;ma disse:loslu dio della natura doversi ridurre all'arte ed
alla fatica, e però venne salutato come l'uomo delle in vensioni. Tale il Bruno
, che proclamò sfrenatamente la filosofia del dubbio, filosofia che ovunque
disseminò, viaggiando Italia, Francia, Alemagna , e che fu poscia da Cartesio
abbracciata e sviluppata con tanta gloria , com' ebbe a confessare yo giudice
non sospetto,Leibni. zio. Si ridestarono allora i principali pensieri de'pita
gorici, e meravigliando si conobbe che la flosofia ita liana,in tutte le sue
fasi, e io tatte le sue manifesta zioni, non aveva all'ultimo che un fondo
solo,ilm e todo esperitivo e naturale. A questo metodo avviò l' Italia Lorenzo
Valla, e il Nizzolio, e l'Aconzio, ed il Poliziano,e inalmente Tommaso
Campanella,che, 285 vent'appi, sale in bigoncia, e disputa con
tanta forza contro le fallacie scolastiche, che i vecchi sclamarono
maravigliati: essere in lui passato lospirito diTelesio. Egli sostende che il
senso è un fondamento della scien za,chedalla dimostrazionepositivaesensibilevasce
la intellettiva, perciocchè sentire è sapere : la ragione tanto essere più
certa, quanto più al senso vicina ; non però doversi andare cogli empirici che
pretendono ra gionare perlesoleapparenzevariabili,accidentali,sfug
gevolissime,ma sìanchedietroveritàcostanti,che badoo principio nell'anteriore
sentimento, e del testi monio di tutti gli uomini. «Con longbeeperigliose
fatichegiunse quindi f palmente l'Italiaa ridurinprincipiiquello,cheinpra tica
aveva sempre tenuto;scaddero allora i sillogismi, le formole, le categorie, le
ipotesi, gli a priori, con totti gli altri vincoli della ragione , e sostenuto
dall' analisi e dall'esperienza,ilnuovo metodo spiegò il vo lo alle più eccelse
scoperie. 36 «AllascuolaitalianaattioseCopernico ilsuo siste ma
astronomico,da Galileo poscia rivendicato : da Ga- ' lileo che mostra immobile
e improntato di macchie il sole, e Giove di satelliti circondato : da Galileo,
che, permezzo dinuovelenti,interroga l'armonia misterio sa dei cieli,e con
esperimenti sorprende la patora nei segreti delle arcane sue leggi. Torricelli,
colla inven zione de'barometri e de'microscopii, apporta alla fisi ca povella
vita; Cavalieri , Maurolico e Tartaglia ren dopo fruttuose le matematiche colle
applicazioni. Leo pardo da Vinci dà buone leggi all'estetica; Buonarotti ,
l'uomo delle quattro anime, fisa il buon gusto nelle arti; Machiavelli scopre
aisudditi ei ai regnanti ise. greti della politica; l'Accademia del Cimento
affatica senza posa delle esperienze,le dabbie verità rischiara, e le certe
diffonde; la fisica,la geografia e l'astrono mia,sposate insieme, fanno sì che
un Italiano discopra il nuovo Continente, ed un altro italiano glimponga il
nome. Ogoi arte insomma, ogni scienza, ogni di sciplina quasi per incanto
risorge : ed è cosa per ve rità sorprendente il vedere nei dettati di
quell'epoca gloriosa tantacopiosità di pensieri,da contenere, quasi in germe,
tutte le altre scoperte verificate dappoi. «Conserviamo adunqueconclude
l'Autore)ilpre zioso retaggio, che da'nostri maggiori ci fu tramandato e,che
piùè,adoperiamo di renderlofruttuoso:accioc
chè,dopoaverportataaglialtrilascienza,non venghia mo giustamente
paragonatiallenubi,lequalisidis fanno in quel medesimo che d'amica pioggia
feconda no lecampagne.» Esponendo i proprii pensamenti, il Pezza-Rossa, con
singolare modestia,non sierige a maestro, ma sti mola ed invoglia gli altri a
frugare in questa materia, pago di poter dimostrare che noi siamo ricchi di
tanta domestica dottrina da non invidiare la forestiera; che il buon metodo non
l'abbiamo a cercare lontano; e che sarebbe ingratitudine il disconoscere la
nostra a n tica sapienza, per seguire alcune splendide fantasie ol tramontane. Giuseppe Pezza-Rossa. Giuseppe Pezzarossa.
Pezzarossa. Keywords: il martirio di Belfiore; lo spirito della nazione
italiana; eloquenza lombarda. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pezzarossa” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738592386/in/datetaken/
Grice e Pezzella – Cesare deve morire – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Napoli). Grice:
“I like Pezzella – His “La memoria del possibile” would make Benjamin think
twice! – and I do not mean HIS Benjamin, but mine!” Si laurea a Pisa con una
tesi sul pensiero di Benjamin. Presso la Scuola Normale Superiore diviene
ricercatore di ruolo, e lo rimane fino al, anno in cui dà le sue dimissioni
anticipate. Ha collaborato a un seminario di Derrida a Parigi. Ha conseguito
con la tutela di Marin il Doctorat a Parigi (Grice: “a reason why which few
consider him Italian!” ) e il DEA in Réalisation cinématographique seguendo i
corsi diretti dal documentarista Rouch a Nanterre. Ha insegnato Estetica ed
Estetica del cinema, con affidamenti annuali provvisori, in diverse università..
Ha tenuto, su invito, un seminario a Parigi, in collaborazione con Michaud. È redattore
della rivista Altraparola e collabora col Centro per la riforma dello Stato
nella sede di Firenze. Il pensiero di Benjamin e quello dDebord sono punti di
riferimento costanti del suo lavoro. Inizialmente ha studiato la persistenza
delle forme del mito all’interno della modernità (e in tal senso si è occupato
di Bachofen, iintroducendo Il simbolismo funerario degli antichi, col sostegno
del Warburg Institut di Londra). L’intersezione tra mondo mitico e modernità
estrema lo porta a interessarsi della poesia e del pensiero di Hölderlin e
della Scuola di Francoforte. Vicino alla tradizione del pensiero dialettico,
apprezza soprattutto la versione esistenziale che ne viene data nella filosofia
degli anni Trenta e Quaranta, dopo i seminari di Kojève su Hegel; di Benjamin
considera soprattutto la polarità tra immagine di sogno e immagine dialettica,
che utilizza come strumento interpretativo di opere cinematografiche e
letterarie (cfr. La memoria del possibile e Insorgenze). Per Pezzella lo
spettacolo –nella formulazione teorica che ne ha dato Debord- è la forma di
vita dominante del capitalismo attuale, in particolare della sua industria
culturale e del cinema. Secondo la terminologia usata nel libro estetica del
cinema, distingue gli stereotipi spettacolari dalle forme critiche-espressive.
Si è interessato all’intersezione fra tematiche politiche e psicoanalitiche: la
dialettica del riconoscimento, la formazione della soggettività nel capitalismo
attuale, l’incidenza dei traumi storici collettivi sulla psiche individuale
(cfr. il libro La voce minima). Ha tintrodotto in Italia il pensiero politico
di Abensour, con cui condivide la rivalutazione del pensiero utopico e la
rivalutazione del socialismo come prospettiva politica alternativa al
populismo. Collabora alla redazione e all’edizione dei volumi di Altro
Novecento. Comunismo eretico e pensiero critico, per conto della Fondazione
Micheletti di Brescia. Altri saggi: “L'immagine dialettica” (ETS, Pisa); “Il
tragico” (Il Mulino, Bologna); “Conversazione di Narcisso con Narcisso –
Conversazione con me” (Manifesto, Roma);
“Il volto di Marilyn” (Manifesto, Roma); “La memoria del possibile” (Jaca, Milano);
“Estetica del cinema” (Mulino, Bologna); “Insorgenza” (Jaca, Milano, “Le nubi
di Bor” (Zona, Arezzo); “La voce minima. Trauma e memoria storica” (Manifesto, Roma);
“Altrenapoli” (Rosemberg, Torino”; “I fantasmi” (Cattedrale, Ancona); “Il volto
dell’altro”; “L’ospite ingrate” (Quodlibet, Macerata); “I corpi del potere” (Jaca,
Milano); “Repubblica”; “Il bene comune” (Il
Ponte); “Gli spettri del capitale” (Il Ponte); “Il tempo del possible”; “Attualità
della Comune di Parigi” (Il Ponte); Utopia e insorgenza. Per Abensour”; “Altraparola,
Micheletti, Brescia); Alle frontiere del capitale. Comunismo eretico e pensiero
critico, Jaca, Milano. Pezzella. Keywords: Cesare deve morire, Narcisso, “conversations
with myself”, Antonino, nubi di Bor, Freud, Narcissismus -- Refs.: Luigi
Speranza: “Grice, Pezzella, Benjamin and Benjamin: la memoria del possibile,”
Villa Grice – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51739466750/in/datetaken/
Grice e Piana – merli – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Casale Monferrato). Filosofo. Grice: “I never cease to get moved
when I read Piana’s notes, “Il canto del merlo”! That’s the way to do
philosophy of music – the Italianate warmth so strange to the coldness of
Scruton!” Insegna filosofia a Milano. Si è trasferito a Pietrabianca di Sangineto
in Calabria, dove ha continuato a scrivere e pubblicare. È stato allievo
diPaci, con il quale scrisse la sua dissertazione sulle opere inedite di
Husserl. La sua posizione filosofica è caratterizzata dal concetto di
fenomenologia, ("strutturalismo fenomenologico") influenzato
particolarmente da Husserl, Wittgenstein, e Bachelard. Alcune indicazioni sullo
strutturalismo fenomenologico sono contenute nell'articolo online in italiano e
in tedesco L'idea di uno strutturalismo fenomenologico. Il suo pensiero è
orientato verso la filosofia della conoscenza, la filosofia della musica e i
campi della percezione e immaginazione. Allievi di Piana sono stati, in
particolare, Paola Basso, Alfredo Civita, Vincenzo Costa, E. Franzini, C.
Serra, P. Spinicci. Uno dei più acuti e originali filosofi italiani (in
l'Unità), uno dei più interessanti interpreti e prosecutori, in Italia,
dell'indirizzo fenomenologico (in Paese Sera). Tra i più lucidi, originali e
fecondi fenomenologi italiani" (in "L'idea di Europa e le responsabilità
della filosofia"). Vede l'esperienza della fenomenologia di Husserl che
costituì il centro d'interesse di un grande maestro come E. Paci. Non è il caso
qui di tracciare mappe di quelle vicende, credo però che non sarebbe sbagliato
sostenere che Piana, in quel gioco delle parti, che è sempre l'apertura di
un'esperienza plurale sul suggerimento di un filosofo autentico, si è preso
quella del fenomenologo più prossimo ai temi 'duri' di Husserl, agli obbiettivi
che stabiliscono la teoreticità della ricerca fenomenologica come tratto
distintivo ed essenziale rispetto ad altre figure di pensiero" (in L'Unità).
Considerato il più illustre filosofo della musica del nostro tempo -- in
"Il significato della musica", relazione al convegno 'Approcci semiotico-testologici
ai testi multimediali', Macerata. In un intervento letto durante un convegno
tenuto all'Macerata. Elio Franzini ha dichiarato "Piana è a mio parere uno
dei pensatori maggiori del dopoguerra italiano: mai prono alle mode, sempre
originale e innovativo, come dimostrano i suoi essenziali contributi alla
filosofia della musica. In sintesi un maestro in cui si ritrovano sempre momenti
di autentico pensiero". Il più grande maestro della fenomenologia italiana. Il suo
stile filosofico rappresenta il centro di gravità attorno al quale tendemo a
condensare gran parte di quello che di eccellente la fenomenologia italiana fa,
convinti che i suoi meriti non sono ancora adeguatamente riconosciuti. La vera
filosofia tende all'elementare. E dunque non ha fretta di correre oltre,
indugia in quei punti rispetto ai quali si potrebbe benissimo soprassedere.In
certo senso si fa custode del ricordo di cose che si potrebbero facilmente
dimenticare. La filosofia è un’arte del ricordo. Ma vi è in ogni caso anche qualcosa
di profondamente giusto nell’idea, che si ripropone di continuo, di una scienza
che deve in qualche modo «liberarsi» dalla filosofia. È come liberarsi dai
ricordie questo è spesso necessario per procedere oltre. Saggi: “Filosofia dell’esperienza”;
“L’idea di uno strutturalismo fenomenologico”; “Il manifesto”; “La filosofia tende
all’elementare e non ha fretta”; “L’importanza filosofica di arrivare ultimi”;
“Esistenza e storia” (Nigri, Milano); “La fenomenologia” (Mondadori, Milano); “Elementi
di una dottrina dell'esperienza” (Saggiatore, Milano); “La notte dei lampi”; “La
filosofia dell'immaginazione” (Guerini, Milano); “Filosofia della musica” (Guerini,
Milano); Mondrian e la musica, Milano, Guerini); Teoria del sogno e dramma
musicale. La metafisica della musica” (Guerini, Milano); “Numero e figura: idee
per una epistemologia della ri-petizione” (Cuem, Milano); “Album per la teoria della
musica”; “Frammenti epistemologici”. I
suoi saggi sono racchiuse: “II strutturalismo fenomenologico e psicologia della
forma”; “La notte dei lampi”; “Le regole dell’immaginazione”; “Filosofia della
musica”; “Intervallo e cromatismo nella teoria della musica”; “Alle origini
della teoria della tonalità”; “Teoria del sogno e dramma musicale”; “La
metafisica della musica”; “Mondrian e la musica”; “Filosofia della musica”; “Estetica
musicale”; “Introduzione alla filosofia”; “Interpretazione del “Mondo come
volontà e rappresentazione””; “Immagini per Schopenhauer, “Interpretazione del “Tractatus”
di Wittgenstein”; “Commenti a Wittgenstein”; “Commenti a Hume”; “Prroblemi
della fenomenologia”; “Fenomenologia, esistenzialismo, marxismo”; “Fenomenologia”;
“Stralci di vita”; “Conversazioni sulla “Crisi delle scienze europee” di
Husserl”; “Fenomenologia delle sintesi passive; “Barlumi per una filosofia
della musica”; “De Musica, rivista fondata da lui. Spazio Filosofico, collana fondata
da lui; "La fenomenologia come metodo filosofico", “Linguaggio” Guerini,
Milano); "Immaginazione e poetica dello spazio", “Metafora Mimesi
Morfogenesi Progetto” (Guerin, Milano); "Considerazioni inattuali su Adorno",
"Musica/Realtà", "Figurazione e movimento nella
problematica musicale del continuo", “La percezione musicale, Guerini, Milano,
"Fenomenologia dei materiali e campo delle decisioni”; “Riflessioni
sull'arte del comporre", “Il canto di Seikilos” (Guerii, Milano); I
compiti di una filosofia della musica brevemente esposti”; De Musica, Elogio dell'immaginazione musicale, De Musica,
La serie delle seriedodecafoniche e il triangolo di Sarngadeva, De Musica; Immagini
per Schopenhauer, Il canto del merlo” –
i merli – il canto dell’uccello, funzione del canto dell’uccello maschio. “Occorre
riflettervi ancora”; “Considerazioni in margine a Fantasia e imagine”; “
Leggere i poeti. Note in margine a G. Pascoli”; La sociologia della letteratura
(Milano); Questioni di dettaglio (Milano), Storia e coscienza di classe (Milano)
E. Ricerche logiche (Milano); Storia critica delle idee (Milano); fenomenologica
italiana; Fenomenologia, coscienza del tempo e analisi musicale; Variazioni dei
significati” - Burnout e risorse; Musicoterapia, alle radici fenomenologiche
del Cosmo antico; Fondamenti della Matematica; La scienza della felicita; La
fenomenologia dell’esperienza. Scuola di Milano – scuola milanese -- Giovanni
Piana. Piana. Keywords: il linguaggio di Spinicci, merli, la serie
dodecafonica, il triangolo di Sarngadeva. Oltre il linguaggio, linguaggio e
comunicazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Piana” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51739384580/in/datetaken/
Grice e Piccolomini – implicatura – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Siena).
Filosofo. Grice: “What Piccolomini
is trying to do, but knowing, is providing what I do in from the bizarre to the
banal – a good functionalist interpretation of the rather poor functionalist
explanation by Aristotle of what the Italians call the ‘anima,’ because it
‘animates’ the body (corpore). Figlio dai
senesi Niccolò ed Emilia Saracini. Insegna a Macerata, Perugia, Padova.
Analizza il terzo libro del “Sull’anima” di Aristotele. Saggi: “Peripateticarum
de anima disputationum”; “Academicarum contemplationum”. Tutore di Tasso,
ricordato in “Il Costante; overo, dela clemenza”. Formula una una teoria sincretica tra i
accademici e i liceisti. ‘Unico’ dei
Filomati. Altre saggi “Universa philosophia de moribus” (Venezia, Franceschi);
“Comes politicus, pro recta ordinis ratione propugnator” (Venezia, Franceschi);
“Libri ad scientiam de natura attinentes” (Venezia, Franceschi); “Librorum
Aristotelis de ortu et interitu lucidissima exposition” (Venezia, Franceschi);
“In tres libros de anima lucidissima expositione” (Venezia, Franceschi); “Instituzione
del principe”; “Compendio della scienza civile”; “Octavi libri naturalium
auscultationum perspicua interpretatione” (Venezia, Franceschi); “In libros de
coelo lucidissima exposition” (Venezia, Franceschi). Treccani Dizionario Biografico
degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, E. Garin, Storia
della filosofia italiana” (Torino, Einaudi); A. Malmignati, “Tasso a Padova” (Firenze,
Biblioteca Riccardiana); Roma, Pieralisi (Firenze, Biblioteca nazionale
centrale, Conv. Soppr. (S. Maria degli Angeli, Roma, Pieralisi, Francesco
Piccolomini, F. Cavalli, La scienza
politica in Italia, Venezia). Francesco Piccolomini. Piccolomini. Keywords:
apollo lizio, statua di apollo lizio, in riposo dopo la palestra, il lizio,
Aristotele lizio, i lizij, i lizii, gl’aristotelici, i peripatetici –
gl’accademici e i lizii, gl’accademicij e i lizij. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Piccolomini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691299421/in/photolist-2mPAuFE-2mNzeEc-2mLQ1Vx-2mKMqqn-2mKyJgk-B1ZwSw-BpZrfX-BNUDky-BRdPLK-BpZs4R-B26n3t-BpZt9X-BwnxSq-BRdJLK-BYv5UR-BRdJDF-BwnzCQ-BNUCP3-B1ZvoQ-BRdKpP
Grice e Pico – implicatura – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Mirandola). Filosofo. Grice: “I liked
to say: some like Pico, but Pico’s my man! Since I always preferred his cousin
to the uncle!” -- philosopher who wrote a series of 900 theses which he hoped
to dispute publicly in Rome. Thirteen of these theses are criticized by a papal
commission. When Pico defends himself in his “Apologia,” the pope condemns all
900 theses. Pico flees to France, but is imprisoned. On his escape, he returns to
Florence and devotes himself to private study at the swimming-pool at his
villa. He hoped to write a Concord of Plato and Aristotle, but the only part he
was able to complete was “On Being and the One,”“Blame it on the Toscana!” -- in
which he uses Aquinas and Christianity to reconcile Plato’s and Aristotle’s
views about God’s being and unity. Mirandola is often described as a
syncretist, but in fact he made it clear that the truth of Christianity has
priority over the prisca theologia or ancient wisdom found in the hermetic
corpus and the cabala. Though he was interested in magic and astrology,
Mirandola adopts a guarded attitude toward them in his “Heptaplus,” which
contains a mystical interpretation of Genesis; and in his Disputations Against
Astrology, he rejects them both. The treatise is largely technical, and the
question of human freedom is set aside as not directly relevant. This fact
casts some doubt on the popular thesis that Pico’s philosophy is a celebration
of man’s freedom and dignity. Great weight has been placed on Pico’s “On the
Dignity of Man.” This is a short oration intended as an introduction to the
disputation of his 900 thesesall condemned by the evil pope --, and the title
was suggested by his wife (“She actually suggested, “On the dignity of woman,”
but I found that otiose.””). Mirandola has been interpreted as saying that man
(or woman) is set apart from the rest of creation, and is completely free to
form his (or her) own nature. In fact, as The Heptaplus shows, Pico sees man as
a microcosm containing elements of the angelic, celestial, and elemental
worlds. Man (if not woman) is thus firmly within the hierarchy of nature, and
is a bond and link between the worlds. In the oration, the emphasis on freedom
is a moral one: man is free to choose between good and evil. Grice: “This
irritated Nietzsche so much that he wrote ‘beyond good and evil.’ Refs.: H. P.
Grice, “Goodwill and illwillmust we have both?” L'esponente più conosciuto della dinastia dei
Pico, signori di Mirandola. L'infanzia di Pico della Mirandola, di Paul
Delaroche, Museo delle belle arti di Nantes (Francia). Nacque a Mirandola,
presso Modena, il figlio più giovane di Gianfrancesco I, signore di Mirandola e
conte della Concordia e sua moglie
Giulia, figlia di Feltrino Boiardo, conte di Scandiano. La famiglia ha a lungo
abitato il castello di Mirandola, città che si era resa indipendente e riceve da
Sigismondo il feudo di Concordia. Pur essendo Mirandola uno stato molto
piccolo, i Pico governano come sovrani indipendenti piuttosto che come nobili
vassalli. I Pico della Mirandola sono strettamente imparentati agli Sforza, ai
Gonzaga e agli Este, e i fratelli di Giovanni sposarono gli eredi al trono di
Corsica, Ferrara, Bologna e Forlì. Soggiorna in molte dimore. Tra queste,
quando vive a Ferrara, il palazzo in via del Turco gli permette di essere
vicino agli Strozzi ed ai Boiardo. Pico compì i suoi studi fra Bologna,
Pavia, Ferrara, Padova e Firenze. Mostra grandi doti nel campo della matematica
e impara molte lingue, tra cui perfettamente il latino, il greco, l'ebraico,
l'aramaico, l'arabo e il francese. Ha anche modo di stringere rapporti di
amicizia con numerose personalità dell'epoca come Savonarola, Ficino, Lorenzo
il Magnifico, Poliziano, Egidio da Viterbo, Girolamo Benivieni, Girolamo Balbi,
Yohanan Alemanno, Elia del Medigo. Entra a far parte dei Idealisti Fiorentini.
Si reca a Parigi, ospite della Sorbona, allora centro di studii, dove conosce
alcuni uomini di cultura come Lefèvre d'Étaples, Robert Gaguin e Georges
Hermonyme. Ben presto divenne celebre e si dice che ha una memoria talmente
fuori dal comune che conosce l'intera Divina Commedia a memoria. e a Roma
dove prepara 900 tesi in vista di un congresso filosofico (per la cui apertura
compose il De hominis dignitate), che tuttavia non ha mai luogo. Sube infatti
alcune accuse di eresia, in seguito alle quali fugge in Francia dove venne
anche arrestato da Filippo II presso Grenoble e condotto a Vincennes, per
essere tuttavia subito scarcerato. Con l'assoluzione d’Alessandro VI, il quale
vede di buon occhio la sua volontà di dimostrare la divinità attraverso la
magia e la cabala, nonché godendo della rete di protezioni dei Medici, dei
Gonzaga e degli Sforza, si stabile quindi definitivamente a Firenze,
continuando a frequentare l'Accademia di Ficino. Muore per avvelenamento
da arsenico mentre Firenze viene occupata dalle truppe francesi di Carlo VIII. Sepolto
nel cimitero dei domenicani dentro il convento di San Marco. Le sue ossa
saranno rinvenute da padre Chiaroni accanto a quelle di Poliziano e dell'amico
Girolamo Benivieni. Siamo vissuti celebri, o Ermolao, e tali vivremo in
futuro, non nella scuola dei grammatici, non là dove si insegna ai ragazzi, ma
nelle accolte dei filosofi e nei circoli dei sapienti, dove non si tratta né si
discute sulla madre di Andromaca, sui figli di Niobe e su fatuità del genere,
ma sui principî delle cose umane e divine. Uno studio coordinato del
dipartimento di Biologia dell'Pisa, del Reparto Investigazioni Scientifiche
dell'Arma dei Carabinieri di Parma dimostra che e avvelenato con l'arsenico. Il
volto di Giovanni Pico ricostruito con le moderne tecniche forensi Di Pico della
Mirandola è rimasta letteralmente proverbiale la prodigiosa memoria. Si dice
conosce a mente numerose opere su cui si fonda la sua vasta cultura
enciclopedica, e che sapesse recitare la “Divina Commedia” *al contrario*,
partendo dall'ultimo verso, impresa che pare gli riuscisse con qualunque poema
appena terminato di leggere. Tutt'oggi è ancora in uso attribuire
l'appellativo "Pico della Mirandola" a chiunque sia dotato di ottima
memoria. Secondo una popolare diceria, ha una amante o una concubina segreta.
Tuttavia ha un rapporto amoroso con l'umanista G. Benivieni, sulla base di alcuni scritti, tra
cui sonetti, che quest'ultimo dedica a Pico, e di alcune allusioni poco chiare
di Savonarola. E comunque un seguace dell'ideale dell'amor platonico, privo
cioè di contenuti erotici e passionali. Anche la figura femminile ricorrente
nei suoi versi viene celebrata su un piano prevalentemente filosofico. La
sua filosofia si riallaccia all’idealismo di Ficino, senza però occuparsi della
polemica anti-aristotelica. Al contrario, cerca di riconciliare aristotelismo e
platonismo in una sintesi superiore, fondendovi anche altri elementi culturali,
come per esempio la tradizione misterica di Ermete Trismegisto e della
cabala. All'interno del testo delle Conclusiones si scaglia duramente
contro Ficino, considerando inefficace la sua magia naturale perché carente di
un legame con le forze superiori nonché di un'adeguata conoscenza cabalistica.
Il suo proposito, esplicitamente dichiarato ad esempio nel “De ente et uno”,
consiste infatti nel ricostruire i lineamenti di una filosofia universale, che
nasca dalla concordia fra tutte le diverse correnti di pensiero sorte sin dagl’antichi,
accomunate dall'aspirazione al divino e alla Sapienza. In questo suo ecumenismo
filosofico vengono accolti non solo i filosofi esoterici insieme a Platone,
Aristotele, i neoplatonici e tutto il sapere gnostico ed ermetico proprio della
filosofia greca, ma anche i mistici. Il congresso da lui organizzato a Roma in
vista di una tale "pace filosofica" inserirsi proprio in questo
progetto culturale basato su una concezione della verità come princìpio eterno
ed universale, al quale ogni epoca della storia ha saputo attingere in misura
in più o meno diversa. In seguito tuttavia ai vari contrasti che gli si
presentarono, sorti a causa della difficoltà di una tale conciliazione. Si
accorse che il suo ideale e difficilmente perseguibile. Ad esso, a poco a poco,
si sostitusce nella sua mente il proposito riformatore di Savonarola, rivolto
al rinnovamento morale, più che culturale, della città di Firenze. L'armonia
universale da lui ricercata in ambito filosofico si trasforma così
nell'aspirazione ad una moralità meno
generica. A differenza di Ficino, emerge un maggiore senso di irrequietezza e
una visione più cupa ed esistenziale della vita. Al centro del suo ideale
di concordia universale risalta fortemente il tema della dignità e della
libertà umana. L'uomo infatti è l'unica creatura che non ha una natura predeterminata,
poiché. Già il Sommo Padre, Dio Creatore, ha foggiato, questa dimora del mondo quale ci appare. Ma,
ultimata l'opera, l'artefice desidera che ci fosse qualcuno capace di afferrare
la ragione di un'opera così grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la
vastità. Ma degli archetipi non ne restava alcuno su cui foggiare la nuova
creatura, né dei tesori né dei posti di tutto il mondo. Tutti erano ormai
pieni, tutti erano stati distribuiti nei sommi, nei medi, negli infimi gradi. Dunque
l'uomo non ha affatto una natura determinata in un qualche grado (alto o
basso), bensì. Stabilì finalmente l'Ottimo Artefice che a colui cui nulla
poteva dare di proprio fosse comune tutto ciò che aveva singolarmente assegnato
agli altri. Perciò accolse l'uomo come opera di natura indefinita e, postolo
nel cuore del mondo, così gli parla. Nn ti ho dato, o Adamo, né un posto
determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché tutto
secondo il tuo desiderio e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura
limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la
determinerai senza essere costretto da nessuna barriera, secondo il tuo
arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Afferma, in sostanza, che Dio ha posto
nell'uomo non una natura determinata, ma una indeterminatezza che è dunque la
sua propria natura, e che si regola in base alla volontà, cioè all'arbitrio
dell'uomo, che conduce tale indeterminatezza dove vuole. Non ti ho fatto
né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi
libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti
prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti. Tu
potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono
divine. Nell'uomo nascente il Padre ripose semi d'ogni specie e germi d'ogni
vita. E a seconda di come ciascuno li avrà coltivati, quelli cresceranno e daranno
in lui i loro frutti. se sensibili, sarà bruto, se razionali, diventerà anima
celeste, se intellettuali, sarà angelo, e si raccoglierà nel centro della sua
unità, fatto uno spirito solo con Dio.Quindi, sostiene che è l'uomo a forgiare
il proprio destino secondo la propria volontà, e la sua libertà è massima,
poiché non è né animale né angelo, ma può essere l'uno o l'altro secondo la
coltivazione di alcuni tra i semi d'ogni sorta che vi sono in lui. L'uomo non è
né «angelo né bestia. La sua propria posizione nel mondo è un punto mediano tra
questi due estremi; tale punto mediano, però,
non è una mediocrità (in parte angelo e in parte bruto) ma è la volontà
(o l'arbitrio) che ci consente di scegliere la nostra posizione. Dunque l'uomo è
la più dignitosa fra tutte le creature, anche più degli angeli, poiché può
scegliere che creatura essere. Il suo secondo grande interesse è rivolto
alla cabala, che viene da lui spiegata come una fonte di sapienza a cui
attingere per decifrare il mistero del mondo, e nella quale Dio appare oscuro,
in quanto apparentemente irraggiungibile dalla ragione; ma l'uomo può ricavare
la massima luce da tale oscurità. Non esiste alcuna scienza che possa attestare
meglio la divinità che la magia. Connessa alla sapienza cabbalistica è la magia.
In fatti, il mago opera attraverso simboli e metafore di una realtà assoluta e dunque, partendo dalla natura, può giungere
a conoscere tale sfera metafisica attraverso la conoscenza della struttura
matematica che è il fondamento simbolico-metaforico della natura stessa.
Se la magia è giudicata positivamente per quanto riguarda invece l'astrologia
egli ebbe un atteggiamento diverso, che lo porta a distinguere nettamente tra
astrologia matematica o speculativa, cioè l'astronomia, e l'astrologia
giudiziale o divinatrice. Mentre la astrologica speculative ci consente di
conoscere la realtà armonica dell'universo, e dunque è giusta, la astrologia
prattica crede di poter sottomettere l'avvenire degli uomini alle congiunture
astrali. Partendo dall'affermazione della piena dignità e libertà dell'uomo,
che può scegliere cosa essere, muove una forte critica a questo secondo tipo di
credenze e di pratiche astrologiche, che costituirebbero una negazione proprio
della dignità e della libertà umane. L’astrologica prattica (o giudiziale)
attribuisce erroneamente a un corpo celeste il potere di influire sulla una vicenda
umana (fisiche e spirituali), sottraendo tale potere alla Provvidenza divina e
togliendo agl’uomini la libertà di scegliere. Non nega che un certo influsso vi
possa essere, ma mette in guardia contro il pericolo insito nell'astrologia giudiziale
di subordinare il superiore (cioè l'uomo) all'inferiore (ossia la forza
astrale). La vicenda dell'esistenza umana e tanto intrecciata e complessa che
non se ne può spiegare la ragione se non attraverso la piena libertà d'arbitrio
dell'uomo. Tuttavia, alcuni concetti base furono ripresi e rielaborati da Savonarola nel suo Trattato contra li
astrologi. Saggi: “Lettera a Barbaro sul modo di parlare dei filosofi”; “Commento
sopra una canzone d'amore di Benivieni, “Discorso sulla dignità dell'uomo”; “Tesi
su tutte le cose conoscibili”; “Novecento conclusioni filosofiche”; “cabalistiche
e teologiche in ogni genere di scienze”; “Apologia”; “Heptaplus: della
settemplice interpretazione dei sei giorni della Genesi”; “Expositiones in
Psalmos, “L'essere e l'uno”; “Dispute
contro l'astrologia divinatrice”; “Carmi”; Auree Epistole. Sonetti, “Le dodici
regole”; “Le dodici armi della battaglia spirituale”; “Le dodici condizioni di
un amante” “Preghiera a Dio”; “Tutte le cose e alcune alter”. A lui si
attribusce anche la paternità dell’ “Amoroso combattimento onirico di Polifilo”.
Sebbene egli preferisse farsi chiamare Conte della Concordia. Fu in particolare
il cardinale Pedro Grazias, dopo essere
intervenuto presso i reali Isabella e Ferdinando, ad essere incaricato da
Innocenzo VIII di confutarne l'Apologia.
Fu avvelenato -- caso risolto 500 anni dopo, in Gazzetta di Modena, G.
Gallello et al. Già all'epoca della sua morte si vociferò che e avvelenato
(cfr. S. Critchley, Il libro dei filosofi morti, Garzanti). Recenti indagini condotte a Ravenna
dall'équipe di G. Gruppioni dell'Bologna
riscontra elevati livelli di arsenico nei campioni di tessuti e di ossa
pre-levati dalle spoglie del filosofo, che avvalorerebbero la tesi
dell'avvelenamento per la sua morte (cfr. Delitti e misteri del passato, L.
Garofano, S. Vinceti, G. Gruppioni (Rizzoli, Milano). L’avvelenamento, la cui
morte finora si ritene fosse stata causata dalla sifilide, e ad opera della
stessa mano che due mesi prima avrebbe uccide Poliziano, legato a Pico da
grande amicizia. Risolto il giallo della sua morte, Pisa, La sua Memoria
Straordinaria. enivieni fa porre anche una lapide sulle spoglie tumulate nella
chiesa di San Marco a Firenze. Sul fronte della tomba è tuttora inciso: «Qui
giace Giovanni Mirandola, il resto lo sanno anche il Tago e il Gange e forse
perfino gli Antipodi.” Benivieni, affinché dopo la morte la separazione di
luoghi non disgiunga le ossa di coloro i cui animi in vita congiunse Amore,
dispone d'essere sepolto nella terra qui sotto. Sul retro invece, in posizione
poco visibile, è riportato l'epitaffio, “Girolamo Benivieni per lui e se stesso
pose nell'anno Io priego Dio Girolamo che 'n pace così in ciel sia il tuo Pico
congiunto come 'n terra eri, et come 'l tuo defunto corpo hor con le sacr'ossa
sue qui iace”. E. Garin, Vita e dottrina (Monnier); K. Zeller, L’aristolelismo
rinascimentale, edizioni Luria, F. Yates Bruno e la tradizione ermetica Laterza
U. Perone, C. Ciancio, Storia del pensiero filosofico, SEI, Torino, E. Garin, Vallecchi,
Sul richiamo di Pascal a Pico della Mirandola, cfr. B. Pascal, Colloquio con il
Signore di Saci su Epitteto e Montagne in B. Pascal, Pensieri, Paolo Serini,
Einaudi, Torino, F. Secret, I cabbalisti cristiani del Rinascimento, tRoma, Conclusiones
nongentae. Le novecento tesi. A. Biondi, Studi pichiani (Firenze Olschki). Conclusiones
Magicae numero XXVI, secundum opinione propria”. Fra le tesi redatte in vista
del congresso filosofico di Roma, Non vi è scienza che ci dia maggiori certezze
sulla divinità della magia (cit. da F. Secret, ibidem, e in Zenit studi. Pico
della Mirandola e la cabala). La natura è una correlazione misteriosa di forze
occulte che l'uomo può conoscere tramite l'astrologia speculative e controllare
tramite la magia. Distingue due tipi di astrologia: matematica e divinatrice.
Nega il valore della seconda (G. Granata, Filosofia, Alpha Test, Milano. Lo
stesso Savonarola sostenne di aver scritto il suo trattato in corroborazione
delle refutazione astrologice del signor conte Joan Pico della Mirandola (cit.
in Romeo De Maio, Riforme e miti nella Chiesa del Cinquecento, Guida, Napoli). Indizi e prove: e Alberto Pio da Carpi nella
genesi dell’Hypnerotomachia Poliphili.
Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille
anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia
della Scienza di Firenze, pubblicata sotto licenza Creative Commone, Mazzali, Basileae, per Sebastianum Henricpetri, Basileae,
per Sebastianum Henricpetri, Doctissimi Viri Ioannis Pici Mirandulae,
Concordiae comitis, Exactissima expositio in orationem dominicam, S. Bernardini,
Apologia. L'autodifesa di Pico di fronte al Tribunale dell'Inquisizione, P.
Fornaciari, Società internazionale per lo studio del Medioevo latino, Galluzzo,
Firenze G. Barone, Antologia, Virgilio, Milano,
Studi Dario Bellini, La profezia, Oltre la cinquantesima porta, Sometti, G. Busi,
Vera relazione sulla vita e i fatti, conte della Mirandola, Aragno, E. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia
del Rinascimento” (Nuova Italia, Firenze); H, Lubac, L'alba incompiuta del Rinascimento,
Jaca, Milano, V. Giovanni, La filosofia in Italia, Palermo, Boccone del Povero,
F. Frigerio, "Il commento alla Canzona d'Amore di Benivieni",
Conoscenza Religiosa, Firenze, Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Casale Monferrato,
Edizioni Piemme, E. Garin, L'Umanesimo italiano, Laterza, Bari); S.Puledda,
Interpretazioni dell'Umanesimo, Associazione Multimage, Quaquarelli, Zanardi,
Pichiana. delle edizioni e degli studi, in "Studi pichiani", Olschki,
Firenze, A. Sartori,Filosofia, teologia, concordia, Messaggero Padova, Zambelli, L'apprendista stregone. Astrologia,
cabala e arte lulliana in Pico e seguaci” (Marsilio, Venezia); “Le fonti
cabalistiche”; G. Busi, "Chi non
ammirerà il nostro camaleonte?" La bibliotic a cabbalistica, in G. Busi,
L'enigma dell'ebraico nel Rinascimento, Aragno Torino S. Campanini, Guglielmo
Raimondo Moncada (Flavio Mitridate) traduttore di opere cabbalistiche, in M. Perani,
Guglielmo Raimondo Moncada alias Flavio Mitridate. Un ebreo converso siciliano,
Officina di Studi Medievali, Palermo , Susanne Jurgan e Saverio Campanini, con un
testo di Giulio Busi, Nino Aragno, Torino Saverio Campanini Fondazione Palazzo
Bondoni Pastorio, Castiglione delle Stiviere; cabala; Ficino Filosofia
rinascimentale Mirandola Umanesimo Prisca theologia.Treccani Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il Centro di
Cultura Giovanni Pico della Mirandola, L’Umanesimo, la cabala cristiana,
Discorso sulla dignità dell'uomo Pico della Mirandola, Orazione sulla dignità
dell'essere umano, prima parte, su panarchy.org. I "Carmina" e l'"Oratio de
hominis dignitate", su thelatinlibrary.com.The Kabbalistic Library of
Giovanni Pico della Mirandola, su pico-kabbalah.eu. Giovanni Pico, dei conti
della Mirandola e della Concordia. Giovanni Pico, conte della Mirandola e della
Concordia. Giovanni Pico della Mirandola. Pico. Keywords: amore platonico,
amore socratico, Pico e Girolamo – l’epitafio – amore platonico Ficino – la
dignita dell’uomo, la concordia degl’antichi, la magia, il platonismo di Pico.
Pico e Pico. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Pico: the dignity of man,"
per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51717891308/in/photolist-2mPoBys-2mPmNVF-2mN36eA-2mN8Hgb-2mMZCrP-2mMZCG3-2mLLZRD-2mLQc9e-2mLP4ps-2mKAijH-2mKuSJj-2mKAur7-2mKgNnk-2mKje8p-2mKgNvM-2mKkjv7-2mGnP2f-jm6WhY-jkTaV6-jkV8Kj
Grice e Pico – stregone – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Mirandola). Filosofo. Grice: “It is very likely that
Cartesio took the idea of the malignant daemon from Pico, who was obsessed with
him – with the daemon, I mean! “Demonio!”” Grice: “I like Pico. Ackrill
suggested that I should translate happiness as taking ‘daemon’ seriously. Pico
does: He allows Alberti’s use of ‘demonio’ as a direct translation of Roman
‘daemone,’ which is Grecian in nature.”Grice: “A daemon is always ‘maschile,’
succubus, or incubus – and stregus is gender-neutral, too, as Pico was very
well aware when he allowed the burning of a few male witches at Mirandola. On
the other hand, he uses Sextus Empiricus and Phyrro against Aristotle!” Grice:
“Like Gentile, and Rosselli, two other Italian philosophers, he was murdered –
by his successor to the county!” “A very sad thing is that he was murdered
along with his son Alberto.”Grice: “The murderer, a Pico, succeeded him without
much of a revolt – That’s the Renaissance forya!” --- Important if unjustly neglected, murdered,
Italian philosopher. Italian nobile e
filosofo, nipote di Pico. Figlio di Galeotto I Pico, signore di
Mirandola, e Bianca Maria d'Este, figlia di Niccolò III d'Este. Come lo zio,
Pico,si dedica principalmente alla filosofia, ma ha reso soggetto alla Bibbia,
anche se nei suoi trattati, De monolocale divinae et humanæ sapientiæ e in
particolare nei sei libri intitolati examen doctrinæ vanitatis gentium, si
deprezza l'autorità dei filosofi, al di sopra tutti Aristotele. Scrive una
biografia dettagliata di suo zio (“Ioannis Pici Mirandulae Vita”) e un altro di
Savonarola, di cui era un seguace. Avendo osservato i pericoli a cui la società
è stata esposta, al momento, lancia un avvertimento in occasione del Concilio
Lateranense: Oratio ad Leonem X et concilium Lateranense de reformandis
Ecclesiæ Moribus (Hagenau, dedicato a W. Pirckheimer). Muore a Mirandola, assassinato
dal nipote Galeotto, insieme a suo figlio più giovane, Alessandro. L'altro
figlio Giantommaso è stato ambasciatore a Clemente VII. Mentre spesso sostene che
la filosofia raggiunta una parte della verità, dice in effetti, che la filosofia
da solisono semplici raccolte di falsità confusi e internamente incoerenti. In
possesso di un tale punto di vista, si schiera non solo con Savonarola, ma con
alcuni dei padri e con i riformatori pure. Su questo punto, e insistente. Il
cristianesimo è una realtà auto-sussistente e che ha poco o nulla da guadagnare
dalla filosofia, le scienze e le arti. Questa tesi centrale si diffonde
attraverso quasi la sua intera produzione filosofica. Scrive di non lodare o
estendere il regno della filosofia, ma di demolirlo. Saggi: “De studio di
Divinae et humanae philosophiae,” “De imaginatione” – Grice: “This is
interesting. Pico starts by noting how Cicero mistranslated imaginatio from
‘phantasma.’ Vitters would not have agreed!” – “De pro-videntia dei,” “De rerum
prae-notione,” “Quaestio de falsitate astrologiae,” “Examen vanitatis gentium
doctrinae et veritatis Christianae
disciplinae, “”Strix, sive de ludificatione daemonum”; Libro detto strega o delle
illusioni del demonio,” – Grice: Pico is using ‘demonio’ literally; Descartes
isn’t!” – “Opera Omnia,” – C. Herbermann. P. Burke, "Stregoneria e Magia
in Italia del Rinascimento: Pico e la sua Strix, " di S. Anglod, The Damned Art: Saggi in letteratura di
Magia, Londra. Herzig, T. "La reazione dei demoni alla sodomia: magia
e omosessualità in Strix di Pico" Il Cinquecento, A. Kors e E. Peters. La stregoneria in Europa, Una storia
Documentario. Estratti dal Pico Strix., C. Schmitt, Pico e la sua critica di
Aristotele. The Hague:Nijhoff); Pappalardo, L.”Fede, Immaginazione e
scetticismo" (Nutrix), Turnhout: Brepols. Centro Internazionale di Cultura;
Springer. Nobile, filosofo e letterato italiano. Signore di Mirandola e conte
di Concordia in tre periodi differenti:, poi nuovamente per pochi mesi ed
infine, ma stavolta privato di Concordia. Assassinato dal nipote Galeotto II
Pico, suo successore definitivo. Succede al padre nel governo dei feudi,
ricevendo conferma dell'investitura dall'imperatore Massimiliano I d'Asburgo. I
fratelli, non contenti, assediano e bombardano la Mirandola e gli imprigionano.
Rilasciato solo con la promessa di cessione dei domini. Si ritira a Roma. Critica
il paganismo classica. Scrive una biografia dello zio Pico, intitolata Vita, anteposta a un volume
che ne raccoglieva l'Opera omnia, e riprese alcune sue dottrine, come la lotta
contro l'astrologia. Seguace di Savonarola, si batte inutilmente per la sua
assoluzione, e ne scrive dopo la morte una biografia. Sostenne da un lato la
necessità di un rinnovamento della disciplina ecclesiastica e dall'altro i
problemi della filosofia. Scrive il “De reformandis moribus,” che invia a Leone
X, l'”Examen vanitatis doctrinae gentium et veritatis christianae disciplinae,”
nel quale attacca la filosofia arcaica; e, non ultimo, “Libro detto strega o
delle illusioni del demonio,” sulle possessioni demoniache. L'”Examen” non attacca soltanto la filosofia
arcaica, ma si scaglia ugualmente contro Aristotele ed Aquino. Dei due filosofi,
contesta la fiducia nella conoscenza e nella ragione, che permetterebbero con
la forza dell'intelletto di intuire la verità ultima. Al contrario, al pari della
dottrina esposta dal Cusano nel De docta ignorantia, nutre una profonda
sfiducia nelle capacità umane, riconoscendo alla ragione solo la possibilità di
giungere a una conclusioni arbitraria. Riprendendo alcune tesi tipiche dello
scetticismo di Pirrone e Sesto Empirico, nega la validità dei sillogismi e
dell'induttivismo, svaluta l'idea della causalità. Nulla è conoscibile, mentre
la fede può fondarsi solo su una rivelazione. Muore assassinato dal nipote
Galeotto II assieme all'ultimogenito Alberto. Altri saggi: “De studio divinae
et humanae philosophiae”; “Dialogus de adoratione”; “Quaestio de falsitate astrologiae”. Litta
Pompeo, Famiglie celebri di Italia. Torino, J. Delumeau, “Il peccato e la paura”
(Bologna, Mulino); L. Pappalardo, "Fede, immaginazione e scetticismo"
(Turnhout: Brepols). Assedio della Mirandola, Assedio della Mirandola di Giulio
II, Caccia alle streghe nella Signoria della Mirandola, Sovrani di Mirandola e
Concordia. Schizzo biografico a cura de Il Centro Internazionale di Cultura
Giovanni Pico della Mirandola. Treccani Dizionario di filosofia, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Francesco Pico della Mirandola. Giovanni
Francesco II Pico della Mirandola. Gianfrancesco Pico della Mirandola. Gianfranco
Pico della Mirandola. Pico. Keywords. Refs: Luigi Speranza: Pico. Keywords:
demonio, demonologia – read excerpts of Stryx in the Italian volgare under
entry for translator. Refs.: “Grice,
Acrkill, Pico and Alberti, on ‘demonio’,” Luigi Speranza, "Grice e
Pico," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice,
Liguria, Italia -- Gianfranco Pico della Mirandola.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716794552/in/photolist-2mN36eA-2mN8Hgb-2mMZCG3-2mMZCrP-2mLLZRD-2mLQc9e-2mLP4ps-2mKAijH-2mKAur7-2mKuSJj-2mKje8p-2mKkjv7-2mKgNvM-2mKgNnk-2mGnP2f-jm6WhY-jm54Cc-jpofjt-jkTaV6-jkV8Kj-jkW6UL-jkNtpy-jkMKsr-jkKBUB-jqf5Qu-jkNd2G-jkKfjv-jkKdnp-jkKQxG-jkKh6X-jkEKUz-jkLdEZ-jkNwNs-jkLhh8-jkTfPx-jkTLNG-jkLx4v-jkPrAy-jkPZxE-jkLtXa-jkMk5j-jkKbFk-jq4enS-jq3oMA-jkPJhj-jkLQia-jkF7DF-jrVVTK-jkGK9m-jkGnC4
Grice e Pieralisi – la teoria del
segno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Jesi). Filosofo. Esalta il valore della pace fra gli uomini e fra
tutte le creature. L’anima è presente non solo negli esseri umani, ma anche negli
animali, ai quali appunto l'anima conferisce come agl’uomini un'esistenza
eterna al di là della morte. Per tali motivi sottolinea la necessità etica di
trattare gli animali con rispetto ed amore. De anima belluarum: sopravvivenza?
Una domanda, S. Rocco, Venezia. Della filosofia razionale speculativa parte
soggettiva ossia la logica” (Pace, Roma); “La filosofia razionale pratica
ovvero dei doveri naturali” (Pace, Roma); “Sui vizi capitali dell'insegnamento
scientifico: riflessioni” (Pesar). Segno si chiama una cosa qualunque che colla
manifestazione di se indica una qualche altre cosa. Col vedere che e quell oche
dicesi segno si viene a sapere che sia anche l’altro di cui e segno. Segno
arbitrario chiamasi quell oche per libera disposizione degl’uomini e stato
destinato ad indicar la cos ache significa. Nel segno naturale l’eistenza sua
coll’esistenza di quell ova naturalmente congiunta. Il segno e rappresentativo
sis ta in lugo della cosa che significa, la rappresenta, ne tiene le veci. Come
l’imamagine de in uomo si pone in lugo dell’uomo. Ci sono cinque massime della
conversazione. La prima. La parola si adopre ad esprimere ci oche l’uso
stablito vi esprime. La seconda: si deve evitare la ambiguita: una parola che e
equivoca non si adopria almeno nei contribuzioni alla stessa conversazione, ora
cosi, or cosa. Ora nell’uno ora nell’altro dei suo significant – signati.
Seppure la diversita loro non fosse tale che togliesse ogni pericolo di
equivocare. La terza massima: adoprando un vocabolo oscuro, che non e di uso e
non e di quell’uso che se nuo vuol fare, si fefnisca il senso nel quale se
aopra, onde far nota che s’intende signare con esso. Quarta massima:
nell’esporre le cosa o dimostrare la verita, la parola e usata nel senso suo
priprio, evitando tropi, figure, ed altre eleganze, che, se giovano al bello, pregiudicano
spesso al vero; essendoche eccitano l’immaginazione a figurarise le cosa,
anziche chiamare l’attenzione a vederle nell’’esser loro ad a conoscerle quali
son. Finalmente, una quinta massima. Se per la scrazesa dei termini e
necessario usare una stessa parola in un senso alquanto diverso, non si
tracuri, per amore di brevita, di aggiugere ad essa quant’altre parole sieno
necessario perche il senso che si vuole che abbia, riesca caro e preciso. Sezioni:
‘Sopra-sezione: il segno dell’a idea. Segno. Segno naturale, segno arbitrario.
Segno manifestativo e suppositivo o rappresentativo. Segno dell’idea, segno del
pensiero. Il gesto – segno del pensiero. Parola e un segno articolato. La
parola ha un aspetto fisico e un aspetto logico. Quanto considerate semplicemente
nell’esere materialmente e un segno fisico. Se viene considerate in quate e
segno di un’idea od esprime un pensiero, e presa formalmente – logicamente. Le
parole sono comune o propri, di uno o piu eseri, la parola ‘pietro’ e semplice,
un termine complesso e ‘uomo eminentemente virtuoso, o semplicemente, un santo.
Termine categorematico e sincategorematico. Una praole che da se soli nulla
significa, ma solamente se si aggiune ad altra – della quale modifica la
significazione specialemnte in qualte all’estension dell’idea de cui e segno.
Essempli de segno sincategoremtatico e ‘ogni’ e ‘qualche’. ‘Leone’ permesse una
figura. Si usa ad indicare una spezie di animale, una costellazione in forma di
leone, o un uomo che si comporta come un leone. Un termino analogo e
‘saludabile’ che si applica al cibo ed al stilo di vita. Quando il segno e
sengo manfestaivo de una idea o segno suppositivo della cosa rappresentata da
esse. Il segno dunque tiene nella conversazione il ugo della cosa della quali
si parla, falle le loro veci, la rappresentato. Questo loro officio e quell che
si chiama la loro supposizione, lo stare cio per le cose, il sustituirise, o,
meglio, l’essere sostituiti ad essa. La supposizione e materiale si el segno
sta per se stesso materialmente preso, La supposizone e formale se eil segno e
adoprato secondo il suo esser logico, se sta per quello che chi parla ha
destignato a segnare. ‘uomo’, dotato di ragione. La supposizione formale puo
essere semplice o logica relae. La supposizione formale e logica si eil segno
sta pr ler idea di cui e segno, e ch e la cosa da lui immediatamene espresso.
‘l’uomo e una specie’. La supposizione e relae quando starper la cosa stessa
esistente in natural sotto quella forma, in cui l’essere e rappresentato dall’idea,
I cui il segno e segno – ‘luomo vive. La supposizione puo esser reale,
colletiva e distributaiva. La supposizione formale relae de una parola puo
essere colletiva o distributive. E colletivo se la parolsta sta nel discorso
per TUTTI e ciasccuno CUPULATIVAmente gli individuo di quell nome, ossia gli
essere che sonne nell’estensione dell’idea dal segno espresso. Come se si
dicsse, le parti equagliano il tutto. La supposizione e distributive se il
termine star per tutti e ciascuno DISGIUNTIVAmente gli esseri prappresentati
dall’idea, di cui e segno, star per uno di esso, o queso o quell oche sia, e
cosi stat per ognunon ossia vale per ognuno chi oche e detto delle cose
rappresentate dalla idea significate al segno, ‘le parti son o inferior al
tutto. Gli uomini hanno forza minore di quella d’un cavallo. C’e la possibilita
intrisece della origine naturale dei segno. Non pottrebe mai dimostrare
deall’impossibilita in cui gli uomini si arebero trovati di costituirse un
linguaggio per comuniare fra loro e manifestare recipricamente I prorpir
pensiere. Sebeene molto e rilento e non sensa gravi difficolta avvrebebero
tuttavia posti nella necessita di farlo putoto elevera a segni delle cosa e
costituirli cosi termini logici. Quelle che per una combinazione o relazione e
coll’aiuot di un gesto avverebo puotuo associare alle idea della cosa. Nessuna
ripugnanza in cio si vede, e finche ripugnanza non si vede, la possibilita
d’una cosa non puo essere a buon diritoo negata. La parola serve all’uomo
mirabilmente per TRASFONDERE negli altri le sue conosence, per mostrare le
ragione nelle quali egli ha scoperto l’essere di tante cosa, che immediatamente
non apparisicono e non si possoni in loro stsse vedere e perceptire, per
guidare in somma per sentitieri gia battuti alla conosecna di cose alle quali
tutte ciascune da se solo sensa l’aiuto dell’altrui intelligenza I cui acquisti
gl imanifesta la praola non avvrebe trovato la via di pervenire. Per intedere
il discourse si tiene in cota tre fattori. Primo: al senso che colla definizione
il parlante ha dichiarato di voler dare alle sue parole. Secondo: a quello que
aparisce DAL CONTESTO avvervi volute significare. Terzo e finalmente, al
CONCTTO che si sa ch’egli potesse avere dellle cose di cui ha parlato, perche
nessuno puo volere esprimere quell che non sa. Keywords: segnare, segnato,
segnante. Refs.: Luigi Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737646572/in/photolist-2mPSXPb
Grice e Pievani – il maschio – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Gazzaniga). Filosofo. Grice: “Only in Italy, Dietelmo
becomes Telmo –“ Grice: “I like Pievani – he defends Darwin when everyone
attacks him! Talk about rallying to the defense of the under-dogma!” Studia a Milano.
Conduce ricerche in Biologia evolutiva e Filosofia della biologia, sotto N.
Eldredge e I. Tattersall presso l'American Museum of Natural History, New
York. Grice: “Some Italians would not
consider him an Italian philosopher seeing that he earned his maximal degree
without (i. e., not within) Italy!” – Insegna a Milano. Bologna, e Padova. Opere:
“Il management dell'unicità, Guerini, Milano, “Homo sapiens e altre catastrofi”
Meltemi, Roma); Immagini del tempo nel cinema d'oggi, Meltemi, Roma, “Sotto il
velo della normalità” (Meltemi, Roma); “Il cappellano del diavolo, Scienza e
idee, Milano, Cortina); “Introduzione alla filosofia della biologia” (Laterza,
Roma); La teoria dell'evoluzione. Attualità di una rivoluzione scientifica,
Mulino, Bologna); Chi ha paura di Darwin?, IBIS, Como-Pavia, Creazione senza
Dio, Einaudi, Torino; “In difesa di Darwin. Piccolo bestiario dell'anti-evoluzionismo
all'italiana” (Milano, Bompiani); “Perdere la libertà per Sante ragioni. Dal
nascere al morire: la mano della Chiesa sulla nostra vita, Milano,
Chiarelettere); Nati per Credere, Codice, Torino); La vita inaspettata. Il
fascino di un'evoluzione che non ci aveva previsto, Raffaello Cortina, Milano, Introduzione a Darwin (Roma, Laterza); La
fine del mondo. Guida per apocalittici perplessi, Bologna, Mulino, Homo sapiens. Il cammino dell'umanità,
Atlante dell'Istituto Geografico De Agostini,
“Anatomia di una rivoluzione: la logica della scoperta scientifica”
(Mimesis); “Evoluti e abbandonati. Sesso, politica, morale: Darwin spiega
proprio tutto, Torino, Einaudi, Il
maschio è inutile. Un saggio quasi filosofico, Milano, Rizzoli, Libertà di migrare. Perché ci spostiamo da
sempre ed è bene così, Einaudi, Torino; Lectures, Giappichelli, Come saremo.
Storie di umanità, Codice, Torino, "Homo Sapiens Le nuove storie
dell'evoluzione umana", LGeografica,
Homo sapiens. Le nuove storie dell'evoluzione umana, Geografica, Imperfezione.
Una storia naturale, Milano, Cortina, Perché siamo parenti delle galline? E
tante altre domande sull’evoluzione, Scienza, Trieste,; Sulle tracce degli
antenati. L’avventurosa storia dell’umanità (Scienza, Trieste). Dietelmo
Pievani. Telmo Pievani. Pievani. Keywords: il maschio, maschile, maschilita,
maschilita fascista, fascist masculinities, il concetto di maschio,
dysmorphismo sessuale – sessualita e mascolinita, il maschio – uso del maschio
in opposizione a sostantivi astratti come mascolinita, o maschilita. i macchi,
homosociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pievani” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51700953156/in/photolist-2mLCU95-2mLCWXw-2mLGqAQ
Grice e Piovani – Enea, eroe stoico – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo. Grice: “Like Austin, and
then again like me, Piovani could invent lingo. The whole point of
ordinary-language philosophy was an attack on ‘philosophical language,’ and
there we are, Austin, Grice and Piovani INVENTING unordinary philosophical
language! In Piovani’s case is ‘assenzialismo’!” –Studia a Napoli. Insegna a Trieste,
Firenze, Roma, Napoli. Dei lincei. Scrive su alcuni fogli del regime. La sua
ricerca filosofica ha avvio all'indomani immediato della tragica conclusione
della seconda guerra mondiale e di ciò porta I segni anche nell'elaborazione
della propria caratterizzazione etico-politica, presto approdata alle ragioni
del liberalismo democratico. Dinanzi alla drammatica conclusione dell'esito
volontaristico dell'attualismo, la necessità di ripensare il modello idealistico
d’Italia lo indusse ad un'intensa riflessione sul significato e sul valore
dell'individuo nel suo farsi persona, che lo impegnò per tutta la vita, troncata
dalla malattia. Spazia dalla filosofia del diritto al pensiero filosofico
italiano, soprattutto a quello meridionale, ricopre incarichi nelle più
importanti accademie italiane. Fonda il Centro di Studi Vichiani. Pratica una
fenomenologia dell'individuale. Per il pensatore napoletano l'individuo non è
concepito come un'entità chiusa ed ego-istica tendente all'assolutizzazione ma,
al contrario, accettando egli la sua natura di vivente limitato, afferma sé
stesso nella responsabilità della propria azione. Concorrono elementi
esistenzialistici, l’analisi dell’esperienza comune. Di ciò è documento “Norma
e società” (Napoli, Jovene). Utilizza anche temi della prima Azione
blondeliana. La necessità di fondare la persona grazie a un criterio o norma,
che è la ragione dell’agire e del pensare -- la logica della vita morale -- fa
scoprire il tema di fondo della
filosofia morale. Il soggetto è un volente non volutosi -- vale a dire
che il soggetto, per quanto approfondisca il proprio essere che è il suo
esistere, deve arrestarsi dinanzi alla constatazione di essere dato, di non
essersi voluto. L’alternativa
esistenziale dell’accettazione della vita ne riscatta, con la volontà di essere
a fronte della possibilità contraddittoria del suicidio, l’originaria datità.
Ma questa accettazione, che è la sola possibile fondazione della vita morale,
rifiuta ogni ostinazione singolaristica e comporta che la vita è vita di
relazione, dove questa non è conquista ma condizione consustanziale del
soggetto che si accetta e dunque accetta l’altro, a iniziare dalla propria
alterità rispetto a se stesso. L’essenziale instaurazione personalitaria consente
la fondazione del diritto e della morale. Entrambe formazioni storiche, fondate
dinamicamente in quanto capaci di comprendere ogni forma in cui si sostanzi
l’attivo desiderio dell’uomo di soddisfare l’insaziabile bisogno di valori,
anch'essi costruiti dalla scelta esistenziale dei soggetti storici. Sostiene
che l'essere umano non possa fare affidamento su alcun tipo di fondamento
poiché, essendo un essere limitato e storico, è di fatto costretto a fondare
continuamente i suoi punti di riferimento. A questo proposito assumono appunto
un ruolo primario il valore, considerate
non come assoluto bensì prodotto della specificità individuale. Del resto
proprio il valore esalta la responsabilità dell'azione degl’individui, che,
altrimenti, verrebbe mortificata nel riferimento obbligato a qualcosa di
assoluto. Si può dunque parlare di un pluralismo etico che non significa
relativismo ma relatività e, dunque, rispetto. Una posizione che sembra
chiaramente riprendere il pensiero di Kant e, in particolare, il tema
dell'agonismo etico. Per il ricorrere di questi temi, la sua filosofia può
riassumersi nella formula tra esistenzialismo ri-pensato e storicismo ri-novato.
Tra questi, un numero di “Gerarchia”, su cui scrive riferendosi alla partecipazione emotiva degl’italiani
al conflitto. Questo modo di sentire e di interpretare gl’eventi deve essere
posto in luce perché esso indica che un ventennio di regime fascista è riuscito
a dare agl’Italiani almeno quel senso di pre-occupazione della tutela e della
difesa dei propri interessi, che è il presupposto indispensabile per la formazione
di una autentica e completa coscienza imperiale. Roma e Tirana, in Gerarchia,
Evoluzione liberale, in Biblioteca della libertà, Piovani, Enciclopedia
filosofica di Gallarate, Bompiani, Milano. Altre saggi: “Il significato del
principio di effettività” (Milano, Giuffre); “Morte e trasfigurazione dell'Università” (Napoli, Guida);“Teodicea
sociale” (Padova, Milani); “Linee di una filosofia del diritto” (Padova, MILANI);
“Gius-naturalismo ed etica moderna” (Bari, Laterza); “Filosofia e storia delle
idee” (Bari, Laterza); “Conoscenza storica e coscienza morale” (Napoli,
Morano); “Principi di una filosofia della morale” (Napoli, Morano); Oggettivazione
etica e assenzialismo, Napoli, Morano); “La filosofia nuova di Vico” ((Napoli,
Morano); “ Per una filosofia della morale, Milano, Bompiani); Tra
esistenzialismo e storicismo: la filosofia morale (Napoli, Morano); F.Tessitore,
Napoli, Società nazionale di scienze lettere e arti, D. Jervolino, Logica del
concreto ed ermeneutica della vita morale. Newman, Blondel, Napoli, Morano, G.Acocella,
Idee per un'etica sociale. Soveria Mannelli, Rubbettino, P. Amodio, degli scritti su Pietro Piovani, Napoli,
Liguori, G. Lissa, Anti-ontologismo e fondazione etica (Napoli, Giannini); A. Nieddu,
Norma soggetto storia: saggio sulla filosofia della morale (Napoli, Loffredo); A.
Nieddu, Incontri blondellani”; “Volontà,
norma, azione” (Cagliari, Editore); A. Perrucci, L'etica della responsabilità”
(Napoli, Liguori, G. Morrone, La scuola napoletana: lettura critica e
informazione bibliografica, Roma: Edizioni di Storia e Letteratura (Sussidi
eruditi) M. Olivetti, Enciclopedia
Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Etica
Enciclopedia del Novecento, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Centro di Studi Vichiani del Cnr di Napoli. La
lezione etica più che mai attuale di F Tessitore, Il Messaggero, di F
Tessitore, Napoli, 1 studi vichiani. Pietro Piovani. Piovani. Keywords: “i
principi metafisici di Vico”, Vico, principio. Luigi Speranza, “Grice e
Piovani: I principi metafisici di Vico”, filosofia nuova di VIco, la Gerarchia,
Roma e tiranna – colletivo, guerra, esperienza condivisa, ventennio del regime –
il debito di Vico a Roma --- la Roma di Vico e la Roma antica – interpretazione
filosofica – idealismo, Hegel --. The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737615912/in/datetaken/
Grice e Pirandello – e dov’è il copione? è in noi,
signore – il dramma è in noi -- siamo noi – filosofia italiana – filosofia
siciliana, reduzione siciliana – I ciclopu – identita personale, l’uno,
nessuno, decadentismo -- Luigi Speranza (Girgenti).
Filosofo. Grice: “Pirandello would
say he is no philosopher, but then I’m a cricketer!” --. Medaglia del Premio Nobel Premio Nobel
per la letteratura. Per la sua produzione, le tematiche affrontate e
l'innovazione del racconto teatrale è considerato tra i più importanti
drammaturghi del XX secolo. Tra i suoi lavori spiccano diverse novelle e
racconti brevi (in lingua italiana e siciliana) e circa quaranta drammi,
l'ultimo dei quali incompleto. Io son figlio del Caos. E non
allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna,
che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale,
Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico
vocabolo greco Kaos. Figlio di Stefano Pirandello e Caterina Ricci Gramitto,
appartenenti a famiglie di agiata condizione borghese, dalle tradizioni risorgimentali,
nacque in contrada Càvusu a Girgenti..Nell'imminenza del parto che dove avvenire
a Porto Empedocle, per un'epidemia di colera che stava colpendo la Sicilia, il
padre decide di trasferire la famiglia in un'isolata tenuta di campagna per
evitare il contatto con la pestilenza. Porto Empedocle, prima di chiamarsi
così, era la Borgata Molo. Quando si decide che la borgata diviene comune
autonomo. La linea di confine fra i due comuni venne fissata all'altezza della
foce di un fiume essiccato che taglia in due la contrada chiamata u Càvuso o u
Càusu, pantalone. Questo Càvuso appartene a metà alla Borgata Molo e l'altra metà
a Girgenti. A qualche impiegato dell'ufficio anagrafe parve che non e cosa che
si scrive che qualcuno e nato in un paio di pantaloni e cangia quel volgare
càusu in caos. Il padre, partecipa alle imprese garibaldine. Sposa Caterina,
sorella di un suo commilitone, Rocco Ricci Gramitto. Il suo nonno materno,
Giovanni Battista Ricci Gramitto, e tra gli esponenti di spicco della rivoluzione
siciliana e, escluso dall'amnistia al ritorno del Borbone, fuggito in esilio a
Malta dove muore. Il bonno paterno, Andrea Pirandello, e un armatore e ricco
uomo d'affari di Pra', ora quartiere di Genova. La famiglia vive in una
situazione economica agiata, grazie al commercio e all'estrazione dello zolfo. La
sua infanzia e serena ma, come lui stesso racconta, caratterizzata anche dalla
difficoltà di comunicare con gli adulti e in specie con i suoi genitori, in
modo particolare con il padre. Questo lo stimola ad affinare le sue capacità
espressive e a studiare il modo di comportarsi degli altri per cercare di
corrispondervi al meglio. Fin da ragazzo soffre d'insonnia e dorme abitualmente solo tre ore per notte. E molto
devoto alla Chiesa cattolica grazie all'influenza che ebbe su lui una domestica
di famiglia, che lo avvicinò alle pratiche religiose, ma inculcandogli anche
credenze superstiziose fino a convincerlo della paurosa presenza degli spiriti.
La chiesa e i riti della confessione religiosa gli permettevano diaccostarsi ad
un'esperienza di misticismo, che cercherà di raggiungere in tutta la sua
esistenza. Si allontanò dalle pratiche religiose per un avvenimento apparentemente
di poco conto: un prete aveva truccato un'estrazione a sorte per far vincere
un'immagine sacra al giovane Luigi; questi rimase così deluso dal comportamento
inaspettatamente scorretto del sacerdote che non volle più avere a che fare con
la Chiesa, praticando una religiosità del tutto diversa da quella
ortodossa. Dopo l’istruzione elementare impartitagli privatamente, fu
iscritto dal padre alla regia scuola tecnica di Girgenti, ma durante un’estate
preparò, all’insaputa del padre, il passaggio agli studi classici. In seguito a
un dissesto economico, la famiglia si trasfere a Palermo. Frequenta il regio
ginnasio Vittorio Emanuele II e dove rimase anche dopo il rientro dei suoi a
Porto Empedocle. Si appassiona subito alla letteratura. Scrive “Barbaro",
andata perduta. Aiuta il padre nel commercio dello zolfo, e puo conoscere
direttamente il mondo degl’operai nelle miniere e quello dei facchini delle
banchine del porto mercantile. Studia a Palermo e Roma. Studia filologia sotto
Monaci. Studia Bücheler, Usener e
Förster. Scrive “Foni ed evoluzione fonetica del dialetto della
provincia di Girgenti.” Si trasfere a Roma, dove poté mantenersi grazie agli
assegni mensili inviati dal padre. Qui conobbe L. Capuana che lo aiutò molto a
farsi strada nel mondo letterario e che gli aprì le porte dei salotti
intellettuali dove ebbe modo di conoscere giornalisti, scrittori, artisti e
critici. Un allagamento e una frana nella miniera di zolfo di Aragona di
proprietà del padre, nella quale era stata investita parte della dote di
Antonietta, e da cui anche Pirandello e la sua famiglia traevano un notevole
sostentamento, li ridusse sul lastrico. Questo avvenimento accrebbe il
disagio mentale, già manifestatosi, della moglie di Pirandello, Antonietta. Ella
era sempre più spesso soggetta a crisi isteriche, causate anche dalla gelosia,
a causa delle quali o lei rientrava dai genitori, o Pirandello era costretto a
lasciare la casa. La malattia prese la forma di una gelosia delirante e
paranoica, che la porta a scagliarsi contro tutte le donne che parlassero col
marito, o che lei pensava che volessero avere un qualche tipo di rapporto con
lui; perfino la figlia Lietta susciterà la sua gelosia, e a causa del
comportamento della madre tenterà il suicidio e poi se ne andrà di casa. La
chiamata alle armi di Stefano nella Grande Guerra peggiorò ulteriormente la sua
situazione mentale. Solo diversi anni dopo, egli, ormai disperato,
acconsentì che Antonietta fosse ricoverata in un ospedale psichiatrico. Morirà
in una clinica per malattie mentali di Roma, sulla via Nomentana. La malattia
della moglie lo porta ad approfondire,
portandolo ad avvicinarsi alle nuove teorie sulla psicoanalisi di Freud, lo
studio dei meccanismi della mente e ad analizzare il comportamento sociale nei
confronti della malattia mentale. Spinto dalle ristrettezze economiche e
dallo scarso successo delle sue prime opere letterarie, e avendo come unico
impiego fisso una cattedra di stilistica dove impartire lezioni private di
italiano e di tedesco, dedicandosi anche intensamente al suo lavoro letterario.
Inizia anche una collaborazione con il Corriere della Sera. Il suo primo
grande successo fu merito del romanzo Il fu Mattia Pascal, scritto nelle notti
di veglia alla moglie paralizzata alle gambe. La critica non diede subito al
romanzo il successo che invece ebbe tra il pubblico. Numerosi critici non
seppero cogliere il carattere di novità del romanzo, come d'altronde di altre
opere di Pirandello. Perché Pirandello arrivasse al successo si dovette
aspettare a quando si dedica totalmente al teatro. Lo scrittore siciliano aveva
rinunciato a scrivere opere teatrali, quando l'amico N. Martoglio gli chiese di
mandare in scena nel suo Minimo presso
il Metastasio di Roma alcuni suoi lavori: Lumie di Sicilia e l'Epilogo. Acconsente
e la rappresentazione dei due atti unici ebbe un discreto successo. Tramite i
buoni uffici del suo amico Martoglio anche A. Musco volle cimentarsi con il
teatro pirandelliano: Pirandello tradusse per lui in siciliano Lumie di Sicilia,
rappresentato con grande successo al Pacini di Catania. Cominciò da questa data
la collaborazione con Musco che incominciò a guastarsi dopo qualche tempo
per la diversità di opinioni sulla messa in scena di Musco della commedia Liolà
nel novembre al teatro Argentina di Roma: «Gravi dissensi» di cui Pirandello
scrive al figlio Stefano. La guerra fu un'esperienza dura per Pirandello;
il figlio venne infatti imprigionato dagli austriaci, e, una volta rilasciato,
ritorna in Italia gravemente malato e con i postumi di una ferita. Durante la
guerra, inoltre, le condizioni psichiche della moglie si aggravarono al punto
da rendere inevitabile il ricovero in manicomio dove rimase fino alla morte.
Dopo la guerra, lo scrittore si immerse in un lavoro frenetico, dedicandosi soprattutto
al teatro. Fonda la Compagnia del Teatro d'Arte di Roma con due grandissimi
interpreti dell'arte pirandelliana: Marta Abba e Ruggero Ruggeri. Con questa
compagnia cominciò a viaggiare per il mondo: le sue commedie vennero rappresentate
anche nei teatri di Broadway. Nel giro di un decennio arrivò ad essere il
drammaturgo di maggior fama nel mondo, come testimonia il premio Nobel per la
letteratura ricevuto per il suo ardito e ingegnoso rinnovamento dell'arte
drammatica e teatrale. Degno di nota fu lo stretto rapporto con Abba, sua musa
ispiratrice, della quale Pirandello, secondo molti biografi e conoscenti, era
innamorato forse solamente in maniera platonica. Molte delle opere
pirandelliane cominciavano intanto ad essere trasposte al cinema. Pirandello
andava spesso ad assistere alla lavorazione dei film; andò anche negli Stati
Uniti d'America, dove famosi attori e attrici di Hollywood, come Greta Garbo,
interpretavano i suoi soggetti. Nell'ultimo di questi viaggi andò a trovare, su
invito, Albert Einstein a Princeton. In una conferenza stampa difese con
veemenza la politica estera del fascismo, con la guerra d'Etiopia, accusando i
giornalisti statunitensi di ipocrisia, citando il colonialismo contro i nativi
americani. Pirandello e la politica: l'adesione al fascismo. Non aveva mai
preso specifiche posizioni politiche, tranne l'ammirazione per il patriottismo
garibaldino di famiglia, unica certezza in un'epoca di crisi. La sua idea
politica di fondo e legata principalmente a questo patriottismo risorgimentale.
Una sua lettera apparsa sul Giornale di Sicilia testimonia gli ideali
patriottici della famiglia, proprio nei primi mesi dallo scoppio della Grande
Guerra durante la quale il figlio e fatto prigioniero dagli austriaci e rinchiuso,
per la maggior parte della prigionia, nel campo di concentramento di Pian di
Boemia, presso Mauthausen. Non riuscì a far liberare il figlio malato neppure
con l'intervento di Benedetto XV. Nella sua vita condivise alcune delle idee
dei giovani fasci siciliani e del socialismo; ne I vecchi e i giovani si nota
come la sua idea politica e stata oscurata dalla riflessione umoristica. Per
Pirandello, i siciliani hanno subìto le peggiori ingiustizie dai vari governi
italiani -- è questa l'unica idea forte che ci presenta. Nella prima
guerra mondiale e un interventista, anche se avrebbe preferito che il figlio
non partecipasse in prima linea alla guerra, cosa che invece fa, arruolandosi
volontario immediatamente e rimanendo ferito e prigioniero degli austriaci,
situazione che e estremamente angosciosa per lo scrittore. Nel primo dopoguerra
non adere subito ai fasci di combattimento, tuttavia pochi anni dopo esplicita
l'adesione al fascismo, ormai istituzionalizzato. E ricevuto da Mussolini a
Palazzo Chigi. Chiese l'iscrizione al partito fascista inviando un telegramma a
Mussolini, pubblicato subito dall'agenzia Stefani. Eccellenza, sento che questo
è per me il momento più proprio di dichiarare una fede nutrita e servita sempre
in silenzio. Se l'E.V. mi stima degno di entrare nel partito nazionale fascista,
pregerò come massimo onore tenermi il posto del più umile e obbediente gregario.
Con devozione intera. Il telegramma arriva in un momento di grande difficoltà
per il presidente del consiglio dopo il ritrovamento del corpo di Matteotti. Per
la sua adesione al fascismo e duramente attaccato da alcuni intellettuali e
politici fra cui il deputato liberale G. Amendola che in un a saggio arriva a
dargli dell'accattone che voleva a tutti i costi divenir senatore del Regno. Pur
non ritrovandosi caratterialmente con Mussolini e molti gerarchi, che ritiene
persone troppo rozze e volgari, oltre che poco interessati al teatro, non rinnega
mai la sua adesione al fascismo, motivata tra le altre cose da una profonda
sfiducia nei regimi social-democratici, così come non si interessa mai del
marxismo, solo ne “I vecchi e i giovani” mostra un leggero interesse per il socialismo
-- regimi nei quali si andano trasformando la democrazia liberale, che ritene a
loro volta corrotta, portando ad esempio gli scandali dell'età giolittiana e il
trasformismo. Pova inoltre un deciso disprezzo per la classe politica che
avrebbe voluto vedere, nichilisticamente, cancellata dalla vita del Paese, e
una forte sfiducia verso la massa caotica del popolo, che anda istruita e
guidata da una sorta di monarca illuminato. E tra i firmatari del “Manifesto” redatto
da Gentile. La sua adesione al fascismo e per molti imprevista e sorprende anche
i suoi più stretti amici. Sostanzialmente egli, per un certo conservatorismo
che comunque ha, guarda al Duce come ri-organizzatore della società. Un'altra
motivazione addotta per spiegare tale scelta politica è che il fascismo lo
riconduce all’ideale patriottico ri-sorgimentale di cui e convinto sostenitore,
anche per le radici garibaldine del padre. Vede nelli una idea originale, che
dove rappresentare la forma dell'Italia destinata a divenire modello. Puo apparire
un punto di contatto colli fasci il sostenuto relativismo filosofico di
entrambi. Ben diverso pero è il relativismo morale dei fasci, fondato sull'attivismo
e il suo relativismo esistenziale che si richiama allo scetticismo razionale. Si
fa interprete di un relativismo pessimistico, angosciato, negatore di ogni
certezza, incompatibile con l'ansia attivistica o il relativismo ottimistico
dei fasci Sempre nel solco di Amendola e dei critici anti-fascisti vi è anche
un commento più pragmatico alla sua iscrizione al Partito fascista, la quale
avrebbe avuto origine nel suo ricercare finanziamenti per la creazione della
sua compagnia di teatro, che ha così il sostegno del regime e le relative
sovvenzioni. Il governo fascista, pero, perfino dopo il Nobel, gli prefiere
sempre Annunzio e Deledda, anche lei vincitrice del premio, come letterati
ideali del regime. Ha molta difficoltà a re-perire i fondi statali, che
Mussolini spesso non vuole concedergli. Non sono infrequenti suoi scontri
violenti con autorità fasciste e dichiarazioni aperte di a-politicità. Sono a-politic.
Mi sento soltanto uomo sulla terra. E, come tale, molto semplice e parco. Se
vuole potrei aggiungere casto. Clamorosoe il gesto narrato da C. Alvaro in cui a Roma
strappa la sua tessera del suo fascio davanti agli occhi esterrefatti del
Segretario Nazionale. Nonostante ciò, una rottura aperta col fascismo non
si onsume mai. Si conclude senza troppa fortuna l'esperienza del Teatro
d'Arte. Dopo lo scioglimento, in tacita polemica con il regime fascista che a
suo avviso era troppo parco di sostegno ai suoi progetti teatrali, si ritira. Forse
a parziale compensazione di questo mancato sostegno, e uno dei primi trenta accademici,
nominati direttamente da Mussolini, della neo costituita Reale Accademia
d'Italia – i reali italiani! In nome del suo ideale patriottico, partecipa
alla raccolta dell'oro per la patria donando la medaglia del premio Nobel. Questa
scelta di adesione ai fasci è stata spesso sia minimizzata sia accentuata dalla
critica. L’ideologia fascista non ha mai parte nella sua vita o nel suo teatro,
abbastanza avulse della realtà politica, così che non fu in grado di vedere e
giudicare la violenza dei fasci. Il contenuto anarchico, corrosivo, pessimista
e quasi sempre anti-sistema del suo teatro e guardato con sospetto da molti
uomini del partito. Non lo considerano una vera "arte fascista". La
critica non lo esalta, spesso considerando il suo teatro non conformi all’ideale
fascista. Vi si vede una certa insistenza e considerazione della borghesia
altolocata che i fasci condanno come corrotta e decadente. Gl’arzigogoli
filosofici dei personaggi dei suoi drammi borghesi sono considerati quanto di
più lontano dall'attivismo fascista. Anche dopo l'attribuzione del Nobel
parecchi teatro e accusato dalla stampa di regime di disfattismo tanto che
anche fine tra i "controllati speciali" dell'OVRA. Nonostante i suoi
elogi al capo del governo, il Duce fa sequestrare l'opera “La favola del figlio”
cambiato, per alcune scene ritenute non consone, impedendone le repliche. A lui
e imposta, per contrasto, la regia dell'opera dannunziana La figlia di Jorio! Le
sue volontà testamentarie, che negavano ogni funerale e celebrazione, metteranno
in imbarazzo i fascisti e lo stesso Mussolini, che ordina così alla stampa che
non ci fanno troppe celebrazioni sui quotidiani, ma che ne fanno data solo la
notizia, come di un semplice fatto di cronaca. Il rifugio di Soriano nel Cimino
ama trascorrere ampi periodi dell'anno nella quiete di Soriano nel Cimino, un'amena
e bella cittadina ricca di monumenti storici e immersa nei boschi del Monte
Cimino. In particolare rimase
affascinato dalla maestosità e dalla quiete di uno stupendo castagneto situato nella
località di "Pian della Britta", a cui volle dedicare un'omonima
poesia, che oggi è scolpita su una lapide di marmo posta proprio in tale
località. Ambienta a Soriano nel Cimino (citando luoghi, località e
personaggi realmente esistiti) anche due tra le sue più celebri novelle Rondone
e Rondinella e Tomassino ed il filo d'erba. A Soriano nel Cimino, è rimasto
vivo ancora oggi il suo ricordo a cui sono dedicati monumenti, lapidi e
strade. Frequenta anche Arsoli per molti anni, soprattutto durante i periodi
estivi, dove amava dissetarsi con una gassosa nell'allora bar Altieri in piazza
Valeria. Il suo amore per il paese si ritrova nella definizione che egli stesso
diede ad Arsoli chiamandola La piccola Parigi. Appassionato di cinematografia,
mentre assiste a Cinecittà alle riprese di un film tratto dal suo romanzo Il fu
Mattia Pascal, si ammala di polmonite. Ha già subito due attacchi di cuore. Il
suo corpo, ormai segnato dal tempo e dagli avvenimenti della vita, non sopporta
oltre. Al medico che tenta di curarlo, disse. Non abbia tanta paura delle
parole, professore, questo si chiama morire. La malattia si aggrava e muore. Per
lui il regime fascista vuole esequie di stato. Viene nvece rispettate le sue volontà
espresse nel testamento. Carro d'infima classe, quello dei poveri. Nudo. E
nessuno m'accompagni -- né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere
e basta. Bruciatemi. Per sua volontà il corpo, senza alcuna cerimonia, e cremato,
per evitare postume consacrazioni cimiteriali e monumentali. Le sue ceneri
furono deposte in una preziosa anfora greca già di sua proprietà e tumulate nel
cimitero del Verano. Camilleri e altri quattro dettero il via a un lento e
travagliato adempimento delle sue ultime volontà (in caso non fosse stato possibile
lo spargimento). Far seppellire le ceneri nel giardino della villa di contrada
Caos, dove e nato. Ambrosini trasporta l'anfora in treno, chiusa in una
cassetta di legno. A Palermo il corteo funebre venne però bloccato dal vescovo
di Agrigento G. Peruzzo. Camilleri si reca al vescovo, che rimase inamovibile.
Propose allora con successo l'idea di inserire l'anfora in una bara, che venne
appositamente affittata. Il corteo, per un breve tratto a piedi e poi a bordo
di una littorina, giunse a Girgenti. Dopo una cerimonia religiosa, l'anfora con
le ceneri e estratta dalla bara e riposta nel Museo Civico di Agrigento, in
attesa della costruzione di un monumento nel giardino della villa. Solo dopo parecchi
anni dalla morte, realizzata una scultura monolitica di R. Mazzacurati, artista
vincitore del concorso indetto, costituita principalmente da una grossa pietra
non lavorata, le ceneri vennero portate nel giardino e versate in un cilindro
di rame inserito nel terreno, che venne chiuso da una pietra sigillata con del
cemento. Una parte rimanente delle ceneri, trovata anni dopo attaccata ai
lati interni dell'anfora, non essendo più contenibile nel cilindro ri-colmo e
ri-aperto per l'occasione, venne dispersa, rispettando il desiderio originario
di lui stesso. Davanti agli occhi di una bestia crolla come un castello di
carte qualunque sistema filosofico. (L. Pirandello, dai Foglietti). E convinto
che qualunque filosofia e fallita di fronte all'insondabilità dell'uomo quando
in lui prevale la bestia -- l'aspetto animalesco e irrazionale. La sua e
una teoria della pluralità dell'io. Pubblica i saggi “Arte e Scienza” e “L'umorismo”
-- caratterizzati da un'esposizione di stile colloquiale, molto lontana dal
consueto discorso filosofico. I due saggi sono espressione di un'unica identita
artistica ed esistenziale che ha coinvolto lo scrittore siciliano che vede come
centrale proprio la poetica dell'umorismo. In “L'umorismo” confluiscono idee,
brani di scritti e appunti precedenti. Sue varie chiose e annotazioni a L'indole
e il riso di L. Pulci di A. Momigliano e parti dell'articolo di A. Cantoni nella
«Nuova Antologia». Il suo umorismo si inserisce in un rigoglioso e più che
secolare campo di meditazione e ricerca sull'omonimo tema; e rappresenta il
momento ri-epilogativo probabilmente più soddisfacente di una serie di
acquisizioni teoriche che la cultura ha chiare e consolidate . Bisogna infatti
aspettare il saggio di A. Genovese, “Il Comico, l’Umore e la Fantasia o Teoria
del Riso come Introduzione all’Estetica” (Bocca, Torino) per avere un saggio di
ampia informazione e documentazione, di solido spessore speculative pur
nell'ispirazione idealistica da cui prende le mosse. Tecnicamente persuasivo,
insomma, e con ben altre fondamenta teoretiche, praltro, in un panorama di non
rara fossilizzazione culturale, va detto che l'opera di Genovese è stata
appaiata forse soltanto dal coraggioso saggio, e Homo ridens. Estetica,
Filologia, Psicologia, Storia del Comico” (Firenze, Olsckhi). Distingue il
comico dall'umoristico. Il comico e definito come avvertimento del contrario, nasce
dal contrasto tra l'apparenza e la realtà. Vedo una vecchia signora, coi
capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile manteca, e poi tutta
goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere.
"Avverto" che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una
rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e
superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto
un "avvertimento del contrario. L'umorismo, il "sentimento del
contrario", invece nasce da una considerazione meno superficiale della
situazione. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che
quella vecchia signora non prova forse piacere a pararsi così come un
pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente,
s'inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le canizie, riesca a
trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non
posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me,
mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro. Da
quel primo *avvertimento* del *contrario* mi ha fatto passare a questo *sentimento*
del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico. Quindi,
mentre il comico genera quasi immediatamente la risata perché mostra subito la
situazione *evidentemente contraria* a quella che dovrebbe normalmente essere,
l'umoristico nasce da una più ponderata ri-flessione che genera compassione e
un sorriso di comprensione. Nell'umoristico c'è il senso di un *comune sentimento*
della fragilità dell’uomo da cui nasce un compatimento per la debolezze dell’altro
che e anche la propria. L'umoristico è meno spietato del comico che giudica in
maniera immediata. Non ci fermiamo alle apparenze, ciò che inizialmente ci
fa ridere adesso ci fa tutt'al più sorridere, o piantare. La filosofia dell'umoristico in nasce già quando pubblica
le due premesse de Il fu Mattia Pascal dove richiamandosi al “Copernico” di
Leopardi riprende l'ironia che attribusce l’eliocentrismo alla pigrizia del sole
stanco di girare attorno ai pianeti. Si vede una notazione dell’umoristico
nella contrapposizione di due sentimenti opposti. Dopo l’accettazione
dell’eliocentrismo, i terrestri accetano di essere una parte infinitesimale
dell'universo e nello stesso tempo la sua capacità di
compenetrarsene. L'analisi dell'identità condotta da lui lo porta a
formulare la teoria della crisi dell'io. Il nostro spirito consiste di
frammenti, o meglio, di elementi distinti, più o meno in rapporto tra loro, i
quali si possono disgregare e ricomporre in un nuovo aggregamento, così che ne
risulti una nuova personalità, che pur fuori dalla coscienza dell'io normale,
ha una propria coscienza a parte, indipendente, la quale si manifesta viva e in
atto, oscurandosi la coscienza normale, o anche coesistendo con questa, nei
casi di vero e proprio sdoppiamento dell'io. Talché veramente può dirsi che due
persone vivono, agiscono a un tempo, ciascuna per proprio conto, nel medesimo
individuo. Con gli elementi del nostro io noi possiamo perciò comporre,
costruire in noi stessi altri individui, altri esseri con propria coscienza,
con propria intelligenza, vivi e in atto. Paradossalmente, il solo modo per
recuperare la propria identità è la follia, tema centrale in molte opere, come
l'Enrico IV o come Il berretto a sonagli, nel quale inserisce addirittura una
ricetta per la pazzia: dire sempre la verità, la nuda, cruda e tagliente
verità, infischiandosene dei riguardi, delle maniere, delle ipocrisie e delle
convenzioni sociali. Questo comportamento porta presto all'isolamento da parte
della società e, agli occhi degli altri, alla pazzia. Abbandonando le
convenzioni sociali e morali l'uomo può ascoltare la propria interiorità e
vivere nel mondo secondo le proprie leggi, cala la maschera e percepisce se
stesso e l’altro senza dover creare un personaggio, è semplicemente “persona”. Esemplare
di tale concezione è l'evoluzione di Vitangelo Moscarda, protagonista di Uno,
nessuno e centomila. Ancora sulla crisi dell'identità del singolo
impotente con la sua razionalità di fronte al mistero universale che lo
circonda, in Il fu Mattia Pascal, espone metaforicamente la sua filosofia del
lanternino, tramite il monologo che il personaggio di Anselmo Paleari rivolge
al protagonista Mattia Pascal, in cui la piccola lampada rappresenta il
sentimento umano, che non riesce ad alimentarsi se non tramite le illusioni di
fede e ideologie varie ("i lanternoni"), ma che altrimenti provoca
l'angoscia del buio che lo circonda all'uomo, l'animale che ha il triste privilegio
di "sentirsi vivere. Nella lanternisofia, il lanternino che proietta tutto
intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l'ombra
nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe se il lanternino non fosse acceso in
noi, ma che noi purtroppo dobbiamo credere vera, fintanto ch'esso si mantiene
vivo in noi. Spento alla fine da un soffio, ci accoglierà la notte perpetua
dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto
alla mercé dell'Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra
ragione? (Il fu Mattia Pascal, capitolo XIII, Il lanternino) La sua sfiducia
verso la fede religiosa tradizionale lo porta ad accentuare così il proprio
vuoto spirituale, che cercò di riempire, come il citato personaggio del
Paleari, con l'interesse personale verso l'occultismo, la teosofia e lo spiritismo,
che tuttavia non gli daranno la serenità esistenziale. Il contrasto tra vita e
forma Luigi Pirandello svolge una ricerca inesausta sull'identità della persona
nei suoi aspetti più profondi, dai quali dipendono sia la concezione che ogni
persona ha di sé, sia le relazioni che intrattiene con gli altri. Influenzato
dalla filosofia irrazionalistica di fine secolo, in particolare di Bergson,
Pirandello ritiene che l'universo sia in continuo divenire e che la vita sia
dominata da una mobilità inesauribile e infinita. L'uomo è in balia di questo
flusso dominato dal caso, ma a differenza degli altri esseri viventi tenta,
inutilmente, di opporsi costruendo forme fisse, nelle quali potersi
riconoscere, ma che finiscono con il legarlo a maschere in cui non può mai
riconoscersi o alle quali è costretto a identificarsi per dare comunque un senso
alla propria esistenza. Se l'essenza della vita è il flusso continuo, il
perenne divenire, quindi fissare il flusso equivale a non vivere, poiché è
impossibile fissare la vita in un unico punto. Questa dicotomia tra vita e
forma, accompagnerà l'autore in tutta la sua produzione evidenziando la
sconfitta dell'uomo di fronte alla società, dovuta all'impossibilità di fuggire
alle convenzioni di quest'ultima se non con la follia. Solo il folle, che pure
è una figura sofferente ed emarginata, riesce talvolta a liberarsi dalla
maschera, e in questo caso può avere un'esistenza autentica e vera, che resta
impossibile agli altri in quanto non è fattibile denudare la maschera o le
maschere, la propria identità (Maschere nude è infatti il titolo della raccolta
delle sue opere teatrali). Questa riflessione, che si rispecchia nelle varie
opere con accenti ora lievi ora gravi e tragici, è stata, ad opera soprattutto
dello studioso Adriano Tilgher, interpretata come un sistema filosofico basato
sul contrasto tra la Vita e la Forma, che talvolta ha fatto esprimere alla
critica un giudizio negativo delle ultime opere precedenti al "teatro dei
miti", accusate a volte di "pirandellismo", cioè di riproporre
sempre lo stesso schema di lettura. Il relativismo psicologico o conoscitivo
«La verità? è solo questa: che io sono, sì, la figlia della signora Frola Ah! E
la seconda moglie del signor Ponza Oh! E come? Sì; e per me nessuna! nessuna! Ah,
no, per sé, lei, signora: sarà l'una o l'altra! Nossignori. Per me, io sono
colei che mi si crede. Ed ecco, o signori, come parla la verità. -- Dialogo
finale di Così è (se vi pare)). Dal contrasto tra la vita e la forma nasce il
relativismo psicologico che si esprime in due sensi: orizzontale, ovvero nel
rapporto inter-personale, e verticale, ovvero nel rapporto che una persona ha
con se stessa. Gl’uomini nascono liberi ma il caso interviene nella loro
vita precludendo ogni loro scelta. L’uomo nasce in una società pre-costituita
dove ad ognuno viene assegnata una parte secondo la quale deve
comportarsi. Ciascuno è obbligato a seguire il ruolo e le regole che la
società impone, anche se l'io vorrebbe manifestarsi in modo diverso. Solo per
l'intervento del caso può accadere di liberarsi di una forma per assumerne
un'altra, dalla quale non sarà più possibile liberarsi per tornare indietro,
come accade al protagonista de Il fu Mattia Pascal. L'uomo dunque non può
capire né l’altro né tanto meno se stesso, poiché ognuno vive portando consapevolmente
o, più spesso, inconsapevolmente, una maschera dietro la quale si agita una
moltitudine di personalità diverse e inconoscibili. Queste riflessioni
trovano la più esplicita manifestazione narrativa nel romanzo Uno, nessuno e
centomila. Uno perché ogni persona crede di essere un individuo unico con
caratteristiche particolari. Centomila perché l'uomo ha, dietro la maschera,
tante personalità quante sono le persone che ci giudicano. Nessuno perché,
paradossalmente, se l'uomo ha centomila personalità diverse, invero, è come se
non ne possedesse nessuna, nel continuo cambiare non è capace di fermarsi
nel suo io". Il relativismo conoscitivo e psicologico su cui si basa la
sua filosofia si scontra con il conseguente problema dell'incomunicabilità tra i
siciliani. Ogni personaggio siciliano ha un proprio modo di vedere la realtà. Non
esiste un'unica realtà oggettiva, ma tante realtà quante sono i siciliani che
credono di possederla. Dunque, ognuno ha una propria verità. Questa incomunicabilità
produce quindi un sentimento di solitudine ed esclusione dalla società e
persino da se stesso. Proprio la crisi e frammentazione dell'io interiore crea un
altr’ io diverso e discordante. L’io consiste di frammenti che ci fanno
scoprire di essere -- uno, nessuno – molti -- centomila --. Il personaggio come
il Vitangelo Moscarda di “Uno, nessuno e – molti centomila e i protagonisti
della commedia ‘a fare’, “Sei personaggi in cerca di autore” di conseguenza
avverte un sentimento di “estraneità” –
alienazione o alterita – strano – etimologia -- dalla vita che lo fa sentire
forestiero della vita, nonostante la continua ricerca di un senso
dell'esistenza e di un'identificazione di un proprio ruolo, che vada oltre la
maschera, o le diverse e innumerevoli maschere, con cui si presentano al
cospetto della società o delle persone più vicine. Il peronaggio accetta
la maschera, che lui stesso ha messo o con cui gl’altro tende a identificarlo. Prova
ommessamente a mostrarsi per quello che lui crede di essere. Incapace di
ribellarsi, pero, o deluso dopo l'esperienza di vedersi attribuita una nuova
maschera, si rassegna. Il personaggio vive nell'infelicità, con la coscienza
della frattura tra la vita che vorrebbe vivere e quella che laltro lo fa vivere
per come esso lo vede. Il personaggio accetta alla fine passivamente il ruolo
da recitare che lui si attribuisce sulla scena dell'esistenza. Questa è la
reazione tipica del personaggio più deboli come si può vedere nel romanzo “Il
fu Mattia Pascal”. Il soggetto non si rassegna alla sua maschera. Accetta pero il
suo ruolo con un atteggiamento ironico, aggressivo o umoristico. Ne fanno
esempio varie opere come: Pensaci Giacomino, Il giuoco delle parti e La
patente. Rosario Chiàrchiaro è un uomo cupo, vestito sempre in nero che si è
fatto involontariamente la nomea di iettatore e per questo è sfuggito da tutti
ed è rimasto senza lavoro. Il presunto iettatore non accetta l'identità che gl’altro
gli ha attribuito ma comunque se ne serve. Va dal giudice e, poiché tutti sono
convinti che sia un menagramo, pretende la patente di iettatore autorizzato. In
questo modo ha un lavoro: chi vuole evitare le disgrazie che promanano da lui
dovrà pagare per allontanarlo. La maschera rimane – ma almeno se ne ricava un
vantaggio. L'uomo, accortosi del relativismo, si rende conto che l'immagine che
di sé non corrisponde in realtà a quella che l’altro ha di lui e cerca in ogni
modo di carpire questo lato inaccessibile del suo io. Vuole togliersi la
maschera che gli è stata imposta e reagisce con disperazione. Non riesce a
strapparsela e allora se è così che lo vuole il mondo, egli e quello che l’altro
credono di percipere in lui e non si ferma nel mantenere questo suo
atteggiamento sino all’ultima e drammatica conseguenza. Si chiude in una
solitudine disperata che lo porta al dramma, alla pazzia o al suicidio. Da tale
sforzo verso un obiettivo irraggiungibile nasce la voluta follia. La follia è
lo strumento di contestazione per eccellenza della forma fasulla della vita
sociale, l'arma che fa esplodere la convenzione e il rituale, riducendoli
all'assurdo e rivelandone l'inconsistenza. Solo e unico modo per vivere,
per trovare l’io, è quello di accettare il fatto di non avere un'identità, ma
solo frammenti -- e quindi di non essere uno ma nessuno -- accettare
l'alienazione completa da se stesso. Tuttavia il colletivo non accetta il
relativismo. Il soggeto chi accetta il relativismo viene ritenuto pazzo dal
colletivo. Esemplari sono i personaggi dei drammi Enrico IV, dei Sei personaggi
in cerca d'autore, o di Uno, nessuno e centomila. Divenne famoso proprio
grazie al teatro che chiama “teatro dello specchio”, perché in esso viene
raffigurata la vita vera, quella nuda, amara, senza la maschera dell'ipocrisia
e delle convenienze sociali, di modo che lo spettatore si guardi come in uno
specchio così come realmente è, e diventi migliore. Dalla critica viene
definito come uno dei grandi drammaturghi del XX secolo. Scrive moltissime
opera, alcune delle quali rielaborazioni delle sue stesse novelle, che vengono
divise in base alla fase di maturazione dell'autore: Prima faseIl teatro
siciliano Seconda faseIl teatro umoristico/grottesco Terza fase Il teatro nel
teatro (meta-teatro) Quarta fase Il teatro dei miti. Generalmente si
attribuisce il suo interesse per il teatro agli anni della maturità, ma alcuni
precedenti mostrano come tale convinzione necessiti di una rivalutazione. Compose
alcuni lavori teatrali, andati perduti poiché da lui stesso bruciati (tra gli
altri, il copione de Gli uccelli dell'alto). In una lettera alla famiglia, si legge. Oh, il teatro
drammatico! Io lo conquisterò. Io non posso penetrarvi senza provare una viva
emozione, senza provare una sensazione strana, un eccitamento del sangue per
tutte le vene. Quell'aria pesante chi vi si respira, m'ubriaca: e sempre a metà
della rappresentazione io mi sento preso dalla febbre, e brucio. È la vecchia
passione chi mi vi trascina, e non vi entro mai solo, ma sempre accompagnato
dai fantasmi della mia mente, persone che si agitano in un centro d'azione, non
ancora fermato, uomini e donne da dramma e da commedia, viventi nel mio
cervello, e che vorrebbero d'un subito saltare sul palcoscenico. Spesso mi
accade di non vedere e di non ascoltare quello che veramente si rappresenta, ma
di vedere e ascoltare le scene che sono nella mia mente: è una strana
allucinazione che svanisce ad ogni scoppio di applausi, e che potrebbe farmi
ammattire dietro uno scoppio di fischi! -- da una lettera ai familiari. È in
questa dimensione che si parla di teatro mentale: lo spettacolo non è subito
passivamente ma serve come pretesto per dar voce ai "fantasmi" che
popolano la mente dell'autore (nella prefazione ai Sei personaggi in cerca
d'autore Pirandello chiarirà di come la Fantasia prenda possesso della sua
mente per presentargli personaggi che vogliono vivere, senza che lui li
cerchi). In un'altra missiva, spedita da Roma, sostiene che la scena
italiana gli appare decaduta: «Vado spesso in teatro, e mi diverto e me
la rido in veder la scena italiana caduta tanto in basso, e fatta sgualdrinella
isterica e noiosa -- da una lettera ai familiari. La delusione per non essere
riuscito a far rappresentare i primi lavori lo distoglie inizialmente dal
teatro, facendolo concentrare sulla produzione novellistica e romanziera.
Pubblica l'importante saggio Illustratori, attori, traduttori dove esprime le
sue idee, ancora negative, sull'esecuzione del lavoro dell'attore nel lavoro
teatrale: questi è infatti visto come un mero traduttore dell'idea
drammaturgica dell'autore, il quale trova dunque un filtro al messaggio che
intende comunicare al pubblico. Il teatro viene poi definito da Pirandello come
un'arte "impossibile", perché "patisce le condizioni del suo
specifico anfibio":: un tradimento della scrittura teatrale, che ha di
contro "il cattivo regime dei mezzi rappresentativi, appartenenti alla
dimensione adultera dell'eco. È in questo momento che Pirandello si
distacca dalla lezione positivista e, presa diretta coscienza
dell'impossibilità della rappresentazione scenica del "vero"
oggettivo, ricerca nella produzione drammaturgica di scavare l'essenza delle
cose per scoprire una verità altra (come è spiegato nel saggio L'Umorismo con
il sentimento del contrario). Fondò la compagnia del Teatro d'Arte di
Roma con sede al Teatro Odescalchi con la collaborazione di altri artisti: il
figlio S. Pirandello, O. Vergani, C. Argentieri, A. Beltramelli, G. Cavicchioli,
M. Celli, P. Cantarella, L. Picasso, Renzo Rendi, M. Bontempelli e G.
Prezzolini -- tra gli attori più importanti della compagnia figurano Marta
Abba, Lamberto Picasso, Maria Letizia Celli, Ruggero Ruggeri. La compagnia, il
cui primo allestimento risale con Sagra del signore della nave dello stesso
Pirandello e Gli dei della montagna di Lord Dunsany, ebbe però vita breve: i
gravosi costi degli allestimenti, che non riuscivano ad essere coperti dagli
introiti del teatro semivuoto costrinsero il gruppo, dopo solo due mesi dalla
nascita, a rinunciare alla sede del Teatro Odescalchi. Per risparmiare sugli
allestimenti la compagnia si produsse prima in numerose tournée estere, poi fu
costretta allo scioglimento definitivo, avvenuto a Viareggio. Prima faseTeatro
Siciliano Nella fase del Teatro Siciliano Pirandello è alle prime armi e ha
ancora molto da imparare. Anch'essa come le altre presenta varie
caratteristiche di rilievo; alcuni testi sono stati scritti interamente in
lingua siciliana perché considerata dall'autore più viva dell'italiano e capace
di esprimere maggiore aderenza alla realtà. La morsa e Lumìe di Sicilia
Roma, Teatro Metastasio, Il dovere del medico, Roma, Sala Umberto, La ragione
degli altri, Milano, Teatro Manzoni, Cecè, Roma, Teatro Orfeo, Pensaci, Giacomino,
Roma, Teatro Nazionale, Liolà, Roma, Teatro Argentina, Seconda fase: Il teatro
umoristico/grottesco. Pirandello e Marta Abba Mano a mano che l'autore si
distacca da verismo e naturalismo, avvicinandosi al decadentismo si ha l'inizio
della seconda fase con il teatro umoristico. Presenta personaggi che incrinano
le certezze del mondo borghese: introducendo la versione relativistica della
realtà, rovesciando i modelli consueti di comportamento, intende esprimere la
dimensione autentica della vita al di là della maschera. Così è (se vi
pare), Milano, Teatro Olimpia, Il berretto a sonagli, Roma, Teatro Nazionale, La
giara, Roma, Teatro Nazionale, Il piacere dell'onestà (Torino, Carignano) La
patente, Torino, Alfieri, Ma non è una cosa seria, Livorno, Rossini, Il giuoco delle parti, Roma, Quirino, L'innesto,
Milano, Manzoni, L'uomo, la bestia e la virtù, Milano, Olimpia, Tutto per bene,
Roma, Quirino, Come prima, meglio di prima, Venezia, Goldoni, La signora Morli,
una e due, Roma, Argentina. Nella fase del teatro nel teatro le cose cambiano
radicalmente. Il teatro deve parlare anche agli occhi non solo alle orecchie, a
tal scopo ripristinerà una tecnica teatrale di Shakespeare, il palcoscenico
multiplo, in cui vi può per esempio essere una casa divisa in cui si vedono
varie scene fatte in varie stanze contemporaneamente. Inoltre il teatro nel
teatro fa sì che si assista al mondo che si trasforma sul palcoscenico. Abolisce
anche il concetto della quarta parete, cioè la parete trasparente che sta tra
attori e pubblico. In questa fase, infatti, tende a coinvolgere il pubblico che
non è più passivo ma che rispecchia la propria vita in quella agita dagli
attori sulla scena. Ha un incontro con Filippo. Conseguenza, oltre alla nascita di
un'amicizia e che Filippo sente come accadde in passato per lui, il bisogno di
allontanarsi dal regionalism dell'arte verista pur conservandone però le
tradizioni e le influenze. Incontra Eduardo, Peppino e Titina De Filippo. Sei
personaggi in cerca d'autore, Roma, Valle, Enrico IV, Milano, Manzoni, All'uscita,
Roma, Argentina, L'imbecille, Roma, Quirino, Vestire gli ignudi, Roma, Quirino,
L'uomo dal fiore in bocca, Roma, Degli Indipendenti, La vita che ti diedi, Roma,
Quirino, L'altro figlio, Roma, Nazionale, Ciascuno a suo modo, Milano, Dei Filodrammatici,
Sagra del signore della nave, Roma, Odescalchi, Diana e la Tuda, Milano, Eden, L'amica
delle mogli, Roma, Argentina, Bellavita, Milano, Eden, O di uno o di nessuno, Torino, di Torino, Come
tu mi vuoi, Milano, dei Filodrammatici; Questa sera si recita a soggetto,
Torino, di Torino, Trovarsi, Napoli, dei Fiorentini, Quando si è qualcuno,
Buenos Aires Odeón, La favola del figlio cambiato, Roma, Reale dell'Opera, Non
si sa come, Roma, Argentina, Sogno, ma forse no, Lisbona, Teatro Nacional. Alla
fase del teatro dei miti ase si assegnano solo tre opera. La nuova colonia
Lazzaro I giganti della montagna Romanzi Copertina de Il turno, Madella. Scrive sette romanzi: L'esclusa,
a puntate su La Tribuna (Milano, Treves); Il turno (Catania, Giannotta); l fu
Mattia Pascal, Roma, Nuova antologia. Suo marito, Firenze, Quattrini. (poi
Giustino Roncella nato Boggiolo, in Tutti i romanzi, Milano, Mondadori, I
vecchi e i giovani, Milano, FTreves. Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze,
R. Bemporad & figlio. Uno, nessuno e centomila, Firenze, Bemporad; Novelle.
Le novelle sono considerate le opere più durature. I critici hanno cambiato
tale opinione ritenendo le opere teatrali più degne di essere ricordate. Fare
distinzione tra il contenuto di una novello o romanzo e un dramma è difficile. Molte novelle sono
state messe in opera a teatro. “Ciascuno a suo modo” deriva dal “Si gira”. “Liolà”
ha il tema preso da “Il fu Mattia Pascal”; “La nuova colonia” e presentata in “Suo
marito”. Analizzando le novelle si puo renderci conto che ciò che manca è una
delineazione tematica, una cornice. Sono presenti un crogiolo di personaggi ed
eventi. Il tempo in cui una novella e ambientata non è definito. Alcune si svolgono nell'epoca umbertina, poi
giolittiana e del dopo-giolitti. Diversamente accade nella novella siciliana. Iil
tempo non è fissato. E un tempo antico, di una società che non vuole cambiare e
che è rimasta ferma. I paesaggi della novellistica sono vari. Per quella detta
siciliana si ha spesso il tipico paesaggio rurale. In alcune si trova il tema
del contrasto tra le generazioni dovuto all'unità d'Italia. Altro ambiente
delle novelle è la Roma umbertina o giolittiana. Il protagonista e sempre
alla presa con il male di vivere, con il caso e con la morte. Non si trova mai
rappresentanti dell'alta borghesia, ma quelli che potrebbero essere i vicini
della porta accanto: il sarto, il balie, il professore, il piccolo proprietario
di negozi che ha una vita sconvolta dalla sorte e dal dramma familiare. Il personaggio
ci viene presentato così come appaie. E difficile trovare un'approfondita
analisi psicologica. La fisionomia e spesso eccentrica. Per il sentimento del
contrario, il personaggio ha un carattere *opposto* a come si presenta. I
personaggi conversano nel presentarsi per come essi *sentono* di essere. Ma
alla fine, e sempre preda del caso, che li farà apparire diverso e cambiato.
Novelle per un anno -- è uno dei più grandi scrittori di novelle, raccolte dapprima
nell'opera Amori senza amore. In seguito si dedica maggiormente per tutta la
sua vita, cercando di completarla, alla raccolta Novelle per un anno, così
intitolata perché il suo intento e quello di scrivere 365. Novelle per un anno,
Firenze, Bemporad; Milano, Mondadori); Scialle nero (Firenze, Bemporad); La
vita nuda, Firenze, Bemporad, La rallegrata, Firenze, Bemporad, L'uomo solo,
Firenze, Bemporad, La mosca, Firenze, Bemporad, In silenzio, Firenze, Bemporad,
VII, Tutt'e tre, Firenze, Bemporad, Dal naso al cielo, Firenze, Bemporad, IX,
Donna Mimma, Firenze, Bemporad); Il
vecchio Dio, Firenze, Bemporad, La giara,
Firenze, Bemporad, Il viaggio, Firenze, Bemporad, Candelora, Firenze, Bemporad,
Berecche e la guerra, Milano, Mondadori, Una giornata, Milano, Mondadori). Si
svolge la produzione letteraria di Pirandello meno conosciuta dal grande
pubblico, quella delle poesie che, contrariamente alla composizione teatrale,
non esprimono alcun tentativo di rinnovamento sperimentale estetico, e seguono
piuttosto le forme e i metri tradizionali della lirica classica, pur non
rimandando a nessuna delle correnti letterarie presenti al tempo dello
scrittore. Nell'antologia poetica Mal giocondo, pubblicata a Palermo, ma
la cui prima lirica risale quando Pirandello aveva appena tredici anni, emerge
uno dei temi dell'ultima estetica pirandelliana del contrasto tra la serena
classicità del mito e l'ipocrisia e la immoralità sociale della
contemporaneità. Sono presenti, come nota lo stesso Pirandello, anche toni
umoristici, specie quelli derivati dal suo soggiorno a Roma. “Mal giocondo” (Palermo,
Libreria Internazionale Pedone Lauriel); Pasqua di Gea, Milano, Galli (dedicata
a Jenny Schulz-Lander, di cui si innamora a Bonn, con una chiara influenza
della poesia di Carducci. Pier Gudrò, Roma, Voghera, Elegie renane, Roma, Unione
Cooperativa) -- il cui modello sono le Elegie romane di Goethe); Elegie romane,
traduzione di Goethe, Livorno, Giusti, Zampogna, Roma, Società Editrice Dante
Alighieri, Scamandro, Roma, Tipografia Roma, Fuori di chiave, Genova,
Formiggini, Pirandello nel cinema Inizialmente Pirandello non amava molto il
cinema, considerato inferiore al teatro, e questo interesse maturò lentamente,
negli anni. Il rapporto tra Pirandello e il cinema fu complesso, ambiguo,
conflittuale, a volte di totale rifiuto, altre volte di grande curiosità. E fu
certamente la curiosità per questa nuova modalità di narrazione per immagini,
che si era già strutturata come industria cinematografica, che lo spinse a scrivere
il romanzo Si gira, poi ripubblicato con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio
operatore. In questo romanzo il suo giudizio sul cinematografo è spietato sia
quando teme che il pubblico abbandoni i teatri per correre a vedere su uno
schermo "larve evanescenti" prodotte in maniera meccanica e fredda,
sia quando descrive il mondo della produzione cinematografica popolato di
personaggi volgari impeg confezionare prodotti commerciali per soddisfare il
palato delle masse e gli interessi degli uomini d'affari. Nello stesso tempo la
struttura stessa del racconto letterario e l'ipotesi, da lui stesso formulata,
di trarne un film prefigurano un'idea di linguaggio cinematografico di grande
modernità: il film nel film. Momento cruciale per la storia del cinema, nei
primi decenni del suo sviluppo, fu l'avvento del sonoro. Anche in questo caso
ad un iniziale rifiuto seguì una svolta significativa. In una lettera a Marta
Abba, Pirandello scrisse: "L'avvenire dell'arte drammatica e anche degli scrittori
di teatro è adesso là. Bisogna orientarsi verso una nuova espressione d'arte:
il film parlato. Ero contrario, mi sono ricreduto" Pirandello sul set de
Il fu Mattia Pascal con Pierre Blanchar e Isa Miranda Il lume dell'altra casa
di Ugo Gracci. Il crollo di M. Gargiulo, Lo scaldino di A. Genina. Ma non è una
cosa seria di Augusto Camerini, La rosa di Arnaldo Frateili Il viaggio di
Gennaro Righelli Il fu Mattia Pascal di Marcel L'Herbier La canzone dell'amore di Gennaro Righelli,
primo film sonoro italiano è tratto dalla novella In silenzio. Come tu mi vuoi di
George Fitzmaurice con Greta Garbo Acciaio di W. Ruttmann. Il fu Mattia Pascal
di Pierre Chenal, Questa è la vita di Giorgio Pàstina, Aldo Fabrizifilm a
quattro episodi, tutti tratti da una novella: La giara, Il ventaglino, La
patente e Marsina stretta. Come prima, meglio di prima di J. Hopper Liolà di A.
Blasetti Il viaggio di Vittorio De Sica Enrico IV di Marco Bellocchio Kaos di P.
e V. Taviani, adattamento da Novelle per un anno, Le due vite di Mattia Pascal di
Monicelli Tu ridi di P. e V.Taviani, adattamento da Novelle per un anno; La
balia di Bellocchio, adattamento da Novelle per un anno; Pirandello nell'opera
lirica La favola del figlio cambiato di Gian Francesco Malipiero, Liolà di Giuseppe
Mulè, Six Characters in Search of an Author di Hugo Weisgall, Sagra del Signore
della Nave di Michele Lizzi, Sogno (ma forse no) di Luciano Chailly. Altre
opere: Mal giocondo, Palermo, Libreria Internazionale Pedone Lauriel); A la
sorella Anna per le sue nozze, Roma, Tipo-Litografia Miliani e Filosini, Pasqua di Gea, Milano, Galli, Amori senza amore, Roma, Bontempelli); Pier
Gudrò, Roma, Voghera, Elegie renane, Roma, Unione Cooperativa; Traduzione di
Goethe, Elegie romane, Livorno, Giusti, Zampogna, Roma, Società Editrice Dante
Alighieri, Beffe della morte e della vita, Firenze, Lumachi, Lontano. Novella,
in "Nuova Antologia", Quand'ero matto.... Novelle, Torino, Streglio, Il
turno, Catania, Giannotta); Beffe della morte e della vita. Firenze, Lumachi, Notizia
letteraria, in "Nuova Antologia", Dante. Poema lirico di G. Costanzo,
"Nuova Antologia", Bianche e nere. Novelle, Torino, Streglio); Il fu
Mattia Pascal, Roma, Nuova Antologia, Erma bifronte. Novelle, Milano, Treves); Prefazione
a Giovanni Alfredo Cesareo, Francesca da Rimini. Tragedia, Milano, Sandron, Studio
preliminare a A. Cantoni, L'illustrissimo. Romanzo, Roma, Nuova Antologia, Arte
e scienza. Saggi, Roma, Modes, L'esclusa, Milano, Treves, Umorismo, Lanciano,
Carabba); “Scamandro” (Roma, Tipografia); “La vita nuda” (Milano, Treves); “Suo
marito, Firenze, Quattrini); “Fuori di chiave, Genova, Formiggini, Terzetti,
Milano, Treves); “I vecchi e i giovani, Milano, Treves); Cecè. In "La
lettura", Le due maschere, Firenze,
Quattrini, Erba del nostro orto” (Milano, Studio Lombardo); “La trappola” (Milano,
Treves); “Se non così” "Nuova Antologia", Si gira ( Milano, Treves);
“E domani, lunedì” (Milano, Treves); “Liolà” ( Roma, Formiggini); Se non così Con
una lettera alla protagonista, Milano, Treves); “Un cavallo nella luna” (Milano,
Treves); Maschere nude, Milano, Treves, Pensaci,
Giacomino, Così è (se vi pare), Il piacere dell'onestà, Milano, Treves); Il
giuoco delle parti. Ma non è una cosa seria. Milano, Treves, Lumie di Sicilia.
Il berretto a sonagli. La patente. Milano, Treves, L'innesto. La ragione degli altri, Milano, Treves, Berecche e la guerra, Milano, Facchi, Il
carnevale dei morti. Firenze, Battistelli, Tu ridi. Milano, Treves); Pena di
vivere così, Roma, Libreria nazionale, Maschere nude” (Firenze, Bemporad); Tutto per
bene. Firenze, Bemporad, Come prima meglio di prima. Firenze, Bemporad); “Sei
personaggi in cerca d'autore -- commedia da fare” (Firenze, Bemporad); Enrico
IV (Firenze, Bemporad); L'uomo, la bestia e la virtù” (Firenze, Bemporad, La
signora Morli, una e due. Firenze, Bemporad, Vestire gli ignudi. Firenze,
Bemporad, La vita che ti diedi. Firenze, Bemporad, Ciascuno a suo modo.
Firenze, Bemporad, X, Pensaci, Giacomino! Firenze, Bemporad, Così è (se vi
pare). Firenze, Bemporad, Sagra del signore della nave, L'altro figlio, La
giara. Firenze, Bemporad); Il piacere dell'onestà. Firenze, Bemporad, Il berretto a sonagli. Firenze, Bemporad, Il giuoco delle parti. Firenze, Bemporad, Ma
non è una cosa seria. Firenze, Bemporad, L'innesto Firenze, Bemporad, La
ragione degli altri. Firenze, Bemporad, L'imbecille, Lumie di Sicilia, Cecè, La
patente.Firenze, Bemporad, All'uscita. Mistero profano, Il dovere del medico.
La morsa. L'uomo dal fiore in bocca.
Dialogo, Firenze, Bemporad, Diana e la Tuda. Firenze, Bemporad, L'amica delle mogli. Firenze, Bemporad, La
nuova colonia. Firenze, Bemporad, Liolà. Firenze, Bemporad, O di uno o di
nessuno. Firenze, Bemporad, Lazzaro (Milano, Mondadori); “Questa sera si recita
a soggetto” (Milano, Mondadori); “Come tu mi vuoi” (Milano, Mondadori); “Trovarsi”
(Milano Mondadori); “Quando si è qualcuno” (Milano, Mondadori); “Non si sa come”
(Milano, Mondadori); “Novelle per un anno, Firenze, Bemporad, Milano,
Mondadori, I, Scialle nero, Firenze, Bemporad, La vita nuda, Firenze, Bemporad,
La rallegrata, Firenze, Bemporad, L'uomo solo, Firenze, Bemporad, La mosca, Firenze, Bemporad, In silenzio,
Firenze, Bemporad, Tutt'e tre, Firenze, Bemporad, 1Dal naso al cielo, Firenze,
Bemporad, Donna Mimma, Firenze, Bemporad,Il vecchio Dio, Firenze, Bemporad, La
giara, Firenze, Bemporad, Il viaggio, Firenze, Bemporad, Candelora, Firenze,
Bemporad, Berecche e la guerra, Milano,
Mondadori, Una giornata, Milano,
Mondadori, Teatro dialettale siciliano, 'A vilanza, Cappiddazzu paga tuttu, con
Nino Martoglio, Catania, Giannotta, Prefazione a N. Martoglio, Centona.
Raccolta completa di poesie siciliane con l'aggiunta di alcuni componimenti
inediti, Catania, Giannotta, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze,
Bemporad, Uno, nessuno e centomila, Firenze, Bemporad, Prefazione a E. Levi,
Lope de Vega e l'Italia, Florencia, Sansoni, Introduzione a S.D'Amico, Storia
del teatro italiano, Milano, Bompiani); In un momento come questo, in "Nuova
Antologia",Giustino Roncella nato Boggiolo, in Tutti i romanzi, Milano,
Mondadori, Tutti i romanzi, Milano, A. Mondadori, Novelle per un anno, Milano,
A. Mondadori, Maschere nude, Milano, A. Mondadori); Lettere a Marta Abba,
Milano, A. Mondadori, Saggi e interventi, Milano, A. Mondadori. Oltre al Nobel
ricevette diverse onorificenze: Cavaliere di Collare dell'Ordine equestre
del Santo Sepolcro di Gerusalemme nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di
Collare dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme Arcade Minore
della Secolare Accademia del Parnaso Canicattinesenastrino per uniforme
ordinariaArcade Minore della Secolare Accademia del Parnaso Canicattinese —
Canicattì Intitolazioni. A lui è stato dedicato un asteroide. Enciclopedia
Italiana Treccani alla voce Girgenti. In A. Camilleri. Biografia del figlio
cambiato, Milano, Lettere da Palermo e
da Roma, Bulzoni, Roma, Il risorgimento familiare. Medicina e Insonnia. in..
Riferimenti autobiografici a questo problema che affligge si trovano in
numerose sue opere: Il turno, L'amica delle mogli, Il fu Mattia Pascal, L'uomo
solo, La trappola, La giara G. Bonghi,
Biografia di Luigi Pirandello, Edizione dei classici italiani A. Camilleri, In effetti, afferma in un
lettera ai familiari da Roma. I professori di questa università, nella facoltà
mia, sono d’una ignoranza nauseante (Lettere giovanili da Palermo e da Roma Bulzoni,
Roma, difese pubblicamente durante una lezione un suo compagno rimproverato
ingiustamente dal rettore. M. Manotta, L.
Pirandello, Pearson Italia S.p.a., Da
Album Pirandello, I Meridiani Mondadori, Milano, A. Camilleri, Biografia del
figlio cambiato, BU. La storia di Luigi e Antonietta è infatti quella di un
matrimonio di una Sicilia di fine '800, combinato per interesse, da parte di
due soci nel commercio dello zolfo. Antonietta porta la dote che assicura ai
giovani sposi sbarcati da Girgenti in continente e approdati a Roma, una vita
tranquilla e permette a Luigi di affermarsi come scrittore. Il matrimonio
d'interesse è sublimato grazie alla letteratura e diventa un matrimonio d'amore
con la moglie ideale (in Anna Maria Sciascia, Il gioco dei padri. Pirandello e
Sciascia, Avagliano, S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario Milano,
Principato, Storia, G. Mazzacurati, Introduzione e biografia, dalla Prefazione
a Il fu Mattia Pascal, Einaudi; Vita di Pirandello; Pirandello e la moglie
Antonietta, G. GiudiceTipografico Torinese, M. Manotta, Pearson Paravia Bruno
Mondadori, L. Pirandello, S. Pirandello, A. Pirandello, Il figlio prigioniero:
carteggio tra L. e S. Pirandello durante la guerra Mondadori, Motivazione del Premio Nobel per la
Letteratura. Tutti i no di Mussolini a Pirandello. L'arci-fascista non piace al
Duce; G. Afeltra, Mia cara Marta, l'amore platonico di Pirandello Tra Pirandello e M. Abba ottocento lettere di
emozioni Einstein e l'invito. Lo scontro
che nessuno vide L. Lucignani,
Pirandello, la vita nuda, Giunti, Pirandello e la prima guerra mondiale. Chiede
di entrare nei Fasci (La Stampa); F. Sinigaglia, I volti della violenza a teatro,
Lucca, Argot. Non e l'unico filosofo che si iscrive al partito fascista nel
pieno della vicenda Matteotti. Ungaretti si iscrisse appena nove giorni dopo il
funerale di Matteotti (Stato matricolare di Ungaretti, Università "La
Sapienza" di Roma. La sua adesione al fascismo, G. Giudice, Pirandello (POMBA
Torino); Pirandello e la politica, su atutta scuola. G. Lagorio, Troppi
idiotic. E Pirandello partì; Pirandello, nudità e fascismo; Pirandello. Gli
anni del fascismo; B. Mussolini, Nel solco delle grandi filosofie -- relativismo
e fascismo, in Il popolo d'Italia. Le idee di Mazzini e di Sorel influenzano
profondamente il fascismo di Mussolini e Gentile (S. Zamponi, Lo spettacolo del
fascismo, Rubbettino. Sorel è veramente il notre maître (B.Mussolini, Il Popolo
in Opera Omnia); Interviste: parole da dire, uomo, agl’altr’uomini, Rubbettino;
riportato da G. Giudice. Prefazione alle Novelle per un anno, Milano, Storie
dalla storia, L'oro alla patria Il Sole 24 ORE
M. Sambugar, Letteratura italiana per moduli, Incontro. R. Dombroski,
L'esistenza ubbidiente – la filosofia sotto i fasci (Guida); L'Ovra a Cinecittà
di Natalia ed Emanuele V. Marino,
Boringhieri, Il Post); I giganti della montagna, taote. Così, in una bara in affitto, riportammo a
Girgenti le sue ceneri. Malgrado i divieti prima del gerarca, poi del pre-fetto,
e infine del vescovo. In Camilleri e lo strano caso delle ceneri di Pirandello.
N. Borsellino, Il dio di Pirandello: creazione e sperimentazione, Sellerio, R.
Alajmo, Le ceneri di Pirandello, Drago, in Saggi poesie, scritti varii
Mondadori, Milano). I filosofi hanno il torto di non pensare alle bestie e
davanti agl’occhi di una bestia crolla come un castello di carte qualunque
sistema filosofico. D. Marcheschi, L'umorismo, Milano, Oscar Mondadori, X. Marcheschi rivela che copia intere pagine del
saggio da opere precedenti di L. Dumont, A. Binet, G. Séailles, G. Negri, G.
Marchesini, nonché dalla Storia e fisiologia dell'arte di Ridere di T.
Massarani. Vedi articolo de Il Giornale, in “Caro Pirandello, ti ho beccato a
copiare. Pirandello, L'umorismo e altri
saggi, Giunti; S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario Milano, Principato,
TPirandello: guida al Fu Mattia Pascal, Carocci, Scrittori sull'orlo di una
scelta spiritista Sambugar, La sua filoofia s'inserisce in un contesto
culturale in cui è presente il concetto di relativismo: la teoria della
relatività di Einstein, il Principio di indeterminazione di Heisenberg, la
teoria quantistica di M. Planck. Simmel fonda il suo relativismo sulla convinzione
che non esistono leggi storiche obiettivamente valide. Dizionario di filosofia). E nelle arti figurative il relativismo è
ripreso dal cubismo caratterizzato da una rappresentazione dell'oggetto
considerato simultaneamente da diversi punti di vista. S. Guglielmino, H. Grosser,
Il sistema letterario Milano, Principato, Maschere nude, I. Zorzi, Newton
Compton); E. Providenti, Epistolario familiare giovanile Quaderni della Nuova
Antologia, Le Monnier, Firenze, Roberto Alonge, Pirandello, Laterza, Bari, Elio
Providenti, Luigi Pirandello. Epistolario, Quaderni della Nuova Antologia, Le
Monnier, Firenze); U. Artioli, L'officina segreta di Pirandello, Laterza,
RomaBari, Luigi Pirandello, una vita da autore, repubblicaletteraria. C. Vicentini,
Il disagio del teatro (Marsilio, Venezia). La prima rappresentazione della
commedia La morsa si ha a Roma, al Metastasio, ad opera della Compagnia del
"Teatro minimo" diretta da N. Martoglio che la mise in scena assieme
all'atto unico Lumie di Sicilia. Cedendo alle insistenze di Martoglio
acconsentì a che La morsa e Lumie di Sicilia sono rappresentate nella stessa
serata. I due atti unici hanno diverso esito presso il pubblico, che accolge con
favore La morsa, mentre non grade Lumie di Sicilia (in Interviste, Parole da
dire, uomo, agli altri uomini" di I. Pupo, Rubettino, Legato a ricordi della fanciullezza di
Pirandello. Da. Savio, Il carnevale dei
morti. Sconciature e danze macabre nella narrative, Novara, Interlinea. l mio
primo libro fu una raccolta di versi, “Mal giocondo”. In quella prima raccolta
di versi più della metà sono del più schietto umorismo, e allora io non so
neppure che cosa e l'umorismo ("Le lettere"); “Il cinema di Amedeo
Fago Pirandello NASA. Enrico 4., Firenze, Bemporad e figlio, Esclusa, Milano,
Fratelli Treves, Fu Mattia Pascal, Milano, Treves, I Pirandello. La famiglia e
l'epoca per immagini, E. Zappulla, Catania, la Cantinella, R. Alonge,
Roma-Bari, Laterza, U. Artioli, L'officina segreta” (Bari, Laterza); R. Barilli,
La linea Svevo-Pirandello, Milano, Mursia, E. Bonora, Sulle novelle per un anno
in Montale e altro novecento, Caltanissetta-Roma, Sciascia, N. Borsellino,
Ritratto e immagini, Roma-Bari, Laterza, N. Borsellino e W. Pedullà (diretta
da), Storia generale della letteratura italiana, Il Novecento, La nascita del Moderno,
Milano, Motta, F. Michele e M. Rössner, L’identità italiana, Atti del Convegno
internazionale di studi pirandelliani, Graz Pesaro, Metauro, Arcangelo Leone De
Castris, Storia di Pirandello (Bari, Laterza); A. Benedetto, Verga, Annunzio,
Pirandello (Torino, Fògola); L. Lugnani, L'infanzia felice (Napoli, Liguori); G.
Macchia, “La stanza della tortura, Milano, Mondadori, Pirandello e dintorni, Catania, Maimone, F.
Medici, Il dramma di Lazzaro. Asprenas, A. Pagliaro,
“U ciclopu, dramma satiresco d’Euripide ridotto in siciliano (Firenze,
Monnier); G. Podestà, "Humanitas",
F. Puglisi, L'arte; Messina-Firenze, D'Anna, F. Puglisi, Pirandello e la sua lingua,
Bologna, Cappelli, Filippo Puglisi, L. Pirandello, Milano, Mondadori, F. Puglisi,
Pirandello e la sua opera Catania, Bonanno, C. Salinari, Miti e coscienza del
decadentismo italiano. D'Annunzio, Pascoli, Fogazzaro, Pirandello” (Milano,
Feltrinelli); A. Sichera, Ecce Homo!Nomi, cifre e figure di Pirandello (Firenze,
Olschki); R. Scrivano, La vocazione contesa” (Roma, Bulzoni, G. Taffon, Il gran
teatro del mondo, in Maestri drammaturghi nel teatro italiano del '900.
Tecniche, forme, invenzioni, Roma, Laterza, G. Venè, “Fascista. La coscienza
borghese tra ribellione e rivoluzione” (Venezia, Marsilio); M. Veronesi (Napoli,
Liguori); C. Vicentini, “Il disagio del teatro” (Venezia, Marsilio); R. Vittori,
Il trattamento cinematografico dei 'Sei personaggi' (Firenze, Liberoscambio); E.
Zappulla, Pirandello e la filosofia siciliana, Catania, Maimone, Filosofi siciliani
del secondo dopoguerra, Catania, Maimone. Casa di Pirandello D. Fabbri Lanterninosofia
su Pirandello Treccani Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Conferenza Episcopale Italiana. nobelprize. Audiolibri
di Luigi Pirandello, su LibriVox. di
Luigi Pirandello, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff.:etteratura
fantastica, Fantascienza. Movie Luigi Pirandello, su Internet Broadway
Database, The Broadway League.Luigi Pirandello, su filmportal.de. Centro Nazionale Studi Pirandelliani, su
cnsp. Istituto di studi pirandelliani allo Studio Luigi Pirandello. E. Licastro,
Pirandello fra Spengler e Wittgenstein. Luigi Pirandello. Pirandello. Keywords:
e dov’è il copione? è in noi,
signore – il dramma è in noi -- siamo noi – R
Chiede d’entrare nei fasci, La Stampa, Gentile e Sorel, Mussolini e Nietzsche,
Mussolini e Sorel. – ridotto in siciliano. U ciclopu, decadentismo, identita
personale, l’io e la societa, il collettivo, l’intersoggetivo. Refs: Luigi
Speranza, “Grice e Pirandello” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51675808450/in/photolist-2mPzFQD-2mMVzhz-2mLKtaD-2mLEqtd-2mKNNqN-2mKjsJY-2mJoZKd-2mJmMsF-2mJq2uE-2mJmM2F-2mJkynC-2mJoZHV-2mJq2vG-2mJq2uz-2mJmM3h-2mJgred-2mJoZJM-2mJkymR-2mJgreo-2mJkynN-2mJoZHp-2mJoZJX-FMciDY
Grice e Pirro – l’idealismo di Gentile – filosofia
italiana – Luigi Speranza (San Severo). Filosofo. Studia a Roma
sotto Spirito. Studia Allmayer sotto Plebe. Insegna a Perugia e Palermo. Studia
Gentile. Pubblica “L'attualismo di G. Gentile e la religione” (Sansoni). Fra i
suoi saggi si ricordano anche “Filosofia e politica in Croce” (Bulzoni). Si
interessa alla ricerca storiografica e svolse numerosi saggi di su Terni. Esponente di spicco della vita culturale
della città umbra, studia gli aspetti poco indagati di quella che fino ad
allora era una città ancorata ad una dimensione prettamente industriale. Sotto
la Giunta di G. Ciaurro, coordina il progetto per la realizzazione di un museo
archeologico nel convento di San Pietro sotto. Peroni. Nei suoi studi di
storia ricostrusce prima della pubblicazione de Il sangue dei vinti di G. Pansa,
episodi della guerra civile tra cui l'assassinio del sindacalista Carloni e del
dirigente d'azienda Corradi. Fonda il "Centro Studi Storici",
un'associazione culturale di ricerca storica a cui viene collegata la rivista
“Memoria” L'obiettivo di “Memoria” è
quello di porre fine all'amnesia organizzata, facendo conoscere a tutti le
vicende di una città figlia non solo dell'industrializzazione. Accanto ad un
nuovo sguardo per le vicende passate “Memoria” inaugura una stagione di
storiografia libera da condizionamenti ideologici e basata sulle fonti.
Suscita critiche per la ricostruzione di alcuni episodi di violenza avvenuti
durante la resistenza anti-fascista, critiche che si sono particolarmente
concentrate all'indomani della sua scomparsa ad opera di storici locali, che lo
accusano di revisionismo. In realtà il suo lavoro è sempre stato suffragato
dalla presenza della fonte documentale. Le vicende ricostruite, come ad esempio
quella dell'uccisione di Corradi o Urbani, ad opera dei partigiani non sono mai
trattate dalla “storiografia ufficiale”. Consigliere dell'stituto per la Storia
dell'Umbria e dell'stituto di Cultura della Storia dell'Impresa Franco
Momigliano, dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano. Il saggio “Regnum hominis: l'umanesimo di Gentile” fa parte
della collana della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice di Roma. Un saggio
dedicato al Risorgimento pubblicato da Morphema intitolato Scritti sul
Risorgimento. Un saggio "Dopo Gentile dove va la scuola
italiana". Il Consiglio Comunale di Terni delibera di dedicare la
sala Tacito di Palazzo Carrara in Terni a Pirro. Con l'occasione si presenta il
carteggio "La vita come Ricerca, la vita come Arte, la vita come
Amore", titolo riferito all’omonimo saggio di Spirito. In occasione delle
celebrazioni della fondazione del Liceo Tacito di Terni, gli viene dedicate nell'atrio
della scuola, una targa con una dicitura tratta da una poesia di Gibran. Altre
opere: "Italia e Germania nel Novecento", raccolta di saggi da “Studi
Politici". Pubblica una raccolta di memorie di scritti di garibaldini
intitolata "Correva l'anno 1867” “Terni e l'affrancamento di Roma nelle
memorie dei garibaldini; il saggio "Filosofia e Politica e Giovanni
Gentile" (Aracne). Il Comune di Terni delibera la posa di una targa in
memoria presso la dimora di Pirro. La
Soprintendenza Archivistica dell'Umbria e delle Marche dichiara il suo archivio
di notevole interesse culturale ai sensi del T.U. dei Beni Cultural. Viene
scoperta sulla casa a Piazza Clai a Terni una targa commemorativa. Viene
pubblicato da Intermedia "L'unica via è il Pensiero: scritti in memoria".
Altre saggi: “Una missiva a Spirito,” “L'attualismo di Gentile e la religione” (Firenze,
Sansoni); “Filosofia e politica in Croce” (Roma, Bulzoni); “Filosofia e
politica in Gentile” (Firenze, Sansoni); “La riforma Gentile e il Fascismo”, Giornale
critico della filosofia italiana” (Firenze, Sansoni); La politica dell’idealismo
italiano” (Firenze, Sansoni); “La prassi come educazione nella gentiliana
interpretazione di Marx” (Firenze, Sansoni); “Cultura e politica” (Firenze,
Sansoni); “Filosofia e politica: il problematicismo” (Roma, Bulzoni); “La
repubblica fascista”; “Per una storia dell'Umbria durante la repubblica
fascista” (Perugia, IRRSAE, “Terni nell'età rivoluzionaria e napoleonica,”Arrone,
Thyrus, Terni e la sua Provincia durante
la Repubblica Sociale” (Arrone, Thyrus); R. Ugolini, G. Petroni, dallo Stato
Pontificio all'Italia unita” (Scientifiche, Napoli); “Interamna Narthium materiali
per il museo archeologico di Terni” (Arrone, Thyrus); Le acque pubbliche gli
acquedotti di derivazione e le utilizzazioni idrauliche del territorio di Terni
nei sommari riguardi: tecnico, legislativo e storico” (Terni-Giada, ICSIM, Una
scuola una città: il Liceo ginnasio di Terni” (Arrone, Thyrus); “Terni nell'età
del Risorgimento” (Arrone, Thyrus); “Sull'avvenire industriale di Terni, scritti
di L. Campofregoso; Perugia: CRACE/ICSIM, “Garibaldi visto da G. Gentile” (Roma,
Istituto per la storia del Risorgimento Italiano); "Per Garibaldi" (Arrone,
Thyrus); “I Giustizieri, La Brigata Gramsci tra Umbria e Lazio, di M. Marcellini,
Mursia, neRegnum hominis, L'Umanesimo di Gentile” (Collana Scientifica
Fondazione U. Spirito e Renzo de Felice, Roma, Nuova Cultura); “Scritti sul
Risorgimento” (G. Furiozzi), Terni, Morphema); “Dopo Gentile dove va la scuola
italiana (Firenze, Lettere); La vita come ricercar, la vita come arte, la vita
come amore” (Terni, Morphema); Italia Germania Saggi di Filosofia Politica,
Amazon, Filosofia e Politica in G. Gentile” (Aracne, Roma); Maceo Carloni: Storia
e Politica (Intermedia, Orvieto); Manifesto del convegno su G. Petroni; Garibaldi
Terni Mostra documentaria e pubblicazioneIstituto della Storia del Risorgimento
G. Petroni Dallo Stato Pontificio all'Italia unita. Convegno di Studio Terni,
La Rivoluzione Francese, Terni, La nascita della Repubblica e gli anni della ricostruzione”;
Bibliomediateca, Terni, 7ricerca storico documentaria; sezione ldella mostra in
collaborazione con Archivio di Stato di Terni e Biblioteca comunale di Terni;
in collaborazione con Centro per la promozione, Istituto per la storia dell'Umbria contemporanea”
(Arrone, Thyrus); Intorno alle miniere di ferro e alle ferriere dell'Umbria
meridionale, scritti di Vaux et al.; Terni: CRACE/ICSIM E. Passavanti nell'Italia del Novecento, Atti
del Convegno di studi (Terni)” (Arrone: Thyrus); Convegno dei Lincei (Terni),
Cesi e i primi Lincei in Umbria, atti del Convegno dei Lincei: Terni” (Arrone: Thyrus);
dei Lincei, “Mazzini nella cultura italiana:”, atti del Convegno di studi,
Terni” (Arrone: Thyrus); Magalott, erudito, giureconsulto, docente di Diritto” (Arrone:
Thyrus); Per Garibaldi” (Arrone: Thyrus); San Valentino patrono di Terni, atti
del Convegno di studi: Terni” (Arrone: Thyrus); La vita come arte” (Sansoni,
Firenze); “La vita come amore” (Sansoni Firenze); “La riforma della scuola” (Sansoni,
Firenze); “Il problema dell'unificazione del sapere”; “Dal mito alla scienza” (Sansoni,
Firenze); “La mia ricercar” (Sansoni, Firenze); Dall'attualismo al problematicismo”
(Sansoni, Firenze); di Giovanni Gentile; Il concetto di “pedagogia, in Scuola e Filosofia”
(Sandron Palermo); “Giornale critico della filosofia italiana” (Sansoni,
Firenze); “La scuola laica” (Vallecchi. Firenze); “Sistema di logica’ (Laterza,
Bari); “La scuola” (Vallecchi, Firenze); “Che cos'è il fascismo”; Discorsi e
polemiche” (Vallecchi Firenze); “Saggi critici” (Vallecchi, Firenze); Scritti
pedagogici” (Treves, Milano); “Origini e dottrina del fascismo” (Istituto
Fascista, Roma); di B. Croce Contributo alla critica di me stesso. Napoli);
Conversazioni critiche, (Laterza, Bari); “La letteratura d’Italia” (Laterza,
Bari); “Cultura e vita morale” (Laterza, Bari); “Etica e politica” (Laterza,
Bari); “Pagine sparse” (Laterza, Bari); La guerra civile”; “Memoria” (Thyrus,
Arrone); “La storia rovesciata”, “L'umanesimo di Gentile” (Cultura, Roma); “L'uomo e la storia
(Thyrus, Arrone). Il percorso storico, "Regnum hominis". L'ospite di
passaggio, la difesa. Sull'avvenire industriale di Terni; Rassegna storica del
Risorgimento. La vita come Ricerca, la vita come Arte, la Vita come Amore. Vincenzo Pirro. Pirro. Keywords: l’idealismo
di Gentile, Istituto Nazionale Fascista, Origini e dottrina del fascismo, che
cosa e il fascismo – discorsi e polemiche vallecchi, Firenze, Mazzini, per una storia
dell’umbria durante la repubblica fascista, la repubblica fascista, gentiliana
interretazione di Marx; la filosofia di Gentile, filosofia e politica in
Gentile, Gentile nella grande guerra, il partito ha un capo che e dottrina
vivente, Gentile e Mussolini, il concetto di stato, il concreto di Mussolini
nel astratto dello stato, Pirro interprete di Gentile – la universita fascista
di Bologna, la formazione dei dirigenti del regime – la repubblica fascista,
storia e filosofia, la critica de Pirro alla damnatio memoriae di Croce, lo
studio della filosofia nel veintennio fascista, l’origine del fascismo
filosofico – Gentile, filosofo del fascismo – dizionario filosofico del
fascismo, stato, spirito nazionale, italianita, romanita, propaganda,
democrazia, repubblica, Italia, stato italiano -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Pirro” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738640643/in/datetaken/
Grice e Pizzi – la regola di Boezio – filosofia
italiana – la causa della cosa – abduzione e prova -- Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “About time an Italian philosopher takes ‘la regola di Boezio’
seriously!” Studia a Milano. Studia il condizionale contro-fattuale. Insegna a Calabria e Siena, “Logica della
prova” a Milano. Cura Hughes e Cresswell, che offre una panoramica completa e
aggiornata della logica intensionale. Ampliando questa linea di ricerca,
compila due antologie con introduzioni. Una dedicata al tempo e una dedicata al
condizionale (se-ismo). Comone una serie di saggi in cui viene introdotta una
logica dell'implicazione consequenziale. Il scopo della logica
dell’implicazione con-sequenziale e riformulare le basi della logica connessiva
nel quadro della logica modale. Questa traduzione consente di assiomatizzare un
sistema G che risulta complete e decidibile mediante tableaux con un sviluppo
verso una generalizzazione di questi risultati. Altri temi di ricerca csono
stati il problema della definizione a della reduzione della necessita ai termini
di contingenza, l'applicazione del quadrato dell’opposizione e del cubo
dell’opposizione al modo, l'approccio al modo in termini di multi-imodo, cioè
mediante l'impiego di un linguaggio base avente come primitivi una moltitudine
d’operatori modali – contro la tesi dell’aequi-vocita di Grice. Nel campo della
scienza il tema su cui lavora in modo preminente è stato quello del contro-fattuale
della causa, a cui ha dedicato saggi destinati a un pubblico interessato
all'epistemologia giudiziaria alla Hart/Honore – causation in the law. If
you’re looking for the cause of what he did, what he did was very wrong –
implicature! Sempre in questo settore compone un saggio sull’abduzione, dove analizza
un caso giudiziario controverso, il disastro di Ustica. Sul tema di Ustica
compone un saggio che contiene una discussione metodologica delle indagini
ancora aperte sul caso, in merito alle quali cura attualmente un blog. Altre
opere: “Introduzione alla logica modale” (Il Saggiatore, Milano); “La Logica
del tempo” (Boringhieri, Torino); “Leggi di natura, modalita, ipotesi” (Feltrinelli,
Milano); “Eventi e cause: na prospettiva condizionalista” (Giuffre', Milano);
“Diritto, abduzione e prova” (Giuffre', Milano); “Ripensare Ustica,
Createspace); “Implicazione logica”; “Causalità
(filosofia) “Abduzione”; “Strage di Ustica, claudiopizziit.wordpress.com. Claudio
Pizzi. Pizzi. Keywords: la regola di Boezio, la tragedia d’Ustica, il se,
condizionale contro-fattico, Grice, il modo, operatore di modo, cubo di
Aristotele, il cubo dell’opposizione, opposizione quadratica, opposizione
cubica, prova, causa, probabilita, l’idea di causa, ‘Actions and Events’ –
causa ed aitia – il significato di causa in Cicerone – di causa a cosa – causa
come latinismo – uso di cosa come causa – evoluzione della cosa dalla causa –
della causa della cosa – implicazione, interplicazione, explicazione,
interplicazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pizzi” – The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738904654/in/datetaken/
Grice e Pizzorno – la pollitica assoluta – filosofia
italiana – filosofia del sindacato, filosofia fascista -- Luigi Speranza (Trieste). Filosofo. Studia a Torino. Insegna ad Urbino,
Milano e Fiesole. Oltre agli importanti studi sulla materia sociologica conduce
ricerche di sociologia economica e politica, in special modo sulle
organizzazioni sindacali e sui conflitti di classe, sulla politica italiana e i
suoi aspetti, sui rapporti tra sistemi politici ed economici nelle società
industriali. Saggi: “Le classi sociali” (Il Mulino); “Comunità e razionalizzazione”
(Einaudi); “Lotte operaie e sindacato in Italia, “Le regole del pluralismo”; “I
soggetti del pluralismo”; “Classi, partiti, sindacati (Bologna); “Le radici
della politica assoluta (Feltrinelli): “Il potere dei giudici” ("Il
nocciolo", Laterza); “Il velo della diversità: studi su razionalità e riconoscimento
(Feltrinelli); “Sulla maschera” (Il Mulino). Treccani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “The reason why Pizzorno – bless his soul –
does not criticize fascism, is that he possibly finds his theory of
‘communitarianism, razionalization and community, and the appeal to Tonnies’s
community, almost too fascist to be true! – it’s the ‘bund’ – and other fascist
conceptions that I sindacati had to fight against during the veintennio
fascista!”. Grice: “The pity with PIzzorno is that he focuses on sindacati as
from 1968, when he was getting drunk in Paris! He should have studied the
sindicati during the veintennio fascista!” -- Grice: “I am pleased that
Pizzorno quotes me. He apparently says that he is not into ‘conversation’ in
the *sense* (senso) of Grice. Footnote there. When the index was compiled,
Pizzorno, who was at Oxford at the time and could have asked (or axed), had no
idea what my Christian name was, so he followed Speranza’s advice: ‘when you do
not know the first name or Christian name use ‘John’ – so he did. (The
corollary to Speranza’s corollary is: when you don’t know the surname, use
‘Smith’). So Grice, J. I became in his name index!” Alessandro Pizzorno.
Pizzorno. Keywords: politica assoluta, razionalita e riconoscimento,
razionalizzazione, soggetti del pluralism, lotta operaia, sindacato, la
politica assoluta, fascismo -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pizzorno” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738886114/in/datetaken/
Grice
e Plantadossi – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ripatransone). Filosofo. Saggi: “Conclusiones”, “Lectura
super Primum Sententiarum”, “Prologi”; “Questiones”; “Questio de gradu
supremo”. Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Not to be confused with FRANCESCO of Marchia. This is JOHN of
Marchia. Nannini – metafisica, idea, exemplaris. Cf. H. P. Grice, “The problem
of the universals. From Ripa to me.” Giovanni da Ripa. Giovanni da
Ripatransone. Giovanni Plantadossi. Keywords: implicatura, universale, il
problema degl’universali, A. Combes, Vignaux, Nannini. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Plantadossi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692212085/in/photolist-2mKS6HX
Grice e Plebe – il dizionario – filosofia italiana – filosofia
siciliana. Luigi Speranza (Alessandria).
Filosofo. Grice: “I think I love
Plebe: he wrote a beautiful chapter on Cicero and Latin rhetoric for his ‘brief
history of ancient rhetoric,’ and like my tutee Strawson, he approached
Aristotle and modernist logic in a genial way --.” I have been criticized for
titling ‘Sicilian philosophy’ anyone from Sicily, even if he left Sicily when
he was three years old. In such a case, Plebe is a representative of Sicilian
philosophy, my critic would say. Born in Italy, he jumped to the isle to teach
… philosophy!” Seguo il verso di Orazio “Odio la massa e me ne tengo lontano”.
Solo in questo sono uomo di destra. Studia a Torino. Insegna a Perugia e Palermo.
Filosofo inizialmente marxista, ha una clamorosa rottura e viene annoverato fra
i sostenitori dell'anticomunismo politico-culturale di quel periodo. Dopo una
militanza di due anni con i socialdemocratici di Saragat, aderisce al Movimento
Sociale Italiano. Rompe anche.Adere al
partito Democrazia Nazionale. Storico della filosofia, in particolare la antica
filosofia italica. Riavvicinatosi al marxismo, è editorialista del quotidiano Libero. Si
define come un illuminista scettico sostenitore d'un anarchismo. Altre saggi: “Hegel.
Filosofo della storia” (Torino, Edizioni di Filosofia); “La teoria del comico”
(Torino, Giappichelli); “Gli hegeliani d'Italia” Vera, Spaventa, Jaja, Maturi,
Gentile” (Torino, SEI); “Spaventa e Vera” (Torino, Edizioni di filosofia; “La
nascita del comico: nella vita e nell'arte degli antichi italici e romani”
(Bari, Laterza); “Filodemo e la musica” (Torino, Edizioni di filosofia); “Processo
all'estetica” (Firenze, Nuova Italia); “Il problema kantiano” (Torino, Edizioni
di filosofia); “Breve storia della retorica” Milano, Nuova Accademia); “La
dodecafonia” (Bari, Laterza); “La logica formale” (Bari, Laterza); “Discorso
semi-serio sul romanzo” (Bari, Laterza); “Estetica” (Firenze, Sansoni); “Storia
della filosofia. Per il liceo classico” (Messina, D'Anna); “Termini della
filosofia” (Roma, Armando); “Antica filosofia italica” (Firenze, Nuova Italia);
“Che cosa è l'Illuminismo” (Roma, Ubaldini); “Che cosa ha veramente detto Marx
(Roma, Ubaldini); “Che cosa ha veramente detto Hegel” (Roma, Ubaldini); “Atlante
concettuale delle nuove filosofie: termini di denunzia, categorie dell'anti-conformismo,
formule di moda, vecchi concetti in nuove filosofie” (Roma, Armando); “L'estetica
italiana dopo Croce” (Padova, RADAR); “Che cosa è l'estetica?” (Roma,
Ubaldini); “Che cosa è l'espressionismo?” (Roma, Ubaldini); “Dizionario filosofico”
(Padova, RADAR); “Storia del pensiero” (Roma, Ubaldini); “Filosofia della re-azione”
(Milano, Rusconi); “Quel che non ha capito Marx” (Milano, Rusconi); “Il
libretto della destra” (Milano, Borghese); “A che serve la filosofia?”
(Palermo, Flaccovio); “Un laico contro il divorzio” (Roma, INSPE); “La civiltà
del post-comunismo” (Roma, CEN); “La filosofia italica” (Milano, Vallardi); “Il
materialismo: fisica, biologia e filosofia oltre l'ideologia” (Roma, Armando);
“Semiotica ed estetica” (Roma-Baden Baden); Il libro-Field educational
Italia-Agis); “Leggere Kant, Roma, Armando); “Logica della poesia” (Palermo,
Ila Palma); “Storia della filosofia” (Palermo, Ila Palma); “Manuale di
estetica” (Roma, Armando); “Manuale di retorica”; Roma, Laterza); “La filosofia
occidentale” (Roma, Armando); “Contro l'ermeneutica” (Bari, Laterza); L'euristica”
(Roma, Laterza); “I filosofi e il quotidiano” (Roma, Laterza); “Dimenticare
Marx?” (Milano, Rusconi); Politica (Milano, Rusconi); “Filosofi senza filosofia”
(Roma, Laterza); “Tornerà il comunismo?” (Casale Monferrato, Piemme); “Manuale
dell'intellettuale di successo” (Roma, Armando); Il quinto libro del capitale.
Marx contro i marxisti” (Milano, via Senato); Gl’illuministi. Obiettivo libertà
(Milano, via Senato); “Memorie di sinistra e memorie di destra. Un filosofo
negli anni ruggenti” (Palermo, Qanat). Storia della filosofia: Filosofi
italiani contemporanei, Bompiani, Milano); Il filosofo trasgressivo, cinema gay,
Sesso, politica e frecciate di un bastian contrario, La destra fece un brutto
affare. Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Armando
Plebe. Plebe. Keywords: il dizionario – Gentile hegeliano – Torino SEI – storia
della filosofia, antica filosofia italica, filosofia italica e filosofia
romana, antica filosofia romana, filosofia dell’antica roma, azione e reazione,
cicerone e la retorica Latina, la rhetorica ad herennium; Cicerone e la disputa
tra retorica e filosofia; la retorica come arte nel ‘De oratore’ ciceroniano;
la polemica di Quintiliano contro Seneca sulle sententiae; forma a contenuto
nella retorica ciceroniana; il dialogo de oratoribus; quintiliano, la decadenza
della retorica Latina; lessico logico, valore di verita, Strawson citato da
Plebe, testo di Strawson tradutto da Plebe in “Logica formale”, la polemica
Grice/Quine sotto Aristotele, connetivi, quantificatori, quadrato
dell’opposizione, indice alla storia della filosofia antica di Plebe, approccio
hegeliano alla storia della filosofia antica Latina – indice. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Plebe” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51700177027/in/photolist-2mPXDFp-2mPCBQQ-2mNbFJE-2mNaHiH-2mLLZRD-2mLGRht-2mLyVqx-CkaHMd-CntuMM-CntseF
Grice e Poggi – implicatura – filosofia italiana – il
veintennio fascista – incontro con Mussolini ad Ancona – filosofia ligure – I
fatti di Sarzana – lasciato in liberta da Mussolini – massone proibiti -- Luigi
Speranza (Sarzana). Flosofo. Colpito dalla violenza usata nei confronti del
popolo durante le giornate milanesi e dal temporaneo esilio che dovettero
subire alcuni socialisti amici di famiglia. Questo lo porta a simpatizzare per
quel partito che stava nascendo e al quale si iscrise. Studia a Palermo e
Genova. Pubblica “La questione morale nel socialismo: Kant e il socialismo.” Insegna
a Genova. Ppartecipa come delegato al Congresso socialista di Ancona, nel corso
del quale ebbe un duro scontro con il massimalista Mussolini sul problema della compatibilità o
meno del socialismo con la massoneria. L'assemblea
da in quell'occasione una larga maggioranza alla tesi di Mussolini dell'incompatibilità.
Si reca nelle domeniche d'inverno al palazzo genovese di via Palestro dove
Rensi animano un vero e proprio salotto, arricchito dalla presenza di illustri
personalità quali il poeta e romanziere Pastorino, Buonaiuti, Sella o Rossi. Mussolini si ricorda
di quel suo leale tenace avversario e lo liberar, come attesta una registrazione
esistente nel suo fascicolo personale presso l'Archivio Centrale dello Stato, lasciato
in libertà dal Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato per atto di
clemenza di S.E. il Capo del Governo. Saggi: “Lo stato italiani” (Firenze,
Bemporad); “Cultura e Socialismo” (Torino, Gobetti); “Gesuiti contro lo stato
liberale” (Milano, Unitas); “Filosofia dell'azione” (Roma, Alighieri); “Concetto
del Diritto e dello Stato: saggi critici” (Padova, Milani); La preghiera
dell'uomo” (Milano, Bocca); G. Meneghini, Socialismo spezzino, appunti per una
storia, Massa G. Meneghini, G. Meneghini Sui luttuosi fatti del luglio v.
Giuseppe Meneghini, La Caporetto del fascism Sarzana Mursia Editore
Milano, Pastorino, Mio padre Carlo
Pastorino, Genova G. Meneghini, G. Meneghini,
Poggi G. Meneghini, Poggi, Piero
Pastorino, Mio padre Carlo Pastorino, Genova, Liguria Edizioni Sabatelli,
Giuseppe Meneghini, Socialismo spezzino Appunti per una storia, Massa, Centro
Studi Agostino Bronzi,.Fatti di Sarzana Socialdemocrazia. Anti-fascista e uomo
di cultura, da Testimoni del tempo e della storia di Isa Sivori Carabelli. Alfredo
Poggi. Poggi. Keywords: stati pontificii, positivismo giuridico, filosofia
giuridica italiana contemporanea – il concetto di diritto, il concetto dello
stato italiano – incontro con Mussolini, lasciato in liberta da Mussolini, I
fatti di Sarzana, filosofia ligure, criticism kantiano, Adler, saggi sulla
filosofia dell’azione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Poggi” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689791889/in/photolist-2mPTxJB-2mPAuFE-2mLyVJy-2mKPS8q-2mPhuNk-2mKw3hq-2mKDGhr-2mKxnN1-2mKjsJY-2mPHbXQ-FJVKRC-FbXzmb-Ecrffr-BVvVQu-BqfWHD-Ck2izm-Ck5F6m-Ck9fTK-BvUfSB-AJp6ja-mwcBH4-my8CQ1-mwc4Gc-mwc6XV-mwctYM-mwdQhS-muiFDv-ihD8Yp-ihisHC
Grice e Pojero – Villa Pajero -- la setta iniziatica
– filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Palermo). Filosofo. Grice: “Like me, he held symposia in his villa – Villa Amato-Pojero
in the Giardino Ingelse a Palermo – lots of Brits there!” StudIa a Napoli e Pisa.
La sua villa ai Giardini Inglesi divenne luogo di incontro di filosofi. La sua
biblioteca e punto di incontro di filosofi come Gentile, Vailati, Brentano, e Gemelli.
Critica il razionalismo, incapace di comprendere la metafisica. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Giuseppe Amato Pojero. Giuseppe Pojero. Pojero.
Keywords: la setta iniziatica -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pojero” – The
Swimming-Pool Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737398687/in/datetaken/
Grice e Poli – implicatura – filosofia
italiana. Luigi Speranza (Cremona). Filosofo. – e: Bologna. Insegna a Milano e
Padova. Pubblica il saggio di “Filosofia elementare”, un eclettico sistema di
empirismo e razionalismo. “Saggi
di scienza politico-legali” considerano il diritto un insieme di scienza in
quanto trattano dei principi e di arte in quanto applicazione di un principio giuridico
nella valutazione dei singoli casi. Il diritto e un'espressione provvidenziale.
Si distingue in naturale e in positivo. Combatte il positivismo negli “Studii
di filosofia contemporanea”, ri-vendicando la superiorità dello spirito sulla
materia. “Saggio filosofico sopra la scuola dei moderni filosofi
naturalisti -- coll'analisi dell'organologia, della craniologia, della fisiognomia,
della psicologia comparata, e con una teoria delle idee e de' sentimenti”
(Milano); “Primi elementi di filosofia” (Napoli); “Elementi di filosofia teoretica
e morale” (Padova); “La filosofia elementare” (Milano); “La scienza politico-legale”
(Milano), “Filosofia, Istituto Lombardo. Rendiconti); Studii di filosofia
contemporanea, Istituto Lombardo. Rendiconti, Cenni sull'opera di Simone
Corleo: il sistema della filosofia universale, ovvero la filosofia
dell'identità, Istituto Lombardo. Rendiconti, La filosofia dell'incosciente, Istituto
Lombardo. Memorie», Studi C. Cantoni, Studio della vita e delle opere. Milano, Filosofia
Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Dizionario biografico austriaco. Il
linguaggio, presidendeo dale grandi controversie de’ filosofi intorno alla sua
origine e alla sua formazione, antro non e che elil complesso de’ segni
destinati ad esprimere le nostre idee e I nostril sentimente. E comeche vari
siano codesti segni per la loro indole e per la loro origine, cosi varia e la
specia del linguaggio naturale, ossie delle grida, dei gesti e dell’azione, ed
artificiale, ossia della parola e della scrituttura. Fra tutte le opinioni,
sembra incontrastabile prima di tutto che gl’animali hanni i segni d’una
specidie di linguaggio naturale nelle gride e nei moti. Ma questi signi sono o
incerti e inisignificanti. O quasi sempre dubii almameno per noi, senza che sia
in loro il potere di perfezionarli. In secondo luogo, e dimostrate che
gl’animali quantunque forniti dell’organo della loquella e dell’udito, come
anche della facultata di associare e d’imitare, non poterono mai giungere
all’invenzione del linguage veramente articolato, e cio per difetto senza
dubbio della facolta superior di della ragione. Sicche i pappagalli, che pur
vanno ripetendo le voci umana, non hanno al pari delle scimie ne’ loro gesti
una vera connessione mentale tra i suoni e le idee annessse, come il
dimonstrano il loro parlare a caso ne mai correlative alle domande nuove e straordinarie,
e la loro incapacita a ingrandire ed estendere il linguaggio gia appreso. In
tterzo luogo e sicuro che com’e impossibile che gl’animale reseano dell’uso
d’un linguaggi overamente articolato, non possedendo le idee astratte e
generali delle quali esso si compone, cosi riusicrebbe loro affatto inutile,
non avendo bisodno di espremiere tutti i nostri pensieri e tutti i nostri
sentimenti. Baldassare Poli. Poli. Keywords: naturalisti, organologia,
craniologia, fisiognomia, psicologia comparata. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Poli,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice,
Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701255863/in/photolist-2mLEs8a-2mLHzhB-2mPxhsE-2mKTyvC-2mPpVqK-2mKFeJo-2mKU7b1-2mPs71e-2mPEECV-2mPoBGn-2mKBwcu-2mKAsyK-2mKCnei-2mPNG7N-2mKyErQ-2mPE3Bq-2mKDA5r-2mKw3hq-2mKDwcr-2mKEJsY-2mKxnN1-2mKA5tC-2mKAuZM-2mKCfz1-2mKjsJY-2mKbpiZ-2mKbok1-2mPLygi-2mPHbXQ-2mHGgw3-2mGT6p1-2mGnP2f-2b7eYAu-22DwUXj-243yMxV-2mES4nb-Eoj4SX-E58e4H-E4u3XA-Dw1w1R-CRAGiK-DcDDsS-DeWyrT-DndBhH-Bq6mau-CfbuaM-CkaHMd-Cntjci-Ckaz7s-CntuMM
Grice e Pollastri – olismo hegeliano – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Studia a Firenze.
Studia la filosofia della natura di Hegel. Si occupa in particolare di
filosofare con le persone, campo nel quale dsvolge la filosofia. Ha uno
sportello di consulenza presso il quartiere 4, Centro di Salute Mentale della
ASL. Pubblica Apogeo Il pensiero e la vita, Consulente filosofico cercasi,
Il filosofo in azienda e L’uomo è ciò che pensa. Fonda Phronesis Associazione
Italiana per la Consulenza Filosofica, IPOC. Collana “Pratiche Filosofiche” diretta da U.
Galimberti per Apogeo e cura la collana “Dialogos”, sempre per l’editore
IPOC. Insegna consulenza filosofica in numerose università italiane. Ha
inoltre all’attivo ricerche in campo tradizionalmente filosofico come l’assoluto
eternamente in sé cangiante. Interpretazione olistica del sistema hegeliano (La
Città del Sole), alcuni articoli di filosofia politica e altri di filosofia
dell’improvvisazione. Accanto al suo impegno nella filosofia, si occupa
di commenti alla musica, in particolare nel campo del jazz. Collabora con
“Musica Jazz”, “Il Giornale della Musica” e “All About Jazz Italia”. Pubblica
la biografia artistica di R. Tesi, Una vita a bottoni (Squilibri). Attivo in
campo teatrale, come amatore ha esperienze di attore, recitando in lavori di
Ionesco, Nicolaj, Feydeau, e Simon, e regista. Direge Sorelle Materassi di F.
Storelli dal saggio di A. Palazzeschi, “La tettonica dei sentimenti” e “Siamo
momentaneamente assenti” di L. Squarzina. La sua teoria della consulenza filosofica e tutt'uno
con una più generale concezione della filosofia e del filosofare. È all’interno
di questa idea generale, che comprende una visione della società, degli
orizzonti, dei destini della filosofia e il ruolo che il filosofo si svolge,
che può essere inserita la sua visione della consulenza filosofica. Il punto di
partenza potrebbe essere posto in un’analisi della società e nel ruolo che in
essa giocano le psicoterapie e, più largamente il linguaggio e la cultura psico-terapeutica.
La sua idea sembra essere quella di chi vede in corso un processo di
trasformazione del dolore del male in una pato-logia psicologicamente
rilevabile e curabile. Oggi, tanto i manuali psico-patologici come DSM-IV,
quanto la cultura diffusa, da rotocalco (sovente però confortata da medici e
psicologi che sui rotocalchi scrivono), tendono a far credere che ogni
qualvolta si stia “male” ipso facto si sia “malato” e che, di conseguenza, sia
necessario un terapeuta che ci guarisca. Ciò ovviamente porterebbe ad un
estremo impoverimento nella capacità umana di comprendere e affrontare la vita.
In un mondo in cui ogni dolore è SINTOMO e l’unica cosa che sembra avere
importanza è che esso venga eliminato, la filosofia e la consulenza filosofica
(che sembrano più essere due momenti di un'unica disciplina piuttosto che due
cose diverse) non si presentano come pensiero risolutivo. Prendere decisioni e
risolvere problemi sono due modi attraverso cui si banalizza la complessità e
anche il fascino di ogni esperienza vitale umana. Se c’è qualcosa di davvero
originale e inattuale che la filosofia offre agl’uomini ciò è giustappunto una
prospettiva che vada oltre l’agire tecnico finalizzato, l’intervento
manipolativo sulla realtà e, dunque, l’idea stessa di efficacia. Con questa
impostazione non stupisce dunque che veda in modo estremamente critico la
presenza del concetto di aiuto nella consulenza filosofica. Chi si concentra
sull’aiutare il consulente rischia di fare semplicemente una psico-terapia
mascherata e poco efficace. Concentrarsi sull’ausilio e la soluzione dei problemi
posti dal consultante può disperdere la realtà e originale potenzialità
della filosofia nel campo della considerazione dei problemi degli individui e
della loro vita. Può annullare la capacità di ri-orientare il pensiero e
l’agire che la ri-flessione filosofica porta con sé come sua assoluta
specificità. Può, infine, privare gl’individui e la società di quella che è
forse oggi rimasta l’ultima branca del sapere svincolata dallo strabordante e
acritico dominio del produrre, del finalizzare, e della tecnica. L’onnipresenza
del paradigma tera-peutico non deve fare sì che si dimentichi anche il rapporto
sano che la filosofia può mantenere con la psicologia rettamente intesa. La
psicologia cioè come ricerca di ciò che è proprio del comportamento umano che
ogni filosofo coltiva. Come studio sull’uomo, e al pari di altre scienze umane
che cercano di coglierne altre limitate ma fondamentali dimensioni (si pensi
all’antropologia o alla sociologia), la psicologia e tenuta in considerazione
dallo sguardo del consulente. La psicologia è stata nient’altro che una
conoscenza tra le molte che la filosofia doveva comprendere, criticare, porre
nel giusto posto che a essa spetta entro una comprensione filosofica del mondo.
E se il filosofo non disdegna di occuparsi anche di psicologia, perché oggi il
filosofo consulente dove temere oltremisura di fare riferimento anche a essa? Posta
in un orizzonte conoscitivo e non terapeutico, la psicologia non è evitata, al
pari di ogni altra disciplina, al consulente filosofico. Lo spazio entro cui colloca
la sua azione e la sua riflessione implica una lettura della filosofia come del
tutto connessa con la vita di ogni singolo uomo. Difficile cogliere la cesura
tra questi e il filosofo. Se questa differenziazione ha sicuramente un valore
indicativo, convenzionale, utile per distinguere chi ha fatto della riflessione
il centro della vita, è difficile invece trovare una differenza essenziale tra
costui e l’uomo comune. L’uomo è necessariamente filosofo. Le ragioni di questa
necessità sono connesse con nell’essenza fragile, limitata, mortale dell’uomo, è
da questa necessità che deriva l’urgenza dell’uomo a porsi domande, cercare senso,
aspirare alla conoscenza, essere, cioè philo-sophos, amante del sapere. Ma se
l’uomo è perennemente filosofo è anche perché è propria della filosofia
l’incapacità di arrestarsi a un dato, a un risultato che non sia ulteriormente
indagabile. La disciplina in questione così si mostra propriamente nella sua
attività più che nel suo corpus di conoscenze. Anche la filosofia pratica,
dunque, si conclude là dove produce qualcosa di pratico per diventare altro:
morale, politica, diritto. Da questa visione se ne deduce la inapplicabilità
della filosofia in generale e più specificatamente l’impossibilità di concepire
la consulenza filosofica come una sorta di filosofia applicata alla vita. Il
fatto è che la filosofia non si applica, oppure è sempre applicata: essendo
amore per il sapere, è infatti qualcosa di perennemente in movimento- è un
agire, un fare. E non c’è fare che non sia fare qualcosa. Quello della
filosofia è il filosofare, vale a dire il cercare e ri-cercare, il ri-tornare
sempre di nuovo sul problema, inappagati dall’apparente soluzione, il
ri-flettere incessantemente per mettere a prova le nostre capacità di
comprensione. Questo agire, che è pura e semplice filosofia, non può essere
applicato perché lo è già sempre, non potendo avvenire senza un argomento, un
tema, un problema e senza individui pensanti sui quali esso agisce, produce,
come tutte le attività, effetti pratici concreti. Saggi: “L' assoluto
eternamente in sé cangiante”; “Interpretazione olistica del sistema hegeliano”;
“Studi sul pensiero di Hegel (La Città del Sole); “Il pensiero e la vita”; “Guida
alla consulenza e alle pratiche filosofiche (Apogeo); “Consulente filosofico
cercasi” (Milano, Apogeo); “L’uomo è ciò che pensa: sull’avvenire della pratica
filosofica” (Girolamo, Trapani); “Il filosofo in azienda: pratiche filosofiche
per le organizzazioni” (Apogeo, Milano); “Tesi. Una vita a bottoni, in A viva voce,
Squilibri); “La consulenza filosofica”; “Breve storia di una disciplina atipica,
in Intersezioni, Achenbach e la fondazione della pratica filosofica, in
Maieusis, La consulenza filosofica tra saggezza e metodo, in“Inter-sezioni, Razionalità
del sentimento e affettività della ragione”; “Appunti sulle condizioni di
possibilità della consulenza filosofica”; “Discipline Filosofiche, Teoria
pratica” e palle di biliardo”; “La consulenza filosofica come mappatura
dell’esistenza, in “La cura degl’altro: la filosofia come terapia dell’anima”
(Siena); “Il consulente filosofico di quartiere, in Autaut, Analisi di P. Rovatti,
La filosofia può curare?, in Phronesis, Prospettive politiche della pratica
filosofica, in Humana.mente, Improvvisare la verità. Musica jazz e
discorso filosofico, in Itinera. D. Miccione, La consulenza Filosofica, Xenia. Neri
Pollastri. Pollastri. Keywords: olismo hegeliano, etimologia di consultare,
consolare, consultare, console – con-solus --, mutuo consiglio, Böttcher Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Pollastri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738831049/in/datetaken/
Grice e Pomponazzi -- l’affair pomponazzi – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Mantova). Flosofo. Important Italian
philosopher. Di famiglia agiata. Studia a Padova sotto Nardò, Riccobonella e Trapolino. Insegna
a Padova, Carpi, Padova, Venezia, Ferrara, Mantova, e Bologna. Pubblica “De
maximo et minimo”. Publica un commento al “De anima” aristotelico. Scrive il “Trattato
dell’immortalita dell’anima” (Bologna), il “Il fato, il libero arbitrio e la predestinazione”
(Grataroli, Basilea) e il “De naturalium effectuum causis, sive de
incantationibus” (Grataroli, Basilea) oltre a commenti delle opere di Aristotele.
Il “Tractatus de immortalitate animae, in cui sostiene che l'immortalità
dell'anima non può essere dimostrata razionalmente, fa scandalo. Attaccato da
più parti, la pubblicazione è pubblicamente bruciata a Venezia. Denunciato da Fiandino
per eresia, la difesa di Bembo gli permette di evitare terribili conseguenze. E
condannato da Leone X a ritrattare la sua tesi. Non ritratta. Si difende con la
sua Apologia e con il Defensorium adversus Augustinum Niphum, una risposta al
De immortalitate animae libellus di Nifo, in cui sostiene la distinzione tra
verità di fede e verità di ragione, idea ripresa da Ardigò. Evita ogni
problema pubblicando il “De nutritione et augmentatione”, il “De partibus
animalium” e il “De sensu”. Muore suicida. Per i peripatetici, l'anima è l'atto
(entelechia) primo di un corpo che ha la vita in potenza. L’animo è la sostanza
che realizza la funzione vitale dei corpi. Tre sono le funzioni dell'anima: la
funzione vegetativa per la quale gl’esseri vegetali, animali e umani si nutrono
e si riproducono; la funzione sensitiva per la quale gl’esseri animali e umani
hanno sensazioni e immagini; la funzione intellettiva, per la quale gl’esseri
umani comprendono. La funzione intelletiva è la capacità di giudicare le
immagini fornite dai sensi. L'atto dell'intendere si identifica con l'oggetto
intelligibile, cioè con la sostanza dell'oggetto, ossia con la verità. L’intelletto
possibile o passive è la capacità umana di intendere. L’intelletto attuale o
attivo o agente è la luce intellettuale. L’intelleto agente contiene in atto ogni
intelligibile, e agisce sull'intelletto potenziale come la luce mostra, mette
in atto i colori che al buio non sono visibili ma pure esistono e dunque sono
in Potenza. L’intelletto agente mette in atto una verità che nell'intelletto possibile
e soltanto in potenza. L'intelletto agente è separato, non composto,
impassibile, per sua essenza atto separato, esso è solo quel che è realmente. Questo
è immortale ed eterno. Bisogna esaminare se la forma esista anche dopo la
dissoluzione del composto. Per alcune cose nulla lo impedisce, come, ad esempio
nel caso dell'anima, ma non dell'anima nella sua interezza, bensì
dell'intelletto, poiché è forse impossibile l'esistenza separata dell'anima
intera. I parepatetici a Padova si sono divisi in due correnti: gli’averroisti
e gl’alessandrini, seguaci questi delle interpretazioni di Alessandro di
Afrodisia. Gl’averroisti, secondo una concezione influenzata dall’idealismo
sosteneno l'unicità e la trascendenza non solo dell'intelletto agente, ma anche
dell'intelletto possibile, che per lui non appartiene agl’uomini ma è unico e
comune all'intera specie umana. Gl’alessandrini manteneno l'unicità
dell'intelletto agente, che fano coincidere con il divino, ma attribuisceno a
ciascun uomo un intelletto possibile individuale, mortale insieme con il corpo.
Va ricordato che per Aquino nell'uomo è presente un'unica anima per sua natura
(simpliciter) immortale, ma per un certo aspetto (secundum quid) mortale, in
quanto anche legata alle funzioni più materiali dell'essere umano. Trae
spunto da una discussione con Raguseo il quale, avendo sostenuto che la teoria
d’Aquino sull'anima non si accorda con quella aristotelica, lo prega di provare
le sue affermazioni mediante mezzi puramente razionali. Fecero bene gli
antichi a porre gl’uomini tra le cose eterne e quelle temporali, cosicché gl’uomini,
né puramente eterni né semplicemente temporali, partecipano delle due nature e
stando a metà fra loro, può vivere quella che vuole. Così, alcuni uomini
sembrano dei perché, dominando il proprio essere vegetativo e sensitivo, sono
quasi completamente razionali. Altri, sommersi nei sensi, sembrano bestie.
Altri ancora, uomini nel vero senso della parola, vivono mediamente secondo la
virtù, senza concedersi completamente né all'intelletto e né ai piaceri del
corpo. Gl’uomini dunque, sono di natura non semplice ma molteplice, non
determinata ma bifronte – ancipitis -- media fra il mortale e l'immortale. Questa
medietà non è il provvisorio incontro di due nature, una corporea e una
non-corporea, che si divideranno con la morte, ma è la dimostrazione della
reale unità degl’uomini. La natura procede per gradi. Gl’esseri vegetali hanno
un poco di anima. Gl’animali hanno i sensi e una certa immaginazione. Alcuni
animali arrivano a costruirsi case e a organizzarsi civilmente tanto che molti
uomini sembrano avere un'intelligenza molto inferiore alla loro. Vi sono animali intermedi fra la pianta e la
bestia, come la spugna della scimmia non sai se sia uomo o bruto, analogamente
l'anima intellettiva è media fra il temporale e l'eterno. Polemizza cogl’averroisiti
che hanno scisso dalla naturale unità umana il principio razionale da quello
sensitivo e con’Aquino, rilevando che l'anima, essendo unica, non può avere due
modi di intendere, uno dipendente e un altro indipendente dalle funzioni dei corpi.
La dipendenza dell'intelligenza dalla fantasia, che dipende a sua volta dai
sensi, lega l'anima indissolubilmente al corpo e ne fa seguire lo stesso
destino di morte. È capovolta la tesi
fondamentale d’Aquino. L'anima è per sé mortale e secundum quid, in un certo
senso, immortale, e non il contrario, perché nobilissima fra le cose materiali
e al confine con le immateriali, profuma di immortalità ma non in senso
assoluto (aliquid immortalitatis odorat, sed non simpliciter). E ricorda che
per Aristotele l'anima non è creata da Dio. Gl’uomini infatti sono generati
dagl’altri uomini e anche dal sole. Riguardo al problema del rapporto fra
ragione e fede, solo la fede, non le ragioni naturali, può affermare
l'immortalità dell'anima e coloro che camminano per le vie dei credenti sono
fermi e saldi, mentre per quanto attiene
i problemi etici che la mortalità dell'anima potrebbe suscitare, afferma che
per comportarsi virtuosamente non è affatto necessario credere all'immortalità
dell'anima e alle ricompense ultraterrene, perché la virtù è premio a sé stessa
e chi afferma che l'anima è mortale salva il principio della virtù meglio di
chi la considera immortale, perché la speranza di un premio e il terrore della
pena provoca comportamenti servili contrari alla virtù. Il Tractatus
provoca clamore e polemiche alle quale rispose, ribadendo le sue tesi con
l'Apologia, dove risponde alle critiche amichevoli di Contarini, Colzade e Fiandino.
Replica con il Defensorium adversus Agostinum Niphum alle critiche di Nifo,
professore di filosofia a Padova.Panizza chiese a Pomponazzi se possono esserci
cause sopra-naturali di eventi naturali, in contrasto con le affermazioni di
Aristotele, e se si debba ammettere l'esistenza del demonio anche per spiegare
molti fenomeni che si sono verificati. Dobbiamo spiegare questi fenomeni
con cause naturali, senza ricorrere al demonio. E ridicolo lasciare l'evidenza
per cercare quello che non è né evidente né credibile. D'altra parte, poiché l'intelletto percepisce
dati sensibili, un puro spirito non potrebbe esercitare un'azione qualunque su
qualcosa di materiale. Uno spirito non puo entrare in contatto con il mondo. In
realtà vi sono uomini che, pur agendo per mezzo della scienza, hanno prodotto
effetti che, mal compresi, li hanno fatti ritenere opera di santi o di maghi,
com'è successo con Abano o con Cecco d'Ascoli. Altri, ritenuti santi dal volgo
che pensa avessero rapporti con gli angeli sono magari dei mascalzoni. Facessero
tutto questo per ingannare il prossimo. Ma, a parte casi di incomprensione o di
malafede, è possibile che fenomeni mirabolanti hanno la loro causa
nell'influsso degli astir. È assurdo che un corpo celeste, che regge tutto
l'universo non possa produrre un effetto che di per sé e nulla considerando
l'insieme dell'universo. Cause naturali, comunque, secondo la scienza del
tempo: il determinismo astrologico governa anche le religioni. Al tempo degli
idoli non c'era maggior vergogna della croce, nell'età successiva non c'è nulla
di più venerato. Ora si curano i languori con un segno di croce nel nome di
Gesù, mentre un tempo ciò non accadeva perché non era giunta la sua ora. Ogni religione
ha i suoi miracoli quali quelli che si leggono e si ricordano nella legge di
Cristo ed è logico, perché non ci possono essere profonde trasformazioni senza
grandi miracoli. Ma non sono miracoli perché contrari all'ordine dei corpi
celesti ma perché sono inconsueti e rarissima. Nessun fenomeno ha dunque cause
non naturali. L’astrologo che abbia colto la natura delle forze celesti, può
spiegare tanto le cause di fenomeni che sembrano sopra-naturali che realizzare
opere straordinarie che il popolino considererà miracolose solo perché incapace
di individuarne la causa. L'ignoranza del volgo è del resto sfruttata da
politici e da sacerdoti per tenerlo in soggezione, presentandosi ad esso come
personaggi straordinari o addirittura inviati da Dio stesso. Se Dio ha
creato l'universo ponendo su di esso leggi fisiche precise, sarebbe paradossale
che egli stesso agisse contro queste leggi utilizzando eventi sovrannaturali
come i miracoli. L’universo è controllato e determinato dall'agire degli astri
e Dio agisce indirettamente muovendo questi ultimi. Sviluppa quindi una
concezione dell'universo deterministica. Se tale e la forze che governa il
mondo, se anche un fenomeno sopra-nturale ha una spiegazione nell'esistenza della
forza naturale così potente, esiste ancora una libertà nelle scelte individuali
dell'uomo? In Dio, conoscenza e causa delle cose coincidono e dunque egli è
veramente libero. Gl’uomini si esprimeno invece in un mondo dove tutto è già
determinato. Rifiutato il contingentismo degl’alessandrini, che salvano la
libertà umana criticando gli stoici per i quali non esiste né contingenza né
libertà umana, è costretto dalla sua concezione strettamente deterministica,
ove tutto è regolato dalla forza naturale superiori agl’uomini, a propendere
per l'impossibilità del libero arbitrio. L’argomento è difficilissimo. Gli
stoici sfuggono facilmente alle difficoltà facendo dipendere da Dio l'atto di
volontà. Per questo l'opinione stoica appare molto probabile. Nel cristianesimo
c'è maggiore difficoltà a risolvere il problema del libero arbitrio e della
predestinazione. Se Dio odia ab aeterno i peccatori e li condanna, è
impossibile che non li odi e non li condanni. Così odiati e reietti, è
impossibile che i peccatori non pecchino e non si perdano. Che rimane, allora,
se non una somma crudeltà e ingiustizia divina, e odio e bestemmia contro Dio?
E questa è una posizione molto peggiore di quella stoica. Gli stoici dicono
infatti che Dio si comporta così perché la necessità e la natura lo impongono.
Secondo il cristianesimo, il fato dipende invece dalla cattiveria di Dio, che
potrebbe fare diversamente ma non vuole, mentre secondo gli stoici Dio fa così
perché non può fare altrimenti. Espone la mortalita dell’animo con voce dolce e
limpidissima. Il suo discorso e preciso e pacato nella trattazione, mobile e concitato
nella polemica. Quando poi giunge a definire e a trarre le conclusioni, e rave
e posato. Nulla tenero con gli uomini di chiesa, isti fratres truffaldini,
domenichini, franceschini, vel diabolini riassume il suo spirito ironico e
motteggiante consigliando alla filosofia credete fin dove vi detta la ragione,
alla teologia credete quel che vogliono i teologi e i prelati con tutta la
chiesa, perché altrimenti farete la fine delle castagne ma e serio e senza
compromessi nelle sue convinzioni scrivendo nel “De fato” che Prometeo è il
filosofo che, nello sforzo di scoprire i segreti divini, è continuamente
tormentato da pensieri affannosi, non ha sete, non ha fame, non dorme, non
mangia, non spurga, deriso, dileggiato, insultato, perseguitato dagli
inquisitori, ludibrio del volgo. Questo è il guadagno dei filosofi, questa la
loro ricompensa. Epperò un filosofo e un dio terreno, tanto lontano dagli altri
come un uomo o e dalla sua figura dipinta e lui e pronto, per amore della
verità, anche a ritrattare quel che dico. Chi dice che polemizzo per il gusto
di contrastare, mente. In filosofia, chi vuol trovare la verità, dev'essere
eretico. Trattati peripatetici (Milano,
Bompiani); B. Nardi (Firenze, Monnier); N. Badaloni, Cultura e vita civile tra
Riforma e Controriforma” (Bari, Laterza); G. Zannier, Ricerche sulla diffusione
e fortuna del De Incantationibus” (Firenze, Nuova Italia); E. Garin, Aristotelismo veneto, Peripatetici veneti”
(Padova, Antenore); M. Sgarbi, “Tra
tradizione e dissenso (Firenze, Olschki); P. Vitale, “Un aristotelismo problematico:
il «De fato», Aristotele si dice in tanti modi, “Lo sguardo”. Treccani Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di
filosofia. Petrus Pomponatius. Pomponatius. Pietro Pomponazzi. Pomponazzi. Keywords:
peripatetismo veneto. Pomponazzi. Keywords: paripatetismo veneto -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice, Shropshire and Pomponazzi
on the immortality of the soul," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689160403/in/photolist-2mPmNVF-2mNaHiH-2mLQ1Vx-2mKLVA3-2mKAsyK-2mKv1Ab-2mKDwbv-2mKk2pP-2mKbo8n-2mKjibQ-2mKjhGt-2mKkohW-2mKfLXX-2mKhaME-2mKhc2y
Grice e Pontara – se il fine giustifichi i mezzi –
filosofia italiana -- (Cles). Filosofo. Grice: “I like Pontara: he wrote a whole essay on Kant’s problem
about the reduction of the categorical to the the prudential imperative, “Se il
fine giustifica i mezzi. Uno dei massimi studiosi della nonviolenza. Fortemente
dubbioso dell’eticità del servizio militare. Insegna a Torino, Siena, Cagliari,
Padova, Bologna, Imperia, Trento. Uno
dei fondatori di “Per la Pace”. Studia etica pratica e teorica, metaetica e
filosofia politica. “Se il fine giustifichi i mezzi” (Mulino, Bologna). Studia Nonviolenza,
Pace, Utilitarismo, in Dizionario di politica (Pomba, Torino); Neo-contrattualismo,
socialismo e giustizia, Democrazia e
contrattualismo, Riuniti, Roma); Filosofia pratica, Saggiatore, Milano, Antigone
o Creonte. Etica e politica (Riuniti, Roma); “Etica e generazioni future” (Laterza,
Bari); La personalità nonviolenta” (Abele, Torino); “Guerre, disobbedienza
civile, nonviolenza” (Abele, Torino); “Breviario per un'etica quotidiana” (Pratiche,
Milano); “Il pragmatico e il persuaso, Il Ponte, Teoria e pratica della
nonviolenza” (Einaudi, Torino). G. Pontara. Pontara. Keywords: Grice on the
mythic status of the contract in ‘Meaning Revisited’, Grice against the
quasi-contractualist, se il fine giustifichi i mezzi, contrattualismo. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Pontara” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701655769/in/photolist-2mPpwbZ-2mLGv16
Grice e Ponte – implicatura maschile – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Lodi). Flosofo. Studia
a Genova. Insegna a Pontremoli. D'impostazione tradizionalista, dopo gli studi
classici vive a Pontremoli. Storico delle idee e del diritto romano arcaico,
studioso di simbolismo, fonda la rivista di ispirazione evoliana “Arthos” -- cultura
tradizionale, testimonianza tradizionale, a cura di “Arya” di Genova. Cura il “Tractatus de potestate
summi pontifices”; La Cronologia vedica in appendice a La dimora artica dei
Veda. Tra i fondatori del movimento tradizionale romano. Collabora attivamente
con “Arya”, ispirate dall'O.I.C.L. Altre saggi: “Dei italici”; “Miti italici,”
“Archetipi e forme della sacralità romano-italica” (Genova, Ecig); “Il movimento
tradizionalista romano” (Scandiano, Sear); “La religione dei romani” (Milano,
Rusconi); “Il magico Ur” (Borzano, Sear); “I liguri: etno-genesi di un popolo”
(Ecig, Genova); “La città degli dei”; “La tradizione di Roma e la sua
continuità” (Ecig, Genova); "Favete Linguis!" Saggi sulle fondamenta
del Sacro in Roma antica” (Arya, Genova); "Ambrosiae pocula" (Tridente,
Treviso); "Nella terra del drago" note insolite di viaggio nel Regno
del Bhutan (Tridente, La Spezia); “Il mondo alla rovescia” (Arya, Genova); “In
difesa della Tradizione” (Arya, Genova); “Le sacre radici del potere” (Arya,
Genova); “La Massoneria volgare speculative” (Arya, Genova); “Lettere ad un
amico” (Arya, Genova); :Hic manebimus optime” (Arya, Genova); “Etica aria”
(Arya, Genova); “Aspetti del lessico pontificale: gli indigitamenta”; “ “I lari
nel sistema spazio-temporale romano”; “Santità
delle mura e sanzione divina,”; “Gl’arii”; “Via romana agli Dei”; Centro studi La Runa. Renato del Ponte. Ponte.
Keywords: implicatura maschile, ario, gl’arii, I liguri, romani, antica roma,
massoneria volgare. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ponte” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738808129/in/dateposted-public/
Grice e Ponzio – il segno dell’altro – semiotica
filosofica – filosofia italiana – Luigi Speranza (San
Pietro Vernotico). Filosofo. Studia a Bari sotto Semerari. Insegna a Bari. Cura
Rossi-Landi. Studia la fenomenologia della relazione interpersonale. Insegna a Brindisi,
Francavilla Fontana, Terlizzi. Studia Scienze dei linguaggi e linguaggi delle
scienze. Intertestualità, interferenze, mutuazioni. Pubblica “Enunciazione e testo letterario
nell'insegnamento dell'italiano come lingua straniera” (Guerra, Perugia); Linguistica generale, scrittura letteraria e
traduzione, Da dove verso dove. L'altra parola nella comunicazione globale, A
mente. Processi cognitivi e formazione linguistica, Lineamenti di semiotica e
di filosofia del linguaggio; Introduzione a M. Bachtin (Bompiani); “Il discorso
amoroso” (Mimesis) e Bachtin e il suo circolo (Bompiani, collana “Il pensiero
Occidentale” diretta da G. Reale); Summule logicales (Bompiani); Manoscritti
matematici (Spirali); La filosofia come professione, come istituzione,
presuppone una filosofia propria del linguaggio, che si esprime nella tendenza
del linguaggio al plurilinguismo dialogico, alla correlazione dialogica delle
lingue e dei linguaggi di cui sono fatte, una filosofia del linguaggio, in cui ‘del
linguaggio’ è da intendersi come genitivo soggettivo: un filosofare del
linguaggio, che consiste nella pluri-discorsività dialogizzata. I campi di suo
studio e di sua ricerca sono la semiotica e filosofia del linguaggio. Filosofia
del linguaggio è l'espressione che meglio esprime l'orientamento dei suoi studi
e come egli affronta i problemi relativi alla semiotica dal punto di vista
della filosofia del linguaggio, alla luce degli sviluppi delle scienze dei
segni, dalla linguistica alla bio-semiotica. In tal senso il suo
approccio può essere più propriamente definito come di pertinenza della semiotica
generale, anche se si occupa di semiotica generale, in termini di critica. La
semiotica generale supera l'illusoria separazione tra le discipline
umanistiche, da una parte, e quelle logico-matematiche e le scienze naturali,
dall'altra, evidenziando invece la condizione di inter-connessione. La sua
ricerca semiotica si riferisce a diversi campi e discipline, praticando un
approccio che è trasversale e inter-disciplinare, o come direbbe lui stesso
"in-disciplinato". Si occupa di semiotica, di linguistica e
delle altre scienze dei linguaggi e dei segni, nel senso della filosofia del
linguaggio, intendendo ‘del linguaggio’ non come indicazione dell'oggetto della
filosofia, della filosofia che si occupa del linguaggio, ma come “la filosofia”
del linguaggio stesso, come la sua attitudine al filosofare. Filosofia del
linguaggio e intesa come filosofia del dialogo, apertura all'altro,
disposizione all'alterità, arte dell'ascolto, messa in crisi del mono-linguismo,
del mono-logismo, inventiva, innovazione, creatività che nessun ordine del
discorso, nessuna de-limitazione dei luoghi comuni dell'argomentare, può controllare
o impedire. Il genere, come ogni insieme, uniforma indifferentemente, cancella
le differenze tra coloro che ne fanno parte, e implica l'opposizione altrettanto
indifferente con coloro che fanno parte del genere opposto. Ogni genere a cui
l'identità si appella per affermare la sua appartenenza, per esempio
comunitaria, etnica, sessuale, nazionale, di credo, di ruolo, di mestiere, di
condizione sociale, è in opposizione a un altro genere: bianco/nero;
uomo/donna; comunitario/extra-comunitario; co-nazionale/straniero;
professore/studente. Afferma che ogni differenza-identità, ogni differenza
di genere, al suo interno, è cancellazione della differenza singolare e ogni
genere. Ogni identità presuppone, in quanto basato sull'indifferenza e
sull'opposizione, prevede il conflitto. L'unica differenza non
indifferente e non oppositiva è la differenza singolare, fuori identità, fuori
genere, come d“sui generis” è l'alterità. Alterità intesa come relazione con
l'altro, alterità assoluta, di unico a unico, in cui ciascuno è in-sostituibile
e non indifferente. Un'alterità che l'identità rimuove e censura, relega nel
privato, ma che ciascuno vive e riconosce come vera relazione con l'altro.
Altre saggi “La relazione inter-personale” (Adriatica, Bari), “L’altro” (Adriatica,
Bari); “Linguaggio e relazioni sociali” (Adriatica, Bari); Produzione
linguistica e ideologia sociale (Donato, Bari); “Persone, linguaggi e
conoscenza” (Dedalo, Bari); “Filosofia del linguaggio e prassi sociale” (Milella,
Lecce); “Dialettica e verità -- Scienza e materialismo storico-dialettico” (Dedalo,
Bari); “La semiotica in Italia” (Dedalo, Bari); “Marxismo, scienza e problema
dell'uomo” (Bertani, Verona); “Scuola e pluri-linguismo (Dedalo, Bari); “All’origini
della semiotica” (Dedalo, Bari); “Segni e contraddizioni” (Bertani, Verona);“Spostamenti,
Percorsi e discorsi sul segno” (Adriatica, Bari); “Lo spreco dei significanti.
L'eros, la morte, la scrittura” (Adriatica, Bari); Fra linguaggio e letteratura”
(Adriatica, Bari); “Segni per parlare dei segni” (Adriatica, Bari); Filosofia
del linguaggio, Adriatica, Bari, Interpretazione e scrittura. Scienza dei segni
ed eccedenza letteraria” (Bertani, Verona); “Dialogo sui dialoghi (Longo,
Ravenna); La filosofia del linguaggio (Adriatica, Bari); “La tartaruga” (Ravenna,
Longo); “Filosofia del linguaggio”; “Segni valori ideologie” (Adriatica, Bari);
“Dialogo e narrazione” (Milella, Lecce); “Tra semiotica e letteratura” (Bompiani,
Milano); “La ricerca semiotica (Bologna, Esculapio); Il dialogo della menzogna”
(Roma, Stampa alternativa, Scrittura, dialogo e alterità” (Nuova Italia,
Firenze); Fondamenti di filosofia del linguaggio (Laterza, Roma); “Responsabilità
e alterità” (Jaca, Milano); “La differenza non indifferente. Comunicazione e guerra,
Mimesis, Milano); “Il segno dell'altro:
eccedenza letteraria e prossimità” (Scientifiche, Napoli); I ricordi, la
memoria, l'oblio. Foto-grafie senza soggetto (Bari, Sud); Comunicazione,
comunità, informazione -- comunicazione mondializzata e tecnologia (Manni, Lecce); “I tre dialoghi
della menzogna e della verità (Scientifiche, Napoli); “La rivoluzione
bachtiniana. Il pensiero di Bachtin e l'ideologia contemporanea” (Levante, Bari);
“Metodologia della formazione linguistica” (Laterza, Roma); “Che cos'è la
letteratura?” (Milella, Lecce); “Elogio dell'infunzionale -- critica dell'ideologia
della produttività” (Castelvecchi, Roma); “Semiotica della musica. Introduzione
al linguaggio musicale” (Graphis, Bari); “La coda dell'occhio. Letture del
linguaggio letterario” (Graphis, Bari); Basi. Significare, inventare,
dialogare” (Lecce, Manni); “La comunicazione” (Graphis, Bari); “Fuori campo: il
segno del corpo tra rappresentazione ed eccedenza (Mimesis, Milano); Il sentire
nella comunicazione” (Meltemi, Roma); Semiotica dell'io” (Meltemi, Roma); “I
segni e la vita la semiotica” (Spirali, Milano); “Uomini, linguaggi, mondo” (Milano,
Mimesis); “Il linguaggio e le lingue. Introduzione alla linguistica generale” (Bari,
Graphis); “I segni tra globalità e infinità. Per la critica della comunicazione
globale (Bari, Cacucci); “Semioetica (Roma, Meltemi); “Linguistica generale,
scrittura letteraria e traduzione” (Perugia, Guerra); “Semiotica e dialettica,
Bari, Sud); “La raffigurazione letteraria (Milano, Mimesis); Semiotica globale.
Il corpo nel segno (Bari, Graphis); Testo come ipertesto e traduzione letteraria,
Rimini, Guaraldi); Tesi per il futuro anteriore della semiotica. Il programma
di ricerca della Scuola di Bari-Lecce, (Milano, Mimesi); Dialoghi semiotici (Napoli,
Scientifiche); “La cifrematica e l'ascolto” (Bari, Graphis); “Fuori luogo.
L'esorbitante nella riproduzione dell'identico” (Roma, Meltemi); “A mente.
Processi cognitivi e formazione linguistica” (Perugia, Guerra); Lineamenti di
semiotica e di filosofia del linguaggio (Bari, Graphis); Tre sguardi su Dupin”
(Bari, Graphis); “Scrittura, dialogo, alterità” (Bari, Palomar); “Linguaggio,
lavoro e mercato” (Milano, Mimesis); “La dissidenza cifrematica” (Milano,
Spirali); Contexto, Da dove verso dove. La parola altra nella comunicazione
globale (Perugia, Guerra); “La visione ottusa” (Milano, Mimesis); “L’analisi,
la scrittura” (Bari, Graphis); Interpretazione e scrittura, Scienza dei testi
ed eccedenza letteraria” (Multimedia, Lecce); “In altre parole, Mimesis, Milano);
“La filosofia del linguaggio, Edizioni Laterza, Bari); “Marxismo e umanesimo.
Per un'analisi semantica delle Tesi su Feuerbach (Dedalo, Bari); “Manoscritti
matematici (Dedalo, Bari); Saggi filosofici, Edizioni Dedalo, Bari); Marxismo e
filosofia del linguaggio (Dedalo, Bari); Freudismo, Dedalo, Bari); Semiotica,
teoria della letteratura e marxismo (Dedalo, Bari); Il linguaggio, Bari, Dedalo);
“Linguaggio e classi sociali. Marxismo e stalinismo (Dedalo, Bari); Il metodo
formale e la teoria della letteratura” (Dedalo, Bari); “L'alienazione come
fenomeno sociale” (Riuniti, Roma); “Il linguaggio come pratica sociale” (Dedalo,
Bari); “Polifonie” (Adriatica, Bari); Scienze
del linguaggio e plurilinguismo. Riflessioni teoriche e problemi didattici” (Adriatica,
Bari); Scienze del linguaggio e insegnamento delle lingue e delle letterature.
Annali del convegno (Adriatica, Bari); “Tractatus. Summule logicales” (Adriatica,
Bari); “La significanza del senso, in “Idee”, “La genesi del senso”; Il linguaggio questo sconosciuto. Iniziazione
alla linguistica (Adriatica, Bari); Il linguaggio come lavoro e come mercato” (Bompiani,
Milano); Segni (Laterza, Bari); “Umanesimo ecumenico (Adriatica, Bari); “Semiosi
come pratica sociale” (Napoli, Scientifiche Italiane, Napoli); “Semiotica e ideologia”
(Milano, Bompiani); “Uccelli, Stampa alternativa, Baria); “Il mio ventesimo
secolo, Adriatica Bari); “Sulla traccia del grice” “Idee”, Emmanuel Lévinas, Su
Blanchot, Palomar, Bari); “Maschere. Il percorso bachtiniano fino alla
pubblicazione dell'opera su Dostoevskij (Dedalo, Bari); Idea e realtà
dell'Europa: Lingue, letterature, ideologie, “Annali della Facoltà di Lingue e
Letterature Straniere”, Schena, Fasano (Brindisi), Comunicazione, comunità,
informazione” (Manni, Lecce); “Paul Valéry, Cimitero marino, in “Athanor”, Il Mondo/il Mare, e in “L'immaginazione”, Problemi dell”opera di Dostoevskij (Sud, Modugno (Bari); Lisa Block de Behar, Al
margine (Sud, Modugno Bari) Michail Bachtin, Problemi dell'opera di Dostoevskij
Sud, Bari); “Significato, comunicazione
e parlare comune” (Marsilio, Venezia); “La scrittura e l'umano, Saggi,
dialoghi, conversazioni” (Bari, Sud); “Per una filosofia dell'azione responsabile”
(Manni, Lecce); “Vivant, Riflessioni su Lévinas” (Bari, Edizioni dal Sud); “Marxismo
e filosofia del linguaggio” (Manni, Lecce); “Il metodo della filosofia”; “Saggi
di critica del linguaggio” (Graphis, Bari); “Disoccupazione strutturale,
“Millepiani”, “Lingua, metafora, concetto”; “Vico e la linguistica cognitiva”
(Sud, Bari); Meditazioni (Sud, Bari);
“Dall'altro all'io” (Meltemi, Roma); Vita, Athanor. Semiotica, Filosofia, Arte,
Letteratura, Meltemi, Roma); “Linguaggio e scrittura” (Meltemi, Roma); “Trattato
di logica. Summule logicales (Bompiani, Milano); “Il linguaggio come lavoro e
come mercato” (Bompiani, Milano); “Basi della semiotica”; “Nel segno” (Bari,
Laterza); “Mondo di guerra, Athanor; “Semiotica, Filosofia, Arte, Letteratura”
(Roma, Meltemi); “Ideologia” (Meltemi, Roma); “Il freudismo” (Milano, Mimesis);
Karl Marx Manoscritti matematici, edizione critica con intruduzione, Spirali,
Milano, Renato Fucini, Le veglie di neri e All'aria aperta, ed. critica Leonard
G. Sbrocchi, Bari, Edizioni Dedalo); “Metodica filosofica e scienza dei segni”
(Milano, Bompiani); “Semiotica e ideologia” (Milano. Bompiani); Qohélet:
versione in idioma saletino e trad. Italiana, Caputo, Lecce, Milella); In
dialogo. Conversazioni (Milano, Esi, Athanor. Umano troppo disumano, Roma, Meltemi, Linguaggi,
Scienze e pratiche formative. Quaderni del Dipartimento di Pratiche linguistiche
e analisi di testi, Lecce, Pensa Multimedia, La filosofia del linguaggio (Bari,
Laterza); La filosofia del linguaggio
come arte dell'ascolto”; “Sulla ricerca scientifica” Bari, Edizioni dal Sud, Athanor.
La trappola mortale dell'identità, Roma, Meltemi e letture critiche, Bari, Sud,
Calefato, Logica, dialogica, ideologica. I segni tra funzionalità ed eccedenza,
Semiosi, infunzionalità, semiotica” (Milano, Mimesis); “La filosofia del
linguaggio come arte dell'ascolto”; “Sulla ricerca” (Bari, Sud,); Lingua e
letteratura, conoscenza e coscienza”; “Identità e alterità nella dinamica della
coscienza storica”; “Tutto il segnico umano è linguaggio; Per Qohélet emigrato
nel Sud è la vanità ad essere nienzi: dentr il dialetto è straniera la parola dei re Frank
Nuessel, “Virtual; Dal silenzio primordiale al brusio della parola”; “lla
ricerca della parola “vissuta”; Tutt'altro”; “Infunzionalità ed eccedenza come
prerogative dell'umano” (Milano, Mimesis). Augusto Ponzio. Ponzio. Keywords: il
segno dell’altro, semiotica filosofica, segno, segnico, il segnico, l’amore, lo
spreco del segno, Vico e la linguistica cognitive; Landi; sottiteso, Grice,
pragmatica, metafora, vailati. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ponzio” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738109076/in/datetaken/
Porta -- there may be another!
Grice e Porta – implicatura magica – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo.
Figlio d’Antonella Della Porta, di origine milanese, interprete di noti
sceneggiati Rai (da Sheridan, a Davide Copperfield, a Maigret) e dal baritono
Arturo La Porta, di famiglia pugliese (sul Gargano), diretto da Von Karajan e
in grandi compagnie con M. Callas, B. Gigli, T. Gobbi, G. Di Stefano, G.
Simionato, R.Tebaldi, al cinema (La signora dalle camelie, Casa Ricordi) e in
tv (Andrea Chénier di M. Landi, La traviata di M. Lanfranchi). Studia
Bruno a Roma. Cura “De umbris idearum” e il “Cantus Circaeus” in “Il nolese di
ghiaccio” (Bompiani).“Ti presento Sophia”Altri saggi: “La Magia”; “Coincidenze
miracolose, Storia della magia,e la trilogia di A come anima, A come amore e C
come cuore; Dizionario dell'inconscio e della magia” (Sperling); “Tu chiamale
se vuoi coincidenze” (Lepre). “Ricerca sul mito” “Sulle orme degli antenati” “Incontri nella notte, “Segnali”; "Immagini
da leggere"; “Bellitalia”. “Parlato semplice” “Bruno”, “Storia della Magia” “Storia della cavalleria” “Il mare di notte”, “Inconscio e Magia”,
“Inconscio e Magia Psiche”, “Guarire
insieme”. Studia il rapporto tra la filosofia antica romana e psicologia
junghiana. Collabora a “Abstracta”. “La Magia”; “L’Arte della Memoria” “Anima
Mundi” Insegna a Siena.Scuola di Psicoterapia Psicosintetica ed Ipnosi
Ericksoniana “H. Bernheim” di Verona.Istituto di Comunicazione Olistica Sociale,
Bari. Filoteo Giordano Bruno di Nola, Il canto di Circe, Roma, Atanor, Ombre
delle idee, Roma, Atanor, Itinerari
magici d'Italia. Una guida alternativa, Centro, Roma, Mediterranee, I grandi del
mistero, Firenze, Salani, Storia della
magia mediterranea, Roma, Atanor, Un'avventura nel Rinascimento” (Milano, Fiore
d'oro); “L'essenza dell'amore” (Roma, Atanor); Meyrink iniziato, Roma, Basaia);
“Morte di un bacio” (Roma, Lucarini); “I tarocchi di Bruno. Le carte della memoria”
(Milano, Jaca); “Racconti di tenebra” (Roma, Newton); “Bruno: tra magia e
avventure, tra lotte e sortilegi la storia appassionante di un uomo che,
ritenuto mago dai contemporanei, fu condannato per eresie dall'Inquisizione e
arso vivo sul rogo” (Roma, NCompton, La battaglia della montagna bianca,
Chieti, Solfanelli, PFantasmi. Storie e altre storie sulle orme di M. R. James”
(Roma, Compton); L’incubo e del terrore” (Roma, Compton); “Misteri di pietra”
(Roma, Grapperia); “Racconti per amore” (Roma, Lucarini); “Bruno: avventure di
un pericoloso maestro di filosofia” (Milano, Bompiani); “Roma magica e misteriosa”;
Dalla sedia del diavolo ai fantasmi di villa Stuart, dalla cripta dei
Cappuccini alla Porta Magica di piazza Vittorio: un viaggio affascinante nel
cuore segreto della città eterna e dei suoi dintorni” (Roma, Compton); “Misteri.
Quasi un manifesto della letteratura del mistero e del segreto” (Milano,
Camunia); Grandi castelli, grandi maghi,
grandi roghi” (Milano, Rizzoli); Storia della magia. Grandi castelli, grandi
maghi, grandi roghi” (Milano, Bompiani); “Il ritorno della grande madre” (Milano,
Saggiatore); “La magia” (Roma, Marsilio); “Coincidenze miracolose” (Roma, Idealibri);
“Donne magiche” (Roma, Idealibri); A come anima, Milano, Pratiche, La quiete
del Terrifico, Fasano, Schena, C come cuore. Pagine per lenire il mal d'amore,
Milano, Pratiche, Intervista Ettore Bernabei, Roma, Edizioni Eri, S come
seduzione; “Dizionario dell'eros e della sensualità” (Milano, Saggiatore); P
come passioni” (Dizionario delle emozioni e dell'estasi” (Milano, Tropea); “Dizionario
dell'inconscio e della magia” (Milano, Sperling); L'armonia del dolore, Roma,
Pagine, Agguato all'incrocio, Milano, Tu chiamale se vuoi coincidenze. Quaranta
storie realmente accadute” (Roma, Lepre); “Il mistero di Dante”; "Qui trovo libertà autentica", su
ecoradio. Gabriele La Porta. Porta.
Keywords: implicatura magica, Bruno, filosofia antica, Jung, il mistero di
Dante, il mistero d’Alighieri, Roma, etimologia di roghi, maestro pericoloso,
seduzione, sensualita, amore, estasi, storia della cavalleria, Atanor, Roma. --
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738737449/in/datetaken/
Grice e Porta – implicatura fisionomica – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Vico Equense),
filosofo. Grice: “He is the one with the funny illustrations of men and
animals! The Italian way to comment on Aristotle!” Figlio di Nardo Antonio e di
una patrizia della famiglia Spadafora, riceve le basi della sua formazione
culturale in casa, dove si era soliti discutere di questioni scientifiche, e
dimostra immediatamente le sue notevoli innate capacità, che poté sviluppare
attraverso gli studi grazie alle condizioni agiate della famiglia: il padre era
infatti proprietario terriero e armatore di navi. Prima il padre e poi il
fratello maggiore Gian Vincenzo ebbero a partire dal 1541 la carica di scrivano
di mandamento. La famiglia ha una casa a Napoli a via Toledo (il palazzo
Della Porta), una villa a Due Porte, nelle colline intorno a Napoli, e la villa
delle Pradelle a Vico Equense. Tra i suoi maestri vi sono il classicista e
alchimista Pizzimenti, e i filosofi Altomare e Pisano. Pubblica “Magiae naturalis
sive de miraculis rerum naturalium”. Pubblica un saggio di crittografia, il “De
furtivis literarum notis” dove escrive un esempio di sostituzione poli-grafica
cifrata con accenni al concetto di sostituzione poli-alfabetica. Per questo è
ritenuto il maggiore crittografo italiano. Quando già la sua fama e
consolidata, presenta il suo saggio sulla crittografia a Filippo II e viaggia in
Italia. Ha un saggio, “Sull'arte del ri-cordare” – ars reminiscendi
(Sirri, Napoli). Fondato intanto i
segrettari, l'Academia Secretorum Naturae, Accademia dei Segreti, per
appartenere alla quale e necessario dimostrare di effettuare una scoperta.
L'accento viene tuttavia posto più sul meraviglioso che sul scientifico. Le
raccolte di segreti costituivano un genere letterario che aveva incontrato una
straordinaria fortuna con l'avvento della stampa a caratteri mobili. Per “segreto”
si intende conoscenza arcana, ma anche ricetta, preparazione di farmaci e
pozioni d’effetto straordinaro, riguardante un argomento di medicina, chimica,
metallurgia, cosmesi, agricoltura, caccia, ottica, costruzione di macchine,
ecc. Colui che insegna a padroneggiarli e
chiamato professore di segreti. I segrettari sono però sospettati di occuparsi
di temi riguardanti la magia e l'occultismo, sicché e indagato dall'Inquisizione e il circolo dei
segrettari chiuso. A lui e tuttavia concesso di continuare gli studi di filosofia
naturale. Pubblica “Pomarium” sulla coltivazione degli alberi da frutta.
Pubblica “Olivetum”. Entrambi inclusi nella sua enciclopedia
sull'agricoltura. Pubblica “De
humana physio-gnomonia, della fisionomia degl’uomini” (Cacchi, Vico Equense). Ritiene che l'animo non è impassibile rispetto
ai moti del corpo e si corrompe per la passione. In “De ea naturalis
physio-gnomoniae parte quae ad manum lineas spectat” (Trabucco, Napli) studia
con attenzione i segni delle mani dei criminali. Un tale segnio non e frutto
del caso ma importante indizio per comprendere appieno il carattere degl’uomini.
Pubblica “Phyto-Gnomonica” (Salviani, Napoli) dove evidenzia l'analogia tra
piante e animali, stimolato dai contatti con alcuni alchimisti, poderoso saggio
sulle proprietà dei vegetali messe in analogia con le varie parti del corpo
umano, basato sull'antica dottrina delle segnature. Corredata da tavole illustrate, estende il
concetto di “fisio-gnomica” alle piante -- elencandole a seconda della loro
localizzazione geografica. Ravvisa collegamenti occulti tra la morfologia
delle piante e quella dei minerali, degl’uomini, e persino, indirettamente,
degli astri e dei pianeti dell'astrologia, in una sorta di zoo-morfismo. Affascinato
ed entusiasta per il gran Paracelso e per i suoi dottissimi seguaci perché la
spagiria produce al mondo rimedi non mai più per l'addietro caduti negli umani
intelletti. Onde da solleciti
investigatori de' secreti della natura applicati a morbi, ritrovano soblimi ed
infiniti rimedi, onde la medicina, così gran tempo ristretta negli angusti suoi
termini, or, allargando fuori, ha ripieno il mondo de' suoi meravigliosi
stupori. La sua villa e frequentata da Campanella. Amico di Sarpi. Conosce
anche Bruno. Per ordine dell'inquisitore veneziano doverichiedere il permesso
per le sue pubblicazioni a Roma. Si incontra con Sarpi e con Galileo. Incontra
i Cesi. Pubblica la “Taumatologia”
(Sirri, Napoli); “Criptologia” (Sirri, Napoli). Scrive ancora un saggio di
ottica (“De refractione optices"), uno di agricoltura (“Villae”), uno di
astronomia -- “Coelestis Physio-Gnomoniae” (Paolella, Napoli) e “Della celeste
fisonomia” (Paolella, Napoli) -- uno di
idraulica e matematica -- “Pneumaticorum” (Carlino, Napoli) --, uno di arte militare
(“De munitione”), uno di meteorologia -- “De aeris transmutationibus”
(Paolella, Napoli) --, uno di chimica -- “De distillatione” (Camerale, Roma) --
e uno sulla lettura della mano (“Chirofisonomia). Nel campo dell'ottica esercita
notevoli contributi, indagando le proprietà degli specchi concavi e convessi,
conducendo un minuzioso studio delle lenti descrivendo la costruzione di
ingenti apparecchi ottici, tra cui la camera oscura ed il telescopio. Intraprese
inoltre studi di chimica pratica che includono la fabbricazione di smalti, di
polveri da sparo e di cosmetici. I numerosi esperimenti che ci descrive indicano
un’attitudine che lo pone fra i principali chimici dell’epoca. I suoi studi sono caratterizzati
principalmente dalla ricerca di farmaci dagli effetti eccezionali, utili ad
esempio per la memoria, per produrre sogni piacevoli o incubi, rimedi contro
l’impotenza e la sterilità. Dei Lincei. Rivendica l'invenzione del telescopio,
resa nota da Galilei. Fa parte anche di un circolo dedicato alla letteratura
dialettale napoletana (Schirchiate de lo Mandracchio e 'Mprovesante de lo Cerriglio),
e gl’oziosi. Raccogge esemplari rari del mondo naturale e coltiva piante
esotiche. La sua villa e visitata dai viaggiatori e ispira Kircher a radunare
una simile collezione nel suo palazzo a Roma. Commediografo e scrisse “Le commedie”
(Stampanato, Bari, Laterza), in prosa, una tragi-commedia, una tragedia e un
dramma liturgico; “Della chirofisonomia” (Napoli, Bulifon); “Claudii Ptolomaei
Magnae Constructionis” (Vivo, Napoli); “Il Teatro” (Sirri, Napoli); “Villae” (Palumbo
e Tateo, Napoli); “Elementorum
Curvilineorum” (Cavagna e Leone, Napoli); Accusato di plagio da Bellaso, che era stato
il primo ad aver proposto questo tipo di cifratura dieci anni prima. U. Eco,
R. Fedriga, Storia della filosofia: Dall'Umanesimo a Hegel, Laterza Edizioni
Scolastiche, W. Eamon, Il professore di
segreti. Mistero, medicina e alchimia nell'Italia del Rinascimento, A. Paci,
Carocci,.M. Fumagalli, “Semplicisti e stillatori:
l'arte degl’aromatari” (Milano, SGS,.Gnome, su treccani. L. Turinese, “Zoo-morfismo, fisiognomica e
fito-gnomica: antesignano della bio-tipologia in medicina, in “Il cenacolo alchemico” (A. Paolella e G.
Rispoli, Napoli, Il Faro di Ippocrate); D. Verardi, La scienza e i segreti
della natura a Napoli nel Rinascimento: La magia naturale” (Firenze); A. Paolella,
La Spagiria, ne Il Cenacolo alchemico, A. Paolella e G. Rispoli, Napoli, ed. Il
Faro di Ippocrate); A. Paolella, Carteggio linceo, in "Bruniana &
Campanelliana", Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Convegno di Vico Equense, M. Torrini, Napoli), P. Piccari (Milano,
Angeleli); G. Giudice, “II mago dell'arcana sapienza” (Milano, BVia Senato); A.
Paolella, “I Meteorologica di Telesio, Porta e Cartesio -- tra credenza e
scienza, Roma, Associazione geofisica italiana, A. Paolella,
L’astrologia: la Coelestis Physiognomonia” (Poligrafici, Pisa); in "Atti
del Convegno L’Edizione nazionale del teatro e l’opera, Salerno M. Montanile, A.
Paolella, Appunti di filologia dellaportiana, Istituto italiano per studi
filosofici, Napoli, R. Sirri, A. Paolella, Convegno, Roma, Scienze e Lettere,
M. Santoro, La "Mirabile" Natura. Magia e scienza (Napoli-Vico
Equense) Atti del Convegno, Pisa-Roma, Serra, R. Vivo, Tecnica e scienza, Serra,
Pisa-Roma, in "La "Mirabile" Natura. Napoli-Vico Equense M. Santoro.
Serra, Pisa-Roma, "La "Mirabile" Natura. Atti del Convegno, Vico
Equense, dei Segretarii. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ioan. Baptista Porta neapolitano autore
(Neapoli, apud Ioa. Mariam Scotum);vulgò De ziferis, Io. Baptista Porta
Neapolitano auctore (Neapoli, apud Ioan. Baptistam Subtilem, vulgo de ziferis, altero libro superaucti, et
quamplurimis in locis locupletati. Porta, il mago dell'arcana Sapienza. Filologia.
Filologia dellaportiana. Giovanni Battista Della Porta. Porta. Keywords:
implicatura fisionomica -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porta” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738705704
Grice e Portaria –
Eurialo e Niso, ovvero, dello spirito – filosofia italiana – Luigi Speranza –
la coarta (Todi).
Filosofo. Grice: “I like Portaria,
but then anyone with an interest in Anglo-Saxon ‘soul’ should! – if a
philosopher, that is! Unlike Anglo-Saxon soul who God knews where it comes
from, the Romans had spiritus, and animus anima, which is cognate with animos
in Greek meaning ‘wind’ – so that leans towards a hylemorphic conception where
the body (corpus) is what has the ‘materia’ and the ‘breath’ is the ‘forma’ -- Italian philosophers would ignore this – and
more so now when Davidson is in vogue! – if it were not for Aligheri who has
Portaria in “Paradiso” – there is indeed a serous philosophical confrontation
between a Platonic and an Aristotelian conception of the soul as seen in the
controversy between Aquino and Portaria! Portaria uses the same linguistic
tools: ‘is spiritus’ synonym with ‘anima’? Or must we speak of ‘homonymy.’ And
add ‘medium’ into the bargan! Portaria is less canonical than Aquino and should
interest Oxonians much, oh so much, more!” – Unfortunately, he was from Todi
and donated all his manuscripts to Todi, which many skip in their Grand tour –
although it IS on the Tevere as any member of the “Canottiere del Tevere” will
know!” -- Grice: “My name is Grice – Paul Grice – Matteo’s name is Matteo
Bentivgna dei Signori d’Acquasparta e Portaria. Nacque da una delle
grandi famiglie delle Terre Arnolfe, quella dei Bentivegna, feudatari di
Acquasparta e Massa Martana, trasferitisi a Todi. Studia
a Bologna. Insegna a Roma.
Alighieri lo nomina, biasimandolo, tramite le parole di Findanza in opposizione a Ubertino da Casale: “Ma non fia
da Casal né d'Acquasparta/là onde vegnon tali alla scrittura/ch' uno la fugge,
e l'altro la coarta” (Par. XII, 124-126). Società dantesca. Treccani
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
dantesca. Matteo d’Acquasparta. Matteo Portaria d’Acquasparta. Portaria.
Keywords: filosofi citati d’Alighieri nella Commedia (Par. XII, 124: ma non fia
da Casal né d'Acquasparta, là onde vegnon tali alla scrittura, ch' uno la
fugge, e l'altro la coarta.). Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Portaria” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738696969/in/datetaken/
Grice e Porzio – implicatura – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “His name was plain “Porta,” but in Latin that was
latinised as ‘portius,’ and then this vulgarized as ‘porzio’!” – But then who
wants to be called “Door”?” Studia a Pisa
sotto Nifo. Scrive sul celibato dei preti (“De celibate”), sull'eruzione del
Monte Nuovo (“Epistola de conflagratione agri puteolan”i) e sul miracoloso caso
di digiuno di una ragazza tedesca (“De puella germanica”). I suoi saggi
principali, fra cui il trattato di etica, “An homo bonus vel malus volens fiat”
e in particolare il “De mente humana,” nel quale sostene la mortalità
dell'anima secondo un'esegesi d’Aristotele. Proprio queste sue dottrine
mortaliste, troppo facilmente accostate e sovrapposte a quelle sostenute da
Pomponazzi nel “De immortalitate animae”, contribuirono a creare una leggenda
biografica secondo la quale egli sarebbe stato allievo e quindi semplice
epigono di Peretto. In ogni caso, al di là di una innegabile tendenza materialista
nella sua esegesi d’Aristotele, evidente anche nel suo saggio, il “De rerum
naturalium principiis,” sua produzione è caratterizzata anche da interessi
teologici del tutto svincolati dai peripatetici e che sono particolarmente
evidenti nei due commenti al pater noster che probabilmente non estranei ai
fermenti evangelici della riforma italiana. Tra peripatetici, naturalisti e
critici,"De' sensi" e il "Del sentire, studi ittiologici. Porta.
Portius. Porcius. Simone Porzio. Porzio. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porzio” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691202426/in/photolist-2mPwPqK-2mNaHiH-2mKLVA3-2mKNMDV-2mKCnei
Grice e Possenti – Romolo e Remo – radice dell’ordine
civile – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Studia
a Torino. Insegna a Venezia. Dei Aquinensi. Fonda l’Annuario di filosofia.
Centro di Ricerca sui Diritti Umani. Attrato dalla storia delle civiltà, ispirato
da Vico. Studia l’idea di un Assoluto impersonale. Incontra l'istanza metafisica e umanista
attraverso Aquino, intuendo le possibilità speculative e liberanti incluse
metafisica dell'essere. Tre sono gli ambiti primari della sua ricerca:
metafisica, pensiero teoretico e ritorno al realismo; personalismo; filosofia
politica. Studioso d’Aquino, del tomismo. Professoree della grande tradizione della
filosofia dell'essere, orienta l'attenzione critica verso Gentile, il neo-parmenidismo
italiano, ricercando una razionalità attenta alla storia ma non consegnata
interamente alla furia del tempo. Dunque il ritorno all'eterno invece che
l’eterno ritorno di Nietzsche e la ripresa del tema della creatio ex nihilo,
assente in molta filosofia moderna. Il suo approccio legge metafisica e
nichilismo come due nuclei che tendono ad escludersi – i veliani -- di cui il
primo è la fisiologia e il secondo la patologia. Individua pertanto nella destituzione
dei valori e nella riduzione della ragione a volontà l'esito ultimo del
nichilismo. Questo vuole liberare Italia dalla metafisica, ritenuta distrutta
dal criticismo, ma il compito della filosofia dell'essere è preparare una
ripresa della metafisica dell'esistenza, tale che possa di nuovo tenere un posto
nella storia della civiltà. Una presentazione ampia della sua è in “Storia
della filosofia”; Filosofi italiani contemporanei, D. Antiseri e S.
Tagliagambe, Bompiani, si veda anche nichilismo e filosofia dell'essere,
intervista, a c. di G. Mura, “Euntes docete.” La riscoperta della metafisica
esistenziale è un tentativo di mettere in luce la parzialità di non poche
posizioni che hanno proclamato la fine della metafisica occidentale: Gentile, e
Severino. Essi hanno operato come reagente per la riconquista della metafisica
e per la critica del nichilismo, di cui offre una determinazione diversa da
quelle di Nietzsche e di Heidegger (con applicazioni anche all'ambito del
nichilismo giuridico). Il rigetto del nichilismo e l'analisi dell'antirealismo,
del logicismo, del dialettismo e del razionalismo che affliggono la filosofia,
gli conducono a giudicare concluso e senza possibilità di ripresa il ciclo
della metafisica nel cammino di Gentile. La base prima della filosofia
dell'essere sta nell'asserto ‘l'ente è'. Questo il grande tema da cui occorre
partire. Dall'ente appunto e non dall'essere vuoto dei moderni. In tal modo
crollano l'identità tra Logica e Metafisica della modernità razionalistica,
l'idea di dialettica come generazione logico-apriorica del sapere, e l'idea di
divenire come entrare-uscire dal nulla. Qui opera un'adeguata semantizzazione
dell'essere (dell'ente), rigettando l'errore primordiale di trattare la
questione dell'essere come questione di essenza, il che presuppone la
negazione della potenzialità. Ma se questa è presente, niente in senso
proprio va in nulla ma si trasforma. Si svolge verso un positivismo in cui
la filosofia è capace di progresso. È andata così delineandosi la tesi che
nello svolgimento della metafisica dagl’antichi a noi sia emersa, dopo la
seconda navigazione platonica (vedi Fedone), proseguita e perfezionata da
Aristotele, una terza navigazione che si esprime nella Seinsphilosophie che ha
toccato un punto di apogeo in Aquino e nei grandi tomisti. In tale prospettiva
è possibile tracciare un'essenziale "storia della metafisica" quale
progressiva penetrazione della verità dell'essere, culminante nella metafisica
dell'actus essendi. Si tratta di una metafisica trans-ontica che, prendendo le
mosse dall'ente, procede verso l'essere stesso (Esse ipsum per se subsistens),
e che individua la struttura originaria nella partecipazione dell'ente all'essere.
Le sue posizioni speculative sono consegnate alla trilogia “Nichilismo e
Metafisica. Terza navigazione, Il realismo e la fine della filosofia moderna, e
Ritorno all'essere. Addio alla metafisica moderna. Esse sono discusse da ca. 20
autori in, “La Navicella della metafisica. Dibattito sul nichilismo e la terza
navigazione (Armando, Roma) Cottier, Dummett, Berti, Riconda, e poi in Realismo
Metafisica Modernità. “In margine al realismo e la fine della filosofia
moderna”, C. Dalfino e R. Pozzo, CNR-Iliesi, Roma. La possibilità di guadagni per sempre rigetta l'idea
fallibilista (Popper et alii), secondo cui ogni sapere (riportato poi solo a
quello delle scienze) riposa su palafitte perennemente rivedibili. La
metafisica ha per oggetto non il concetto di essere, ma l'esistenza. Il filosofo
deve sempre e nuovamente ribattezzarsi nelle sue acque, fuggendo l'oblio
dell'essere e liberandosi dal sistema che intende racchiudere in sé la
totalità. Un problema centrale per lui è la possibilità di una conoscenza
filosofica autonoma, che non proceda solo sull'imbeccata che possano darle le
scienze ed altre forme di conoscenza, nonostante la necessità del dialogo tra
filosofia e scienze, in quanto non esiste un solo sapere. L'unità plurima
o polivalente della ragione si applica anche al nesso tra filosofia e il sacro.
Nell'incontro tra compito della ragione e elezione del cristianesimo si
individua un criterio di apertura e stimolo per la filosofia nella sua ricerca
di senso. Il principio della persona è più fondamentale del principio della responsabilità
(Jonas) e del principio-speranza (Bloch), e a fortiori delle filosofie
dell'impersonale o inter-soggetivo. Il concetto di persona si presta
efficacemente in una serie di problemi in cui le nozioni di individuo, di
soggetto, di coscienza risultano inadeguate. La persona è originaria e
primitiva, e raggiunge una profondità e permanenza che non hanno le altre
categorie appena citate o l'uso che spesso ne è stato fatto. Si veda il dossier
sul “Principio Persona” con contributi di G. Grandis, M. Ivaldo, A. Madricardo,
M. Pera, in “Studium”, L'idea di persona
è essenziale per maneggiare le grandi difficoltà insite nell'antropologia, in
specie da quando in Occidente si cerca di elaborare un'etica procedurale di
norme senza base antropologica, che è il grande equivoco dei moderni. Fa
parte del vasto movimento del personalismo, volto alla riscoperta integra della
persona. Compito del personalismo ontologico è di valorizzare ed integrarele
filosofie del ‘personalismo incompiuto' (Habermas, Rawls, Bobbio, L. Ferry, Parfit),
allontanandosi da quelle dell'esplicito anti-personalismo, Nietzsche e Foucault
in specie, ma pure Hegel, Heidegger, Severino nei quali forte è l'empito anti-personalistico.
Le assise della persona vanno ricercate nell'ontologia, onde essa è una
sostanzialità aperta alla relazione, ma non riducibile a sola relazione. Le
persone sono nuclei radicali di vita e realtà che non possono essere dedotti da
alcunché e che anzi fonda l'agire e lo sperare dell'essere umano Esse come totalità concrete è alla base di
una filosofia che oggi deve fare i conti con la centralità del tema
antropologico, con le problematiche bio-etiche (ad es. concernenti lo statuto
dell'embrione), e con le concezioni in cui il soggetto e la natura umana non
sono intesi come un presupposto ma come un prodotto della prassi. Il
personalismo quale insieme di scuole e correnti filosofiche che assegnano
speciale valore e dignità alla persona, non è in senso proprio un'invenzione
del ‘900, ma originariamente della patristica, del Medioevo cristiano e
dell'Umanesimo. Qui sono state elaborate in certo modo per sempre le idee
fondamentali sulla persona e dischiuso come nuovo guadagno il suo spazio di
realtà.L'epoca dell'antropocentrismo moderno non è stata un'epoca di riscoperta
della persona. Un antropocentrismo sicuro di sé non può dare risposte a molte
domande della vita ed è tanto più impotente, quanto più le domande sono
profonde, Se la controversia sulla persona si accende di nuovo in molti ambiti,
è perché l'idea-realtà di persona attraversa un momento di eclissi e richiede
nuovamente la fatica del concetto. Assolutamente primario è il nesso
persona-tecnica, in cui la seconda è spesso animata da volontà di potenza,
valendo come una potenza senza etica. La presenza nel Comitato Nazionale di Bioetica
gl’induce a dedicare attenzione ai temi di biotecnologie, la rivoluzione
biopolitica, l'influsso pervasivo del materialismo e del biologismo. Il
personalismo si declina poi in ambito sociale come concezione egualitaria e
comunitaria (personalismo comunitario) quale fondamento del’'ordine politico
proiettato verso la cosmopoli, la pace e il rispetto dei diritti umani.
Entro un dialogo critico con le tradizioni del liberalismo e dell’illuminismo,
opera per mostrare il contenuto di nozioni centrali del politico come quelle di
ragion pratica, bene comune, popolo, democrazia, legge naturale, diritti
dell'uomo, laicità, ai fini di una rinnovata filosofia pubblica in pari col suo
oggetto. Uno specifico rilievo è stato assegnato al problema teologico-politico
secondo due direttrici: la ripresa post-moderna di un ruolo pubblico per le
grandi religioni; l'idea che la loro deprivatizzazione anche in Occidente può
contribuire ad un positivo rapporto fra religione e politica, nella prospettiva
di una piazza pubblica non agnostica ma attenta alla matrice teologica della
società civile. Con la filosofia politica si opera il passaggio dal piccolo
mondo dell'io al grande mondo' della società, verso la società aperta della
famiglia umana. Sulla scia di diagnosi attive dagli anni ‘50 del Novecento (H.
Arendt, J. Maritain, L. Strauss, Y. Simon, E. Voegelin) ritiene che la
filosofia politica vada riportata al suo compito primario di pensare la buona
società, lottando contro la crisi concettuale che procede all'ingrosso da Weber
e dall'attacco al diritto naturale. In particolare è stata condotta una critica
radicale a Kelsen, alla sua concezione relativistica dei valori e della
democrazia, al suo intento di dissolvere l'idea di ragion pratica, tolta la
quale l'ambito della prassi precipita nell'irrazionalismo e tutto è affidato al
volere (Cfr. il dossier Cristianesimo e liberalismo nell'epoca postmarxista,
“Humanitas”, con interventi di G. Campanini, V. Zanone, R. Esposito, M. Ivaldo.
Esso raccoglie parte del dibattito sollevato da “Le società liberali al bivio” che
vide interventi di O. Savona, C, Vigna, R. Cubeddu, E. Berti, L. Pellicani, U.
Scarpelli. Si sostiene l'importanza della filosofia e dell'antropologia per la
democrazia, sulla base dell'idea che la costruzione del cosmo umano è compito
della ragion pratica. Insufficiente risulta una sfera pubblica moralmente
neutrale, consegnata al binomio del diritto positivo e la morale procedurale. La
rinascita della filosofia politica avviene riprendendo competenza sui suoi
problemi, tra cui massimo è quello della pace: la pace necessaria che non c'è e
la guerra inammissibile che c'è. Occorre disarmare la ragione armata: ciò
suggerisce che vada cercata un'organizzazione politica del mondo oltre la
sovranità degli stati-nazione verso un'autorità politica mondiale o cosmo-politica,
di cui l'ONU è lontana immagine. Altre opere: “Frontiere della pace”
(Milano); “Filosofia e società. Studi sui progetti etico-politici
contemporanei, Massimo, Milano Giorgio La Pira e il pensiero di san Tommaso,
Studia Universitatis sancti Thomae in Urbe, Roma); “La Pira tra storia e
profezia. Con Tommaso maestro, Marietti, Genova-Milano La buona società. Sulla ricostruzione della
filosofia politica, Vita e Pensiero, Milano); Una filosofia per la transizione.
Metafisica, persona e politica in J. Maritain” Massimo, Milano); “La filosofia
dell'essere” Vita e Pensiero, Milano); Tra secolarizzazione e nuova
cristianità” (EDB, Bologna); “Le società liberali al bivio”; “Lineamenti di
filosofia della società” (Marietti, Genova); “Oltre l'Illuminismo”; “Il
messaggio sociale” (Paoline, Roma); “Razionalismo critico e metafisica”; “Quale
realismo?” (Morcelliana, Brescia); “Dio e il male, Sei, Torino); “Cattolicesimo
e modernità. Balbo, Del Noce, Rodano, Ares, Milano); “Approssimazioni
all'essere. Scritti di metafisica e di morale” (Il Poligrafo, Padova); “Il
nichilismo teoretico e la morte della metafisica” (Armando, Roma); “Terza
navigazione. Nichilismo e metafisica” (Armando, Roma); “Filosofia e Rivelazione,
Città Nuova, Roma); “La filosofia dopo il nichilismo” (Rubbettino, Soveria); “Religione
e vita civile. Il cristianesimo nel postmoderno, Armando, Roma); “L'azione
umana. Morale, politica e Stato in Jacques Maritain” (Città Nuova, Roma);
“Essere e libertà” (Rubbettino, Soveria); “Radici dell'ordine civile” (Marietti,
Milano); “Il principio-persona” (Armando, Roma); “Profili del Novecento. Bobbio,
Noce, La Pira, Lazzati, Sturzo, Effatà, Cantalupa); “Le ragioni della laicità”
(Rubbettino, Soveria); “L'uomo post-moderno”; “Tecnica, religione e politica” (Marietti,
Milano); “Dentro il secolo breve. Paolo VI, La Pira, Giovanni Paolo II,
Mounier, Rubettino, Soveria Nichilismo giuridico. L'ultima parola?, Rubbettino,
Soveria. La rivoluzione biopolitica. La fatale alleanza tra materialismo e
tecnica, Lindau, Torino. Pace e guerra tra le nazioni. Kant, Maritain, Pacem in
terris, Studium, Roma. I volti dell'amore, Marietti, Milano-Genova. Il realismo
e la fine della filosofia moderna, Armando, Roma); “Diritti umani”; “L'età
delle pretese” (Rubbettino, Soveria); “Ritorno all'essere. Addio alla
metafisica moderna” (Armando, Roma); “La critica del marxismo” (Massimo, Milano);
“Epistemologia e scienze umane” (Massimo,
Milano); “Storia e cristianesimo” (Massimo, Milano); “Contemplazione evangelica
e storia” (Gribaudi, Torino); “Maritain oggi, Vita e Pensiero, Milano); “La
filosofia dell'essere, Il Cardo, Venezia Nichilismo Relativismo Verità. Un
dibattito” (Rubbettino, Soveria); “Laici o laicisti? Dibattito su religione e
democrazia” (liberallibri, Firenze); “La questione della verità. Filosofia,
scienze, teologia” (Armando, Roma); Ragione e verità. L'alleanza
socratico-mosaica” (Armando, Roma);” Nostalgia dell'altro. La spiritualità di Pira”
(Marietti, Milano); Pace e guerra tra le nazioni” (Guerini, Milano); “Natura
umana, evoluzione, etica” (Guerini, Milano); Governance globale e diritti dell'uomo”
(Diabasis, Reggio Emilia); “Ritorno della religione? Tra ragione, fede e
società” (Guerini, Milano); “Diritti Umani e libertà” (Religiosa, Rubbettino);
in onore (Armando); Perché essere realisti? Una sfida filosofica (Mimesis, Milano-Udine.
A. Giuliano, Filosofi a un bivio. Ora rialziamo lo sguardo, su avvenire, A.
Lavazza, Neuroscienziati, cercate l'anima. Vittorio Possenti. Possenti.
Keywords: radice dell’ordine civile – romolo e remo -- il principio Speranza,
prima navegazione, seconda navegazione, terza navegazione, Gentile, comunita,
Severino, Aquino, umanesimo, seconda navigazione --. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Possenti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737204867/in/datetaken/
Grice e Pozza – presupposizioni ed implicature –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto).
Filosofo. Grice: “I like Pozza; he
uses ‘pragmatic’ quite a bit, by which he means Grice, of course!” Figlio di
Luigi, ufficiale della Marina, regione Veneto, e di Cecilia Pontrelli,
pugliese, durante gli studi al liceo di Taranto, Tommaso, un insegnante di
matematica di stile tradizionale gli stimola il gusto per i problemi matematici
e per l'eleganza formale delle dimostrazioni. Studia a Bari dove si laurea con
una tesi su Serra avendo come relatore Vallone. Coniuga l'amore per i sistemi
formali con l'amore per Leopardi, Carducci (maestro di Serra) e Annunzio (e tra
i classici predilisse Tasso e Vita nuova di Alighieri). Studia a Bari sotto
Landi, Pisa, e quindi Metodi formali a Milano. Una svolta nella sua carriera
intellettuale è segnata dalla partecipazione agl’incontri di San Giuseppe organizzati
a Torino da Bobbio. A partire da qui sviluppa nuove idee in filosofia del
diritto, specie su Kelsen, e sulla formalizzazione della logica deontica con
particolare attenzione all'assiomatizzazione dei principi di una teoria
generale del diritto in collaborazione con L. Ferrajoli per i suoi Principia
Juris. Organizza a Taranto gli incontri Info Giure Taras, Logica
Informatica e Diritto, al quale partecipano alcune delle figure più
rappresentative del diritto, dell'informatica e della logica, tra cui Alchourron,
Martino, Ferrajoli, Conte, Busa, Comanducci, Jori, Filipponio, Elmi, Guastini e
Sartor. Insegna a Taranto, mantenendosi scientificamente attivo e partecipando
a conferenze di società filosofiche italiane (specialmente la Società Italiana
di Logica e Filosofia della Scienza e la Società Italiana di filosofia
Analitica, dal convegno nazionale fino al convegno di Genova. Insegna a Lecce. Tra
le principali influenze nei suoi studi di linguistica e semiotica testuale vi
sono quella di Petöfi che lo
invita a filosofare con lui. La sua scelta è però quella di restare in
Italia. Insegna a Verona, Padova, Bolzano e, per le sue lezioni di logica
deontica, a Petöfi e Kelsen, l'influenza maggiore viene dalle grandi opere di
Frege, Russell e Carnap, ai cui dedica
uno studio continuo, con particolare attenzione alla visione filosofica. Pubblica
un contributo di sapore neo-positivista, discutendo e formalizzando alcune
argomentazioni in fisica quantistica. Un legame tra i suoi interessi in linguistica
e il suo lavoro in logica formale è dato dalla sua teoria formale degli atti
linguistici basata su una connessione originale tra logica intuizionistica, usata
per gl’atti linguistici assertori, e logica classica, usata per i contenuti
proposizionali. Presentando la sua teoria di una formalizzazione della “pragmatica,”
define un modello Frege-Reichenbach-Stenius per il trattamento formale dell’asserzione,
mostrando che il problema principale di questa teoria è la limitazione
introdotta da Frege (e accettata da Dummett) per cui il segno di asserzione si
può usare solo per formule elementari assertorie. Ma, come molti filosofi sostengono,
esistono atti linguistici composti. Per permettere il trattamento di un atto
linguistici composto o molti-modale e ovviare alla limitazione del modello Frege-Reichenbach-Stenius,
introduce il connettivo pragmatico che permette la costruzione di una formule
assertive complessa. Il contenuto della formula assertiva è dato
dall'interpretazione classica e dai connettivi vero-funzionali. Il connettivo pragmatico,
che connetta due atti linguistici assertori semplice in uno complesso, ha invece una interpretazione intuizionistica.
Il connetivo pragmatico non ha cioè un valore di verità – o sattisfazione
fatica -- ma un valore di giustificazione. In fatti, un atto assertivo non è,
in quanto *atto*, vero o falso, ma può essere “giustificato” o non
giustificato. In questo modo, il sistema formale distingue l'asseribilità di un
atto assertorio dal valore di verità della proposizione asserita. Oltre a
spiegare l'irriducibilità del segno fregeano di asserzione a un trattamento in
termini di logica classica e introdurre una fondazione formale della teoria dell’atto
linguistico, dà anche una soluzione originale del problema della compatibilità
tra logica classica (Grice) e logica non-classica (Strawson) o
intuizionista. A questo saggio seguono
altri sulla logica erotetica, deontica, e sub-strutturale. La sua
filosofia suscita interesse in diversi campi, dalla filosofia del linguaggio
alla filosofia della fisica alla logica e all'informatica, (specie a partire dalla
sua collaborazione con Bellin). Alla sua teoria formale della “pragmatica,” oltre
ai saggi di Anderson e Ranalter è dedicato un numero di Fondamenta Informaticae.
La sua influenza si estende così oltre che alla filosofia della fisica e alla
filosofia del linguaggio anche alla logica e all'informatica, specie con
convegni in suo onore organizzati a Verona. Ricordi di personalità
internazionali e di amici sono raccolti in un sito in suo onore. Altre saggi:
“Un'interpretazione pragmatica della logica proposizionale intuizionistica”; “Problemi
fondazionali nella teoria del significato (Olschki, Firenze); “Una fondazione
pragmatica della logica delle domande”; “Parlare di niente”; “Termini singolari
non denotanti e atti illocutori”; “Idee”; “Una logica pragmatica per la concezione
espressiva delle norme”; “Logica delle
Norme” (S.E.U., Pisa); “Il problema di Gettier: osservazioni su
giustificazione, prova e probabilità” (SIFA, Genoa); “Come distinguere scienza
e non-scienza”; “Verificabilità, falsificabilità e confermabilità bayesiana” (Carocci,
Ferrajoli); Principia juris. Teoria del diritto e della democrazia. La sintassi del diritto” (Bari: Laterza). Carlo
Dalla Pozza. Carlo Pozza. Pozza. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Pozza”. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737989261/in/photolist-2mPUHFB-2mLGvyP-2mKTyvC-2mKDwcr-2mGnP2f-G3tvCn
Grice e Pozzo – il ginnasio -- implicatura –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Sudia a
Milano. Consegue il dottorato a Saarlandes (“a reason why Italians don’t
consider him Italian” – Grice) e la abilitazione a Trier – Grice: “A reason why
Italians don’t consider him an Italian philosopher, since he earned his maximal
degree without, and not within, Italy.” Insegna a Verona e Roma, all’Istituto
per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee.
Studia i peripatetici, la storia della logica dal Rinascimento, la
storia delle idee e la storia dell’università di Bologna -- ha portato avanti
la creazione di infrastrutture di ricerca per una migliore comprensione dei
testi filosofici e che hanno plasmato il patrimonio culturale d’Italia. Caratteristica
specifica del suo approccio alla lessicografia all’Istituto per il Lessico
Intellettuale Europeo e Storia delle Idee è l’uso della IT per la
documentazione e l’elaborazione di dati linguistici e testuali in italiano.
Hegel: Introductio in Philosophiam: Dagli studi ginnasiali alla prima logica
(Firenze: La Nuova Italia). Associazione per l’Economia della Cultura “Storia
storica e storia filosofica della filosofia nel XX e XXI secolo,” Schiavitù
attiva, proprietà intellettuale e diritti umani. Riccardo Pozzo. Pozzo.
Keywords: il ginnasio – implicature, identita nazionale, filosofia italiana,
patrimonio italiano, storiografia filosofica, storia della filosofia italiana. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Pozzo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738187238/in/dateposted-public/
Grice e Pra – hegeliani – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Montecchio Maggiore). Filosofo. Studia a Padova sotto Troilo. Insegna
a Rovigo, Vicenza, e Milano. Partecipa attivamente alla Resistenza, nelle file
di "Giustizia e Libertà", guadagnandosi due croci di guerra al merito
partigiano, ed ha collaborato alla ricostruzione politica e culturale del
Paese, con un'opera didattica e scientifica sempre sorretta da un'alta
ispirazione morale. Medaglia d'oro quale benemerito della Scuola, della
Cultura e dell'Arte, membro dell'Accademia dei Lincei, dell'Istituto Lombardo
di Scienze e Lettere, dell'Accademia Olimpica di Vicenza, nonché membro
autorevole della Società Filosofica Italiana, della quale è stato anche
Presidente nazionale. Studia lo scetticismo, la logica medioevale, Hume,
Condillac, la logica hegeliana, Marx, il pragmatism italiano, la storia della storiografia
filosofica). Ha sempre connesso la sua attività storiografica con
l'esplicitarsi di interessi teorici che lo hanno portato ad
elaborare,un'originale linea di pensiero denominata "trascendentalismo
della prassi", poi evoluta in una forma di razionalismo storicista e
critico. Il suo interesse fondamentale si è infatti sempre rivolto al
chiarimento del rapporto tra teoria e prassi in una prospettiva anti-metafisica
che lo ha fin dai suoi esordi posto in contrasto con le posizioni dell’idealismo
italiano, e più in generale con ogni forma di dogmatismo teoricistico per
favorire la libera esplicazione dell'iniziativa pratico-razionale
dell'uomo. Fondato la Rivista di storia della filosofia, un riferimento
costante e prestigioso nell'ambito degli studi del pensiero occidentale. Autore
di un fortunato Sommario di storia della filosofia per licei (La Nuova Italia,
Firenze) e poi direttore di una monumentale Storia della filosofia (Vallardi,
Milano). Elabora una posizione che viene
indicata come trascendentalismo della prassi. Successivamente,
avvicinandosi a Preti, propone uno storicismo critico, più attento alle
strutture della ragione con cui l'esperienza storica si struttura. Altre sagi:
“Il realismo e il trascendente” (Padova, Milani); “Amore di Sapienza”; “Aviamento
elementare allo studio della storia della filosofia, della scienza e della
pedagogia per i licei e gli istituti magistrali” (Vicenza, Commerciale); “La
didache”; “Insegnamento del Signore alle genti per mezzo dei dodici apostoli.
Documento cristiano del I secolo” (Vicenza, Commerciale); Educare, Verona, La
Scaligera, Pensiero e realtà, Verona, La Scaligera, “Scoto Eriugena ed il neo-platonismo
medievale” (Milano, Bocca); Condillac, Milano, Bocca, Il pensiero di Maturi,
Milano, Bocca, Necessità attuale dell'universalismo” (Vicenza, Collezioni del
Palladio); “Valori e cultura immanentistica” (Padova, Milani); “Hume, Milano,
Bocca); “La storiografia filosofica antica” (Milano, Bocca); “Lo scetticismo” (Milano,
Bocca); Giovanni di Salisbury, Milano, Bocca, Amalrico di Bène, Milano, Bocca);
Autrecourt, Milano, Bocca); “Dewey” (Milano, Bocca); “Il problema del linguaggio
nella filosofia medioevale” (Milano, Bocca); “Prassi. Appunti delle lezioni di
Storia della filosofia a cura di M. Reina. Milano, La Goliardica; Il pensiero
filosofico di Marx, D. Borso, Shake ed., Milano); “La filosofia occidentale”; “Compendio
di storia della filosofia con larga scelta di passi dagli autori,”; “La
filosofia antica” “La filosofia medioevale” (Firenze, Nuova Italia); “Sommario
di storia della filosofia per i licei classici” (Firenze, Nuova Italia); “La
dialettica in Marx: Introduzione alla critica dell'economia politica, Bari,
Laterza, Profilo di storia della filosofia” (Firenze, Nuova Italia); “Piccola
antologia filosofica, Firenze, Nuova
Italia); “La dialettica hegeliana e l'epistemologia” (Milano, CUEM); “Hume e la
scienza della natura umana, Roma-Bari, Laterza); “Logica e realtà. Momenti del
pensiero medieval” (Roma-Bari, Laterza); “Storia della Filosofia, G. Scalabrino
Borsani, La filosofia indiana, Milano, Vallardi, Paolo Beonio-Brocchieri, La
filosofia cinese e dell'Asia orientale, Milano, Vallardi, Gabriele Giannantoni,
Armando Plebe, Pierluigi Donini, La filosofia greca (Milano, Vallardi, La
filosofia ellenistica e la patristica Cristiana(Milano, Vallardi, La filosofia medievale
(Milano, Vallardi); La filosofia moderna” (Milano, Vallardi, P. Casini, N. Merker, La filosofia moderna” (Milano,
Vallardi); “La filosofia contemporanea” (Milano, Vallardi); La filosofia
contemporanea. Il Novecento, Milano, Vallardi); “La filosofia della seconda
metà del Novecento, Padova, Piccin Nuova libraria-Vallardi); “Logica,
esperienza e prassi. Momenti del pensiero moderno e contemporaneo” (Napoli,
Morano); “Il problema del realismo nella storia del pensiero, Milano,
Unicopli); La storiografia filosofica e la sua storia. Testi per il corso di
storia della filosofia I. A.A. con. Santinello, E. Garin, L. Geldsetzer e L. Braun,
Padova, Antenore, Hume. La vita e l'opera, Roma-Bari, Laterza); A. Banfi, Relazioni
dall'incontro A. Banfi: le vie della ragione, Milano, con D. Formaggio e P. Rossi, Milano, Unicopli); “Studi sul
pragmatismo italiano” (Napoli, Bibliopolis); “Studi sull'empirismo critico di Preti”
(Napoli, Bibliopolis); “Filosofi del Novecento, Milano, Angeli); “I problemi di
metodo nella storiografia filosofica, in Panorami filosofici. Itinerari del
pensiero, Padova, Muzzio); “Ragione e storia. Mezzo secolo di filosofia
italiana” (Milano, Rusconi); “Storia della storiografia” (Milano, Angeli); “La
guerra partigiana in Italia. D. Borso, Firenze, Giunti-INSMLI); “Dialettica
hegeliana ed epistemologia analitica, E. Colombo, Brescia, Morcelliana); “Il
trascendentalismo della prassi, la filosofia della Resistenza” (Milano-Udine,
Mimesis); F. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano Milano) N. Badaloni, Studi offerti a Pra” (Milano, Angeli); L.
Bianchi, degli scritti di Pra, in La
storia della filosofia come sapere critico. Studi offerti, Milano, A.
Montesperelli, Introduzione, in E. MirriL. Conti, Filosofi nel dissenso,
Foligno, M. Mirri, Fra Vicenza e Pisa.
Esperienze morali, intellettuali e politiche in Il contributo dell’Pisa e della
Scuola Normale Superiore alla lotta anti-fascista ed alla guerra di
Liberazione, Pisa, A. Pacchi, Il filosofo e l’educatore, in In onore, Montecchio
Maggiore, F. Cassinari, Filosofia e storia della filosofia, Conversazione con F.
Papi, «Itinerari filosofici», E. Rambaldi,
Ricordo «Rivista di storia della filosofia», E. Garin, Mario Dal Pra, «Rivista
di storia della filosofia», A. Santucci, Filosofo e storico della filosofia,
«Rivista di storia della filosofia», E.I. Rambaldi, L’esistenzialismo
positivo «Rivista di storia della
filosofia», M. Torre, La "Rivista
di storia della filosofia", Milano, G. Paganini, Dall’empirismo classico
all’empirismo critico, Le ricerche tra storia e teoria, Giordanetti, Il fondo
manoscritto di Mario Dal Pra, «Rivista di storia della filosofia», E.I. Rambaldi, Et vos estote parati. Mario Dal
Pra, la vigilia, «Rivista di storia della filosofia», G. Barreca, L’archivio
Mario Dal Pra, «Rivista di storia della filosofia», E. I. Rambaldi, Mario Dal
Pra in Enciclopedia filosofica, Milano, Id., Mario Dal Pra giovane insegnante a
Vicenza, «Rivista di storia della filosofia»,M. Rigamonti, Gli Hume, «Rivista
di storia della filosofia»,M. Parodi, C. Selogna, Per una filosofia minore. Il pensiero
debole, «Rivista di storia della filosofia», P. Vona, Ricordo, Rivista di
storia della filosofia», E. Rambaldi, Filologia e filosofia nella storiografia,
in «ACME»,E. Franzina, Partigiano. Dal fascismo alla Resistenza e alla sua
storia, in «Belfagor», Descrizione, in "Rivista di storia della filosofia",Ricordo
di Pra, Informazione filosofica, sito "studifilosofici". G.
BarrecaGiordanetti, Fondo Mario Dal Pra, Milano, Cisalpino.Dal Pra, Mario» in
Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Presentiamo
Pra: l'uomo, il filosofo. Una mostra
biografico-documentaria dall'archivio inedito Università degli Studi di Milano,
Biblioteca di Filosofia, D. Borso, Una via religiosa alla Resistenza,
"Humanitas", Fascicolo
speciale in memoria anniversario della
fondazione della Rivista, in Rivista di storia della filosofia, Milano, Angeli,.
D. Borso, 'fucino', "Rivista di storia della filosofia", G. Bisogno,
Anselmo in Italia: tra Mario Dal Pra e Sofia Vanni Rovighi, in «Dianoia.
Rivista di filosofia del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell'Bologna»,
Riconoscimenti l'Accademia dei Lincei
gli ha conferito il Premio Feltrinelli per le Scienze Filosofiche.Scuola di
Milano u TreccaniEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. OpereVincitori del Premio Feltrinelli Filosofia
Università Università Premi Feltrinelli 1950-, su lincei. Mario Dal
Pra. Pra. Keywords: hegeliani, storiografia della filosofia antica, la
filosofia antica, la filosofia italica antica, la filosofia romana, la
filosofia romana antica, Antonino, Crotone, Velia, Filolao, Vico, Croce, la
storia della filosofia, filosofia della storia della filosofia, storiografia
filosofica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pra” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738561129/in/dateposted-public/
Prepostino da Cremona summa
theological Manichean, caraterismo.
Grice e Prestipino – per una
antropologia filosofica – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi
Speranza (Gioiosa Marea). Filosofo.
Insegna a Siena. Studia il socialismo, marxismo ed estetica. Saggi: “La teoria
del mito e la modernità di Vico” (Palermo, Montaina); “L'arte e la dialettica
in Volpe” (Messina, D'Anna); “Che cos'e la filosofia: strutture e livelli del
conoscere” (Gaeta, Bibliotheca); “Per una antropologia filosofica: proposte di
metodo e di lessico” (Napoli, Guida); “Marxismo (e tradizione gramsciana) negli
studi antropologici, Natura e società”
(Roma, Riuniti); “Da Gramsci a Marx” (Roma, Riuniti); “Modelli di strutture
storiche” (Bibliotheca, Narciso e l’automobile, La Città del Sole, Realismo e
Utopia” (Roma, Riuniti); Tre voci nel deserto. Vico Leopardi Gramsci” (Roma,
Carocci); Scheda su aracneeditrice, Da una sponda all’altra del Mediterraneo:
memorie di militanza comunista. Intervista a Prestipino. Art. in: Historia
Magistra. Rivista di storia critica, Risorgimento italiano e dialettica storica
in Gramsci, dal Calendario del Popolo Autori Aracne Editrice. Giuseppe
Prestipino. Prestipino. Keywords: antropologia filosofica, Vico, Volpe,
Gramsci, Narciso e l’automobile,
Leopardi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prestipino” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737844566/in/datetaken/
Grice e Preti – retorica e logica –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Pavia). Filosofo. Grice:
“I like Preti. He wrote “Retorica e logica,” which I enjoyed since this is what
I do: I find the rhetoric (the implicature) to the logic (the explicature).”
Grice: “Preti was a bit of a Stevensonian, with his ‘Praxis ed empirismo, and I
mean C. L. Stevenson, not the Scots master of narrative!”. Studia
a Pavia sotto Levi, Villa e Suali. Studia Husserl. Insegna a Pavia e Firenze. I suoi saggi nella rivista banfiana
"Studi Filosofici", lo videro coinvolto in una polemica
sull'immanenza e la trascendenza. In “Fenomenologia
del valore e Idealismo e positivismo, emerge con evidenza quell'impostazione
tesa a conciliare istanze razionalistiche ed empiristiche. In “Praxis ed
empirismo” presenta in maniera relativamente organica, per quanto rapidamente,
alcuni temi al confine tra pensiero teoretico, filosofia morale e filosofia
politica. Il suo saggio “Retorica e logica: le due culture” è un saggio a
cavallo tra la ricostruzione storico-filosofica e il saggio teoretico, con il
quale si intende dimostrare, prendendo le mosse dalla polemica aperta da C. P. Snow,
l'inconciliabilità tra le due forme di cultura che si intrecciano nel dibattito
occidentale, quella logico-scientifica e quella umanistico-letteraria, e la
necessità di far prevalere la prima sulla seconda al fine di non cedere a nuove
forme di oscurantismo elitario e fanatico. Inoltre, affianca costantemente
alla propria attività di autore quella di curatore di classici del pensiero
filosofico. Il suo stile, volutamente trascurato, è rapido, nervoso e
semplice, in implicita polemica con il bello scrivere e l'ermetismo tipico
delle scuole idealistiche italiane. Tenta
trovare una via alternativa al rapporto fra un pensiero unitario e inglobante
(di tradizione hegeliano-crociana), e uno invece dualistico, nel distinguo fra
saperi umanistici e scientifici. Il rifiuto di una strenua dicotomia non deve
annullare bensì esaltare le differenze. Saggi:
“Fenomenologia del valore” (Principato, Milano); “Idealismo e positivismo”
(Bompiani, Milano); “Linguaggio comune e linguaggi scientifici” (Bocca, Milano);
“L’universalismo” (Bocca, Milano); “Praxis ed empirismo, Einaudi, Torino); “Alle
origini dell'etica contemporanea: Smith,
Laterza, Bari); “Storia del pensiero scientifico, Mondadori, Milano); “Retorica
e logica, Torino, Einaudi); “Che será, será” (Firenze, Il Fiorino, Umanismo e
strutturalismo. Scritti di estetica” (Liviana, Padova); “Lo scetticismo e il
problema della conoscenza, “Rivista critica di Storia della Filosofia”, Saggi
filosofici” (Nuova Italia, Firenze); “In principio era la carne” (Angeli,
Milano, “Il problema dei valori: l'etica di Moore” (Angeli, Milano); “Flosofia
della scienza” (Angeli, Milano); “Morale e metamorale. (Grice: “moralia e
transmoralia”); Saggi filosofici inedita” (Angeli, Milano); L'esperienza insegna... Scritti civili d sulla
Resistenza” (Manni, San Cesario, Lecce, In principio era la carne, Luca Maria
Scarantino, "Rivista di Storia della Filosofia", Notizie
sull'operosità scientifica e sulla carriera didattica, F. Minazzi, "Il Protagora"
Filosofare onestamente, andando là dove il pensiero ci porta. Lettere a Gentile,
F. Minazzi, "Il Protagora", Ci terrei tanto a venire a Firenze. Lettere
a Garin, F. Minazzi, "Il Protagora", Qui a Firenze si muore nel
silenzio e nella solitudine. Lettere a Pra, Minazzi, "Il Protagora". E.
Franzini, Il mito delle due culture e la filosofia dei giornali, in "La
Tigre di Carta", A. Zanardo, Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, F. Minazzi, G. Preti:, Angeli, Milano),
Pra, Studi sull'empirismo critic” Bibliopolis, Napoli, Pier Luigi Lecis,
Filosofia, scienza, valori: il trascendentalismo” (Morano, Napoli, F. Minazzi, Filosofia
del Novecento (Angeli, Milano); F. Minazzi, “L'onesto mestiere del filosofare”
(Angeli, Milano); F. Minazzi, “Il cacodemone ne-oilluminista. L'inquietudine
pascaliana di reti” (Angeli, Milano); A. Peruzzi, Filosofo europeo, Olschki,
Firenze); P. Parrini e L. Scarantino, “Preti” (Guerini, Milano); V. Tavernese, Preti. La teoria della conoscenza nel saggio
postumo In principio era la carne, Firenze Atheneum, Scandicci, L. Scarantino, La costruzione della filosofia come scienza
sociale, Bruno Mondadori, Milano); F. Minazzi, Suppositio pro significato non
ultimato. G neorealista logico studiato nei suoi scritti inediti, Mimesis,
Milano Fabio Minazzi, Le opere e i giorni. Una vita più che vita per
la filosofia quale onesto mestiere, Mimesis, Milano Franco Cambi, Giovanni Mari, Intellettuale
critico e filosofo attuale, Firenze); Il contributo italiano alla storia del
Pensiero Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Minazzi e Sandrini, Il razionalismo critico
europeo, Mimesis, Milano. F. Minazzi, Sul bios theretikòs (Mimesis, Milano, F.
Maria, Un punto di vista cattolico, Stamen, Roma. E. Franzini, Il mito delle due culture e la
filosofia dei giornali. Giulio Preti. Preti. Keywords: retorica e logica.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Preti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736985077/in/datetaken/
Grice e Preve – implicatura –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Valenza). Filosofo. Important Italian philosopher. He is the
tutor of Fusaro, of Torino. “Il comunitarismo è la via maestra che
conduce all'universalismo, inteso come campo di confronto fra comunità unite
dai caratteri del genere umano, della socialità e della razionalità,” da Elogio
del Comunitarismo.Di ispirazione marxiana ed hegeliana, ha scritto numerosi
volumi e saggi di argomento filosofico, pubblicati in Italia e all'estero. Il
padre, che al momento della nascita di Costanzo è mobilitato, lavora come
funzionario delle Ferrovie dello Stato mentre la madre, casalinga, proviene da
una famiglia ortodossa di origine armena. Viene cresciuto dalla nonna materna
in lingua francese, e attraverso di lei inizia a conoscere la cultura e la
lingua greca; come vedremo, entrambe queste circostanze avranno un grande
rilievo nella vita di Preve. Personalmente non è credente, pur riconoscendo
l'importanza del fenomeno religioso. Studia a Torino. Sotto Garrone sull’elezione
politica italiana”. Studia Hegel, Althusser, Sartre, e Marx. Scrive "L'illuminismo
greco e le sue tendenze radicali e rivoluzionarie: enogenesi della nazione
greca fra Settecento e Ottocento. Il problema della discontinuità con la
grecità classica e con la grecità bizantina”. Insegna a Torino. Fermo sostenitore della lettura dei testi
filosofici nella lingua originale, apprende latino. Concilia l’esistenzialmente
il comunismo, il marxismo e la filosofia. Membro del Centro Studi di
Materialismo Storico. Pubblica “La filosofia imperfetta” (Angeli, Milano). Questo
testo testimonia la sua adesione di massima alla proposta filosofica
dell'Ontologia dell'essere sociale du Lukács, ed anche, indirettamente, il suo
distacco definitivo dalla scuola di Althusser. Fonda “Metamorfosi”. Spazia da
un esame dell'operaismo italiano da Panzieri a Tronti e Negri, all'analisi del
marxismo dissidente nei paesi socialisti, alla discussione sulla filosofia di
Lukács, alla critica delle ideologie del progresso storico, all'indagine sullo
statuto filosofico della critica marxiana dell'economia politica. Contribuisce
ad organizzare, un congresso
internazionale dedicato al centenario della morte di Marx (Milano), e vi svolge
una relazione sulle categorie modali di necessità e di possibilità in Marx. Da
quest'esperienza nasce una rivista chiamata “Marx 101”, che uscirà nei due
decenni successivi in due serie di numeri monografici e di cui e membro del
comitato di redazione. Collabora al mensile teorico “Democrazia Proletaria”,
organo dell'omonimo partito, che poi diverrà insieme con i fuoriusciti dal
partito comunista italiano la seconda componente politica e militante del Partito
della Rifondazione Comunista). Sarà iscritto a Democrazia Proletaria soltanto per
un breve periodo, facendo parte della direzione nazionale; nella battaglia
politica fra i sostenitori di una scelta ecologista (M. Capanna) e
neocomunista, sostiene la seconda con una serie di articoli. Quando le
componenti di Democrazia Proletaria e dell'Associazione Culturale Marxista
confluiscono nel Partito della Rifondazione Comunista, abbandona la militanza
politica diretta. Con la pubblicazione di otto volumi consecutivi usciti presso
l'editore Vangelista di Milano, affronta il suo tentativo personale di
coerentizzazione di un paradigma filosofico marxista globale. Si verifica
infatti una discontinuità nella sua produzione. Opta per l'abbandono di ogni
“ismo” di riferimento, uscendo del tutto “dalla cosiddetta Sinistra” e dalle
sue procedure di “accoglimento e cooptazione”. Ritenendo che la
globalizzazione nata dall'implosione dell'Unione Sovietica non si lasci più
“interrogare” attraverso le categorie di Destra e di Sinistra, ma richieda
altre categorie interpretative, Preve diviene inoltre un convinto sostenitore
della necessità di superare la dicotomia sinistra-destra. Questa posizione,
condivisa da alcuni intellettuali e movimenti internazionali, è stata criticata
da molti, tra cui lo scrittore Valerio Evangelisti, che ne ha sottolineato
l'ambiguità ideologica. Autore e saggista molto prolifico, ha dedicato le
sue ultime riflessioni a temi come il comunitarismo, la geopolitica,
l'universalismo, la questione nazionale, oltre ovviamente ad un'ininterrotta
attenzione al rapporto marxismo-filosofia. Cerca di opporsi alla deriva
post-moderna seguita dalla stragrande maggioranza della sinistra italiana (in
particolare dagli intellettuali legati al partito comunista italianoI) con un
recupero dei punti alti della tradizione marxista indipendente, del tutto
estranea alle incorporazioni burocratiche del marxismo come ideologia di
legittimazione di partiti e di stati (soprattutto l'ultimo Lukács, l'ultimo
Althusser, Bloch, Adorno). Dopo la fine del socialismo reale, che chiama
comunismo storico novecentesco, ed in dissenso con tutti i tentativi di sua
continuazione/rifondazione puramente politico-organizzativa, ha invece lavorato
su di una generale rifondazione antropologica del comunismo, marcando sempre
più la discontinuità teorica e politica con i conglomerati identitari della
sinistra italiana (Rifondazione Comunista in primis, ma anche la scuola
operaista e T. Negri in particolar modo). I suoi interventi sono apparsi
sia su riviste legate alla sinistra alternativa (L'Ernesto, Bandiera Rossa) che
su riviste come Indipendenza e Koiné, dove sostene l'esplicito superamento del
dualismo destra-sinistra, approdando a posizioni antitetiche a quelle di Bobbio. Collabora con la rivista
Comunitarismo, prima, e Comunità e Resistenza, poi. È stato fino alla morte
redattore del quadrimestrale Comunismo e Comunità. Al di là delle prese di posizione sulla
congiuntura politica, tre cardini della sua filosofia sono l'interpretazione
della storia della filosofia, l'analisi filosofica del capitalismo e la
proposta politica per un comunismo comunitario universalistico.
Rileggendo l'intera storia della filosofia soprattutto occidentale, utilizza
una deduzione sociale delle categorie del pensiero non riduzionistica, che gli
permette di discernere la genesi particolare delle idee dalla loro validità
universale. Infatti quello di lui è un orizzonte aperto universalisticamente
alla verità, intesa hegelianamente come processo di auto-coscienza storica e
sintesi di ontologia e assiologia, dell'esperienza umana nella storia. Nella
sua proposta di ontologia dell'essere sociale riconosce razionalmente la natura
solidale e comunitaria degl’uomini e l'autonomia cognoscitiva della filosofia,
contrastando ogni forma di riduzionismo nichilistico, relativistico o
partigianamente ideologico. Viene definito «strenuo difensore dello statuto
veritativo della filosofia da una parte, e deciso oppositore di ogni
fraintendimento relativistico dall’altra. Intende il capitalismo come totalità
economica, politica e culturale da indagare in tutte le sue dimensioni. Propone
di suddividerlo filosoficamente e idealisticamente in tre fasi: capitalismo astratto,
capitalismo dialettico con una protoborghesia illuministica o romantica, una
medio0borghesia positivistica e poi esistenzialistica, e una tardo-borghesia sempre
più individualistica e libertaria; capitalismo speculativo (post-borghese e
post-proletaria) in cui il capitale si concretizza come assoluto, espandendosi
al di là delle dicotomie precedenti a destra economicamente, al centro
politicamente e a sinistra culturalmente. Nell'analisi filosofica del
capitalismo, più volte insiste sulla critica al politicamente corretto, dove studia
il concetto consterebbe dei seguenti punti nella sua concezione (dove è
considerato un'arma del capitalismo per attrarre fasce deboli a sé, nonché
un'ideologia di fondo dell'occidente imperialista). ‘Americanismo’ come
collocazione presupposta, anche sotto forma di benevola critica al governo
statunitense. Religione olocaustica: Non aderisce al negazionismo
dell'Olocausto e condanna i genocidi, ma considera la shoah un fatto non unico,
utilizzato dal sionismo per legittimare le azioni di Israele tramite il senso
di colpa dell'Europa. Auschwitz non può e non deve essere dimenticato, perché
la memoria dei morti innocenti deve essere riscattata, e questo mondo nella sua
interezza appartiene a tre tipi di esseri umani: coloro che sono già vissuti,
coloro che sono tuttora in vita, e coloro che devono ancora nascere. Ma
Auschwitz non deve diventare un simbolo di legittimazione del sionismo, che
agita l'accusa di anti-semitismo in tutti coloro che non lo accettano
radicalmente, e che non sono disposti a derubricare a semplici errori i suoi
veri e propri crimini. Teologia dei diritti umani, che considera (come altri
filosofi marxisti come Losurdo, o comunitaristi) solo un grimaldello e un
paravento del capitalismo per imporsi ed eliminare, in realtà, i diritti dei
popoli e dei lavoratori, attuando il liberismo e l'imperialismo globali. “Antifascismo
in assenza completa di fascismo. L’antifascismo, positivo un tempo, è
considerato un fenomeno dannoso e a favore del sistema capitalistico, visto che
il fascismo (da lui deprecato soprattutto per la colonizzazione imperialistica
dell'Africa e la mascalzonaggine imperdonabile dell'invasione della Grecia, è
stato ormai sconfitto, volto a creare tensioni tra le diverse forze
anti-sistema, e a fungere da nuova ideologia della sinistra post-comunista e
post-stalinista (dopo il graduale abbandono del marxismo-leninismo avvenuto per gli effetti della de-stalinizzazione), che
diviene così inutile. Falsa dicotomia Sinistra/Destra come "protesi di
manipolazione politologica". Derivata dal precedente, questa teoria
punterebbe a indebolire le critiche anticapitalistiche, impedendo l'unione tra
comunisti, comunitaristi e socialisti nazionalitari contro il capitale. Al
contempo, anche per le nette e costanti affermazioni contro i tribalismi, i
razzismi e i nazionalismi soprattutto coloniali, è da ritenersi estranea al
cosiddetto rossobrunismo (i cosiddetti nazionalboscevichi) di cui fu tacciato
dal citato V. Evangelisti, che a suo dire si configurerebbe come una folle
somma dei difetti degli estremismi opposti. L'unione di sostenitori rasati del
razzismo biologico con sostenitori barbuti della dittatura del proletariato
sarebbe certamente un buon copione di pornografia hard, ma non potrebbe uscire
dal piccolo circuito a luci rosse del sottobosco politico. La sua proposta politica va nella direzione di
un comunismo comunitario universalistico, da intendersi come correzione
democratica e umanistica del comunismo, dal momento che quello storico sarebbe
stato reo di non aver messo in comune innanzitutto la verità. Quello tratteggiato
da lui è un sistema sociale che costituisce una sintesi di individui liberati e
comunità solidali. Non è inteso come inevitabile sbocco storicistico o
positivistico di una storia che si svilupperebbe linearmente, né tuttavia in
modo aleatorio, bensì in potenza, a partire dalla resistenza alla dissoluzione
comunitaria innescata dall'accumulazione individuale di merci. Qui il problema
dell'auspicabile democrazia viene impostato su basi antropologiche, scommettendo
sulle potenzialità ontologiche della bontà degpotenzialml’uomini, ente
politico-comunitaria (zόoa politika); razionali e valutativi della giusta
misura sociale (zόa lόgon échon) e generica, in senso marxiano (Gattungswesen),
cioè in grado di costruire diversi modelli di convivenza sociale, compreso
quello in cui gl’uomini, affermando la priorità etica e comunitaria per
contenere i processi economici altrimenti dispiegantisi in modo illimitato e
dis-umano, può realizzare le sue potenzialità ontologiche immanenti,
attualmente alienate. La liberazione avverrebbe quindi a partire dal suo
radicamento comunitario in cui agisce collettivamente, pur rimanendo
l'individuo stesso l'unità minima di resistenza al potere. Adere al
partito comunista italiano, ma presto si allontanò (essendo ostile al
compromesso storico tra PCI e DC, promosso da Berlinguer e Moro), entrando poi
a far parte della Commissione culturale di Lotta Continua. In seguito si
iscrisse a Democrazia Proletaria durante la sua ultima fase. Dopo lo
scioglimento della Democrazia Proletaria, e in seguito alla confluenza di
quest'ultima in Rifondazione Comunista, si è sempre più allontanato
dall'attività politica in senso stretto. In seguito manifestò critiche verso
l'operaismo e il trotskismo che animavano talvolta queste esperienze della
post-sinistra extraparlamentare. Se dal punto di vista teorico si era già
distanziato dalla sinistra italiana a seguito della dissoluzione dell'Unione
Sovietica e della svolta della Bolognina, il distacco emotivo definitivo dalla
sinistra avvenne con il bombardamento NATO in Jugoslavia durante la guerra del
Kosovo, che ricevette il beneplacito del governo italiano. Considera questo fatto come la fine della
legalità costituzionale italiana riferendosi alla violazione dell'articolo 11 e
un atto di tradimento verso i valori fondanti della Repubblica Italiana. Sul
tema scrisse Il bombardamento etico. Saggio sull'interventismo umanitario,
l'embargo terapeutico e la menzogna evidente. Molto clamore ha suscitato (anche
tra le file della sinistra alternativa) la sua adesione ad alcune tesi del Campo
Antimperialista per l'esplicito sostegno da questi fornito alla resistenza
irachena. È stato uno dei filosofi di riferimento del comunismo comunitario,
nonché animatore della rivista Comunismo e Comunità. Altre saggi: “La
classe operaia non va in paradiso: dal marxismo occidentale all'operaismo
italiano, in “Alla ricerca della produzione perduta” (Bari, Dedalo); “Cosa
possiamo chiedere al marxismo”; “Sull'identità filosofica del materialismo
storico”; “Marxismo in mare aperto”; “Rilevazioni,
ipotesi, prospettive” (Milano, Angeli); “La filosofia imperfetta”; “Una
proposta di ricostruzione del marxismo ” (Milano, Angeli); “La teoria in pezzi”;
“La dissoluzione del paradigma teorico operaista in Italia” (Bari, Dedalo); “La
ricostruzione del marxismo fra filosofia e scienza”; “La cognizione della crisi.
Saggi sul marxismo di Althusser” (Milano, Angeli); “La rivoluzione teorica di
Althusser, in Il marxismo” (Pisa, Vallerini); “La passione durevole” (Milano,
Vangelista); “La musa di Clio vestita di rosso, in Trasformazione e
persistenza. Saggi sulla storicità del capitalismo” (Milano, Angeli); “Il filo
di Arianna. Quindici lezioni di filosofia marxista” (Milano, Vangelista); “Il
marxismo e l’eguaglianza”, Urbino; “Quattro venti”; “Il convitato di pietra”; “Saggio
su marxismo e nichilismo” (Milano, Vangelista); “L'assalto al Cielo”; “Saggio
su marxismo e individualism” (Milano, Vangelista); “Il pianeta rosso”; “Saggio
su marxismo e universalismo” (Milano, Vangelista); “Ideologia Italiana”; “Saggio
sulla storia delle idee marxiste in Italia” (Milano, Vangelista); “Il tempo
della ricercar” “Saggio sul moderno, il postmoderno e la fine della storia”
(Milano, Vangelista); “L'eguale libertà”; “Saggio sulla natura umana” (Milano,
Vangelista); “Oltre la gabbia d'acciaio”; “Saggio su capitalismo e filosofia” (Milano,
Vangelista); “Il teatro dell'assurdo”; “Cronaca e storia dei recenti
avvenimenti italiani”; “Una critica alla cultura dominante della sinistra
nell'attuale scontro tra berlusconismo e progressismo” (Milano, Punto Rosso); “Strategia
politica”; “Premesse teoriche alla critica della cultura dominante della
sinistra esposta nel Teatro dell'assurdo” (Milano, Punto Rosso); “Il marxismo
vissuto del Che”; “Lettere di Che Guevara a Tita Infante” (Milano, Punto
Rosso); “Un elogio della filosofia” (Milano, Punto Rosso); “Quale comunismo?”;
“Uomini usciti di pianto in ragione” (Roma, Manifesto); “La fine di una teoria”;
“Il collasso del marxismo storico del Novecento” (Milano, UNICOPLI); “Il
comunismo storico novecentesco”; “Un bilancio storico e teorico” (Milano, Punto
Rosso); “Nichilismo Verità Storia”; “Un manifesto filosofico della fine del XX
secolo” (Pistoia, CRT); “Gesù. Uomo nella storia, Dio nel pensiero” (Pistoia);
“Il crepuscolo della profezia comunista. A 150 anni dal “Manifesto”, il futuro
oltre la scienza e l'utopia” (Pistoia, CRT); “L'alba del Sessantotto”; “Una
interpretazione filosofica” (Pistoia, CRT); “Marxismo, Filosofia, Verità” (Pistoia,
CRT); “Destra e sinistra. La natura inservibile di due categorie tradizionali”
(Pistoia, CRT); “La questione nazionale alle soglie del XXI secolo”; “Nota introduttiva
ad un problema delicato e pieno di pregiudizi” (Pistoia, CRT); “Le stagioni del
nichilismo. Un'analisi filosofica ed una prognosi storica” (Pistoia, CRT); “Individui
liberati, comunità solidali. Sulla questione della società degli individui” (Pistoia,
CRT); “Contro il capitalismo, oltre il comunismo”; “Riflessioni su di una
eredità storica e su un futuro possibile” (Pistoia, CRT); “La fine dell'Urss”;
“Dalla transizione mancata alla dissoluzione” (Pistoia, CRT); “Il ritorno del
clero. La questione degli intellettuali oggi”( Pistoia, CRT); “Le avventure
dell'ateismo. Religione e materialismo oggi” (Pistoia, CRT); “Un nuovo
manifesto filosofico. Prospettive inedite e orizzonti convincenti per la
filosofia” (Pistoia, CRT); “Hegel Marx Heidegger. Un percorso nella filosofia”
(Pistoia, CRT); “Scienza, politica, filosofia. Un'interpretazione” (Pistoia,
CRT); I secoli difficili. Introduzione al pensiero filosofico dell'Ottocento e
del Novecento, Pistoia, CRT); “L'educazione filosofica. Memoria del passato,
compito del presente, sfida del future” (Pistoia, CRT); “Il bombardamento
etico. Saggio sull'interventismo umanitario, l'embargo terapeutico e la
menzogna evidente” (Pistoia, CRT); “Marxismo e filosofia. Note, riflessioni e alcune
novità” (Pistoia, CRT); “Un secolo di marxismo. Idee e ideologie, Pistoia,
CRT); “Un filosofo controvoglia. Introduzione a G. Anders, L'uomo è antiquato”
(Bollati Boringhieri); “Le contraddizioni di Bobbio. Per una critica del
bobbianesimo cerimoniale” (Pistoia, CRT); “Marx inattuale. Eredità e
prospettiva” (Torino, Boringhieri); Verità filosofica e critica sociale.
Religione, filosofia, marxismo” (Pistoia, CRT); “Dove va la sinistra?” (Boninsegni,
Roma, Settimo Sigillo); “Comunitarismo filosofia politica” (Molfetta, Noctua);
“La filosofia classica tedesca, Dialettica e prassi critica. Dall'idealismo al
marxismo (Molfetta, Noctua); “L'ideocrazia imperiale americana” (Roma, Settimo
Sigillo); Filosofia del presente. Un mondo alla rovescia da interpretare” (Roma,
Settimo Sigillo); Filosofia e geopolitica” (Parma); All'insegna del Veltro, Del
buon uso dell'universalismo. Elementi di filosofia politica” (Roma, Settimo
Sigillo); Dialoghi sul presente. Alienazione, globalizzazione destra/sinistra,
atei devoti. Per un pensiero ribelle” (Napoli, Controcorrente); “La comunità
ritrovata. Rousseau critico della modernità illuminista, Torino, Libreria Stampatori);
“Marx e gl’antichi greci” (Pistoia, Petite plaisance); “Il popolo al potere. Il
problema della democrazia nei suoi aspetti filosofici” (Casalecchio, Arianna);
“Verità e relativismo. Religione, scienza, filosofia e politica nell'epoca
della globalizzazione” (Torino, Alpina); Elogio del comunitarismo” (Napoli,
Controcorrente); “Il paradosso De Benoist. Un confronto politico e filosofico”
(Roma, Settimo Sigillo); “Storia della dialettica” (Pistoia, Petite plaisance);
“La democrazia in Grecia. Storia di un'idea, forza di un valore, in Presidiare
la democrazia realizzare la Costituzione. Atti del seminario itinerante sulla
difesa della Costituzione, Bardonecchia, Susa, Bussoleno, Condove, Borgone
Susa, Edizioni Melli-Quaderni); “Sarà Dura!, Storia critica del marxismo. Dalla
nascita di Karl Marx alla dissoluzione del comunismo storico novecentesco” (Napoli,
La città del sole); “Il presente della filosofia italiana, Pistoia, Petite plaisance,
Storia dell'etica, Pistoia, Petite plaisance, “Hegel anti-utilitarista” (Roma, Settimo Sigillo);
Storia del materialismo, Pistoia, Petite plaisance, Una approssimazione a Marx.
Tra materialismo e idealismo, Saonara, Il Prato); Ri-pensare Marx. Filosofia,
Idealismo, Materialismo” (Potenza, Ermes); Un trotzkismo capitalistico? Ipotesi
sociologico-religiosa dei Neocons americani e dei loro seguaci europei, in
Neocons. L'ideologia neoconservatrice e le sfide della storia, Rimini, Il
Cerchio); “Alla ricerca della speranza perduta. Un intellettuale di sinistra e
un intellettuale di destra "non omologati" dialogano su ideologie e
globalizzazione” (Roma, Settimo Sigillo); La quarta guerra mondiale, Parma, All'insegna
del Veltro, L'enigma dialettico del Sessantotto quarant'anni dopo, in La
rivoluzione dietro di noi. Filosofia e politica prima e dopo il '68, Roma,
Manifesto); “Il marxismo e la tradizione culturale europea, Pistoia, Petite plaisance,
Nuovi signori e nuovi sudditi. Ipotesi sulla struttura di classe del
capitalismo contemporaneo” (Pistoia, Petite plaisance, Logica della storia e
comunismo novecentesco. L'effetto di sdoppiamento” (Pistoia, Petite plaisance);
“Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un fenomeno
ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante,
Petite Plaisance, Filosofia della verità
e della giustizia. Il pensiero di Kosík, con Cesana, Pistoia, Petite plaisance,
Lettera sull'Umanesimo, Pistoia, Petite plaisance, Una nuova storia alternativa
della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia, Pistoia, Petite
plaisance, Lineamenti per una nuova filosofia della storia. La passione
dell'anticapitalismo, con Luigi Tedeschi, Saonara, Il Prato,.Dialoghi
sull'Europa e sul nuovo ordine mondiale, Saonara, Il Prato, Collisioni. Dialogo
su scienza, religione e filosofia, Pistoia, Petite plaisance, Karl Marx: un'interpretazione, Nova Europa).
Prefere non definirsi marxista ma appartenente alla "scuola di Marx",
e «allievo indipendente di Marx» (C. Preve, Elogio del comunitarismo, Controcorrente,
Napoli, Personalmente, non sono credente
né praticante. Non credo in nessun Dio personale, considero ogni
personalizzazione del divino una indebita e superstiziosa antropomorfizzazione,
e sono pertanto in linea di massima d’accordo con Spinoza. Ma ritengo anche la
religione, così come la scienza, l’arte e la filosofia, dati permanenti
dell’antropologia umana in quanto tali desti durare tutto il tempo in cui durerà
il genere umano (Elementi di politicamente
corretto. Convegno, Lukács e la cultura europea (II intervento) Relazione Congresso Nazionale di DP
(terzultimo intervento) Destra e
Sinistra: confronto tra C. Preve e D. Losurdo; Carmilla: I rosso-bruni: vesti
nuove per una vecchia storia Democrazia
comunitaria o democrazia proprietaria?”; “Considerazioni sulla geopolitica”; “Il
bombardamento etico dieci anni dopo”; Fonte: A. Monchietto, Lucio Colletti; Marxismo,
Filosofia, Scienza. L'“ultimo” filosofo marxista su la RepubblicaTorino Addio al filosofo, In memoria, D. Fusaro Un lutto veramente grande per noi di
Gianfranco La Grassa, La Sala Rossa ricorda la figura e raccogliendosi in un
minuto di silenzio, Preve, Con Marx e oltre il marxismo; Comunismo e Comunità »
Laboratorio per una teoria anticapitalistica
A. Volpe e P. Zygulski, Verità e filosofia, in A. Monchietto e G. Pezzano,
Invito allo Straniamento. I. filosofo, Pistoia, Petite Plaisance, Preve, Elementi di politicamente corretto. E
qui concludiamo con una serie di previsioni artigianali. Ricordo al lettore che
questo non è ancora un Trattato di Politicamente Corretto, che ho peraltro
intenzione di scrivere, in cui i cinque punti principali indicati (americanismo
come collocazione presupposta, religione olocaustica, teologia dei diritti
umani, anti-fascismo in assenza completa di fascismo, dicotomia Sinistra/Destra
come protesi di manipolazione politologica) verranno discussi in modo più
analitico e preciso. Da Intellettuali e cultura politica nell'Italia di fine
secolo, Rivista Indipendenza, Da Gli Usa, l’Occidente, la Destra, la Sinistra,
il fascismo ed il comunismo. Problemi del profilo culturale di un movimento di
resistenza all’Impero americano, Noctua Edizioni, 2003. C.Preve: audio congressi DP
(RadioRadicale) Intervista
politico-filosofica (G. RepaciC. Preve)
«La costituzione italiana è stata distrutta per semprre con i
bombardamenti sulla Jugoslavia, e da allora l’Italia è senza costituzione, e lo
resterà finché i responsabili politici di allora non saranno condan morte per
alto tradimento (parlo letteralmente pesando le parole), con eventuale benevola
commutazione della condanna a morte a lavori forzati a vita. Eppure, questi
crimini passano sotto silenzio, perché si continuano ad interpretare gli eventi
di oggi in base ad una distinzione completamente finite (C. Preve, Elementi di
politicamente corretto) Bobbio, Né con Marx né contro Marx, Riuniti, Roma,Storia
dei marxismi in Italia, Manifestolibri, Roma, Alessandro Monchietto, Marxismo e
filosofia in Preve, Editrice Petite Plaisance, Pistoia, P. Zygulski, C. Preve:
la passione durevole della filosofia, presentazione di Giacomo Pezzano,
Pistoia, Editrice Petite Plaisance, Monchietto e Pezzano, Invito allo
Straniamento. I. Costanzo Preve filosofo, Pistoia, Petite Plaisance, Zygulski,
Costanzo Preve e l'educazione filosofica, in Educazione Democratica, Foggia, Edizioni del Rosone, gennaio, Alessandro Monchietto, Invito allo
Straniamento. II. Marxiano, Pistoia, Petite Plaisance, Massimo Bontempelli); F.
Bentivoglio, Il senso dell'essere nelle
culture occidentali, Milano, Trevisini); Formenti, Il socialismo è morto. Viva
il socialismo!, Meltemi, Milano). Costanzo Preve. Preve. Keywords: fascismo,
antifascism – antifascism in assenza completa di fascismo, comunita,
comunitarismo, la mascalzonaggine imperdonabile dell’invasione a Grecia;colonizzazione
imperialista,storia dell’etica, storia ontologico-sociale della filosofia, vico
anti-capitalista. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e Preve," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51684463462/in/photolist-2mKbok1-2mGnP2f-2mEd2LM-E58e4H-CfbuaM-C6j6p5-CdDphy-CfWJ4K-C6n5m7-BiosLy-CfUqUZ-BiyBqX-BGr8AF-BiuDHk-C6n22G-BGo4ac-CfT5uH-BinZFS-CfX854-C8EFGv-C8AG9k-C8EyDT-BGreRB-BNPngs-C8EyKe-CfWNyr-BinFbf-BGr6t4-C6ndRU-BGrkKR-CfUrBk-Biry7Y-CfWVBe-BNPcuy-C8EfEg-C8BXHK-C6iijj-Biotmm-BXesRa-B87iXx-B87iTp-C5w76F-C3dpu7-BXetE4-BUVNSb-B87kea-C3dpwG-BUVMeG-BXeqJ4-BCoJa1
Grice e Prini – il volo d’Icaro – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Belgirate). Filosofo. Grice: “I like
Prini, but I won’t expect his “Discorse e situazione” to be about Firth’s
context of utterance!” -- “Pensare è infatti la maniera più profonda del nostro
desiderare. "Ventisei secoli nel mondo dei filosofi"). Tra i maggiori
esponenti dell'esistenzialismo. Studia ad Arona e Pavia sotto Lorenzi.
Studia Sorbatti sotto Levi e Sciacca. Studia Plotino. Prini s'è legato al
gruppo di filosofi che Sciacca aveva riunito intorno a se. Quando Sciacca si
trasferì a Genova tutto il gruppo lo segue. Insegna a Genova, Perugia, Roma e
Pavia. Scrive “Verso una nuova ontologia” e “Discorso e situazione”. “Lo scisma
sommerso” analizza la spaccatura sotterranea che si è creata nella Chiesa
cattolica tra il magistero ufficiale e la fede e le scelte di vita dei
credenti. Un tema che diviene centrale è il tema del male. Scrive “Ventisei
secoli nel mondo dei filosofi” -- «un ripensamento, una sorta di commiato
personale dagli autori e dai problemi che gli erano stati cari per tutta la
vita. Accanto al discorso apofantico, che definisce in modo univoco il suo oggetto
e che vuol dimostrare le sue verità in modo necessario, apre lo spazio per la
‘conversazione’. Nel testo Verso una ontologia, risalire la dimenticanza della
conversazione ad Aristotele, il quale ritene i discorsi semantici non vero-funzionali
e quindi estranei al campo del linguaggio sino del metalinguaggio della filosofia.
In “Discorso e situazione” definisce in modo più dettagliato gl’ambiti della
conversazione. Nella molteplicità dell’uso logico della ragione, delinea un
esame sistematico delle diverse forme della conversazione razionale “situata”,
ossia in relazione al suo proprio oggeto o topico ed al suo proprii
conversatori, e precisamente la verifica come forma della prova del discorso
oggettivo o scientifico, la categoria della testimonianza e la determinazione
particolare come ‘forma’ della ‘prova’ della conversazione. È stata un ricerca
non inutile, credo, se ha messo in luce, per un verso, contro lo scientismo, la
pluralità dell’uso della ragione, e per un altro verso, la fondamentale
convergenza di quelle forme del discorso razionale in una dottrina della verità
ostensiva dell’essere, o un’ontologia semantica. Gl’uomini di cui la filosofia
deve occuparsi sono gl’italiani concreti. In “Il corpo che siamo” studia i
corpi degl’italiani come elementi costituiti della inter-soggettività in
un’unità psico0fisica del resto. Già Serbatti fa questo movimento verso i corpi,
parlando di sentimenti fondamentali corporei. In “Il paradosso di Icaro” elabora
la distinzione tra mero bisogni dei corpi e desideria o volonta. I bisogni,
cioè le necessità di avere, si distingueno dalla volontà di essere
autenticamente. Il domandare intorno al senso di ciò che è e di ciò che
si *è* un domandare che mette in questione anche i domandanti stessi. In
‘L’ambiguita dell’essere’ caratterizza l’essere come ’ambiguo’: necessità
assoluta (al modo di Velia), bontà o finalità assoluta, o come libertà od
opposizione assoluta. Cerca queste tre modalità, ritenendole tutte essenziali
all'essere e, insieme, non deducibili l’una dall'altra. Definie questa sua
concezione problematicismo ontologico. Dal momento che l’essere è in sé
ambiguo, esso non si lascia completamente definire e dimostrare dal
discorso apofantico e si presta alla conversazione. C’è un carattere ludico
nell'atteggiamento del credente, quando pretende di poter mettere tra parentesi
la propria fede e di essere anch'egli, nella ricerca della verità, come dice
Husserl, ein wirklicher Anfänger, un vero e proprio principiante. Fa una distinzione tra il nucleo del messaggio
evangelico e le forme che esso ha via via assunto nella storia, critica delle
posizioni più tradizionaliste della Chiesa, specialmente in filosofia (si veda
in particolare “La filosofia cattolica italiana del Novecento”), invito al
dialogo tra la Chiesa e la modernità tutta intera, e proposta di una nuova
inculturazione, oggi, di quel messaggio evangelico. Un passagio di “ Lo scisma
sommerso” mostra in modo disambiguo ciò che ha in mente. Per questa mentalità
generata dalla civiltà della scienza esistono uno spazio e un tempo scientifici
nei quali è impossibili proporsi di trovare, per esempio, il periodo storico di
una presunta prima coppia progenitrice di tutto il genere umano o l'ubicazione
dell'Eden, di cui parlano in un senso simbolico che è da determinare i primi
racconti della Genesi. E andando soltanto un poco in profondità nella coscienza
giuridica moderna, post-illuministica, del rapporto tra colpa e castigo, chi
potrebbe oggi accettare l'idea, trasmessa dalla teologia penale di Agostino
nell'interpretazione della Lettera ai Romani di Paolo, che l'umanità intera
abbia ereditato da Adamo non solo la pena eterna del suo peccato, ma anche la
responsabilità della sua stessa colpa?» Altre saggi: “La metodologia della
testimonanza” (Roma, Studium); “Verso una ontologia della conversazione” (Roma,
Studium); “Serbatti: i sentimenti fondamentali corporei, ” (Roma, Armando); “Discorso
e situazione” (Roma, Studium); “Il paradosso d’Icaro” (Roma, Armando);
“L’ambiguità dell’essere” (Genova, Marietti); “Storia dell'esistenzialismo”
(Roma, Studium); “Il corpo che siamo: introduzione all'antropologia etica”
(Torino, SEI); “Plotino e l'umanesimo interiore” (Milano, Vita e Pensiero); “Il
potere” (Roma, Studium); “La filosofia italiana” (Roma, Laterza); “Lo scisma sommerso”
(Milano, Garzanti); “Terra di Belgirate”; Torino, Sosso); “Ventisei secoli nel
mondo dei filosofi” (Caltanissetta, Sciascia); “Un filosofo che canta i Salmi. “Croce
e Gentile”, Il Prini sommerso; Il desiderio di essere. L'itinerario filosofico;
L'ontologia del desiderio” l M. Flematti, “Prini”. Pietro Prini. Prini. Keywords:
il volo d’Icaro. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prini” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737756981/in/datetaken/
Grice e Prodi – il cane di Pavlov – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Scandiano). Filosofo. Grice:
“While he likes semiotics, Prodi is the Italian C. L. Stevenson, who read
English at Yale! No philosophy background!” -- Figlio di Mario ed Enrica,
maestra. Studia e insegna a Bologna. A Bologna fonda il progetto Biologia
cellulare del Svilupa un approccio semiotico alla biologia. Con Il neutrone borghese, ha pubblicato anche
alcuni romanzi e racconti, tra cui Lazzaro, biografia romanzata (con riflessi
autobiografici) di L. Spallanzani. Il saggio “Il cane di Pavlov”; “Opera narrativa”
(Diabasis, Reggio Emilia). Altre opere: “Scienza e potere” (Il Mulino, Bologna);
“La scienza, il potere, la critica” (Mulino, Bologna); “Oncologia sperimentale”
(Esculapio, Bologna); “Le basi materiali della significazione” (Bompiani,
Milano); “La biologia dei tumori” (Abrosiana, Milano); “Soggettività e
comportamento” (Angeli); Orizzonti della genetica” (L'Espresso); “Il neutrone Borghese”
(Bompiani, Milano); Patologia Generale (CEA, “La storia naturale della logica”
(Bompiani, Milano); “L'uso estetico del linguaggio” (Mulino, Bologna); Lazzaro:
il romanzo di un naturalista del '700” (Camunia, Brescia); “Oncologia” (Esculapio,
Bologna); “Gli artifici della ragione” (Sole 24 ore, Milano); “Il cane di
Pavlov” (Camunia, Brescia); “Alla radice del comportamento morale” (Marietti,
Milano); “Teoria e metodo in biologia” (Clueb, Bologna); “L'individuo e la sua
firma”; “Biologia e cambiamento antropologico” (Mulino, Bologna); “Il profeta”
(Camunia, Brescia); Conferenza "Prodi”, Repubblica Apprezzato anche da G. Dossetti, La parola e
il silenzio” (Paoline, in riferimento ad
un articolo che si rifaceva ai geni invisibili della città di G. Ferrero. Sul
sottotitolo (i “geni invisibili” della città. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giorgio Prodi. Prodi. Keywords:
il cane di Pavlov. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prodi” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737954863/in/datetaken/
Grice e Prospero – implicatura laica – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Pescosolido), filosofo. Studia e Insegna a Roma.
Studia Kelsen. Collabora con “L'Unità”. I suoi interessi sono principalmente
rivolti al sistema istituzionale italiano e la filosofia politica della
sinistra. La sua filosofia e aspramente criticate da Travaglio, che lo ha
accusato di "pagnottismo". Tra i punti di dissenso, vi è la posizione
nei confronti della democrazia diretta, e nei confronti della fiducia riposta
daTravaglio, e dal Movimento 5 stelle di Grillo, nella intrinseca infallibilità
del giudizio espresso dagli elettori e del popolo della Rete. Sinistra Italiana. Saggi: “La politica post-classica”;
“Il nuovo inizio”; “Nostalgia della grande politica”; “La democrazia mediata”;
“Sistemi politici e storia”; “Il pensiero politico della destra” (Newton
Compton); “I sistemi politici” (Newton Compton); “Politica e vita buona, Euroma
la Goliardica, Sinistra e cambiamento istituzionale”; “Storia delle istituzioni
in Italia” (Riuniti); “Il fallimento del maggioritario”; “La politica”; “Teorie
e profili istituzionali” (Carocci); “Lo stato in appalto. Berlusconi e la
privatizzazione del Politico (Manni); “Politica e società globale” (Laterza); “L'equivoco
riformista” (Manni); “Alle origini del laico” (Angeli); “La costituzione tra
populismo e leaderismo” (Angeli); “Filosofia del diritto di proprietà”
(Angeli); “Perché la sinistra ha perso le elezioni” (Ediesse); “Il comico della
politica”; “Nichilismo e aziendalismo nella comunicazione di Berlusconi”
(Ediesse); “Il libro nero della società civile”; “Il nuovismo realizzato”
(Bordeaux); “Gramsci” (Bordeaux). Addio al mito del capo, Il Manifesto, Contropotere
del Quirinale, Left-avvenimenti, C. Prodi, l'errore più grande della sinistra
europea è stato dimenticare il lavoro, il manifesto, Bruno Gravagnuolo, Grillo,
il travaglio di Marco nel duello tv con Prospero l'Unità Gli organismi di Sinistra Italiana, da
"Sinistraitaliana.si" Sinistra
Italiana rispolvera il Pci: nascono le nuove Frattocchie. Ma a Testaccio. Michele
Prospero. Prospero. Keywords: implicatura laica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Prospero” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738325049/in/datetaken/
Grice e Pucci – implicatura – l’utopia di Pucci -- filosofia
italiana (Firenze). Filosofo.
Scrive alcuni trattati dove ambiva a una filosofia universale di stampo utopistico.
Molto polemico contro le principali dottrine religiose dell'epoca, tanto da
essere tacciato di eresia e giustiziato dall'Inquisizione romana. Della potente
e ricca famiglia fiorentina dei Pucci. Scolto da un improvviso mutamento et cambiamento
che lo fa decidere a darsi allo studio delle cose celesti ed eterne e a
scoprire i reali motivi dei contrasti filosofici che lacerano l'Italia. Assiste
personalmente alla strage degl’ugonotti nella notte di San Bartolomeo, decise
di aderire alle tesi protestanti. Controversie dottrinali gli procurarono
l'espulsione dalla comunità calvinista alla quale aveva aderito in primavera. Discute
del peccato originale e ha altresì contestato l'autoritarismo del concistoro
della comunità. Quest'ultima gl’rimprovera, oltre a importanti punti
dottrinali come la concezione del peccato originale, della fede e
dell'eucaristia, la sua pretesa di pro-fetizzare, ricordandogli che, con la
scomparsa dei primi apostoli, il carisma profetico non puo più esistere. Su invito
di F. Betti, incontra F. Sozzini. Pubblica un manifesto, e poi scrive a N. Balbani
una lettera in cui espone la sua teoria dell'innocenza naturale dell'uomo, già
discussa con Sozzini, secondo la quale tutti gl’uomini nascono et restano
innanzi all'uso della ragione e del giudizio. Grazie alla redenzione operata da
Cristo, il peccato originale non può causare la dannazione quando siamo ancora
nel grembo materno. Il battesimo del bambino, che e naturalmente innocente per
la naturale bontà della natura umana, per quanto non censurabile, è inutile.
L'eventualità della dannazione è un problema dell'adulto che, raggiunta l'età
della ragione, è in grado di distinguere il bene dal male. L’uomo è buono
per natura e a causa dell'amore di Dio verso il genere umano, che ha creato
l'uomo di natura buona, si fonda la filosofia. Il fondamento della filosofia,
et bontà vera, è propriamente la fidanza generale in Dio del cielo e della
terra, una fiducia fondata sulla conoscenza di Dio che è comune a tutti gl’uomini,
una fede che si contrappone alla concezione della fede protestante, che
consiste invece in una fidanza particulare che il singolo protestante ripone in
Dio. È del resto la tesi sostenuta da Sozzini nel suo De Jesu Christo
servatore. Sostene di aver tratto le proprie concezioni in virtù del dono
dello Spirito Santo che, attraverso visioni, lo ispira permettendogli di
preconizzare il prossimo avvento del regno di Dio che provoca la conversione di
tutti i popoli, qualunque fosse la loro religione, sotto un'unica confessione. La
redenzione operata da Cristo riguarda infatti tutti gl;uomini, anche i non
cristiani, perché esalta la loro naturale bontà. La salvezza non costitusce un
dubbio tormentoso ma è un obbiettivo che può essere raggiunto abbandonandosi
con fiducia alla fede in Dio, è la fede naturale che ha Adamo, uomo naturale e
immortale perché fatto a immagine e somiglianza di Dio nella mente e nello
spirito. Affermata la bontà naturale della specie umana, ne discende che debba
essere escluso tanto che il peccato si trasmetta nelle generazioni, quanto che
possa esistere una pre-destinazione semplice o doppia che sia, una per gl’eletti
e una per i dannati stabilita ab aeterno. Sozzini rispose al Pucci con il “De
statu primi hominis ante lapsum”, obiettando che la somiglianza di Adamo con
Dio risiede nel fatto di essere il dominatore di tutte le cose della natura, e
non nella sua immortalità. Se Adamo, l'essere naturale per eccellenza, finisce col
peccare, ciò dimostra che non era affatto innocente, visto che Adamo peca per
sua libera scelta. La natura dell'uomo
non è diversa da quella d’Adamo. La salvezza degl’uomini risiede nella
sua volontà di scegliere il bene, ed è sulla sua libera volontà, non sulla sua
natura, che si fonda la sua etica. Il suo saggio principale e “La Forma
d'una repubblica”. Per porre rimedio alla confusione e agli scandali regnante
nella filosofia, e necessario un libero e santo concilio al quale si vede che
tutti gl’uomini da bene di tutte le province inclinano, ma che viene rifiutato
dai potenti prelati che oggi comandano non solo nella religione, ma anche nella
repubblica. Per preparare questo concilio, è necessario che gl’uomini dabbene,
all'interno di ogni singolo stato, si organizzino in un'unione, in un collegio o
comunità nella quale essi si governino secondo un principio comune, i, senza alienarsi
da i loro principi e magistrati civili e senza entrare in polemica contro la
confessione religiosa vigente. Questi uomini, infatti, d'animo et tal volta
anche di corpo alienato da gl’ordini et usanze di quelle repubbliche nelle
quali è sono nati et allevati, conviene ch'e' vivino come forestieri nel loro
natio terreno, o forastieri interamente per gli altrui paesi, è necessario
ch'e' si portino molto saviamente e discretamente con i principi e magistrati
de' luoghi dove essi habitano. Si tratta di un'aperta giustificazione del
nicodemismo, seppure teorizzata come mezzo provvisorio allo scopo di
raggiungere un fine superiore nell'interesse di tutti i cristiani. L'insieme di
questi collegi avrebbe formato di fatto una repubblica cattolica, cioè
universale, che, con l'esempio dei retti comportamenti dei suoi aderenti,
avrebbe col tempo acquisito il consenso della grande maggioranza della
popolazione di ogni singolo stato, promuovendo così il rinnovamento dei costumi
e delle diverse confessioni, fino a rifondare un'unica religione
cristiana. Gli elementi essenziali di questa rinnovata e unificata
religione dovranno essere la fede «in un solo Dio del cielo e della terra,
creatore et governatore dello Universo, nel Cristo morto e risorto per
redimerci, nella giustizia divina che premia i buoni e punisce i malvagi, la
testimonianza degl’apostoli, il rispetto dei dieci comandamenti, l'orazione
domenicale e le opere di carità. Tutte le questioni dottrinarie che
storicamente dividevano le confessioni cristiane sono sfumate dal Pucci, che
vuole che sui problemi del battesimo, dell'eucaristia, della Trinità e
dell'incarnazione non si utilizzino sottigliezze e non si creino
divisioni. I membri di queste comunità dovranno essere tutti gl’uomini
maggiorenni e laicigli ecclesiastici, infatti, sono evidentemente incapaci di
superare le divisioni che essi stessi hanno creatoorganizzati sotto un capo
temporaneo, provosto o console, assistito da un censore, che non deve avere
alcun'autorità particolare, ma dovrà proporre le risoluzioni da approvare
all'unanimità nell'assemblea generale dei membri: quando non vi fosse
unanimità, si deciderà a sorte fra le diverse opzioni. Le donne, dovendo essere
sottoposte ai mariti, possono assistere ma non hanno alcun'autorità né diritto
di voto. Il collegio ha anche il potere di punire le cattive condotte dei
singoli membri, sino all'espulsione. Le diverse comunità si sarebbero tenute in
contatto epistolarea questo scopo era costituito l'incarico di un cancellieree,
attraverso delegati, si sarebbero riunite in diete da tenersi periodicamente
nelle terre «di qualche gentilhomo o signore» aderente a un collegio di una
delle maggiori città europee «come Francoforte, Lione, Parigi et simili, perché
qui i convenuti alla dieta sarebbero passati inosservati più facilmente. Se
gli aderenti ai collegi devono manifestare un formale ossequio alle autorità
costituite, essi devono anche proporre una sia pur cauta propaganda per far
guadagnare alla comunità nuove adesioni. Ciascuno deve mantenere il segreto
della sua attività tramite giuramento, essere amico dei compagni e nemico di
chi è loro nemico. Per saldare insieme i membri, è opportuno che essi si
sposino nello stesso ambiente, con donne «sane e gagliarde per averne una buona
discendenza, evitando però rapporti sessuali frequenti che, secondo il Pucci,
sono nocivi alla salute fisica degli uomini e a quella morale delle donne.
Nella famiglia, il padre riveste il ruolo di capo e di sacerdote laico:
battezza egli stesso i figli in età audulta, i quali dovranno crescere in una
decorosa austerità, studiando nelle scuole consigliate dalla comunità ed
evitando carriere immorali, come quella ecclesiastica o avvocatesca. Fu a Cracovia,
dove incontra F. Sozzini e altri dissidenti religiosi. Le sue idee però non
trovarono successo in nessuna confessione calvinista o luterana, né fra gli
anabattisti e i sociniani. In compenso qui conosce Dee. Anche qui la sua indole
(Dee lo descrive come pericolosamente chiacchierone e utopico) non venne
accolta positivamente e deluso dai protestanti si ri-converte al cattolicesimo dopo
un incontro con Ippolito Aldobrandini. Srive “De Christi servatoris
efficacitate in omnibus et singulis hominibus”, “L'efficacia salvifica del
Cristo in tutti e in ogni uomo”, dedicato a Clemente VIII. Qui ri-assunge e
sviluppa tutte le sue teorie su una chiesa universale ed ecumenica. Ogni uomo
ha il diritto di professare una chiesa di Cristo, e Dio, grazie al suo amore
universale per l'intera umanità, dove aiutare ad abbattere le barriere che
separavano le chiese. Condotto in carcere a Roma, dove conosce Bruno e Campanella.
E condannato a morte per eresia, decapitato e poi bruciato sul rogo al campo
de' fiori Il puccismo però gli
sopravvisse nella chiesa luterana grazie a Huber. Lettera in A. Rotondò, Studi
e ricerche di storia ereticale italiana del Cinquecento Lettere, documenti e testimonianze In D. Cantimori, Per la storia degli eretici
italiani, L.Felici, La riforma protestante” (Carocci); Opere Lettere, documenti
e testimonianze (Firenze, Olschki); Sulla
predestinazione (Firenze, Olschki); C. Cantù, “Gli eretici d'Italia” (Torino, Tipografic);
Per la storia degl’eretici italiani, D. Cantimori ed E. Feist, Roma, Reale
Accademia d'Italia, D. Cantimori, Eretici italiani” (Firenze, Sansoni, A.
Rotondò, “Storia ereticale italiana (Torino, Giappichelli); Una disputa di
antropologia filosofica sul primo uomo. Di fronte al naturalismo di F. Sozzini,
Milano, Cusl, P. Carta, “Eresia -- Documenti sul processo e la condanna” (Padova,
Milani); “Cultura politica” (Stango, Firenze G. Caravale, Il profeta disarmato.
L'eresia” (Bologna, Mulino); M. Biagioni, L’Informatione della religione
christiana, Torino, Claudiana, V. Vozzi,
l’Informatione della religione christiana. Treccani Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Pucci. Keywords:
etymologia d’eretico; il profeta disarmato, nicodemismo, decapatizazione a
Tornona, Roma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pucci” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691563953/in/photolist-2mPTxJB-2mKBzba-2mKDA5r-2mPNG7N-DndBhH-2mKNM4g-2mKuJyP-2mKuJqC-2mKre9p-ETqNtt-D4QXHL-D41J73-o7nNJE-nXsZFJ-nCEAAa-ncTeBF-ncTe6v-nu72SS-nqAmJ
Grice e Puccinotti – il boezio – filosofia sperimentale
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Urbino).
Flosofo. Studia a Pavia e Roma. Insegna a Urbino, Macerata, Pisa. Il Granduca Leopoldo II di Toscana lo inserì
in una commissione incaricata di studiare l'ipotesi di introdurre sul litorale
pisano le risaie, dal punto di vista della medicina civile. Espose le sue
analisi nel saggio “Sulle risaie in Italia e sulla loro introduzione in Toscana”,
conclusioni che saranno alla base del Regolamento sulla cultura del riso in
Toscana. Opere: “Storia della febbre intermittente perniciosa (Roma), “Boezio” (Firenze);
“Storia della medicina” (Firenze). Treccani Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Crusca. “Opere filosofiche”;
“Del preteso paganesimo di Boezio”; “In Galileo sono due filosofie, la
speculative e la sperimentalel; Galileo divise la fisica della metafisica:;
Schema della filosofia speculative di Galilei nella gionarata prima dei
dialoghi de’ massimi sistemil La filosofia della storia riconosce se stessa per
la filosofia della scienza; Diffeti delle tendenze filosofiche – e come
corrreggerli; Il sentiment di amore nazionale negl’Italiani esisteva anche
quando l’Italia era divisa; Occorre oddi dare ai Congressi un principio
filosofi e un fine civile; Del principio filosofico. Le filosofie son molte; ma
una formula accettata e comune a tutti i filosofi ancora non esiste. Se domanda
che agli scienzati si lasci la lora filosofia sperimentale; Si propone il
sistema conciliativo delle due filosofie tramezzate dale matematiche; consigli
ai discepoli. Invece delle filosofe spectulative adoprino le matematiche per
completare la filosofia sperimentale. Fisici e metafisici, La scienza della
natura non si fa cogli universali della metafisica; la filosofia della storia
vien sempre dopo la storia, ossia dopo I fatti; per la scienze naturali le
aspirazione agl’universali della metafisica ponno essere un fine, ma il rncipio
in esse altro non e che l’osservazione, l’experienza, ed il calcolo. Indecisi I
filosofi nel conceptire e applicare il principio dell’unita; condotti
sull’esere umo il fisiologo e il filosofo, il primo puo fisicamente innoltrarse
nei fenomeni piu elevate della corporeita animale e trovarvi una dimostrabile
azione, attrativa di qualche imponderabile. Corrispondenza fra il carattere
filosofico delle opera d’Areteo e quello della sua eta. Puccinotti. Keywords:
il boezio, Leopardi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Puccinotti” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736813322
Grice e Punzo
– erote – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli), filosofo. Si laurea a Napoli con una tesi su Kant alla luce della
dottrina tomistica, una in erpetologia sul sistema nervoso dei serpenti, e una
tsulla morale nelle lettere di Paolo.
Fonda la Lega Nazionale Contro la Distruzione degli Uccelli, e
l'associazione culturale Trifoglio" di cui pubblica Il Trifoglio. Visse per
circa vent'anni sull'isolotto disabitato di Vivara, contribuendo a preservarlo
da possibili scempi e tutelandone il patrimonio ambientale. Per il suo impegno
a favore di Vivara ricevette il
"Premio Mediterraneo" conferitogli da un'agenzia dell'ONU. Filosofo dai
molteplici interessi che spaziarono dalla Commedia dantesca, alla botanica,
all'ornitologia e alla zoologia, anche un profondo conoscitore del latino.
Dedica gran parte della sua vita intellettuale alla filosofia. Per lui, la pedagogia costituisce uno
dei compiti più importanti al quale una società deve adempiere poiché
l'educazione delle giovani generazioni e, in particolare, dell’adolescente,
rapresenta il punto fondativo
di ogni aggregato umano. In tale prospettiva il fanciullo, per potersi
sviluppare al meglio, deve essere educato al bello attraverso la contemplazione
della natura. La sua filosofia ha come culmine la definizione del
concetto di religioso assoluto, inteso come elemento distintivo della spiritualità
umana poiché capace di definire l'identità dell'individuo rispetto alle altre
forme di vita. Nota sull'episodio
dantesco di Brunetto Latini, Napoli, Ed. Carlo Martello, Contributo per un
superamento dei tradizionali schemi sessuologici, Napoli, Tip. G. Genovese, Nuovo
contributo per un superamento dei tradizionali schemi sessuologici, Napoli,
Martello, “Lettere erotologiche,” Napoli,
Martello, “Dialogo dell'amore olarrenico,” Napoli, Martello, L'altro viaggio,
Napoli, Denaro; Il guardiano del verde isolotto. Olarrenismo; pseudomorfismo
sessuale, Parisessualismo nevrotico; parisessuonevrotici; parisessualismo
sostitutivo; line generali per una tipologia della vita erotico-affetiva. Tipi
eerotio-effettivi meterotici – telerotici, caterotici; schema generale per un
superamento delle fondamentali impostazione sessualogiche; critica della
dottrina delle perversioni sessuali; critica del concetto di perversioni
sessuali; critica del significato patologico attributo all’eros; cirtica della
condanna morale implicita; superamento della dottrina delle perversione
sessuali; essenza e significato della sessualita psichica; amore e sessualita,
struttura della sessualita psichica, l’eros come anistonia psico-sessuale, la
gradualita della sessualita psichica; principi per una classificazione
dell’epitomia psico-sessuali; orientamento per una classificazione psicologica
delle anisotnoia psico-sessuali, complessione psico-eterante egotropica ed
eterotropica, orarrenismo eroticol maschilita complementare e maschilita
olarrenica, amore elorrenico, la casistica, la storia e la filosofia,
concezione etico-psicologica, etico-sociale, sessologia, tendenze erotiche,
Zenone, amato da Parmenide; Alcibiade amato da Socrate. Il caso di Callia e
Autolico citato nel Fedone, il simposio di Senofonte, Diogene Laerzio, Ariano,
Atico, amore virile, virilta, virtu, maschio, Nicomaco, amato da Teofrasto,
trattarello sull’amore di Teofrasto, trattarello sull’amore di Aristotele
(erotikos a) dove si discute quattri questioni (tetra), peripatetici
sull’amore, Eraclide, Clearco, e Geronino. Prolegomeni erotoligici. Schema
genrale per un superamento del concetto d’omosessualita – critica e superamento
di stesso – fondamentale discriminazione dei fenomeni confuse come omosessualita
-- Giorgio Punzo. Punzo. Keywords: erote. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Punzo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738226409/in/datetaken/
Grice e Purgotti – implicatura metrica – filosofia
italiana. Luigi Speranza (Cagli), filosofo. Figlio di Nicola e Rosa Morbidi. Dei Lincei. Dei Georgofili di Firenze. Studia
a Roma sotto Imerio Cibo di Amelia e Pallieri. Insegna a Perugia. Spazia dalle
scienze fisico-chimiche all'idrologia minerale, dalle scienze matematiche alle
filosofiche con particolare riguardo alla teoria degli atomi. “Questa
memoria la patria che dagli scritti e dalle virtu del sommo scienziato ebbe
tanto lustro ed onore nato in Cagli. Qui riposa insigne chimico e matematico
esempio raro di virtu domestiche e civile. Pubblica nel Giornale Scientifico Letterario
di Perugia; “Lettere ad un amico intorno a vari filosofici argomenti”; “Riflessioni
sulla teoria degli atomi”; “Trattato di chimica applicato specialmente alla
medicina e alla agricoltura”; “Trattato elementare di chimica applicata
specialmente alla medicina”; “Trattato elementare di chimica applicata
specialmente alla medicina e alla agricoltura”; “Intorno all'azione dell'acido
solfo-idrico sul solfato di protossido di ferro”; “Osservazioni intorno a varie
inesattezze che allignano nei moderni corsi di matematica elementare”; Riflessioni
sopra un opuscolo che porta per titolo se si possa difendere, ed insegnare non
come ipotesi, ma come verissima, e come tesi la mobilita della terra, e la
stabilita del sole da chi ha fatta la professione di fede di Pio IV”; “Elementi
di aritmetica, algebra e geometria”; “Studi chimici sulle acque minerali di
Valle Zangona”; “Intorno agli usi ed effetti delle acue minerali”; “Riflessioni
sulla teoria degl’atomi”; “Chimica”; “Analisi delle acque minerali di S. Gemini”;
“Aritmetica e algebra”; “Chimica organica”; “Saggio di filosofia chimica”; “Geometria”;
“Problemi tratti dagli elementi di Aritmetica”; “Algebra e Geometria”; “Nozioni
elementari ragionate del calcolo aritmetico ad uso dei giovanetti”; “Intorno al
primitivo insegnamento della scienza delle quantità”; “Chimica inorganica”; “Metalli
delle terre aride e metalli propriamente detti”; “Elementi di aritmetica
ragionata ad uso dei giovanetti”; “Elementi di aritmetica, algebra e geometria”;
“Analisi delle acque minerali di S. Gemini”; “Lettere filosofiche:
principalmente risguardanti l'elementare insegnamento delle scienze”; “Chimica inorganica”;
“Metalloidi”; “Compendio di nozioni farmaceutiche ad uso degli studenti”; “Esposizione
delle avvertenze teorico-pratiche le più interessanti per ben preparare,
conservare ed apprestare i farmaci”; “Sul fluido bio-tico e le sue influenze
nei moti delle tavole e dei pendoli indovini e nel magnetismo animale e nelle
manifestazioni spiritualiste”; “Nozioni elementari intorno all'algorismo sui
numeri interi estratte dal trattato di aritmetica ragionata”; “Chimica in-organica”;
“Metalli”; “Chimica organica e nozioni le più interessanti di chimica agraria e
filosofia”; “Studi chimici sulle sorgive minerali del distretto di Civita
Ducale presso il Velino nel secondo Abruzzo Ulteriore”; “Sull'acqua
salino-ferruginosa di Giano”; “Chimiche ricerche”; “Elementi di algebra”; “Elementi
di aritmetica”; “Elementi di geometria” “I segreti dell'arte di comunicare le
idee negl’elementi delle scienze esatte ed i difetti che anche attualmente vi
sono coperti dal falso manto della matematica evidenza svelati dalla filosofica
investigazione”;“Esercizi aritmetici” “Idrologia minerale del distretto di
Civita Ducale nel secondo Abruzzo Ulteriore”“Studi chimici sulle sorgive
minerali del distretto di Civita Ducale presso il Velino nel secondo Abruzzo
ulteriore”“Intorno ai meta-fisici”“Idrologia narnese o rapporto degli studi
chimici sulle acque potabili e minerali di Narni fatti per cura dell'inclita
giunta municipale della stessa città”;“Delle acque minerali di San Galgano di
Perugia”; “Memorie istoriche per il conte Gio. Battista Rossi-Scotti. Seguite
dai relativi studi analitici intorno alla nutrizione”; “Frammenti tratti dalla
chimica animale”; “Sulle sorgenti acidule-ferro-manganesiache di Monte Castello
Vibio”; “Studi chimici seguiti da una relazione intorno alle loro virtù
medicamentose”;; “Intorno dei corpi organici naturali inserito nell'Apologenico”;
“Osservazioni”; “Intorno all’azioni cata-litica”; “La forza”; “Intorno agl’esami
liceali”; “Vaganti idee”; “Delucidazioni intorno alla forza”; “Euclide e la
logica naturale. Riflessioni”; “Compendio di nozioni farmaceutiche”; “Raccolta
di cognizioni teorico-pratiche per ben preparare, conservare ed apprestare i
farmaci, le quali sono utili al medico, e indispensabili al farmacista”; “Trattatello
sull'arte di ben scrivere le ricette nell;italiano usando i pesi metrici”; “Intorno
ai saggi idrotimetrici delle acque potabili”; “Esame critico della forza”; “Sulla
necessità di escludere lo studio della geometria dai pubblici ginnasi e l'Euclide
dai licei”; “Intorno alle odierne difese degl’antichi errori nell'insegnamento
delle matematiche”; “Cicaloate polemiche”; “Intorno alla combustione”; “Cosa e
la fisiologia”; “Uno scherzo scientifico”; “Dizionarietto biografico cagliese.
Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sebastiano Purgotti. Purgotti.
Keywords: implicatura metrica, filosofia chimica ad uso dei giovanetti, il
fluido bio-tico nella manifestazione degli spiriti, algorismo. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Purgotti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737760683/in/datetaken/
Grice e Quarta – utopici – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Leverano). Filosofo. Essential
Italian philosopher. Filosofo dell'utopia fu uno dei maggiori studiosi di Moro,
sul quale scrisse “Una re-interpretazione dell'utopia.” Insegna a Salento. Studioso
di Platone sul quale scrisse L'utopia platonica: Il progetto politico di un
grande filosofo. Fonda il Centro di ricerca sull'utopia. Altri saggi: Tommaso
Moro; Una reinterpretazione dell'utopia (Dedalo); Thomas More, ECP L'utopia platonica; Il progetto politico
di un grande filosofo, Dedalo, Globalizzazione,
giustizia, solidarietà, Dedalo, Una nuova
etica per l'ambiente, Dedalo, “ Homo utopicus, La dimensione storico-antropologica
dell'"utopia.” Dedalo, Filosofo
dell'utopia. Grice: “Strictly, utopia is no-where, or erehwon if you must!”
Luigi Speranza, “As in Lennon, “He’s a real nowhere man!” --. Gilbert and Sullivan,
“Utopia, Ltd.” Quarta. Keywords: utopici, Campanella, erewhon. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Quarta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737471576/in/datetaken/
Grice e Quattromani – implicatura – filosofia italiana. Luigi Speranza (Cosenza). Filosofo.
Essential Italian philosopher. Nacque da Bartolo ed
Elisabetta d'Aquino, parente diTelesio. Cresciuto in un ambiente strettamente
collegato alla cultura e alla nobiltà cosentina, viene educato alle idee
religiose valdesiane del suo maestro Fascitelli. Come si desume dal suo
epistolario, si trasfere a Roma. Qui frequenta la Biblioteca Vaticana e ha modo
di intessere relazioni con diversi esponenti del panorama intellettuale e
culturale romano. I suoi primi studi riguardarono il Canzoniere di Petrarca,
con particolare riferimento alle sue fonti. Dopo un breve soggiorno a
Napoli, torna a Cosenza. Da qui scrive a B. Rota, per suggerirgli alcune
correzioni alla seconda edizione accresciuta delle sue Rime. Effettua una serie
di spostamenti tra la sua città natale e Roma. Il periodo è contrassegnato da
alcune sue epistole, a carattere storico-letterario/ Risiede a Napoli. Rientrato
a Cosenza scrive a Cavalcanti, che sarà con lui consulente della Congregazione
dell'Indice, e assume la direzione della
Accademia cosentina, cui Quattromani da nuovo impulso, sia dal punto di vista
squisitamente letterario, sia incentivando l'attenzione per la filosofia.
A Napoli pubblica "La philosophia di Telesio” che dedica a Carafa e le
rime dedicate a Bernaudo. Rimonta, invece, la sua traduzione de Le historie del
Cantalicio, nelle quali il nome è celato dietro lo pseudonimo di «Incognito
Academico Cosentino». Il suo ultimo periodo di vita lo trascorre a
Cosenza, dove muore. Altre saggi: Manoscritti, Vaticano, Sonetto di Ms. della
Casa. Oratione di Marco Catone., Giudizio sopra alcune stanze di Tasso,
Vaticano, Commento a tre sonetti del Casa, lettera ad A. Caro, lettera a F.
Mauro, lettera al S. Principe della Scalea, lettera a Ardoino, lettera a V.
Bombino, Lettera a F. A. d'Amico, Lettera a Fabrizio Marotta, Oratione di Marco
Catone, Lettera a Gio. Maria Bernaudo, Lettera a G.V. Egidio, Lettera a V. Bilotta, Parallelo
tra il Petrarca et il Casa, Della metafora, Parallelo tra il Petrarca et il
Casa Poetica di Orazio, Sentimento della Poet.ca d'Orat. La Poetica d'Orazio, Oratione
di Marco Catone, A T. Tasso Il Monta.no Acc.co Cose. Della metafora, Lettera ad
Horatio Pellegrino, Lettera a Teseo Sambiase Lettera alla Duchessa, Lettera a Teseo
Sambiase, Lettera a Teseo Sambiase, Lettera a T. Sambiase, Lettera a T. Sambiase,
Lettera a G. Sirleto, Cosenza, Biblioteca Civica, ex libris: “Bibliothecae
Marchionis D. Matthaei de Sarno”, Istoria della Città di Cosenza, Biblioteca
privata della Famiglia De Bonis, Lettere
al G. Bernaudo da una raccolta favoritami da F. Bombini, Firenze, Biblioteca
Nazionale Centrale, Fondo Palatino, Luoghi difficili del Bembo Napoli, Biblioteca
Nazionale, manuscripta autographa Summontis et aliorum aetate eius clariorum,
Lettera a S. Reski, Roma, Biblioteca Angelica, rilegato con Gab. Barrii
Francicani De Antiquitate et situ Calabriae, Roma, Apud Iosephum de Angelis); Annotationes
Barrium Stampe “La philosophia di Bernardino Telesio” Ristretta in brevità, et
scritta in lingua toscana dal Montano academico cosentino alla Eccellenza del
Sig. Duca di Nocera Con Licenza de' Superiori. Marchio ed. In Napoli Appresso
Gioseppe Cacchi al ilustre S. G. Bernaudo, in a a le rime del Sig. Gio. Batt. Ardoino
Academico Cosentino in morte della Signora Isabella Quattromani sua moglie con
Licenza de' Superiori Marchio ed. in Napoli Appresso Gioseppe Cacchi. Le
historie de Monsig. Gio. Battista Cantalicio vescovo di Civita di Penna, et
d’altri delle guerre fatte in Italia da Consaluo Ferrando di Aylar, di Cordoua,
detto il gran Capitano tradotte in
lingua Toscana a richiesta di Gio. Maria Bernavdo in Cosenza per L. Castellano.
Le historie de G. Cantalicio, vescovo di Civita di Penna e d’Atri Dele guerre
fatte in Italia da Consalvo Ferrando de Aylar, di Cordova, detto il gran
capitano, tradotte in lingua Toscana a richiesta di Gio. Maria Bernaudo nuouamente
corretta, et ristampata, in Cosenza per Leonardo Angrisano, e L. Castellano, ad
istanza di Enrico Bacco, libraro in Napoli. Le historie di Monsig. G. Cantalicio,
vescovo d’Atri et Civita di Penna, delle guerre fatte in Italia da Consalvo Ferrando
di Aylar, di Cordova, detto il gran Capitano, tradotte in lingua toscana a richiesta di G. Bernaudo, Napoli Apresso Gio
Giacomo Carlino Ad istanza di H. Bacco, alla Libraria dell'Alicorno rime di
mons. Gio. Della Casa. Fregio In Napoli, Appresso Lazaro Scoriggio, lettere
divise in due libre Et la tradottione del Quarto dell'Eneide di Virgilio del
medesimo Auttore all'Illustrissimo & Eccellentissimo Signor Marchese della
valle, &c in Napoli, Per Lazzaro Scoriggio. Il IV libro di Vergilio in
verso Toscano. “Trattato della Metafora”; Parafrasi Toscana della Poetica di
Orazio. Traduzione della medesima Poetica in verso toscano. Alcune annotazioni
sopra di essa, alcune poesie toscane, e latine, Fregio in Napoli, Mosca con
Licenza de' Superiori.Gabrielis Barrii Francicani: De Antiquitate et situ
Calabriae nunc primum ex authographo restitutos ac per capita distributi.
Prolegomena, Additiones, et Notae. Quibus accesserunt animadversions, Roma, S.
Michaelis ad Ripam Sumptibus Hieronymi Mainardi Superiorum permissu. Scritti
vari, editi per la prima volta in Napoli da M. Egizio ed ora riveduti,
riordinati e ripubblicati in più nitida edizione da L. Stocchi, Castrovillari,
Dalla Tipografia del Calabrese, A questo proposito, in un'articolata lettera
inviata, da Roma a Cosenza, illustra a M.
Ferrao le ragioni per cui l'opera del Petrarca merita la sua attenzione, e la
ricerca che stava compiendo sui poeti provenzali, riferendo che di ciò aveva già
parlato con P. Manuzio, edizione veneziana di Giolito de' Ferrari Stessa cosa si verifica per la seconda
edizione, mentre soltanto postumo, nell'edizione napoletana compare quale
traduttore. , “Scienza” e “scienza della letteratura” in S. Quattromani, in
Bernardino Telesio e la cultura napoletana, R. Sirri e M. Torrini, Napoli L.
Borsetto, La “Poetica d'Horatio” tradotta. Contributo alla studio della
ricezione oraziana tra Rinascimento e Barocco, in Orazio e la letteratura
italiana, Roma Eadem, Enciclopedia oraziana, Eadem, “Pulzelle” e “Femine di
mondo”. L'epistolario postumo, Alla lettera. Teorie e pratiche epistolari dai
Greci al Novecento, A. Chemello, Milano Capacius I.C., Illustrium mulierum et
illustrium litteris virorum Elogia, Neapoli, Carlinus & C. Vitale, Chioccarello
B., De illustribus scriptoribus Regni Neapolitani Cornacchioli T., Nobili,
borghesi e intellettuali nella Cosenza del Quattrocento, Cosenza Cozzetto F.,
Aspetti della vita e inventano della biblioteca attraverso un documento
cosentino del Seicento, in «Periferia», Crupi P., Storia della letteratura
calabrese. Autori e Testi, Cosenza De
Franco L., De Franco L., La biblioteca di un letterato del tardo Rinascimento:
S. «Annali dell'Istituto Universitario Orientale», De Frede C., I libri di un
letterato calabrese del Cinquecento (S. Quattromani, Napoli De Frede C., Un
letterato del tardo Cinquecento e i suoi libri (S. Quattromani,-in «Atti
dell'Accademia Pontaniana», Debenedetti S., Gli studi provenzali in Italia nel
Cinquecento, Torino Matteo Egizio, Napoli
(rist. in S. Quattromani, Scritti vari, editi per la prima volta in Napoli da
Matteo Egizio ed ora riveduti, riordinati e ripubblicati in più nitida edizione
da L. Stocchi, Dalla Tipografia del Calabrese, Castrovillari Filice E.E., Cosenza Fratta A., Il “Ristretto” nell'ambito delle traduzioni
scientifico-filosofiche del secondo Cinquecento, in Bernardino Telesio e la
cultura napoletana, R. Sirri e M. Torrini, Napoli Gorni G., Un commento inedito
alle “Rime” del Bembo. Telesio, Della
Casa, Quattromani interprete di Tasso, Gli amori del Quattromani, il disegno
culturale. La critica e le lettere; “Telesio, Bari Zangari D., Di un
manoscritto inedito di S. Quattromani e delle sue relazioni col Tasso; Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sertorio Quattromani. Quattromani. Keywords: implicature,
la philosophia di Bernardino Telesio, Orazio, Poetica, Tratatto della metafora,
Il Quarto di Virgilio, Petrarca. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Quattromani” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738064054
Grice e Quinto – gli scolari – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Pieve di Cadore).
Filosofo. Essential Italian philosopher.
Studia a Conegliano e Milano sotto Pupi -- contrassegnate
dall'adozione di un rigoroso metodo filologico, studia la storia del concetto
di “scolastica”. Saggo: «“Timor” e “timiditas”. Note di lessicografia d’Aquino»,
La lingua del Lazio: Latino patristico e latino scolastico. Dalla comprensione
della lingua del Lazio all'interpretazione del pensiero», Sui quattro sensi
della Scrittura, I quattro sensi della Scrittura, Medioevo, «Il “timor” nella
lingua della scolastica», Archivum Latinitatis Medii Aevil, Per la storia del
trattato tomistico “de passionibus animi”. Il “timor. “Le “scholae” del
medioevo come comunità di sapienti», Scholastica”. Storia di un concetto,
Padova. “Lectio, disputatio, praedicatio”: la triade dell'esercizio scolastico
secondo Aquino, “In principio erat uerbum”. Testi sul timore di Dio dal ms.
PRivista di Storia della Filosofia «“Teologia allegorica” e “teologia scolastica”
in alcuni commenti all'“Historia scholastica” di P. Comestore. in memoria, Riccardo Quinto.
Quinto. Keywords: gli scolari. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Quinto” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737409396/in/dateposted-public/
Grice e Raimondi
– il gatto persiano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli), filosofo. Figlio del cremonese Alessandro. Insegna
a Roma, contribusce alla rinascita dell’idealismo
contro i parepatetici, che dominano la filosofia. Pubblica la Data di Euclide. Le
coniche di Apollonio di Perga. Autore di molti commentari, specialmente su
alcuni libri della Synagoge, nota anche come Collectiones mathematicae, di
Pappo di Alessandria e sui trattati di Archimede. Membro dell'accademia fondata
da Aldobrandini, nipote di Clemente VIII. -- è celebre soprattutto per essere
stato il primo direttore scientifico della Stamperia orientale medicea, o
Typographia Medicea linguarum externarum, fondata a Roma da Ferdinando de'
Medici. L'attività principale svolta dalla stamperia e, con l'appoggio di Gregorio
XIII, la pubblicazione di saggi nelle per favorire la diffusione delle missioni
cattoliche in Oriente. Forma un gruppo di ricerca costituito da Vecchietti, inviato pontificio ad Alessandria d'Egitto e
in Persia, dal fratello Gerolamo, da P. Orsino di Costantinopoli, neo-fita
ebreo convertito, e di Tommaso Terracina. In un periodo in cui Roma intrattene
buone relazioni diplomatiche con la dinastia Safavide, al potere in Persia essi riuscirono a recuperare diversi
manoscritti della Bibbia in lingue orientali. Sono portati a Roma più di una
ventina di testi biblici ebraici e giudeo-persiani, tra cui i libri del
Pentateuco, tra i pochi sopravvissuti ai giorni nostri. La tipografia si trasfere
a Firenze, in conseguenza dell'elezione di Ferdinando a Granduca di Toscana. E avviata
la stampa delle opere. Sono pubblicate dapprima una Grammatica ebraica e una
Grammatica caldea. Seguirono: una edizione arabo dei Vangeli, di cui furono
tirate tremila copie; un compendio del Libro di Ruggero di al-Idrisi; Il canone della medicina di Avicenna. Ill
Granduca gli vende la Stamperia, chi a
sua volta la cedette al figlio di Ferdinando, Cosimo II, salito al trono. La Stamperia
chiuse poiché la realizzazione di volumi nelle lingue orientali non si e rivelata
economicamente conveniente. Uno degli ultimi saggi pubblicati fu una grammatica
araba intitolata “Liber Tasriphi”. Il suo grande progetto, he egli
peraltro non riuscì a realizzare, fu quello di pubblicare una Bibbia poliglotta
comprendente le sei lingue principali del cristianesimo orientale: siriaco,
armeno, copto, ge'ez, arabo e persiano. I manoscritti appartenuti alla stamperia
orientale medicea sono disseminati in diverse istituzioni: la Biblioteca
Medicea Laurenziana di Firenze, la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, la
Biblioteca apostolica vaticana, la Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III
di Napoli, la Biblioteca nazionale Marciana di Venezia. Giovanni Battista Vecchietti,
su iliesi.cnr. L'editoria del Principe,
ovvero la stampa ufficiale delle istituzioni laiche e religiose. Per la
dedicazione al re Ruggero II di Sicilia.
Tipografia Medicea Orientale, su thesaurus.cerl.org. A. Piemontese,
La Grammatica persiana, K. Bibas, La Stamperia medicea orientale, in, Un
Maestro insolito, Firenze, Vallecchi); Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Liber Tasriphi compositio est Senis Alemami: Traditur in eo compendiosa
notitia coniugationum verbi Arabici, Roma, Medicae, Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze, manoscritti persiana. Giovan Battista Raimondi. Giambattista
Raimondi. Raimondi. Raimondi. Keywords: il gatto persiano. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Raimondi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Raio – ermeneutica dell’io e del tu – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo. filosofo. Insegna a
Napoli. Si occupa in particolare dell'ermeneutica. Saggi: “Antinomia e
allegoria”; “Il carattere di chiave”, “Ermeneutica del simbolo” (Napoli, Liguori);
“Il simbolismo tedesco. Kant Cassirer Szondi” (Napoli, Bibliopolis); “Conoscenza,
concetto, cultura” (Firenze, La Nuova Italia); “Metafisica delle forme
simboliche” (Milano, Sansoni); L'io, il tu e l'Es. Saggio sulla
"Metafisica delle forme simboliche" (Macerata, Quodlibet); Rivista
"Studi filosofici". Giulio
Raio. Raio. Keywords: ermeneutica dell’io e del tu, Szondi -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Raio” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735603647/in/datetaken/
Grice e Raulica – l’implicatura del
barone di Raulica -- l’origine dell’idee – il fondamento della certezza –
filosofia italiana – filosofia siciliana – filosofia sicula -- Luigi Speranza (Palermo). Essential Italian
philosopher. Grice: “Italian philosophers can be fun: there’s ventura, and
there’s Bonaventura, who was actually fidanza, i.e. fidence, as in confidence.” Filosofo. Noto per il
suo sostegno alla causa della rivoluzione siciliana. Figlio di Paolo Ventura,
barone di Raulica, avvocato e consigliere della Suprema Corte di Giustizia del
Regno di Sicilia e di Caterina Platinelli, studia a Palermo. Insegna a Roma. Si
distinse come apologeta, scrittore e predicatore, soprattutto grazie alla sua
"Orazione funebre di Pio VII. La sua carriera da filosofo inizia come
esponente della corrente contro-rivoluzionaria. Teatino. Intraprese l'attività
di predicatore. La sua eloquenza, sebbene a volte esagerata e prolissa, e
veemente e diretta ed ottenne grande fama. Con l'elezione di Pio IX al soglio
pontificio, acquisì un ruolo politicamente prominente. Sostenne la legittimità
storica e giuridica della rivoluzione siciliana. Auspica la ri-fondazione del
Regno di Sicilia indipendente all'interno di una con-federazione italiana di stati
sovrani. Ministro pleni-potenziario e rappresentante del governo siciliano a
Roma. La sua posizione a Roma divenne
delicata per via della proclamazione della repubblica romana e dell'esilio di Pio IX. Rifiuta l'offerta di
un seggio all'assemblea costituente, maoltre ad invocare la separazione tra
potere temporale e spirituale riconosce la repubblica romana a nome del governo
rivoluzionario di Palermo. Saggi: “La scuola de' miracoli: ovvero, Omilie sopra
le principali opere della potenza e della grazia di Gesù Cristo, figliuolo di
Dio e Salvatore del mondo”; “Il tesoro nascosto: ovvero, Omilie sopra la
passione del Nostro Signor Gesù Cristo”; La Madre di Dio, madre degli uomini: ovvero,
Spiegazione del mistero della SS. Vergine a piè della croce”; “Le bellezze
della fede ne' misteri dell' Epifania: ovvero, La felicità di credere in Cristo
e di appartenere alla vera chiesa”; “I disegni della divina misericordia sopra
le Americhe: panegirico in onore di Martino de Porres, terziario professo
dell'ordine de' predicatori”; “Il potere
politico”; “Saggio sul potere pubblico, o esposizione della legge naturali
dell'ordine sociale”; “Dello spirito della rivoluzione e dei mezzi di farla
terminare”; “La ragione filosofica”; “La tradizione e i semi-pelagiani della
filosofia: ossia, Il semi-razionalismo svelato”; “Saggio sull'origine delle
idee e sul fondamento della certezza”; “Della falsa filosofia”; “Nuove omelie
sulle donne del Vangelo”; “Corso di filosofia: ossia, Restaurazione della filosofia”; “Sopra una Camera di Pari
nello stato pontificio”; “La questione sicula sciolta nel vero interesse della
Sicilia, Napoli e dell'Italia”; “Memoria pel riconoscimento della Sicilia come
stato sovrano ed indipendente”; “Menzogne diplomatiche, ovvero esame dei
pretesi diritti che s'invocano del gabinetto di Napoli nella questione sicula”;
“Discorso funebre pei morti di Vienna la religione e la libertà”; “Raccolta di
elogi funebri e lettere necrologiche; Il pensiero politico d'ispirazione
cristiana dell'Ottocento. Atti del seminario Erice, E. Guccione, Firenze.
Andreu F. Gioacchino Ventura: Saggio Biografico, "Regnum Dei",
Bergamaschi G., Padre Gioacchino Ventura: fra tradizionalismo e neotomismo,
Milano, Cremona Casoli G., Un illustre siciliano”; "Rassegna Storica del
Risorgimento", Cultrera P., Generale dell'ordine dei Teatini, Palermo); Giurintano
C., Aspetti del pensiero politico nel "De jure publico ecclesiastico";
Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Palermo, Guccione E., Democrazia.
Murri, Sturzo e le critiche di Gobetti, Palermo-Sao-Paulo, Ila-Palma, Guccione
E., Alle radici della democrazia” Palermo); Guccione E., Un omaggio clandestine;
in "Nuova Antologia", Pastori
P., “La rivoluzione napoletana in "Rassegna Siciliana di Storia e
Cultura", S. Romano, La vita e il pensiero politico, Treccani Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Regione Siciliana. Martinucci P., Istituto Storico
dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale. Gioacchino Ventura dei baroni di
Raulica, Gioacchino Ventura Da Raulica. Gioacchino Ventura di Raulica. Raulica.
Keywords: l’origine dell’idee – il fondamento della certezza, la legge naturale
dell’ordine sociale, la sicilia come stato sovrano ed independente. Refs.: The
H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Raulica” – The
Swimming-Pool Library, Villa Spearnza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735573662/in/datetaken/
Grice e Reale – erote demone mediatore – il gioco delle
maschere nel convito – filosofia italiana – Luigi Speranza (Candia Lomellina). Filosofo. Ho la ferma
convinzione che Platone e il più grande filosofo in assoluto comparso sulla
terra, e che il compito di chi lo vuole comprendere e fare comprendere agli
altri, pur avvicinandosi sempre di più alla verità, non può mai avere fine”.
Studia a Casale Monferrato e Milano sotto Olgiati. Insegna a Parma e Milano.
Fonda il Centro di ricerche di Metafisica. La sua tesi di fondo è la
seguente: la filosofia greca ha creato quelle categorie e quel peculiare modo
di pensare che hanno consentito la nascita e lo sviluppo della scienza e della
tecnica dell'Occidente. I suoi interessi spaziano lungo tutto l'arco del
pensiero antico pagano e cristiano, e i suoi contributi di maggior rilievo
hanno toccato via via Aristotele, Platone, Plotino, Socrate e Agostino. Studia ognuno
di questi autori andando, in un certo senso, contro corrente e inaugurandone una
lettura nuova. La ri-lettura che da di Aristotele contesta
l'interpretazione di Jaeger, secondo il quale gli scritti aristotelici
seguirebbero positivisticamente un andamento storico-genetico che partirebbe
dalla teologia, passerebbe per la metafisica, per approdare infine alla
scienza; Reale ha sostenuto invece la fondamentale unità del pensiero
metafisico dello Stagirita. Ne La Filosofia antica, mette in evidenza
come il pensiero di Teofrasto si diffuse per l'aspetto scientifico con
un'ampiezza del tutto paragonabile a quella del maestro Aristotele, rivelando
però uno scarso spessore nella speculazione filosofica. Da Stratone in poi, ciò
provocò un ripiegamento della scuola peripatetica verso l'ambito della fisica e
delle scienze empiriche. Per quel che riguarda Platone, importando in
Italia gli studi della scuola platonica di Tubinga, ha messo in crisi
l'interpretazione romantica di Platone stesso, che risale a Schleiermacher, e
ha voluto rivalutare il senso e la portata delle dottrine non scritt, vale a
dire gli insegnamenti che Platone ha tenuto solo oralmente all'interno
dell'Accademia e che conosciamo dalle testimonianze dei discepoli. In questo
senso, Platone risulterebbe essere il testimone e l'interprete più geniale di
quel peculiare momento della civiltà che passa dalla cultura dell'oralità a
quella della scrittura. Negli studi su Plotino, contesta la tesi di fondo
di Zeller che vede nel grande neoplatonico il principale teorico del panteismo
e dell'immanentismo. Al contrario rilegge Plotino come il campione della
trascendenza metafisica dell'Uno. L'interpretazione che ha dato di
Socrate, analogamente, si propone di risolvere le aporie della cosiddetta
questione socratica, entrata in un vicolo cieco dopo gli studi di O. Gigon,
secondo cui di Socrate non possiamo sapere nulla con certezza. Inaugura,
invece, un nuovo modo di interpretare Socrate, non solo cercando di risolvere
dall'interno le testimonianze contraddittorie degli allievi, ma soprattutto
guardando al contesto della filosofia italica prima di Socrate e dopo Socrate:
in questo modo, balzerebbe agli occhi la scoperta socratica del concetto di
animo o anima come essenza e nucleo pensante dell'uomo. Socrate dice che
il compito dell'uomo è la cura dell'anima: la psicoterapia, potremmo dire. Che
poi oggi l'animo e interpretata in un altro senso, questo è relativamente
importante. Socrate per esempio non si pronuncial sull'immortalità dell'anima,
perché non ha ancora gli elementi per farlo, elementi che solo con Platone
emergeranno. Ma, nonostante ancora oggi si pensa che l'essenza dell'uomo sia l’animo.
Molti, sbagliando, ritengono che l’animo e una creazione semitica: è
sbagliatissimo. Per certi aspetti il concetto di animo e di immortalità
dell'animo è contrario alla dottrina semitica che parla invece di risurrezione
dei corpi degl’uomini. Che poi i primi pensatori della patristica utilizzano
categorie della filosofia antica, e che quindi il suo apparato concettuale sia
in parte basato sulla filosofia antica non deve far dimenticare che il concetto
dell’animo è una concezione aria. L'Occidente viene da qui. Infine, per quanto
riguarda all’africano Agostino, tende a
ricollocarlo nel contesto neoplatonico
dell’antichità e quindi nel momento dell'impatto del dell’ebraismo con filosofia
aria italica cercando di scrostarlo di tutte le successive interpretazioni
dell'agostinismo medioevale. Ritiene, poi, che la cifra spirituale che
caratterizza la filosofia d’Occidente sia costituita dalla filosofia italica. È
stato infatti il logos a caratterizzare le due componenti essenziali della
filosofia d’Occidentre e precisamente a fornire gli strumenti concettuali per
elaborare l’ebraismo, dando luogo, così, a quella peculiare mentalità da cui
sono scaturite la scienza e la tecnica. Ma se la cultura d’non si capisce senza
la filosofia aria degl’italici, questa a sua volta non si capisce senza la
metafisica come studio dei veliani dell’unità dell'essere. Il lavoro che
svolge, studiando i filosofi italici, vuole anche servire a un confronto fra la
metafisica antica e quella moderna. La preferenza che accorda a Platone dipende
dal fatto che il filosofo ateniese è, con la seconda navigazione di cui parla
nel Fedone, il creatore di questa problematica. Si fa così portavoce di un
meditato ritorno alle radici della nostra cultura attraverso la riproposta dei
classici filosofi italici. E in sintonia con la Scuola di Tubingarinnova
l'interpretazione, mettendo in luce la primaria importanza delle dottrine non
scritte di cui riferiscono gli allievi di Platone stesso (Aristotele in
primis). In “Per una interpretazione di Platone” fa affiorare l'immagine
di un Platone diverso, un Platone orale e in certo senso dogmatico. Del resto,
non è forse Platone stesso (ad esempio, nella Lettera VII) a garantirci che la
sua filosofia dev'essere ricercata altrove rispetto agli scritti? Lo stesso
corpus degli scritti platonici, giuntoci nella sua interezza (circostanza,
questa, unica nella storiografia della filosofia antica), non presenta, invero,
quell'unità sistematica che ci si dovrebbe attendere, il che, ancora una volta,
depone a favore della tesi secondo cui Platone cerca altrove, e precisamente
nelle dottrine non scritte. Studia anche la metafisica di Aristotele,
smaschererebbe la tesi fatta valere da Jaeger, secondo cui l'opera non presenta
un'unitarietà ma sarebbe piuttosto una sorta di zibaldone filosofico -- e, in
particolare, il libro XII risalir ebbein forza del suo spiccato interesse
teologico alla giovinezza dello Stagirita. Lungi dal risolversi in un coacervo
di scritti risalenti a differenti epoche e contesti, la Metafisica di
Aristotele rileva Reale è profondamente unitaria. Al centro c'è la definizione
della metafisica come scienza della causa e del principio, dell'essere in
quanto tale, della sostanza, dei dei e della verità. In “La saggezza antica”
sostiene che tutti i mali di cui soffre l'uomo d'oggi hanno proprio nel
nichilismo la loro radice e che «un'energicquesti mali implicherebbe il loro
sradicamento, ossia la vittoria sul nichilismo, mediante il recupero di un
ideale e di un valore supremo, e il superamento dell'ateismo. Ma quello che
egli propone non è affatto un ritorno a-critico a certe idee della antica
filosofia italica, ma l'assimilazione e la fruizione di alcuni messaggi della
saggezza antica, che, se ben recepiti e meditati, possono, se non guarire,
almeno lenire i mali degl’uomini, corrodendo le radici da cui derivano. In una
siffatta prospettiva, può acquistare un valore eminentemente filosofico anche la
filosofia in lingua Latina in Seneca, a suo parere ingiustamente trascurato da
una lunga tradizione che non gli avrebbe riconosciuto alcuna cittadinanza
filosofica, per il mero fatto di avere nato in una lontana provincial romana.
In “La terapia dell'anima” (Bompiani, Milano) riprende, ancora una volta,
l'idea che la filosofia degli antichi in questo caso, quella di Seneca puo
costituire un 'farmaco' per l'animo dilaniato degl’uomini. Oltre al campo
specifico della filosofia anticasi occupa a vario titolo anche della storia
della filosofia generale: per esempio, nella stesura del noto Manuale di
filosofia per i licei edito dalla Scuola oltre alla direzione delle collane
filosofiche Classici della filosofia, Testi a fronte della Bompiani e I
Filosofi per Laterza. Oltre a questo, i suoi principali scritti sono: “
Il concetto di filosofia prima e l'unità della Metafisica di Aristotele” (Vita
e Pensiero, Milano); “Aristotele” (Laterza, Bari); Storia della filosofia
antica, Vita e Pensiero, Milano); “Il
pensiero occidentale dalle origini (Scuola, Brescia); Per una nuova
interpretazione di Platone” (CUSL, Milano); “Proclo” Laterza, Bari); “Filosofia
antica, Jaca, Milano); “Saggezza antica, Cortina, Milano); “Eros demone
mediatore. Il gioco delle maschere nel "Simposio" di Platone” (Rizzoli,
Milano); “Platone. Alla ricerca della sapienza segreta” (Rizzoli, Milano, Bompiani,
Milano, La nave di Teseo, Milano); “La Metafisica di Aristotele” (Laterza, Bari);
Raffaello: La "Disputa", Rusconi, Milano); “Corpo, anima e salute. Il
concetto di uomo" (Collana Scienza e Idee, Cortina, Milano); “Socrate.
Alla scoperta della sapienza umana” (Rizzoli, Milano); “Il pensiero antico,
Vita e Pensiero, Milano); ““Radici culturali e spirituali dell'Europa” (Cortina,
Milano); “Storia della filosofia romana” (Bompiani, Milano, Collana Il pensiero
occidentale, Bompiani); “Valori dimenticati dell'Occidente” (Bompiani, Milano);
“ L'arte di Riccardo Muti e la Musa platonica” (Bompiani, Milano); “Agostino” (Bompiani,
Milano); “Wojtyla un pellegrino dell'assoluto” (Bompiani, Milano); “Auto-testimonianze
e rimandi dei Dialoghi di Platone alle dottrine non scritte" (Bompiani,
Milano); “Storia del pensiero filosofico” (Scuola, Brescia); “Salvare la scuola
nell'era digitale” (Brescia, Scuola); “Responsabilità della vita. Un confronto
fra un credente e un non credente” (Milano, Bompiani); “Mi sono innamorato
della filosofia” (Milano, Bompiani); “Romanino e la «Sistina dei poveri» a
Pisogne” (Milano, Bompiani); “Cento anni di filosofia. Da Nietzsche ai nostri
giorni” (Scuola, Brescia); Introduzione, traduzione e commentario della
Metafisica di Aristotele, su archive.org, Bompiani, Traduzioni e commenti Reale
ha tradotto in italiano e commentato molte opere di Platone, di Aristotele e di
Plotino (la sua nuova edizione delle Enneadi è stata pubblicata nella collana "I Meridiani" della Mondadori.
Pubblica per Bompiani il poderoso volume I presocratici, da lui presentato come
la prima traduzione integrale. Nonostante in Italia ne fosse già uscita una
traduzione da Giannantoni edita da Laterza. Sostene la presenza di lacune e
manomissioni nel Giannantoni, lacune e manomissioni che sarebbero dovute, a
parere di Reale, all'ossequio all'ideologia e all'egemonia culturale marxista, secondo
cui in quel periodo gl’intellettuali di area comunista dominano la scena in
campo editoriale. Canfora, in risposta alle accuse di Reale, sostene la natura
pubblicitaria e l'inconsistenza del ragionamento. Si sostene che, se influenza
c'è stata nel Giannantoni, essa è stata di matrice idealistica, hegeliana e
crociana. Qualsiasi omissione è da evitare, specie se non è segnalata nel testo.
Con riguardo alla presunta irrilevanza di taluni tagli operati da Giannantoni
sottolinea come i capretti a volte segnano la storia della filosofia più di
alcuni filosofi e togliere questi animali dai frammenti, così come far sparire
dei cavolfiori, si tasformarsi in una censura. Di Seneca, cura le opere in
"Seneca. Tutti gli scritti". Interprete di Platone, La Stampa, Ripensando
Platone e il Platonismo” (Milano, Vita e Pensiero). Dimostra la profonda unità
concettuale di questi saggi di filosofia prima, mettendo in luce come Jaeger e
condizionato dal positivismo e dalla teoria dell'evoluzione della cultura
secondo le tre tappe di teologia-metafisica-scienza. Il concetto di filosofia
prima e l'unità della "Metafisica" di Aristotele” (Milano, Bompiani);
Storia della filosofia antica. La fondazione della botanica e il suo guadagno
essenziale. Verso una nuova immagine di Platone, Milano, Vita e Pensiero, Cfr.,
in particolare, Il paradigma romantico nell'interpretazione di Platone, di H. Krämer,
Napoli, La filosofia antica, Milano, Jaca. Ha ragione, bisogna imparare ad
accettare la morte, Corriere della Sera.
Il concetto di filosofia prima e l'unità della metafisica di Aristotele,
Milano, Vita e Pensiero ,La filosofia di Seneca come terapia dei mali
dell'anima, Milano, Bompiani, In memoriam. Pur riconoscendo a Giannantoni una
statura di studioso di prim'ordine, sostiene che molti marxisti non presentano
talune cose nella loro effettiva realtà. Pur non potendosi parlare di
complotto, nel testo di Laterza curato da Giannantoni mancano in un'edizione
chiamata l'unica integrale italiana decine e decine di passi che elenco in 4
pagine all'inizio della mia traduzione dei veliani e crotonensi. Ci sono
inoltre indebite aggiunte assenti nell'originale. Una raccolta di tal fatta,
nata assemblando anche vecchie versioni e tagliando pure molte note di queste
ultime, ha l'effetto di svuotare le idee forti di codesti filosofi. Svuotare,
ironizzare, occupare uno spazio e toglierlo ad altri, evitare un vero confronto.
Ecco la vecchia tattica che rimane ancora molto viva. Naturalmente, sul piano
pubblicitario, si comprende la auto-esaltazione. La mia traduzione è più
completa della tua, come il mio bucato è più bianco del tuo. Ma anche la
pubblicità bisogna saperla fare. Ci sono lauree brevi da poco istituite in
proposito. Particolarmente inconsistente appare il ragionamento. Eccolo nella
sintesi fornita dal suo intervistator. Giannantoni e molto bravo, e questo lo
sapevamo anche senza il supporto di Reale, Laterza è innocente del sopra
menzionato reato ideologico. La colpa è della penetrazione comunista. Sembra
quasi di sognare. Ma questa è la caricatura dell'antica cantilena sui comunisti
padroni dell'editoria italiana. Per confutare questa sciocchezza Bobbio si
limita a trascrivere i titoli del catalogo Einaudi. E infatti come negare
l'affiliazione bolscevica di Bobbio? Che pena. Si fa riferimento
all'osservazione secondo la quale le omissioni di Giannantoni riguardano
aspetti poco rilevanti per un marxista come il frammento 23 di Orfeo -- un mal-ridotto
frustulo papiraceo in cui si fa cenno ad un rituale misterico. Queste, e
consimili, sono le omissioni rimproverate dal neo-presocratico Reale. Sembrra
del tutto irrilevante sapere se Kant, quando scrive la Critica della ragion
pratica, mangia capretto o una particolare minestra. Alla storia della
filosofia questo poco interessi. Ma sapere se un *orfico* mangia capretto e significativo
dal punto di vista filosofico. Se l’orfico s’astene, allora e vegetariano e,
come tale, non ha condiviso la ritualistica italica in cui si consumeno le
carni offerte ai dei e si lasciano ai dei gl’aromi per segnare la distanza tra gl’uomini
e i dei. In sostanza, l’orfico crede, evitando il capretto, in una filosofia in
cui gl’uomini e i dei sono legati. Non è un capretto né una vacca quello che
manca in Giannantoni. Mancano in un'edizione chiamata l'unica integrale decine
e decine di passi che elenco in 4 pagine all'inizio della mia traduzione dei
Presocratici. Ci sono inoltre indebite aggiunte assenti nell'originale. Una
raccolta di tal fatta, nata assemblando anche vecchie versioni e tagliando pure
molte note di queste ultime, ha l'effetto di svuotare le idee forti di codesti
autori. Svuotare, ironizzare, occupare uno spazio e toglierlo ad altri, evitare
un vero confronto. Ecco la vecchia tattica che rimane ancora molto viva. Laudatio.
Roberto Radice, Claudio Tiengo, Seconda navigazione. Omaggio, Vita e Pensiero,
Milano); G. Grampa, "Ritornare a Crotone: intervista a sulla sua «Storia
della filosofia antica»", Vita e Pensiero. RDizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Il mio Platone bocciato. Il cattolico
amico di Platone. Critico il Platone di Reale il marxismo non c'entra. La
dittatura culturale del marxismo, in Corriere della Sera, Treccani Storia della
filosofia antica. Dalle origini a Socrate. Ospitato su gianfrancobertagni.
Giovanni Reale, Storia della filosofia antica. Platone e Aristotele. Storia della
filosofia antica. I sistemi dell'Età ellenistica. Giovanni Reale. Reale.
Keywords: Crotone, Velia, Crotonensi, la scuola di Crotone, la scuola di Velia,
I veliani, Parmenide, Girgentu – filosofia siciliana – magna Grecia non e
Sicilia --. I confine della magna Grecia – filosofia italica, filosofia
italiana – la filosofia nella peninsula italiana in eta anticha – filosofia
Latina, filosofia romana. Catalogo di Nome di Filosofi Italici, il poema di
Parmenide, il poema di Girgentu, il poema di Velia, la porta rossa di Velia,
Zenone di Velia, Filolao di Taranto, Gorgia di Lentini, Archita di Taranto,
studi degl’antichi italici da I romani, Etruria e Magna Grecia, le radice
etrusche della filosofia romana, fisiologia, teoria dela natura, uomo, la
moralia, la colloquenza o dialettica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Reale” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690133489/in/photolist-2mKFrQ6-2mPsfT9-2mPxhsE-2mPhuNk-2mPsh7f-2mKLGeD-2mPpVqK-2mPE3Bq-2mPpskp-2mKxnN1-2mKAuZM-2mKbpiZ-2mKjsJY-2mPHbXQ-2mJf6ru-2mJjdUS-2mJf6sS-2mJf6qx-2mJjdWF-2mJkrgk-2mJf6td-2mJf6qs-2mJkrer-2mJoFqJ-2mJnD8P-2mJkrhc-2mJjdXH-2mJkrfo-2mJoFtu-2mJoFsC-2mJoFsh-2mJkrgq-2mJoFur-2mJjdWR-2mJf6sm-2mJf6qN-2mJf6qH-2mJjdWq-2mJnD9a-2mJoFuG-2mJoFt9-2mJjdXs-2mJf6rp-2mJoFs7-2mJnD6V-2mJoFqP-2mJf6sM-2mJkrhh-2mJf6qT-2mGT6p1
Grice e Reghini
– implicatura – il numero sacro crotonense – e il simbolismo duodecimale del
fascio littorio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice:
“It’s difficult to call Reghini a philosopher; yes, he was interested in
Pythagoras – but to what extent can, in spite of Russell, number GROUND a whole
philosophy?” Studia a Pisa. Insegna a Roma. Promotore
del Crotoensismo, e affiliato a vari gruppi dell'esoterismo italiano. Entra nella
Società Teosofica e ne fonda la sezione romana. Più tardi, fonda a Palermo la
Biblioteca Teosofica-Filosofica. E iniziato al Rito di Memphis di Palermo, rito
massonico di supposta origine egizia ed entra a Firenze nella loggia Lucifero,
dipendente dal Grande Oriente d'Italia. Ha una breve adesione al martinismo
papusiano, che in Italia e diretto da Sacchi, verso le carenze della cui
maestranza e pubblicistica apporta una demolizione magistrale. E chiamato d’Armentano,
che lo avvia allo studio della scuola di Crotone. Entra nel Supremo Consiglio
Universale del Rito filosofico italiano, dal quale però si dimise, non ha
infatti un'alta opinione dello stato della massoneria in Italia. Insignito del
33° e massimo grado del Rito Scozzese Antico e Accettato, entra a far parte
come membro effettivo del Supremo Consiglio d'Italia, di cui e Gran cancelliere
e Segretario generale. Gli anni della Grande Guerra vedeno discepoli e
maestri della Schola Italica Pitagorica partire volontari per il fronte. Non
rimase inerte innanzi al sorgere dell’istanze interventiste. Partecipa
attivamente alla manifestazione romana del maggio, culminata in Campidoglio,
tesa ad ottenere la dichiarazione di guerra. Accolto nell'Accademia Militare di
Torino come allievo ufficiale del Genio parte volontario per il fronte,
ottenendo sul campo il grado di capitano del Genio. Lui ed il suo maestro
Armentano creano a Roma l'Associazione Pitagorica, che riprende le fila di
precedenti esperienze e si richiama operativamente al sodalizio pitagorico. Fonda
e anima varie riviste, con interventi sagaci e ricchi di dottrina; scrisse sul
papiniano “Leonardo”, dando vita ad “Atanór, Ignis, e UR, con Colazza, Evola come direttore, Parise, ed Onofri. Contrasti
d'idee e caratteriali prevalser nel rapporto di collaborazione fra lui ed Evola,
provoca la scelta evoliana di allontanamento di questi, assieme a Parise, dalla
rivista “UR” (rivista sórta a esprimere al pubblico della cultura italiana
l'intento dell'occulto Gruppo di Ur; dove il Maestro fiorentino pubblica con
l'eteronimo di Pietro Negri. E se ne ebbero anche strascichi giudiziari. Infatti
Evola tenta di farlo incriminare per affiliazione massonica (affiliazione che
costituiva reato dopo l'imposizione di scioglimento dell’associazioni segrete decretata
dal regime fascista. Ma il potere giudiziario opta infine per un accordo tra i
due onde evitare uno scandalo. Per via del condizionamento repressivo fascista
vòlto all'emarginazione di tanti esponenti dell'esoterismo italiano (Armentano
parte per il Brasile), ormai isolato si ritira dalle attività pubbliche e a
Budrio si dedica all'insegnamento nel Circolo Quirico Filopanti”, alla
meditazionein chiave pitagorica delle scienze matematiche. Ottenne
tuttavia riconoscimenti dei Lincei e
dall'Accademia d'Italia, per la sua opera sulla restituzione della geometria
pitagorica. Il Crepuscolo dei Filosofi regalato dal suo autore, Papini
all’amico Arturo al suo ingresso nella loggia fiorentina ‘Lucifero.” Nel
frontespizio una dedica ad inchiostro, scolorito dal tempo, Al fratello Reghini
il suo G Papini, in Reghini, pitagorico, su ilmanifesto Rito filosofico italiano, Del Massa, “Pagine
esoteriche” (Finestra, Trento). In questa qualità firma il decreto del suo
scioglimento (riprodotto in: L. Sessa, I sovrani grandi commendatori e storia
del supremo consiglio d'Italia del Rito scozzese antico ed accettato, Palazzo
Giustiniani (Bastogi, Foggia), in seguito all'approvazione alla Camera dei
deputati del progetto di legge sulla disciplina delle associazioni, presentato
da Mussolini, mirante allo scioglimento della massoneria. Iacovella, "Il barone
e il pitagorico”, Vie della Tradizione, Cfr. la recensione fatta ne da Guénon.
Altri saggi: ““Parola sacra e parola di passo dei gradi”; “Il mistero massonico”
(Atanor, Roma); “Geometria pitagorica” (Basilisco, Genova); “Il numero sacro nella
tradizione pitagorica”; “Il numero sacro e la geometria pitagorica”; Il fascio littorio, ovvero il simbolismo
duodecimale”; “Il fascio etrusco” (Basilisco, Genova); “Il numero sacro nella
tradizione crotonese” (Ignis, Roma); “Del Numero”; PrologoAssociazione
culturale Ignis, Del Numero; Dell'equazione indeterminata di secondo grado con
due incognite” (Archè/pizeta); “Della soluzione dell'equazione di tipo Pell
x2-Dy2=B e del loro numero” (Archè/pizeta);“Il numero triangolare, il numero quadrato,
il numero piramidale a base triangolare,
il numero piramidale a base quadrata” (Archè/pizeta); “Dizionario Filologico” (Associazione
culturale Ignis"), Cagliostro, ("Associazione culturale Ignis"),
“Considerazioni sul rituale dell'apprendista libero muratore” (Phoenix,
Genova); “Paganesimo, Scuola di Crotone, Massoneria” (Mantinea, Furnari,
Messina); “Per la restituzione della massoneria crotonense italica (Raffaelli,
Rimini); “La tradizione crotonense massonica” (Melita, Genova); “Trascendenza di spazio e tempo”, Mondo
Occulto (Napoli, ASEQ). Cura “De occulta philosophia” di C. Agrippa (Fidi, Milano);
I Dioscuri, Genova; La Sapienza pagana e
pitagorica (La Cittadella. I Libri del Graal. Geminello Alvi, Reghini, il
massone pitagorico che ama la guerra, Corriere della Sera, R. Paradisi, Il pitagorico
che sogna l’impero, L’Indipendente, N. Luca, "Un intellettuale neo-pitagorico
tra massoneria e fascismo" (Atanòr, Roma); Parise, "Nota sulla vita
di A. Reghini", in calce a “Considerazioni sul rituale dell'apprendista
libero muratore” (Phoenix, Genova); R. Sestito, “Il figlio del sole” (Ancona,
Associazione Culturale Ignis); Via romana agli Dei Amedeo Rocco Armentano, Evola Parise, Schiavone, a metà strada tra fascismo e massoneria, su archiviostorico.info.
Centro De GiorgiScuola Normale Superiore di Pisa, Breve biografia su
mathematica. Boni, Omaggio su rito simbolico; Un pitagorico dei nostri tempi; N.
Bizzi, La Tradizione occidentale. Grandi massoni. Illustre matematico e anti-fascista
-- grande oriente. Pitagorico, su ilmanifesto. Arturo Reghini. Reghini.
Keywords: implicature, il fascio etrusco, scuola di Crotone, il fascio
littorio, simbolismo duodecimale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Reghini” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51675866520/in/photolist-2mMRo9E-2mJphgK-2mJgHMU-2mJkQY8-2mJqjKS-2mJphgV-2mJgHMP-2mJn4Bp-2mJn4Bj
Grice e Regina – uomini complementari – potenza e
valore – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sabbioneta). Filosofo. Grice: “When Urmson said that for Prichard,
duty cashed out in interest, he was right! But we must wait for Regina to
emphasise Kierkegaard’s punning on interest – which literally means, ‘being in
between’! The interesting (sic) thing is that Kierkegaard exploits the old
Roman aequi-vocation between the alethic (being in between) and the practical
(Prichard, ‘duty as interest’). Studia a Milano sotto Severino, laureandosi con
una tesi su Lavelle e Heidegger. Insegna
a Macerata, Verona, e Cagliari. Progetto «Tempus», relativo all'organizzazione
presso l'Sarajevo e Mostar di un master sulla tolleranza religiosa.. “Ripresa,
pentimento, perdono», Verona); L'essere umano come rapporto. L'antropologia filosofica
e teologica di Kierkegaard”; Forum, Conferenza Episcopale Italiana, Progetto
culturale della Chiesa. Insegna a Verona. Si basa su Kierkegaard, Nietzsche e
Heidegger (“the greatest living philosopher” – Grice). In Heidegger evidenzia
l'importanza del ruolo sapienziale assegnato alla finitezza dell'uomo. In Kierkegaard vede invece da cui partire per
costruire una ontologia e una antropologia basate su una concezione
dell'essere: l'esse come inter-esse. L'essere come inter-esse -- nella doppia
valenza ontologica ed etica) pone il pensante in rapporto con un'ulteriorità
che, nel trascenderlo, ne accentua e personalizza il differire. La metafisica fondata
sull’inter-esse cessa di essere onto-teologia, ossia nient'altro che proiezione
idolatrica della logica umana. Sarajevo;
“Dal nichilismo alla dignità dell'uomo” (Vita e Pensiero, Milano); “Esistenza e
sacro” (Morcelliana, Brescia); “L'arte dell'esistere” (Morcelliana, Brescia, L.
Romera, “Acta Philosophica”, recensione a U. Noi eredi dei cristiani e dei Greci
(Poligrafo, Padova). Il termine è stato acquisito da Heidegger; “Gesù e la filosofia” (Morcelliana,
Brescia); “L'uomo complementare. Potenza e valore” (Morcelliana, Brescia);
“Servire l'essere” (Morcelliana, Brescia); “La differenza viva: per una nuova
concettualità” (Sentiero, Verona); “Noi eredi dei Greci” (Il Poligrafo,
Padova); “La soglia della fede: la domanda su Dio” (Studium, Roma); “L'arte
dell'esistere” (Morcelliana, Brescia). Umberto Regina. Regina. Keywords: uomini
complementari – potenza e valore, essere ed interesse, esse ed interesse,
Prichard, duty and interest, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Regina” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735483692/in/datetaken/
Grice e Renier – implicatura – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Treviso). Filosofo.
Essential Italian philosopher. Da antica famiglia patrizia veneziana figlio di
Luigi e Fanny Venturi. Studia in Camerino, Urbino, ed Ancona, sempre seguendo gli
spostamenti del padre, magistrato. Studia a Bologna, sotto Carducci, Torino, e Firenze,
sotto Bartoli. Insegna a Torino. Fonda il Giornale storico della litteratura e
la filosofia italiana, «profondendovi, negli studi particolari, nelle rassegne,
negli annunci analitici e in un ricchissimo notiziario, un vero inesauribile
tesoro di cultura, di notizie, di rilievi. Cura importanti edizioni critiche e
monografie. I suoi saggi critici spaziano attraverso tutta la letteratura e la
filosofia italiana. Atre opere: “Il tipo estetico della donna nel Medio Evo” (Ancona,
Morelli); Isabella d'Este Gonzaga” (Roma, Vercellini); “Mantova e Urbino” (Torino,
Roux); La cultura e le relazioni letterarie d'Isabella d'Este Gonzaga (Torino,
Loescher); “Svaghi critici” (Bari, Laterza); A. Luzio, Rodolfo Renier, La
coltura e le relazioni letterarie di Isabella d'Este Gonzaga, Sylvestre
Bonnard). L. Vendittis, Letteratura italiana. I critici, Milano, Marzorati, U. Renda, P. Operti,
Dizionario storico della letteratura italiana (Torino, Paravia); Letteratura
italiana. Gli Autori, Torino, Einaudi. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Rodolfo Renier. Renier. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Renier” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736526318
Grice e Rensi – implicatura – filosofia italiana. Luigi
Speranza (Villafranca di Verona).
Filosofo. Grice: “Only in Italy a philosopher gets his obituary when he is
alive!” Studia a Verona, Padova, e Roma. Insegna a
Genova. Iscrittosi al Partito Socialista Italiano, si reca a Milano per assumere la direzione del giornale
La lotta di classe, collaborando assiduamente anche alla turatiana Critica
Sociale e alla Rivista popolare. A seguito delle misure repressive adottate dal
governo e per sfuggire alla condanna del Tribunale Militare per aver preso
parte ai moti operai milanesi, stroncati dall'esercito con la strage del
generale sabaudo Fiorenzo a Beccaris, e costretto a cercare rifugio in
Svizzera. Frutto dell'esperienza ticinese e la pubblicazione de “Gl’Anciens
Régimes e la democrazia diretta” (Colombi, Roma) in cui difende il principio
della democrazia diretta del sistema istituzionale federalista. Collabora con
numerosi articoli ai fogli radicali Il Dovere di Bellinzona, la Gazzetta
Ticinese e L'Azione di Lugano, nonché alla rivista socialista e pacifista
Coenobium. Rientra in Italia per stabilirsi a Verona dedicandosi alla
filosofia. A seguito della campagna libica, vi fu la rottura col partito
socialista, poiché si era schierato con
l'interventismo di L. Bissolati. Pubblica “Il fondamento filosofico del diritto”
(Petremolese, Piacenza). Altri due volume, “Formalismo e a-moralismo giuridico”
(Cabianca, Verona) e “La trascendenza: studio sul problema morale” (Bocca,
Torino), ove sviluppa un idealismo trascendente. Insegna a Bologna, Ferrara,
Firenze, Messina. L'esperienza della grande guerra manda in crisi la sue
convinzione idealistica, conducendolo verso lo scetticismo, la cui prima
formulazione sono i “Lineamenti di filosofia scettica” (Zanichelli, Bologna). Sostene
che la guerra distrue la fede ottimistica nell'universalità della ragione,
sostituendola con lo spettacolo tragico della sua pluri-versalità, vale a dire
dell'irriducibile conflittualità dei diversi punti di vista. Espose nella “Filosofia
dell'autorità” (Sandron, Palermo) la traduzione politica di questa concezione.
Poiché tutti i punti di vista politici sono sullo stesso piano, quello che anda
al potere lo fa con un atto di forza, tacitando tutti gli altri punti di
vista. In questo saggio si è scorta una prima giustificazione
dell'autoritarismo fascista. Tuttavia, dopo una prima simpatia per il
fascismo, ne divenne un fiero avversario quando Mussolini con metodi anti-democratici
comincia a perseguire il disegno dittatoriale. Sottoscrisse il Manifesto degli
intellettuali anti-fascisti di Croce, pagando questa scelta con la sospensione,
dalla cattedra di filosofia a'Genova. Arrestato
e rinchiuso in carcere. Solo un abile stratagemma escogitato dall'amico e
collega Sella, che pubblica sul Corriere della Sera il necrologio del filosofo,
diffondendo così la falsa notizia della sua morte, indusse il duce a rimetterlo
prontamente in libertà. Il dittatore teme l'ondata di sdegno sollevatasi per i
metodi oppressivi del regime. Per la sua coerenza agli ideali di libertà, sube
il definitivo allontanamento dalla cattedra e, fino alla sua scomparsa,
comandato, da vigilato speciale, presso il centro bibliografico dell'ateneo
genovese, per la compilazione della biografia ligure. Nonostante il doloroso
distacco dalla scuola dove aveva insegnato per diciassette anni, continua la
sua attività filosofica e collaborando al quotidiano socialista genovese Il
Lavoro, l'unico foglio che accoglie testi di personalità che non hanno fatto
atto di sottomissione al fascismo. Ricoverato al Ospedale Galliera mentre
infuria il bombardamento della flotta
inglese sulla città, per essere operato d'urgenza. Tuttavia l'azione militare
danneggia alcune sale dell'edificio e i medici doveno rinviare l'intervento,
una fatalità che non lascia scampo a Rensi. Ai funerali pochi amici ed ex allievi
poterono seguire per breve tratto il carro funebre. La polizia, che vieta
quest'ultimo devoto omaggio, disperse il funerale, schedando alcuni discepoli.
Rensi, anche morto, tura il potere. Sulla tomba nel Cimitero monumentale di
Staglieno un'epigrafe riassume uno stile di vita ed esprime il suo dissenso, la
sua resistenza e indipendenza intellettuale. Etsi omnes, non ego. Anche se
tutti, non io. La sua filosofia si è sviluppata dopo l'approdo allo scetticismo in direzione
del realismo e del materialismo critico. Un realismo materialistico quindi, che
considera derivato, con una certa libertà interpretative, dal criticismo. Arrriva
ad ipotizzare che Kant puo pensare alla "cosa in sé" come a una più
nascosta essenza materiale delle cose stesse. La sua filosofia non e
esente da paradossi concettuali e da mutamenti continui che lo hanno portato a
cadere in alcune contraddizioni e incoerenze. Ma va anche considerato che al di
sopra di esse a dominare è comunque un forte pessimismo, che non è solo esistenziale,
ma anche gnoseologico. Sia il mondo, sia la mente umana sono
irrazionali. Ma supponiamo che un tale fatto esteriore ai nostri orologi,
destinato al controllo di questi, non esistesse, e che i nostri orologi
continuassero a discordare. Come potremmo allora, in mancanza di quel fatto
esteriore obbiettivo e nel discordare dei singoli nostri orologi, conoscere
l’ora che è? Ora questo è appunto il caso delle nostre ragioni. Non c’è
l’oggetto esterno ad esse, l’esterno modulo-ragione, su cui controllarle e che
le giudichi, ed esse discordano tra di loro. Come conoscere l’ora che è della
ragione? Per esempio egli ha sostenuto che siccome la filosofia ha una storia
che si snoda nel tempo, ciò significa che un pensiero vero e unico non può
esistere e che perciò nel suo procedere ed evolvere essa nega continuamente sé
stessa. Contro l'idealismo di Gentile allora imperante, che considerala storia
una realizzazione progressiva dello spirito e della ragione, ha una visione
negativa della storia, come assurdo, caso e vana ripetizione. C'è storia
dunque perché ogni presente, ossia la realtà, è sempre falsa, assurda e
cattiva, e perciò si vuol venirne fuori, passare ad altro, quel passare ad
altro in cui, unicamente, la storia consiste. C'è storia, insomma, l'umanità corre
nella storia, per la medesima ragione per cui corre un uomo che posa i piedi su
di un sentiero cosparso di spine o di carboni ardenti. La sua critica della
religione si sviluppa poi in un'aperta apologia dell'ateismo. Sembra quasi di
poter cogliere uno dei tratti dell'ateismo in un saggio Sopra lo amore di Ficino.
Ficino proponeva una visione dell'amore
come amore eterno che ritorna come desiderio di ogni grado ontologico di ritornare
al bene e al Tutto. Propone una nuova interpretazione di questa tipica teologia
platonica, vedendo nell'amore ipotizzato da Ficino in realtà un preludio a
quelle che diventeranno due tra le più influenti correnti filosofiche: l'idealismo
e il volontarismo. L'amore come totalità dei diversi, o come volontà nelle
vesti di matrice essenziale del tutto, mette da parte il bisogno dell’amore
trascendete e sussurra l'ipotesi di un ateismo, forse professato tra le righe
dai più celebri filosofi. Filosofo profondamente problematico e inquieto,
fine però per approdare a un forte pessimismo ontologico ed esistenziale, che
lo spinse verso derive spiritualistiche, forse latenti nelle sue riflessioni
fin dalle origini nelle “Lettere spirituali”. In quest'opera, come anche nell
“La morale come pazzia” (Guanda, Modena) delinea una sorta di mistica dei
valori e un'etica concepita come l'azzardo dell'uomo che scommette sul bene in
un universo cieco e indifferente. Nella sua “Autobiografia intellettuale” suddivide
in tre periodi la sua evoluzione: un primo misticismo idealistico, un secondo
relativismo scettico materialistico e ateo, un terzo misticismo spiritualistico
come ultimo approdo del suo pensiero. Il primo e un misticismo di tipo
platonico, in cui sono presenti anche elementi di San Paolo e di Malebranche. Scrive
“Le Antinomie dello spirito” (Petremolese, Piacenza); “Sic et Non -- Metafisica
e poesia” (Romaa, Roma); “La trascendenza. Studio sul pensiero morale”. Il secondo
nasce dal suo sconcerto di fronte alle violenze della grande guerra e lo porta
alla negazione di qualsiasi razionalità della realtà. Pensa infatti che se gl’uomini
ricorrono sistematicamente alla violenza per risolvere i loro conflitti questo
significa che la ragione in sé non esiste, e che si tratta dell'illusione
dell'uomo di pensare che si possa dare ordine al caos. L'irrazionalità della
realtà si trova espressa in “Lineamenti di filosofia scettica”; “La filosofia
dell'autorità”; “La scepsi estetica” (Zanichelli, Bologna); “Polemiche anti-dogmatiche”
(Zanichelli, Bologna); “Interiora rerum – la filosofia dell’assurdo” (Milano,
Unitas); “Realismo” (Milano, Unitas); “Apologia dell'ateismo” (Formiggini,
Roma); e “Le aporie della religione”. Il secondo periodo è altresì
caratterizzato da un avvicinamento al positivismo materialistico e dal rifiuto
dell'idealismo di Croce e di Gentile. In esso va registrata anche una
rivisitazione del panteismo di Spinoza, che interpreta alla maniera dei teologi,
quindi come ateistico perché avrebbe negato il Dio personalizzato dei
monoteismi. Pensa anche di realizzareuna sintesi di scetticismo e realismo
perché se solo la scepsi è il modo reale e utile di porsi di fronte al mondo,
essa è anche l'unica verità possibile. Si tratta anche del momento di punta del
nichilismo, perché si afferma che siccome l'unica cosa certa e stabile è la
morte, ed essa è il nulla, solo il nulla possiede una verità. Prevale una
forma di misticismo che non sorge, però, improvvisamente, essendo già
chiaramente presente nelle opere maggiormente influenzate dallo scetticismo.
Quest'ultimo fu, infatti, sempre sollecitato da un'innata, profonda
religiosità, sicché non stupisce che il filosofo si apra alla voce del divino,
poiché cerca nella negazione assoluta un criterio positivo che consenta la
negazione stessa. A questo periodo appartengono: “Critica della morale”; "Critica
dell'amore e del lavoro”; “Paradossi di estetica e dialoghi dei morti”
(Corbaccio, Milano); “Frammenti di una filosofia del dolore e dell’errore, del male
e della morte” (Guanda, Modena); “La filosofia dell'assurdo” e “Gorgia -- Autobiografia
intellettuale – la mia filosofia – testamento filosofico” (Corbaccio, Milano). Isolato
in vita nel mondo filosofico italiano, nel quale domina l'idealismo
crociano-gentiliano, trova la comprensione di pochi intellettuali a lui affini.
È stato quest'ultimo a creare la formula dello scettico credente, che in forme
diverse ha dominato i pochi studi sul suo pensiero. Oggi ha trovato la
collocazione nell'ambito del nichilismo.. Per alcuni tale collocazione
resta comunque riduttiva rispetto alla vastità della sua filosofia, che
andrebbe ancora approfondito. La trascuratezza nei suoi confronti sta nel fatto
che la cultura italiana è stata a tutto il XX secolo dominata dall'idealismo e
dall'esistenzialismo. Legato alla cultura socialista, si caratterizza per una
certa dose di eclettismo e per una forte componente umanitaria, distante dal
materialismo storico marxiano e riconducibile, più agilmente, nel novero dei
pensatori vicini al socialismo utopista. Se durante l'attività politica in
Italia aderisce all'idea della lotta di classe, l'esperienza svizzera lo porta
a riconsiderare tale concezione dei rapporti di forza nella storia,
ridimensionandone la portata. Infatti, l'antagonismo tra proletariato e
borghesia e circoscrivibile ad alcune realtà contingenti e non costituirebbe
un'invariante delle relazioni socio-politiche. E se, da un lato, il suo
realismo politico lo porta ad apprezzare le teorie elitistiche del conservatore
G. Mosca, dall'altro, la matrice umanitaria e socialista emerge
nell'esaltazione degli istituti della democrazia diretta, caratterizzanti il
sistema costituzionale americano e quello svizzero, considerati come gli unici
in grado di far emergere la volontà popolare e di permettere l'emancipazione
delle classi lavoratrici. L'elogio ai regimi federalisti appena citati, e il
contingente recupero di Cattaneo sono sintomatici di un altro aspetto del suo orizzonte
culturale: la feroce critica dell'istituto monarchico (tanto nell'accezione
assolutista, quanto in quella temperata del costituzionalismo borghese
ottocentesco), appannaggio di una vicinanza con il programma del Partito
Repubblicano Italiano. Mostra un pessimismo storico verso il Risorgimento, la
disapprovazione intransingente del ruolo, ritenuto ambiguo e ostile al riscatto
sociale del proletariato, della casa regnante dei Savoia e l'appartenenza alla
Massoneria. Influenze "Atomi e vuoto e il Divino in me", queste
parole di Rensi hanno ispirato M. Lobaccaro nella composizione della canzone
Rosa di Turi dei Radiodervish. Altri saggi: “Una Repubblica italiana: il
Canton Ticino, "Critica sociale", Milano), “L'immoralismo di Nietzsche”
(Carlini, Genova); “Il genio etico ed altri saggi” (Laterza, Bari); “Sulla risarcibilità
del danno morale” (Cooperativa,Verona); “L’istinto morale”, Riuniti, Bologna); “L'orma
di Protagora” (Treves, Milano); “Principi di politica impopolare” (Zanichelli,
Bologna); “Introduzione alla scepsi etica” (Perrella, Napoli); “Teoria e pratica
della reazione politica” (Stampa, Milano); “L'amore e il lavoro nella
concezione scettica” (Unitas, Milano); “Dove va il mondo?, «Inchiesta fra gli
scrittori italiani», Libreria Politica Moderna, Roma); “L'irrazionale, il
lavoro, l'amore” (Unitas, Milano); "Terapia dell'ateismo" (Castelvecchi,
Roma); “Apologia dello scetticismo” (Formiggini,
Roma); “Autorità e libertà: le colpe della filosofia” (Politica, Roma); “Il
materialismo critico” (Sociale, Milano); “Spinoza” (Formiggini, Roma); “Scheggie:
pagine di un diario intimo” (Bibl. Ed., Rieti); “Cicute: dal diario di un
filosofo” (Atanòr, Todi); “Impronte: pagine di un diario” (Italia, Genova); “Raffigurazioni
-- schizzi di uomini e di dottrine” (Guanda, Modena); “Le aporie della religione”
(Etna, Catania); “Sguardi: pagine di un diario” (Laziale, Roma); “Passato,
presente, future” (Cogliati, Milano); “Motivi spirituali platonici” (Gilardi, Milano);
“Scolii: pagine di un diario” (Montes, Torino); “Vite parallele di filosofi:
Platone e Cicerone” (Guida, Napoli); “Critica della morale” (Etna, Catania); “Figure
di filosofi: Ardigò e Gorgia” (Guida, Napoli); “Poemetti in prosa e in verso” (Ist.,
Milano); "La morale come stato d'eccezione?" (Castelvecchi, Roma); “Trasea,
contro la tirannia” (Oglio, Milano); “Lettere spirituali” (Bocca, Milano); “Sale
della vita -- saggi filosofici” (Oglio, Milano); “La religione -- spirito
religioso, misticismo e ateismo” (Sentieri Meridiani, Foggia); “Contro il
lavoro -- sggio sull'attività più odiata dall'uomo” (Gwynplaine, Camerano); “Le ragioni dell'irrazionalismo” (Orthotes, Napoli);
“Su Leopardi” (Bruni, Torino). – “L'Intellettuale Dissidente, Pastorino, Uomini
e idee della Massoneria. La Massoneria nella storia d'Italia, Roma, Atanor sub
voce. (in ordine cronologico), Giuseppe
Rensi, Istituto di Studi filosofici,
Roma); M. Untersteiner, Interprete del
pensiero antico, Bocca, Milano); La scepsi estetica (Zanichelli, Bologna); N. Cuneo,
Conti e C., Cuneo); Un moralista, Italia, Raffaele Resta, SIAG, Genova); A.
Poggi (Azzoguidi, Bologna); “Il problema generale della giustizia e della
giustizia penale” (Vallardi, Milano); P. Rossi, “L’deale di Giustizia” (Bocca,
Milano); E. Buonaiuti, “Lo scettico credente” (Partenia, Roma); C. Mignone, “Leopardi
e Pascal” (Corbaccio, Milano); P. Nonis, La scepsi etica, Studium, Roma, G. Morra,;
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Siracusa, F. Tecchiati, Alla "Mostra internazionale del libro
filosofico", La Voce di Calabria, Palmi, R. Bassanesi, La coscienza
tragica” Filosofia, Torino); E. Alpino, La collaborazione di Rensi alla rivista
"Pietre", Marzorati, Milano); Girolamo De Liguori, Lo scetticismo
giuridico” (Giuffrè, Milano); A. Noce, "Tra Leopardi e Pascal, ovvero
l'auto-critica dell'ateismo negativo", in Una giornata rensiana,
Marzorati, Milano, M. Sciacca, Una
giornata rensiana” (Marzorati, Milano); G. Perano, Il problema della verità
nello scetticismo di Rensi” (Lateranense, Roma); E. Mas, Tra democrazia e anti-democrazia”
(Bulzoni, Roma); A. Santucci, Un irregolare:
Tendenze della filosofia italiana nell'età del fascismo, O. Pompeo, Faracovi,
Belforte, Livorno); G. Rognini, “Dal positivismo al realismo” (Benucci, Perugia);
L'inquieto esistere” (EffeEmmeEnne, Genova); F. Boriani, La questione morale
nel positivismo” (Melusina, Roma); U. Silva, “La ribellione filosofica” (Genova,
G. Liguori); Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo. La coerenza critica, Il
sentiero dei perplessi. Scetticismo, nichilismo e critica della religione in
Italia da Nietzsche a Pirandello, La Città del Sole, Napoli, Willy Gianinazzi,
Intellettuali in bilico, Milano, Ed. Unicopli, Nicola Emery, Lo sguardo di
Sisifo: Giuseppe Rensi e la via italiana alla filosofia della crisi: con una
nuova rensiana, Marzorati, Settimo
Milanese, 1Francesco Mancuso, Tra democrazia e fascismo, Aracne, Roma, P. Serra,
Tra dissoluzione del socialismo e formazione dell'alternativa nazionalista” (Angeli,
Milano); F. Meroi (Olschki, Firenze); “L’eloquenza del nichilismo, SEAM,
Formello); G. Pezzino, Scacco alla ragione” (C.U.E.M.C., Catania); “A. Castelli,
Un modello di Repubblica; la politica e la Svizzera (Mondadori, Milano); N. Greco,
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contro il reale, Città Aperta, Enna); A.
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Irrazionalismo e impoliticità Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, F. Meroi, filosofia
e religione nel primo Novecento, Edizioni di storia e letteratura, Roma). D. Lobagueira, Documenti, Trento); Armando Mascolo, Il corso
infernale della storia. L'influenza di Schopenhauer nella filosofa, in F.
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leopardismo filosofico” (Firenze, Le Lettere); “Filosofo della storia, Firenze,
Le Lettere,.E. Bignami E. Buonaiuti B. Croce A. Ghisleri Manifesto degli intellettuali
antifascisti Ad. Tilgher (Treccani Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Il contributo italiano alla storia del
Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Rensi, il filosofo
dimenticato. scomodo nichilista di Franco Volpi l'"irregolare" di
Orazio Martinetti. Giuseppe Rensi. Rensi. Keywords: filosofia dell’autorita,
autorita e liberta, Gorgia, Gorgia ed Ardigo, Santucci, Tendenze della
filosofia italiana nell’eta del fascismo, Gentile, necrologio, Ardigo, Platone,
Cicerone, Ficino, Bradley, Bosanquet, diritto e forza, filosofia della storia,
Gogia, Elea, Velia, Elea ed Efeso, Gorgia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Rensi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51686039204/in/photolist-2mKNNqN-2mKAuZM-2mKjsJY
Grice e Resta – della fiducia – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Bari). Grice: “I like
Resta; I was reading a book on golf that the Italians define, as I would
cricket, as the game of ‘fiducia,’ so it is nice to see that Resta has tried to
formulate some ‘rules,’ as we would call them, for trust. The cover of the essay
is especially fascinating, as it depicts two acrobats on a circus ring. Where
‘fiducia’ becomes a matter of life and death – or a vital evolutionary tract,
if often ‘ciecco,’ as Resta puts it. His research reminds me of Warnock on
‘trust’ in “The object of morality.” Essential Italian philosopher. Filosofo. Nominato
Alfiere del Lavoro. Studia a Bari.
Insegna a Bari e Roma. Dirige il Seminario sulla cultura giuridica della
Fondazione Basso-Issoco, nonché delle riviste "Sociologia del
Diritto" e "Politica del Diritto". Spazia dai temi classici della filosofia dfino a temi
di particolare attualità quali quelli riguardanti l'infanzia, i diritti dei
minori e il bio-diritto. Particolarmente interessanti sono i saggi nei quali
indaga sul significato e sui risvolti giuridici del concetto di
"farmaco" come anti-doto necessario alla violenza. Saggi: “Conflitto
e giustizia” (Bari, De Donato); “Diritto e sistema politico” (Torino, Loescher);
“L' ambiguo diritto” (Milano, Angeli); “Poteri e diritti, Torino, Giappichelli);
“La certezza e la Speranza -- diritto e violenza” (Roma, Laterza). Le stelle e
le masserizie. Paradigmi dell'osservatore” (Roma, Laterza); “L'infanzia ferita”
(Bari, Laterza); “Il diritto fraterno” (Bari, Laterza); “Diritto vivente” (Bari,
Laterza); “Le regole della fiducia” (Bari, Laterza); biodiritto. Eligio Resta. Resta.
Keywords: della fiducia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Resta” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736276056/in/datetaken/
Grice e Restaino – Antonino e compagnia – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Alghero). Grice:
“Only in Italy, a philosopher writes on cartoons!” Filosofo. Studia e insegna a
Cagliari e Roma. Studia la storia della filosofia e dell'estetica. Il suo saggio forse più noto
è una “Storia del fumetto: da Yellow Kid ai manga” (POMBA, Torino) che non ha
mancato anche di suscitare alcune polemiche, fino al punto che un gruppo di
appassionati di fumetti ha lanciato una petizione chiedendo alla casa editrice
il ritiro del saggio, accusato di contenere gravi lacune ed errori. Ettore Gabrielli, Petizione contro l’POMBA
per il libro Storia del Fumetto, Lo Spazio Bianco, Andrea Plazzi, Il fantasma
del fumetto, in il Mulino, Bologna, Mulino. La fortuna di Comte, Comte
sansimoniano, in Rivista critica di storia della filosofia, Comte scienziato, Comte
filosofo, Mill e la cultura filosofica, La Nuova Italia, Firenze, Mill: Scritti
scelti, Principato, Milano, Scetticismo e senso comune” (Laterza, Bari); Hume,
Riuniti, Roma, Filosofia e post-filosofia” (Angeli, Milano); Storia
dell'estetica” (Pomba, Torino); “Storia della filosofia, fondata da Abbagnano,
in collaborazione con Fornero e Antiseri, La filosofia contemporanea, Pomba,
Torino); La filosofia anglo-americana, in La Filosofia della seconda metà del
Novecento, G. Paganini, Piccin-Vallardi, Padova, Storia della filosofia, Pomba
Libreria, Torino, La Rivoluzione Moderna. Vicende della cultura tra Otto e Novecento,
Salerno, Roma); Giovanni Franco Restaino. Restaino. Keywords: Antonino e
compagnia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Restaino” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736775309/in/datetaken/
Grice e Ricordi – essere per amore – filosofia
italiana. Luigi Speranza (Milano).
Filosofo. Se è vero che Shakespeare ha "inventato l'umanità", è
altrettanto vero che egli l'ha poi divisa, il più delle volte, tra due grandi
generi di rappresentanti: e questi passano davvero per le categorie dei
platonici e degli aristotelici. Filosofo. Figlio di Ferruccio Merk Ricordi, in
arte Teddy Reno e la produttrice e distributrice cinematografica Vania Protti. Studia
a Roma e Napoli. Studia l’ermeneutica. Debuttato con Ronconi, con il quale ha
lavorato nei primi anni della carriera. Attore con Stoppa, Lavia, e Filippo. Inizia
la carriera registica che lo ha visto spesso anche interprete nei propri
allestimenti. Questi sono stati salutati sempre da un forte e caloroso successo
di critica e pubblico. Si dedicato a Shakespeare, alla drammaturgia antica, al
teatro tedesco dell'età romantica, ma anche e costantemente ai contemporanei
introducendo autori come Rohmer, Amann, Norén.
Si ricordano Medea e Fedra di Seneca, Trio in mi bemolle di Rohmer e
Dopo la festa di J. Amann, Anfitrione di H. Kleist e Don Giovanni e Faust di C.
Grabbe, “Canti nel deserto” e Gli inganni dell'infinito di G. Leopardi, “Le
ceneri di Roma e Orgia di Pasolini, Creditori di A. Strindberg e Demoni di L. Norén,
Romeo e Giulietta, Macbeth e Amleto di Shakespeare, Lame e Nerone di G. Manfridi.
Pubblicat su Leopardi, Shakespeare, Schiller e il concetto di teatralità: “Lo
spettacolo del nulla” (Bulzoni) e Essere e libertà (Bulzoni). Pubblica"Le
mani sulla cultura" (Gremese), una denuncia assai netta dell'egemonia
storica della sinistra sulle arti, che si ravvisa in modo particolare nel
"Teatro politico" del Novecento. Direttore del Teatro Stabile
d'Abruzzo a L'Aquila; inaugurando il corso di questo importante Teatro ha
diretto e interpretato Edipo Re di Sofocle e Anfitrione di Kleist, e insieme
dedicato vari incontri al Teatro di Poesia. Consigliere di amministrazione del Teatro di
Roma. Collabora a Liberal, per le cui
edizioni pubblicato il saggio "Ideologia di Amleto” (Liberal). Pubblica
"Shakespeare filosofo dell'essere" (Milano, Mimesis), saggio che si
riassume nella tematica di una nuova “Filosofia del dramma”. Questo saggio
rappresenta il sui progetto dedicato alla drammaturgia esistenzialista. Pubblica
"Filosofia del bacio" (Mimesi), e "Pasolini filosofo della
libertà" (Mimesis). Pubblica il suo saggio teoretico più rilevante,
"L'essere per l'amore" (Mimesis).
Dante per Roma e nel mondo. Inizia un Progetto filosofico su Alighieri. -saggistico
ma anche teatrale e comunicativo, che vorrà sostenere fino al centenario della
morte del Poeta. Inizia quindi nell'estate
con la rassegna "Dante per Roma", con la lettura in luoghi
significativi della "Città Eterna" -- Mausoleo di Cecilia Metella,
Arco di Giano, Terme di Caracalla e Terme di Diocleziano -- di sette Canti
dell'Inferno. Realizza un primo documentario per Rai5. La rassegna si chiude on
la lettura di sette Canti del Paradiso, ricevendo il plauso della critica e
grande riscontro dal pubblico. Pubblica “Filosofia
della Commedia di Aligheri,” dedicato alla cantica dell'Inferno. “Il grande
teatro shakespeariano” (Mimesis); “Filosofia della Commedia di Dante. L’Inferno
– Il Purgatorio ” (Mimesis) “Dante per Roma: Inferno” Rai; La grande magia di
Dante può essere capita soltanto ascoltandola a viva voce", in Spettacol iLa
Repubblica. Intervista di Grattarola. Franco Ricordi. Ricordi. Keywords: essere
per amore. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ricordi” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735282057/in/dateposted-public/
Grice e Righetti – la ragione ecologica, o l’etica
dello spazio filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Si concentra soprattutto sui temi
dell’estetica. Fonda “La Stanza Rossa” sull rapporto arte-comunicazione. Affianca
alle ricerche precedenti altri filoni di indagine, volti prevalentemente
all’ambito della riflessione meta-etica.. Studia l’ecologia. Pubblica «Iride»,
«Dianoia» e «Millepiani». Ecoinciviltà.
La ragione ecologica spiegata all’umanità civile” (Mucchi, Modena); “La ragione
ecologica: intorno all’etica dello spazio” (Mucchi, Modena); “Etica dello
spazio -- per una critica ecologica al principio della temporalità” (Mimesis,
Milano); “Dall’assenza d’opera all’estetica dell’esistenza” (Mucchi, Modena); “Forme
della “verità”: follia, linguaggio, potere, cura di sé” (Liguori, Napoli); “La
fantasia e il potere” (Mucchi, Modena); “La Stanza Rossa. Trasversalità
artistica” (Costa, Milano); “Soggetto e identità. Il rapporto anima-corpo”
(Mucchi, Modena). Cf. Grice, “From the banal to the bizarre: method in
philosophical psychology.” Stefano Righetti. Righetti. Keywords: la ragione
ecologica, o l’etica dello spazio, linguaggio, la pietra di bismantova. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Righetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736728734/in/dateposted-public/
Grice e Rignano – filosofia italiana – filosofia
fascista – filosofia italo-giudea -- Luigi Speranza (Livorno). FIlosofo. Grice: “I love Rignano, but
I would not consider him a philosopher, in that he never attended a course on
philosophy!” Figlio di Giacomo e Fortunata Tedesco. Studia a Pisa e Torino. Laureato,
si interessò subito ai problemi filosofici collegati alla ricerca scientifica.
Fondatore della Rivista di Scienza. Fonda a Bologna “Rivista di Scienza per Zanichelli.
La rivista assunse il nuovo titolo di “Rivista di sintesi scientifica.” (cf.
Grice on einheit der wissenschaft). La rivista nasce con il proposito di
opporsi alla eccessiva specializzazione a cui era giunta la ricerca scientifica
danneggiata per questo da criteri troppo specifici e restrittivi. Gli fondatori, e in particolare Rignano, si
proponevano di superare il particolarismo delle scienze per una visione più
estesa gettando un ponte fra cultura umanistica e quella scientifica ed
elaborando una "sintesi" (o unita o continuita) tra le scienze della
natura e le scienze dell'uomo. In questo
modo la filosofia, libera da legami nei confronti dei sistemi prefissati,
poteva dedicarsi a promuovere la coordinazione del lavoro, la critica dei
metodi e delle teorie, e ad impostare in modo più ampio i problemi delle teorie.
Nei numerosi saggi che pubblica su “La rivista de sintesi scientifica” ebbe
modo di mettere in rilievo le sue capacità di divulgatore e di condurre i suoi
studi in completa autonomia dal mondo accademico ufficiale elaborando la sua
conceziomei filosofica ispirate soprattutto dalla corrente positivistica. Chiese
a Freud un'esposizione della psicoanalisi con le indicazioni di quali rami del
sapere potessero essere interessati alle teorie e all'esperienze
psicoanalitiche. Freud scrive “Das Interesse an der Psychoanalyse” che fu
pubblicato in due puntate sulla rivista. Si interessò di psicologia e biologia
ed è noto soprattutto per la sua ipotesi della "proprietà mnemonica"
secondo la quale la sostanza vivente sarebbe in grado di "ricordare"
le condizioni fisiologiche delle iniziali situazioni fisiche determinate
dall'ambiente esterno e quindi di riprodurle nel prosieguo della vita
biologica. Questa sua teoria consentiva
a lui di operare nella biologia un compromesso tra una visione meccanicistica
della realtà naturale e una finalistica, vitalistica. Per il meccanicismo
infatti non è possibile pensare che nell'ambito degli organismi viventi vi sia
il proposito immanente di conseguire una finalità ma d'altra parte è innegabile
he nel mondo organico sia presente una sorta di teleo-nomia particolare per
ogni essere vivente tale da giustificare l'idea che, durante il periodo di
adattamento all'ambiente, questi conservi una specie di traccia fisica
mnemonica persistente e trasferibile ereditariamente. Si interessa anche di
filosofia della psicologia – o psicologia filosofica -- ma quando intese indicare lo statuto
epistemologico della teoria psicologica, il tipo di scientificità che ad essa
competeva, in modo da definire i rapporti con la scienza naturale da una parte
e con quella umana dall'altra, si orientò verso soluzioni “intermedie”, che
spesso complicavano più che risolvere i problemi" Coerentemente al suo programma di
sintetizzare opposti sistemi, elaborò anche una concezione economica di tipo
socialista marxista che fosse in accordo con il liberismo. Altre saggi: “Per
una riforma socialista del diritto successorio” (Bologna, Zanichelli); “Di un socialismo in accordo colla dottrina
economica liberale” (Torino, Bocca); “Sulla trasmissibilità dei caratteri
acquisiti: ipootesi d'una centro-epigenesi” (Bologna, Zanichelli); “L'adattamento
funzionale e la teleologia psico-fisica” (Bologna: Zanichelli); “Che cos'è la
co-scienza?” (Bologna, Zanichelli); “Il fenomeno religioso” (Bologna,
Zanichelli); “Il socialismo” (Bologna, Zanichelli); “Dell'attenzione: Contrasto
affettivo e unità di co-scienza” (Bologna, Zanichelli); “Dell'origine e natura
mnemonica delle tendenze affettive” (Bologna, Zanichelli); “Per accrescere
diffusione ed efficacia alle università popolari” (Milano, Compositrice); “La
vera funzione delle università popolari” (Roma, Antologia); “Vividità e
connessione” (Bologna, Zanichelli); “L'evoluzione del ragionamento” (Bologna,
Zanichelli); Il nuovo programma dell'Un. pop. milanese: primo anno
d'esperimento, Como, Cooperativa comense A. Bari, Le forme superiori del
ragionamento” (Bologna, Zanichelli); “Democrazia e fascismo” (Milano, Alpes). “Dizionario
di filosofia, Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Eugenio Rignano. Rignano. Keywords: diritto
successorio, vitalismo, democrazia e fascismo, liberismo, liberalismo,
socialismo, “Scientia”, filosofia italo-giudea -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Rignano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51715544078/in/photolist-2mMVFvG-2mKKMUe-2mKRcBH/
Grice e Rigobello – l’allargamento interpersonale della
razionale – filosofia italiana. By Luigi Speranza (Badia Polesine). Filosofo. “Il
nostro rapporto con gli altri deve sempre farci essere un interrogativo per
loro.” Fra i principali rappresentanti italiani del personalismo. Dopo gli
studi liceali, all'Padova conseguì dapprima la laurea in filosofia, quale
allievo di Stefanini e Padovani. Insegna a Padova, Perugia e Roma. Spazia dalla
metafisica, all'etica e la filosofia politica, alla storiografia. Collaboratore
a Studium. Ripensa il personalismo partendo dal presupposto per cui esso,
potendo anche costituire un possibile complemento integrativo ed estensivo alla
metafisica non potesse comunque considerarsi una dottrina filosofica definita
bensì una posizione che mettesse in primo piano il concetto di
"persona" (cf. Strawson, “Il concetto di persona”). Il personalismo
non e in contraddizione con la metafisica
bensì ne poteva costituire un proficuo ampliamento psicologico, etico,
antropologico. Il suo contributo più originale consiste, quindi, nel
"personificare" (proprio per il tramite del personalismo) la ragione
metafisica attraverso quel processo di integrazione sopra invocato fra l’esistenzialismo
e la filosofia classica. Ri-esamina nel suo evolversi, nonché compara
criticamente e storicamente, il concetto di “persona” alla luce della storia
della filosofia fino ad arrivare alla filosofia greca e romana chiamando in
causa anche l'ermeneutica, la filosofia morale e la sua storia. Ne risulta,
quindi, che il concetto di “persona” deve anzitutto essere inteso in un senso
giuridico. Non deve essere confuso con quello derivante dal concetto di
esistenza della filosofia esistenzialistica, che nega la possibilità che le
persone possamp governare la loro vita, in quanto ritenute prive di auto-dominio.
Infine, le persone, pur nella sua reale concretezza, non e una sostanza. Tutto
ciò ha costituito una delle tematiche principali in cui s'è venuta a delinearsi
la sua filosofia, la persona e l’interpretazione". La seconda
tematica della sua attività di ricerca scaturisce dagli insegnamenti, per certi
versi antitetici fra loro, dei due suoi maestri, ovvero quelli di Stefanini,
grazie ai quali egli individua un primo polo di convergenza delle sue
riflessioni filosofiche attorno alla nozione fenomenologica di un “mondo della
vita”, e quelli di Padovani, incentrati sulla metafisica tradizionale e
ruotanti attorno alla nozione di trascendenza con i suoi limiti. Ogni altra
questione filosofica sembra snodarsi o essere compresa fra questi due poli di
convergenza che egli sintetizza nella trascendenza, la legge morale, e il mondo
della vita". Altro ambito tematico apre la prospettiva personalistica
al dialogo col mondo moderno e contemporaneo, con l'etica, la politica, la
religione, puntualizzando in particolare la sua valenza etica e politica
nell'analisi della realtà sociale in cui le persone viveno ed agisce, nonché
esprime il suo dissenso non su basi ideologiche ma come critica del sistema
dominante. Questo tematica puo quindi chiamarsi "in dialogo con il mondo
contemporaneo". Come esponente di punta del personalismo italiano,
storicamente rappresentato da Stefanini, Carlini, Sciacca e Pareyson, rivolvela sua attenzione
ad una ri-visitazione originale del personalismo comparato con l'etica e la
politica, grazie a cui è emersa, oltre alla limitatezza della dimensione
trascendentale, sia quella rilevanza civica assunta dalla persona umana come
testimone della sua epoca che la sua responsabilità di cittadini. Mette in
evidenza come il personalismo si distingua nella critica mossa al sistema
idealista, che non ha attecchito nella filosofia d'oltralpe. Riprende le e
tematiche più tipiche della struttura delle persone umane e le relative
implicazioni metafisiche in “Prossimità e ulteriorità” (Rubbettino). Inoltre,
da sempre interessato anche all'ermeneutica pubblica “L'apriori ermeneutico” ((Rubbettino). Altre
saggi: “Oltre lo storicismo” (Studium); “Ricchezza e povertà della metafisica
classica” (Humanitas); “Il problematicismo di Spirito come empirismo
coscienziale assoluto: note sul significato del nostro tempo, in Rassegna di
Umanesimo e antropocentrismo; La disponibilità come abito etico del rapporto
autorità-libertà, Istituto editoriale del Mezzogiorno, Napoli, Kant e
l'indirizzo idealistico, Il problema del linguaggio storiografico, Perugia, “Condizionamenti
socio-logici e linguaggio morale” in Sociologia e filosofia,. Socrate e la
formazione dell'uomo politico, in Civitas, Esperienza di fede e struttura del sapere, Studium,
Croce, perché possiamo e non possiamo dirci crociani, Coscienza. Mensile del
movimento ecclesiale di impegno culturale, La riflessione sull'etica, Etica
oggi: comportamenti collettivi e modelli culturali, A. Re e A, Poppi,
Fondazione Lanza & Gregoriana, Roma, Il tempo nello spiritualismo, Il concetto di
tempo. Società filosofica italiana, Caserta, Giovanni Casertano, Loffredo,
Napoli, “Persona, trascendentale, ermeneutica” in Filosofi italiani contemporanei,
G. Riconda e C. Ciancio, Mursia, Milano); La storia nella coscienza della gioventù,
AVE, Roma); L'intellettualismo in Platone (Liviana Editrice, Padova); Platone,
Senofonte, Aristotele: il messaggio di Socrate” (La Scuola, Brescia); “Introduzione
di una logica del personalismo, Quaderni dell'Istituto di Pedagogia
dell'Padova, Liviana Editrice, Padova, L'itinerario speculativo dell'umanesimo
contemporaneo, Quaderni dell'Istituto di Pedagogia dell'Padova, Liviana
Editrice, Padova); L'educazione umanistica e la persona. Saggio di una
filosofia dell'insegnamento umanistico” (Scuola, Brescia); “Determinazione ed
ulteriorità nel Kant pre-critico” (U. Silva, Milano-Genova); “I limiti del
trascendentale in Kant” (Silva, Milano); “La certezza morale, lfilosofia morale
tenute all'Perugia nell'A.A. 1CLEUP, Perugia); “Legge morale e mondo della vita”
(Abete, Roma); La morale radicale” (Perugia, Perugia); “Struttura e
significato” (Garangola, Padova); “Antropologia” (Antenore, Padova); “Modelli
storiografici di morale” (Frama Sud, Chiaravalle Centrale); “Ricerche sul
trascendentale kantiano” (Antenore, Padova); “Dal romanticismo al positivismo”
(Marzorati, Milano); “Il regno dei fini” (Bulzoni, Roma); “Il personalismo” (Città
Nuova, Roma); “L'impegno ontologico” (Armando, Roma); “Il futuro della libertà”
(Studium, Roma); “Politica e promozione umana” (Scuola, Brescia); “Perché la
filosofia” (La Scuola, Brescia); “Studi di ermeneutica” (Città Nuova, Roma); “Verso
una nuova didattica della storia” (Sei, Torino); “Persona e norma
nell'esperienza morale” (Japadre, L'Aquila); “Certezza morale ed esperienza
religiosa” (Vaticana, Vaticano); “Kant. Che cosa posso sperare” (Studium,
Roma); “Lessico della persona umana” (Studium, Roma); “L'immortalità
dell'anima” (La Scuola, Brescia); “Soggetto e persona: ricerche
sull'autenticità dell'esperienza morale” (Anicia, Roma); “Autenticità nella
differenza” (Studium, Roma); “Attualità della lettera ai Romani” (AVE, Roma); “Dio
oltre i saperi. Tra teologia e filosofia” (San Paolo, Milano); “Interiorità e
comunità. Esperienze di ricerca in filosofia, Studium, Roma, Oltre il
trascendentale, Pubblicazioni della Fondazione "Ugo Spirito", Roma, L'altro,
l'estraneo, la persona, Città Nuova Editrice, Roma, La persona e le sue immagini, Città Nuova
Editrice, Roma, L'estraneità interiore, Studium, Roma, Le avventure del
trascendentale. Contributi al LV Convegno del Centro studi filosofici di
Gallarate, Rosenberg, Torino); “Umanità e moralità” (Studium, Roma); “Immanenza
metodica e trascendenza regolativa” (Studium, Roma); “L'apriori ermeneutico:
domanda di senso e condizione umana” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Prossimità
e ulteriorità: una ricerca ontologica per una filosofia prima” (Rubbettino
Editore, Soveria Mannelli); “L'insuperabile singolarità dell'avventura umana:
dalla determinazione completa alla rottura metodologica” (Ramo, Rapallo); “Vita
e ricerca. Il senso dell'impegno filosofico, intervista L. Alici” (La Scuola,
Brescia); “L'intenzionalità rovesciata: dalle forme della cultura all'originari”
(Rubbettino, Soveria Mannelli); “Struttura ed evento: tempo di vivere, tempo di
dare testimonianza alla vita, la vita come testimonianza” (Rubbettino, Soveria
Mannelli); “Dalla pluralità delle ermeneutiche all'allargamento della
razionalità” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Ciascuno di noi nell'incontro con
l'altro deve essere tale da suscitare curiosità e interesse di conoscenza reciproca
(Presentazione a Alici, Grassi, Salmeri, Vinti (Studium); “La filosofia come
testimonianza, Rivista bimestrale, Studium, Roma. Berti ebbe per qualche mese Rigobello
come docente supplente di filosofia quando era ancora studente liceale. Cfr. E.
Berti, "Origini del pensiero di Rigobello", in: Alici, Grassi,
Salmeri e Vinti, “La filosofia come testimonianza” (Studium. Cfr. Berti, "Origini
del pensiero", in Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, La filosofia come testimonianza,
Studium, Roma,,Cfr. pure il contributo di Borghesi, "La dialettica tra
struttura e significato", nella stessa collectanea. Oltre quelli delle Parti II e III, si vedano
soprattutto i vari contributi presenti nella Parte I della collectanea in suo
onore: Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, la filosofia come testimonianza, Studium, Roma, Cfr. Alici, Grassi, Salmeri, Vinti,
cit. Cfr. i vari contributi presenti
nella miscellanea: Estraneità interiore
e testimonianza. Studi in onore, A. Pieretti, ESI-Edizioni Scientifiche Italiane,
Perugia); Cfr. pure "Biografia, pensiero e opere", Bollettino della
Società Filosofica Italiana nella
rubrica Filosofi allo Specchio, Cfr.
Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, cit. Per
questi aspetti centrali del pensiero, si vedano soprattutto i contributi
presenti nella prima parte della collectanea in suo onore: L. Alici, O. Grassi,
G. Salmeri e C. Vinti, La filosofia come testimonianza, Studium, Cfr. L. Alici,
O. Grassi, G. Salmeri e C. Vinti, Ricordo, Umanità e moralità, in Dialegesthai.
Rivista telematica di filosofia, In memoriam: In ricordo straneità interiore e
testimonianza. Studi in onore, A. Pieretti, Scientifiche Italiane,
Napoli-Perugia, L. Alici, O. Grassi, G. Salmeri e C. Vinti, Rigobello, la
filosofia come testimonianza, giornate-studio in suo onore, evento organizzato
a Perugia in collaborazione con l'Roma Tor Vergata e la LUMSA, Perugia/Roma, i
cui atti sono stati pubblicati, Alici, Grassi, Salmeri e Vinti, Studium, G.Dotto, Enciclopedia filosofica,
Bompiani, Milano, E. Baccarini, Passione dell'originario: fenomenologia ed
ermeneutica dell'esperienza religiosa, studi in onore” (Studium, Roma). Vita e
ricerca. Il senso dell'impegno filosofico (Interviste), L. Alici recensione di
G. Din, Padova. Video di un'intervista a cura di Valentini, fatta a Roma - Armando Rigobello. Rigobello. Keywords:
l’allargamento del razionale, ‘struttura e significato’, il regno dei fini,
comunita, Grice on human vs. person, Strawson, the concept of the person, Ayer,
the concept of a person. In personam, persona sui iure, persona populum
(Cicero). Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Rigobello” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736691639/in/dateposted-public/
Grice e Rimini – il significato totale – filosofia italiana
-- Luigi Speranza (Rimini). Filosofo. Il primo a conciliare
gli sviluppi delle idee di Occam ed Aureolo. Questa sua sintesi ha un impatto
duraturo. Insegna a Bologna, Padova e Perugia, e Rimini. Da lezioni sulle
Sentenze di Lombardo. Oltre alla sua opera principale, il Commento alle
Sentenze di Lombardo scrive diversi trattati, tra cui: “De usura,” “ De quatuor
virtutibus cardinalibus” – cf. Grice, philosophy, like virtue, is entire -- e un estratto del commento alle sentenze, il “De
intentione et remissione formarum,” un’appendice sulla IV distinctio del I
libro del Commento alle Sentenze, una Tabula super epistolis B. Augustin. Mnifesta
una certa attitudine sincretistica tra gli sviluppi d’Occam ed Aureolo. Mostra
analoga tendenza anche nella ri-costruzione e dell'analisi del processo della
percezione animale e unama e il conoscere umano, nelle quali si fondono in
maniera originale elementi etero-genei desunti da Aristotele, Agostino e Ockham.
Causa un grave fraintendimento della sua filosofia, è qualificato come tortor
infantium (torturatore dei bambini), per la supposizione di aver condannato
alle pene eterne i bambini che muoiono senza il battesimo. In realtà espone
tale dottrina senza pronunciarsi. Talvolta è indicato quale antesignano dei
nominalisti. Altre saggi: “Gregorii Lettura super Primum et Secundum
Sententiarum”; “De imprestanciis venetorum”. L. Mazzali, E. Gori, Manuale di
Filosofia Medievale, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario di filosofia, Gregorius Ariminensis. Gregorio
da Rimini. Rimini. Keywords: complesso significabile, semplice, complesso,
animale, pane, l’animale percezione del pane, Socrate is seated,
truth-functionality, scuola italiana, scuola di Bologna, studi generali in
Italia, studio di Rimini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rimini” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689613415/in/photolist-2mPMBQM-2mPyn68-2mPvn8a-2mPiqeP-2mKS2e5-2mKCMei-23WGnxf-E4u3XA-BNXFPx-B8NzEb-BxCpRq-ACvZaD-BxCnkJ-nNA42u-o5MkBM
Grice e Rinaldini – filosofia italiana. By Luigi
Speranza (Ancona). Filosofo. Nato in una famiglia
aristocratica originaria di Siena, studia a Bologna. Aservizio di Urbano VIII, ottenne da Barberini, nipote del
Papa, la supervisione delle fortezze di Ferrara, Bondeno e Comacchio. Insegna a
Pisa. Amico di Galilei e Borelli, il quale lo soprannomina Simplicio per la sostanziale
fedeltà all'aristotelismo tradizionale. E in corrispondenza. Uno dei soci
fondatori dell'Accademia del Cimento. Tuttavia ha numerose controversie con i
suoi amici e con Redi e Ruberti. Nonostante il conformismo, si oppone alla
teoria della virtù zoo-genetica delle piante, sostenuta dagl’altri accademici
del Cimento, precedendo Malpighi con l'ipotesi che anche gl’insetti delle galle
nascessero da uova deposte da individui della stessa specie. Insegna a Padova. Saggi: “Philosophia rationalis,
atque entità naturalis.” Un'altra delle sue glorie è la sua proposta di scala
termo-metrica utilizzando come riferimento fisso il congelamento e
l’ebollizione dell'acqua all'ordinaria pressione atmosferica. Ppropone di
dividere l'intervallo in 12 gradi. Altre saggi: “Opus algebricum” (Ancona, Salvioni);
“Opus mathematicum” (Bologna, Dozza); “Mathematica italiana”; “Geometra promotus”
(Padova, Frambotti); “Ars analytica mathematum” (Firenze, Cocchini); “Ars analytica
mathematum” (Padova, Pietro Maria Frambotto); “De resolutione atque
compositione mathematica” (Padova, Frambotti); “Philosophia rationalis,
naturalis, atque moralis opus in quo praesertim physica vniuersa ex accuratis
naturalium effectuum observationibus deducta et ubi rei natura patitur geometrice
demonstrata exhibetur” (Padova, Frambotti); “Ad artem quam ipse conscripsit
mathematum analyticam paralipomena” (Padova, Frambotti); “Commercium
epistolicum (Padova, Frambotti). Redi scienziato e poeta alla corte dei Medici,
Lo sviluppo delle ricerche sulle galle, F. Redi scienziato e poeta alla corte dei
Medici C. Pighetti, Il vuoto e la quiete: scienza e
mistica: E. Cornaro e C. Rinaldini, Milano: Angeli); Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Museo Galileo di Firenze. Carlo Renaldini.
Carlo Rinaldini. Rinaldini. Keywords: cimento, cimentare, provando e
riprovando, del Cimento, filosofia naturale, filosofia razionale, Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Rinaldini” – The Swimming-Pool Library. 51736002006
Grice e Riondato – il metodo dell’etologia –
filosofia italiana. Luigi Speranza (Padova).
Filosofo. Studia a Padova sotto Stefanini, Ferrabino, Padovani e Diano. Studia l’Aristotele neo-latino. Uno dei
galileiani. Ezio Riodato. Riondato. Keywords: il metodo dell’etologia, morale,
morale classica, Aristotele neo-latino, Epitteto, l’enuniciazione,
dell’interpretazione in Aristotele, crisi, metafisica e scienza in Aristotele. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Riondato” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736231788/in/datetaken/
Grice e Riverso – la forma del segno – filosofia
italiana (Napoli). Filosofo. Studia a Napoli.
Insegna a Salerno e Napoli. Ha spaziato dalla filosofia critica ed analitica,
alla logica formale, è stato esperto in problemi di linguistica, di filosofia
delle scienze e delle culture. Altri saggi Colpa e giustificazione nella
reazione anti-immanentistica del "Roemerbrief" barthiano, Teologia
esistenzialistica, La costruzione interpretativa del mondo, L’epistemologia
genetica, Metafisica e scientismo, Filosofia e analisi del linguaggio, Dalla
magia alla scienza, Conoscenza e metodo nel sensismo degl'ideologi, L’esperienza
estetica, la filosofia d’Occidente, Corso
di storia della filosofia, Natura e logo, La razionalizzazione dell'esperienza,
La filosofia analitica, La filosofia, Individuo, società e cultura. La psicologia del
processo culturale, L’immagine dell'Universo. Astronomia e ideologia, Il
pragmatismo, La spiritualità, Il linguaggio nella filosofia romana antica, Democrazia,
iso-nomia e stato, Una corrente
filosofica; riferimento e struttura; Il problema logico-analitico in Strawson, Democrazia
e gioco maggioritario, Filosofia del tempo, La civilta e lo stato; Alle origini del pensiero
politico, La carica dell'elettrone, Esperienza e riflessione, Forma culturale e
paradigma umano; Le tappe del pensiero filosofico nella cultura d’Occidente, Paradigmi
umano e educazione, Filosofia del linguaggio, Dalla forma al significato, Cose
e parole, Come Bruno inizia a parlare: Diario di una maestra di sostegno, La
rimozione dell'eros nel giansenismo, Civiltà, libertà e mercato nella città italica
antica. (Roma). Un viaggio al centro dell'immaginario religioso e mistico che
ha influenzato l'umanità, morale e
dottrina, Cogitata et scripta, Filosofo
del linguaggio, La Tribuna. Semiosi iconica e comprensione della Terra.
Emanuele Riverso. Riverso. Keywords: la forma del segno, la tappa, le tappe,
riferimento, ri-ferire, vico, animale raggionavole, magia e scienza, Giordano
Bruno. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Riverso” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702587144/in/photolist-2mLKfuq-2mLHNRM-2mLKgRJ-2mLMgSh
Roccoto
be identified.
Grice e Rodano: immunità e comunità – filosofia
italiana – i comunisti – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo. Fondatore
del “catto-comunismo.” E tra i fondatori
del Movimento dei Cattolici Comunisti, poi Sinistra Cristiana. Studia a Roma.
Frequenta la “Scaletta”. Milita nell'Azione Cattolica e nella FUCI, allora
presieduta da Moro. Entra in contatto e collabora con anti-fascisti d'ispirazione
cattolica (Ossicini, Pecoraro, Tatò e altri), comunista (P. Bufalini, A. Amendola,
P. Ingrao, L. Radice e altri), del Partito d'Azione e liberali (U. Malfa, P. Solari,
M. Fiorentino fra gl’altri). Partecipa al Movimento dei Cattolici
Anti-Fascisti. Con Ossicini e Pecoraro tra i promotori e dirigenti del “Partito
Co-Operativista Sin-Archico” (poi “Partito Comunista Cristiano”) e ne redige i
principali documenti. Fa parte, con Alicata e Ingrao, del triumvirato dirigente
le due distinte organizzazioni clandestine, comunista e comunista cristiana. Scrive
saggi sull’Osservatore Romano. Arrestato dalla polizia fascista in una generale
retata dei militanti del partito comunista cristiano, e deferito al tribunale speciale
con altri suoi dirigenti. Il processo non ha luogo per la caduta del fascismo e
tutti vengono liberati poco dopo. Nel periodo badogliano ha intensi scambi
d'idee con i compagni di partito e altre personalità anti-fasciste sulla linea
da seguire. Stringe amicizia con Luca e Pintor. Collabora al “Lavoro”, diretto
da Alicata (comunista), Vernocchi (socialista) e Gaudenti (cattolico). Sotto
l'occupazione nazista di Roma fonda il “Movimento dei Cattolici Comunisti” e ne
redige i documenti teorico-politici; scrive articoli sui 14 numeri usciti alla
macchia di Voce Operaia, organo dello stesso movimento dei cattolici comunisti.
Liberata Roma, il movimento di cattolici comunisti prende il nome di Partito
della Sinistra Cristiana. Vi confluiscono i cristiano-sociali di G. Bruni. Vi
partecipano anche Fe. Balbo, Sacconi, Barca, Amico, Chiesa, Valente, Mira,
Tatò, Tedesco, Parrelli, Tranquilli, Rinaldini. Stringe un rapporto di
amicizia e collaborazione (che non sarà privo di momenti di dissenso critico)
con Togliatti. Su Voce Operaia, pubblicata adesso legalmente, scrive numerosi saggi.
In quattro di essi sostiene la prosecuzione dell'IRI e ciò segna l'inizio della
sua amicizia con R. Mattioli. S'incontrano,
a casa di Rodano e con la sua mediazione, Togliatti e G. Luca, primo, cauto
sondaggio reciproco tra mondo cattolico e movimento comunista italiano. A
conclusione di un congresso straordinario, il partito della sinistra cristiana si
scioglie. Sostiene, con argomentato vigore, che non è più utile una formazione
cattolica di sinistra, poiché incombe alla classe operaia nel suo insieme e
perciò al partito comunista italiano il compito di affrontare la questione
cattolica, superando le pre-giudiziali a-teistiche e del dogmatismo marxista.
Si adopera perciò per ottenere modifiche nello statuto del partito comuista
italiano, che consentano l'iscrizione e la militanza in esso indipendentemente
dalle convinzioni ideo-logiche e religiose, modifiche che saranno adottate dal partito
comunista italiano nel suo congresso. Entrato nel partito comunista italiano, scrive su periodici ufficiali di tale
partito o ad esso vicini. Particolarmente numerosi i suoi saggi su Rinascita. Vi
ha largo spazio l'invito ai cattolici a lavorare in politica e nelle altre
dimensione della storia comune degli uomini in spirito di laicità, evitando
quindi improprie commistioni con la fede religiosa. Questa posizione approfondita
nel corso di tutta la sua opera ed essenziale per comprenderla contrasta con la
linea della Chiesa di Pio XII, che coglie l'occasione di due suoi saggii sulla
condizione economica del clero (Rinascita) per comminargli l'interdetto dai
sacramenti, accusandolo di fomentare la lotta di classe all'interno delle
gerarchie (L'interdetto e tolto sotto Giovanni XXIII). Cura i saggi politici di
“Lo Spettatore Italiano”. Scrive sul Dibattito Politico, diretto da M. Melloni
e U. Bartesaghi, teso a una difficile mediazione tra le posizioni politiche del
mondo cattolico e di quello comunista e socialista, nel distinto riconoscimento
dei rispettivi valori e motivi ideali. Vi collaborano tra gli altri G.
Chiarante, Magri, Baduel, Salzano. Durante il pontificato di Giovanni
XXIII opera, tramite Togliatti, per la trasmissione ai dirigenti della
proposta, primo, cauto sondaggio reciproco tra mondo cattolico e movimento
comunista italiano. A conclusione di un congresso straordinario, il PSC
si scioglie. Rodano sostiene, con argomentato vigore, che non è più utile una
formazione cattolica di sinistra, poiché incombe alla classe operaia nel suo insieme
e perciò al PCI il compito di affrontare accolta, di uno scambio di messaggi in
occasione del compleanno di papa
Roncalli. L'iniziativa sarà il primo segno di disgelo tra URSS e Santa Sede. Si
svolge un serrato dialogo tra Rodano e Augusto Del Noce, che mette in chiaro la
diversità delle rispettive posizioni. Fonda, con C. Napoleoni, La Rivista
trimestrale, affrontando nodi teorici e politici di fondo. Ancora con
Napoleoni, e con Michele Ranchetti, dirige la Scuola Italiana di Scienze
Politiche ed Economiche, rivolta a militanti
del movimento dell'epoca. Collabora alla rivista “Settegiorni”, diretta da
Ruggero Orfei e Piero Pratesi, in cui fra l'altro scrive una serie di
interventi d'intensa riflessione teologica, le Lettere dalla Valnerina.
Chiusasi l'esperienza della Rivista Trimestrale, Rodano scrive sui Quaderni
della Rivista Trimestrale, diretti da M. Reale, cui collaborano, insieme a F.
Sacconi, E. Salzano, V. Tranquilli, G. Gasparotti, F. Rinaldini, M. Reale, R.
Agata, C. Vincenti, A. Montebugnoli, P. Padoan, S. Sacconi, A. Zevi, Giaime e
Giorgio Rodano, e altri. Lo si considera l'esponente più autorevole del
“catto-comunismo”: "i rapporti di Rodano con il mondo cattolico sono stati
indagati a fondo. Quelli con Togliatti (che furono rapporti personali assai
intensi) assai poco, come quelli con Berlinguer (all'Istituto Gramsci si
conservano tre vaste memorie che scrive per Berlinguer), anche se il rapporto
stretto di questi con A. Tatò è sufficiente a delinearne
l'influenza". Nella stagione del compromesso storico proposto da E.
Berlinguer e oggetto prima di attenzione, poi di cauta convergenza da parte di
A. Moro, Rodano elabora i fondamenti teorici di una politica diretta a non
ridurre l'incontro tra le grandi forze storiche del comunismo, del socialismo e
del cattolicesimo democratico a una mera operazione di governo, ma a farne una
strategia di lungo periodo di trasformazione della società. Quella stagione e
quelle prospettive vengono improvvisamente troncate dall'assassinio di Moro.
S'intensificano, all'epoca, i suoi contatti personali con esponenti del PCI,
del PSI, della DC e di altri partiti (La Malfa, Malagodi, Visentini), su
problemi politici a breve e lungo termine. Pubblica alcuni libri, scrive
articoli su vari periodici e sul quotidiano Paese Sera, quasi settimanalmente. Altre
saggi: “Sulla politica dei comunisti” (Boringhieri, Torino); “Questione demo-cristiana
e compromesso storico” (Riuniti, Roma), “Lenin da ideologia a lezione”
(Stampatori, Torino); “Lettere dalla Valnerina” (P. Pratesi, La Locusta,
Vicenza); “Lezioni di storia possibile (V. Tranquilli e G.Tassani, Marietti,
Genova); “Lezioni su servo e signore” (V. Tranquilli, Riuniti, Roma); “Cattolici
e laicità della politica” (V. Tranquilli, Riuniti, Roma); “Cristianesimo e
società opulenta” (M. Mustè, Ed. di Storia e letteratura, Roma) Saggi sono
spubblicati in numerosi periodici e quotidiani, tra i quali l'Osservatore
Romano, Primato, Voce Operaia Rinascita
Il Politecnico, Unità, Vie nuove, Società, Cultura e realtà, Lo Spettatore
Italiano, Il Contemporaneo, Il Dibattito Politico, Argomenti, La Rivista
Trimestrale, Settegiorni, Quaderni della Rivista Trimestrale, Paese Sera, Città
Futura, Nuova Società, e Il Regno. I saggi più importanti, pubblicati sulla
Rivista Trimestrale e sui successivi Quaderni, sono “Risorgimento e democrazia,
Il processo di formazione della società opulenta”; “Il pensiero cattolico di
fronte alla società opulenta”; “Egemonia riformista ed egemonia rivoluzionaria”;
“Nota sul concetto di rivoluzione”; “Significato e prospettive di una tregua
salariale; “Il centro-sinistra e la situazione del paese”; “Marx, A proposito
del convegno delle ACLI a Vallombrosa”; “Su alcune questioni sollevate dal
movimento studentesco; “Con Dopo Praga: considerazioni politiche sulla storia
del movimento operaio, A proposito dell'autunno caldo”; “Considerazioni sulla
dialettica sociale dell'opulenza”; “La peculiarità del partito comunista
italiano”; “Dopo il congresso del partito comunista italiano: il nodo al
pettine”, “I germi di comunismo”; “La questione demo-cristiana”; “La proposta
del compromesso storico”; “Dopo la morte di Mao Tse-tung: la lezione di una
grande esperienza (con V. Tranquilli); “Considerazioni sulla strategia dei
comunisti italiani”; “Egemonia e libertà delle opinioni”; “Considerazioni sui
fenomeni di eversione giovanilistica”; “La politica come assoluto”; “Note sulla
questione giovanile”; “La giovinezza, specificità umana e condizione storica Dopo
la lettera di Berlinguer al vescovo di Ivrea: laicità e ideologie”; “Alla
radice della crisi”; “L'incompatibilità tra capitalismo e democrazia”; “È
possibile una soluzione reazionaria?” “Idee e strumenti della manovra
reazionaria”; “Roluzione”; “Filosofia della storia”; Rivoluzione in Occidente e
rapporto con l'URSS, Il senso di una
grande lezione: per una lettura critica di Lenin”; “Per un bilancio del
compromesso storico”; “Innovazione e continuità”; “Contratti e costo del
lavoro: imprese e sindacati, partiti e istituzioni”; “La chiesa di fronte al
problema della pace”. P. Craveri, Una
critica pregnante, in Mondoperaio, Teorico del compromesso storico Archiviolastamp.
Noce: Lettera a F. Rodano (lRegno-attualità,); Maria Lisa Cinciari: Cattolici
comunisti (in Enciclopedia dell'anti-fascismo e della resistenza, Milano); L. Bedeschi:
Cattolici e comunisti (Feltrinelli, Milano); M. Cocchi, P. Montesi: Per una
storia della Sinistra cristiana (Coines, Roma), Casula: Cattolici-comunisti e
Sinistra cristiana (Il Mulino, Bologna); G. Tassani: Alle origini del compromesso
storico (EDB, Bologna); G. Ruggieri, R. Albani: Cattolici comunisti?
(Queriniana, Brescia); M. Repetto: Il movimento dei cattolici comunisti:
problemi storici e politici (in Quaderni della Rivista Trimestrale);: Ricordo, F.
Broglio, "Un cristiano nella sinistra", in "Nuova
Antologia", G. Giannantoni, M. Alema, P. Ingrao: Dibattito in Rivista Trimestrale,
Nuovo Spettatore Italiano, G. Bella: “Lo Spettatore Italiano” (Morcelliana,
Brescia); M. Papini: Tra storia e profezia: la lezione dei cattolici comunisti
(Univ., Roma); E. Landolfi, Rodano, La rivoluzione in Occidente, Palermo, Ila
Palma, M. Raimondo: solitudine e realismo del comunista cattolico (Galzerano,
Salerno); M. Tronti: Una riflessione, (in Rivista Trimestralen. M. Manacorda: lettore
di Marx in Critica marxista, C. Napoleoni, Cercate ancora, Ed. Riuniti, R.
Valle); C. Napoleoni, Teoria politica, A. Noce: Il comunista (Rusconi, Milano);
V. Tranquilli: Fede cattolica e laicità della politica (in Teoria Politica); V. Tranquilli: Realtà
storica e problemi teorici della democrazia
(in Bailamme,.M. Reale: Sulla laicità. Considerazioni intorno alle
relazioni fra atei e credenti (in Novecento, R. Bellofiore: Pensare il proprio
tempo. Il dilemma della laicità in Claudio Napoleoni (in Per un nuovo dizionario della politica,
Ed. Riuniti, Roma, L. Capuccelli); M. Lucente: La riflessione teorica di Rodano
dalla Sinistra Cristiana alla “Rivista Trimestrale” (Tesi di laurea in scienze
politiche, Milano); Istituto Gramsci: Convegno commemorativo di Rodano, Roma),
M. Mustè, “Critica delle ideologie e ricerca della laicità” (Mulino); R.
Albani: La storia comune degli uomini. Rileggendo Rodano (in Testimonianze, M. Papini:
La formazione di un giovane cattolico nella seconda metà degli anni Trenta: Tra
la Congregazione mariana “La Scaletta” e il liceo “Visconti” (in Cristianesimo
e storia, V. Possenti: Cattolicesimo e modernità. Balbo, Noce, Rodano (Milano, M.
Mustè: Fra Del Noce e Rodano: il dibattito sulla società opulenta, La Cultura,
M. Mustè: Rodano: laicità, democrazia, società del superfluo (Studium, Roma). "Cristianesimo
e società opulenta", a cura e con introduzione di Marcello Mustè (Edizioni
di Storia e Letteratura, Roma, V. Parlato: L'utopia in Manifesto, E. Melchionda:
Gli anni di Rodano (in Aprile, Gabriele
De Rosa, "Franco Rodano; il cristianesimo e la società
opulenta", in "Ricerche di storia sociale e religiosa", anno G. Chiarante:
Tra De Gasperi e Togliatti. Memorie (Carocci, Roma; M. Pandolfelli: Marxismo, Scienze
politiche, Roma. S.d.). G.Tassani:"Il Belpaese dei Cattolici",
Cantagalli,"La traccia e la prospettiva teorica di Rodano". R. Moro. FRodano e la storia
del 'partito cattolico' in Italia", in A. Botti, Storia ed esperienza
religiosa. Urbino, Quattro Venti, Hanno detto di lui: la sua vita testimonia,
in modo esemplare, quanto possa essere forte, nell’uomo, la dedizione
all’impegno intellettuale e ai grandi ideali, tra i quali la politica intesa
nel senso più nobile e più alto dell’accezione. Portatore d’una fede religiosa
profondamente sentita e sofferta, ha avuto costantemente con sé il dantesco
“angelo della solitudine”: durante l’intera sua vita, infatti, mai si è
sottratto al rovello e al dubbio; mai ha preferito la comoda via dei pigri,
degli opportunisti e dei neutrali. La sua prima “scelta di campo” nell’Italia
divisa in due, fu doppiamente
coraggiosa: la resistenza al nazi-fascismo ed il tentativo di conciliare nel
Movimento dei cattolici comunisti i valori della tradizione cristiana e
cattolica con quelli della rivoluzione d’ottobre. E così continuò senza paura e
con sacrificio personale in tutti questi anni promuovendo con le sue tesi, tra
consensi e dissensi, un continuo dibattito. La sua “inquietudine” fu, dunque,
sincera e feconda, sorretta da uno spirito virile, ma al fondo sensibile ed
umanissimo. Certamente sarà ricordato dallo storico del futuro con queste sue
peculiarità di intellettuale originale, pugnace e coraggioso. In questo modo
l’ho visto e conosciuto, e così rimarrà per sempre nella mia memoria. S. Pertini,
Quaderni della Rivista Trimestrale,. “ritengo che la sua vita e la sua opera
abbiano fornito una prova concreta e significativa della validità di due
principi che egli ha serenamente professato e praticato e che, anche con il suo
personale contributo, sono acquisiti al patrimonio teorico e ideale del Partito
comunista. Il primo è la distinzione e l’autonomia reciproca della politica e
della fede religiosa (o della convinzione filosofica o del “credo” ideologico).
Il secondo è l’affermazionefatta da Togliatti, formulata in una tesi approvata
dal X congresso del partito e sviluppata poi nelle tesi del XV congressosecondo
la quale un cristianesimo genuinamente vissuto non soltanto non si oppone, ma è
anche in grado di sollecitare un’azione che può contribuire alla battaglia per
la costruzione di una società più umana, più libera e più giusta di quella
capitalista. E. Berlinguer, Quaderni della Rivista Trimestrale. C’era nella sua
avversione al misticismo, all’indistinto, all’anarchismo, una grande lezione di
umanesimo storico e costruttivo. La drammaticità con cui sentiva i rischi di un
capovolgimento della democraziavissuta nei suoi angusti limiti
democraticisticiin corporativismo e in anarchia, e, quindi, la possibilità di
una replica autoritaria, è tuttora inscritta nella nostra vita quotidiana,
nella fase che stiamo attraversando. Bene: distinguere per collegare; stabilire
i confini del campo di ciascuno, da cui discende l’autonomia della politica
dalla religione e dalle ideologie. Per questo ritengo che occorra respingere le
sollecitazioni di quanti pensano di poter rimuovere la questione di fondo posta
da Rodano. Quella questione oggi riguarda, a mio avviso, il confine mobile tra
progresso e conservazione” A. Occhetto, Quaderni della Rivista Trimestrale, Per
chi ha seguito, anche talvolta dissentendo, il pensiero di Rodano e lo ha
spesso messo a confronto con la visione di Moro, appare chiaro che gli
insegnamento di Rodano come quelli di A. Moro non hanno solo valore per la
ricostruzione storica di una fase politica conclusa, ma hanno invece valore e
significato come guida per la costruzione di un processo di allargamento della
democrazia, di sviluppo e di confronto e di un dialogo che sono ancora più che
mai attuali, perché attuali e non risolti sono i grandi problemi
nazionali che richiedono sì maggioranze e governi più efficaci e risoluti,
ma anche un più largo consenso popolare da realizzarsi col confronto, col
dialogo, con la partecipazione, sia pure a vario titolo, ad un unico disegno di
tutte le forze politiche rappresentative dell’intera realtà popolare. G. Galloni,
Quaderni della Rivista Trimestrale, “benché creda che la storia sia opera di
molti, e non di singole personalità pur spiccatissime, ho sempre ritenuto che
il ruolo esercitato da Rodano nella vicenda italiana di questi decenni sia
stato assolutamente fuori del comune, e portatore di cambiamento come a
pochissimi altri è stato dato. Ciò dico soprattutto in riferimento alla storia
e alle trasformazioni del partito comunista italiano, nei cui confronti Rodano
ha esercitato una funzione liberatrice e maieutica che, se non temessi di far
torto alla complessità del processo di un grande movimento di massa e agli
innumerevoli apporti di cui esso è sostanziato, non esiterei a definire
demiurgica.» R. Valle, Quaderni della Rivista Trimestrale. Lasciamo ad altri
le banalità sul consigliere del principe o sul consulente per i rapporti con il
mondo cattolico o con il Vaticano. Togliatti ne fu attratto e interessato
certo, anche perché l’esperienza di Rodano, le sue riflessioni, le sue
frequentazioni arricchivano il Partito di qualcosa che altrimenti non sarebbe
venuto. Forse qualcosa di analogo era stato per Gramsci e per Togliatti
l’incontro con Godetti. Che conoscesse e stimasse Ottavini, che fosse intimo di
Luca, non era importante perché ciò rappresentava un “canale”. E iuttosto
decisivo che un giovane così ascoltasse e parlasse, che si trovasse a casa sua
tra i comunisti, che per farlo soffrisse fino alla persecuzione vaticana,
riuscendo sempre ad essere fedele nel senso più pieno del termine. G. Paietta,
Quaderni della Rivista Trimestrale. Rrimane uno dei pochi uomini la cuia filosofia
rende possibile l’appellativo di femminista anche per un appartenente al sesso
maschile. La sua continua attenzione dalla questione femminile derivava, certo,
da una molteplicità di circostanze. Vi influiva la ricerca su quello che egli
stesso define il processo di umanizzazione dell’uomo, nel cui quadro la
liberazione della donna costitusce ben più di una semplice componente o misura,
ma piuttosto una delle condizioni decisive per una reale, generale fuoruscita
dall’alienazione e dallo sfruttamento umano. Oggi più d’uno ambirebbe,
revanchisticamente, a considerare conclusa la stagione femminista. E invece il
vero problema per le donne, per la democrazia, per il mutamento, è la
perpetuazione e il saldo attestarsi a un livello superiore del femminismo. Per questo
il messaggio che può ben a ragione essere definito femminista nell’accezione
più onnicomprensiva ed elevata, risulta tuttora rivolto alla speranza e
soprattutto all’impegno: quell’impegno per cui egli ha consumato generosamente,
e certo positivamente anche per la causa femminile, tutta intiera la sua vita.
G. Tedesco, Quaderni della Rivista Trimestrale. Il mio primo interrogativo
riguarda le scelte politiche che egli ha fatto, ponendosi come cattolico in
contrasto con alcune direttive ecclesiastiche. Dove ha trovato forza e
serenità, pur con sofferenza, per queste opzioni non rinunciando alla sua fede
e alla sua appartenenza ecclesiale, sempre professata? Non ho trovato altra
risposta che la sua fede teologale. La fede di Franco non era credenza dottrinale,
magari utilizzata ideologicamente, o sottomissione alla gerarchia che poi si
muta in ribellione; era adesione cosciente e ferma a Dio che si è rivelato in
Gesù Cristo, ancora vivente nella Chiesa. Questa fede comporta quel “sensus
fidei” (ne ha parlato il Vaticano II nella Lumen Gentium) che diventa giudizio
pratico nelle concrete situazioni per scelte che siano conformi alla volontà di
Dio. È il discernimento di cui parla san Paolo nella Lettera ai Romani (12, 2)
e che tanta parte ha nella dottrina spirituale cristiana. D. Torre, Quaderni
della Rivista Trimestrale, Il rapporto con la chiesa, sia come comunità di fede
che come istituzione, senza mediazioni di un partito cattolico rappresentava
per Rodano un’occasione e una garanzia per depurare il movimento comunista non
solo dall’ateismo scientista, ma anche di una visione totalizzante della
rivoluzione politica e sociale. Il mito del regno dei cieli sulla terra e di
una storia senza alienazioni. Corrispettivamente il movimento comunista e il
portatore necessario di una trasformazione della società che non si presentasse
come inveramento e compimento della razionalità illuministica, della
rivoluzione borghese, ma anche e soprattutto come loro rovesciamento
dialettico, e perciò offre un fondamento storico e materiale ad un mondo
in cui le persone diventano centro e misura, liberate dalla rei-ficazione
capitalistica, e perciò stesso base reale di un pieno sviluppo di un
cristianesimo, non integralista, ma consapevole, diffuso, praticabile. L. Magri.
E. Melchionda, in "Aprile", Dall'utopia alla secolarizzazione, G. Vassallo,
Il consigliere di Berlinguer che ama la Contro-Riforma. Giornalista politico P. Franchi, Corriere della Sera, Archivio
storico. Treccani L'Enciclopedia italiana". Franco Rodano. Rodano.
Keywords: immunità e comunità – filosofia italiana – i comunisti, il
laico, democrazia, revoluzione, lotta di classe, societa opulenta, peculiarita
dei comunisti italiani, anti-fascismo, arrestato dai fascisti. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rodano” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736193243/in/dateposted-public/
Grice e Romagnosi – filosofia
italiana. Luigi Speranza
(Salsomaggiore Terme). Filosofo. Important Italian philosopher. L'etica,
la politica ed il diritto si possono bensì distinguere, ma non disgiungere. Non
esiste un'etica pratica, se non mediante le buone leggi e le buone
amministrazioni. Figlio di Bernardino e Marianna Trompelli, studia a Piacenza e
Parma. Insegna a Parma e Pavia. Membro "Società letteraria di
Piacenza" dove legge i suoi saggi: “Discorso sull'amore considerato come
motore precipuo della legislazione”; “Discorso sullo stato politico della
nazione italiana”; “L’opinione pubblica. Uno degl’Ortolani. Pubblica la “Genesi
del diritto penale”; Cosa è eguaglianza e, Cosa è libertà; Primo avviso al
popolo, che mostrano simpatie rivoluzionarie. Il suo incarico gli procura
contrasti con il principe di Trento, il conte Pietro Vigilio Thun. Questi gli
concede comunque il titolo di consigliere aulico d'onore. Schiere contro i
principi della rivoluzione francese. Accusato di giacobinismo, è incarcerato a
Innsbruck. Scrive “Delle leggi dell'umana perfettibilità per servire ai
progressi delle scienze e delle arti”. Scopre gli effetti magnetici
dell'elettricità. Romagnosi anticipato la scoperta dell'elettromagnetismo. Pubblica
“Quale e il governo più adatto a perfezionare la legislazione civili”.Fonda il
Giornale di giurisprudenza universale. Pubblica le Istituzioni di Diritto
amministrativo e Della costituzione di una monarchia costituzionale
rappresentativa. Rerduna intorno a Milano una scuola alla quale si formarono
alcuni dei nomi più illustri del Risorgimento italiano: G. Ferrari, C. Cattaneo,
C. Cantù, e Defendente e G. Sacchi. Collabora alla Biblioteca Italiana. Pubblica
l’Assunto primo della scienza del diritto naturale. E arrestato e incarcerato a
Venezia con l'accusa di partecipazione alla congiura ordita da S. Pellico, P.
Maroncelli e F. Confalonieri. Pubblica Dell'insegnamento primitivo delle
matematiche e Della condotta delle acque. Pubblica le Istituzioni di civile filosofia
ossia di Giurisprudenza Teorica. Dirige gl’Annali Universali di Statistica Tra i maggiori filosofi italiani, nel
rinnovamento del pensiero giuridico italiano richiesto dalla necessità di
codificare i nuovi interessi delle classi borghesi emersi con la Rivoluzione
francese e consolidati nel successivo Codice napoleonico, è legata alla
fondazione di una nuova scienza del diritto pubblico, penale e amministrativo,
con uno spirito scientifico settecentesco illuministicamente volto
all'unificazione delle scienze giuridiche, naturali e morali. Studia pertanto
la vita sociale nelle sue componenti storiche, giuridiche, politiche,
economiche e morali. Considera l'uomo nelle forme della sua esistenza storica,
nei modi in cui concretamente pensa e agisce in un contesto sociale determinato.
In questo modo lo studio della storia rivela lo sviluppo dell'incivilimento
umano. Nella “Genesi del diritto penale”, opera che gli dette notevole
fama e non solo in Italia, riprendendo tesi di Beccaria, pone i problemi
dell'utilità della punizione, della natura della colpa e del diritto. Dà una
giustificazione razionale della società che gli appare un'unione necessaria tra
gli uomini, dialetticamente rapportati nel rispetto di una disciplina
condivisa. L'uomo è lo stesso sia nello stato di natura che in quello di
società, malgrado le diversità delle forme sociali. Pertanto gli uomini hanno
un diritto di socialità importante e sacro, quanto quello della conservazione
di se stesso. La società è per lui l'unico stato naturale dell'uomo, respingendo
così la dottrina di uno stato di natura anteriore allo stato sociale. Il cosiddetto
stato di natura è solo un diverso stato sociale nella storia
dell'umanità. Nell'Introduzione allo studio del diritto pubblico
universale, premesso che ogni complesso giuridico di basarsi sul bisogno della
comunità, sostiene che lo scopo del diritto e il rafforzamento delle strutture
civili e politiche della società. Nell'Assunto primo della scienza del
diritto naturale, riprende temi già sviluppati nella Genesi del diritto. Sostiene
che nella natura è tanto il principio di individualità quanto quello di
socialità e pertanto lo sviluppo umano avviene naturalmente verso uno stato di
società, l'unico in cui si sviluppa l'incivilimento - termine ricorrente nei
suoi scritti - un continuo processo verso stadi più avanzati di perfezionamento
morale, civile, economico e politico. E ancora nel Dell'indole e dei
fattori dell'incivilimento, con esempio del suo risorgimento in Italia si pone
il problema di quale sia il motore del progresso umano nella storia: la tesi è
che la società umana è l'organismo fattore di progresso, essendo in sé dotata
di forze agenti in particolari condizioni storiche e ambientali. Lo sviluppo
civile, suddiviso dal Romagnosi in quattro periodo, l'epoca del senso e
dell'istinto, l'epoca della fantasia e delle passioni, l'epoca della ragione e
dell'interesse personale e l'epoca della previdenza e della socialità, vede un
costante trasferimento, agl’organismi pubblici rappresentativi, delle funzioni
sociali come se la natura si trasferisse progressivamente nella funzione
rappresentativa. Il punto d'arrivo della civiltà è una forma sociale in cui
prevalgono la proprietà e il sapere. Tale processo non è lineare. Il diritto
romano si afferma in condizioni civili arretrate. Ma, come una macchina i cui
meccanismi migliorano nel tempo, la sua azione progressivamente perfezionata fa
sorgere dal fondo delle potenze attive un sempre nuovo modo di riazioni e
quindi di effetti variati. L'incivilimento appare così una cosa complessa
risultante di molti elementi e da molti rapporti formanti una vera finale unità
simile a quella di una macchina, la quale scindere non si può senza
annientarla. Il motore di siffatta macchina è il commercio, sviluppato a sua
volta dal progresso dello stato sociale. Guardando allo sviluppo storico
nazionale, vede nel Medioevo l'epoca in cui la città diviene luogo di
aggregazione di possidenti, artisti, commercianti e dotti, favorendo le condizioni
per la nascita dello stato italiano anche se ai comuni medievali manca uno
spirito politico nazionale perché presero la strada dal ramo industriale e
commerciale per giungere al territoriale. Essi dunque ripigliarono
l'incivilimento in ordine inverso. In quest'ordine trovarono i più gravi
ostacoli avendo dovuto separare la professione delle armi da quella delle arti
e della mercatura. Per questo bisogna sempre porsi il problema di un corretto
modo di sviluppo e ora, nella società industriale, l'incivilimento è una
continua disposizione delle cose e delle forze della natura pre-ordinata dalla
mente ed eseguita dall'energia dell'uomo in quanto tale disposizione produce
una colta e soddisfacente convivenza. Nella Collezione degli articoli di
economia politica e statistica civile si trova espressa la fiducia nella
sviluppo capitalistico e nella libera concorrenza economica, difesa contro le
tesi del Sismondi che vede nello sviluppo industriale una spaventosa sofferenza
in parecchie classi della popolazione. I poteri pubblici fano rispettare le
corrette regole della libertà di con-correnza, cosa che non avviene in
Inghilterra dove ora si favorisce il popolo contro i mercanti, ora i possidenti
e i mercanti contro il popolo e intanto si applica ancora il protezionismo. E inoltre
un paese in cui non si applica il diritto romano, fonte di equità civile. La
mentalità empirica degl’inglesi non consente loro di pre-vedere ma solo di
constatare i fatti. Polemizza col Saint-Simon, dottrinario che ostacola la
libera con-correnza, assegna ogni ramo d'industria a guisa di privilegio
personale, favorisce il popolo miserabile contro i produttori e abolire il
diritto di eredità. I saintsimoniani vogliono far lavorare e poi lavorare senza
dirmi il perché. Progresso non è che lavoro. Questo è l'ultimo termine, questo
è il premio. L'uomo, secondo Saint–Simon, dovrebbe sempre progredire lavorando
con una indefinita vista e senza stimolo. Ma voler far progredire l'industria e
il commercio col togliere la possidenza è come voler far crescere i rami col
distruggere il tronco. La proprietà ha un carattere naturale e, come la natura
è la base di ogni società, negare la proprietà significa distruggere ogni
possibilità di convivenza civile. Partendo dalla sua vasta esperienza
giurisprudenziale e politica, auspica una nuova forma di filosofia civile, che
studia le forme e condizioni dell'incivilimento storico della nazione italiana,
scoprendo la legge massima e unica delle vicende politiche, sociali e culturali
dei popoli. Riguardo al problema gnoseologico, per Romagnosi la
conoscenza proviene dai sensi ma la sensazione non è di per sé ancora
conoscenza, la quale si ottiene solo quando l'intelletto ordina e interpreta le
sensazioni secondo proprie categorie, definite logìe, con cui diamo segnature
razionali alle segnature positive. Chiama compotenza questa mutua concorrenza
di sensazioni provenienti dall'esterno e di elaborazione della nostra
mente. Le logìe non sono idee già formate nel momento della nostra
nascita, ma a loro volta sono il risultato della riflessione operata
sull'esperienza empirica. Sono dunque a posteriori rispetto alle sensazioni
passate e a priori rispetto alle sensazioni attuali. Pertanto la conoscenza è
in definitiva un a posteriori con un contenuto base empirico. Ma cosa conosciamo
in realtà? I sensi non danno conoscenza delle cose in sé, ma di ciò che
percepiamo delle cose. Conosciamo la rappresentazione che ci formiamo della cosa.
Se il fenomeno non e copie esatta del reale, tuttavia e UN SEGNO a cui
corrisponde in natura un’essere reale. Pertanto, una cosa esiste fuori di noi,
non e una creazione di un io trascendentale. Non essendoci evidentemente
posto per una metafisica nella sua costruzione filosofica, e attaccato dagl’spiritualisti
e in particolare da Serbati. Può a buon diritto essere considerato il
precursore del positivismo italiano. Considera la contrapposizione di
classico e romantico – nata nell'immediatezza della restaurazione e
trascinatasi per oltre un ventennio con implicazioni letterarie, linguistiche e
anche politiche - come impropria. Cerca di dare una soluzione alla controversia
attraverso la sua concezione ilichiastica, cioè relativa al tempo, della
letteratura, secondo la quale la filosofia e consone all'età e al gusto del
popolo italiano, e suggere che le opere contemporanee dovessero corrispondere
sempre al pensiero moderno di un popolo. L'ilichiastismo si rifà in sostanza
alle sue concezioni sulla formazione della civiltà. Così espose la sua dottrina
in Della Poesia, considerata rispetto alle diverse età della nazione italiana. Sei
tu romantico? Signor no. Sei tu classico? Signor no. Che cosa dunque sei? Sono “ilichiastico”,
se vuoi che te lo dica in greco, cioè adattato alle età. Misericordia! che
strana parola! spiegatemela ancor meglio, e ditemi perché ne facciate uso, e
quale sia la vostra pretensione. La parola “ilichiastico” che vi ferisce
l'orecchio è tratta dal greco, e corrisponde al latino “aevum”, “aevitas”, e
per sincope, “aetas”, “eta,” la quale indica un certo periodo di tempo, e in un
più largo senso, il corso del tempo. Col denominarmi pertanto “ilichiastico,”
io intendo tanto di riconoscere in fatto una filosofia relativa all’età, nelle
quali si sono ri-trovato e si trovera il
popolo italiano, quanto di professare principj, i quali sieno indipendenti da
fittizie istituzioni, per non rispettare altre leggi che quelle del gusto,
della ragione e della morale. Ma la
divisione di romantico e classico, voi mi direte, non è dessa forse più
speciale? Eccovi le mie risposte. O voi volete far uso di queste due parole,
‘classico’ e ‘romantico,’ per indicare nudamente il tempo, o volete usarne per
contrassegnare il *carattere* della filosofia nelle diverse età. Se il primo,
io vi dico essere strano il denominare ‘classica’ la filosofia antica, e filosofia
romantica la media e moderna. L’eta antica (palio-evo), l’eta media (medio-evo),
e l’eta moderna (neo-evo), sono fra loro distinti non da una divisione
artificiale e di convenzione, ma da una effettiva rivoluzione. Se poi volete
adoperare le parole di ‘classico’ e di ‘romantico’ per contrassegnare il
carattere della filosofia italiana nelle diverse età, a me pare che usiate di
una denominazione impropria. Quando piacesse di contrassegnare la filosofia coi
caratteri delle tre diverse età (paleo-evo, medio-evo, neo-evo), parmi che
dividere si potrebbe in filosofia eroica (filosofia antica), teocratica
(filosofia del medio-evo), e civile (neo-evo, moderna eta). Questi caratteri
hanno successivamente dominato tanto nella prima coltura, che fu sommersa dalle
nordiche invasion dei barbari longobardi, quanto nella seconda coltura, che fu
ravvivata e proseguita fin qui. Questi caratteri non esistettero mai puri, ma
sempre mescolati. Dall'essere l'uno o l'altro predominante si determina il
genere, al quale appartiene l'una o l'altra produzione filosofica. Vengo ora
alla domanda che mi faceste, se io classico o romantic. E ponendo mente
soltanto allo spirito di essa, torno a rispondervi che io non sono (né voglio
essere) né romantico, né classico, ma adattato alla mia eta, ed al bisogno della ragione, del
gusto e della morale. Ditemi in primo luogo. Se io fossi nobile ricco, mi
condannereste voi perché io non voglia professarmi o popolano grasso, o nobile
pitocco? Alla peggio, potreste tacciarmi di orgoglio, ma non di stravaganza.
Ecco il caso di un buon italiano in fatto di filosofia. Volere che un filosofo italiano
sia tutto classico, egli è lo stesso che volere taluno occupato esclusivamente
a copiare diplomi, a tessere alberi genealogici, a vestire all'antica, a
descrivere o ad imitare gli avanzi di medaglie, di vasi, d'intagli e di
armature, e di altre anticaglie, trascurando la coltura attuale delle sue
terre, l'abbellimento moderno della sua casa, l'educazione odierna della sua
figliuolanza. Volere poi che il filosofo italiano sia affatto romantico, è
volere ch'egli abiuri la propria origine, ripudj l'eredità de' suoi maggiori
per attenersi soltanto a nuove rimembranze specialmente germaniche. Voi mi
domanderete se possa esistere questo terzo genere, il quale non sia né classico
né romantico? Domandarmi se possa esistere è domandarmi se possa esistere una
maniera di vestire, di fabbricare, di “con-versare”, di scrivere, che non sia
né antica, né media, né moderna. La risposta è fatta dalla semplice posizione
della quistione. Ma questo terzo genere e desso preferibile ai conosciuti fra
noi. Per soddisfarvi anche su tale domanda osservo primamente che qui non si
tratta più di qualità, bensì di bellezza o di convenienza. In secondo luogo,
che questa quistione non può essere decisa che coll'opera della filosofia del
gusto, e soprattutto colla cognizione tanto dell'influenza dell'incivilimento
sulla filosofia, quanto degli uffizj della filosofia a pro
dell'incivilimento. Non è mia intenzione di tentare questo pelago. Osservo
soltanto che questo terzo genere non può essere indefinito. E necessariamente il
frutto naturale dell'età nella quale noi ci troviamo, e si troveranno pure i
nostri posteri. Noi dunque non dobbiamo sull'ali della metafisica errare senza
posa nel caos dell'idealismo, per cogliere qua e là l’ idea archetipo di questo
genere. Dobbiamo invece seguire la catena degli avvenimenti, dai quali nella
nostra età, essendo stata introdotta una data maniera di sentire, di produrre,
e quindi di gustare e di propagare il bello, ne nacque un dato genere, il quale
si poté dire perciò un frutto di stagione di nostra età. Per quanto vogliamo
sottrarci dalla corrente, per quanto tentiamo di sollevarci al di sopra dell’ignoranza
e del mal gusto comune, noi saremo eternamente figli del tempo e del luogo in
cui viviamo. Il secolo posteriore riceve per una necessaria figliazione la sua
impronta dal secolo anteriore. E tutto ciò derivando primariamente dall'impero
della natura che opera nel tempo e nel luogo, ne verrà che il carattere filosofico,
comunque indipendente dalle vecchie regole dell'arte, perché flessibile,
progressivo, innovato dalla forza stessa della natura, e necessariamente
determinato, come è determinato il carattere degl’animali e delle piante, che
dallo stato selvaggio vengono trasportate allo stato domestico. Posto
tutto ciò, l'arbitrario nel carattere della filosofia cessa di per sé. Si puo allora
disputare bensì se il bello ideale coincide o no col bello volgare; se il gusto
corrente possa essere più elevato, più puro, più esteso; ma non si potrà più
disputare se le sorgenti di questo bello debbano essere la mitologia pagana
piuttosto che i fantasmi cristiani, i costumi cavallereschi piuttosto che gl’eroici,
le querce, i monti o i castelli gotici, piuttosto che gli archi trionfali, le
are e i templi romani. Il carattere attuale sarà determinato dall'età attuale e
dalla località. Vale a dire dal genio nazionale italiano eccitato e modificato
dalle attuali circostanze, il complesso delle quali forma parte di quella
suprema economia, colla quale la natura governa le nazioni della terra…
Finisco quest'articolo col pregare i miei concittadini a non voler imitare le
femminette di provincia in fatto di mode, e ad informarsi ben bene degli usi
della capitale. Leggano gli scritti teoretici, e soprattutto le produzioni
della filosofia settentrionale, e di leggieri si accorgeranno che se havvi in
essa qualche pizzo di romantica poesia, niuno si è mai avvisato né per teoria
né per pratica di essere né esclusivamente romantico né esclusivamente classico
nel senso che si dà ora abusivamente a queste denominazioni. Troveranno anzi
essersi trattati argomenti, e fatto uso di similitudini e di allusioni
mitologiche anche in un modo, che niun latino o romano o italiano antico
meridionale si sarebbe permesso. Il solo libro dell'Alemagna della signora di
Staël ne offre parecchi esempi. Il pretendere poi presso di noi il dominio
esclusivo classico, egli è lo stesso che volere una poesia italiana morta, come
una lingua italiana morta. Quando il tribunale del tempo decreta questa
pretensione, io parlo con coloro che la promossero. Durante il periodo del
Regno italico, e niziato massone nella Loggia "Reale Giuseppina" di
Milano, di cui fu in seguito Oratore e Maestro Venerabile. Fu Grande Esperto
all'atto della fondazione del Grande Oriente d'Italia, esponente di primo piano
della Massoneria di Palazzo Giustiniani, Grande Oratore aggiunto del Grande
Oriente d'Italia e in questa funzione autore di vari discorsi massonici. Saggi:
Genesi del diritto penale; Che cos'è uguaglianza; Che cos'è libertà,
Introduzione allo studio del diritto pubblico universale; Principi fondamentali
di diritto amministrativo, Della
costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa, Dell'insegnamento
primitivo delle matematiche, Della condotta delle acque, Che cos'è la mente
sana?, Della suprema economia dell'umano sapere in relazione alla mente sana,
Suprema economia dell'umano sapere, Della ragion civile delle acque nella
rurale economia, Vedute fondamentali sull'arte logica, Dell'indole e dei fattori
dell'incivilimento con esempio del suo risorgimento in Italia, Collezione degli
articoli di economia politica e statistica e civile, Opere, con annotazioni di
Alessandro De Giorgi, vol. 1, Milano, Perelli e Mariani, Opere, Milano, Perelli
e Mariani, La scienza delle costituzioni,
I Discorsi Libero-Muratori, L'Acacia Massonica, Scritti filosofici,
Milano, Ceschina, Scritti filosofici, Firenze, Le Monnier); S. Stringari,
Romagnosi fisico; F. Lanchester, Romagnosi costituzionalista, Giornale di
storia costituzionale, Macerata: EUM-Edizioni Università di Macerata, V. Gnocchini,
L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma); Studi in onore,
Milano, Giuffrè, Per conoscere Romagnosi, Milano, Unicopli, E.A. Albertoni, La
vita degli Stati e l'incivilimento dei popoli nel pensiero politico di Gian
Domenico Romagnosi, Milano, Dott. A. Giuffrè Editore, 1979. Italo Mereu,
L'antropologia dell'incivilimento in G.D. Romagnosi e C. Cattaneo,
Piacen za, Pubblicazioni della Banca di Piacenza, Elio Palombi, Introduzione
alla Genesi del Diritto penale (Milano, Ipsoa, A. Tarantino, Natura delle cose
e società civile. Rosmini e Romagnosi, Roma, Edizioni Studium, Treccani Dizionario
di storia, Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, L'Unificazione,
Dizionario biografico degli italiani, Il contributo italiano alla storia del
Pensiero. Gian Domenico Romagnosi. Romagnosi. Keywords: scienza simbolica,
scienza simbolica degl’antichi romani, il vico di Romagnosi, la terza Roma, la
prima Roma, la prima eta, la terza eta, la logica di Genovese, la matematica,
Sacchi, Cattaneo, incivilamento, gl’italiani, la nazione italiana. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Romagnosi,"
per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51684466767/in/photolist-2mPpwbZ-2mLH24C-2mPE3Bq-2mKbpiZ
Romanoto be identified.
Grice e Roncaglia – alla palestra – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma), filosofo.
Studia a Roma e Firenze sotto Gregory e Maierù. Insegna a Tuscia e Roma. Si
dedica alla storia logica fra il Medioevo e Leibniz. Altri saggi: “Intero e frammentazione”
(Roma, Laterza,). Rivista di filosofia dell'intelligenza artificiale e scienze
cognitive; “Palaestra Rationis. Discussioni su natura della copula e modalità”
(Firenze: Olschki); Università Roma Tre. Dimissioni organi consultivi MiBACT.
Note a margine del concorso per 500 funzionari del Ministero Beni Culturali:
mezzo bibliotecario per ogni biblioteca? E la tutela di libri e manoscritti chi
la fa? Tuscia. Gino Roncaglia. Roncaglia. Keywords: palestra. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Roncaglia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736744995/in/datetaken/1
Grice e Ronchi – filosofia della comunicazione –
filosofia italiana – By Luigi Speranza (Forlì). Flosofo. Si laurea a Bologna e conseguito il dottorato a
Milano sotto Sini. Insegna all’Aquila. Dirige “Filosofia al presente” per
Textus, di L’Aquila e “Canone Minore” per Mimesis Edizioni di Milano, cirige la
scuola di filosofia Praxis a Forlì. Si dedica alla passione (“Sapere
passionale”, Spirali, Milano) e alla questione della comunicazione intesa
filosoficamente come partecipazione alla verità e fondamento ontologico della
stessa pratica filosofica (“Teoria critica della comunicazione: dal modello
veicolare al modello conversativo” Mondatori, Milano, -- Grice: “I like ‘conversativo.”Almost
a Spoonerism for ‘conservative’!” --; “Filosofia della comunicazione. Il mondo
come resto e come teo-gonia” (Boringheri, Torino). Propone una revisione del modello veicolare o standard
della comunicazione e una critica al paradigma linguistico del vivente. Al
problema della raffigurazione e al suo rapporto col dicibile nel pensiero
occidentale antico, moderno e contemporaneo è invece dedicato “Il bastardo: figurazione
dell’invisibile e comunicazione indiretta” (Marinotti, Milano). Grice: “This
shows a distinction between ‘ingelese italianato.’ To call indirect
communication bastard would be a bit too much at Oxford!” --. Grazie ai suoi
studi su Bergson si è segnalato come una voce significativa della cosiddetta
“Bergson renaissance”. – cf. Grice, “Speranza e la cosidddetta “Grice
renaissance””. In “L’interpretazione” (Marietti, Genova) e “Una sintesi” (Marinotti, Milano) guarda a
Bergson come a un filosofo in grado di dare risposta a questioni tuttora aperte
del dibattito filosofico. Bergson non è un filosofo irrazionalista,
spiritualista, ostile alla scienza e ai suoi metodi. Per lui la filosofia è un
metodo rigorosamente empirista, che consente la massima precisione possibile
nella descrizione dei fenomeni. Bergson è anzi il filosofo che cerca di
emancipare la scienza da quanto di “metafisico” era ancora inconsapevolmente
presente nelle sue pratiche. Con le sue celebri nozioni di “durata” e di
“memoria” (cfr. Grice, “Personal identity: my debt to Bergson”) ha costruito un nuovo modello di
intelligibilità del divenire, alternativo a quello aristotelico, in grado
finalmente di spiegare, senza riduzionismi, il “vivente” quale e descritto
dalla biologia evoluzionista. Il pensiero bergsoniano è presentato come
uno snodo essenziale della filosofia del Novecento. La sua dirompente attualità
è mostrata attraverso un confronto sistematico con la fenomenologia,
l’esistenzialismo, l’ermeneutica, il pensiero della differenza e
l'epistemologia della complessità. Al tempo stesso però, Bergson è ricollocato dall’interno della
tradizione filosofica occidentale, come un capitolo, tra i più alti,
dell’indagine filosofica sulla natura: un capitolo che continua l’opera di quei
filosofi e di quei teologi che, dai neoplatonici a Cusano fino a Grice e Gentile,
hanno provato a pensare la natura come vita vivente e come divinità
immanente. Impegnato in una definizione e riabilitazione del filosofico
contro il pericolo della sua dismissione (“Come fare: per una resistenza
filosofica”, Feltrinelli, Milano), proprio grazie al confronto con Bergson e ai
filosofi “amici” di quest’ultimo (Grice, and Grice’s immediate sources: Gallie
and Broad), define la sua posizione
filosofica inscrivendola in una costellazione ben precisa, ancorché minoritaria
(“Canone minore: verso una filosofia della natura”, Feltrinelli, Milano).
Empirismo radicale, realismo speculativo e “pragmatica” “trascendentale” sono
le definizioni che, più di altre, esprimono il senso e la direzione della sua
ricerca, improntata com'è a criticare quella che chiama “la linea maggiore
della filosofia” e che definisce dualistica, soggettivistica e antropo-centrica.
In una parola: moderna. Da Kant sino a Derrida, la filosofia è stata
infatti caratterizzata dal primato accordato alla finitudine, alla contingenza,
all'intenzionalità griceiana, alla negazione e al linguaggio e la semiotica. La
filosofia di questa linea maggiore è, in fondo, un’antropo-logia cui oppone una
filosofia del processo radicalmente monista e immanentista che contesta la tesi
dell' "eccezione umana" e che non pone come apriori il principio
della correlazione soggetto-mondo (anche nella versione offertane
dall'ermeneutica e dalla fenomenologia). Alla svolta trascendentale kantiana è
opposta quella cosmologica whiteheadiana e, al dispositivo aristotelico
potenza/atto, dispositivo insufficiente a cogliere la natura naturans, la
nozione di gentiliana di “actus purus”. La linea minore della filosofia è,
infatti, anche e soprattutto una linea megarica che, alla potenza
logico-linguistica e umana troppo umana dei contrari, sostituisce una potenza
che non può non esercitarsi (sia essa quella dell’Uno di Plotino, della
sostanza di Spinoza o della durata di Bergson). La filosofia della linea minore
è una filosofia del processo (categoria che oppone all’aristotelica Kinesis)
che, pur confutando il nulla e il possibile come pseudo-problemi, non sacrifica
il carattere creativo e dinamico del reale. Il problema filosofico del rapporto
uno-moltida sempre al centro della riflessione cioè risolto nei termini di una
co-generazione reciproca fra i differenti per natura, in cui questa differenza
non di grado tra il principio e il principiato funziona come causa
dell’immediato essere uno dei molti ed esser molti dell’uno, ossia come la
causa di quella unità cangiante di tutte le cose che chiama “immanenza assoluta”. Altri
saggi: Luogo comune. Verso un'etica della scrittura (Bocconi) La scrittura
della verità. Per una genealogia della teoria (Jaca, Milano); – modello conversativo. Grice: “As I say, I
like ‘conversativo;’ perhaps I should adopt it! ‘conversative,’ rather than the
pompous ‘conversational’!). Liberopensiero. Lessico filosofico della contemporaneità
(Fandango, Roma); Brecht. Introduzione alla filosofia (et al., Correggio )
Zombie outbreak: la filosofia e i morti-viventi (Textus, L'Aquila ); Credere
nel reale (Feltrinelli, Milano); Dispositivi (Orthotes, Napoli) -- realismo speculativo,
Sini, Gentile. Ronchi. Keywords: filosofia della comunicazione, immanenza, in
defense of the minor league, natura naturans, Gentile, atto puro. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Ronchi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736047293/in/datetaken/
Rosatti Marcello
vitali rosatti --
Grice e Rosselli – il veintennio
fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Important Italian philosopher. There
is a Rosselli Circle in Rome. Fu il teorico del "socialismo
liberale", un socialismo riformista non marxista direttamente ispirato dal
laburismo britannico e dalla tradizione storico-politica, italiana e non, del
radicalismo liberale e libertario. Fondò a Firenze il foglio clandestino Non
Mollare e nel 1926, insieme al socialista Pietro Nenni, la rivista milanese Il
Quarto Stato. Fonda il movimento antifascista Giustizia e Libertà, che combatté
per la Repubblica nella Guerra civile spagnola, all'interno della Colonna
Italiana Rosselli, costituita assieme agli anarchici. Ucciso in Francia insieme
con il fratello Nello da assassini legati al regime fascista. Da un'agiata
famiglia, figlio del livornese Giuseppe Emanuele "Joe" Rosselli e
della veneziana Amelia Pincherle, sorella di C. Pincherle, architetto e
pittore, oltreché padre dello scrittore A. Moravia. Sia la famiglia paterna che
quella materna, fermamente legate agli ideali repubblicani e mazziniani, erano
state politicamente attive, avendo partecipato alle vicende del Risorgimento
italiano: Pellegrino Rosselli, tra l'altro zio della futura moglie di Ernesto
Nathan (Sindaco di Roma), fu un seguace e stretto collaboratore di Giuseppe
Mazzini nei suoi ultimi anni di vita (morì difatti in clandestinità nella sua
casa pisana) ed un Pincherle fu nominato ministro durante la breve esperienza
della Repubblica di San Marco, instauratasi nel Triveneto a seguito d'una
massiccia insurrezione anti-asburgica guidata da D. Manin e N. Tommaseo.
I Rosselli avevano abitato per un considerevole periodo a Vienna, dove Giuseppe
Emanuele studia composizione musicale e dove e nato il primogenito Aldo Sabatino.
In seguito, si trasferirono a Roma, dove il padre, rinunciando alle sue
aspirazioni artistiche, si dedica alla vita mondana, mentre la madre ottenne
dei discreti successi come autrice di drammi teatrali. Qui, dopo la propria
nascita, venne alla luce Sabatino Enrico "Nello". I due coniugi
si separarono. Le condizioni economiche della famiglia hanno subito un grave
tracollo a causa della leggerezza del padre. Amelia si trasferì con i suoi tre
figli a Firenze, dove frequentarono le scuole. Mostra in quel periodo poco
interesse per gli studi e la madre lo ritira dal ginnasio, facendogli frequentare
la scuola tecnica. L'entrata in guerra dell'Italia fu accolta con entusiasmo dai
Rosselli, decisamente interventisti. Il fratello Aldo e arruolato come
ufficiale di fanteria e muore in combattimento ricevendo una medaglia d'argento
alla memoria. Collabora al foglio di propaganda «Noi giovani», fondato da Nello,
anche se l'editoriale Il nostro programma, che apre in gennaio il primo numero del
giornale, e redatto con buone probabilità. Il manifesto, che l'ingenuità di due
ragazzi indirizza verso una fiduciosa speranza in un mondo migliore, propone sin
da allora alcuni tratti fondamentali della sua personalità, ossia un amore
incondizionato per l'umanità e la spinta all'azione nel solco dello spirito
mazziniano, che lo inserisce nel filone dell'interventismo democratico. Per
«Noi giovani», licenza i primi articoli, uno sulla rivoluzione russa, il
secondo sull'entrata in guerra degli Stati Uniti. Il primo saggio,
“Libera Russia”, esalta il risveglio del paese di Gorkij, Tolstoj e
Dostoevskij, supremi interpreti di un rinnovamento in atto già dal secolo
precedente, per cui la rivoluzione non e che il punto culminante di una lunga
preparazione all'avvento di una società più giusta. Vi e tutta una massa che
sale lentamente, inesorabilmente. La marcia si puo ritardare ma non impedire. Dei
recentissimi eventi, inoltre, viene esaltata la componente pacifica, la loro
attuazione relativamente non violenta. Il saggio Wilson mostra tutta la
fiducia nutrita per l'uomo che definì il conflitto come “a war to end wars” (una guerra per porre fine alle guerre), uno
slogan che rappresenta bene le sue speranze di e di tutta la famiglia
Rosselli. E chiamato alle armi. Frequenta a Caserta il corso allievi
ufficiali e venne assegnato a un battaglione di alpini in Valtellina. La guerra
finisce senza che egli avesse dovuto sottomettersi al battesimo del fuoco e
venne congedato col grado di tenente. Il contatto con militari e molto
importante per lui. Apprezza la massa furon posti in grado di comprendere tante
cose che sarebbero loro certamente sfuggite nel loro isolamento di classe o di
professione. Diplomatosi all'Istituto tecnico, si iscrive a Firenze al corso di
Scienze sociali, laureandosi a pieni voti con una tesi sul sindacalismo e si
prepara a sostenere anche gli esami di maturità classica per ottenere il
diritto di frequentare altri corsi universitari. Tramite il fratello Nello
conosce G. Salvemini, professore a Firenze, che e da allora un costante punto
di riferimento per entrambi i fratelli. Gli fa rivedere il suo saggio sul
sindacalismo rivoluzionarioi, chei giudica non un saggio critico, equilibrato,
sostanzioso, ma in essa e incapsulata un'idea fondamentale: la ricerca di un
socialismo che fa sua la dottrina liberale e non la ripudiasse. Savvicina al
Partito Socialista Italiano, simpatizzando, in contrapposizione all'allora
maggioritaria corrente massimalista di G. Serrati, per quella riformista di F. Turati,
che egli ha poi modo di conoscere personalmente a Livorno durante lo
svolgimento del Congresso del Partito, che sance la definitiva scissione
dell'ala di sinistra interna filo-bolscevica che prenderà il nome di Partito
Comunista d'Italia, e scrive svariati articoli per “Critica Sociale”. Mussolini
sale al potere. I riformisti di Turati sono espulsi dal Partito Socialista
Italiano. Si trasfere a Torino, dove frequenta il gruppo della “Rivoluzione
liberale», in quel momento fortemente impegnata in senso anti-fascista, e con
la quale incomincia a collaborare. Conosce G. Matteotti, del “Partito
Socialista Unitario”, nel quale erano confluiti P. Gobetti e la componente
riformista espulsa dal Partitot Socialista Italiano. E. Rossi. A Firenze,
il gruppo dei socialisti liberali che si raccoglie intorno alla figura
carismatica di Salvemini inaugura il Circolo di Cultura. Oltre ai Rosselli vi sono
P. Calamandrei, E. Finzi, G. Frontali, P. Jahier, L. Limentani, A. Niccoli ed E.
Rossi. Gli ex-combattenti del circolo adereno all'associazione anti-fascista “Italia
libera”. Si laurea a Siena, con “Prime linee di una teoria economica dei
sindacati operai” e parte per Londra, stimolato dal desiderio di conoscere la
capitale del laburismo, di seguire i seminari dei Fabiani e di assistere, a
Plymouth, al congresso delle unioni operaie. A Londra vi e anche Salvemini, che
tene un corso sulla storia della politica estera italiana al
King's. Tornato in Italia grazie anche ai buoni uffici di Salvemini, si
impiega come assistente volontario a Milano. Prosegue la sua collaborazione a “Critica
Sociale” di Turati. Vi pubblica un articolo, invitando il Partito socialista a
rompere con il marxismo, che giudicava espressione di cieco e tortuoso
dogmatismo, per mettersi piuttosto sulla linea di un sano empirismo all'inglese.
Collabora con la rivista del Partito Socialista Unitario, «Libertà», scrivendo
proprio un saggio sul movimento laburista inglese. Dopo il delitto Matteotti s'iscrisse
al Partito Socialista Unitario. Spera invano che in Italia si costituisse una
seria opposizione anti-fascista moderata in grado di offrire un'alternativa
politica alla borghesia che guarda con simpatia al fascismo: una di queste
avrebbe potuto essere l'Unione democratica nazionale di G. Amendola, alla quale
adere il fratello Nello. D’Inghilterra invia al giornale del Partito Socialista
Unitario la «Giustizia», le corrispondenze sull'evolversi della situazione
politica inglese, successiva alla vittoria elettorale dei conservatori e alla
rottura dell'alleanza tra laburisti e liberali. E pessimista sulle
condizioni politiche dell'Italia. La secessione aventiniana non produce
effetti, con i suoi sterili tentativi di accordo con il re, con i generali e i
fascisti dissidenti. Del resto i fascisti stano re-agendo e lo dimostrano anche
devastando il Circolo di Cultura di Salvemini che, come non basta, venne chiuso
dal prefetto con una singolare motivazione. L sua attività provoca il giusto
risentimento del partito dominante. Lasciato l'incarico a Milano, insegna a Genova.
Scrisse a Salvemini. Forse non ha apparentemente alcuna positiva efficacia, ma
io sento che abbiamo da assolvere una grande funzione, dando esempi di
carattere e di forza morale alla generazione che viene dopo di noi. Appare così
con la collaborazione di E. Rossi, G. Salvemini, P. Calamandrei, N. Traquandi,
D. Vannucci e di Nello Rosselli, che ne ha proposto il nome, il foglio
clandestino “Non Mollare”. Alcuni redattori della rivista Non Mollare sono N.Traquandi,
T. Ramorino, C. Rosselli, E. Rossi, L. Emery, N. Rosselli. La denuncia di un
tipografo provoca la repressione e la dispersione di alcuni tra i redattori del
foglio. E. Rossi riusce a fuggire a Parigi, il Vannucci in Brasile, Salvemini e
arrestato a Roma e denunciato per vilipendio del governo fascista. In attesa
del processo, messo in libertà provvisoria, a causa delle minacce dei fascisti,
a passò la notte a Firenze, in casa dei Rosselli, che non sono ancora fra i
sospettati. Gli squadristi però, venuti a conoscenza del fatto, devastano
l'abitazione il giorno dopo. Scrive Rosselli a G. Ansaldo. Io sono di ottimo
umore e l'altra sera ho financo bevuto alla distruzione compiuta! Se i signori
fascisti non hanno altri moccoli, possono andare a dormire. Aspetteranno a
lungo la mia rinuncia alla lotta. Ormai preso di mira dai fascisti, e aggredito
a Genova mentre si recava all'Università e poi disturbato durante la sua
lezione, con la richiesta del suo allontanamento. Si attiva infine lo stesso
Ministro dell'economia, G Belluzzo, che chiese il suo licenziamento. A questo
punto, prefere dimettersi. Pochi giorni dopo, ia Firenze, sposò con rito
civile Marion Catherine Cave, una laburista venuta a Firenze a insegnare nel
British Institute, conosciuta da Rosselli al Circolo della Cultura
salveminiano. Lapide commemorativa: «In via Ancona 2 vive il martire
antifascista e qui ebbe sede la redazione del Quarto Stato rivista socialista a
difesa della libertà e della democrazia. I due sposi viveno a Milano, dove fonda
con P. Nenni la rivista «Il Quarto Stato. La rivista ha vita breve, venendo
chiusa con l'entrata in vigore della legge sui provvedimenti per la difesa
dello stato fascista italiano. Scopo della pubblicazione e il tentativo di
rappresentare un punto d'incontro di tutte le forze socialiste e di sviluppare
temi di politica culturale al cui centro e il perfezionamento degl’uomini e
l'elevamento della vita dei cittadini. Con C. Treves e G. Saragat costitue
un triumvirato che, costitue clandestinamente il Partito Socialista dei
Lavoratori Italiani, che prese il posto del Partito Socialista Unitario,
sciolto d'imperio dal regime fascista a causa del fallito attentato a Mussolini
da parte del suo iscritto T. Zaniboni. L. Bova, Filippo Turati, Carlo Rosselli,
Sandro Pertini e Ferruccio Parri a Calvi in Corsica dopo la fuga in motoscafo
da Savona. Oganizza con I. Oxilia, S. Pertini e F. Parri l'espatrio di F.
Turati a Calvi in Corsica, con un motoscafo partito da Savona. Mentre Turati,
Pertini e Oxilia proseguirono per Nizza, Parri e Rosselli, ritornati con il
motoscafo a Marina di Carrara, sono arrestati, nonostante tentassero di
sostenere di essere reduci da una gita di piacere. E accusato anche di
aver favorito la fuga di G. Ansaldo, di C. Silvestri, di C. Treves e di G. Saragat.
Venne detenuto nelle carceri di Como poi
inviato al confino di Lipari in attesa del processo. Quando e ricondotto
da Lipari a Savona per essere processato, nell'isola siciliana giunge il
fratello Nello, condannato a 5 anni di confino. Al processo si difese
attaccando il regime fascista. Il responsabile primo e unico, che la coscienza
degli uomini liberi incrimina è il fascismo che con la legge del bastone,
strumento della sua potenza e della sua nemesi, inchioda in servitù milioni di
cittadini, gettandoli nella tragica alternativa della supina acquiescenza o
della fame o dell'esilio. La sentenza, rispetto alle previsioni, e mite: dieci
mesi di reclusione e, avendone già scontati otto, avrebbe potuto essere presto
libero. Ma le nuove leggi speciali permisero alla polizia di infliggergli altri
3 anni di confino da scontare a Lipari. La vita al confino trascorrecon le
letture di Benedetto Croce, di Rodolfo Mondolfo, dell'epistolario di Marx ed
Engels e di Imanuele Kant. Intanto, si prepara la fuga, che venne
organizzata dall'amico di Salvemini A. Tarchiani. Evase da Lipari con F.
Nitti ed E. Lussu, con un motoscafo guidato dall'amico Italo Oxilia diretto in
Tunisia, da cui poi i fuggiaschi raggiunsero la Francia. F. Nitti
narra l'avventurosa evasione in “Le
nostre prigioni e la nostra evasione”, mentre Rosselli racconta le vicende del
confino e dell'evasione in “Fuga in quattro tempi”. A Parigi, con Lussu, Nitti,
e un gruppo di fuoriusciti organizzati da Salvemini, e fra i fondatori del
movimento anti-fascista "Giustizia e Libertà". :Giustizia e Liberta” pubblica
diversi numeri della rivista e dei quaderni omonimi ed e attiva nell'organizzazione di diverse azioni
dimostrative, tra cui il volo sopra Milano di Bassanesi. Critica appassionatamente
il marxismo ortodosso, colonna portante della stragrande maggioranza dei vari
schieramenti politici socialisti. Il socialismo liberale propugnato da lui si
caratterizza quale una creativa sintesi della tradizione del marxismo
revisionista, democratico e riformista (quello, tra gli altri, di Bernstein, W.
Sombart, Turati e Treves), ed il socialismo non marxista, libertario e de-centralista
(come quello di F. Merlino, Salvemini, G. Cole, R. Tawney e O. Jászi). Attacca dirompente contro lo stalinismo della
Terza Internazionale che, con la formula del socialfascismo accomuna socialdemocrazia, liberalismo borghese e
fascismo. Non stupisce perciò che uno fra i più importanti stalinisti, P.Togliatti,
define il socialismo liberale un
"magro libello anti-socialista" e Rosselli un ideologo reazionario
che nessuna cosa lega alla classe operaia. Giustizia e Libertà adere alla Concentrazione Anti-Fascista, unione di
tutte le forze anti-fasciste non comuniste (repubblicani, socialisti, CGL) che
intende promuovere e coordinare ogni possibile azione di lotta al fascismo. Pubblica
i "Quaderni di Giustizia e Libertà". Dopo l'avvento del nazismo
in Germania Giustizia e Liberta sostenne la necessità di una rivoluzione
preventiva per rovesciare i regimi fascista e nazista prima che questi
portassero a una nuova tragica guerra, che a Giustizia e Liberta sembra l'inevitabile
destino dei due regimi. Bandiera della Colonna Italiana, nota anche come
Centuria Giustizia e Libertà, che sostenne i repubblicani nella guerra civile
spagnola. Scoppie in Spagna la guerra civile tra i rivoltosi dell'esercito
filo-monarchico, che effettuarono un colpo di stato, e il legittimo governo
repubblicano del Fronte Popolare di ispirazione marxista. E subito attivo nel
sostegno alle forze repubblicane, criticando l'immobilismo di Francia e
Inghilterra. Fascisti e nazisti aiutano F. Franco con uomini e armi agli
insorti. Combatte la sua prima battaglia. Cerca poi di costituire un vero
e proprio battaglione (intitolato a G. Matteotti). La prima formazione
italiana, che prende poi, dopo l'uccisione dei due fratelli, il nome di Colonna
Italiana Rosselli, annovera tra i 50 e i 150 uomini, reclutati fra gli esuli italiani
in Francia dal movimento Giustizia e Libertà e dal Comitato Anarchico Italiano.
Tra questi c'erano anche gli anarchici U. Marzocchi e C. Berneri. U. Marzocchi
scrive sulla comune esperienza antifascista di anarchici e di militanti di
Giustizia e Libertà, "Carlo Rosselli e gli anarchici". In un
discorso, pronuncia la frase che poi diverrà il motto degli antifascisti
italiani: "Oggi qui, domani in Italia". È con questa speranza segreta
che siamo accorsi in Ispagna. Oggi qui, domani in Italia. Fratelli, compagni
italiani, ascoltate. È un volontario italiano che vi parla dalla Radio. Non
prestate fede alle notizie bugiarde della stampa fascista, che dipinge i
rivoluzionari come orde di pazzi sanguinari alla vigilia della sconfitta. A
contrasti con gl’anarchici si dimette da comandante della Colonna e fonda il
battaglione Matteotti. Soggiorna a Bagnoles-de-l'Orne per delle cure
termali, dove fu raggiunto dal fratello. Sono uccisi da una squadra di
cagoulards, miliziani della Cagoule, formazione eversiva di destra francese, su
mandato, forse, dei servizi segreti fascisti e di G. Ciano. Con un pretesto sono
fatti scendere dall'automobile, poi colpiti da raffiche di pistola. Carlo muore
sul colpo, Nello (colpito per primo) venne finito con un'arma da taglio.. I
corpi vennero trovati due giorni dopo. I colpevoli, dopo numerosi processi,
riusciranno quasi tutti a essere prosciolti. Sono sepolti nel cimitero
monumentale parigino del Père Lachaise. I familiari ne traslarono le salme in
Italia, a Trespiano. Salvemini tenne il discorso commemorativo alla presenza
del presidente della Repubblica. La tomba riporta il simbolo della spada di
fiamma, emblema di GL, e l'epitaffio scritto da Calamandrei. Giustizia e
liberta. Per questo morirono per questo vivono. L'unico suo saggio
pubblicato mentre era in vita è "Socialismo liberale", scritto
durante il confino a Lipari, in una situazione di semi-prigionia. Questo saggio
si pone in una posizione eretica rispetto ai partiti della sinistra italiana
del suo tempo -- per i quali Il Capitale di Marx, variamente interpretato, era
ancora considerato come la Bibbia. Indubbiamente è presente l'influsso del
laburismo inglese, da lui ben conosciuto. In seguito ai successi elettorali del
partito laburista, Rosselli era infatti convinto che l'insieme delle regole
della democrazia liberale fossero essenziali non solo per raggiungere il
socialismo, ma anche per la sua concreta realizzazione (mentre nella tattica
leninista queste regole, una volta preso il potere, debbono essere
accantonate): pertanto, la sintesi del pensiero rosselliano è: "il
liberalismo come metodo, il socialismo come fine". C. Pisacane,
L'idea di rivoluzione propria della dottrina marxista era fondata sulla
concezione della dittatura del proletariato (che, in realtà, già ai tempi di
Rosselli si sta traducendo, in Unione Sovietica, nella dittatura del vertice di
un solo partito). Essa viene respinta da Rosselli, a favore di una rivoluzione
che, come si nota nel programma di GL, è un sistema coerente di riforme
strutturali mirate alla costruzione di un sistema socialista che non rinnega,
ma anzi esalta, la libertà individuale e associativa. Nella riflessione degli
ultimi anni, Rosselli, alla luce dell'esperienza spagnola (difesa
dell'organizzazione sociale di Barcellona compiuta dagli anarchici durante la
guerra civile) e dell'avanzata del nazismo, radicalizza le sue posizioni
libertarie. Rosselli, influenzato dalle idee di Mazzini e di Carlo
Pisacane, propugna il socialismo liberale: il fine è il socialismo, il metodo
il liberalismo, un metodo che garantisce la democrazia e l'autogoverno dei
cittadini. Il liberalismo deve svolgere una funzione democratica, il
"metodo liberale" è il complesso di regole del gioco che tutte le
parti in lotta si impegnano a rispettare, regole dirette ad assicurare la
pacifica convivenza dei cittadini, delle classi, degli Stati, a contenere le
lotte (peraltro desiderabili se limitate). La violenza è giustificabile come
risposta ad altra violenza (per questo era giusta la lotta contro il franchismo
e sarebbe stata auspicabile in Italia una rivoluzione violenta in risposta al
fascismo); il socialismo è una logica conclusione del liberalismo: socialismo
significa libertà per tutti. Rosselli ha fiducia che la classe del futuro sarà
la classe proletaria, la borghesia deve fare da guida al proletariato: il fine
è la libertà per tutte le classi. Archivio Rosselli Bio, su archiviorosselli.
N. Tranfaglia, Dall'interventismo a
Giustizia e Libertà, Bari, Laterza, Il
Circolo di Cultura fu rifondato a liberazione di Firenze appena avvenuta, per
iniziativa del Partito d'Azione e dei soci superstiti e intitolato ai Fratelli
Rosselli. Assunse così il nome di Circolo di Cultura Politica Fratelli Rosselli.
La sua prima manifestazione fu presieduta da P. Calamandrei. Con questo nome è
tuttora operante a Firenze. Con decreto del Presidente della Repubblica è stata
costituita ed eretta in Ente Morale la Fondazione Circolo Rosselli per sostenerne
l'attività. A. Martino: Fuorusciti e
confinati dopo l'espatrio clandestino di Filippo Turati nelle carte della R.
Questura di Savona in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria,
Savona, e Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R.Questura,
Gruppo editoriale L'espresso, Roma. Commissione di Milano, ordinanza contro lui
(“Intensa attività antifascista; tra gli ideatori del giornale clandestino Non
Mollare uscito a Firenze. Favoreggiamento nell'espatrio di Turati e Pertini”).
In: A. Pont, S. Carolini, L'Italia al confine, Le ordinanze di assegnazione al
confino emesse dalle Commissioni provinciali, Milano, ANPPIA, La Pietra, Cfr. Commissione di Firenze, ordinanza contro
N. Rosselli (“Attività antifascista”). In: A. Pont, S. Carolini, L'Italia al
confino Le ordinanze di assegnazione al
confino emesse dalle Commissioni provinciali, Milano, ANPPIA, La Pietra, Cfr. La storia
sotto inchiesta: Fuga da Lipari, un esilio per la liberta trasmesso da Rai
Storia. Il discorso di Rosselli su Romacivica.net in. G.
Fiori, Casa Rosselli, Einaudi); M. Franzinelli, “Il delitto Rosselli”; “Anatomia
di un omicidio politico, Mondadori, Milano). Altre saggi: “Oggi in Spagna,
domani in Italia” (Einaudi, Torino); “Scritti politici e autobiografici (Polis,
Napoli, Z. Ciuffoletti e V. Caciulli (Lacaita, Manduria); Lettere G. Salvemini,
N. Tranfaglia, «Annali della Fondazione Luigi Einaudi, Torino); “Socialismo
liberale” (Einaudi); Il Quarto Stato» di P. Nenni e Rosselli, D. Zucàro,
SugarCo, Milano, Epistolario familiar, iSugarCo, Milano); Socialismo liberale,
J. Rosselli (Einaudi, Torino); Socialismo liberale, J. Rosselli, introduzione e
commento di N. Bobbio, «Attualità del socialismo liberale» e «Tradizione ed
eredità del liberalsocialismo», Einaudi Tascabili. Saggi, 1Scritti dell'esilio.
I. «Giustizia e libertà» e la concentrazione antifascista Costanzo Casucci,
Collana Opere scelte” (Einaudi, Torino); “Scritti politici, Z. Ciuffoletti e P.
Bagnoli, Guida, Napoli, -- una grossa anteprima del libri consultabile in rete.
Scritti dell'esilio. Lo scioglimento della concentrazione antifascista, C. Casucci,
Einaudi, Torino; Liberalismo socialista e socialismo liberale, N. Terraciano
(Galzerano, Casalvelino Scalo), Giustizia e libertà, Giuliana Limiti e Mario di
Napoli, prefazione di Pietro Larizza, Roma, con la tesi sul sindacalismo (Firenze).
Scritti scelti, G. Furiozzi, “Quaderni del Circolo Rosselli”, Alinea Editrice,
Firenze); G. Salvemini, Scritti Vari", G. Agosti e A. Garrone,
Feltrinelli, Milano, Opere scelte, Cultura e società nella formazione, buona
anteprima del pensiero di Salvemini con i rapporti e la grangia politica
correlata R. Gremmo "Alla Cagoule" Silenzi e segreti d'un oscuro
delitto politico. Storia Ribelle, Biella. A. Garosci, "Vita di Carlo
Rosselli", U, Roma, Giustizia e Libertà, A. Levi, "Ricordi” La Nuova
Italia, Firenze («Quaderni del Ponte»). S. Merli, "Il dibattito socialista
sotto il fascismo. Lettere di R. Morandi, Rivista storica del socialismo», ricompreso
in Id., "Fronte antifascista e politica di classe. Socialisti e comunisti
in Italia, De Donato, Bari, Movimento
operaio; N. Tranfaglia, "Dall'interventismo all'antifascismo",
«Dialoghi del XX», Cfr. il n. 8. informazioni su volume "Rosselli e
l'Aventino: l'eredità di Giacomo Matteotti", «Il movimento di liberazione
in Italia», Cfr. stralcio di "L’Aventino. L'opposizione diventava per la prima
volta opposizione, minoranza; come minoranza, avrebbe potuto darsi una
psicologia virile, d'attacco. Ma aveva troppi ex nelle sue file, era troppo
appesantita da uomini che avevano gustato le gioie del potere e della
popolarità.» «Fu questo il miracolismo dell'Aventino. Credere di poter
vincere con le armi legali l'avversario che ha già vinto sul terreno della
forza. Pregustare le gioie del trionfo mentre si riceve la botta più dura. Evitare
tutti i problemi. Gobetti dice. L’Aventino ha un mito, il mito della
cautela" -- sperando che la borghesia dimentichi Quanto alle masse
popolari, che si mostravano nei primi giorni in stato di effervescenza, guai a
chi avesse tentato metterle in movimento! Solo i comunisti e le minoranze
giovani chiesero lo sciopero generale. Ma le opposizioni non vollero, per non
spaventare la borghesia e il sovrano. Carlo Rosselli dall'interventismo a
«Giustizia e Libertà»" (Laterza, Bari, Biblioteca di cultura moderna); in
appendice: scritti di Carlo Rosselli e Lettera di Carlo Rosselli a P. Nenni; "Dal
processo di Savona alla fondazione di Gustizia e Liberta, Le fonti di
«Socialismo liberale»", «Il movimento di liberazione in Italia», M. Lolli, "Alcuni appunti per una lettura
del «Socialismo liberale» di Rosselli", «Il pensiero politico», Santi
Fedele, "Lo «Schema di programma» di «Giustizia e Libertà», Belfagor, P. Bagnoli,
"L'esperienza liberale di Carlo Rosselli,, Italia Contemporanea, L'antifascismo
rivoluzionario dei «Quaderni di Giustizia e Libertà»", «Ricerche Storiche»,
Santi Fedele, "Storia della concentrazione anti-fascista prefazione di N. Tranfaglia, Feltrinelli, Milano); M. Garbari,
"I «vinti» della Resistenza. Nel quarantesimo del sacrificio di Carlo e
Nello Rosselli", «Studi Trentini di Scienze Storiche», a"«Quarto
Stato» di Pietro Nenni e Rosselli", Tavola rotonda fra R. Bauer, U.
Grimaldi, G. Spadolini, D. Zucàro, «Critica Sociale», L. Valiani, "Il
pensiero e l'azione”, Nuova Antologia, N. Tranfaglia, "L'anti-fascismo",
«Mondo Operaio», R. Vivarelli, "Gaetano Salvemini", «Il pensiero
politico», Poi compreso Giovanni Spadolini, "Carlo Rosselli nella lotta
per la libertà", con lettere tra Egidio Reale e Carlo Rosselli, «Nuova
Antologia», A. Colombo, "Carlo
Rosselli e il «Quarto Stato»", «Nord e Sud», "Giustizia e Libertà
nella lotta antifascista e nella storia d'Italia", Atti del convegno
internazionale organizzato a Firenze dall'Istituto storico della Resistenza in
Toscana, dalla Giunta regionale toscana, dal Comune di Firenze, dalla Provincia
di Firenze, La Nuova Italia, Firenze); R. Bauer, "Carlo Rosselli e la nascita di GL
in Italia". J. Petersen, "Giustizia e Libertà in Germania".
Pierre Guillen, "La risonanza in Francia dell'azione di GL e
dell'assassinio dei Rosselli". F. Rosengarten, "Carlo Rosselli e
Silvio Trentin, teorici della rivoluzione italiana". M. Salvadori,
"Giellisti e loro amici degli Stati Uniti durante la seconda guerra
mondiale". Santi Fedele, "Giellisti e socialisti dalla fondazione di
GL alla politica dei fronti popolari". Pier Giorgio Zunino,
"Giustizia e Libertà e i cattolici". A. Garosci, "Le diverse
fasi dell'intervento di Giustizia e Libertà; U. Marzocchi, “Gli’anarchici";
citazione sottostante da un articolo di U. Finetti «Infatti considera una
barbarie le stragi di anarchici in Catalogna, tra cui l'uccisione di C. Berneri,
l'anarchico che lo affiancava nella guida della Prima colonna italiana formata
da tremila anti-fascisti, i primi accorsi” e si ricorda, nel prosieguo, anche
la ferma presa di posizione delle Brigate partigiane di Giustizia e Libertà
quando E. Canzi e rimosso da comandante unico della XIII zona operante nel
piacentino e grazie a questa presa di posizione e reintegrato dopo un breve
arresto. Le Brigate partigiane di Giustizia e Libertà sono in gran parte influenzate dal pensiero di
Rosselli. U. Tommasini, "Testimonianza -- L'eredità di Giustizia e Libertà". M. Piane,
"Rapporti tra socialismo liberale e liberalsocialismo". T. Codignola,
“Giustizia e Liberta e Partito d'azione". N. Tranfaglia, "C. Rosselli",
in "Il movimento operaio italiano; “Dizionario biografico", F. Andreucci
e T. Detti, Editori, Roma, A. Colombo,
"C. Rosselli e il socialismo liberale",
«Il Politico», P. Bagnoli, "Di un dissidio in «Giustizia e Libertà».
Lettere di M. Levi, R. Giua, N. Chiaromonte, A. Garosci «Mezzosecolo», n. 3, Centro studi Piero
Gobetti, Istituto Storico della Resistenza in Piemonte, Archivio Nazionale
Cinematografico della Resistenza, Annali 1Luigi Cirillo, "Il socialismo",
Fasano, Cosenza); E. Lussu,
"Lettere e altri scritti di
«Giustizia e Libertà»", M. Brigaglia, Editrice Libreria Dessì, Sassari.informazioni
su Storia della Sardegna di Manlio Brigaglia, son presenti correlazioni fra i
succitati personaggi. "Le componenti mazziniana e cattaneanea in Salvemini
e nei Rosselli. G. Belloni", Convegno, Domus Mazziniana, Pisa. Arti
Grafiche Pacini & Mariotti, Pisa, Comprende: A. Colombo, "Il «Quarto
Stato»" A. Varni, "Derivazioni mazziniane nella concezione sindacalista
di Carlo Rosselli", Lucio Ceva, "Aspetti politici dell'azione di
Carlo Rosselli in Spagna", G.
Tramarollo, "Rosselli e la gioventù del regime", Paolo Bagnoli, "Il revisionismo
rosselliano", in "Guida alla storia del PSI. La ripresa del pensiero
socialista tra eresia e tradizione", M. Talluri, «Quaderni del Circolo
Rosselli», Giuseppe Galasso, "La democrazia da Cattaneo a Rosselli",
Le Monnier, Firenze («Quaderni di storia», A. Rosselli, Una tragedia italiana" (Bompiani,
Milano); F. Kostner, "Carlo Rosselli e il suo socialismo liberale",
Lalli, Poggibonsi, Linee politiche; P. Bagnoli, "Tra pensiero politico e
azione", Passigli, Firenze, A. Colombo, "Carlo Rosselli e il socialismo
liberale", in "Padri della patria. Protagonisti e testimoni di
un'altra Italia", FrancoAngeli, Milano, («Ricerche storiche» ). Franco
Invernici, "L'alternativa di «Giustizia e Libertà». Economia e politica
nei progetti del gruppo di Carlo Rosselli", Angeli, Milano («Studi e
ricerche storiche»). L. Valiani, "Da Mazzini alla lotta di
liberazione", «Nuova Antologia», D. Scacchi, A. Colombo, presentazione di G. Spadolini,
Casagrande, Lugano, («Quaderni europei»,
I). R. Vivarelli, "Le ragioni di un comune impegno. Ricordando Gaetano
Salvemini, Carlo e Nello Rosselli, E. Rossi", «Rivista Storica Italiana», G. Spadolini,
"Carlo e Nello Rosselli. Le radici mazziniane del loro pensiero",
Passigli, Firenze, 1 («Letture Rosselli», 2). C. Malandrino, "Socialismo e
libertà. Autonomie, federalismo, Europa da Rosselli a Silone" (Angeli,
Milano); F. Bandini, "Il cono d'ombra. Chi armò la mano degli assassini
dei fratelli Rosselli", SugarCo, Milano, Arturo Colombo, "I Rosselli,
due guardiani per l'albero della libertà",, "Voci e volti della
democrazia. Cultura e impegno civile da Gobetti a Bauer", Le Monnier,
Firenze («Quaderni di storia»), Nel nome dei Rosselli. Quaderni del Circolo
Rosselli», Angeli, Milano, G. Muzzi.
"A più voci, G. Arfé, C. Casucci, A. Garosci, F. Malgeri, L. Rapone,
Scritti dell'esilio", Il Ponte, Il carteggio dei Rosselli con Carlo
Silvestri", G. Gabrielli, «Storia Contemporanea», Santi Fedele, "E
verrà un'altra Italia. Politica e cultura nei «Quaderni di Giustizia e
Libertà»" (Angeli, Milano, Collana di Fondazione di studi storici F. Turati);
Z. Ciuffoletti, Il mito della rivoluzione russa e il comunismo", in
"Socialismo e Comunismo, Il Ponte, Paolo
Bagnoli, "La lezione rosselliana, La nuova storia. Politica e cultura alla
ricerca del socialismo liberale, Festina Lente, FNicola Tranfaglia, "Sul
socialismo liberale"; "Dilemmi del liberalsocialismo", M.
Bovero, V. Mura, F. Sbarberi, La Nuova Italia, Roma, («Studi Superiori, Scienze Sociali»). Atti del convegno
"Liberalsocialismo: ossimoro o sintesi?", organizzato ad Alghero Dipartimento
di Economia istituzioni e società dell'Università Sassari. -- fu pubblicato il
primo numero di “Libertà”, periodico legato all'ala socialista del movimento
antifascista, il sottotitolo fu la frase di Marx ed Engels: Alla società
borghese, con le sue classi e con i suoi antagonismi di classe, subentrerà
un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione
del libero sviluppo di tutti e, su invito C. Treves, R. Mondolfo e A. Levi,
Rosselli scrive un articolo “Il partito del lavoro in Inghilterra” che fu
pubblicato sul numero tre in cui Rosselli riafferma una parte del suo pensiero
del periodo. Il partito laburista in base agli elementi che lo compongono può
definirsi come una federazione di gruppi economici e di gruppi politici. In
realtà è l'organizzazione politica federativa ed associativa del movimento
operaio più vecchio e potente del mondo.» S. Suppa, "Note su Carlo
Rosselli: temi per due tradizioni", in I volume "dilemmi del liberalsocialismo,
Del Puppo D., Il Quarto Stato, L'attualità di Carlo Rosselli e del socialismo
liberale. Dialoghi tra: G. Bosetti, V. Foa, S. Maffettone, E. Marzo, N. Tranfaglia,
Supplemento a di Croce Via, Edizioni Italiane, Napoli, Atti del dibattito svoltosi
a Napoli in occasione della
presentazione italiana del volume "Liberal socialism", lavoro di
Nadia Urbinati, tradotto da William McCuaig, Princeton University Press,
Princenton Nadia Urbinati, "La democrazia come fede comune", «il
Vieusseux», P. Bagnoli, Rosselli, "Piero Gobetti e la rivoluzione
democratica. Uomini e idee tra liberalismo e socialismo", La Nuova Italia,
Firenze («Biblioteca di Storia», 55). Costanzo Casucci, "La caratteristica
", con un vademecum, «Belfagor», Simone Visciola, Giuseppe Limone, "I
Rosselli. Eresia creativa, eredità originale", Napoli, Guida, Piero
Graglia, "Unità europea e federalismo. Da Giustizia e Libertà ad Altiero
Spinelli", il Mulino, Bologna) "Il dibattito europeista e federalista
in «Giustizia e Libertà»", «Storia Contemporanea», Lisetto D., Le élites.
Una teoria tra l'elitismo democratico e la democrazia partecipativa",
«Scienza & Politica», Pagine scelte di economia, S. Visciola e A.De
Ruggiero, Firenze, Le Monnier, Salvo
Mastellone, "Il partito politico nel socialismo liberale «Il pensiero
politico», Gianbiagio Furlozzi, "Carlo Rosselli e G. Sorel", «Il
pensiero politico», L'eredità democratica da Bignami a Rosselli", Angeli,
Milano, Salvo Mastellone, La rivoluzione
liberale del socialismo»". Con scritti e documenti inediti. Olschki, Son
riportati testi pubblicati da Carlo Rosselli non inseriti nel I delle «Opere scelte». "Rosselli.
Dizionario delle idee", S. Bucchi, Riuniti, gennaio Antonio Martino,
Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R. Questura, Roma, Gruppo
editoriale L'espresso, Mimmo Franzinelli, "Il delitto Rosselli. Anatomia
di un omicidio politico", Mondadori, Milano Diego Dilettoso, "La Parigi e La Francia
di C. Rosselli. Sulle orme di un umanista in esilio", Biblion, Milano. P. Bagnoli.
Il socialismo delle libertà. Polistampa, Milano, P. Bagnoli. Socialismo, giustizia e libertà.
Biblion, Milano, Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. G. Iacchini,
Socialismo liberale ma... vero!, dMovimento Radical Socialista 55esima brigata
Garibaldi. Archivio dei Rosselli. I fratelli Rosselli, genesi di un delitto
impunito. C. Berneri. Vite parallele di Massimo Ortalli (da "Umanità
Nova" Fondazione Rosselli, Centro di ricerca, Circolo Rosselli Firenze, "Gaetano Pecora" Socialista e
liberale.Bilancio critico di un grande italiano, su politicamagazine. Valdo
Spini, "Perché i Rosselli parlano ancora a questa Italia", sul sito
repubblica. Carlo Alberto Rosselli. Keywords: sindacalismo, sindacalismo
revoluzionario, laburismo, partito laburista, I fabiani, Mill, Bonini,
liberalismo, sindacato, sindicato nella storia italiana, sindacato in Roma
antica. Refs.: Luigi Speranza, “Rosselli e
Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice,
Liguria, Italia. Rosselli. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735739686/in/dateposted-public/
Rosselli – il veintennio fascista – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma).
Filosofo. Ucciso da assassini legati al regime fascista. Figlio del
livornese Giuseppe Emanuele e della veneziana Amelia Pincherle, sorella di
Carlo, architetto e pittore, oltreché padre dello scrittore Alberto Moravia.
Sia la famiglia paterna che quella maternafermamente legate agli ideali repubblicani
e mazziniani, sono stati politicamente attive, avendo partecipato alle vicende
del Risorgimento italiano: Pellegrino Rosselli, tra l'altro zio della futura
moglie di E. Nathan, sindaco di Roma, e un seguace e stretto collaboratore di Mazzini
ed un Pincherle e nominato ministro nella Repubblica di San Marco, instauratasi
nel Triveneto a seguito d'una massiccia insurrezione anti-asburgica guidata da
D. Manin e N. Tommaseo. Diresse iil mensile Noi. Discusse con Salvemini la
tesi di laurea su “Mazzini e il movimento operaio”. Pubblica numerosi articoli
su riviste storiche italiane e il saggio “Mazzini e Bakunin”. Pubblica il saggio “Pisacane nel Risorgimento
italiano”. La raccolta dei suoi “Saggi
sul Risorgimento italiano e altri scritti”, pubblicata da Einaudi. Inizia
giovane a far politica e fu col fratello tra i fondatori del giornale "Noi
giovani". Col fratello e con P. Calamandrei, e col patrocinio di G.
Salvemini, fonda il Circolo di Cultura, chiuso dai fascisti. Fa parte dei
fondatori del gruppo fiorentino di Italia libera, fra cui, oltre al fratello, E.
Bocci, L. Rochat, D. Vannucci, N. Traquandi. Adere alla fondazione dell'Unione
nazionale delle forze liberali e democratiche promossa da G. Amendola, e partecipa
alla fondazione del primo giornale antifascista clandestine, “Non Mollare”. Arrestato
e condannato a 5 anni di confino a Ustica. Rilasciato, venne nuovamente
arrestato e condannato a 5 anni di confino a Ustica e Ponza, dopo la fuga da
Lipari del fratello. Ottenne, su intercessione di G. Volpe (probabilmente in
buona fede) il passaporto, con una sollecitudine che ad alcuni amici, tra cui P.
Calamandrei, parve sospetta e motivata dal fine di arrivare attraverso lui al
rifugio del suo fratello. Assassinato a Bagnoles-de-l'Orne da una squadra di
cagoulards, miliziani della Cagoule, formazione eversiva di destra su mandato,
forse, dei servizi segreti fascisti e di G. Ciano. Con un pretesto vengono
fatti scendere dall'automobile, poi colpiti da raffiche di pistola. Carlo muore
sul colpo, Nello (colpito per primo) viene finito con un'arma da taglio. I
corpi vengono trovati due giorni dopo. I colpevoli, dopo numerosi processi,
riusciranno quasi tutti ad essere prosciolti. Commissione di Firenze,
ordinanza contro Rosselli (“Attività antifascista”). In: A. Pont, L'Italia al confine, Le ordinanze di
assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali, Milano (ANPPIA/La
Pietra), Ustica celebra la libertà dei
Rosselli, profilo di G. Volpe, profile nel sistema informatico dell'Archivio di
stato di Firenze. G. Fiori, Casa Rosselli, Einaudi, M. Franzinelli, Il delitto
Rosselli. Anatomia di un omicidio politico” (Mondadori, Milano. Opere: “Saggi
sul Risorgimento e altri scritti” (Torino, Einaudi); “Inghilterra e regno di
Sardegna” (Torino, Einaudi); “Mazzini e Bakunin -- dodici anni di movimento
operaio in Italia” ( Torino, Einaudi); “Carlo Pisacane nel Risorgimento
italiano” (Torino, Einaudi); Z. Ciuffoletti, “Un filosofo sotto il fascismo.
Lettere e scritti vari” (Firenze, La Nuova Italia); A. Colombo, I colori della
libertà fra storia, arte e politica” (Milano, Angeli); G. Belardelli (Catanzaro,
Rubettino); S.Visciola, “La Scuola di storia moderna e contemporanea. La prima
fase della ricerca di storia diplomatica, in Politica, valori e idealità, Maestri
dell'Italia civile, L. Rossi, Roma, Carocci, S. Visciola, “Soi
"maestri". Il rinnovamento della storiografia italiana fra le due
guerre, in I Rosselli: eresia creativa eredità originale, S. Visciola e G.
Limone, Guida, Napoli, S. Visciola, Uno filosofo salla ricerca della libertà in
tempi difficili. Appunti sparsi per una biografia complessiva ancora da
scrivere, in I fratelli Rosselli. L'antifascismo e l'esilio, A. Giacone ed E.
Vial, Roma, Carocci,, G. Tramarollo, “Tra
mazzinianesimo e socialismo”, G. Belardelli,
Un filosofo antifascista” (Passigli, Firenze, («Il filo rosso»). Il carteggio di i Rosselli
con C. Silvestri, G. Gabrielli, Storia, M. Franzinelli, “Il delitto Rosselli --
Anatomia di un omicidio politico” (Mondadori, Milano). Treccani Dizionario di
storia, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Sabatino Enrico Nello Rosselli. Nello
Rosselli. Rosselli. Keywords: risorgimento, Mazzini, operaismo, movimento
operaio, risorgimento italiano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosselli” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736396679
Grice e Rosselli – apologeticus – implicature cucullate
-- filosofia italiana – Luigi Speranza
(Gimiliano). Filosofo. Far dobbiamo onorevole menzione di lui, letterato
insigne del suo tempo e filosofo di grido, Cattedratico in Napoli ed in
Salerno; il quale, a dir del Barrio, partitosi pel genio di visitare l'Africa, e
ucciso dal proprio schiavo. Della famiglia di cui è stata la madre del
celeberrimo G. Scorza, matematico distintissimo, istruttore, autore di merito,
ed illustratore della scienza per metodi ed invenzioni, morto non ha guari in
Napoli. Conchiudendo adunque, pare non dubbio essere stato il Nifo calabrese di
origine, ed avere avuto tra noi i primi rudimenti di letteratura, tali da
avergli dato a vivere. Dal contesto di scrittori calabresi, contemporanei
alcuni, e vivuti altri dopo breve tempo della morte di lui, a cui noto veniva
per recente tradizione, chiaramente se ne rivela il vero. Dscepolo del celebre
Nifo, per la sua dottrina e prescelto a leggere filosofia per più anni a Salerno.
Saggi: “Apologeticus adversus cucullatos Philosophiae declamatio ad Leonem X
Oratio habita Patavi in principio suarum disputationum; “De propositione de
inesse secundum Aristotelis mentem libellu; “Universalia Porphiriana” (Calabria,
Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, L. Accattatis, Di questo
filosofo si occupano nei loro studi, tra gli altri, Zambelli e De Franco. "Rosselli
di Gimigliano. Dalle origini a noi" (O/esse) che ricostruisce la sua vita
e le sue opera. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Tiberio Russiliano-Sesto. Tiberio Rosselli.
Rosselli. Keywords: apologeticus, adversus cucullatos philosophiae; de
propositione de inesse, universalia porphiriana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosselli” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691969244/in/photolist-2mPsU62-2mPpwbZ-2mLQdrQ-2mKQRx3-2mKjgQZ-2mPHbXQ-25zsJeW-25zsJeL-nphXNB-nqHNYv
Rossetti (Vasto).
Grice: “A philosopher can also discover a ‘antro di pipistrelle.”” Filosofo, illuminista
poliedrico, poeta estemporaneo, tragediografo, archeologo e speleologo, da
Martuscelli. Figlio di Nicola Rossetti e Maria Francesca Pietrocòla. Studia a
Napoli e Roma. Si trasfere a Elba. Ceelbra la liberazione del Granducato di
Toscana con il canto estemporaneo“La superbia dei Galli punita” (Firenze, Gio).
Si sposta in Sardegna, sotto la protezione del viceré Carlo Felice. A Sassari
compose e rappresenta la tragedia “Morte di San Gavino” (Oristano, Arborense). Si
sposta in Provenza, a Nizza, dove scopre la piramide di Falicon, che gli ispira
un poemetto in 165 ottave, “La grotta di Monte-Calvo” (Parma). In seguito, si
trasfere a Torino, dove conosce Caluso, e si stabilisce a Parma. Inizia a
dirigere “Il Taro”. Altri opera. In occasione d'essere l'augusto imperator de'
francesi Napoleone I coronato re d'Italia. Cantata (Parma, Luigi); La note” (Parma,
Paganino); “Alla tomba di Hoffsteder” (Parma, Luigi); “Ode Saffica” (Parma,
Giuseppe Paganino); “Le nozze d’Esculapio De Cinque” (Lanciano, Carabba); “Annibale
in Capua (Napoli, Flautina); A.
Lombardi, Storia della letteratura italiana” (Venezia); F. Andreola, Biografia
degli uomini illustri del regno di Napoli,
N. Gervasi, La famiglia
Pietrocola di Vasto; L. Spadaccini, Rossetti e le sue battaglie per la libertà”;
Rossetti e quei versi ispirati dalla cacciata dei francesi, G. Catania,
Rossetti e la grotta del monte Calvo, E. Mugoni, Il fratello perduto, in Studi
medievali e moderni. Nei panni dello speleologo ante litteram, si avventura in
una cavità del monte Calvo, scoprendo nelle viscere della terra un antro, che
ama definire fascinoso ed insieme orribile. Ne celebra la scoperta con la
pubblicazione di un poemetto di 165 ottave, “La grotta del monte Calvo”; dato alle
stampe a Torino, per i tipi di Domenico Pane, Parma. A Pezzana subentra nella
direzione. Si mostra più attento alle notizie scientifiche e contribue ad
introdurre nel periodico notizie leggere, come favole e indovinelli che il più
delle volte incensano il nome di Napoleone. Con la sua direzionei supplementi
al periodico, da semplici elenchi riguardanti le vendite per espropriazioni
forzate, si trasformamo in pagine che arricchiscono i contenuti culturali e di
svago della testata. L. Marchesani, Storia di Vasto, Apruzzo Citeriore, Napoli,
Torchi dell'Osservatore Medico, retro copertina di P. Spadaccini, “Rossetti e
la Grotta di Monte Calvo: tra mistero e leggenda, Lanciano, Il torcoliere, D. Martuscelli.
Saggi: “Opere” (Parma, Paganino); “Ai liberatori dell'Italia. Ode di Tavanti; Chiari
nella Condotta, L. Anelli, Ricordi di storia vastese, Arte della stampa, G.
Oliva, “Abum di famiglia: documenti, testimonianze, immagini” (Lanciano, Carabba);
P. Spadaccini, Rossetti e la grotta del monte Calvo: tra mistero e leggenda”; Lanciano,
IL torcoliere, Eleonora Mugoni, Il fratello perduto: Gabriele e Domenico
Rossetti, in Studi medievali e moderni. Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Domenico Rossetti. Rossetti. Keywords: il
fratello perduto, la Dora, L’Emonia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossetti”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716356440/in/photolist-2mPC6Zb-2mMZQZW-2mLQ1Vx-mMHj7J
Grice e Rossi – filosofia italiana – la volonta e la
temperanza -- Luigi Speranza (Appignano
del Tronto). Filosofo. Grice: “Rossi touches many Griciean points: universalia,
strength of will, and etc. – he also commented, like I did, on Aristotle’s
metaphysics.” Attivo filosofo fra Aureolo e Rimini,
dalla parte di Occam e Cesena, e oppositore di Giovanni XXII, nelle dispute dei
fraticelli, che portarono alla sua espulsione dall'ordine. Ha idee innovative e
spesso influenti in teologia filosofica, filosofia naturale, metafisica e
teoria politica. Soprannominato come "doctor succinctus" e
"doctor praefulgidus", come osservabile dalle iscrizioni su uno degli
affreschi del convento di Bolzano, e studiato e commentato soprattutto per
alcune tesi risalenti del suo Commento alle Sentenze, i Libri Quattuor
Sententiarum dichiarazioni autorevoli sui passi biblici che l'opera riune di
Lombardo. Le sue vedute contribuiscono all'evoluzione della filosofia
basso-medievale. Appignano del Tronto fa parte all'epoca della Marca di
Anconada. Nacque da una famiglia con il nome di Rossi (Rubeus). Studia sotto Duns
Scoto. Insegna a Perugia. Sottoscrive la risoluzione con la quale viene
dichiarata lecita la tesi secondo la quale Cristo e gli apostoli non mai possedeno
beni. Prende parte attiva alle lotte interne riguardanti la povertà che
divide l'ordine. Insieme a Michele da Cesena, Occam e Bonagrazia di Bergamo,
sostenne una regola di assoluta povertà per i successori di Cristo e per la
chiesa. Si ribella a Giovanni XXII, sostenendo il suo avversario, l'imperatore
Ludovico. I francescani che rifiutano la condanna della critica dei frati
minori della bolla Cum inter nonnullos di Giovanni XXII sono accusati di
eresia. Questo avvicina l'ordine allo schieramento anti-papale rappresentato da
Ludovico. Questi era divenuto ostile a Roma dopo che Roma rifiuta la conferma e
l'incoronazione come imperatore dopo l'elezione a re di Germania, preferendogli
Federico I. Ludovico scomunicato, rispose con un Appello. Con esso Roma fra
l'altro, viene accusato di eresia, quindi delegittimato per la sua presa di
posizione nella disputa sulla povertà. Lo scontro divenne acceso, la
conciliazione di Cesena al capitolo di
Lione falle. Cesena venne convocato e trattenuto ad Avignone insieme a
Bonagrazia da Bergamo ed Occam. Rossi come lector nello Studium generale
dell'Ordine, sottoscrive una protesta redatta da Cesena contro l'operato di Giovanni XXII. Ludovico i
giunge in Italia, prende la corona imperial. Dichiarato deposto Giovanni XXII.
Nomina Pietro da Corbara, con il nome di Niccolò V. Scomunicato da
Giovanni XXII, Rossi decide di raggiungere, fuggendo, Ludovico a Pisa con i
suoi con-fratelli prigionieri. Ancora una volta si ribella per protestare contro
la sua scomunica. A Pisa i quattro pubblicano un documento, l'”Appellatio
maior”, nel quale Giovanni XXII e dichiarato eretico per la sua posizione nella
questione della povertà. Lui e i suoi compagni andano però perdendo le simpatie
all'interno dell'Ordine. Il tentativo di Cesena di impedire lo svolgimento
del capitolo generale convocato a Parigi falle, mentre la riunione dell'Ordine
conferma la scomunica di Cesena ed elesse, quale nuovo ministro generale Guiral
Ot, ovvero Geraldo di Oddone, favorevole alla Curia. Lui e i suoi compagni
sono condannati ed e formalmente confermata la loro scomunica. Rossi ispira la
protesta espressa nelle “Allegationes religiosorum virorum”, che dichiara
invalida la deposizione di Cesena e l'elezione di Oddone, per l'esclusione di
metà degli aventi diritto alla partecipazione al capitolo. I quattro
francescani, con Marsilio da Padova, entrano a far parte della curia di
Ludovico. Con lui, raggiunsero Monaco di iera, ove si stabilirono nel convento.
Perseguitato dalle autorità ecclesiastiche in Italia, fa una ritrattazione
formale (che doveva servire da esempio per tutti i dissidenti successivi) e si
riconcilia con la chiesa e con l'ordine. Nel Improbatio, si concentra sulla
determinazione di quando e dove i diritti di proprietà hanno origine per
sostenere la convinzione che Cristo vive in povertà assoluta. Distingue tra due
tipi di proprietà: la proprietà prima della caduta di Adamo, e la proprietà
dopo. La proprietà prima della caduta di Adamo, nota anche come la proprietà
dello stato pre-lapsario, momento in cui tutte le creature di Dio si
rallegrarono nella felicità, sono profondamente collegati tra loro, e condivisa
nella creazione di Dio. La proprietà dopo la caduta d’Adamo è stata causata dal
primo peccato d’Adamo, rendendo la questione del “diritto di proprietà” distintamente
umana. Giovanni XII nega che l'origine della proprietà era legato agl’esseri
umani, sostenendo che e il peccato d’Adamo in sé ad esserne la causa. Rossi
convene che, senza peccato non ci sarebbero il diritto di proprietà. Tuttavia,
il peccato non porta immediatamente al concetto di “diritto di proprietà”. Sostenne
che la legge umana è responsabile della formazione del concetto di “diritto di
proprietà” non la legge divina. Usa la storia di Caino e Abele, citando volontà
corrotta di Caino per sostenere la sua convinzione. Fiorirono una serie di
studi nel contesto della filosofia naturale in relazione alla dottrina
aristotelica del movimento applicata al moto del proiettile. Per Aristotele un corpo
inanimato si muove spontaneamente verso il loro luogo naturale. Un corpo in
movimento deve alla presenza continua, e per contatto, di un motore che dirige
il corpo verso un’altra direzione. Già Giovanni Filopono mosso logiche obiezioni
a questa dottrina. Con la definizione di
un “impeto”, la discussione prosegue, ripresa d’Aquino. Solo con Rossi si
giunse a conclusione. La sua teoria sul moto del proiettile o moto para-bolico,
indicato come virtus de-relicta (forza rimanente), è descritta nelle sezioni di
suoi commenti sulle Sentenze che spiegano la consacrazione dell'Eucarestia, in
una quaestio sull’efficacia dei sacramenti. Il moto di un corpo è causato da
una forza lasciata dal corpo che agiva su di essa forza, quella forza residua
impressa al proiettile durante il lancio. A differenza della teoria
dell'inerzia che ha lo scopo di spiegare solo il fenomeno naturale, la sua teoria
della virtu de-re-licta è una spiegazione che include i fenomeni naturali e
sopra-naturali. Questa virtu “derelicta” spiega diversi tipi di moto perpetuo e
finite ed è destinato a tener conto delle variazioni innaturali. Gli elementi
chiave della de-re-licta virtu includono: Un corpo viene messo in moto da
un altro corpo, che lascia la forza rimanente in corpo in movimento. All'inizio
di un dato movimento, la ‘de-re-licta’ virtu puo lavorare con o contro la
naturale disposizione del corpo in movimento. Se funziona *contro* il corpo in
movimento, la virtus derelicta si dissipa ed eventualmente lascia il corpo,
cessando il moto. Se funziona *con* il corpo in movimento, la virtus derelicta
rimane nel corpo, provocando il potenziale moto perpetuo. Ci sono stati diversi
filosofi prima del suo tempo, come ad esempio Richard Rufus di Cornovaglia che sembrano
disporre già di versioni della “virtus derelicta”. Quindi non è chiaro se
questa teoria sia veramente originta autonomamente da lui. Tuttavia, filosofi
come Buridano e Odonis utilizzano la teoria di Rossi per affinare i propri
concetti di virtus derelicta, confermando che gioca un ruolo chiave nell'evoluzione
della filosofia sulla fisica. Nel secondo libro dei Commentari sulle Sentenze,
si focalizza su come la volontà potrebbe agire contro la ragione con
conseguente colpevolezza morale. Se la volontà potrebbe o agire prima, o contro
giudizio razionale. La volontà è la causa dell'azione. Dopo che l’agente elabora
un giudizio, la sua volontà decide di agire sia in conformità con tale giudizio
o *contro* di esso. La volontà e il termine medio tra giudizio e azione. Senza
di volonta, il giudizio richiederebbe un'azione, negando il concetto di libero
arbitrio e colpevolezza morale. Inoltre, la volontà dell’agente è sotto una
legge che *obbliga* a compiere un atto buono. Senza questo impegno non ci
sarebbe peccato, o colpevolezza morale. Per rispondere a come la volontà dell’agente
puo andare contro tale obbligo, distingue tra l’atto apprensivo e l’atto
gidicativio. L’atto apprensivo è necessario per far funzionare la volontà. L’atto
apprensivo è frutto della cognizione intellettuali e del giudizio. L’atto
giudicativo è formato dalla *conoscenza* più complessa in cui il ragionamento
si applica giudiziosamente. La volontà non richiede un atto giudicativo da
eseguire. Ciò spiega come gl’esseri umani sono in grado di peccare. La volontà
non dipende da un giudizio *razionale*. Per evitare l'obiezione che il giudizio
è necessario per il ragionamento e non può essere ignorato nel processo
deliberativo, offre un'ulteriore distinzione tra *conoscenza* apprensiva e *conoscenza*
giudicativa, e due tipi di giudizi riflettenti razionali. Queste distinzioni
consentono un giudizio da selezionare su un'altra causa della forza che riceve
da essere *selezionato* dalla volontà. Altri saggi: “Improbatio contra libellum
Domini Johannis qui incipit Quia vir reprobus, una confutazione alla bolla
papale di Giovanni XII. Quodlibet cum quaestionibus selectis ex commentario in
librum Sententiarum. Affronta i principali temi: le relazioni delle persone
divine all'interno della trinità e il rapporto tra il creatore e il mondo, la
libertà di dio nel creare, la pre-scienza divina e la pre-destinazione alla
salvezza. “Sententia et compilatio super libros Physicorum Aristotelis
Quaestiones praeambulae et Prologus” -- Riflette sullo statuto scientifico
della teologia e della metafisica. Distingue primi libri prima ad decimam
Questes super metaphysicam. Repertorium biblicum Medii Aevi, IMatriti Visita
triennale di O. Civelli, Picenum seraphicum, A. Ratisbona, Chronica de ducibus
ariae, G. Leidinger, in Mon. Germ. Hist., M. Firenze, Compendium chronicarum
fratrum minorum, in Arch. franc. hist., A. Emmen, in Lex. fA. Heysse,
Descriptio codicis Bibliothecae Laurentianae Florentinae S. Crucis, Plut. A. Heysse,
Duo documenta de polemica inter Gerardum Oddonem et Michaelem de Caesena,
Perpiniani, Monachii, in Arch. franc.
hist., A. Pompei, Enciclopedia filosofica, Venezia, cfr. anche impeto, A.
Possevino, Apparatus sacer, Venezia; A. Tabarroni, Paupertas Christi et
apostolorum. L'ideale francescano in discussione Roma A. Teetaert, Deus et homo
ad mentem I. Duns Scoti. Acta Congressus scotistici Vindobonae, Roma; C.
Dolcini, “Crisi di poteri e politologia in crisi” (Bologna); “C. Dolcini, Il
pensiero politico di Michele da Cesena, Faenza, Roma C.Schabel, Il determinismo,
Picenum Seraphicum. C. Schabel, “La virtus derelicta e il contesto del suo sviluppo”
in C. Schabel, “La dottrina sulla predestinazione di Rossi,” Picenum Seraphicum,
F. Giambonini, Giovanni dalle Celle, L. Marsili, Lettere, Firenze, Repertorium
Commentariorumin Sententias Petri Lombardi, F. Tinivella, Enciclopedia
cattolica, Vaticano, F. Gonzaga, De origine seraphicae Religionis franciscanae,
G. Cantalamessa Carboni, Memorie intorno i letterati e gli artisti della città
di Ascoli nel Piceno, Ascoli, G. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, Brescia,
G. Sbaraglia, Scrittori francescani piceni; G. Sbaraglia, Supplementum et
castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci, Roma; I.A. Fabricius,
Bibliotheca Latina mediae et infimae aetatis, Firenze; L. Wadding, Annales minorum,
Quaracchi, L. Wadding, Scriptores Ordinis Minorum quibus accessit syllabus
illorum qui ex eodem Ordine pro fide Christi fortiter occubuerunt, priores
atramento, posteriores sanguin. christianam religionem asseruerunt, recensuit
Fr. Lucas Waddingus ejusdem Instituti Theologus, ex Typographia Francisci
Alberti Tani, Roma, Ludger Meier, De
schola franciscana Erfordiensi. N. Glassberger, Chronica, in Analecta
franciscana, II, Ad Claras Aquas; N. Schneider, N. Mariani, “Francisci de
Marchia sive de Esculo, Quodlibet cum quaestionibus selectis ex commentario in
librum Sententiarum, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Mariani, Francisci
de Marchia sive de Esculo, Sententia et compilatio super libros Physicorum
Aristotelis, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Mariani, Due
Sermoni, Archivum Franciscanum Historicum Nazareno Mariani, Francesco di
Appignano OFM, Contestazione, Appignano del Tronto, Nazareno Mariani, Francisci
de Esculo, OFM, Improbatio contra libellum Domini Johannis qui incipit Quia vir
reprobus, ed. (= Spicilegium Bonaventurianum) Grottaferrata; N. Mariani,
Francisci de Marchia, “Quaestiones super Metaphysicam”; Spicilegium
Bonaventurianum), Grottaferrata; N. Mariani, Francisci de Marchia sive de
Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi”; “Distinctiones
primi libri a prima ad decimam”; Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N.
Mariani, Francisci de Marchia sive de
Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi; “Distinctiones
primi libri a undecima ad vigesimam octavam, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata,
N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, Commentarius in IV libros
Sententiarum Petri Lombardi. Distinctiones primi libri a vigesima noa ad
quadragesimam octavam, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata); N. Mariani,
Francisci de Marchia sive de Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum
Petri Lombardi”; “Quaestiones praeambulae et Prologus, Spicilegium Bonaventurianum,
Grottaferrata); N. Mariani, Franciscus de Esculo, “Improbatio”, Grottaferrata);
N. Mariani, “Questioni sulla metafisica”, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata;
N. Minorita, Chronica. Cividali, Il beato G. dalle Celle, in Mem. dell'Accad. dei
Lincei, Gauchat, Cardinal Bertrand de Turre, Ord. min.
conc. "Quaestiones in
Metaphysicam", F. Serino. Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, R.
Lambertini, “La proprietà di Adamo”; “Stato d'innocenza ed origine del dominium
nel Commento alle Sentenze e nell'”Improbatio” di F. d'Ascoli, in Bull.
dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo, IC R.F. Bennett, H. Offler, Guillelmi de Ockham
Opera politica, Mancunii S. Baluze G.D. Mansi, Miscellanea novo ordine digesta,
Lucae S. Cipriani, Dizionario ecclesiastico (Torino); Collectanea franciscana, T.
Nani, W. Duba, D. Carron, G. Etzkorn, “Francisci de Marchia, “Quaestiones in
secundum librum Sententiarum”, Reportatio, Quaestiones, Leuven; W. Eckermann, Hugolini de Urbe Veteri
Commentarius in quattuor libros Sententiarum. Francesco d'Ascoli, Francesco della Marchia,
Francesco d'Appignano, Francisco de Esculo, Franciscus Pignano, Franciscus
Rubeus, Francesco Rossi, Schneider, A proposito della teoria dell'mpetus nella
filosofia della natura. G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores
trium ordinum S. Francisci a Waddingo aliisve descriptos; cum adnotationibus ad
Syllabum matyrum eorundem ordinum, S. Michaelis ad ripam apud Linum Contedini,
Roma, L. Wadding, Scriptores Ordinis minorum, Roma, Napoli, Biblioteca Nazionale.
Explicit fratris Francisci de Marchia super primum Sententiarum secundum
reportationem factam sub eo tempore, quo legit Sententias Parisius anno Domini;
Commento ai primi sette libri della “Metaphysica” di Aristotele, N. Minorita,
Cronaca, G. Pamiers, Quodlibet “Acta,
gesta et facta fuerunt praedicta coram religiosis et honestis viris, fratribus
Ordinis Minorum”, Francisco de Esculo, in sacra theologia doctore et lectore
tunc in conventu Fratrum Minorum de Avenione. M. Lambert, Povertà francescana; La dottrina dell'assoluta povertà di Cristo e
degli apostoli nell'Ordine francescano, Biblioteca Francescana, Cf. MS Firenze,
Biblioteca Laurenziana, Santa Croce, pluteo, sinistra, Appellatio maior, N. Minorita, Chronica. Cui
appellationi et provocationi incontinenti adhaeserunt et eam approerunt
religiosi viri frater Franciscus de Esculo, doctor in sacra pagina. F.
d'Ascoli, Occam, Enrico di Talheim e Bonagrazia da Bergamo, Allegationes
religiosorum virorum, Baluze-Mansi in Miscellanea, Lucca e dallo Eubel in
Bullarium Franciscanum, Roma, R.
Lambertini, “Rossi e Occam: alcuni aspetti di un rapporto non facile, Convegno su
Francesco d'Appignano; Jesi, Terra dei Fioretti; Lambertini, F. d'Appignano ed Occam: alcuni
aspetti di un rapporto non facile in AConvegno su F. d'Appignano; Jesi,
Edizione Terra dei Fioretti; G.
Filipono, Commentari alle opere di Aristotele, “Sulla generazione e corruzione”;
“Sull'anima”; “Analitici primi”; “Analitici secondi”; “Le Categorie, Fisica,
Meteorologia Fabio Zanin, Francis of
Marchia, Virtus Derelicta. -- "How is Strength of the Will Possible? (cfr.
H. P. Grice, “I’ll show Davidson how continentia and temperantia are
POSSIBLE!”). Dopo la grande edizione critica di N. Mariani, Grottaferrata, Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Centro Studi
Francesco d'Appignano. Francesco Rossi della Marca. Rossi. Keywords:
continentia, temperanza, giudizio, giudicazione, volonta, volere, atto apprensivo,
appresione, atto giudicativo, conoscenza apprensiva, conoscenza giudicativa,
decisione, libero arbitrio, colpavolezza morale, agire l’atto buono,
possibilita della colpavolezza morale, la legge, la volonta sotto la legge,
giudizio razionale, agire razionale, ragionamento, conclusione, sillogismo
pratico, elezione, la caduta d’Adamo, la teoria dell’elezione e la
deliberazione, i peripatetici, virtus de-re-licta, teoria del moto, moto
perpetuo, virtus contro il corpo, virtus con il corpo, volonta con il giudizio,
volonta contro il giudizio. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736603825/in/datetaken/
Grice e Rossi – l’implicatura di Lucrezio – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (San Giorgio
la Montagna). Filosofo. "il più grande e puro metafisico" nelle
parole di Vico. Vive a Montefusco. Studia a Napoli. Scrive diverse saggi tra
cui il più importante rimane Della mente sovrana del mondo. Altri aggi: Considerazioni di alcuni misteri
divini, raccolti in tre dialoghi, Dell'animo dell'uomo, Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tommaso Rossi. Rossi. Keywords:
implicature moderna, argumenti contro Lucrezio, Lucrezio, De rerum natura,
animi degl’uomini, anime degl’uomini, animo/anima, corpi degl’uomini, corpi
degl’animali, degl’affetti degl’uomini, il senso, il moto, i corpuscoli.
Ossessione con Lucrezio come filosofo romano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735678786/in/datetaken/
Grice e Rossi – lo storicismo – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Studia
a Torino sotto Abbagnano, Napoli, e Milano.
Insegna a Cagliari e Torino. Studia lo storicismo, l’illuminismo, e il
positivismo. Saggi: “Lo storicismo” (Einaudi, Torino); “Storia e storicismo” (Lerici,
Milano); “La storiografia Saggiatore, Milano); “Oltre lo storicismo (Saggiatore,
Milano); “Storia della filosofia”, Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Cf. Grice, “Speranza e l’opera di Grice in Italia.”
Rossi. Keywords: lo storicismo, la critica della ragione storica, la storia
della filosofia – l’antichita – filosofia romana, filosofia antica, gl’antichi,
la filosofia romana, filosofia italica – indice al volume ‘L’antichita’ nella
‘Storia della filosofia” – “L’antichita” – storiografia filosofica – l’origine
della filosofia italica, l’origine della filosofia romana. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734837492/in/datetaken/
Grice e
Rossi – l’implicatura di Vico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Urbino).
Filosofo. Studia ad Ancona, Bologna, e Firenze sotto
Garin. Insegna a Città di Castello e Milano. Lavora all'Enciclopedia dei
ragazzi presso la casa editrice Mondadori. Insegna a Cagliari, Bologna, e
Firenze. Si occupa di storia della filosofia e della scienza, con particolare
riguardo al Cinquecento e al Seicento, pubblicando saggi. Cura edizioni di
diversi autori, tra i quali Cattaneo (Mondadori) e Vico (Rizzoli). Le
collaborazioni con giornali vanno dalla rubrica "Scienza e filosofia"
sul settimanale Panorama alla rubrica "Storia delle idee" per il
supplemento culturale La Domenica del quotidiano Il Sole 24 ore. Della "rivoluzione
scientifica" sostiene che la scienza vive un vero e proprio mutamento di
paradigma. Il carattere rivoluzionario dei mutamenti nel modo di fare scienza
avvenuti all'epoca di Galilei grazie a una serie di fattori: la visione della
natura, non più divisa tra corpi naturali e "artificiali", la dimensione
continentale (e, in prospettiva, mondiale) della cultura scientifica,
l'autonomia da Roma, la pubblicità dei risultati. Un'altra importante novità e costituita
dal formarsi di un'autonoma comunità scientifica, "una sorta di autonoma
Repubblica della Scienza dove non esiste l'ipse dixit". Si dedica al
tema della memoria, in chiave filosofica e storica, in “Il passato, la memoria,
l'oblio”. Analizza e denuncia l'esistenza di diverse forme di "ostilità
alla scienza" (il "primitivismo" e l'"anti-scienza")
che, come forma di reazione allo sviluppo tecnologico e industriale, propugnano
come soluzione di tutti i mali il ritorno a un mondo pre-moderno idealizzato e
il rifiuto della razionalità. Socio corrispondente dell'Accademia
Pontaniana di Napoli. Dei lincei. Saggi: “Acocio” (Milano, Bocca); “Favole
antiche” (Milano, Bocca); “Dalla magia alla scienza” (Bari, Laterza); “Clavis
Universalis: arti della memoria e logica combinatoria” (Milano, Napoli, R.
Ricciardi); “I filosofi e le machine” (Milano, Feltrinelli); “Galilei” (Roma-Milano,
CEI-Compagnia Edizioni Internazionali, “Il pensiero di Galilei: una antologia
dagli scritti, Torino, Loescher); “Le sterminate antichità: studi vichiani” (Pisa,
Nistri-Lischi); “Storia e filosofia: saggi sulla storiografia filosofica,
Torino, Einaudi); “Aspetti della rivoluzione scientifica, Napoli, A. Morano); “La
rivoluzione scientifica” (Torino, Loescher, Pisa, Edizioni ETS, “Immagini della scienza,” Roma, Editori
Riuniti); “I segni del tempo: Storia della nazione italiana in Vico” Milano,
Feltrinelli); “I ragni e le formiche: un'apologia della storia della scienza,”
Bologna, Il Mulino); “Storia della scienza,” Torino, Pomba, “La scienza e la
filosofia dei moderni: aspetti della rivoluzione scientifica,” Torino, Boringhieri,
“Paragone degli ingegni moderni e post-moderni,”Bologna, Il Mulino, “Il
passato, la memoria, l'oblio: sei saggi di storia delle idee” (Bologna, Mulino);
“La filosofia,” Torino, Pomba, “Naufragi senza spettatore: l'idea di
progresso,” Bologna, Il Mulino, “La nascita della scienza” Roma, Laterza, “Le
sterminate antichità e nuovi saggi vichiani,” Scandicci, La Nuova Italia, “Un
altro presente: saggi sulla storia della filosofia,” Bologna, Il Mulino); “Bambini,
sogni, furori: tre lezioni di storia delle idee, Milano, Feltrinelli); “Il
tempo dei maghi: Rinascimento e modernità, Milano, R. Cortina, Speranze,
Bologna, Il Mulino, Mangiare, Bologna, Il Mulino, Un breve viaggio e altre storie: le guerre,
gli uomini, la memoria (Milano, Cortina); saggi in onore di Paolo Rossi,
Antonello La Vergata e Alessandro Pagnini, Nuova Italia, Firenze, Segni e
percorsi della modernità: saggi in onore, F. Abbri e M. Segala, Dipartimento di
Studi Filosofici dell'Siena, Antonio Rainone, «Rossi Monti, Paolo» in
Enciclopedia ItalianaVI Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Ferdinando Abbri, Nuncius, Dizionario di filosofia, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Un maestro, Pisa, Edizioni della Normale, Tra Banfi
e Garin: la formazione, in Rivista di filosofia, Treccani Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Enciclopedia multimediale RAI delle scienze filosofiche -- Per una
scienza libera, intervista. Storia Moderna, : memoria e reminiscenza, sul RAI Filosofia, su filosofia.rai. Il Fondo
Rossi nella biblioteca del Museo Galileo. Paolo Rossi. Paolo Rossi Monti.
Monti. Keywords: Cattaneo, Aconzio, Vico, Galilei, nato Paolo Rossi, adottato
dalla zia materna, Monti, Vico, Vinci, Garin, Banfi, la storia della nazione
italiana, Vico e la storia della nazione italiana, favola antica, dalla magia
alla scienza, bruno. – Refs. Luigi
Speranza, “Grice e Rossi: l’implicatura di Vico” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51667660922/in/photolist-2mHGgw3-E4u3XA-2mKr38G-BNZ85J-ALFv7d-AxxzTD-AZWYJA-ApRtxq-Axw9LB-B3MNUK-A6poSZ-BcuYTZ-ApQAXh-ApiFAg-Bah84L-AxtCpu-BcuKBD-B1z6ph-B3gchn-B3QKYi-ApmdTH-Axwy9t-AscfFc-AxwmBa-Bcutrc-AewDtF-B26qKh-A6ZQf4-Bajmv1-A6q9QZ-Apk84E-AeC6uP-Bcvwwt-Bbwckk-B27ZJG-oaRQwU-nTsKH2-nTt1ft-oaWxtt-o8NdWA-o7k5vN-nKMCbE-o58rvZ-nUfS4K-nVy125-nbpW4V-nbpUW6-nsWw87-nbpHBc-nt44Az
Grice e Rosso – filosofia siciliana – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Corleone).
Flosofo. Vive a Palermo. Scrisse tre saggi. Il primo e “Varie cose notabili
occorse in Palermo ed in Sicilia”. Il secondo e “Descrizione di tutti i Luoghi
Sacri della felice Città di Palermo”. Descrive le chiese di Palermo. Questo
saggio e ricordato in vari altri saggi. Il terzo saggio e “Diario Palermitano”.
Il comune di Palermo gli dedica una via.
Biblioteca storica e letteraria di Sicilia: Mira/bibl Siciliana. D.
Ciccarelli e M. Valenza, La Sicilia e l'Immacolata: non solo 150 anni. Atti del
convegno, T. Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia, Electa, pagine Roma. Istituto di studi bizantini e neo-ellenici,
Rivista di studi bizantini e neo-ellenici. G. Marzo, Biblioteca storica e
letteraria di Sicilia: Opere storiche inedite. Valerio Rosso. Rosso. Keywords:
filosofia siciliana, filosofia italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosso”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734795297/in/datetaken/
Grice e Rota – la lavagna del grupo
di giocco – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vigevano). Filosofo. Italian philosopher. Grice: “Many
Italian philosophers would not consider Rota an Italian philosopher seeing that
he earned his maximal degree without (not within) Italy! And right they would,
too!” Saggi: “Pensieri discreti” (Garzanti). Dizionario biografico
degl’italini. F. Palombi, “La stella e l’intero – la ricercar di Rota tra
matematica e fenomenologia” (Boringhieri); D. Senato, “Matematico e filosofo”
(Springer)Gian-Carlo Rota. Rota. Aune: “I left the play group when I
realised that Grice could care less about blackboards!” -- Keywords: il primate
dell’identita, Whitehead, fenomenologia, Husserl, Heidegger, tra fenomenologia
e matematica, la stella e l’intero, discrezione, indiscrezioni, combinatoria e
filosofia, la lavagna del gruppo di giocco. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Rota," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/
Grice e Rotondi – Roma antica –
filosofia italiana. – Luigi Speranza (Vicovaro). Filosofo.
I primi anni di attività della sua “libreria delle occasione” sono piuttosto
travagliati in quanto le autorità fasciste, infastidite dalla tipologia
eterodossa dei testi in vendita, operano diversi sequestri e infliggono
sanzioni. Costretto a chiudere la libreria per evitare il richiamo alle armi
della Repubblica Sociale Italiana. Considerato disertore, si rifugia con la
famiglia a Vicovaro. Individuato in seguito ad una delazione, riesce
fortunosamente a sfuggire alla cattura e si allontana verso le montagne che
circondano il paese, inseguito dappresso da Tedeschi. Disperando di potersi
salvare, si nasconde nei pressi di una casa abbandonata, popolarmente ritenuta
abitata dagli spirit e qui avviene
l'evento fondamentale sopra descritto che cambierà la sua vita e le sue
convinzioni, aprendolo alla conoscenza del mondo spirituale. Improvvisamente ha
una visione folgorante nel Cielo. Sedetti a contemplare la scena. Una catena di
globi luminosi dall'alto scendevano fin giù, penetravano nella terra, poi altri
che risalivano e poi ridiscendevano come per riunirsi in un misterioso
convegno. Si sentivano delle voci indistinte. Si trattiene ad osservare tale
spettacolo misterioso salvandosi, in questo modo, dal rastrellamento in corso
nel vicino paese di Roccagiovine. Questo primo decisivo contatto con il paranormale raccontato in "Il protettore
invisibile". Tale evento rappresenterà l'inizio del suo studio e del suo
interesse nei confronti dell'esoterismo e della spiritualità. Pubblica massime,
proverbi e aforismi di Roma antica. Dà alle stampe “L’arte del silenzio e l’uso
della parola”, un originale e lungimirante saggio il cui intento si manifesta
già dalla dedica, firmato con lo pseudonimo di Vico di Varo, derivato
chiaramente dal suo paese natale. Viene incaricato di redigere un opuscolo
commemorativo in occasione dell'inaugurazione in Vicovaro del Monumento in
onore delle vittime della strage nazista delle Pratarelle. Svolge una funzione
di aggregazione e catalizzazione culturale in anni difficili in cui certi
ambiti di studio venivano guardati con sospetto, quando non con manifesta
ostilità. Partecipa e svolge un ruolo tutt'altro che secondario nel
Cerchio Firenze, una delle più importanti esperienze para-psicologiche collettive
italiane. Lui la sua libreria, sono
ormai un punto di riferimento di tutto un mondo culturale in espansione e finalmente
libero da ogni censura. Pubblica titoli
presso diverse case editrici (Mediterranee, Astrolabio, Sugarco, S.A.S.),
firmandoli oltre che con il suo vero nome con il pseudonimo ‘Amadeus Voldben’,
acronimo di “Volontario del Bene”. Tale nome d’arte sta ad indicare la missione
che si e prefisso e che delinea nel libriccino “I volontari del bene”, vera e
propria bibbia per tutti coloro che si riconoscono nel progetto di diffusione
del bene. Oltre al valore intrinseco
degli scritti, sono le riunioni e la sua stessa presenza in libreria a
suscitare curiosità e interesse presso un pubblico molto ampio che vede in lui una
guida spirituale in grado di fornire suggerimenti mai banali e, da educatore,
sempre comprensibili. Dietro la sua apparente severità, che è semplicemente
rifiuto della superficialità, traspare la disponibilità e l'umanità,
accessibili a chiunque si sforzi di varcare il civico 82 di via Merulana. Si
caratterizza da una produzione culturale ed una serena consapevolezza. Regala
gemme di saggezza e consigli. Oltre ai testi pubblicati lascia altri scritti,
alcuni pronti per la stampa altri bisognosi di revisione, che vengono
pubblicati da i quali si sono impegnati a proseguire l'attività in libreria,
mantenendosi fedeli all'impostazione originaria da lui delineata. La libreria
riceve il riconoscimento di "negozio storico" da parte del Comune di
Roma. Opere: Saggezza ” (I della collana Le Perle, ristampato da
Astrolabio. L'arte del silenzio e l'uso della parola, ristampato dalla Libreria
Rotondi; Saggezza di Roma antica, collana Le Perle). Saggezza dell'antica
Grecia, collana Le Perle). Amore e saggezza nel pensiero, collana Le Perle). Il giardino della saggezza,
collana Le Perle). “Dopo Nostradamus: le grandi profezie sul futuro dell'umanità”
(Mediterranee); “Un'arte di vivere: via segreta alla serenità” (Mediterranee);
“La coppa d'oro: insegnamenti dei maestri, fonte di luce e di energia, SAS; Le
influenze negative: come neutralizzarle, SugarCo,, Il protettore invisibile: la guida che ci
aiuta nei momenti difficili della vita, Mediterranee, La voce misteriosa,
Astrolabio; Lo scopo e il significato della vita: perché si nasce, perché si
vive, perché si muore, Mediterranee, I prodigi del pensiero positivo: il suo
potere e la sua azione a distanza, Mediterranee, Il destino nella vita
dell'uomo, Mediterranee, La re-incarnazione: verità antica e moderna,
Mediterranee, La potenza del creder e la gioia d'amare: i prodigi della fede e
dell'amore, Mediterranee, Una luce nel tuo
dolore, Mediterranee); “Guida alla padronanza di sé, Mediterranee, La magica
potenza della preghiera, Mediterranee); La chiave della vita, Mediterranee, La presenza divina in noi, Mediterranee, Le
leggi del pensiero: l'energia mentale e l'azione della volontà, Mediterranee);
Le grandi profezie sul futuro dell'umanità, Mediterranee. La potenza creatrice
del pensiero, Mediterranee, Pensieri per una vita serena, Mediterranee); “Ricordo
dei nostri martiri. Commemorazione in occasione dell'inaugurazione del
monumento ai martiri delle PratarelleVicovaro, Tipografia Seti, Roma); “I
Volontari del Bene” (Libreria Rotondi Editrice, Roma); “Reincarnazione e
fanciulli prodigio, Mediterranee, Roma, La reincarnazione: verità antica e moderna,
Mediterranee); “La voce misteriosa”; “Le perle”. L’arte del silenzio e l’uso
della parola. La Libreria Rotondi è segnalata in molte pubblicazioni, tra cui
la Guida ragionata alle librerie antiquarie e d'occasione d'Italia, C. Messina,
Roma); A. Voldben, Il protettore invisibile, Edizioni Mediterranee, Roma, La sua partecipazione agli incontri del
Cerchio Firenze 77 è ricordata in “Oltre l'illusione, Roma, Mediterranee, e “Oltre
il silenzio” L. Campani Setti, Roma, Mediterranee). Dopo Nostradamus, I prodigi
del pensiero positivo, Le influenze negative, Il protettore invisibile: Molte persone
si rivolgevano a Rotondi per ricevere consigli. Una testimonianza letteraria di
questa consuetudine si trova nel romanzo di Giovetti Weimar per sempre (Mediterranee, Roma)
in cui il personaggio si reca presso la Libreria delle Occasioni per ricevere
suggerimenti su questioni spirituali e libri. Libreria Rotondi, Libreria delle
Occasioni (La libreria fondata da Rotondi) La piccola miniera (da Il Corriere
della Sera) Il libraio di via Merulana e i globi luminosi (da La Repubblica)
Cerchio Firenze (Esperienza
parapsicologica collettiva) Andiamo alla scoperta (da La Piazza di Castel
Madama. ‘Vico di Varo’. Amedeo Rotondi.
Rotondi. Keywords: Roma antica, antica Roma, le perle, Vicovaro, filosofia
fascista, il veintennio fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rotondi” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736417395/in/datetaken/
Grice e Rovatti – i giocchi e
gl’uomini – filosofia italiana – Luigi Speranza (Modena). Filosofo. Grice:
“I do not know any other philosopher other than me or Austin who, like Rovatti,
is obsessed wiith the concept of a ‘game’!” Studia fenomenologia a Milano con Paci.
Insegna a Trieste. Si occupa dei rapporti tra fenomenologia e marxismo
pubblicando “Critica e scientificità in Marx” e poi focalizzando in vari saggi
il tema dei bisogni con riferimento anche alla psicoanalisi. Le questioni
concernenti il “pensiero debole” diventano il punto di partenza di “La posta in
gioco”; “Abitare la distanza”, “Il paiolo bucato”; “La follia in poche parole”;
“ L'esercizio del silenzio” Possiamo addomesticare l'altro?”; “Inattualità del
pensiero debole”. Queste questioni riguardano soprattutto la possibilità di una
«logica paradossale» e si articolano intorno ai temi del gioco, dell'ascolto e
dell'alterità, tutti collegati alla questione della soggetto. Saggio su Paci.
Dalla filosofia del gioco nascono anche “Per gioco”; “La scuola dei giochi”
(Bompiani, Milano); “Il gioco di Wittgenstein” (EUT, Trieste). Si interessa alla
consulenza filosofica, con “La filosofia può curare? La consulenza filosofica
in questione” (Cortina, Milano). Altre saggi: “Il coraggio della filosofia” in «aut
aut». Tiene una rubrica sul quotidiano "Il Piccolo" di Trieste,
“Etica minima”. Racoglie "scritti corsari" (cfr. Pasolini) in vari saggi:
“Etica minima – saggi quasi corsair sull’anomalia italiana” (Cortina, Milano);“Noi,
i barbari – la sottocultura dominante” (Cortina, Milano); “Un velo di sobrietà”
(Saggiatore, Milano); “Accanto a una sensibile sintonia”. Si manifesta nella
sua filosofia una particolare attenzione sul rapporto tra potere e sapere; “Gli
egosauri” (Elèuthera, Milano); “Le nostre oscillazioni” (Collana Edizioni alpha
beta Verlag, Merano); “L’intellettuale riluttante, Elèuthera, Milano); “Restituire
la soggettività. Lezioni sul pensiero di Basaglia, alphabeta, Merano); “Inattualità
del pensiero debole” (Forum, Udine); “La posta in gioco: il soggetto” (Bompiani,
Milano); “Consulente e filosofo. Osservatorio critico sulle pratiche
filosofiche” (Mimesis, Milano). “Possiamo addomesticare l'altro? La condizione
globale” (Forum, Udine); “Abitare la distanza. Per una pratica della filosofia”
(Feltrinelli, Milano); “Scenari dell'alterità, Bompiani, Milano); “Il decline
della luce” (Marietti, Genova); L'università senza condizione” (Cortina, Milano);
“La follia in poche parole” (Bompiani, Milano); “Fare la differenza” (Triennale
di Milano, Milano); “Il paiolo bucato. La nostra condizione paradossale” (Cortina,
Milano); “Introduzione alla filosofia contemporanea, Bompiani, Milano); “Lettere
dall'università, Filema, Napoli); “Per gioco: piccolo manuale dell'esperienza
ludica” (Cortina, Milano); “Trasformazioni del soggetto: un itinerario
filosofico” (Poligrafo, Padova); “Dizionario dei filosofi contemporanei,
Bompiani, Milano); “Elogio del pudore. Per un pensiero debole” (Feltrinelli,
Milano Intorno); “Il pensiero debole” (Feltrinelli, Milano); “Bisogni e teoria
marxista” (Mazzotta, Milano); “Critica e scientificità in Marx: per una lettura
fenomenologica di Marx e una critica del marxismo di Althusser (Feltrinelli,
Milano); “La dialettica del processo” (il
Saggiatore, Milano). aut aut. Pier Aldo Rovatti: il pensiero debole, sul RAI Filosofia, su filosofia.rai. Pier Aldo
Rovatti. Rovatti. Keywords: i giocchi e gl’uomini --. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Rovatti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735500411/in/datetaken/
Grice e Rovella – Querce – filosofia siciliana. Filosofia italiana – Luigi
Speranza. (Palazzolo Acreide). Filosofo. Appartene ad una famiglia contadina. Studia
a Ispica e Catania sotto Carbonara con un saggio di estetica, sul rapporto fra
contenuto o materia e forma. Insegna a Noto e Palazzolo.Pubblica “L'uomo” (Giannini,
Napol). In una serrata discussion affronta la metafisica ed espone il suo
convincimento che la ricerca senza condizioni, attraverso l'intelligenza attiva
e creatrice può aprire all'uomo orizzonti creativi, seppur rischiosi. La
metafisica imprigiona in schemi rigidi e vincolanti. Pervenire all'autocoscienza
è il compito più degno degl’uomini, che pur problematico in sé non rimaneno imprigionati
nel problematicismo. Altre opera: “Deneb” (Caltanissetta, Roma), romanzo
filosofico che narra la pulsione verso l'oltre, attenuando, così, la precedente
critica verso la metafisica e aprendo verso il mistero che comporta il
confronto con tre donne che rappresentano tre volti diversi della verità. La
stella “Deneb” è metafora della pulsione verso l'alto. Abbondano i riferimenti
autobiografici da cui emerge l'attaccamento alla casa natia, che non abbandona,
alla famiglia e soprattutto ad un modello di vita contadina morigerata e
sobria. Lo stile è affabulante. L'autocoscienza e il trionfo
della morte in Gentile in Il pensiero di
Gentile (Enciclopedia Italiana, Roma). Qui si esamina il momento finale della
vicenda umana e filosofica di Gentile alla cuia filosofia e sempre
legato. “L'errore del cerchio” (Siracusa). Predomina il colloquio
interiore, lo scavo nella coscienza e nella memoria. Procede come un giallo. Un
tema attraversa gli avvenimenti, la libertà e la necessità di un suo
contenimento. “La fattoria delle querce” (Caruso, Siracusa). L’epopea della
famiglia siciliana Capobianco, governata da una donna e sviluppata attraverso
un intrigo di personaggi e di vicende. I discendenti Capobianco sono identici
agli ante-nati, e la ricerca della genealogia è il problema più assillante per
i personaggi. Il mito dell'eterno ritorno dell'identico li e caro. Rimane sempre
legato ai miti. Fisiognomica, astrologia, venti, odori e turbamenti fanno di
questa opera un esempio di scrittura immaginifica e personale. Filosofia di non
di facile consume traccia una “Imago Siciliae”. Nella stessa aura de La
fattoria sono scritti i racconti. Cambia di nuovo argomento, inizia quella
che lui chiama “la fase cristica”, in cui la figura di Cristo e il rapporto fra
le religioni sono il tema dominante. “L'ora del destino, dramma in due
atti” (Accademia Casentinese di Lettere, Arti, Scienze ed economia, Castello di
Borgo alla Collina, Arezzo, L'Ora in
persona di una donna consola il crocifisso che muore quando una congiuntura
astrale perviene al suo compimento. In “Vita di Gesù” (Prospettive d'Arte,
Milano) Gesù è visto nella sua umanità. La narrazione segue lo sviluppo dei
vangeli sinottici, con qualche incursione negli apocrifi. L'autore, che pur ne
ha le competenze,si tiene lontano dalle problematiche gesuologiche e
cristologiche. Vuole narrare un Gesù “così come parla al cuore”. L'Angelo
e il Re, con prefazione di Pazzi per i tipi di Palomar Bari.I nove mesi di
gravidanza di Maria vergine sono narrati con un andamento che si mescola di
esoterismo e sapienza umana. Maria spesso, nel mistero del suo concepimento,
nella sua realtà quotidiana, vive le vicende del suo quartiere, con le sue
amiche, con qualche momento di gioia esaltata e prorompente, con un tratto
zingaresco. Attratto da zingari e vagabondi di passaggio, come incarnazione di
una libertà che abbiamo smarrita. “Le Madri” (Utopia, Chiaramonte Gulfi). Vi
si sente l'eco di J. Bachofen. Breve raro capolavoro, pieno di mistero e
poesia, di un potere magico; “Asvamedha” (Utopia, Chiaramonte Gulfi) raccoglie racconti;
“Inizio d'amore” (Studi Acrensi, Palazzolo Acreide) raccoglie altri racconti
che l'autore pubblicò in varie riviste letterarie nazionali, a cura
dell'Istituto Studi Acrensi Palazzolo Acreide. I racconti, dice l'autore,
vivono nell'aura dei romanzi di questo periodo. “La vigna di Nabot, dramma
in quattro quadri” (Associazione Amici di G. Rovella, Palazzolo Acreide) narra
le vicende del ersonaggio che incontriamo nel primo libro dei Re Cap. 21. La
prepotenza dei potenti e la sacralità della terra dei padri sono il filo
conduttore del dramma. Nabot muore per una questione di coerenza. E.
Scuderi, La fattoria delle Querce, in Le Ragioni critiche, G. Menichelli in
Esperienze letterarie, R. Jacobbi, Il
miracolo Deneb, in Arenaria, Palermo, V. Vettori, Il miracolo di Deneb e le
profezie di Ruggero, Arenaria, Monachino Ester, Considerazioni su un romanzo di
Rovella, in Le Ragioni critiche, Catania, E. Messina, Dal bagolaro alla sequoia”
(Romeo, Siracusa); E. Messina, Alle radici del pensiero. La presenza dei suoi
maestri” (Romeo, Siracusa). Giuseppe Rovella. Rovella. Keywords: romanzo
filosofico, querce. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rovella” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736086914/in/datetaken/
Grice e Rovere – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pesaro). Essential Italian philosopher. The family
originates in Albisola, Savona, Liguria. Filosofo. Il giure civile del popolo italiano
ha nel testo delle leggi positive e speciali autorità sufficiente da soddisfare
la giustizia ordinaria e da risolvere i dubii e acquetare le controversie
intorno agli interessi e agli ufficii d'ogni privato cittadino. Di quindi nasce
che possono alcuni curiali riuscire segnalati e famosi al mondo con la sola
abilità del pronto ricordare, dell' acuto distinguere e dell'interpretare
acconcio e discreto. Al giure delle genti occorre, invece, assai di frequente
la discussione delle verità astratte. Perocché esso è indipendente e superiore
all'autorità delle sopra citate leggi. Ssi connette immediatamente al giure
naturale che è al tutto razionale e speculative. Spesso gli è forza di riandar
col pensiero sulle fondamenta medesime dell'ordine sociale umano, e spesso
altresì non rinviene modo migliore per risolvere i dubii e acquetare le
discrepanze fuor che indagare i grandi pronunziati della ragione perpetua del
diritto, chiariti, dedotti e applicati mercé della scienza. Poco importa
se i metafisici si bisticciano. Ma non va senza danno del genere umano il
discordare e il traviare de' pubblicisti. E già si disse che il fine criterio
degli uomini illuminati coglie il certo e il sodo della scienza, ma non la crea
e non l'ordina. La demenza degli uonini fa talvolta scandalosa la verità. Laonde
ella ebbe a pronunziare di se medesima: non venni a recare la pace in mezzo di
voi, sibbene la spada. Lo stato essere certa congregazione di famiglie la qual
provvede con leggi e con tribunali al bene proprio e alla propria tutela; tanto
che sieno competentemente adempiuti i fini generali della socialità e i
particolari di essa congregazione. Lo stato italiano non esiste per la
contiguità sola delle terre e delle abitazioni, ma per certo congiungimento e
unità delle menti e degli animi degl’italiani.Il che riconosciuto e fermato, se
ne ritrae ciò che pel diritto è primo
principio ed assioma, non potersi da niuno e sotto niuna ragione arrogare la
facoltà di offendere e menomare l'autonomia interna ed esterna dello stato italiano
insino a tanto che questo non provoca gli altri ad assalirlo con giusta guerra.
Ed eziandio in tal caso è lecito di occupare temporalmente il suo territorio e
dominare il suo popolo nei limiti della difesa e dell'equo rifacimento dei
danni. L'uomo individuo può nel servaggio e nelle catene serbare con isforzo la
libertà dello spirito e compiere in altro modo e sotto altre condizioni certa
eroica purgazione e certo mirabile perfezionamento della sua parte interiore e
immortale. Ma ciò è impossibile all’intero popolo italiano, il quale nel
servaggio di necessità si corrompe ed abbietta, e quindi Gravina chiama assai
giustamente la libertà della nazione italiana sacrosanta cosa e di giure
divino. L'anima non è vendibile e non è nostra, dicevano i teologanti per
dimostrare da più parti la iniquità del contratto. E neppure la libertà è
vendibile; e se l'usarla e abusarla è nostro, non è tale la facoltà e il
principio infuso da Dio con l'alito suo divino e che al dire di Omero vale una
mezza anima. Lo stato italiano possiede onninamente se stesso. Niuno fuori di
lui può attribuirsene la padronanza. Quindi il popolo italiano o vivono in se
od in altri; cioè a dire, o provedono ai propri fini con leggi e ordini propri
e componendo un individuo vero e perfetto della universa famiglia umana. Ovvero
entrano a parte d'altra maggior comunanza con ugualità di diritto e d'ufficio,
come quelle riviere che ne' più larghi e reali fiumi confondono le acque e
perdono il nome. Questa è la generale e astratta dottrina che danno la ragione
e la scienza. La patria italiana, impertanto, significa quella contrada e
quella congregazione di uomini a cui ciascuno degli abitanti e ciascuno dei
congregati sentesi legato per tutti i doveri, gl'istinti, i diritti, le
speranze e gli affetti del vivere comune. La patria italiana, considerata nella
sua morale e profonda significazione, è il compiuto sodamento di ciascuno verso
di tutti e di tutti verso ciascuno. Se la patria italiana non ha debito né
possibilità di nudrire del suo ogni giorno tutti i suoi indigenti, spietata
cosa sarebbe inibire a questi di procacciarsi altrove la sussistenza. Prediletta
opera delle mani di Dio e la nazione italiana. La nazione italiana è pura,
domandano essi, e tutta omogenea. Questo e il puro principio della nazionalità
italiana. Lo Stato italiano, dipendente come si sia da un altro non è, a
propriamente parlare, autonomo. E e perciò, a rigore di definizione, neppure la
denominazione di Stato italiano gli si compete. I prìncipi non sono, del certo,
scelti da Dio immediatamente, ma sono da Dio immediatamente investiti della sovranità
italiana. Il popolo italiano indica l'uomo a cui vuole obbedire e in quell'uomo
è subito la pienezza della sovranità italiana che da Dio gli proviene. Perocché
come da Dio è istituito il fine della socievole comunanza, così è istituito il
mezzo nella autorità del comando. È sicuro che nella lunghezza dei secoli le
volontà e i giudizi umani si accostano all'assoluto del bene sociale, quanto
che la via che viene trascorsa non procede diritta e spedita ma declina e torce
continuo fra molti errori e molte misere concussioni. La libertà della nazione
italiana, essendo naturale ed essenziale agli uomini e necessaria concomitanza
d'ogni bontà, è doveroso per tutti il serbarla integra nella sostanza. E
perciò, né il privato individuo si può vendere ad altro privato, né tutto il
corpo de' cittadini assoggettarsi pienamente e perpetuamente al dominio d’altra
nazione. Poco o nessun valore ha il dissentimento dei piccioli e deboli, quando
anche piglino ardire di esprimerlo; e chi investiga la storia dell’antica Roma,
ritrova che delle proteste loro giacciono grandi fasci dimenticati negli
archivi delle Cancellerie.Dacché siete i più forti, correte poco rischio di
vivere ex lege alla maniera dei Ciclopi. Ma confessare il diritto e contro il
diritto procedere, non è conceduto a nessuno. E parlavano meglio quegli
Ateniesi che alle querele dei Milesi rispondevano senza sturbarsi. Il diritto è
cosa pei deboli e non già pei forti e pei valorosi. Il popolo italiano è
autonomo. Con altri vocaboli, lo stato italiano, vero è libero ed inviolabile.E
la patria italiana, nel significato morale e politico, è sinonimo di stato
italiano -- in quanto questo compone uno stretto e nativo consorzio in cui
ciascun cittadino ha debito e desiderio insieme di effettuare il grado massimo
di unimento sociale e civile. S'incominci
dall'avvisare chi sono costoro che si querelano della libertà dello stato
italiano e ne temono danni così spaventevoli. Costoro sono i medesimi da cui si
alzano lagni e rimproveri cotidiani per qualunque libertà, eccetto la propria
loro. Vogliono limitare la stampa, limitare la libera concorrenza, limitare il
parlamento e in fine ogni cosa col pretesto volgare ed ovvio che il parlamento,
il commercio, la stampa abusano di loro facoltà e trasvanno più d'una volta e
in più cose. La volontà umana, dite, è corrotta e inchinevole al male. Può
darsi. Ma privata di libertà so che depravasi molto di più e i padroni non meno
che i servi. Non è lecito agli uomini di esercitare nessun diritto qualora
difettino pienamente delle facoltà e dei mezzi correlativi. Perciò il
fanciullo, il mentecatto, l'idiota cade naturalmente sotto l'altrui tutela, e
per ciò medesimo la parte meno educata del volgo ed offesa di troppa ignoranza,
o posta in condizione troppo servile, non ha nel generale facoltà e mezzi
proporziod esercitare diritti politici. DEsaminato il fine del viver comune,
fatta rassegna d'alcuni principii direttivi, più bisognevoli al nostro intento
e poco o nulla noti agl’ntichi romani, segue senza più che noi trapassiamo a
contemplare l'ottimo ordinamento civile. Cosi noi delineeremo qnalche fattezza
dell'incivilimento umano, contemplandolo nella natura primitiva ed universale
del popolo italiano, ed avvisandoci di non iscambiare l'alterato e il mutabile
col permanente ed inalterato; e per converso, di non dar nome d'errore
emendabile e di accidente transitorio a ciò che appartiene alle condizioni salde
e durevoli della comunanza civile. Chè nel primo difetto cadono i troppo
retrivi ed i pusillanimi; nel secondo, i novatori audaci e leggeri. Gl’antichi
romano con molto senno incominciano dall'insegnar quello che spetta al buono
stato della famiglia, perché della comunanza umana l'individuo compiuto non è
lo scapolo, ma l'ammogliato con prole o vogliam dire la famiglia, rimossa la
quale non rimane intermezzo alcuno che tempri l'amor proprio e la fiera e violenta
natura nostra. L'organizzazione tanto è più
eccellente quanto meno cede alle esterne azioni ed impressioni ed anzi modifica
con maggior efficacia ed appropria a sé quelle azioni. È da confessare che un gran trovato fece lo
spirito umano e giovevole soprammodo alla prosperità del viver sociale, quando
mise in atto quello che fu domandato governo rappresentativo o parlamentare. Se
dirai: carattere della nazione italiana è la continuità e circoscrizione del
suolo d’Italia. E la nazione e nella lingua, la letteratura e le arti. Se le
origini e la schiatta; le colonie sono tal membro e così vivace del corpo della
patria onde uscirono, da non potersene mai dispiccare, e la guerra americana fu
dalla banda dei sollevati iniqua e parricida. Gran questione poi insorge sulle
genti di confine, le quali compongonsi il più delle volte di schiatte anfibie,
a cosi chiamarle. Quindi noi vogliamo, per via d'esempio, i Nizzardi essere
italiani e i Francesi li fanno dei loro. La compagnia civile comincia là
solamente dove gli animi si accostano, e sorge desiderio di regolato e comune
operare. La giustizia apre e chiude i congressi degli Dei, non quelli degli
uomini. La voce “nazione italiana” nel suo peculiare e pieno significato vuol
dire unimento e società d'uomini che la natura stessa con le sue mani à fatta e
costituita mediante il sangue e la singolarità delle condizioni interiori ed
estrinseche. Per talché quella società distinguesi da tutte le altre per tutti
gli essenziali caratteri che possono diversificare le genti in fra loro, come
la schiatta, la lingua, l'indole, il territorio, le tradizioni, le arti, i
costumi. “Nazione italiana” vuol significare certo novero di genti per comunanza
di sangue, conformità di genio, medesimezza di linguaggio atte e preordinate
alla massima unione sociale. (Lo stipite umano è ordinato esso pure a
spandere discosto da sé le propagini e i semi; e ogni germe nuovo dee nudrirsi
del terreno ove cade, non del tronco da cui si origina. Sieno rese grazie
publicamente da tutta l'Italia a voi, o Valdesi, che l'antica madre mai non
avete voluto e potuto odiare e sconoscere insino al giorno glorioso che fu da
Dio coronata la vostra costanza, e un patto comune di libertà vi riconciliava
con gli emendati persecutori. S'io
credessi quelle armi che assiepano il Foro, dice Cicerone, starsene qui a
minacciare e non a proteggere, cederei al tempo e mi terrei silenzioso. Ma il
fatto fu che quelle armi nel Foro inducevano per se sole una fiera minaccia,
tanto che Cicerone parla poco e male, e la paura ammazza l'eloquenza. Dal
riscontro, per tanto, di tutte le storie, senza timore mai d'eccezione, e più
ancora dalla ripugnanza intima di certi termini, quali sono felicità a servitù,
spontaneità e costrizione, ricavasi questa assoluta sentenza che tra le nazioni
civili il governo straniero non può vantarsi mai né della legittimità
interiore, né della esteriore che emana dall'assentimento espresso o tacito delle
popolazioni. Non può aver luogo prescrizione, dove i diritti innati o
fondamentali dell'uomo ricevono sostanziale ingiuria ed offesa; e di si fatti è
per appunto la indipendenza o dimezzata o distrutta. Ogni cosa nell'uomo è
principiata dalla natura e poi dalla ragione e dall'arte è compiuta.Voi stesso
l'avete udito? Poerio: E come nò, se rinchiuso era con lui in una prigione
medesima? Pignatelli: E fu la vigilia della sua morte? Poerio: Appunto fu la
vigilia. Sapete che valica la mezzanotte, una voce improvvisa e sepolcrale
veramente rompevane il sonno chiamando forte per nome alcuno di noi; e quella
chiamata voleva dire: vieni, ti aspetta il carnefice. La notte pertanto che
seguitò quel mirabil discorso di M. Pagano gli sgherri gridarono il nome suo, e
fu menato al patibolo. Pignatelli: Stava per mezzo a voi quell'omerica figura
del conte di Ruvo? Poerio: Nò, ma in Castello dell'Uovo insieme con altri
uffiziali e con l'intrepido Mantonè. Nel Castel Nuovo e in quella carcere
proprio dove era F. Pagano, stava il fratel vostro maggiore, principe di
Strangoli, stava io, il Conforti, Cirillo, Granali, Eusebio Palmieri, Vincenzo
Russo e due giovinetti amorevoli e cari, cioè l'ultimo figliuolo dello Spanò ed
un marchese di Genzano, bello come l'Appollino e di cui sentiva il Pagano
particolare compassione. V'à una cagione suprema di tutte le cose, cagione
assoluta e però insofferente di limiti e incapace d'aumento e di defficienza.
Ma se niun difetto può stare in lei, ella è il bene infinito e comprende
infinitamente ogni specie di bene. Ciò posto, la cagione suprema è altresì
infinita bontà che raggia il bene fuor di sé stessa e ne riempie la creazione
ed ogni ente se ne satura, a dir così, per quanto fu fatto capace. Tale
contenenza di bene è poi sempre difettiva perché sempre è finita. Di quindi si
origina il male. Non si chieda dunque perché Dio è permettitore del male, ma
chiedasi in quella vece perché piacque a Dio, oltre all'infinito, che
sussistesse pure il finito. (Se il vivere nostro presente fosse condito di
molto diletto e noi incapaci di conoscere e desiderare con ismania istintiva
l'eternità, forse potrebbesi giudicare senza paradosso aver noi sortito quella
porzioncella sola e frammento di beatitudine, brevissima ma sincera e
inconsapevole della propria caducità. (p. Col presupposto della immortalità,
bene avvertiva il Bruno, alcun desiderio naturale non è indarno e alcuna
lacrima non cade senza conforto. Con la immortalità non è affetto generoso
perduto, non ferita dell'animo a cui non si apparecchi altrove copioso balsamo.
Per entro il corso interminato e magnifico de'nostri destini, ogni male vien
riparato, ogni speranza risorge, ogni bellezza rifiorisce, ogni felicità si
rinnova e giganteggia ne'secoli. Poerio: Quando fosse possibile strappare dal
cuor dell'uomo il concetto e la speranza della immortalità, il consorzio civile
medesimo pericolerebbe di sciogliersi e i piaceri e le utilità stesse della
vita presente verrebbero gran parte impedite o affatto levate di mezzo. I dotti
e i legisti barbareggiavano sempre peggio, e pareva in loro una sorta di
necessità tramutata in diritto, e niun discepolo mai se ne querelava; e le
lettere cadevano in tale grettezza, che nelle prose del Giordani si appuntavano
parecchie mende di stile, ma nessuno accusava la tenuità dei concetti e la
critica angusta e slombata. Il Colletta era stimato dai più uno storico sovrano
e poco meno che un Tacito redivivo, ed altri istituivano paragone tra il
Guicciardini e il Botta, tra il Goldoni ed Alberto Nota. Tale il gusto e il
criterio comune. Pochi grandi intelletti non mancavano neppure a quei giorni.
Basti ricordare Bartolini nella scultura; Leopardi e Niccolini nella poetica;
Rossini, Bellini, Donizetti nella musica. In Italia scemando il sapere e la
potenza meditativa, crebbe l'amore spasimato ed irragionevole della bellezza
dell'abito esterno, lasciando a digiuno la mente e poco nudriti e mal governati
gli affetti. Letteratura vasta, soda e ben definita, e parimente larghe scuole
e ben tratteggiate e scolpite mancano alla patria nostra da quasi tre secoli e
piuttosto ne abbiamo avuto cenni e frammenti, e ogni cosa a pezzi, a sbalzi e a
modo d'assaggio. Miei degni signori, il cibo che v'apparecchio è scarso,
scondito e di povera mensa, ma è letteratura e non metafisica. Non appena
l'esilio mi astrinse a lasciare l'Italia e fui spettatore d'altro ordine di
civiltà e uditore d'altri maestri, subito mi si aprì dentro l'animo l'occhio
doloroso della coscienza, ed ebbi della mia ignoranza una paura ed una vergogna
da non credere. Per giudicare alla prima prima che tutto è vecchio e trito in
un libro convien sapere dell'autore se nel generale à l'abito di pensar di suo
capo. Ed egli evoca nuovi spiriti di più sublime natura, i quali entrano a uno
a uno dentro la torre. Spirito del mare. Che vuoi? Barone. Sapere l'essenza del
bene e la fonte della felicità. Spirito del mare. Perché lo chiedi al mare?
Barone. Perché tu sai o puoi sapere ogni cosa; tu nei silenzj della notte tieni
misteriosi colloquj con la luna e con le stelle che in te si riflettono; e tu
pur ricevi nell ' ampio tuo seno i fiumi tutti del mondo, i quali ti raccontano
le geste antiche dei popoli e le più antiche vicende dei continenti per mezzo a
cui essi fluiscono senza posa. Spirito del mare. lo non so nulla (sparisce).
Barone. Che tu venga malmenato in eterno dallo spirito delle procelle, e che i
tuoi membri immortali sieno rotti e squarciati mai sempre dalle taglienti
creste degli ardui scogli. La coda del cavallo bianco dell' Apocalisse.
Che vuoi? Barone. Sapere in che consiste il bene, e dove è la fonte della
felicità. La coda. Perché lo chiedi a me? Barone. Tu sai la fine ultima delle
cose, e tu comparirai poco innanzi della consumazione del secolo. La coda.
Quando io comparirò, io ondeggerò nelle sfere, simile alla caduta del Niagara e
più tremenda della coda delle comete. Ogni mio crine rinserra un destino; e
ogni mio moto è un cenno di oracolo; ò trascorsi tutti i cieli di Tolomeo e i
cieli di Galileo e i cieli di Herschel; ò lambita con la mia criniera la faccia
delle stelle, e l'ò distesa sulle penne de' turbini; molte cose ò conosciute,
ma non quel che tu cerchi: io non so nulla (sparisce). Dagli Arabi si travasò
il mal gusto ne' Catalani e ne' Provenzali, e una vena non troppo scarsa ne fu
derivata ne' primi nostri verseggiatori. Dante egli pure non se ne astenne
affatto; e noi peniamo a credere che a quel genio sovrano venisse scritta la
canzone lambiccatissima della Pietra. Sa ognuno che nel seicento, con lo
scadere dell' arte, ricomparvero quelle freddure e mattie, e ogni cosa fu piena
di acrostici, d'anagrammi, d'allitterazioni e altrettali sciempiezze. Ma per
buona ventura cotesta sorta vanissima di pedanteria non sembra ai moderni
pericolosa; e dico ai moderni italiani, perché appresso gli stranieri non ne
mancano esempj; e molti anno letto in un vivente poeta francese di gran nomea
certi capricci di metri e di rime i quali dimostrano come in lui siensi venuti
rinnovando tutti gli umori e le vertigini dei seicentisti. E nemmanco ci pare
immune dalle stranezze di cui parliamo quel concepimento del Goethe di ordire
la tragedia del Fausto con questa singolar legge che ogni scena fosse dettata
in metro diverso ed una altresì in nuda prosa, onde potesse affermarsi che
niuna maniera del verseggiare ed anzi dello scrivere umano (per quanto ne è
capace il tedesco idioma) mancasse a quel dramma; nuova maniera e poco assai
naturale e graziosa di porgere idea e figura del panteismo. Non può né deve il
poeta scompagnarsi mai troppo dalle opinioni e dai sentimenti comuni dell'età
sua; chè da questi principalmente è suscitato l'estro di lui, con questi
accende e innamora le moltitudini. D'ogni altro pensiero ed affetto, ove li
possieda e li senta egli solo, avrà pochi intenditori, pochissimi lodatori; e
la favella delle Muse langue e muor sulle labbra se non suona ad orecchie
benevole e a cuori profondamente commossi. In Inghilterra il Milton fierissimo
repubblicano e segretario eloquente del gran Cromvello, à quasi sempre poetato
di cose mistiche e teologiche e nulla v'à di politico, nulla d'inglese e di
patrio, né nel Paradiso perduto, né in altri suoi canti. Riuscirà sempre a
gloria grande e invidiata d'Italia che la Gerusalemme del Tasso compaja tanto
più bella e mirabile quanto più in lei si contempla e considera intentivamente
la perfezione del tutto. Certo, il Valvasone è meno forbito ed armonioso del
Tansillo, meno fluido del Tasso seniore, meno corretto, proprio e limato de'
più corretti e limati rimatori toscani; ma non per ciò si capisce come questa
minor perfezione di forma, abbia potuto oscurare nel giudicio de' raccoglitori
e de' critici il gran merito dell'invenzione. Che il Milton siasi giovato dell'
Angeleide non so, quantunque fra i due poemi si vengan trovando molti e
singolari riscontri che non è facile a credere casuali; ma questo io so bene
che a rispetto della guerra degli angeli episodicamente introdotta nel Paradiso
perduto, il Valvasone non perde nulla ad esser letto dopo l'Inglese e con
quello essere paragonato; il che non avviene del sicuro né per l' Adamo dell'Andreini
né per la Strage degl'Innocenti del cavaliere Marino, due componimenti che
dicesi aver suggerito a Milton parecchi pensieri e l'ideal grandezza del suo
Lucifero. L'ingegno poetico, in versificare ciascuno di quei subbietti, tende a
spiegare una novità, un' altezza e una leggiadria suprema di concetto, di
sentimento, di fantasia e di stile. Dove mancasse l'una di tali eccellenze,
l'arte sarebbe difettosa e quindi increscevole. Ci venne osservato (cosa che
per addietro non ben sapevamo) la critica letteraria incominciata in Italia con
Dante essere morta col Tasso e gli amici suoi; e come cadde con quel mirabile
intelletto la nostra primazia nel ministero delle Muse, così venne meno la
filosofia estetica; e il nuovo dell' arte non fu capito, l'antico fu dalla
pedanteria svisato e agghiadato. L'arte critica antica ebbe ultimi promulgatori
due grandi ingegni, il Muratori e il Gravina. Della critica nata dipoi con le
nuove speculazioni e con le nuove forme di poesia, non conosciamo in Italia
alcun degno scrittore e rappresentatore. Dopo Omero nessun poeta, per mio
giudicio, può alzarsi a competere con l'Alighieri, salvo Guglielmo Shakspeare,
gloria massima dell'Inghilterra. E per fermo, ne' drammi di lui l'animo e la
vita umana vengon ritratti così al vero e scandagliati e disaminati così nel
profondo, che mai nol saranno di più. Ma le condizioni peculiari della
drammatica e l'indole propria degl' ingegni settentrionali impedirono a
Shakspeare di raggiungere quella perfetta unione sì delle diverse materie poetiche
e sì di tutte l'eccellenze e prerogative onde facciamo discorso. E veramente
nelle composizioni sue la religione si mostra sol di lontano e molto di rado; e
tra le specie differenti e delicatissime d'amore ivi entro significate, manca
quella eccelsa e spiritualissima di cui si scaldò l'amante di Beatrice. Il
poeta è dall'ispirazione allacciato e padroneggiato sì forte, da non saper bene
sottomettersi all'arte ed alla meditazione. Il troppo incivilirsi dei popoli
aumentando di soverchio l'osservazione e la critica e affinandovisi l'arte ogni
giorno di più per effetto medesimo dell' esercizio e dell' esperienza e per
desiderio di novità, mena il poeta a scordar forse troppo l'aurea semplicità
degli antichi, il sincero aspetto della natura e i veri e spontanei moti
dell'animo. Il compiuto e l'ottimo della poesia consiste in racchiudere dentro
ai poemi con vaga e proporzionata unità di composizione tutto quanto il
visibile ed il pensabile umano per ciò che in ambedue è più bello e più
commovente. Consiste inoltre nel figurare e ritrarre cotesto subbietto
amplissimo e universale con la maggior novità e la maggiore sublimità e
leggiadria di concepimento, di fantasia, d'affetto e d'elocuzione che sia
fattibile di conseguire. Laonde poi il concepimento, così nel complesso come
nelle sentenze particolari, dee riuscir succoso, vario ed inaspettato e pieno
di recondita dottrina e saggezza; l'affetto dee correre, quanto è possibile,
per tutti i gradi e le differenze, e toccare il sommo della tenerezza e
commiserazione e il sommo della terribilità. Tasso, anima pia e generosa, ma in
cui (non so dir come) nulla v'era di popolare. Quindi egli s'infervorò della
maestà teocratica dei pontefici e aderì alla nuova cavalleria cortigiana e
feudale; quindi pure accettò con zelo e con osservanza scrupolosa l' ortodossia
cattolica, e nella vita intellettuale quanto nella civile, fu dall' autorità
dei metodi e degli esempj signoreggiato. Da ciò prese nudrimento e moto il
divino estro suo e uscirono le maraviglie della Gerusalemme. Nel Tasso poi sono
tutti i pregi e tutta quanta la luce e magnificenza della poesia classica, e
spiccano altresì in lui alcuni attributi speciali del genio italiano in ordine
al bello. In perpetuo si ammirerà nella Liberata ciò che l'arte, i precetti,
l'erudizione e la scienza possono fare, ajutati e avvivati da una stupenda
natura poetica. L'Ariosto significa la commedia umana quale la veggiamo
rappresentarsi nel mondo, laddove Dante fece primo subbietto suo il
soprammondano, e in esso figurò e simboleggiò le cose terrene. E come il gran
Fiorentino nelle fogge variatissime de' tormenti e delle espiazioni dipinse i
variatissimi aspetti delle indoli e delle passioni, il simile adempiva
l'Ariosto sotto il velo dei portenti magici e delle strane avventure. Ma certo
qual narrazione di fatti umani riuscirà più vasta, più immaginosa e più
moltiforme di quella dell' Orlando furioso? Quivi sono guerre tra più nazioni,
nascimenti e ruine di molti regni, conflitto sanguinoso di religione e di
culto, infinita diversità e singolarità di costumi, e tutto il Ponente e il
Levante offrono larga scena e strepitoso teatro a cotali imprese e catastrofi.
Quivi sono dipinte la vita privata e la pubblica, le corti e le capanne, i
castelli ed i romitaggi; quivi s'intrecciano gradevolmente la cronica, la
novella e la storia, e ciò che il dramma à di patetico, l'epopeia di maestoso, il
romanzo di fantastico. Non credo che in veruna straniera letteratura possa come
nella nostra volgare annoverarsi una sequela così sterminata di poemi eroici e
di romanzeschi, parecchj de' quali brillerebbero di gran luce, ove fossero soli
e non li soverchiasse la troppa chiarezza di Dante, dell'Ariosto e del Tasso.
Né reputo presontuoso il dire che, per esempio, la Croce racquistata del
Bracciolini o il Conquisto di Granata di Girolamo Graziane sostengono bene
assai il paragone o con l'Araucana dell' Ercilla o coi medesimi Lusiadi di Luís
Vaz de Camões ai quali ànno accresciuta non poca fama le sventure e le virtù
del poeta; e per simile, io giudico che l' Amadigi del Tasso il vecchio o
l'Orlando innamorato del Berni, non temono di gareggiare con la Regina Fata di
Spenser e con quanto di meglio in tal genere ànno prodotto l'altre nazioni. Ma
non è da tacere che in quasi tutti questi nostri poemi riconoscesi agevolmente
l'uno o l'altro dei tipi che nel Furioso e nella Gerusalemme ricevettero
perfezione, ed a cui poca giunta di novità e poche profonde mutazioni si fecero
dagl'ingegni posteriori; e ne' poemi eroici singolarmente a niuno è riuscito di
ben cantare i difetti del Tasso, molti in quel cambio li esagerarono. Scusabile
mi si fa Marino e scusabili gl'Italiani, quand'io considero lo stato di lor
nazione sotto il crudele dominio degli Spagnuoli, e fieramente mi sdegno con
questi medesimi che nella patria loro ancor sì potente e sì fortunata,
plaudivano a que' delirj e incensavano il Gongora, meno ingegnoso assai del
Marino e di lui più strano e affettato. In fine, gioverà il ricordare che
all'Italia serva, scaduta e dilapidata, rimaneva pur tanto ancora di prevalenza
intellettuale appresso l'altre nazioni che de' trionfi più insigni e delle lodi
più sperticate del cavalier Marino furono autori i Francesi; e per lungo tempo
assai nessuno de' lor poeti seppe al tutto purgarsi della letteraria corruzione
venuta d'oltre Alpe; testimonio lo stesso Cornelio, alto e robustissimo
ingegno, ma nel cui stile nondimeno avria dovuto il Boileau ritrovare assai
spesso di quel medesimo talco del quale parevangli luccicare i versi del Tasso.
Dal Marino incominciò a propagarsi nel mondo una poesia fantastica e meramente
coloritrice, la quale cerca l'arte solo per l'arte, fassi specchio indifferente
al falso ed al vero, alle cose buone ed alle malvage, alle vane e giocose come
alle grandi e instruttive; sente tutti gli affetti e nessuno con profondità, e
nell'essere suo naturale od abituale, canta di Adone, come di Erode e così
delle favole greche come delle bibliche narrazioni] Fiorirono in tale
intervallo tre ingegni eminenti che forse mantennero alla lirica nostra una
spiccata maggioranza su quella d'altre nazioni. Ognuno, io penso, à nominato ad
una con me il Chiabrera, il Filicaja ed il Guidi. Dal solo Chiabrera fu
l'Italia regalata di tre nuove corone poetiche; mercechè veramente nelle sue
mani nacque e grandeggiò prima la canzone pindarica, poi la canzone
anacreontica e infine il sermone oraziano; né mal s' apporrebbe colui che
attribuisse al Chiabrera eziandio la rinnovazione del Ditirambo. Il Filicaja
venne a tempi ancora più disavventurati, e quando più non era possibile
discoprire ne' suoi Fiorentini un segno e un vestigio pure dell'antica fierezza
repubblicana. Ma il senso del bene morale e la pietà religiosa fervevano così
profondi nell'animo suo che bastarono a farlo poeta. Mai né in questa nostra
patria, né fuori sonosi udite canzoni così ben temperate di splendore pindarico
e di maestà scritturale come quelle del Filicaja. Nel Guidi allato a concetti
ed a sentimenti spesso comuni e rettorici, splende una forma non superabile di
novità, di bellezza e magnificenza. Certo, se ad Alessandro Guidi fosse toccato
di vivere in seno di una nazione forte e gloriosa, non ostante la poca
fecondità e vastità di pensieri, io non so bene a qual grado di eccellenza non
sarebbe salita la lirica sua; perché costui propriamente sortì da natura Yos
magna sonaturum, e ce ne porge sicura caparra la sua canzone alla Fortuna. A me
sonerà sempre caro ed insigne il nome di Alfonso Varano, perché da lui
segnatamente, a quello che io giudico, s'iniziò il corso della poesia moderna
italiana; e forse la patria non gli si mostra ricordevole e grata quanto
dovrebbe. Chi trovasse non poca similitudine tra la mente del Varano e quella
del Young, credo che male non si apporrebbe. Anime pie e stoiche ambidue, e
dischiuse non pertanto agli affetti gentili, diffondono ne' lor versi un
religioso terrore e un' ascetica melanconia che nell'Inglese riescono cupi,
inconsolati e monotoni, e nell'Italiano s'allegrano spesso alla vista del
nostro bel sole, e dai pensieri del sepolcro volano con gran fede alla pace e
serenità della gloria immortale. Varano poi insieme col Gozzi restituì alla
Divina Commedia il debito culto; il Gozzi con li scritti polemici, egli con la
virtù dell' esempio; ed ebbe arbitrio di dire a Dante ciò che questi a Virgilio:
Tu séi lo mio maestro e il mio autore. Se non che il cantore delle Visioni
chiuse e conchiuse l'intero universo nel sentimento della pietà e nei misteri
del dogma, e non ben seppe imitare del suo modello la nervosa brevità e
parsimonia, la varietà inesauribile e la peregrina eleganza. Se taluno dei suoi
piuttosto scarsi scolari volle talora celebrare in Rovere. l'ultimo anello
della catena che dal Galluppi si continua in Rosmini e Gioberti, unanime e il
consenso dei suoi maggiori contemporanei e dei posteri nell'affermare il valore
pressoché nullo della sua vasta produzione filosofica. Rosmini e più scolastico,
Rovere più civile. Quello quasi sterile in politica, questo molto feconda,
risolvendo i problemi più ardui e interessanti della vita sociale. Quello fu
timido, questo coraggiosa; quello arriva a rifiutare sul terreno pratico
le-conseguenze de' suoi principii per un pregiudizioso rispetto di casta non
evitando il disonore di una ritirata e la deformità del sofisma; Rovere, per lo
contrario tutta intrepido si sostenne colla gloria di una vittoria, colla
dignità di una rigorosa coerenza, e colla bellezza di una vera argomentazione.
Rosmini in un bel momento di sua ragione scrive stupende pagine sulla riforma
del clero; poi ha la debolezza di ritirarle, impaurito dalle minaccia
dell'Indice. Rovere è oggi quel che era ne' primi giorni della sua vita
pubblica, e non sa temere altro autorevole indice che quello del buon senso.
Nel suo saggio, intitolalo Di un nuovo diritto europeo, si ammira il coraggio
della coscienza di un filosofo, e la prudenza d'un uomo di Stato. Riguardo poi
ai pregi della forma, Rosmini fu semplicemente filosofo, Mamiani un
filosofo-oratore; nel primo spicca la pura meditazione, nel secondo si unisce
il genio che feconda il deserto delle speculazioni metafisiche, delle avanzate
astrazioni. In Rosmini vi ha una ricchezza povera, cioè una stiracchiatura di
poche idee in molte parole, quasi diffidi della memoria, e dell'abilità del
lettore. In Rovere vi ha una povertà ricca, cioè molte idee in poche parole; il
che appaga l'amor proprio del lettore, e ne fa liete tutte le potenze della
ritentiva e della ragione. A“D'un nuovo diritto europeo” (Scolastica, Torino);
“Dell'ottima congregazione umana e del principio di nazionalità italiana ” (Subalpina,
Torino); Pagano, ovvero, della immortalità, Dai Torchi della Signora De Lacombe”;
“Prose letterarie” (Barbera, Firenze). Terenzio Mamiani della Rovere. Rovere.
Keywords: confessioni di un metafisico, il rinnovamento della filosofia antica
italiana, vico, cuoco. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e della Rovere," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689532679/in/photolist-2mNzeEc-2mPqEYR-2mPsUUV-2mPBcdN-2mKCnei-2mKySTi-2mKbiLm-DvhhWW-DhRHD2-C91EC7-nE2Dmk-nu5Fd6-ncSxYn-nune7i-npzGmo-nrgohw
Grice e Ruberti – la natura abhorre il
vuoto – la tromba di Gabriele -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pideura). filosofo. Figlio di Gaspare,
originario di Bertinoro e tessitore, e Giacoma Torricelli-Roberti, faentina. Studia a Faenza
e Roma sotto B. Castelli. Srive a Galilei una lettera di risposta a sue richieste
a Castelli, che assente in quei giorni aveva lasciato allo studente il compito
di segretario. In tale lettera colse l'occasione per presentarsigli, che egli
ammira grandemente. Il vivere da vicino le vicende del processo a Galileo gl’indusse
a dedicarsi più strettamente alla matematica nonostante padroneggiasse gli
strumenti teorici e fosse un abile costruttore di cannocchiali. Divenne segretario di G. Ciampoli, un intellettuale
devoto a Galileo, che segue nei suoi incarichi governativi nelle Marche e
nell'Umbria. Castelli presenta a Galilei il saggio di Roberti, “De motu gravium”
suggerendogli di impiegarlo come discepolo e assistente. Così e e divenne
assistente di Galileo e su domanda e insistenza di Galilei si trasferì nella
sua abitazione. Alla morte di Galilei, Ferdinando II gli nomina matematico
del Granducato di Toscana. Studia geometria, dove anticipa il calcolo infinitesimale.
Si dedica alla fisica, studiando il moto dei gravi e dei fluidi e approfonde
l'ottica. Possede un laboratorio nel quale realizza egli stesso lenti e
telescopi. Si dedica anche allo studio dei fluidi, giungendo ad inventare il
barometro a mercurio chiamato "tubo di Torricelli" o "tubo da
vuoto”. Tale invenzione si basa nella misurazione della pressione atmosferica
attraverso l'uso di questo tubo che, proprio sotto la spinta di tale pressione,
viene riempito dal mercurio fino all'altezza costante di 760 mm (esperimento
effettuato sul livello del mare). Proprio da questa invenzione nasce l'unità di
misura della pressione "millimetri di mercurio" (mmHg) e
l'uguaglianza: 1 Atm = 760 mmHg (la pressione di un'atmosfera corrisponde a 760
millimetri di mercurio). Pubblica “Opera Geo-Metrica”, della quale “De motu
gravium” costituisce la seconda parte. Si dice faentino e tale era
considerato dalle persone che lo conoscevano, ma le ricerche compiute già
subito dopo la sua morte nei registri battesimali di Faenza non ebbero esito.
Ciò da adito ad un secolare dibattito, durante il quale varie altre località
romagnole rivendicarono l'onore di avergli dato i natali. Rossini ricostrusce
l'albero genealogico della famiglia, originaria di Pideura, nel contado
faentino, risalendo di due secoli oltre la nascita di Ruberti. Bertoni, del
liceo che da Ruberti prende nome, trova nel registro dei battezzati della
Basilica di San Pietro in Vaticano il suo atto di battesimo. Ciò che trae in
inganno i filosofi e il fatto che Ruberti assume il cognomen Torricelli della
madre anziché del padre. Si sa che il nome del padre e Gaspare. Pertanto, si
cercano notizie di un inesistente Gaspare Torricelli. Viceversa, si hanno
notizie di una Giacoma Torricelli e si riteneva che fosse la zia paterna. E
invece la madre. La lettera a Galilei, conservata alla Biblioteca Nazionale di
Firenze fra i Manoscritti Galileiani, è il primo documento nel suo carteggio. Rappresenta
un documento fondamentale per studiare la vita e l'opera dello scienziato
faentino. Descrive la propria formazione scientifica. Si dichiara a conoscenza
dei fatti che portano a breve alla condanna di Galilei e dichiara la propria
'fede' galileiana. Molto Ill.re et Ecc.mo Sig.r mio Col.mo Nella absenza
del Rev.mo Padre Matematico di N. Sig.re, sono restato io; humilissimo suo
discepolo e servitore, con l'honor di suo secretario. Fra le lettere del quale
havendo io letta quella di V. S. molto Ill.re et Ecc.ma, a lei ne accuso,
conforme l'ordine datomi, la ricevuta, e a lui Rev.mo ne do parte in compendio.
Potrei nondimeno io medesimo assicurar V. S. che il Padre Abbate in ogni
occasione, e con il Maestro di Sacro Palazzo e con i compagni di quello e con
altri prelati ancora, ha sempre procurato di sostenere in piedi li Dialoghi di
lei Ecc.ma, e credo che sia stato causa che non si è fatta precipitosa
resolutione. Io sono pienissimamente informato d'ogni cosa. Sono di
professione matematico, ben che giovane, scolaro del Padre R.mo di 6 anni, e
duoi altri havevo prima studiato da me solo sotto la disciplina dei Gesuiti.
Son stato il primo che in casa del Padre Abbate, et anco in Roma, ho studiato
minutissimamente e continuamente sino al presente giorno il libro di V. S., con
quel gusto che ella si puol imaginare che habbia havuto uno che, già havendo assai
bene praticata tutta la geometria, Apollonio, Archimede, Teodosio, et che
havendo studiato Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del
Longomontano, finalmente adhere, sforzato dalle molte congruenze, al Copernico,
ed era di professione e di setta galileista. Il Padre Grienbergiero, che
è molto mio, confessa che il libro di V. S. gli da gusto grandissimo e che ci
sono molte belle cose, ma che l'opinione non la loda, e se ben pare che sia,
non la tien per vera. Il Padre Scheiner, quando gliene ho parlato, l'ha lodato,
crollando la testa. Dice anco che si stracca nel leggerlo per le molte
disgressioni. Io gli ricordo le medesme scuse e diffese che V. S. in più lochi
va intessendo. Finalmente dice che V. S. si porta male con lui, e non ne vol
parlare. Del resto io mi stimo fortunatissimo in questo, d'esser nato in
un secolo nel quale ho potuto conoscere et riverir con lettere un Galileo, cioè
un oracolo della natura, et honorarmi della padronanza et disciplina d'un
Ciampoli, mio amorevolissimo signore, eccesso di meraviglia, o se adopri la
penna o la lingua o l'ingegno. Haverà quanto prima il Padre R.mo la carissima di
V. S., e le risponderà. Intanto V. S. Ecc.ma mi fa degno, ben che inetto,
d'esser nel numero de' servi suoi e de' seguaci del vero; che già so che il
Padre R.mo, o a bocca o per lettere me gli haverà altre volte offerito per
tale. E per fine a V. S. faccio con ogni maggior affetto riverenza. Roma,
Di V. S. molto Ill.re et Ecc.ma Sig.r Gall. Gal. La lettura approfondita delle “Due
nuove scienze” di Galilei dei cui ultimi capitoli segue direttamente la stesura
ad Arcetri, gli ha suggerito molti sviluppi dei principi della meccanica ivi stabiliti.
Tali sviluppi sono esposti nel trattato dal titolo “De motu gravium”. Nell’ “Opera
Geometrica” conceve il principio del
barometro, costruendo quello che ora è chiamato tubo di Torricelli e
individuando il "vuoto torricelliano". Con Viviani dimostra che il
vuoto esiste in natura e che l'aria ha un peso ponendo quindi fine alle
millenarie discussioni filosofiche sull'horror vacui. Un'unità di misura della
pressione è stata chiamata Torr in suo onore e corrisponde a millimetri di
mercurio. L'unità di misura del Sistema Internazionale è invece il pascal, in
onore di un altro illustre fisico Blaise Pascal, che fa fiorire numerose
ricerche sperimentali dalla estesa e definitiva teoria della pressione
atmosferica descritta da Torricelli. La parola “barometro” coniata da R. Boyle
è oggi quasi sempre associata al nome di Torricelli che risulta quindi fra i
più celebri scienziati italiani nella storia. Essendo in diretto contatto con
Cavalieri inizia a lavorare con la Geometria degli indivisibili e ben presto
supera, secondo lo stesso Cavalieri, il suo maestro. E abilissimo
nell'utilizzarne le tecniche, cioè il metodo degli indivisibili, come anche il
metodo d'esaustione, che e in uso presso gl’antichi, fra tutti il grande Archimede,
di cui e entusiasta ammiratore. A lui dobbiamo la riscoperta del matematico
siracusano. Per il gusto di imitare i classici, dimostra in 21 modi
diversi un teorema di Archimede: 11 con il metodo d'esaustione, 10 con il
metodo degli indivisibili. Spesso i risultati ottenuti con la geometria
degli indivisibili venneno poi confermati con altre dimostrazioni, a causa
della controversia sulla loro fondatezza. Il fatto interessante è che lo
stesso Archimede elabora una sorta di geometria degli indivisibili, ma non la
ritiene rigorosa, e perciò dimostra sempre i suoi risultati con il metodo
d'esaustione. Tutto ciò si è scoperto quando si scopre un palinsesto con
un'opera sconosciuta di Archimede, il Metodo meccanico, nel quale espone questi
procedimenti. -- è famoso per la scoperta del solido di rotazione
infinitamente lungo detto “la tromba di Gabriele”, da lui chiamato "solido
iperbolico acutissimo", avente l'area della superficie infinita, ma il
volume finito. La tromba di Gabriele e considerato per molto tempo un paradosso
"incredibile" per molti, incluso lui stesso, che cerca diverse
spiegazioni alternative, anche perché l'idea di un secchio che è possibile
riempire di vernice, ma impossibile da pitturare è senz'altro singolare. Il
solido in questione ha scatenato un'aspra controversia sulla natura
dell'infinito, che ha coinvolto anche il filosofo T. Hobbes. In questa disputa
alcuni sostenneno che il solido conduce all'idea di un infinito completo. -- è
stato pioniere nel settore delle serie infinite. In “De dimensione parabolae"
considera una successione decrescente di termini positivi {{0},{1},{2}} e
mostra che la corrispondente serie tele-scopica {{0}{1})+{1}{2})+}converge
necessariamente a {{0}-L{0}-L}, dove “L” denota il limite della successione. In
questo modo riuscw a dare una dimostrazione dell’espressione per la somma della
serie geometrica. A Faenza, è presente una statua (ubicata di fronte alla
chiesa di San Francesco) che lo raffigura con in mano un barometro a mercurio
(curiosità sulle proporzioni: l'altezza del barometro è inferiore a quella
reale, che deve essere di almeno 76 cm. Per la storia della scoperta della sua vera
origine vedi anche Registrazione del convegno per il quarto centenario della
nascita, M. Fidio, C. Gandolfi,
Idraulici italiani, Biblioteca Europea di Informazione Cultura.In questa
sperimentazione venne preceduto di qualche anno da G. Berti, che conduce un
esperimento barometrico utilizzando acqua anziché mercurio. Cfr. L'esperimento
di Berti, realizzato a Roma Moon: Torricelli
G. Rossini, Convegno di studi
torricelliani in occasione dell’anniversario della nascita, Faenza, Lega, G. Bertoni,
La sua faentinità e il suo vero luogo di nascita, in Studi e ricerche del Liceo
Torricelli, Faenza, Ragazzini, F. Toscano, L'erede di Galileo. Vita breve e
mirabile, Milano, Sironi).A .Alexander, Infinitamente piccoli. La teoria
matematica alla base del mondo moderno, Torino, Codice edizioni, Barometro di Torricelli, Equazione di Torricelli,
Legge di Torricelli Torr, Tromba di Torricelli, Treccan Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Crusca.
Evangelista Torricelli, Il contributo italiano alla storia del Pensiero:
Scienze, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Museo della Storia della Scienza,
Firenze. Evangelista Torricelli Ruberti. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Ruberti” – The Swimming-Pool Library https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692027983/in/photolist-2mKR9ZM-nrgohw-npzGmo
Grice e Rucellai – gl’amori di
Linceo – filosofia imperfetta -- filosofia italiana (Firenze). Filosofo. Crusca. Discepolo
di Galilee e in certa guisa il
depositario e spositore delle opinioni metafìsiche professate dal suo maestro.
Di più: in cui la scuola di Galilei ha uno dei maggiori lumi. Afferma di essere
amico e confidente di Galilei ma ciò non corrisponde al vero. In verità si incontrano
solo una volta quando e suo ospite nella villa di Arcetri. Men che meno e suo
studente. Quanto poi alla metafisica di Galilei, i dialoghi filosofici parlano
da soli. Quando comincia a comporre i dialoghi
presero persino a chiamarlo "il nostro sapientissimo Socrate". Ma
anche questa era una bufala. Il fatto è ogni volta che compone un dialogo, ama recitarlo
al suo palazzo davanti a un pubblico scelto di personaggi del bel mondo
fiorentino. Che al suo palazzo, uno dei più ricche di Firenze, si mangia e e beve
gratis. Quindi più dialoghi recitav, più si gozzoviglia. Per questo lo incitano
a continuare. La verità è che in
filosofia non vuole, non segue la ragione. Chiudendo gl’occhi alla scienza, in
qualunque punto, non dice nero né bianco. Altro che discepolo di Galilei anche
se a Firenze, a questa panzana, ci credeno in molti. Non è un caso dunque se i dialoghi sono
pubblicati non per meriti filosofici ma linguistici. I dialoghi sono citati dal
vocabolario della Crusca ed ottimo avviso e il farne spoglio abbondante perché
la loro favella è veramente d'oro e, se lo stile procede talvolta prolisso, è
sempre chiarissimo ed elegante e à gran ricchezza di voci e frasi convenienti
agli studj speculativi. Forse è proprio
per la sua grande abilità nel farsi credere che, nel Granducato, la sua stella
sembra non tramontare mai. Ambasciatore toscano prima presso Ladislao IV e poi
lFerdinando III. Intendente della Biblioteca Laurenziana. Tutore di Francesco
Maria. Acclamato Priore dell'Accademia della Crusca con l’alias di “Imperfetto”
Strano perché lui, invece, e un perfetto: un perfetto bugiardo. Altre saggi: “Descrizione
della presa d'Argo e de gl’amori di Linceo con Hipermestra”; Opuscoli inediti di
celebri autori toscani, Prose e rime inedite di Rucellai Tommaso Buonaventura, Degl’officii
per la società umana”; “Della provvidenza”; “Della morale”, Crusca. Orazio
Ricasoli-Rucellai. Ruscellai. Keywords: gl’amori di Linceo --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Rucellai”
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734569882
Grice e Ruffolo – il possibilismo --
filosofia italiana (Cosenza). Filosofo. Torna a Roma dal fronte della campagna greco-albanese
della seconda guerra decorato con quattro medaglie al valore per diverse
intrepide azioni contro il nemico, in cui e ferito con arma da fuoco
trapassante il petto. Organizza in seno al ministero dell'interno una cellula
di resistenza partigiana, che gli vale l'attestazione di partigiano combattente
e una medaglia di bronzo al valore partigiano. Per via della delazione di
un componente del gruppo di resistenza e arrestato dalla banda Pollastrini-Koch
e incarcerato alla pensione Jaccarino in via Romagna. Trasferito in Regina Coeli
condivide la cella con Pintor e Salinari discutendo del dopo
liberazione. Trasferito a via Tasso e interrogato da Kappler. L'iniziale
sentenza di morte e commutata in deportazione. Qualche ora prima
dell'ingresso degl’alleati in Roma, all'abbandono di Roma da parte dei tedeschi,
usce dal carcere insieme per essere avviato su uno dei trei torpedoni in attesa
a Piazza San Giovanni per essere deportato in Germania. Un quarto torpedone e
invece quello destinato all'eccidio di La Storta dove e ucciso Buozzi. Lee SS
gli impedeno il suo proposito di salire proprio sul quarto torpedone, scostato
dagl’altri, avvalorando la tesi che l'eccidio e pre-meditato e non una reazione
impulsiva del comandante. Costretto a salire su uno dei restanti tre torpedoni,
si getta mentre il convoglio e in marcia. Riusce a far perdere le tracce e a
liberarsi nonostante le SS avessero fermato il convoglio e lo insegueno nella
campagna nei pressi di Ficulle. Dell’arresto e prigionia da conto in "Roma
-- storia della mia cattura e fuga dalle SS [dai nazisiti]" (Roma). Al
termine della guerra, ha la carriera di notaio a Grosseto. Uomo colto,
conversatore brillante con battute spesso umoristiche. In occasione della
trasmissione "Testimoni oculari" di S. Zavoli, circa la detenzione a
Via Tasso, venne intervistato il fratello Sergio. La sua condizione di
laringectomizzato per il tumore alle corde vocali, e probabile causa della mancata
intervista. Tuttavia non è citato nella trasmissione, in quanto il
fratello omise di nominarlo nell'intervista, causando uno spiacevole dissapore
familiare, tenuto conto delle drammatiche e indimenticabili circostanze di quei
momenti vissuti insieme. Amico e intrattenne corrispondenza tra gli altri,
con Orlando, Levi, Ragghianti, I.
Baldini, A. Trombadori, F. Valeri, M.
Morante, C. Cassola, M. Melloni (Fortebraccio), A. Guercio, A.
Ripellino, F. Gabrielli, e M. Stern. Notevole la mole dei suoi saggi e il
cui interesse di pensiero, investe gli argomenti più disparati. Altri saggi: “La
Cosmologica” (Roma, Signorelli), opera poetico-filosofica. Fonda la “metafisica
possibilista” basata sulla teoria della relatività generale e della fisica dei
quanti; "America come pretesto" (Roma, Ventaglio); "Il
possibilismo: suggerimento filosofico eutimistico-terapeutico” (Roma, Mancosu);
"Guazzabuglio"; “Quadri di una esposizione” (Roma, Barone); “Guazzabuglio”
(Roma, Croce);“Oltre gl’ali di Icaro” (Roma, C. Mancosu). Nicola Ruffolo.
Ruffolo. Keywords: Icaro, Cosmologica, possibilismo, guazzagublio, lo specchio
del diavolo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruffolo” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735363301/in/datetaken/
Grice e Ruggiero – romolo e remo –
filosofia meridionale -- filosofia
italiana (Napoli). Filosofo. Nato
alla fazione di Bruciano, fiiglio di Eugenio
e di Filomena d'Aiello. Scrive “Critica del concetto di cultura”, cui
Croce rimprovera la mancata distinzione tra “cultura” e “falsa cultura”. Idealista,
senza aderire all'attualismo di Gentile. Liberale, pur non risparmiando
critiche alla classe politica espressa dal Partito liberale. Insegna a Messina
e Roma. Avendo aderito all'idealismo con Gentile, la sua rivendicazione dei
valori del liberalismo lo rese un esponente di spicco dell'opposizione al
fascismo. Per non perdere la cattedra presta il giuramento di fedeltà al
fascismo. Autore, tra le altre opere, di una imponente Storia della filosofia e di una Storia del liberalism. Socio degl’Esploratori
Italiani. Indaga nella storia della filosofia romana la potenza di libertà
costruttrice del mondo degl’uomini, e, auspicando in tempi oscuri il ritorno
alla ragione, e ad Italia maestro ed apostolo di fede nell'umanità. Saggi: Storia della filosofia,” “La filosofia
greca'” Bari, Laterza); “Cristianesimo, Bari, Laterza); “Rinascimento, riforma
e controriforma, Bari, Laterza); La filosofia moderna. Cartesianismo (Bari,
Laterza); L’Illuminismo, Bari, Laterza); Da Vico a Kant, Bari, Laterza); L'età
del Romanticismo, Bari, Laterza); Hegel, Bari, Laterza); La filosofia contemporanea,
Bari, Laterza); Critica del concetto di cultura, Catania, Battia; La filosofia
contemporanea, Bari, Laterza, Il pensiero
politico italiano meridionale (Bari, Laterza); L'impero britannico dopo la guerra,
Firenze, Vallecchi, “Storia del liberalismo” (Bari, Laterza, La filosofia contemporanea”
(Bari, Laterza); “Filosofi del Novecento” (Bari, Laterza); “L'esistenzialismo”
(Bari, Laterza); “Scritti politici, R. De Felice, Bologna, Cappelli, La libertà, F. Mancuso, Napoli, Guida);
Lettere a Croce (Bologna, Mulino); B. Croce, La Critica, I filosofi che dissero
"NO" al Duce, in La Repubblica, Un ritratto filosofico, Napoli, Società
editrice); L'impegno di un liberale” “Tra filosofia e politica, Firenze,
Monnier); Treccani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. M. Griffo,
La coscienza critica del liberalismo; V. Sgambati, Tra ethos e pathos. Guido De
Ruggiero. De Ruggiero. Ruggiero. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Ruggiero” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51715422601/in/photolist-2mPmmR4-2mNaHiH-2mMV4pg-2mLEcbk-2mPCgo1
Grice e Rusca – filosofia italiana (Venezia). Studia filosofia. Vicario generale di
Padova della Congregazione del Sant'Uffizio. Ricopre quindi il ruolo di
Inquisitore. Scrive “Syllogistica methodus” ; “De caelesti substantia”; “De
fabulis palaestini stagni ad aures Aristotelis peripateticorum principis e l'
Epitome theologica”. Vescovo di Caorle. Uno dei presuli che più si spese per le
necessità della sua diocesi. È infatti ricordato per gli imponenti restauri
della cattedrale che volle fossero eseguiti per salvare l'edificio
dall'imminente rovina. Durante questi restauri ricopre il soffitto della
cattedrale con stucchi e diede all'edificio una struttura barocca. La riconsacrarla,
apponendo alle pareti dodici croci in cotto, tuttora conservate. Inoltre fa completare
la realizzazione dei nuovi reliquiari per le insigne reliquie dei santi patroni
(Stefano protomartire, Margherita di Antiochia e Gilberto di Sempringham) e
provvide al rinforzo della struttura del campanile. Al completamento di tutti i
lavori, volle che alle solenni celebrazioni presenziassero musici provenienti
da Venezia. A memoria di tutto ciò, resta la lapide, ora affisse alla parete
sinistra del duomo. D. O.M. LÆVITÆ STEPHANO PROTOMARTYRI FR·PETRVS MARTYR
RVSCA EPVSCONSECRAVITMARINO VIZZAMANO PRÆTORE M·D·C·L·XV·III CAL SEP· -- A Dio
ottimo massimo al levita Stefano proto-martire fra' P. Rusca vescovo consacra essendo
podestà M. Vizzamano. Ricordato per la sua premura nel risollevare le sorti
economiche. Ripristina la mensa
episcopale e provvide al sostentamento dei sacerdoti istituendone la
confraternita. Si adopera per correggere i comportamenti dei fedeli e dei
sacerdoti stessi. Fa erigere nella cattedrale un altare dedicato a Sant'Antonio
di Padova. In Duomo a Caorle resta la pala d'altare del Santo con la lapide,
affissa alla parete destra dove sorgeva l'altare, che recita: ILL.MI ET RMI EPI
CAPRVLEN. VNAM MISSAM LECTAM QVOTIDIE, ET DVAS CANTATAS QVOLIBET MENSE AD HOC
ALTARE S. ANTONII CELEBRARI CVRANTO TENENTVR VT IN ACTIS D. OCTAVII RODVLPHI
NOT. VEN. DIEI XIV MENSIS IAN. MDCLXXI AB INCAR. FR. PETRVS MARTYR RVSCA EPVS
CAPRVLEN. EREXIT VNIVIT DISPOSVIT. Illustrissimi e reverendissimi vescovi
caprulensi, abbiate cura che una messa letta quotidiana e due cantate in
qualsivoglia mese siano celebrate a questo altare di S. Antonio, ne sono tenuti
come dagli atti del signor Ottavio Rodolfo notaio veneziano del giorno 14 mese
di gennaio 1671 dall'Incarnazione. Fra' Pietro Martire Rusca vescovo di Caorle
eresse, unì, dispose. Consacra la chiesa di Santa Maria Elisabetta al Lido di Venezia.
R. Rusca, Il Rusco, overo dell'historia della famiglia Rusca, N. Marta,
Venezia, Bonaventura Perissuti, Notizie divote ed erudite intorno alla Vita ed
all' insigne Basilica di S. Antonio di Padova, Padova, Flaminio Corner, Notizie storiche delle chiese
e monasteri di Venezia, e di Torcello, G. Manfrè, Padova, G. Sbaraglia,
Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci, S.
Michaelis ad ripam apud Linum Contedini, Roma. T. Bottani, Saggio di Storia della Città di
Caorle, Bernardi, Venezia, G. Musolino, Storia di Caorle, La Tipografica,
Venezia, Paolo Francesco Gusso e R. Candiago Gandolfo, Caorle Sacra, Marcianum
Press, Venezia, F. Ughelli, Italia sacra sive de episcopis
Italiæ, et insularum adjacentium. Pietro Martire Rusca. Rusca. Keywords:
“Syllogistica methodus”, “Aures Aristotelis peripateticorum principis”;
Defensionem Vestigationum Peripateticum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusca”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734521406/in/datetaken/
Grice e Rusconi – attacco e contrattacco – filosofia
italiana (Meda). Filosofo. Insegna a Trento e Torino.
“La teoria critica della società” -- Istituto storico italo-germanico. Altre saggi:
“Crisi di sistema e sconfitta operaia” (Einaudi); “Scambio, minaccia, decisione”;
“Sociologia politica (Mulino); Se cessiamo di essere una nazione (Mulino), in
cui ripercorre il dibattito sul concetto di nazione – “la nazione italiana”; Resistenza
e post-fascismo (Il Mulino); “Come se Dio non ci fosse” (Einaudi), “Italia – lo
stato di potenza, la potenza civile (Einaudi) Cefalonia. Quando gli italiani si
battono (Gli struzzi Einaudi); “L'azzardo”
(Mulino); “Cavour: fra liberalismo e cesarismo (Il Mulino); “Cosa resta”
(Laterza ); “Seduzione” (Feltrinelli ); “Attacco” (Mulino). Gian Enrico
Rusconi. Rusconi. Keywords: romanita, italianita, il concetto di nazione in
Hegel, “God save the queen” – the national anthem – l’inno nazionale -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Rusconi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734745883/in/datetaken/
Grice e Ruta – corpori sani – l’intersoggetivo e la
psiche sociale – filosofia fascista – filosofia meridionale -- filosofia
italiana (Belmonte Castello). Filosofo. Insegna a
Napoli. Conosce e frequenta Croce. Sviluppa una filosofia in armonia con l'ideologia
del regime fascista. Saggi: “Il gusto d'amare” (Millennium); “Insaniapoli” (Campus);
“Il segreto di Partenope” (Napoli, Millennium);“L’inter-soggetivo e la psiche
sociale” (Milano, Sandron); “Il ritorno del genio di Vico” (Bari); “Politica e
ideologia” (Milano, Corbaccio); “La necessità storica dell'Italia nuova”
(Napoli); “Diario e lettere” (Bari); “La nascita della tragedia ovvero Ellenismo
e pessimismo” (Bari). Enrico Ruta. Ruta. Keywords: l’intersoggetivo e la psiche
sociale, corpori sani, il concetto di necessita storica in hegel – il concetto
del sociale – il carattere del popolo italiano, lo stato italiano – la missione
del popolo italiano – la patria italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruta”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734727223/in/datetaken/
Grice e Sacchi – filosofia italiana – filosofia
longobarda -- Luigi Speranza (Casa
Matta di Siziano). Filosofo. La sua saggistica e molto abbondante e abbraccia i
campi più diversi della filosofia. A differenza di altri poligrafi del tempo la
sua filosofia si basa su una solida formazione e un sapere quasi enciclopedico,
per cui i suoi saggi, pur influenzati -soprattutto nella forma- dalle mode
culturali del tempo, mantengono anche oggi un indubbio valore. A Pavia conduce
i suoi studi, che dapprincipio si indirizzarono alla filosofia. Tra i suoi
maestri vi e Romagnosi. Corrispondente di Fauriel e Gioia. Si trasfere a
Milano. Collabora a varie riviste. Dirige «Cosmorama pittorico». Socio della
Reale Accademia delle Scienze di Torino. Saggi:
“La Storia della filosofia greca” (Pavia, Capelli) La Collezione dei
Classici Metafisici, Mascheroni” (Pavia, Bizzoni); “I Lambertazzi e i Geremei, o le fazione di
Bologna – cronaca di un trovatore” (Milano, Stella); “La pianta dei sospiri”
(Milano, Silvestri); Le Antichità romaniiche
d'Italia, Diritto pubblico universale, o sia Diritto di Natura e delle Genti, Biblioteca
Scelta di opere dal latino); “Uomini Utili e Benefattori del Genere Umano”
(Milano, Silvestri); I voti dell'Italia.
I. Cesare, "L'Omnibus Pittoresco",
La mia vita (Pavia, Bizzoni); Filosofia (Milano, Cisalpino); Elogio del
sensismo, Pavia, Bizzoni, Della filosofia di Socrate” Pavia, Bizzoni, I trovatori e le galanterie nel Medio evo,
Milano, Ripamonti Carpano, Oriele o Lettere di due amanti” (Pavia, Bizzoni); “Lodi
Orcesi, Milano, Silvestri, Biblioteca Braidense
Marcellina, C. Béchet, Geltrude. Romanzo italiano con note storiche,
Milano, Bettoni, Diritto pubblico universale di Gio. Maria Lampredi
volgarizzato, Milano, Silvestri); “I fregi simbolici di San Michele in
Pavia", Antichita romantiche [romaniche] d'Italia, e Giu Milano, Stella);
“Della condizione economica, morale e politica degli italiani nei bassi tempi”;
“Saggio intorno all'architettura simbolica, civile e militare in Italia”’ “Saggio
intorno all'origine de' Longobardi, alla loro dominazione in Italia, alla
divisione dei due popoli ed ai loro usi, culto e costume” (Milano, Stella); “Della
condizione economica, morale e politica degli Italiani ne' tempi municipali”; “Sulle
feste, e sull'origine, stato e decadenza de' municipii italiani nel Medioevo” (Milano,
Stella); “Annali universali di statistica economia pubblica, storia, viaggi e
commercio; “Sull’'indole della letteratura italiana; ossia della letteratura
civile, con un'appendice intorno alla poesia eroica, sacra e alle belle arti” (Pavia,
Landoni); “ Intorno alle dighe marmoree o murazzi alla laguna di Venezia ed
alla istituzione del porto franco” (Milano, Editori degli Annali Universali
delle Scienze e dell'Industria, Miscellanea di lettere ed arti, Pavia, Bizzoni);
“L'arca di Sant'Agostino: monumento in marmoora esistente nella chiesa
cattedrale di Pavia, colle illustrazionii” (Pavia, Fusi); “Intorno alle
costumanze, alle arti, agli uomini e alle donne illustri d'Italia” (Milano,
Stella); “Intorno alla pasta, alla smania musicale del secolo, a Volta e a'
progetti pel monumento da erigersegli in Como ed a qualche buona o cattiva moda
della capitale: lettera inutile” (Milano, Stella); “Cose inutile” (Milano,
Visaj); “Teodote: storia” (Milano, Nervetti); “Le belle arti in Milano
nell'anno 1832, Nuovo Raccoglitore, Questioni sull'architettura rituale in
relazione alle opinioni del conte Cordero di San Quintino e dell'avvocato
Robolini", in Annali Universali di Statistica”; “Le arti e l'industria in
Lombardia” (Milano, Visaj); “Del bello” (Milano, Silvestri); Instituti di
beneficenza a Torino (relazione), Milano, a Società degli editori degli annali
universali delle scienze e dell'industria, Lezioni d'un parroco sul cholera” (Milano,
Bravetta, Gli asili dell'infanzia: loro utilità ed ordinamento. Memorie
popolari italiane” (Milano, Manini); “Novelle e racconti, Milano, Manini); “L'
Arco della Pace a Milano descritto e illustrato e pubblicato per la fausta
inaugurazione fatta da S.M.I.R.A. Ferdinando 1, Milano, Manini; B. Luino,
Cosmorama pittorico, Le streghe. Dono del folletto alle signore, Milano, Manini);
“Amori e vicende dei quattro sommi poeti italiani: Dante, Petrarca, Ariosto e
Tasso. Studi storici-biografici” (Milano, Vallardi). Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Defendente Sacchi. Sacchi. Keywords:
Lombardi, longobardi, filosofia lombarda – pagenismo Lombardo – lingua lombarda
– simbolo Lombardo --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sacchi” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735126254
Grice e
Sacchi – IL PLATINA. Garin. Bartolomeo Sacchi,
detto il Plàtina (Piadena, 1421 – Roma, 21 settembre 1481), è stato un umanista
e gastronomo italiano. Indice 1 Biografia
2 Opere
2.1 Manoscritti
3 Note
4 Voci
correlate 5 Altri
progetti 6 Collegamenti
esterni Biografia Nacque a Piadena, un paese vicino a Cremona chiamato in
latino Platina, da cui prese il soprannome.[1] Della sua giovinezza si conosce
poco: intraprese la carriera delle armi militando al servizio di Francesco
Sforza e Niccolò Piccinino come mercenario, ma presto si trasferì a Mantova per
avviarsi agli studi umanistici. Nella città dei Gonzaga fu discepolo di
Ognibene da Lonigo, che aveva assunto la guida della Casa Gioiosa dopo Iacopo
da San Cassiano, succeduto a Vittorino da Feltre morto nel 1446[2].
Cominciò la sua carriera nel 1453 come precettore dei figli di Ludovico III
Gonzaga. Al marchese dedicò il primo scritto di cui abbiamo notizia: il
Bartholomaei Platinensis Divi Ludovici marchionis Mantuae somnium, un'operetta
sotto forma di dialogo in lode delle cure prestate da Ludovico nella
trascrizione delle opere di Virgilio. Secondo l'uso umanistico Sacchi
scelse come nom de plume quello della propria città natale, cambiandolo presto
da Platinensis a Platina. Per quanto nel 1456 ottenesse dal duca di Milano
Francesco Sforza – tramite l'intercessione della moglie di Ludovico Barbara di
Brandeburgo – un salvacondotto per andare in Grecia a perfezionare le proprie
conoscenze del greco antico e dell'antichità classica, mutò parere quando seppe
che Giovanni Argiropulo, celebre umanista di orientamento platonico, sarebbe
venuto a Firenze in qualità di docente di filosofia, preferendo stabilirsi
nella città medicea.[3] Nel 1457 si recò quindi a Firenze per ascoltare
le lezioni dell'Argiropulo, entrando a far parte dell'ambiente culturale locale
e stringendo amicizia con celebri umanisti quali Marsilio Ficino, Poggio
Bracciolini, Francesco Filelfo, Cristoforo Landino, Leon Battista Alberti,
Giovanni Pico della Mirandola e molti altri. Divenne inoltre precettore presso
la famiglia Medici pur legandosi alla famiglia Capponi, di parte repubblicana.
Di Neri Capponi tradusse i Commentari aggiungendo una nota biografica
probabilmente più tarda. Degli autori antichi predilesse in particolare
Virgilio, che studiò molto approfonditamente, curando tra l'altro una raccolta,
perduta, dei modi di dire greci presenti nei testi dell'autore mantovano. A Ludovico
III Gonzaga spedì un codice delle Georgiche e una copia miniata delle opere
virgiliane, incitandolo a far erigere in città un monumento al suo poeta più
noto.[4] Il Platina tenne l'orazione funebre di Ludovico Gonzaga
(1478)[5]. Non fu solo educatore, ma anche umanista, studioso di
letteratura e tradizioni popolari: sul finire del 1461 si trasferì a Roma al
servizio del giovane cardinale Francesco Gonzaga, in qualità di suo segretario;
divenne abbreviatore dei papi Pio II e Paolo II con alterne fortune: nel 1467
venne infatti imprigionato e sottoposto a tortura, con l'accusa di congiura
contro il Papa, e, assieme ad altri abbreviatori, di avere idee pagane. Per
vendetta ritrasse in modo sfavorevole la personalità di Paolo II nella
biografia scritta un decennio dopo. Uscito prosciolto dal processo
all'inizio del 1469, vide salire le proprie fortune sotto il papato di Sisto
IV, che lo nominò nel 1478 direttore della Biblioteca Vaticana dove scrisse il
Liber de vita Christi ac omnium pontificum, una raccolta delle biografie dei
pontefici vissuti sino ad allora. Negli stessi anni pubblicò il De principe, il
De vera nobilitate e il De falso et vero et bono. De honesta
voluptate et valetudine Il suo lavoro principale resta tuttavia un breve trattato
di gastronomia, il De honesta voluptate et valetudine. Il De honesta voluptate
et valetudine fu stampato una prima volta a Roma da Han tra il 1473 e il 1475
(i più propendono per il 1474), anonimo e senza note tipografiche, e subito
dopo, nel 1475, a Venezia (Platine de honesta voluptate et valetudine,
Venetiis: Laurentius de Aquila, 1475) con indicazione di autore e note
tipografiche. L'edizione più "corretta", fra le antiche, secondo
l'italianista Emilio Faccioli, rimane quella pubblicata a Cividale del Friuli
nel 1480, prima opera stampata da Gerardo da Fiandra in Friuli. In quest'opera,
il Platina trascrive in latino tutte le ricette - originariamente scritte in
lingua volgare - di Maestro Martino, il più celebre cuoco del XV secolo, di cui
il Platina loda l'inventiva, il talento, la cultura. La forza iconoclasta di
Martino, spinge il Platina su inedite, quanto avveniristiche, analisi sulla
gastronomia, sulla dieta, sul valore del cosiddetto "cibo del
territorio" e persino sull'utilità di una regolare attività
fisica.[6] Morì a Roma il 21 settembre 1481, forse a causa della peste.
Fu sepolto nella basilica di Santa Maria Maggiore. Opere Divi Ludovici
Marchionis Mantovae somnium (ca. 1454-1456), a cura di A. Portioli, Mantova
1887. Oratio de laudibus illustris ac divi Ludovici Marchionis Mantovae (ca.
1457-1460), in F. Amadei, Cronaca universale della città di Mantova, a cura di
G. Amadei, E. Marani e G. Praticò, vol. II, Mantova 1955, pp. 226–234. Vita
Nerii Capponi (ca. 1457-1460), in Rerum Italicarum scriptores, vol. XX, Milano,
1731, cols 478-516. Commentariolus de vita Victorini Feltrensis (ca.
1462-1465), in Il pensiero pedagogico dello Umanesimo, a cura di E. Garin,
Firenze, 1958, pp. 668–699 Oratio de laudibus bonarum artium (ca. 1463-1464),
in T. A. Vairani, Cremonensium monumenta Romae extantia, vol. I, Roma 1778, pp.
109–118. Vita Pii Pontificis Maximi (1464-1465), a cura di G.C. Zimolo, in
Rerum Italicarum scriptores, 2nd ser., vol. III.3, Bologna 1964, pp. 89–121.
Dialogus de flosculis quibusdam linguae Latinae (ca. 1465-1466), a cura di P.
A. Filelfo, Milano, 1481. De honesta voluptate e valitudine (ca. 1466-1467) De
honesta voluptate et valetudine, Stampata in Venetia, [Bernardino Benali], nel
anno del signore MCCCCLXXXXIIII adi XXV de agusto. Il piacere onesto e la buona
cucina. A cura di Emilio Faccioli, Collana NUE n.189, Einaudi, Torino, I a cura
di 1985, pp. XXXIII-267. De honesta voluptate et valitudine. Un trattato sui
piaceri della tavola e la buona salute. Nuova edizione commentata con testo
latino a fronte. A cura di Enrico Carnevale Schianca, B.A.R. Serie I, Vol. 440,
Olschki, Firenze, 2015, ISBN 9788822263797, pp. VI-590. Historia urbis Mantovae
Gonziacaeque familiae (1466-1469), a cura di P. Lambeck (1675), riedito in
Rerum Italicarum scriptores, XX, Milano, 1731, cols 617-862. Tractatus de
laudibus pacis (1468), in W. Benziger, Zur Theorie von Krieg und Frieden in der
italienischen Renaissance, Frankfurt a.M. 1996, part 2, pp. 1–21. Oratio de
pace Italiae confirmanda et bello Thurcis indicendo (1468), a cura di Benziger,
Zur Theorie, parte 2, pp. 95–105. Panegyricus in laudem amplissimi patris
Bessarionis (1470), in Patrologia Graeca, vol. CLXI, 1866, cols CIII-CXVI. De
principe (1470), a cura di G. Ferraù, Palermo 1979. De falso et vero bono,
dedicato a Sisto IV (ca. 1471-1472), Collana Edizione nazionale testi
umanistici, Storia e Letteratura, Roma, 1999, ISBN 9788887114317, pp. 284.
Liber de vita Christi ac omnium pontificum (ca. 1471-1475), prima edizione
Venezia, 1479; edizione critica: G. Gaida, in Rerum Italicarum, scriptores, 2nd
ser., vol. III.1, Città di Castello 1913-1932; in latino e inglese: Lives of
the Popes, vol. I, a cura di A. F. D’Elia, Cambridge (MA) 2008; edizione in
latino della vita di Paolo II: Bartolomeo Platina. Paul II. An Intermediate
Reader of Renaissance Latin, a cura di Hendrickson et al. Oxford (OH) 2017 De
optimo cive (1474), a cura di F. Battaglia, Bologna 1944. Un trattato o lettera
polemica contro Battista de’ Giudici (1477); perduto, ma parzialmente citato in
una replica successiva in B. De’ Giudici, Apologia Iudaeorum; Invectiva contra
Platinam, a cura di D. Quaglioni, Roma 1987, pp. 94–127. Plutarco, De ira
sedanda, tradotto da Platina (ca. 1477), in Vairani, Cremonensium monumenta,
pp. 119–135. Vita amplissimi patris Ioannis Melini (ca. 1478), a cura di M.G.
Blasio, Roma 2014. Lettere: Platinae custodia detenti epistulae (1468–69), a
cura di Vairani, Cremonensium monumenta, pp. 29–66; edizione critica: Lettere,
a cura di D. Vecchia, Roma 2017. A cura di Platina: Giuseppe Flavio,
Historiarum libri numero VII, Roma 1475. Practica, traduzione e commento di
Angelo Capparoni, Istituto di Storia della Medicina dell'Università di Roma,
Roma, 1960. Manoscritti Libri Tres de Principe, manoscritto, XV secolo.
Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo manoscritti Vocabula Bucolicorum, Vocabula
Georgicorum (ca. 1460-1461), MS Berlin, Staatsbibliothek, Lat. qu. 488, foll.
58r-59v, 59v-65r Liber privilegiorum (ca. 1476-1480), MS Archivio segreto
Vaticano, A.A. Arm. I-XVIII, 1288-1290 Epitome ex primo [-XXXVII] C. Plinii
Secundi libro De naturali historia (ca. 1462-1466), e.g. MS Siena, Biblioteca
comunale, L.III.8, foll. 73r-357v De vera nobilitate (ca. 1472-1477), in
Platina, Hystoria de vitis pontificum, Venezia, 1504, foll. C5v-D3v. Dialogus
de falso ac vero bono, dedicato a Paolo II (1464-1465), e.g. Milan, Biblioteca
Trivulziana, Mss., 805 Dialogus contra amores (de amore) (ca. 1465-1472), in
Platina, Hystoria de vitis pontificum, Venezia, 1504, foll. B8r-C5r (a cura di
L. Mitarotondo, tesi di dottorato, Università di Messina, 2003) Libri Tres de
Principe, XV secolo, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo manoscritti, ms. E 66
sup. (3), ff. 41r-168r. Note ^ Per una biografia dettagliata cfr. S. Bauer, The
Censorship and Fortuna of Platina's Lives of the Popes in the Sixteenth
Century, Turnhout, Brepols 2006, pp. 1-88. ^ Su Iacopo vedi P. d'Alessandro e
P.D. Napolitani, Archimede Latino. Iacopo da San Cassiano e il corpus
archimedeo alla metà del Quattrocento, Paris, Les Belles Lettres 2012. ^ E.
Faccioli, Notizie biobibliografiche, in B. Platina, Il piacere onesto e la
buona salute, Torino, Einaudi, 1985, p. XXV ^ E. Faccioli, cit., p. XXVI ^ Kate
Simon, I Gonzaga. Storia e segreti, Ariccia, 2001. ^ Di questa edizione del 1480,
è stata presentata, nel 1994, una bella riproduzione in facsimile a cura dalla
Società filologica friulana. Voci correlate Sisto IV nomina il Platina prefetto
della biblioteca Vaticana Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource
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Collegamenti esterni Plàtina, Il, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
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Sacchi, detto il-, su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata Stefan
Bauer, SACCHI, Bartolomeo, detto il Platina, in Dizionario biografico degli
italiani, vol. 89, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2017. Modifica su Wikidata
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Wikidata (EN) Opere di Bartolomeo Sacchi, su Open Library, Internet Archive.
Modifica su Wikidata (FR) Bibliografia su Bartolomeo Sacchi, su Les Archives de
littérature du Moyen Âge. Modifica su Wikidata (EN) Bartolomeo Sacchi, in
Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata «Platina -
Relations with Pomponio Leto, in Repertorium Pomponianum, Roma nel Rinascimento
(2008) Stefan Bauer, Quod adhuc extat. Le relazioni tra testo e monumento nella
biografia papale del Rinascimento, in «QFIAB», 91, 2011, pp. 217–248 (articolo
sul Platina). Stefan Bauer, The Censorship and Fortuna of Platina's "Lives
of the Popes" in the Sixteenth Century, Turnhout, Brepols, 2006.
Predecessore Bibliotecario
della Biblioteca Apostolica Vaticana Successore Emblem
Holy See.svg Giovanni Andrea Bussi 1475
- 1481 Zanobi
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Portale Letteratura Categorie: Umanisti italianiGastronomi
italianiItaliani del XV secoloNati nel 1421Morti nel 1481Morti il 21
settembreNati a PiadenaMorti a RomaStoria della cucinaUmanisti alla corte dei
GonzagaScrittori di gastronomia italiani[altre]. Grice: “Wikipedia doesn’t have
it as FILOSOFI ITALIANI, but gastronomist – so one has to be careful. We
include him here just as a nod to Garin. There are gaps about FILOSOFI ROMANI,
too, which has to be taken into account.
Grice e Sacheli – implicatura axiofenomenista dei
parnasesi – filosofia siciliana -- filosofia italiana (Canicattì). Filosofo. Nato da Vincenzo e Calogera
Rinaldi. Studia a Caltanissetta. Iniziato in Massoneria nella loggia Felice
Cavallotti di Girgento. Si laurea a Palermo sotto G. Colozza e C. Guastella. Insegna
a Bologna, Girgenti, Caltanissetta, Bressanone, Genova, Cagliari e Messina. Con
i suoi saggi diede un apporto all'approfondimento all'interpretazione della
filosofia di Aquino. Numerose sono i suoi saggi filosofiche. "La carità
del natio loco" lo spinge a scrivere sulle tradizioni, i miti e le
leggende di Canicattì, collaborando con la rivista Sicania e pubblicando i
risultati delle sue ricerche nelle “Linee di folklore canicattinese” (Acireale,
Popolare). Altri saggi: “Indagini etiche: i criteri, il problema dell'etica” (Milano,
R. Sandron); Atto e valore” (Firenze,
Sansoni); “Ragion pratica: preliminari critici” (Firenze, Sansoni); “Crisi
della Pedagogia” (Roma, Perrella); “Concetto di didattica, Messina, G. Anna);. Ottaviano,
Sophia: rassegna critica di filosofia e storia della filosofia, MILANI, V.
Gnocchini, “L'Italia dei Liberi Muratori”. Erasmo, G. Ferrante, Calogero. Angelo
Sacheli. Sacheli. Keywords: membro dei parnasensi, parnaso di canicatti, massoneria,
liberi muratori, folklore canicattinese, filosofia siciliana, loggia felice
cavallotti di Girgento, implicatura fenomenista, fenomenismo. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Sacheli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735118779/in/datetaken/
Grice e Saitta – l’animo – filosofia fascista – il
veintennio fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Gagliano Castelferrato). Filosofo. Allievo di Gentile,
seguace e interprete del suo idealismo attuale. Nato da Giovanni Saitta e
Angela Confalone, una famiglia di agricoltori e proprietari terrieri, studia a Nicosia,
Monreale, e Palermo. Frequentando le lezioni di Gentile, si accosta al suo idealismo.
Si laurea in filosofia. Insegna a Terranova, Lucera, Cagliari, Sassari, Fano,
Faenza, Bologna, Firenze, e Pisa. Dirigge “Vita Nuova”, dell’Università
fascista di Bologna, cura la rubrica Noi e gli altri Spunto polemico, firmando
i suoi interventi con lo pseudonimo di "Rusticus", distinguendosi per
i toni accesi e le posizioni anti-clericali e anti-concordatarie, che lo
portarono a scontrarsi con cattolici. Adere infatti a una concezione
movimentistica e rivoluzionaria del regime fascista, che interpreta come il
compimento del valore romantico del Risorgimento, intendendo la nazione italiano
in senso hegeliano quale sintesi tra cittadino italiano individuale e l’universale
della romanita. Col suo attivismo riusce a esercitare una forte capacità di
attrazione. Così si sviluppa quella tendenza a preferire la sua scuola di
storia della filosofia dove la preparazione di tipo scolastico e le esigenze
tecniche erano minori, ma dove si sente un calore ideale, una passione
filosofica, un fervore per la italianita, e una forza di convinzione spesso
dura, e più che dura, ma più vicina a quei sentimenti e a quelle esigenze
fasciste, una decisione innovatrice suggestiva e che sembra offrire un
orientamento vitale per la soluzione di quei problemi. Accogliendo la
concezione gentiliana dell'atto come perenne auto-creazione dello spirito
italiano che tutto comprende, sviluppa una visione attualistica dell'idealismo
non riducibile a una teoria statica, bensì intesa come azione e continuo
dinamismo. Questo lo porta a esaltare la libertà creativa della ragione umana
contro ogni forma di oggettività e di dogmatismo. Da qui la sua accentuazione
della polemica anti-religiosa, e la riscoperta, nel solco delle tesi formulate
da Spaventa e dallo stesso Gentile, della corrente immanentistica della
filosofia rinascimentale italiana che egli pone a fondamento della genesi
dell'idealismo moderno. Questo
immanentismo, per il quale Dio si esprime nell'attività dello spirito umano, è
un reale umanismo che rende possibile la libertà dell'individuo, nella quale
consiste la coscienza illuministica, da lui contrapposta a quella tradizionale,
oppressiva e decadente, della trascendenza.
Per difendere la libertà del soggetto da ogni autoritarismo e
sopraffazione, si è schierato tuttavia non solo contro il dualismo platonico,
la teologia di impianto aquinistico e la neoscolastica, ma in parte anche
contro lo stesso idealismo di Hegel che finisce per oggettivare la ragione
facendone un sistema assoluto da lui ritenuto all'origine dello schiavismo. Persino
nell'attualismo di Gentile e rimasto un retaggio del trascendente, quando esso
attribuisce lo spirito ad un Io assoluto anziché ai singoli individui. Sono
costoro i veri creatori di valori spirituali, coloro cioè in cui va
identificato il soggetto trascendentale. In tal modo intende preservare la
portata stessa dell'atto creativo dello spirito dell'idealismo gentiliano,
rivestendolo di significati empirici, positivistici, contigenti. Altre saggi: “Lo
spirito come eticità” (Bologna, Zanichelli); “La coscienza illuministica
(Genova, Orfini); “Libertà ed esistenza (Firenze, Sansoni); “L’immanenza
(Bologna, Zuffi); “La scolastica e la politica dei Gesuiti (Torino, Bocca); Le origini
dell’aquinismo (Bari, Laterza) Gioberti (Messina, Principato); Ficino (Messina,
Principato); “L'educazione dell'umanesimo in Italia (Venezia, La Nuova Italia);
“Filosofia italiana ed umanesimo (Venezia, La Nuova Italia); “Aquino” (Firenze,
Sansoni); “La teoria dell'amore e l'educazione del Rinascimento (Bologna,
U.P.E.B.); “L'illuminismo della sofistica” (Milano, Bocca) Il pensiero italiano
nell'Umanesimo e nel Rinascimento (Bologna, Zuffi); “L’Umanesimo italiano” (Bologna,
Tamari). E. Centineo, Ricordo, Giornale
critico della filosofia italiana, Firenze, Sansoni, Sorbelli, L'Archiginnasio: bollettino della
Biblioteca comunale di Bologna, direzione di F. Bergonzoni, Regia tipografia
dei fratelli Merlani, Università degli studi di Firenze, S. Salustri,
L'Università fascista di Bologna: un modello di Accademia per il regime?, in
Accademie e scuole: istituzioni, luoghi, personaggi, immagini della cultura e
del potere” (Milano, Giuffrè); V. Pisani, Paideia, Casa Paideia, R. Pertici,
Storia della storiografia, Jaca, L.
Mangoni, “L'interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo”
(Bari, Laterza). Cantimori ricorda con commozione l'irrequietezza spirituale
della sua scuola e la sua attenzione volta ad argomenti quasi ignorati dalla
cultura Italiana – B. Bandini, Storia e storiografia: studi su Delio Cantimori.
Atti del convegno tenuto a Russi, Riuniti).
Cit. in R. Pertici, Storia della storiografia, “Forse meglio di ogni
altro, intese dell'attualismo l'istanza realmente umanistica, e di un
"reale umanismo” “E questa appunto volle sotto-lineare e difendere contro
ogni mistificazione. Così lo vediamo ridurre tutta la dialettica gentiliana a
lotta sempre risorgente fra ragione umana liberatrice e costruttrice di una
società di uomini liberi, e la coscienza tradizionale cristallizzata nelle
oppressioni di strutture portatrici di una filosofia di morte. Ricordo. La filosofia come celebrazione della
soggettività è quasi tutta sbozzata con Ficino. Con lui, anziché col Campanella,
come da altri è stato frequentemente ripetuto, s'inizia la conoscenza
illuministica, Ettore Centineo, Ricordo, Giornale critico della filosofia italiana»,
Firenze, Sansoni, G. Morra, L'immanentismo assoluto, Giornale critico della
filosofia italiana», E. Garin, Cronache di filosofia italiana” (Bari, Laterza);
R. Melchiorre, Storiografi italiani (Villalba di Guidonia, Aletti). Attualismo,
Filosofia rinascimentale, Idealismo italiano, Delio Cantimori Gentile Ricordo. Giuseppe Saitta. Saitta. Keywords: filosofia
fascista, l’universita fascista di Bologna, le reviste filosofiche fasciste,
Vita Nuova, immanenza e non trascendenza, lo spirito italiano, l’universale
dell’italianita, l’universale della romanita, l’amore di Ficino, Campanella, Cantimori,
contro la scolastica, animo, l’animo, vita nuova, contratto sociale, Rousseau,
Firenze. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Saitta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735339190/in/datetaken/
Grice
e Saliceto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cinisello
Balsamo). Grice: “Since Sua Eccellenza Verri-Visconti calls himself a
hyphenated philosopher, I who amn’t, shall list him under Visconti!” Esential
Italian philosopher. Like Grice, he wrote on ‘happiness.’ Like Grice, he wrote
on ‘pleasure.’ Like Grice, he was a very clubbable man. Ritratto tagliato Barone di Rho. Consorte Marietta
Castiglioni Vincenza Melzi d'Eril. Figli Teresa, Alessandro (da Marietta
Castiglioni). Filosofo. Considerato tra i massimi esponenti dell'illuminismo, è
altresì ritenuto il fondatore della scuola illuministica milanese. Nacque
a Cinisello Balsamo dal conte Gabriele Verri-Visconti, magistrato e politico
conservatore e da Barbara Dati della Somaglia, membri della nobiltà milanese.
Ha tre fratelli: Alessandro, Carlo e Giovanni. Avviati gli studi nel
Collegio dei gesuiti di Brera, e uno dei ‘trasformati’. Si arruola nell'esercito
e prende parte alla Guerra dei Sette Anni. Fermatosi a Vienna, intraprende la
redazione delle Considerazioni sul commercio nello Stato di Milano, che gli
varranno il primo incarico di funzionario. Pubblica le “Meditazioni sulla
felicità.” Devienne a Milano uno dei ‘pugni’, nucleo redazionale del ‘Caffè,’
destinato a diventare il punto di riferimento del riformismo illuministico. Tra
i suoi saggi più importanti per “Il Caffè” si
ricordano “Elementi del commercio”; “Commedia”; “Medicina”; “I parolai”.
Ha rapporto epistolari anche con gl’enciclopedisti. d'Alembert visita i pugni.
Parallelamente all'impresa editoriale, intraprende la scalata del governo
d’Austria allo scopo di mettere in prattica le riforme propugnate nel
“Caffe”.Membro della Giunta per la revisione della "ferma" (appalto
delle imposte ai privati) del Supremo Consiglio dell'Economia. Fonda la Società
patriottica. “Meditazioni sull'economia politica”. Il discorso sull'indole
del piacere -- e del dolore”; “i Ricordi” e le “Osservazioni sulla tortura”. Il
suo è uno stile asciutto e libero, pieno di trattenuto vigore. Con
Giuseppe II al trono d'Austria, gli spazi per i riformisti milanesi si
riducono, e lascia ogni incarico pubblico, assumendo un atteggiamento sempre
più critico. Pubblica la “Storia di Milano.” All'arrivo di Napoleone, prende
parte alla fondazione della Repubblica Cisalpina, culla del tricolore italiano.
Muore durante una seduta notturna della municipalità. Grazie a lui Milano
divenne il più importante centro degl’illuministi. L'ipotesi di civiltà che
scature da lui e forse troppo avanzata per poter essere adeguatamente raccolta
dalla nostra cultura; e comunque lo colloca a pieno titolo tra le espressioni
più alte degl’illuministi. Il suo grande merito e aver creato in Lombardia un
centro di aggregazione illuminista:“Il Caffè dei pugni” Ciò che desta curiosità
rimane il titolo con cui lui scelse di intitolare la sua testata, dovuta al
rilevante fenomeno della diffusione di caffè (bar), come luoghi dove poter
intraprendere un libero e attuale dibattito culturale, politico e sociale. Con
i suoi articoli sul dolore e il piacere, sottoscrive la dottrina di Helvétius,
nonché il sensismo di Condillac, fondando sulla ricerca della felicità e del
piacere l'attività degl’uomini. Gl’uomini tendeno a sé stessi al piacere e sono
pervasi dal dolore. I suoi piaceri non sono altro che momentanee interruzioni
del dolore. La felicità degl’uomini non è quella personale o soggetiva, ma
quella a cui partecipa il “collettivo,” quasi eutimia o atarassia. Per quanto
riguarda la politica e l'economia, lui è controverso. Per quanto riguarda
l'ambito economico, negli Elementi del Commercio e nella sua più grande opera
economica Meditazioni sull'economia politica, enuncia (anche, per primo, in
forma matematica) la legge di domanda e offerta, spiega il ruolo della moneta
come merce universale, appoggia il libero scambio e sostenne che l'equilibrio
nella bilancia dei pagamenti è assicurato da aggiustamenti del prodotto interno
lordo (quantità) e non del tasso di cambio (prezzo). Di conseguenza, può essere
visto come un marginalista. Si nota, però, come assuma atteggiamenti di difesa
del concetto di proprietà privata e del mercantilismo. Verri-Visconti ritiene
che solo la libera concorrenza tra eguali possa distribuire la proprietà
private. Tuttavia pare favorevole principalmente alla piccola proprietà, per
evitare il risorgere delle disuguaglianze. Verri con le Osservazioni sulla
tortura esprime la sua contrarietà all'uso della tortura. Define ingiusto e
antistorico un modello così efferato di giurisprudenza e auspicando
l'abolizione di questi metodi. Non pubblica l’opuscolo per non inimicarsi, con
le pesanti critiche alla magistratura in esso contenute, il senato di Milano
(tribunale) presso cui si sta decidendo dell'eredità del padre. “Dei
delitti e delle pene” di Beccaria prende in gran parte le mosse proprio dalle
bozze delle Osservazioni sulla tortura, oltre che dagli articoli de Il Caffè. E
proprio a causa di questo furto di idee che i due pugni arrivano al più acceso
scontro. Nella versione definitiva e aggiornata dell’ “Osservazioni,” che
sono in conclusione un invito ai magistrati a seguire la dottrina illuminista
invece di irrigidirsi sulle posizioni conservatrici, la sua dialettica è cruda
e basilare. La tortura è una crudeltà. Se la vittima è innocente, subisce
sofferenze non necessarie. Se la vittima e colpisce un _colpevole_
*presumibile* rischia di martoriare il corpo di un possibile innocente.
L’accusato rinuncia nella tortura alla sua difesa naturale istintiva. Viola la
legge di natura. Apre il suo saggio con la ricostruzione del processo
agl’untori, presentandolo sia come documento dell'ignoranza di un secolo non
guidato dai lumi, sia come emblema del modo in cui una legge sbagliata porta a
una evidente ingiustizia. Questa ricostruzione forne la base per la Storia
della colonna infame di Manzoni, che però la presenta come testimonianza di ciò
che accade quando uomini ingiusti detenneno un grande potere, come all'epoca
era quello del senato milanese. Il saggio non arrivea mai ad avere il successo
che invece ebbe Dei delitti e delle pene, vuoi perché la maggior parte delle
osservazioni in essa sviluppate erano già contenute nell'opera di Beccaria,
vuoi per via del suo stile, dotto e di
difficile comprensione, che rendeva di per sé ardua la diffusione della sua
filosofia, che pure conteneva molti ulteriori spunti rispetto all'opera del
collega. La Borlanda impasticciata con la concia, e trappola de sorci
composta per estro, e dedicata per bizzaria alla nobile curiosita di teste
salate dall'incognito d'Eritrea Pedsol riconosciuto, festosamente raccolta, e
fatta dare in luce dall'abitatore disabitato accademico bontempista, Adorna di
varii poetici encomii, ed accresciuta di opportune annotazioni per opera di
varii suoi co-accademici amici; “Il Gran Zoroastro ossia Astrologiche
Predizioni”; “Il Mal di Milza, Diario militare,” Elementi del commercio”; “Sul
tributo del sale nello Stato di Milano”; “Sulla grandezza e decadenza del
commercio di Milano”; “Fronimo e Simplicio; ovvero, sul disordine delle monete
nello Stato di Milano”; Considerazioni sul commercio nello Stato di Milano”;
“Orazione panegirica sula giurisprudenza Milanese”; “Meditazioni sulla felicità
colletiva” – cfr. Grice, Notes on happiness –; “Bilancio del commercio dello
stato di Milano, Il Caffè, Sull’innesto del vajuolo, Memorie storiche sulla
economia pubblica dello stato di Milano, Riflessioni sulle leggi vincolanti il
commercio dei grani, Meditazioni sulla economia politica con annotazioni,
Consulta su la riforma delle monete dello Stato di Milano, Osservazioni sulla
tortura, Ricordi a mia figlia, Considerazioni sul commercio nello Stato di
Milano – “Sull'indole del piacere e del dolore” -- Manoscritto da leggersi
dalla mia cara figlia Teresa Verri per cui sola lo scrissi, Storia di Milano,
Piano di organizzazione del Consiglio governativo ed istruzioni per il
medesimo, “Precetti di Caligola e Claudio”; “Memoria cronologica dei
cambiamenti pubblici dello stato di Milano”; “Delle nozioni tendenti alla pubblica
felicità” – felicita pubblica – felicita private --; “Pensieri di un buon
vecchio che non è letterato, Carteggio di Pietro e di Alessandro Verri;
L'Edizione Nazionale delle Opere, Ministero per i beni e le attività
culturali ha deciso di avallare un'Edizione nazionale delle sui saggi. Il
comitato, finanziato pubblicamente, dalla Fondazione Cariplo e da Banca Intesa
Sanpaolo, è presieduto da C. Capra e composto da una ventina di studiosi e si
basa sull'Archivio donato dai Visconti alla Fondazione Per La Storia Del
Pensiero Economico. Angolani Bartolo, Gli Scritti di argomento familiare e
autobiografico; Rivista di storia della filosofia. (Firenze: La Nuova Italia).
Carteggio di Pietro e Alessandro Verri
Cfr. Ricuperati, Il genere della biografia, Società e storia. (Milano:
F. Angeli, "Il Caffè",
Introduzione. Giordanetti, Piero, a cura di, “Sul piacere e sul dolore”. Kant
discute Visconti (Milano, Unicopli); “Giordanetti, “Le arti belle. Sulla
fortuna di Visconti, Visconti e il suo tempo, C. Capra, Bologna, Cisalpino);
Renzo Villata, M. Gigliola, Il processo agli untori di manzioniana memoria e la
testimonianza (ovvero... due volti dell'umana giustizia), Acta Histriae Storia
di Milano, Cronologia della vita di Pietro Verri, su storiadimilano. Vèrri, Pietro
nell'Enciclopedia Treccani, su treccani. Ricordi a mia figlia, su
classicitaliani. CatalogoSellerio, su Sellerio. Salerno editrice. Scheda del
libro: Delle nozioni tendenti alla pubblica felicita, su salerno editrice.
Pensieri di un buon vecchio che non è letterato, su classic italiani. Carlo
Capra, Risultati e prospettive, in Rivista di storia della filosofia, Scritti
di economia, finanza e amministrazione, I Discorsi e altri scritti degli,
Storia di Milano, Scritti di argomento familiare e autobiografico, Scritti
politici, Carteggio di Pietro e Alessandro. Caffè. In Venezia, P. Pizzolato);
“Mediazioni sulla economia politica con annotazioni” (Venezia,Giovanni Battista
Pasquali); “Meditazioni sulla economia politica” (Livorno, Stamperia
dell'Enciclopedia Livorno); “Sull'indole del piacere e del dolore” (Milano, G.
Marelli); “Storia di Milano” (Milano, Società tipografica de' classici
italiani); “Carteggio di F. Novati, A.
Giulini, E. Greppi, G. Seregni, Milano, L. F. Cogliati, Milesi & figli,
Giuffrè); “Viaggio a Parigi e Londra. Carteggio di Pietro ed Alessandro Verri,
Gianmarco Gaspari, Milano, Adelphi); “Appunti di diritto bellico” (Paolo
Benvenuti, Roma, A. Benedetto, “Visconti repubblicano: gl’articoli, Poesia,
letteratura e politica, Alessandria, Edizioni dell'Orso, A. Cavanna, Da Maria
Teresa a Bonaparte: il lungo viaggio, C. Capra, I progressi della ragione”
(Bologna, Il Mulino); “Meditazioni sulla felicità, Pavia-Como, Ibis); “Discorso
sull'indole del piacere e del dolore, G. Spada, Londra, Traettiana, Diario
Militar, Milano, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Filosofico. Storia di Milano.
Sua Eccellenza il conte Pietro Verri Visconti di Saliceto. Keywords: diritto
bellico. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Saliceto – “Grice e Visconti: il piacere” per il
Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. #visconti https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4420380244640603 #griceevisconti https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702952334/in/photolist-2mLP9qE-2mLQeeb-2mLFAmb-2mLM99A-2mLFAni-2mLKFF5-2mLFAoq-2mLM98d-2mLQecH-2mLM99W-2mLQecC-2mLQebv-2mLP9ps-2mLFAnd-2mLP9r6-2mLFAkV-2mLQeem-2mLQebF-2mLFAo5-2mLFAov-2mLQeer-2mLP9q4-2mLQedQ-2mDddVQ-2mDddUN-2mD9Vcs-2mD9VdE-2mD4uWN-2mD8LBS-2mD9VcN-2mDc9b5-2mDddWS-2mD4uXz-2mD4uYg-2mDddV9-2mDc9bq-2mD8LBr-2mD8LC8-2mD4uYw-2mD9VdV-2mD4uWH-2mDddVu-2mDddVj-2mD4uXK-2mDc9a8-2mD8LBm-2mDddW6-2mDc9aZ-2mD9VcH-2mD4uXV
Grice e Salutati – Ercole al bivio – filosofia italiana
(Stignano). Filosofo. Vedo che
ignori quanto sia dolce l'amor di patria: se ciò fosse utile alla difesa e
all'ampliamento della patria, non ti sembrerebbe un crimine penoso, nè un
delitto scellerato, il fracassare con la scure il capo del proprio padre, o
ammazzare i fratelli, o cavare con la spada dal grembo della moglie il figlio
prematuro. Ad Andrea di Conte. Cancelliere di Firenze, Figura culturale di
riferimento dell'umanesimo a Firenze, in qualità di discepolo del Boccaccio e
precettore di P. Bracciolini e LBru .ni. Considerato uno dei più
importanti uomini di governo tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo,
Coluccio Salutati, nei suoi anni di cancelliere della Repubblica di Firenze,
svolge un importantissimo ruolo diplomatico nel frenare le ambizioni del duca
di Milano G. Visconti, intenzionato a creare uno stato comprendente l'Italia
centro-settentrionale. Nel contesto di questa lotta elabora la sua dottrina
della “libertas fiorentina”. Oltre all'impegno politico, svolge un importante
ruolo nella diffusione dell'umanesimo petrarchesco e boccacciano, divenendone
l'esponente più importante e il praeceptor della prima generazione degl’umanisti.
Il suo lascito più importante presso i posteri fu la codificazione civile dell'umanesimo,
cioè l'uso dello spirito e dei valori dell'antichità classica all'interno
dell'agone politico internazionale. Grazie a Salutati (autore tra l'altro di un
vastissimo epistolario e di trattati politici, filosofici e letterari),
difatti, il mito della florentina libertas, cioè di quel complesso di valori
ispirati alla libertà promosso dall'ordinamento politico fiorentino, si rafforza
enormemente sotto il suo cancellierato, ed e utilizzato quale strumento
diplomatico per accrescere il prestigio di Firenze presso gli altri stati d’Italia. Costretto,
a pochi mesi dalla sua nascita, ad abbandonare il luogo natìo per raggiungere
il padre Piero (detto dal Villani di buoni costumi e di prudenzia laudabile)
a Bologna, ove il genitore serviva il signore della città T. Pepoli, che a sua
volta garantiva protezione alla famiglia Salutati. Nella città felsinea compe per
volontà paterna (ma più probabilmente di Pepoli che, morto Piero, prende sotto
la sua protezione la famiglia e il giovane Coluccio in particolare), studi, benché
fosse maggiormente interessato alle discipline letterarie, e seguì le lezioni
di logica e di grammatica di P. Moglio. Lascia Bologna a causa anche della
caduta di Pepoli e ritorna a Stignano, dove un rogito testimonia la sua
presenza. Gli anni successivi all'allontanamento da Bologna, gli videro esercitare il mestiere di notaio in
vari centri toscani (specialmente in Valdinievole), coltivando, come si vedrà
nella sezione dedicata alla passione umanistica, lo studio dei classici, come
dimostra la lettera a L. Gianfigliazzi , colto politico fiorentino col quale
discute su Valerio Massimo e altri autori antichi. Nel frattempo, la sua carriera
amministrativa lo spinse ad intraprendere anche la carriera politica:
cancelliere del Comune di Todi prima, della Repubblica di Lucca poi, ed infine,
dopo essere giunto a Firenze ed avervi esercitato per breve periodo
l'incarico di scriba omnium scrutinorum, Cancelliere di quella città, tenne,
pertanto, nelle sue mani la carica più importante della diplomazia della
Repubblica fiorentina, divenendo un personaggio di spicco della politica
italiana di fine Trecento. Costantemente rieletto e confermato con le stesse
ingerenze, lo stesso stipendio e i soliti privilegi, lascia nell'Ufficio un
numero grande di minutari e registri, di lettere e istruzioni, per lo più di
sua mano, e solo in parte de' suoi coadiutori, che non sembrano molti. Da
questi libri e da altri della Cancelleria, apparisce com'egli fosse
costantemente in Palazzo, presente a innumerevoli atti del Comune, dei
Consigli, degli uffici più svariati. La frattura in seno alla Chiesa Cattolica
spinse Urbano VI a firmare la pace coi fiorentini. Le relazioni tra Santa Sede
all'epoca ad Avignone e la Repubblica fiorentina degenerarono rapidamente a
causa della volontà di Gregorio XI di ritornare a Roma e ripristinarvi
l'autorità della Chiesa. La paura che si formasse, nel centro Italia, un forte
stato ecclesiastico allarma sia Firenze (intimorita di essere inglobata nel
nuovo stato) che le città degli Stati Pontifici, che a causa della lontananza
del Papato avevano acquisito una grande forza ed indipendenza. La guerra finì
frettolosamente a causa della scissione interna alla Chiesa stessa tra
cardinali, fatto che porta alla nascita del gravoso Scisma d'Occidente. Urbano
VI assolve Firenze dalla scomunica per avere alleati contro Clemente VII.
Tra gli scomunicati, c'e anche lui, in quanto figura chiave della politica
dell'epoca. Coluccium Pieri de Florentia, excellentissimum cancellarium comuni
Florentie, riceve l'assoluzione da parte del Papa tramite i legati S. Pagani, vescovo
di Volterra, e F. d'Orvieto, frate appartenente all'ordine degli Eremitani. Firenze,
mentre stava stipulando la pace con Urbano VI, fu sconvolta dalla rivolta del
popolo minuto che, già soggiogato e perseguitato dalla prepotenza
politico-economica del popolo grasso, fu sobillato dagli operai salariati (i
ciompi) a rivoltarsi. Si ebbero i primi scontri e i ciompi, risultati
vincitori, imposero Michele di Lando quale gonfaloniere di Giustizia e
riformatore della Signoria in senso democratico. L'animosità degli sconfitti si
fece sentire molto presto: dopo aver chiuso gli opifici riducendo alla fame gli
operai, la grande borghesia e l'aristocrazia riuscirono a trarre dalla loro
parte Michele di Lando che, dopo aver disperso i capi dei ciompi, si dimise
dalla carica di gonfaloniere e ridando il potere ai magnati, tra i quali
primeggiarono gli Albizi che instaureranno un regime oligarchico durato fino
alla venuta di Cosimo de' Medici. Dall'epistolario di Coluccio, sappiamo che
egli informò D. Bandini di Arezzo dei tumulti avvenuti in città e stimando gli
uomini assurti al potere quali degni e pieni di considerazione. L'atteggiamento
emerso in quest'epistola, datata il mese d'agosto, si rivelerà contrario a
quanto Coluccio in realtà pensasse del nuovo governo. Marco Cirillo ci descrive
lo stato d'animo del Cancelliere e la sua scelta di rimanere in tale carica
nonostante l'avversione per i Ciompi. Dalle lettere di Coluccio Salutati si
evince come il cancelliere non fosse soddisfatto del governo instaurato dal
Popolo Minuto, ed è probabile che il cancelliere conoscesse anche i “piani
politici” di chi voleva ritornare al potere. Questo ci permette di ipotizzare
che, la decisione di ritornare al proprio ufficio si legava sia alle necessità
familiari dell'umanista, sia all'amore che egli nutriva per il proprio lavoro
ma anche, alla conoscenza dell'imminente ritorno del Popolo Grasso al
potere, unito alla convinzione della mancanza di conoscenze politiche adeguate
per governare una città come Firenze da parte dei Ciompi stessi (Cirillo)
Ha un ruolo decisamente più attivo ed importante nell'animare Firenze perché si
difendesse dalle ambizioni di conquista di Gian Galeazzo Visconti, duca di
Milano, desideroso di sottomettere l'intera Penisola al suo controllo
schiacciando le resistenze delle Signorie dell'Italia Settentrionale. Galeazzo
sposta infatti le sue attenzioni sulla Repubblica di Firenze, e Coluccio giocò
un ruolo importante in questa situazione spronando il popolo fiorentino a
difendere la sua tradizionale libertà (la florentina libertas) e rispondendo
egli stesso dalle accuse dei nemici attraverso l'opera Invectiva in Antonium
Loscum. La situazione per i fiorentini, all'inizio del conflitto, era alquanto
drammatica, in quanto si ritrovarono praticamente circondati dai domini di Gian
Galeazzo e solo l'ausilio di bande mercenarie, guidate da Giovanni Acuto,
riuscirono a frenare i piani di dominio del Visconti. La guerra, che riprese
dopo una momentanea tregua, vide la formazione di una vasta coalizione
antiviscontea di cui fecero parte tutti gli stati italiani del centro-nord,
tenuti assieme dalla politica estera fiorentina e da quella veneziana.
Nonostante gli alleati fossero stati gravemente surclassati dalle forze
milanesi, i fiorentini riuscirono a salvare la loro indipendenza resistendo a
dodici anni di guerra, cioè fino alla morte improvvisa di Gian Galeazzo a causa
della peste, lasciando Firenze in una posizione di potenza nell'Italia
centro-settentrionale. Gli ultimi anni e la morte Coluccio trascorse gli
ultimi anni della sua vita terrena celebrato sia per la sua posizione di guida
dell'umanesimo, sia per l'abilità politica dimostrata contro il Visconti, ma
anche in grandi amarezze a causa dei lutti (morte della seconda moglie e la
morte di alcuni dei suoi figli in occasione della pestilenza). Quando poi morì,
la Signoria, il giorno successive, gli fece celebrare funerali solenni in Santa
Maria del Fiore, ponendo sulla sua bara una ghirlanda d'alloro per le sue virtù
poetiche. I suoi discepoli Leonardo Bruni suo successore, Poggio Bracciolini,
futuro cancelliere e Pier Paolo Vergerio lo piansero amaramente, ricordandolo
come un padre e come il più grande decoro di Firenze. Coluccio umanista La
guida dell'umanesimo italiano e per trent'anni, dopo la morte del Petrarca e
del Boccaccio, il più autorevole umanista italiano, unico erede di quei grandi (Dionisotti)
Miniatura che ritrae proveniente da un codice della Biblioteca Laurenziana a
Firenze. Alla morte del Boccaccio, sia per ragioni anagrafiche (era di una
generazione sita tra quella di Petrarca e Boccaccio e la successiva degli
umanisti), sia per la propria grandezza letteraria e filosofica, fu il
principale esponente dell'umanesimo italiano, come ricorda infatti C.
Dionisotti e altri studiosi, quel «trait d'union tra la generazione che aveva
vissuto in prima linea il rinnovamento petrarchesco e quella dei nuovi umanisti
già pienamente quattrocenteschi» Salutati ebbe, sia per il ruolo istituzionale
sia per quello culturale, rapporti anche con i Paesi europei: tenne
corrispondenza con un colto cortigiano di Carlo VI di Francia, Jean de
Montreuil, e con l'arcivescovo di Canterbury Thomas Arundel, conosciuto mentre
il presule inglese si trovava a Firenze. Fecondo scrittore, apologeta
"diplomatico" della classicità contro gli attacchi degli aristotelici
e di alcuni ecclesiastici ostili all'antropologia umanista, Coluccio alternerà
il suo magistero culturale con quello politico, difendendo la libertà
repubblicana di Firenze adottando lo stile e il genere degli antichi
trattatisti. La formazione umanistica Nonostante Lino avesse preso
definitivamente l'attività notarile, come testimonia il suo primo rogito
effettuato nella nativa Stignano, l'amore per la cultura e la letteratura non
venne meno. Anzi, a partire dalla fine degli anni sessanta, Coluccio divenne il
segretario di Francesco Bruni, amico a sua volta di Francesco Petrarca; iniziò,
come esposto dalla Senile un rapporto epistolare a distanza, che permise al
Salutati di avvicinarsi alle proposte umanistiche del poeta Aretino. Nel
periodo che intercorse tra questa prima epistola e la morte del Petrarca,
Coluccio entrò sempre più nella mentalità classicista del maestro, grazie anche
ai contatti che egli ebbe con l'altro grande umanista e allievo del Petrarca stesso,
Giovanni Boccaccio, quest'ultimo animatore del circolo umanista di Santo
Spirito a Firenze. Seguendo la scia del maestro Boccaccio, sinceramente pianto
dal Salutati al momento del trapasso, il Cancelliere della Repubblica continuò
il suo magistero a Santo Spirito, tenendovi lezioni cui partecipavano
umanisti non solo fiorentini (si ricordano, tra i più importanti, Niccolò
Niccoli, Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini), ma anche di altre regioni
italiane (quali il vicentino A. Loschi e il già ricordato P. Vergerio). Nel
convento degli agostiniani Salutati, aiutato nel suo magistero culturale dal
coltissimo frate Luigi Marsili[40], non si fece soltanto portavoce degli ideali
dell'umanesimo classicista petrarchesco, ma continuò a tenere in alta
considerazione Dante Alighieri, deprecato da una cerchia dei giovani umanisti
in quanto scrittore volgare e pessimo latinista. La fondazione della cattedra
di greco a Firenze. Oltre al suo compito di formazione dei giovani umanisti che
andranno a diffondere il nuovo sapere presso gli altri centri culturali
italiani, Salutati ebbe il merito non solo di affidare le cattedre tradizionali
dello Studium fiorentino ad umanisti discepoli di Petrarca (quali Giovanni
Malpaghini), ma soprattutto quello di far rifiorire in Italia il greco
classico. Grazie all'incontro avvenuto a Venezia tra i giovani umanisti Roberto
de' Rossi e Giacomo Angeli da Scarperia e i due colti bizantini M. Crisolora e
D. Cidone, inizia, usufruendo dei poteri di Cancelliere, ad intessere rapporti
con Crisolora per invitarlo ufficialmente a Firenze quale docente di greco
classico nello Studium. Questi, giunto nell'Europa Occidentale per conto
dell'imperatore Manuele II Paleologo per cercare alleanze contro i turchi
ottomani, cercò di instaurare rapporti di amicizia con gli Stati che visitava
trasmettendo la conoscenza del greco classico ai nascenti circoli umanistici,
edotti di latino ma non della lingua di Omero. Pertanto Crisolora accettò
l'offerta del Salutati, rimanendo nella città toscana e lasciando in eredità ai
suoi discepoli (e amici) fiorentini gl’Erotematà, compendi linguistici di greco
classico caratterizzati da una sinossi con la grammatica latina. L'umanesimo
incontra durante la sua diffusione, il sospetto e l'ostilità di alcuni ambienti
religiosi a causa della libertà e responsabilità etica del singolo uomo che
Coluccio andava insegnando, e del suo progetto di conciliare la natura della
cultura classica con quella cristiana. I principali antagonisti dell'umanesimo
fiorentino, il camaldolese Giovanni di San Miniato e il domenicano Giovanni
Dominici (quest'ultimo poi cardinale), intendevano sostanzialmente mantenere
l'istruzione e la morale rigidamente nelle mani della gerarchia, rifiutando la
ventilata autonomia spirituale dei pagani e riaffermando la loro
interpretazione allegorica. Le humanae litterae non sono antitetiche agli
studia divinitatis Coluccio, davanti a questi attacchi, sostenne la necessità,
anche da parte dei laici, di avere coscienza di ciò che dicono e
professano nella vita attiva, ribadendo il valore positivo di questo modello di
vita e combattendo il vuoto nominalismo tomista che la cultura ecclesiastica
ufficiale difendeva strenuamente quest'ultimo visto come nocivo perché, avendo
ormai intriso la stessa Bibbia di sillogismi filosofici, allontanava dalla
Verità gli uomini: «Senza la capacità di intendere in fondo i termini, la
lingua, non si dà conoscenza della scrittura, della parola di Dio. Ogni
conoscenza seria è comunicazione. In tal modo gli studia humanitatis come mezzo
per ritrovare nella lettera l'inseparabile spirto, nel corpo l'anima
indisgiungibile, sono strettamente connessi con gli studia divinitatis. La disputa sulla verità teologica della
poesia, genere privilegiato nella conoscenza di Dio, è quello che gli impegna
maggiormente. Seguendo il tracciato delle Genealogie deorum gentilium del
maestro Boccaccio, risponde alle accuse dell'immoralità della poesia a G. di
San Miniato, in una lettera affermando non solo che ogni verità proviene da Dio
stesso, ma anche che Dio ha usufruito della poesia attraverso i salmisti,
Giobbe e Geremia: per cui la poesia è il genere letterario più vicino a Dio. Tale
tesi verrà poi ulteriormente rinforzata nell'incompiuto “De laboribus Herculis”,
in cui si arriva a sostenere una vera e propria poesia teologica, per cui anche
gl’antichi poeti pagani, con le loro opere, si avvicinavano a Dio .Il poema
epico del Petrarca, per la sua incompletezza e il latino ancora un po' rozzo,
suscita delusione nei simpatizzanti dell'umanesimo. Forma, impiegando gran
parte delle sue retribuzioni, una biblioteca di più di 100 volumi, collezione
molto grande per l'epoca e simbolo del suo fervore culturale. Possedetun
manoscritto delle tragedie di Seneca ricopiato ottimamente di suo pugno con
l'aggiunta dell'Ecerinide del preumanista padovano A. Mussato, ma anche
esemplari di autoriquali Tibullo e Catullo ed una rarissima copia delle Ad
familiares di Cicerone, coperta dall'amico e cancelliere milanese P. Capelli a
Vercelli. A questa scoperta in terra di Lombardia, si aggiunse anche le
Epistole ad Atticum, rendendolo il primo dopo secoli a possedere entrambe le
raccolte di lettere di Cicerone. R. Sabbadini riporta che, nella sua
biblioteca, e il primo a possedere il De agricultura di Catone, il Centimeter
di Servio, il commento di Pompeo all'Ars maior di Donato, le Elegie di
Massimiano e le Differentiae pseudo-ciceroniane, mentre F. Tateo continua
elencando i Dialoghi di Gregorio Magno e l'esame dei vari manoscritti di
Cicerone, di Lattanzio, di Agostino, di Seneca, di Ovidio e di Stazio in suo
possesso. Nonostante questa passione da bibliofilo, che rese la sua biblioteca
la più significativa dopo quella del Petrarca agli albori del XV secolo, non
sfoggia mai eccellenti doti filologiche, al contrario del Petrarca stesso o del
suo discepolo L. Bruni. Cerca, inoltre, di avere da parte di Lombardo della
Seta, fedele discepolo del Petrarca, una copia dell'Africa perché fosse poi pubblicata.
I suoi sforzi e dei primi umanisti risultarono sempre più insistenti nel corso
degli anni settanta: Lombardo ha timore a pubblicare un'opera rimasta in un
testo incompiuto ed incerto, rischiando così di oscurare la gloria del Petrarca.
Quando poi giunge a Firenze il sospirato poema epico dell'Aretino, è afflitto
dalle sospensioni, dalle lacune e certamente anche dalla pesantezza d'ala del
poema tanto vantato e sognato. La delusione, trasmessa in una lettera a
Francescuolo da Brossano, spinselo a non farsi più editore e commentatore
dell'opera. Intervenne anche nel campo della paleografia. Nel vivo studio dei
classici, fa un'introduzione fondamentale: dopo aver adottato, per gran parte
della sua vita, una scrittura cancelleresca e una libraria semi-gotica', legge
e trascrive un codice delle Lettere di Plinio il Giovane contenente nessi e
legature che si erano persi. L’uso di -s diritta in fine di parola, i nessi e
le legature ae, ę e &, di cui si era persa memoria. Con questo esperimento
inizia la storia della scrittura umanistica. Composto da 344 lettere, l'epistolario
di Coluccio, documento fondamentale di questa lunga ed efficace opera di
rinnovamento» culturale, tratta dei temi più disparati. Organicamente, la
raccolta si divide in due filoni: le lettere private, indirizzate ad amici e
conoscenti, e quelle pubbliche, scritte a nome della Repubblica diFirenze.
Stilisticamente, l'epistolario di Coluccio spicca per l'uso di uno stile che si
allontana da quello delle lettere medioevali, fitte della retorica della ars
dictandi, per lasciare il posto ad una serenità cordiale e stoica che si
richiamava alle Familiares di Cicerone e al repertorio lessicale degli altri
autori classici, determinando così quello che è stato definito «latino
misto»[63]. Epistolario privato Nella prima categoria, le lettere scritte
a nome dell'umanista Coluccio mettono in mostra le tendenze socio-culturali del
primo umanesimo italiano. Da un lato, la percezione del divario cronologico tra
i contemporanei e gli antichi, eredità diretta della sensibilità petrarchesca;
dall'altro, l'esposizione in più punti del suo pensiero, dalla rivendicazione
del valore della vita attiva contro i monaci e quegli ecclesiastici che
sottolineavano invece l'eccellenza della vita claustrale al valore della poesia.
Immancabile è la tematica politica, esposta nella lunga lettera a Carlo di
Durazzo e ritenuta essere il sunto del pensiero politico del primo umanesimo.
Le lettere dell’Epistoloario pubblico, scritte in qualità di cancelliere della Repubblica,
sono di carattere puramente politico, in quanto rivolte a contrastare l'azione
egemonica di Gian Galeazzo Visconti. Riprendendo i modelli dei classici latini
(Seneca, Sallustio, Cicerone), Coluccio additava Gian Galeazzo quale tiranno in
contrasto con la florentina libertas. Il tono di queste lettere doveva essere
così grave e tagliente che, secondo la tradizione, il duca di Milano rispondeva
che un'epistola del Salutati era più deleteria di una sconfitta militare di
Milano in campo aperto. Dal punto di vista più tecnico, il saggio svolto presso la cancelleria di Firenze ha
reso Coluccio Salutati uno dei più noti cancellieri del Medioevo; tale
notorietà si deve al metodo di lavoro che egli ha adottato nel trentennio in
cui ha ricoperto tale carica. Effettivamente, i cambiamenti che il Salutati ha
apportato, soprattutto nel campo dell'epistolografia politica medievale, pur
non essendo certo radicali, ebbero una notevole influenza su molte corti
d'Europa. La letteratura sull'argomento è unanime nell'affermare che, Coluccio
Salutati, pur utilizzando la formula prevista dall'epistolografia cancelleresca
medievale, che prevedeva: la Salutatio, il Proverbium, la Narratio, la Petitio
e la Conclusio; ebbe modo di personalizzare ogni fase dell'epistola in base
alle proprie esigenze narrative. È frequente perciò trovare nelle sue lettere
una Salutatio piuttosto breve ed un Proverbium soprattutto quando egli
esprimeva teorie politichepiuttosto lungo. Epistola a F. Zabarella, filosofo
padovano, il “De Tyranno” basato sull'omonimo trattato di Bartolo da
Sassoferrato e sul “Polycraticus” di Giovanni di Salisbury) riflette sulla
nascita della tirannide e sulla liceità dell'assassinio del tiranno stesso.
Indotto a fare questa riflessione su spunto di A. dell'Aquila, che gli chiese la
liceità dell'assassinio di Giulio Cesare e dalla volontà di difendere la scelta
dantesca di porre Bruto e Cassio nelle fauci di Lucifero, ammette la liceità di
un tale gesto nei confronti di un despota, ma negandola però al generale romano,
in quanto e un benemerito capo di stato, che fu tradito dagli stessi uomini che
erano stati da lui beneficiate. L’Invectiva contro A. Loschi, cancelliere
dell'ormai defunto Gian Galeazzo e autore di una “Invectiva in florentinos”, ha
un tono più concreto rispetto al teorico “De Tyranno”. Nell'”Invectiva”, mostra
la partigianeria repubblicana sostenitrice della “florentina libertas”, emula
dell'Atene di Pericle fautrice della concordia partium tra lei e i suoi alleati.
Gli ricorda come Firenze sia nel giusto perché è sottoposta alle leggi, che non
possono essere violate, mentre a Milano il diritto è strumento arbitrario nelle
mani di un vero e proprio tiranno, che sta al di sopra delle leggi. “De seculo
et religione”, epistola all’amico Niccolò di Lapo da Uzano si articola in due parti
ed è datata. Gl’invia una lettera d'accompagnamento insieme al testo da lui
realizzato. Tratta di una esortazione assai fervida alla vita claustrale. Rvendica
anche la validità della vita quale laico, in quanto strada valida nell'ambito
gerarchico delle occupazioni umane, a cui egli rimane ancora legato. L'opera,
esaltante la vita ritirata prendendo spunto anche da Cicerone, Livio, Macrobio
e Omero, tratta anche della condanna morale di cui è afflitta Roma, dai papi
fino ai predicatori. Il “De fato et fortuna” e un’epistola divisa in
cinque parti, iespone l'argomento del libero arbitrio e del rapporto che esiste
tra quest'ultimo e gli avvenimenti che possono ostacolarne i progetti. La
tematica, assai complessa ed erede di una lunga tradizione filosofica (i
modelli sono Alberto Magno, Aquino e il “De bona fortuna” di Aristotele), si
sviluppa nel tentativo di dimostrare come l'esistenza umana si inquadri in una causa
prima, Dio, la quale opera in comunione, talvolta incontrandosi, talvolta
scontrandosi, con la volontà dell'uomo. In “De Nobilitate legum et
medicine” propone una gerarchia del sapere, proponendo la legge come valore
supremo sulla medicina, intesa come mera tecnica. Come l'anima è superiore al
corpo, così la legge (che si rifanno al campo della volonta dello spirito) e
superiori alla medicina, che fa parte della meccanica. La legge, infatti,
regola la vita sociale, determina il con-vivere civile, stabilisce l'ordine e
deve essere ottima perché puo produrre uomini migliori. Continua affermando che
la legge, dal momento che appartengono alla sfera dello spiritualo e quindi
celeste, e legate direttamente a Dio. Gl’uomini, perciò, possono collaborare
con Dio nella costruzione perfetta della società grazie al fatto che ogni uomo e
ispirato dalla divinità medesima. Il “De Laboribus Herculis,” opera di grande
impegno intellettuale, e un vasto saggio di poesia. Diviso in 4 parti, intende
continuare il progetto culturale di Boccaccio della genealogia, vale a dire una
difesa della poesia a livello universale basata sulle vicende terrene dell'eroe
mitologico Ercole, re-interpretate in senso allegorico e indirizzate verso la
via della virtù. Si basò su Ercole per la radice etimologica del nome greco,
risalente ad “ερος κλερος”, cioè uomo forte e glorioso. Come già scrive a
Giovanni di San Miniato, infatti, la poesia ha un valore universale in quanto
il senso interpretativo supera la dimensione culturale in cui è stato scritto.
Per cui la opera di un pagano, se piene di valori positivi, non devono essere
rigettate, ma accolte in quanto provenienti da Dio stesso. “Carmen de
morte Francisci Petrarce” e un carme commemorativo del Petrarca e accennato in
varie epistole a Roberto Guidi conte di Battifolle, a B. Imola e a F. Brossano,
del quale è quasi dubbio il completamento. “De verecundia” e un trattarello in
forma epistolare indirizzato ad A. Baruffaldi sulla natura positiva o negativa
della verecundia, cioè il rispetto. Grazie agli studi genealogici di F. Novati,
si puo ricostruire l'ascendenza e la discendenza del cancelliere
fiorentino. Coluccio Ignota, figlia di un tal Lino Piero Lino Coluccio; Piera
di Simone Riccomi, A.Corrado, Giovanni Sorella ignota, sposata a uno dei
Giovannini di Stignano sposata ad uno dei Dreucci di Pistoia Piero morto di peste, Andrea
morto di peste, Bonifazio - Monna Checca de' Baldovinetti Arrigo Margherita d'Andrea de' Medici Antonio, Duccia
di Guernieri de' Rossi; Nonnino Filippo, Simone Lionardo, chierico Salutato, chierico
Lorenzo. A lungo si è ritenuta corretta la data, Campana Martelli, Nuzzo, e altri studiosi dimostrano che
la data corretta è Villani, Coluccio Salutati XXVII racconta l'ascesa politica
ad una delle più prestigiose cariche politiche fiorentine. Nominato segretario
grazie all'influenza del Gonfaloniere Bonaiuto Serragli, e eletto Cancelliere
in sostituzione di N. Monaci, uomo politico con cui il Serragli fu in disputa. Si veda Epistolario per le addolorate missive
inviate dal Bruni e da Poggio all'amico in comune N. Niccoli, ‘tali parente’
nell'epistola di Bruni; ‘patris nostri’ in quella di Poggio). In Ivi, l'istriano P. Vergerio, in una lettera a F.
Zabarella, lo descrive come il primo e straordinario decoro di Firenze -- urbis
illius primum atque precipuum decus, Linum Colucium Salutatum -- Della stessa
opinione anche: Cappelli, in cui si ricorda, al momento dei funerali, il
commosso addio dell'allievo P. Vergerio, che lo chiama communis omnium magister -- maestro comune di
tutti noi -- Luogo significativo per continuare le riunioni dei nuovi umanisti,
in quanto vi viveva quel fra' Martino da Signa erede universale degli scritti
del Boccaccio. Boccaccio dispose per testamento di lasciare la sua biblioteca
all'agostiniano M. Signa con l'indicazione che alla morte del frate i volumi
fossero negli armaria del convento fiorentino di Santo Spirito. Così avvenne. La
grandezza di Alighieri, ma anche di Petrarca e dello stesso Boccaccio, sono
messi in discussione dal più acceso degli umanisti classicisti, N. Niccoli,
all'interno dei Dialogi ad Petrum Histrum di L. Bruni. L'accusa principale
consisteva nella barbaria del loro latino e nel, caso di Alighieri, nel fraintendimento
del senso di alcuni passi virgiliani. Solamente il suo intervento riesce a
capovolgere la situazione, salvando Alighieri dalle accuse feroci del Niccoli. Come
anche risulta da un dialogo del Bruni, che di quella polemica anti-dantesca è
il documento principe, il suo intervento riusce ad assicurare la continuità,
proporzionata all'età nuova, della tradizione dantesca a Firenze. I contatti
tra Costantinopoli e Firenze sono facilitati dalla presenza, nella capitale
bizantina, di G. da Scarperia, che decise di riaccompagnare Crisolora in patria
per apprendere greco da lui stesso. La visione laica dell'umanesimo non si deve
confondere con la proposta laicista, dal punto di vista etico e antropologico.
Mantenendo sempre un'attenzione ossequiosa verso la Roma e una sincera
devozione verso le verità romana, intende nel contempo esaltare e rivendicare
la responsabilità umana al di fuori di qualsiasi determinismo meccanicista e
ponendo in valore la libertà personale del singolo» (Cappelli85). Abbagnano19 sintetizza
in modo più stringente il rapporto tra libero arbitrio e volontà divina,
affermando che il primo sia «conciliabile con l'infallibile ordine del mondo
stabilito da Dio». Si è condensato, in
questi due punti, l'attacco generale del mondo contro l'umanesimo. La questione
sul valore della poesia riguarda la disputa con Giovanni di San Miniato (cfr.
Epistolario, 3, Fratri Johanni de Angelis; quella con Dominici riguarda il
valore positivo dell'umanesimo (cfr. Epistolario, Il codice fa parte della sua biblioteca
entra nelle mani del cancelliere fiorentino igrazie alle pressioni che esercita
su G. de Broaspini. Della stessa opinione anche Francesco Novati che, in
Epistolario, giunge alla stessa conclusione del Sabbadini in quanto vi trova
delle suoi postille autografe del Salutati. L'epistola è importante perché,
dopo l'elogio di Carlo per la fortunata impresa militare della conquista del
Regno di Napoli e il paragone con gl’eroi antichi, enumera i doveri di un buon
sovrano: cercare l'unità sacra; gestire con moderazione il potere e imparare a
gestire le proprie emozioni -- incipe prius tibi quam aliis imperare; rege te
ipsum, noli regendorum subditorum studium tuimet derelinquere moderamen -- per
evitare di cadere nei vizi e di essere classificato come un tiranno. Esaltandolo
alla virtù, alla temperanza e alla giustizia, insomma tratteggia il modello del
sovrano ideale, cavalleresco, formato sull'esempio dei classici -- continua è
la comparazione con gli antichi statisti e sovrani) e timorato di Dio. Le
informazioni, ricavate attraverso una minuziosissima ricerca d'archivio da
parte del Novati, sono prese in ordine sparso da; Epistolario, Tavole genealogiche
ove vengono fornite indicazioni biografiche sui nonni, genitori e figli. Per
consultare le informazioni sui fratelli del cancelliere, si consulti sempre
Epistolario, Riferimenti
Dionisotti. Villani. Fu avviato agli studî giuridici, inameni a lui
che era pierius (così foggia il suo patronimico: figlio di Pietro, e devoto
alle pieridi, le muse. Eloquentissimo legum doctori domino Loygio de
Gianfigliaziis. Reverendo patri et domino domino Francisci Bruni de Florentia
summi pontificis secretario, domino suo, si lamenta della sua mansione di
cancelliere nella cittadina umbra. Vero è che invalse l'uso di chiamare
Cancelleria Fiorentina l'ufficio del quale era capo il Dettatore, che aveva la
particolare ingerenza di scrivere le lettere e di trattare le faccende della
politica esterna. Unum dicam, quod
emerserunt et ad tante sunt reipublice gubernacula sublimati, quos oportuit pro
salute cunctorum. Dirò una cosa, cioè che al governo di una così grande
repubblica emersero e vi sono uomini, i quali bisognò vi sono per la salvezza
di tutti. E così favorevole al governo in quanto fu uno dei pochissimi a non
essere proscritto dalle cariche istituzionali.
Siena si sottomise a Gian Galeazzo in funzione anti-fiorentina, mentre
il signore di Milano (duca per investitura imperiale) si allea con Lucca e
altre città umbro-marchigiane. La prima epistola riportata dal Novati in cui
Coluccio risponde ad una missiva del Certaldese cfr. Epistolario Facundissimo
domino Iohanni Boccacci de Certaldo ma i toni sono troppo famigliari per essere
la prima epistola scambiata tra i due. Inclyte cur vates, humili sermone locutus,
de te pertransis? te vulgo mille labores percelebrem faciunt: etas te nulla
silebit. Perché, o celebre poeta, che hai cantato nel volgare idioma, avanzi
nel corso del tempo? Mille fatiche ti rendono celebre presso il volgo: nessuna
epoca tacerà sul tuo conto. Egrigio viro Franciscolo de Brossano domini Francisci
Petrarce genero, Ep. ove piange sia la scomparsa del Petrarca, ma annuncia
anche quella del Boccaccio. Fallebar enim, et dum Franciscum fleo, dum suis
laudibus intentus decantantes, novo commento, veterum pene dimissa sententia,
depingo Camenas, ecce nove lacrime nobis merore novi funeris occurrerunt,
incepti cursum operis reprimentes. Vigesima quidem prima die decembris Boccaccius
noster interiit. Infatti ero ingannato, e mentre piango Francesco e mentre,
attento alle sue lodi, adorno le Camene con un nuovo commento, quasi
tralasciata la sentenza degl’antichi, ecco che nuove lacrime si aggiunsero a
noi con il dolore di una nuova morte, frenando il corso di un'opera che inizia.
Il nostro Boccaccio spira. Tateo. Cappelli,
ricorda anche che e solito mettere a disposizione dei suoi allievi la
sua stessa biblioteca personale. Pertanto, i luoghi di incontro erano due:
Santo Spirito e l'abitazione del Cancelliere. Gl’animatori di questi incontri,
il Salutati e il Marsili, l'uno nella propria casa, l'altro nella sua cella di
Santo Spirito, ricevano i nobili fiorentini, e li iniziavano al gusto delle
lettere antiche. Sabbadini riporta che l'erudito greco era già a Firenze. Garin
sintetizza, prendendo spunto dal De saeculo et religione e dall'Epistolario,
l'ideale di vita attiva propria dell'essere umano inteso come cittadino del
mondo. Terrestre è la vocazione umana. L'impegno nostro è nella costruzione
della città terrena, nella società. Insiste sul valore della educazione. Essa
insegna a ritrovare sub corticem il valore intenzionale dei termini, smarrito
nella consuetudo, penetrando l'espressione nel suo significato intimo come
direzione spirituale. Parola e cosa non possono disgiungersi. Noli, venerabilis
in Christo frater, sic austere me ab honestis studiis revocare. Noli putare
quod, cum vel in poetis vel aliis Gentilium libris veritas queritur, in vias
Domini non eatur. Omnis enim veritas a Deo est, imo, quo rectius loquar,
aliquid est Dei. Non volere, o venerabile fratello in Cristo, allontanarmi in
modo così austero da studi degni di ammirazione. Non voler ritenere che, quando
si cerca la verità o nei poeti o in altri libri degli scrittori pagani, non si
cammini lungo le vie del Signore. Ogni verità, infatti, proviene da Dio e, per
parlare fino in fondo rettamente, alcuna cosa è propria di Dio. Nullum enim
dicendi genus maius habet cum divinis eloquiis et ipsa divinitate commertium
quam eloquium poetarum. Nessun genere letterario, infatti, ha un maggior
legame con le parole divine e con la stessa divinità quanto la parola dei
poeti. Il manoscritto di Vercelli fu alla fine portato a Firenze, ove rimane, unica
copia carolingia esistente delle Epistole di Cicerone. Gargan ritiene che la
sua filologia non fu di altissima classe. Billanovica. Fitta la corrispondenza con
Seta, come testimonia la prima lettera inviata dal cancelliere fiorentino. Insigni
viri Lombardo...optimo civi patavino, Cappelli Cesareo. Epistola Coluci
Salutati florentina ad Carolum regem Neapolitanum. Villani riporta la veemenza
con cui fulmina Gian Galeazzo con le sue lettere, riportando tra l'altro la
testimonianza di E. Piccolomini cui
quest'aneddoto è attribuita la paternità. Sia la citazione che il contesto in
cui fu scritto il De Tyranno sono esposti in Canfora. In altri termini, se
Cesare, pur giunto al potere in modo tirannico o violento, seppe poi
legittimare tale potere attraverso un esercizio virtuoso di esso (ex parte
exercitii) in grado di suscitare l'approvazione popolare, la sua uccisione non
fu legittima. Lo e quella di un tiranno che esercita come tale. Per la figura
di Loschi, si rimanda alla voce biografica Viti. Canfora ipotizza l'aiuto di L.Bruni nello
sviluppare il paragone Firenze-Atene, in quanto non e molto esperto di quella lingua e di quella
cultura. Così rivolgendosi al cancelliere milanese A. Loschi, nella Invectiva
in Antonium Luschum, dopo aver contrapposto i guasti del regime tirannico
milanese ai vantaggi di quello libero e repubblicano di Firenze, glorifica la
sua città come "fiore d'Italia" e come esempio di vita serena e
armoniosa. Si riporta interamente il breve messaggio d'accompagnamento. Mitto
tibi munusculum istis paucis noctibus correctionis studio lucubratum. In quo si
quid proficies tu vel alii, laus sit omnium conditori Deo, cui placeat me in
tuis sanctis orationibus commendare. Vale felix et diu. Colucius tuus. Ti mando
un piccolo pensiero composto in queste poche notti dopo un'opera di revisione.
Attraverso questo trattato, se tu o altri ne trarrete giovamento, la lode di
tutti voi sia per lodare Dio, al quale è piaciuto che io mi affidi alle tue
sante orazioni. Sta felice a lungo. Il tuo Coluccio. Nel De Nobilitate ribade,
attraverso un discorso più ampio e articolato, la distinzione della medicina, designate
come arte meccanica, ossia tecnica, dalla giurisprudenza, considerata scienza
della vita spirituale e quindi superiore all'altra. La legge e veramente un sigillo
divino, con cui dopo il primo peccato Dio ha offerto alle comunità degl’uomini
la vita per riconquistare il bene. Ispirate da Dio agli uomini, inscritte
nell'anima umana, la legge ha un'altra superiorità, rispetto alla legge
meccanica naturale. La legge inter-soggetiva puo essere conosciuta nella sua
pienezza integrale, con una certezza che non si trova mai nella scienze della
natura. Si riporta, come testimonianza, quanto scritto nell'epistolario in cui
annuncia a B. Imola il suo Progetto. Sed ut ad Franciscum nostrum redeam,
opusculum metricum de ipsius funere iam incepi. Ma per ritornare al nostro
Francesco, inizio a stendere un opuscolo metrico sulla cerimonia funeraria
dello stesso. Antiche Filippo Villani, Le vite d'uomini illustri fiorentini, G.
Mazzuchelli, Venezia, G. Pasquali, Moderne; N.Abbagnano, “La filosofia del
Rinascimento” in Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Milano, TEA, G. Billanovich, Gli inizi della
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Remo Ceserani, Milano, Feltrinelli, edito per la prima volta negli Stati Uniti col
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Bonghi. Lino Coluccio Salutati. Coluccio Salutati. Salutati. Keywords: i
duodici fatiche d’Ercole, gl’antichi, la legge non-naturale, la legge naturale,
della buona fortuna, libero arbitrio, la vita sociale, la con-vivenza, Bruto e
Cassio nell’inferno, la morte di Cesare, l’assassinio di Cesare, tirano, la
libertas fiorentina, stato fiorentino, la repubblica fiorentina, la fiore
d’Italia, Boccaccio, Petrarca, Aligheri, I primi umanisti, l’umanesimo laico,
basato contro il determinismo ecclesiastico, la biblioteca di Salutati, Livio,
Cicerone, autori latini, la lingua Latina, difesa della lingua Latina,
l’interpretazione di Virgilio da Aligheri, difesa della filosofia pagana, il
valore permanente della filosofia degl’antichi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Salutati” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734433516/in/datetaken/
Grice e Sanctis – lo stile
filosofico – filosofia italiana -- Essential philosopher. He considers philosophy as a branch of
the belles lettresand his field of expertise is when stylists stopped using an
artificial Roman, and turned to ‘Italian.’ Grice: “I really do not like de
Sanctis; when an author becomes philosophical, he says that he has been
infested of the philosophical pest!” -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e de
Sanctis," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia. Sanctis. Keywords: storia della
filosofia, il saggio filosofico, il poema filosofico, il tema filosofico.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sanctis” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689329145/in/photolist-2mNzeEc-2mLLZRD-2mPrdWj-2mLGRht-2mPu6xB-2mKTjot-2mPsXiB-2mPCgo1-2mKBwcu-2mPpskp-2mKDA5r-2mKw3hq-2mKBjJ6-2mKbfAt-2mGnP2f-nBNy96
Grice e Sanseverino – il segno naturale -- la logica
scolastica -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Napoli). Filosofo. Considerato
uno fra i massimi precursori del neo-tomismo. Si trasfere a Nola per frequentare
la scuolaa dove suo zio era rettore. Studia ilosofia con l'intento di
confrontare i vari sistemi filosofici, fra cui godeva particolare credito in
Italia, all'epoca, quello razionalista. Lo studio comparato dei vari sistemi
gli permise una conoscenza più approfondita della scolastica, soprattutto di Aquino,
e del legame intimo tra la Scolastica e la Patristica. Restaura la filosofia
scolastica. Insegna a Napoli. Venne incaricato da Ferdinando II di preparare un
manuale ufficiale per le scuole del Regno delle Due Sicilie. Scrive allo scopo
il manuale "I principali sistemi della filosofia del criterio”. Profondo
conoscitore di Aquino da alle stampe interessanti saggi sui filosofi moderni. Inizia
ad occuparsi più specificamente di Aquino con “L’origine del potere e il
diritto di resistenza, cui fa seguito “In difesa dell'angeologia contro i
sofismi”. Esce il ponderoso I principali sistemi della filosofia del criterio” un'ampia
e dottissima disquisizione sulla filosofia illuminista e su quella a lui
contemporanea (fra cui quella dello stesso Gioberti) confutata sulla base della
logica. Il suo capolavoro. Si tratta del celebre saggio, “Philosophia antiqua” che
ha per oggetto la storia della logica. “In compendium redacta ad usum scholarum
clericalium. Venne pubblicata a Napoli “Elementa”, “Antropologia”, “Teologia. Altre saggi: “Sopra alcune questioni le più
importanti della filosofia” (Napoli); “Il razionalismo” (Napoli); “I razionalisti”
(Napoli); “L'origine del potere e il diritto di resistenza, (Napoli, Giannini);
“In difesa dell'angeologia contro i sofismi” (Napoli, Manfredi); “Elementa
philosophiae theoreticae” (Napoli, Manfredi); “Philosophia antiqua” (Napoli,
Manfredi); “Institutiones seu Elementa philosophiae antiquae” (Napoli,
Manfredi); “In compendium redacta ad usum scholarum” (Napoli, Manfredi); “Le dottrine
de' filosofi antichi” (Napoli); U. Dovere, Tentativo di ricostruzione, in Doctor
communis, P. Naddeo, Le origini del aquinismo” (Società editrice italiana,
Torino); P. Orlando, Aquino a Napoli e G. Sanseverino, in Asprenas, P. Orlando,
Vita e opere di Gaetano Sanseverino secondo i documenti, in Aquinas, P.
Orlando, L'Accademia tomista a Napoli, storia e filosofia, in Saggi sulla
rinascita del tomismo, Roma, Ed. Pontificia Accademia teologica romana, C.Matarazzo,
Per una rivoluzione del cuore. La visione dell'umano in Leopardi nella lettura
critica di Sanseverino tra antropologia e istanze pastorali (Polidoro, Napoli).
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Gaetano
Sanseverino. Sanseverino. Keywords: segno naturale, Boezio, Aquino. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Sanseverino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689994340/in/photolist-2mNzeEc-2mLQc9e-2mKEJsY-o5Xazf
Grice e Santilli – dal soggettivo all’inter-soggettivo
– filosofia italiana (Sant’Elia Fiume
Rapido). Filosofo. Figlio del medico santeliano
Silvestro, sindaco del paese. Si trasfere a Napoli. Segue il corso liceale
presso la Scuola di Francesco Murro. Discepolo di Galluppi e amico, fra gli
altri, Settembrini, Fiorelli e Sanctis. Si laurea in filosofia. Apre una Scuola
di Diritto Morale e Costituzionale. Fervente giobertiano, e attivo
propugnatore, nei circoli culturali napoletani, di un'Italia federate. A
frequenti rapporti epistolari con Mamiani, Gizzi e Cousin. Quest'ultimo lo
introduce nel giro culturale del socialismo utopistico ma modula il suo
socialismo secondo i propri valori umanitari, rifiutando la logica della lotta
di classe. Ha comunque a scrivere che nel Regno di Napoli occorre una
savia distribuzione della ricchezza. Presidente della Società Dantesca e
prolifico filosofo. Fonda "L'Enciclopedico" in cui vivacemente
sostene che occorreva occuparsi della piaga della povertà. La nazione italiana vuole
pane e lo dimanda incessantemente, lo chiede nel pianto dell'indigenza, tra le
sciagure della desolazione, lo chiede non a titolo di preghiera, ma diritto
necessario, assoluto. Il popolo italiano non capisce la speculativa astrazione
di alcune verità filosofica, non sa i titoli di libertà, di costituzione, di
uguaglianza. Una riforma che dimentica affatto la fisica prosperità del popolo
italiano non è che riforma di solo nome. “Le idee" e testo di studio nelle
scuole di Toscana; "Sul realizzamento del pensiero"; "Sviluppo
filosofico dell'autorità"; "Cenno psicologico sull'attività dello
spirito"; "Individuo e Società"; "Princìpi dell'imanità
razionale"; "Il socialismo in economia" e "Lavoro,
industria e capitale". Si batté politicamente per l'ottenimento della
Costituzione da parte di re Ferdinando II . Malvisto e considerato
individuo pericoloso dalla polizia e ucciso a baionettate da soldati che fanno
irruzione nella sua abitazione in Largo Monteoliveto, accanto a Palazzo
Gravina. Venne ucciso a seguito della delazione di una donna, che lo indica
come il predicatore alla soldataglia. Lo ricordano due epigrafi: una sulla
facciata della sua casa natia e una sulla facciata della sua palazzina in Largo
Monteoliveto. Di lui scriveno Sanctis, Pepe, Settembrini, Vannucci, Massari,
Grosso, Guzzardella, Mandalari che volle raccogliere i suoi saggi in "Memorie
e Saggi” (Roma). F. Peruta. “Il Giornalismo Italiano del Risorgimento”; I.
Ghiron, Della Peruta, “Storia del quindici maggio in Napoli; L. Settembrini "Memorie
e saggi”; M. Mandalari, Memorie, Roma. A. Guzzardella, “Martire del
Risorgimento” Milano, Isaia Ghiron, Il valore italiano, Tip. nazionale degli editori
Ghione e Lovesio, F. Peruta, Il Giornalismo Italiano del Risorgimento, Angeli,.
Benedetto Di Mambro, in Sant'Elia Fiume Rapido, il Sannio, Casinum e dintorni Roccasecca,.
L. Settembrini, Ricordanze della mia vita, A. Morano. Angelo Santilli.
Santilli. Keywords: dal soggettivo all’inter-soggetivo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Santilli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689367738/in/photolist-2mKBwcu
Grice e Santorio – filosofia italiana – il pendolo di
Santorio – Luigi Speranza (Capodistria).
Filosofo. Padre della fisiologia sperimentale. Il primo a comprendere
l'importanza dell'esperimento e dell'adozione dei parametri quantitativi per
valutare i quali inventa alcuni dispositivi tra cui il termometro e il
tachimetro. Studia sperimentalmente la struttura della materia, di cui
descrisse la struttura corpusculare e meccanica, anticipando le ricerche di
Galilei. Studia a Padova. A Venezia fa amicizia con Sarpi, Sagredo e Galilei. Adatta
il pendolo alla pratica, precedendo gli esperimenti condotti da Galileo con i
pendoli. Poniere nell'impiego delle misurazioni fisiche in medicina; il suo
dispositivo più famoso fu una grande bilancia usata per studiare l'equilibrio
omeostatico e le trasformazioni metaboliche Tra i soggetti che si prestarono
alla sperimentazione vi fu anche Galilei. Insegna a Padova. Pubblica
descrizioni di congegni termometrici e di precisione che divennero di largo uso
nella pratica medica. Pioniere nell'impiego delle misurazioni fisiche. Il suo
dispositivo più famoso fu una grande bilancia (stadera medica) usata per
studiare le trasformazioni metaboliche in soggetti sperimentali tra i quali vi
fu lo stesso Galileo. Pioniere nell'uso del metodo sperimentale di cui comprese
l'importanza e la necessità replicando i suoi esperimentil Considerato a torto
il fondatore della iatromeccanica, ne e uttavia ispiratore con i suoi
importanti studi sul metabolismo e sulla termoregolazione umana. E il primo a quantificare
la perspiratio insensibilis e ad usare il termometro clinico che egli stesso
idea. Santorio invent anche altri
strumenti (pulsilogio, igrometro, "letto artificioso", "eolopila
medica", "termometro lunare") intesi a tradurre in numero e
determinare con esattezza matematica i parametri vitali umani. I suoi saggi
hanno numerose edizioni, diffusione europea e ampia popolarità. Classico il “De
statica medica” -- uno dei saggi più importanti della storia della fisiologia;
“Methodi vitandorum errorum omnium qui in arte medica contingunt liNunc primum
ccessit eiusdem authoris De inventione remediorum liber (Aubert); “Ars de
statica” (Leida, D.Lopes de Haro); “Commentaria in artem Galeni”; “Nova pulsuum
praxis morborum omnium diagnosim prognosim et medendi aegrotis rationem statuens,
sine eorum relatione”; “Commentaria in primam fen primi libri canonis
Auicennae”; “Commentaria in primam sectionem Aphorismorum Hippocratis”; “Societate
si politica”. Galilei -- Storia della Scienza di Firenze. A. Castiglioni, “Storia
della Medicina” (Mondadori, Milano); A/ Pazzini, “Storia della Medicina” (Libraria,
Milano); L. Premuda, “Storia della Medicina” (Milani, Padova); L. Premuda, “Storia
della fisiologia” (Del Bianco, Udine). Treccani Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Santorio Santorio. Santorio.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Santorio” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735247445
santucci
Grice e Sanzo –
natura ed artificio – filosofia italiana (Roma). Flosofo. Insegna a Brindisi, Milano,
e Salento. Fonda Apollo Licio”. Sube il fascino dell’esistenzialismo e il orazionalismo.
Rivolve la propria attenzione ai rapporti tra filosofia, scienza e società. Si occupa
di filosofi quali Becquerel, Boutruox, Corbino, Couturate Curie, Enriques,
Fermi, Frola, Geymonat, Peano, Vailati. Sui fondamenti della geometria” (Brescia, La Scuola, Collana "Il Pensiero");
“L’artificio della lingua, -- Grice: “I like that: it’s my Gricese, a language
I invent and which makes me the master; there’s the arbitrary and there’s the
artificial, and Sanzo, reconstructing Peano’s project, fails to distinguish
this” -- Milano, F. Angeli, Collana di Epistemologia, G. Cimino; G. Sava, Il
nucleo filosofico della scienza, Galatina, Congedo, Collana di Filosofia, Scritti
di fisica-matematica, Torino, POMBA, I Classici della Scienza, Poincaré e i
filosofi” (Lecce, Milella); O. Corbino, Scienza e società, Saggi raccolti e
commentati, Manduria, Barbieri, Collana di Filosofia Hermes/Hestia, Scritti di
fisica-matematica” (Milano, Mondadori, "I Classici del pensiero",
Unione Tipografico, Torino, Scientia, Rivista di sintesi scientifica, Apollo Licio”, Museo Galilei, Firenze. Ubaldo
Sanzo. Sanzo. Keywords: apollo licio, trovato al ginnasio liceo di Atene,
figgurante il dio in atto di riposo dopo un gran sforzo. natura ed artificio,
l’artificio della lingua, convenzionalismo, filosofia della lingua. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sanzo” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735242585/in/dateposted-public/
SarloDe
Grice e Sarno – sentire – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Napoli). Filosofo. Interprete
di Bruno e Campanella. Collabora al Giornale critico della filosofia italiana
con saggi su Bruno, Campanella e Vico. Medita sulla violenza. Si suicida con un
colpo di rivoltella. Si interessa a Bruno e Campanella. Il suo punto di
partenza è l’opposizione tra un sentimento sempre identico a se stesso,
essenzialmente interiore (sensus sui) ed un sentire esteriore, che si tramuta
nelle cose di cui ha esperienza, che si presta e si dona tutt’intero alle cose,
affinché esse vivano in lui. Atre saggi: “Pensiero e poesia” (Laterza, Bari); “Filosofia
poetica” (Laterza, Bari); “Filosofia del sentire” (Pescara, Tracce); “Sulla
violenza” (Bari, Laterza); M. Perniola, “L’enigma” (Costa, Genova); A. Marroni, “Filosofo del “farsi
altro”. D'Angelo, L'estetica italiana” (Laterza, Bari); A. Marroni, La passione
per il presente in “Filosofie dell'intensità. un maestro occulto della
filosofia italiana” (Mimesis, Milano); A. Marroni, "I carmina in foliis volitantia"
in Agalma, Giornale Critico di Filosofia Italiana. Antonio Sarno. Sarno. Keywords.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sarno” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734571263/in/datetaken/
Grice e Sarpi – la metafisica del
fenice – l’arte del bien conversar -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo. Very important Italian philosopher. Definito
d’Acquapendente come oracolo, autore della celebre “Istoria del Concilio
tridentino” subito messa all'Indice. Fermo oppositore del centralismo
monarchico di Roma, difendendo le prerogative della repubblica veneziana,
colpita dall'interdetto emanato da Paolo V. Rifiuta di presentarsi di fronte
all'Inquisizione romana che intendeva processarlo e sube un grave attentato che
si sospetta essere stato organizzato dalla curia romana, "agnosco stilum
Curiae romanae", che nega tuttavia ogni responsabilità. L'infanzia e
una ritiratezza in sé medesimo, un sembiante sempre penseroso, e più tosto
malinconico che serio, un silenzio quasi continuato anco co' coetanei, una quiete
totale, senza alcun di quei giuochi, a' quali pare che la natura stessa ineschi
i fanciulli, acciò che col moto corroborino la complessione: cosa notabile che
mai fosse veduto in alcuno. Poi, così serve in tutta la sua vita, et
all'occasioni dice non poter capir il gusto e trattenimento di chi giuoca, se
non fosse affetto d'avarizia. Un'alienazione da ogni gusto, nissuna avidità de'
cibi, de' quali si nutre così poco, che restava meraviglia come stasse vivo. Nell'anno
in cui proseguivano le sedute del Concilio di Trento, Carlo V e in guerra con i
prìncipi protestanti tedeschi e il Parlamento inglese adotta un Libro di
preghiere d'ispirazione luterana. Figlio di Francesco di Pietro Sarpi, di
famiglia di lontane origini friulane (precisamente di San Vito al Tagliamento)
e mercante a Venezia eppure, scrive Micanzio, per la sua indole violenta più
dedito all'armi ch'alla mercatura. La madre, veneziana, d'aspetto umile e mite
e Isabella Morelli. Rimasta vedova, fu accolta con il suo figlio e l'altra
figlia Elisabetta nella casa del fratello A. Morelli, prete della collegiata di
Sant'Ermagora. Con lo zio, uomo d'antica severità di costumi, molto
erudito nelle lettere d'umanità addottrinando nella grammatica e retorica molti
fanciulli della nobiltà, fa i primi studi, imparando presto e con facilità. A
dodici anni, nel 1564, anno dell'istituzione, dopo la chiusura del Concilio,
dell'Indice dei libri proibititra i tanti, vi finirono il Talmud e il Corano,
il De Monarchia di Dante e le opere di Rabelais, Folengo, Telesio, Machiavelli
ed Erasmo, passa alla scuola di G. Capella, t dell'Ordine dei Servi di Maria,
seguace delle dottrine di Duns Scoto. Capella gli insegna logica, filosofia e
teologia, finché il ragazzo fece così rapidi progressi che il maestro istesso confessa
non aver più che insegnargli. Con altri maestri veneziani apprese la
matematica, la lingua greca e l'ebraica. Con la familiarità e co' studii
entra Panco in desiderio di ricevere l'abito de' servi, o perché gli paresse
vita conforme alla sua inclinazione ritirata e contemplativa, o perché vi fosse
allettato dal suo maestro, malgrado l'opposizione della madre e dello zio che
lo voleva prete nella sua chiesa, entra nel monastero veneziano dei servi di
Maria. Continua ancora a studiare con il Capella, rimanendo alieno dalle
distrazioni proprie della sua età finché in occasione della riunione a Mantova
del capitolo generale dell'Ordine servita,
mandato in quella città «ad onorar il congresso e far vedere che
gl'ordini non sono oziosi, ma spendono il tempo in sante e lodevoli operazioni,
difendendo 318 delle più difficili proposizioni della filosofia naturale. Il
qual carico con che felicità lo sostenesse e con che giubilo e stupore di
quella venerabile corona, si può dall'evento argomentare. Essersi così distinto
agli valse la nomina a teologo da parte del duca di Mantova. Prencipe di
grandissimo ingegno, così profondamente erudito nello scienze, che
difficilmente si discerne qual fosse maggiore, o la prudenza di governare, o
l'erudizione di tutte le scienze et arti, sino nella musica, mentre il G. Boldrino
gli affida la cattedra. Stabilito nel convento di San Barnaba, perfeziona la
conoscenza della lingua ebraica e inizia, col puntiglio consueto, ad applicarsi
agli studi storici. E certo a motivo di quest'interesse che a Mantova
frequenta M. Olivo, già segretario di E. Gonzaga, cardinale e legato pontificio
nelle ultime sessioni del concilio di Trento, la cui caduta in disgrazia presso
Pio IV coinvolse anche l'Olivo che fu dagl’inquisitori molto travagliato, col
tenerlo longamente in carcere dopo la morte del cardinale suo signore, ma che
ora, dopo la morte del pontefice, vive privatamente in Mantova. Il gusto
principale che riceva in conversare con lui e perché lo trovava d'una
moderazione singolare, erudito, e che, per esser stato col cardinale a Trento, ha
gran maneggio in quelle azioni e sa tutte le particolarità de' negozii più
secreti, et ha anco molte memorie, nell'intendere le quali riceve molto piacere.
Sono gli anni in cui in Italia continua con vigore la repressione
inquisitoriale di Pio V. P. Carnesecchi venne decapitato. Gl’brei sono espulsi
dallo Stato pontificio tranne che da Roma e da Ancona, nei ghetti delle quali
vennero costretti a risiederee. E impiccato l'umanista A. Paleario. Il papa
scomunica Elisabetta d'Inghilterra, oorganizzò la Lega contro i turchi, ottenendo
la vittoria navale di Lepanto e a Parigi, a migliaia di ugonotti sono
massacrati. Fa la sua professione, entrando ufficialmente nell'Ordine servita.
Anche di lui l'Inquisizione si occupa seguito della denuncia di un confratello che
lo accusa di sostenere che dal primo capitolo del Genesi non si può ricavare
l'articolo di fede della Trinità. Ma, poiché effettivamente di trinità divina
non vi è traccia nel Vecchio Testamento, l'Inquisizione gli diede ragione,
archiviando il caso. Dopo aver ricevuto nel convento mantovano il titolo
di baccelliere, e invitato a Milano da C. Borromeo il quale, dopo aver ottenuto
dalle autorità contro la volontà del Senato, il riconoscimento del tribunale e
della polizia diocesana, avvia un processo di riforma del clero. Ottenne di
essere trasferito nel convento dell'Ordine servita di Venezia, dove e
incaricato dell'insegnamento della filosofia e continuò i suoi studi
scientifici. Nella grande epidemia di peste, che imperversa a Venezia, facendo 50.000 vittimetra le quali Tiziano frimase
immune dal contagio. Dopo essersi addottorato a Padova, e nominato reggente del
convento di Venezia e priore della provincia veneta. Durante il Capitolo a
Parma, nel quale venne rieletto priore G. Tavanti, tenne una dissertazione di
fronte ai cardinali protettori dell'Ordine, A. Farnese e G. Santori. Uno dei tre
saggi, insieme con C. Franco e A. Giani, incaricati di preparare una riforma
della regola. Il carico suo speziale e d'accommodare quella parte che tocca i
sacri canoni, le riforme del concilio di Trento, allora nuove, e la forma de'
giudizii quella parte tutta ove si tratta de' giudizii accommodatamente allo
stato claustrale. Lascia in questo carico in Roma fama di gran sapere e di
molta prudenza, non solo nelle corti de' due cardinali suddetti, co' quali, per
ordine contenuto in un breve apostolico di Gregorio XIII, conviene conferire ogni
legge che si fa, ma anco e necessario molte volte trattar col pontefice
medesimo. Sbrigato da quale peso ritorna al suo governo. Si tenne a Bologna il
nuovo Capitolo dell'Ordine servita e viene eletto procuratore generale, la
suprema dignità di quell'ordine dopo il generale il carico porta seco di
difender in Roma tutte le liti e controversie che vengono promosse in tutta la
religione. Dove pertanto trasferirsi a Roma dove conobbe e prende strettissima
familiarità col padre Bellarmino poi cardinale, e dura l'amicizia sin al fine
della vita, grazie al quale forse puo prendere visione di diversa
documentazione relativa alle istruzioni date ai legati pontifici durante il
Concilio di Trento. Conosce anche il dottor Navarro, teologo difensore
dell'arcivescovo di Toledo, B. Carranza, accusato di eresia, il gesuita N. Bobadilla
e il cardinale Castagna, poi Urbano VII. Ha occasione di passare a Napoli per
presiedere Capitoli e conversare con quel famoso ingegno G. Porta, il quale,
anco nelle sue opere mandate in luce, fa onorata menzione del padre Paolo come
di non ordinario personaggio. Scaduto il periodo di carica a procuratore
generale dell'Ordine servita, ritorna a Venezia, frequentandovi i circoli
intellettuali che si riunivano nella bottega di B. Sechini e nella casa del
nobile veneziano A. Morosini, dove conobbe anche G. Bruno. A Padova frequenta
la casa di G. Pinelli, il ricetto delle muse e l'academia di tutte le virtù in
quei tempi, dove iincontrare Galileo e Bruno, il quale s'intrattenne a Padova
più di tre mesi, poco prima di essere arrestato a Venezia. Si dove
scegliere il generale dell'Ordine servita, e fra i due principali candidati, L.
Baglioni e G. Dardano, si espresse a favore del primo. Il rancore spinse
Dardano a denunciarlo al Sant'Uffizio, accusandolo di negare efficacia allo
Spirito Santo, di avere rapporti sospetti con ebrei e allegando una lettera che
fgli scrive da Roma, nella quale sono contenute alcune parole in discredito
della corte, come che in quella si viene alle dignità con male arti, e di
tenerne esso poco conto, anzi abominarla. Senza nemmeno essere chiamato a Roma
per discolparsi, e subito prosciolto da ogni accusa. Ma il cardinale di Santa
Severina, G. Santori, protettore dell'Ordine e capo del Sant'Uffizio, mostrò
però implacabile indignazione autilizzando tutta la sua autorità per escludere
gli amici dalli gradi et onori con maniere così strane e fini così bassi, ch'io
non ardisco poner i casi che mi sono stati dati in nota, perché troppo gran
scandalo arrecherebbono al mondo. Continua i suoi studi mentre non cessano le
rivalità nell'Ordine servita, del quale venne eletto priore, Montorsoli, che morì tre anni dopo,
succedendogli così, Dardano, accanito avversario del Sarpi. Questi, deciso a
uscire dall'Ordine per sottrarsi all'inimicizia dalla quale si sentiva
circondato, cerca di ottenere un vescovato, prima a Caorle e poi a Nona, in
Dalmazia, che però gli vengono rifiutati a causa delle negative informazioni
che di lui il Dardano e L. Gagliardi, preposito della casa veneziana dei
gesuiti, diedero al papa. Esse ssente mormorare alle volte che egli con alcuni
facci una scoletta piena d'errori. Non solo: nel Capitolo, Dardano l’accusa di portare una berretta in
capo contra una forma che sino sotto Gregorio XIV disse esser proscritta; che
portasse le pianelle incavate alla francese, allegando falsamente esserci
decreto contrario, con privazioni divote; che nel fine della messa non recita lo
Salve Regina. E assolto anche da queste accuse. La Repubblica veneziana,
stretta a nord dall'Impero, in Italia dalla prevalenza spagnola e papale, in
Oriente dalla potenza turca, e ormai avviata a quel lungo declino politico ed
economico che a la sua sanzione. Alla prudente politica dei patrizi, rasseglla
compromissione con l'Impero e il papato, si sostituì quella degli innovatori, i
cosiddetti «Giovani», decisi a sottrarre la Serenissima all'invadenza
ecclesiastica nell'interno e a rilanciarne le fortune commerciali
nell'Adriatico, compromesse dal controllo dei porti esercitato dallo Stato
pontificio e dalle azioni degli Uscocchi, i pirati cristiani croati appoggiati
dall'Impero. Iil Senato veneziano proibì la fondazione di ospedali gestiti
da ecclesiastici, di monasteri, chiese e altri luoghi di culto senza
autorizzazione preventiva della Signoria. Un'altra legge proibiva l'alienazione
di beni immobili dai laici agli ecclesiastici, già proprietari, pur essendo
solo un centesimo della popolazione, di quasi la metà dei beni fondiari della
Repubblica, e limita le competenze del foro ecclesiastico, prevedendo il
deferimento ai tribunali civili degli ecclesiastici responsabili di reati di
particolare gravità. Avvenne che il canonico vicentino S. Saraceno, colpevole
di molestie a una nobile parente, e l'aristocratico abate di Nervesa, Brandolini,
reo di omicidi e di stupri, sono incarcerati. Paolo V emana due brevi
richiedenti l'abrogazione delle due leggi e la consegna al nunzio pontificio
dei due ecclesiastici, affinché secondo il diritto canonico fossero giudicati
da un tribunale ecclesiastico. Il nuovo doge Leonardo Donà fece esaminare
i due brevi da giuristi e teologi, fra i quali il Sarpi, affinché trovassero
modo di controbattere alle richieste della Santa Sede. Il 28 gennaio venne
nominato teologo canonista proprio il Sarpi e lo stesso giorno il suo scritto:
Consiglio in difesa di due ordinazioni della Serenissima Repubblica, venne
inviato al Papa. Difese le ragioni della Repubblica con numerosi saggi. Sono di
questi mesi la Scrittura sopra la forza e validità delle scomuniche, il
Consiglio sul giudicar le colpe di persone ecclesiastiche, la Scrittura intorno
all'appellazione al concilio, la Scrittura sull'alienazione dei beni laici agli
ecclesiastici e altri ancora, poi raccolti nella sua successiva “Istoria
dell'interdetto”. In quell saggio è contenuta anche un saggio sulla validità della
scomunica, attaccato da Bellarmino, al quale rispose allora con l'Apologia per
le opposizioni do Bellarmino. Mentre F. Micanziosuo iniziava a collaborare
dopo che Paolo V scomunica il Consiglio veneziano e fulminato con l'interdetto
lo Stato veneto, pubblica il Protesto del monitorio del pontefice, nel quale il
breve papale Superioribus mensibus è definito nullo e di nessun valore, mentre
impede la pubblicazione della bolla pontificia. Obbedendo alle disposizioni
del papa, i gesuiti rifiutano di celebrare le messe a Venezia e la Repubblica
reage espellendoli insieme con cappuccini e teatini. Parteno la sera alle doi
di notte, ciascuno con un Cristo al collo, per mostrare che Cristo parte con
loro. Concorse moltitudine di populo e quando il preposto, che ultimo entra in
barca, dimanda la benedizione al vicario patriarcale si leva una voce in tutto
il populo, che in lingua veneziana grida loro dicendo "Andé in
malora!". A Roma si spera che l'interdetto provocasse una sollevazione
contro i governanti veneziani ma i gesuiti scacciati, li cappuccini e teatini
licenziati, nissun altro ordine parteno, li divini uffizi sono celebrati
secondo il consueto il senato e unitissimo nelle deliberazioni e le città e
populi si conservano quietissimi nell'obbedienza. Venezia era alleata, in
funzione anti-spagnola, con la Francia, ed era in buoni rapporti con
l'Inghilterra e con la Turchia. Fingendosi veneziani, soldati spagnoli, per
provocare la rottura delle relazioni turco-veneziane, sbarcano Durazzo,
saccheggiandola, ma la provocazione e facilmente scoperta e i turchi offreno a
Venezia l'appoggio della loro flotta contro il papa. L'Inquisizione l’intima di
presentarsi a Roma per giustificare le molte cose temerarie, calunniose,
scandalose, sediziose, scismatiche, erronee ed eretiche contenute nei suoi saggi
ma naturalmente si rifiuta. Invano il papa che scomunica Sarpi e Micanziosi
dichiara favorevole a portare guerra a Venezia. La sua unica alleata, la
Spagna, minacciata da Francia, Inghilterra e Turchia, non puo sostenerla in
quest'impresa e si giunse così alle trattative diplomatiche, favorite dalla
mediazione del cardinale F. Joyeuse. Venezia rilascia i due ecclesiastici
incarcerati e ritira il suo protesto al papa in cambio della revoca
dell'interdetto, mentre le leggi promulgate dal Senato veneziano restarono in
vigore e i gesuiti non possono rientrare nella Repubblica. Riceve K. Schoppe,
molto intimo dei segreti affari della Curia romana, il quale gli confide che il
papa, come gran prencipe, ha longhe le mani, e che per tenersi da lui
gravemente offeso non puo succedergli se non male, e che se sino a quell'ora
avesse voluto farlo ammazzare, non gli mancavano mezzi. Ma che il pensiero del
papa e averlo vivo nelle mani e farlo levare sin a Venezia e condurlo a Roma,
offerendosi egli, quando volesse, di trattare la sua riconciliazione, e con
qual onore avesse saputo desiderare. Asserendo d'aver in carico anco molte
trattazioni co' prencipi alemanni protestanti e la loro conversione». Schoppe,
ambiguo provocatore, intende convincerlo a mettersi nelle mani dell'Inquisizione come
miglior partito che puo prendere, tanto parvero strane le due proposte di far
ammazzare o prender vivo il padre. I disegni omicidi sono reali. Circa le 23
ore, ritornando al suo convento di San Marco a Santa Fosca, nel calare la parte
del ponte verso le fondamenta, e assaltato da cinque assassini, parte facendo
scorta e parte l'essecuzione, e resta l'innocente ferito di tre stilettate, due nel collo et
una nella faccia, ch'entrava all'orecchia destra et usciva per apunto a quella
vallicella ch'è tra il naso e la destra guancia, non avendo potuto l'assassino
cavar fuori lo stillo per aver passato l'osso, il quale restò piantato e molto
storto. I sicari, fuggendo, trovano rifugio nella casa del nunzio pontificio e
la sera s'imbarcano per Ravenna, da dove proseguirono per Ancona e di qui
raggiunsero Roma. Si conoscono i loro nomi: l'esecutore materiale
dell'attentato e R. Poma, già mercante veneziano, poi trasferitosi a Napoli e
di qui a Roma, dove divenne intimo del cardinale segretario di Stato S. Caffarelli-Borghese
e dello stesso Paolo V. E co-adiuvato da tre uomini d'arme, tali A. Parrasio,
Giovanni da Firenze e P. Bitonto, mentre «a spia, o guida e M. Viti, solito
offiziare in Santa Trinità di Venezia, che non lascia dubitare quanti mesi
precedessero questo bel effetto prima che fosse mandato alla luce. Poi che Viti
la quadragesima antecedente, sotto specie d'aver gusto delle predicazioni del
padre maestro Fulgenzio, anda ogni mattina in convento de' servi alla porta del
pulpito, che risponde alla parte di dentro, e cortesemente tratta con lui,
ricercandolo anco di qualche dubbio di coscienza. E continua di poi sempre a
salutarlo et anco andar in convento a visitarlo, parlandogli sempre di cose
spettanti all'anima. Il pugnale non ha tuttavia leso organi vitali e riusce a
sopravvivere. Il chirurgo G. Acquapendente, che l'opera, dice di non aver mai
medicato una ferita più strana, rispondendo allora con la famosa espressione. Eppure
il mondo vuole che sia data stilo Romanae Curiae. Le conseguenze furono la
rottura della mascella e vistose cicatrici nel volto. Il Senato, dichiarandolo
persona di prestante dottrina, di gran valore e virtù gli concede una casa in
piazza San Marco ove possa risiedere con il Micanzio e altri frati, e una
sovvenzione affinché possa acquistare una barca e provvedere alla sua sicurezza
personale. Rifiuta la casa ma si servì da allora di una barca che gli evitas i
pericolosi tragitti a piedi per le calli veneziane. Poco più di un anno
dopo, e sventato un secondo attentato, ordito, sembra su mandato di L. Margotti,
da G. Francesco de Antonio da Viterbo, i quali, fatta una copia della chiave
della sua camera vuoleno secretamente introdurre nel monasterio due o più
sicarii e la notte trucidare l'innocente. Inizia a corrispondere con
personalità soprattutto di fede calvinista o gallicana: fra questi ultimi, Leschassier
e Gillot, che pubblica gli Actes du concile de Trente, dimostrando le pressioni
papali sui vescovi riuniti a concilio, e fra gli altri l'italiano F. Castrino,
i francesi Villiers, Casaubon, Thou, Mornay, i tedeschi Achatius e Dohna.
Attraverso il dialogo diretto con gli intellettuali acquiesce quella straordinaria ampiezza di
orizzonti e di interessi, quella solida conoscenza dei problemi dello stato che
gli permite di arricchire la sua cultura storica, giuridica e scientifica e lo
conduce a incidere sulla sua posizione filosofica, ad approfondirne la crisi,
risolvendola poi con l'accoglimento di nuove prospettive e di nuove idealità;
spalancandogli un mondo nuovo, che gli fac sentire più soffocante, più viziata,
la vita italiana. Incontra a Venezia Bedell, che rifere di lui e del Micanzio
come essi sono completamente dalla nostra parte nella sostanza della religione
e, C. Dohna inviato da Cristiano I di Anhalt-Bernburg, e G. Diodati, per
valutare la possibilità di introdurre a Venezia la Riforma. La traduzione in
lingua italiana del Nuovo Testamento, viene diffusa a Venezia proprio in questo
periodo. Altre polemiche suscitano, le prediche quaresimali di F.
Micanzio che vengono interpretate a Roma come un attacco alla fede cattolica. --
è anche preoccupato per la tregua stipulata tra la Spagna e i Paesi Bassi,
perché vede in essa un indebolimento di questi ultimi che, o prima o dopo,
resteranno sopraffatti dalle arti spagnole, mentre gli spagnoli ne potrebbero
trarre beneficio anche in vista del loro dominio in Italia. Spera in
un'alleanza generale di Francia, Inghilterra, principi protestanti, Paesi
Bassi, Savoia e Venezia che portasse alla guerra contro l'Impero cattolico
ispano-tedesco e cancellasse il dominio papale e spagnolo in Italia. Se sarà
guerra in Italia, va bene per la religione; e questo Roma teme. LInquisizione
cessa e l'Evangelio ha corso. E ha bene anche per le libertà civili di Venezia:
qui, anche se il giogo ecclesiastico è assai più mite che nel rimanente
d'Italia, in quella parte nondimeno che tocca la stampa è l'istesso appunto che
negli altri luoghi. Nessuna cosa si può stampare se non veduta e approvata
dall'Inquisizione. Dove si ragiona di alcun papa, non permettono che si dica
alcuna di disonore, se bene vera e notoria. Non permettono che alcuno separato
dalla Chiesa romana sia lodato di qualsivoglia virtù, né nominato se non con
vituperio. Secondo la versione ufficiale, sebbene sfinito, volle alzarsi per il
mattutino, come al solito, e celebrare la Messa. Fatto chiamare il priore del
convento, lo prega che lo raccomandasse alle preghiere dei confratelli e che
gli portasse il Viatico. Gli consegna tutte le cose concesse a suo uso. Si fa vestire,
si confessa e passò il resto del mattino facendosi leggere da fra Fulgenzio e
da Fra Marco i Salmi e la Passione di Cristo narrata dagli Evangelisti. Gli e quindi
amministrato dal priore, alla presenza della Comunità, il Viatico. E visitato
dal medico che gli dice che ha poche ore di vita. Sorridendo, rispose: Sia benedetto
Dio. A me piace ciò che a Lui piace. Col suo aiuto faremo bene anche
quest'ultima azione -- quella di morire. E udito ripetere più volte, con
soddisfazione: Orsù, andiamo dove Dio ci chiama. Secondo alcuni le sue ultime
parole sarebbero state. Esto perpetua, riferendosi a Venezia (v. Bianchi-Giovini,
Esistono tuttavia altre versioni della sua morte che lo fanno apparire più
vicino al culto protestante. Figura assai complessa di filosofo, occupa
indubbiamente un posto di primo piano nella storia della filosofia italiana. Fu
uno dei più grandi filosofi. La sua prosa è una delle più maschie ed efficaci
di tutta la filosofia nostra, che non conosce lenocini né fronzoli, che
scolpisce le figure con raro risalto, che ha un magnifico potere ri-evocatore allorché
descrive dispute e contrasti, ch'è impareggiabile nel sarcasmo, tutto contenuto
in un'unica espressione, tre o quattro parole. G. Papini, parlando della
Istoria del Concilio di Trento, la define un modello di lucidità narrative e di
prosa semplice, esatta e rapida. Lascia orme indelebili nella filosofia, nella
matematica, nell'ottica, nell'astronomia, nella medicina ecc. Galilei e suo
grande amico, e non disdegna di appellarlo: Mio Maestro. Dinanzi al primo
avvertimento a Galilei, lui, che non visse abbastanza a lungo per assistere
alla condanna scrive. Verrà il giorno, e ne sono quasi certo, che gl’uomini, da
studi resi migliori, deploreranno la disgrazia di Galileo e l'ingiustizia resa
a sì grande uomo. Scopre la dilatabilità della pupilla sotto l'azione della
luce e le valvole delle vene. I suoi biografi parlano anche di scoperte nel
campo dell'anatomia, dell'ottica, ecc. L'invenzione del telescopio dice
Bianchi-Giovini il Galilei la dovette per certo ai lumi somministratigli da lui,
se pure questi non ne fu il primo inventore, come pensano alcuni. Sopra la sua
sapienza matematica si cita l'autorevole giudizio di Galilei. Galilei non esita
a dire della ‘fenice’: del quale posso senza iperbole alcuna affermare che
niuno l'avanza in Italia in cognizione di queste scienze matematiche contro
alle calunnie ed imposture di B. Capra, in ediz. naz., Firenze, La teoria di
Galilei delle maree, successivamente dimostratasi erronea, riprende le sue idee,
esposte nei Pensieri naturali, metafisici e matematici. G. Porta, dopo aver
dichiarato di avere appreso alcune cose da lui, lo proclama splendore ed
ornamento non solo della città di Venezia e dell'Italia, ma di tutto il mondo.
(Magia naturalis). D. Passionei gli define
dottissimo oltre ogni espressione. In uno studio il cui intento era quello di
misurare il Q.I. di 300 personaggi famosi. si posiziona al quinto posto, al
pari del più noto matematico Pascal. Alla grande intelligenza unì anchecome
riconosciutagli da tuttiun'esemplare integrità di vita. A. Jemolo, dopo essersi rivolto varie domande
intorno alla sua ortodossia, da questa risposta. Gli elementi ci mancano per
una risposta perentoria: noi non possiamo dissipare l'alone di mistero che lo circonda.
Questo non c'impedisce di ammirare l'uomo e l'opera. Fondamentalmente lo
scontro con la Curia romana e legato ad un progetto politico volto a contenere
il potere di Roma in ambito esclusivamente spirituale e a pro-muovere
un'alleanza tra Venezia e la Francia in un'ottica anti-imperiale. Per questo
intrattenne contatti con i riformati. Inoltre la sua visione di Roma e un vago
ritorno verso la chiesa primitive. Egli quindi e indotto a condannare il potere
temporale, il processo di mondanizzazione del clero, la superiorità del papa sul
Concilio. Stringe amicizia con Dominis, arcivescovo di Spalato, che tende all'apostasia.
La sua Istoria del Concilio Tridentino costituisce il suo capolavoro storico ed
offre la prima imponente ricostruzione del Concilio di Trento. L’opera e ondannata
dalla Congregazione dell'Indice e quindi posta all'Indice dei libri proibiti. Sono
intercettate dal nunzio pontificio a Parigi R. Ubaldini compromettenti carteggi
di lui con l'ambasciatore veneziano A. Foscarini e con l'ugonotto F. Castrino;
carteggi ben presto inviati a Roma per essere messi a disposizione del
Sant'Uffizio, ma anche da utilizzare per far ammettere una buona volta al
governo veneziano quanto da tempo da Roma si viene denunciando, che lui che si
proclamava più cattolico del Papa e come tale difeso ufficialmente dai
responsabili politici veneziani. Altri non era che un protestante, al servizio
delle forze ereticali europee. Dunque infedele e ipocrita. Una taccia di
ipocrisia che non da tregua alla sua figura lungo i secoli, come stanno a
provare innumerevoli esempi, da G. Aleandro, che ricevuta da Peiresc la sua
Istoria dell'Interdetto appena edita risponde all'illustre erudito francese con
fare perentorio che lui e nero ministro del diavolo che si dice esser
padre delle menzogna, se ben egli veramente non credeva né nel diavolo né in
Dio, al prelato friulano G. Fontanini
con la sua velenosa Storia arcana della sua vita a D. Passionei, che crede di
avere le carte per dimostrare che l'idea del furfante e di introdurre il
calvinismo in Venezia, come ancora ricorda A. Mercati. Un parere analogo si
trova anche nella recente Storia della Chiesa di Hertling e Angiolino Bulla,
dove viene definite un ipocrita che fino all'ultimo fa la parte del religioso,
sebbene nel suo intimo si fosse da tempo allontanato dalla Chiesa. Saggi: “Trattato
dell'interdetto di Paolo V nel quale si dimostra che non è legittimamente pubblicato”;
“Apologia per le opposizioni fatte da Bellarmino ai trattati et risolutioni di
G. Gersone sopra la validità delle scomuniche; Considerationi sopra le censure
della santità di Paolo V contra la Serenissima Repubblica di Venezia, Istoria
del Concilio Tridentino, Il trattato
dell'immunità delle chiese (De iure asylorum), Discorso dell'origine, forma,
leggi ed uso dell'Uffizio dell'Inquisizione nella città e dominio di Venezia, Trattato
delle materie beneficiarie, Opinione di Servita, come debba governarsi la
Repubblica Veneziana per havere il perpetuo dominio, Venezia, La storiografia
recente attribuisce lo scritto al patriziato veneziano medesimo. Scritti
giurisdizionalistici, Istoria del Concilio Tridentino (Geneua, Aubert); Pagnoni
Editore, Milano, Gambarin, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, G. Gambarin, IScrittori
d'Italia, Bari, Laterza, G. Gambarin, Scrittori d'Italia Bari, Laterza, Istoria
del Concilio Tridentino, testo critico di Giovanni Gambarin, introduzione di R.
Pecchioli, Collana Biblioteca, Sansoni, Firenze, Lettere a Simone Contarini
ambasciatore veneto in Roma, pubblicate dagli autografi, Monumenti storici
pubblicati dalla R. Deputazione veneta di storia patria. Miscellanea, Venezia,
Fratelli Visentini, Pagine scelte, Arturo Carlo Jemolo, Vallecchi, Firenze, Lettere
ai protestanti, Scrittori d'Italia, 1, Bari, Laterza, Lettere ai protestanti, Scrittori d'Italia, Bari,
Laterza, Antologia degli scritti politici e storici. Francesco T. Roffarè, MILANI,
Padova, “Istoria dell'Interdetto e altri scritti editi e inedita” (Scrittori
d'Italia Bari, Laterza); R. Amerio, “Scritti filosofici e teologici” (Scrittori
d'Italia, Bari, Laterza); “Pensieri naturali, metafisici e matematici. anoscritto
dell'iride e del calore; Arte di ben pensare, Pensieri medico-morali, Pensieri
sulla religione, Fabula e Massime e altri scritti. Edizione integrale commentate,
L. Sosio, Ricciardi, Milano-Napoli, Scritti giurisdizionalistici” (Scrittori
d'Italia, Bari, Laterza); “Lettere ai Gallicani, B/ Ulianich, Wiesbaden, F.
Steiner, La Repubblica di Venezia la
casa d'Austria e gli Uscocchi, Bari, Laterza, Scritti scelti: Istoria
dell'Interdetto, Consulti, Lettere, Giovanni Da Pozzo, Collezione di Classici
Italiani, POMBA, Torino); Storici, Politici, e Moralisti, G. Cozzi, Collana La
Letteratura Italiana. Storia e Testi, Milano-Napoli, Ricciardi, Istoria del Concilio
Tridentino seguita dalla Vita, Corrado Vivanti, Collana NUE Einaudi, Torino, Collana
Piccola Biblioteca. Einaudi, Torino, “Pensieri” Gaetano e Cozzi, Collana
Classici Ricciardi, Torino, “Considerazioni sopra le censure di Paolo V contro
la Repubblica di Venezia e altri scritti sull'Interdetto”, G. Cozzi, Collana
Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, “Lettere a Gallicani e Protestanti,
Relazione dello Stato della Relazione, Trattato delle Materie Beneficiarie. Cozzi,
Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Gli ultimi consulti. G. Cozzi, Collana
Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Dai Consulti, il carteggio con
l'ambasciatore inglese sir Dudley Carleston. G. Cozzi, Collana Classici
Ricciardi, Einaudi, Torino, Dal Trattato di pace et accomodamento e altri
scritti sulla pace d'Italia. G. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi,
Torino, Consulti, Corrado Pin, Pisa, Poligrafici, Letteratura e vita civile.
Collana I Classici del Pensiero Italiano; “Della potestà de' prencipi”; Collana
I Giorni, Marsilio, Venezia, “Scritti filosofici inedita, tratti da un
manoscritto della Marciana”; G. Papini, Collana Cultura dell'anima, R. Carabba,
Lanciano, Manoscritti Consulti: in Milano, Biblioteca Nazionale Braidense,
Fondo manoscritti, O. Ceretti, Cinque pugnali non bastano a troncare la sua
parola, in Historia, Touring club italiano, F. Micanzio, Vita, in «Istoria del Concilio tridentino», Torino F.
Micanzio. Scrive tra l'altro nella lettera. E che volete ch'io speri in Roma,
ove li soli ruffiani, cenedi et altri ministri di piaceri o di guadagni hanno
ventura? I cenedi sono gl’uomini che si prostituiscono. F. Micanzio, cit. G,
Cozzi, Sarpi, F. Micanzio, Istoria dell'interdetto e altri scritti editi e
inediti, F. Micanzio, dove stilo può significare sia stile che stiletto Ivi G.
Cozzi, Lettere a Groslot de l'Isle, in «Lettere ai protestanti», Lettera a Francesco
Castrino, in «Lettere ai protestanti», Citato in C. Rizza, Peiresc e l'Italia,
Torino, Giappichelli, Corrado Pin, “Senza maschera: l'avvio della lotta politica
dopo l'Interdetto”; L. Hertling e A. Bulla, Storia della seconda Roma La
penetrazione dello spazio umano ad opera del cristianesimo” (Città Nuova, Borgna
Romain, F.Lucien, F. Micanzio, Vita, dell'ordine de' Servi e theologo della
serenissima republ. di Venetia, Leida, in “Istoria del Concilio tridentino” (Torino,
Einaudi); F. Griselini, “Memorie anedote spettanti alla vita ed agli studj del
sommo filosofo e giureconsulto” (Losanna, Bousquet); F. Griselini, “Del suo
genio in ogni facolta scientifica e nelle dottrine ortodosse tendenti alla
difesa dell'originario diritto de' sovrani né loro rispettivi dominj ad intento
che colle leggi dell'ordine vi rifiorisca la pubblica prosperita” (Venezia,
Basaglia); Zerletti, “Storia arcana della vita servita da Fontanini in partibus e documenti relative (Venezia);
“Cassani, Le scienze matematiche naturali” (Venezia; A. Bianchi-Giovini, Basilea,
R. Morghen, G. Getto, Firenze, Olschki; M. Gliozzi Relazioni scientifiche con G.
Porta, G. Cozzi, Tra Venezia e l'Europa” (Collana Piccola Biblioteca, Torino,
Einaudi); V. Frajese, “Scettico. Stato e Chiesa a Venezia, Bologna, Il Mulino);
I. Cacciavillani, I consulti sulla Vangadizza, Padova, MILANI, Cacciavillani,
Venezia, Fiore, I. Cacciavillani, Sarpi.
La guerre delle scritture de la nascita della nuova Europa, Venezia, Fiore, I.
Cacciavillani, Sarpi giurista, Padova, C. Pin, Ripensando Paolo Sarpi, Venezia,
Ateneo veneto, Concilio di Trento Fulgenzio Micanzio. Dizionario di storia,
Dizionario biografico degli italiani. Paolo
Sarpi. Sarpi. Keywords: l’arte del bien pensar, Locke, impression, reflection,
metaphysics, Bibioteca Marciana, pensieri, pensiero, logica, bien pensare,
galilei, hobbes, metodo, sensismo, il fenice di Venezia, scritti filosofici
inedita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Scarpi” – peri il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689510274/in/photolist-2mNaHiH-2mKuKk1-2mKCgGX-2mKCfz1-2mKfs4E-nmxEnc/
Grice e Sasso – da Crotone a Velia – la Potenza e il
atto di Gentile – Gentile megarico -- Lucrezio di Machiavelli – allegoria e
simbolo di Vico -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Studia a Roma. Si laurea sotto Antoni e Chabod con “Machiavelli”.
Studia con Carabellese, Ruggiero, Scaravelli, Nardi, Pettazzoni, Sapegno, Gabetti, Perrotta e
Sanctis. Insegna ad Urbino e Roma.
Studia l’idealismo italiano (Croce) e Machiavelli. Si occupa di ontologia,
Alighieri, Platone, Polibio, Lucrezio, Guicciardini, Shakespeare e Mann. Presidente
della "Fondazione Giovanni Gentile", Lincei. Altri saggi: “Machiavelli
e Borgia. Storia di un giudizio” (Roma, Ateneo); “Machiavelli” (Napoli,
Morano); “La storia della filosofia” (Bari, Laterza); “La ricerca della dialettica”
(Napoli, Morano); “Lucrezio: progresso e morte” (Bologna, Mulino); “L'illusione
della dialettica” (Roma, Ateneo); “Guicciardini” (Istituto Storico Italiano per
il Medio Evo, Roma); “Essere e negazione, Napoli, Morano); “Machiavelli e gl’antichi”
(Milano, Ricciardi); “Tramonto di un mito: l'idea di progresso” (Bologna, Il
Mulino); Per invigilare me stesso. I Taccuini di lavoro di Croce, Bologna, Il
Mulino); “L'essere e le differenze nel "Sofista” (Bologna, Il Mulino); “Variazioni
sulla storia di una rivista italiana: "La Cultura"; Il Mulino); “Machiavelli,
Bologna, Il Mulino, Comprende: Il pensiero politico, Napoli, IISS, Bologna, Il
Mulino, Premio Viareggio di Saggistica, La storiografia. La fedeltà e
l'esperimento, F. Scarpelli, F.S. Trincia e M. Visentin interrogano Sasso,
Bologna, Il Mulino); Filosofia e idealismo,
Napoli, Bibliopolis, Comprende: Croce, Gentile, Ruggiero, Calogero, Scaravelli,
Paralipomeni, Secondi paralipomeni, Ultimi paralipomeni, Tempo, evento,
divenire” (Bologna, Il Mulino); “Gentile: La potenza e l'atto” (Firenze, La
Nuova Italia); Le due Italie di Gentile, Bologna, Il Mulino); “La verità,
l'opinione, Bologna, Il Mulino, Ernesto De Martino fra religione e filosofia,
Napoli, Bibliopolis); Il guardiano della storiografia. Profilo di Chabod (Bologna,
Il Mulino [Napoli, Guida, del Profilo di F Chabod, Bari, Laterza); Dante. L'imperatore
e Aristotele, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo); Fondamento e
giudizio. Un duplice tramonto?, Napoli, Bibliopolis); Il principio, le cose,
Torino, Aragno, Delio Cantimori.
Filosofia e storiografia, Pisa, Edizioni della Scuola Normale Superiore); “Dante,
Guido e Francesca, Roma, Viella); “Le autobiografie di Dante, Napoli, Bibliopolis,
Discorsi di Palazzo Filomarino, raccolti da M. Herling, premessa di N. Irti,
Napoli, IISS, Il logo, la morte, Napoli, Bibliopolis); “Ulisse e il desiderio.
Il canto XXVI dell'Inferno, Roma, Viella); “La voce dei ricordi, Napoli,
Bibliopolis); “Decadenza” (Roma, Viella); “Machiavelli: I corrotti e gli inetti”
(Milano, Bompiani); “Allegoria e simbolo” (Torino, Aragno); “La lingua, la
Bibbia, la storia. Su "De vulgari eloquentia" (Roma, Viella); Su
Machiavelli. Ultimi scritti, Roma, Carocci, Croce. “Storia d'Italia” Napoli,
Bibliopolis, La 'Storia d'Italia' di
Bendetto Croce. Napoli, Bibliopolis.
"Forti cose a pensar mettere in versi". Studi su Dante, Torino,
Aragno, Purgatorio e Anti-purgatorio. Un'indagine dantesca, Roma, Viella,.
Croce e le letterature, Napoli, Bibliopolis, Biografia e storia. Saggi e
variazioni, Roma, Viella,. Note il
Mulino RivisteLa Cultura, su mulino. Premio letterario Viareggio-Rèpaci, Croce.
Dibattito, Il Cannocchiale, G. Arnaldi, G. Calabrò, A. Jannazzo, G, Sasso, V.
Stella, F. Valentini, M. Visentin. G. Arnaldi, Gennaro Sasso. Uno specialista
di più specialità, in Id., Conoscenza storica e mestiere di storico, il Mulino,
IISS-Napoli, A. Bellocci, Verità e doxa: la questione dello sguardo e della
relazione ne Il logo, la morte; A. Bellocci, Laicismo della verità, della doxa
e tolleranza; Leussein, A. Bellocci, L'impossibilità della differenza e i
paradossi dell'identità; Archivio di filosofia, A. Bellocci, Il problema della
'non' relazione ne Il principio, le cose, Giornale critico della filosofia
italiana, A. Bellocci, La verità, l'opinione. Lo ''specchio'' della verità e
l'eterna opinione metafisica, Filosofia italiana, R. Berutti, Annotazioni critiche sull’essere ovvero
sul non essere essere del discorso che lo concerne. Il problema dell'ontologia,,
Pólemos, M. Capati, Paragone. Letteratura,
M. Cardenas, L'auto-noema. Il giudizio tra attualismo e neo-eleatismo, Filosofia
italiana, C. Cesa, Sasso interprete di
Gentile, Archivio di storia della cultura, A. De Vicentiis, Storiografia e
pensiero politico nelle "Istorie fiorentine" di Machiavelli:
Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, F. Fronterotta,
L'essere e le differenze. In margine al Sofista, Novecento, M. Herling M. Reale,
Storia, filosofia e letteratura. Studi in onore Bibliopolis, Napoli, G. Inglese, Machiavelli: una storia del suo
pensiero politico, Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e
Archivio Muratoriano, Enciclopedia machiavelliana, Istituto della Enciclopedia
Italiana Treccani, Roma, Enciclopedia filosofica (a cura del Centro Studi
Filosofici di Gallarate), Milano, S. Maschietti, Dire l'incontrovertibile.
Intorno all'analisi filosofica, Giornale di filosofia, F. Mignini, Essere e
negazione. Giornale critico della filosofia italiana, Crisi e critica"
dello storicismo. Filosofia e storiografia, Novecento, Filosofia e storia della
filosofia, Filosofia italiana, X N. Parise, Sulla relazione. Critica della
metafisica, L. Passerino Editore, Gaeta. N. Parise, Figure della scissione. A
proposito di Allegoria e simbolo, filosofia,
N. Parise, L’aporia del nulla, Filosofia italiana, G. Perazzoli, Il
concetto di laicità. in G. Perazzoli, Miligi, Laicità e filosofia, Mimesis,
Milano Udine, Pietroforte, Problema del nulla e principio di non contraddizione.
Intorno a "Essere e negazione" Novecento, J. Salina, Neoparmenidismo e teorie della
verità, Filosofia italiana, F. Scarpelli, Nulla, anamnesi, riflessivita (Il Cannocchiale,
F. Tessitore, interprete di Croce, in Id., La ricerca dello storicismo. Mulino,
IISS-Napoli, F. Vander, Critica della
filosofia italiana contemporanea. Dialettica e ontologia: i termini di una
contrapposizione, Marietti, Genova; M. Visentin, Tempo e giudizio. La Cultura,M.
Visentin, Sull'identità e sull'essenza del laicismo italiano. A proposito del "Le
due Italie di Giovanni Gentile", Giornale critico della filosofia italiana,
M. Visentin, Il neo-parmenidismo italiano. Considerazioni intorno alla verità,
l'opinione', in Id., Il neo-parmenidismo italiano. II. Dal neoidealismo al
neoparmenidismo, Bibliopolis, Napoli, M. Visentin, Aletheia e doxa oltre
Parmenide, in Id., Onto-Logica: sull'essere e il senso della verità, Bibliopolis,
Napoi, M. Zanetti, Critiche al divenire. Filosofia italiana, X S. Zurletti, Lo
specchio di Perseo, Chaos Kosmos, Vico e il simbolo», «Atti dell’Accademia
Nazionale dei Lincei. Memorie della Classe di Scienze morali, storiche e
filologiche», costituzione mista, Benedetto Croce, Dante, Discorsi sopra la
prima deca di Tito Livio, eternità del mondo,
Sanctis, Lucrezio in Machiavelli, in Enciclopedia machiavelliana, G.
Sasso, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma Dalla concordia
discors alla polemica: filosofia e psicologia di una vicenda, Ripensando la
Storia d'Europa, Ripensando la Storia d'Italia, in Croce e Gentile, la cultura
italiana e europea, M. Ciliberto.Gennaro Sasso. Sasso. Keywords: Potenza ed
atto in Gentile – Lucrezio in Macchiavelli, simbolo ed allegoria in Vico, la scuola
di Velia, veliati, veliani, parmenide, scuola di Crotone. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Sasso” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734778984
Grice e Sava – filosofia italiana (Belpasso). Filosofo.
Enciclopedia Popolare Italiana. Saggi:“Sui pregi”, “Doveri dei medici”, A.
Prezzavento. Roberto Sava. Sava. Keywords. Refs.: dovere, i doveri – pregi. Luigi
Speranza, “Grice e Sava” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Scala – filosofia italiana – filosofia
siciliana (Noto). Filosofo. Membro di la commissione creata da
Gregorio XIII per la riforma del calendario. Insegna a Padova. Saggi: “L'Efemeridi
di Gioseppe Scala Siciliano, per anni dodici, le quali cominciano dall'anno di
Christo nostro Sig. & finiscono nel
fine di dicembre dell'anno. Alle quali sono aggiunti i canoni, ò introduttioni
dell'efemeridi, ridotto all'uso delle presenti efemeridi (Venezia, Giunti); Ephemerides
Iosephi Scalae Siculi Noetini ad annos duodecim, incipientes ab anno Domini. Vnà
cum introductionibus ephemeridum ab eodem d. Iosepho Scala, ad vsum suarum,
restitutis” (Venezia, Giunta). Col suo nome è oggi chiamato il Gruppo Astrofili
di Noto Santi Correnti, Quello che la
Sicilia ha dato all'Italia. Biografia degli uomini illustri di Sicilia ornata
de' loro rispettivi ritratti, Napoli, Corrado Spataro, L'astronomo netino e la
nuova scienza. Calendario gregoriano. Giuseppe Scala. Scala. Keywords:
calendario gregoriano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scala” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690487407/in/photolist-2mPC6Zb-2mLNXjb-2mLP9qE-2mKHg38-2mKCewV-FKiWA6-FcebeC-E58e4H-2mKR9Cp-FjcgRv-G8Exy4-D41J73-CkaHMd-Ck9fTK-CdDizG-CdAEaL-CfWKjF-yPkGGd-2dxgYk4-o8VGVi
Grice e Scalea – filosofia italiana (Morano Calabro). Filosofo. Figlio del
principe di Scalea, marchese di Misuraca e barone di Morano, dal quale eredita
i titoli, e di Anna Beatrice Carafa, dei principi di Belvedere. Studia sotto Caloprese. Divulga il razionalismo, difende alcuni
colleghi, anche loro seguaci di Cartesio, ed ha un'accesa polemica con Doria
sullo spinozismo. Saggi: “Della filosofia degl’antichi” (Mosca, Napoli); “De
origine mali”; “De bono” Dizionario di filosofia, riferimenti in A. Mirto, Calabria
letteraria, F. Lomonaco, Vita, e studj scritta da lui medesimo in una Lettera,
Il Melangolo, Genova. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Maria Spinelli, principe di Scalea,
Scalea. Keywords: bonum, ‘il bono’ the good, filosofia degl’antichi, vico,
doria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scalea” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691436373/in/photolist-2mKN88B
Grice e Scalfari – l’implicatura di Teseo – Roma
fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Civitavecchia). Filosofo. Considerato,
anche dai suoi avversari, uno dei più grandi filosofi italiani. Professorecontribuì,
con altri, a fondare il settimanale l'Espresso ed è fondatore del quotidiano la
Repubblica. I campi principali dell'analisi di Scalfari sono l'economia e la politica.
La sua ispirazione politica è socialista liberale, azionista e radicale. Punti
forti dei suoi articoli recenti sono la laicità, la questione morale, la
filosofia. Frequenta il Liceo Mamiani di Roma -- è a Sanremo (dove la
famiglia, di origini calabresi, si era trasferita temporaneamente, essendo il
padre direttore artistico del Casinò) che completa gli studi liceali, al liceo
classico Cassini, avendo come compagno di banco I. Calvino. Sentimentalmente
legato a S. Rossetti, già segretaria di redazione de L'Espresso (e poi di
Repubblica), che sposerà dopo la scomparsa della moglie Simonetta. -- è
ateo. Tra le suoi esperienze c'è “Roma Fascista” -- organo del Gruppo
Universitario Fascista. Collabora con riviste e periodici legati al fascismo,
come “Nuovo Occidente”. Nominato caporedattore di “Roma Fascista”, pubblica una
serie di corsivi sulla prima pagina in cui lancia generiche accuse verso
speculazioni da parte di gerarchi del Partito Nazionale Fascista sulla
costruzione dell'EUR. Questi saggi portarono alla sua espulsione dai GUF. Di
fronte al gerarca, intenzionato a perseguire gli speculatori, aveva ammesso
come i suoi corsivi fossero basati su voci generiche. Si l’accusa poi di essere
un imboscato, e lo prese materialmente per il ero strappandogli le mostrine
dalla divisa del partito. Dopo la fine della seconda guerra mondiale entra
in contatto con il Partito Liberale Italiano. Diventa collaboratore a Il Mondo
e L'Europeo, di M. Pannunzio e A. Benedetti. Licenziato dalla BNL per una serie
di articoli sulla Federconsorzi non graditi alla direzione. Partecipa
all'atto di fondazione del Partito Radicale. Nello stesso anno nasce il
settimanale L'Espresso: è direttore amministrativo e scrive articoli di
economia. Somma la carica di direttore responsabile de L'Espresso a
quella di direttore amministrativo. Il settimanale arriva in cinque anni a
superare il milione di copie vendute. Il successo giornalistico si fuse con il
piglio imprenditoriale, dato che
continuò a gestire anche la parte organizzativa e amministrativa. Pubblica
insieme l'inchiesta sul SIFAR che fa
conoscere il tentativo di colpo di stato chiamato piano Solo. Lorenzo li
querela e i due giornalisti vengono condannati rispettivamente a 15 e a 14 mesi
di reclusione, malgrado la richiesta di assoluzione fatta da V. Occorsio, che
era riuscito a leggere gli incartamenti integrali prima che il governo ponesse
il segreto di Stato. Lui e Jannuzzi evitano il carcere grazie all'immunità
parlamentare loro offerta dal Partito Socialista Italiano: alle elezioni
politiche viene eletto deputato, come indipendente, nelle liste del PSI,
segreteria Mancini, mentre Jannuzzi diviene senatore. Eletto sia nella
circoscrizione di Torino che in quella di Milano, opta per la seconda e
aderisce al gruppo del PSI. Resta deputato. Dopo la candidatura al Parlamento,
aveva lasciato la direzione de L'Espresso. Sottoscrive la lettera aperta a
L'Espresso contro il commissario Luigi Calabresi. Nel, dopo 45 anni, ammette
che "quella firma era stata un errore". In quegli anni critica
accanitamente le manovre di Eugenio Cefis, prima presidente dell'ENI e poi di
Montedison, appoggiando spesso chi gli si opponeva; tra questi vi fu Sindona
nel suo scontro con Mediobanca per il controllo di Bastogi. Soprattutto contro
Cefis è indirizzato il celebre libro-inchiesta pubblicato da Scalfari e da
Giuseppe Turani, Razza padrona. Fondazione e direzione de la Repubblica.
Dopo aver già tentato inutilmente di varare un quotidiano insieme a I.
Montanelli, che aveva respinto la proposta definendola piuttosto azzardata,
fonda il quotidiano la Repubblica, che debutta nelle edicole il 14 gennaio di
quell'anno. L'operazione, attuata con il Gruppo L'Espresso e la Arnoldo Mondadori
Editore, apre una nuova pagina del giornalismo italiano. Il quotidiano romano,
sotto la sua direzione, compie in pochissimi anni una scalata imponente,
diventando per lungo tempo il principale giornale italiano per tiratura.
L'assetto proprietario registra negli anni ottanta consolidamenti della
posizione dello stesso Scalfari e l'ingresso di Carlo De Benedetti, nonché un
vano tentativo di acquisizione da parte di Berlusconi in occasione della
scalata del titolo Arnoldo Mondadori Editore, finito con il lodo Mondadori,
resosi necessario a causa del fatto che (come accertato dalla magistratura in
seguito) Silvio Berlusconi, a capo della Fininvest, aveva corrotto uno dei tre
giudici per averelusione, malgrado la richiesta di assoluzione fatta da V. Occorsio,
che era riuscito a leggere gli incartamenti integrali prima che il governo
ponesse il segreto di Stato. Scalfari e Jannuzzi evitano il carcere
grazie all'immunità parlamentare loro offerta dal Partito Socialista Italiano:
alle elezioni politiche del 1968 Scalfari viene eletto deputato, come
indipendente, nelle liste del PSI, segreteria Mancini, mentre Jannuzzi diviene
senatore. Stato eletto sia nella circoscrizione di Torino che in quella di
Milano, opta per la seconda e aderisce al gruppo del PSI. Resta deputato. Dopo
la candidatura al Parlamento, aveva lasciato la direzione de L'Espresso. Sottoscrive
la lettera aperta a L'Espresso contro il commissario Luigi Calabresi. Nel, dopo
45 anni, ammette che "quella firma era stata un errore". In
quegli anni critica accanitamente le manovre di Eugenio Cefis, prima presidente
dell'ENI e poi di Montedison, appoggiando spesso chi gli si opponeva; tra
questi vi fu Sindona nel suo scontro con Mediobanca per il controllo di
Bastogi. Soprattutto contro Cefis è indirizzato il celebre libro-inchiesta
pubblicato da Scalfari e da Giuseppe Turani, “Razza padrona”. Fondazione e
direzione de la Repubblica. Dopo aver già tentato (inutilmente) di varare un
quotidiano insieme a Indro Montanelli, che aveva respinto la proposta
definendola piuttosto azzardata, Scalfari fonda il quotidiano la Repubblica,
che debutta nelle edicole. L'operazione, attuata con il Gruppo L'Espresso e la
Arnoldo Mondadori apre una nuova pagina
del giornalismo italiano. Il quotidiano romano, sotto la sua direzione, compie
in pochissimi anni una scalata imponente, diventando per lungo tempo il
principale giornale italiano per tiratura. L'assetto proprietario
registra negli anni ottanta consolidamenti della posizione dello stesso
Scalfari e l'ingresso di Carlo De Benedetti, nonché un vano tentativo di
acquisizione da parte di Berlusconi in occasione della "scalata" del
titolo Arnoldo Mondadori Editore, finito con il "lodo Mondadori",
resosi necessario a causa del fatto che (come accertato dalla magistratura in
seguito) Silvio Berlusconi, a capo della Fininvest, aveva corrotto uno dei tre
giudici per avereun pronunciamento favorevole nella disputa con De Benedetti
per il controllo della Mondadori: tale accordo fu fortemente voluto da G.
Andreotti, grazie all'intermediazione di Giuseppe Ciarrapico. Sotto la guida di
Scalfari, "Repubblica" apre il filone investigativo sul caso Enimont,
che dopo due anni verrà in buona parte confermato dall'inchiesta di "Mani
pulite". Contro Craxi, a differenza che con Spadolini e con De Mita,
Scalfari s'era speso sin dall'inizio del decennio precedente, considerandolo
l'archetipo della questione morale contro cui si scagliava l'anima della
sinistra rappresentata da Berlinguer. Di questi invece elogiò lo
"strappo" con l'Unione Sovietica in occasione del golpe polacco, pur
restando essenzialmente estraneo alla tradizione comunista e rimanendo su
posizioni legate all'intellettualità laica e alla tecnocrazia. In tal senso
vanno lette alcune sue importanti iniziative, tutte sostenute per il tramite di
"Repubblica": sponsorizza il "governo del Presidente",
candidandovi il governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, già
negli anni ottanta; indica al presidente Scalfaro il commissario PSI a Milano
Giuliano Amato come viatico per la sua scelta a premier. Apprezza G. Rossi come
commissario delle aziende travolte nel turbine di Tangentopoli. incomincia,
dapprima in solitaria, la sua ventennale battaglia contro Silvio Berlusconi.
Sconfitto Vittorio Sgarbi, è il primo a percepire e ad avvertire il pubblico
circa la potenziale pericolosità di Beppe Grillo -- è il primo a preconizzare una possibile,
futura alleanza fra Matteo Renzi e Matteo Salvini. Ritiro dalla direzione
de la Repubblica Scalfari, padre del quotidiano la Repubblica e della sua
ascesa editoriale e politico-culturale, abbandona il ruolo di direttore, dopo
che già da tempo aveva ceduto, insieme a Caracciolo, la proprietà a Carlo De Benedetti;
gli subentra Ezio Mauro. Non scompare dalla testata del giornale, poiché
continua a svolgere il ruolo di editorialista dell'edizione domenicale. I suoi
editoriali sono entrati oramai nella consuetudine del giornale, tanto da essere
soprannominatianche per la loro lunghezza"la messa cantata della
domenica" Cura altresì una rubrica su L'Espresso (Il vetro soffiato).
Venerdì di Repubblica annuncia di voler abbandonare dopo l'estate la sua
storica rubrica Scalfari risponde, ringraziando i lettori per l'affetto
ricevuto e gli stimoli da loro pervenuti per le sue riflessioni. Gli subentra
Michele Serra. Su RaiSat Extra è andato in onda per qualche tempo, ogni
giovedì, un programma dal titolo La Scalfittura, in cui Scalfari teneva
colloqui politici. Le sue "interviste" con Francesco hanno causato
per due volte la smentita da parte della sala stampa vaticana in relazione alle
parole attribuite da al Pontefice. Scalfari ha ribattuto di aver scritto
virgolettati "come se fossero usciti dalla bocca del Papa", senza
aver preso appunti o registrato durante i colloqui, sostenendo che quello era
stato il suo metodo di lavoro per quasi cinquant'anni. il Vaticano ha smentito
un’altra intervista di Eugenio Scalfari a papa Francesco, a seguito della
pubblicazione di un suo articolo su Repubblica, negando che Francesco l’avesse
rilasciato un’intervista sostenendo che il contenuto dell’articolo fosse il
frutto di una sua ricostruzione. Ciononostante, Francesco continua
periodicamente a concederegli interviste esclusive. Riceve varie onorificenze.
Premio Trento per "Una vita dedicata al giornalismo", il "Premio
Ischia" alla carriera, il Premio Guidarello al giornalismo d'autore e, di
recente, il Premio Saint-Vincent -- è stato nominato Cavaliere di gran croce
dal presidente della Repubblica Oscar
Luigi Scalfaro mentre ha ricevuto una
delle più prestigiose onorificenze della Repubblica francese diventando
Cavaliere della Legione d'onore (successivamente è stato promosso ufficiale). Premio
Viareggio. Saggi: ” Petrolio in gabbia” (Bari, Laterza), “I padroni della città”
(Bari, Laterza); “Le baronie elettriche” (Bari, Laterza); “Rapporto sul
capitalismo in Italia, Bari, Laterza, Il potere economico in URSS, Bari, Laterza);
“Storia segreta dell'industria elettrica, Bari, Laterza); “L'autunno della
Repubblica. La mappa del potere in Italia, Milano, Etas Kompass, Il caso Mattei. Un corsaro al servizio della
repubblica, Bologna, Cappelli, Razza padrona. Storia della borghesia di Stato, Milano,
Feltrinelli, Interviste ai potenti, Milano, Arnoldo Mondadori, Come andremo a
incominciare?, Milano, Rizzoli, L'anno di Craxi (o di Berlinguer?), Milano,
Mondadori, La sera andavamo in Via Veneto. Storia di un gruppo dal «Mondo» alla
«Repubblica», Milano, Arnoldo Mondadori Collana Super ET, Torino, Einaudi, Incontro
con Io, Milano, Rizzoli, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi,, Denis Diderot,
Il sogno di d'Alembert seguito da Il sogno di una rosa, Collana La memoria,
Palermo, Sellerio); “Alla ricerca della morale perduta, Milano, Rizzoli, Collana
ET Scrittori, Torino, Einaudi); “Il labirinto, Milano, Rizzoli, Collana
Supercoralli, Torino, Einaudi); “L’Illuminismo” a cura di, Roma, Laterza, La
ruga sulla fronte, Milano, Rizzoli, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, Roma, la Repubblica, Dibattito sul laicismo, Roma, La Biblioteca di
Repubblica, L'uomo che non credeva in
Dio, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, Per l'alto mare aperto. La
modernità e il pensiero danzante, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, Scuote
l'anima mia Eros, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi,,Enrico Berlinguer, La
questione morale. La storica intervista, Reggio Emilia, Aliberti,.ed. ampliata,
Prefazione di Luca Telese, Aliberti,. Vito Mancuso-E. Scalfari, Conversazioni
con Carlo Maria Martini, Collana Campo dei fiori, Roma, Fazi, La passione
dell'etica. Angelo Cannatà, Collezione I Meridiani, Milano, Mondadori, Francesco-E.
Scalfari, Dialogo tra credenti e non credenti” (Torino, Einaudi); L'amore, la
sfida, il destino. Il tavolo dove si gioca il senso della vita, Collana
Supercoralli, Torino, Einaudi,, Racconto autobigrafico, Collana Passaggi,
Torino, Einaudi, L'allegria, il pianto, la vita, Collana Supercoralli, Torino,
Einaudi, L'ora del blu, Torino Einaudi, Il Dio unico e la società moderna.
Incontri con Francesco e Martini, Torino, Einaudi, liberoquotidiano, libero
quotidiano news commenti-e-opinioni Vittorio feltri ritratto fuoriclasse_re giornalisti
diversi.html. ilfoglio, il foglio uffa news benvenuti al-grand-hotel-scalfari-splendida-vista
sul secolo-di-carta- la7,
la7/dimartedi/video/da-montanelli-e-scalfari-ho-imparato-che-bisogna-scrivere-per-farsi-capire-marco-travaglio
Angelo Cannatà, Eugenio Scalfari e il suo tempo, Mimesis,, diviso in quattro
capitoli: la Politica, l'Arte, la Religione, la Filosofia. Scheda sul
storico della Camera dei deputati, su storia.camera. Sull'amicizia tra
Scalfari e Calvino leggiamo. Caro Eugenio, le tue lettere sono come manate
sulla schiena e io ne ho bisogno di manate sulla schiena, specie di questi
tempi. Mi viene l'acquolina in bocca pensando alle ghiotte discussioni che
faremo quando ci ritroveremo insieme", cfr. Angelo Cannatà "Eugenio
Scalfari e il suo tempo", Mimesis, P. Guzzanti, Guzzanti vs De Benedetti. Faccia
a faccia fra un gran editore e un giornalista scomodo, Aliberti. Cfr. Corriere
della Sera, La Repubblica: Mirella
Serri, I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte, Milano, Corbaccio, “Ero
fascista e felice”, intervista, Il Foglio, pasqualericcio. Nel corso
dell'inchiesta riferisce di un colloquio avuto conAurigo. Mi disse che gli
ordini (le disposizioni relative al 'Piano Solo') contemplavano anche l'ipotesi
di una eventuale resistenza da parte del prefetto (gli ordini dicevano che
bisognava mettere il prefetto, qualora avesse resistito a questa iniziativa dei
carabinieri, in condizioni di non nuocere". Fonte: A. Cannatà, Mimesis,
Calabresi e quella firma, su repubblica. F. Tamburini, Un siciliano a Milano,
Longanesi, da ultimo citato da F. Bortoli su corriere della sera attacchi corriere
F. Recanatesi, La mattina andavamo in piazza Indipendenza, Milano, Cairo, e Al. Mazzuca, Penne al vetriolo, Bologna,
Minerva, Nei cui confronti C.Caracciolo
e C. Benedetti dicono che ebbe un innamoramento, in seguito non più condiviso
dallo stesso editore della Repubblica che ormai non lo considerava "un
grande politico": intervista alla Stampa. Scrive Scalfari: Gelli è
Belfagor, il messaggero del diavolo; ma il diavolo, cioè Belzebù, chi è? Belzebù
è, in una certa misura, lo stesso partito socialista, elemento importante di
quel quadro politico e di quella inamovibilità". A.Cannatà, Mimesis, Caro
Craxi tu lo sai chi è Belzebù, Repubblica le invasioni barbariche Voto Renzi perché
l'avversario è Grillo, youtube.com, youtube Rep, su rep.repubblica. E. Mauro dal pulpito di Repubblica officia la
democrazia e aspira a diventare papa, Panorama. "Le interviste vanno
comunque reinterpretate", su youtube.com.
ll Vaticano ha smentito un’altra intervista di Eugenio Scalfari a papa
Francesco, sIl Vaticano smentisce Eugenio Scalfari che fa dire al Papa che
l'inferno non esiste, su ilmessaggero. 31 marzo
(archiviato il 31 marzo ). Rep,
su rep.repubblica. 1º marzo. Premio
Viareggio, su repubblica Dettaglio Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.,
Quirinale: C. Mauri, Il cittadino, Milano,
SugarCo, G. Perna, una vita per il potere, Milano, Leonardo, Angelo Cannatà,
Eugenio Scalfari e il suo tempo, Milano-Udine, Mimesis, F. Bucci, L'intellettuale dilettante, Roma, Dante
Alighieri, Giampaolo Pansa, La Repubblica di Barbapapà, Milano, Rcs Libri, G. Valentini, La Repubblica tradita, Roma, PaperFirst,
F. Recanatesi, La mattina andavamo in piazza Indipendenza, Milano, Cairo
Editore, A. Mazzuca, Penne al vetriolo. I grandi giornalisti raccontano la
Prima Repubblica, Bologna, Minerva, La Repubblica Treccani Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. L'Espresso. Eugenio Scalfari.
Scalfari. Keywords: l’implicatura di Teseo, il labirinto. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Scalfari” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734747384/in/datetaken/
Grice e Scarano
– l’implicatura di scenofilace – filosofia italiana (Brindisi). Filosofo. Studia
a Bologna, Padova e a Venezia. Fonda l’Accademia Veneziana. Scrive il saggio “Scenophylax”
(Venezia), nel quale tratta della convenienza di restituire alla tragedia e
alla commedia la lingua del Lazio. P. Camassa, Brindisini illustri, Brindisi, A.
Sordo, Ritratti brindisini. Scarano. Keywords: scenofilace – il tragico – il
comico – scenofilace, custode, sacristano, custode dei vasi -- siria. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Scarano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734956415/in/datetaken/
Grice e Scaravelli – tra critica e metafisica –
filosofia italiana (Firenze). Filosofo.
Si laurea a Pissa sotto Carlini. Insegna a Roma, e Firenze. Muore suicida. Profondo
conoscitore di Kant, approfondisce nei suoi studi pubblicati con molta
riluttanza e quasi solo per esigenze concorsuali in particolare i temi relativi
ai rapporti tra la filosofia kantiana e la fisica, i problemi relativi alla
Critica del Giudizio ed anche i temi dell'idealismo. Biblioteca personale, Villa Mirafiori. Saggi:
“Critica del capire”, Firenze, Sansoni, Saggio sulla categoria kantiana della
realta, Firenze, Le Monnier, La prima meditazione di Cartesio (Firenze, La
Nuova Italia); “La critica del giudizio” (Pisa, Scuola Normale Superiore); M. Corsi,
“Critica del capire”; “L'analitica trascendentale” (Firenze, La nuova Italia);
“La Biblioteca”; “L' attualità E. Mirri, Napoli, Sientifiche); M. Visentin, “Le
categorie e la realtà” (Firenze, Le lettere); G. Sasso, “L’idealismo” (Napoli, Bibliopolis);
“La storia come metodo, Convegno a Roma); “Il problema del giudizio storico); “Soveria
Mannelli, Rubbettino, pensatore europeo, M. Biscuso e G. Gembillo, Messina,
Siciliano, G. Sasso, il giudizio, in
Filosofia e idealismo. Paralipomeni, Napoli, Bibliopolis, S. Palermo, Tra critica e metafisica. Lettore
di Kant, Pisa, ETS, Treccani Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M. Biscuso,
La completa dei suoi scritti, su
giornale di filosofia.net. Luigi Scaravelli. Scaravelli. Keywords: paralipomena,
la storia della filosofia di Scaravelli, criticismo, critica del capire,
giudizio storico, storia cme metodo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Scaravelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701205587/in/photolist-2mLEcGW-2mLEcbk-2mLKJ9d
Grice e Scarpelli – filosofia fascista – Gentile e il
fascismo giuridico – Soleri -- il
tropico, il clistico, il neustico, ed il frastico – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Vicenza). Filosofo.
Studioso di analisi del linguaggio. Uno dei massimi esponenti della filosofia
analitica, insegnando in varie università italiane anche Teoria generale del
diritto, dottrine dello Stato, Filosofia morale e Filosofia della politica ed
occupandosi costantemente, per l'intera vita, di problemi di etica e politica. La
sua filosofia può essere raccolto attorno a due grandi temi: la semiotica del
linguaggio prescrittivo e il metodo. Contribuisce in misura fondamentale alla
cosiddetta svolta prescrittivistica in campo semiotico ed è fautore di una
giustificazione etico-politica del positivismo giuridico. Oltre ad approfondire
lo studio del metodo del ragionamento morale, si impegna attivamente in
relazione a questioni di etica e bioetica quali per esempio l'aborto e
l'eutanasia. Compiute inoltre studi sulla democrazia e i concetti di libertà
politica e di partecipazione politica. Da una famiglia pugliese
trasferitasi poi in Lucchesia, figlio di un magistrate, frequenta il liceo.
Studia a Torino. La sua formazione è all'insegna dell’idealismo dominante in
Italia e fondata, tra gli altri, su Croce e Gentile. Durante gli anni
universitari, desta il suo interesse Allara,della scuola civilistica torinese,
e la filosofia del diritto. Segue le lezioni del corso di Filosofia del diritto
di Bobbio. Si laurea sotto Solari con “Il concetto di persona”. Già in questo
lavorolo ricorda Bobbio, molti anni più tardi, nel ritratto dell'allievo rivela
un orientamento critico verso le versioni organicistiche della filosofia al
tempo in auge. Risale a questo anno la pubblicazione nella Rivista del
diritto commerciale di un saggio intitolato “Scienza giuridica e analisi del
linguaggio”. In questo saggio precorre il celebre saggio di Bobbio che porta lo
stesso titolo e che è considerato il manifesto della scuola analitica italiana.
Prende le distanze dalle correnti filosofiche idealistiche, organicistiche ed
attualistiche accreditate sul continente per accostarsi al positivismo logico
e, più in generale, alla filosofia analitica e agli studi di semiotica. È tra i
primi a proporne una applicazione in campo giuridico e ad evidenziare la
rilevanza della analisi del linguaggio per la teoria e la dogmatica giuridica.
Assistente di Bobbio; in seguito, collabora con Bobbio in seminari, “La
giustizia nel materialismo storico” e “L’interpretazione giuridica”. La
giustizia e il marxismo sono temi a cui dedica il saggio intitolato “Esistenzialismo
e marxismo” (Taylor, Torino) il quale reca come sottotitolo “sulla giustizia”.
Sostene che la filosofia e mondana, legata esclusivamente a ciò che gli uomini
sono e fanno al mondo. La scelta e l’impegno sono la basi della esistenza di
ciascun uomo. Insegna a Milano un seminario, “La dottrina dello stato italiano”,
al fianco di Treves. Si dedica al “Contributo alla semantica del linguaggio normativo”
(Accademia delle Scienze, Torino). Insegna a Perugia, Pavia, Torino. Sviluppa
“La teoria generale del diritto”, dettagliata fino alla scansione dei
paragrafi. Tra i saggi, “La mia meta-etica e la mia esperienza etica” dove
ricercar la razionalità interna dell'etica e quella della sua fondazione. Ricopre
numerose cariche in istituzioni dedite alla ricerca e partecipa a numerosi
convegni, incontri di studio e simposi di rilievo nazionale ed internazionale. Membro
del Centro di studi metodologici di Torino e socio corrispondente
dell'Accademia delle scienze di Torino e socio dell'Istituto Lombardo
Accademia delle scienze e delle lettere. Direttore dell'Istituto per la Scienza
per la amministrazione pubblica. Ha fatto parte dei consigli direttivi della
Rivista internazionale di filosofia del diritto e di Sociologia del diritto. Entra
a far parte del comitato di redazione della Rivista di filosofia di cui cura
numeri monografici dedicati al concetto di libertà, alla logica deontica e alla
bioetica. È stato condirettore della collana Diritto e cultura moderna e
direttore della collana Luoghi critici per le edizioni di Comunità. Presidente
della Società italiana di filosofia giuridica e politica è stato vicepresidente
del Comitato nazionale di bioetica ed è stato nominato presidente onorario
della Società italiana di filosofia analitica. Contribuisce alla nascita,
dovuta all'iniziativa soprattutto di Geymonat, del Centro Studi metodologici di
Torino. In qualità di affiliato, riceve il compito di fare una relazione sulla
Enciclopedia delle scienze unificate; lavoro a cui fanno seguito negli anni
Cinquanta alcuni contributi sulla analisi del linguaggio così come concepita
dal movimento del positivismo logico. In questi anni Scarpelli si avvicina
sempre di più alla filosofia anglosassone e in particolare agli studi oxoniensi
sul linguaggio della morale e della politica, partecipando anche ad incontri di
studio ad Oxford. Seguendo inizialmente le ricerche di Morris, è fra i
protagonisti della cosiddetta svolta linguistica della filosofia italiana. Studia
Hare. A Hare dedica alcuni lavori; sono da ricordare anzitutto le note, che in
realtà sono ampi saggi di analisi del linguaggio normativo e contributi di
meta-etica, ai due saggi di Hare. Intraprende un vivace dibattito sul concetto
di libertà politica che porta alla stesura di vari lavori; tra essi, si può
ricordare anzitutto il saggio dal titolo Libertà come fatto e come valore ed il volume La libertà politica. Si
devono a Scarpelli i primi studi in Italia sulla analisi del linguaggio
giuridico in cui v'è una sistematica applicazione degli strumenti della
semiotica ai suoi tre livelli: la sintattica (lo studio dei rapporti tra i
segni), la semantica (lo studio dei rapporti tra i segni e i significati), la
pragmatica (lo studio dei rapporti tra i segni e i loro utenti). Tutta la
speculazione e la produzione scientifica di Scarpelli è basata sulla tesi della
grande distinzione tra linguaggio descrittivo e linguaggio prescrittivo; ma
negli anni si evolve progressivamente il livello a cui è individuato il tratto
differenziale tra l'uno e l'altro, individuato dapprima sul piano pragmatico e
poi sul piano semantico. L'esposizione compiuta del pensiero scarpelliano sulla
significanza del linguaggio prescrittivo si ha nell'opera del Semantica, morale
e diritto, trasfusa nella voce Semantica giuridica dello stesso anno. L'idea
che il linguaggio prescrittivo (le norme, i comandi, gli ordini, le preghiere,
ecc.) abbiano significato trae origine dalla distinzione tra il principio di
significanza e il principio di verificazione. Alcuni spunti in tal senso sono
rintracciabili già nel Contributo alla semantica del linguaggio normativo il
cui nucleo concettuale ancora vicino al positivismo logico sta nell'intuizione
che gli enunciati normativi, quantunque non possano essere verificati o
falsificati, debbano nondimeno riferirsi alla realtà. Questa idea è alla base
anche del libro Cos'è il positivismo giuridico in cui propone una
giustificazione etico-politica del positivismo giuridico, criticando sia la
versione bobbiana del positivismo giuridico come approach sia la versione
proposta da Hart. Altri saggi: R. Guastini, Variazioni su temi , Con
un'appendice bibliografica, in «Materiali per una storia della cultura giuridica
italiana», Nota Bibliografica, in Filosofia analitica Donatelli e L. Floridi,
Lithos, Roma), con anche l'indicazione delle note sul “Monitore dei Tribunali”
e dei saggi comparsi su alcuni giornali, quotidiani e periodici: “L'Opinione”,
“Panorama”, “Il Sole 24 Ore”, “Il Mondo economico”); M. Jori, i«Rivista idi
filosofia del diritto», N. Bobbio, La mia Italia, Polito, Passigli, Firenze, Semantica del linguaggio normativo, in Filosofia
del diritto (Lucia), Cortina, Milana. Altri saggi: “Filosofia analitica e
giurisprudenza” (Istituto Cisalpino, Milano); “Il problema della definizione e
il concetto di diritto” (Istituto Cisalpino, Milano); “Filosofia analitica,
norme e valori” (Comunità, Milano); “Validità, legittimità, effettività del
diritto, e positivismo giuridico” (Cluep, Perugia); “Cos'è il positivismo
giuridico” (Comunità, Milano); “Diritto e analisi del linguaggio” (Comunità,
Milano); “Letture filosofiche e politiche. Introduzione agli studi politici” (Cisalpino-Goliardica,
Milano); “Linguaggio e legge naturale. Il tempo e la pena” (Giuffrè, Milano); “L'etica
senza verità” (Mulino, Bologna); “La teoria generale del diritto. Problemi e
tendenze attuali. Studi dedicati a
Bobbio” (Comunità, Milano); “Il linguaggio del diritto” (Led, Milano); “Bioetica
Laica” (Mori, Milano); “Scienza del diritto e analisi del linguaggio” (“Rivista
del diritto commerciale”); “Giurisprudenza italiana”; “L'Unità della scienza”; Rivista
di filosofia, Il giudice e la legge, Occidente; “Il potere giurisdizionale
nello stato e in particolare nella costituzione italiana”; “Liberalismo e
democrazia nella Costituzione italiana”; “Occidente. Rivista di studi politici”;
“Elementi di analisi della proposizione giuridica”. Jus, Congresso di studi
metodologici promosso dal Centro di Studi metodologici, Ramella, Torino); “Diritto
naturale vigente” Occidente. Rivista di studi politici, “Alcuni problemi della
teoria analitica del valore” Rivista di filosofia); “Linguaggio valutativo e prescrittivo”
(Jus); “La Filosofia di Gentile” (Ramella, Torino); Responsabilità del
magistrato, Occidente. Rivista di studi politici); “Behaviourism, positivismo
logico e fascismo” (Rivista di cultura e di politica); “Il grande cambiamento”,
Rivista di cultura e di politica, Etica e linguaggio, Rivista di filosofia, “Società
e natura” (Rivista idi filosofia del diritto); “Il concetto di SEGNO” (Rivista
di filosofia); “L’analisi del linguaggio, Rivista di filosofia, La natura della
metodologia giuridica, Rivista di filosofia del diritto (incluso anche in
Filosofia e scienza del diritto. Atti del II Congresso nazionale di filosofia
del diritto (Giuffrè, Milano), La «Filosofia del diritto» di Widar Cesarini
Sforza, Rivista di diritto civile, I compiti della filosofia del diritto, in La
ricerca filosofica nella coscienza delle nuove generazioni, Carlo Arata e
altri, Il Mulino, Bologna, I fondamenti e il metodo della analisi del linguaggio,
in Il pensiero contemporaneo. Filosofia, epistemologia, logica, Rossi-Landi,
Comunità, Milano, Retribuzione (Enciclopedia Filosofica, Sansoni, Firenze); La definizione nel diritto, Jus); “Imperativi
e asserzioni (Grice: “Or is it indicatives and imperatives?”) Rivista di
filosofia, La libertà, la democrazia e il magistrato, Monitore dei Tribunali, Relazione, in Dibattito bolognese sui valori,
Edizioni di Filosofia, Torino, Libertà,
ragione e giustizia, Rivista di filosofia, Marxismo, sociologia
neopositivistica e lotta delle classi, Quaderni di Sociologia, Il permesso, il
dovere e la completezza degli ordinamenti normativi (a proposito di un libro di
Amedeo G. Conte), Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, La
dimensione normativa della libertà, Rivista di filosofia, 1Positivismo logico e
società contemporanea, Rivista di filosofia, Libertà come fatto e come valore, Rivista di
filosofia, Illuminismo e legislazione, La Magistratura, La proposizione giuridica
come precetto re-iterato, Rivista di filosofia del diritto, Quaderni della
Rivista “Il politico”; Il positivismo giuridico (Pavia), Milano, Giuffrè, L'educazione
del giurista, Rivista di diritto processuale, Semantica giuridica, voce del
Novissimo digesto italiano, POMBA, Torino (Semantica, morale e diritto,
Giappichelli, Torino); Problemi e idee circa l'insegnamento del diritto; Gruppo
di lavoro per il diritto G. Pugliese, in Le scienze dell'uomo e la riforma universitaria,
Laterza, Bari, I magistrati e le tre
democrazie, Rivista di diritto processuale, Le argomentazioni dei giudici:
prospettive di analisi, Il Foro italiano, suppl. ai Quaderni. La formazione
extralegislativa del diritto nell'esperienza italiana. Atti delle giornate di
studio di Ancona, “Moore in Italia,” (cf. Luigi Speranza, “Grice in Italia”), Rivista
di filosofia, La grande divisione e la
filosofia della politica, introduzione a F. Oppenheim, Etica e filosofia politica,
Il Mulino, Bologna, Il metodo giuridico,
Rivista di diritto processuale (riedito
come voce della Enciclopedia Feltrinelli-Fisher. Diritto, Crifò, Feltrinelli,
Milano); Dovere morale, obbligo giuridico, impegno politico, Rivista di filosofia,
Studi sassaresi, Giuffrè, Milano); Impegno politico e conoscenza sociologica,
Quaderni di Sociologia, Il diritto nella società industriale: una strategia di
accostamento, Rivista di diritto processuale; Il diritto della società
industriale. Obbligazione politica e libertà di coscienza. Convegno, Società
italiana di Filosofia giuridica e politica (Pergia), Giuffrè, Milano, Dizionario
di filosofia, Mondadori, Milano, La facoltà di scienze politiche di Milano e il
potere negativo, Politica del diritto, Autonomia e diritto di resistenza, Studi
sassaresi, Giuffrè, Milano, Insegnamento del diritto, filosofia del diritto e
società in trasformazione, Rivista di diritto pubblico, L'educazione giuridica,
Libreria Universitaria, Perugia, Per una
sociologia del diritto come scienza, Sociologia del diritto, La sociologia del
diritto: un dibattito, Giuffrè, Milano, e in Diritto e trasformazione sociale,
Laterza, Bari, La conoscenza sociologica, Sociologia del diritto, Etica, linguaggio
e ragione, Convegno Nazionale di Filosofia (Pavia), Società filosofica
italiana, Roma, Democrazie e competenze, Amministrare, Giuffrè, Milano, Introduzione.
La Filosofia. La filosofia dell'etica. La filosofia del diritto di indirizzo
analitico in Italia e Introduzione all'analisi delle argomentazioni dei
giudici, in Diritto e analisi del linguaggio, Milano, Comunità); Il sistema
giuridico, Sociologia del diritto, Etica, linguaggio e ragione, Rivista di
filosofia, Convegno del PSI di Milano, in I socialisti e la cultura. Materiali
e contributi per una politica culturale alternativa, Marsilio, Venezia, Le
condizioni meta-giuridiche della partecipazione, Convegno di Studi di Scienza
dell'amministrazione, Giuffrè, Milano L’entità
strane dette norme” ed i guastini di Guastini, Sociologia del diritto, S. Romano,
teorico conservatore, teorico progressista, in Le dottrine giuridiche di oggi e
l'insegnamento di S. Romano, P. Biscaretti di Ruffìa, Giuffrè, Milano, La partecipazione popolare nella Costituzione
repubblicana: prevenzione sociale e controllo della criminalità. Convegno di Senigallia,
Giustizia e Costituzione, IDizionario di sociologia, in Milano, Sala del
Grechetto, pubblicata in POMBA Panorama di Lettere e Scienze, Hobbes e
l'obbligazione politica come obbligazione in coscienza” (Giuffrè, Milano); Idea
dell'università e diritto allo studio, Il diritto allo studio nel quadro dei
rapporti fra Università e Regione, Quaderni della Regione Lombardia, Teoria
formale o teoria strutturale del diritto. Per la dissoluzione della metafora
formalistica” (Giuffrè, Milano); La partecipazione politica, Sociologia del
diritto, La meta-etica e la sua rilevanza etica, Rivista di filosofia, Intervento in Giudici separati? Magistratura,
società e istituzioni, Convegno Emilio Alessandrini (Senigallia), Giustizia e
Costituzione, La critica analitica a Kelsen, Rivista di filosofia (La cultura
filosofico-giuridica del novecento, C. Roehrssen, Istituto delle Enciclopedia
italiana, Roma); La responsabilità politica, Società Italiana di Filosofia
giuridica e politica. Pavia (Giuffrè, Milano); Responsabilità politica o virtù
repubblicana, in Garanzie processuali o responsabilità del giudice, Angeli,
Milano, Riflessioni sulla responsabilità politica. Responsabilità, libertà,
visione dell'uomo, Rivista internazionale di filosofia del diritto, Interventi
(pubblicati senza essere rivisti dall'autore) nella giornata di studi su Le
ragioni della libertà: degenerazione dello stato burocratico e risposte
neoliberali per l'Italia, Einaudinotiziecircolare ai soci della Fondazione Einaudi,
Il tempo e la pena, in Piacere e felicità: fortuna e declino. Atti del 3º
Convegno di studiosi di Filosofia morale (Chiavari-S. Margherita Ligure), R. Crippa,
Liviana Editrice, Padova, Filosofia e diritto, in La cultura filosofica
italiana nelle sue relazioni con altri campi del sapere. Atti del convegno di
Anacapri, Guida Editori, Napoli, B.
Leoni e l'analisi del linguaggio, Il politico. Rivista italiana di Scienze
politiche, La democrazia e il segreto,
in Il segreto nella realtà giuridica italiana. Atti del convegno nazionale,
Roma, Milani, Padova, La teoria generale del diritto: prospettive per un
trattato, in La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi
dedicati a Noberto Bobbio, Uberto Scarpelli, Comunità, Milano, L'interpretazione premesse alla teoria
dell'interpretazione giuridica, in Società norme e valori” (Giuffrè, Milano);
“Auctoritas non veritas facit legem, in Linguaggio persuasione verità: atti del
Congresso nazionale di filosofia tenutosi in Verona, Milani, Padova (anche in Rivista di filosofia, Intervento in Il Welfare State possibile.
Saggi e interventi di F. Barone, prefazione di Enrico Mattei, Le Monnier, 1
Scienze dell'uomo e potere sull'uomo: oltre la libertà e la dignità, in
Baudrillard e altri, Sapere e potere, I, Viviana Conti, Multhipla edizioni,
Milano, Un filosofo a disagio, Bollettino della Società Filosofica italiana.
Nuova Serie, Voci: Diritto, Interpretazione, Istituzione, Norma, Validità, in
Gli strumenti del sapere contemporaneo, Le discipline e I concetti (POMBA, Torino); Le porte della
stalla, Quadrimestre. Rivista di diritto privato, Gli orizzonti della
giustificazione, Rivista di filosofia (Etica e diritto, Laterza, Roma-Bari.)
Scienza, sapere, sapienza, Rivista internazionale di filosofia del diritto, Di
alcune difficoltà culturali e di una tentazione perversa inerenti ai “diritti
degli animali”, in “I diritti degli animali”. Atti del convegno nazionale
Genova, Silvana Castignone e Luisella Battaglia, Centro di Bioetica, Genova, La
filosofia nella Facoltà di Giurisprudenza, Rivista di filosofia, La bioetica.
Alla ricerca dei principi, in Biblioteca della libertà, Un modello di ragione
giuridica: il diritto reale razionale, Faralli e Pattaro, Giuffrè, Milano); Dalla
legge al codice, dal codice ai principi” (Accademia delle Scienze di Torino.
Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche (Rivista di filosofia). La
Camera di consiglio come scuola, Quadrimestre. Rivista di diritto privato, Cosmo
e universo, in Corpo e cosmo nell'esperienza morale. Atti del Convegno tra
studiosi di Filosofia morale (Pietrasanta), Romeo Crippa, Padeia, Brescia, Eutanasia. Intervista, Hospital, Il concetto di libertà politica in Entreves,
Rivista di filosofia del diritto, Amministrazione della giustizia, rapporti
umani e funzioni del diritto, in Amministrazione della giustizia e rapporti
umani. Convegno di Sassari, Maggioli, Rimini, Beccaria e l'Italia civile,
L'Indice penale, Classi logiche e discriminazione fra i sessi, Lavoro e
diritto, Hobbes e lo stato totalitario, Bollettino della Società Filosofica
italiana. Nuova Serie (intervento nella Tavola Rotonda su Attualità e presenza
di Hobbes, in Hobbes oggi, A. Napoli, FrancoAngeli, Milano, Introduzione ai
lavori in Interpretazione e decisione. Diritto ed economia. Atti del XVI
Congresso nazionale della Società italiana di Filosofia giuridica e politica
(Padova), F. Gentile, Giuffrè, Milano, Intervento
in Diritto di sciopero, autonomia collettiva ed intervento del legislatore
(Viareggio), Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, Il
diritto pubblico italiano di S. Romano, Materiali per una storia della cultura
giuridica, Il positivismo giuridico
rivisitato, Rivista di filosofia, La
bioetica: alla ricerca dei principi” (Giuffrè, Milano); Bioetica: prospettive e
principi fondamentali, in La bioetica. Questioni morali e politiche per il
futuro dell'uomo, Convegno, Roma, Bibliotechne, Milano, I compiti dell'etica
laica nella cultura italiana di oggi, Notizie di Politeia, Relazione su Stevenson, ‘Ethics and Language', in Il neo-illuminismo
italiano. Cronache di filosofia, Pasini e Rolando, Il Saggiatore, Milano, Diritti positivi, diritti naturali: un'analisi
semiotica, in Diritti umani e civiltà giuridica. Convegno a Perugia, S.
Caprioli e F. Treggiari, Stabilimento Tipografico Pliniana Perugia, Etica della
libertà, Bioetica. Rivista interdisciplinare, Filosofia del diritto, in La Filosofia, Le filosofie speciali, diretta da Pietro Rossi,
Torino, POMBA, Il linguaggio giuridico: un ideale illuministico, in Nomografia.
Linguaggio e redazione delle leggi. Contributi al seminario promosso dalla
Banca d'Italia e dalla prima cattedra di filosofia del diritto dell'Milano, Paolo
Di Lucia, Giuffrè, Milano, La mia meta-etica e la mia esperienza etica, in
Scritti per Uberto Scarpelli, Letizia Gianformaggio e M. Jori, Giuffrè, Milano,
Il linguaggio e la politica dei giuristi, Notizie di Politeia, Sui compiti
della filosofia del diritto, Notizie di Politeia, Formanti, dSentenza del Tribunale
di Milano, 2soc. Acc. Compra Vendita immobili S.A.C.V.I. c. Della Beffa, su
Locazione di coseLocazione di immobili urbaniProroga ecc., in Giurisprudenza, Nota a sentenzaDegli effetti dell'abolizione
del commissariato alloggi e di una possibile applicazione dell'azione surrogatoria,
Il Foro Padano, Note bibliografiche a Renato Scognamiglio, Contributo alla
teoria del negozio giuridico, Jovene, Napoli, Carattere della prestazione e
carattere dell'interesse, Rivista del diritto commerciale, Tacita riconduzione
e novazione, Rivista del diritto commerciale, Il cosiddetto conflitto tra
diritti personali di godimento e l'art. 1380 del codice civile, Rivista
trimestrale di diritto e procedura civile, I discorsi politici, Roma,in Quaderni
di Sociologia, Recensione a Bellezza, L'esistenzialismo positivo di Gentile,
Firenze, Rivista di filosofia, Piovesan, Analisi filosofica e fenomenologia
linguistica, Padova, e Lumia, Empirismo logico e positivismo giuridico, Milano,
in Rivista di filosofia. Pasquinelli, Nuovi principi di epistemologia,
Milano, in Rivista di filosofia, Introduzione alla semantica, Bari, in Rivista
di filosofia, Recensione a Antiseri, Dopo Wittgenstein: dove va la filosofia
analitica, Roma, in Rivista di filosofia, Nuovi libri: Orecchia, La filosofia
del diritto nelle università italiane: Saggio di bibliografia, Milano, in Rivista di filosofia, Logica simbolica e diritto,
Milano, in Rivista di filosofia. Rivista di filosofia, Recensione a
FannSymposium on L. J. Austin, London, Rivista di filosofia, Recensione a
Gulotta, Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, Milano. Uberto
Scarpelli. Scarpelli. Keywords: fascismo, la filosofia di Giovanni Gentile – la
difensa di Scarpelli contro Solari, “Behaviourism, positivism logico e
fascismo” nell “Mulino”-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scarpelli” – /The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734017741/in/datetaken/
Grice e Sciacca – l’idea della libertà – fondamento della
coscienza etico-politica – filosofia siciliana -- filosofia italiana (Messina).
Filosofo. Studia a Palermo sotto Renda. Insegna a Palermo. Volse il suo
interesse verso il criticism, a cui dedica “La funzione della libertà nella
formazione del sistema kantian” a cui fece seguito, “La libertà come fondamento
della coscienza etico-politica” (Palumbo, Palermo), che reproduce la memoria in
appendice. Società filosofica italiana Altri saggi: “Filosofi che si confessano”
(Anna, Messina); “La steresis nella filosofia dell'azione” (Accademia di
Scienze, Lettere ed Arti, Palermo); “Il concetto di tiranno, dagl’antichi
italici a Salutati” (Manfredi, Palermo); La visione della vita nell'Umanesimo
di Salutati” (Palermo); “Politica e vita spirituale” (Palumbo, Palermo); “Gli
Dei in Protagora” (Palumbo); “Esistenza e realtà” (Palumbo, Palermo); “Scetticismo”
(Palumbo, Palermo); Ritorno alla saggezza” (Palumbo, Palermo); “L'uomo senza
Adamo” (Palumbo); “Sapere e alienazione” (Palumbo, Palermo); “Il Segno, quel
Segno” (Cappelli, Bologna); Reale accademia di lettere scienze e arti",
«La filosofia per cambiare il mondo», La Repubblica. A. Bono, Alessandria della Rocca, M.K.N., la
tradizione del criticisimo, in P. Giovanni, Le avanguardie della filosofia
italiana, Angeli, Società Filosofica Italiana", A. Plebe, P. Giovanni.
Giuseppe Maria Sciacca. Sciacca. Keywords: Grice, ‘Negation and Privation’,
negation, privation, negatio, privatio, the use of ~ to stand for both negatio
and privatio – privatio as mere negatio (~), plus implicatum -- steresis, l’idea
della libertà – fondamento della coscienza etico-politica -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Sciacca” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734847820/in/datetaken/
Grice e Sciacca – antifilosofia e contra-implicatura –
filosofia fascista – il veintennio fascista -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Giarre). Filosofo. La filosofia non asciuga lacrime né
dispensa sorrisi, ma dice la sua parola sulla verità delle lacrime e dei
sorrisi. Dopo gli studi liceali classici si trasferì a Napoli, dove si laurea
sotto Aliotta. Insegna a Napoli, Pavia, e Genova. Fonda “Il Giornale di
Metafisica”. Molto intenso e il suo rapporto filosofico e di stima reciproca
con il filosofo fascista Gentile, un sodalizio testimoniato dalla fitta
corrispondenza tra i due filosofi, da cui però ben presto Sciacca si allontana,
in particolare dal filone idealista, per condurre la sua propria ricerca
filosofica in modo più ampio, tanto da condurlo a studiare per un certo
periodo, grazie alle sue conoscenze pure in campo teologico, sia la corrente
del misticismo che quella dello spiritualismo. Accademia di studi
italo-tedeschi, Merano. Profondo conoscitore di Serbati, promotore della
fondazione del "Centro Internazionale di Studi Rosminiani" di Stresa.
Una delle principali figure dello spiritualismo, a cui pervenne dopo i primi
interessi per l'attualismo ed i successivi, più impegnativi studi sullo
spiritualismo, anche interpretandolo in modo originale, delineando un
particolare percorso di continuità che, rifferendo alla metafisica classica, perviene
a concepire un'apertura del soggetto personale come creatur averso l'attualità
assoluta dell'essere nell’integralità. E ricordato principalmente attraverso P.
Ottonello. Saggi: “S. Agostino” (Morcelliana, Brescia); “L'Anima” (Morcelliana,
Brescia); Filosofia morale” (Bocca, Torino); Atto ed essere (Bocca, Torino); Interpretazioni
rosminiane Marzorati, Milano); Come si vince a Waterloo” (Marzorati, Milano); “La
filosofia e la scienza nel loro sviluppo storico. Per i licei” (Cremonese, Roma);
“Platone Marzorati, Milano. Filosofia e anti-filosofia (Marzorati, Milano); Chiesa e civiltà (Marzorati, Milano); Critica
letteraria (Marzorati, Milano); L'oscuramento dell'intelligenza Marzorati,
Milano. Studi sulla filosofia antica. Con un'appendice sulla filosofia
medioevale Marzorati, Milano. Ontologia triadica e trinitaria. Discorso
metafisico-teologico Marzorati, Milano. L'Insegnamento della filosofia: atti
del II Convegno di studi, Messina, maggio Editrice peloritana, Messina. Reflexiones
inactuales sobre el historicismo hegeliano Fundación Universitaria Española,
Madrid. Ontologia triadica e trinitariaL'Epos, Palermo. Atto ed essereL'Epos,
Palermo. Il magnifico oggiL'Epos,
Palermo. In Spirito e VeritàL'Epos, Palermo. La clessidraL'Epos, Palermo. L'ora di Cristo
L'Epos, Palermo. La principale fonte biografica qui seguita è: PCfr.
CSFG-Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei Filosofi, Firenze,
G.C. Sansoni; CSFG-Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei
Filosofi, Firenze, Sansoni); M. Schiavone, L'idealismo, A. Negri, “Dall'atto all'integralità”
(Forlì, Ethica); E. Pignologni, Genesi e sviluppo del rosminianesimo, Milano,
Marzorati); Bologna, Quaderni del Giornale di Metafisica, Stresa, Rivista
Rosminiana, Incontrare Sciacca, Venezia, Marsilio, P. Ottonello, “L'anticonformismo
costruttivo” (Venezia, Marsilio); M. Shiavone, L'idealismo, Collana di studi
filosofici rosminiani, Domodossola; Milano, Sodalitas, Ospitato su Bontadini e
la metafisica. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Michele Federico Sciacca. Sciacca. Keywords. Refs.: Grice e Sciacca”
– The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734123673/in/datetaken/
Grice e Scupoli – la lotta
coll’angelo – la lotta dell’angelo e il demonio -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Otranto). Filosofo. Very important Italian philosopher. Ricevette
come nome di battesimo Francesco. Entrò nell'ordine dei teatini per ricevere
gli ordini sacri. Fu discepolo di sant'Andrea Avellino, appartenente al suo
stesso ordine. Risale l'accusa di violazione della regola, per cui e arrestato
per un anno e sospeso a divinis. Per la sua assoluzione dove attendere quasi la
morte. Intanto, sopporta l'ingiusta accusa e la pena conseguente con umiltà e
umanità. Il combattimento spirituale. Con l’orazione porrai la spada in
mano a Dio, perché combatta e vinca per te. La preghiera è dunque l’arma di
tutte le vittorie. Essa è la debolezza di Dio e la forza dell’uomo perché il
cuore del Padre non sa negare nulla di buono ai suoi figli. “Il combattimento
spirituale – I cinque mezzi per raggiungere la perfezione” è un trattato di
strategia spirituale che conduce l'uomo alla perfezione. Scupoli indica *cinque*
mezzi per raggiungere la perfezione spirituale: Sfiducia in sé. Pienissima
confidenza in Dio. Combattimento e uso metodico delle facoltà per correggere i
propri difetti, quindi per trionfare del demonio e per conquistare le virtù. Preghiera
e meditazione. Comunione. Spiritualità.
Scupoli. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e Scupoli," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716140515/in/photolist-2mMYJP6
Selvatico-Estense?
Grice e Semerari – il principio del dialogo in Socrate –
filosofia italiana (Taranto). Filosofo. Grice: “Wheereas it would be considered
in bad taste at Oxford, the Italians pun on names – and there is an essay on
the ‘seme’ of ‘semerari’ Witty!” -- Grice: “Perhaps Semerari is right and the
philosopher MUST metaphorise. What better title to an essay on Calabellse than
‘La sabbia e la roccia”?” -- Grice: “I like Semerari: His ‘principio del
dialogo in Socrate” is reprinted in his invaluable collection on “Dialogo.”” –
Grice: “In a way, we may say that Calogero, Semerari, and myself, belong to the
school of the philosophy of conversation – not to mention Apel!”. Si laurea a Roma
sotto Carabellese. Insegna a Bari. Collabora ad «aut aut», “Critica storica»,
«Giornale critico della filosofia italiana», «Clizia», «Historica», « Rivista
di filosofia del diritto», «Rivista di filosofia», «Il pensiero», «Archivio di
filosofia» e altre riviste specialistiche. Fonda «Paradigmi». Si dedica per lo
più a Spinoza, a Schelling, alla fenomenologia di Husserl e Merleau-Ponty e al
materialismo storico di Marx. Altri saggi:“Lo spinozismo” (Vecchi, Trani); “Storia
e storicismo: saggio sul problema della storia in Carabellése,” Vecchi, Trani; “Storicismo
e ontologismo ” Lacaita, Manduria, Dialogo, storia, valori: studi di filosofia”
(Ciranna, Siracusa); “Interpretazione di Schelling, Libreria scientifica,
Napoli; “L'esistenzialismo italiano” (Grice:
“This reminds me of parochial Warnock and his “English philosophy,” or Sorley
for that matter!”) -- Cressati, Bari; “Questioni di etica” (Adriatica, Bari; “Responsabilità
e comunità umana. Ricerche etiche, Lacaita, Manduria); “La filosofia come
relazione, Quaderni di cultura, Sapri; Ferruccio De Natale, Guerini, Milano); “Scienza
nuova e ragione” (Lacaita, Manduria; Furio Semerari, Guerini, Milano Da
Schelling a Merleau-Ponty. Studi sulla filosofia contemporanea” (Cappelli,
Bologna); “La lotta per la scienza, Silva, Milano; Francesco Valerio, premessa
di Fulvio Papi, Guerini e Associati, Milano, Spinoza, Marzorati, Milano; Esperienze
del pensiero moderno, Argalia, Urbino; La filosofia dell'esistenza in Kant,
Adriatica, Bar; Introduzione a Schelling”
(Laterza, Bari); Filosofia e potere (Dedalo, Bari); Civiltà dei mezzi, civiltà
dei fini. Per un razionalismo filosofico-politico, Bertani, Verona; La scienza come problema: dai modelli teorici
alla produzione di tecnologie” (De Donato, Bari); “Insecuritas. Tecniche e
paradigmi della salvezza, Spirali, Milano); “La sabbia e la roccia. L'ontologia
critica di P. Carabellése” (Dedalo, Bari); “Dentro la storiografia filosofica”
(Dedalo, Bari); Sartre. Teoria, scrittura, impegno” (Sud, Bari); Novecento
filosofico italiano. Situazioni e problemi, Guida, Napoli; “Skepsis. Studi
husserliani” (Dedalo, Bari); Filosofia Guerini e Associati, Milano Confronti con
Heidegger, Dedalo, Bari); La filosofia come scienza rigorosa, Laterza, Bari,
Frammenti di diario; l'anno di Istanbul, Schena, Fasano. “La cosa stessa.”
Seminari fenomenologici (Dedalo, Bari); “Dommatismo e criticism”, “Deduzione
del diritto naturale” (Laterza, Bari); Pensiero e narrazioni. Modelli di
storiografia filosofica” (Dedalo, Bari; Frammenti di diario; l'anno del
Messico, Schena, Fasano); “Fenomenologia delle relazioni, Palomar, Bari); “Ragione
e storia. Studi in memoria” F. Tateo, Schena, Fasano; Dalla materia alla coscienza. Studi su
Schelling in ricordo, Carlo Tatasciore, Guerini, Milano; ‘La certezza incerta”
Scritti su Semerari con due inediti dell'autore, Furio Semerari, Guerini,
Milano; Augusto Ponzio, Il significato della filosofia per Giuseppe Semerari,
in "BariSera", Luciano Niro, Giuseppe Semerari. Il problema morale, Atheneum,
Firenze, F. Silvestri, Il seme umanissimo della filosofia. Sul pensiero di Semerari,
Mimesis, Milano). Treccani Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Giuseppe Semerari. Semerari. Keywords: fascismo,
Gentile, neo-idealismo come intrinseccamente fascista, Croce, Vico,
intersoggetivo, io-tu, dialogo, dialogo autentico, comunita, valore
comunitario, comunita umana, vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Semerari” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734035483/in/datetaken/
Grice e Semmola – filosofia italiana (Napoli). Filosofo. Grice:
“I find it difficult to sea if Semmola endorses formalism or informalism in his
monumental “Logica.”” Grice: “While Ayer never liked it, metaphysics is very
popular in Italy, as Semmola’s monumental “Metafisica” testifies.” Grice: “It’s
good to see philosophy as an institution, in the Italian way of using this
word, as per Semmola, “Istituzione di Filosofia.” Figlio di Giovanni, uno dei
più grandi esponenti della scuola napoletana. Partecipa ai moti di Marigliano. Saggi:“Istituzioni
di Filosofia,” “Logica,” “Metafisica” (Biblioteca, Napoli). Mente divinatrice
ardente spirito investigatore che nello studio della natura morbosa dell'uomo produsse
miracoli di arte e di scienza scolare e presto emulo del suo gran più ai
giovann conchiuse alla novità delle dottrine una sapienza antica procacciandosi
fama in patria e fuori di sommo maestro in medicina ne rifulse lo ingegno
incomparabile dalla cattedra nell'università napoletana nelle accademie e negli
ospedali nei consessi legislativi e nei congressi scientifici nella parola
negli scritti membro della commissione legislativa riunita in Firenze principale
autore di un codice sanitario italiano inviato unico plenipotenziario alla
conferenza sanitaria internazionale di Vienna deputato e poi senatore nel
patrio parlamento onorato due volte di medaglia d'oro dal proprio governo per
le cure ai colerosi da quello del Brasile per la guarigione del suo imperatore
Socio di gran numero di accademie italiane e straniere Insignito di molti tra i
maggiori gradi cavallereschi. Muore nella fede catolica avita. Questo marmo per
voce del comune Si fa eco della pubblica solenne onoranza cittadina. Le spoglie
mortali riposano nella cappella mortuaria di famiglia ove le vollero la vedova
ed i figliuoli a rendere vieppiù paghi la loro pietà ed il riconoscente
affetto. Mariano Semmola. Semmola. Keywords: istituzioni di filosofia,
l’istituzione della logica, l’istituzione della metafisica. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Semmola” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691776126/in/photolist-2mLNimn-2mLEK4t-2mKUqRH-2mKPS8q-2mKEHpR/
Grice e Serbati – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Rovereto). Filosofo. Important Italian philosopher. Figlio di Pier Modesto e di
Giovanna dei Conti Formenti di Biacesa in Valle di Ledro. Frequenta l’Imperial Regio Ginnasio.Studia a Padova. A
questo proposito i famigliari raccontavano come, fin dalla più tenera età,
leggesse alla luce della sua aureola. E in occasione della venuta a
Rovereto del Vescovo di Chioggia per consacrare le chiese di Santa Maria del
Carmine e di Santa Croce, appartenente all'omonimo Monastero, che, prendendo
parte alla cerimonia, ottenne il diaconato. Mostra una profonda inclinazione
per la filosofia, incoraggiato in tal senso da Pio VII. Si trasfere a
Milano dove strinse un profondo rapporto d'amicizia con Manzoni che di lui ebbe
a dire -- è una delle sei o sette intelligenze che più onorano l'umanità. Manzoni
assistette Rosmini sul letto di morte, da cui trasse il testamento spirituale
"Adorare, Tacere, Gioire". La sua filosofia destarono l'ammirazione,
tra gli altri, anche di G. Stefani, N. Tommaseo e V. Gioberti dei quali pure
divenne amico. Dopo aver dovuto lasciare il Trentino, per motivi di forte
ostilità per le sue posizioni incontrati da parte del vescovo di Trento fonda
al Sacro Monte Calvario di Domodossola la congregazione religiosa dell'Istituto
della Carità, detta dei "Rosminiani". Le Costituzioni della nuova
famiglia religiosa, contenute in un libro che cura per tutta la vita, sono
approvate da Gregorio XVI. A Borgomanero svolge la sua attività di insegnamento
e di guida spirituale in un collegio rosminiano, il "Collegio
Rosmini", regolato dalla Congregazione della Provvidenza Rosminiane. Svolge
una missione diplomatica per conto del Re di Sardegna Carlo Alberto presso la
Santa Sede. E presidente dell'Accademia Roveretana degl’Agiati ed il suo
posto, anni dopo la sua morte, dal 1872 al 1888, fu assunto da don Francesco
Paoli, suo segretario ed esecutore delle volontà, già direttore di Casa
Rosmini. Tra le sue volontà del vi e anche quella di donare a Rovereto un
terreno nell'attuale zona di Santa Maria per costruirvi l'ospedale cittadino, e
Paoli onora tale decisione. Porta avanti tesi filosofiche tese a
contrastare sia l'illuminismo che il sensismo. Sottolineando l'inalienabilità
dei diritti naturali della persona, fra i quali quello della proprietà privata,
entrò in polemica con il socialismo e il comunismo, postulando uno Stato il cui
intervento fosse ridotto ai minimi termini. Nelle sue teorie il filosofo seguì
le concezioni di Sant'Agostino e Aquino, rifacendosi anche a Platone. I
suoi esordi filosofici si ricollegano a P. Galluppi, sia pure polemicamente, in
quanto Rosmini avverte con ogni chiarezza come risulti insostenibile una
posizione di integrale sensismo gnoseologico. La necessità di concepire
una funzione ordinatrice dell'esperienza, e a questa precedente, porta Rosmini
a guardare con interesse la filosofia di Kant. Tuttavia non è soddisfatto di
ciò che lui chiama l'innatismo kantiano, legato ad una pluralità imbarazzante e
precaria di categorie. Le quali, d'altra parte, gli sembrano fallire lo scopo
di far conoscere il reale quale esso è, per la necessaria introduzione di
modifiche soggettive nell'atto stesso del conoscere. Il problema
filosofico di Rosmini si configurava perciò come quello di garantire
oggettività alla conoscenza. La soluzione non potrà essere trovata, stante il
rifiuto della trascendentalità kantiana e dei connessi sviluppi, se non in una
ricerca ontologica, in un principio oggettivo di verità, che riesca ad
illuminare l'intelligenza in quanto le si proponga con immediata evidenza,
universalità e immutabilità. Questo principio è per Rosmini l'idea
dell'essere possibile, che da indeterminato contenuto dell'intelligenza, quale
originariamente è, si fa determinato allorché viene applicato ai dati forniti
dal senso. Essa precede e informa di sé tutti i giudizi con cui affermiamo che
qualche cosa particolare esiste. L'idea dell'essere, dunque, costituisce
l'unico contenuto della mente che non abbia origine dai sensi, ed è perciò
innata (“Saggio sull'origine delle idee”). Ma qui i problemi del
kantismo, che sembrano superati o almeno messi da parte, si riaffacciano con
urgenza: di fronte al mero ricevere dati, di cui parlava il sensismo, ha
chiarito che la mente umana nel suo uso conoscitivo formula giudizi, in cui
l'idea dell'essere ha funzione di predicato, cioè di categoria, e la sensazione
è il soggetto, di cui si predica qualche cosa. Nel giudizio, inoltre, il
predicato si determina e la sensazione si certifica: se questa è la funzione
propria del giudicare, ogni concetto non può sussistere che come predicato di
un giudizio; né a questa necessità sembra potersi sottrarre il concetto di
essere, che è dato solo nell'attività giudicante, come forma del
giudizio. Tuttavia non accetta tale riduzione, ed esclude proprio il
predicato di esistenza della funzione del giudizio, continuando ad attribuirgli
una natura oggettiva e trascendente. È l'essere trascendente che si rivela
all'uomo, lo illumina e gli permette di pensare. Chi lo nega come il nichilismo
cade in una vuota posizione nullista. Accanto a questa ontologia la sua etica
si sviluppa come etica caritativa (Principio della scienza morale). Dedica alla
politica una breve ma intensa fase della sua vita. Seguì Pio IX riparato a
Gaeta dopo la proclamazione della Repubblica Romana, ma la sua formazione
attestatasi su ferme posizioni di cattolicesimo liberale e tale per cui e
costretto a ritirarsi sul Lago Maggiore, a Stresa. Tuttavia, quando Pio IX vuole
istituire una commissione incaricata della preparazione del testo per la
definizione del dogma dell'immacolata concezione, nonostante ben due suoi saggi
(Le cinque piaghe della Chiesa e La costituzione secondo la giustizia sociale) sono
all'Indice. Chiamato a prendere parte a tale commissione, e favorevole allo stato
liberale (vagheggiando la monarchia costituzionale), al costituzionalismo e
anche alla separazione tra stato e chiesa, sebbene non assoluta. Critica lo
Statuto Albertino proprio per il suo porre ancora il cattolicesimo come
religione di stato, elogiandone comunque il tentativo distensivo nei confronti
della Santa Sede. Critica la legge laicista ed anti-clericale. Si convince della
sostanziale bontà della maggior parte delle conquiste dell'età moderna, criticandone
solo le modalità: in tale ottica, critica sia la rivoluzione francese che
l'Ancient Regime, riconoscendo invece la sostanziale bontà dei princìpi sanciti,
distinguendoli dalle successive de-generazioni rivoluzionarie, in polemica con
chi, da una parte e dall'altra, sostene una società perfettista. Continua a
vivere a Stresa, fecondo nel perseguire il perfezionamento del suo sistema di
pensiero con saggi come “Logica” e “Psicologia”. J. Ratzinger, quando la
questione rosminiana era ancora ben accesa, nell'ambito di una serata
organizzata a Lugano, dice. Nel confronto con le parole classiche della fede
che sembrano così lontane da noi, anche il presente diventa più ricco di quanto
sarebbe se rimanesse chiuso solo in se stesso. Vi sono naturalmente anche tra i
teologi ortodossi molti spiriti poco illuminati e molti ripetitori di ciò che è
già stato detto. Ma ciò succede ovunque; del resto la letteratura dozzinale è
cresciuta in modo particolarmente rapido proprio là dove si è inneggiato più
forte alla cosiddetta creatività. Io stesso per lungo tempo avevo l'impressione
che i cosiddetti eretici fossero per una lettura più interessante dei teologi
della chiesa, almeno nell'epoca moderna. Ma se io ora guardo i grandi e
fedeli maestri, da Mohler a Newman a Scheeben, da Rosmini a Guardini, o nel
nostro tempo de Lubac, Congar, Balthasarquanto più attuale è la loro parola
rispetto a quella di coloro in cui è scomparso il soggetto comunitario della
Chiesa. In loro diventa chiaro anche qualcos'altro: il pluralismo non
nasce dal fatto che uno lo cerca, ma proprio dal fatto che uno, con le sue
forze e nel suo tempo, non vuole nient'altro che la verità. Per volerla
davvero, si esige tuttavia anche che uno non faccia di se stesso il criterio,
ma accetti il giudizio più grande, che è dato nella fede della Chiesa, come
voce e via della verità. Del resto io penso che vale la stessa regola
anche per le nuove grandi correnti della teologia, che oggi sono ricercate:
teologa africana, latinoamericana, asiatica, ecc. La grande teologia francese
non è nata per il fatto che si voleva fare qualcosa di francese, ma perché non
si presumeva di cercare nient'altro che la verità e di esprimerla più
adeguatamente possibile. E così questa teologia è diventata anche tanto
francese quanto universale. La stessa cosa vale per la grande teologia
italiana, tedesca, spagnola. Ciò vale sempre. Solo l'assenza di questa
intenzione esplicita è fruttuosa. E di fatto non abbiamo davvero raggiunto la
cosa più importante se noi ci siamo convalidati da soli, ci siamo accreditati
da soli e ci siamo costruiti un monumento per noi stessi. Abbiamo
veramente raggiunto la meta più importante se siamo giunti più vicino alla
verità. Essa non è mai noiosa, mai uniforme, perché il nostro spirito non la
contempla che in rifrazioni parziali; tuttavia essa è nello stesso tempo la
forza che ci unisce. E solo il pluralismo, che è rivolto all'unità, è veramente
grande. Pio VIII dice a Rosmini, in udienza. È volontà di Dio che voi vi
occupiate nella filosofia. Tale è la vostra vocazione. Ella maneggia assai bene
la logica, e la Chiesa al presente ha gran bisogno di filosofi. Dico, di filosofi
solidi, di cui abbiamo somma scarsezza. Per influire utilmente sugl’uomini, non
rimane oggidì altro mezzo che quello di prenderli colla ragione, e per mezzo di
questa condurli alla religione. Tenetevi certo, che voi potrete recare un
vantaggio assai maggiore al prossimo occupandovi nello scrivere, che non
esercitando qualunque altra opera del Sacro Ministero. Gregorio XVI, successore
di Pio VIII, in risposta alla lettera che Antonio Rosmini gli aveva indirizzato.
Diletto Figlio, a te il nostro saluto e la nostra Apostolica Benedizione.
Abbiamo volentieri e con animo lieto ricevuto la tua lettera con i sensi della
tua devota sommissione a Noi e alla Sede Apostolica in cui ci parli della pia
Società, chiamata Istituto della Carità e che con le tue fatiche è stata
fondata nel territorio della diocesi di Novara con l'approvazione del Vescovo.
E soprattutto ci hai anche informato che il medesimo Istituto è stato da poco
chiamato anche dal Vescovo di Trento nella sua diocesi e che qui molti
ecclesiastici, di provate virtù, vi hanno aderito. Per questi fatti davvero
rendiamo il nostro umile grazie a Dio autore di ogni bene. E quantunque questo
Istituto non sia stato ancora confermato dall'autorità di questa Santa Sede,
tuttavia speriamo in bene di esso e ci allietiamo che lo stesso si dilati con
il consenso dei nostri Venerabili Fratelli nell'Episcopato. Quindi, per quanto
riguarda le Sante Indulgenze connesse a questo istituto, che domandi siano
concesse, ricevi diletto figlio il nostro Rescritto unito a questa lettera, da
cui sicuramente comprenderai che rispondiamo positivamente alla tua richiesta.
Ti assicuriamo anche che ci è pervenuto il libro sopra i Principi della
Dottrina Morale da te edito e mandatoci in omaggio e ti dichiariamo il grazie
del nostro animo per il dono. Tuttavia per la tensione nelle gravissime fatiche
del Governo Apostolico non abbiamo ancora letto lo stesso libro, ma siamo
certamente persuasi che esso sia in tutto conforme alla più sana dottrina e
utilissimo alla sua difesa. Continua dunque, diletto figlio, lo studio e
prosegui a spendere le tue fatiche ad onore di Dio per l'utilità della Chiesa;
in Cielo sarà copiosa la ricompensa per la tua opera. Frattanto la paterna
carità con cui ti abbracciamo nell'umanità di Cristo sia pegno dell'apostolica
benedizione, che sgorgante dall'intimo del cuore ti impartiamo.» (Da
Breve pontificio di Gregorio P.P.XVI,) Pio IX rivolgendosi al Vescovo di
Cremona dopo il decreto Dimittantur opera omnia parlando di Rosmini
disse: «Non solo è un buon cattolico, ma santo: Iddio si serve dei santi
per far trionfare la verità. Leone XIII, al tempo delle aspre e dolorose lotte
che si svolgevano intorno al pensiero rosminiano sul finire del diciannovesimo
secolo, in una lettera indirizzata agli arcivescovi di Milano, Torino e
Vercelli, fra l'altro scrisse: «Ma non vogliamo che con questo abbia a
patir detrimento il religioso Sodalizio della Carità; il quale come per lo
innanzi spese utilmente le sue fatiche a beneficio del prossimo, secondo lo
spirito dell'Istituto, così è desiderabile che fiorisca in avvenire e prosegua
a rendere ognora più abbondanti frutti. Col decreto del Sant'Uffizio "Post
Obitum" firmato da Leone XIII,
vennero condannate, in quanto "non conformi alla verità cattolica",
40 proposizioni contenute nelle opere del Rosmini, le quali la Sacra
Congregazione romana "giudicò doversi riprovare, condannare e proscrivere,
nel proprio senso dell’autore", chiarendo inoltre che non era lecito
"a chicchessia di inferire, che le altre dottrine del medesimo Autore, che
non vengono condannate per questo decreto, siano per veruna guisa
approvate". Giovanni XXIII, negli ultimi anni della sua vita, meditò
in ritiro spirituale le rosminiane "Massime di Perfezione Cristiana",
assumendole come propria regola di condotta. Anche Paolo VI prestò interesse
nel Rosmini: in occasione del 150º anniversario di fondazione dell'Istituto
della Carità inviò un messaggio all'allora padre generale, in cui elogiava
l'intuizione del Rosmini nel dare un grande peso alla missione caritativa già
nel nome del nativo istituto religioso, appunto l'Istituto della Carità.
Pubblicamente Paolo VI lo cita durante il discorso tenuto alla Federazione
Universitaria Cattolica Italiana
riguardante la cultura cattolica e l'Europa. Inoltre sotto il suo
pontificato venne tolto il divieto di pubblicazione dell'opera Dalle Cinque
Piaghe della Santa Chiesa. Alla morte di Paolo VI venne eletto Giovanni
Paolo I, laureato in sacra teologia alla Gregoriana con il saggio, “L'origine
dell'anima umana”. È bene precisare che Luciani e fortemente critico nei
riguardi del pensiero rosminiano, solo successivamente cambiò opinione,
rivolgendo nei riguardi di Rosmini parole di ammirazione e stima.
Tuttavia fu con il pontificato di Giovanni Paolo II che il pensiero rosminiano
ha potuto liberarsi delle aspre critiche e delle condanne che accompagnavano
l'Istituto della Carità fin dai tempi della sua fondazione. Nella Lettera
Enciclica Fides et ratio, Giovanni Paolo II l’annoverato tra i pensatori più
recenti nei quali si realizza un fecondo incontro tra sapere filosofico e
Parola di Dio». Ne ha inoltre concesso l'introduzione della causa di
beatificazione, conclusasi nella sua fase diocesana novarese. Ratzinger da prefetto della Congregazione per
la Dottrina della Fede emana il famoso documento Nota ai Decreti dottrinali sul
Rev.do sac. Antonio Rosmini Serbati. La nota si concludeva confermando la
validità del decreto Post obitum sulle quaranta proposizioni, e allo stesso
tempo con la riabilitazione di Rosmini: «Il Decreto dottrinale Post
obitum non si riferisce al giudizio sulla negazione formale di verità di fede
da parte dell'Autore, ma piuttosto al fatto che il sistema filosofico-teologico
del Rosmini era ritenuto insufficiente e inadeguato a custodire ed esporre
alcune verità della dottrina cattolica, pur riconosciute e confessate
dall'Autore stesso. Si possono attualmente considerare ormai superati i motivi
di preoccupazione e di difficoltà dottrinali e prudenziali, che hanno
determinato la promulgazione del Decreto Post obitum di condanna di quaranta proposizioni.
E ciò a motivo del fatto che il senso delle proposizioni, così inteso e
condannato dal medesimo decreto, non appartiene in realtà alla sua autentica
posizione, ma a possibili implicanze. Resta tuttavia affidata al dibattito
teoretico la questione della plausibilità o meno del sistema rosminiano stesso,
della sua consistenza speculativa e delle teorie o ipotesi filosofiche e
teologiche in esso espresse. Nello stesso tempo rimane la validità oggettiva
del Decreto Post obitum in rapporto al dettato delle proposizioni condannate,
per chi le legge, al di fuori del contesto di pensiero rosminiano, in un'ottica
idealista, ontologista e con un significato contrario alla fede e alla dottrina
Cattolica. Il documento ribadisce la diversità di linguaggio e apparato
concettuale del sistema rosminiano rispetto al tomismo, l'assenza di apparato
critico nelle opere postume e la permanente "difficoltà oggettiva di
interpretarne le categorie, soprattutto se lette nella prospettiva
neotomista". Benedetto XVI autorizza la Congregazione delle Cause
dei Santi a promulgare il decreto sul miracolo della guarigione di Ludovica
Noè, attribuito alla sua intercessione. Tra quelli portati dalla postulazione
dei padri rosminiani, si è scelto di dare maggiore impulso a quello della
guarigione della suora sopracitata, poiché il medico che la curò si convertì in
seguito all'accaduto. Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della CEI,
a margine del Convegno sulla sfida educativa tenuto a Milano, ha tenuto un
intervento intitolato "Istanze educative e questione antropologica"
in cui riconosce le sue istanze pedagogiche. A. Bagnasco ha presieduto a Stresa
la celebrazione eucaristica per il suo Dies Natalis. Nel corso dell'Angelus
domenicale e ricordato per la sola carità intellettuale e perché testimonia la
virtù della carità in tutte le sue dimensioni e ad alto livello. Avversario del
sensismo e dell'illuminismo e mentore e maestro intellettuale di quattro pontefici
eletti consecutivamente: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e II.
Nulla osta della Congregazione per la dottrina della fede che consente l'inizio
della causa di beatificazione. Apertura del processo informativo diocesano dopo
la nomina dei censori teologi e delle commissioni storiche in Novara. C. Papa diventa
postulatore della causa succedendo a R. Belti, storico dell'Istituto e già
Direttore del Centro di Studi Rosminiani di Stresa. Chiusura del Processo
informativo Diocesano. 2Consegna del Trasunto alla Congregazione per le cause
dei Santi. Apertura del Trasunto. Decreto di Validità del processo diocesano.
Schema per la stesura della Positio. Consegna del lavoro sul Post obitum curato
dal Postulatore. Il Relatore generale approva il lavoro sul Post obitum e il
lumen oculorum tuorum Consegna del lavoro sul Post obitum alla Congregazione
per la Dottrina della Fede.Il giorno dell'anniversario della morte di Rosmini
viene pubblicata sull'Osservatore Romano la Nota della Congregazione per la
dottrina della fede sul valore dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e
le opere del Rev.do sacerdote Antonio Rosmini Serbati, a firma del cardinal
Joseph Ratzinger e di mons. Tarcisio Bertone.
Rilascio del Nihil obstare per la Causa di Beatificazione. Il Relatore approva e firma la Positio. Conclusione della stampa e consegna alla
Congregazione per le cause dei santi della Positio. Consegna del Trasunto super
miro alla Congregazione per le cause dei santi. Validità dell'inquisizione
diocesana sul processo super miro. Presentazione fattispecie super miro. Revisa
della fattispecie con firma del sotto-segretario. Relatio et vota del Congresso
Storico (con esito positivo). Relatio et vota del Congresso teologico super
virtutibus (con esito positivo). Ordinaria della Congregazione per le cause dei
santi: esito affermativo. Ponente della Causa
R. Fisichella. Benedetto XVI
autorizza la Congregazione per le Cause dei Santi a promulgare il decreto di
esercizio eroico delle virtù. La Consulta medica della Congregazione per le
Cause dai Santi, si esprime con esito affermativo (all'unanimità 5 su 5) circa
l'inspiegabilità scientifica dell'evento di guarigione avvenuto a Sr. Ludovica
Noè. Il presunto evento miracoloso è avvenuto. Al termine del dibattito, i
Consultori si sono unanimemente espressi con voto affermativo (7 su 7),
ravvisando nella guarigione in esame un miracolo operato da Dio per intercessione
Benedetto XVI autorizza la pubblicazione da parte della Congregazione per le
Cause dei Santi del riconoscimento della virtù eroica di Rosmini. A Novara si
celebra la beatificazione dando lettura del decreto di Benedetto XVI che l’iscrive
tra i beati. La beatificazione è avvenuta a Novara: appositamente è stato
fatto allestire il Palasport della città, unico luogo capace di raccogliere un
numero di fedeli così significativo. Con il pontificato di Benedetto XVI
le beatificazioni vengono preferibilmente celebrate dai cardinali, per rendere
ancora più piena la comunione tra loro e il successore di Pietro, e viene
privilegiato il luogo in cui il candidato agli onori degli altari ha vissuto.
Così, in qualità di delegato pontificio, la celebrazione è stata officiata da J. Martins, allora prefetto della
congregazione per le Cause dei Santi. A fianco dell'altare erano disposti gli
spalti da cui hanno concelebrato circa 400 sacerdoti, non soltanto
rosminiani. A prendere parte alla processione e celebrare sull'altare,
insieme al preposito generale James Flynn c'era il segretario generale
dell'IstitutoDomenico Mariani con gli allora componenti della Curia Generalizia
dell'Istituto della Carità, il Vicario per la Carità SpiritualeCrish Fuse, il
Vicario per la Carità IntellettualeGiancarlo Taverna Patron, il Vicario per la
Carità TemporaleDavid Tobin, l'allora preposito della Provincia Italiana don U.
Muratore (profondo conoscitore di Rosmini) e il postulatore della Causa di
Beatificazione, C. Papa. Hanno partecipato alla celebrazione anche il
cardinale ex prefetto della Sacra Congregazione per i vescovi G. Re, il
cardinale arcivescovo di Torino S. Poletto, il vescovo di Novara, mons. R.
Corti, l'arcivescovo di Trento, mons. L. Bressan, il vescovo rosminiano mons.
Antonio Riboldi e fra gli altri anche G. Zaccheo (che sarebbe improvvisamente
scomparso due giorni dopo), vescovo della Diocesi di Casale Monferrato, mons.
Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea (che durante la III sessione del
Concilio Ecumenico Vaticano II fece per primo il nome di Rosmini), l'allora
segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana G. Betori, G. Lajolo,
presidente del Governatorato della Città del Vaticano, l'allora rettore della
Pontificia Università Lateranense, mons. Rino Fisichella, il Vicario Episcopale
per la Vita Consacrata dell'arcidiocesi di Milano monsignor Ambrogio Piantanida
e il preposito generale dei barnabiti, padre Giovanni Maria Villa. Tra i
numerosissimi fedeli (più di diecimila) accorsi da diverse parti del mondo per
presenziare alla celebrazione, hanno preso parte anche personalità
politiche. Tra queste il senatore a vita Oscar Luigi Scalfaro, l'allora
presidente del Senato, Franco Marini, e Arturo Parisi, al tempo Ministro della
Difesa. Rosmini è il primo beato della Provincia del Verbano Cusio
Ossola. In occasione della beatificazione sono stati moltissimi i
quotidiani e periodici italiani e esteri che hanno dedicato articoli, pagine e
interi numeri alla figura di Rosmini. Sono numerosissimi i suoi saggi. Certamente
il più importante a livello ascetico e spirituale e le “Sei massime di perfezione”,
su cui anche Giovanni XXIII fa delle riflessioni prima di morire. Gli costarono
la messa all'Indice dei libri proibiti le opere "Delle cinque piaghe della
santa chiesa" e "Dalla costituzione secondo la giustizia
sociale". In filosofiia meritano di essere ricordato il “Saggio sull'origine
delle idee”. Altri saggi: “Principii della scienza morale”; “Filosofia della
morale”; “Antropologia in servigio della scienza morale”; “Filosofia della
politica”; “Trattato della coscienza morale”; “Filosofia del diritto”; “Teodicea”;
“Sull'unità d'Italia”; “Il comunismo e il socialismo”. Le sei massime di
perfezione sono formulate per definire il fondamento spirituale sul quale ogno
uomo puo avere un cammino nella perfezione. Siate perfetti come è perfetto
il vostro Padre celeste (Matteo 5,48). 1. Desiderare unicamente ed
infinitamente di piacere a Dio, cioè di essere giusto. 2. Orientare tutti i
propri pensieri e le azioni all'incremento e alla gloria della Chiesa di
Cristo. 3. Rimanere in perfetta tranquillità circa tutto ciò che avviene
per disposizione di Dio riguardo alla Chiesa di Cristo, lavorando per essa
secondo la chiamata di Dio. 4. Abbandonare se stesso nella provvidenza di
Dio. 5. Riconoscere intimamente il proprio nulla. 6. Disporre tutte
le occupazioni della propria vita con uno spirito di intelligenza. Di
particolare interesse e “Le cinque piaghe della santa Chiesa". Mostra odi
discostarsi dall'ortodossia dell'epoca. Per tale ragione il saggio fu messo
all'Indice e ne scaturì una polemica nota col nome di "questione
rosminiana". L'opera eriscoperta al Concilio Vaticano II. Il primo a
parlare al Concilio di Rosmini e L. Bettazzi. Mi sia consentito ricordare
Rosmini, molto legato ad Aquino. Ma anche studioso e amante del suo tempo, e
che certamente guadagna a Cristo non pochi uomini. Tutto questo mi sembra si
accordi con le cose che sono state già dette da non pochi padri su questo
schema in generale, che cioè gl’uomini non si aspettano dalla Chiesa soluzioni
particolari, ma piuttosto la presentazione di valori che li aiutino a trascorrere
questa vita umana più nobilmente e con maggiore sicurezza. Parlando della
libertà, esaltare i valori dell'umiltà. Parlando del matrimonio, il ruolo della
Fortezza. Parlando dei problemi economici e di molti altri problemi,
l'efficacia di un certo disprezzo delle cose. Occorre dunque mettere in luce la
necessità dell'ubbidienza, della castità, della povertà, non solo nella vita e
nell'esempio (e nella Bozza di Documento!) dei religiosi, aiuto agl’uomini di
questo tempo, perché possano vivere la loro vita umana nel modo migliore e più
efficace. Il primo e principale compito dunque per gl’uomoni che coltivano la
sapienza dev'essere, alla luce del Magistero, l'amore delle Scritture e l'amore
di questo mondo in un colloquio franco e aperto. Paolo VI dice. I suoi saggi
sono pieni di pensiero, una filosofia profondo, originale che spazia in tutti i
campi: quello filosofico, morale, politico, sociale, sopra-naturale, religioso,
ascetic -- filosofia degna di essere conosciuta e divulgata. È stato anche un profeta.
Le Cinque piaghe della Chiesa (una volta la chiesa non aveva piacere che si
mettessero in luce le sue mancanze, le sue debolezze). Previde partecipazione
liturgica del popolo. La sua filosofia indica uno spirito degno di essere
conosciuto, imitato e forse invocato anche come protettore dal Cielo. Ve lo
auguriamo di cuore. “Delle cinque piaghe della santa chiesa” è suddiviso in
cinque capitoli corrispondenti ciascuna ad una piaga, paragonata alle piaghe di
Cristo. In ogni capitolo la struttura è la medesima: un quadro
ottimistico della Chiesa antica segue un fatto nuovo che cambia la situazione
generale (invasioni barbariche, nascita di una società cristiana, ingresso dei
vescovi nella politica) la piaga i rimedi. La prima piaga e la divisione del popolo
dal clero nel culto pubblico. Nell'antichità romana, il culto era un mezzo di
catechesi e formazione e il popolo partecipava al culto. Poi, le invasioni
barbariche, la scomparsa della lingua dei romana, la scarsa istruzione del
popolo, la tendenza del clero a formare una casta hanno eretto un muro di
divisione tra il popolo e i ministri di Dio. Rimedi proposti: insegnamento della
lingua romana, spiegazione delle cerimonie liturgiche, uso di messalini in italiano.
La seconda piaga e l’nsufficiente educazione del clero. Se un tempo i preti
erano educati dai vescovi, ora ci sono i seminari con piccoli libri e piccoli
maestri: dura critica alla scolastica, ma soprattutto ai catechismi. Rimedio:
necessità di unire scienza e pietà. La terza piaga e la disunione tra i
vescovi. Critica serrata ai vescovi dell'ancien régime: occupazioni politiche
estranee al ministero sacerdotale, ambizione, servilismo verso il governo,
preoccupazione di difendere ad ogni costo i beni ecclesiastici, schiavi di
uomini mollemente vestiti anziché apostoli liberi di un Cristo ignudo. Rimedi:
riserve sulla difesa del patrimonio ecclesiastico, accenni espliciti di
consenso alle tesi dell'Avenir sulla rinunzia alle ricchezze e allo stipendio
statale per riavere la libertà. La quarta piaga e la nomina dei vescovi
lasciata al potere temporale. Compie un'approfondita analisi storica
sull'evoluzione del problema e critica i concordati moderni con cui la S. Sede
ha ceduto la nomina al potere statale (e, accenna prudentemente, per avere
compensi economici). Rimedi: propone un ritorno all'elezione dei vescovi da
parte dei fedeli. La quinta piaga e la servitù dei beni ecclesiastici. Sostiene
la necessità di offerte libere, non imposte d'autorità con l'appoggio dello
Stato, rileva i danni del sistema beneficiale, propone la rinuncia ai privilegi
e la pubblicazione dei bilanci. ARovereto gli ha dedicato il liceo che
frequentò quando ancora si chiamava Imperiale e Regio Ginnasio. Borgomanero
ospita l'Istituto Rosmini. Domodossola ospita il liceo delle Scienze Umane
"Antonio Rosmini (istituto parificato). Roma ospita la sede dell'Istituto
Comprensivo. Torino ospita la biblioteca Antonio Rosmini del polo biomedico
universitario che in passato fu un istituto scolastico attivo fino alla fine
del XX secolo. Trento, dove si trova il liceo "A. Rosmini". M.
Farina, I. Prosser I. Prosser Marcello Bonazza, L'Accademia
Roveretana degli Agiati, su agiati, Accademia Roveretana degli Agiati, «Don
Francesco Paoli artefice della rinascita
dell'Accademia e suo president. Ragionamento sul comunismo e socialismo, G. Grondona,
Genova, Questa tesi fu messa in discussione da G. Abbà a cui Rosmini
controbatté nel Diario filosofico di Adolfo, Riv. rosminiana, Pagani Rossi. Nota
sul valore dei Decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere). Angelus: Rosmini, esempio per la Chiesa, su
agensir, Biografia di Antonio Rosmini, su vatican.va. Istituto Antonio Rosmini, su rosmini-borgomanero.
Liceo delle Scienze Umane su cercalatuascuola.istruzione. Istituto Comprensivo
Antonio Rosmini, su ic-rosmini.edu. Biblioteca Rosmini, su
biomedico.campusnet.unito. su
vivoscuola. M. Farina, Gl’Agiati, Brescia, Morcelliana Edizioni, Italo Prosser, El pra' de le Móneghe:
cronistoria del monastero di Santa Croce nell'antico comune di Lizzana,
Rovereto (Trento), Stella, 2Approfondimenti Michele Federico Sciacca, La
filosofia morale di Antonio Rosmini, Torino, Fratelli Bocca, Giovanni Pusineri,
Rosmini (Edizione riveduta e aggiornata da Remo Bessero Belti), Stresa, Edizioni
Rosminiane Sodalitas, Michele Dossi, Profilo filosofico di Antonio Rosmini,
Brescia, Morcelliana, Alfeo Valle, Antonio Rosmini. Il carisma del fondatore,
Rovereto, Longo Editore, Paolo Marangon, Il Risorgimento della Chiesa. Genesi e
ricezione delle "Cinque piaghe" di A. Rosmini, collana Italia Sacra,
Roma, Casa Editrice Herder, Antonio Rosmini, Frammenti di una storia della
empietà, a c. di Alfredo Cattabiani con una nota filologica di M. Albertazzi,
Trento, La Finestra, Fulvio De Giorgi, Rosmini e il suo tempo. L'educazione
dell'uomo moderno tra riforma della filosofia e rinnovamento della Chiesa
Brescia, Morcelliana, Michele Dossi, Il Santo Probito, La vita e il pensiero di
Antonio Rosmini, Trento, Il Margine, Paolo Gomarasca, La forma morale
dell'essere. La poiesi del bene come destino della metafisica, Milano, Angeli,
F.Paoli, Antonio Rosmini, Virtù quotidiane, Verona, Edizioni Fede &
Cultura, Maurizio De Paoli, Maestro e
profeta, Milano, Edizioni San Paolo, Piero Sapienza, Eclissi Dell'educazione?
La sfida educativa nel pensiero di Rosmini, Roma, Libreria Editrice Vaticana,
Giuseppe Goisis, Il pensiero politico di Antonio Rosmini e altri saggi fra
critica ed Evangelo, S. Pietro in Cariano, Gabrielli, Comunità di San Leolino,
Una profezia per la Chiesa. Verso il Vaticano II, Panzano in Chianti, Edizioni
Feeria-Comunità di San Leolino Umberto Muratore, Rosmini per il Risorgimento.
Tra unità e federalismo, Stresa, Edizioni Rosmininane Sodalitas,. C.Bergamaschi,
Antonio Rosmini. La perfezione della vita cristiana, Stresa, Rosminiane
Sodalitas,. Luciano Malusa, Antonio Rosmini per l'unità d'Italia. Tra
aspirazione nazionale e fede cristiana, Milano, FrancoAngeli,. Domenico
Fisichella, Il caso Rosmini. Cattolicesimo, nazione, federalismo, Roma, Carocci);
U. Muratore, Apologia della fedeltà. In difesa dei valori etici e spirituali,
Stresa, Rosminiane Sodalitas,. Luciano Malusa, Stefania Zanardi, Le lettere di
Antonio Rosmini-Serbati, un "cantiere" per lo studioso. Introduzione
all'epistolario rosminiano, Venezia, Marsilio Editore,. Stefania Zanardi, La
filosofia di Antonio Rosmini di fronte alla Congregazione dell'Indice Milano,
FrancoAngeli. Treccani Dizionario di storia, Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Crusca, Antonio Francesco Davide Ambrogio Rosmini Serbati. Antonio
Rosmini. Rosmini. Serbati. Keywords: gl’agiati. Refs.: Luigi Speranza, “Rosmini
e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51658456610/in/photolist-2mPqEYR-2mPvmTf-2mGRYwQ-2mGT6p1
Grice e Serra – filosofia italiana – economia
filosofica – storia della economia romana – massoneria -- Luigi Speranza (Dipignano). Filosofo mercantilista. Considerato
il primo filosofo dell’economia politica in Italia, e uno dei primi in Europa.
A lui va il merito di avere composto per primo un trattato scientifico, seppure
non sistematico, sui principi e sulla politica economica. Poco si conosce della
sua vita: laureato probabilmente in utroque, imprigionato nelle carceri della
Vicarìa di Napoli forse a causa della sua partecipazione al complotto
architettato da Campanella per liberare la Calabria ma più probabilmente dietro
accusa di falso monetario. Mentre e in carcere compose “Breve trattato
delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono
miniere” e lo dedica al vice-ré di cui spera l'aiuto. Riusce a farsi ricevere
dal nuovo viceré, III duca d’Osuna, per proporgli un programma di riforme utili
al Regno. L’incontro fu infruttuoso e e ri-mandato nelle carceri della Vicarìa,
dove probabilmente muore. Essendo molto gravi le condizioni finanziarie del
Regno di Napoli -- esausto il tesoro pubblico e l'onere del fisco già così
gravoso da indurre molti a lasciare la città per sottrarvisi -- M. Santis propone
di limitare l'esportazione della moneta e di abbassare i tassi di cambio con le
piazze estere. La polemica con Santis è alla base della proposta di Serra. Dimostra
con esempi tratti dalla antica storia romana l'inutilità e anzi il danno di questi presunti
rimedi. Da ciò trae occasione per spiegare la vera causa della prosperità della
nazione italiana. Analizza la causa della scarsità di moneta nel Regno di
Napoli e il fattore che puo invertire questa tendenza economica. Il primo ad
analizzare e comprendere appieno il concetto di bilancia commerciale incluso il
bene di servizio e il bene del movimento di capitale. Spiega come la scarsità
di moneta nel Regno di Napoli e causata dal deficit della bilancia dei
pagamenti. Utilizzando le sue scoperte e in grado di respingere l'idea per cui
la scarsità di denaro e dovuta al tasso di cambio. La soluzione prospettata al
problema e indicata nella promozione attiva delle esportazioni. Serra segna il
distacco dalla concezione moralistiche scolastica per passare ad una spiegazione
laica ed è assolutamente innovativa per l'epoca tanto che Croce la define
lampada di vita. E F. Galiani a scoprirlo, tessendone un elogio in una nota del
suo celebre trattato Della Moneta. Chiunque legge questo trattato, scrive, resta
sicuramente sorpreso ed ammirato in vedere quanto in un secolo di totale
ignoranza dell’economia filosofica ha Serra chiare e giuste le idee della
materia di cui scrisse e quanto sanamente giudicasse delle cause de nostri mali
e de soli rimedi efficaci. Galiani paragona Serra a Melon e a Locke,
considerandolo superiore per avere vissuto molti anni prima in un'epoca di
ignoranza dell’economia filosofica. Egli, che in vita era stato del tutto
trascurato e per secoli, tranne appunto quell'elogio di Galiani, completamente
dimenticato, dopo molto tempo è stato finalmente riscoperto. L. Addante,
Cosenza e i cosentini: un volo lungo tre millenni, Rubbettino, F. Martelloni,
Regno di Napoli e Terra d'Otranto, Aspetti economici e sociali di una crisi, in
C. Perrotta, La scienza è una curiosità. Scritti in onore di U. Cerroni, Manni,
R. Benini, B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Laterza. Avendo ottenuto di
parlare al vice-ré duca d’Ossuna per comunicargli cose utili allo stato, e udito,
presenti i consiglieri, ma, giudicandosi che avesse detto ciarle e chiacchiere
senz'altro concludere, e ri-mandato al suo carcere. O. Parise, Vita e pensiero
del primo economista moderno, Ecra, Destefanis,
Illuministi Italiani, F. Galiani, Milano-Napoli, F. Galiani, Della moneta,
Napoli, F. Salfi, Elogio, primo filosofo di economia civile, in L. Addante,
Patriottismo e libertà. L'Elogio di F. Salfi, Cosenza, P. Custodi. Scrittori
classici italiani di economia politica, Milano, G. Pecchio, Storia della
economia pubblica in Italia, Lugano, Narrazioni tratte dai giornali del governo
di P. Girone duca d'Ossuna vice-ré di Napoli scritti da F. Zazzera, Archivio storico
italiano, G. Savarese, Trattato di economia politica, Napoli, F. Ferrara,
Prefazione, in Trattati italiani, Torino, L. Bianchini, Della scienza del ben
vivere sociale e della economia pubblica e degli Stati, Napoli, D. Andreotti,
Storia dei cosentini, Napoli, L. Accattatis,
Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, Cosenza; T. Fornari, Studii (Pavia);
L. Amabile, T. Campanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia”
(Napoli); A. Marco, Teorie economiche, Memorie del R. Istituto lombardo di
scienze e lettere, classe di lettere e scienze storiche e morali, R. Benini,
Sulle dottrine economiche, Appunti critici, in Giornale degli economisti, Economisti, A. Graziani, Bari, G. Arias, Il
pensiero economico di Antonio Serra, in Politica, B. Croce, “Storia del Regno
di Napoli” (Bari); Economisti napoletani, G. Tagliacozzo, Bologna, L. Einaudi,
Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma, J. Schumpeter,
Storia dell'analisi economica, Torino, L. Rosa, I critici, Atti del Congresso storico calabrese,
Napoli, G. Galasso, Economia e società nella Calabria” (Guida); O. Nuccio,
Rivista storica del Mezzogiorno, R. Colapietra, Introduzione, in Problemi
monetari negli economisti filosofici napoletani, R. Colapietra, Roma A. Aquino,
L’approccio monetario all'analisi della bilancia dei pagamenti, in Studi economici,
R. Colapietra, Genovesi in Calabria, Rivista
storica calabrese, Manoscritti napoletani di P. Doria, GGalatina, T. Toscano, La disputa sui cambi esteri del
Regno di Napoli, Rivista di politica economica, C. Rije, ed. anast., Napoli, S. Ricossa, Cento
trame di classici dell’economia, Milano, O. Nuccio, Il pensiero economico
italiano, Sassari, Il Mezzogiorno agli inizi del Seicento, L. De Rosa,
Roma-Bari, Alle origini del pensiero economico in Italia, I, Moneta e sviluppo
negli economisti napoletani, A. Roncaglia, Bologna, E. Zagari, Moneta e
sviluppo, A. Rosselli, La teoria dei cambi,
A. Landolfi, D. Luciano, V. Valentia, A. Placanica, Storia della
Calabria (Roma); A. Roncaglia, Rivista italiana degli economisti, L. Addante,
Repubblicanesimo e mito di Venezia, Istituzioni e sviluppo economico, A.
Roncaglia, La ricchezza delle idee: storia del pensiero
economico, Roma-Bari, E. Grilli, Visto da Grilli, Roma, R. Villari,
Politica barocca. Inquietudini, mutamento e prudenza, Roma); A. Roncaglia, Serra,
in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Economia, Roma, R. Villari, Un sogno di libertà. Napoli nel declino
di un impero, Milano; O. Parise, Vita e pensiero del primo economista moderno,
Roma; L. Addante, La politica del Breve trattato (Soveria Mannelli). Mercantilismo
Storia del pensiero economico. Treccani Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il contributo italiano alla storia del
Pensiero: Economia. Antonio Serra. Serra. Keywords: massoneria, circolazione
degl’idee massoniche, mito di Venezia, economia romana, Machiaveli,
mercantilismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Serra” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732951347/in/datetaken/
Grice e Settala – i problemi sessuali
d’Aristotele: desiderio e piacere -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Profisico. Figlio di
Francesco e Giulia. Studia a Brera e Pavia. Insegna a Milano. Si prodigò in
occasione della famosa peste dei I promessi sposi. Manzoni lo nomina una prima
volta quando parla del figlio, Senatore
Settala, medico, membro, insieme a A. Tadino del tribunale della sanità ai
tempi della vicenda di Renzo e Lucia; e tra i primi ad accorgersi che la strana
malattia che si diffonde nella zona lecchese, e la peste. Saggi: “In librum
Hippocratis Coi de aeribus, aquis, [et] locis, commentarii V. Appositus est
Graecus Hippocratis contextus ope antiquorum exemplarium, restitutus et
emendatus cum indice rerum et verborum locupletissimo una cum nova eiusdem in
Latinum versione” (Colonia: Ciotti); “Problemata di Aristotele” (“Commentariorum
in Aristotelis problemata” -- septem primas sectiones – secundam heptadem --
continens, ab eodem Latine facta”) (Francoforte sul Meno: Wecheli, Marnio,
Aubri); “Animaduersionum et cautionum
medicarum libri septem quorum materiam sequens pagina indicabit” (Milano, Bidell);
“De peste et pestiferis affectibus libri quinque (Milano, Bidell); “De ratione
instituendae et gubernandae familiae libri quinque” (Milano, Bidell); “Della
ragion di stato” (Milano: Bidelli); “Cura locale de' tumori pestilentiali, che
sono il bubone, l'antrace, o carboncolo, ed i furoncoli contenente tutto quello
che si ha da fare esteriormente nellquesti mali tolta dal libro della cura
della peste” (Milano, Bidelli); “Preseruatione dalla peste” (Brescia: Fontana);
“Anti-rotario romano con l'aggionta dell'elettione de semplice e prattica delle
compositioni e di due trattati, vno della teriaca romana, l'altro della teriaca
egittia aggiontoui in questa vltima impressione auertenze e osseruationi
appartenenti alla compositione de medicamenti” (Milano: Bidelli); “Auertenze,
et osseruationi appartenenti al curar le ferrite” (Milano: Cardi); “Compendio
per curare ogni sorte de tumori esterni et cutanee turpitudini, raccolto da osseruationi
fisice, & chirurgice” (Milano: Monza); Statistica medica di Milano Milano,
Guglielmini e Redaelli, Belloni, C. Borromeo e la Storia della Medicina, in San
Carlo e il suo tempo: convegno, Milano). Edizioni di Storia e Letteratura, Bartolomeo Corte, Notizie istoriche intorno a
medici scrittori milanesi, Milano, Filippo Argelati, Bibliotheca scriptorum
mediolanensium seu acta, et elogia virorum omnigena eruditione illustrium, qui
in metropoli Insubriae, oppidisque circumjacentibus orti sunt, Mediolani, Paolo
Sangiorgio, Cenni storici sulle due Pavia e di Milano e notizie intorno ai più
celebri medici, chirurghi e speziali di Milano dal ritorno delle scienze sino
all’anno. Opera postuma, F. Longhena, Milano, Salvatore De Renzi, Storia della
medicina italiana, Napoli, E. Ferrario, Intorno alla vita ed alle opere mediche
Cenni, Milano, P. Capparoni, Profili
biobibliografici di medici e naturalisti celebri italiani, Roma, Cava, La peste
di S. Carlo. Note storico mediche sulla peste, Milano, Ricerche Firenze Ferro,
La peste nella cultura lombarda, Milano, G. Cosmacini, Il medico e il cardinale,
Milano. G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Firenze, Molini, L. Facchin, Ludovico Settala: un intellettuale
barocco fra scienza e arte Treccani Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Mellerio,
Ludovico Settala, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, openMLOL, Horizons Unlimited srl. Patricio Milanese.
Ludovicus Septalius. Ludovico Settala. Settala. Keywords: ragion di stato. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Settala” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690979997/in/photolist-2mKKMt4
Grice e Severino – oltre il linguaggio,
oltre l’aporia di Parmenide – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo. Intende collocarsi oltre ogni filosofia permeata dal nichilismo. Figlio
di un militare originario di Mineo e una bresciana di Bovegno in alta Val
Trompia, si laurea a Pavia come alunno
dell'Almo Collegio Borromeo, discutendo una tesi su metafisica, sotto la
supervisione di Bontadini. Insegna a Milano e Venezia, uno dei Lincei. Critica sia
il capitalismo sia il comunismo, fonti della vita inautentica in quanto
espressioni di dominio della tecnica, come d'altronde il fascismo, ma anche la
sinistra in quanto non è più social-democrazia, rilasciando anche dichiarazioni
sul suo punto di vista sul passato e sull'avvenire dell'Italia. Le spiegazioni
della crisi del nostro tempo rimangono molto in superficie anche quando
vogliono andare in profondità. Il fenomeno di fondo, che non viene
adeguatamente affrontato, è l'abbandono, nel mondo, dei valori della tradizione
occidentale; e questo mentre le forme della modernità dell'Occidente si
sono affermate dovunque. Un abbandono che si porta via ogni forma di assolutoe
innanzitutto Dio. Muore, dicevo, ogni forma di assolutezza e di assolutismo,
dunque anche quella forma di assoluto che è lo stato, che detiene il monopolio
legittimo della violenza. Questo grande turbine che si porta via tutte le forme
della tradizione è guidato dalla tecnica ed è irresistibile nella misura in cui
ascolta la voce che proviene dal sottosuolo del pensiero filosofico del nostro
tempo. Il turbine travolge anche le strutture statuali. Investe innanzitutto le
forme più deboli di stato. La trasformazione epocale di cui parlo non è
indolore: il vecchio ordine non intende morire, ma è sempre più incapace di
funzionare, soprattutto in Paesi come l'Italia. E il nuovo ordine non ha ancora
preso le redini. È la fase più pericolosa (non solo per l'Italia). Criticando
"l'assolutismo religioso e comunista", oltre che tacciando la
magistratura di "ingenuità", poiché processando una classe politica a
fondo ha rivelato la contiguità anche con la criminalità organizzata, figlia
della guerra fredda e, secondo Severino, impossibile da debellare
integralmente in pochi anni senza debellare lo Stato stesso, causando notevoli
problemi. «L'Italia è uno Stato acerbo. Ha 150 anni su per giù. Ma
soprattutto ha alle proprie spalle una storia di frazionamento
politico-economico-sociale, dove si sono imposte forze che hanno avuto nel
mondo un peso ben maggiore di quello dell'Italia unita.. Sull'evasione fiscale:
Una tara storica, come prima le dicevo. L'evasione fiscale è un furto ai danni
di tutti. Se c'è da costruire una strada io devo metterci anche la parte degli
evasori. Certo, molti artigiani e piccoli imprenditori, se non evadessero,
fallirebbero. Tutti sanno queste cose. Però conosco anche tanti cattolici ai
quali molti uomini di Chiesa facevano capire che se non avessero ritenuto
"giusto" pagare le tasse dello Stato, avrebbero fatto bene a non
pagarle. Questo Papa, da buon pastore, sta cercando di cambiare le cose. Ma non
vorrei che si perdesse di vista che la "corruzione" di fondo è
l'"evasione" del mondo dal passato dell'Occidente. Oltre alle citate
critiche, Heidegger parlando con Fabro a Roma ebbe a dire a proposito di
"Ritornare a Parmenide" di Severino: Ha immobilizzato il mio Dasein. Già
da molto prima prima, alcuni appunti di lavoro heideggeriani testimoniano come
Heidegger seguisse Severino (da uno
studio di Alfieri e Herrmann). -- è
stato criticato do Odifreddi, in risposta a un giudizio critico su un'opera di
Odifreddi, ovvero l'introduzione scritta all’ABC della relatività di Russell,
dove venivano citati alcuni filosofi (tra cui Severino e Croce) in maniera non
congrua e "alla rinfusal Odifreddi l’ accusa invece di non considerare
l'importanza della scienza (come già fecero i neoidealisti, come Croce e
Gentile), a differenza di filosofi che studiano a fondo alcune teorie. Nel
dialogo con A. Chiara, Oltre l'uomo e oltre Dio, la filosofia della necessità
si contrappone alla filosofia della libertà. Fa spesso riferimento a
pensatori come Velia, Leopardi, e
Gentile. Leopardi e Gentile sono all'apice della follia del nichilismo. Considera
Leopardi e Gentile come i due più grandi geni che hanno portato all'estremo la
concezione del mulla ovvero l'entrare e l'uscire degli enti dal nulla. Affronta
il problema dell'essere. Tutte le filosofie costituitesi precedentemente sono
caratterizzate da un errore di fondo: la fede del divenire. Sin
dagli antichi, infatti, un ente (ovvero un qualcosa che è) e considerato come
proveniente dal nulla, dotato di esistenza e successivamente ritornante nel
nulla. Rifacendosi a Velia, è
stato definito come un neo-veliano, di cui sarebbe l'unico esponente, peraltro
criticato in senso anti-metafisico da G. Sasso e M. Visentin, i quali
sostengono, rovesciando la sua tesi, come, contrariamente all'opinione diffusa,
in Velia esista invece un deciso rifiuto della metafisica.. Riflettendo
sull'opposizione assoluta tra essere e non-essere, dato che tra i due termini
non vi è nulla in comune, ritiene evidente che l'essere non può non rimanere
costantemente uguale a se stesso, evitando di rimanere alterato dall'altro da
sé. Anzi, essendo l'essere la totalità di ciò che esiste, non può esserci altro
al di fuori di esso dotato di esistenza (Severino rifiuta, quindi, il concetto
di differenza ontologica così come è stato avanzato da Heidegger). Per
Severino, quindi, tutta la storia della filosofia occidentale è
basata sull'errata convinzione che l'essere possa diventare un nulla, sebbene
alcuni filosofi tentano di negare tale assunto. Ma, mentre Velia tenta di
risolvere il conflitto tra il divenire e l'immutabilità dell'essere affermando
l'illusorietà del divenire (negando l'esistenza delle cose del mondo e cadendo
quindi in un'aporia), sceglie una via differente, portandolo a delle tesi
estreme. Dato che l'essere è, e non può mai diventare un nulla, ogni
essente è eterno. Ogni cosa, ogni pensiero, ogni attimo e eterno. Il di-venire
non può, quindi, che rappresentare l'apparire degli eterni stati dell'essere,
così come i fotogrammi di una pellicola si susseguono sino a formare lo
svolgimento completo di un film. Gl’essenti entrano ed escono del cerchio
dell'apparire. Quando un essente esce dal cerchio dell'apparire, non diviene un
nulla, ma si sottrae semplicemente all’inter-soggetivo. Dunque, l’essente esiste
anche quando scompaie ovvero non si perceive. Vedere senza vedere, dice
Sperduto in una tragicommedia. Afferma che il di-venire dell’essente è come lo
scorrere dell’essente sulla superficie di uno specchio. L’essente, infatti,
esiste prima di entrare nel campo inter-soggetivo
dello specchio e ovviamente continua ad esistere anche dopo esserne uscite. Il
di-venire e l’ immagine inter-soggetiva dell’essere. Questo si estende anche a ogni
essente che nel divenire si manifesta. La dimostrazione dell'eternità di
tutti gli essenti, si basa sostanzialmente sul principio di non contraddizione,
ma non nella versione che ne dà Aristotele nel De Interpretatione. In essa anzi
il discorso del tramonto del senso dell'essere trova la sua formulazione più
rigorosa e più esplicita. Bisogna invece ritornare a Velia correggerne l'esito
aporetico, dimostrando che l'evidenza fenomenica non è in contrasto col
principio di non contraddizione, ma scoprendo anche che il divenire così come
uscire dal nulla e ritornare nel nulla, non appare affatto, non è affatto
evidente. Di qui si potrà proseguire su una via -- quella indicata da Velia, il
sentiero del giorno. Consideriamo la proposizione di Velia -- è infatti
l'essere, il nulla non è. Tale proposizione esprime l'opposizione assoluta
tra i "essente" e "non essente". Pertanto ogni essente, in
quanto ent-e, è assolutamente opposto al nulla e non ci può essere uno stato in
cui un ente non sia, come pensa invece il principio di non contraddizione
aristotelico -- è necessario che l'essente sia, quando è, e che il non-essente
non sia, quando non è". Quest'enunciato esprime il pensiero di una
condizione, in cui l'essente è nulla, in cui essere=nulla. Questa impossibile
ed impensabile contraddizione costituisce una follia essenziale. Infatti il
pensiero occidentale pensa sì, consapevolmente, l'essente come essere, ma
insieme come di-veniente, cioè che esca dal nulla e ritorni nel nulla. Ad esso
sfugge invece che ciò equivale a pensare l'ente come nulla; e questo è il
nichilismo più proprio, la follia che si annida nell'inconscio della filosofia.
L’essere non è un ente tra gli enti. Esso rappresenta piuttosto l'apparire ontologico
degli enti, e per questo motivo viene definito un transcendens rispetto
all'ente. Rigetta questa concezione. Afferma che la totalità dell'essere è
costituita dalla totalità degli enti. La vera differenza ontologica è quindi
quella che si costituisce tra l'essere (l'ente) diveniente e quello
immutabile. L'essere che appare e scompare non è lo stesso essere
immutabile, ma è anch'esso eterno. Entrambi esistono, ma in differenti
dimensioni. L'essere come fondamento è una struttura eterna e non soggetta ad
alcun mutamento. Tutto è avvolto (fino alla morte) dal nichilismo Un po'
tutti i filosofi che l'hanno avuto sottomano hanno inteso il nichilismo come
allontanamento dalla verità, e l'hanno dunque declinato a seconda dell'idea di
verità a cui stavano pensando. Nella prospettiva severiniana dell'eternità di
tutte le cose, il nichilismo è dunque il credere che le cose siano mortali,
ovvero che l'essere possa non essere,ed uscire e rientrare nel nulla, ovvero
credere nel di-venire delle cose. Credere infatti che le cose escano dal nulla
e vi ritornino equivale ad identificare l'essere con il nulla: quindi si parla
di pura "follia". Al di fuori della follia appare l'eternità di ogni
cosa e di ogni evento. Al di fuori del nichilismo il sopraggiungere dell'ente è
il comparire o lo sparire dell'eterno. Il divenire dell'essere è un'opinione
senza verità. L'Occidente non domina il mondo casualmente o perché ha una
possibilità offensiva superiore; ma, al contrario, ha una possibilità offensiva
superiore perché domina il mondo che crede nelle sue stesse imprescindibili
idee guida (scienza, potenza, tecnica, salvezza, ecc.) e quindi in una cultura
che ritiene più avanzatae dove dunque l'avanzamento non è una virtù morale, ma
la capacità di capire e fare più cose per sopravvivere all'imprevedibilità
dell'esistenza. Ritiene che la filosofia abbia sempre cercato riparo contro il
terrore che scaturisce dall'imprevedibilità dell'esistenza perché innanzitutto
si è sempre creduto nell'evidenza del divenire degli enti, del loro uscire dal
nulla e rientrarvi. Anche le grandi forme di epistème che tendono a dare un
ordine ed una configurazione prestabiliti all'esistenza, si muovono sullo
stesso terreno. L'intera storia dell'Occidente è quindi storia del
nichilismo. La radicale distruzione dell'epistème operata da parte della
filosofia e la rapida ascesa della scienz ai vertici del sapere sono
conseguenze inevitabili di questa forma di pensiero (la civiltà della tecnica
è, infatti, la forma estrema di volontà di potenza). Tutto ciò che appare
appare in maniera necessaria ed il progressivo manifestarsi degli eterni non
segue, quindi, una sequenza casuale. Ciò significa che la libertà dell'uomo non
esiste, ma appare all'interno di quell'essente (anch'esso eterno) che è il
nichilismo. Ed è proprio all'interno dell'Occidente che appare il
"mortale" come noi lo conosciamo. Ma l'Occidente è destinato al
tramonto, per fare spazio al destino della verità, la verità che testimonia la
follia della fede nel divenire. Solo all'interno del destino della verità la
morte acquista un significato inaudito: in realtà la morte è la persuasione
dell'assentarsi dell'eterno. Da quanto detto precedentemente appare
chiaro come non ci sia posto per il Dio comunemente inteso. Nel corso della
storia della filosofia, l'affermazione
dell'esistenza di qualcosa di immutabile (tra cui Dio in tutti i diversi modi
nei quali filosofia e religione lo hanno concepito) è sempre stata fatta
partendo dal presupposto che il di-venire non significhi necessariamente la
nascita dal nulla e il tornare nel nulla delle cose che in esso si presentano.
Quest'affermazione è, inoltre, sempre avvenuta con l'intento di risolvere le
varie contraddizioni che quel presupposto implica e di inventare un rimedio per
l'angoscia che il pensiero dell'annientamento provoca. Questo genere di
immutabilità è, quindi, di segno diverso da quella che compete agli enti sulla
base dell'impossibilità assoluta che qualcosa si annulli. Per questo motivo è
impossibile che esista un Dio. A maggior ragione è impossibile che esista un
dio dotato della capacità di creare gli enti dal nulla e di mantenerli in
esistenza grazie alla sua libera volontà (altrettanto libero potrebbe essere,
per Dio, l'annichilimento"diverso dal concetto fisico di annichilazione -,
e cioè la volontà di far cessare la durata della loro esistenza per farli
ritornare nel nulla). Essendo ogni ente eterno, non può esserci né
creazione né annientamento, e quindi neanche un Dio comunemente inteso. Alla
luce del destino della verità, ogni ente, anche il più insignificante, acquista
un significato inaudito. L'uomo si porta quindi radicalmente al di là del super-uomo
e della volontà di potenza. L’uomo è un super-dio, ben più grande del Dio della
tradizione religiosa. L'inconciliabilità fra la dottrina dell'Essere e il
Tomismo è stata sostenuta da C. Fabro. Barzaghi, con cui ha più volte dialogato
pubblicamente, ha mostrato la possibilità di utilizzare le intuizioni sull'eternità dell'essente proprio per
affermare l'esistenza di Dio e ricondurre il pensiero del filosofo all'alveo
cristiano da cui si è staccato (entrambi sono stati alunni, all'Università Cattolica,
del filosofo cattolico e apologeta G. Bontadini). Pur non rivedendo
pubblicamente il suo punto di vista sull'esistenza di Dio, apprezza ed elogia
la proposta di Barzaghi. Con “La Gloria” giunge, tra le altre cose, alla
dimostrazione necessaria dell'esistenza degli "altri". Quando Cartesio
infatti scopre che la carta vincente della scienza è la conferma delle ipotesi
da parte dell'esperienza, e cioè da parte della presenza certa a me da parte
delle cose, si apre il problema della fondazione dell'esistenza appunto di
altre dimensioni che come la mia accolgono l'accadere del mondo, ma che a
differenza della mia non sono apparenti, non sono cioè da me visibili. I
fallimenti dei tentativi di soluzione a tale problema (eminentemente proposti
ad opera della fenomenologia, sì che questo problema fu certamente uno dei più
cogenti all'interno del discorso filosofico di Husserl), a cominciare da quello
di Cartesio, si determineranno essenzialmente per l'assenza del senso autentico
dell'essente e del senso dell'oltrepassamento. L'oltrepassamento dell'attualità
nella costellazione infinita di cerchi finiti dell'apparire del destino è
necessità dell'esistenza di un altro apparire finito, diverso da quello
attuale. Nella Gloria, perviene alla fondazione del senso autentico
dell'oltrepassamento, dopo aver stabilito nelle opere precedenti che il
divenire autentico (cioè non nichilistico) non è il crearsi e l'annullarsi
dell'essente, ma il comparire e lo sparire di ciò che è eterno. Ma è in
questa sede innanzitutto fondamentale precisare, a partire da considerazioni
svolte dallo stesso Severino in Destino della Necessità (che le cose della
"terra" (termine con il quale Severino designa la dimensione degli
essenti che via via appaionoe che, per contro, il nichilismo pensa come
fuoriuscenti dal nulla ed al nulla ritornanti) "incominciano" ad
apparire (il loro apparire esce cioè dall'ombra del non-apparire ed entra nel
cerchio dell'apparire). Con "cerchio dell'apparire" si intende, qui,
la totalità degli enti che appaiono: è, cioè, l'apparire in quanto ha come contenuto
tutto ciò che appare (ossia è l'apparire "trascendentale");
l'apparire delle cose della terra, quell'apparire incominciante di cui sopra,
è, perciò, la relazione tra il cerchio dell'apparire (l'apparire
trascendentale) e una parte del suo contenuto. È altrettanto fondamentale
precisare che l'incominciare della terra (a sua volta eterna), non aggiunge
alcunché al tutto eterno che è, con Velia, appunto, “non incompiuto” (ouk atelePombaon),
“non manchevole” (oulon achineton). Anche l'incominciante apparire, difatti, è
eterno: il suo incominciare è il suo entrare nel cerchio dell'apparire.
Entrandovi, naturalmente, apparema questo apparire dell'entrare è lo stesso
entrare, ossia è quello stesso di cui si dice che, eterno, entra nel cerchio
dell'apparire. E, così come ogni ente, anche l'appartenenza della terra al
cerchio dell'apparire è eterna. L'eterna appartenenza al cerchio dell'apparire
entra nel cerchio eterno dell'apparire. Entrandovi, appare, e quest'ultimo
apparire è lo stesso apparire incominciante in cui consiste l'incominciante
appartenenza della terra al cerchio dell'apparire. L'apparire incominciante è
cioè apparire di sé stesso (e di tutte le altre cose che incominciano ad
apparire), ed è questa autoriflessione dell'apparire incominciante ciò che
entra nel cerchio dell'apparire e incomincia a far parte del contenuto di
questo cerchio. Ma ogni essente che incomincia ad apparire (ogni
oltrepassante) è destinato ad essere oltrepassato: diventerebbe, altrimenti, condizione
indispensabile dell'apparire degli essenti e quindi originarietà che sarebbe
dovuta apparire già da sempre. Un oltrepassante che sia non oltrepassabile è
impossibile, perché altrimenti esso dovrebbe iniziare ad appartenere allo sfondo
(e intende, con questo termine, quel
complesso di significati, o costanti persintattiche costanti sintattiche di
ogni significato –, senza i quali non apparirebbe nulla, motivo per cui non
possono non essere sempre presenti. Tra questi ad esempio vi sono i significati
esseree e nulla. Inoltre, la serie progressiva degli essenti che via via
appaiono è necessariamente finita; infatti, se in direzione del passato fosse
estensibile all'infinito, ci vorrebbe un percorso infinito, e quindi mai
concluso, per giungere al momento attuale. C'è quindi un primo passo compiuto
dalla terra. La totalità attuale di ciò che è destinato ad apparire è,
per quanto sopra esposto, necessariamente oltrepassata. Ma in che senso?
Essa non è, difatti, oltrepassata dall'apparire infinitogiacché l'apparire
infinito (l'infinito oltrepassarsi da parte delle forme proprie dell'apparire
finitodove la Gloria è proprio questo infinito dispiegarsi) non è un
oltrepassamento incominciante, ma è l'oltrepassamento già da sempre ed
eternamente compiuto della totalità del finito. La totalità attuale
dell'incominciante è, dunque, necessariamente oltrepassata da un
incomincianteil quale non può apparire attualmente, ma è tuttavia necessario
che appaia (in quanto l'incominciare è incominciare ad apparire), e che quindi
è necessario che appaia sopraggiungendo in un cerchio diverso, altro, dal
cerchio originario dell'apparire. La totalità simpliciter degli
essenti-che-sono-degli-oltrepassanti (la totalità dell'oltrepassante, cioè, che
include come parte la totalità attuale dell'oltrepassante) non può essere a sua
volta oltrepassata, perché ciò che la oltrepasserebbe sarebbe un oltrepassante
non incluso nella totalità dell'oltrepassante; e se l'oltrepassante (cioè
l'incominciante) che oltrepassa la totalità degli oltrepassanti non fosse a sua
volta oltrepassato, esso sarebbe quel contenuto impossibile che è, appunto (per
quanto sopra esposto), l'incominciante non-oltrepassabile. Poiché la
terra oltrepassa anche l'attualità dell'apparire del cerchio originario, sopraggiungendo
in un cerchio diverso, il contenuto incominciante che appare nel cerchio
originario dell'apparire attuale, è oltrepassato (infinitamente) in due
direzioni: (a) In quanto contenuto incominciante, esso è oltrepassato
lungo il dispiegamento infinito del contenuto attuale del cerchio originario
(o, per utilizzare il suo lessico, lungo la Gloria del dispiegamento infinito
della terra che si inoltra nel cerchio originario). Ma non è in quanto tale
contenuto è attuale che esso viene oltrepassato lungo il dispiegamento infinito
del contenuto attuale. (b) In quanto contenuto attuale (in quanto, cioè,
alla sua attualità) il contenuto incominciante è oltrepassato invece in un
altro cerchioe in un'infinità di altri cerchi dell'apparire.
L'oltrepassante-incominciante, qui, entra nell'apparire non attuale. Anche
questa seconda direzione dell'oltrepassamento è un dispiegamento infinito nella
Gloria, ma, appunto, nella gloria che consiste nell'infinito sopraggiungere,
nel cerchio originario, della costellazione infinita degli altri cerchi. La
gloria è l'unità di queste due dimensioni. La dimensione dell'essente, che
incomincia cioè ad apparire nel cerchio originario, è necessariamente
oltrepassata da un'altra dimensione dell'essente (perché l'incominciante non
può incominciare ad appartenere all'essenza dello Sfondo, non incominciante e
non tramontante, del cerchio originario); ma anche l'attualità dell'essente che
incomincia ad apparireossia anche l'apparire (che, in quanto tale, è apparire
attuale) dell'essente che incomincia ad apparireincomincia ad apparire, sì che
(per lo stesso motivo) è necessariamente oltrepassata in un altro cerchio
dell'apparire; e anche la sintesi tra l'attualità del cerchio originario e
l'attualità in sé dell'altro cerchio incomincia ad apparire nel cerchio
originario, quando in esso incomincia ad apparire ciò che ne oltrepassa
l'attualità; e dunque (per lo stesso motivo) tale sintesi è oltrepassata in un
terzo cerchio (e, cioè, l'attualità in sé dell'altro cerchio non è oltrepassata
solo nel cerchio originario, ma necessariamente in un terzo cerchio)e così
all'infinito. In definitiva, l'oltrepassamento dell'attualità di un
cerchio non avviene solo lungo la dimensione "verticale" del singolo
cerchio, ma anche lungoquella "orizzontale" della costellazione di
cerchi del Destino. L'oltrepassamento hegeliano, invece, conserva
"idealmente", cioè astrattamente, ciò che oltrepassa, e non
realmente, determinandone la distruzione. In un contesto siffatto è fondata
l'impossibilità dell'esistenza degli "altri", perché l'altro, che è
il mio oltrepassante, determinerebbe il mio superamento, e mi consegnerebbe ad
una dimensione puramente ideale. Infatti nel sistema hegeliano l'esistenza
degli altri significa l'esistenza di soggetti empirici, sensibili, che è quindi
comunque interna all'esistenza produttiva dell'unico io. Il nichilismo è un
essente che incomincia ad apparire, ed è quindi destinato ad essere
oltrepassato. L'essente che oltrepassa il nichilismo è l'essente che porta al
tramonto l'isolamento del senso delle cose dalla verità. Il nichilismo è,
infatti, pensare e vivere le cose come nulla in quanto delle cose non appare il
legame alla struttura originaria della verità, e quindi non appare l'eternità.
L'essente, o la dimensione di essenti, che porta al tramonto l'isolamento del
senso delle cose dalla verità è la gloria (cioè la manifestazione) della verità
stessa. L'ampiezza dell'isolamento non coinvolge solo il legame tra i singoli
essenti e la verità, ma anche il legame tra gli infiniti cerchi dell'apparire,
il loro passato e il futuro del percorso che la terra è destinata a compiere in
essi. Nella Gloria non si è Dio, perché Dio crea ed annienta le cose anche e
soprattutto quando ama; e dunque appartiene al regno dell'errore perché l'amore
è volontà e la volontà è voler alterare il senso proprio ed eterno, cancellarne
l'identità. Dio è, quindi, infinitamente meno della più umbratile tra le cose
vere. Tutto è oltre Dioe oltre ogni forma di mortalità, compresa la vita umana
come credenza nel poter creare e annientare gli essenti. Opere: “La
struttura originaria” (Brescia, La Scuola; Nuova ediz. riveduta, Introduzione
del Milano, Adelphi); “Fichte” (Brescia, La Scuola, poi in Fondamento della
contraddizione, Milano, Adelphi, Filosofia
della prassi, Milano, Vita e Pensiero, Milano,
Adelphi, “Ritornare a Parmenide” in «Rivista di filosofia neoscolastica», poi
in Essenza del nichilismo, Brescia, Paideia, Milano, Adelphi, Ritornare a
Parmenide. Poscritto, in «Rivista di filosofia neoscolastica», poi in Essenza
del nichilismo, Brescia, Paideia, Milano, Adelphi, Essenza del nichilismo.
Saggi, Brescia, Paideia, Milano, Adelphi, Gli abitatori del tempo. Cristianesimo,
marxismo, tecnica (Roma, Armando,
Téchne); “Le radici della violenza” (Milano, Rusconi, IMilano, Rizzoli);
“Legge e caso, Piccola Biblioteca Milano, Adelphi,); “Destino della necessità.
Κατὰ τὸ χρεών, Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi); “A Cesare e a Dio” (Milano,
Rizzoli, La strada, Milano, Rizzoli); “La filosofia antica, Milano, Rizzoli); “La
filosofia moderna, Milano, Rizzoli, “ Il parricidio mancato,Collana Saggi. Milano,
Adelphi, La filosofia contemporanea. Da Schopenhauer a Wittgenstein, Milano,
Rizzoli, Traduzione e interpretazione
dell'«Orestea» di Eschilo, Milano, Rizzoli, La tendenza fondamentale del nostro tempo, Milano,
Adelphi, “Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo, Biblioteca Filosofica
n.6, Milano, Adelphi); “Antologia filosofica dai Greci al nostro tempo, Milano,
Rizzoli); “La filosofia futura, Milano, Rizzoli); “Il nulla e la poesia. Alla
fine dell'età della tecnica: Leopardi, Milano, Rizzoli); “Filosofia. Lo
sviluppo storico e le fonti” (Firenze, Sansoni); “Oltre il linguaggio” (Milano,
Adelphi); “La guerra” (Milano, Rizzoli); “La bilancia” (Milano, Rizzoli); “Il
declino del capitalismo” (Milano, Rizzoli); “Sortite -- sui rimedi e la gioia”
(Milano, Rizzoli); “Metafisica” (Milano, Adelphi); “Pensieri sul Cristianesimo”
(Milano, Rizzoli); “Tautótēs, Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi, La filosofia dai Greci al nostro tempo” (Milano,
Rizzoli); “La follia dell'angelo” (Milano, Rizzoli); “Leopardi -- Cosa arcana e
stupenda” (Milano, Rizzoli); “La tecnica” (Milano, Rizzoli); “La buona fede”
(Milano, Rizzoli); “L'anello del ritorno” (Biblioteca Filosofica Milano,
Adelphi); “Crisi della tradizione occidentale” (Milano, Marinotti); “La legna e
la cenere, ovvero, dell’esistenza” (Milano, Rizzoli); “Il mio scontro con la
Chiesa” (Milano, Rizzoli); “La Gloria. ἄσσα οὐκ ἔλπονται: risoluzione di destino
della necessità (Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi); “Oltre l'uomo e oltre
Dio” (Genova, Melangolo, Lezioni sulla politica. I Greci e la tendenza
fondamentale del nostro tempo” (Milano, Marinotti); Tecnica e architettura” (Milano,
Cortina); Dall'Islam a Prometeo, Milano, Rizzoli); Fondamento della contraddizione,
Milano, Adelphi,. Nascere. E altri problemi della coscienza (Milano, Rizzoli, Milano, BUR,. Sull'embrione, Milano, Rizzoli, Il
muro di pietra. Sul tramonto della tradizione filosofica, Milano, Rizzoli); Ricordati
di santificare le feste” (Milano, AlboVersorio); “L'identità della follia” (Milano,
Rizzoli). “Oltrepassare” (Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi); Etica e
Scienza” (Milano, Editrice San Raffaele, Immortalità e destino, Milano, Rizzoli, La
buona fede. Sui fondamenti della morale, Milano, Rizzoli, Volontà, fede e
destino, D. Grossi, Milano-Udine, Mimesis); L'etica del capitalismo e lo
spirito della tecnica, e sulla pena di morte, Milano, AlboVersorio, La ragione,
la fede, Milano, AlboVersorio, L'identità del destino. Milano, Rizzoli, Il
diverso come icona del male, Torino, Bollati Boringhieri, Democrazia, tecnica, capitalismo, Brescia,
Morcelliana, Discussioni intorno al
senso della verità, Pisa, ETS, La guerra e il mortale, L. Taddio, Milano-Udine,
Mimesis. Macigni e spirito di gravità. Riflessione sullo stato attuale del
mondo, Milano, Rizzoli,. L'intima mano, Biblioteca Filosofica, Milano,
Adelphi); Volontà, destino, linguaggio. Filosofia e storia dell'Occidente, U.
Perone, Torino, Rosenberg e Sellier, Istituzioni di filosofia, Brescia, Morcelliana);
Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Milano, Rizzoli,; Milano, BUR,. La
bilancia. Milano, BUR, Del bello, Milano, Mimesis,, La morte e la terra, Biblioteca Filosofica
Milano, Adelphi,. Capitalismo senza futuro, Rizzoli, Milano,. Educare al
pensiero, Brescia, La Scuola,. Pòlemos, Milano, Mimesis, Intorno al senso del
nulla, Milano, Adelphi,. L'etica del capitalismo e lo spirito della tecnica. E
la pena di morte, Milano, AlboVersorio, La potenza dell'errare. Sulla storia
dell'Occidente, Milano, Rizzoli,. Il morire tra ragione e fede, Venezia,
Marcianum, Parliamo della stessa realtà? Per un dialogo tra Oriente ed
Occidente, Milano, Jaca, Sul divenire. Modena, Mucchi,. Piazza della Loggia.
Una strage politica, I. Bertoletti, Brescia, Morcelliana,. In viaggio con
Leopardi. La partita sul destino dell'uomo, Milano, Rizzoli,. Dike, Biblioteca
Filosofica, Milano, Adelphi,. Cervello, mente, anima, Brescia, Morcelliana, Storia,
Gioia, Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi, Il tramonto della politica.
Considerazioni sul futuro del mondo, Milano, Rizzoli); “L'essere e l'apparire” Brescia,
Morcelliana, Dell'essere e del possibile, cMilano, Mimesis,. Sulla verità e la morte, Milano, Rizzoli, Il
nichilismo e la terra, Milano, Mimesis, Testimoniando il destino, Biblioteca
Filosofica, Milano, Adelphi, Ontologia e
violenza. Milano, Mimesis, Aristotele, I
principi del divenire. Libro primo della Fisica (Brescia, La Scuola). Filosofo
dell'eterno. Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Milano, Rizzoli, Parmenideo, su la Repubblica, Scianca, Addio a Emanuele Severino: ecco chi
era il grande filosofo dell'essere, su Il Primato Nazionale, Bovegno, il filosofo cittadino onorario, su
giornaledibrescia «L'esperimento di
Barzaghi è importante e va seguito con attenzione. [...] Immerso
nell'alienazione, il cristianesimo è come una casa invisibile di cui qualcuno
dice, indicando un banco di nebbia: "Là c'è una casa". Che cosa si
riuscirebbe a vedere se la nebbia (l'alienazione) diradasse? Forse una casa. Ma
forse nulla. Nel primo caso, il cristianesimo avrebbe ancora qualcosa da dire,
e di grande» (E. Severino, Nascere. E altri problemi della coscienza
religiosa). «Rigoroso fino alla fine.
Solo un po' più triste», in Bresciaoggi, Emanuele Severino, il tributo si celebrerà a
Palazzo Loggia, in Bresciaoggi. Ecco perché la giovane Italia va in malora",
su il Fatto Quotidiano, P. Odifreddi, La scienza sotto tiro, su la Repubblica, D.
Fusaro e D. Didero, Filosofico.net. Gianluca Miligi et al., "Sguardo su
Emanuele Severino", su filosofia.) "filosofo poetante" cf. La Guerra, occorre riconoscere che le sue posizioni,
qualunque sia il giudizio che si pensa di dover dare su di esse, non sembrano
aver avuto, perlomeno fino ad ora, un vero e proprio seguito tra coloro che si
occupano professionalmente di filosofia.» (Cfr. Mauro Visentin, Il
neoparmenidismo italiano. Le premesse storiche e filosofiche, Napoli,
Bibliopolis) Neoparmenidismo, su filosofia. Se noi potessimo mai non essere, già adesso
non saremmo. La prova più certa della nostra immortalità è il fatto che noi ora
siamo. Perché ciò dimostra che su di noi il tempo non può nulla: in quanto è
già trascorso un tempo infinito. È del tutto impensabile che qualcosa che è
esistito una volta, per un momento, con tutta la forza della realtà, dopo un
tempo infinito possa non esistere: la contraddizione è troppo grossa. Su questo
si fondano la dottrina cristiana del ritorno di tutte le cose, quella induista
della creazione del mondoche si ripete continuamente a opera di Brahma, e dogmi
analoghi di Platone e altri filosofi.» (A. Schopenhauer) D. Sperduto, Vedere senza vedere ovvero
Il crepuscolo della morte, Schena ed., Fasano di Brindisi, "Ritornare a Velia",
in Essenza del Nichilismo, Brescia, Aristotele, Liber de Interpretatione, essenza
del nichilismo, follia estrema ed estremamente nascosta: la persuasione che gli
essenti, in quanto tali, escano dal loro non essere e vi ritornino: la
persuasione che vi sia un tempo in cui l'essente (prima di essere e dopo il suo
essere) sia nulla, che il non niente sia niente: la persuasione che è il culmine
in cui si mantiene l'intera storia dell'Occidente. sDestino della necessità,
Milano, Adelphi, L'alienazione dell'Occidente. Quadrivium, Genova); “La
struttura originaria, Milano, Adelphi, Sito web Amadori F., Il libero arbitrio,
"Filosofia" Antonelli A., Verità, nichilismo, prassi. Roma, Armando, Berto
F., La dialettica della struttura originaria, Padova, Poligrafo, Crapanzano
G.E., L'immutabilità del diveniente. Roma, Gruppo Albatros Il Filo, Cusano N.,
Capire Severino. La risoluzione dell'aporetica del nulla, Milano, Mimesis
Cusano N., Emanuele Severino. Oltre il nichilismo, Brescia, Morcelliana,. Dal
Sasso A., Dal divenire all'oltrepassare. La differenza ontologica, Roma,
Aracne, Dal Sasso A., Creatio ex nihilo. Tra attualismo e metafisica” (Milano,
Mimesis); Giovanni B., Sul divenire. Gentile e Severino, Napoli, Scientifica,.
De Paoli M., “Furor Logicus” (Milano, Angeli); Aporia del fondamento, Napoli,
Città del Sole); Fabro C., L'alienazione Genova, Quadrivium, Goggi G., Al cuore
del destino. Milano, Mimesis Goggi, G., Vaticano. Magliulo, N., Quaestiones
disputatae, Milano-Udine, Mimesis,. Mauceri, L., La hybris originaria. M. Cacciari
Napoli-Salerno, Orthotes Editrice,. Messinese L., L'apparire del mondo. sulla
struttura originaria Milano, Mimesis, L. Messinese, Il paradiso della verità.
Pisa, ETS,. Messinese L., Stanze della metafisica. Carlini, Bontadini, Brescia,
Morcelliana,. Messinese L., Né laico, né cattolico. Severino, la Chiesa, la
filosofia, Bari, Dedalo,. Petterlini A., Brianese G. e Goggi G., Le parole
dell'Essere. Per Emanuele Severino, Milano, Mondadori, Poma P., Necessità del
divenire. Una critica a Emanuele Severino, Pisa, ETS,. Saccardi F., Metafisica
e parmenidismo – I veliani, Il contributo della filosofia neoclassica,
Napoli-Salerno, Orthotes,. Scilironi C., Ontologia e storia, Abano Terme, Francisci,
Scurati M., Pensare l'identità. Milano,
Alboversorio, Simionato M., Nulla e negazione. L'aporia del nulla (Pisa, Plus);
Soncini U., Il senso del fondamento in Genova, Marietti, Spanio D., Il destino
dell'essere. Brescia, Morcelliana,. Sperduto D., Vedere senza vedere ovvero Il
crepuscolo della morte, Fasano di Brindisi, Schena Editore, Sperduto D.,
Maestri futili? Gabriele D'Annunzio, Carlo Levi, Cesare Pavese, Roma, Aracne, Sperduto
D., Il divenire dell'eterno. Su Severino (e Dante), Prefazione di L. Messinese,
Roma, Aracne,. Testoni I., Emanuele Severino, La follia dell'angelo, Milano,
Mimesis, Tarca L.V., Verità, alienazione e metafisica. Rilettura critica della
proposta filosofica di Emanuele Severino, Treviso, Mevio Washington, Valent I.,
Cura e salvezza. Saggi dedicati, Bergamo, Moretti & Vitali, Visentin
M., Tra struttura e problema. Note intorno al pensiero di E. Severino, Venezia,
Marsilio [ora in Il neoparmenidismo italiano, IDal neoidealismo al
neoparmenidismo, Napoli, Bibliopolis, Metafisica Ontologia Episteme Nichilismo
Leopardi Velia Valent Galimberti. Treccani
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Associazione spazio interiore ambiente, V.
Ursini. Emanuele Severino. Severino. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Severino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51717861318/in/photolist-2mUvtTW-2mU9Yr9-2mTTTX6-2mTWT7L-2mTsNRZ-2mTcXro-2mSEtHs-2mSg7gF-2mS8HB8-2mS3yF6-2mRFcpq-2mRw6pM-2mRh74B-2mQPiYS-2mPQGvz-2mPFSS9-2mPEQVF-2mPrb68-2mPkobg-2mPnrMV-2mNzeEc-2mN8ym7-2mN9ZxJ-2mMJokF-2mLP4Rj-2mKG6xL-2mLMNn5-2mLNSQH-2mLKLVL-2mKGVU3-2mKwuhr-2mKMdFR-2mKC3nj-2mKuZ8r-2mKgT2F-2mJTejc-2mJPC2N-2mKuzCc-2mGT6p1-2mEiqh9-2mLKKZn-2mLEdXM-2mPCgo1-2mKGTYe-2mKBsEN-nUhtcD
Grice e Sforza – iustum/iussum – tra
idealismo e positivismo -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Forli). Filosofo. Direttore del Resto del Carlino. Insegna a Roma. Autore di
importanti saggi di filosofia del diritto quali Il concetto, il diritto e la giurisprudenza
naturale, Filosofia del diritto e filosofia della storia, Idee e problemi di
filosofia giuridica, ecc. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Widar Cesarini Sforza. Sforza. Keywords. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Sforza” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691577846/in/photolist-2mKToRT-2mKHdnD-2mKTyvC-2mKQdR6-2mKNRbN-2mKSjhd-2mPsUUV-2mKw3hq-2mKDwcr-ogrXod-ofU45L-noi1fT-nfGJgU
Grice e Sgalambro – della
misantropia – filosofia dell’isola di Sicilia – filosofia siciliana – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Lentini).
Filosofo. important Italian
philosopher. La sua filosofia è nichilista, definizione spesso respinta da lui
stesso, ma talvolta anche accettata, e si può piuttosto definire un'originale
sintesi tra la filosofia della vita di Schopenhauer e il materialismo e
pessimismo di Rensi, con le influenze dell'esistenzialismo sui generis di Cioran,
di alcuni temi della scolastica e della teologia empia e naturalistica di
Vanini e Mauthner. Noto anche per la collaborazione con F. Battiato. Da una
famiglia benestante (il padre era un farmacista), osserva un riserbo quasi
conventuale nella sua vita privata, fornendo tuttavia alcuni elementi
biografici nelle sue interviste o presentazioni. Dopo l'infanzia trascorsa a
Lentini, si trasferisce a Catania. S’iscrive a Catania. Dicedo di non
iscrivermi in filosofia perché la coltivavo già autonomamente. Mi piace il
diritto penale e per questo scelsi la facoltà di Giurisprudenza. Inoltre non si
trova d'accordo con la cultura filosofica dominante allora nelle accademie,
troppo legata all'idealismo di Croce e Gentile. Erano loro che occupavano tutto
lo spazio culturale. Ma io non mi ritrovo affatto in quei sistemi complessi e
completi, dove ogni cosa era già stata incasellata. Per me, filosofare e una
destructio piuttosto che una costructio. Sono uno che noto le rovine, piuttosto
che la bellezza. Questo e un po' scomodo, e non certamente accademico. Il
reddito che proveniva da un agrumeto (lasciatogli in eredità dal padre) non
basta più, così sceglie di integrarlo compilando tesi di laurea e facendo
supplenze nelle scuole. Il matrimonio è un momento, come dice Hegel, in cui la
realtà determinata entra in un individuo. Dunque il matrimonio non coincide
semplicemente con l'amore per una persona, ma con la durata. Ecco dove sta
l'essenza, quasi teologica, del matrimonio. E dichiaratamente ateo anche se
crede nella reincarnazione, come ricordato anche da Battiato, e ha avuto un
funerale religioso. Vive da solo nella sua casa catanese. Che non ci sia
niente di peggiore del mondo, non si deve dimostrare. Ripete spesso che non
possedeva titoli né lauree per i biglietti da visita e quindi come sia riuscito
a diventare un filosofo e «un mistero»
che egli stesso stenta a spiegarsi. Il suo primo contatto con un saggio
filosofica avviene quando legge “La formazione naturale nel fatto del sistema
solare” di Ardigò. Inizia a collaborare a “Prisma”. Il suo primo saggio è “Paralipomeni
all'irrazionalismo” dove, influenzato da Rensi, sviluppa un attacco
all'idealismo crociano allora in piena egemonia. S’ispira anche all'ironia di
Karl Kraus di cui ama lo stile aforistico. Se Karl Kraus avesse scritto Il
Capitale lo avrebbe fatto in tre righe. Scrive per “Incidenze”“Crepuscolo e
notte” (Messina, Mesogea), un saggio di "esistenzialismo negativo". Scrive
anche per la rivista Tempo presente. Decide di organizzare la sua filosofia in
un saggio sistematica. Manda “La morte del sole” con un biglietto di due righe
ad Adelphi. “E lì è rimasto.” “Ma siccome io sono fatto in questo modo, non ho
chiesto niente. Poi è arrivata una telefonata. Mi chiedevano di andare a
Milano, per prendere contatto con l'editore. R. Calasso mi dice che “La morte
del sole” (Milano, Adelphi) non e maturo, e marcio: ed e esattamente così. Pubblica
“Trattato dell'empietà: (Adelphi, Milano); Anatol (Adelphi, Milano), Del
pensare breve (Adelphi, Milano) Dialogo teologico (Adelphi, Milano), Dell'indifferenza
in materia di società (Adelphi, Milano), La consolazione (Adelphi, Milano), Trattato
dell'età – una lezione di metafisica (Adelphi, Milano), “De mundo pessimo”
(Adelphi, Milano); “La conoscenza del peggio” (Adelphi, Milano); “Del delitto”
(Adelphi, Milano) e “Della misantropia” (Adelphi, Milano). Viene avvicinato al nichilismo.
Talvolta ha respinto la definizione, mentre altre volte l'ha accettata, nel
senso di un nichilismo attivo e demolitore, non passivo e chiuso. Indubbiamente
questa visione è nell'intimo di me stesso. Per un nichilista le cose -- il
Papa, Mussolini, un vaso di terracotta -- si equivalgono. Questo non significa
che non si ha il senso di ciò che vale. Significa piuttosto che si prova a
romperlo come si può, per esempio con il martello del pensare. Intanto con
alcuni amici avvia una piccola attività editoriale a Catania. Nasce così la De
Martinis. All'interno di questa casa editrice, si occupa di saggistica,
pubblicando un paio di propri testi – “Dialogo sul comunismo” (Martiniis,
Catania) e “Contro la musica – sull’ethos del ascolto” (Martiniis, Catania) -- e
ristampando Vanini e di Julien Benda. Suscita polemiche una sua
intervista a F. Battistini sulla mafia, dove critica anche L. Sciascia e il
mito dell'anti-mafia militante (che tra l'altro fu criticata da Sciascia stesso.
L'immagine della Sicilia. C'è, come no? Ma cercarla in faccende di Cuffaro e di
Gabanelli è come cercare un tesoro fra le spine dei fichi d'India. Cercare che
cosa, poi? La griglia mafiosa è una gabbia. È chiaro che ha ragione la
Gabanelli e che Cuffaro vuole cancellare a suo modo la mafia, con un tratto di parole.
Ma contesto che la mafiosità sia una chiave di conoscenza. Non cambio idea. La
mafia è un concetto astratto. E gl’astratti si distruggono con la logica, non
con la polizia. La polizia può arrestare la mafia. Eliminarla, mai. Quello che
importa è la Mafia maiuscola, concetto generale e perciò indistruttibile. La
mafia in sé non mi fa venire in mente nulla. Come la patria, i morti di
Solferino. Cose vetuste. Sciascia e lo scrittore sociale, un maestro di scuola
che vuole insegnarci le buone maniere sociali. Ma rivisitarlo oggi è come
rileggere Pellico. La sua funzione si è esaurita. La mafia è l'unica economia
reale di quest'isola. Ci sono fenomeni della storia, ricchezze che non si
possono fare con le mani pulite. Qui la ricchezza è sempre stata fondiaria,
senza investimenti. La ricchezza è per sua natura sporca. Basta col gioco della
spartizione -- è mafioso o no? Domande da periodo di lotte religiose -- è
luterano o cattolico? In Sicilia sono arrivati anche i laici, per fortuna. Definisce
poi C. Fava "quel piagnone", affermando che "i famosi
Cavalieri", soprannome dato dal padre di Fava a quattro imprenditori
catanesi considerati collusi con Cosa nostra, erano l'unica economia possibile»
per la città. -- è tornato in maniera sarcastica sull'argomento. Considero la
Sicilia come un fenomeno estetico e non ne cambierei nulla. In questo senso
potrei dire che mi considero un mafioso. E attaccato da F. Ferrarotti che lo
define un neo-reazionario e di "intolleranza aristocratica e silenzio
sulla mafia. Alla sua isola ha dedicato “Teoria della Sicilia”. Là dove domina
l'elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di
inabissarsi. Una teoria dell'isola è segnata da questa certezza. Un'isola può
sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull'instabile.
Per ogni isola vale la metafora della nave. Vi incombe il naufragio. Oltre ai
saggi per Adelphi, pubblica per Bompiani Teoria della canzone, Variazioni e
capricci morali, e due raccolte di poesie, frammenti di una biografia per versi
e voce e Marcisce anche il pensiero (frammenti di un poema), nonché L'impiegato
di Filosofia, nel quale ironicamente afferma di aver rinunciato alla filosofia
ritrovandosi più filosofo che mai, curioso libretto stampato in un museo della
stampa con caratteri mobili, edito da La Pietra Infinita. Pubblica “Del
metodo ipocondriaco” (Il Girasole, Valverde), Quaternario (racconto parigino), la
raccolta di poesie Nell'anno della pecora di ferro, e Dal ciclo della vita. La
matematica è il tribunale del mondo. Il numero è ordine e disciplina. Ciò con
cui si indica lo scopo della scienza, tradisce col termine la cosa. L'ordine,
già il termine ha qualcosa di bieco, che sa di polizia, adombra negli adepti le
forze dell'ordine cosmico, i riti cosmici. L'autentico sentimento scientifico è
impotente davanti all'universo. L'inflazione che caccia nelle mani
dell'individuo, in un gesto solo, miliardi di marchi, lasciandolo più
miserabile di prima, dimostra punto per punto che il denaro è un'allucinazione
collettiva. Avviene l'incontro con F. Battiato, del tutto casualmente, perché
presentavano insieme un volume di poesie dell'amico comune A. Scandurra.
Battiato gli chiede un appuntamento per proporgli di scrivere il libretto di “Il
cavaliere dell'intelletto”. Un anno fa non ci conoscevamo neppure. Da allora
non abbiamo fatto altro che lavorare insieme. Lui e anche un filosofo, ma per
me è un talento che mi stimola e arricchisce. Mi sembra impossibile tornare a
scrivere i testi delle mie cose. In mezzo a tutto questo, mi capitò tra i piedi
Battiato. Per un certo verso direi che è stato uno di quegli incontri che ti
portano fuori strada, ma questa è una percezione che ho avuto molto tardi. A
volte trovo che è come se tutto quel tempo io lo abbia perduto. La questione
sta nel vedere se sia possibile recuperarlo. Accetta e risponde ironicamente
all'invito di Battiato chiedendogli di scrivere insieme un disco di musica pop.
Tra lui e Battiato si sviluppa un sodalizio artistico e umano, anche se non
sempre facile. Anche perché io non sono un grande seguace dell'amicizia. Con
Battiato abbiamo avuto lunghe liti, che duravano parecchio. Poi uno dei due, in
genere lui, telefonava e il rapporto riprendeva. Tutti i litigi erano per un
rigo da cambiare in una canzone. Io non accetto le esigenze della musica e per
lui questo e costoso. Il suo impegno in politica? Non ho mai capito come si sia
potuto lasciare tentare, tutti i giorni ho cercato di convincerlo a levarsi,
solo ora per fortuna sta tornando in se stesso. Collabora a quasi tutti i
progetti di Battiato, per cui scrive: i libretti delle opere Il cavaliere
dell'intelletto su Federico II di Svevia, Socrate impazzito, Schopenhauer e
Telesio, Campi magnetici; L'ombrello e la macchina da cucire, L'imboscata,
Gommalacca, Ferro battuto, Dieci stratagemmi, Il vuoto, Apriti sesame, Perduto
amor, Niente è come sembra, Auguri don Gesualdo Bufalino). Benché affermasse
che la canzone era per lui "una distrazione", scrive testi di canzoni
anche per Patty Pravo (Emma), Alice (Come un sigillo, Eri con me), Il movimento
del dare, Marie ti amiamo, Non conosco nessun Patrizio, (Facciamo finta che sia
vero ed Aurora). Dopo essere intervenuto anche ai concerti di Battiato,
si cimenta lui stesso con la musica e pubblica il singolo. In una
rappresentazione de L'histoire du soldat di Igor' Stravinskij interpreta la
voce narrante, con Battiato nella parte del soldato e Giovanni Lindo Ferretti
in quella del Diavolo. Pubblica Fun club, prodotto da F. Battiato e Saro
Cosentino. Un alleggerimento che considero doveroso. Dobbiamo sgravare la gente
dal peso del vivere, invece che dare pane e brioches. Questa volta, mi sono sgravato
anch'io. E poi, la musica leggera ha questo di bello, che in tre minuti si può
dire quanto in un libro di 400 pagine o in un'opera completa a teatro.Dà la
voce all'aereo DC-9 Itavia nell'opera Ultimo volo di Pippo Pollina sulla strage
di Ustica. La canzone della galassia, cantata assieme al gruppo
sardo-inglese Mab. Torna ad esibirsi in un pub di Catania, assieme al S. Fazio
e S. Cantarella. Finita l'esibizione alla presenza di Pippo Russo e F.
Battiato, seguì il concerto delle Lilies on Mars, band formata da due ex componenti
del gruppo MAB (Masia e Cristofalo), band che si era esibita con Battiato in Il
vuoto. Di passaggio (L'imboscata) recita:
La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il
giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son
questi. Interviene in Shakleton, da Gommalacca. In Invito al viaggio (da
Fleurs) recita: «Ti invito al viaggio in quel paese che ti somiglia tanto. I
soli languidi dei suoi cieli annebbiati hanno per il mio spirito l'incanto dei
tuoi occhi quando brillano offuscati. Laggiù, tutto è ordine e bellezza, calma
e voluttà; il mondo s'addormenta in una calda luce di giacinto e d'oro; dormono
pigramente i vascelli vagabondi, arrivati da ogni confine per soddisfare i tuoi
desideri. I fiori del male. Corpi in movimento, Campi magnetici, recita. Se io,
come miei punti, penso quali si vogliano sistemi di cose, per esempio, il
sistema: amore, legge, spazzacamino e poi non faccio altro che assumere tutti i
miei assiomi come relazioni tra tali cose, allora le mie proposizioni, per
esempio, il teorema di Pitagora, valgono anche per queste cose. D. Hilbert,
Lettera a Frege. Partecipa a quasi tutti i tour di F. Battiato: Recita
versi in latino sul brano di Battiato Canzone chimica: «Bacterium flourescens
liquefaciens, Bacterium histolyticum, Bacterium mesentericum, Bacterium
sporagenes, Bacterium putrificus. Esegue
una nuova versione con il testo riadattato in chiave filosofica. Accetta il
consiglio. Canta due brevi strofe dei suoi versi nella canzone La porta dello
spavento supremo, Dieci stratagemmi di Battiato. Quello che c'è ciò che verrà
ciò che siamo stati e comunque andrà tutto si dissolverà Sulle scogliere
fissavo il mare che biancheggiava nell'oscurità tutto si dissolverà. La porta
dello spavento supremo. Il sogno; “Teoria della canzone, Milano, Bompiani, Frammenti
di una biografia per versi e voce), Bompiani, Milano, Poesie, A. Contiero,
Reggio Emilia, La Pietra Infinita, Segrete (AContiero, Reggio Emilia, La Pietra
Infinita, Opus postumissimum; Firenze, Giubbe Rosse, Dolore e poesia (Contiero,
Reggio Emilia, La Pietra Infinita, Contro la musica. (Sull'ethos dell'ascolto) e
Dialogo sul comunismo), Quaternario. Racconto parigino” (Valverde, Girasole); “Frammenti
di una biografia” (Milano, Bompiani); “La consolazione, L'impiegato di
filosofia” (Reggio Emilia, La Pietra Infinita); “Nell'anno della pecora di
ferro” (Valverde, Girasole); Marcisce anche il pensiero. Frammenti di un poema,
Opus postumissimum” (Milano, Bompiani); “Teoria della canzone” (Milano,
Bompiani); Variazioni e capricci morali” Milano, Bompiani, Dal ciclo della vita” (Valverde, Girasole); Devozione
allo spazio in Giuseppe Raciti, Dello spazio, Catania, CUECM, Sciascia e le
aporie del fare in Sciascia. Scrittura e verità, Palermo, Flaccovio, Carpe veritatem,
La filosofia delle università” (Milano, Adelphi); “Empedocle o della fine del
ciclo cosmico” in A. Grado, Grandi siciliani. Tre millenni di civiltà” (Catania,
Maimone); “Gentile o del pensare” in A. Grado, “Grandi siciliani. Tre millenni
di civiltà(Catania, Maimone); Post scriptum in P. Barcellona, Lo spazio della
politica. Tecnica e democrazia” (Roma, Riuniti); “Un discorso coerente sui
rapporti tra Dio e il mondo” (Catania, De Martinis); “La filosofia dell'autorità”
(Catania, De Martinis); quarta di copertina prefazione in A. Scandurra,
Trigonometria di ragni, Milano, All'Insegna del Pesce d'Oro, La malattia dello
spazio in Insulæ. L'arte dell'esilio, Genova, Costa & Nolan, “Vanini e
l'empietà” Vanini, “Confutazione delle religioni” (Catania, De Martinis); “Breve
introduzione in Giuseppe Tornatore, Una pura formalità, Catania, De Martinis, Piccola
glossa al “Trattato della concupiscenza” in Bossuet, Trattato della
concupiscenza, Catania, De Martinis, Klaus Ulrich Leistikov, Mantrana. Un
gioco, Catania, De Martinis); “Gentile e il tedio del pensare in Giovanni
Gentile, L'atto del pensare come atto puro” (Catania, De Martinis); Manlio
Sgalambro, Il bene non può fondarsi su un Dio omicida in C. Martini U. Eco, In
cosa crede chi non crede?, Roma, Liberal, Sciascia e le aporie del fare in L.
Sciascia. La memoria, il futuro, M. Collura, Milano, Bompiani, T. Ottonieri,
Elegia sanremese, Milano, Bompiani, La morale di un cavallo in O. Cappellani,
La morale del cavallo, Scordia, Nadir, PM. Cosentino, I sistemi morali,
Catania, Boemi, postfazione in Domenico Trischitta. Il miraggio in celluloide,
Catania, Boemi, Piccole note in margine a Salvo Basso in S. Basso, Dui,
Catania, Prova d'Autore, Il fabbricante di chiavi L. Ingaliso, Nell'antro del
filosofo. Dialogo, Catania, Prova d'Autore, postfazione in Alessandro Pumo, Il
destino del corpo. L'uomo e le nuove frontiere della scienza medica, Palermo,
Nuova Ipsa, Sodalizio in Franco Battiato. L'alba dentro l'imbrunire (allegato a
F. Battiato. Parole e canzoni), Vincenzo Mollica, Torino, Einaudi, Del vecchio
in Riccardo MondoLuigi Turinese, Caro Hillman. Venticinque scambi
epistolariTorino, Bollati Boringhieri, I malnati, Porretta Terme, I Quaderni
del Battello Ebbro, seconda di copertina, Lettera a un giovane poeta in Luca
Farruggio, Bugie estatiche, Roma, Il Filo, prefazione in Toni Contiero, Reggio
Emilia, Aliberti, Teoria della Sicilia in Guido Guidi Guerrera, Battiato. Baiso,
Verdechiaro, M. Falzone, F. Battiato. La Sicilia che profuma d'oriente,
Palermo, Flaccovio, Una nota in F. Battiato, In fondo sono contento di aver fatto
la mia conoscenza (allegato a Niente è come sembra), Milano, Bompiani, L’ethos
della musica in Bruno Monsaingeon, Incontro con Nadia Boulanger, Palermo, rue Ballu,
prefazione in Arnold de Vos, Il giardino persiano, Fanna (PN), Samuele, Manlio
Sgalambro, prefazione in Angelo Scandurra, Quadreria dei poeti passanti,
Milano, Bompiani, seconda di copertina Sull'idea di nazione in Catania. Non vi
sarà facile, si può fare, lo facciamo. La città, le regole, la cultura,
Catania, ANCE, Dicerie in F. Battiato, Auguri don Gesualdo, Milano, Bompiani, postfazione
in C. Guarrera, Occhi aperti spalancati, Messina, Mesogea, Di un fantasma e di
mari, Catania, Prova d'Autore, Nota in Georges Bataille, W.C., A. Contiero, Massa,
Transeuropa, Massa, prefazione in Giampaolo Bellucci, Un grappolo di rose
appese al sole, Villafranca Lunigiana, Cicorivolta, prefazione in Pourparler,
Catania, Prova d'Autore, Apologia del teologo in F. Presutti, “Deleuze e
Sgalambro: dell'espressione avversa” (Catania, Prova d'Autore); Riflessione in
M. Scuriatti, Mico è tornato coi baffi, Milano, Bietti, Presentazione in A.
Rotoletti, Circoli di conversazione a Biancavilla, Modugno, Arti Grafiche
Favia, Il senso della bellezza in F. Battiato, Jonia me genuit. Discografia
leggera, discografia classica, filmografia, pittura, Firenze, Della Bezuga, Moralità
plutarchee in Domenico Trischitta, Catania, Il Garufi, La città dei morti in
Luigi Spina, Monumentale. Un viaggio fotografico all'interno del gran
camposanto di Messina, Milano, Electa, prefazione in Ghesia Bellavia, Fermo
immagine, Catania, Il Garufi, Sulla mia morte in F. Battiato, Attraversando il
bardo. Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani); Fun club, Milano, Sony,Sony, feat.
Mab, La canzone della galassia, Milano, Sony, L'ombrello e la macchina da
cucire, Breve invito a rinviare il suicidio, Piccolo pub, Fornicazione,
Gesualdo da Venosa, Moto browniano, Tao, Un vecchio cameriere, L'esistenza di
Dio) in F. Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, Milano, EMI, Di
passaggio, Strani giorni, La cura, Amata solitudine, Splendide previsioni, Ecco
com'è che va il mondo, Memorie di Giulia, e Di passaggio in F. Battiato, L'imboscata,
Milano, Polygram, voce (Canzone chimica)
in Franco Battiato, L'imboscata live tour (registrazione video di un concerto),
Milano, Polygram, Emma Bovary in Patty Pravo, Notti, guai e libertà, Milano,
Sony, Casta diva, Il ballo del potere, La preda, Il mantello e la spiga, È
stato molto bello, Quello che fu, Vite parallele, Shackleton in F. Battiato,
Gommalacca, Milano, Polygram, Medievale, Invito al viaggio in F. Battiato,
Fleurs. Esempi affini di scritture e simili, Milano, Universal, La quiete dopo
un addio, Personalità empirica, Il cammino interminabile, Lontananze d'azzurro,
Sarcofagia, Scherzo in minore, Il potere del canto, Personalità empirica in F. Battiato,
Ferro battuto, Milano, Sony, Invasione di campo in Invasioni, Come un sigillo in F. Battiato,
Fleurs, Milano, Sony, Non dimenticar le mie parole in F. Battiato, Perduto amor,
Milano, Sony, voce (Shackleton, Accetta il consiglio) in F. Battiato, Milano,
Sony, Tra sesso e castità, Le aquile non volano a stormi, Ermeneutica, Fortezza
Bastiani, Odore di polvere da sparo, Conforto alla vita, 23 coppie di
cromosomi, Apparenza e realtà, La porta dello spavento supremo) in F.Battiato, Dieci stratagemmi. Attraversare
il mare per ingannare il cielo, Milano, Sony, in Un soffio al cuore di natura
elettrica (registrazione audio e video di un concerto), Milano, Sony, Il vuoto,
I giorni della monotonia, Aspettando l'estate, Niente è come sembra, Tiepido
aprile, Io chi sono?, Stati di gioia e dell'adattamento in italiano di Era
l'inizio della primavera (da Tolstoj) in F. Battiato, Il vuoto, Milano,
Universal, Il movimento del dare, Milano,
Sony, testi (Tutto l'universo obbedisce all'amore, Del suo veloce volo (da
Antony Hegarthy, Frankenstein) in F. Battiato, Fleurs 2, Universal, testo
(Marie ti amiamo) in Carmen Consoli, Elettra, Milano, Universal, 'U cuntu in F.
Battiato, Il tutto è più della somma delle sue parti, Milano, Universal, testo
(Non conosco nessun Patrizio!) in Milva, Non conosco nessun Patrizio!, Milano,
Universal, Facciamo finta che sia vero)
in Adriano Celentano, Facciamo finta che sia vero, Milano, Universal, Eri con me) in Alice, Samsara, Arecibo, tUn irresistibile richiamo, Testamento,
Quand'ero giovane, Eri con me, Passacaglia, La polvere del branco, Caliti
junku, Aurora, Il serpente, Apriti sesamo) in F. Battiato, Apriti sesamo,
Milano, Universal, Strani giorni, in F.
Battiato, Milano, Polygram, Patty Pravo, Emma Bovary, Milano, Sony, F,
Battiato, Milano, Polygram, Il ballo del potere, Emma, L'incantesimo in Franco
Battiato,Milano, Polygram, Sarcofagia, In trance) in F. Battiato, Milano, Sony,
testo in F. Battiato, Il vuoto, Milano, Universal, F. Battiato feat. Carmen
Consoli, Tutto l'universo obbedisce all'amore, Milano, Universal, F. Battiato, Inneres Auge, Milano, Universal, F.
Battiato, Passacaglia, Milano, Universal; Il cavaliere dell'intelletto, i
Palermo, testi e attore in Martin Kleist, Socrate impazzito Catania) testi e
attore in Franco Battiato, Fano, attore in Igor' Fëdorovič Stravinskij, L'histoire
du soldat, inedito, (Roma, libretto e
voce (Corpi in movimento, La mer) in Franco Battiato, Campi magnetici. I numeri
non si possono amare, Milano, Sony, (Firenze) voce (Volare è un'arte, Negli
abissi, Pratica di mare, A tu per tu con il Mig, Verso Bologna, Simulacro) in P.
Pollina, Ultimo volo. Orazione civile per Ustica, Bologna, Storie di Note, Bologna)
attore Carlo Guarrera, Frammenti per versi e voce, Catania, Battiato, Telesio.
Opera in due atti e un epilogo, Milano, Sony,
Cosenza, Martino Alliata in F. Battiato, Perduto amor, Giarre, L'Ottava,
nobile senese, in F. Battiato, Musikanten, Giarre, L'Ottava, F. Battiato, “Niente
è come sembra” (Milano, Bompiani); Intervento in D. Consoli, La verità sul caso
del signor Ciprì e Maresco, Zelig, intervento in F. Battiato, Auguri don
Gesualdo, Milano, Bompiani, intervento
in M. Perrotta, Sicilia di sabbia, Movie Factory, intervento in F. Battiato, Attraversando il
bardo. Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani,
Videoclip attore in Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, attore
in Franco Battiato, Di passaggio, attore in Franco Battiato, Strani giorni, attore
in Franco Battiato, Shock in my town, attore in Franco Battiato, Running
against the grain, attore in F. Battiato, Bist du bei mir, attore in Franco
Battiato, Ermeneutica, attore in Battiato, La porta dello spavento supremo, attore
in F. Battiato, Il vuoto, attore in Franco Battiato, Inneres Auge, F. Battiato,
F. Niso, Comunità dello sguardo (Torino, Giappichelli); L. Ingaliso, “Nell'antro
del filosofo” (Catania, Prova d'Autore); A. Cantello, Uno scherzo mimetico che possa introdurre
ad una filosofia, Mas Club, L'ultimo chierico, Messina, Mesogea, Caro misantropo. Saggi e testimonianze
Antonio CarulliFrancesco Iannello, Napoli, La Scuola di Pitagora, Salvatore Massimo Fazio, Regressione suicida.
Dell'abbandono disperato di Emil Cioran, Barrafranca, Bonfirraro, Breve invito all'opera, Davide Miccione,
Caltagirone, Lettere da Qalat, A. Carulli, Introduzione a Sgalambro, Genova,
Il Melangolo, Antonio CarulliPiercarlo
Necchi, La piccola verità. Quattro saggi (Milano, Mimesis); S. Zavoli, Le ombre
della sera in Di questo passo. Cinquecento domande per capire dove andiamo,
Torino, Nuova ERI, C. Rizzo, De consolatione theologie in M. Iiritano, S. Quinzio.
Profezie di un'esistenza, Soveria Mannelli, Rubettino, A. Matteo, il dovere dell'empietà
in Della fede dei laici. Il cristianesimo di fronte alla mentalità postmoderna,
Soveria Mannelli, Rubettino, S. Lanuzza, Il filosofo insulare in Erranze in
Sicilia” (Napoli, Guida); P. Aprile, Giù al sud. Perché i terroni salveranno
l'Italia, Segrate, Piemme, Marco Risadelli,A. Nizza, Polisofia, Roma, Nuova
Cultura, Per la critica della notte. Saggio sul Tramonto dell’Occidente (Milano,
Mimesis); E. Arosio, Ora, il mondo in L'Espresso, S. Lanuzza, Il pensiero
ipocondriaco in Il Ponte, Gerd Bergfleth, Finis mundi, A. Corda, filosofo irregolare
in Arenaria, G. Raciti, Maestro cattivo per elezione in Ideazione, F. Raffaele,
Intorno alla creatività filosofica. A colloquio con in Parolalibera, F. Nisio,
l'unico che canta. Mille sguardi, II in Democrazia e diritto. Guerra e individuo,
M. Faletra, Dialogo, Cyberzone F. Presutti,
Il cavaliere dell'intelletto in Freetime. Sicilia, M. Faletra, La pistola, in//peppinoimpastato.com/visualizza.asp M. Faletra,
L'azzardo del pensiero o il filosofo della crudeltà:Cyberzone Faletra, In
ricordo, Artribune, Tesi di laurea S. Fazio, Cioran e Sgalambro: un confront,
Catania, BattiatoSgalambro. Tra musica e filosofia, Palermo, L'impossibilità di
essere consolati. L'itinerario tragico, Genova, Filmografia G. Cionini, Il
consolatore, G. Cionini, M. Faletra, M. Bellone, F. Battiato su Storia della
musica Repubblica, adesso il filosofo
diventa crooner Intervista a Battiato e
Sgalambro YouTube Intervista a Manlio
Sgalambro: Il filosofo rock che dà del “lei” a Battiato livesicilia | l'ultima intervista "Teoria della canzone", Bompiani, e
la prefazione a "La filosofia delle università", Adelphi, il ricordo
commosso di Cacciari. Con lui incontro straordinario, Il Fatto Quotidiano. A un
tratto ci si accorge di quella cosa che chiamiamo pensare”: Addio a Sgalambro.
La sua ultima intervista. cfr. "De
mundo pessimo", "Frammenti di storia dell'empietismo",
"Trattato dell'empietà" Adelphi GAP Speciali. Un viaggio oltre
il luogo commune Rai Scuola Mariacatena De Leo & Ingaliso, Nell'antro del filosofo: dialogo con
Manlio Sgalambro (Prova d'autore È morto Manlio Sgalambro, il filosofo di F. Battiato,
radiomusik, F. Battiato choc a Napoli. Sento la fine vicina, meglio cogliere il
giorno. Il filosofo che canta il nichilismo Giovanni Tesio, "In
ginocchio davanti", TuttoLibri, "La conoscenza del peggio", Adelphi La scrittura aforistica, LaRecherche
G. Calcagno, Il filosofo è uno spione da La Stampa F. Battistini, Sciascia addio, non servi più, Corriere della
Sera. C. Formenti, Ferrarotti accusa: neoreazionario in “Corriere della Sera”, Battiato: note per un filosofo (da La Stampa). Così Sgalambro canta la sua filosofia (da La
Stampa dSito ufficiale, su sgalambro.altervista.org. MetaBrainz Foundation. Il
filosofo cantante maestro dell'ironia. Sono un uomo felice di stare su
quest'Isola, iRepubblica, Incontro in Le conversazioni di Perelandra. Manlio Sgalambro. Sgalambro. Keywords: Telesio,
Vanini, Gentile, Ardigo, Croce, Empedocle, Gorgia, Lentini, Rensi, filosofia
dell’autorita. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Sgalamabro," per il
Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689168583/in/photolist-2mPkhvE-2mKAuZM
Grice e Siciliani – la critica della filosofia zoological – filosofia
italiana (Galatina). Filosofo. Figlio di un commerciante di pelli. Studia a Otranto,
Lecce e Napoli, dalla quale fugge dopo essere stato segnalato alla polizia a
causa delle sue simpatie liberali. Si laurea a Pisa sotto lStudiati, stringendo
inoltre un proficuo rapporto di collaborazione con Puccinotti, che influsce
molto sua filosofia. Sringe rapporti di profonda amicizia con personalità
importanti e influenti della cultura, quali: S. Centofanti, F. Pacini, G. Capponi,
M. Bufalini e altri. Seguendo la sua
vocazione, orienta i propri studi verso le discipline filosofiche e ottenne la
cattedra di Filosofia speculativa e morale nel Regio liceo di Firenze. A
Firenze sposa la letterata e filantropa Cesira Pozzolini – il fratello Giorgio
Pozzolini combatte nelle maggiori battaglie risorgimentali affiancando
Garibaldi e Bixio. Iniziato in massoneria nella loggia fiorentina "La
Concordia.” Nominato professore di filosofia a Bologna. Divenne docente
ordinario della stessa disciplina sempre nell'Ateneo felsineo. A Bologna tenne
anche il secondo corso italiano di sociologia. Qui, inoltre, strinse amicizia
con G. Carducci, anch'egli accademico a Bologna ed entra in contatto con
Fiorentino e Spaventa. Dirige la Rivista bolognese di scienze, lettere, arti e
scuole. Ne abbandonò la direzione per divergenze maturate in seno alla direzine
generate, probabilmente, dall'impostazione (eclettica) che Siciliani intende dare
alla Rivista e che contrastava con l'indirizzo idealistico voluto da
Fiorentino. A Bologna istitue un centro di studi pedagogici, contribuendo
all'elevazione della pedagogia al rango di scienza. Convinto assertore della
valorizzazione della persona e perciò la sua azione educativa, per giungere
alla conquista della libertà e del carattere morale da parte del soggetto da
educare, prevedeva l'intervento della famiglia e della società. Altro sua
filosofia fondamentale e il principio dell'autodidattica che, pur non
escludendo l'azione dell'educatore, mette in primo piano il protagonismo del
soggetto da educare. Ricevette onoranze e attestati di stima da parte di molti
studiosi europei e americani, mentre in Italia la sua fama fu oscurata da
giudizi negativi, espressi anzitutto da Gentile che vede in lui un'espressione
benché autonoma del positivism. Di recente è stata rivalutata l'influenza
vichiana sul suo pensiero. A lui è dedicata la Biblioteca civica di Galatina,
nella quale è conservato il "Fondo Siciliani" la raccolta, cioè, dei
libri appartenuti al filosofo. A lui è dedicato anche il Liceo di Lecce. Di
formazione giobertiana, si accosta a Vico
già negli anni fiorentini, tentando di inaugurare una filosofia mediana (detta
della terza via) che individuasse una sintesi tra opposte e differenti
discipline. Dal suo punto di vista, infatti, ogni filosofia contiene del buono
e delle esagerazioni. Metodo della filosofia mediana e dunque, quello di salvare ciò che c'è di buono
della filosofia per rigettarne le astrattezze e le esagerazioni. Con il saggio “Zoologia filosofica” (Napoli) approde
nel più ampio dibattito, ricevendo apprezzamenti e pareri favorevoli dai più
illustri scienziati internazionali. Nel frattempo approfonde e da il suo
contributo speculativo alle nuove discipline che muovano alla ricerca di
un'identità epistemologica: la sociologia (“Socialismo, darwinismo e sociologia”
(Bologna); “Teorie sociali e socialismo” (Firenze) e la psicologia – “Prolegomeni
alla psicogenia” (Bologna). Sanctis confere a Siciliani la presidenza di
congressi a Firenze, Venezia, Genova, Milano, e Roma. Queste esperienze lo portano
a un approfondimento sempre maggiore della filosofia alla quale contribue a
conferire un indirizzo scientifico, positivista e ampiamente laico (v. le sue
opere Rivoluzione e pedagogia moderna, La scienza nell'educazione). “Filosofia
della scienza” (Firenze); “Il metodo numerico e la statistica” (Firenze); “Della
legge storica” (Firenze); “Della libertà ed unità organica della filosofia”
(Firenze); “Della fisiologia sperimentale” (Pisa);” “Medicina filosofica” (Firenze); “I principi metafisici Vico” (Firenze);
“Il triumvirato: Alighieri, Galilei e Vico (Firenze); Ai popoli salentini e al
gonfalone di Galatina un saluto e un augurio (Firenze); “Il criterio filosofico”
(Bologna); Critica del positivismo (Bologna); Le fonti storiche della filosofia
positiva in Italia in Galileo (Bologna) Gli hegeliani in Italia (Bologna); La
condanna del positivismo (Bologna); Della pedagogia all’educazione in Italia
(Bologna); L’educazione (Bologna); Sul rinnovamento della filosofia in Italia
(Firenze); “La scienza dell'educazione nelle scuole italiane come antitesi alla
pedagogia (Bologna); Dei massimi problemi della pedagogia (Roma); Il sacro secondo
i dettami della filosofia(Firenze); L’nsegnamento della pedagogia (Torino);
Della pedagogia scientifica (Milano); Rivoluzione e pedagogia moderna (Torino);
Storia critica delle teorie sociali (Bologna); Fra vescovi e cardinali (Roma);
Rivoluzione e pedagogia (Torino); “L’educazione secondo i principi della sociologia”
(Bologna); Rinnovamento e filosofia internazionale (Bologna); La nuova biologia
(Milano) Le questioni contemporanee e la libertà morale nell'ordine giuridico
(Bologna). G. Calogero, Enciclopedia
Italiana, V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo,
Milano-Roma, G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia. G.
Calogero. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G.
Invitto e N. Paparella, “Rileggere Pietro Siciliani” (Lecce); Capone Galatinesi
illustri, Guida Biografica, Galatina, Tor Graf Galatina, Carteggio familiar, F. Luceri, Centro Studi
Salentini, Lecce, P. Siciliani e Ce. Pozzolini.
Filosofia e Letteratura, Convegno/ Galatina/ Treccani L'Enciclopedia italiana, Psicologia
filosofica. Pietro Siciliani. Siciliani. Keywords: la psicogenia di Vico, ateneo
felsineo, l’unita organica della filosofia, zoologia filosofica, psicogenia, “I
principii metafisici di Vico”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Siciliani” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689771009/in/photolist-2mKDA5r-2mGnP2f
Grice e Signa -- la ruota di Venere – filosofia italiana (Signa). Filosofo. Insegna retorica (“ars
dictaminis”) a Bologna e Padova. Vive ad Ancona, Venezia, Bologna, Padova, e Firenze.
Tra i saggi più significativi si ricordano il saggio storico “L’assedio
d’Ancona” (Viella, Roma), il “Bon Compagno”; “Rethorica novissima”; “Scacchi e
il “Libellus de malo senectutis et senis”, nel quale, con spirito arguto,
prende in giro le affermazioni di Cicerone che idealizzavano la vecchiaia”; la “Rota
Veneris” (Salerno), un saggio di epistolo-grafia amorosa; “Liber de amicitia”;
“Ysagoge Boncompagnus; “Tractatus virtutum”; “Palma Oliva Cedrum Mirra Quinque
tabulae salutationum”; “Bonus Socius e
Civis Bononiae. P. Garbini, Roma, Salerno, Gabrielli, Le epistole di Cola di
Rienzo e l'epistolografia, Archivio della Società romana di storia patria, Gaudenzi,
Sulla cronologia delle opere dei dettatori bolognesi da Buon Compagno a Bene da
Lucca, Bullettino dell'Istituto storico italiano, G. Manacorda, Storia della
scuola in Italia, Palermo, F.Tateo,
Enciclopedia dantesca, Treccani Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Boncompagno da
Signa, su ALCUIN, Ratisbona. S. Wight:
Boncompagno's charter doctrine (Bologna), in: Medieval Diplomatic and the 'ars
dictandi', Scrineum. Keywords: “ars dictaminis” – o rettorica --. Bon Compagno
da Signa. Signa. Keywords: rota veneris – erotica – ermafrodita – erma:
mercurio, afrodita, venere, afrodisiaco. Luigi Speranza, “Grice e Signa” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733693876/in/datetaken/
Grice e Simioni – amanti – filosofia
italiana (Venezia). Fiosofo.
Tra i principali studiosi di Pirandello, inizia la sua attività politica
militando nelle file del socialismo. Venne espulso dal partito per indegnità
morale. Collabora con l’United States Information Service. Si trasfere a Monaco
di iera per approfondire gli studi per poi ritornare a Milano. Leader di un
collettivo operai-studenti, mentre lavora alla Mondadori, fonda il collettivo
politico metro-politano milanese. Teorizza lo scontro aperto, e si considera il
progenitore delle brigate rosse. Insieme a circa settanta persone, tra cui componenti
del collettivo ed elementi del dissenso, partecipa al convegno di Chiavari nella
sala Marchesani, adiacente la pensione Stella Maris, nel quale un gruppo di
partecipanti dichiara la propria adesione ad una visione politica. La data di
questo convegno viene da taluni considerata come la data di nascita delle
brigate rosse. Altri affermano che la formazionesia nata con il convegno di
Pecorile (Reggio Emilia). L'ultima attività, prima di passare alla completa
clandestinità, a compe come redattore di "Sinistra proletaria",
l'ultimo dei quali riporta in copertina uno sfondo rosso con disegnato al
centro un cerchio nero attorniante le sagome di quattordici mitra. Fonda la
scuola di lingue Hyperion, la quale secondo alcuni ha la funzione di una vera
centrale internazionale. Si afferma che e anche il capo del Super-clan,
organizzazione nata da una costola delle brigate rosse. Si insere nella vita
cittadina, ricominciando a frequentare gli ambienti progressisti e divenendo
vicepresidente della fondazione Abbé Pierre. E proprio quale accompagnatore
dell'Abbé Pierre, e ricevuto da Giovanni
Paolo II in udienza privata. Si avvicina al buddhismo tibetano. Si apparta
nella campagna di Truinas, nella Drôme, dove gestì un B&B. Craxi, alludendo
alla esistenza di un grande delle brigate rosse (l'eminenza grigia ipotizzata
da alcuni che dall'estero avrebbe guidato, come un burattinaio, molte delle
azioni sul suolo italiano), dichiara che costui poteva essere cercato tra quei
personaggi che avevano cominciato a fare politica con noi e poi sono scomparsi,
magari sono a Parigi a lavorare per il partito armato, frase che venne da molti
ritenuto indicasse come grande proprio lui. L'organizzazione di sinistra extraparlamentare
Lotta Continua lo accusa di essere un confidente della polizia e in contatto
con i servizi segreti.. Durante la fase iniziale di Mani pulite, e accusato da Larini
di essere il grande, accuse respinte da lui che le ritenne parte di un'azione
contro Craxi, vista la comune militanza nel socialismo. Hyperion e realmente
una scuola di lingue o la stanza di compensazione di diversi servizi
segreti? A. Ferrari, In teleselezione
dalla Francia gli ordini ai italiani? Corriere della Sera Entrambi gli edifici
sono proprietà della curia Il convegno
di Pecorile in Anni di Piombo. Il nucleo storico delle brigate rosse. E morto
il misterioso grande, La Tribuna di Treviso,
S. Fratini, Hyperion: scuola di lingue chiacchierata, -ANSA, repubblica/
cronaca/ 10/27/ news/caso_moro_il_bierre_franceschini_moretti_una_spia_ riduttivo_si_sentiva_lenin.
Dalla lotta al buddhismo, in Critica Sociale, Anni di piombo Superclan Hyperion
(Parigi) Venezia Anni di piombo. Corrado Simioni. Simioni. Keywords. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Simioni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734275929/in/dateposted-public/
Grice e Simoni – gl’eretici italiani – gl’acuti
– i nobili -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo. Figlio di Simoni, un
mercante di seta, la cui famiglia era originaria di Vagli, in Garfagnana e
Polissena, donna di una famiglia originaria di Vimercate. Studia con Bendinelli
e Paleario, due umanisti in dore di eresia. Il secondo fine sul rogo a Roma.
Legge sostenuto dal padre e dal patrizio veneziano Mocenigo peregrina nei
maggiori studi d'Italia: Bologna, Pavia, Ferrara, e Napoli. Si laurea a Padova.
Diversi ma tutti autorevoli i suoi professori: da Maggi a Cardano, da Boldoni
ad Brasavola. La sua formazione e di stampo aristotelico, come s'insegnava
nello studio padovano, con una forte esigenza razionalistica che aveva riflessi
nel campo religioso, tale da mettere in dubbio l'immortalità dell'anima e a
creare sospetti di eresia tra i professori e gli studenti di quella Università.
Con questa preparazione, Simoni fece ritorno a Lucca, dove fu tra i fondatori
del Collegio medico, esercitò la professione medica e sembra aver scritto i
suoi primi saggi di argomento filosofico. Nall'infanzia del Simoni, Lucca ha
vissuto un periodo concitato di aperti conflitti sociali e poi di tentativi di
riforme politiche e religiose, portate avanti dal gonfaloniere F.Burlamacchi e
dal circolo di intellettuali riuniti intorno a P. Vermigli, priore di San
Frediano. Quando ritorna a Lucca, quella fervida attività era già stata spenta
dalla reazione cattolica guidata dal vescovo inquisitore Guidiccioni, ma certo
quelle idee di Riforma circolano ancora sotterraneamente, e forse lui
stesso le aveva già raccolte durante i suoi trascorsi nelle diverse università
da lui frequentate. Sta di fatto che fu chiamato dalle autorità lucchesi
a dare spiegazioni sulle proprie opinioni. Per tutta risposta «non fidandosi troppo delle sue forze», cerca
la salvezza con la fuga: munito solo di un cavallo e dei propri risparmi, dopo
aver preso commiato dalla famiglia, fugge, accompagnato da un servitore, alla
volta di Ginevra. Negli atti ufficiali della Repubblica di Lucca, la sua
condanna per eresia risulta formalizzata. A Ginevra, patria del calvinismo, si
forma una numerosa colonia di emigrati italiani e tra questi non pochi erano i
lucchesi. La comunità italiana era inserita in una propria chiesa e Simoni vi
ebbe l'incarico di catechista. Preso a benvolere dall'influente teologo T. Beza,
ottenne di insegnare filosofia a Ginevra: un incarico dapprima senza compenso,
poi retribuito insieme con la nomina a Professore. Anche il padre Giovanni si
stabilì a Ginevra: in quello stesso periodo gli venne aumentato lo stipendio,
ottenne un alloggio gratuito e, nell'Accademia fu istituita appositamente per
lui la cattedra. A Ginevrà pubblica i primi saggi. Presso Crespin apparve
il suo “In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub sensum
cadunt commentarius unus” è il commento al “De sensu et sensibilibus” di
Aristotele. In esso define la verità filosofica -- una premessa tipica
dell'aristotelismo padovanoma poi cerca di dimostrare che la ragione, indagando
la natura, può giungere a Dio, rivelando le verità di fede. In tal modo,
sostiene che anche ogni questione ha natura razionale e, qualora sorgano contrasti,
la ragione è in grado di comporli, indicando la via da seguire per una corretta
interpretazione: una conseguenza, seppure non esplicita uonel s commento, della
prevalenza della ragione sulla fede, è che il dogma espressione della
tradizionale subordinazione della ragione alla fede non ha motivo di esistere. Il
suo aristotelismo che poco concede alla teologia si conferma con i successivi
commenti all'Etica Nicomachea e al De anima, mentre Simoni condusse una lunga e
dura polemica contro il filosofo J. Schegk. Questi, proprio all'opposto del
Simoni, usa argomenti tratti dalla
scolastica per dimostrare la realtà della teoria, allora caldeggiata in
ambienti luterani, della ubiquità del corpo di Cristo. Simoni risponde con
argomenti di carattere fisico dimostrando l'irrealtà di tale assunto. Unn solo
corpo fisico non può che occupare, nello stesso tempo, un unico spazio
determinato. Anche Cristo, in vita, e soggetto alla legge naturale. Dopo la
morte, Cristo mantenne soltanto una natura divina. Non è sostenibile l'idea che
Dio possa mutare una legge naturale. Ente perfetto e primo motore immobile come
l'aveva delineato Aristotele Dio agisce sulla natura unicamente attraverso la
sua perfezione che indirizza al bene gl’esseri naturali. Il suo carattere
collerico e l'alta considerazione che ha di sé lo porta a una lite clamorosa
con N. Balbani, un altro lucchese. Durante il matrimonio della figlia di
questi, Simoni lo coprì d'insulti, con grave scandalo delle autorità di
Ginevra, che fecero imprigionare Simoni e lo espulsero dall'Accademia. A nulla
valsero le suoi scuse presentate -- è del resto probabile che la severità
del Consiglio e del Concistoro ginevrino e motivata anche dalla freddezza e
dallo suo spirito d'indipendenza dimostrato che pure si dichiarava calvinista,
in materia di religione. Tuttavia Beza gli mantenne ancora la sua amicizia e lo
forne di una lettera di raccomandazione con la quale si dirige alla volta di
Parigi. A Parigi ottenne una buona accoglienza. I calvinisti qui chiamati
ugonottierano ancora tollerati e le lusinghiere referenze gli fecero ottenere
una cattedra di filosofia al Collège Royal, dove le sue lezioni ottenneno
subito un grande concorso di pubblico. Come scrisse al Beza, alle sue lezioni
assistevano sei o settecento uomini barbati, dottori, professori, et altri di
robba lunga, preti, frati, giesuiti et altra simil razza d'uomini. Si ha congratulazioni
di Ramo, che volle incontrarlo e lo chiama “felicissimum et praestantissimum
ingenium italicum”, non però quelle del collega Charpentier, che teme che fosse
stato mandato da Ginevra per turbare questa scuola. Sapeva che la sua
permanenza a Parigi era precaria: «il nome di Ginevra mi nuoce più che il nome
di ugonotto», né poteva valere molto la protezione del cardinale Odet de
Coligny, passato al calvinismo. Riferiva di aver rifiutato offerte sostanziose
da parte cattolica per insegnare in loro collegi, a prezzo di una sua
conversione, e di attendersi un prossimo editto che avrebbe affrontato il
problema della convivenza tra cattolici e ugonotti. Un editto
effettivamente ci e, emanato da Carlo IX, con il quale si proibiva ai
protestanti l'insegnamento pubblico. Così, perduti anche i suoi saggi che gli
furono sequestrati, e costretto ad abbandonare la Francia. Si apre un
nuovo periodo di difficoltà. Non potendo insegnare a Ginevra, cerca di ottenere
un incarico a Zurigo e a Basilea, sollecitando in tal senso altri
emigrati italiani come l'editore Perna e l'umanista Curione, ma invano. I
sospetti di anti-trinitarismo che gravano sul suo conto, da quando, hfatto ha isita
nel carcere di Berna all'«eretico» Valentino Gentile poco prima che questi
venisse giustiziato, e il recente scandalo provocato a Ginevra non agevolavano
il suo inserimento nelle élite intellettuali delle città svizzere.
Ottenne bensì una raccomandazione dal Bullinger per un posto di insegnante a
Heidelberg, ma anche qui rimase poco tempo: la sua amicizia con l'anti-trinitario
T. Erastus, il suo aristotelismo senza compromessi dal nulla, nulla si crea,
sostenne in una pubblica lezione, cosicché anche Cristo era stato creato da Dio
Padre e il suo carattere spigoloso gli alienarono ogni simpatia e dove
riprendere la via di Basilea. Ottenne una cattedra straordinaria di
filosofia all'Lipsia. Se puo fregiarsi della stima d’Augusto I, non eguale
considerazione ottenne dai suoi colleghi, che fecero gruppo a sé e lo
isolarono. Non si perse d'animo: molto popolare tra gli studenti per la
vivacità delle sue lezioni e lo spirito critico che infondeva negli allievi, fonda,
all'interno dell'Università, un'accademia sul modello umanistico italiano,
battezzandola degl’acuti. Degl’acuti, entra a far parte un gruppo di suoi
studenti. Le discussioni dovevano vertere sulla interpretazione di passi
aristotelici. I giovani così raggruppati intorno a lui dettero ben presto dello
spirito critico e dell'idea di esser superiori agl’altri, che il vivace
professore ha finito per insinuare nei loro animi. Pasquinate anonime contro un
professore, e il giorno dopo, un litigio clamoroso tra questo e il Simoni,
iniziano una serie di incidenti che ha termine con la soppressione degl’acuti.
La soppressione degl’acuti, decisa dal Senato universitario, testimonia i
difficili rapporti intercorrenti tra l'Università e lui, che per altro in città
era reputato ospite illustre, professionista affermato e ricercato, uomo di
mondo e di cultura dalla posizione prestigiosa, che gode della stima e del
rispetto dei suoi concittadini, e la cui fama oltrepassa la frontiera del paese
che gli dava ospitalità. Infatti, oltre a insegnare filosofia e ad avere
allievi anche illustri, come il prìncipe Radziwiłł, esercita la professione
medica, vantando clienti di riguardo. Pubblica
il suo saggio filosofico più originale, la “De vera nobilitate”, dedicato ad
Augusto I. La vera nobiltà è la virtù dell'anima umana, la quale è intesa
aristotelicamente come forma del corpo. La virtù dell'anima è perciò
strettamente legata alla particolare costituzione del corpo, trasmessa nell'individuo
di generazione in generazione dal seme del padre, che costituisce la causa
efficiente del singolo essere. Non per nulla da ‘genere’ deriva ‘generoso’. Se
pure non ogni nobile e generoso, chi è generoso è considerato nobile. Le differenze
sociali tra gl’uomini e le conformazioni dei loro corpi sono egualmente
corrispondenti per necessità naturale. La natura vuole infatti fare
diversamente il corpo dei liberi da quelli dei servi. Questi robusti e con
deformità necessarie al loro particolare utilizzo. Quelli diritti e belli,
perché non desti tali fatiche, ma alla vita civile. L’educazione svolge una
funzione per la formazione dell'uomo, ma resta inferiore a quella naturale. Di
due giovani, di diversa estrazione sociale ma educati allo stesso modo, il
nobile risulta meglio formato, in quanto la natura lo ha costituito di una
materia superiore. L'educazione ha lo stesso effetto della medicina. Fa
recuperare la propria condizione di salute, ma non può migliorarla oltre il
limite fissato dalla natura. Viene da sé che le famiglie nobili d’Italia diano
lustro alla nazione italiana, formando l'élite della società civile sotto
l'aspetto culturale e politico. Questo avviene nella nazione italiana, di
antica civiltà in sostanza. Presso i barbari non può esistere nobiltà. Il
barbaro e giustamente detto servo per natura e in quanto servo non porta in lui
nessuna virtù, essendo nato per servire sotto una tirannia e non in un regio e
civile governo. La virtù dei nobili non possono consistere nell'accumulare
ricchezze, ma essa e ugualmente attiva e pratica. E la virtù civili del
politico, che si occupa del benessere dei cittadini, quelle del medico, che si
occupa della salute degli individui, del fisiologo, che studia la natura e
infine del metafisico, che studia le cose divine. Queste ultime, insieme alla
virtù della contemplazione, è però meglio riservarle nella vita che ci attende
dopo la morte, quando quei problemi saranno facilmente risolti. Queste cose
sono irrise dai politici, tra i quali, non tra gli angeli, si discute di
nobiltà. Nel frattempo, è opportuno dedicarsi alle cose di questo mondo ed
essere utili alla società degl’uomini. Si loda Socrate il quale, trascurate le
altre parti della filosofia, coltiva quella sola che era più adatta ai costumi
degli uomini e alle istituzioni civili. Che la vera nobiltà si debba esprimere
nell'attività pratica e civile è ribadito più volte. La nobiltà spunta fuori
dalla società civile, non dalla solitudine e la virtù spirituale, come
quelle mostrate dai mistici e dai contemplativi, non e virtù nobile propria dell'essere
umano. Questa virtù discende direttamente da Dio e perciò non derivano da
generazione spermatica naturale del padre, non sono frutto della carne e del
sangue il fondamento della vera nobiltà e non essendo ereditarie non puo essere
considerata virtù nobile. Naturalmente,
ai innobili non possono essere affidati incarichi di responsabilità nel governo
della società, ma al più solo l'esercizio di magistrature minori. Derivando dal
sangue la nobiltà, non si può diventare autenticamente nobili attraverso
conferimenti onorifici, anche se concessi da un sovrano mentre, al contrario,
un autentico nobile non può essere privato della fama e dell'onore, perché in
lui opera sempre quella forza e quell'efficacia naturale ricevuta dai suoi
antenati. Dopo questa applicazione dei principi aristotelici al vivere civile e
al governo dello Stato, che deve essere affidato a chi per natura fa parte degl’ottimati,
si dedica a trattare temi propriamente medici. Appare a Lipsia il suo “De
partibus animalium” ove descrive la conformazione del feto, la “De vera ac
indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium
humoralium”; l'”Artificiosa curandae pestis methodus” ; la “Synopsis brevissima
novae theoriae de humoralium febrium natura” -- temi di drammatica attualità, a
Lipsia, investita da un'epidemia di peste. Ottene il permesso di
esercitare la professione medica all'interno dell'Università, pur senza
ottenere, oltre quella straordinaria di filosofia, anche una cattedra di
medicina. Presenta ad Augusto I una proposta di riforma universitaria. S'indica
la necessità di una maggiore cura nell'assunzione dei professori, che dovevano
dimostrare non solo di possedere la necessaria scienza, ma anche capacità
didattiche. Dovevano anche essere obbligati a tenere un maggior numero di
lezioni s'imponevano multe ai professori inadempienti mentre la durata
dell'anno accademico veniva prolungata. Particolare cura dedica
all'insegnamento. Dovevano tenere lezioni cinque professori, tra i quali un
chirurgo che avrebbe tenuto esercitazioni di anatomia e fatto dimostrazioni
pratiche di cura delle diverse affezioni. La qualità dell'insegnamento teorico
anda migliorata. Ritene che corressero troppe affermazioni dogmatiche, che
sarebbero dovute essere verificate dalla pratica e dal rigore della
dimostrazione dialettica. A questo proposito opina che avrebbe giovato
un'accurata conoscenza delle opere di Aristotele. Non mancavano poi
critiche severe sull'attuale andamento dell'Lipsia. I rettori erano scelti
grazie alle loro aderenze, si promuovevano studenti immeritevoli, vi era scarsa
pulizia, la farmacia universitaria era mal tenuta. Tali proposte e simili
critiche non potevano che alimentare ancor più l'ostilità dei colleghi. Egli
non sembrava preoccuparsene: la stima dell'Elettore Augusto si manteneva
immutata, se lo fece nominare Professore di filosofia e lo promosse a suo primo
medico personale. Avvenne tuttavia che, su sollecitazione della chiesa luterana,
la quale aveva preparato una confessione di fede che in particolare tutti
funzionari e gli impiegati, a vario titolo, dello Stato avrebbero dovuto
firmare, l'Elettore pretese tale sottoscrizione anche dal professor Simoni,
ottenendone un netto rifiuto. Racconta lo stesso Simoni che, avendo
«rifiutato costantemente di sottoscrivere quella che i teologi sassoni
denominarono Formula di Concordia, il Principe Elettore rivolse il suo sdegno
contro di me». Al che il Simoni «decise di andarsene e, nonostante l'Elettore
cercasse d'impedirlo, diede l'ultimo saluto a quelle popolazioni. Si trasferì a
Praga, dove venne assunto quale medico personale di Rodolfo II. Tale incarico e
il carattere cattolico dell'Impero di cui era ora suddito rendeva necessario un
chiarimento sulle sue posizioni religiose, poiché era nota la rottura avvenuta
a Ginevra con i calvinisti e a Lipsia con i luterani. Simoni si adeguò
facilmente alla nuova situazione e abiura pubblicamente le passate convinzioni,
ritrattò quanto nei suoi scritti poteva esservi di eretico e abbraccia formalmente
il cattolicesimo. Si tratta di una scelta di convenienza, seppure comprensibile
nel clima torbido delle persecuzioni e dell'intolleranza. Lo scrisse lui stesso
all'amico N. Selnecker, un teologo luterano. Confesso di aver abiurato, anche
se non avrei voluto farlo neppure a costo del mio sangue. Di tale mio atto
altri comunque sono i responsabili. In nessun altro modo avrei potuto infatti
salvare la mia vita, quella di mia moglie e dei miei figli che speravo di poter
condurre con me»la moglie morì poco dopo e i tre figli rimasero affidati a
Lipsia al nonno materno«io, un italiano perseguitato a causa della religione
luterana, dichiarato nemico della patria, esposto per decreto del Senato
all'agguato di sicari. E ricordò la sorte di chi non si era piegato a
compromessi. I che vidi con questi occhi il Paleologo, esule per causa di
religione, condotto su richiesta del legato pontificio dalla Moravia a Vienna,
e di qui trascinato in catene a Roma (si sente dire che ormai è stato crudelmente
arso sul rogo), io che ero circondato da ogni parte da infinite difficoltà e
pericoli di ogni genere, che cosa avrei dovuto fare? Questa lettera non venne
agli occhi dei gesuiti, che vantarono il successo ottenuto con la presunta
conversione del medico famoso, il quale avrebbe promessoa dir lorodi
collaborare nella lotta agli eretici. La loro soddisfazione non dovette però
durare a lungo, o forse essi stessi credettero poco alla conversione del
Simoni, se lo storico gesuita Sacchini poteva qualificarlo di «miserabile uomo che in
disprezzo di ogni religione sprofondò nell'empietà», mentre tra i protestanti
Beza, alla notizia della sua conversione, commentò di essere sempre stato
convinto che l'unico Dio fosse in realtà Aristotele. J. Monau, dopo aver
ricordato i suoi continui trascorsi da cattolico si è fatto calvinista, da
calvinista antitrinitario, da antitrinitario luterano, e ora di nuovo papista. lo
tratteggia da uomo profano ed empio, come indicano sia i suoi costumi, sia i
suoi discorsi, sia tutta la sua vita. Forse egli stesso sente di essere
circondato da un clima di diffidenza se non di disprezzo, perché prende la
risoluzione di lasciare le terre dell'Impero per trasferirsi in Polonia.
Sembra che sia stato un altro italiano, N. Buccella, medico personale del re Stefamo
Báthory, a raccomandarlo come medico della corte di Cracovia. Buccella, di fede
anabattista, gode di notevole considerazione, né la sua fama di eretico gli
aveva pregiudicato l'esercizio della professione in quella Polonia che era
ancora un paese tollerante. Il prestigioso incarico e la fama stessa di cui da
tempo godeva gl’apre le porte della migliore società. Riprese a pubblicare
alcuni saggi: la “Disputatio de putredine” è una confutazione, sulla scorta di
Aristotele, delle teorie d’ Erastus, mentre la “Historia aegritudinis ac mortis
magnifici et generosi domini a Niemsta” è una relazione sulla morte di un borgomastro.
Sulla malattia di quest'ultimo torna nel “Simonius supplex” insieme con una
delle solite polemiche che lo videro ora opporsi al medico di Squarcialupi. Una
nuova svolta nella sua si verifica con
la malattia e la morte del re Stefano. Báthory si sente male nel suo castello
di Grodno, e nel consulto tenuto dal Buccella e da Simoni emersero serie
divergenze. Bucella giudica molto grave le condizioni di Stefano/ Simoni
ritenne che non ci fosse nessun pericolo. Due giorni dopo le condizioni del re
si aggravarono e i due medici si trovarono d'accordo nell'imporre un salasso al
re ma in contrasto sulla dieta. Simoni e favorevole a fargli bere del vino, che
Buccella intendeva invece proibire. Nemmeno nella diagnosi si trovarono
d'accordo. Per Buccella, il re soffre di asma. Per Simoni, di epilessia. Sopravvenne
una nuova grave crisi e il re perse conoscenza. Pur giudicando molto gravi le
sue condizioni di salute, Simoni rassicura i circostanti, perché, a suo dire,
non c'era ancora pericolo di morte. Appena pronunzia queste parole che il re
spira. Lascia il castello e non volle assistere all'autopsia, sostenendo che
fosse inutile, poiché l'epilessia “ab infernis partibus ducit originem” e non
lascia tracce nel cadavere. Coordinata da Buccella, l'autopsia e effettuata da
Zigulitz, che accerta una grave alterazione dei due reni. La ri-cognizione
dello scheletro di Báthory conferma che la morte avvenne per de-generazione renale,
uremia e calcolosi. Cracovia: chiesa di San Francesco pubblica a sua difesa lo “Stephani
primi sanitas, vita medica, aegritudo, mors” che e violentemente contestato dal
“De morbo et obitu serenissimi magni Stephani” scritto da Chiakor su
ispirazione di Buccella. La polemica prosegue a lungo, coinvolgendo altri amici
di Buccella, e degenerando in insulti e attacchi sulle convinzioni filosofiche
dei due protagonisti. Contro Simoni, tra gli altri, e indirizzato l'opuscolo “Simonis
Simoni lucensis, primum romani, tum calviniani, deinde lutherani, denuo romani,
semper autem athei summa religio”. Alla fine, Sigismondo III ri-conferma
Buccella nella carica di medico curante, escludendo Simoni da ogni incarico di
corte. Da allora, le notizie su lui si fanno scarse. Pur senza avere
incarichi ufficiali, mantenne una ricca clientela e godette della considerazione
di Rodolfo, dei principi Radziwiłł, di Pavlowski
e dei gesuiti, dai quali si fa ri-ilasciare un salva-condotto per rientrare in
Italia e recarsi a Roma. Precauzione necessaria, con i suoi trascorsi: una
precauzione maggiore e però quella di rinunciare al viaggio. La sua vita
agitata ha così fine a Cracovia, come lo ricordava la lapide posta sulla sua
tomba nella chiesa di San Francesco. La data di nascita si deduce dalla lapide
sepolcrale, poi andata distrutta in un incendio, posta nella chiesa di San
Francesco, a Cracovia, nella quale era scritto che il Simoni «ultimum diem
clausit III, aIl testo della lapide è in S. Ciampi, Viaggio in Polonia, Queste
notizie biografiche si apprendono da saggio di Simoni, “Scopae, quibus verritur
confutation”. Per secoli gli storici discuteno del luogo della sua nascita. M.
Verdigi, Simone Simoni, filosofo e medico, C. Madonia, Simone Simoni da Lucca, C.
Lucchesini, Come scrive egli stesso: S. Simoni, “Synopsis brevissima” C.
Madonia, Simone Simoni da Lucca, G.
Tommasi, “Sommario della storia di Lucca”; A. Pascal, “Da Lucca a Ginevra.
Studi sull'emigrazione religiosa lucchese”; A. Fabris, “La filosofia di Simoni”
n M. Verdigi, Simone Simoni, S. Simoni a
Teodoro di Beza, in A. Pascal, Da Lucca a Ginevra, e in M. Verdigi, Simone
Simoni, cS. Simoni a Teodoro di Beza, in M. Verdigi, Simone Simoni, D. C.
Madonia, Simone Simoni, F. Pierro, La
vita errabonda di uno spirito einquieto. Simone Simoni, S. Simoni, Simonius
supplex in C. Madonia, Simone Simoni da
Lucca, M. Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo
dell'eretico lucchese. Il paleo-logo e decapitato in carcere e il cadavere arso pubblicamente a Roma, nel
campo de' fiori. M. Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo
di un eretico lucchese; F. Sacchini, Historia Societatis Jesu, in M. Verdigi,
Simone Simoni, T. di Beza, lettera a R. Gwalther, in A. Pascal, Da Lucca a
Ginevra, J. Monau, lettera a J. Crato, in D. Caccamo, “Eretici italiani” Pierro,
La vita errabonda di uno spirito inquieto. Simone Simoni, C. Madonia, Simone
Simoni da Lucca. Altre saggi: “In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et
de his quae sub sensum cadunt commentarius unus” (Genevae, Crispinum); “Commentariorum
in Ethica Aristotelis ad Nicomachum, liber primus” (Genevae, apud Ioannem Crispinum);
“Interpretatio eorum quae continentur in praefatione Simonis Simonij Lucensis,
Doct. Med. & Phil. cuidam libello affixa, cuius inscriptio est: Declaratio
eorum quae in libello D. D. Iacobi Schegkii, & c.” (Genevae, Crispinum); “Phisiologorum
omnium principiis Aristotelis De anima libri tres” (Lipsiae, Võgelin); Antischegkianorum
liber unus, in quo ad obiecta Schegkii respondetur, vetera etiam nonnulla,
dialectica & phisiologica praesertim, errata eiusdem, male defensa &
excusata inculcantur, novaque quam plurima peiora prioribus deteguntur, Basileae,
apud Petrum Pernam, Responsum ad elegantissimam illam modestissimamque
praephationem Jacobi Schegkii, cui titulum fecit Prodromus antisimonii” “Ad
amicum quendam epistola, in qua vere ostenditur, quid causae fuerit, quod
responsum illud, quo maledicus, & multis erroribus refertus Iacobi Schegkij
doctoris & professoris Tubingensis liber plene refellitur, nondum in lucem
prodierit, Parisiis, in vico Jacobaeo; “De vera nobilitate” (Lipsiae, Rhamba);
“De partibus animalium, proprie vocatis Solidis, atque obiter de prima foetus
conformatione” (Lipsiae, Rhamba); “De vera ac indubitata ratione
continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium” (Lipsiae, Bervaldi);
“Artificiosa curandae pestis methodus, libellis duobus comprehensa” (Lipsiae,
Steinmann); “Synopsis brevissima novae theoriae de humoralium frebrium natura,
periodis, signis, et curatione, cuius paulo post copiosissima et accuratissima
consequentur hypomnemata; annexa eiusdem autoris brevi de humorum differentiis
dissertatione. Accessit eiusdem Simonis examen sententiae a Brunone Seidelio
latae de iis, quae Jubertus ad axplicandam in paradoxis suis disputavit” (Basilea,
Pernam); “Historia aegritudinis ac mortis magnifici et generosi domini a
Niemsta” (Cracovia, Lazari); “Disputatio de putredine” (Cracovia, Lazari); “Commentariola
medica et phisica ad aliquot scripta cuiusdam Camillomarcelli Squarcialupi nunc
medicum agentis in Transilvania” (Vilna, Velicef); “Simonius supplex ad
incomparabilem virum, praeclarisque suis facinoribus de universa republica
literaria egregie meritum Marcellocamillum quendam Squarcilupum Thuscum Plumbinensem
triumphantem”; “Pars in qua de
peripneumoniae nothae dignitione curationeque in domino a Niemista, de subiecto
febris, de rabie canis, de starnutamento, de infecundis nuptiis agitur” (Cracovia,
A. Rodecius); “D. Stephani primi Polonorum regis magnique Lithuaniae ducis vita
medica, aegritudo, mors” (Nyssae, Reinheckelii); “Responsum ad epistolam cuiusdam
G. Chiakor Ungari, de morte Stephani primi”; “Responsum ad Refutationem scripti
de sanitate, victu medico, aegritudine, obitu, D. Stephani Polonorum regis,
Olomutii, Scopae, quibus verritur confutatio, quam advocati Nicolai Buccellae
Itali chirurgi anabaptistae innumeris mendaciorum, calumniarum, errorumque
purgamentis infartam postremo emiserunt, Olomutii, typis F. Milichtaler, Appendix
scoparum in N. Buccellam, F. Sacchini, Historiae Societatis Iesu, Antverpiae,
Ex officina filiorum Martini Nutii, Sebastiano Ciampi, Viaggio in Polonia,
Firenze, presso Giuseppe Galletti, Cesare Lucchesini” (Lucca, tGiusti); G. Tommasi,
Sttoria di Lucca” (Firenze, Vieusseaux); A. Pascal, “Da Lucca a Ginevra. Studi
sull'emigrazione religiosa lucchese, Rivista storica italiana, D. Cantimori, “Un
italiano a Lipsia” Studi Germanici», F. Pierro, La vita errabonda di uno
spirito inquieto” (Minerva, Torino); D. Caccamo, “Eretici italiani” (Firenze,
Sansoni); M. Firpo, “Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo
dell'eretico lucchese Simoni”, “Annali della Scuola normale superiore di Pisa»,
Madonia, Rinascimento», Firenze,
Sansoni, C. Madonia, Il soggiorno in Polonia, in «Studi e ricercheI», Verdigi, Lucca,
G. Tiraboschi su Simone Simoni, in Biblioteca Modenese, Modena, S. Ciampi, Viaggio in Polonia, sC. Lucchesini,
Della storia letteraria del Ducato lucchese, G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca, su books.google. S. Simoni, Antischegkianorum
liber unus, su books.google. S. Simoni, De vera nobilitate, su books.google. S.
Simoni, Artificiosa curandae pestis methodus. Simone Simoni. Simoni. Keywords:
eretici italiani. Luigi Speranza, “Grice e Simoni” – The Swimming-Pool Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733807058
Grice e Sini – la filosofia del segno –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo. Grice:
“I like Sini; especially his “I segni dell’anima,” since this is, in a nutshell,
what my philosophy has been all about: the signs of the soul!” Studia a Milano
sotto Barié e Paci, con il quale si laurea. Insegna ad Aquila e MilanoMembro
per del Collegium Phaenomenologicum di Perugia, della Società Filosofica
Italiana e socio dei Lincei, dell'Istituto lombardo di scienze e lettere. Insignito
per una sua opera del Premio della Presidenza del Consiglio dello Stato Italiano.
Collabora al Corriere della Sera e la Rai. Dirige per Versorio la collana
"Pragmata", membro del comitato scientifico del festival La Festa
della Filosofia. Premiato da Milano con l'Ambrogino d'oro. Con Grice, tra i
primi a segnalare all'attenzione l'importanza della teoria del segno di Peirce.
Propone un filone di ricerca sulla convergenza dei percorsi di Peirce e
Heidegger sul filo dell'ermeneutica benché la sua formazione didattica fosse di
orientamento prevalentemente fenomenologico. La sua proposta teoretica si
concentra sul tema della scrittura e sulla centralità dell' abecedario come forma
logica della filosofia nella lingua del Lazio. In “Figure dell'enciclopedia
filosofica” rende conto della radicalità del gesto istitutivo di Lucrezio e
della nascita della filosofia romana in modo da illuminare la genealogia della
nostra civiltà e le figure del suo destino. Questo saggio si misura con nodi
problematici e profondi della nostra cultura. Si mostra la verità del gesto
filosofico di Lucrezio nel tratto tecnologico dell’abecedario che trasforma la
relazione al mondo in cosità (de rerum natura). La pratica del concetto,
infatti, in-forma il paradigma dell'oggettività (in rerum natura) e traduce la
sterminate antichità dell'umano all'interno dell'ambito crono-topico della
visione logica elaborata dalla scansione dell’abecedario del mondo con la
conseguente nascita del tempo e del sapere storico. All'educazione mitologica
dei corpi dei uomini si sostituisce l'educazione dei animi nella ri-mozione
delle qualità sensibili della vita vissuta. Prima operazione di ingegneria
genetica che comporta sia la nascita del soggetto morale nella paideia del bio-politico
(come Nietzsche intuisce) sia il conseguente destino nichilista rivelato dal dis-incanto.
Ma l'intreccio, che dalla pre-istoria conduce ai nostri giorni, rinvia al
desiderio e all'iscrizione originaria che danza nelle figure del sesso e della
morte. La soglia così dischiusa, annunciata dalla verità analogica dell'evento
mimato nella generazione, permette il passaggio del movente desiderante nel
desiderio di vita eternal. Platone e la logica disgiuntiva hegeliana
rappresentano i due poli più rilevanti di questa consapevolezza lancinante.
Addirittura, tutta la filosofia platonica è probabilmente da pensare come la
domanda più alta e profonda che sia mai stata posta alla sapienza di Dioniso. E così, dagli ominidi alla società
dell'informazione, sul filo delle pratiche che ne circoscrivono le traiettorie,
la trama del senso transita al segno disegnando le coordinate del nostro tempo
e il predominio della visione scientifica e delle sue figure che dileguano la
consistenza dell'inter-soggetivito, profilando nel rituale pubblico del potere
finanziario, e nella conseguente imposizione dell'universalità oggettiva, un
paradosso costitutivo che nasconde nuove e positive opportunità ancora tutte da
scoprire (e attualmente mascherate dalla deleteria mercificazione imperante).
Delineando nuove occasioni di senso, le figure dell'enciclopedia invitano a
sognare più vero, vale a dire ad abitare la conoscenza filosofica
nell'esercizio dell'evento del significato nella concretezza delle sue
pratiche. Ethos di una nuova scrittura della soggezione del mortale al
desiderio, nell'apertura al transito della vita. Approfondisce la questione del
logos (parola, ragione) e della tecnica facendo del primo il fondamento ultimo,
della seconda l'essenza. Una posizione di rilievo e in controtendenza
all´interno del panorama di questa specifica area della filosofia
contemporanea. Altre saggi: “I greci” ((Nuova Accademia di Belle Arti Editrice,
Milano), “La funzione della filosofia” (Marsilio, Padova); “La fenomenologia”
(Nigri, Milano); “Storia della filosofia” (Morano, Napoli); “Il pragmatismo
(Laterza, Roma); “Segno” (Mulino, Bologna); “Passare il segno” (Saggiatore,
Milano); “Kinesis. Saggio d'interpretazione (Spirali, Milano)”; “Il Metodo”
(Unicopli, Milano); Parola e silenzo” (Marietti, Genova); “Segni dei animi” (Laterza,
Bari); “Segno ed immagine” (Spirali, Milano); “Segni dei uomini” (Egea, Milano):
“L'espressione e il profondo” (Lanfranchi, Milano)”, Etica della scrittura (Il
Saggiatore, Milano, Mimesis, Milano); “Pensare il Progetto” (Tranchida, Milano);
“Filosofia teoretica” (Jaca, Milano) Variazioni sul foglio-mondo. Peirce,
Wittgenstein, la scrittura” (Hestia, Como), “L'incanto del ritmo” (Tranchida,
Milano Filosofia e scrittura (Laterza, Roma); “Scrivere il silenzio:
Wittgenstein e il problema del linguaggio” (Egea, Milano); “Teoria e pratica
del foglio-mondo (Laterza, Roma-Bari) Gli abiti, le pratiche, i saperi (Jaca Book,
Milano) Scrivere il fenomeno: fenomenologia e pratica del sapere (Morano,
Napoli) Ragione (Clueb, Bologna) Idoli della conoscenza (Cortina, Milano La
libertà, la finanza, la comunicazione (Spirali, Milano) La scrittura e il
debito: conflitto tra culture e antropologia” (Jaca, Milano); “Il comico e la
vita” (Jaca, Milano); “Figure dell'enciclopedia filosofica. Transito verità” (Jaca,
Milano), “L'analogia della parola: filosofia e metafisica; La mente e il corpo: filosofia e psicologia; Origine
del significato: filosofia ed etologia; La virtù politica: filosofia e
antropologia; Raccontare il mondo: filosofia e cosmologia; Le arti dinamiche:
filosofia e pedagogia La materia delle
cose: filosofia e scienza dei materiali (Cuem, Milano); “La verità e la vita” (Ghibli,
Milano) Del viver bene: filosofia ed economia (Cuem, Milano); “Distanza un
segno: filosofia e semiotica” (Cuem, Milano); “Il gioco del silenzio
(Mondadori, Milano); “Il segreto di
Alicia” (AlboVersorio, Milano); “Eracle al bivio: semiotica e filosofia” (Bollati
Boringhieri, Torino); “Da parte a parte. Apologia del relativo (Ed. ETS, Pisa) L'uomo, la macchina, l'automa:
lavoro e conoscenza tra futuro prossimo e passato remoto (Bollati Boringhieri,
Torino) L'Eros dionisiaco (Versorio, Milano); “Figure d'Occidente” (Versorio,
Milano); “La nascita di Eros” (Versorio, Milano, ); “Spinoza” (Time, Milano ); E.
Redaelli, Il nodo dei nodi. L'esercizio della filosofia” (Ets, Pisa); “Il
filosofo e le pratiche. In dialogo con Sini (E.Redaelli, BrovelliCrippa, Valle, Redaelli), Milano, CUEM. Vincenzo Comerci,
Filosofia e mondo. Il confronto di Sini, Milano, Mimesis. Cristiano, La filosofia di Sini. Semiotica ed
ermeneutica (Milano, Mimesis) Collana
Pragmata, in AlboVersorio, Cfr. Copia archiviata, su unimi). Logos e techne, tecnologia e filosofia, Sini Noema,
Treccani Enciclopedie o Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nòema la rivista online di filosofia diretta
da Rossella Fabbrichesi e Carlo Sini, su riviste.unimi. Archivio Carlo Sini il
luogo ove i materiali relativi ai passati corsi universitari del prof. Sini ed
altro ancora, su archiviocarlosini. Lectio Magistralis di Carlo Sini su La
Différance, Arcoiris TV, Riflessioni sul Senso della Vita. Intervista di Ivo
Nardi, Riflessioni Collana Pragmata, Versorio.
Carlo Sini. Sini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sini” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701305297/in/photolist-2mPrb68-2mPukhq-2mPpb7N-2mPpwbZ-2mNzeEc-2mMQbzj-2mLKtaD-2mLP6FB-2mLFz5i-2mLQdrQ-2mLP9qE-2mLPa8B-2mLFBT9-2mLLerS-2mLEGPt-2mLLeDF-2mLNg8K-2mLNeAm-2mPu6xB-2mKRfHn-2mKMjs5-2mPsfT9-2mKyErQ-Ng2dT2-28DhAYd-DndBhH-Bq6mau-BvUfSB-FKiWA6-FcebeC-CRAGiK-BpXH8h-CfbuaM-Ckaz7s-CntuMM-CntseF-BUPaNy-q8gsC7-q7XSd8-pQKmoV-m3tK8a
Grice e Siracusa – i bagni di Pozzuoli – filosofia
siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo. Grice: “We know
William was from Ockham but we call him Ockham; similarly, Alcaldino was from
Siracusa, so we should call him Siracusa!” -- Vissuto vicino alla corte degli
Hohenstaufen. Sebbene non vi siano certezze sull'esatto anno di nascita di
Alcadino, a parere di un suo biografo, egli sarebbe nato a Siracusa. Suo padre
lo manda a studiare a Salerno, presso la celebre scuola medica. Dopo gli studi
in lettere, si cimenta in quelli di filosofia, raccogliendo attorno a sé una
serie di seguaci. Quindi, in seguito alla conclusione del corso regolare degli
studi, e scelto per fare da insegnante filosofia presso la stessa scuola
salernitana. Divenuto uno dei più stimati filosofi della scuola, e chiamato
alla corte di Enrico VI , che nel frattempo era entrato in possesso del regno
di Sicilia, ed e assunto come filosofo del sovrano. Dopo la morte di Enrico,
divenne il filosofo di lui figlio,
Federico II, che lo rese degno di confidenza e apprezzamento. Oltre alle
ordinarie attività legate alla prosa filosofica, si occupa anche di poesia.
Scrive un saggio in versi sui bagni minerali di Pozzuoli, il “De Balneis Puteolanis”.
In questo poema filosofico rimato vengono descritti con precisione il luogo, le
qualità e le virtù dei suddetti bagni. Scrive inoltre due opere nelle quali
celebrava le gesta di Enrico VI e Federico II. Altri saggi: “De Balneis
Puteolanis”; “De Triumphis Henrici Imperatoris De His Quae a Friderico II
Imperatore Praeclare ac Fortifer Gesta Sunt. P. Panvini di S. Caterina Salvatore
De Renzi. P. Panvini di S. Caterina,
Biografia degli uomini illustri della Sicilia, Giuseppe Emanuele Ortolani, Tomo
I, Napoli, S. De Renzi, “Storia documentata della scuola medica di Salerno” (Napoli).
Siracusa. Keywords: i bagni di Pozzuoli. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Siracusa” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733795423/in/datetaken/
Grice e Sirenio – libero arbitrio –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo. Insegna Bologna. “De fato” (Venetiis,
Giordano Ziletti). Sirenio. Keywords: libero arbitrio, contingetia,
possibilitas, necessitas, ‘secundum philosophorum opinionem” -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Sirenio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691552363/in/photolist-2mKNHBr
Grice e Solari – iustum/iussum – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Albino),
Filosofo. Frequenta il prestigioso Collegio San Francesco di Lodi retto dai Barnabiti
per poi proseguire gli studi a Messina, da dove poi si trasferì presso Torino.
Si forma nel Laboratorio di Economia Politica di Martiis, per poi scegliere la
filosofia del diritto sotto la guida di Carle. Anche membro di una tra le
istituzioni culturali più prestigiose a livello nazionale: l'Accademia Nazionale
dei Lincei. Autore di un idealismo sociale e studioso di Pagano, esponente
della scuola di filosofia del diritto dell'Torino, dove tenne questa cattedra quando
succedette a Carle all’anno in cui fu sostituito da Bobbio. Ha tra i suoi allievi lo stesso
Bobbio, Treves, Scarpelli, Gobetti, Entrèves, Pareyson, Firpo, Colli, Leoni,
Einaudi e Goretti. Per tutta la vita si dedica esclusivamente
all'insegnamento universitario, rifiutando qualsiasi incarico pubblico (non
diventa nemmeno preside della sua facoltà); le cattedre da lui ricoperte sono
state nelle Messina, Cagliari e Torino. Presta il giuramento di fedeltà al
fascismo. Saggi: “La scuola del diritto naturale nelle dottrine etico-giuridiche”
(Torino, Bocca); “L'idea individuale e l'idea sociale nel diritto privato”; “Lezioni
di filosofia del diritto” (A.T.U., Torino); “Filosofia del diritto privato”; “Lezioni
di filosofia del diritto”; “Studi storici della filosofia del diritto” (Giappichelli,
Torino). S. Fiori, Il professorie che dice "NO" al Duce, in La
Repubblica, Lezioni di filosofia del diritto; G. Carle e G. Solari, raccolte da
G. Bruno” (A.T.U., Torino); “Studi storici di filosofia del diritto” (Giappichelli,
Torino); “Nella cultura” (FrancoAngeli, Milano); A. Contu, “Questione sarda e
filosofia del diritto in Solari” (Giappichelli, Torino); D. Cugini, “Commemorazione” (Albino); “Agostino,
Il problema del diritto e dello Stato nella filosofia del diritto di Hegel (Giappichelli,
Torino); L. Firpo, La filosofia politica (Laterza, Bari). Treccani Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Gioele Solari.
Solari. Keywords: Giorgio Guglielmo Federico Hegel, Spaventa, hegelianismo,
iustum/iussum – storia della filosofia del diritto romano – cicerone. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Solari” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733503931/in/datetaken/+
Grice e Soleri – funzionalità veritativa
dei connettivi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pagliero di San Damiano Macra). Filosofo.
Studia a Milano sotto Olgiati. Insegna a Saluzzo. Saggi: “Il problema
metafisico del male” (in “Sapienza”); “Inevitabilità e decisività del problema
teologico”; “La proprietà” (S.E.I. Torino); “Telesio, La Scuola, Brescia); “Lucrezio,
La Scuola, Brescia); “Antonino” (La Scuola, Brescia); “L'immortalità
dell'anima” (S.E.I., Torino); “Economia e morale” (Borla, Torino); “Essere,
atto, valore in”; “Il problema del valore” (Morcelliana, Brescia); “Incisività e
decisività del problema teologico”, in “Studia Patavina”, “Orizzonte della metafisica”;
D. Ettore, “Soleri” (Saluzzo). Soleri. Keywords: Telesio, Lucrezio, Antonino, Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Soleri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734127339/in/datetaken/
Grice e Somenzi – il naturale, il
innaturale, il sovranaturale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Redondesco). Filosofo. Ufficiale meteorologo dell'Aeronautica. Partecipa alla
Resistenza, lavora all'ufficio studi dello Stato maggiore. Si divide tra la
carriera militare e quella accademica, optando infine per la cattedra di
filosofia a Roma. Tra i suoi allievi vi e Cordeschi. Partendo da un
interesse per l'operazionismo, dirige i suoi studi teorici alla cibernetica e
fu tra i primi a interessarsi di intelligenza artificiale e a studiare i
rapporti mente-cervello e mente-macchina. Saggi: “La filosofia della
scienza” (Milano, Bocca); “La meccanica quantistica” (Milano, Bocca); “L'
operazionismo” (Milano, Comunità); “La scienza nel suo sviluppo storico” (Torino,
ERI); “Automi” (Torino, Boringhieri); “Tra fisica e filosofia” (Roberto Donolato,
Abano Terme, Piovan); “La materia pensante” (Milano, CLUP Città Studi); Fonte:
A. Rainone, Enciclopedia Italiana, riferimenti in. Saggi in onore, Roma, Union
Printing, antologia e testimonianze, Mantova, Fondazione Banca agricola
mantovana, Cibernetica Intelligenza artificiale
A. Rainone, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Un maestro del domandare,
di Cd Del Bello, da Giano, sito "Metodologia". Filosofo al servizio
della scienza, Corriere della Sera, Archivio storico. Vittorio Somenzi.
Somenzi. Keywords: naturale, sovranaturale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Somenzi”. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734110694/in/datetaken/
Grice e Sordi – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Centenaro di
Ferriere). Filosofo. Figlio di Agostino e Giovanna Taschieri, si fa religioso
nella Compagnia di Gesù e ben quattro dei suoi fratelli seguirono il suo
esempio. Entra nel seminario di Piacenza, dove frequenta le classi
ginnasiali. Vince il concorso per l'ammissione al Collegio Alberoni di
Piacenza, dove rimase fino al quando fu costretto a lasciare per motivi di
salute. Rientrò in seminario e, sotto la guida di V. Buzzetti, approfonde la
filosofia d’Aquino la cui filosofia era andata in disuse. S’insegna la
filosofia del secolo: Sarti, Soave, Draghetti, Condillac, Wolfe,
Storkenau). Divenne sacerdote ed entrò nella Compagnia di Gesù appena
ricostituita, fece il noviziato nella Casa di Sant'Ambrogio a Genova, dove
incontrò Azeglio che attraverso i colloqui con il Sordi conobbe e stimò la
filosofia di San Tommaso, di cui prima aveva sentito parlare con disprezzo e
incominciò a rivedere la sua formazione filosofica. Divenne insegnante di
filosofia nel Collegio di Ferrara e passò a Reggio Emilia come insegnante di
logica, metafisica ed etica e con la carica di prefetto della biblioteca
civica. A Reggio Emilia si distinse e acquisce stima e fama tanto che il padre
Generale della Compagnia Luigi Fortis lo propone al padre Pavani, provinciale
d'Italia, come professore di logica nel Collegio Romano. Il Pavani, però prega il
padre Generale di desistere dal suo proposito per motivi di opportunità “si
leverebbe un gran rumore tra i professori del Collegio Romano tanta è la
prevenzione contro il padre Sordi perché tomista.” Dal 1829 al 1834 venne
mandato a Modena, al collegio San Bartolomeo, come professore di logica,
metafisica ed etica. Ispirandosi ai rivolgimenti culminati con la cattura di C.
Menotti, pubblica “Catechismo delle rivoluzioni”. Stringe amicizia con G. Pecci.
Attraverso quest'amicizia puo esercitare il suo influsso anche su suo fratello,
Pecci che, divenuto poi Papa, con l'Enciclica Aeterni Patris propone a tutte le
scuole cattoliche le dottrine d’Aquino. Inviato a Forlì e poi a Spoleto
dove insegna. Nominato Rettore del Collegio di Orvieto. Ritornò a Modena come
Rettore; carica che esercitò per tre anni, e poi rimase ancora a Modena come
Ministro e Padre Spirituale degli alunni. Rettore del Collegio San Pietro
di Piacenza, dove già e stato aperto anche l'AloisianumIstituto di formazione
filosofica per giovani gesuiti dell'area Lombardo Veneta. E ancora a Piacenza,
quando il Collegio venne preso d'assalto dai rivoluzionari: “Scoppiarono allora
alte grida diAbbasso i gesuiti. Morte ai gesuiti. Mortee qui aggiungevano i
nomi or dell'uno or dell'altro Padre del collegio.” Così si legge nel racconto
di padre Lombardini, testimone oculare degli avvenimenti. J. Roothaan lo chiama
a Roma, desideroso di vedere finito un testo di filosofia che doveva realizzare
insieme a Carminati. Nominato Preposto della Provincia Romana. Governa quella
Provincia con rara prudenza e grande spirito di bontà. Passa al Collegio
degli scrittori della Civiltà Cattolica con l'incarico di scrittore e padre
spirituale della comunità. Contribuì in questi tre anni al fiorire della
rivista componendo con padre Taparelli una serie di articoli. Chiamato
all'Aloisianum di Verona come Prefetto degli studi dei giovani religiosi che
qui studiavano filosofia. Uno dei più insigni rappresentanti del tomismo, il
movimento di rinnovamento della filosofia d’Aquino, che, partito da Piacenza
con V. Buzzetti, si diffuse in tutta
l'Italia tramite i fratelli Sordi, alunni dello stesso Buzzetti. I due fratelli,
entrati nella Compagnia di Gesù, portarono il rinnovamento tomista, cioè le
grandi idee di San Tommaso studiate e sviluppate ai fini di rispondere agli
interrogativi più profondi dell'uomo moderno. La sua azione in favore del
neotomismo e particolarmente efficace per gli incarichi prestigiosi a lui
affidati, per il suo insegnamento presso numerosi Collegi dove i suoi scritti
di filosofia, trascritti, venivano usati come testo; inoltre molte delle
persone da lui avviate allo studio di San Tommaso sono state i protagonisti del
rinnovamento tomista e i diretti collaboratori nella preparazione
dell'enciclica "Aeterni Patris" in cui Leone XIII esorta a rimettere
in uso la sacra dottrina d’Aquino e a propagarla il più largamente possibile.
Il suo fratello, Domenico, diffuse il tomismo nella provincia napoletana, dove
opera in varie città (Napoli, Lecce, Maglie, Salerno, Sora, Arpino, Andria). Al
Collegio Massimo di Napoli e collaboratore d’Azeglio promuovendo la diffusione
della filosofia d’Aquino fra gli alunni, alcuni dei quali furono protagonisti
del rinnovamento della cultura cattolica. Fra questi va ricordato Curci
fondatore della “Civiltà Cattolica”, che descrive il suo insegnante con dovizia
di particolari nelle sue “Memorie” eMatteo Liberatore, cofondatore del
periodico “Scienza e Fede”, redattore di “La Civiltà Cattolica” e uno degli
estensori dell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Altre saggi: “Appendice
al capitolo XII del Catechismo del senso comune” del Rorbacher L'Amico d'Italia
(Genova); “Theses ex universa
Philosophia” (Parma); “Catechismo delle Rivoluzioni” (Modena, Soliani); “Lettere
intorno al Nuovo saggio sull'origine delle idee di Serbati” (Modena, Vincenzo
Rossi); “I primi elementi del sistema di V. Gioberti dialogizzati tra lui e un
lettore dell'opera sua – Bergamo, Natali, Allocuzione di Pio IX con in fine
esposizione della materia a modo di catechismo” (Roma, Apostolica); “I misteri
di Demofilo” (Torino Castellazzo) e De Gaudenzi, Circolare del R.Provinciale ai
Superiori della Provincia Romana –Roma, Civ. Cattolica. De studio Theologiae in
nostra societate –Roma, Civ. Cattolica, Recensione all'opuscolo di Giacomo Oddo
“l'Indipendenza, il Cattolicesimo e l'Italia, MilanoRoma, Civ, Cattolica La
libertà al tribunale della ragioneRoma, Civ. Cattolica. Se per essere
indipendenti abbisogna che il Papa abbia il potere temporale. Di un sacerdote
cattolico, Roma Civ. Cattolica. Il movimento nazionale, istruzione popolare in
occasione di un opuscolo pubblicato nell'Umbria da un preteso prete galantuomo Roma
Civ. Cattolica, opuscolo di 48 Il
Sillabo di S. S. Pio Papa IX esposto in forma di catechismo da lSerafino Sordi
della Compagnia di Gesù Verona, Vigentini e Franchini); “Saggio intorno alla
dialettica e alla religione di Gioberti (Piacenza, Tedeschi); “Una proposta al
Clero Italiano”; “Ragionamenti sul Gesuita Moderno” (Torino, Castellazzo e De
Gaudenzi); “La scomunica: Nel Messaggero di Modena, Lettera sull'Austria,
Bergamo, Dottrine di S. Alfonso dei Liquori difese contro le impugnazioni di Rosmini
Monza. “Ontologia” (Dezza); “Theologia naturalis” (Dezza); “Manuale di logica”
(Pesce). Opere inedite riportate da Dezza in Alle origini del Neotomismo”: “Ethica
generalis et specialis”; “Psicologia”; “Sull'origine delle idee”; “Sulla
materia e sulla forma”; “Sull'evidenza”; “Intorno alla filosofia a noi
prescritta da S. Ignazio”; “Esortazioni al clero (presso don Ballerini PC). Alle
origini del Neotomismo, Dezza, I neotomisti; E. Silva, Ferriere, cenni storici,
R. Comandini, “Nuovi contributi alla conoscenza di V. Buzzetti e dei discepoli
cresciuti alla sua scuola -- saggio sulla rinascita del Tomismo”; Dezza, I
neotomisti italiani”; Dezza, “ Alle origini del Neotomismo, Breve storia della
Provincia veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni nostril;
“La chiesa di S. Pietro in Piacenza Studi per il IV cent. dalla fond. TEP; Breve
storia della Provincia Veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai
giorni nostri A. M. D. G C. Cenacchi, Tomismo e Neotomismo a FerraraLiber.
Edit. Vaticana La Civiltà Cattolica, R. Comandini, Nuovi contributi alla
conoscenza del canonico Vincenzo Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua
scuola Saggio sulla rinascita del Tomismo Libr. Edit. Vaticana, F. Cordani, Una
grande cultura piacentina dimenticata, PC Ed. Berti C. M. Curci, Memorie di Curci,
G. Barbera Editore, FI C. M. Cornoldi, Memorie Autobiografiche (Archivio
Aloisianum) F. Dante, Storia della Civiltà Ed. Studium Roma.Dezza, A MI.Dezza,
I neo-tomisti italiani del XIX secolo, Bocca ed. MI. La chiesa di S. Pietro in Piacenza Studi per
il IV cent. dalla fond. TEP); Giarelli, Storia di Piacenza dalle origini ai
nostri giorni, II Ed. Porta PC L.
Ferrari, I fratelli Sordi e il Neotomismo in Italia in il filosofo canonico V.
Buzzetti nel centenario della morte, PC G. Martina, La Chiesa nell'età
dell'assolutismo, del liberismo, del totalitarismo, Morcelliana BS. U.
Padovani, “Importanza della critica filosofica di S. Sordi a V. Gilbert” (“Riv.
Di Filosofia Neoscolastica, MI ed. Vita e Pensiero A. Monti, "La Compagnia
di Gesù nel territorio della Provincia Torinese, Chieri); Giovanni Paolo II,
enciclica Fides et Ratio; S. Panareo, L'istruzione in terra d'Otranto sotto i
Borboni, B. Perazzoli, Studi sul Rosminianesimo nell'Ottocento, Ed. Rosminiane
Sodalitas, L. Pozzi, S: Sordi filosofo neotomista, Studia Patavina Riv. Di
Filos.e Teologia. V. Rolandetti, Da
Buzzetti all'Aeterni Patris Conv. Intern. Tomistico (Trento); V. Rolandetti,
Buzzetti teologo, Libr. Ed. Vat. E. Silva, Ferriere, cenni storici, UTEP, PC, D.
Sordi, Pochi e brevi cenni sulla vita menata nel secolo da P.S.Sordi, man.
Inedito G. Sordi, Il contributo dei gesuiti piacentini Serafino e Domenico
Sordi alla diffusione del neo-tomismo nella cultura, PC altervista.org G.
Tononi, Condizioni della Chiesa nei ducati parmensi. M. Volpe, I Gesuiti nel
Napoletano Aeterni Patris Aloisianum
Carlo Maria Curci Collegio Alberoni Compagnia di Gesù Jan Roothaan La Civiltà Cattolica
L. Taparelli d'Azeglio Matteo Liberatore Neotomismo Sordi, su Treccan iEnciclopedie Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Serafino Sordi. G. Sordi, Il contributo
dei gesuiti piacentini Serafino e Domenico Sordi alla diffusione del neotomismo
nella cultura cattolica, PC su serafinosordi. altervista. La Civiltà Cattolica Taparelli
d'Azeglio e il rinnovamento della Scolastica al Collegio Romano] italia La
Civiltà Cattolica; Intorno alle origini del rinnovamento tomistico in Italia” (Taparelli
e Sordi). La rinascita del tomismo a Napoli (parte primaI collaboratori del Taparelli; “Il
peripato in azione”; “Il contributo della Compagnia di Gesù alla preparazione
dell'enciclica “Aeterni Patris.” Serafino Sordi. Sordi. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Sordi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733431716
Grice e Soria – l’opuscolo – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Sant'Andrea
a Lama). Filosofo. Figlio da Enrico e da Maria Elisabetta delle Sedie da Calci,
la famiglia paterna risiedeva da tempo a Sant'Ilario in Campo, nell'isola
d'Elba. Appartenente alla corrente del sensismo. Insegna a Pisa. Combate il
cartesianesimo ed esalta Galilei. Scrive il saggio “Rationalis Philosophiae
Institutiones”. Direttore della Biblioteca di Pisa. Pubblica a Pisa la “Raccolta
di opuscoli filosofici e filologici.” Il saggio comprende “Dell’immaterialità
delle nature intelligenti”; “Della potenza che ha lo spirito umano di determinar
se medesimo chiamata libertà”; “Il virtuoso regime del proprio corpo è un bene
indispensabile per la felicità della vita” e “Della natural dipendenza della
salute corporea dall'Ilarità dello Spirito”; “Della Simpatia” – “Dialogo tra un
Cav. Francese, e un Italiano” e l’”Esame del Giudizio di Monsieur Du Fresnoy
circa Buonarroti”; “Sulle metamorfosi degl'insetti”; “Degl'influssi celesti”; “Dissertazione
Accademica sull'Innesto”; “La teoria de' fosfori, e de' loro divarj. Allievo di Grandi, segna il passaggio della
scuola galileiana verso l'illuminismo. De Soria individual nello sviluppo
economico il centro dell'interesse dell'attività politica. È sepolto nella
chiesa di Sant'Andrea a Lama, in provincia di Pisa, paese di origine della
madre. Ugo Baldini, De Soria, Giovanni
Gualberto, in "Dizionario biografico degli italiani", Roma, Istituto
della Enciclopedia italiana, Soria è attestato anche a Livorno ed è appartenuto
a una nota famiglia locale. L.S. Olschki, Firenze). Treccani Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni
Gualberto De Soria. Soria. Keywords: l’opuscolo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Soria” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733483688/in/datetaken/
Sorrentino, Andrea. Vico. Bordon, La retorica di Vico. Andrea
SORRENTINO, G. B. V. e le razze mediterr.inee: in Bulletin italien di Bordeaux,
a. XVII, n. 2, avril - juin 1917, pp. 96-101. 19. Alberto ScrocCA, G. B. V. e
un suo recente critico: in Rassegna nazionale di Firenze, 1-16 agosto e i...
Grice e Sorrentino – la persona come
paradigma di senso – filosofia italiana (Carbonara di Nola). Flosofo. Tra i massimi esperti italiani di teologia
filosofica, ma oltre alle letture di carattere teologico-religioso, è anche
ideatore di una filosofia autonoma ed originale. -- è infatti convinto che si
debba ricercare una connessione tra le varie forme di sapere, spesso rinchiuse
nell'ambito dei propri specialismi e pertanto sterili. Studia a Milano. Si
laurea in Filosofia presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico
II". Consegue la laurea in teologia presso la facoltà teologica "San
Luigi" di Napoli. Insegna a Salerno. Sviluppa tematiche come il dibattito
sulla religione, inteso nel senso di una problematizzazione e di una
tematizzazione del religioso nella società a partire dal tardo Illuminismo. Cerca
di inquadrare la filosofia relativa all'etica e alla religione. Da qui parte il
tentativo di una tematizzazione filosofica della dimensione simbolica. Il
motore della ricerca è il tentativo di giungere ad una forma di connessione dei
saperi che possa superare le difficoltà e le incomprensioni del mondo
contemporaneo, non solo in ambito filosofico. Altre saggi: “La teologia della secolarizzazione:
chiesa, mondo e storia”; “La filosofia della religione, Ermeneutica e filosofia
trascendentale”; “Filosofia ed esperienza religiosa”; “Realtà del senso e
universo religioso”; “Per un approccio trascendentale al fenomeno religioso”; “La
dottrina della fede”; “Il valore della vita”; “Dialettica”; “Obbedire al tempo”;
“L'attesa”; “La dialettica nella cultura romantica”; “Religione e religioni”; “Il
prisma della rivelazione”; “Una nozione alla prova di religioni e saperi”; “L'eredità
dell'Illuminismo e la critica della religione”; “Diversità e rapporto tra
culture”; “Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto tra le religioni”; “Nichilismo
e questione del senso”; “Teologia naturale e teologia filosofica”; “La libertà
in discussione”; “Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto fra le
religioni, “La persona come paradigma di senso”; “Dibattito sull'eredità di Mounier”;
“La teologia politica in discussione” (Salerno, Giornale di filosofia della
religione,. Sergio Sorerntino. Sorrentino. Keywords: la persona come paradigma
di senso, H. P. Grice, P. F. Strawson. Luigi Speranza,”Grice e Sorrentino”.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733226741/in/photolist-2mPuiXc-2mPkhvE-2mNzeEc-nzsayP-nz4c3s
Sorrentino, Vincenzo.
Sotione
(Roma). Filosofo. Teacher of Seneca. In glossary to Roman philosophers, in
“Roman philosophers.”
Grice e Sozzini
– razionalismo, e moi -- filosofia italiana – (Siena). Socinianism, Nella prima
meta del sedicesimo sicolo nacquero in questa casa Lelio e Fausto Sozzini
letterati insigni filosofi sommi della liberta di pensiero strenui propugnatori
contro il soprannaturale vindice della umana ragione fondarono la celebre
scuola Socinian precorrendo di tre secoli le dottrine del modern razionalismo –
I liberali senesi ammiratori reverenti questa memoria posero 1879. Fausto.
Fausto Sozzini. Lelio Sozzini. Sozzini. Keywords. Refs.: H. P. Grice, “Sozzini,
rationalism, and moi”, Luigi Speranza, “Grice e Sozzini” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734101860/in/datetaken/
Grice e Spadaro – conversazione coll’angelo
– filosofia italiana (Messina),
Filosofo. Laureato a Messina, entra subito dopo nel noviziato della Compagnia
di Gesù. Insegna lettere a Roma. Riceve l'ordinazione presbiterale e il 24
maggio 2007 pronuncia i voti solenni nella Compagnia di Gesù. Consegue la
licenza in Teologia Fondamentale, il diploma in Comunicazioni Sociali, il
dottorato di ricerca in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di
Roma. Completa la sua formazione negli Stati Uniti, nella Provincia dei gesuiti
di Chicago. Comincia a scrivere per la rivista La Civiltà Cattolica e entra a
far parte in maniera stabile della redazione. Si occupa soprattutto di teoria
della letteratura e di critica letteraria, in particolare legata ad autori
contemporanei italiani (tra questi, Pavese, Bassani, Luzi, Tondelli. Tra le
materie che tratta vi sono anche la musica, l'arte contemporanea, il cinema e
le nuove tecnologie della comunicazione e il loro impatto sul modo di vivere e
pensare (in particolare su, Second Life, sulla lettura digitale, sui vari social
networks, sulla filosofia hacker o sulla cyberteologia). Ha fondato Bomba Carta, un progetto culturale
che coordina iniziative di scrittura creativa, produzione video e lettura anche
su internet. È curatore della collana di poesia L'Oblò delle edizioni Ancora. Insegna
presso il Centro Interdisciplinare di Comunicazione Sociale della Pontificia
Università Gregoriana -- è a capo del
comitato scientifico "La sfida e l'esperienza" che raccoglie docenti
e manager interessati ai temi della spiritualità e dell'innovazione. Viene
incaricato di coordinare le attività culturali della Compagnia di Gesù in
Italia. -- è il relatore principale al primo evento organizzato dai Gesuiti
sulla musica rock nel quale riabilita la dignità musicale (non liturgica) del
genere nel suo complesso, limitandone la condanna alla valutazione di rari e
singoli casi. Diviene Rettore della Comunità dei gesuiti de La Civiltà
Cattolica. -- è annunciata la sua nomina a direttore della rivista.. Nel numero
del 1º ottobre della rivista è apparso
il suo articolo di presentazione nella nuova veste di direttore. La sua attività in Rete è legata, oltre alla
presenza nei social network, anche allun sito personale e di due blog: uno
dedicato alla CyberTeologia e uno dedicato a Flannery O'Connor. Benedetto XVI
lo nomina consultore del Pontificio Consiglio della Cultura e anche consultore
del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Riceve a Caserta il
prestigioso premio "Le Buone Notizie Civitas Casertana", uno dei più
importanti premi di giornalismo italiani, unico nel suo genere a livello
internazionale. Ad agosto incontra più volte papa Francesco per conto
de La Civiltà Cattolica e di altre 15 riviste della Compagnia di Gesù. Il
contenuto delle conversazioni è stato pubblicato sotto forma di intervista a
settembre ed ampiamente ripreso dalla
stampa internazionale. Dedicato un
articolo all’utopia. L'articolo analizza il significato di utopia nel contesto culturale italiano, ne
analizza la storia, e ne mette in evidenza pregi e limiti. La sua conclusione è che dalla descrizione e
dalle valutazioni compiute comprendiamo bene come rappresenti un sogno illuminista di
descrivere il mondo, che però si scontra con le difficoltà di accreditarsi come
compendio di sapere credibile, mantenendo nel contempo anonimato, flessibilità
e continua apertura a nuovi collaboratori. Nello stesso tempo questa «utopia»
rovescia il sogno dell'enciclopedia tradizionale, intesa come costruzione
autorevole, organica e integrata del sapere. Infatti è come un organismo vivente: cresce (al ritmo
del 7% ogni mese), si ammala, è sottoposta a composizioni e scomposizioni
interne, ad accrescimenti e riduzioni continue. Ma soprattutto nasconde un'altra utopia, a suo modo, ambigua.
La democrazia assoluta del sapere e la collaborazione delle intelligenze
molteplici che dà vita a una sorta di intelligenza collettiva. Questa utopia
potrebbe nascondere una nuova forma di torre di Babele, che ha il suo tallone
di Achille non solo nell'inaffidabilità, ma anche nel relativismo. Concede
un'intervista a Wikinotizie, Intervista
al gesuita 2.0, nella quale commenta l'articolo e spazia sulle tematiche
inerenti e il mondo della rete
internet. Altri saggi: “Tracce profonde.
Il viaggio tra il reale e l'immaginario” (Roma, Città Nuova); “Radio on. Tra le
colonne sonore (Napoli, Giannini); “Lo
sguardo presente. Una lettura teologica dell’amore” (Rimini, Guaraldi); “Attraversare
l'attesa” (Reggio Emilia, Diabasis); “Laboratorio″. La nuova narrativa italiana
(Reggio Emilia, Diabasis); “Un'acuta sensazione d'attesa” (Padova, Messaggero
di Sant'Antonio); “A che cosa «serve» la letteratura?” Leumann (To)-Roma, Elle Di
Ci La Civiltà Cattolica, Premio Capri per
la sezione Letteratura e Premio Crotone sezione Giovane critici italiani); “Lontano
dentro se stessi. L'attesa di salvezza” (Milano, Jaca). Connessioni. Nuove
forme della cultura al tempo di internet” (Bologna, Pardes); “La grazia della
parola. La poesia, Milano, Jaca); Nella melodia della terra” (Milano, Jaca); “Abitare
nella possibilità. L'esperienza della letteratura” (Milano, Jaca), “L'altro
fuoco. L'esperienza della letteratura” (Milano, Jaca); Alla ricerca del lupo.
Genio, tensioni, vanità (Bologna, Pardes); “Nell'ombra accesa. Breviario
poetico di Natale (Milano, Ancora); Web 2.0 Reti di relazione, Milano, Paoline,.
“Svolta di respiro. Spiritualità della vita” (Milano, Vita & Pensiero). Cyberteologia.
Pensare il cristianesimo al tempo della rete, Milano, Vita & Pensiero); “Lasciami
correre via, Padova, Messaggero); “Traversate di un credente, Milano, Jaca); “La
dodicesima notte (Milano, Ancora); La freschezza più cara. Poesie (Milano,
Rizzoli); Canto una vita immense (Milano, Ancora); “Un Dio sempre più grande.
Pregare” (Milano, Ancora). obio, su laciviltacattolica. Saggi su "La
Civiltà Cattolica", su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, BombaCarta, su
bombacarta.com. accesso=16 agosto.
Antonio Spadaro, L'OblòAncora, su ancoralibri. Orazio La Rocca, I
gesuiti benedicono il rock: "La musica di Springsteen & Co parla
all'anima", Repubblica. cogliere pienamente la sfida digitale. Cyberteologia,
Nomina di consultori del Pontificio Consiglio della Cultura, Rinunce e nomine,
su Bollettino della Santa Sede, Bollettino della Santa Sede. Su La Civiltà Cattolica la mia intervista a
Papa Francesco, su cyberteologia, Intervista a papa Francesco. Cyberteologia,
sul RAI Filosofia, su filosofia.rai. Antonio
Spadaro. Spadaro. Keywords: conversazione coll’angelo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Spadaro” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733432523/in/datetaken/
Grice e Sparti – il riconoscimento –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Insegna a Siena, Pisa, Milano e lBologna. Fonda
“Studi culturali. Collabora a "Iride", "Paradigmi",
"Rivista di estetica", "Rassegna italiana di sociologia", ed
"Intersezioni". Concentra la sua attenzione sull'estetica
dell'improvvisazione. Saggi: “Se un
leone potesse parlare. Indagine sul comprendere e lo spiegare” (Firenze, Sansoni);
“Sopprimere la lontananza uccide” “Interpretazione” (Firenze, Nuova Italia) “Epistemologia
delle scienze sociali” (Roma, Nuova Italia); “Soggetti al tempo. Identità
personale fra analisi filosofica e costruzione sociale” (Milano, Feltrinelli);
“Identità e coscienza” (Bologna, Mulino); “Wittgenstein politico” (Milano,
Feltrinelli); “Epistemologia delle scienze sociali” (Bologna, Mulino);
“L'importanza di essere umani: etica del ri-conoscimento” (Milano,
Feltrinelli); “Suoni inauditi. L'improvvisazione nel jazz e nella vita quotidiana”
(Bologna, Il Mulino); “Musica in nero. Il campo discorsivo del jazz” (Torino,
Bollati); “Il corpo sonoro. Oralità e scrittura nel jazz” (Bologna, Il Mulino);
“L'identità incompiuta: paradossi dell'improvvisazione musicale” (Bologna,
Mulino); “Sul tango. L'improvvisazione intima” (Bologna, Mulino). Davide
Sparti. Sparti. Keywords: identita personale, interpretare, improvvisare nella
vita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sparti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733803154/in/photolist-2mPxgim-2mKTjot
Grice e Spaventa – l’origine italico dello
spirito filosofico – Luigi Speranza (Bomba). Filosofo. Nacque da un'agiata famiglia borghese. Sua
madre, Maria Anna Croce, e pro-zia di Croce. Studia a Chieti. Ottenuto
l'incarico di docente di matematica, si trasfere a Montecassino. La sua
formazione continua a Napoli. Studia i filosofi tedesci in tedesco – Grice:
“Which is the right thing to do – and which Ryle, or Strawson, for that matter
– are unable to!” Si avvicina ai circoli
liberali e a pensatori come Colecchi e Antonio Tari. Fonda una scuola di filosofia. Inoltre partecipa alla
redazione de “ Il Nazionale”. Dopo l'abrogazione della Costituzione da parte di
Ferdinando II, e costretto a lasciare Napoli. Si trasferire prima a Firenze,
quindi a Torino. Divenne giornalista scrivendo su Il Progresso, Il Cimento, Il
Piemonte, Rivista Contemporanea. Si avvicina al pensiero di Hegel. Polemizza
con La Civiltà Cattolica, rifiutando l'idea del sacro come passo necessario per
lo sviluppo umano. In tal modo condivise con altri esuli napoletani gli
stessi fermenti patriottici e liberali che avevano nell'idealismo hegeliano il
loro motivo ispiratore. In Napoli la filosofia di Hegel penetra nelle
menti de' cultori della scienza, i quali mossi come da santo amore si
affratellavano e la predicano. Né i sospetti già desti della polizia, né le
minacce e le persecuzioni valsero ad infievolire la fede in questi arditi
difensori della indipendenza del pensiero. I numerosi studenti raccolti da
tutti i punti del Regno nella grande capitale disertano le cattedre, ed
accorrevano in folla ad ascoltare la nuova parola. Era un bisogno irresistibile
ed universale, che li spinge ad un ignoto e splendido avvenire, all'unità
organica dei diversi rami della cognizione umana. I filosofi, partecipavano al
general movimento, ed ambivano soprattutto, come gl’antichi italiani, di essere
veri filosofi. Chi può ridire la gioia, le speranze, l’entusiasmo di quel
tempo? Chi può ridire l’affetto col quale si amano i maestri e gli allievi, e
insieme procedeno alla ricerca della verità? E un culto, una religione ideale,
nella quale si mostrano degni nepoti dell'infelice Nolano. “Studii sopra la
filosofia di Hegel” (Torino) «Rivista Italiana». Insegna a Modena, Bologna e
Napoli. Vuole liberare la cultura filosofica italiana dal suo provincialismo,
attraverso la diffusione nella penisola dell'idealismo di Hegel. Sostene una
politica laica e legata ad un forte senso di un stato unitario, considerato
come sorgente dei princìpi e dei valori ispiratori di un armonioso sviluppo di
civilita, da cui la comunità dei cittadini devono trarre l'alimento necessario
per una crescita ordinata e corretta. Circola l’idealismo, che dimostra il
percorso dinamico della filosofia e il suo ritorno in Italia dove ha origine. Riforma
la dialettica hegeliana per salvare l'identità di essere e pensiero escludendo
ogni presupposto oggettivo esterno al pensare. Recupera l'aspetto pratico nel
processo conoscitivo che evita la caduta in un astratto idealismo. La filosofia
italiana del Rinascimento, connotata dal naturalismo e dall'immanentismo, ha
precorso la filosofia, giungendo attraverso Spinoza agli idealisti tedeschi
Fichte, Schelling, Hegel. il ritorno in Italia della filosofia con la terza
Roma e con la riappropriazione dei
filoni spiritualistici europei da parte di Rosmini e Gioberti. Mentre per la
critica tradizionale la filosofia italiana e caratterizzata dalla sua
ininterrotta fedeltà alla linea platonica, Spaventa cerca di dimostrare, con
gli studi dedicati al umanesimo rinascimentale che la filosofia, laica e
idealistica, generalmente associata alla Riforma in realtà e nata in Italia. Interpreta
con chiave di lettura hegeliana questo progressivo passaggio dello spirito
filosofico italiano e il suo ritorno, sottolineando la continuità del
razionalismo di Cartesio col principio innatistico di Campanella della cognitio
abdita, dell'empirismo di Locke con la campanelliana cognitio illata o nozione
acquisita, dell'immanentismo Spinoza col panteismo di Bruno, del criticismo con
la metafisica della mente di Vico. Poi Galluppi e Rosmini si sarebbero riappropriati
inconsciamente di quello stesso spirito permeato dal kantismo, come Gioberti di
quello dell'idealismo. Ripigliare il sacro filo della nostra tradizione
filosofica italiana, ravvivare la coscienza del nostro libero pensiero nello
studio dei nostri maggiori filosofi, ricercare nelle filosofie delle altre
nazioni i germi ricevuti dai primi padri della nostra filosofia italiana e poi
ritornati fra noi in forma nuova e più spiegata di sistema, comprendere questa
circolazione del pensiero italiano, della quale in gran parte noi avevamo
smarrito il sentimento, riconoscere questo ritorno del nostro pensiero a sé
stesso nel grande intuito speculativo del nostro ultimo filosofo Hegel, sapere
insomma che cosa noi fummo, che cosa siamo e che cosa dobbiamo essere nel
movimento della filosofìa, non come membri isolati e scissi dalla vita
universale del popolo, nè come avvinti al carro trionfale d'un popolo
particolare, ma come nazione libera ed eguale nella comunità universale. Tale,
o signori, è stato sempre il desiderio e l'occupazione della mia vita. Prolusione
alle lezioni di Storia della filosofia a Bologna (Modena, Tipografia
Governativa) Uno dei suoi propositi, giustificato dalla stessa tesi della
circolazione della filosofia italiana, e il tentativo di far uscire gli
intellettuali italiani dal provincialismo stagnante in cui versavano,
apportando loro gli elementi più innovativi del pensiero idealistico
d'oltralpe, per dare un fondamento filosofico-culturale al processo
rivoluzionario dell'unificazione nazionale. La rivoluzione storica da attuare
non e il programma neo-guelfo del primato morale e civile di Gioberti che
ripudia in blocco la filosofia moderna, ma anda intesa hegelianamente come sttoria
della libertà, nella quale lo spiritualismo non significa un'involuzione, bensì
un riallineamento alle nazioni più avanzate. Son molti ancora in Italia i
quali tacciano di astratta e oscura la filosofia alemanna e, reputandola
contraria alla natura speculativa dell'ingegno italiano, si accontentano di una
maniera di sapere che non ha nessuna connessione con la nostra tradizione
filosofica -- è un perpetuo oltraggio alla memoria de' nostri sommi ed infelici
pensatori, e la principal cagione del decadimento della scienza tra noi.
Costoro dimenticano la storia del pensiero italiano, della quale furono gli
eroi e martiri i nostri filosofi; non ricordano i roghi di Bruno e di Vanini,
la lunga prigionia di Campanella, e l'umile pietra che, nel tempio de'
Gerolomini in Napoli, ricopre le ceneri di Vico, luce del nostro mondo
intellettuale. Non i nostri filosofi degli ultimi duecento anni, ma Spinoza,
Kant, Fichte, Schelling ed Hegel, sono stati i veri discepoli di Bruno, di
Vanini, di Campanella, di Vico, ed altri illustri. (Principii di Filosofia). Non
si limita a recepire passivamente l'hegelismo, ma da avvio ad una sua profonda revision.
Introduce temi originali che cerca di riprendere dalla tradizione autoctona italiana.
In particolare, cerca di rispondere alle critiche di Trendelenburg, il quale
non vede come dal primo momento della logica hegeliana, quello dell'essere puro
e indeterminato, puo scaturire il divenire dialettico dello spirito, se non
tramite un'indebita intromissione dal di fuori. Per dimostrare l'identità
dell'essere col spirito, e quindi che l'Idea è intrinseca alla realtà storica,
avente come scopo la libertà, sostenne l'esigenza di mentalizzare o
kantianizzare» la logica di Hegel, unificando quest'ultima con la
fenomenologia, cioè col percorso conoscitivo del singolo individuo umano, che
diventa progressivamente auto-cosciente di avere in se stesso, nello proprio
spirito, tutta la realtà assoluta logicamente articolata. Riforma così la
dialettica hegeliana nell'ottica di Kant e Fichte, ritenendo prevalente l'atto
soggettivo (no inter-soggetivo) della coscienza trascendentale rispetto ad ogni
presupposto oggettivistico o inter-soggettivistico), valorizzando inoltre il
momento finale dello spirito rispetto alle fasi precedenti della logica e della
natura, situate fuori dall'auto-coscienza. È lo spirito la protagonista di ogni
originaria produzione. In maniera simile a Fischer, infatti, la deduzione
hegeliana, che dalla contrapposizione di essere e nulla faceva scaturire il divenire,
venne intesa in senso kantiano e fichtiano dando il primato alla sintesi
unificatrice del divenire: è lo spirito, nel suo perenne fluire, che dà luogo
all'essere, il quale, originariamente indeterminato e perciò in-concevibile, si
rivela un non-essere, essendo posto all'interno dello spirito stesso. Per
questo primato assegnato all'atto del concivere, fa da apripista all'idealismo
attuale di Gentile. Per contrastare l'avanzata del positivismo che e penetrato
in Italia dopo la raggiunta unità nazionale, di fronte all'esaurirsi delle
spinte ideali che caratterizzano il Risorgimento, si impegna nella
valorizzazione dell'aspetto pratico del processo spirituale, per evitare la
caduta in un «stratto idealismo, che non cura né pregia lo sperimento. In
particolare riprese da Vico una concezione pratica e storica della metafisica
dell'assoluto, intendendo l'auto-coscienza hegeliana (quale Begierde, cioè
appetizione») come umanità, ovvero impeto che agisce nel soggetto
umano. Analogamente puo sostenere, nel tracciare LA STORIA DELLO SPIRITO
ITALIANO che è il soggetto umano a dare concretezza e coscienza di sè al
processo storico. La Riforma della modernità che abolisce i vecchi principi
della filosofia scolastica si basa per l'appunto sull'immanenza di Dio e sulla
capacità della coscienza umana di auto-determinarsi e di accedere direttamente
all'Infinito, come enunciano Bruno e Campanella. Il riconoscimento del valore
infinito dell'uomo ha ripercussioni anche sulla concezione etico-politica, stimolando
studi e interessi sulla filosofia hegeliana del diritto. Permase una viva
concezione etica dello stato italiano, che lo indusse a rinvenire
nell'idealismo hegeliano la sintesi tra la corrente post-illuministica, basata
sull'arbitrio individuale soggetivo e su una concezione meramente
contrattualistica dello Stato, ed il cattolicesimo liberale, fondato viceversa
sull'arbitrio divino e sull'aderenza dogmatico-confessionale al principio
d'autorità. Il suo liberalismo rigetta l'individualismo o soggetivismo che
privilegia l'interesse del singolo portandolo a servirsi dell'organismo
universale per i propri fini, distruggendo la società. Allo stato italiano
spetta dunque la funzione pedagogica di promuovere gli interessi DI TUTTI, di
ogni italiano, tutelando la famiglia, in cui si forma l'individuo o soggeto, e
al contempo la società civile. La famiglia e la società civile hanno la
loro verità nello stato. Dove lo stato italiano non è altro che famiglia (lo stato
patriarcale italiano), o una istituzione di pubblica sicurezza (polizia
italiana), non solo lo stato italiano non è il vero stato, ma né la famiglia né
la società civile esistono nella loro vera forma. Lo stato italiano è l'unità
del principio della famiglia e del principio della società civile (della
naturalità umana e del libero volere, del diritto e della moralità). Non è una
semplice associazione fondata mediante il libero arbitrio soggetivo, o il patto
inter-soggetivo etc, né una associazione puramente naturale. È tutto ciò
insieme. È assoluta soggettività etica dei individui.. Assoluta, perché è
sostanza; soggettività, perché è saputa e voluta dagli individui liberamente
come la loro stessa essenza etica e universalità. Dove manca tale sapere e
volere, lo stato italiano non è libera soggettività, e l'individuo non ha vero
valore (individualismo moderno). In altri termini, è la sostanza nazionale,
conscia veramente e realmente di se medesima; lo spirito del popolo (come tale,
come spirito etico) nella sua vera e perfetta esistenza. Studi sull'etica
hegeliana. Poiché il potere stesso dello stato italiano può essere utilizzato
da un individuo o da una classe in vista dei suoi interessi di parte, accetta
il modello costituzionale, sebbene non privo di conflitti tra particolarità e
universalità, nel quale la personalità dello stato italiano e elevata sopra la
lotta sociale. Ripudiando l'astratto cosmopolitismo, lo stato italiano va dunque
inteso come l'immanenza di dio, dell'universalità dello spirito italiano calato
nella concretezza della nazionalità del popolo italiano, tutti uguali, ratelli dell'umana
famiglia. È con Spaventa soprattutto che la filosofia in Italia cessa d'essere
esercitazione accademica e vacua speculazione, si avvia a diventare organica
visione del mondo, da cui derivi e consegua una morale, si avvia cioè a
diventare religione laica, dando inizio a quel largo movimento di distacco di
intellettuali dalla chiesa cattolica. (G. Arfé, L'hegelismo napoletano e
Spaventa, in «Società», Firenze. E uno dei maggiori teorici che si sforzarono
dare un un'impronta ideale e spirituale al percorso risorgimentale verso
l'unità d'Italia, non limitata all'ambito filosofico, come riconobbero in
seguito storici e studiosi del Risorgimento. Con lui e De Sanctis e giunta
al culmine quella motivazione politica della nazione italiana che e la
caratteristica in forza della quale il movimento sorto a Napoli supera i limiti
di un episodio regionale. Da noi, gl’italiani, al contrario che in Inghilterra
e in Francia, l'hegelismo non è stato solo una filosofia ma un elemento della
vita civile della nazione italiana nel momento culminante del suo Risorgimento.
(S. Landucci, L'hegelismo in Italia nell'età del Risorgimento, in «Studi
storici», Roma. Influsce profondamente, attraverso la mediazione di Jaja, anche
l'idealismo italiano di Gentile, il quale porta a termine il lavoro di
kantianizzazione o mentalizzazione di Hegel avviato da lui, trasformando la sua
dottrina in un compiuto attualismo o filosofia dell'atto, basata cioè sul
perenne dinamismo dell'atto del pensiero. Gentile cura inoltre la pubblicazione
della spaventiana prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella
Napoli, ri-nominandola significativamente “La filosofia italiana”, ritenendola
un saggio di carattere non solamente storiografico, ma soprattutto fenomenologico,
in cui cioè lo spirito della filosofia italiana esprime la sua ritrovata coscienza
di sè. Gentile si confronta ampiamente con lui nella propria riforma della dialettica
hegeliana, oltre a raccogliere e sistemare alcuni suoi scritti inediti, tra cui
un frammento giudicato uno snodo importante verso la genesi del proprio
attualismo, contribuendo alla riscoperta e alla rinascita degli studi intorno
alla dottrina spaventiana. Anche l'idealista Croce, che dopo la morte dei
genitori anda a vivere da Silvio Spaventa, segue le sue lezioni, apprezzandone
soprattutto lo spirito profondamente liberale. Altri di suoi scolari, o
allievi sono Fiorentino, Maturi, Jaja, Masci, Tocco, Labriola, ed Alfonso.
Nuovi studi sono sorti in occasione del bicentenario della nascita di Spaventa
e De Sanctis. Altri saggi: “La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia
italiana” (Unione Tipografica, Torino); “Principii di filosofia” (Ghio, Napoli);
“Studi sull'etica di Hegel” (Università, Napoli); “La filosofia di Gioberti” (Tasso,
Napoli); “Saggi critici di filosofia, politica e religione” (Bruno, Roma); “La
dottrina della conoscenza di Bruno” (Università, Napoli); “Principi di etica” (Pierro,
Napoli); “La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea” G.
Gentile, Laterza, Bari. “Logica e metafisica” G. Gentile, Laterza, Bari. Opere,
G. Gentile, raccolte e aggiornate da Italo Cubeddu e Simona Giannantoni,
"Classici della Filosofia", Sansoni, Firenze. Opere, saggio
introduttivo, prefazioni, note e apparati di Francesco Valagussa, postfazione
di Vincenzo Vitiello, Bompiani, Milano. Quattro articoli sulla filosofia
tedesca (Kant, Fichte, Schelling, Hegel), Giuseppe Landolfi Petrone, Il
Prato, Edizione critica delle Opere
psicologiche inedite D. D'Orsi: Lezioni di antropologia, Psiche e metafisica Elementi di psicologia speculativa, Sulle
psicopatie in generale. Cit. in B. Spaventa, Antologia degli scritti, G. Vacca,
Bari, Laterza. Piero Di Giovanni, Giovanni Gentile: la filosofia italiana tra
idealismo e anti-idealismo, Angeli, Gentile e Spaventa, su treccani. Il contributo italiano alla storia del
pensiero, su treccani. Nel tempo che gl’ustriaci — ‘i tedeschi’ dicemo
generalmente in Italia — dimorano non solo nelle contrade lombarde e venete, ma
anche in Toscana, io non ho il coraggio di dire: filosofia tedesca. (nota di B.
Spaventa). Principii di Filosofia,
Napoli, Ghio. Le tradizioni filosofiche nell'Italia unita, di G. Rota. U.
Perone, G. Ferretti, C. Ciancio, Storia del pensiero filosofico, Torino, SEI, Cit. di Giovanni Gentile in
Della vita e degli scritti di Spaventa, pScritti filosofici” (Napoli, Morano); Altri
saggi: “Sulle psicopatie in generale, o
La legge del più forte, in cui si confrontava tra l'altro col darwinismo. Studi sull'etica hegeliana, Napoli, Stamperia
della R. Università, Il concetto di nazione (nazionalità) segna in lui un
superamento della filosofia hegeliana della storia basata sul susseguirsi di
popoli-guida (cfr. Carratelli, Storia e civiltà della Campania (Napoli,
Electa); “Studii sopra la filosofia di Hegel”; “Unificazione nazionale ed
egemonia culturale, G. Vacca (Bari, Laterza); E. Garin, “La fortuna nella
filosofia italiana” in L'opera e
l’eredità di Hegel (Bari, Laterza); I. Cubeddu, Da Spaventa a Gentile: Kant e l’idealismo,
in "La tradizione kantiana in Italia", Atti del convegno della
Società filosofica italiana (Messina,
G.B.M.); La raccolta gentiliana delle sue opere venne riedita e curate da I.
Cubeddu e S. Giannantoni, e ri-stampata da F. Valagussa e V. Vitiello.
Coscienza nazionale, treccani. G.
Gentile, Bertrando Spaventa (Firenze, Vallecchi); G. Vacca, Politica e filosofia
(Bari, Laterza); R. Bartot, L'hegelismo di Spaventa (Firenze, Olschki); I. Cubeddu,
Edizioni e studi (Firenze, Sansoni); T. Serra, Etica e politica (Roma,
Bulzoni); R. Franchini, Dalla scienza della logica alla logica della scienza” (Napoli,
Pironti); E. Garin, “Filosofia e politica” (G. Tognon, Napoli, Bibliopolis); E.
Garin, Napoli, Bibliopolis, L. Gentile, “Coscienza
nazionale” (Chieti, Noubs); G. Origo “Perpetuazione e difesa della filosofia italica”
(Roma, Bibliosofica); A. Savorelli, Il contributo italiano alla storia del
Pensiero Filosofia (Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana); Attualismo
Hegelismo Idealismo italiano Idealismo tedesco Treccani. Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario di storia,
Dizionario biografico degli italiani, D. Fusaro, “Spaventa: Il far intendere Hegel
all'Italia, vorrebbe dire ri-fare l'Italia”. Gentile e Spaventa, su treccani. Scritti
filosofici. G. Gentile. Gli hegeliani di Napoli e il Risorgimento. Bertrando
Spaventa. Spaventa. Keywords: italianita, Englishry, Englishness, English
nation, the English, the English tongue, the tongue of the English, the tongue
of the Anglians, the English spirit, the English ghost. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spaventa” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688298272/in/photolist-2mLLZRD-2mLQdrQ-2mLGRht-2mPsfT9-2mPsXiB-2mPsh7f-2mKw3hq-2mPpskp
Grice e Spedalieri – dei diritti dell’uomo
– filosofia italiana (Bronte).
Filosofo. Figlio Vincenzo e da Antonina Dinaro, studia nell'Oratorio di S.
Filippo Neri di Bronte e nel seminario di Monreale. Insegna filosofia a
Monreale. Alcune sue tesi, considerate eretiche a Palermo, sono invece
approvate e stampate a Roma con il titolo di “Propositionum theologicarum
specimen”. Trasfere a Roma. Pio VI gli diede il titolo di beneficiato della
Basilica Vaticana che comporta una modesta rendita mensilee l'incarica di
scrivere la storia del prosciugamento dell'Agro pontino, “De' bonificamenti delle
terre pontine”. Contro l'Enciclopedia degli illuministi, usce la sua “Analisi
dell'Esame critico sulle prove di Dio”, il “Ragionamento sopra l'arte di
governare”, e “Ragionamento sull’influenza del sacro nella società e nella
civilita”. Scrive la “Confutazione della
dottrina della caduta dell’impero romano”, contro Gibbon che imputa la caduta
all'influenza negativa del sacro. Nel saggio più importante “Dei diritti
dell'uomo”, pubblicata a Roma ma, per volontà del papa, con la falsa indicazione
di Assisi, si rifece alla concezioni rousseauiane relativamente alla dottrina di
un contratto sociale come origine della società. Contesta la tesi di un
originario stato di *natura* a cui occorrerebbe tornare, perché soltanto
all'interno della società e civilta gl’uomini possono realizzare i suoi bisogni
di felicità e di perfezione. Lo stato, a cui è destinato l'uomo dalla
natura, è la società e la Civilta. Ciò e dimostrato e vuol dire che gl’uomini non
possono rinunziare, generalmente parlando, alla società e a la civilita senza
opporsi alla sua propria natura. È parte essenziale della costituzione sociale
il principato. Il popolo degl’uomini non ha diritto di disfare il principato. La
forma migliore di governo è il principato. Al principe il popolo degl’uomini affida
tre facoltà: giudicare, di decretare e di eseguire. Il popolo degl’uomini non
può togliergli il principato a suo beneplacito, cioè quando gli pare, per motivi
leggieri, senza motivi, perché violerebbe il patto sottoscritto, a meno che il
principe non violi la condizione essenziale del contratto stipulato, il “do ut
facias”, a meno che il principe non faccia ciò che si era impegnato a fare in
cambio della proprietà del principato, ossia, custodire i diritti naturali di
ciascuno degl’uomini del popolo, e dirigere tutte le operazioni del principato
alla felicità degl’uomini sudditi e cittadini. Questa è la base del contratto.
Se invece il principe prendesse a distruggere i diritti naturali di ognuno, a
sostituire il capriccio alle leggi, e ad immergere nella miseria i poveri
sudditi, il contratto resterebbe sciolto da sé. Lo scioglimento del contratto
non significa che il popolo eserciti per proprio conto il governo, ma che debba
investirne un altro con auspici migliori. Ma chi deciderà che il contratto
stabilito con il principe sia nullo? Intanto, osserva che il contratto siasi
sciolto già da sé stesso, si dee legalmente dichiarare. Prima della quale
dichiarazione, a niuno è permesso di sottrarsi dall'ubbidienza del principe. E
il diritto di far tale dichiarazione non appartiene a verun privato, né alla
unione di alcuni, né anco alla moltitudine. Solo un corpo che rappresenti *ogni
suddito* può dichiarare lo scioglimento del patto con il principe. Questo vero
corpo e formato da ogni magistrato, ogni ordine de' cittadini, ogni persona
illuminata, proba, e non soggetta all'impeto del momento. La colta nazione
italiana nella costituzione fondamentale, che dà a sé stessa, e che inerisce
nel contratto che fa con la persona che vuole innalzare al principato, e che
questa giura di mantenere, sempre, forma un corpo o sia un collegio che
rappresenta permanetutti ogni cittadino. Laonde basta che la dichiarazione si
faccia da questo corpo per esser legale. Qualora il principe resista e voglia
mantenere il potere non più riconosciutogli, comportandosi così da tiranno. Il
corpo della nazione italiana mai però un singolo cittadino italiano puo
legittimamente giungere fino all'estrema soluzione di condannarlo a
morte. Si mostra avverso sia al dispotismo illuminato che rifiuta tanto il
principio della sovranità del popolo quanto il primato del sacro nel governo
dello stato, sia i princìpi laici della rivoluzione. La garanzia di assicurare
i diritti fondamentali di ogni uomo italiano è data dalla natura che ha come
princìpi essenziali l'amore e la carità verso il prossimo. Polemizza anche contro
i giansenisti che accusa di giacobinismo e di spirito sovvertitore dei troni. Gli rispose con asprezza Tamburini in “Lettere
teologico politiche”. Il riconoscimento che la sovranità deriva dal popolo degl’uomini
e che questi uomini italiani, attraverso i suoi delegati, possa giungere a
rovesciarne il potere, gli procurarono violente critiche e inimicizie da parte
dei circoli reazionari e in parte anche moderati, e al saggio, che ha alla sua
uscita una notevole diffusione, il divieto di pubblicazione in tutta Italia. Puo
nuovamente circolare, anche se in Italia, mutato il clima politico e culturale,
venne nuovamente ignorato. L. Geymonat, “Il pensiero filosofico-pedagogico
italiano, Filosofi e pedagogisti estranei all'illuminismo in Geymonat, Storia
del pensiero filosofico e scientifico” (Milano, Garzanti); G. Melzi, Dizionario
di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani: o come che sia aventi
relazione all'Italia. Milano: Coi torchi di L. di Giacomo Pirola, N. Nicolini,
op. cit.. C. Giurintano, Società e Stato
(Palermo). A. Pisanò, “Una teoria comunitaria dei diritti umani: i diritti
dell'uomo” (Milano). bronteinsieme Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Melanzio Alcioneo, arcadi.
Nicola Spedalieri. Spedalieri. Keywords:gl’arcadii, diritti degl’uomini. Refs.:
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spadalieri sul contratto conversazionale.” H.
P. Grice, “A critique to conversational quasi-contrastualism.” Luigi Speranza,
“Grice e Spedalieri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690092790/in/photolist-2mKFeJo
Grice e Speranza – implicatura ed implicatura -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Albalonga). Filosofo. Speranza, Ugo -- Speranza,
Alessandro -- Speranza, Ettore -- Speranza, Gianni -- Speranza, Paola --
Speranza, Anna-Maria -- Speranza-Ghersi –Ghersi-Speranza, Anna-Maria -- Speranza lui speranza: luigi della --. Italian
philosopher, attracted, for some reason, to H. P. Grice. Speranza knows St.
John’s very well. He is the author of “Dorothea Oxoniensis.” He is a member of a
number of cultivated Anglo-Italian societies, like H. P. Grice’s Playgroup. He
is the custodian of Villa Grice, not far from Villa Speranza. He works at the
Swimming-Pool Library. Cuisine is one of his hobbiesgrisottoa alla ligure, his
specialty. He can be reached via H. P. Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Vita ed
opinion di Luigi Speranza,” par Luigi Speranza. A. M. Ghersi Speranza -- vide
Ghersi-Speranza. Ghersi is a collaborator of Speranza. Grice: “It’s easy enough
to list Speranza’s publications.” Speranza, like Mill, was fortunate to belong
to a literary familyand he would read Descartes’s Meditations, which drew him
to philosophy. His studies in logic drew him to semanticsHis first love was
Oxonian analysis as summarised in Hartnack’s essay on ‘contemporary’
philosophy. One of Speranza’s earliest essays is on Plato’s Cratylus, relying
mainly on Cassierer, but also drawing from Austin’s Philosophical Papesr.
Spearnza’s idea is that “ … mean …” is a dyadic relation and what’s behind
Plato’s theory of forms. This was Speranza’s contribution to a seminar in
ancient philosophy. For his contribution on medieaval philosophy, Speranza drew
on the modistae, and the Patrologia Latina for the use of ‘intentio’ in various
writers, up to AquinoSperanza finds it fascinating that the earliest modistae
do find a conceptual link between the ‘intentio’ and the ‘significatio.’ For a
seminar on scepticism, Speranza contributed with a paper on Gricedrawing on
Sextus Empiricus and Bar-Hillel. It relates to Grice’s problem with the
conversational category of fortitude. Speranza concludes that a phenomenalist
account is possible, but there are two other options: ‘silence’ (“not to
participate in the conversational game”) or the utterance of non-alethic
utterances, such as questions and commands. For a seminar on political
philosophy, Speranza contributed with an essay on ‘Contractualism’ from
Rousseau onwards --. For a seminar on phenomenology and the social sciences,
Speranza contributed with an essay on ‘The conversational unit,’ the idea that
the emic approach is preferable to the etic approach. For a seminar on
argumentation theory on Habermas, Speranza contributed with a “German Grice,”
the idea of a ‘strategy’ is a momer. Grice is into co-operative proceduresand
those who provide taxonomies of rationality should be made aware of this. For
“The Carrollian,” Speranza contributed with “Humpty Dumpty’s Impenetrability.”
The idea that Davidson is right and Alice does not mean that there is a
knock-down argument, or that she should change the topiche draws on Grice’s
collaborator at Oxford, D. F. Pears, for his insights on “Intention and
belief.” At the request of the editor of a bibliographical bulletin, M. Costa,
Speranza contributed with reviews of oeuvre by R. M. Hare (“Sub-atomic
particles of logic”), J. F. Thomson (“if and If”) and work on the English
philosopher H. P. Grice (J. Baker, etc.). His review on Way of Words spramg
from the same project, and it is an ‘invitation.’ For a congress of philosophy,
Speranza presented “On the way of conversation,” playing on Grice’s “way of
words”“Surely there’s more than words to conversation.” Speranza focuses on
what Grice amusingly calls a ‘minro problem,’ that of expression
meaningSperanza’s example: “How do you find Bologna?” “I haven’t been mugged
yet” was inspired by a remark of an attendant to the conference. For a congress
on conversational reasoning, Speranza contributed with “First time at Bologna?”
providing twenty five possible answers“first time in the region, actually.” Etc.
Speranza, following Grice, refers to this sort of reasoning as a sort of
‘brooding’to ‘brood’ is to ‘reason’ in a calculated fashion. As an invitation
project, Speranza collaborated with “Rational face to rational face: a study in
conversational pragmatics from a Griceian perspective.” In his essay
“Post-modernist Grice,” he deals with the unary and dyadic connectors. For a
congress on “Current Issues,” Speranza presented his “The feast of reason,”
three steps in the critique of conversational reason. The first step is
empirical, the second is quasi-contractualist, and the third is rational,
undersood weakly and strongly. For an essay on relativism, Speranza presented
an essay on ‘The cunning of conversational reason.’ Speranza maintains Grice’s
jocular references to Kant -- the Conversational Immanuel. For an essay on
desirability, Speranza explored the issues connected with mise-en-abyme and
self-reflectionsome of these were published. There is published correspondence
with members of what Speranza calls the Grice Club. Refs.: The H. P. Grice
Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California,
Berkeley. Speranza, villaThe Swimming-Pool Library, H. P. Grice’s Play Group,
Liguria, Italia. Luigi Speranza, “Grice e la storia della filosofia italiana.” Speranza
has done crucial research on Griceianism, unearthing some documents by O.Wood,
J. O. Urmson, P. H. Nowell-Smith, and many many others – not just H. P. Grice. Vide:
The Grice Papers, BANC, MSS.
Spirito – la filosofia dello spirito – filosofia
fascista – ventennio fascista -- I corpi – corpo e corporazione -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Arezzo).
Filosofo. Studia sotto Gentile. Firma il manifesto degli intellettuali fascisti.
Teorico del corporativismo. Insegna a Pisa, Messina, Genova e Roma. Tra i
principali filosofi a Roma insieme con Antoni, allievo di Croce, Calogero,
filosofo del "dialogo" (Cf. Grice – “dialogo” vs. “conversazione”) --
e Nardi grande studioso di filosofia di Aligheri e medievale. Rinomate sono non
tanto le sue lezioni quanto i suoi pomeriggi di discussione del giovedì. Tre
ore, non di lezione, ma di discussione serrata su un problema filosofico; uno
soltanto per un intero anno. Uno, per esemptio, e dedicato al concetto di sogno.
Ai giovedì nell'aula grande dell'Istituto di Filosofia interveneno tante e
diverse persone: gli studenti, i numerosi assistenti e inoltre partecipanti di
varie età convinzioni e provenienze. Ascolta tutti, rilancia e guida la
discussione verso nuove prospettive interpretative. Pubblica saggi connessi a
quei giovedì. Tra le altre: “Il Problematicismo”; “La Vita come Ricerca”
(Rubbettino); “La Vita come Amore”, “Cattolicesimo e Comunismo”, fino a l’autobiografica
“Vita di un Incosciente”. Volendo indicare un tratto distintivo della sua
filosofia, essa consiste nella curiosità e nel rispetto per qualsiasi
posizione. Non esiste una parola definitive. La ricerca della verità dove
essere portata sempre ulteriormente avanti.
In questo senso vanno interpretate le sue riflessioni che spaziano dai
campi della speculazione filosofica. Tra i vari livelli di ricerca, spicca la
riflessione sulle strutture dello stato. Allontanandosi nettamente dal
liberalismo filosofico, non vede alcuna contra-posizione tra la figura
dell'individuo o cittadino e quella dello stato. Con un passo oltre questa
interpretazione, che giudica dis-organica e arbitraria, vede lo stato come
figura entro cui i cittadini vieneno a realizzarsi. Il binomio stato/cittadino diventa
così un'equazione, in cui il secondo termine viene a risolversi e quindi
realizzarsi pienamente nel primo. Caratterizza lo stato non come una semplice
sovra-struttura disciplinatrice, ma come un organismo che esprime un'unica
volontà e compone tutti i dissidi dei cittadini. In questo senso, l'unica via
percorribile nella realizzazione di tale modello è la via corporativa in cui lo
stato -- al meno due cittadini -- diventa stato di al meno due produttori. Lo
stato rappresenta il luogo in cui interesse pubblico o comune ed interesse
privato o soggetivo del cittadino vengono a coincidere. In esso non deve venire
annullata quella sorgente di vita che sono i cittadini. Questa concezione è stata definita immanenza
dei cittadini nello stato, volta alla mobilitazione dei cittadini nelle e per
le strutture create dallo stato. L’economia è politica. Deve garantire la sub-ordinazione
alle scelte sociali. Inquadra il ruolo che assegna allo stato in termini di
intervento pubblico o comone. Ben lungi dal prospettare una situazione
paragonabile al collettivismo, è lontano anche dagli eccessi dis-organici che
imputa al sistema liberale. Il
funzionario di stato, che in prospettiva dove andare a sostituire il
capitalista privato, e giudicato non come un agente del collettivismo o del
capitalismo statale (che sappiamo cosa produce col sovietismo), ma un semplice
delegato tecnico, che si fa garante di una diversa realtà: assicurare
socialmente il controllo della produzione e la stessa proprietà dei mezzi
produttivi. Altre saggi: “Il diritto penale italiano”; “Il nuovo diritto penale”;
“Critica dell'economia liberale, “L'idealismo italiano e i suoi critici” –
Grice: “A delightfull read, especially for us Oxonians, since he manages to
quote extensively from the Proceedings of the Aristotelian Society, seeing that
Ryle hated idealism!” --); “I fondamenti dell'economia corporativa”; “Capitalismo
e corporativismo” (Rubbettino); Scienza e filosofia”; Dall'economia liberale al
corporativismo, “La vita come arte, Critica
della democrazia” (Rubbettino); “Il comunismo, Dall'attualismo al
problematicismo”, Memorie di un incosciente” (Rusconi, Milano); “Pareto”
(Cadmo, Roma); “Critica della democrazia” (Luni, Milano); “Il corporativismo:
dall'economia liberale al corporativismo; “M. Rodotà, Passeggiando in
bicicletta; Bighellonando dentro il Verano, Corriere della Sera, L. Stefano, Filosofo,
Giurista, Economista, Volpe Roma, “Individuo e stato”, A. Negri, “Dal corporativismo comunista
all'umanesimo scientifico. Itinerario teoretico” (Manduria, Lacaita, F.Tamassia,
Roma, A. Russo, Positivismo e idealismo” (Roma); G. Dessì, “Filosofia e rivoluzione”
(Milano, Luni); A. Russo, “Dal
positivismo all'anti-scienza” (Milano, Guerini); H. Cavallera, “La ricerca
dell'incontrovertibile, Formello, SEAM); D. Breschi, Spirito del Novecento. Il
secolo di Ugo Spirito -- dal fascismo alla contestazione” (Rubbettino), A. Cammarana,
Roma, Pagine, A. Cammarana, “Teorica
della reazione dialettica: filosofia del postcomunismo” (Roma). V. Pirro,
Ricordo, in Studi Politici (Bulzoni, Roma). Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Enciclopedia machiavelliana, P. Bettineschi, L'esperienza storica e
l'intrascendibilità del conoscere. Sul sapere di non sapere, Rivista di filosofia neo-scolastica,, Problematicismo
Corporativismo Fascismo Corporazione proprietaria. Treccani, Dizionario di
storia, Dizionario biografico degli italiani, Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Ugo Spirito. Spirito. Keywords: stato/cittadini,
pathos romantico, romanticism e nuovo ordine, sindicalismo, fascismo da
sinestra, filobolcevicco, corporativismo, attualismo, stato fascista,
equilibrio liberta/autorita, gentile e spirito, i filosofi fascisti, filosofia
e revoluzione, romanticismo, proprieta, filosofia come pedagogia. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Spirito” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718471510/in/photolist-2mPwZGS-2mPkobg-2mPpmMv-2mPoj9X-2mPszkp-2mPqp6k-2mNzeEc-2mNbFJE-2mNaHiH-2mMQbzj-2mLKtaD-2mLLZRD-2mLFz5i-2mLGnHy-2mLLy7L-2mLLy6U-2mLGvyP-2mPkhvE-2mN84eK-2mMyyfB
Grice e Spisani – la contestazione –
filosofia italiana
(Ferrara), Filosofo. Si laurea a Padova con una tesi di sull'attualismo
italiano: “Natura e spirito nell’idealismo attuale” (Milano, Fabbri). In
seguito collabora a Urbino. A Bologna fonda “Rassegna di Logica” e il Centro superiore di logica e scienze
comparate. In una lettera Carnap critica una sua decisione di non pubblicare
un'opera. Morì suicida. Altri saggi: “Neutralizzazione dello spazio per sintesi
produttiva” (Bologna, Cappelli); “Implicazione, Endo-metria e universo del
discorso” (Bologna) e “Introduzione alla teoria generale dei numeri relativi, con
ingresso dei numeri moltiplicatori e divisori, legati alla logica e alla
matematica trascendentale” (Bologna, Centro di logica e scienze comparate,
analisi matematica). C'è una relazione divisoria che ipotizza il valore “M,”
numero logico trans-infinito all'origine della neutralizzazione dello spazio
trans-finito. ℵ va verso successivi aumenti. Ma è la relatività dei numeri, espressa
nel calcolo per valori di posizione, che ne individua la direzione
inversa." In “Introduzione alla
teoria dei numeri relative” spiega le sue scoperte in forma di dialogo. Tra gli
interlocutori la misteriosa figura della piovra Clipso. Logo-fenica.
Altri saggi: “Il numero nell'istanza ontologica del rapporto d'identità”
(Imola, Galeati); “Logica ed esperienza” (Milano, Marzorati); “Logica della
contestazione” (Bologna, Cappelli). Sulla storia della pubblicazione della Teoria
generale, importanti ricerche erano già pronte. Allora, dice: “Ne discuto con
Carnap. Carnap sottopone i risultati dell'indagine. Carnap spiega anche le
ragioni che mi induceno a non diffonderne le conclusioni. Carnap risponde che
quella scelta gli sembra affatto ingiustificata: l'operas crises non poteva
rimanere nel silenzio. Tuttavia non cambiai parere. Non avrei pubblicato, e glielo
confermai. “Dai numeri naturali ai numeri relativi, moltiplicatori e divisor” B.
Gallo, “Un uomo genial”, Nuova Ferrara, L'ha vegliato prima di suicidarsi, di
Carlo Gulotta, la Repubblica, sezione Bologna, Archivio. Franco Spisani. Spisani.
Keywords: il concetto di numero, numero naturale, numero relativo, logica
autogenetica, numero relative moltiplicatore, numero relative divisore,
opposto, contradittorio, regole e segni, contestazione, esperienza, limiti
della metafisica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spisani” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733750694/in/datetaken/
Grice e Sraffa – la mia implicatura – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Torino). An
Italian noble -- vitters, and Grice --
L.cited by H. P. Grice, “Some like Vitters, but Moore’s MY man.”
Vienna-born philosopher trained as an enginner at Manchester. Typically
referred to Wittgenstein in the style of English schoolboy slang of the time
as, “Witters,” pronounced “Vitters.”“I heard Austin said once: ‘Some like
Witters, but Moore’s MY man.’ Austin would open the “Philosophical
Investigations,” and say, “Let’s see what Witters has to say about this.”
Everybody ended up loving Witters at the playgroup.” Witters’s oeuvre was
translated first into English by C. K. Ogden. There are interesting twists.
Refs.: H. P. Grice, “Vitters.” Grice was sadly discomforted when one of his
best friends at Oxford, D. F. Pears, dedicated so much effort to the unveiling
of the mysteries of ‘Vitters.’ ‘Vitters’ was all in the air in Grice’s inner
circle. Strawson had written a review of Philosophical Investigations. Austin
was always mocking ‘Vitters,’ and there are other connections. For Grice, the
most important is that remark in “Philosohpical Investigations,” which he never
cared to check ‘in the Hun,’ about a horse not being seen ‘as a horse.’ But in
“Prolegomena” he mentions Vitters in other contexts, too, and in “Causal
Theory,” almost anonymouslybut usually with regard to the ‘seeing as’ puzzle.
Grice would also rely on Witters’s now knowing how to use ‘know’ or vice versa.
In “Method” Grice quotes verbatim: ‘No psyche without the manifestation the
ascription of psyche is meant to explain,” and also to the effect that most
‘-etic’ talk of behaviour is already ‘-emic,’ via internal perspective, or just
pervaded with intentionalism. One of the most original and challenging
philosophical writers of the twentieth century. Born in Vienna into an
assimilated family of Jewish extraction, he went to England as a student and
eventually became a protégé of Russell’s at Cambridge. He returned to Austria
at the beginning of The Great War I, but went back to Cambridge in 8 and taught
there as a fellow and professor. Despite spending much of his professional life
in England, Vitters never lost contact with his Austrian background, and his
writings combine in a unique way ideas derived from both the insular and the
continental European tradition. His thought is strongly marked by a deep
skepticism about philosophy, but he retained the conviction that there was
something important to be rescued from the traditional enterprise. In his Blue
Book 8 he referred to his own work as “one of the heirs of the subject that
used to be called philosophy.” What strikes readers first when they look at
Vitters’s writings is the peculiar form of their composition. They are
generally made up of short individual notes that are most often numbered in
sequence and, in the more finished writings, evidently selected and arranged
with the greatest care. Those notes range from fairly technical discussions on
matters of logic, the mind, meaning, understanding, acting, seeing,
mathematics, and knowledge, to aphoristic observations about ethics, culture,
art, and the meaning of life. Because of their wide-ranging character, their
unusual perspective on things, and their often intriguing style, Vitters’s
writings have proved to appeal to both professional philosophers and those
interested in philosophy in a more general way. The writings as well as his
unusual life and personality have already produced a large body of interpretive
literature. But given his uncompromising stand, it is questionable whether his
thought will ever be fully integrated into academic philosophy. It is more
likely that, like Pascal and Nietzsche, he will remain an uneasy presence in
philosophy. From an early date onward Vitters was greatly influenced by the
idea that philosophical problems can be resolved by paying attention to the
working of language a thought he may
have gained from Fritz Mauthner’s Beiträge zu einer Kritik der Sprache 102.
Vitters’s affinity to Mauthner is, indeed, evident in all phases of his
philosophical development, though it is particularly noticeable in his later
thinking.Until recently it has been common to divide Vitters’s work into two
sharply distinct phases, separated by a prolonged period of dormancy. According
to this schema the early “Tractarian” period is that of the Tractatus
Logico-Philosophicus 1, which Vitters wrote in the trenches of World War I, and
the later period that of the Philosophical Investigations 3, which he composed
between 6 and 8. But the division of his work into these two periods has proved
misleading. First, in spite of obvious changes in his thinking, Vitters
remained throughout skeptical toward traditional philosophy and persisted in
channeling philosophical questioning in a new direction. Second, the common
view fails to account for the fact that even between 0 and 8, when Vitters
abstained from actual work in philosophy, he read widely in philosophical and
semiphilosophical authors, and between 8 and 6 he renewed his interest in
philosophical work and wrote copiously on philosophical matters. The posthumous
publication of texts such as The Blue and Brown Books, Philosophical Grammar,
Philosophical Remarks, and Conversations with the Vienna Circle has led to
acknowledgment of a middle period in Vitters’s development, in which he
explored a large number of philosophical issues and viewpoints a period that served as a transition between
the early and the late work. Early period. As the son of a greatly successful
industrialist and engineer, Vitters first studied engineering in Berlin and
Manchester, and traces of that early training are evident throughout his
writing. But his interest shifted soon to pure mathematics and the foundations
of mathematics, and in pursuing questions about them he became acquainted with
Russell and Frege and their work. The two men had a profound and lasting effect
on Vitters even when he later came to criticize and reject their ideas. That
influence is particularly noticeable in the Tractatus, which can be read as an
attempt to reconcile Russell’s atomism with Frege’s apriorism. But the book is
at the same time moved by quite different and non-technical concerns. For even
before turning to systematic philosophy Vitters had been profoundly moved by
Schopenhauer’s thought as it is spelled out in The World as Will and
Representation, and while he was serving as a soldier in World War I, he
renewed his interest in Schopenhauer’s metaphysical, ethical, aesthetic, and
mystical outlook. The resulting confluence of ideas is evident in the Tractatus
Logico-Philosophicus and gives the book its peculiar character. Composed in a
dauntingly severe and compressed style, the book attempts to show that
traditional philosophy rests entirely on a misunderstanding of “the logic of
our language.” Following in Frege’s and Russell’s footsteps, Vitters argued
that every meaningful sentence must have a precise logical structure. That
structure may, however, be hidden beneath the clothing of the grammatical
appearance of the sentence and may therefore require the most detailed analysis
in order to be made evident. Such analysis, Vitters was convinced, would
establish that every meaningful sentence is either a truth-functional composite
of another simpler sentence or an atomic sentence consisting of a concatenation
of simple names. He argued further that every atomic sentence is a logical
picture of a possible state of affairs, which must, as a result, have exactly
the same formal structure as the atomic sentence that depicts it. He employed
this “picture theory of meaning” as it
is usually called to derive conclusions
about the nature of the world from his observations about the structure of the
atomic sentences. He postulated, in particular, that the world must itself have
a precise logical structure, even though we may not be able to determine it
completely. He also held that the world consists primarily of facts,
corresponding to the true atomic sentences, rather than of things, and that
those facts, in turn, are concatenations of simple objects, corresponding to
the simple names of which the atomic sentences are composed. Because he derived
these metaphysical conclusions from his view of the nature of language, Vitters
did not consider it essential to describe what those simple objects, their
concatenations, and the facts consisting of them are actually like. As a
result, there has been a great deal of uncertainty and disagreement among
interpreters about their character. The propositions of the Tractatus are for
the most part concerned with spelling out Vitters’s account of the logical
structure of language and the world and these parts of the book have
understandably been of most interest to philosophers who are primarily
concerned with questions of symbolic logic and its applications. But for
Vitters himself the most important part of the book consisted of the negative
conclusions about philosophy that he reaches at the end of his text: in
particular, that all sentences that are not atomic pictures of concatenations
of objects or truth-functional composites of such are strictly speaking
meaningless. Among these he included all the propositions of ethics and
aesthetics, all propositions dealing with the meaning of life, all propositions
of logic, indeed all philosophical propositions, and finally all the
propositions of the Tractatus itself. These are all strictly meaningless; they
aim at saying something important, but what they try to express in words can
only show itself. As a result Vitters concluded that anyone who understood what
the Tractatus was saying would finally discard its propositions as senseless,
that she would throw away the ladder after climbing up on it. Someone who
reached such a state would have no more temptation to pronounce philosophical
propositions. She would see the world rightly and would then also recognize
that the only strictly meaningful propositions are those of natural science;
but those could never touch what was really important in human life, the
mystical. That would have to be contemplated in silence. For “whereof one
cannot speak, thereof one must be silent,” as the last proposition of the
Tractatus declared. Middle period. It was only natural that Vitters should not
embark on an academic career after he had completed that work. Instead he
trained to be a school teacher and taught primary school for a number of years
in the mountains of lower Austria. In the mid-0s he also built a house for his
sister; this can be seen as an attempt to give visual expression to the
logical, aesthetic, and ethical ideas of the Tractatus. In those years he developed
a number of interests seminal for his later development. His school experience
drew his attention to the way in which children learn language and to the whole
process of enculturation. He also developed an interest in psychology and read
Freud and others. Though he remained hostile to Freud’s theoretical
explanations of his psychoanalytic work, he was fascinated with the analytic
practice itself and later came to speak of his own work as therapeutic in
character. In this period of dormancy Vitters also became acquainted with the
members of the Vienna Circle, who had adopted his Tractatus as one of their key
texts. For a while he even accepted the positivist principle of meaning
advocated by the members of that Circle, according to which the meaning of a
sentence is the method of its verification. This he would later modify into the
more generous claim that the meaning of a sentence is its use. Vitters’s most
decisive step in his middle period was to abandon the belief of the Tractatus
that meaningful sentences must have a precise hidden logical structure and the
accompanying belief that this structure corresponds to the logical structure of
the facts depicted by those sentences. The Tractatus had, indeed, proceeded on
the assumption that all the different symbolic devices that can describe the
world must be constructed according to the same underlying logic. In a sense,
there was then only one meaningful language in the Tractatus, and from it one
was supposed to be able to read off the logical structure of the world. In the
middle period Vitters concluded that this doctrine constituted a piece of
unwarranted metaphysics and that the Tractatus was itself flawed by what it had
tried to combat, i.e., the misunderstanding of the logic of language. Where he
had previously held it possible to ground metaphysics on logic, he now argued
that metaphysics leads the philosopher into complete darkness. Turning his
attention back to language he concluded that almost everything he had said
about it in the Tractatus had been in error. There were, in fact, many
different languages with many different structures that could meet quite
different specific needs. Language was not strictly held together by logical
structure, but consisted, in fact, of a multiplicity of simpler substructures
or language games. Sentences could not be taken to be logical pictures of facts
and the simple components of sentences did not all function as names of simple
objects. These new reflections on language served Vitters, in the first place,
as an aid to thinking about the nature of the human mind, and specifically
about the relation between private experience and the physical world. Against
the existence of a Cartesian mental substance, he argued that the word ‘I’ did
not serve as a name of anything, but occurred in expressions meant to draw
attention to a particular body. For a while, at least, he also thought he could
explain the difference between private experience and the physical world in
terms of the existence of two languages, a primary language of experience and a
secondary language of physics. This duallanguage view, which is evident in both
the Philosophical Remarks and The Blue Book, Vitters was to give up later in
favor of the assumption that our grasp of inner phenomena is dependent on the
existence of outer criteria. From the mid-0s onward he also renewed his
interest in the philosophy of mathematics. In contrast to Frege and Russell, he
argued strenuously that no part of mathematics is reducible purely to logic.
Instead he set out to describe mathematics as part of our natural history and
as consisting of a number of diverse language games. He also insisted that the
meaning of those games depended on the uses to which the mathematical formulas
were put. Applying the principle of verification to mathematics, he held that
the meaning of a mathematical formula lies in its proof. These remarks on the
philosophy of mathematics have remained among Vitters’s most controversial and
least explored writings. Later period. Vitters’s middle period was
characterized by intensive philosophical work on a broad but quickly changing
front. By 6, however, his thinking was finally ready to settle down once again
into a steadier pattern, and he now began to elaborate the views for which he
became most famous. Where he had constructed his earlier work around the logic
devised by Frege and Russell, he now concerned himself mainly with the actual
working of ordinary language. This brought him close to the tradition of
British common sense philosophy that Moore had revived and made him one of the
godfathers of the ordinary language philosophy that was to flourish in Oxford
in the 0s. In the Philosophical Investigations Vitters emphasized that there
are countless different uses of what we call “symbols,” “words,” and
“sentences.” The task of philosophy is to gain a perspicuous view of those
multiple uses and thereby to dissolve philosophical and metaphysical puzzles.
These puzzles were the result of insufficient attention to the working of
language and could be resolved only by carefully retracing the linguistic steps
by which they had been reached. Vitters thus came to think of philosophy as a
descriptive, analytic, and ultimately therapeutic practice. In the
Investigations he set out to show how common philosophical views about meaning
including the logical atomism of the Tractatus, about the nature of concepts,
about logical necessity, about rule-following, and about the mindbody problem
were all the product of an insufficient grasp of how language works. In one of
the most influential passages of the book he argued that concept words do not
denote sharply circumscribed concepts, but are meant to mark family
resemblances between the things labeled with the concept. He also held that
logical necessity results from linguistic convention and that rules cannot
determine their own applications, that rule-following presupposes the existence
of regular practices. Furthermore, the words of our language have meaning only
insofar as there exist public criteria for their correct application. As a
consequence, he argued, there cannot be a completely private language, i.e., a
language that in principle can be used only to speak about one’s own inner
experience. This private language argument has caused much discussion. Interpreters
have disagreed not only over the structure of the argument and where it occurs
in Vitters’s text, but also over the question whether he meant to say that
language is necessarily social. Because he said that to speak of inner
experiences there must be external and publicly available criteria, he has
often been taken to be advocating a logical behaviorism, but nowhere does he,
in fact, deny the existence of inner states. What he says is merely that our
understanding of someone’s pain is connected to the existence of natural and
linguistic expressions of pain. In the Philosophical Investigations Vitters
repeatedly draws attention to the fact that language must be learned. This
learning, he says, is fundamentally a process of inculcation and drill. In learning
a language the child is initiated in a form of life. In Vitters’s later work
the notion of form of life serves to identify the whole complex of natural and
cultural circumstances presupposed by our language and by a particular
understanding of the world. He elaborated those ideas in notes on which he
worked between 8 and his death in 1 and which are now published under the title
On Certainty. He insisted in them that every belief is always part of a system
of beliefs that together constitute a worldview. All confirmation and
disconfirmation of a belief presuppose such a system and are internal to the
system. For all this he was not advocating a relativism, but a naturalism that
assumes that the world ultimately determines which language games can be played.
Vitters’s final notes vividly illustrate the continuity of his basic concerns
throughout all the changes his thinking went through. For they reveal once more
how he remained skeptical about all philosophical theories and how he
understood his own undertaking as the attempt to undermine the need for any
such theorizing. The considerations of On Certainty are evidently directed
against both philosophical skeptics and those philosophers who want to refute
skepticism. Against the philosophical skeptics Vitters insisted that there is
real knowledge, but this knowledge is always dispersed and not necessarily
reliable; it consists of things we have heard and read, of what has been
drilled into us, and of our modifications of this inheritance. We have no
general reason to doubt this inherited body of knowledge, we do not generally
doubt it, and we are, in fact, not in a position to do so. But On Certainty
also argues that it is impossible to refute skepticism by pointing to
propositions that are absolutely certain, as Descartes did when he declared ‘I
think, therefore I am’ indubitable, or as Moore did when he said, “I know for
certain that this is a hand here.” The fact that such propositions are
considered certain, Vitters argued, indicates only that they play an
indispensable, normative role in our language game; they are the riverbed
through which the thought of our language game flows. Such propositions cannot
be taken to express metaphysical truths. Here, too, the conclusion is that all
philosophical argumentation must come to an end, but that the end of such
argumentation is not an absolute, self-evident truth, but a certain kind of
natural human practice. Sraffa. Keywords. Refs.: H. P. Grice, “Il gesto della
mano di Sraffa.” Speranza, “Sraffa’s handwave, and his impicaturum”; Luigi
Speranza, “L’implicatura di Sraffa,” per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733734529/in/datetaken/
Grice e Stabile – critica della ragione
borghese – filosofia italiana (Sapri). Duplicato. Filosofo. Laureatosi a Napoli con una tesi
sulla filosofia del valore, divenne ricercatore a Salerno. Pubblica saggi in "Prassi
e teoria", "Aut Aut", "Studi di filosofia politica e diritto",
"il Centauro", "Ombre rosse", riviste tra le più
prestigiose nel panorama della pubblicistica filosofica italiana. Collabora
alla direzione della collana di testi e studi "Relox" di Bibliopolis
di Napoli. Salerno dedica un convegno di studi alla sua memoria: "La
saggezza moderna. Temi e problemi”. Il fondo rappresenta solo una piccola
porzione della sua biblioteca. Infatti la consistenza attuale si aggira intorno
ai 650 volumi altri libri sono in possesso di Salerno. Tuttavia la consistenza
maggiore ricopre il periodo intorno a cui si è formata la sua personalità. I
libri del fondo sottolineano l'interesse verso la critica marxista (moltissimi
i volumi degli Editori Riuniti). Degni di attenzione alcuni esemplari
caratteristici come ad esempio quelli della collana "I gabbiani" del
Saggiatore o ancora la collana quasi completa degli "Opuscoli” della
Feltrinelli, i volumi della collana "Biblioteca di nuova cultura"
della Mazzotta, e quelli della "Scienza nuova" della Dedalo: collane
radicalmente trasformate nei successivi anni o sostituite da altre. Talora nate
solamente per offrire testi economici che rispondessero ai bisogni di una
maggiore diffusione culturale. Sono presenti anche dei volumetti allegati a
periodici di partito (PCI e PSI) e le pubblicazioni dell'Istituto di Filosofia
dell'Salerno. Altri saggi: “Valore
morale e società” (Salerno); “Soggetti e bisogni” (Firenze, La Nuova Italia); “Saggezza
e prudenza: studi per la ricostruzione di un'antropologia” (Napoli, Liguori); “Piccolo
trattato sulla saggezza” (Napoli, Bibliopolis); “Umanesimo e rivoluzione” (“Prassi
e teoria: rivista di filosofia della cultura”), “La saggezza moderna: in
memoria” (Napoli, Edizioni scientifiche italiane). Storia della filosofia,
Salerno. P. Charron Storia della filosofia, Salerno. Giampiero Stabile. Stabile. Keywords:
Grice’s ‘Needs, need, bisogno, bisogni, bisoin, complex etymology, durf, tharf --
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stabile” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733716119/in/datetaken/
Grice e Stefani – senso compost – filosofia italiana (Pergola). Filosofo. Grice: “I may well say that my idea of a propositional complex
owes much to Stefani’s obsession with ‘sensus’ simplex or ‘divisus, and ‘sensus
compositum’ –“ “The opposite of ‘com-posito’ is de-posito, though!” -- Grice: “I like his diagrammes; The Boedlian
have loads of his mss!” Grice: “He has a figure for the ‘figura quadrata,’ –“.
Grice: “He has a figure for ‘suppositio.’” – Il membro più noto di una famiglia
di insegnanti marchigiani. Avviato alla carriera ecclesiastica nella città
natale, ma presto strasfere a Venezia. Il suo saggio più importante è il “De sensu
composito et diviso”. Insegna a
Rialto. Altri saggi: “Dubia in consequentias Strodi,” “In regulas
insolubilium,” “De scire e dubitare,” “Compendium logicae,” “Logica,” “Tractatus
de sensu simplice, sensu composito, et sensu diviso”,Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Fonte: Dizionario di filosofia, riferimenti. TreccaniEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Stefani. Keywords: senso semplice, senso composito,
senso deposito, senso diviso. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Stefani.” https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701107182/in/photolist-2mPxLC4-2mLLZRD-2mLDFVG-Eoj4SX-DndBhH-27qzaqL
Grice e Stefanini – l’interpersonalismo -- idealism
filosofico – filosofia fascista – veintennio fascista -- filosofia italiana (Treviso). Filosofo. Grice: “Italians are
obsessed with personalismo, I am with interpersonalismo!” “L’essere è
personale.” “Tutto ciò che non è personale nell’essere rientra nella
produttività della persona, come mezzo di manifestazione della persona e di
*comunicazione* o conversazione *tra* due persone,” “La mia prospettiva
filosofica). Figlio di Giovanni, che gestisce una tintoria, e Lucia de Mori,
diplomata maestra elementare -- è attivo nelle associazioni e nei movimenti
cattolici del trevigiano, iscrivendosi a Gioventù Cattolica dove assumerà
presto l'incarico di presidente diocesano. Qui maturerà la vocazione di
educatore, seguendo, in particolare, gli insegnamenti contenuti nell'enciclica
Rerum Novarum di Leone XIII. Opera pure nel sindacato cattolico dei
lavoratori. Dopo il diploma presso il
Liceo Classico Antonio Canova, dove ha fra gli altri Paolo Rotta come
insegnante di storia e filosofia, nello stesso anno si iscrive alla Facoltà di
Lettere e Filosofia dell'Padova. Nell'ateneo patavino, la corrente del
positivismo è tra le più seguite, ma in controtendenza decide di scrivere la
propria tesi sull’interpersonalismo, aavendo Aliotta come relatore, con cui si
laurea in filosofia . Nel periodo di studi padovano, inizia a frequentare anche
il circolo di Zanella e inizia a insegnare. Mentre completa gli studi
universitari, inizia già a respirarsi aria di guerra in Italia, ma come molti
giovani, pur favorevole ad una posizione di neutralità nei confronti della
guerra, viene comunque chiamato alle armi. Terminato il conflitto, uscendone
con il grado di capitano e una croce al merito di guerra, studia l’estetica di
Gravina. Eletto consigliere del Comune di Treviso ma, la violenza dello
squadrismo fascista investe anche il trevigiano. Si oppone con fermezza a tale
ideologia, dimettendosi e dedicandosi completamente all'insegnamento, che ora è
la sua occupazione principale e che condurrà sempre secondo una pedagogia
ispirata ai principi cristiani, costantemente attento e sensibile sia ai
bisogni che agli interessi degli studenti. Nello stesso periodo, si dedica con
scrupolo alla stesura di apprezzati testi didattici di storia e filosofia,
nonché di pedagogia secondo un indirizzo cristiano. Conseguita la libera
docenza in pedagogia ottiene, per incarico, l'insegnamento di questa disciplina
a Padova. Oltre ad iscriversi al Partito Nazionale Fascista, affianca
l'insegnamento nelle scuole pubbliche a quello universitario fino a quando,
vinto l'ordinariato, ha una cattedra di storia della filosofia a Messina che
tiene fino a quando si trasferisce a Padova. Al contempo, tiene per incarico
l'insegnamento di estetica a Padova e quello di pedagogia all'Venezia, nonché
sarà preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'ateneo patavino. Nel dopoguerra, riabilitato alla propria
cattedra e all'insegnamento universitario, si dedica prevalentemente allo
studio e la ricerca, ma partecipando anche alla riorganizzazione della
filosofia italiana, in particolare promuovendo incontri, convegni e riunioni
all'Istituto Aloisianum dei padri gesuiti di Gallarate, che diventerà poi il
Centro di studi filosofici di Gallarate, per primo diretto da Carlo
Gianon. Socio corrispondente dell’Istituto
veneto di scienze, lettere ed arti, nonché socio effettivo dell’Accademia
patavina di scienze, lettere ed arti, ricevette il premio della R. Accademia
d'Italia per le discipline filosofiche, e il premio Marzotto per la filosofia,
nonché fu membro dei consigli direttivi della Società filosofica italiana e del
Centro Studi filosofici di Gallarate. Fonda a Padova la Rivista di estetica,
della quale ha potuto dirigere solo il primo fascicolo e a cui gli subentrerà
Pareyson. Gli saranno intitolate delle scuole medie statali di Treviso e Padova,
nonché l'ex Istituto magistrale di Mestre. Uno dei maggiori rappresentati dello
spiritualismo, riesamina storicamente e criticamente diverse correnti del
pensiero filosofico, fra cui lo storicismo, la filosofia dell'azione, l’idealismo,
la fenomenologia, l'esistenzialismo, lungo il corso della storia della
filosofia, da Bonaventura ed Aquino a Gioberti, Rosmini ed altri, sulla scia
della sua prima formazione incentrata su uno stretto connubio fra prospettiva
storica e dimensione teoretica. Interessato
pure all'estetica, su cui ha scritto molti lavori, il contributo più importante
è frutto della sua costante riflessione su personalismo e spiritualismo, grazie
alla quale il rapporto soggetto-oggetto viene interpretato in termini di
alterità, di altro da sé, prospettivaquestache permetterà di concepire il
singolo individuo come membro di una comunità. Questo rapporto
soggetto-oggetto, da un tale punto di vista, sarà concepito come il momento
fondante di ogni comunità di esseri umani in relazione fra loro. Le più
importanti problematiche connesse a questi principi di base, saranno poi
affrontate nella “Metafisica della persona” – cf. Strawson, “The concept of a
person” -- e “Inter-personalismo”. Strettamente connesse a queste tematiche
filosofiche, poi, sono quelle didattico-pedagogiche aperte e portate avanti
pressoché durante l'intero suo periodo di attività, dai primi anni formativi
fino agli ultimi della maturità, in continuo ripensamento e progressiva
rivisitazione. Per quanto concerne poi
la sua vasta produzione, ricordiamo solo che dà alle stampe le seguenti,
notevoli pubblicazioni: “L'esistenzialismo” “Spiritualismo”, “Il dramma
filosofico”; “Metafisica della persona”; “Esistenzialismo ateo ed
esistenzialismo teistico”; “Inter-personalismo”; “Estetica”; “Trattato di
estetica. Viene pubblicata la raccolta di scritti intitolata “Inter-Personalismo”.
Dizionario Biografico degli Italiani.L. Corrieri, Uun pensiero attuale” (Prometheus,
Milano). Citando sue testuali parole. L’opera del Blondel è più arte che
filosofia. I passaggi più ardui superati con immagini ardite, anziché con
logiche dimostrazioni; affermate le più inconciliabili antitesi affinché queste
rendano vivo e tragico il contrasto; i mezzi dialettici atti più a trascinare
che a convincere: tutto ciò ci conferma pienamente nella nostra
interpretazione. L'opera del Blondel è, più che una dottrina filosofica, un
romanzo psicologico che descrive le esitazioni e le incertezze, le vane pretese
e le supreme aspirazioni dell'umana volontà, che alfine si appaga e riposa in
Dio. Per ciò che al di là del filosofo si riesca ad afferrare l'uomo, al di là
del sistema si riesca ad afferrare il programma generoso del credente, la
filosofia dell'azione può essere efficacemente educativa, può esercitare nella
coscienza contemporanea l'influsso salutare che essa si era proposta. “L'azione”
(Padova). Il quale, a sua volta, prende le mosse dalle concezioni
personalistiche mounieriane e giobertiane; cfr. G. Piaia, cit. Opere principal:
Il problema della conoscenza in Cartesio e Gioberti, Torino, Sei, Il problema
religioso in Platone e S. Bonaventura. Sommario storico e critica di testi,
Torino, Sei,Idealismo cristiano, Padova, R. Zannoni Editore, Platone (Padova, Milani);
Il problema estetico in Platone, Torino, Sei, Imaginismo come problema
filosofico (Padova, Milani); “Problemi attuali d'arte” (Padova, Milani); “La
Chiesa Cattolica, Milano-Messina, Principato, Vincenzo Gioberti. Vita e
pensiero, Milano, F.lli Bocca,
Metafisica dell'arte” (Padova, Liviana); “La mia prospettiva filosofica,
Treviso, Canova); Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico. Esposizione
e critica costruttiva” (Padova, Milani); Aubier, Estetica, Roma, Edizioni
Studium, Trattato di Estetica”; “L'arte nella sua autonomia e nel suo processo”
(Brescia, Morcelliana); Personalismo educativo, Roma, F.lli Bocca). Dialettica
dell'immagine. Studi sull'imaginismo di Luigi Stefanini, a cura
dell'Associazione filosofica trevigiana, Genova); L. Caimi, Educazione e
persona” (Scuola, Brescia); Glory Cappello, Dalle opere e dal carteggio del suo
archivio, Europrint, Treviso, Per una antropologia in Luigi Stefanini:
metafisica, personalismo, umanesimo, Glory Cappello, ER. Pagotto, Padova,. M. Lasala,
Una ragione vivente. L'immagine e l'ulteriore, in Frammenti di filosofia contemporanea,
I.v.a.n. Project, Limina Mentis, Villasanta, M. De Boni, Le ragioni
dell’esistenza. Esistenzialismo e ragione (Mimesis, Milano); A. Rigobello,
Scritti in onore (Liviana, Padova). Rivista Rosminiana,treccani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Luigi Stefanini. Stefanini. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Stefanini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733901795/in/photolist-2mPxLC4
Grice e Stella – iustum/iussum – filosofia
italiana (Sernaglia della
Battaglia). Filosofo. Grice: “What
is it with Italian philosoophers that they are all into what at Oxford we would
call jurisprudence?” Grice: “It seems like all Italian philosophers are like
Italian versions of H. L. A. Hart!”. Filosofo. Studia a Treviso e Milano, sotto Crespi.Insegna a Catania e
Milano. I suoi studi si diregeno su alcune tipologie di reati, successivamente
sugli elementi strutturali del reato. Il
suo contributo scientifico più noto, presso gli operatori del diritto penale e
la comunità accademica, è “La spiegazione causale dell’azione umana” (Milano), in
cui ricostruisce il problema del nesso
di causalità prospettando il criterio della sussunzione sotto una *legge* come
strumento per la soluzione di casi dubbi. Solo mediante una legge di copertura,
atta a spiegare il rapport causale fra la condotta dell’attore ed il effetto e possibile
formulare un giudizio sulla responsabilità dell’attore. Ad es., solo dopo aver
dimostrato, sulla base di una legge, che l'ingestione di un determinato farmaco
determina casualmente malformazioni del feto, e possibile imputare alla ditta
produttrice il reato di lesioni gravissime, colpose o dolose. In difetto di questa
spiegazione causale non puo formularsi alcuna responsabilita. a regola di
giudizio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" trovasse applicazione
anche in un processo. Il principio venne accolto in tema di nesso causale dalla
corte suprema di cassazione, anche a sezioni unite. Oggi è norma codicistica.
Dirige riviste giuridiche di diritto penale e fu fra i curatori di raccolte
normative di largo successo presso la comunità forense. Si interessa anche
nella teoria generale del diritto ed la filosofia del diritto, mediante
pubblicazione di scritti maggiormente agili rispetto alle monografie ed ai
saggi penalistici, rivolti ad un pubblico relativamente più vasto. Esercita la
professione di avvocato, partecipa in qualità di difensore di alcuni imputati,
al processo del Petrolchimico di Porto Marghera, dove fa applicazione, dal
principio della spiegazione causale. Altri
saggi: “L'alterazione di stato mediante falsità” (Milano); “La descrizione dell'evento” (Milano); “Giustizia”
(Milano); “Dei giudici” (Milano); “ll giudice corpuscolariano” (Milano); “Le ingiustizie”
(Bologna); “il galantumo del diritto, Corriere della Sera, Federico Stella.
Stella. Keywords: Grice, implicature della descrizione d’azione umana, H. L. A.
Hart, J. L. Austin, responsibity, aspets of reason, alethic reason. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Stella”. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732161382/in/photolist-2mPoRfW-2mPrcpg-2mPqEYR-FXFiS4-Eoj4SX-BNWJaB-CdDizG-CdAEaL-CfWKjF-Aph69c-ApTd44-ApVvbg-ApPzuj-B11YKQ-Asadbr-ArBZyV-Axqfia-nfLxee-nijWnd-nfLAda
Grice e Stellini – de ortu morum -- filosofia
italiana (Cividale).
Filosofo. La sua fama è dovuta soprattutto al “Saggio dell’origine e del
progresso de’ costume e delle opinion a’ medesimi pertinenti – con quale ordine
si sviluppassero le facolta degli uomini, ed appetite ne uscissero loro
connaturali” (Siena, Porri). La sua concezione morale è di stampo aristotelico
e sotto alcuni aspetti può essere considerato uno dei precursori della
sociologia. A lui è stato dedicato il liceo classico di Udine e che nella sua
biblioteca contiene gli scritti autografi. Enciclopedia Treccani, su treccani.
Dizionario biografico friulano, su friul.net. Stellini. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Stellini” – The Swimming-Pool Library
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689466733/in/photolist-2mKC2Ci
Grice e Sterlich – i georgofili -- filosofia
italiana (Chieti).
Filosofo. Figlio di Rinaldo De Sterlich, marchese di Cermignano, e della
marchesina aquilana Margherita Alfieri, studia a Napoli nel Collegio dei
Nobili, gestito dalla Compagnia di Gesù. E proprio questa esperienza che lo
portò a concepire la sua profonda ostilità verso i Gesuiti, che fu uno dei
tratti caratteristici del suo pensiero filosofico. La cura dei beni ereditati dal
padre (di cui era l'unico figlio maschio) lo portarono a dover compromettere le
sue aspirazioni letterarie. Ma la cultura rimase sempre la sua prima passione e
per superare l'isolamento culturale che gli venne imposto dal dover vivere a
Chieti, comincia a costituire la sua biblioteca. Questa crebbe in misura
esponenziale di anno in anno, tanto che conta 12.000 volumi, divenendo così una
delle migliori biblioteche del Regno. Il suo intento e di mettere la stessa a
disposizione di Chieti per la sua crescita culturale. Sfortunatamente il suo
desiderio fu reso vano dall'incuria di chi gestì la stessa dopo la sua morte.
Cospicue parti di quella grande biblioteca sono stati individuate in tutta
Italia: nella Biblioteca di Pescara, nella Biblioteca di Chieti, nella
Biblioteca di Napoli, etc. Aggiornatissimo sui dibattiti culturali e commentarista
di Montesquieu, Rousseau, Voltaire, e di altri illuministi. Di questa
partecipazione all’illuminismo è
testimonianza un copioso scambio di lettere con Genovesi, Battarra, Lami,
Bianchi, e Torres. Questo carteggio è un documento prezioso per delineare l’illuminismo.
Lasciò anche alcune testimonianze del suo pensiero: due Dialoghi di Fra'
Cipolla e la Nanna. In essi trova largo spazio la sua antipatia per i Gesuiti.
Tramite la solida amicizia con Lami, e membro della Crusca e uno dei Georgofili. L'illuminismo nell'epistolario (Sestante, Bergamo).
Romualdo de Sterlich. Sterlich. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Sterlich” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733598859
Grice e Steuco – la filosofia perenne di
Pitagora, Cicerone, Ovidio, Virgilio, Plinio – filosofia italiana (Gubbio). Filosofo, acuto esegeta dei testi
biblici e profondo conoscitore della lingua romana, si oppone tenacemente alla
riforma protestante e prese parte al Concilio di Trento. Entra nella
congregazione dell'Ordine dei Canonici Agostiniani a Bologna, poi a Gubbio. Inviato
a Venezia, dove, per l'ampia conoscenza della lingua romana e l'acume filologico,
gli e affidata la biblioteca di Grimani, della quale una buona parte del
patrimonio librario era appartenuto a Pico. Pubblica saggi contro Lutero ed
Erasmo, accusandoli di fomentare la rivolta contro la Chiesa. Questi lavori
rivelano il solido sostegno che dà alla tradizione della prima Roma. Parte
della sua produzione include un intenso lavoro filologico sull'Antico
Testamento, culminato con la pubblicazione del Veteris testamenti recognitio,
per il quale egli si basa su manoscritti della biblioteca Grimani, utili a
correggere Gerolamo. Nel revisionare e spiegare il testo, mai devia dal *significato
letterale* e storico. Contemporanea a
quest’esegesi e la composizione di un saggio d'impianto enciclopedico, la “Cosmopœia”.
La sua filosofia polemica ed esegetica destarono l'attenzione favoravole di
Paolo III, e questi lo ordina bibliotecario della collezione papale di
manoscritti e stampe del Vaticano. Si reca a Lucca con Paolo III e Carlo V. Adempe
attivamente con scrupolo il suo ruolo di bibliotecario del Vaticano. Nel
frattempo a Roma redatta i Commenti al Vecchio Testamento riguardanti i Salmi
di Giacobbe, aiutando ad annotare e correggere i testi di parte della Vulgata
alla luce degli originali ebraici. A questo periodo risale la composizione del celeberrimo
saggio, “De perenni philosophia” nella quale mostra che molte delle idee
esposte dai filosofi italici antichi – l’orfismo italico, la scuola di Crotone,
Parmenide e i velini della scuola di Velia, Plutarco, Numenio, gli Oracoli
sibillini, i trattati ermetici e i frammenti teosofici -- e essenzialmente correto.
Questo saggio contiene una polemica indiretta a margine, poiché elabora un
numero di questi argomenti per sostenere molte posizioni poste in questione in
Italia da riformatori e critici. Come umanista ha un profondo interesse per le
rovine di Roma, e nell'operare un rinnovamento urbano dell'Urbe. A tal
proposito, degne d'essere menzionate, sono una serie di brevi orazioni in cui
raccomanda di risistemare l'acquedotto conosciuto come Aqua Virgo, in modo da
supplire adeguatamente il fabbisogno di acqua fresca per la città. Mandato da
Paolo III a presenziare il Concilio di Trento, che doveva celebrarsi a Bologna,
affidandogli il compito di sostenere l'autorità e le prerogative papali. Muore
a Venezia durante un periodo di sospensione del Concilio. “De perenni
philosophia”. Concilio di Trento Esegesi
biblica Ermetismo (filosofia) Teosofia. Treccani Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Guido Steuchi.
Stucchi. Guido Steuco. Steuco. Keywords: Crotone, i velini – I
crotonensi --. Cicerone, ovidio, Virgilio, plinio, roma, aqua virgo. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Steuco” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732115302/in/datetaken/
Grice e Taddio – fenomenologia ereetica – filosofia
italiana (Udine).
Filosofo. Si occupa in particolare di fenomenologia della percezione, ontologia
e teoria della conoscenza a cavallo tra estetica e metafisica. È direttore
editoriale, con Pierre dalla Vigna, della casa editrice Mimesis Edizioni. Luca
Taddio nasce a Udine nel 1974. Dopo i primi studi artistici si laurea in
Filosofia a Trieste, successivamente, trascorre un periodo di studio presso il
dipartimento di Filosofia dell'Edimburgo: completa la sua formazione aTrieste
conseguendo il titolo di dottore di ricerca. È stato allievo dello psicologo
sperimentale Paolo Bozzi e del filosofo Giorgio Derossi. Il primo libro,
Spazi immaginali (Prefazione di Maurizio Ferraris), è un testo di narrativa
filosofica che si inserisce all'interno della tradizione del realismo magico:
l'esistenza viene espressa da una sequenza di istantanee emergenti dallo spazio
immaginale. Tutti gli scritti dell'autore sono di matrice realista:
Fenomenologia eretica è un libro incentrato sull'analisi di un unico esempio
considerato dall'autore paradigmatico per l'intera tradizione fenomenologica,
la percezione di un cubo. L'analisi critica dell'esperienza è sviluppata, da un
lato, in rapporto alla fenomenologia sperimentale e, dall'altro, in risposta
alle critiche alla fenomenologia. A partire di Magritte, ne “Il mistero”
viene applicata la teoria della percezione diretta, elaborata in “Fenomenologia
eretica” al problema della raffigurazione pittorica. L'insegnamento di estetica
alla facoltà di Architettura lo porta a realizzare il saggio “L'affermazione
dell'architettura” (Mimesis). La relazione filosofia-architettura sta al centro
di altri due volumi da lui curati: “Costruire abitare pensare” (Mimesis) e “Città
metropoli territorio” (Mimesis). Il concetto di affermazione e preso in esame
in un numero di aut aut dedicato all'architettura. In Verso un realismo”
(Jouvence) si delinea un'ontologia della meta-stabilità. Sul tema del realismo
avvia un articolato confronto. Le riflessioni sul realismo si sono sviluppate
in diversi direzioni: politica, architettura, cinema, ontologia ed
epistemologia (v. Alfabeta; “aut aut”; “Cinema&Cie”; “Teoria &
Modelli”; “La Filosofia Futura”. Fonda “Mimesis”. La società è detentrice dei
marchi editoriali di Mimesis in Italia. Progetta e realizza la rivista di
approfondimento culturale Scenari. Crea e dirige il Festival Mimesis Territori
delle idee. A partire da una prima formazione politica di stampo
liberal-socialista lavora in direzione di un rilancio della cultura cosmopolita
in rapporto alle nuove forme di partecipazione
democratica (interventi: Festival Vicino Lontano, Pop Sophia, Radio
Radicale). Palazzo Reale, Genova. Insegna a Udine. Saggi: “Spazi immaginali”
(Campanotto Editore); “ Fenomenologia eretica”, “Saggio sull'esperienza
immediata della cosa” (Mimesis); “Il mistero”; “La natura della rappresentazione”
(Mimesis); “Osservazioni sulla stabilità
tra estetica e metafisica” (Jouvence); “Un mondo sotto osservazione” (Mimesis);
“La guerra e il mortale (Mimesis); “Quale filosofia per il partito democratico
e la sinistra” (Mimesis); “La Terra e il Sacro” (Mimesis); “Un metodo pericoloso” (Mimesis); “Manifesto
per una sinistra cosmopolita” (Mimesis); “Radicalmente liberi” (Mimesis); “L'apparire
della Cosa, La Fenomenologia Eretica, Uno scandalo per il pensiero, su I lsole24ore.com. “aut aut”. “Ma il realismo non è tutto nuovo”,
su corriere. È il crepuscolo delle
tradizioni, su corriere. Sinistra e
Realismo, su alfabeta Vuoti di sapere, su autaut.il saggiatore.com. Passione
politica e democrazia. "Marionette al potere" Curi, Marramao, Palazzo
Reale Genova, Intervista. Artribune. Luca Taddio. Taddio. Keywords. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Taddio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732614953/in/datetaken/
Grice e Tagliabue-Remo – le strutture del trascendentale – il
concetto di gusto nell’estetica italiana -- filosofia italiana (Milano),
filosofo. Nato da padre ignoto, studia a Milano. Dopo diverse collaborazioni a
riviste come critico letterario e teatrale, si occupa lui stesso di filosofia a
partire da due saggi del dopoguerra, “Le strutture del trascendentale: piccolo
inchiesta sul pensiero critic, dialettico, esistemziale” (Milano, Bocca), e Il
concetto dello stile. Saggio di una fenomenologia dell’arte” (Milano, Bocca), che
gli fecero avere il posto di professore a Milano e Trieste. Collabora al Convegno,
ma scrisse anche su La Lettura e La Rassegna d'Italia, e Rivista critica di
storia della filosofia, Rivista di filosofia, Belfagor, Giornale critico della
filosofia italiana, Rivista di estetica, Il pensiero, Aretusa, Lingua e stile,
Studi di estetica, Studi tedeschi, aut aut ecc.
Si occupa di germanistica, gnoseologia, semantica, estetica e poetica,
attraverso numerosi saggi di taglio fenomenologico. Come per Baratono e Banfi, la sua analisi dell'estetica e delle
scelte poetiche e stilistiche degli artisti si distacca dall'impostazione di
Croce e poi di Calogero per orientarsi verso l'aspetto pratico, influenzato
anche dall'esistenzialismo positivo di Abbagnano, del fare arte, che non può
ridursi alla sola conoscenza, ed è fortemente legato alla tecnica, intesa anche
come gesto manuale e meccanico, e allo stile, inteso come rapporto tra gli
elementi formali e quelli contenutistici dell'opera -- sede, inoltre, dell'unità
nel rapporto tra percezione e immaginazione. Organizza le teorie d'artista e le
dottrine estetiche non tanto in senso cronologico, ma per tipi: estetica
vitalistica, estetica psicologistia, estetoca formalistica, estetica fenomenologica,
ecc. In “Linguistica e stilistica di
Aristotele” e “Demetrio, dello stile” si
occupa di retorica e stilistica antiche. “Aristotelismo e Barocco” (Milano,
Bocca); “Il Barocco e noi”; “Anatomia del Barocco” (Palermo, Aesthetica) indagano
sul barocco artistico e letterario” (Milano, Bocca). Si occupa anche di
estetica, del pre-criticismo, della polemica Nietzsche-Wagner, di Goethe,
Musil, Roth, Kafka ecc. Critico con la contestazione studentesca, eppure non
evita il confronto con il movimento. Altre saggi: “I processi di Galileo e l'epistemologia”
(Milano: Bocca); “Dai romantici a noi” (Milano: Marzorati); ““Il concetto del
"gusto nell'Italia’ (Firenze: La Nuova Italia); “Linguistica e stilistica di Aristotele” (Roma,
Ateneo); “Fenomenologia dei giudizi di valore” (Trieste: Istituto di
Filosofia); “La semantica e i suoi problemi” (Trieste: Istituto di Filosofia);
“Demetrio, dello stile” (Roma: Ed. dell'Ateneo); “La nevrosi: Saggi sul romanzo”
(Casale Monferrato: Marietti); “Nietzsche contro Wagner” (Pordenone: Tesi);
“Geologia letteraria” (Milano: Garzanti); “Goethe e il romanzo” (Torino:
Einaudi); “Il gusto nell'estetica” (Palermo: Centro studi di estetica); “Arte e
alienazione. Il ruolo dell'artista nella societa” (Milano: Marzorati); “I sogni
di un visionario spiegati coi sogni della metafisica” (Milano: Rizzoli); “Sul
sentimento del bello e del sublime” (Milano: Rizzoli); “Sul gusto” (Genova:
Marietti). "Esercizi filosofici", L. Russo, L’estetica del
Settecento, in "Aesthetica Pre-Print"; Dizionario Biografico degli
Italiani, Roma, Treccani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ritratto di un
genio politicamente scorretto. C. Magris, Corriere della Sera. Guido
Morpurgo-Tagliabue. Morpurgo-Tagliabue-Remo. Tagliabue. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Tagliabue” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732605248/in/datetaken/
Grice e Tagliagambe – la mediazione della
representazione – filosofia italiana (Legnano). Filosofo. Studia a Milano su Geymonat con cui si è
laureato con la lode attraverso una tesi sull'interpretazione della meccanica
quantistica di Reichenbach. Ha proseguito i suoi studi specializzandosi in
Fisica quantistica all'Università degli Studi Lomonosov di Mosca sotto la
direzione di Ja.P. Terleckij e poi presso l'Accademia delle Scienze dell'URSS,
Istituti di Filosofia e di Fisica dove
si è perfezionato in Filosofia della fisica con la supervisione di Fock e Terleckij.
La sua attività scientifica e didattica si è sviluppata attraverso un variegato
percorso universitario che l'ha portato ad insegnare presso diversi atenei dal
1974 al 2008 e a collaborare con differenti centri di ricerca ed enti
istituzionali come consulente scientifico. Si è concentrato sul rapporto
tra filosofia e fisica quantistica in particolare sul concetto di realtà fisica
e sui rapporti tra materialismo dialettico e sviluppi della fisica. Rivolve
l'attenzione sui temi del rapporto tra realtà osservata e sistema osservante,
le interazioni reciproche e il ruolo del linguaggio, della comunicazione inter-soggettiva,
della mediazione linguistica e della semiotica nel pensiero. Elaborato il ruolo
e il significato di interfaccia, il rapporto tra intelligenza naturale e
intelligenza artificiale, in particolare il ruolo progressivamente avuto dalle
tecnologie di informazione e comunicazione. Elabora i contributi sul profondo
significato del concetto di "margine", sia esso su un essere vivente,
un'interfaccia o il rapporto tra corpo e mente, nei sistemi sociali e nella
comunicazione. Studia le forti interconnessioni tra artificiale e naturale, il
profondo senso dell'interdisciplinarità, e il saggio Il Sogno di Dostoevskij,
attraverso una visitazione storica dal dibattito tra lo scrittore e lo
scienziato Secënov, fino alle recenti scoperte della neuro-fisiologia, mettendo
a fuoco il senso del rapporto tra le mente e il corpo e il significato e la
funzione dell'inconscio. Ricostrusce e interpretato l'intenso scambio
dialogico tra Pauli e il fondatore della psicologia analitica Jung, nel quale
emerge il profondo rapporto tra filosofia, fisica e psicanalisi. L'analisi tra
visibile e invisibile, il ruolo dell'arte e il senso epistemologico dello
spazio intermedio e del confine sono stati da lui sviluppati anche attraverso
un'esegesi del pensiero di Florenskij. Le ricadute della sua filosofia
sulle scienze sociali ed economiche trovano approfondimenti nelle opere
dedicate all'analisi dei sistemi organizzativi socio-economici. L'attività
presso la facoltà di Architettura l'ha portato a riflettere
sulla'"epistemologia del progetto", sulla relazione tra possibilità e
realtà, sul rapporto tra l'Io, lo spazio, il tempo, l'ambiente, tra urbs e
civitas, sul concetto di paesaggio, sul ruolo delle città globali e sul nesso
tra globale e locale. Gli sviluppi delle tecnologie digitali e poi della rete come
fenomeno prima tecnologico poi culturale e sociale vengono elaborati e
incorporati nella sua filosofia. La sua riflessione teorica è indirizzata anche
ai temi dell'apprendimento e dell'organizzazione della conoscenza soprattutto
alla luce delle reali esperienze della scuola, dei processi di modernizzazione
e innovazione che la coinvolgono e delle nuove esigenze che essa deve
affrontare Dirige il rifacimento del manuale di filosofia di Geymonat e
pubblicato da Garzanti Scuola con il titolo La realtà e il pensiero. La ricerca
filosofica e scientifica. Collabora dal
con il CNI per il premio Scintille dedicato all'innovazione a Pisa,
Cagliari, Roma La Sapienza, Sassari: Facoltà di Architettura di Alghero, Vicepresidente
CRS4, Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca per la
Riforma, CIES, FIESEC, Direttore del progetto “Scuola digitale” della Regione
Sardegna.Vedi Materialismo e dialettica nella filosofia sovietica. Vedi Scienza
e marxismo in Urss. Vedi La mediazione
linguistica. Il rapporto pensiero-linguaggio. Vedi Epistemologia del
confine Vedi Il Sogno di
Dostoevskij (vedi Un confronto su
materia e psiche Vedi recensione Corriere
della Sera che cita che con quest'opera va avanti sul progetto di esplorare una
originalissima epistemologia del confine. La tecnica e il corpo. Organizzazioni.
Soggetti umani e sviluppo socio-economico. Individui e imprese: centralità
delle relazioni. L'albero flessibile. La cultura della progettualità. “Lo
spazio intermedio” (Bocconi, Milano) riprende, rielabora ed estende il concetto
di confine. La didattica e la rete. Più colta e meno Gentile.. Nuovi percorsi per
l'obbligo formative. La realtà e il pensiero 1. La ricerca filosofica e
scientifica, Garzanti Scuola. Altre saggo: “ L'interpretazione materialistica
della meccanica quantistica. Fisica e filosofia” (Feltrinelli, Milano); Scienza,
filosofia, politica” (Feltrinelli, Milano); “Materialismo e dialettica” (Loescher,
Torino); “Scienza e marxismo” (Loescher, Torino); “La mediazione linguistica:
il rapporto pensiero-linguaggio” (Feltrinelli, Milano); “Lo spiritismo.. (Boringhieri,
Torino); L'impresa tra ipotesi, miti e realtà (ISEDI, Torino); “Epistemologia
del confine” (Il Saggiatore, Milano); “La politica che non c'è. Idee guida per
un progetto tra razionalità e valori” (Demos, Cagliari); “Il sequestro dell'identità”
(CUEC, Cagliari); “La città possible” (Dedalo, Bari); “Epistemologia del cyber-spazio,
Demos, Cagliari, L'albero flessibile. La
cultura della progettualità, Masson, Milano, Il profilo del tempo, ‘Nuova
civiltà delle Macchine', Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo
socio-economico, (in collaborazione con G.Usai), Giuffré, Milano, La didattica
e la rete, Pitagora, Bologna); “La comunicazione nell'era di Internet” (Etas
Libri, Milano); “Il destino del marxismo: dall'idolatria al rifiuto” (Luiss, Roma), “La vittoria di Babele: dalla filosofia
naturale alla separazione dei linguaggi”; “Civiltà delle machine”; “Il sogno di
Dostoevskij. Come la mente emerge dal cervello” (Cortina, Milano); “Filosofia
della scienza (Cortina, Milano)”; “Percorsi per l'obbligo formative” (PLUS, Pisa);
“L’unitario” (Cultura, Teramo); “Le due vie della percezione e l'epistemologia
del Progetto” (Angeli, Milano); “Più colta e meno gentile. Una scuola di massa
e di qualità” (Armando, Roma); “Florenskij” (Bompiani, Milano); “La tecnica e
il corpo” (Angeli, Milano); Individui e imprese: centralità delle relazioni” (Giuffrè,
Milano); “Saper fare la scuola: il triangolo che non c'è” (Einaudi, Torino)”; Storia
della filosofia, Filosofi italiani”
(Bompiani, Milano); Storia della filosofia”; “Un confronto su materia e psiche”
(Cortina, Milano); “La libertà, le lettere, il potere” (Rubbettino, Soveria
Mannelli); La realtà e il pensiero. La ricerca filosofica e scientifica” (Garzanti
Scuola). Silvano Tagliagambe. Tagliagambe. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Tagliagambe” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Taglialatela – filosofia italiana (Mondragone). Flosofo.
Studia al Seminario vescovile di Sessa. Ordinato sacerdote, insegnò teologia al
Seminario vescovile di Cava dei Tirreni. Lasciato il sacerdozio, tenta di
arruolarsi nelle truppe di Garibaldi, per poi decidere di predicare nell'Italia
meridionale i nuovi ideali del movimento unitario. Nominato professore di
teologia a Napoli. A seguito della soppressione di tale cattedra apre una
scuola privata. Incomincia da questo
periodo a riscoprire lo studio e la saggistica, in particolare riprendendo e
sposando le tesi di Gioberti, che lo affascina. Su questo indirizzo filosofico
è stato imperniato il manuale Istituzioni di filosofia dche, seppur non
prescelto come testo d'insegnamento liceale, in quanto particolarmente complesso,
ricevette le lodi di Spaventa. Non manca,
in seguito, avendo aderito al protestantesimo, di compiere opere missionarie,
in particolare in Puglia e in Abruzzo. A tal riguardo è documentato il viaggio
di Pescasseroli sul quale scrisse Croce, che segnala anche come e considerato,
assieme a Mazzarella e Caporali, fra le menti più forti del movimento protestante
in Italia. Altre opere:: “Istituzioni di filosofia” (Diogene, Napoli); “Apologia
delle dottrine filosofiche di Gioberti” (Diogene, Napoli); “La scienza, la vita
e di Sanctis” ( Diogene, Napoli); “Garibaldi” (La Speranza, Roma); “Il Papa-re
nelle profezie e nella storia” (La Speranza, Roma); “In Dio” ((La Speranza,
Roma); “Fede, speranza e carità” (La Speranza, Roma); “Teoria evangelica della vita”
(La Speranza, Roma); D. Ciampoli, Taglialatela” (Unione, Roma); B. Croce, Pescasseroli,
Laterza, Bari); R. Fiore, Civiltà Aurunca, G. Iurato, Pietro Taglialatela.
Dalla filosofia del Gioberti all'evangelismo anti-papale” (Claudiana, Torino); Gioberti
Protestantesimo in Italia, Dizionario biografico dei protestanti in
Italia". Sito della Società di studi valdesi. Apologia della dottrinadi
Gioberti. Pietro Taglialatela. Taglialatela. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Taglialatela” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732962169
Grice e Tagliapietra – sincerita –
filosofia italiana
(Venezia). Filosofo. Dopo la maturità classica al Foscarini di Venezia, ha
compiuto studi di medicina e di filosofia, laureandosi in filosofia teoretica
all'Università Ca' Foscari con una tesi discussa con Emanuele Severino e Romano
Madera. In quegli stessi anni perfeziona gli studi di ermeneutica biblica sotto
la guida di Carlo Enzo. Insegna a Sassari e Milano. Fonde nelle sue ricerche
un'indagine storico filosofica sul pensiero antico, sulla tradizione
apocalittica, con un'attenzione a temi contemporanei legati al mondo delle
immagini e della comunicazione, allo studio del linguaggio e delle metafore,
nonché all'intreccio storico e teorico fra teatro e filosofia. In quest'ultima
prospettiva si orientano i suoi studi sull'idea di sincerità e sul significato
della bugia nel quadro di una costruzione drammaturgica dell'individuo, sul
ridere e sulla natura del personaggio comico. Cura per Feltrinelli, Boringhieri
e Mondadori edizioni importanti: L'Apocalisse di Giovanni, raccolte di scritti
sull'Illuminismo e sul tema della catastrofe; il Fedone o sull’anima (Feltrinelli,
Milano); “L’apocalisse di Gioacchino da Fiore” (Feltrinelli, Milano); Voltaire,
Rousseau, Manzoni, Volney, Feuerbach, Mercier. Cura Valent. Collabora
saltuariamente a Il Gazzettino, il quotidiano della sua città, e ha collaborato
a varie testate giornalistiche (Capital; Panorama; Il Sole 24 Ore; l'inserto
culturale "Saturno" de Il fatto quotidiano, ecc.), con interventi di
carattere culturale o legati all'attualità sociale e politica. Con “La virtù
crudele. Filosofia e storia della sincerità” vince il Premio Viareggio per la
saggistica. -- è stato conferito il premio di filosofia Viaggio a Siracusa per “Gioacchino
da Fiore e la filosofia”. È direttore del Giornale critico di storia delle
idee. È fondatore e direttore a Milano del Centro di Ricerca Inter-Disciplinare
di Storia delle Idee (CRISI), e di ICONE, Centro Europeo di Ricerca di storia e
teoria dell'immagine di Palazzo Arese Borromeo. Altre opere: “La metafora dello
specchio. Lineamenti per una storia simbolica” (Feltrinelli, Milano, Bollati
Boringhieri, Torino); “Il velo di Alcesti: la filosofia e il teatro della morte”
(Feltrinelli, Milano); “Filosofia della bugia: figure della menzogna nella
storia del pensiero occidentale” (Bruno Mondadori, Milano); “La virtù crudele:
filosofia e storia della sincerità” (Einaudi, Torino); “La forza del pudore:
per una filosofia dell'inconfessabile” (Rizzoli, Milano; “Il dono del filosofo:
sul gesto originario della filosofia” (Einaudi, Torino); “Icone della fine: Immagini
apocalittiche, filmografie, miti (Il Mulino, Bologna); “Sincerità” (Raffaello
Cortina, Milano); “Gioacchino da Fiore e la filosofia, il Prato, Padova); “Non
ci resta che ridere (Il Mulino, Bologna); “Alfabeto delle proprietà: filosofia
in metafore e storie” (Moretti, Bergamo); “Esperienza: filosofia e storia di
un'idea” (Cortina, Milano); “Filosofia dei cartoni animati. Una mitologia
contemporanea” (Boringhieri, Torino); Cartografia intellettuale dell'Europa,
“La migrazione dello spirito” (Mimesis, Milano); “Tempo a termine e tempo senza
fine: breve storia figurale della temporalità” (Mimesis, Milano); “Non
desiderare la donna e la roba d'altri” (Mulino, Bologna); “Il senso del dolore.
Testimonianza e argomenti” (San Raffaele, Milano); “Zerologia. Sullo zero, il
vuoto e il nulla” (Mulino, Bologna); “Apocalisse di Giovanni” (Feltrinelli,
Milano); “La verità e la menzogna: sulla
fondazione morale della politica” (Mondadori, Milano); “Che cos'è
l'Illuminismo? I testi e la genealogia del concetto” (Mondadori, Milano); “ Il
sacro” (Gallone, Milano); “La catastrofe. L'illuminismo e la filosofia del
disastro” (Mondadori, Milano); “La fine di tutte le cose” (Boringhieri,
Torino); “La storia e l'invenzione” (Prato, Padova); “Le rovine, ossia
meditazione sulle rivoluzioni degli imperi” (Mimesis, Milano); “L'uomo è ciò
che mangia” (Boringhieri, Torino); “Montesquieu a Marsiglia” (Inschibboleth,
Roma); “Bisogna sempre dire la verità?” (Cortina, Milano); “L’idea della fine”
(Agalma); “Il rischio e il limite”; Magazine (Energia), Pearson. “Il gesto di
Socrate”; “Il pudore e l'enigma”; Spazio Filosofico, Tipologia del riso,
Fillide, Corpo di pazienza, “Esser contro”, XÁOS. Giornale di confine, Il dono
del filosofo. Il dono della filosofia, XÁOS. Giornale di confine, Il giallo
della filosofia, XÁOS. Il volto del potere, in XÁOS, La Lotteria di Babele.
Appunti filosofici su caso e fortuna nella società della comunicazione, XÁOS.
Giornale di confine, L'apocalisse delle immagini. Esegesi del cinema a partire
da "Fino alla fine del mondo", XÁOS, La gola del filosofo. Il
mangiare come metafora del pensare XÁOS.
Dire la verità. L'insistenza della critica, Giornale critico di storia delle
idee, L'uomo è un animale che esita.
Intervista di M, Dotti, in Vita, Presentazione. Il dono del filosofo. Sul gesto
originario della filosofia in Inschibboleth, Presentazione. Icone della fine.
Immagini apocalittiche, filmografie, miti Del senso della fine. Dialogo con M. Dotti,
in Communitas, Cultura: futuro, progresso e possibilità Lezione magistrale al
Festival di Filosofia (Modena ), Inganni. Finzioni di verità e storia naturale
dell'intelligenza. La filosofia della sincerità, di Vincenzo Pinto Il riso è il proprio dell'uomo. Commento in
margine a Non ci resta che riderem di Tugnoli
Se essere sinceri è una virtù crudele. Uno studio fra storia e
filosofia, di Galimberti, in "La Repubblica", La virtù crudele.
Filosofia e storia della sincerità, di C. Tugnoli, in "Dialeghestai.
Rivista telematica di filosofia",
Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterarioviareggiorepaci.
Giornale Critico di Storia delle Idee
Home page del Centro di Ricerca in Storia delle IdeeCRISI Home page di ICONE, Centro Europeo di Ricerca
di storia e teoria dell'immagine, su centro europeo palazzo borromeo. Ciclo di
dieci lezioni teoriche, dette "Decadi", tenuto nell'Aula Tafuri di
Palazzo Badoer, a Venezia, nel quadro del Laboratorio di Progettazione Architettonica
dello IUAV diretto da Renato Rizzi e costituente il I, Libro dello Studio, del progetto
"Lampedusa. La cattedrale di Solomon". Andrea Tagliapietra. Tagliapietra.
Keywords: Gioacchino da Fiore, l’apocalisse, dell’anima, Manzoni, inventare, storia.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tagliapietra” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731484947/in/datetaken/
Grice e Tamburino – filosofia siciliana --
filosofia italiana (Caltanissetta).
Flosofo. Figlio del giudice Fabrizio e di Agata Adelicia Tramontana, entra
nella compagnia di Gesù,resta a Caltanissetta dopo aver ricevuto gli ordini, e
incaricato dell'insegnamento nel locale collegio gesuitico. Trasferito nel
collegio di Messina, passa in quello di Palermo. Resse i collegi gesuitici di
Caltanissetta, Monreale e Palermo. Esaminatore delle curie arcivescovili di
Palermo e Monreale, consigliere e qualificatore nel Sant'Uffizio della
Inquisizione spagnola, ossia di esaminatore dei reati prima della loro attribuzione
alla competenza dell'Inquisizione. Durante
un soggiorno romano, quale rappresentante della provincia gesuitica siciliana
alla undicesima congregazione generale della compagnia di Gesù, conosce Greuter,
che lavora per la casa generalizia dei gesuiti. Il teologo siciliano,
apprezzandone le doti, gli affida l'incarico di incidere le immagini della
Madonna. Realizza finalmente il progetto, da qualche anno vagheggiato, di dare
alle stampe le notizie preparate dal confratello O. Gajetano, riguardanti appunto
i luoghi del culto mariano nell'isola, facendo illustrare l'opera con tavole
riproducenti le relative icone della Madonna. Così accanto alla sua imponente
produzione filosofica, restano anche due edizioni, una in latino ed una in
volgare, di un volume con 36 incisioni del ‘600, di raro pregio per la
raffinatezza dei disegni di Greuter. Di queste due edizioni si trovano rari
esemplari che, per le limitazioni derivanti dall'esaurimento delle matrici,
sono, per buona parte, prive delle pagine in cui sono stampate le
incisioni. Nella conoscenza del peccato attribuisce importanza primaria
alla “cognitio singulorum,” cioè alla capacità di valutazione dei singoli.
Diverso è, infatti, il peso delle colpe a seconda se a commettere l'infrazione
è l'individuo colto oppure l'ignorante. Nel individuo colto prevale la vis
ratiocinandi, la forza della ragione. Nell’ignorante, la vis sentiendi, la
forza del sentimento. Ancora differenza c'è tra l'”actio humana” e l'”actio
hominis”. La azione umana e compiuta in perfetta consapevolezza. Nell’azione di
un uomo la coscienza è spesso condizionata dal patire passionale, che può
essere violentum – violento --, coactum – costretto – co-azione- o necessarium
– necessario -- venendo così a mitigare la colpa. Nel trasporto passionale
c'è dell'involontario, spesso frutto di ignoranza che rende la coscienza
erronea. Il tutto si traduce in una interpretazione benignista della prudenza o
epi-eìcheia, riprendendo in un certo modo la tradizione di Aquino. A sostenere
questa intensa produzione sul probabilismo, col rientro da Palermo a Genova di
Diana, rimane. I suoi saggi hanno ampia diffusione fino al riconoscimento della
validità delle tesi probabiliste da S. Alfonso de' Liguori che con la sua
Theologia Moralis mette sostanzialmente fine al rigorismo giansenista. Il
probabilismo incontra ostilità negli ambienti religiosi più vicini al rigorismo
dei giansenisti. A contrastare le tesi del probabilismo i più influenti furono
i domenicani, che spinsero Retz, a farsi portavoce presso il papa per
l'emanazione di un provvedimento di condanna. Alessandro VII, sollecitato più
volte, condenna il probabilismo. Sono censurate solo le tesi più estreme. Un'altra
condanna del probabilismo e promulgata da Innocenzo XI. Però questa volta il
gesuita siciliano non sube sanzioni ad personam, così passa alla storia della
morale, come padre della probabilità tenue. Con esso si chiuse il periodo d'oro
della esportazione della cultura teologica siciliana. Fu sancita la completa ri-abilitazione
del gesuita siciliano con la pubblicazione di Verità Vindicata che Niceti diede
alle stampe a Roma. Altre opere: I suoi saggi sono stati riuniti nella
Opera Omnia. “Methodus Expeditae Confessionis; Opuscola Tria de
Confessione”; “Comunione et Sacrificio Missae”; “Expedita Decaloghi Explicatio.
Libris decem digesta; “De Sacrificio Missae Expedite Celebrando Libri tres”; “Della
Consolazione della Filosofia”; Juris Divini. Naturalis et Ecclesiastici
Expedita Moralis Explicatio, Complectens Tractationes tres, de Sacramentis,
quae sunt de Jure Divino, de Contrattibus, quos dirigit Jus Naturale, de
Censuris et Irregularitate, quae sunt de Jure Ecclesiastico. Tractatus de Bulla
cruciata. Sanctissimae Deiparae Cultus in Sicilia. (Nomen sublatum) Ragguagli
delli Ritratti della SS. Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono
in varie Chiese nell'isola di Sicilia. Opera postuma del R. Ottavio Cajetano
della Compagnia di Gesù. Trasportato nella lingua volgare. Germana Doctrina
R.Thomae Tamburini S. J. perspicue refellens impugnationes R.Vincentii Baronii
adversus illam allatas; Tractatus in
Quinque Ecclesiae Praecepta; “Tractatus de Jubileo Manoscritto; “Additamentum
continens aliquot epistolas, et levem vindicationem contra Joannem Sinichium
hybernum authorem libri Saul et Rex. Manoscritto. Bibl. Naz. Roma. Fondo
Gesuitico, Traduce “La consolazione della Filosofia” L'Anno dei Giorni
Memorabili, da G. Nadasi della Compagnia di Gesù., S. Burgio, “Il probabilismo
in Sicilia”, Catania, Soc. Storia Patria, V. Contenson, Theologiae mentis of
cordis, Tolosa, T. Deman, Probabilisme, Colonia, C. Hebermann, Enciclopedia
cattolica, R. Appelton Company, M. Petrocchi, Il problema del lassismo nel
secolo XVII, Roma, Storia e letteratura, J. Sinnichins, Saul et Pax, Lovanio,
Nempaei, Tommaso Tamburino, Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tommaso Tamburino. Tamburino. Keywords:
prudenza, probabilismo tenue, azione di un uomo singolare, la forza del
ragionare, la forza del sentire, il necesario, il costretto (co-actum), il
violento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tamburino” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733185005
Grice e Tafuri: il bizarro – filosofia italiana (Soleto). Filosofo. Versatile
e bizzarro ingegno, che dopo studi a Napoli e Parig si ritira nella sua natia
Soleto nel Salento dove ha un cenacolo di allievi filosofi del platonismo
esoterico. Il Socrate di Soleto e una personalità eclettica ed un
affascinante intellettuale, amante della conoscenza e studioso e di molteplici
campi del sapere: alchimia, filosofia, astronomia, astrologia, medicina,
fisiognomica, magia naturale. Al centro dei suoi interessi vi e l'interesse e
lo studio dei fenomeni della natura, l'anima del mondo, il miracolo e le
meraviglie del creato e l'unicità irripetibile di ogni essere
umano. Considerato alla stregua di un Nostradamus salentino e onorato e
temuto per le sue capacità divinatorie e fisiognomiche tanto da attribuirgli poteri
occulti e demonologici. Un suo ritratto col rosso copricapo della Sorbona
si trova nel dipinto ad opera del galatinese Lavinio Zappa della Madonna del
Rosario nella navata sinistra della Chiesa Matrice di Soleto. Sepolto dapprima
nella chiesetta di S. Lorenzo delli Tafuri adiacente alla sua abitazione e poi,
dopo la demolizione della cappella nel Monastero di San Nicola in una cassa di
legno con lo stemma della famiglia. Sull'architrave della sua casa natale
è inciso il motto, Humile so et humilta me basta dragon diventaro se alcun me
tasta. Con quest'iscrizione esprime e manifesta ai cittadini e a chiunque
passasse dalla sua dimora la sua mite natura caratteriale, mortificata dalle
ingiurie e maldicenze in conseguenza delle quali poteva trasformarsi,
ironicamente, attraverso alchimia e magia, in un dragone. Nella Soleto e
diffusa la consuetudine di incidere sulle architravi delle finestre, sui
cornicioni dei balconi o all'interno di uno stemma, delle epigrafi con la
finalità di motto. Un proverbio, una citazione, un passo letterario,
filosofico, o religioso, e un pensiero personale descrivevano la personalità e
le attitudini del padrone di casa o invitavano il passante a riflettere su un
tema o un monito saggio e profondo. Lo stemma della famiglia, presente sulla porta
della casa natia, è costituito da un albero di quercia con due fulmini che si
scagliano contro ma non lo colpiscono. Un'aquila bicipite scolpita sopra fa
pensare ad un'origine albanese della famiglia. Infatti molte famiglie albanesi
e greche di confessione cristiano-ortodossa e cattolica sono costrette a
fuggire ed alcune emigrarono nel Salento a causa dell'avanzata dei turchi che
occupano i loro territori. "Del salentin suol gloria ed onore"
lo definie Tommasi. E davvero egli e, tra i filosofi che fioreno in Puglia il
più universalmente noto. Partito da Soleto per Napoli per approfondirsi nella
matematica dopo la preparazione ricevuta a Zollino da Stiso, vi torna famoso in
tutto il mondo e pieno di gloria. Desideroso solo di pace fisica e mentale,
apre una ‘scuola’ di filosofia. Tra i suoi allievi: Cavazza, Vernaleone, Scarpa,
Corrado. Assiduo verso gli infermi, esercita con zelo e successo la professione
di medico ma mentre era di modello coi suoi saggi, di ammirazione e rispetto
coi suoi consulti fu dalla ignoranza popolana ritenuto un mago perché cultore
di scienze inusitate quali l'Astronomia e l'Astrologia. Tornando da
Padova, cioè dai più grandi centri culturali del tempo, sollevò certo le
gelosie interessate di coloro che non sapevano rassegnarsi al suo prestigio
professionale. A ciò si aggiunse il vigile sospetto della Curia Arcivescovile
messa sull'avviso dal Concilio di Trento. Egli che porta per tutto il
mondo l'amore per il suolo natio col nome di Matteo da Soleto, proprio in patria
ebbe a difendersi da accuse di stregoneria come spesso avviene a chi, uomo di
scienza, si rende filantropo. Fu più volte interrogato per le sue capacità di
previsione del futuro (divinatorie) ma fu sempre rilasciato innocente. Il
Codice Vaticano. è testimonianzapressoché l'unica superstite del suo impegno speculative.
Da questo capostipite molti furono i Tafuri medici o giureconsulti che da
Soleto trasferirono poi la loro residenza a Gallipoli, Nardò e Lecce Galatone. Così
troviamo nel "Liber baptesimorum" dell'Archivio Parrocchiale di
Soleto un Clericus Phisicus Honofrius Taphurus filius eccellentissimi Doctori
Francisci che è padrino al battesimo di Carrozzini. Il pronipote di Onofrio,
Vincenzo Maria e sindaco di Gallipoli mentre il fratello di Onofrio, dottore in
giurisprudenza, vive presso la corte di Napoli dove morì. Svariati
giureconsulti, medici e sindaci a Lecce e Galatone. Ricordiamo, non per ultimo,
fra Diego da Lequile (al secolo Diego Tafuri. Manni, La guglia, Luigi Galante,
Nuove rivelazioni da un manoscritto, in 'Il filo di aracne' Galatina,
Manni, La guglia, l'astrologo, Bernari Istoria scrittori Regno di Napoli, Bernari. Bernari,
A., Il mago di Soleto: Matteo Tafuri, Milano, De Tommasi, G.B., "Biografia
degli uomini illustri del Regno di Napoli" Napoli, del Balzo di
Presenzano, A., I del Balzo ed il loro tempo, Napoli, Manni, L., Guida di
Soleto, Galatina, Manni, L., La guglia di Soleto, Galatina, Manni, L., La guglia, l'astrologo, la macàra,
Galatina, Montinari, M., Soleto, Fasano, Tafuri, G.B., Istoria degli Scrittori
del Regno di Napoli, Napoli, 1D. Bacca "Personaggi del sole
culturale", Lecce 2008 Alchimia
Galatina Giovanni Battista Della Porta Orsini Orsini Del Balzo Guglia di
Raimondello Soleto. G. B. Tafuri. Matteo Tafuri. Tafuri. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Tafuri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691279336/in/photolist-2mKMjs5
Grice e Tarantino – filosofia italiana (Gravina), filosofo.
Noto per i suoi studi sul padre e per fondare insieme la sezione dell'Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli di cui è stato anche presidente. Ha
saggi sulla pedagogia, la psicologia e l'Umanesimo. Dopo la laurea,
diviene insegnante per i licei italiani; in particolare, insegna al liceo Federico
II di Svevia di Altamura dove uno dei suoi studenti e Rubini. Nominato
dirigente scolastico del Liceo classico Cagnazzi di Altamura, porta la scuola
al più alto numero di studenti mai raggiunto. In qualità di dirigente
scolastico, si reca a Tokyo per una
"visita preparatoria di incontro tra scuole". Durante la sua
permanenza si verifica un violento terremoto, che gli causò paura e notevoli
disagi con un volo di ritorno pagato 4000 euro e un'assistenza a quanto pare
insufficiente da parte delle autorità consolari del posto. Dirigente scolastico
del Liceo classico Luca de Samuele Cagnazzi, Presidente di circoscrizione del
Lions Club Puglia Consigliere di Club del Lions Club Altamura Host Presidente
dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (IISF) di Napoli. Altri saggi:
“Speranze e proposte formative. La
lezione di Giuseppe Tarantino, Bari); Dietro la ruota. Infanzia pregiata, Levante,
Lezioni di volo, Bari, L'inconscio e la
coscienza nel pensiero di Tarantino, Bari,. L'Umanesimo mediterraneo. Orizzonte
storico-culturale per la costruzione di una cittadinanza cosmopolita, Storia
antica e moderna dell'Ordine del Tempio, Nisroch, L'Umanesimo scientifico di
Tarantino, Aracne). Filippo Tarantino. Tarantino. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Tarantino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732938004
Grice e Tarantino – l’inconscio e la
coscienza – filosofia italiana (Gravina). Fosofo. Docente a Pisa. Figlio di Filippo Tarantino,
nobile locale, e Arcangela Maria Letizia Spagnuolo. Studia nel ginnasio e compì
gli studi superiori a Pisa, dapprima come studente all'università della stessa
città e successivamente come allievo della Scuola normale superiore di Pisa.
Inizia gli studi sotto la guida di F. Fiorentino. Si laurea e segue a Napoli il
maestro Fiorentino fino alla sua morte. In sua memoria dedica al suo maestro “I Saggi
Filosofici” pubblicato nel gennaio; ottenne la docenza in filosofia teoretica.
Inizia ad acquisire notorietà grazie ai saggi critici che pubblica sul Giornale
Napoletano. Insegna Liceo Antonio Genovesi di Napoli. Lavor all'opera “Saggio
sulla Volontà”. Insegna al Marciano, al Genovesi e Pisa. Insegna anche alla
Scuola di Pedagogia, dove tra i suoi insegnanti figura Gentile. La sua
notorietà cresce sempre più grazie ad alcuni suoi saggi critici pubblicati
sulla Rivista di Filosofia Scientifica di Morselli, il più noto dei quali è su
Locke. Tra i suoi studenti di Pisa più noti figurano Nicola ed Accadia. Torna
nella sua città natale Gravina. Dona alla biblioteca Santomasi una parte
cospicua dei suoi libri. A lui è stato intitolato il liceo. Altre opere: “Appunti
di Filosofia ad uso dei giovani del Liceo” (FToso, Aversa); “Saggi filosofici”
(Napoli, Vincenzo Morano); “Studio storico suLocke” in Rivista di Filosofia,
Milano-Torino, F.lli Dumolard); “Saggio sul criticismo e sull'associazionismo”
(Napoli, Morano,); In morte di Calderoni, Vecchi, Trani, Saggio sulla volontà,
Napoli, Gennaro); “Saggio sulle idee morali e politiche di Hobbes” (Napoli,
Giannini); “Il problema della morale di fronte al positivismo e alla metafisica”
(Pisa, Valenti); “Il principio dell'etica e la crisi morale contemporanea” (Napoli,
Tessitore); “Il concetto dello stato ed il principio di nazionalità” (Napoli);
“Discorso preposto alle traduzioni dal latino, dall’inglese e dal francese di
G. Sottile” (Napoli); “Vinci e la scienza della natura”, Nel centenario di L.
da Vinci, La politica e la morale. Discorso (Pisa, Tipografia editrice cav. F.
Mariotti); “”Sulla riforma universitaria, in «Rivista di filosofia». Cfr. Gabriele Turi, Giovanni Gentile: una
biografia, Firenze, Giunti, (Parzialmente consultabile in Google
Libri.) tarantino-inconscio, tarantino-inconscio-, tarantino-inconscio-, F.Tarantino,
L. Dibattista, A. Recchia-Luciani, L’inconscio e la coscienza nel pensiero di
Tarantino, F. Tarantino, Adda, Filippo
Tarantino, Speranze e proposte formative. La lezione di Tarantino, Bari,
Levante, B. Amato, Orazione funebre in onore di Tarantino. Giuseppe Tarantino. Tarantino.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tarantino” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716123265/in/photolist-2mPq8eZ-2mMYDFF-2mKN3Um
Grice e
Taranto – la colomba d’Archita – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto).
Filosofo. Grice: “I was insulted, if not offended by the Cambridge Dictionary
of Philosophy having ‘Anchita’ as Greek! The manw as born in Taranto, Italy,
and died in Taranto, Italy! – He was a Tarantoian!” – “My favourite of his
philosophical tracts is “Della colomba,” – Strawson pointed out to me that
since this is a mechanical (mechanical-mechanical) pigeon, I should have used
‘scare-quote’ gesture!” -- Ricerca Archita filosofo, matematico e politico
greco antico Lingua Segui Modifica (LA) «Magnum in primis et praeclarum
virum» «Uomo fra i primi grande e illustre» (Cicerone, De
senectute). Appartenente alla seconda generazione della scuola di Crotone, ne
incarnò i massimi principi secondo l'insegnamento dei suoi maestri Filolao ed
Eurito. Figlio di Mesarco (o di Estieo o di Mnesagora, a seconda delle fonti),
nacque a Taranto, città della quale fu "stratego massimo" nella prima
metà del IV secolo a.C. proprio nel periodo in cui la città raggiungeva l'apice
del suo sviluppo economico, politico e culturale. Archita condusse una
vita austera, improntata a uno stretto autocontrollo nel rispetto delle rigide
regole della setta pitagorica, ma non priva di umana socievolezza: racconta
Eliano che spesso quello s'intratteneva a scherzare con i figli dei suoi
schiavi e con questi stessi non disdegnava di sedere assieme a banchetto. Abile
uomo politico, si tramanda che fosse stato nominato per sette volte stratego
(στρατηγός) della città-stato di Taranto riuscendo ad essere un condottiero
sempre vittorioso nelle sue battaglie. Probabilmente fu anche stratego
"autocrate" (αὐτοκράτωρ, autocrator) della Lega italiota,
ricostituitasi dopo la morte di Dionisio I di Siracusa, e che ebbe come sede
Eraclea sotto l'effettivo controllo di Taranto. Non si sa se, nonostante il
divieto della costituzione cittadina, fosse stato nominato consecutivamente; i
suoi mandati vengono datati tra il II e il III viaggio di Platone, quindi
potrebbero essere stati ricoperti anche uno di seguito all'altro. Attua una
politica di sviluppo che porta Taranto a diventare la metropoli più ricca e
importante della Magna Grecia. Con l'edificazione di monumenti, templi e
edifici diede nuovo lustro alla città. Potenziò il commercio stringendo
relazioni con altri centri, come l'Istria, la Grecia, l'Africa. Durante il suo
governo, si dedica allo sviluppo dell'economia favorendo l'agricoltura e
insegnando egli stesso ai contadini i precetti per migliorare i raccolti.
Spesso ricordava loro che Apollo non concesse altro a Falanto che fertili campi
e amava ripetere. Se vi si domanda come Taranto sia diventata grande, come si
conservi tale, come si aumenti la sua ricchezza, voi potete con serena fronte e
con gioia nel cuore rispondere: con la buona agricoltura, con la migliore
agricoltura, con l'ottima agricoltura. Nel campo legislativo promulgò diverse
leggi per favorire una più equa distribuzione delle ricchezze, basandola sui
principi dell'armonia matematica. Uomo di multiforme ingegno, si interessa di
scienza, musica ed astronomia e studiò matematica con Eudosso di Cnido. La
vastità di queste competenze in Archita si spiega con il fatto che la scuola
pitagorica concepiva la matematica, o meglio l'aritmogeometria, fondamento
della realtà naturale e l'universo come un cosmo, ordinato cioè secondo
principi mistico-matematici dai quali si generava un'armonia musicale poiché la
musica stessa si basava su precisi rapporti matematici. Credettero che i
principi delle matematiche fossero i principi di tutti gli esseri. Ora, i
principi delle matematiche sono i numeri. Pensarono quindi che gli elementi dei
numeri fossero elementi di tutte le cose, e che tutto quanto il cielo fosse
armonia e numero. (Aristotele, Metafisica) Non a caso Archita è stato il primo
a proporre il raggruppamento delle discipline canoniche (l'aritmetica, la
geometria, l'astronomia e la musicanel quadrivium, l'ordinamento che Boezio
riprese in epoca medievale). Infine, la partecipazione alla scuola pitagorica,
configurata come una setta mistica, era riservata a spiriti eletti e implicava
che gli iniziati che la frequentassero avessero disponibilità di tempo e denaro
per trascurare ogni attività remunerativa e che potessero dedicarsi interamente
a complessi studi: da qui il carattere aristocratico del potere politico che i
pitagorici esercitarono nella Magna Grecia fino a quando non furono sostituiti
dai regimi democratici. Archita conobbe Platone quando il filosofo ateniese
soggiornò a Taranto nel suo primo viaggio verso Siracusa, dove ebbe un
confronto piuttosto acceso con il tiranno Dionigi Isulla realizzazione di una
possibile riforma filosofica del suo governo. L'amicizia con Archita fu
preziosa per Platone quando compiendo questi il suo terzo e ultimo viaggio in
Sicilia nel tentativo di realizzare la sua riforma, il nuovo tiranno Dionigi il
Giovane lo cacciò dall'Acropoli facendolo vivere nella casa di Archedemo,
vicino ai mercenari che mal lo sopportavano. Fu grazie ad Archita, il quale
inviò il tarantino pitagorico Lamisco a Siracusa per convincere l'amico Dionigi
il giovane a liberare Platone, che il filosofo poté tornare ad Atene. Lo
stesso Platone raccontò così quegli avvenimenti: "Sembra che Archita
si sia recato presso Dionisio; perché io, prima di ripartire avevo unito
Archita e i Tarantini in rapporti di ospitalità e di amicizia con Dionisio. (Platone,
Lettera VII). E così con un terzo invito Dionisio mi mandò una trireme per
agevolarmi il viaggio, e insieme mandò un amico di Archita, Archedemo, che egli
riteneva fosse il più apprezzato da me tra quei di Sicilia, e altri Siciliani a
me noti. (Platone, Lettera VII) Altre lettere poi mi giungevano da parte di
Archita e dei Tarantini, che facevano grandi elogi dello zelo filosofico di
Dionisio, e anche avvertivano che, se non fossi andato subito, avrei causato la
completa rottura di quell'amicizia che io avevo creato tra loro e Dionisio, e
che era di grande importanza politica." (Platone, Lettera VII) vennero in
molti da me, fra cui alcuni servi di origine ateniese, e quindi miei
concittadini; essi mi riferivano che calunnie circolavano su di me fra i
peltasti, e che alcuni minacciavano, se riuscivano a cogliermi, di sopprimermi.
Escogito allora qualche mezzo di salvezza: mando ad avvertire Archita e gli
altri amici di Taranto in che condizione mi trovo. E quelli, colto un pretesto
per un'ambasceria, mandano uno dei loro, Lamisco, con una nave e trenta rematori.
Costui, appena giunto, intercede per me presso Dionisio, dicendogli che io
volevo partire e nient'altro che partire; Dionisio accondiscese e mi lasciò
andare, dandomi i mezzi per il viaggio" (Platone, Lettera VII) Archita muore
a seguito di un naufragio probabilmente nel corso di operazioni di guerra nelle
acque di fronte a Mattinata sul Gargano e lì fu sepolto, come riferisce Orazio:
Te maris et terrae numeroque carentis harenae mensorem cohibent, Archyta,
pulveris exigui prope litus parva Matinum munera. Te misuratore del mare e
della terra e delle immensurabili arene, coprono, o Archita, pochi pugni di
polvere presso il lido Matino. Nonostante sia vissuto dopo Socrate, viene
considerato un continuatore dei filosofi presocratici, perché appartenne alla
Scuola pitagorica e si mantenne aderente al pensiero di Pitagora, tant'è che
basò le proprie idee filosofiche, politiche e morali sulla matematica. Al
riguardo, infatti, così recitano due suoi frammenti. Quando un ragionamento
matematico è stato trovato, controlla le fazioni politiche e aumenta concordia,
quando c'è manca l'ingiustizia, e regna l'uguaglianza. Con ragionamento
matematico noi lasciamo da parte le differenze l'un con l'altro nei nostri
comportamenti. Attraverso essa i poveri prendono dai potenti, ed i ricchi danno
ai bisognosi, entrambi hanno fiducia nella matematica per ottenere un'azione
uguale." (Giamblico, de comm. Math.). Per essere bene informato sulle cose
che non si conoscono, o si devono imparare da altri o bisogna scoprirle da sé.
Ora imparando si deduce da qualcun altro e ciò è straniero, mentre scoprendo da
sé è proprio. Scoprire senza cercare è difficile e raro, ma con la ricerca è
maneggevole e facile, sebbene chi non sa cercare non può trovare. (In C. Dollo,
Istituto e museo di storia della scienza Archimede” (Olschki). A lui sono
tradizionalmente attribuiti molti testi spuri, mentre sono sopravvissuti
soltanto alcuni frammenti originali, conservati nelle opere di Ateneoe Cicerone
e provenienti dai suoi discorsi morali, che delineano un filosofo più originale
nel suo pensiero etico rispetto alla dottrina pitagorica e piuttosto
influenzato da quella platonica. Archita viene considerato l'inventore della
Meccanica razionale e il fondatore della Meccanica. Si dice che abbia inventato
due straordinarie apparecchiature meccaniche. Un'apparecchiatura era un
uccello meccanico, la famosa «colomba di Archita», l'altra sua invenzione era
un sonaglio per bambini. Il primo è descritto dallo scrittore e critico latino
Aulo Gellio, e ne tentò la ricostruzione uno studioso tedesco, Wilhelm Schmidt.
Pare si trattasse d'una colomba di legno, vuota all'interno, riempita d'aria
compressa e fornita d'una valvola che permetteva apertura e chiusura,
regolabile per mezzo di contrappesi. Messa su un albero, la colomba volava di
ramo in ramo perché, apertasi la valvola, la fuoruscita dell'aria ne provocava
l'ascensione; ma giunta ad un altro ramo, la valvola o si chiudeva da sé, o
veniva chiusa da chi faceva agire i contrappesi; e così di seguito, sino alla
fuoruscita totale dell'aria compressa. Il secondo giocattolo, la
raganella, ebbe fortuna: è ancora in uso e spesso si vede nelle fiere popolari
di giocattoli. Nella forma originaria era costituita da una piccola ruota
dentata fissata ad un bastoncino. Sulla ruota, da dente a dente, saltava una
molla cui era congiunto un pezzo di legno. Aristotele consigliava questo
giocattolo ai genitori perché, divertendo e captando l'attenzione dei bambini,
li distoglieva dal prendere e rompere oggetti domestici. Si dice anche
che Archita abbia inventato la carrucola e la vite, anticipando Archimede, ma
non si hanno conferme storiche a tale riguardo. Il più importante risultato
ottenuto da Archita è una soluzione tridimensionale del problema della
duplicazione del cubo. Precedentemente, Ippocrate di Chio aveva ricondotto
questo problema ad un problema di proporzionalità: se a è il lato del cubo che
si vuole duplicare, allora il problema consiste nel trovare due valori x e y
medi proporzionali tra a e 2a, ovvero tali che {\a:x=x:y=y:2a} Trovati
questi due valori, x rappresenta il lato del cubo con volume doppio. La
costruzione geometrica utilizzata da Archita per risolvere questo problema è
uno dei primi esempi dell'introduzione del movimento in geometria: in esso si considera
una curva, conosciuta come curva di Archita, generata dall'intersezione della
superficie di un cilindro e di un semicerchio in rotazione rispetto a uno dei
suoi estremi. Si dedica anche alla teoria delle medie, e diede il nome
odierno alla media armonica (prima conosciuta come media sub-contraria).
Inoltre, dimostrò che tra due numeri interi che sono nel rapporto {\{\frac
{n}{n+1}}} non è possibile trovare nessun altro intero che sia una media
geometrica. Il risultato ha applicazione alla teoria delle scale musicali (vedi
sotto). FisicaModifica Apuleio riporta un argomento di fisica trattato da
Archita: la natura della riflessione della luce sopra uno specchio. Platone
pensa che dai nostri occhi partano dei raggi luminosi che vanno a mescolarsi
con quelli che colpiscono lo specchio. Archita concorda col fatto che i raggi
partano dai nostri occhi, ma senza combinarsi con alcuna cosa. Più felici
furono le sue deduzioni sul rumore. Egli capì che provenivano dalle vibrazioni
prodotte dall'urto dei corpi nell'aria. Da tale scoperta, formulò l'ipotesi che
anche i corpi celesti, dotati di continuo movimento, dovessero produrre rumore.
Questo rumore però, non sarebbe udibile dai sensi umani, essendo non
intervallato, ovvero continuo nel tempo. Molto interessanti sono gli
studi di carattere sperimentale che condussero a conoscere le cause che
diversificano i suoni acuti dai gravi, diversità che sono in funzione della
rapidità della vibrazione. Tanto più rapida è la vibrazione, tanto più acuto è
il suono che ne proviene, e viceversa. Esperimenti furono eseguiti con flauti,
zufoli, tamburelli, e si constatò come anche la voce umana seguisse questo
principio. Nell'ambito della teoria musicale sviluppata dalla scuola pitagorica
(ed esposta per la prima volta da Filolao), tre contributi sono sicuramente
dovuti ad Archita. Il primo è la teoria secondo cui l'altezza dei suoni è
determinata dalla loro velocità di propagazione. Secondo Archita, una bacchetta
che oscilla più velocemente (oggi diremmo con frequenza più alta) produrrebbe
un suono che si propaga con maggiore velocità nell'aria, e che di conseguenza è
percepito come "più alto", rispetto a una bacchetta che oscillasse
più lentamente. Questa teoria, per quanto non corretta dal punto di vista fisico
e percettivo, rappresenta il primo tentativo di attribuire parametri
quantitativi alla propagazione del suono, e fu ripresa da molti autori
successivi (inclusi Platone e Aristotele). Il secondo contributo è di natura
specificamente matematica. Archita conosceva la relazione fra intervalli
musicali e frazioni che conduce alla costruzione della scala pitagorica. Uno
dei problemi teorici connessi a quella costruzione era il perché gli intervalli
dovessero essere progressivamente suddivisi secondo quelle particolari proporzioni,
anziché suddividere semplicemente ogni intervallo in due sottointervalli
uguali. Per comprendere la natura del problema si deve ricordare che per
definizione gli intervalli musicali si compongono moltiplicandofra loro i
rapporti corrispondenti (ad esempio, l'ottava 2:1 si può ottenere componendo
una quinta 3:2 con una quarta 4:3, infatti 3:2 x 4:3 = 2:1). Quindi per
suddividere un intervallo a:b in due parti uguali si deve trovare il medio
proporzionale fra a e b, ossia il numero x tale che a:x = x:b (ciò equivale a
cercare la radice quadrata del rapporto a:b). Archità osservò che l'intervallo
di doppia ottava (4:1) si può suddividere in due sottointervalli uguali
(rappresentati dal rapporto 2:1), ma dimostrò matematicamente che nessun
rapporto del tipo superparticulare {\displaystyle {\frac {n+1}{n}}} - genere a
cui appartengono tutti gli intervalli fondamentali della scala pitagorica (2:1,
3:2, 4:3, 9:8) - ammette un medio proporzionale fra i numeri interi: quindi
nessuno di quegli intervalli può essere suddiviso in due parti uguali (se si
mantiene l'ipotesi che ogni intervallo musicale corrisponda a un rapporto fra
numeri interi)[36]. Infine, Archita descrisse la costruzione delle scale
musicali nei tre generi diatonico, cromatico ed enarmonico. Diversamente dalla
scala pitagorica, il tetracordo diatonico proposto da Archita è formato dai
rapporti 9:8, 8:7 e 28:27 (quello pitagorico contiene invece due intervalli di
tono uguali, 9:8, e un semitono di 256:243). Nel tetracordo cromatico di
Archita figurano gli intervalli 5:4, 36:35 e 28:27, e in quello enarmonico gli
intervalli 32:27, 243:224 e 28:27. Questi valori sono riportati da C. Tolomeo,
che (a distanza di oltre 500 anni) afferma che si basa sulla necessità teorica
di descrivere tutti gli intervalli consonanti con rapporti superparticulari (e
tuttavia nel tetracordo enarmonico figurano rapporti che non appartengono a
quel genere). Gli studiosi moderni hanno invece ipotizzato che Archita avesse
voluto descrivere matematicamente le scale musicali effettivamente in uso nella
pratica a lui contemporanea, sulla base dell'osservazione diretta delle
tecniche di accordatura usate dai musicisti. Archita si propose di superare il
problema dei commi musicali. Affermò che l'ottava poteva essere divisa in 12 semitoni
uguali ed indicò un divisore che ne consentisse la partizione, cioè un numero
prossimo ad un terzo di л. In effetti il divisore dell'ottava della scala
temperata, la radice dodicesima di 2 =1,0594630943592…. è prossima a
л/3=1,0471975 postulato sia da lui che da Aristosseno. La divisione dell'ottava
a cui Archita pervenne è la seguente: л/3, Л 4/11, Л 3/8, Л 2/5, Л 3/7, Л 5/11,
Л 9/19, л/2, Л 7/13, Л 4/7,Л 3/5 Л 7/11, nell'ordine: seconda minore, seconda
maggiore, terza minore, terza maggiore, quarta giusta, quarta eccedente, quinta
giusta, sesta minore, sesta maggiore, settima minore, settima maggiore, ottava.
Il divisore proposto da Archita porta a differenze con la scala temperata
dell'ordine delle decine di centesimi di semitono. AstronomiaModifica È
trattata da Archita in un passo di Eudemo da Rodinel suo commento alla Fisica
di Aristotele, nel quale si discute il problema della dimensione dell'universo.
Per Archita l'universo è infinito, poiché, egli dice: Se mi
t rovassi all'ultimo cielo, cioè a quello delle stelle fisse, potrei
stendere la mano o la bacchetta al di là di quello, o no? Ch'io non possa, è
assurdo; ma se la stendo, allora esisterà un di fuori, sia corpo sia spazio
(non fa differenza, come vedremo). Sempre dunque si procederà allo stesso modo
verso il termine di volta in volta raggiunto, ripetendo la stessa domanda; e se
sempre vi sarà altro a cui possa tendersi la bacchetta, è chiaro che anche sarà
interminato.In Enciclopedia Garzanti di Filosofia Archita. Museo Nazionale e
archeologico di Taranto Christoph Riedweg, Pitagora: vita, dottrina e
influenza, Vita e Pensiero, Francesco Paolo De Ceglia, Bari. Seminario di
storia della scienza, Scienziati di Puglia: Adda, Cicerone, De senectute,
Eliano, Varia istoria; Ateneo; Dizionario di filosofia, Treccani alla voce
corrispondente Luigi Pareti, Storia della regione Lucano-Bruzzia
nell'Antichità, Storia e Letteratura, Ettore M. De Juliis, Magna Grecia:
l'Italia meridionale dalle origini leggendarie alla conquista romana, Edipuglia.
E. Juliis, Magna Grecia: l'Italia meridionale dalle origini leggendarie alla
conquista romana, Edipuglia srl, Ai tarantini, citato in La Voce del
Popolo, Dizionario della civiltà, Gremese Editore, Ubaldo Nicola, Atlante
illustrato di Filosofia, Giunti. “κόσμος” nasce in ambito militare per
designare l'esercito schierato ordinatamente per la battaglia (in Sesto
Empirico, Adv. Math.) Christiane L. Joost-Gaugier, Pitagora e il suo
influsso sul pensiero e sull'arte, Edizioni Arkeios, André Pichot, La nascita
della scienza: Mesopotamia, Egitto, Grecia antica, Edizioni Dedalo,Cfr. anche
Ruggiero Bonghi, Delle relazioni della filosophia colla società: prolusione, F.
Vallardi, Secondo una tradizione apocrifa Archita trasse dalla filosofia
platonica la convinzione della immortalità dell'anima. Al contrario Cicerone
ritiene che Platone si recò in Sicilia per conoscere le dottrine pitagoriche
che apprese da Archita e che condivise divenendo lui stesso pitagorico. Cfr.
Cicerone, De Repubblica, De finibus bonorum et malorum, Tuscolanae
disputationes, D. Laerzio, Platone, Lettera VII Vita di Platone. G.
Urso, «La morte d’Archita e l'alleanza fra Taranto e Archidamo di Sparta»,
Aevum, M. Taddei, I robot di Leonardo da Vinci: la meccanica e i nuovi automi
nei codici svelati, ed. Leonardo, A. Gellio, Notti Attiche, Aristotele, Pol., R.
Pitoni, Storia della fisica, Società tipografico-editrice nazionale, Boyer,
Carl B., Storia della Matematica, Apuleio, Apologia, 15 Platone, Timeo,
A Giambico, in Nicom., 9Francesco Paolo De Ceglia, Università di Bari.
Seminario di storia della scienza,Scienziati di Puglia: dda, 2007 p.1ifica Carl
A. Huffman, Archytas of Tarentum. Pythagorean, Philosopher and Mathematician
King, Cambridge University Press, (l'edizione più completa dei frammenti) M.
Timpanaro Cardini, I Pitagorici, testimonianze e frammenti, La Nuova Italia,
Firenze Platone, Lettere, Mondadori, Milano Del Grande, Archita e i suoi tempi,
Taranto, Cressati Paris A. Olivieri, Su Archita tarantino, memoria letta
all'Accademia Pontaniana A. Frajese,
Attraverso la storia della Matematica, Veschi, RomaStante, I problemi di terzo
grado e Archita da Taranto, Lecce
A.Tagliente, “La colomba d’Archita”, Scorpione, Taranto A.Tagliente, Il mistero
del trattato perduto, Scorpione, Taranto A. D. Abbaiatore, Scritture Musicali
greche, Teoria armonica ed Acustica, Taranto nella civiltà, Napoli Taranto e il
Mediterraneo, ISAMG Taranto, Filosofia e scienze, Napoli Eredità, Taranto, Alessandro
il Molosso e i condottieri, Taranto, C.Teofilato, "Interpretazione di
Archita" dalla rassegna "Vecchio e Nuovo" di Lecce, A. Mele,
Archita, i suoi tempi e il suo pensiero, in Taranto tra Classicità e Umanesimo,
Scorpione Editrice Taranto Voci correlateModifica Personalità legate a Taranto
Raganella (strumento musicale) Eudosso di Cnido. Treccani Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. A buon diritto chiamare l'inventore de'moderni palloni arrostatici.
Però un secolo prima al padre Lana G, C. Scaligero,a proposito della colomba
volante d'Archita, della quale parla Orazione l l e sue odi, indica il modo di
costruirla. Nulla di più facile, egli dice: basta comporre la sostanza con
midolla di giunco, e diligentemente coprirla colla pelle adoperata dai
battiloro. Mediante un facile meccanismo sipuò dar movimento alle ali.19
Scaligero scordò di avvertire che bisognava riscaldare l'aria interna con un
lumicino quando rolevasi farla volare. Cosi 500 anni prima dell'era nostra,
trova il modo di far salire nell'ariaun pallone in forma di colomba, dacchè tutto
fa credere che I mezzi impiegati da questo filosofo fossero gl'identici che
quelli impie gatioggigiorno per levarei palloni. Quanto al ritorno della
colomba, obbediente alla voce d'Archita, questa evidentemente è una favola.
Sempre, aun fatto sorprendente, l'immaginazione aggiunge circostanze
impossibili;ma ciò che io credo innegabile è che l'areostalo era conosciuto a
tempi detti favolosi, e che, amio parere, sono reminiscenzedi una civiltà
perduta, che i poetichiamarono regno degli dei. Quegli ignivomi draghi. SULLA
COLOMBA Entre a pišivago, e più superbo volo pel Regno aereo l'ali fu e spandea,
e di spirto novello acquisto fea La Colomba d'Archita inversoilPolo, Volgendo a
caso i suoi begli occhi al suolo Del terzo Ciel la vezzofetta Dea, La vide, e
per rapirla già scendea Da quel de' dei seggio beato, e solo. Allor gridd, e
quafi fu per dire: Oh così foffepur lamia. Colomba! Fattafi Citerea con gran
desire, Di legno fols'avvide: esserl'augello. ARCHITA. Juan. Juven. Ital. Sacr.
in Tarentin. Mitrop. Lamb. in Schol.
Horat. Od.) regnasse più di un ' Ann o. I nuove grazie adorna il fuo bel volto
D LLi:etasengiva in maestà reale Astrea, mirando venerato, e colto Fa più volte
Prefetto della sua Patria, ancorchè le Leggi comandassero, che nessuno in tempo
di sua vita Quel delle Leggi fue pregio immortale. Quando Prudenza, il dolce
fuon disciolto, figlia d' eccelsa mente, e trionfale, Non titurbar, le diffe,
fe sia tolto Il primier di regnare ordine uguale. Tempo verrà,che in arme,e
intoga imperi più d'un'anno al suo ftuoi, mai sempre intento Archita a nuove
glorie, e a bei pensieri. E a Leila Diva: in cento modi, e certo Muta pur
Leggi, e Faftimiei primieri, Purchè Archita mio regni, io mi contento. Diogen.
Laert. in Vit. Archyt. In Joan. Buno. not. ad Philip. Cluver. ARCHITA FILOSOFO
PITTAGORICO, E MATEMATICO E PERITISSIMO. Odar chi mai tanto ti può, che basti,
Alma immortal degnillima d' Impero? Chi dir di tue virtudi il volo altero, Per
cui fovra ogni Saggio alto poggiasti? Del Ciel le stelle, e i moti lor sì
vasti, tu delle cose le cagioni, e'l vero, e quanto il mare, e l'universo
intero circonda, e abbraccia, chiaro a noi mostrasti, Tu, ch'eccedi de'Savj i
bei consigli Già di ogni uman pensier reso inaggiore, 'Quanto il Sol delle
stelle avanza irai, tu, che te stesso, e null? altro somigli, coll'auree del
tuo fuon note canore tu sol di tue virtù cantar potrai. Diogen. Laert. in vit.
Archyt. Foreft.Joan. Juven. Tarentin. Lambin in Scbol. Horat. Od. Nicol. Parth.
Giannet. in Geograph. Lib. 4. Cap. 7. SEN. TARENTINO, Scrivendo contro il
Piacere. O So, chemente all'Von dona, e Tume aquella; SENTIMENTI D'ARCHITA chi
dietro alsuo piacer brutale corre, e del sensorio fà l'alma ancella, bruto
diventa agli altri bruti eguale, tutto perdendo il bel, che aveva in ella.
Senza lume si vago, e rilucente Joan. Juven. Tarentin. Lib.3. Cap. 2. Mente,
ch'èper fuo pregio trionfale della divinità parte più bella. Che quando avvien,
che sopra l'alma impero abbia il piacere, allor cieca è lamente 'E cieca la
ragion, cieco è 'l pensiero. Oprano i Bruti, e senza il suo primiero Lume fia,
chel'uom bruto anchedivente. E pur ESER, Diogen. Lacrt. in vit.
Archyt. Foreft. Tom.1. Lib. 8. Cap. 4. Joan. Juven. Tarentin. Mille a mille
empj nemici, incampo scendete pure, e con terribil grido, no uche con quel dell'armi
orrido lampo Fate tremar dell'onde Jonie illido. ESERCITO TARENTINO NON MAI
VINTO, ESSENDO CAPITANO. Là nel Galelo col suo nobil Campo Itene or lieti delle
forze usate, Faran del vostro fuol le schiere armate, Finchè Archita fia duce,
alta vendetta. ARCHITA v'aspetta il bravo duce. E già lo strido de' corni i'
fento, en el cercarlo scampo già cader vi vegg'io pel colpo infido. Ed alla
patria, che il trionfo aspetta, le tolte spoglie in vostro onormostrate. Se per
ostil cadeste atra disdetta, LA, ARCHITA D'ESSER CAPITANO, PER
SOTTRARSI ALL'INVIDIA, L'ESERCITO DETARENTINI E' FATTO PRIGIONE DA NEMICI. Arme
il fulgore insiem spaventa, e sfida co’luoi deftrieri i cavalier; già scende
sangue da larga vena in terra infida. Mira Tarento mio, quei, che fen muore,
hàgli spinti l'invidia a tante pene. LASCIANDO DO Di guerra sonar le trombe
orrende? di come il rio Marte all'alte strida Di quel Drappello, e questo i
cuori accende, Perchè col ferro fuo l'un l' altro ancidas arme, arme fre me
ognun: già di tremende e quei, che'l braccio (tende alle catene son dolci
figli, oimè, del tuo dolore! Freme contro d'Archita ilrio livore, E
lull'alme innocenti il mal senviene. Diogen: Laert, in vit. Archyt. Joon.
Juven. Tarentin.AR.: ad altri venduto, ed alla fine è riscattato offri; buon
Savio, foffri. Ecco fortuna S Di mortal sfavillando atro disdegno sue forze
impiega, e l'arme sue raduna, Per far del tuo valor {terminio indegno. Già
l'empia, oime! con faccia torva, e bruna Scocca saette últrici, e ben al sogno Colpito
hà omai; ve come in preda d'una Ti dà vile ciurmaglia in fragil legno.
TARENTINO ARCHIT. A peregrinando per imparare, è preso dà'Corsari, serveMa
chefie; se delcuorle forti tempre Alexand.ab Alexand, Joan. Juven. Tarentin.
Di. Pur non è fazia no,schiavo al servaggio Ti mena ancor, perchè nel
duoldistempre Ilmagnanimo tuo nobil coraggio. Rassoda più ne'colpi suoil'Vom
faggio, E di sua libertà gode mai sempre! PLATONE DOPO AVER CAMMINATO L'EGITIO,
VIENE IN ITALIA PER IMPARAR SOTTO LA DISCIPLINA Edesti pur, come il gran Nilo
altero, D a perenne sboccando occulta fonte Ogni arginedisprezzi, edogniponte,
E i campi ad ipopdar si apra il sentiero. E d ivi asperto di sudor la fronte
Delle scienze falisti all' arduo monte, E ti fur quelle il folo premio intero.
Ed or, per fullescienze alzare un volo Sotto 1:aurea d'Archita arte gentile,
Cerchi il Galeso, e l Tarentino luolo? DunqueinEgittoEroenonv hàfimile, Cic.de
finib.bonor. molor.Lib.s. Foreft:Tom. I..Lib. 8. Joan.Juven. Tarentin. DOPS V
D'ARCHITA TARENTINO. Si, vedesti 1 Egizio, e 'l Greco Impero, ARCHI. Nèingegno
inGrecia,alsoloArchita,alsolo Suo noro ingegno,anche oltreBattro,eTile.
A ARCHI. Pri,Fortuna,perun solmomento Gli occhi, cui buja notte
orrida cuopre, E mira,leiltuo folleafproardimento Contro Savio maggior sua
forza adopre. Questi è il gran Plato, e quegli fon qu e cento Folle ! RePlato
al tuo servil flagello ARCHITA TARENTINO RISCATTA PLATONE PRESO D A CORSARI.
Empj ladron, per le cui mani, ed opre Schiavo il facefti; or com 'ei fparge al
vento Gl’infranti lacci, e in libertà li fcuopre? C o m e il trionfo, che del
suo fervaggio Ornar credefti, e de' suoi guai far bello, Qual peve dilegudfli
al caldo raggio? Menalti, a un cenno fol d' Archita il saggio Cara tornò la
libertà di quello. Joan. Juven.T'arentin. e Se avvien, che della
gloria i m i diftempre L a bella gloria è tua, fe Plato apprese Che del tuo
Figlio al nome accrebbe ilvanto, Cic.de finib.bon.domal.Lib.5.* Lib 1.Fiscula
Joan.Juven. Tarcntin. ARCHI. (52 ARCHITA MAESTRO DI PLATONE. C Figlio di
puro core, e viva Immago, che vero io canto, efoldiluimi appago, Diceva un
giorno Atene in dolci tempre, Dal tuo gran Figlio Archita il pregio fanto, E B
alme di virtude auree contefe. Ella è mia pure, e téco i fafti io canto: Poich?Ei
tal lume in tutto il m o n d o accese, Nel gaudio, el corc infuperbito, e pago
Pel mio Plato or fen vada,un don si vago A te,Tarento mio,debbo maifempre.
ARCHITA CAMPA PLATONE DALLA MORTE INTENTATAGLI DA DIONISIO TIRANNO. AR,
Due Polato ilscan Plato,ahimè,quelfaggio, t Veloce (ahi laffo !) a tramontar
quel raggio Det rio fallir le pene: omai trionfi Si bella dote, e vinca ancor
Sapienza. Si diffe Archita; e i fieri petti, e tronfi. Placando al gran poter
d'aurea Eloquenza, Morrà, perchè un Tiranno indegno d'ostro Sogna fofpetti, e
teme indarno oltraggio? Correrà, che dà lume al secol nostro? Ed io,perchèpiù
viva,ancor non mostro, No n m ostro, a n c o r dell'anima il coraggio? No, che
non porterà l'alma Innocenza < Plato all'ombra viveade'suoi trionfi. Cic.
Lib. 5. Tuscul. Diogen. Laeft. Vit.Archyt., o Platon. Juan. Juven. Tarentin.
Ital. Sacr. in Torentin. Metrop. Plutar. in Platon. Sabell. Ennead. ARCHITA
TARENTINO A PLATONE. Se amica pioggia a temprar mai l'ardore Scende dal Ciel,non
giace no più china La fronte lor, ma col nacio colore S'innalza si, che al Ciel
più si avvicina; Lasso ! calo io restai, allor che infermo Starteneudjfrapene,o
mio buon Plato Senza ajuto languendo, e senza schermo. Ma
orchedicuavitaalprimostato Fatto hai ritorno, io mi rinfranco, e fermo Pertemi
rendo, cfon, qualpria,beato. Q Diogen. Laert.in vit.Archyt. Joan.Juven.
Tarentin. Lib.3. Cap. 2. Val Yenza umor giglio languisce,o fiore, E scolorito à
terra ilcapo inchina, Questo il vermiglio onor,quello ilcandore Perdendo a poco
a poco in sua ruina: PLA. Q A te del loro autor duce sì pio in mezzo del
cammino elle si stanno, pss.) Ma giugnere alla meta orgogliosette Ben le vedrai,
fe nuovo spirto avranno, PLATONE MANDA ISUOI COMMENTARY AD ARCHITA TARENT INV.
Veste assai più, che dell'ingegno mio, Opre de'tuoi fudori,onde a be'studj
Delle più gloriofe alte virtudi La mia mente infiammaiti,el buon deslo, Opre
dunque son elle ora imperfette. Raroè peròl'onor,seateverranno; Più raro, le
giammai fien da te lette. Diogen Lacrt. in vit. Archyt. Platon.in Epist. Vengono,Archita.O:tu
leleggi,e inudi Sensi del tuo faver poi mi dischiudi Con
quellalibertà,concuileinvio, PLA, Gloria dai tuoisi provvidifudori, soffri in
regnar, grida la Patria,e uffici Mostra di quel,che sei,Signor de cuori, E
tumalgradoimperi?etilamente Non fei;la Patria hà in te parte del tutto. Non
oscuro è il linguaggio; odi mia mente: O rendi alla tua Patriailben,ch'èsuo, O
delsuobenfà,ch'ellan'abbiailfrutto. Cic definib.bonor.comalor.Lib.2. Lib. lade
Offic. Joan. Juven. Tarentin. Lib.i. in Prefate do Lib.z. Cap.2. Platon. in
Epif. gi PLATONE TÀRENTINO. V Nmalele folo (AD ARCHITA O n, a se folo no,
nasce agli Amici, Nafce alla Patria l'Uom, nasce aMaggiori, E dal bel nascer
suo giorni felici Speran questi, e sperar voglion tesori. O r foffri, o Figlio,
o tu, che tanta elici D e' gran pubblici affari? ah che fol tua SULLA AD ARCHITA TARENTINO, Del buon
governo, eloro fren spogliace. O naufragar, dall'empie arti indiscrete di
piggior duce a morte ria guidate: El soffriran del cuorletempre? ahfiamma
D'amor mostrate, evoilaPatriabella Reggete:omai con quell'ardor,che infiammar
Così lungi da leistrage rubella Sen fuggirà,qualCervioa icolpi,o Damma, O, che
viver a voinon maipotrete; Se non vivrete ad altri se se pensate Goder mai
signoria, nè servirete Alle pubbliche cose,alle private, O vacillar ben presto
le vedrete E poi fia vostra gloria il ben di quella. In argument. 9. ad Epift.
9. Platon, D'ARCHITA A d d e Archita, e vidjo senza conforto E scorse fino all'
ultimo confine La Terra, e il Cielcoll'artifue divine, Archita il grande, il
nostro padre è morto! Del mar le Dive usciro al pio lamento. SULLA MORTE.
Pianger lo stuol da rio dolore assorto. Oimè,dicean,chi dall'Occafo all'Orto,
CAdele Dell'alte sue virtudi,e pellegrine, Pallido il viso, e lacerato il
crine, E in lor leggendo i gran pubblici danni Pianfero', e poi partiro, e di
Tarento GiunteallaReggia:orvestiinegri panni Da e r,bella Città: per tuo
tormento Aichita è morto ahi sulbel fior degli anni ! Horat. Lib. 1. od. 28. E
Diede il Popot Matin l'ultime prove se'l crudo suo destino unqua vi
spiacque Le bell*ossadiLui,chetantopiacque Abbian lieve la terra; e poi partite.
Horat. Lib. 1. od. 28. Joan.Juven.Tarentin.Lib.3.Cap.za SUL INVITO A
RIMIRARE IL TUMULO D'ARCHITA PRESSO AL LIDO MATINO, Ccop Urna funefta.Alme ben
nate, Cui di pietà l'amabil forza muove, Deh fermatevi alquanto, e rimirate,
Pria di ftendere il passo agile altrove. Qui le fante d Archita ossa onorate
Giaccion sepolte, e qui spargendo nuove: Piogge d'amaro pianto, di pietate del
passato dolore in segno ah dite:. th Allor, che in mar precipitò, smarrite Sue
forze,einfrantoilleguoinmezzo all'acques Di Natura le fonti più
segrete; Chi dall'onda fatal raplo diLete L e naufraghe virtudi, e l ebbe
accanto; Chi le vie seppe drittamonte torte, i PercuilaLuna
appar',elSols’asconde, (60 ) Aili ah yoi le face offa, e'l cener fanto Di
quell Almagentilahicitogliete, C h e fù si chiara al M o n d o, e vi godete
Della vera fapienza il facro immanto. Chi a noi mostrò con tanto studio, e
tanto Horat.Lib. i.od.28.. Joan. Juven.Tarentin. SUL SEPOLCRO EUDOS D.ARCHITA
TARENTINO. Chi 'n Terra,e 'n Ciel la ferma, emobilsorte; chi com e il foco, el
Aere, el suolo, e l'onde s'abbraccin, seppe, orquìsengiace. Oń Morte, Oh duri
fastí, ohcieche ombre profonde? S quanto mai dibelloinCielfiadditag; Ne panni
no,ma nella mente fiede. Diogen.Laert.in vit.Eudox. Foreft. Tom.1. Lib. 8.Cap.4
Joan.Juven,Tarentin. Q. EUDOSSO DA GNIDO FAMOSISSIMO MATEMATICO DISCEPOLO
ARCHITA NON FU'RICEVUTO DA PLATONE ALLA D Mira come in udir fuo ftile adorno La
tuafuperbia,e'lfolleardireondanni. No, non doveviil gran Figliuol d'Archita SUA
SCUOLA,PER ESSER POVERO, Vefti, o Platon, che tu schernisti un giorno Perchè di
povertà fentia gli affanni Questi è colui (fe pur nol fai)che intorno Del fuo
grave faver difpiega i vanni, Gnido vi fpenda il più bel fiordegli anni; E come
giusta ad immortal tuo fcorno Si vilmente scacciar dalla tua fede Qualor
baffamenava umile vita. Poichè virtude, onde 1 U o m farli erede.
Archita. Archita da Taranto. Taranto. Keywords: la colomba d’Archita,
Platone, magna Grecia, piccione viaggiatore, il vuolo della colomba -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Taranto” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51681989882/in/photolist-2mSsmMU-2mN5uFu-2mLJPUG-2mKxrDy-2mKDXUP-2mK6d1R-2mK487q-2mK2Mvw-2mK6cZt-2mJXH25-2mK2Mwt-2mK6d2x-2mK7kLK-2mK6d2n-2mK6cY1-2mK7kNy-2mJXH3T-2mK4863-2mK6cXV-2mK6cZJ/
Grice e Tari – l’origine del linguaggio –
filosofia italiana (Villa
Santa Maria Capua Vetere). Filosofo. Di famiglia originaria di Terelle, nel
Frusinate, nacque in palazzo Mazzocchi, anch'essa rientrante in Terra di
Lavoro, da un impiegato che si trovava lì di passaggio. Il palazzo natìo ove
aveva schiuso gli occhi anche l'archeologo Alessio Simmaco Mazzocchi, situato
nella via Mazzocchi. Studia a Montecassino, dove conobbe Spaventa. Si trasferì
a Napoli dove si laurea. Ben presto però all'avvocatura preferì la filosofia,
la letteratura e la musica, unendosi all'amico Spaventa, a Cusano, a Sanctis e
ad altri filosofi liberali e collaborando a vari giornali letterari partenopei.
Entra per concorso nella Regia Napoli, divenendo il primo cattedratico di
estetica in Italia, nello stesso periodo in cui vi insegnavano anche Sanctis,
Settembrini, Spaventa e Bovio. Si dedica
a vari rami della filosofia e delle scienze del linguaggio per Detken, saggi di
Brothier, Moindron e Noel. Il suo
sistema estetico, variamente criticato, in particolare per la scarsa
originalità, si caratterizza per una vivacità espressiva, con ricche e talvolta
variopinte esemplificazioni, che peraltro ne resero celebri e molto frequentate
le lezioni. Croce define Tari il lieto giullare della filosofia. Tari non ha
mai nemici, riuscendo a farsi ben volere sia dagli amici sia dagli avversari,
che prende a braccetto, e li mena a spasso con sé, divertendosi a contradirli e
a sentirsi contradetto. Quasi ad avallare la definizione sopra riportata, ha anche a rilevare che la sua bizzarra
genialità gli fa trovare piacere nei ravvicinamenti e collegamenti più
disparati e più comici: della frase sublime con la scherzosa, del ricordo
solenne con l'aneddoto salace, del linguaggio latino o del tedesco col
vernacolo napoletano. Parla in gergo, ma in gergo che è quintessenza di cultura
e stravagante miscuglio di elementi geniali. Filosofo di professione ed uomo di
dottrina enciclopedica, nonostante tutta la sua perizia filosofica, la sua
sterminata dottrina e il suo molto acume, e soprattutto un bizzarro artista. La
sua concezione metafisica non gli concede una trattazione veramente logica dei
problemi. Ma la sua personalità, vibrante di commozione innanzi alle opere
dell'arte, riboccante di entusiasmo, dotata di bontà e di nobiltà di sentire,
gli ispira una filosofia che e di una specie assai rara nella nostra
letteratura. L'essenza giocosa si mischia, confondendosi, con un'acuta
critica, che si rivolgeva a tutti i campi in cui l'estetica si sostanzia e, in
particolare, ad una delle arti al quale e più attratto: la musica. Tra il
serio e il faceto, infatti, pubblica un saggio su “Serietà e ludo” e compone un
saggio musicale, con tanto di note, dal titolo in tal senso emblematico di “Lezioni
di estetica generale”. Questo indirizzo lo porta ad occuparsi anche sulla
celebre pastorale di Beethoven. Altre saggi: “Estetica ideale” (Fibreno, Napoli),
“Ente spirito e reale: confessioni filosofiche” (Regia Università, Napoli); “Melodramma,
dramma” (Regia Università, Napoli); “Serietà e ludo” (Regia Università, Napoli),
“Critica” (Vecchi, Trani); “Estetica e metafisica” (Laterza, Bari); “Estetica
esistenziale” (Morano, Napoli); “L'estetica reale” (Prometheus, Milano), “Dizionario
dei cittadini notevoli di Terra di Lavoro antichi e moderni” (Forni, Bologna). i (Ed. Spartaco, Santa Maria Capua Vetere); A.
Perconte Licatese, “Storia e monumenti di Santa Maria Capua Vetere” (Stampa
Sud, Curti.); “Storia popolare della filosofia” (Detken, Napoli); “Origine del
linguaggio” (Detken, Napoli); “Il contratto” (Detken, Napoli); B. Croce, La
letteratura della Nuova Italia. Saggi critici” (Laterza, Bari); “Lezioni di
estetica generale” (Tocco, Napoli); “La sinfonia pastorale” ( (Regia Università,
Napoli); M. Leotta, Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli); F.
Solitario, La Critica di Croce. Contributo per un recupero” (Prometheus, Milano);
F. Solitario, “Cultura filosofica” (Prometheus, Milano); Treccani Dizionario di
filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Archivi di Teatro Napoli, Antonio
Tari. Tari. Keywords: ‘origine del linguaggio.” Refs. Luigi Speranza, “Grice e
Tari” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732279381
Grice e Tartarotti – filosofia italiana (Rovereto). Filosofo. Divenne famoso per
aver contrastato i processi contro le streghe e per aver osteggiato la
devozione per il vescovo del XII secolo Adelpreto, mettendone in discussione
santità e martirio. Figlio del giureconsulto Francesco Antonio e da
Olimpia Camilla Volani, discendente dell'antica famiglia dei Serbati.
Impersonò la figura dell'intellettuale che non si lascia limitare dal luogo nel
quale nasce, cioè nel Trentino, lontano dai grandi centri culturali del tempo.
Egli seppe anzi sfruttare le opportunità e le peculiarità della città di
Rovereto, al confine tra mondo tedesco e italiano, in un periodo storico nel
quale rifiorirono i commerci e i rapporti economici, grazie al suo trovarsi su
una delle principali vie di comunicazione in Europa. Suo merito fu la capacità
di saper tessere legami con intellettuali italiani e stranieri che risiedevano
a Venezia, Roma, Salisburgo, Torino, Brescia, Vienna, Innsbruck. Utrecht e
Parigi. Studiò inizialmente nell'Imperial Regio Ginnasio di Rovereto e
poi continuò come autodidatta. Si interessò di filosofia, che seguì presso
l'Padova sino a quando difficoltà economiche familiari non lo obbligarono a
tornare nelle città natale. Al suo ritorno si interessò personalmente per
far insediare nella Città della Quercia la stamperia del tipografo veronese
Pierantonio Berno e, nel 1730, fondò la prima accademia cittadina, l'Accademia
dei Dodonei. Compì viaggi a Verona, dove conobbe Scipione Maffei e altri
studiosi, poi ad Innsbruck, dove rimase alcuni mesi come precettore, e in
seguito si trasferì a Roma, come segretario del Cardinale Domenico Silvio
Passionei. Casa dove abitò Girolamo Tartarotti, in Via Garibaldi
61, a Rovereto, prima di trasferirsi in Via della Terra. Durante le sue
permanenze roveretane, visse nella stessa casa dove abita G. Vannetti e dove
questi iniziarono a tenere un vivace salotto letterario che portò,
probabilmente su ispirazione dello stesso Tartarotti, alla nascita dell'Accademia
degli Agiati. Il soggiorno romano fu relativamente breve, per contrasti col
Cardinale, quindi fece ritorno a Rovereto. Morì il fratello Jacopo, e si
trasferì a Venezia, come collaboratore del futuro Doge Marco Foscarini. Ebbe
discussioni anche con Foscarini e tornò ancora una volta a Rovereto, da dove
non si allontanò più. I viaggi di Girolamo Tartarotti furono in
definitiva relativamente pochi e di breve durata, e trascorse la maggior parte
della sua vita matura a Rovereto. Si dimostra poco propenso ad accettare
l'aiuto di ricchi mecenati che lo avrebbero limitato nella sua libertà e
approfittò delle occasioni che gli venivano offerte lontano dalla sua città per
comprare libri o incontrare altri studiosi. Lo studioso Sin dagli anni
giovanili Tartarotti si dedicò agli studi letterari interessandosi della poesia
toscana e scrivendo egli stesso varie composizioni poetiche. Approfondì
tematiche della filosofia scolastica e scrisse trattati critici nei confronti
di questa. Collaborò con Angelo Calogerà per la sua Raccolta d'opuscoli
scientifici e filologici, e venne in polemica con Trento dimostrando, in una
sua pubblicazione, che la città tridentina divenne sede episcopale solo nel IV
secolo e non al tempo dei primi apostoli. Pubblica “Congresso notturno
delle Lammie”, il suo saggio più noto, nel quale dichiara inesistente la
stregoneria come la si vuole descrivere al suo tempo, e questo sulla base della
logica, della scienza e della stessa ortodossia dei cattolici. Pubblica nei
“Rerum Italicarum scriptores” le sue conclusioni relative alla cronaca di Dandolo
e correggendone le fonti nelle sue basi documentarie. Continua nelle
indagini storiche alla quali aveva dedicato gran parte della sua vita e arrivò
a dimostrare, ad esempio, che era sbagliata la venerazione dei trentini per
Adelpreto, Vescovo di Trento. La sua tesi era spiegata nella Lettera intorno
alla santità e martirio di Alberto vescovo di Trento. Uno dei suoi ultimi
lavori, sempre legato a questo tema: Notizie istorico-critiche intorno al B.M.
Adalpreto vescovo di Trento venne messa al rogo su disposizione del principe
vescovo Francesco Felice Alberti di Enno. Intanto la sua salute peggiora, e muore
senza sapere del suo libro bruciato a Trento. Sempre amante dei libri, quando
non gli fu possibile viaggiare per acquistarli personalmente si affidò a
contatti che col tempo divennero per lui preziosi per procurarseli. A Verona
poté contare su Ottolino Ottolini, a Brescia su Gianmaria Mazzucchelli, a
Modena su Ludovico Antonio Muratori e a Venezia su Gian Rinaldo Carli. A
Rovereto fu molto vicino a Giuseppe Valeriano Vannetti, segretario
dell'Accademia Roveretana degli Agiati, e anche da lui ebbe aiuti per procurasi
i testi dei quali aveva bisogno per i suoi studi. Al Vannetti fu legato anche
per altri motivi, essendo stato per vari anni precettore di Bianca Laura
Saibante, futura moglie di Giuseppe Valeriano, e del fratello di lei,
Francesco. Si procura libri anche grazie a donazioni, eredità e
prestiti. Al momento della sua morte, per esplicita volontà
testamentaria, la sua ricca biblioteca venne donata all'Ospedale dei Poveri
Infermi di Loreto, retta dalla Confraternita dei Santi Rocco e Sebastiano. La
Confraternita tuttavia, poco dopo, decise di metterla in vendita, offrendola
per primo al Comune di Rovereto. In quell'occasione Giuseppe Valeriano
Vannetti e Francesco Saibante si spesero affinché tale importante
acquisizione culturale per Rovereto avesse successo, e l'atto di compravendita
venne registrato. Tre anni dopo la morte di Tartarotti, venne così creata la
prima biblioteca aperta al pubblico a Rovereto. Le intenzioni dello studioso
non furono queste, tuttavia fu proprio il nucleo dei suoi testi ad essere
destinato a questa importante iniziativa culturale, perché sino a quel momento
esistevano in città solo biblioteche appartenenti a privati, come ad esempio
quella dei Rosmini, dei Vannetti, dei Saibante, oppure conservate in conventi;
si stava formando anche quella dell'Accademia Roveretana degli Agiati,
sicuramente molto importante, ma nessuna di queste destinata alla consultazione
di chiunque. Il totale delle opere appartenenti a Tartarotti che confluì
nella biblioteca ammontava originariamente a 2.027 volumi e a 13 manoscritti.
Per quanto riguarda i luoghi di pubblicazione dei volumi, quasi il 30% di essi
proveniva da Venezia. I volumi raccolti durante tutta la vita da Girolamo
Tartarotti costituirono così il primo nucleo della Biblioteca Civica di
Rovereto, che in seguito fu a lui dedicata. Tartarotti e gli agiati Lo
studioso, come sopra ricordato, fu molto attivo a Rovereto e si spese per
portare una maggior apertura culturale in città facilitando l'arrivo di un
tipografo, fondando l'Accademia dei Dodonei, svolgendo il ruolo di precettore
per due dei fondatori dell'Accademia Roveretana degli Agiati, ma non divenne
mai un socio di quella istituzione. Le ragioni del suo rifiuto di far
parte di quell'Accademia, che pure rispondeva a molte delle esigenze che
sentiva anche sue, furono diverse. La principale fu la forte inimicizia con S. Maffei, e il fatto che l'uomo di lettere
veronese fosse entrato tra i primi come socio aggregato dell'associazione.
Questo fece sì che non partecipasse alle riunioni del nascente sodalizio
culturale roveretano. Si riporta qui una piccola selezione di alcuni suoi lavori
da non intendersi come fonti di questa pagina ma come approfondimento e
confronto. “Ragionamento intorno alla poesia lirica Toscana”; “Delle disfide
letterarie, o sia pubbliche difese di conclusion”; “De auctoribus ab Andrea
Dandulo laudatis in Chronico Veneto”; “Apologia del Congresso notturno delle
Lammie”; “Memorie antiche di Rovereto e dei luoghi circonvicini”, “Apologia
delle Memorie antiche di Rovereto”; “Lettera seconda di un giornalista d'Italia
ad un giornalista oltramontano sopra il libro intitolato: Notizie
istorico-critiche intorno al b.m. Adalpreto Vescovo di Trento, Alcune opere sono
pubblicate nella Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici: “Relazione d'un
manoscritto dell'Istoria manoscritta di Giovanni Diacono veronese”; “Dissertazione
intorno all'arte critica”; “Lettera al sig. N.N. intorno alla sua tragedia
intitolata il Costantino; Lettera intorno alla differenza delle voci nella
lingua italiana. Altre opera: “Osservazioni sopra la Sofonisba del Trissino con
prefazione del cav. Clementino Vannetti, La conclusione dei frati francescani
riformati (postumo, Annotazioni al Dialogo delle false esercitazioni delle scuole
d'Aonio Paleario. Annotazioni Ipotesi
avanzata da Gianmario Baldi, Direttore della Biblioteca civica G. Tartarotti e
membro dell'Accademia Roveretana degli Agiati G. Baldi, Fonti M. Farina, Mostra Tartarotti, Mostra Tartarotti, L. Muratori,
Rerum Italicarum scriptores. Mediolani, ex typographia Societatis Palatinae in
Regia Curia, Tartarotti, (check). R.Trinco, Mostra Tartarotti, Sito Biblioteca
Civica G. Tartarotti, su biblioteca civica. Rovereto Comune di Rovereto. G. Baldi, La Biblioteca
civica Girolamo Tartarotti di Rovereto: contributo per una storia” (Calliano,Trento);
Manfrini, Marino Berengo, La letteratura italiana Storia e testi" XLIV tomo
I, Milano-Napoli, Ricciardi, L. Franchini, Adversum malleum maleficarum,
biografia del filosofo pre-illuminista roveretano” (Rovereto, Stella); N. Cusumano,
“Ebrei e accusa di omicidio rituale --. Il carteggio tra Tartarotti e B.
Bonelli” (Milano, Unicopli); M. Farina, “Gl’Agiati” (Brescia, Morcelliana), R. Filosi, La Biblioteca di Girolamo
Tartarotti: intellettuale roveretano del Settecento: Rovereto, Palazzo Alberti,
Rovereto, Provincia autonoma, Servizio beni librari e archivistici,Comune di
Rovereto, Biblioteca civica G. Tartarotti, Renato Trinco, San Marco in Rovereto:
la chiesa arcipretale tra storia, arte e devozione, Mori, La grafica, Gl’Agiati
Roveretani, Biblioteca civica G. Tartarotti Treccani Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Girolamo Tartarotti. Tartarotti. Keywords: accusa di omicidio
rituale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tartarotti” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732517033
Grice e Tataranni – il gusto per l’antico –
filosofia italiana (Matera),
filosofo. Lucano di origine, esponente dell'Illuminismo napoletano. Figlio
di Angelo Bruno e Nunzia Pistoia. Non sappiamo a quale ceto appartenesse la sua
famiglia, ma sicuramente essa era fornita dei mezzi economici e delle relazioni
sociali necessarie per avviare il figlio verso la carriera ecclesiastica. Non a
caso, quando fu battezzato nella Chiesa
cattedrale di Matera, i suoi genitori scelsero come padrini i nobili Giovan
Battista Ferraù e Giovanna Cordova. Sin da ragazzo matura quella che
doveva essere la sua vocazione, tanto che divenne prima allievo e poi docente
del seminario diocesano materano. Sebbene avesse una posizione di un certo
rilievo sia in ambito ecclesiastico, sia in ambito educativo, non mostra alcun
tentennamento nell'accettare l'invito di Michele Imperiali, principe di
Francavilla, che lo vuole a Napoli per affidargli la direzione della sua
Paggeria. Grazie all'incarico conferitogli dal principe di Francavilla,
accrebbe ancor di più la stima di cui già godeva, stringendo rapporti
amichevoli con le personalità più illustri ed autorevoli del tempo, incardinate
nella Reale Accademia delle Scienze e Belle Lettere. Ha la possibilità di
frequentare proprio tali stimolanti dibattiti, che del resto avrebbero formato
l'humus delle sue future riflessioni, in qualità prima di Direttore della
Paggeria, poi della scuola militare del Real Collegio militare, ufficialmente
Reale Accademia Militare, fortemente voluta da re Ferdinando IV, che mostrò di
aderire al generale clima di rinnovamento e consolidamento delle istituzioni
militari del Regno. Proprio in questi anni Onofrio Tataranni ebbe l'onore di
esserne il direttore, partecipando vivamente, dunque, al graduale svilupparsi e
moltiplicarsi dell'alveo della cultura politica riformatrice, che ancora
auspicava un reale cambiamento all'interno dello stesso apparato monarchico.
Così, nell'arco di un settennio, pubblicò delle opere molto significative, in
cui era evidente il suo tracciato ideale di società. Tuttavia, in seguito
agli avvenimenti, quindi dopo il Concordato e dopo la fallita congiura di C.
Lauberg, le sue posizioni rispetto alla politica e allo Stato cambiarono
considerevolmente. Con questa disillusione coincide il silenzio
dell'intellettuale materano, che in quegli anni si limita, a quanto noto, a
proseguire i suoi studi come Direttore. La delusione, si può ipotizzare, lo
spinse a tacere fino alla proclamazione della Repubblica Napoletana, quando dichiarava
sicuro dell'importanza dell'istruzione del popolo e del nuovo cittadino, elabora
il Catechismo Nazionale pe'l Cittadino, nel quale incoraggiava il popolo a
difendere i principi della Rivoluzione a vantaggio dell'umanità intera. Il
catechismo vinse il primo premio indetto dal governo provvisorio e venne
adottato come catechismo ufficiale della Repubblica Napoletana, ebbe il compito
di educare i sudditi a divenire cittadini. Alla caduta della Repubblica,
nel giugno, riuscì a porsi in salvo, rifugiandosi a Matera, nei cui tribunali,
in tale periodo, venivano esaminate le posizioni di ben 1370 rei di Stato lucani,
228 dei quali furono condanll'esportazione e sette a morte. Comunque, a Matera
puo contare su solide relazioni interne al locale Capitolo cattedrale. Più
volte tiene a sottolineare l'importanza della triade Dio-Ragione-Sentimento, in
una sorta di compromesso tra Illuminismo, sensismo e religione. Inoltre,
caratteristica del suo pensiero è una forte connotazione politica, mirando alla
figura del sovrano quale principale esempio per i sudditi, capace di governare
un Regno che si sarebbe dovuto fondare su solidi valori, legati all'importanza
della famiglia, della civiltà contadina e della piccola proprietà terriera,
quest'ultima ottenuta con un giusto ed onesto lavoro. È da evidenziare come il
Tataranni avesse maturato idee di una peculiare modernità, al punto da
convincersi che il passaggio verso una nuova stagione dell'umanità sarebbe
potuto avvenire attraverso la Costituzione di una «Dieta Universale»: egli
sosteneva, infatti, che, ad ogni rappresentante di questo nuovo organismo, essa
avrebbe espresso i giusti diritti del suo Monarca, al fine di raggiungere la
felicità comune e la pubblica sicurezza, ponendosi, negli ordini e nelle
attività sociali, sull'unica distinzione del merito. Notevole importanza e,
poi, assegnata al ruolo dell'educazione e dell'istruzione, poiché
affermal'importanza dello studio delle humanae litterae, unico mezzo, per i
giovani, per riscoprire i principali temi della letteratura e della filosofia
morale antica ed attualizzarli. Inoltre, egli si faceva anche sostenitore dell'istruzione
scientifica, dando priorità alla geometria e, ancora una volta, seguendo il
modello greco, suggeriva di avviare gli alunni sin «dall'età più tenera» al
processo educativo, seguendo le direttive di grandi pensatori. Il
sacerdote-riformatore auspicava tutto questo in un contesto socio-economico che
riservasse particolare attenzione all'attività agraria e ad una pratica
religiosa «semplice pura e brieve. Dunque, predica il ritorno alla religione
delle origini, costruita sull'aiuto reciproco tra gli individui, in modo che gli’uomini
si rassomiglino in qualche modo all'ente supremo d'infinità bonta. Pertanto,
affermava che i sacerdoti dovessero essere esenti dalle pubbliche cariche e che
come gli altri uomini dovessero essere soggetti alla giurisdizione dei giudici laici
nelle loro cause civili. La prima, monumentale, opera fu il Saggio d'un
filosofo politico amico dell'uomo (Napoli). Con la composizione di questo
saggio, Tataranni si propone di delineare il suo tracciato ideale di società,
confidando nella figura del sovrano. Infatti, già il titolo dell'opera risulta
molto significativo, in quanto l'autore si presentava come un filosofo con
atteggiamento “filantropico” nei confronti di Ferdinando IV, al fine di
mostrargli la retta direzione per guidare un giusto governo ed attuare delle
riforme interne allo stesso apparato monarchico, favorevoli alle idee
democratiche. La fiducia che ripone nei riguardi del monarca veniva
ancora espressa nel “Ragionamento sul carattere religioso di Carlo III umiliato
a Ferdinando IV re delle Due Sicilie” (Napoli). Si tratta di un panegirico
riferito al padre del sovrano, Carlo di Borbone, che, spentosi l'anno
precedente, veniva proposto come esempio da seguire al suo erede. In tal senso,
egli si rivolgeva ancora pieno di ammirazione nei confronti di Ferdinando IV
nel “Ragionamento sulle sovrane leggi della nascente popolazione di S. Leucio
umiliata alla maestà di Ferdinando IV re delle Due Sicilie” (Napoli). Nella “Brieve
memoria sull'educazione nazionale della nobile gioventù guerriera l'autore
affrontava il tema, a lui caro come Direttore di istituti di formazione, dell'educazione
dei giovani.” Negli anni Novanta, benché il canonico avesse raggiunto un'età
avanzata, non solo decise di aderire alla Repubblica Napoletana, ma, convinto
dell'importanza che rivestiva la formazione del popolo e del nuovo cittadino,
decise di scrivere, come detto, un Catechismo Nazionale pe'l Cittadino, che fu
dato alle stampe. Archivio Diocesano di Matera, Cattedrale, Battesimi Antonio
Lerra, Catechismo nazionale pe’l cittadino. Progetto di cultura politica e
ruolo dell'antico XV. Antonio Lerra
XVII. Chiosi, Lo spirito del secolo.
Politica e religione a Napoli nell'età dell'illuminismo, Napoli, Giannini); S. Bruno,
"Catechismo nazionale pe' il cittadino". Contributo alla storia della
Repubblica Partenopea, in "Studi Meridionali", Cronache di una
rivoluzione: Napoli (Angeli, Milano); A. Lerra, L'albero e la croce.
Istituzioni e ceti dirigenti nella Basilicata, Napoli, ESI, Salvatore Bruno, Il
catechismo nazionale pe' il cittadino" (noterelle di storia napoletana),
in Scritti in onore di Romualdo Trifone, Storia Meridionale, II, Sapri, Ed. del Centro Librario, S. Bruno,
"Catechismo nazionale pe' il cittadino". Contributo alla storia della
Repubblica Partenopea, in Studi Meridionali, L. Guerci, Istruire alle verità
repubblicane. La letteratura politica per il popolo nell'Italia in rivoluzione”
(Bologna, il Mulino); G. Caserta, Teologo della rivoluzione napoletana, Napoli,
Vivarium, Rosaria Capobianco, La pedagogia dei catechismi laici nella
Repubblica napoletana, Napoli, Liguori Editore, Antonio Lerra, Catechismo
nazionale pe' l cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo dell'antico,
Manduria-Roma-Bari, Lacaita, Antonio D'Andria, Onofrio Tataranni. Un
riformatore napoletano in limine, in Sguardi sul Mezzogiorno in età moderna e
contemporanea, Quaderni eretici | Cahiers hérétiques. Studi sul dissenso politico,
religioso e letterario, fascicolo Illuminismo in Italia Repubblica Napoletana. Storia
della Basilicata Un'analisi dei concetti politici nel Catechismo, su
nuovomonitorenapoletano. L'indice ragionato del Filosofo Politico amico
dell'Uomo La Brieve memoria in edizione integrale. Onofrio Tataranni.
Tataranni. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tataranni” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732260711/in/dateposted-public/
Grice e Telesio – filosofia italiana (Cosenza). Filosofo. Mentre
le sue teorie naturali sono state successivamente smentite, la sua enfasi
sull'osservazione fece il primo dei moderni che alla fine hanno sviluppato il
metodo scientifico. Telesio è nato da genitori nobili. Istruito a Milano
dallo zio, Antonio, lui stesso uno studioso e poeta di eminenza, e poi a Roma e
Padova. I suoi studi hanno incluso tutta la vasta gamma di argomenti, classici,
scienza e filosofia, che costituivano il curriculum degli rinascimentali
sapienti. Così equipaggiata, inizia il suo attacco sul aristotelismo medievale
che poi fiorì a Padova e Bologna. Fonda l’Accademia Cosentina. Per un certo
periodo ha vissuto nella casa di Alfonso III Carafa, duca di Nocera. La sua
grande opera e “Sulla natura delle cose secondo i loro propri principi,” seguito
da un gran numero di opere di importanza sussidiaria. Le opinioni eterodosse,
che ha mantenuto suscitano l'ira di Roma per conto del suo amato aristotelismo,
e poco tempo dopo la sua morte i suoi saggi sono stati immessi sul
Index. Invece di postulare materia e forma, si basa l'esistenza sulla
materia e la forza. Questa forza ha due elementi opposti: calore, che si
espande, e fredde, che i contratti. Questi due processi rappresentano tutte le
diverse forme e tipi di esistenza, mentre la massa su cui opera la forza rimane
la stessa. L'armonia del tutto consiste nel fatto che ogni cosa separata
sviluppa in sé e per sé conformemente alla sua natura e allo stesso tempo il
suo moto avvantaggia il resto. I difetti evidenti di questa teoria, che solo i
sensi possono non comprendere materia stessa, che non è chiaro come la
molteplicità dei fenomeni potrebbe derivare da queste due forze, pensato non è
meno convincente di Aristotles caldo/freddo, secca spiegazione / umido, e che ha
addotto alcuna prova per dimostrare l'esistenza di queste due forze, sono stati
sottolineato a suo tempo. Inoltre, la sua teoria della terra fredda a riposo e
il sole caldo in moto destinato a confutazione
per mano di Copernico. Allo stesso tempo, la teoria e sufficientemente coerente
per fare una grande impressione sulla filosofia italiano. Va ricordato, però,
che la sua obliterazione di una distinzione tra superlunar e fisica sublunare ce
ertamente abbastanza preveggente anche se non riconosciuto dai suoi successori
come particolarmente degno di nota. Quando Telesio continua a spiegare la
relazione tra mente e materia, e ancora più eterodossa. Forze materiali sono,
per ipotesi, in grado di sentire. Questione deve anche essere stato fin dal
primo dotato di coscienza. Per la coscienza esiste, e non avrebbe potuto essere
sviluppato dal nulla. Questo lo porta a una forma di ilo-zoismo. Anche in
questo caso, l'anima è influenzata dalle condizioni materiali. Di conseguenza,
l'anima deve avere un esistenza materiale. Inoltre dichiara che tutta la
conoscenza è sensazione ("non-ratione sensu sed") e che
l'intelligenza è, quindi, un agglomerato di dati isolati, in sensi. Non lo fa,
però, riesce a spiegare come solo i sensi possono percepire la differenza e identità. Alla
fine del suo schema, probabilmente in ossequio alla teologiche pregiudizi,
aggiunta un elemento che e completamente estraneo, vale a dire, un impulso più
alto, un'anima sovrapposta da Dio, in virtù della quale ci sforziamo di là del
mondo sensibile. Questa anima divina non è affatto un concetto completamente
nuovo, se visto nel contesto di Averroestic o tommasiana teoria
percettiva. Il suo intero sistema mostra lacune nella sua tesi, e
l'ignoranza dei fatti, ma allo stesso tempo è un precursore di tutte le
successive dell'empirismo e segna chiaramente il periodo di transizione da
autorità e la ragione di sperimentare e individuale responsabilità. Il
ricorso a dati sensoriali Telesio e il capo del grande movimento italiano
del sud, che protesta contro l'autorità
accettata della ragione astratta e semina i semi da cui spuntavano i metodi
scientifici di Campanella e Bruno, di Bacon e Descartes, con i loro risultati
ampiamente divergenti. Egli, quindi, abbandona la sfera puramente intellettuale
e ha proposto un'indagine sui dati forniti dai sensi, dai quali ha ricoperto
che tutta la vera conoscenza viene veramente (la sua teoria della percezione
sensoriale era essenzialmente una ri-elaborazione della teoria di Aristotele
dal De anima). Nota all'inizio del Proemio del primo libro della terza edizione
del De Rerum Natura Iuxta propria principia Libri Ix... che la costruzione del
mondo e la grandezza dei corpi in esso contenuti, e la natura del mondo, è da
ricercare non dalla ragione, come è stato fatto dagl’antichi, ma è da
intendersi per mezzo di osservazione. Mundi constructionem, corporumque in eo
contentorum magnitudinem, naturamque non ratione, quod antiquioribus factum
est, inquirendam, sed sensu percipiendam. Questa affermazione, che si trova sulla
prima pagina, riassume ciò che molti studiosi moderni hanno generalmente
considerato filosofia telesiana, e spesso sembra che molti non leggere oltre
per nella pagina successiva si imposta il suo caldo teoria/freddo della materia
informata, una teoria che non è chiaramente informato dall’osservazione. L’osservazione
(sensu percipiendam ) è un processo dell’anima molto iù grande di una semplice
registrazione dei dati. L’osservazione comprende anche l’analogia. Anche se
Bacon è generalmente accreditato con la codificazione di un induttiva metodo
che sottoscrive pienamente l'osservazione come procedura primaria per
l'acquisizione di conoscenze, non era certamente il primo a suggerire che la
percezione sensoriale dovrebbe essere la fonte primaria per la conoscenza. Tra
i filosofi naturali del Rinascimento, questo onore è generalmente conferito a
Telesio. Bacone si riconosce Telesio come il primo dei moderni. “De Telesio
autem bene sentimus, atque eum ut amantem veritatis, e Scientiis utilem, e
nonnullorum Placitorum emendatorem & novorum hominum primum agnoscimus”.
Da Bacon De principiis atque originibus) per mettere l'osservazione di sopra di
tutti gli altri metodi di acquisizione delle conoscenze sul mondo naturale.
Questa frase spesso citata da Bacon, però, è fuorviante, perché semplifica
eccessivamente e travisa l'opinione di Bacone di Telesio. La maggior parte del
saggio di Bacon è un attacco a Telesio e questa frase, invariabilmente fuori
contesto, facilita un malinteso generale della filosofia naturale telesiana
dando ad essa un timbro baconiana di approvazione, che era lontano dalle
intenzioni originali di Bacon. Bacone vede in Telesio un alleato nella lotta
contro l'antica autorità, ma ha poco positivo da dire su specifiche teorie di
Telesio. Ciò che forse colpisce di più De Rerum Natura è il tentativo di
Telesio di meccanizzare il più possibile. Si sforza di spiegare tutto
chiaramente in termini di materia informati dalla calda e fredda e per
mantenere i suoi argomenti il più semplice possibile. Quando i suoi colloqui si
rivolgono agli esseri umani che introduce un istinto di auto-conservazione per
spiegare le loro motivazioni. E quando discute la mente umana e la sua capacità
di ragionare in astratto su argomenti immateriali e divine, aggiunge un'anima.
Per senza anima, tutto il pensiero, dal suo ragionamento, sarebbe limitato alle
cose materiali. Ciò renderebbe Dio impensabile e chiaramente questo non era il
caso, per l'osservazione dimostra che la gente pensa di Dio. Telesii,
Bernardini, “De Rerum Natura Iuxta Propia Principii, Libri IX” (Horatium
Saluianum, Napoli). Altre opere: “De Somno”; “De la quae in aere fiunt de Mari De cometis
et Circulo Lactea respirationis De USU. Gli appunti Riferimenti N. Van Deusen,
Telesio: primo dei moderni De La sua, Quae in aere Sunt, & de Terrae motibus
piena facsimile digitale. Bernardino Telesio. Telesio. Keywords: empirismo,
teoria della percezione, l’anima d’Aristotele, l’analogia, l’uomo e gl’animali,
la ragione, I antici, contro I antici, osservazione, percezione, la tradizione
empirista italiana, il Telesio di Bacone. Refs.: Luigi Speranza,
“Telesio e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, *Villa
Grice, Liguria, Italia.. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690478447/in/photolist-2mKHdnD-2mKRW4R-2mKjcFb/
Grice e Tessitore (Napoli). Filosofo. Grice: “If there’s Oxonian dialectic and
Athenian dialectic, there is, to follow Fulvio Tessitore, the ‘scuola
napoletana.’” Si è laureato in giurisprudenza (la sua tesi ricevette dignità di
stampa) presso l'Università degli Studi di Napoli, allievo di Pietro Piovani.
-- è libero docente "per meriti eccezionali" in Filosofia del
diritto; l'anno successivo diventa Professore. Ha dapprima insegnato Storia
delle dottrine politiche; quindi, in poi, Storia della filosofia. È stato
preside della Facoltà di Magistero dell'Università degli Studi di Salerno. Preside
della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Federico II di Napoli,
della quale è stato anche rettore. Socio dell'Accademia dell'Arcadia col nome
di Echione Cineriano. È inoltre socio nazionale dell'Accademia dei Lincei e di
numerose altre accademie. Ha diretto il Centro di studi vichiani del CNR
dal ed oggi fa parte del Consiglio
scientifico dello stesso Centro. È
presidente della Fondazione Pietro Piovani per gli studi vichiani e del
Consorzio interuniversitario "Civiltà del Mediterraneo". Presidente
del Comitato Tecnico Scientifico della Fondazione Internazionale D'Amato onlus.
Socio dell'Istituto per l'Oriente “Carlo Alfonso Nallino” di Roma. È
vicepresidente della Fondazione "Guido e Roberto Cortese". Siede
inoltre nel Consiglio Direttivo dell'Istituto italiano per gli studi storici
fondato da Croce. È stato componente del Consiglio Scientifico dell'Istituto
dell'Enciclopedia Italiana Treccani. Membro del Consiglio Universitario
Nazionale, in cui è stato presidente del Comitato di Lettere, Lingue e
Magistero, vice presidente della Fondazione Teatro di San Carlo, componente del
Consiglio Generale della Fondazione Banco di Napoli del Consiglio direttivo e vice
presidente della CRUI, la Conferenza permanente dei Rettori delle Università
italiane. È Cavaliere di gran croce
dell'Ordine al merito della Repubblica. È stato senatore della Repubblica
italiana nella XIV legislatura nelle file dei Democratici di SinistraL'Ulivo e
deputato nella XV Legislatura nelle file del L'Ulivo. È medaglia d'oro della
Scuola dell'arte e della cultura e della Scienza e della cultura. È autore di
una vastissima di oltre 1500 titoli, tra
i quali 26 volumi, ai quali sono stati assegnati numerosi premi. Opere: “Aspetti del neo-guelfismo napoletano”
(Morano, Napoli); “Crisi e trasformazioni dello Stato: rcerche sul pensiero
gius-pubblicistico italiano” (Morano, Napoli); “Fondamenti della filosofia
politica ” (Morano, Napoli); “La storia delle idee” (Le Monnier, Firenze); “Profilo
dello storicismo politico” (POMBA, Torino); “Lo storicismo” (Laterza, Roma); “Meinecke”
(Laterza, Roma); “Filosofia, storia e politica in Cuoco, Marco, Lungro); “Contributi
alla storia e alla teoria dello storicismo” (Edizioni di Storia e Letteratura,
Roma); Interpretazione dello storicismo, Scuola Normale Superiore, Pisa); Contributi
alla storiografia arabo-islamica Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); La
mia Napoli. Frammenti di ricordi e di pensieri, Grimaldi, Napoli); Letture
quotidiane” (Editoriale scientifica, Napoli) che raccolgono articoli di
giornali quotidiani. Trittico Anti-hegeliano da Dilthey a Weber. Contributo
alla teoria dello storicismo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); “Da
Cuoco a Weber. Contributi alla storia dello storicismo, Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma. Fonda il “Bollettino del Centro di Studi Vichiani”, Archivio
di Storia della Cultura, Civiltà del Mediterraneo, pontaniana.unina. 18
settembre. Curriculum su filosofia.unina.,Treccani Enciclopedie Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Tessitóre. Fulvio Tessitore. Tessitore. Keywords:
Cuoco. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tessitore” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732224826/in/datetaken/
Gruce e Testa – la nemica fortuna –
filosofia italiana (Borgonovo
Val Tidone). Filosofo. Nasce nella nobile famiglia Testa dal giudice Giuseppe e
dalla madre N.D. Vittoria Brigidini. Viene battezzato nella Chiesa della
Collegiata alla presenza dei genitori e
del conte Andrea Arcelli, padrino e parente di Alfonso. Sacerdote, rifiutò la
cattedra filosofica a Pisa e preferì
lavorare a Parma, divenendone presidente dell'area filosofica. Deputato
al Parlamento Sabaudo. Alfonso Testa. Storia di un povero pretazzuolo di
Fausto Chiesa, pubblicato dalla Libreria internazionale Romagnosi di Piacenza. Treccani
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alfonso Testa. Testa. Keywords. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Testa” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701756894/in/photolist-2mPqp6k-2mLNXjb-2mLQdrQ-2mLP9qE-2mLQ1Vx-2mPrdWj-2mLH24C-2mKDwcr-2mKxnN1-2mKgZYb-2bsBYca-2brg4da-PinuJ1-Pinux9-235t9QC-25GubxU-G5ZTNP-25DHLSh-FJVKRC-FcebeC
Grice e Thaulero – il problema d’una antropologia
filosofica – autorita e risentimento -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Abruzzese,
figlio del barone Carlo, nobile di Chieti e patrizio teramano, e di donna Maria
Clemente. Consigue la maturità classica al Liceo Massimo di Roma. Si iscrisse
alla "Sapienza" di Roma, dove si laurea a pieni voti con una tesi in
Filosofia del Diritto, Una metodologia cristiana del diritto, relatore Vecchio
e ottenne il Diploma di perfezionamento con lode in Filosofia del Diritto nella
Scuola di Perfezionamento di Filosofia del Diritto dell'Roma, con la tesi “La
fictio juris in Bartolo da Sassoferrato” (relatore: Sforza). Assistente
volontario di Perticone, ordinario di Storia contemporanea a Scienze politiche,
usufruì di una borsa della Humboldt-Stiftung che gli consentì lunghe permanenze
di studi in Germania per approfondire i suoi studi sulla problematica dei
valori. Sturzo gli affidò insieme ad Addio la direzione del “Bollettino di
Sociologia”, poi divenuto “Sociologia”, divenendo uno dei maggiori
collaboratori dell'Istituto creato dal fondatore del Partito Popolare Italiano.
Inviato al Congresso di Sociologia di Amsterdam e fra i fondatori della Società
Italiana di Scienze Sociali. Consigue la libera docenza in Filosofia
Morale e ricopre vari incarichi presso Salerno. Vinse il concorso a cattedra
per Filosofia Morale del Magistero di Salerno. Morì in un incidente
automobilistico insieme alle figlie Maria Gabriella e Maria Elisabeth. Gli
è stata intitolata la scuola di Cologna Spiaggia (Roseto degli Abruzzi). Altri
saggi: “Società e cultura” (Giuffré, Milano); “Il mare ha voce, ha voce il
vento” (Storia e Letteratura, Roma); “Il darsi dell'Origine nell'esperienza
sociale e religiosa” (Studium, Roma); Intorno al concetto di sociologia
generale, in Sociologia, Bollettino dell'Istituto Luigi Sturzo, A. Giuffré,
Milano); “Il problema del risentimento” (Sociologia, Bollettino dell'Istituto
Luigi Sturzo, N. 1, A. Giuffré, Milano); “Scienze sociali e Sociologia” (Sociologia,
Bollettino dell'Istituto Sturzo, Anno A. Giuffré, Milano); “La Sociologia
storicista (Sociologia, Bollettino dell'Istituto Sturzo, A. Giuffré, Milano); “Razionalità
e storia” (Civitas); “L'autorità” (Sociologia); “Il problema dell'autorità” (Convegno
di Cultura Europea, Bolzano); “Conoscenza e sociologia, in Rivista di
Sociologia, Appunti per la settimana sociale dei cattolici d'Italia, in Rivista
di Sociologia, Sociologia religiosa, in Rivista di Sociologia, Cristianesimo e
storia, in Rivista di Sociologia, “Pregiudizio e religione, in Rivista di
Sociologia, Roma, “Metafisica della
scienza e sociologia”, in Rivista di Sociologia, Roma, “Analisi culturale ed
ecumenismo” in Rivista di Sociologia, Roma, Religione e pregiudizio” (Cappelli,
Bologna); “Il problema di un'antropologia filosofica, in Rivista di Sociologia,
IGuida, Napoli, Corso di lezioni
ciclostilate, con la traduzione, in appendice, di un saggio di Scheler).
Religione e pregiudizio. Analisi di contenuto dei libri cattolici di
insegnamento religioso in Italia Cappelli, Bologna, Nota introduttiva a Hartmann,
Etica -- Fenomenologia dei costumi, in Esperienze, Osservazioni in margine ad
una ricerca su pregiudizio e religione, in Rivista di sociologia, Prospettive
culturali e sociologiche dell'impegno sociale (Relazione tenuta alla Consulta
dei Movimenti Effettive e Seniores della Gioventù di Azione Cattolica). Un
nuovo indirizzo storiografico nella analisi della struttura socio-economica
(Relazione tenuta in occasione del convegno Ignazio Rozzi e l'agricoltura,
Teramo, promosso dal Centro di Studi Storici Abruzzo Teramano), in Rivista di
Sociologia, Riflessione sull'Università televisiva, in Informazione Radio TV.
Studi, documenti e notizie, Speciale Televisione e Istruzione, RAI, Sociologia
ed esperienza religiosa e politica Ricerche di Storia sociale e religiosa. Discendente
del Beato Johannes Thauler Il Tempo, V.
Mathieu, Salerno, G. De Rosa,Seconda Attesa, Vicenza, G. De Rosa, La storia che
non passa: diario politico, Soveia Mannelli, Vincenzo Filippone-Thaulero.
Thaulero. Keywords: autorita e risentimento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Thaulero” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692497310/in/photolist-2mKQoNA-2mKP1GB-2mKP25W-2mKTyvC
Grice e Tilgher
– il relativismo filosofico – filosofia italiana (Resìna). Filosofo. Nato da
padre vetraio tedesco e madre valdostana, visse a Roma dove fu amico e
collaboratore di E. Buonaiuti (studioso di storia del cristianesimo ed
esponente del modernismo italiano), fino alla morte. Lavora come bibliotecario
all'Alessandrina e collabora ad alcuni giornali (tra gli altri, Il Mondo e il
Popolo di Roma), molti dei quali vennero poi soppressi dal regime fascista. I
suoi principali saggi sono: “La crisi mondiale”, “Estetica”; e “La filosofia
delle morali”, nella quale delinea la sua originale visione individualistica. Collabora
al giornale satirico “Il Becco giallo”. E tra i firmatari del Manifesto degli
intellettuali anti-fascisti, redatto da Croce. Da ricordare, anche, tra i suoi
diversi saggi anti-fascisti, “la stroncatura di Giovane Gentile”, che,
soprattutto nell'ironico e irriverente sottotitolo, esprime un dissacrante
giudizio sulla propaganda con l'eloquente frase, di ascendenza bruniana, “Lo
spaccio del bestione trionfante”. Opera anche come critico letterario e
teatrale. E tra i primi a notare l'originalità del teatro pirandelliano,
nonostante i tentativi di contestazione da parte del regime fascista. In ambito filosofico, afferma che non esiste
una scienza morale unica bensì una pluralità di morali che emergono da un fondo
caotico in virtù di un'iniziativa che in parte è creatrice di valori e in parte
effetto di coincidenze casuali, anche se fortunate. In lui riaffiora il
dualismo manicheo di bene e di male, ribelle a ogni composizione dialettica
propria a ogni comodo, quanto illusorio e superficiale ottimismo. Considera
mitico, utopistico, il concetto del progresso che non considera come
altrettanto reali "il regresso, la caduta e la colpa". Nella nota “Antologia dei Filosofi Italiani
del dopoguerra”, oltre a suoi saggi incluse brani tratti dai saggi di Aliotta,
Buonaiuti, Evola, Martinetti, Mignone, Nobile, e Rensi. A Ercolano gli è stato intitolato l'Istituto
d'Istruzione Superiore. Altri saggi: “Arte, Conoscenza e Realtà” (Torino,
Bocca); “Teoria del Pragmatismo trascendentale” (Torino, Bocca); “Filosofi
antichi” (Todi, Atanor); “La crisi mondiale”, “Saggi di socialismo e marxismo”
(Bologna, Zanichelli); “Voci del tempo” (Roma, Libreria di Scienza e Lettere);
“Relativisti contemporanei” (Roma, Libreria di Scienza e Lettere); “Studi sul
Teatro contemporaneo” (Roma, Libreria di Scienza e Lettere); “Ricognizioni,
Roma, Libreria di Scienza e Lettere); “La scena e la vita, Roma, Libreria di
Scienza e Lettere); “Lo Spaccio del Bestione trionfante: stroncatura di Gentile.
Un libro per filosofi” (Torino, Gobetti); con un saggio di Antimo Negri, La
Mandragora, Prefazione di Gabriele Turi, Roma, Storia e Letteratura); “La
visione greca della vita, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, Giordano); “Saggi
di etica e di filosofia del diritto” (Torino, Bocca); “Homo faber” (Roma, Libreria
di Scienza e Lettere, col titolo “Storia del concetto di lavoro nella civiltà occidentale,
Firenzelibri); “La poesia dialettale napoletana, Roma, Libreria di Scienza e
Lettere, Estetica, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, Etica di Goethe, Roma,
Maglione, Filosofi e Moralisti del Novecento, Roma, Libreria di Scienza e Lettere);
“Studi di poetica, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, Cristo e Noi, Modena,
Guanda); “Critica dello Storicismo, Modena, Guanda,Antologia dei filosofi
italiani del dopoguerra, Modena, Guanda); “Filosofia delle Morali” (Roma, Libreria
di Scienza e Lettere); “Moralità. Punti di vista sulla vita e sull'uomo” (Roma,
Libreria di Scienza e Lettere); “Le orecchie dell'aquila: studio sulle fonti
dell'attualismo di Gentile” (Roma, Religio); “La filosofia di Leopardi” (Roma,
Religio); Raoul Bruni, Torino, Aragno,
(con l'aggiunta di altri scritti leopardiani mai riuniti in volume), “Il casualismo critico, Roma, Bardi); “Mistiche
nuove e Mistiche antiche, Roma, Bardi); “Tempo nostro, Roma, Bardi); “Diario
politico” (Roma, Atlantica); “Marxismo socialismo borghesia, Firenze libri); Carteggio
Croce-Tilgher, A.Tarquini, Bologna, Il Mulino); “Pirandello, con testi di Gramsci”
(Pisa, Scuola Normale Superiore, Einstein, S. Trappetti e F. Secci, Dalia
Edizioni, La Stampa di Torino. Redazione, “Spaccio della bestia trionfante” è un saggio del
Bruno, costituita da tre dialoghi di argomento morale, pubblicata a Londra. Le
bestie trionfanti sono i segni delle costellazioni celesti, rappresentate da
animali -- è necessario spacciarle, ovvero cacciarle dal cielo in quanto
rappresentano vecchi vizi che occorre sostituire con moderne virtù. Una nota
dell'OVRA su un presunto tentativo di contestare Pirandello nella tournée in
Argentina si riferisce una grave dichiarazione confidenziale fatta dal noto
letterato anti-fascista a B. Cassinelli, dichiarazione che rileva non solo
l'animosità biliosa di Tilgher contro Pirandello ma anche e soprattutto un
piano prestabilito da oltre tre mesi da rinnegati contro degl’italiani che si
apprestano a far conoscere ai nostri co-nazionali in Argentina, le ultime
novità letterarie degli autori italiani. L. Sedita, “Pirandello, l'a-politico
spiato” (Belfagor), che riproduce la nota, sottolinea l'enfasi negativa con cui
in essa si presenta il noto letterato anti-fascista Tilgher e con cui ci si
sofferma soprattutto sul suo perdurante odioso atteggiamento di sfida e di
ribellione al fascismo. E significativo, alla luce degli studi di Canali, che
il tramite tra la polizia politica e Tilgher sia stato Cassinelli. Cassinelli
divenne amico di Pirandello che ne parla con deferenza in due lettere all’Abba.
Dizionario Biografico degli Italiani G.
Rensi, Frammenti d’una filosofia dell’errore e del dolore, del male e della
morte” (Napoli, Orthotes); Istituto d'Istruzione Superiore ATilgher, su adrianotilgher.edu.
Gianni Grana, Tilgher critico, in, Letteratura italiana. I critici, V, Marzorati, Milano; R. Laz., Enciclopedia
ItalianaII Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Tilgher
com'era, Napoli, Edizioni del delfino, Ernesto Buonaiuti Modernismo teologico
Manifesto degli intellettuali antifascisti Traccani Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Adriano Tilgher. Tilgher.
Keywords: le orecchie dell'aquila, lo spaccio del bestione trionfante. Refs.:
Luigi Speranza, ‘Grice e Tilgher’ – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691568566/in/photolist-2mKNNqN-2mKQcxV-2mKJHtH-2mKQbFj/
Grice e Timossi – filosofia italiana (Genova). Filosofo. Studia a Genova. Svolge
attività di ricerca e di insegnamento seminariale presso l'Ateneo genovese. I
suoi principali interessi sono rivolti alle cosiddette questioni di frontiera,
che riguardano la filosofia, la teologia, la storia della scienza,
l'epistemologia e la religione. In questo ambito, si propone di dimostrare la
possibilità di una metafisica cognitiva e in particolare di una rinnovata
teologia naturale o filosofica che proceda dai rivoluzionari risultati e dalle
conoscenze della scienza contemporanea. È inoltre noto per i suoi studi
critici sull'ateismo. Studioso di logica, ha pubblicato uno dei manuali
introduttivi più letti in Italia ("Imparare a ragionare. Un manuale di
logica", Marietti). Presidente del Consiglio Scientifico della
Scuola Internazionale Superiore per la Ricerca Interdisciplinare e membro del
Comitato di Gestione della Fondazione Compagnia di San Paolo di Torino.
Academia Ligure di Scienze e Lettere. Altri saggi: “Dio è possibile? Il
problema dell'esistenza di un'Entità superiore” (Padova, Muzzio); “Dio e la
scienza moderna. Il dilemma della prima mossa” (Milano, Mondadori); “Prove
logiche dell'esistenza di Dio d'Aosta a K. Gödel. Storia critica dell'argomento
ontologico” (Milano, Marietti); “L'illusione dell'ateismo. Perché la scienza
non nega Dio” (Cinisello Balsamo, San Paolo); Imparare a ragionare. Un manuale
di logica” (Milano, Marietti); “Decidere di credere. Ragionevolezza della fede”
(Cinisello Balsamo, San Paolo); “Nel segno del nulla. Critica dell'ateismo” (Torino,
Lindau); “Perché crediamo in Dio. Le ragioni della fede" (Cinisello
Balsamo, San Paolo); “Credere per scommessa. La sfida di Pascal tra matematica
e fede” (Bologna, Marietti, Centro Editoriale Dehoniano. Timossi. Keywords.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Timossi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733093345/in/datetaken/
Grice e Tincari – iustum quia iussum – filosofia italiana (Roma).
Filosofo. persio. Philosopher of law, Bergamo. Persio Tincari. Tincari.
Keywords: iustum quia iussum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tincari” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731374567/in/datetaken/
Grice e Toderini – filosofia italiana (Venezia).
Flosofo. Figlio di Domenico Maria e di Anna Maria Cestari, discendeva dai conti
palatini Gagliardis dalla Volta. Letterato, pubblica “Letteratura turchesca”
(Venezia, Tosti), frutto della sua permanenza a Costantinopoli, la prima
trattazione occidentale di storia della letteratu turca.Tra gli altri scritti,
in particolare di erudizione e di filosofia morale, si ricordano la Filosofia
frankliniana delle punte preservatrici dal fulmine, particolarmente applicata
alle polveriere, alle navi, e a Santa Barbara in mare del 1771 e “L'onesto uomo;
ovvero, saggi di morale filosofia dai principii della ragione”. è ricordato in
“I Dogi di Venezia nella vita pubblica e private” di A. Mosto (Giunti Martello.
La Dogaressa Pisana morì con gran dolore del Doge "circa le hore ventidue
colta da una gagliarda convulsione al petto et abbattuta dalla lunga penosa
malattia sofferta". Per tutti i tre giorni di esposizione si conserva così
fresca e rubiconda nel volto che sembrava anziché morta assorta in un dolce
riposo. Fu solennemente tumulata ai S.S. Giovanni e Paolo nella tomba comune
dei Mocenigo. Il Doge la seguì dopo nove giorni di malattia in seguito a una
infezione determinata da una risipola alla gamba sinistra. Ai solenni funerali
fatti alla sua statua ai S.S. Giovanni e Paolo venne commemorato da Pietro
Berti ed a quelli fattigli dalla Scuola di San Rocco, cui apparteneva, da Toderini.
Cfr. Le sue opere registrate dal «Sistema Bibliotecario Nazionale». Giambattista
Toderini. Toderini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Toderini” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692047215/in/photolist-2mKRfHn
Grice e Tocco –
filosofia italiana (Catanzaro), filosofo. Studia a Napoli con Spaventa e a Bologna,
con Fiorentino. Insegna a Roma, Pisa e Firenze.
Si pose nelle sue “Ricerche platoniche” (Catanzaro) il problema della
cronologia degli scritti platonici. Nella sua monografia su Bruno, nega che il
filosofo di Nola potesse essere considerato un martire del libero pensiero,
quanto piuttosto l'interprete dei nuovi bisogni di razionalizzazione delle
teorie filosofiche, in linea con l'impulso delle ricerche scientifiche in atto
ai suoi tempi. Contribuisce alla pubblicazione dei saggi di Bruno,
individuandone tre fasi di sviluppo: una fase neo-platonica, una fase
panteistica e una atomistica. Sostenitore
del neokantismo, rifiuta ogni
costruzione metafisica e privilegia le esigenze della ragione pratica. Altri
saggi: “L'eresia nel Medioevo” (Firenze); “Bruno” (R. Istituto di Studi
Superiori Pratici e di Perfezionamento in Firenze); “Le fonti più recenti della
filosofia del Bruno”, "Rendiconti della R. Accad. dei Lincei. Classe di
scienze morali, storiche e filologiche",
“Le opere inedite di Bruno” (Accademia di scienze morali e politiche
della Società Reale, Napoli); Studi francescani (Napoli); Studi kantiani (Palermo).
M. Ferrari, I dati dell'esperienza. Il neo-kantismo nella filosofia italiana” (Firenze,
Olschki); G. Raio, Lezioni su Kant” (Napoli, Liguori); Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Sistema Informativo Unificato per
le Soprintendenze Archivistiche.Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Felice Tocco. Tocco. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Tocco” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732830314
Grice e Tolomei – la filosofia della percezione –
filosofia italiana (Pistoia), filosofo. Appartenente alla Compagnia di Gesù. Nato
a Villa Camberaia tra Pistoia e Firenze fu di nobili origini. All'età di
quindici anni fu mandato a studiare a Firenze dove studiò legge presso l'Pisa.
Entra a far parte dell'ordine dei Gesuiti e venne ordinato a Roma. Divenne
esperto di ben undici lingue tra le quali latino, greco, ebraico, siriaco,
arabo, inglese, illirico e francese. Iniziò la sua carriera teologica
esponendo le Sacre scritture nelle letture pubbliche presso la Chiesa del Gesù
a Roma. All'età di trent'anni venne eletto alla carica di procuratore generale
dell'Ordine dalla Congregazione Generale, ufficio che tenne per cinque anni,
fino a quando cioè non ottenne la cattedra di filosofia al Collegio
Romano. Le sue letture, che ebbero sempre un vasto uditorio, vennero poi
date alla stampa con il titolo “Philosphia mentis et sensuum” nella quale, pur
nel pieno rispetto dell'aristotelismo, accolse gran parte delle scoperte
naturalistiche della sua epoca, esponendole nelle sue lezioni. Le letture
vennero ristampate in Germania dove ottenne l'encomio dell'Accademia di Lipsia
e di Leibniz. Insegnamento Successivamente ottenne la cattedra di
teologia alla Pontificia Università Gregoriana (allora ancora Collegio Romano)
e rinnovò le tematiche relative alla controversia sul concetto di dogma già
iniziate dal cardinal Bellarmino circa un secolo prima. Le letture relative a
queste lezioni furono tutte redatte in un manoscritto di ben sei volumi in
folio che tuttavia non vennero mai pubblicati dall'autore. Eletto
successivamente rettore del Collegio Romano e del Collegio Germanico, ricopre la
carica di Consultore presso la Congregazione dei Riti. La nomina a
cardinale Venne con sua sorpresa nominato cardinale da Clemente XI ed ottenne
il titolo di Santo Stefano al Monte Celio. Chiamato al servizio del Pontefice
per giudicare gli errori in materia di dogmatica si occupò della pronuncia di
condanna dell'eresia del teologo francese, esponente del giansenismo P. Quesnel.
In qualità di cardinale fu uno degli elettori del conclave di nomina di
Innocenzo XIII e di Benedetto XIII. TreccaniEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Battista Tolomei, su Find a
Grave. Opere di Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. David M.
Cheney, Archivio storico della Pontificia Università Gregoriana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Battista Tolomèi, Tolomei. Keywords.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tolomei” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689194446/in/photolist-2mKACFG-2mGnP2f-AJp6ja
Tomatis e Grice – il paradosso filosofico
-- filosofia italiana (Carrù).
Filosofo. Iinsegna alla Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università degli
Studi di Salerno come Professore in Filosofia teoretica. Francesco Tomatis
ha studiato nelle Torino, Heidelberg, Perugia e Macerata. Laureatosi in
Filosofia teoretica all'Torino con Gianni Vattimo e Luigi Pareyson (1991),
dottore di ricerca all'Perugia, seguito da Ferretti e Riconda, di cui è stato
assistente all'Torino, è stato borsista
del Centro studi filosofico-religiosi Pareyson ricercatore della Alexander von
Humboldt-Stiftung all'Freiburg im Breisgau, Professore allo Studio teologico
interdiocesano di Fossano e professore ospite in alcune Università europee e
americane (Madrid, Córdoba, Mendoza.Membro dei comitati scientifici del Centro
studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson di Torino, della Fondazione centro
studi Augusto Del Noce di Savigliano, dell'Accademia estetica internazionale di
Rapallo, dell'Istituto Xavier Tilliette, della Internationale Schelling-Gesellschaft.
Fonda a Cuneo il Seminario angelus novus. Fonda la rivista “Paradosso”. Scrive
sulle pagine culturali di “Avvenire”. Cura una rubrica sul mensile delle
vallate occitane d'Italia “Ousitanio Vivo”, di cui è collaboratore, e collabora
a “La Rivista del Club alpino italiano”. Garante scientifico internazionale
dell'associazione Mountain Wilderness International. Istruttore di Kung Fu
classico cinese, frequentando la Scuola Kung Fu Chang, allievo diretto dei
maestri Ignazio Cuturello e Roberto Fassi. Pensiero Ha dedicato le sue ricerche
a Schelling, Nietzsche, Heidegger, Pareyson, Einaudi, Lao Tzu e Yang Chengfu approfondendo
in particolare il problema ontologico della libertà e del male, del tempo e
dell'escatologia, dei principi e del non-sapere. Ha poi elaborato una filosofia
esperienziale, sperimentata soprattutto in montagna, che intende l'esistenza
come esperienza personale della verticalità del limite, e una filosofia
ermeneutica del dialogo interculturale, particolarmente attenta alla teologia
cristiana trinitaria e al pensiero taoista cinese. Saggi: “Kenosis del
logos. Ragione e rivelazione” (Città Nuova, Roma); “Ontologia del male” (Città
Nuova, Roma); “L'argomento ontologico. L'esistenza di Dio da Anselmo a
Schelling, Roma, Città Nuova Editrice, pareysoniana,
Trauben, Torino, Pareyson. Vita, filosofia, Morcelliana, Brescia, Escatologia della negazione, Roma, Città Nuova,
Friedrich Schelling. Invito alla lettura, San Paolo, Cinisello Balsamo, Filosofia
della montagna, Prefazione di Armando Torno, Postfazione di Reinhold Messner,
Milano, Bompiani, Come leggere Nietzsche, Bompiani, Milano, Dialogo dei
principi con Gesù Socrate Lao Tzu, Bompiani, Milano, Libertà di sapere.
Università e dialogo interculturale, Bompiani, Milano, Verso la città divina. L'incantesimo
della libertà in Luigi Einaudi, Città Nuova, Roma,, Corpo e preghiera. La Via
del T'ai Chi Ch'üan, Roma, Città Nuova); La via della montagna, Bompiani,
Milano, Curatele Luigi Pareyson, Essere, libertà, ambiguità, Mursia, Milano, G.
Riconda, Xavier Tilliette, Del male e del bene, Città Nuova Editrice, Roma, Bruno
Forte, Vincenzo Vitiello, La vita e il suo oltre. Dialogo sulla morte, Città
Nuova Editrice, Roma, Luigi Pareyson, Iniziativa e libertà, Mursia, Milano, M.Baudino,
White-out, Museo Nazionale della Montagna, Torino, Nietzsche, Su verità e
menzogna, Bompiani, Milano, Schelling,
Sui principi sommi. Filosofia della rivelazione Bompiani, Milano,,Luigi
Pareyson, Prospettive di filosofia moderna e contemporanea, Mursia, Milano, Recensioni
Kenosis del logos. Ragione e rivelazione nell'ultimo Schelling, Pref. di X.
Tilliette, Città Nuova, Roma [recensito
da: B. Forte («Avvenire», G. Baget Bozzo («Il Sole-24 Ore», A. Giordano («La
Guida»,Bogo («la masca», G. Pirola («La Civiltà Cattolica»); D'Agostini («La
Stampa. Tuttolibri», F. Viganò («Informazione filosofica», S. Sotgiu («Diorama letterario», 1B. Forte
(«Asprenas», Tilliette («Gregorianum», E. Guglielminetti («Filosofia e teologia»,
Ontologia del male. L'ermeneutica di Pareyson, Pres. diCoda, Città Nuova, Roma),
recensito da: G. Baget Bozzo («Il Sole-24 Ore», G. Ricci («Avvenire», A. Ribero («AdOvest», S. Sotgiu («Diorama letterario»,
M. Micelli («Informazione filosofica», F. Russo («Acta philosophica», G. Garelli
(«La Guida»,]. L'argomento ontologico. L'esistenza di Dio da Anselmo a
Schelling, Città Nuova, Roma [recensito
da: M. Schoepflin («Avvenire», F. Dal Bo («Con-tratto», F. Pepino («la
Bisalta», pareysoniana, Trauben, Torino [recensito da: G. Garelli («La Guida»,F.
Russo («Acta philosophica», F.P. Ciglia («Il Pensiero», Escatologia della
negazione, Città Nuova, Roma [recensito
da: G. Garelli («La Guida», F. Pepino («la Bisalta»), M. Schoepflin («Avvenire A.
Folin («Tuttolibri»,), M.C. Di Nino («Dialegesthai», mondodomani. dialegesthai/)]. Pareyson. Vita,
filosofia,, Morcelliana, Brescia [recensito da: G. A[schero] («La Guida», M.
Schoepflin («Il Giornale», [N. Orengo] («La Stampa. Tuttolibri», M. Schoepflin
(«Avvenire», F. Pepino («Cuneo Provincia
Granda», F. Russo («Acta philosophica», O
argumento ontológico. A existência de Deus de Anselmo a Schelling, tr. port.
bras. di S.J. Schirato, Paulus, Sâo Paulo Brasil, Filosofia della montagna,
Bompiani, Milano [recensito da: G. Reale
(«Corriere della sera», E. Billò («Unione Monregalese», V. Mathieu («Il
Giornale», Vasta («La Sicilia», U. Curi («Messaggero Veneto», L. Caveri
(«Peuple Valdotain»,A. Zaccuri («Letture»), D. Anghilante («Ousitanio Vivo», G.
Lingua («Cuneo Provincia Granda», G. Brunod («PMNet», oin pmnet), M. Schoepflin
(«Il Foglio» A. Rosa («TorinoSette», A. Parodi («La Stampa), G. Pulina
(«Girodivite», A. Rigobello («L'Osservatore romano», ]. Come leggere
Nietzsche, Bompiani, Milano [recensito da: M. Schoepflin («Jesus», ), M. Del Vecchio
(«Diorama letterario», G. Pulina («Recensioni filosofiche», recensionifilosofiche)].
Dialogo dei principi con Gesù Socrate Lao Tzu, Bompiani, Milano [recensito da: M. Iacona («Secolo d'Italia», E.
Billò («L'Unione monregalese»), G. Aschero («La Guida»), M. Schoepflin
(«Giornale di Brescia»), M. Schoepflin («Avvenire», D. Monaco («Filosofia e teologia»,
Libertà di sapere. Università e dialogo interculturale, Pref. di G. Reale,
Bompiani, Milano [recensito da: G.
Giorello («Corriere della Sera. Magazine», E. Castagna («Avvenire», M. Iacona («Il
Borghese», ), A. Torno («Corriere della Sera», *)]. Verso la città
divina. L'incantesimo della libertà in Luigi Einaudi, Città Nuova, Roma,
[recensito da: F. Chittolina («La Guida», [M. Schoepflin] («Il Giornale di
Brescia», G. Tarantino («Secolo d'Italia», 6.11., p.9); M. Iacona («Il Giornale
d'Italia», D. Monaco («L'occhio», F.
Chittolina («La Voce del Popolo», F. Ranucci («Conquiste del lavoro», «Jesus»); S. Bondi («Panorama», E. Di Nuoscio
(«Europa», D. Anghilante («Ousitanio vivo»); F.S. Festa, («»,,// ); G. Bartoli
(«Dialegesthai», 10.7.,//mondodo mani.org/dialegesthai/; D. Monaco («Filosofia
e teologia»,, 1, ];Lubrano («Il Nostro
Tempo». Centro studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson Studio teologico interdiocesano di
Fossano Accademia estetica
internazionale di Rapallo Istituto Xavier Tilliette Ousitanio VivoIl Giornale La Rivista del Club alpino italiano Prof. Francesco Tomatis curriculum,
pubblicazioni, biografia intellettuale. Pagina docente nel sito dell'Università
degli Studi di Salerno. Tomatis. Keywords: paradosso. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Tomatis” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732410263/in/datetaken/
Grice e Tomitano – I precetti della
conversazione civile – filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo. Fondatore di accademie
letterarie, autore di commenti alle opere di Aristotele e autore di scritti di
logica, alcuni dei quali ancora inediti. Da una famiglia originaria di Feltre,
frequenta il corso di filosofia a Padova dove si laurea. Deputato dal Senato
Veneto a leggere l'Organon di Aristotele alla scuola di logicadi Padova. Nel
periodo in cui rimase a Padova strinse amicizia, fra gli altri, con Speroni,
Bembo, Sadoleto, Giovio, Navagero, Fracastoro e Manuzio. Fece parte degl’infiammati,
il cui proposito era scrivere compiutamente in lingua veneziana. Le discussioni
degl’infiammati sono alla base dei Quattro libri della lingua toscana. Scrive
anche due brevi dissertazioni matematiche: il Moisè-Geometria, la dimostrazione
del teorema due rette possono avvicinarsi all'infinito senza mai unirsi,
intuito dal profeta ebreo per grazia divina, e “Introductio cosmographiae”, lezioni
di geometria a fondamento della cosmografia tolemaica. Accusato dal Santo
Uffizio di eresia per la sua espositione letterale a parafrasi al vangelo
secondo Matteo. Dimostra che quella parafrasi non era sua, ma edita a sua
insaputa da un nobile signore N., con cui era assai famigliare. Creduto e
assolto, ma da allora in poi i suoi saggi divennero alquanto conformisti. Lascia Padova e si trasfere a Venezia. I
saggi più importanti del periodo veneziano, a parte la biografia di Baglioni,
sono il “De morbo gallico” e il carme encomiastico “Thetis” in onore di Enrico
III. Altre saggi: “Introductio ad sophisticos elenchos Aristotelis. Eiusdem
brevis methodus diluendorum paralogismorum per divisionem, praeter illa quae
Aristoteles habuit in Elenchis. Quam methodum B. Tomitanus ex dialogis Platonis
et ex Aristotele nuper invenit, adiecta sunt Famigerata veterum Sophismatum
exernpla, ad exercitationem adolescentium” (Venezia); “Ragionamenti della
lingua toscana, dove si parla del perfetto oratore e poeta volgari,
dell'eccellente flosofo Tomitano, diuisi in tre libri. Nel primo libro si pruova
la filosofia esser necessaria allo acquistamento della retorica e della
poetica. Nel secondo libro si ragiona dei precetti dell'oratore. Nel terzo
libro si ragiona delle leggi appartenenti al poeta, e al bene parlare” (Venezia,
Farri); Quattro libri della lingua toscana, dove si prova la filosofia esser necessaria
al perfetto oratore e poeta con due libri nuouamente aggionti, de i precetti
richiesti al conversare con eloquenza” (Padova, Pasquati); “Sonetti e Canzoni,
in Rime diuerse di molti eccellentiss. autori nuouamente raccolte. Libro primo,
con nuoua additione ristampato” (Venezia, Ferrarii); “Esposizione letterale del
testo di Mattheo Evangelista” (Venezia); “Sopra le Pistole di S. Paolo” (Venezia);
“Moisè”; “Geometria (Mantova); Introductio Cosmographiea (Venezia); Prediche
del reuerendissimo monsignor Cornelio Musso, vescouo di Bitonto, fatte in
diuersi tempi, et in diuersi luoghi. Nelle quali si contengono molti santi
euangelici precetti, non meno utili, che necessarij alla interior fabrica dell'huomo
cristiano. Con la tavola delle cose più notabili in esse contenute” (Venezia,
Gabriel Giolito de Ferrari et fratelli); “Oratione recitata per nome de lo Studio
de le Arti padovano ne la creatione del Serenissimo Principe di Vinetia M.
Marcantonio Trivisano, Venezia,Clonicus, sive de Reginaldi Poli laudibus,
Venezia Consiglio sopra la peste di Vinetia. Al Magnifico M. Francesco Longo
del Clarissimo M. Antonio” (Padova); Corydon, sive de Venetorum laudibus, et
Carmen ad Laurentium Priolum Venetorum Principem” (Venezia, Breznicio); “Animadversiones
aliquot in primum librum Posteriorum Resolutoriorum. Contradictionum solutiones
in Aristotelis et Averrois dicta, in primum librum Posteriorum Resolutoriorum.
In novero Averrois Quaesita demonstrativa Argumenta, Venezia,Consiglio de
l'eccell. m. Bernardino Tomitano sopra la peste di Vinetia, Padova, appresso
Gratioso Perchacino, De morbo gallico, inVenezia, Vita e fatti di Astorre
Baglioni; “Quattro libri della lingua thoscana, ove si prova la philosophia
esser necessaria al perfetto oratore et poeta con due libri nuovamenti aggionti
dei precetti richiesti a lo scrivere et parlar con eloquenza” (Padova); “Thetis”;
“In adventu Regis Henrici III Galliae Christianissimi et IV Poloniae
Serenissimi ad felicissimam Venetiarum urbem, Venezia, Ziletti). Aristotelis opera
omnia cum commentariis Averrois. Animadversiones et solutiones Et alia plura” (Venezia,
Iuntas). I primi due libri sono tesi a dimostrare che la filosofia è necessaria
all'oratore e al poeta. Il terzo libro ha per argomento i precetti della
retorica necessari alla scrittura e all'oratoria. L'ultimo libro è dedicato
alla prosa d'arte ("locutione oratoria, et de' suoi ornamenti, con la
ragion de i motti, facetie et apologi").
A. Poppi. Ricerche sulla teologia e la scienza nella scuola padovana” (Soveria
Mannelli, Rubbettino); “Ricerche sulla teologia e la scienza nella Scuola
padovana”A. Poppi; “Oratione prima alli Signori de la S. Inquisitione di
Venetia” (Padova); e Oratione seconda alli Signori medesimi, Venezia). Quest'opera
è nominata solo da Doni nella sua Prima Libraria, un repertorio dei libri italiani
stampat..L'opera del Tomitano, pertanto, deve essere stata scritta. È una
biografia in otto libri su Astorre Baglioni, il capitano ucciso con Marcantonio
Bragadin a Famagosta. La filosofia rimase ignota ai contemporanei del Tomitano
ed è in gran parte ancora adesso inedita. Ne sono stati stampati solo alcuni
brani. Storia della letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi, della
Compagnia di Gesù, bibliotecario del serenissimo Duca di Modena, Firenze,
Molini e Landi, Dizionario critico della letteratura italiana, Torino, POMBA, su
sapere, De Agostini. Opere Aulo Greco, Enciclopedia dantesca, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Bernardino Tomitano. Tomitano. Keywords: i precetti
della conversazione civile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tomitano” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733048755
Grice e Toritto – filosofia italiana (Napoli). Filosofo.
Grice: “I like Caravita; Locke – England’s, and Oxford’s, greatest philosopher,
had his sponsor, and so does Italy’s – not Bologna’s – Vico, and he was Caravita!”.
Appartenente a una famiglia nobile resa illustre in passato da insigni
giureconsulti. Fiscale consigliere della reale Giurisdizione. Insegna a Napoli.
Compone il saggio: “Nullum ius romani pontificis in Regnum neapolitanum” contro
le pretese feudali della Santa Sede sul regno di Napoli – “Niun diritto compete
al sommo pontefice sul regno di Napoli: dissertazione istorico-legale
illustrate con varie note” (Aletopoli, Napoli), messa all'Indice. Ha inoltre
l'incarico di raccogliere tutte le leggi del Regno in un Codice Filippino; il
Codice Filippino, e tuttavia rimasto incompiuto per l'occupazione austriaca di
Napoli. In filosofia e seguace dell'anti-aristotelismo di Capua. La sua
abitazione divenne il centro della diffusione della filosofia di Cartesio a
Napoli. Titolo di merito di Caravita, come peraltro del figlio Domenico, è
l'essere stato amico e protettore di Vico, a favore del quale si adopera per
fargli ottenere la cattedra di retorica e perché e accolto nell'Accademia
Palatina. Altri saggi: “Ragioni a pro
della fedelissima città e Regno di Napoli contr'al procedimento straordinario
nelle cause del Sant'Officio, divisate in tre capi. Nel I si ragiona del grave
pregiudicio della real giuridizione, Nel II si tratta dell'ordinaria maniera di
giudicio, che tener si dee nel regno, e nel III si dimostra il pregiudicio, che
fa alla real giuridizione, ed al regno un editto in cui si stabilisce il
tribunal della 'nquisizione. Napoli. Dizionario biografico degli italiani. Ma l’ anti-marinismo ebbe anche, secondo la moda del tempo,
il suo salotto nel palazzo Toritto nel quartiere dei Vergini. Quivi, più che
nell’Accademia.. Armellini, Mariano. Bibliotheca Benedictino[-]Casinensis....
Stefano...raccolti da don Nicolò Caravita. Napoli, Roselli, ed.
Caravita was an Arcadian. Tiberius by Filippo Anastasio, Caligula,
and Claudius by Paolo Doria. The second volume continues the biographical model
with twenty-six essays dedicated to individual emperors. Nicolò Caravita. Niccola Caravita Nicola Caravita. Nicola
Caravita dei duchi di Toritto. Caravita-Toritto. Toritto. Keywords. impiegatura
da salotto, diritto, anti-popism – il laico --, anti-aristotele, contro
Aristotele, concetto assolutista di sovereignty contro Aquino, quartiere dei
Vergini – Capua. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Caravita” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733042450/in/datetaken/
Grice e Torlonia –filosofia italiana (Roma), filosofo. Figlio del duca Marino e
di Anna Sforza Cesarini, figlia del VI principe di Genzano Francesco. Appartene
a una delle più facoltose famiglie nobiliari romane. Il padre, duca di Poli e
di Guadagnolo, e titolare del feudo di Bracciano e vive a Roma nel palazzo
Torlonia in via Bocca di Leone. La madre porta in dote la villa Ludovisi a
Frascati. Sposa Francesca Ruspoli, figlia di Bartolomeo e nipote del III principe
di Cerveteri Francesco. Dal loro matrimonio nacque Clemente. Nannarelli, amico
intimo e su biografo così lo descrive. I capelli castani, abbondanti e
finissimi, il pallore e la gracilità del volto. Ma se la fronte e di filosofo,
l'occhio e d'artista, o meglio, di contemplatore. Svelto nella persona, di
eccellente statura, incede frettoloso a testa alta e pensierosa. Si esprime con
eleganza in francese, inglese e tedesco e studia diligentemente il greco e il
latino. Spirito avido di conoscenze, e attratto dalla chimica e dalla botanica.
Nelle sue passeggiate nella campagna romana raccoglie e cataloga piante e
fiori. Appassionato di archeologia, colleziona monete di epoca romana e
trascrive antiche iscrizioni. Scio della Pontificia Accademia di Archeologia.
Pronuncia un discorso in occasione del natale di Roma. Religioso fervente, è
introdotto da Passaglia allo studio della patrologia e delle sacre scritture.
La famiglia lo tollera, ma lo considera visionario e innovatore pericoloso. Da
Platone e da Plotino, approde a Kant e Fichte. Gli torna in contemplazione
entusiastica, gli si face poesia. E in contatto con un gruppo di filosofi, suoi
coetanei, oggi identificati come i filosofi della Scuola romana che di sera si
ritrovavno al caffè Nuovo, a piazza San Lorenzo in Lucina (Palazzo Ruspoli).
Novello mecenate, ha raccolto intorno a sé questo gruppo di giovani spinti dal
comune ideale di ricondurre la filosofia agli antichi splendori di Roma. Tra
questi, ci sono Gnoli, Ciampi, Maccari, e Nannarelli. Vuole riuniti idealisti e
classicisti, nella fiducia che, temperata la nebulosità metafisica degli uni e
la gretta sensibilità degli altri, e prendendo il meglio d'ambedue le scuole,
puo scaturire a grado a grado una filosofia italiana, profonda e intima d'idea
e di sentimento, nitida, elegante di forma. Scrisse sulla filosofia dell’amore
platonico, sui fiori, sulla contemplazione del divino. Ama Schiller, Goethe,
Lenau, e Leopardi. Declama Aligheri e Tasso. Il suo saggio meritata le lodi di
Gregorovius. Suoi saggi apparvero nella raccolta “I fiori della campagna romana,
stampata a Firenze e nella “Strenna romana. Giovanni Costa, Trebbiatura nella
campagna Romana, A Monte Mario, nei casali Mellini, sotto l'Osservatorio
Astronomico, apre a sue spese una scuola rurale elementare. Straordinario
precursore della alfabetizzazione delle classi povere, cre una Associazione
promotrice delle scuole di campagna. A questa scuola rurale dedica un elogio in
latino. Nannarelli accorse al suo capezzale. Lo ude recitare il Salmo 41 e
versi di Lenau; e Platone, e Fichte. Raccomanda alla moglie di mandare il
figlio Clemente al collegio di marina di Genova. Nannarelli tenta di
raccogliere intorno a sé i Poeti della Scuola romana che furono decimati nel
numero, per le morti precocima si trasferì a Milano. Secondo le ferree disposizioni
ricevute da Torlonia, il suo cameriere distrusse tutte le carte dell'archivio
personale. Gnoli conserva i manoscritti di tre saggi di Torlonia, inedite. S.
Negro, Seconda Roma, Vicenza, Neri Pozza, Domenico Gnoli, op. citata in. Ferdinand Gregorovius, Passeggiate per
l’Italia. Domenico Gnoli, I Poeti della Scuola romana” (Bari, Laterza); Fabio
Nannarelli, Giovanni Torlonia” (Firenze, Le Monnier); Giuseppe Cugnoni, Vita di
D. Giovanni Torlonia” (Velletri, Cella);
F. Ulivi, “I poeti della Scuola Romana” (Bologna, Cappelli). Torlonia.
Keywords: la filosofia dell’amore di Platone in Fichte e Leopardi. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Torlonia” – The Swimming-Pool Library.
Torre (Forli). Grice: “I like Torre; his epitaph reads, ‘nuovo
Aristotele,’ which is what it was! There is a nice ‘via’ in Forli after him
that leads to the varsity! He was a Galen, and philosophised on both the soul
and the body!” – Filosofo. La sua fama se deve al commentario alla Ars parva di
Galeno -- è noto, in particolare, per i suoi studi di embriologia. Infatti,
dopo il recupero di Aristotele, le cui opere avevano spinto verso un rinnovato
interesse per l'osservazione diretta, si e avviato un dibattito tra i
sostenitori dell'autorevolezza degli studi antichi e i fautori dell'empiria.
Questo processo si conclude proprio con Torre, che cerca di conciliare
l'embriologia aristotelica con la fisiologia galenica. Mostra che le differenze
esistenti sono di scarsa rilevanza nei confronti della medicina pratica. Insegna
a Padova. Explicit questio de intensione et remissione formarum secundum
famosissimum artium et medicine doctorem magistrum Jacobum de Forlivio qui 1414
pridie ydus februarii ab hac vita ad superiora migravit. Scripta vero per me
fratrem Bellinum de Padua. Si tratta della conclusione del celebre “De
intensione et remissione formarum”. Saggi: “De intensione et remissione
formarum”; “Expositio in Avicennae aureum capitulum de generatione embryi ac de
extensione graduum formatione foetus in utero in Aphorismos Hippocratis
Expositio Physica I-IV; “Quaestiones extravagantes Super I, II, III Tegni
Galeni. G. Vescovini, Medicina e filosofia a Padova, Arti e filosofia. Studi
sulla tradizione aristotelica e i "moderni", Vallecchi, Firenze. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Super aphorismos Iacobi Foroliuiensis in
Hippocratis Aphorismos et Galeni. Jacopo da Forlì. Giacomo da Forli. Iacobus
Foroliviensis. Jacopo della Torre. Giacomo della Torre. Torre. Keywords. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Torre” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732133946/in/datetaken/
Grice e Trabucco – filosofia italiana (Caltagirone). Filosofo. Non abbiamo
grandi notizie della sua vita, della quale sappiamo solo che esercitò con
successo la medicina a Caltagirone, soprattutto durante l'epidemia. Per il suo
contributo fu creato nobile da Fernando d'Aragona. Alcune sue opere sono
conservate nella Biblioteca Comunale di Caltagirone, città che gli ha anche
dedicato una strada. Opere "De
Morbis puerorum et mulierum"
Chaudon, L. M., Dictionnaire universel, historique, critique, et
bibliographique, v. Amico e Statella, V. M., Dizionario topografico della Sicilia,
Palermo. Libro d'oro della nobilità dell'imperial casa amoriense, Roma, s.v. Amati, A., Dizionario corografico
dell'Italia. Trabucco. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trabucco” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732778369/in/dateposted-public/
Grice e Tragella (Trezzano sul Naviglio). Filosofo. Figlio
di Giovanni, medico chirurgo, e d’Amalia Santagostino. Studia a Gorla Minore,
Milano, e Torino. Si occupa di serbare la memoria sdella battaglia di Magenta con
la costruzione di una cappella espiatoria all'interno della chiesa per
accogliere le spoglie dei caduti. Ricovero vecchi poveri Sito Lombardia Beni
Culturali. Viviani, cfr. Tunesi, Morani
Le stagioni, op. cit.. Cesare Tragella,
Lettera a Romolo Murri in: R. Murri, L. Bedeschi, Carteggio. II. Lettere a
Murri. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, Le stagioni di un prete, Le
stagioni di un prete, «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», A. Viviani, Dalle
ricerche la prima storia vera, Magenta, Zeisciu. Cesare Tragella. Tragella.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tragella” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732115761
Trapaninapola
(Roma). Filosofo italiano. Trapaninapola. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Trapaninapola” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732111711/in/datetaken/
Grice e Trapè – filosofia italiana (Montegiorgio). Flosofo. Uno dei massimi studiosi della filosofia
semiotica d’Agostino. Si laurea a Roma con una “Il concorso divino in
Colonna” (Tolentino). Insegna a Roma. Promosse la fondazione dell'Istituto
Patristico Augustinianum. Fondato la "Biblioteca Agostiniana"
che si occupa della volgarizzazione di S. Agostino (Città Nuova) e il "Corpus
Scriptorum Augustianorum", che pubblica le opere dei filosofi scolastici
agostiniani. Altri saggi: “Il concorso divino in Colonna” (Tolentino); “Introduzione
a S. Agostino e le grandi correnti della filosofia contemporanea. Atti del
congresso Italiano di filosofia Agostiniana, Roma, Tolentino; Varro et
Augustinus praecipui humanitatis cultores, Latinitas Augustinus et Varro, Atti
del Congresso di studi varroniani, Rieti); “Escatologia e anti-platonismo” Augustinianum,
“Agostino filosofo e teologo dell'uomo”; Bollettino dell’Istituto di filosofia
(Macerata); Agostino: L'ineffabilità di Dio, in
«La ricerca di Dio nelle religioni (EMI, Bologna); “La Aeterni Patris e
la filosofia” (Atti del Congresso Tomistico, Roma); Agostino, l'uomo, il
pastore, il mistico” (Roma, Città Nuova); Patrologia III, Casale Monferrato, Dizionario
patristico e di antichità cristiana, Casale Monferrato, Introduzione e commento
alla Lettera apostolica «Hipponensem episcopum», Roma, Introduzione ad Agostino,
Roma, L'amico, il maestro, il pioniere,
Carlo Cremona, apostolo della cultura.Agostino Trape. Trapè. Keywords. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Trapè” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732098051/in/dateposted-public/
Grice e Trasci – colloquio con me stesso -- filosofia
italoalbanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bisignano). Filosofo.
“Spera in Deo” Baffa Trasci nacque in una famiglia di origine arbëreshë
a Bisignano, figlio di Pietro Antonio ed Elisabetta Anna Trentacapilli, donna
pia e molto religiosa, erede di una famiglia da più secoli ascritta al
patriziato locale. Pur essendo il primogenito della famiglia e, dunque,
contravvenendo alle regole del maggiorascato, a causa della salute cagionevole
venne avviato alla carriera ecclesiastica nel locale Seminario, proseguendo gli
studi a Roma e Napoli. Fu nella città partenopea che si lega particolarmente
alla Compagnia di Gesù divenendo in breve tempo uno dei confessori più vicini a
Isabella della Rovere, principessa di Bisignano. Per non essere distolto dai
propri studi filosofici si ritira volontariamente a vita privata, dapprima
nella Tuscia e poi ospite nel Castello di Proceno, presso Viterbo di proprietà
della nobile famiglia Sforza. Ancora nei primi Professore una lapide marmore
posta nella rocca ne ricordava la sua permanenza. Da tale esilio usce in
pochissime occasioni, assistito dal nipote Stanislao Baffa Trasci. Fu durante
la reclusione nella Rocca di Proceno che ha modo di conoscere Galilei ospite
nel palazzo durante un suo viaggio verso Roma. Dopo esser stato vescovo di
Umbriatico,venne creato Vescovo di Massimianopoli in partibus infidelium da Alessandro
VII. Saggi: “Colloquio con me stesso”, di Ottaviano. Universam Aristotelis
philosophiam; Summa Aristotelicha; Summa Theologica Dogmatica Tomassetti, Cenno
storico sulla vita di S.E. Ferrante Baffa Trasci Illustrissimo Vescovo di
Massimianopoli Roma); C. Nutarelli,
Proceno-Memorie storiche, Acquapendente, D. Baffa Trasci Amalfitani di Crucoli,
erudito italoalbanese Professore or mai dimenticato, MIT Cosenza. Ferrante Marco Antonio Baffa
Trasci. Ferruccio Baffa-Trasci. Trasci. Keywords: “conversazione con me
stesso”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trasci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732954125/in/photostream/
Grice e Treves – giudici e giustizia nella filosofia
italiana – ventennio fascista -- filosofia italiana (Torino). Filosofo. Compie gli studi al Liceo M. D'Azeglio
e poi nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Torino, dove entra in contatto, fra
gli altri, con Bobbio, Foa, Luzzati, Entrèves, e simpatizza con il gruppo di
Giustizia e Libertà abbracciando i principi del socialismo liberale. Laureatosi
sotto la guida di G. Solari con una tesi su Henri de Saint-Simon e conseguita
la libera docenza, insegna dapprima a Messina, dove viene arrestato per
sospetta attività antifascista. Trasferito a Urbino viene escluso dal concorso
bandito sulla sua cattedra. Insegna a Parma,
si trasferisce a Milano. Protagonista della rinascita post-bellica della
sociologia in Italia, coopera attivamente col Centro nazionale di prevenzione e
difesa sociale e col suo segretario generale Adolfo Beria di Argentine,
coordinando fra l'altro una vasta ricerca su “L'amministrazione della giustizia
e la società italiana in trasformazione” da cui escono dodici volumi di vari
autori. Presiede questo Comitato facendosi attivo promotore della sociologia
del diritto. Fonda la rivista italiana
della disciplina, di cui ottiene il riconoscimento accademico e che insegna a
Milano. Difende una posizione filosofica relativista e prospettivista,
influenzata da Mannheim, Mills e Kelsen, del quale ultimo introduce in Italia
la Dottrina pura del diritto. Alieno dal dogmatismo e paladino di una
concezione critica della scienza, rifiuta ogni visione metafisica del diritto
in favore di una visione metodologica che sfocia nella sociologia del diritto
intesa come scienza prevalentemente empirica, non avalutativa, ma ispirata a
valori, nel suo caso quelli di libertà e giustizia sociale -- è considerato
insigne maestro per un'intera generazione di filosofi e sociologi del diritto. Due
sono i problemi che la sociologia del diritto deve affrontare: da un lato la
posizione, la funzione e il fine del diritto nella società vista nel suo
insieme; dall'altro la società nel diritto, cioè quei comportamenti effettivi
che possono essere conformi e difformi rispetto alle norme, ma comunque
forniscono informazioni su come una società vive le regole che si è data. Del
primo problema si sono occupate soprattutto le dottrine sociologiche e
politologiche, mentre sul secondo si sono soffermate le dottrine giuridiche
anti-formalistiche. Saggi: “Il diritto come relazione” (Torino); “Diritto e
cultura” (Torino); “Spirito critico e spirito dogmatico” (Milano); “Libertà politica
e verità” (Milano); “Giustizia e giudici nella società italiana” (Bari); “Introduzione
alla sociologia del diritto” (Torino); “Sociologia del diritto -- Origini, ricerche,
problem” (Torino); “Sociologia e socialism - ricordi e incontri” (Milano); “Dizionario
biografico dei giursti italiani” (Bologna, Il Mulino); Il magistero; in La
Nuova Antologia, A.Colombo, La lezione in La Nuova Antoogia, V. Ferrari, Sociologo
del diritto, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, in Ratio Juris, ss. V. Ferrari, Morris L. Ghezzi Morris L.
Ghezzi, La scienza del dubbio. Volti e temi di sociologia del diritto (Mimesis,
Milano-Udine), M. Losano, Sociologo tra il vecchio e il nuovo mondo, Unicopli,
Milano); P. Marconi, Il legato culturale, in Sociologia del diritto, A. Tanzi,
dalla filosofia alla sociologia del diritto, ESI, Napoli, C. Nitsch, Renato
Treves esule in Argentina. Sociologia, filosofia sociale, storia. Con documenti
inediti e la traduzione di due scritti di Treves, Memorie dell'Accademia delle
Scienze di Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Sociologia
del diritto, Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Samuele Renato Treves. Renato Treves. Treves. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Treves” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732056751/in/dateposted-public/
Grice e Tria –
filosofia italiana (Laterza). Filosofo. Figlio di Francesco e Margherita
Geminale, completa i suoi studi di filosofia, teologia e ambe leggi a Napoli e
Roma. Uditore di diritto canonico presso il monastero benedettino di Cava de'
Tirreni rimase al servizio di questa abbazia anche quando fu trasferito a Roma,
fu nominato vicario generale di monsignor L. Gherardi, vescovo di Loreto e
Recanati, e tale rimase. Più tardi, con monsignor Giuseppe Firrao, ebbe
l'incarico di "nunzio straordinario" alla Corte del Portogallo. Quando monsignor Firrao, per questione di
salute, fu trasferito in Svizzera, Tria andò con lui a Lucerna. Durante la sua
permanenza in Svizzera intraprese un'importante missione in Svezia e
Germania. Fu eletto vescovo di Cariati e
Cerenzia ed entra in carica presiedendo il sinodo). Fu trasferito poi a Larino. Partecipa al
concilio di Benevento. Nominato «consulente del Sacro Offizio» e nel dicembre
dello stesso anno fu nominato arcivescovo di Tiro. Divenne «esaminatore di Vescovi» e fu
insignito del titolo di cavaliere dell'Ordine di San Giacomo per i suoi
meritori servigi resi alla Corte di Lisbona. Il suo erudito lavoro
include: “Memorie storiche civili di
Larino (Roma); “Accommodamento tra il Papato e la Corte Reale di Napoli” (Roma),
“Benedetto XIII”. Memorie storiche degli scrittori regno di Napoli, Napoli, Tipografia
dell'Aquila di V. Puzziello, Diocesi di Larino Pietro Pollidori Giovan Battista
Pollidori. Giovanni Andrea Tria. Tria. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Tria” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691157511/in/photolist-jkEKUz-jkGK9m-js45BA-2mKLGeD-Eoj4SX-CntuMM-B81GRb-nYmKDe-o12Njk-nFRxoj-nHwvZT-jkJZJm-jkK47d-jfURKx-jhV5Hs-i6ET1i-i5G95S
Grice e Trincheri – filosofia italiana (Pieve di Teco). Filosofo. Nacque da una famiglia
benestante che aveva in possesso alcuni ettari di terreno. Appassionato alli romantici, e riconosciuto e
si afferma all'interno della cerchia dei letterati del suo tempo grazie alla
brillante difesa in favore di Manzoni, quando quest'ultimo pubblica la sua prima tragedia, Il Conte di Carmagnola.
E con il sostegno del suo maestro e amico Goethe, famoso filosofo e scrittore
romantico, che riusce a far valere la proprio opinione positiva nei confronti
dell'autore dei Promessi sposi. Poche altre notizie biografiche si conoscono a
proposito della sua vita che, a causa di un incidente in cui fere a morte il suo
amico, Andrea Speranza, crolle in una situazione estremamente travagliata. Trincheri. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Trincheri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731216227/in/photolist-2mPj1ia
Grice e Troilo – la conflagrazione – filosofia italiana (Perano). Filosofo. Insegna a Palermo e Padova. Lincei.
Partito dal positivismo del suo tutore Ardigò, pervenne a una sorta di
metafisica, da lui chiamata realismo assoluto, che richiama il panteismo di
Bruno e di Spinoza. L'essere eterno infinito, tutt'uno con lo spirito assoluto,
è il presupposto e il principio unificatore degli esseri relativi. Trascendente
e indeterminato, l'essere si immanentizza e si determina nella realtà e negli
individui, oggettivandosi di fronte ai soggetti come assolutamente altro da
questi. Opere: “Il misticismo”; Idee e
ideali del positivism, La filosofia di G. Bruno”; “Il positivismo e i diritti
dello spirito”; “Figure e studi di storia della filosofia”; “Lo spirito della
filosofia”; “Le ragioni della trascendenza o del realismo assoluto”. Società
Filosofica Italiana Sezione di Sulmona, riferimenti in Garin, Cronache di
filosofia italiana, Laterza, Roma-BariPra F. Minazzi, Ragione e storia nella filosofia
italiana (Rusconi, Milano); Cappelli, L'orizzonte filosofico: Idealismo e
Positivismo nella prima metà Professore Pra. Dizionario di filosofia, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Erminio Troilo, biografia e nel sito della Società Filosofica
ItalianaSezione di Sulmona "Giuseppe Capograssi". Erminio Troilo. Troilo.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Troilo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732888265/in/datetaken/
Grice e Tronti – dello spirito libero – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Considerato uno dei principali fondatori ed
esponenti del marxismo operaista teorico. Insegna a Siena, vive a Roma. Fonda
“Quaderni Rossi” e “Classe operaia”. Anima l'esperienza radicale
dell'operaismo. Tale esperienza, che va considerata per molti versi la matrice
della sinistra si caratterizza per il fatto di mettere in discussione le
organizzazioni del movimento operaio (partito e sindacato) e di collegarsi
direttamente, senza intermediazioni, alla classe in sé e alle lotte di
fabbrica. Influenzato da Volpe, s’allontana di Gramsci, o almeno dalla sua
versione ufficiale promossa dal PCI togliattiano. Ri-apre la strada
rivoluzionaria. Di fronte all'irruzione dell'operaio-massa sulla scena delle
società, il suo operaismo propone un'analisi delle relazioni di classe. Mette
l'accento sul fattore inter-soggettivo. La sua filosofia, debitrice anche all’’Operaio”
di Jünger, trova una sistemazione con la pubblicazione di “Operai e capitale” (Einaudi,
Torino), un saggio di forte impatto letterario che esercita un'influenza notevole
sulla contestazione e più in generale sull'ondata di mobilitazione. Fu proprio
la sconfitta della spontaneità operaia e dell'ondata di mobilitazione, colta
anticipatamente da lui e non invece da altri operaisti come Negri (di qui la
rottura tra loro) a indurlo a spostare la sua riflessione sul problema del
politico, ovvero della direzione e della mediazione politica. Pubblica “L’autonomia
del politico” (Feltrinelli, Milano), una
teoria politica realista che, in un'originale commistione di Marx e Schmitt, e
capace di colmare i limiti della inter-soggettività sociale. Si tratta di una
fase più intellettuale che politica. Fonda l'influente rivista Laboratorio
politico. Riavvicinatosi al PCI di Berlinguer, e finalmente riabilitato dal
gruppo dirigente del partito, entrando a far parte più volte del Comitato
centrale. Eletto al Senato della Repubblica nelle liste del Partito
Democratico della Sinistra, membro della Commissione parlamentare per le
riforme istituzionali. Non avendo
condiviso le trasformazioni post-comuniste del partito, la sua filosofia assume
toni pessimistici, concentrandosi sulla fine della politica moderna e sulla
critica della democrazia. Presidente del Centro per la Riforma dello Stato. Eletto
al Senato nelle liste del Partito Democratico per la Lombardia. è tra i
parlamentari a firmare un emendamento contro l'articolo 5 del disegno di legge
Cirinnà riguardante l'adozione del configlio. Altri saggi: “Hegel politico” (Istituto
dell'Enciclopedia italiana, Roma); ““Soggetti, crisi, potere” (Cappelli,
Bologna); “Il tempo della politica” (Editori Riuniti, Roma); “Con le spalle al
futuro: per un altro dizionario politico” (Editori Riuniti, Roma); “Berlinguer:
il principe disarmato” (Sisifo, Roma); “La politica al tramonto” (Einaudi, Torino);
“Cenni di Castella” (Cadmo, Fiesole); “Teologia e politica al crocevia della
storia” (AlboVersorio, Milano); Passaggio Obama. L'America, l'Europa, la
Sinistra, Ediesse); “La democrazia dei cittadini. Dai cittadini per l'Ulivo al
Partito Democratico” (Ediesse); “Non si può accettare” (Ediesse); “Noi
operaisti, Derive Approdi); “Dall'estremo possible” (Ediesse); “Per la critica
del presente” (Ediesse); “Dello spirito libero. Frammenti di vita e di
pensiero, Il Saggiatore); “Il nano e il manichino. La teologia come lingua
della politica” (Castelvecchi); “Il demone della politica” (Il Mulino); “Tra
materialismo dialettico e filosofia della prassi”; “La città futura” (Feltrinelli,
Milano); ““Cromwell” (Il Saggiatore, Milano); “Operaismo e centralità operaia”
(Editori Riuniti, Roma); “Il politico. Da Machiavelli a Cromwell; da Hobbes a
Smith” (Feltrinelli, Milano); “Il destino dei partiti, Ediesse); “Rileggendo
"La libertà comunista", “Un altro marxismo” (Fahrenheit 451, Roma); “Classe
operaia. Le identità: storia e prospettiva” (Angeli, Milano); Per la critica
della democrazia politica” “Guerra e democrazia, Manifesti, Roma; Politica e
destino, Sossella, Roma); Finis Europae.
Una catastrofe teologico-politica, Bibliopolis, Napoli). Ne La politica al
tramonto, un capitolo porta il titolo «Karl und Carl», per sottolineare, anche
qui allusivamente, la necessità di completare Marx con Schmitt",
Autobiografia filosofica, in Storia della filosofia, Filosofi italiani
contemporanei, Le Grandi Opere del Corriere della Sera, Bompiani, Milano. Unioni
civili: i numeri che mettono a rischio le adozioni gay, su Termometro Politico,
plus.google.com/+ termometro politico/. Unioni civili, 30 senatori Pd contro le
adozioni. E Gay pubblica la lista: "Scrivi al malpancista". Loro:
"Squadristi", su Il Fatto Quotidiano. Le piume, le fidanzate, lo zio
comunista. I 60 anni di R. Zero, Altri Mondi
Mario Alcaro, Dellavolpismo e nuova sinistra, Dedalo, Bari, C. Preve, La
teoria in pezzi. La dissoluzione del paradigma teorico operaista in Italia (Dedalo);
R. Gobbi, Com'eri bella, classe operaia. Storia fatti e misfatti dell'operaismo
italiano, Longanesi, Milano, Rita di Leo, Per una storia di Classe Operaia, in «Bailamme»,
S. Mezzadra, Operaismo, in R. Esposito e C. Galli, Enciclopedia del pensiero
politico. Autori, concetti, dottrine, Laterza, Roma-Bari; Basso C., Gozzini C.
e Sguazzino D., delle opere e degli
scritti. Dipartimento di Filosofia-Università degli Studi di Siena, Siena;
Alfonso Berardinelli, Stili dell'estremismo. Critica del pensiero essenziale,
Editori Riuniti, Roma) F. Pozzi, G. Roggero, G. Borio, “Futuro anteriore: dai
Quaderni rossi ai movimenti globali. Ricchezze e limiti dell'operaismo italiano,
DeriveApprodi, Roma, Steve Wright, L’assalto al cielo. Per una storia
dell’operaismo, Edizioni Alegre, Roma); Cristina
Corradi, Storia dei marxismi in Italia, Manifestolibri, Roma, F. Pozzi, G.Roggero,
Guido Borio, Gli operaisti, Derive Approdi, Roma, A. Peduzzi, Lo spirito della
politica e il suo destino. L'autonomia del politico, il suo tempo, Ediesse-Crs,
Roma, Giuseppe Trotta e Fabio Milana, L'operaismo degli anni Sessanta. Da
«Quaderni rossi» a «classe operaia», cd con la raccolta completa della rivista
«classe operaia» DeriveApprodi, Roma); Peduzzi,
A Cartagine poscia io venniincubi sulla teoria marxista, Arduino Sacco editore,
Roma,; M. Filippini, Mario Tronti e l'operaismo politico degli anni Sessanta,
EuroPhilosophie,. F. Milanesi, Nel Novecento, Storia, teoria, politica nel
pensiero (Mimesis, Milano); Abecedario (Carlo Formenti), Derive Approdi, Operaismo
Quaderni Rossi Classe operaia (rivista) Raniero Panzieri Toni Negri Massimo
Cacciari Pietro Ingrao Centro per la Riforma dello Stato. TreccaniEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere su senato, Senato della
Repubblica. Mario Tronti, su Openpolis,
Associazione Openpolis. Registrazioni di
Mario Tronti, su RadioRadicale, Radio Radicale.. Centro per la Riforma dello Stato, "Storia e critica del concetto di
democrazia" (intervento di Tronti,disponibile anche in file audio, su
globalproject Sito web italiano per la filosofia: su lgxserver.uniba. Conricerca-Futuro
Anteriore, su alpcub.com."Lotta contro gli idoli" (intervento di
Tronti per Rai Educational, su emsf.rai. Intervista "La lotta di classe
c'è ancora", La Repubblica, "Sono
uno sconfitto, non un vinto. Abbiamo perso la guerra del '900", La Repubblica.
Mario Tronti. Tronti. Keywords: L’implicatura di Hobbes --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Tronti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51714471172/in/photolist-2mMQbzj
Grice e Tulelli – l’equilibrio:
per una metafisica dell’etica -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Zagarise). Filosofo. Al Tulelli sono ad
oggi intitolate una via nel Comune di Zagarise e una nel Comune di Catanzaro
nel quartiere Sant'Elia, una sala della Biblioteca di Catanzaro. Targa
commemorativa in suo onore, inoltre, posto davanti alla casa comunale di
Zagarise un busto che lo raffigura realizzato da Calveri. Zagarise Busto
creato dallo scultore Mario Calveri, installato davanti al Comune di Zagarise.
Figlio dal marchese Gaetano e Anna Gallelli, studia presso il Convento del
Ritiro dei Filippini a Zagarise e poi frequenta a Catanzaro il Real
Liceo-Ginnasio e il Corso Teologico presso il Pontificio Seminario Teologico
Regionale San Pio X. Visse a Napoli dove compì studi filosofici e apre una
scuola dove insegna filosofia morale ed estetica. La richiesta di poter
istituire una scuola fu inviata alle autorità competenti, le quali, prima di
concedere le relative autorizzazioni, chiesero al vescovo di Catanzaro dettagliate
notizie in merito alla condotta religiosa, morale e politica del richiedente,
la risposta inviata loro fu. Elemento di condotta soda, casta e onesta. Tra gli
allievi della sua scuola molti furono appartenenti a famiglie di alto rango
sociale e tra questi è possibile annoverare i figli del re Borbone che, in
segno di stima, gli fecero dono di un orologio da camera di manifattura
francese opera dei fratelli Japis. Fu molto amico di L. Settembrini, il quale
lo cita nelle sue "Lezioni di letteratura italiana", gli trasmitte
l’amore per la filosofia e gl’ideali patriottici. Allievo di Puoti e di Galluppi
del quale studia e diffuse il pensiero, evidenziando il parallelismo con Kant,
così come divulgò quello di altri filosofi, tra cui Capasso, Rossi e Masci. Insegna
filosofia morale a Napoli Federico II dietro l’impulso di Sanctis, iniziando un periodo di vero
splendore per l’ateneo napoletano. Cadde il Regno delle Due Sicilie e, favorevole
alla formazione di uno stato unitario, porta avanti una battaglia a livello
morale e giuridico per l’abolizione della pena di morte che fino ad allora era
in vigore in tutti gli Stati d’Europa tranne il Granducato di Toscana. La
stessa a abolita con l'adozione del codice penale del Regno d'Italia -- il
cosiddetto Codice Zanardelli. La fine della dominazione borbonica fu colta come
un’occasione di rinnovamento sociale e morale ed egli instillò nei suoi
insegnamenti la consapevolezza che il rinnovamento politico dovesse essere
accompagnato a quello morale, egli riscontra nella popolazione un’evidente
scarsità intellettuale e un sentimento religioso che si manifestava mediante
pratiche di culto sempre più lontane dall’essere ricche di valori spirituali e
una società sempre più formalista, cerca di contrastare questa tendenza in
affinità a Gioberti. E un patriota e un liberale. La sua attività di filosofo
fa si che la sua notorietà e la sua reputazione crescessero, e inoltre un
oppositore degli hegeliani napoletani, e a capo degli oppositori degli
Spaventiani e rappresentante del movimento filosofico del quale nella prima
metà dell'ottocento fanno parte Galluppi, Colecchi, Cusani e Grazia. Sul suo
valore si sono pronunciati, fra gli altri, anche il Croce ed il
Russo. Socio Ordinario dell’Accademia di Scienze Morali e Politiche di
Napoli a l’Accademia Reale Pontaniana/ In relazione all'Accademia di Scienze
Morali e Politiche di Napoli, Tulelli e il senatore E. Pessina, in qualità di
soci dell'accademia, di collocare nell'atrio dell'Università degli Studi di
Napoli un busto in marmo raffigurante Galluppi, realizzato da B. Calì e
inauguratp con una cerimonia a cui presero parte il rettore Paolo Emilio
Imbriani, dei rappresentanti e diversi studenti. Della stessa accademia oltre
ad esserne socio ne fu anche tesoriere come si evince dalla Gazzetta Ufficiale
del Regno d'Italia n cui è contenuta la ri-elezione per quell'anno alla
suddetta carica (omissis) S.M., sulla proposta del Ministro della Pubblica
Istruzione, ha, con RR. decreti fatte le nomine e disposizioni seguenti: (omissis) Tulelli
Paolo Emilio, socio della Società Reale di Napoli, approvata la sua rielezione
a tesoriere dell'Accademia di scienze morali e politiche della predetta
Società; (omissis). Socio Corrispondente dell’Accademia Cosentina Accademia di
scienze, lettere e belle arti degli Zelanti e dei Dafnici. Visse a Napoli. Nelle
sue ultime volontà traspare chiaramente un radicato e forte legame con la sua
terra di origine, infatti i primi due punti del suo testamento furono: volendo
lasciare una prima testimonianza di affetto a Catanzaro, col fine di promuovere
e favorire nel mio nativo comune di Zagarise l’educazione morale e l’istruzione
letteraria e scientifica. Dispose inoltre che fosse destinata una somma in dote
ad una ragazza indigente di Zagarise e che il resto del patrimonio del filosofo
fosse suddiviso tra i suoi parenti. Il documento, disponibile presso
l’Archivio Notarile di Napoli, e depositato nel capoluogo campano presso lo
studio del notaio M. Mazzitelli sito in via S. Giovanni numero 19. Dondazione
di libri alla città di Catanzaro al fine di fondare una biblioteca pubblica
Paolo Emilio Tulelli volle donare a Catanzaro alcuni libri affinché potessero
rappresentare una base di partenza per la costituzione di una biblioteca
auspicando che il suo gesto potesse rappresentare un’esortazione a contribuire
al suo ampliamento, una volta istituita, da parte di altri uomini generosi e
amanti della cultura. Catanzaro accetta il legato che, in caso contrario, si
sarebbe dovuto destinare ad ampliare il patrimonio della biblioteca del Real
Liceo di Catanzaro o ad un erede del de cuius nel caso in cui il anche
direttivo del liceo non avesse accettato la donazione. I libri furono
trasferiti da Napoli a Catanzaro a spese del comune, così come indicato nelle
ultime volontà del filosofo, e venne istituita la biblioteca comunale che venne
denominata Biblioteca Municipale di Catanzaro "Onestà e lavoro", ma
che oggi è conosciuta come Biblioteca comunale F. De Nobili. Volendo
lasciare una prima testimonianza di affetto a Catanzaro ove ebbi i primi semi
del mio sapere e le prime aspirazioni alla libertà della patria italiana, lego
al comune i miei pochi libri col fine espresso ed incondizionato di formare il
primo fondo ad una biblioteca pubblica da fondarsi in loco adatto a vantaggio
della gioventù studiosa e dei cultori della letteratura e della scienza. Istituzione
di una rendita per far studiare un giovane meritevole del comune di Zagarise
Per quanto concerne il comune natio, nell’intenzione di promuovere l’educazione
morale, l’istruzione letteraria e scientifica nello stesso, istituì una rendita
annuale, denominata Monte o Istituto Tulelli per far si che dei giovani
meritevoli del suddetto comune potessero studiare e conseguire la laurea. A
perenne ricordo di ciò egli dispose nelle sue ultime volontà che fosse
realizzata una breve iscrizione su una lastra di marmo e che la stessa fosse
posta in un luogo pubblico del comune di Zagarise. Col fine di promuovere
e favorire nel mio nativo comune di Zagarise l'educazione morale e l'istruzione
letteraria e scientifica e così sospingere quei miei concittadini sulla via
della civiltà, istituisco un Monte o Istituto per l'educazione ed istruzione
dei giovinetti di detto Comune da elevarsi dal Real Governo in Ente Morale e giuridico
con la dotazione di annue lire duemila di rendita al 5 per cento iscritto al
gran libro dei Regno d'Italia. All'uopo destino due certificati di rendita a me
intestati dell'annua rendita di L. millesettecento con la data di Firenzee
l'altro dell'annua rendita di L. trecento della stessa data e sotto il N. 649. Sì
fatta annua rendita sarà unicamente ed esclusivamente impiegata per
l'educazione e istruzione nelle lettere e nella scienza di un giovinetto fatto
volta per volta per modo che si dirà qui appresso nato a Zagarise da genitori
ivi domiciliati almeno da dieci anni compiti, dell'età non minore di anni
sette, che sappia almeno leggere e scrivere e mostri in generale attitudine e
buona disposizione agli studi. Saggi: “I principi sostanziali ed informatori
della scienza” (Napoli, Regia Università); “Dei sistemi morali e della loro
possibile riduzione” (Napoli, Regia Università); “La moralità della scienza e
della vita” (Napoli, Regia Università); “Elogio di V. Buonsanto” (Napoli, Fibreno);
“Filadelfos di G. Gemelli: Accademia di scienze morali e politiche” (Napoli, Regia
Università); “L’infallibilità della ragione umana considerata nella triplice
sfera della scienza, politica, e della religione” (Napoli, Regia Università); “La
morale indipendente” (Napoli, Regia Università); “L’educazione popolare in
Italia” (Napoli, Vaglio); La filosofia morale (Napoli, Regia Università); “Metafisica
dell’estetica” (Napoli, Regia Università); “Una formula metafisica” (Napoli, Regia Università); “Galluppi” (Napoli, Regia Università); “Papasso
e Rossi” (Napoli, Cutaneo); “Libero Stato” (Napoli, Regia Università); “Estetica”
(Napoli, Vaglio); “Capasso” (Napoli, Tramater); “La rosa di Gerico” (Napoli, Poligama);
“Metafisica dell'etica” (Napoli, Regia Università); “Dei sistemi filosofici”;
“L’equilibriio”; “La pena di morte” (Napoli, Regia Università); Baldacchini” (Regia
Università, Napoli”, Elogio di Cilento. Sulla Bella di Camarda, poema di
Cappelli (Napoli); “Armonia della libertà politica e della Scienza morale”; “
Preso da immenso desiderio e ardente”; “Padre, partisti, forse desolato”; “Aspirazione
a Dio”. Il pensiero morale di Tulelli, C. Nardi. Società Napoletana di Storia
Patria, Lettere a Milli, F. Adamoli.
Collana "Fondo Milli" il Poeta
Via a Zagarise Via a Catanzaro. La
famiglia dona a Zagarise un'opera raffigurante il filosofo. Discorso di Paolo
Emilio Imbriani all'inaugurazione del busto di Galluppi posto nell'Accademia di
Scienze Morali e Politiche di Napoli
Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Zagarise e dintorni, F. Faragò. Lira italiana. Cavaliere Paolo Emilio Tulelli.
Paolo Emilio Tulelli. Tulelli. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Tulelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732624534
Grice e Turco –
l’agnella, commedia nuova -- filosofia italiana (Asola). Flosofo. Nacque da una
delle più antiche e nobili famiglie di Asola, allora fiorente cittadina della
Repubblica di Venezia, dove ricoprì importanti cariche politiche in qualità di
deputato, oratore e avvocato della Comunità.
La sua prima opera poetica, la Commedia Nova intitolata Agnella, venne
rappresentata ad Asola durante i festeggiamenti per la visita dei duchi di
Nemours e Beaulieu e altri illustri francesi al loro seguito. L'opera venne in
pubblicata in seguito prima a Treviso, poi a Venezia. Contemporaneo ed amico di
P. Manuzio che in una lettera encomia la sua Canzone in lode di Carlo V scritta
in occasione della morte di quest'ultimo:
«Letta la vostra Canzone scritta in morte del Gran Carlo V, veramente
Signor Carlo onorato, non troppo benigna stella, essendo voi dotato di si
pellegrino ingegno e di tante altre lodevoli qualità, vi condanna a scrivere
dove tra molte tenebre non può risplendere la vostra virtù, con la quale
potevate illustrare voi stesso ed il secolo nostro eccitando in altri il
desiderio di assomigliarvi: laddove hora, avendo voi il campo ristretto per
esercitare le vostre più nobili parti, non veggo come possano apparire effetti
degni di voi ed alla vostra nobile industria corrispondenti» Questa lettera fu in seguito stampata in
Venezia da Lelio Gavardo che, sempre a Venezia, pubblicò una tragedia in versi,
intitolata Calestri. Altre poesie furono stampate anche in Il Sepolcro de la
illustre signora Beatrice di Dorimbergo (Brescia Fabbio, Ludovico ManginiStorie
Asolane, Lettera di Paolo Manuzio a Carlo Turchi, Lett. Volg. Venezia. Carlo
Turco. Turco. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Turco” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732619369/in/datetaken/
Grice e Turoldo – filosofia italiana (Coderno). Filosofo. Figura
profetica, resistente sostenitore delle istanze di rinnovamento culturale, di
ispirazione conciliare.itenuto da alcuni uno dei più rappresentativi esponenti
di un cambiamento spirituale, il che gli ha valso il titolo di coscienza
inquieta. Riceve con intensità le caratteristiche della semplice cultura umana
del suo ambiente nativo e prevalentemente contadino. Colse e fece propria la
dignità delle condizioni povere della sua terra, che costituirono una solida
radice informante tutto lo sviluppo della sua sensibilità e della sua attività
futura. Accolto tra i Servi di Maria nel convento di Santa Maria al Cengio
a Isola Vicentina, sede triveneta della Casa di Formazione dell'Ordine Servita:
dove trascorse l’anno di noviziato. Emise la professione religiosa; il 30
ottobre 1938 pronunciò i voti solenni a Vicenza. Incomincia gli studi
filosofici a Venezia. Nel santuario
della Madonna di Monte Berico di Vicenza e ordinato presbitero da Rodolfi, arcivescovo di Vicenza. Assegnato
al convento di Santa Maria dei Servi in San Carlo al Corso in Milano. Su invito
di I. Schuster, arcivescovo della città, tenne la predicazione domenicale nel
duomo milanese. Insieme con il suo confratello, compagno di studi durante tutto
l’iter formativo nell’Ordine dei Servi e amico Camillo de Piaz, si iscrisse al
corso a Milano e conseguì la laurea con una tesi dal titolo, “La fatica della
ragione: Contributo per un'ontologia dell'uomo”, redatta sotto la guida di Bontadini.
Sia Bontadini sia Carlo Bo gli offriranno il ruolo di Assistente universitario,
a Milano, il secondo a Urbino. Durante l'occupazione nazista di Milano
collabora attivamente con la resistenza creando e diffondendo dal suo convento
il periodico clandestino l'Uomo. Il titolo testimonia la sua scelta dell'umano
contro il dis-umano, perché la realizzazione della propria umanità: questo è il
solo scopo della vita. La sua militanza dura tutta la vita, interpretando il
comando evangelico essere nel mondo senza essere del mondo come un essere nel
sistema senza essere del sistema. Rifiuta sempre di schierarsi con un
partito. Il suo impegno nel dialogo senza preconcetti e nel confronto di
idee talvolta anche duro, si tradusse in particolare nel far nascere, insieme
con Piaz, il centro culturale la Corsia dei Servi (il vecchio nome della strada
che dal convento dei Servi conduceva al duomo). Uno dei principali
sostenitori del progetto Nomadelfia, il villaggio nato per accogliere gli
orfani di guerra con la fraternità come unica legge, fondato da Saltini nell'ex
campo di concentramento di Fossoli presso Carpi, raccogliendo fondi presso la
ricca borghesia milanese. Si rende noto al grande pubblico con due
raccolte di liriche “Io non ho mani” (che gli valse il Premio letterario Saint
Vincent) e “Gli occhi miei” lo vedranno, presentato nella collana mondadoriana
Lo Specchio da Giuseppe Ungaretti. A seguito di prese di posizione
assunte da politici locali e da alcune autorità ecclesiastiche, deve lasciare
Milano e soggiornare in conventi dei Servi dell’Austria e della iera. Venne
dai superiori dell’Ordine assegnato al convento della Santissima Annunziata di
Firenze, e qui incontrò personalità affini al suo modo di sentire, quali fra
Giovanni Vannucci, padre Ernesto Balducci, il sindaco Giorgio La Pira, e molti
altri che nell’ambiente fiorentino animano un tempo in cui si accendono
speranze di rinnovamento a tutti i livelli. Ma anche da Firenze sarà costretto
ad allontanarsi e trascorrerà un periodo di peregrinazioni all’estero.
Rientrato in Italia, venne assegnato al convento di Santa Maria delle Grazie,
nella “sua” Udine. Ma con il rientro in Italia aveva portato con sé un
progetto, nato a contatto con le nuove generazioni nate all’estero dagli
emigrati friuliani: realizzare un film che raccontasse la nobiltà della povera
vita rurale del suo Friuli. Il film con il titolo “Gli ultimi” e ispirato al
racconto Io non ero fanciullo scritto da Turoldo in precedenza, venne concluso con
la regia di Vito Pandolfi. Presentato a Udine, il film tuttavia fu ben presto
rifiutato dall’opinione pubblica friulana, che lo ritenne addirittura
offensivo. Incomincia a cercare un sito dove dare avvio a una nuova
esperienza religiosa comunitaria, allargata alla partecipazione anche di laici.
Questo luogo, con le indicazioni ricevute da amici, venne individuato
nell’antico Priorato cluniacense di Sant'Egidio in Fontanella. Ottenuto il
consenso del vescovo bergamasco C. Gaddi, nvi si insediò ufficialmente. Costruì
accanto allo storico edificio del Priorato una casa per l’ospitalità, che
chiamò Casa di Emmaus, titolo ispirato all’episodio della cena a Emmaus, in cui
Gesù risorto si manifestò ai due discepoli nello spezzare il pane. La casa
costituì un simbolico richiamo alla semplice accoglienza, senza distinzioni di
censo, di religione, o altro: aspetti che caratterizzarono tutta la presenza e
la sua multiforme opera. Costituì inoltre un punto di riferimento per molti
protagonisti della storia culturale e civile italiana. Per molte personalità
del mondo ecclesiale e di altre confessioni cristiane; un solido incentivo al
rinnovamento di linguaggi e di strutture; un laboratorio di creazioni
liturgiche e celebrative, di cui continuano a essere testimoni la versione
metrica per il canto dei Salmi e migliaia di inni liturgici. Insieme con altri
frati, impegnati particolarmente in iniziative di rinnovamento spirituale e
culturale, diede avvio alla pubblicazione di una rivista, il cui titolo è
ispirato all’Ordine dei Servi di Maria, “Servitium”, e ad altre pubblicazioni
che si ricollegavano all’esperienza editoriale della Corsia dei Servi. La
pubblicazione della rivista continua tuttora con cadenza bimestrale, unitamente
all’edizione di altre proposte librarie edite sotto l’omonimo marchio
Servitium. Innumerevoli furono gli interventi di padre David sui media,
dalla carta stampata alle trasmissioni radio e televisive; innumerevoli i
luoghi e le circostanze in cui è stato chiamato a intervenire con la sua
avvincente parola. Da ricordare in particolare i suoi “viaggi della memoria”
nei luoghi della Shoah, tra cui spicca quello a Mauthausen. In quell'occasione
compose una preghiera, poi recitata nella cerimonia conclusiva, pubblicata
successivamente nel libro “Ritorniamo ai giorni del rischio”. Colpito alla fine
degli anni ottanta da un tumore del pancreas, visse con lucida consapevolezza e
trasparente coraggio l’ultimo periodo della vita, dando una incoraggiante testimonianza
sul cammino verso “sorella morte”. Migliaia di persone sfilarono accanto alla
bara in cui era esposto il corpo di padre I funerali a Milano videro la
partecipazione di una numerosa folla nella chiesa di San Carlo al Corso, dove
presiedette le esequie il cardinale C. Martini, che, qualche mese prima della
morte, aveva consegnato a Turoldo il primo "Premio Giuseppe Lazzati",
affermando la propria opinione secondo la quale la chiesa riconosce la profezia
troppo tardi. Un secondo rito funebre venne celebrato nel pomeriggio a
Fontanella di Sotto il Monte, presente ancora una folla che copriva tutta la
collina circostante l’antico Priorato. Nel piccolo cimitero locale riposa ora
sotto una semplice croce lignea, in mezzo alla sua gente. Servitium dedicò
perciò alla sua figura un quaderno a frate dei Servi di santa Maria e
ugualmente fece nel decennale. La grande
passione. Opere: Poesia e opere letterarie «Lungo i fiumi..» I Salmi Milano,
San Paolo, O sensi miei...: (Poesie (Milano, Rizzoli). Sul monte la morte, Servitium,
La morte ha paura, Servitium, poesie,
Milano, Garzanti Teatro, Servitium, I
giorni del rischio (con Salmodia della speranza e rappresentazione in Duomo a
Milano con Moni Ovadia), Servitium, Salmi e cantici. Nuova edizione riveduta della
versione metrica per il canto di Turoldo, Servitium, La passione di San Lorenzo, Servitium (La
terra non sarà distrutta, Servitium, Luminoso
vuoto. Scritti, Servitium, David M. Turoldo, Loris F. Capovilla, Nel solco di
Giovanni, lettere inedite” (Servitium. Saggistica e spiritualità. Lettere dalla
Casa di Emmaus, Servitium, La parabola di Giobbe, Servitium, Santa Maria.Servitium,
Mia chiesa, una terra sola, Servitium, Il dramma è Dio: il divino la fede la poesia. Milano,
Rizzoli, Come i primi trovadori, Servitium, Colloqui con Giovanni, Servitium,
Profezia della povertà, Servitium, Chiamati ad essere, Servitium, È Natale,
Servitium, Mio amico don Milani, Servitium, Pregare, Servitium, Anche Dio è
infelice, San Paolo,.Amare Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, Padre del
mondo, Servitium, Povero sant’Antonio,
Il Messaggero, Padova. Narrativa Mia infanzia d’oro (con “Ritratto d’autore” Servitium,...e
poi la morte dell'ultimo teologo Torino, Gribaudi. “Gli ultimi” Regia: Vito
Pandolfi; soggetto: Turoldo; sceneggiatura: Vito Pandolfi e David Maria Turoldo.
Tra le tante, ci fu "un'iniziativa che fu tentata pochi giorni prima della
morte di Moro e che è stata evocata da B. Craxi nel corso della sua audizione
nella prima Commissione d'inchiesta. In quella circostanza, l'onorevole Craxi
affermò che fu chiamato da Turoldo, che gli chiedeva sostanzialmente di
domandare alla Nunziatura apostolica di dichiararsi disponibile come sede per
far svolgere una trattativa. Turoldo chiese due giorni di silenzio stampa e
insistette molto, con veemenza, affermando che era la sola via possible. (XVII
Legislatura, Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte
di Aldo Moro, Resoconto stenografico, “Tra i memoriali di Mauthausen”, in “Ritorniamo
ai giorni del rischio. Maledetto colui che non spera”, Milano, Corriere "E
Turoldo nascose le armi dei partigiani" La vita, la testimonianza Morcelliana.
C. Piaz e la Corsia dei Servi di Milano, Morcelliana, Turoldo e gli organi
divini. Lettura concordanziale di “O sensi miei...”, Olschki, Una vita con gli
amiciIl mondo delle amicizie di Turoldo, documentario R. Salvi, Roma,
Rai-Educational, A. D'Elia, La peregrinatio poietica prefazione di Dante della
Terza, Firenze, Leo s. Olschki, Marco Cardinali, Il Dio Inseguito. Viaggio alla
scoperta della poesia di David Maria Turoldo, Edizioni Pro Sanctitate, Roma, O.
Romero E. Balducci C. De Piaz N. Fabbretti. Treccani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. David Maria Turolo. David M. Turoldo. David Turoldo. Giuseppe
Turoldo. Turoldo. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Turoldo” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692449799/in/photolist-2mKTjot
Grice e Tuveri – filosofia sarda -- filosofia
italiana (Collinas).
Filosofo. Figlio un noto avvocato. Studia a Cagliari. Di idee repubblicane
comincia l'attività in polemica con molti intellettuali monarchici e
conservatori. Federalista, al Parlamento Subalpino si oppose alla fusione della
Sardegna col Piemonte, e e in forte contrapposizione con Gioberti per le
posizioni anti-repubblicane e anti-mazziniane. Fonda La Gazzetta
Popolare, collabora con numerosi giornali e assunse la direzione del Corriere
di Sardegna. Sindaco, propose il nome di Collinas. Lotta contro il centralismo
del Regno di Sardegna chiedendo maggiore autonomia, soprattutto fiscale, per i
piccoli comuni. Amico di Cattaneo e Mazzini, solleva la cosiddetta questione
sarda, promuovendo un riscatto della Sardegna e del popolo sardo contro uno stato
giudicato centralista e oppressivo. Scrive numerosi saggi filosofici. Assessorato
della pubblica istruzione della Regione autonoma della Sardegna promouove la ristampa dei suoi saggi, editore
C. Delfino, con una introduzione di Bobbio. Saggi: “Pintor” (Torino, Tipografia
G. Cassone); “Specifici contro il codinismo, Cagliari, Arcivescovile, Del
diritto dell'uomo alla distruzione dei cattivi governi. Trattato filosofico,
Cagliari, Tipografia Nazionale, Il governo e i comuni, Cagliari, Tipografia
Nazionale, Esazioni e compulsioni, Cagliari, Timon); La questione barracellare,
Cagliari, Timon, Della libertà e delle caste, Cagliari, Corriere di Sardegna, Sofismi
politici, Napoli, Rinaldi); “Il veggente; Del dritto dell'uomo alla distruzione
dei cattivi governi, Aldo Accardo, Luciano Carta, Sebastiano Mosso; introduzione
di Norberto Bobbio, Della libertà e delle caste; Sofismi politici, Maria Corona
Corrias e Tito Orru, Opuscoli politici. Saggio delle opinioni politiche del
signor deputato sardo Giovanni Siotto Pintor; Specifici contro il codinismo,
Girolamo Sotgiu, Il governo e i Comuni; La questione barracellare, Lorenzo Del
Piano e Gianfranco Contu, Scritti giornalistici. Questione sarda, federalismo,
politica internazionale, questione religiosa, Lorenzo Del Piano, Gianfranco
Contu e Luciano Carta, Per la vita e i tempi di Tuveri e altre opere, A. Delogu, Fonte: "Centro di studi filologi
sardi". Scheda sul sito della Camera
Indipendentismo sardo, Il governo
e i comuni, Cagliari, Tipografia Nazionale, Google Libri. Della libertà e delle
caste, Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, DaTuveri all'intuizione
della concorrenza istituzionale, di A. Bomboi. Venezia; Tuveri. Keywords.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tuveri: implicature sarda” – The Swimming-Poo
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731951146
Grice ed Ubaldi – la grande sintesi – filosofia
italiana (Foligno). Italian
philosopher. Filosofo. Present un sistema
dell'evoluzione dell'universo considerando la legge dell'evoluzione umana. Chiara
i rapporti d'involuzione ed evoluzione fra le tre dimensioni della materia,
dell'energia e dello spirito, in un processo d'unificazione fra le ipotesi
della scienza. Cerca di spiegare il senso della vita, la funzione del dolore e
la presenza del male. Candidato al premio Nobel, all'ultimo gli fu preferito
Sartre. Il suo sistema filosofico e considerato da Einstein come risulta da un
carteggio dolce e leggero e il suo saggio principale, La grande sintesi, e giudicata
un quadro di filosofia scientifica e antropologica etica, che oltrepassa di
molto i consimili tentative. Nato in una regione influenzata dalla vicinanza
con Assisi e impregnata di spiritualità francescana, inizia la scuola, prosegue
gli studi a Roma e si laurea. Fa voto di povertà e gli appare Cristo.
L'apparizione si sarebbe ripetuta insieme a Francesco di Assisi. Il giorno di
Natale dello stesso anno avrebbe ricevuto il primo di numerosi messaggi.
Insegna a Modica e Gubbio. Nel suo saggio “La grande sintesi” espose il
suo pensiero, messo all'indice, poi riammesso da Giovanni XXIII. La sua vita può essere considerata distinta in
quattro periodi. Nel primo period cerca le risposte nella filosofia, nella
religione e nella scienza senza trovarla. Il secondo periodo si caratterizza da
una sperimentazione pratica a contatto col mondo, d'osservazione della realtà della
vita. Nel terzo periodo scrisse i volumi della sua opera pubblicati in italiano
e nel quarto la parte restante. Ritiene che esiste un'unica sostanza, la
cui essenza e il movimento e che si manifesta come materia statica, energia dinamica
e spirito vitale. L'uomini sono chiamati ad evolversi ampliando la percezione
delle sue coscienze, che da inviduale deve farsi conscienza collettiva, per
farsi poi coscienza cosmica. In tale processo si delinea il futuro stato
organico-unitario degl’uomini, generato da una etica, effetto di una
consapevolezza razionale e non di un emotivo pacifismo. Gl’uomini si
inserirebbe nel fenomeno universale dell'evoluzione tramite la
reincarnazione. Considera la sua filosofia la manifestazione del proprio
destino e della propria ascesa evolutiva, proponendosi attraverso di essa di
arrivare ad una conoscenza utilizzabile per risolvere i problemi della vita, in
maniera consapevole e dignitosa. La grande legge della vita è quella
dell'Amore, tale che la si dovrebbe seguire in ogni situazione: cercare ciò che
unifica. Per questo fare il male significa voler andare contro la corrente del sistema,
perpetuando la separazione, produttrice di sopraffazione e violenza, sino
all'auto-distruzione. Fare il bene, invece, vuol dire cercare di armonizzarsi
con tutto e con tutti, perseguendo quel processo di unificazione che ci riporta
al centro dell'essere, che è rappresentato dalla presenza dell'ordine e della
giustizia del pensiero divino. In tal senso il segreto della felicità consiste
nell'inquadrarsi nell'ordine divino e la preghiera autentica consisterebbe
nella docile accettazione della Legge, cooperando con la Sua azione. Così pure,
il lavorare rappresenterebbe il diventare cooperatori del funzionamento
organico dell'universo. Il fine dell'esistenza è rappresentato
dall'evoluzione. Si tratta dell'evoluzione etica, iscritta nel movimento
dell'evoluzione dell'universo. L'universo viene così inteso come
un'inestinguibile volontà d'amare, di creare e di affermare, in lotta col principio
opposto dell'inerzia, dell'odio e della distruzione. L'etica viene concepita
come dimensione ascendente, a tante dimensioni quante sono le posizioni
dell'essere lungo la scala evolutiva. In tale compito evolutivo fondamentale
sono gli idealiaventi la funzione di orientamento e di guida -, aventi il
compito di anticipare una realtà futura da raggiungere. In questa fase
evolutiva l'impegno deve essere quello della spiritualizzazione, consistente
nel seguire gli ideali, che si sono configurati storicamente nelle religioni e
nelle morali. Ciò può avvenire cercando di praticare la comprensione reciproca
e ricercando la fratellanza universale. Si tratta di un "cammino
ascensionale", frutto di libertà e volontà, attraverso le quali da un lato
si struttura la nostra personalità dall'altro la vita collettiva progredisce
servendosi di tali progressi. La legge delle unità collettive rappresenta
un principio evolutivo fondamentale, quello per cui tendiamo ad unioni sempre
più ampie: dalla coppia alla famiglia, dalle nazioni alle unioni di popoli,
sino all'unione di tutti gli esseri viventi del pianeta, pur mantenendo
diversità e multiformità. Per questo, la via è quella del superamento di ogni
separazione: la separazione da sé stessi, dagli altri, dal mondo. L'evoluzionismo
è, per tutto ciò, ben diverso da quello di Darwin: guarda all'avvenire ed
intuisce oltre l'evoluzione organica già compiuta dall'essere umano. È più
ampio di quello di Teilhard de Chardin, in quanto concepisce anche un processo
involutivodallo spirito, attraverso l'energia, sino alla materiache motiva e
sorregge la via di ritorno, evolutiva, come processo di unificazione, che dalla
presenza del divino nella materia, attraverso l'energia, ascende verso la
spiritualizzazione. È caratterizzato eticamente, come tensione spirituale verso
il superuomo che è presente in ognuno di noi, differentemente dal superomismo
di Nietzsche, sospinto dal desiderio di espandere solo le potenzialità
dell'io. La produzione della sua opera si basa sul metodo intuitivo, attraverso
il quale la coscienza, facendosi umile e ricettiva, riesce a penetrare per vie
interiori l'intima essenza dei fenomeni, diversamente dal metodo obiettivo che
se pur ha il vantaggio di giungere a conclusioni più universali è nato senza
ali, in quanto basato sulla distinzione tra l'io e il non io, tra il soggetto e
l'oggetto, tra la coscienza e il mondo esteriore. I suoi scrittiseguendo le sue
stesse dichiarazionisarebbero passati da una forma ispirata, collegata ad una
forma di contatto telepatico con le noùri (correnti di pensiero), a livello
"supercosciente", al controllo razionale dell'ispirazione
("metodo dell'intuizione razionalmente controllata"). Tale metodo
avrebbe consentito di esaminare sia la materia che lo spirito nella loro
armonia, unificando scienza e fede, considerate due aspetti della stessa
verità. Elenco degli scritti Ciclo italiano La grande sintesi I grandi
messaggi. La grande sintesi Le nouri ("correnti di pensiero")
L'ascesi mistica. Frammenti di pensiero e di passione: La nuova civiltà del
terzo millennio Problemi dell'avvenire (Il problema psicologico, filosofico,
scientifico). Ascensioni umane. Dio e universo. Profezie (L'avvenire del mondo)’
Commentari (raccolta dei giudizi della stampa sui volumi precedenti). Problemi
attuali. Il sistema (Genesi e struttura dell'universo). La grande battaglia.
Evoluzione e Vangelo; La legge di Dio; La tecnica funzionale della legge di Dio;
Caduta e salvezza; Principi di una nuova etica; La discesa degli ideali; Un
destino seguendo Cristo; Come orientare la propria vita; Cristo; Storia di un
uomo” (Bocca, Milano); Ascenzioni umane. Verso l'armonia con l'ordine cosmico”
(Mediterranee, Roma); Cristo e la sua legge” (Mediterranee, Roma); “La grande
sintesi. Sintesi e soluzione dei problemi della scienza e dello spirito (Edizioni
Mediterranee, Roma); “Le noùri: dal superumano al piano concettuale umano”
(Mediterranee, Roma); La nuova civiltà del terzo millennio. Verso la nuova era
dello spirito, Edizioni Mediterranee, Roma); Problemi dell'avvenire. La civiltà
dello spirito, Edizioni Mediterranee, Roma); L'ascesi mistica. Dal piano
concettuale umano al superumano, Edizioni Mediterranee, Roma); Dio e Universo”
(Edizioni Mediterranee, Roma); Storia di un uomo, Edizioni del centro studi italiano
di para-psicologia, Recco (Ge) Il Sistema, Edizioni del centro studi italiano
di parapsicologia, Recco(Ge) La legge di Dio, Edizioni del centro studi
italiano di parapsicologia, Recco (Ge), La tecnica funzionale della legge di Dio” (Centro
di parapsicologia, Recco);La discesa degli ideali” (Om, Città di Castello); "Un
destino seguendo Cristo" (Om, Città di Castello); "Evoluzione e
Vangelo", Centro Culturale Pietro Ubaldi, Foligno); G.Arcidiacono, PUbaldi
e la scienza moderna, in Atti del Convegno, Roma, A. Elenjimittan, "La
missione ecumenica", in Atti dell'8º Convegno sul pensiero di Pietro
Ubaldi, Roma "I grandi iniziati del nostro tempo", Rizzoli, Milano);
F. Lanari, "Il pensiero"Relazioni tenute nei quattro convegni
dedicati a Pietro UbaldiRoma, Ed. Mediterranee, Roma); F. Lanari "Profeta del terzo millennio", Atti
dell'8º Convegno Roma Filippo Liverziani, "Pietro Ubaldi e le Nòuri",
in Atti dell'8º Convegno sul pensiero di Pietro Ubaldi, Roma); U. Pasquale
Magni, "Scienza e mistica", in Atti dell'8º Convegno, Roma); A.
Marocchino, "Pietro Ubaldi profeta della intesi tra Metafisica e Nuova
Fisica", in Atti dell'8º Convegno,, Roma Luca Marzetti, La scala di
Giacobbe, Perugia. G. Mollo, “Bio-sofo dell'evoluzione umana” (Ed.
Mediterranee, Roma); G. Mollo, "La formazione dell'uomo evoluto nel
pensiero di Pietro Ubaldi", in "Pedagogia e Vita", nGaetano
Mollo, "La visione del mondo tra scienza e fede", in Atti dell'8º
Convegno Roma); G. Mollo, "La visione dell'universo. La prospettiva",
in "Rivista di teosofia", G. Mollo, "Il rapporto tra scienza e
fede. La prospettiva di Ubaldi", in "Rivista di teosofia", Lorenzo Ostuni, Fisica e metafisica di Pietro
Ubaldi in relazione all'uomo contemporaneo, in Atti dell'8º Convegno, Roma); R.
Pieracci, La Grande Sintesi (Mediterranee, Roma); R. Pieracci, "Mistico
dell'Umbria" (Eugubina, Gubbio); A. Pieretti, "La civiltà del terzo
millennio", Bollettino storico della città di Foligno, C. Splendore,
"La Legge Ciclica dell'evoluzione nel pensiero diUbaldi", in Atti del
Convegno sul pensiero di Pietro Ubaldi, Roma. Centro culturale di Foligno, su
pietroubaldi.com. Comune di Foligno per la divulgazione della sua filosofia, presieduto
da G. Mollo, su gaetanomollo. L'opera di
Pietro Ubaldi, su cesnur.org. in Massimo Introvigne, PierLuigi Zoccatelli, Le
religioni in Italia (sezione "Spiritismo, parapsicologia, ricerca psichica"),
sul sito Cesnur.(Center for Studies on New Religions. Pietro Ubaldi. Ubaldi.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Ubaldi e Grice,” per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689506789/in/photolist-2mNaHiH-2mLGod1-2mKCewV
Grice ed Unicorno – arimmetica universale – filosofia italiana -- (Bergamo). essential
Italian philosopher; unicorno (n.), Filosofo. Unicorno. Keywords: arithmos,
numerus, numero, number. Opere: De l'arithmetica universale, In Venetia, Francesco
senese De Francesch.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691952949/in/photolist-2mKQLG6
Grice e Vacca – filosofia italiana (Bari). Essential Italian philosopher. Grice: “My
favourite of his books is “L’ala del silenzo”great title, from Alighieriabout litotes
and understatement --.Deputato della Repubblica
Italiana LegislatureIX, X Gruppo parlamentarePCI CollegioBari Sito
istituzionale Dati generali Partito politicoPartito Comunista Italiano, Partito
Democratico della Sinistra, Partito Democratico Titolo di studiolaurea in
giurisprudenza e filosofia del diritto Professione docente universitario. Filosofo.
Si laureò in filosofia del diritto discutendo una tesi sulla filosofia politica
e giuridica di Croce. Fin dagli anni giovanili ha sempre svolto una intensa
attività di organizzatore di cultura, culminata con l'impegno dedicato alla
casa editrice De Donato. Membro del comitato centrale del Partito Comunista
Italiano è poi stato nella direzione del Partito Democratico della Sinistra.
Libero docente in Storia delle dottrine politiche, vinse la cattedra di tale
disciplina presso l'Bari. -- è stato nel consiglio di amministrazione
della RAI. Deputato per il PCI nella IX e X Legislatura nella circoscrizione
elettorale Bari-Foggia. In occasione delle elezioni comunali, si è candidato a
sindaco con il sostegno della coalizione di centro-sinistra, ma è stato
sconfitto da Simeone Di Cagno Abbrescia. Ha ricoperto incarichi di partito in
Puglia e a livello nazionale. Ha rivolto poi i suoi studi alla storia del
marxismo contemporaneo. Dirige la Fondazione Istituto Gramsci di Roma,
diventandone poi Presidente fino al. Membro del Cda dell’Istituto
dell’Enciclopedia italiana presiede la Commissione scientifica dell’Edizione
degli scritti di Gramsci. Professore di Storia delle dottrine politiche
nell’Bari, si è occupato in particolare dell'idealismo novecentesco e
dell'hegelismo italiano nella seconda metà del XIX secolo, con particolare
riferimento alla genesi del marxismo in Italia. Saggi: “Politica e
filosofia in Spaventa” (Bari, Laterza); Lukàcs o Korsch?, Bari, De Donato, Marxismo
e analisi sociale, Bari, De Donato, Scienza, Stato e critica di classe. Galvano
Della Volpe e il marxismo, Bari, De Donato); Politica e teoria nel marxismo
italiano, Antologia critica (Bari, De Donato); PCI, Mezzogiorno e
intellettuali. Dalle alleanze all'organizzazione, a cura di, Bari, De Donato, Saggio su Togliatti e la tradizione comunista,
Bari, De Donato, Osservatorio meridionale. Temi di politica culturale” (Bari,
De Donato, Quale democrazia. Problemi della democrazia di transizione, Bari, De
Donato, Criticità e trasformazione. Korsch teorico e politico, Bari, Dedalo, Gli intellettuali di sinistra e
la crisi, a cura di, Roma, Editori Riuniti, Comunicazioni di massa e democrazia,
a cura di, Roma, Editori Riuniti, L'informazione negli anni Ottanta, Roma,
Editori Riuniti, Il marxismo e gli intellettuali. Dalla crisi di fine secolo ai
Quaderni del carcere, Roma, Editori Riuniti, Tra compromesso e solidarietà. La
politica del PCI (Roma, Editori Riuniti); Gorbačëv e la sinistra europea, Roma,
Editori Riuniti, Tra Italia e Europa. Politiche e cultura dell'alternativa,
Milano, Angeli, Gramsci e Togliatti, Roma, Editori Riuniti, Dal PCI al PDS. Intervista, Bari, Delphos, Togliatti
sconosciuto, Roma, l'Unità, Pensare il mondo nuovo. Verso la democrazia,
Cinisello Balsamo, San Paolo, Per una nuova Costituente, Milano, PasSaggi Bompiani,
Vent'anni dopo. La sinistra fra mutamenti e revisioni, Torino, Einaudi, Da un
secolo all'altro. Mutamenti della politica nel Novecento, Milano, Bompiani, Appuntamenti
con Gramsci. Introduzione allo studio dei Quaderni del carcere, Roma, Carocci, Gramsci e il Novecento (Roma, Carocci); Presente
futuro. Idee per lo sviluppo ecosostenibile della Puglia, Bari, Dedalo, X.
Riformismo vecchio e nuovo, Torino, Einaudi, In tempo reale. Cronache del
decennio, Bari, Dedalo, Ritorno in Puglia. Tre anni di volontariato politico,
Bari, Palomar, Federalismo, sviluppo economico e coesione sociale in Puglia, e
con Luigi Masella, Lecce. Martano, L'unità dell'Europa. Rapporto sull'integrazione europea, a cura di, Bari,
Dedalo, Roma, Nuova iniziativa editoriale, Il dilemma euroatlantico. Rapporto della
Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, a cura di, Roma, Nuova
iniziativa editoriale, Dalla Convenzione alla Costituzione. Rapporto 2 della
Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, a cura di, Bari, Dedalo,
I dilemmi dell'integrazione. Il futuro
del modello sociale europeo. Rapporto sull'integrazione europea, e con José
Luis Rhi-Sausi, Bologna, Il mulino); “Il riformismo italiano: dalla fine della
guerra fredda alle sfide future” (Roma, Fazi); “Gramsci tra Mussolini e Stalin”
(Roma, Fazi); cura di Gramsci, Nel mondo grande e terribile. Antologia degli
scritti Torino, Einaudi, Studi gramsciani nel mondo. e con Giancarlo Schirru, Bologna, Il mulino, Perché l'Europa? Rapporto sull'integrazione
europea, e con José Luis Rhi-Sausi, Bologna, Il mulino, Studi gramsciani nel mondo.
Gli studi culturali, e con Paolo Capuzzo e G. Schirru (Bologna, Il mulino) Le
forme e la storia. Scritti in onore di B. De Giovanni, e con M. Montanari e
Franca Papa, Napoli, Bibliopolis, Il Novecento di Eugenio Garin. Atti del
Convegno di studi, e con Saverio Ricci, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,. Studi gramsciani nel mondo. Gramsci in
America Latina, e con Dora Kanoussi e Giancarlo Schirru, Bologna, Il mulino, Vita
e pensieri di Antonio Gramsci. Collana
Storia, Torino, Einaudi,,Collana ET Storia, Einaudi, Moriremo democristiani? La
questione cattolica nella ricostruzione della Repubblica, Roma, Salerno); “Il
fascismo in tempo reale: studi e ricerche di A. Tasca sulla genesi e
l'evoluzione del regime fascista, con D. Bidussa (Milano, Feltrinelli); Togliatti
e Gramsci. Raffronti, Pisa, Edizioni della Normale, Modernità alternative. Il
Novecento di Antonio Gramsci, Torino, Einaudi,.Togliatti, La politica nel
pensiero e nell'azione, Scritti e discorsi, G. Vacca con M. Ciliberto,
Bompiani, Milano Quel che resta di Marx,
Salerno Editore, Roma, L'Italia contesa.
Comunisti e democristiani nel lungo dopoguerra, Marsilio, Venezia Giuseppe Vacca, su storia.camera, Camera dei
deputati. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732826190
Grice e Vaccarino – l’errore del filosofo – filosofia
italiana (Pace del Mela). Essential Italian philosopher. Grice: “I
appreciate his metaphor of the ‘chemistry of the mind,’ la ‘chimica del
pensiero,’and the idea that philosophers commit only ONE mistake (“l’errore dei
filosofi”)!”.Flosofo. Figlio primogenito di Antonino
Vaccarino, titolare di un importante saponificio, e di Caterina Tracuzzi. Laureato
a Milano. Fonda “Sigma” pubblicata a Roma. Fonda “Methodos”, trimestrale di
metodologia e di logica simbolica. Si occupa prevalentemente di logica ed
epistemologia. Pubblica una serie di articoli sulla rivista Archimede su
invito di Geymonat. Abilitato alla libera docenza in Filosofia della scienza,
ma assorbito dai suoi studi e da altre attività non si dedica all'insegnamento.
Ha incarico di tenere il corso di Storia della filosofia antica presso Messina.
Riceve anche quello di Filosofia della scienza. Nominato professore associato
di Filosofia della scienza, ma non ottenne mai la cattedra di ordinario. Partecipa
a vari congressi. In quello di Amsterdam ebbe l'occasione di conoscere Joseph
Maria Bochenski e incaricarlo di dirigere la sezione di logica simbolica di Methodos.
A quello di Parigi partecipa insieme con S. Ceccato, V. Somenzi e F.
Rossi-Landi con i quali era in stretti rapporti di amicizia. Contribusce alla
fondazione della rivista Methodologia nata per iniziativa della Società di
Cultura Metodologica Operativa di Milano, presieduta da Felice Accame. Molto
vicino alle vedute filosofiche dei neo-positivisti, ma in seguito si capì che
per dare soluzione ai problemi posti dalla tradizionale filosofia bisogna
anzitutto effettuare un'indagine sul metodo scientifico onde spiegare perché è
l'unico considerabile come valido. Sviluppa in questo senso sulla “Sigma” una
teoria che chiama della "meta-conoscenza", in quanto ricondotta a una
disciplina avente per oggetto la conoscenza. Successivamente si convince che
per procedere in modo effettivamente scientifico bisogna eliminare ogni a-priorismo
effettuando un'analisi sistematica dei significati di tutte le parole di cui ci
avvaliamo e riconducendoli alle operazioni mentali e non mentali da cui sono
costituiti. Sotto questo profilo i suoi interessi si incontrarono con quelli di
S. Ceccato e della scuola pperativa. Ma mantenne una posizione autonoma,
ritenendo che la ricerca di base deve puntare su una semantica e non su una
ricerca di tipo cibernetico, come invece sostene Ceccato. Però accetta e
condivide il concetto che bisogna occuparsi del modo come operiamo a livello
mentale per descrivere i significati. Perciò respinge vedute allora in auge,
come quelle della filosofia analitica, che riconducendo i significati
semplicemente all'uso che se ne fa parlando, li lascia in analizzati
assumendoli implicitamente come prius, in quanto tali, dogmatici. Si dedica
assiduamente a queste ricerche, pervenendo alla elaborazione di un metodo
generale di analisi dei significati. Le sue ricerche conduce, tra l'altro,
all'introduzione di una formulistica idonea alla definizione delle operazioni
mentali, prospettando una sorta di chimica della mente. La vastità e la
complessità delle sue indagini lo costringe a procedere a molti ripensamenti e
revisioni. Pubblica “La chimica della mente”. In cui espone i principali
risultati a cui e pervenuto. Vince il premio L'Inedito con il racconto “Lo
sporco”, pubblicato da Marsilio. Prospetta ampliamenti e modifiche delle sue
teorie nel saggio “Analisi dei Significati”, pubblicato a Roma da Armando. Pubblica
presso la CULP di Milano “Scienza e Semantica Costruttivista”, dedicato a una
critica di correnti vedute professate da filosofi della scienza. I suoi
interessi si rivolgeno anche alla codificazione di una logica contenutistica in
grado di fissare i criteri di compatibilità e incompatibilità tra i significati
in riferimento alle loro operazioni costitutive. In tal modo la logica diviene
una filiazione della semantica. La summa dei suoi lavori di semantica è pubblicata
a Rimini in “Dalle operazioni mentali alla semantica”. Nella prefazione al
volume Introduzione alla semantica edito da Falzea a Reggio Calabria, Si lo
considera l'ultimo dei grandi illuministi. Opere: “L'errore dei filosofi”
(D'Anna, Messina); “La chimica della mente” (Carbone, Messina); “Analisi dei significati”
(Armando, Roma); “Scienza e semantica costruttivista” (Cooperativa Libraria
Universitaria del Politecnico, Milano); “Introduzione alla semantica” (Falzea,
Reggio Calabria); “Scienza e semantica” (Melquiades, Milano); “Prolegomeni:
dalle operazioni mentali alla semantica” (Ciddo, Rimini); “Lo sporco. Il pulito,
duepunti edizioni. Repubblica Semantica
Filosofia della scienza Centro
Internazionale Di Didattica Operativa onlus, su ciddo. Methodologia on-line, su
methodologia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731101657/in/dateposted/
Grice e Vaccaro (Palermo). Essential Italian philosopher. Grice: “My favourite of
his books is ‘eteropie,’ a pun on homotopos.” Filosofo.
Laureato a Palermo, inizia l'attività di docenza presso lo stesso ateneo prima
come professore a contratto, poi come ricercatore e dal 2006 come professore
associato. Titolare del corso di Filosofia politica e supplente di Scienza
politica nella Facoltà di Scienze della formazione dell'ateneo
palermitano. -- è pro-rettore dell'Palermo per la “politiche di
solidarietà sociale e di cooperazione per lo sviluppo”; inoltre è condirettore
della collana “Eterotopie” dell'editore Mimesis di Milano, membro fondatore
della “Società Italiana di Filosofia Politica” e del Centro interdisciplinare
in Bio-politica, Bio-economia e Processi di Soggettivazione a Salerno. Vicepresidente
dell'ONG palermitana della Cooperazione Internazionale Sud-Sud. I suoi ambiti
di ricerca si orientano sulla teoria critica (soprattutto Adorno e Benjamin
della Scuola di Francoforte) e sulla decostruzione post-strutturalista francese
(principalmente Foucault e Deleuze) dai quali ricava strumenti di analisi da
mettere alla prova nel campo della globalizzazione, della governance e dei
diritti umani. Opere Decostruzione di una realtà macchinica, in Il
camaleonte e l'iscrizione, Palermo, Ila Palma, Il capitalismo regolato
statualmente, curatela con Franco Riccio e A. Caruso (Milano, Angeli); “Oltre
la pace: saggi di critica al complesso politico militare, curatela con F. Magno
(Milano, Angeli); “Adorno e Foucault: congiunzione disgiuntiva” (Palermo, ILA
Palma); “Il pensiero (check) anarchico (Verona, Demetra); “Il secolo
deleuziano” (Milano, Mimesis Edizioni); “Il pianeta unico” (Milano, Elèuthera);
“Anarchismo e modernità” (Pisa, BFS); “CruciVerba: lessico per i libertari”
(Milano); “Zero in condotta, Globalizzazione e diritti umani” (Milano,
Mimesis); “Biopolitica e disciplina” (Milano, Mimesis); “Lo sguardo di
Foucault” (Roma, Meltemi); “Governance e democrazia” (Milano, Mimesis). Vaccaro
Prof. Salvatore delegato alle politiche di solidarietà sociale e di
cooperazione per lo sviluppo, su Università degli Studi di Palermo. Mimesis Edizioni: collane. Archiviato iPalermo:
scheda docente., su scienzeformazione.unipa. Biblioteca nazionale di Firenze:
catalogo autore., su opac.bncf.firenze..
Foucault: scheda autore., su portail-michel-foucault.org. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732796325
Grice e Vailati –
semantica filosofica – filosofia italiana (Crema). Essential Italian philosopher. an important figure in the
history of formal semantics, influenced by Peano, who in turn influenced
Whitehead and Russell, and thus Grice. Filosofo. Si laurea a Torino.
Qui insegnò, dopo aver lavorato come assistente di Peano e Volterra. Lscia il suo
posto universitario e così poté proseguire i suoi studi in modo indipendente, e
si guadagna da vivere insegnando matematica. Lascia circa 200 saggi e
recensioni che toccano un'ampia gamma di discipline. La sua opinione nei
confronti della filosofia e che essa fornisse una preparazione e gli strumenti
per il lavoro scientifico. Per questa ragione, e perché la filosofia dove
essere neutrale fra opposte convinzioni, concezioni, strutture teoriche, ecc.,
il filosofo dovrebbe evitare l'uso di un linguaggio tecnico specialistico, ma
dovrebbe usare il linguaggio che la filosofia adotta in quelle aree in cui è
interessata. Ciò non vuol dire che il filosofo debba soltanto accettare
qualunque cosa egli trovi. Un termine del linguaggio ordinario potrebbe essere
problematico, ma le sue carenze dovrebbero essere corrette piuttosto che
sostituite con qualche nuovo termine tecnico. Il suo pensiero sulla
verità e sul significato e influenzato da filosofi come Peirce e Mach. Con
cautela distinse fra significato e verità. La questione di determinare che cosa
vogliamo dire quando enunciamo una data proposizione, non solo è una questione
affatto distinta da quella di decidere se essa sia vera o falsa. Tuttavia, dopo
aver deciso cosa si vuole dire, l'azione di decidere se ciò è vero o falso è
cruciale. Vailati ebbe un pensiero positivista moderato, sia nella scienza che
nella filosofia: "La tattica adottata dai pragmatisti in questa loro
guerra contro l'abuso delle astrazioni e delle unificazioni consiste, come è
noto, nel proporre che, anche nelle questioni filosofiche, come si fa sempre in
quelle scientifiche, si esiga, da chiunque avanzi una tesi, che egli sia in
grado di indicare quali siano i fatti che, nel caso che essa fosse vera,
dovrebbero, secondo lui, succedere (o esser successi), e in che cosa essi
differiscano dagli altri fatti che, secondo lui, dovrebbero succedere (o essere
successi) nel caso che la tesi non fosse vera. Le influenze e i contatti di
Vailati furono molti e vari, e spesso fu etichettato come "l'italiano
pragmatista". Egli deve molto a Peirce e James (fu uno dei primi a
distinguere i loro pensieri), ma egli subì anche l'influenza di Platone e Berkeley
(che egli vide come precursori importanti del pragmatismo), Leibniz, V. Welby-Gregory,
Moore, Russell, Peano eBrentano. Vailati corrispose con molti dei suoi
contemporanei. La prima parte della sua opera comprende scritti sulla
Logica matematica; in essi focalizza l'attenzione sul suo ruolo in filosofia e
distinguendo fra logica, psicologia ed epistemologia; la dottrina recente pone
Vailati e il suo allievo M. Calderoni nella categoria storiografica del
«pragmatismo analitico» italiano. I suoi principali interessi storici
riguardarono la meccanica, la logica e la geometria; egli diede un importante
contributo in molti campi, compreso lo studio della meccanica post-aristotelica
greca, dei predecessori di Galileo, della nozione di definizione e del suo
ruolo nell'opera di Platone e Euclide, delle influenze matematiche sulla logica
e sull'epistemologia, e sulla geometria non-euclidea di Saccheri. E particolarmente
interessato ai modi in cui quelli che potrebbero essere visti come gli stessi
problemi sono inquadrati e trattati in periodi differenti. Il suo lavoro di
storico della scienza fu strettamente connesso con quello filosofico: per le
due attività, infatti, utilizzò gli stessi pensieri e metodologie di fondo.
Vailati vedeva lo studio storico e lo studio filosofico come differenti
nell'approccio ma non nell'argomento; crede, inoltre, che dovesse esserci cooperazione
fra filosofi e scienziati nell'approfondimento degli studi storici. Ritene
anche che una storia completa richiedesse che si tenesse in conto anche il
background sociale pertinente. Il superamento delle teorie scientifiche, grazie
a nuovi risultati, non comporta la loro distruzione, perché la loro importanza
aumenta proprio per il fatto di essere superate. Ogni errore ci indica uno
scoglio da evitare mentre non ogni scoperta ci indica una via da seguire. La
posizione di Vailati sulla storia della scienza ricalca quella di una serrata
critica al positivismo, in un contesto teorico dove il pragmatismo ammette
nuovi strumenti di comprensione e anche di valutazione della scienza, come
mostrano anche le vicende di M. Calderoni (I. Pozzoni, Il pragmatismo analitico
italiano di Mario Calderoni, Roma, IF Press, e di Peano, il quale vanta certe
affinità con il pensiero filosofico del periodo (G. Rinzivillo, G. Vailati,
Storia e metodologia delle scienze in Una epistemologia senza storia, Roma,
Nuova Cultura, e Peano, Contributi invisibili in Una epistemologia senza storia,
I. Pozzoni, Il pragmatismo analitico (Villasanta, Liminamentis); Peano, In
Memoriam, Boll. di matematica, I.
Pozzoni, Cent'anni di Vailati” (Liminamentis, Villasanta); M. Zan, “La
formazione di Vailati” (Congedo Editore, Galatina (Lecce); G. Sava, La
psicologia tra Vailati e Brentano, in "Il Veltro", Roma, Giuseppe
Giordano, Giovanni Vailati filosofo della scienza, Firenze, Le Lettere, Ivan
Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano di Giovanni Vailati, Liminamentis
Editore, Villasanta, Lucia Ronchetti,
L'archivio in Quaderni di Acme, Bologna, Cisalpino, Scritti filosofici. TreccaniEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana; giovanni-vailati.net. Fondo archivistico e librario
conservato presso Milano, Il contributo italiano alla storia del Pensiero:
Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Vailati, Vailati. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Vailati: la
semantica filosofica," The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
Grice e Valent – la forma del
linguaggio – filosofia italiana (Treviso). “Some like Vitters, but Valent’s my man.”Grice.
Grice: “Valent wrote the only legible introduction to Vitters’s
thought!”Essential Italian philosopher. Filosofo. Insegna a Catania e
Venezia. Si occupa di ontologia, logica dialettica, linguaggio, storia e interpretazione
delle grandi categorie della filosofia occidentale. Dai primi studi
sull'empirismo-scetticismo, sul pensiero italiano e sull'analisi del linguaggio
(Wittgenstein), è giunto ad indagare attorno alla teoria della negazione e del
divenire in chiave dialettica. Sulla base di tali premesse, che orientavano
verso una rilettura dei canoni e dei presupposti del rapporto ragione-follia,
si è impegnato a ridisegnare, insieme con un gruppo di psichiatri e psicologi
del Centro Psico-sociale di Orzinuovi cresciuti nel solco dell'esperienza
critica inaugurata da Basaglia, un modello della psiche adeguato alla
comprensione e alla cura della malattia mentale, dando vita a quello che è
stato definito l'approccio dialettico-relazionale. Collabora con il gruppo
teatrale "Scena Sintetica" nella messa in scena di testi
filosoficamente rilevanti (Parmenide, Eraclito, Melville, Severino, Galimberti).
Presso Moretti è in corso di stampa l'edizione delle sue opera. La sua filosofia
muove da un'originale riformulazione di alcune questioni legate alla filosofia
di Severino, alla tradizione neo-idealistica italiana (Gentile) ma anche neo-scolastica
(Bontadini), e dipendenti dalla riconsiderazione speculativa del concetto del
negativo. Descrivendo la sua formazione si define «resciuto a una scuola
filosofica di ispirazione ontologica, screziata da un netto disegno dialettico
e pungolata dallo scrupolo fenomenologico. Analizzando le implicazioni
concettuali e pratiche della negazione così com'è stata pensata in uno dei
punti più alti e rilevanti della tradizione dialettica, ovvero nella Scienza
della logica di Hegel, critica l'idea intellettualistica della negazione intesa
come esclusione, proponendo al contrario una negazione come inclusione e una
filosofia animata dal principio di ospitalità. Il "no" della
negazione, lungi dal dar vita a una realtà separata, è ciò che innerva il reale
nella sua essenza metamorfica e vitale, nella sua splendida apertura alla
novità, alla trasformazione e al cambiamento di cui il filosofo è appassionato
investigatore. A questo scopo e in evidente autonomia rispetto all'impianto
destinale della filosofia della necessità di Severino, esplora la categoria
modale della possibilità, cercando di mettere in discussione sia l'opposizione
frontale tra realtà e irrealtà, sia la priorità assoluta della positività del
reale nonostante la negatività dell'irreale. L'esserci e non l'essere è, per
Valent, che legge Hegel con Wittgenstein, la determinatezza semantica e
sintattica, il plesso grammaticale e vitale che ricongiunge l'esperienza intesa
come luogo dell'emergere della differenza e dell'incalzare degli eventi con la
teoria della razionalità quale analisi del permanere e della necessità. Ecco
che di contro all'ontologia fondamentale di Severino si fa largo l'idea di una
micro-ontologia intesa non come una “ontologia del piccolo”, bensì, piuttosto,
nel senso che non c'è nessun evento che non si disponga per virtù propria in
una peculiarità di significato, nel vigore elementare e insieme metamorfico di
un qui. Ma micro-ontologia anche come ontologia del remoto,
dell'avverso-diverso, dell'improbabile, dell'anonimo, del folle: di tutto ciò
che insieme si ritiene minore nella capacità di realtà. Con la proposta di una
micro-ontologia intendeva sottolineare l'autonomia e la resistenza del diamante
della dialettica come principio di determinazione semantica fondato sulla
relazione-negazione inclusiva e situato nella prospettiva strategica propria
dell'esserci, rispetto al rischio delle ricadute nella mistica dell'essere e di
quella totalità assoluta che, in quanto tale, appare separata e isolata,
esercitando la sua imposizione distruttiva al di fuori della logica della
relazione e dell'inclusione. Di contro all'autentico totalitarismo di questa
idea di totalità assoluta propone la ripresa del detto eracliteo del Panta δια
pánton, ossia di quel tutto attraverso il tutto che è la forma radicale della
illacerabile relazionalità della vita. Solo se ogni differenza tra gli umani è
un modo differente di essere il tutto allora le discriminazioni tra piccolo e
grande, forte e debole, femmina e maschio, nero e bianco, ricco e povero, sano
e malato, non avranno ragione d'essere (se non in quanto differenti
manifestazioni dell'identico, invece che differenze di principio e di valore. Opere:
Verità e prassi (Vannini, Brescia); La forma del linguaggio. Studio sul Tractatus
logico-philosophicus” (Francisci, Abano Terme (Padova), Invito a Wittgenstein,
Mursia, Milano; “Asymmetron, Quaderni de "Il Palazzo della Grande
Utopia", Milano Dire di no. Filosofia Linguaggio Follia, Teda,
Castrovillari (Cosenza); Dire di no. Scritti teorici, Opere (Moretti, Bergamo);
“Asymmetron: microntologie della relazione. Scritti teorici 2, in Opere di
Italo Valent V, a c. di Tagliapietra, Moretti & Vitali, Bergamo. Panta
διαpánton. Scritti teorici su follia e cura, in Opere di Italo Valent VI, a c.
di Tagliapietra, Moretti&Vitali, Bergamo. La forma del linguaggio. Studio
sul "Tractatus logico-philosophicus. Scritti su Wittgenstein, Sophón.
Aforismi per l'anima, a c. di Valent, con un saggio di Andrea Tagliapietra,
Moretti&Vitali, Bergamo. Opere. La filosofia, prima di ogni altra
definizione dotta, è amore per la realtà. In ricordo, in "XÁOS. Giornale
di confine", Dire di no. Scritti teorici, Panta διαpánton. Scritti teorici
su follia e cura. Italo Valent. Valent. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Valent”, The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731887331/in/datetaken/
Grice
e Valeri -- uno spazio tra se e se –
l’antropologia filosofica come ricerca dell’intersoggetivo -- filosofia
(Somma Lombardo). Essential Italian philosopher. Grice: “I especially like his
idea of anthropology, alla Kant, as the search for the subject.” “Tra se e se.”
Filosofo. Laureatosi in
filosofia a Pisa, quale allievo pure della Scuola normale superiore, discutendo
una tesi sul pensiero di Lévi-Strauss, con relatore Barone, si rivolse agli studi di antropologia,
conseguendo un dottorato di ricerca a Pisa. Le sue ricerche riguardarono molti
argomenti, fra cui, i sistemi politici, la parentela e il matrimonio, la
ritualità, così come l'antropologia sociale ed economica, la storia comparata
degli usi e costumi dei popoli, che condusse lungo la linea di pensiero del suo
maestro Lévi-Strauss. Gli è stato assegnato per i suoi studi e le sue ricerche
di antropologia culturale, il premio ”Guggenheim Fellowship“ per le scienze
sociali. Fra i molti suoi lavori. Cura pure diverse voci antropologiche
per l'Enciclopedia Einaudi. Tra le sue molte opere pubblicate postume, il
saggio “Uno spazio tra sé e sé. L'antropologia come ricerca del soggetto” che
può considerarsi una sua autobiografia intellettuale. Saggi: Uno spazio
tra sé e sé. L'antropologia come ricerca del soggetto (Roma); S. Ghiaroni,
"Società, soggetto, sacrificio. La teoria del sacrificio di Valeri",
in Studi e materiali di storia delle religioni, S. Ghiaroni, ”Società, Soggetto, Sacrificio.
La teoria del sacrificio di Valerio Valeri tra Hawaii e Indonesia“, Studi e
materiali di storia delle religioni, Dal titolo: Natura e cultura: introduzione
alla teoria dello scambio e della parentela di Claude Levi-Strauss, Pisa, A. A.
Per notizie biografiche più esaustive, riferirsi alle xxvii-xix dell'opera: in merito alla
rilevanza di Valeri come studioso e ricercatore; Valerio Valeri. Valeri.
Keywords: antropologia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valeri” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732762370/in/datetaken/
Grice
e Valla – volutta – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
essential Italian philosopher. Filosofo. Nato da genitori di origini piacentine (il padre
era l'avvocato Luca della Valle), riceve la sua prima educazione a Roma e
Firenze, imparando il greco da G. Aurispa e da R. Aretino. Lo guida lo zio
materno Melchiorre Scribani, un giurista funzionario in Curia. La sua
prima opera e il De comparatione Ciceronis Quintilianique ("Confronto fra
Cicerone e Quintiliano"), in cui elogia il latino di Quintiliano a scapito
di quello di Cicerone, andando contro all'idea corrente e mostrando già in
questo primo scritto il suo gusto per la provocazione. Quando muore lo zio,
spera di ottenere un impiego nella Curia Pontificia. Ma i due autorevoli
segretari A. Loschi e P. Bracciolini, ferventi ammiratori di Cicerone, si opponeno
all'assunzione/ Grazie all'aiuto di A. Beccadelli, detto il Panormita, e chiamato
ad insegnare retorica a Pavia, succedendo al maestro bergamasco G. Barzizza. Questi
anni furono fondamentali per lo sviluppo della sua filosofia. Pavia e infatti
un vivo centro culturale e egli puo approfondire le sue conoscenze giuridiche,
osservando inoltre l'efficacia del procedimento di analisi critica dei testi,
che lo Studio pavese applicava con rigore. Acquire una grande reputazione con
il dialogo “Della volutta”, nel quale si oppone fermamente alla morale stoica e
all'ascetismo, sostenendo la possibilità di conciliare la morale ricondotto
alla sua originarietà, con l'edonismo, recuperando così il senso della
filosofia di Lucrezio, che sottolinea come tutta la vita dell'uomo sia
fondamentalmente volta alla volutta, intesa non come istintività, ma come
calcolo dei vantaggi e svantaggi conseguenti ad ogni azione. A conclusione del
dialogo,sottolinea, però, come per l'uomo la suprema voluttà e la ricerca
spirituale. Si tratta di un saggio considerevole, poiché, per la prima volta,
una tendenza filosofica che era rimasta confinata nell'ambito della filosofia
romana classica vene rivalutata. Le polemiche che seguirono alla pubblicazione
del testo, gli costringe a lasciare Pavia. Da allora passa da un luogo
all’altro, accettando brevi incarichi e tenendo lezioni in diverse città. Fa la
conoscenza del re Alfonso V al cui servizio entra. Il re ne fa il suo
segretario, lo difende dagli attacchi dei suoi nemici e lo incoraggia ad aprire
una scuola a Napoli. Durante il pontificato di Eugenio IV, pubblica sulla
falsa donazione di Costantino, “De falso credita et ementita Constantini
donatione". In esso, con argomentazioni storiche e filologiche, dimostra
la falsità della donazione di Costantino, documento apocrifo in base al quale
la chiesa giustifica la propria aspirazione al potere temporale. Secondo questo
documento, infatti, sarebbe stato lo stesso imperatore Costantino, trasferendo
la sede dell'impero a Costantinopoli, a lasciare alla Chiesa di Roma il
restante territorio dell'Impero romano. La dimostrazione di Valla è accettata e
lo scritto è datato all'VIII secolo o IX secolo. Quid, quod multo est
absurdius, capit ne rerum natura, ut quis de Constantinopoli loqueretur tanquam
una patriarchalium sedium, que nondum esset, nec patriarchalis nec sedes, nec
urbs christiana nec sic nominata, nec condita nec ad condendum destinata?
Quippe privilegium concessum est triduo, quam Constantinus esset effectus
christianus, cum Byzantium adhuc erat, non Constantinopolis. E, ciò che è molto
più assurdo e non rientra nella realtà dei fatti, come si può parlare di
Costantinopoli come di una delle sedi patriarcali, quando ancora non era né
patriarcale né una sede né una città cristiana né si chiamava così, né era
stata fondata, né la sua fondazione era stata decisa? Infatti il privilegio fu
concesso tre giorni dopo che Costantino si fece cristiano, quando Bisanzio
esisteva ancora e non Costantinopoli. Dimostra che anche la lettera ad Abgar V
attribuita a Gesù e un falso e, sollevando dubbi sull'autenticità di altri
documenti spuri e ponendo in discussione l'utilità della vita monastica e
mettendone in luce anche l'ipocrisia nel De professione religiosorum ("La
professione dei religiosi"), suscita l'ira delle alte gerarchie
ecclesiastiche. E obbligato, pertanto, a comparire davanti al tribunale
dell'Inquisizione, alle cui accuse riusce a sottrarsi soltanto grazie
all'intervento del re. Visita nuovamente Roma, dove i suoi avversari sono ancora
molti e potenti. Riusce a salvarsi da morte certa travestendosi e ritornando a
Napoli. Vengono divulgati gli Elegantiarum libri sex, i sei libri
sull'"eleganza" della lingua Latina. Il saggio raccoglie una serie
straordinaria di passi desunti dai più celebri scrittori latini (Virgilio,
Cicerone, Livio), dallo studio dei quali occorre codificare i canoni
linguistici, stilistici e retorici della lingua latina. Il saggio costitue la
base scientifica del movimento umanista impegnato a riformare il latino sullo
stile ciceroniano. In le "Emendationes sex librorum Titi Livii"
discute, col suo modo di scrivere brillante e caustico, correzioni ai libri
21-26 di Livio in opposizione ad altri due intellettuali della corte napoletana
il Panormita ed il Facio che non avevano il suo stesso spessore
filologico. Con la morte del re, la sua fortuna inizia a volgere in
meglio. Recatosi nuovamente a Roma, e ricevuto da Niccolò V. Assume il ruolo a
lui più consono di professore di retorica, ma non perde nemmeno il suo spirito
caustico e inizia a criticare la Vulgata, facendo confronti con l'originale
greco sminuendo il ruolo di traduttore dGirolamo e giudica spuria la
corrispondenza tra Seneca e Paolo. Sotto Callisto III raggiunse il culmine
della carriera, divenendo segretario apostolico. È quasi impossibile farsi
un'idea precisa della sua vita privata e di suo carattere, essendo i documenti
nei quali vi si fa riferimento sorti in contesti polemici e, pertanto, fonte
più di esagerazioni e calunnie che di testimonianze attendibili. Appare
comunque come persona orgogliosa, invidiosa e irascibile, caratteristiche cui
però si affiancano le qualità di elegante umanista, critico acuto e scrittore
pungente nella sua continua e violenta polemica sul potere temporale della
Chiesa di Roma. -- è un personaggio di eccezionale importanza soprattutto
quale rappresentante del più puro umanesimo. Con le sue spietate critiche alla
Chiesa di Roma e un precursore di Lutero, ma fu anche il promotore di molte
revisioni di testi La sua filosofia si basa su una profonda padronanza
della lingua latina e sulla convinzione che fosse stata proprio
un'insufficiente conoscenza del latino la vera causa del linguaggio ambiguo di
molti filosofi. Valla era convinto che lo studio accurato e l'uso corretto
della lingua fosse l'unico mezzo di acculturazione feconda e comunicazione
efficace: la grammatica e un appropriato modo di esprimersi erano a suo modo di
pensare alla base di ogni enunciato e, prima ancora, della stessa formulazione
intellettuale. Da questo punto di vista la sua filosofia e tematicamente coerente, in quanto ciascuna delle
parti si sofferma innanzitutto sulla lingua, sul suo impiego rigoroso e
sull'individuazione delle applicazioni erronee della grammatica latina. Il
profondo distacco storico ci permette di distinguere la sua filosofia in due
filoni, quello critico e quello filologico. Sebbene avesse saputo mostrare
eccezionali doti di storico negli scritti critici, questa capacità non è però
riscontrabile nell'unico lavoro definito storico, cioè nella biografia di
Ferdinando d'Aragona, tutto sommato un modesto elenco di aneddoti. Nel
III secolo l'Impero romano inizia a tramontare, il che si palesava non solo
nell'indebolimento delle forze politiche e militari, ma anche nello sfaldamento
dell'ordinamento interno e soprattutto nell'imbarbarimento della cultura. La
crisi generale e l'accettazione di molte genti non italiche tra i cittadini
romani provocano un lento ma significativo allontanarsi dalla lingua verso
forme dialettali e meno eleganti. Si evidenzia la necessità di uno sviluppo della
lingua che presuppone la canonizzazione della parlata popolare e della sua
semplice grammatica. Sono i primi sintomi della nascita del volgare, che
necessita di un millennio per svilupparsi pienamente. Durante questa
lunghissima transizione, in tutta l’Italia ci fu un'enorme incertezza
linguistica. Il romano classico cede lentamente il posto ad una mescolanza di
nuovi idiomi che combatteno per la supremazia. Gli effetti di questo
periodo di passaggio sono ben visibili soprattutto nelle traduzioni che via via
nasceno dal romano verso l'italico, poché la linea di demarcazione tra il
romano e il volgare e fluttuante e nessuno dei traduttori puo dirsi un vero
esperto in materia. E il primo a stabilire un limite alla volgarizzazione, decidendo
che un cambiamento oltre tale limite fa già parte del processo di sviluppo. In
questo modo riusce non solo a salvaguardare la purezza del romano, ma pose anche
le basi per lo studio e la comprensione del volgare nato dal romano. Si
pone tra i maggiori esponenti dell'umanesimo non solo per il suo costante
apporto di punti di vista umanistici, bensì anche per la sua annosa avversione
alla cultura scolastica. È indicativa ad esempio la sua tesi in “Della
volutta” sugli errori dello stoicismo praticato dagli asceti che non avrebbero
preso in debita considerazione le leggi naturali, dunque divine. La morale
consiglierebbe infatti, a suo avviso, un'esistenza allegra e godereccia che non
precluderebbe in alcun modo l'aspirazione alle gioie del paradiso.
Analogamente, nelle “Dialecticae Disputationes”, confuta il dogmatismo di
Aristotele e la sua arida logica che non offre insegnamenti o consigli, bensì
discute solo di parole senza raffrontarle con il loro significato nella vita
reale. Altrettanto critico si dimostra (nelle Adnotationes in Novum
Testamentum) quando usa la sua profonda padronanza del latino per provare che
sono state le traduzioni maldestre di alcuni passi del Nuovo Testamento a
causare incomprensioni ed eresie. È a lui dedicata una Fondazione che in
collaborazione con Mondadori, pubblica la collana dei romani i in cui vengono
proposte edizioni critiche di testi classici. L'arte della grammatica, P.
Casciano (Milano, Mondadori); La falsa Donazione di Costantino, G. Pepe,
Firenze, Ponte alle Grazie, Scritti filosofici e religiosi, G. Radetti,
Firenze, Sansoni, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, “Repastinatio
dialectice et philosophie” (Padova, Antenore). Treccani enciclopedia/lorenzo-valla
(Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia) E. Garin, "La letteratura degli
umanisti", in E. Cecchi-N. Sapegno Letteratura italiana, III, Il
Quattrocento e l'Ariosto, Milano, Garzanti); Basilica Papale SAN GIOVANNI IN
LATERANO, su vatican.va. Pubblicate per la prima volta da Erasmo da Rotterdam. G. Antonazzi, “Valla e la polemica sulla donazione
di Costantino, Roma); S. Camporeale, Valla. Umanesimo e teologia, Firenze,
Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento,Wilhelm Fink, M. Laffranchi,
Dialettica e filosofia in Valla, Milano, Vita e Pensiero, G. Mancini, Vita di Valla, Firenze, G. C.
Sansoni; L. M. Regoliosi, “Valla. La riforma della lingua e della logica: Atti
del convegno del Comitato Nazionale, Prato) Firenze, Polistampa, Donazione di
Costantino. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia
Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rita Pagnoni Sturlese. Su
treccani. in Il contributo italiano alla storia del pensiero Filosofia, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La falsa donazione di Costantino, su
classic italiani. La tomba su penelope.uchicago, Laurentius Vallensis. Lorenzo
Valla. Valla. Keywords: rinascimento. Refs.: Luigi Speranza, “Valla e
Grice,”per la Fondazione Lorenzo Valla, The Swimming-Pool Library, Villa Grice,
Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688559016/in/photolist-2mPq5pS-2mKPBS1-2mKxnN1-CiAmxk-BvUfSB-jkJZJm-js45BA-jkGK9m-jkK47d-jkEKUz
Vallauri (Roma). essential Italian
philosopher. “Italians, especially noble ones, love a long surname, so this is
Luigi Lombardi Vallauri. I say: if he wants to keep the Vallauri, that’s what
he’ll go with by!”Lombardi Vallauri. Grice: “He favours animal rights, as I
do.”Filosofo e professore universitario italiano. È stato Professore
di filosofia del diritto presso l'Università Cattolica di Milano e l'Università
degli Studi di Firenze. Dal ha insegnato
all'Università degli Studi dell'Insubria e all'Università degli Studi di
Sassari, dalla quale è stato chiamato per "chiara fama". Nasce
e cresce in contesto familiare profondamente cattolico. Nipote del predicatore
gesuita Riccardo Lombardi, cugino del direttore della Sala stampa vaticana
Federico Lombardi, nonché nipote di Gabrio Lombardi, si avvia alla formazione
teologica alla Gregoriana di Roma. Nello stesso periodo consegue la laurea in
Giurisprudenza col massimo dei voti presso l'Roma, suo maestro è stato Emilio
Betti. Abbandonata la vocazione sacerdotale intorno a vent'anni, dopo la laurea
perfeziona gli studi giuridici in Germania e vince molto presto il concorso per
la Libera docenza. Diviene Professore in Filosofia del diritto
all'Firenze, dove ha insegnato anche Argomentazione giuridica e Filosofia del
diritto avanzata. Ottiene la cattedra in Filosofia del diritto anche
all'Università Cattolica di Milano. Dopo il collocamento a riposo insegnerà
presso le Como e Sassari. Massimo esperto di teoria dell'interpretazione
giuridica, già direttore dell'Istituto per la documentazione giuridica del CNR e
presidente della Società italiana di filosofia giuridica e politica -- è autore
di una vastissima serie di saggi filosofico-giuridici. Con il suo Terre: Terra
del Nulla, Terra degli uomini, Terra dell'Oltre ha aperto un nuovo filone della
sua ricerca, dedicato alla filosofia della religione e della spiritualità. Al
saggio Nera Luce, apparso nel 2001, Lombardi Vallauri ha consegnato la sua
critica serrata ai dogmi del cattolicesimo e l'approdo all'apofatismo. I suoi
interessi recenti riguardano la tutela giuridica dei diritti degli animali. È
vegano. Fonda e conduce, un gruppo di meditazione teso a esplorare le
possibilità di una vita contemplativa all'altezza del sapere moderno. Il suo
ultimo libroche traduce in scrittura il seguitissimo corso di meditazioni
tenuto dall'autore per Radio Tre Rai npropone una mistica laica, ossia una
mistica che prescinde da rivelazioni soprannaturali coniugando il pensiero
scientifico occidentale con le tecniche di meditazione tipiche delle filosofie
orientali. Allontanamento dall'Università Cattolica Dal 1976 Lombardi
Vallauri ha insegnato Filosofia del diritto presso l'Università cattolica di
Milano. Tiene una conferenza a Bari e all'inizio decide di sedersi in
terra, giustificandosi presso l'uditorio con la frase. Del Dio che emoziona non
mi sento di parlare seduto su una sedia, quindi, mentre parlerò di questo Dio,
starò seduto in terra». Nel 1998 è stato sospeso dall'attività didattica
a causa del suo insegnamento ritenuto eterodosso rispetto alla dottrina della
Chiesa Cattolica. Fra i punti problematici secondo le autorità
ecclesiastiche, un giudizio di Lombardi Vallauri sul dogma dell'inferno, da lui
definito: incostituzionale in quanto nessun atto per quanto grave può
meritare una pena eterna e perché è contraria ai princìpi più avanzati del
diritto, e specificamente del diritto influenzato dal cristianesimo, una pena
che in nessun modo tenda alla rieducazione/riabilitazione del condannato. Il
professore ha affermato in seguito. Quando i giudici ecclesiastici mi hanno
cacciato fuori dall'Università Cattolica non riuscivano a formulare l'accusa ed
io ho detto: "Ve la do io, il papa è quasi infallibile nell'errare. Dopo
l'esito negativo dei ricorsi giudiziari interni, si è rivolto alla Corte
europea dei diritti dell'uomo. La Corte si è pronunciata a favore del
ricorrente, ritenendo che fossero stati lesi i suoi diritti alla libertà di
espressione (per il provvedimento adottato dalla Cattolica senza contraddittorio)
e a un equo processo (per il rifiuto a pronunciarsi opposto dagli organi
giurisdizionali amministrativi), entrambi garantiti, rispettivamente, dagli
articoli 10 e 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali. Pensiero Nei suoi corsi e libri
Vallauri di è occupato di varie tematiche: filosofia del diritto, critica dei
riduzionismi, filosofia della mente, misticismo, buddismo, sessualità,
meditazione, diritti degli animali. Riassumeva la situazione storica
attuale tramite la seguente formula: [E = (m+e) + i (ab) + fd + oid] ->
[N.O.] -> [(N. e/ax/es)] + (I.P.)] La prima parte è l’equazione del
riduzionismo ontologico: l’essere è riducibile alla somma di materia, energia e
informazione. L’informazione è di due specie: algoritmica e biologica. Il
riduzionismo diventa poi scientismo tecnologico, con l’aggiunta di un fattore
di dominazione, ossia la teoria baconiana del conoscere per dominare, e
dell'organizzazione industriale del dominio portata dalla rivoluzione
industriale. Le conseguenze dello scientismo sono il nichilismo ontologico, ossia
la scomparsa di ogni tipo di spirito (dio angeli anima), il quale può avere due
esiti antitetici: le filosofie del soggetto assoluto e quelle della morte del
soggetto. L’ultima conseguenza del processo è il nichilismo etico assiologico
ed esistenziale, ossia la negazione di norme e valori oggettivi. Esso genera un
vuoto, che nella nostra epoca viene occupato dall’individualismo possessive, ossia
la credenza che gli unici beni sono ricchezza successo e potere. Occorre dunque
articolare una risposta filosofica al riduzionismo, individuando quali realtà
si sottraggano alle sue pretese. L’oggetto principale che sfugge alla riduzione
è la mente. Opere principali Saggio sul diritto giurisprudenziale,
Milano, Amicizia, carità e diritto, Milano); Corso di filosofia del diritto, Padova);
Cristianesimo, secolarizzazione e diritto moderno, Milano, Terre: Terra del
Nulla, Terra degli uomini, Terra dell'Oltre, Milano. Il Meritevole di tutela,
Milano, Logos dell'essere Logos della norma, Bari, Nera luce, Firenze); Riduzionismo
e oltre: Dispense di filosofia per il diritto, Padova, Trattato di Biodiritto.
La questione animale, Milano, Meditare
in Occidente. Corso di mistica laica, Firenze,
Scritti animali. Per l'istituzione d-i corsi universitari di diritto
animale, Gesualdo, Note Sandro Magister, L'inferno? Una vergogna,
L'Espresso. Guadagnucci; Scritti Animali. Per l'istituzione di corsi
universitari di diritto animale, in Visionari, Gesualdo (AV) (Gesualdo,
Guadagnucci); R. Bosco, Cristo o l'India, Verona, Fede e Cultura, Guadagnucci. Sullo
scarso fondamento dei fondamentalismi, Nuovamente. Lombardi Vallauri L., Neuroni, mente, anima,
algoritmo: quattro ontologie, Lettura magistrale al VI congresso della Società
italiana di neuroscienze, Lorenzo
Guadagnucci, Il filosofo degli animali, in Restiamo animali: Vivere vegan è una
questione di giustizia, Milano, Terre di mezzo, Meditare in occidente Corso di mistica laica, ciclo
di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai. Meditare in occidente Corso di mistica laica, ciclo
di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai, Meditare in occidenteL'anima di
paesaggio, ciclo di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai, edizione. Conferenza/lezione
tenuta dal titolo: Nonviolenza e Animali: un tema antico come le montagne e
sempre più ricco di futuro. Evento organizzato da Progetto Vivere Vegan,
Interviste Sì agli interventi che aiutano i nascituri, intervista di Giancarlo
Perna, LIBERO, l'Unità, Firenze, e Rassegna stampa sul "Caso
Vallauri" I Nuovi Inquisitori, di Giovanni Maria Pace, a Repubblica, A
dialogo con Luigi Lombardi Vallauri, di Neri Pollastri, da Phronesis, V (2007),
n. 9 Note, di Teresa Franza, Officina sedici. Luigi Lombardi Vallauri. Vallauri.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vallauri” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732400744
Valletta (Napoli). Eessential Italian
philosopher. Grice: “He was a libertine from Naples. I like him. His oeuvre
published in Firenze. Filosofo. Nell'infanzia studiò dapprima letteratura
presso i Gesuiti per poi dedicarsi al diritto.
Insieme a Francesco D'Andrea, fu fra i fondatori dell'Accademia degli
Investiganti, che diede impulso al grande rinnovamento culturale che prese
avvio negli ultimi decenni del Seicento meridionale. Nelle accese polemiche
filosofico-scientifiche tra progressisti e conservatori, il Valletta insieme a
Tommaso Cornelio, Francesco D'Andrea, Leonardo Di Capua e agli altri accademici
investiganti appoggiò attivamente i progressisti. Istituì a sue spese la cattedra di lingua
greca presso l'Napoli, affidando l'incarico di insegnamento al suo maestro ed
amico Gregorio Messere, illustre grecista e filosofo dell'epoca. Cura l'edizione
napoletana delle Opere e del Bacco in Toscana dello scienziato toscano F. Redi.
Grande appassionato e conoscitore di libri, tanto che la sua biblioteca ne
arriva a contenere ben diciottomila, meritandosi l'appellativo di Helluo
librorum et Secli Peireskius alter. Grazie all'interessamento di Vico, il fondo
librario confluì nella Biblioteca dei Girolamini. Saggi: Lettera in difesa
della moderna filosofia e de' coltivatori di essa. Historia filosofica. Lombardi. Antonio Lombardi, Storia della
letteratura italiana nel secolo XVIII. Tipografia camerale. Fausto Nicolini,
Giuseppe Valletta, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Gl’Investiganti Francesco D'Andrea Francesco Redi Francesco Valletta,
nipote di Giuseppe.Valletta breve scheda biografica sul sito "Francesco
Redi. Scienziato e poeta alla Corte dei medici". Giuseppe Valetta.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valletta” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691732621/in/photolist-2mKKxpY-2mKR1CX-2mKPDck-2mKPCGs-2mKU5Gz
Grice e Valore – l’inventario del mondo –
filosofia italiana (Milano). Essential Italian philosopher. Grice: “Having
philosophsided on what Italians call ‘valore,’ I admire Valore!”Filosofo.
Si occupa di metafisica, di ontologia generale e delle implicazioni ontologiche
delle teorie formali. Si è interessato anche dei progetti di linguaggi
artificiali e di lingue ausiliarie. Laureatosi in Filosofia a Milano, vi
ha conseguito il dottorato di ricerca con uno studio su Riferimento, rappresentazione
e realtà in Putnam. Dopo un anno di perfezionamento al King’s College di
Londra, dal 2002 diventa ricercatore presso il Dipartimento di Filosofia della
Statale di Milano, dove ha insegnato Storia della filosofia contemporanea. La
sua prima produzione è stata dedicata principalmente a studi sulla filosofia
dell'Ottocento e del Novecento e alla riabilitazione di una prospettiva
neotrascendentalista soprattutto in metafisica. Ha partecipato al gruppo
fondatore della rivista Problemata. Quaderni di Filosofia, di cui è stato
caporedattore. Quando la Facoltà di Ingegneria industriale del Politecnico
di Milano gli ha affidato un corso di "Verità e teoria della
corrispondenza", la sua ricerca si è spostata su tematiche sempre più
teoriche, collegate alla filosofia analitica, alla metafisica e all'ontologia
analitica. Organizza e cura il Progetto. Diviene quindi professore aggregato di
Storia della metafisica contemporanea a Milano, di Filosofia teoretica al
Politecnico con corsi dedicati all'ontologia formale e, nel -, di Filosofia
degli oggetti sociali (ontologia sociale) alMilano. Fonda InKoj.
Interlingvistikaj Kajeroj, rivista di studio e discussione accademica sulle
tematiche dei linguaggi artificiali. È stato membro del gruppo di ricerca
European Collaborative Research finanziato dall'European Science Foundation e
dal è il responsabile del progetto per il programma EuroScholars USA European Undergraduates
Research Opportunities). Lavora su un suo progetto di ricerca di ontologia
formale per il quale ha vinto una sponsorizzazione Fulbright nella categoria
Fulbright Visiting Scholar. Collabora con la Rivista di storia della filosofia,
è nel comitato scientifico delle riviste Materiali di estetica, Rivista
Italiana di Filosofia Analitica Junior e Multilinguismo e società ed è direttore
delle collane di filosofia Biblioteca di Problemata (editore LED di Milano) e Ratio.
Studi e testi di filosofia contemporanea (editore Polimetrica di Monza). Saggi:“Trascendentale
e idea di ragione. Studio sulla fenomenologia banfiana” (Firenze, La Nuova
Italia); “Rappresentazione, riferimento e realtà” (Torino, Thélème); “L'inventario
del mondo. Guida allo studio dell'ontologia, Torino, Pomba, La sentenza di
Isacco. Come dire la verità senza essere realisti, Milano-Udine, Mimesis, Curatele
Antonio Banfi, Platone. Lezioni, (Valore),
Milano, Unicopli, Forma dat esse rei. Studi su razionalità e ontologia, Milano,
Led, Paolo VaArs experientiam recte intelligendi. Saggi filosofici, Monza, Polimetrica,
Da un punto di vista logico. Saggi logico-filosofici, Milano, Cortina); Materiali
per lo studio dei linguaggi artificiali (Milano, Cuem); “Questioni di metafisica
contemporanea” (Milano, Il Castoro); Quine (Milano, Angeli). Monaco di iera,
Grin Verlag,. Pubblicato anche, con il titolo Interlinguistica e filosofia dei
linguaggi artificiali, come numero monografico per la prima uscita del giornale
accademico multilingue InKoj. *Interlingvistikaj Kajeroj. Pisa, Edistudio, Dispense
universitarie La categoria di sostanza in Aristotele, Milano, Cuem, Introduzione
al dibattito contemporaneo sulla distinzione tra analitico e sintetico (Milano.
Cuem); Questioni di ontologia quineana (Milano, Cusl); La struttura
logico-analitica dell'ontologia herbartiana (Milano, Cusl); Laboratorio di
ontologia analitica, Milano, Cusl); Verità e teoria della corrispondenza (Milano,
Cusl); Philosophy of Social Objects (Milano, Bocconi); Bibliografie ragionate
Ontologia, Milano, Unicopli, Verità, Milano, Unicopli,Saggi e articoli n Acme, "Idealizzazione della verità e
coerentismo. Due perplessità sul realismo della 'seconda ingenuità'", in
Iride. Filosofia e discussione pubblica, "La 'posizione' esistenziale e il
giudizio ipotetico nell'ontologia herbartiana: il caso degli oggetti
inesistenti", in Poggi, Natura umana e individualità psichica. Scienza,
filosofia e religione in Italia (Milano, Unicopli); “Sull'idea di una logica
trascendentale", in Chora. Laboratorio di attualità, scrittura e cultura
filosofica, "Alcune note sull'attualità dell'ontologia nella filosofia
contemporanea più recente", in Valore, Forma dat esse rei..., "L'interpretazione
semantica del trascendentale e l'ontologia del mondo reale in Giulio
Preti", in Paolo Valore, Forma dat esse rei..., "Il mestiere antico e nuovo del
filosofo", in la Repubblica, (sMilano). "Fisica e geometria come modelli di
lavoro per l'ontologia. Un'interpretazione del metodo delle relazioni”, Dall'epistolario
di Preti a Banfi", Ad Antonio Banfi cinquant'anni dopo, Milano, Unicopli, "Due
tipi di parsimonia. Alcune considerazioni sul costruttivismo e il nominalismo
ontologico", in La filosofia e i linguaggi, Macerata, Quodlibet. "Cosa c'è che non va nell'idea di una
lingua cosmica. Il caso del LINCOS di Freudenthal", in Multilingusimo e
Società, "Nothing is part of
everything", in Giornale di filosofia, Ontologie/8 ():
giornaledifilosofia.net La rivista è
consultabile sul sito specifico dell'Milano.
Volume recensito da Massimo Dell'Utri sulla rivista Iride. Filosofia e
discussione pubblica, Secretum on line. Scienze, saperi, forme di cultura, e da Marazzi sulla Rivista di filosofia neoscolastica,Volume
recensito da Conrad Gesner Jr. sulla rivista Belfagor. Rassegna di varia
umanità, Volume recensito da M. Bianchetti sulla rivista Chora. Laboratorio di
attualità, scrittura e cultura filosofica, Volume recensito da: Giardino sulla Rivista di
filosofia, nnell'articolo "Tra i cavalli alati e la realtà", su Il manifesto,
Francesco Armezzani su SWIF Volume recensito da R. Corsetti su “L'esperanto.
Revuo de itala esperanto-federacio”, Volume recensito da sulla rivista web
Secretum on line. Scienze, saperi, forme di cultura Si tratta di un eBook
accessibile solo con password. Si tratta
di una replica critica all'articolo di Patrizia Valduga "Trentuno filosofi
all'anagrafe", pubblicato su la Repubblica, (sezione Milano). Profilo accademico su immaginidellamente.
Elenco completo delle pubblicazioni sul sito universitario academia.edu. Paolo
Valore. Valore. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valore” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51730921887
Grice
e Vanini – peripatetici – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taurisano).
Essential Italian philosopher. “If you speak Italian, you should never confuse
Vaninin with Vanninin.” -- Grice. Filosofo. Fra i primi esponenti di rilievo del libertinismo erudito. Nasce
a Taurisano, casale di Terra d'Otranto, nella famiglia che il padre Giovan
Battista, uomo d'affari originario di Tresana in Toscana, costitusce sposando
una Lopez de Noguera, appartenente a una famiglia spagnola appaltatrice delle
regie dogane della Terra di Bari, della Terra d'Otranto, della Capitanata e
della Basilicata. Anche un successivo documento scoperto nell'Archivio segreto
vaticano, lo qualifica pugliese, confermando il luogo di nascita ch'egli si
attribuisce nelle sue opere. Nel censimento ufficiale della popolazione
del casale di Taurisano figurano solo i nomi di Giovan Battista Vanini, del
figlio legittimo Alessandro, e del figlio naturale Giovan Francesco. Nessun
cenno della moglie e dell'altro figlio legittimo Giulio Cesare. Si ha motivo di
ritenere che il padre sia rientrato a Napoli. Sistemata ogni pendenza
economica, entra nell'ordine carmelitano assume il nome di Gabriele e si
trasferisce a Padova per intraprendere gli studi. Giunge nelle terre della
Repubblica di Venezia quando le polemiche provocate due anni prima
dall'interdetto di Paolo V sono ancora vivacissime. Durante il soggiorno
padovano entra in contatto con il gruppo capeggiato da P. Sarpi che, con
l'appoggio dell'ambasciata inglese a Venezia, alimenta la polemica anti-papale. Consegue
a Napoli il titolo di dottore in utroque iure, superando l'esame che gli
consente di esercitare la professione di dottore nella legge civile e canonica.
Come verrà descritto in documenti posteriori, assimila una grande cultura. Parla
assai bene il latino e con una grande facilità, è alto di taglia e un po'
magro, ha i capelli castani, il naso aquilino, gli occhi vivi e fisionomia gradevole
ed ingegnosa. Divenuto maggiorenne, si fa riconoscere da un tribunale della
capitale erede di Giovan Battista. Con una serie di rogiti e procure notarili
redatte a Napoli, inizia a sistemare ogni pendenza economica conseguente alla
morte del padre. Vende una casa di sua proprietà sita in Ugento, a pochi
chilometri dal suo paese d'origine. Dà mandato a uno zio di assolvere incarichi
dello stesso tipo, incarica l'amico Scarciglia di recuperagli una somma e gli
vende alcuni beni rimasti a Taurisano e tenuti in custodia dai due
fratelli. Partecipa alle prediche quaresimali, attirandosi i sospetti
delle autorità religiose. In conseguenza dei suoi atteggiamenti anti-papali,
e allontanato dal convento di Padova e rinviato, in attesa di ulteriori
sanzioni disciplinari, al Provinciale di Terra di Lavoro con sentenza del
generale dell'Ordine Carmelitano, Silvio, ma fugge in Inghilterra, insieme con
il confratello genovese Bonaventura Genocchi. Nel viaggio, toccano Bologna,
Milano, i Grigioni svizzeri e discendono il corso del Reno sino alla costa del
Mare del Nord, attraversando la Germania, i Paesi Bassi, il canale della Manica
e giungendo infine a Londra e a Lambeth, sede arcivescovile del Primate
d'Inghilterra. Qui i due frati rimarranno per quasi due anni, nascondendo la
loro reale identità perfino ai loro ospiti inglesi, poiché è provato che lo
stesso arcivescovo di Canterbury, George Abbot, li conosceva sotto un nome
diverso da quello reale. Nella Chiesa londinese detta dei Merciai o
degl’Italiani, alla presenza di un folto auditorio e di Bacone, Vanini e il suo
compagno fanno una pubblica sconfessione della loro fede cattolica,
abbracciando la religione anglicana. In realtà i due frati non hanno tagliato i
ponti con i loro ambienti di provenienza: infatti nel Genocchi viene raggiunto
da una lettera molto amichevole di un amico e confratello genovese, Gregorio
Spinola. A loro volta, le autorità cattoliche vengono subito informate di
questo caso. -- è il nunzio a Parigi ad avvertire la Segreteria di Stato
vaticana che due frati veneziani non meglio identificati sono fuggiti in
Inghilterra e si sono fatti ugonotti, che un vescovo italiano sta per seguirli e
che lo stesso Sarpi, morto il doge e privato della sua protezione, per non
cadere in mano dei suoi nemici, è sul punto di fuggire in Palatinato tra i
protestanti. Analoga notizia, arricchita di altri particolari, viene inoltrata
dal nunzio in Fiandra al cardinale Borghese a Roma, che risponde mostrandosi
già al corrente dei fatti e dell'esatta identità dei due frati. Sa che la fuga
di Vanini, di Genocchi, di Sarpi e di un non ancora identificato vescovo
italiano potrebbe portare alla ricostituzione in terra protestante del gruppo
di opposizione al papato già operante nella Repubblica veneta al tempo
dell'interdetto. Il nunzio Ubaldini da Parigi continua a inviare a Roma
dettagli sulla condotta dei due frati rifugiati in Inghilterra, sulle loro
predicazioni, su come sono stati accolti a corte e dalle autorità religiose, su
come si continui a parlare dell'arrivo del vescovo italiano. La Segreteria di
Stato vaticana esorta il nunzio in Francia ad attivare i suoi confidenti in
Inghilterra al fine di scoprire l'identità del vescovo intenzionato a
rifugiarvisi. Il cardinale Ubaldini da Parigi assicura alla Segreteria di Stato
tutto il suo impegno in merito all'argomento dei due frati. Nello stesso dispaccio
afferma che non mancherà di informare di ogni dettaglio anche il cardinale
Arrigoni, che gli ha scritto in merito per conto del Papa e della Congregazione
del Sant'Uffizio. Evidentemente a quella data la condotta veneziana e la
successiva fuga dei due frati era già diventata argomento di discussione
dell'Inquisizione Romana. Un'altra lettera del cardinale Borghese invita
il nunzio in Francia ad essere vigile sulla faccenda della fuga del vescovo in
Inghilterra e, nel caso egli passi per il suolo francese, a far di tutto per
«farlo ritenere», come suggerisce il Papa e «come sarebbe molto a proposito».
In dicembre il Nunzio Ubaldini invia da Parigi al cardinale Borghese notizie
dettagliate e di tenore molto diverso rispetto alle precedenti sui due frati,
attestando la buona reputazione di cui essi godono in Inghilterra e la fiducia
che possano presto essere recuperati alla Chiesa di Roma. Questa lettera viene
poi trasmessa al tribunale dell'Inquisizione romana che nei primi giorni del
gennaio successivo inizia di fatto a istruire il processo contro Vanini. Nei
mesi successivi si hanno varie notizie di un gran traffico di suppliche e
lettere dei due frati a Roma, specialmente tramite l'ambasciatore spagnolo a
Londra, per ottenere il perdono del papa e il rientro nel Cattolicesimo. Le
autorità religiose inglesi ne vengono segretamente informate e dispongono
un'attenta sorveglianza nei confronti dei due frati. Tra la fine dele
l'inizio del Vanini si reca in visita all'Cambridge e poi ad Oxford; qui confida
ad alcuni conoscenti la sua ormai imminente fuga dall'Inghilterra, cosicché in
gennaio i due frati vengono arrestati dalla guardie dell'arcivescovo dopo una
funzione religiosa nella chiesa "degli Italiani" e rinchiusi in case
di alcuni servi dell'arcivescovo. Scoppia un grande scandalo e dell'episodio
vengono informati il re e le massime autorità dello Stato, in quanto nelle
operazioni di recupero appaiono chiaramente coinvolti agenti di nazioni
straniere accreditati nelle ambasciate a Londra. Altissime personalità
cattoliche da Roma seguono la vicenda e la favoriscono con grande calore.
In febbraio Genocchi, eludendo la sorveglianza e con l'aiuto di agenti
stranieri, fugge dalla prigione e dall'Inghilterra; in conseguenza di ciò,
viene trasferito in luogo più sicuro e rinchiuso nella Carzel publica, ovvero
nella Gatehouse adiacente all'Abbazia di Westminster. Dilaga lo scandalo;
volano le accuse di leggerezza nei confronti dei fautori della fuga dei due
frati dall'Italia, mentre cominciano a circolare apertamente i nomi del
cappellano dell'ambasciatore veneto a Londra, Girolamo Moravo, e
dell'ambasciatore spagnolo quali autori del clamoroso recupero. Dalla Curia
romana si continua a seguire la vicenda e a favorirla in ogni modo. A
Londra viene intanto istruito il processo a Vanini: il frate rischia una severa
punizione, non il rogo come i martiri della fede (come il carmelitano scriverà
con enfasi poi nelle sue opere), ma una lunga deportazione in desolate colonie
lontane, come l'arcivescovo Abbot suggerisce al re. La fuga da Londra. Anche
Vanini riesce a evadere di prigione e a fuggire dall'Inghilterra, sempre grazie
all'aiuto degli agenti dell'ambasciatore spagnolo a Londra, incoraggiato da
alte personalità romane e del cappellano dell'ambasciata della Repubblica
Veneta, che si avvale anche dell'opera di alcuni servi dell'ambasciatore
stesso, ma all'insaputa di questi. Due anni dopo, durante il processo
della Repubblica Veneta contro l'ambasciatore Foscarini per spionaggio e per
aver consentito ad Abbot di sottoporre ad interrogatorio il personale
dell'ambasciata, vengono alla luce anche dettagli sulla complicità della fuga
di Vanini da Londra. Vanini e Genocchi arrivano a Bruxelles e si
presentano al Nunzio di Fiandra, Guido Bentivoglio, che li attende da tempo.
Vengono iniziate le prime pratiche per la concessione del perdono per la fuga
in Inghilterra e per l'apostasia e viene loro accordato di tornare in Italia e
di vivervi in abito di prete secolare, senza più indossare l'abito religioso,
ma con il vincolo dell'obbedienza al loro superiore. Forti di tali concessioni,
alla fine di maggio i due frati vengono posti sulla via per Parigi, dove devono
presentarsi al Nunzio di quella città, Roberto Ubaldini. All'incirca
nello stesso periodo giunge a Parigi anche l'ultimo frate
"recuperato" dall'Inghilterra, fra' Nicolò da Ferrara, al secolo
Camillo Marchetti. Altri due frati, invece, non ottengono il perdono dalle
autorità cattoliche. Lione, la città vecchia A Parigi, nell'estate del,
durante la permanenza presso la sede del Nunzio Ubaldini, Vanini si inserisce
nella polemica relativa all'accettazione dei principi del concilio di Trento in
Francia, che tardava ad arrivare a causa del rifiuto di parte del clero
gallicano; per orientare gli animi nella direzione voluta dalla Santa Sede, scrive
i Commentari in difesa del concilio di Trento, di cui egli poi intende
avvalersi, come scrive Ubaldini ai suoi superiori in Roma, per dimostrare la
sincerità del suo ritorno nella fede cattolica. Riprende quindi la strada
per l'Italia, dirigendosi a Roma, dove deve affrontare le difficili fasi finali
del processo presso il tribunale dell'Inquisizione. Dimora per qualche mese a
Genova, dove ritrova l'amico Genocchi e si guadagna da vivere insegnando
filosofia ai figli di Scipione Doria. Nonostante le assicurazioni
ricevute, il ritorno dei frati non è del tutto tranquillo: nel gennaio Genocchi
viene inaspettatamente arrestato dall'Inquisitore di Genova; a Ferrara accade
lo stesso all'altro frate "recuperato", Camillo Marchetti. Vanini
teme che gli accada la stessa sorte, fugge nuovamente in Francia e si dirige a
Lione. Gl’esiti finali delle esperienze capitate al frate genovese e a quello
ferrareseche vennero rilasciati dopo un breve periodo di detenzione e
restituiti alla normale vita religiosasembrano indicare che forse Vanini
esagerò il pericolo insito in queste operazioni di polizia
dell'Inquisizione. In Francia' A Lione, pubblica l' “Amphitheatrum”, che
egli intende esibire in sua difesa alle autorità romane, come si legge in un
dispaccio di Ubaldini alle autorità romane. Esso è dedicato a Francesco de
Castro, ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede, già collegato con la
famiglia Vanini, da cui il frate fuggiasco s'aspetta un aiuto nell'operazione
della concessione del perdono da parte delle autorità romane. Poco tempo
dopo, grazie anche agli appoggi acquisiti presso certi ambienti cattolici con
la pubblicazione della sua opera, Vanini ritorna a Parigi e si ripresenta al
Nunzio Ubaldini, chiedendogli di intervenire in suo favore presso le autorità
di Roma. In agosto il prelato scrive al cardinale Borghese, chiedendo chiare
indicazioni sulla sorte dell'ex-carmelitano. Non si conosce la risposta del
Segretario di Stato; Vanini, comunque, non ritorna più in Italia e riesce invece
a trovare la strada e i mezzi per entrare in ambienti molto prestigiosi della
nobiltà francese. Nel 1616, in pochi mesi, Vanini completa un'altra sua
opera, il De Admirandis Naturae Reginae Deaeque Mortalium Arcanis, ed l'affida
a due teologi della Sorbona perché ne autorizzino la pubblicazione, secondo le
norme del tempo vigenti in Francia; l'opera è pubblicata in settembre a Parigi.
Essa è dedicata a François de Bassompierre, uomo potente alla corte di Maria
de' Medici, ma è stampata da Adrien Perier, tipografo notoriamente protestante.
Il lavoro vede la luce in un ambiente ricco di pubblicazioni che vengono
guardate con sospetto dai rappresentanti cattolici e che provocano pesanti
condanne, fino al rogo. L'opera del Vanini ottiene un immediato successo presso
certi ambienti della nobiltà, popolati di giovani spiriti che guardano con
interesse alle innovazioni culturali e scientifiche che vengono dall'Italia. In
questo senso il De Admirandis costituisce una summa, esposta in modo vivace e
brillante, del nuovo sapere; dà una risposta alle esigenze del momento di
questo settore della nobiltà francese; diviene una specie di
"manifesto" culturale di questi esprits forts e rappresenta per
Vanini una possibilità di stabile permanenza negli ambienti vicini alla corte
di Parigi. Tuttavia, pochi giorni dopo la pubblicazione dell'opera, i due
teologi della Sorbona che avevano espresso la loro approvazione alla
pubblicazione si presentano ai membri della Facoltà di Teologia in seduta
ufficiale e li informano di aver letto, a loro tempo, certi dialoghi scritti da
Vanini; di non avervi trovato allora niente che contrastasse con la fede
cattolica; di averli restituiti muniti della loro approvazione alla stampa e
con la condizione che il manoscritto da essi controfirmato fosse depositato
presso di essi a pubblicazione avvenuta, a testimonianza della fedeltà del
testo pubblicato a quello da loro approvato; che ciò non era avvenuto e che
circolava invece un testo dell'opera diverso da quello approvato e contenente
«alcuni errori contro la comune fede di tutti», per cui i due dottori avanzano
la supplica che l'opera non circoli più con la loro approvazione e che tale
richiesta venga trascritta nel libro delle Conclusioni della Facoltà stessa. La
Sorbona accoglie tale richiesta che costituì di fatto un divieto di
circolazione del testo. Marco Antonio de Dominis La Facoltà di
Teologia della Sorbona, però, sembra non occuparsi più dell'opera di Vanini,
non prenderne più in esame l'opera, non elencarne o denunciarne, come da prassi,
gli errori da emendare, né mai condanna il suo contenuto o il suo autore.
Comunque, una condanna espressa dal vicario episcopale di Tolosa, Jean de
Rudèle, fu sottoscritta anche dall'inquisitore Claude Billy. Inoltre anche la
Congregazione dell'Indice pronuncia una condanna il 3 luglio 1620, con la quale
il De admirandis fu condannato con la formula del donec corrigatur, in base
alla quale il Sotomaior collocò il Vanini nella prima classe degli autori
proibiti nel suo indice. La Collectio Judiciorum de novis erroribus qui ab
initio duodecimi seculi post Incarnationem Verbi, usque ad annum 1632, in
Ecclesia proscripti sunt et notati, di Charles du Plessis d'Argentré, dottore
della Sorbona e vescovo, edita a Parigi, esamina le censure e le
"conclusioni" espresse dalla Facoltà che aveva condannato
l'Amphitheatrum Aeternae Sapientiae di H. Khunrath e la De Republica
Ecclesiastica di Marco Antonio de Dominis)non menziona invece provvedimenti
contro Vanini. Tutto questo porterebbe a ritenere che non vi siano stati
atti ufficiali specifici di persecuzione contro Vanini da parte delle autorità
parigine, né religiose né civili, né in questo periodo né negli anni seguenti,
ma solo proteste e minacce nei suoi confronti da parte di alcuni settori
cattolici. Una condanna dell'opera di Vanini non avrebbe trovato fondate
giustificazioni, né sul piano giuridico né su quello culturale, in quanto gran
parte delle teorie esposte da Vanini non costituivano una novità per la cultura
francese. Fuggito da pochi mesi dall'Inghilterra, impossibilitato a
rientrare in Italia, minacciato da alcuni settori cattolici francesi, Vanini
vede restringersi intorno gli spazi di movimento e ridursi le possibilità di
trovare stabile sistemazione nella società francese. Ha paura che venga aperto
un processo contro di lui anche a Parigi, per cui fugge dalla capitale e si
nasconde in Bretagna, in una delle cui abbazie, quella di Redon, è Abate
Commendatario il suo amico e protettore, Arthur d'Espinay Saint-Luc. Ma
intervengono anche altri fattori di preoccupazione: nell'aprileviene ucciso a
Parigi Concino Concini, favorito di Maria de Medici, uomo potentissimo e molto
odiato in Francia. L'episodio, seguito poco dopo dall'allontanamento della
regina dalla capitale con il suo odiato seguito di italiani, crea notevole
turbolenza politica e suscita un vasto movimento di ostilità nei confronti
degli italiani residenti a corte. Altre cronache del tempo segnalano la
presenza di un misterioso italiano, con un nome strano, in possesso di una
grande cultura ma dall'incerto passato, ancora più a sud, in alcune città della
Guienna e poi della Linguadoca ed infine a Tolosa. Nella particolare
suddivisione politica della Francia del XVII secolo, Enrico, duca di
Montmorency, protettore degli esprits forts del tempo, sposato con la duchessa
italiana Maria Felice Orsini, è governatore di questa regione e sembra poter
accordare protezione al fuggiasco, che continua comunque a tenersi
prudentemente nascosto. La presenza a Tolosa di questo misterioso personaggio,
di cui si ignora la provenienza e la formazione culturale, ma che fa mostra di
grande sapienza, di grande vivacità dialettica specialmente tra i giovani e di
affermazioni non sempre allineate con la morale del tempo, non passa
inosservata ed attira i sospetti delle autorità, che cominciano a
sorvegliarlo. Dopo averlo ricercato per un mese, le autorità tolosane lo
fanno arrestare e chiudere in prigione. Lo sottopongono ad interrogatorio,
cercano di scoprire chi egli sia, quali siano le sue idee in materia di religione
e di morale, perché fosse arrivato fin in quel lontano angolo della Francia
meridionale. Vengono convocati testimoni contro di lui, ma non riescono ad
accertare nulla, né a farlo tradire. Il convento degli Agostiniani a
Tolosa. Il misterioso personaggio viene improvvisamente riconosciuto colpevole
e condannato al rogo. Ormai isolato, braccato, impossibilitato a chiamare a sua
difesa un passato travagliatissimo e ricco di nodi mai sciolti, abbandonato dai
pochi amici rimastigli fedeli perché impotenti ad organizzare una chiara strategia
in sua difesa, muore di morte atroce. Il Parlamento di Tolosa lo riconosce
colpevole del reato di ateismo e di bestemmie contro il nome di Dio,
condannandolo, sulla base della normativa del tempo prevista per i bestemmiatori,
alla stessa pena cui erano andati incontro, in luoghi diversi ma in circostanze
analoghe, certi Fremond e Fontanier. Gli viene tagliata la lingua, poi è
strangolato e infine arso. Subito dopo l'esecuzione furono pubblicati due
anonimi che facevano esplicitamente il nome del Vanini e quindi nel misterioso
italiano giustiziato viene riconosciuto Giulio Cesare Vanini, l'autore del “De
Admirandis” che aveva suscitato i sospetti di alcuni settori cattolici
parigini. Comparvero le Histoires memorables di Rosset, che, con la quinta
Histoire, divulga con poche modifiche il secondo dei due citati canards. Rudele,
teologo e vicario generale dell'arcivescovado di Tolosa, avverte pubblicamente
di aver esaminato le due saggi di Vanini insieme con iBilly e di averle trovate
contrarie al culto e all'accettazione del vero Dio e assertrici dell'ateismo, emettendo
ufficiale ordinanza di condanna e proibendone la stampa e la vendita nella
diocesi di Tolosa, territorio posto sotto la sua giurisdizione. In precedenza,
la facoltà teologica della Sorbona non ha comunicato di aver adottato analogo
provvedimento. Opere: “Amphitheatrum Æternæ Providentiæ divino-magicum,
christiano-physicum, necnon astrologo-catholicum adversus veteres philosophos,
atheos, epicureos, peripateticos et stoicos” (Lione). Il saggio si compone di esercitazioni,
che mirano a dimostrare l'esistenza di Dio, a definirne l'essenza, a
descriverne la provvidenza, a vagliare o confutare le opinioni di Pitagora,
Protagora, Cicerone, Boezio, Aquino, gl’epicurei, Aristotele, Averroè, Cardano,
i peripatetici, i Stoici, ecc., su questo argomento. “De Admirandis Naturæ
Reginæ Deæque Mortalium Arcanis libri quattuor” (Parigi, Périer). Il saggio si divide
in quattro libri: un Liber Primus de Cœlo et Aëre; un Liber Secundus de
Aqua et Terra; un Liber Tertius de Animalia Generatione et Affectibus
Quibusdam; un Liber Quartus de Religione Ethnicorum; in forma di dialogo -- che
avvengono tra lui, nelle vesti di divulgatore del sapere, e un immaginario
Alessandro, che si presta ad un gioco sottile e divertente nel corso del quale,
con un atteggiamento compiacente e un po' complice, tra espressioni di
meraviglia e ammirazione per la vastità del sapere di cui l'amico fa mostra,
sollecita il suo interlocutore ad elencare e spiegare gli arcani della natura
regina e dea che esistono intorno e all'interno dell'uomo. Così, in un
misto di rilettura in nuova chiave critica del pensiero degli filosofi antichi
e di divulgazione di nuove teorie scientifiche e religiose, il protagonista del
lavoro discetta sulla materia, figura, colore, forma, motore ed eternità del
cielo; sul moto, centro e poli dei cieli; sul sole, sulla luna, sugli astri;
sul fuoco; sulla cometa e sull'arcobaleno; sulla folgore, la neve e la pioggia;
sul moto e la quiete dei proiettili nell'aria; sull'impulsione delle bombarde e
delle balestre; sull'aria soffiata e ventilata; sull'aria corrotta;
sull'elemento dell'acqua; sulla nascita dei fiumi; sull'incremento del Nilo;
sull'eternità e la salsedine del mare; sul fragore e sul moto delle acque; sul
moto dei proiettili; sulla generazione delle isole e dei monti, nonché della
causa dei terremoti; sulla genesi, radice e colore delle gemme, nonché delle
macchie delle pietre; sulla vita, l'alimento e la morte delle pietre; sulla
forza del magnete di attrarre il ferro e sulla sua direzione verso i poli
terrestri; sulle piante; sulla spiegazione da dare ad alcuni fenomeni della
vita di tutti i giorni – SUL SEME GENITALE -- sulla generazione, la natura, la
respirazione e la nutrizione dei pesci; sulla generazione degli uccelli; sulla
generazione delle api; sulla prima generazione dell'uomo; sulle macchie
contratte dai bambini nell'utero; sulla generazione del MASCHIO e della
femmina; sui parti di mostri; sulla faccia dei bambini coperta da una larva;
sulla crescita dell'uomo; sulla lunghezza della vita umana; sulla vista;
sull'udito; sull'odorato; sul gusto; sul tatto e solletico; sugli affetti
dell'uomo; su Dio; sulle apparizioni nell'aria; sugli oracoli; sulle sibille;
sugli indemoniati; sulle sacre immagini dei pagani; sugli àuguri; sulla
guarigione delle malattie capitata miracolosamente ad alcuni al tempo della
religione pagana; sulla resurrezione dei morti; sulla stregoneria; sui
sogni. Empio osarono dirti e d'anatemi oppressero il tuo cuore e ti
legarono e alle fiamme ti diedero. O uomo sacro! perché non discendesti in
fiamme dal cielo, il capo a colpire ai blasfemi e la tempesta tu non invocasti
che spazzasse le ceneri dei barbari dalla patria lontano e dalla terra! Ma pur
colei che tu già vivo amasti, sacra Natura te morente accolse, del loro agire
dimentica i nemici con te raccolse nell'antica pace. Hölderlin. L'interpretazione
naturalistica dei fenomeni soprannaturali che Pietro Pomponazzi chiamato dal
Vanini magister meus, divinus praeceptor meus, nostri speculi philosophorum
princeps da nel “De incantationibus” “aureum opusculum”, è ripresa nel De
admirandis naturae, dove, con una prosa semplice ed elegante,fa riferimento anche
al Cardano, a Bordoni e ad altri cinquecentisti. Dio agisce sugli esseri
sub-lunari (cioè sugli esseri umani) servendosi dei cieli come strumento. Di
qui l'origine naturale e la spiegazione razionale dei pretesi fenomeni sopra-naturali,
dal momento che anche l'astrologia è considerata una scienza. L’esere supremo,
quando incombono pericoli, dà avvertimenti agli uomini e specialmente ai
sovrani, agli esempi dei quali il mondo si conforma. Ma i reali fondamenti dei
presunti fenomeni sovrannaturali sono soprattutto la fantasia umana, capace a
volte di modificare l'apparenza della realtà esterna, i fondatori delle
religioni rivelate, Mosè, Gesù, Maometto e gli ecclesiastici impostori che
impongono false credenze per ottenere ricchezze e potere, e i regnanti,
interessati al mantenimento di credenze religiose per meglio dominare la plebe,
come insegnava già Machiavelli, il principe degli atei per il quale tutte le
cose religiose sono false e sono finte dai principi per istruire l'ingenua
plebe affinché, dove non può giungere la ragione, almeno conduca la religione. Seguendo
ancora il Pomponazzi e il Porzio nella loro interpretazione dei testi
aristotelici, mutuata dai commenti di Alessandro di Afrodisia, nega
l'immortalità dell'anima. Anche il cosmo aristotelico-scolastico subisce il suo
attacco distruttivo. Analogamente a Bruno, nega la differenza peripatetica tra
un mondo sub-lunare e un mondo celeste, affermando che entrambi sono composti
della stessa materia corruttibile. Scardina nell'ambito fisico e biologico il finalismo
e la dottrina ile-morfica aristotelica, e, ricollegandosi all'epicureismo di
LUCREZIO, elabora una nuova descrizione dell'universo d'impianto meccanicistico-materialistico.
Gl’organismi sono parago orology. E concepisce una prima forma di trasformismo
universale delle specie viventi. Concorda con gl’aristotelici sull'eternità del
mondo, considerando in particolare l'aspetto temporale. Ma, contro di essi,
afferma il moto di rotazione terrestre e appare respingere la tesi tolemaica in
favore di quella eliocentrica copernicana. Se il primo curator Corvaglia e
lo storico Ruggiero, ingiustamente, considerarono la sua filosofia
semplicemente un centone privo di originalità e di serietà scientifica, Garasse,
ben più preoccupato delle conseguenze della diffusione della sua filosofia, li giudica
la filosofia più perniciosa che in fatto di ateismo fosse mai uscita negli
ultimi cento anni. E stato ampiamente ri-considerato e ri-valutato dalla
critica, mettendo in mostra l'originalità e le intuizioni metafisiche, fisiche,
biologiche, talvolta precorritrici nei tempi, dei suoi saggi. Visto che
nasconde la sua filosofia, secondo un tipico espediente della cultura del suo
tempo, per evitare seri conflitti con le autorità religiose e politiche
costituite, conflitti che, come paradossalmente e sfortunatamente avvenne,
nonostante le cautele, lo condussero infine alla morte), l'interpretazione del
suo pensiero si offre a diversi piani di lettura. Tuttavia, nella storia della
filosofia, resta di lui acquisita un'immagine di miscredente e persino di ateo
(il che non era). E questo perché avversario di ogni superstizione e di fede
costituita (meglio un proto-agnostico), tanto da essere considerato uno dei
padri del libertinismo, malgrado avesse scritto persino un'apologia del concilio
di Trento. Per una sintesi della sua filosofia si deve guardare da un lato al
retroterra culturale, che è quello abbastanza tipico del Rinascimento, con
prevalenza di elementi dell'aristotelismo ma con forti elementi di misticismo
platonico. Dall'altro lato egli trae dal Cusano dei tipici elementi
panteistici, simili a quelli che si ritrovano anche in Bruno, ma più
materialistici. La sua visione del mondo si basa sull'eternità della materia,
sulla omogeneità sostanziale cosmica, su un Dio dentro la natura come forza che
la forma, la ordina e la dirige. Tutte le forme del vivente hanno avuto origine
spontanea dalla terra stessa come loro creatrice. Considerato ateo, nel
titolo del suo saggio pubblicato a Lione nel Amphitheatrum aeternae providentiae
divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum adversus
veteres philosophos, atheos, epicureos, Peripateticos et Stoicos dimostra di
non esserlo. Come precursore del libertinismo vi sono invece molti elementi che
lo avvicinano al pensiero dell'ignoto autore del trattato dei tre impostori
anch'egli panteista. Pensa infatti che i creatori delle tre religioni
monoteiste, Mosè, Gesù Cristo e Maometto, non siano altro che degl’impostori. In
“De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor” stampato
a Parigi nelvengono riprese le tesi dell' “Amphiteatrum” con precisazioni e
sviluppi che ne fanno il suo capolavoro e la sintesi della sua filosofia. Viene
negata la creazione dal nulla e l'immortalità dell'anima, Dio è nella natura
come sua forza propulsiva e vitale. Entrambi sono eterni. Gl’astri del cielo
sono una specie di intermediari tra dio e la natura che sta nel mondo sub-lunare
e di cui noi facciamo parte. La religione vera è perciò una religione della
natura che non nega Dio ma lo considera un suo spirito-forza. La sua filosofia
è abbastanza frammentaria e riflette anche la complessità della sua formazione.
E un filosofo, un naturalista, un religioso, ma anche un medico e un po' un
mago. Ciò che ne caratterizza è la veemenza anti-clericale. Tra le cose
originali della sua filosofia c'è una specie di anticipazione della teoria
dell’evoluzione, perché, dopo un primo tempo in cui sostiene che le specie
animali nascano per generazione spontanea dalla terra, in un secondo tempo (lo
pensa anche Cardano) pare convinto che esse possano trasformarsi le une nelle altre
e che l'uomo derivia d’animali affini all'uomo come la bertuca, il macacho e la
scimmia in genere. Appaiono due saggi che consacrano il mito del Vanini ateo:
La doctrine curieuse des beaux esprits de ce temps, di Garasse e le Quaestiones
celeberrimae in Genesim cum accurata explicatione, di Mersenne. I due saggi,
però, anziché spegnere la voce del filosofo, la amplificano in un ambiente che
evidentemente e pronto a ricevere, discutere e riconoscerne la validità delle
affermazioni. Il nome di Vanini viene nuovamente proiettato all'attenzione
della filosofia in occasione del clamoroso processo che viene celebrato contro Viau:
il progetto di interrogatorio che il procuratore generale del re, Molé,
predispone con ben articolati capi d'accusa su cui interrogare Viau, contiene
impressionanti analogie colla filosofia vaniniana, cui vien fatto esplicito
riferimento mentre Mersenne torna a martellare su Vanini, analizzandone alcune affermazioni
nel suo “L'Impiétè des Déistes, Athées et Libertins de ce temps, combatuë, et
renversee de point en point par raisons tirées de la Philosophie, et de la
Theologie”, nel quale porta il suo giudizio concernente Cardano Bruno. Anche
Leibniz, oppositore al pari di Mersenne del libertinismo, si esprime duramente
contro Vanini, considerandolo un empio, un pazzo e un ciarlatano. Je n'ai
pas encore vu l'apologie de Vanini, je ne pense pas qu'elle mérite fort d'être
lue. La philosophie de ce personnage e bien peu de chose. Mais un imbécille
comme lui, ou pour mieux dire, un fou ne méritoit pas d'être brûlé. On étoit
seulement en droit de l'enfermer, afin qu'il ne séduisît personne. Non ho
ancora visto l'apologia di Vanini, e non penso che meriti d'essere minimamente
letta. La filosofia di questo personaggio e di ben poco valore. Ma un imbecille
come lui, o per meglio dire, un pazzo, non merita d'essere bruciato. Occorre
solo rinchiuderlo, perché non travie nessuno. Epist. ad Kortholtum in Opera
omnia, Genève. Ancora nel Settecento la leggenda nera creata intorno alla
figura di Vanini sopravvive al passare del tempo, si espande ed affascina molti
studiosi, che si avvicinano alla sua filosofia e ne tentano dei profili
biografici. Così anche la cultura inglese mostra interesse per il filosofo di
Taurisano ed è soprattutto con Blount che Vanini entra nella filosofia inglese
ed acquista una dimensione che non abbandona mai più, quando diviene un
elemento cardine del libertinismo e deismo nel Seicento inglese. Un
manoscritto inedito della Biblioteca Municipale di Avignone custodisce delle
Observations sur Lucilio Vanini redatte da Velleron, ma fornisce solo delle
incerte notizie sul filosofo, in gran parte rettificate dagli ultimi studi. Viene
effettuata una copia manoscritta dell'Amphitheatrum, su commissione di Uriot,
il quale la trasferisce poi nella Biblioteca Ducale del duca di Württemberg. Attualmente
essa si trova nella Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda. Un'altra
copia manoscritta del saggio si trova nella Staats und Universitätbibliothek di
Amburgo, a testimonianza del perdurante interesse per iVanini. Viene data
alle stampe a Londra una biografia vaniniana con un estratto delle sue opere, dal
titolo “The life of ‘Lucilio’, alias Julius Caesar Vanini, burnt for atheism at
Toulouse, with an abstract of his writings. Il saggio, pur ricollegandosi alla
consueta storiografia vaniniana e quindi con i soliti errori d'origine,
sottopone ad un dibattito ponderato la figura ed il pensiero del filosofo
italiano, a cui riconosce qualche merito. Ma la strada per una collocazione
europea di Vanini e del suo pensiero è ormai aperta. Opere: “Amphitheatrum
aeternae providentiae divino-magicum, christiano-physicum, nec non
astrologo-catholicum adversus veteres philosophos, Atheos, Epicureos,
Peripateticos et Stoicos, Auctore Iulio Caesare Vanino, Philosopho, Theologo et
Iuris utriusque Doctore, Lugduni, Apud Viduam Antonii de Harsy, ad insigne
Scuti Coloniensis” (rist. fotom., Galatina). “Iulii Caesaris Vanini,
Neapoletani Theologi, Philosophi et Iuris utriusque Doctoris, De admirandis
Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor, LPombaiae, Apud Adrianum
Perier, via Iacobaea” (rist. fotom., Galatina). Le opere di Vanini e le loro
fonti, Milano (rist. anast., Galatina,); “Opere” (G. Porzio, Lecce); “Anfiteatro
dell'eterna Provvidenza” Galatina; “I meravigliosi segreti della natura, regina
e dea dei mortali” Galatina); “Opere (Galatina); “Confutazione delle religioni
“Anna Vasta, Catania, De Martinis & C.); “Opere” (Milano, Bompiani). Massimo
Bucciantini, Lutero in Campo dei Fiori, in Il Sole 24 ORE Terzapagina.
Filosofia ed ecologia per il "compleanno" di Giulio Cesare Vanini, Una
lettera dell'ambasciatore inglese a Venezia, Dudley Carleton, fa risalire
l'episodio a nove anni prima. F. Raimondi, “Vanini e il libertinismo” Atti del
Convegno di Studi, Taurisano (Galatina, F.Raimondi, “Dal tardo Rinascimento al
Libertinismo erudite” Atti del Convegno di Studi, Lecce-Taurisano Galatina, G.
Spini, “Vaniniana” in «Rinascimento», F. Paola, “Il primo seicento
anglo-veneto” Cutrofiano; F. De Paola, “Vanini da Taurisano filosofo Europeo, Fasano);
F. Paola, “Documenti per una lettura di Vanini, in «Bruniana &
Campanelliana», F. Raimondi, Documenti vaniniani nell'Archivio Segreto
Vaticano, in «Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi
di Lecce», F.Raimondi, Il soggiorno vaniniano in Inghilterra alla luce di nuovi
documenti spagnoli e londinesi, in «Bollettino di Storia della Filosofia
dell'Università degli Studi di Lecce», F.Raimondi, “La Santa Inquisizione,
Taurisano, F.Raimondi, “L'Europa del Seicento. con una appendice documentaria,
PisaRoma, 2005 (L'appendice contiene la più completa documentazione sulla
biografia vaniniana: 192 documenti dalla nascita al rogo). Fasano, D. M. Fazio,
Giulio Cesare Vanini nella cultura filosofica del Sette e Ottocento (Galatina);
M. T. Marcialis, “Natura e uomo in Vanini” in «Giornale Critico della Filosofia
Italiana»,M. T. Marcialis, Giulio Cesare Vanini nell'Europa del Seicento, in
"Rivista di Storia della Filosofia", G. Paganini, Le Theophrastus
redivivus et Vanini, in «Kairos», G.
Papuli, Le interpretazioni di G. C. Vanini, Galatina, A. Perrino, "Giulio
Cesare Vanini nel Theophrastus redivivus", in «Bollettino di Storia della
Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», F.Raimondi, Vanini e il
"De tribus impostoribus", in «Ethos e Cultura», Padova, G. Spini,
Ricerca dei libertini. La teoria dell'impostura delle religioni nel Seicento
italiano, Roma, Firenze) Cesare Teofilato Giulio Cesare Vanini nel III Centenario
del suo Martirio, Milano, Tip. Ed. La Stampa d'Avanguardia. Cesare Teofilato
Giulio Cesare Vanini, in The Connecticut Magazine, articles in English and
Italian, New Britain, Conn, Cesare Teofilato Vaniniana, in La puglia
letteraria, mensile di storia, Roma, Cesare Vasoli, Riflessioni sul problema
Vanini, in S. Bertelli, Il libertinismo in Europa, Milano-Napoli, Cesare
Vasoli, Vanini e il suo processo per ateismo, in F. Niewohner e O. Pluta,
Atheismus im Mittelalter und in der Renaissance, Wiesbaden); Vanini in
Inghilterra. La seguente è una lista di alcuni documenti in cui è possibile
trovare riferimenti alla presenza del frate Carmelitano a Lambeth Palace a
Londra. Trascrizioni complete, riassunti e contesto di questi documenti sono
disponibili. "Vanini e il primo seicento anglo-veneto" e in
"Giulio Cesare Vanini da Taurisano filosofo europeo", Schena Editore,
Fasano Brindisi. Documenti: London Public Record Office State Papers Venice
Notizie sulla Mercers' Chapel a Londra, dove Vanini sconfesso la sua fede
cattolica e tenne vari sermoni. London Public Record Office State Papers Petizione
di due Carmelitani, Vanini e Genocchi, a Carleton, ambasciatore inglese a
Venezia, per essere accettati in Inghilterra. Venezia. London Public Record
Office State Papers Lettera di Carleton a Salisbury. Da Venezia, Carleton
informa Salisbury che due frati gli hanno chiesto permesso di rifugiarsi in
Inghilterra per evitare persecuzioni dai loro superiori. London Public Record
Office State Papers. Vanini a Carleton. Da Lambeth. Vanini manda a Carleton
informazioni riguardanti alla sua ricezione a Palazzo Lambeth e la buona stima
di cui gode lì. London Historical Manuscripts Commission De L'Isle and Dudley
Manuscripts, Sir John Throckmorton al visconte Lisle. Flushing. Corrispondenza
tra i due statisti riguardo ad una missione segreta di John Florio, che forse
accompagnò Vanini e il suo compagno a Londra. LondonManuscripts of the Marquess
of Downshire preserved at Easthampstead Park Berk. Papers of Trumbull. Albery a
Trumbull. Londra. Albery, un mercante Inglese e corrispondente di Trumbull,
agente inglese a Bruxelles, manda informazioni sull'arrivo di Vanini e le sue
esperienze a Venezia. London Historical Manuscripts Commission Report on the
Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers. Albery a William
Trumbull. Londra. Una copia della lettera da una fonte diversa. London Public
Record Office State Papers Da Spinola a Ginocchio. Genova London Public Record
Office State Papers Wake a Carleton. Londra London Public Record OfficeState Papers
Wake a Carleton. Londra London Manuscripts of the Marquess of Downshire
preserved at Easthamstead Park Berk. Papers of William Trumbull the Elder Alfonse
de S. Victors a William Trumbull Da Middolborg (Middelburg) London Historical
Manuscripts Commission Report on the Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers, Alfonse de St. Victor a William
Trumbull. Middelborg. London Public Record Office State Papers Domestic Series
Jac. Chamberlain a Carleton. Londra, London Public Record Office State Papers
Carleton a Lake. Da Venezia London Public Record OfficeState PapersDomestic
Series, Biondi a Carleton. Da Londra LondonPublic Record Office State Papers, Carleton
a Chamberlain. Da Venezia London Manuscripts of the Marquess of Downshire
preserved at Easthampstead Park Berks. Papers of William Trumbull the Elder. George
Abbot a William Trumbull. Da Lambeth. LondonHistorical Manuscripts
CommissionReport of the Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers, Abbot a Trumbull. Lambeth London Public Record OfficeState Papers Carleton
a Chamberlain. Venezia, London Public Record Office State Papers Carleton a
Giovan Francesco Biondi. Venezia, London Public Record Office State Papers
Domestic Series, Abbot a Carleton. Lambeth London Public Record Office State
Papers Sarpi a Carleton. Venezia London Record Office State Sarpi a Carleton.
Venezia, London Public Record OfficeState Papers Paolo Sarpi a Sir Dudley
Carleton. Venezia, giugno. LondonHistorical Manuscripts CommissionReport 78
Hastings, IV, chapter XVII. Notes of
speeches and proceedings in the House of Lords. LondonHistorical Manuscripts
Commission Hastings, Notes of speeches and proceedings in the House of Lords London
Public Record Office State Papers Carleton a Sua Signoria l'Arcivescovo di Canterbur.
Venezia LondonManuscripts of the Marquess of Downshire preserved at
Easthampstead ParkBerks. Papers of William Trumbull the Elder Abbot a Trumbull.
Lambeth London Historical Manuscripts CommissionReport of the Manuscripts of
the Marquess of Downshire, IV, Trumbull
Papers George Abbot, Arcivescovo di Canterbury, a William Trumbull. Lambeth Archivio
di Stato di VeneziaInquisitori di Stato, busta 155. Istruzioni degli
Inquisitori di Stato all'ambasciatore in Inghilterra. LondonCalendar of State
Papers on English Affairs in the Archives of Venice and other Libraries of
North Italy Inquisitori di Stato, busta Venetian Archives. Gli Inquisitori di
Stato a Gregorio Barbarigo, LondonCalendar of State Papers on English
Affairs in the Archives of Venice and other Libraries of North Italy Inquisitori
di Stato, Venetian Archives. Examinations for Antonio Foscarini. Archivio di
Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Londra, Interrogatorio di Lunardo
Michelini sulle modalità della fuga di Vanini da Lambeth. Archivio di Stato di
VeneziaInquisitori di Stato, Interrogatorio di Alessandro di Giulio Forti da
Volterra sulle modalità della fuga di Vanini da Lambeth. Archivio General de
Simancas fondo InglaterraLegajo foglio privo di indicazioni. Bentivoglio a Sarmiento.
Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa l'abasciatore di Spagna che
Vanini e il suo compare sono arrivati sani e salvi dopo la loro fuga da Londra.
Archivio General de Simancas Bentivoglio a Sarmiento. Bruxelles. Il nunzio
apostolico a Bruxelles informa l'abasciatore di Spagna che Vanini e il suo
compare sono partiti verso l'Italia, come era stato concordato a
Roma. Documenti inclusi nell'opera di Namer La seguente è la lista dei
documenti inglesi inclusi nel lavoro Documents sur la vie de Vanini de
Taurisano di Ėmile Namer, che può essere considerato come un utile punto di
partenza per la delineazione di una biografia di Vanini, e di cui la nuova
documentazione deve essere considerata un completamento. London Foreign State
Papers. Venice. Bundle 9. Carleton ad Abbot. LondonForeign State Papers. Venice.Abbot
a Carleton LondonState Papers Domestic. James I. Carleton a Chamberlain. Venezia, London Foreign
State Papers. Venice. Sir D. Carleton all'Arcivescovo di Canterbury. London State
Papers Domestic. James I. Chamberlain a Carleton. Londra, London State Papers
Domestic. James I. 7 Chamberlain a
Carleton. LondonForeign State Papers. Venice Abbot a Carleton. London State
Papers Domestic. James I. Carleton a
Chamberlain. London State Papers Domestic. James I. l'Arcivescovo di York al
conte di Suffolk. London State Papers Domestic. James I. Giulio Cesare Vanini a
Dudley Carleton. Da Lambeth, iLondonState Papers Domestic. James I. Giulio Cesare Vanini a Sir Isaac Wake. Da
Lambeth iLondon State Papers Domestic. James I.
John Chamberlain a Carleton. da Londra. London State Papers Domestic.
James I. lAbbot a Carleton. Lambeth London
State Papers Domestic. James I. John Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London
State Papers Domestic. James I. Biondi a
Carleton. Da Londra London Foreign State Papers. Venice. Carleton a Abbot. London State Papers Domestic. James I. John
Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London State Papers Domestic. James I. Abbot al vescovo di Bath Da Lambeth (?).
London State Papers Domestic. James I.
Lake a Carleton. Dalla corte a Royston, London State Papers Domestic.
James I. John Chamberlain a Sir Dudley
Carleton. Da Londra London Foreign State Papers. Venice Carleton a Abbot London
Foreign State Papers. Venice. Carleton a Sir Thomas Lake. London State Papers
Domestic. James I. Abbot a Carleton a Venezia. Lambeth, London State
Papers Domestic. James I. John
Chamberlain a Dudley Carleton. Londra, LondonForeign State Papers. Venice. Carleton a Abbot. Archivio de Simancas,
Estado, Cardinale Millino a Alonso de
Velasco, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas,
Estado, Cardinal Millino a Diego
Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas,
Estado, Cardinal Bentivoglio a Diego
Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles, Archivio de
Simancas, Estado, Bentivoglio a Diego
Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles,Vanini e
l'Inquisizione di Roma Elenco di alcuni documenti presenti nella corrispondenza
tra alcuni Nunzi apostolici in Europa e le autorità vaticane, dove è possibile
trovare informazioni relative alla fuga, permanenza e rientro segreto
dall'Inghilterra del frate carmelitano. Le trascrizioni complete, i sommari e
le contestualizzazioni di questi documenti sono disponibili per studiosi e
lettori in Giulio Cesare Vanini da Taurisano filosofo europeo, Schena Editore,
Fasano (Brindisi), Il pontefice Paolo V e l'Inquisizione in Roma furono
informati continuamente della vicenda di Vanini con dispacci dei Nunzi
apostolici in Venezia, Francia e Fiandra e con missive dell'ambasciatore di
Spagna a Londra, a cominciare dalla sua fuga da Venezia sino al suo desiderio
di rientrare nel mondo cattolico. RomaArchivio Segreto VaticanoSegreteria
di StatoNunziatura di Francia, Ubaldini,
Nunzio papale in Francia, al Borghese, Segretario di Stato di Paolo V, de Parigi.
RomaA. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Fiandra, il Nuntio
alla Segreteria, Bentivoglio, Nunzio papale in Fiandra, al Card. Borghese.
(Bruxelles) Roma A. S. VaticanoSegreteria di StatoNunziature diverse, Francia, lettere
scritte al Nuntio in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma li Roma A. S.
Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini da Parigi a
Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse,
Francia, 293A, lettere scritte al Nuntio
in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato
Nunziatura di Francia, Ubaldini a Borghese
Rom aA. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia, lettere scritte
al Nuntio in Franci Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British
Museum, Lettere di Ubaldini, nella sua Nunziatura di Francia, Ubaldini a
Borghesr Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini
a Mellini, membro del Sant'Uffizio, il Tribunale dell'Inquisizione di Roma. Roma
A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Francia, lettere scritte
al Nuntio in Francia da Borghese, Borghese a Ubaldini. Roma A. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia, Registro
di Lettere della Segreteria di Stato di Paolo V al Vescovo di Montepulciano
Nuntio in Francia Il Segretario Porfirio Feliciani vescovo di Foligno al Nuntio
in Francia. Roma 21 Genn.° 1613. RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura
di Francia, Ubaldini al Mellini Roma A. S. Vaticano Segreteria di
StatoNunziatura di Francia, Ubaldini a Mellini RomaA. S. Vaticano Segreteria di
Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese. Di Parigi RomaA. S.
Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di FranciaRegistroUbaldini a Millini Roma
A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Francia dal
Card. Borghese, Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia Ubaldini a Borghese Di Parigi. RomaA. S.
Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria di
Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British
Museum, Lettere del Card. Ubaldini, nella sua nunziatura di Francia, Card.
Ubaldini a Borghese Parigi, Bibliothèque nationale de FranceDepartement des
Manuscrits, Italien Registro di Lettere della Nunziatura di Francia di Ubaldini
dell'anno lettera, Ubaldini a Borghese Parigi) Roma A. S. VaticanoSegreteria di
Stato Nunziature diverse, Francia, Lettere
del Sir. Card.le Ubaldini nella sua Nunciatura di Francia Ubaldini a Borghese Treccani
Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana,
Amphitheatrum e De admiandis. Raimondi Il contributo italiano alla storia del
Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giulio Cesare Vanini. Vanini. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Vanini e Grice,” Villa Grice, Luigi Speranza, “La statua all’aperto
di Vanini,” Luigi Speranza, “Il medaglione di Vanini a Roma.” https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718281679/in/photolist-2mNaHiH-2mPpVqK-2mKDicu-2mKDhJk-2mKbUmy
Grice e Vanni – azione ed
inter-azione – filosofia italiana (Città della Pieve). Essential Italian philosopher. Filosofo. Iniziò la
carriera a Perugia e successivamente fu insegnante a Parma, Bologna, e
Roma. Tra i fondatori del positivismo
soziale, la sua filosofia si ispira a Kant e agli principali filosofi del
positivismo Professoree a lui si deve anche una originale lettura
"positivista" della dottrina storicistica di Vico. Il suo è stato definito
un "positivismo critico,” che vuole distinguere cioè tra la ‘scienza’
dell’uomo dalla ‘filosofia’ dell’uomo, contestando e rifiutando l'assimilazione
positivista di quest'ultima con la morale e la sociologia, dottrina nata
nell'ambito del positivismo, verso la quale Vanni ebbe un interesse particolare
cercando di teorizzarne il carattere ‘scientifico’ differenziandola però sia
dall'evoluzionismo che dalla biologia.
Vanni considerò essenziale l'autonomia teorica del ‘ius’ o devere dai
rapporti con gli aspetti storici-etnografici delle istituzioni giuridiche.
Vanni è convinto che la ‘filosofia,’ come analisi concettuale, del diritto
debba avere la funzione pratica di definire i ‘fine’ (métier) della inter-azione
umana. In questo modo, Vanni ribade l'impostazione criticista kantiana che
acquistav un tono metafisico criticato dai positivisti ortodossi che lo accusano
di eclettismo. Opere: “Della consuetudine nei suoi rapporti col dritto e con la
legislazione” (Perugia); “Saggi critici sulla teoria socio-logica della
popolazione” (Città di Castello); “Prime linee di un programma critico di
sociologia” (Perugia); “Il problema della filosofia del diritto nella
filosofia, nella scienza e nella vita ai tempi nostril” (Verona); “La filosofia
del diritto” (Verona); “La funzione della filosofia considerata in sé ed in
rapporto al socialismo” (Bologna); “La filosofia del diritto e la ricerca
positivista” (Torino); “Il dritto nella totalità dei suoi rapporti e la ricerca
oggettiva” (Roma); “La teoria della conoscenza come induzione socio-logica e
l'esigenza critica del positivismo” (Roma); “Filosofia del diritto” (Bologna);
“Filosofia sociale e filosofia giuridica” (Bologna) Biografia in Scuola Normale
Superiore di Pisa, su picus.unica. G. Marino, Positivismo e giurisprudenza,
Napoli, F.Cuculo, La sociologia positivista di Vanni, in A. Millefiorini,
Fenomenologia del disordine. Prospettive sull'irrazionale nella riflessione
sociologica italiana, Edizioni Nuova Cultura, Roma, D'Amelio, Positivismo,
storicismo, materialismo storico in I. Vanni, «Quaderni fiorentini per la
storia del pensiero giuridico moderno», A. Pusceddu, La sociologia positivista
in Italia (Roma). siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato
per le Soprintendenze Archivistiche.
Opere u openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere. I. Vanni. Vanni. Keywords:
action, interaction, azione, interazione, Vico, positivism, positivism critico,
etologia, ethology -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi
Speranza,, “Grice e Vanni: azione ed inter-azione” – The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria.
Grice e Vannini – il mistico di
‘Vitters’ – filosofia (San Piero a Sieve). Essential
Italian philosopher. “Never to be confused with the vain Vanini!”Grice. Filosofo.
Dopo gli studi al Ginnasio Michelangiolo di Firenze, si è laureato in Filosofia
a Firenze, discutendo una tesi su “‘Vitters’: metafisico e mistico”! Ha vissuto
nel Convento agostiniano di Santo Spirito a Firenze, ospite di Ciolini. Ha
compiuto viaggi e soggiorni di studio in Europa Ha insegnato Filosofia e Storia
nei Licei; per un triennio Storia della Filosofia a Firenze e Storia della
Mistica all'Istituto di Scienze Religiose aTrento. Ha tenuto seminari e
conferenze in Università ed Accademie italiane e straniere: Genova, Trento,
Ancona, Perugia, Urbino, Pavia, Pisa, Macerata, Napoli, Fermo, Parma, Arezzo,
Chieti, Roma, Avila, Strasburgo, Berlino. Considerato il maggior studioso
di mistica o anche il più importante studioso italiano di Eckhart e della
mistica cristiana, ha curato l'edizione italiana delle opera latine di Eckhart,
nonché quelle di altri autori spirituali, come Agostino, Gerson, Fénelon,
Porete, Taulero, Anonimo Francofortese, Lutero, Angelus Silesius, Czepko,
Franck, VWeigel, ecc. Marco Vannini, lungo un percorso ormai di quasi
mezzo secolo, è stato: traduttore e curatore di importanti testi della
mistica; critico della fenomenologia, da un punto di vista teoretico e storico;
filosofo della religione, soprattutto nei suoi rapporti con la ragione e con la
fede. Vannini legge il fenomeno mistico in maniera innovativa ma, soprattutto,
pone lo stesso a fondamento di ogni forma ed esperienza religiosa. Tale
presupposto impone come fuori da un'esperienza diretta di questo tipo sia
pressoché impossibile cogliere il senso, le modalità e le finalità delle varie
dottrine e pratiche religiose. Per Vannini la mistica è un sapere
spirituale, inoggettivabile ma, soprattutto, un sapere che è un essere: è
l'identità mistica il vero e proprio criterio per discernere il vero dal falso.
Tale ermeneutica costituisce una propedeutica all'inverarsi in senso mistico
della religione cristiana. Il pensiero di Vannini si basa su una
esperienza spirituale, unitiva e teomorfica. Centrali appaiono pertanto
concetti appartenenti alla sfera semantica della divinizzazione, dell’homoiosis
theo, quali vuoto, fondo dell'anima, generazione del Logos, complementarità tra
distacco ed amore. Tale esperienza risulta comprensibile solo quando si è
fatto il vuoto nell'anima attraverso il distacco, diventando in tal modo
recettivi alla luce proveniente dall'alto, tali da rendere il soggetto esso
stesso luce eterna: al vuoto in cui si perviene nel distacco corrisponde una
pienezza, una traboccante ricchezza ed energia, una gioia sconfinata ed
inesauribile. Il rapporto tra Dio e uomo non è quindi statico, di mutua
esclusione, ma “dialettico” o dinamico, di reciproca compenetrazione: la
“salvezza” viene letta nei parametri teologici di una escatologia realizzata
nel presente, come immanente esperienza dello spirito. Essenziale diventa
perciò il recupero della antropologia classica corpo, anima, spirito ove l'uomo
è un corpo, piccola parte dell'universo; una psiche, fluttuazione infinita di
pensieri, sentimenti, volizioni, soggetta al determinismo del tempo, dello
spazio, delle circostanze; ma soprattutto uno spirito universale, eterno,
libero, uno nell'Uno. L'attualità e l'originalità della posizione di
Vannini ha suscitato e continua a suscitare un acceso dibattito in seno al
panorama culturale italiano, filosofico e teologico: nei confronti dell'autore
vari infatti sono stati i commenti, le recensioni, i contributi e gli
interventi critici da parte di personalità quali (in ordine alfabetico) Bozzo, Baldini,
Bianchi, Cacciari, Monticelli, Esposito, Forte, Givone, Mancuso, Matteo, Mucci
S.I., Ravasi, Reale, Torno, Vattimo, e Volpi. La particolare rilevanza
dell'opera di Vannini può trasparire anche, ad esempio, dalle seguenti
affermazioni in meritocitate in ordine sparsodi alcuni dei suddetti illustri
pensatori. Givone: “A Marco Vannini, cui siamo debitori d'un lavoro filosofico
estremamente prezioso, rivolgiamo questa domanda. A Vannini dobbiamo non
soltanto edizioni impeccabili delle opere di Eckhart, Porete, Silesius, Gerson;
ma anche il pensiero vigoroso e chiaro, qualunque cosa gli si posa obiettare,
che la mistica è da un lato il cuore e la radice viva di ogni religione, ma
dall'altro “la filosofia nel suo senso più reale e profondo”, la conoscenza e
la pratica dell'essere e “la gioia dell'essere”. Cacciari: “È un grosso debito
quello che la filosofia e la teologia hanno accumulato in questi anni nei
confronti diVannini. Grazie al suo instancabile lavoro o sotto la sua direzione
il nostro Paese può oggi contare su impeccabili edizioni di Gerson, Silesius,
Porete ed Eckhart» Mucci: “In questi tempi di declino dell'ontologia, Vannini è
certamente, in Italia, fuori dell'ambito ecclesiastico, il più illustre
studioso di mistica.” Reale: “L'esperienza mistica è comunque per sua natura
connessa con il religioso, come viene mostrato nella filosofia di Vannini, “La
mistica delle religioni (Le Lettere) in questi giorni in libreria. Vanniniuno
dei massimi esperti in materia a livello nazionale e internazionaleanalizza in
modo dettagliato questa esperienza spirituale nell'induismo, nel buddismo,
nell'ebraismo, nell'islamismo e nel cristianesimo.” Torno: “Segnalare un livre
de chevet, vale a dire una di quelle opere maneggevoli che mai dovrebbero
allontanarsi dal capezzale, è diventato difficile oltre che inattuale. Eppure
qualcosa circola, come prova l'ultimo delizioso scritto di Marco Vannini Sulla
grazia». BForte: L'ultimo bel libro di Vannini su Mistica e filosofia rivela
ancora una volta la sua straordinaria competenza di storico e interprete della
mistica» Al pensiero di Vannini è stato dedicato “Mistica e filosofia nel pensiero
di Vannini. Opere: “Lontano dal segno. Saggio sul cristianesimo, La Nuova
Italia, Firenze, Esame della certezza, Il Cenacolo, Firenze, Eckhart. Opere tedesche, La Nuova Italia,
Firenze Dialettica della fede, Marietti, Casale Monferrato (nuova edizione
ampliata, Le Lettere, Firenze ). L'esperienza dello spirito, Augustinus,
Palermo. Mistica e filosofia, Piemme,
Casale Monferrato (prefazione di Massimo Cacciari; nuova edizione ampliata, Le
Lettere, Firenze). Il volto del Dio nascosto. L'esperienza mistica dall'Iliade
a Simone Weil, Mondadori, Milano (ristampa col titolo: Storia della mistica
occidentale, Oscar Mondadori; poi Le Lettere, Firenze ). Introduzione alla mistica,
Morcelliana, Brescia (trad. portoghese: Introdução à Mìstica, Edições Loyola,
San Paolo del Brasile). La morte dell'anima. Dalla mistica alla psicologia, Le
Lettere, Firenze (nuova edizione ampliata, Le Lettere, Firenze). La mistica
delle grandi religioni, Mondadori, Milano (nuova edizione, Le Lettere, Firenze).
Tesi per una riforma religiosa (Le Lettere, Firenze); La religione della
ragione” (Mondadori, Milano); Sulla grazia (Lettere, Firenze); Prego Dio che mi
liberi da Dio. La religione come verità e come menzogna, Bompiani, Milano.
Lessico mistico. Le parole della saggezza, Le Lettere, Firenze. Il Santo
Spirito fra religione e mistica, Morcelliana Editrice, Brescia. Oltre il
cristianesimo. Da Eckhart a Le Saux, Bompiani, Milano. Inchiesta su Maria. La
storia vera della fanciulla che divenne mito (Rizzoli, Milano); Indagine sulla
vita eterna, Mondadori, Milano); Introduzione a Eckhart. Profilo e testi, Lettere,
Firenze. L'Anticristo. Storia e mito, Mondadori, Milano. All'ultimo papa.
Lettere sull'amore, la grazia, la libertà, il Saggiatore, Milano. Contro Lutero
e il falso evangelo, de' Medici, Firenze. Il muro del paradiso. Dialoghi sulla
religione per il terzo millennio, Lorenzo 'de Medici Press,. Mistica,
psicologia, teologia, Le Lettere, Firenze. Liceo-Ginnasio Michelangiolo Firenze
Vito Mancuso, Lutero è vivo e lotta con noi, s.a., in: <Panorama> Stefano
G. Azzarà, su Materialismo Storico
Bio- S. Givone, Luce mistica dei
moderni in: «Il ManifestoAlias», in il manifesto Alias,Marco Vannini, Mistica e
filosofia, Prefazione, Firenze, Le Lettere, Giandomenico Mucci, Il pensiero di
Marco Vannini, in «La Civiltà Cattolica», Giovanni Reale, Il misticismo vive in
tutte le culture. Il testo di Vannini, le «Upanishad» riedite, su corriere. Armando
Torno, Alla ricerca della Grazia nel segno di Eckhart, in «Corriere della Sera»,
Cultura, Bruno Forte, Mistica, l’enigma dell’Altro, in «Avvenire»Libri, Roberto
Schiavolin, Mistica e filosofia nel pensiero di Marco Vannini, Nerbini,
Firenze Mistica Misticismo cristiano
Mistica renana Meister Eckhart P. Hadot
Henri Le Saux Sito personale di Vannini. Marco Vannini. Vannini. Keywords: the
mystic, das mystische. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi
Speranza, “Vannini e Grice: il mistico di ‘Vitters’ – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732370519
Grice e Varisco – per un sommario di
filosofia critica – filosofia italiana (Chiari). Essential Italian philosopher. Filosofo.
Grice: “We all learned about the ‘gnothi seauton’ at Clifton – Varisco composed
a full tract about it! Calogero has analysed the implicatures! The idea is that
you need a ‘thou’ to tell ‘thou’ ‘know THYself” – although the oracular
mystique is still there!” -- Fu professore di filosofia a Roma e senator. La
sua formazione filosofica coincide con la crisi del positivismo. Laureato
a Pavia. Partendo da posizioni solidamente scientifiche, Varisco avverte
sollecitamente il limite di ogni conoscenza che voglia essere esclusivamente
composto di ragione, e scopre insieme la concomitante componente ‘fideistica’ di
ogni affermazione di verità. Questo ricorso alla fede come sentimento del
sopra-naturale è utilizzato da Varisco sia per affermare la preminenza della filosofia
come conoscenza concreta sui processi astrattivi della scienza (“I massimi
problemi” – Milano, Libreria Editrice Milanese), sia per approdare ad uno
spiritualismo pluralistico con forti accentuazioni teistiche (“Dall'uomo a
Dio”). Altre opere: “Scienza ed opinione” (Roma, Alighieri); “La patria”
(Roma, Provenzani), “Conosci te stesso” (Milano, Libreria Milanese); “La scuola
per la vita” (Milano, Isis); “Linee di filosofia critica” (Roma, Signorelli); “Discorsi
politici” (Roma, Alberti); “Sommario di filosofia” (Roma, Signorelli);
“Dall'uomo a Dio” (Padova, MILANI). Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia
nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia, ufficiale
dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Ufficiale
dell'Ordine della Corona d'Italia, Commendatore dell'Ordine della Corona
d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine della Corona
d'Italia. Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino
per uniforme ordinaria Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona
d'Italia. Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Varisco. Keywords. Refs.:
The H. P. Grice Papers, BANC MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Varisco: per un
sommario di filosofia critica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692603820/in/photolist-2mKU7b1-2mKLFv4
Grice
e Varrone – semiotica filosofica – filosofia italiana (Rieti).
Grice: “I count Varrone as the first language philosopher. He woke up and
realised he was speaking ‘lingua latina,’ and dedicated 36 volumes to it!” --. Grice:
“’Lingua latina’ has a nice Roman ring to it. In modern Italian, the ‘t’ has
become an ‘z,’ as in “Lazio, -- the
calcio team from Latium – or a ‘d’ as in ‘ladino.’” Grice: “I know his Loeb edition by heart!” –
Grice: “The Greeks never studied their lingo as Varro studied his! Of this
Austin always reminded me – ‘We should be like Varro, analysing our tongue as
‘fluid’ semiotic system!’” -- Academic,
Roman polymath, author of works on language, agriculture, history
and philosophy, as well as satires, and
principal conversationalist in the later version of Cicero’s "Academica.” Questore della
Repubblica romana. Gens: Terentia Questura in Illyricum Propretura in Spagna. Marco
Terenzio Varrone. Filosofo. Tu ci hai fatto luce su ogni epoca della patria,
sulle fasi della sua cronologia, sulle norme dei suoi rituali, sulle sue
cariche sacerdotali, sugli istituti civili e militari, sulla dislocazione dei
suoi quartieri e vari punti, su nomi, generi, su doveri e cause dei nostri affari,
sia divini che umani == Cicerone, Academica Posteriora. Detto Reatino. attributo
che lo distingue da “Varrone Atacino,” vissuto nello stesso periodo. Nato da
una famiglia di nobili origini, ha rilevanti proprietà terriere in Sabina, dove
e educato con disciplina e severità dai familiari, integrate dall'acquisto di
lussuose ville a Baia e fondi terrieri a Tusculum e Cassino. A Roma compì
studi avanzati presso i migliori maestri del tempo. Lucio Elio Stilone
Preconino lo fa appassionare anche agli studi etimologici ed oratoria. Studia la
lingua italiana con Lucio Accio, a cui dedic “aDe antiquitate litterarum.” Come
molti romani, compe un grand tour in Grecia, dove ascolta filosofi accademici
come Filone di Larissa e Antioco di Ascalona, da cui deduce una posizione
filosofica di tipo eclettico. A differenza di molti altri eruditi del
tempo, non si ritira dalla vita politica ma, anzi, vi prende parte attivamente
accostandosi agli optimates, forse anche influenzato dall'estrazione sociale. Dopo
aver, infatti, percorso le prime tappe del cursus honorum (triumviro capitale,
questore, e legato) e vicino a Pompeo, per il quale ricopre incarichi di grande
importanza. Legato e proquestore e combatte nella guerra contro i pirati
difendendo la zona navale tra la Sicilia e Delo. Allo scoppio della guerra
civile e propretore. In una guerra che vede i romani contro i romani, tenta un'incerta
difesa del suo territorio che si concluse in una resa che Giulio Cesare, nei
Commentarii de bello civili, define poco gloriosa. Dopo la disfatta dei
pompeiani, si avvicina, comunque, a Cesare, che apprezza il Reatino soprattutto
sul piano culturale, affidandogli la costituzione di una biblioteca. Dopo la
morte del dittatore, anzi, e inserito nelle liste di proscrizione sia di
Antonio che di Ottaviano (interessati più alle sue ricchezze che a punire i
congiuranti), da cui si salva grazie all'intervento di Fufio Caleno per poi
avvicinarsi a Ottaviano a cui dedica il “De vita populi Romani” volto alla
divinizzazione della figura di Cesare. Ha una produzione di oltre 620 libri,
suddivisi in circa settanta opere. Opere “De re rustica” (Varrone) e “De
lingua Latina” -- La vasta produzione di Varrone fu suddivisa da Girolamo in un
catalogo. Le opere di Varrone sono verosimilmente 74, suddivise in 620 volumi,
sebbene stesso regli rifere di aver
scritto 490 libri. Le sue opere possono
essere suddivise in vari gruppi, dalle opere di erudizione, filologia (filosofia
del linguaggio, o semantica) e storia a quelle giuridiche e burocratiche, dalle
opere di filosofia (filosofia del linguaggio, semantica, semiotica) e
agricoltura alle opere di poesia, di linguistica e letteratura; di retorica e
diritto, con ben 15 libri De iure civili; di filosofia. Di questa enorme produzione
è pervenuta quasi integra solo un'opera, il “De re rustica”, mentre del “De
lingua Latina” sono pervenuti solo 6 libri su 25. Probabilmente, causa del
quasi completo naufragio della immane varroniana è che, avendo compulsato tanta
parte della cultura romana precedente, divenne la fonte indispensabile per gli
autori successivi, perdendosi, per così dire, per assimilazione. Della sua
attività filologica fa testimonianza il cosiddetto canone varroniano, elaborato
a partire da due opere, le “Quaestiones Plautinae” e il “De comoediis
Plautinis”, in cui riparte il corpus plautino, che include 130 fabulae. Di
queste, 21 vengono definite autentiche, 19 di origine incerta, dette
"pseudo-varroniane" e le restanti spurie. Si occupa soprattutto
di antiquaria, con i 41 libri di “Antiquitates”, il suo capolavoro, divisi in
25 di “res humanae” e 16 di “res divinae”, fonte precipua di Agostino nel De
civitate Dei. Proprio da Agostino si evidenzia l'attenzione di Varrone sulla
religione civile, con una compiuta disamina su culti e tradizioni, pur con
acute critiche alla teologia mitica dei poeti in nome di una theologia
naturalis. A questo gruppo appartiene anche l'opera, non pervenuta, “De
bibliothecis”, presumibilmente legata alle incombenze come bibliotecario affidategli
da Cesare. Nell'ambito filosofico, notevoli dovevano essere “I
logistorici” -- dal greco “discorsi di storia” -- in 76 libri, composta in
forma di dialogo in prosa, di argomento morale e antiquario, in cui ogni libro
prende il nome di un personaggio storico e un tema di cui il personaggio
costituiva un modello, come il “Marius”, “de fortuna” o il “Catus”, “de liberis
educandis”. Questi dialoghi storico-filosofici sono tra i modelli espositivi
del “Laelius”; “de amicitia” e del “Cato Maior”, “de senectute” di
Cicerone. Al suo interesse filosofico e divulgativo, probabilmente scritte
lungo tutto il corso della sua parabola culturale, riconducevano le “Saturae
Menippeae”, che prendevano come modello Menippo, esponente della filosofia
cinica (da cui il nome). Le “Saturae Menippeae” si componevano di 150 libri, in
prosa e in versi, di cui però ci rimangono circa 600 frammenti e novanta
titoli, di argomento soprattutto filosofico, ma anche di critica dei costumi,
morale, con rimpianti sui tempi antichi in contrasto con la corruzione del
presente. Ciascuna satira recava un titolo, desunto da proverbi (“Cave canem”
-- con allusione alla mordacità dei filosofi cinici) o dalla mitologia (“Eumenide”
contro la tesi stoico-cinica per cui gli uomini sono folli, “Trikàranos”, il
mostro a tre teste, con un mordace riferimento al primo triumvirato) ed era
caratterizzata da lessico popolaresco, polimetria e, come in Menippo, uno stile
tragi-comico. Valerio Massimo, VII 3. Aulo Gellio. Ce ne parla lui stesso
in “De lingua latina” -- Cicerone, Academica posteriora, Appiano, Guerre
civili, IV 47; Varrone, De re rustica, I Svetonio, Cesare, Appiano, Ausonio,
Commemoratio professorum Burdigalensium,Chronicon, ann. Aulo Gellio, Gellio, I
cui frammenti sono editi nell’edizione di B. Cardauns: “Antiquitates rerum
divinarum” Cfr. B. Zucchelli, Varro logistoricus. Studio letterario e
prosopografico, Parma, Cfr., ad esempio, il Fr. XIX Riese: "Da ragazzo,
avevo solo una tunica modesta e una toga, calzature senza fascette, un cavallo
non sellato; bagno giornaliero, niente e, davvero di rado, una
tinozza". N. Horsfall, Varrone, in
Letteratura Latina (Milano, Mondadori). Cfr. M. Salanitro, Le Menippee di
Varrone: contributi esegetici e linguistici (Roma, Ateneo). Sulla satira
varroniana, cfr. L. Alfonsi, Le Menippee di Varrone, in "ANRW". Atti
del Congresso di studi varroniani. Rieti, Centro di studi varroniani, A. Cenderelli, “Varroniana” Istituti e
terminologia giuridica nelle opere di Varrone (Milano, A. Giuffrè); H.
Dahlmann, “Varrone e la teoria della lingua” (Napoli, Loffredo), F. Della
Corte, “Varrone, il terzo gran lume romano” (Genova, Istituto universitario di
Magistero); “De vita populi Romani” Introduzione e commento, Pisa; B. Riposati,
“M. Terenti Varronis De vita populi Romani” -- Fonti, esegesi, edizione critica
dei frammenti (Milano, Vita e pensiero), B. Riposati, “Varrone. L'uomo e lo
scrittore” (Roma Istituto di studi romani); A. Traglia, Introduzione a Varrone,
“Opere” (Torino, POMBA), B. Zucchelli, “Varro logistoricus: prosopo-grafica” --
Parma, Istituto di lingua e letteratura latina, Satira menippea Biblioteche
romane Antiquitates rerum humanarum et divinarum Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. “M. Ter.
Varronis De lingua Latina libri qui supersunt: cum fragmentis ejusdem” Biponti,
ex typographia societatis. Biblioteca degli scrittori latini con traduzione e
note: “Terentii Varronis quae supersunt opera” Venetiis, excudit J. Antonelli, “Grammaticae
Romanae Fragmenta”, Gino Funaioli, Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri. “M.
Terenti Varronis saturarum menippearum reliquiae” -- cur. A. Riese, Lipsiae, in
aedibus B. G. Teubneri. Varrone. Keywords: centro di studi varroniani, idioma,
idiom, lingua latina, lingua anglica, Lazio, Lazini, la lingua del Lazio –
Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice e Varrone:
semiotica filosofica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689086098/in/photolist-2mKBBam-2mKBBze-2mKA5tC
Grice
e Varzi – parole, oggetti, eventi – filosofia italiana (Galliate). Essential
Italian philosopher. varzi: essential Italian philosopher. Some Italians do not
consider Varzi an “Italian” philosopher in that his maximal degree was earned
elsewhere! If philosophy is a branch of the belles lettres, part of Varzi’s
essays belong in English literature --. He was written on ‘universal
semantics.’ Achille Varzi
all'Trento. Grice: “Varzi rather freely uses ‘universal’ as in ‘universal
semantics’ – while my own pragmatic rules have been challenged universal
status, by, of all people, Elinor Ochs!” Filosofo. Grice: “Some Italians
consider Varzi a specimen of ‘brain drain’ in more than one way: his maximal
degree was obtained without Italy, not within Italy, and not in Italian – plus
the fact that he is at Colombo’s Columbia!” Esponente della filosofia
analitica, è noto principalmente per le sue ricerche di logica e per il suo
contributo alla rinascita degli studi in ambito di metafisica e
ontologia. Laureatosi a Trento con una tesi, “La logica libera” stato
insignito della Targa Giuseppe Piazzi per la ricerca scientifica e del Premio
Paolo Bozzi per l'Ontologia. Dopo un periodo dedicato soprattutto
allo studio dell'immagine del mondo propria del senso comune, Varzi si è
indirizzato progressivamente verso posizioni di stampo nominalista e
convenzionalista, nella convinzione che "buona parte della struttura che
siamo soliti attribuire alla realtà esterna risieda a ben vedere nella nostra
testa, nelle nostre pratiche organizzatrici, nel complesso sistema di concetti
e categorie che sottendono alla nostra rappresentazione dell'esperienza e al
nostro bisogno di rappresentarla in quel modo". Autore di oltre un
centinaio di pubblicazioni su volumi e riviste specializzate, è noto anche per la sua attività divulgativa
(spesso in collaborazione con Casati), ispirata al principio secondo cui
"la filosofia è una sfida in cui il pensiero parte dalla semplicità delle
cose quotidiane e ne mostra la meravigliosa complessità". Opere:
“Semplicemente diaboliche” (Laterza); “L’amicizia” (Orthotes); “I colori del
bene, Orthotes,. L'incertezza elettorale (Aracne). Le tribolazioni del
filosofare. Comedia Metaphysica ne la quale si tratta de li errori & de le
pene de l’Infero, Laterza,. Il mondo messo a fuoco, Laterza, Il pianeta
dove scomparivano le cose. Esercizi di immaginazione filosofica, Einaudi,
Ontologia, Laterza, Semplicità insormontabili storie filosofiche, Laterza, Parole,
oggetti, eventi e altri argomenti di metafisica, Carocci. “Logica” McGraw-Hill
Italia, Buchi e altre superficialità,
Garzanti. Studi: Elena Casetta e Valeria Giardino, Mettere a fuoco il
mondo. Conversazioni sulla filosofia di Varzi, numero speciale di Isonomia Epistemologica, F. Calemi, Varzi. Logica, semantica,
metafisica, AlboVersorio, Milano. Il mondo messo a fuoco, Laterza. Dal risvolto
di copertina di Semplicità insormontabili, Laterza. Da questo libro è stato
tratto lo spettacolo teatrale Insurmountable Simplicities, per la regia di
Natalie Glick, presentato dall'All Gone Theatre Company all'edizione del New York International Fringe Festival. Biografia
"negativa" di Varzi, su columbia.edu. Intervista ad Achille Varzi di
Leonardo Caffo, Rivista italiana di filosofia analitica. Varzi. Keywords:
‘universal’. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Varzi:
semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685558918/in/photolist-2mKzcaD-2mKgZYb-2mKgSAa
Grice e Vasa: ragione e libertà – filosofia (Aggius).
Essential Italian philosopher. Filosofo. Andrea Vasa Società Filosofica
Italiana Congresso Nazionale L'Aquila. Vasa nacque ad Aggius, paese della
Gallura di forte e suggestivo paesaggio e di forti vicende. Compiuti in
anticipo gli studi secondari, andò a studiare filosofia a Milano dove si
laureò. Insegnò nel Liceo Ginnasio “Arnaldo” di Brescia. Dovette interrompere
l’insegnamento a causa della sua partecipazione alla Resistenza con il gruppo
che faceva capo a Parri. Alla fine della guerra riprese l’insegnamento a Milano
nel Liceo Classico G. Carducci e poi nel Liceo Ginnasio Manzoni. Ottenne la libera
docenza. Fu assistente volontario e poi incaricato di Filosofia a Milano.
Vincitore di un concorso a cattedre di Filosofia teoretica, fu chiamato a Cagliari e Firenze. Vasa rimase sempre
fortemente legato al paese natale. Il Comune di Aggius ne ha conservato la
memoria. Negli anni di formazione, Vasa
si trovò a partecipare al tentativo condotto da Bontadini, di cui era allievo e
amico, di superare la contrapposizione tra la scolastica e l’idealismo,
comprendendo e assimilando quanto della metafisica hegeliana e cristiana era in
questo indirizzo. In questa operazione Vasa prese una sua via personale. Abbandonò
l’interesse metafisico simpatizzando per l’attualismo di Gentile per quanto
esso restituiva all’uomo dignità e responsabilità, mettendone tuttavia in luce
l’impossibilità di una fondazione logica. Nacquero così le indagini sulla
logica di Hegel che portarono a rilevanti osservazioni critiche riguardo
all’idealismo. Con l’idea che i valori immanenti costituiscono l’orizzonte
trascendentale nella prassi razionale ed etica dell’uomo veniva a cadere per
Vasa l’opposizione di immanenza e trascendenza.
Nella comune partecipazione alla Resistenza Vasa si legò di amicizia con
Pra, filosofo di profonda esperienza religiosa e sociale e innovatore della
storiografia filosofica. Tramite lui Vasa entrò in contatto con Banfi, che
rappresentava la Scuola filosofica milanese. Nel confronto con il razionalismo
critico di Banfi, che mirava a chiarire una struttura della ragione nel solco
della tradizione kantiana, Vasa pensò ad un razionalismo che andasse oltre ogni
struttura presupposta della ragione verso un orizzonte di possibilità non
ancora prevedibili. Questo pensiero comportava l’idea della ricerca di una
logica della possibilità. Si pose così quella proposta filosofica detta
“trascendentalismo della prassi”, radicalmente critica e programmaticamente aperta,
e che venne difesa da Pra e Vasa, sia nella «Rivista di storia della filosofia»
fondata da Pra, sia nei Congressi della “Società filosofica italiana” rinata
dopo lo scioglimento imposto dall’autorità fascista. Il “trascendentalismo
della prassi” era contrapposto al "teoricismo", inteso come il
carattere di tutte le filosofie che presuppongono un principio di datità del
reale e del valore, cioè di tutte le filosofie metafisiche. Il
trascendentalismo della prassi non voleva essere una teoria, ma un
atteggiamento pratico possibile, effettivo, che riconosceva la temporalità
della prassi e ne rivendicava la libertà e la responsabillità. La proposta del
trascendentalismo della prassi, che era immediatamente critica del pensiero di
Croce e Gentile, ma che investiva tutti gli indirizzi contemporanei, fu il modo
più radicale del domandarsi dopo la guerra, sul métier della filosofia. La
«Rivista di storia della filosofia» costituì il contatto con il “neo-illuminismo”,
che, animato da Abbagnano, avendo come centro Torino, collega e confronta in
convegni periodici i nuovi indirizzi metodologici e anti-metafisici. Affermatisi gli indirizzi della fenomenologia
trascendentale, della filosofia analitica e dell’empirismo, Vasa, con il suo
metodo, caratterizzato dall’apertura e dalla tensione critica ad un continuo
“andar oltre”, diede di essi interpretazioni originali in numerosi studi e
seminari. La sua ricerca, ora caratterizzata come razionalismo della prassi,
continuò a mettere in discussione ogni naturalismo limitativo della libertà
della persona. Vasa confermò così l’idea di una “via negativa alla filosofia” a
cui siamo costretti in mancanza di principi universali oggettivi o di autorità
universali nella prassi. Questa negazione confuta la tematizzazione ingenua del
mondo, mette fra parentesi la tradizione, toglie l’unicità di senso al nostro
rapporto con la realtà e, aprendo la ricerca alla prospettiva di
generalizzazioni nuove, risponde al bisogno della persona di costruirsi e
perseguire finalità proprie. Per
influenza dell’amico Geymonat, e in discussione con lui, Vasa vide
concretamente nelle scienze in sviluppo l’orizzonte effettivo delle possibilità
razionali, pertanto si cimentò nella comprensione di esse attraverso
l’epistemologia e la logica. Egli esaminò: il moderno formalismo
logico-matematico di Russell; l’analisi del linguaggio (formale ed ordinario)
di ‘Vitters’; il convenzionalismo logico e linguistico che egli coglieva
nell’empirismo di Carnap e nella discussione di Quine sull’ontologia; lo stesso
svolgimento dell’epistemologia dagli inizi col Circolo di Vienna ai successivi
sviluppi autocritici e “liberali”; le rivoluzioni concettuali delle scienze.
Erano tutti problemi che avevano all’origine e segnalavano una crisi del
fondamento. Vasa volle chiarirli leggendovi «la sollecitazione a porre fra
parentesi ad aggredire o a variare all’infinito ogni “conoscenza” di spazi e
tempi, di atomi, masse e cause naturali». La sua ricerca manteneva così l’etica
dei fini umani; la logica era anche logica della speranza; la filosofia
ritrovava il senso originario di “amore della saggezza”. Opere: “Il problema della ragione” (Bocca,
Milano); “Ricerche sul razionalismo della prassi” (Sansoni, Firenze); “Logica,
scienza e prassi” (La Nuova Italia, Firenze); “Logica, religione e filosofia”
(Franco Angeli, Milano); “Logica, scienze della natura e mondo della vita”
(Angeli, Milano); “Poeti di Aggius. Michele Andrea Tortu, Michele Pisanu
(Antologia di Salvatore Lepori con prefazione, traduzione e note di A. Vasa),
Nota introduttiva di Giovanni Pirodda, Istituto Superiore Regionale
Etnografico, Nuoro. “Il Trascendentalismo della prassi, la filosofia della Resistenza,
Maria Grazia Sandrini, Mimesis, Centro Internazionale Insubrico, Milano. NIn
memoria di Andrea Vasa, filosofo della modernità, La Nuova Sardegna, Treccani:
Vasa, Andrea Ragione e libertà. Saggio
sul pensiero di Vasa Vasa, Una
discussione con G. Bontadini su metafisica e filosofia, in Studi di filosofia
in onore di G. Bontadini, Vita e Pensiero, Milano I saggi di Vasa sono raccolti
nel volume Logica, religione e filosofia (Scritti filosofiici A. Vasa, Memoria
di Giovanni Gentile, in Giornale critico della filosofia italiana, Vedi
Benedetto Croce, Le cosiddette ‘riforme della filosofia’ e in particolare di
quella hegeliana, (a proposito del saggio di Vasa su De Ruggiero), in Quaderni
della Critica, poi in Indagini su Hegel, Laterza, Bari, Vedi M. Dal Pra, La
filosofia italiana oggi, Rivista critica di storia della filosofia, Sul
trascendentalismo della prassi, in Il problema della filosofia oggi. Atti del Congresso
nazionale di Filosofia (Bologna, promosso dalla SFI, Bocca, Roma-Milano, Vedi:
saggi come l’Introduzione alla trad. di E. Husserl, L’idea della fenomenologia (M.
Rosso), Il Saggiatore, Milano, Logica e
religione di fronte al compito di una possibile unificazione del sapere, in «Il
Pensiero», L’ateismo religioso di L. Wittgenstein, in «Archivio di Filosofia», (Esistenza,
Mito, Ermeneutica), e le lezioni raccolte nel volume Logica, scienze della
natura e mondo della vita A. Vasa,
Logica, scienze della natura e mondo della vita. La frase (di Vasa) compare nella presentazione
editoriale del volume Logica, scienza e prassi. Luporini, Casari, Pra,
Geymonat, Marinotti, Ricordo di Vasa. Corsi, seminari, Olschki, Firenze, F. De
Natale, Storicità della filosofia e filosofia come storiografia. Un dibattito
tra filosofi italiani in Dentro la storiografia filosofica. Questioni di teoria
e didattica, Dedalo, Bari Franco Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, Cisalpino-Goliardica,
Milano. Amedeo Marinotti, L. Handjaras, “Ragione e libertà: la filosofia di Vasa,
Prefazione di M. Dal Pra, Franco Angeli, Milano, Mario Dal Pra, Filosofi del Novecento,
Angeli, Milano, vi è raccolto il contributo già in, Ricordo di Andrea Vasa,
Olschki, Firenze Carlo Monti, Religione e prassi nel pensiero di Andrea Vasa,
in «La Fortezza. Rivista di studi», Liberalismo etico e prospettive razionalistiche
nel pensiero di Vasa, Etica e scienza. Saggi di filosofia, Carocci, Roma. Maria
Grazia Sandrini e Al., Andrea Vasa uomo e filosofo (Atti del convegno di Aggius.
Comprende: relazioni di M.G. Sandrini, “L’eredità vasiana”. P. Lecis, Viaggio
verso una meta incerta. L’universo dei mondi possibili di A. Vasa; F. Minazzi,
La strada per Megara e l’irriducibilità della libertà umana. Il problema della
ragione nel trascendentalismo della prassi di A. Vasa; E. Palombi, Sul senso
dell’uomo nel pensiero di A. Vasa; alcuni brevi Scritti e testi inediti, F.
Minazzi e M.G. Sandrini, in «Il Protagora», poi in volume con lo stesso titolo,
Barbieri, Manduria 2008. Amedeo Marinotti, Ragione e prassi in Vasa e in
Geymonat. Memoria di una discussione filosofica e di un’amicizia, in Geymonat
un maestro del Novecento. Il filosofo, il partigiano e il docente, Fabio
Minazzi, Unicopli, Milano Enrico I. Rambaldi,
La formazione di Vasa, in Alberto Pala filosofo laico, appassionato delle
scienze. Studi e testimonianze, B. Maiorca, Cuec, Cagliari, Enrico I. Rambaldi,
Da Gentile a Hegel. Trascendentalismo e antifascismo in Andrea Vasa. Con
un’appendice di testi e documenti, in «Rivista di storia della filosofia». Andrea
Vasa. Vasa. Keywords: liberta, freedom. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft
MS – Luigi Speranza, “Grice e Vasa: ragione e liberta” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731675581/in/dateposted-public/
Vastarini (L’Aquila). Essential Italian
philosopher. Filosofo. Esponente di una nota famiglia abruzzese, fu un grande
studioso nonché maestro di scherma, quindi, alla morte della madre, e decise di
entrare nell'ordine dei frati minori cappuccini. Dotato di una brillante
vocazione predicatoria che lo portò sino alla corte di Urbano VIII. Venne
pubblicamente lodato anche dal Duca di Osuna che gli propose il vescovato di
Pozzuoli e dal Granduca di Toscana che gli propose quello di Fiesole, ma in
entrambi i casi Vastarini rifiutò. Nella
prima metà Professoresi prodigò per aprire una sede dei cappuccini nell’Aquila,
colpito dalla morte di un suo confratello che il medico non era riuscito a
soccorrere nell'allora sede di San Giuseppe fuori le mura. Acquista un vasto
terreno sul margine orientale della cinta muraria e vi costruì il convento e la
chiesa di San Michele, oggi inglobati nel complesso monumentale dell'Emiciclo. Camerlengo
dell'Aquila. Giacomo Di Marco, Storia
del complesso architettonico, in Lucio Zazzara, Palazzo dell’Emiciclo e
palazzina ex G.I. Maschile. Rigenerazione e adeguamento sismico a L’Aquila, Pescara,
Carsa. Alfonso Dragonetti 234 Frati
minori cappuccini d'Abruzzo, Le attività del Convento Santi Francesco e Chiara
di L'Aquila, su fraticappuccini. L'Emiciclo Rinasce, La storia, su
emiciclorinasce. Alfonso Dragonetti, Le
vite degli illustri aquilani, L'Aquila, Perchiazzi Editore. Vastarini Cresi. Vastarini-Cresi.
Vastarini. Perhaps under C? -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS –
Luigi Speranza,, “Grice e Vastarini: cappuccino e ciserciani” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732311369/in/dateposted-public/
Vattimo (Torino). Essential Italian
philosopher. Grice: “It may be argued that what Vattimo means by ‘strong’ is
what I mean by ‘weak’ and viceversa – With Popper, ‘I know’ is weaker than ‘I
believe’ and ‘every x’ is weaker than ‘some (at least) one’ or ‘the’ – I have
explored ‘the’ – Keyword: massima della debolezza conversazionale; massima
della forza conversazionale” -- Filosofo -- not one that provinicial Beaney
would include in his handbooks and dictionariesVattimo’s philosophy shares
quite a bit with Grice’s programme, as anyone familiar with both Vattimo and
Grice may testify. Vattimo has philosophised on Heidegger and Nietzsche, and
one of his essays is on the subject and the maskanother on realityThere is a
volume in his honour.Gianni Vattimo Gianteresio
"Gianni" Vattimo Gianni Vattimo Participante del Foro Internacional
por la Emancipación y la Igualdad Gianni Vattimo nel Dati generali Partito politicoPartito
Comunista (dal ) In precedenza: DS PdCI IdV Indipendente Titolo di studio Laurea
in Filosofia Università Università degli Studi di Torino Professione filosofo,
professore universitario. Filosofo. Tra i massimi esponenti della corrente post-moderna,
è teorizzatore del pensiero debole. Il padre è un poliziotto calabrese,
che muore quando Gianni ha un anno e mezzo, mentre la madre è una sarta; ha una
sorella di otto anni più grande. Durante la guerra si trasferisce con la
famiglia in Calabria, restandoci per due anni e ritornando a Torino nel
settembre del 1945. Studente del liceo classico Gioberti è attivo nella
Gioventù Studentesca di Azione Cattolica, e collabora a Quartodora, rivista del
movimento diretta da Straniero. Si autodefinì come un cattolico militante,
influenzato dalla lettura di Maritain, Mounier e dei racconti di Bernanos,
portato dalla fede ad un disinteresse per il razionalismo storico,
l'Illuminismo e le filosofie di Hegel e Marx. Allievo di Pareyson assieme
a Umberto Eco con cui ha condiviso amicizia e interessi, si è laureato in
filosofia a Torino. Lavora ai programmi culturali della Rai. Ha conseguito la
specializzazione a Heidelberg, con Löwith e Gadamer, di cui ha introdotto il
pensiero in Italia. Professore incaricato e ordinario di estetica all'Torino,
nella quale è stato preside, della facoltà di Lettere e Filosofia. -- ordinario
di filosofia teoretica presso la stessa università. 00 professore emerito,
titolo che non gli precluse, in futuro, lo svolgimento di eventuali attività
didattiche presso la suddetta università. Idea e condotto su Raitre il
programma televisivo di divulgazione filosofica “La clessidra.” Ha insegnato
come visiting professor negli Stati Uniti e ha tenuto seminari in diversi
atenei del mondo. È stato direttore della Rivista di estetica, membro di
comitati scientifici di varie riviste italiane e straniere, socio
corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino, nonché editorialista per
i quotidiani La Stampa e La Repubblica e per il settimanale L'espresso.
Attualmente dirige la rivista Tropos. Rivista di ermeneutica e critica
filosofica (edita da Aracne Editrice). Per le sue opere ha ricevuto lauree
honoris causa dalle La Plata, Palermo, Madrid e dalla Universidad Nacional
Mayor de San Marcos di Lima. È stato più volte docente alle Vacances de
l'Esprit. Ha svolto attività politica in diverse formazioni: prima nel Partito
Radicale, poi in Alleanza per Torino, successivamente nei Democratici di
Sinistra, per i quali è stato parlamentare europeo, e nel Partito dei Comunisti
Italiani -- è stato candidato da una
lista civica a sindaco di una cittadina calabrese, San Giovanni in Fiore (Cs),
per combattere la "degenerazione intellettuale" che affliggeva quel
paese, ma non è riuscito ad arrivare al secondo turno. Annunciato la sua
candidatura a parlamentare europeo nelle liste dell'Italia dei Valori di
Antonio Di Pietro, rivendicando tuttavia le proprie origini comuniste, venendo
eletto nella circoscrizione Nord-Ovest. Nel giorno dell'anniversario
della fondazione del PCd'I, annuncia la sua adesione al Partito
Comunista. Il suo ideale politico-religioso si riassume in una forma da
lui definita "comunismo cristiano" e "comunismo
ermeneutico", un' ideale antidogmatico di "comunismo debole" nel
pensiero e nell'essere, che si ispira alla vita comunitaria delle prime
comunità cristiane. Esso rinnega e si oppone alla violenza delle industrializzazione
pesante forzata e dello stalinismo in genere, così come anche alle tesi di
Lenin e del terrorismo, muovendo a favore di una sinistra improntata al
dialogo, alla dialettica e alla tolleranza. Controversie Accuse di
antisemitismo Vattimo è stato accusato di antisemitismo, a causa delle sue
dichiarazioni sul controllo ebraico di banche, dove affermava:
"Ricordiamoci che la Federal Reserve è di proprietà di Rothschild. Gattegna,
presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, lo accusò di antisemitismo,
additando le sue dichiarazioni come "parole di odio che non aggiungono
nulla di nuovo e che sono accompagnate dalla riproposizione squallida di
stereotipi anti-semiti". Anche Aiello, primo rabbino donna in Italia, ha
corroborato queste accuse, tacciando Vattimo di antisemitismo. Ha
rilasciato un'intervista al Corriere in cui dichiara, riguardo a Israele
«bisognerebbe procurarsi missili più efficaci dei Qassam e portarli
laggiù» La dichiarazione, riferita ai missili Qassam con cui Hamas colpisce
Israele, ha suscitato molte polemiche. Il filosofo ha tuttavia chiarito che le
sue prese di posizione sono rivolte contro Israele e che non hanno nulla a che
vedere con l’anti-semitismo. Sull'aggressione a Berlusconi In occasione
dell'aggressione di Tartaglia a Berlusconi ha espresso a Radio Radicale la
convinzione che quell'aggressione fosse stata una montatura. Ha affermato
inoltre che se l'aggressore avesse voluto veramente fare del male a Berlusconi
era preferibile usare una pistola invece di una statuetta. Vattimo si è
occupato dell'ontologia ermeneutica, proponendone una propria interpretazione,
che ha chiamato “debolita”, in contrapposizione con le diverse forme di
pensiero forte (fortitude) dell'Otto-Novecento: l'hegelismo con la sua
dialettica, il marxismo, la fenomenologia, la psicanalisi, lo strutturalismo.
Ognuno di questi movimenti si è proposto come superamento delle posizioni
filosofiche precedenti e smascheramento dei loro errori. Ma ogni volta
l'errore, secondo Vattimo, consisterebbe proprio in questo gesto teoretico. Non
ci sono nuovi inizi, l'errore consiste proprio nella volontà di rifondare
"fundamenta inconcussa" che non vi possono essere. Debolita è invece
un atteggiamento della postmodernità che accetta il peso
dell'"errore", ossia del caduco, dell'effimero, di tutto ciò che è
storico e umano. È la nozione di verità a doversi modellare sulla dimensione
umana, non viceversa. Secondo Vattimo la debolita è la chiave per la
democratizzazione della società, la diminuzione della violenza e la diffusione
del pluralismo e della tolleranza. In questo senso deve essere almeno segnalata
la grande e decisiva importanza che assume nella sua filosofia la nozione di
nichilismo, che rimette all'eredità di Nietzsche e Heidegger e si lega a vari
temi vattimiani (dall'etica, alla politica, dalla religione --l'indebolimento
di Dio alla teoria della comunicazione – implicatura come communicatum debole.
Con le sue opere più recenti (in particolare Credere di credere) ha rivendicato
al proprio pensiero anche la qualifica di autentica filosofia cristiana per la
postmodernità. Avvalendosi infatti della visione cristiana del maestro
Pareyson e di Quinzio, Vattimo rifiuta l'identificazione di Dio nell'essere
razionale, così come concepito dalla tradizione filosofica occidentale. Di
Pareyson e Quinzio, però, non condivide la visione religiosa tragica.
Suggestionato da Girard, Vattimo legge la vicenda di Cristo come rifiuto di
ogni sacrificio, anzitutto umano ed esistenziale. La kénosis (lett.
"svuotamento") divina è a vantaggio della libertà e della pace
umana. Le posizioni del filosofo rappresentano una svolta, sia nella sua
impostazione filosofica dell'interpretazione del presente, sia nel campo dell'attività
politica. Abbandona il partito dei Democratici di Sinistra e abbraccia il
marxismo rivalutandone positivamente l'autenticità e validità dei principi
progettuali, auspicando un "ritorno" al pensiero del filosofo di
Treviri e a un comunismo epurato dagli sviluppi delle distorte politiche
pubbliche sovietiche da superare dialetticamente. Per quanto la svolta possa
apparire contraddittoria con le precedenti posizioni, Vattimo rivendica la
continuità delle nuove scelte con il processo di ricerca sul pensiero debole,
pur ammettendo il cambiamento di "molte delle sue idee". È lo stesso
filosofo a parlare di un "Marx indebolito", ovvero di una base
ideologica capace di illustrare la vera natura del comunismo e adatta nella
pratica politica a superare ogni tipo di pudore liberal. L'approdo al marxismo
si configura quindi come una tappa dello sviluppo del pensiero debole,
arricchito nella prassi da una prospettiva politica concreta. Etica e
natura Vattimo ha anche espresso posizioni ambientaliste ed in particolare a
favore dei diritti degli animali. Ad esempio ha dichiarato: «In un'epoca
in cui l'umanità si vede sempre più minacciata nelle stesse elementari
possibilità di sopravvivenza (la fame, la morte atomica, l'inquinamento) la
nostra radicale fratellanza con gli animali si presenta in una luce più immediata
ed evidente.» Da parlamentare europeo si è battuto, tra l'altro, contro
la sperimentazione animale e contro il maltrattamento degli animali negli
allevamenti. Pubblicamente dichiara la sua omosessualità. Sviluppa una
concezione di Cristianesimo secolarizzato, il quale, conseguentemente, non
necessita di istituzioni ecclesiastiche, fondandosi sulla kénosis, ossia
sull'abbassamento e sull'indebolimento dell'idea di Dio. Per il filosofo il non
riconoscimento di un "assoluto", inteso come una verità definitiva,
porterebbe ad una maggiore accettazione della diversità sociale e culturale.
Il compagno da 11 anni di Vattimo, Sergio Mamino, storico dell'architettura,
malato di tumore ai polmoni, muore nel bagno dell'aereo che lo stava portando
nei Paesi Bassi per effettuare un'eutanasia. Ad accompagnarlo c'era con lui
sull'aereo lo stesso Vattimo. Ha collaborato con vari quotidiani italiani
e stranieri (La Stampa, L'Unità, il manifesto, Il Fatto Quotidiano), con
editoriali e riflessioni critiche su vari temi di attualità, politica e
cultura. Saggi: “Il concetto di fare in Aristotele” (Giappichelli,
Torino); “Essere, storia e linguaggio in Heidegger, Filosofia, Torino);
“Ipotesi su Nietzsche” (Giappichelli, Torino); “Poesia e ontologia” (Mursia,
Milano); “Schleiermacher, filosofo dell'interpretazione” (Mursia, Milano, “Introduzione
ad Heidegger” (Laterza, Roma-Bari); “Il soggetto e la maschera” (Bompiani,
Milano); “Le avventure della differenza” (Garzanti, Milano); “Al di là del
soggetto” (Feltrinelli, Milano); “Il pensiero debole” (Feltrinelli, Milano (G.
Vattimo eA. Rovatti); “La fine della modernità” (Garzanti, Milano); “Introduzione
a Nietzsche, Laterza, Roma); “La società trasparente” (Garzanti, Milano);
“Etica dell'interpretazione” (Rosenberg & Sellier, Torino); “Filosofia al
presente” (Garzanti, Milano); “Oltre l'interpretazione” (Laterza, Roma);
“Credere di credere” (Garzanti, Milano); “Vocazione e responsabilità del filosofo”
(Il Melangolo, Genova); “Dialogo con Nietzsche” (Garzanti, Milano); “Tecnica ed
esistenza: una mappa filosofica del Novecento” (Mondadori, Milano); “Dopo la
cristianità. Per un cristianesimo non religioso” (Garzanti, Milano); “Nichilismo
ed emancipazione. Etica, politica e diritto, S. Zabala, Garzanti, Milano); “Il
socialismo ossia l'Europa, Trauben); “Il Futuro della Religione, S. Zabala,
Garzanti, Milano, “Verità o fede debole? Dialogo su cristianesimo e
relativismo, Antonello, Transeuropa Edizioni, Massa); “Non essere Dio.
Un'autobiografia a quattro mani, Aliberti editore, Reggio Emilia, “Ecce comu.
Come si ri-diventa ciò che si era, Fazi, Roma, “Addio alla Verità, Meltemi,
2009 Introduzione all'estetica, ETS, Pisa, “Magnificat. Un'idea di montagna,
Vivalda, “Della realtà, Garzanti, Milano, Pubblica presso Laterza un annuario
filosofico a carattere monografico (Filosofia). La sezione Filosofia ha vinto
il Premio Brancati. Vattimo a Lima, Perú. Pecoraro, "Dossier
Vattimo", Rossano Pecoraro, in: "Alceu". Rivista del Dip. di
Comunicazione. Monaco, Gianni Vattimo. Ontologia ermeneutica, cristianesimo e
postmodernità, Ets, Pisa; Weiss, Vattimo. Einführung. Vienna, Passagen Giovanni
Giorgio, Il pensiero di Vattimo. L'emancipazione della metafisica tra
dialettica ed ermeneutica (Franco Angeli, Milano); Numero della rivista A Parte
Rei (Madrid), v. 54, dedicato a Vattimo. Pensare l'attualità, cambiare il
mondo, G. Chiurazzi, Mondadori, Milano. Enrico Redaelli, Il nodo dei nodi.
L'esercizio del pensiero in Vattimo, Vitiello, Sini, Ets, Pisa L'apertura del presente. Sull'ontologia
ermeneutica di Vattimo, L. Bagetto, Tropos. Rivista di ermeneutica e critica
filosofica, anno I, numero speciale. M. Kopić, Vattimo Čitanka, Gianni Vattimo
Reader. Zagabria, Antibarbarus. C. Gutiérrez, Daniel Mariano Leiro, V. Rivera. Fondazione verano centini/images/allegati Vattimo_Gianni.pdf Movi100 Cent'anni di Movimento Studenti di
Azione Cattolica, su movi100.azionecattolica. Claudio Gallo, Gianni Vattimo Interview, su
publicseminar.org, 11 luglio. Vattimo: viva i giustizialisti. Corro con Tonino
Di Pietro. M. Rizzo con Gramsci alla Camera (il nipote omonimo) e il filosofo
Vattimo, nuovi iscritti al Partito Comunista. Sabato prossimo. Comitato
Centrale a Livorno, su Ilpartitocomunista, Ian Angus, Interview with Gianni Vattimo:
“Only Weak Communism Can Save Us”, su MRANSA, Italian philosopher politician
slammed as anti-Semite, su lagazzettadelmezzogiorno. 'Shoot those bastard Zionists': Italian
scholar, su the local Corriere della Sera, Non acquistiamo i prodotti di lì, su
archiviostorico.corriere. Repubblica -Vattimo: "Non sono un antisemita.
Solo anti-israeliano", su torino.repubblica. A Radio Radicale Il delirio
di Vattimo: «Per fargli male doveva sparare»
Il Giornale, In questo senso Cfr,
tra molti, La fine della modernità e Nichilismo ed emancipazione. Etica,
politica e diritto, dello stesso Vattimo e Niilismo e (Pós-Modernidade)
dell'italo-brasiliano Rossano Pecoraro, libro pubblicato a Rio de Janeiro e San
Paolo. Da Animali quarto mondo, in, I
diritti degli animali, L. Battaglia e S. Castignone, Ed. Centro di Bioetica,
Genova. Dichiarazione scritta sul riconoscimento dell'obiezione di coscienza
alla sperimentazione animale nell'UE, su giannivattimo. Interrogazione scritta
alla Commissione sul benessere degli animali, su Gianni vattimo. 4Vattimo:
accanimento sui gay, ma io non bacio in pubblico, Corriere della Sera, su
corriere. «Il mio compagno voleva farla
finita Ma morì in viaggio tra le mie braccia» Corriere della Sera, su corriere.
Albo d'oro premio Brancati, su comune.zafferana etnea.ct. Pensiero debole. Blog
ufficiale, su Gianni vattimo.blogspot.com.
Gianni Vattimo, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Gianni Vattimo,
su europarl.europa.eu, Parlamento europeo.
Registrazioni su RadioRadicale, Radio Radicale. Revista A parte rei, su
personales.ya.com. Dicussion e sul Pensiero Unico su mito11settembre. Lezione di
congedo dall'Torino La verità e l’evento: dal dialogo al conflitto, su teologiaeliberazione.blogspot.com.
Credere di credere. Genesi e significato di una conversione debole Giornale di
filosofia della religione Gianni Vattimo. Un comunista postmoderno? (di Preve) RAI
Filosofia, su filosofia.rai. Vattimo. Keyword: debole/forte – implicatum come
communicatum debole. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e Vattimo," The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688810146/in/photolist-2mPmWDG-2mLPa8B-2mKyErQ-2mKfshF-E4u3XA
Grice e Veca – la massima
dell’altruismo conversazionale -- filosofia (Roma). Grice: “I like Veca. Like me, he speaks of altruisn,
and he has contributed to a collective volume, “Cooperare e competere.”” Essential
Italian philosopher. Filosofo. Ha svolto un ruolo chiave nell'introduzione nel
dibattito culturale italiano dell'approccio alla filosofia politica derivato
dall'impostazione di Rawls, divenendo un punto di riferimento filosofico della
sinistra, sia come teorico che come militante. La sua formazione di tipo
analitico (sensibile quindi alle metodologie e alle questioni della filosofia
del linguaggio e della logica), insolita rispetto alla figura del teorico
politico così come tradizionalmente concepito in Italia, ha permesso alla sua
riflessione di spaziare anche negli ambiti dell'epistemologia e della
metafisica, indagandone le connessioni con l'ambito della filosofia morale e
politica. Veca da un impulso decisivo, nel dibattito filosofico italiano,
a temi quali il realismo, il problema della completezza nelle teorie
epistemiche e politiche, la giustizia globale e la sostenibilità. Studia Filosofia
a Milano, dove si laurea con una tesi in Filosofia teoretica, condotta sotto la
guida di Paci e Geymonat; assistente volontario, borsista CNR e assistente
incaricato presso la cattedra di Filosofia teoretica a Milano; professore incaricato
di Filosofiaa Calabria. -- è stato professore incaricato di Storia delle
istituzioni e delle strutture sociali presso la Facoltà di Lettere e filosofia
di Bologna. Professore incaricato, professore incaricato stabilizzato e
professore associato di Filosofia politica presso la Facoltà di Scienze
Politiche di Milano. -- è stato professore straordinario di Filosofia politica
presso la Facoltà di Lettere e filosofia di Firenze. Professore di
Filosofia politica presso la Facoltà di Scienze politiche a Pavia. vicepreside
della Facoltà di Scienze politiche a Pavia; president della Facoltà di Scienze
politiche dell'Pavia; membro del Comitato direttivo della Scuola Superiore IUSS
di Pavia. rettore del Collegio Universitario Giasone del Maino di Pavia. direttore
del Centro Inter-Dipartimentale di Studi e Ricerche in Filosofia sociale a Pavia;
prorettore per la didattica dell'Pavia; componente del Consiglio di
amministrazione della Fondazione Romagnosi di Pavia e del Comitato scientifico
dell’European Centre for Training and Research in Earthquake Engineering presso
l'Pavia; parte del Consiglio d'amministrazione dell'Istituto italiano di
scienze umane di Firenze; vicedirettore dell'Istituto Universitario di Studi Superiori
di Pavia. Coordinatore dei corsi ordinari dell'Istituto Universitario di Studi
Superiori di Pavia. Dal al è prorettore vicario dell'Istituto
Universitario di Studi Superiori di Pavia. Professore di Filosofia
politica presso l'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia.
Conclusa la sua carriera accademica nel, Veca attualmente insegna Filosofia
politica nelle Classi di Scienze umane e Scienze sociali dell'Istituto
Universitario di Studi Superiori di Pavia. Nella sua lunga carriera Veca
ha tenuto seminari e cicli di lezioni all'Cambridge (Christ's), a San Paolo,
all'Campinas, a'Bogotà, all'Evora, alla Sorbonne, all'Grenoble, all'Istituto
Universitario Europeo. Ha svolto un'intensa attività di consulenza e direzione
editoriale. Ha assunto, grazie a un invito del prof. Giuseppe Del Bo, la
direzione scientifica della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano presidente
della Fondazione Feltrinelli, promuovendo lo sviluppo del suo Centro di Scienza
politica. Direttore degli "Annali" della Fondazione, Veca ha
impegnato l'istituzione in una ampia gamma di attività di ricerca,
documentazione e pubblicazione nell'ambito della teoria politica e sociale
contemporanea che perseguono lo scopo di coniugare la tradizione della ricerca
storico-sociale con l'innovazione dei metodi e degli esiti della teoria
normativa e descrittiva della politica. Ha coordinato le attività del Seminario
annuale di Filosofia politica, promosso dalla Feltrinelli in collaborazione con
il Centro Studi Politici "Paolo Farneti" di Torino e la Scuola
Normale Superiore di Pisa. Nel 2000 avvia il progetto della “Biblioteca
europea” della Fondazione Feltrinelli, di cui è attualmente direttore. Nel è stato designato Presidente onorario della
Fondazione Feltrinelli ed è direttore scientifico del suo Laboratorio Expo -- è
inoltre stato condirettore di Aut Aut con E. Paci e P. Rovatti. Ha diretto la
collana Readings per l'Università della Casa editrice Feltrinelli, di cui è
consulente per la saggistica nel campo della filosofia e della teoria politica
e sociale; consulente della saggistica de il Saggiatore, di cui ha diretto, con
Marco Mondadori, la collana Theoria. Fa parte o ha fatto parte del
comitato scientifico o di direzione di riviste quali "Rassegna italiana di
sociologia", "Teoria politica", "Biblioteca della
libertà", "Transizione", "Etica degli affari",
"Iride", "European Journal of Philosophy", "Filosofia
e questioni pubbliche", "Reset", "Quaderni di Scienza
politica", "Il Politico", "Rivista di filosofia",
“Italianieuropei”. È attualmente direttore de “Il giornale di Socrate al caffè.
Bimestrale di cultura e conversazione civile; curatore scientifico della Carta
di Milano per Expo. Ruoli ed incarichi Fa parte del Comitato direttivo di
"Politeia", Centro per la ricerca e la formazione in politica ed
etica diMilano, di cui è stato uno dei fondatori. Comitato etico dell'IstitutoEuropeo
di Oncologia di Milano e del Comitato etico dell'Istituto Mondino di Pavia;
Comitato scientifico della Fondazione Rosselli di Torino; coordinatore del
Comitato Scientifico dell’Associazione per la ricerca e l'insegnamento della
filosofia, parte del Consiglio direttivo nazionale della Società Filosofica
italiana. È stato componente del Consiglio nazionale presso il Ministero dei
Beni culturali e ambientali; presidente dell'Associazione “I quattro cavalieri”
che ha promosso le attività dell’ensemble cameristico “I solisti di Pavia”,
diretto da E. Dindo.Comitato generale Premi della Fondazione Balzan “Premio” di
Milano. presidente della Fondazione Campus di Lucca; direttore delle
Scuole di formazione politica dell'Associazione “Libertà e giustizia; presidente
della Fondazione Paolo GrassiLa voce della culturadi Milano; Presidente del
Comitato Generale Premi della Fondazione Balzan di Milano; membro del Comitato
dei Garanti della Scuola Galileiana di Studi Superiori di Padova.
Dal è socio corrispondente residente
della Classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze e lettere; consigliere
della Fondazione del Centenario della BSI di Lugano. Dal è membro del Comitato Scientifico della
Fondazione Gualtiero Marchesi. Accademico corrispondente non residente
della Classe di Scienze Morali dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di
Bologna; designato dall'Pavia quale Garante dei diritti degli student; presidente
della Casa della Cultura di Milano. Dal
è socio corrispondente non residente dell'Accademia delle Scienze di
Torino. membro effettivo dell'Istituto Lombardo di Lettere e Scienze e
componente del Comitato dei Garanti del FAI. Premio Castiglioncellosezione
di filosofiaper il libro Dell'incertezza e gli è stata conferita, con decreto
del Presidente della Repubblica, la medaglia d'oro e il diploma di prima
classe, riservati ai Benemeriti della Scienza e della Cultura. Ha ricevuto il
premio dell'Accademia di Carrara per il libro La filosofia politica. premio per
la filosofia “Viaggio a Siracusa” per La priorità del male e l'offerta
filosofica; premio “Ponte per la cultura” della Fondazione Europea Guido
Venosta per il libro Etica e verità; medaglia d'oro di benemerenza civica dal Comune
di Milano. Nella filosofia di Veca sono individuabili tre fasi
distinte. La prima fase della sua ricerca è stata dedicata a questioni di
teoria della conoscenza o di epistemologia. Pubblica “Fondazione e modalità in
Kant” e numerosi saggi su problemi di filosofia della logica, della matematica
e della fisica in Whitehead, Frege, Cassirer e Quine. Il centro di interesse
scientifico di Veca si sposta sulle teorie di Marx in rapporto alle scienze
economiche, sociali e politiche, delineando una seconda fase i cui esiti sono
formulati in “Marx e la critica dell'economia politica” e, soprattutto, “Il programma
scientifico di Marx.” Si impegna in un programma di ricerca nell'ambito
della filosofia politica influenzato dalla prospettiva della teoria normativa
della politica. Dopo “Le mosse della ragione,” introduce la discussione sulla
giustizia con “La società giusta” ed elabora e sviluppa la sua prospettiva
teorica in “Questioni di giustizia” e “Una filosofia pubblica.” Veca dedica un
saggio divulgativo agli esiti di questa fase della sua ricerca, “L'altruismo.” Gli
sviluppi successivi della sua ricerca, orientata al problema dei rapporti fra
teoria normativa e teoria descrittiva della politica e incentrata sulla
questione del pluralismo come fatto e come valore per la teoria democratica,
sono rinvenibile in “Libertà e eguaglianza.” Una prospettiva filosofica in
Progetto Ottantanove, nin Etica e politica e, in particolare in “Cittadinanza:
riflessioni filosofiche sull'idea di emancipazione.” Veca lavora alla stesura
di tre meditazioni filosofiche intorno a questioni di verità, giustizia e
identità, in cui estende la gamma dei suoi interessi teorici rispetto ai lavori
degli anni Ottanta. Sviluppando una serie di idee originariamente presentate in
Questioni di vita e conversazioni filosofiche, gli esiti di questa ricerca sono
contenuti in “L’incertezza.” Pubblica “L'idea di giustizia da Platone ad oggi.”
Pubblica un saggio di filosofia sociale e politica, “La lealtà civile: un
messaggio nella bottiglia” e un saggio dedicato alla interpretazione e alla ricostruzione
della teoria politica normative, “La filosofia politica.” Pubblica “La
penultima parola e altri enigmi. Questioni di filosofia” in cui sono
approfonditi alcuni esiti di Dell'incertezza ed è affrontata, nella prima
parte, la questione meta-teorica della relazione fra l'attività filosofica e la
sua storia nel tempo. Pubblica “Il bello e gli oppressi: ll'idea di giustizia” in
cui sono presentate alcune idee di base per una teoria della giustizia globale.
Presenta la sua prospettiva filosofica in un saggio divulgativo, “Il giardino
delle idee: passi nel mondo della filosofia.” Pubblica “La priorità del male e
l'offerta filosofica, in cui sviluppa e approfondisce le questioni di una
teoria della giustizia globale e mette a fuoco, fra l'altro, le connessioni fra
l'offerta di filosofia politica e le circostanze e i soggetti di
politica. Pubblica “Le cose della vita: congetture, conversazioni e
lezioni personali,” in cui estende l'esame delle questioni di vita, inteso come
tentativo di autoritratto, e lo connette al problema dell'eredità
intellettuale, nel senso della dimensione storica del sapere filosofico. Pubblica
“Dizionario minimo. Per la convivenza democratica,” in cui esamina e discute
alcuni temi fondamentali per l'interpretazione e la valutazione della forma di
vita democratica, sulla base di una tesi sulla natura della libertà
democratica. Pubblica “Etica e verità” in cui sono raccolti saggi incentrati
sui rapporti fra la crescita dell'impresa scientifica e i nostri criteri di
giudizio etico, e Quattro lezioni sull'idea di incompletezza, in cui presenta i
primi risultati di una ricerca filosofica sull'idea di incompletezza, messa a
fuoco in distinti domini di applicazione, quali quello della interpretazione,
della giustificazione e della dimostrazione. Pubblica “Incompletezza,” in cui
espone gli esiti delle sue ricerche filosofiche cercando di esplicitarne la
coerenza e la connessione con l’incertezza. In “L'immaginazione filosofica”
sviluppa la tesi conclusive del contributo all'idea di incompletezza e sullo
sfondo di una definizione delle principali linee della propria ricerca
filosofica. In “Un'idea di laicità” propone un argomento a favore della
laicità delle istituzioni e delle scelte sociali basato su un'interpretazione
della natura della libertà democratica e del fatto del pluralismo. In “Non
c'è alternativa. Falso!” mette a fuoco, in una prospettiva filosofica, alcuni
aspetti rilevanti della crisi economica strutturale e dei rapporti fra
capitalismo e democrazia rappresentativa. In “La gran città del genere
umano” tratta temi differenti accomunati dalla prospettiva globale “degli occhi
del resto d'umanità”. In “La barca di Neurath” affronta questioni
epistemologiche, normative e meta-filosofiche sullo sfondo dell’incertezza e
dell'incompletezza; curatore del volume degli Annali della Fondazione
Giangiacomo Feltrinelli, Laboratorio Expo. “Il senso della possibilità, dove
Veca, raccogliendo intuizioni sviluppate in quegli anni nelle lezioni presso la
Scuola Superiore IUSS di Pavia, espone il suo interesse per la
l'interpretazione filosofica delle modalità. In particolare, le questioni
metafisiche delle modalità (specie il confronto tra mondo attuale e mondi
possibili, esaminando le differenti posizioni di Kripke, Lewis, e Armstrong)
costituirebbero la chiave di volta filosofica a cui si riconducono le questioni
normative ed ontologiche relative all'epistemologia, all'etica e alla politica
esposte nel saggio sull’incompletezza e sull’incertezza. In particolare, la
distinzione tra mondi possibili e realtà modale, che fornirebbe una fondazione alla
compatibilità tra costruttivismo griceiano e realismo, proposta in chiusura,
può considerarsi l'apertura di una nuova fase del pensiero di Veca, stavolta di
stampo prettamente metafisico, e che si ricollega peraltro all'interesse per le
modalità centrale nella sua opera prima. Altre opere: “Fondazione e
modalità in Kant” (Milano, Il Saggiatore); “Marx e le critiche dell'economia”
(Milano, Il Saggiatore); “Il programma scientifico di Marx” (Milano, Il
Saggiatore); “Le mosse della ragione” (Milano, Il Saggiatore); “La società
giusta: argomenti per il contrattualismo” (Milano, Il Saggiatore); “Crisi della
democrazia e neo-contrattualismo” (Roma, Riuniti); “Questioni di giustizia”
(Parma, Pratiche); “Co-operare e competere” (Milano, Feltrinelli); “Una
filosofia pubblica” (Milano, Feltrinelli); “L'Altruismo” (Milano, Garzanti); “Etica
e politica” (Milano, Garzanti); “Progetto Ottantanove” (Milano, Il Saggiatore);
“Cittadinanza. Riflessioni filosofiche sull'idea di emancipazione” (Milano,
Feltrinelli); “Questioni di vita e conversazioni filosofiche” (Milano, BUR,
Biblioteca Universale Rizzoli); “Questioni di giustizia. Corso di filosofia politica.
Torino, Einaudi, Europa Universitas. Tre
saggi sull'impresa scientifica europea, Milano, Feltrinelli, Filosofia,
politica, società. Annali di etica pubblica, Roma, Donzelli, L'Idea di giustizia da Platone a Rawls, Roma,
Laterza, Dell'incertezza. Milano, Feltrinelli, La politica e l'amicizia,
Milano, Edizioni lavoro, Della lealtà civile: un messaggio nella bottiglia.
Milano, Feltrinelli, La penultima parola e altri enigmi. Roma-Bari, Laterza, La
filosofia politica. Roma, Laterza, La bellezza e gli oppressi: sull'idea di
giustizia. Milano, Feltrinelli, Il
giardino delle idee. Quattro passi nel mondo della filosofia. Milano,
Frassinelli, collana "I libri di Arnoldo Mosca Mondadori", La priorità del male e l'offerta filosofica” (Milano,
Feltrinelli); Le cose della vita. Congetture, conversazioni e lezioni
personali. Milano, BUR, Biblioteca Universale Rizzoli, Dizionario minimo. Le
parole della filosofia per una convivenza democratica. Milano, Frassinelli, Quattro
lezioni sull'idea di incompletezza. Milano, La Scuola di Pitagora); “Etica e
verità” Milano, Giampiero Casagrande editore, collana "Attualità e
studi", L'idea di incompletezza. Quattro lezioni. Milano, Feltrinelli, Sarabanda. Oratorio in tre tempi per voce
sola. Milano, Feltrinelli, Kant. Milano,
Book Time, Tolleranza. Le virtù civili.
Milano, ASMEPA, L'immaginazione
filosofica” (Milano, Feltrinelli); “Un'idea di laicità. Bologna, il
Mulino, Ragione, giustizia, filosofia, scritti
scelti, Antonella Besussi e Anna E. Galeotti. Milano, Feltrinelli, Omnia
Mutantur. La scoperta filosofica del pluralismo culturale (Milano, Marsilio,.
Non c'è alternativa. Falso! Roma, Laterza,. La gran città del genere umano. Milano,
Mursia,. La barca di Neurath. SPisa, Scuola Normale Superiore,. Laboratorio
Expo. Milano, Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli,. Il giardino di Camilla. Milano, Mursia,.
Responsabilità-Uguaglianza-Sostenibilità. Tre parole-chiave per interpretare il
futuro (Bologna, Dehoniane); Il senso della possibilità” Milano, Feltrinelli);
“Le virtù cardinali: prudenza, temperanza, fortezza, giustizia” (Roma,
Laterza), A proposito di Marx. Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,.
Quasi un diario. Socrate al caffè. Milano, Casagrande, “ Qualcosa di sinistra.
Idee per una politica progressista. Milano, Feltrinelli,. Libertà. Roma,
Treccani. Cura, introdotto la filosofia di Rawls, Nozick, Dahl, Easton, Nagel,
Williams, Parfit, Putnam, Walzer, Berlin, Sen, Goodman, Arrow, Regan, Elster, Passmore,
Pontara, Dunn, Larmore, MacIntyre, Harsanyi, Hempel, Finetti, Meade, Dworkin,
Axelrod, Moore, Hampshire, Pettit, Spence, scrittore britannico Scuola di Milano. Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Socrate
al Caffè, su socrate.apnetwork. Biografia. Pavia. Centro di filosofia sociale Scritti
Pavia. Centro di filosofia sociale la teoria della giustizia RAI Filosofia Presentazione del volume
Ragione, Giustizia, Filosofia. Scritti in onore. Salvatore Veca. Keywords:
altruism, Hampshire, Hart, Grice, giustizia, cooperare e competere, altruismo –
ragione – virtu capitali -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi
Speranza, “Grice e Veca: la massima dell’altruismo conversazionale” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732292349/in/dateposted-public/
Grice e Vecchio: il kantismo contro
il positivismo di neo-Trasimaco (Bologna). Essential Italian philosopher. Interessi
principali: Etica, filosofia del diritto, filosofia politica. Influenzato a Bobbio.
Vecchio, eminente italiana filosofo del diritto del 20esimo secolo. Tra gli
altri ha influenzato lBobbio. Famoso per il suo libro giustizia. -- è stato
professore a Ferrara, Sassari, Messina, Bologna e Roma. Rettore a Roma. Inizialmente
aderito al fascismo, come molti filosofi del diritto in Italia (anche se lui
stesso rimosso dal l'ideologia fascista nella fase iniziale). Ha perso la sua
cattedra per due volte e per ragioni opposte: per mano dei fascisti perché era
un Ebreo, per mano di anti-fascisti perché era accusato di simpatizzare con il
fascismo all'inizio della sua carriera. Reintegrato nell'insegnamento durante
la seconda guerra mondiale, lavora con il Secolo d'Italia e la rivista Pages
libero (pubblicazione regia di Vito Panucci). Fa parte del comitato
organizzatore di INSPE, un Istituto di ricerca che negli anni Cinquanta e
Sessanta si era opposto alla cultura marxista, la promozione di conferenze
internazionali e pubblicazioni. Fondatore e direttore del giornale
internazionale di Filosofia del Diritto. Considerato tra i maggiori interpreti
del kantismo. Criticato il positivismo, affermando che il concetto di ‘ius’ non
può essere derivata dall'osservazione dei fenomeni giuridici. A questo
proposito, le sue convinzioni concordarono con una vertenza che si stava
svolgendo in Germania tra Filosofia, Sociologia e legale Teoria generale che
sembrava di ridefinire il "filosofia del diritto" a cui Vecchio ha
attribuito questi tre compiti: compito
logica: costruire il concetto di ‘legge’ -- compito fenomenologica, che
consiste nello studio del diritto come fenomeno sociale. Compito ontologico,
che esamina la natura del ‘giusto’ -- o
l'essenza del diritto come – dovere -- dovrebbe essere. Opere: “Senso
giuridico, La filosofico Presupposti del concetto di legge, Il concetto di
legge, Il concetto di natura e il principio di diritto, Sui principi generali
della legge, Giurisprudenza, Lezioni
Filosofia del diritto, La crisi della scienza del diritto, Storia della
Filosofia del diritto, Mutevolezza ed Eternità della legge, Gli studi sul
diritto. Del Vecchio, Giorgio treccani "Principi generali del diritto.” Vechio:
essential Italian philosopher. Grice: “Note that it is DelVecchio.” DelVecchio.
Vecchio. Keywords: neo-Trasimaco, Hart, ius, kantismo, positivism, giustizia,
il giusto. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza,
“Grice, Hart, e Vecchio: il kantianismo dell’ ‘ius.’” https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732516490/in/dateposted-public/
Grice e Vedovelli – filosofia (Roma). Essential Italian philosopher.
Filosofo. Rettore a Siena, assessore alla cultura del Comune di Siena. Laureato
in filosofia a Roma è Professore a Siena, dove ha assunto la carica di Rettore.
Precedentemente ha svolto attività di ricerca e di docenza a Heidelberg,
Calabria, Roma, e Pavia. I suoi settori
di ricerca si muovono nell'ambito della glossologia, la semiotica, la
sociolinguistica e la linguistica acquisizionale. Ha introdotto il concetto di
lingua immigrata. Le sue ricerche si concentrano sull'insegnamento e
apprendimento delle lingue in contesto migratorio. È autore di un commento al Quadro comune
europeo di riferimento per l'insegnamento delle lingue e co-autore della
ricerca Italiano, indagine motivazionale sui pubblici dell'italiano all'estero,
realizzata sotto la guida di Mauro. È
stato il fondatore e primo direttore della Certificazione di Italiano come
Lingua Straniera, e del Centro di Eccellenza della Ricerca Osservatorio
linguistico dell'italiano diffuso fra stranieri e delle lingue immigrate in
Italia, istituiti a Siena. Opere: “Lessico
di frequenza dell'italiano parlato” (Milano, IBMEtas, Italiano, I pubblici e le motivazioni
dell'italiano diffuso tra stranieri, Roma, Bulzoni, Guida all'italiano per
stranieri. La prospettiva del Quadro comune europeo per le lingue, Roma,
Carocci, L'italiano degli stranieri,
Roma, Carocci, Lingua in giallo. Analfabeti, criminali, sordomuti,
certificazioni di lingua straniera, Perugia, Guerra, Storia linguistica
dell'emigrazione italiana nel mondo, Roma, Carocci, Siena Certificazione CILS
Linguistica educativa Glottodidattica Semiotica
Registrazioni di Massimo Vedovelli, su RadioRadicale, Radio Radicale. Vedovelli.
Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza, “Grice
e Vedovelli” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732504270/in/dateposted-public/
Grice e Vegetti – il platonismo
oxoniense di Pater – filosofia (Milano). Essential
Italian philosopher. Filosofo. Professore a Pavia. Si laurea a Pavia con una
tesi, “La storiografia diTucidide,” quale alunno del Collegio Ghislieri. Libero
docente e successivamente professore incaricato in Storia della filosofia
antica, fu Professore di questa disciplina a Pavia dove ricoprì più volte il
ruolo di direttore nel Dipartimento di Filosofia. Fu docente presso la Scuola Superiore IUSS di
Pavia e la Scuola Europea di Studi Avanzati dell'Università degli Studi Suor Orsola
Benincasa di Napoli. Membro del Collegium Politicum e socio dell'Accademia di
Scienze Morali e Politiche di Napoli, e dell'Istituto Lombardo Accademia di
Scienze e Lettere. Vegetti condivise il
lavoro intellettuale e l'impegno sociale con Finzi. Vegetti si dedicò alla
filosofia greco-romana, secondo l'insegnamento del suo maestro Geymonat. Fa studi
sulla medicina e sulla biologia da Ippocrate a Galeno. Fu il primo in Italia a impartire un corso di
storia della filosofia antica che prendesse in considerazione i riferimenti
alla storia della scienza, particolarmente in ambito greco-romano. Nella
ricerca della connessione fra scienze e filosofia, seguì la metodologia di
Geymonat. Il campo d'indagine approfondito da Vegetti consistette nello studio
degli aspetti etici e politici della filosofia, in particolare il platonismo,
il aristotelismo, e lo stoicismo, in rapporto con l'ambito sociale ed ideologico
della cultura greco-romana. Relativamente all'etica, che assimila l'ordine
stabilito dalla legge morale e politica con l'ordine naturale insito nel
kósmos, l'universo ordinato, Vegetti ritenne che si configurasse per la prima
volta nell' “Iliade” proseguendo poi nella riflessione orfica-pitagorica
sull'anima. Apprezzato per i suoi studi su Platone, Aristotele, Ippocrate,
Galeno e sull'etica. Opere: “Il coltello
e lo stilo” (Il Saggiatore, Milano); “Tra Edipo e Euclide” (Il Saggiatore,
Milano); “L'etica degli antichi” (Laterza, Roma-Bari); “La medicina platonica” (Il
Cardo, Venezia); “La Repubblica platonica” (Napoli, Bibliopolis); “Il
platonismo” (ed. Einaudi); “Socrate incontra Marx. Lo Straniero di Treviri, ed.
Guida; “Guida alla lettura della Repubblica di Platone, Laterza, Roma-Bari); “Un
paradigma in cielo. Platone politico da Aristotele al Novecento, ed. Carocci.
Vegetti collabora in: “Marxismo e società antica” (Feltrinelli, Milano); “Oralità,
scrittura, spettacolo” Boringhieri, Torino, Il sapere degli antichi, Boringhieri, Torino, L'esperienza
religiosa antica, Boringhieri, Torino (con Gabriele Giannantoni) La scienza
ellenistica, Bibliopolis, Napoli, Le opere psicologiche di Galeno, Bibliopolis,
Napoli, Nuove antichità, "Aut Aut", "Dialoghi con gli antichi",
Sankt Augustio. Ha tradotto Ippocrate,
Opere, M. Vegetti, POMBA, Torino, II edizione, Aristotele, Opere biologiche, D.
Lanza e M. Vegetti, POMBA, Torino, II edizione, Galeno, Opere, I. Garofalo e M.
Vegetti, POMBA, Torino, Platone, Repubblica, M. Vegetti, Libri I-III,
Dipartimento di Filosofia dell'Pavia, "Platone, Repubblica",
M.Vegetti, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano. “Nell'ombra di Theuth: dinamiche
della scrittura in Platone, in Sapere e scrittura in Grecia, M. Detienne,
Laterza, Roma- Bari); “Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica” in
Storia del sapere medico occidentale M. Grmek, Laterza, Roma-Bari. “L' idea del
bene nella Repubblica di Platone, in "Discipline filosofiche", Passioni
antiche: l'io collerico, in Storia delle passioni S. Vegetti Finzi, Laterza,
Roma- Bari. Curato inoltre, per Zanichelli, “Filosofie e società.” Biografia su
Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, su emsf.rai. S. Vegetti Finzi, A. Celli, Fare società, ed.
Einaudi Entrambi collaboratori della
rivista Iride delle edizioni del Mulino. Biografia su Enciclopedia multimediale
delle scienze filosofiche, su emsf.rai. 6. Filosofo studioso di Platone, su
corriere. G. Curci, Intervista alla
prof.ssa Gastaldi, in ricordo del maestro Vegetti, su necrologie.laprovinciapavese.gelocal.
Enciclopedia Treccani alla voce "Galeno" Intervista Antonio Carioti,
"Critico il Platone di Reale, il marxismo non c'entra", intervista di
Mario Vegetti, Corriere della Sera, Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Opere di Mario Vegetti,. Pubblicazioni su
Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de
l'Innovation. Registrazioni su RadioRadicale,
Radio Radicale. L'etica e la filosofia antica, su emsf.rai. La retorica e la
persuasione, su emsf.rai. La medicina greca. Aristotele. I pitagorici.
Socrate., su emsf.rai. L'etica in Platone e Aristotele, su emsf.rai. Mario
Vegetti: il primato del filosofo per Aristotele, sul RAI filosofia, su filosofia.rai. Mario
Vegetti. Vegetti. Keywords: ariskant, plathegel. -- Refs.: The H. P. Grice
Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Vegetti e il platonismo
oxoniense di Pater” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732247714/in/dateposted-public/
Velino – I velini – Luigi Speranza (Velia). Grice: “”A = A,” Parmenides says,” “Le donne
sono le donne,” “La guerra è la guerra.” Enough to irritate an Italian
neo-non-parmenideian“One of the most important Italian philosophers, if only
because Plato dedicated a dialogue to him!”Grice. --
Parmenide Parmènide di Elea (in greco antico: Παρμενίδης, Parmenídēs;
Elea. Filosofo antico -- autore del poema Sulla natura. Viene considerato
il fondatore dell'ontologia, con cui ha influenzato l'intera storia della
filosofia occidentale. Fu il filosofo dell'essere statico e immutabile, in
contrasto col divenire di Eraclito, secondo il quale viceversa «tutto cambia». A
lui si deve la nascita della scuola eleatica a cui appartenevano anche Zenone (o
Senone nella grafia antica) di Elea e Melisso di Samo. La rivalità tra
Parmenide ed Eraclito è stata reintrodotta negli odierni dibattiti sulla
concezione del tempo,[ e della fisica moderna. Nacque a Velia, in Ascea, da una
famiglia aristocratica. Della sua vita si hanno poche notizie. Secondo
Speusippo, nipote di Platone, e chiamato dai suoi concittadini a redigere le
leggi di Ascea. Secondo Sozione e discepolo del pitagorico Aminia. Per altri fu
probabilmente discepolo di Senofane di Colofone. Ad Ascea fonda inoltre una
scuola, insieme al suo discepolo prediletto Zenone. Platone nel Parmenide
riferisce di un viaggio che Parmenide intraprese alla volta di Atene, dove
conobbe Socrate col quale ebbe una vivace discussione. L'unica opera di
Parmenide è il poema in esametri intitolato Sulla natura, di cui alcune parti
sono citate da Simplicio in De coelo e nei suoi commenti alla Fisica
aristotelica, da Sesto Empirico e da altri scrittori antichi. Di “Sulla natura”
ci sono giunti ad oggi diciannove frammenti, alcuni dei quali allo stato di
puro stralcio, che comprendono un proemio e una trattazione in due parti: La
via della verità e La via dell'opinione. Di quest'ultima abbiamo solo pochi
versi. Εἰ δ' ἄγ' ἐγὼν ἐρέω, κόμισαι δὲ σὺ μῦθον ἀκούσας, αἵπερ ὁδοὶ μοῦναι
διζήσιός εἰσι νοῆσαι· ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι, Πειθοῦς ἐστι
κέλευθος - Ἀληθείῃ γὰρ ὀπηδεῖ - , ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι,
τὴν δή τοι φράζω παναπευθέα ἔμμεν ἀταρπόν· οὔτε γὰρ ἂν γνοίης τό γε μὴ ἐὸν - οὐ
γὰρ ἀνυστόν - οὔτε φράσαις. ... τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι. Orbene io
ti dirò, e tu ascolta accuratamente il discorso, quali sono le vie di ricerca
che sole sono da pensare: l'una che "è" e che non è possibile che non
sia, e questo è il sentiero della persuasione (infatti segue la verità);
l'altra che "non è" e che è necessario che non sia, e io ti dico che
questo è un sentiero del tutto inaccessibile. Infatti non potresti avere
cognizione di ciò che non è (poiché non è possibile), né potresti esprimerlo. Infatti
lo stesso è pensare ed essere. Sostiene che la molteplicità e i mutamenti del
mondo sono illusori, e afferma, contrariamente al senso comune, la realtà dell'essere:
immutabile, ingenerato, finito, immortale, unico, omogeneo, immobile,
eterno. La narrazione si snoda intorno al percorso intellettuale del
filosofo che racconta il suo viaggio verso la dimora della dea della Giustizia la
quale lo condurrà al cuore inconcusso della ben rotonda verità. La dea, in
quanto tutrice dell'ordine cosmico, e vista in tal senso anche come garante
dell'ordine logico, cioè del corretto filosofare. La dea gli mostra la via
dell'opinione, che conduce all'apparenza e all'inganno, e la via della verità
che conduce alla sapienza e all'essere (τὸ εἶναι). Pur non specificando
cosa sia questo essere, è il che per primo ne mette a tema esplicitamente il
concetto. Su di esso egli esprime soltanto una lapidaria formula, la più antica
testimonianza in materia, secondo la quale l'essere è, e non può non essere. Il
non-essere non è, e non può essere -- ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι
… ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι -- è, e non è possibile che
non sia … non è, ed è necessario che non sia» -- fr. 2, vv 3;5 -
Simplicio, Phys. 116, 25. Proclo, Comm. al Tim.). Con queste parole intende
affermare che niente si crea dal niente (ex nihilo nihil fit), e nulla può
essere distrutto nel nulla. Già i primi filosofi avevano cercato l'origine (o ἀρχή,
archè) della mutevolezza dei fenomeni in un principio statico che potesse
renderne ragione, non riuscendo a spiegarsi il divenire. Ma i cambiamenti e le
trasformazioni a cui è soggetta la natura, tali per cui alcune realtà nascono,
altre scompaiono, non hanno semplicemente motivo di esistere, essendo pura
illusione. La vera natura del mondo, il vero essere della realtà, è statico e
immobile. A tali affermazioni giunge promuovendo per la prima volta un pensiero
basato non più su spiegazioni mitologiche del cosmo, ma su un metodo razionale,
servendosi in particolare della logica formale di non-contraddizione, da cui si
traggono le seguenti conclusion. L'essere è immobile perché se si muovesse
sarebbe soggetto al divenire, e quindi ora sarebbe, ora non sarebbe. L'essere è
uno perché non possono esserci due esseri: se uno è l'essere, l'altro non
sarebbe il primo, e sarebbe quindi non-essere. Allo stesso modo per cui, se A è
l'essere, e B è diverso da A, allora B non è: qualcosa che non sia Essere non
può essere, per definizione. L'Essere è eterno perché non può esserci un
momento in cui non è più, o non è ancora: se l'essere fosse solo per un certo
periodo di tempo, a un certo momento non sarebbe, e si cadrebbe in
contraddizione. L'essere è dunque ingenerato e immortale, poiché in caso
contrario implicherebbe il non essere. La nascita significa essere, maa anche
non essere prima di nascere. La morte significa non essere, ovvero essere solo
fino a un certo momento. L'essere è indivisibile, perché altrimenti
richiederebbe la presenza del non-essere come elemento separatore. L'essere
risulta così vincolato dalla necessità (ἀνάγχη), che è il suo limite ma al
contempo il suo fondamento costitutivo. La dominatrice necessità lo tiene nelle
strettoie del limite che lo rinserra tutto intorno; perché bisogna che l'essere
non sia incompiuto. L'essere secondo Parmenide: privo di imperfezioni e
identico in ogni sua parte come una sfera paragona l'Essere a una sfera
perfetta, sempre uguale a se stessa nello spazio e nel tempo, chiusa e finita
(per gli antichi greci il finito era sinonimo di perfezione). La sfera è
infatti l'unico solido geometrico che non ha differenze al suo interno, ed è
uguale dovunque la si guardi; l'ipotesi collima suggestivamente con la teoria
della relatività di Einstein che dice: «Se prendessimo un binocolo e lo
puntassimo nello spazio, vedremmo una linea curva chiusa all'infinito» in tutte
le direzioni dello spazio, ovvero, complessivamente, una sfera (per lo
scienziato infatti l'universo è finito sebbene illimitato, fatto di uno spazio
tondo ripiegato su se stesso). Fuori dell'essere non può esistere nulla, perché
il non-essere, secondo logica, non è, per sua stessa definizione. Il divenire
attestato dai sensi, secondo cui gli enti ora sono e ora non sono, è una mera
illusione (che appare ma in realtà non è). La vera conoscenza dunque non deriva
dai sensi, ma nasce dalla ragione. Non c'è nulla di errato nell'intelletto che
prima non sia stato negli erranti sensi» è la frase che d'ora in poi sarà
attribuita a Parmenide. Il pensiero è dunque la via maestra per cogliere la
verità dell'Essere: «ed è lo stesso il pensare e pensare che è. Giacché senza
l'essere … non troverai il pensare», a indicare come l'Essere si trovi nel
pensiero. Pensare il nulla è difatti impossibile, il pensiero è necessariamente
pensiero dell'essere. Di conseguenza, poiché è sempre l'essere a muovere il
pensiero, la pensabilità di qualcosa dimostra l'esistenza dell'oggetto
pensato.Tale identità immediata di essere e pensiero, a cui si giunge scartando
tutte le impressioni e i falsi concetti derivanti dai sensi, abbandonando ogni
dinamismo del pensiero, accomuna Parmenide alla dimensione mistica delle
filosofie apofatiche orientali, come il buddhismo, il taoismo e l'induismo. Una
volta stabilito che l'Essere è, e il non-essere non è, restava tuttavia da
spiegare come nascesse l'errore dei sensi, dato che nell'Essere non ci sono
imperfezioni, e perché gli uomini tendano a prestare fede al divenire
attribuendo l'essere al non-essere. Parmenide si limita ad affermare che gli
uomini si lasciano guidare dall'opinione (δόξα), anziché dalla verità, ossia
giudicano la realtà in base all'apparenza, secondo procedimenti illogici.
L'errore in definitiva è una semplice illusione, e dunque, in quanto non
esiste, non si può trovargli una ragione. Compito del filosofo è unicamente
quello di rivelare la nuda verità dell'Essere nascosta sotto la superficie
degli inganni. Il tema sarà ripreso da Platone che cercherà una soluzione al
conflitto tra l'essere e il molteplice; per sciogliere il dramma umano
costituito dal senso greco del divenire (per cui tutto muta) che si scontra con
una ragione, altra dimensione fondamentale della grecità, che è portata a
negarlo, Platone concepirà il non-essere non più alla maniera di Parmenide
staticamente e assolutamente contrapposto all'essere, ma come diverso
dall'essere in senso relativo, nel tentativo di dare una spiegazione razionale
anche al tempo e al molteplice. Il rigore logico di Parmenide gli valse
inoltre l'appellativo di "venerando e terribile" da parte di Platone.
La fiducia di Parmenide in un sapere completamente dedotto dalla ragione, e viceversa
la sua totale sfiducia nei confronti dei sensi e di una conoscenza empirica, fa
di lui un filosofo profondamente razionalista. Parmenide e la scuola di
Elea Parmenide ne "La scuola di Atene", affresco di Raffaello
Sanzio Parmenide fu il fondatore della scuola di Elea, dove ebbe vari
discepoli, il più importante dei quali fu Zenone. Il metodo usato dagli eleati
era la dimostrazione per assurdo, con cui confutavano le tesi degli avversari
giungendo a dimostrare la verità dell'Essere, nonché la falsità del divenire e
delle impressioni dei sensi, per una "impossibilità logica di pensare
altrimenti".Stupiva i contemporanei un ragionamento che scaturiva dalla
radicale contrapposizione essere/non-essere e da un'immediata conseguenza del
principio di non-contraddittorietà dell'essere e del pensiero, teorizzato in
seguito da Aristotele come evidenza prima e indimostrabile alla ragione senza
la quale diverrebbe impossibile qualsiasi conoscenza necessaria-filosofica,
restando solo il mondo dell'opinione. Parmenide e gli eleati si
contrapponevano soprattutto al pensiero di Eraclito, loro contemporaneo,
filosofo del divenire che basava la conoscenza interamente sui sensi. Nella
prospettiva della storia della filosofia, sarà quindi Hegel a concepire
l'essere in maniera radicalmente opposta a Parmenide. Anche l'atomismo
democriteo intese contrapporsi alla teoria eleatica dell'Essere (che aveva
cercato una soluzione al problema dell'archè negando alla radice un fondamento
originario al divenire), presupponendo gli atomi e uno spazio vuoto, diverso
dagli atomi, in cui essi potessero muoversi, ipotizzando in un certo senso una
convivenza di essere e non-essere. In seguito furono i sofisti a cercare
di confutare il pensiero degli eleati, opponendo al loro sapere certo e
indubitabile (επιστήμη, epistéme) sia il relativismo di Protagora, sia il
nichilismo di Gorgia. Uno dei maggiori problemi sollevati da Parmenide
riguardava in particolare l'impossibilità di oggettivare l'Essere, di darne un
predicato, di sottrarlo all'astrattezza formale con cui egli l'aveva enunciato,
e che sembrava contrastare con la pienezza totale del suo contenuto. Fu
seguendo questa strada che Platone, nel tentativo di risolvere il problema,
approderà al mondo delle idee. L'interpretazione della "doxa"
Giovanni Reale ha elencato le diverse interpretazioni contemporanee sullo
statuto e il significato dell'opinione ed il suo rapporto con la verità. Accanto
ad una lettura che le vede contrapporre radicalmente, ne esiste una diversa,
che Reale appoggia, secondo cui l'opinione (δόξα, doxa) non è da intendersi in
Parmenide come negazione assoluta della verità, ma come un modo improprio di
accostarsi ad essa. Non si tratterebbe cioè di puro non-essere, della via
dell'errore scartata a priori, ma di una terza possibilità in cui i fenomeni
(δοκοῦντα, dokùnta) sarebbero entità pensabili e quindi plausibili, se non
altro come manifestazioni esteriori del fondamento occulto e autentico
dell'Essere. Nelle parole della Dea, infatti, Parmenide è chiamato a conoscere
anche «le opinioni dei mortali, in cui non è certezza verace; eppure anche
questo imparerai: come l'esistenza delle apparenze sia necessario ammetta colui
che in tutti i sensi tutto indaga». Si tratta di un'interpretazione condivisa
in varia misura anche da Hans Schwabl, Mario Untersteiner, Giorgio Colli, Luigi
Ruggiu, sebbene respinta da altri, che farebbe di Parmenide un anticipatore
della futura ontologia platonica, mentre i suoi discepoli avrebbero invece
mantenuto una concezione più rigorosa dell'essere, quella tradizionalmente
attribuita agli eleati. Tra le filosofie volte al recupero del pensiero
classico in chiave attuale, in direzione del quale si sono mossi specialmente
gli studi di Martin Heidegger e di Gustavo Bontadini, l'opera di Emanuele
Severino si segnala come una parziale ripresa della dottrina di Parmenide, e
viene perciò definita «neoparmenidismo». In particolare nel suo scritto
Ritornare a Parmenide, Severino intende proporre un'originale reinterpretazione
delle categorie fondamentali del pensiero moderno alla luce della rigorosa
logica dell'Eleate. Secondo Platone in Parmenide, 127a-c. ^ Secondo la
cronologia di Apollodoro di Atene che colloca la sua ἀκμή (l'acmé, il
quarantesimo anno dell'età, ritenuto dai dossografi antichi il punto più alto
della vita e dell'attività filosofica) nella XLIX olimpiade, datata al 504-1
a.C. (Diogene Laerzio, IX, 23). Dopo che fu scoperta in uno scavo ad Ascea un'erma
acefala con l'iscrizione Πα[ρ]μενείδης Πύρητος Οόλιάδης φυσικός (Parmenide
figlio di Pirete medico degli Uliadai), dove Parmenide viene cioè indicato come
capo della scuola medica eleata degli Ούλιάδαι, si ritrova in seguito la
testa-ritratto con barba qui raffigurata, con la base del collo adattata ad
essere sovrapposta in un'erma del tipo di quella precedentemente ritrovata con
l'iscrizione citata. Altri ritengono invece che questa scultura riproduca il
busto del filosofo epicureo Metrodoro di Lampsaco (M. G. Picozzi, Parmenide,
Enciclopedia dell'arte antica Treccani). Logos: rivista internazionale di filosofia,
Bartelli & Verando I paradossi di Zenone sul movimento vennero enunciati
proprio per argomentare la posizione filosofica di Parmenide. Luigi Lugiato,
L'uomo e il limite, Milano, FrancoAngeli, Secondo Platone in Parmenide, op.cit.
Diogene Laerzio, IX, 21. ^ Così Plutarco, Contro Colote, 32, 1126 A. Fra questi
Aristotele, (Metafisica A 5, 986b, 22) e Platone (Sofista, 242d) e così anche
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX, 21. ^ I presocratici, a cura di G.
Giannantoni, Bari 19756. ^ Platone, Parmenide, 128 B. ^ Simplicio, De cœlo 556,
25. Simplicio, In Aristotelis Physica commentaria. ^ Sesto Empirico, Adversus
mathematicos, libro VII. ^ Finito non da
intendersi come imperfetto perché per la mentalità antica il segno di perfezione
è la compiutezza, il finito. L'infinito vorrebbe dire che non è completo, che
gli manca qualcosa quindi imperfetto. Sul tema del viaggio in Parmenide si veda
quest'intervista a Luigi Ruggiu, tratta dall'Enciclopedia multimediale delle
scienze filosofiche. Fr. 1, v. 29, della raccolta I presocratici di
Diels/Kranz. ^ Anna Jellamo, Il cammino di Dike: l'idea di giustizia da Omero a
Eschilo, Roma, Donzelli. Sull'ipotesi che la dea della Giustizia fosse
interpretata da Parmenide in un significato nuovo, filosofico, cfr. Hermann
Fränkel, Wege und Formen Frühgriechischen Denkens. Literarische und
Philosophiegeschichtliche Studien, München, Beck, 1960, p. 162 segg., per il
quale essa veniva ora vista come dea della «giustezza» o «esattezza»
(dikaiosyne), preludio di quella platonica. Sulla Dike "filosofica"
cfr. anche Karl Deichgräber, Parmenides' Auffahrt zur Göttin des Rechts,
Untersuchungen zum Prooimion seines Lehrgedichts, 11, Magonza. La nascita della
parola "filosofia" è molto controversa, in quanto ha diverse
accezioni. Già anticamente, così come altri termini composti col suffisso
"philo-" (cfr. P. Hadot, Che cos'è la filosofia antica?, Torino,
Einaudi) essa indicava una passione, una tensione (φίλος, fìlos) verso il
sapere (σοφία, sofìa). Secondo Antonio Capizzi, tuttavia, Parmenide non era un
filosofo nel senso etimologico, in quanto più che al "sapere per il
sapere" propendeva per le applicazioni politiche del sapere, ma la
questione è tutt'altro che definitiva. Principio enunciato da Melisso e poi
reso in latino da Lucrezio, ma implicitamente presente nel frammento 8 di
Parmenide (cfr. Réginald Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Fede &
Cultura, 2015. ^ «Il principio di non-contraddizione, introdotto da Parmenide
per rivelare l'essere stesso, la verità essenziale, fu successivamente
impiegato come strumento del pensiero logicamente cogente per qualsiasi
affermazione esatta. Sorsero così la logica e la dialettica» (K. Jaspers, I
grandi filosofi, tr. it., Longanesi, Milano). ^ Fr. 8, v. 30-32, della raccolta
Diels/Kranz. ^ Albert Einstein si espresse tra l'altro in maniera
sorprendentemente simile a Parmenide, in quanto anch'egli tendeva a negare la
discontinuità del divenire e il suo svolgimento nel tempo. Secondo Popper,
«grandi scienziati come Boltzmann, Minkowski, Weyl, Schrödinger, Gödel e,
soprattutto, Einstein hanno concepito le cose in modo similare a Parmenide e si
sono espressi in termini singolarmente simili. La materia, secondo Einstein, si
curverebbe su se stessa, per cui l'universo sarebbe illimitato ma finito,
simile ad una sfera, che è illimitatamente percorribile anche se finita.
Inoltre Einstein ritiene che non abbia senso chiedersi che cosa esista fuori
dell'universo» (Ernesto Riva, Manuale di filosofia). Alexius Meinong, proprio come
Parmenide, difese ad esempio l'idea che anche «la montagna d'oro» (titolo di un
romanzo fantascientifico) sussista poiché se ne può parlare. Fr. 3, v. 1,
Diels/Kranz. Sull'analogia tra la posizione parmenidea e le filosofie
dell'Oriente, cfr. Emanuele Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni,
su filosofico.net. Cfr. anche l'intervista al professor Emanuele Severino
(Venezia, Museo Correr, Biblioteca Marciana) in Parmenide su Emsf.rai.it. ^
Platone, Teeteto, 183e. ^ Un famoso esempio si ha nelle aporie note come
paradossi di Zenone. ^ Si veda La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico,
di Eduard Zeller, trad. di R. Mondolfo Eleati, a cura di Giovanni Reale,
Firenze, La Nuova Italia, nuova edizione a cura di Giuseppe Girgenti, Milano,
Bompiani, 2011. ^ «Dunque, Parmenide ha esposto un'"opinione
plausibile", oltre a quella fallace, e ha cercato, a suo modo, di dar
conto dei fenomeni» (G. Reale, Storia della filosofia antica, I, Vita e
Pensiero, Milano). Fr. 1, vv. 31-33, trad. di G. Reale. Hans Schwabl, Sein und
Doxa bei Parmenides, «Wiener Studien», Mario Untersteiner, La Doxa di
Parmenide, in Parmenide. Testimonianze e frammenti, Sansoni, Firenze Giorgio
Colli, Physis kryptesthai philei, ed. dell'Ateneo, Roma Luigi Ruggiu, Saggio introduttivo e
commentario filosofico, in Parmenide. Poema sulla natura: i frammenti e le
testimonianze indirette, Rusconi, Milano
Di origine evidentemente iranica sarebbe il dualismo luce-tenebre che
per Parmenide sta alla base della dóxa, mentre sarebbe addirittura di origine
indiana il carattere puramente apparente da lui attribuito al mondo sensibile
(sostenuto dalla corrente Samkya delle Upanishad nella famosa dottrina del
"velo di Maya", ripresa da Arthur Schopenhauer nel XIX secolo), e lo
stesso viaggio del filosofo al cospetto della dea, esposto nel proemio del
Poema parmenideo, ricorderebbe i viaggi degli sciamani asiatici (Martin
Litchfield West, La filosofia greca arcaica e l'Oriente, Il Mulino, Bologna,
1993). ^ In esso, tuttavia, Severino afferma dapprima di aver compiuto il
secondo grande "parmenicidio", dopo quello di Platone: Parmenide
svaluta e quindi annulla i fenomeni, ma questi appaiono, quindi esistono e, se
esistono, non divengono, ma tutti sono eterni. In secondo luogo Severino usa la
logica parmenidea per confutare l'etica e la fede in Dio: poiché il divenire
non esiste, non sarebbero possibili la libera scelta morale e l'esistenza di un
Creatore che tragga l'essere dal nulla, creandolo ex nihilo. Bibliografia Fonti
Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, Testo greco a
fronte, a cura di Giovanni Reale con la collaborazione di Giuseppe Girgenti e
Ilaria Ramelli, Milano, Bompiani, 2005 Edizioni e traduzioni Pilo Albertelli,
Gli Eleati: testimonianze e frammenti, Bari, Laterza, 1938 Renzo Vitali,
Parmenide d'Elea. Peri physeos, una ricostruzione del Poema, Faenza, Lega, 1977
Giovanni Reale, Luigi Ruggiu, Parmenide. Poema sulla natura, Milano, Rusconi,
1991 Giovanni Cerri, Parmenide. Poema sulla natura, Milano, BUR, 1999 Albino
Nolletti, Che cos'è l'Essere di Parmenide: spiegazione di un enigma filosofico
Testo greco a fronte, Teramo, La Nuova Editrice, 2004 I presocratici. Prima
traduzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei
frammenti di Hermann Diels e Walther Kranz, a cura di Giovanni Reale, Milano,
Bompiani, 2006 Mario Untersteiner, Eleati. Parmenide, Zenone, Melisso.
Testimonianze E Frammenti Testo greco a fronte, Milano, Bompiani, 2011 Studi
Emanuele Severino, Ritornare a Parmenide [1964], in Essenza del nichilismo, pp.
19–61, Paideia, Brescia 1972 Carlo Diano, Parmenide in Studi e saggi di
filosofia antica (successivamente ne Il pensiero greco da Anassimandro agli
Stoici, Bollati Boringhieri, 2007 e 2018) Luigi Ruggiu, Parmenide, Venezia,
Marsilio 1975 Antonio Capizzi, Introduzione a Parmenide, Laterza, Roma-Bari
1975 Antonio Capizzi, La porta di Parmenide. Due saggi per una nuova lettura
del poema, Edizioni dell'Ateneo, Roma 1975 Guido Calogero, Studi sull'eleatismo
[Roma], La Nuova Italia, Firenze 1977 Edward Hussey, I presocratici, trad. di
L. Rampello, Mursia, Milano 1977 Klaus Heinrich, Parmenide e Giona. Quattro
studi sul rapporto tra filosofia e mitologia, Guida, Napoli 1988 Giovanni
Casertano, Parmenide il metodo la scienza l'esperienza, Loffredo, Napoli Karl
Popper, Il mondo di Parmenide. Alla scoperta dell'illuminismo presocratico,
Piemme, Casale Monferrato Martin Heidegger, Parmenide, a cura di F. Volpi,
Adelphi, Milano 1999 Hans-Georg Gadamer, Scritti su Parmenide, a cura di G.
Saviani, Filema, Napoli Giorgio Colli, Gorgia e Parmenide. Lezioni Adelphi,
Milano Néstor-Luis Cordero, By Being, It is. The Thesis of Parmenides,
Parmenides Publishing, Las Vegas Massimo Pulpito, Parmenide e la negazione del
tempo. Interpretazioni e problemi, LED, Milano 2005 Andrea Sangiacomo, La sfida
di Parmenide. Verso la Rinascenza, Il Prato, Padova 2007 Michele Abbate,
Parmenide e i neoplatonici. Dall'Essere all'Uno e al di là dell'Uno, Edizioni
dell'Orso, Alessandria Ugo di Toro, L'enigma Parmenide. Poesia e filosofia nel
proemio, Aracne, Roma 2010 Franco Ferrari, Il migliore dei mondi impossibili.
Parmenide e il cosmo dei Presocratici, Aracne, Roma 2010 Massimo Donà,
Parmenide. Dell'essere e del nulla, Alboversorio, Milano Donato Sperduto, Il
divenire dell'eterno, Aracne, Roma. Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata Parmènide (filosofo), su
sapere.it, De Agostini. Spiegazione dell'enigma dell'Essere di Parmenide, su
parmenide.info. Emanuele Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni, su
filosofico.net. Emanuele Severino: Parmenide, su raiscuola.rai.it. (EL)
"Sull'Essere" recitato in greco antico ricostruito, su
podium-arts.com. (EN) Un'ampia lista degli studi dedicati a Parmenide su
parmenides.com. (EN) Parmenides and the Question of Being in Greek Thought, su
ontology.co. con una bibliografia annotata degli studi recenti e delle edizioni
critiche. Università di Stanford. efs.: H. P. Grice, “Negation and privation,”
“Lectures on negation,” Wiggins, “Grice and Parmenides”. Parmenide. Keywords.
Refs.: Luigi Speranza, “Il parmenideismo italiano,” Luigi Speranza, "Grice e Parmenide," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Velia -- Zenone – i veliani – Luigi Speranza (Velia). Filosofo. f.
senofane, parmenide -- Velia -- (or as
Strawson would prefer, Zeno). Sometimes
spelt ‘Senone’ "Senone *loved* his native Velia. Vivid evidence of the cultural impact of Senone's arguments in Italia is
to be found in the interior of a red-figure drinking cup (Roma, Villa Giulia,
inv. 3591) discovered in the Etrurian city of Falerii. It depicts a heroic
figure racing nimbly ahead of a large tortoise and has every appearance of
being the first known ‘response’ to the Achilles (or Mercurio, Ermete) paradox.
“Was ‘Senone’ BORN in Velia?”that is the question!”Grice. Italian philosopher, as as such, or as
Grice prefers, ‘senone’ -- Zenos paradoxes. “Since Elea is in Italy, we can say
Zeno is Italian.”H. P. Grice. “Linguistic puzzles, in nature.” H. P. Grice. four paradoxes relating to space
and motion attributed to Zeno of Elea fifth century B.C.: the racetrack,
Achilles and the tortoise, the stadium, and the arrow. Zeno’s work is known to
us through secondary sources, in particular Aristotle. The racetrack paradox.
If a runner is to reach the end of the track, he must first complete an
infinite number of different journeys: getting to the midpoint, then to the
point midway between the midpoint and the end, then to the point midway between
this one and the end, and so on. But it is logically impossible for someone to
complete an infinite series of journeys. Therefore the runner cannot reach the
end of the track. Since it is irrelevant to the argument how far the end of the
track is it could be a foot or an inch
or a micron away this argument, if
sound, shows that all motion is impossible. Moving to any point will involve an
infinite number of journeys, and an infinite number of journeys cannot be
completed. The paradox of Achilles and the tortoise. Achilles can run much
faster than the tortoise, so when a race is arranged between them the tortoise
is given a lead. Zeno argued that Achilles can never catch up with the tortoise
no matter how fast he runs and no matter how long the race goes on. For the
first thing Achilles has to do is to get to the place from which the tortoise
started. But the tortoise, though slow, is unflagging: while Achilles was
occupied in making up his handicap, the tortoise has advanced a little farther.
So the next thing Achilles has to do is to get to the new place the tortoise
occupies. While he is doing this, the tortoise will have gone a little farther
still. However small the gap that remains, it will take Achilles some time to
cross it, and in that time the tortoise will have created another gap. So
however fast Achilles runs, all that the tortoise has to do, in order not to be
beaten, is not to stop. The stadium paradox. Imagine three equal cubes, A, B,
and C, with sides all of length l, arranged in a line stretching away from one.
A is moved perpendicularly out of line to the right by a distance equal to l.
At the same time, and at the same rate, C is moved perpendicularly out of line
to the left by a distance equal to l. The time it takes A to travel l/2
relative to B equals the time it takes A to travel to l relative to C. So, in
Aristotle’s words, “it follows, Zeno thinks, that half the time equals its
double” Physics 259b35. The arrow paradox. At any instant of time, the flying
arrow “occupies a space equal to itself.” That is, the arrow at an instant
cannot be moving, for motion takes a period of time, and a temporal instant is
conceived as a point, not itself having duration. It follows that the arrow is
at rest at every instant, and so does not move. What goes for arrows goes for
everything: nothing moves. Scholars disagree about what Zeno himself took his
paradoxes to show. There is no evidence that he offered any “solutions” to
them. One view is that they were part of a program to establish that
multiplicity is an illusion, and that reality is a seamless whole. The argument
could be reconstructed like this: if you allow that reality can be successively
divided into parts, you find yourself with these insupportable paradoxes; so you
must think of reality as a single indivisible One. Senza
le premesse di tale discussione e problematica si precisano chiaramente nei
finissimi argomenti di Zenone di Velia, diseepolo e difensore di Parmenide, in
cui si vede bene il taglio netto tra l'essere che è e in cui tutto si annulla,
e il mondo umano costruito dall'uomo stesso. All'inizio del “Parmenide” Platone
narra che una volta, durante le grandi Panatenee, Parmenide e Zenone vennero ad
Atene. Parmenide era allora molto innanzi negli anni, tutto bianco, ma
d'aspetto bello e nobile, e aveva circa sessantacinque anni. Zenone si
avvicinava allora ai quaranta anni, di grande statura e bell'uomo (Parmenide,
127b). Platone dice, poi, che in quell'occasione Zenone lesse un saggio che
scrive per difendere la tesi di Parmenide, ma k:he quel libro egli compose per
amor di polemica e che per giunta un tale glielo aveva sottratto, per cui,
Platone fa dire a Zenone. Nnon ebbi neppure il ternpo di pensare se fosse o no
il caso di darlo alla luce (128a). Platone, forse, per dare avvio alla sua
discussione, probabil-mente nei confronti dell'eleatismo megarico, si
riallaccia di proposito a Zenone e a Parmenide mettendoli in rapporto con
Socrate, allora giovanissimo, quel Socrate di cui poi i megarici furono discepoli.
Può darsi, dunque, che Platone forza la notizia di Zenone ad Atene insieme a
Parmenide, in un'epoca, il 455-450, in cui sembra difficile, per ragioni
cronologiche, che Parmenide sia potuto venire ad Atene, o avesse circa
sessantacinque anni. Nulla vieta, invece, di pensare che lui sia stato
effettivamente ad Atene, anche se in epoca diversa, e che sia nato tra il 500 e
il 490. Discepolo di Parmenide, Zenone nacque ad Elea nel 500/490. ·Platone
(Parmenide, 127b) narra che nel 452 circa Zenone, venuto con Parmenide ad
Atene, aveva circa quaranta anni. Tutte le fonti lo presentano come uomo
prestante e altamente intelligente, che prese attiva parte alla vita politica
della sua città, dove sarebbe eroicamente morto combattendo il tiranno Ncarco,
quando, preso da Nearco e torturato, per non parlare si spezza la lingua con i
denti, sputandola addosso al tiranno. Sembra che la struttura originaria del
saggio di Zenone (o dei suoi saggi) fosse antinomica, e che [Altro punto
sospetto è che Platone dice che il saggio che Zenone scrive e stato fatto
circolare senza il permesso dell'autore. Potrebbe questo essere indice che
Platone, in effetto, non espone la tesi vera di Zenone, anche se, nella
finzione del dialogo, lui stesso approvi, con qualche riserva, il sunto che dei
punti salienti dà Socrate. Platone, nel Parmenide tende a dimostrare
l'impossibilità di pensare l'essere di Parmenide che porta dietro di sé
l'altrettanta impossibilità di pensare i molti, onde, postici sul piano di
Parmenide, risulta impossibile il discorso, un qual- sivoglia giudizio. Non
interessa ora la soluzione di Platone e il suo tentativo di poter pensare l'essere
come dialetticità corrispondente alla dialetticità del pensiero, per cui si
rendeva possibile porre un tutto oggettivo. come ordine dialettico e misura su
cui scandire, attraverso la conoscenza di sé, lo stesso ordine politico. È
tuttavia importante sottolineare che nei confronti dell'uno di Parmenide e
delle opere di lui (che accettando l'ipotesi di Parmenide e anche accettando
che l'uno di Parmenide si può, all'estremo, ritenere assurdo, vuoi dimostrare
che altrettanto assurdo è porre unità accanto a unità, come i pitagorici,
quando si ritenga che queste siano realtà per sé e non puri nomi), la polemica
di Platone chiarifica quella che storicamente dev'essere stata l'aporia
fondamentale in cui doveva trovarsi il lettore del saggio di Zenone. In verità
- abbietta Zenone nel Parmenide di Platone - questo mio saggio vuol essere in
certo modo una difesa della dottrina di Parmenidc contro quelli che cercano di
metterla in ridicolo sostenendo che la tesi dell'esistenza dell'uno va incontro
a molte conseguenze ridiwlc c contraddittorie. Vuole confutare perciò questo
mio saggio quelli che asseriscono l'esistenza dei molti c render loro la pariglia
e anche di piu, cercando di mostrare che la loro ipotesi dell'esistenza dei.
molti va incontro a conseguenze ancor piu ridicole di quella dell'uno se si
vuole andare in fondo alla ricerca (l28c-d). In effetto qui Platone corregge la
sua prima affermazione che Zenone e Parmenide avessero detto la stessa cosa
("dite su per giu la cosa medesima ": 128b}, e per i suoi intenti
lascia cadere la precisazione di Zenone. Ma ciò è fondamentale, perché, in
genere, è con questi abili accenni che Platone distingue quello che a lui
importa da quello che accantona, ma che corrisponde, quasi sempre, alla verità
storica. Zenone, quaranta fossero gli argomenti contro la tesi che sostiene il
molteplice e il moto. Platone che vede in lui il difensore dell"Uno di
Parmenide, lo chiamò il "palamede eleatico" (Fedro, 26ltl). ] dunque,
sarebbe parmenideo alla rovescia. Egli accetterebbe che l'uno tutto di
Parmenide porti alla finale contraddizione dell'impensabilità - proprio sulla
via del pensiero - dell'uno stesso. Solo che la facile critica dell'annullarsi
dell'uno deve tener presente che, ammessa la esistenza dei molti, di punti
accanto a punti, come enti reali, si cade nelle stesse contraddizioni di chi
pone l'uno. Zenone non dice mai cosa sia l'Essere. Zenone nega che posti i
molti come esistenti, sul piano logico i molti esistano, confermando cosi la
tesi parmenidea che i molti in quanto tali, in quanto definizioni, non sono che
puri nomi. Ammessa, dunque, pitagoricamente, l'esistenza di punti reali
costituenti le cose, bisogna necessariamente ammettere che ciascuna di tali
unità in quanto punto ha una grandezza, anche se minima, onde in ogni punto vi
sono infiniti punti e quindi ogni punto-unità sarà infinitamente grande; se il
punto poi non ha gradezza, poiché le cose si costituiscono come aventi
grandezza per l'unione dei punti, come sarà mai possibile che punti senza
grandezza diano luogo a grandezze? n punto dunque, se non ha grandezza, non è
(fr. l, 2). Ancora: ammesse piu cose costituite di punti, esse saranno ad un tempo
in numero finito e infi.t;lito, il che è contraddittorio: saranno in numero
finito, perché non possono essere piu o meno di quante sono; infinito perché
tra l'una e l'altra ve ne sarà un'altra ancora, e tra questa e l'altra un'altra
ancora all'infinito (fr. 3). Ancora: ammessa la molteplicità di cose reali per
sé, bisogna ammettere o che sono continue, onde la molteplicità si annulla
nella continuità, che, essendo divisibile all'infinito, è costituita di
infiniti punti a loro volta divisibili all'infinito, fino al nulla; oppure che
ogni cosa, limitando l'altra, occupa uno spazio e si distingue dal- l'altra per
uno spazio: ma allora ogni spazio in quanto luogo implica un altro luogo e cosi
all'infinito, sino all'unico luogo cioè l'uno, cioè il nulla (Aristotele,
Fisica, 209a-210b; Simplicio, Fisica, 140, 34, 562, 1). Entro questa linea
rientra anche il cosiddetto argomento del grano di miglio. Un grano o la
decimillesima parte di un grano di miglio fa rumore: ora se fra un grano di
miglio e un medimmo c'è proporzione, vi sarà proporzione anche tra i suoni, per
cui se un medimmo di miglio fa rumore lo farà anche un solo grano (Aristotele,
Fisica, 250a~ 19; Simplicio, Fisica, 1108, 18), ma ciò non avviene.
Evidentemente quest'ultimo argomento rientra nei termini dei primi. Se l'uno, o
la totalità, è impensabile irrelativamente, altrettanto impensabili sono i
molti qualora si pongano quali realtà accanto a realtà. Nessuna parte del
molteplice costituirà il limite ultimo e nessuna sarà senza una relazione con un'altra"
(fr. 1). Poiché i molti sono impensaolli, se non. determinati come variazione
di quantità di un CONTINUO, e poiché IL CONTINUO si può rappresentare come
retta all'infinito, fino al nulla, i molti, se posti come realtà per sé, non
sono. Cosi nell'ipotetica retta (nulla è pensabile se non in quanto estensione
ed estensione che si qualifica) altrettanto inconcepibile è il moto, o meglio
la possibilità dello spostamento e del passaggio da punto a punto, ché, dato,
ad esempio, un segmento AB, tra A e B posta una metà A', necessariamente tra A
e A', vi sarà una metà A" e cosi vita all'infinito – eis apeiron --
(argomento della dicotomia, cioè della divisione in due: Aristotele, Fisica,
233a, 239b, 263a; Simplido, Fisica, 1013; 4). Evidentemente non vi è allora
passaggio tra un ipotetico primo punto A e il punto della linea accanto ad A,
onde si può dire che Achille piè veloce" (in A) non raggiungerà mai la
tartarugà che sia un passo avanti (in A"), ché, in effetto, logicamente,
né l'uno né l'altra si muovono (argomento dell'Achille: cfr. Aristotele,
Fisica, 239b; Simplicio 1013, 31), tanto piu che la linea, essendo costituita
d'infiniti punti, è divisibile all'infinito, e quindi, all'infinito, si
annulla. Analogamente LA FRECCIA non raggiungerà mai il bersaglio, dovendo
percorrere l'infinito e rimanendo sempre ferma al punto di partenza (argomento
della freccia: cfr. Aristotele, Fisica, 239b; Simplicio, Fisica, 1015, 19;
Filopono, Fisica, 816, 30; Temistio, Fisica, 199, 4). Infine, dei presunti
quaranta argomenti con i quali Zenone avrebbe dimostrato la contraddittorietà
in cui pone o l'esperienza sensibile o la definizione dei dati che implicano la
molteplicità o il movimento, abbiamo l'argomento detto dello stadio.
Considerando in uno stadio un punto mobile che va ad una certa velocità, se lo
si considera rispetto ad un punto fermo andrà, ad esempio, a dieci chilometri
l'ora, se lo si considera invece rispetto a un altro punto mobile che vada alla
sua stessa velocità in senso opposto, quello stesso mobile va a venti
chilometri all'ora. Il quarto argomento - dice Aristotele - è quello delle due
serie di masse uguali che si muovono in senso contrario nello stadio, lungo
altre masse uguali, le une cioè a partire dalla fine dello stadio, le altre
dalla metà, con velocità uguale; la conseguenza è che la metà del tempo è
uguale al doppio (Fisica, 239b; cfr. anche Simplicio, Fisica, 1016, 9 sgg). I
celebri argomenti sul movimento, con cui, accettata la premessa che esiste il
moto, con ferrea consequenzialità, di deduzione in deduzione, si dimostra
come-sul piano logico, contraddicendosi, non si possa se non negare il moto
(onde, appunto, Aristotele, secondo Diogene Laerzio, VIII, 57, nel “Sofista”
andato perduto - ha potuto dire che lui e padre della DIALETTICA, come arte del
confutare), ci sono rimasti attraverso le discussioni e le critiche di
Aristotele. Non sappiamo, in effetto, se tali argomenti fossero proprii del suo
saggio, ché le fonti precedenti, ivi compreso Platone (che fa intravedere solo
gli argomenti contro l'esistenza della molteplicità), ne tacciono. Certo gli
argomenti sul movimento potevano essere conseguenza di quelli sulla pluralità,
che, portando a dimostrare l'intraducibilità della fisica in termini
logico-matematici, per l'impensabilità del CONTINUO SPAZIALE, portavano anche a
rendere impensabile il continuo temporale-spaziale su cui si determinano,
definendoli, i punti-geometrici, i cui rapporti di movimento divenivano
rapporti spaziali e, quindi, ancora una volta impensabili o contraddittori. La sua
polemica sembra quindi rivolta sia contro i punti- cose dei primi pitagorici (o
se si vuole contro la riduzione a numeri interi delle cose da parte dei primi
pitagorici), supponendo i numeri irrazionali, sia contro l'impossibilità di
ridurre le esperienze della vita, della mutevolezza, alla sfera della ragione e
dei numeri, senza perdere in puri nomi quella stessa vitalità. Le conseguenze
della discussione di Zenone, tenendo presenti certe posizioni a lui
contemporanee o immediatamente posteriori - lasciando da parte le implicazioni
che vi hanno veduto certi storici, riferendo le sue tesi ad alcune delle
concezioni della matematica e della fisica moderna, - sembrano potersi indicare
nei seguenti punti: l. impossibilità di ridurre la fisica in termini matematici;
2. conseguente impossibilità di pensare, e quindi di definire, sia l'essere
come totalità, sia la molteplicità; 3. consapevolezza che ogni ricostruzione
matematica è valida, in quanto ipotetica e che altrettanto ipotetica è ogni
ricostruzione fisica. Sul piano storico si determinano cosi: posizioni diverse,
a seconda di quale aspetto della problematica, impostata da Zenone, veniva
approfondito. O si insistito sul continuo giungendo a risolvere e ad annullare
i molti (che restano come determinazioni valide su di un piano puramente
linguistico) nel continuo stesso, cioè nell'infinita unità (Me- lisso); o si è
risolto l'uno su di un piano puramente matematico, per cui l'uno non è nessuno
dei punti della serie, né il pari né il dispari, ma la possibilità dell'uno e
dell'altro, e che nell'opposizione-armonia dà luogo a un'ipotesi logica che
spiega un'ipotesi fisica (Crotone e Taranto); o si è assunta l'ipotesi fisica
del continuo divisibile all'infinito in infiniti punti ognuno dei quali,
infinito, ha in sé tutte le infinite possibilità, gl'infiniti semi vitali, onde
in ogni punto tutto è tutto (Anassagora); o si è fatta l'ipotesi che gli
infiniti punti, proprio perché infiniti e quindi escludenti un passaggio
dall'uno all'altro all'infinito costituiscono infiniti limiti, d'onde una
infinita serie di limiti, d'indivisibili (atomi) implicanti nel limite una
separazione, cioè un altro limite come vuoto (Leucippo, che fu discepolo di
Zenone, e Democrito). Infine, se da un lato la sua problematica portava a impostare
l'intelligibilità del reale non come afferrante la struttura in sé del reale
stesso, ma come ipotesi o fisica o matematica, dall'altro lato portava, nella
consapevolezza dell'impossibilità logica dell'Essere o del divenire, della
Verità, a rimanere sul piano dell'opinione c del discorso umani, entro i
termini dello stesso mondo dègli uomini e dei loro rapporti (Protagora,
Gorgia). Senone di Velia. Keywords: reductio ad absurdum, alievo di
Parmenide di Velia, scuola di Velia, scuola di Crotone, i veliati, i veliani,
Adorno. Refs.: H. P. Grice, “Zeno’s sophisma;” Luigi Speranza, "Senone e
Grice," “Grice e Zenone” -- The Swimming-Pool Library, Villa Grice,
Liguria, Italia. #velia https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4420384541306840 #griceevelia
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702109596/in/photolist-2mLJPUG-2mKbr1G
Grice e Venanzio – filosofia
italiana – Luigi Speranza -- Essentail Italian philosopher.
Filosofo. Luigi Carrer. Pietose esequie per lui
si celebrarono nella Basilica di San Marco, e il dolore apparve su tutti i
volti, qual era in tutti i cuori, solenne e profondo; ed il Municipio di
Venezia gli decretò sepoltura propria ed iscrizione monumentale nel comunale
cimiterio. Così quella feconda vita innanzi tempo si spense e la gloria
dell'estinto ormai più non dura che nella memoria delle sue virtù e nella splendida
bellezza delle sue opere. Sventura acerbissima! che privò la patria di un
cospicuo decoro e tolse alla italiana letteratura di cogliere il pieno frutto
dei nobili studj di un tanto scrittore, ed a questo di godere più a lungo, dopo
i sofferti infortunj, il meritato riposo e e ben conseguite ricompense. (dal
Comentario della vita e delle opere di Carrer, in Carrer, Poesie (Le Monnier,
Firenze). Sulla eccellenza dei prosatori. Chiunque alle prime origini ed alle
rarie vicende della italiana letteratura volga la mente, scorgerà dì leggieri,
che ogni epoca di essa è renduta dalle altre singolare da pregi non solo
segnalati in se stessi, ma eziandio ai progressi della letteratura medesima in
partìcolar modo accomodati; cosicché, mentre le altre nazioni la maggior loro
gloria in un solo secolo ripongono, la nostra può a giusto diritto di molti
egualmente vantarsi. Amore ardentissimo di patria, zelo di libertà e quel senso
squisito del bello che alla prima aurora della civiltà corse a risvegliare gli
animi per lungo sonno inoperosi, mossero i nostri padri del trecento a fondare
la lingua e la letteratura italiana; e tanta fu la fiamma allora accesa nei
petti sdegnosi dell'antica barbarie, che sursero ad un tratto quei miracoli di
sapere e d'ingegno, Dante, Petrarca, e Boccaccio; ai quali tenne dietro la
onorata comitiva dei Villani, dei Cavalca, dei Passavanti, dei Compagni, e di
parecchi illustri Volgarizzatori, dalle cui scritture la purissima vena
discorre dell'italiano favellare. E
nella eccelsa carriera, dappertutto, ed alla testa di tutti si mostra il
Galileo; spirito che più che a decoro della sua patria e del suo secolo parve
nato a lume ed a stupore dell'universo. Ch'egli pensò e previdde come Bacone,
ma con alacrità inoltrossi pel sentiero che quegli aveva soltanto additato;
dubitò come Cartesio, ma alle opinioni rivocate in dubbio non sostituì come
quello vane chimere e sognate ipotesi; osservò e scoprì come Newton; ma la
progressione dei tempi riservò al filosofo inglese il vanto di dare il suo nome
al grande sistema per cui l'italiano aveva in gran parte approntato i
materiali. Imperciocchè dopo avere in terra stabilite le leggi della caduta dei
gravi, delle velocità, delle resistenze, delle percosse, e dopo aver per così
dire valutati i corpi in numero, peso e misura, colla pupilla armata del
telescopio da lui forse inventato e certamente perfezionato speculò arditamente
nel cielo, ed ivi con invitta forza stabilì l'impero del sole ed il nostro
mondo gli rese soggetto, vide valli e monti nella luna, vide di nuove stelle
risplendere il firmamento, e Giove che prima per solitaria via moveva deserto
fornì d'astri seguaci, ed il vaghissimo volto di Venere a seconda dei tempi e
delle vicende fece che in vari aspetti ai cupid'occhi si mostrasse: felice! chè
le opere ed i trovati mostrarono quanto in lui vi fosse di divino, le sole
sventure quanto di mortale. Il Dizionario della Crusca è il solo da cui e
precettori e discepoli trar possano norme e soccorsi, serbiamo con ogni cura
intatta la fede e la dignità di questo libro reverendo; e non feriamone
l'autorità coll'arme del ridicolo. Gli alti pensieri, lo stile acconcio e
severo e le scelte ed accresciute parole costituiscono le qualità distintive
delle prose dei buoni scrittori del seicento; per le quali la lingua italiana
giunse in quel secolo ad un vigore e ad un nerbo, che fra le splendide pompe e
le floride eleganze del secolo antecedente non aveva forse saputo acquistare. A
niuno inferiore e superiore a molti è Redi, e sia che il proprio animo
manifesti nella epistolare corrispondenza, sia che della inferma salute de'
suoi ammalati discorra, sia ch'espenga le sue gravissime osservazioni alla
istoria naturale pertinenti, sia che si applichi ad illustrare la patria
favella ed a risolverne le più sottili questioni, dagli altri di lunga mano si
distingue per la spontanea leggiadria con cui le scritture condisce senza
renderle affettate o leziose, per le grazie ingenue e festive di cui le sparge,
pel patrimonio prezioso di schiette e adequate parole di cui le arricchisce,
esoprattutto per certi ritorcimenti e per certe giudiziose piegature con cui
nuovi significati e vaghezza nuova alle voci radicali sa dare. Girolamo Venanzio, Sulla eccellenza dei
prosatori, in Memorie scientifiche e letterarie dell'Ateneo di Treviso, Andreola,
Treviso. Venanzio. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS –
Luigi Speranza, “Grice e Venanzio” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732463585/in/dateposted-public/
Grice e Vera – l’idealismo italiano – filosofia
italiana (Amelia). Essential Italian philosopher. Senatore
del Regno d'Italia Legislature XIII. Filosofo. Grice: “One of my favourite
unpublications is “Absolutes,” which took its inspiration from a little tract
by Vera which was especially influential on Flaubert, “Il problema
dell’assoluto.” Strawson remarked: “it was a boojum, you see!” -- Fu senatore
del Regno d'Italia nella XIII legislatura. Compì i suoi studi alla
Sapienza di Roma, terminandoli alla Sorbona di Parigi. Mostrò subito un immenso
talento per l'insegnamento, caratterizzato da lucidità di esposizione e genuino
spirito filosofico, reggendo dal 1839 al 1850 svariate cattedre in città
importanti della Francia e della Svizzera. Il colpo di Stato di Napoleone
III lo costrinse a rifugiarsi in Inghilterra a causa delle sue idee eterodosse.
Qui intraprese la stesura in francese dell’“Introduzione alla filosofia” di Hegel.
Tornò in Italia, riuscendo a diventare il più geniale e originale comunicatore
della filosofia di Hegel, insegnando storia della filosofia dapprima all'Accademia
di Milano, e poi, su invito di Francesco De Sanctis, a Napoli. Continuò a
intrattenere scambi fecondi con la Società Filosofica di Berlino e con gli
ambienti hegeliani tedeschi e francesi. Divenne socio nazionale dell'Accademia
dei Lincei. Fu suo fedelissimo allievo Mariano. E durante i suoi
studi con Cousin a Parigi che Vera arriva a conoscere la filosofia, risentendo
fortemente dell'hegelismo allora in voga, di cui divenne in Italia promotore
indiscusso. Si deve infatti a Vera il risveglio in Italia dell'interesse
per la filosofia idealista ed hegeliana in particolare, anche se egli godette
di maggior fortuna all'estero, mentre ebbe un influsso molto minore in patria
rispetto a quello esercitato ad esempio dai lavori di Spaventa. A differenza di
Spaventa, infatti, che reinterpretò la filosofia di Hegel in chiave critica,
Vera si mantenne sostanzialmente fedele al dettato ortodosso della dottrina
hegeliana. Nelle sue opere, che esaltano la capacità di Hegel nel
collegare ogni aspetto della realtà in un sistema organico, prevale l'attenzione
per il problema religioso. Vera interpreta l'idea logica hegeliana in senso
trascendente, come il concetto di ‘dio,’ venendo per questo accostato in certa
misura alla Destra Hegeliana in Germania, sebbene una tale lettura possa
apparire una forzatura. Centrale è il primato dell'idea, che si articola
nella storia come organismo spirituale, e per attingere la quale occorre
trascendere la natura. L'idea esiste bensì anche nelle piante e negli animali,
ma in maniera incosciente. Solo nell'essere umano – la persona -- essa giunge a
pensarsi come idea, divenendo in tal modo storia, e rendendo possibile anche il
progresso delle entità collettive di personi che sussistono come una nazione. Finché
una nazione vive nella sfera del suo essere sensibile e animale, essa non si
muove. Essa ripete ogni giorno la stessa vita e gli stessi eventi. Essa prova
sempre gli stessi bisogni. Che se non fosse possibile trascendere questa sfera,
la storia stessa non sarebbe possibile. Queste poche considerazioni ci spingono
adunque a riconoscere con più pieno convincimento che solo l'idea o l'assoluto
è il motore della nazione e dell'umanità, ovvero il principio determinante della
storia” (“Introduzione alla filosofia della storia, Le Monnier, Firenze). La
sua “Introduzione alla filosofia di Hegel” ha influenzato Flaubert nella
stesura di Bouvard e Pécuchet. In Italia invece è stato determinante per
aver stimolato, insieme a Spaventa, la nascita dell'idealismo con Croce e
Gentile. Il suo saggio filosofico più famoso è “Il problema dell'assoluto.”
Si dedica anche a tematiche giuridiche e politiche su Cavour con Libera Chiesa
in libero Stato, in cui attribuiva il ritardo del processo di rinnovamento
liberale in Italia alla mancanza, durante il suo Rinascimento, di una Riforma
luterana come quella d'oltralpe. Tesi in latin: “ Platonis, Aristotelis
et Hegelii: de medio termino doctrina. Quaestio philosophica. Opere: “Amore e filosofia:
orazione inaugurale nel solenne riaprimento dell'Accademia, Milano); “La pena
di morte” (Napoli); “Prolusioni alla storia della filosofia e alla filosofia della
storia” (Napoli); “Ricerche sulla scienza speculativa e sperimentale” (Napoli);
“La filosofia della storia” (Firenze); “Il Cavour e libera Chiesa in libero
Stato” (Napoli); “Problema dell'assoluto” (Napoli); “Platone e l'immortalità
dell'anima” (Napoli); “Saggi
filosofici” (Napoli). Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e
Lazzaronastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio
e Lazzaro. Enciclopedia Italiana. Vera, su treccani. La Civiltà cattolica, Firenze, libraio L.
Manuelli). Sträter osserva in proposito che Augusto Vera «sembra la degna
riproduzione italo-francese di quel tipo a cui in Germania usiamo dare il nome
di vecchi hegeliani o anche di ortodossi di stretta osservanza» (cit. in Tortora,
Le filosofie italiane, de "Le
filosofie contemporanee", Università degli Studi Federico II di Napoli).
La rinascita hegeliana a Napoli, su eleaml.altervista.org. Lezioni di A. Vera, raccolte e pubblicate con
l'approvazione dell'autore da R. Mariano, cLe Monnier, Firenze, Revue Flaubert,
L'escatologia pitagorica nella tradizione occidentale, su rito simbolico. G. Cotroneo,
Filosofia e storiografia, Rubbettino Editore, R. Mariano, Introduzione alla filosofia della
storia. Lezioni di A. Vera raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore
da Raffaele Mariano, Firenze, Le Monnier, 1869 Giovanni Gentile, Augusto Vera e
l'ortodossismo hegeliano, in Le origini della filosofia contemporanea in Italia, Messina, Enciclopedia Italiana, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Armando Plebe, Spaventa e Vera,
Torino, Edizioni di Filosofia, Guido Oldrini, Gli hegeliani di Napoli. Augusto
Vera e la corrente ortodossa, Milano, Feltrinelli); T. Cricelli, Vera e la
filosofia hegeliana, Il Testo. Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Vera, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vera, su Senatori
d'Italia, Senato della Repubblica. Vita
e opere di Augusto Vera, su paolomalerba. Introduzione alla filosofia della
storia. Lezioni di A. Vera raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore
da R. Mariano, Firenze Le Monnier. Augusto Vera. Vera. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Vera” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701723999/in/photolist-2mPkhvE-2mLLZRD-2mLP9qE-2mLGod1-2mLLwjC-2mLGRht-2mKEyBA-CntuMM-kLb4Rq-hSTpSd
Grice e Vercellone – il bello e
l’estetico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Essentail Italian
philosopher. Filosofo. La filosofia di Vercellone si svolge inizialmente
intorno all’ermeneutica e il concetto di ‘classico’ – as in English ‘classy’,
in Loeb’s classy library --. Anche il nichilismo. La sua “Introduzione al
nichilismo” edito da Laterza, Roma-Bari. Continuando a muoversi intorno al rapporto tra
estetica ed ermeneutica, il suo percorso filosofico verte in seguito su ambiti
decisivi: il rapporto tra temporalità
storica e coscienza estetica, la dispersione dell'estetico; il problema del
‘pulcer’ (‘il bello’) (“Oltre il bello” – Castiglioncello, Bologna, Il Mulino);
e il concetto di ‘immagine’. Soprattutto quest'ultima linea occupa le sue
ricerche orientate sull'idea di un “radicamento estetico”. Vercellone è Professore a Torino e direttore
del Centro Inter-Universitario Inter-Dipartimentale di Ricerca sulla Morfologia
dell’Udine (dal È stato Presidente dell’Associazione Italiana degli Studiosi di
Estetica) e Vice-Presidente della Società Italiana di Estetica. Collabora con
La Stampa. Altre opere: “Identità dell' ‘antico’ – (drawing from the antique”)
– il concetto di ‘classico’” (Torino,
Rosenberg & Sellier); “Apparenza e interpretazione” (Milano, Guerini e
Associati); “Pervasività dell’arte: Ermeneutica
ed “estetizzazione” del mondo della vita” (Milano, Guerini); “Nature del tempo.
Novalis e la forma poetica del romanticismo Tedesco” (Milano, Guerini); “Estetica
dell’Ottocento, Bologna, Il Mulino); “Storia dell’estetica moderna e
contemporanea (Bologna, Il Mulino); “Morfologie del Moderno” (Genova, Il
Melangolo); “Lineamenti di storia dell’estetica. La filosofia dell’arte da Kant
al XXI secolo” (Bologna, Il Mulino); “Pensare per immagini. Tra scienza e arte”
(Milano, Mondadori); “Le ragioni della forma, Milano-Udine, Mimesis); “Dopo la
morte dell'arte, Bologna, Il Mulino); “Il futuro dell'immagine, Bologna, Il
Mulino); “Simboli della fine, Bologna, Il Mulino. Morte dell'arte e rinascita dell'immagine.
Saggi in onore di Vercellone, Roma, Aracne. M. Perniola, Estetica italiana contemporanea,
Bompiani; D’Angelo, L’estetica italiana. Dal neoidealismo a oggi, Laterza, E.
Franzini, Immagini del moderno, in A. Bertinetto, G. Garelli, Morte dell'arte e
rinascita dell'immagine. Saggi in suo onore , Roma, Aracne. G. Vattimo, L'arte è morta, anzi no: è
"dopo", Repubblica,A. Bertinetto, G. Garelli, Morte dell'arte e
rinascita dell'immagine. Saggi in onore di Federico Vercellone. M. Belpoliti, “Tra bello e brutto non c'è più
differenza” La Stampa, R. Bodei, “Là dove rinasce il Bello” Il Sole 24 Ore, R.
Bodei, Salto nel vuoto dell'immagine, Il Sole 24 Ore, I. Mattazzi, Aprire lo
sguardo. Stili della visione in grado di agire sul reale, Il Manifesto; M.
Vallora, Nelle torri di Kiefer per trovare un senso in mezzo alle rovine, La
Stampa, Università degli Studi di Torino. Vercellone. Keywords: bello,
estetico, immagine. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi
Speranza, “Grice e Vercellone: l’estetico e il bello’ – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731789298/in/dateposted-public/
Grice e Verdiglione – la congiura
degl’idioti -- filosofia
(Caulonia). Essential Italian philosopher. Filosofo. Grice: “I like
Verdiglione; my favourite: his “La congiura degli idioti” – I have used the
Greek root which Boezio translated as ‘proprium’ twice in my seminar on
implicature: the first to refer to ‘kick the bucket’ as a ‘recognised idiom’ –
idioma in Latin and idIoma, with stress on the i, in the Grecian; but more
importantly – since ‘recognised by who?’ – in the next session I referred to a
conversationalist using a one-off signaling which I referred to as a
‘signalling idiolect.’ Yes, Speranza and I can be pretty idiosyncratic!” -- Vincitore
di una borsa di studio nel Collegio Augustinianum, studia a Milano, dove si è
laureato con una tesi sulla filosofia semiotica di Pirandello. Formatosi con Lacan,
pubblica con le case editrici Marsilio, Rizzoli, Feltrinelli e Sugarco, con cui
collabora. Per quest'ultima dirige la collana "Bordi". Traduce la
raccolta di testi Scilicet di Lacan per Feltrinelli e il Seminario XXII. Con la
sua casa editrice, Spirali, pubblica testi come la traduzione del Malleus Maleficarum,
Il martello delle streghe, il manuale dell'Inquisizione per la caccia alle
streghe, e in seguito, sempre per le edizioni Spirali, pubblica alcuni testi di
Bruno, come “Le ombre delle idee” e “Cabala del cavallo pegaseo.” Traduce per
Feltrinelli libri che in Francia animano il dibattito in ambito culturale, come
il saggio di Irigaray Speculum. L'altra donna edito da Feltrinelli nella
traduzione di Muraro, il saggio di Mannoni Educazione impossibile. Introduce in
Italia Kristeva; incontra anche Oury, fondatore assieme a Guattari della
clinica La borde, di cui pubblica i libri Creazione e schizofrenia, Psicosi e
logica istituzionale. “Il collettivo”, Babele e la Pentecoste. La Borde e la
scrittura della psicosi, La psicosi e il tempo. Traduce sempre per Feltrinelli
l'edizione del libro di Jean-Goux, Freud, Marx: economia e simbolico. Fonda il
Movimento Freudiano e l'attività editoriale che si chiamerà Spirali Edizioni.
Con la casa editrice Spirali, pubblica autori come Daniel, Lévy, Glucksmann, Halter, Arrabal, Grillet.
Esce in edicola il primo numero del mensile Spirali. Giornale di cultura, a cui
segue l'edizione francese Spirales, Il Secondo Rinascimento. Verdiglione e il
Collettivo “Semiotica e psicanalisi” organizzano a Milano, in cinque sedi
differenti, il Congresso internazionale "Sessualità e politica"
seguito dai media italiani. Partecipano molte filosofi. Sempre con il
Collettivo “Semiotica e psicanalisi”, organizza il congresso “La follia”, che
si svolge in più sedi, tra cui il Palazzo dei Congressi e il Museo della
scienza e della tecnica. Il congresso è seguito dalla stampa di vari paesi.
Intanto, inventa la “cifre-matica,” la cosiddetta scienza della parola.
Nell'Enciclopedia Rizzoli Larousse viene così definita la cifrematica:
«dottrina della parabola intesa come ‘cifra’”.
Dottrina elaborata da Verdiglione e utilizzata all'interno di esperienze
di conversazione, lettura, ecc. Secondo la cifrematica ogni parabola può essere
analizzata secondo la sua logica idiomatica – cfr. Grice, “Idioma, not
language” -- o la sua qualità cifratica, come ‘cifrema.’ C’e logica idiomatica
della relazione, dello stigma, della funzione, della operazione, e della
dimensione). C’e tre 'strutture' (struttura sintattica, struttua frastica e struttura
pragmatica – o griceiana) secondo cui ogni expression – idioma -- può essere 'de-cifrata.’ E a Milano, su invito
di Verdiglione Ionesco. In un'assemblea di intellettuali e lettori, c’e un
convegno organizzato da lui, portando la testimonianza della sua vita e della
sua attività filosofica, documentata nel libro Una vita di poesia. La sua
Università internazionale del Secondo Rinascimento acquista dalla famiglia
Borromeo la Villa di Senago e il parco, lasciati in uno stato di abbandono per
oltre vent'anni. I nuovi proprietari decidono pertanto di avviare un primo
importante restauro che mira alla salvaguardia stessa del bene. Il restauro si
è protratto nel tempo, fedele a criteri conservativi, con la collaborazione di
ingegneri, esperti, architetti, tecnici, storici e filologi che hanno lavorato,
insieme, sotto la direzione della Soprintendenza ai beni Ambientali ed
Architettonici di Milano. L'attività editoriale prosegue quanto già avviato
e si indirizza soprattutto sulla dissidenza, in particolare romanzieri.
Pubblica libri di Bukovskij, Zinovev, Naghibin, Maksimov e molti altri.
L'interesse per la dissidenza lo porta a pubblicare saggisti come Suvorov, gli
ambasciatori russi in Italia Adamishin, Jurij, il teorico della perestrojka Jakovlev,
e l'ex ministro per l'energia e leader dell'opposizione di destra Nemtsov. Oltre
agli autori, pubblica dissidenti provenienti da tutto il pianeta. In questa
direzione sono stati organizzati i convegni internazionali Festival della
modernità che propongono, in ciascuna edizione, diverse tematiche
(scrittura, libertà, politica...). In questi anni prosegue il lungo
processo di restauro della Villa San Carlo Borromeo di Senago, restituendo
all'edificio la sua originaria bellezza e trasformandolo in un Palazzo del
turismo culturale e artistico, nella sede dell'Università internazionale del
Secondo Rinascimento e della casa editrice Spirali. In questi anni, la Villa è
sede di congressi, di corsi, di seminari, di riunioni di enti pubblici e
privati, italiani e stranieri, di un museo permanente e di un museo per grandi
mostre. Verdiglione ha totalizzato 10 anni e 6 mesi di carcere per reati
vari. È stato condannato a quattro anni e due mesi per truffa, tentata
estorsione e circonvenzione di incapace. Dopo un patteggiamento è stato
condannato a un anno e quattro mesi. Nel
è stato di nuovo condannato in primo grado a nove anni (e la moglie a
sette) per associazione a delinquere, frode fiscale, truffa alle banche e allo
Stato; in seguito la pena è stata ridotta a cinque anni. In tale occasione ha
causato sofferenze bancarie per 73,4 milioni: 18,3 sono in capo a Intesa
Sanpaolo, altri 25,9 milioni a Banca Etruria. Truffa, tentata estorsione e
circonvenzione di incapace Verdiglione è al centro di una serie di vicende
giudiziarie (Affaire Verdiglione) relative all'attività sua, della sua
Fondazione e dei suoi collaboratori. Viene condannato a quattro anni e due mesi
di reclusione per truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace,
condanna che passa in giudicato. Intellettuali di vari paesi (tra cui Lévy,
Ionesco, Arrabal, Halter, Benamou, Henric, Bukovskij, Safouan, Xenakis,
Zinovev, Mathé, Lanzmann), acquistano una pagina del quotidiano francese Le
Monde in cui pubblicano e sottoscrivono un appello rivolto al Presidente della
Repubblica italiana e ai giudici milanesi, col quale denunciano un presunto
clima di "caccia alle streghe". Il caso Verdiglione secondo i
firmatari mette in discussione le nozioni di diritto, giustizia e libertà di
parola in Italia. Daniel, direttore del Nouvel Observateur, pubblica su la
Repubblica una lettera, intitolata "Difendo Verdiglione", rivolta al
direttore del quotidiano. Il Partito Radicale organizza un incontro
internazionale in piazza Montecitorio sul Verdiglione, a cui partecipano anche
importanti esponenti del "Comitato Internazionale per Verdiglione",
promosso da Moravia, Ionesco, Lévinas, Arrabal, Bukovskij, Lévy, Halter. La
Repubblica scrive che "dopo quello di Tortora ci sarà la sponsorizzazione
da parte del PR del caso giudiziario di Verdiglione”. Il programma satirico
Drive In lo fa conoscere anche al grande pubblico, attraverso la parodia del
"Dottor Vermilione, psicanalista santone" impersonato da Greggio. Il
caso Verdiglione è anche citato in relazione al disegno di legge per
l'abolizione del reato di circonvenzione d'incapace (articolo 643 del codice
penale). Dopo la condanna in Cassazione, la vicenda giudiziaria si conclude con
il rinvio a giudizio per i capi di imputazione stralciati in occasione del
primo procedimento giudiziario e con il definitivo patteggiamento a una pena di
un anno e 4 mesi e indennizzi di oltre 3 miliardi di lire a ex allievi. Nel
giugno si concludono le indagini della
Guardia di Finanza coordinate dalla Procura della Repubblica di Milano, Viene
indagato per evasione fiscale in relazione all'emissione di fatture false, e
appropriazione indebita. A seguito della richiesta avanzata dalla Procura di
Milano, due dimore storiche riconducibili al professore (tra cui la sopracitata
Villa San Carlo Borromeo di Senago) per ordinanza del Gip vengono poste sotto
sequestro preventivo, pur mantenendone la disponibilità. A meno di tre
settimane di distanza il Tribunale del Riesame di Milano annulla i decreti di
sequestro concessi dal GIP C. Mannocci al PM Bruna Albertini, e restituisce gli
immobili alle proprietà, in quanto non sussiste l'accusa di evasione fiscale.
Si tratterebbe invece di neutralità fiscale, in quanto l'IVA dovuta sarebbe
sempre stata pari a zero (in base alle conclusioni del giudice, sarebbero state
emesse fatturazioni fittiziema regolarmente pagatetra società facenti capo a
Verdiglione, allo scopo di ottenere crediti presso gli istituti finanziari,
potendo esibire bilanci dai quali risultano entrate ingenti, in realtà
fasulle). La giudice Laura Marchiondelli rinvia a giudizio Verdiglione
per associazione a delinquere finalizzata a frode fiscale e truffa allo Stato. Nel
dicembre viene condannato a nove anni
per i reati di associazione a delinquere finalizzata a frode fiscale, truffa
alle banche e truffa allo Stato. Nel medesimo processo vengono emesse condanne
anche a carico della moglie Cristina Frua De Angeli e di due sue società,
intanto fallite. Viene altresì disposta la confisca, fino ad un valore
equivalente rispettivamente di 100 milioni e 10 milioni di euro, di beni come
la storica dimora trecentesca Villa San Carlo Borromeo a Senago con 10 ettari
di parco. La sentenza di secondo grado conferma la prima, nonostante che
Procuratore generale, nella sua requisitoria, abbia chiesto
"l'annullamento della sentenza di primo grado per assoluta
indeterminatezza e intrinseca contradditorietà delle accuse". La
condanna a cinque anni di reclusione diventa esecutiva. Nel pieno delle
inchieste giudiziarie, l'associazione da lui fondata viene definita setta dallo
psicoterapeuta infantile Claudio Foti. Analoga affermazione fu fatta da
Calefato, professoressa associata di sociolinguistica, che così si espresse in
un'intervista per un quotidiano locale in occasione dell'incontro con
Verdiglione organizzato a Bari da Ponzio, Professore di filosofia del
linguaggio, intitolato "La cifra del Levante". Musatti, considerato
il fondatore della psicanalisi italiana, provava una profonda avversione per
Verdiglione che etichettò come "“il magliaro di Caulonia” e come
"cialtrone". Verdiglione ha ospitato come relatori, nell'ambito di
alcuni congressi organizzati alla Villa San Carlo Borromeo, autori come Duesberg
(virologo statunitense, scopritore dei retrovirus) e Rasnick (biologo
statunitense) che negano l'esistenza dell'AIDS, sostenendo che gli ammalati di
tale morbo morissero in realtà sia a causa dell'assunzione di droghe sintetiche
fortemente immune-soppressive sia a causa delle cure che erano loro imposte
nella prima fase sperimentale, dove si ricorreva all'utilizzo di farmaci come
l'AZT, originariamente sintetizzato a scopo antineoplastico e poi abbandonato
per l'elevata tossicità. Opere: “Il carcere. La questione della parola, Associazione
Amici di Spirali, Ur-kommunismus. La
paura della parola, Associazione Amici di Spirali, La grammatica dello spirito. L'androgino
trinitario e la bilancia dell'orrore, Associazione Amici di Spirali, I padroni del nulla, Associazione Amici di
Spirali, L'Operazione guru, Associazione
Amici di Spirali, La rivoluzione
dell'imprenditore, Associazione Amici di Spirali, Il bilancio di guerra, Associazione Amici di
Spirali, In nome del nulla. L'accusa di
blasfemia, Associazione Amici di Spirali,
Il bilancio intellettuale dell'impresa, Associazione Amici di
Spirali, Parola mia, Spirali, La realtà intellettuale, Spirali, L'Affaire fiscale ovvero il dispensario del
tempo, Spirali, Scrittori, artisti,
Spirali, La libertà della parola, Spirali, La politica e la sua lingua,
Spirali, La nostra salute, Spirali, Il capitale della vita, Spirali, Master dell'art ambassador, Spirali, Master
del brainworker, Spirali, Master del cifrematico, Spirali, L'interlocutore, Spirali, Il Manifesto di
cifrematica, Spirali, La rivoluzione cifrematica, Spirali, Artisti, Spirali, Il
brainworking. La direzione intellettuale. La formazione dell'imprenditore. La
ristrutturazione delle aziende, Spirali, Edipo e Cristo. La nostra saga,
Spirali, La famiglia, l'impresa, la finanza, il capitalismo intellettuale,
Spirali, Venere e Maria. La fiaba originaria, Spirali,Machiavelli, Spirali/Vel,
Vinci, Spirali/Vel, La congiura degli idioti, -- cfr. Grice, “L’idioma
dell’idiota” -- Spirali/Vel, L'albero di San Vittore, Spirali, Lettera all'eccellentissima
corte di appello, Spirali, Quale accusa?, Spirali, Processo alla parola,
Spirali, Il giardino dell'automa, Spirali, Manifesto del secondo rinascimento,
Rizzoli, Spirali, La mia industria, Rizzoli Spirali, Dio, Spirali, La peste, Spirali, La
psicanalisi questa mia avventura, Marsilio, Spirali, La dissidenza freudiana,
Feltrinelli, Spirali. E. Roudinesco, Histoire de la psychanalyse en France, Paris:
Le Seuil (réédition Fayard ) dal sito web italiano per la filosofia. in. ildomenicale arretrati n. Domenicale miei
libri Scienze umane Sociologia e comunicazione Sollers-scrittore La-dissidenza-della-scrittura_Lacan
e altri, Scilicet: rivista dell'école freudienne de Paris, traduzione di
Armando Verdiglione, Feltrinelli, Milano, Jacques Lacan, Il seminario, in «Ornicar? Venezia. Heinrich
Institor (Krämer), J. Sprenger, A. Verdiglione, Il martello delle streghe. La
sessualità femminile nel "transfert" degli inquisitori, Spirali,
Milano, Giordano Bruno, Antonio Caiazza, Le ombre delle idee, Spirali, Milano, Giordano
Bruno, Carlo Sini, Cabala del cavallo pegaseo, Spirali, Milano, Maud Mannoni,
Educazione impossibile, Feltrinelli, Milano). Spirali pubblicherà le opere La
rivoluzione del linguaggio poetico. L'avanguardia, : Lautrémont e Mallarmé e
Poteri dell'orrore. Saggio sull'abiezione
Félix Guattari //spirali.com/books-of-Jean+Oury.php[collegamento
interrotto] Jean-Joseph Goux, Freud,
Marx: economia e simbolico, introduzione e cura di Armando Verdiglione, Milano,
Feltrinelli, atti del Convegno Sessualità e politica edito da Feltrinelli, 2000
partecipanti al Congresso di Psicanalisi con tema "Sessualità e
Politica", svoltosi a Milano"
Gilles Anquetil, "A Milan, le sage congrès de la folie", Les
Nouvelles Littéraires, Roger Dadoun, "A Milan F comme Folie", La
Quinzaine littéraire, Christian
Descamps, "A Milan au congrès de psychanalyse on a débattu (vivement) de
“Sexe et politique”", La Quinzaine littéraire, Congres v Milanu, “Razprave
problemi”, dicembre 1976 Robert Maggiori,
"La 'Jet Society' psychanalytique reunie a Milan", Liberation, Italianistica
» » Cifrematica: di che cosa
parliamo? Enciclopedia Universale
Rizzoli Larousse, Rizzoli, Milano, Luigi
Mascheroni, il Giornale, Nicola Borzi, Etruria perde 26 milioni nel crack
Verdiglione, in Il Sole 24 ore, Verdiglione affidato al servizi sociali, la Repubblica,
in Archiviola Repubblica. "Pour
Armando Verdiglione", Le Monde, "Difendo Verdiglione", di Jean
Daniel, direttore di Le Nouvel Observateur pubblicato da la Repubblica, 1Caso
verdiglione: martedi' 8 agosto, all'hotel nazionale in piazza montecitorio, a
partire dalle ore 11.45, incontro internazionale sul tema: "il caso verdiglione".
marco pann..., su radioradicale. I radicali bocciano pannella, la Repubblica,
in Archiviola Repubblica.//legislature.camera/_dati/leg10/lavori/stampati Milano,
18 rinvii a giudizio per la vicenda verdiglione, Repubblica » Ricerca, non
profit, veridglione fa lo sponsor e le associazione danno forfeit, la
Repubblica, in Archiviola Repubblica. Gianfrancesco Turano, Verdiglione spa, in
Corriere Economia, Verdiglione, ovvero come sposare lo sponsor e viver
felici Corriere della Sera, su
milano.corriere. Archivio Corriere della
Sera, su archiviostorico.corriere. Corriere della Sera, su
archiviostorico.corriere. Frode fiscale,
9 anni a Verdiglione confiscati beni per 110 milioni, in Corriere della Sera. Lo
psicanalista Verdiglione dai fasti degli anni ‘80 al ritorno in carcere, su
milano.corriere. sito dell'associazione
diretta da Claudio Foti, 'Verdiglione fuori dall'Ateneo'la Repubblica, in
Archiviola Repubblica. Il chiaccierato Verdiglione, la Repubblica, in Archiviola
Repubblica. cesare musattiAnalisi laica, su Analisi laica. Italian guru, la
Repubblica, in Archiviola Repubblica. T. Szaz, La battaglia della salute,
Spirali. «L'Aids non è contagioso in nessun modo, non si trasmette né
attraverso rapporti eterosessuali né attraverso rapporti omosessuali e neanche
senza rapporti, non si trasmette in nessun modo; l'Hiv è un retrovirus che,
secondo Dusberg, è innocuo." "Muoiono per via della cura. È la cura,
che li ammazza."». Dizionario di
cifrematica, su dizionario di cifrematica. armandoverdiglione.com. Com: Recenti
Vicende, su tgcom.mediaset. Verdiglione. Keywords. Refs.: The H. P. Grice
Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Verdiglione e l’idioma
dell’idiota” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #verdiglione https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.6937483539596915 #griceeverdiglione
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702234931/in/photolist-2mLLVsZ-2mLKtaD
Grice
e Vernia – i peripatetici – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Chieti). Grice: “I love Vernia, but then any Englishman would,
especially when learning that Saint Thomas (Aquino) made such a fuss about
him!” -- Essential Italian philosopher. Filosofo. Allievo a Padova di Pergola e
Thiene e successore di quest'ultimo, ebbe come collega Pomponazzi e tra i suoi
allievi Nifo e Pico. Seguace dell'ermetismo allora imperante a Padova, curò
un'edizione di Aristotele. Vernia sostenne l'unità dell'intelletto -- dottrina
poi abbandonata a causa di una condanna inflittagli dal vescovo di Padova),
l'autonomia della fisica rispetto alla meta-fisica, e la superiorità della
scienza della natura sulle scienze dell'uomo.
Opere: “Contra perversam Averrois opinionem de unitate intellectus et de
animae felicitate”; “De unitate intellectus et de animae felicitate”; “Expositio
in Posteriorum capitulum secundum in fine”; “Expositio in Posteriorum librum
priorem”; “Quaestio de gravibus et levibus”; “Quaestio de rationibus
seminalibus”; “Quaestio de unitate intellectus”; “Quaestio in De anima Ennio De Bellis, L’aristotelismo Firenze, Leo
S. Olschki editore, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Vernia. Keywords: i
parepatetici, i parepatetici padovani – i parepatetici di padova -- Refs.: The
H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vernia: viva
Aristotele!” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #vernia https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.5475762019102415 #griceevernia https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731763313/in/photolist-2mPmNVF-2mLLWjU-2mLQ2ox-2mLKu2P-2mLNWGK-2mLLWmc-2mLLWjZ-2mLQ2pz-2mLKu2U-2mLQ2o7-2mLLWmn-2mLKu3f-2mLFoBp-2mLNWHM
Grice
e Veronelli – sadimo italiano – Filosoia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Essential Italian philosopher. Filosofo. Veronelli
viene ricordato come una delle figure centrali nella valorizzazione e nella
diffusione del patrimonio eno-gastronomico. Antesignano di espressioni e punti
di vista che poi sono entrati nell'uso comune e protagonista di caparbie
battaglie per la preservazione delle diversità nel campo della produzione
agricola e alimentare, attraverso la creazione delle “denominazioni comunali,”
le battaglie a fianco delle amministrazioni locali, l'appoggio ai produttori al
dettaglio. Veronelli assieme ad alcuni sommelier F.I.S.A.R. Era originario del
quartiere Isola di Milano. Dopo il R. Ginnasio Parini, compie studi di filosofia
a Milano, diventando assistente di Bariè. Si professa per tutta la vita di fede
anarchica, rifacendosi anche alle ultime lezioni tenute da Croce a Milano. Inizia
l'esperienza di editore, pubblicando tre riviste: I problemi del
socialismo Il pensiero Il gastronomo. Pubblica La questione sociale di Proudhon
e Historiettes, contes et fabliaux di De Sade; per quest'ultima viene
condannato, insieme a Manfredi (autore dei disegni, poi assolto), a tre mesi di
reclusione per il reato di pornografia. L’opera di De Sade sarà poi messa al
rogo nel cortile della procura di Varese. Subisce anche una condanna di sei
mesi di detenzione per aver istigato i contadini piemontesi alla rivolta, con
l'occupazione della stazione di Asti e dell'autostrada, per protestare contro
l'indifferenza della politica per i problemi dei contadini e dei piccoli
produttori. Diventa collaboratore de Il Giorno. L'attività giornalistica
lo impegnerà, e i suoi articoli, di stile aulico e provocatorio, ricchi di
neologismi e arcaismi, faranno scuola nel giornalismo eno-gastronomico e no.
Tra le testate cui ha collaborato vanno ricordate, oltre a Il Giorno: Corriere
della Sera, Class, Il Sommelier, Veronelli EV, Carta, Panorama, Epoca, Amica,
Capital, Week End, L'Espresso, Sorrisi e Canzoni TV, A Rivista Anarchica,
Travel e Wine Spectator, Decanter, Gran Riserva ed Enciclopedia del Vino, The
European. L'apparizione televisiva ne aumenta notevolmente la fama; in
particolare A tavola alle 7, in cui conduce il programma prima a fianco di
Scala e di Orsini, poi di Ave Ninchi, e il Viaggio Sentimentale nell'Italia dei
Vini, dove realizza l'aggiornamento, provocatorio e di denuncia, della viti-coltura
italiana, con inchieste, interviste, proposte che hanno scosso quel
mondo. L'opera La sua attività di ricerca e di approfondimento nel campo
enogastronomico lo porta alla pubblicazione di alcune opere fondamentali, anche
di carattere divulgativo. Da segnalare: I Vignaioli Storici, Cataloghi dei Vini
d'Italia, dei Vini del Mondo, degli Spumanti e degli Champagne, delle Acquaviti
e degli Oli extra-vergine, Alla ricerca dei cibi perduti, Il vino giusto, e la
collana Guide Veronelli all'Italia piacevole. Fondamentale anche la
collaborazione con Carnacina, maître e gastronomo celeberrimo e Guazzoni maître
e sommelier. Ne nascono, ad esempio, La cucina italiana e Il Carnacina. Fonda
la seconda Veronelli Editore "col puntuale obiettivo di approfondire la
classificazione dell'immenso patrimonio gastronomico italiano e contribuire ad
accrescere la conoscenza delle attrattive turistiche del paese più bello del
mondo". La casa editrice ha cessato l'attività a fine. Collabora con
Derive\Approdi scrivendo le prefazioni ad alcuni libri di carattere storico,
politico e gastronomico. L'intenso rapporto epistolare sulle pagine di
Carta con Echaurren costituisce un forte stimolo di riflessione sulle questioni
legate alla Terra e alla qualità della vita materiale per il movimento contro
la globalizzazione. Isieme ad alcuni centri sociali, tra cui La Chimica di
Verona e il Leoncavallo di Milano, al movimento Terra e libertà. Sempre di
questi anni le battaglie per le Denominazioni Comunali, una salvaguardia
dell'origine di un prodotto; per il prezzo-sorgente, cioè l'identificazione del
prezzo di un prodotto alimentare all'origine, per rendere evidenti eccessivi
ricarichi nei passaggi dal produttore al consumatore; per l'olio extra vergine
d'oliva, contro le prepotenze e il monopolio delle multinazionali e le
ingiustizie della legislazione per i piccoli olive-coltori. Di idee
anarchiche, si è anche interessato di questioni filosofiche, pubblicando anche
articoli su A/Rivista Anarchica e saggi. Le pubblicazioni hanno subito il segno
dei suoi interessi libertari, libertini, enogastronomici: Racconti, novelle e
novelline di de Sade (che gli procurerà una denuncia e la condanna al rogo dei
libri, tra gli ultimi roghi di libri avvenuti in Italia), le poesie di
Pagliarani, la rivista Il gastronomo e quella di filosofia Il pensiero, poi interessante
per qualche anno fu l'editore della rivista Problemi del socialismo, diretta da
Basso. In seguito mise un po' in disparte le questioni filosofiche per
concentrarsi su quelle più propriamente eno-gastronomiche e agricole. In
A-Rivista Anarchica si definisce Veronelli l'"anarchenologo"
ritenendo che l'attività di Veronelli vada inquadrata in un ambito libertario e
contro l'attività delle multinazionali agricole. Gli anarchici della
Cellula Veronelli, con l'intento di mostrare l'aspetto più propriamente
politico di Veronelli, hanno organizzato un incontro intitolato "Veronelli
politico", a cui hanno preso parte personalità del calibro di Mura, giornalista
di La Repubblica, Ferrari della Federazione Anarchica Reggiana (promotrice
dell'evento biennale, ideato nella sua prima edizione insieme allo stesso
Veronelli, Le cucine del popolo) e Tibaldi. Dagli anarchici è sempre stato
considerato un compagno. Veronelli e un libertario, un uomo colto, senza dogmi,
senza ipocrisie, in perenne lotta contro le armate schiaviste delle multinazionali.
(Pagliaro, Umanità Nova, LMilano gli attribuisce l'Ambrogino d'oro. Rassegna
stampa. A-Rivista, Lettera i giovani estremi Proudhon: La questione sociale -- Veronelli
politico. L'ultimo dei vini artigianali sarà sempre migliore del primo dei vini
industriali, perché avrà un'anima» (Veronelli in Il canto della Terra). Il nostro anarchenologo Un incontro inatteso Cellula Veronelli. eronelli politico. Circolo
Cucine del Popolo, l'addio, Bosana Salsa suprema. Luigi Veronelli. Veronelli.
Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft – Luigi Speranza, “Grice e
Veronelli: metafisica dell’amore” – The Swimming-Pool Library, Liguria. #veronelli https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.6937343586277577 #griceeveronelli https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702914954/in/photolist-2mLNXjb-2mLLX2a-2mLLX1P-2mLFpeg-2mLQ2ZN
Verrecchia
(Vallerotonda). Essential Italian philosopher. Filosofo. Si
trasferì a Torino, dove studiò, laureandosi in filosofia. Trascorse un certo
periodo nel parco nazionale del Gran Paradiso, considerato come il più
formativo della sua vita. Lì poté contemplare in modo disinteressato i fenomeni
della natura. “Ho fatto tre università -- era solito dire -: quella vera e
propria, che non mi ha dato nulla o quasi; la collaborazione alle pagine dei
quotidiani come elzevirista, che mi ha costretto a leggere libri che altrimenti
non avrei mai letto; e infine l'università più utile in assoluto, vale a dire
il soggiorno nel Gran Paradiso a contatto con la natura". Frutto di quel
soggiorno è il saggio che contiene la sua filosofia, potentemente aforistica. I
manoscritti riaffiorati molto più tardi spiegano la tardività della sua pubblicazione,
avvenuta presso Fògolasi tratta del Diario del Gran Paradiso. Verrecchia visse
poi in Germania (soprattutto a Berlino) e fu per lunghi anni addetto culturale
all'Ambasciata d'Italia a Vienna; collaborò alle pagine culturali di giornali
italiani, tra cui Il Resto del Carlino, La Stampa, Il Giornale. Grazie alla sua
padronanza del tedesco, collaborò stranieri (Die Presse, Die Welt). Non parlava
volentieri della sua vita privata perché, diceva,"di un filosofo ciò che
interessa sono gli teorie e non le vicissitudini personali". Traduttore di
Lichtenberg, appassionato studioso di Bruno e Nietzsche, nel suo orizzonte
culturale, però, la figura che risalta di più è senz'altro quella di
Schopenhauer, da lui considerato a tutti gli effetti un maestro da tradurre e
continuare. Elementi caratteristici dei
suoi scritti sono l'irriducibile vena polemica e una sacra bilis, ma la sua
prosa spicca anche per chiarezza ed energia. La sua prosa insieme a quella di
Ceronetti, Sgalambro e Giamettaè stata giudicata la migliore prosa filosofica. Opere:
“L'eretico dello spirito” (Firenze: La Nuova Italia); “La catastrofe di
Nietzsche a Torino” (Torino: Einaudi), “La tragedia di Nietzsche a Torino: la
catastrofe del filosofo che sognava un superuomo al di là del bene e del male
(Milano: Bompiani). Incontri viennesi (Genova: Marietti), “Cieli d'Italia
(Milano: Spirali/Vel), “Diario del Gran Paradiso (Torino: Fogola, e ristampa),
“Bruno: la falena dello spirito” (Roma: Donzelli); Rapsodia viennese: luoghi e
personaggi celebri della capitale danubiana (Roma: Donzelli), Schopenhauer e la
Vispa Teresa: l'Italia, le donne, le avventure (Roma: Donzelli), Vagabondaggi
culturali (Torino: Fogola); “La stufa dell'Anticristo: altri vagabondaggi
culturali (Torino: Fogola). Batracomachia
di Bayeruth. Nietzschiani contro wagneriani; Padova: il prato, Lettere
Mercuriali (Torino: Fògola, ). “Il cantore filosofo” (Firenze: `Clinamen); Il
mastino del Parnaso. Elzeviri e polemiche” Firenze: Clinamen. Saggi
introduttivi, traduzioni e cure Viaggio in Italia di Mommsen (Torino: Fogola). Libretto di
consolazione (Milano: Rizzoli); Le civiltà pre-colombiane (Milano: Bompiani,).
Colloqui (Milano: Rizzoli), poi: “Il filosofo che ride” (Milano: Rizzoli), “Metafisica
dell'amore sessuale: l'amore inganno della natura” (Milano: Rizzoli, Sulla filosofia da Arthur Schopenhauer (Milano:
TEA); “Aforismi per una vita saggia” (Milano: Fabbri); “O si pensa o si crede: sulla
religione (Milano: Rizzoli); Lo scandaglio dell'anima” (Milano: Rizzoli); “Breviario
spiritual” (Torino: POMBA, Articoli A Bogotà c'è un erede di Montaigne.
Tuttolibri de La Stampa, Allora bastava un rospo per finire al rogo. Tuttolibri
de La Stampa, Vittorio Mathieu, Tre giorni in giallo. Tuttolibri de La Stampa, Risvolto
di copertina della Rapsodia viennese.
Verrecchia, su digilander.libero. Marco Lanterna, Verrecchia, venerando
e terribile, Pulp Libri, (ora in Marco Lanterna, Il caleidoscopio infelice.
Note sulla letteratura di fine libro, Clinamen, critica Marco Lanterna, Il
caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro, Clinamen,. Ugo
Dotti, I vagabondaggi culturali di Verrecchia, in rivista. Le case illustri, di
Lisa Elena su archivio.lastampa. 2 settembre. Addio al filosofo Anacleto
Verrecchia, di Luigia Sorrentino, su poesia.blog.rainews. L'Anticristo goloso,
di M. Rota, su piemontemese. Anacleto Verrecchia. Verrecchia. Keywords: la
metafisica dell’amore, Nietzsche a Torino, Bruno. Refs.: The H. P. Grice
Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Verrecchia: metafisica
dell’amore” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #verrecchia https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.6937294919615777 #griceeverrecchia https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731465888/in/dateposted/
Grice
e Viano – va’ pensiero – il carattere della filosofia italiana – filosofia
italiana (Aosta). Esential Italian philosopher. Filosofo. Laureatosi in Filosofia a Torino
con Abbagnano, ha insegnato a Milano e Cagliari. Ha fatto infine ritorno, in
qualità di ordinario fuori ruolo di Storia della filosofia, all'ateneo
torinese. Ha fatto parte del Comitato Nazionale per la Bio-Etica, ed è stato
membro del direttivo della Rivista di filosofia e socio nazionale
dell'Accademia delle Scienze di Torino. Izgu insignito del premio
Feltrinelli per la Storia dela Filosofia. Di formazione illuminista, Viano
si è occupato di storia della filosofia antica. -- è autore di importanti studi
su Aristotele (“La logica di Aristotele”, Torino, Ed. Taylor) e l’empirismo (“Dal
razionalismo all'Illuminismo” (Einaudi, Torino); “Il pensiero politico”
(Laterza, Roma/Bari). Nel campo dell'etica, oltre a studi storici (“L'etica” –
Mondatori, Milano, “Teorie etiche”, Bollati Boringhieri, Torino), si è dedicato
a promuovere la costruzione di una bio-etica e a denunciare la timidezza dei
laici di fronte alle ingerenze del cristianesimo. Da Enrico Mistretta,
direttore editoriale della Laterza di Roma/Bari, gli fu affidata, la direzione di
una “Storia della filosofia.” Altre saggi: “La selva delle somiglianze: il
filosofo e il medico” (Torino, Einaudi); “Va' pensiero: il carattere della
filosofia italiana” (Torino, Einaud); “Filosofia italiana nel dopoguerra” (Bologna,
Il Mulino); “Etica pubblica” (Roma/Bari, Laterza); “Le città filosofiche: per
una geografia della cultura filosofica italiana” (Bologna, Il Mulino); “Le
imposture degli antichi e i miracoli dei moderni” (Torino, Einaudi); “Laici in ginocchio”
(Roma/Bari, Laterza); “Stagioni filosofiche: la filosofia del Novecento fra
Torino e l'Italia” (Bologna, Il Mulino); “La scintilla di Caino: storia della
coscienza e dei suoi usi” (Torino, Bollati Boringhieri). Profilo biografico sull’Accademia
Delle Scienze. Maurizio Mori, Torino ricorda Viano, su Torino. Cerimonia nell'Accademia
Nazionale dei Lincei, su Presidenza della Repubblica, Roma. Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Registrazioni su RadioRadicale,
Radio Radicale. Biografia e testi
sull'Enciclopedia multimediale RAI delle scienze filosofiche Rassegna stampa
sul Sito Web Italiano per la Filosofia Recensione di "Le città
filosofiche" su Recensioni Filosofiche. Viano. Keywords: la filosofia romana,
il neo-tradizionalismo. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi
Speranza, “Grice e Viano: il neo-tradizionalismo” – “Viano e la filosofia
romana” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #viano https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4796393697039254 #griceeviano
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Grice e Viazzi –
la bellezza della vita – filosofia italiana – Luigi Speranza (Gavi).
Essential Italian philosopher. Filosofo. Apprezzato teorico e studioso di
filosofia, Viazzi. Keywords: Vico. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS –
Luigi Speranza, “Grice e Viazzi” – “Il Vico di Grice e il Vico di Viazzi” --
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #viazzi https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4583421495003143 #griceeviazzi https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701447102/in/photolist-2mLFqYo-2mLFqYd-2mLKwfB-2mLFqXS-2mLLYDD-2mLQ4KM-2mLFqZk-2mLLYEW-2mLLYEL-2mLFqZq-2mLKwfm-2mLFqZf-2mLQ4JK-2mLKwfX
Grice e Vico -- l’antichissima sapienza
degl'italici -- da rintracciare nelle origini della sua lingua – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Napoli). “Si
potrebbe presentare la storia ulteriore del pensiero come un ricorso delle idee
del Vico” (Benedetto Croce, La filosofia di Giambattista Vico, Laterza,
Bari) Giambattista Vico, filosofo. Molte delle notizie riguardanti la vita
di Vico sono tratte dalla sua Autobiografia, scritta sul modello letterario
delle Confessioni di di Agostino. Dall’autobiografia Vico cancella ogni
riferimento ai suoi interessi giovanili per le dottrine atomistiche e per il
pensiero cartesiano, che avevano cominciato a diffondersi a Napoli, ma vennero
subito repressi dalla censura delle autorità civili e religiose, che le
consideravano moralmente perniciose e contrari all'Indice dei libri proibiti.
Nato a Napoli da una famiglia di modesta estrazione sociale – il padre, Antonio
Vico, era un povero libraio, mentre la madre, Candida Masulla, era figlia di un
lavorante di carrozze – Vico fu un bambino molto vivace, ma, a causa di una
caduta si procurò una frattura al cranio che gli impedì di frequentare la
scuola per tre anni e che, pur non alterando le sue capacità mentali,
quantunque “il cerusico ne fe' tal presagio: che egli o ne morrebbe o arebbe
sopravvissuto stolido,” contribuì a sviluppare “una natura malinconica ed
acre.” Ammesso agli studi di grammatica presso il Collegio Massimo dei Gesuiti,
li abbandonò intorno per dedicarsi al privato approfondimento dei testi di
Paolo Veneto, il quale, tuttavia, rivelandosi superiore alle sue capacità,
provoca l'allontanamento dall'attività intellettuale per un anno e mezzo.
Ripresa la via degli studi, Vico si recò nuovamente dai gesuiti per seguire le
lezioni di Ricci, ma, rimasto ancora una volta insoddisfatto, si appartò
nuovamente a vita privata per affrontare la metafisica. Successivamente, per
secondare il desiderio paterno, Vico fu “applicato agli studi legali.”
Frequentò per circa due mesi le lezioni private di Verde, si iscrisse alla
facoltà di giurisprudenza, senza tuttavia seguirne i corsi, e si cimentò, come
di consueto, in privati studi di diritto. Conseguita la laurea in a Salerno, si
appassionò subito ai problemi filosofici,, segno “di tutto lo studio che aveva
egli da porre all'indagamento de' princìpi del diritto universal.” Lapide nella
casa natale di via San Biagio dei Librai che recita, “in questa cameretta
nacque il XXIII giugno MDCLXVIII Giambattista Vico. Qui dimorò fino ai
diciassette anni e nella sottoposta piccola bottega del padre libraio usò
passare le notti nello studio. Vigilia giovanile della sua opera sublime. La
città di Napoli pose.” Il periodo di tempo intercorrente fu denominato dell'
“autoperfezionamento.” Difatti, nonostante l'Autobiografia riporti indietro la
data d'inizio del suo magistero, svolse attività di precettore dei figli del
marchese Domenico Rocca presso il castello di Vatolla nel Cilento e colà,
usufruendo della grande biblioteca padronale, ebbe modo di studiare il
platonismo italiano (Ficino e Pico). Approfondisce gli studi aristotelici,
nonostante la dichiarata avversione per Aristotele e la Scolastica. Legge le
opere di Botero e di Bodin, scoprendo al contempo Tacito (che diverrà un
maestro cui s'ispirerà la sua filosofia) e la sua “mente metafisica incomparabile
con cui contempla l'uomo qual è.” Affronta per un breve periodo studi di
geometria e pubblica la canzone “Affetti di un disperato,” d'ispirazione
lucreziana. Erma del Vico Ritornato a Napoli nell'autunno del 1695, all'età di
ventisette anni, affetto dalla tisi, rientra nella misera dimora paterna. A
causa delle grosse difficoltà economiche, Vico è costretto a tenere ripetizioni
di retorica e grammatica. Durante l'anno 1696 pubblica un discorso proemiale a
una crestomazia poetica dedicata alla partenza di Francisco de Benavides,
viceré spagnolo e conte di Santo Stefano. Compone un'orazione funebre in
memoria di Catalina de Aragón y Cardona, madre del nuovo viceré, e nel dicembre
del medesimo anno, tenta vanamente di ottenere un posto di lavoro come segretario
al Municipio di Napoli. Nel gennaio 1699 vince, con striminzita maggioranza, il
concorso per la cattedra di eloquenza e retorica presso l'Università di Napoli,
da cui non riuscì, con suo grande rammarico, a passare a una di diritto. -- è
aggregato all'Accademia Palatina fondata dal viceré Luis Francisco de la Cerda
y Aragón, duca di Medinaceli. Anche dopo la nomina accademica per il
mantenimento del padre e dei fratelli, totalmente dipendenti da lui, deve
aprire uno studio privato dove dà lezioni di retorica e di grammatica
elementare, e impegnarsi a lavorare su commissione alla stesura di poesie,
epigrafi, orazioni funebri, panegirici, ecc. Nel 1699 può finalmente
prendere in affitto in vicolo dei Giganti una casa di «tre camere, sala, cucina,
loggia e altre comodità, come rimessa e cantina» e prendere in moglie la
giovane donna, Teresa Caterina Destito dalla quale ebbe otto figli. Da quel
momento non avrà più la tranquillità necessaria per condurre gli studi, ma
proseguirà ugualmente le sue meditazioni «tra lo strepitio de' suoi figlioli».
A questo periodo risale, inoltre, la conoscenza col filosofo Paolo Mattia Doria
e l'incontro con il pensiero del Bacone. Il governo partenopeo gli commissiona
la scrittura del Principum neapolitanorum coniuratio e in una cena a casa del
Doria, espone le sue idee sulla filosofia della natura che lo condurranno, fra
il novembre e il dicembre del medesimo anno, alla composizione del perduto
Liber physicus. Pronunzia in latino le sei Orazioni inaugurali, ossia le prolusioni
all'anno accademico (che al tempo iniziava il 18 ottobre), e, durante il 1708,
se ne aggiunge una settima, più ampia e importante, recante il titolo di De
nostri temporis studiorum ratione, la quale si concentra molto sul metodo degli
studi giuridici, poiché sempre ha la mira a farsi merito con l'università nella
giurisprudenza per altra via che di leggerla ai giovinetti». Nel De ratione,
inoltre, è contenuta la critica al razionalismo cartesiano e l'elogio
dell'eloquenza, della retorica, della fantasia, nonché dell'«ingegno»
produttore di metafore. L'insieme delle prolusioni universitarie sono
rielaborate per essere raccolte in un unico volume mai pubblicato, dal titolo
di De studiorum finibus naturae humanae convenientibus. È aggregato, dal 1710,
all'Accademia dell'Arcadia e, nel novembre, pubblica il primo libro dell'opera
dedicata al Doria, De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae
originibus eruenda, recante il sottotitolo Liber primus sive metaphysicus.
Accanto al Liber metaphysicus l'opera vichiana avrebbe dovuto comprendere anche
il perduto Liber physicus e un mai composto Liber moralis. Un anonimo
recensisce l'opera nel Giornale de' letterati d'Italia, cui seguirà la Risposta
del Vico, accompagnata dal ristretto o ri-assunto del Liber
metaphysicus. Aseguito di nuove obiezioni prodotte dall'anonimo recensore,
replica con una Seconda risposta. Pubblica un trattatello perduto sulle febbri
ispirato alle bozze del Liber physicus, recante il titolo di De aequilibrio
corporis animantis, e, inoltre, si dedica alla stesura del De rebus gestis
Antonii Caraphaei, una biografia del maresciallo Antonio Carafa, che vedrà la
luce. Durante i lavori dell'opera biografica del maresciallo Carafa, Vico si
dedica alla rilettura del suo quarto «auttore», l'olandese Ugo Grozio, cui
dedicherà, nel 1716, un perduto commento al De iure belli ac pacis. La
produzione filosofica della maturità: dal Diritto universale alla Scienza
nuova Scienza nuova seconda. L'incontro di Vico con la filosofia di «Ugon
capo» ebbe un'importanza decisiva per il suo sviluppo intellettuale, poiché da
quel momento il suo interesse sarà completamente assorbito dai problemi
giuridici e storici. L'idea dell'esistenza di un'umanità ferina e primitiva,
dominata solamente dal senso e dalla fantasia, ed entro cui si producono gli
«ordini civili» divenne centrale in tutto il pensiero vichiano. Vide la luce
un'opera di filosofia del diritto, intitolata De uno universi iuris principio
et fine uno, seguita dallo scritto De constantia iurisprudentis, diviso in due
parti (De constantia philosophiae e De constantia philologiae), e che,
nonostante il titolo si riferisca alla tematica giuridica, è meno incentrato
sull'argomento rispetto al De uno. Benché le due opere si differenzino, segno
di un rapido sviluppo del pensiero vichiano, è d'uso considerarli, come invero
fece anche il Vico, insieme alle Notae aggiunte e le Sinopsi premesse al testo,
sotto l'unico titolo di Diritto universale. S'iscrisse al concorso per ottenere
la cattedra «matutina» di diritto civile presso l'Università di Napoli e
commenta un passo delle Quaestiones di Papiniano davanti a un collegio di
giudici, ma, con suo grande scorno, il posto fu assegnato a un tal Domenico
Gentile. Dopo la fama ottenuta dalla pubblicazione della Scienza Nuova, ottenne
dal re Carlo III, la carica di storiografo regio. Tanto nuova era la sua
dottrina che la cultura del tempo non poté apprezzarla: così che Vico rimase
appartato e quasi del tutto sconosciuto negli ambienti intellettuali, dovendosi
accontentare di una cattedra di secondaria importanza all'Università napoletana
che lo manteneva inoltre in tali ristrettezze economiche che per pubblicare il
suo capolavoro, la Scienza Nuova, dovette toglierne alcune parti in modo che
risultasse meno costoso per la stampa. Alle difficoltà economiche vissute per
la pubblicazione dell'opera sua, che inficiarono la sua notorietà nel seno
dell'Accademia partenopea, s'accompagna una prosa involuta, pertanto di
difficile penetrazione. Prima della Scienza Nuova Vico aveva scritto la
prolusione inaugurale De nostri temporis studiorum ratione, il De antiquissima
Italorum sapientia, ex linguae latinae originibus eruenda ("L'antichissima
sapienza delle popolazioni italiche, da rintracciare nelle origini della lingua
latina") a cui si devono aggiungere le due Risposte al "Giornale dei
letterati di Venezia" che aveva criticato il suo pensiero, il De uno
universi iuris principio et fine uno e il De costantia iurisprudentis. Nello
stesso anno della pubblicazione della Scienza Nuova, Vico, afflitto da
difficoltà e disgrazie familiari, incominciò a scrivere la sua Autobiografia
pubblicata a Venezia. Vengono pubblicati i Principj di una Scienza Nuova
intorno alla natura delle nazioni, più conosciuta con il titolo abbreviato di
Scienza Nuova. Alla "Scienza Nuova" lavora per tutto il corso della
sua vita, con un'edizione integralmente riscritta nel 1730 anche a seguito
delle critiche ricevute (cui aveva risposto nelle Vici Vindiciae) e, infine,
rivista completamente, senza grandi modifiche, per la terza edizione,
pubblicata pochi mesi dopo la sua morte da suo figlio Gennaro che lo aveva sostituito
nell'insegnamento accademico. La morte «[incominciarono a crescere] quei malori
che fin dai suoi più floridi anni l’avevano debilitato. Cominciò adunque ad
essere indebolito in tutto il sistema nervoso in guisa che a stento poteva
camminare e, quel che più lo affligea, era di vedersi ogni giorno infiacchire
la reminiscenza....Il fiaccato corpo del saggio vecchio andò in seguito ogni
giorno più a debilitarsi in guisa che aveva perduto quasi interamente la
memoria fino a dimenticare gli oggetti a sé più vicini ed a scambiare i nomi
delle cose più usuali...]» Affetto probabilmente dalla malattia di
Alzheimer, all'epoca non ancora descritta scientificamente, negli ultimi anni
non riconosceva più i suoi stessi figli e fu costretto ad allettarsi. Solo in punto
di morte riacquistò la coscienza come svegliandosi da un lungo sonno; chiese i
conforti religiosi e recitando i salmi di Davide morì. Per la celebrazione
delle esequie nacque un contrasto tra i confratelli della congregazione di
Santa Sofia, alla quale Vico era iscritto, e i professori dell'Università di
Napoli su chi dovesse tenere i fiocchi della coltre mortuaria. Non giungendo ad
un accordo il feretro, che era stato calato nel cortile, fu abbandonato dei
membri della Congregazione e fu riportato in casa. Da lì finalmente,
accompagnato dai colleghi dell'Università, fu sepolto nella chiesa dei padri
dell'oratorio detta dei Gerolamini in Via dei Tribunali. Nell'ambiente
culturale napoletano, molto interessato alle nuove dottrine filosofiche, Vico
ebbe modo di entrare in rapporto con il pensiero di Cartesio, Hobbes, Gassendi,
Malebranche e Leibniz anche se i suoi autori di riferimento risalivano
piuttosto alle dottrine neoplatoniche, rielaborate dalla filosofia
rinascimentale, aggiornate dalle moderne concezioni scientifiche di Bacone e Galilei
e del pensiero giusnaturalistico moderno di Grozio e Selden. Dal neostoicismo
cristiano di Malvezzi riprende l'intuizione che il corso storico sia retto da
una sua logica interna. Questa varietà di interessi farebbe pensare alla
formazione di un pensiero eclettico in Vico che invece giunse alla formulazione
di un'originale sintesi tra una razionalità sperimentatrice e la tradizione
platonica e religiosa. De antiquissima Italorum sapientia doveva
constare di tre parti: il Liber metaphysicus, che uscì senza l'appendice
riguardante la logica che, nella sua intenzione, avrebbe dovuto avere; il Liber
Physicus, che pubblica sotto forma di opuscolo col titolo De aequilibrio
corporis animantis, che andò smarrito, ma ampiamente riassunto nella Vita; e
infine il Liber moralis, di cui non abbozzò nemmeno il testo. Nel De
antiquissima Vico, considerando il linguaggio come oggettivazione del pensiero,
è convinto che dall'analisi etimologica di alcune parole latine si possano rintracciare
originarie forme del pensiero: applicando questo originale metodo, risale ad un
antico sapere filosofico delle primitive popolazioni italiche. Il fulcro di
queste arcaiche concezioni filosofiche è la convinzione antichissima
che Latinis verum et factum reciprocantur, seu, ut scholarum vulgus
loquitur, convertuntur. Per i Latini il vero e il fatto sono reciproci, ossia,
come afferma il volgo delle scuole, si scambiano di posto che cioè il criterio
e la regola del vero consiste nell'averlo fatto. Per cui possiamo dire ad
esempio di conoscere le proposizioni matematiche perché siamo noi a farle
tramite postulati, definizioni, ma non potremo mai dire di conoscere nello
stesso modo la natura perché non siamo noi ad averla creata. Conoscere
una cosa significa rintracciarne i principi primi, le cause, poiché, secondo
l'insegnamento aristotelico, veramente la scienza è «scire per causas» ma
questi elementi primi li possiede realmente solo chi li produce, «provare per
cause una cosa equivale a farla». Le obiezioni a Cartesio Il principio
del verum ipsum factum non era una nuova e originale scoperta di Vico ma era
già presente nell'occasionalismo, nel metodo baconiano che richiedeva
l'esperimento come verifica della verità, nel volontarismo scolastico che, tramite
la tradizione scotista, era presente nella cultura filosofica napoletana del
tempo di Vico. La tesi fondamentale di queste concezioni filosofiche è che la
piena verità di una cosa sia accessibile solo a colui che tale cosa produce; il
principio del verum-factum, proponendo la dimensione fattiva del vero,
ridimensiona le pretese conoscitive del razionalismo cartesiano che inoltre
giudica insufficiente come metodo per la conoscenza della storia umana, che non
può essere analizzata solo in astratto, perché essa ha sempre un margine di
imprevedibilità. Si serve, però, di quel principio per avanzare in modo
originale le sue obiezioni alla filosofia cartesiana trionfante in quel
periodo. Il cogito cartesiano infatti potrà darmi certezza della mia esistenza ma
questo non vuol dire conoscenza della natura del mio essere, coscienza non è
conoscenza: avrò coscienza di me ma non conoscenza poiché non ho prodotto il
mio essere ma l'ho solo riconosciuto. L'uomo può dubitare se senta, se
viva, se sia esteso, e infine in senso assoluto, se sia; a sostegno della sua
argomentazione escogita un certo genio ingannatore e maligno...Ma è
assolutamente impossibile che uno non sia conscio di pensare, e che da tale
coscienza non concluda con certezza che egli è. Pertanto Renato Descartes svela
che il primo vero è questo, Penso dunque sono. (Giambattista Vico, De
antiquissima Italorum sapientia in Opere filosofiche a cura di Paolo
Cristofolini, Firenze, Sansoni). Il criterio del metodo cartesiano
dell'evidenza procura dunque una conoscenza chiara e distinta, che però non è
scienza se non è capace di produrre ciò che conosce. In questa prospettiva,
dell'essere umano e della natura solo Dio, creatore di entrambi, possiede la
verità. Mentre quindi la mente umana procedendo astrattamente nelle sue
costruzioni, come accade per la matematica, la geometria crea una realtà che le
appartiene, essendo il risultato del suo operare, giungendo così a una verità
sicura, la stessa mente non arriva alle stesse certezze per quelle scienze di
cui non può costruire l'oggetto come accade per la meccanica, meno certa della
matematica, la fisica meno certa della meccanica, la morale meno certa della
fisica. «Noi dimostriamo le verità geometriche poiché le facciamo, e se
potessimo dimostrare le verità fisiche le potremmo anche fare.” Mente umana e
mente divina. I latini diceno che la mente è data, immessa negli uomini dagli
dei. È dunque ragionevole congetturare che gli autori di queste espressioni
abbiano pensato che le idee negli animi umani siano create e risvegliate da Dio.
La mente umana si manifesta pensando, ma è Dio che in me pensa, dunque in Dio
conosco la mia propria mente. Il valore di verità che l'uomo ricava dalle
scienze e dalle arti, i cui oggetti egli costruisce, è garantito dal fatto che
la mente umana, pur nella sua inferiorità, esplica un'attività che appartiene
in primo luogo a Dio. La mente dell'uomo è anch'essa creatrice nell'atto in cui
imita la mente, le idee, di Dio, partecipando metafisicamente ad esse.
L'ingegno Imitazione e partecipazione alla mente divina avvengono ad opera di
quella facoltà che Vico chiama ingegno che è «la facoltà propria del
conoscere...per cui l'uomo è capace di contemplare e di imitare le cose».
L'ingegno è lo strumento principe, e non l'applicazione delle regole del metodo
cartesiano, per il progresso, ad esempio, della fisica che si sviluppa proprio
attraverso gli esperimenti escogitati dall'ingegno secondo il criterio del vero
e del fatto. L'ingegno dimostra, inoltre, i limiti del conoscere umano e
la contemporanea presenza della verità divina che si rivela proprio attraverso
l'errore. Dio mai si allontana dalla nostra presenza, neppure quando erriamo,
poiché abbracciamo il falso sotto l'aspetto del vero e i mali sotto l'apparenza
dei beni; vediamo le cose finite e ci sentiamo noi stessi finiti, ma ciò
dimostra che siamo capaci di pensare l'infinito. Contro lo scetticismo, sostiene
che è proprio tramite l'errore che l'uomo giunge al sapere metafisico. Il
chiarore del vero metafisico è pari a quello della luce, che percepiamo
soltanto in relazione ai corpi opachi...Tale è lo splendore del vero metafisico
non circoscritto da limiti, né di forma discernibile, poiché è il principio
infinito di tutte le forme. Le cose fisiche sono quei corpi opachi, cioè formati
e limitati, nei quali vediamo la luce del vero metafisico. Il sapere metafisico
non è il sapere in assoluto: esso è superato dalla matematica e dalle scienze
ma, d'altro canto, «la metafisica è la fonte di ogni verità, che da lei
discende in tutte le altre scienze. Vi è dunque un primo vero, comprensione di
tutte le cause, originaria spiegazione causale di tutti gli effetti; esso è
infinito e di natura spirituale poiché è antecedente a tutti i corpi e che
quindi si identifica con Dio. In Lui sono presenti le forme, simili alle idee
platoniche, modelli della creazione divina. «Il primo vero è in Dio,
perché Dio è il primo facitore (primus Factor); codesto primo vero è infinito,
in quanto facitore di tutte le cose; è compiutissimo, poiché mette dinanzi a Dio,
in quanto li contiene, gli elementi estrinseci e intrinseci delle cose. Se
l'uomo non può considerarsi creatore della realtà naturale ma piuttosto di
tutte quelle astrazioni che rimandano ad essa come la matematica, la stessa
metafisica, vi è tuttavia un'attività creatrice che gli appartiene questo
mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono,
perché se ne debbono, ritruovare i principi dentro le modificazioni della
nostra medesima mente umana. Scienza Nuova, terza ediz., libro I, sez. 3). L'uomo
è dunque il creatore, attraverso la storia, della civiltà umana. Nella storia
l'uomo verifica il principio del verum ipsum factum creando così una scienza
nuova che avrà un valore di verità come la matematica. Una scienza che ha per
oggetto una realtà creata dall'uomo e quindi più vera e, rispetto alle
astrazioni matematiche, concreta. La storia rappresenta la scienza delle cose
fatte dall'uomo e, allo stesso tempo, la storia della stessa mente umana che ha
fatto quelle cose. Filosofia e "filologia" La definizione dell'uomo,
della sua mente non può prescindere dal suo sviluppo storico se non si vuole
ridurre tutto a un'astrazione. La concreta realtà dell'uomo è comprensibile
solo riportandola al suo divenire storico. È assurdo credere, come fanno i
cartesiani o i neoplatonici, che la ragione dell'uomo sia una realtà assoluta,
sciolta da ogni condizionamento storico. «La filosofia contempla la
ragione, onde viene la scienza del vero; la filologia osserva l'autorità
dell'umano arbitrio onde viene la coscienza del certo...Questa medesima degnità
(assioma) dimostra aver mancato per metà così i filosofi che non accertarono le
loro ragioni con l'autorità de'filologi, come i filologi che non curarono
d'avverare la loro autorità con la ragion dei filosofi» (Giambattista
Vico Ibidem Degnità X) Ma la filologia da sola non basta, si ridurrebbe a una
semplice raccolta di fatti che invece vanno spiegati dalla filosofia. Tra
filologia e filosofia vi deve essere un rapporto di complementarità per cui si
possa accertare il vero e inverare il certo. Le leggi della 'scienza
nuova' Compito della 'scienza nuova' sarà quello di indagare la storia alla
ricerca di quei principi costanti che, secondo una concezione per certi versi
platonizzante, fanno presupporre nell'azione storica l'esistenza di leggi che
ne siano a fondamento com'è per tutte le altre scienze: «Poiché questo
mondo di nazioni egli è stato fatto dagli uomini, vediamo in quali cose hanno
con perpetuità convenuto e tuttavia vi convengono tutti gli uomini; poiché tali
cose ne potranno dare i principi universali ed eterni, quali devon essere
d'ogni scienza, sopra i quali tutte sursero e tutte vi si conservano le
nazioni. La storia quindi, come tutte le scienze, presenta delle leggi, dei
principi universali, di un valore ideale di tipo platonico, che si ripetono
costantemente allo stesso modo e che costituiscono il punto di riferimento per
la nascita e il mantenimento delle nazioni. L'eterogenesi dei fini e la
Provvidenza storica Rifarsi alla mente umana per comprendere la storia non è
sufficiente: si vedrà, attraverso il corso degli avvenimenti storici, che la
stessa mente dell'uomo è guidata da un principio superiore ad essa che la
regola e la indirizza ai suoi fini che vanno al di là o contrastano con quelli
che gli uomini si propongono di conseguire; così accade che, mentre l'umanità
si dirige al perseguimento di intenti utilitaristici e individuali, si
realizzino invece obiettivi di progresso e di giustizia secondo il principio
della eterogenesi dei fini. «Pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo
di nazioni...ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso
diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini
particolari ch'essi uomini si avevan proposti» (Giambattista Vico Ibidem,
Conclusione) La storia umana in quanto opera creatrice dell'uomo gli appartiene
per la conoscenza e per la guida degli eventi storici ma nel medesimo tempo lo
stesso uomo è guidato dalla Provvidenza che prepone alla storia divina. I
corsi storici Secondo Vico il metodo storico dovrà procedere attraverso
l'analisi delle lingue dei popoli antichi «poiché i parlari volgari debono
essere i testimoni più gravi degli antichi costumi de' popoli che si
celebrarono nel tempo ch'essi si formarono le lingue», e quindi tramite lo
studio del diritto, che è alla base dello sviluppo storico delle nazioni
civili. Questo metodo ha fatto identificare nella storia una legge
fondamentale del suo sviluppo che avviene evolvendosi in tre età: l'età
degli dei, «nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto divini
governi, e ogni cosa esser loro comandata con gli auspici e gli oracoli»; l'età
degli eroi dove si costituiscono repubbliche aristocratiche; l'età degli uomini
«nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura umana». I bestioni La
storia umana, secondo Vico, inizia con il diluvio universale, quando gli
uomini, giganti simili a primitivi "bestioni", vivevano vagando nelle
foreste in uno stato di completa anarchia. Questa condizione bestiale era
conseguenza del peccato originale, attenuata dall'intervento benevolo della
Provvidenza divina che immise, attraverso la paura dei fulmini, il timore degli
dei nelle genti che «scosse e destate da un terribile spavento d'una da essi
stessi finta e creduta divinità del cielo e di Giove, finalmente se ne
ristarono alquanti e si nascosero in certi luoghi; ove fermi con certe donne,
per lo timore dell'appresa divinità, al coverto, con congiungimenti carnali
religiosi e pudichi, celebrarono i matrimoni e fecero certi figlioli, e così
fondarono le famiglie. E con lo star quivi fermi lunga stagione e con le
sepolture degli antenati, si ritrovarono aver ivi fondati e divisi i primi
domini della terra» La civiltà L'uscita dallo stato di ferinità quindi
avviene: per la nascita della religione, nata dalla paura e sulla base
della quale vengono elaborate le prime leggi del vivere ordinato, per
l'istituzione delle nozze che danno stabilità al vivere umano con la formazione
della famiglia e per l'uso della sepoltura dei morti, segno della fede
nell'immortalità dell'anima che distingue l'uomo dalle bestie. Della prima età
sostiene di non poter scrivere molto poiché mancano documenti su cui basarsi:
infatti quei bestioni non conoscevano la scrittura e, poiché erano muti, si
esprimevano a segni o con suoni disarticolati. L'età degl’eroi ha inizio
dall'accomunarsi di genti che trovavano così reciproco aiuto e sostegno per la
sopravvivenza. Sorsero la città guidata dalle prime organizzazioni politiche
dei signori, gl’eroi che con la forza e in nome della ragion di stato,
conosciuta solo da loro, comandano su i servi che, quando rivendicano i propri
diritti, si ritrovarono contro i signori che, organizzati in ordini nobiliari,
danno vita allo stato aristo-cratico che caratterizza il secondo periodo della
storia umana. In questa seconda, dove predomina la fantasia, nasce il
linguaggio dai caratteri mitici e poetici. Infine la conquista dei diritti
civili da parte dei servi dà luogo alla età degl’uomini e alla formazione del stato
popolari (res pubblica) basato sul diritto umano dettato dalla ragione umana
tutta spiegata. Sorge quindi uno stato non necessariamente demo-cratico ma che
puo essere pure monarchico poiché l'essenziale è che rispetta la ragione
naturale, che eguaglia tutti. La legge delle tre età costituisce la storia
ideale eterna sopra la quale corrono in tempo le storie di nostra nazione. Il popolo
conforma il suo corso storico a questa legge che non è solo delle genti ma
anche di ogni singolo uomo che necessariamente si sviluppa passando dal
primitivo senso nell'infanzia, alla fantasia nella fanciullezza, e infine alla
ragione nell'età adulta. Gl’uomini prima sentono senza avvertire. Dappoi
avvertiscono con animo perturbato e commosso. Finalmente riflettono con mente
pura. Se nella storia pur tra le violenze, i disordini, appare un ordine e un
progressivo sviluppo ciò è dovuto all'azione della Provvidenza che immette
nell'agire dell'uomo un principio di verità che si presenta in modo diverso
nelle tre età. Nella prima età degl’eroi, il vero si presenta come certo gli
uomini che non sanno il vero delle cose procurano d'attenersi al certo, perché
non potendo soddisfare l'intelletto con la scienza, almeno la volontà riposi
sulla coscienza. Questa certezza non viene all'uomo attraverso una verità
rivelata ma da una constatazione di senso comune, condivisa da tutti, per cui
vi è un giudizio senz'alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un
ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione o da tutto il genere umano. Vi
è poi, nella seconda età della storia e dell'uomo, caratterizzata dalla
fantasia, un sapere tutto particolare che Vico definisce poetico. In questa età
nasce infatti il linguaggio non ancora razionale ma molto vicino alla poesia
che alle cose insensate dà senso e passione, ed è proprietà dei fanciulli di
prender cose inanimate tra le mani e, trastullandosi, favellarvi, come se
fussero, quelle, persone vive. Questa degnità filologica-filosofica ne appruova
che gli uomini del mondo fanciullo, per natura, furono sublimi poeti. Se
vogliamo quindi conoscere la storia del antico popoli romano dobbiamo rifarci
ai miti che hanno espresso nella loro cultura. Il mito infatti non è solo una
favola e neppure una verità presentata sotto le spoglie della fantasia ma è una
verità di per sé elaborata dagli antichi che, incapaci di esprimersi
razionalmente, si servano di universali fantastici che, sotto spoglie poetiche,
presentano modelli ideali universali. I antichi romani non definano zionalmente
la prudenza ma raccontarono di Enea, modello universale fantastico dell'uomo
prudente. Vico si dedica poi a definire la poesia che innanzitutto è
autonoma come forma espressiva differente dal linguaggio tradizionale. I tropi
della poesia come la metafora, la metonimia, la sineddoche ecc. sono stati
erroneamente ritenuti strumenti estetici di abbellimento del linguaggio
razionale di base. Invece, la poesia è una forma espressiva naturale e
originaria i cui tropi sono necessari modi di spiegarsi della nazione romana poetica.
La poesia ha una funzione rivelativa, custodisce le prime immaginate verità dei
primi uomini. La lingua romana non ha quindi un'origine convenzionale. Questo
presupporrebbe un uso tecnico. Ma la lingua romana sorge invece spontaneamente
come poesia. Poiché il linguaggio e i miti costituiscono la cultura originaria
e spontanea di tutto il popolo romano, arriva alla discoverta dell’epica, l'espressione
del patrimonio culturale comune di tutto il popolo romano. È comunque da
respingere la interpretazione platonica dell’epica come filosofia, -- l’epica e
fornita di una sublime sapienza riposte. Farsi intendere da volgo fiero e
selvaggio non è certamente opera d'ingegno addomesticato ed incivilito da
alcuna filosofia. Né da un animo da alcuna filosofia umanato ed impietosito
potrebbe nascer quella truculenza e fierezza di stile, con cui descrive tante,
sì varie e sanguinose battaglie, tante sì diverse e tutte in istravaganti guise
crudelissima spezie d'ammazzamenti, che particolarmente fanno tutta la
sublimità dell'epica romana. La sapienza antica ha per contenuto princìpi di
giustizia e ordine necessari per la formazione di popoli civili. Questi
contenuti si esprimono in modi diversi a seconda che siano formati dal senso o
dalla fantasia o dalla ragione. Questo vuol dire che la sapienza, la verità, si
manfesta in forme diverse storicamente ma che essa come verità eterna è al di
sopra della storia che di volta in volta la incarna. La verità della storia è
una verità metafisica nella storia. Nella storia si attua la mediazione tra l'agire
umano e quello divino: nel fare umano si manifesta il vero divino e il
vero umano si realizza tramite il fare divino: la provvidenza, legge
trascendente della storia, che opera attraverso e nonostante il libero arbitrio
dell'uomo. Questo non comporta una concezione necessitata del corso della
storia poiché è vero che la Provvidenza si serve degli strumenti umani, anche i
più rozzi e primitivi, per produrre un ordine ma tuttavia questo rimane nelle
mani dell'uomo, affidato alla sua libertà. La storia quindi non è determinata
come sostengono gli stoici e gli epicurei che niegano la provvedenza, quelli
facendosi strascinare dal fato, questi abbandonandosi al caso», ma si sviluppa
tenendo conto della libera volontà degli uomini che, come dimostrano i ricorsi,
possono anche farla regredire. Gli uomini prima sentono il necessario; dipoi
badano all'utile; appresso avvertiscono il comodo; più innanzi si dilettano nel
piacere; quindi si dissolvono nel lusso; e finalmente impazzano in istrapazzar
di sostanze. Scienza Nuova, Degnità. A questa dissoluzione delle nazioni pone
rimedio l'intervento della Provvidenza che talora non può impedire la
regressione nella barbarie, da cui si genererà un nuovo corso storico che
ripercorrerà, a un livello superiore, poiché dell'epoca passata è rimasta una
sia pur minima eredità, la strada precedente.Paradossalmente la criticità del
progresso storico appare proprio con l'età della ragione, quando cioè questa
invece dovrebbe assicurare e mantenere l'ordine civile. Accade infatti che la
tutela della Provvidenza che si è imposta agli uomini nei precedenti due stadi,
ora invece deve ricercare il consenso della «ragione tutta spiegata che si
sostituisce alla religione: Così ordenando la provvedenza: che non avendosi
appresso a fare più per sensi di religione (come si erano fatte innanzi) le
azioni virtuose, facesse la filosofia le virtù nella lor idea. La ragione
infatti, pur con la filosofia, custode della legge ideale del vivere civile,
con il suo libero giudizio, può tuttavia incorrere nell'errore o nello
scetticismo per cui «si diedero gli stolti dotti a calunniare la verità».
La ragione non crea la verità, poiché non può fare a meno dal senso e dalla
fantasia senza le quali appare astratta e vuota. Il fine della storia infatti
non è affidato alla sola ragione ma alla sintesi armonica di senso, fantasia e
razionalità. La ragione poi è ispirata dalla verità divina per cui la storia è
sì opera dell'uomo, ma la mente umana da sola non basta poiché occorre la
Provvidenza che indichi la verità. La filosofia è succeduta alla religione ma
non l'ha sostituita anzi essa deve custodirla: «Da tutto ciò che si è in
quest'opera ragionato, è da finalmente conchiudersi che questa Scienza porta
indivisibilmente seco lo studio della pietà, e che, se non siesi pio, non si
può daddovero esser saggio» (Giambattista Vico Scienza Nuova,
Conclusione) Il giudizio della filosofia posteriore «Predicavano la ragione
individuale, ed egli le opponeva la tradizione, la voce del genere umano. Gli
uomini popolari, i progressisti di quel tempo, sono Capua, Cornelio, Doria,
Calopreso, che stano con le idee nuove, con lo spirito del secolo. Lui era un
retrivo, con tanto di coda, come si direbbe oggi. La coltura europea e la
coltura italiana s'incontravano per la prima volta, l'una maestra, l'altra
ancella. Resiste. Era vanità di pedante? Era fierezza di grande uomo? Resiste a
Cartesio, a Malebranche, a Pascal, i cui Pensieri sono lumi sparsi, a Grozio, a
Puffendorfio, a Locke, il cui saggio era la metafisica del senso. Resiste, ma
li studia più che facessero i novatori. Resisteva come chi sente la sua forza e
non si lascia sopraffare. Accettava i problemi, combattea le soluzioni, e le
cercava per le vie sue, co' suoi metodi e coi suoi studi. Era la resistenza
della coltura italiana, che non si lasciava assorbire, e stava chiusa nel suo
passato, ma resistenza del genio, che cercando nel passato trovava il mondo
moderno. Era il retrivo che guardando indietro e andando per la sua via, si
trova da ultimo in prima fila, innanzi a tutti quelli che lo precedevano.
Questa era la resistenza del Vico. Era un moderno e si sentiva e si credeva
antico, e resistendo allo spirito nuovo, riceveva quello entro di sé.»
(Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Morano, Napoli)
Fintanto che fu in vita la portata e la ricezione critica del suo pensiero
furono circoscritte quasi unicamente agli ambienti intellettuali della propria
città, trovando poi un ben più vasto seguito soltanto a quasi due secoli dalla
sua stessa morte, tra la seconda metà dell'Ottocento e il Novecento.
Affermatasi la fama del pensiero vichiano, esso fu conteso dalle più disparate
correnti filosofiche: dal pensiero cristiano (nonostante l'iniziale rifiuto),
dagli idealisti (dai quali fu proclamato precursore dell'immanentismo
hegeliano), dai positivisti e persino da diversi marxisti. Vico è ben più di un
semplice filosofo tanto che in certi momenti della sua travagliatissima fama fu
apprezzato prevalentemente per la sua filosofia del diritto, così come in altri
momenti fu celebrato precursore della sociologia, della psicologia dei popoli,
o come campione fra i maggiori della filosofia della storia, mentre veniva
ignorata la sua pur genialissima metafisica, che è ad un tempo il punto
d'arrivo e il presupposto logico di tutte le ricerche da lui condotte nei più
vari campi dell'operare umano». Il pensiero vichiano, le cui prime fonti
s'ispirano alla tradizione filosofica del Seicento che permeava l'ambiente
partenopeo della sua epoca, rappresenta un ponte fra la cultura secentesca e
quella settecentesca. Nonostante il Vico non sia caratterizzato dall'audacia
innovatrice illuminista, il suo pensiero raggiunse – come nota Abbagnano –
«alcuni risultati fondamentali» che lo connettono a pieno titolo al Settecento.
Tuttavia, non può tacersi il carattere conservatore della sua filosofia
politico-religiosa, generato dal turbamento di chi, «assistendo alla fine di un
mondo famigliare, non sa scoprire i segni del sorgere di un nuovo. Ciò è
dimostrato dalla giustapposizione del certo (ossia il peso dell'autorità della
tradizione) al vero (ossia lo sforzo innovatore della ragione) che è il segno
di una ricerca di equilibrio estranea al pensiero illuministico. A tali
conclusioni il pensiero vichiano fu condotto dalla limitatezza della sua
gnoseologia e dalla polemica contro il cartesianesimo, il quale professava, al
contrario, l'eliminazione di ogni limite gnoseologico. Opere: “Sei Orazioni
Inaugurali”: “De nostri temporis studiorum ratione”: “Orazione Inaugurale” “De
antiquissima Italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda;
“Proemium”; “Liber metaphysicus”; “Risposte al giornale dei letterati Prima
risposta”; “Seconda risposta”; “Institutiones oratoriae”; “De universis Juris”;
“De universis juris uno principio et fine uno liber unus - include “De opera
proloquium”; “De constantia jurisprudentis liber alter”; “ Notae in duos
libros, alterum De uno universi juris principio et fine uno, alterum De
constantia jurisprudentis”; “Scienza nuova prima”; “Vici vindiciae”; “Vita di
Giambattista Vico scritta da se medesimo, (l'«Autobiografia» («Supplemento»)
Scienza nuova seconda, De mente heroic, Scienza nuova terza. Edizioni: Scritti
storici, Giambattista Vico, Scienza nuova, Scrittori d'Italia, Bari,
Laterza,Giambattista Vico, Scienza nuova seconda. 1, Scrittori d'Italia, Bari,
Laterza, Giambattista Vico, Scienza nuova seconda. Scrittori d'Italia, Bari,
Laterza, Giambattista Vico, Opere a cura di Fausto Nicolini, Laterza, Bari,
Orazioni inaugurali, De studiorum rationum, De antiquissima Italorum sapientia,
Risposte al giornale dei letterati; IDiritto universale, Scienza nuova; Scienza
nuova, Autobiografia, Carteggio, Poesie varie; Scritti storici; Scritti vari e
pagine disperse; Poesie, Institutiones oratoriae. Giambattista Vico, Opere
filosofiche a cura di Paolo Cristofolini, Firenze, Sansoni. Giambattista Vico,
Opere giuridiche a cura di Paolo Cristofolini, Firenze, Sansoni. Giambattista
Vico, Institutiones oratoriae, testo critico, versione e commento a cura di
Giuliano Crifò, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa. Bibliografia critica Il
pensiero vichiano rimase quasi del tutto ignorato dalla cultura europea del
XVIII secolo con una diffusione limitata nell'Italia meridionale. Ancora in età
romantica Vico era poco conosciuto anche se filosofi tedeschi come Johann
Gottfried Herder, chiamato il Vico tedesco, e Hegel presentano delle
somiglianze con la dottrina vichiana per quanto riguarda il ruolo della storia
nello sviluppo della filosofia. La filosofia di Vico comincia ad essere
conosciuta e apprezzata nel clima del romanticismo francese e italiano:
François-René de Chateaubriand e Joseph de Maistre ma, soprattutto Jules
Michelet, Principes de la philosophie de l'histoire, Parigi diffonde il
pensiero di Vico di cui apprezza la concezione della storia come sintesi di
umano e divino. Nella prima metà dell'Ottocento, Auguste Comte e Karl
Marx stimarono la filosofia della storia di Vico ma furono i filosofi italiani,
come Antonio Rosmini, e soprattutto Vincenzo Gioberti, che videro in lui un
maestro. N. Tommaseo, Vico e il suo secolo, rist. Torino 1930, mette in
evidenza la grande affinità del pensiero vichiano con quello di Gioberti.
Agostino Maria de Carlo, "Istituzione Filosofica secondo i Princìpj di
Giambattista Vico ad uso della gioventù studiosa" - Napoli - Tip. Cirillo
- Nuove interpretazioni basate sul principio vichiano del verum ipsum factum
considerano Vico un anticipatore del positivismo Giuseppe Ferrari, Il
genio di Vico, rist.Carabba, Lanciano Cattaneo, Sulla 'Scienza
Nuova' di Vico, Milano C. Cantoni, Vico, Torino); Siciliani, Sul rinnovamento
della filosofia positiva in Italia, Civelli Firenze. Recentemente, viene
rivalutato il legame stringente fra il filosofo e l'Illuminismo: A.
Donati, Giambattista Vico. Filosofo dell'Illuminismo, Aracne. Una spinta
decisiva all'apprezzamento e alla diffusione del pensiero vichiano come
anticipatore di Kant e dell'idealismo, si ebbe in Italia a cominciare dagli
studi di Bertrando Spaventa e De Sanctis iniziatori di quella corrente
dottrinale interpretativa che si ritrova soprattutto in Croce e G.
Gentile, Studi vichiani, Messina, rist. Sansoni Firenze che ne mette in luce le
ascendenze neoplatoniche e rinascimentali rifiutandone nel contempo
l'interpretazione positivista e interpretandone il verum ipsum factum in senso
idealistico. Una forzatura questa, secondo alcuni critici, ripresa da
Croce, La filosofia di Vico, Laterza, Bari che ebbe soprattutto il merito di
aver intuito in Vico una definizione dell'arte come attività autonoma dello
spirito e della visione storicistica dello sviluppo dello spirito da cui Croce
elimina ogni riferimento alla trascendenza della Provvidenza vichiana.
Un'accurata ricerca storica su Vico fu operata dal crociano F. Nicolini,
La giovinezza di Vico, Laterza, Bari, Fausto Nicolini, La religiosità di Vico,
Laterza, Bari, Fausto Nicolini, Commento storico alla seconda 'Scienza Nuova',
Roma, Fausto Nicolini, Saggi vichiani, Giannini, Napoli, Fausto
Nicolini, Giambattista Vico nella vita domestica. La moglie, i figli, la casa,
Editore Osanna Venosa, Contrari all'interpretazione immanentistica della
Provvidenza vichiana sono gli studi di autori cattolici che ne mettono invece
in risalto la trascendenza: E. Chiocchietti, La filosofia di Vico, Vita e
Pensiero, Milano, F. Amerio, Introduzione allo studio di Vico, SEI, Torino, L.
Bellafiore, La dottrina della Provvidenza in Vico, Milani, Bologna, A. Mano, Lo
storicismo di Vico, Napoli, F. Lanza, Saggi di poetica vichiana, Magenta,
Varese, Il dibattito tra le interpretazioni laiche e cattoliche su Vico si è
attenuato in periodi recenti dove lo studio del pensiero vichiano si è dedicato
a particolari aspetti della sua dottrina: G. Fassò, I «quattro auttori»
del Vico. Saggio sulla genesi della Scienza nuova, Milano, Giuffrè, non
esistente. G. Fassò, Vico e Grozio, Napoli, Guida, Maura Del Serra, Eredità e
kenosi tematica della "confessio" cristiana negli scritti
autobiografici di Vico, in Sapientia, sulla concezione della storia ad opera
della quale avviene la conciliazione tra immanenza e trascendenza del pensiero
vichiano: A. R. Caponigri, Tempo e idea, Pàtron, Bologna, sulla estetica
vichiana gli studi più notevoli sono quelli di G. A. Bianca, Il concetto di
poesia in G. B.Vico, D'Anna, Messina, G. Prestipino, "La teoria del mito e
la modernità di Vico", Annali della facoltà di Palermo, sugli aspetti
giuridici e sociologici:Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in Vico e
Malebranche, Firenze, B. Donati, Nuovi studi sulla filosofia civile (Firenze); L.
Bellafiore, Il diritto naturale (Milano); D. Pasini, Diritto, società e stato
in Vico, Jovene, Napoli, V. Giannantonio, "Oltre Vico - L'identità del
passato a Napoli e Milano (Carabba, Lanciano); G. Leone, [rec. al vol. di] V.
Giannantonio, "Oltre Vico - L'identità del passato a Napoli e Milano” (Carabba.
Lanciano, in Misure Critiche, La Fenice Casa Editrice, Salerno, e in
"Forum Italicum", Wehle, Winfried: Sulle vette di una ragione
abissale: Giovambattista Vico e l'epopea di una 'Scienza Nuova'. In:
Battistini, Andrea; Guaragnella, Pasquale (ed.): Giambattista Vico e
l'enciclopedia dei saperi. - Lecce: Pensa multimedia (Mneme). B. Croce, La filosofia
di Vico, Bari, Laterza,Maria Consiglia, Napoli, Editoria clandestina e censura
ecclesiastica a Napoli all'inizio del Settecento, in Anna Maria Rao (a cura
di), Editoria e cultura a Napoli, Napoli: Liguori, Francesco Adorno, Tullio
Gregory, Valerio Verra, Storia della filosofia, vol. Editori Laterza,
Giambattista Vico, La scienza nuova (a cura di P. Rossi), Biblioteca Universale
Rizzoli, Giambattista Vico, Giuseppe Ferrari, La scienza nuova (a cura di Paolo
Rossi), Soc. Tip. de' Classici Italiani, B.Cioffi ed altri, I filosofi e le
idee, B. Mondadori, D. Armando, M. Sanna, Il Contributo italiano alla storia
del Pensiero – Politica, Enciclopedia Italiana Treccani Francesco
Adorno, Tullio Gregory, Valerio Verra, Storia della filosofia, Editori
Laterza); Guido Fassò, Storia della filosofia del diritto. II: L'età moderna,
Editori Laterza, Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Gruppo Editoriale
L'Espresso, Vico, La scienza nuova (Biblioteca Universale Rizzoli);
Vico, Principj di scienza nuova, di Giambattista Vico: d'intorno alla comune
natura delle nazioni, Volume 1, Francesco d'Amico, Fausto Nicolini,
Giambattista Vico nella vita domestica. La moglie, i figli, la casa, Editore
Osanna Venosa, Giambattista vico, Autobiografia, ed. Nicolini (Bompiani), Milano,
Vico, La scienza nuova (a cura di Paolo Rossi), Biblioteca Universale Rizzoli,
Ugo Grozio, Prolegomeni al diritto della guerra e della pace (a cura di Guido
Fassò), cMorano Editore, Giambattista Vico, La scienza nuova, Biblioteca
Universale Rizzoli); G. Liccardo, Storia irriverente di eroi, santi e tiranni
di Napoli. Vico che si era rivolto inutilmente per sovvenzionare la
stampa dell'opera prima al cardinale Orsini, poi a Papa Clemente XII, fu
costretto a vendere un anello per farla pubblicare. Vico scrisse in seguito
che, in fondo, l'accaduto era stato un bene poiché lo aveva spinto a riscrivere
l'opera in maniera più completa. (Cfr. M.Fubini, G.B.Vico. Autobiografia,
Torino Einaudi) M.Fubini, G.B.Vico. Autobiografia, Torino Einaudi La
prima redazione dell'opera, andata perduta, aveva il titolo di Scienza nuova in
forma negativa L'Autobiografia fu pubblicata postuma ampliata con una modifica di
Vico. Rivista di studi crociani, a cura della "Società
napoletana di storia patria", 1969. La fondazione
"Giambattista Vico", voluta da Gerardo Marotta, presidente
dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, con sede nella Chiesa di San
Biagio Maggiore di Napoli, si occupa della promozione del pensiero vichiano e
della gestione di alcuni siti vichiani come il castello Vargas di Vatolla
(Salerno) e la Chiesa di San Gennaro all'Olmo in
Napoli. Giambattista Vico, Principi di una scienza nuova d'intorno
alla comune natura delle nazioni, a cura di Giuseppe Ferrari, Società
tipografica de' Classici italiani, Milano. Silvestro Candela, L'unità e la
religiosità del pensiero di Giambattista Vico, Cenacolo Serafico, Inesatto è
altresì che il Vico terminasse di vivere a più di settantasei anni: per
contrario, mancò ai vivi nella notte e a settantacinque anni e sette mesi
precisi, in La Letteratura italiana: Storia e testi, Giambattista Vico,
Ricciardi. La storia di Vico, su napolitoday. Secondo notizie di stampa diffuse
resti della salma di Vico sarebbero stati recuperati nei sotterranei della
chiesa napoletana. (Vedi: Corriere del Giorno: Ritrovata la salma di
Giambattista Vico? I ricercatori vanno cauti Archiviato in Internet Archive.)
La notizia è stata comunque commentata con prudenza dagli esperti. La
scienza nuova, Biblioteca Universale Rizzoli. F. Nicolini, La giovinezza di
Vico: saggio biografico, Società editrice Il Mulino, Croce, Nuovi saggi sul
Seicento. Per una silloge di «pensieri» del Malvezzi, Politici e moralisti del
Seicento, ediz. Croce-Caramella, Bari, Laterza, 1930. Vico nel
perduto De equilibrio corporis animantis esponeva una concezione secondo cui
«...riponevo la natura delle cose nel moto per il quale, come se fossero
sottoposte alla forza di un cuneo, tutte le cose vengono spinte verso il centro
del loro stesso moto e, invece, sotto l'azione di una forza contraria, vengono
respinte verso l'esterno; e sostenni anche che tutte le cose vivono e muoiono
in virtù di sistole e diastole». Secondo un'ipotesi di Benedetto Croce e Fausto
Nicolini l'opera era stata concepita come appendice al Liber physicus e fu
donata in forma manoscritta al suo grande amico, il giurista Domenico Aulisio.
La trattazione di quella teoria di ispirazione cartesiana e presocratica venne
poi inserita più ampiamente nella Vita. Stefania De Toma, Ecco l'origine
delle scienze umane: aspetti retorici di una contesa intorno al De antiquissima
italorum sapienti, Bollettino del Centro di studi vichiani (Roma: Edizioni di
storia e letteratura). Opere, Sansoni, Firenze -- è considerato da
alcuni interpreti della sua filosofia come il primo costruttivista. Infatti
Vico sostiene che l'uomo può conoscere solo ciò che può costruire, aggiungendo
poi che in effetti solo Dio conosce veramente il mondo, avendolo creato lui
stesso. Il mondo quindi è esperienza vissuta e al suo riguardo non vale per gli
uomini alcuna pretesa di verità ontologica. (In Paul Watzlawick, La realtà
inventata, Milano, Feltrinelli) Per Vico la filologia non è solo la
scienza del linguaggio ma anche storia, usi e costumi, religioni...ecc. dei popoli
antichi. L'età degli dei nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto
divini governi, e ogni cosa esser loro comandata con gli auspici e gli oracoli,
che sono le più vecchie cose della storia profana: l'età degli eroi, nella
quale dappertutto essi regnarono in repubbliche aristocratiche, per una certa
da essi rifiutata differenza di superior natura a quella de' lor plebei; e
finalmente l'età degli uomini, nella quale tutti si riconobbero esser uguali in
natura umana, e perciò vi celebrarono prima le repubbliche popolari e
finalmente le monarchie, le quali entrambe sono forma di governi umane»
(G.Vico, Scienza Nuova, Idea dell'Opera) G.Vico,Scienza Nuova, Idea
dell'Opera Ibidem La ragion di stato «non è naturalmente
conosciuta da ogni uomo ma da pochi pratici di governo»
(Ibidem) Ibidem Degnità XXXVII. Sull'immaginazione nei primitivi
secondo la filosofia vichiana si veda: Paolo Fabiani, La filosofia
dell'immaginazione in Vico e Malebranche, La rivendicazione dell'assoluta autonomia
dell'arte e della poesia nei confronti delle altre attività spirituali fu uno
dei meriti che Benedetto Croce riconobbe al pensiero vichiano. Vico critica
tutt'insieme le tre dottrine della poesia come esortatrice e mediatrice di
verità intellettuali, come cosa di mero diletto, e come esercitazione ingegnosa
di cui si possa senza far danno fare a meno. La poesia non è sapienza riposta,
non presuppone logica intellettuale, non contiene filosofemi: i filosofi che
ritrovano queste cose nella poesia, ve le hanno introdotte essi stessi senza
avvedersene. La poesia non è nata per capriccio, ma per necessità di natura. La
poesia tanto poco è superflua ed eliminabile, che senza di essa non sorge il
pensiero: è la prima operazione della mente umana» (Benedetto Croce, La
filosofia di Giambattista Vico) [qual era quello dei tempi
d'Omero] G.Vico, Scienza Nuova, Conclusione Nel senso di
pietas, sentimento religioso. Giambattista Vico, La scienza nuova
(Biblioteca Universale Rizzoli). Croce Nicolini Storicismo Filosofia della
storia Filologia. su Treccani – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.Giambattista Vico, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Giambattista Vico, su sapere, De Agostini.Giambattista Vico, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Andrea Battistini,
Giambattista Vico, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Alexander Bertland, La Scienza nuova su letteratura
italiana Opere*, su bibliotecaitaliana integrali in più volumi dalla collana
digitalizzata "Scrittori d'Italia" Laterza Paolo Fabiani, La
filosofia dell'immaginazione in Vico, su academia.edu., Firenze, G. Pellegrino,
'La concezione della storia di Vico, su centro studi la runa it. Centro di
Studi Vichiani, su Consiglio nazionale delle ricerche. Fondazione Giambattista
Vico, su Fondazione gbvico org. Portale Vico, su giambattistavico. u treccani.,
in Il contributo italiano alla storia del Pensiero, Filosofia, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Vico, Principj di una scienza nuova di Vico:
d'intorno alla comune natura delle nazioni, Tip. di A. Parenti. Italian philosopher. Grice: “The Italians revere him
so much that his emblem is on one of their stamps!”“It would be as having Ryle
on one of ours!” vico: He is so beloved by the Italians
“that they made a stamp of him.”Grice. cited by H. P. Grice, “Vico and the
origin of language.” Philosopher who founded modern philosophy of history, philosophy
of culture, and philosophy of mythology. He was born and lived all his life in
or near Naples, where he taught eloquence. The Inquisition was a force in
Naples throughout Vico’s lifetime. A turning point in his career was his loss
of the concourse for a chair of civil law. Although a disappointment and an
injustice, it enabled him to produce his major philosophical work. He was
appointed royal historiographer by Charles of Bourbon. Vico’s major work is “La
scienza nuova” completely revised in a second, definitive version.
He published three connected works on jurisprudence, under the title Universal
Law; one contains a sketch of his conception of a “new science” of the
historical life of nations. Vico’s principal works preceding this are On the Study
Methods of Our Time, comparing the ancients with the moderns regarding human
education, and On the Most Ancient Wisdom of the Italians, attacking the
Cartesian conception of metaphysics. His Autobiography inaugurates the
conception of modern intellectual autobiography. Basic to Vico’s philosophy is
his principle that “the true is the made” “verum ipsum factum”, that what is
true is convertible with what is made. This principle is central in his
conception of “science” scientia, scienza. A science is possible only for those
subjects in which such a conversion is possible. There can be a science of
mathematics, since mathematical truths are such because we make them.
Analogously, there can be a science of the civil world of the historical life
of nations. Since we make the things of the civil world, it is possible for us
to have a science of them. As the makers of our own world, like God as the
maker who makes by knowing and knows by making, we can have knowledge per
caussas through causes, from within. In the natural sciences we can have only
conscientia a kind of “consciousness”, not scientia, because things in nature
are not made by the knower. Vico’s “new science” is a science of the principles
whereby “men make history”; it is also a demonstration of “what providence has
wrought in history.” All nations rise and fall in cycles within history corsi e
ricorsi in a pattern governed by providence. The world of nations or, in the
Augustinian phrase Vico uses, “the great city of the human race,” exhibits a pattern
of three ages of “ideal eternal history” storia ideale eterna. Every nation
passes through an age of gods when people think in terms of gods, an age of
heroes when all virtues and institutions are formed through the personalities
of heroes, and an age of humans when all sense of the divine is lost, life
becomes luxurious and false, and thought becomes abstract and ineffective; then
the cycle must begin again. In the first two ages all life and thought are
governed by the primordial power of “imagination” fantasia and the world is
ordered through the power of humans to form experience in terms of “imaginative
universals” universali fantastici. These two ages are governed by “poetic
wisdom” sapienza poetica. At the basis of Vico’s conception of history, society,
and knowledge is a conception of mythical thought as the origin of the human
world. Fantasia is the original power of the human mind through which the true
and the made are converted to create the myths and gods that are at the basis
of any cycle of history. Michelet was the primary supporter of Vico’s ideas in
the nineteenth century; he made them the basis of his own philosophy of
history. Coleridge is the principal disseminator of Vico’s views in England.
James Joyce used the New Science as a substructure for Finnegans Wake, making
plays on Vico’s name, beginning with one in Latin in the first sentence: “by a
commodius vicus of recirculation.” Croce revives Vico’s philosophical thought,
wishing to conceive Vico as the Hegel. Vico’s ideas have been the
subject of analysis by such prominent philosophical thinkers as Horkheimer and
Berlin, by anthropologists such as Edmund Leach, and by literary critics such
as René Wellek and Herbert Read. Refs.: S. N. Hampshire, “Vico,” in The New
Yorker. Luigi Speranza, “Vico alla Villa Grice.” H. P. Grice, “Vico and
language.” M. Danesi, Metaphor,
and the Origin of Language. Serious
scholars of Vico as well as glotto-geneticists will find much of value in this
excellent monograph. Vico Studies. A provocative, well-researched argument
which might find re-application in philosophy. Theological Book Review. Danesi
returns to Vico to create a persuasive, original account of the evolution and
development of the Italian language, one of the deep mysteries of Italians. Vico’s
reconstruction of the origin of language is described and evaluated in light of
Grice’s philosophical conversational pragmatics. Keywords: glotto-genesi, la
ricostruzione di Vico, The New Science Basic Notions. Language and the
Imagination: Vico’s Glottogenetic Scenario; Vico’s Approach; Reconstructing the
Primal Scene; After the Primal Scence; the dawn of communication: iconicita e mimesi,
hypotheses The Nature of Iconicity. Imagery, Iconicita e gesto. Iconic
Representation. Osmosis Hypothesis Ontogenesis From Percept al concetto. The
Metaphoricity Metaphor metafora; Metaphor and Concept-Formation Mentation,
Narrativity, e mito; the socio-biological-Computationist Viewpoint:A Vichian
Critique; The Vichian Scenario Revisited; Revisting the Genetic Perspective; computationism. Refs.: Luigi Speranza, “Vico e Grice,” Villa
Grice. #vico https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4421435234535104 #griceevico https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702533283/in/photolist-2mLLZRD-2mLM2Rf-2mLPa8B-2mLMbqp-2mLGod1-2mLM2RA-2mLM2Qy-2mLP36W-2mLKxtd-2mLKxqY-2mLLZPz-2mLP1aS-2mLP1am-2mLFu9X-2mLM2RF-2mLP37h-2mLQ7Zx-2mLLZPp-2mLQ5Z5-2mLFscR-2mLFuaU-2mLFucc-2mLKzoL-2mLKxsG-2mLQ81p-2mLP3bL-2mLP1cL-2mLP1dN-2mLM2Yz-2mLKzpc-2mLQ66x-2mLKxvh-2mLLZV6-2mLFugF-2mLQ895-2mLP3fU-2mLP3ad-2mLKzrS-2mLKzqE-2mLLZY7-2mLFucN-2mLQ86K-2mLP1eK-2mLQ61H-2mLLZUj-2mLLZZE-2mLKxwp-2mLFsi2-2mLFuiV-2mLP3eM
Grice
e Vieri – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze) Essential Italian philosopher.
Filosofo. Di famiglia nobile. Insegna a Pisa. Platonico molto attivo. E
contestato dai colleghi per il suo vagheggiare un nuovo circolo dei platonici
improntato su Pico. Suo principale avversario e Borri. Saggi: “Liber in
quo a calumnijs detractorum philosophia defenditur, & eius praestantia
demonstrator” (Roma). Crusca. Vieri. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers,
Bancroft; Luigi Speranza, “Grice e Vieri: la dialettica fiorentina”, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #vieri https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4597595683585724 #griceevieri https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702935444/in/photolist-2mLP4p2-2mLKAG2-2mLQ9gL-2mLQ9fU-2mLP4ps-2mLFvoA-2mLP4oW-2mLFvoF-2mKQL9s
Grice e Vigna – la regola d’oro conversazionale –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Rosolini). Essential Italian
philosopher Filosofo. Studia Filosofia a Milano, legandosi in special modo
all'insegnamento di Bontadini e Severino. Con Severino si laurea, discutendo la
tesi, ‘La logica dell'astratto – generale -- e la logica del concreto –
particolare’” -- è Professore di Filosofia a Venezia, ma ha insegnato anche a
Milano. È stato, inoltre, il presidente della Società Italiana di Filosofia
Morale. Pensiero Si è occupato di neo-idealismo Italiano e di Aristotele.
Successivamente si è concentrato in maniera speciale sull'ontologia, proponendo
una ‘semantizzazione’ di ‘essere’ capace di risolvere la aporia del
parmenidismo di Severino, che in qualche modo grava anche sulla speculazione di
Bontadini. Questa ‘semantizzazione’ permette di leggere nel ‘divenire’ (x
divenne y) non l'annullamento dell'essere (‘x e y”), ma piuttosto quello
dell'ente. La differenza fondamentale è proprio quella che passa tra l'essere
‘assoluto’ che *non* diviene e l'ente finito che comincia e cessa di essere –
cfr. Grice, relative identity in Geach and Myro. Questa impostazione ha
consentito di raffinare ulteriormente il tema della mediazione metafisica che
sfrutta e compone la posizione necessaria della totalità dell'essere con la
posizione della totalità molteplice e mutabile dell'esperienza. Insieme
alle analisi di metafisica si sono svolte quelle di etica (bio-etica). L'etica
è intesa fondamentalmente come un’annalisi del desiderio o volere, il quale, a
sua volta, è fondamentalmente desiderio di un altro desiderio (meta-desiderio),
cioè poi di un altro essere umano – il co-conversazionalista B -- che ci
desideri e ci riconosca. L'etica e così ricondotta alle dinamiche delle
relazioni inter-soggettive, che si possono descrivere secondo tre modelli
basilari. Il primo modello è il modello griceiano – ariskantiano -- quello
regolativo per l'etica. E quello in cui le soggettività si riconoscono
reciprocamente come delle soggettività, e cioè come delle persone o degli
esseri che pensano e desiderano in modo trascendentale. Il secondo modello è
quello trasgressivo. Quello in cui le soggettività confliggono e cercano di
dominare il soggetto che hanno di fronte, trattandolo come un oggetto o
istrumento -- o una cosa manipolabile a loro piacimento. Il terzo modello, che
si colloca a mezza strada fra i due precedenti, è quello che Vigna
definisce modello griceiano ‘oblativo,’ in cui mentre una delle due
soggettività riconosce l'altra e si dispone a trattare l'altra secondo la cura
e il rispetto che le convengono, l'altra soggettività non offre nessun
riconoscimento e cerca di imporsi sulla soggettività riconoscente come
soggettività dominante. Questa impostazione onto-etica si caratterizza per
il tentativo di fondare la regolatività etica del modello ariskantiano di Grice
su argomentazioni che partono dal rilievo irrefutabile della trascendentalità
della persona, la quale si trova invece contraddetta in tutte le situazioni di
rapporto inter-soggettivo riconducibili agli altri due modelli (razionalita
istrumentale, e razionalita di oppression). Le indagini di antropologia
trascendentale completano e chiudono questo percorso, ponendosi come il termine
medio che stringe e salda l'ontologia metafisica all'etica. Il concetto di
‘persona’ viene inteso alla Grice e Strawson come sinergia del concetto di
‘sostanza’ e di quello di relazione (la categoria della relazione di
Aristotele, la relati, o il ‘pros ti’. Sostanza (ousia,
sub-stantia, essential) è classicamente quello che permane e sta in
sé. La relazione, invece, è qui il rapporto intenzionale ad altro da sé. La
persona è una sinergia di sostanza e relazione perché è sia rapporto a se
stesso sia rapporto all'altro da sé, in quanto è essenzialmente una intenzionalità
trascendentale, ovverosia un orizzonte consistente di relazione all'altro da
sé, secondo il corso illimitato del desiderio che lo abita. Saggi: “La
dialettica gentiliana” in “Giornale critico della filosofia italiana”,
Religione nella filosofia di Giovanni Gentile, in “Giornale critico della
filosofia italiana”, Gentile interprete di Marx, in Enciclopedia. Il
pensiero di Gentile, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Ragione e
religione (CELUC, Milano); “Filosofia e marxismo” (CELUC, Milano); “Le origini
del marxismo teorico in Italia. Il dibattito tra Labriola, Croce, Gentile e
Sorel sui rapporti tra marxismo e filosofia (Città Nuova, Roma); “Antonio
Gramsci. Il pensiero teorico e politico. La "questione leninista"”
(Città Nuova, Roma); “Invito al pensiero di Aristotele” (Mursia, Milano),
“Sostanza e relazione: una aporetica della persona,” in L'idea di persona, V.
Melchiorre, Vita e Pensiero, Milano); “L'enigma del desiderio” (Edizioni San
Paolo, Cinisello Balsamo); “La politica e la speranza, Edizioni Lavoro, Roma);
“Il frammento e l'Intero: -- il toto e la parte -- indagini sul senso
dell'essere e sulla stabilità del sapere, Orthotes, Napoli-Salerno, Sul
trascendentale come inter-soggettività originaria, in “Le avventure del trascendentale,”
A. Rigobello, Rosenberg & Sellier, Torino); “Sulla verità e sul bene”
(Petite Plaisance, Pistoia); “Etica del desiderio come etica del
riconoscimento” (Orthotes, Napoli). Sostanza e relazione. Indagini di struttura
sull'umano che ci è comune, 2 volumi, Orthotes, Napoli-Salerno. Studi
gentiliani, Orthotes, Napoli-Salerno. Studi marxiani, Orthotes,
Napoli-Salerno. Studi aristotelici, Orthotes, Napoli-Salerno; La ragione e la
dialettica. Studi su Marx e Volpe (Marsilio, Venezia), “Teorie della felicità”
II, Francisci, Abano Terme); “La qualità dell'uomo. Filosofi e psicologi a
confronto, Franco Angeli, Milano); “Dio e la ragione, Marietti, Genova);
“L'etica e il suo altro, Franco Angeli, Milano); “Strutture del sapere
filosofico” Il Cardo, Venezia, “La libertà del bene, Vita e Pensiero, Milano,
“Essere giusti con l'altro” (Rosenberg & Sellier, Torino); Introduzione
all'etica, Vita e Pensiero, Milano, Etica trascendentale e
intersoggettività, Vita e Pensiero, Milano, “Multiculturalismo e identità” Vita
e Pensiero, Milano; “La persona e i nomi dell'essere: sritti di filosofia in
onore di V. Melchiorre, Vita e Pensiero, Milano. Libertà, giustizia e bene in
una società plurale, Vita e Pensiero, Milano. Etiche e politiche della
post-modernità, Milano, Vita e Pensiero. “Etica del plurale: giustizia,
riconoscimento, responsabilità” (Vita e Pensiero, Milano); “Affetti e legami” (Vita
e Pensiero, Milano); “La regola d'oro come etica universale (Vita e Pensiero,
Milano (curato con S. Zanardo). Bontadini e la metafisica, Vita e Pensiero,
Milano, “Metafisica e violenza” Vita e Pensiero, Milano); “Etica di frontiera.
Nuove forme del bene e del male, Vita e Pensiero, Milano); “Di un altro genere:
etica al femminile, Vita e Pensiero, Milano. Giorgio La Pira. Un san Francesco
nel Novecento, AVE, Roma. Multiculturalismo e interculturalità. L'etica in
questione, Vita e Pensiero, Milano. “La vita spettacolare. Questioni di etica,
Orthotes, Napoli; Etica dell'economia. Idee per una critica del riduzionismo
economico, Orthotes, Napoli-Salerno; Differenza di genere e differenza
sessuale. Un problema di etica di frontiera, Orthotes, Napoli-Salerno. Il
dovere dell'ospitalità, Orthotes, Napoli-Salerno. Dell'interpretazione di
Gentile offerta da Vigna discutono, fra gli altri, M. Berlanda, Gentile e
l'ipoteca kantiana. Linee di formazione del primo attualismo, Vita e Pensiero,
Milano eBettineschi, Critica della prassi assoluta. Analisi dell'idealismo
gentiliano, Orthotes, Napoli. Ora si vedano anche Studi gentiliani, Orthotes, Napoli-Salerno. Cfr.
Studi marxiani, rthotes, Napoli-Salerno. Cfr. gli scritti raccolti
in C. Vigna, Studi aristotelici, Orthotes, Napoli-Salerno. F. Saccardi,
Semantizzazione dell'essere e inferenza metempirica, inPagani, Debili postille.
Lettere a Vigna, Orthotes, Napoli, Cfr. anche L. Messinese, L'apparire del
mondo. Dialogo con Severino sulla "struttura originaria" del sapere,
Mimesis, Milano-Udine, "Vigna, invece, che pur si è formato alla scuola di
Bontadini e di Severino, non segue più i suoi maestri, perché ormai egli
ritiene che, se si accetta la “semantizzazione parmenidea” dell’essere, non si
può evitare di estendere gli attributi dell'essere assoluto agli enti, come
precisamente è avvenuto nello svolgimento del pensiero di Severino. L'errore, però,
prosegue Vigna, sta proprio in questo "aver trattato la questione
dell'essere come una questione di essenza". L'errore viene eliminato
convincendosi che la “semantizzazione” dell'essere coincide con la 'relazione’
di essenza ed esistenza': questo è il 'tratto comune' tra tutti gli
enti". Cfr. C. Vigna, Il frammento e l'Intero, Sulla
semantizzazione dell'essere. L'eredità speculativa di Bontadini, in “Bontadini
e la metafisica.” Si veda inoltre G. Solliani, “Dell'essere come essenza: per
una rivisitazione del problema a partire di Aquino, in Debili postille, Il
frammento e l'Intero, Cfr. anche Pagani, “Una rivisitazione della via del
divenire e A. Peratoner, Intorno alla conoscibilità di Dio, la ragione, la
fede, in Debili postille, Si veda poi A. Barzaghi, Percorsi di
rigorizzazione della teologia naturale nella filosofia neo-classica milanese,
in Rivista di filosofia neo-scolastica. Cfr. Vigna, Etica del desiderio umano
(in nuce), in Introduzione all'etica, Aporetica dei rapporti intersoggettivi e sua
risoluzione, in Etica trascendentale e inter-soggettività, Si veda
anche il saggio di R. Fanciullacci, “Dell'inter-soggettività e del
riconoscimento. in Debili postille, Cfr. C. Vigna, Sul trascendentale come
inter-soggettività originaria. Inoltre: G. Venuti, La cura dell’altro come
regola d'oro. Lettera aperta a Vigna, e S. Zanardo, Sul dono della differenza,
in Debili postille, Per una discussione complessiva del pensiero di Vigna si
vedano i saggi contenuti inPagani Debili postille. Lettere a Vigna, Orthotes,
Napoli. “Sostanza e relazione: una aporetica della persona.” Si può vedere
ancheBettineschi, Finità e infinità della soggettività. Lettera aperta a Vigna,
inBettineschi, “Intenzionalità e riconoscimento: scritti di etica e
antropologia trascendentale” Orthotes, Napoli. Bergamo festival: l'intuizione,
su youtube.com. Malato o persona?, su youtube.com. L'etica, su youtube.com.
Treccani. Intervista a Vigna: la filosofia morale, su youtube.com. Claudio
Tugnoli, Carmelo Vigna: il desiderio come orizzonte trascendentale, su
mondodomani.org. Venezia, su unive Bollettino della Società filosofica italiana,
Centro di Etica Generale e Applicata, su centro di etica. Centro
Inter-universitario per gli Studi sull’Etica, su venus.unive. Società Italiana
di Filosofia Morale, su sifm. Intervento su La Pira, su avvenire. Attualismo,
problematicismo, metafisica, su filosofia. La politica e il sacro, su
inschibboleth.org. Carmelo Vigna. Vigna. Keywords. Refs.: H. P. Grice Papers,
Bancroft MS. Luigi Speranza, “Grice e Vigna: la regola d’oro conversazionale” –
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #vigna https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.6936758636336072 #griceevigna
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702936944/in/photolist-2mLP4Rj-2mKPWrs
Grice e Vignoli – etologia filosofica – della legge
fondamentale dell’intelligenza nel regno animale – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Rosignano Marittimo). Essential Italian
philosopher. Filosofo. Grice: “I spent quite some time observing a species of
pirot: the squarrel – mainly I was in search of what Vignoli calls ‘la legge
fondamentale dell’intelligenza nel regno animale” – his ‘saggio,’ he says, is
in ‘psicologia comparata,’ but since it is vintage, I might well refer to is as
‘philosophical ethology’!” -- Si trasferì a Milano. Docente di antropologia
presso la Reale Accademia di Scienze e Lettere, divenne direttore del Museo di
storia naturale. I suoi scritti
apparvero su Il Politecnico e sulla Rivista di filosofia scientifica. Due sue
opere ebbero risonanza: “Della legge fondamentale dell'intelligenza nel regno
animale: saggio di psicologia comparata” -- e “Mito e scienza”. Tito Vignoli. Vignoli.
Keywords: squirrel, squarrel, psicologia comparata, etologica filosofica, una
legge della intelligenza degl’animali – mito e scienza – mitos e logos –
animale, legge, legge della psicologia, psicologia comparata, etologia
comparata, evoluzione. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, Luigi
Speranza, “Grice e Vignoli” – “La etologia filosofica di Grice e Vignoli” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #vignoli #https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4572874082724551 #griceevignoli https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701466892/in/photolist-2mLFwRA-2mLP5X7-2mLP5XH-2mLKCa2-2mLQaMX-2mLM5Bv-2mLFwQo-2mLFwQi-2mLM5BF-2mKEy89
Grice Vinadio: la prassi ed il valore – filosofia
italiana (Torino). Grice: “Of course,
Vinadio is bound to be a good dialectician, since Italian neo-idealists take Hegel’s
Dialektik – or colloquenza, as the count prefers – much more seriously than the
most Hegelian of Oxonians! (And I don’t mean Bradley!”) -- Grice: “I like Vinadio; but then I’m English
and we like an earl!” – “My favourite of his tracts is the one about dialettica
which he understood just as Plato did, only better!” -- Felice Balbo di
Venadio, conte di Venadio, vide, “Il conte di Vinadio” --. Filosofo.
Considerato una delle voci più significative della filosofia italiana e un
intellettuale impegnato in un vasto progetto di ri-fondazione della politica
nell'immediato secondo dopoguerra. Nacque da Enrico Balbo di Vinadio e da Ada
Tapparo, in via Bogino 8, nella casa che era stata del conte Cesare Balbo,
ministro di casa Savoia. Dopo la laurea, partecipa alla seconda guerra mondiale
prima come sottufficiale degll’apini, poi come membro della resistenza. Come
consulente di Einaudi cura una collana di filosofia. Nominato cattedratico di
filosofia a Roma. Si raccolse attorno a
lui un piccolo gruppo di filosofi per discutere sulla crisi dei valori nella
società e sui modi di superarla mediante l'impegno sociale. Il suo impegno trova
espressione inoltre con i contributi alle riviste Cultura e realtà e Terza
generazione. Vicino alle organizzazioni della sinistra e al Partito
Comunista. Comprende come il mutamento
centrale della società e avvenuto nel rapporto tra lavoro umano e tecnica. Assunto
all'IRI presso il Servizio problemi del lavoro. Si interessa di formazione del
personale. Nominato direttore del Centro IRI per lo studio delle funzioni direttive
aziendali. Saggi: “L'uomo senza miti”; “Il laboratorio dell'uomo”; “Studi in
memoria di Gioele Solari dei discepoli” (Torino, Ramella); “La sfida storica
del comunismo al Cristianesimo e le sue conseguenze filosofiche” (Il Mulino); “Idee
per una filosofia dello sviluppo umano” (Torino, Boringhieri). Opere, Torino,
Boringhieri, “Essere e progresso”; “Lezioni di etica” (Roma, Lavoro); “Lettere
a Ludovica”; Archinto. Giulia Boringhieri, “Per un umanesimo scientifico.
Storia di libri, di mio padre e di noi” (Torino, Einaudi); D. Cavalieri,
Scienza economica e umanesimo positivo. la critica della ragione economica” (Milano,
Angeli); G. Tassani, La Terza Generazione. Tra Stato e Rivoluzione” (Roma,
Lavoro); G.Tassani, “Lezioni di etica” (Roma, Lavoro); G. Invitto, “Una
filosofia pragmatica dello sviluppo” (Il Mulino, Bologna); G. Invitto, “Di
fronte a fenomenologia ed esistenzialismo” (Adriatica Salentina, Lecce); G.
Invitto, “Una questione aperta, "Italia contemporanea", Dizionario
storico del movimento cattolico in Italia: I protagonisti” (Marietti, Torino); A.
Grotti (Boringhieri, Torino); A. Grotti, “Un altro futuro è possible” (Egeria);
V. Possenti, “La filosofia dell'essere”, Vita e Pensiero, Milano; “Tra
filosofia e società” (Angeli, Milano); Giovanni Invitto, Felice Balbo. Il
superamento delle ideologie, Roma, Edizioni Studium); N. Ricci, Cattolici e
marxismo. Filosofia e politica” (Milano, Angeli); Dal marxismo ad economia umana”
(Brescia, Morcelliana); “La prassi e il valore. La filosofia dell'essere” (Roma,
Aracne); “Il cristianesimo nella sfida della “modernità” su storia e futuro” --
Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Filosofi italiani del XX secoloInsegnanti italiani Professore. Felice
Balbo Vinadio. Vinadio. Keywords. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi
Speranza, “Grice e Vinadio: being, value – and colloquenza!” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #vinadio https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.5203073483037938 #griceevinadio https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702943109/in/photolist-2mLKCRN-2mLKCRH-2mLP6Ez-2mLQbpJ-2mLP6Eu-2mLP6FB-2mLQbqL-2mLQbpD-2mLM6j7-2mLFxuV-2mLM6ht-2mLM6jc
Grice
e Vio – le categorie d’Aristotele – un senso, un’analogia -- filosofia italiana
– Luigi Speranza (Gaeta). Essential Italian
philosopher. Grice: “While the typical Englishman is more interested in the
fact that Vio never thought that Henry VIII divorced Aragon, I prefer his
commentary on the ‘prae-dicamentum’ of Aristotle, via ‘Porfirio’!” -- Grice was
irritated that when ‘vio’ became a saint, the Italians list them under ‘c’. Tommaso De Vio, O.P. cardinale di Santa
Romana Chiesa. Il cardinale Tommaso De Vio riceve Martin Lutero, Template-Cardinal.
svg Incarichi ricoperti Maestro generale dell'Ordine dei
Predicatori Cardinale presbitero di San Sisto Arcivescovo metropolita di
Palermo Arcivescovo-vescovo di Gaeta.
Cardinale presbitero di Santa Prassede Ordinato presbitero Nominato arcivescovo
da Leone X Consacrato arcivescovo dal Niccolò Fieschi, Creato cardinale da Leone
X. Religioso domenicano, generale dell'Ordine: teologo e diplomatico
pontificio. Incontro tra Lutero e Vio in
una stampa d'epoca. Figlio di Francesco De Vio e Isabella de Sieri, entra tra i
frati domenicani del monastero di Gaeta, dove assunse il nome di Tommaso, e
prosegue i suoi studi in filosofia a Napoli, Bologna e Padova. Insegna a Pavia
e Roma. Acquisce una considerevole fama in seguito ad un pubblico dibattito con
Pico a Ferrara. Generale dell'Ordine e consigliere dei papi. Dimostra grande
zelo nel difendere i diritti papali contro il concilio di Pisa, polemizzando
contro Almain in una serie di articoli messe al bando dalla Sorbona e bruciati per
ordine di Luigi XII. Leone X lo crea cardinale, e fatto arcivescovo di Palermo.
Arcivescovo di Gaeta. Inviato in Germania come legato apostolico per
partecipare alla dieta di Augusta, si adopera con profitto per l'elezione di
Carlo V d'Asburgo ad Imperatore del Sacro Romano Impero (prevalendo sull'altro
concorrente Francesco I), e lì cerca di arginare la nascente riforma
protestante di Lutero. Fece rientro in Roma senza essere riuscito a convincere Lutero
ad abbandonare i suoi propositi di riforma, e aiuta il papa nell'estensione
della bolla Exsurge Domine rivolta a contrastare il dilagare della riforma luterana.
Oganizza la resistenza contro i Turchi. Venne fatto prigioniero durante il
Sacco di Roma dai Lanzichenecchi, inviati da Carlo V per punire Clemente VII
per il tradimento della parola datagli, poi venne liberato. Pronuncia la
sentenza definitiva di validità del matrimonio di Enrico VIII e Caterina
d'Aragona, rifiutando il divorzio al sovrano inglese. Accanto alla
produzione teologica, secondo la linee della scuola tomista, Vio si distinque anche
come esegeta. Supple alla sua ignoranza dell'ebraico, consultando esperti
rabbinici e grazie alla sua familiarità con il testo greco. Pubblica un
commentario della Bibbia. La sua enfasi sulla ricerca del SIGNIFICATO
letterario del testo lo pone alle origini della moderna tradizione esegetica cattolica.
Saggi: “Summula Caietani”; “Opuscula omnia”; “Commentaria super tractatum De
ente et essentia Thomae de Aquino”; “De nominum analogia”; “Commentaria in III
libros Aristotelis De anima”; “Auctoritas Pape et Concilii siue Ecclesie
comparata” (Silber); “Oratio in secunda sessione Concilii Lateranensis” (Beplin);
“Apologia de comparata auctoritate pape et ecclesie”; “De divina institutione
Pontificatus Romani Pontificis”; “Jentacula N.T., expositio literalis sexaginta
quatuor notabilium sententiarum Novi Test.” (Roma); “Summula Caietani”; “Opuscula
omnia” (Giunta); Francesco senese De Franceschi); “In Porphyrii Isagogen ad
Praedicamenta Aristotelis”; “Opera omnia”; “Scripta philosophica”; “De nominum
analogia”; “De conceptu entis”; “De comparatione auctoritatis papae”; “Apologia”.
G. Allaria, Tommaso De Vio: cardinale Gaetano, Gaeta, La Poligrafica, Roma; Treccani
– Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Conferenza Episcopale Italiana. ALCUIN,
Università di Ratisbona. He wrote extensively on
freewill, and had a colourful dispute with, of all people, Calvinwell
represented in a painting Grice adored. Shropshire borrowed his proof for the immortality of the soul from
Cajetan -- Tommaso de Vio, prelate and theologian. Born in Gaeta from which he
took his name, he entered the Dominican order and studied philosophy and
theology at Naples, Bologna, and Padua. He became a cardinal. During the
following two years he traveled to G.y, where he engaged in a theological
controversy with Luther. His major work is a Commentary on St. Thomas’ Summa of
Theology 1508, which promoted a renewal of interest in Scholastic and Thomistic
philosophy during the sixteenth century. In agreement with Aquinas, Cajetan
places the origin of human knowledge in sense perception. In contrast with
Aquinas, he denies that the immortality of the soul and the existence of God as
our creator can be proved. Cajetan’s work in logic was based on traditional
Aristotelian syllogistic logic but is original in its discussion of the notion
of analogy. Cajetan distinguishes three types: analogy of inequality, analogy
of attribution, and analogy of proportion. Whereas he rejected the first two
types as improper, he regarded the last as the basic type of analogy and
appealed to it in explaining how humans come to know God and how analogical
reasoning applied to God and God’s creatures avoids being equivocal. Gaetano. Cajetanus.
Caietanus Vio. Cajetano Vio. Caetano Vio. Gaetano Vio. Al secolo: Giacomo De
Vio. Jacopo De Vio. Tommaso De Vio. Cardinal Caetano. Cardinal Gaetano. Tommaso
De Vio da Gaeta, detto il Gaetano. Vio. Keywords: analogia, commentary on
Porphyry on Aristotle’s categories, the example of ‘healthy’ – Grice, “Focal
unity”, “Aristotle on the multiplicity of ‘being’” – ‘healthy’ – an animal is
healthy – various types of analogy. Unfortunately, the Germans focus more on
his the saint’s fight with Luther!” Refs.: Luigi Speranza, “Grice e de Vio” – Luigi
Speranza, “Grice e Vio: Le categorie” -- The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia. #vio https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4420382827973678 #griceevio https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703156585/in/photolist-2mLQc9e-2mLKDFo-2mLKDE1-2mLKDEG-2mLKDFD-2mLKDDK-2mLFyhm-2mLP7qc-2mLKDES-2mLQc8c-2mLP7qx-2mLFyio-2mLKDEm-2mLQc8H-2mLFygK-2mLM74J-2mLM72u-2mLQdrQ-2mLP9qE-2mLFBT9-2mKNvpt-2mKxbL6-2mKfD5h-2mKk5pG-2mKh56j-E4u3XA-QwGRg8-Qwzjnt-26SLQJq-Dnva4y-CYyfnZ-CzwVom-DpPBNr-CzzzWQ-CzDRZT-DnpMHh-CzGjJa-D5XFWd-D5YaQE-D5Wmju-CYzKFB-DpPAPn-DnpvF7-DpMLQZ-Dx59M4-CzzbaG-DpKKeB-DpMFX2-D5S2Z1-DnuNE7
Grice e Virno – una popolazione di due -- filosofia ed
azione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Essential Italian philosopher. Grice: “Virno, like me, is a
semiotician.” Filosofo. Di orientamento operaista, docente di
filosofia a Roma. Tra i principali esponenti dell'organizzazione della sinistra
extraparlamentare Potere Operaio, il suo nome ricorse nelle cronache dei
cosiddetti "anni di piombo" in Italia. Fu arrestato e detenuto in
prigione per diversi anni sino alla sua definitiva assoluzione. Nel corso della
detenzione elaborò il suo pensiero che trovò espressione nella rivista Luogo
comune. «Democrazia è il fucile in spalla agli operai», slogan attribuito
a Potere Operaio «Mi sono formato politicamente a Genova, dove la mia famiglia
viveva e io facevo liceo. Genova era esposta all’influenza di Torino, dove vi
furono le prime occupazioni nel ’67; quindi nell’estate di quell’anno si
mobilitarono gli studenti medi (più vivaci di quelli universitari, che invece
erano in contatto con le organizzazioni tradizionai dei partiti, UGI e via
dicendo). Come studenti medi fondammo dunque il Sindacato degli Studenti,
che fece i primi scioperi su tematiche già sessantottesche, la lotta
all’autoritarismo, solidarietà con gli studenti greci dopo il golpe dei
colonnelli e quant’altro... nell’autunno sempre per un trasferimento della
famiglia, sono venuto ad abitare a Roma, e di lì a non molto ho preso contatti
e rapporti con il gruppo che sarebbe diventato Potere Operaio, che allora
sostanzialmente nella capitale era il gruppo delle facoltà scientifiche...
Entro in Potere operaio dopo gli episodi cruciali della primavera a
Torino.» Lavora a Milano come insegnante all'Alfa Romeo di Arese e
all'Innocenti, organizzando anche azioni collettive nelle fabbriche sino alla
dissoluzione di Potere operaio nel Presenta la sua tesi di laurea sul concetto
di lavoro e la teoria della coscienza di Adorno e partecipa attivamente alle
manifestazioni ad opera dei lavoratori precari e di altri emarginati. Fonda
Metropoli organo ideologico del movimento politico. Nell'ambito
dell'inchiesta giudiziaria nota come "7 aprile", la redazione della
rivista viene accusata di appartenere in blocco all'organizzazione eversiva
«costituita in più bande armate variamente denominate». «siamo arrestati
io, Castellano, Maesano e Pace (che però sfugge all’arresto, di nuovo, giuro,
non per sagacia). Noi siamo arrestati, poi ci fanno confluire, ritroviamo gli altri
nel cortile di Rebibbia, nel braccio speciale, stiamo un po’ di mesi lì, poi
c’è la diaspora, cioè il Ministero ordina di mandare ognuno di questi detenuti
in un carcere speciale diverso, perché ovviamente, tramite avvocati, visite,
benché ci fosse il regime di braccio speciale, quello era diventato una specie
di luogo in cui si elaboravano documenti, lettere a giornali, si faceva
campagna politica, c’erano state delle lotte interne. Quindi, c’è la
diaspora, io vado a Novara, Oreste va a Cuneo, quell’altro va a Favignana,
quell’altro ancora da un’altra parte. Comincia questo giro negli speciali, e ci
ritroviamo non tutti ma in parte nel carcere di Palmi, carcere per soli
politici o per detenuti comuni completamente politicizzati, una specie di
“Kesh”. Là dentro c’e una situazione curiosa, anche molto spettacolare, perché
si incontrano assolutamente tutti. Infatti, per un primo periodo con i compagni
delle BR o con Alunni o quelli dei NAP, si pensò anche di approfittare di questa
situazione per avviare una discussione larga, di carattere
"costituente": però, il problema è che anche lì c’è il fatto che i
più spregiudicati di loro, come Curcio, erano d’accordo, avevano capito di aver
perso l’essenziale, cioè il cambio di paradigma, cioè il fatto che i giovani
operai erano non più riconducibili, altri invece no. Riassumendo in breve, la
mia detenzione fu un anno, poi due anni liberi in cui curai la serie continua
di Metropoli nell’81, due anni ancora di carcere, condanna a 12 anni in primo
grado, un anno di arresti domiciliari... l’assoluzione (insieme a tanti altri
imputati) du la conferma. La travagliata esperienza politica e esistenziale di
questi anni sarà trasfusa da Virno nella pubblicazione di Luogo Comune una
rivista dedicata all'analisi della vita nella situazione sociale del
"postfordismo". Lascia il lavoro di editore della rivista per
insegnare filosofia a Urbino e filosofia del linguaggio, semiotica ed etica
della comunicazione a Calabria da dove si trasferisce a Roma. Convinto della
necessità di un nuovo linguaggio della politica che chiarisca le trasformazioni
economiche, sociali e culturali che da più di un decennio caratterizzano le
società occidentali, introduce nella “Grammatica della moltitudine” una
riflessione sul contrasto tra i termini di popolo e moltitudine che generano
una accesa polemica teorico-filosofica. Quando avvenne la formazione degli
stati nazionali fu l’espressione “popolo” a prevalere. Virno si domanda se non
sia venuto il tempo di restaurare l'altro concetto della moltitudine. La
multitude è quell'insieme di persone che nell'azione politica e in quella
economica, pur agendo collettivamente non perdono il senso della propria
individualità, resistendo sempre alla riduzione a unica massa informe com'è nel
termine di "popolo". La moltitudine è dunque la base delle libertà
civili. In contrapposto, moltitudine e una pluralità che non si
sintetizza nell'uno, il più grave pericolo per l'autorità dello Stato che esercita
il «supremo imperio». Dopo i secoli del “popolo” e quindi dello Stato
(Stato-nazione, Stato centralizzato ecc.), torna infine a manifestarsi la
polarità contrapposta, abrogata agli albori della modernità. La moltitudine
come ultimo grido della teoria sociale, politica e filosofica? Forse.” Opere:
“L'idea di mondo: intelletto pubblico e uso della vita” (Editore: Quodlibet);
“Saggio sulla negazione: per una antropologia linguistica” (Editore: Bollati
Boringhieri); “E così via, all'infinito: Logica e antropologia” (Boringhieri),
“Motto di spirito e azione innovative: per una logica del cambiamento”
(Boringhieri); “Quando il verbo si fa carne: linguaggio e natura umana” (Boringhieri);
“Scienze sociali e natura umana -- facoltà di linguaggio, invariante biologico,
rapporti di produzione” (Rubbettino); “Grammatica della moltitudine. Per una
analisi delle forme di vita contemporanee” (Editore: DeriveApprodi); “Esercizi
di esodo. Linguaggio e azione politica” (Ombre Corte); “Il ricordo del presente.
Saggio sul tempo storico” (Editore: Bollati Boringhieri); “Parole con parole: poteri
e limiti del linguaggio” (Donzelli); “Mondanità. L'idea di «Mondo» tra
esperienza sensibile e sfera pubblica” (Manifestolibri); “Convenzione e materialism”
(Theoria). Roma Tre Intervista, Hecceitas.
Questo termine è entrato nel linguaggio corrente per indicare un insieme di
caratteristiche economiche, sociali e istituzionali del nostro presente,
avvertite pessimisticamente come profondamente diverse rispetto al nostro
recente passato e in genere come molto negativamente mutate. Fordismo e
postfordismo. Qualche dubbio su alcune certezze della sinistra italiana. Protagonisti.
Grammatica della moltitudine. Per una analisi delle forme di vita contemporanee”
(DeriveApprodi); “Anni di piombo: potere operaio"; Lessico postfordista:
dizionario di idee della mutazione. Feltinelli, sito "Filosofico.net".
Virno. Keywords: due e moltitudine,
linguaggio e azione, linguaggio, base biologica, invariante biologica, rappori
di produzioni, natura umana, el verbo fatto carne. Refs.: H. P. Grice Papers,
Bancroft MS. Luigi Speranza, “Grice e Virno”; “Grice e Virno: la conversazione:
una popolazione di due!” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria #virno https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4635750753103550 #griceevirno https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701474357/in/photolist-2mLFz6k-2mLFz5y-2mLKErr-2mLM7N9-2mLFz5i-2mLQcSt-2mLKErw-2mLFz6f-2mLM7PB-2mLM7Pb-2mLKEsD-2mLKEsy-2mLM7NE-2mLQcQV-2mLQcRM-2mLKErg-2mLP87x-2mLP88e-2mLQcR6-2mLQcR1-2mLP88Q-2mLFz5P-2mLKErB-2mLFz41-2mLFz4b-2mKJTNA
Grice e Viroli: res pubblica – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Forlì). Essential Italian philosopher.Actually
“Viroli-Cavalieri”? Grice, “I shall be fighting soon.” “The loyalty for one’s
country is not based on evidence.”Maurizio Viroli
(Forlì), filosofo. Durante il settennato di Carlo Azeglio Ciampi ha servito la
Presidenza della Repubblica Italiana. Attualmente è Professore a a Lugano. I
suoi campi di ricerca sono la Filosofia politica e la Storia del Pensiero
politico. I suoi autori di riferimento sono Machiavelli, Rousseau, Mazzini,
Croce, Carlo Rosselli e Nello Rosselli. La sua ricerca si basa sul metodo
contestualista di Quentin Skinner a cui ha apportato alcune innovazioni. Il
suoi riferimenti politico-ideali sono il Repubblicanesimo e l'Azionismo (Partito
d'Azione). Alle numerose pubblicazioni scientifiche affianca l'attività di
saggista e quella di editorialista. Collabora e ha collaborato ad alcune
testate giornalistiche, tra cui La Stampa, il Sole 24 ORE e Il Fatto Quotidiano.
Maurizio Viroli ha frequentato il Liceo scientifico statale Fulcieri Paulucci
di Calboli di Forlì. Come egli stesso racconta nel libro L'autunno della
Repubblica, per mantenersi agli studi ha lavorato fin da giovanissimo come
garzone di bottega, come cameriere d'albergo e come operaio presso lo
zuccherificio della sua città. Di quegli anni dice:" [...] quando ero
bambino abitavo a Forlì con i miei genitori, in via Archimede Mellini, in un
appartamento angusto e freddissimo, riscaldato soltanto da una stufa a gas
tenuta, per la nostra povertà, sempre con la fiammella azzurrognola al
minimo." Al termine degli studi liceali si è iscritto alla facoltà
di Lettere e Filosofia dell'Bologna. Nel 1976 si è laureato magna cum laude in
Filosofia con una tesi dal titolo Metodo e Sistema in Engels. Svolve il
Servizio di leva a Casarsa della Delizia, in Friuli-Venezia Giulia. Il
ritorno alla vita civile è stato all'insegna del precariato. Percepiva un
piccolo salario organizzando convegni e lavorando come redattore alla rivista
Problemi della transizione presso Istituto Gramsci di Bologna. è stato
ammesso al dottorato di ricerca presso l'Istituto Universitario Europeo di
Firenze. Di fronte alla commissione composta dai Maihofer, Skinner, Bobbio,
Cranston, e Moulakisha, ha discusso la tesi “La società bene ordinata” pubblicata
per Il Mulino. Ha perfezionato la sua formazione svolgendo attività di ricercar.
Insegna comunicazione politica alla Svizzera. Dirige il Laboratorio di Studi
civili, Svizzera italiana. Finanziamento del Fondo Svizzero per la
Ricerca Scientifica con il progetto di ricerca che prevede l'impegno di un
folto gruppo di ricercatori. I suoi interessi di studio ruotano intorno
alla Filosofia politica e alla Storia del Pensiero politico. Studia il
Repubblicanesimo nella sua accezione classica da Machiavelli a Rousseau e in
quella contemporanea. Si occupa di religione e politica, di retorica classica,
libertà e tirannide, di patriottismo e nazionalismo, di etica civile, di
diritti e doveri. Pone particolare attenzione ai fondamenti della convivenza
civile. I suoi periodi storici di riferimento sono il Rinascimento, il
Risorgimento e l'Antifascismo. I suoi autori di riferimento sono Machiavelli,
Rousseau, Mazzini, Croce, Carlo e Nello Rosselli. Come impegno civile si
occupa di Educazione civica e della difesa e dell'attuazione della Costituzione
della Repubblica Italiana. Ha collaborato con la Direzione Generale
dell'Ufficio Scolastico Regionale per le Marche a progetti di Educazione alla
Cittadinanza. Fonda il Master in Civic Education presso l'associazione Ethica
di Asti. Co0ordinato e diretto progetti di Educazione civica per la Fondazione
per la Scuola della Compagnia di San Paolo. Dirige un progetto a San Marino.
Dirige il progetto Lezioni di Casa Cervi-Scuola di Etica civile presso Casa
Cervi. Ha preso parte attivamente alle campagne referendarie svoltesi in
occasione del referendum costituzionale, contro la riforma proposta dal
centro-destra, e del referendum costituzionale del, contro la cosiddetta riforma
costituzionale Renzi-Boschi. Ha collezionato inviti e incarichi di
insegnamento presso prestigiose istituzioni culturali. Insegna a Pisa, Trento,
Molise, Ferrara, Catania ed Urbino. Collabora con Milano e la Scuola Superiore
della Pubblica Amministrazione, Scuola superiore di polizia, Fondazione per la
Scuola della Compagnia di San Paolo, il Collegio Carlo Alberto e l'Associazione
Nazionale Comuni Italiani, la Fondazione Alcide Cervi presso Casa Cervi. Spiega
la le sua posizione politica. Non sono soltanto uno studioso del
repubblicanesimo, mi sento repubblicano. Amo il princìpio della reppublica e
cerco di applicarli nella vita e nell’analisi dei fatti politici e sociali. Più
oltre, in riferimento a Ciampi racconta. La prima volta che lo incontro provo la
sensazione di trovarmi di fronte ad un uomo di straordinaria energia morale,
l’esempio vero della migliore cultura del Risorgimento e dell’azionismo.
Rammento ancora le parole che mi dice dopo aver ascoltato con attenzione la mia
considerazione sul significato del concetto di amor di patria. Quello che lei
dice l’ho sempre sentito e vissuto nella mia coscienza. Fu allora che realizzai
che io sono prima uno studioso di repubblicanesimo e poi un repubblicano. Ciampi
è repubblicano nell’intimo della coscienza: repubblicano e azionista. Anzi,
credo, repubblicano perché azionista. Anche l'anti-fascismo é rilevante nel suo
patrimonio ideale. Trovo in Croce, Rosselli, Parri, Rossi, Calamandrei per
citare soltanto i nomi più noti non solo idee e argomenti in perfetta sintonia
con il mio anti-fascismo assoluto e intransigente, ma anche e soprattutto le
più convincenti riflessioni sulle ragioni della fragilità della libertà
italiana. Il patriottismo”si oppone al nazionalismo, anzi, ne è l'antidoto.
Ancora ne “L'Autunno della Repubblica” si legge a proposito del “Per amore
della patria”. n Italia abbiamo una tradizione di patriottismo di straordinario
valore morale e politico, la migliore che io conosca. Mi riferisco in primo luogo
al patriottismo di Mazzini, fondato sul principio che la patria non è il
territorio bensì un principio di libertà, e al patriottismo degli anti-fascisti
di “Giustizia e Libertà”, concordi nell’affermare che la nostra patria coincide
con il mondo morale delle persone libere non e poi idea tanto peregrina
sostenere che il patriottismo repubblicano e il mezzo più efficace per
combattere la marea del nazionalismo che cominciav a montare. Credo sia troppo
tardi”. Infine, ci spiega il suo relativismo. Sulle questioni etiche sono stato
sempre un convinto relativista, con comprensibile scandalo di molti. Se il
dovere esiste soltanto là dove la coscienza morale personale lo riconosce come
tale, segue necessariamente che ci sono persone che riconoscono quali loro
doveri determinati princìpi, altre che riconoscono quali loro doveri princìpi
diversi, se non del tutto opposti. Il pluralismo e il contrasto dei doveri sono
sotto gli occhi di tutti. Ad alcuni il dovere indica il servizio e la pratica
della carità, ad altri la pura e semplice affermazione di sé stessi, anche a
costo di usare altri esseri umani come mezzi. La ragione, tante volte invocata
quale guida sicura all’agire umano, non detta i fini ma solo i mezzi. Lo spiega
in modo esemplare un filosofo morale completamente dimenticato, Juvalta. La ragione
per sé non comanda nulla. Né l’egoismo né l’altruismo. Né la giustizia. La
ragione cerca, e mostra, se le riesce, i mezzi che servono a conservar la vita
a chi la vuol conservare, a distruggerla a chi la vuol distruggere. La ragione
addita ai pietosi le vie della pietà, ai giusti le vie della giustizia, e le
vie del proprio tornaconto agli uomini senza scrupoli. Ma l’egoismo non è per
sé più ‘razionale’ dell’altruismo, né il regresso più razionale del progresso.
Né la conservazione dell’individuo più razionale di quella della specie. Né
l’utile proprio più razionale che l’utile della collettività. Razionale non e
il fine, ma la relazione del mezzo al fine. Ed è così ragionevole che dia la
vita per un’idea chi pregia più l’idea che la vita, come che taccia la verità
per un ciondolo chi ama più i ciondoli che la verità. Consulente della
Presidenza della Repubblica Italiana per le attività culturali durante il
settennato di Ciampi. Collabora con la Presidenza della Camera dei Deputati
durante la presidenza di Violante. Coordinatore del Comitato Nazionale per la
Valorizzazione della Cultura della Repubblica presso il Ministero
dell'Interno. Presidente dell'Associazione Mazziniana. Ufficiale
dell'Ordine al merito della Repubblica italiananastrino per uniforme ordinaria;
Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana di iniziativa del
Presidente della Repubblica» Saggi: “Nazionalisti e patrioti” (Roma-Bari,
Laterza); “Etica del servizio e etica del commando” (Napoli, Scientifica); “L’autunno
della repubblica” (Roma, Laterza); “La redenzione dell’Italia: sul principe” (Roma,
Laterza); “Il sorriso di Machiavelli” (Roma, Laterza); “Scegliere il principe:
i consigli di Machiavelli al cittadino elettore” (Roma, Laterza); “L’Intransigente”
(Roma, Laterza); “Le parole del cittadino” (Roma, Laterza); “La libertà dei
servi” (Roma, Laterza); “Lo scrittore di ricami” (Reggio Emilia, Diabasis); “Come
se Dio ci fosse: religione e libertà nella storia d’Italia” (Torino, Einaudi);
“Machiavelli filosofo della libertà” (Roma, Castelvecchi); “L’Italia dei doveri”
(Milano, Rizzoli); “Il dio di Machiavelli e il problema morale dell’Italia” (Roma,
Laterza); “Dialogo intorno alla repubblica” (Roma, Laterza); “Il sorriso di Machiavelli”
(Roma, Laterza); “Per Amor alla Patria: patriottismo e nazionalismo nella
storia” (Roma, Laterza); “Dalla politica alla ragion di stato” (Roma, Donzelli);
“L’etica laica di Juvalta” (Milano, Angeli); “La civiltà statuale’, in
Francesco Di Donato Cultura civica e civiltà statuale, Bologna, Il
Mulino. ‘Libertà e profezia in Machiavelli’, Machiavelli e i confini del
potere” (Milano, Mimesis); “La passione civile e la scienza politica di
Sartori’, Protagonisti sempre. Un secolo di storia visto con gli occhi dei
ragazzi, Reggio Emilia, Imprimatur ‘Prefazione’, in Carlo Mosca, Il prefetto e
l’unità nazionale, Napoli, Editoriale Scientifica. ‘Skinner’, ‘God’ and
‘Macaulay’, Enciclopedia machiavelliana” Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Vita di Machiavelli” (Roma, Castelvecchi); “La tradizione del
Risorgimento” (Roma, Castelvecchi); “Se è libero bisogna che creda”; “Cinque variazioni
sul credere” (Torino, Abele); “L’attualità del principe”; “Il principe e il suo
tempo” (Roma, Complesso del Vittoriano, Salone centrale, Roma, Istituto della
Enciclopedia Italiana); “La moralità della Resistenza: l’esperienza del
partigiano Bosco” (Benevento, Associazione Terre dei Gambacorta); “Dalla patria
allo Stato. Una biografia intellettuale di Spaventa” (Roma, Laterza); “‘La
costituzione repubblicana: un manuale di educazione civica’, in Lessico civico:
teorie e pratiche della cittadinanza, Reggio Emilia, Diabasis); “Le origini
meridiane del repubblicanesimo’, Ethos repubblicano e pensiero meridiano” (Reggio
Emilia, Diabasis); “La dimensione religiosa del risorgimento -- Cristiani
d’Italia. Chiese, società, stato” (Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana);
“La libertà politica è un bene fragile’, Lettera internazionale. Rivista
trimestrale europea); “Ragione e passioni nell’educazione civica -- Questioni
civiche. Forme, simboli e confini della cittadinanza” (Reggio Emilia, Diabasis);
“La Costituzione: il pilastro di cristallo” (Napoli, Pitagora); Machiavelli, il
carcere, Il Principe’, in Gli anni di Firenze, Roma-Bari,. in La
Costituzione ieri e oggi. Roma, Atti dei Convegni Lincei Roma, Bardi); “Etica e
diritto: la forza intelligente per sconfiggere la violenza’ in Regione
Piemonte, Piano regionale per la prevenzione della violenza contro le donne e
per il sostegno alle vittime. ‘Religione e libertà nella Democratie en
Amérique’, Fra libertà e democrazia: l’eredità di Tocqueville e J. S. Mill,
Milano, Franco Angeli. ‘Una nuova utopia della libertà’, Quaderni del
Circolo Rosselli, ‘Machiavelli’s Realism’, Constellations, ‘Religione”; “Tutte
le ragioni del liberalismo’, Dove Ratzinger sbaglia”; “Machiavelli oratore”; “Machiavelli
senza i Medici, scrittura del potere, potere della scrittura. Atti del convegno
di Losanna (Roma, Salerno); ‘Due concetti di religione civile’, in Maurizio
RidolfiRituali civili: storie nazionali e memorie pubbliche nell’Europa
contemporanea, Roma, Gangemi. ‘Patriottismo e rinascita civile’, Aspenia,
in Mazzini, Scritti politici” (Torino, POMBA);
“Che cos’è l’uomo? Raccolta di giovani pensieri, Senigallia, MIUR, Le Marche);
“Repubblicanesimo”; “Dizionario di Politica” (Torino, POMBA); “Libertà
democratica, libertà repubblicana e libertà socialista”; “Repubblicanesimo
democrazia socialismo delle libertà”; “Incroci” per una rinnovata cultura
politica” (Milano, Angeli); “Il lavoro nobilita l’uomo e l’impresa’, Impegno. Mensile
di cultura sociale”; “Della lontananza’, La saggezza del vivere. Tracce di
etica” (Reggio Emilia, Diabasis); “Repubblicanesimo e Costituzione della
Repubblica’ Almanacco della Repubblica: storia d’Italia attraverso le
tradizioni, le istituzioni e le simbologie repubblicane, Milano, Bruno
Mondadori. ‘Europa contro america?’, Il pensiero mazziniano, ‘Dio nella
costituzione’, Il pensiero mazziniano, Con Norberto Bobbio, ‘Sul rientro dei
savoia’, Il pensiero mazziniano, ‘Scrivere la costituziuone. L’esempio della
storia americana’, Il pensiero mazziniano”; “Il despota e il tiranno si sono
fatti furbi’, Il pensiero mazziniano, ‘Il repubblicanesimo di Machiavelli”; ‘Le
ragioni di un dibattito’, Politica e cultura nelle repubbliche italiane dal
Medioevo all’età moderna: Firenze, Genova, Lucca, Siena, Venezia. Atti del
convegno (Siena), Roma, Istituto Storico Italiano per l’età moderna e
contemporanea. ‘Giù le mani da Carlo Cattaneo’, Il pensiero mazziniano,
‘Questioni attorno al repubblicanesimo”;
“Il pensiero mazziniano”; “Repubblicanesimo, liberalismo e comunitarismo”;
Filosofia e questioni pubbliche; “Machiavelli’, Il pensiero politico. Idee,
teorie, dottrine. Età moderna” (Torino, POMBA); “La repubblica romana’, Il
pensiero mazziniano, ‘Repubblicanesimo’,
‘La sinistra non scordi la Patria’, Il pensiero mazziniano, ‘I guerrieri di Dio: chi sono i
theoconservatori che scendono in lotta contro aborto, eutanasia e gay’, La
Stampa, ‘L’arcipelago progressista:
l’orgogliosa cultura liberal, fra battaglie per le minoranze, ambientalismo e
progetti per riprendere il New Deal’, La Stampa, “Discussione americana e caso italiano”;
“Piccole patrie, grande mondo” (Roma, Donzelli); “Il significato storico della
nascita del concetto di ragion di stato’, Aristotelismo politico e ragion di
Stato. Atti del Convegno a Torino” (Firenze, Olschki); “Patrioti o Traditori?”;
“L’Indice”; “Il ritorno della nazione’, I democratici, ‘L’etica politica
ciceroniana e il suo significato moderno’, Nuova Civiltà delle Macchine, ‘La
cattiva retorica dell’autonomia della politica’, Il Mulino, ‘Nazionalismo e patriottismo’,
Il Mulino); “Una filosofia civile tra comunitari e liberali’, Ragioni Critiche,
‘Introduction’, in Quentin Skinner, Le origini del pensiero politico moderno” (Bologna,
Il Mulino); “L’Indice”; “Machiavelli e Rousseau: i dilemmi della politica
republicana”; “Teoria Politica, ‘“Revisionisti” e “ortodossi” nella storia
delle idee politiche”, Rivista di filosofia); “Dovere morale e pluralismo etico
in Juvalta’, Rivista di Storia della Filosofia); “La “Morale dei Positivisti” e
l’etica del socialismo’, L’età del positivismo” (Bologna, Il Mulino); “Il
Marxismo e l’ideologia del socialismo italiano’, Despotismo e cittadini’,
Transizione, Juvalta e la teoria della giustizia, Rivista di filosofia, ‘Labriola “filosofo del socialismo”’, Giornale
critico della filosofia italiana, ‘Aspetti della recezione di Engels in Italia.
Tra socialismo scientifico e crisi del marxismo”; “L’Antidühring: affermazione
e deformazione del marxismo? Annale V della Fondazione Issoco” (Milano, Angeli);
“Il problema dell’etica razionale in Juvalta’, “Studi sulla cultura filosofica
italiana” (Bologna, CLUEB); “Etica e marxismo. A proposito di una recente
discussione’, Problemi della Transizione”; “Socialismo e cultura, 'Studi Storici”;
“Il dialogo fra Engels e Labriola”; “Critica marxista”; “Nella crisi del positivismo:
la ricerca teorica del divenire sociale” (Giornale critico della filosofia italiana);
“Filosofia e politica nell’Engels di Mondolfo’, Pensiero antico e pensiero modern”
(Bologna, Cappelli); “Wellness. Storia e cultura del vivere bene” (Milano,
Sperling & Kupfer); “Libertà politica e virtù civile”; “Significati e
percorsi del repubblicanesimo classico” (Torino, Agnelli); “Lezioni per la
repubblica: la festa è tornata in città” (Reggio Emilia, Diabasis); “Ascesa e
declino delle repubbliche” (Urbino, Quattro Venti); “L'Autunno della Repubblica”
(Laterza); “Per Amore della patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia” (Laterza);
Quirinale: maurizioviroli. blogspot.com. issuu.com/edizioni-in-magazine/docs/forli Enciclopedia
multimediale delle scienze filosofiche della RAI profilo biografico da Ethica Forum profilo
dall'Università della Svizzera italiana Nello Ajello, Quanti servi in giro per
l'Italia, recensione a La libertà dei servi, la Repubblica, La libertà dei
servi, Associazione Labini; “La libertà dei servi; L'intransigente, da
Fahrenheit del Radio Tre. Viroli. Keywords: ragion di stato, repubblica,
repubblicanismo, la repubblica romana, la morte della repubblica romana,
l’assassinio di Giulio Cesare, Catone Uticense, la repubblica romana, del re
Romo alla repubblica romana, il ratto di Lucrezia – republicanism e principato,
la repubblica romana, il gusto per l’antico; quasi-contratto, il sorriso di
Macchiavelli. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS, Luigi Speranza, “Grice e
Viroli: Contrattualismo e quasi-contrattualismo” – Luigi Speranza: “Il sorriso
di Viroli: Grice e Machiavelli ironista” -- The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza, Liguria. #viroli https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4635626396449319 #griceeviroli https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703160970/in/photolist-2mLQdrQ-2mLKEZA-2mLP8Gf-2mLP8FU-2mLP8Fo-2mLQdqn-2mLP8Ft-2mLKEYZ-2mLKEYJ-2mLP8FD-2mLM8nR-2mLQdq7-2mLP8Em-2mLFzzg-2mLM8nL-2mLFzzb-2mLP8Ew-2mLKEXX-2mjy7tc-9j8mNo-LRNoHP-KQPArj-eSWyTf-m4tXnB-8FhbQe-La6pSW-a7WyTW-LhNq3u-2m8rhHv-7pgDo7-nB25oQ-m1aKcY-m1aNRS-m1a1Lp-3f6Qug-7pcaqn-odWMRT-7BKxYV-7BPmmC-7BPmd3-7BPkZG-7BPkwC-7BPkmA-7BKy7a-7BKxRH-7BKxsp-7BKxbz-7BKzTv-7BPmQN-7BKzKD
Grice e Vittielo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). “Come la lingua degl’eroi
divide gl’eroi dagl’uomini, così la lingua volgare divide i filologi dai
filosofi. La lingua volgare, comune a ogni uomo, non riusce a descrivere la
natura e le proprietà delle cose, sorge la scissione tra i filosofi che si
dettero ad investigare sulla natura delle cose, e i filologi che invece
investigano sulle origini delle parole. Così la filosofia e la filologia che sono
nate tutte e due dalla lingua degl’eroi, vennero ad essere divise dalla lingua
volgare o commone. Essential Italian
philosopher. Filosofo. Insegna a Salerno. Studioso di
Vico, dell'idealismo e del pensiero di Nietzsche e Heidegger in rapporto con la
filosofia romana, elabora una teoria ermeneutica, una ‘topo-logia,’ fondata su
una re-interpretazione del concetto di spazio come orizzonte trascendentale
dell'operare umano. Gli sviluppi della topologia riguardano in particolare la
genealogia della communicazione. Affronta più volte la fede da un punto di
vista laico. Fonda “Paradosso.” Collabora a “Filosofia” (Laterza) e a numerose
altre riviste specialistiche del settore filosofico, tra cui “aut aut.” Dirige “Il
pensiero”. Collabora all'Annuario Filosofia e all'Annuario sulla Religione.
Pubblica in Teoria, ed altre ancora. Svolge un'intensa attività pubblicistica
su quotidiani e periodici. Ha tenuto cicli di conferenze e seminari. Saggi:“Filosofia
della pratica e dottrina politica in Croce” (Napoli); “Etica e liberalismo in
Croce” (Napoli); “Il carattere discorsivo del conoscere” (Napoli); “Antoni
interprete di Croce” (Napoli, Storiografia e storia nel pensiero di Croce,
Libreria Scientifica, Napoli, “Sentimento e relazione nell’empirismo” (Napoli);
Storiografia e storia in Croce, Napoli, “Il nulla e la fondazione della storicità”
(Argalia, Urbino); “Dialettica ed ermeneutica” (Guida, Napoli); “Utopia del nichilismo,
Guida, Napoli); “Studi Heideggeriani” (Roma); “Ethos ed eros” (ESI, Napoli);
“Logica e storia in Hegel” (Napoli); “Il problema del cominciamento, Guida,
Napoli; “Hegel e la comprensione della modernità”; “Topologia del moderno,
Marietti, Genova, “La voce riflessa”; “Logica ed etica della contraddizione” Lanfranchi,
Milano, Elogio dello spazio. Ermeneutica
e topologia, Bompiani, Milano, Cristianesimo senza redenzione, Laterza,
Roma-Bari, Non dividere il sì dal no. Tra filosofia e letteratura” (Laterza,
Roma); “Filosofia teoretica: le domande fondamentali: percorsi e
interpretazioni, Milano, “La favola di Cadmo” (Laterza, Roma); “Vico e la topologia”
(Cronopio, Napoli); “La vita e il suo oltre: sulla morte” (Roma); “Il Dio
possibile, esperienze di cristianesimo” (Città Nuova, Roma); “Hegel in Italia”
(Milano); “Dire Dio in segreto” (Roma); Cristianesimo e nichilismo:
Dostoevskij-Heidegger, Morcelliana, Brescia Estetica e ascesi, Modena, E pose
la tenda in mezzo a noi, AlboVersorio, Il Decalogo. Ricordati di Santificare le
feste; I tempi della poesia. Ieri/oggi” (Mimesis, Milano); “Dipingere Dio” (AlboVersorio);
“Vico. Storia, linguaggio, natura, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); “Ripensare
il cristianesimo-De Europa, Ananke); “Oblio e memoria del sacro, Moretti &
Vitali, Bergamo, “Grammatiche del pensiero: dalla kenosi dell'io alla logica
della seconda persona” (ETS, Celan), Heidegger (Mimesis, I comandamenti. Non dire falsa testimonianza,
Il Mulino, L'ethos della topologia. Un
itinerario di pensiero” (Lettere, Firenze); Paolo e l'Europa. Cristianesimo e
filosofia” (Città Nuova, Roma); “L'immagine infranta,” Linguaggio e mondo in Vico”
(Bompiani, Milano);“Vico: tra storia e natura,” in aut aut); “Complessità e
aporie del moderno, in Filosofia politica; “Dall'ermeneutica alla topologia, in
aut aut; “Goethe interprete della modernità” in aut aut; “Per amicizia: Epochè
e metafora”; in aut aut, Sentire le Radici, la Terra stessa, in aut aut; “Zanzotto,
ovvero: la poesia come genealogia della parola in aut aut; “Redaelli, Il nodo
dei nodi; L'esercizio del pensiero in Vattimo, Vitiello, Sini, ETS, Pisa, Luoghi
del pensare” (Mimesis, Milano); Enciclopedia multimediale delle scienze
filosofiche di RAI Educational;"Filosofia". Vittielo. Keywords: la
lingua dell’eroe, la lingua degl’eroi, Lazio, lazini, italiano, volgare,
Lucrezio, confronto vichiano, vicho contro vico, la lingua eroica di Vico. Vico,
semiotica. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft. Luigi Speranza, “Grice e
Vittielo” – “Topologia semiotica di Vico” – “Il Vico di Vittielo” – “Vico e il
segno infranto”, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #vittielo https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4634892216522737 #griceevittielo https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702954709/in/photolist-2mLKGro-2mLKGqm-2mLPa8B-2mLKGp9-2mLQeUV-2mLFB8r-2mLFB8G-2mLKGp4-2mLM9QF-2mLQeUj-2mLFB8B-2mLM9QL-2mLPa9d-2mLPa7E-2mLM9R2-2mLPa7V-2mLKGoN-2mLQeVS-2mLM9Pt-2mLQeVm-2mLKGqS-2mLPa9P-2mLPa8r-2mLFB7V-2mLKGq6-2mLKGqg-2mKQh7E-2mKSowv-2mKNUs2
Grice e Volpe: logica come scienza storica – filosofia
Italian – Luigi Speranza (Imola). Essential
Italian philosopher. Filosofo. Si laurea in filosofia
con Mondolfo a Bologna, insegnando dapprima presso il liceo Galvani a Bologna e
il liceo Alighieri a Ravenna, e a Messina. Legato inizialmente alla
tradizione di Gentile, si dedica a questioni strettamente teoretiche e
storico-filosofiche, attestandosi infine su posizioni fortemente
anti-idealistiche. Approda così attraverso la ri-valutazione dell'empirismo e
dell’umanesimo, mantenendo un'impostazione fondamentalmente
dialettico-materialistica in costante confronto critico e polemico soprattutto
con la dialettica hegeliana e l'idealismo post-hegeliano, ma anche con le
correnti positivistiche semiotica, e con l'esistenzialismo. Questa svolta,
testimoniata dal Discorso sull'ineguaglianza, lo conduce a un sempre maggiore
interesse per i problemi della filosofia politica e dell'etica, considerati
comunque in stretto rapporto con le questioni semiotiche. Non abbandona
comunque i propri interessi storico-filosofici. Tra i saggi quello che, oltre
ad aver avuto più ampia diffusione, rappresenta il più perspicuo esempio della sua
capacità di di muoversi con piena consapevolezza critica tra i piani teoretico,
storico e politico, è senz'altro il saggio “Rousseau e Marx.” Il concetto di “libertà”
(cf. Grice, “Freedom”) è perfettamente integrabile con la dottrina di Rousseau,
il quale quindi non sarebbe da considerarsi né tra i teorici della rivoluzione
borghese né tra i nostalgici di una società parcellizzata in piccolissime unità
cittadine, ma tra i più attuali preconizzatori della società egualitaria. Un
altro dei punti nodali del pensiero di Volpe è il tentativo di elaborare una
teoria estetica rigorosamente materialista. Sottolinea il ruolo delle
caratteristiche strutturali e del processo sociale di produzione della
‘espressione’ nella formazione del giudizio estetico e in forte polemica con la
dottrina dell'intuizione di Croce -- da lui considerata in continuità con la
tradizione romantica e misticheggiante, elabora il concetto di gusto come
principale fonte del giudizio estetico. Presenta nella filosofia italiana una
posizione contro-corrente. Saggi:“L'idealismo dell'atto e il problema delle
categorie” (Bologna, Zanichelli); “Le origini e la formazione della dialettica
hegeliana”; “Hegel romantico e mistico” (Firenze, Monnier); “Il misticismo
speculativo di Eckhart” (Bologna, Cappelli); “La filosofia dell'esperienza”
(Firenze, Sansoni); “Espressione” (Bologna, Meridiani); “Il principio di
contraddizione e il concetto di sostanza prima in Aristotele: contributo a una
critica dei pensieri logici” (Bologna, Azzoguidi); “Crisi dell'estetica romantica”
(Messina, Anna); “Critica dei principi logici” (Messina, D'Anna); “Discorso
sull'ineguaglianza. Con due saggi sull'etica dell'esistenzialismo” (Roma,
Ciuni); “Emancipazione e tras-mutazione dei valori” (Messina, Ferrara);
“Libertà: saggio di una critica della ragion pura pratica” (Messina, Ferrara); Studi
sulla dialettica mistificata”; “Lo stato moderno rappresentativo” (Bologna,
UPEB); “Umanesimo”; “Studi e documenti sulla dialettica materialistica, Bologna,
Zuffi, “Logica come scienza positive”, Messina-Firenze, D'Anna, Eckhart o della
filosofia mistica, Roma, Edizioni di storia e letteratura, Poetica del
Cinquecento. La poetica aristotelica nei commenti essenziali degli ultimi
umanisti italiani con annotazioni e un saggio introduttivo, Bari, Laterza, Il
verosimile filmico e altri scritti di Estetica, Roma, Edizioni Film critica, Roma, La nuova sinistra, Rousseau e Marx e
altri saggi di critica materialistica, Roma, Editori Riuniti, “Critica del
gusto” (Milano, Feltrinelli, Chiave della dialettica storica, Roma, Samonà e
Savelli, Umanesimo ed emancipazione, Milano,
Sugar, Critica dell'ideologia contemporanea. Saggi di teoria dialettica, Roma,
Editori Riuniti, Schizzo di una storia del gusto, Roma, Editori Riuniti, Opere,
Ignazio Ambrogio, Roma, Editori Riuniti, Carlo Violi, La Libra, Messina); Dizionario
biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Volpe. Keywords: critica del gusto per l’antico, il
gusto per gl’antichi degl’antichi, chiave della dialettica storica, la logica
come storia. Refs.: H. P. Grice, The H.
P. Grice Papers, Bancroft; Luigi Speranza, “Grice e Volpe: l’espressione” – The
Swimming-Pool Library, Liguria. #volpe https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4630968216915137 #griceevolpe https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701483802/in/photolist-2mLFBT9-2mLMavd-2mLFBRL-2mLFBT4-2mLKH9W-2mLKH9A-2mLMaxs-2mLQfFV-2mLMaxx-2mLKH9F-2mLPaVy-2mLKH9f-2mLKH8J-2mLFBSH-2mLR8fW-2mKTk4n-2mKQba4-2mKP3yh-RcWNwE-2ceLjKb-2dkLH9H-Rfq5Uo-2dpr57R-2ceMC3W-Rfq5Qf-2bX5TFt-2cisBSE-2bX6L2P-2chQVNm-2dgf1BA-RgAsYs-2dgf1Bq-2dkLH9x-2c1bzrc-2bX6L42-RgAsXW-2djXGNh-PC87FB-2mKSfUg-2mKQaRt-2mKJFw1-2doQtst-2c1bzqF-PzCr2z-2chg4Z9-2dgekHJ-2bX5TH2-2chg4ZE-RcWNwj-2ceLjK1
Grice e Volpi – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Vicenza). Essential Italian
philosopher. Filosofo. “Wild clarity” in Heidegger! Professore
a Padova. Borsista della Fondazione Alexander von Humboldt di Bonn, membro
dell'Institut International de Philosophie di Parigi, dell'Istituto veneto di
scienze, lettere ed arti e dell'Accademia Olimpica di Vicenza, fu insignito dei
premi "Montecchio" e "Nietzsche.” Tra le sue numerose
pubblicazioni: “Heidegger e Brentano”; “La rinascita della filosofia pratica in
Germania”; “Heidegger e Aristotele”; “Il nichilismo”; “Guida a Heidegger”; “I
prossimi Titani. Conversazioni con Jünger (con Antonio Gnoli), Dizionario delle
opere filosofiche, “Il Dio degli acidi” Conversazioni con Albert Hofmann (con
A. Gnoli), “L'ultimo sciamano” Conversazioni heideggeriane (con A. Gnoli),
Storia della filosofia dall'antichità a oggi con Enrico Berti. Per
Adelphi curò opere di Schopenhauer, Heidegger e Carl Schmitt. Collaborò al
quotidiano "La Repubblica". Mentre
e in sella alla sua bicicletta a San Germano dei Berici, e investito da un'auto
e cadde in coma irreversibile. Muore il giorno successivo. Commemorato dal
preside Paolo Bettiolo assieme a tutto il corpo docente di Padova. Istituto
veneto di scienze, lettere ed arti
Lorenzo Parolin, Commozione al Bo per l'addio a Volpi Il Giornale di Vicenza.
“Heidegger e Brentano”; “L'aristotelismo e il problema dell'univocità
dell'essere in Heidegger” (Milani, Padova); “La rinascita della filosofia
pratica” Francisci, Albano/Padova, in Filosofia pratica e scienza politica, Francisci,
Abano/Padova); “Heidegger e Aristotele” (Daphne, Padova); “Il concetto di
decadenza divina; "Filosofia politica", Il nichilismo” (Laterza, Roma);
Guida a Heidegger” (Laterza, Roma); “Hegel e i suoi critici” (Laterza, Roma);“Interprete
del pensiero contemporaneo, Atti dell'incontro internazionale di studio,
Padova, Vicenza, Accademia Olimpica, Atti dell'Incontro internazionale, Lavarone,
Comune di Lavarone;“Il pudore” (Brescia, Morcelliana). Opere su Istituto veneto
di scienze, lettere ed arti. Essere, tempo, esistenza, Associazione Asia, sul
valore e la funzione della filosofia, e sul significato e lo statuto di Essere
e tempo di Heidegger. Volpi. Keywords: dizionario dell’opere filosofico:
Lucrezio, Cicerone, Vico, Croce, Gentile… -- multiplicity of being in Aristotele, univocita dell’essere;
equivocita dell’essere. H. P. Grice, The Grice Papers, Bancroft, MS. Luigi
Speranza, “Grice e Volpi: l’univocita dell’esere” – The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza, Liguria. #volpi https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4616557315022894 #griceevolpi https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702568823/in/photolist-2mLMbqp-2mLKJ4G-2mLQgDG-2mLFCKu-2mLMbpn-2mLMbqK-2mLFCJc-2mLPbQe-2mLPbPY-2mLKJ5d-2mLQgED-2mLGn6X-2mLGnHy-2mLR1o4-2mLPVec-2mLPVeH-2mLR1Xf-2mLR1Z4-2mLMUwi-2mLMUxq-2mLMUwd-2mLPVdA-2mLPVQh-2mLPVeh-2mLMVaT-2mLMV9R-2mLGnG6-2mLMVas-2mLGnHi-2mLLsUg-2mLPVR4-2mLGnHd-2mLGnJA-2mLLshQ-2mLGn7D-2mLLsUM-2mLLsUb-2mLLsUm-2mLR1nn-2mLMUw3-2mLLshp-2mLR1Yn-2mLPVR9-2mLGn6S-2mLPVQn-2mLGnJF-2mLLshK-2mLR1Yh-2mLGn7y-2mLR1Ys
Grice e Volpicelli – corpi e corpi -- filosofia fascista -- filosofia italiana – Luigi
Speranza – la filosofia italiana nel veintenno fascista -- (Roma). Grice:
“While Volpicelli does use ‘spirito,’ he means ‘breath of air,’ since he is
ultimately a naturalist, like I am.” Essential Italian philosopher. Grice: “I
read with intereset his early “Nature and spirit.” At that time at Oxford,
there was not much of an Oxford spirit, so it spirited me.” Filosofo. Prese parte come sotto-tenente alla grande guerra.
Si laurea in filosofia sotto Gentile. Insegna a Urbino, Pisa, e Roma. Teorico
del corporativismo integrale. Direttore di "Nuovi studi" e "Archivio
di studi corporative.” Saggi:“Natura e spirito”; “L'educazione politica
dell'Italia”; “I presupposti scientifici dell'ordinamento corporativo”; “Corporativismo
e scienza giuridica”; “La certezza del diritto e la crisi odierna”; “Dizionario
di Filosofia G.Franchi, “Per una teoria
dell'auto-governo” (ESI, Napoli); “Il contributo italiano alla storia del
Pensiero: Diritto, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, su Treccani Enciclopedie
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Volpicelli. Keywords: natura, spirito, corpi
e corpi, corporazione. H. P. Grice Papers, Bancroft. Luigi Speranza, “Grice e
Volpicelli: il naturalismo,” Luigi Speranza: Grice e Volpicelli: natura e
naturalismo” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #volpicelli
https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4634705286541430 #griceevolpicelli https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701631262/in/photolist-2mLGn6X-2mLGnHy-2mLR1o4-2mLPVec-2mLPVeH-2mLMUxq-2mLMUwi-2mLR1Z4-2mLPVQh-2mLR1Xf-2mLMUwd-2mLPVeh-2mLPVdA-2mLPVR4-2mLGnHi-2mLLshQ-2mLMVaT-2mLR1Ys-2mLPVdv-2mLMVas-2mLLsUb-2mLLsUm-2mLLsiw-2mLGnG6-2mLLshV-2mLPVes-2mLGnHd-2mLPVR9-2mLR1Yh-2mLLsUM-2mLR1nn-2mLGn7y-2mLGnJF-2mLGn6S-2mLPVQn-2mLMUwP-2mLLshK-2mLMUw3-2mLLshp-2mLR1Yn-2mKSnRx
Grice e
Voltaggio – p v ~p – fondamenti della logica – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Palermo). Essential Italian
philosopher. Grice: “I enjoyed “What Leibniz actually saidand not just
implicated.” “He also clarified Husserl to me.” Filosofo. Si laurea
a Roma sotto Antoni. Insegna a Roma, Mogadiscio e Macerata. Già cappo-ridattore
di “Sapere,” collabora con Il manifesto, Lettera Internazionale (di cui è socio
fondatore), Apeiron, Janus e Medical. Consulente scientifico della Fondazione
Sigma Tau di Roma e dell'Istituto Psiconanalitico per le Ricerche Sociali,
membro del seminario di Filosofia di Senigallia. Saggi: “Fondamenti di logica”
(Milano, Comunità), “La funzione critica” (Roma); “Che cosa ha veramente detto
Leibniz” (Roma, Ubaldini); “Scienza” (Milano, Comunità), “I filosofi e la
storia” (Milano, Principato); “L'arte della guarigione nelle culture umane” Torino,
Bollati Boringhieri); “Il medico nel bosco, Roma, Di Renzo); “La medicina come
scienza filosofica” (Lezioni Italiane), Roma, Laterza; Italia Mediterranea. “I
flussi migratori nelle principali città rivierasche” (Roma, Edup); “Antigone
tradita. Una contraddizione della modernità: libertà e Stato nazionale (Roma, Internazionali
Riuniti); “I paradossi dell'infinito” (Milano, Feltrinelli); “Epistemologia e
politica della ricerca” (Roma, Armando; “L'evoluzione di un evoluzionista” Roma,
Armando; “La conoscenza inespressa” (Roma), Armando; “L'ora della
socio-biologia” (Roma, Armando); “L'arte della ricerca scientifica” (Roma,
Armando; “Il potere: processi e strutture: un'analisi dall'interno” (Roma, Armando);“Progresso
e razionalita della scienza” G. Radnitzky, Gunnar Andersson; traduzione e premessa (Armando, Roma; D. Verene:
“Vico: La Scienza della fantasia” Armando, Roma; “L'intelligenza scientifica:
un'indagine sull'immaginazione creatrice dello scienziato” (Roma, Armando); “Filosofi
per la pace” Roma, Editori Riuniti; Galeno: Trattato sulla bile nera, FV,Torino,
Aragno. Voltaggio. Keywords: Vico, “la scienza della fantasia” fundamenti della
logica – fundamenti della logica di voltaggio – veramente detto Vico –
veramente impiegato Vico --. Refs.: Luigi Speranza, “Voltaggio: what Leibniz
implicatedas explicated by Grice.” H. P. Grice, “Voltaggio,” BANC MSS 90/135 c.
Luigi Speranza, “Grice e Voltaggio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria #voltaggio https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4634606856551273 #griceevoltaggio
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701632912/in/photolist-2mLQZRC-2mLGod1-2mLMVBV-2mLPWir-2mLLtoN-2mLPWig-2mLR2s3-2mLPWim-2mKJMD1
Grice e Winspeare: elogio d’Antonino – “Della filosofia
romana” (Portici). Filosofo. Essential
Italian philosopher. “My Italian friends do not consider me Italian, though!”
Winspeare’s ancestors are from Yorkshire in a bad time. Henry VIII. “So the
king’s option was clear: either your head off or move to Capri. I chose the
second.” Opere: “Delle confessioni spontanee de' rei” (Stamp. Simoniana,
Napoli); “Storia degli abusi feudali” (Tip. Trani, Napoli); “Voti de'
Napolitano (Napoli); “La voce di Napodano, ossia Quarta illustrazione del patto
di Capuana e Nido” (Tip. Trani, Napoli); “I libri delle ‘Leggi’ di Cicerone
volgarizzati” (Trani, Napoli); “Delle chiese ricettizie del Regno” (Trani,
Napoli); “Filosofia” (Trani, Napoli); “Dissertazioni legali” (Agrelli, Napoli);
“La colonia perpetua ed i diritti feudali aboliti” (Pesole, Napoli). Della filosofia romana. La filosofia romana può dirsi, che
cominci da Cicerone, cui è dovuta la lode di aver dato la cittadinanza latina
alle greche discipline, e di avere eccitato in questi studî l' emulazione de'
suoi cittadini. Suo è il vanto di avere richiamato la scienza a' principî di
Socrate e di Platone di averla applicata alla vita si domestica che publica, e
di averle dato un linguaggio che prima non aveva; pe’quali meriti raccolse in
se la gloria de’greci mae stri. Sapiente come Socrate, eloquente come Platone,
erudito come Aristo tele, e austero come Zenone, Cicerone compendið in se le
più chiare menti della Grecia, sì che risplende nel mondo intelligente, non
solamente come il luminare della filosofia latina, ma come il più ornato, il
più elegante, e il più retto ingegno, che abbia onorato la spezie umana. Che se
mancogli il merito dell'invenzione, ne ebbe bene un altro, che quello eguaglia
ed avan za, cioè l'essere stato tra gli antichi il più utile alla filosofia
pratica, avendo rimosso dalla speculativa la investigazione delle cause
naturali, e dimostralo l'unità del principio, a cui si annodano la teologia
naturale, la psicologia, e la morale. Infatti avendo, come Socrate, stabilito
per iscopo d'ogni filo sofia la conoscenza di se medesimo, da questo fece
nascere la conoscenza di Dio, la celeste origine delle anime umane l'ordine
morale degli Esseri creati, il fine de' beni e de' mali, la cognizione del sommo
bene, il prin cipio delle obligazioni naturali, e la nozione di quella eterna
legge che tutto modera e governa (a ). Avendo così dato alla filosofia un fine
vero, e utile alla umana vita, poco entrar volle ne'concetti metafisici, e
forse disprezzogli al par di Socra te; il che ha fatto a molti dire, che
Cicerone nell' esporre le dottrine delle greche scuole non sempre avesse
penetrato addentro nel senso loro, e fosse quasi rimaso straniero a quella
esoterica sapienza, che taluni tanto più pre dicano e ammirano, quanto più di
tenebroso trovano nelle sue concezioni. E qui domanderemmo, se non è arroganza
de'moderni il tassare di poca penetrazione la più luminosa mente dell'antichità,
la quale abbracciò le parti tutte dell' umano sapere, svolse le più gravi
quistioni della filosofia intellet tuale, e spogliandole de’sofismi della
dialettica le rendette facili e popolari? E vorremmo ancora sapere, se possa
imputarsi a difetto di scienza l' avere ommesso quelle controversie, che non
solamente non contribuiscono alla per fezione della cognizione, ma la fanno in
falsa parte piegare? Sarà facile il rispondere a chiunque farassi a considerare
le parti singole della filosofia da lui trattate, prendendole dal quadro
ch'egli stesso ne fece nella introduzione d ' uno de' suoi libri filosofici. Ne'
libri accademici volle egli dimostrare la prima e più importante ve rità
dell'umana cognizione, la certezza delle sorgenti delle idee. In ciò fare,
Origine e realità della umana seguì per rispetto a' sensi la dottrina di Zenone,
che a quelli dato aveva cognizione. più che non aveva concesso Aristotele, o
sia defini e determinò il compren sibile de'sensi ne'termini stessi di quella
scuola (c); dal che dedusse, esser la verità de' sensi una condizione
necessaria della natura, comprovata dalla differenza che la natura stessa ha
stabilito tra 'l piacere e il dolore. Ma a canto al principio della sensazione,
collocò la virtù intuitiva dell' anima come affalto distinta da quello, o sieno
le prime nozioni impresse dalla na tura, senza le quali la mente non avrebbe
potuto nè intendere nè ragionare. Tuscul., De legib., Academ., Visum, impressum,
effictumque ex eo unde esset; quale esse non possel ex eo, unde non esset.
Lucullus. Circa la dottrina delle idee, espone storicamente il concetto di idea
di Platone, senza impugnarlo o sostenerlo; narra lo strazio che fatto ne ha Aristotele,
insieme co'suoi peripatetici; lascia da banda la questione del come le nozioni
nascose e adombrate nell'anima si sviluppassero, ma riconobbe come
indispensabile la necessità d' un secondo principio tutto intellettuale, senza
del quale sarebbe stato impossibile spiegare le operazioni della mente,
l'astrarre, il generalizzare, l'inventare, e sopratutto il prodi gioso fenomeno
della memoria (a). Conforme a' principi della umana cognizione fu il resto del
suo sistema Conoscenza intellettuale, che espone nelle tusculane e ne' saggi
intorno a ' fini de' beni e di se medesimo. de mali. Per la contemplazione di
se medesimo, introdusce l'anima alla cognizione della immortalità ed
immaterialità della sua sostanza, della origine divina da cui emana, dello
scopo della vita, e del sommo bene cui debbe aspirare. E in prima, la più
importante qualità dell'anima, siccome Cicerone avverti, è l'intuizione di se
medesimo, la qual dote è appunto una conseguenza di quel principio
d'intellezione che la natura ha in lei impresso, che non si acquista co' sensi,
e che nella più matura età quando i sensi declinano, diviene più retto e
perspicace. Dalla virtù, che l'animo ha di vedere se medesimo e le qualità sue,
e dalla forza che ha in se di volere e di muovere, sente l'uomo essere cotesta
virtù un principio proprio, non prodotto da altra esterna forza, e scopre
essere quel principio stesso il quale muove la materia, affatto simile
all'azione, che dà moto e vita all'universo; d'onde conclude non essere
materiale o corporea, nè terrena o mortale, ma celeste ed eterna. Nè solamente
dal principio della volontà e del moto ricava l'im mortalità e l'immaterialità
della sostanza sua, ma si bene dalle altre doti intellettuali, di cui scorgesi
arricchita: dalla facoltà di pensare, di ritenere e di richiamare le idee e le
nozioni passate, di antivedere le future, e di abbracciare col pensiero la
Divinità, le opere sue, e l'infinito stesso, che n'è il principale attributo.
In somma sviluppando il precetto di Socrate, conosci te stesso, o sia investiga
quale sia l animo tuo, Cicerone fa da quello derivare i tre primi dogmi della
naturale sapienza dell' uomo, l' esi stenza di Dio, l'immaterialità, e l'
immortalità dell' anima umana. E allorchè dalla interna investigazione
dell'animo passa alla contemplazione de gli obbietti esterni, e delle altre
opere della natura, quanto più luminoso non diviene il concetto della Divinità,
della dignità dell'uomo, della sua futura sorte, e del vero scopo della vita?
Delle quali magnificenze sarebbe l'uomo muto e indifferente spettatore al pari
dei bruti, se non avesse sviluppato entro di se le nozioni del proprio essere,
e delle relazioni sue colle altre creature, e coll'Autore stesso dell'universo
Academ. Animo ipso animum videre. A stabilire poi la vera nozione della
Divinità, ne' libri de natura deo rum volle Cicerone esporre le principali
opinioni delle greche scuole, l'accademica, la stoica, e l'epicurea; e sbandita
questa (la quale dava alla Di vinità per suo unico fondamento la pratica
credenza degli uomini e rendevala affatto inutile alla vita), dimostrò come gli
accademici discordassero dagli stoici nelle parole più che nella sostanza.
Ciascuna di quelle due scuole non pertanto aveva una parte vera: il concetto
della Divinità, ricavato dall'opera dell'universo, era degli accademici, i
quali ereditato l'avevano da’socratici: l'altro della provvidenza, che tutto
regge é dispone per la utilità dell'uomo, era degli stoici. Ma costoro d'altra
parte ammetlevano dogmi, e commettevano insieme principî tra loro
incompatibili, come la natura animata cogli attributi della Divinità, il fato
colla provvidenza e colla libertà delle umane azioni. La stessa loro virtù, o
il sommo bene non polevasi accomodare al viver pra tico degli uomini, dapoichè
era collocata in un estremo tale, che per esso toglievasi ogni merito o biasimo
a'fatti, buoni o tristi che fossero, se pur non toccassero l'apice della
perfezione: per esso l'uom sapiente diveniva un Essere ideale, che non potevasi
scontrare sulla terra: i doni della natura la sanità, il vigore, la bellezza,
le sostanze erano agguagliate a' difetti e alle privazioni contrarie: il
piacere scambiayasi col dolore: le relazioni tra gli uomini, gli ufizi della
vita, la prudenza, l'ordine, le virtù civili, la cura de'publici negozî, e la
domestica economia, divenivan tutte qualità di convenzione, estranee alla
sapienza e alla vera virtù A rim. uovere l'ostentazione di questa scabrosa
virtù, dopo avere esposto le opinioni delle greche scuole, Cicerone dimostrò
quanto di vano fosse nelle parole e ne' nuovi vo caboli introdotti dagli
stoici, e come il giusto mezzo si trovasse nelle emen dazioni di Panezio, il
quale aveva conciliato Zenone, cogli accademici e co' peripatetici. Tale fu lo
scopo de' suoi libri intorno a' fini de' beni e de' mali, insieme co'quali va
letto l'altro del fato, che scrisse per accor dare insieme la dottrina
dell'ordine della natura colla provvidenza, e colla libertà delle umane azioni;
libro, per altro, di cui ci rimane soltanto un mal concio avanzo. Non oseremmo
fare la stessa apologia de' libri intorno alla divinazione, nè sapremmo dire,
se avesse egli inteso sostenere la verità delle scienze divinatorie per
l'autorità degli stoici, o per la necessità di ri spettare una dottrina
popolare, a cui non avrebbe potuto impunemente con traddire. Forse la maggior
lode di quella opera potrebbe ricavarsi dal filo sofico concetto che in essa
sovente traluce, cioè che v' ha una provvidenza conservatrice, della cui
assistenza la mente umana senle il bisogno, per modo che gli stessi prestigî e
le superstizioni delle arti divinatorie sono la pratica espressione di tal
bisogno. Quae est causa istarum angustiarum gloriosa ostentatio in constituendo
sum mo bono. De Finibus. Le opere sin qua esposte abbracciano tutta la
filosofia speculativa di Cicerone. Non sono meno luminose quelle della
filosofia pratica: i libri degli ufizi contengono l'applicazione della dottrina
stoica, secondo le emendazioni di Panezio, a' portamenti della vita; siccome i
libri della republica e delle leggi derivarono dagli stessi principi le regole
per la vita publica, e per lo civile reggimento de' popoli. Per lui in somma,
la filosofia nacque in Roma matura, senza passare per l'età dell'infanzia,
siccome aveva falto in Grecia. Negli studi della umana sapienza la ragione
romana ebbe per guida la spe rienza, o sia la storia delle opinioni e degli
errori del più perspicace e il luminato popolo del mondo, il quale aveva
figurato come l'antesignano e il luminare di tutti gli altri nella carriera
delle lettere e delle scienze. Cicerone e eclettico, perchè altra parte non
resta a chi sopraggiugne nella maturità del sapere, fuorchè il giudicare e lo
scegliere. Ma l'avere esercitato il giudizio e la scelta in tutte le parti della
filosofia; lavere signoreggiato i pensieri de' greci con un criterio sempre
libero e retto; e l'aver dato ai pensieri della scienza l’espressione, o sia il
linguaggio di cui i romani mancavano, gli meritarono presso i suoi un primato,
che altro sapiente mai non ebbe presso la propria nazione. In conferma di che
giova osservare, che in tutta la durata del romano impero, e in mezzo a tanti
sommi uomini i quali ar ricchirono ogni parte del sapere cogli scritti loro;
non apparve più alcuno che fosse stato a lui comparato, si che egli è solo
modello della sana filo, sofia tra'latini, come Socrate tra'greci. Della
filosofia pratica sopratutto fu benemerito, dapoichè per lui la dot trina degli
stoici passò dalla scuola nel foro, e nel grande tealro del mon do. Da questa
la giurisprudenza attinse le cardinali nozioni della giustizia, e delle
obligazioni, proprie a stringere e consolidare i legami delle civili as
sociazioni. E sebbene nelle mani de'giureconsulti la dottrina stoica acquistato
avesse una tinta di disputabile, aliena dalla sua naturale rigidezza, e avesse
da Seneca ricevulo un certo orpello declamatorio; pur tuttavolta fu da Ar riano
nel manuale di Epitteto richiamata a' severi principî di Zenone e di Cleanto. Certamente
in Roma ottenne successi maggiori che in Grecia, per chè ivi divenne madre
della sapienza civile, ed ebbe il vanto di aver dato al mondo due perfetti
modelli di re, nelle persone di Marco Aurelio e di Antonino. Restiamo dall'
internarci negli ultimi periodi della filosofia del basso impero, si greco che
latino; tra perchè le vecchie nazioni che il compone vano, nella condizione
stessa della loro vita civile trovavano invincibili osta coli a' progressi
della ragione; e perchè gli ultimi aneliti della filosofia an darono in quel
tempo a scontrarsi col grande avvenimento, che rinnovar doveva la religione, la
coltura e i costumi di tutti i popoli. Basterà dire, che il ritratto delle
opinioni e de'costumi della ultiina età dell'impero ro mano sta in quel che
abbiamo già detto deļla scuola alessandrina: lo scetticismo e l'indifferenza
per ogni verità formavano la doltrina de' sapienti: la corruzione scioglieva
ogni giorno i vincoli sociali: la superstizione e l'igno ranza avevano
ottenebrato la superficie della terra. Keywords: elogio d’Antonino. Grice:
“Hailing remotely from the Catholic North Riding of Yorkshire and settling in
the most beautiful coastline in the world, Winspeare knew all you need to know
about Cudworth, and what he calls ‘percezione.’ I would call him an Oxonian.” Grice:
“My favourite Winspeare is his ‘dictionary’: obviously he found Italian furrin
enough to want to organize things in a sort of thesaurum. Speranza, on the
other hand, likes Winspeare’s idea of ‘volgarizzazione’ of Cicero’s ‘De
Legibus.’ – one of the most boring tracts in legalese, but then at Naples at
the time, you HAD to be a lawyer!” -- Refs.: H. P. Grice, “Winspeare, Speranza,
Napoli, and me!”The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft. Luigi
Speranza, “Grice e Winspeare,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria #winspeare https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4572857239392902 #griceewinspeare https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702440656/in/photolist-2mMPWdd-2mLPZbv-2mLR5nr-2mLR5nB-2mLMYBx-2mLR5mK-2mLPZaZ-2mLMYBc-2mLGr84-2mLPZcC-2mLGr8Q-2mLLwjC-2mLMYBn-2mLGr7C-2mLLwk9-2mKSd2s-2mKTgQZ-2mKSdA3-2mKTa4N-2mKNJaP-2mKQ9uA-2mKvUAt
Grice e Zabarella – filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo. Grice: “Most philosophers are
stealing the voice of Zabarella; Poppi isn’t!” -- Jacopo
Zabarella, spesso indicato come Giacomo Zabarella è stato un filosofo
italiano. Primogenito di un'antica e nobile famiglia, ereditò dal padre
Giulio il titolo di conte palatino; è considerato il massimo esponente dell'aristotelismo
padovano. Studia a Padova, dove fu allievo di Robortello, Tomitano e
Passeri, laureandosi in filosofia. Ottenne, succedendo a Tomitano, la
cattedra di semiotica nello Studio padovano. Ottenne la seconda cattedra straordinaria
-(ma, propriamente, parificata in quell'anno e nei successivi otto con la prima
cattedra) e ottenne la prima cattedra straordinaria. Ottenne la seconda
cattedra ordinaria. Declina l'invito del re Stefano Báthory di insegnare in
Polonia, ma gli dedica il suo scritto più importante, l'Opera logica, stampata
a Venezia. Furono pubblicate a Padova le sue “Tabulae logicae” e a Venezia, il
suo commento agl’Analitici II di Aristotele. In risposta alle critiche
mosse alla sua semiotica dai suoi colleghi, Piccolomini, Balduino e Petrella,
pubblicò a Padova la “De doctrinae ordine apologia.” Apparvero rispettivamente
le sue opere, la “De naturalis scientiae constitutione” e i “De rebus
naturalibus; postumi comparvero i suoi commenti incompiuti alla Fisica e al De
anima di Aristotele.” I libri della sua biblioteca sono conservati presso a Padova. Opere:
“Opera Logica” (Venezia); “De methodis libri quatuor”; “Liber de regressu”
(Venezia, ristampa anastatica, Bologna); “Tabula logicae” (Venezia); In duos
Aristotelis libros Posteriores Analyticos commentarii, Venezia; “De doctrinae
ordine apologia” (Venezia); “De naturalis scientiae constitutione” (Venezia); “De
rebus naturalibus libri XXX, Venezia; “In libros Aristotelis Physicorum
commentarii, Venezia, Opera Physica, Francoforte, ristampa anastatica Verona;; De
generatione et corruptione et Meteorologica commentarii, Francoforte; In tres
libros Aristotelis De anima commentarii, Venezia,. “De mente agente”; “De rebus
naturalibus liber XXIX”; “De sensu agente”, “De rebus naturalibus liber XXIV,
«Rivista di Storia della Filosofia», “De inventione aeterni motoris e De rebus
naturalibus liber IV, Bruniana & Campanelliana. Bibliografia E. Berti, “Metafisica
e dialettica nel Commento di Giacomo Zabarella agli Analitici posteriori” in
«Giornale di metafisica»’ F. Bottin, “La teoria del regresso in Zabarella, in
C. Giacon, Saggi e ricerche, Padova, F. Bottin, “La logica in Zabarella, in
«Giornale Critico della filosofia Italiana», E. Cuttini, Natura, morale e
seconda natura nell'aristotelismo di Zabarella, Padova, M. Dal Pra, Un'oratio
programmatica di Zabarella, in «Rivista critica di storia della filosofia», G.
Papuli, Dal Balduino allo Zabarella e Galilei: scienza e dimostrazioni, in
«Bollettino di storia e filosofia», A. Poppi, La scienza in Zabarella, Padova, A. Poppi,
Introduzione all‘aristotelismo padovano, A. Poppi, Ricerche sulla teologia e la
scienza nella scuola padovana del Cinque e Seicento, Rubbettino, Soveria
Mannelli,Rossi, Aristotelici e moderni: le ipotesi e la natura, in “Aristotelismo
veneto e scienza moderna” – Padova. G. Tonelli, “Zabarella ispiratore di
Baumgarten, o l'origine della connessione tra estetica e logica,” in Da Leibniz
a Kant, Napoli, Treccani – Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Delio Cantimori, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice:
“Zabarella is what I would call a proto-Griceian.” In fact, at Villa Speranza, Grice
is often as the English Zabarella, after Zabarella produces extensive
commentaries on Grice’s favourite tract by Aristotle, “De Anima,” and “Physica”
and also discusses some Aristotelian interpreters. However, Zabarella’s most
original contribution is his work in semiotics: “Opera logica.” He regards
semiotics as conceptual analysis. One tool Zabarella calls ‘ordine’ (cfr. Grice, ‘be orderly’). Another tool Zabarella
calls “metodo,” by far predating Cartesio. “Ordine” relates to how to organize
the content of a dictum to apprehend it more easily. ‘Metodo’ relates to how to
draw an illatum (or impliatum). Zabarella reduces the variety of ‘ordine’ and
‘metodo’ classified by other interpreters to ‘ordine compositivo’, ‘ordine
resolutivo’, ‘metodo compositivo’ and ‘metodo ‘resolutivo’. The ‘ordine
compositivo’ from a principle to this or that corollary applies to this or that
‘creditum.’ The ‘ordine resolutivo,’ from a desired end to the means
appropriate to its achievement applies to this or that ‘volitum,’ such as
‘pragmatics’ understood as a manual of rules of etiquette. This much is already
in Aristotle. However, Zabarella offers an original analysis of ‘metodo’ The
‘metodo compositivo’ infers a particular consequence or corollary from a
general principle. The ‘metodo resolutivo’ INFERS an originating principle from
a particular consequence, corollary, or instantiantion, as in inductive
reasoning or in reasoning from effect to cause. Zabarella’s terminology
influences Galileo’s mechanics, and has been applied to Grice’s inference of
the principle of conversational co-operation out from the only evidence which
Grice has, which is this or that ‘dyadic’ exchange, as he calls it. In Grice’s
case, his corpus is intentionally limited to conversations between two Oxonian philosophers:
A: What’s that? B: A pillar box? A: What colour is it? B: Seems red to me. From
such an exchange, Grice infers the principle of conversational co-operation. It
clashes when a cancellation (or as Grice prefers, an annulation) is on sight:
“I surely don’t mean to imply that it MIGHT actually be red.” “Then why be so
guarded? I thought you were cooperating.”H. P. Grice. Grice liked to recite
Zabarella’s works by heart. Saggi: “Logica”
(Venezia); “De methodis”; “De regressu” (Venezia); “Tabula logicae” (Venezia),
“In duos Aristotelis libros Posteriores Analyticos commentarii” (Venezia); “De
doctrinae ordine apologia” (Venezia); “De naturalis scientiae constitutione”
(Venezia); “De rebus naturalibus” (Venezia); “In libros Aristotelis Physicorum
commentarii” (Venezia), “Physica” (Francoforte); “De generatione et corruptione
et Meteorologica commentarii” (Francoforte); “In tres libros Aristotelis De
anima commentarii” (Venezia). Keywords: metodo compositivo, metodo resolutivo,
ordine compositivo, ordine resolutivo. Refs.: Luigi Speranza, Notes on I
Tatti’s edition of Zabarella, “On methods,” -- H. P. Grice, “Zabarella,”
Speranza, “Grice and Zabarella.” “Grice e Zabarella: la risoluzione buletica,” Villa
Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #zabarella https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4464023146942979 #griceezabarella https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688822993/in/photolist-2mLQ1Vx-2mKHbw4-2mKT9pB-2mKT9PQ-2mKPYC1-2mKS5Wk-2mKJjKr-2mKPYsB-2mKyJgk
Grice e Zamboni – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cento).
Filosofo. “Famous for his dialettica e cosmologia and implicature!” – Grice. Figlio di Matteo Zamboni, un pittore originario di Cremona, di cui si
conservano affreschi negli oratori delle chiese della Pietà e di San Rocco -- e
da Mattea Pilanzi. Prese la strada degli studi umanistici: studente in legge
nell'Università di Ferrara, scelse poi filosofia, allievo di Federico Pendasio,
divenendo insegnante di filosofia naturale nello Studio ferrarese. Tenne rapporti
con la corte estense: di fronte a Leonora d'Este recitò il suo poemetto Le
pompe funebri, e quando si trovò a essere oggetto di non chiarite gelosie e
maldicenze da parte dei suoi colleghi dell'Università, scrive al duca Alfonso
per richiedere un suo intervento. Non risulta che Alfonso II abbia risolto i
conflitti denunciati dal Cremonini, che perciò decise di trasferirsi altrove. Fu
chiamato a Padova per insegnare filosofia naturale in secundo loco, in
sostituzione di Giacomo Zabarella, da poco defunto, mentre Francesco di Niccolò
Piccolomini assumeva la prima cattedra. Inizia il suo corso, leggendo la
prolusione Exordium habitum Patavii. Contro il tentativo dei gesuiti di fondare
a Padova un proprio Studio rivale dell'Università, il Cremonini si espresse con
l'Oratione contro i gesuiti a favore della Università di Padova tenuta di
fronte alla Signoria di Venezia, nella quale sostenne che Padova «per insegnare
le scienze non ha bisogno dell'aiuto de' Padri Giesuiti e paventa i rischi di
dividere gli studenti in fazioni come i guelfi e gibellini. L'autorizzazione
all'apertura dello Studio non fu rilasciata e i gesuiti furono poi espulsi
dalla Repubblica nel 1606, a causa dell'interdetto scagliato da Paolo V, cui
seguì la cosiddetta Guerra dell'Interdetto. Ha una famosa controversia con
Raguseo sulla natura degli elementi, sul valore della storia delle
interpretazioni di Aristotele e sulle questioni didattiche. Difensore
della medicina averroista e sostenitore della mortalità dell'anima, legata
indissolubilmente al corpo umano, fu sospettato di eresia e venne denunciato
all'inquisizione di Padova. Con l'amico e rivale Galilei, Zamboni, ad opera di
Belloni, condivise on accuse diverse, una denuncia al tribunale
dell'Inquisizione padovana che non ebbe alcuna conseguenza per entrambi.
Galileo fu accusato di praticare l'astrologia giudiziaria e Cremonini di
sostenere la mortalità dell'anima e che Aristotele avesse separata la filosofia
dalla teologia. Cremonini dovette affrontare altri due processi dai quali usce
indenne grazie alla protezione della Repubblica di San Marco. Anche se molte
fonti riportano che morì di peste durante l'epidemia che colpì l'Italia risulta
che muore a causa di catarro accompagnato da febbre. Secondo alcuni studiosi
Galileo si ispira a Zamboni nella scelta di Simplicio come rappresentante
dell'aristotelico avversario del copernicanesimo. Zamboni pubblica pochi saggi
della sua dottrina mentre sono a noi giunte numerose trascrizioni delle sue
lezioni che egli preferiva tenere oralmente al posto della forma scritta. Le
trascrizioni delle lezioni tenute nello studio di Padova e privatamente
tuttavia presentano gravi problemi interpretativi che hanno impedito alla
storiografia di poter avanzare una sintesi sicura del suo pensiero. Unica
eccezione a questa difficoltà interpretativa il testo Lecturae exordium, letto in
occasione della sua prima lezione in Padova. Nella prima parte dell'opera egli
si rammarica che il continuo rinascere della natura, come la successione delle
stagioni, dalle sue forme ormai trascorse, non susciti la meraviglia dell'uomo
e lo sgomento per il continuo morire del mondo. Il mondo non è mai: nasce
e muore continuamente, si conclude con l’affermazione del dovere dell’uomo di
conoscere se stesso. L’uomo, scrive Cremonini, si scopre in mezzo alle
tribolazioni dell’incostanza; ebbene, la conoscenza di sé è l’unico strumento
capace di dare all’uomo serenità. La strada per conoscere se stessi e
raggiungere la serenità è data dalla filosofia su cui si basa la morale e la
scienza. L'uomo ha avuto in dono da Dio un intelletto onnipotente che dalla
conoscenza di se stesso e della natura giungerà a congiungersi con la
beatitudine divina. Dibattito relativo alle osservazioni di Galileo Secondo una
diffusa ma falsa narrazione Cremonini fu uno di quei professori aristotelici
che non solo rifiutarono pervicacemente le scoperte galileiane in nome della
filosofia peripatetica ma si rifiutarono, invitati dallo scienziato pisano, di
osservare direttamente nel telescopio l'esistenza delle montagne della Luna,
delle fasi di Venere, dei satelliti di Giove. Questo avvenimento, tramandato
come simbolo della miopia di coloro che si ritengono custodi del vero sapere, è
invece ritenuto falso. Nella lettera Galilei racconta a Keplero il
comportamento dei docenti dello Studio di Padova ma non fa nomi. Che dire dei
più celebri filosofi di questo Studio i quali, colmi dell’ostinazione
dell’aspide, nonostante più di mille volte io abbia offerto loro la mia
disponibilità, non hanno voluto vedere né i pianeti, né la luna, né il
cannocchiale? Questo genere di uomini ritiene infatti che la filosofia
‹naturale› sia un libro come l’Eneide e l’Odissea e che le verità siano da
ricercare non nel mondo o nella natura, bensì (per usare le loro parole) nel
confronto dei testi. Ad un esame superficiale una lettera a Galilei di Gualdo
sembrerebbe confermare che tra coloro che rifiutarono l'osservazione con
il telescopio vi fosse anche Zamboni. Abbiamo qui l'Ill.mo Sr. Andrea Morosini,
il quale non può patire che Zamboni mentre V.S. è stata qui, non habbia
procurato né voluto vedere queste sue osservationi, havendole io detto ch’ella
se gli era offerta di andare sino alla sua propria casa per fargliele vedere;
onde le pare che habbia torto contrariarle senza haverne fatto qualche
esperienza. Nella successiva lettera di Gualdo a Galilei si riferisce di un
colloquio con Cremonini che al rimprovero di essersi rifiutato dell'esperienza
con il telescopio risponde che lo fece perché: non volendo approvare cose
di che io non ho cognitione alcuna, né l’ho vedute. Questo è quello, dico,
ch’ha dispiacciuto al Sr. Galilei, ch’ella non abbia voluto vederle. Rispose:
Credo che altri che lui non l’habbia veduto; e poi quel mirare per quegli
occhiali m’imbalordiscon la testa: basta, non ne voglio saper altro. Zamboni
affermi in questo testo che gli causò disagio mirare nel telescopio e che
dunque non si rifiutò di guardare ma non accettò di vedere cioè di accogliere
l'interpretazione galileiana di quelle osservazioni.Più in generale, Forlivesi
sostiene che la posizione di Cremonini fu sempre coerente nel ritenere che
l'interpretazione dei dati osservativi non potesse andare disgiunta
dall'esistenza di una dottrina filosofico-naturale complessiva. Forlivesi
rileva altresì che lo stesso Galileo, a volte, propose ipotesi circa la natura
dei cieli non meno problematiche di quelle proposte dagl’aristotelici. D'altra parte, come confermato dallo storico
della scienza Enrico Bellone nella sua monografia su Galilei per i
"Quaderni de 'Le Scienze'", il cannocchiale era uno strumento di
fattura "artigianale" e non scientifica, in quanto non esisteva
ancora una teoria dell'ottica - si dovrà attendere Newton e le immagini erano
alquanto deformate. Saggi: “Le pompe funebri ovvero Aminta e Clori,
Ferrara); “Lecturae exordium habitum Patavii; Ferrara, B. Mammarelli; Explanatio
proœmii librorum Aristotelis De physico auditu, cum introductione ad naturalem
Aristotelis philosophiam, continente tractatum De pædia, descriptionemque
universæ naturalis Aristoteliæ philosophiæ, quibus adjuncta est præfatio in
libros De physico auditu, Patavii, Melchiorem Novellum; Oratio habita Ferrariae
ad Clementem VIII pro S.Q. Centensi, Ferrariae); Disputatio De formis quatuor
corporum simplicium quæ vocantur elementa, Venetiis); Oratio habita in
creatione serenissimi Venetiarum principis Leonardi Donati, Venetiis); Disputatio
de cœlo, in tres partes divisa, de natura cœli, de motu cœli, de motoribus cœli
abstractis. Adjecta est Apologia dictorum Aristotelis, de via lactea, et de
facie in orbe lunæ (Venezia, Balionum); “Oratione al serenissimo prencipe
Giovanni Bembo nella sua essaltatione al Prencipato); “Apologia dictorum
Aristotelis, de quinta cœli substantia adversus Xenarcum, Venetiis, Meiettum); Il
nascimento di Venezia, Venezia); Oratione al serenissimo prencipe Antonio
Priuli nella sua essaltatione al prencipato, Il ritorno di Damone, Venezia); Oratione
in nome della Università di Padova (Chiorindo e Valliero, Venezia); Apologia
dictorum Aristotelis De calido innato adversus Galenum (Venetiis, Deuchiniana);
Apologia dictorum Aristotelis De origine et principatu membrorum adversus
Galenum” (Venetiis, Hieronymum Piutum); Expositio in digressionem Averrhois de
semine contra Galenum pro Aristotele; Tractatus tres. Primus est de sensibus
externis. Secundus de sensibus internis. Tertius de facultate appetitiva,
Venetiis); Dialectica, Venetiis); Le nubi, Venezia, Biblioteca Marciana. Zamboni,
Testamento. Fonte: G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana,
riferimenti in Collegamenti esterni. In
A. Favaro, Lo Studio di Padova e la Compagnia di Gesù sul finire del secolo
decimosesto; C. Preti, Giorgio da Ragusa, in Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Zamboni in occasione del
trasferimento di Galilei da Padova a Firenze si rammaricava scrivendo. O quanto
harrebbe fatto bene anco il Sr. Galilei, non entrare in queste girandole, e non
lasciar la libertà patavina (Portale Galileo)
Portale Galileo Marco Forlivesi,
«Cesare Cremonini» in Il contributo italiano alla storia del Pensiero –
Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Per esempio, Pinotti,
autore dell'introduzione al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
(Milano); C. Cremoninus, Lecturae exordium; M. Forlivesi, Il Contributo
italiano alla storia del Pensiero – Filosofia; Enciclopedia Italiana
Treccani G. Galilei, epistola ad
Johannem Keplerum, Paduae); in Le opere, A. Favaro, lettera, Gualdo, lettera a G.
Galilei, Padova,, in G. Galilei, Le opere; Gualdo, lettera a G. Galilei,
Padova; in G. Galilei, Le opere; M. Forlivesi. Galilei, Opere, ediz. naz.; A. Tassoni,
Lettere, P. Puliatti, Bari); Giovanni Vincenzo Imperiale, Musaeum historicum et
physicum, Venetiis); F. Arisi, Cremona literata, Parma-Cremona; Naudaeana et
Patiniana, Amstelodami); Giovanni Mario Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia,
Venezia); Ferrante Borsetti, Historia alini Ferrariae Gymnasii (Ferrariae); J.
Guarino, Ad Ferrariensis Gymnasii historiam supplementum et animadversiones (Bononiae);
F. Borsetti, Adversus supplementum et animadversiones (Venetiis); Iacopo
Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini (Padova); G. Erri, Dell'origine di Cento (Bologna);
G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana (Venezia); F. Fiorentino, Pomponazzi
(Firenze); A. Favaro, Lo Studio di Padova e la Compagnia di Gesù sul finire del
secolo decimosesto, in Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti;
D. Berti, Di Zamboni e della sua controversia con l'Inquisizione di Padova e di
Roma, in Memorie della Reale Accademia dei Lincei, classe di scienze morali,
storiche e filologiche; L. Mabilleau, Étude historique sur la Philosophie de la
Renaissance en Italie: Zamboni, Paris); Antonio Favaro, Galileo Galilei e lo Studio
di Padova, Firenze); ad Indicem; Antonio Favaro, in Archivio Veneto (rec. di
Mabilleau); L. Sighinolfi, Il posseso di Cento e della pieve e la legazione di
Zamboni a Clemente VIII in Ferrara, in Atti e memorie della Regia Deputazione
di storia patria per le province di Romagna; Atti della nazione germanica
artista nello Studio di Padova; A. Favaro, Venezia); ad Indicem; Atti della
nazione germanica dei legisti nello Studio di Padova, a cura di B. Brugi, I,
Venezia); J. Charbonnel, La Pensée italienne au XVIe siècle et le courant
libertin, Paris); V.Spampanato, Documenti intorno a negozi e processi
dell'Inquisizione, in Giornale critico della filosofia italiana; G. Spini,
Ricerca dei libertini, Roma); L. Firpo, Filosofia italiana e controriforma,
Torino); Pietro Savio, Il nunzio a Venezia dopo l'Interdetto, in Archivio
Veneto; G. Saitta, Il Pensiero italiano nell'Umanesimo e nel Rinascimento,
Firenze); M. Torre, Un processo del XVII secolo: l'inquisizione contro Zamboni,
in Verità e libertà. Atti del XVII Congresso della Società filosofica italiana
(Palermo); Antonio Rotondò, Nuovi documenti per la storia dell'Indice dei libri
prohibiti in Rinascimento; Garin, Storia della filosofia italiana, Torino); A.
Pupi, Una riflessione a proposito delle critiche di Galileo all'aristotelismo,
in Nel quarto centenario della nascita di Galileo Galilei, Milano); Acta
nationis Germanicae artistarum a cura di L. Rossetti, Padova); ad Indicem; M.
Schiavone, in Enciclopedia filosofica, Firenze); M. A. del Torre, Studi su
Cesare Cremonini, Padova); A. Favaro, Galilei a Padova, Padova); A. Franceschini,
Nuovi documenti relativi ai docenti dello Studio di Ferrara nel secolo XVI,
Ferrara); ad Indicem; Pietro Puliatti, Bibliografia di Alessandro Tassoni,
Firenze, ad Indicem; L. Rossetti, Manoscritti cremoniniani della University
Library di Cambridge, in Quaderni per la storia dell'Università di Padova; C.
Schmitt, Zamboni, un aristotelico al tempo di Galilei (Venezia); G. Corazzol,
Angelo Portenari maestro di grammatica a Feltre ed una lettera di Cesare
Cremonini, in Quaderni per la storia dell'Università di Padova, M. Torre,
Logica ed esperienza nel trattato "De Paedia" di Cesare Cremonini, in
Aristotelismo veneto e scienza moderna, L. Olivieri, Padova); A. Favaro, Lo
Studio di Padova e la Compagnia di Gesù sul finire del secolo decimosesto, in
«Atti del regio Istituto veneto di scienze, lettere e arti», Marco Forlivesi,
Cesare Cremonini, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero:
Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Treccani – Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.A. Carlini, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. C. Schmitt, Dizionario biografico degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cesare Zamboni di Cremona (Cremonini).
Zamboni. Keywords: i galileiani. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Cremonini," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.#zamboni https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4420170464661581 #griceezamboni https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703122209/in/photolist-2mLLy7L-2mLR76M-2mLLy6U-2mLN1iZ-2mLR773-2mLN1iP-2mLLy5M-2mLR76G-2mLLy6Z-2mLLy6P-2mLN1io-2mLGsSr-2mLQ1Vx-2mLR78a-2mLR78A-2mLR77d-2mLGsSM-2mLN1iU-2mLN1jL-2mLR76X-2mKSb99-2mKNG6U-2mKNFqA-2mKSbnL
Grice e Zamboni
– volere -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Verona). Grice: “Not everybody knows his zamboni.” There’s
Giorgio Zamboni, but this entry is about Giovanni Zamboni. Essential Italian
philosopher. Filosofo. Opere: “Spencer:
commemorazione e polemica” (tip. Garagnani, Bologna), “La filosofia
neo-scolastica secondo un positivista” (Tip. vescovile G. Marchiori,Verona),
“Il valore scientifico del positivismo di Ardigò e della sua “conversione”
(Verona), “La dottrina morale e la psicologia del volere nel testo di etica di
un discepolo dell’Ardigò” (Società Editrice Veronese, Verona), “La gnoseologia
dell’atto come fondamento della filosofia dell’essere: saggio di
interpretazione sistematica delle dottrine gnoseologiche di Aquino” (Milano),
“Gnoseologia” (Soc. Ed. Vita e Pensiero, Tip. S. Giuseppe, Milano); “L' origine
delle idee: saggio analitico introspettivo, proposto alla riflessione
personale” (Società editrice veronese, Verona); “Sistema di gnoseologia e di
morale: basi teoretiche per esegesi e critica dei classici della filosofia
moderna” (Editrice Studium, Roma); “Studi esegetici, critici, comparativi sulla
critica della ragione pura” (La tipografica veronese, Verona); “Metafisica e
gnoseologia” (La Tipografica Veronese, Verona); “Il realismo critico della gnoseologia
pura. Risposta al «Caso Zamboni» (P. A. Gemelli, Mons. F. Olgiati eA. Rossi),
Verona), “Realismo, Metafisica, Personalità: Rilievi, Note, Discussioni” (La
Tipografica Veronese, Verona); “La persona umana: soggetto auto-cosciente
nell’esperienza integrale. Termine della gnoseologia. Base della metafisica”
(Verona, Giulietti G., Vita e pensiero, Milano); “Precisazioni e complementi ai
testi scolastici. La Religione naturale e l’essenza della religione Cristiana”
(La tipografica veronese, Verona); “La «filosofia dell’esperienza immediata,
elementare, integrale» per la completa auto-consapevolezza dello spirito umano”
(La Tipografica Veronese, Verona); “Itinerario filosofico dalla propria
coscienza all’esistenza di Dio” (La Tipografica Veronese, Verona. Teodicea,
Rodella A., Vita veronese, Verona, “La dottrina della coscienza immediate:
struttura funzionale della psiche umana è la scienza positiva fondamentale” (La
tipografica veronese, Verona); “Dizionario filosofico” (Vita e Pensiero,
Milano); “Idee e giudizi, Marcolungo F.L., IPL,Milano, “L’io e le nozioni
sopra-sensibili (IPL, Milano); “Corso di gnoseologia pura elementare: Spazio,
tempo, percezione intellettiva” (IPL, Milano); “Corso di gnoseologia pura
elementare, Idee e giudizi; IPL, Milano,
Corso di gnoseologia pura elementare”; “Autobiografia di una personalità
integrale” (Serio De Guidi, Archivio storico Curia diocesana, Verona, Studi
sulla Critica della ragione pura; QuiEdit,Verona,. Sistema di gnoseologia e di
morale; QuiEdit, Verona. Giuseppe Zamboni. Zamboni. Keywords: psicologia del
volere, volere, l’io, sopra-sensibile, volere, volizione, volitum – the will --
Refs.: H. P. Grice, “Gnoseologia,” The Grice Papers, BANC MSS 90/135c,
Bancroft, University of California, Berkeley. Luigi Speranza, “Grice e Zamboni,
L’io,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #zamboni https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4626165357395423 #griceezamboni https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702446696/in/photolist-2mLLy7L-2mLLy5M-2mLLy6P-2mLR76M-2mLR76G-2mLN1iP-2mLLy6Z-2mLN1iZ-2mLR773-2mLLy6U-2mLN1io-2mLGsSr-2mLQ1Vx-2mLN1jL-2mLR78a-2mLGsSM-2mLR76X-2mLN1iU-2mLR78A-2mLR77d-2mKSbnL-2mKNFqA-2mKNG6U-2mKSb99
Grice e Zanini
– simpatia conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Legnano)
Essential Italian philosopher. Grice: “If Zanini likes Smith for his ‘etica
della simpatia,’ I happen to prefer Englishman Butler, and his sermons on
self-love and benevolence!” -- Grice: “There are some resemblances between what
Zanini intelligently calls “the rhetorics, sic in plural, of truth, and my idea
of theoretical argument as a sort of deep-down practical argument.” Filosofo. Adelino Zanini. Laureato in filosofia a Padova con Curi, Zanini
è stato borsista presso la Fondazione L. Einaudi di Torino, ove ha studiato con
Lombardini. È professore di Filosofia presso l'Università delle Marche. I suoi
studi sono indirizzati, in particolare, al rapporto tra pensiero politico e
scienza economica. È tra i principali interpreti di Adam Smith e di Schumpeter.
Opere principali: “Filosofie del soggetto: soggettività e costituzione” (Ila
Palma, Palermo), “Keynes: una provocazione metodologica” (Bertani, Verona);
“Schumpeter impolitico” (Istituto della Enciclopedia ItalianaTreccani, Roma),
“Il moderno come residuo: dieci lemmi” (Pellicani, Roma); “Genesi imperfetta.
Il governo delle passioni in Adam Smith, Giappichelli, Torino, Modernità e nomadismo,
Calusca, Padova; Adam Smith. Economia, morale, diritto, B. Mondadori, Milano
(II edizione, Liberilibri, Macerata, ). Macchine di pensiero. Schumpeter,
Keynes, Marx, Ombre corte, Verona; oseph A. Schumpeter, B. Mondadori, Milano,
Lessico postfordista, (cura con U. Fadini), Feltrinelli, Milano Retoriche della
verità. Stupore ed evento, Mimesis Edizioni, Milano Filosofia economica.
Fondamenti economici e categorie politiche, Bollati-Boringhieri, Torino; L'ordine
del discorso economico. Linguaggio delle ricchezze e pratiche di governo, Ombre
corte, Verona. Principi e forme delle scienze sociali. Cinque studi su Schumpeter,
Il Mulino, Bologna, A. Negri, Una traccia per gli anni settanta, “Belfagor”, E.
Garin, “L'etica della simpatia” -- “L'indice”, A. Salanti, L'economia politica
come critica della società (capitalistica): note sparse Filosofia Economia.
Fondamenti economici e categorie politiche, “Quaderni del Dipartimento di Ingegneria
gestionale”, Università degli studi di
Bergamo. S. Caruso, Alla ricerca della filosofia economica, “Storia del pensiero
economico”, Fumagalli, Sfera politica e
sfera economica: un difficile rapporto. A proposito di "Filosofia
economica" “Economia politica.” MLOL,
Horizons Unlimited srl. Registrazioni, su RadioRadicale, Radio Radicale. univpm.
Sito web italiano per la filosofia, su swif.uniba. Intervista su J.A. Schumpeter. Video
Mediaset, su video.mediaset. Legnago. Adelfino Zanini. Zanini. Keyword: etica della simpatia,
simpatia, empatia, impassibile, non passibile, impatetico, impassionato,
compassione --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice and Zanini: the rhetorics of
truth,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia; H. P. Grice,
“Zanini,” The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, University of California,
Berkeley. #zanini https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4627107803967845 #griceezanini
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702448521/in/photolist-2mLLyDT-2mLLyEe-2mLGtqF-2mLLyE4
Grice e Zanotti
– forza viva – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo. Opere:
“Della forza dei corpi che chiamiamo [forza]
viva”, “Filosofia morale”; “De viribus
centralibus” Bononiae, Lelio dalla Volpe; “Ragionamento sopra la filosofia”;
“Paradossi”; “Epistolario.” Keywords: forza viva. Refs.: H. P. Grice, “Zanotti
and me,” The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The
University of California, Berkeley. Luigi Speranza, “Grice e Zanotti: la forza
viva,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #zanotti https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4576818618996764 #griceezanotti
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Grice e Zimara – i parepatetici -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Galatina). Essential
Italian philosopher. Grice: “Zimara is a testimony that Aristotle is popular
without Oxford!” Filosofo. Marcantonio o Marco
Antonio Zimara o Zimarra (San Pietro in Galatina). Si laurea a Padova e vi insegnò. Sindaco di
Galatina, Zamara si recò a Napoli per
difendere la città dai soprusi dei Duchi Castriota. Insegna filosofia a Salerno
con la stesura di una guida alle opere di Aristotele. Cura la pubblicazione di
alcune opere di Alberto Magno e di Giovanni
di Jandun Dizionario di filosofia. Delio Cantimori in Enciclopedia Italiana.
Opere: “Questio de primo cognito” -- Papie, Iacob de Burgofranco impresse, Studi Galatinesi illustri, Guida Biografica, Tor
Graf Galatina, Galatina. Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Marcantonio
Zima Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Grice: “It’s
amazing how much Zimara loved Aristotle, at least for those who don’t love him
that much!” Zimara. Keywords: Aristotle. Refs.: H. P. Grice, The Grice Papers,
BANC MSS 90/135c -- Luigi Speranza, “Grice e Zimara: Aristotle within and
without Oxford,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #zimara https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4597521526926473 #griceezimara
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701653932/in/photolist-2mLQ3qX-2mLQ3r8-2mLGusq-2mLLzBj-2mKT8uf-2mKHb1p
Grice e Zini – iustum quia iussum -- filosofia italiana
– Luigi Speranza (Firenze). Flosofo. Grice: “Like me, Zini
has been interested in the Graeco-Roman concept of ‘ius.’” -- Opere: “Proprietà
individuale o proprietà collettiva?” (Torino, Fratelli Bocca), “Il pentimento e
la morale ascetica” (Torino, Bocca), “Giustizia: storia d'una idea” – cfr.
Grice on ‘justice’ in Thrasymachus – (Torino, F.lli Bocca), -- cf. Grice,
“Justice in Plato’s Republic,” “Social justice,” The Grice Papers), “La morale
al bivio” (Torino, Fratelli Bocca), “La doppia maschera dell'universo: filosofia
del tempo e dello spazio” (Torino, Fratelli Bocca); “Il congresso dei morti,” Roma,
Libreria editrice del Partito comunista d'Italia, ed. con introduzione di
Giancarlo Bergami e prefazione di Nerio Nesi, Calabritto, Mattia&Fortunato;
Poesia e verità, Milano, Corbaccio, I fratelli nemici: dialoghi e miti moderni,
Torino, Einaudi; La tragedia del proletariato in Italia: diario, Prefazione di
Giancarlo Bergami, Milano, Feltrinelli; Appunti di vita torinese, Firenze,
Olschki Pagine di vita torinese: note del diario, Torino, Centro studi
piemontesi. Grice enjoyed Zini’s approach. “Zini’s philosophy on justice is
divided into six parts. The first is ‘the real and the ideal” (‘il relae e
l’ideale”); the second is “la giustizia come idea ed emozione” (fairness as
idea and as emotion), the third is “I frutti del lavoro e la loro distribuzione
scondo giustizia” (The fruits of labour and their distribution according to
fairness”); the fourth is “Libertà od egualiglianza” -- Grice: “Note the ‘od,’
which need not be exclusive” --; the fifth is “Analissi del merito,” an
analysis of merit, and the last is “La pena riparatrice,” literally the pain
that repairs, the punishment that teaches.”Grice: “In liberty or freedom versus
equality, Zini approaches the Roman attitude, rather brusque to those who
strike an Anglo-Saxon attitude!” – Keyowords: ius, iustum quia iussum. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Zini”; H. P. Grice, “Justice from Plato to Zini: the history
of an idea, alla Berlin,” Luigi Speranza, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia, The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft
Library, The University of California, Berkeley. #zini https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4583446701667289 #griceezini https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702737133/in/photolist-2mLQ41j-2mLGv3P-2mLLAb5-2mLN3si-2mLN3rw-2mLR9dh-2mLGv4a-2mLGv33-2mLQ41K-2mLGv2B-2mLLAaU-2mLGv3o-2mKPXEp-2mKT81u-2mKGAXq
Grice e Zolla – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia).Essential Italian philosopher. Filosofo
italiano. Saggi: “Etica e estetica” (Spaziani,
Torino), “Eclissi dell'intellettuale” (Bompiani, Milano), “Volgarità e dolore”
(Bompiani, Milano), “Le origini del trascendentalismo” (Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma), “Storia del fantasticare” (Bompiani, Milano), “Le potenze
dell'anima: morfologia dello spirito nella storia della cultura, anatomia
dell'uomo spirituale (cf. Grice, “the power structure of the soul”) (Bompiani,
Milano), “I letterati e lo sciamano” (Bompiani, Milano), “Che cos'è la
tradizione?” (Bompiani, Milano), “Le meraviglie della natura: introduzione
all'alchimia” (Bompiani, Milano, Archetipi, Marsilio, Venezia), “L'androgino:
l'umana nostalgia dell'interezza” (Red, Como), “Incontro con l'androgino:
l'esperienza della completezza sessuale” (Como Aure: i luoghi e i riti, Marsilio,
Venezia), “L'amante invisibile: l'erotica sciamanica nelle religioni, nella letteratura
e nella legittimazione politica” (Marsilio, Venezia), “Il sincretismo” (Guida,
Napoli), “Verità segrete esposte in evidenza: sincretismo e fantasia,
contemplazione e esotericità” (Marsilio, Venezia), “Tre discorsi metafisici”
(Guida, Napoli), “Uscite dal mondo” (Adelphi, Milano), La luce. La ricerca del
sacro, Tallone, Alpignano Ioan Petru Culianu, Tallone, Alpignano Lo stupore
infantile, Adelphi, Milano Le tre vie, Adelphi, Milano Un destino itinerante:
conversazioni tra Oriente e Occidente con Doriano Fasoli, Marsilio, Venezia La
nube del telaio: Ragione e irrazionalità tra Oriente e Occidente, Arnoldo
Mondadori Editore, Milano La filosofia perenne. L'incontro fra le tradizioni
d'Oriente e d'Occidente, Mondadori, Milano Catabasi e Anastasi, Tallone,
Alpignano Discesa all'Ade e resurrezione, Adelphi, Milano Minuetto all'inferno,
Einaudi, Torino Cecilia o la disattenzione, Garzanti, Milano I moralisti
moderni, Garzanti, Milano (con Alberto Moravia) Saggi, Bompiani, Milano La
psicanalisi, Garzanti, Milano Emily Dickinson, Selected Poems and Letters,
Mursia, Milano Il Marchese de Sade, Le opere. Scelte e presentate da Zolla,
Longanesi & C., Milano I mistici, Garzanti, Milano Herman Melville, Clarel,
Einaudi, Torino; nuova ed. Adelphi, Milano Nathaniel Hawthorne, Settimio Felton
o l'elisir di lunga vita, Neri Pozza, Vicenza; poi Garzanti, Milano Il
superuomo e i suoi simboli nelle letterature moderne, La Nuova Italia, Firenze
Pavel Florenskij, Le porte regali. Saggio sull'icona, Adelphi, Milano Novecento:
Lucarini, Roma L'esotismo nella letteratura, La Nuova Italia L'esotismo nelle
letterature moderne, Liguori, Napoli Il dio dell'ebbrezza: antologia dei
moderni dionisiaci, Einaudi, Torino Conoscenza religiosa, Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma Gli arcani del potere: elzeviri, Rizzoli, Milano, Gli usi
dell'immaginazione e il declino dell’Occidente, A.I.R.E.Z., Montepulciano
Filosofia perenne e mente naturale, Venezia Il serpente di bronzo. Scritti
antesignani di critica sociale, Venezia Civiltà indigene, Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma Archetipi. Aure. Verità segrete. Dioniso errante. Tutto ciò
che conosciamo ignorandolo, Marsilio, Venezia
(contiene Archetipi, Aure e Verità segrete esposte in evidenza, e
l'introduzione all'antologia Il dio dell'ebbrezza) Le tre vie. Soluzioni
sovrumane, Grazia Marchianò, Marsilio, Venezia. Zolla. Keywords: fantasticare. Refs.:
H. P. Grice, The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University
of California, Berkeley #zolla https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4615547105123915 #griceezolla https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701657667/in/photolist-2mLN3Yo-2mLN3Yd-2mLLAFU-2mLLAFZ-2mLGvyP-2mLR9J2-2mLR9J7-2mKT6He-2mKPWH9-2mKS46g
Grice e Zorzi – l’armonia del mondo -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Venezia). Essential
Italian philosopher. Grice: “For some reason, in the Veneto area, they cannot
pronounce the /dg/, which becomes /z/ as everyone who is familiar with Giorgone
– as in Quine’s infamous example -- would know!”. Filosofo. Opere: “L'armonia del mondo” (S. Campanini, "Il Pensiero Occidentale",
Bompiani, Milano), “De harmonia mundi,” pref. C. Vasoli (Lavis-Firenze, La
Finestra editrice-Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze), “L'Elegant: Poema
e Commento sopra il Poema, J.-F. Maillard, Arché Edidit, Milano Paris. S. Onda,
“Le vicende costruttive della chiesa e del convento”, “Il progetto di Jacopo
Sansovino e il «memoriale» di Zorzi” “Le teorie ermetiche di Zorzi,” in “La
chiesa di San Francesco della Vigna e il convento dei Frati Minori” (Venezia, edizione
a cura della Parrocchia di San Francesco della Vigna), S. Campanini, “Le fonti
ebraiche del ‘De Harmonia mundi’ di Zorzi, in «Annali di Ca' Foscari»; S. Campanini,
“La struttura simbolica del ‘De Harmonia mundi’ di Zorzi, in «Materia Giudaica».
Alfonso Vesentini Argento. “Il cardinale e l'architetto: Aleandro e il rinascimento
adriatico veneziano” (Apostrofo edizioni-Pieve San Giacomo-Cremona). Grice:
“Zorzi is interesting as proof that in Italy they take the Hebrew language
seriously! They call it a classic, even! I wish I had learned some all those
years I borded at Clifton!” – Zorzi. Keywords: armonia conversazionale. Refs.: H.
P. Grice, The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University
of California, Berkeley, Luigi Speranza, “Grice e Zorzi: l’armonia del mondo,”
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Grice e Zorzi Grice e Zorzi
#zorzi https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4597460416932584 *https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691790628/in/photolist-nfCbJd-2mKPWrs-2mKNDfF-nfj51y
Grice
e Zucca – un filosofo di un filosofo -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Villaurbana). Filosofo. Grice: “I like his surname. Mine means
‘pig.’ His means ‘pumpkin’!” Saggi: “L'uomo e
l'infinito” (Imola, Tipografia sociale), “Il lamento del genio: parodia”
(Sassari, Gallizzi), “Dopo il dolore: canto (Chiari, Rivetti), “Il grande enigma”
(Modena, Formiggini), “Le lotte dell'individuo” (“Rivista di Filosofia”,
Modena, Formiggini), “Essere e non essere” (“Rivista di Filosofia”; Roma,
Formiggini), “Pensieri” (“Rivista sarda”), “Leggenda e realtà” (“Rivista sarda”),
“Ardigò e il vescovo di Mantova: un'intervista nel sogno” (“Rivista sarda,”
Roma, Ferri), “Un filosofo di un filosofo” (“Mediterranea”), “I rapporti fra
l'individuo e l'universo” (Padova, Milani). Antioco Zucca. Zucca. Keywords: un
filosofo di un filosofo. Refs.: Luigi Speranza, “Un filosofo di un filosofo:
Grice e Zucca,” -- H. P. Grice, The Grice Papers, BANC, MSS The Bancroft
Library, The University of California, Berkeley. Luigi Speranza, The
Swimming-Pool Library, for the Anglo-Italian Club, Villa Speranza, Liguria. Grice
e Zucca #Zucca https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4572810639397562 *https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702459231/in/photolist-2mLGwFP-2mLLBQT-2mLGwFD-2mLQ5F8-2mLN587-2mKT6qL-2mKT6cK-CJiGU5-BLCQcz-C91qtA-BRssY3-Cbik8t-BRstt1-BK57Zz-BYzvBt-Bq3dFH-skZFyK-hSTpSd
Grice e Zubiena
– corpi e corpi -- filosofia fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Torino). Grice: “Perhaps without knowing, Zubiena has explored a crucial
concept in Greco-Roman philosophy, that of ‘daimone,’ – ‘il demoniaco,’ as
Zubiena calls it, focusing on its iconography. Grice: “I would call him the
Italian G. W. H. Parkinson: like G. Parkinson, Zubiena edits a volume on
‘semantics.’ And I would also call him the Italiaan A. G. N. Flew: like Flew,
Zubiena edits a volume on “Language and philosophy.”” Filosofo. Insegna a Roma.
Fonda l'Archivio di Filosofia e organizza i "Colloqui Castelli.” Grice: “Zubiena
should have called these colloquia the Zubiena colloquia” -- incontri che
riuniscono filosofi per discutere temi diversi. Vicino all'esistenzialismo,
Zubiena, partendo da una posizione spiritualista, si caratterizza per uno stile
filosofico dal tratto autobiografico. Si interessa di temi legati al rapporto
tra ragione, arte e religione; e introdusce il dibattito sulla demitizzazione. In
Zubiena convergono suggestioni tratte da Agostino, Kierkegaard, Šestov,
Heidegger, in una ricerca volta a delineare una teologia della storia sulla
base della considerazione del tema del peccato originale. Nei Colloqui
“Zubiena” convennero personalità di rilievo della scena filosofica religiosa,
teologica, ontologica, fenomenologica ed ermeneutica. Vi fecero la loro
comparsa Gouhier, Breton, Brun, Bruaire, Tilliette, Lacan, Ricœur, Lévinas,
Ellul, Argan, Starobinski, Benveniste, Eco, Scholem, Vahanian, Giannini. Ha
preso il suo posto, come organizzatore dei Colloqui e direttore dell'Archivio
di Filosofia, Olivetti. Panikkar e suo grande amico e collaboratore. Saggi: “Il
tempo esaurito” (Bussola, Roma), “I presupposti di una teologia della storia” (Milani,
Padova), “Il demoniaco” (Electa, Milano), “Pensieri e giornate” (Milani,
Padova), “Simboli e immagini” (Rinascimento, Roma), “Il tempo invertebrate” (Milani,
Padova), “I paradossi del senso commune” (Milani, Padova), “La critica della
demitizzazione” (Milani, Padova), “Il tempo inqualificabile” (Milani, Padova)
“Diari” (Milani, Biblioteca dell'Archivio di Filosofia, Padova). Olivetti, La
filosofia cristiana (Città Nuova, Roma); Prini, “L'esistenzialismo teologico”, La
filosofia cattolica italiana del Novecento” (Laterza, Roma). Enciclopedia
Treccani Sapienza Roma, su archivio.uniroma1,
Filosofia della religione esistenzialismo teologia razionale Istituzioni collegate, su filosofia.uni roma1.
Archivio di filosofia, su libra web.net. Sichirollo, “Castelli Gattinara di
Zubiena, Enrico”, Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Episcopale Italiana. O di Enrico Castelli. Enrico
Castelli. Enrico Castelli Gattinara di Zubiena. Zubiena. Keywords: symbolica;
parabolica; diabolica; lo individuo e il stato, la corporazione. Refs.: Luigi
Speranza: “Grice, Flew, Parkinson, and Zubiena,” Luigi Speranza, “Grice e
Zubiena: implicature demoniache” -- The Swimming-Pool Library, Villa Grice,
Liguria. Grice e Zubiena #Zubiena https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4795725827106041
* https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701268687/in/photolist-2mLGyqv-2mLJBAD-2mLN3xV-2mLEwLN-2mLEvWg-2mLN4xk-2mLJzAr-2mFYSKW-2mFTkXC/
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